Lascia che sia

di Nuel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutta colpa del destino ***
Capitolo 2: *** Non ti fermare, ma balla ***
Capitolo 3: *** L'amore lascia andare ***
Capitolo 4: *** Ciao, amore ***
Capitolo 5: *** La mela perfetta ***



Capitolo 1
*** Tutta colpa del destino ***



Lascia che sia







1
Tutta colpa del destino


A volte, le cose succedono. Senza un perché, senza cercarle, anche se ci si dice che non succederanno mai, succedono. Forse perché è destino che, prima o poi, la vita segua il proprio corso, indipendentemente da quello che si vuole, e il destino non si può evitare per sempre: quando lui decide, ci si può solo far trovare preparati.
    Era così che era successo, tra loro: una mattina si erano svegliati nello stesso letto.

«Oh porca...», gemette Michael, svegliandosi accanto al suo migliore amico. Si guardò attorno, riconoscendo il loft di Brian, il letto di Brian e Brian.
    L'uomo accanto a lui mugolò in protesta un attimo prima di aprire gli occhi e, non appena mise a fuoco Michael, si accigliò. «Che cazzo ci fai tu qui?», chiese con la voce impastata dal sonno e dall'alcool ingurgitato la notte prima.
    Michael boccheggiò, in cerca di una risposta che non comprendesse dirgli che gli bruciava il culo per quante volte l'avevano fatto prima di svenire tra le lenzuola, ma i ricordi dovevano essere riemersi anche alla mente di Brian, dato il modo in cui cambiò la sua espressione.
    «Abbiamo scopato!», esclamò cinque secondi dopo, per poi mettersi a ridere.
    «Che c'è da ridere?!», si arrabbiò Michael, l'espressione ansiosa e le sopracciglia contratte.
    «Cristo, Mickey, l'hai desiderato per tutta la vita, dovresti essere contento!». Brian si allungò a prendere una sigaretta sul comodino e, dopo una lunga boccata di fumo, la passò al suo migliore amico con ancora l'espressione divertita sulla faccia da schiaffi.
    Michael prese la sigaretta e tirò nervosamente. «Perché l'abbiamo fatto?», chiese, ormai sull'orlo della crisi isterica.
    «Perché eravamo ubriachi e strafatti», rispose semplicemente Brian, rigirandosi sul fianco per riprendersi la sigaretta.
    «No, voglio dire: “perché” l'abbiamo fatto? Cosa è successo ieri?». In quel momento, il cellulare di Michael suonò, da qualche parte, sul pavimento, e l'uomo si paralizzò, strinse forte le lenzuola tra le dita e non si mosse.
    «Non rispondi?», gli chiese Brian, osservandolo con attenzione.
    «È Ben», rispose Michael, in un soffio, come se questo spiegasse tutto. Brian, però, annuì senza capire e si stese di nuovo, continuando a fumare, mentre Ben o chiunque altro avesse composto il numero di Michael si stancava di aspettare. «Abbiamo litigato, ieri sera. Ero così arrabbiato con lui che... che io...», le parole gli si strozzarono in gola e Michael si passò le mani sul viso, si stropicciò gli occhi e si sentì morire nel vedere la fede al proprio anulare sinistro. Aveva tradito suo marito.
    «Uhm, e per cosa avete litigato?», gli chiese Brian, voltando il capo verso di lui.
    «Per una sciocchezza... per una... per una cosa priva di importanza, perché mi sono impuntato e non volevo dargli ragione...», gemette Michael, la voce che ormai traboccava d'angoscia.
    «Quindi gli chiederai scusa e farete pace...», concluse Brian con un pizzico di divertimento nella voce, mentre si metteva a sedere e adocchiava la porta del bagno.
    «Come faccio a dirglielo?!», sbottò, invece, Michael. «Come faccio a dirgli che l'ho tradito? Che l'ho tradito con te!», sottolineò guardandolo con occhi che dicevano molto di più.
    «Vuoi dire, come gli dirai che l'hai tradito con l'amore della tua vita?», domandò Brian, diretto e implacabile come al solito, il tono improvvisamente annoiato, mentre Michael chiudeva gli occhi, maledicendolo per aver detto la verità.
    «Tu come lo dirai a Justin?», gli chiese inghiottendo a fatica la saliva e l'angoscia che gli chiudevano la gola.
    «Perché dovrei dirlo a Justin?», chiese Brian, mettendosi sulla difensiva e Michael si alzò a sedere, cercando i suoi occhi da rapace e fissandolo con determinazione.
    «Perché noi ci vedremo ancora. Sono il tuo migliore amico, non... non sono...». Michael chinò la testa, mordendosi il labbro inferiore, la paura di essere come chiunque altro, per Brian, che gli impediva di andare avanti.
    «Una scopata?», lo imbeccò Brian e, quando Michael annuì, lui si sporse a baciargli una tempia. «Tu non sei una scopata, Mickey», lo rassicurò, poggiando la fronte contro di lui.
    «Allora abbiamo un problema», concluse Micheal, appoggiandosi all'uomo che non aveva mai smesso di amare, anche se la vita l'aveva portato ad amare anche Ben. Con gli occhi chiusi e Brian a cingergli le spalle, Michael respirò a fondo il profumo del suo migliore amico, quell'odore di sesso in cui erano avvolti come in una coperta, e gli si strinse il cuore come non credeva sarebbe più successo. L'aveva desiderato tanto da quando era solo un ragazzino, da quando Brian l'aveva toccato la prima volta, per gioco, per curiosità, perché erano ragazzi e avevano l'uno l'altro.
    Michael aveva odiato sua madre per essere entrata in quel momento, mentre ansimava e Brian gli respirava sul collo, l'aveva odiata perché Brian aveva tolto la mano così rapidamente che si era portato via anche un pezzo del suo cuore. Aveva avuto bisogno di tempo per perdonare Debbie, ma quella ferita era rimasta lì, a bruciare e sanguinare per anni.
    Brian si alzò, grattandosi il sedere e scavalcandolo sul letto per andare in bagno e Michael rimase a guardarlo fino a quando la porta non fu chiusa. Aveva fatto sesso con Brian... sospirò e si stese di nuovo tra le lenzuola mentre il rumore della doccia giungeva ovattato alle sue orecchie. Allungò una mano verso la metà del letto dove aveva dormito l'altro, ancora in cerca del suo calore e chiuse gli occhi, concentrandosi sul profumo della sua pelle, rimasto tra le coltri.
    Pochi minuti dopo, il padrone di casa riemerse dalla stanza accanto con un asciugamano stretto in vita e i capelli gocciolanti. «Alzati, Michael, vatti a fare una doccia prima che il professore fiuti il tuo tradimento», gli disse andando verso l'angolo cucina. «Ti preparo una tazza di caffè e...», aprì un paio di stipetti, «e basta. Non c'è più niente in questa cucina da quando non c'è Justin a fare la spesa», si lamentò.
    Michael scivolò fuori dal letto e si concesse un ultimo sguardo alle sue spalle umide prima di entrare nel bagno borbottando: «Appunto, Justin non c'è». Da quando Justin era entrato nella vita di Brian, Micheal si era sentito un estraneo in quell'appartamento e, ora che se ne era andato, riusciva a vedere i posti rimasti vuoti, quelli in cui Brian aveva fatto spazio per il proprio compagno e che sembravano in attesa di essere riempiti nuovamente. Una contrazione delle natiche gli ricordò che non erano gli unici spazi rimasti vuoti e, con un sospiro tremulo si chiese come avrebbe fatto, da quel momento in poi, come avrebbe fatto con Ben, come avrebbe fatto con Brian... il solo pensare a lui lo costrinse a toccarsi mentre il getto caldo della doccia copriva i suoi mugolii soffocati.
    L'equilibrio tra lui e Brian si era spezzato di nuovo, e, all'improvviso, gli sembrava che il suo mondo fosse un castello di carta prossimo a crollare. Quando Michael lo raggiunse, Brian era già vestito e pronto a recarsi a lavoro e gli offrì una tazza di caffè fumante, accompagnata da un sorriso sardonico. «Avanti, Micky!», gli disse col suo tono più ironico, «Non è la fine del mondo! Lo sai quanti amici finiscono a letto assieme?». Si strinse nelle spalle mentre Michael sorseggiava il caffè.
    «Allora perché non hai mai voluto farlo, prima?», gli chiese con tono amaro quanto il caffè.
    «Ah no! Un paio di occasioni ci sono state. Sei stato tu a tirarti indietro!».
    «Quelle non contano!», gli fece presente Michael, che ricordava fin troppo bene le ragioni per cui aveva rifiutato quelle opportunità che aveva continuato a desiderare con tutto se stesso.
    Brian si strinse di nuovo nelle spalle e si girò ad aprire il frigo vuoto, cercando un po' troppo a lungo qualcosa che non c'era, e Michael capì che quella di Brian era solo una scena, che anche se non lo dava a vedere, anche lui era scosso.
    Brian gli diede uno strappo fino al negozio di fumetti e, dopo aver fermato l'auto, si voltò verso di lui. Per un momento Michael si aspettò che lo baciasse e si chiese se avrebbe dovuto sporgersi verso di lui, ma Brian tornò a guardare di fronte a sé. «Non pensarci, Michael: eravamo ubriachi. Non è come se...».
    «Se avesse significato qualcosa?», concluse per lui Michael, con tono lugubre. Avrebbe voluto vedere i suoi occhi dietro le lenti degli occhiali da sole e leggervi quello che pensava veramente.
    «Già».
    Michael uscì senza salutarlo o ringraziarlo per il passaggio, sbatté la portiera della corvette e andò ad alzare la serranda a passo di marcia. Il sogno della sua vita si era realizzato e Brian voleva che facessero finta di niente. Aveva fatto sesso con lui e... avrebbe voluto ricordarselo meglio, avrebbe voluto che ogni momento fosse rimasto impresso nella propria mente, invece era tutto sfocato a causa dell'alcool.
    «Fanculo!», imprecò a mezza voce: se non avessero bevuto non sarebbe mai successo, doveva farsene una ragione. Quando si ritrovò nel negozio, però, da solo, con l'odore della carta e dell'inchiostro che si mischiava a quello della polvere, chiuse gli occhi e un singhiozzo sfuggì al suo controllo: le mani di Brian su di lui, il calore della sua pelle sudata contro la schiena... Brian non era solo uno scopatore eccezionale, era l'uomo che aveva sempre avuto cura di lui, che lo capiva meglio di chiunque altro, che lo conosceva da una vita intera. Improvvisamente, Michael ebbe paura di perderlo, che la loro amicizia non sarebbe sopravvissuta a quell'incidente.
    Il cellulare cominciò a suonare di nuovo e Michael respirò a fondo prima di rispondere a Ben. «Pronto», fece con tono greve.
    «Michael!», Michael sentì il sospiro di sollievo di suo marito e non faticò ad immaginare Ben che alzava gli occhi al cielo a ringraziare un Dio cui si rivolgeva di rado. «Stai bene? Dove sei? Mi hai fatto preoccupare».
    «Sto bene... sono appena arrivato al negozio». La gola gli si chiuse e, per una manciata di secondi, dovette lottare con le lacrime che bussavano ai suoi occhi. «Mi dispiace, Ben... Mi dispiace tanto...», singhiozzò, cadendo a sedere sulla sedia, dietro la cassa.
    «Va tutto bene, amore. Non dovevo insistere. Faremo come vuoi tu, Michael», disse la voce sollevata di suo marito, dall'altra parte del telefono.
    «No, no, Ben, avevi ragione tu, e io mi sono impuntato perché sono un idiota...», Michael avrebbe voluto continuare, ma Ben rise piano, quella sua risata bassa e virile che gli faceva sentire le farfalle in pancia.
    «Ne parliamo stasera, amore. Devo andare a fare lezione adesso. Ti amo, Michael».
    «Anch'io... ti amo». Quando chiuse la chiamata, Michael si sentì morire. Come aveva potuto tradire Ben in quel modo? Come avrebbe fatto a dirglielo? Come avrebbe fatto a guardarlo ancora negli occhi?
    

