Sober

di Sux Fans
(/viewuser.php?uid=54828)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 09 ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. ***


 

1.

L'odore di caffè cominciò ad impregnare l'aria della cucina dolcemente, lasciando che i pensieri di Jillian si rilassassero e che venissero interrotti a malapena dallo sbuffo della macchinetta, in quella che era la prima mattinata primaverile del 2011. Erano passati ben otto anni da quando era andava via da casa dei suoi per seguire una strada ancora indefinita, e adesso, come grande ritorno, aveva tenuto conto di un monolocale che distava appena un paio di miglia dal centro.

Che strano, era tornata una donna anziché una ragazzina e adesso sentiva solo un forte timore. I suoi non sapevano di questa sua decisione, non si era impegnata di avvisare parenti o di ritrovare amici, e l'unica cosa di cui era certa era che non sarebbe stata la prima cosa a cui avrebbe pensato. Probabilmente era ancora tutto uguale, o forse avrebbe trovato qualche screzio fra quelli che erano i suoi ricordi e quella che sarebbe stata la realtà di adesso.

Dovette sbrigarsi a spegnere la fiamma del fornetto e a rinsavire dai suoi pensieri quando si accorse che stava combinando uno dei suoi soliti disastri e che oramai andava ripulito tutto.

Sbuffò. Una prima complicazione era sempre ben attesa. Mangiucchiò qualche biscotto poi si riempì la tazza di caffè, allontanandosi solo dopo nell'altra stanza a piedi nudi, facendo ben attenzione ai cocci di vetro che dalla sera precedente risiedevano ancora al pavimento del salottino antecedente la stanza da letto.

I suoi effetti personali erano ancora alla rinfusa, i vestiti disordinati e qualche piccolo accessorio distribuito in giro. Non era il momento giusto per una buona pulizia, ma cercò di rimuovere più cose possibili per permettersi un po' di spazio in più, procurandosi qualche ricambio per l'inizio giornata.

Quando l'acqua della doccia cominciò a gettarlesi contro, i capelli ramati le si incollarono alle spalle, costringendola a chiudere gli occhi e a passarsi le dita nel mezzo per districarli appena. Probabilmente per cancellare via tutto lo sporco che si sentiva addosso quello era l'unico modo alla quale aveva pensato, ma forse non era neanche abbastanza.

Cosa le avrebbe offerto nuovamente Huntigton Beach era difficile da dire; niente, oppure tutto. Ricominciare si equilibrava perfettamente alla sua voglia di uscire dal caldo tepore del vapore che si appiattiva alle porte della doccia, quindi pari a zero, perché questa sarebbe stata un'altra esasperante volta in cui avrebbe tentato di farlo. Forse il suo ideale di quotidianità non esisteva, e probabilmente stava cercando troppe volte di modificare quello che invece era destinato a lei. Oppure ancora, aveva fatto fin troppi sbagli alla quale adesso era impossibile porre un rimedio duraturo.

Lasciò scivolare via tutto il sapone dal proprio corpo e si coprì con un asciugamano quando ne uscì, sbrinando lo specchio del bagno con il palmo della mano per spiare l'immagine riflessa: aveva uno zigomo un po' gonfio e qualche lividura sul braccio destro, ma tanto non era ancora periodo afoso; avrebbe avuto il tempo di rimarginare tutto.

La musica alla radio attirò la sua attenzione e di diresse nell'altra stanza distrattamente, tamponando la lunga chioma e spettinandola con le mani.

-Il nuovo singolo degli Avenged Sevenfold portato in studio oggi per la prima volta in quest'anno. Si prevede la fine dell'album per questa nostra estate e magari avremo la possibilità di un primo ascolto a breve. Che ne dici, Steve? Dopo la disgrazia avvenuta ed un primo discorso di resa da parte del gruppo, gli Avenged Sevenfold sembrano aver....-.

Già, una vera disgrazia. Era venuta a sapere della morte di Jimmy tramite i giornali e le pagine web due anni prima, eppure non aveva avuto il coraggio di tornare in quell'occasione. Quindi era rimasta così, a rivivere il dolore miglia distante.

Lo squillo del cellulare partì all'improvviso e Jillian sussultò. Lo schermo del display si illuminava ininterrottamente per svariati secondi, finché non lo afferrò per rispondere.

-Hei Jill, sono Brian. Buon compleanno! -

 

 

[...]

 

Ho ripreso Sober in modo completamente diverso e ripartendo dall'inizio. Ho intenzione di lavorarci di più e vedere la perseveranza per questo lavoro a cosa mi porterà. Conto di migliorare e di tornare a scrivere quotidianamente come anni fa, questo è l'obiettivo principale, e qualcosa che mi solleciti più del dovuto sarà sicuramente questo.

Il prologo è molto breve, descrittivo, è una sorta di “preparazione” per il lettore per capire bene i punti del rapporto introspettivo della protagonista. Altri punti si sveleranno comunque da soli, e dato che mi sto prolungando troppo anche qui, saluto!

Ringrazio gli A Day to Remember per il supporto musicale.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***



2.

Aveva scostato la sedia per accomodarsi e cosparso il tavolo di pile di fogli, probabilmente senza concentrarvisi più di tanto fino a che non smise di distrarsi con il cellulare slittando con il dito fra i messaggi. Nonostante fosse solo mezzogiorno, la sala era soffusa di una luce tenue e chiuse le finestre non dava idea precisa del tempo passato lì. Brian sbadigliò, probabilmente la notizia delle ultime ventiquattro ore lo avevano resto troppo agitato per dedicarsi un po' di riposo ed eccolo che ancora doveva leggere il nuovo contratto per usufruire della sala di registrazione. Scartoffie. Era certamente meglio pagarsi un avvocato.

A pensarci bene ne aveva uno già molto bravo alla quale rivolgersi. Lo aveva tirato fuori dall'arresto quando lo avevano beccato in stato di ebrezza e coinvolto in una rissa a fare a botte con dei scalmanati. Ma che razza di lavoro è fare l'avvocato? Una vera noia. Probabilmente anche un avvocato ne chiama un altro se finisce nei guai bevendo un po' di troppo, altrimenti saprebbe anche come difendersi da solo.

Sperava davvero di non doversi mai confrontare con uno di quelli allora.

-Qui ho finito, chiudi tu? - Matt aveva la voce impastata dal boccone di pizza che masticava, voltandosi poco dopo verso l'amico che ancora non gli degnava risposta.

-Oi, Bri. - Brian si voltò con sorpresa, come se avesse perso tutto il tempo con la testa fra le nuvole.

-Eh? Ah, sì, sì, tranquillo. Mi dileguo anche io. - Disse stiracchiandosi e tremando la voce per un nuovo sbadiglio. L'altro di tutta risposta prese il berretto dal tavolo posandoselo in testa, leccò via l'unto dalle dita e gli poggiò l'altra mano sulla spalla per salutarlo.

-Non studiare troppo quelle carte che poi mi diventi scemo. - Brian accennò un sorriso e si allungò appena a dargli uno scossone ancora da seduto.

-Ma ancora devi andartene a cagare? - Posò documenti e spartiti dirigendosi insieme all'amico verso l'atrio della sala di registrazione, con le luci soffuse e pronti alla chiusura, mentre ancora ridacchiava prendendolo in giro.

-Dove sono qui altri? - Matt alzò le spalle alle sua domanda, in un gesto ovvio.

-A dormire. Come avresti dovuto fare tu. Ieri abbiamo festeggiato per il singolo e tu non c'eri. Stasera andiamo a bere qualcosa?- Chiese l'amico. Tirò su la zip della giacca e infilò le mani in tasca.

-Non saprei, ho ancora del lavoro da fare con quella roba.- Si sentì Matt chiudere la porta e Brian lo attese, poco dopo gli si affiancò e riprese.

-Io lo so che problema hai e di certo non per il contratto. Lo abbiamo fatto altre decine di volte! - Matt rise e le fossette gli illuminarono lo sguardo da volpone. Brian roteò gli occhi stralunato; voleva rompere con qualche nuova trovata.

-Se mi ripeti che è ancora quel vecchio problema della macchina io..-

-Sentire Jillian ieri ti ha fatto venire un colpo. - Matt lo interruppe e continuò a camminare mentre l'amico si zittì.

-Stai scherzando? Sono stato io a chiamarla, ero solo molto contento. -

-E' stato un colpo per tutti sapere che è di nuovo ad Huntington, non devi mica giustificarti. - Il moro gli lanciò un'occhiataccia e svoltò l'angolo di Downtown Street insieme all'amico.

-Saranno passato dieci, undici anni? Magari è anche più brutta di prima. - Scoppiarono a ridere.

-Con quei capelli rossi e sempre arruffati e gli occhiali enormi sopra tutte quelle lentiggini. - Matt sospirò.

-Io la trovavo carina nonostante fosse buffa. - Brian non rispose e si guardò intorno.

-Ma dove cavolo hai la macchina? -

-Perché, vuoi un passaggio? - Brian annuì.

-Allora è un altro isolato, l'ho lasciata nel distretto. - Brian sbuffò e riprese a camminare.

-Se fossi stato avvocato ti avrei trascinato in causa. -



Forse no, dieci anni erano troppi, magari otto o nove; fatto sta, che l'anno scorso non era qui a salutare per l'ultima volta Jimmy. Gli era mancata, come era mancata a tutti, e solo ora faceva ritorno al paese d'origine.

Certo la California non era per i problematici, e dato che Jillian non aveva mai voluto vivere da artista questo posto magnifico non era adatto a lei. Era troppo grande, era troppo vivo, mentre lei era sempre stata chiusa, ristretta. Più ci andava piccola nelle cose e meglio era, più le si curvava la schiena e più era contenta. Brian non capiva perché l'avesse lasciato e perché non si fosse abbandonata a lui quando le aveva dedicato tutto il suo aiuto.



L'auto si fermò nell'ingorgo di Ocean Street e sorseggiando caffé Matt bussò pesantemente al clacson.

-Maledetti ciclisti, lo fanno apposta. - Brian di tutta risposta non se ne accorse, rimase a guardare fuori con i gomiti poggiati allo sportello intravedendo la strada. I semafori dell'incrocio lampeggiarono di rosso ed una lunga linea di puntini gialli si accostò meticolosamente mentre il via vai di persone traghettava la lunga trafila con foga per il lavoro. Ma Brian non si accorse neanche di quello. Guardò l'orologio da polso e si drizzò d'un tratto.

-Lasciami qua, ho un appuntamento! - Matt quasi sputacchiò il caffé quando lo vide aprire la portiera.

-Ma dove vai? Sono imbottigliato in mezzo alla strada! - Si rigirò sul sedile e lo vide circondare la macchina e slittare fra quelle in fila nelle corsie.

-Lo so, fratello, grazie. Ti devo un favore! - sveltolò un braccio a salutarlo, ma la corsa frenetica lo coinvolse e s'incamminò spedito dall'altra parte della strada. Il parco cominciava ad appena due isolati, ma avrebbe finito per essere in ritardo se avesse aspettato ancora lì per molto.

***


Otto anni non hanno cambiato Huntington. Era tutto esattamente come una volta, le persone di una volta, le stesse usanze. Jillian era partita una ragazza e tornata una donna, aveva un nome ed era tornata con un altro, se sarebbe riuscita a prendere la vita diversamente da una volta non poteva saperlo però. Era troppo agitata quella mattina, non sapeva se aveva fatto la cosa giusta e non sapeva cosa aspettarsi da questa rimpatriata.

Quando aveva sentito la voce di Brian per telefono gli era venuto un sussulto, quasi non sapeva come rispondere e come ringraziare, e quasi era come trovarseli di fronte dopo tanto tempo. Dio, che cosa avrebbe raccontato? Che cosa era stata la sua vita finora? A cosa aveva aspirato di meglio in quegli anni? Era solo un involucro vuoto di donna, si sentiva un sottilissimo strato di pelle in un'aura funerea.

Non aveva neanche rivisto ancora i suoi genitori, probabilmente adesso avevano anche raggiunto la sessantina e vivevano tranquilli a Santa Barbara mentre quel vecchio burbero tornava tardi dal giocare a golf. Li aveva sentiti certamente qualche mese prima e Jillian sorrise, nessuna conversazione in particolare, soltanto un lievissimo imbarazzo e disagio con quella madre timida.

Sfilò gli occhiali rettangolari e si strofinò gli occhi stanca per la lettura, richiudendo il libro solo poco dopo e risistemandolo in borsa alzò lo sguardo verso la strada. Da quando era andata a sistemarsi al parco la zona si era popolata di più, con il solito via vai frenetico ed il rumore degli schiamazzi nell'aria.

Ma non c'era problema, le tenevano compagnia e nel frattempo avrebbe smesso di pensare al resto della sua adolescenza. Anzi, pensava di visitare la spiaggia, magari si sarebbe ricreduta e le sarebbe piaciuto più tardi distrarsi un po' con..

-Jillian? - La donna chiuse gli occhi forzatamente e bloccò il respiro, forse credendo che così facendo sarebbe potuta scomparire in un soffio. Ma così non sarebbe stato. Era già arrivato quel momento? Era già lì? Eppure non era pronta. Nessuno l'aveva avvisata! Quando riaprì gli occhi prese un breve respiro e si alzò dalla panchina, acconciandosi il jeans con le mani in modo nervoso per prendersi qualche attimo. Quando si voltò la fissava immobile a pochi passi alle sue spalle, con le braccia penzoloni contro i fianchi ed il fiato corto, con la fronte sudata ed i capelli un po' lunghi attaccati al collo. Lei alzò un angolo della bocca e una mano in segno di saluto, abbassando lievemente lo sguardo ed i suoi occhi verdi.

La cenere della sigaretta che gli si stringeva intorno alle labbra si consumò fino a cadere a terra, mentre la prendeva fra le dita smaltate di nero con ancora un espressione sorpreso.

-Wow.. dovrei chiederti un autografo adesso. - Brian non l'ascoltò e la raggiunse dopo quegli attimi imbarazzanti di silenzio con qualche passo lento.

-Hei.. - disse ed il fumo gli uscì dalla bocca condensandosi fra i visi senza contare le parole di prima.

-Sei qui da molto? - Jillian sentì l'odore di Marlboro.

-Sì ma.. avevo altre cose da fare, quindi... non è stato un problema. - troppe pause, troppe attese, troppe paranoie aveva avuto in quegli attimi.

-Certo. Sei qui dopo tanto tempo, chissà quante cose hai da fare .. - Jillian non ribattè e dovette alzare il viso per riuscire a guardarlo. Aveva grandi occhi color nocciola e una linea di matita nera e sbiadita. Ancora non aveva imparato a metterla come di deve eppure gli dava una bell'aria da cattivo ragazzo. Peccato che lei lo conoscesse anche fin troppo bene e sperava non fosse cambiato. Non quanto lei.

Seguirono altri minuti, la stessa conversazione che sembrava aver tenuto all'ultimo colloquio di lavoro.

-Come stai? - esclamarono forte all'unisono per l'imbarazzo, poi una risata di disagio. Jillian tirò giù le maniche della felpa e Brian rivide in lei gli stessi gesti di anni prima. Non era una sconosciuta, non era una donna diversa da quella che abitava i suoi ricordi.

-Che stupido! - Gli sentì dire e attirò improvvisamenre la sua attenzione.

-Abbracciami. - mormorò con la voce rotta, stringendola con un abbracciò che la sovrastò e la lasciò vibrare di vitalità.

-Abbracciami per tutti questi anni. -





[..]

So per certa che è stato il momento più difficile per riuscire a scrivere, anche per essere stato un capitolo piuttosto complesso. Complesso perché volevo forti emozioni per questo incontro che mi teneva sveglia la notte pur di immaginarlo, e spero proprio proprio proprio di esserci riuscita. Il nucleo speciale verrà col tempo e mi renderà molto spietata continuare a scriverlo e a condividerlo. Le attese non saranno lunghe come queste, perché altrimenti sarà difficile per tutti tenere il passo. Soprattutto per me.


Ringrazio moltissimo SynysterIsTheWay e WDWEmble3 per le recensioni positive al prologo e chi ha aggiunto la storia fra le seguite, ricordate e preferite.


See you- Sux

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


3.

Valary Sanders, capelli platino, nasetto all'insù, sgomberava velocemente il cortile dai vestiti lasciati ad asciugare, mentre l'auto del marito sembrava imboccare lì per lì il viale per rincasare. Era molto rincuorante per lei in quel momento visto la piega che sembrava aver preso il tempo, ma forse, sotto sotto, era quell'aria di tensione che si avvertiva anche in casa, spessa come la lama di un rasoio, che in quei giorni le avevano lasciato non pochi grattacapi per la testa. Non poteva negare a se stessa la convinzione che i ragazzi del gruppo stessero cercando di rimettersi in gioco con un entusiasmo che in realtà non esisteva. Ma quello che Matthew riusciva a fare meglio, aihmè, era sempre negare l'evidenza con un gran bel sorriso. Ma infondo lei lo sapeva che incidere questo nuovo disco era un errore. Era rientrata nell'argomento molte volte, eppure mai era riucita a concludere con un suo pensiero. In casa Sanders il discorso veniva abolito ed era vietato riprenderlo, per il semplice fatto che lui odiasse non avere ragione. Tipo come ammettere che nel vortice di questa sua redenzione stava trascinando i suoi grandi amici.

-Mio Dio! - sentì urlare in modo grottesco, incitandolo con una mano a sbrigarsi a raggiungerla sotto la tettoia di casa quando gli sentì sbattere la portiera del fuoristrada. Valary lo vide arrivare correndo verso di lei a grandi passi, slittando fra le pozzanghere del giardino e tenendo su il cappotto semiaperto fino alla testa per ripararsi dalla pioggia.

-Hai visto che acquazzone improvviso? Per strada non si vedeva più nulla! - la donna lo aiutò a togliersi la giacca fradicia e sorrise per la sua faccia impallidita, interrompendo il rumore della pioggia che scrosciava alle spalle chiudendo la porta.

-Come è andata oggi in sala? - raggruppò di nuovo gli abiti fra le braccia e si diressero in cucina mentre smetteva di guardarlo.

-Stiamo sistemando gli strumenti, ma proprio stamattina si sono presi tutti una pausa. C'è dell'altro caffè? ... - Gliene versò in tazza vedendolo aprire il frigorifero per cercare qualcosa da mettere sotto i denti, riposando poi il termos al suo posto.

- ... A parte Brian. E' rimasto con me fino a poco fa. - Sorseggiò del caffé e si passò una mano fra i capelli un po' umidi poggiandosi alla cucina. Valary alzò lo sguardo verso Matt e si accomodò alla penisola della tavola.

-Davvero? E perché lui era lì allora? - Il giovane fece spallucce.

-E dov'è adesso? -

-Ha detto che aveva un appuntamento. -


***


-CORRI!! - Jillian corse più veloce che potè, stringendo i pugni e mozzandosi il fiato. Ansimando, tossendo e slanciandosi quanto più fosse possibile per lei ed il suo corpo esile. Si strinse il più possibile alle mura del palazzo, si appiattì, sentì il freddo del granito entrarle nelle osse, rabbrividì vergogniosamente evitando di scoprire la testa dal cappuccio della giacca poi vide Brian imboccare in tutta fretta una stradina e lo seguì a ruota, tenendo la testa bassa per impedire ancora i freddi schizzi d'acqua sulla faccia freddi come schegge di ferro. Da quanto stessero correndo era difficile da stabilire, ma sicuramente sembrava da molto, molto tempo. Brian era stato premuroso e quando il cielo aveva incominciato a scatenarsi su di loro l'aveva guidata per dirigersi in tutta fretta altrove. Almeno per raggiungere il centro abitato. Dall'altra parte della strada il fruscio degli alberi era assai meno chiaro e con velocità sentiva anche affievolirsi il forte odore di terriccio ed erba bagnata, che si era comunque invece infangata sulla punta degli stivaletti prepotentemente. I fanali delle macchine si piantarono su di loro e Jillian sussultò per i suoni assordanti dei clacson, con la forza obliqua di una pioggia battente sul loro capo e del rumore scrosciante sull'asfalto. Qualche luce cominciò a farsi nitida ed i suoi occhi si strizzarono per lo sforzo, quando dalla punta del suo piccolo naso una goccia cominciò a scivolarle giù, distratta dallo spavento.

-Togliti di lì! - Jillian zittì alle imprecazioni di un uomo della quale non scorse i lineamenti dall'altra parte del parabrezza e rinvenne sentendo le dita di Brian che si intrecciavano alle sue senza essersene accorta.

-Vieni via dalla strada. - la trascinò con sè e si spostarono in gran fretta appena il cappuccio le ricadde sulle spalle, lasciandola in balia di forti brividi, brividi che avvertì solo dopo, lungo la schiena e fra le labbra. Quando lo vide fermarsi in un punto al riparo si rilassò appena, rantolò semipiegata sulle ginocchia per riprendere fiato e si strinse nelle spalle per il freddo, tossendo.

-Wow, tutto questo non ci voleva proprio. E' stato imprevedibile. - Lo sentì e rise.

-I-io non sopporto la pioggia. - Tremò per il freddo, poi sospirò guardando il fiato addensarsi davanti al viso.

-Sì, lo so. Spero solo non ne avrà per molto, altrimenti sarà un problema tornare a casa. - Tirò fuori dalla giacca di pelle un pacchetto di Marlboro e ne sfilò una sigaretta per portarsela alla bocca.

-Ne vuoi una? Ti scalderà. - Jillian diniegò e sentì solo il rumore dello zippo accendersi e poi chiudersi. Il moro aspirò una boccata di fumo e la gettò via dischiudendo le labbra che Jill continuò a tenere d'occhio.

-Che ti è preso prima? Sei rimasta impalata per strada. - Jillian dall'imbarazzo negò, non sapendo neanche cosa rispondere ad una cosa così stupida che era accaduta.

-Sì, io, cercavo di riprendere del fiato! Che cosa stupida! - Si passò una mano sulla faccia e passò qualche tempo.

-Se non sbaglio eravamo rimasti al fatto che abitavi poco lontano da qui, o sbaglio..? - La giovane dai capelli ramati annuì e lo vide poggiarsi al muro con un piede issato. Brian la notò: con quei capelli arruffati dalla pioggia e le lentiggini sopra al naso le ricordava benissimo la ragazza che riviveva la sua adolescenza, nessuna nuova donna tornata dal passato.

-Sì. Un paio di isolati. E' un quartiere ben abitato, molto traquillo e per la prima volta ho un vialetto abbastanza largo per la macchina. - Rise e abbassò gli occhi. Il giovane annuì e fece lo stesso.

-Hai trovato lavoro? -

-Sono andata a qualche colloquio, spero che richiameranno. -

-Stai ancora pensando di fare la giornalista? - La vide alzare le spalle con riluttanza.

-Davvero ricordi che volevo fare la giornalista? - rimase sopresa e per un attimo scoppiò a ridere per la meraviglia. -Penso che ora come ora non valga poi tanto. - Zittì qualche minuto poi riprese. Magari non era idea migliore insistere.

-Non vale la pena rinunciare, magari l'occasione la trovi. - Quando si voltò a guardarlo lo vide aspirare un'altra boccata di sigaretta.

-Sei rimasto il solito sognatore. - Gli vide fare una faccia buffa e sorridere.

-Non si cambia mai. - Quando lei ricambiò il sorriso tornò serio e con qualche minuto ad ammortizzare la sua tensione risprese a parlare.

