Scelte

di Marianna 73
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scelta ***
Capitolo 2: *** Tentazione ***
Capitolo 3: *** Donna ***
Capitolo 4: *** Sogno e realtà ***
Capitolo 5: *** Furia ***
Capitolo 6: *** Notte ***
Capitolo 7: *** Nuovi orizzonti e dolorose verità ***
Capitolo 8: *** Foschia ***
Capitolo 9: *** Nulla ***
Capitolo 10: *** Un anno, due mesi ed un giorno ***
Capitolo 11: *** Vite nuove -prima parte ***
Capitolo 12: *** Vite nuove -seconda parte ***
Capitolo 13: *** Vento di settembre ***
Capitolo 14: *** Tutto ciò che rimane ***
Capitolo 15: *** Prima che sia troppo tardi ***
Capitolo 16: *** All'ultimo istante ***
Capitolo 17: *** Voce ***
Capitolo 18: *** Colpe ***
Capitolo 19: *** Tempo ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Scelta ***


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Muove piano la mano, alla ricerca della sua. Sente il fresco dell'erba, ancora bagnata per il temporale della notte.
Deve riuscire a calmare il respiro, a riordinare i pensieri, a parlarle, a spiegarle...
Spiegarle cosa? Cosa è accaduto?  Perché è successo?  
Nemmeno lui lo sa con certezza.
Non sa come sia successo, in quale momento la loro baruffa è diventata un abbraccio, i loro pugni si sono mutati in carezze ed insieme sono scivolati sull'erba, persi l'uno nel respiro dell'altra.

Buio.
Come quando un'improvvisa zaffata di vento spalanca le finestre e smorza ogni lume.
Buio.
La mente che si annulla e niente altro che la gola bianca di lei, la vena azzurrina che pulsa impazzita e le sue labbra, dischiuse.
Il suo odore di giovane femmina, accaldata ed ansante.
Un bottone del panciotto che si è  sganciato nella colluttazione e rivela sotto alla seta della camicia il gonfiore acerbo dei seni.
Una fitta, lancinante, che scende giù, infuocata, fino alla pancia e oltre, ed il bisogno spasmodico di conoscere il sapore di quella bocca.
Negli occhi di lei e nel suo respiro che si fa caldo e velocissimo, ne è sicuro, lo stesso bisogno.
La bocca che la trova, senza che la sua volontà possa far nulla per impedirlo, e si abbevera a quelle labbra rosse, ne cerca il sapore profondo e lo ghermisce, rapace, giovane maschio alla scoperta di un mistero inquietante e proibito.
E gli risponde la bocca di lei, rendendolo pazzo...gli risponde la sua lingua che danza impudica, gli risponde il suo mormorio bagnato, il suo corpo che si inarca e trova il suo turgore.
Con una mano scalza l'abbottonatura della camicia, sotto la gola e trova la pelle, non riesce a fermarsi, non può  impedire alle dita di scendere e tirare e forzare la stoffa e, un tremito di sangue dietro le palpebre, trovare il bocciolo di un seno, tenero e indifeso.
Urla forte la carne nel rombo delle orecchie, e invoca di più. E' un'urgenza fortissima che non ha mai provato, quel bisogno infuocato di toccarla, di sentirla nuda, di mordere, di spingere...
È il grido soffocato di lei a farlo tornare.
Il suo nome in un'invocazione carnale ed istintiva che lo spaventa, lo riporta alla realtà.
Alza la testa, stordito, e la guarda.
Gli occhi chiusi, la bocca tumida e schiusa, la camicia malamente scalzata a rivelare il candore del collo... indifesa, femmina....Oscar.
Una sferzata il pensiero di ciò che stava per succedere mentre si allontana brusco, rotolando via da lei ed appoggiando la schiena al fresco del terreno.
Il cuore ancora impazzito ed il sangue, come lava incandescente nelle vene...ed il terrore, freddo, al pensiero di ciò che stava per farle.

Trova la sua mano e la sfiora piano. Lei non parla. Ha gli occhi aperti ora ed il respiro ancora un poco affrettato. Sembra guardare i semi di un soffione che fluttuano lievi, trasportati dal vento.
Quando si  volta su un fianco e lo guarda non c'è nulla, nei suoi occhi, contro di lui. Solo stupore. E rimpianto, forse, per qualcosa che tra loro non potrà esserci più. 
Resta ferma a guardarlo, quieta e bellissima, i capelli che le lambiscono il collo, il rossore di uno dei suoi colpi andato a segno poco prima, a colorirle uno zigomo. Le stringe più  forte la mano, prima di parlare. "Perdonami, Oscar" riesce a dire "Io non...non sono riuscito a fermarmi...Non so cosa mi è preso, davvero." È  vero, non sa perché  l'ha fatto. Sa solo che l'ha voluto, come non ha mai voluto niente in vita sua. O forse sì, lo sa cosa l'ha spinto verso quelle labbra. Lo sa ma non vuole ammetterlo, perché è talmente grande, talmente sconvolgente, quella verità che potrebbe annullarli entrambi.
Ancora silenzio, da parte di lei. Solo quello sguardo azzurro, così simile a quello della bambina che era, che è stata per lui, fino a poco prima. Ma già così parte della donna che per lui di colpo è diventata, in pochi folgoranti minuti, in balia delle sue mani impazzite.
Riprende a parlare perché quegli occhi, dietro ai quali intuisce la tempesta, hanno diritto ad una spiegazione.
"Non volevo arrivare a quello, credimi..."la vede aggrottare un poco la fronte, nel tentativo di intuire cosa lui sta per dirle.
"E non volevo nemmeno litigare con te..." Sospira forte "In realtà ti ho chiesto di uscire a cavalcare per poterti dire una cosa. Ci penso da giorni ed ora..." chiude gli occhi un istante e risente la sua morbidezza flessuosa sotto al suo corpo "Ora mi sembra ancora più importante, dirtelo." La vede sollevarsi con un movimento brusco e anche lui si solleva. Sono in piedi, uno di fronte all'altro, ora. Le si avvicina e con la mano le scosta i capelli dalla gola e li accompagna con un gesto gentile dietro un orecchio. Lei lo guarda e parla, per la prima volta, da quando sono caduti a terra."Dimmi André, "mormora e la sua voce è un soffio, "Ti ascolto...anche se penso di sapere già cosa vuoi dirmi...sono giorni che tutti quanti non fate che ripetermi la stessa cosa..."
Lui sorride appena "No, Oscar, non credo..." Sospira, prima di riprendere a parlare, perché sa che pronunciando quelle parole la sua vita cambierà, e non potrà tornare quella di prima, mai più.
"Non è  ancora troppo tardi" dice infine, e scopre che in fondo non è difficile dirlo, che per amor suo nulla è troppo difficoltoso da affrontare.
"Fermati, e ascolta il tuo cuore, Oscar..."
****   ****

È l'alba, grigia e ancora molle di rugiada e foschia notturna quando richiude il portone delle scuderie e, tenendo per le redini il cavallo, si incammina verso l'uscita secondaria.
Nelle due bisacce, sui fianchi della sella, le poche cose che gli appartengono e sulle guance ancora il segno delle lacrime della nonna, a cui ha appena detto addio.
Respira a fondo ed abbraccia con lo sguardo la sagoma scura di Palazzo Jarjayes, ancora profondamente addormentato, per l'ultima volta.
Sapeva che avrebbe dovuto andarsene.
Lo sapeva il pomeriggio precedente quando aveva suggerito ad Oscar di seguire il suo cuore.
E lo sapeva la sera prima, quando aveva comunicato al Generale che non aveva obbedito ai suoi ordini: non aveva provato a convincere Oscar ad indossare l'uniforme di Capitano delle Guardie Reali. 
"Non ho potuto farlo, Signore," gli aveva detto, la voce salda ed un coraggio che non aveva mai immaginato di possedere. "E non lo farò mai." Lo sguardo dell'altro si era fatto pugnale, pronto a trafiggerlo. "Comprendo le vostre ragioni, ma francamente non mi sembrano un motivo sufficiente per costringere vostra figlia ad una vita che non desidera."
Da quel momento ogni gesto ed ogni parola avevano perso importanza. 
Lo sguardo infuocato del Generale ed il cenno sprezzante  con cui gli intimava di lasciare la stanza,  dopo avergli comunicato che i suoi servigi non erano più richiesti, che ci avrebbe pensato lui, dannazione, a convincere quella figlia più testarda di un mulo e che avrebbe incaricato qualcun altro alla mansione di attendente, qualcuno di molto più fidato...
Nulla se non la consapevolezza che, anche se significava abbandonarla, non aveva tradito ciò che erano stati uno per l'altra, né l'avrebbe mai fatto.

Si stringe nel mantello e solleva lo sguardo alla ricerca della sua finestra: è ancora chiusa, e buia, come tutte le altre.
Una morsa allo stomaco, ed il respiro che si spezza, al pensiero che non la rivedrà mai più...
Che le loro strade si dividono quel giorno per non più ricongiungersi. Non ci sarà più posto per lui, nel futuro di Oscar, quale che sarà la sua decisione. Non ci sarà più spazio per loro, per quei bambini smarriti che si sono tante volte fatti scudo l'uno con l'altra contro i colpi della vita. Quei bambini innocenti che si sono perduti nell'erba di quel pomeriggio assolato, spazzati via dalle sue mani avide su quel corpo bianco, cancellati senza appello dalla scoperta del suo amore per lei, assoluto, innegabile ma senza futuro.
Sorride mesto, tra sé e sé, mentre riprende le redini. 
Sì, la ama. Disperatamente, con tutto il cuore. È amore quel bisogno spasmodico di lei, quel desiderio di proteggerla, da tutto è da tutti, anche da sé stessa, anche da lui, dal baratro in cui potrebbe trascinarla con il suo sentimento impossibile.
Deve andarsene via, proprio perché la ama tanto. Per non rovinarle la vita. Perché non è affatto sicuro di riuscire a nasconderle i suoi sentimenti e soprattutto perché lui l'ha sentito, il corpo di Oscar, rispondere al suo il giorno prima, e...
"André!" La voce di lei, chiara ed argentina, dalla bruma alle sue spalle "che succede, André, dove stai andando?"
Si volta, piano, e se la ritrova davanti, le guance arrossate dal fresco dell'alba, gli occhi spalancati, impauriti.
Uno sforzo contenere il desiderio di abbracciarla e la decisione improvvisa di non raccontarle nulla del colloquio con il Generale, di tacerle la meschinità di suo padre per non procurarle altro dolore.
"Me ne vado via, Oscar" risponde, cercando di controllare il tremito nella voce "Dopo quel che è successo ieri, tra noi, penso sia meglio così..." 
Lei gli si avvicina "Non sei bravo a mentire, André," mormora, prendendogli una mano "Ho sentito quello che hai detto su di me a mio padre" lo sente irrigidirsi e gli si avvicina ancora "E so che è  stato lui a chiederti di andare via...perché  lo hai fatto, André?" È così vicina, ora che sente il calore del suo respiro ed il profumo dei suoi capelli...Dio, quanto è difficile resisterle, quanto vorrebbe tuffare il viso in quei riccioli ed indietreggiare con lei, nella nebbia, e portarla via, lontano, loro due soltanto...
Ma non può farlo, non deve.
"Tu sei l'unica che può scegliere per la sua vita, Oscar," dice, infine "nessun altro ha il diritto di farlo per te. È una scelta tua, tua soltanto." 
Ci sono lacrime, ora, negli occhi di lei, affranti, persi nei suoi. "Non andartene, André, ti prego," singhiozza, la voce spezzata "Non lasciarmi sola..."
Deve allontanarsi da lei, in fretta, o non ne sarà più capace. Non potrà  lasciarla, mai più. 
Una carezza e le labbra che sfiorano la sua guancia, tenera di pianto. Un bacio lieve come quella nebbia che si sta dissolvendo.
"Non posso restare." Un mormorio sulla sua pelle "Scegli per te la vita che vuoi, Oscar. E, ti prego, sii felice."
Sale in sella con un balzo e lesto sprona il cavallo. La sua voce, per invitarlo a partire, e in un attimo scompare, inghiottito dalla foschia.

È già fuori dalla proprietà della famiglia Jarjayes, quando tira le briglie per moderare l'andatura del cavallo. Ha galoppato a testa bassa, senza voltarsi a guardarla, esile ed eterea nella luce lattiginosa che precede l'alba. Si ferma, schiantato da quell'ultima immagine, il cuore che duole al punto da temere si spezzi. Se solo avesse qualche anno in più e un lavoro e una casa...forse avrebbe potuto confessarle i suoi sentimenti, il bisogno disperato di averla accanto, la frustrazione infinita di non aver potuto fare di più, per proteggerla,  in tutti quegli anni, dalla vita sciagurata che suo padre le ha imposto. Se solo fosse un uomo e non un ragazzo...
Scaccia rabbioso le lacrime che gli pungono le ciglia e prova a governare il respiro.
Sapeva a cosa sarebbe andato incontro, contravvenendo agli ordini del Generale, ma non aveva immaginato che sarebbe stato così difficile, così maledettamente doloroso.
Non sa quanto tempo rimane fermo, gli occhi chiusi e le mani contratte sulle briglie, a cercare il coraggio di lasciarsi ogni cosa alle spalle.
Lo riscuote qualcosa di appena percettibile ma, che per un motivo che non subito comprende, nuovamente gli fa accelerare il cuore.
Un rombo lontano, ritmico, che si spande nell'aria e gli blocca il respiro.
Il rumore inconfondibile di zoccoli che battono forte il terreno, di un galoppo sfrenato.
Si volta a scrutare la direzione da cui è appena venuto ed un baluginio  bianco ed oro si manifesta, sempre più riconoscibile.
In un lampo lo raggiunge e, prima ancora di riuscire a vederla, la percepisce, protesa verso di lui, le gambe ancora strette alla sella, morbida ed ansante tra le sue braccia, il cavallo che nitrisce, spazientito per la brusca frenata. 
Sente la guancia fredda e vellutata, liquida di pianto e le braccia che lo cingono, corde indissolubili che lo serrano stretto, lo catturano, gli mozzano il fiato. 
La trae a sé, in un frullo di capelli aggrovigliati e singhiozzi e la stringe forte. 
Minuti lunghissimi, ricolmi del suo respiro affannoso che pian piano si acquieta e dei suoi occhi luminosi come il cielo che si sta schiarendo all'orizzonte.
Poi la sua voce, come il mormorio di una fonte, ad un palpito dal suo orecchio.
"Ho scelto, André."

C'è l'arancio ed il violetto ed il rosa dell'alba, ad attenderli. Ed il sole.



continua...

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Capitolo 2
*** Tentazione ***


Capitolo 2 - Tentazione

 

Giugno 1775

Un cielo nerissimo,  trapunto di stelle ed un refolo di vento lo accolgono, appena oltre la soglia. Il fresco della notte gli regala sollievo e gli infonde tranquillità, man mano che riesce ad allontanarsi nel buio, fino  a quando anche i rumori di masserizie rovesciate e stoviglie infrante scompaiono, stemperati in un frinire di grilli e foglie smosse.

Fatica a camminare, ostacolato com'è  dal peso di lei, che riesce a reggere a malapena  sul fianco, in un abbandono che gli intralcia il passo, eppure procede spedito, tutte le forze chiamate a raccolta. Non c'è altro che voglia di più,  in quel momento, che allontanarsi da quella maledetta taverna.
Era stata una grande imprudenza fermarsi a mangiare in un locale che non conoscevano, in una zona degradata dove l'uniforme di Oscar, scintillante di oro e simboli di ricchezza,  poteva essere oggetto di sguardi curiosi e malevoli. Ma entrambi erano stanchi, dopo quell'ultima ispezione al percorso che avrebbe dovuto compiere il corteo reale da lì a pochi giorni, in occassione dell'incoronazione, e avevano deciso di mangiare qualcosa alla periferia di Parigi, prima di affrontare il tragitto sino a Palazzo Jarjayes. Mai avrebbero immaginato che quel gesto avrebbe  avuto conseguenze così  disastrose.
Un piccolo inciampo nel terreno lo costringe a stringerla più  saldamente, per non perdere l'equilibrio e la morbidezza dei capelli di lei, che in quello scarto improvviso gli solleticato il viso, gli strappa un sorriso stanco ed una piccola smorfia di dolore.
"D
annazione, Oscar..." mormora incespicando ancora, il respiro che si fa strada a fatica tra le costole ammaccate.
"Quante ne ho prese, stasera!"

Il ricordo di quanto avvenuto pochi minuti prima gli spezza ancora, per un istante, il respiro.
Rivede quell'uomo corpulento avvicinarsi al loro tavolo, dopo averli a lungo provocati. L'aveva colto il panico, quando aveva visto quelle mani sudicie avvicinarsi al viso di lei. Sarebbe bastato così  poco per capire che quello strano soldato biondo non era quello che sembrava... Chiude gli occhi ed è  costretto a fermarsi, annichilito ancora dalla paura di quali aberranti conseguenze avrebbe potuto avere quella scoperta.
Di cosa avrebbero potuto farle, se solo avessero compreso che era una donna.

Travolto dal terrore, aveva cercato in tutti i modi di distogliere l'attenzione da lei. Li aveva apostrofati, in malo modo, per attitarli  su di sé, malgrado fosse solo contro neppure sapeva quanti.
Tutto, purché non notassero la sua pelle di filigrana, le sue dita affusolate, il suo corpo flessuoso e l'inarcarsi sensuale dei fianchi, sotto alla stoffa  spessa della giacca.
"
Tutto pur di proteggerti, Oscar..."
Sospira mentre riapre gli occhi e nel tentativo di cambiare posizione per meglio riprendere a camminare, sfiora col mento la sua guancia arrossata da un pugno andato a segno e le strappa un lamento, appena percettibile.
Il respiro gli muore in gola, ghermito dalla purezza di quel viso di porcellana, così  bello e così  offeso dai colpi ricevuti. Non si era tirata indietro, Oscar, e si era difesa egregiamente, malgrado la corporatura esile.
"Come avrebbero potuto non accorgersi che sei una donna, Oscar, se solo ti avessero guardata un istante?"
Una mano sale a spostare i riccioli che piovono arruffati sulla fronte e sfiora, lieve, una piccola escoriazione che ne deturpa il candore.

"Io me ne accorgo sempre... Anche quando faccio di tutto per dimenticarmene."
Il pollice indugia ancora sulla pelle di velluto e su quell'abrasione crudele, quasi volesse farne suo il dolore che le arreca e che prima l'ha fatta gemere piano. Sospira mentre la fa appoggiare dolcemente nella conca della spalla e con un movimento fluido ed attento la raccoglie, l'altro braccio nell'incavo sotto alle ginocchia, e se la serra al petto.
E sei una donna bellissima, Oscar..."
Trabocca, il suo cuore, nel percepirla così  leggera e con esso vibra anche la parte più celata della sua anima...perché malgrado i colpi ricevuti e la paura che gli ha chiuso lo stomaco è  così  bello averla tra le braccia, il corpo di giunco mosso appena dal ritmo del respiro,  così  dolce ed abbandonata, che non riesce a non godere di quel momento perfetto, solo suo, accompagnato dal profumo lieve dei capelli di lei che ricadono come una cascata d'oro oltre il suo braccio e come una cascata dolcemente ondeggiano  al ritmo del suo passo quando riprende a camminare verso la staccionata cui hanno legato i cavalli.
La stringe appena tra le braccia, attento a non farle male, gli occhi fissi a quel viso che la luna rende alabastro lucente e dipinge ombre scure sulle sue labbra appena schiuse da un nuovo mormorio.

Dio, quelle labbra...

È costretto a fermarsi, ed a deglutire forte per tentare di scacciare il tormento impetuoso che il ricordo del loro sapore ancora gli reca.

Anni, che sembrano secoli, grevi di solitudine, da quel bacio lontano.
Secoli che sembrano dissolversi e tramutarsi in semi di soffioni che fluttuano al vento... e quel pomeriggio è lì,  come fosse appena trascorso.
E lì, intatto, dentro di lui, è  il ricordo di quel sole,  di quel bisogno ingovernabile di stringerla a sé  e immergersi nella sua bocca e fondersi col suo corpo esile e fremente, incredibilmente femminile...
Ricorda ogni suo respiro, ogni gemito soffocato, ricorda  la sua voce, rauca e sfatta.
Ricorda la sua paura, e il suo sforzo, nell'allontanarsi da quella pelle bollente.
E con altrettanta chiarezza ricorda l'ira del Generale, quella stessa sera, e quel suo dover abbandonare ogni cosa, in quell'alba grigia e molle di rugiada.
Ricorda lei ed il suo inseguirlo, il suo rannicchiarsi contro il suo petto, le sue lacrime e la sua volontà di lasciare ogni cosa e  fuggire con lui, pur di non perderlo.
Ricorda quell'aurora arancione e la sua mano, a trattenere le briglie di Cesar, mentre, il cuore divenuto un macigno, la fa sedere accanto a sé, sul ciglio di quella strada polverosa e le domanda se davvero è  pronta  a lasciare tutto per lui. Se è pronta  a gettare il disonore sulla sua famiglia, a perdere per sempre l'amore di suo padre, a vivere per il resto dei suoi giorni una vita randagia, da  fuggitiva.
Ricorda gli occhi di lei, dolenti come mai prima di allora, nel vedere pian piano svanire il sogno di libertà accarezzato per qualche minuto e ne risente la voce, dopo un tempo che gli è parso infinito, ammettere che no, non è pronta a ferire chi ama.... ma la rammenta anche, quella stessa voce, chiarissima malgrado il pianto che le vela lo sguardo, ribadirgli che non è pronta nemmeno a perdere lui e chiedergli, sempre più  accorata  di non andarsene, di restare al suo fianco.
Il cuore ancora gli si stringe a ricordare le mani di lei, strette nelle proprie ed i suoi occhi, sempre più addolorati quando, uno sforzo immane governare il tremito che gli stringe la gola,  le aveva promesso  che sarebbe rimasto, ma solo per essere ancora solo e soltanto  il più  devoto dei servitori ed il più  sincero degli amici, perché quello che era successo tra loro su quell'erba profumata di pioggia non avrebbero dovuto succedere mai più...

Sospira piano, Andrè, il corpo leggero di lei ancora stretto tra le braccia.

Era stata la cosa più  difficile che avesse mai dovuto fare... Il petto gli si era incendiato per la sofferenza mentre le parlava ma il timore di danneggiarla, rivelandole i suoi sentimenti ed assecondando quella brama che le aveva sentito sulla pelle, era stato più  grande di ogni altra cosa. La amava ed avrebbe continuato ad  amarla, con tutto il cuore...e riuscire a non dirglielo, nel tentativo  disperato di proteggerla da quel sentimento che nemmeno avrebbe dovuto provare, era quanto di meglio  che poteva fare per lei.
Erano tornati a casa ed Oscar aveva comunicato a suo padre che avrebbe accettato l'incarico di Comandante delle Guardie Reali ma aveva preteso la presenza di André  come attendente, o non se ne sarebbe fatto nulla.  Gli occhi del Generale avevano dardeggiato, furibondi, ma lo sguardo azzurro di lei aveva resistito, impavido, ed infine la voce adirata di Jarjayes aveva consentito  il suo ritorno.
Qualche tempo dopo Oscar aveva preso servizio come Ufficiale di Sua Maestà  e lui ne era divenuto l'ombra, invisibile e fedele.
Ed era iniziata una serie lunghissima di giorni sempre uguali, colmi solo di doveri da compiere ed aspettative da soddisfare.

È  ancora fermo a contemplare il suo viso, non gli è  più  riuscito di muovere un passo travolto da quell'onda impetuosa di ricordi .

Erano passati sei anni da quel giorno.
Sei anni interminabili, perduti ed inutili e amari, in cui l'ha amata, senza speranza, ogni giorno di più.
Per quell'esistenza non sua, durissima, che infine aveva deciso di vivere, per la scorza fredda che era stata costretta ad indossare e per il coraggio e l'abnegazione con cui affrontava quel mondo arido ed ostile, ogni giorno. Perché era Oscar, semplicemente.
Ma c'erano stati momenti in cui non visto, si era soffermato a guardarla, perduta nel rosso di un tramonto o rigida ed altera, nel fragore delle parate militari, e ne aveva colto lo sguardo, talmente colmo di solitudine e tristezza da trafiggergli il cuore e spezzargli il respiro. E altri, ancora più  difficili, in cui quegli occhi e la loro muta richiesta di calore, li aveva dovuti fronteggiare nella penombra calda di una serata di fronte ad un camino. E sempre, in quegli sguardi,  aveva letto, immutato, il desiderio di libertà  e amore che li aveva animati in quell'albeggiare pieno di luce, e ogni volta l'aria intorno a loro si era fatta spessa, densa dello stesso bisogno di appartenergli che aveva sentito emanare da quel corpo gracile premuto sotto al suo su quell'erba bagnata di temporale.
E ogni volta, ogni difficilissima, dannatissima volta, aveva desiderato con tutto il suo cuore stringerla a sé  come nella nebbia di quella mattina lontana, e portarla via.
Ma non lo aveva mai fatto, convinto più  che mai che, proprio per l'amore immenso che le portava, doveva rispettare la sua scelta ed aiutarla in quella sua esistenza difficoltosa. Caparbio, aveva perseverato nel suo ruolo di amico fidato, riflesso fedele ed inappuntabile, dolorosamente cieco  al richiamo di quegli occhi e sordo al desiderio che il ricordo di quelle labbra e del loro sapore accendeva crudele nella sua carne.

È  ancora fermo, immobile.

Ogni rumore si spegne ed ogni altra sensazione si annulla, spazzate via dalla consapevolezza che quelle stesse labbra, tumide e schiuse ora sono lì,  accostate al suo viso, così  vicine da percepirne il calore. E che a cercare il suo sguardo e l'amore che da esso trabocca, splendidi nella luce della luna che li accende d'argento, sono gli occhi di lei. Lo stesso sguardo, la stessa richiesta, quella che in tutti quegli anni lo ha tormentato ed alla quale ha sempre, faticosamente, resistito.
Respira con fatica, il desiderio strenuamente governato che, improvviso, ruggisce evocato dalla sensazione  di quel corpo arreso tra le sue braccia, dal suo respiro umido e fragrante, caldo sulla sua pelle. Poi come lo stormire di una foglia, la sua voce.
"
André..."
Cuore e carne divampano e bruciano in un attimo ogni ragione. Niente altro che la volta stellata e quella voce, che si è fatta vento a reclamare la sua anima...e la tentazione di quelle labbra. A cui non riesce più  a resistere...
Morbidissima, la bocca di Oscar è già sulla sua, e il cuore gli si ferma perché  uguale è  rimasto il suo sapore, uguale a quel pomeriggio di sole ed api impazzite. Sapore di primavera e di proibito. Di donna. D'amore.
Sapore d'infanzia, di quelle sue stesse labbra, bambine e croccanti di briciole sulla sua guancia.
Di una vita, la sua, votata a lei.

È  come naufragare, in quell'azzurro perfetto, mentre sente la seta di ciliegie delle sue labbra schiudersi piano alla sua bocca ed accoglierlo, tiepida e squisita, gli occhi allacciati ai suoi.
Non vi è  più  nulla intorno a lui.
Non più alberi, o luna o vento.

Non più ieri, domani, nome, credo, dovere.
Nulla se non la sua anima, che si fonde a quella di lei per narrare, nel linguaggio umido e molle dei baci, il suo amore, eterno come quel cielo immutabile.
Nulla se non le braccia di Oscar che si allacciano forte al suo collo ed il suo corpo che scivola lento e ritrova il terreno, strettissimo al suo.
Nulla se non quelle labbra che si staccano piano dalle sue e le sua voce calda, a mescolarsi col suo sapore, rotta dall'urgenza di una richiesta troppo a lungo soffocata.
"
Tienimi stretta, André..." un sussurro che risuona nel suo cuore e si spande nelle vene, fino a divenire sangue e respiro.
"
Non lasciarmi più sola, ti prego..."
Le stesse parole di allora, la stessa richiesta che si fa catena intorno al suo cuore e fuoco vivo dentro la sua carne... Un ultimo guizzo, la ragione che prova a negarsi il canto sublime dei loro corpi allacciati,  delle loro mani perdute tra i capelli, come sole e notte che coesistono  in una strana alchimia di ciocche scure e dorate, di un cercarsi che non può  più  attendere, di quelle labbra ansanti nuovamente le une a possedere le altre.
Smette di lottare, André, gli ultimi barlumi di buon senso travolti da quella voce implorante e dolcissima.
Si arrende al fato, che ha scelto di unire le loro vite, al richiamo del cuore di lei, alla sua bocca in cui sprofondare di nuovo.
Si arrende all'amore.
Baci e parole sussurrate, portate dal vento e celate dalla notte.
Baci e la volontà  di perdersi in essi, per ritrovarsi e comprendere di appartenersi.
Baci, sotto la volta della notte, ed una stella cadente, quasi una promessa.

 

...continua.

 

Amiche  care è  con un'emozione grandissima che torno a riprendere  una storia che ho amato molto, quella  nata in occasione del contest  "Bivio".

L'idea per il  proseguo di questa storia nasce da un connubio  tra la mia tastiera e la  meravigliosa mente di Emerald Dlareme, che ringrazio con tutto il cuore per essere stata un'impareggiabile compagna di visioni oltre che un' interlocutrice  paziente, attenta e preparata.
È  stata un'esperienza gradevole e stimolante "costruire" con lei questa vicenda e non posso che sperare che sarà  altrettanto piacevole per voi seguirne l'evoluzione.
Grazie, sin da ora, a chi passerà  tra queste righe.
Un abbraccio.

Monica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Donna ***


 

Capitolo 3 - Donna

Settembre 1775

L'imprecazione soffocata di Oscar lo obbliga a distogliere gli occhi dal buio che sta scrutando con attenzione ed a voltarsi, giusto in tempo per vederla scendere con un movimento fluido da cavallo e chinarsi per esaminare con attenzione una delle zampe di Cesar.
"Dannazione!" la sente esclamare di nuovo mentre tira le redini e, obbligando il cavallo a voltarsi, le si avvicina.
"Non mancava che questo!"
Con una rapida occhiata André  si rende conto di cosa sia stato a causare il disappunto di Oscar: Cesar ha perduto un ferro ma uno dei chiodi è  rimasto malamente conficcato nello zoccolo. 
Un piccolo sbuffo stanco gli gonfia le guance.
Oscar ha ragione, è davvero una maledetta sfortuna...il cavallo non può assolutamente essere cavalcato in quelle condizioni, saranno già  fortunati se, conducendolo al passo, l'andatura scomposta data dal corpo estraneo nello zoccolo non gli procurerà  qualche brutta distorsione.
Scende di sella in tempo per vederla voltarsi e scorgere sul suo volto già  tirato di stanchezza i segni di uno sgomento profondo. 
"E adesso,"  la sente mormorare  "Adesso che facciamo, André ?"
"Non lo so," risponde mentre cerca col palmo la sua guancia e poi il morbido dei suoi capelli. 
"Davvero non lo so..." torna a sussurrare, ed un respiro stanco gli sfugge quando se la attira contro e sente le sue braccia serrarsi intorno alla sua vita.
Tutta la fatica di quelle ore gli piomba addosso di colpo mentre chiude gli occhi, il mento appoggiato ai capelli di lei.

Era stata una giornata lunga e densa di problemi, affannosa di impegni ed eventi imprevisti che era culminata nella convocazione della Regina quando già  si stavano apprestando a lasciare la Reggia.
Incurante dell'ora tarda, e di tutto ciò che il suo ordine avrebbe comportato, la sovrana aveva informato Oscar di volere essere accompagnata il giorno dopo, su una carrozza priva delle insegne reali e con la minor scorta possibile, in una zona di Parigi molto pericolosa per potersi recare, insieme all'ormai onnipresente Contessa di Polignac, in una bisca clandestina dove si praticava il gioco d'azzardo.
Oscar era uscita dagli appartamenti reali furibonda per il comportamento dissennato della sovrana e preoccupatissima per il poco tempo a disposizione per garantire la sicurezza di quello spostamento. Aveva misurato a falcate nervose il lungo corridoio svariate volte poi, sorda ai suoi tentativi di ricondurla alla calma e malgrado il tramonto avesse già lasciato spazio all'imbrunire, aveva deciso di recarsi immediatamente a Parigi per una prima perlustrazione della zona.
Ma la decisione, come lui aveva temuto, si era rivelata incauta ancorché  pericolosa... La notte, senza luna, li aveva sorpresi in un dedalo di viuzze tutte uguali, maleodoranti e scarsamente illuminate e ben presto avevano perso il senso dell'orientamento ritrovandosi di fatto a girare in tondo.
La situazione era precipitata quando, nel passare di fronte ad una taverna in cui stava avendo luogo una rissa furibonda, una sedia lanciata fuori da una finestra aveva colpito di striscio Cesar spaventandolo al punto da farlo partire al galoppo imboccando istintivamente la prima strada che lo avrebbe allontanato da quel frastuono.
Oscar era riuscita a calmare la sua corsa sfrenata solo parecchi minuti dopo, quando erano già in aperta campagna, più  o meno nel luogo in cui si trovavano ora, senza punti di riferimento, nemmeno le stelle, nascoste da un manto spesso di nubi e con l'aggravante di un cavallo praticamente inutilizzabile.

Un sospiro stanco si fa strada tra le labbra di André mentre riapre gli occhi e passa la mano sulla schiena contratta di lei, in un massaggio che vuol essere affettuoso e rassicurante. Raramente ricorda di averla vista così arrabbiata e così  tesa.  "Se almeno ci fosse la luna" sussurra trovando il suo orecchio e mordicchiandolo piano "potrei cantarti una serenata..."
Ne cerca gli occhi con uno sguardo sornione, soddisfatto di sentire muscoli tesi della sua schiena sciogliersi un poco, e risponde con un sorriso alla risatina sommessa di lei. "Per carità..." la sente rispondere "questo proprio non sarei in grado di sopportarlo..."
A malincuore e con un'espressione falsamente risentita dipinta sul volto, la scioglie dal suo abbraccio e raccoglie le redini dei cavalli, per poi tenderle la mano, ed indicare col mento la direzione da cui sono venuti.
"Allora, Madamigella" chiosa sussiegoso "visto che non apprezzate le mie doti canore non posso far altro che riaccompagnarvi a casa sana e salva per tentare di conquistare il vostro cuore!"

Vede lo sguardo di lei farsi più  dolce e la tensione e la stanchezza di quella giornata stemperarsi nel movimento flessuoso dei suoi passi, man mano che si incamminano su quel sentiero frusciante di erba ingiallita da un'estate ormai quasi terminata e, lieto di averla indotta al sorriso, serra forte le dita alle sue prima di lasciarle, per cingerle la vita sottile con il braccio e stringerla a sé,  in quella notte sempre più  fresca.
Una strana sensazione, di attesa e di ineluttabile,  gli stringe lo stomaco e gli accelera impercettibilmente il respiro, il profumo lieve di lei divenuto improvvisamente una presenza calda e tangibile come quel corpo sempre più rilassato contro il suo fianco che si lascia avvolgere dal suo braccio e stringere, sempre più.
È  quasi una magia, quel trovarsi allacciati, al buio, senza altra compagnia che il rumore ritmico degli zoccoli e quello sempre più  denso dei loro respiri. Soli, come pochissime volte hanno avuto l'opportunità  di essere da quella notte lucente di stelle cadenti, da quel loro primo ritrovarsi nei loro ricordi di quell'unico bacio, affamati e stupefatti come allora.
Tutto è rubato, tra loro, da quella notte e tutto sospeso. 
Troppo pochi i momenti di solitudine sottratti alle mattine terse od alle prime stelle della sera, nel tepore ombroso delle scuderie o al riparo delle fronde sussurranti di un albero.
Troppa la fame delle labbra e delle mani, in quegli istanti sottratti alla curiosità del mondo.
Troppo il bisogno di respirarsi addosso, per colmare quegli anni di vuoto, troppa la voglia di cercarsi e raccontarsi con l'umido delle labbra e di conoscersi con le dita e le mani, troppo il desiderio da arginare, da contenere...uno strazio la stoffa a separare la pelle dalla pelle.
E sempre più, una volta dopo l'altra, un cimento separarsi, riannodare con dita tremanti i lacci scomposti e ritrovare le asole per i bottoni, le labbra gonfie morse dai denti per disciplinare le mani, per imporre alle dita di salire a quei riccioli ed aiutarla a ricomporli, le labbra schiuse sul respiro affannoso e gli occhi suo malgrado fissi al suo seno ansante tra le fasce un poco scomposte a chiamarlo, tenero e voluttuoso come il canto di una  sirena.
Troppo torbidi gli occhi di lei e grevi le sue mani a dispensare un'ultima carezza al suo petto, prima di allontanarsi a forza da lui, per non comprendere che il desiderio sta struggendo anche lei,  le sta consumando tempo e sonno e respiro.
Troppo breve quel tempo, per fermarsi, e parlare.
Parlare di loro e di quella brama che rischia di portarli via, che presto non sapranno più fermare, tanto è il bisogno che sente scorrere tra loro di annullarsi e fondersi, il corpo nel corpo, mettendo a tacere coscienza e dovere e di trovare l'oblio, l'uno nell'altro.
Parlare di loro, di ciò  che sono stati e di ciò  che diventeranno, che forse sono già  diventati, ché la pelle ha insegnato la strada alle anime ed ogni loro bacio è  una vita intera di ricordi e risate e piccoli istanti infiniti, gustosi di susine e amari di punizioni e lacrime trattenute.
E di ciò che saranno quando infine le dighe della ragione cederanno...
Troppo vicino è l'istante in cui il suo cuore vincerà e nulla potrà più contro l'amore, troppo, che lo strazia da sempre, e cederà a lei ed alla sua bocca calda, all'insistenza dolce con cui lo chiama, alla passione giovane ed inesperta ma potentissima con cui riesce ad accendere la sua carne ed annullare ogni suo pensiero. Impavida e coraggiosa ed irruenta, anche nel concedersi e nel pretenderlo, nel gemere sempre più fonda ad ogni sua carezza,  nel  soggiogarlo col linguaggio aspro e bagnato della brama.
Ma ancora una volta l'immagine del corpo di lei arreso a farsi colmare del suo, insieme al fuoco nelle viscere, gli porta un  brivido, greve di colpa e paura...
Non può, non deve, lasciarsi andare così...
Se diventeranno l'uno dell'altra, come potranno salvarsi, appartenendosi tutti, cuore e sangue ed essenza, dalla forza di quell'amore? Come potranno impedire che venga visto e condannato e straziato, quell'amore e loro con esso? Come potrà salvarla, custodirla, difenderla?
Deve parlarle, deve assicurarsi che lei sia pronta, e consapevole di ciò che dovranno affrontare, dopo,  deve...
È  la voce di Oscar, morbida e calda, tremula di una lieve risata a richiamarlo. "...mio prode scudiero!"
Sbatte gli occhi ed istintivamente stringe le dita sul fianco morbido ancora appoggiato al suo.
"Dicevi, Oscar?" Mormora un poco imbarazzato "Perdonami, ero sovrappensiero..."
La risata di lei si fa argentina mentre solleva un braccio ed indica un punto alla loro destra. "Dicevo, mio prode scudiero, che forse è  meglio se cerchiamo di passare la notte laggiù".
Seguendo la direzione del suo braccio André  scorge una costruzione bassa appena intuibile nel buio.
"Cesar non può  davvero continuare in queste condizioni e anche noi siamo stanchi..."
Ne incontra lo sguardo per un istante, nell'ombra e vi scorge la nebbia del desiderio, come se quel quel calore che ha acceso i suoi sensi avesse avvolto anche lei nelle sue spire voluttuose.
L
asciano il sentiero per raggiungere quello che si delinea sempre più  essere un capanno per riporre gli attrezzi e conservare qualche riserva di foraggio per gli animali. È infatti il profumo aromatico dell'ultimo fieno quello che li accoglie quando spalancano la porticina sgangherata ed entrano, i cavalli già  legati vicino all'abbeveratoio all'esterno.
Muovono qualche passo, consapevoli ogni istante di più  l'uno della presenza dell'altro, più  che di quella dei pochi oggetti presenti nell'ampio locale.
Ogni cosa si mostra d'improvviso, illuminata dai raggi diafani della luna che è riuscita infine a squarciare le nubi. Una panca, un piccolo tavolo, un giogo appeso al soffitto, una mensola su cui sono allineati svariati mozziconi di candela ed un acciarino.
E ad occupare gran parte dello spazio una catasta di fieno, fragrante dell'ultimo sole di agosto di cui sembra ancora trattenere il calore, ad evocare un abbraccio ingordo di vita e la sua bocca sul corpo nudo di lei, disteso su quei fili essiccati, a suggerne avido il sapore...
Il
 respiro si fa affrettato ed il cuore batte tonfi impazziti contro le costole, un pulsare liquido il grembo, imperioso contro la stoffa dei pantaloni.
Dio quanto la desidera...
Lo ha avvertito crescere ad ogni passo quel bisogno, lo ha sentito nutrirsi di fremiti e silenzio in quel loro camminare allacciati, gonfiarsi al profumo dei suoi capelli e trastullarsi col ritmo del suo respiro, sino a diventare ddesiderio, impellente e crudele, quando lo ha visto riflesso in quell'azzurro brunito di scuro.
Deve serrare i pugni, per allontanare quell'immagine e staccare gli occhi da quelli di lei, resi scurissimi dal buio e dal richiamo prepotente che anche ora li pervade. Ne ode la voce, appena un sussurro, morbida e roca "André..."

