Promptember 2015

di Gem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice ***
Capitolo 2: *** Anime Gemelle ***
Capitolo 3: *** Ospiti ***
Capitolo 4: *** Il Tesoro ***
Capitolo 5: *** Piccolo ***
Capitolo 6: *** La Materia Blu ***
Capitolo 7: *** Acrobazia ***
Capitolo 8: *** Gelati! ***
Capitolo 9: *** L'invito ***
Capitolo 10: *** Al telefono ***
Capitolo 11: *** Nomi ***
Capitolo 12: *** Il primo tatuaggio ***
Capitolo 13: *** Missione di salvataggio ***
Capitolo 14: *** Il passato che ritorna ***
Capitolo 15: *** Punti di vista ***
Capitolo 16: *** Pattinaggio su ghiaccio ***
Capitolo 17: *** Imbarazzo ***
Capitolo 18: *** Marcia indietro ***
Capitolo 19: *** Per una scommessa ***
Capitolo 20: *** Una toccante interpretazione ***
Capitolo 21: *** Baci ***
Capitolo 22: *** Dare una mano ***
Capitolo 23: *** Questioni condominiali ***
Capitolo 24: *** Gelo ***
Capitolo 25: *** Disilluso ***
Capitolo 26: *** Illuso ***
Capitolo 27: *** Uccelli ***
Capitolo 28: *** Acrobazie su ghiaccio ***
Capitolo 29: *** Anni ruggenti ***
Capitolo 30: *** Chiamate scottanti ***



Capitolo 1
*** Indice ***


Non pubblico su efp da... anni? Mi trovate comunque su tumblr e deviantart sotto il nome di UnicaGem.
Ho letto il nuovo regolamento e per le raccolte disomogenee è gradito un indice delle storie presenti, perciò eccolo qua, lo aggiornerò un po' alla volta (tra l'altro novembre non è ancora finito, dunque devo ancora scrivere le ultime fanfiction). Non ci sono per il momento storie con rating rosso, ma come da regolamento inserirò solo un link esterno, perché voglio mantenere arancione il rating su efp.
Ah! I prompt sono in inglese, ma tutte le storie sono scritte in italiano.

1
Titolo: Anime Gemelle
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: romantico, commedia, fantasy (credo).
Pairing: Milo/Camus, Camus/Surtrtr (?)
Personaggi: Milo, Camus, Surtrtr, folla gioiosa.
Avvertimenti: AU, PoV di Milo, slash.
Parole: 1442
Note dell’autore: fate attenzione alla corsia 4 del supermercato.
Prompt:
 
Imagine your OTP in a universe where your soulmates have the opposite magnetic pole of the one that you have in your body, and the first time you meet your soulmate, you know it’s them because you are stuck like glue to their body. by 
otpprompts.tumblr.com

2
Titolo: Ospiti
Rating: arancione.
Tipologia: one-shot.
Genere: commedia, erotico (?).
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Aiolia, Milo, Camus, Aiolos, tizi in tuta bianca.
Avvertimenti: AU, lime, PoV di Aiolia, slash.
Parole: 1905
Note dell’autore: c’è un povero gattino sfrattato.
Prompt:
 
Imagine a friend has to stay over at your OTP’s house for what ever reason for a little while. They’re staying in the guest room. From the guest room, their friend can hear them through the vent/wall every time they’re having sex. This bothers them and they’re trying to find a way to tell that to them.
OT3 Bonus: The friend is bothered by this because they want to get in on the action, and are stuck in the guest room sexually frustrated. 
by otpprompts.tumblr.com

3
Titolo: Il Tesoro
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: commedia, generale.
Pairing: Milo/Camus, solo amici. Per il momento.
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: AU, PoV di Camus.
Parole: 1291
Note dell’autore: ( ͡° ͜ʖ ͡°)
Prompt:

Person A takes out Person B on a quad for the very first time in the woods. Person A drives expertly while Person B clings on tightly. Person A teases about how nervous B is, and they stop in the woods and have a romantic moment. 
by otpprompts.tumblr.com

4
Titolo: Piccolo
Rating: verde.
Tipologia: flashfic.
Genere: commedia, generale.
Pairing: Milo/Camus (non proprio coppia qui, ma sono tutti di otp prompt :v)
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: prequel, PoV di Milo.
Parole: 498
Note dell’autore: chiamate la polizia del Santuario!
Prompt:

Imagine Person B tossing rocks at A’s window, not knowing the window is open and has no screen. 
by otpprompts.tumblr.com

5
Titolo: La Materia Blu
Rating: giallo (?)
Tipologia: one-shot, ma sembra il prologo di una longfic :v
Genere: science fantasy.
Pairing: Milo/Camus (?)
Personaggi: Milo, Camus, Aiolia, Aiolos, Ale-Alejandro (sì, LUI), gente a caso.
Avvertimenti: AU, PoV di Milo.
Parole: 3807
Note dell’autore: “Milo” è probabilmente un titolo per indicare archeologici nerd che scoprono antiche civiltà quali Atlantide o…
Prompt:
 
Person A is an archaeologist. Person B is the person they accidentally brought back from the dead (in all their glory) when they read a resurrection ritual off of a wall.  
by otpprompts.tumblr.com

6
Titolo: Acrobazia
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: commedia, generale.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: AU, PoV di Camus, slash.
Parole: 673
Note dell’autore: che pazzerelli (?)
Prompt:
 
Imagine person A of your OTP seeing an awesome, extremely dangerous stunt on TV and, later, saying to person B: “Hold my beer; I’m gonna show you a kickass stunt I saw on TV.”
 
Three guesses what happens next. 
by otpprompts.tumblr.com

7
Titolo: Gelati!
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: commedia, romantico.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Camus, Hyoga, Isaac, Aiolia, Aiolos, Marin, Touma, la sorella di Milo, i pappagalli di Milo, i vicini di casa di Milo, Milo.
Avvertimenti: AU, PoV di Milo, slash.
Parole: 2404
Note dell’autore: gelatiiii!
Prompt:

Imagine Muse A owns an ice cream truck and muse B is a die-hard fan and comes every time the truck passes their house.  
by otpprompts.tumblr.com


8
 Titolo: L’invito
Rating: verde.
Tipologia: flashfic.
Genere: commedia, generale.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Milo, Camus, Hyoga, Isaac.
Avvertimenti: AU, PoV di Camus, slash.
Parole: 417
Note dell’autore: Hyoga, ma che perdente che sei.
Prompt:
 
Person A and Person B have to spend half an hour consoling their child who was crying because they weren’t invited to their parent’s wedding.

Titolo: Al telefono
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale.
Pairing: Milo/Camus (?)
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: PoV di Milo, missing moment (??).
Parole: 564
Note dell’autore: il negozio di fiori viene da Ep. G, è una cosa che mi piace e la uso nei miei headcanon. Qui Milo e Camus hanno circa 16 anni e non ho seguito il prompt alla lettera perché sì.
Prompt:
 
“I overheard you yelling loudly over the phone in Russian and I have no idea what you just said but damn I’m sort of aroused” AU.


Titolo: Nomi
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: commedia, romantico.
Pairing: Camus/Surtrtr… ( ͡͡ ° ͜ ʖ ͡ °) ?
Personaggi: Camus, Surtrtrt, Loserella, dottor Freud, gente varia.
Avvertimenti: PoV di Surtrtrtrtrtrtrt, slash, AU.
Parole: 1375
Note dell’autore: questa è la versione sfigata di “Gelati!”
Prompt:
 
Person A is a barista and person B comes in and orders. Person A is kind of distracted and accidentally spells/gets their name wrong. Person B points this out but has to hurry back to their job. Person B comes back the next day and there’s hardly anyone there so Person A and Person B chat and end up flirting.  When Person A hands over the coffee with Person B’s name obviously misspelled Person B jokes they’ll have to come back every day until they get it right. Person A messes up their name one way or another each day Person B comes in and they chat if the cafe isn’t too crowded. As time goes on the connection to the name or spelling on the cup gets more and more ridiculous until it basically is just words that has at least one letter in common with Person B’s name. Eventually it just devolves into scribbles. Person A points out how silly it is but they both have a good laugh over it.


Titolo: Il primo tatuaggio
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, commedia.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Camus, Milo, Aldebaran, Saga.
Avvertimenti: PoV di Milo, slash, AU.
Parole: 1049
Note dell’autore: preghiamo per Aldebaran che risorgerà nella prossima brutta serie della toei, magari il suo sacrificio permetterà agli altri 12 di restare morti (tale osservazione non è in alcun modo collegata alla fanfiction).
Prompt:
 
Person A is a rookie tattoo artist that works at the same tattoo shop in which person B wants to get their first tattoo.


 
Titolo: Missione di salvataggio
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, commedia.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Camus, Milo, Hyoga, Isaac, bambini vari, altre persone.
Avvertimenti: PoV di Camus, slash, AU.
Parole: 1148
Note dell’autore: cavalieri d’oro che salvano innocenti.
Prompt:
 
Your OTP simultaneously leaping into a ball pit after hearing their child scream in distress. @otpdisaster


Titolo: Il passato che ritorna
Rating: giallo.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, drammatico.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Camus, Milo, Saga, Aphrodite, Death Mask.
Avvertimenti: PoV di Milo, what if, AU (SoG è una brutta AU in fondo).
Parole: 2298
Note dell’autore: innanzitutto, il prompt è arricchito di dettagli e un po’ cambiato. Questa storia è collegata a una what if che ho disegnato (in parte) un po’ di tempo fa http://unicagem.tumblr.com/post/118811331054/a-promise-a-flashback-two-friends-a-fighting-a . Camus è stato manipolato da Surtrtrtr, ma dopo il suo combattimento contro Milo (sulla falsariga del “caro” episodio 3) è rinsavito grazie a Saga (un uso particolare del Genromaoken). Adesso Saga, Camus e Milo si trovano insieme. Queste sono le loro storie. TCHUN TCHUN
Prompt:
 
Person A patching up or changing the dressing on Person B’s severe burn wound with no anesthetic. Person B’s most effective pain reliever during the process is burying their face into Person A’s shoulder.
 

Titolo: Punti di vista
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, commedia.
Pairing: //
Personaggi: Camus, Milo, Shura, Aiolia, Aphrodite, Mu, Aldebaran, Aiolos, Kiki, ma soprattutto: Geronimo.
Avvertimenti: vari POV, AU, Shura in crisi di nervi.
Parole: 1570
Note dell’autore: una classica (?) giornata al Santuario, tutti sono vivi e giulivi.
Prompt:
 
Write one story from multiple perspectives. For a nonfiction challenge, choose a family story. Write your own perspective, then talk to different family members to see how the story changes with the narrator. @ promptsgalore





 

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Capitolo 2
*** Anime Gemelle ***


Titolo: Anime Gemelle
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: romantico, commedia, fantasy (credo).
Pairing: Milo/Camus, Camus/Surtrtr (?)
Personaggi: Milo, Camus, Surtrtr, folla gioiosa.
Avvertimenti: AU, PoV di Milo, slash.
Parole: 1442
Note dell’autore: fate attenzione alla corsia 4 del supermercato.
Prompt:
 
Imagine your OTP in a universe where your soulmates have the opposite magnetic pole of the one that you have in your body, and the first time you meet your soulmate, you know it’s them because you are stuck like glue to their body.
 
«Grazie, grazie a tutti.»
Muovendo appena la mano, appoggiata alla spalla di un ragazzo, un giovane biondo si lasciò andare a un sorriso di circostanza e tentò di indietreggiare. La corsia 4 del supermercato era affollata, tuttavia. Riuscì solo a urtare un carrello della spesa e trascinare con sé l’altro ragazzo, rischiando di cadere con lui.
La folla, in unisono, sospirò romanticamente.
«Congratulazioni!» esclamò una donna, passando accanto a loro mentre reggeva diversi pacchi di pasta tra le mani. «Buona serata!»
«Grazie.» ripeté imbarazzato il ragazzo, mentre tentava di scollare la mano dalla spalla dell’altro. «È… molto gentile da parte vostra.»
L’altro ragazzo, che sembrava stringere le braccia intorno alla sua schiena, indietreggiò a sua volta.
«Potremmo trovare un luogo appartato in cui risolvere questa faccenda, per favore?» chiese innervosito.
«Ecco, ottima idea…» il ragazzo biondo fece una pausa, osservando l’altro negli occhi. «Ti chiami…»
«Camus.»
«Milo.»
«Congratulazioni!»
Un altro strascico di applausi fece ripiombare la corsia 4 in un clima di festa. La situazione – osservò Milo – sarebbe stata alquanto divertente, se non fosse stato lui il protagonista. Insomma: trenta persone ferme davanti lo scaffale delle erbe aromatiche erano già un motivo di ilarità, soprattutto se intente ad applaudire e congratularsi felicemente.
Era sempre esilarante vedere incontrare due anime gemelle: quei risolini imbarazzati, quei mezzi sorrisi con le guance rosse, quei movimenti impacciati avevano sempre suscitato in Milo un che di tenerezza e – soprattutto – di divertimento assicurato.
Già.
Certo non immaginava di trovare la propria anima gemella in un luogo tanto affollato, a quell’ora, quel giorno, e di essere ora avvinghiato come una calamita a un attraente sconosciuto di nome Camus.
«Perché non ci stacchiamo?!» chiese proprio allora Camus, quasi sbigottito. «Sono almeno dieci minuti che…»
«In questo caso serve un bacio!» rise un commesso del supermercato tra la folla, e ancora una volta gli astanti iniziarono ad applaudire per la situazione.
Sebbene ricorrente argomento di studio a scuola, Milo non aveva mai capito “metafisicamente” perché mai due anime gemelle, al loro primo incontro, fossero destinate a essere letteralmente attratte l’una all’altra. Come due poli opposti di un magnete. Come lui, in quel preciso istante, e Camus, nella corsia 4 del supermercato.
E perché mai solo un bacio avrebbe potuto separarli, se quell’attrazione non fosse scemata nel giro di qualche minuto?
«Prego, da questa parte.» lo stesso commesso che aveva parlato indicò un’altra corsia. «Se andate dritto, c’è l'anticamera del magazzino. Se volete risolvere in privato…»
«Grazie!» disse solo Camus, avanzando in quella direzione. Milo si sentì trascinato e assecondò i movimenti, ma Camus si bloccò di colpo dopo pochi passi.
«Surt, puoi darmi un secondo?» domandò a bassa voce, rivolto a un ragazzo tra la folla.
Milo fissò l’interpellato senza malizia, ma non poteva negare di essere divertito, adesso. Quel Surt reggeva due cartoni di pizza surgelata e della birra e osservava la scena con gli occhi sbarrati. Definirlo sconvolto era un eufemismo.
Quando sentì Camus muoversi, Milo assecondò ancora i suoi passi e si fece guidare fino all’anticamera menzionata dal commesso. Finalmente soli, almeno all’apparenza. Era prevedibile che la folla della corsia 4 si fosse appostata fuori dalla porta per attendere l’uscita dei novelli… sposi?
Al pensiero Milo ridacchiò.
«Cosa c’è da ridere?» soffiò Camus, tentando di alzare le braccia. Il movimento causò solo maggior attrito tra i due corpi e fece sbilanciare Milo, che barcollò e sbilanciò a sua volta Camus. Sbatterono contro il muro.
Fu in quel momento che Milo si rese conto di quanto quel contatto fosse intimo. Camus era alto più o meno quanto lui, e forse per quel motivo la folla sembrava così interessata. I loro volti inevitabilmente si sfioravano, le braccia avevano avviluppato l’altro perfettamente, e ogni parte del corpo aveva aderito alla corrispettiva senza problemi. Milo ridacchiò ancora, per l’imbarazzo.
«Credo di averti rovinato la serata.» riuscì a dire, cercando di dissipare quei pensieri. «Quello era il tuo… fidanzato?»
Camus gli gettò un’occhiata torva. «Siamo amici da tempo, ma questo era il nostro primo appuntamento da… da…»
«Da fidanzati?» lo stuzzicò Milo. «Non sarai uno di quelli che tenta di provare che questa attrazione sia casuale?»
L’altro corrugò la fronte. Passato l’imbarazzo iniziale, Milo si soffermò a guardarlo meglio in volto, anziché evitarlo. Camus aveva i capelli rossi e le lentiggini e di certo non sarebbe passato inosservato tra folla, e Milo ammise a se stesso che gli avrebbe gettato un’occhiata anche se nella corsia 4 non fosse esplosa l’attrazione.
Anche quel Surt aveva le lentiggini e i capelli rossi, tuttavia.
«Il simile cerca il simile?» disse per provocarlo. «Non è una questione fis-»
Camus lo interruppe, quasi fremendo – e Milo poteva sentire benissimo ogni minimo sussulto del suo corpo.
«Siamo stati noi a romanticizzare questo fenomeno.» affermò Camus convinto. «Una variante dell’effetto Forer, del bias di conferma. Siamo così certi che la persona che si attacchi a noi sia la nostra anima gemella, che finiamo per crederci e innamorarci.»
«Ti ricordi di quella coppia di scienziati anti-attrazione in luna di miele in Australia? Lei è uscita dall’aeroporto e si è appicciata al tassista che avrebbe dovuto portarla in hotel.»
«Non prova nulla.»
«Ora si è sposata con lui e hanno due figli.»
«Ha finito per crederci anche lei.»
«No, questo succede perché si era sposata con un’altra persona!» sentenziò Milo solennemente, socchiudendo gli occhi. «Ah, ma questo non è un tuo problema. Non più diciamo.»
Camus sgranò gli occhi e si mosse, ma Milo riuscì a contrastare la spinta facilmente.
«Surt era un tentativo.» soffiò Camus. Milo immaginò che se non fossero stati attaccati, la sua novella anima gemella lo avrebbe probabilmente spinto non solo lontano da sé, ma anche giù da un palazzo, da un grattacielo.
«Hai fatto molti tentativi?»
«Tu preferisci tentare la fortuna?»
Milo alzò le sopracciglia. Quel Camus era davvero un tipo tosto… e non gli dispiaceva per nulla.
«Mia madre mi ha mandato a comprare le verdure per la zuppa e ha funzionato.» rispose con il tono più calmo che riuscì ad assumere. «E ho anche bloccato te dal compiere un errore.»
Per tutta risposta, Camus distese la fronte e serrò le labbra, assumendo un’espressione serissima.
Quell’improvviso silenzio portò Milo a fissarlo dritto negli occhi. Si domandò quali fossero i pensieri di quel bizzarro ragazzo. Negare l’attrazione? Negarsi all’anima gemella? Milo si indispettì. C’era una sola persona adatta a lui su quella terra e non l’avrebbe certo lasciata andare così facilmente.
Dagli occhi nocciola, Milo prese a osservare le lentiggini sulle guance dell’altro, e poi le sue labbra. Avevano una bella forma, e poi, non s’erano ancora staccati l’uno dall’altro: non c’era nient’altro da fare che baciarsi.
Aveva atteso quel momento tutta la vita e adesso si sentiva emozionato come non mai. Era quasi come un dovere, un’obbligazione che aveva assunto non appena nato. A volte aveva pensato che la sua anima gemella fosse morta e che sarebbe morto in solitudine. A volte invece immaginava di esserne privo – era possibile, ma non faceva per lui.
Di certo si era preparato abbastanza, ma notò presto che lo stesso non valeva per Camus. Non solo tentava impercettibilmente di staccarsi, forse arrivato al limite della sopportazione per quel contatto, ma era anche visibilmente arrossito.
Milo studiò le labbra di quello, ancora, e un attimo dopo avvicinò le proprie.
Fu un momento in cui la mente cessò di funzionare e lasciò agire solo il corpo. Non seppe dire quanto il bacio fosse durato, sentì solo di essere nel posto giusto al momento giusto, con un perfetto sconosciuto tutto da scoprire – e dannazione, voleva sapere ogni cosa su di lui il prima possibile.
Sentì anche le braccia di Camus perdere attrazione progressivamente, ma senza staccarsi dalla sua schiena. Anzi, gli parve quasi di sentirle stringersi a lui per non far finire quel bacio.
Eppure terminò, all’improvviso. Milo aprì gli occhi.
«Ah.» fu il primo, e unico, commento di uno scombussolato Camus, a occhi sgranati e mani adesso sperdute davanti al busto.
Milo non lasciò sfuggirsi l’occasione. Con un tipo del genere, non c’era tempo da perdere.
«Vuoi cenare da me stasera?» chiese a bruciapelo.
Camus rimase a fissarlo in silenzio.
«Tanto i tuoi programmi sono saltati.» insistette.
E Camus riprese il suo piglio indifferente.
«Questo è libero arbitrio, no?» osservò Milo, alzando le spalle.
Camus sospirò, sistemandosi i capelli e passandosi una mano sul viso. Sembrava aver visto un fantasma.
«Sì, lo è.» ammise. Poi alzò gli occhi. «Va bene, mi piacerebbe conoscerti. A prescindere da quello che è appena successo.»
Milo trasalì emozionato. «Galeotta fu la zuppa di mia madre?»
«Il destino vuole che l’assaggi, evidentemente.» sospirò Camus, mentre Milo apriva la porta della stanza, e la folla riprendeva ad applaudire.
 
Note finali: volevo lasciarli appiccicati per sempre o farli fondere in Dravite.
http://unicagem.tumblr.com/post/133029424013/milo-ok-so-where-did-we-resurrect-this-time Ma immagino che questo non sia lo scopo del prompt. Si ringrazia Surtrtrtrtrtrtr per la sua inutile collaborazione! :) 

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Capitolo 3
*** Ospiti ***


Titolo: Ospiti
Rating: arancione.
Tipologia: one-shot.
Genere: commedia, erotico (?).
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Aiolia, Milo, Camus, Aiolos, tizi in tuta bianca.
Avvertimenti: AU, lime, PoV di Aiolia, slash.
Parole: 1905
Note dell’autore: c’è un povero gattino sfrattato.
Prompt:
 
Imagine a friend has to stay over at your OTP’s house for what ever reason for a little while. They’re staying in the guest room. From the guest room, their friend can hear them through the vent/wall every time they’re having sex. This bothers them and they’re trying to find a way to tell that to them.
OT3 Bonus: The friend is bothered by this because they want to get in on the action, and are stuck in the guest room sexually frustrated.
 
Ospiti
 
Erano esattamente le 23 e 38 minuti quando Aiolia sentì i primi cigolii del letto. Guardò la sveglia a lungo, tentando persino di contare pecore, capre e ogni tipo di animale, ma gli occhi non cedevano e rimanevano aperti, lucidi quanto la sua coscienza. Oh no, non di nuovo.
Appena tre ore prima stava crollando per la stanchezza. Non si reggeva quasi in piedi. Pensava di addormentarsi nel giro di qualche minuto, ma invece aveva iniziato a fantasticare e il suo cervello non era riuscito più a spegnersi.
Aveva detto a Milo e Camus che era troppo stanco persino per guardare un film. Dopo cena, dritto a letto. Peccato che gli altri due avessero non solo guardato il film, ma anche deciso di animare un po’ la loro serata, probabilmente proprio a causa delle sue parole.
 
«Aiolia! Aiolia non puoi nemmeno immaginare!»
Aiolia osservò il fratello avanzare lungo il vialetto di ingresso mentre egli stesso si avvicinava al portone. Notò subito due furgoni bianchi parcheggiati davanti la propria abitazione, ma non diede loro troppo peso. S’interessò al fratello, invece.
«Eh?» rispose solo, mentre Aiolos apriva il cancello. «Che succede?»
In quel momento due uomini in tuta bianca uscirono dalla porta principale. Aiolia sussultò e sentì un brivido percorrergli tutta la schiena. Scattò verso di loro: sembravano i responsabili degli accertamenti sul luogo di un…
«Oh mio Dio Aiolos dove sono mamm-»
«No no loro stanno bene!» esclamò subito Aiolos, placcandolo. «È la casa!»
Aiolia guardò il fratello negli occhi. Si accorse solo allora che aveva un’espressione confusa, ma divertita.
«Cosa?»
 
A giudicare dal numero esiguo dei cigolii e dalla loro scarsa entità, Aiolia ipotizzò che i due si stessero solo baciando. L’osservazione lo rallegrò e per la soddisfazione si rigirò nel letto, fiducioso del fatto che ben presto i rumori sarebbero cessati del tutto. O almeno così sperava.
Tuttavia, anziché diminuire i cigolii aumentarono in frequenza.
Come uno scienziato, tentò di stabilire il ritmo e associarlo all’attività connessa. Si sentì quasi un disperato a farlo, ma non era la prima volta che capitava: aveva sviluppato una sorta di reazione pavloviana al rumore dei cigolii del letto e ogni volta che iniziavano, non riusciva a non esaminarne la natura. Affondò la faccia nel cuscino, imbarazzato.
Di certo non poteva sindacare sulla vita privata di una coppia sposata, ma il pensiero che solo un muro lo separasse da loro mentre adempivano ai loro doveri coniugali era davvero troppo.
 
«Aiolos?!»
«Ok, ok, ascolta.» iniziò a spiegare Aiolos, lasciandosi scappare un risolino. «Stamattina è successa una cosa.»
«Vuoi dirmi COSA per favore?!» tuonò Aiolia, sempre più sbigottito.
Uno degli uomini usciti dalla propria casa trasportava un ingombrante macchinario che Aiolia non seppe identificare. Aveva un lungo tubo collegato a un lato, che gli ricordò uno di quegli aggeggi per il giardinaggio, per raccogliere le foglie più facilmente. O una strana aspirapolvere.
«Abbiamo ospiti.» sentenziò Aiolos.
Aiolia ebbe un’idea improvvisa, una folgorazione.
«Hai chiamato gli acchiappafantasmi?!»
 
Un tonfo risuonò secco nella stanza. Ecco, stavano probabilmente passando ai preliminari e il loro letto aveva sbattuto contro il muro. Come ciliegina sulla torta il tutto fu seguito da una risata, e Aiolia pensò che fosse Milo.
Lanciò un’occhiata alla sveglia. Segnava le 23 e 52. Dato che sia Milo sia Camus avrebbero lavorato il giorno dopo, Aiolia sospirò, rassicurato. Non sarebbe andata avanti per molto.
La prima volta che li aveva sentiti era mezzo addormentato e aveva pensato che la cosa fosse divertente. A colazione, aveva persino chiesto se avessero intenzione di comprare un nuovo letto a mo’ di battuta, ma col senno di poi s’era accorto che nessuno dei due l’aveva recepita. Colpevole una precedente discussione sui propri mobili, Milo aveva risposto che aveva visto vari cataloghi e Camus s’era lamentato di come un’asse fosse ceduta così precocemente, costringendoli a una riparazione fai da te.
Aiolia adesso capiva le ragioni del suicidio di quell’asse.
Il letto riprese a cigolare e, purtroppo, fu accompagnato da alcuni rumorosi sospiri.
 
«Aiolos, sei impazzito?!» sbottò Aiolia correndo verso i due uomini. Aiolos lo seguì.
«Fammi parlare!»
«La mia mansarda non ha alcun fantasma!» continuò imperterrito. «No no no non voglio pagare quei ciarlatani di acchiappafantasmi!»
Aiolos lo bloccò ancora per il braccio e questa volta lo fissò seriamente negli occhi.
«Non sono acchiappafantasmi.» disse grevemente. Poi sorrise. «Buona notizia: potremmo essere noi a fare soldi!»
Complice la posizione rispetto alla strada, Aiolia finalmente si soffermò a guardare i furgoni bianchi verso cui gli uomini si dirigevano.
Solo allora lesse l’iscrizione sulla loro fiancata.
«Disinfestazione api – vespe – calabroni?» biascicò.
 
Aiolia non riusciva a sopportare il sentir Milo gemere. No. Il pensiero lo faceva stare male anche fisicamente. E anche Camus lo metteva a disagio, ma per qualche strano motivo l’idea gli provocava meno ribrezzo. Forse perché Camus suscitava più discrezione, dato che in quelle notti imbarazzanti era Milo a fare più rumore. Dall’inizio alla fine. Teatralmente, a volte. Camus gemeva di meno e di solito si riservava per il gran finale, rendendo l’agonia più sopportabile.
Non avrebbe mai bussato sul muro per farli smettere, ma la tentazione era forte.
Mentre Milo continuava a dar prova della sua abilità canora, Aiolia prese il cellulare e toccò lo schermo. La luce forte del display lo disturbò per qualche attimo, ma il fastidio degli occhi era nulla in confronto a quello delle orecchie.
Questi sono solo i preliminari, pensò.
Nessuno gli aveva scritto e non aveva ricevuto notifiche rilevanti sui social network cui era iscritto. Notò però che Milo aveva pubblicato un post di buona notte con una foto di un buffo pappagallo alle 23:52, e Camus l’aveva condiviso subito dopo. Ah! Ecco perché Milo aveva riso.
Era tentato di condividere a sua volta il post per segnalare di essere sveglio, ma si sarebbe sentito quasi in colpa a causa del suo carattere gentile. Beh, buona notte anche a voi Milo e Camus, ma perché diamine postate foto di pappagalli mentre fate sesso?!
 
«Abbiamo ventimila api a casa.» la voce di Aiolos rivelò una nota estremamente divertita, ma il suo viso tradiva apprensione. «O forse di più. Stanno cercando di fare una stima attendibile.»
Aiolia sgranò gli occhi.
«Mi prendi in giro?» chiese soltanto.
«Oh no.» ridacchiò Aiolos. «Sono tra le mura. E la tua amata mansarda ne è piena. Ecco il perché degli scricchiolii! Altro che fantasmi!»
Aiolos scoppiò a ridere.
Aiolia spostò gli occhi sulla casa. La villetta bifamiliare era… era così carina, nei suoi colori caldi e accoglienti. Dalla porta aperta riuscì a sbirciare all’interno: nel corridoio e sulle scale v’erano una serie di macchinari come quello che aveva visto tra le braccia dell’uomo in tuta.
«Ma solo da noi?» riuscì a balbettare.
«No!» replicò subito Aiolos. «Anche da mamma e papà! Tutta! Tutta la casa è invasa!»
 
Milo e Camus avevano terminato qualunque cosa stessero facendo prima ed erano passati ad altro. Aiolia lo capì subito perché il letto cigolava in maniera differente, sebbene Milo continuasse a mugolare imperterrito.
Sospirò.
Poi, un gemito differente.
«Fa’ piano!»
La voce di Camus non fu sufficientemente attutita dal muro, anzi, parve quasi pronunciata nella stessa stanza in cui Aiolia riposava.
Come replica, il triste ospite aprì un gioco a caso sul cellulare e iniziò a prestare attenzione a quelle figure, annuendo compiaciuto. Bravo Camus, metti le cose in chiaro.
«Stt!»
Sempre Camus.
Milo rise ancora.
 
«E…?»
«E devi trovare un posto in cui stare, fratello.» sospirò drammaticamente Aiolos, scuotendo la testa. «Mamma e papà dormiranno dai vicini. Io me ne vado da Saga, tanto mi deve mille favori.»
Aiolia alzò le spalle.
«Posso chiedere a Milo e Camus, ma per quanto?» chiese. Iniziò a pensare alle cose da prendere: spazzolino, biancheria, uno o due cambi d’abito. «Tre giorni?»
Aiolos lo guardò fisso negli occhi con un sorriso inespressivo stampato in volto. Sembrava offeso.
«Sei pazzo?» domandò.
Aiolia corrugò la fronte.
«Tre giorni?!» riprese a ridere Aiolos. «Oh Aiolia, qui è già tanto se ci ridanno indietro la casa!»
 
Mentre Aiolia sconfiggeva il temibile nemico alieno del livello 4, il letto dei padroni di casa iniziò a battere contro il muro ritmicamente. Ultimo round, se tutto fosse andato per il meglio.
Aiolia si sistemò meglio sotto le coperte, approfittando del rumore delle lenzuola per fare una pausa dalla tortura uditiva a cui era sottoposto. Effettivamente non guardava quasi mai materiale pornografico con l’audio. Anzi, si ripromise di non guardarne mai più per evitare di collegarlo alla situazione in cui si trovava in quel momento. Dal canto suo, non avrebbe emesso un solo gemito fino alla fine dei suoi giorni.
Livello 5, livello 6.
Fu al livello 7 che Camus gemette forte per la prima volta.
Dapprima Aiolia ripiegò il cuscino intorno alla testa per evitare di sentire, poi però si rallegrò per l’imminente liberazione da quell’inferno. Forse i gemiti di Camus non gli dispiacevano perché erano il segnale dell’inizio della fine. Alquanto ironico.
«Ah, più forte Milo, ancora!»
Aiolia non riuscì a non ridacchiare per l’imbarazzo. Non eri tu che dicevi di far piano?!, pensò.
 
«Sai cosa vuol dire ventimila?» continuò Aiolos. «Hai idea di quanto miele ci sia là dentro?! Per questo ti ho detto che faremo soldi. Ho chiamato Shura.»
Shura era un commercialista e Aiolia sapeva bene che se c’era lui coinvolto, allora si trattava di affari seri.
«Praticamente queste api sono nostre adesso. Nessun apicoltore ha fatto reclamo per la fuga di api e comunque è passato troppo tempo per un’azione legale.» spiegò Aiolos. «Hanno detto che stanno lì da almeno cinque anni, a giudicare dai nidi.»
«Cinque?»
«Sì.» Aiolos annuì, stranamente soddisfatto. «Comunque ascolta: Shura ha detto che possiamo aprire un allevamento tutto nostro con dei fondi pubblici. Però a nome tuo, perché sei il più piccolo e funziona meglio per le tasse, non so, mi ha detto una cosa del genere. Ora questi qui non le ammazzano le api, le trasferiscono solo. Hai capito?»
Aiolia rimase a bocca aperta.
«Aiolia mi stai ascoltando?»
«ABBIAMO LE API IN CASA E TU PENSI AD APRIRE UN ALLEVAMENTO?!»
 