-Come sta Mark? - Jillian batté le ciglia più volte e si guardò intorno sospirando. Quanto poteva essere premuntuoso in quel momento? Cosa voleva fare? Vide fra le sue sopracciglia una ruga di disappunto, nonostante volesse comportarsi tranquillamente lei sapeva che aveva qualche cosa da nascondere e che stava covando.

-Bene. Credo che il Connecticut gli andasse stretto per il suo carattere aperto, adesso sta meglio. - Brian inserì la sigaretta a rovescio nel palmo e tirò un paio di volte poi annuì.

-E Michelle? Come sta? - Lo sentì deglutire poi asserì di nuovo. Era diventato automatico adesso sventolare quella testa.

-Stanno tutti bene. Hanno tutti voglia di vederti. - La vide a disagio e si diede una regolata dal fissarla troppo intensamente.

-Sono contenta, credo di aver già dato troppo scalpore. - Non puoi tornare indietro e sconvolgere la vita di tutti appena ti fa comodo. Non puoi lasciare che otto anni si possano colmare da soli. Con due dita gettò lontano il mozzicone e un'ultima nuvola di fumo soffiò via dalle labbra del ragazzo. Solo adesso Jillian si era accorta dei capelli neri che gli si erano attaccati ai lati del viso e vide mentre se li spostava distrattamente con le lunghe dita callose. Dita da musicista.

-Non pensavi mica di passare inosservata dopo tanto tempo? - Riecheggiò una risata un po' amara, facile da interpretare per Jillian. Il moro si sporse verso il vialotto per osservare l'andare del tempo, che sembrava scatenarsi alquanto, poi alzò le spalle distrattamente.

-Almeno sembra che avremo altro tempo per parlare. Spero che ti faccia piacere. - Sorrise e si sedette sul bordo dei vasi di terracotta che dividevano due stradine al coperto da tendoni; molto probabilmente era lo spazietto esterno di un bar. E dall'altro lato due divisorie in legno con dei rampicanti ornamentali, molto orientale. Jillian gli fece compagnia e scostò la chioma di capelli impiastricciata ed irrecuperabile.

-Non penso che mi avresti lasciata andare finché non ti avessi raccontato tutto comunque, no? - Qualche auto faceva il suo ingresso in strada puntando i fanali contro di loro, poi slittava lungo il viale incurante.

-Già, non hai tutti i torti, ma penso ci siano cose alla quale non sapresti rispondere neanche tu. - La vide umettarsi le labbra, bastonata dalle sue parole probabilmente, quindi con un lungo respiro continuò.

-Tipo, come fai ad avere comunque capelli così indecenti? - esclamò ridendo, afferrando una ciocca fra le dita con delicatezza vedendo come cominciò a fissarlo con sorpresa.

-Cosa? - Il suo sguardo era meravigliato ma non poteva rinunciare a sorridere.

-No, davvero, non ho mai visto capigliature più strane! Ogni volta sembra che abbiano vita propria, dovresti perdere più tempo ad occupartene la mattina. - Jillian scosse il capo e rise.

-Non posso credere, da che pulpito una predica del genere! - Brian si drizzò sulla schiena puntandosi il pollice con convinzione.

-Magari prima potevo darti ragione, ma quei tempi sono finiti, dolcezza. - Quei tempi. Quei tempi erano il culmine della spensieratezza. Erano grida, brindisi ed incontri. I ragazzini di adesso probabilmente non sapevano neanche divertirsi come facevano loro prima. Oramai, volente o meno, tutto era passato e molto lontano. Trentuno anni erano il traguardo dell'essere adulti e responsabili. Jillian notò solo la differenza fra le loro vite; fra un uomo realizzato in tutto e per tutto e fra una donna, scrittrice fallita, che ha cambiato mondo per inseguire false speranze e false aspettative.

-Bei tempi. - Dalla sua bocca uscì un soffio, e Brian, senza esitazione, come se neanche un giorno li avesse mai divisi, le passò un braccio intorno alle spalle per confortarla.

-Hei, adesso sei qui, ti farò vedere come noi continuiamo a divertirci anche ora. -

-Non so se avrò la faccia di vedere tutti, non subito almeno.-

-Cosa? Dai Jillian, vuoi aspettare altri otto anni per prepararci a stare di nuovo insieme? - Jillian avvertì un tono spazientito ma non poté biasimarlo. Non poté. Quando si alzò per fare qualche passo Brian la seguì con gli occhi aspettando che prendesse una decisione, vedendola stralunare gli occhi in giro.

-Perché hai voluto vedere me allora? - La ragazza deglutì e scontrò il suo sguardo, vedendolo cercare delle risposte, sentendo coinvolgenti le sue parole. Jillian poté giurare di sentire il cuore battere troppo forte, se per la tensione o se per qualcos'altro non seppe ammetterlo. Fatto stava che si trovava faccia a faccia con un muro di cemento che cercava con cupidigia molte risposte. Ammortizzò l'aria sorridendogli, ma Brian non cedette, allora lei deglutì.

-Non fare il finto tonto, Brian. - Brian afferrò tutte le sfumature del suo tono delicato e ne fece oro. Si lasciò coccolare e fremere da lei e dal suo sguardo. Ebbe un sussulto e non poté negarlo, non poté fermarlo, non poté disubbidirgli.


-Sono tornata proprio per te.. -



Allora, direi che la fortuna non è proprio a mio favore se proprio nel periodo di ispirazione e feste Pasquali mi abbandona in modo inevitabile la linea di internet, lasciandomi solo possibilitata a navigare sul sito dal cell come una spiona inopportuna. Adesso, passato il peggio sembra che il 3 capitolo sia alla nostra mercé, ringraziando qualcuno da lassù!


Ringrazio chi ha recensito la fanfiction, chi l'ha aggiunta fra i preferiti, seguiti, ricordate e chi legge e sta dietro le lunghe date degli aggiornamenti.


Non diamoci appuntamento a presto altrimenti potrà succedere anche di peggio!!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. ***


4.

-Per chiederti scusa. -

Brian smise di respirare, perse di qualche battito poi rinvenne balbettando.

-I-io non capisco. P-per cosa? - I capelli arruffati le incorniavano il viso. Jillian era la ragazza più bella che avesse mai visto, nonostante cercasse di non tenerlo a mente se ne accorgeva ogni volta la guardava e lei guardava lui.

-Ti prego, Haner, smettila! - Jillian rise cercando di smorzare lo sguardo perso del ragazzo, poi continuò. Ogni volta che si arrabbiava o infastidiva lo chiamava sempre per il cognome, e Brian sorrise. Non credeva di risentirselo dire dopo tanto tempo.

-Per tutto quello che hai fatto per me quando eravano appena due mocciosi. Sei stato un fratello che non ho mai avuto. - Jillian era figlia unica di genitori Canadesi, persone splendide, ma sempre troppo indietro per quella che era la mentalità americana. Un disastro insomma. Lei veniva cresciuta con degli ideali che poi scomparivano sotto un cumulo di polvere e solitudine, in un adolescenza disturbata dalla triste realtà di controversie e gerarchie spudoratamente stupide, con la passione per la scrittura, i vestiti comodi e la libertà. Insomma, una persona che non sarebbe mai interessata a nessuno sotto questo punto di vista. Eppure, nonostante i tanti problemi contrastanti che avevano portato le scuole, i ragazzi erano l'unica cosa migliore che sia potuta capitare. Insieme a Brian, dove nacque subito un'intesa speciale, un unione, una grande stima. Sarebbe stato bello ricordare insieme a lui tutto quello che avevano passato insieme, e sperava che proprio adesso che era tornata avrebbe avuto la possibillità di farlo. Piano piano, poco a poco.

-Non era necessario.. - Brian si incupì, con grande sorpresa della giovane che invece dischiuse le labbra sperando in un risvolto.

-..Dimentichiamoci di tutto, adesso sei qui per un motivo per diverso: restare. -

-Ma io non voglio dimenticarmene.-

-Io invece sì. -Brian insistette, con la sua voce bassa e profonda Jillian cedette e si accigliò cercando di capire cosa lo spingesse a contraddirla.

-Sono più felice di sapere che le cose cambiaranno, adesso siamo adulti, non mi farò bastare un "devo cambiare aria" oppure un "non c'è posto per me". Il posto ce lo troveremo e semmai vorrai andare via di nuovo devi guardarmi negli occhi e dirmelo. Dirmelo! - Era così alto adesso, impalato avanti a lei a fronteggiarla con le spalle larghe e la giacca fradicia e lucida. Il mascara dalle ciglia di Jillian colava sulle occhiaia cerchiate di stanchezza e si impiastricciò in un modo disastroso, tanto che Brian, notato il silenzio, le passò un dito cercando di toccarla e ripulirla appena. Anche lui aveva gli occhi impiastricciati di nero e Jillian alzò appena gli occhi ad accorgersene quando la sfiorò con delicatezza. Le sue mani erano ruvide, raspose, eppure lei poté solo avvertire una delicatezza tale da calmarla.

-Ha smesso di piovere.. - pronunciò solo, e Brian si allontanò appena per accorgersi che era rimasto solo un vento freddo e leggero.

-Stasera resta con me. -

-Non lo so, i-io.. -

-Me lo devi. -

-Sì ma.. -

-Cosa? - Cosa? Non lo sapeva neanche lei cosa inventarsi.

-Che hai in mente? - Chiese a disagio con una voce sottile.

-Qualcosa di improvvisato, non voglio complicarti niente, ma resta con me. - Jillian si umettò le labbra ormai disidratate, stesso per il fatto che lui non le staccasse gli occhi di dosso. Si sentiva così a disagio che voleva disintegrarsi da sola.

-Va bene, ma.. cioè, avrei bisogno prima di assestarmi un po' e..-

-Da me! Potrai fare tutto da me, sempre se delle t-shirt XL non ti diano fastidio. - Continuò a tenerla d'occhio con un'aria davvero speranzosa, e Jillian adescò. Maledizione!

-Sì. Sì, va bene. -

-Cavolo sì! - Brian divenne euforico e come se il broncio di prima non fosse mai esistito la strinse forte, le tenne i capelli, la cinse con delicatezza. Quando si staccarono su entrambi cadde un alone di imbarazzo e a parte qualche risatina trattenuta non dissero più nulla per un po'.

-Beh, ci conviene andare prima che torni a piovere. - Jillian di cuor suo stava ancora giocherellando da sola con i propri pollici, poi però asserì e cercando di darsi un contegno annuì.

Mio Dio, che figura della stupida che stava facendo!

Quando tornarono in strada, si tennero silenziosi per tutto il tragitto verso casa toccandosi appena le punte delle dita.


***


-Gates, maledetto, ti odio. - Vengance gracchiò dal cellulare quando finalmente rispose, schiacciando ancora la testa contro il cuscino con le palpebre incollate.

-Ma non ti arrendi mai? Voglio ricordarti che per due giorni ho dovuto portarti a casa in spalla tanto facevi schifo a camminare sbronzo. - Si strofinò gli occhi con poco garbo poi sbuffò assonnato.

-Mh..? - Mugugnò.

-Ma dai, mi prendi in giro? -

-Mh, mmh.. - Si girò supino e ancora ad occhi chiusi mugugnò con la voce impastata dal sonno, sistemandosi le coperte con distrazione e rigirandosi le dita fra i capelli. Le persiane chiuse non lasciavano trasparire neanche un filo di luce, solo la sveglia analogica poggiata al comodino rendeva per quella che era l'orario di mattinata. Poi ad un tratto scoppio a ridere.

-Sì amico, tranquillo. Bastava dirlo subito, se il piacere era per te allora non dovevi contarci. Soprattutto in un momento come questo.- Sbadigliò ed incassò incurante qualche violento insulto, portandosi pian piano, come un vecchio centenario, a sedere in mezzo al letto.

-Stasera passaci a prendere almeno. -

-Che cavolo, manco uno strappo posso chiedere?-

-Come puoi farti ancora ritirare la patente alla tua età come un collegiale?-

-Sì, grazie tante. Non sfondarmi il cancello di casa quando arrivi, Gates! - Zacky scoppiò a ridere ed interruppe la telefonata stiracchiò le braccia, e passandosi solo dopo un'ennesima manata fra i capelli stendendosi di nuovo con poca grazia.

-Ok, ancora cinque minuti almeno.-


***

-Ma che brutto stronzo.- mormorò a voce bassa una volta chiusa la comunicazione.

Brian prese un respiro profondo e tornò all'entrata dove Jillian l'aspettava con un asciugamano a tamponare i capelli lunghi.

-Eccomi scusa, possiamo tranquillamenta andare di là.- Jillian lo seguì e con Pinkly che si intersecava fra i suoi passi aggirarono il corridoio fino la camera da letto, dove diede un'occhiata attenta. Era tutto molto ordinato, il che lasciava sicuramente intendere che ci fosse lo zampino di una donna; Michelle e Brian si conoscevano addirittura da più tempo di lei, che si fossero messi insieme, come appurava nei messaggi Matt quando le scriveva i primi anni, di sicuro non c'era da sorprendersi. 'chelle è sempre stata una donna molto gioiosa, ammirevole, una dolcezza coinvolgente, e oltretutto una vera bellezza. Una bellezza per metà italiana.

Eppure, quello di cui Jillian non era sicura e se stessero ancora insieme. Brian non aveva parlato una sola volta di lei e non aveva lasciato intendere niente; forse c'erano particolari che non conosceva. Non volle indagare.

-Da quanto hai cambiato casa? - Brian tossì, forse colto alla sprovvista, poi riprese.

-Non meno di un anno. - Sugli armadietti c'era qualche foto simpatica, che Jillian andò a spiare in silenzio, spostandosi da un angolo all'altro distrattamente. Brian che gioca a Baseball; Brian con Bella e Pinkly; Brian alla festa di Halloween con i ragazzi e i suoi fratelli.

-Tieni, questi potrebbero farti comodo. - Jillian rinvenne dalla sua distrazione e lo guardò stranita mentre le veniva incontro con qualche vestito, poi prima che potesse dire qualcosa lo vide sfilarsi la shirt con velocità e deglutì. Le braccia erano completamente tatuate e le spalle larghe, non era mai stato un tipo particolarmente palestrato ma nonostante il filo di pancetta il suo torso era teso e sulle clavicole leggeva grande una scritta a carattere cubitali. Quando si voltò la schiena era intricata dai muscoli leggermente tesi ed una leggera curvatura gli slittava lungo la spina vertebrale.

-P-perché hai pantaloni da donna? - Jillian cercò di darsi un contegno e con molta fatica cercò un'qualcosa da dire, il ragazzo fece spallucce e sorrise rivestendosi in fretta.

-McKenna sta crescendo, qualche volta viene a dormire da me che ho il college dall'altra parte della strada. Penso ti vadano e che non le dispiacerà prestarteli. -

-Grazie. - Si era sentita imbarazzata quando sfiorò i dorsi delle sue mani per prendere il ricambio.

-Il bagno e dall'altra parte. - disse dopo qualche secondo di silenzio. Il corridoio distava giusto per la camera da letto, la cucina ed il bagno; le altre camere si potevano raggiungere anche dal retro, come la camera degli ospiti, un piccolo atrio e lo stanzino. Nel mezzo c'erano le scale per la soffitta ed il passaggio per il garage in un angolo del cucinino. Quando l'accompagnò sino al bagno entrò per togliere un po' di disordine, poi la lasciò accomodare per darle largo dominio, si scambiarono un sorriso e Brian si poggiò all'uscio passandosi una mano fra i capelli ancora umidi.

-Allora, ehm.. fa quello che devi, io magari ti aspetto di là con qualcosa da mangiare. -

-Sicuro che non hai bisogno del bagno anche tu prima? -

-No, no.. solo non far caso al disordine. Ho cose sparse un po' ovunque. - Rise imbarazzato.

-Perché ti preoccupi tanto? - Il ragazzo annuì, fece un cenno con la testa e si chiuse la porta alle spalle lasciandola tranquilla. Dopo qualche minuto Jillian si mosse, ripose gli abiti sul marmo dei lavandini e si avvicinò alla doccia per lasciar scorrere dell'acqua calda. Gettò gli anfibi completamente infangati in un angolo e si tolse la giacca, sentendo ghiacciata la pelle che era rimasta umida fino ad allora. Probabilmente nei prossimi giorni si sarebbe beccata qualche grado di febbre nonostante le giornate un po' più calde.

Quando i vetri della cabina della doccia furono abbastanza appannati dal calore comincio a denudarsi e a fare qualche passo sul freddo pavimento di granito, attendendo famelica il dolcissimo abbraccio dell'acqua bollente sul suo corpo. Jillian tremò, chiuse gli occhi e sentì il peso della sua chioma completamente appesantita che le cadeva sulla schiena fino a solleticarla. Che tepore, sembrava un sogno. Sputò via dalle labbra dell'acqua che aveva lasciato scivolare in bocca poi portò i capelli all'indietro fino a sentire l'acqua in viso, poi sul busto, sulla pancia piatta. Non c'era più peso sulle sue spalle, tutto aveva preso una piega già leggermente diversa, fino a ricordarsi che si trovava nel bagno di casa Haner e che non aveva la minima idea di quello che l'avrebbe attesa quella sera, la sera del suo compleanno. Quasi se ne era dimenticata eppure era quello lo scatto che aveva trattenuto gli anelli di tutta la catena.

Quando dovette allontarsi dalla doccia quasi si lamentò, eppure si era trattenuta troppo per continuare. Con un asciugamano ripulì lo specchio principale e si specchiò fino a portarsene un altro intorno al corpo. Il freddo aveva cancellato molti lividi e attenuato degli altri. Nel cercare una spazzola scavò per i cassetti dell'arredamento: rasoi, dopobarba, boxer; dall'imbarazzo richiuse tutto e provo altrove. C'era anche qualche borsetta, con del trucco, delle cremine, qualche smalto, cosa che magari non interessava a Brian; almeno non di certe tinte. Jillian rimase stranita, un po' accigliata continuò a guardare al suo interno, passando da qualche interno all'altro sempre con qualche nuova scoperta fino a sobbalzare al bussare della porta.

-S-sì? -

-Sono io. E' tutto ok? - si grattò la testa, poi tornò dritta parlando con tono apparentemente normale.

-Sì, certo, m-mi serve qualche minuto. - Sentì Brian ridere divertito poi si allontanò.

-Fai con comodo. - emanò un sospiro di sollievo e lasciò perdere tutto, sistemandosi i capelli come meglio poteva e asciugandoli per qualche altro minuto minimo.

Quando finì di sistemarsi uscì dirigendosi verso i rumori che sembravano provenire dalla cucina trovando Brian con i capelli asciutti e con abiti cambiati ad affettare qualcosa.

-Ok, uova, asparagi, del formaggio. Troveremmo di meglio mangiando per strada però, magari vorrai riposare. - Jillian annuì e ringraziò.

-Più che altro per il tempaccio che ci siamo beccati.-

-Sì, tanto stasera potrai sbafare quanto ti pare. Almeno metteremo qualcosa di buono sotto i denti. - Si guardò un po' intorno: alla tavola di legno, la cucina chiara, le stoviglie penzoloni sul ripiano lucido di acciaio.

-Wow.. - Jillian si alzò e si avvicinò ai ripiani.

-Non credevo avessi gusti così "decisi". - Era inutile negare che stesse ridendo di gusto, tenendo fra le mani la bilancina più floreale che avesse mai visto. Brian scattò verso di lei e gliela sfilò dalle mani balbettando.

-Sei un'impicciona, ed io.. sono una persona molto creativa. - la fece scomparire in qualche mobile e continuò, sfidando le risate della ragazza.

-Non ne dubito, ma non pensavo fino a questo punto! -

-Ah – ah, si come no! - Brian la scimmiottò, poi al campanello del termos si avvicinò indicandole la tavola.

-Siediti, e pronto anche del caffé. - Jillian fece come chiesto e si accomodò tranquillamente, cominciando a mordicchiare qualche pezzetto di pane continuando a guardarlo divertita.

-Ma dai, non credevo che oramai ti fossi dato anche alla cucina. -

-A volte bisogna sorprendere anche se stessi, ed io lo faccio spesso. Mia madre quasi mi cacciava di casa se non mi fossi.. - Notò che si interruppe e attese immobile che continuasse. Ma non lo fece.

-Ehm, non ho neanche molto appetito ma è meglio mangiare qualcosa. - disse invece.

-Come stanno i tuoi? - Brian schioccò le dita e giocherellò con i dorsi sedendosi dirimpetto a lei.

-Bene. Devo ammettere che non si lamenta nessuno. Ognuno ha di nuovo la sua vita adesso, però sono grande per certe cose, non mi interessano più. -

-McKenna deve essere cresciuta molto.. - Brian annuì ricordando la sorella.

-Sì, ehm.. non ho mai a mente quanti anni ha a dire il vero però è davvero cresciuta. - Alla separazione dei suoi genitori lei e Brian avevano cominciato a frequentarsi anche di più. A vedersi la sera, dormire insieme arrangiando con qualche piumone del garage dei suoi e a leggere fumetti per tutta la notte; aveva avuto davvero molto bisogno di lei, ed anche a distanza di anni era stata molto orgogliosa di averlo fatto. Adesso lo vedeva molto meno sofferente a parlare di certe cose.

-Ma dove ho la testa?! Vuoi vedere la camera insonorizzata? E' il mio ultimo gioiello! - Lo vide alzarsi e Jillian lo seguì masticando ancora il suo boccone.

-Camera insonorizzata? -

-Sì, hai presente? Quella dove sei completamente estraneato dal resto del mondo, non c'è individuo che può sentirti al di fuori. -

-So cos'è una camera insonorizzata. -

-Ah. - Brian rise imbarazzato poi continuò.

-L'anno scorso mi è servita per incidere alcuni brani dell'album. Un vero spasso. Credo di averci passato mesi, avevo una cera inguardabile. - La scala della cantina scivolò giù e Brian la prededette.

-Stai attenta però. - Quando scomparve nel soppalco Jillian lo seguì, e comparso il capo dalla botola diede una veloce occhiata in giro. Il pavimento era lucidato e dei strumenti erano sia appesi alle pareti che allineati intorno alla stanza; chiusa la botola in casa non si sarebbe sentito più nessun rumore.

-Un vero spettacolo. - Jillian fu sincera e giacque meravigliata per un po'.

-Già, non ci passeresti mesi anche tu ? -

-Più che altro verrei a farci visita spesso.- Risero e Brian prendendosi un momento continuò a guardarla negli occhi con un sorriso accennato.

-Quando stai bene in un posto non le senti certe differente, qui sembra esserci il fuso orario. Ne giorno e ne notte, solo tu e tutto questo. - aprì le braccia a due ali e indicò il tutto. Non c'era neanche una finestrella, non passava un filo d'aria se non fosse stato per il piccolo ventilatore da parete.

-Perché non suoni qualcosa? - Brian l'aveva osservata tutto il tempo ed in tutto quello che faceva.

-Cosa vuoi che suoni? - le chiese, e lei fece spallucce voltandosi di nuovo.

-Quello che suonavate un tempo..-

-Facevamo davvero schifo, davvero vuoi che suoni qualche reliquia del genere? - Brian rise di gusto e la donna fece altrettando lasciandogli qualche colpo sulla spalla annuendo.