C'è ancora il calore del suo corpo su di lui ed il suo profumo, che si spande ovunque, in quel buio vellutato. E quella visione ad attanagliargli il ventre.
Ritrova le parole, anche se non riesce a contenere il tremito rauco che le spezza "Sì,  Oscar?"
Lei si muove appena, la luna che entra di sbieco dalla piccola finestra ad accendere riflessi di oro bianco sui suoi capelli.
E quando parla André  riconosce lo stesso tormento anche nella sua voce. Desiderio e bisogno e...

"Potresti occuparti tu dei cavalli... io ti aspetto qui."
"Certo," risponde, grato al buio che nasconde il tremito delle mani mentre raccoglie una grossa bracciata di fieno.
"Lo faccio subito."

Riguadagna l'uscita con le braccia ingombre, grato a quel daffare operoso che lo ha allontanato da quell'atmosfera gravida di brividi, e all'aria fresca della notte che gli permette di governare il respiro e ritrovare la ragione, sfuggendo al profumo sempre più forte della pelle di lei,  così bianca e vicina e a quella promessa segreta che ha sentito risuonare fonda nelle ultime parole di lei. "Ti aspetto qui..."
Distribuisce il foraggio agli animali poi, recuperato un secchio di legno si avvia ad un canale che sente scorrere poco lontano per procurare alle bestie acqua pulita e fresca da bere.

Quando torna nello spiazzo antistante il capanno c'è il baluginio di una fiamma, oltre la finestrella e c'è la figura esile di Oscar, ad attenderlo, sulla soglia.
Si è liberata della giacca e la luce morbida che viene dall'interno disegna i contorni del suo corpo, attraverso la batista leggera della camicia, che delinea il profilo del suo seno, libero dalla costrizione delle fasce.
Si ferma, a pochi passi da lei, il secchio ormai vuoto che gli sfugge dalle mani e la mente svuotata di tutto che non sia lei e la perfezione di quelle forme velate.
"André..." La sua voce è un soffio che lo infiamma e lo avvolge. "Hai finito?"
Stringe forte i pugni,  fino a conficcarsi le unghie nei palmi per mantenere saldo l'ultimo barlume di volontà, e provare a resistere, ancora.
"Sì," risponde "Ma... pensavo...Forse è  meglio se passo la notte qui fuori...Ho una coperta con me, e se lo ritieni più  opportuno..."
C'è un piccolo sorriso, sulle labbra di Oscar mentre gli si avvicina, lenta.
La sua voce trema appena ma gli occhi cercano i suoi per non lasciarli più, nemmeno quando con la mano prende la sua e lentissima conduce il suo palmo a posarsi sul bordo della sua  scollatura.
"Non è  necessario, André..." sussurra, la voce intessuta di un sogno che si materializza pian piano.

Uno sguardo, ad unirli, lunghissimo.
E le dita lievi e profane di lui che scostano piano la stoffa per sfiorare quella carne tiepida...percepisce appena il movimento delle ciglia di lei a velarne lo sguardo subito accompagnato dal soffio caldo del suo respiro, impregnato del sentore morbido del suo desiderio per lui.
Non può  smettere di sfiorare quella seta acerba, ipnotizzato dal movimento delle sue stesse nocche ma una volontà più forte di ogni impulso lo costringe a parlare, prima che il languore di lei lo trascini via.
P
erché  almeno quello deve dirglielo, deve...
"Io ti amo, Oscar..." sussurra,  ed è  facile ora staccare lo sguardo dal suo seno e cercare i suoi occhi, languidi e bellissimi.
"Ti amo da non so nemmeno io quanto tempo... E per te sono pronto a tutto, anche a morire..."
Deve interrompersi, tanto è  forte il bisogno di stringerla, ma non può  farlo, non ancora.
"Ma tu... vuoi... tu sei..."
C'è  già ogni risposta in quell'azzurro, ma prosegue, appellandosi ad un controllo che non pensava di possedere.
"Sei davvero sicura che ne valga la pena, Oscar?"

È  così  naturale, il movimento con cui lei lo raggiunge, così morbido e perfetto il trovarsi dei loro corpi che davvero non ci sarebbe bisogno di dire niente altro.
Oscar, la sua Oscar...
Quasi non si accorge del suo sorriso,  e delle sue mani fresche a cingergli le guance.
S
ente solo la sua voce.
"
Ho gia scelto, André."
Come un'eco lontana, quelle parole che deflagrano nel suo cuore e spezzano le ultime esili barriere del buon senso.
Non può più  resistere, non può più  farlo.
La vuole troppo, da troppo tempo.
Lo capisce, in un ultimo istante feroce di propositi sgretolati, prima che le mani scendano a serrarla e la sua bocca sprofondi in quella di lei.
Non smette di baciarla mentre la solleva tra le braccia e ritorna all'interno, un calcio per chiudere la porta e la croccantezza profumata del fieno ad accoglierli, mentre le mani  frenetiche salgono a spogliarsi e a spogliarla, splendida e sua nell'oro delle candele e nel tepore vivo di quel giaciglio sussurrante.
La vuole, ora.  
La vuole, tutta, cuore e carne e anima e respiro... 
La  vuole.
Vuole guardarla mentre lo scopre stupefatta e vuole sentirla, in un gorgheggio roco di sussurri e schiocchi, di baci e piccole grida mentre la percorre con le labbra e le dita, piano, pianissimo.

La vuole, vuole la sua pelle e la sua bocca, il suo seno tenero e minuto, lila valle candida dell'ombelico ed il monte appena accennato del suo ventre.
Vuole per sé il suo piccolo brivido e le sue lacrime dolci impiastrate sulle guance, quando affonda nel suo corpo e la culla, un affondo ed un altro, e il piacere in cui perdersi e perdersi e perdersi...

Le candele sono tutte spente, un piccolo mucchio di cera sfatta sulla mensola e sul tavolo.
Un'altra alba, fuori, e ancora non si è lasciato vincere dal sonno.
Veglia su lei che, stanca e arresa, riposa tra le sue braccia, i capelli un groviglio sul suo petto ed  il braccio a cingerlo, le labbra ancora gonfie di baci vicinissime alla sua mascella.
Un'altra alba ad illuminare un giorno nuovo ed un futuro diverso, per loro, segnato dalla potenza di quella scelta lontana che è diventata amore vivo, nei sospiri della notte appena trascorsa.
Chiude gli occhi, su quell'alba, e la stringe, un piccolo brivido sulla pelle nuda, impercettibile come il refolo di nebbia che si insinua dalla finestra.

continua...



Innanzitutto un grazie caloroso e sincero a chi è arrivato tra le mie righe...come sempre il vostro affetto mi stupisce e mi riempie di gioia.
Poi un grazie speciale a Queen Jane per la sua preziosa consulenza storica e ancora ad Emerald per i consigli ed il supporto, irrinunciabili.
Infine l'appuntamento al prossimo capitolo: "sceglierà" André.
Un grande, grandissimo abbraccio.

 

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Capitolo 4
*** Sogno e realtà ***


Capitolo 4 - Sogno e realtà

 

 

Un sogno, morbido di lenzuola di lino e pelle arrossata di baci, di gemiti e sospiri che temeva non avrebbe mai più risentito.
Un sogno che di tanto in tanto ritorna, nelle sue notti agitate...

La prima volta che glielo aveva chiesto era stato poco più di un sussurro, la voce ancora spezzata dall'affanno dell'amore "Andiamocene via, Oscar, ti prego..."
 Le aveva serrato forte la spalla nuda e le dita erano affondate nella carne.
"Via, solo tu ed io, lontano da tutto e da tutti..."

Fino ad allora non aveva mai osato chiederle nulla, perduto com'era nell'amore per lei, nel privilegio assoluto di conoscere ed assaporare l'anima della vera Oscar, quella che gli si scioglieva tra le braccia ogni notte, tra le ruvide lenzuola della locanda che spesso li ospitava.
Era successo la prima volta che l'aveva tenuta di nuovo tra le braccia dopo la grande paura di perderla nel duello con  il duca di Saint Germain.
Aveva vissuto quei giorni come sospeso in una bolla gelida di terrore che non si era sciolta sino a quando erano giunti a scontare il castigo inflitto da Sua Maesta, alla tenuta di Arras.
L'aveva abbracciata e ghermita con la bocca, subito, appena entrati nella loro camera,  quel giorno, e l'aveva presa contro la porta, senza dirle una parola e senza concederle respiro.
Aveva fatto l'amore con lei con una furia ed un'urgenza che non aveva mai provato, la tensione di quei giorni interminabili che si stemperava ad ogni affondo nella sua carne tenera, ogni suo gemito a rassicurare il suo cuore che era viva, che era sua, che era lì, con lui e nessuno gliel'avrebbe strappata, mai... poi, più  tardi mentre giacevano sfiniti sul letto, con la guancia sul suo seno, aveva sussurrato quelle parole rendendosi conto solo dopo averle pronunciate di quanto desiderasse, nel profondo, portarla via, sottrarla ai pericoli che correva ogni giorno, e vivere una vita semplice e normale con lei, una vita in cui loro due sarebbero stati il punto d'inizio, la radice su cui costruire una famiglia, una vita, una meravigliosa successione di ricordi che avrebbe raccontato solo di loro...

Oscar aveva risposto in un bisbiglio, stanca ed appagata, un attimo prima di abbandonarsi al sonno.
"Lo faremo, un giorno, André, te lo prometto..."

Quella stessa domanda André  gliel'aveva posta molte altre volte, negli anni successivi ma la sua risposta non era mai cambiata.

"Lo faremo...presto"  rispondeva, dolcissima e appassionata, le lunghe dita perse tra i suoi capelli con cui amava giocare.
"Anche io lo voglio, ma non ora, André, non adesso..."

Ed i giorni erano diventati mesi ed i mesi anni.
Anni di incontri furtivi, di passione rubata, di progetti sempre da realizzare, di continui rimandi e nuovi problemi.
Anni in cui  l'amore non era mai venuto meno ma le promesse e le speranze si erano mutate in altro e la concretizzazione del suo desiderio di vita con lei si era fatto sogno.
Sogni dolcissimi colmi del suo sorriso arreso, e di quella risposta che non era venuta mai, di quel "Sì, André andiamocene via" sussurrato le labbra sulle labbra, un istante prima di buttarglisi tra le braccia.

Sogni, come quello che lo accompagna ora, in questo ultimo brandello di sonno, mentre a fatica apre gli occhi e riconosce la sua camera a Palazzo, ed il suo letto su cui si è  buttato vestito qualche ora prima, dopo il rientro in piena notte dalla locanda dove ancora una volta hanno consumato il loro amore che è rimasto segreto.
Un sogno, nient'altro che un sogno, ma così vivido e intenso che quel suo sussurro ed il suo profumo ancora gli pare di sentirli.
È tardi, ma vorrebbe richiudere gli occhi, André, un sospiro doloroso a svuotargli il petto, e riafferrarlo, quel sogno, dove lei è solo sua, ed è felice di seguirlo, e si accontenta di amarlo... dove lei non è il Colonnello Oscar François de Jarjayes e lui ancora, solo e soltanto il  suo attendente....

Ad accoglierlo, in cortile, qualche minuto dopo è  una mattinata tersa, che scaccia l'amarezza di quell'ennesimo risveglio da solo ed illumina il suo prodigarsi per preparare i cavalli, una di quelle mattine di inizio estate in cui sembra che l'aria si cristallizzi e risplenda, riflessa nelle gocce di rugiada notturna che indugiano sulle foglie.
Ogni cosa è  tranquilla mentre cavalcano affiancati, sulla strada verso la Reggia, le gambe che si sfiorano appena, perduti ciascuno nei propri pensieri. Una mattina uguale a tante altre, negli ultimi anni, e uguale il percorso, spesso, come oggi, compiuto in silenzio a godersi gli ultimi istanti di vicinanza condivisa, prima che la giornata, rigida di protocolli, li divida, come la più  profonda delle voragini.
Nessuna discrepanza nella consolidata abitudine che governa il loro arrivo in Caserma, nel tragitto che compiono dopo aver lasciato i cavalli nelle scuderie, attraverso il porticato che li introduce all'ampio spiazzo prospiciente l'ingresso.
Nulla, di differente, sino a quell'improvviso nota stonata.
Fino a quella risata sguaiata, che risuona nel corridoio, coprendo anche il rumore dei loro passi, seguita subito dopo da un'accozzaglia di altre risatine e parole smozzicate che si sovrappongono sino a quando una voce sconosciuta si impone su tutte le altre.
"
Troverò  il modo, ve lo garantisco!"
Ancora brusii e risatine di sottofondo.
"Per fare io una bella ispezione al nostro Comandante... un'ispezione molto dettagliata!"
Di nuovo risate e la voce che continua, sempre più  convinta.
"Voglio appurare di persona se c'è davvero una donna, sotto a quell'uniforme!"
Oscar si ferma, i denti già d'istinto serrati sulle labbra piegate in una smorfia, il braccio proteso a fermare André che, la mascella contratta ed i pugni stretti si sta già muovendo in direzione del capannello di soldati, seminascosti da un pilastro, poco più  avanti.
"Fermo André!" gli sibila, lo sguardo di ghiaccio tra la fessura delle palpebre.
"Aspetta..."

La stessa voce, sempre più lubrica e lasciva torna a risuonare sotto al porticato.
"E vi assicuro che se ci trovo una donna là sotto, quando avrò finito con lei, non avrà più voglia di dare ordini a nessuno!"
Un coro di risate grevi si alza ed e il protagonista dello sproloquio sembra gonfiarsi a quelle risa, al punto da riprendere, il tono sempre più  alto
"Farà  le fusa come una micetta soddisfatta, il nostro fiero comandante Oscar François de Jarjayes..."
Di nuovo risate, sempre più grette, poi una voce, profonda e per nulla divertita, prende la parola.
"Non fare lo sbruffone, Jean...tu sei appena arrivato e non la conosci bene ma ti assicuro che il comandante, anche se è una donna, sa il fatto suo e ti rimetterà  in riga in quattro e quattr'otto..."
Un brusio più smorzato accompagna l'ultima affermazione.
"Ti conviene rispettare gli ordini o la cella di rigore non te la toglierà nessuno!"
È di nuovo la prima voce a controbattere, con una punta di scherno.
"Prendili tu ordini da una donna, se non hai abbastanza fegato per opporti, Jacques, io non lo farò mai... per quanto mi riguarda le donne servono a una cosa soltanto...."
Alle parole deve essersi sostituita una mimica altrettanto efficace perché è nuovamente un coro di risate che si alza e di nuovo André si affianca ad Oscar, il viso stravolto dalla rabbia.
"Adesso basta!" sibila mentre già  col corpo si protende in avanti, la furia che traspare da ogni movimento.
Ma di nuovo la mano di Oscar, serrata sul suo avambraccio lo ferma.
"No, André fermati!" Si oppone alla sua irruenza col corpo e continua, la voce controllata malgrado i bagliori metallici dello sguardo.
"Devo farlo io, lo sai."

Gli occhi verdi di lui sono pozzi, profondi di rabbia e frustrazione, ma nulla possono contro il movimento deciso di lei che senza attendere risposta si volta e, il passo volutamente cadenzato per essere udita, raggiunge il gruppetto di soldati ancora riuniti ad ascoltare le farneticazioni del loro commilitone
"...e dopo averle strappato via l'uniforme le farei..."
Un silenzio di colpo irreale accompagna le ultime parole ed accoglie la voce di Oscar, limpidissima e contenuta, malgrado l'espressione gelida che le pietrifica il viso.
"
Si, soldato?"
Si ferma ad un passo da lui, in un tintinnare di medaglie e sfavillare di spalline.
"
Sono anche io molto interessata alla cosa... cosa mi faresti, dopo?"
Gli altri soldati si affrettano a porsi sull'attenti, la schiena rivolta all'ingresso dove André è rimasto fermo, un sudore rabbioso a infradiciargli la camicia ed i muscoli tesi sino allo spasimo per governarsi, per quell'ennesimo doverla lasciare andare, senza nulla poter fare per intervenire a difesa del suo onore, perché  nulla è lui agli occhi del mondo, se non un sottoposto.
Non può  far altro che osservarla, mentre sicura affronta la recluta e gli intima di mettersi sull'attenti, lo apostrofa in malo modo urlandogli in viso tutto il suo disprezzo e lo sfida a continuare il discorso, se è davvero così  sicuro di sé e, non ottenuta altra risposta che un bofonchiare spaventato, ordina ad altri due soldati di condurlo agli arresti non senza avergli prima ricordato che avrebbe avuto cura di redigere una nota di demerito in modo che il suo comportamento scellerato potesse gravare per sempre sul suo stato di servizio e influire negativamente sulle sue future promozioni.

La rabbia non lo abbandona nemmeno quando le guardie si affrettano ad eseguire gli ordini e lei torna con passo deciso verso di lui e lo affianca, senza altro che un cenno del capo con il quale lo invita ad occuparsi dei suoi compiti prima di continuare il percorso verso il suo ufficio, subito affiancata da Girodel che li ha raggiunti da pochi minuti e già le sta parlando delle ultime voci circa un imminente arresto del Cardinale di Rohan....

Rabbia amara e fredda, e sentirsi inutile e inutile sentire la propria vita che scorre e che non lascerà  tracce...

Non lo lascia tutto il giorno quel sapore impastato di bile che gli chiude lo stomaco, anzi cresce e si amplifica, e domanda imperioso uno sfogo, una spiegazione, una risposta, e che sia quella definitiva, questa volta.

È  furioso, a sera, quando la rivede e riesce a stento a dominarsi e a seguirla fuori dalla Reggia, per poi affiancare il cavallo a quello di lei e muoversi al galoppo verso Parigi, verso  "Le Lillas Blanche", come quasi ogni sera.

Ed è furioso anche quando sale le scale, verso la camera che di solito occupano, dopo essere passato da M.me Clair per richiedere che venga servita loro la solita cena, e ritira la solita bottiglia ed i soliti due bicchieri.

Furioso, e greve di  amarezza il suo passo, gradino dopo gradino, fino a quella porta oltre la quale Oscar e già sparita, ma deciso.
Non può  più  attendere, deve scegliere.


continua...




Siamo  alla vigilia di un'altra scelta, dunque, anche se credo non quella che molti si erano immaginati...

Come sempre non posso che ringraziare tutti quelli che hanno lasciato un loro commento o semplicemente dato una sbirciatina...ogni vostro pensiero mi è prezioso per capire se davvero riesco a trasmettere le sensazioni che faccio vivere ai miei personaggi. 
E, come sempre, un ringraziamento speciale e doveroso va alle mie "consulenti" Emerald e Queen Jane, senza le quali rischierei di impantanarmi su più di un fronte.

Vi abbraccio.

 

 

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Capitolo 5
*** Furia ***


Capitolo 5 - Furia
 

 

Quando entra nella camera, e si dirige verso il tavolo su cui appoggia bottiglia e bicchieri, Oscar si è già  liberata della giacca dell'uniforme.
La sente armeggiare con i lacci della camicia, mentre attacca il turacciolo con il cavatappi, e avverte due piccoli tonfi che accompagnano la caduta degl stivali, poi altri fruscii seguiti da un piccolo sospiro liberatorio quando un altro mormorio di stoffa lo avverte che anche le fasce hanno trovato posto sullo schienale della sedia che già ospita la giubba.
I movimenti leggeri di lei, che nel frattempo ha trovato l'abbottonatura dei calzoni e li sta sfilando piano, continuano mentre  versa con cura il vino in entrambi i bicchieri, concentrandosi sul gorgoglio morbido e vellutato di quel liquido rosso; poi, posata la bottiglia, si libera con movimenti precisi della giacca, che appoggia su un angolo del tavolo e, senza una parola, si dirige alla finestra per cercare la maniglia, sotto alle sottile garza delle tende, e spalancare i due battenti.
Il vocio disordinato dei rondoni che si rincorrono nel rosso del cielo lo cattura, per un istante, a riaffermare quel sogno di fuga e libertà che gli sta divorando l'anima, poi con un movimento lento e misurato, preludio di quello che ha deciso di fare e che gli  impone di mantenere il controllo, si volta e si appoggia al davanzale di pietra, le braccia conserte sul petto e lo sguardo fisso su lei che, completamente assorta nei suoi pensieri ha raggiunto il tavolo con i bicchieri e sta sorseggiando, bellissima e lontana, qualche sorso di vino.
Una morsa dolente, di rabbia e frustrazione non ancora sopite, gli stringe lo stomaco ed una fitta di desiderio gli trafigge il ventre, nel guardarla, la camicia a lambire appena le lunghissime gambe coperte solo dalla seta candida delle calze allacciate poco sopra il ginocchio, e diventa fuoco quando scorge il suo seno turgido, solleticato dalla stoffa che non ha riallacciato e la gola bianchissima lambita dall'oro disordinato dei riccioli.
Chiude gli occhi, le dita che si serrano forte sulle braccia, per trovare la forza di resistere a quel richiamo.
Una parte di lui, quella dominata dalla carne e dal sangue, vorrebbe avventarsi su quel seno bianco e morderlo forte, come sa che a lei piace, e forte percorrerla tutta con le mani e trovarla morbida e caldissima già pronta per lui. E vorrebbe possederla, ancora una volta, fino a farla gridare, sfatta e tenera sotto alla sua furia, e sentirla supplicare di non smettere mai, e in quella supplica bagnata annullarsi e perdersi,  ancora e di nuovo.
Ma non deve farlo, non vuole, non questa sera.
Si domina e rimane fermo, le braccia sempre più  rigide e lo sguardo fisso su lei che, ancora assorta nei suoi pensieri, ha terminato il suo vino, ed ora è ferma di fronte al tavolino, la fronte corrucciata, lo sguardo perduto in qualcosa che di certo non è  il legno di quercia tarlato che ha di fronte.
Si riscuote dopo parecchi minuti, richiamata forse dal silenzio intorno a lei, rotto solo dai richiami stridenti degli uccelli che solcano il cielo e, posato il bicchiere ormai vuoto, alza gli occhi e lo cerca.
Uno sguardo stupito le si dipinge sul bel volto, quando lo scorge fermo nel riquadro rosso della finestra e un lieve sorriso, morbido e sensuale, le increspa le labbra mentre lo raggiunge, il movimento sinuoso dei fianchi appena velato dalla camicia che ancora la copre.
"Che fai lì fermo?" gli domanda, la voce solo un poco incrinata di stanchezza.
Lo ha raggiunto e ne cerca lo sguardo, gli occhi azzurri torbidi di tensione e di un altro bisogno che le avverte anche nel fiato, caldissimo all'angolo della sua bocca, quando si alza sulla punta dei piedi per cingergli il collo con le braccia e sprofondare  il viso tra i suoi capelli.
"Stringimi. André..." gli sussurra, le labbra ad un sospiro dal suo orecchio. 
"Ho voglia di te..."
È uno sforzo indicibilmente grande, mantenere serrate le braccia e non cedere alle lusinghe di quella richiesta, ma la frustrazione di quella giornata gli dà la forza di riuscirci, di essere pietra, dura e tagliente, malgrado il richiamo di quel corpo caldo al quale non permette di sciogliere il  ghiaccio della sua voce, quando risponde.
"E se non ti ubbidisco, Comandante, cosa farai?"
Percepisce il corpo di lei  irrigidirsi d'improvviso e subito ne trova lo sguardo, ricolmo di sorpresa.
"Sbatterai anche me in cella di rigore, come hai fatto con quell'idiota, stamattina?"
C'è stupore sincero nello sguardo di lei ora e un velo appena percettibile di confusione  e sconcerto .
"Che diavolo dici, André?" gli domanda, le braccia abbandonate lungo i fianchi, in un gesto arreso che per poco non gli spacca il cuore.
"Cosa c'entra ora quello che è successo stamani?"
La pena per il suo stupore si dissolve veloce, spazzata via da una nuova rabbia che si aggiunge a quella che gli ha divorato le viscere tutto il giorno ed aggiunge un tono di scherno alla sua voce, quando risponde 
"Davvero non capisci cosa c'entra quello che è  successo in quel cortile con noi, adesso, qui, Oscar? Davvero non capisci quanto è dannatamente difficile per me stare sempre un passo indietro senza poterti difendere, nemmeno quando ti offendono come donna, prima ancora che come soldato?"
La vede indietreggiare a sua volta e serrare i pugni, lo sguardo fosco, appena appena rischiarato dal baluginio di qualche lacrima lontana.
"Davvero non capisci quanto per me è difficile essere nulla  Oscar?"
Un ansito profondo gli svuota il petto, quando tace ed accoglie il rispondere basso ma deciso di lei che torna ad avvicinarsi e gli posa le mani sulla camicia, per cercare con le dita la carne, sotto la stoffa.
"Tu non sei  nulla, André, lo sai bene..."
C'è così tanto di tutto ciò che sono loro due, tra quelle mura e quelle lenzuola, in quella voce e in quell'azzurro limpido, sincero ed arreso come quello della bimba che è stata la sua unica amica e che è diventata il suo unico amore, che per un istante ogni sua certezza vacilla.
Deve ritrovare la voce impastata e volgare di Jean e la rabbia che gli ha sgretolato il cuore sotto a quel porticato, per continuare.
"E allora cosa sono, Oscar, per te? Dimmelo, ti prego perché  davvero non lo so più..."
La vede distogliere lo sguardo e voltarsi,  raggiungere il tavolo e con un gesto colmo di stanchezza colmarsi nuovamente il bicchiere. 
"Non ora, André,  ti prego....Non stasera."
Chiude gli occhi, mentre inghiottisce in pochi sorsi veloci l'intero contenuto del calice, poi se lo porta alla fronte, come per ritrovare un briciolo di lucidità, attraverso il freddo del vetro.
"Non adesso..." ripete.

È così dannatamente stanca... l'incidente  mattutino che tanto ha fatto infuriare André  non è  stato che un piccolo preludio ad una giornata in cui i problemi si sono ingigantiti, ora dopo ora... le continue pressanti richieste dei gioiellieri,  la notizia del coinvolgimento ormai quasi certo del Cardinale di Rohan, sul quale emergono continuamente particolari disgustosi e infamanti, il disprezzo popolare per la Regina, divenuto sempre più  palpabile da quando si è iniziato a mormorare che abbia acquistato quella maledetta collana...aveva lasciato la reggia con il carico gravoso di quella situazione difficilissima da gestire ad opprimerle il petto come un macigno e mentre cavalcava verso Parigi non aveva avuto che un desiderio: spogliarsi di quegli abiti che le ricordavano anche sulla pelle il peso di quella sua vita e trovare il calore del corpo di André, il conforto delle sue braccia, l'oblio che solo lui sapeva regalarle con  il suo tocco d'amante a svegliare il fuoco che avrebbe bruciato almeno per qualche ora ogni legame con il resto del mondo...

La voce di lui, tesa ed incalzante, la fa quasi sussultare.
"E quando, allora, Oscar?"
Ha abbandonato il davanzale e l'ha raggiunta vicino al tavolino. La voce è più bassa ora, ma risuona di rabbia e frustrazione. Ed è colma di sofferenza.
"Sono furioso, Oscar."
La sua mano si avvicina ai suoi capelli, ma lei non la vede, tiene ancora gli occhi chiusi, il bicchiere opacizzato di vermiglio a tingerle il viso di ombre scure.
"E sono stanco di non sapere cosa sarà della mia vita, della nostra vita... di noi."
Rinuncia all'idea di accarezzarle i capelli e lascia ricadere le braccia con un gesto sfinito.
Il suo sguardo indugia un attimo su lei per poi abbracciare la camera dall'intonaco screpolato ed il grande letto scuro, prima di ricominciare a parlare. 
"Sono stanco di essere un clandestino nella tua vita, nel tuo letto e forse anche nel tuo cuore, Oscar."
Torna con lo sguardo su lei, che ha posato il bicchiere e lo sta guardando, gli occhi colmi di qualcosa davvero molto simile all'amore e la vena sulla gola che batte dolce, a chiamarlo.
"Voglio essere il tuo uomo Oscar... voglio un letto nostro e una vita nostra. Voglio..."
Le parole gli muoiono in gola spezzate da quel profumo che lo avvolge quando la mano di lei raggiunge la sua guancia e vi si posa, lieve come un battito d'ali.
Rimangono i loro sguardi parlarsi, sopra a quel gesto, in attesa delle parole di lei.
"Anche io lo voglio André,  lo sai e ti prometto che succederà, davvero... dammi solo il tempo di risolvere questo problema con la Regina, poi..."
André  si ritrae di colpo, come colpito da una frustata, e si sottrae alla seta della sua mano.
"Non ci posso credere!" esclama.
"Lo stai facendo di nuovo!" 
Muove qualche passo nella camera, le mani a portare nervosamente indietro i capelli.
"Rimandi  ancora, come hai sempre fatto! Ci sono sempre i tuoi doveri, prima di ogni altra cosa, prima di me, prima di noi..."
Ha di nuovo raggiunto la finestra e la sua voce spaventa una coppia di piccioni che aveva trovato riparo, per la notte, proprio sotto il cornicione.
La rabbia lo ha invaso di  nuovo, così incalzante da farlo parlare a frasi smozzicate, la voce sempre più alta.
"C'è sempre stato qualcosa di più  importante... Ci sono stati i problemi della Regina col gioco d'azzardo,  poi la nascita della principessa e del delfino, poi i pettegolezzi sulla presunta infatuazione di Sua Maestà per quel dannato svedese e ora... ora cosa..." 
Prende fiato, mentre le si avvicina e la cattura con lo sguardo, per inchiodarla al fiammeggiare verde del suo.
"E ora...ora.. ah sì,  la collana e Bohmer e Bassenge che reclamano gli venga pagata e quel pervertito di Rohan che sostiene di aver incontrato Sua Maestà..."
Le afferra le braccia e le stringe forte per portarsela vicino, la bocca a un respiro dalla sua ed il profumo del suo seno a renderlo ancora più  folle.
"E dopo, dannazione, dopo cos'altro ancora ti terrà  lontana da me?"
Gli occhi di Oscar sono vetro tagliente ora, le gocce di quel pianto che gli pareva aver visto prima prosciugate dalla collera che la sua veemenza le ha acceso dentro.
E quello sguardo di sfida non fa che alimentare il fuoco della sua furia. "Quando saremo noi, tu ed io, la tua priorità, Oscar?" urla incalzante sempre più irritato dal suo mutismo altero. "Quando potrò  stare al tuo fianco, alla luce del sole, senza dover nascondere quello che provo per te? Quando potrò  affrontare i bastardi come quello di stamattina e pestarli sino a sentire male alle mani, invece di dover fingere di essere indifferente?"
Le dita si serrano forte sulle braccia esili di lei, a testimonianza della tempesta che gli agita il cuore.
"Mi stai facendo male, André!"
È poco più  di un sibilo quello di Oscar ma lascia percepire lo sdegno che l'ha colta di fronte a quel furore, che sente passare bollente attraverso la stoffa e le parla di un uomo quasi sconosciuto. Alza fiera la testa per trovarne il verde degli occhi e non indietreggia, semplicemente si divincola dalle sue mani per fronteggiarlo meglio, i pugni chiusi ed alzati, il busto proteso verso di lui, che la guarda fisso, un luccichio disperato che gli accende lo sguardo nelle prime ombre della notte.
Ma è così  sconfinata quella disperazione che spegne in parte la sua rabbia. Abbassa piano le braccia, davanti a quegli occhi, vinta dalla stanchezza.
"È stato solo un attimo di rabbia, il suo..." pensa, desiderosa una volta di più di annegare nel suo calore.
"Sono certa che anche lui non ha voglia di continuare questa discussione..."
"Non mi va di parlare di quell'idiota, è  stato solo un incidente, André..."
Chiude gli occhi esausta.
"Davvero Andrè io non ne ho la forza, stasera... Ho avuto una giornata infernale e...
"Ora mi abbraccerà, ne sono sicura, e mi cullerà a sé, e faremo l'amore...Dio,  André, non puoi immaginare quanto ho bisogno di te..."
Ma la voce di lui ed il gelo nelle sue parole la obbligano a ricredersi.
"Io credo invece che sia proprio questo il momento giusto per parlarne."
È tornato ad appoggiarsi al davanzale, le mani a stringere forte la pietra grigia, quasi a trarre forza dalla sua durezza.
"Anche io ho avuto una giornata infernale, Oscar...ho passato ogni minuto a ricordare la voce di quello stronzo che ti insultava, e te che mi impedivi di fronteggiarlo."  Vede le spalle di lei irrigidirsi, ma continua, implacabile, quasi fosse una forza ingovernabile ed oscura  a muoverlo, ormai.
"E ho rivisto e risentito addosso ogni istante lo sguardo con cui mi hai congedato...e non ho fatto altro che chiedermi quanto valgo, davvero, per te."
Continua a parlare a bassa voce quasi quelle parole fossero rivolte a sé stesso più  che a lei.
"Vedi io oggi sarei stato disposto a farlo a prezzi quel bastardo, anche se era un nobile e probabilmente mi sarebbe toccata la Bastiglia se non la morte, per aver alzato le mani su di lui. Ma non mi sarebbe importato. Mi sarebbe bastato chiudergli quella dannata bocca e ..."
Cerca l'azzurro dello sguardo di Oscar e vi allaccia il suo, fermissimo.
"Io sono pronto a sacrificare ogni cosa, per te, lo sono sempre stato... ma quello che è  successo, il modo in cui hai agito, il modo in cui mi hai allontanato... Non ho potuto fare a meno di domandarmi, per tutto il giorno, quanto valgo per te e... e se è il nostro amore la cosa più  importante nella tua vita, come lo è nella mia o se invece sono altre le cose che davvero contano per te." Una pausa, piena solo del vociare confuso che viene dal piano sottostante, prima di continuare. 
"E mi sono reso conto che con questo dubbio non voglio vivere un minuto di più"
La guarda a lungo, in piedi di fronte a lui, le braccia abbandonate lungo il corpo ma i pugni ancora serrati. Ne percepisce il respiro affrettato e la tensione che ne pervade il corpo fremente, svelato in controluce dalla luce della luna.
Respira a fondo prima di parlare perché sa che da quelle parole dipende il suo futuro.
"Per questo ti chiedo di scegliere. Ora. Se è vero che vuoi davvero vivere con me, andiamocene via adesso, Oscar. Prendiamo i cavalli e lasciamo Parigi senza voltarci indietro, solo io e te..."
La vede tremare,  e scuotere il capo con forza, come se quelle parole volesse scacciarle.
"Non puoi chiedermi una cosa come questa," risponde, gli occhi un poco sgranati per la sorpresa "non puoi chiedermi di gettare alle ortiche la mia vita in un secondo..."
La sua voce si gonfia di rabbia, cieca e ingovernabile.
"Non adesso!!! Non con la famiglia reale asseddiata da questo nuovo scandalo! Non... Tu non puoi davvero chiedermi questo, André!!!"
La voce di lui è limpida e chiara quando le risponde e risuona di una sicurezza e di una dignità che crede di non avergli mai sentito
"E invece te lo chiedo, Oscar. Se mi ami fuggi con me, questa notte. Oppure..."
È davvero furiosa ora e gli si avvicina, senza smettere di parlare, il respiro un sibilo tra i denti un poco digrignati.