Quando Michael rincasò, quella sera, dopo aver chiuso il negozio, Ben stava cucinando, il profumo delle spezie si sentiva sin dall'ingresso, e il suo cuore perse un battito: quel profumo di cibo esotico era l'odore di casa sua, il sapore della carne in agrodolce e dei ravioli al vapore preparati da Ben lo facevano sentire al sicuro. Entrò in silenzio, camminando senza fare rumore fino alla porta della cucina. Suo marito si stava dando un gran da fare per preparare la cena e lui aveva passato tutto il giorno a pensare a cosa dirgli, mentre la sensazione delle mani di Brian addosso lo distraeva e gli faceva desiderare che accadesse ancora.
    «Ben», cominciò, “dobbiamo parlare. È successa una cosa, ieri notte...”, ma quando Ben si girò e gli sorrise, Michael non riuscì a dire nulla.
    Ben Bruckner era l'uomo migliore che Michael avesse mai conosciuto e, grazie a Dio o a Buddha o alle canzoni di Gloria Gaynor, si era innamorato proprio di lui. Non appena lo vide, Ben lasciò da parte il cucchiaio di legno, abbassò il fuoco e andò ad abbracciarlo. Lo strinse forte, reclinando il capo per avvicinare il viso al suo e avvolgerlo completamente, respirandolo come se gli fosse mancato quanto l'aria, e Michael si sentì morire per il senso di colpa e per i dettagli che adesso bruciavano: Ben era alto quanto Brian, ma le sue braccia erano troppo grosse e muscolose e il suo odore... non era quello di Brian. Lo strinse, però, come a chiedergli implicitamente scusa, mentre gli si inumidivano le ciglia.
    «Scusa, Ben...», riuscì a mormorare, aggrappandoglisi come un naufrago ad una tavola di legno, la voce appesantita da tanti e tali sentimenti che non riusciva ad esprimere.
    «Non importa, Michael. Non dovevo insistere tanto». Ben gli baciò la fronte e lo trascinò in sala da pranzo, agguantando un mazzo di rose che attendeva sulla mensola del camino spento e glielo porse. «Per dirti che mi dispiace», gli disse con un sorriso buono, e Michael lo accettò con mani tremanti, incapace di dire alcunché. Non era la prima volta che litigavano, ma era la prima che se ne andava sbattendo la porta e passava la notte fuori. Ben doveva aver temuto il peggio, eppure non poteva immaginare quanto la realtà fosse andata oltre i suoi timori.
    Hunter rincasò in quel momento, sbattendo la porta e salutando in modo generico. Si avviò con andatura molleggiata verso le scale e si fermò sul primo gradino, a fissare i suoi due padri con quell'espressione un po' annoiata e un po' scanzonata tipica degli adolescenti. «Avete litigato?», chiese con un sorriso sghembo e l'aria saputa, osservando prima l'uno e poi l'altro e, sotto il suo sguardo indagatore, Michael si sentì trasparente. Gli sembrava di avere una grossa “A” rossa cucita sul maglione e abbassò lo sguardo. Rese i fiori a Ben e, a testa bassa, si allontanò di un passo. «Scusami Ben, ma non me la sento di cenare. Non ho dormito molto bene, ieri notte, e sono a pezzi». Non gli diede il tempo di fermarlo: salì al piano di sopra, superando loro figlio, e si chiuse in camera dopo aver sentito Hunter chiedere cosa ci fosse per cena.
    Con Ben e Hunter, la sua famiglia, al piano di sotto, Michael si ritrovò a rimuginare, incapace di addormentarsi: se Brian non avesse detto nulla a Justin, lui non avrebbe potuto dire nulla a Ben, altrimenti il rischio che Justin venisse a saperlo comunque sarebbe stato più alto. Quando si tradisce bisogna essere d'accordo sulla versione dei fatti, come complici in un delitto, e lui e Brian erano esattamente quello: complici.
    Non era molto diverso da quello che erano sempre stati: migliori amici, inseparabili, sempre pronti a spalleggiarsi in tutto. Doveva portarsi quel peso dentro, nascondere la verità a Ben e forse anche a se stesso: come aveva detto Brian, erano ubriachi. Non aveva avuto alcun significato. Doveva smettere di pensarci e fingere che non fosse mai accaduto. Si rigirò nel letto per quella che doveva essere la centesima volta, e si decise a mandare un SMS a Brian, avvertendolo che, se Ben glielo avesse chiesto, gli avrebbe detto di aver dormito sul divano, da lui. Una mezza verità sembrava più accettabile di una bugia.
    Brian era il suo migliore amico. Lo era sempre stato e lo sarebbe stato per sempre. Doveva solo dormirci sopra e dimenticarsene. Si strinse la coperta addosso, avvolto come in un bozzolo, cercando di rimpiazzare quel calore che gli mancava e, quando Ben entrò in camera e si mise a letto, Michael finse di dormire. Suo marito lo abbracciò con delicatezza, baciandogli la nuca. «Michael?», lo chiamò sotto voce, per verificare se fosse sveglio o se dormisse, e lui resistette solo un momento, prima di rispondergli.
    «Sono sveglio», disse mesto, dandogli le spalle.
    Il braccio di Ben si strinse un po' intorno a lui e l'uomo gli si accostò maggiormente, facendo aderire il torace alla sua schiena. «Come stai?», gli chiese preoccupato.
    Michael reagì scostandosi da lui e sospirò dolorosamente, con la sensazione sgradevole che il mondo si fosse capovolto, che stare tra le braccia di Ben fosse tradire Brian. «Mi fa male la schiena», inventò qualche momento dopo, per giustificarsi. «Deve essere colpa del divano di Brian». Per un attimo, Michael percepì l'irrigidirsi di Ben, ma non aveva potuto impedirsi di fare il nome dell'altro. Brian. Brian. Brian. Avrebbe passato ore a ripetere il suo nome, ad invocarlo mentre faceva l'amore con lui.
    Il nome di Brian era ufficiosamente vietato nella loro camera da letto, così Michael trattenne il fiato quando Ben gli chiese: «Hai dormito da Brian, ieri notte?».
    «Sì».
    Ben posò un bacio deciso sulla sua nuca e lo strinse di nuovo, facendo attenzione a non fargli male, cercò la sua mano per intrecciare con lui le dita e rimase in silenzio. Michael sapeva che, all'inizio della loro storia, Ben aveva accettato la sua cotta per Brian, ma sapeva anche che era convinto che, ormai, quell'amore che aleggiava come bruma, tra di loro, non sarebbe mai stato in grado di dividerli.
    Invece era accaduto; solo ventiquattr'ore prima, Michael stava bevendo più del dovuto, stava sniffando popper stretto a Brian e tutti i sui desideri erano tornati a galla, tutte le sue insoddisfazioni e quell'amore messo in un angolo, che non era mai passato, avevano gridato e si erano trasformati in un bacio affamato e rabbioso e in mani strette tra i capelli di Brian. Mentre gli mordeva le labbra come non aveva mai avuto il coraggio di fare, Michael aveva scoperto che era bastato un istante perché il resto della sua vita, i suoi successi, i suoi affetti, perdessero significato, lontano dall'uomo che amava. Respirò a fondo, struggendosi per quel profumo che mancava in casa sua, perché, l'indomani mattina, Ben gli avrebbe chiesto di fare l'amore e lui gli si sarebbe concesso per espiare le proprie colpe. Chiuse gli occhi, cercando di non pensare, ma non poté evitare di chiedersi ancora come avrebbe fatto, il giorno dopo e tutti quelli a venire.

Nuova ff sulla mia OTP, so che il pair non vi fa impazzire, ma spero che vorrete leggerla comunque e farmi sapere cosa ne pensate (e non vi preoccupate: sono solo cinque capitoli).
L'idea è nata da un contest e ho colto la palla (ma questa volta sarebbe meglio dire la mela) al balzo. Come sempre, potete insultarmi sulla mia pagina FB. ^^
Vi aspetto!