-Guarda però che sono facilmente impressionabile. -

-Tranquilla, ci andrò piano con te! - si fece scivolare la cinta di cuoio sulle spalle ed imbracciò la chitarra prendendo tempo. Jillian invece si accomodò ancora un po' contro la parete, ridendo della sua faccia impegnata a collaudare le vibrazioni di qualche corda fra le dita.

Quando Brian cominciò a suonare però rimase impalata lì, ad ascoltarlo ed osservarlo in tutto quello che faceva senza rendersene conto. Le vene delle braccia e i nervi si ingrossarono così tanto che quasi tremava e i muscoli della schiena si erano irrigiditi quanto il collo e la mascella. Era diventato teso come la corda di un arco, poi pian piano cominciò a sciogliersi, a slittare con le ginocchia e a fare qualche smorfia. Appena il suono divenne più lieve e meno veloce, e quando cominciò ad espandersi forte in tutta la stanza.

-Hei, ti sei impalata? - Non l'aveva mai visto suonare dopo tutto quel tempo e anche se breve era stato davvero un bello spettacolo. Quando si accorse di essere rimasta impalata a fissarlo arrossì distogliendo lo sguardo e con enorme sopresa nello spacco del colletto vide fuoriuscire il tatuaggio che aveva sul torace. Di nuovo, ma stavolta ci fece più attenzione, alle lettere e alla disposizione, alle linee sottili e spesse che si alternavano. Ad un significato grande che aveva colto solo ora. I giornali e i tabloid ne erano stati infestati, avrebbe potuto pensarci pure prima se ci avesse messo un briciolo di attenzione in più. Vedendo Brian, solo in quel momento aveva preso coscienza di quello che stava succedendo, di dove era adesso e di tutto il tempo perso via in quegli anni. Della sua attuale vita. Si portò una mano alla faccia instintivamente, come se avesse avvertito uno schiaffo in realtà invisibile. Appurata questa sensazione gli occhi le si bagnarono di lacrime, il che Brian la osservò e silenzioso giacque tutto a terra, avvicinandosi con cautela come se temesse di romperla in qualsiasi momento. La vide rannicchiare le spalle e carezzarsi con le braccia; con forte impulso strinse i palmi sul tessuto della t-shirt e cercò di farsi guardare da quegli occhi infossati.

-Ho fatto qualcosa di sbagliato? - Lei disdì col capo frettolosamente, si divincolò piano dalla presa e cercò di darsi un contegno.

-Voglio vedere i ragazzi.. tutti. - un sorriso le colorò la bocca e Brian tornò a respirare dopo quella tensione.

-Non posso aspettare ancora troppo tempo per vederci. Ne ho già perso abbastanza. - Brian annuì e l'abbracciò piano, per non farle male, sentendo come i suoi pugni si chiudessero contro la stoffa della propria maglia per stringerlo a sè. Forse tremava, o forse era lui, il semplice fatto che sentisse il suo fiato debole sul collo lo tranquillizzava e carezzandole i capelli sospirò con un filo di voce.

-Tranquilla, è tutto ok. Saranno tutti felici di vederti. - Tutti e anche Jimmy, se solo potesse abbracciarla ancora.


***

Forse era già da qualche minuto che squillava. La suoneria del cordless continuò con il più assoluto silenzio in casa, rimbalzando fra le pareti, ripetitivo e solitario. Pinkly si accucciò ai piedi del tavolino posizionato in corridoio e alzò il muso fino all'apparecchio, uggiolando silenziosamente con la lingua penzoloni. Bastò qualche altro squillo e scattò la segreteria, registrando l'ennesimo messaggio della mattinata:


Michelle e Brian Haner sono assenti in questo momento, lasciateci un messaggio dopo il Bip, ci faremo risentire. Promesso! - BIP.


-Brian, sono io, ma dove sei? ti sto cercando anche al cellulare, possibile che tu sia così sbadato? Chiamami appena senti il messaggio, idiota. Ti amo. -



Mentirei se vi dicessi che non amo i casini, quindi nonostante vorrei tenere ancora un po' di mistero sulle vicende lancio già la prima pietra. E ritiro la mano ovviamente.

Come di consueto ringrazio chi ha recensito la fan fiction, chi la segue, la legge, l'ha inserita fra le ricordate e preferite. Ne sono felice! :)



Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. ***


5.

-Siamo nella merda. - Nella voce di Matt si avvertì un certo rammarico e il tappetto della bic fra le labbra perse la stabilità cadendo a terra in un ticchettio sordo, senza alcuna importanza. La scadenza del contratto di Portnoy era giunto al termine e a nulla erano valse l'anticipo delle prove o la stesura dei testi. Era tutto fermo, e Matt non riusciva a scrivere. Non buttava giù neanche un rigo. Rileggendo il foglio di consegna si portò il palmo alla testa rasata e gettò un sospiro, respirando così pesantemente che era ben chiaro il movimento del petto da sotto il motivo lugubre di una dama in nero sulla t-shirt. In quale casino si erano cacciati a solo un anno di uscita di Nightmare era ben chiaro solo a lui. Si era preso le responsabilità di tutto e anche Jacob, il loro manager, non era riuscito a mettere il naso in queste cose. Pensò bene cosa fare e sedendosi al tavolo udì qualche passo farsi sempre più vicino.

-Michelle ha detto che non è riuscita a trovarlo neanche a casa e al Johnny's. Sta veramente cominciando a preoccuparmi. - Osservò il marito col capo chino verso il legno della tavola con chissà quale pensiero in testa, e dopo qualche secondo di indecisione lo chiamò stranita.

-Ma mi stai ascoltando? - Lui alzò la testa di sorpresa, come se non si fosse ancora reso conto della sua presenza in stanza.

-Eh, come? Scusami, ero distratto. -

-A cosa stai pensando?-

-Sciocchezze. Cosa stavi dicendo piuttosto? - Non ci credette granché osservando il suo sguardo sornione, però annuì e con una pausa riprese a parlare.

-Michelle sta contattando Brian al cellulare e ha chiamato anche a casa ma sembra che non sia ancora tornato. -

-E quindi? - Lei alzò le spalle alla sua risposta e quasi temette di insistere.

-Non riesce a trovarlo, tu non sai dove potrebbe essere? - Matt si alzò e si versò del caffé in una tazza, riponendo il termos al suo posto.

-No, ma è un uomo adulto, questa cosa non mi da preoccupazioni. -

-Non sei sposato con lui. -

-Dì a Michelle che dovrebbe stare tranquilla, probabilmente ha avuto un imprevisto.- Tornò a soffiare piano dopo essersi scottato la lingua per il liquido troppo caldo.

-Matt..-

-Sapete com'è fatto, non gli piace che gli si stia troppo addosso. Appena può si farà vivo da solo.- Attraversò la cucina fino all'atrio e prese le chiavi di casa e del fuoristrada posandole nella tasca della giacca, poi diede uno sguardo a Valary che l'aveva seguito silenziosa, palesemente accigliata. Le lanciò un sorriso ma lei sapeva bene che non c'era molto da dire proprio in quel momento.

-Dove vai anche tu? - Matt rise e aprì l'uscio.

-Devo andare a prendere Johnny, non mi perdonerà mai se arrivo in ritardo. -


***

Johnny non avrebbe mai voluto ammetterlo davanti a nessuno, ma lui odiava fare tardi. Magari era una cosa da paranoici e pignoli ma più forte di lui e del suo spirito c'era il forte cataclisma di pensieri che lo inondavano di continuo, fino al tremoliccio delle narici che si alavano senza sosta per minuti finché non veniva distratto da qualcosa di altrettando importante. Non c'era niente di bello nell'ansia di farsi aspettare, e di doversi scusare per l'attesa causata. Oh, aspetta. Lui era anche dall'altra parte della California in quel momento!

-Sono in ritardo.-

-Maledetto Jonathan Seward, rallenta! - Lacey si strinse nelle spalle e Jonathan, concentrato, non le diede agio. Quella povera donna si morse la bocca, afferrò salda la maniglia sulla sua testa e si trattenne sussurrando una preghiera a fior di labbra. Quando lo chiamava con il suo nome al completo non era mai un buon segno.

-Cioè, ti rendi conto? Due ore di anticipo e adesso quasi perdiamo l'aereo.- le nocche sbiancarono per la salda presa al volante e con sguardo fulmineo studiò bene la strada slittando fra le corsie libere.

-Non importa, prenderemo il prossimo. -

-No, voglio tornare a casa adesso. -

-Johnny, se continui a correre così a casa non ci arriveremo mai! - la paura la stava spazientendo ed una pausa fra una parola e l'altra era d'obbligo.

-Ho fatto questa strada miglioni di volte, e come se ce l'avessi stampata in testa.-

-L'unica cosa che ti troverai stampato in testa sarà il mio tacco se non mi dai ascolto! - A distrarla per un attimo fu solo il cellulare di Johnny, che prese a suonare ammutolendoli, facendo così perdere lo sguardo dalla strada anche a quest'ultimo.

-Dove hai il cellulare?- Esclamò la donna guardandosi intorno e spostandosi ai lati del sedile. Notò Jonathan muoversi, guardarsi in giro e alternare lo sguardo dalla strada alla macchina con velocità.

-Forse è qui? -

-Per Dio, Johnny, tieni gli occhi incollati alla strada! -

-Sì, sì, ci sono! Sono alla strada, vedi? - Esclamò gesticolando in modo agitato anche lui, mentre cominciavano ad alzare la voce per sovrastare il suono assordante del cellulare.

-Prova a vedere, è qui nella tasca.-

-Sì, lo prendo io, sta fermo. - Lacey gli palpò i jeans, scivolò sui lati delle tasche con i palmi, si sporse con fatica trattenuta dalla cintura di sicurezza ancora per provare entrambi i lati, ma nulla.

-Ma che diavolo? - Pronunciò spazientita per l'impresa non riuscita. Johnny scalò di una marcia e la guardò per un secondo.

-Sei davvero bellissima, amore mio.- La donna roteò gli occhi osservando quella sua faccia da schiaffi e quella sua voce falsamente suadente.

-Smettila di fare il cretino proprio adesso. - cercò di non far vedere il risolino divertito e tirò un sospiro di sollievo quando la chiamata si interruppe.

-Va bene, non c'è problema, vedremo meglio più tardi. Hai idea di chi dovrebbe cercarti proprio adesso? - Mormorò con voce pacata, mentre la linea continua della strada slittava con una velocità intensa. La loro.

-Sicuramente qualcuno che si starà chiedendo perché di questo ritardo! - Johnny era su di giri, così su di giri che risultava estremamente buffo lasciando Lacey divertita nel guardalo. Almeno per qualche minuto.

-Johnny non siamo ancora neanche in ritardo. -

-Presto lo saremo se non prenderemo quell'areo. Le valigie? -

-Sono pronte tutte dietro, sistemate e tutto il resto. Non c'è niente di cui preoccuparsi.-

-Almeno una buona notizia. E i biglietti? - La donna dai capelli bruni e raccolti si fermò un attimo a voce bassa.

-Ops.. - Forse il giovane ebbe un singulto perché palesemente non parlò.

-Lacey!-

-Sto scherzando, datti una calmata. E' tutto perfettamente a posto. -

-Non è per niente il momento, per diamine.- Nell'auto cominciò ad avvertirsi una certa calura, mentre il colore metallizzato dell'auto fioriva luccicante al sole delle prime ore del pomeriggio.

-Sto quasi per vomitare.. - Lacey si voltò verso il finetrino e con appena uno spiraglio aperto il vento le soffiava forte sul viso.

-Che cosa? Assolutamente non qui! -esclamò l'uomo autoritario, zittendo a quella occhiataccia malvagia. -Non ho intenzione di ripagare la tappezzeria dell'auto perché tua madre ci rifila pranzi impossibili da digerire. Hai voluto anche noleggiare questa con i sedili in pelle!-

-Non provare ad incolpare mia madre con il fatto che questo tuo modo di fare mi sta.. - Lacey zittì e Jonathan sembrò ringraziare qualcuno smuovendo la bocca.

-Eccolo che ricomincia! - Lacey stavolta aprì bene le orecchie e si guardò intorno.

-Oh cavolo.. - esclamò il ragazzo. -Credo di avercelo nella tasca di dietro. - Vide l'amata portarsi un palmo sulla guancia a mo' di rassegnazione, poi continuò.

-Ce la faccio, mi tiro un po' su e tu lo sfili. - Cominciò già a tentare, sforzando i quadricipidi.

-Dio, non scherzare!-

-Coraggio, intendo velocemente!-

-Ci farai ammazzare!-

-Come la fai tragica.-

-Tu sei un pazzo suicida! Lascialo squillare! Per me la discussione finisce qui. - L'autostrada finì in curva poi riprese oltre il ponte che si accavallava alla strada. Fortunatamente il tempo sembrava mantenere ancora, nonostante Sacramento era stata invasa da pioggia per due giorni di fila. Bel modo di inoltrare questa primavera.

-Ma davvero? E sentiamo se è qualche chiamata importante? -

-Tipo cosa? - Il giovane sembrò pensarci senza staccare gli occhi dalla strada, ma dedicando appena qualche attimo alla donna seduta accanto a lui.

-Non so, tipo tua madre che ti avvisa che hai lasciato qualcosa di importante.- Il che ci sarebbe sempre potuta essere la possibilità, data la fretta e le disattenzioni di quella mattina. Lacey dovette ammettere che le aveva dato da pensare.

-Ah. - disse meravigliata. -Nel caso mi accompagneresti a riprenderla?-

-No. Ma poteva essere un'idea per la prossima volta. - La sentì sbuffare, e rassegnata acconsentì. Perché si lasciava sempre convincere in certe cose così facilemente? Si arrese anche dal pensarci e dopo qualche secondo di pensieri truculenti che vedevano come protagonista il ragazzo annuì alla cocciutagine sistemandosi meglio sul sediolino per vedere come prepararsi al meglio. Quando Johnny si tirò su appena dal sediolino inserì la mano nella tasca con quasi un tremoliccio di insicurezza, ad una velocità rilevante, incastrata scomodamente per qualche secondo.

-Tirati un po' più su.. - gracchiò, ed afferrò l'oggetto sfilandolo via.

-Finalmente! Pronto? - Un grossissimo sospiro di sollievo lasciò interdetto l'interlocutore dall'altra parte del telefono, che sembrò chiedere.

-Oh, cavolo Matt sei tu! Questo vuol dire che non ho dimenticato nulla a casa di mia madre! - Esclamò ad alta voce osseravando meschinamente il guidatore, facendo caso solo dopo alla telefonata ancora in corso.

-Scusami, non ce l'avevo con te. Stiamo per raggiungere l'aereoporto, meno di un'ora e arriviamo. Certo ti aspettiamo al Johnny's, è successo qualcosa? - Il ragazzo dedicava qualche occhiata alla donna sempre più spesso, percorrendo l'ultimo tratto di strada che li divideva dalla transenna dell'aereoporto di Sacramento.

-Va bene, tranquillo, è davvero una bella notizia! Ne parlerò con Johnny, a dopo. - La chiamata si interruppe con il tonfo dello sportello, appena qualche metro prima che Johnny tirasse un sospiro di sollievo fra lo spazio adiacente del parcheggio super affollato.

-Non ci speravo più. Cosa ha detto Matt? No, aspetta! Prima che tu dica niente, gli hai ricordato di non fare tardi vero? - Lacey lo guardò, così male che se avrebbe potuto sarebbe rimasto fulminato.


***

-Non ci posso credere!-

-Eh già... lo vedi migliorato o peggiorato? - Jillian si lasciò scappare un risolino davanti l'entrata del Johnny's.

-Un po' tutti e due. - Sentì le dita di Brian posarsi con delicatezza sulla schiena, invitandola ad anticiparlo ad entrare.

-Vieni, in compagnia di una bella ragazza magari mi trattano anche meglio del solito. - Gli scappò un risolino che lei ricambiò imbarazzata e con gli occhi bassi, accondiscendendo alla sua proposta.

-Ho i brividi a tornare qui.. - Brian l'accompagnò ad un posto riservato e si accomodarono tranquilli, con le gote così arrossate che lui stesso rise a guardarla.

-Non è cambiato di una virgola, è vero?-

-Sì, è assolutamente vero! Mi sembra di non essere mancata mai. - lo guardò meravigliata, guardandosi intorno come una bambina in un negozio di caramelle.

-Ti va una birra? Siamo abbastanza grandi da poterne ordinare adesso. - Entrambi scoppiarono a ridere e Jillian non si fermò per qualche secondo.

-Dai, non eravamo mica così piccoli quando sono andata via. -

-No, è vero, hai ragione, ma abbiamo passato molto più tempo insieme da bambini. - Jillian giocherellò con il sottobicchiere lasciato sui tavoli e zittì qualche tempo, poi rispose con una voce malleabile che Brian avvertì famelico.

-Beh, abbiamo fatto molte cose da.. grandi però, successivamente. - Si morse la bocca e Brian la osservò deglutendo, insistendo a guardarla senza smettere e senza riuscirci. Lo sapeva che lei non aveva dimenticato niente, ma solo accantonato tutta la storia che avevano vissuto da ragazzi, e questo glielo aveva dimostrato. Erano stati insieme così poco eppure lui ne era stato così innamorato che il mondo aveva appofittato per cadergli addosso a vederla andare via, così pesantemente che rialzarsi furono come bastonate dritto sulle vertebre. Ma era tutto passato. Dio, quanto era passato.

-Sì, già.. ehm, molte. - Le sue mani l'avevano abbracciata, toccata, e adesso non aveva neanche più presente il sapore del suo corpo, ma sentiva che se avesse potuto l'avrebbe anche potuto desiderare. E questa cose lo spaventò.

-Ordiamo una birra? - Lei annuì e lui si apprestò, rimandendo in silenzio qualche altro minuto una volta che si erano sistemati. Il bar non era ancora molto pieno per l'orario che ancora si aggirava, quindi potevano stare tranquilli per il casino scampato almeno.

-Avrei anche un certo languorino. -

-Sì, anche io. Puoi dirlo che è stato un pranzo orribile tanto. - Jillian rise, smorzando così quel briciolo di tensione accumulata, che rese le spalle di Brian più leggere.

-No, non direi, però davvero sono ancora affamata. -

-Detto, fatto. Possiamo cominciare ad ordinare qualcosa, tanto non ci corre dietro nessuno. -


***

Matthew svoltò l'angolo in tutta fretta che le gomme quasi sgommarono, stringendo forte nel grande palmo il manico ovale del cambio per scalare di marcia una volta intravisto l'ultimo distretto antecedente la via principale. Era meglio precipitarsi ad andare a prendere Johnny, sicuramente dopo il viaggio sarebbe stato tutto tranne che accondiscendente e questo fece scoppiare un risolino sulla bocca del giovane. Il berretto nero in testa gli copriva gli occhi dal sole ancora alto e con un rimbombo del pedale accostò verso la sedicesima con fare risoluto.

-Amico, salta in macchina! - La cresta scura di Johnny fu non troppo difficile da individuare, nonostante la sua nota stazza.

-Sono troppo felice di vederti dopo una settimana passata fra le montagne. - Scontrarono le nocche delle mani in un saluto e Matthew tornò ad immergersi in strada fra le auto con velocità.

-Non ti vedo per niente meglio di quando sei partito. - Scoppiò a ridere con gli occhi incollati alla strada, mentre l'amico si rilassava al comodo sediolino in pelle del fuoristrada, vacillando con gli occhi quasi assonnato e rispondendo appena con qualche mugolio.

-Non sono per niente sorpreso.-

-Dov'è Lacey? - Sentì chiedere, e solo allora scattò come una molla.

-Mi ha piantato in asso. Tu non mi hai lasciato neanche il tempo di prendere la macchina altrimenti sarei venuto di certo con una faccia migliore. - Sull'ultimo tratto di strada Matt continuò a ridere, continuamente divertito dalla faccia del suo piccolo amico.

-Non mi hai neanche informato di niente, stavo giusto venendo al Johnny's come mi hai detto. Ho proprio bisogno di un panino e doppia porzione di patatine. -

-Ti prego, cerca di contenerti. Se ti rimpinzi come un porco e provi ad addormentarti come un bambino, ti lascio un cartello al collo con scritto "adottatemi". Lacey mi ringrazierà. - Johnny lo scimmiottò, con la paura che potesse farlo per davvero però. Al liceo ne avevano fatte certamente di peggio, non era l'età adulta che adesso li avrebbe frenati.

-Siamo arrivati. - Johnny fece per scendere e Matt lo afferrò per un braccio costringendolo a voltarsi.

-Tieniti forte. -


***

-E questo non è niente! Abbiamo passato sedici ore in sala registrazione con due pacchetti di sigarette e qualche lattina di Monster. Uscimmo da lì come suonati, te lo assicuro. Infatti dopo quel secondo album tornare in sala ci sembrava un incubo, continuare era come un inferno anziché una così grande opportunità. - Jillian l'ascoltò con premura, bevendo dal beccuccio della sua birra e immaginando nella sua mente tutti i racconti che erano riusciti a raccogliere in quell'ultima ora. Non credeva a tutto quello che avevano dovuto passare i ragazzi per raggiungere un livello tanto alto. Nonostante tutto solo il talento non basta dopotutto. Era strabiliata, sbalordita, e non si sarebbe stancata di lasciarlo parlare e continuare ad ascoltarlo. Era esattamente lui, era esattamente come le era capitato altre centinaia di volte di ascoltarlo e di rimanere lì immobile ad osservarlo gesticolare, sovreccitato come al solito.

-E adesso siamo qui.. - Molti tratti erano stati tagliati, troncati apposta. Troppo dolorosi, altri troppo lunghi, altri così intimi. Non si potevano raccontare così otto anni, tanto valeva lasciarsi tutto alle spalle e tornare a vivere da adesso in poi. Ma Brian non sapeva se sarebbe più riuscito a fidarsi di nuovo senza quella paura che prima o poi sarebbe potuta mancare di nuovo per poi non tornare. Erano stati fortunati. Sì, Brian si era sentito solo fortunato di essere riuscito a riaverla. Mentre lei lo fissava Brian lanciò un'occhiata alle sue spalle, verso l'entrata del Johnny's, che da quel punto era di sicuro il più comodo. Sentì il viso colorarsi di un sorriso e di un briciolo fortissimo di emozioni che lo portarono così indietro nel tempo che tornò a sentirsi un maledetto ragazzetto.

-Cosa stai guardando? - quando lei se ne accorse Matt e Johnny facevano già il loro ingresso verso il suo tavolo e se se ne fosse accorta in quel momento probabilmente avrebbe incominciato a sentire una tensione così forte da farle scoppiare il petto. Un emozione tale che magari le avrebbe tremato la voce. Ed era quello che Brian voleva.

-Tieniti forte. - Jillian si voltò. Aveva posato distrattamente il gomito sullo schienale per appoggiarsi e con le labbra che si schiusero lentamente per lo stupore rimase in silenzio per un tempo che non seppe definire, guardandoli avvicinarsi. Li vide fare lo stesso, però il loro passo non frenava né rallentava, era svelto, ed era verso di lei. Precisamente, vederli divincolarsi fra un piccolo gruppetto di folla non le diede dubbi, quasi si sentì bruciare forte gli occhi dalla contentezza e quello che sapeva era che anche se non era certa che le gambe l'avrebbe retta, si alzò velocemente per dimenarsi anch'essa contro.