Furiosa perché  sa che Andrè  ha ragione a dubitare di lei e del suo amore, per tutti gli anni in cui l'ha costretto a vivere in quel limbo senza nome che è stata la loro storia e per quelle parole dolenti e brucianti che le graffiano a fondo il cuore ma che sa essere profondamente vere.
Ma è  troppo stanca e arrabbiata. Non riesce  a dominarsi di fronte all'ennesimo colpo di quell'infernale giornata e lo attacca furibonda, senza rendersi conto di ciò  che dice, sino a quando ella stessa sente il suono della sua voce e un poco si stupisce per le parole che si sente pronunciare.

"Oppure? Sentiamo, se non lo facessi, se io non acconsentissi a questa tua folle richiesta tu cosa faresti, André?"
La tensione è simile a un piccolo crepitio invisibile, tra loro.
Rimangono fermi, uno di fronte all'altro, in attesa.
Deve ricorrere ad ogni sua forza, Andrè, per rimanere impassibile di fronte a quel volto amatissimo e  adirato, dilaniato tra il bisogno di affermare le sue ragioni e la voglia spasmodica di stringerla e baciarla e dirle che è stato un pazzo, che nulla conta se non l'amore che nutre per lei.
Ma si è  spinto troppo oltre, stavolta.
Ha preteso la sua anima oltre al suo corpo ed ora deve affrontare le conseguenze.
Parla con voce calma, in contrasto con il tono aspro di lei.
"Me ne andrei, Oscar. Sparirei dalla tua vita e non mi vedresti più."
Una risata  tagliente come una lama accoglie la sua ultima sillaba e gli si conficca nel cuore, ad aprire una ferita che, lo sa da subito, difficilmente guarirà.
Perché c'ė tutto ciò che voleva sapere in quel riso sprezzante.
Allunga piano il braccio a recuperare la sua giacca mentre vede Oscar muovere i pochi passi che la separano dal tavolino e afferrare nuovamente bottiglia e bicchiere.
"Non lo faresti mai, André!" le sente dire mentre già la sua mano stringe forte la maniglia e la muove verso il basso.
"Non ne avresti mai il cor..."
Il rumore secco della porta che si chiude alle sue spalle spezza la voce di lei e smorza per un istante la sofferenza cocente che gli dilania il petto.
"Devo farlo, invece Oscar, o non mi sentirò  mai più un uomo."
Affronta i gradini a passo svelto, uno dopo l'altro, mentre lo pensa e li sente scivolare via sotto le suole, come se fossero l'ultimo legame da spezzare con quella che è stata la sua vita.
È  già nel ballatoio, quando ode un rumore di vetro che si infrange, scagliato forte contro il legno della porta, e la voce rabbiosa di Oscar alzarsi, furibonda.
"Maledizione a te André Grandier!  Che tu sia..."
Un respiro profondo gli riempie i polmoni dell'aria fredda della notte, mentre esce all'aperto.
"Ti amo tanto, Oscar."
Poi affronta il buio, senza voltarsi.

 
continua....


Ennesima scelta, dunque, che poi scelta davvero non è stata, così come non lo sono mai le decisioni che prendiamo sotto l'impulso della rabbia.
Siamo giunti a una rottura, netta e feroce, dopo anni di vita comunque condivisa attimo su attimo. 
Le loro scelte e le loro vite, quindi, da ora, procederanno lungo percorsi diversi...
Spero di ritrovarvi, per raccontarvele, numerose e partecipi come lo siete state finora.
Il solito immenso grazie a chi con perizia e pazienza mi supporta (e sopporta) e un altro, altrettanto immenso, a tutti indistintamente coloro che mi regalano il loro "click".

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Capitolo 6
*** Notte ***


 
Capitolo 6 - Notte

 

Qualche spruzzo vermiglio la raggiunge, quando la bottiglia di vino si infrange sulla porta e le macchia la seta candida della camicia e la pelle nuda delle cosce.
L'ha scagliata con tutta la forza che quella rabbia disperata ha dato al suo braccio, un urlo ad accompagnare il volteggiare del vetro prima del rumore di cocci catapultati ovunque.
"Maledizione a te  André  Grandier... Che tu sia dannato!"
Così forte, da sentir dolere la gola, non ha urlato mai.
"Vattene allora, vattene e non tornare più!"
Afferra anche i bicchieri e uno alla volta li scaglia conto il legno già  macchiato di rosso.
"Come hai osato chiedermi una cosa come questa, come?"
La voce rimbalza sulle pareti nude e torna, altissima a ferirle le orecchie. "Come hai potuto...Come..?"
Nel silenzio impietoso che segue le sue urla alza le braccia, i pugni tremanti a comprimersi la fronte, gli occhi serrati per impedire alle lacrime di pungere. Parla piano ora, la voce spezzata, il respiro  affannoso per il troppo gridare e l'ira che ancora le stringe ghiacciata, lo stomaco.
"Ma se pensi che io ti rincorra, supplicandoti di tornare sei un povero illuso..."
Riapre gli occhi, e intravede  la sagoma scura del letto.
Non ha mai dormito sola, in quel letto.
La morsa insidiosa dell'incertezza le blocca il respiro e ogni cosa, letto e mobili e tende, sembra galleggiare in una foschia bagnata e spessa, mentre muove qualche passo incerto, attraverso il velo di  pianto rabbioso che, suo malgrado, non le riesce di arginare.
"Come hai potuto ?"
È  appoggiata al bordo del letto e vi si lascia cadere, vinta dalla stanchezza di quella giornata e da quelle urla che l'hanno prosciugata. Riesce ancora a formulare un ultimo pensiero, che diventa un sussurro adirato e caparbio.
"Non ho bisogno di te, André..."
Muove piano il viso sulla frescura delle lenzuola su cui si abbandona e che pietose accolgono la sua fronte stanca.
"Non ho bisogno di nessuno, io..."
Un singulto le spezza petto e respiro mentre si copre la testa con un cuscino.
"Non ...ho...bisogno...di te, André..."
L' incoscienza benedetta del sonno è  lì, ad accoglierla, per sottrarla momentaneamente a quel turbine di sensazioni che la stanno dilaniando. Ancora un sospiro ed un singhiozzo, piccolo, poi l'oblio.
Ma un istante prima di sprofondarvi, in quel momento meraviglioso e terribile che ci pone, tutti, in bilico tra coscienza e sogno, quello in cui non possiamo nasconderci a noi stessi, né ingannarci o blandirci, è il gelo ad invaderle il cuore e a regalarle un piccolo brivido.
Il gelo oscuro e crudele della solitudine e dello sgomento.
"Come hai potuto tradirmi così, André?"

"Ti amo tanto, Oscar."
Non riesce a ripetersi altro, mentre cammina, il cavallo tenuto per le briglie, l'aria fresca della notte che gli accarezza il viso e lo aiuta a contenere i battiti tempestosi del cuore.
"Ti amo tanto, ti amo..."
Nemmeno sa in quale direzione sta camminando, svolta per le vie a caso e le percorre con passi decisi, ostinati, senza farsi domande, senza riuscire a sentire altro che la risata sprezzante di lei a trafiggerlo, ancora e ancora.
"Ti amo, Oscar... ma non potevo fare altro..."
L'ineluttabilità di quell'ultimo pensiero lo colpisce come un pugno in pieno petto e lo obbliga a fermarsi.
Le case si sono diradate e già un principio di campagna si affaccia ai bordi della strada, nell'erba alta che la delimita dal fosso sottostante.
C'ė un muro a secco, alla sua destra ed un alto pioppo cipressino che svetta, solitario ed argenteo di luna.
Avvolge con un gesto automatico le briglie ad un ramo, poi con passi stanchi raggiunge il muro e ne cerca la consistenza con le spalle, il viso levato in alto, perduto nel lieve tremolio delle stelle.
"Non potevo fare altro  Oscar..."
Non saprebbe dire da quanto tempo il suo cuore bramava quel riscatto.
Non sa quante volte si è ostinato a non sentirle quelle grida, a far finta che andasse tutto bene, si è reso sordo all'affermare potente che non era quello l'amore che voleva e non era la vita che voleva, quella che ormai stava vivendo.
Lo sentiva mormorare piano, quel cuore affranto, al mattino quando indossava la giacca della livrea,  la sistemava per bene sul petto e controllava compito i polsini,  che l'attendente del Colonnello de Jarjayes non poteva essere che impeccabile.
Lo udiva bisbigliare più forte e struggersi, il suo cuore, ogni volta che un capannello di dame lanciava occhiate anmmiccanti al loro passaggio e nascondeva risatine golose dietro ai ventagli aperti, "Chissà  cosa davvero li lega, mia cara, voi che dite?"
E lo sentiva ruggire e stridere, feroce e disperato, ogni volta che faceva l'amore con lei, e malgrado tutto nel suo corpo si perdeva...per fuggire ululante e sconfitto quando su quella carne tenera e bianca riversava gemendo il suo piacere, sordo e cieco e stolto a convincersi ancora una volta che quel tipo di amore gli bastava...
Ma era stato  così tenace quel suo cuore, nel suo gridare, che infine lo aveva obbligato ad ascoltarlo.
E lo aveva obbligato a mettere Oscar di fronte a quella scelta e a imporre e a sé  stesso di fuggire, al risuonare di quella risata, per salvare di quella sua vita ormai andata alla deriva, almeno il suo amore per lei,  quello vero, intatto e puro, che aveva scoperto dentro di sé una lontana mattina di tanti anni prima, e che si era smarrito, insieme alla sua dignità, in quei letti clandestini, anno dopo anno.
"Ti amo tanto, Oscar" sussurra mentre si accovaccia a terra, la testa appoggiata alla solida rigidezza del muro.
"Per questo devo andarmene via...per poter continuare ad amarti..."
Le palpebre scendono pesanti a velargli lo sguardo, e il desiderio di cedere al sonno diventa non solo conseguenza della spossatezza che quell'ultimo doloroso confronto ha risvegliato nel suo animo ma anche una porta misericordiosamente aperta sull'oblio, almeno temporaneo.
Ha tempo per un ultimo pensiero, che è  insieme ragione ed istinto e sofferenza, e solitudine, tanta, tracimante, prima di lasciarsi andare.
"Ti amo Oscar..."

Sogni gioiosi  ad accompagnare il sonno tra le lenzuola fresche e all'ombra delle fronde sussussurranti.

Sogni che parlano di giochi lontani, di giorni spensierati, di voci argentine che si chiamano e di piedini svelti che si rincorrono, nudi tra l'erba alta. "Corri André, sono sicura che non ci riesci a prendermi!"
"Ma certo che ce la faccio! Posso correre molto più  forte di te, e lo sai bene!"
Sogni che raccontano di tenerezza e complicità, di dita compassionevoli sui segni lasciati da una punizione troppo feroce, leggerissime sulla pelle arrossata di una guancia.
"Ti fa molto male Oscar? Se vuoi posso portarti una salvietta imbevuta d'acqua fresca..."
"No André, non serve, davvero. Piuttosto  resta qui, e leggi qualcosa per me, te ne prego..."
Sogni che odorano di fieno fragrante e cera disciolta e profumano di un amore che si consacra nella carne e diventa promessa e speranza.
"Ti voglio così tanto, Oscar..."
"Sono tua André, lo sarò per sempre..."

Un piccolo singhiozzo nel sonno abbandonato tra le lenzuola intatte, per quell'amore, che si è  fatto consuetudine e rifugio,  che l'ha sostenuta e confortata e che ha pensato essere roccia salda, così inespugnabile che nulla avrebbe temuto. Un fuoco ardente che, ne era stata così certa, si sarebbe mantenuto vivo pur se nell'ombra di quel dovere che era diventato scelta, consapevole e voluta.
Un amore che credeva disposto ad attendere,  a comprendere, a...

Un sospiro fondo, nel sonno contro la ruvidezza di quel muro, per quell'amore che aveva sperato veder sbocciare in un presente ricolmo di cose calde e sicure, un raggio di sole a sfiorare un letto profumato di casa, ciglia grevi di sonno da dischiudere con un bacio e magari una testina bionda ed un corpo cucciolo tra loro, a rubare coperte e sorrisi.
Un amore che non vuole più, se non nella sua compiutezza, che non è  più disposto ad attendere, a comprendere, a...

Le ciglia bionde tremano, e una mano sale istintiva a celare gli occhi alla luce del sole, mentre il tepore di quel sentimento rivissuto nel sogno si dissolve per ritrovare la realtà di un letto vuoto ed il sapore amaro di quelle lacrime che ha tentato invano di scacciare, nel fondo del palato.
Il ricordo di quella porta che si chiude sulle sue urla le stringe forte lo stomaco, mentre faticosamente lo sguardo ritrova la realtà  di quella scelta fatta di rabbia impetuosa.
Ce ne sono ancora gli echi, tra quelle mura mentre si solleva e a fatica si mette seduta sul letto.
Sola. Sola come non è mai stata.
Ma non la teme quella solitudine, se lo ripete con forza, non più, non ora che è sveglia e con gesti cauti si alza e riavvolge le fasce strette sul seno,  per poi allacciare, le dita percorse appena da un tremito piccolo, ogni laccio della camicia.
Non ora che un pezzo dopo l'altro ritrova la consistenza della stoffa dell'uniforme sulla pelle.
I calzoni e la giacca, scudo impenetrabile a nascondere la sua natura agli occhi del mondo e la fascia e la spada....la sua difesa, quegli abiti, da ogni cosa: dall'abbandono, dal tradimento, da quei ricordi che fanno così male.
Da tutto.
Anche  da quel chiodo di ghiaccio che sente conficcato nel cuore ma che non vincerà  la sua volontà,  non la farà  tornare sui suoi passi.
Infila decisa gli stivali e calpesta con forza i cocci sparsi a terra, simbolo di un pezzo di vita che ha deciso di lasciare in quella camera.
"Nohbisogndte, André..."

Ogni singolo muscolo della schiena duole e reclama di essere disteso, mentre schiude piano gli occhi alla luce frammista di verde del giorno, le foglie a stormire lievi, ignare del suo tormento.
Abbandona piano il calore di quel sogno fatto di una speranza che non sarà più,  mentre nelle orecchie risuona nuovamente, a sovrapporsi a quella voce morbida e lontana, il riso irrisorio di lei.
Il petto gli si squarcia di nuovo, mentre si mette in piedi e prova a muovere qualche passo per raggiungere il cavallo intento a brucare tranquillo l'erba dolce di rugiada.
C'è rimpianto per quel nido caldo che ha sentito così vero, ma c'è fermezza in ogni suo gesto, nel dispensare piano una carezza alle froge di velluto che lo cercano e nel raddrizzare la figura, per scacciare dalle giunture il freddo di quella notte passata all'addiaccio.
C'è ancora sofferenza, infinita, e amore, infinito anche quello, mentre stringe tra le mani i finimenti e li passa con calma dietro la testa dell'animale.
Ma c'è, piccolissimo, a rischiarare la tenebra di quella perdita, il barlume di luce di una scelta dignitosa e giusta, da perseverare con forza, per ritrovare sé stesso ed essere ancora degno di amare.
Sale in sella con un movimento fluido e senza esitazioni sprona il fianco del cavallo. 
"Ti amo tanto, Oscar, ma non tornerò  da te."


continua...






Un capitolo breve ma necessario a ribadire quelle scelte fatte sulla scia del furore e per iniziare a far sì  che entrambi comincino a guardarsi dentro.

Un abbraccio e, come sempre, un grazie immenso a chi viaggia con me dal  principio o è  appena arrivato, a chi lo fa in modalità silenziosa e a chi invece mi lascia una traccia....siete tutti ugualmente preziosi.
Naturalmente,  come sempre, un ringraziamento speciale alla mia insostituibile, pazientissima consulente che sopporta stoicamente ogni mia insicurezza ed ogni mio delirio. 
A presto.

 

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Capitolo 7
*** Nuovi orizzonti e dolorose verità ***


 

Capitolo 7 - Nuovi orizzonti e dolorose verità 

PARIGI, Locanda "Les lillas blanches"

L'insegna cigola piano di fronte a lui, smossa dalla leggera brezza notturna.
Ne intravede i bordi regolari ed il disegno, un fascio scomposto di lilla' bianchi, appena intuibile nella fioca luce che giunge da una delle finestre. L'aveva scelta per trascorrere le sue notti d'amore con Oscar anche per quello, tanti anni prima, per quel nome che parlava di casa.
Lilla'..  Il giardino di Palazzo Jarjayes era costellato di quei cespugli rigogliosi, in un alternarsi ordinato delle varianti bianche e vermiglie e negli anni aveva imparato ad amarli profondamente quei fiori, così  teneri e arditi e ad amarne il profumo intenso ed amaro, inebriante come i baci e le carezze impudiche che spesso aveva carpito alla pelle bianca di lei, approfittando del sipario ombroso offerto dalle loro fronde.
Il ricordo di Oscar e dei sospiri che le sue mani riuscivano a strapparle gli lacera il cuore e lo riporta dolorosamente alla realtà, a quella notte buia,  a quell'insegna sussurrante ed al motivo che l'ha condotto qui, dopo tre settimane da quella notte disperata in cui ha deciso in un impeto impazzito di abbandonare la vita che aveva sempre vissuto.
Ne ha avvertito il  bisogno di ritrovarsi li, a cercare l'ultima delle conferme necessarie, da quando ha parlato con quell'uomo, poche ore prima.

L'aveva sentito parlare con un altro avventore della taverna in cui si trovava, un bicchiere di vino scadente tra le mani e le ultime monete penosamente pesanti nella tasca del farsetto, a ricordargli che era giunto il momento di prendere una decisione, qualunque essa fosse, che non poteva continuare a vivere in quella sorta di limbo fatto di rimpianti e dolore.
Non aveva prestato attenzione ai discorsi dei due uomini appoggiati al bancone accanto a lui sino a quando alle sue orecchie non erano giunte la parole precettore e maestro d'armi.
"Quel posto sarebbe perfetto per mio cognato, Monsieur, ve lo assicuro..." stava dicendo uno dei due.
"Se solo poteste avere la compiacenza di attendere un paio di giorni ancora... purtroppo una febbre fastidiosa gli ha impedito di venire a parlarvi ma..."
La risposta dell'altro aveva troncato secca il discorso.
"Mi rincresce molto per il malanno di vostro cognato, ma davvero non ho più  tempo. Parto domattina per far ritorno a Montpellier. Ho già procastrinato troppo a lungo la data della partenza, e altri impegni presi in precedenza mi obbligano a rientrare."
La voce non aveva lasciato adito a repliche e l'altro non aveva potuto far altro che inchinarsi brevemente e lasciare la sala. 
André  aveva osservato l'uomo rimasto accanto a lui e ne aveva valutato l'aspetto ben curato e gli abiti di buona fattura.
Erano passati alcuni minuti mentre ne osservava i modi ed i gesti compiti e, il cuore in tumulto, si domandava se potesse essere quella l'occasione da non lasciarsi sfuggire, il punto di partenza di un nuovo percorso da intraprendere, per provare a ricostruirsi una vita, un pezzetto alla volta.
"Perdonatemi, Monsieur..."
Suo malgrado il risuonare della propria voce lo aveva sorpreso. Aveva deciso, dunque...

"Non ho potuto fare a meno di sentire le vostre parole, prima."
L'uomo si era voltato ed André ne aveva incontrato lo sguardo scurissimo, illuminato dal brillio della sicurezza e dell'intelligenza.
"Credo di aver compreso che siete alla ricerca di un precettore e di un maestro d'armi..."
L'altro lo aveva informato con un discorso breve e preciso circa la natura della persona che aveva cercato a Parigi, dove era giunto per sbrigare alcuni affari che il suo ruolo di armatore gli imponeva di trattare personalmente, ma che ancora non aveva trovato: un istitutore per i suoi figli gemelli di dieci anni che fosse al contempo in grado di fornire loro una buona preparazione culturale e un'introduzione al mondo delle armi. Quest'ultima cosa sarebbe stata però riservata però ad uno solo dei ragazzi essendo l'altro privo dell'uso delle gambe dopo una rovinosa caduta da cavallo qualche anno prima.
"Come spesso succede ai gemelli, " aveva spiegato Monsieur Guillome, "i miei ragazzi hanno un legame molto particolare. Non accettano in alcun modo di avere insegnanti differenti, calibrati alle loro differenti esigenze."

Aveva fatto una piccola pausa necessaria a nascondere lo scoramento che quella situazione sicuramente gli creava 
"L'idea di avere un unico maestro, per entrambi, che sia in grado di prodigarsi per loro su untrambi i fronti è venuta a mia moglie ed io ho approfittato del mio viaggio a Parigi per cercare di contattare una persona con le giuste caratteristiche. Ma sino ad ora la mia ricerca è stata vana..."
Andrè  aveva sospirato piano prima di parlare.
Sapeva che allontanarsi da Parigi avrebbe significato un distacco pressoché definitivo da tutto ciò  che aveva avuto un senso per lui, sino a poche settimane prima,  ma ormai quella sembrava l'unica via possibile.
"Io credo di essere in grado di svolgere le mansioni che voi mi avete descritto," aveva poi detto, la voce tranquilla malgrado il tumulto che sentiva dentro. "Vedete, ho avuto la fortuna di avere..."
Aveva riassunto brevemente la sua storia al suo interlocutore e risposto brillantemente ad ogni quesito che quest'ultimo gli aveva posto e un'ora dopo si erano salutati con una vigorosa stretta di mano, dandosi l'appuntamento per il pomeriggio seguente lì, in quella taverna dove Monsieur Guillome alloggiava e da dove sarebbero partiti insieme alla volta di Montpellier.
André  era uscito dal locale pochi istanti dopo, con un unico pensiero, martellante nel cuore come il più  crudele dei magli e con quello era giunto sino a "Les Lillas blanches": voleva sapere, DOVEVA, sapere, se Oscar era tornata a cercarlo, dopo quella notte.
Se almeno una volta era tornata sui suoi passi, in quel luogo che era stato l'unico posto davvero tutto loro in quei dieci anni, l'unico simulacro di casa che mai avessero avuto...
Prende un respiro fondo, prima di  muoversi  poi con passo deciso apre la porta ed entra nella locanda.
Il profumo del locale gli mozza il fiato, tanto è denso di ricordi, così come la luce dorata che lo illumina  proveniente dalle bugie poste sui tavoli cui mangiano alcuni avventori e dal candelabro che illumina lo scrittoio vicino all'imboccatura delle scale, a cui è seduta Madame Clair, lo sguardo chino sul registro che ha davanti.

Il battito furioso del cuore rischia di travolgerlo mentre le si avvicina, consapevole di aver compiuto quei passi milioni di volte in quegli anni ma di farlo stasera, per la prima volta con uno scopo completamente diverso.
Lo accogono, disponibili come sempre, il sorriso dolce e lo sguardo bellissimo di Madame, un attimo prima che ne risuoni la voce, calda e gradevole.
"Monsieur Grandier... È  un vero piacere rivedervi...posso fare qualcosa per voi?"
È davvero difficile controllare la voce, contenerne il tremito che sente solleticargli la gola ma ci riesce.
"Buonasera a voi, Madame... Sono in procinto di lasciare Parigi ma prima di farlo desideravo salutarvi e sapere se ..." deve deglutire prima di continuare, la tensione è  divenuta un groppo asciutto nel fondo della gola e quasi gli spezza il respiro.
"Se...Oscar... la donna che....se...."
La voce di lei lo interrompe, salvandolo dall'imbarazzo di formulare quella domanda e spezzando al contempo ogni speranza.
"Non vedo il Colonnello de Jarjayes da tre settimane, Monsieur. Ha saldato il conto la mattina che se ne è andata e non ha lasciato alcun messaggio."
Per un istante ogni cosa vacilla sotto ai suoi piedi ed André è costretto ad appoggiare le mani al legno scuro del tavolo che ha di fronte.
Nessun  messaggio. Non è più tornata. Non lo ha cercato.
Chiude per un istante gli occhi, poi con un gesto lieve del capo annuisce, e ritorna allo sguardo di Madame Clair.
"Capisco," sussurra di fronte a quegli occhi d'ambra.
"Era ciò  che volevo sapere. Vi ringrazio per la vostra premura, Madame e vi auguro ogni bene possibile."
Non ce più nulla davvero, ora, a trattenerlo in quel posto e sente il bisogno di respirare al piu presto aria fresca, ché  il profumo racchiuso tra quelle pareti cosi famigliare e grato gli è divenuto di colpo estraneo e sgradevole.
È già a metà  del percorso che lo separa dalla porta quando la voce di lei lo ferma.
"Monsieur Grandier, vi prego..."
Si volta e la vede lasciare la sua poltroncina e raggiungerlo, minuta ed elegante nel sobrio abito verde scuro che indossa.
"C'è  una cosa che vorrei chiedervi, se me lo permettete..."
André  annuisce, consapevole che quella donna possa aver davvero compreso ben più  di ciò che ha sempre dimostrato di sapere, con il suo comportamento riservato.
"Voi la amate, vero?"
Gli occhi di lei sono scuri, ora, il colore del miele caramellato, densi di ombre misteriose e profonde, colmi della sofferenza di chi ha molto amato e, forse, perduto chi ama...
Qualcosa, in quelle profondità gli dice che può  fidarsi, che con lei può  essere sincero.
"Si," risponde. "La amo con tutto il cuore. Ma..."
Si stupisce della facilità con cui riesce a raccontarle ogni cosa, della loro infanzia speciale, di quell'essere tutto, uno per l'altra, di quel loro legame che è cresciuto e mutato, un giorno alla volta sino a diventare amore, e passione, incontenibili.
Di quanto ne abbia avuto bisogno, di lei, in quegli anni, in modo assoluto, come si ha bisogno di respirare per vivere, e di quanto fermamente avesse voluto credere nel sogno di una famiglia, di un amore che si concretizza in una vita nuova, in un sogno che si fa carne...
E di come un grumo alla volta, giorno dopo giorno, abbia visto quel sogno sgretolarsi, sino ad arrivare alla decisione di lasciarla, per non perdere se stesso e soprattutto per non giungere ad odiarla, come temeva sarebbe successo se avesse continuato a pretendere da lei qualcosa che lei non era disposta a dargli....
Le parole sono uscite come un fiume in piena... Non si era mai reso conto di quanto avesse bisogno di parlarne con qualcuno, di quel suo amore immenso e sempre taciuto, sino ad ora che ha avuto la possibilità di farlo.
Sino ad ora, che ha compreso in modo definitivo che non ce più nulla di quel sogno, che tutto è  finito.
Non si è  accorto che ha parlato per ore, che la sala si è  svuotata e che la notte già si chiarisce nell'alba aldilà delle tende.
E non si è  accorto che le piccole mani morbide di Madame hanno stretto le sue, mentre parlava. Se ne accorge ora, mentre si rende conto, stanco e svuotato,  di quanto dolce si è  fatto il suo sguardo.
"Vi prego di scusarmi..." sussurra, "sarete stanchissima... io davvero..."
La stretta si fa più intensa , quelle dita sono forti e salde, ora, come se fossero intessute di maglia di ferro.
"Non dovete scusarvi...sono lieta di avervi ascoltato. Mi avete riportato alla mente quanto può essere potente un sentimento... e, a tal proposito, se mi permettete, vorrei darvi un consiglio..."
Fa una pausa e la sua stretta diventa dolce e caldissima.
"Non disonoratelo mai questo amore,  Monsieur, conservatelo vivo e puro, nel vostro cuore..." la sente sussurrare, una consapevolezza viva a pervaderle la voce.
"E non disperate....l'amore, quando è immenso come il vostro, può superare ogni cosa, anche le barriere del tempo e dello spazio. Non disperate, ve ne prego..."
Ha gli occhi luminosi di chi sa di aver condiviso qualcosa di prezioso, mentre lo saluta e André non può fare a meno di ringraziarla, per quelle parole che lo accompagnano, piene di conforto, mentre esce e si dirige  alla staccionata per recuperare il suo cavallo.
Per qualche oscura ragione quella voce ha lenito un poco il tormento della sua anima dandogli la certezza che aver preservato la sua integrità ed il suo amore dal nulla in cui si stava disfacendo sia stata la cosa giusta da fare.
E che forse la forza di quel sentimento prevarrà davvero, un giorno. Forse...
Alza gli occhi alla prima stella del mattino mentre sale in sella e si appresta a lasciare Parigi consapevole che c'è ancora una cosa da fare, prima di raggiungere Monsieur Guillome e partire alla volta di Montpellier.
Deve salutare sua nonna e raccogliere le poche cose che possiede, a Palazzo Jarjayes. 

 

REGGIA DI VERSAILLES - Ufficio del comandante della Guardia Reale.

"Avanti!"
Risponde senza nemmeno alzare lo sguardo dalla pila di documenti che sta attentamente leggendo, sicura che sia André, giunto ad informarla che ha preparato i cavalli e che quando sarà  pronta potranno lasciare la Reggia.
"Scusate colonnello..."
La voce di Gilbert, il caporale che le è  stato assegnato come attendente qualche settimana prima la fa sobbalzare.
Ma certo, Gilbert, che stupida, André se ne è...
"Desideravo sapere se anche stasera pernotterete alla Reggia, per poter far si che venga predisposta la cena nei vostri appartamenti."
La voce nasale del soldato le giunge ovattata, filtrata dal ronzio che le risuona nelle orecchie, il cuore che batte talmente furioso da farle male.
Di nuovo. Le è successo di nuovo.
Non è  la prima volta che le capita. In quei giorni, malgrado la sua ferma decisione di escludere il pensiero di André,  le è successo innumerevoli  volte di immaginare che lui fosse ancora al suo fianco, quasi fosse una parte così radicata della sua vita da considerarlo sempre presente, nel profondo, da volersi negare la possibilità che lui l'avesse abbandonata.
Così era capitato che lo mandasse a chiamare da un inserviente per poi infuriarsi di fronte allo sguardo interrogativo di questi o che si ritrovasse a pensare di chiedergli un'opinione in merito ad una determinata questione, salvo poi ricordarsi di colpo di quella porta che si richiudeva  alle sue spalle e di quella rabbia che l'aveva travolta...
Ed ogni volta era stato un pò più penoso accettare la situazione,  ritrovare la consapevolezza di essere sola, rinnovare nel profondo la determinazione ad andare avanti, senza ammettere nemmeno a sé stessa che André  le mancava.
Anche adesso, con lo sguardo interrogativo di Gilbert fisso su di lei è maledettamente difficile mantenere il controllo.
"Non ho ancora deciso, lo farò più  tardi."
Risponde brusca, mentre lo licenzia con un gesto secco della mano.
"Puoi andare, ora."
Volta il viso verso la finestra e senza badare allo sbattere dei tacchi del sottoposto si appoggia al cuoio della poltrona e cerca con lo sguardo la notte che sta scendendo oltre i vetri.
Chiude gli occhi e, per la prima volta da quando Andrè se ne è andato, non fa niente per trattenere il piccolo tremito che le percorre le dita quando si porta le mani al viso.
"Dannazione, André... Perché  mi hai lasciato sola? Non hai idea di quanto mi manchi..."

Ci aveva provato, con tutte le sue forze.
Era tornata da Parigi, quella mattina di tre settimane prima, con il cuore gonfio di rabbia e si era buttata a capofitto nel lavoro, senza concedersi il tempo di pensare, imponendosi di non stare a sentire quella parte di lei che piangeva, disperata ed impazzita, per il vuoto lasciato da André.
Aveva provato a soffocarla, quella parte della sua anima, a imporle di tacere sempre,  obbligando sé  stessa a turni massacranti, concentrandosi con ciascuna delle sue risorse sul processo che si stava istituendo per dare un nome ai colpevoli della truffa messa in atto contro Sua Maestà, ripetendosi all'infinito, a denti stretti, che il suo lavoro le sarebbe bastato, che la sua vita era piena ed intensa, anche senza di lui.
Aveva evitato anche di tornare a Palazzo, per tutto quel tempo, usufruendo per la prima volta degli appartamenti messi a sua disposizione alla Reggia, per non rischiare di essere soppraffatta dalla dolcezza dei ricordi che, in quel luogo più  che in ogni altro, la legavano a lui.
A lui che era stato il suo amico, prima ancora che il suo uomo.
Che era stato il suo attimo di pace, la sua voglia di ridere, il suo rifugio, la sua anima.
Che era stato il suo amore... il primo, l'unico della sua vita.
Le sfugge un singhiozzo, amarissimo, di tra le dita premute sulle palpebre, come se permettersi di ammettere con sé stessa quanto lo vorrebbe accanto a lei a cingerla stretta, in quel momento, fosse un dolore al limite del sopportabile. 
Lo ama. Lo ha sempre amato. Con tutta la forza disperata di quel suo cuore di donna costretto a nascondersi dietro un muro impenetrabile....è  stato quell'amore a darle la forza di andare avanti, in tutti quegli anni, a farla sentire bene con sé stessa, a darle coraggio e sicurezza e forza per dimostrare, a tutti, quanto una donna potesse valere in un mondo di uomini.
"Come hai potuto non capire, André?" Sussurra piano, le mani ora a stringere convulsamente i braccioli e le lacrime che scendono copiose, senza più freni.
"Come hai potuto non comprendere, non sentire, quanto ti ho sempre amato? Quanto contavano per me le ore passate insieme, quanto mi fossi necessario..."
Il fiato le si spezza in un singhiozzo al ricordo della sua bocca e della sua voce calda e vellutata al bordo del suo orecchio a sussurrarle il suo desiderio mentre facevano l'amore, nell'intimità  di quel letto che era tutto il loro mondo.
"Ti amo tanto," le diceva, la voce rotta dal piacere appena vissuto. "Non ti lascerò  mai..." e le sue labbra cercavano avide il pulsare nascosto nell'incavo della gola per suggerlo e piano, pianissimo, infiammarla di nuovo.
"E invece te ne sei andato..." mormora, furente, al buio che sta invadendo pian piano l'ufficio.
"Te ne sei andato..."
È  ancora lì, quella rabbia, la stessa che ha armato il suo braccio e dato corpo alla sua voce in quella notte lontana.
La rabbia di sentirsi abbandonata, tradita...la rabbia di scoprire che l'altra metà della tua anima non ha fatto altro che mentirti.
Certo, anche lei aveva sbagliato.
Sapeva bene quali fossero i desideri di André...
Ne avevano parlato tante volte, nudi ed abbracciati tra quelle lenzuola impregnate di loro.
Sapeva che André  voleva vivere una vita diversa, con lei.
Sapeva del suo desiderio di una casa sua e di una famiglia sua, lui che una famiglia non l'aveva avuta mai.
E sapeva di chiedergli molto, ogni volta, quando lo pregava di pazientare ancora un poco,  che presto sarebbe venuto il momento per loro.
Ma aveva sperato che lui comprendesse.
Che sapesse vedere nel suo cuore e capire quanto quella vita che le era stata imposta ora era divenuta importante per lei. Quanto era divenuta parte di sé stessa, del suo modo di essere.
Aveva sperato che il suo amore per lei avrebbe prevalso, rendendolgli accettabile quel compromesso. 
"Dicevi di amarmi per quella che ero, André..." singhiozza, ormai incapace di frenare quel dolore e quella rabbia che hanno sopraffatto le sue difese.
"Ma non era vero...Non era vero niente..."

Abbandona indietro la testa, vinta dalla stanchezza e si lascia vincere dall'urgenza di smettere di lottare, almeno per qualche ora.
Ha bisogno di casa sua, della voce tenera di Nanny e del suo tocco delicato tra i capelli.
Ha bisogno del profumo delle rose di Palazzo che entra dalla finestra della sua camera da letto.
Ha bisogno di affondare la testa nel morbido del cuscino e piangere, sino a sentirsi svuotata.
Ha bisogno di sentirsi al sicuro, per decidere cosa fare.

Passano alcuni minuti prima che riesca a governare il respiro, poi asciugate le lacrime che ancora le segnano il viso si alza e raggiunto il corridoio si rivolge  con voce ferma a Gilbert, in piedi vicino alla sua porta.
"Non sarà  necessario far portare la cena nei miei appartamenti. Fai sellare il mio cavallo, stasera rientro a Palazzo Jarjayes."



continua....



Ben ritrovati, amiche ed amici...innanzitutto vi chiedo scusa per il ritardo con cui ho aggiornato. Ho provato a regalarvi un capitolo un pochino più  lungo del solito per farmi perdonare...spero di esserci riuscita.
Un doveroso ringraziamento va a Silvia Francoise, per la chiave di lettura che mi ha fornito con la sua recensione circa le motivazioni di André ad abbandonare Oscar. È una visione, la sua, che non avevo preso in considerazione ma che credo mi sarà molto utile in futuro. Poi il solito ringraziamento alla mia "editor" per eccellenza e un grazie anzi cento, mille grazie a tutte voi che dedicate parte del vostro tempo alle mie parole...credo che non riuscirò  mai a farvi comprendere quanto siete preziose.
Infine una dedica, speciale e spero gradita, ad Orny81, alla quale ho pensato descrivendo M.me Clair...
Un abbraccio ancora e a presto.