♣ Questa fanfiction si è classificata seconda al contest "Manga cliché" indetto da Sango_79 sul forum di EFP per conto del forum "Diegni e Parole".
Il cliché scelto è "amici d'infanzia": Questo è uno degli espedienti narrativi più usati nei manga, soprattutto negli yaoi. Il concetto è semplice: ci sono due ragazzi che si conoscono fin da quando erano piccoli, ma anche due uomini che sono diventati amici al liceo, e tutto a un tratto uno o entrambi capiscono di amarsi. Oppure uno è sempre stato innamorato dell'altro, che non se ne è mai reso conto, e soffre per questo.


♦ L'immagine di copertina è di Kourinthellama
 

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Capitolo 2
*** Non ti fermare, ma balla ***


2
Non ti fermare, ma balla


In qualche modo, aveva fatto, perché la vita continua e, anche se ci si siede davanti ad un'enorme tazza di caffè, chiedendole di rallentare, di concederci il tempo per riflettere, lei non dà retta a nessuno perché è la vita, e può solo andare avanti.

Così era passata una settimana e Michael aveva seguito la corrente destreggiandosi tra il lavoro, gli amici e suo marito. Il Babylon aveva riaperto soltanto da un mese, dopo che i lavori di ricostruzione erano durati quasi il doppio del previsto, ma era già tornato a riempirsi di giovani che volevano celebrare la vita sulle note di SexyBack e altre canzoni del momento, con la voglia incontenibile di rinfacciare ai repubblicani e al Presidente che nonostante tutti i loro sforzi, loro erano ancora lì, a vivere, a ballare e a scopare.
    A vivere, a ballare e a scopare più di tutti, come sempre, era Brian. Michael aveva evitato la discoteca fino a quella sera, fino a quando Brian non l'aveva chiamato, chiedendogli se stesse bene e lui aveva capito che la vera domanda era un'altra: hai detto al professore di noi?
    «Vieni al Babylon, stasera?», gli aveva chiesto, con in sottofondo alcune voci indistinte e gli squilli di un telefono.
    «Sì, ci vediamo stasera», gli aveva risposto Michael e, così, c'era andato, lasciando Ben a casa, a preparare la lezione per il giorno successivo.
    L'atmosfera era sempre la stessa, un carnaio che si muoveva al ritmo di suoni sincopati, sporco e puzza di sudore, ma perché avrebbe dovuto essere diverso? Michael si chiese perché non potesse farne a meno: a lui non interessava più il sesso occasionale. La risposta era sin troppo ovvia, persino scontata: ci andava per Brian. Aveva ordinato da bere in compagnia di Ted e Blake e aveva seguito Emmett sulla pista, fino a quando Brian non lo aveva intercettato.
    In quel momento tutto il resto del mondo aveva smesso di esistere, erano solo loro due, i cuori che battevano assieme alle percussioni della canzone che suonava in quel momento, i sorrisi più ampi, le fronti premute, il sudore che scivolava lungo la pelle, e Michael avrebbe voluto leccare ogni singola goccia dal petto di Brian...
    «Glielo hai detto?», gli chiese il suo migliore amico, parlandogli direttamente all'orecchio, per sovrastare la musica.
    «No», rispose Michael, e Brian sorrise di più, chinandosi a baciarlo come tante altre volte aveva fatto. Michael era sopravvissuto con quei baci, labbra umide e sapore amaro di tabacco. Chiuse gli occhi e gli portò una mano dietro il collo, a trattenerlo un istante, approfondendo quel contatto prima che Brian si staccasse, la fronte aggrottata e una smorfia ironica sulle labbra.
    Brian sapeva che Michael lo amava. Lo sapeva da sempre e, come sempre, si allontanò, lasciandolo solo in mezzo alla pista, dirigendosi verso la dark room. Doveva aver già adocchiato qualcuno, qualcuno più giovane, più bello, più arrapante di Michael; meno complicato di Michael. Mentre la musica continuava a martellare, impedendogli persino di pensare, Michael percorse quella stessa strada, facendosi largo tra i corpi glabri e sudati, si fermò all'ingresso del breve corridoio, aspettando che gli occhi si abituassero a quella nuova e più densa oscurità e poi avanzò. La musica era meno assordante, lasciava che ansimi e i gemiti eccitanti riempissero gli orecchi degli amanti di una notte. Non impiegò molto a trovare Brian, le spalle al muro e l'estasi dipinta sul volto perfetto, la pelle che tirava sugli zigomi e le ciglia che fremevano mentre respirava con le labbra schiuse, gettando indietro la testa.
    Il cuore di Michael accelerò e gli parve quasi di venire nei pantaloni quando Brian inarcò la schiena, premendo le dita aperte contro la testa che si muoveva avanti e indietro, all'altezza del suo inguine a malapena esposto tra i lembi aperti dei jeans scuri che indossava.
    L'orgasmo colse Brian, veloce e privo di significato, e quando si riebbe ed aprì gli occhi, si voltò, come se si aspettasse di vederlo lì, e gli sorrise. Michael sorrise di rimando e deglutì la saliva che gli si era accumulata in bocca, poi gli diede le spalle, andandosene via, prima che Brian si rendesse conto di quanto si era eccitato.
    Guardare Brian scopare gli aveva riempito la mente e il cuore per giorni interi, in passato: era conturbante e straziante assieme, e lui si era sempre accontentato di quello, godendosi le seghe solitarie che si faceva poi, nella propria stanza, raccontandosi che era fortunato per tutti i dettagli che Brian forniva alle sue fantasie, ma, col tempo, aveva cercato tra altre braccia quello che lui non gli avrebbe mai dato; prima David e poi Ben, soprattutto Ben, e con lui aveva creduto davvero di essersi lasciato Brian alle spalle. Per tutti quegli anni si era soltanto mentito. Quando Brian aveva scelto Justin, lui si era semplicemente arreso.
    Quando rientrò a casa, il profumo leggero di una tisana lo accolse; Ben era ancora chino sui libri, sul tavolo del salotto, la penna a sfera nella mano che scivolava agile sulla pagina bianca di un quaderno, e Michael si fermò sotto la cornice della porta ad osservarlo con un senso di pace che, in quel momento, gli faceva male.
    «Già di ritorno?», gli chiese Ben, alzando gli occhi su di lui, il viso di pietra sereno e gli occhi un po' stanchi dietro gli occhiali dalla montatura leggera, e Michael annuì.
    «Hunter è già a letto?», gli chiese a propria volta, raggiungendolo, girando intorno al tavolo  e abbracciando le sue spalle larghe, baciandogli il collo e strusciando il viso sui suoi capelli.
    Ben tolse gli occhiali, sorridendo tra sé, mentre sollevava una mano grande a cercare il viso di suo marito. «Vuoi farlo qui?», gli chiese con tono basso e divertito.
    «Sono arrapato!», gli rispose Michael, mentre Ben si alzava e lo coinvolgeva in un bacio profondo che gli fece tremare le ginocchia. Voleva scopare, affogare in un orgasmo il bisogno di Brian che sentiva nel cuore. Ben lo sollevò con facilità e Michael gli strinse le gambe intorno ai fianchi, continuando a baciarlo, mentre suo marito gli serrava le natiche nelle mani.
    «I preservativi sono di sopra», gli ricordò Ben, spostandosi verso le scale, «Tieniti stretto», gli disse prima di iniziare a salire.


Durante la notte aveva piovuto. Michael, mentre apriva la serranda del negozio, umida di pioggia come l'asfalto sotto le sue scarpe, sentiva ancora nelle orecchie il ticchettio frenetico sul tetto, che si mischiava ai suoi gemiti e agli ansimi di Ben. Avevano scopato furiosamente, ubbidendo al richiamo dei sensi, all'urgenza e al bisogno di godere, e poi avevano fatto l'amore, piano, dolcemente. Si erano scambiati effusioni e parole d'amore col sottofondo dell'acquazzone che colpiva le tegole fino ad addormentarsi.
    Sazio di piacere e spossato, aveva creduto di aver recuperato un po' di serenità, di aver ritrovato il proprio posto, accanto all'uomo che aveva sposato, ma mentre apriva la porta a vetri e si puliva le scarpe sul tappetino all'interno, col sonaglio che trillava allegro sopra la sua testa, sentì i capelli drizzarglisi sulla nuca e seppe, prima ancora di averlo visto, che Brian era lì. Entrò in fretta, lasciando la porta aperta e l'attimo dopo Brian era dietro di lui.
    Il sonaglio trillò di nuovo e la porta si chiuse. Le luci del negozio erano ancora spente, il chiarore del mattino arrivava incorniciato dai fumetti esposti in vetrina, ad illuminare solo la parte centrale della stanza, e Michael si rifugiò nella penombra tra il bancone e la porta del magazzino.
    «Stai scappando, Mickey?», gli chiese Brian, la voce che sembrava un diapason di cristallo nell'aria ripulita dalla pioggia.
    «Non sto scappando, Brian», gli rispose facendo un sospiro e guardando a terra.
    «Sei strano ultimamente», gli disse l'altro, «non vieni al Babylon, non mi chiami... è perché abbiamo scopato?».
    «Cristo, Brian!». Michael avanzò verso di lui, guardando in quei suoi occhi fissi nei propri. «Possibile che per te non sia cambiato nulla? Che non ti abbia fatto pensare a...».
    «A cosa? A noi?», lo interruppe Brian, con voce dura. «Non c'è nessun noi, Michael. Eravamo ubriachi e non è successo nulla. Tu sei sposato col professore e io sto con Justin, non è cambiato proprio nulla!».
    «Tranne che ho fatto sesso con l'amore della mia vita», sbottò Michael, col cuore stretto e il viso che gli si colorava di vergogna.
    Brian lo fissò per qualche momento, in silenzio, il petto che gli si alzava e si abbassava come se respirare gli costasse fatica. «Justin è l'amore della mia vita, Michael».
    Michael sentì distintamente una crepa aprirsi nel proprio cuore. Non faceva male come aveva pensato: era solo l'ennesima ferita a cui era abituato. Brian gli sbranava il cuore a grandi morsi, lo aveva sempre fatto. Gli venne da sorridere. Sorrise amaro e scosse il capo, quasi divertito dal rendersi conto di quanto dovesse sembrare patetico in quel momento. «Allora c'è qualcosa che non va nella storia delle mele, sai, quella per cui siamo tutti in cerca della metà che ci completa, perché sei tu la metà che mi completa», gli disse con una serenità inaspettata. «Non fraintendermi: amo Ben, ma sarò sempre innamorato di te».
    «Stai dicendo... che ci sarà sempre una parte di me innamorata di te?», gli chiese Brian, paziente come era solo con lui, e Michael annuì convinto.
«È molto romantico, Mickey, ma è solo una stronzata da etero per giustificare il fallimento dei loro matrimoni e la voglia di scopare con qualcun altro. In ogni caso, sono venuto solo per dirti che vado da Justin. Parto stasera e starò via fino a lunedì», disse Brian, e Michael ebbe l'impressione che ci fosse dell'altro, qualcosa che Brian avrebbe voluto dire, ma che gli era rimasto incastrato da qualche parte tra la pancia e la gola.
    «Fai buon viaggio, allora», gli augurò Michael, gli occhi tondi e buoni che lo adoravano in silenzio.
    «Tutto qui?», sbuffò Brian, aprendo le braccia, incredulo. «Prima mi dici che sono l'amore della tua vita e poi mi auguri buon viaggio?», si lamentò, fingendosi scandalizzato.
    Michael sbuffò. «Visita New York già che ci sei, non stare sempre chiuso in casa a scopare», ridacchiò Michael, e Brian lo attirò a sé, afferrandolo per la felpa. Lo strinse al petto e lo baciò velocemente.
    «Forse hai ragione», concesse, guardandolo, mentre Michael assaporava ancora il gusto del tabacco rimastogli sulle labbra. «Forse tu e io invecchieremo assieme, finiremo a massaggiarci la prostata a vicenda e ricordare i vecchi tempi, quando eravamo belli e giovani». Gli scoccò un altro bacio sulle labbra e lo salutò con un cenno, prima che il primo cliente della giornata arrivasse e potesse vederli assieme.
    