Per queste stesure devo ringraziare l'album Transit of Venus dei Three Days Grace e City of Evil, senza la quale probabilmente sarei collassata. Devo ammettere che mi sto divertento alquanto a scrivere prima di qualsiasi altra cosa e farlo continuamente seguita dalla musica mi da qualche speranza in più di non perdere questo periodo così fertile di ispirazione. Non so se sono ancora soddisfatta di come sto portando avanti la fan fiction, fatto sta che sto lavorando per esserlo sicuramente in seguito.

Come di consueto ringrazio anticipatamente chi recensisce e aggiunge la storia fra preferite, seguite, ricordate. :)


A presto, Sux Fans.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. ***


6.

Dentro era come una voragine fredda e profonda, così profonda che non aveva mai toccato una fine con i piedi nonostante tutto. Era come un'infinita legione di braccia che lo tenevano stretto in un apocalisse introspettiva, una mente così soggiocata che non respirava, non pulsava e non comandava più il suo corpo ed i suoi pensieri. Gli schiaffi erano così pesanti, gli insulti così forti; nelle sue vene il sangue scorreva così veloce che si spezzavano, formicolavano, lividivano e tutti gli arti erano sensibili, tanto da non reggere il peso neanche del suo corpo che a vista d'occhio diventava più esile e sembrava sbandare. La bocca carnosa si sgretolava per i morsi, le unghia alle dita affulosate erano quasi assenti, rendendo autonomo il gesto di nasconderle dentro le tasche dei jeans. Eppure tutto, tutto quello che bastonava il suo corpo non bastava a svegliare la sua mente, non bastava a riappacificare la sua dignità; potè arrivare a credere che ormai era inutile salvarsi e sfuggire, liberarsi dalla sete, tornare a perdersi in un turbine di maledetti pensieri. La sua pelle era ruvida e sgradevole da toccare, invece quella di lei era così soffice, era bianca e perlata, profumava di buono, sapeva di dolce. I capelli si interspicavano così bene fra le dita, la sua bocca gli faceva godere ogni suono ed il colore era così acceso, così morbido da invitarlo a nozze. Perché non era con lui? Voleva stringerla e tenerla per sè, ricordarle che era sua e che mai avrebbe lasciato che qualcuno le facesse del male. Perché l'amava, e amare è trattenere con tutte le proprie forze.


***


-Non stringere, mi fai male. - Jill rise gioiosa, e fra le possenti braccia di Matt ancora una volta tornò a crogiolarsi meravigliata. Il rumore di brindisi e chiacchiericci nella sera si era aizzato alquanto, ma a nulla serviva distrarli dalla bella compagnia che li aveva sorpresi e che li aveva portati a ridere e divertirsi per tutto il tempo, meravigliandoli per la velocità con la quale era trascorso. Matt si stiracchiò dopo aver lasciato la presa alla ragazza e tornò a scoppiare a ridere fra i gesti confusi di Johnny e Brian che si spintonavano, fra un rimembrare a strani ricordi e qualcuno anche e ancora un po' offuscato. Sembravano affiorare a poco a poco, specchiarsi negli occhi della donna che avevano avanti, nascere dalla zona più assopita ed intorpidita dei loro ricordi; nonostante le ore non sarebbero bastate a colmare tutto il tempo che ancora avevano da raccontarsi, per questo, scemando appena le risate dovettero prendersi qualche minuto e riporre tutte le domanda ancora un po' in quel "cassetto" segreto nella loro mente. Ma ci sarebbe stato il tempo d'ora in poi, Jill lo aveva certamente garantito, nonostante la cosa migliore da fare sarebbe stata sicuramente lasciarle tutte senza nessuna risposta.

-Avevi mai mangiato così bene nel Connecticut, eh? - Jill ancora con la bocca piena masticò velocemente portandosi una mano in viso per non ridere delle loro facce e bevendo qualche sorso di birra ad accompagnare.

-No.. mh, nonostante ci siano molti ristoranti anche italiani, sono tornata certamente per questo. - parlò costringendosi con qualche pausa, ma era certamente più bella esitante e con quel flebile sorriso di sollievo a curvarle la bocca. Brian ci fece caso tutta la sera, era sicuro che riunire tutti bastava a farle quell'effetto, nonostante la paura stava fottendola da anni. Lui li conosceva bene, ma lei non sapeva che reazioni aspettarsi e lo aveva preveduto; sapeva perfettamente come i suoi amici pensavano e agivano, perché non per nulla la loro amicizia era tale da renderli quasi tutti una sola mente pensante. Infatti sarebbe bastato ancora poco per informare Brian che Matt gli aveva salvato ancora una volta il culo da Michelle.


-Cerca di darti una regolata fratello, non puoi comportarti come un adolescente con ancora i bollori nel culo, apri le orecchie e guarda bene quello che fai. - Matt lo aveva trascinato da parte con la scusa di qualche ultima birra e affiancati al bancone piazzò bene il viso poco lontano dal suo, serio e con una smorfia accigliata sul viso. La sua voce era carica ma bassa, tanto a fargli capire che non scherzava. Lo aveva visto sbandato in queste poche ore, ma era molto meglio tornare a ricordargli che era una cosa che non poteva più permettersi. Brian dal canto suo non riuscì a reggere il confronto dei loro sguardi, e senza dire nulla lanciò un'occhiata verso il tavolo che ospitava Jill insieme all'amico, che continuava a ridere e smuoversi come una volta abitava le sue giornate.

-Brian ti prego, non farmene pentire. - Gli diede una spintonata amichevole alla testa e prese i primi due boccali pieni per riportarli al bancone. Eppure Brian attese, guardarlo avvicinarsi a lei la fece voltare e spiare quel suo sorriso acceso, rumoroso, ed il profilo sottile e femminile. Quel suo corpo parlava più di mille parole, sussurrava qualcosa al suo stesso corpo, lo sentiva quando l'aveva vicina e dal forte impulso che avvertiva per volerle carezzare almeno una guancia, eppure anche lei era così recittiva. Aveva detto quelle cose per provocarlo? Per fargli capire che anche lei infondo...

-Ma che diavolo? - Briann ringhiò a denti stretti passandosi un palmo per tutta la faccia come a scacciare via tutte quelle domande stupide. Seduto ancora al bancone diede un gran sorso alla sua birra, e armandosi di tutta l'indifferenza del mondo si alzò anche lui tornando a dirigersi verso i suoi amici. Tutti e tre i suoi vecchi amici.


-Non so come ringraziarvi in ogni caso.. - Sulle gote avvertì un certo calore e sperava con tutta se stessa di non essere arrossita come una stupida, anche se non ne era del tutto sicura dato le colorate risate che avvertì da parte dei tre.

-A dire il vero è stato un compleanno davvero insolito, insomma la sorpresa l'hai preparata tu per noi oltretutto. - Sentì dire e scoppiarono a ridere ancora una volta con gli occhi lucidi per l'alcool e sazi di cibo. Jillian ammise a se stessa di sentirsi particolarmente bene, come non lo era davvero da molto tempo ormai. Aveva fatto una buona scelta in questo nuovo arco maturo di vita che era inoltrato, come tornare sui suoi passi e lasciarsi trasportare. Magari doveva andarci ancora salda con i piedi per terra, ma era sicuramente un buon inizio.

-Adesso dovrei proprio andare, ho lasciato così tanti casini nel mio nuovo "rifugio". - Si alzarono tutti con una certa regolarità e si diressero verso l'uscita, spiando ormai le strade illuminate dai fanali delle auto e da i mille lampioni immensi che slittavano lungo l'asse della strada, dove da lì non sembrava avere mai una fine. Era tutto magico, tutto enorme ed illuminava la notte come se non lo fosse per davvero.

-Ti diamo un passaggio noi? - Brian irruppe e affiancandosi alla ragazza rispose all'amico.

-No, siamo con la mia auto, così non dovrai fare due volte la strada.- Jill annuì e gli altri fecero lo stesso.

-Va bene allora, attento ai cattivoni quando torni da solo. - Brian gli mollò un pugno molto contenuto verso lo sterno e l'amico ridendo fece lo stesso, avendo la meglio con un ultimo schiaffo anticipatogli alla nuca.

-Andetevene a cagare, coraggio. - Tutti si concentrarono nel salutare Jill con un forte abbraccio e con un in bocca al lupo si diressero tutti verso le rispettive auto riparandosi dal freddo che stava scendendo giusto nella sera.

-Vuoi che accenda dell'aria calda? - La voce di Brian era così soffice che ella sorrise ma disdì col capo.

-Non ce ne è bisogno, basterà filare direttamente a letto e mi passerà questo tremoliccio. - Annuì e mettendo in moto l'auto rombò appena qualche secondo prima di immergersi in strada, desolata un po' per l'orario tardo. Non parlarono molto durante il tragitto, eppure una decina di minuti sembravano davvero tantissimi in quel momento, risultavano davvero pesanti, tanto che Jill deglutì per contenere la tensione.

-C'è qualcosa che non va? -

-Eh? No, niente che non vada. - Tornò con gli occhi a spiare dal finestrino, mentre i viali delle strade inalberate dettavano sinistre immagini lungo le mura dei palazzi, al rumore di fogliame che si sfiorava al vento e le infondeva nella mente qualche timore a lasciare il calore dell'auto.

Brian faceva balzare lo sguardo verso gli specchietti con la coda dell'occhio con una certa velocità, cercando di non farsi accorgere dalla donna. Certo non c'era da temere, era troppo catturata da qualcosa o da qualche pensiero che la distraeva con altro a quanto pareva, quindi non sapeva se indagare o continuare ad approfittare per farsi un'idea propria di quelli che magari erano i suoi pensieri.

-Ti avevo promesso che non sarebbe stato niente di troppo.. esagerato. - La giovane annuì e dopo tutto quel tragitto si voltò finalmente a guardarlo.

-E' vero, ti ringrazio. Hai mantenuto la tua promessa. - La vocina era sottile e impastata, stanca probabilmente per le forti emozioni, le corse sotto la pioggia, qualche ora passata a suonare e tutto quel cibo buonissimo del Johnny's. Brian ne fu sorpreso: vivedere le gote rosee e spruzzate di lentiggini gli infondeva una gran spensieratezza e calma, una bellezza così innocente che gli mozzava il fiato. Vedeva come gli occhietti verdi fossero serrati quasi per metà, come assonnati e pesanti, e quasi l'avrebbe pregata di riposare lì per un po', per farsi ammirare dolcemente e cullare da qualche carezza.

-Sono incorreggibile.. Non riesco mai a scacciare il sonno in momenti simili.- le sentì dire, e sorrisero.

-Puoi riposare se vuoi. - Brian aveva gli occhi puntati verso la strada però li sentì. Sentì quelli di lei su di lui e quasi finì per non respirare per tutte le domande che gli vorticavano in testa in quel momento. Domande che non doveva neanche porsi nella situazione in cui era e che di certo non poteva svincolare come aveva sempre fatto con il resto dei problemi di quella che era stata tutta la sua vita. Jill non disse niente, era palesemente chiaro però che anche lei aveva qualche parola difficile da pronunciare in presenza di lui. Che bizzarra situazione. Probabilmente sperare in una fatta apposta non sarebbe mai risultata più da imbranati di questa.

-Ecco, abito lì, dopo il vicolo ad angolo.- L'ultimo distretto del parco era più vicino del previsto, e appena passata l'aiuola del cortile accostò con l'auto silenziosamente rimandendo al buio ed al silenzio del vialotto abitato. C'erano molte villette piccole allineate lungo la stradina, con un piccolo giardinetto o posto auto che si somigliavano alquanto fra di loro ma davano sicuramente la loro figura accogliente.

-Allora... - Cominciò lei, spiando fra i vialotti illuminati da una luce fievole esterna, dove si vedeva il volo disconnesso di qualche insetto fastidioso.

-Allora.. - Ripetè lui, tamburellando con le dita sul volante della sua auto. Perché non ammetterlo solo alla propria testa? Entrambi si sentivano morire.

-Beh, eccoci qua. - Mosse appena la testa per scacciare il ciuffo dalla fronte e lo fronteggiò con un sorrisino imbarazzato allungandogli una mano come a salutare un vecchio amico, poi continuò.

-Grazie, Bri. - le prese la mano fra la sua, grande e ruvida, e la strinse con delicatezza. Forse non c'erano troppe cose da dire, avrebbero di sicuro rovinato la forte collisione dei loro occhi, spezzato quella lieve e concessa vergogna. Parlare troppo alla fine era sbagliato, era invasivo, e tutto quello che serviva loro era qualche altro breve silenzio. Era certamente più completo di altri commenti messi lì per caso. Brian infatti non rispose, calò il capo appena e fra i capelli scomposti e arruffati soffiò un filo di vento penetrato dal finestrino semi schiuso. C'era un gran bagliore da avvertire in quei due grandi occhi marroni, tanto che Jill rimase qualche secondo impalata a guardarlo, prima di aprire la portiera e cominciare ad uscire con una gamba al di fuori.

-Aspetta. - Brian la interruppe e allungandosi verso il cruscotto ne estrasse un piccolo oggetto di plastica, malandato e abbellito malamente con un nastrino blu avvolto.

-So che magari non è un granché presentabile. Lo avevo detto a Matt di farsi gli affari suoi ma..-

-E' perfetto. Davvero magnifico. - Jill lo prese fra le mani e sorrise fortissimo, scoprendo la perfetta dentatura bianca fra la bocca sottile.

-Ecco, lo abbiamo portato per fartelo ascoltare. E'qualche brano che abbiamo inciso, non ancora ufficializzato certo però..-

-Brian, smettila di preoccuparti. E' un regalo fantastico, davvero. - Quel sorriso lo rassicurò, tanto che smise subito di dissuaderla con qualche stupida trovata non molto convincente, preferendo di nuovo che fosse stata lei a zittirlo con quell'espressione rasserenata.

-Meglio, così potrai anche darci qualche tua opinione. - Jill annuì ancora all'uscio della portiera, ritornando a guardare la strana custodia del cd. Non aveva immagine, solo qualche scritta di una calligrafia in penna blu indecifrabile.

-Non so quanto il mio commento da imbranata conti ma, ci proverò. Oggi mi hai spiazzato, Haner, devo ammetterlo. - Gli vide fare una smorfia orgogliosa e gli mollò un buffetto leggero.

-Non montarti la testa, ci vediamo domani.-

-Sì, a domani. - la portiera si chiuse in un tonfo e quando indietreggiò di qualche passo sentì il finestrino calarsi lentamente e vederlo sporsi appena.

-E' tutta la serata che ho come l'impressione di dimenticare qualcosa, non riguarda te, vero? - Jill accigliata ci pensò qualche secondo, poi disdì col capo come a rassicurarlo che non riguardasse lei. Brian portò la bocca ad una smorfia strana ed alzò le spalle.

-Non importa, mi verrà in mente spero. Stammi bene. - Entrambi alzarono il palmo a mo' di saluto e con il rumore lieve di ciottoli fra gli pneumatici Brian imboccò il viale, scomparendo solo dopo un po' insieme alle luci rosse dei fanali.

Quando si ritrovò da sola al freddo e con le luci offuscate dei lampioni svoltò verso l'ingresso, abbracciandosi le braccia come a scaldarsi appena appena. Le luci del cucinino che si affacciavano all'esterno principale della villa erano ancora tutte accese, il che le dava a pensare che probabilmente le aveva lasciate dalla mattina. Che palle, pensò, non riusciva a combinarne una buona. Si calò ai piedi dello zerbino cercando le chiavi di casa, quelle con il suo portachiavi preferito, per potersi finalmente concedere qualche minuto di tranquillità sul divanetto davanti la tv regalatole dai suoi qualche anno prima. Certo era sicura di averle lasciate lì, lo avrebbe reso il posto abituale anche nella sua nuova casa. Troppo abituale.

Vide la porta d'ingresso aprirsi davanti ai suoi occhi lentamente, con qualche cigolio fastidioso per una porta così pesante, lasciandola meravigliata ancora china verso i piedi dell'uscio. Arricciò le sopracciglia e cinse le labbra a due fessure in silenzio, scovando la figura di Mark che si era poggiata a torso nudo contro l'arco e la fissava silenzioso con gli occhi accerchiati di nero, per la stanchezza e l'insonnia. Voleva deriderla, questo era certo, ma il suo viso non era neanche più avvezzo ad espressioni troppo marcate, quindi con un debole sorriso di sghembo sembrò salutarla appena incrociò i suoi occhi, finalmente. Sentì il respiro accellerare quando si alzò in piedi con moderazione e si fece spazio prepotentemente per entrare, non sentendolo opporsi troppo a quella spinta marcata che lo scostò dallo stipite. Lo sentì chiudere la porta alle loro spalle ed i suoi occhi seguirla fedelmente per ogni passo nell'atrio che collegava la cucina ad un piccolo angolo con la tv ed il divano, e mentre si liberava degli occhiali, il cellulare, il cd. I ripiani non sembravano in disordine a parte per qualche lattina di birra e le luci dalle altre stanze sembravano ancora tutte spente.

-Credevo mi stessi aspettando.- Jill sobbalzò quando lo sentì pronunciare qualcosa, poi sembrò ricomporsi appena accorgendosi di averlo fatto per nulla. Rimosse nervosamente un paio di braccialetti dai polsi poi si prese una pausa per rispondergli.

-Non avevo voglia di rimanere a casa, avevo molte cose da fare. - Sopra le guance gli notò due scie quasi infuocate, il che significava che la notte fuori gli aveva fatto davvero male. Nonché quella precedente. Dandosi un'occhiata in giro notò come i cocci in frantumi del giorno prima fossero ancora sul pavimento in cotto al centro della stanza, quindi armata di pazienza cercò di tenersi occupata tornando a raccoglierli.

Quando sentì qualche passo avvicinarsi si voltò appena prima di sentrirlo pendere contro di lei e attirarla a sè con una presa stretta all'arco dei fianchi.

-Mark, che stai facendo? - mormorò vincolandosi dapprima piano, poi con un briciolo di tenacia in più.

-Tipo cosa? Andare a spassartela con Haner appena il secondo giorno che porti il culo in questa casa? - Sembrava essersi impegnato solo sull'affermazione precedente, il che lasciò la donna ancora interrogativa sulle sue intenzioni.

-Va a farti una doccia fredda, per favore.- Impartì autoritaria.

-Sei di nuovo ubriaco, ed il tuo puzzo mi fa schifo.. smettila di toccarmi. - Si divincolò audacemente e con qualche scossone lasciò la presa, lasciandola di nuovo libera verso il centro della cucina. Era fuggita letteralmente quella stessa mattina, da dimenticarsi ancora tutto quel disastro in giro.

-Che cosa ha fatto? Dimmelo. - sibilò, e Jillian ancora dandogli le spalle è come se fosse stato solo un bambino un po' fastidioso, domandò a sua volta con un po' di rassegnazione.

-Cosa ha fatto, chi? - una mano si agganciò al suo esile braccio e a trascinarla di nuovo in piedi la costrinse a lasciare andare i cocci per terra, che tintinnarono forte, più forte che mai.

-HANER! - Le ringhiò in faccia, mostrando gli incisivi e le narici che vibravano per la rabbia. Jill serrò la mascella e dischiudendo la bocca leggermente flebile per rispondere sentì un tremoliccio in gola che non riuscirò a nascondere.

-I..io. -

-Haner. - Ripeté lui interrompendola, come se non fosse stato a sentire e stesse cercando invece di rimediare alla rabbia di prima. Jillian chiuse gli occhi forzatamente e la voce atona le uscì come ad un soffio dalla bocca.

-Mark, mi stai facendo male.. - portò la mano su quella che lui stesso le stringeva al braccio, incoraggiandolo a lasciarla appena per non farle più male, ma non riuscì a capire se stava ascoltando cosa lei aveva da dirgli.

-Perché non mi hai aspettato? Stai cominciando ad evitarmi. - La mano si Jillian era graffiata in qualche parte del palmo e con nervosismo sembrò portarsela fino al volto per strofinarselo con tutti quei movimenti disconnessi, disdendo velocemente col capo.

-No, ma che dici? Mark, ero venuta a cercarti.. - mentì, tanto che a tradirla furono gli occhi bassi e bagnati di lacrime.

-Perché non sei più sincera con me? Perché hai smesso di aiutarmi? - Cercò di pronunciare qualcosa che le uscì invano dalla bocca, a parte qualche mugugno inudibile succubbe dei tremolicci delle sue labbra. La voce di Mark era così tagliente e calma che si insidiava nella sua testa e la disarmava della sua forza d'animo, facendola sentire una bambola incolume fra le sue mani. Intanto lui fece un passo avanti verso di lei, tanto che la costrinse ad indietreggiare, prima poco, poi in modo sempre più evidente.

-Fermati, Mark! -

-C'è qualcosa che devi dirmi? Tipo che le nostre vite stanno prendendo strade diverse?-

-Smettila di stringere! -

-Che sono di nuovo perso? Irrecuperabile?-

-Ti prego, ti prego, mi stai facendo male.. - qualche lacrima le tagliò in due la faccia, appena avvertì il muro comprimersi contro le sue scapole ed il corpo di lui contro le costole.

-Vuoi dire che hai smesso di interessarti a me? Che preferisci fare altro, vedere altri? - L'unica cosa che riuscì a fare era negare forte col capo, spaventata dalle insidie che gli occhi blu di lui riuscivano a trasmetterle, facendola annegare in un buio infinito di due pupille dilatate al massimo.

-Non stai facendo abbastanza per me. -

-N-non è vero.. - mormorò fra le lacrime.

-Sì, Jillian, il tuo corpo è freddo ed io ho.. ho bisogno di scaldarmi. - quella presa piano sembrò salire lungo la sua spalla fino alla testa, che prese a costringerla a tirare indietro tenendola per i capelli, in modo leggero ma intimidatorio.

-Mark.. -

-Ssh.. - la zittì lievemente, con quella voce roca e rotta. La vista di lei si spostava prepotentemente verso tutti i lineamenti del viso: dalle guance scavate appena e pallide, punteggiate di lieve barba, agli occhi lividi, capaci di provocarle qualche brivido non piacevole.

Forse davvero non stava facendo abbastanza per lui, lo lasciava abbandonarsi, lo evitava, cercava di viverlo il meno possibile, tanto che in quegli ultimi anni aveva anche cercato di eliminarlo dalla sua vita. Eppure lui era sempre tornato e lei non era mai riuscita a fuggire troppo lontano. Era un tira e molla continuo, un incontro che li univa sempre con infiniti timori che le accapponavano la pelle, le formicolavano le braccia. Ma perché, lei lo amava vero? Lui lasciava che lei glielo ripetesse sempre e lei ne era innamorata. Ne era stata, lo era tutt'ora. I capelli corti e bruni accerchiavano il viso diafano, le iridi chiare erano così evidenti da mozzarle il fiato.

-M-mi dispiace.-

-Ti dispiace? - tornò a chiederle. Lei annuì e gracchiò appena qualche sussurrò.

-Sì.. sì.. - sentì la presa allentarsi sempre di più e liberarle la testa, mentre con uno sguardo la incitava a continuare. Le dita affusolate salirono fino la guancia e l'accolsero piano, carezzandolo, parlando in modo scandito per lasciargli seguire facilmente le sue parole.