 

 
 

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Capitolo 8
*** Foschia ***


 
 

Ogni cosa è  avvolta nella foschia opalescente e lattiginosa che precede l'alba, quella che sfuma i contorni delle cose e le rende quasi  irreali.
L'ingresso posteriore di Palazzo Jarjayes si intuisce soltanto, grazie anche al lucore appena percettibile che giunge da una delle finestre della cucina, quella prospiciente il gigantesco camino.
André  sospira piano e si lascia andare ad un piccolo sorriso stanco: le abitudini di sua nonna non sono mutate, in quel piccolo lasso di tempo in cui è  stato lontano. Malgrado ancora non sia spuntato il sole evidentemente è  già al lavoro, da sola, nella grande cucina silenziosa.
Si ferma un istante prima di affrontare i due gradini che lo condurranno all'interno, il cuore gravato da molti pensieri. 
Ogni cosa sta per cambiare nella sua vita, gli avvenimenti delle ultime ore stanno per far prendere alla sua esistenza una piega completamente inaspettata. Ma per poter affrontare un cambiamento di tale portata prima deve chiudere ogni legame con la vita precedente.
Deve salutare sua nonna, innanzitutto, e dirle che sta per partire per non fare probabilmente più  ritorno; e deve farlo senza poterle dare alcuna spiegazione, per questa sua decisione, può semplicemente pregarla di accettarla per quella che è.
Dopodiché,  nella fortunata eventualità gli riesca di scampare alle ire della sua dolce vecchietta, deve preparare una lettera per il Generale Jarjayes in cui lo informa della sua decisione di lasciare il suo posto di attendente al servizio di Oscar e infine salire in quella che è  stata la sua camera per recuperare le poche cose che gli appartengono... e andarsene, ben prima che il resto della servitù  di palazzo e soprattutto Oscar si sveglino.
Un ultimo sospiro, a testimonianza della tensione che tornare in quel luogo gli provoca, poi la mano trova la maniglia e la preme, spalancando davanti a sé uno scenario che ha accompagnato ogni suo mattina.
Le pareti bianche, coperte di pentole e paioli di rame perfettamente lucidati, il tavolo enorme ed il bancone di marmo su cui vengono preparate le vivande, il fuoco appena riacceso e una figuretta avvolta in uno scialle, china a ravviarlo.
Ha pensato a lungo a cosa dire a colei che di fatto è  stata la sua unica famiglia in tutti quegli anni, mentre si avvicinava a palazzo, ma ora che la vede, più  curva del solito, allungare una mano segnata dal tempo e dalla fatica per aggiungere un ciocco alle fiamme per rinforzarle, ogni discorso svanisce dallla sua mente per lasciar posto solo ad un moto di affetto che lo spinge verso di lei chiamandola piano, quasi un soffio, simile a quello che lei sta usando per riattizzare le braci.
"Nonna..."
La vede voltarsi e quasi non fa in tempo ad allargare le braccia che già se la ritrova addosso, incredibilmente gracile e stanca, in un frullo di abiti scuri e pizzi inamidati.
"André,  caro..." la sente mormorare, la voce scossa dal pianto. "Caro...caro..."
Non ci sono rimbrotti, o quelle percosse istintive che tante volte lo hanno costretto a riparare fuori dalla stanza correndo, una risata a stento repressa di fronte a quel considerarlo ancora un bambino... solo quel serrarlo stretto, e quel pianto silenzioso, a fargli comprendere quanto le sia mancata, quella donnina profumata di lavanda e lievito e quella cucina piena di schiocchi e ricordi.
E quanto il suo cuore riconosca ogni cosa e la brami, assetato di casa, nonostante tutto.
Rimangono abbracciati per alcuni minuti silenziosi, poi è la nonna a staccarsi da lui asciugandosi gli occhi e ad invitarlo a sedersi mentre lei si avvia alla madia per estrarne un piatto, coscienziosamente coperto da un tovagliolo. 
Tutto è  più facile, ora. Sopita la preoccupazione di quel periodo passato senza avere sue notizie e confortata dal vedere che non gli è successo nulla di male la nonna, servita per entrambi una tazza fumante di the, la sua accompagnata da una generosa fetta di torta, lo informa sommariamente di tutto ciò  che è successo a Palazzo in quei giorni.
La sua voce si rabbuia solo quando  inizia a parlare di Oscar, raccontandogli di come abbia preso l'abitudine di fermarsi a dormire alla Reggia, facendosi mandare in quegli alloggi tutto ciò  che le serve e di come sia stata sfuggente, quasi adirata, quando una volta si era recata lei stessa a portarle i ricambi puliti e le aveva chiesto spiegazioni per quello strano comportamento e notizie di lui, quando si era resa conto che contrariaramente a ciò  che aveva pensato, non era con lei a Versailles 
"Gli occhi le si sono riempiti  di lacrime," sussurra, lo sguardo perso nel ricordo.
"Me ne sono accorta anche se ha fatto di tutto per nascondermele... e la sua voce sembrava sanguinare quando mi ha risposto che non aveva più tue notizie da giorni...soffriva, e molto, anche se non voleva darlo a vedere..."
Per un attimo scende il silenzio in quella penombra odorosa di legno, poi risuona il fruscio della stoffa quando Marie allunga il braccio per stringere con una mano quella grande del nipote, che è rimasto immobile, la tazza a mezz'aria, gli occhi fissi a quel volto segnato dagli anni.
"So da tempo che le cose tra voi non sono ciò che dovrebbero essere..." sussurra, cercando gli occhi verdi di fronte a lei, scuri dello stesso dolore che aveva scorto in quegli altri, azzurrissimi, solo qualche giorno prima.
Sorride lieve, in un formarsi delizioso di piccole rughe intorno alle labbra,  di fronte all'espressione costernata che si dipinge sul volto di André.
"Non avete mai saputo nascondermi niente, voi due...figuriamoci una cosa come questa!"
La stretta si fa più  forte, ma non ci sono rimproveri o disapprovazione nel contrarsi di quelle piccole dita, solo affetto, per quei suoi due bambini a cui il destino aveva riservato prove più grandi di loro.
"So che è stato inevitabile, che ad un amore come il vostro non si può  sfuggire, nemmeno volendo." Fa una piccola pausa, quasi per cercare le parole giuste da dire, a quello sguardo fisso nel suo, a quel suo bambino diventato uomo che non è stata capace di proteggere dal dolore di un amore impossibile.
"Da quando l'ho compreso non ho fatto altro che pregare che il Signore perché  vi proteggesse  e vi desse la forza di scegliere la via giusta per voi,  quando ne fosse stato il momento... e ora temo che quel momento sia arrivato..."
La stretta diventa dolente, e il sussurro un lamento colmo di pianto.
"Te ne andrai via, vero?"
André non può far altro che stringere quella piccola mano tra le sue, contratta e già bagnata di lacrime.
"Si nonna..." sussurra.
"Non posso più  amarla in questo modo...Non ne sono più capace...ho paura di perdermi, di diventare qualcuno che non voglio essere."
Si alza in piedi, lasciando le mani della nonna e si avvicina al camino, lo sguardo catturato dal guizzare delle fiamme.
"Tu non sai quanto ho sperato.... quante volte mi sono detto che mi amava, che ero io la cosa più importante per lei..."
La voce quasi si perde, nello scoppio improvviso di una brace e mille scintille  dipingono sulla maschera che è diventata il suo volto una cascata di lacrime rosse.
"Ma ora so che non è così..."
Batte forte un pugno contro il bordo di legno del camino reso duro come pietra da anni di calore.
"Non sai quanto mi costa, andarmene, nonna, e quanto vorrei non essere costretto a farlo..."
Marie chiude un attimo gli occhi, poi con uno sforzo inghiotte un singhiozzo che le spezza suo malgrado la voce quando riprende a parlare.
"Anche lei ti ama, André, lo so... l'ho visto quel giorno alla Reggia, l'ho sentito nella sua voce ieri sera, quando..."
Il cigolio lieve della porta interrompe le sue parole e obbliga André a voltarsi verso l'ingresso della cucina. 
Il tempo si ferma e la domanda che stava per porre alla nonna gli muore tra le labbra. Ne percepisce il profumo, che si spande dalla nuvola scomposta dei suoi riccioli biondi, accesi di rosso dal riflesso del fuoco.. poi niente altro che il suo  sguardo stanco e bellissimo in cui annegare.
"Oscar!"


È  la foschia della stanchezza, quella che la avvolge, quella che sfuma i contorni dei pensieri e del volere, ma non li annulla, non li esclude come sa fare invece l'oblio grato del sonno, al quale purtroppo non è  riuscita ad abbandonarsi.
Si rivolta per l'ennesima volta tra le coltri profumate di spigo, gli occhi serrati nella disperata volontà di sfuggire al tormento del cuore, ma nulla, nulla...
Aveva sperato che  tornare a casa, ritrovare la sicurezza dei luoghi che da sempre l'avevano protetta, le avrebbe recato conforto, l'avrebbe aiutata a pensare con calma, a decidere cosa fare, a fare chiarezza su ciò che voleva davvero, nel profondo del cuore. Invece...
Quelle settimane di solitudine l'avevano provata oltre ogni sua supposizione.
Si era ritrovata ad avvertire il bisogno della presenza di André  in modo viscerale, fuori da ogni suo controllo ed in modo così spasmodico da toglierle il fiato.
E non era stato il piacere bruciante dei loro amplessi a mancarle di più. 
Con suo grande stupore aveva scoperto di anelare semplicemente alla sua voce, al conforto del suo sguardo e della sua presenza discreta, a quella fortezza di sicurezza e tepore che il saperlo accanto a lei le costruiva intorno.
Quella consapevolezza l'aveva sconvolta, scardinando le sue radicate convinzioni di essere bastevole a sé  stessa, di essere riuscita ad essere ciò che era semplicemente grazie all'addestramento ricevuto ed alla sua incrollabile forza di volontà. Certo anche quelle erano state importanti...ma l'amore di André  lo era stato altrettanto. Era stato il suo farla sentire adatta, capace, vera, a darle la forza di affrontare ogni giorno di quella vita in tutti quegli anni.
Si rigira di nuovo, esasperata, sprimacciando con forza il guanciale prima di tornare ad abbandonarsi, il movimento arreso a tradire la conclusione cui sono giunti i suoi pensieri. Ormai deve ammetterlo, non può  più farne a meno....Era stato l'amore di André, il suo desiderarla sempre, il suo volerla incrollabile, il suo farla sentire donna, nel profondo della sua anima, a farla riuscire ad essere un uomo  agli occhi del mondo.
Era lui il perno di quella sua vita, quello che le permetteva di camminare sicura in bilico tra due universi senza inciampare mai...
Senza di lui nulla era stato più come prima.
Ogni cosa era risuonata vuota e lontana,  privata di ogni sapore.
Anche  la sua casa le era sembrata nulla di più  di una vuota conchiglia, senza il suono della sua voce a rincorrerla su per le scale o la sua fame inestinguibile di cui ridere insieme, la bocca piena di biscotti  su cui premere lieve le dita.
Nessuna sicurezza, nessuna forza le era venuta da quelle mura, dallo sguardo triste di Marie, dalla cena consumata in silenzio in una sala tropo grande e troppo colma di ricordi.
Un movimento brusco, per scagliare lontano le lenzuola divenute di colpo pesantissime, oppressa da quel futuro che non sa come affrontare, spaventata a morte dall'idea di non riuscire ad essere più la sé stessa che è sempre stata accanto a lui, ancor più impaurita dal fatto di non essere più così certa di voler continuare ad essere quella sé  stessa...
È come se quel pensiero, alla stessa stregua di un'onda che pur senza infrangersi con violenza, invade e trascina ogni cosa con il suo lento insinuarsi, aprisse le porte ai suoi desideri più  nascosti, quelli che ha sempre tenuto serrati nel profondo della sua anima, quelli che non ha mai permesso a nessuno di conoscere, nemmeno ad André.
"Un letto sfatto, illuminato da un raggio di sole e noi, dentro quel letto che ci svegliamo abbracciati... l'ho sognato anche io André,  sai?" 
Spinge forte il viso contro il cuscino, ché non vuole lasciarsi vincere di nuovo dalle lacrime.
"Ma non ero ancora pronta, dannazione!  È  stato quel tuo maledetto ultimatum a farmi perdere il controllo, quella tua ostinazione caparbia a pretendere una risposta, lì, subito... se solo tu mi avessi dato un pò di tempo ancora..."
Un nitrito  basso ed il risuonare di zoccoli nella zona dell'ingresso posteriore della casa la fanno sedere di colpo sul letto, le mani improvvisamente ghiacciate  ed il cuore in tumulto.
"André..." sussurra.
Non sa da dove le venga quella sicurezza... Non sa cosa le sta suggerendo che è lui, proprio lui,  che sta arrivando a palazzo in quel momento, se la ragione - chi altri, a quell'ora potrebbe percorrere a cavallo il vialetto posteriore, quello che porta  alle cucine? Non di sicuro i fornitori, che giungono con i carretti o i domestici, che a quell'ora dormono ancora - o piuttosto quel cuore che batte di colpo impazzito  quasi avvertisse un richiamo silenzioso ma potentissimo da quella parte di sé che si è allontanata tre settimane prima.
Non saprebbe dirlo, ma sa di non poter far altro che alzarsi e raggiungere scalza le scale e scendere, i passi lievi  come piume sul marmo freddo, ogni frammento della sua pelle vibrante sotto il lino leggero della camicia da notte e arrivare alla soglia delle cucine.
Un istante per riguadagnare il respiro e udire la voce profonda di lui ed un singhiozzo soffocato di Marie, poi la mano che spinge il battente e la sua figura alta e possente davanti al focolare, i capelli d'ebano colmi di fiamma ed il verde dei suoi occhi come un mare caldo e travolgente, in cui annegare...
"André!"


continua....



Sono di nuovo a scusarmi con voi, amiche che seguite "Scelte" per questo nuovo ritardo. 
A mia parziale discolpa solo  un periodo davvero frenetico e qualche piccola magagna, per fortuna in via di risoluzione.
So che che sperate molto da questo incontro e so che mi odierete per averlo interrotto così... ma vi prometto che non vi farò attendere molto per il proseguo.
Vi saluto con un abbraccio e come sempre vi ringrazio tutti, davvero tanto per l'affetto con cui mi seguite. E come al solito un bacio speciale alla mia compagna d'avventura.
A presto!

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Capitolo 9
*** Nulla ***


Per un istante tutto quanto pare fermarsi nella grande cucina ancora pervasa dalla penombra: il crepitio delle fiamme, il movimento convulso con cui Marie si porta d'istinto la mano alle labbra non appena scorge la figura di Oscar oltre la soglia, il frinire allegro dei grilli oltre i battenti  socchiusi della finestra.
T
utto quanto si arresta e converge in un unico punto sospeso tra quel'azzurro e quel verde, per cristallizzarsi ed esplodere in un universo di frammenti tintinnanti, dilaniato dalla potenza catalizzante di quegli sguardi che allacciati, l'uno nell'altro si perdono e si ritrovano, e rinascono milioni di volte in un istante.
Nulla di ciò  che valeva un attimo prima ha più importanza: non il progetto di partire senza essere visto, non la presenza sussultante della nonna, non il mostrarsi con indosso solo la camicia da notte leggera che la svela, impudica, a quelle iridi affamate. Occhi soltanto, e milioni di parole e pensieri e lacrime e rabbia e desiderio che urlano mute e si infrangono su un bisogno, uno soltanto, il più urgente di tutti: ritrovare il sapore della propria bocca perduta nell'altra, ché senza conoscerlo ora, subito, senza pudore o prudenza, sono certi le loro vite non potrebbero che finire...
Poi le lancette del tempo tornano a ticchettare, il fuoco a crepitare ed i grilli, assordanti e festosi, a riempire di suoni la stanza; gli sguardi non si sciolgono ma la coscienza ritorna e riaccende il respiro nel petto, richiamata dal suono stridente con cui Marie spinge la sedia su cui stava seduta per allinearla al tavolo e muove incerta un passo verso il nipote ancora appoggiato, pietra pulsante e calda, al bordo del camino.
Ne cerca sicura una guancia e nel
posarvi  una carezza lieve lo lascia con un sussurro.
"Salgo in camera tua André..."

Non attende risposta e scivola, poco più che un'ombra vestita di indaco, accanto ad Oscar, ferma sulla soglia, non senza abbracciarla con lo sguardo e regalare un sospiro dolente a ciò che che è rimasto della bambina che doveva essere un uomo: una donna, bellissima e dallo sguardo segnato dal pianto, messa alla prova dall'amore.
Sono soli, ora.
Soli con i loro cuori e col bisogno sempre più  spasmodico di tornare a parlarsi e a sentirsi con quel linguaggio silenzioso, loro soltanto, fatto di pelle e sguardi.
Di ritrovarsi, una carezza dopo l'altra, un bacio dopo l'altro. Di viversi ancora, come prima di quelle parole e di quelle urla, di cui non resta, adesso che una labile traccia.

Questo dice il battito turbinoso dei cuori, nel silenzio caldo della cucina, questo e molto, molto altro.
P
arla di solitudine e desiderio, quel battito cadenzato, e di gioia, luminosa come una mattina di sole, per il semplice rivedersi.  E di un piccolo sprazzo di speranza...

Sei qui, André... Sei tornato....Dio quanto mi sei mancato... ti prego... ti prego... avvicinati e abbracciati e stringimi, e dimmi che non mi lascerai più... ti prego...

Dannazione Oscar, quanto sei bella... quanto sei mia... non puoi immaginare quanto ho avuto bisogno di te in questi giorni... Ti prego  vieni da me, lascia che ti culli e ti baci e ti porti via...

Un piccolo sospiro solleva loro il petto all'unisono poi, governate da un'alchimia misteriosa, anche le voci risuonano insieme.
"
Ciao..."
"
Ciao..."
Un sorriso, subito dopo, e una risata piccola e schiva, che non riesce a superare la barriera della gola, né  a raggiungere gli occhi. Rimane sospesa, a guizzare sulle labbra un istante, poi fugge, scalzata dal bisogno di toccarsi che è diventato tormento.
Pochi passi e sono vicini, tanto da sfiorarsi nel ritmo affannoso del fiato e da respirarsi l'un l'altra i capelli e le labbra: rose e il ricordo del miele disciolto nella tisana la sera prima sulla bocca schiusa di lei e cenere e vento e lo zucchero grezzo che ha addolcito il the poco prima, e una briciola di torta, minuscola e bianca, all'angolo delle labbra sensuali di lui.
Nuovamente all'unisono, come prima le voci, si muovono le mani che lasciano la postura lungo i fianchi per salire a percorrersi senza sfiorarsi, sino ad arrivare a disciplinare un ricciolo dorato che sfiora impertinente uno zigomo e a far scivolare via quella briciola per poi indugiare, ingovernabili, su quella pelle ritrovata. Una mano grande ed abbronzata cui appoggiare la guancia e un velo di barba da assaporare con le dita, cosi rude e maschio da togliere il fiato. Poi, senza più  riuscire a far altro che accettare la volontà del cuore, ritrovare la voce, anche se spezzata da un'emozione diversa da ogni altra provata prima
"
Non sai quanto mi sei mancata, Oscar..."
"
Mi sei mancato da morire, André..."
E infine la stoffa ruvida della camicia di lui e la sua pelle salata e abbronzata alla base della gola e la seta bionda dei suoi capelli, oro impregnato di spigo e di casa ed il calore di un corpo che si plasma sull'altro, le mani strette alla vita ed alla schiena, gli occhi serrati forte e né forza né fiato per proferire una parola.
Nulla, intorno.
Il mondo è fermo, sotto ai loro piedi e osserva muto la mano di lui salire alla nuca e indugiare un istante, quasi
un richiamo silente al capo biondo di lei che si piega all'indietro per accogliere la sua bocca.
Ed il mondo, quello che prima si era fermato in attesa, ora ritorna e rinasce in quel bacio lunghissimo e fondo, che è tenerezza e furia, pretesa e abbandono.
Che è inizio e fine, tutto e nulla.

Non piu rabbia o delusione o solitudine... solo labbra, e il proprio sapore ritrovato nel fondo della bocca dell'altro.
Non hanno quasi piu
fiato quando si lasciano, un ultimo sospiro nella gola, ma non riescono a staccarsi del tutto: le fronti restano unite e le labbra dolenti e bagnate, continuano a cercarsi in mille piccoli tocchi famelici e lievi.
Di nuovo, un sovrapporsi di voci e parole.
"Lo sapevo che saresti tornato, André... che non mi avresti mai lasciata... ora tutto può  tornare come prima"
"Lo sapevo che avresti capito Oscar ... l'ho sempre saputo... ora ce ne andremo insieme..."
Ancora un bacio, quasi rabbioso, gli occhi serrati stretti, le mani bramose della sua seta che già sfiorano il collo e assetate scendono a cercare il solco proibito tra i seni. Un mormorio basso a risalire dalla gola, nel percepire l'assalto al suo seno e le mani che tirano nervose il colletto della sua camicia, per trovare la sua pelle, il suo odore... per saturare i sensi, per provare ad annullare la consapevolezza che quelle parole ha acceso in ciascuno di loro, e che malgrado tutto li pervade.
Le palpebre si sollevano nel momento esatto in cui le labbra si lasciano, un filo iridescente di loro, ultimo testimone tangibile di quel bacio, balugina da bocca a bocca per un istante poi si dissolve, come quella labile gioia appena abbozzata... l'azzurro ed il verde già lo sanno, quando si ritrovano e la bruma del desiderio, che ancora indugia greve nelle pupille sgranate, non basta ad annullare la ragione.
"
Tutto come prima?"
"
Andarcene?"
Si
 divincola svelta, Oscar, il suo corpo flessuoso e forte rompe in un istante il conforto di quell'abbraccio e poco importa se quel calore già le manca ed ogni fibra della sua pelle grida per riaverlo.
Indietreggia per fronteggiarlo, il seno acceso che rivela la violenza delle sue emozioni nel suo movimento furioso, la fronte corrugata.
"
Credevo fossi tornato per me..."
André  resta immobile, solo con un movimento fluido riporta le braccia orfane del tepore di lei lungo i fianchi, ogni energia impegnata ad imbrigliare il desiderio potente che quella bocca ha risvegliato nel suo sangue e che ora batte doloroso nel ventre.
Una contrazione improvvisa, ad indurirgli la mascella, poi le palpebre scendono a velare appena lo sguardo ed il verde brilla di sfida quando le risponde.
"
Ed io credevo che tu avessi compreso che il nostro amore viene prima di tutto..."
C'è sorpresa, nella voce di Oscar quando riprende a parlare.
"
Quindi non sei tornato per... quando ti ho visto qui ho pensato che avessi deciso di restare al mio fianco, che tutto sarebbe tornato come prima..."
Ne cerca gli occhi, lo sguardo reso ambra infuocata dalle fiamme che vi si riflettono.

Sembra esitare, ora, come se quella domanda avesse paura a porla.
"Allora perché  sei qui?"

Nessuna esitazione nella risposta di André, solo una sofferenza accorata che gli increspa per un istante la voce.
"H
o ricevuto una proposta per un lavoro fuori Parigi ed ho deciso di accettarla. Sono tornato per salutare mia nonna e prendere le mie cose. Non sono venuto per restare."
Tace anche se vorrebbe continuare, sorpreso
suo malgrado dalla reazione che quelle parole suscitano sul volto di Oscar.
La vede impallidire e ondeggiare leggermente, come se la sua voce si fosse mutata in uno schiaffo improvviso. Ed il desiderio di provare a far divenire il loro amore una certezza concreta si alimenta a quello sconcerto e muove le sue labbra.
"Ma quando sei arrivata e ti sei buttata tra le mie braccia io... Io...ho sperato..."
Prova a resistere ancora un istante a quella richiesta che il suo cuore sta urlando poi cede, di schianto.
"Partiamo insieme, Oscar, ti prego... potremo vivere del mio lavoro e reinventarci una vita... potremo essere felici, lo so..."

Anche Oscar è  immobile, ora. E c'è un ronzio spaventoso nella sua testa, oltre al quale non riesce a sentire nulla.
Ci sono solo quelle parole, quelle che parlano di un lavoro lontano da Parigi e
ribadiscono la sua volontà di lasciarla.
Nulla riesce a superare il baratro spaventoso in cui quell'affermazione la sprofonda.
Non il resto del
discorso, non il tono velato di dolcezza che ha accompagnato le ultime parole di lui, non la percezione di quell'invito a vivere l'amore spogliandosi dell'orgoglio che ancora la avvinghia, che caparbiamente domanda che lui continui ad annullarsi nel nome delle sue scelte.
"
Quindi non sei qui per me..." riesce a sussurrare.
"Io conto meno di questo tuo nuovo desiderio di realizzare te stesso... Mentivi quando dicevi
di amarmi aldisopra di ogni altra cosa... erano tutte bugie,  André!"
"
No!"
Sale di tono la voce, nell'urgenza di negare quell'abominio.
"Non erano bugie!"
Muove un passo, per raggiungerla ma deve fermarsi, non deve toccarla o il calore di quel corpo vibrante davanti a lui gli farà perdere la ragione.
"Ti ho amata, e ti amo, più  della mia stessa vita..."
Ritorna bassa la voce, non c'
è bisogno di urlarlo, l'amore, lo sa bene.
"È  proprio perché  ti amo così tanto che non sono più disposto ad aspettare... è  il mio amore per te che vale più di ogni altra cosa, Oscar....davvero non lo capisci?"

Ci sono lacrime negli occhi di lei, le bagnano dense le ciglia rendendole grevi quasi quanto la sua voce "No, Andrè. .. Non è vero..."
Anche le guance sono lucenti di pianto, ora, ma la voce si fa più ferma e più  forte.
"Se tu mi ammassi davvero così tanto resteresti con me,  non mi chiederesti di gettare nel fango la mia vita per seguirti..."
Ora è il turno di lui di
sussultare, quasi fosse stato raggiunto dal fuoco che vede riflesso in quello sguardo, straziato da quelle parole  che gli mozzano in gola il respiro.
"
Nel fango..." sussurra,  gli occhi fissi nei suoi.
"Certo... perché per te vivere al mio fianco alla luce del sole significa questo vero?"
Gli si fa ancora più  accosto, immune adesso a quel profumo, a quelle curve
aggraziate che la luce della finestra inizia pian piano a disegnare.
"Ammettilo, Oscar... dillo che non sai che fartene del mio amore, fuori dal tuo Palazzo dorato..."

Li ama quegli occhi verdi, e ama quelle labbra che sussurrano ad un palmo dalle sue e non vorrebbe altro che sentirsele di nuovo addosso... ma lo detesta, ferocemente, per quanto riesce a mettere a nudo la sua anima, anche quella parte che nessuno tranne lui conosce,  quella che si compiace della sua esistenza di donna nobile, forte ed indomita, a cui tutti ubbidiscono come ad un uomo.
"Sì!" grida rabbiosa, e senza
più riuscire a a dominarsi gli afferra i lembi della camicia e lo strattona forte.
"Sì André!  Lo ammetto! Amo la vita che faccio! Amo il mio lavoro!" Una pausa per riprendere fiato.
"E voglio continuare a essere cio che sono!"
Cerca la sua bocca e le ultime parole le sussurra sulle labbra  impassibili di lui.
"E ti rivoglio con me, perché  tutto torni ad essere come prima..."
Sfiora la bocca di lui
prima  di allontanare il viso dal suo e cercarne lo sguardo.
"Se mi ami quanto dici devi restare..."

Non deve pensarci che il tempo di un respiro, anche se forse è il più doloroso che gli abbia gonfiato il petto in tutta la sua vita.
"No Oscar,"  risponde, allontanando le mani di lei che erano rimaste aperte sul suo petto.
"Non resterò...tu non hai bisogno di un uomo da amare...
quello che vuoi è un servo che ubbidisca ai tuoi ordini durante il giorno e che ti faccia godere la notte..."
Alza un poco il mento, incurante dello sdegno che accende le iridi azzurre di lei.
"E io non voglio più essere solamente questo, per te." Intercetta la sua mano che velocissima è  già  partita per colpirlo forte su una guancia e sorride mesto al suo sibilo.

"Come osi, André?"
"
Oso perché  ti amo..." risponde.
"E me ne vado per lo stesso motivo. Perché  ti amo troppo... e questo mio amore è tutto ciò che posso salvare della mia vita."
Un'ultima stretta alle sue dita che tiene ancora saldamente tra le mani,  poi la lascia andare e cerca quell'azzurro che è stato il suo solo orizzonte, in tutti quegli anni, per perdervi l'anima un'ultima volta. "Addio Oscar. Ti auguro di essere felice.

Raggiunge svelto la sua camera e con sollievo scopre che la nonna ha già preparato una sacca con i suoi abiti e lo attende muta vicino allo scrittoio.
Non esita quando verga poche righe per prendere commiato dal suo servizio né quando chiude il foglio e lo consegna alla mano tremante di Marie.
E sono ancora fermi i suoi gesti quando si allaccia il mantello ed afferra la sacca.
Trema solo un attimo, quando raccoglie il corpo d'uccellino della nonna tra le braccia e ritrova nei suoi abiti il profumo della sua infanzia.
"Abbi cura di te, nonna." sussurra, chino sul suo collo.
"E abbi cura di lei, ti prego..."

Sente il suo cenno affermativo e la stringe ancora più  forte.
"E dille... dillle..."
Il dolore rischia di travolgerlo non appena ritrova i suoi occhi scolpiti nel suo cuore.
Nulla.

Non c'era nulla che valesse la pena chiedere le venisse riferito.
Nulla che potesse cancellare il silenzio di Oscar di fronte alle sue accuse.
Nulla che giustificasse l'assenza di quelle parole, le uniche che lo avrebbero fermato, e che lei non aveva detto.

Non restava più  nulla.
"Ti scriverò presto." conclude mentre sente un piccolo singhiozzo scuotere quella schiena fragile e comprende che deve andare, che non può reggere allo strazio della nonna e non può più  contenere il suo, nemmeno un altro istante.

È  già in sella quando permette alle lacrime di bagnargli le guance... Non le asciuga, si limita a dar di sprone al cavallo e a lanciarsi al galopo fuori dal cancello... Le asciugherà il vento, pensa, ed il tempo.

È  rimasta ferma, impietrita, nella stessa posizione in cui André l'ha lasciata.
Nella mente un turbinio di pensieri a rincorrersi, impazziti, spiazzati da quella confessione che l'ira aveva strappato alla sua anima e dall'effetto deflagrante che le sue parole avevano avuto sul cuore di André.
"
Ma io ti amo..." sussurra.
"Tu non sei soltanto un servo... io ti amo, ti ho sempre amato..."
Un rumore di zoccoli al galoppo le fanno voltare il viso verso il riquadro luminoso della finestra, in tempo per veder sfrecciare il cavallo di André, e comprendere, con una chiarezza che le schianta il cuore che se ne sta andando, che sta correndo lontano da lei, che forse non lo
rivedrà mai più.
E che quanto
lo amasse e quanto fosse importante per lei il suo amore,  non era stata capace di dirglielo.

 

continua....

 

So che non è  come avreste voluto ma so che molte di voi lo avevano già compreso... l'amore, a volte, non basta. Non se si è  testardi come loro... Ma come ha detto una cara amica nel suo commento è  anche impossibile che un amore così grande si perda, quindi continuate a sperare!
Con questo capitolo "Scelte" si ferma per la pausa estiva. È  un periodo che voglio dedicare interamente alla mia famiglia quindi spero mi perdonerete se vi lascerò per qualche settimana.
Prima di salutarvi un pensiero ad un'amica che ha dovuto allontanarsi un poco e alla quale auguro di ritrovare presto il verde e l'azzurro della serenità.
A voi tutte il mio caloroso abbraccio e come sempre grazie, grazie, grazie.

Buone vacanze!

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Un anno, due mesi ed un giorno ***


Un anno, due mesi ed un giorno.

"Monsieur Grandier, Monsieur Grandier, siete pronto?"
La voce squillante del piccolo Jules, fuori dalla porta, accompagnata da un bussare contenuto, lo induce a riaprire lentamente gli occhi, strappandolo a quel limbo senza pensieri da cui si era lasciato avvolgere. Volta appena la testa a cercare la piccola pendola sulla mensola del camino alla sua destra e un piccolo sorriso gli increspa le labbra. Le quindici in punto... potrebbe benissimo fare a meno dell'orologio, tanta è  la precisione dei ragazzi nello scandire i vari appuntamenti della giornata. Ogni lezione viene attesa con gioia e partecipazione e quell'entusiasmo, e l'affetto nei suoi confronti che si cela dietro a quell'attenzione, lo stupiscono ogni volta.
Si stiracchia un istante prima di rispondere, accogliendo grato  lo scrocchio della clavicola quando stende le braccia oltre la testa, poi si alza in piedi  e si avvcina alla porta.
"Arrivo", risponde mentre apre e sorride alla zazzera castana ed ai profondi occhi scuri  che lo accolgono. "Lezione di scherma in giardino poi partita a scacchi in veranda, giusto?" domanda al ragazzino, che annuisce anche se non con il solito entusiasmo.
"Certamente Monsieur... ma... sarebbe possibile invertire le lezioni quest'oggi? Etienne è impaziente di avere la rivincita." Il sorriso si fa più ampio, sul volto di André.
"È  impaziente di perdere un'altra volta vorrai dire!"
Gli sfugge una risata leggera di fronte al disagio del ragazzino, poi lo rassicura in fretta, scompigliandogli allegramente i capelli.
"Sto scherzando, naturalmente," risponde. "Non c'è nessun problema a scambiare le discipline. Ora và, vi raggiungo subito." 
Accosta l'uscio mentre Jules scompare frettolosamente lungo il corridoio e poi giù per le scale e si avvicina allo scrittoio, per calzare gli stivali e recuperare la spada per le esercitazioni appoggiata al fianco del comó.
Lo sguardo corre al  libro che gli ha prestato il dottor Delacroix, un trattato di anatomia che sta provando a studiare nel tempo libero. Una piccola ruga di preoccupazione gli si disegna sulla fronte al pensiero della portata di quella sfida che ha deciso di accettare e, nel dare un'occhiata alla pagina rimasta aperta, richiama alla mente l'argomento che sta approfondendo con tanto impegno. Poi, ritrovate con successo le nozioni ben chiare nella mente, accarezza con le dita le ultime parole del paragrafo e recuperato il nastrino che funge da segnalibro lo ripone nell'incavo tra le pagine e richiude con cura il libro.

Un piccolo sospiro gli gonfia il petto rievocando le parole del medico.
"Siete sicuro di volerci provare, Monsieur? La prova che vi attende è grande e richiederà abnegazione e concentrazione, non vi resterà  molto tempo per voi."
È esattamente ciò che vuole, si ripete ancora una volta.
Non avere il tempo di pensare, non avere che le energie per giungere al suo letto la sera, prima di crollare. Non dare tempo al suo cuore di rievocare alcunché, non dargli modo di avvolgersi in quel velo di nostalgia e struggimento che nei primi tempi lo hanno quasi spezzato.
Scuote la testa come a scacciare un pensiero che non può  permettersi di affrontare e con un gesto veloce ravvia con le dita i capelli che gli lambisco appena la nuca in corte ciocche ricciolute: una decisione presa di slancio qualche tempo prima, quella di tagliare i capelli, quasi a voler spezzare anche quell'ultimo legame con ciò che non sarebbe più  stato. Un movimento altrettanto veloce e preciso per lisciare la camicia bianca sul petto ed è  pronto a lasciare la stanza.
Il grande scalone illuminato dalle ampie vetrate lo porta direttamente al vestibolo e da lì  gli è facile raggiungere l'uscita secondaria, quella che affaccia sull'ampio giardino che si estende sul retro della palazzina.
L'arenaria color burro dei muri trasmette il tepore del  sole del primo pomeriggio e le foglie lussureggianti dei cedri insieme a quelle argentee degli ulivi stormiscono appena nella brezza tiepida intrisa di un accenno di salsedine amara.
Nemmeno una nuvola, nel cielo cobalto. Celeste soltanto a perdita d'occhio, sopra le chiome frondose.... Non più il cielo pallido di afa dei pomeriggi parigini, non più il marmo freddo e l'oro inanimato dei cancelli, non più il bianco ed il nero dei pavimenti lucidati a specchio. Non più...

Il fulgore del sole che lo accoglie non appena abbandona l'ombra dell'ingresso per raggiungere la veranda lo obbliga a socchiudere per un attimo gli occhi e  non si accorge dell'arrivo di Jules sino a che non ne sente la manina, piccola e fresca, nella sua.
"Avete fatto tutto da solo" lo sente ridacchiare.
"Vi aspettavo qui per dirvi di chiudere subito gli occhi, ma non è  stato necessario," continua.
"Continuate a tenerli chiusi, dunque, Monsieur" gli sente dire, l'ilarità a stento repressa "e affidatevi a me, vi guido io."
Andrè scuote la testa e la bocca gli si allarga in un sorriso mentre già muove i primi passi, consapevole di attraversare il vialetto di ghiaia,  guidato verso il patio circondato di  gelsomini dalle movenze sicure del ragazzino.
"Ma che novità è mai questa ???"
Gli riesce di dire, stupito, prima che un coro di voci ridenti sovrasti la sua.
"Sorpesa!" Sente esclamare da un numero considerevole di voci, mature e non, ma tutte egualmente allegre, "Buon compleanno!!!"

È questione di un istante... Una piccola vertigine ed uno spiraglio di quell'abisso freddo e ridondante di sofferenza e solitudine si riaffaccia prepotente alle soglie del suo cuore evocato dalla dolcezza di un ricordo iimprovviso.
Rose, nell'aria, a sostituire i gelsomini.
Un altra casa e un'altra vita, lontanissime.
Un cespuglio ombroso e verdissimo costellato di corolle bianche e di spine. Un tovagliolo disteso a terra ad accogliere un piatto e due fette di torta di mele lasciate a metà.
La bocca dolce di Oscar, in cui di quella torta ritrovare il sapore, e briciole tra i suoi riccioli biondi, seta profumata di zucchero a velo tra le sue dita. Un sussurro morbido, la sua voce nell'orecchio: "Buon compleanno..." ed il cuore gonfio di una felicità così immensa da farlo traboccare.
Poi, altrettanto indelebile, il ricordo di quella cucina buia e di quell'azzurro impietoso che gli aveva gelato il cuore. Non si era più dissolto, quel gelo, nemmeno in quella grande casa luminosa dove tutti lo consideravano un componente della famiglia.