Proprio nel bel mezzo del livello 9, Aiolia avvertì delle botte più forte sul muro e sospirò. Finalmente.
Ovviamente, c’era ancora da attendere i vocalizzi per dichiararsi salvo, ma Aiolia era ormai pronto a tutto. Anzi, quel gioco lo aveva distratto abbastanza da stancarlo di nuovo e probabilmente si sarebbe addormentato senza problemi.
Si preparò ad affrontare il nemico del livello, e giurò di smettere di giocare una volta sconfitto. Avrebbe finito prima o dopo la conclusione dei suoi amici?
La risposta non tardò ad arrivare. I gemiti di Camus divennero corti, e abbastanza forti, ansiti che si confusero al chiacchiericcio scomposto di Milo – il pappagallo che aveva pubblicato online era sicuramente meno chiassoso di lui.
Ah, sì! Avevano concluso. Aiolia non aveva dubbi, era un esperto ormai.
E constatò che gli amici avevano finito prima che lui superasse il livello. Lusinghiero, davvero. Un’abilità che Aiolia aveva bisogno di coltivare.
Si rigirò nel letto, sospirando contento, e appoggiò il cellulare sul comodino. Sentì provenire altri rumori dalla stanza adiacente, ma nulla di sospetto, probabilmente Milo e Camus si erano solo alzati o spostati.
Promise a se stesso di rifare quella battuta sul letto il mattino seguente. Era felice che gli amici fossero una coppia affiatata e soddisfatta anche in privato, ma si diceva che gli uomini fossero nati ospiti o padroni di casa, e lui era certamente un padrone di casa.
E le api erano le sue ospiti.
 
Note finali: Aiolos, che bricconcello! (?) Aiolia fa tanto il seccato ma poi è il primo a smerciare doujinshi porno su Milo e Camus $$$$$ e non chiede nemmeno l’assistenza di Shura! (???)

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Capitolo 4
*** Il Tesoro ***


Titolo: Il Tesoro
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: commedia, generale.
Pairing: Milo/Camus, solo amici. Per il momento.
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: AU, PoV di Camus.
Parole: 1291
Note dell’autore: ( ͡° ͜ʖ ͡°)
Prompt:
Person A takes out Person B on a quad for the very first time in the woods. Person A drives expertly while Person B clings on tightly. Person A teases about how nervous B is, and they stop in the woods and have a romantic moment.

«Ed ecco qui… i miei tesori!» Milo rise e allungò il braccio, entrando nel garage. «Allora, che ne pensi? Quale ti piace di più?»
Camus finalmente aprì gli occhi e osservò ciò che Milo aveva appena chiamato i suoi “tesori”. Il garage, ampio ma non eccessivamente, ospitava una decina di piccoli veicoli a trazione motrice, tutti ordinatamente parcheggiati vicino al muro su appositi piedistalli, con tanto di rampe. In tutta la sua vita non aveva mai visto nulla di simile.
«Questo sì che è strano.» disse subito, continuando  a osservare i veicoli, con un sorriso. «Sono tutti… bellissimi.»
Sperò che fosse un complimento adatto, perché Milo sembrava davvero entusiasmato. Quando si soffermò ad esaminare la sua reazione notò che sorrideva infervorato.
«Dai, scegline uno.» esclamò. «Ti porto a fare un giro.»
Camus sussultò. «Io, su quei cosi? Oh no, sto bene così.»
«Sono sicurissimi!» insistette Milo, piccato. «E poi ho vinto il Rally Terrestre due volte. E un’altra sono arrivato terzo. Gli appassionati pagherebbero per fare un giro con me.»
Effettivamente, solo pochi minuti prima Camus aveva ammirato i trofei e le coccarde che Milo teneva nel suo salotto. Anche la targa per il titolo di campione più giovane della storia del Rally Terrestre, nonché tutte le coppe che aveva vinto nelle gare minori.
«Camus.» lo chiamò ancora Milo. «I miei quad hanno persino dei nomi!»
«Va bene, va bene.» sospirò Camus. Milo ci teneva davvero molto e Camus non aveva intenzione di fare il maleducato la prima volta che visitava la sua casa.  Anche se non aveva mai sentito parlare di Rally Terrestre prima d’allora. Anche se quei veicoli sembravano tutto fuorché sicuri.
Il viso di Milo s’infiammò e corse verso degli scaffali, su cui erano adagiati dei caschi. «Dai, scegli quale vuoi provare. Con quello nero e rosso laggiù ho vinto l’oro! L’ho chiamato Scorpio.»
«Scorpio.» ripeté Camus, mentre lo osservava. I colori e i tagli squadrati lo facevano sembrare più aggressivo degli altri.
«Vuoi provare Scorpio?» Milo afferrò due caschi e i suoi occhi s’illuminarono.
«Ho solo ripetuto il suo nome…»
«Che Scorpio sia!» replicò Milo, lanciandogli un casco. «Mettilo.»
Camus alzò un sopracciglio. Evidentemente Milo aveva già programmato tutto lasciandogli poca libertà di scelta. Eppure, con un sospiro accettò l’imprevisto viaggio  e si avvicinò al quad prescelto.
«Ma cambio forma. Così se cado mi faccio meno male.» specificò.
«Non cadrai.» la voce di Milo parve offesa. «Per chi mi hai preso?»
Le condizioni non si discutevano. Camus osservò un attimo le sue braccia e la sua pelle chiara, prima di scorgere piccole squame verdi prendere il posto dell’epidermide. Fortunatamente non aveva indossato una maglietta sotto la salopette, quel giorno. Le altre due paia di braccia della sua forma intermedia e le appendici lombari poterono crescere senza intoppi, mentre la coda rimase bloccata tra la biancheria e i pantaloni della salopette.
«Wow.» commentò Milo mentre indossava il casco, con un sorriso obliquo.
Camus socchiuse gli occhi, indispettito. «Tu ridi, ma immagina quanti vestiti vengano strappati dai bambini ogni giorno. Non si sanno regolare.»
Milo rise e montò sul quad. Mise in moto il motore, lo fece scendere dalla pedana, poi smontò e si diresse ad aprire la porta di uscita del garage.
«Magari lo fanno apposta.»
Approfittando della disattenzione di Milo, Camus liberò la coda e l’arrotolò intorno al bacino, sotto la salopette.
«Era il mio caso.» replicò indossando il casco. Le sue piccole corna facevano pressione contro le pareti, ma era sopportabile.
Milo rise ancora, poi si avvicinò al quad e rimontò in sella. «Sali, delinquente.»
Il sedile posteriore era nero e davvero piccolo. Camus pensò che sarebbe caduto ancora prima di partire, e come per confermare i suoi sospetti, Milo aggiunse: «Secondo me ora è più difficile per te mantenere l’equilibrio. Ma fai come vuoi.»
Camus si limitò a scuotere la testa e appoggiò le mani superiori sulle spalle di Milo per aiutarsi. Una volta in sella, si aggrappò alle maniglie sul retro del quad con le mani inferiori e avvicinò le intermedie ai fianchi di Milo.
Ebbe un attimo di esitazione.
«Posso?» chiese infine.
Milo girò appena il capo con una smorfia di approvazione.
Ricevuto l’assenso, si aggrappò a Milo anche con quelle mani e le fece scorrere intorno alla sua vita, cingendola con le braccia. Stava per riflettere su quel contatto così ravvicinato, ma non ebbe abbastanza tempo perché l’altro fece rombare il motore e partì all’improvviso.
«Oh mio Dio.» disse solo Camus mentre il quad lasciava il garage con un’accelerazione crescente.
Che impressione! Non aveva mai viaggiato su veicoli a trazione motrice! Ovviamente erano ancora in circolazione per i nostalgici e gli sportivi come Milo, e aveva visto diverse auto di collezione su Ganimede, ma in fondo era la Terra ad avere creato quella forma di tecnologia e possederne ancora tantissime tracce. Un esempio erano le strade percorse da tali mezzi e rovinate dalle ruote, che necessitavano di manutenzione continua.
«Ma non chiudi nemmeno il garage?»
«Si chiude da solo!»
La cosa che più lo sconvolgeva erano i continui sobbalzi e sussulti dovuti alla strada, e il rombo costante del motore che faceva vibrare il mezzo. Strinse meglio tutte le mani contro i rispettivi appigli: nemmeno la levitazione magnetica, antichissima tecnologia anch’essa, era così scomoda!
Milo imboccò una strada tra la vegetazione.
Camus ebbe tempo di gettare un’ultima occhiata alla casa di Milo, villetta solitaria su quell’isola così scarsamente popolata, prima di ritrovarsi immerso nella flora terrestre. La cosiddetta “macchia mediterranea”, se ricordava bene.
Il quad sobbalzò sulla strada dissestata.
«Oh mio Dio oh mio Dio-» ripeté ancora Camus, stringendosi a Milo.
L’altro lo osservò con la coda dell’occhio.
«Nervoso, vero?»
«Pensa alla strada!»
Per tutta risposta Milo sghignazzò.
«Pensavo avessi molto più autocontrollo.»
«Non su questo quad.» replicò prontamente Camus, mentre il veicolo sobbalzava nuovamente. «Che tu stai guidando! La mia vita dipende totalmente da te.»
Milo sghignazzò ancora. «Questa è la cosa più drammatica che io abbia mai sentito.»
Camus si piccò. Proprio mentre stava per reiterare il concetto e difendersi, la strada iniziò a costeggiare una splendida scogliera che si affacciava sull’azzurro, blu e verde intenso del mare Egeo. I colori delle rocce variavano dal rosso scuro al giallo dorato e dove l’acqua si infrangeva erano più chiare, di un bianco intenso e accecante.
Aveva visitato abbastanza corpi celesti per esprimere un giudizio imparziale e la Terra degli Umani era certamente una delle più belle. Forse la più bella di tutte… magari un giorno avrebbe abitato lì.
Mentre Milo costeggiava tutta la rupe, e quello spettacolo continuava a imporsi, pensò alla sua patria. Anche Ganimede godeva di ottima reputazione ed era considerato meraviglioso, ma era artificiale, terraformato. La Terra invece s’era evoluta da sé, senza alcun aiuto, e quel cielo azzurro intenso era troppo bello da non premiare e osservare per ore. E la sua Luna era così… perfetta! In passato, aveva studiato che era stata bianca e rilucente, ma adesso era un mondo simile alla Terra che faceva capolino tra le nubi con i suoi colori intensi. Terraformata, vero, ma della grandezza giusta per creare un ottimo spettacolo nel firmamento.
Su Ganimede il grasso Giove, i suoi deboli anelli e le sue altre infinite lune occupavano quasi tutto il cielo e Camus non li aveva mai trovati armonici tra loro.
«È straordinario.» disse solo.
Il quad rallentò fino a fermarsi. Istintivamente Camus lasciò andare la presa su Milo, adesso non necessaria, e si allontanò.
«Tu hai questo tesoro dietro casa…» continuò Camus sfilandosi il casco.
Milo fece lo stesso, smontando dal quad.
«Non sarà speciale quanto i laghi di Marte o il vostro mare rosa ma-»
«Stai scherzando, spero.» lo interruppe Camus raggiungendolo. «È molto meglio.»
Milo si appoggiò al quad, con un sorriso incerto.
«Se lo dici tu.»
 
Note finali: Alien AU! http://unicagem.tumblr.com/tagged/mc-alien-au

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Capitolo 5
*** Piccolo ***


Titolo: Piccolo
Rating: verde.
Tipologia: flashfic.
Genere: commedia, generale.
Pairing: Milo/Camus (non proprio coppia qui, ma sono tutti di otp prompt :v)
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: prequel, PoV di Milo.
Parole: 498
Note dell’autore: chiamate la polizia del Santuario!
Prompt:

Imagine Person B tossing rocks at A’s window, not knowing the window is open and has no screen.


Spostando con la mano un’ultima fronda,  un piccolo bambino biondo si ritrovò davanti a un muro di marmo bianco. Alzò gli occhi: la finestra che aveva voluto raggiungere era proprio sopra di lui.
«Ehi, Camus.» disse, senza alzare troppo la voce. «Sono Milo!»
Non vedeva perfettamente la finestra, tuttavia: certo, scorgeva l’infossatura nel muro e il cornicione, ma non sapeva se le ante fossero aperte o chiuse.
Batté le mani per richiamare l’attenzione dell’amico, ma non fu sufficiente.
«Camus!» riprovò, ma temeva che parlare a voce alta avrebbe solo contribuito a farlo scoprire dalle guardie. Beh, certo, sarebbe potuto scappare via da loro senza problemi – sarebbe presto divenuto un cavaliere d’oro e le guardie già temevano un bimbo come lui! – ma ciò avrebbe comportato l’assenza di Camus dai suoi piani.
Pensò un momento, poi iniziò a imitare i richiami per uccelli che conosceva. Camus avrebbe capito.
Dopo un minuto buono di tentativi, tuttavia, si arrese.
«Camus dove sei!» iniziò a lagnarsi e battere i piedi per terra. «Camus!»
Mentre si preparava a piagnucolare in grande stile, uno dei suoi piedi urtò un sassolino che rotolò e sbatté contro il muro. Idea! Subito Milo lo raccolse.
«Camus?» tentò ancora, poi tirò la pietra verso la finestra. Camus non avrebbe certamente ignorato un richiamo del genere.
Si abbassò a raccogliere altri sassi, poi si rimise in posizione per tirare. Il primo sasso non era tornato giù, dunque probabilmente le ante erano aperte… oppure il sasso s’era incastrato tra di loro.
Per esserne certo, tirò velocemente altre due pietre.
«Camus?»
Nessuna delle due pietre tornò giù, ma in compenso le sentì battere contro qualcosa. Si abbassò nuovamente, ma in quel momento sentì un rumore di passi provenire dall’alto.
«Milo, sei tu? Ma che stai combinando?»
Gli bastò sentire la voce per sorridere.
«Camus!» esclamò. «Dai, vieni giù! Dov’eri?»
L’altro bambino, affacciato alla finestra, teneva le tre pietre in mano. «Sst! Se urli così ti sentiranno.»
Camus si liberò delle pietre lanciandole lontano da Milo, poi continuò: «Ero in bagno. Ti avevo detto che sarei venuto io a prenderti.»
Milo incrociò le braccia, indispettito, e per istinto si scusò: «Io non sono piccolo.»
Per tutta risposta, Camus si arrampicò sul cornicione e si aggrappò a una lesena coperta di edera, proprio vicino alla finestra.
«Nemmeno tu puoi uscire?» chiese Milo a bassa voce.
«Henriette vuole che faccia i compiti.» rispose Camus, e con un balzo saltò sul prato accanto all’amico.
«Il mio maestro vuole farmi dormire invece.» spiegò Milo. Poi incrociò le braccia. «Ma io non sono piccolo!»
Camus si rialzò. Milo non poté negare che parecchi centimetri di altezza in più costringevano Camus ad abbassare la testa per parlare con lui, però era l’unico che non lo faceva sentire più… piccolo e minuto di quanto già non fosse!
«Andiamo, catapulta.» disse Camus dirigendosi verso la vegetazione.
«Catapulta?» rise Milo curiosamente, con l’innocenza della sua età. «Perché mi hai chiamato catapulta?»
«Per i sassi!» i risolini di entrambi frusciarono tra gli arbusti.

 
Note finali: Saga e Aiolos sono in pausa pranzo! ABBIOCCO POMERIDIANO! http://unicagem.deviantart.com/art/Baby-gold-saints-and-their-crazy-adventures-574763907

 

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Capitolo 6
*** La Materia Blu ***


Titolo: La Materia Blu
Rating: giallo (?)
Tipologia: one-shot, ma sembra il prologo di una longfic :v
I Genere: science fantasy.
Pairing: Milo/Camus (?)
Personaggi: Milo, Camus, Aiolia, Aiolos, Ale-Alejandro (sì, LUI), gente a caso.
Avvertimenti: AU, PoV di Milo.
Parole: 3807
Note dell’autore: “Milo” è probabilmente un titolo per indicare archeologici nerd che scoprono antiche civiltà quali Atlantide o…
Prompt:
 
Person A is an archaeologist. Person B is the person they accidentally brought back from the dead (in all their glory) when they read a resurrection ritual off of a wall.
 
Già il solo fatto di trovarsi in Bretagna rendeva Milo euforico.
Quelle terre verdi, fertili e collinose bastavano per evocare un passato antico e misterioso, di cui molti aspetti erano rimasti celati nella storia, sepolti all’uomo moderno. L’odore di umido era ovunque, permeava l’intera zona come se da un momento all’altro sarebbe scoppiato a piovere, benché nessuna nuvola macchiasse il cielo primaverile.
Ma lì, in quella grotta della foresta di Huelgoat, l’acqua sgocciolava da alcune fessure alle pareti, creando piccole pozze o rigagnoli che si nascondevano nel sottosuolo dopo qualche metro, celandosi come  la storia della stessa Bretagna. Il muschio su ogni roccia raccontava una lunga assenza di luce solare, e forse nessun essere umano aveva calpestato quei ciottoli da secoli.
Milo puntò la propria torcia verso una parete di roccia.
«Dev’essere qui.» sussurrò, avvicinandosi. «Chiama gli altri, Aiolia.»
Aiolia lo raggiunse, poi portò un walkie-talkie vicino alla bocca. «Aiolos, mi senti? Scendete, abbiamo localizzato la zona. Seguite il cavo.»
«Ricevuto.» rispose l’altro.
Milo passò la mano su un’incisione, avvertendo sotto le sue dita le umide cavità che formava.
«Che c’è scritto? Lo capisci?» chiese Aiolia, con un sorriso infervorato.
L’altro ricambiò, ma attese qualche secondo prima di parlare. Era così emozionato che le sue mani tremavano vistosamente.
«Sì. È una variante del gallico, perché alcune cose sono un po’ diverse da come le ho studiate, ma… non ho dubbi, è gallico. E lo capisco.» indicò la scritta che aveva toccato un attimo prima. «“Lince”. L’abbiamo trovata, Aiolia. È tutto vero!»
Aiolia si portò le mani al viso, scuotendo la testa. Milo non poteva vedere bene i suoi occhi a causa dell’oscurità, ma poteva immaginare che fossero lucidi. Almeno quanto i suoi.
«Io… è incredibile.» sussurrò Aiolia. Si slegò un cavo dalla vita e lo legò a una roccia poco distante. «Come è possibile?»
«Mi chiedo come facesse a saperlo chiunque ci abbia commissionato.» replicò Milo, illuminando con la propria torcia il cunicolo in cui si trovavano. «Qui solo un radar in grado di analizzare il sottosuolo può aver trovato quest’anfratto.»
«Dici?» gli occhi di Aiolia si sgranarono. «Ma… ma è tecnologia d’avanguardia. Non so nemmeno se esistano modelli in circolazione, qui in Europa.»
Milo stava per rispondere, ma Aiolia riprese: «Però… ci hanno pagato così bene, Milo, e in anticipo! Chi mai finanzierebbe un progetto così folle? Siamo due archeologi greci, non ha senso che ci abbiano pagato per venire qui se non fossero stati certi del ritrovamento.»
«Io conosco la lingua gallica. E altre lingue antiche.» fece Milo, alzando le spalle. «Tu hai scritto un libro su questa zona.»
«E mio fratello cosa c'entra?»
In quell’esatto momento, due luci rischiarono il cunicolo e un rumore di passi nell’acqua risuonò con un corto eco.
«Eccoci!» la voce di Aiolos arrivò poco dopo. «Fermi, ho il rilevatore di agenti patogeni. Spero non abbiate toccato nulla.»
Milo congiunse le mani. Beh, aveva indossato i guanti per un motivo. Ma…
«Siete pazzi?!» esclamò subito dopo lo stesso Aiolos, indicando il viso del fratello. «Mettete subito le maschere!»
«Ma che storia è mai questa!» esclamò Aiolia. «Piuttosto sbrigati con quell’affare.»
Con un passo colpevole, Milo si avvicinò ad Aiolia e alzò le spalle. «Evidentemente il nostro committente ha bisogno anche di un ricercatore.»
Il quarto uomo della spedizione puntò la propria torcia verso la parete e la esaminò a lungo, mentre il macchinario che Aiolos reggeva in mano emetteva alcuni bip ritmicamente.
«Va tutto bene?» chiese, in inglese. La sua cadenza tuttavia tradiva un’origine ispanofona.
Avendo parlato fino a quel momento in greco, Milo realizzò che quell’uomo non aveva capito le battute scambiate da Aiolia e suo fratello. Aiolia stesso lo precedette.
«Sì, sì, Alejandro.» replicò. «Niente di serio.»
La macchina di Aiolos smise di fare rumore e il piccolo display s’illuminò di verde. Milo sospirò – non c’era da scherzare con certe cose.
«Ok, possiamo aprire.» fece Aiolia, avanzando verso la roccia, ma Alejandro balzò in avanti e bloccò il suo cammino.
«Sono io lo speleologo.» sentenziò duramente, togliendosi la maschera. Il viso pallido era impassibile. «Ci penso io.»
«Scusa, noi siamo archeologi.» ribatté con fare deciso Aiolia. «Siamo stati a Derinkuyu e altre città sotterranee, questa è…»
Aiolia continuò a parlare in inglese e a un certo punto Milo perse il filo del discorso, senza riuscire più a capire cosa l’amico dicesse. Come se non bastasse, anche Aiolos s’intromise e iniziò a battibeccare con Alejandro. Sentendosi escluso dalla discussione, Milo si concentrò unicamente su quest’ultimo: oltre a parlare, tastava la roccia quasi con fare esperto, come se sapesse già cosa cercare. Trovò la cosa molto singolare.
Fu dunque una sorpresa anche maggiore vederlo puntare la torcia contro uno sperone di roccia situato quasi sul terreno, vicino un piccolo rigagnolo d’acqua.
«Cos’è quello?» chiese, sperando di troncare ogni altra discussione. E ci riuscì.
Alejandro, stranamente, non si fece trovare impreparato.
«È una porta che sfrutta la forza idraulica per l’apertura.» spiegò, mentre i tre si avvicinavano a osservare. «Un ottimo sistema.»
Milo rimase sbigottito. Certo, aveva visto parecchie forme di tecnologia negli scavi in cui aveva preso parte, ma un simile sistema non trovava riscontro nelle sue conoscenze. Osservò lo speleologo con stupore: ma come faceva a saperlo? Sembrava una conoscenza più atta a un ingegnere edile o, appunto, archeologo molto esperto. Si sentì quasi prevaricato nella sua sfera di competenza, e perciò indispettito, e un sospetto minò la sua mente. Perché il committente aveva assoldato uno speleologo dichiaratosi spagnolo, e non uno locale, certamente più esperto della zona?
Prima di poter continuare a pensare, vide Alejandro tirare la leva. Fu un attimo interminabile.
Anziché abbassarla o alzarla, l’uomo la estrasse e con un improvviso schizzo dell’acqua iniziò a fuoriuscire dalla fessura creatasi. Solo allora Milo s’accorse che la parete non era formata da un’unica pietra, ma c’era un’enorme lastra incastrata tra le pareti del cunicolo.
«State indietro.» li avvertì Alejandro.
Il lastrone, muovendosi, rivelò la sua vera forma. Era una ruota. Un’enorme ruota che, con scricchiolii e tonfi nell’acqua, si stava muovendo, come una porta.
Poi Milo sobbalzò.
«Ma è stata fatta per essere chiusa e aperta una sola volta!» esclamò. «Non ha senso!»
Un intenso pulviscolo si alzò davanti a lui, e la luce delle torce non riuscì a penetrare all’interno della cavità.
Che costruzione era mai quella?! Le tombe erano studiate per non essere mai aperte in quasi ogni civiltà, e dunque presentavano un difficile livello di penetrazione. Città sotterranee come Derinkuyu, menzionata poco prima da Aiolia, avevano invece portali d’accesso di continuo utilizzo.
«Ho il faro!» disse in quel momento Aiolos, sganciando dalla vita una torcia più grande e appoggiandola a terra. «Un momento.»
«Milo, io…» Aiolia non riuscì nemmeno a finire la frase per lo sbigottimento.
Un intenso lampo di luce illuminò l’intera galleria. La ruota di pietra s’era adesso conficcata nel muro, e lungo l’incavo su cui aveva rotolato s’era raccolta dell’acqua che si riversava in una cavità tra le rocce, per poi sparire. Era incredibile.
Milo avanzò verso la camera che quell’insolito portale aveva rivelato. Il pulviscolo iniziò a dissiparsi, poi la luce del faro illuminò l’interno.
Il cuore mancò un battito.
«Oh Dio.» bisbigliò Aiolia, al suo fianco.
La roccia della camera era completamente colorata di blu e ricoperta di incisioni, di disegni in oro. Casse enormi ricolme di oggetti, abiti, tavolette erano disposte lungo le mura, ma tutto ciò perdeva importanza di fronte al feretro situato al centro della stanza.
Un feretro, sì, un feretro aperto, obliquo rispetto al terreno, tenuto in quella posizione da altre rocce di colore blu su cui erano state deposte corone di fiori e rami ormai appassiti, decomposti.
Ma Milo dedicò loro un solo istante del suo tempo, perché i suoi occhi erano ormai fissi sulla persona riposta in quella bara, così serena da sembrare addormentata, così viva nonostante fosse morta – a rigor di logica - da millenni.
La pelle era completamente integra, senza la minima traccia di decomposizione. Era chiara, e permeata dal pallore della morte, ma la luce abbagliante del faro la faceva apparire luminosa almeno quanto la sua.
«È  sicuro…» bisbigliò Aiolos, quasi con sacralità.
Milo immaginò che parlasse di agenti patogeni, ma non vi prestò attenzione.
Avanzò verso il feretro.
Era un ragazzo. Un ragazzo più o meno della sua età, con i capelli lunghi e rossi, resi opachi dal tempo, e gli occhi socchiusi e seminascosti tra le ciglia scure. Le lentiggini costellavano tutta la sua pelle, e punteggiavano persino le labbra di un rosso così acceso innaturale persino per un uomo in vita; ma già sul collo, sotto il torque, e poi ancora più giù, sulle braccia, sulle gambe, la sua pelle era percorsa da strisce di colore blu, come l’intera stanza.
Gli abiti risentivano dell’usura del tempo, ma era facile notare la loro fattura pregiata. Un abito, allacciato poco sopra la vita, copriva quel ragazzo fino alle ginocchia, mentre sulle spalle cadeva un mantello di pelle e piume, legato al centro del petto, dove si trovava un maestoso gioiello blu. Sembrava ambra, benché il colore fosse diverso, o un bizzarro opale: piccoli frammenti dorati si trovavano all’interno, mischiati tra sfumature di tono che ricordavano a Milo l’immagine di una nebulosa.
«Questa mummia… è perfetta.» sussurrò Aiolia. «Lui è… la Lince.»
Finalmente Milo distolse gli occhi dal ragazzo e si volse. Aiolia era dietro di lui, con gli occhi sgranati e le mani a mezz’aria. Aiolos era rimasto a bocca aperta, e persino Alejandro, sino a quel momento così duro e controllato, osservava il feretro con un’espressione colpita.
Eppure fu lui il primo a riprendersi.
«Presto, leggi.» Alejandro si rivolse proprio a lui, a Milo, indicando le scritte sulle pareti. «Cosa dicono?»
La voce tradiva una certa fretta, adesso. Milo sbatté le palpebre.
«Questo… questo è un antico Gallo, un Celta. È conservato in maniera così perfetta…» balbettò, poi riprese la sua compostezza. «Come Rosalia Lombardo, a Palermo. Ma quella bambina è morta un secolo fa! Questa mummia è qui da almeno due millenni!»
Aiolia avanzò ancora, con un sorriso infervorato. «Guardalo… è esattamente come le descrizioni dei Celti! Alto, con i capelli rossi, pallido…»
Alejandro si avvicinò a una parete e la indicò. «Dobbiamo sapere.»
Milo era così confuso, e sconvolto, che ormai nulla gli pareva più strano della mummia… della Lince! Il committente aveva ragione!
Scattò verso la parete, scrutando le incisioni e le scritte. Sì! Doveva sapere! Doveva sapere tutto sulla Lince!
Poteva non parlare bene l’inglese, saper biascicare solo qualche frase semplice e capire superficialmente, e poteva anche non imparare nessun’altra lingua straniera in vita sua. Ma ciò non importava, perché se c’era qualcosa in cui nessuno poteva batterlo, era il numero considerevole di lingue antiche che conosceva – e parlava.
Sin da piccolo memorizzava poesie e, quando aveva recitato il proemio dell’Iliade in greco antico davanti la maestra e una classe sconvolta, aveva capito quale fosse la sua vocazione. Perché mai imparare una lingua moderna, quando migliaia di lingue estinte meritavano di essere riportate in auge?
«La Lince riposa come…» si bloccò. Non riusciva a tradurre in inglese, e così riprese a leggere. In gallico. «La Lince riposa come la Luna in procinto di sorgere. Il Sole rincorre e si cela. Il Cervo è il Sole e la Lince è la Luna.»
Cos’erano quei termini? Cosa indicavano? Sospettava che fossero onorifici sin da quando aveva letto Lince nei documenti del committente, ma cosa significavano di preciso?!
«Puoi tradurre?» chiese Aiolos.
«Leggi qui!» fece subito dopo Alejandro, indicando un’altra iscrizione. «In lingua originale!»
Milo si accorse che, avendo parlato in gallico, nessuno lo aveva capito, ma l’euforia era tale da accecare la sua lucidità.
«Per l’uccisione della sorella del Cervo la Lince deve espiare il suo peccato.» continuò con fervore crescente. La storia! La storia della Lince! «La Lince accetta, la morte non è temuta, la fiducia è tale da rinunciare alla vita.»
Notò con la coda dell’occhio Alejandro prendere un visore dalla cintura, ma quello, notando il suo silenzio, sobbalzò.
«Continua! Leggi!»
Aiolia, finalmente, uscì dal torpore in cui era caduto e smise di osservare la mummia.
«Traduci, Milo!» esclamò, quasi urlando.
«No!» Alejandro indicò la parete, ancora. «Finisci!»
Confuso, ma troppo curioso, Milo non si fermò.
«Ma la colpa è troppo grande, il Cervo non può perdonare.» chi era questo Cervo?! «Chiede perdono a sé mentre sostiene la Lince morente e pone il suo corpo nella Grotta della Luna.»
Quella era una testimonianza preziosissima. Doveva trattarsi di un gruppo di Celti ancora ignoto, una civiltà con una lingua simile ma una cultura diversa, come si poteva evincere da quella sepoltura e da quegli onorifici sconosciuti.
«Adesso tieni.» fece Alejandro, porgendogli bruscamente il visore. «Guarda in alto.»
Milo alzò d’istinto il capo. Fu allora che notò che il soffitto della camera presentava dei disegni: le pareti erano ricoperte da simboli, vero, ma la pittura sopra di lui era un’assoluta rarità per l’arte celtica. Era l’unica parte della camera non totalmente colorata di blu. Raffigurava due uomini, uno rosso, uno blu, rispettivamente posti davanti al Sole e alla Luna, e circondati da abbozzi di fuoco e ghiaccio.
Non ebbe dubbi: erano il Cervo e la Lince.
«Con questo!» insistette Alejandro scuotendo il visore.
«Ma che ti succede?» esclamò Aiolos.
Milo sentì il visore pigiato contro il suo viso con forza.
«C’è una scritta sotto questi disegni.» tagliò secco Alejandro. «Guardala e leggila.»
«E tu come fai a saperlo?!» Aiolia s’infiammò.
Ma Milo fece come gli era stato detto: non era questione di ordini, ma di conoscenza personale.
Lo speleologo aveva ragione: quel visore riuscì a evidenziare una scritta che era rimasta nascosta sino a quel momento a causa dei dipinti.
Aprì la bocca.
«Segue la luce al buio e il debole al forte, non chiedo pietà e non chiedo rancore.» iniziò. Cosa…? «Nel mio petto tace e non batte ora il cuore, io chiedo solo che la vita segua alla morte.»
Allontanò il visore dal viso. Ciò che aveva appena letto non aveva alcun senso!
«Io non cap-»
S’interruppe. La gemma che la mummia della Lince portava sul petto s’era illuminata di un bagliore blu.
«Cosa?!» farfugliò Aiolia.
Dei raggi di luce blu, scaturiti da quel monile, si proiettarono per tutta la camera e costrinsero Milo e gli altri a portare la mano davanti agli occhi. All’improvviso, riavvertì i segreti della Bretagna, delle sue terre, della sua cultura misteriosa; non aveva mai provato nulla di simile in precedenti esplorazioni. Era come se… questa volta avesse scoperto qualcosa molto più importante di una tomba.
Abbassò la mano.
Gli occhi della Lince si aprirono.
Altri raggi di luce blu circondarono il corpo nel feretro, e una volta scomparsi Milo notò che l’abito, i capelli, i segni sul corpo della Lince erano tornati perfettamente brillanti.
Udì un tonfo.
«Aiolos!»
Vide il ricercatore a terra, svenuto, e Aiolia – che aveva urlato – chino su di lui, ma con gli occhi fissi sulla Lince.
Doveva essere uno scherzo. Una missione di prova del committente, un test. Ciò che vedeva… non aveva alcun senso. Perché mai una mummia sarebbe dovuta… risorgere?
«Surt!» esclamò la Lince.
Milo si sentì osservato, e spostò gli occhi su Alejandro. No, non era lui a fissarlo: quello osservava la Lince. Milo respirò lentamente… era proprio la Lince a scrutarlo.
«Dov’è il Cervo?» continuò. «Chi siete voi?»
Milo capiva ogni sua parola. Era quella stessa lingua che aveva appena letto. Non aveva senso, dannazione, nulla aveva senso!
«Mi aveva promesso che sarebbe stato qui.» la Lince si osservò intorno. «Dov’è?»
Con un passo uscì dal feretro, stracciando le corone di foglie e di fiori, anch’essi tornati freschi come se appena raccolti.
«Chi sei?» balbettò Milo.
La Lince si volse verso di lui. Il suo sguardo era felino.
«Sono la Lince. Io sono Camus.»
«MILO STA’ LONTANO DA QUELLA COSA!» strillò Aiolia. «ANDIAMO VIA!»
Quel Camus guardò negli occhi Aiolia e ripeté: «Io ho risposto. Chi siete voi?»
Poi la sua attenzione fu catturata dalle pareti. Milo lo vide dirigersi verso le incisioni che poco prima aveva letto. Alejandro, lì vicino, rimase immobile.
«No.» disse a un certo punto Camus. «No. Non può avermi ingannato. Non può aver infranto la nostra promessa.»
In quel momento, Milo si accorse di essere rabbrividito, di tremare. Sebbene indossasse abiti pesanti, il freddo che stava provando era di origine sconosciuta e improvvisa.
La Lince alzò gli occhi verso il soffitto. Milo lo vide sgranare gli occhi sempre più.
«Ha cancellato il rituale…» sussurrò, poi alzò il tono della voce. «Come avete potuto riportarmi in vita, allora?»
Per tutta risposta, Milo alzò il visore, anche se quel Camus non avrebbe potuto capire.
«Quanti anni sono passati? Dieci, vero?» la Lince si avvicinò a lui. «Aveva detto dieci anni…»
«Io sospetto…» Milo esitò. Sarebbe scoppiato a ridere se quello fosse stato un film. «Duemila, circa?»
«MILO ANDIAMO VIA!»
«Mi ha ucciso e ha scritto quello scempio nella mia… tomba! Ha oltraggiato la mia tomba, la mia fiducia!» sibilò con sdegno Camus. «Come ho potuto pensare che sarebbe cambiato per me?! Come ho potuto pensare di poter salvare la sua anima…»
Milo fece mente locale. Allora. La Lince aveva ucciso la sorella del Cervo. Una promessa. Il Cervo… no, la Lince aveva acconsentito a… morire per dieci anni per espiare la sua colpa? A patto di essere riportato in vita una volta scaduto il tempo? Ma il Cervo aveva… ingannato la Lince per ucciderla e sigillarla per sempre in quella “tomba”? Ora capiva perché quella strana porta potesse essere aperta solo una volta…
«Ah!»
La Lince urlò, improvvisamente. Milo sobbalzò.
Riuscì a vedere Alejandro strappare il monile blu dal petto di Camus, con un solo colpo. La forza fu tale che il mantello si strappò e cadde a terra e la Lince barcollò all’indietro.
Poi Alejandro estrasse una pistola.
«BRUTTO BASTARDO, LO SAPEVO.» strillò Aiolia, mentre Milo trasaliva atterrito.
«Taci.» sibilò secco Alejandro. Poi prese il suo walkie-talkie. «Missione compiuta. Mandare rinforzi. Ho la Materia Blu.»
La Lince era rimasta immobile, con un’espressione gelida in volto. Alejandro puntava la pistola proprio nella sua direzione e Camus, che Milo reputò ignaro del pericolo, sembrava sul punto di balzare in avanti e attaccare. Proprio come una Lince.
In uno slancio di altruismo, coraggio o semplicemente amore per prove tangibili della resurrezione Milo ma cosa diamine vai blaterando si portò davanti al risorto, alzando le mani.
«Sta’ calmo.» sibilò in gallico. Poi cominciò a parlare in inglese. «Cosa vuoi da noi?»
Aiolia s’era posto a protezione del fratello svenuto, le braccia aperte e sollevate, il viso contrito in una smorfia rabbiosa.
«Incamminatevi.» disse Alejandro, facendo a Milo un cenno col capo. «Solo tu e la Lince. Questo posto sta per crollare.»
«Che cosa?!» sbraitò Aiolia.
«I miei uomini stanno arrivando.» ribatté Alejandro. «Vi preleveranno tra qualche istante.»
Milo si volse appena verso la Lince. L’apertura bizzarra… ma certo.
«Questo posto viene distrutto una volta aperto, vero?» chiese in gallico.
Camus gli si avvicinò. Pareva aver compreso il pericolo adesso. «Sì. L’acqua farà cedere la grotta, ma c’è abbastanza tempo per uscire e portare via i miei averi.»
«Silenzio, e camminate.» ripeté Alejandro.
Milo afferrò il braccio di Camus e lo portò davanti a sé, schermandolo dalla pistola. Gettò un’occhiata rigida ad Aiolia, poi avanzò. Poteva sentire l’arma puntata alla sua schiena mentre camminava lungo il cunicolo della grotta, nonché l’acqua che scorreva sempre più rumorosamente.
«Devo riavere la mia gemma.» mormorò seriamente Camus.
«Digli di tacere.» fece Alejandro.
Milo strinse di più il braccio della Lince. Senza mantello, aveva le spalle e il petto totalmente scoperti, ma non tremava né aveva la pelle d’oca.
«Hanno ingannato anche me.» sussurrò Milo.
La Lince si fermò un attimo e lo guardò negli occhi, poi riprese a camminare.
«Non capisci.» sibilò. «Devo riaverla.»
«Zitto.» tagliò corto Milo.
Un rumore di passi più pesanti iniziò a riecheggiare nel cunicolo. Da lontano, Milo vide arrivare una moltitudine di uomini vestiti di nero, alcuni con dei fucili in mano. Gli si mozzò il respiro: sembravano militari.
Il misterioso committente. La localizzazione della grotta. L’identità di Alejandro.
«Fotografate ogni angolo della camera.» ordinò proprio Alejandro ad alcuni uomini. «Prendete tutto e portate i fratelli alla base.»
Almeno non aveva mentito riguardo ai suoi amici. Milo sospirò di sollievo.
Dopo altri pochi passi, l’uscita dalla grotta – la Grotta della Luna, secondo l’incisione – divenne visibile. Poteva adesso distinguere altri uomini collocati in due file, come se attendessero proprio loro per scortarli. Il cuore di Milo martellava incessante, ma non poteva mostrarsi intimorito. Se era stato portato fin lì, e non ancora ucciso, allora la sua attività era davvero necessaria per il committente.
Socchiuse gli occhi. Le lingue antiche.
Alcuni uomini lo afferrarono con forza e fu costretto a lasciare la presa al braccio di Camus. Altri due uomini subito bloccarono la Lince per le spalle, mentre altri porgevano una valigetta nera ad Alejandro.
L’uomo vi ripose la gemma e la chiuse. Poi si passò una mano tra i corti capelli neri, lentamente.
«Andiamo.»
«È mia.» sibilò Camus. Milo gli lanciò un’occhiata torva, con la speranza che tacesse.
Lungo il sentiero che poco prima aveva percorso con una jeep v’erano adesso diversi veicoli blindati neri. Uno di essi aveva il portellone posteriore aperto, e all’interno v’erano due panche ai lati, come nei veicoli della polizia.
«Entrate.»
Entrambi furono spinti all’interno e il portellone fu richiuso in fretta. Camus subito testò le pareti, confuso, ma Milo si diresse verso il piccolo vetro che lo separava dai sedili anteriori. Vide Alejandro accomodarsi accanto al guidatore ed estrarre un telefono da una tasca.
«Merito una spiegazione, suppongo.» sibilò, sperando che il locale non fosse insonorizzato.
Alejandro si volse, fece un sorriso sghembo, e avvicinò il telefono all’orecchio.
«Shura a rapporto, signore. Ho la Materia Blu qui con me.» dicendo ciò batté la mano sulla valigetta, appoggiata sulle ginocchia. «Tutto è andato come previsto.»
Milo strinse i denti. Sapeva che molti governi bloccavano scavi archeologi quando le scoperte si rivelavano troppo fastidiose, o studi scientifici quando la scienza imboccava strade troppo innovative. E i soli autorizzati a proseguire erano i militari.
Gettò un’occhiata a Camus, la Lince. C’erano alte probabilità che quel morto vivente fosse il risultato di un esperimento segreto.
«Sì, la Lince e il traduttore sono con me.» proseguì Alejandro. O Shura. O qualunque fosse il suo nome. «I fratelli verranno trasportati con il tesoro della tomba.»
Il furgone partì. Camus si lasciò sfuggire un verso di stupore e barcollò, ma Milo riuscì a bloccarlo per il braccio prima che perdesse l’equilibrio.
Shura poi bussò sul vetro.
«Signor Stamatos, chiedo scusa a nome della mia squadra per i metodi bruschi.» disse. Non parlava più al telefono. «Sarà pagato lautamente, non si preoccupi.»
E quell’improvvisa formalità? Milo si avvicinò al vetro, sempre reggendo Camus per il braccio.
«Cosa vuoi da me?»
Shura socchiuse gli occhi. «Benvenuto nel Progetto Gemini.»
Dopodiché, il vetro si oscurò.
 