-Io sono qui per te amore, lo giuro. - il suo labbro fremette e le mani si allentarono della loro presa, finché non deglutì rumorosamente e si poggiò alla parete stendendo il braccio. La sua fronte aderì a quella di lei e il fiato le scaldò le labbra, fino a catturarle dopo brevi attimi di esitazione. Si strinse morbidamente alle sue prima che mutasse in un bacio più violento e voglioso, mentre le sue mani scavavano sotto la maglietta e salivano lungo la schiena a slacciare il reggiseno trascinandola in un impetuoso, ardente desiderio. Jillian mugugnò.

-Sei mia, non dimenticarlo mai.-




Questo è il sesto capitolo e non l'avrei mai detto! A questo punto della vicenda molte cose sono in procinto di mischiarsi, mi piace dover pensare a molti dettagli che pian piano si insidieranno nella vostra mente e ci rifileranno insieme verso la pazzia! Mark è un personaggio che in realtà mi piace molto, per il semplice fatto che ha dei modi davvero da gentiluomo nonostante quello che il lettore deve arrivare a percepire fra le righe. Caratterizzare un tipo del genere con un carattere opposto alla sua situazione lo rende controverso, (l'ho già usato questo termine?) appunto per il fatto che odia proporsi in modo violento, piuttosto gioca di psiche e collabora con la sottiglietta del suo porsi, ai malomodi intimidatori, per una sua debolezza fisica e mentale. Ma queste sono cose che non devo dire io: maledetto il mio vizio di commentare! A proposito dello sproposito, ora che ci penso non l'ho specificato nelle note d'autore finora ma se vogliamo essere puntigliosi ci tengo a far presente che il titolo Sober, che dall'inglese si traduce rispettivamente "Sobrio" deriva da una traccia dell'album "Funhouse" (2008) della cantante statunitense P!nk. Invito tutti ad ascoltarla nel caso manchi al vostro itinerario musicale. Cosicché pensiate a noi (me + protagonisti della storia stessa) magari ogni volta che vi capita di ascoltarla! C:


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. ***


7.

C'era una strana vibrazione e il bianco asettico di una stanza ovattata. Il corpo assopito si smuoveva fra le lenzuola silenziosamente, disturbato dal ronzio spesso e frequente che piano si alternava sempre più forte e più insistente. Era come metallo su un pezzo di legno, o come un martello pneumatico che batteva a discreta distanza, solo che era persistente, progrediva senza mai riuscire a farsi individuare. Un leggero scatto delle ciglia ravvivò il viso fino ad attendere qualche altro lungo minuto prima di avvertirlo di nuovo; Brian mugugnò gravemente e alzò appena di qualche millimetro la testa pesante dal cuscino, infastidito da almeno un quarto d'ora dalla vibrazione dello smartphone che si illuminava poco lontano dalla sua postazione. Sotto le dita avvertiva una certa calura mentre quelle dell'altro braccio sembrava non avvertirle per niente nonostante cercasse di smuoverle e questo valeva anche per la gamba destra. Aveva un certo formicolio al piede e c'era fresco fino a farlo rabbrividire appena, con il ronzio spietato che fra le pareti cresceva suo malgrado. Dando una veloce occhiata si accorse che era ancora vestito, aveva a malapena lasciato gli anfibi sull'uscio e spostando il ciuffo dagli occhi sbuffò frastornato. Smuovendosi appena rimosse dolorosamente il braccio da sotto il peso del busto e la gamba destra malamente piegata, digrignando la dentatura perfetta fino al sospiro di sollievo che lo accompagnò. Schioccò le dita assopite e si diede qualche altro minuto di assestamento prima di ripiegarsi di nuovo sul fianco; l'angolo opposto del suo letto era scoperto ma vuoto; che Michelle avesse dormito con lui era certo, per il semplice fatto che la sera prima l'aveva raggiunta poco dopo essersi dileguata senza fiatare quando l'aveva visto rincasare. Non c'erano stati commenti fra di loro da ieri sera, da quando era rientrato e l'aveva trovata ad aspettarlo seduta al tavolo della cucina, in silenzio, con un palmo nell'altro a guardare pensierosa un punto indefinito; e appena passato l'uscio di casa se ne era andata, aveva abbandonato la stanza senza fiatare e guardandolo appena, almeno sollevata dal fatto che fosse tornato. Sperava solo non avesse fumato o bevuto, e il fatto che lo avesse sentito smuoversi nel letto quasi tutta la notte le lasciava intendere che ciò non era accaduto, non a livelli inaccettabili almeno. Infatti Brian non era riuscito a dormire, aveva sempre nella testa qualcosa che lo disturbasse e l'unico modo che aveva usato per esorcizzarle era comprimere la testa contro il cuscino per ore. Il silenzio della casa era opprimente, gli dava troppo spazio per pensare e non seppe bene quale sensazione lo aveva costretto a dileguarsi la sera prima con tanta fretta. Aveva lasciato Jillian sul pianerottolo di casa e dallo specchietto retrovisore aveva visto la sua figura allontanarsi e farsi sempre più piccina, fino a scomparire. Fu quasi un sospiro di sollievo il suo, quello che lo accompagnò subito dopo, costretto a trattenere il respiro addirittura quando i loro occhi si scontravano. Era quasi un comportamento da collegiale, uno stupido, insensato atteggiamento da ragazzino. Guardando la schiena di Michelle che era perfetta nelle sue curve davanti i suoi occhi, aveva solo sperato di riposare un po', era quasi l'alba, non voleva soccombere all'insonnia.

Sobbalzò all'ennesimo richiamo del cellulare, e con un grugnito di sforzo si alzò dal letto per raggiungerlo.

-Merda.. - Zachary Baker chiamava da ben venti minuti, e la cosa peggiore era che lo stava facendo insistentemente dalla sera precedente. Brian si sentì un perfetto idiota, chissà quante altre cose in mattinata si sarebbero presentate a ricordargli che ieri era stato completamente con la testa fra le nuvole tanto da dimenticarsi gli amici. Presto lo avrebbe chiamato e gli avrebbe spiegato certamente come erano andate le cose. Ecco quella sensazione di dimenticanza dalla sera precedente, erano certamente le imprecazioni verso di lui. Dimenticare il telefono a casa gli aveva causato davvero un sacco di problemi da qualche ora a questa parte, però sapeva che almeno lui l'avrebbe perdonato. L'avrebbe fatto per forza. Della sera precedente aveva organizzato tutto per Jillian, era quello che voleva rivedere i ragazzi e troppe cose li avevano distratti fino alla sera. Non poteva prendersela per troppo tempo. Dopotutto lo conosceva, era fin troppo burlone per portare il muso a lungo, avrebbe di sicuro lasciato scorrere la cosa appena avrebbe anche lui rivisto Jillian dopo tanti anni.

Riposò l'oggetto e si stiracchiò velocemente abbottonandosi i jeans che scivolavano appena sui fianchi. Se faceva un po' più di attenzione si sarebbe accorto del sole troppo alto e cocente per un orario così mattutino, infatti qualcosa andava storto.

La sveglia si era fermata di nuovo.


Fortunatamente non c'erano le prove. La sera prima Matt aveva rimandato ad un fatidico "riprendiamo presto ma non subito" tutto il lavoro che c'era da completare, ma quale fosse stata la causa del ritardo non era stata neanche posta per non compromettere l'andamento della splendida serata. Brian ne era rimasto contento e con un sorrisino a fior di labbra spense il mozzicone di sigaretta con le dita schiacciandolo contro la ringhiera del balcone prima di spingerla verso il vuoto. Non del rimando, che sicuramente avrebbe potuto dare loro dei problemi, piuttosto per quella giornata che ieri gli aveva colmato un gran vuoto con la quale conviveva, senza ammetterlo, da anni. Non c'era niente di bello nel parlarne, infatti tanti anni assopiti furono possibili grazie al fatto che non ne aveva mai fatta parola con nessuno, anzi, aveva mandato avanti la sua vita e solo grazie a questo adesso era riuscito a raggiungere uno scopo più che appagante. Di incidenti di percorso ce ne erano stati tanti e quella più grande vigeva adesso nel suo cuore da appena un paio di anni, ma era viva e vivida fino a ricordargli comunque ogni giorno che era lì. Questo non aveva interrotto lo scorrere dei progressi: Brian aveva scritto testi, comprato casa e aveva sposato Michelle. Michelle...

Brian alzò il capo e la vide. I capelli biondi le arrivavano alle spalle appena un po' spettinati ed il viso semplice e senza un velo di trucco non le impediva di essere bella. Solo quel cipiglio, sottile, che non voleva dare a vedere ma che era palpabile con lo sguardo lo stesso, lasciava intendere quanto fosse delusa da lui in quel momento. Brian non disse niente, rientrò in casa piano e sempre piano richiuse la vetrata alle sue spalle come a non voler fare rumore, come per paura di infastidirla ancora. Si sistemò la shirt sgualcita con il palmo della mano per cercare di rimediare a quell'aspetto trasandato, ma qualcosa gli dava da credere che non sarebbe stato troppo facile. Infatti smise quasi subito, cercando di rendersi meno ridicolo possibile se c'era ancora questa possibilità. Ora erano lì e Brian si sentì in colpa, così in colpa che quel suo sguardo arrogante e da ragazzaccio stralunato si ammorbidì di fronte a lei.

-Non sapevo la sveglia si fosse guastata di nuovo, altrimenti mi sarei alzato prima.. - Michelle lo guardava sbattendo le lunghe ciglia solo per impedire che cominciassero a bruciarle gli occhi, mentre il maglione le sformava il corpo e le copriva per metà anche i dorsi delle mani. Sembrava più una ragazzina che una donna completa in corpo e spirito.

La vide annuire e come se non bastasse si allontanò dalla sua visuale incamminandosi verso la cucina, probabilmente intenta a trovarsi qualcosa da fare pur di non restare un minuto di più in sua presenza. Aveva molte cose da dirgli, questo perché quando serrava la bocca era solo per imporsi di darsi un contegno e se non fosse stata una donna, in quegli anni fra convivenza e fidanzamento avrebbe anche potuto uscirci qualche rissa per tutte le stronzate che per anni Brian le aveva ripiegato, e questo non poteva negarlo. Michelle era la sua donna, da anni, non aveva nulla da invidiare a nessuna: era bella, intelligente, di buona famiglia. Una donna dolce, sempre pronta a passare su tutte le volte che le aveva dato da soffrire. Sì, cavolo, era così. Brian, sei un vero stronzo.

-C'è già del caffé? - glielo porse a polso fermo dopo qualche secondo e leggermente irrigido dal gesto svelto ringraziò con un movimento del capo, accorgendosi che non aveva neanche alzato gli occhi verso di lui.

-Sei sveglia da molto? -

-Non mi hai fatto chiudere occhio. - Brian sorseggiò dalla tazza poi sembrò attendere un secondo prima di sbottare.

-Ho russato forte? - Si voltò a guardarlo ed egli raggelò, tirò indietro le spalle per la sorpresa poi si vide sfilare la tazza dalle mani.

-Hai continuato a muoverti per tutta la notte. - Tornò a dargli le spalle e si rilassò appena, sbilanciandosi per appoggiarsi al bordo in marmo della cucina.

-Oh.. - mormorò. -Allora hai dormito vicino a me, lo sapevo.-

-Non avrei dovuto? - Stava tastando il terreno con molto vantaggio.

-Ecco.. - peccato lo avesse già zittito.

-Ti prego, è meglio non aprire l'argomento. -

-Che argomento? - Potè scorgere nelle sue piccole iridi quasi la minaccia che volesse incenerirlo, si morse la bocca a contenere la rabbia e si scostò da lui con fretta, cosa che lui non assecondò.

-Ti comporti come un ragazzino di tredici anni! Hai marinato il lavoro per giocare ai videogame per caso? - Brian si lasciò sfuggire una risata, cosa che la irritò anche di più.

-Ma dai, ho bisogno di una punizione? - Non gli diede peso e si scompigliò i capelli per la brutta piega che intravedeva dai vetri della terrazza.

-Quando crescerai forse potremmo iniziare a pensare insieme a qualche buon proposito. - La vide dileguarsi verso il corridoio e la seguì a ruota mentre la sua vocina borbottante alimentava una certa tensione.

-Quali sarebbero per cominciare? -

-Sarebbe anzitutto smetterla di fare quello che diavolo ti pare, informarmi dove porti il culo, rispondermi al telefono senza doverti cercare per mezza California! - Brian avvertì il suono della sua voce vibrare e aizzarsi alquanto, mentre incominciava a divaricare le braccia per fronteggiarlo sfacciatamente. Eppure Matt gli aveva detto di essere riuscito ad allentare questa situazione. Bel lavoro, davvero.

-E' stata una stupida dimenticanza. -

-Che avresti potuto risolvere in un attimo se solo avessi voluto! Che cosa credi, che stia ad aspettarti perché te lo meriti? O perché ti sia dovuto? -

-Vuoi che ti chieda scusa? - Michelle prese un lungo respiro e si interruppe per un attimo, portando le braccia basse e all'altezza dei fianchi.

-Vuoi chiedermi scusa? - Brian era un povero omino succube dell'orgoglio. Un trentenne ancora egocentrico come un adolescente, caparbio come un rugbista, testardo, alle volte fin troppo immaturo.

-Brian, non posso sopportare una cosa del genere. Mi stai mancando di rispetto! -

-Ma ti senti? Sembra di sentir parlare tua sorella, ti sta facendo completamente il lavaggio del cervello! - Sulla bocca di lei comparve una smorfia.

-Cosa? Valary cerca di aiutarmi! -

-Aiutarti? Ti ha messo per caso in testa che non rispondo al telefono perché vado a puttane? -

-Brian, non parlare così di lei! -

-Rispondimi.- L'esitazione di lei gli fece scoppiare i nervi, tanto che diniegò più volte senza accorgersene.

-Mi è solo molto vicina. -

-Ti è vicina a riempirti di stronzate, va bene? Spero che tu riesca a capirmi dato che sono anni che si intromette senza rientrare di persona, ogni volta mi sembra di avere lei di fronte. Non riesce a tenersi fuori da cose che non la riguardano. - Di nuovo le bianche pareti asettiche della sua mente gli si ripresentarono davanti quando chiuse gli occhi esasperato, portandosi i capelli all'indietro sospirando. Le nocche sbiancarono così tanto per i pugni stretti fra le ciocche che digrignò appena.

-Cosa vuoi farmi credere, coraggio? - Brian gli diede le spalle e tornò a percorrere il corridoio cercando di rifuggiarsi in bagno, dove avrebbe potuto rinvigorirsi con una doccia fredda.

-Hai intenzione di interrogarmi per informare la gemella cattiva? - quando l'acqua cominciò a scrosciare si sentì solo quel suono per un po', mentre il giovane si teneva occupato a spogliarsi per permettersi di immergersi il prima possibile.

-No.. ma io voglio sapere perché. - Brian s'interruppe per un attimo, giusto il tempo di guardarla e gettare via svogliatamente la t-shirt.

-Vuoi saperlo? - lei annuì all'uscio e Brian calò gli occhi corrugando la fronte per il disappunto che lo colpì. Non ci sarebbe stato nulla che avrebbe riparato i cocci che gli sarebbero crollati addosso e per la sabbia che lo avrebbe inghiottito.

-Jillian è tornata ad Huntington. - Era difficile esprimere tanto stupore in così poco tempo, ma Michelle ci riuscì. La sua bocca si schiuse ed istintivamente, in modo grave, deglutì a forza per la gola secca di botto.

-Ah.. - esordì. Per quanto avrebbe giurato il contrario Brian lo sapeva, di lì a poco sarebbe scoppiata a piangere.


***

-Grazie, riproverò ancora. - Jillian calò il cordless e compose il prossimo numero sulla lista; lista che si susseguiva ormai da ore, e alla quale sembrava non riuscire mai ad arrivare ad una fine e ad una conclusione. Entro la settimana avrebbe dovuto trovare almeno un impiego, di quelli che le permettono di tenersi tranquilla i soldi per l'abitazione e le spese della sua vecchia renault. Si massaggiò le tempie esasperata per la tarda mattinata e per il suo stomaco che richiamava almeno qualcosa con la quale saziarsi. Si grattò la testa e vi rinunciò, inutile cercare di insistere nell'aggiustare una gionata già cominciata ostile di suo. Meglio lasciarsi andare a qualche coccola calda del caffé bollente riscaldato dal termos e qualche biscotto di quelli grandi, con le scaglie di cioccolato fondente. Jillian fece raschiare i piedi della sedia contro il pavimento e raggelò per il verso stridulo, mentre la tirava verso di sè con poca forza e molta disapprovazione. Aveva dormito così bene, doversi alzare era stata una vera tortura. Mark l'aveva stretta così forte e abbracciata che il suo cuore aveva smesso di fare rumore e aveva chiuso gli occhi quasi subito; lo aveva avvertito senza tremori e senza strane vibrazioni, aveva dormito serenamente. Sobrio.

Avrebbe preparato qualcosa di buono quella mattina, magari cialde calde con lo sciroppo d'acero, poi una cheesecake per il pomeriggio, avrebbe comprato anche qualche toffoletta, cupcake e mousse di cioccolata. Non si era mai sentita così bene, non così da molto tempo almeno. Dovette sedersi quando la sua mente la costrinse a viaggiare, quando cominciava a spingersi troppo oltre da farle arricciare la bocca per il disagio. Jillian doveva ammetterlo, a se stessa e a Dio se necessario, avrebbe molte volte preferito gettare la spugna, costringersi a mollare, invece l'orgoglio o l'amore come preferiva, l'avevano incitata a restare. A restare dopo che invece era partita. Mark era un ragazzo così giovane ed insicuro, facilmente malleabile, condizionabile. Non si sorprendeva neanche a distanza di anni che qualche cattiva compagnia lo avesse plasmato così facilmente. Sicuramente erano passati anni dai primi segnali di cambiamento; dai primi spintoni, le parolacce e le imprecazioni, poi le percussioni, i graffi e poi i lividi. Piccoli, impecettibili, eppure presenti. Non troppo difficilmente ne seguirono altri. Probabilmente una o due volte si era rotta anche il naso, era stata una testata, una testata così forte che gocciolava a fiotti e lì la paura fotté così forte entrambi che anziché andare alla polizia si trascinarono entrambi in ambulatorio come in seguito ad un incidente in moto. Dio, che stronzata. Non l'avevano neanche una moto. Mark le aveva chiesto il perdono, così ingiallito di fifa che l'odore di ammoniaca che gli trapelava dal corpo era insopportabile. E lei sputando sangue aveva scelto via via la strada per il degrado. Quando cominciò l'entrata alle droghe pesanti che Dio ce la scampi, perché se non fossero intervenute pattuglie tutte le notti sarebbe rimasta sotto tutte le botte. La polizia passava per la loro vecchia abitazione del Cunnecticut quasi una sera sì e l'altra no, sotto richiamo dei vicini, che quasi li costrinsero a fuggire come banditi dopo che in seguito ad un arresto Mark era costretto a firmare in distretto per la vigilanza tutti i giorni. La prima volta che le videro un livido sulla faccia le chiesero cosa avesse combinato, e quasi come se fosse divertente aveva spiegato di essere finita dritta contro la porta; la seconda volta non aveva visto uno scalino; la terza volta... la terza volta col ferro da stiro, forse. Quando finì in ospedale per una costola rotta invece firmò denuncia contro ignoti, quando invece complice era stata la mazza da baseball firmata da Alexander R. poggiata al muro della loro stanza. Ma perché no? Quasi nove mesi dopo Mark venne trascinato per disintossicarsi in un centro specializzato, lo trattavano quasi come una bestia tanto fosse aggressivo, il che Jillian sapeva che sotto sotto non le dispiaceva. Si era sempre creduta una donna troppo forte per aver bisogno di fuggire da uno come lui, quando solo infine si era accorta che invece era stata la sua debolezza ad incatenarla per tutta sua giovinezza. Gli anni che ne passarono furono di miglioria e di vigore; Mark aveva recuperato anche un po' il lavoro, strimpellava una chitarra, a volte la guardava negli occhi e le sorrideva. Da allora non più molto spesso è successo che la toccasse, aveva sempre contenuto un po' di quella rabbia, eppure Jillian provava sempre quel timore che le impediva di andare fin troppo oltre con lui, che le impediva di dimostrarsi anche solo in qualche discussione. Troppo difficile tornare indietro o smettere di vederlo con gli stessi occhi con la quale lo aveva guardato per anni precedentemente.

I cocci della sera precedente li aveva alzati la mattina stessa. Jillian guardò il piatto con il biscotto mordicchiato di lato che sbriciolava lo sfondo, lo appiattì contro, ricreò qualche crepa insolita schiacciando con le dita e sovrappensiero. Non vi era nulla quella mattina che non le avrebbe dato sorriso dopo la serata precedente, a parte per il riavvicinamento al quanto angusto con il suo uomo, ma per aver rivisto i ragazzi, complici, incredibilmente diversi eppure così simili ai giovani che albergavano per tutta la vita la sua mente. Jillian rise, un sorriso che in una casa silenziosa rischiarì vistosamente e che sibilò dolcemente. Le fossette alle guance si evidenziarono e la dentatura si allineò perfettamente, mentre le mani accerchiavano il tepore di una tazza piena di caffé dolcissimo e latte caldo.

Un tonfo dall'altra stanza la fece sussultare tanto che sbiancò, fino a quando la figura di Mark volteggiò alla porta della stanza e si presentò trasandata ma già vestita di tutto punto.

-Hei... buongiorno.- Mark mugugnò, si passò una mano alla faccia e con il filo di barba raspò sul palmo che il rumore quasi si avvertiva. Si avvicinò ondeggiante alla penisola della tavola e senza dire nulla e senza alcuna remora si appiattì contro spento in viso. Jillian rimase immobile e dopo qualche minuto passato a fissarlo si riprese, liberando lo spazio di fronte a quello che li divideva.

-Ti preparo delle uova? - prese già ad affaccentarsi, con la fretta per accendere i fornelli, strapazzare qualche uovo.

-No, mangerò fuori e ci starò fuori tutta la giornata. -

-Perché? - La donna si interruppe e con le sopracciglia ricurve in una smorfia di discordia attese. Il giovane però poté solo ricambiare con le ciglia ancora attaccate dal sonno e con un'alzata di spalle che tutto fece tranne che aggradarle.

-Ho molte cose da fare. - La voce bassa ricacciò un sospiro quando prese ad alzarsi e ad allontanarsi per indossare il cappotto.

-Vai a cercare un lavoro? - Ci sperò congiungendo le mani. Mark rinvigorì il ciuffo di capelli passandogli le dita con fretta, poi lo sentì infilarsi in tasca le chiavi dell'auto e aprire la porta.

-Posso prendere la tua auto? - Jillian non rispose, lasciò passare solo qualche minuto per convincersi che così sarebbe stato. La ringraziò con un cenno quando lei annuì e chiudendo la porta tutto ciò che rimase fu silenzio inaudito spezzato dal rumore dell'olio che schizzava già bollente in padella.

Lo squillo del cordless ovattato dal ricevitore rivolto verso il basso la distolse per un attimo dai suoi pensieri, ancora troppo impegnata a spiare la porta di ingresso piuttosto che ad avvicinarsi per ricevere la chiamata. La mosse una qualche forza invisibile, la sola unica speranza che potesse essere qualche offerta di un lavoro.

-Sì?-

-Jillian, sono io. - Alla voce di Brian prese un respiro poi continuò.