Un anno, due mesi ed un giorno, dal suo arrivo a Montpellier. Un anno due mesi ed un giorno, da quando...

Il rumore di un battimani festoso lo costringe a tornare, a trovare la forza necessaria ad aprire gli occhi per scoprirsi davvero piacevolmente sorpreso da quell'accoglienza affettuosa.
Le labbra si stendono morbide nel cogliere i sorrisi di Agnese, l'anziana governante di casa, e quello più compito di Claude, il maggiordomo e di Marcel, il maggiore tra i suoi figli, strappato ai suoi doveri nelle scuderie.
Persino gli occhi di Monsieur Guillome brillano di allegria, mentre risuona la risata felice di Jules che, terminato il compito di condurlo al rinfresco, raggiunge il gruppo degli adulti per lasciate ad Etienne l'onore di fargli gli auguri a nome di tutti. È lui infatti ad avvicinarsi, aiutato da Claude che sospinge la strana sedia dotata di ruote che suo padre ha da poco acquistato per lui in Germania, le gambe inerti coperte da un drappo malgrado il caldo della giornata.
"Buon compleanno, Monsieur Grandier" gli dice quando lo raggiunge, gli occhi nerissimi per una volta illuminati da una luce birichina. "L'idea di attirarvi qui con una scusa per questo piccolo rinfresco in vostro onore è stata mia...spero non me ne vorrete, se vi ho ingannato."

André  sorride, l'abisso freddo e desolato riposto lontano, lieto a sua volta che la riuscita di quel piccolo evento abbia portato un guizzo di serenità  in quello sguardo sempre cupo e con la mano raggiunge la spalla gracile di fronte a lui e la stringe forte.
Non hai nulla di cui farti perdonare Etienne" gli sussurra. "Anzi, ti ringrazio... È  passato davvero molto tempo dall'ultima volta che qualcuno ha festeggiato con me il mio compleanno."
Rialza le spalle, richiamato da un fruscio di seta e da un profumo lieve ad accompagnare la voce profonda di Madame Elise, giunta alle spalle del figlio.
"Davvero, Monsieur?" Le mani lunghe ed eleganti scendono ad appoggiarsi sullo schienale della sedia e il viso ombreggiato dall'onda morbida dei capelli cerca quello pallido del figlioletto, gli occhi viola colmi di ombre, nel raccoglierlo con lo sguardo. "Allora dobbiamo essere doppiamente grati ad Etienne per avere avuto l'idea di farvi una sorpersa...Ma venite a sedere, vi prego." Indica il tavolo poco lontano e con un gesto aggraziato si muove ella stessa, le movenze sicure malgrado il ventre gonfio che tende la seta del vestito. Andrè è pronto a porgerle il braccio.
"Lasciate che vi aiuti, Madame, è il minimo che posso fare, per ringraziarvi per tutto il disturbo che vi siete presa per preparare tutto questo."
Lei gli si appoggia, il respiro appena un poco affannato dal peso della gravidanza, e insieme si dirigono al gruppo di persone che li attendono accanto al tavolo. "Mi ha fatto piacere farlo" gli risponde, la mano già tesa verso quella del marito che si fa loro incontro. "E poi i bambini ci tenevano così  tanto... Voi non avete idea di quanto siete divenuto importante, per loro." Gli rivolge un sorriso lieve, velato dalla tristezza che ne opacizza lo sfavillio ogni volta che i suoi occhi sfiorano il piccolo Etienne. " E non avete idea di quanto mio marito ed io vi siamo grati per quello che state facendo per Etienne. È la prima volta, sapete, che accetta di provare a cambiare la sua condizione, da quello sfortunato  incidente." La voce si smorza in un bisbiglio dolente, subito sostituita da un'altra. "Mia moglie ha ragione, Andrè" continua Monsieur Guillome, mentre aiuta Elise ad accomodarsi su un 'ampia poltrona di vimini  e si china a depositare un bacio leggero sulla sua guancia morbida. "Voi siete divenuto un collaboratore prezioso, direi quasi insostituibile".
Fa una breve pausa prima di prendere due calici colmi di vino bianco poi, mentre si sofferma ad osservarne le bollicine impazzite rivestire i bordi del vetro, prosegue " E' per questo motivo che vi prego di riflettere a lungo su quanto sto per proporvi."
Beve un piccolo sorso e cerca lo sguardo di André. "È un progetto che Elise ed io abbiamo in mente da tempo e che contiamo di concretizzare non appena il piccolo sarà  venuto alla luce."
Un guizzo alle spalle di André ed i riccioli scomposti di Jules si materializzano tra loro, il tono euforico della voce a mala pena trattenuto.
"Padre, Monsieur Grandier, venite, aspettiamo voi per tagliare la torta!"
Le labbra dell'uomo di allargano in un sorriso sincero di fronte all'entusiasmo del figlio.
"Ma capisco che non è  il momento... Ne riparleremo stasera, con calma, nel mio studio."
Compie un cenno con il braccio ad indicare la tavola imbandita di dolci e il sorriso si allarga ad illuminare gli occhi scuri, sino ad un istante prima seri e concentrati.
"Vi lascio ai festeggiamenti!"conclude.
André  risponde al sorriso con un piccolo cenno del capo.
"Vi raggiungero' questa sera, Dominique, potete starne certo. E ancora grazie."
Si accosta al tavolo e gli applausi lo accolgono, inducendolo ad un inchino teatrale che strappa un altro coro di risate. Ma il pensiero di quella proposta che con ogni probabilità lo porrà nuovamente di fronte ad altre scelte laceranti diventa di colpo presente ed ombroso, una piccola sfumatura grigia nel giallo dorato di quella gioia e gli percorre la schiena come un refolo di aria gelida.

 

****  ****

Il caldo che arroventa il cortile della caserma giunge un poco smorzato, nel corridoio dalle alte volte a botte, e la luce che si riflette sulla scacchiera delle mattonelle appare fredda anch'essa, nel rigoroso susseguirsi dell'ordinato disegno geometrico.
Il suo secondo le si è affiancato non appena ha varcato la porta d'ingresso ed ora la segue, impassibile e perfetto come sempre nella sua uniforme cinerina.
Nessuna parola superflua, come sa che il suo Comandante desidera, solo il saluto militare ed i passi cadenzati
, decisi e sicuri, pietra su pietra.

E' lei a parlare, una volta giunta di fronte all'ingresso del suo ufficio.
"Sono stata informata che mi saranno recapitati dei documenti, dal Parlamento di Parigi, Tenente."
Si ferma dritta ed altera di fronte alla porta e volge appena la testa, la mano guantata di bianco già appoggiata sulla maniglia. Non deve terminare la frase, la risposta di Girodel è tempestiva.
"Sì, Comandante," la sua voce ha lo stesso tono neutro e risoluto di sempre, come si conviene ad un ufficiale che risponde al suo superiore.
"Sono stati consegnati stamattina. Ho già provveduto a farli portare nel vostro ufficio."
Ancora ferma davanti alla porta annuisce di nuovo, il movimento accompagnato dal fruscio della massa dorata di riccioli stretta nella coda ordinata in cui ora è solita serrare i capelli.
"Vi ringrazio Girodel" replica. "E vi prego allora di non disturbarmi, se non per urgenze improcrastinabili."
Congedato il sottoposto entra nella quiete ombrosa  del suo studio e si ferma per  abituare gli occhi alla luce meno intensa rispetto al fulgore del corridoio; la tentazione di sciogliere i muscoli delle spalle irrigiditi dalle lunghe ore passate in piedi negli appartamenti di Sua Maestà è tanta ma l'autocontrollo ferreo che si è imposta negli ultimi tempi glielo impedisce.
Ogni cosa deve essere compiuta nel più asettico e controllato dei modi, non una sbavatura, non un cedimento, nulla deve lasciar intendere che qualcosa, nel profondo di sé  stessa si è spezzato e l'ha mutata, dentro, per sempre.
E tanto più è sola, tanto più diventa importante non lasciar affiorare di nuovo quella parte fatta di calore e tenerezza che ha tenacemente deciso di cancellare dal suo animo.
Basterebbe uno spiraglio, piccolissimo, e la sofferenza la farebbe nuovamente sua, togliendole linfa e respiro.
Le ci è  voluta tutta la sua forza per raggiungere quell'equilibrio fatto di rigido scorrere dei giorni...
Ha dovuto lasciare definitivamente la sua casa, troppo ricolma dei fantasmi vivi e gioiosi di un tempo che non sarebbe stato più e decidere di risiedere in pianta stabile a Versailles, dove i muri erano silenti ed i giardini non profumavano del profumo che avvolgeva la sua vita con lui.
Ha dovuto annichilirsi col lavoro, esasperare le ore di addestramento, annullarsi nel compimento del dovere sino a spremere da sé stessa l'ultima goccia di volontà, e tutte le sue forze usarle per provare a scacciare quel verde dal profondo del suo cuore, una scheggia alla volta, una più  dolorosa dell'altra.
Ma non era stato sufficiente.
Ciascuno di quei giorni, in quell'aula di tribunale, circondata dallo sdegno della folla e colpita nel più infamante dei modi dalle accuse di Jeanne Valois, l'aveva portata a comprendere fino a che punto quella vita trascorsa in un limbo avvolto di malignità aveva fatto di lei una specie di scherzo della natura da denigrare e sbeffeggiare.... quelle accuse lascive l'avevano colpita come frustate, scavando nel suo animo privo di scudi ferite profonde che l'avevano costretta a dover ammettere con se stessa tutti gli errori commessi.
Un piccolo brivido la percorre mentre ricorda l'angoscia devastante che l'aveva colta ogni notte, le lenzuola attorcigliate intorno al corpo ghiacciato come un sudario di spine, a cercare disperata il respiro successivo, soffocata dalla solitudine e terrorizzata dal timore di non farcela, di essere schiacciata dalla conzapevolezza di quanto aveva avuto ed egoisticamente perduto.
Finché, finalmente,  aveva compreso....

Serra forte i pugni nel ricordo poi respira a fondo,  decisa a mantenere il controllo.
Raggiunge la poltrona dietro la scrivania togliendosi svelta i guanti ed un sospiro di disappunto le increspa le labbra  mentre scorge il plico di fogli che la attende sul piano della scrivania scura.
Gli atti del processo a Jeanne Valois de la Motte ed ai suoi complici che si è  concluso da qualche mese.
Il Parlamento di Parigi l'aveva informata che glieli avrebbe fatti pervenire affinché potesse apporre la sua firma e potesse autenticarla con il suo sigillo, in calce alle sue deposizioni.
Non le resta che sedersi e dedicarsi con attenzione alla lettura di ciascuno di quei fogli ammonticchiati in una pila ordinata, la mente sgombra da ogni altro pensiero.

È  quasi il tramonto quando imprime per l'ultima volta il sigillo sulla ceralacca  bollente. Ancora qualche minuto per scrivere un biglietto di accompagnamento che manifesti i suoi rispetti ai magistrati del Parlamento e poi potrà considerare definitivamente conclusa la vicenda legata a quel processo e a tutto quello che di avvilente ha portato con sé.  
Intinge la piuma d'oca nell'inchiostro con il cuore ancora traboccante di sdegno al ricordo delle accuse terribili uscite a gran voce dalla bocca malevola di Jeanne e d'istinto muove la mano per scrivere le sussiegose frasi di circostanza che l'etichetta vuole vengano usate quando  ci si rivolge ad un magistrato. È solo un istante dopo aver vergato la data al temine della missiva, mentre la guarda, quasi stupita di essere stata lei a scriverla, innocente e distruttiva insieme come spesso le parole sanno essere, che il cuore le trema e gli occhi sbarrati non riescono a staccarsi dai numeri e dalle lettere che brillano ancora fresche d'inchiostro sul candore della carta.
26 agosto 1786.
È  difficile riuscire a respirare di nuovo, il suono caldo di una voce che malgrado i suoi sforzi non è mai riuscita a dimenticare a coprire il frastuono del sangue dentro le oreccchie.
Il battito accelerato del cuore deborda al ricordo di labbra calde sul suo collo e mani nervose tra i suoi capelli sciolti, il libro ricevuto in dono abbandonato sul velluto cremisi del salottino e le sue parole, un sussurro bollente sulla pelle: "Grazie Oscar... ma il più  bello tra i doni resti tu..."
E poi il profumo di sapone della sua camicia che non ha piu voluto ritrovare nemmeno sui suoi abiti e il sapore della sua bocca che ha dovuto imporsi di non desiderare più ed il tepore del suo abbraccio che si è sforzata di smettere di bramare...
Trema ancora la mano, le dita convulse sullo stelo traslucido della piuma, bianche e fredde nel ricordo di un cavallo lanciato al galoppo oltre il rettangolo della finestra ed il gelo improvviso di quell'alba rinnovato mille volte.

Un anno, due mesi ed un giorno, da quella mattina. Un anno due mesi e un giorno da...

Un bussare discreto la richiama, la obbliga a posare la piuma e a tornare con la mente presente a sé stessa, quel ricordo tiepido ricacciato a viva forza lontano, nuovamente rinserrato in quella parte di cuore che ha deciso di non ascoltare più.
"
Avanti!" risponde, la voce appena permeata di quella dolcezza che un tempo spesse volte la avvolgeva. La figura di Girodel si staglia contro la parete bianca del corridoio, quando la porta si apre.
"Vi domando perdono, Comandante," esordisce con un piccolo moto del capo che lei percepisce appena, impegnata com'è a governare il tremito che ancora le sconvolge le dita mentre cosparge di polvere assorbente il foglio innanzi a sé. Tuttavia tutto è gelido come sempre in lei e nel suo dire, quando gli si rivolge. "Non vi preoccupate, avevo finito. Ditemi, Tenente."
L'altro muove un passo verso lo scrittoio prima di parlare.
"È appena arrivata un'ambasciata urgente dal Generale Bouillet, Comandante. Richiede la vostra presenza, immediatamente".
È tanta la sorpresa per quella convocazione inaspettata che una piccola smorfia di preoccupazione le piega la bocca senza che le riesca di fermarla.
Come uno spiffero freddo e nascosto, un vago presentimento che parla di ignoto da affrontare.
Ma quella sensazione sconosciuta non le impedisce di rispondere, rigorosa ed altera, come si conviene. "Vi ringrazio Tenente, andrò subito."
Il tempo di posare il foglio che ancora stringe tra le dita sul ripiano di legno ed è già alla porta da dove nuovamente si rivolge al suo secondo.
"Nel frattempo vi prego di voler far recapitare i documenti che ci sono sulla mia scrivania al Parlamento di Parigi." 
Risponde appena all'affermazione di Girodel e risoluta affronta i corridoi che la separano dall'ufficio del Generale Bouillet senza permettere a quell'ansia sottile che l'ha pervasa prima di assalirla ancora.
Ogni parte di sé è concentrata nella cadenza del passo e del respiro, nello sgombrare la mente dalla tenerezza e dal dolore dei ricordi di poco prima, che nulla deve apparire sul suo viso di quelle passate emozioni.
Sta per entrare nell'anticamera dell'ufficio di Bouillet per farsi annunciare quando una voce la ferma. "Oscar!"
Si arresta in modo brusco e cerca l'uomo da cui proviene il richiamo per trovarlo ritto in piedi nel cono d'ombra ai lati dell'ampia finestra.
"Padre!" esclama "voi qui?"
Non lo vede da mesi, se non di sfuggita a qualche riunione di stato maggiore e non ricorda quasi quando si sono scambiati qualche parola che non sia il rigido saluto militare adatto a quelle occasioni.
La sua presenza, in quel luogo, in concomitanza a quella convocazione imprevista le accelera il respiro, che fatica a contenere sotto la spesa stoffa dell'uniforme.
"Sono lieto di vedere che stai bene." Suo padre riprende a parlare mentre le si avvicina, sino a fermarsi di fronte a lei, le mani intrecciate dietro la schiena in una posizione che lei conosce bene. Ne cerca lo sguardo di ferro e si stupisce delle ombre che lo velano e delle profonde rughe che gli intagliano i contorni della bocca.
"Vi ringrazio per la vostra premura, Padre." mormora. "Avete ragione, sto bene... Anche voi, vedo."
Qualcosa muta nel portamento del Generale quando incontra i suoi occhi e quel mutamento, che non riesce a definire ma che sa provocato dalla fermezza vuota del suo sguardo, le procura un nuovo impercettibile brivido alla base del collo.
"So che sei stupita di vedermi," riprende la voce maschile, "Ma è necessario che io ti parli, prima che tu entri a conferire con il Generale."
Lo vede stringere leggermente le palpebre, come a voler cercare le parole giuste da dire e lo sente prendere un respiro fondo, prima di continuare.
"Voglio che tu sappia che sono stato io a caldeggiare la proposta che ti verrà fatta tra poco e che ho insistito molto perché Sua Maestà desse il suo benestare."
Ancora una pausa, a sottolineare quanto importante sia per lui ciò  che sta per dire.
"Per questo sono qui, Oscar. Per pregarti di riflettere prima di rispondere, di valutare con calma questa opportunità."
Disserra le mani e con un movimento impacciato prova a cercare quelle di lei, ma la rigidità del portamento di sua figlia lo blocca e le braccia scendono lungo i fianchi, arrese.
"Ora và, Oscar." mormora mentre si volta e guadagna con poche falcate l'uscita, il rumore dei suoi passi che si sovrappone alla voce del secondo del Generale Bouillet, tesa nell'accoglienza ad un superiore. "Prego,  Colonnello De Jarjayes. Il Generale vi attende."

....continua

 

Ben ritrovate amiche care, e subito grazie se ancora avete voluto dedicarmi qualche minuto del vostro tempo.
Solo una piccola precisazione sul contenuto di questo capitolo.
Ogni riferimento storico, che siano date, luoghi o strumenti è avvalorato da piccole ricerche e trova un suo fondamento, tranne il fatto che fosse prassi dei Tribunali far pervenire i documenti relativi ad un processo ad uno dei testimoni perché li sottoscrivesse a procedimento concluso.
In questo caso ho dato sfogo alla fantasia per motivi puramente narrativi.

Grazie ancora per essere tornate tra le righe di Scelte e permettetemi di stringervi tutte quante, indistintamente, nel solito caloroso abbraccio.

A presto.

 

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Capitolo 11
*** Vite nuove -prima parte ***


Ho deciso di spezzare il capitolo, per più di un motivo. Innanzitutto perché, dovendo provare a spiegare le “vite nuove” dei protagonisti, ed  essendo loro sempre più che mai complicati, rischiavo di propinarvi un mappazzone assolutamente indigeribile. Non che così siano facili da affrontare, questi Oscar e André, ma presi uno alla volta, secondo me, sono più tollerabili. In secondo luogo il fattore tempo, che mi ha impedito di completare la seconda parte e che mi impedirà di aggiornare la prossima settimana…ho pensato che metà capitolo era pur sempre meglio di niente!
Infine un’esortazione a chi tutta questa disperazione non la regge quasi più: tenete duro, il vento sta per cambiare…
Un abbraccio ed il solito immenso, calorosissimo grazie a tutte voi, siete la forza che mi serve per continuare questa avventura.
A presto! 

VITE NUOVE – prima parte

L’America… Buon Dio,  quanto gli era sempre sembrata lontana!
Ne aveva sentito parlare spesso in passato, specie quando la Francia aveva inviato i suoi contingenti in supporto alle colonie durante la guerra… ricorda di aver cercato sulle mappe l’ubicazione delle tredici colonie che per prime avevano reclamato la loro indipedenza e di aver discusso di quali fossero le forze in campo, di cosa avrebbe significato, per il resto del mondo, una loro vittoria. Ricorda di essersi stupito, osservando la vastità di quel continente, di essersi spesso domandato come sarebbe potuta essere la vita, in un luogo cosi lontano da sembrare quasi irreale. Ed ora…
Rigira piano il bicchiere tra le mani, gli occhi fissi sul liquido rosso che ancora lo riempie per metà. Non è riuscito a pensare ad altro, negli ultimi giorni, se non alle parole di Monsieur Guillome.
“È nostra intenzione trasferirci in America, André” gli aveva detto Dominique due sere prima, le spirali di fumo azzurrino che dalla pipa salivano in lente volute verso il soffitto affrescato dello studio.
“Il conflitto è terminato ormai da più di tre anni e le opportunità, per chi ha il coraggio di coglierle sono innumerevoli. Per questo ho deciso, all’indomani della proclamazione d’indipendenza, di investire parte dei miei profitti in una piantagione di tabacco in Virginia. Era nostra intenzione trasferirci laggiù già da tempo ma l’incidente ad Etienne prima e la gravidanza non proprio facile di Elise poi ci hanno costretto a cambiare i nostri piani.”
Aveva preso un respiro profondo e aveva cercato lo sguardo di André.
“Ma ora, non appena il bambino sarà nato, nulla ci tratterà  dal partire. Ho già  dato disposizioni al mio segretario di prenotare i posti sull’ultima nave in partenza, prima dell’inverno, ed ho scritto all’amministratore della tenuta affinché possa iniziare i preparativi per il nostro arrivo.” Aveva posato la pipa e intersecato le dita, prima di continuare.
“Immagino che avrete capito perché vi sto dicendo tutto questo…” Ancora una pausa, che ad André era parsa lunghissima. “Lo faccio perché  mi auguro con tutto il cuore che voi decidiate di seguirci e voglio che abbiate tempo di riflettere su ciò  che comporterebbe per voi lasciare la Francia.”
André era rimasto fermo sulla poltrona, le dita serrate forte sui braccioli in legno, deciso a non far trasparire il turbamento che lo aveva assalito.
La voce di Monsieur Guillome aveva proseguito, colma di calore, quasi a volerlo rassicurare.
“Mi dicono sia una terra meravigliosa, André, vastissima e selvaggia, perfetta per chi ha bisogno di ricominciare…”
André  aveva scrutato il viso del suo interlocutore, immerso nella penombra ma non era riuscito a comprendere a chi si riferisse con quella frase, se a lui o a sé stesso, al dolore immenso che la disabilità di uno dei suoi figli gli procurava. E malgrado l’entusiasmo che gli accendeva lo sguardo, nel parlare del futuro, aveva scorto una supplica muta in quegli occhi, una richiesta tanto accorata quanto spaventosa, per lui che la doveva esaudire.
Si era alzato in piedi, le braccia lungo i fianchi e le mani strette a pugno, nel tentativo di trattenere il tremito delle mani. “Ci penserò, Dominique” aveva risposto con un piccolo cenno del capo “Intanto sappiate che vi sono davvero grato per avermi messo a parte delle vostre intenzioni.” Gli occhi dell’altro non lo avevano lasciato “ Era mio dovere, farlo, André. E spero mi perdonerete se insisto nel chiedervi di pensarci bene, prima di darmi una risposta.” La sua voce si era abbassata ma solo per divenire ancora più vibrante “e se vi chiedo di pensare ad Etienne, nel prendere la vostra decisione…” André non aveva potuto evitare di provare un brivido, di fronte a quello sguardo “Lo farò “ aveva infine risposto “ve lo posso assicurare”.
Ed era quello che aveva fatto, e che ancora stava facendo.
Non era riuscito a scacciare quel pensiero, mai, in nessun istante di quelle giornate, consapevole che la decisione che avrebbe preso avrebbe cambiato non  solo il suo destino, ma anche quello di Jules e soprattutto di Etienne.

L’incontro con i gemelli Guillome aveva cambiato la sua vita. 
Lo avevano accolto con garbo ma con freddezza, convinti di trovarsi di fronte all’ennesimo precettore che avrebbe abbandonato il suo incarico non appena si fossero palesate le prime difficoltà. Perché se interagire con Jules, brillante, estroverso e sempre disposto ad accogliere ogni novità con entusiasmo era stato facile, non altrettanto facile era stato guadagnarsi la fiducia di Etienne, già riflessivo e ombroso di natura e reso ancora più difficile da gestire dall’incidente che lo aveva costretto all’immobilità. L’intelligenza vivacissima di cui era dotato lo aveva aiutato a crearsi uno scudo di irriverenza ed indolenza difficilissimo da sgretolare. Ogni tentativo di  André era dapprima  andato a vuoto, fatto a pezzi dalle risposte sterzanti del bambino, per nulla disposto ad abbattere il muro dietro cui si era trincerato e dietro cui nascondeva tutta la sua rabbia e la sua impotenza.
Ma a parlare per lui, ed a raccontare tutta la sua sofferenza erano stati i suoi occhi, scurissimi e dolenti, che avevano artigliato il cuore di André sin dal loro primo incontro. Aveva giurato a sé stesso, da subito, che avrebbe fatto tutto ciò che gli fosse stato possibile, per aiutare quel ragazzino sofferente. E giorno dopo giorno,  con pazienza ed allegria lo aveva raggiunto, in quel gelo che aveva scelto come compagno, e lo aveva convinto a dargli fiducia. Ne era scaturito un rapporto quasi simbiotico, che aveva aiutato  entrambi a lenire le diverse  solitudini in cui si erano ritrovati a vivere. E quando il dottor Delacroix aveva proposto quella nuova terapia, fatta di massaggi ed esercizi fisici, Andrè aveva spronato Etienne a provarci, promettendogli un aiuto concreto, e tutto il suo sostegno.
Con l’ausilio del medico aveva imparato a massaggiare i muscoli inerti delle gambe, ad aiutarlo con i dolorosi piegamenti che la ginnastica riabilitativa prevedeva e si era gettato a capofitto nello studio per meglio comprendere la conformazione di ossa ed articolazioni.  E aveva accolto ogni piccolissimo miglioramento con una gioia mai provata, un appagamento ed una leggerezza dell’anima che non pensava fosse possibile conquistare con il raggiungimento di un obiettivo personale.
Quando aveva deciso di abbandonare Oscar ed il suo mondo freddo ed effimero, lo aveva fatto con la convinzione che nulla valesse più dell’amore, e della realizzazione concreta di quel sentimento. E pur amandola alla follia aveva giudicato Oscar con un livore che aveva rasentato l’odio, per quella sua cocciutaggine nell’anteporre il suo dovere ad ogni altra cosa. L’aveva accusata di non aver  creduto nel loro amore, di averlo sacrificato alla possibilità realizzare sé stessa e di ritenere lui nulla di più di un bel giocattolo di cui poter fare a meno in qualunque momento. 
"Non mi ama abbastanza," aveva pensato, "non mi ha mai amato, se ha preferito anteporre la carriera a me..."
Si era crogiolato a lungo in quel pensiero, convinto che mai, in presenza di un sentimento sincero sarebbe stato possibile avere altre priorità. Lui, solamente, era stato nel giusto, con la sua decisione di obbligarla a scegliere, a decidere cosa valesse di più, per lei.  Lui che aveva pensato solamente a un futuro per loro, ad un avvenire in cui nulla avrebbe avuto importanza, se non i loro sentimenti. 
Quanto si era sbagliato… lo aveva capito poco alla volta, un giorno dopo l’altro, ogni volta che i progressi di Etienne gli facevano ringraziare Dio per averlo saputo incoraggiare, ogni volta che vedeva le sue mani divenire strumento attivo di quel piccolo miracolo ed udiva la sua voce diventare stimolo a continuare, a non ascoltare il dolore e la fatica, a lottare, a concentrarsi, a non arrendersi. 
Spesse volte, di fronte ai piccoli movimenti autonomi che Etienne riusciva a compiere si era commosso sino alle lacrime e non solo per la felicità di vederlo progredire ma per la soddisfazione profonda che il raggiungimento di un obbiettivo a lungo perseguito, può  portare.
E subito dopo si era ritrovato con il cuore stretto in una morsa perché  nulla avrebbe desiderato di più in quei momenti che una persona, al suo fianco, con cui condividere quella gioia.
La prima volta che gli era successo, Etienne a riuscito a far compiere un piccolo movimento alla gamba destra, in piena autonomia, era corso nella sua camera, gli occhi inondati di lacrime gioiose, sicuro di trovarla, bramoso di stringerla forte e raccontarle,  tra un bacio e l’altro, cosa era accaduto e ridere forte con lei e sollevarla tra le braccia e farla volteggiare, leggero e appagato.
Quando, spalancando la porta, aveva trovato la stanza vuota e silenziosa, il desiderio di fuggire da quella casa per tornare al galoppo a Parigi ed inginocchiarsi di fronte a lei supplicandola di perdonarlo, era stato così  impetuoso da divenire una lama infuocata nel petto. 
Aveva spalancato con furia le ante del piccolo armadio per trarne la sua bisaccia e quasi scardinato i cassetti, per aprirli e arraffare i pochi abiti che contenevano. Doveva andarsene, e correre a dirglielo, che era stato egoista e presuntuoso. E ottuso e prepotente, nel pretendere di averla solo per sé, e che finalmente lo aveva compreso, che amare non è solo pretendere, ma è soprattutto comprendere e condividere.
Che il suo amore, quello cristallino e purissimo che racchiudeva nel profondo del cuore, non sarebbe mai stato intaccato da nulla, avrebbe resistito a qualunque prova… Aveva quasi finito, non gli restava che svuotare il cassetto dello scrittoio  quando si era fermato, matido di sudore, le mani strette al libro di medicina che gli aveva prestato il medico.
Di colpo gli occhi scuri di Etienne, affaticati e felici come li aveva appena lasciati al piano inferiore,  gli si erano palesati davanti, ricordandogli la sua promessa ad aiutarlo nel difficile cammino che lo aveva convinto ad intraprendere. 
Ogni furia era svanita ed il desiderio di riabbracciare Oscar, ed il dolore che ogni singolo istante passato senza  poterlo fare gli procurava, era passato in secondo piano.
Non avrebbe mai potuto lasciare quella casa, non prima di aver mantenuto la promessa che aveva fatto ad Etienne. 
Con un gesto stanco aveva lasciato cadere la bisaccia e si era seduto sul letto, la testa tra le mani, i pensieri a rincorrersi come impazziti. Era rimasto fermo nel crepuscolo che invadeva la stanza non sapeva nemmeno lui quanto tempo, poi quando la notte aveva già ombreggiato ogni cosa si era alzato ed aveva riposto con cura tutto quanto.
Sarebbe rimasto, aveva deciso, il tempo per aiutare Etienne a guarire completamente, così come gli aveva promesso. Poi sarebbe tornato a Parigi, da Oscar, e l’avrebbe supplicata di perdonarlo.

Il bicchiere è ancora colmo, quando lo spinge sul bancone dell’osteria, lo stomaco troppo chiuso per riuscire a deglutire  alcunché.
Era stato quel pensiero a dargli la forza di resistere ancora lontano da lei negli ultimi mesi. Il pensiero che l’avrebbe rivista, che avrebbe potuto raccontarle ogni cosa, che avrebbe potuto tornare ad amarla, se solo lei avesse voluto, con la profondità nuova che quella consapevolezza gli aveva donato.
Ma ora… ora per mantenere la promessa fatta ad Etienne doveva partire. 
Non ci sarebbero più stati pochi giorni a cavallo a separarli, ma mesi di viaggio ed un Oceano.
C’erano buone probabilità che quel viaggio lo avrebbe allontanato da lei e dal suo passato, in modo definitivo.
Si alza in piedi, e cerca affannoso nelle tasche, poi getta un paio di monete sul legno di fronte a sé e si affretta all’uscita, l’aria greve di fumo improvvisamente insopportabile così come la prospettiva di doverla lasciare senza poterle confessare ciò che ha compreso. 
L’osteria è più affollata del solito, e la sua furia lo porta ad incespicare contro una sedia e a perdere l’equilibrio, tanto da doversi reggere ad un tavolo, per non cadere. La sua irruzione intempestiva interrompe l’animata conversazione che vi sta avendo luogo ma mentre prova a riguadagnare la stabilità fa in tempo ad udire due voci eccitate sovrapporsi: “…un dannato aristocratico vi dico, direttamente da Versailles!” “ …è  l’occasione che aspettavamo, per fargliela pagare!”

…continua.







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Capitolo 12
*** Vite nuove -seconda parte ***



Eccomi, con la seconda parte, anche se non con la celerità che mi ero ripromessa. 
Un altro piccolo tassello, sulla via che ci porterà alla scelta definitiva… ed il mio solito immenso “grazie” a tutti coloro che ancora hanno voglia di dedicarmi qualche minuto. 



È  ferma ai piedi del grande scalone, i guanti bianchi stretti in una mano, la spada ancora cinta alla vita, in attesa del ritorno del domestico.
Si era domandata per tutto il tragitto cosa avrebbe provato rientrando a Palazzo, dopo esservi stata lontana per così tanto tempo e non aveva saputo darsi una risposta. Non riesce a farlo nemmeno ora, mentre attende il ritorno del servitore a cui si è appena annunciata, chiedendo di essere ricevuta dal Generale suo padre.
Ogni cosa le è famigliare, in quel luogo, ma tutto le appare sfocato, messo in secondo piano dalla portata del cambiamento che le è  stato ordinato di affrontare.
Lo sgomento provato la sera precedente, via via che il Generale Bouillet le esponeva il motivo della sua convocazione non l’ha ancora abbandonata, malgrado la notte insonne che ha appena trascorso.
Sgomento e incredulità accresciuti a dismisura dall’avvallo di suo padre a quella disposizione a dir poco sorprendente.
Era stato diretto, il Generale Bouillet, com’era sua abitudine. Nessun giro di parole, nessun tergiversare.
Un ordine come un altro, breve e conciso.
“Sua maestà  ordina che costituiate una scorta per la partenza del Conte di Peynard,(1) il nuovo ambasciatore designato a rappresentare la Francia a Madrid.
Tale scorta al vostro comando è da considerarsi permanente, sino a nuove disposizioni del sovrano.
La partenza è stata fissata per il primo di ottobre, quindi  vi consiglio di mettervi immediatamente al lavoro per studiare un itinerario sicuro, tenendo conto che il conte vuole tassativamente toccare Montpellier, dove risiede sua madre, per salutarla.” Aveva allungato il braccio per consegnarle l’ordine controfirmato dal sovrano e l’aveva salutata. “Questo è tutto, Colonnello.”
Un gesto secco del capo aveva chiuso la conversazione e lei si era ritrovata nell’anticamera dell’ufficio senza riuscire a proferire parola, se non il saluto militare e, soprattutto, senza riuscire a capire nella sua interezza quell’ordine così sconvolgente.
In Spagna. Una scorta permanente alla persona dell’ambasciatore. Ai suoi ordini.
Permanente. In Spagna. Ai suoi ordini.
Aveva compreso nella sua completezza il significato di quelle parole qualche minuto dopo, raggiunta l’uscita, e quella consapevolezza, via via che si faceva concreta l’aveva sferzata  quasi quanto la brezza notturna che l’aveva accolta.
Sua Maestà  il Re le chiedeva di lasciare la Corte, per trasferirsi in Spagna, in modo definitivo.
E suo padre aveva caldeggiato quella proposta.
Per un istante ogni cosa aveva perduto contorno e spessore ed il buio che la circondava le era parso foriero di un futuro ignoto e terribile, che non sarebbe mai stata in grado di affrontare.
Si era sentita smarrita e confusa, di fronte a quell’opportunità e tutto le era risuonato intorno in un vortice greve, lo stesso dei primi terribili giorni senza André, quelli che l'avevano quasi condotta alla follia. 
André… ogni parte del suo essere aveva anelato a lui, immediatamente, in un richiamo muto che le era risuonato dentro, più forte di ogni volontà e risolutezza.
Il primo pensiero coerente che era si era resa conto di aver formulato lo riguardava “se te ne andrai via dalla Francia non lo rivedrai più”  le aveva urlato il suo cuore, “lo avrai perduto davvero, per sempre”.
Ricordava di aver serrato forte i pugni sulla balaustra di pietra, lo sguardo perduto nel buio davanti a sé, a perdersi nel parco della reggia che neppure vedeva.
E quella verità  che aveva provato a negarsi in tutti quei mesi era tornata prepotente ed inoppugnabile.
Aveva dovuto ammettere cosa davvero le aveva dato la forza di vivere giorno dopo giorno, in quel lunghissimo anno senza di lui, senza lasciarsi sopraffare dalla desolazione.
Qualcosa, nel profondo del suo animo, aveva continuato a credere con fede incrollabile che un giorno lo avrebbe rivisto, che le sarebbe stata concessa la possibilità di abbracciarlo e piangere sulla sua pelle sino a perdere il fiato, fino a trovare le parole giuste per implorarlo di perdonarla, per sussurrargli, cercando il verde dei suoi occhi, che finalmente aveva capito. 
Che aveva compreso di essere stata egoista e meschina e che, relegando il loro amore nella clandestinità,  quello stesso amore lo aveva svilito e mortificato, ricoprendolo di squallore sino a soffocarlo.
Che dei suoi sentimenti aveva abusato nel peggiore dei modi, spogliandoli di quella profondità che li rendeva sacri per mutarli, dalla luce purissima che avrebbero potuto essere, in niente altro che ombra… 
Le si erano riempiti gli occhi di lacrime in quella notte di agosto, profumata di sogni infranti e non aveva voluto ricacciarle via.
Le era mancato così tanto…
C'erano stati momenti in cui impedirsi di correre a cercarlo, mandando al diavolo ogni altra cosa era stato difficilissimo, il bisogno di lui divenuto una fitta costante di dolore quasi fisico, sempre più intensa, giorno dopo giorno.
E non erano stati l’attaccamento al dovere o il timore di disonorare la famiglia a trattenerla…non questa volta.
Semplicemente aveva deciso di rispettare la volontà di André. 
Di dimostrare a sé  stessa che lo amava davvero, facendo di quella rinuncia a lui il tributo più grande al loro amore. 
Lo aveva denigrato e calpestato troppo a lungo quell’amore, non sapendo coglierlo né farlo sbocciare, quando ne aveva avuto l’opportunità.
Aveva costretto André  a vivere per anni una vita che lo disgustava blandendolo con promesse che non aveva mai pensato di mantenere sino a spingerlo ad andarsene, prima di perdersi nel rancore che ormai lo stava avvelenando.
Non lo avrebbe rincorso, non gli avrebbe precluso la possibilità di vivere la vita che voleva, non ne aveva più il diritto.
André era un uomo meraviglioso e meritava di più  di una donna che non era disposta ad esserlo fino in fondo, se non nell’ombra di un alcova clandestina. Meritava sorrisi alla luce del sole e mani intrecciate, e voci di bimbi che lo chiamavano…aveva rinunciato a provare a ritrovarlo, per regalargli quella possibilità, anche se, al solo pensiero delle sue dita abbronzate  strette alle dita  di un’altra, la gelosia l’aveva squartata.
Era stato per quello, per non soccombere al desiderio di reclamarlo egoisticamente nuovamente per sé, che  aveva chiuso il suo cuore ad ogni emozione, determinata a vivere quella vita per la quale  sacrificato così  tanto e che di fatto era tutto ciò che le era rimasto.
C’era riuscita, fino a quel momento, fino alla prospettiva di andarsene oltre il mare, a condurre un’esistenza nuova davvero, lontana da ogni cosa per la quale aveva lottato, senza comprenderne le motivazioni.
Per questo era venuta a Palazzo, quella mattina, per affrontare suo padre e pretendere delle spiegazioni… se doveva lasciare ogni cosa, anche il ricordo del suo amore, anche quell’assurda, incontrastabile speranza di rivederlo, prima o poi, voleva almeno capirne il motivo.