Fu mentre rientrava in casa, quella sera, che Michael si accorse di non aver chiesto a Brian a che ora sarebbe partito il suo volo. Sorrise, nonostante tutto, mentre infilava le chiavi di casa nella toppa: Brian era sempre tornato, l'avrebbe fatto anche quella volta e non sarebbe cambiato nulla. Sarebbero stati ancora amici.
«Ben?», chiamò chiudendosi la porta alle spalle e suo marito gli andò incontro con un indice sollevato, chiedendogli di fare silenzio: era al telefono e aveva un sorriso felice a stendergli le labbra.
    «No, sì figuri, non è assolutamente un problema. No, no, non si preoccupi di questo. La richiamo io domani, se per lei va bene».
    Michael si tolse la giacca e aspettò che Ben concludesse la chiamata e, quando lo vide riporre il cellulare, non fece in tempo a chiedergli con chi avesse parlato, che suo marito lo aveva già sollevato da terra e lo stava facendo girare.
    Ben lo coinvolse in un bacio appassionato e poi lo guardò, sorridente e orgoglioso. «Era il mio editore», gli disse. «Ha detto che il mio nuovo romanzo gli è piaciuto e vuole pubblicarlo!».
    «Cosa?! Ma è meraviglioso!», Michael lo baciò e, per una manciata di istanti, fu sinceramente felice. Quel momento era solo di Ben.
    «Vuole che vada a Philadelphia», aggiunse Ben, guardando Michael nel modo in cui faceva sempre quando cercava di fargli capire quanto fosse importante, per lui, quello di cui stavano parlando.
    «A Philadelphia? Quando?», chiese Michael, il sorriso che già si smorzava sulle sue labbra.
    «Dopodomani», disse Ben, asciutto. «Se l'università mi concederà di assentarmi per qualche giorno, ovviamente, ma... non dovrebbero esserci problemi», prese fiato, strofinandogli le braccia. «E sempre che non sia un problema per te».
    Michael capì che Ben aveva paura di farlo arrabbiare di nuovo. Si sollevò sulle punte dei piedi e lo baciò, sorridendogli. «Sono orgoglioso di te. Vai e pubblica il tuo libro».
    «Starò via solo pochi giorni... nel frattempo tu... potrai vedere i tuoi amici, andare al Babylon con Brian, vedere tua madre... si lamenta sempre che non passi mai una serata con lei».
    Michael rise. «Starò bene, non ti devi preoccupare. Saranno solo pochi giorni, no?», lo strinse in un abbraccio, grato che Brian fosse partito perché, altrimenti, senza Ben a ricordargli ogni giorno qual era la sua famiglia, la sua casa, la sua vita... si sarebbe perso.


 


 
Note:

La mela perfetta” o “il mito della metà”, nel Simposio di Platone.
Nell'episodio 1x04, dopo aver riaccompagnato a casa Justin, Debbie dice a Michael: “Conosci te stesso, diceva un greco antico. Chi era?” e Michael le risponde: “Zorba?”, quindi credo di poter citare qualche “greco antico” anche io.

“Non ti fermare, ma balla” è una strofa della canzone “Balla”, di Umberto Balsamo, 1979

"
SexyBack" è una canzone di Justin Timberlake, del 2006. Nell'economia della storia è usata per collocare cronologicamente gli eventi.


Vi confesso che non mi aspettavo tanto interesse per questa storia, essendo una Brian x Michael, e quindi vi ringrazio doppiamente per la fiducia che mi avete accordato! ^^
Spero che continui a piacervi e che vorrete farmi sapere cosa ne pensate, che mi raggiungiate su FB e magari, se non ci siete ancora, che vi iscriviate al gruppo FB che porta avanti la campagna per la Reunion: dobbiamo essere di più per ottenere dei risultati, molti di più! Quindi, se conoscete vecchi fan che si sono allontanati da QaF, fateli ricadere nel tunnel! ^_-
E ora i doverosi ringraziamenti a chi ha commentato il capitolo precedente: Ladyriddle, Summers84, skinplease, cristina qaf e anche Raggio_di_Sole_, perché anche se non la pensiamo allo stesso modo, ci siamo potute confrontare e conoscere un po'. ^^
A giovedì prossimo! ^^

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Capitolo 3
*** L'amore lascia andare ***


3
L'amore lascia andare


L'amore è una cosa strana: a volte cammina accanto a te per tutta la vita, altre, invece, arriva all'improvviso, quando non lo cerchi o quando pensi che non lo troverai mai e poi, a volte, all'improvviso se ne va, perché non è detto che chi si ama debba restare assieme per sempre.
    A volte, chi ama deve lasciar andare.

Ben, nella vita di Michael, era arrivato in un momento particolare, dopo la fine di una storia importante, anche se breve, durante una nuova partenza, piena di incertezze e di dubbi. Era stato la sua prova di fede, un salto nel vuoto, senza rete di sicurezza. Quando aveva accettato la sua malattia, Michael aveva accettato che, un giorno, Ben avrebbe potuto uscire dalla sua vita. Certo, non ne era stato del tutto consapevole, ma quando lo baciò, all'aeroporto, comprese che quella separazione, anche se fosse durata per pochi giorni, non era che un'anticipazione di quella che sarebbe stata definitiva.
    Mentre osservava l'aereo per Philadelphia che si allontanava sulla pista, Michael iniziò a scendere a patti con quella consapevolezza. Per fortuna, Ben era ancora in salute, e Michael sperava che lo restasse ancora a lungo, magari per sempre, ma, qualunque cosa fosse capitata, la sua ancora sarebbe stato Brian; Brian che aveva risvegliato qualcosa che Michael credeva di essersi lasciato alle spalle, qualcosa con cui, prima o poi, avrebbe dovuto fare i conti.
    Brian era stato la costante della sua vita, il suo migliore amico sin da quando erano ragazzini e per questo Michael non si era mai posto il problema di quando il sentimento che provava per lui fosse mutato, quando l'amicizia fosse diventata amore. Era successo e basta, come succede di crescere, di svegliarsi una mattina col pisello duro e le mutande bagnate o di cambiare voce.
    Davvero, era contento che Brian non fosse in città in quel momento.