-Come stai? - Lui annuì ma non c'era molto da indagare sul fatto che fosse piuttosto vago.

-Se non hai nulla da fare vorrei che ci vedessimo. - Un'occhiata all'orologio indicava un perfetto metà mattinata che Jillian accolse con rinnovata spigliatezza.

-Sì, per me va bene. Dove vuoi che venga? -

-Ho pensato alla spiaggia. -



Angolo autore piuttosto povero questa sera, giusto perché il capitolo non è stato molto vasto ma più concentrato su due di quelle coppie più importanti. Quello che mi interessa lasciare intendere di più è sicuramente la struttura dei rapporti: sono una persona troppo romantica! : ) Non mi piace granché la stesura ma i tempi ritretti non mi hanno spremuto al meglio; ce ne rifaremo alla prossima!


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. ***


8.

Nell'amplesso non c'era niente di stonato, forse il vento un po' forte, ma tenendo conto dell'estate appena inoltrata non era davvero nessun disturbo. Forse allora un po' la sabbia che si insediava fra le pieghe del jeans e della t-shirt, questo sì, sicuramente. Odiava la sabbia che si insediava fra le pieghe dei jeans e della t-shirt. Come odiava lo scabroso andamento di piccoli insettini piroettanti davanti alla vista. Lo costringevano ad arricciare il naso e girare la testa di scatto forsennatamente, tanto che ampliare le braccia per scacciarli via dava da lontano l'impressione che avesse bevuto qualche bicchiere di troppo. Erano i suoi troppi pensieri a tenerlo impegnato con gli occhi puntati verso il golfo, sul molo di legno che lungo il calpestio umido era illumiato dai lampioni già accesi ad entrambi i laterali. Si rifletteva un bagliore sviato che piano si appiattiva lungo il sole, proiettava qualche luccichio che ad osservare meglio quasi incantava lo sguardo. Poggiando i palmi sul parapetto increspato di vernice corrosa si destò appena qualche secondo dopo che una mano gli si era appiattita alla schiena. Era soffice e affusolata, si era posata con cautela e con la stessa cautela Brian si voltò a vederla sorridere. Un sorriso bianco e guance rosee da farlo impallidire. L'aveva anticipata di una ventina di minuti, giusto il tempo per riempirsi i polmoni di salsedine marina e di aiutarsi in qualche discorso con la quale cominciare; e più la guardava sistemarsi sul parapetto più le parole non assumevano un giusto potenziale. Con uno sguardo attento notò che i capelli rossicci si spargevano anche attorno all'elastico che li teneva distrattamente, facendone scappare qualcuno che ciondolava sul profilo come ad incorniciarlo, e nella sua impresa riusciva piuttosto bene, donandole un'aria inconsapevolmente trasandata. Ma Brian l'amava. Amava il suo aspetto, il neo piccolo sulla giancia, il naso all'insù.

-E' da molto che aspetti? -

-Nah... e comunque l'attesa sarebbe stata ben ricompensata. - Jillian arrossì.

-Insomma, guarda che oceano! - Le lunghe ciglia nere sfiorarono le palpebre per la sorpresa, si sentì così stupida che rise lasciandolo interdetto.

-Ho detto qualcosa di strano? - La giovane disdì con lo sguardo e continuò a sorridere.

-Ma no, nulla. Di cosa volevi parlarmi? - Il moro arricciò la bocca ed umettò le labbra lentamente, indicando successivamente con la punta dell'indice le scalinate adiacenti al soppalco prima di rispondere.

-Dritta al dunque eh? Perché non ci sediamo prima? - La precedette e lungo il calpestio affollato il tipico rumore che incuriosiva erano i cigolii sistematici al loro passaggio; le transenne dividevano semplicemente un altro sbocco, che si collegava alla spiaggia fino alla riva.

-Cosa hai lì? -

-Ah, sono solo due birrette fresche. - scrollò un po' le spalle poi sorrise. -Beh, fresche è un azzardo. -

-E' un bel pensiero. Ti piace pensare sempre a tutto, eh? - Brian si accomodò sulla sabbia e stavolta, indifferente, lo fece anche comodamente.

-Diciamo che sono una persona pratica. Mi piace avete tutto sotto controllo, e con questo metodo molte cose vengono da sè. - Jillian non sapeva bene a cosa potesse riferirsi, ma quando le sporse la bottiglia l'afferrò senza indagare.

-Immagino avrete molto da lavorare in questo periodo. - Il giovane colse la palla al balzo e annuì inaspettatamente ed in modo scoordinato, preso alla sprovvista.

-Sì, sì cavolo.. non immagini neanche. - il suo corportamente strano si prolungò.

-O almeno speriamo di combinare qualcosa di positivo nei prossimi mesi.-

-Deve essere impegnativo essere una star. - Quando si staccò dal beccuccio della sua birra rise.

-La parte più difficile è tornare alla vita normale.- Jillian annuì giocherellando con l'etichetta.

-Il tuo nome sui giornali di gossip delle teenagers? -

-Non credo di essere così interessante! -

-Secondo me non lo sai neanche. - Brian gracchiò un risolino e spiò quello di lei a fior di labbra.

-Eddai, tipo cosa? Sentiamo.. - Jillian arrossì e con un forsennato gesticolare sembrava non contenta della richiesta.

-Ma dai, ci conosciamo da così tanti anni. Chissà che penserai più di me. - L'arco delle sopracciglia si curvò verso l'alto in una smorfia pensierosa.

-Forse è meglio che rimanga un segreto allora. - Accompagnò tutto con una risata cristallina che riaccheggiò nel loro angolino di intimità.

-Potrei ricambiare se vuoi, così scoprirai quanto ti trovi simpatica in questo momento. - La nota sarcastica fu marcata da un lieve accenno di angolo che fece la bocca, costringendo la ragazza a disdire col capo e allungarsi verso di lui per calare inaspettatamente la visiera del berretto sul suo viso.

-Sta zitto Haner, meglio che anche tu mantieni i tuoi segreti! Come se non fosse già così, vero? - Si morse la bocca poi la guardò muovendo le labbra per dire qualcosa. Qualche minuto ma la gola gli si era seccata in un attimo.

-Sto scherzando, Brian. - Jillian intervenì interdetta. L'aspetto improvvisamente diafano l'aveva lasciata interrogativa, ma quest'ultimo si riprese con uno scossone entusiasta.

-Anche se volessi mi sfuggirebbe comunque qualcosa. Ne sono certo! Non lo faccio mica apposta. -

-Non basterebbero anni per conoscere tutto di una persona, neanche a viverla tutti i giorni. -

-Io credevo di conoscerti. - Jillian alzò gli occhi verso di lui e lo vide intenzionato a ricambiare languidamente. Quando disdì lo sguardo si voltò nuovamente solo al rumore metallico dello zippo che si chiudeva davanti al fumo di una Marlboro.

-Anche io credevo di conoscermi. Non lo sai che ogni lasciata è persa? Cosa credi che saresti adesso se non avessi scelto di seguire i ragazzi fino in fondo? Secondo me anche solo immaginarlo potrebbe spaventarti. - Brian alzò le spalle.

-Forse adesso venderei hot dog sulla spiaggia. E avrei tanti figli. - Rise. -E tu? Cosa pensi che saresti adesso se non fossi mai partita? - Jillian sorrise calando lo sguardo ad un pugno di sabbia che scivolava fra le dita, ad una duna perlata e smossa dal vento che profumava di buono.

-Probabilmente venderei hot dog. E avrei tanti figli.. - Il fumo non fece in tempo a scivolare via dalle labbra, finì per condensarsi fra i denti ed amplificare il gusto di tabacco sulla lingua. Ma Brian non l'avvertì, districò solo la presa al mozzicone e si sporse, si avvicinò avvertendo una pesantezza che quasi lo schiacciava al suolo.

-Ci vuole molta fortuna per fare una scelta ad occhi chiusi Brian, e tu sei stato più fortunato di me. Hai saputo scegliere meglio. Eravamo così giovani.. e forse doveva andare così e basta, senza troppe spiegazioni. Non ce ne sono, semplicemente. Come non ce ne sono nello spiegarci perché non stiamo insieme adesso, subito, come potremmo, e perché Jimmy non ci sia più.-

Brian rimase immobile qualche istante deglutendo a fatica il groppo che gli si era bloccato in gola, prima di accorgersi che la donna si era ormai alzata in piedi davanti i suoi occhi, con la figura snella che si delineava saggiamente ad ogni angolo perfetto del corpo minuto, ancora come quello di una ragazzina.

La sua voce era bassa e roca, si confondeva fra i rumori che si alternavano in una giornata così schiarita, il rombo delle auto a ciglio della strada che si ergeva ad una trentina di metri.

Brian umettò le labbra al lieve accenno di vento che gli scompigliava i ciuffi corvini che incorniciavano il collo. A quell'altezza avrebbe voluto carezzare quelle gambe e posarle un bacio lieve preso dalla foga, ma si trattenne. Tutto quello che usciva dalla sua bocca erano stilettate avvelenate in pieno petto; probabilmente ancora non aspettava in piena faccia quello che era stato il riassunto di una vita passata a sperare in silenzio.

Quando si alzò anche lui le gambe gli tremarono un po', ma si assestò allo scontrarsi con il suo viso, faccia a faccia, con la fessura della bocca sottile da respirare appena.

-Pensavo che non avreste continuato a dire il vero. - Se non fosse stato per tutto quello che li circondava sarebbero rimasti nel silenzio più assoluto per almeno qualche minuto. Brian non sapeva bene come intervenire, spiando il suo viso come meglio poteva.

-Jimmy non avrebbe mai voluto.-

-Come potresti saperne tu di cosa avrebbe voluto?- Quando le iridi tornarono a collisionare si massaggiò la barba, con l'intenzione di smorzare l'argomento scrollando di dosso qualche granello di sabbia insidiato. Ma sembrò precederlo.

-Scusami. Di certo sentenziare su questo argomento non fa per me. Di sicuro nessuno lo conosceva meglio di te. - Cercò di tranquillizzarla con qualche balbettio. Jillian era agitata e lo si capiva da come martirizzava la cartaccia fra le mani con insistenza, l'attorcigliava fra le dita, la strappa e allo stesso tempo cercò di dispendere lo sguardo altrove.

-Ti sembrerà strano ma mi ci sono voluti questi due anni per smettere di darmi la colpa per tutto quello che è successo, non mi sorprende che tu la pensi così. - La voce si appiattì e afferrò quella mano irrequieta confortandola con la sua, tanto che Jillian si fermò e annuendo diede un colpo di tosse per rifocillarsi. Quando cominciarono a muoversi lungo la riva mancarono almeno una decina di metri per il calpestio in granito che li indirizzò lungo il parapetto sul molo, per poter di nuovo spostarsi sulla tettoia alta sul mare. Questi avrebbe calmato loro un po' i pensieri e li avrebbe riportati al motivo per la quale Brian aveva avuto bisogno di vederla proprio quella stessa mattina.

Quasi stette per sospirare pesantemente per la riuscita; affrontare un tale argomento avrebbe messo in agitazione anche lui se solo avessero continuato. Lo sapeva troppo bene che la distanza di anni non aveva ammorbidito ancora qualche piaga sanguinante dei suoi ricordi, ed è per questo che specchiati gli occhi nocciola in quelli di lei le sorrise ed intascando le mani ne estrasse il suo solito pacchetto di Marlboro. Ne estrasse una, la infilò fra le labbra e parandosi col palmo dal vento l'accese col suo cerino.

-Credo che per un po' non potremmo vederci, il lavoro è molto e non so che disponibilità potrei avere nei prossimi giorni.-

-Certo, lo capisco. -

-Ma appena ci sarà anche solo un po' di tempo libero non me lo lascerò sfuggire. - Jillian rise guardando la sua espressione ansiosa e continuamente in cerca di conferme. Lei annuì per tranquillizzarlo.

-Tranquillo Brian, posso immaginare quanto tu abbia da fare. Ci vedremo quando sarai libero dai tuoi impegni. - Una nube di fumo si addensò davanti al suo viso, mentre si portava una mano a slittare fra i capelli.

-No, tu non capisci. - La sua voce era bassa e roca, passò qualche secondo prima di riprendersi.

-Non cercarmi, mi farò vivo appena potrò. - Si ammutolì e continuò ad ascoltare cosa lui avesse da dire. Era tutto molto strano, Jillian poté palpare il suo disagio nell'aria, ma a cosa avrebbe valso fargli domande? Forse aveva paura di Mark? Possibile che l'avesse minacciato di non vederla più? Non trovò l'opzione troppo insensata. Sospirò e Brian alzò gli occhi verso di lei.

-Spero che qualsiasi cosa un giorno potrai parlarmene. - Annuì ritmicamente e dopo un ultimo sorso lasciò tintinnare le bottiglie vuote nell'apposita busta.

-Anche io sarò occupata, mi serve trovare un lavoro il prima possibile e mi converrebbe non farmi prendere da troppe distrazioni, almeno in questo periodo. - Rise cercando di confortarlo, ma Brian era provato, e il disappunto arcato delle sopracciglia ci mise ancora un po' per scomparire.

-Sì, hai ragione, e appena sarà tutto risolto penseremo a qualcosa da fare insieme. - Quando la donna calò il capo scrollò di dosso un po' di granelli e gli tese aiuto per aiutarlo a fare lo stesso, sorridendo.

-Non devo aspettarmi che fuggirai, vero? - Il giovane gracchiò una risata e le scortò una ciocca di capelli fin dietro un orecchio. Ma a quella domanda rispose con il capo, negando.

-Non aspettartelo mai. - Probabilmente quando fece pressione sugli avambracci anche questi ultimi assunsero la consistenza come di gelatina, così che quando lei si avvicinò a toccare la sua bocca ebbe un fremito per tutto il corpo. Tanto forte che l'avvertì anche lei, prima che un pugno si stringesse dietro la nuca e fra i suoi capelli a rendere più decisa la sua voglia di baciarla. Fra le palpebre ci fu una vibrazione involontaria, le iridi verdi affondarono al buio qualche secondo dopo che l'amaro del suo sapore l'avvalesse, le giovasse ai battiti del cuore. Ma Jillian si avvelenava della sua stessa mente; si appiativa al suo viso e lo cercava con tutta la forza che aveva contro il suo corpo, ma nulla, nulla, le avrebbe concesso di stare con lui. Si era destinata a cercarlo fra dei ricordi che l'alcool le aveva sbiadito ma c'erano ben altre braccia a tenerla lontana. A tenerla stretta altrove. La punta della sua lingua umettò per l'ultima volta quelle di lui, poi si allontanò piano guardandolo in volto. Brian rimase rigido a cercare quella linfa, con la sua mano ancora aggrappata al collo sottile intersecato tra i fili bronzei dei capelli.

-N-non.. -

-Cosa? - Jillian prese un respiro e si morse la bocca.

-Non posso. - Brian cercò il suo sguardo ma non ci riuscì, annuì e consapevole le carezzò la testa e la tirò a se sul petto, poggiando il mento sul suo capo costretto a guardare il cielo.

-Lo so.. Lo so.-


Quando si allontanarono si diedero le spalle all'ultimo incrocio. Brian la osservò percorrere il tratto opposto al suo camminando di spalle, per non perdere subito di vista la piccola figura che si confordeva fra le persone del corso. C'era un sole alto, folla fitta, il chiasso di città. Huntington Beach era viva e calorosa, guizzava estate da ogni angolo delle strade, l'odore di cialde e hot dog, le rotelle dei rolley fra i ciottoli. Eppure quello che di più vuoto poteva provare adesso lo stava sentendo e doveva fare tutto per una giusta causa. Michelle senza saperlo gli aveva aperto gli occhi; le aveva pianto fra le braccia senza orgoglio e gli aveva pregato di giurarle che si sbagliava e che mai avrebbe compromesso così il loro matrimonio. Brian l'aveva giurato. Lui stesso era convinto che nulla stesse corrompendo la sua mente, lui era semplicemente sorpreso, emozionato, si era lasciato travolgere dalla voglia di rivedere tutte le persone che per anni hanno segnato la sua giovinezza finalmente insieme come una volta. Cosa alla quale non aveva più sperato. Anche i ragazzi della band erano stati vivi ed entusiasti, erano semplicemente tutti ancora una volta felici di ritrovarsi.

Però lo aveva giurato e dì lì in poi avrebbe ben dovuto evitare spiacevoli situazioni. Michelle doveva essere felice. Jillian doveva tornare alla sua vita. E lui... lui avrebbe voluto tanto prendere a testate il muro.


***


Era stata troppo dura tirarsi indietro. Combattere un potere di connubio così perfetto che sembrava però arrivare a bruciare poco prima di redersi conto di quello che realmente era successo. Jillian lo aveva baciato. Stava ancora concludendo la frase eppure si era sporta così gravemente che la bocca era inevitabile ed il contatto irreversibile. Aveva ancora le labbra schiuse, le parole in gola eppure aveva ceduto; rischiare un soffocamento dovuto alla paura pur di non rinunciare. E la sua testa sostenuta dalla potente stretta del palmo era stata la dichiarazione più profonda che avesse mai avvertito; le aveva sconquassato le viscere, alterato i valori, tanto che le guance e la bocca erano quasi combustibile.


***

-Sei sicuro di farcela per tornare a casa? - Zack si sporse allo sportello e lo guardò dritto negli occhi lucidi; di tutta risposta l'amico accennò un sorriso e gli diede uno spintone mentre era accomodato nel suo fuoristrada.

-Stai scherzando? Meglio di così.. -

-C'è solo il manicomio. Vedi di non correre, non dovrei dirtelo a trent'anni suonanti ma non si sa mai che beccare cancelli non ce l'abbia per vizio. - Quando il moro fece per dargli le spalle e allontanarsi Brian lo chiamò.

-Hei amico, grazie. - Zachary storse la bocca alzando gli occhi e un palmo della mano.

-Sapevo saresti venuto a farti perdonare. Martedì organizziamo qualcosa, così mi sarà più facile tornare a fidarmi della tua testa vuota. - Sfuggì ad entrambi un risolino e rimasero un attimo a contemplare la strada buia e silenziosa.

-Sarà meglio che vada, Michelle, cazzo, mi ucciderà. - L'amico alzò le spalle e lo salutò con un cenno del capo.

-Gena l'ha sentita piuttosto esuberante, però dato che queste donne sono del tutto incomprensibili ti consiglio di rientrare quatto. E soprattutto, non contraddire mai un suo richiamo. -

-Mi sembra di essere ritornato bambino. - Mostrò la dentatura perfetta in un sorriso.

-Nessuno ci aveva mai avvisato. Il mio vecchio aveva proprio ragione. -


Quando cominciò a percorrere la strada principale di Long Beach tornò a vorticare in fasci di luci e fanali, larghi e stretti, bianchi e opachi come nebbia. Lungo la via c'era solo il suono pacato della radio accesa, e della sigaretta fra le dita che annebbiava sofficemente l'abitacolo fino a scomparire alla soglia del finestrino completamente aperto. Eppure i suoi pensieri erano ben più confusi e scuri. Quasi gli ricreavano un blocco in gola impossibile da ignorare. Deglutiva così, a fatica, fantasticava con la mente, con il tocco della mani che avrebbero voluto stringersi a quel corpo, e che in quel momento stringevano solo sempre più forte la presa al volante dell'auto. Tutto era tranquillo; il flusso delle auto lungo la via scemava man mano il viale privato di casa sua si avvicinava. L'andamento era lento e tardivo, Brian non era nella pelle di ricevere un'altra umiliazione o un'altra delle strigliate che stavano perseguitando quei giorni, e neppure la birretta fresca insieme al suo amico l'aveva distratto per un attimo dal suo rietro.


Il cancello automatico del garage si ribaltava lentamente fino al completo scorrimento, emettendo un tonfo metallico ed uno stridio acuto abbastanza solito. Lungo i lampioni impiantati fra il prato vigilava la sua figura alta e ombrosa, vestita di scuro dai piedi alla punta dei capelli, col semplice rumore di scarpe che calpestava il prato umido fino al granito del primo gradino all'abitazione. Si strofinò un attimo gli occhi poi inserì la chiave alla serratura girando con qualche mandata di troppo.

-Sono a casa. - Lanciò via le chiavi con non-curanza all'entrata principale, scrollò le spalle, si grattò la nuca poi entrò nell'atrio della cucina con le scarpe ancora sporche di terriccio umido sul pavimento imperlato. La cappa della cucina rimaneva accesa per una flebile illuminazione ed il pacato silenzio gli diede quasi l'impressione di essere solo, tanto che cominciò a dare lunghe occhiate da una parte all'altra della casa, solo che alla fine la sentì piuttosto vicina.

-Hei.. - la bionda testa scompigliata sbucò all'altezza dello schienale del divano nel primo angolo della cucina di fronte la tv, con la voce ancora un po' impastata di sonno ed una t shirt leggera decisamente più larga per quelle forme quasi spigolose.

-C-cosa ci fai lì? - Brian fece un passo in avanti e si sfilò il berretto, scompigliando un po' i capelli con un gesto.

-Credo di essermi addormentata. Ti stavo aspettando.. - Brian alzò i palmi cominciando a trovare qualche buon modo di scusarsi.

-Sì, hai ragione, ho fatto tardi anche stavolta, io..-

-Hei, hei, basta... va bene. Non c'è bisogno che mi dica niente. - Brian deglutì e quando la vide alzarsi fulminea fece d'istinto un passo indietro.

-Davvero? N-on.. - Michelle sorrise stancamente e si avvicinò con passo felpato a piedi nudi contro di lui.

-Che c'è signor Haner, il gatto ti ha mangiato la lingua? - posò le mani sul suo petto e Brian avvertì un brivido. Il respiro si scontrò contro il collo e l'avvertì alzarsi sulle punte per stampargli un bacio.

-Cosa stai facendo? - La sua bocca fremette al contatto con quella rosea e Michelle ridacchiò.

-Sto solo baciando mio marito al suo ritorno a casa.. - gli aveva appena leccato le labbra e Brian cominciò a roteare gli occhi un po' spaesato, senza sapere come muoversi o cosa fare. Si sentiva un fottutissimo verginello che non aveva mai avuto una donna così vicino. Ma lei era lì, la SUA donna.

-Rilassati.. - Brian annuì, si lasciò carezzare il profilo poi l'avvertì scivolare la punta delle dita sotto l'angolo sfatto della sua t-shirt, con una calma incredibile e continuando a baciarlo con delicatezza.

-Sai una cosa Brian? Ho sbagliato. Come potrei non fidarmi di te? Tu non metteresti mai in pericolo il nostro matrimonio.. è così? - La mente annebbiata da un bicchiere di troppo di birra gli fece vorticare gli occhi; Brian annuì piano poi pregò che quelle mani continuassero a toccarlo.

-Non faresti mai nulla di tutte le stronzate che mi hanno detto finora, non comprometteresti mai il nostro rapporto. Io lo so, amore. - Brian avvertì quel profumo fresco di muschio del bagnoschiuma sulla sua pelle bianca. Ebbe l'impulso di baciarla e lo fece, scoprendole una spalla con foga.