“Vostro padre vi attende, Colonnello."
La voce del domestico risuona compita alle sue spalle, strappandola a quel flusso di pensieri.
"Potete raggiungerlo nella biblioteca”
È  già  in movimento mentre il domestico si defila, quella nuova anomalia nel comportamento del Generale a renderla sempre più inquieta.
Mai, in tanti anni, suo padre l’ha ricevuta se non nel suo studio.
Mai ha voluto che i loro colloqui fossero nulla di più  che un formale scambio di saluti, o una serie infinita di regole da rispettare o di ordini da eseguire senza discutere.
Mentre la biblioteca, da sempre considerato luogo di svago e di riposo, suggeriva un colloquio di tipo decisamente diverso.
La porta è stata lasciata aperta dal domestico e suo padre è in piedi di fronte ad uno degli scaffali, quando lo raggiunge.
Si volta non appena la sente arrivare e la accoglie con un piccolo sorriso “Sapevo che saresti venuta, Oscar,” dice mentre la saluta con un cenno del capo. “ Entra ti prego..”
Oscar gli si avvicina, il passo ancor più  rigido del solito per la tensione, contraccambiando appena lo scabro saluto.
“Credo che possiate immaginare perché  sono qui,” dice, ancor prima di accettare l’invito a sedersi su uno dei divanetti cremisi che costituiscono il  salottino, lo sguardo fisso su di lui che si siede con calma, prima di risponderle.
“Si, Oscar, penso di saperlo” la voce di suo padre è  calma, priva di quell’inflessione rigida che ben gli conosce.
“Vuoi sapere cosa mi ha spinto ad appoggiare la tua candidatura per questo nuovo incarico, che ti condurrebbe lontana da Parigi, per un tempo molto lungo…” 
“Si, padre, è così “
È  talmente alta la tensione in lei che non può evitare di protendersi in avanti col busto, la voce resa veemente dalla stanchezza di quella notte insonne e dall’ira che quell’ordine incomprensibile ha suscitato nel suo animo.
“Voglio sapere perché dopo aver realizzato ogni vostra aspettativa e dopo una vita intera passata al servizio della corona, voi mi chiedete di allontanarmi da tutto, di abbandonare la Corte quasi fossi meritevole di una punizione! “
La mano destra le si è  serrata in un pugno, mentre parla e non riesce a trattenere un lieve ansimare, mentre attende una risposta.
“Ti prego, siediti…” ancora quel tono pacato, così  distante dalla sua furia da farla innervosire ancora di più.
Trattiene a fatica un moto di stizza mentre si accomoda, gli occhi fiammeggianti fissi in quelli del padre, in attesa.
“Hai ragione,” esordisce finalmente questi   “ad essere perplessa. Nemmeno  io capirei…”
Prende un respiro, predisponendosi, pare ad Oscar, ad un lungo discorso “ Tu, figlia mia sei stata l’erede migliore che io potessi desiderare. Non hai disatteso nessuna delle speranze che avevo riposto in te. Hai onorato il nome della tua famiglia come forse nemmeno io stesso ho saputo fare.” C’è una piega stana intorno alla sua bocca ed una ruga profonda sulla sua fronte, nota Oscar, che non ricorda di avergli mai visto. E la sua voce rassomiglia sempre più alla voce di un uomo che ha smesso da tempo di pretendere,  man mano che prosegue “Hai rinunciato a molto in questi anni e hai affrontato molti rischi, vivendo la vita a cui io ti ho destinata, ed è proprio perché conosco il tuo valore, Oscar, che mi permetto di chiederti, tanto, ancora una volta “
Anche lo sguardo ha perduto l’arroganza di un tempo, e le appare stanco, gravato da un peso difficile da sopportare “La Francia è sull’orlo del baratro, temo. I miei reparti si trovano sempre più spesso a dover intervenire per salvare esponenti della nobiltà attaccati per strada, o derubati dei loro averi all’interno delle loro dimore.
Uno dei mei sottufficiali è stato quasi ucciso, la scorsa settimana, in un agguato mentre rientrava a casa da Versailles. Quando ne sono venuto a conoscenza il mio pensiero è  corso a te, immediatamente…”
La rabbia è scomparsa dal suo animo, sostituita da uno stupore sincero, al sentire quelle parole.
Anche lei aveva  avuto sentore di un’insoddisfazione popolare crescente nel corso dell’ultimo anno ma, chiusa com'era stata nel suo personalissimo guscio di sofferenza, non aveva dato la giusta importanza alla cosa.
La voce di suo padre riprende, strappandola alle sue riflessioni.
“Ecco perché  ti ho proposto a sua Maestà come ufficiale di scorta al nuovo ambasciatore. Innanzitutto perché tu saresti da subito al sicuro a Madrid. 
E poi perché qualora, Dio non voglia, ce ne fosse la necessità in futuro, potresti aiutarmi a mettere in salvo tua madre e il resto della famiglia, accogliendole presso di te."
Non le riesce di rispondere, le parole di suo padre sul futuro incerto della Francia e sul timore per la sua famiglia che si sommano alla paura che l’attanaglia dalla sera prima, di perdere ogni speranza di rivedere André.
E, sopra a tutto questo, la certezza assoluta di non poter pensare solo a sé stessa, nel decidere che fare.

Quasi non sente la voce di suo padre, quando prosegue. “Ora sai tutto, Oscar. E sono certo che non mi deluderai, nemmeno questa volta…”

(1)    Personaggio riconducibile solo ed esclusivamente alla mia fantasia.

Continua….

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Capitolo 13
*** Vento di settembre ***



Vento di settembre

“Ancora una volta, Etienne, forza!” André  deve stringere i denti e far ricorso a tutto il suo coraggio per continuare a chiedere al corpo gracile del ragazzino un simile sforzo. Non sa con precisione quanto dolore gli stia causando la manovra che gli chiede di ripetere ormai da ore, ma può farsene un’idea guardando i suoi lineamenti tesi ed il sudore che gli appiccica la camicia alla schiena.
Lo vede stringere i denti mentre, di nuovo, lentamente piega la gamba destra sino a formare un angolo retto, poi ne ode la voce, arrochita dalla stanchezza “Basta, per oggi, Monsieur, ve ne prego…” la testa scura e riccioluta si abbandona sullo schienale della poltrona ed André percepisce un tremito nella gamba, mentre lo aiuta appoggiare il piede sullo sgabello di legno posto ai piedi della seduta.
"Hai ragione,” dice, battendo un colpetto affettuoso sul ginocchio coperto d fustagno scuro “basta. Stiamo lavorando da ore e si sta anche facendo freddo, qui fuori."
Come in risposta alle sue parole un soffio d’aria fredda scompiglia un mucchio di foglie portate dal vento fin sotto la veranda e lo fa rabbrividire.
Settembre se ne sta andando, insieme alle ultime serate tiepide e profumate di mare, scalzate dall’aria fresca dell’autunno, portatore di pioggia e pomeriggi sempre più brevi.
“ Rientriamo, così mentre ti riposi prima di cena farò in tempo ad andare dal Dott. Delacroix a prendere l’unguento per le frizioni, ho visto oggi che sta per terminare.”
È leggero e gracile, il corpicino di Etienne, quando lo solleva tra le braccia e molle di fatica, tanto che per il primo tratto del percorso lo sente cercare il conforto della sua spalla con la fronte, il respiro ancora affrettato per lo sforzo prolungato.
Si riscuote, con la curiosità tipica dei bambini,  mentre percorrono il grande scalone, divertito dall’operosità che lo anima. “Organizzare un viaggio è davvero una cosa complicata, a quanto vedo,” sorride, mentre parla sollevando lo sguardo per  osservare il via vai intorno a loro. "Non manca molto alla partenza, vero? Poco meno di un mese…”
André non risponde subito, il peso di quella decisione presa da poco che ancora gli grava sul petto un macigno.
Poi annuisce ed abbozza un sorriso a quegli occhi fiduciosi che lo guardano, inconsapevoli della scelta che gli hanno imposto. “Hai ragione” annuisce “manca davvero poco…”

Manca poco, davvero. Se lo ripete da giorni, da quando ha comunicato a Dominique la sua intenzione di seguirli e ha detto mentalmente addio, in modo definitivo, agli occhi di Oscar nei quali ancora il suo cuore annega senza speranza, ogni volta che abbassa le palpebre e le difese.
Manca poco, troppo poco, per la sua anima che non vuole accettare quella separazione ma che al contempo non può tollerare di tradire la fiducia di un bambino.
Manca poco, troppo poco…
Gli eventi si sono avvicendati più  in fretta di quanto aveva previsto: dalla tenuta in America era giunta notizia che tutto era pronto, il segretario di Dominique era tornato da Marsiglia trionfante per aver trovato posto per tutti loro su una nave in partenza il 25 di ottobre e la piccola Arianne, minuta ma perfetta, era venuta alla luce con un paio di settimane di anticipo. Madame Elise si era ripresa meravigliosamente dal parto e nulla aveva impedito a Dominique di dare disposizioni perché ci si preparasse alla partenza.
Da quel momento ogni cosa era convogliata verso quell’avvenimento, molto più in fretta di quanto lui avrebbe voluto.
Il momento dell’addio definitivo alla Francia e a tutto ciò che lui, André Grandier, era stato in Francia, era vicino, vicinissimo.
“Dannazione… avrei voluto avere più tempo” lo biascica a denti stretti, come già ha fatto milioni di volte, anche ora, mentre si allaccia il mantello e raggiunge le scuderie, il cappuccio ben alzato a ripararsi dal vento freddo della sera.
“Anche se non avrebbe cambiato le cose, avrei voluto…”
Sale a cavallo e dà di sprone con forza, incurante delle nuvole minacciose che si rincorrono nel cielo color piombo. Si lancia al galoppo verso la città, il cuore in tumulto, gonfio di impotenza e nostalgia, desideroso di stemperare in quella corsa nel vento la sofferenza che gli chiude la gola.
“Avrei voluto… rivederti, Oscar..." continua a galoppare, sempre più veloce, implorando il vento di torgliergli ancora una volta ragione e respiro, di aiutarlo a  resistere alla tentazione di infrangere la promessa fatta ad Etienne e tornare, senza pensare più  a nulla che non sia ciò che gli grida il suo cuore, da lei,  a Parigi. 
“Avrei voluto rivederti, Oscar, per dirti un’ultima volta che  ti amo…Ti amo, ti amo!” lo grida forte, nell’aria tesa e odorosa di fulmini, mentre le prime gocce picchiettano impietose sulla polvere della strada.
“Non ho mai smesso, Oscar, di amarti, non ci riesco…”
Grida forte nel vento, ancora ed ancora, disperato ed affranto e continua la sua corsa, sino a quando la furia del cielo occlude la vista della strada, nascosta all’improvviso da una patina scrosciante di gocce gelide.
Deve rallentare l’andatura e trovare un riparo, per se è per il cavallo e attendere che il temporale si plachi. Fortunatamente è riuscito a raggiungere le prime abitazioni della città e non fatica a ritrovare la via in  cui sa trovarsi una palazzina disabitata, ma dotata di un porticato interno in cui è  possibile accedere e attendere che spiova.
Tuoni e lampi continui si susseguono mentre a libera il cavallo dalla sella e dalla coperta impregnata d’acqua, zuppa quasi quanto il suo mantello; il rumore della pioggia è cosi forte che non si rende conto subito che altri due uomini hanno cercato rifugio sotto l’alto portone, si accorge della loro presenza solo quando ne sente le voci, ed il nitrito convulso di un cavallo spaventato da un tuono.
Qualcosa lo induce a tenersi nascosto, forse l’aria furtiva con cui i due si guardano intorno e scruatano ansiosamente la strada, come in attesa di qualcuno, o forse quei visi che è certo di aver già visto anche se non ricorda bene dove.
Non deve attendere molto perché  una delle sue ipotesi si concretizzi: dal muro di pioggia battente si materializza un altro uomo, che smonta lesto di sella e inizia subito a parlare, incurante dell’acqua che lo impregna.
“Ho pochissimo tempo, “ esordisce “devo tornare subito a Parigi…”
André si appiattisce ancor di più contro il muro che lo nasconde, l’istinto che continua a gridare di ascoltare in silenzio, che qualcosa parla di pericolo in quel loro ritrovarsi celato a tutti.
Trattiene il respiro nello sforzo di udire i loro discorsi, aldisopra del picchiettare incessante della pioggia. 
“Il corteo si metterà  in marcia tra due giorni, “ sta dicendo l”ultimo arrivato.
“E considerando il numero di carrozze e la presenza di dame e servitori impiegheranno almeno…” un tuono, fortissimo, a coprire le sue parole “ ad arrivare qui. Dovete tenervi pronti, cercherò  di farvi avere notizie più  precise nei prossimi giorni ma è necessario che predisponiate tutto sin da ora…” Di nuovo un lampo a squarciare il buio del cielo e lo scalpiccio nervoso dei cavalli a nascondere il vociare per lunghi minuti.
Andrè impreca in silenzio, un sudore gelido ad impregnargli la camicia, sotto al mantello scuro. È  uno degli altri due che ha preso la parola, quando torna ad udirne le voci. “Ma tu sei sicuro? “ sta dicendo “Davvero passerà per Montpellier?” c’è sospetto nella su voce, André  riesce a percepirlo anche senza vederne lo sguardo.
“Sono tante altre le vie che potrebbe scegliere per raggiungere Madrid… Perché dovrebbe passare proprio da qui?”
L’altro risponde con tono minaccioso, evidentemente infastidito dai dubbi sollevati dal suo interlocutore “Il conte vuole prendere commiato da sua madre, che risiede qui… dovete fidarvi, “ribadisce, “È un’occasione unica… Faremo fuori in un sol colpo non so quanti dannati nobili e metteremo le mani su quanto trasportano con loro….Provate a pensarci: il nuovo ambasciatore francese in Spagna e la sua famiglia, più il comandante della sua guardia personale, che dicono essere niente meno che il Comandante delle Guardie di sua Maestà, scelto per questo incarico dal re in persona… sarà un colpo formidabile per la nostra causa…”
Deve faticare per ritrovare il respiro, André, il cuore che batte colpi folli nel petto.  “Oscar…” sussurra, i pensieri che si inseguono sconnessi, incapaci di comprendere come possa essere vero ciò che ha appena udito.
Oscar sollevata dal suo incarico, Oscar in procinto di lasciare la Francia, Oscar, Oscar…Oscar in pericolo!
È  questo pensiero a riportarlo alla realtà, in tempo per cogliere le ultime parole del gruppo, prossimo ad andarsene.
Sono i primi due arrivati a parlare ora. “Ci vediamo domani sera, con gli altri a…”un tuono ancora, fortissimo, a nascondere di nuovo voci e parole, vitali, da comprendere.
“...Jacques... dopo la mezzanotte…” Già sono a cavallo e stavolta è il frastuono degli zoccoli a confondersi con le voci. “Avvisa tu Antoine e Luis, io contatterò Mr. Bonn…” sono lontani e quell’ultimo nome, forse l’unico  davvero importante, non gli riesce di udirlo. 
Attende qualche minuto prima di allontanarsi dal muro che lo ha tenuto al riparo e gli ha permesso di ascoltare ogni cosa. Torna verso il cavallo e prende a sellarlo lentamente, la portata di quella scoperta che si fa strada lentamente dentro di lui. Un’imboscata, ad un convoglio di nobili, in viaggio.
Ed Oscar, inspiegabilmente, a far parte di quel gruppo.
Voci e volti si sovrappongono nella sua mente mentre risale in sella e si rimette in cammino, poi un pensiero riesce a prevalere: deve assolutamente capire chi è coinvolto in quell’impresa e dove si riuniranno per decidere come mettere in atto l’agguato che ha appena sentito pianificare. 
Deve farlo e non può permettersi di fallire. Ne va della vita di Oscar.


continua...



Ecco la prima, sofferta, decisione… ed ecco, puntualissima, l’ennesima mossa del destino…. A presto per il proseguo ed il solito abbraccio, a raccogliervi, tutte, per dirvi mille volte grazie.  

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Capitolo 14
*** Tutto ciò che rimane ***


Tutto ciò che rimane

“Spero che abbiate gradito la parata in vostro onore Comandante.” La voce di Girodel la raggiunge quando non ha fatto che pochi passi all’interno della stanza, diretta al camino ed al fuoco che vi scoppietta, nel tentativo di trovare un poco di calore, dopo le lunghe ore trascorse in sella, irrigidita nella posizione marziale che quell’evento le imponeva. Il giorno era lentamente sfumato in una sera insolitamente fresca di un vento già  autunnale mentre i reparti avevano sfilato, uno dopo l’altro e quel primo freddo le era penetrata dentro, nelle ossa e nel cuore. 
“Gli uomini l’hanno preparata con molta cura” riprende la voce del suo secondo “Ci tenevano a sfilare per voi nel miglior modo possibile, per dimostrarvi tutto il loro rammarico… Sono” prende una piccola pausa e la voce muta, perde la freddezza composta che di solito la caratterizza per velarsi di una nota calda e malinconica “Siamo, tutti dispiaciuti per la vostra partenza”
Oscar rimane voltata verso il guizzare arancione delle fiamme ancora un minuto, prima di sollevare il viso per incontrare la cerulea limpidezza dello sguardo di Girodel, fermo a pochi passi da lei, in attesa.
“Gli uomini sono stati impeccabili. ”  dice poi, avvicinandosi a lui, la voce arrochita dal vento di poco prima che si ammorbidisce per omaggiare l’amicizia sincera che ha sempre colto nei gesti del suo secondo e che, se ne rende conto d’improvviso, le mancherà moltissimo. “E anche voi mi mancherete. Tutti.”
Le pare di scorgere un lieve tormento nello sguardo di Victor e comprende che forse meriterebbe di più, dopo anni interi trascorsi a condividere giorni e problemi, di quelle poche parole che certo non sono sufficienti ad esprimergli la sua gratitudine ed il suo affetto ma è così  difficile per lei affrontare ciò che la attende, che un nodo secco e tagliente le sbarra la gola e, altro, davvero non le riesce di dire.
Si irrigidisce nel saluto militare, determinata a mettere fine a quel colloquio al più presto ed il metallo pervade di nuovo la sua voce “È  stato un onore, avervi al mio fianco, Colonnello, ” lo saluta, usando appositamente il nuovo grado di cui è  stato appena insignito, per rafforzare la sua intenzione a passargli le consegne senza indulgere in altri discorsi. “E sono certa di lasciare i miei uomini in buone mani, affidandoli a voi.” Ancora un pensiero, negli occhi di lui, mentre porta la mano alla fronte per rispondere al saluto, ma altrettanto evidente, l’esitazione a dargli voce “ Anche per me è  stato un  onore e vi assicuro che cercherò di essere degno del ruolo per il quale mi avete proposto. Ma, Oscar...” La mano scende, e, finalmente sembra che quell’inquietudine abbia la meglio sul resto dei pensieri. “C’è  una cosa di cui vorrei parlarvi...” Non può  dar corpo a questa nuova intenzione, interrotto dall’arrivo di una rappresentanza dei soldati venuti a porgere i loro saluti al Comandante. Ancora uno sguardo, ed il tempo di scorgere una preoccupazione sincera nel fondo di quell’azzurro, poi le formalità di nuovo riempiono i minuti, ed il resto della sera si compie, colmato dagli ultimi doveri  per condurla lì, all’ultimo saluto, quello con la sua vita, così  come è  stata sino a quel momento.
Il tonfo della pesante porta di quercia, appena rinchiusa alle sue spalle le sembra trasformarsi nel fragore di un macigno, sceso a depositarsi sul suo cuore, a toglierle fiato e volontà.
Deve appoggiare un istante le spalle al battente, e chiudere gli occhi, il cuore lacerato che urla e si dibatte, indomito, nell’assurdo tentativo di prevalere sulla ragione
È l’attimo che ha temuto di più, quello in cui avrebbe udito quel rumore, per l’ultima volta.
È  un distacco definitivo, senza ritorno, e nella stretta al petto che non può impedirsi di provare non si stupisce di ritrovare l’eco del sorriso di André.
Alza gli occhi e, in un lampo di sofferenza così  intensa da temere di esserne annientata, lo rivede in piedi, a pochi passi da lei, bello e vitale e impaziente, come era stato nei primi anni del loro amore, quando di appartenersi non erano mai sazi ed ogni minuto lontani era una tortura, il sorriso formale di sempre arricchito di una dolcezza infinita, preludio alle ore che sarebbero seguite in cui null’altro avrebbe contato se non loro… 
Da quanto tempo lo aveva perduto quel sorriso?
Cosa ne aveva fatto lei, di quel ragazzo innamorato e paziente, in cosa lo aveva trasformato con la sua protervia e la sua noncuranza?
Ne risente la voce, in quella mattina fredda e nebbiosa, insieme al profumo perduto dell’infanzia, nella cucina di palazzo.
“È  proprio perché ti amo così tanto che non posso più vivere così...” le aveva detto, dolente “Davvero non lo capisci?”
Lo aveva compreso, infine. Ma troppo tardi.
“Dio, André” sussurra “darei l’anima per poterti vedere ancora una volta…per potertelo dire che ho capito…”
Ma non può.  Non deve.
C’è un altro suono, ora, a sovrastare quel tono dolente, ed è  il suono lontano della sua risata, quella calda e piena d’amore delle loro notti ebbre di pelle e sospiri, quella che la accompagnava, rauca e soddisfatta fino  all’ultimo palpito. Quella che si era affievolita sempre più sino a scomparire, soffocata in una coltre di bugie  e ipocrisia. Non le riesce di trattenere un singhiozzo, appoggiata a legno scuro della porta, le dita di una mano a premere sulle labbra per provare a ritrovare il miele grezzo dei suoi baci.
Non può farlo. Non può  cercarlo, non può pretenderlo di nuovo per sé
Deve lasciare che viva la vita che si è scelto, deve permettergli di ritrovare quella risata, deve lasciarlo libero di amare qualcun’altra che sappia renderlo felice, come lei non è mai riuscita a fare.
Deve lasciarlo andare.
Le dita salgono a scacciare una lacrima che brucia, dolorissima, su una guancia e, forte di quel pensiero trova il coraggio di muoversi, di staccarsi da quel luogo, l’ultimo, che ancora la lega a lui.
Andrà lontano, anche se non vorrebbe farlo.
Andrà  in un luogo nuovo, tra persone che non conosce dove non ha mai vissuto con lui, dove forse il ricordo di ciò  che sono stati piano piano si tramuterà da spina rovente che avvelena greve ogni respiro a sofferenza sorda, presente sempre ma più simile ad una rimembranza preziosa e dolcissima.
E lì forse, dove nulla le parlerà di lui, restare salda nel proposito di non cercarlo sarà  meno difficile…
Si stacca lentamente dal battente e prova a governare il respiro mente ripassa mentalmente tutto ciò  che in quella giornata l’ha avvicinata al momento della partenza. 
Ha preso commiato dalle loro Maestà, in un colloquio informale che ha visto i begli occhi della Regina velarsi di pianto, mentre le stringeva le mani in un nodo che ha fatto fatica a districarsi, quasi anche Maria Antonietta riuscisse a scorgere, in quel congedo, un addio ben più  definitivo del saluto colmo di affetto che la portava a separarsi da una delle sue amiche più leali.
Ha salutato anche sua madre, nel pomeriggio, prima della parata, ed è  stato difficile non sciogliersi in lacrime, stretta da quelle braccia morbide tra le quali tante volte avrebbe voluto poter cercare conforto e rifugio e consiglio.
Infine, pochi minuti prima ha preso congedo anche dai suoi superiori, il Generale Bouillet ed il Generale Jarjayes, assumendo ufficialmente l’incarico che dal giorno successivo l’avrebbe vista a capo della guardia personale del Conte di Peynard, in partenza per Madrid.
Non ci sono state parole di affetto tra lei e suo padre.
Si erano già detti tutto qualche giorno prima, quando lei gli aveva domandato udienza per comunicargli la sua decisione di accettare il nuovo incarico.
“Non lo faccio perché me lo avete domandato,” gli aveva detto, guardandolo dritto negli occhi come mai aveva osato fare prima “lo faccio per me stessa, perché  questa vita, questo lavoro, è tutto ciò che mi rimane.” 
Aveva fatto una pausa e le era parso di vedere un’incrinatura di sofferenza  nella maschera altera di suo padre. La sua voce invece non aveva tremato. “E lo faccio perché  se un giorno, grazie a questo lavoro, potrò davvero essere utile per salvare la mia famiglia, almeno saprò  di essere vissuta per uno scopo.”
Se ne era andata senza aspettare risposta, e aveva raggiunto l’ufficio di Bouillet, per accettare la nuova nomina, senza indugi.
Le resta solo una cosa da fare, ora, poi sarà davvero pronta.
Deve tornare a Palazzo, per riposare un’ultima sera in quella che è  stata la sua casa e salutare Marie.
Non può partire senza il suo abbraccio, senza respirare ancora una volta il profumo delle sue vesti e ricevere sui capelli la sua carezza, colma di un affetto che le parole non avevano mai dovuto raccontare. Non può  andarsene senza ritrovare in quegli occhi chiarissimi, trasparenti come l’acqua quando si sfuma di verde sulle rocce muschiose, la stessa dolcezza di quelli di André.
Deve affidarglielo, il suo amore per lui, prima di andar via, e dirlo, almeno a lei, che ha capito di averlo ferito in modo insanabile, e che  tutto ciò che sta facendo lo sta facendo per lui, per provare a dargli la possibilità di essere felice.
Il pensiero di André e dei suoi occhi, a guardarla innamorato, le stanno nuovamente colmando lo sguardo di lacrime quando il rumore di passi frettolosi sul marmo lucido, la obbliga a riprendere il controllo.
Un istante dopo è la voce di Girodel quella che risuona nell’atrio illuminato dai doppieri.
“Comandante…” la raggiunge in fretta, la sua ombra lunga che la circonda come un oscuro presagio “Comandante… per fortuna siete ancora qui…ho bisogno di parlarvi con urgenza…”

C’è il sole, ed un cielo azzurrissimo ad accogliere il suo gesto.
La mano guantata, alzata nell’ordine della partenza si staglia nettissima, nell’aria tersa.
E  la sua voce è sicura, quando impartisce il comando.
“Colonna, pronti alla partenza!”
Non vi è  più  traccia della preoccupazione che l’aveva colta quando, la sera prima, Girodel l’aveva messa al corrente delle notizie che aveva avuto da uno dei suoi numerosi informatori.
“Dovrete prestare la massima attenzione Comandante,” aveva detto, il tono gravato da una profonda inquietudine.
“Nella zona di Montpellier si sono già verificati parecchi agguati, tutti a danno di esponenti della nobiltà. Pare che vi sia una vera e propria organizzazione che coordina i ribelli, facente capo ad un nobile decaduto, Gerard Bonnard, e pare che si stiano preparando per un colpo di grandissima importanza… quando mi è  stato riferito il mio pensiero è  andato subito al vostro viaggio, ed alla tappa che dovrete fare in quella zona…” Oscar aveva annuito, mentre assimilata la gravità della notizia, la mente volava a come reagire, già occupata dall’organizzazione di turni da predisporre e precauzioni da prendere.
Ci aveva pensato tutta la notte, e stranamente quell’occupazione l’aveva traghettata verso l’alba senza che altri pensieri prendessero il sopravvento e l’avevano condotta al momento della partenza, nel fresco di quella mattinata di inizio ottobre, con una determinazione ferrea a scacciare ogni rimpianto.
Doveva scortare quelle persone, farle giungere sane e salve alla meta.
Era il suo lavoro, quello per cui aveva sacrificato ogni cosa e lo avrebbe fatto nel migliore dei modi.
Sprona piano i fianchi di Cesar e si mette in cammino, senza voltarsi.
 “In marcia, uomini, a Montpellier!"



Continua….

Sono a chiedervi scusa, amiche, per la lentezza degli aggiornamenti. Negli ultimi tempi molte cose sono successe e ancora non tutte si sono risolte. Per questo, malgrado scrivere sia sempre la mia valvola di sfogo preferita, non riesco a dedicare a “Scelte” il tempo che vorrei. Spero che avrete la pazienza di attendermi …nel frattempo come sempre vi ringrazio tutte e vi stringo al cuore. A presto.

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Capitolo 15
*** Prima che sia troppo tardi ***


Prima che sia troppo tardi


Il delinearsi all’orizzonte dei primi tetti di Parigi, anche se ancora poco altro che una ragnatela più grigia nella bruma che precede l’alba, strappa ad André  un respiro fondo, che si ripercuote come una frustata sui muscoli indolenziti della schiena.
Non saprebbe dire con esattezza da quante ore sta cavalcando, sa solo che da quando ha lasciato Montpellier, quasi due giorni prima non ha pensato ad altro che a raggiungere Oscar, più velocemente possibile.
La visione di quel panorama cosi conosciuto riesce a spezzare la tensione che lo ha tenuto in sella per tutte quelle ore e ad allentare un poco la morsa che gli serra lo stomaco da quella sera, quando aveva udito per caso quella conversazione, tra il fragore dei tuoni che molto avevano nascosto e distorto, che lo aveva riportato, prepotentemente, alla sua vita passata.

In un primo tempo, mentre riguadagnava la strada di casa sotto gli ultimi scrosci di pioggia si era detto che non era nemmeno certo che fosse lei, l’ufficiale vicino a Sua Maestà che avrebbe guidato il corteo. Per quanto ne sapeva Oscar, in quell’anno trascorso dall’ultima volta che l’aveva vista, seta e fuoco e ghiaccio in quella cucina buia, avrebbe potuto essere stata promossa e aver lasciato l’incarico che ricopriva a qualcun altro….quindi c’era possibilità concreta che non fosse minimamente coinvolta in quel viaggio di cui aveva sentito raccontare.
Ma col passare delle ore, anziché tranquillizzarsi, il suo cuore aveva continuato ad urlare, certo aldilà di ogni logica che fosse lei, proprio lei, l’unica per cui ancora batteva e si struggeva senza fine, ad essere in pericolo.
Accettato che quella sensazione non fosse solo tale, si era a lungo domandato su cosa fosse meglio fare.
Dapprima aveva pensato di provare a capire chi potessero essere le persone coinvolte in quel complotto, ma poi si era reso conto di non conoscere quasi nessuno a Montpellier e di non avere possibilità di ottenere informazioni così pericolose senza avere la fiducia di qualcuno che quelle persone le conoscesse da vicino.
Aveva fatto congetture e scartato idee per tutta la notte poi, stanchissimo ed in preda ad un tremendo senso di impotenza, aveva pensato che c’era solo una cosa che poteva fare.
Di prima mattina, dunque, prima di iniziare la giornata coi ragazzi aveva raggiunto Dominique nello studio e gli aveva raccontato tutto ciò che aveva ascoltato, esponendogli, oltre alla preoccupazione per l’imminenza di un attentato che avrebbe potuto coinvolgere degli innocenti, anche la sua personale ansia  per il grave pericolo che avrebbe corso una persona che era stata, in un passato nemmeno troppo lontano, davvero molto, molto importante, per lui.
Dominique si era preso qualche istante per riflettere, prima di rispondere, consapevole che André lo aveva appena messo a parte di un’informazione potenzialmente pericolosissima.
Poi, lo sguardo serio, si era alzato e lo aveva raggiunto, affiancandolo, appoggiato al bordo della scrivania.
“Credo non ci sia altro da fare, se non provare ad avvisare questa persona, Andrè. Gli individui che avete sentito confabulare sono probabilmente parte di un gruppo ben organizzato che da soli non potremo mai fermare,” gli aveva detto “Ma se questa… persona… sarà informata del pericolo potrà  organizzarsi per evitarlo o qantomeno, essere pronta ad affrontarlo. “ Aveva fatto una piccola pausa, accompagnata da un respiro profondo. “Temo però  che non ci sia altra via che siate voi, di persona,  a doverla avvisare.. Se avete sentito dire a quei degenerati che avrebbero agito nei primi giorni di questo mese non c’è tempo per affidare un messaggio ad un corriere. Nessuno si prenderebbe la briga di sfiancare sé stesso ed un cavallo per arrivare in tempo. Ma se lo farete voi, cavalcando senza fermarvi se non per cambiare i cavalli, e scegliendo di percorrere strade meno battute perché disagevoli, ma decisamente più brevi, forse potrete raggiungere Parigi prima che il corteo si metta in viaggio.“
André  aveva sentito un  moto di affetto e gratidudine profonda verso quell’uomo che lo aveva accolto nella sua famiglia considerandolo un fratello e che, una volta di più, lo stava trattando come tale.
“Vi sono debitore, Dominique” aveva sussurrato “Spero solo di potervi ripagare per tutto ciò che avete fatto e state facendo per me.”
L’altro aveva sorriso, e gli aveva appoggiato una mano su una spalla, accompagnata da una stretta vigorosa. Il sorriso era salito ad illuminargli gli occhi e si era colmato di riconoscenza.
”Lo state già  facendo, André.” gli aveva detto, “La dedizione e l’affetto che dedicate ogni giorno ad Etienne sono preziosissimi, per Elise e per me. Non potremo mai ringraziarvi abbastanza per ciò  che lo state aiutando a fare…”
Andrè era tornato nella sua camera, l’azzurro degli occhi di Oscar impresso nell’anima a rendere rapido ogni gesto, si era cambiato poi aveva preparato velocemente una sacca da viaggio, con dentro lo stretto necessario per trascorre un paio di giorni fuori.
Stava per uscire, quando aveva sentito bussare alla porta, una serie di piccoli colpi nervosi che conosceva bene.
Era andato ad aprire e si era trovato di fronte i grandi occhi scuri di Etienne, il viso sollevato verso di lui con un’espressione spaventata, le braccia irrigidite nello  sforzo di governare da solo la sedia a rotelle.
“State partendo, Monsieur?” gli aveva chiesto, un piccolo tremito nella voce.
La profondità di quello sguardo ed il timore che vi aveva letto avevano reso meno impellente il bisogno di andarsene, ed era stato con un moto di tenerezza profonda che gli si era accucciato di fronte per trovarne gli occhi liquidi di lacrime a stento trattenute.“Si, Etienne” aveva risposto. “Devo assolutamente assentarmi qualche giorno, per aiutare una persona a cui voglio molto bene…” aveva portato le mani alle spalle gracili del ragazzino ed aveva stretto forte “Ma tornerò, te lo prometto.” Gli occhi di Etienne erano più sereni, quando si era alzato e gli aveva scompigliato i capelli in un gesto allegro che, lo sapeva bene, lo indispettiva e lo confortava al tempo stesso.
"Non ti lascerò, te lo prometto.” gli aveva mormorato in un soffio.