Note finali: WAKE ME UP! WAKE ME UP INSIDE! I CAN’T WAKE UP! WAKE ME UP INSIDE! SAVE ME! CALL MY NAME AND SAVE ME FROM THE DARK! Ma questa versione https://www.youtube.com/watch?v=tOsck7jYUsE
Eeeeh stavolta Surttrtrrtr l’ha fatta grossa. Il Progetto Gemini ne terrà conto.

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Capitolo 7
*** Acrobazia ***


Titolo: Acrobazia
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: commedia, generale.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: AU, PoV di Camus, slash.
Parole: 673
Note dell’autore: che pazzerelli (?)
Prompt:
 
Imagine person A of your OTP seeing an awesome, extremely dangerous stunt on TV and, later, saying to person B: “Hold my beer; I’m gonna show you a kickass stunt I saw on TV.”
 
Three guesses what happens next.
 
Uscì dalla doccia e s’infilò l’accappatoio in fretta, nervoso.
D’accordo, d’accordo, era tutta colpa sua e della sua abitudine a svegliarsi tardi se fossero già le undici e avesse sprecato metà mattinata a dormire. Si iniziò a pettinare i capelli ancora bagnati, poi aprì la porta del bagno e gettò un’occhiata nella stanza.
«Sono venuti a prendere i bagagli?» chiese.
Sul letto sistemato, un ragazzo biondo già vestito di tutto punto mangiava qualcosa da un sacchetto e guardava la televisione.
«Sì, Camus.» sospirò. «C’è tempo.»
«La nave parte tra un’ora, Milo.» replicò l’altro con fare seccato. «Quando pensavi di svegliarmi?»
Per tutta risposta Milo indicò la televisione. «Guarda là, io lo so fare.»
Camus si richiuse in bagno. Non voleva perdere altro tempo a battibeccare inutilmente.
 
«Hai visto?» chiese Milo con fare arrogante, alzando un sopracciglio. «Abbiamo fatto in tempo, anzi, mancano venti minuti e la nave è ferma lì.»
Camus sospirò pazientemente.
Stringendo la mano dell’altro, percorreva in discesa una scalinata bianca tra le tipiche case greche dal tetto azzurro. Davanti a sé, oltre una strada e un’altra fila di case, si vedeva il piatto mare Egeo e il porto, dove una grossa nave da crociera attendeva gli ultimi villeggianti per ripartire. In dieci minuti l’avrebbero raggiunta.
«Mi sarebbe piaciuto fare un ultimo giro per la città.» ammise Camus. «Non ero mai stato a Lesbo.»
«Meno male che la crociera non include Mykonos.» ridacchiò Milo. «Troppi gay.»
Camus socchiuse gli occhi, sofferente per la pessima battuta, poi avvicinò alla bocca il bicchiere che reggeva nella mano libera. Bevve un sorso.
«Ecco un gay che si abbevera.»
Con un sussulto Camus tossì, deglutendo a fatica. Evidentemente Milo era in vena di scherzi.
«Sei ubriaco?» replicò secco, gettando un’occhiata al bicchiere dell’altro.
Fu allora che Milo gli lasciò la mano e gli porse la bevanda, con un’occhiata furba.
«Tienimi la birra.» gli disse.
Camus prese il bicchiere, ma sospettosamente. «Perché?»
«Ora ti faccio vedere un’acrobazia fantastica che ho visto stamattina in TV.» spiegò Milo, salendo su un grosso muretto al lato dei gradini. Camus sgranò gli occhi. «Meno male che ho fatto quel corso…»
«Scendi subito!» mormorò Camus perplesso e, soprattutto, spaventato. «Vuoi morire in luna di miele?!»
Milo mosse teatralmente la mano verso il basso, socchiudendo gli occhi.
«Ci vediamo all’ultimo gradino.»
«Mil-»
Ancora prima di poter pronunciare il suo nome, Camus vide Milo saltare e avvitarsi abilmente in aria, almeno a due metri di altezza dai gradini. Milo era stato euforico dal primo giorno della crociera e luna di miele, vero, ed entrambi avevano bevuto sempre un po’ troppo per festeggiare, ma… Camus non avrebbe mai potuto immaginare che avrebbe visto Milo, il suo neo marito, rotolare per un’intera rampa di scale per mostrargli lo stunt visto in televisione.
Il primo pensiero, mentre correva verso di lui, fu quello di chiamare non l’ambulanza ma le pompe funebri.
«Ma che diamine ti salta in mente!» gridò tentando di controllarsi. «Milo!»
La ruzzolata terminò proprio all’ultimo gradino, in un viottolo senza alcun passante. Camus si bloccò istintivamente, attendendo una qualsiasi reazione, e strinse i due bicchieri più forte.
«Tadà! Ti è piaciuto?» esclamò all’improvviso Milo, rialzandosi. «Sono pronto per raggiungere Cipro!»
Camus scaraventò entrambe le bevande contro di lui, con ottima mira.
 
I movimenti della nave si avvertivano appena nel letto morbido della cabina e gli oblò chiusi, incorniciati dalle tende aperte, lasciavano entrare la debole luce dell’ultimo quarto di Luna.
Camus si lasciò andare a un sospiro più lungo e soddisfatto, mentre appoggiava il viso alla nuca di Milo e gli cingeva dolcemente la vita con un braccio.
Stava per addormentarsi, quando Milo si spostò lentamente.
«Camus, dormi?»
Il debole sussurro fu sufficiente per fargli aprire di scatto gli occhi.
«Che succede?» mormorò, issandosi. Non vedeva bene a causa del buio, ma riuscì a distinguere gli occhi di Milo quando questi si voltò.
«Possiamo cambiare lato?» bisbigliò con aria colpevole il neomarito. «Mi… mi fa male la spalla.»
Camus si lasciò scivolare, a peso morto, sul letto.
Almeno non era rimasto precocemente vedovo.
 
Note finali: MA MILO!!! PER FAVORE!!! SE DEVI AMMAZZARTI, FALLO NELLE SERIE CREATE DALLA TOEI.

Spero che la raccolta vi stia piacendo!

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Capitolo 8
*** Gelati! ***


Titolo: Gelati!
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: commedia, romantico.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Camus, Hyoga, Isaac, Aiolia, Aiolos, Marin, Touma, la sorella di Milo, i pappagalli di Milo, i vicini di casa di Milo, Milo.
Avvertimenti: AU, PoV di Milo, slash.
Parole: 2404
Note dell’autore: gelatiiii!
Prompt:
Imagine Muse A owns an ice cream truck and muse B is a die-hard fan and comes every time the truck passes their house. 

Milo si sistemò meglio sotto le coperte e si rannicchiò, tentando di smettere di sorridere. Fu inutile: ogni volta che tentava di calmarsi e addormentarsi, nella sua mente si affacciava l’immagine di un camioncino rosa e giallo, e sentiva una melodia allegra e giocosa.
Il grande giorno stava per arrivare.
Non era certo il furgoncino in sé a infervorarlo – anche se trovava molto belli i disegni sulla fiancata – né la musica.
Chiuse gli occhi e tornò indietro con la memoria. Ah, quello sì che era stato un mese indimenticabile!
 
3 maggio. Primo incontro.
Non faceva né caldo né freddo, e Milo aveva deciso di sedersi in giardino a prendere un po’ di Sole. Il cane dei vicini abbaiava imperterrito, ma tutto sommato non era troppo fastidioso.
Mentre indossava gli occhiali da Sole, tuttavia, aveva sentito il rombo lontano di un motore accompagnato da una melodia che gli ricordava vagamente i giocattoli per neonati, quelli che premuti iniziavano a suonare e muoversi. Tuttavia, era stata modificata e il ritmo era più intenso, da musica hip hop.
Si era alzato incuriosito e si era avvicinato al vialetto.
Un furgoncino rosa e giallo, sul cui cofano era dipinto un grande cono gelato, stava accostando dall’altra parte della strada, davanti alcuni ragazzini.
Conscio di avere qualche spicciolo in tasca, Milo aveva attraversato il viale con un largo sorriso. Un furgoncino dei gelati! Vicino casa sua!
Quando il portellone laterale s’era alzato, un giovane dai capelli rossi era apparso e aveva indicato una scritta sul banco a cui si appoggiava.
«Gelateria Aquarius. Abbiamo gelati e frappè e serviamo sia coni sia coppette in due misure. Potete leggere i gusti disponibili e i prezzi qui sotto.»
L’accento era straniero e l’intonazione né troppo allegra, né troppo sgarbata.
L’euforia iniziale di Milo era esplosa per l’idea del furgone dei gelati, e non aveva prestato troppa attenzione al gelataio. Eppure, mentre veniva servito, aveva pensato che quel ragazzo fosse davvero un tipo fortunato per avere un lavoro del genere.
Aveva pagato e con un sorriso s’era allontanato.
 
5 maggio.
Era dentro casa quando aveva sentito la musica del furgoncino.
«Selenia eccolo!» aveva strillato correndo giù per le scale. «Hai visto che non me lo sono immaginato?!»
Si era precipitato fuori dalla porta per riuscire a fermarlo in tempo. Fortunatamente il furgone non aveva ancora oltrepassato la sua casa e Milo non aveva avuto problemi ad attrarne l’attenzione.
Una risata lo colse alle spalle.
«Oh mio Dio!» Selenia rideva senza sosta, correndo verso il furgone. «Come in America!»
Persino quando il solito ragazzo dai capelli rossi aveva sollevato il portellone, Selenia non aveva smesso di ridere.
«Pensavo che mio fratello mi prendesse in giro! Ma da quanto tempo giri qui?! Non ti ho mai visto.»
Il gelataio aveva un’espressione un po’ sorpresa e Milo aveva dato un pizzicotto alla sorella, cercando di farla calmare.
«La gelateria Aquarius si trova dall’altra parte della città.» aveva risposto il ragazzo, osservandoli guardingo. «Quest’estate serviremo anche questa zona con il furgone.»
Sia Milo sia Selenia avevano stretto i pugni in segno di gioia.
 
Milo sogghignò. Quello era stato divertente.
 
7 maggio.
«Senti… come ti chiami?»
Milo aveva deciso di conoscere il gelataio un po’ meglio. Beh, contava di comprare il gelato ogni giorno durante l’estate, quindi familiarizzare con quel ragazzo era quasi d’obbligo. Magari avrebbe ottenuto un piccolo sconto, ogni tanto.
«Camus.» aveva risposto l’altro mentre rigirava una spatola nel gelato al caffé. «Sono il figlio del titolare.»
«Beh, ci vedremo spesso, Camus perché il vostro gelato è davvero buono.»
«Il nostro pasticciere è italiano.» Camus aveva deposto dell’abbondante gelato su un cono. «È alquanto esigente.»
Milo aveva lasciato i soldi sul piattino della piccola cassa.
«Neanche tu sei di queste parti, o sbaglio?»
Camus gli aveva passato il cono, alzando un sopracciglio. «È una storia lunga.»
«Beh, spero che me la racconterai, un giorno.» Milo s’era incamminato verso casa. «Ci vediamo!»
«Aspetta!»
Era stato allora che Camus s’era sporto, sorprendendolo.
«Non mi hai detto come ti chiami.»
Milo s’era sentito vagamente lusingato in quel momento, e aveva sorriso. «Milo.»
 
Col senno di poi, Milo poteva dire che quella era stata la scintilla.
 
9… o 10 maggio? Camus passava quasi sempre e Milo s’era abituato a scendere in strada alle quattro del pomeriggio per fare merenda.
Quel giorno c’era solo lui davanti al furgoncino.
«Dovresti passare verso le cinque e mezza o le sei.» Milo aveva gettato un’occhiata lungo il viale. «C’è sempre più gente, gli adulti tornano dal lavoro, i marmocchi finiscono i compiti…»
Camus gli aveva gettato un’occhiata stranita.
 
Perché aveva detto “marmocchi”, ne era certo.
 
«Potrei cambiare il solito giro. In effetti non conosco bene questa zona.»
«Qui dietro, all’incrocio col semaforo…» Milo aveva indicato un punto dietro alcune case. «C’è una chiesa che ha l’oratorio lungo la strada. È pieno anche a quest’ora perché una squadra di pallavolo si allena nel suo campo, quando fa caldo in palestra.»
«Oh, grazie.» la voce di Camus sembrava veramente colpita. «Non lo sapevo.»
«Di nulla.» Milo aveva sorriso. «Mia madre è l’allenatrice. Dille che ti mando io.»
Era stata quella la prima volta che Camus aveva sorriso a sua volta, divertito.
 
** maggio.
Quando il portellone s’era alzato, alle sei del pomeriggio, una decina di bambini urlanti era corsa a mettersi in fila e i genitori tentavano invano di farli stare zitti.
Curiosamente, Milo aveva notato che accanto a Camus v’era un ragazzino più giovane.
Fece ciao con la mano.
«Ciao Milo.» aveva risposto Camus, ricambiando il saluto.
Quand’era toccato il suo turno, il ragazzino aveva preso un cono ancor prima che Milo parlasse.
«Caffè e limone nel cono piccolo anche oggi?»
Milo era rimasto spaesato, ma s’era divertito quando Camus, accanto al giovane, aveva sgranato gli occhi contrariato.
«Non si fa così con i clienti.» s’era lamentato. «Attendi la comanda.»
«Tranquillo, prendo quello!» aveva risposto Milo.
«Questo è mio cugino Hyoga.» aveva spiegato Camus, come se si sentisse in dovere di fornire spiegazioni. «L’ho portato a fare un po’ di pratica con me, oggi.»
«Ha detto che prendi sempre caffè e limone nel cono piccolo, volevo essere gentile.» aveva borbottato Hyoga, alzando le spalle. «Ecco, tieni.»
Mentre prendeva il gelato, Milo s’era chiesto perché mai Camus avesse parlato di lui al cugino. Probabilmente, essendo divenuto un cliente fisso, poteva fruttare un guadagno costante. La sensazione che aveva provato non era stata delle migliori, però dal canto suo apprezzava quel gelato e aveva intenzione di comprarlo ancora.
Camus non aveva fatto cadere l’argomento, tuttavia.
«Ho dovuto spiegare a mio padre perché ho cambiato il giro.» aveva detto mettendo in ordina la postazione. «E ho menzionato te, Milo. Hyoga, grazie per avermi fatto sembrare uno stalker.»
 
** maggio.
«Hai dipinto tu tutto il furgone?!»
Milo aveva indietreggiato per osservarlo ancora.
«Beh, sì.» Camus aveva alzato le spalle. «Con mia sorella.»
Aveva indicato un punto della fiancata, sporgendosi dalla sua postazione. Delle piccole impronte di mani erano stampate in rosso sul fondo giallo.
«Che bello! E i disegni sono fantastici.»
«Grazie. Ma il progetto è di mia sorella. Colori, forme, tutto scelto da lei.» Camus aveva sospirato. «E mi rimproverava quando sbagliavo qualcosa.»
«Quanti anni ha? È creativa.»
«Ha 5 anni. Si chiama Sélène.»
Milo era rimasto di sasso. «Mia sorella si chiama Selenia!»
 
** maggio.
«Oh, lui è un amico di Hyoga, si chiama Isaac. Lo stiamo portando a casa.»
«Ma se non sono troppo invadente… perché mi guarda così?»
«Quella è la sua classica espressione.»
Quel giorno Camus aveva aperto entrambi i portelloni e sia lui sia Hyoga stavano servendo i clienti. L’altro ragazzino, Isaac, era in piedi in un angolo del furgone e mangiava lentamente un gelato, osservando Milo dritto negli occhi.
«Ah, ok.»
 
Quello era un marmocchio in piena regola.
 
** maggio.
«Qual è il colmo per un gelataio? Non riuscire a rompere il ghiaccio.»
Milo e Camus si scambiarono un’occhiata quasi preoccupata, in silenzio, poi Milo indicò la persona che aveva appena parlato.
«Ecco, questa tristissima battuta descrive perfettamente la tristissima esistenza di Aiolia.»
Camus annuì lentamente. «Capisco. Piacere di conoscerti, Aiolia.»
 
** maggio
«… perciò ho deciso di iscrivermi all’università qui. Per quanto ami la Jacuzia, non me la sentivo di abitare da solo nella capitale, non ci sono nemmeno mai stato. Tornerò ogni volta che posso, però. Mia zia ha ancora la casa a… a nord, molto a nord, non so se hai presente la zona.»
Milo aveva agitato la mano. «Non benissimo. Però ho sentito parlare della Jacuzia in un documentario. La terra più fredda del mondo.»
«Non è un eufemismo.» Camus aveva appoggiato i gomiti sul bancone e alzato le spalle. «Se mi vedi indossare le maniche corte a gennaio, è perché le temperature invernali di questa zona mi ricordano quelle di luglio di quell’altra.»
Allontanando la bocca dal gelato, Milo aveva sgranato gli occhi.
«Allora sentirai parecchio caldo adesso.»
«Il furgone è refrigerato.» Camus s’era sistemato i capelli dietro l’orecchio. «Ma non mi sono ancora abituato del tutto.»
 
Milo ricordò di aver pensato che fossero davvero di un bel colore. Avevano dei riflessi che rilucevano prepotentemente sotto il Sole.
 
** maggio
«Paul McCartney è morto.» aveva sussurrato Hyoga con un’aria serissima. «Ed Elvis è vivo.»
«Ogni venerdì alle tre del pomeriggio un aereo passa a nord-est e attiva una scia chimica.» Isaac, con la solita occhiata inquisitrice, aveva parlato a voce altrettanto bassa. «Controlla.»
Milo aveva alzato un sopracciglio.
«E tu cos’hai da dirmi?» aveva chiesto a Camus. «Gli alieni ci invaderanno presto?»
Camus gli aveva consegnato il gelato.
«Veramente, secondo molte teorie cospiratrici l’invasione aliena è già iniziata.»
 
** maggio
«Devi dire a quell’Isaac che aveva ragione. Ho visto la scia chimica attivarsi. Ma com’è possibile?!»
 
** maggio
«In effetti mi chiedevo perché la canzone fosse ritmata.» aveva riso Milo. «Così sei un ballerino?»
 
** maggio
«Perché sei tutto bruciato in faccia?» Milo s’era tolto gli occhiali da sole e aveva battuto le palpebre più volte. «Che è successo?»
Il viso lentigginoso di Camus era rosso. Rosso almeno quanto il gelato alla fragola, o all’amarena.
«Ieri sono stato quasi un’ora fermo al Sole per servire due comitive di turisti.» la voce di Camus aveva una nota rassegnata. «Almeno erano russi e ho potuto parlare un po’…»
«Jacuzia?»
«No, erano di Mosca.»
 
** maggio
«Senti, te lo offro.»
«Scherzi?! Ma perché?»
Camus s’era rifiutato di prendere i soldi di Milo.
«Non ho abbastanza resto, quindi te lo offro.»
«Te lo pago domani.»
«Offrire! Sto usando una parola sbagliata? È offerto dalla casa, fine della storia.»
 
** maggio
«Ho visto la scia di nuovo. Quando moriremo? Riuscirò a dare il prossimo esame o è inutile studiare?»
 
Quegli incontri erano stati tutti divertenti.
 
** maggio
«Questa è Dana, e questa è Melinda.»
«Aspetta, scendo!»
Quella era la prima volta che Camus era sceso dal furgone. Milo aveva trovato la cosa strana: era così abituato a conversare con lui mentre si trovava a un’altezza più bassa, che s’era stupito quando Camus lo aveva raggiunto sul marciapiede. Guardarsi negli occhi in quel modo era diverso.
Aveva allungato il braccio su cui le calopsitte s’erano appollaiate verso Camus.
«Ma non volano via?» aveva chiesto il gelataio.
Milo aveva scosso la testa. «Potrei girare il mondo con loro sulle spalle. Non si allontanano nemmeno se le muovi.»
«Posso accarezzarle?»
«Certo!»
 
** giugno
«Domani passi?»
«Certo, come al solito.» aveva risposto Camus, vagamente stupito. «Perché me lo chiedi?»
«No, no, niente.»
 
Milo sospirò, prima di addormentarsi.
 
«Allora gente, grazie per essere venuti.» Milo incrociò le dita davanti al petto, facendo un piccolo cenno col capo. «Il furgone sarà qui tra qualche minuto. Appena si avvicina, iniziate. Aiolia, tu mettiti vicino a me.»
«Perché?» rispose quello. «Io e Marin abbiamo già organizzato la nostra parte.»
L’interpellata alzò le spalle.
«Va bene, va bene, fate come volete.» fece Milo.
La sua attenzione fu catturata da un ragazzino accanto a Marin, che smanettava col cellulare.
«Questo è tuo fratello?» chiese Milo, facendo un cenno alla ragazza.
Quella annuì. «Sì, è Touma.»
«Io sono qui per il gelato gratis.» confessò il ragazzino.
Milo alzò un sopracciglio.
«Beh, ci offri il gelato, no?» la coda di paglia di Aiolia fu tempestiva. «Pensavo di sì.»
Un ultimo ragazzo, più grande degli altri, batté le mani.
«Ehi! Sento una musica.»
«Sì Aiolos è lui!» esclamò subito Milo. «In posizione!»
Mentre il furgoncino si avvicinava, e varie persone lasciavano i propri giardini per andare in strada, Milo sospirò. Sperava solo che quell’idea desse altri risultati, oltre l’essere considerato folle da mezzo vicinato.
Schioccò le dita quando il furgone si accostò accanto a loro, dando il segnale.
In quel momento esatto, mentre si alzava il portellone, Aiolos iniziò a fare passi di danza robot e scivolare lungo il marciapiede con un ottimo moonwalk. Touma mosse le braccia su e giù senza troppa voglia, mentre Aiolia dava pugni e calci all’aria, in una coreografia di dubbia eleganza. Marin, dal canto suo, girava su se stessa e contemporaneamente intorno ad Aiolia.
Milo… Milo iniziò a ballare insieme agli altri, seguendo la musica del furgoncino.
Temeva che Camus sarebbe ripartito e mai più tornato in quella zona, ma invece lo vide affacciarsi dal portellone con un sorriso estremamente largo. Quasi sobbalzò. Non lo aveva mai visto così allegro.
Subito dopo, dal portellone fecero capolino anche Hyoga, che rideva, e Isaac, tetro come al solito. Notò che alcuni astanti stavano registrando il tutto con i loro cellulari.
Deglutì e salutò con la mano, mentre continuava a ballare imperterrito.
«Questo non m’era mai successo.»
Milo sobbalzò quando sentì la voce di Camus dietro di sé. Si fermò e si volse, adesso imbarazzato.
«Oh… ehm…» tentò di spiegare. «Pensavo che…»
Fu allora che si accorse che anche Camus stava ballando.
«Stasera saremo famosi su facebook e youtube.» commentò il gelataio.
Milo si portò una mano al viso, soffocando una risata. «Scusa. Magari vi porterà più clienti.»
Camus annuì ridacchiando. Era la prima volta che Milo lo vedeva fare così. Poi, si concentrò su ciò per cui aveva organizzato quell’imbarazzante balletto e prese un lungo respiro.
«Vuoi venire a cena con me una di queste sere?» chiese a bassa voce.
Temette per un attimo di aver fatto un grosso errore. Di essere stato troppo diretto. Avrebbe dovuto invitarlo a uscire con i suoi amici, non così… magari aveva appena invitato il più grande omofobo dell’universo a cena e-
«Sì, certo.» rispose Camus a voce altrettanto bassa, fermandosi. Sorrise. «Ma offro io.»
 
Note finali: ???????????????? https://www.youtube.com/watch?v=Z-yrqhG62gg Aiolia, ma che bizzarra coreografia avevi in mente???????????? Marin????????????? Perché orbiti intorno ad Aiolia???????

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Capitolo 9
*** L'invito ***


Titolo: L’invito
Rating: verde.
Tipologia: flashfic.
Genere: commedia, generale.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Milo, Camus, Hyoga, Isaac.
Avvertimenti: AU, PoV di Camus, slash.
Parole: 417
Note dell’autore: Hyoga, ma che perdente che sei.
Prompt:
 
Person A and Person B have to spend half an hour consoling their child who was crying because they weren’t invited to their parent’s wedding.
 
«Ma io volevo venire e non è giusto! Perché non me l’avete detto?»
«Dai Hyoga, non fare così.» Milo afferrò il piccolo bambino e lo sollevò, appoggiandolo sulle proprie ginocchia. «Tu… non eri ancora nato.»
Hyoga scoppiò a piangere.
Camus sospirò.
Forse la sua idea di sfogliare un vecchio album di foto non era stata troppo geniale. In realtà, quando c’era solo Isaac, tutto procedeva tra risolini e spiegazioni e nessuno s’era mai ridotto in lacrime, ma quel giorno alcune foto erano state particolarmente toccanti.
«No, no.» disse, sedendosi sul divano accanto a Milo e prendendo le mani del bambino tra le sue. «Ascolta. A noi sarebbe piaciuto tantissimo averti lì. Ma tu non c’eri ancora, quindi non è stato possibile.»
«Oh!» fece allora Isaac, indicando una foto in particolare, sdraiato sul tappeto. «Non ho mai visto questa.»
Hyoga tirò su col naso mentre Milo gli carezzava i capelli.
«Neanche Isaac era nato.» continuò Camus.
«Questo è nonno Hector. Questa è nonna Nymphe. Questo…» Isaac si fermò, pensando un attimo. «Ah sì! È zio Philo con i baffi!»
«C’erano tutti tranne me al vostro matrimonio!!!» strillò ancora Hyoga, gettandosi tra le braccia di Camus. «Perché!!!»
Milo fu sul punto di scoppiare a ridere, ma Camus gli gettò un’occhiata ammonitrice. Poi pensò ad abbracciare Hyoga.
Isaac si volse appena, guardandoli. E per evitare ogni possibile gelosia, Camus gli fece cenno di avvicinarsi, ma Milo sollevò il piccolo dal tappeto ancor prima che questi si potesse muovere.
«Quando noi ci siamo sposati, voi ancora non eravate nati.» spiegò ancora Camus.
«E quando vi sposate di nuovo?» piagnucolò Hyoga, passandosi una mano sugli occhi.
Milo rise silenziosamente, e anche Camus questa volta si lasciò sfuggire un sorriso.
«Speriamo che un altro matrimonio non sia necessario, Hyoga.» sospirò toccandogli il naso con un dito. Il bambino abbozzò un sorriso, poi nascose di nuovo il viso contro il suo petto. E Camus proseguì. «Ma quando sarete più grandi parteciperete ai nostri anniversari. Sarete… gli ospiti di onore!»
Isaac batté le mani. «Io voglio fare lo sposo!»
«Non funziona così.» replicò subito Milo, ma fu interrotto da Hyoga, che si issò ancora e guardò l’album aperto sul tappeto.
Per un attimo nessuno fiatò. Camus stava per alzarsi e sedersi di nuovo per terra insieme al figlio per guardare le restanti fotografie, ma quello singhiozzò ancora.
«Però… però se mi invitavate io venivo!!!»
Camus appoggiò la schiena al divano e abbracciò Hyoga in lacrime. Eh, la tragedia sarebbe andata avanti ancora per un po’.
 