Aveva messo sulla porta del Red Cape un cartello che recitava “chiuso per inventario”; così, si era detto Michael, avrebbe potuto finire di catalogare i nuovi acquisti usati e inserire i numeri sfusi su eBay senza essere distratto ogni cinque minuti da qualche cliente. Quella sera, aveva deciso, sarebbe passato da sua madre; stava per chiamarla quando il cellulare suonò all'improvviso. Michael guardò infastidito l'apparecchio, ma, non appena riconobbe il numero di Brian, si affrettò a rispondere.
    «Brian?», lo chiamò sorpreso, il tono che tradiva quella lieve apprensione tipicamente italiana.
    «Puoi venire da me, Michael?», chiese una voce bassa che a stento riconobbe.
    «A New York?», chiese lui, sforzandosi di essere ironico.
    «Sono a casa. Puoi venire subito?».
    Michael sentì il sangue defluire dal volto, probabilmente stava impallidendo. «Va tutto bene, Brian? Stai bene? È successo qualcosa a te o a Justin?». A quel punto, non si sforzò più di nascondere la preoccupazione, non che gli fosse riuscito molto bene, fino a quel momento.
    Brian tacque, all'altro capo del telefono, e Michael disse: «Arrivo subito. Aspettami».
    Non si prese nemmeno la briga di cambiare il cartello sulla porta, chiuse velocemente e corse verso casa di Brian. Era a pochi isolati dalla Fuller, ma rimpianse di essere a piedi. Quando fu all'angolo con la Tremont, aveva il fiato corto e macchie di sudore sotto le ascelle. Arrancò fino al numero 6 e pigiò pesantemente il campanello sulla placca d'ottone accanto alla porta. Il ronzio elettrico dell'apertura fu quasi immediato e Michael, tenendosi il fianco dolorante, si precipitò all'interno, richiamando il montacarichi.
    «Brian!», chiamò ancora prima di spostare la grata di sicurezza, vedendolo sulla porta, in attesa. «Cos'è successo?», gli chiese con tono preoccupato e Brian lo abbracciò, lo strinse come se si aspettasse che lui saziasse quel bisogno d'affetto che era tanto bravo a mascherare. Michael si limitò a ricambiare il suo abbraccio, regalandogli il conforto della propria presenza, la consapevolezza che lui ci sarebbe stato sempre.
    «Perché sei tornato prima?», gli chiese dopo un po', quando si furono chiusi la porta scorrevole alle spalle.
    «Non era necessario che rimanessi più a lungo», gli rispose Brian, accendendosi una sigaretta, dopo essersi lasciato cadere pesantemente sul divano. Lo sguardo di Michael scivolò sui suoi piedi nudi e sui pantaloni neri, sul maglione scuro che lo faceva sembrare più pallido del solito, e forse lo era sul serio. I capelli scombinati gli coprivano un po' gli occhi, troppo lunghi per un uomo della sua età, ma era Brian, era perfetto.
    Michael gli si sedette accanto e lui si distese, posandogli la testa sulle cosce, i piedi che  poggiavano sul bracciolo. «C'è un parchetto vicino all'appartamento di Justin», iniziò dopo un po'. «I ragazzi ci vanno a giocare a basket». Brian voltò lo sguardo verso Michael. «Ti ricordi quando Bruce Bixler ti spinse e tu finisti lungo disteso a terra sul campetto della scuola?», gli chiese, ridendo, e Michael rise a propria volta.
    «Già. E per vendicarmi tu gli spruzzasti una sostanza urticante all'interno dei calzoncini della divisa prima della partita finale del campionato scolastico», Michael scosse la testa, e Brian gli passò la sigaretta ormai a metà.
    «Non si metteva le mutande, quel coglione!», sbuffò Brian, guardandolo dal basso all'alto.
    «E ovviamente tu lo sapevi». Michael gli accarezzò i capelli, pettinandoli all'indietro con le dita.
    «Quando si muoveva per il campo non sapevi se guardare il palleggio o il suo cazzo che si muoveva su e giù sotto quei calzoncini orrendi», rincarò Brian, mimando con una mano il movimento fondamentale del basket.
    «Questo cosa c'entra con Justin?», gli chiese Michael con la voce morbida con cui si sarebbe potuto rivolgere alla figlia.
    Brian sospirò e si sistemò meglio sul divano, lasciando che il silenzio calasse tra loro per qualche momento, la mano di Michael che continuava ad accarezzargli i capelli come quella di una madre premurosa o di una ragazza innamorata. «Uno di quei ragazzi, quando ha visto Justin, l'ha chiamato e gli ha chiesto di unirsi a loro per una partita, ma Justin ha rifiutato».
    «Non sapevo che giocasse a basket».
    «Nemmeno io», tirò l'ultima boccata di fumo e allungò il braccio per raggiungere il posacenere sul tavolo, ma Michael gliela tolse dalla dita, spegnendola al posto suo, piegandosi su di lui, che lo fissò per qualche secondo, prima di ricominciare a parlare. «Poi siamo andati nel suo appartamento a scopare e, quando abbiamo finito, gli ho detto che ero stato a letto con te».
    Michael strabuzzò gli occhi. «Cosa? Perché glielo hai detto?», quasi strillò.
    «Dovevo dirglielo, Mickey».
    «No che non dovevi! Hai convinto me a non dire nulla a Ben!».
    Brian si alzò a sedere, privando Michael del calore della propria testa in grembo. «Ha detto che sapeva che prima o poi sarebbe successo», continuò a raccontargli, senza rispondere alle proteste di Michael. «Che sapeva che ti amavo e che senza di lui tra i piedi, alla fine me ne sarei accorto anche io». Lo stava fissando con sguardo severo e intenso e Michael boccheggiò come un pesce. «È vero, Mickey? È te che amo? Più di quanto amo lui? O solo in modo diverso da come amo Justin?».
    Michael aprì e richiuse la bocca un paio di volte, prima di alzarsi in piedi. «Io non lo so!», sbottò, prossimo ad un attacco di panico. «Hai detto che Justin è l'amore della tua vita e che quello che avevamo fatto non aveva significato nulla perché eravamo ubriachi!», prese fiato, «E adesso mi chiedi se è me che ami?! Io... io come faccio a risponderti?!». Michael sentiva le lacrime pungergli gli occhi, il cuore che scalpitava come se volesse uscirgli dal petto e Brian lo fissava come se fosse uno strano fenomeno da laboratorio.
    «Ci siamo lasciati».
    «Come?», pigolò allora Michael, poi la sua voce cominciò ad impennarsi ad ogni parola che aggiungeva. «Cosa vuol dire che vi siete lasciati? Justin ti ama... tu lo ami... stavate per sposarvi!». Fece un passo avanti, incerto se sedersi ancora su quel divano o meno. Brian lo fissava di nuovo dal basso all'alto e gli prese una mano, tirandolo verso di sé, e Michael non seppe resistergli: si sedette e lo abbracciò, baciandogli la testa china che si era poggiata sul suo petto. «Mi dispiace. Mi dispiace così tanto, Brian!», mormorò tra i suoi capelli.
    «Anche se è la tua occasione?», gli chiese Brian, con tono stanco.
    «Farei qualsiasi cosa perché tu fossi felice!», gli disse col cuore in mano.
    «L'hai sempre fatto, Michael», lo rassicurò Brian, ma Michael cominciò a singhiozzare piano.
    «Sh!», gli fece Brian, sollevando la testa per guardarlo. «Va tutto bene, Mickey», lo rassicurò a voce bassa, accarezzandogli il viso.
    «No, invece!». Michael si infilò una mano in tasca ed estrasse un fazzoletto su cui soffiarsi il naso. «Dovrei essere io a consolare te e non il contrario!», gemette. «È questo che fanno gli amici!».
    Brian si sporse per baciarlo, ma Michael si tirò indietro, guardandolo con espressione mortificata.
    «Sei patetico», gli fece notare allora Brian, come al solito.
    «Sono tuo amico... e ho paura di perderti come amico... perché questo casino è tutta colpa mia... mi dispiace tanto, Brian!».
    «L'hai già detto», gli ricordò Brian, il tono forzatamente annoiato. «Non prenderti colpe che non hai, Mickey. Adesso Justin ha la sua occasione, lontano da me, diventerà l'uomo che è destinato ad essere».
    Il tono disilluso di Brian colpì Michael come il boato di un'esplosione, gelandogli la pelle. «Ma...», pigolò, ma Brian si alzò, andando verso la camera da letto, le sue spalle sembrano curvarsi sotto il peso di quella separazione, e Michael lo seguì, quasi timoroso. Salì il primo gradino e si fermò, osservandolo stendersi in quello stesso letto in cui erano stato amanti frastornati e accidentali.
    Si guardarono negli occhi per un lungo momento; in quelli di Brian, Michael poteva scorgere la forza che lo aveva sempre sostenuto, ma anche quella punta di dolore che si sforzava di nascondere e che, in qualche modo, faceva parte di lui da sempre. Justin aveva alleviato quel tormento, tanto che Michael aveva dimenticato che fosse lì, dentro di lui, faceva parte di lui. Osservò la piega amara delle sue labbra chiuse e il modo in cui contraeva i muscoli della mascella, piccoli indizi che forse era l'unico a saper decifrare e, senza rendersene conto, cominciò a girare nervosamente la fede al proprio dito.
    Brian inclinò la testa in un rapido, piccolo cenno, invitandolo a raggiungerlo in quel letto, ma Michael declinò l'invito scuotendo il capo. Brian, allora, sollevò un sopracciglio, abbassando appena il mento, continuando a guardarlo e dopo qualche attimo spostò un lembo del piumone, accanto a sé, insistendo.
    Michael chiuse gli occhi e sorrise. «Non credo sia il caso», soffiò, rompendo quel dialogo muto in cui ogni parola non detta era stata perfettamente chiara.
    Brian spostò lo sguardo sul comodino, racimolando l'ennesima sigaretta dal pacchetto che teneva lì, a portata di mano, e si allungò a cercare un accendino che non c'era, e Michael gli si avvicinò, sfilandogli la sigaretta dalle labbra e sedendosi accanto a lui, sul ciglio del letto. «Fumi troppo, ultimamente».
    «Perché non scopo abbastanza».
    «Scopi più di chiunque conosca. Più di me di sicuro!», sorrise.
    «Il professore ti trascura?», gli domandò come se fosse sottinteso che sarebbe intervenuto per aiutarlo, ma poi aggiunse: «Certo, dopo due anni di matrimonio, immagino che la passione non sia più la stessa...».
    «Noi scopiamo come due conigli!», sbottò Michael, il tono leggermente indignato e divertito assieme, interrompendolo.
    «E allora di che ti lamenti?».
    «Ben è partito. È andato a Philadelphia... solo per qualche giorno...». Michael si chiese perché lo stesse dicendo a Brian, ma quando sentì le sue dita infilarsi sotto al proprio maglione, la risposta fu ovvia. Si lasciò sfuggire un respiro pesante e tremulo. «Brian…».
    «Non ti aspetta nessuno a casa, questa notte», gli disse Brian, il tono basso e insinuante, mentre avvicinava le labbra al suo collo.
    «Perché vuoi rischiare tutto?», gli chiese inclinando la testa per dargli più spazio di manovra, tenendo gli occhi chiusi, mentre le sue dita abili gli accarezzavano il ventre contratto.
    «Perché ci siamo tirati indietro troppe volte, ma alla fine è successo comunque…», gli rispose risalendo lungo la linea della sua mandibola, arrivando a lambirgli il lobo con la punta arrotondata della lingua. «E non è stata la fine del mondo... siamo ancora amici…».
    Le mani di Michael scattarono ad afferrargli la testa e allontanarla da sé, si era appena fatto sfuggire un piccolo gemito e aveva gli occhi lucidi di desiderio, il fiato appena un po' corto. «Brian!», lo chiamò con determinazione insolita, per lui. «Eravamo ubriachi! Non è stato niente! Ma se lo facciamo adesso…», dirlo gli costava così tanto, «Tu... Tu puoi ancora aggiustare le cose con Justin!».
    «Magari, invece, voglio che tu rompa col professore», ribatté Brian, col tono più cattivo di cui era capace.
    Michael boccheggiò e lasciò la presa tra i suoi capelli, fissandolo con gli occhi sgranati. «Per vendicarti?», gli chiese in un soffio, incredulo.
    «Per tornare come eravamo all'inizio, solo tu e io…».
    Michael si allontanò un po', spingendosi indietro sul materasso, scuotendo la testa. «Non abbiamo più vent'anni, Brian. Non potrà mai più essere come una volta», nel dirlo, forse, Michael se ne accorse per la prima volta e gli occhi gli si riempirono di lacrime che cercò di scacciare sbattendo le ciglia scure.
    La mano di Brian raggiunse la sua, stringendola come per dargli conforto. «Non si torna indietro, Michael, ma possiamo darci quella possibilità che io non ho mai voluto che avessimo».
    «Tu e io?», chiese Michael, ancora incredulo. «Brian Kinney ha improvvisamente paura di invecchiare da solo? Torna a New York, Brian. Riprenditi Justin!».
    Brian lasciò la sua mano come se si fosse scottato, distogliendo lo sguardo da lui. «Perché continui a spingermi verso Justin? Una volta non ti piaceva».
    «Perché ti amo, e so che tu ami lui. Non mi piaceva quando l'abbiamo conosciuto, è vero. Forse, già intuivo che ti avrebbe portato via da me, ma è cresciuto, è persino riuscito a farti entrare un po' di buon senso in testa», Michael sbuffò. «Siete fatti... l'uno per l'altro», aggiunse con un moto di dolore.
    Brian tacque per qualche momento, un silenzio doloroso e pesante era sceso tra di loro, ma la mano di Brian era tornata a cercare quella di Michael e, questa volta, Michael strinse le dita intorno al suo palmo. «È perché lo amo che devo lasciarlo andare, Mickey... pensavo di essere pronto a farlo... Sono pronto, ma non so…».
    «Come riempire il vuoto», continuò Michael, per lui. L'immagine degli spazi vuoti di quella casa tornò vivida alla sua memoria, spazi che andavano riempiti di nuovo, perché Brian li aveva lasciati liberati per qualcun altro; aveva fatto largo nella propria casa e nel proprio cuore ad un sentimento che non sapeva di poter provare e che non sapeva come gestire.
«Se resto a dormire con te... mi prometti che non dovrò mentire ancora a mio marito?».
    Brian sbuffò. «Esiste qualcosa di più noioso della fedeltà coniugale?», chiese retorico, ritrovando un pallido sorriso.
    «Mh... i film francesi?», ribatté Michael, e Brian rise, trascinandolo sul letto. Michael fece a malapena in tempo a scalciare via le scarpe che si ritrovò Brian addosso, stretto in un abbraccio fraterno. Era troppo presto per dormire e non avevano neppure cenato, ma, mentre stringeva Brian come se potesse farsi carico del suo dolore, a Michael non importava. Lo strinse e gli baciò i capelli e rimase in silenzio con lui, immersi in un dialogo che non aveva bisogno di parole.