Era partito qualche minuto dopo e, da allora, praticamente non si era mai fermato, se non per sostituire la cavalcatura, ed ora, nell’alba rosata che si fa strada lentamente a svelargli sempre più chiaro il profilo di Parigi, sosta un ultimo istante per valutare con attenzione dove dirigersi per essere certo di incontrare Oscar al più presto.
Se le sue abitudini non erano cambiate a quell’ora stava già  lasciando Palazzo Jarjayes per recarsi alla Reggia, quindi se si fosse diretto diversamente a Versailles aveva buone probabilità  di incontrarla addirittura prima che vi arrivasse.
Mentre tira le redini per far cambiare direzione al cavallo e imbocca al galoppo la strada che lo condurrà  alla Reggia, prova invano a dominare il battito furioso del cuore, ora che, se ne rende conto, l’azzurro lucente degli occhi di Oscar,  che lo ha spronato per tutto il viaggio è ormai così  vicino…
La rivedrà, tra poco, ne respirerà il profumo di rose e velluto, rivedrà il moto imperioso del suo capo quando getta indietro i capelli nel voltarsi, altera e fluida come una fiera mitologica, ne risentirà  la voce, tagliente e caparbia, da sovrapporre a quella calda e bagnata di gemiti che sempre ha popolato i suoi sogni i  quel lungo anno solitario…
Deve impedire al suo cuore di urlare, quando la rivedrà, deve imbrigliarlo e farlo tacere per il tempo necessario a spiegare il pericolo che stanno correndo, deve informarla, e se lei glielo permetterà, fermarla.
E poi… se davvero saranno soli forse…
I suoi pensieri a quel punto si spezzano in migliaia frammenti minuti ed impazziti che turbinano ingovernabili e convergono in un unico punto: la sua bocca, ed il bisogno prepotente che ha di gustarla di nuovo e in quel sapore sprofondare e annullarsi, folle e immemore di ogni cosa, anche degli occhi scuri e fiduciosi di Etienne.
“Dio, ti prego” si ritrova a mormorare mentre riparte al galoppo “Fa solo che non sia troppo tardi…”

“Fermatevi, vi ho detto! Non vi conosco e non vi lascerò entrare né tantomeno  conferire col Comandante, senza prima essermi accertato della vostra identità!“
La voce della sentinella richiama due commilitoni che lo raggiungono e si affrettano ad afferrarlo per le braccia, trattenendolo con un presa ferrea.
“Ripetetemi il vostro nome e provvederò ad inoltrare la vostra richiesta di udienza al Capitano Girodel…” André  strattona forte le braccia, più per un moto di stizza che per altro.
Sa di non potersi liberare e sa che sarebbe controproducente, presentarsi come un pazzo esaltato.
Ma quell’inutile perdita di tempo, dopo lo sforzo fatto per raggiungere Parigi più in fretta possibile, unito alla stanchezza di un giorno e una notte trascorsi in sella, ed alla lieve inquietudine che lo ha assalito manmano che si avvicinava a Versailles senza trovare traccia di Oscar, mettono a dura prova il suo autocontrollo.
“Vi ho detto che voglio parlare con il Colonnello De Jarjayes, non con il Tenente Girodel!” ripete, provando a contenere la furia che lo sta invadendo.
 “Riferite che Andrè Grandier domanda di lei, e fate in fretta per l’amor di Dio… devo avvisarla di un grave pericolo…”
Il piantone, con la cui diffidenza si è scontrato non appena giunto al cancello della caserma sembra non cogliere l’urgenza della cosa e si allontana con calma, lasciandolo nel cortile, guardato a vista da due soltati che non conosce e che di sicuro hanno scambiato la sua ansia per ben altro.
Prende un respiro profondo e si sforza di ritrovare la calma ed il contegno che quel luogo richiedono: si rende conto che il suo atteggiamento risulta sospetto e che basterebbe nulla per essere allontanato senza riuscire a conferire né con Oscar né con nessun altro.
È con immenso sollievo che accoglie il ritorno del caporale, dopo qualche minuto, il quale lo invita a seguirlo con un cenno del capo e poche parole di circostanza.
Si avvia seguendo il suo accompagnatore, faticando a contenere la voglia di superarlo e percorrere di corsa quei corridoi che conosce a menadito, tanto è il bisogno di rivederla e soprattutto, di metterla in guardia.
Il percorso che lo separa da quell’ufficio gli pare interminabile ma finalmente si compie e la porta scura dell’ufficio di Oscar è lì, di fronte a lui.
Pochi colpi, bussati dal militare che lo ha accompagnato ed il gesto di quest’ultimo, ad aprire egli stesso il battente per rivelargli, elegante e ccomposta come sempre,  la figura di Girodel, incongruamente vestito dell’uniforme porpora di Comandante.
Gli ci vogliono parecchi istanti per riprendersi dalla sorpresa e rammentare la deferenza che deve comunque alla persona che gli è di fronte.
Si piega in un inchino formale, malgrado la schiena dolorante e la confusione che gli annebbia la mente ma non riesce a mascherare l’angoscia che gli ha stretto le viscere, nel non ritrovare la figura snella di Oscar, dietro a quella scrivania.
“Colonnello Girodel…”
L’altro appare non meno sorpreso mentre lascia la poltrona e lo raggiunge. 
“André! Dunque sei proprio tu… Ho temuto che la guardia avesse frainteso il tuo nome ed ho acconsentito a riceverti solo perché mi sono detto che se eri davvero tu il motivo che ti aveva riportato a Versailles, dopo tutto questo tempo, doveva essere davvero molto grave…”
La preoccupazione sincera percepita in quella risposta fa tornare lucido André che si raddrizza e attinge alle ultime energie rimaste per riordinare i pensieri
“Infatti, Conte,” risponde “sono venuto a cavallo da Montepellier praticamente senza fermarmi perché ho motivo di credere che Oscar sia in grave pericolo” L’urgenza di rivederla è diventata quasi panico nella sua voce, mentre prosegue. "Ho bisogno di parlare con lei, al più presto…” 
Il lampo di sorpresa che attraversa lo sguardo ceruleo di fronte a lui gli colma il cuore di disperazione ancora prima che l’altro gli risponda . È  troppo tardi…
“Oscar non è  più qui, André, mi dispiace. È partita tre giorni fa, alla testa del corteo che accompagnerà il nuovo ambasciatore francese a Madrid.”
Deve aggrapparsi forte allo schienale della poltroncina di fronte a lui, per non cadere, sopraffatto dal terrore che quella notizia gli reca.
E le ultime parole di Girodel non fanno che farlo sprofondare ancor più  nella consapevolezza profonda di essere giunto troppo tardi.
“Se hanno rispettato i tempi di marcia previsti nel programma giungeranno a Montpellier tra poche ore.”


Continua….


Il cerchio si sta chiudendo amiche, anche se nessuno di loro sembra essere al posto giusto… Ma il destino ha tessuto la sua trama e, come ben sapete, al destino non si sfugge.
So di essere in ritardo anche questa volta, ma spero che mi crederete quando vi dico che il non poter essere puntuale con “Scelte” mi angustia profondamente. Perciò vi sono ancora più grata per l’affetto con cui continuate a seguirmi e per il quale posso solo dirvi ancora una volta GRAZIE.

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Capitolo 16
*** All'ultimo istante ***


All’ultimo istante

Avanti, ancora ed ancora, senza pensare a niente. 
Non alla schiena che duole come se dovesse spezzarsi da un momento all’altro, non ai muscoli induriti delle gambe che sembrano avvolti dal fuoco, non alla stanchezza, un morso impietoso alle reni e alla testa che pare sempre sul punto di poterlo vincere, e trascinarlo giù dalla sella in ogni istante.
A niente se non al proposito di arrivare in tempo, stavolta, a tutti i costi.
A niente se non all’angoscia infinita che lo avvolge da quando la voce di Girodel lo ha informato della partenza di Oscar e che lo sta spronando a resistere, e a tentare l’impossibile, oltre ogni ragionevolezza.
Da quel preciso momento non c’era più  stato spazio per altro, nella sua mente, se non per quella crudele evidenza: non era arrivato in tempo per fermarla ed Oscar stava andando incontro al pericolo, inesorabilmente.
Per un attimo, sulla soglia di quel grande ufficio luminoso in cui tutto parlava ancora di lei, aveva vacillato, gli occhi pieni dell’immagine del suo corpo bianco riverso a terra, il sangue a sporcare i capelli biondi, gli occhi serrati per sempre a quell’amore che non era stato capace di salvarla, egoista e testardo come si era rivelato, nel pretenderla soltanto per poi abbandonarla a sé stessa.
Lo aveva richiamato il tono preoccupato di Girodel, ed il suo sguardo costernato: “André, ti senti bene?”
Il respiro gli aveva graffiato la gola, dolente per lo sforzo di trattenere i singhiozzi che avevano minacciato di squassarlo, ed era faticosamente tornato in sé.
“Si, sto bene” aveva risposto “Ma ditemi vi prego, l’itinerario del corteo. Forse c’è ancora una possibilità di riuscire ad avvisarla, ma non posso perdere neppure un istante…”
Era ripartito un’ora dopo, le forze un poco ritemprate dal rinfresco fatto portare da Girodel ed il miglior cavallo delle scuderie della Guardia Reale a sua disposizione.
L’itinerario che avrebbero intrapreso Oscar ed il corteo al seguito dell’ambasciatore era tortuoso e prevedeva svariate soste: se avesse percorso a ritroso il cammino che lo aveva portato così velocemente a Versailles  cambiando direzione all’altezza di Hameau (1) avrebbe potuto avvicinarli frontalmente, e magari intercettare per primo gli aggressori.
Sapeva di non poter far molto da solo, ma piombando come una furia in mezzo ad un eventuale imboscata sperava di creare almeno lo scompiglio necessario a mettere in allarme l’avanguardia del corteo. 
Era rischioso, certo, c’era la possibilità che i potenziali aggressori lo sopraffacessero, se li avesse scoperti o che le sentinelle predisposte dal Oscar a protezione dei convogli facessero fuoco scambiando lui per un potenziale pericolo ma era forse la sola cosa che si potesse fare, visto il pochissimo tempo a disposizione, ne aveva convenuto anche Girodel.
Doveva solo correre, correre a perdifiato, a costo di uccidersi, sbalzato di sella dalla troppa furia del galoppo.
Correre e sperare che, per una volta, il destino giocasse a suo favore.
 
***  ***  ***
 
“Trotier, Laval, Ansermin, con me! Voi, Bernadier, disponete il resto della guardia a protezione delle carrozze.”
Non vi è  alcun tono di incertezza, nella voce di Oscar, mentre impartisce gli ordini, le redini di Cesar strette tra le dita, a governare saldamente il nervosismo con cui il cavallo reagisce alla tensione di chi gli sta in sella.
“Noi andremo in avanscoperta, per accertarci che sia tutto a posto…" dice al suo secondo che le si è avvicinato. " Voi ci seguirete, procedendo lentamente e con la massima attenzione!”
Ciò detto rivolge un cenno ai tre soldati che ha chiamato per perlustrare il tratto che li separa da Montpellier e si avvia mettendo il cavallo al passo, il mantello drappeggiato sulla  nuova uniforme blu ed oro, i colori di famiglia del Conte di Peynard, a ripararla dalla nebbiolina insidiosa che si abbarbica alle chiome ormai quasi spoglie degli alberi, ad evocare il pericolo di non poter vedere qualcosa che si nasconde per colpire, a raccontare un’insidia celata e quindi ancor più letale.
Ricorda con precisione la mappa che ha studiato nel suo ufficio, insieme a Girodel, l’ultima sera a Versailles.
Avevano individuato almeno un paio di luoghi ideali per un agguato e il primo di questi si trova ora a meno di mezzo miglio di distanza, in quel tratto di percorso appena prima di Hameau, da compiere interamente in mezzo ad una folta vegetazione.
“Occhi aperti, mi raccomando” ripete agli uomini che la seguono, “non trascurate nessun particolare… se qualcuno ha intenzione di tenderci un’imboscata questi sono il luogo ed il momento giusto…”
Vede le spalle dei soldati irrigidirsi e la tensione accendere i loro  sguardi… la stessa, potente scarica che sente attraversarle ogni muscolo e sciogliere il senso di frustata impotenza che l’ha attanagliata dal momento in cui hanno lasciato Parigi, quasi cinque giorni prima…
Era stato un viaggio lento e costellato di intoppi e fermate impreviste. Carri che perdevano parte delle tante masserizie stipate, ruote che cedevano per il troppo peso del carico, dame che lamentavano problemi di ogni tipo, dagli scossoni, al bisogno continuo di sostare per ogni genere di necessita, all’umidità  che si infiltrava nelle carrozze e  danneggiava abiti ed acconciature. I tempi di percorrenza non erano stati minimamente rispettati e le giornate necessarie per raggiungere Monpellier erano state quasi il doppio di quelle preventivate. 
Oscar scuote piano il capo, nel ricordo e una ciocca bionda e ribelle sfugge dalla coda spessa che le scende sulla schiena, insofferente alla costrizione del laccio così come lei si era scoperta insofferente all’inutilità di quel presente.
Decisamente non era abituata a quel tipo di viaggi, ed alle centinaia di piccoli problemi che lo spostarsi con un gruppo cosi eterogeneo di persone comportava.
L’ultima volta che aveva svolto un simile incarico era stato quando aveva accompagnato il corteo reale in occasione dell’incoronazione delle loro maestà.
Malgrado la tensione che la percorre il cuore le si stringe in una fitta dolorosa: c’era stato Andrè al suo fianco, allora, ed il loro amore appena sbocciato a scaldare ogni passo di quel percorso.
Era stato un tempo magico e irripetibile, in cui si era sentita invincibile, pronta a vivere una vita difficile senza farsene schiacciare e, anzi, fermamente intenzionata a piegarla al suo volere.
Per un attimo il freddo cupo ed opprimente della vegetazione che la circonda scompare per far posto al caldo di quel maggio assolato, il cuore a battere impazzito nel petto per il saperlo un  passo dietro le sue spalle, in  bocca ancora il sapore del bacio che le ha strappato, prepotente e temerario, in un istante folle, dietro un muretto a secco dove  l’ha richiamata con una scusa...
Dio, quanto tempo era passato, da allora…
Quante cose erano successe e quanti errori aveva commesso, a ricordarle, tutti, che non era invincibile, e che di tutto ciò che aveva preteso non le era rimasto quasi nulla…
“È il nostro amore, la sola cosa che vale….” Quante volte glielo aveva ripetuto André? Le aveva ritrovate mille volte quelle parole e la sua voce, calda come il più spesso dei velluti…. L’aveva risentita all’infinito e se la era ritrovata dentro nei momenti più disparati, come ora, che le sembra di sentirla riverberare nel gracchio lontano di un corvo e nel frullare d’ali spaventato di un gruppo di germani che si alzano in volo.
È quell’agitazione improvvisa a riscuoterla, insieme alla sensazione, fortissima, che qualcosa, intorno a lei sia mutato. Forse il vociare degli uccelli che si è fatto più forte, quasi un susseguirsi di grida spaventate che però non basta a nascondere un trapestio agitato di rami spezzati e foglie schiacciate.
Fa cenno con la mano ai suoi soldati di fermarsi, lo sguardo al tronco che sbarra il sentiero poco oltre la piccola curva che stanno per affrontare, gli occhi fissi su quel legno, incongruamente disgiunto dal resto del sottobosco, troppo millimetricamente disposto al centro del passaggio, per essere caduto in modo naturale.
Apre la bocca per urlare ai soldati di fuggire ma è già  troppo tardi, e lo sa.
Ci riesce Ansermin, l’ultimo in fondo, che percepito il primo movimento oltre lo sbarramento, volta lesto il cavallo e parte al galoppo, la voce del suo Comandante che lo raggiunge mentre già sta correndo
“Dai l’allarme, presto!”
Poi non ha più  tempo che per pensare a difendersi, le figure intabarrate di grigio ed il volto celato che sciamano dal sottobosco come api impazzite, le spade già  pronte ed una volontà  ferrea a sopraffarli, loro, tre soltanto contro non riesce a contare quanti.
In un attimo quell’angolo tranquillo si trasforma in uno scenario feroce di lotta e sopraffazione,  ed il cozzare delle armi ed il nitrito spaventato dei cavalli si sovrappongono alle urla di chi attacca, feroce e spietato, e di chi trova nell’urlare a pieni polmoni il coraggio per provare a difendersi, disperato, se pur in una situazione che sembra non lasciare scampo. 
“Resistete!” riesce a gridare Oscar, la gola spezzata da quell’urlo che vuole essere sprone e conforto per i due uomini che sembrano cedere sotto i colpi sferzanti degli assalitori, poi deve chiamare a raccolta le forze per difendere sé stessa, mentre sente due mani di ferro artigliarle le caviglie e strattonare per farla cadere da cavallo. Si oppone con tutte le sue forze ma il risuonare sinistro di uno sparo seguito da un  grido straziante di dolore la deconcentra. Sbalzata violentemente di sella si ritrova di colpo ad urtare il terreno durissimo e freddo, una spalla a raccogliere tutto il peso del suo corpo ed un dolore, lancinante, a pervaderla tutta.
***  ***  ***

Si è immesso sulla strada principale che porta a Montepellier già da qualche miglio e continua a galoppare incurante di tutto, a sorreggerlo solo la determinazione a farcela, stavolta, a qualsiasi costo.
Non riesce a scinderli subito dal battere furioso degli zoccoli del cavallo, quei suoni lontani.
Non riesce a comprenderli per ciò  che sono, urla e metallo che stride e sbatte furioso a raccontare di una lotta feroce. È lo sparo a rendergli le viscere fuoco liquido e a fargli capire di colpo che cosa vedrà  tra poco.
Incita ancora il cavallo, la gola serrata di paura ed ogni fibra del suo essere a ripetere il suo nome: “Oscar, Oscar, Oscar….”
Quasi non riesce a distinguerla nella scena di lotta che gli si para davanti, ma è  ancora una volta l’istinto a guidarlo, quando smontato da cavallo, si slancia verso i tre uomini che si stanno accanendo contro una figura inguainata di blu, a terra ed in difficoltà ma impavida nel difendersi.
In un attimo il suo sguardo avvolge ogni cosa, dalla figura immota di uno dei militari  che giace scomposta ai margini della strada, all’altro soldato che ancora resiste sino a distinguere, lucenti come un raggio di sole sul fango grigio del sottobosco, un guizzare di capelli biondi.
È allo stremo, e sofferente, lo intuisce e si slancia con tutte le sue forze verso di lei urlando il suo nome nell’attimo esatto in cui, il cuore divenuto ghiaccio, vede uno degli aggressori raccogliere un grosso ramo nodoso ed alzarlo, preparandosi a colpire.
***  ***  ***
 
Il dolore alla spalla, lingue pungenti di fuoco bianco, l’ha aggredita non appena ha toccato malamente terra, ma prova disperatamente a continuare  lottare, la spada usata con la sinistra a guisa di scudo, le gambe protese a sferrare calci furiosi per tentare di mantenere due dei suoi aggressori a distanza.
Non si avvede del terzo e del grosso pezzo di legno col quale si predispone a colpirla se non quando è troppo tardi e non può più far nulla, se non provare a schivare, di pochissimo, il colpo.
Sente la corteccia rugosa graffiarle la guancia, poi un abbattersi impietoso alla base del collo, che tutto spegne…solo, quasi irreale tra le ciglia fattesi di colpo pesanti, l’immagine di un uomo con i capelli neri ed un viso uguale a quello di André correre verso di loro e l’illusione di sentirlo urlare il suo nome. Come una piuma, quel nome, e quella voce… una culla soffice e calda cui abbandonarsi.
Poi più nulla.

Continua…


(1)  Questa località non esiste. Mi serviva semplicemente un nome da attribuire ad un luogo, e mi sono limitata a “tradurre” quello del posto in cui vivo.


Si sono incontrati, visto? Anche se, temo, non esattamente come qualcuna di voi immaginava e sperava. A chi caldeggia il lieto fine chiedo ancora un po’ di pazienza…qualcosina ancora deve succedere ma vi posso assicurare che alla conclusione ormai non manca molto. Come sempre vi ringrazio stringendovi, tutte, ma proprio tutte, nel più caloroso dei miei abbracci. Siete nel mio cuore. 

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Capitolo 17
*** Voce ***


Voce

È la sua voce, nel buio fluttuante e spesso in cui è immersa, a fare da appiglio, da sostegno, da richiamo.
Dapprima tutto le è sembrato un sogno, da quando ha compreso che qualcosa l’avrebbe colpita a quando il colpo ricevuto ha trasformato il suo orizzonte in un bianco abbacinante che si è espanso, sino a travolgerla per poi risucchiarla inesorabile in uno strano universo dai contorni sempre più  grigi e sfocati.
Solo una cosa le ha impedito di arrendersi a quell’abisso denso e silenzioso… una voce.
È  la voce di André ne è certa, non può sbagliarsi, anche se tutto è sfumato e l’ombra che inghiottisce ogni luce e distorce ogni suono sta risucchiando anche le sue forze. Sarebbe cosi facile lasciarsi andare… Ma quel volto, così nitido ed inaspettato, emerso chissà come dalla nebbia, la spinge a rimanere. 
Lo ha intravisto affrontare con furia gli uomini che si accanivano contro di lei e sgominarli, feroce e letale.
Ne ha sentito le urla, mentre combatteva, ed il cozzare del ferro sul ferro ha amplificato il dolore alla testa, tanto che ha dovuto strizzare le palpebre per cercare di arginare il susseguirsi di quei lampi candidi di pura sofferenza.
Lo ha sentito chiamarla interrottamente, ogni istante, e la sua voce, seppur attutita dall’ululare feroce che le martella le tempie e che la rende simile ad un'eco, è l’unica cosa viva e vera in quel sogno brumoso che le si stringe intorno. 
Non ha smesso mai di chiamare il suo nome, anche se non saprebbe dire se con voce vera o d’anima, sin quando è  riuscito a sollevarla tra le braccia e a spostarla, il battito furioso del cuore premuto contro il suo orecchio a cullare il dolore, la frescura  bagnata di un cespuglio a raccontare del fitto del bosco in cui è  riuscito ad addentrarsi, di alte fronde e densa foschia, divenute rifugio, come il suo abbraccio profumato di un tempo che credeva perduto e che non vuole più lasciare.
E ancora, ancora ed ancora, lo ha sentito ripetere il suo nome, sino a che il respiro si è fatto più lieve e le dita si sono ammorbidite sul tessuto della sua giacca.
È al sicuro, adesso. Come non lo è più stata da mesi, da quella notte lontana di rabbia e parole che non avrebbero dovuto essere pronunciate, figlie solo dell’orgoglio e dell’egoismo.
Deve dirglielo e dirglielo subito che lo ama, che non ha mai smesso di amarlo, che è stata una pazza, una sciocca arrogante, che tutto ciò che desidera, e che ha sempre desiderato è solamente lui. Deve solo riemergere da questa incorporea nuvola grigia che la avvolge, così impalpabile ma così greve, deve solo riaprire gli occhi e poi…
È quasi riuscita a concentrarsi sul movimento da compiere per sollevare le palpebre quando la tortura pulsante che si irraggia dalla spalla ogniqualvolta compie un piccolo movimento la aggredisce nuovamente e le impedisce di parlare.
Lo sente adagiarla sul terreno e piano, sbottonare la giacca dell’uniforme e scostare la camicia, sino a scoprire la spalla e lo sente tastare piano il punto dolente, quasi cercasse di comprendere come alleviare la sua sofferenza, le mani come piume amorevoli sullo strazio che le tortura la carne. 
E, di nuovo, tra le sue labbra, il suo nome, e quella voce amata divenire una volta di più un’ancora a cui aggrapparsi per non lasciarsi trascinare via dai flutti scuri dell’incoscienza.
“Ti farò  male,” dice “ma non posso far altro”
Vorrebbe rispondere che non fa nulla, che insieme a lui nulla più la spaventa e si sente capace di affrontare ogni cosa ma già una presa forte, sul polso ed al gomito, trasforma il dolore in un cristallo rovente che esplode, nella sua testa, in milioni di frammenti abbacinanti, che si moltiplicano, feroci ed infiniti,  quando quella stessa presa obbliga il braccio a ruotare.
Poi, in un istante di pausa, altre parole, un balsamo morbido in quell’universo divenuto aspro e dolente. “Resisti Oscar… ho  quasi fatto…”
Di nuovo, vorrebbe annuire ma non ci riesce. Si aggrappa al suono delle sue parole, alla sua voce rimasta uguale a come la ricordava: dolce, calda ed amorevole. E cosi sua…
Uno schiocco, ed un risucchio ad accompagnare l’ultima esplosione di sofferenza, così  grande da spezzarle il respiro, ed un ultimo pensiero incoerente ma innegabile, la certezza più  assoluta che abbia mai avuto. “Non voglio più lasciarti,  André, mai più….” 

C’è un’altra voce a farsi strada nel rimbombare sordo che le martella le tempie, ora.
Sconosciuta, questa, ma profonda ed intensa. “Avete fatto davvero un ottimo lavoro amico mio… se non aveste subito ridotto la lussazione l’articolazione avrebbe potuto subire danni gravissimi….”
Ode un sospiro poi, quando già il suo cuore stava incominciando a sentirne la mancanza, la voce di Andrè. 
“E che mi dite del colpo che ha ricevuto dottore? Quando l’ho vista perdere i sensi ho temuto…”
Le parole si incrinano, vinte dalla paura e da una stanchezza cosi grande da rieccheggiare sino a lei.
“Non preoccupatevi. È probabile che il mancamento sia dovuto al dolore lancinante provato nel riportare la spalla nella sua sede. Quanto al colpo alla testa...”
La voce dell’uomo che André ha chiamato dottore non  può nascondere un poco d’inquietudine, quando prosegue. “Dobbiamo attendere che si svegli, per valutare la situazione”
Sente un rumore di passi, poi di nuovo la voce sconosciuta.
”Fatemi chiamare, non appena si sveglia … e vi prego, riposate…. Aggraverete solo la situazione se crollerete anche voi…”
Il discorso prosegue ma il cigolio di una porta nasconde le voci e nel luogo i cui si trova torna il silenzio.
E, subitaneo, un terrore inspiegabile torna ad avvolgerla e a toglierle il respiro, quasi che senza quella voce, e quella presenza, nuovamente si sciogliesse ogni legame col mondo reale o non vi fossero motivi per cui il suo cuore dovesse continuare a pulsare.
Prova ad arginare la paura che la sta risucchiando, ed a raccogliere le forze per  richiamarlo vicino a sé  ma la voce non risuona che nella sua testa, tanto che le pare di essere prigioniera di uno di quei sogni terribili, in cui ci si affanna per urlare senza riuscirci: il panico si ingigantisce e si trasforma in un artiglio gelato che le serra la gola, le orecchie invase da un ronzio stridente in cui la consapevolezza di essere sola la fa tremare, annichilita ed impotente. Poi di nuovo, un attimo prima di soccombere al buio in cui galleggia e dal quale non riesce a fuggire, qualcosa la salva.
Un tocco, stavolta, una stretta gentile e calda alle sue dita abbandonate ed un balsamo amorevole che si diffonde lento e supera ogni barriera, pelle e sangue ed ossa, per giungere diretto e potentissimo sino al cuore. Un balsamo che racconta di una parte della sua anima  ritrovata, che reca ricordi dolci d’infanzia e racconta di un amore così  grande da superare ogni barriera. Che lenisce e conforta e rassicura. Che la guida, caldo, nel sonno quieto che tutto può  riparare, le parole sussurrate vicine al suo orecchio l’unico medicamento di cui ha bisogno. 
 
*** *** ***

Si appoggia un istante al massiccio del battente, la fronte posata sul fresco del legno, per raccogliere le forze dopo aver salutato il Dott. Delacroix.
Il tonfo del battente, che chiude fuori il resto del mondo, gli dà la forza di prendere un respiro profondo, rassicurato da quel silenzio ovattato, ulteriore conferma, dopo la confusione rumorosa del loro arrivo e dell’assistenza di cui avevano avuto bisogno, che quell’incubo terribile è davvero finito.
Si volta piano, ancora  timoroso che non sia vera, quella figura diafana distesa nel letto, le coltri ben rimboccate.
È da quando è piombato in quella radura e l'ha vista a terra, quasi travolta dalla furia dei suoi assalitori, che fa fatica a riacquistare il contatto con la realtà.
Ogni pensiero, ogni gesto, ogni respiro si è cristallizzato su quell’immagine, su quel volto bellissimo e contratto per la sofferenza e sulla luce che ne ha illuminato lo sguardo quando lo ha visto arrivare… C’era la vita che aveva desiderato con lei, in quell’azzurro. C’era amore e desolazione e solitudine e speranza… c’era lui, e l’emozione con cui si erano donati l’un l’altra la prima volta, in quello sguardo.
Aveva sentito la sua anima destarsi e impetuosa riprendere vita, mentre scendeva con un balzo da cavallo e sguainava la spada, la spossatezza di quelle ore faticosissime improvvisamente dimenticata. L'aveva sentita, quella stessa anima raggiungere quella di Oscar e serrarvisi forte, incastro arcano e perfetto che non aveva dimenticato il percorso da compiere…
E non avevano più smesso di raccontarsi e cullarsi le loro anime, da quell'istante preciso. Ne sente il canto potente anche ora, mentre si avvicina al letto e si siede sulla sedia  che lo affianca, la mano protesa a cercare la seta fredda di quelle dita abbandonate sul lenzuolo, candide quanto la stoffa.
Un brivido lo percorre, mentre le ricopre con il palmo e stringe piano, un respiro che è insieme sollievo e stupore a riempirgli i polmoni.
È arrivato in tempo, è viva. È lì con lui, bellissima e pallida, una delle chemise di seta di Elise ad incorniciare il collo niveo deturpato dal carminio di un graffio che il medico ha deterso dal fango di cui era cosparso. La mano lascia le dita per raggiungere una guancia, pallidissima anch'essa, e dopo una lieve carezza, scende a scostare un ricciolo che quel graffio lo sfiora, nel tentativo di alleviarle anche il piccolo fastidio che quel contatto di piuma potrebbe arrecarle.
Il respiro gli si spezza, quando ritrova quelle ciglia d'oro, fermissime nell’abbandono dell'incoscienza.
“Ho creduto di morire, Oscar” sussurra “quando ti ho vista a terra…”
Il terrore torna a percorrerlo mentre rivive, attimo dopo attimo, ogni parte di quella sequenza terribile di eventi.
Il legno impietoso che si era abbattuto su di lei prima che potesse far qualcosa per impedirlo, il piccolo gemito con cui si era accasciata al suolo, a riempirlo della furia necessaria per affrontarli tutti e tutti sgominarli prima di chinarsi su di lei, il petto ansante e la gola prosciugata dalla sofferenza, per stringerla in un abbraccio e sollevarla e poi correre, correre nel fitto della vegetazione, al riparo, lontano dall’irrompere impetuoso delle guardie chiamate a rinforzo che in fretta avevano avuto la meglio sui malviventi rimasti, e chiamarla, chiamarla, chiamarla… aveva ripreso a respirare solo quando le sue dita avevano trovato, sotto la rigidezza del colletto, il pulsare lieve della sua gola umida di capelli madidi di sudore. Solo allora se la era stretta al petto, la spada ad intralciarlo e renderlo goffo e maldestro, le ginocchia nel fango ghiacciato e aveva pianto, lunghi singhiozzi nervosi e lacrime calde ad inondargli il viso di incongruo sollievo.
Poi l’istinto, richiamato dal lamento di Oscar, aveva guidato i suoi gesti. Aveva percepito il gonfiore innaturale sotto la giacca, e ritrovato il profumo della sua pelle di latte che gli si svelava mentre le slacciava l’uniforme. A cancellare ogni emozione era stato l'orrore dell'articolazione lussata, ed il sudore gli aveva imperlato il viso mentre ritrovava le nozioni apprese dai libri di medicina e si cimentava  per arrecare sollievo a quel corpo offeso.
Le lacrime lo avevano quasi accecato al suono orribile che avevano prodotto le membra straziate di lei mentre le maneggiava e al suo pietoso dimenarsi, per provare invano ad opporsi al dolore. Aveva atteso qualche minuto, cullandola piano, poi aveva immobilizzato il braccio con lunghe strisce di stoffa strappate al suo mantello ed aveva atteso che la confusione nella radura poco lontana si placasse, il corpo inerte di lei stretto al petto ed uno strano istinto a cui non era riuscito a dar nome a spingerlo a tenersi nascosto, a non rivelarsi, a proteggerla, sua soltanto forse per la prima volta nella sua vita. 
Aveva lasciato il suo rifugio ore dopo e recuperato il cavallo era arrivato a casa, stremato, quando già il pomeriggio imbruniva.
Il resto non erano che ricordi confusi: lo zelo di domestici e del dottore che si muovevano come un ronzio soffuso ai margini del suo sguardo che non si era staccato dal volto cereo di lei, nella mente un unico dirompente pensiero. 
Lo sussurra piano, adesso, per la prima volta, spaventato e confortato al tempo stesso dall'importanza di quelle parole che ha trovato la forza di formulare ad alta voce. 
“Non ti lascio più “ sussurra, mentre ritrova il diaccio delle dita bianche di lei e lo intreccia alle sue. “Non ti lascio più…”
Ne è certo, come mai lo è stato di qualcosa prima d'ora.
A costo di rinnegare se stesso e la sua anima, a costo di spezzare, vigliacco ed imperdonabile ogni suggello con ciò che è diventato.
Non l'avrebbe perduta un'altra volta. Il suo cuore, ne era certo, non sarebbe stato in grado di sopportarlo.
Stringe appena quelle falangi tenere mentre si china su di lei e le labbra trovano la seta dei suoi capelli, la guancia appoggiata sul cuscino e gli occhi che si chiudono sommersi dal baluginare di tutto quell’oro.
L’ultimo pensiero coerente è la voce stessa della sua anima: “Non ti lascio più, Oscar”

Continua…

A tutte coloro che sono giunte fin qui, malgrado i miei tempi sempre più lunghi, grazie.
Vi abbraccio tutte.

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Capitolo 18
*** Colpe ***


Colpe 

“È colpa sua, ne sono sicuro!”
La vocetta adirata arriva sino ad Oscar, permeata di tutta la rabbia che contiene, malgrado lo spessore dei muri che ha dovuto attraversare.
“Se non fosse arrivata lei…” il resto del frase è  coperto da un piccolo frastuono di mobili spostati e, malgrado tenda l’orecchio, non le è più  possibile udire nulla. Poi di colpo, cessato il rumore di sottofondo,   di nuovo, nitidissime, le urla:  “Monsieur André non mi avrebbe mai...“
All’udire quel nome, malgrado la voce lontana risulti di nuovo oscurata dal sovrapporsi di altre voci ed altri movimenti, Oscar appoggia il libro sulle ginocchia, i sensi improvvisamente tesi.
C’è qualcosa in quel tono che la mette in allarme, che conferma in modo incorporeo ma inconfutabile la sensazione che André  le abbia nascosto qualcosa sin dal primo istante in cui ha aperto gli occhi, più di dieci giorni prima e si è specchiata nel suo sorriso, trovando nei suoi occhi verdi segnati di stanchezza il traguardo di quel viaggio lunghissimo che aveva dovuto intraprendere per tornare alla luce.
Un brivido ancora la percorre nel ricordare il sollievo che ha provato, nel comprendere che la sua mano era davvero capace di stringere e sentire quella di lui, dopo il tempo, lunghissimo che le era parso di trascorrere sospesa in un fumo incorporeo  che la imprigionava,  malevolo ed opprimente, e le impediva di raggiungerlo, malgrado tutti i suoi sforzi.
Ricorda la sua voce nitida e calda chiamarla e le sue mani salire premurose alla fronte per poi dispensare una   carezza leggera alla sua guancia,  gli occhi perduti nei suoi,  infiniti di un amore così  grande da non poter essere raccontato. “Sei al sicuro Oscar…” le aveva mormorato “Non temere, è tutto a posto.”
Le ci era voluto qualche istante,  per ritrovare la voce, frastornata com’era da quel ritorno improvviso ad una realtà che non comprendeva, dove ogni cosa le era sconosciuta tranne quegli occhi perduti nei suoi colmi di un amore che il tempo non era riuscito a scalfire….ma da subito, in quello sguardo aveva colto un punto oscuro, freddo ed irraggiungibile.
Un qualcosa di non detto e di non confessabile, un segreto che aveva sentito tra loro, ogni volta, in ogni singola parola che si erano scambiati da quel momento, anche in quelle frettolose e veloci con cui l’ha salutata, qualche ora prima.
Le sfugge un sospiro mentre ritrova il cordino di raso che funge da segnalibro e lo appoggia tra le pagine prima di chiudere il volume per poi riporlo sul comodino, i movimenti lenti per il ricordo delle vertigini devastanti che da quel risveglio avevano accompagnato ogni suo tentativo di alzarsi dal letto, scomparse solo da qualche giorno e l’articolazione ancora dolorante ad impedirle di muoversi con la fluidità che le è consueta.
Il medico era stato tassativo nel prescriverle riposo ed immobilità pressoché assolute. E, malgrado le sue proteste, André era stato quasi altrettanto tassativo nel costringerla tra quelle coltri bianche ed eleganti, un sorriso dolcissimo stampato sulle labbra ma lo sguardo di chi non è  disposto a cedere, mentre eludeva ogni sua domanda. Cosa era successo, al resto della scorta ed al Corteo? L’ambasciatore era in salvo? I banditi erano stati catturati?
“Ti spiegherò  ogni cosa, Oscar, ma non adesso” le rispondeva, la stretta delle sue dita sempre più forte a serrarle la mano, mentre chiudeva il discorso “ora devi pensare solo a rimetterti in forze.”
Ed in effetti, nei primi giorni, i dolori alla spalla e la nausea devastante di cui era preda ogni qualvolta provava ad azzardare un movimento, l’avevano  costretta a non insistere.
Solo nei giorni seguenti, quando gradualmente le cose avevano iniziato a migliorare e lei era riuscita a guadagnare almeno la posizione seduta, André le aveva raccontato tutto ciò che era successo la mattina dell’agguato e nei giorni precedenti, compresa la sua corsa a Versailles ed il suo colloquio con Girodel grazie al quale gli era stato possibile arrivare in tempo per trarla in salvo. 
Poi, nei giorni seguenti, via via che il recupero delle forze le aveva permesso di abbandonare il letto e mettersi seduta nella poltrona vicino alla finestra, André l’aveva informata di aver provveduto ad informare il suo comandante in seconda delle sue condizioni di salute e le aveva riportato la notizia dell’acquartieramento provvisorio del corteo a Montpellier, in attesa di nuovi ordini.
In quei giorni, mentre André si divideva tra le ambasciate da portare al contingente ed i suoi compiti a casa Guillome, Oscar aveva conosciuto il padrone di casa e la sua sposa, ed aveva cominciato ad intuire, dalle loro espressioni cortesi ma fredde, che il suo arrivo aveva cambiato qualcosa, nei loro rapporti con André,  anche se malgrado le sue insistenze questi si era sempre rifiutato di spiegarle con precisione in cosa consistesse il suo incarico presso quella famiglia.
Oscar aveva sentito spesso anche voci di adolescenti provenire da altre zone della casa, ed il pianto acuto di un bimbo molto piccolo, oltre ad un trambusto operoso di domestici e arredi spostati che faticava a pensare legato solo alla normale attività domestica, seppur in una famiglia con figli piccoli e dalle molteplici esigenze. 
Quello strano comportamento nei suoi confronti aveva reso Oscar sempre più  nervosa e sempre più insistente, ma André  aveva perseverato stoicamente nel tenerla al riparo, nella quiete della sua camera, stemperando ogni sua ansia con il più dolce dei suoi sorrisi. “La sola cosa importante è che siamo di nuovo insieme, Oscar” le rispondeva, prima di scendere a sigillarle le labbra con un bacio,  quando le sue domande si facevano più insistenti “E che non ti lascerò mai più.”
Ma, a dispetto di quelle sue affermazioni serene i suoi occhi si incupivano ed Oscar riusciva a leggervi una sofferenza greve e colpevole, che avvertiva anche nella forza con cui intrecciava dita alle sue come a suggellare il volere di quel destino che li aveva riuniti contro ogni logica ed ogni aspettativa.
Una volta solamente era stato sul punto di cedere: era successo qualche sera prima, quando era passato ad augurarle la buona notte e l’aveva trovata finalmente libera dall’imbragatura di bende entro la quale il medico aveva costretto il suo braccio fino a quel pomeriggio. Quella novità gli aveva strappato un sorriso radioso che lo aveva reso così  simile a quel ragazzo di cui  si era perdutamente innamorata anni prima da spingere Oscar a cercare il rifugio delle sue braccia, per dirgli tutto, finalmente: quello che davvero aveva compreso, sui suoi sentimenti per lui, quanto aveva sbagliato ad anteporlo alla sua ambizione, quanto aveva desiderato, in quei lunghi mesi solitari, cambiare quello stato di cose, poter diventare la sua compagna, e niente altro.
Ma, incredibilmente, appena compreso l’argomento che lei stava affrontando, André le aveva impedito di continuare. “Non c’è nulla che devi dirmi, Oscar” le aveva detto, carezzandole lieve le spalle “Sono io quello che ha sbagliato, mettendo il mio stupido orgoglio davanti ai tuoi bisogni…Ho solo preteso da te, e ti ho quasi perduta. E ti giuro che non succederà più.”
Oscar aveva provato a raccogliere i pensieri, malgrado il desiderio di abbandonarsi alle sensazioni  calde ed avvolgenti che quelle carezze risvegliavano nel suo profondo. “No, André non sei stato il solo a sbagliare, anche io…” Ma lui aveva smorzato le sue proteste con una nuova carezza, in punta di dita, dolcissima, sulle labbra, premendo piano per smorzare il suo dire “ Non c’è  nulla che devi dirmi  Oscar… sono di nuovo al tuo fianco, e ti seguirò ovunque,  qualunque decisione tu prenderai…anche se per far questo io…” lo aveva sentito esitare un attimo, come se qualcosa gli avesse artigliato il cuore con ferocia poi però le labbra avevano sostituito le dita soffocando le sue proteste con un altro bacio, impregnato di quel loro linguaggio bagnato e morbido che le loro bocche rammentavano così bene e che aveva  sostituito ogni parola.
Le sfugge un sorriso anche ora, al ricordo delle sensazioni potentissime che aveva provato quando aveva ritrovato quelle labbra sulle sue per la prima volta, e di nuovo, al ricordo, le manca il fiato….
Era stato il pomeriggio del suo risveglio,  qualche minuto dopo l’accurato controllo che il Dott. Delacroix le aveva riservato, quando aveva detto che a parer suo il colpo ricevuto alla nuca non avrebbe lasciato conseguenze, a lungo termine.
André si era avvicinato e si era seduto sul letto. Le sue mani le avevano cinto il viso, gli occhi verdi colmi di un sollievo indescrivibile. Per un attimo ogni cosa era svanita: il medico vicino a loro, che aveva appena terminato di visitarla, la nausea che il capogiro le aveva provocato, la sofferenza atroce che le dita del dottore avevano risvegliato nell’esaminare la spalla.
C’erano state solo quelle labbra sulle sue, scese d’Impeto a suggellare la felicità di saperla nuovamente cosciente. C’erano stati il loro sapore, ed il loro calore e lo stupore meraviglioso nel riconoscerle, nel comprenderne ancora il canto, immutato e perfetto malgrado le incomprensioni che li avevano tenuti lontani. 
Le sfugge un altro sospiro mentre con lo sguardo vaga nel grigio oltre i vetri.
Anche quella mattina l’ha salutata con un bacio, quando è  passato, ma rapido, quasi sfuggente, come se qualcosa, in quella giornata gli gravasse sul cuore in modo quasi intollerabile.
“Sarò  fuori tutto il giorno, tornerò  molto tardi” le aveva detto. E negli occhi, sfuggenti e cerchiati di ombre scure, Oscar aveva scorto quello stesso tormento che aveva sempre provato a nascondere, ma enormemente amplificato, divenuto quasi insopportabile, difficile da occultare.
 “Riposati” si era raccomandato, sfiorandole i capelli con una carezza leggera, prima di lasciare la stanza, senza lasciarle tempo nemmeno per rispondere al suo saluto.
Quello sguardo, così  tormentato, le aveva lasciato addosso una vaga inquietudine che quegli strilli, ora, non fanno che amplificare. Sta ancora provando convincersi che le due cose non sono collegate quando un picchiare furioso si abbatte sulla porta della camera, accompagnato dalla stessa voce, giovane e infuriata. “Aprite, accidenti, aprite!”
Si alza in fretta, incurante del piccolo capogiro che quel movimento repentino le causa e raggiunge la porta, spalancandola sull’ultimo urlo.
 La sua sorpresa è  enorme quando si scontra con il viso rigato di lacrime di un ragazzino che seduto su una strana poltrona dotata di ruote sta ancora urlando, la voce stravolta da una rabbia indescrivibile.
“È colpa vostra, è  solo colpa vostra…”