Note finali: probabilmente Hyoga non sa nemmeno cosa voglia dire anniversario u_u

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Capitolo 10
*** Al telefono ***


Titolo: Al telefono
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale.
Pairing: Milo/Camus (?)
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: PoV di Milo, missing moment (??).
Parole: 564
Note dell’autore: il negozio di fiori viene da Ep. G, è una cosa che mi piace e la uso nei miei headcanon. Qui Milo e Camus hanno circa 16 anni e non ho seguito il prompt alla lettera perché sì.
Prompt:
 
“I overheard you yelling loudly over the phone in Russian and I have no idea what you just said but damn I’m sort of aroused” AU.
 
«Allo
Milo osservò Camus sedersi a un’ordinata scrivania e appoggiare la cornetta alla guancia, con aria tranquilla. Per non disturbarlo entrò nella stanza e chiuse la porta, ma rimase appoggiato al suo stipite.
Non credeva fosse una chiamata particolarmente privata, in primis perché Camus, di segreti, ne aveva ben pochi, e anche se lo fosse stata Milo non avrebbe capito molto. Camus conversava con l’interlocutore in russo, interrompendosi ogni tanto per ascoltare.
Milo si soffermò a pensare. Potevano essere i responsabili della corrispondenza del Santuario di stanza in Siberia dell’Est, ma non avrebbero avuto ragione di parlare in russo, dato che la lingua ufficiale per le comunicazioni era il greco moderno. E inoltre avevano altri canali per contattare il Santuario.
Similmente, una telefonata dagli allievi di Camus era alquanto improbabile, perché Milo sapeva che non erano autorizzati a chiamare se non in casi di estrema urgenza. E poi Camus si sarebbe lasciato sfuggire, con tono innervosito, il nome dell’allievo tanto temerario come seconda battuta.
Cercò lo sguardo dell’amico, con aria incuriosita, ma Camus continuava a parlare al telefono e fissare imperterrito il telefono a disco grigio.
«Da, da
Beh, ogni tanto Milo afferrava qualche parola. Sorrise compiaciuto. Gli piaceva sentire Camus parlare in russo o addirittura in lingua sakha, sembravano addirsi a lui molto più del greco.
Poco dopo, dal tono della voce Milo comprese che la discussione stava per avere termine, e non si stupì quando Camus annuì e concluse, guardando il soffitto con aria rassegnata: «Spasiba
Poi mise giù la cornetta.
«Mi ha chiamato un abitante di Kohoutek per dirmi che è andato a portare del cibo a Hyoga e Isaac e li ha trovati con quaranta di febbre, la tosse e mal di gola.» sospirò subito portando una mano alla fronte. «Devo partire.»
Milo alzò un sopracciglio.
«Come hanno fatto i futuri padroni delle energie fredde a prendersi un tale malanno?» chiese, confuso ma vagamente divertito. Evitò di fare altre battute troppo sarcastiche, tuttavia. «Spero non sia nulla di grave. Devi partire… oggi?»
Camus si alzò.
«Le malattie captano la mia assenza per comparire. Sì, oggi.»
Dato che anche Camus aveva commentato con ironia, Milo immaginò che il problema dei suoi allievi non fosse particolarmente grave. Beh, per un cavaliere in effetti quella sintomatologia era nulla in confronto a traumi derivanti da duelli, ma se Camus voleva partire in anticipo, allora era abbastanza preoccupato.
Il cavaliere dell’undicesima casa era una contraddizione vivente e Milo sospirò. Non era una novità.
«Tornerò presto.» continuò Camus. «Devo finire delle cose qui al Santuario.»
Milo aprì la porta, abbassando lo sguardo. Non era piacevole stare così lontano dal suo migliore amico, ma capiva benissimo che il compito da maestro in Siberia aveva la priorità.
Cambiò argomento per non sentirsi a disagio.
«Comunque ogni volta che parli russo è tutta un’altra cosa.» commentò, camminando tra due scaffali pieni di piante e fiori. «Non ho idea di cosa tu dica ma… ecco…»
Camus gli lanciò un’occhiata inquisitrice mentre apriva la porta di un’altra stanza.
«Mi stimola molto.» Milo si fermò, fisicamente, mentre ripensava a quello che aveva detto. Oh no. «Voglio dire che è… interessante sentirti parlare in russo.»
«Mmm.» fu l’eloquente commento di Camus, entrando nella stanza.
Milo lo seguì e alzò le spalle, innocentemente. «Da
«Spero ti stimoli a proteggere bene l’ottava casa, allora.» rispose Camus, poi un fascio di luce li trasportò al Santuario.
 
Note finali: il negozio di fiori possiede l’unico telefono civile collegato col Santuario, dove i vari cavalieri e inservienti ricevono ed effettuano le loro (rare) chiamate. Il resto delle comunicazioni rapide avviene all’interno del Santuario tramite canali “segreti” (headcanon).

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Capitolo 11
*** Nomi ***


Titolo: Nomi
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: commedia, romantico.
Pairing: Camus/Surtrtr… ( ͡͡ ° ͜ ʖ ͡ °) ?
Personaggi: Camus, Surtrtrt, Loserella, dottor Freud, gente varia.
Avvertimenti: PoV di Surtrtrtrtrtrtrt, slash, AU.
Parole: 1375
Note dell’autore: questa è la versione sfigata di “Gelati!”
Prompt:
 
Person A is a barista and person B comes in and orders. Person A is kind of distracted and accidentally spells/gets their name wrong. Person B points this out but has to hurry back to their job. Person B comes back the next day and there’s hardly anyone there so Person A and Person B chat and end up flirting.  When Person A hands over the coffee with Person B’s name obviously misspelled Person B jokes they’ll have to come back every day until they get it right. Person A messes up their name one way or another each day Person B comes in and they chat if the cafe isn’t too crowded. As time goes on the connection to the name or spelling on the cup gets more and more ridiculous until it basically is just words that has at least one letter in common with Person B’s name. Eventually it just devolves into scribbles. Person A points out how silly it is but they both have a good laugh over it.
 
C’erano tre persone in fila prima di lui e fuori era scoppiato un temporale. Poteva rimanere in fila, ordinare, e sperare che la pioggia diminuisse d’intensità, o ritornare in ufficio correndo prima che l’acquazzone allagasse le strade e i sottopassi della metropolitana, mezzo che aveva bisogno di prendere al più presto.
Mentre pensava, due clienti furono serviti e andarono via.
Oh, al diamine, ormai era troppo tardi per rinunciare. Quando anche la terza persona fu servita, si appoggiò al bancone e osservò dietro di sé, verso le vetrate.
«Un cappuccino e un cornetto vuoto, entrambi da portare via, grazie.» ordinò in fretta.
A giudicare dal rumore e da come batteva sul vetro, la pioggia era meno forte. Ancora una volta aveva fatto la scelta giusta… un ottimo piano.
Aveva già i soldi in mano, così si voltò e li appoggiò sul bancone.
«Nome?»
Nome? Perché mai il barista era interessato al suo nome?
Si soffermò a guardarlo in viso e trattenne a malapena un sussulto stupito. Il barista di fronte a lui aveva i capelli rossi e la sua pelle pallida era ricoperta da lentiggini. Naturalmente, il che in sé non era affatto bizzarro, ma non riuscì a non sorridere per la coincidenza. Provava sempre un sorta di inspiegabile legame con sconosciuti del genere, perché sentiva che qualcosa di importante stava per succedere. In fondo, chi altri aveva i capelli rossi e le lentiggini, se non…
«Surt.» rispose sfoderando un sorriso obliquo. «Piacere.»
Solo allora notò che il barista era intento a scrivere qualcosa sulla scatola che conteneva la propria ordinazione.
«Ecco qui, grazie e arrivederci.» replicò quello porgendogli il cibo.
Surt scorse di sfuggita il cartellino sul petto del barista. Camus. Quello era il suo nome. Poi osservò il proprio pacchetto, speranzoso che quel Camus avesse scritto il proprio numero di telefono.
«Surtr?» lesse. Ah. Era uno di quei bar dove venivano scritti i nomi dei clienti sulle vivande. Sospirò. «Surt, con la t finale. Sarà per la prossima volta!»
Camus fece per dire qualcosa, ma il cliente successivo ordinò da bere e lo distrasse.
Surt alzò un sopracciglio mentre si allontanava. Beh, la discussione meritava una fine, no? Sarebbe tornato presto a indagare su quel Camus. Certamente il destino aveva scritto qualcosa per loro, dato che aveva smesso persino di piovere e aveva ancora tempo, prima di correre di nuovo in ufficio.
 
Quando tornò nel locale lo trovò stranamente vuoto. Qualcuno mangiava seduto ai tavoli, ma il bancone era deserto ad eccezione di due baristi, tra cui quel Camus che l’aveva servito. Si avvicinò proprio a lui.
«Buongiorno.» salutò. Notò alcuni sgabelli e si sedette a uno di questi, afferrando un menù. «Siamo in pochi, oggi.»
Quel Camus gli venne davanti e scosse la testa. «Quando piove, quelli che escono dalla metro entrano tutti da noi.»
Surt si sentì vagamente colpevole.
Per conversare il più a lungo possibile, cercò sul menù qualche vivanda che richiedesse tempo per essere preparata. Aveva un piano da portare a termine.
«Allora, un caffè turco e una crêpe con marmellata di arancia e cioccolato fondente.» ordinò, richiudendo il menù con una mano. «Da portare via.»
«Subito.»
Camus si diresse verso l’altra parte del bancone. Solo allora Surt notò che la postazione per le crêpes era troppo lontana per intavolare una discussione.
No no no. Il suo piano non sarebbe andato a rotoli.
Scivolò, con disinvoltura, su uno sgabello più vicino al barista.
«Sei francese?» chiese passandosi una mano tra i capelli. Poi spiegò. «Ho letto il tuo nome… o cognome?»
«Nome, nome.» rispose quello versando il composto per la crêpe sulla piastra. «Apparentemente ci sono nato, ma non so una parola di francese e ho imparato a fare le crêpes quando mi hanno assunto qui.»
Surt ridacchiò.
Poi, ancora una volta, Camus si diresse verso l’altro angolo del bancone.
Oh no. Non poteva cambiare sgabello ogni volta… o sì.
«Io mi chiamo Surt, se ricordi.» disse allora, tornando allo sgabello su cui s’era seduto inizialmente. Notò un’occhiata confusa da parte dell’altro barista, ma la ignorò.
«Sbaglio o è il nome di una divinità norrena?» chiese allora Camus, armeggiando con del caffè. «Effettivamente non so come si scriva.»
Surt socchiuse gli occhi. Grazie, sottospecie di genitori hippy con la fissa dei nomi originali.
«Hai ragione, ci sono vari modi per trascrivere il nome di quel gigante.» borbottò. «I miei genitori pensavano fosse divertente.»
«Beh, abbiamo qualcosa in comune.» continuò allora Camus, indicandosi il cartellino con un’occhiata eloquente. «A mia madre Albert non piaceva.»
Surt ridacchiò ancora. Vide Camus tornare verso la crêpe e girarla, ma prima che potesse cambiare sgabello, il ragazzo tornò a controllare il caffè.
«Quasi pronto.» disse, prendendo una scatola di cartone e un pennarello. Si appoggiò al bancone e vi scrisse qualcosa, poi aprì la scatola rivolgendo il lato con il nome verso di sé. «Stavolta l’ho scritto bene.»
Bene bene bene. Adesso che aveva gettato le basi per una conoscenza reciproca, Surt poteva azzardare qualcosa.
«Ti trovo sempre qui?» chiese mentre tirava fuori il portafoglio per pagare.
Camus prese la crêpe e iniziò a farcirla. «Sì, mi sfruttano per lavorare notte e giorno senza tregua.»
Surt si congratulò con se stesso. Ecco, quello sì che era stato un incontro provvidenziale.
«Ottimo!» rispose a tono mentre appoggiava il dovuto sul bancone. «Verrò a sfruttarti più spesso.»
Camus alzò le spalle, appoggiò il cibo nel cartone e prese infine anche il caffè. Poi richiuse la scatola e la spinse verso di lui.
Gli occhi di Surt caddero sul nome che Camus aveva scritto.
«Surtur?» rise.
Camus alzò le mani in segno di resa. «Trascrizione moderna.»
 
Surti. Sur. Sutr. Susu. Suuuurt.
 
«Surtrtrtrt?»
Quel giorno, Camus si portò una mano al petto, sorridendo. «Mio regalo per tutti coloro affetti da rotacismo.»
Surt sorrise a sua volta. Era la prima volta che vedeva il barista sorridere tanto apertamente.
Beh, per una volta, quel nome scelto dai suoi genitori si stava rivelando una benedizione.
 
Surtrtrtrtrtrtrtrtr. Suuuuuuuuuuuurrrrt. S e uno scarabocchio. E Camus sorrideva ogni volta.
 
«Allora, lui si chiama Frodi.» Surt indicò un ragazzo dall’espressione triste e affranta. «E questo è Sigmund.»
Sigmund si limitò ad annuire in segno di saluto.
Surt si appoggiò al bancone e si avvicinò a Camus, nascondendo la bocca dietro la mano. «Io sono l’amico intelligente. Frodi è uno sfigato e Sigmund sta cercando di rubare la fidanzata al fratello.»
«Ti sento!» replicò allora Frodi, alterandosi. «Che cos’hai contro di me?!»
Surt alzò un sopracciglio. Adorava quando quell’idiota si infiammava per nulla. Poi si volse a guardare uno spettacolo molto migliore: ah, Camus! Il suo barista preferito era decisamente splendido quel giorno. Per qualche ragione sconosciuta – o forse per me? – aveva un sorriso luminoso stampato in viso e sembrava più allegro del solito.
«Ecco qua!» esclamò, porgendo loro tre scatole.
«S puntato Freud.» lesse Sigmund, annuendo. «Capisco.»
«Ahahah!» Surt non si controllò. «Sei tu!»
«… Freudi.» disse poi Frodi, con un tono sconsolato, mostrando la scritta.
Surt continuò a ridere. «Siete abbinati, ahahah!»
Abbassò gli occhi sul proprio nome. Quel giorno Camus s’era proprio superato.
«Mary Surt!!!»
 
Era fatta. Aveva persino presentato quel Camus ai suoi amici. C’era solo da fare un’ultima cosa: invitarlo a uscire.
Nessuno avrebbe mai potuto rifiutare un suo invito, insomma, persino gli uomini eterosessuali rimanevano colpiti dal suo charme. O almeno Surt la pensava così. Il fascino dei capelli rossi era irresistibile, e quella era la ragione per cui doveva frequentare un altro affascinante portatore di quel gene così unico.
Entrò nel bar.
Stranamente, sui tavoli, sui banconi e persino sullo schienale delle sedie erano stati deposti dei fiori bianchi e l’intero locale risultava addobbato a festa.
Surt sorrise. Ulteriori conferme che il destino aveva scritto qualcosa per lui.
Camus era dietro al bancone come suo solito, dava le spalle alla sala. Surt si avvicinò, si sedette a uno sgabello e si schiarì la voce.
«Ehi Camus.» esclamò allegramente, poi pensò di scherzare un po’. «Chi si è sposato?»
Camus si voltò con il più ampio dei sorrisi, accecante quanto il Sole.
«Io!» rispose indicando un anello all’anulare sinistro. «Questi ultimi giorni sono stato fuori di me, non pensavo si vedesse così tanto, ma tutti dicono che…»
Surt continuò a sorridere. Demoralizzato, freddo e vitreo come mai in vita sua.
 
Note finali: *rumore assordante di una pernacchia di Milo*

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Capitolo 12
*** Il primo tatuaggio ***


Titolo: Il primo tatuaggio
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, commedia.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Camus, Milo, Aldebaran, Saga.
Avvertimenti: PoV di Milo, slash, AU.
Parole: 1049
Note dell’autore: preghiamo per Aldebaran che risorgerà nella prossima brutta serie della toei, magari il suo sacrificio permetterà agli altri goldini di restare morti (tale osservazione non è in alcun modo collegata alla fanfiction).
Prompt:
 
Person A is a rookie tattoo artist that works at the same tattoo shop in which person B wants to get their first tattoo.
 
«Pronto, Milo?»
«Io sì, e tu?»
«Anch’io. Entriamo.»
Milo prese un profondo sospirò e spinse la porta di vetro davanti a sé, facendo risuonare uno scacciapensieri di legno. Non capiva perché il suo stomaco fosse in subbuglio e l’agitazione aumentasse secondo dopo secondo, non era mica in procinto di dare un esame o tenere un discorso alle Nazioni Unite. Si trattava solo di… insomma…
«Guarda lì!» fece il suo accompagnatore, indicando una parete. «Ma che roba sono quelli?!»
Milo si volse a guardare. Un grande poster in bianco e nero copriva quasi l’intero muro e raffigurava un ragazzo seduto su uno sgabello, a dimensioni reali. Indossava dei bermuda e degli scaldamuscoli ingombranti, ma l’abbigliamento insolito era forse l’ultima cosa ad attrarre l’attenzione. In varie parti del corpo, infatti, il ragazzo aveva degli anellini dentro cui scorrevano lacci di diversi colori, unici elementi colorati del poster.
Con la coda dell’occhio Milo scorse qualcuno avvicinarsi dal retro e distolse lo sguardo dal poster.
«Ma non si staccano?» proseguì l’accompagnatore.
«Salve.» fece il ragazzo giunto dal retro.
Solo allora Milo si accorse della somiglianza di quel ragazzo con quello del poster. Spostò gli occhi dall’uno all’altro un paio di volte, ma mentre era impegnato a convincersi sull’identità il suo accompagnatore esclamò: «Farebbe scattare tutti i metal detector d-»
«Aldebaran!» lo interruppe Milo, scuotendolo per il braccio.
Quello sobbalzò e si volse.
«Sì, sono io nel poster.» li precedette il ragazzo, avvicinandosi alla cassa del negozio, con un’occhiata guardinga. «Posso aiutarvi?»
Ecco, l’inizio non era stato promettente. Milo gettò uno sguardo indispettito ad Aldebaran – più per ansia che per qualche reale motivazione – e annuì.
«Sì, grazie. Io e il mio amico vorremmo farci un tatuaggio.» spiegò. «Non siamo molto esperti del settore, quindi vorremmo avere un po’ di informazioni, prima.»
Il ragazzo si sedette dietro il bancone.
«Va bene. Allora, lo studio è di Saga, si occupa lui dei tatuaggi più complessi. Io mi chiamo Camus e sono un apprendista.» tale Camus prese dei biglietti da visita e li allungò ai due. «Shura fa solo piercing.»
Milo lesse il biglietto da visita. Studio Saga, indirizzo, tre nomi, un numero fisso e tre numeri di cellulare. Rialzò gli occhi su Camus.
«Utilizziamo materiale monouso e l’intero ambiente è costantemente sterilizzato. Non facciamo tatuaggi su viso, mani, mucose e genitali e naturalmente pelle lesa, per richieste particolare serve l’approvazione di Saga, i tatuaggi UV saranno disponibili a breve.»
Camus indicò un’altra parete. Quando Milo spostò lo sguardo, vide un poster molto più piccolo dell’altro ma simile nella fattura, dove un ragazzo dai capelli corti, completamente nudo, in penombra e di spalle, aveva la fluorescente scritta “Alejandro” sui lombi.
«Non sapevo nemmeno che fossero possibili.» sorrise Aldebaran grattandosi una tempia. «Veramente io sarei interessato a un tatuaggio sul braccio… vorrei la bandiera brasiliana e un paio di corna che spuntano fuori, con un effetto rilievo, qualcosa del genere. Ah, e a colori!»
Camus annuì. «Primo tatuaggio, a proposito?»
«Sì.» rispose Milo, intromettendosi. «Per entrambi.»
Camus annuì ancora.
«Tu cosa vorresti?»
Milo notò che quando Camus parlava, due palline metalliche sullo zigomo si muovevano su e giù. Non stava indossando tutti i piercing del poster, ma ne aveva due al naso, uno al labbro inferiore, uno al sopracciglio e diversi alle orecchie. Effettivamente passare un metal detector sarebbe stato impegnativo.
«Uno scorpione nero?» rispose titubante. «Piccolo, non so di preciso dove, però mi piace l’idea…»
«Tu mi sembri più convinto.»
Milo alzò lo sguardo. Uhm? Solo allora notò che Camus s’era rivolto ad Aldebaran, e aveva aperto un’agenda.
«Se hai il disegno pronto, posso fissarti le sedute… a partire tra un mese. Scusa, abbiamo tutto pieno.» disse. «Che ne dici?»
«Veramente il disegno non è pronto, so che passerà più tempo però vorrei che foste voi a farlo…»
Beh… Camus non aveva tutti i torti, Aldebaran aveva le idee chiare e la discussione che aveva intavolato lo stava dimostrando. Milo aveva guardato centinaia di foto di tatuaggi di scorpioni, e aveva apprezzato ognuna di essa, ma… lo stomaco era ancora in subbuglio.
«Tu puoi passare per parlare con Saga, invece.» fece poi Camus, stavolta rivolto proprio a lui. «Dubbi, curiosità, saprà dirti meglio di me cosa fare.»
E Milo, sentendosi chiamato in causa, cambiò argomento.
«Posso chiederti che tipo di piercing avevi in quella foto?»
Persino Aldebaran lo guardò con un’espressione stupita.
Eppure, Camus non si meravigliò troppo. «Corset piercing. Ora li ho tolti tutti. È bello ma non lo consiglio, continuano a chiudersi e tenere d’occhio questo basta e avanza.»
S’indicò il piercing allo zigomo.
«Allora, quando siete liberi?»
 
Milo osservò l’ago allontanarsi dalla pelle di Aldebaran, lentamente, in quell’ultima seduta. La bandiera brasiliana e le corna spiccavano con i loro colori brillanti sulla pelle abbronzata dell’amico.
«Ottimo lavoro, Camus.» si congratulò un uomo annuendo. «Continua così.»
«Grazie Saga.» rispose quello. Il proprietario poi lasciò la stanza.
«Wow!» esclamò Aldebaran, alzandosi di scatto dalla sedia e avvicinandosi a uno specchio. Milo si dovette scansare. «Ma è stupendo! Non vedo l’ora di farlo vedere a tutti! Milo, fammi una foto.»
Milo sorrise mentre prendeva il cellulare.
«Devo bendarlo.» ricordò loro Camus.
Dopo che Milo ebbe scattato una foto in fretta, Aldebaran si sedette di nuovo e sorrise.
«Allora Milo, sei pronto adesso?» chiese ridacchiando.
«Beh, devo pensarci.» sospirò Milo, incrociando le braccia. «Non ho deciso nemmeno dove farlo…»
Camus ricoprì e nascose il tatuaggio con una benda. In quel momento, Aldebaran socchiuse gli occhi e si fece sfuggire un sorrisino malizioso.
«Tanto puoi consultarti con Camus a cena, no?» sogghignò.
Milo trasalì ma non mosse le braccia. Camus, similmente, non alterò la propria espressione né s’interruppe, ma diresse lo sguardo verso di lui.
«In quanti sanno che usciamo, per curiosità?» chiese serenamente. «Allora, quell’Aiolia che abbiamo incontrato al cinema per caso, quel Mu che ti ha dato un passaggio perché tua sorella aveva preso la macchina senza dirtelo, tua sorella che è tornata a prenderti, tuo fratello che era con lei…»
Milo alzò le spalle. «Non voglio dire che dovremmo ufficializzarlo, ma in parole povere… dovremmo ufficializzarlo…»
«Ooooh.» cinguettò Aldebaran portandosi la mano libera alle labbra.
Anche Camus alzò le spalle.
«In fondo ti ho dato il biglietto da visita solo per farti avere il mio numero.» ammise. «Ufficializziamolo, allora.»
Aldebaran fece l’occhiolino e alzò il pollice.
 
 
Note finali: ad aprile 2015 ho disegnato questa cosa. Forse Shura ha fatto i piercing ai grandi (?) attori di LoS.

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Capitolo 13
*** Missione di salvataggio ***


Titolo: Missione di salvataggio
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, commedia.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Camus, Milo, Hyoga, Isaac, bambini vari, altre persone.
Avvertimenti: PoV di Camus, slash, AU.
Parole: 1148
Note dell’autore: cavalieri d’oro che salvano innocenti.
Prompt:
 
Your OTP simultaneously leaping into a ball pit after hearing their child scream in distress. @otpdisaster
 
Isaac si aggrappò alla rete e scosse la testa.
«Non lo trovo.» disse guardandosi intorno. «Ho fatto il giro, ma non l’ho visto.»
Camus perse un battito.
«Sei andato all’ultimo piano?» chiese. «L’hai visto uscire?»
Milo indietreggiò, alzando lo sguardo.
«Camus, Hyoga non può essere uscito.» replicò. «Siamo rimasti tutto il tempo davanti gli scivoli. Non è andato da nessuna parte.»
L’apprensione era certo l’ultima cosa che Camus sperava di provare a un parco giochi. Infilando alcune dita nella rete e carezzando Isaac tra i capelli, seguì lo sguardo di Milo e osservò la grande struttura davanti a sé. Su tre livelli, collegati da piccole scalette e scivoli, si estendevano tappeti elastici, vasche piene di palline colorate e altri ninnoli per cui ogni bambino sarebbe andato matto. E naturalmente Hyoga e Isaac vi si erano fiondati ancor prima che Camus pagasse loro l’ingresso.
Ok, ok. I bambini non potevano uscire dalle entrate e lui e Milo avevano pattugliato le uscite, quindi Hyoga era ancora lì dentro e nessun malintenzionato lo aveva preso.
Camus alzò un angolo della bocca, ripensando a un film che aveva visto tempo prima. Un clown cannibale s’era introdotto in un gioco come quello e…
«PAPÀÀÀÀÀÀÀÀ!»
Camus si volse di scatto verso Milo. Non ci voleva certo un orecchio particolare per riconoscere la voce di Hyoga.
In un attimo, si ritrovarono entrambi compressi nella stretta apertura d’ingresso, sbracciando per farsi spazio. Milo sgusciò dentro per primo.
«Io controllo qui sotto.» fece, strisciando in uno stretto cunicolo. Quando la testa e le spalle scomparvero alla vista di Camus, aggiunse: «Vado a prendere anche Isaac.»
«Salgo all’ultimo.» replicò Camus. «Incontriamoci al secondo.»
«Signori!!!» strillò qualcuno fuori dalla struttura, con voce sconvolta. «Ma cosa state facendo?! L’ingresso è vietato agli adulti!»
Camus non guardò nemmeno chi stesse parlando. «Devo trovare mio figlio.»
«Ma almeno si tolga le scarpe!»
A Camus le regole non piacevano molto, ma quella era una questione igienica e gli unici ad andarne di mezzo sarebbero stati i bambini. Si sfilò in fretta le scarpe e le lanciò fuori dall’entrata, poi si tuffò – di fianco – in una vasca di palline colorate.
Effettivamente, si sentì alquanto fuori luogo a gattonare tra bambini curiosi e sghignazzanti, ma doveva trovare Hyoga.
Vide una scaletta che conduceva al piano superiore, ma sembrava troppo esile per reggere il suo peso. Con un profondo sospiro, si aggrappò con le braccia alla piccola apertura e premette i piedi contro una parete di gomma per issarsi. Benedisse i suoi muscoli resistenti, che non l’avevano fatto cadere sui bambini sottostanti. Per il momento.
«Ho Isaac con me!»
La voce di Milo arrivò da qualche punto sottostante della struttura.
«Sto ancora salendo.» rispose Camus.
Per salire al terzo e ultimo piano non v’era alcuna scaletta, almeno nessuna che Camus potesse vedere da quel posto. Tuttavia, notò che alcuni bambini saltavano su dei tappeti elastici e tentavano di aggrapparsi a dei ganci posti sul soffitto; quando uno vi riuscì, percorse il sentiero che essi formavano e si gettò in un’altra vasca di palline, situata al terzo livello.
Camus chiuse gli occhi. Era abbastanza alto da dover evitare quella prestazione olimpionica, ma necessitava comunque di saltare per raggiungere il piano superiore.
«Hyoga, mi senti?» chiese, infilandosi in vari anelli girevoli per raggiungere la sua meta. «Dove sei?»
Nessuna risposta. Quel silenzio lo incitò solo a muoversi più in fretta.
L’occhio cadde per caso oltre la rete che lo separava dal mondo esterno. Sotto di lui, alcuni genitori lo osservavano attoniti, mentre altri ridevano senza controllo insieme ai loro figli.
Almeno la famiglia è unita e si diverte, pensò.
Quando giunse ai tappeti elastici, tre bambini si fermarono di colpo e lo guardarono confusi. Ancora disteso a terra e con le gambe appoggiate negli anelli, alzò una mano e disse: «Ciao.»
«Mi metti lì sopra?!» esclamò un bambino, indicando il terzo livello.
«Anche a me!»
«E me!!!»
Benché Hyoga avesse la priorità, non voleva che quei bambini gli ostacolassero il passaggio. In fin dei conti, se fossero rimasti sui tappeti elastici, Camus avrebbe potuto urtarli o colpirli con le gambe mentre saltava.
Quando anche l’ultimo fu sollevato e distanziatosi abbastanza, Camus finalmente saltò e si gettò sul terzo livello. Si aggrappò a delle corde che pendevano dal soffitto e sospirò.
«Papà! Dove sei!!!»
Era Hyoga! E la sua voce sembrava provenire da un punto vicinissimo!
«Hyoga!» lo chiamò. «Parla, parla ancora!»
«Papà!!! Vienimi a prendere!!!»
Almeno nessun clown cannibale aveva mangiato suo figlio!
«Arri-»
Camus s’interruppe. Tra lui e il successivo pavimento gommoso… non c’era nulla. Solo un buco che lo avrebbe condotto, cadendo, al secondo livello dentro un’altra vasca di palline, dove riconobbe i tre bambini che poco prima aveva aiutato e quello che s’era aggrappato ai ganci da solo.
Reggeva ancora in mano l’estremità di una corda e non impiegò molto a capire che, per arrivare dall’altra parte, i bambini avrebbero dovuto prendere la rincorsa e lanciarsi usando le corde a mo’ di liana.
Se avesse provato, rifletté, avrebbe non solo rotto la corda, ma probabilmente anche fatto cedere il soffitto.
«Papà!!!»
Per Hyoga!
«Arrivo!»
Non poteva usare la corda. Non aveva abbastanza spazio per prendere la rincorsa perché non poteva nemmeno alzarsi in piedi, tanto era basso quel soffitto. Non poteva fare altro che aggrapparsi a un sostegno di plastica, pregando che fosse abbastanza forte da reggere il suo peso, e raggiungere l’altra parte del corridoio.
Quale mente diabolica progetta questi percorsi a ostacoli di difficoltà militare per bambini?!
Quando giunse sull’altro pavimento, si prese un attimo per fare un respiro profondo. Tutto sembrava alquanto surreale.
«Papà? Sei qui?»
Camus si voltò. Poco distante da lui, v’era una sorta di porta a scorrimento con una maniglia. Subito la aprì e si gettò all’interno, ruzzolando malamente lungo un dislivello di gomma.
«Papà! Eccoti!!!»
Alzò la testa, ma Hyoga si lanciò su di lui, abbracciandolo.
«Stai bene?» chiese, sedendosi e portandosi il bambino sulle ginocchia. Il cuore batteva più forte, ma questa volta per la soddisfazione di averlo raggiunto e di tenerlo, sano e salvo, tra le sue braccia. «Cos’è successo?»
Hyoga si strinse a lui.
«Mi fa paura quello scivolo. E non riesco a uscire da qui.»
Camus gettò un’occhiata a un tunnel nero, in forte pendenza, da cui i bambini sarebbero dovuti tornare giù. Era troppo stretto per lui, e anche vagamente inquietante; Camus non soffriva di claustrofobia, ma non si sarebbe mai calato giù per quella cavità.
«Tranquillo.» sorrise, rassicurandolo. «Torniamo indietro dalla porta.»
Hyoga alzò il capo, lo sguardo preoccupato.
«La porta non si apre più.» confessò. «Sono bloccato.»
Camus si volse appena a guardare il passaggio da cui era entrato. Niente maniglia, niente appiglio a cui reggersi per aprirla.
«Scusa, dovevo dirtelo prima.»  mugugnò Hyoga nascondendo di nuovo il viso nel suo petto.
Camus appoggiò la schiena a una parete e alzò il capo, sospirando.
«Allora aspettiamo che pa’ ci salvi entrambi…»
 
Note finali: il film sul clown che mangia bambini esiste davvero!

 

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Capitolo 14
*** Il passato che ritorna ***


Titolo: Il passato che ritorna
Rating: giallo.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, drammatico.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Camus, Milo, Saga, Aphrodite, Death Mask.
Avvertimenti: PoV di Milo, what if, AU (SoG è una brutta AU in fondo).
Parole: 2298
Note dell’autore: innanzitutto, il prompt è arricchito di dettagli e un po’ cambiato. Questa storia è collegata a una what if che ho disegnato (in parte) un po’ di tempo fa http://unicagem.tumblr.com/post/118811331054/a-promise-a-flashback-two-friends-a-fighting-a . Camus è stato manipolato da Surtrtrtr, ma dopo il suo combattimento contro Milo (sulla falsariga del “caro” episodio 3) è rinsavito grazie a Saga (un uso particolare del Genromaoken). Adesso Saga, Camus e Milo si trovano insieme. Queste sono le loro storie. TCHUN TCHUN
Prompt:
 
Person A patching up or changing the dressing on Person B’s severe burn wound with no anesthetic. Person B’s most effective pain reliever during the process is burying their face into Person A’s shoulder.
 