 


Un altro capitolo è andato. ^^
Un grazie a tutti i lettori e a skinplease, Ladyriddle e cristina qaf per aver recensito il precedente capitolo.
Come sempre, vi do appuntamento su FB! ^^
 
 

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Capitolo 4
*** Ciao, amore ***


4
Ciao, amore

 
La normalità è sopravvalutata e, con lei, lo sono tutte le cose considerate normali: la monogamia, la sveglia alla mattina, arrivare in orario ad un appuntamento… Si dà per scontato che, incasellando la vita dentro schemi precisi, filerà tutto liscio, che si invecchierà felici e contenti.
Invece, la normalità impigrisce, fa diventare abitudinari, incapaci di reagire agli sconvolgimenti improvvisi.
    Poi, un giorno, tutto cambia, senza preavviso, senza darti il tempo di prepararti, di fare la valigia e correre all'ospedale. Non è come sapere che sta per nascere un bambino, è il miracolo della vita che ti scuote, come un terremoto, come uno tsunami, come l'amore.

Il telefono era rimasto a portata di mano, tra la sveglia ed il pacchetto di sigarette, così, quando cominciò a suonare, un braccio sbucò da sotto le coperte, andando a recuperare l'apparecchio molesto.
«Chi cazzo è?», borbottò Brian, dopo aver risposto al cellulare con un gesto automatico, la voce impastata dal sonno e Michael stretto al petto come un koala.
    «Brian?», domandò la voce profonda di Ben facendolo svegliare di colpo.
    «Professore! Ma che ore sono? Com'è Philadelphia?», gli chiese, stiracchiandosi, mentre Michael, ancora insonnolito, gli si strusciava addosso, ma quando le parole “professore” e “Philadelphia” raggiunsero la sua mente, saltò a sedere, perfettamente sveglio, prendendogli il telefono di mano.
    «Ben! Ciao…».
    «Sei da Brian?», chiese Ben, con tono infastidito.
    «Sì, ieri sera abbiamo tirato tardi e mi sono addormentato qui…», gli rispose schiaffeggiando la mano di Brian che, mantenendosi sopra i boxer, tastava la sua erezione mattutina con aria professionale.
    «Beh, quanto pensi di metterci per tornare a casa? Ho perso le chiavi e sono fuori dalla porta da venti minuti».
    «Arrivo subito!», rispose Michael, chiudendo la chiamata e sgusciando fuori dal letto, mentre Brian rideva.
«Dove sono i miei pantaloni?», chiese ansiosamente, prima di infilarsi in bagno e dire, a beneficio di Brian: «Ben è a casa».
    Michael aveva dormito da Brian negli ultimi giorni. Non lo avevano deciso: era successo, era stato quasi come tornare adolescenti, quando passavano tutto il giorno assieme. Avevano mangiato pizza, guardato vecchi film in bianco e nero, erano andati a ballare e si erano addormentati uno tra le braccia dell'altro. Brian l'aveva punzecchiato, ma non era successo nulla di cui avrebbero potuto pentirsi; eppure, mentre si rivestiva, Michael sentiva crescere il senso di colpa.
    «Ti accompagno in auto», gli propose Brian, mentre sgranocchiava gli avanzi della cena del giorno prima.
    «Meglio di no. Ti chiamo dopo», Michael si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò al volo, prima di correre a prendere l'autobus.
    