“E con questo credo di avervi raccontato tutto, Madamigella.” La voce di Dominque, seduto di fonte a lei, nel tepore del sole pomeridiano che entra dalle grandi finestre si confonde con il tintinnio della tazza da the, ormai vuota, posata sul piattino.
“Non mi resta che scusarmi, ancora un volta per il deplorevole comportamento di mio figlio. Vi garantisco che Etienne verrà rimproverato come merita.”
Lo stupore per ciò che Dominique le ha appena raccontato è così grande che Oscar fatica a trovare le parole per rispondere. “No, vi prego” le riesce infine di dire. ”non punitelo. Io… comprendo bene…” 
La voce le manca, frastornata com’è al racconto che Monsieur Guillome le ha appena fatto: il suo incontro con André mesi prima a Parigi, il suo arrivo a Montpellier come precettore dei suoi figli, la fiducia e l’affetto che aveva saputo guadagnarsi giorno per giorno,  il rapporto viscerale che aveva instaurato con Etienne e la fiducia in sé stesso che aveva saputo infondergli, l’affetto profondo che sembrava averlo legato a tutti loro e che lo aveva spinto a decidere di partire con loro per la Virginia.
E poi, a pochi giorni dal suo arrivo alla villa, spiazzante ed improvvisa, la sua decisione di rimanere in Francia  disattendendo ogni impegno preso e tradendo la promessa fatta ad Etienne, per restare accanto a lei.
Man mano che le parole erano uscite dalla bocca di Dominique, Oscar aveva compreso la portata del sacrificio che André aveva deciso di compiere per lei: rimanere al suo fianco, senza nemmeno sapere quali fossero le sue intenzioni, per non obbligarla a dover scegliere, di nuovo.
E per questo non aveva esitato a tradire la fiducia di chi in lui aveva creduto senza riserve…. Sublime, folle, meraviglioso André.
Gli occhi le si riempiono di lacrime, mentre faticosamente prova a governare il respiro. Le ci vuole qualche istante prima di riuscire a parlare.
“Sapete dove sia André,  in questo momento?” riesce infine domandare.
 “Certo” risponde l’altro, pur senza capire il motivo di quella domanda “ Ha voluto sovrintendere personalmente al trasferimento dei nostri bagagli verso Marsiglia. Ha molto insistito per potersene occupare, dicendo che almeno questo me lo doveva.” 
Prende un lungo respiro prima di parlare, quasi per avere il tempo di riordinare le idee ed il suo viso impallidisce ulteriormente nel sole tiepido che la illumina, ma quando si rivolge all’uomo seduto di fronte a lei la sua voce è fermissima “Ho bisogno di chiedervi un favore, Monsieur Guillome...”

La mezzanotte è passata da un pezzo quando André percorre con passo stanco il corridoio che lo conduce verso la camera occupata da Oscar.
Sa che sarà già  addormentata ed è  fermamente intenzionato a non svegliarla ma vuole vederla, anche solo per pochi minuti. Perché il bisogno di lei, da quando l’ha ritrovata, è divenuto vitale, ed è  sicuro che cesserebbe di respirare immediatamente se fosse privato della vista del suo viso o se non potesse più respirare l’aroma inconfondibile della sua pelle. 
Preme piano sulla maniglia, attento a non fare rumore e si muove sicuro sui tappeti che coprono il pavimento… appoggerà la fronte ai suoi capelli, per godere un istante della loro seta, poi se ne andrà, la lascerà riposare.
Avranno tempo, per loro, nei giorni che verranno.
Tutto sta per compiersi e, per quanto doloroso sia stato prendere la decisione che ha preso, il cuore lo rassicura ancora una volta: nulla e nessuno, a questo mondo, è tanto importante da tenerlo separato da lei….
C’è la luna ad illuminare l’alcova e l’argento dei suoi raggi tramuta il suo respiro in ghiaccio quando scorge le coltri perfettamente composte ed un biglietto ripiegato sul cuscino.
La mano gli trema, mentre lo afferra ed il tremito continua, talmente forte ed impietoso che per poco lo stoppino non gli sfugge di mano, quando prova ad accendere la candela posata sul comodino.
È la grafia elegante di Oscar, quella che si snoda sul foglio, poche parole che hanno il potere di trafiggergli l’anima.

"Non permetterò che tu faccia questo, per me. Mantieni la tua promessa, ti prego."


continua...



…E voi non uccidetemi, vi prego. Lo so che vi aspettavate altro ma non posso farci nulla, il destino che li governa ha voluto così. 
Come sempre, a costo di sembrarvi ripetitiva, GRAZIE. A tutte, ma proprio tutte, tutte, tutte.
Un abbraccio.




 

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Capitolo 19
*** Tempo ***


Tempo

“Mantieni la tua promessa, ti prego…”
Quelle parole gli ridondano dentro, respiro su respiro, battito su battito. 
Non riesce a pensare a nulla, che non siano quelle lettere eleganti ed accurate che in un solo attimo hanno fatto della sua vita un mucchio di pietosi sogni spezzati.
Nei minuti eterni che impiega per lasciare la camera degli ospiti ed uscire all’aperto, il bisogno d’aria divenuto di colpo un’urgenza inderogabile, tutto quanto lentamente  si pietrifica, nel suo cuore, ucciso dalla scelta senza ritorno che quelle poche parole hanno espresso. E pietra diventa anche lui, gelida e senza vita, nelle ore che passa seduto su quel gradino impregnato di umidità, il ricordo di quelle labbra morbide sotto alle sue e la consapevolezza che non gli sarà mai più dato assaporarle, a condurlo nel nero sempre più fondo della disperazione man mano che immagina ciò che può aver spinto Oscar a scrivergli quel messaggio cosi ultimativo.
Di certo deve aver scoperto le sue intenzioni, e soprattutto chi e che cosa lui si sarebbe lasciato alle spalle, per tornare al suo fianco.
E l’enormità dello sbaglio compiuto, nel tacergli ciò che era divenuto ed aveva promesso, deflagra muto e terribile nel silenzio immoto del giardino striato di nebbia. 
Ancora una volta i silenzi della ragione si sono imposti sul sussurro dolce del cuore… ancora una volta ha cercato di proteggerla, di non imporle nuovamente una vita che di certo non l’avrebbe resa felice ed ancora una volta ha sbagliato.
Ed ora…
Quasi non si accorge dell’arrivo di Dominique, se non quando questi si siede accanto a lui, sui gradini di casa, e senza dire una parola gli sfila dolcemente il biglietto di Oscar che ancora tiene stretto tra le dita intirizzite, per scorrerlo veloce con lo sguardo.
L’alba è sorta da poco, a colorare di ghiaccio color cipria il cielo e le punte degli alberi.
“Mi spiace, André…” mormora l’uomo riconsegnandogli il foglio “Quando mi sono reso conto di quello che voleva fare, l’ho pregata di aspettarvi, ma… non ha voluto ascoltarmi. È una donna davvero determinata, la vostra Oscar…”
Un sospiro doloroso attraversa il petto di André,  prima che gli riesca di parlare, la gola arrochita dalle lunghe ore passate all’addiaccio.
“Voi non potete immaginare quanto, Dominique… Testarda e cocciuta e determinata e…”
La voce gli si spezza e le mani si muovono a sorreggere la testa divenuta di colpo incapace di sostenere il peso di tutti quegli errori, di quelle scelte senza ritorno che lo hanno portato a quell’aurora  solitaria e disperata.
“E perduta…” mormora, “stavolta per sempre…”
Dominique rimane in silenzio un istante,  prima di posargli una mano su una spalla e stringere forte.
“Se avete idea di dove sia andata potete provare a raggiungerla. Mi ha chiesto di poter utilizzare una delle mie carrozze per andarsene e a cavallo potreste facilmente recuperare il vantaggio che ha su di voi…”
André non attende nemmeno che termini di parlare per scuotere il capo con vigore, senza staccare gli occhi dal suolo.
“No, Dominique, non servirebbe a nulla, credetemi. Oscar ha compiuto la sua scelta e so anche perché lo ha fatto. Gliel’ho letto negli occhi in questi giorni …”
Si ferma, trafitto da una stilettata azzurra come era stato quello sguardo che tante volte aveva domandato la verità al suo. Vorrebbe continuare a parlare ma le parole si rifiutano di uscire, inadeguate come sono, se ne rende conto, per spiegare che aveva letto l’amore, in quello sguardo trasparente, quel tipo di amore che da sempre aveva desiderato da Oscar, quello puro ed incondizionato che non tollera bugie e non accetta compromessi.
Ed in nome di quell’amore, che lui stesso le aveva troppe volte rinfacciato di non saper provare, Oscar non aveva voluto che lui sacrificasse nuovamente ogni cosa per lei.
Aveva scelto di lasciarlo libero, semplicemente.
La stretta di Dominique si intensifica per un istante, come a volergli trasmettere tutto il suo sostegno. “Dovreste entrare adesso, André, e bervi qualcosa di caldo o vi ammalerete” dice poi, alzandosi.
C’è tutto l’affetto sincero che quell’uomo buono ed intelligente prova per lui in quelle parole, ed André lo comprende bene. Ma il luogo in cui si trova ora il suo cuore è così freddo e così desolato che ci mette qualche istante prima di rispondere. Poi il richiamo colmo d'amicizia di quelle parole aprono suo malgrado una minuscola breccia nella roccia che ormai gli ricopre il cuore.
Asserisce con un piccolo cenno, ed un sospiro. “Vengo subito, Dominique, vi ringrazio”.  
C’è tutta stanchezza di quella lunga notte insonne, e di tutti gli sbagli che il troppo amore per quella creatura preziosa ed insostituibile gli ha fatto commettere, quando si alza da quel gradino gelido e con passo quasi meccanico si avvia verso l’interno, consapevole che almeno, a scaldare la sua anima divenuta ghiaccio, troverà  gli occhi nuovamente fiduciosi di Etienne.
 
**** *** ****
 
“Fate correre quei cavalli, dannazione!” la voce di Oscar, sebbene offuscata della stanchezza e della sofferenza che quel viaggio a tappe forzate ancora le procura, risuona colma della frustrazione che il non potersi muovere in autonomia le causa. 
Ha lasciato Montpellier nella mattinata e sa che non potrà  giungere a Palazzo Jarjayes prima del giorno dopo. E anche sperando che il colloquio con suo padre possa svolgersi nel miglior modo possibile, ci sono poi parecchie altre incombenze cui dovrà provvedere, per cui  difficilmente riuscirà  a ripartire in giornata.
Questo significa che le resteranno due giorni per riuscire a…
"Oddio, è davvero pochissimo tempo!" Mormora tra sé mentre aggrotta la fronte e, a quel pensiero, il cuore accelera, gravato dall’ansia.
Deve farcela, deve...
Una fitta di dolore alla spalla ed un piccolo capogiro la obbligano a chiudere un istante gli occhi e ad appoggiarsi allo schienale imbottito del sedile, la rabbia che si trasforma in minuscole goccioline di sudore ad imperlarle la fronte.
Il fattore tempo è determinante. Se qualcosa non dovesse funzionare così come lo ha programmato….
Quel pensiero, ed il vuoto nel cuore che esso gli causa sono sprone per rialzarsi, incurante di ogni sofferenza e sporgere imperiosa la testa fuori dal finestrino per spronare ancora una volta il postiglione.
“Vi ho detto di correre, avete capito? Ho maledettamente fretta!”
 
**** *** ****

L’ultimo baule, quello con le sue poche cose ed i libri che il Dottor Delacroix gli ha prestato, è pronto.
Controlla un’ultima volta che le lettere che il medico ha scritto di suo pugno per il suo collega americano siano al loro posto, ben custodite in un involto di tela cerata che le dovrebbe difendere dall’umidità e dalla salsedine cui saranno esposte nella stiva della nave.
In accordo con Dominique hanno pensato che dovrà occuparsi lui di spiegare al medico che provvederà ad Etienne in Virginia tutti gli esercizi cui insieme hanno sottoposto il ragazzo, in quanto è stato André a prendersi cura di lui e ad aiutarlo a metterli in pratica.
Mentre abbassa lentamente il coperchio del piccolo baule bordato di cuoio non può non ripensare alla resistenza opposta dal piccolo ai suoi primi tentativi di convincerlo a provare quella strana e purtroppo dolorosissima ginnastica.
C'erano voluti tutta la sua pazienza e la sua capacità di persuasione per convincerlo prima a vincere la paura della sofferenza e poi a spronarlo a sfidare i suoi limiti.
Sorride, al ricordo dei sorrisi stremati ma luminosissimi che avevano accompagnato ogni piccolo, grande risultato ottenuto: sorrisi pieni di luce, in grado di spazzare via la notte dell’anima in cui aveva vissuto in quei mesi interminabili. E c’è il rimando a quella luce, nel piccolo scatto della serratura che si chiude, quasi a rammentargli tutto ciò che sarà la sua vita, quando quella nave lo porterà via dalla Francia per sempre: un universo freddo e grigio, nel quale si è imprigionato da solo, rischiarato solamente dalla felicità immensa che ha acceso gli occhi neri di Etienne, quando due giorni prima, in quella mattina desolata  di nebbia e solitudine, gli ha comunicato che sarebbe partito con loro.
Si rialza e con un movimento stanco afferra il baule per depositarlo nel corridoio, dove sa che uno dei domestici passerà a prenderlo. L’attività è frenetica in quelle ore e quasi tutto il personale è impegnato a caricare sul carro, che l’indomani mattina seguirà  le due carrozze, gli ultimi bagagli.
Tra poco scenderà anche lui a dare una mano, le cose da fare sono ancora tante, in quelle poche ore che li separano dalla partenza alla volta di Marsiglia per imbarcarsi.
Rinchiude la porta e vi si appoggia, come per riordinare le idee, concentrato su quell’ultimo compito da adempiere e che si concretizzerà in quei due fogli bianchi che lo attendono, muti, sul ripiano dello scrittoio.
Deve scrivere a sua nonna per dirle addio… e vuole scrivere ad Oscar per dirle che manterrà fede alla sua promessa, come lei gli ha chiesto di fare. Ma quanto dolore tutto questo gli causerà già sa che non sarà mai in grado di spiegarglielo….
 
**** *** ****

L’espressione impietrita di suo padre la accompagna, mentre percorre a ritroso il lungo corridoio a scacchi, il battito furioso del cuore che quasi sovrasta la cadenza ritmica e sicura dei suoi passi sul marmo lucido. 
Ogni cosa si è avverata esattamente, come nel progetto che aveva immaginato in quelle lunghe ore di viaggio, quasi che ogni evento sia stato guidato da un arcano potere. Ciascuno degli avvenimenti che si sono susseguiti in quella mattinata le si ripropone alla mente mentre continua a camminare verso i suoi appartamenti: l’espressione di gioia e sollievo che si era dipinta sul volto di suo padre, stranamente presente a Palazzo a quell’ora inconsueta del mattino, nel vederla sana e salva dopo giorni e giorni passati senza avere sue notizie, lo sgomento che aveva sostituito la letizia quando aveva udito ciò che lei gli aveva detto, la voce ferma malgrado la stanchezza che le cerchiava gli occhi.
“Non cambierò idea, padre," aveva proclamato, calmissima, dopo avergli spiegato il motivo per cui era tornata e le sue intenzioni per il futuro.
“Ho scelto davvero, questa volta e per impedirmi di vivere come davvero voglio non avete che un modo.” Aveva sguainato la spada, con un gesto sicuro, e l’aveva posta tra le mani di suo padre.
“Uccidetemi, qui ed ora.”
Si era inginocchiata davanti a lui ed aveva chinato il capo.
“O lasciatemi libera di vivere come il mio cuore desidera”
I minuti successivi allo spegnersi dell’ultima delle sue parole erano stati i più intensi della sua vita.
Non avrebbe saputo dire quanti ne erano trascorsi, se pochissimi o infiniti.
Sapeva solo di aver fatto l’unica cosa davvero giusta da quando aveva scoperto di amare André: regalarsi la possibilità di vivere quell’amore fino in fondo, senza menzogne e senza riserve.
E se ciò non fosse stato possibile tanto valeva morire.
Aveva sentito il respiro di suo padre farsi sempre più affannoso, ma il braccio che impugnava l’arma non si era mai levato. Quando aveva udito il rumore del metallo che cozzava sul pavimento aveva alzato gli occhi e aveva scorto le lacrime, in quelli di suo padre. 
Non aveva parlato, il Generale, ma il suo capo si era chinato in un impercettibile cenno di assenso. 
Le stesse lacrime avevano baluginato nel suo sguardo mentre si rialzava e lasciava lo studio, qualcosa di molto simile al suono di un singhiozzo che proveniva dalle sue spalle.
Non si era voltata, sapeva bene che mai suo padre avrebbe voluto mostrarsi piegato dal dolore. Lo aveva salutato con la mano già sulla maniglia.
“Addio, padre “ aveva sussurrato, cercando a sua volta di trattenere il pianto, “Vi ringrazio per avermi fatta diventare ciò che sono.”
Scorre ancora sulle guance quel pianto quando raggiunge la sua camera e scrive con precisione tre diverse missive.
La prima, la più lunga, è destinata a sua madre e contiene tutte le informazioni che Dominique le ha fornito nel loro colloquio di qualche giorno prima, e la preghiera a farne buon uso qualora la situazione in Francia dovesse ulteriormente degenerare.
La seconda è per Girodel, per ringraziarlo dell’aiuto dato ad André e per informarlo di comunicare a Sua Maestà che ha lasciato il suo incarico di Comandante della Guardia del nuovo ambasciatore, unitamente alle sue scuse.
L’ultima è la richiesta di congedo illimitato in seguito alle ferite riportate durante l’aggressione subita qualche giorno prima, che potranno essere certificate dal Dottor Delacroix di Montpellier, destinata al Generale Bouillet.
Lo sguardo corre immediatamente all’orologio sulla mensola del caminetto, subito dopo aver apposto la sua firma sull’ultimo messaggio e le sfugge un sospiro, che è insieme ansia e stanchezza, mentre sigilla i tre fogli, ma non c’è esitazione quando lascia la camera, diretta agli appartamenti della servitù. 
Deve fare presto, non c’è più molto tempo…
 
**** *** ****

“Siamo tutti pronti?” La voce di Dominique risuona nella nebbia dell’alba e la frase non fa in tempo a disperdersi nella bruma che dalla carrozza risuonano le vocette eccitate di Jules ed Etienne: “Prontissimi, Padre!”
“Anche voi siete pronto, André?” domanda l’uomo rivolgendosi a lui, chiuso nel suo mantello ed in sella al suo fianco, con uno sguardo greve di preoccupazione.
Lo sbuffare nervoso dei cavalli è l’unico suono che riempie il silenzio per alcuni istanti. Poi la voce di André, sicura, malgrado il suo sguardo, opaco come la nebbia che li circonda.
 “Prontissimo, Dominique. Andiamo.”

Continua….

È solo questione di tempo, dunque…. Soprattutto di quello che io continuo a non avere, e che ancora una volta mi ha tenuta così a lungo lontana voi. Ma manca poco, pochissimo davvero. E vi giuro che ci provero’ a non sparire più così a lungo. 
Per l’attesa, la pazienza e tutto il resto, come al solito…GRAZIE!









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Capitolo 20
*** Epilogo ***


 
Epilogo
 
Benché impazziscano saranno sani di mente,
Benché sprofondino in mare ritorneranno a galla
Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;
E la morte non avrà più dominio.”

“La morte non avrà più dominio" – Dylan Thomas



La mano di Oscar, bianchissima ed eterea, le lunghe dita protese verso le sue, così vicine da percepirne il calore, il palpito lieve di un sospiro sereno a dividerle dalla sua mano, le dita a guisa di culla pronte ad accoglierle e stringerle forte e custodirle… vicine, vicinissime, ancora un respiro soltanto e si troveranno, ne è certo e si stringeranno forte, per non perdersi nella nebbia spessa ed insidiosa che pian piano ha preso ad avvolgerle.
Le vede tendersi ancora, ed invano provare a sfuggire alla bruma, e brancolare ormai quasi avvolte di grigio, disperate, per trovare le sue anch’esse scolorite e sfuggenti, poi un singhiozzo desolato a sottolineare la fine di ogni speranza, e nient’altro che nebbia e nebbia e nebbia…
Si sveglia di soprassalto, André, i rumori sconosciuti di quella locanda a due passi dal porto, a riportarlo impietosi alla realtà, così sinistramente simile al grigio di quel sogno che ha appena abbandonato.
Una realtà che si concretizzerà tra poche ore, quando la nave leverà le ancore e prenderà il mare, in rotta verso il nuovo mondo. Richiude un attimo gli occhi, e si impone di governare il respiro per non lasciare che la disperazione abbia il sopravvento: dovrà abituarsi a convivere con il grigio che ormai colora la sua anima e uccide il suo cuore.
Una vita senza Oscar, una vita senza amore. Una vita senza vita…
 
**** *** ****
 
“Devi stringere, Marie, quel tanto che basta per tenermi ferma la spalla. Ma il polso e la mano devono essere liberi, o non riuscirò a reggere le briglie ed a governare il cavallo… Proviamo di nuovo, ti prego” la voce di Oscar risuona chiara, sotto le alte volte affrescate, solo lievemente percorsa dall’ansia  che ogni istante di più le contrae lo stomaco in una morsa dolorosa.
Il tempo che le rimane è  davvero poco e non può permettersi di perderne ulteriormente rifacendo il viaggio in carrozza. Deve per forza cavalcare, se vuole avere una speranza di arrivare in tempo.
Prende un piccolo respiro prima di tornare a parlare, provando a trasmettere una sicurezza che non è certa di possedere alla donnina in preda ai singhiozzi che ha davanti “Andrà tutto bene, ne sono sicura, ma devi aiutarmi…” ne cerca lo sguardo acquoso e raccoglie la guancia umida in una carezza “Ti prego, nonna…”sussurra, “Non posso farcela senza di te…”   Non sa se per il tono di supplica dolente con cui hanno risuonato le sue parole, o per quell’appellativo -nonna- che da anni non usava ma Marie si riscuote e gonfia il petto risoluta “Ci riuscirò, bambina, questa volta” le sente dire mentre le dita segnate dagli anni e dal timore che le fa vibrare si riappropriano dei lembi ormai sfatti del bendaggio “E Che Dio mi perdoni, se ti assecondo in questa follia….Non dovrei farlo lo so, ma non potrei mai perdonarmi, se non lo facessi…”
Un piccolo sorriso muove le labbra di Oscar mentre sente la stoffa serrarsi forte sulla sua pelle ma il sollievo svanisce non appena gli occhi si posano sull’orologio che, impietoso, continua a ticchettare dalla mensola del camino. Attende che l’ultimo nodo sia ben stretto, poi mentre l’anziana governante la aiuta a rivestirsi le indica con lo sguardo le tre lettere sigillate che ha lasciato sullo scrittoio. “Ho un ultimo favore da chiederti” dice racchiudendo nelle sue le mani di Marie che, malgrado il tremito, stanno provando a chiudere i bottoni del giustacuore. “Devi far giungere a destinazione queste tre lettere…non ho tempo di farlo personalmente ma sono di vitale importanza, soprattutto quella destinata a mia madre…” Solo a lei infatti ha rivelato dove è diretta e solo a lei ha parlato della generosa proposta che le ha fatto Dominique, durante quella loro lunga chiacchierata di fronte al sole morente, qualche pomeriggio prima: ospitare l’intera famiglia Jarjayes nella sua tenuta in Virginia, qualora la situazione politica della Francia fosse degenerata al punto da far temere per la loro sicurezza personale. “Devi recarti a Versailles e consegnargliela di persona. E…” la voce le si incrina, suo malgrado e si arrochisce di un singhiozzo a stento trattenuto “E devi dirle che le voglio bene, che gliene ho sempre voluto tanto e che…”non le riesce di continuare, ma sa che Marie ha compreso, lo percepisce dalla sua carezza, che, lieve come una piuma sale a disciplinare un ricciolo sfuggente dietro l’orecchio.  “Glielo dirò, bambina, non temere… “ sussurra, mentre fa un passo indietro.” ma ora và… Vai a prenderti la vita che hai scelto.”
Un ultimo sguardo ad abbracciare ogni cosa, mentre quelle parole la percorrono, e invadono ogni fibra del suo essere.
Un ultimo respiro a salutare tutto ciò che è stata, il cuore già lontano, a respirare l’aria salata di un porto e quella sconosciuta di un mondo nuovo.
Le palpebre scendono a velare gli occhi per raccogliere le forze e farsi pervadere da un’unica certezza: giungerà in tempo. Non baderà a nulla, né al freddo, né alla stanchezza, né alla sofferenza.
Nulla la distoglierà dal proposito di raggiungere quella nave ed André…perché la sua vita, senza Andrè non avrebbe più senso. Sarebbe una vita senza vita.
**** *** ****
 
Lo scricchiolio delle assi consumate della tolda. Lo stridio dei gabbiani, in tuffo continuo alla ricerca dei rifiuti lanciati fuori bordo dai marinai. Il fruscio del vento, lievissimo, tra le cime allentate. L’odore inconfondibile, salmastro e putrido insieme che immagina, impregna ogni porto del mondo…
Si concentra con determinazione su ciascuno di quei particolari mentre percorre il ponte, diretto a poppa, lo sguardo già perduto all’orizzonte, deciso a non guardare un solo attimo in più quella terra amatissima ed odiata dove sta lasciando la parte migliore di sé. Cerca il fragore dei flutti oltre le barriere del porto, bianchissimi di spuma e indomabili, nel loro moto incessante, quelli che tra poco lo condurranno lontano. Cerca la loro forza, per sostituirla alla sua, per resistere alla tentazione di disattendere alla volontà di Oscar e scendere da quella nave come una furia e cercarla ovunque, e abbracciarla così stretta da non perderla mai più, fino alla fine del tempo.
Deve stringere forte i pugni sotto al mantello per dominarsi, le orecchie assordate dal rumore feroce del sangue che si tramuta nel suono di un galoppare furioso così nitido da mozzargli il respiro…” Oscar!”
Si rende conto di aver trattenuto per un soffio la voce, tanto è stato potente il sentire di lei che lo ha percorso, quasi fosse vicina, quasi lo avesse chiamato, invocato. Lo sente ancora quel battere furioso di zoccoli e di cuore che tutto sovrasta, che gli nasconde anche la voce di Dominique, giunto accanto a lui.
Si riscuote al suo tocco e prova ad abbozzare un sorriso scorgendone lo sguardo preoccupato. “Vi sentite bene, André?”. È difficile dissimulare la confusione di quel momento, non saprebbe spiegare ciò che ha percepito se non attribuendolo allo sfogo di un dolore troppo grande da sopportare o raccontare. “Sì,“ risponde dopo un respiro profondo. “Sto bene, non preoccupatevi. Io volevo solo stare…” un singhiozzo ricacciato nella gola, per la bugia e per la  disperata consapevolezza che il momento del distacco è arrivato e non vi sarà ritorno “volevo solo rimanere un istante da solo con i miei pensieri. ” L’altro sospira sollevato e abbozza anch'egli un sorriso “Ero venuto per chiedervi di raggiungerci a prua, i ragazzi vi vorrebbero con noi, quando leveranno le ancore. Ma se preferite rimanere da solo...” Un altro sforzo, immenso, per resistere alla tentazione di negarsi, per annientarsi fino in fondo nella sua disperazione, poi l’affetto per quei giovani cuori che sono tutto ciò che gli resta ha la meglio. “No, vi raggiungo volentieri, davvero, ” risponde avviandosi verso Etienne e Jules “Andiamo…”
 
**** *** ****
 
Non deve chiudere gli occhi. Non deve cedere. Anche se la sofferenza è cresciuta a tal punto da divenire uno stato mentale, cupo e opprimente, che sta minando le sue ultime forze.
Non sente più il braccio, e la spalla irradia ovunque stilettate di fuoco, così devastanti da farle desiderare nient’altro che oblio, quale che sia l’evento a portarglielo. Non manca molto, lo ha compreso da un po’nel mutarsi dell’aria divenuta più  dolce e nel paesaggio dove i cespugli di ginestra hanno preso il posto di alberi e rovi. Ma lo scemare della  coscienza è ad un passo, lo avverte disperata nelle palpebre divenute di colpo pesanti, nelle dita che si rifiutano di continuare a stringere le briglie, nella schiena che cede e le impedisce di mantenersi ritta… il buio già permea il suo sguardo ed ogni rumore si sta spegnendo nel silenzio ovattato dell’incoscienza quando, nitidissimo, un frangersi di onde possenti irrompe nelle sue orecchie, accompagnato dal verso stridulo di molti gabbiani e da una voce incorporea che il suo cuore avverte, potente come un tuono. Una voce che la chiama, disperata, ed a cui vuole rispondere, con tutta sé stessa. “André!”.
La mano si stringe convulsa sul cuoio ed il cuore torna a battere, indomito come quella risacca che l’ha richiamata. “Aspettami, André…” sussurra, mentre sprona il cavallo, “Aspettami…”
 
**** *** ****
 
Gli ultimi istanti, velocissimi ed eterni.
Le manovre dell’equipaggio che si predispone a prendere il mare: la catena che solleva l’ancora dal fondale cigola piano mentre due marinai azionano l’argano per salparla; altri si stanno adoperando intorno alle vele, e altri ancora sono impegnati a rimuovere la passerella che ha permesso di accedere alla nave.
André assiste ad ogni cosa ancora pervaso dalla strana sensazione che quel grido muto risuonato nella sua anima pochi istanti prima gli ha lasciato: uno strano moto del cuore, un allerta di sensi che non riesce a spiegarsi…risponde in modo meccanico alle domande dei ragazzi, lo sguardo inchiodato alla banchina del porto, oltre il capannello di gente accorsa a salutare i parenti i  partenza, alle vie ai margini della rena che gli appaiono sfumate nei contorni, quasi avvolte dalla foschia, come le loro mani, le sue e quelle di Oscar, in quel sogno che lo ha visitato sul limitare del mattino.
Il respiro accelera improvviso, un attimo prima che qualcosa, che è insieme brunito e ansante e dorato, sbuchi da quella via lontana e, in uno sgroppare di froge e zoccoli, fenda deciso la folla.
Il cuore gli si ferma  mentre il suo sguardo si sposta dai riccioli biondi che guizzano fuori dal grigio del mantello al braccio levato del capitano che ordina al timoniere di iniziare le manovre.
Scatta fulmineo, istinto puro,  verso i marinai che stanno per sganciare la passerella, seguito da Dominique che ha estratto qualcosa dalla tasca, e grida “Aspettate! C’è ancora un passeggero che deve imbarcarsi, ho qui il suo biglietto. Fermate le manovre!”
Corre d’impeto verso il parapetto di legno, la voce tesa oltre ogni limite per sovrastare tutti gli altri rumori.“Oscar!!!!”
 
**** *** ****
 
Gli ultimi istanti interminabili e fugaci.
Le ultime forze, da raccogliere per domandare la strada più veloce per raggiungere il porto, poi il profumo salato del mare a guidarla.
Lo stringersi delle vie, in lieve declivio e, sempre più vicino, sopra il battere degli zoccoli sul selciato, il canto amico della risacca ed il cuore che riprende forza a quel suono.
Poi, improvviso, nella finestra buia di una viuzza maleodorante, il blu cobalto del mare fuso con l’azzurro del cielo.
La sagoma di un grande veliero, sempre più definita e le lettere arabescate, chiarissime sul legno scurito dalla salsedine “Christabel"
La voce che torna impetuosa insieme alla vita che torna a scorrere veloce quando intravede, lanciato in una corsa disperata sul ponte della nave, un uomo alto e bruno e sente il suo nome, portato dal vento.
C’è forza, ora nel suo braccio che guida sicuro il cavallo e nella sua voce, quando risponde al suo appello “André!!!!”


La passerella non è  nemmeno fissata quando si precipita verso di lei incurante delle proteste preoccupate dei marinai. Protende le braccia per accoglierla, che già la vede abbandonare le briglie.
Ancora un passo, uno soltanto… poi i suoi riccioli biondi profumati di nebbia come in quel giorno lontano, ed il suo corpo stremato stretto tra le sue braccia.
Qualche istante per sentirsi, semplicemente, respirare, per ascoltare i propri battiti fondersi con quello dell’altro.
Ogni cosa, che non sia la consapevolezza dei loro corpi nuovamente intrecciati l’uno nell’altro, che perde consistenza, si annulla.
Poi la voce di Oscar, tremula di stanchezza ma limpida come cristallo “Ho scelto, Andrè”. 

FINE

Siamo arrivati in fondo amiche. SCELTE termina qui.
Li lascio abbracciati, davanti alla loro nuova vita…perché, da sognatrice quale sono, spero ancora che siano le nostre scelte a determinare il nostro percorso, non solamente il destino.
Dedico questa storia a tutte voi, che mi avete seguita con affetto, con un  ringraziamento particolare a Madame Anna (che so di aver fatto molto soffrire) per avermi fatto conoscere i versi che ho citato all’inizio del capitolo, e un pensiero, altrettanto affettuoso, per l’amica con cui ho iniziato questo viaggio, che mi manca tanto.
Un abbraccio a tutte.
Monica

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