-Ti prometto che avrò più fiducia, mi concetrerò solo su quelle che sono le tue parole. Sono quelle che contano. -Brian la zittì, un bacio che le rubò il fiato e le scaldò il sangue nelle vene, tanto da rendere la forza nelle gambe quasi nulla. Aveva quasi la testa rinchiusa in un pallone, sopravvaleva solo quel po' di sobrietà sufficiente a renderlo cosciente e l'eccitazione che piano lo divorava. Il sapore delle loro lingue si mischiò fra tabacco ed il freddo di una granita a menta, con i loro corpi che si spintonavano per cercarsi sempre di più ed allontanarsi insieme verso l'angolo più buio della stanza, dove la lieve luce della cappa della cucina stentava ad arrivare. Gli sfilò la maglia con velocità per evitare di stare separati ancora per troppo tempo. I palmi vorticavano lungo le spalle larghe e si aggrappavano tenacemente alla nuca, fremevano, spingevano e graffiavano i lembi di pelle tatuati quasi per ogni centimetro delle braccia. La chioma di capelli lunghi ondeggiava lungo le spalle poi, con un colpo di reni, scivolò sui soffici cuscini del divano dettando un gridolino. Le guance rosee dalla foga erano calde e bambinesche, Brian si calò su di lei con tutto il corpo fino a gravarle completamente, con i loro respiri sincronizzati che quasi faticavano ad uscire dalle rispettive bocche, gracchiando e annaspando qualche singulto involontario.

-Toglila.. - Michelle arcò la schiena e tenne su le braccia mentre le sfilava la maglia, tornando a stamparle un bacio che a poco a poco sarebbe diventato di nuovo fuoco ardente.

-Sei bellissima... bellissima... - Una parola nacque tra un respiro e l'altro, si prolungò nei loro abbracci, giacque in lievi sussurri sconnessi dopo che ebbe affondato i denti pacatemente sulla pelle delle sue spalle morbide e profumate. Niente avrebbe voluto interrompere la sera, con una luna invidiosa e un dolce silenzio notturno che accoglieva nell'aria estiva solo i loro gemiti, la lieve atmosfera, l'unione dei loro corpi, un'incredibile e angusto ritrovo delle loro anime. Brian le accarezzò una guancia, era quasi impercettile con la paura di farle male, fino a che guaì, con un lamento misto a sorpresa.

-Mi sei mancato. - Unì la fronte alla sua e chiuse gli occhi, tanto che Brian al contatto riuscì a scrutare le palpebre chiuse con un velo di rammarico e quelle sue dita che si chiudevano a riccio fra i suoi capelli neri.



Via esami, sessioni estive, lavoro asfissiante, shopping sfrenato inizio saldi e chi più ne ha più ne metta! Il capitolo arriva con molte settimane di ritardo, quasi si è perso il filo, ma ammetto che la mia capacità di scrivere si era ridotta alla grandezza di una noce; questo significa che compilare una frase che non finisse nel banale è stato piuttosto difficile! Ci è voluta calma e coraggio, molto tempo, ventilatore al massimo, capelli raccolti e compilation di musica sempre in moto. Vabe, smetto di annoiarvi con fandonierie varie! x) Ringrazio chi legge la fan fiction, inserita fra ricordate, seguite, preferite, avrà voglia di recensirla, di maledirla, qualsiasi cosa il lettore supremo voglia. Una buonanotte a tutti! :)



Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 09 ***


09.


Il fresco del locale aveva impedito almeno la misera figura di grondare come un tappetto lavato e steso al sole, tesa come un fuscello appena piegata sul dondolio di una seduta instabile. Il ticchettio di un orologio da muro risuonava nella sala di attesa quasi con la stessa velocità con la quale sbattevano le sue palpebre, incredule del lungo tempo trascorso quella mattina fuori casa. Aveva distribuito curriculum completi e perfettamente ricontrollati a più di una compagnia di giornali, studi televisivi, reporter, fotografi e per ultimo ad alcuni vecchi conoscenti che avrebbero potuto aiutarla a reinserirsi nella società di un'affollatissima Huntigton Beach. Le strade brulicavano di turisti da mesi, il suo splendore era rinsavito di nuova energia e la litorale era la zona più trafficata che avesse mai visto negli ultimi dieci anni. Le mancava addirittura il fiato, nelle sue strade ci avrebbe lasciato le penne un giorno di questi oppure sarebbe rimasta inghiottita dalla folla inferocita che ingombrava le strade facendola scomparire nel nulla fra uno spintone e l'altro. Ad un ultimo sospiro catturò in sè tutta la buona volontà, e all'ennesimo ticchettio si accorse che il rumore frequente non erano altro che i tacchetti bassi delle scarpe della segretaria dello studio di registrazione che le porse una nuova busta di congedo con un flebile sorriso ed una stilettata in petto.

-Grazie per l'appuntamento, le faremo sapere. - Sperò di scomprarire fra il grande vetro specchiato delle lenti che mascheravano maestosamente le occhiaia, e meno di un minuto dopo era già in strada, esausta e con una buona dose di groppi in gola che le bloccavano il respiro. Lo stivaletto basso in cuoio balenò lungo le strade con passo spedito; rifugiarsi in casa era l'unica prospettiva che vedeva possibile in quelle ultime ore di forsennate corse. Forse Jillian non lo sapeva o non voleva immaginarlo minimamente come avrebbe compromesso un altro mese senza lavoro, senza soldi e senza neanche viveri indispensabili. Al diavolo la tv via cavo, la birra e i piccoli lussi, qui si trattava di non poter acquistare neanche il pranzo completo per la giornata. E cosa avrebbe fatto? Chiesto un altro prestito ai suoi come il mese scorso? Neanche morta. Non se ne era andata di casa per campare anche da lontano sulle spalle dei suoi vecchi.




Aveva probabilmente messo a soqquadro la casa in poche ore; Jillian inorridì e si sporse lungo il disordine, scavò fra le montagne di abiti e di oggetti incrastrati a più angoli della casa trattenendo il fiato fino a scoppiare. La lampadina da muro ancora nuda di qualsiasi lampadario da abbellimento ebbe un sussulto e per un secondo rimase al buio con le iridi sbarrate lungo l'altro lato della stanza ancora in cerca. Erano spariti. Erano spariti tutti! I risparmi del mese che aveva trattenuto in previsione dell'affitto erano stati sottratti e per di più tutta la stanza era un disastro, sicuramente più del resto della casa che mostrava solo qualche spostamento volontario. Le sue mani scivolarono fra la chioma con disperata forza, portandoli indietro come una richiesta di aria e di oppressione che le stava scavando il petto tenacemente, tanto che crollò al pavimento come senza forze e senza voce per gridare.

L'aveva derubata, ancora una volta. Era stata così accecata dalle faccende e dalla richiesta di Brian di vedersi che non si era ancora resa conto che anche LUI mancava da tutta la mattina. Aveva usato quei soldi per fare cosa? Jillian alzò lo sguardo all'orologio da parete che stava lì ad indicare le 10 pm in un ticchettio monotono che riempiva il vuoto drastico della stanza e delle pareti della sua testa. Avrebbe voluto stendersi a terra e piangere, piangere, piangere finché non si sarebbe dissolta nel nulla. Ma neanche una lacrima le uscì.

Jillian sentì la spigolosità del tappeto premerle la faccia, con le labbra schiuse in una curva acida e gli angoli lucidi degli occhi che si impiantarono in un punto qualsiasi del pavimento senza distinsioni. Il telefono della casa stava probabilmente suonando da qualche minuto, era continuo l'eco che partiva dalla bocca del corridoio e solo quando udì alzò gli occhi, ad ascoltare la segreteria.

-Altri tre messaggi registrati in segreteria.-

Aveva atteso lì fino a sera inoltrata, in quella posizione le si erano addirittura indolenzite le gambe, quasi non le sentiva, aveva come l'impressione che non avrebbero retto il peso del suo corpo. Ora di certo no, più che per il suo corpo spento, per la sua mancata voglia di non voler muovere neanche un muscolo, preferendo ancora un attimo di quel silenzio al rumore che avrebbe seguito. Le tendine basse richiamavano solo spettrali fasci di luce argentea, i fanali delle auto sfrecciavano da una parete all'altra fulminei, ruzzolavano lungo le curve del corpo, morivano dalla parte opposta alla finestra poi di nuovo nulla. Un sospiro si fece spazio fra la bocca, un battito di ciglia ravvivò l'occhio verde smeraldo poi si avvertì un leggero tremolio. Tese una mano contro la parete e con il palmo ben impiantato al muro si alzò aiutandosi fino ad abbandonarsi contro sfinita. Aveva una leggera esitazione ad allontanarsi, giusto il tempo che ci volle per riuscire a tornare al completo arbitrio del proprio corpo.

L'attenzione venne catturata dalla radio che si avvicinava a gran voce balzando nel silenzio della notte, fino all'entrata del vialetto, poi il rumore degli pneumatici che viaggiavano in un angolo di lato alla casa colmo di ciottoli. Jillian avvertì i passi sul granito, la suola delle scarpe che crepitava sugli scalini, una breve pausa, una sbandatina, poi il tintinnio delle chiavi fuori la porta d'ingresso. Jillian sembrava aver aspettato fior fior di minuti in quei pochi gesti, eppure era solo un secondo e la porta si aprì, la luce del faretto esterno balenò nella stanza buia e si accerchiò proprio davanti la sua figura dritta nel bel mezzo della stanza. Avvertì un breve sussultare sul viso di Mark, preso alla sprovvista, suggestionato dal suo sguardo immobile e profondo. Lanciò via il mazzo di chiavi ascoltando il cozzare con il portagioie sul tavolo, poi si sfilò la giacca, si aiutò grazie al denti e gettando via anche quella alzò di nuovo lo sguardo ad assicurarsi che stesse smettendo di fissarlo.

-Che te ne stai a fare lì a fissarmi? - La cerchia limpida degli occhi lo seguiva con calma feroce, tanto che dalla bocca sembrava tremare in modo inconfondibile. Era come se la mente stesse proiettando quella immagine, non era del tutto sicura di non stare sognando. Mark si avvicinò all'angolo del frigo e si sentì lo stappo della lattina di birra. La stanza era così silenziosa che il deglutire si sentiva ampiamente, così come il colpo di tosse che lo colpì con violenza. Si asciugò la bocca poi con il suo aspetto malandato cominciava ad avvicinarsi vorticosamente verso di lei, cercando di ignorala per quanto potesse, per quanto fosse possibile ignorare tanto veleno presente in quelle iridi.

-Smetti di fare la bella statuina. - Quando le fu così vicino da parargli la strada sentì il suo tocco sulla spalla mentre con uno spintone cercò di passare; era adesso certa della sua presenza, non era frutto della sua immaginazione, era lì nella sua rivoltante presenza a prendersi gioco di lei dopo una notte passata fuori chissà dove, sempre in condizione più pietose e ributtanti. La donna venne smossa con noncuranza e deglutendo avvertì vorticare nella sua testa la grande e incontrollabile voglia di gridare, ma tutto quello che riuscì a fare era continuare a puntare i suoi occhi su di lui, mentre entrava in stanza e cominciava a spogliarsi. Sul suo collo longilieo si gonfiò una vena di rabbia, i suoi pugni si strinsero così tanto che le nocche sbiancarono. Non seppe bene quanto tempo stette lì, a ringhiare, a cercare di rendere nitida la vista.

-D-dove .. - Mark tese le orecchie al suono della sua voce roca, si voltò con un espressione quasi derisoria corrucciando le sopracciglia.

-Dove, cosa? - chiese con la sicurezza di un ubriacone.

-..d-dove s-ei stato? - la dentatura si sporse mentre il braccio si drizzò ad indicare la porta, allontanandosi appena dal muro con una banale spinta. Mark si guardò intorno, mollò lo sguardo sul disordine, osservò meglio quel viso spaesato e rosso in viso, la voce tremante di rabbia, il passo che si avvicinava con una imprecisa frequenza.

-Vai a farti una dormita e..-

-Una dormita? UNA DORMITA? - il passo si spedì verso di lui e si avvinghiò con tutta la forza del suo corpo al colletto della camicia.

-DOVE CAZZO SEI STATO, FIGLIO DI PUTTANA? Io voglio sapere dove cazzo sono i miei fottuti soldi! - lo strattonò così forte che perse un attimo di stabilità, Jillian lo trattenne a sè, i corpi cozzarono e si avvinghiarono in un gesto tutt'altro che armonioso. La sponda del letto ostacolò la coscia e pur di tenersi in piedi Mark indietreggiò di lato, scontrando le scapole al muro agguantando successimante le mani di lei strette al collo.

-Ma che cazzo fai? - esclamò con voce rotta, mentre cercava di liberarsi della presa.

-Ti sei bevuta in cervello, cazzo! - Le ci volle un grande sforzo per tenerlo fermo ancora qualche secondo prima di soccombere.

-IO TI AMMAZZO STRON..- Con un gesto secco la costrinse a cedere la presa e l'afferrò per il bacino spintonandola.

-Sta ferma, maledetta! - Il ringhio della sua voce fu così sottile mentre le sfiorava le orecchie, tanto che gemette dal dolore stretta nella presa delle sue braccia contro il corpo.

-Lasciami! - Fu accontentata spingendola contro la parete opposta, inciampò sul disordine poi si voltò di scatto.

-Ne vuoi ancora? - La derise. Fu così svelta che gli fu contro in un attimo. Mark perse il controllo: l'alcool ancora gli vorticava nello stomaco e la testa perse di lucidità. La donna gli fu addosso, gli diede una serie di pugni in faccia più forte che potè, così forte che le nocche cominciarono a dolorarle col forte impatto degli zigomi spigolosi. Un rivolo di sangue scivolò da una fessura sottilissima della bocca, prima di accorgersi che le forti braccia l'avevano afferrata e adesso stavano tornando a spingerla per liberarsi. Jillian cercò di fare contropressione ma la forza era troppa ed il suo corpo ancora debole. Mark l'afferrò per i capelli, l'istinto di farlo smettere fu forte che si portò le mani alla testa dandogli la possibilità di soprastarla e capovolgere le posizioni.

-Vuoi provare anche tu, eh? - Urla forte. Un pugno enorme si chiuse davanti i suoi occhi sbarrati prendendo la carica.

-Cazzo, io ti frantumo il cranio con questo. Hai idea di quello che potrei fare alla tua splendida faccia? - quando le sorrise i denti assunsero un colore cinabro, Jillian strinse la mascella e si divincolò più che poté calciando contro la sua schiena.

-Hai voglia di giocare alla lotta? - Le rifilò uno schiaffo in viso che la voce le tremò.

-VAFFANCULO! - batté contro il petto quasi scoperto dai bottoni saltati della camicia, che strinse per spingerlo via più che poté.

-Ti do un vantaggio allora.. - si tirò via e lei poté svincolare, si portò una mano alla faccia poi si voltò per tenerlo d'occhio con quei suoi occhi pazzi.

-Vuoi venire qui? -

-Dammi i miei soldi! -

-Non li ho i tuoi soldi. -

-Sì, che li hai cazzo! Voglio quei fottuti soldi! - Mark si posò il palmo della mano alla fronte come a cercare di far passare un gran mal di testa.

-Smettila di gridare, principessa. - Jillian sentì una forte stretta in petto e le lacrime scenderle lungo le curve delle guance.

-Va all'inferno! - Fece degli altri passi e gli corse contro, i pugni chiusi lo colpirono lungo tutto il petto, lo costrinsero ad indietreggiare, gli fecero perdere l'equilibro e la presa contro il muro. Gli era salito in groppa e aveva preso quasi a strangolarlo; aveva la testa così annebbiata di rabbia che non sentiva dolore e non sentiva pentimento. In quel momento al solo pensare al fatto che non aveva di che vivere le bastava e le avanzava. Quasi rideva mentre si dimenava contro di lui, eppure lei stava scaricando contro tutta la sua rabbia. Come faceva a non essere abbastanza? Non sarebbe arrivata da nessuna parte così. Eppure lui si chinò appena per il dolore, un colpo forte al costato, adesso ringhiava per l'impatto contro il viso. La spintonò con forza gettandosi contro il muro facendola cozzare violentemente e pur di non rovinarsi a terra afferrò institivamente la lampada da comodino, che si sradicò. Stavolta aveva subito un forte colpo alla testa, si stava massaggiando prima di rimettersi in piedi, ma Jillian non riuscì subito.

-Vieni qua..-

-TIENITI LONTANO. - Prese a minacciarlo armeggiando l'oggetto, ma l'afferrò e con determinazione la tenne in piedi rispetto al suo sguardo.

-Stai facendo un gioco troppo pericoloso.-

-Lasciami andare Mark, vattene da quella porta e non tornare più. - le aveva stretto forte gli angoli della bocca, tanto che parlare le risultava difficile. Lui la guardava affascinato, con quei suoi grandi occhi di ghiacchio. La stavano squadrando, e la sua voce era così sottile e profonda da farla rabbrividire, prima che scaraventasse un pugno al muro con violenza. Jillian si ritirò terrorizzata, colta alla sprovvista.

-PER PERMETTERE A QUEL SUDICIO DI HANER DI APPROFITTARE DI TE? Ma pensi davvero che io abbia gli occhi al posto del culo? Quel gran pezzo di merda si sta riprendendo gioco di te come ha fatto anni fa. -

-Questo non è un problema tuo. - l'afferrò per il bavero e con una spinta la ribattè alla parete.

-Devi stargli lontano! - Jillian gemette e si accasciò fra le braccia. -Se ti ci vedo insieme vi investo con l'auto, giuro che vi ammazzo entrambi se avete tutta questa voglia di fottervi. Ma non finché ci sarò io! Mi hai sentito bene, eh? Hai sentito piccola Jill? - Jillian annuì, le palpebre molli succubi di vibrazioni a causa delle ripercussioni, la bocca aveva perso qualche rivolo di sangue che adesso aveva coaugulato in un nero profondo; non c'era più nulla da fare, non avrebbe recuperato i soldi sufficienti per ripagare i suoi debiti e senza un lavoro non avrebbe potuto sperare di farlo in futuro.

Chiuse gli occhi mentre vedeva la figura di Mark continuare a dimenarsi contro di lei, ma non sentiva più nulla, solo una gran sensazione di gelo, una vista annebbiata che si sforzava di non perdere. Cercò di fargli mollare la presa con qualche lamento, ma quella al suo collo era così forte che le fece mancare in respiro.



A distanza di mesi ho riproposto un nuovo capitolo, ma nonostante abbia bene in mente l'andazzo della storia ho avuto diverso filo da torcere nella stesura .. spero di ripartire con regolarità e che sia stata una buona lettura! :)


Oggi vi invito all'ascolto di "Buried Alive".


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. ***


10.

-Va bene, la ringrazio comunque.- si portò nuovamente il ghiaccio alla faccia e posò la cornetta; altra striscia nera sugli annunci editoriali, poi con un sol sorso mandò giù l'aspirina. Erano almeno tre giorni che non le passava l'emicrania e per quanto non volesse, non aveva altra scelta che andare da un medico. L'altra notte era rimasta svenuta per ore, era rinvenuta appoggiata per metà sul letto con un gran mal di testa e un forte bisogno di respirare a pieni polmoni. Si era portata una mano alla gola istintivamente, probabilmente ora non si sarebbe trovata lì se Mark non si fosse accorto da solo che stava per ammazzarla. Sentì un lungo brivido percorrerle la schiena: per poco non arrivava a lasciarci le penne. Il suo aspetto, sta di fatto, che era orribile: quando l'altra mattina si era affacciata per recuperare oggetti dalla cantinola e trascinarli fuori, la sua vicina l'aveva squadrata per un tempo indefinito fino a rientrare di tutta fretta pur di evitare il suo sguardo. Certo, vedere una donna con grandi ematomi in giro per il corpo può significare solo accollarsi dei guai, come poterle dare torto? La polizia per casa era l'ultimo problema alla quale avrebbe potuto pensare in quel momento. Al suo risveglio tutti gli abiti e gli effetti personali di Mark li aveva sigillati fuori casa sua: al minimo passo fuori dal pianerottolo lo avrebbe fatto arrestare seduta stante e.. Sobbalzò all'improvviso allo squillo del cellulare, che accorse a rispondere al seguito di carta e penna per appuntare.

-Pronto, sono Jillian A. Gordon.-

-Jillian.. - La voce di Brian era stata così roca e sottile che le impedirono di parlare, si portò una mano alla bocca come ad accorgersi che non riusciva a pronunciare parole. -Sono giorni che cerco di contattarti, che diavolo ti è successo? - la donna rabbrividì colta alla sprovvista. Nella sua mente probabilmente era come se passassero minuti inesorabilmente lenti, che le portavano un gran vuoto e la facevano vorticare in quel buio incerto; eppure appena aveva sentito la sua voce prese a staccare la chiamata, rimanendo fredda al centro della stanza cercando di capire cosa stesse succedendo. Battè le palpebre freneticamente per riprendere lucidità, e prima che potesse ripetersi di nuovo la possibilità di ascoltare la sua voce, estrasse la scheda dal telefonino precipitandosi verso il lavandino. Quando lo gettò nel tritarifiuti sentì un breve crepitio che cercò di prolungare pur di assicurarsi che nulla di quel collegamento fra lei e lui esistesse ancora.

-Esci fuori. ESCI FUORI DALLA MIA VITA ANCHE TU! - Seguirono lacrime che le bagnarono il bel viso, cosparso di lentiggini che a lui piacevano tanto, di quei grandi occhi verdi e violacei gonfi di una tristezza che faceva più male degli schiaffi e degli spintoni. I lunghi capelli rossi e lui che aveva sempre desiderato poter odorare e tenere stretti fra le dita mentre la baciava. Jillian lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Lui glielo aveva sempre detto che l'aveva amata, che mai avrebbe voluto separarsi da lei. Eppure era successo, volere suo, sapeva che era stata la causa di tutto il male che si era fatta. Adesso era tornata forse per accertarsi che lui non l'avesse aspettata? Probabilmente tutti la odiavano, ecco perché in quelle settimane ancora nessuna consorte dei suoi amici aveva fatto in modo di incontrarla. I ragazzi erano felici, questo lo sapeva.. ma cosa aveva portato loro? Minacce e ripercussioni da parte di Mark se non fosse stata attenta. Dovevano scomparire tutti, di nuovo, andare via, cambiare aria, cambiare modo di vivere e dimenticare tutto. Dimenticare. Si asciugò la faccia e dovette correre verso le finestre che affacciavano alla strada, buttò giù le persiane e spense le luci frettolosamente, socchiuse le ante di vetro e si accucciò contro il muro che ascoltava i suoni dell'esterno, così da fare in modo che nessuno sapesse che lei fosse lì.


***


-Maledizione! - Brian attirò l'attenzione di tutti con il suo malumore, cosa che Matt cercò di spegnere per non innerscare una reazione a catena fra i ragazzi che stavano ancora accordando gli strumenti per la registrazione del nuovo pezzo.

-Problemi di linea? - chiese come se nulla fosse, poi con un movimento del capo indicò l'uscita interna della sala. -Vieni, andiamo a fumare una sigaretta. - afferrò l'amico per un braccio e sotto l'occhio distratto dei ragazzi che provavano i loro pezzi si dileguarono oltre la sala.

-Che succede? - Comincio a chiedere Matt; Brian disdì col capo e si accese una Marlboro divincolandosi dalla presa.

-Nulla, perché? - mentre il cognato vagava oltre con lo sguardo, lui cercò di poggiarsi alla parete per investigare più comodamente.