Michael si sedette sull'autobus di linea e impiegò quaranta minuti buoni ad arrivare a casa. Andare a vivere in periferia era sembrata la cosa giusta, un paio d'anni prima, ma non ne era più così sicuro: c'era stato un tempo in cui avere una famiglia, una casa, era stato quello che voleva, e, nei suoi sogni, quel quadretto familiare borghese vedeva Brian nel ruolo di suo marito. Brian, però, non si sarebbe mai piegato agli schemi di una vita da pseudo-eterosessuale. Lui disprezzava tutto di quella casa, di quel quartiere, della vita che aveva scelto di vivere con Ben, e Michael aveva accettato a testa bassa perché Brian aveva scelto Justin.
    In quei due giorni, però, Michael aveva capito che non gliene fregava niente della casa, della famiglia: lui voleva Brian, lo voleva nella propria vita, il resto era solo un placebo alla mancanza dell'uomo che amava veramente.
    Mentre l'autobus stava fermo ad un semaforo rosso, guardando la case, coi loro giardini curati, oltre il vetro, Michael si rese conto di aver preso una decisione. Forse se ne sarebbe pentito, forse Brian l'avrebbe accantonato di nuovo, ma lui non era un bugiardo e non se la sentiva più di ingannare suo marito.
    Scese alla fermata vicino a casa e trovò Ben seduto fuori dalla porta, il muso lungo e le mani profondamente infilate nelle tasche. «Ben!», lo chiamò appena lo vide, affrettandosi lungo lo steccato di casa. «Ti aspettavo per domani...», si giustificò, andando ad abbracciarlo e stringendolo per l'ultima volta, prima di aprire la porta.
    «Invece sono tornato oggi».
    «Com'è andata col tuo editore?», chiese Michael senza sapere se aveva davvero il diritto di chiederglielo.
    «Bene. Anzi, alla grande, direi», gli rispose Ben. «E tu come hai passato questi giorni?».
    «Con Brian», gli rispose accarezzando il nome dell'altro, sentendo l'affetto e la colpa attorcigliarsi l'uno sull'altra, dentro di sé. «Sai... ha rotto con Justin». Non era quello il modo in cui avrebbe voluto cominciare, ma, in realtà, non c'era un modo giusto per dire a Ben che il loro matrimonio era finito.
    Ben annuì col capo, ma aggrottò le sopracciglia. «Un'altra volta?».
    Michael era a disagio sotto lo sguardo indagatore di suo marito. Sospirò. «Sì, beh, questa volta sembra che non si risolverà tanto in fretta».
    «Mh-mh», commentò Ben, seguendolo in cucina, «e come mai?».
    Michael sentì che non poteva protrarre ancora quel discorso, stava evitando la vicinanza di Ben, sapeva di avere l'odore di Brian addosso, sentiva ancora il suo calore sulla pelle e... e non avevano fatto niente, ma... «Ben, c'è una cosa che devo dirti», si decise a dire.
    «Ti ascolto», fece Ben, il viso che iniziava a mostrare una discreta preoccupazione.
    «Scusami, non ti ho nemmeno... dato il bentornato», incespicò con le parole, il coraggio che vacillava. «Avrai un sacco di cose da raccontare...».
    «No, no, Michael, dimmi quello che devi, per il resto c'è tempo. Ti vedo strano, quindi, parla».
    Michael gli diede le spalle, la valigia di Ben era in ingresso, suo marito non aveva nemmeno tolto la giacca, ancora, e lui si guardò attorno: quella non era già più casa sua. Sentiva di non farne più parte. «Nemmeno il tempo di prendere un bicchiere d'acqua», mormorò tra sé, prese dal ripiano di fronte la bottiglia dello sciroppo d'acero che Hunter doveva aver lasciato fuori dal frigo, quella mattina o la mattina prima, lui non lo sapeva dato che non era tornato a casa, da quando era andato da Brian, e la tenne in mano, nervosamente, come se, così facendo, avesse potuto addolcire quello che stava per dire. Fece un respiro profondo e alzò gli occhi in quelli di suo marito perché Ben meritava almeno che lo guardasse in faccia mentre gli rivelava la propria colpa. «Ti ho tradito», esalò tutto d'un fiato, attendendo la sua reazione.
    Passarono alcuni istanti che parvero eterni, mentre la sorpresa, la rabbia ed il dolore si avvicendarono sul viso di pietra di Ben. «Tu... cosa? Come...?».
    «Non volevo, Ben, te lo giuro…», gli disse con tono pacato, facendo un paio di passi verso di lui, ma Ben lo fermò impedendogli di avvicinarsi.
    «Non volevi? Sei stato costretto, forse? Ti hanno violentato?», chiese alzando la voce, mentre Michael scuoteva la testa. «Allora non dire che non volevi!», sussurrò, sgomento, «Sono stato via un paio di giorni, Michael!».
    «Ero ubriaco! Eravamo ubriachi! Brian…».
    «Brian!», la sua voce si impennò, l'autocontrollo che faticava a contenere la rabbia e la delusione. «Perché non mi sorprende affatto?! Ogni volta che c'è di mezzo Brian tu... tu perdi la ragione!». Alzò le braccia in un gesto esasperato, cercando di calmarsi, anche se digrignava i denti. «È qualcuno che conosco?», chiese guardandolo negli occhi, pronto a perdonarlo, probabilmente, a capirlo per l'ennesima volta. «Dimmi che sei stato attento», si preoccupò ancora per lui, prima che per se stesso, e Michael sentì un nodo chiudergli la gola. Posò la bottiglia e cominciò a giocherellare con la fede, lo sguardo basso.
    «Michael!». Il tono di Ben sembrava implorarlo.
    «È... è Brian», mormorò a voce così bassa che, per un momento, pensò che Ben non l'avesse sentito. «È Brian», ripeté più forte, e si sentì libero. Sbirciò l'espressione attonita, incredula di suo marito, la sua bocca dalle labbra sottili si contorse in una smorfia di dolore, e fu in quel momento che comprese quello che Brian non gli aveva detto, quello che Justin doveva aver capito, e la proporzione di quella consapevolezza gli diede una vertigine.
    «Ben…», chiamò, e si sfilò la fede dal dito. «Ti prego, Ben, non…» piangere, avrebbe voluto dirgli, ma le lacrime stavano salendo ai suoi occhi, mentre quelli di Ben lo fissavano ancora, carichi di dolore e rassegnazione. «Lo abbiamo sempre saputo... Io... io credevo davvero che avrei passato la vita con te, ma…», scosse il capo, non sapeva quali parole usare.
    «Ma non si può contrastare il destino, il disegno... preparato per noi dal giorno in cui siamo venuti al mondo», gli venne incontro Ben, e Michael annuì. Era uno scrittore, Ben, uno che con le parole ci sapeva fare, come Justin ci sapeva fare con i colori; Brian e lui si erano scelti due artisti capaci di cogliere la vita in ogni suo aspetto e riprodurla sulla carta, due uomini che avevano intuito molto tempo prima come sarebbe potuta finire e avevano accettato di correre il rischio, convinti, forse, di poter cambiare il destino con la forza del loro amore.
«Come farai, Michael?», chiese Ben, fermo davanti a lui, «Come potrai sopportare lo stile di vita di Brian? Come sopporterai di vederlo... scopare con chiunque, se starete assieme?».
    C'erano dolore e accettazione nella voce di Ben e Michael avrebbe voluto che gli dicesse altro, che urlasse e che promettesse di lottare per lui, ma Ben non lo avrebbe fatto, come non doveva averlo fatto Justin, quando Brian gli aveva detto di loro perché “Brian e Michael” era stato scritto e disegnato molto prima che Ben e Justin entrassero nelle loro vite e Michael sapeva che era egoistico, da parte sua, sperare che Ben cercasse di trattenerlo, quando lui se ne sarebbe andato in ogni caso.
    «Non lo so, ma... penso che affronterò un giorno per volta, un problema per volta», gli rispose con una prontezza inaspettata. Chinò lo sguardo e gli porse la fede. «Ci abbiamo provato, Ben e… ti ho amato. Ti amo ancora…».
    «Ma non come ami lui», concluse Ben, senza prendere il cerchietto d'oro che Michael gli porgeva. Sospirò, allontanandosi di alcuni passi, dandogli la schiena prima di parlare di nuovo. «Sono tornato prima per… per chiederti di venire con me a Philadelphia, perché ti volevo al mio fianco, ma… immagino che non accadrà», disse col respiro pesante, il petto che si alzava e si abbassava come se fosse sul punto di esplodere.
    «Ben…». Michael gli si avvicinò di un altro passo, ma Ben si voltò a guardarlo e Michael non riuscì a continuare. Tornò indietro e appoggiò la fede sul ripiano del lavello e, a disagio, la guardò come se volesse dirle addio. «La metto qui», gli disse. Era strano separarsi da quell'anello dopo averlo portato al dito per quasi due anni. Era stata una relazione lunga e felice, non rimpiangeva nulla di quello che aveva vissuto con Ben. «Io…» devo andare, ma non riuscì a dirlo. «Ciao, Ben», gli disse invece, lasciando la cucina e raggiungendo la porta.
    «Michael», la voce di Ben lo raggiunse prima che aprisse, si voltò a guardare suo marito per quella che avrebbe potuto essere l'ultima volta, «mi mancherai».
    «Anche tu», gli rispose, prima di uscire di casa. Non era così che si era aspettato che sarebbe andata. Non avevano nemmeno concordato cosa dire a Hunter, anche se, probabilmente, non ci sarebbe stato bisogno di dire nulla a Hunter: era troppo sveglio per non capire da sé.
    Si incamminò verso il negozio, con una malinconia leggera nel petto, simile ad una sorta di euforia contorta, come la sensazione di aver fatto la cosa giusta, anche se faceva male… e, di certo, a Ben stava facendo molto male, ed era colpa sua.



 
Note:
“Ciao, amore” riprende il titolo della canzone “Ciao amore, ciao” di Luigi Tenco 1969

Siamo arrivati al capitolo più difficile.
Nonostante Brian e Michael siano la mia OTP, adoro Ben  e lui e Michael sono una coppia perfetta, quindi, ferire Ben, farlo lasciare, mi è costato tantissimo. Avrei preferito una situazione diversa, trasformarli in una coppia più aperta, con un Michael condiviso, ma le regole del contest sono chiare e così ho fatto questa scelta... Il prossimo è l'ultimo capitolo.
Grazie a Summers84, skinplease, Ladyriddle e cristina qaf per aver commentato il capitolo precedente.
Come sempre, vi do appuntamento su FB! ^^
 

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Capitolo 5
*** La mela perfetta ***


5
La mela perfetta


Le promesse vanno mantenute, altrimenti non hanno nessun valore. Non tutti, però, possono mantenere la parola data, non è solo questione di volontà o di impegno, a volte è anche questione di fortuna.
Le promesse sono per pochi, ma quando si incontra qualcuno che mantiene ciò che ha detto, ecco, si può essere sicuri di essere davanti ad un vero uomo… o ad una vera donna. Non ha importanza, poi, con chi va a letto, quelli sono solo affari suoi.
 
«Sono una merda!», dichiarò Michael, quella sera, mentre mangiavano spaghetti seduti sul tappeto, davanti al televisore, nel loft di Brian, che avrebbe ucciso chiunque avesse macchiato di sugo il suo divano. «Pensavo che sarei stato molto peggio di così, insomma… non sto male, non come dovrei, almeno!».
    Brian rise. «Aspetta domani e vedrai».
    «Cosa?».
    «Il contraccolpo emotivo. Adesso sei ancora scioccato. Domani ti renderai conto di aver davvero lasciato tuo marito e ti sentirai di merda».
    «Cazzo!», sbottò Michael, accigliandosi. «A questo non avevo pensato!».
    Brian scoppiò a ridere. «Dall'alto della mia esperienza…».
    «Quale esperienza? Tu non hai mai lasciato qualcuno che amavi sul serio!»
    «Ho rotto con Justin, ricordi?».
    «Lui ti ha lasciato…», precisò Michael, parlando con la bocca piena, «più di una volta aggiungerei, e tu te lo sei sempre ripreso!».
    «E quindi, dall'alto della mia esperienza sulle relazioni che finiscono…», gli parlò sopra, Brian, «dico che domani starai peggio di oggi e dopodomani starai peggio ancora e il giorno dopo…».
    «Ho capito, okay, ho capito!», lo interruppe Michael, un sorriso sulle labbra, nonostante tutto.
    «Ma non ti devi preoccupare, Mickey, perché ho già la soluzione pronta», disse Brian alzandosi e spolverandosi le mani prima di prendere la giacca in pelle che aveva lasciato sul divano e affondare la mano in una tasca, traendone una bustina trasparente con, all'interno, una dozzina di pillole colorate. «La pozione magica del dottor Kinney!».
    Michael si accigliò. «Che roba è quella?».
    «Nulla di pericoloso, sta' tranquillo e lasciati andare, per una volta». Brian si sedette di nuovo e aprì la bustina, traendone un paio di pasticche, ma Michael allungo le braccia verso di lui, togliendogli dalle mani bustina e pastiglie.
    «No!», disse risoluto.
    «Sei noioso, Michael. Forse dovresti tornare dal professore. Secondo me ti riprende», sbuffò  appoggiando la schiena al divano, ma Michael, gettata a terra la bustina col suo contenuto chimico, gattonò vicino a Brian.
    «Non voglio tornare da Ben».
    «Non vuoi drogarti, non vuoi scopare, non vuoi tornare da tuo marito… cos'è che vuoi? Lo sai, almeno?».
    «Voglio che il mio migliore amico mi dia una spalla su cui piangere, domani, quando mi renderò conto di aver perso Ben e voglio che…», incespicò, imbarazzato, «che mi ricordi perché ho gettato alle ortiche il mio matrimonio».
    «Perché sei un coglione?», gli chiese Brian, serio, facendolo ridere.
    «Anche per quello, certo… e perché ti amo».
    Brian sospirò platealmente. «Cazzo!», esclamò guardando il soffitto. «Se ti trasformi in una lesbica, giuro che non ti faccio dormire nel mio letto!».
    Michael ricominciò a ridere, forse un po' istericamente: il tracollo emotivo stava cominciando e aveva lasciato Ben solo da mezza giornata. Si accoccolò vicino a Brian, ridendo, incapace di controllarsi, anche quando Brian gli avvolse le spalle con un braccio e appoggiò la testa alla sua, i loro volti simili a due maschere teatrali: la malinconia di Brian e l'allegria di Michael. Erano di nuovo ragazzi, erano di nuovo soli contro un mondo di etero del cazzo pronti a ferirli e, quella notte, si strinsero insieme, nel letto di Brian, sotto il piumone che li avvolgeva come un bozzolo, fino a quando la risata di Michael si sciolse in lacrime e la tristezza di Brian trovò la propria cura nei baci che toglievano il fiato e nelle lunghe carezze che portarono entrambi al piacere.