Saga richiuse la porta della camera in fretta.
«Mettilo sul letto e tienilo fermo.» sentenziò con un tono che non accettava obiezioni. «E continua a farlo parlare. Vado a prendere il necessario.»
Milo non avrebbe mai voluto prendere ancora ordini da Saga. Quell’uomo era stato buono solo a rovinare la sua vita e l’intero Santuario, e ciò che aveva fatto ad Aiolos non poteva essere perdonato. Tuttavia, quello non era un ordine dettato dai capricci o dalle voglie del cavaliere dei Gemelli, e Milo avrebbe fatto comunque per iniziativa personale ciò che Saga aveva detto.
«Camus, contiamo di nuovo fino a cinquanta.» mormorò concitato mentre reggeva il corpo dell’altro, ben attento a non urtare la sua schiena. «Uno.»
«Basta, basta!» ansimò l’altro. «Voglio vedere Athena!»
Il ginocchio di Milo urtò contro il materasso del letto. Velocemente, ma facendo la massima attenzione, fece scorrere un braccio intorno alla vita di Camus, usò l’altro per sollevargli le gambe e lo adagiò prono sul letto. Vide Camus ghermire subito il cuscino e affondarvi le unghie.
Milo alzò infine il telo sulla schiena, che fino a quel momento aveva tenuto d’occhio per non farlo sfregare contro la pelle.
Trasalì.
«Due…» proseguì imperterrito. Con un rantolo, Camus si unì a lui.
Una profonda incisione spaccava in due il lombo destro del compagno. Il sangue fuoriusciva e macchiava la sua pelle chiara, per poi aggrumarsi sotto l’armatura d’oro, quasi completamente distrutta sulla schiena.
Milo spostò i capelli rossi di Camus via dalla ferita, con delicatezza, e osservò le ustioni che partendo dallo squarcio si diffondevano, in maniera disomogenea, sino alle spalle.
«Ho trovato la cassetta del pronto soccorso.» comunicò Saga.
Milo annuì.
«È in stato confusionale.» mormorò, inginocchiandosi. Gli occhi di Camus, vitrei, erano puntati verso i suoi. «Oscilla tra deliri e momenti di… non risponde, fa’ esattamente quello che gli dici…»
Saga si sedette sul letto e rimosse quei pochi pezzi di armatura che rimanevano sulla schiena di Camus. Milo non era certo entusiasta di vederlo assumere il controllo, ma forse quella era la cosa più adatta.
Milo aveva nozioni basilari di medicina come ogni cavaliere, ma non abbastanza per operare una persona o fare diagnosi. Saga, tuttavia, aveva subito dimostrato un esperto sangue freddo sin da quando aveva sollevato Camus da terra e spiegato al cavaliere dello Scorpione come reggerlo per non ferirlo di più.
L’unica cosa che a Milo importava, in quel momento, non era il rimorso nei confronti di quel traditore… era curare la persona più importante che possedeva al mondo.
«Lavati le mani. Indossa i guanti. Fa’ bollire dell’acqua nel camino.»
Milo sgombrò la mente e obbedì ancora.
«Cinquanta!» urlò a un certo punto Camus, issandosi di scatto sul letto con le braccia. «Devo andare via!»
Milo lo bloccò subito per le braccia e gli spinse di nuovo la testa sul cuscino.
«Ricomincia.» ordinò cercando di compensare autorevolezza e dolcezza nella sua voce.
«Qualunque cosa abbiano fatto per manipolare la sua mente, è stata vanificata dal mio colpo. Adesso è in stato confusionale per le ferite.» disse Saga. Si alzò e si avvicinò a una pentola che bolliva sul fuoco. «Sterilizziamo questi strumenti.»
«Parlami di Hyoga, Camus.» sussurrò allora Milo, alzandosi. Quel sistema avrebbe funzionato meglio dei numeri.
«Hyoga…» bisbigliò Camus, voltando il viso. I suoi occhi erano adesso molto più accesi e lucidi. «Hyoga è vivo…»
Camus continuò a parlare sconnessamente mentre Milo e Saga sterilizzavano e sistemavano gli strumenti. Quando ebbero finito, Milo si accostò di nuovo al letto e infilò i guanti.
«Devo suturare e pulire la ferita prima che si infetti.» dichiarò Saga. «Camus deve rimanere sveglio tutto il tempo.»
«Senza anestesia?» domandò Milo. Molti cavalieri erano costretti a interventi d’emergenza senza anestetico, ma di solito non erano in condizioni così critiche quanto Camus.
Saga iniziò a pulire con una pezza la ferita.
«Ascoltami. Per lo shock e l’adrenalina, Camus adesso non sente niente.» iniziò. Camus, effettivamente, stava ancora blaterando frasi incoerenti su Hyoga. «Quando inizierò a ricucire, probabilmente il dolore più intenso lo sveglierà e lo riporterà parzialmente lucido. Potresti colpire con un tuo aculeo uno dei suoi nervi, è vero, il dolore iniziale lascerebbe il posto una sensazione di intorpidimento simile a un’anestesia. Ma rischieremmo di danneggiare il nervo irreparabilmente. Questa ferita è talmente estesa e profonda, che solo un miracolo può avergli permesso di muovere ancora le gambe. No, non posso sacrificare alcun nervo.»
Milo sgranò gli occhi. Saga era assolutamente tranquillo mentre parlava, ma anche molto deciso.
«Se dovesse riprendere lucidità, potrebbe raffreddare la zona con dell’aria fredda.» continuò. «Adesso passami quella pinza.»
Milo depose l’oggetto in mano a Saga immediatamente. Questi estrasse una scheggia dalla carne viva, poi restituì la pinza e armeggiò con quello che sembrava un ago.
Con la coda dell’occhio, Milo continuò a osservare i suoi movimenti anche mentre puliva l’insanguinato oggetto.
Saga prese del filo.
«Pensi che basti?» chiese subito il cavaliere dello Scorpione.
«Onestamente, no.» replicò Saga, poi indicò un rocchetto accanto agli strumenti chirurgici e aggiunse: «Spero di non doverlo usare.»
Milo deglutì. Non era un esperto di cucina, ma sapeva riconoscere dello spago per uso alimentare.
Mise una pezza in bocca a Camus mentre ancora parlava di Hyoga e lo afferrò per le spalle. Quello fu l’attimo più lungo di tutta la sua vita: Saga avvicinava l’ago alla ferita di Camus e lui, col cuore in gola, non poteva che affidarsi totalmente all’uomo che odiava di più sulla Terra.
Il destino riservava sempre amare sorprese. Risvegliarsi ad Asgard, prima di tutto; Camus, privo di senno e ferito, dopo; Saga come unica speranza, infine.
Il primo punto fu velocissimo. Milo trattenne un singhiozzo d’ansia.
Camus s’agitò e tentò di voltare la testa, ma era ancora confuso. Il secondo punto, invece, lo fece gridare con tutta la forza di cui era capace.
«Tienilo!» tuonò Saga, sedendosi sulle gambe di Camus. «Non farlo alzare!»
Milo continuò a bloccare le braccia di Camus con vigore. Era certo che, alla fine di quell’operazione, sarebbe anche stato pieno di lividi, ma tanta veemenza era necessario solo per il suo bene.
Represse il desiderio di piangere e sfogare la sua rabbia.
Saga continuò a suturare lo squarcio con mano ferma e velocità. «Va tutto bene.»
In quel momento, Milo avvertì i muscoli di Camus perdere turgore e rilassarsi improvvisamente. Temette che fosse svenuto, ma bastò guardarlo negli occhi, lucidi e adesso vivi, per capire che quello s’era semplicemente ripreso.
«Camus…» sussurrò, con un sorriso. Allentò la presa, fece scorrere una mano sino a quella del compagno. «Mi riconosci?»
Camus non rispose a voce, ma si limitò a muovere appena le labbra in un abbozzo di sorriso che recava tanta amarezza. Poi strinse i denti e chiuse gli occhi: un altro punto.
«Non è vero… Surt ha mentito…» riuscì a balbettare tra un punto e l’altro. «Io non…»
«So tutto Camus.» lo rassicurò subito Milo. «Mi ricordo sempre i tuoi racconti. Quelli veri.»
«Non ho… ucciso sua sorella…» insistette Camus, nascondendo il viso sul cuscino. Non abbastanza in fretta, tuttavia, affinché Milo non riuscisse a vedere una lacrima solcargli la guancia. Che fosse per il dolore fisico o per l’inganno subito aveva poca importanza: Milo strinse la mano più forte.
«Ho letto i rapporti di Shion. So che poco prima di diventare cavaliere d’oro, tu sei stato ad Asgard con il tuo maestro per una missione di pace.» s’intromise Saga, la voce sempre rigida, continuando a suturare. «Una valanga seppellì alcune persone mentre voi eravate in città e foste considerati colpevoli.»
«Non potemmo salvarli tutti.» mugugnò Camus. «Sono stato… così sciocco…»
Milo comprese ciò a cui si riferiva e gli passò una mano tra i capelli. «No. Avrebbero potuto manipolare chiunque di noi. Quest’uomo che governa ora Asgard, Andreas, non si fa scrupoli ad alterare i ricordi delle persone a proprio vantaggio e prendere possesso delle loro menti.»
«Anche i ricordi di Surt e Sigmund sono stati alterati.» replicò Saga. «Andreas sfrutta anche i propri uomini.»
Milo si rifiutò di guardarlo in volto. Il ricordo della possessione di Aiolia faceva ancora troppo male.
«Camus, non devi perdere conoscenza finché non finisco.» proseguì Saga. «Devo anche medicarti le ustioni.»
«Non chiuderò gli occhi nemmeno per sbaglio…» fu il debole commento di Camus.
La ferita era quasi del tutto chiusa. Milo rimase stupito da quanto i punti fossero precisi e a distanza uguale l’uno dall’altro, segni di una mano esperta. Strinse i denti al vedere ancora l’ago perforare la carne e fuoriuscire intriso di sempre più sangue, e immaginò il dolore che Camus stava patendo, ma non avrebbe mai mostrato debolezza. Camus aveva bisogno del suo sostegno.
«Sei molto abile, Saga.» commentò solo.
«Shion era un esperto medico.» mugugnò Saga amaramente. «Ho dovuto fare del mio meglio per raggiungere il suo livello.»
Milo strinse ancora i denti. Tutto, tutto faceva troppo male. Quando aveva pensato di morire, invece, ogni cosa aveva trovato il suo posto nel mondo.
«Le forbici, Milo.»
Era fatta. Il filo, miracolosamente, era bastato.
Camus si fece sfuggire un lungo sospiro di sollievo, Saga invece pensò a ripulire l’ago e cambiarsi i guanti. Milo pulì ancora la ferita.
«Puoi alzarti appena sui gomiti?» chiese allora Saga.
Camus reagì subito, ma Milo lo bloccò.
«Lo reggo io.»
Stendendosi in parte sul letto, issò l’altro e lo appoggiò sul proprio petto, cosicché Saga avesse completa libertà di movimento sull’appena incurvata schiena lesa.
Camus nascose il viso nell’incavo della sua spalla.
Milo ne fu quasi sorpreso, perché non si aspettava di ricevere da Camus un gesto così intimo in presenza di estranei. Tuttavia, facendone dono con religiosa cura, appoggiò entrambe le mani sulla sua schiena e stese appena la cute, cercando di trasmettere con quel tocco anche la dolcezza che solo Camus, solo lui, meritava.
Eppure… mentre Camus sussultava, mentre Saga chiedeva se Camus volesse raffreddare la zona per placare il dolore, mentre Camus, ancora, sussultava e scuoteva la testa, lasciando scivolare le dita tra i suoi ricci biondi, Milo ritrovò quella sensazione che aveva perduto troppo presto e che solo la morte aveva potuto ridargli.
Mosse appena il capo, sfregando la guancia contro la fronte di Camus.
Non parlò né fece altri movimenti mentre Saga curava le ustioni. Era immerso nei propri pensieri, in quella sensazione ritrovata, dove il tempo si perdeva e non aveva più motivo di scorrere.
Si chiese una volta ancora se gli ultimi giorni fossero stati una benedizione o una condanna. Adesso che Camus era lì con lui, Asgard aveva perso quel briciolo di valore che Milo pensava meritasse.
«Ha resistito fino alla fine.»
La voce di Saga lo riportò bruscamente alla realtà, in quella stanza, nella notte buia e nevosa.
Diede un’occhiata a Camus: s’era addormentato sulla sua spalla.
Si accorse che Saga aveva ormai sistemato ogni strumento e non indossava più i guanti, né era macchiato di sangue. Guardò ancora Camus, per accertarsi che non fosse stato un sogno, ma quello dormiva ancora sopra di lui.
«Ti sei addormentato anche tu qualche minuto.» Saga ripiegò una pezza e la appoggiò ai piedi del letto. «Dovresti riposarti.»
Milo sentiva sulle spalle il peso dei combattimenti, ma ciò non aveva importanza. Scosse la testa e, con la massima attenzione, fece scivolare il viso di Camus sul cuscino e il corpo sul materasso.
Due colpi alla porta, poi, interruppero il silenzio.
Milo pensò istintivamente che fossero i gestori della locanda.
«Va tutto bene.» disse Saga. «Scusate per il rumore.»
«Toc toc, è qui la riunione dei cavalieri d’oro risorti?»
Milo scattò verso la porta, gli occhi sgranati. Ma Saga lo precedette e aprì la porta.
Con una sigaretta accesa in mano, e una spalla appoggiata al muro, il cavaliere del Cancro Death Mask aveva gli occhi socchiusi e un’espressione quasi infastidita. Accanto a lui, a braccia incrociate e con un atteggiamento altrettanto duro, Aphrodite dei Pesci fissava dritto davanti a sé.
«Che coincidenza, avete preso una camera nella nostra stessa locanda. Noi siamo di sopra.» continuò Death Mask, poi gettò un’occhiata nella stanza. «Oh? Camus è morto? Buon per lui.»
Milo balzò in avanti verso la porta e bloccò l’ingresso. Mantenendo ferreo il proprio autocontrollo, alzò semplicemente un braccio e indicò le scale; tuttavia fremeva così violentemente che il dito oscillava quasi per riflesso.
Aphrodite alzò un sopracciglio, poi rivolse un’occhiata gentile alle sue spalle. «Sono contento che tu stia bene, Saga. Non riesco a teletrasportarmi via da questo posto. Se provo a lasciare a piedi la città, finisco in una nebbia e mi ritrovo al punto di partenza. Vorrei avere il tuo parere.»
«Non so nulla, Aphrodite.» replicò Saga. «Anch’io sono contento di vederti in buone condizioni.»
«Allora Death Mask ha ragione.» proseguì Aphrodite. «Camus sarà il primo a lasciare Asgard.»
«VIA
Milo si sorprese.
Era pronto a gridare quella stessa parola, ma… Saga lo aveva preceduto. Era Saga che, adesso, s’era portato davanti a lui e indicava un altro punto del pianerottolo, e aveva atterrito sia Aphrodite sia Death Mask con un impeto tanto aggressivo. Entrambi indietreggiarono.
Milo li seguì con lo sguardo finché non imboccarono le scale. Solo allora Saga si volse e tornò nella camera, silenziosamente.
«Sappi che anch’io non sarei voluto tornare in vita e preferirei morire ancora, anziché vivere altri cento anni con il mio dolore.» precisò subito l’uomo, austeramente. «Ma anche se non capisco, e né potrò mai capire, i tuoi sentimenti, immagino che in questo momento tu sia divorato da desideri contrastanti.»
Chiudendo la porta, Milo strinse le labbra. Quella… quella era l’assoluta verità.
«Buonanotte, Milo.» concluse Saga dirigendosi verso il bagno.
Faceva male… faceva malissimo, ma Milo doveva sforzarsi di perdonare anche quell’uomo, così come aveva fatto con suo fratello Kanon.
«Grazie di tutto, Saga.» sibilò sedendosi sul letto. Sentì le lacrime scivolare copiose sulle guance mentre osservava il viso di Camus addormentato, poi sorrise. «Grazie per aver salvato Camus.»
 
Note finali: intervista a caldo al grande chirurgo Saga dei Gemelli
Giornalisti: mi dica signore! Perché tanta benevolenza verso Milo e Camus? Perché ha scacciato Death Mask e Aphrodite così bruscamente?! Non erano forse due dei suoi più fedeli seguaci, in passato???
Saga: ecco, dunque, la mia otp è Milo/Camus, ho voluto evitare che una metà morisse precocemente
Giornalisti: si spieghi meglio!
Saga: mi sono recato personalmente a controllare la situazione perché non volevo che quel Surt s’intromettesse nella loro relazione, insomma, una persona tanto stupida può solo essere Gemelli, perciò ho pensato che la mia presenza fosse fondamentale
Giornalisti: perché non si è ancora spogliato signor Saga?
Saga: alla fine della storia sono andato in bagno proprio per denudarmi integralmente e fare una lunga abluzione nelle mie lacrime versate per la mia otp
 
Si ringrazia Saga per la collaborazione. Nelle mie AU, Milo è sempre un infermiere strumentista, mentre mi piace Saga come medico. Anche se Milo odia i gemelli con passione, a volte devono cooperare e trovo molto bello vederli (vedere Milo) mettere da parte (momentaneamente) i loro rancori (il rancore di Milo) per aiutare persone in difficoltà.


So di essere stata inattiva per molto tempo e di pubblicare solo una volta ogni tanto, ma mi dispiace molto che questa raccolta non stia raccogliendo molti pareri; ci tenevo comunque a dire che questa è la mia storia preferita tra tutte.

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Capitolo 15
*** Punti di vista ***


Titolo: Punti di vista
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, commedia.
Pairing: //
Personaggi: Camus, Milo, Shura, Aiolia, Aphrodite, Mu, Aldebaran, Aiolos, Kiki, ma soprattutto: Geronimo.
Avvertimenti: vari POV, AU, Shura in crisi di nervi.
Parole: 1570
Note dell’autore: una classica (?) giornata al Santuario, tutti sono vivi e giulivi.
Prompt:
 
Write one story from multiple perspectives. For a nonfiction challenge, choose a family story. Write your own perspective, then talk to different family members to see how the story changes with the narrator. @ promptsgalore
 
Camus sistemò due bicchieri, una caraffa e una grande ciotola piena di biscotti su un vassoio. Per uno spuntino quello era sufficiente, quindi prese il vassoio e si allontanò dalla cucina.
Già solo camminando lungo il corridoio poteva avvertire il tepore dei raggi del Sole che filtravano dalle larghe vetrate. Non c’era una sola nuvola in cielo.
Mentre raggiungeva un atrio, tuttavia, avvertì un cosmo sopraggiungere nella sua direzione.
Si fermò ad aspettare il cavaliere che era entrato in casa sua.
«Devo portare un messaggio a Mu.» la voce di Aphrodite precedette la sua apparizione. «Da parte del Grande Sacerdote.»
Camus rimase in silenzio. Tra i cavalieri d’oro, chiedere il permesso per oltrepassare la casa di un compagno era divenuto superfluo col tempo, ma Aphrodite non gli aveva mai suscitato grande fiducia e tenerlo d’occhio lungo il suo percorso era una consuetudine.
Aphrodite apparve nell’atrio.
«Buongiorno.» salutò educatamente Camus.
Il cavaliere dei Pesci, tuttavia, continuando a camminare volse il capo verso di lui e alzò le spalle.
«Perché ti sei vestito da Grande Sacerdote?» commentò, bruscamente, prima di scomparire in un altro corridoio.
Camus non cambiò espressione, ma si osservò il corpo. Indossava una semplice tunica ocra senza maniche.
Senza esitare, si diresse verso la veranda.
«Finalmente! Che voleva Aphrodite?»
Camus si avvicinò a un tavolo e appoggiò il vassoio. Prese poi un bicchiere e lo avvicinò a Milo, il suo ospite.
«Pensi che io mi sia vestito da Grande Sacerdote?»  chiese. Non era sua intenzione imitare, o peggio scimmiottare, la massima autorità del Santuario dopo Athena, quindi desiderava conoscere il parere di una persona fidata.
Per tutta risposta, ricevette da Milo un’occhiata sbigottita.
«Cos’è, uno scherzo? O siete impazziti tutti?» indagò, l’espressione sempre più confusa. «Prima Shura e il gatto, poi Aiolia con quella siepe, ora tu e… vestito da Grande Sacerdote?! Ma cosa ti salta in mente?»
Camus mantenne la sua solita calma.
«Lascia perdere.» sospirò. «Quello che è impazzito davvero è Aphrodite.»
 
Milo si fermò sulla soglia della propria casa proprio mentre avvertiva un cosmo attraversarla frettolosamente. Si volse stupito.
«Milo, per caso hai visto il mio gatto? Quello nero… Geronimo.»
Shura sbucò da un corridoio. La voce era agitata e rotta da respiri più profondi, forse dovuti alla corsa.
«Si è allontanato di nuovo, ma stavolta credo che sia sceso parecchio, perché Aiolos l’ha visto passare.» spiegò. «Posso controllare nei tuoi territori? Non nel palazzo, solo intorno, poi vado via.»
Il cavaliere dello Scorpione fu preso alla sprovvista. Per prima cosa, non aveva mai visto – o meglio, sentito – uno Shura così loquace in vita sua, quella probabilmente era la conversazione più lunga che avessero mai scambiato. E, in secondo luogo, una tale agitazione non aveva mai pervaso il viso dello scontroso e riservato Capricorno… non davanti a Milo, perlomeno.
«Va bene.» disse solo. «Fa’ pure. Buona… fortuna.»
Quello riprese a correre tra i corridoi.
Beh. Milo alzò le spalle: certo, vedere Shura in un simile stato era bizzarro, ma se le sue calopsitte fossero scappate anche lui si sarebbe fatto in quattro per ritrovarle.
Riprese a camminare. Raggiunse con calma la casa del Leone e trovò Aiolia in giardino, intento a sistemare alcune piante.
«Non sapevo che ti piacesse il giardinaggio. Perché mi hai fatto chiamare?»
Aiolia si volse. Era sudato dalla testa ai piedi ancor prima delle dieci del mattino.
«Grazie Milo. Mi serve un consiglio urgente.» iniziò. «Allora, devo potare questa siepe. Io stavo pensando a un metro, un metro e mezzo, però ho messo una mangiatoia per gli uccelli qui vicino, e temo che un metro sia troppo alto… dovrei limitarmi a mezzo metro, più o meno… però ho il burrone qui dietro e sinceramente non vorrei che una guardia cadesse giù di notte.»
Milo si portò una mano alla bocca.
«Mi prendi in giro?» domandò, sospettoso. «Vero?»
Aiolia lo osservò con stizza e abbassò il paio di cesoie che stava maneggiando. Poi indicò una siepe e scosse la testa con aria infastidita, come se Milo lo avesse personalmente oltraggiato.
«Ripeto. Ti ho chiesto un consiglio riguardo questa siepe.» Aiolia scandì ogni parola con serietà. Milo lo trovò alquanto assurdo. «Oh, è bosso. Se ti interessa.»
Milo non sapeva davvero se ridere o piangere.
«Perché non metti le mangiatoie tra le siepi, invece?» scherzò con aria poco seria. «Così sporgono dall’alto.»
Ma il viso di Aiolia si illuminò. «Giusto! Ottima idea!»
Milo si voltò, sconvolto. «Addio. Salgo da Camus.»
 
«Geronimo!» vociò Shura agitando un sacchetto di croccantini in aria. «Geronimo, dove sei?»
Si abbassò a guardare sotto un tavolo. Nulla. Nada. Solo erba che spuntava tra mattonelle di pietra bianca.
«Pappa!» tentò ancora.
Dannazione.
Poteva giurare di aver distolto gli occhi solo un attimo da quella macchia nera che si rotolava per terra. Un attimo solo, il tempo necessario per raccogliere da una mattonella una lumaca e appoggiarla sul muro. Poi, Geronimo era scomparso, svanito nel nulla.
Il suo autocontrollo era immenso, ma il suo gatto era giovane e non abituato alla vita all’aria aperta. E poi lo aveva ingannato un’altra volta. Geronimo… era un esperto nella fuga.
Gettò un’occhiata verso il tempio sopra il suo. Di solito era Camus a riportarglielo, raccontando di come lo aveva trovato sulla finestra del bagno, o sdraiato sul suo letto a dormire. Aveva ormai familiarizzato con quella casa.
Quando non era da Camus, però, Shura sapeva che Geronimo vagava in qualche giardino confusamente e non si azzardava a mettere piede nei palazzi. I cavalieri d’oro avrebbero potuto fermare qualsiasi nemico, ma Geronimo sfuggiva quasi a tutti!
Si diresse in fretta verso il palazzo del Sagittario. Camus era a casa, ne avvertiva il cosmo, e se Geronimo era con lui non c’era nulla da temere. Doveva assolutamente accertarsi che non fosse sceso.
«Aiolos!» esclamò entrando nell’atrio. «Posso controllare il tuo giardino?»
Il cavaliere del Sagittario fece capolino da una stanza.
«Per caso stai cercando il tuo gatto?» domandò.
Shura si fece sfuggire un sospiro di sollievo. «È qui con te?»
«No. L’ho visto correre verso i territori di Milo però.» rispose Aiolos. Poi scosse la caffettiera che teneva in mano e sorrise. «Vuoi del caffè? È nero come il tuo gatto! … l’hai capita? Caffè… nero!»
 
Aiolia tagliò gli ultimi ramoscelli intorno alla mangiatoia. L’ingresso era totalmente libero e la siepe così alta avrebbe sicuramente fatto sentire protetti gli uccelli in cerca di cibo.
Indietreggiò per guardare il suo lavoro. Ottimo, davvero ottimo. Perché rivolgersi a un inserviente, quando era riuscito a creare una tale opera d’arte da sé?
Gettò le cesoie per terra e si tolse i guantoni. Aveva bisogno di farsi subito una doccia, sentiva il sudore colare sul collo e aumentare mentre il Sole si faceva sempre più caldo.
«Meow?»
Drizzò le orecchie. Cos’era stato?
«Meow?»
Si volse a guardare verso alcuni bassi arbusti. Un gatto nero, elegantemente seduto tra di essi, lo fissava dritto negli occhi.
«Tu sei Geronimo, il gatto di Shura!»
 Come risposta, il gatto miagolò ancora e si diresse a coda alta e tesa verso di lui.
«Anch’io ti amo.»
S’inginocchiò e aprì le braccia, come segno di immenso amore. Si sentì realizzato e immensamente onorato quando il gatto corse verso di lui e iniziò a sfregare la testa contro la sua guancia.
«Cosa stai facendo col gatto di Shura?!» tuonò all’improvviso una voce.
Aiolia si volse. Aphrodite, con i capelli e il viso completamente bagnati, e gli occhi truci, sembrava pronto a uccidere qualcuno a mani nude.
 
“Vorrei che tu consegnassi questo messaggio al mio allievo Mu.”
“Sai, il cavaliere dei Pesci è da sempre stato l’uomo più caro al Grande Sacerdote, non solo perché vicino alle sue stanze – soprattutto perché ne è il fidato messaggero.”
“Oggi il Sole è più bello del solito e dovresti sorridere davanti a tale magnificenza.”
Le parole di Shion continuavano a riecheggiargli in testa e non riusciva davvero a trovare nulla di piacevole in quella giornata. Ovviamente, essendo il “messaggero” del Grande Sacerdote, non era autorizzato a far notare che qualsiasi guardia a cavallo avrebbe potuto portare il messaggio a Mu, senza dover scomodare un altro cavaliere d’oro.
Corrucciò la fronte. Il Sole? Shion stesso sembrava il Sole, con quel lungo vestito totalmente giallo e ocra. Persino Camus l’aveva copiato.
Aphrodite strinse la busta tra le mani e sospirò. In fondo, era inutile lamentarsi: non avrebbe mai contraddetto il Grande Sacerdote, perché tutto ciò che diceva faceva sempre parte di un piano più grande.
Entrò nel palazzo dell’Ariete e si diresse verso le stanze interne, dove percepiva il cosmo di Mu. Era pronto a portare a termine il suo compito.
Valicò una porta.
«Mu, il Gran-»
«Allontanati!»
«OH NO!»
I riflessi di Aphrodite erano sempre stati pronti, ma aveva commesso l’errore più grande, quel giorno: non aveva prestato abbastanza attenzione all’ambiente circostante.
Quando urtò qualcosa con la testa e sentì dell’acqua scivolargli addosso come una doccia gelata, improvvisamente, non riuscì nemmeno a muoversi.
Guardò solo di fronte a sé, sconsolato. Mu, Aldebaran e Kiki erano seduti a un tavolo apparecchiato ed erano rimasti a bocca aperta.
«Mi dispiace, signor Aphrodite!» fece poi Kiki, portandosi le mani alla bocca. «Stavo trasportando la caraffa con la telecinesi…»
Aphrodite si girò appena. Una caraffa sospesa a mezz’aria continuava a versare acqua sulla sua spalla.
«L’ho bloccata io.» si sentì in dovere di spiegare Mu, gli occhi sgranati. «Non abbastanza in tempo.»
Ah, sì.
Tutto ciò che Shion diceva, faceva sempre parte di un piano più grande.
 
 
Note finali: ?????????

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Capitolo 16
*** Pattinaggio su ghiaccio ***


Titolo: Pattinaggio su ghiaccio
Rating: verde.
Tipologia: flashfic.
Genere: generale, commedia.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Camus, Milo, il nipote di Milo, due cugine di Milo.
Avvertimenti: POV di Camus, AU, slash.
Parole: 500
Note dell’autore: Milo continua a non sopportare i bambini, ma questi sono parenti e secondo lui quindi superiori agli altri bambini.
Prompt:
 
“i’m a figure skater who’s trying to practice and you took your baby cousins out to the rink but none of you can skate do you need help??” au by @lukenewberry
 
Camus appoggiò il piede destro sul ghiaccio e sollevò il busto, tornando in posizione diritta. Abbassò infine anche le braccia per non perdere l’equilibrio, quindi riprese velocità e cambiò direzione poco prima di raggiungere la recinzione della pista. Una trottola rovesciata perfetta, si vantò tra sé e sé.
Solo quando iniziò a pattinare nell’altra direzione si accorse di non essere solo in pista. Strano. Di solito, a quell’ora nei giorni feriali non si vedeva nessuno e poteva allenarsi fuori dall’orario di lezione senza dover schivare inesperti e barcollanti pattinatori.
Un ragazzo biondo, con un piumino gonfio e un cappello di lana, teneva per mano due bambine e appoggiava la schiena alla recinzione, cercando di non cadere. Ma il dettaglio che Camus trovò più divertente fu la presenza di un altro bambino, di tre o quattro anni, aggrappato alle sue gambe.
Si diresse verso il gruppo, in parte mosso da un impeto di pietà, in parte perché aveva sempre avuto un debole per i ragazzi che aiutavano i bambini a pattinare.
«Serve una mano?» chiese.
Il traballante ragazzo alzò lo sguardo. Camus pensò che fosse troppo giovane per essere il padre, poteva avere sì e no vent’anni, quanto lui. I suoi occhi azzurri lanciavano disperatamente richieste d’aiuto.
«Grazie di cuore.» rispose.
Subito dopo, scivolò. Camus fece appena in tempo a reggere il bimbo più piccolo, prima di vedere il ragazzo disteso sul ghiaccio insieme alle bambine.
«State bene?!» vociò tentando di sollevarsi.
Camus sentì il bimbo più piccolo aggrapparsi alla propria gamba. Senza staccarlo, aiutò una bambina ad alzarsi da terra.
«Vi aiuto, tranquilli.» intervenne lui. «Forse è meglio che stiate separati l’uno dall’altro, per il momento.»
«Infatti io so già pattinare.» disse con orgoglio una bambina. «Ciao Milo!»
«Anch’io.» replicò l’altra. Poi, entrambe si allontanarono pattinando.
«Ehi! Vi ho detto di stare vicino a me!» tale Milo si aggrappò nuovamente alla recinzione e si issò sulle ginocchia. «Lo dirò alla zia!»
«Secondo me se la cavano.» osservò Camus, guardandole muoversi con disinvoltura sul ghiaccio. «I bambini hanno un baricentro più basso e mantengono meglio l’equilibrio.»
Milo gli rivolse un’altra occhiata supplichevole. Vagamente intrigato, Camus gli porse la mano e lo aiutò ad alzarsi.
«Perdona l’invadenza, ma non hai freddo?» chiese Milo, squadrandolo dalla testa ai piedi.
Camus si sistemò la maglietta scollata. «Sono abituato. Pattino da quindici anni.»
Il bimbo aggrappato alla sua gamba si fece scappare un’esclamazione sorpresa e sorrise. Camus ricambiò.
«Questo è mio nipote, a proposito.» spiegò Milo. «Quelle sono le mie cugine… e io sono Milo.»
«Piacere, Camus.»
In quel momento Milo cercò di avvicinarsi al nipotino, ma riuscì solo a spostare in avanti una gamba, prima di ricominciare a scivolare.
«Attent-».
 Il ragazzo si adagiò sul ghiaccio con una perfetta spaccata. Camus sgranò gli occhi, scattando in avanti, ma Milo, forse più stupito di lui, agitò una mano nell’aria.
«Non mi sono fatto niente!» spiegò. «Sono molto flessibile!»
Camus rimase a fissarlo pervaso da una strana contentezza. A volte era davvero semplice riconoscere persone uniche.
 
 
Note finali: Camus ha attivato il figliradar. La trottola rovesciata -> https://www.youtube.com/watch?v=RfgG3CvVw5I

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Capitolo 17
*** Imbarazzo ***


Titolo: Imbarazzo
Rating: arancione.
Tipologia: flashfic.
Genere: generale, erotico (?).
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: POV di Camus, slash.
Parole: 397
Note dell’autore: che bricconcelli.
Prompt:
 
Imagine your OTP lying next to each other in bed, staring at the ceiling, embarrassed and slightly alarmed by the wild, intense, filthy sex they just had.
 
Camus si issò sui gomiti e si voltò, distendendosi supino sul letto.
Le tempie pulsavano senza sosta, nella testa riecheggiavano ansiti e pesanti sospiri con lentezza, come se fossero lontani nel tempo, o nello spazio.
Fissò le assi di legno del soffitto, cercando di trovare un punto di riferimento stabile per riprendersi dall’euforia in cui era immerso e che faceva apparire tutto confuso.
Capì subito che anche Milo era nelle sue stesse condizioni, perché non parlava né era rimasto ad abbracciarlo, come era solito fare.
In un certo senso si sentiva anche in imbarazzo. Non aveva molto senso fare il pudico dopo quel che era successo, ma ugualmente piegò una gamba e appoggiò le braccia al petto. Riuscì solo ad avvertire i propri battiti accelerati.
Con la coda dell’occhio, osò sbirciare alla sua destra.
Milo respirava pesantemente e teneva un braccio sugli occhi. I capelli gli nascondevano quasi l’intero resto del viso.
«Dobbiamo alzarci.» osservò allora Camus, mettendosi a sedere sul letto. Gli serviva un pretesto per rompere quell’imbarazzante silenzio. «Hyoga e Isaac potrebbero tornare.»
Cercò di capire dove fossero finiti i vestiti. Ai piedi del letto c’erano i calzini e i pantaloni di Milo, per terra riusciva a vedere solo tre scarpe.
Tirò verso di sé la coperta del letto.
Sentì il materasso cedere leggermente, quando Milo si mosse e si alzò a sua volta. Tentò di evitare il suo sguardo per il vago senso di imbarazzo, ma un po’ per confusione un po’ per curiosità finì per incrociare i suoi occhi non appena Milo arrivò a sedersi.
«Sì, sì, faccio subito.» farfugliò subito quello, portando le mani all’inguine. «Sbrighiamoci.»
C’era qualcosa di davvero strano nell’aria e Camus si sentì profondamente a disagio. Gli parve quasi di aver rimproverato Milo, o di averlo fatto sentire a disagio a sua volta, malgrado quelle non fossero le sue intenzioni.
Per rimediare, allungò una mano verso la guancia dell’altro e lo trasse a sé. Poi lo baciò affettuosamente sulle labbra.
«Va’ in bagno tu, io cambio le lenzuola.» disse subito dopo.
Milo sorrise, poi gettò un’occhiata al letto e l’espressione si fece più nervosa. Ma Camus gli diede una pacca sul fondoschiena e si alzò.
«Dai, non fare il timido adesso.» lo provocò, usando quella stessa sensazione che aveva pervaso lui come arma.
Milo socchiuse gli occhi e alzò un sopracciglio.
«Senti chi parla.» sogghignò, tirandogli via il lenzuolo.
 
 
Note finali: eeeeh, era una delle prime volte, hanno provato una posizione nuova, si sono impicciati coi preservativi, e alla fine hanno fatto un gran casino sul letto. Ma hanno gradito.

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Capitolo 18
*** Marcia indietro ***


Titolo: Marcia indietro
Rating: arancione.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, erotico, commedia.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: POV di Milo, slash, AU, lime.
Parole: 866
Note dell’autore: non si fa, Milo!
Prompt:
 
Imagine your OTP driving in a car. Person A teases person B, who’s driving, by touching their thigh and crotch to the point where person B can’t concentrate and has to drive to the side where they have passionate sex in the backseat.
 
L’ingorgo causato da un incidente, fortunatamente privo di vittime, sulla A1 all’altezza del Monte Olimpo è andato smaltendosi nelle ultime due ore. Gravi i disagi per gli automobilisti che hanno lamentato code di oltre quattro ore sotto il Sole cocente…”
Camus spense la radio.
«Basta.» sentenziò, accelerando per un sorpasso. «Lo sappiamo.»
Milo allungò le braccia davanti a sé e si stiracchiò. «Spero di finire in televisione con quell’intervista…»
«Sta’ zitto. Al massimo la protezione civile si ricorderà di te per tutta l’acqua che hai preso.» replicò Camus. Terminò il sorpasso e diede un’occhiata ai sedili posteriori, dove una decina di bottigliette d’acqua ancora piene oscillavano seguendo l’auto. «Neanche un cammello…»
Milo alzò le spalle. Il viaggio era stato lungo e stancante per via dell’imprevista – e forzata – sosta di quattro ore nei pressi del Monte Olimpo. Dannati dei, mai una volta pronti ad aiutare gli umani in difficoltà. S’era persino fatto buio, ma purtroppo erano ancora molto lontani dalla loro destinazione.
Con dolcezza, appoggiò una mano sul ginocchio dell’altro. Sentì le proprie nocche accarezzate come risposta a quel contatto, ma dopo un po’ Camus si sistemò sul sedile e tornò a impugnare il volante con entrambe le mani.
Non c’era molto da fare e, ora che la radio era spenta, Milo non poteva neanche cantare. Persino il suo turno alla guida, sebbene non fosse una prospettiva invitante, era ancora lontano.
Spostò la mano sulla coscia di Camus con un sorriso.
Per un po’ non ricevette alcuna reazione e si limitò a muovere appena le dita sui pantaloni. La luce nell’abitacolo era sufficiente per vedere che Camus gli gettava occhiate curiose con la coda dell’occhio, ma sembrava restio a reagire.
Intenzionato a ricevere una risposta infilò la mano tra le sue cosce.
«Che vuoi?» mormorò Camus stringendo le gambe.
Milo assunse una posa più lasciva sul sedile e alzò le spalle. «Beh, è sempre un modo per ingannare il tempo, no?»
Camus non rispose e non lo guardò nemmeno, ma mosse la gamba per scacciarlo. Era un atteggiamento quasi indifferente che Milo conosceva, e che sapeva gestire benissimo. Portò dunque la mano sotto la maglietta di Camus e prese a massaggiare appena la pelle nuda che riusciva a toccare, mentre sfoderava un sorriso sardonico in viso.
Sentì l’auto accelerare e poi rallentare senza nessun motivo apparente, se non per lo stato leggermente alterato del guidatore. Fortunatamente davanti a sé Milo non scorgeva nessun’altra vettura,  intravide solo un’indicazione stradale che segnalava lo svincolo per una città a qualche chilometro di distanza.
Abbassò appena la mano, scendendo sotto la cintura dei pantaloni. Si sentì attraversato da una scarica di libidine quando giunse a sfiorare il pube del compagno.
Di colpo, poi, la macchina frenò e Milo fu sbalzato in avanti, urtando contro la cintura di sicurezza. Ritrasse la mano istintivamente e si issò di nuovo sul sedile, cercando di capire cosa fosse successo, poi notò che l’auto stava per accostare in una piazzola di sosta.
Si volse verso Camus, stupito.
L’auto si fermò, a fari accesi e freno a mano. Ancora vagamente stordito per la brusca frenata Milo non distolse lo sguardo dall’altro, ma al contrario agitò le mani. «Sei impazzito?»
Per tutta risposta, vide Camus slacciarsi la cintura di sicurezza e saltare su di lui. Milo si ritrovò a baciarlo e stringerlo come se si trovassero a casa, su un letto comodo, se non fosse stato per la cintura che continuava a ostacolare quasi ogni suo movimento e l’esiguo spazio in cui tentava disperatamente di distendere le gambe.
«Ma qui?» sussurrò staccandosi quasi a fatica. Gettò un’occhiata alla strada: una macchina li superò in quel momento. «Così?»
Non aveva molto senso fare marcia indietro dopo aver stuzzicato Camus in quel modo. Certo, i vetri erano oscurati e la luce dell’abitacolo era spenta, ma non era esattamente ciò che aveva in mente. Forse era meglio riprendere il camm-
Il pensiero fu interrotto quando sentì una mano di Camus dentro alle mutande. L’atmosfera eccitante e la situazione fuori dall’ordinario fecero prevalere i suoi sensi, e tornando a baciare il compagno cercò di slacciarsi in fretta la cintura di sicurezza.
Dopodiché, Camus si risedette al posto di guida.
Milo alzò lo sguardo e iniziò ad abbassare il proprio sedile, ma anziché tornare su di lui o passare nel retro dell’auto Camus tolse il freno a mano e rimise in moto, come se nulla fosse successo.
Milo ebbe bisogno di qualche secondo per rendersi conto di essere ripartito, di essere nuovamente sulla strada e non più su quella piazzola dove pensava si sarebbe consumato un intenso attimo di passione. Batté le palpebre.
Il compagno era tornato a guidare con un braccio appoggiato al finestrino e la mano a reggere la testa. A giudicare dalle labbra inespressive e la fronte corrugata, poteva dirsi estremamente imbronciato.
Milo sbuffò e si allacciò la cintura con un colpo brusco, spazientito. Non c’era bisogno di rendere pan per focaccia in quel modo.
Si voltò verso il finestrino e borbottò: «Sei uno stronzo.»
«Disse lo stronzo.» replicò Camus.
Quando sarebbero arrivati a destinazione, pensò Milo, la tensione accumulata sarebbe stata tale da sfociare in sesso rabbioso non appena varcata la porta della camera dell’albergo. Poco male, tutto sommato.
 
 
Note finali: non sia mai che finiscano fuori strada o tamponati nella piazzola, ma chi te l’ha data la patente Camus?! Hyoga che guida nell’anime??? E tu Milo potevi stuzzicarlo mentre eravate in coda, invece di rubare acqua alla protezione civile. Ecco poi perché gli dei vi abbandonano.

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Capitolo 19
*** Per una scommessa ***


Titolo: Per una scommessa
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, commedia.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi: Milo, Camus, Aiolia, Mu, amiconi vari.
Avvertimenti: POV di Milo, slash, AU.
Parole: 1622
Note dell’autore: quando inserisco Aiolia e Mu nella stessa fic o nello stesso disegno, è perché mi piace vederli litigare.
Prompt:
 
“my friends dared me to buy 20 condoms but i didn’t realize that the cute cashier would be working tonight so i avoided eye contact as i piled them onto the counter and please stop laughing so hard, oh my god it’s for a dare okay i’ve never had sex in my life and once you stopped laughing, i swear i fell in love with that sparkle in your eye as you grinned wildly at me and asked me out for a drink” au
 
«Aiolia, quanto dobbiamo aspettare ancora?»
Milo si sfregò le mani tentando di riscaldarle, ma la condensa che si alzò dal suo respiro gli fece solo notare quanto bassa fosse la temperatura. Si portò le mani in tasca e proseguì: «Tra tre minuti esatti me ne torno a casa e tanti saluti al pub …»
«Aspetta che stiamo decidendo una cosa.» replicò Aiolia, poi si volse verso un altro ragazzo e disse: «Vacci tu.»
Milo sbuffò. Non capiva perché i suoi amici erano ancora fermi davanti a un piccolo supermercato, in un parcheggio deserto se non per le loro auto. Stava per risalire in macchina, ma un improvviso fermento nel gruppo lo fece desistere.
«Dillo a Milo.» vociò l’interlocutore di Aiolia.
«Cosa?» replicò il diretto interessato.
Aiolia si accostò a lui, con aria furtiva. «Ascolta, puoi andare tu a comprare… i preservativi per noi?»
La prima reazione di Milo fu roteare gli occhi, seccato. Adesso era pure diventato il cameriere, oltre che l’autista di Aiolia, certo. Tuttavia, se il problema che lo costringeva a restare in quel parcheggio era tanto futile, era meglio risolverlo in fretta.
«Questa sarebbe la vostra grande tragedia?!» sbottò. Si strinse nelle spalle. «Avanti, datemi i soldi.»
Il viso di Aiolia si illuminò. Poi, lo indicò. «Ragazzi, va Milo!»
Ciò che Milo non aveva considerato, tuttavia, era il numero di persone coinvolte nella discussione. Pensava che riguardasse solo Aiolia e l’altro ragazzo, ma non appena fu investito della carica, Milo vide il resto degli amici accerchiarlo. Alzò un sopracciglio, mentre un coro collettivo si alzava nella notte fredda.
«Stimolanti per lei. Due pacchi, uno anche per lui.»
«Extra large e visto che ci sei prendimene tre.»
«Sì, certo, certo. Per me alla frutta… tropicale.»
«Normali per me. E tu, Mu?» s’intromise poi Aiolia, prendendo dei soldi dal portafoglio.
«Non mi servono.» rispose Mu.
Aiolia scosse la testa con aria ripugnata. «Sei un irresponsabile. Complimenti.»
Milo si ritrovò in mano spiccioli e banconote mentre ancora venivano fatte ordinazioni, che per metà gli erano già sfuggite di mente. Non si perse però l’espressione quasi compassionevole di Mu, che fissava Aiolia con rassegnazione.
«Io non faccio sesso.» rispose tranquillamente Mu, e Milo per qualche motivo si sentì profondamente grato di quella ammissione. Almeno aveva messo a tacere Aiolia… per qualche secondo.
«Grazie, ora sbrigati.» riprese Aiolia, spingendolo verso l’entrata.
Milo si voltò. «Ma qual è il problema?»
«C’è una cosa chiamata imbarazzo, sai.» Aiolia socchiuse gli occhi. «Anzi… credo che tu non arriverai nemmeno alla cassa.»
L’imbarazzo, perdio. Milo scosse appena la testa con scetticismo.
«Cosa ci sarebbe di imbarazzante?» mormorò, ripiegando le banconote che aveva in mano. «Non avete mica tredici anni.»
Aiolia tirò fuori di nuovo il portafoglio e prese venti euro. «Scommettiamo che non li compri?»
«Ci sto.»
«Ecco, e speriamo che ci sia quel ragazzo di fisica come cassiere, così è ancora meglio.»
Milo corrucciò la fronte.
«Non lavora il venerdì sera.» disse, poi entrò.
Effettivamente Milo conosceva già quel supermercato e sapeva che uno dei cassieri bazzicava la facoltà di fisica della sua stessa università. Il che non era nulla di speciale, fatta eccezione per i sorrisi inebetiti con cui rimaneva dopo ogni fugace sguardo – sorrisi che Aiolia evidentemente aveva notato.
Era stato al supermercato abbastanza spesso da avere più o meno un’idea della ruotine lavorativa di quel cassiere. Non lo aveva mai incontrato nei fine settimana e nemmeno di venerdì sera, perciò giunse quasi a tradimento la realizzazione che, quella sera, alla cassa c’era proprio lui.
Dapprima si ritrovò solo a sorridere inebetito com’era solito fare. Dopo, stringendo i soldi che teneva in mano, ricordò di dover acquistare – si sforzò di far mente locale – venti pacchi di preservativi.
All’improvviso comprese cosa intendesse Aiolia per “imbarazzo”. Più o meno. Se per Aiolia era imbarazzante comprare un solo pacco di preservativi, beh, per Milo l’onere di doverne prendere venti tutti in una volta era molto più consono a definire quell’aggettivo. E non era certamente imbarazzo per l’oggetto in sé – si sarebbe sentito un idiota anche se avesse dovuto comprare venti panetti di burro o venti scopini per il bagno.
Quando giunse alla cassa, ricordò le parole di Aiolia. “Non arriverai nemmeno alla cassa”. Milo era già lì… di fronte al cassiere carino che attendeva la sua spesa.
Cercò di evitarne lo sguardo per due motivi. In primis, non voleva sorridere per tutto il tempo come un bambino piccolo di fronte a un parco giochi. In secondo luogo, doveva concentrarsi sui pacchi da comprare.
Fortunatamente il supermercato era deserto e nessun cliente avrebbe interrotto la sua imbarazzante compera. Iniziò a prendere qualche pacco da un espositore proprio accanto alla cassa, tentando di fare in fretta, poi appoggiò quelli di cui aveva bisogno – di cui gli amici avevano bisogno – sul bancone.
Già al quinto pacco sentì una lieve risatina trattenuta a stento, ma comunque molto educata, accompagnare i suoi movimenti.
Con apprensione, osò alzare lo sguardo sul cassiere. Non lo aveva mai visto così radioso… ma non poteva farsi distrarre. Tornò a fissare l’espositore, e solo in quel momento si accorse con orrore che non c’erano tutte le varietà chieste dai suoi amici.
Deglutì.
«Scusa… avete… quelli extra large e alla frutta tropicale?» chiese alzando ancora lo sguardo. «E… altri?»
Il cassiere sembrava ormai vivere un’interiore e frustrante esperienza di ilarità. Milo poteva vedere benissimo le labbra serrate con forza e i muscoli delle guance che lottavano per mantenere un’espressione professionale. Un ciuffo di capelli rossi gli scivolò sugli occhi, ma il cassiere lo riportò subito indietro e indicò un’altra cassa, vuota.
Milo cambiò espositore, combattuto tra il desiderio di piangere e quello di ridere. Di ridere, sì, perché tra tante cose la risatina celata del cassiere era anche molto genuina e contagiosa, e poi lui stesso non aveva mai né fatto sesso né tantomeno maneggiato un preservativo.
Raccolse i pacchi che cercava e tornò alla cassa. A occhi bassi, iniziò ad appoggiare tutto sul bancone, ma sentì nuovamente il ragazzo soffocare le risate e alzò lo sguardo.
Quello era effettivamente molto bizzarro come primo dialogo e Milo non poteva lasciare che venisse rovinato da equivoci o strani dubbi.
«Ti dico subito che i miei amici mi hanno scambiato per il loro cameriere.» mise in chiaro, con un sorriso incerto. «Ed è anche una sorta di scommessa.»
In quel momento incrociò gli occhi ramati del ragazzo e rimasero a fissarsi un po’ più del dovuto. Milo non seppe dire chi dei due scoppiò a ridere per primo.
«Devi dire ai tuoi amici che hai fatto centro.» rise il cassiere, mentre iniziava a battere i prodotti. «Perché io non rido facilmente e adesso non riesco quasi a smettere.»
Milo appoggiò i soldi sul banco e tentò di ricondurre la sua risata a un semplice sorriso.
«Non ti dimenticherai facilmente di questo acquisto.» ridacchiò.
Anche l’altro smise di ridere e si limitò a sfoggiare un’espressione serena e divertita, quasi felice. Gli gettò un’occhiata curiosa: e Milo poté giurare di aver visto un vero e proprio scintillio ammaliatore nei suoi occhi. Faticò non poco a metabolizzarlo.
«Ci siamo già visti fuori dal supermercato, vero?» domandò poi il ragazzo, mettendo i pacchi di preservativi in una busta. «Per caso tu frequenti infermieristica all’università?»
Milo trasalì. Allora… non era stato solo lui a notarlo? S’erano visti a vicenda?
«Sì, e tu se non sbaglio fai fisica?»
«Esatto.» rispose. «Mi chiamo Camus.»
Camus. Camus! Finalmente conosceva il suo nome. In fondo al cuore si sentì pervaso da un’inspiegabile gioia.
«Piacere, Milo.» si presentò, allungando la mano. Strinse con fermezza quella di Camus, ricevendo una stretta altrettanto sicura. Fu singolare per lui vedere da vicino le sue unghie rosse. In effetti s’era accorto in altre occasioni che quel cassiere aveva le unghie colorate, ma adesso che erano lì vicino a lui, circondate da lentiggini sulla pelle chiara, sembravano ancora più particolari.
Poi Camus ritrasse la mano per passargli il resto dovuto e la busta con l’eccentrica spesa. Milo si sentì quasi intristito per la fine di quella discussione, ma incrociò ancora una volta gli occhi dell’altro e sorrise.
Ricambiato pienamente, per giunta: il cassiere gli sorrideva luminosamente e nei suoi occhi Milo poteva scorgere di nuovo quel luccichio così piacevole, che contagiava tranquillità.
«Io tra mezz’ora finisco.» disse poi, senza smettere di sorridere. «Vuoi venire a bere qualcosa con me, stasera?»
Ancora una volta Milo si ritrovò a dover fare del suo meglio per metabolizzare ciò che aveva appena sentito. Eppure i suoi programmi per la serata non erano poi così importanti… aveva già fatto un favore agli amici, no?
«Certo.» rispose con il tono più determinato che riuscì a sfoderare. «Ho la macchina qui fuori, porto questi ai miei amici e ti aspetto lì?»
«Puoi ritornare qui, fuori fa freddo.» replicò Camus. «E possiamo parlare.»
Con un sorriso sempre più largo, Milo si precipitò fuori dal supermercato e si diresse verso gli amici. Questi si avvicinarono, ma lui mollò il sacchetto in mano ad Aiolia e gli prese dalle mani la banconota da venti euro.
«Questi mi spettano, e mi tengo anche tutto il resto come mancia.» cinguettò, beffardo. «Ho un appuntamento con Camus.»
Aiolia batté le palpebre. «Chi è Camus? Che appuntamento? E io con che macchina vado?!»
Milo si volse e alzò le braccia mentre camminava all’indietro. «Va’ con Mu. Grazie per la scommessa!»
Tornò a guardare verso il supermercato e si apprestò ad entrare. Beh, in fondo doveva ringraziare i suoi amici e i loro preservativi per aver fatto ridere Camus e provocato quella discussione, che altrimenti sarebbe slittata a un indefinito momento futuro nel tempo…
«Per caso ti serve un preservativo?»
La voce di Aiolia riecheggiò nel parcheggio mentre Milo entrava nel supermercato. Sospirò. E che fine aveva fatto il suo imbarazzo?
 
 
Note finali: lasciate Aiolia a piedi! Abbandonatelo in parcheggi deserti! #bastascroccarepassaggi in questa storia, Camus più o meno sta pensando “è quel ragazzo di infermieristica che viene sempre a fare la spesa qui. Ho notato che mi guarda. Effettivamente anche lui sembra molto interessante e mi sento un idiota ma mi viene da ridere incontrollabilmente quando lo vedo, penserà che lo stia prendendo in giro, oh no, ma cosa sta comprando? Venti pacchi di preservativi? Uso personale? È una specie di maratona? Certo, se ci fossi io con lui e mi sentissi male, potrebbe sempre salvarmi, è un infermiere! Oh Camus sta’ zitto e fa’ il tuo lavoro, che già ti sei beccato un turno extra di venerdì sera… aspetta… sono preservativi per i suoi amici… speriamo non fraintenda, ma questa è la mia occasione e ora gli chiedo di uscire”

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Capitolo 20
*** Una toccante interpretazione ***


Titolo: Una toccante interpretazione
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, commedia.
Pairing: Milo/Camus (?)
Personaggi: Milo, Camus, Shura, Surtrtrtr, Aphrodite, Death Mask, vodka, un presentatore, un cameriere, altri plebei.
Avvertimenti: POV di Camus, AU, vodka, gente ooc perché ubriaca, DM che canta.
Parole: 1557
Note dell’autore: troppa vodka.
Prompt:
 
“i’m at a karaoke bar and i’m sober enough to realize that your voice singing my absolute favorite song is the most beautiful thing i’ve ever heard, and you caught me staring and winked at me oh shit” au
 
«Non si può morire dentro… aaaah! Aaaah aaah! Non si può morire- grazie! Grazie a tutti! Grazie! Grazie!»
Uno scroscio di applausi si levò prepotentemente tra il pubblico, che sembrava aver apprezzato tantissimo, mentre si riaccendevano le luci. Camus si guardò intorno applaudendo compostamente: alcune persone s’erano persino alzate in piedi per porgere i loro omaggi al cantante.
Per un attimo pensò di essere così ubriaco da avere le allucinazioni, ma sebbene avesse già bevuto due drink era abbastanza lucido da distinguere la realtà dalla fantasia.
Osservò il cantante agitare le mani e ringraziare ancora mentre lasciava il palco e si dirigeva nella sua direzione, acclamato come una rockstar. Cantare in lingua straniera – italiano, poi – aveva sempre un certo charme.
«Mi adorano!» esclamò il cantante, lanciandosi su un divanetto. «Devo cambiare il mio nome da Angelo in qualcosa di più adatto per la mia carriera… Death Mask!»
Un ragazzo biondo bevve un sorso dal suo drink e alzò le spalle. «Il mio nome d’arte sarà Aphrodite come la dea. Io sono… la dea dalla voce più bella, perché la dea era bella, come anche la sua voce. Senza nulla togliere a te, Death Mask, ma io ho la voce della dea più bella.»
Camus sospirò. Finiva sempre così quando usciva a bere qualcosa in compagnia.
«Ariel, smetti di bere…» s’intromise un altro ragazzo, scuotendo la testa. «Non vorrai vomitare come l’altra volta…»
«Alejandro sarà Shura.» riprese Angelo, attaccandosi a una bottiglia di birra. «O forse Capra…  Cabrón?»
Alejandro lo guardò con aria truce.
Un cameriere passò a raccogliere i bicchieri rimasti sul tavolo. Camus diede prima un’occhiata al palco, dove un uomo stava presentando il successivo cantante del karaoke, poi osservò le bevande che venivano portate via. Aveva lo stomaco abbastanza pieno, reggeva sempre bene l’alcol e usciva a bere solo una volta ogni tanto: perché limitarsi, allora?
«Mi porta un altro Sea Breeze, per favore?» chiese.
«Pure tu?» sbottò Alejandro, roteando gli occhi.
«Dopo questo ci sono io!» una quinta voce si alzò proprio accanto a Camus. «Ti canterò la versione più sexy di “We be burning” che tu abbia mai sentito… tutta dedicata a te!»
Camus sospirò di nuovo.
«Grazie Surt.» replicò. «È un pensiero molto carino da parte tua.»
«We be burnin’ not concernin’ what nobody wanna say…» canticchiò Surt, dandogli una gomitata proprio nelle costole e alzandosi. Poi iniziò a ballare davanti a lui. «Just gimme the gees and we be clubbing, yow!»
Camus abbassò lo sguardo, desolato. Forse in quel pub l’unica cosa davvero fuori posto era Surt, totalmente sobrio, che ballava e si comportava come un ubriaco fradicio senza un minimo di autocontrollo.
Alejandro si sporse verso Camus e avvicinò la bocca al suo orecchio. «Mi dispiace ma tu in macchina con lui non ci sali, ti porto a casa io.»
Camus annuì. «Grazie. Sono d’accordo.»
Le luci iniziarono ad abbassarsi in tutta la sala fuorché sul palco. Camus s’era totalmente perso la presentazione iniziale, ma fece in tempo a vedere il cantante arrivare. Era un ragazzo della sua età che aveva dei capelli lunghi e ricci, e indossava un completo nero di pelle.
«Ma quello è Steven Adler dei Guns N’ Roses!» strillò allora Angelo, indicandolo. «È ringiovanito!»
«Ma no! È l’altro… non Axl Rose… Duff qualcosa!» si unì a lui Ariel. «Anzi, è Alice Cooper biondo!»
Camus si portò una mano alla fronte. Non solo Surt stava ancora ballando, ma adesso anche gli altri due vociavano e s’erano scaldati per l’arrivo sul palco di quel ragazzo dall’aspetto così… vintage. Molti guardavano nella direzione del loro tavolo, ma fortunatamente sembravano solo curiosi, anziché infastiditi.
«Salve, mi chiamo Milo.» si presentò il ragazzo sistemando il microfono. «Mi dispiace ma non sono Alice Cooper…»
Effettivamente era un tipo singolare. Camus pensò che stesse per cantare proprio un pezzo di Alice Cooper o di qualche band degli anni ’80, aveva abbastanza presenza scenica da sostenere un tale onere.
«Canterò per voi “Greatest Love of All” di Whitney Houston. Spero che la mia interpretazione vi piaccia.»
Camus sobbalzò. Poteva aspettarsi tutto meno che quello, se tale Milo intendeva spiazzare lui e l’intero pubblico… beh, era riuscito meravigliosamente nel suo intento. Ci voleva un gran coraggio per cantare una canzone del genere, nonché un immenso talento.
Si ritrovò ad applaudire calorosamente, in parte perché tale coraggio andava ammirato comunque, e poi… amava quella canzone con tutto se stesso e in meno di un minuto quel singolare Milo era riuscito a catturare pienamente la sua attenzione.
Proprio mentre le prime note della canzone si diffondevano nel locale, il cameriere gli servì il drink che aveva ordinato. Prese subito in mano il bicchiere e lo strinse con trepidazione.
Temeva quasi che tante aspettative si infrangessero non appena Milo iniziasse a cantare. Invece, con sua grande sorpresa, già dalle prime parole la voce del ragazzo suonò molto calda e potente, perfettamente adatta a quella canzone.
Anche il resto del pubblico apprezzò e iniziò ad applaudire durante la prima strofa.
Camus si ritrovò così senza fiato da sentirsi addirittura la gola secca. Bevve parte del drink, velocemente, mentre le sue orecchie continuavano a godere. Era solo un bar karaoke e molte delle persone che decidevano di cantare erano principianti che volevano divertirsi. Milo, al contrario, doveva certamente avere un’istruzione musicale o essere un cantante professionista di cui Camus non aveva mai sentito parlare…
Continuò a bere, ma capì di aver bisogno di quella voce, invece di liquidi.
Milo era persino capace di cambiare la melodia in punti strategici e arrangiarla in maniera personale, accompagnando il tutto con espressioni del viso convincenti.
A un certo punto, Camus si accorse di aver bevuto tutto il suo cocktail. Appoggiò il bicchiere sul tavolo, senza staccare gli occhi da Milo, e si alzò.
Un improvviso capogiro lo colse alla sprovvista. Sentì qualcuno tirarlo per il braccio per farlo sedere, ma Camus si divincolò dalla presa e avanzò verso il palco. Forse non era stata una buona idea bere tanto alcol così in fretta, e forse non avrebbe dovuto nemmeno alzarsi, perché iniziava ad avvertirsi meno lucido e più euforico di prima.
Si avvicinò al palco e si appoggiò a una parete mentre socchiudeva gli occhi per gustare gli ultimi versi della canzone. Non poteva credere che stesse già per finire. La voce di Milo aveva avvolto l’intero locale con la sua cadenza vibrante, e c’erano persino due coppie che ballavano lentamente davanti al palco, trasportate dall’emozione.
In quel momento Milo guardò proprio nella sua direzione e incrociò il suo sguardo. Sobbalzò, preso alla sprovvista, e sgranò gli occhi, solo per ricevere con grande stupore quel che pareva un occhiolino.
Poteva essere stato l’alcol? Era tutto merito di quell’atmosfera sognante in cui era caduto? Camus tornò ad appoggiarsi al muro, confuso, mentre Milo terminava la canzone con una lunga nota, tenuta non solo senza alterazioni di tono, ma anche con grande enfasi.
Si sentì davvero dispiaciuto quando la voce cessò del tutto e Milo salutò con la mano, scendendo frettolosamente dal palco.
Camus ne fu stupito e persino l’intrattenitore della serata corse sul palco.
«Aspetta! Torna qua, non ti imbarazzare!»
Milo fece no con la testa e si infilò tra i tavolini sorridendo, mentre la folla applaudiva festosamente. Camus pensò che quell’attimo di insicurezza conferisse al cantante anche molta umiltà, e non seppe dire se fosse merito dell’alcol o della sua parte ancora cosciente la decisione di dovergli fare i complimenti il prima possibile.
Prima ancora che le luci della sala si alzassero Camus corse verso di lui e schivò altra gente che si muoveva tra i tavoli, che forse aveva avuto la sua stessa idea. Ma lui doveva essere il primo a parlargli. A tutti i costi.
Esultò tra sé e sé quando lo raggiunse. Incespicò su una sedia e rischiò quasi di cadere davanti a lui, ma i riflessi non erano ancora del tutto paralizzati e riuscì a riprendere l’equilibrio senza ulteriori intoppi. Prese un profondo respiro.
«Sei stato…» lo fissò negli occhi. Si confuse. «Mi è piaciuto…»
Camus sapeva cosa stava succedendo. L’alcol agiva in tanti modi diversi, e purtroppo – o  per fortuna? – aveva su Camus un effetto devastante, subitaneo e difficilmente controllabile, che gli faceva cambiare radicalmente espressione e modo di porsi con amici ed estranei. Perché, perché aveva bevuto quel drink tutto d’un sorso. Avrebbe potuto reggerne altri due se solo avesse bevuto lentamente…
Camus era un ubriaco emotivo.
Scoppiò a piangere all’improvviso e si ritrovò ad abbracciare lo sconosciuto Milo davanti l’intera sala.
Il minuscolo briciolo di lucidità rimasto gli urlava di staccarsi e riprendere un contegno dignitoso, ma era impossibile combattere quella voglia disperata di sfogarsi e ringraziare il cantante per una esibizione così straordinaria.
Capì di trovarsi anche davanti il tavolo di Milo quando con la coda dell’occhio vide dei ragazzi fare occhiolini e ok con le mani, poi sentì il cantante stringerlo e dargli delle pacche sulle spalle. Ecco. Adesso arrivava anche la commiserazione degli altri.
E come se non bastasse un fascio di luce lo accecò all’improvviso, dall’alto. A luci ancora spente, il faro che prima era puntato sul palco era adesso rivolto verso loro due, e l’intrattenitore stava blaterando qualcosa con voce molto curiosa.
Quale altra tragedia poteva mai accadere?
«Ma quello è Camus!»
«Come cazzo è finito nelle braccia di quello lì?!»
Certo. Certo! Ariel e Angelo ubriachi!
Pianse più forte.
 
 
Note finali: Surt ain’t gonna burn. Almeno Camus ha fatto in tempo a sentire Milo da sobrio, altrimenti avrebbe iniziato a piangere a dirotto alla prima nota e sarebbe stato allontanato dalla sala. Da Shura e Surt. Sempre loro. Si fossero azzardati… (è sottinteso che anche nei miei hc “non AU” le canzoni di Whitney Houston siano la colonna sonora di Milo e Camus, benedetti siano gli anni ‘80)

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Capitolo 21
*** Baci ***


Titolo: Baci
Rating: verde.
Tipologia: flashfic.
Genere: generale, commedia.
Pairing: Milo/Camus, Death Mask/Helena, Aiolia/Marin
Personaggi: Milo, Camus, Death Mask, Helena, Aiolia, Marin, passanti.
Avvertimenti: POV di Milo, AU, slash.
Parole: 466
Note dell’autore: non shippo DM/Helena e Lia/Marin nel vero senso della parola ma mi servivano qui (?).
Prompt:
 
Your OTP shamelessly makes out in front of their friends. This makes your other OTP with a massive case of unresolved sexual tension angry.
 