«Se non vuoi darmi il culo, stanotte dormi sul divano», esordì Brian, la mattina dopo, mentre faceva colazione e il telefono di Michael prendeva a squillare.
    Michael uscì rapidamente dal bagno, con lo spazzolino da denti in mano, i pantaloni ancora sbottonati, ed uno dei maglioni neri di Brian, troppo grande per lui, a coprirgli il torace, ma la chiamata terminò prima che riuscisse a raggiungere il cellulare. «Cazzo!» imprecò controllando tra le chiamate perse e impallidendo non appena il numero comparve sul display. «Brian…», pigolò.
    «“Brian” un cazzo, Mickey. Se pensi che io resti in astinenza mentre tu e il tuo pisello fate pace, ti sbagli di grosso…», si lamentò Brian, scoccandogli un'occhiata minacciosa.
    «Era mia madre!», disse Michael, e, come se fosse stata evocata, il telefono ricominciò a suonare ed il numero di Debbie ricomparve sullo schermo illuminato. «Che devo fare?».
    «Rispondile, no?», disse Brian, mentre si infilava la giacca su un altro maglione nero, che a lui stava decisamente meglio.
    «Ma se ha saputo…?».
    Brian coprì la distanza che lo divideva da Michael in pochi, lunghi passi, gli tolse il cellulare di mano e rispose.
    «Piccolo stronzo ingrato!», tuonò la voce di Debbie, «Che cazzo significa che tu e Ben vi siete lasciati? E perché ho dovuto saperlo da Hunter?».
    «Ciao, mamma», rispose Brian con nonchalance, mentre Michael, lo spazzolino ancora in mano, sgranava gli occhi, incredulo, «sono felice anche io di sentire che stai bene. Anche Michael sta bene e ora dovrei accompagnarlo a lavoro», guardò con occhio critico i suoi pantaloni ancora aperti, «appena finisce di vestirsi, intendo, e poi andrei a lavorare anche io, se non hai nulla in contrario».
    Michael lo fissava col terrore negli occhi; riusciva a sentire ogni parola della madre e non poteva credere al modo in cui Brian le stava parlando.
    «Brutto stronzo! Passami mio figlio, Brian. Con te farò i conti dopo!», sbraitò la donna. La sua voce era così acuta che perforava i timpani e Michael avrebbe voluto avere una sedia a portata di sedere, ma in sua mancanza, si aggrappò al braccio di Brian.
    «Sei ingiusta, Debbie, lo sai che ti amo come se fossi mia madre! Ora ti passo Michael», rispose lui, sogghignando alla reazione dell'amico.
    «No! No! No!», supplicava Michael, cercando una via di fuga, ma Brian gli accostò il telefono all'orecchio e i suoi borbottii si trasformarono in un tremolante «Ciao, mamma».
    «Michael, ma che cazzo ti passa per la testa? Lasciare Ben! Hai dato di matto, per caso?».
    «No, mamma… io… sto vedendo un'altra persona, adesso», le disse, un po' incerto, guardando negli occhi Brian, cercando di capire se quelle parole potessero andare bene o se avrebbe avuto da ridire.
    «Un'altra persona? Che persona? Michael?».
    Lo sguardo di Brian era sereno, le sue belle labbra si erano stese in un piccolo sorriso e Michael trovò un po' di coraggio. «Sai già chi è, mamma. Lo sai da sempre».
    «Cosa?», chiese Debbie e, per qualche memorabile momento restò in silenzio. Michael riuscì ad immaginarla che si portava una mano al petto. «Cristo! Michael, non stai dicendo quello che penso, vero?».
    «Sì, mamma», le rispose lui e sentì le labbra allargarsi in un grande sorriso. «Lo amo, mamma». Rise alla smorfia che Brian fece e si alzò sulle punte dei piedi per baciarlo, senza badare alla predica che Debbie continuava a fare.
    Brian lo strinse, baciandolo fino a togliergli il fiato, continuando a reggere il telefono nella mano libera e, quando si staccò da Michael, se lo portò all'orecchio mentre Debbie continuava a protestare. «Debbie, sono di nuovo Brian. Forse spezzerò il cuore a tuo figlio, ma Michael e io vogliamo provarci, e ti prometto che farò del mio meglio perché non succeda, perché, alla fine, ho capito che è inutile opporsi al destino e che, se quello che ci lega è durato per tanto tempo non finirà così facilmente. Non so se è quello che la gente definisce amore, ma per me lo è», le disse con tono serio, mentre accarezzava col dorso delle dita la linea ruvida di barba della mascella di Michael che non riusciva a credere ai propri orecchi. «Ora, se vuoi scusarci, credo che Michael e io non andremo a lavorare, oggi. Spegneremo i cellulari e non risponderemo al citofono se qualcuno avesse la pessima idea di venire a romperci le palle. Magari, una di queste sere verremo a cena da te e potrai dirci quanto siamo incoscienti e pazzi e tutto quello che vuoi, ma ora abbiamo un impegno improrogabile. A presto». Spense il cellulare e attirò di nuovo Michael a sé, baciandolo fino a fargli cedere le ginocchia.
    «Cosa vuoi fare?», gli chiese Michael appena si fu staccato dalle sue labbra per prendere fiato, la voce tremante, e gli occhi umidi di emozione.
    «Quello che ho detto a tua madre», gli rispose togliendogli lo spazzolino di mano e lanciandolo sulla penisola, prima di sfilarsi la giacca dalle spalle e trascinarlo in camera da letto.
    Michael era troppo euforico per replicare, ancora incredulo e troppo felice per quello che Brian aveva detto a sua madre, e si sentì arrossire come uno scolaretto mentre precipitava sul letto e Brian gli calava sopra, fermandogli i polsi al lato della testa, con un'espressione predatoria sul volto.
    «Oddio!», esclamò, col cuore in gola. «Stiamo per farlo veramente?».
    «Fai sempre tante domande, prima di scopare?», gli chiese Brian, più interessato ad arrivare al sodo della faccenda.
    «È che sono agitato», si giustificò Michael.
    «Dovrò fare di te un frocio degno di questo nome, Mickey!», gli disse, quasi fosse una minaccia e, prima che Michael potesse ribattere, calò su di lui, baciandolo con foga, cogliendolo impreparato all'assalto della sua lingua. Un sussulto improvviso fece inarcare Michael, ma il corpo solido di Brian lo premette di nuovo giù. Era un bacio affamato, con più saliva e più denti e più lingua di quanto ricordasse ce ne fossero mai stati. Improvvisamente, tutto quello che esisteva, intorno a sé, era Brian: le sue mani, il suo calore, la sua bocca, i suoi denti che gli graffiavano la gola. Persino la lana morbida del maglione che ancora lo avvolgeva era Brian e quel letto su cui, finalmente, sarebbero stati quello che erano destinati ad essere.
    Sentì l'incastro perfetto dei loro corpi, l'eccitazione di Brian che premeva contro il tessuto dei suoi pantaloni era solida e concreta contro la sua, e Michael si lasciò andare a quel desiderio represso per troppo tempo, sollevò le braccia perché Brian lo spogliasse e poi gli sollevò il maglione, accarezzandolo, come se l'avesse sempre fatto. La pelle di Brian era così calda che incendiava la sua e Michael non era mai stato tanto eccitato in tutta la sua vita. Brian strattonò verso il basso i suoi pantaloni e poi si liberò dei propri, tornando a chinarsi su di lui, a baciarlo e a scoprire, finalmente, ogni dettaglio del suo corpo. Questa volta i fumi dell'alcool non avrebbero ottenebrato il ricordo e quello sarebbe stato solo il primo di una lunga serie di momenti che avrebbero vissuto assieme.
    Quando Brian lo fece girare, baciandogli e mordendogli il collo, mentre lo preparava, e quando entrò in lui, spingendo con decisione e riguardo, facendo attenzione alle sue reazioni, Michael ebbe la sensazione di aver trovato il proprio posto nel mondo, di essere a casa per la prima volta, e quando Brian lo strinse, iniziando a muoversi con lui, dentro di lui, venendo col suo nome sulle labbra, Michael seppe che, finalmente, erano completi e che Brian avrebbe mantenuto la sua promessa.
        



Anche questa storia è finita.
Vi ringrazio tantissimo per averla letta e commentata, per avermi seguita anche se non amate Michael e non lo volete assieme a Brian, in particolare, ringrazio Ladyriddle, cristina qaf e skinpleas per aver commentato ogni capitolo e vi prometto che la prossima storia sarà una Britin… più o meno (no, niente Michael tra i piedi, solo le loro abitudini da coppia aperta).Ho scritto solo 6 capitoli e sto ancora considerando se lanciarmi nel mio primo crossover, quindi abbiate pazienza; spero di pubblicare questa nuova storia tra qualche mese, ma, per ora, a malincuore devo prendere una pausa da questo fandom: ho troppe storie in piedi e devo concluderne qualcuna.
Nel frattempo, vi e mi auguro di leggere tante nuove storie e di veder rifiorire questa sezione del sito.
Ricordo a tutte quelle che hanno un account Twitter il party del 6 Dicembre per chiedere la reunion della nostra serie preferita e vi do, come sempre, appuntamento su FB per aggiornamenti e chiacchiere.

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