 
«Però pensaci, Camus. Se fosse un porno sarebbe molto convincente. Insomma, la pornografia etero è uno schifo, questo sarebbe sopra la media.»
Camus socchiuse gli occhi e volse appena il capo. «Non è questo il punto. Non ti sembra indecente? E poi, se provassimo noi a baciarci in quel modo probabilmente ci arresterebbero per atti osceni in luogo pubblico, Milo.»
Milo sospirò e dovette ammettere che Camus aveva pienamente ragione. Appoggiò una mano sul mento mentre continuava ad appoggiarsi a una balconata, al secondo piano di un centro commerciale. Sotto di lui la gente usciva ed entrata nei negozi senza tregua, portando in mano chi pacchi regalo, chi dolci e cibi vari.
V’era anche un grande albero di Natale, ricoperto di addobbi rossi e dorati, intorno a cui avevano disposto varie panche e divanetti per gli avventori in cerca di un attimo di pausa.
Beh, pausa in grande stile, almeno per una coppia intenta a baciarsi appassionatamente davanti a tutti.
«Da quando Aphrodite s’è fidanzato ufficialmente con Saga, Death Mask si comporta come se fosse l’uomo più buono del mondo.» commentò ancora Camus, storcendo il naso. «Helena sa o…?»
Milo annuì. «Credo di sì. Death Mask ha detto di essere cambiato davvero, stavolta.»
Osservò l’uomo, che carezzava le cosce di Helena fin sotto la gonna.
«Effettivamente non avrebbe mai fatto una cosa del genere, prima.» commentò stupito. «Lui e Aphrodite hanno intenzione di portare avanti questa buffonata per molto?»
«Alla fine torneranno insieme.» replicò Camus. «Come sempre.»
Milo si volse verso il compagno. Come lui, era appoggiato alla balconata, ma con un braccio solo. Guardava la coppia nel piano sottostante con un’espressione appena imbronciata; il labbro superiore, di per sé già carnoso, e che gli conferiva sempre un’aria un po’ altera, era adesso spinto in fuori e lo faceva apparire ancora più insofferente.
Milo sospirò.
«Ho voglia di darti un bacio.» ammise.
Camus lo guardò con la coda dell’occhio. «I baci non sono contagiosi come gli sbadigli.»
Milo alzò le spalle, ma fu proprio Camus ad avvicinarsi e appoggiare per un attimo le labbra contro le sue, delicatamente, senza curarsi delle possibili reazioni altrui.
«I piccioncini.»
Una voce divertita li colse alle spalle.
«Perché invece non guardi quei piccioncini lì, Aiolia?» replicò Camus, indicando i sottostanti divanetti.
«Che cosa… oh Dio, guarda, Marin.» Aiolia tirò la ragazza verso la balconata con un’espressione sconvolta. «Non ci credo.»
«Riesco a vedere le mutande di Helena da qui.» sentenziò Marin solennemente.
Milo si staccò dal parapetto e prese la mano di Camus, scuotendo la testa.
«Cerchiamo gli altri, dai.» propose saggiamente. «Andiamo a mangiare…»
«Andiamo a casa piuttosto.» scherzò Aiolia, circondando le spalle di Marin con un braccio.
Milo stava per rispondere, ma quando incrociò il viso sorridente di Camus ammise che Aiolia non aveva poi tutti i torti.
 
 
Note finali: gossip. Solo gossip.

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Capitolo 22
*** Dare una mano ***


Titolo: Dare una mano
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale.
Pairing: Milo/Camus (?)
Personaggi: Milo, Camus, un tizio.
Avvertimenti: POV di Milo, AU.
Parole: 635
Note dell’autore: in questa settimana di promptember Camus ha avuto modo di piangere e ridere copiosamente. Il fandom dice che questi eventi causano la morte dei cavalieri d’argento, quindi preparatevi a salutare anche le ultime rappresentanti della casta, Marin e Shaina (??)
Prompt:
 
consider: the “i work at a movie theatre and i’m cleaning up after the movie is over and you’re the only person left because you’re ugly crying with popcorn over your lap” AU by @rizzuwizzu
 
 
«Ecco il carrello, Milo.»
«Grazie.»
Afferrando il carrello che gli era stato avvicinato da un collega, Milo appoggiò la schiena alla porta della sala 4 e spinse per aprirla.
Il film era terminato da un po’ e le luci accese mostravano una sala enorme e, purtroppo, anche molto sporca. Davanti la prima fila qualcuno aveva rovesciato una bevanda e il pavimento era non solo tutto bagnato, ma anche coperto di impronte.
Milo prese uno straccio dal carrello e lo gettò per terra. Avrebbe iniziato proprio da lì.
Mentre iniziava a passare lo spazzolone, però, sentì un singhiozzo provenire da qualche parte tra i sedili. Pensava che tutti gli spettatori fossero già usciti, ma evidentemente qualcuno era rimasto dentro a piangere per il finale del film.
Fece mente locale. Mmm. Sala 4, spettacolo delle sei. Era… lo special per l’anniversario di Ritorno al Futuro?
Cercò con lo sguardo il responsabile di quel rumore. Beh, a meno che non fosse un fan incredibilmente nostalgico, forse piangeva per ben altri motivi.
In una delle ultime file, nel posto più laterale e vicino al corridoio, c’era un ragazzo dai capelli rossi accoccolato su un sedile che si copriva il volto con una mano. Con l’altra, reggeva una scatola di popcorn che oscillava a ogni suo singhiozzo.
Per qualche motivo quell’immagine lo intenerì e lo fece sentire anche un po’ a disagio. Mancava ancora tempo all’inizio del successivo spettacolo, quindi non doveva chiedergli di andare via – e per fortuna, pensò, ma comportarsi con indifferenza gli pareva un affronto.
Si tastò la tasca. Aveva un pacchetto di fazzoletti, magari porgerne qualcuno sarebbe stata la sua buona azione quotidiana.
Con aria discreta, ripose lo spazzolone nel carrello e percorse il corridoio verso il ragazzo. Quando fu abbastanza vicino, si fermò ed estrasse il pacchetto di fazzoletti.
«Prendine quanti ne vuoi.» gli disse.
Il ragazzo sobbalzò e fece cadere parte dei suoi popcorn per terra. Dapprima Milo sospirò, constatando che avrebbe dovuto pulire anche quello, poi si accorse che il contenitore era ancora pieno e che il ragazzo si stava guardando intorno con aria confusa, e gli occhi rossi dal troppo piangere.
«Tranquillo, puoi restare ancora un po’…» lo rassicurò Milo, stupito e dispiaciuto, poi insistette: «Tieni.»
Il ragazzo si sistemò meglio sul sedile e orgogliosamente si passò una mano sulle guance, tentando di darsi un contegno. Poi afferrò il pacco e si schiarì la voce. «Grazie. Andrò via subito.»
«Non c’è bisogno, fa’ con calma.» replicò Milo.
A giudicare dagli occhi ancora lucidi e le labbra tremule, Milo pensò che il ragazzo stesse per scoppiare a piangere ancora. Mandare via qualcuno in quelle condizioni era pericoloso… era così confuso da non averlo nemmeno visto entrare in sala, avrebbe rischiato di essere investito da un’auto.
«Vuoi che chiami qualcuno per farti venire a prendere?» propose allora.
Il ragazzo si passò un fazzoletto sugli occhi e scosse la testa. Teneva lo sguardo basso, sembrava molto imbarazzato.
«Mi dispiace.» sospirò Milo. Qualunque cosa fosse successa a quel ragazzo, doveva essere stata davvero brutta. «Se posso fare qualcosa…»
«Dispiace anche a me.» replicò quello a bassa voce. «Sentirsi diverso e sgradito fa più male di quanto pensassi.»
Milo strinse le labbra. Non intendeva certo intromettersi negli affari di perfetti sconosciuti, ma le parole e il tono di quel ragazzo erano davvero funerei e aveva il timore che potesse compiere qualche gesto troppo avventato. Corrugò la fronte.
«Posso pulire dopo qui. Se ti va possiamo sederci al bar del cinema e parlare finché non ti sarai calmato.»
Il ragazzo alzò gli occhi. Sembrava quasi voler studiare la sua serietà e la sua sincerità, come se non si fidasse fino in fondo. Milo gli porse la mano.
«Mi chiamo Milo.»
Si sentì sollevato quando la sua stretta fu ricambiata, dopo un attimo di incertezza.
«Camus.» rispose. «Ti ringrazio.»
 
 
Note finali: chi è la causa di tutto ciò? Camus s’è scolato tre litri di vodka perché Shura sosteneva di essere una capra? Quell’omofobo del padre di Camus l’ha trattato male? O è stato Surtrtrtr con qualche minchiata creata ad hoc per farlo sentire in colpa? Oppure… Camus ha appena letto la reazione del fandom a SoG, con tutti gli insulti a lui rivolti? Non lo sapremo mai, ma in ogni caso Milo farà il bae della situazione e tanti saluti ai cattivi! :^)

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Capitolo 23
*** Questioni condominiali ***


Titolo: Questioni condominiali
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, commedia.
Pairing: Milo/Camus (?)
Personaggi: i cavalieri d’oro al gran completo, Surtrtrtrrtr, un pompiere (che purtroppo non farà nessuno spogliarello a sorpresa :( ).
Avvertimenti: POV di Milo, AU, slash (?).
Parole: 1061
Note dell’autore: questa storia mi ricorda https://vine.co/v/hXdbghAaXPx
Prompt:
 
Someone needs to write a ‘the fire alarm went off at 3 am and now the cute guy from the flat next door is standing next to me in his underwear’ AU by @iggycat
 
 
Mentre usciva dal portone del palazzo, non poté fare a meno di constatare che l’intero condominio era già nel cortile, illuminato appena da due lampioni della luce.
Appoggiò una gabbia sopra una panchina, poi vi gettò un’occhiata. Due pappagallini, un po’ scombussolati, si guardavano intorno, ma stavano bene. Il ragazzo sorrise, dopodiché inarcò le sopracciglia e si avvicinò al gruppo.
«Voi siete un branco di pazzi!» esclamò. «Sono le tre del mattino! Chi è stato a far scattare l’allarme antincendio?!»
Un giovane tra la folla si allacciò meglio la vestaglia. «Il tuo nome è Milo e abiti all’interno 8.»
«Bravo, e tu sei Mu interno 1.» lo canzonò un ragazzo. «Io sono Aiolia interno 5/9, vediamo, qualcun altro vuole presentarsi?»
Milo sbuffò. «Allora, chi è stato?»
«Nessuno si prende la responsabilità.» intervenne un ragazzo biondo, che teneva una mascherina per gli occhi sulla fronte. «Evidentemente in questo palazzo ci sono persone che invece di dormire passano la notte a fare barbecue.»
«Per caso dici a me, interno 6?!» s’infiammò il più alto dei presenti.
«Sì interno 2!» replicò l’altro. «Essendo esattamente sopra di te, sono costretto a sorbirmi gli effluvi degli arrosti che prepari in balcone. Io sono vegetariano!»
Aiolia interno 5/9 alzò le spalle e si fece sfuggire un verso di disapprovazione. «Parla quello che brucia l’incenso sulle finestre.»
«Oh, ecco il genio che ha unito due appartamenti con il palo dei pompieri.» s’intromise un uomo più adulto. Accanto aveva un uomo identico a lui, un gemello, che prese la parola: «Tu e tuo fratello siete molto innovativi, eh?»
Aiolia venne spalleggiato da un uomo, che gli somigliava molto e indossava un cappellino per la notte. «Ehi, fate attenzione a ciò che dite.»
«Altrimenti?» lo sbeffeggiò un tizio che teneva in mano una piantina. «Compri anche l’interno 3 e sfratti i gemelli?»
Milo strinse i denti. Ma in che razza di condominio era finito?! Gli inquilini degli altri appartamenti sembravano solo interessati a litigare invece che a risolvere il problema.
«Scusate, ma chiunque sia stato dovrebbe prendersi la responsabilità e spegnere questo maledetto allarme.» sentenziò con voce arrabbiata. «Ne discutiamo domani. Io vorrei dormire e i miei pappagalli sono già abbastanza agitati.»
«L’ho detto anche io.» intervenne un uomo che teneva in braccio un gatto nero. «Ma purtroppo è già partita la segnalazione ai pompieri, quindi dobbiamo attendere che arrivino e controllino la situazione.»
Un ragazzo che teneva il cellulare accanto a un orecchio si appoggiò a un lampione. «Che bello, abbiamo un piromane nel palazzo. Ohi, Helena, ciao. Fai il turno di notte, vero? Eh, una lunga storia, ti spiego dopo…»
«Ci mancava solo il piromane.» mormorò il ragazzo più basso e giovane del gruppo. «Già abbiamo interno 11 che ha i tubi marci e mi fa piovere in salotto.»
Per qualche motivo, tutti i presenti si voltarono verso un ragazzo tenutosi in disparte fino a quel momento. Anche Milo si volse. Tra tutti i suoi coinquilini, interno 11 aveva sempre destato in lui una certa curiosità, e anche in quel momento non era da meno.
Indossava solo una canottiera, un paio di boxer e degli scaldamuscoli, oltre a un paio di ciabatte, e a braccia incrociate osservava gli altri con aria infastidita.
Milo sussultò per un attimo. Tra le altre cose era anche il vicino che considerava più carino e trovarselo davanti in quel modo, beh… era alquanto inatteso e imbarazzante. Temette addirittura di essere arrossito.
«Ciao Camus.» lo salutò con un sorriso.
Camus diede prima un’occhiata minacciosa al ragazzo che lo aveva rimproverato, poi alzò un sopracciglio e fissò Milo.
«Ciao Milo.»
L’uomo con la piantina alzò un sopracciglio. «Non è che volete unire gli interni 8 e 11, voi due?»
«I pompieri!» esclamò all’improvviso l’uomo col gatto nero, indicando la strada. «Grazie al cielo.»
Milo fu molto grato dell’interruzione della discussione: temeva ancora di avere le guance rosse. Si girò a guardare. Il camion dei pompieri, a sirene spente, stava accostando lungo il marciapiede, e una volta fermo un uomo scese da esso e si diresse verso il cortile.
«Buonasera signori, abbiamo ricevuto una segnalazione per una rilevazione di fumo nel vostro palazzo, il condominio Santuario.» mormorò, controllando un foglio. «Più precisamente piano terra.»
Interno 6 sorrise, animoso. «Dev’essere il barbecue di interno 2.»
«Stavo dormendo!»
«No, la segnalazione è partita da una centralina esterna agli appartamenti.» continuò il pompiere. «Vado a controllare. Se avete problemi chiedete al mio collega, nel camion.»
Milo sospirò. Ancora qualche minuto, e magari sarebbe potuto tornare a casa a dormire.
«Come stanno le calopsitte?»
Milo trasalì, gettando un’occhiata istintiva alla gabbia. Poi, ritornando in sé, fissò colui che aveva parlato.
«Oh, tutto bene, grazie Camus.» sorrise. «Hanno un po’ paura del buio, ma se rimango in vista loro non si spaventano.»
Camus si avvicinò alla gabbia e sorrise. «Che carine.»
«Interno 8, interno 11, domani sera si fa una riunione speciale di condominio.» disse uno dei gemelli, attirando la loro attenzione con una mano. «Siete liberi?»
«Se non è alle tre di notte, sì.» rispose Milo, mentre Camus annuiva.
«Signori!»
Una voce proveniente dal portone li colse tutti impreparati. Il pompiere, già di ritorno?
«Signori, ho trovato quest’uomo sdraiato per terra nel gabbiotto del portiere.»
Il pompiere trascinava per il braccio un ragazzo mezzo addormentato che teneva una sigaretta tra le dita, e che sorrideva in maniera confusa. Sembrava brillo.
«Perfetto. Adesso pure gli ubriachi che dormono sulle scale!» si lamentò l’uomo al telefono.
«Già, come te.» replicò a bassa voce il fratello di Aiolia.
«Ha appoggiato la cicca… anzi, le cicche sulla centralina, ecco perché è partito l’allarme.» spiegò il pompiere, continuando a condurre il ragazzo lungo il vialetto. «Non è del palazzo?»
Mu interno 1 scosse la testa. «Mai visto qui.»
«Ehi baby! Che gnocco che sei!» trillò l’ubriaco, indicando nientemeno che Camus. «Vediamoci, mi chiamo Surt!»
Un risolino divertito si levò tra gli astanti, e persino il pompiere si fece sfuggire un sorriso. Milo, tuttavia, incrociò le braccia con aria contrariata.
«Lo porti in caserma il prima possibile e mi faccia sapere se possiamo denunciarlo per disturbo della quiete pubblica.» borbottò.
Camus si strinse nelle spalle. «Sono d’accordo.»
«Vi farò sapere domattina.» rispose il pompiere. «Il palazzo è a posto, potete rientrare. Buona serata!»
Milo prese in mano la gabbia dei pappagalli e scosse la testa. «Viviamo anche noi in una gabbia di matti.»
Camus annuì veementemente.
 
 
Note finali: Surt contro il condominio Santuario è la mia religione. Questa AU… mi ispira molto.

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Capitolo 24
*** Gelo ***


Titolo: Gelo
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi Milo, Camus, pinguini.
Avvertimenti: POV di Milo, AU, slash.
Parole: 1190
Note dell’autore: MILO E CAMUS SONO IN ANTARTIDE! NEL REGNO DEL DIO CAÇA!!!!!!!
Prompt:
 
“As part of two competing science groups, we were sent to Antarctica to study penguins and they seem to like you more and that’s pissing me off” AU by @jefferbelle
 
 
«Venite da papà, venite qui!»
Una decina di piccoli pinguini eccitati corse verso il ragazzo che aveva parlato.
«Ho del pesce! Non andate da Milo!»
Milo batté un piede sul ghiaccio con impazienza.
«Camus! Smettila di correre come un bambino!» vociò, sotto un passamontagna. Il suo respiro riscaldò la lana e per qualche secondo la sensazione fu molto piacevole, ma dopo il tessuto si raffreddò di nuovo e si incollò al viso. «E poi smettila di allontanare i bambini da me, questo è un comportamento molto immaturo.»
«Hai detto bambini?» Camus si fermò di colpo, e con lui tutti i pinguini al seguito. «Avete sentito, piccoli? Anche quel signore vi ha adottato.»
Milo corrucciò le sopracciglia, e se fosse stato in un ambiente più caldo probabilmente avrebbe anche reagito in maniera più veemente. Tuttavia, il freddo pungente e l’infinita distesa bianca davanti a lui gli ricordavano quanto poco saggio fosse consumare energia inutilmente in un luogo così inospitale.
«Volevo dire pinguini.» si corresse. «Ma insomma! Sono io l’appassionato di uccelli! Non è giusto!»
Camus scoppiò a ridere, o almeno questa fu l’impressione di Milo, perché il passamontagna – e il resto del cappuccio – attutivano le loro voci.
«Ciao, me ne vado.» replicò allora Milo, dirigendosi verso la motoslitta. «Ho raccolto abbastanza cacca di pinguino da far analizzare.»
Con la coda dell’occhio scorse Camus lanciare del pesce in aria e allontanarsi velocemente, per quanto il pesante abbigliamento consentisse, dai pinguini.
Milo si appoggiò allora al veicolo e socchiuse gli occhi.
«Racconterò quello che hai appena fatto a tutto il resto del mio gruppo.» mormorò con aria di sfida. «Che ne dici?»
«Non ti crederanno, naturalmente.» Camus si appoggiò a sua volta alla motoslitta e ripose in una borsa alcune scatolette trasparenti. All’interno, beh, Milo poteva vedere nient’altro escrementi di pinguino. Camus poi riprese: «Il fisico burbero, quello sempre con l’espressione indifferente, che corre e ride con i pinguini? Ah sì. Ti diranno che non avresti dovuto portartelo a letto, perché adesso hai le traveggole e boicotti la tua spedizione.»
Milo si fece sfuggire un sorriso obliquo, ma benedisse il passamontagna che copriva le sue espressioni. Si limitò a osservare il mare e alzò appena le spalle, con aria distaccata.
«Ma io sono l’infermiere, mica faccio parte del team vero e proprio.» replicò. «Sei tu che vieni accusato di fare il doppiogioco.»
Camus gli gettò un’occhiata scettica. «Lo sai qual è la cosa più stupida? Che il vecchio Kido e sua nipote…»
«… mandino due squadre a nome della Fondazione Grado per fare le identiche cose solo per averla vinta, bla bla bla, lo so.» lo interruppe Milo. «Quante volte l’avrei detto nell’ultimo anno? Una volta al giorno?»
«Tu ti lamenti ogni volta perché i pinguini non giocano con te.» ribatté Camus indicando gli uccelli. «Siamo pari.»
Milo si ritrovò ad annuire, divertito. Il freddo continuava a tormentare la sua pelle del viso esposta, ma l’assenza di vento quel giorno aveva permesso un’uscita piacevole. Certo, una passeggiata in riva al mare durante l’estate in una zona temperata era tutt’altra cosa, ma Milo aveva ormai fatto il callo a quelle condizioni così estreme.
Diede un’altra occhiata a Camus. S’era seduto sulla motoslitta e osservava i pinguini, i suoi occhi rilucevano a causa dei riflessi del ghiaccio e della neve.
Il Sole era basso sull’orizzonte, segno imminente dell’arrivo dell’inverno.
«Tra un mese tutto questo finirà.» commentò Milo, con un sospiro.
Camus balzò in piedi e sistemò gli zaini sulla motoslitta con fare innervosito.
«Non voglio parlarne.» sibilò con tono duro, incredibilmente diverso da quello divertito che aveva tenuto poco prima. «Torniamo alla base.»
Milo strinse i denti. «No. Ne dobbiamo parlare ora.»
Si staccò anch’egli dal veicolo e gli prese le mani, benché poche sensazioni potessero nascere da quel contatto. I guanti pesanti e i giubbotti imbottiti facevano sembrare i loro arti innaturalmente grandi.
«Perché quando torneranno a prenderci, tu finirai a fare esperimenti in Siberia, mentre io a operare in qualche sala operatoria di Atene.» mormorò. «Ci saranno… diecimila chilometri di distanza tra noi.»
«Ne parliamo alla base…»
«No. Adesso, prima che sia troppo tardi.»
Milo ricercò lo sguardo di Camus, ma quello continuava a distogliere il proprio e tentare di sottrarsi alla sua presa. A volte non si riusciva a capire una persona pur passando tutta la vita insieme, ma l’esperienza in Antartide aveva permesso a Milo di affinare notevolmente le proprie capacità indagatrici. Vedere le solite persone, avere una routine tanto ordinaria e priva di cambiamenti influiva sul comportamento e, bene o male, tutti finivano per empatizzare e comprendersi meglio.
Perciò fu facile per lui capire che Camus voleva cambiare discorso, perché…
«Tu hai paura di soffrire.» gli sussurrò, vicino al viso. «Quindi preferisci aspettare che tutto si risolva magicamente da solo. E invece tocca a noi fare delle scelte.»
Camus riuscì a sottrarsi alla presa e si sedette nuovamente sulla motoslitta, gettandogli un’occhiata torva.
«Hai accettato la spedizione in Siberia, o non hai ancora risposto?» chiese Milo seriamente.
Camus esitò un attimo, poi scosse la testa. «No.»
«E perché?»
«Perché…» Camus alzò lo sguardo. Le sopracciglia rosse, appena visibili dal passamontagna, erano aggrottate. «Perché so che ti è stato chiesto di rimanere qui per un altro turno. Altri dieci mesi! … e non me l’hai nemmeno detto.»
Dapprima Milo si sentì estremamente in colpa, comprendendo appieno l’astio che trasudava dalla voce di Camus; poi, però, riacquistò la propria lucidità e incrociò le braccia.
«Sto cercando di dirtelo dal giorno in cui ho ricevuto quella email.» replicò con tono sempre più innervosito. «Ma tu non vuoi parlare di questo argomento, cambi sempre discorso, anche prima…»
S’interruppe, notando la crescente nota negativa nella sua voce. Non voleva litigare.
«Perché non hai ancora accettato la spedizione in Siberia?» chiese ancora. «La verità.»
Camus s’accigliò ulteriormente.
«Perché non so come andrebbe a finire tra di noi.» ammise infine, osservando il Sole all’orizzonte. «Per me non c’è differenza tra andare in Siberia o rimanere qui, sono uno scienziato e sono abituato a questo stile di vita. Ma se tu resti… allora resto anch’io.»
Milo abbassò lo sguardo.
«Pensavo che non volessi dirmelo, così saresti potuto andar via senza porti questo problema.» proseguì Camus, che poi abbassò il volume della voce: «E non volevo parlarne… anche perché non volevo una risposta.»
«Invece è esattamente il motivo per cui avremmo dovuto parlarne prima.» mormorò Milo, in subbuglio, mentre montava sulla motoslitta. Sentì Camus reggersi a lui. «Adesso sì… è meglio parlarne alla base.»
Sospirò, mentre accendeva il motore. Il senso di colpa tornò, prepotentemente, e con esso grandi dubbi circa la decisione da prendere. Ma aveva già passato quasi quindici mesi lì, e aveva fatto di tutto per far parte di quella spedizione: lo spirito di avventura e di conoscenza certo non gli mancava.
Portò una mano indietro, a cercare il viso di Camus, e strofinò il passamontagna del compagno all’altezza della guancia.
«Prima o poi ti porterò in un vero ristorante… e avremo un vero appuntamento, come le persone normali.» sorrise malinconico. «Magari non a meno dieci gradi.»
Camus appoggiò la testa sulla sua spalla. «A meno trenta è più romantico.»
«Ci capiamo al volo, noi due.»
 
 
Note finali: cosa faranno i nostri eroi??? Spero finiscano nella base Vostok a -90 gradi. Tanto a Camus piace freddo.

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Capitolo 25
*** Disilluso ***


Titolo: Disilluso
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, drammatico.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi Milo, Camus, Surtrtrtrtr
Avvertimenti: POV di Camus, slash (?), AU, what if.
Parole: 873
Note dell’autore: è collegata all’altra storia che ho scritto su su SoG, “Il passato che ritorna”.
Prompt:
 
“don’t die on me oh God please don’t die on me stay with me look at me look at me i’m right here you’re gonna be fine oh God please don’t die on me i s2g if you die i’ll kill you” au by @xxfangirlonfirexx
 
 
L’esplosione e la successiva onda d’urto furono così forti che Camus si ritrovò sbalzato indietro, lontano parecchi metri dall’albero Yggdrasil.
Rotolò sul terreno dissestato due o tre volte prima di sbattere contro un masso e fermarsi, ricadendo sul viso e sul petto, poi sentì un lacerante dolore alla schiena che lo lasciò senza fiato. Dovette contare su tutte le sue forze per contrastare quella sensazione e restare lucido, ma non impiegò molto prima di percepire, ancora una volta, la carne lacerarsi, aprirsi e bruciare.
Si issò sui gomiti e si guardò intorno.
«Milo!» lo chiamò, la voce ansante. «Dove sei?»
La barriera a protezione di Yggdrasil era stata infranta e Camus poteva vedere uno degli ingressi di quell’albero magico. Le radici si muovevano, scavando la terra, come se stessero cercando un appiglio.
Il non vedere Milo, tuttavia, lasciò Camus esterrefatto. Sentiva a malapena il suo cosmo: bruciava senza enfasi, come se stesse per… spegnersi del tutto.
«Milo!» lo chiamò ancora, e mentre stava per riprovare il respiro gli si mozzò in gola.
Le radici in un movimento più brusco rivelarono parte del busto di Milo, trascinato privo di sensi verso l’interno dell’albero. Un braccio sporgeva da quel groviglio di rovi e la mano, aperta, scivolava sulla terra senza cercare appigli.
Camus corse in quella direzione e congelò le radici, tirando a sé il corpo del giovane.
Sentiva il cuore pulsargli in gola, le mani tremare ritmicamente, gli occhi vedere ma non accettare il cavaliere dello Scorpione esanime e prossimo alla morte.
«Guardami Milo, guardami.» mormorò, tirandoselo sulle ginocchia.
Una radice s’insinuò tra di loro e tentò di avvolgere l’addome di Milo, ma Camus congelò anche quella e trascinò ancora il compagno, il più lontano possibile dall’albero.
«Sono qui!» esclamò scuotendolo. «Va tutto bene!»
Milo non rispondeva né a voce, né con il corpo. Camus gli passò una mano sul collo per tastare la carotide, ma proprio mentre le sue dita sfioravano l’arteria, il cosmo di Milo ebbe un ultimo, fugace sprazzo prima di scomparire del tutto.
Camus ritrasse la mano, inorridito.
Forse s’era fatto troppe illusioni. Quando s’era svegliato a fianco di Milo nel letto di una remota bettola di Asgard, aveva davvero pensato che ci fosse un futuro anche per loro, e forse aveva sperato fino in fondo che quella nuova vita fosse una possibilità donata da Athena ai suoi cavalieri.
Ma non c’era alcuna speranza. Nessun futuro.
Il dolore alla schiena scomparve all’improvviso, mentre gli occhi iniziavano a umettarsi. Sentì il respiro mancare più volte e dovette reprimere persino dei conati di vomito, tanto intenso era il suo shock. Non era giusto essere trattati così.
Un’altra radice reclamò il corpo di Milo, ma Camus reagì bruciando il suo cosmo più forte che poteva, senza nemmeno curarsi di risparmiare le forze per un eventuale combattimento. Si avventò sul compagno e lo scosse per le spalle, in preda a una rabbia che non credeva potesse mai provare, negando a se stesso di non sentire più il suo cosmo.
«Non morire! No!» digrignò, scuotendo quel corpo con forza, come se si aspettasse di ricevere una reazione. «Non puoi farmi questo!»
All’improvviso sentì le radici di Yggdrasil afferrare anche lui per i polsi e sbalzarlo via. Ricadde sulla schiena, confuso, mentre osservava impotente il corpo di Milo venir trascinato all’interno dell’albero.
Il tremolio alle mani continuava, ma non riusciva a piangere. La vista era appannata perché i suoi occhi bruciavano di lacrime, ma… cos’era, orgoglio, autocontrollo, o solo rabbia a dargli la forza di restare ancora vigile, di non gettarsi a terra supplicando di essere ucciso e di porre fine a quell’indicibile dolore che stava sperimentando?
«ANDREAS!!!» gridò, stringendo i denti.
Si rialzò in piedi, sforzandosi di combattere un invisibile macigno che gli pesava sulle spalle, e fece affidamento su tutta la determinazione di cui era capace per mantenersi rigido.
«SURT!»
Come se avesse appena pronunciato la parola corretta, due fiammate fuoriuscirono da Yggdrasil e lo circondarono, creando un sentiero che conduceva unicamente all’albero.
Ma Camus non aveva certo bisogno di una tale indicazione: sapeva già che l’unica cosa da fare per placare la sua rabbia, la sua sete di vendetta, i suoi sensi di colpa era entrare lì, e stringere personalmente le mani intorno al collo dell’uomo che aveva causato tutto questo.
«Ti aspettavo, amico mio.» una figura avanzò nell’ombra, all’interno dell’albero. «Raggiungimi.»
Benché non si potesse vedere bene chi avesse parlato, il calore delle fiamme e quel richiamo furono sufficienti a Camus per formulare una risposta.
«Io non voglio te, Surt. Io voglio la testa di Andreas.» sibilò, stringendo i pugni. Voglio la testa dell’uomo che ha ucciso il mio futuro, il tuo, e quello dell’intera Asgard.
Surt non si mosse. «Posso ancora intercedere per te presso di lui, Camus, in cambio della tua lealtà. Ci lascerà governare Asgard-»
«Tu non hai capito.» Camus lo interruppe, sforzandosi di mantenere rigida la voce. «Non esisterà nessuna Asgard. Questo posto verrà distrutto per sempre.»
«Capisco.» la voce di Surt si fece più secca. «Allora dovrò ucciderti.»
Camus non rispose. Era sempre stato pronto a combattere guerre per Athena e per l’umanità, ma quando un conflitto diventava personale, allora non c’era più nulla che potesse fermarlo. E Asgard, quel giorno, aveva portato via metà di lui.
 
 
Note finali: ah sì. In questa what if, Assfgard alla fine è distrutta :) gli abitanti buoni? Che si trasferissero fuori dalle balle, mi sono rotta e visto che Hilda è un’incompetente nessuno piangerà la perdita di quattro lastre di ghiaccio e sette metri di neve. Poi magari ci costruiscono il Kido resort, per la gioia dei cavalieri d’oro! http://unicagem.tumblr.com/post/126013728657/tastefullyoffensive-photo-via-xikiilzzix (il mio odio per le fillerate toei è proverbiale). Ma ci rendiamo conto? La toei avrebbe potuto usare Camus per le scene più epiche di SoG, sfruttando proprio la sua tendenza a combattere per un fine anche personale E la sua amicizia con Milo. E invece… Surtrtrtrtrtr… e quel cazzone di Andreass… non mi esprimo… e Shura che sbava su Camus…

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Capitolo 26
*** Illuso ***


Titolo: Illuso
Rating: verde.
Tipologia: flashfic.
Genere: generale, sentimentale.
Pairing: Milo/Camus (più o meno)
Personaggi Camus, Hyoga, parenti di Camus.
Avvertimenti: POV di Camus, slash, AU.
Parole: 496
Note dell’autore: qualche amico di Camus il cui nome inizia per S sarà contento (ma tutti gli amici di Camus iniziano per S… oh).
Prompt:
 
“today was the first family gathering i’ve been to since we broke up and my little cousin that absolutely adored you asked where you were and i had to lock myself in the bathroom and sit in the tub for a half an hour and look through a folder on my phone of pictures i took of you to feel okay again¨ AU by @tragicashwritingprompts
 
 
Camus entrò in casa proprio mentre un tuono rimbombava nell’aria, minaccioso.
«Menomale che siete qui! Ciao!»
Si sfilò il cappotto bagnato, sforzandosi di sorridere, poi abbracciò la donna che aveva parlato.
«Ciao zia. Abbiamo trovato traffico. Hec- papà ha dovuto cambiare strada.»
«Era ghiacciata.» aggiunse il padre, abbracciando un uomo. «Dannato tempaccio.»
Nell’ingresso s’erano raccolte diverse persone e Camus cercò di tenere un’espressione serena ogni volta che ne abbracciava una. Nonni, zii, cugini e persino qualcuno che non aveva mai visto in vita sua, nuovi partner di parenti forse? Strinse i denti, facendo buon viso a cattivo gioco, mentre già avvertiva occhiate curiose piovere dai presenti.
«Camus!»
Una vocina da bambino sovrastò le altre con il suo tono acuto.
«Camuuuus!»
Ancor prima di poter replicare, Camus sentì qualcuno aggrapparsi alla sua vita e stringerlo forte, in un gesto di vero affetto. Con un sorriso sincero, questa volta, il ragazzo passò una mano tra i capelli del bambino e lo sollevò.
«Ciao Hyoga.» salutò. «Come stai?»
Il bambino lo abbracciò ancora, fremendo di gioia.
«Ho fatto un disegno per te! E uno per Milo!» esclamò allegramente. «Dov’è Milo?»
In quel momento, se si fosse lasciato andare, Camus avrebbe probabilmente rischiato di far cadere Hyoga per terra. Rimase in attonito silenzio, mentre il bambino lo guardava negli occhi con un sorriso entusiasta, e le occhiate dei parenti che già scottavano iniziarono a farsi sempre più insistenti. Non ci volle molto per capire che ciò che il bambino aveva chiesto innocentemente corrispondeva a ciò che tutti quanti aspettavano di sapere.
Camus appoggiò Hyoga a terra, lentamente. La famiglia non poteva soprassedere sulla vita privata del cugino gay, no?
«Non c’è.» rispose, la bocca secca. Non riuscì più a fingere di sorridere. «Devo usare la toilette.»
Sgusciò via dalla folla prima che qualcuno potesse fare altre domande.
Quando finalmente chiuse la porta del bagno dietro di sé, assicurandosi di girare la chiave due volte, si lasciò andare a un sospiro liberatore e al tempo stesso calmante. Con l’innocenza e bontà della sua giovane età Hyoga non intendeva certo farlo sentire a disagio, ma era stato proprio lui a farlo ripiombare in quella mestizia da cui voleva disperatamente sfuggire.
Un lampo rischiarò il paesaggio fuori dalla finestra e la luce del bagno vibrò, vittima di un calo di tensione.
Camus si sedette sul bordo della vasca da bagno ed evitò di incrociare il proprio riflesso allo specchio, sapendo già che non avrebbe gradito ciò che avrebbe visto. Avvertendo i sensi di colpa invadere la sua mente, estrasse dalla tasca il cellulare e iniziò a sfogliare la propria galleria di immagini.
Quando trovò la foto di un sorridente ragazzo biondo, sdraiato su un divano e col pollice alzato, si concesse un altro liberatorio sospiro. L’importante era andare avanti, dopotutto, e nessuno era autorizzato a dirgli come, ma Camus in fondo al cuore sapeva che la differenza tra accettare e illudersi non era di poco conto.
Sorrise, rispondendo al sorriso virtuale di Milo.
 
 
Note finali: S……. separati solo momentaneamente.

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Capitolo 27
*** Uccelli ***


Titolo: Uccelli
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, commedia.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi Camus, Milo.
Avvertimenti: POV di Milo, slash (?), AU.
Parole: 816
Note dell’autore: i pappagallini di Milo sono le vere star di promptember.
Prompt:
 
“i started a bird watching club at school and you are the only one who showed up at the first meeting so now i love you” au by @caprxgers
 
 
Il foglio che teneva tra le mani aveva come titolo “Club scolastico: amanti del birdwatching” e, in alto a destra, vicino all’indicazione “fondatore” v’era segnato il nome “Milo Stamatos”.
La lista dei partecipanti era ancora vuota. L’aula – in effetti – era deserta.
Avrebbe dovuto apporre il proprio nome alla lista, se solo il fondatore del club non fosse stato proprio lui.
Milo sospirò, appoggiando la schiena alla sedia e iniziando a dondolarsi. Guardò l’orologio, sperando che fosse solo una questione di tempo, ma erano le tre e un quarto del pomeriggio e la totale assenza di persone era un segnale di avvertimento.
Non era giusto, però. Milo corrugò la fronte e allontanò il foglio da sé. Davvero nessuno era interessato agli uccelli? A passare pomeriggi all’aria aperta cercando di vedere specie rare? Non riusciva a capire cosa avessero in più club di giardinaggio, calcio o manga rispetto a un club di birdwatching. Mah, tutti pollici verdi, evidentemente.
«Scusa, è qui il club di birdwatching?»
Milo sobbalzò così vistosamente che perse l’equilibrio e fece sbattere le gambe della sedia con violenza contro il pavimento. Si girò verso la porta.
«Sì?»
Davanti a lui, un ragazzo con i capelli rossi e l’espressione un po’ stupita reggeva dei libri in mano e una tracolla sulla spalla.
«Mi dispiace, sono arrivato in ritardo.» continuò. «Sono andati via tutti?»
Milo si prese del tempo prima di rispondere. Non poteva quasi credere che qualcuno fosse arrivato davvero… per il suo club! Arse di gratitudine.
«Veramente sei il primo. Grazie.» ammise, accennando un sorriso, poi si alzò. «Mi chiamo Milo Stamatos e sono del 3°A.»
«Camus Soufiane.» si presentò l’altro. «3°D.»
Ma certo che so che sei del 3°D, in quella classe ci sono gli unici due ragazzi con i capelli rossi di tutto il liceo, e tu sei quello più car-
Milo ricacciò nei meandri della sua mente quei pensieri inappropriati e gli strinse la mano.
«Credo che non verrà più nessuno…» sospirò ancora. Sentendosi in dovere di informarlo, proseguì: «Forse è meglio se… gli uccelli sono i tuoi animali preferiti?»
Si morse la lingua. Ok, ok. Solo qualche domanda prima di accettare il fallimento del suo club.
«Mi piacciono di più i gatti…» rispose Camus, appoggiando i libri su un banco. «Però vorrei saperne di più. Sugli uccelli intendo. Esistono migliaia di specie, ma mi sono reso conto di conoscerne a malapena qualche decina.»
Milo sorrise. Da una parte avrebbe preferito gente esperta con cui organizzare escursioni nel suo club, ma dall’altra si sentì estremamente onorato di introdurre qualcuno nel mondo dell’ornitofilia, proprio come un maestro. E poi Camus gli sembrava un tipo abbastanza serio e volenteroso.
«Quindi non ne hai?» chiese.
«No. E tu?»
«Sì! Ho due calopsitte.» sorrise. «Una cannella e una albina. Entrambe femmine, Dana e Melinda.»
Guardò Camus negli occhi in attesa di una risposta, una reazione. Tuttavia, ricevette solo un’altra occhiata molto confusa, quasi imbarazzata. Milo realizzò subito il problema: probabilmente il ragazzo non aveva nemmeno capito di cosa stesse parlando.
«Sono pappagalli di piccola taglia… Nymphicus Hollandicus.» spiegò ancora. «Quelle col ciuffo sulla testa, e la colorazione sulle guance come se stessero arrossendo.»
Milo si rese conto che quella spiegazione si addiceva anche a Camus, le cui guance lentigginose stavano lentamente acquistando colore. Trasalì, sentendosi quasi in colpa, e cercò di rimediare prima di poter diventare a sua volta una calopsitta.
«Quali sono i tuoi uccelli preferiti?» domandò allora, sorridendo per mettere l’altro a proprio agio.
Camus finalmente rilassò l’espressione e abbozzò a sua volta un primo sorriso.
«I pinguini saltarocce.» rispose. «Sono molto particolari.»
Milo trattenne il respiro.
Con tutta la forza di cui era capace, con tutta la determinazione che aveva in corpo.
Conoscendo la specie, non poté non notare subito un dettaglio che gli ricordava Camus. I pinguini saltarocce avevano delle caratteristiche piume gialle proprio sopra gli occhi, che sembravano sopracciglia e che conferivano loro un’aria perennemente arrabbiata e minacciosa.
Le sopracciglia di Camus, effettivamente, benché non bionde avevano una forma particolare che lo facevano sembrare vagamente stizzito.
Per non scoppiare a ridere – non farlo sentire a disagio più di quanto non sia già! – cercò di fare una battuta su qualcos’altro.
«Oh, beh.» sorrise, improvvisando. «Non sarà facile… avvistare pinguini, da queste parti. A meno che non andiamo allo zoo.»
«Andiamoci, allora.»
«Ora?»
Camus alzò le spalle, e anche le sopracciglia. Milo cercò di non guardarle – non poteva.
«Ci sto.» rispose. «Possiamo parlare e conoscerci meglio anche fuori da scuola. Non penso… che verranno altre persone.»
Camus raccolse i propri libri e li infilò nella tracolla, abbozzando un altro discreto sorriso.
Milo tirò le somme: beh, il club non era stato un totale fallimento, visto che s’era presentato proprio il ragazzo carino del 3°D. La prima riunione stava per concludersi, ma… in un certo senso, non aveva anche rimediato una specie di appuntamento?
Si rese conto, in quel momento, d’esser diventato una calopsitta.
 
 
Note finali: Camus probabilmente pensa “io sto qua per un altro tipo di uccelli”

 

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Capitolo 28
*** Acrobazie su ghiaccio ***


Titolo: Acrobazie su ghiaccio
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale.
Pairing: Milo/Camus
Personaggi Camus, Milo, Aiolia, Mu, altra gente messa lì a far presenza.
Avvertimenti: POV di Camus, slash, AU.
Parole: 797
Note dell’autore: eeeh sì Aiolia e Mu litigano anche qui. Questa storia è collegata a “Pattinaggio su ghiaccio”.
Prompt:
 
Imagine your OTP going ice-skating. Person A can skate very well, and has done it often, but Person B has not the slightest clue on how to skate. Person A has to guide Person B around, holding hands and ensuring them that they won’t fall. Bonus if Person A gets Person B to (reluctantly) get to the middle of the ice rink - and Bonus #2 if they also share a kiss there. By @otpprompts
 
 
«Ti do venti euro se fai qualcosa di super professionale in mezzo a tutta questa gente.» un ragazzo si aggrappò meglio alla recinzione della pista e infilò la mano in una tasca del giubbotto. «Anzi, Camus, senti qua: ti pago quanto vuoi alla cioccolateria Valentine, ma tu devi stupire tutti quanti.»
Camus si avvicinò, perfettamente a suo agio sui pattini da ghiaccio, e si fermò.
«Anche se compro tutte le miscele, tutti i gusti, tutti-»
«Tutto
«Ok Aiolia.» annuì Camus, con aria soddisfatta. «Mi sembra un accordo ragionevole.»
Accanto a lui, un ragazzo biondo barcollò e si aggrappò al muretto, evitando di cadere sul ghiaccio. Si sistemò il cappellino di lana e si rimise diritto.
«E tu cosa ci guadagni?» chiese.
Aiolia prese dalla tasca il suo telefono e alzò un sopracciglio. «Milo, sono uno youtuber. E il mio prossimo video sarà “Pattinatore professionista sconvolge dilettanti in pista”. Cosa ci faccio con i soldi, quando posso raggiungere la gloria semplicemente facendo divertire la gente?»
Camus si trovò costretto ad annuire. Beh, alla fin fine, stava per guadagnare dolci gratis facendo nient’altro che ciò per cui s’era allenato anni e anni. Gettò un’occhiata alla pista: non era particolarmente affollata, ma c’erano abbastanza coppie di fidanzatini imbranati e famiglie goffe da lasciar attonite con une o due acrobazie a centro pista.
«Vieni con me?» chiese allora, voltandosi verso Milo, lanciandogli un’occhiata invitante. «Iniziamo con qualcosa di semplice.»
«Ma se io non riesco nemmeno a stare in piedi!» replicò quello.
Per tutta risposta, Camus gli allungò la mano e ammiccò. «Vuoi o non vuoi diventare più bravo delle tue cugine?»
Milo strinse le labbra e girò la testa da un lato. Per qualche motivo Camus trovò quel broncio estremamente tenero, e non poté non pensare al loro primo incontro, quando Milo aveva eseguito una perfetta spaccata dopo essere scivolato sul ghiaccio.
«Guardate cosa so fare!»
Una voce interruppe il loro discorso. Un ragazzo, col viso quasi interamente coperto da una sciarpa rossa, passò davanti a loro e si fermò vicino ad Aiolia, senza reggersi alla recinzione. Sollevò appena un piede dietro di sé, a braccia sollevate per non perdere l’equilibrio, poi saltò e ritornò a terra sull’altra gamba.
«Che ne pensate?»
Camus annuì. «Non è male.»
«Ma cos’è.» borbottò Aiolia, portando una mano in avanti per gesticolare. «Mu, sembravi una pecora in procinto di essere macellata.»
L’altro corrugò la fronte. «Almeno io non cado come te.»
«Senti un po’, pecorone…»
Camus approfittò di quel momento per prendere la mano di Milo e trarlo a sé, velocemente. Con un braccio circondò la sua vita, per non farlo cadere, poi iniziò a strisciare i pattini per muoversi.
«Ora moriamo.» mormorò Milo.
Camus si sentì ghermito con forza, ma anziché esserne disturbato continuò a spostarsi lentamente con soddisfazione.
«Hai visto?» chiese. «Anche tu puoi farcela.»
«Solo perché mi stai tenendo.»
«Piega di più le gambe.» gli raccomandò, gettando un’occhiata ai suoi piedi, poi proseguì: «Ora andiamo al centro della pista.»
Milo sgranò gli occhi e sussultò, ma Camus fu lesto a bloccarlo più saldamente per evitare che cadesse.
«Manca poco.» lo rassicurò ancora.
Dando un’occhiata dietro di lui, vide Aiolia che già teneva il cellulare in posizione, pronto a filmare. Gli fece un cenno col capo, sperando che recepisse il messaggio, poi guardò Milo e sorrise.
«Spero tu non mi voglia lasciare qui mentre fai le tue acrobazie.» disse quello, quasi atterrito, guardandosi attorno. «Non riuscirò a muovermi e rimarrò qui in mezzo come un idiota.»
Camus continuò a sorridere. Dovette ammettere che reggere Milo non era male, non solo perché era felice di aiutarlo, ma anche perché poteva mascherare con il pretesto di una lezione, beh… il fatto di essere così vicino a lui?
Una volta giunti al centro della pista, si avvicinò ancora a lui e fingendo di sporgersi per guardare Aiolia gli sfiorò la guancia. Esporsi? Non esporsi? Camus non era certo tipo da elargire eclatanti dimostrazioni d’affetto, ma non riuscì a resistere, quando trovò le proprie labbra così vicino alla pelle di Milo.
Gli stampò un fugace bacio sullo zigomo, sperando di non aver frainteso la natura del loro rapporto.
Quindi, si allontanò da Milo e lo lasciò, lentamente. Tirò un sospiro di sollievo quando incrociò i suoi occhi confusi e la sua bocca appena dischiusa, più consona a un’espressione confusa che arrabbiata – o ancora peggio, disgustata.
Mosse le dita a mo’ di saluto.
«Aspetta.» bisbigliò Milo, immobile, congelato. Le guance gli divennero rosse. «Che significa?»
«Scegli tu che significato dare.» rispose Camus, sibillino, poi alzò le spalle. «Ora devo fare le acrobazie per Aiolia. Resta fermo lì e creerò una coreografia con te.»
«E come faccio a muovermi?!» replicò quello. «Ma cos-»
Prima che Milo potesse continuare, Camus si allontanò pattinando elegantemente.
Tentando di nascondere un sorriso imbarazzato.

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Capitolo 29
*** Anni ruggenti ***


Titolo: Anni ruggenti
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, storico (?).
Pairing: Milo/Camus (?)
Personaggi Camus, Milo, Aiolia, Aiolos (più o meno), gente varia, pubblico.
Avvertimenti: POV di Camus, AU.
Parole: 1131
Note dell’autore: in questa storia M&C si possono immaginare sia come coppia sia come semplici colleghi… nel contesto entrambi i casi mi piacciono e c’è comunque da ridere… o piangere… o… applaudire (?)
Prompt:
 
Imagine that one of your OTP is a male crossdresser, and tells the other half of the OTP to unhook his bra. By @otpprompts
 
 
«Aspetta, slacciami il reggiseno, Milo! Non respiro.»
Milo alzò un sopracciglio. «A me sembra perfetto, Camus. Oh, voglio dire, chérie
Camus si voltò, il respiro mozzo, gettandogli un’occhiata severa. Tentò di slacciarsi il gancio da solo, ma le unghie lunghe gli impedirono di realizzare un simile lavoro di precisione. Annaspò.
«Dannazione a te…»
«Cazzo, hai ragione, sei tutto rosso.» esclamò allora Milo, sorpreso, avventandosi sulla sua schiena. «Scusa.»
Camus tirò un lungo sospiro di sollievo quando poté finalmente espandere del tutto la cassa toracica. Socchiuse gli occhi.
«Volevi uccidere Madame Flaubert?» si lamentò, con una nota insolente nella voce. «Io avevo pensato a far morire Monsieur Flaubert stasera, invece.»
Milo gli agganciò di nuovo il reggiseno, ma meno stretto. «Mancano dieci minuti. Possiamo parlarne.»
Camus si portò davanti allo specchio e si tirò su il corpetto di un abito nero coperto di paillette, osservando attentamente il proprio riflesso. Benché la fattura dell’abito fosse spiccatamente femminile, complice anche una vita stretta e uno spacco vertiginoso sul fianco, il suo fisico non ne risentiva per nulla. Anzi, le spalle ampie e maschili in qualche modo facevano risaltare un collier di gemme scintillanti.
«Dobbiamo liberarci di questa superstizione…» commentò Camus, iniziando a infilarsi un paio di lunghi guanti neri. «… quando finirà di essere efficace, cioè non ora. Ecco qui il mio scenario: Monsieur Flaubert muore. Madame Flaubert è di ghiaccio, non riesce a vedere il fantasma del suo defunto marito, pensa solo ai soldi, e alla fine inizia a frequentare altri uomini. Ma muoiono tutti. E lei, cosa fa? Piange solo per gli altri, non per il povero, triste, defunto marito. E perché? Perché non è riuscita a sposarli in tempo e prendere i loro soldi. Soldi! Solo soldi! Alla fine riesce a vedere il fantasma del marito e… chiede dove abbia nascosto il resto dei suoi soldi!»
Milo si sistemò il colletto della camicia, accanto a lui. Lo spinse via per accaparrarsi più spazio dell’unico specchio del camerino, ma Camus lo spintonò a sua volta e raccolse un ventaglio di piume sul tavolo della toilette.
Lo aprì e nascose il viso dietro di esso, lasciando visibili solo gli occhi.
«Balleremo a ogni funerale.» aggiunse. «Da’ tu il segnale all’orchestra.»
«Satira spietata e critica al materialismo.» Milo ammiccò. «Facciamo arrabbiare qualche benpensante.»
«Benpensanti al Gem Saloon?» esclamò Camus con aria divertita, richiudendo il ventaglio. «Ma cosa hai bevuto?»
Quasi scoppiò a ridere, quando Milo indicò un bicchiere vuoto sulla toilette e alzò le spalle innocentemente.
In quel momento qualcuno bussò. Camus si voltò, giusto in tempo per vedere un uomo fare capolino dalla porta del camerino.
«Andiamo, tocca a voi.» comunicò. «Mio fratello sta finendo l’intermezzo.»
«Grazie Aiolia.» disse Milo, sistemandosi ancora una volta la camicia. Poi allungò la mano verso Camus, con artificiosa galanteria, e abbozzò un inchino. «Chérie
Camus gli prese la mano. Poi, gli portò le dita indietro con moderata forza.
«Conservati queste uscite per il palco.» replicò, uscendo dal camerino. «O seguirai la sorte di Monsieur Flaubert.»
«Ah, ragazzi, ditemi cosa fate stasera!» cinguettò Aiolia. «Una piccola anticipazione!»
Camus si incamminò per il corridoio, ma ebbe il tempo di passare il pollice e l’indice sulle proprie labbra rosse, a mo’ di avvertimento.
«Mi dispiace, ma dovrai aspettare ancora un po’.» sospirò Milo. «Altrimenti niente soldi… sai… superstizioni da artisti.»
Alla fine del corridoio, si iniziarono a sentire delle voci e della musica provenienti dal palco e applausi del pubblico. Alcune persone lavoravano con funi e pesi, sistemando le scenografie, mentre altri sedevano su tavoli nei loro costumi di scena, ripassando la parte. Camus si volse e si appoggiò a un pilastro, scuotendo la testa.
«Non sono una cassandra.» dichiarò con un’aria vagamente soddisfatta. «Ma so come funziona il mondo. Stasera è tutto pieno perché in borsa va male.»
Aiolia annuì subito, incrociando le braccia. «Giovedì è stato un incubo, almeno così mi hanno detto. Oggi non è andata meglio… che ottobre.»
«E tutti gli impresari vengono qui a cercare un po’ di allegria.» continuò Camus. «Oggi è il 28, giusto?»
«Lunedì, 28 ottobre 1929.» rispose Milo. «Ma perché non ti ricordi mai le date?»
Degli applausi più rumorosi invasero il retro del palco, ma Camus agitò la mano nell’aria e scosse la testa.
«A cosa mi servono le date, mi bastano gli applausi. E i soldi.» giocherellò col ventaglio, poi lo aprì di nuovo davanti al viso. «Prima o poi tutti correranno in banca a riprendersi i loro soldi per paura. E le banche falliranno. Noi invece siamo stati accorti, e avremo tutti i contanti che ci servono per andare via.»
Aiolia ridacchiò. «Voi siete matti.»
Milo si appoggiò al pilastro, accanto a Camus, e gli gettò un’occhiata complice.
«Prenderemo la prima nave per l’Australia e vivremo come due re.» mormorò, un sorriso obliquo in viso. «Se solo tu avessi ragione…»
Camus gli appoggiò in faccia il ventaglio. «L’Australia potrebbe risentire della crisi. Dobbiamo andare in Giappone, o in Russia. Fidati di me.»
«Vedi il futuro?» lo provocò Aiolia, con un’espressione poco convinta.
«Mio padre è un cretino, ma è anche un banchiere.» Camus richiuse il ventaglio e si scollò dal pilastro. «Le sue favole della buonanotte avevano questo tenore, perciò so quello che dico.»
Milo sghignazzò. «Magari anche tuo padre si trasferirà in Australia.»
«Russia.» lo corresse, secco, Camus. «In ogni caso non è affar mio.»
Aiolia si sfregò le mani.
«Siete due attori nati.» ridacchiò. «A proposito di Giappone, c’è di nuovo quel Kido tra il pubblico. Non capisco perché continui a portare le sue accompagnatrici in un club rinomato per la sua clientela omosessuale, ma tant’è…»
«Per Madame Flaubert.» ridacchiò ancora Milo, ma Camus lo mise a tacere con una gomitata.
«Altra gente rilevante?» chiese. «Percentuale?»
«Eh, da stasera dobbiamo cambiare…» sospirò Aiolia, con aria vaga. «Cinquanta e cinquanta…»
«Trenta a te, settanta a noi come al solito.» replicò Camus. «Altrimenti porto via dal locale Surt, Shura e tutti quelli che ancora s’illudono di poter diventare amici miei.»
Aiolia si portò le mani alla bocca. «No! Solo con quello che loro spendono per bere, ci pago tutto il riscaldamento di una settimana!»
«Trenta, settanta.» ripeté Milo, alzando le spalle. «Ti abbiamo anche detto dove emigrare in caso di crisi, amico. È un affare.»
«Tsk.» sbuffò Aiolia. «D’accordo. Ma dobbiamo rivedere queste condizioni.»
Un rullo di tamburi iniziò a diffondersi nel retro del palco, e le luci calarono. Aiolia alzò il pollice.
«Tocca a voi, ragazzi. Buona fortuna.»
Milo allungò la mano: questa volta Camus appoggiò la propria sopra alla sua e sorrise appena, con aria furba.
«Siamo entrati già nei nostri personaggi, o sbaglio?» bisbigliò Milo, divertito.
Camus arricciò le labbra. «Finché viviamo a New York siamo tutti Madame Flaubert.»
«Ed ecco a voi…» la voce di Aiolos accompagnò l’apertura del sipario. «Monsieur e Madame Flaubert!»
 
 
Note finali:

 
http://unicagem.tumblr.com/post/130215592562/the-signs-and-decade-fashion ????? Beh… ho affidato ai fratelli Aio il Gem Saloon per qualche tempo… in vista della crisi del 1929… (??)

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Capitolo 30
*** Chiamate scottanti ***


Titolo: Chiamate scottanti
Rating: arancione.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, erotico
Pairing: Milo/Camus
Personaggi Milo, Camus, Surtrtrtr.
Avvertimenti: POV di Camus, AU, lemon, slash, PWP (?).
Parole: 1407
Note dell’autore: un mix di prompt per ottenere una storia in cui Surtrtr fa ciò che gli riesce meglio. L’imbecille. È vagamente collegata a http://unicagem.tumblr.com/post/130194080467/i-made-these-because-i-thought-of-this-thanks
Prompt:
 
“you have fire powers and i have ice powers and one day you save my ass and even though we’re supposed to be rivals, you’re actually really really cute and warm can i just stay in your arms forever bc i am perpetually cold” au
 
“you have ice powers and i have fire powers and i save your sorry ass from getting hurt/killed, okay i know we’re supposed to be rivals according to every legend ever but you’re adorable and wow you’re really cold, would you like me to warm you up?” by @marstheradplanet
 
Imagine Person A talking to someone on the phone, when Person B strips naked and sits on their lap, kissing their neck to distract/fluster them. By @otpprompts
 
Person A being dared to call Person C on the phone in the middle of being roughly fucked to the high heavens by Person B. by @otpdisaster
 
 
“Perché, perché mi hai salvato… ardente Su?” bisbigliò il gelido signore dei Territori Artici, ancora nelle braccia del suo salvatore. “Noi apparteniamo a due stirpi che non potranno mai essere alleate. Noi siamo… nemici.”
“Gelido Mus…” replicò il fiammante eroe delle Terre del Sud. “I nostri nomi sono eloquenti. Un tempo, la lingua latina imperava tra i nostri popoli, ed è per questo che ancora oggi siamo tenuti ad apprenderla. Non noti anche tu ciò che ho notato anch’io?”
Il freddo Mus appoggiò le mani sui vigorosi muscoli pettorali dell’altro, bramoso di riscaldare le proprie algide membra con il tepore del focoso Su. I suoi occhi si riempirono di lacrime cristalline, acqua purissima degna a scorrere nel più montano dei torrenti terrestri.
“Per tutti gli dei del pantheon nordico!” esclamò allora. “Essi formano la parola Sumus.”
Il possente Su strinse più forte il corpo prezioso del fiocco di neve suo adorato.
“Noi siamo destinati a essere uno.” sorrise, e il suo viso allegro riportò la primavera nel cuore di tutti. “Sei così freddo. Vuoi che ti tenga tra le mie calde e accoglienti braccia, questa notte?”
Col viso diafano cosparso di fresca rugiada mattutina, il fulgido Mus annuì.
“Voglio restare tra le tue vigorose braccia per sempre. Fammi tuo.”
 
«Su da Surt e Mus da Camus… hai usato i nostri nomi per i tuoi personaggi?» mormorò Camus, avvicinando all’orecchio il telefono. «Ma come ti è saltato in mente?»
«Beh… tu sei una costante fonte di ispirazione per me…» rispose Surt. «Consideralo un omaggio.»
Camus inarcò le sopracciglia, segno inequivocabile di mancato gradimento. Si sistemò meglio sul letto, appoggiando la testa al cuscino, poi appoggiò un piede su un ginocchio e si riavvicinò al telefono.
«Devo leggere il resto?» chiese.
«Certo. Ora c’è la scena d’amore.»
Camus socchiuse gli occhi. «Resta in linea.»
Allontanò il telefono dall’orecchio e toccò lo schermo per farlo illuminare. Un’icona verde provava che la chiamata era ancora aperta, ma così lo era anche un lungo messaggio di testo con il resto della storia da leggere.
Il materasso alla sua sinistra cedette.
«Chi è?» bisbigliò un ragazzo.
«Zitto Milo.» sussurrò Camus, con aria nervosa. «È Surt.»
Milo si portò platealmente le mani al viso. «Buon Dio…»
 
Nella notte oscura e senza Luna, i due innamorati s’inginocchiarono presso il magico albero dell’amore Ygg e si presero le mani.
“Mus… io…”
“Lo so, Su.” sorrise il gelido Mus. “Prendi il mio corpo con l’ardore di tutto il fuoco di questo mondo. Adesso… possiedimi.”
 
«Ma che cosa stai leggendo?» sbottò Milo, a bassa voce, ritraendosi.
Camus gli gettò un’occhiata seria e sillabò silenziosamente: il suo romanzo.
Milo roteò gli occhi e si gettò nuovamente sul cuscino, con un rantolo di disapprovazione.
L’altro tornò a fissare lo schermo del telefono, ma la sua attenzione fu distolta quando Milo balzò a cavalcioni su di lui, con un’espressione di sfida. Si sfilò addirittura la maglietta.
Giù, sillabò ancora Camus indicando il letto accanto a sé, ma per tutta risposta Milo gli appoggiò con forza una mano sul torace e sfregò il bacino contro il suo, impedendogli di muoversi.
Camus si fece scappare un’esclamazione sorpresa.
«Stai leggendo? Dove sei arrivato?»
Camus si riportò il telefono all’orecchio, con gli occhi sgranati e l’espressione rigida, tentando di darsi un contegno.
«C’è stato un contrattempo.» mormorò.
«Eh? Di che tipo?» chiese ancora Surt.
Milo, tuttavia, senza smettere di strusciarsi agitò la mano formando invisibili onde nell’aria e sillabò: continua.
Camus non sapeva bene dove Milo volesse arrivare, ma già quel primo, semplice contatto lo stava infervorando, e quando incrociò ancora il suo sguardo non poté fare a meno di stare al suo gioco. Annuì.
«Non fa nulla.» si corresse. «Sono qui.»
Portò la mano libera sulla gamba di Milo e iniziò a rispondere ai suoi movimenti, mantenendo il contatto visivo, come se interromperlo anche per sbaglio significasse la resa.
«Vuoi che te lo legga io con la giusta intonazione?» ridacchiò Surt al telefono, con voce più insolente. «Eh?»
«Come vuoi.» replicò Camus.
Il gioco s’era arricchito di una variabile non prevista – la voce di Surt – ma in qualche modo rendeva il tutto più interessante. Camus strinse i denti, ansioso, mentre la frizione tra la stoffa dei suoi jeans con quelli di Milo incalzava e stuzzicava anche il suo corpo.
«Mus è basato su di te, ma naturalmente non sto insinuando che sia tu, capisci, questa scena è totalmente frutto della mia invenzione…»
«Surt, lo so. Ero arrivato ad…» lo interruppe Camus con voce decisa, fissando Milo negli occhi. «“Adesso possiedimi”.»
Milo scosse la testa con aria divertita, facendo scivolare la mano dal petto fino al cavallo dei pantaloni di Camus. Strinse la presa.
«Ah.» si ritrovò a gemere Camus, socchiudendo gli occhi.
«Camus?» fece Surt. «Inizio?»
«Quando vuoi…»
Camus sentì il ragazzo parlare al telefono, ma concentrò la propria attenzione su Milo, che gli stava sbottonando i pantaloni con minuziosa perizia. Resse il cellulare con la spalla, girando appena il capo per non farlo cadere, quindi raggiunse le braccia di Milo e iniziò a passare le mani sui muscoli scolpiti, sulla bella pelle abbronzata.
«Le braccia sono forti, vero Surt?» domandò.
Milo alzò un sopracciglio, recependo il messaggio.
«Di Su? Sì.» disse Surt, interrompendo la lettura con un tono un po’ sorpreso. «Naturalmente.»
Camus avvertì la mano di Milo carezzargli il ventre, tastare il turgore sopra il tessuto dell’intimo, lentamente. Fece allora scorrere le proprie braccia intorno al suo collo per trarlo a sé, ma Milo si sottrasse alla presa e si slacciò i propri jeans.
«Non è che questa lettura ti stuzzica un po’, eh Camus?» la voce di Surt lo fece sussultare. «Che stai facendo?»
Camus temette di essersi lasciato andare in respiri e toni troppo sensuali, che Surt non aveva tardato a riconoscere. Il rischio faceva parte del gioco, e in fondo il timore di essere scoperto era comunque provocante, ma tentò di rispondere ugualmente con nonchalance.
«Niente. Ti sto asco-oh! ‘ltando.»
Portò appena indietro il capo e chiuse gli occhi, perdendo di vista Milo. D’accordo, d’accordo, aveva ceduto, ma d’altronde come poteva rimanere del tutto impassibile, ora che Milo aveva iniziato a masturbarlo?
«E… cosa faresti se fossi lì con te?»
Camus riprese il telefono, tentando di mantenere la calma, ma Milo avvicinò il proprio bacino e circondò col palmo della mano anche il proprio membro.
Camus strinse i denti.
«Torna a leggere il tuo romanzo.» lo rimproverò, mascherando il tono eccitato della voce con nervosismo. «O chiudo.»
Sentì Milo chinarsi su di lui e passargli la lingua sul collo, seguendo la linea della giugulare. Nel frattempo Surt continuò a parlare, ma Camus passò un braccio sulle spalle di Milo e si concentrò unicamente su di lui, ricambiando i movimenti del suo bacino.
Quello sfregò i propri denti sulla pelle del collo, delicatamente, poi stampò una serie di baci leggeri seguendo l’umida scia che aveva lasciato poco prima.
Camus affondò appena le unghie nella schiena di Milo, trattenendo un sospiro più rumoroso. Ogni tanto carpiva qualche parola pronunciata da Surt, ma non se ne curò troppo e nascose il viso tra i ricci dell’altro, sperando che essi potessero attutire il suo respiro pesante.
«Allora? Fino a qui è credibile?»
Per qualche attimo, Camus continuò solo a stringere Milo e sospirare, rispondendo con soddisfazione a quell’attrito piacevole. Realizzò che Surt aveva parlato con lui, ma non rispose.
«Sei ancora in linea?»
«Devo rileggere.» mormorò, a denti stretti. «Pensi che una scena erotica sia davvero necessaria al tuo romanzo?»
Ancor prima di ricevere una risposta da Surt, Milo gli serrò la bocca con un bacio. Camus ricambiò subito, mordendogli il labbro inferiore, tirandolo verso di sé con i denti.
«Beh… penso di sì?»
Milo scese a baciargli il mento, lasciandolo libero di parlare.
«Non saprei.» disse, scegliendo parole a caso. «Rendi proibito il loro amore.»
Al telefono Surt non rispose. Camus ne approfittò quindi per ricatturare le labbra di Milo tra le proprie, soffocando un gemito di piacere.
«Hai ragione… potrei… senti, faccio una modifica! Ti richiamo dopo!»
Camus quasi si stupì, quando la voce entusiasta di Surt fu sostituita dal segnale di chiusura della chiamata. Portò indietro la testa, sospirando rumorosamente per la liberazione, e cercò con lo sguardo il viso di Milo.
Quello però raccolse il cellulare e glielo spinse contro il pomo d’Adamo, con delicatezza.
«Adesso chiami Shura.» lo sfidò sorridendo maliziosamente. «Ma non ci andrò piano.»
Camus alzò un sopracciglio e sorrise a sua volta, accettando la sfida.
 
 
Note finali: della serie “ciao Shura, ti chiamo per sapere come sta il tuo gatto” “che bel pensiero da parte tua, sta bene” “oh sì! Sì!” “ehm sì, mangia cibo di qualità”.

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