-Sai com'è, c'è una certa tensione in sala, come se avessi un problema. Davvero non vuoi parlarne? - Brian continuò a tacere come un ragazzino colto in flagrante e rimproverato, qualcosa gli diceva che aveva a che vedere con Michelle e che questo lo metteva in qualche modo a disagio a parlarne con lui. Il suo migliore amico.

-Hei.. - una presa stretta alla spalla lo costrinse e guardarlo negli occhi. -E' un problema anche mio finché non me ne parli. - Brian si lasciò sfuggire una nube di fumo dalle labbra sottili e ricambiò il gesto.

-Non credo funzioni così, amico mio. -

-Puoi sempre scegliere di non tenertelo tutto per te comunque. -

-Il fatto che il ritmo dei pezzi provati centinaia di volte continui ad essere fuori tempo ti sembra abbastanza? - sbuffò irritato, guardando altrove, ovunque potesse arrivare lo sguardo.

-Dobbiamo solo esercitarci ancora. - L'amico disdì.

-Non basta esercitarsi, non abbiamo più quindici anni, senza seguire una batteria non arriveremo da nessuna parte.-

-Brian, cazzo, non farmi credere che sia questo il tuo problema. -

-Oh, merda, ti sembra davvero poco? Ci stai perdendo la testa dietro questo album. Sapevo che non era una buona idea. - mormorò fra sé e sé, ma l'amico l'udì scontento.

-Che cazzo vuoi insinuare? -

-Che Portnoy deve portare qui il culo. Non avresti dovuto pubblicizzare l'anteprima senza un batterista che stia inchiodato qui. - Brian scrutò bene l'espressione del leader, che divenne nervosa e scostante.

-Vedrai che ci aiuterà, è. impegnato con la sua di band al momento. E non ho ancora nessuna intenzione di sostituire Jimbo definitivamente. - si prese un secondo di tempo. -Non ci riesco...-

-Non è una cosa che devi fare da solo. - calò del silenzio sottratto solo dal rumore delle labbra che soffiavano via il fumo.

-Tutti si chiedono cosa sta succedendo al buon, vecchio Gates. - Brian rimase colpito e continuò dopo qualche secondo di pausa, con un sorrisino di sghembo che non passò inosservato.

-Il buon, vecchio Gates non esiste senza Brian. Questa giornata è cominciata male: mi serve una mattina libera per risolvere alcune cose. -

-Brian, abbiamo altre prove da fare, non possiamo interromperci tutti. Vedrai che riusciremo a farcela.. - Brian diede un altro paio di boccate alla sua sigaretta.

-Solo stavolta. - fece per rientrare per andarsene ma Matthew lo trattenne con un'espressione che voleva essere tutto fuorché concessiva.

-Brian ti prego, dimmi in che guaio ti stai cacciando? Se vuoi comincio io: Michelle è completamente distrutta a casa mia. Dice che non ci sei quasi mai, che sei assente quelle volte che ti incrocia, e addirittura tuo padre venne a darti del rincoglionito per colpa della negligenza su gli interessi familiari. Non possiamo coprirti in eterno, ci metteresti solo nei casini. Hai voglia di metterci nei casini? -

-Dai, seriamente? Sono un uomo di trent'anni che non ha bisogno della balia. Dì a tutti di stare più che tranquilli, so cavarmela da solo. -

-Non ti preoccupi delle persone che ti amano? Sono tutti su di giri per te. Dicci piuttosto a cosa dobbiamo prepararci. -

-Prepararvi? -Brian rise e spalancò le iridi adirato. -A cosa devi preparare tua moglie quando verrà a farti il terzo grado, forse! Come potrà ancora riempire la testa della sua povera sorella che non sa come guardare da sola al proprio matrimonio, non è così? Lo sapevo che era questo quello alla quale volevi arrivare! Ci sei riuscito, complimenti! - Matt stette per ribattere ma si prese un secondo di pausa per calmare i nervi, scuotendo comunque un dito davanti la faccia dell'amico in tono fuorché amichevole.

-Non parlare così di Valary, non è l'unica a capire che il ritorno di Jillian ti abbia dato alla testa. E' da lei che devi andare non è vero? Se non ci fosse nulla da nascondere lo diresti anziché giocare al fuggiasco.- la voce dell'amico si fece così alta che Vengeance chiamò dall'altra stanza, ma entrambi lo tranquillizzarono finché poterono. Ad un certo punto lo sguardo di Brian si oscurò e calando gli occhi si mostrò sprezzante, con una voce grave soffiata fra i denti stretti.

-Sta tranquillo. Jillian non ne vuole sapere nulla di me, poteva continuare a vivere tranquillamente la sua vita altrove invece è tornata per ricordarmi che tra noi non ci sarà mai più quello che... - si interruppe. -Davvero Matt, stai creando un problema che non esiste.-

-E cosa sarebbe successo se invece fosse stato il contrario? -Brian dovette ascoltarlo ed interrompersi, con la grande colpa di costringersi a dargli ragione senza poterselo permettere. Matt lo guardò rammaricato, con la stupida colpa di aver imputato al banco dei colpevoli il suo vecchio amico. Vide il petto di Brian infervorarsi contro di lui, mentre con un dito puntato gli picchiettava sulla felpa. Il suo viso era rabbuiato, con gli occhi alti che si muovevano tempestivamente da un lato all'altro del viso per vederlo ben impresso: aveva colto nel segno ed entrambi si erano scrutati meticolosamente.

-Devi essere sincero con me! Se non vuoi farlo neanche con te stesso allora sbotta! Dimmi che cazzo vuoi fare? - Brian si prese qualche secondo, con la sigaretta che pendeva bruciando fra le labbra, mentre le mani attraversavano disperatamente la chioma corvina fino a trascinarli indietro per liberarsi un attimo e permettersi respiro.

-Sincero. Come lo sei stato tu con la band vero? - Quel suo sguardo da bravo ragazzo era tornato a vigilare sul suo viso cancellando l'angheria di prima, eppure ora sembrava incoraggiato a comportarsi in modo completamente opposto da come era partito.

-Che vuoi dire? -

-Che Portnoy è decollato, no? Siamo senza un fottuto batterista e ci stai facendo provare solo con la scusa che tornerà a soccorrerci come se fossimo solo un gruppetto da cabaret! Cosa facciamo nel frattempo? Stiamo provando nella speranza che qualcuno ci bussi alla porta come mandato dal cielo! Ti prego Jimbo, qualcuno di tua preferenza! - esclamò esasperato, portando gli occhi al cielo e divaricando le braccia come a sfidarlo.

-Brian che cazzo stai dicendo? - Matt sbottò e gli diede uno spintone che lo costrinse a ritornare dritto, con la sigaretta che scivolò via morendo sull'asfalto. Si portò appena indietro e con la spinta delle spalle pressò per rimanere in equilibrio una volta ver urtato violentemente contro la parete.

-Sapevamo che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato: o troviamo qualcuno o chiudiamo la serranda! Vuoi credere a qualche segnale mistico adesso? Lo sai che gli Avenged Sevenfold stanno naufragando, forse è arrivato il momento di mollare Matthew. Fattene una fottuta ragione prima di portarci ad affondare insieme ai tuoi sogni!- Matt chiuse gli occhi e si portò una mano al viso stringendo un pugno che voleva dirigere verso quella faccia, mentre una presa si trascinò al braccio di Brian e lo costrinse a voltarsi.

-Che diavolo sta succedendo qui fuori, maledizione? - Brian scrutò gli occhi azzurri di Zack che cercavano seri una risposta, e si voltò subito dopo contro il vocalist, che cominciò a disdire col capo non credendo alla piega che stava assumendo la discussione.

-Coraggio, spiegaglielo cosa sta succedendo. Avanti, Matt! Spiega che cazzo sta succedendo! -

-Gli Avenged Sevenfold non sono solo il mio sogno. Hai qualche problema con la band? Se vuoi gettare la spugna sei un trentenne libero di prendersi le sue responsabilità, lo hai detto tu no? Lascia la band se non riesci a controllare la tensione!- la linea del collo si articolò di vene pulsando per la tensione; calò un profondo silenzio che costrinse tutti a fissarsi finché Brian tornò a sbottare. Quasi volevano dimenarsi l'uno contro l'altro, e la collisione non sarebbe stata una buona piega per nessuno di loro.

-Ho bisogno di prendere aria. - Nonostante il tono freddo Matthew rimase impietrito dal suo comportamento, e con un cenno del capo acconsentì al fatto che il loro chitarrista si sarebbe preso qualche altra pausa da chissà quale commissione. Brian non disse nulla e si dileguò; di lui seguirono solo le ruote dell'auto sgommare gravemente per uscire dal vialetto principale.


***


Slittando con gli occhi dalla strada al telefonino in modo veloce prese a ricomporre il numero per poi portarselo all'orecchio. Il fatto che poco dopo lo scaraventò sul sediolino posteriore non prometteva nulla di buono. Brian si sentì in colpa di averla allontanata per colpa delle stupite paranoie di cui si era presa carico Michelle. Li aveva allontanati, forse non voleva farglielo sapere ma lei non aveva apprezzato la cosa. Eppure l'unica cosa a cui Brian poteva pensare in quel momento fu quel bacio che si scambiarono in spiaggia, ed era quello a cui aveva continuato a pensare a lungo. Era quello che aveva fermato lo scorrere quotidiano della sua vita e lo stava facendo scorrere di nuovo al contrario, all'intreccio perfetto delle loro vite che si ricongiungevano. Adesso, del perché, seppur d'amico, dovesse rinunciare a lei, non riusciva a capirlo. Acconsentiva al fatto di potrela semplicemente rivedere nelle serate fuori casa con gli amici, al chioschetto, al bar, allo stage dei loro concerti. Fuori il parco per una sigaretta, a ridere con i ragazzi, che cosa metteva tutti contro di lui? E contro di lei?

Lanciò un'occhiata sospetta allo specchietto retrovisore e incanalarò la dose di velocità, slittando lungo la via principale per vedere forte la pioggia cominciare ad infrangersi al parabrezza, prima piano poi più forte, più forte fino a confordergli la mente, fino a svuotarla del tutto.




Le ruote dell'auto s'impiantarono all'asfalto con violenza, sotto un aglomerato di fango e ciottoli che infestò gli anfibi appena scese dall'abitacolo. Il cielo s'era fatto scuro nonostante l'orario e un violento squarcio mosse quel tetro nero che vigilava sulle loro teste, mentre Brian si allungava verso il vialetto della casa bussando al citofono fuori impostato. Le finestre sembravano serrate, non vi erano luci, eppure l'auto sostava nel lato di fianco il sempreverde. Spostò il viso giusto per osservare gli angoli del giardino, afferrò tenacemente nei pugni il ferro del cancello d'entrata e lo scosse con forza.

-Jillian! - chiamò, con la pioggia che gli scivolava sulla faccia e gli penetrava fra le labbra. Si strinse nella giacca di pelle, zuppa d'acqua e prese a premere facendo pressione.

-Lo so che ci sei, Jillian! Cazzo, parliamone! - si guardò intorno come a vedere quanto spazio ci fosse tra lui e la strada del viale.

-Non ho paura di nessuno, si faccia avanti chiunque! Chiunque voglia mettersi contro di noi! Avanti, Jillian! Lo so che pensi lo stesso! Dimmelo, cazzo! - sfilò la giacca abbandonandola ai lati del marciapiede e saltò contro la ringhiera. Con la forza delle braccia si tirò su, fino ad attraversarla atterrando molleggiando sulle ginocchia con un'espressione di puro sforzo. Si portò fuori la porta d'ingresso con fretta, recuperò un attimo di respiro, con la t-shirt che aderiva come una seconda pelle contro il petto carico di respiri e sussulti.

-Jillian? - battè contro la porta con un filo di voce, sapendo e sperando lo sentisse.

-Ti prego, sono qui.. ho solo... solo bisogno di parlarti. - aderì la fronte contro il freddo dell'ostacolo che si parava fra di loro. I capelli si incollarono contro il viso contratto da una nota di rassegnazione, con la bocca che si curvò per l'insofferenza dei suoi sforzi andati in fumo, della forza che ci aveva messo per sopportare fino a quel punto e tutte le volte che aveva lottato contro se stesso. Per lungo, lungo tempo. Tutto era lì, a dividerli da una porta che non voleva saperne di aprirsi, che non voleva saperne di dargli la possibilità di poterla odorare e toccare e stringere per almeno un attimo, e scaldare il suo corpo sormontato dai brividi e dalla rabbia di aver fallito. Si allungò verso gli angoli della casa e si affiancò alle finestre, entrava appena la luce dei lampi e il frastuono scoordinato dei tuoni, mentre il silenzio regnava e il buio si faceva spazio in ogni angolo della casa. Brian potè notare la cucina deserta, un lato del divano, forse scorse quella che sembrava una televisione su un tavolino basso, di quelli da salotto.

La pioggia cominciò a battergli sempre più forte sulle spalle, penetrava lungo la linea della schiena: era così fredda e spietata che gli ricordava quanto il suo corpo fosse invece carico di fervore e pervaso da grande foga.

Tornò sotto la tettoia dell'ingresso per ripararsi e si lasciò scivolare a terra con la schiena che attraversava gli spessi intagli del portone. Estrasse il cellulare per riprovare a chiamarla, era l'ultima possibilità che gli era rimasta.



Il rumore del telefono risuonava in un silenzio che non lasciava spazio ai pensieri, che racchiudeva al suo interno un mondo ovattato che lasciava tutto fuori da quella porta. Poteva quasi sentire i suoi respiri, erano affaticati e violenti, seguiva qualche colpo di tosse, poi un sospiro. Jillian si accostò con la schiena contro il freddo metallo, poi rabbrividendo poggiò anche il proprio orecchio contro la superficie, per darsi la possibilità di sentirlo apparentemente più vicino. Non poteva, solo Dio sapeva quanto desiderasse porre fine alla stupida piega che avevano preso i loro incontri. Avrebbe voluto lasciare tutti fuori da quella porta e restare con lui, al caldo, per un'eternità terrena alla quale di suo non credeva, ma che avrebbe voluto conoscere insieme a lui. Giunse le mani come in preghiera, sperando che andasse via, che smettesse di insistere nel cercarla, nel poterla incontrare, nel sapere dove fosse. Che perdesse le speranze in lei, che la odiasse se possibile, che la ritenesse la causa della sua tristezza se necessario. Avrebbe preferito che lui le dicesse di andarsene, di smetterla di giocare con gli altri, di lasciarlo in pace. Eppure, eppure... era lì. L'attendeva, sapeva che lo stava ascoltando dietro lo spessore di quindici centrimenti di metallo spesso, che solo lei avrebbe potuto interrompere il freddo gelo che lo stava investendo in quel momento, e sperava che lo facesse.

-Un nuovo messaggio di segreteria. Bip.-

-Che cosa stai aspettando? Che mi stanchi di rincorrere i fantasmi del passato? Che impari a crescere? Credi veramente che non ci abbia neanche provato? Cazzo, Jillian! Pensi che voglia farmi del male apposta? Che voglia continuare a battere la testa al muro finché non me la apro, solo per il gusto di farlo? Sto per perdere tutto, e dopo aver perso Jim, ho provato le stesse sensazioni che mi avevi lasciato tu. Mi hanno riaperto una ferita che non so se vorrò tornare a cucire. -

Una lacrima le percosse i lineamenti perfetti delle gote, fino a morire sulla lingua attraverso le labbra socchiuse.

-Non posso riuscirci. Forse avevi ragione, non potevamo sapere cosa Jimmy avrebbe voluto, forse è proprio lui a dirmi di mollare. Vuole farmelo capire, ed io invece sto facendo di testa mia, come al solito. Se fosse qui, mi prenderebbe per pazzo. Mi trascinerebbe via... ma lui non c'è. Sei tu a decidere.. sta a te. Cosa devo fare, Jillian?-

Dovette lasciar morire un singulto in gola, per non emettere neanche un suono che avrebbe potuto tradirla. Doveva rimanere un tutt'uno con il freddo silenzio che vigilava, essere il nulla, sopprimere la grande forza di urlare e battere i pugni a terra.

-Già. Forse anche tu ti chiedi perché dovresti scegliere per me.. del perché io abbia paura di farlo di mio. Scegliere è sempre stato uno dei miei più grandi grattacapi, eppure le possibilità sono solo due: sì o no, giusto o sbagliato, bianco o nero, con o senza. Quel "no" mi spaventa a morte, Jillian. E anche quello "sbagliato" e il "nero"... Dio, quanto mi spaventa quel "nero".-

La voce metallica dal telefono della segreteria si interruppe per un attimo, tanto che Jillian spalancò gli occhi per scovare nel buio un segnale da parte dell'apparecchio. Un segnale che le dimostrasse che lui fosse ancora lì, a farle compagnia e parlare per lei, suscitarle un'emozione, farle tremare il corpo.

-I-io.. - Jillian avvertì qualche tentennamento, una nota roca che morì poco dopo. Poi un sospiro lungo.

-Ti ho amato troppo per dimenticare tutto. Ho provato mille brividi nella mia vita, un'adrenalina tanto forte da bloccarmi il sangue nelle vene, cazzo, ho sentito il freddo del nord paralizzarmi il corpo, un concerto infuocarmi la mente. Eppure, puoi anche solo immaginare quanto tutto quello che avrei dovuto provare davvero avrei potuto averlo solo da te? Ti odio, maledettamente! Sei solo una maledetta stronza! Sei stata la rovina della mia vita, amore mio.. -

Jillian cominciò a sentire il respiro pesante infuocarle il petto, che stava per scoppiare per il battito fornessato che avvertiva all'altezza del cuore.

-Anche tu lo sei stato.. - mormorò a fior di labbra, sottratta per un attimo al corpo astratto del silenzio che l'aveva incorporata. Eppure quel silenzio tornò, e prima che potesse accorgersene il rumore di ruote sull'asfalto le fecero tremare le palpebre e drizzare in piedi di corsa, con un respiro impiantato in gola. Le mandate della porta batterono con tale velocità, finché non fu fuori in un lampo correndo contro il muro di pioggia che le si parò davanti come un torrente in piena. Corse contro le ferriate e si scontrò con il freddo che soffiava sul viso bagnato, misto alle lacrime. Quando riuscì a liberarsi, la strada era ormai deserta, con i fanali rossi dei freni che scomparivano oltre il confine della strada che andava a cambiare colore, al battere frenetico dell'acqua illuminata dalla luce giallastra dei lampioni. Non avvertiva neanche più il tremolio forsennato dei denti, le dita paralizzate, le gambe tremanti sotto il peso di un corpo gracile.

-Brian.. - soffiò via. Era la soluzione giusta, alle sue risposte.


***


Il pianerottolo era deserto, l'eco delle scale percorsq con la gomma pesante degli anfibi risuonava contro le pareti in marmo, con al seguito la scia di orme di fango che lasciava in giro indifferentemente. Attese l'ascensore in un silenzio tombale, ancora troppo scosso e infestato dai suoi dubbi e dalle sue controversie. Mille, evanescenti gocce d'acqua si sparpagliavano sul suo corpo, scivolavano via, morivano in silenzio all'altezza del pavimento, e gli graffiavano la pelle del viso come schegge infuocate. Brian non aveva la forza neanche di lavare via il fango dal corpo, la fuliggine dalle unghia, la linea di matita nera dalla faccia, le sue uniche forze le aveva spese nel continuare a convincersi che quella sarebbe stata ormai l'ultima volta in cui avrebbe potuto sperare di vederla. Probabilmente era andata via, mille, diecimila, centomila miglia distante da lui. Grazie a Dio, il dolore sarebbe passato, dopo l'ennesima volta in cui aveva sperato di poterla amare. Quando si fermò innanzi la porta d'ingresso, dopo il campanellio sconnesso dell'ascensore, notò un'aria strana che gli contrasse la faccia.

Haner

Di Benedetto

La targhetta di casa luccicava alla luce fioca della palizzata, ai neon ingrigiti delle scale che quasi rischiarono di spegnersi per un sussulto. C'era uno strano silenzio, glaciale quasi, corrucciò ancora di più la faccia e senza nessuna voglia di indagare oltre infilò le chiavi di casa sbloccando il chiavistello. Nessun guaito, neanche un rantolo si presentò ad accoglierlo: la casa sembrava vuota, e questo era chiaro dal fatto che Pinkly non fosse lì alla porta ad attenderlo.

-Pinkly? - fischiò, sentendo il proprio suono risuanare fra le pareti. Si avviò all'entrata del corridoio buio, incurante del suo aspetto da vagabondo che rischia quasi una polmonite. Si sfilò la giacca con un gesto metallico, la fece scivolare a terra, si sporse con il capo verso la sua stanza, quasi temette di penetrarvi, poi con grande sforzo accese la luce illuminando la camera coniugale. Gli sfuggì un sospiro che lo costrinse a coprirsi gli occhi: a terra vi era qualche cornice, e le porte degli armadi completamente spalancati, vuoti e spogli al loro interno come se qualcuno avesse portato via più roba possibile.

-Michelle..- chiamò alla fine, con un filo di voce, trascinandosi per sedersi pesantemente sul materasso comodo che lei amava tanto.

-Complimenti Brian "Faccia di Merda", due in una sola serata. - esclamò con un sorriso amaro a se stesso, riflettendo sul fatto che provare a cercare Michelle sarebbe stato solo tempo sprecato. Ormai lo odiava e ne aveva tutte le ragioni, Matt lo stava mettendo in guardia per il semplice fatto che sapeva... sapeva quello che probabilmente aveva avuto intesione di fare. Adesso che se ne era andata cosa voleva significare? Se Brian avesse potuto si sarebbe preso a schiaffi, e dato che poteva, lo fece per davvero.



***

Chi sono? Dove sono? Perché? D:

Mi ha beccato un così grande e forte casino mentale e privato che mi sono ritirata dalla scena per un altro po' e oggi ricapito qui quasi per caso. Il capitolo era semipronto da un po', aveva qualche rigo da correggere e qualche situazione da dettagliare al meglio ma la base era più che presente. Posso dire di aver letto e riletto fino allo svenimento eppure spero vivamente che sia bastato a correggere nonostante la stanchezza.

Fatemi sapere il vostro stato di gradimento, mi sento arrugginita, ho bisogno di voi! XD Forse sono troppo autocritica sulla scrittura, o forse troppo poco: da soli è sempre difficile munirsi di consigli e miglioramenti. Se qualcosa non risulta chiaro sarò lieta di rispiegarmi, non so perché ho questa strana impressione.


A rivederci presto, più presto, prestissimo!!!

Baci :*

Sux Fans

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. ***


11

Camminava da solo finché le gambe non tremavano; c'era un freddo forte che scuoteva funesto le cime degli alberi e gli tagliava il viso, e Brian lo avvertiva ma poco se ne curava. Tutto il vorticare irrequieto dei pensieri gli riempiva la testa, fosse bastato a farlo stare meglio avrebbe quasi cercato di vomitarle: ma nulla era così semplice. Era andato via di casa lasciandola vuota, passeggiando per le strade deserte di una Huntigton dormiente; non sopportava quel silenzio padrone che gli facesse finalmente capire quanto fosse rimasto solo. Voleva solo ricongiungere i tasselli persi della sua adolescenza e invece aveva sparso quelli attuali, del suo presente, mettendo in discussione la sua band, la sua casa, la sua personalità. Tutto era adesso coperto da una coltre nera, come fumo denso di una sigaretta che si stava accendendo aiutandosi con il palmo di una mano. Aspirò una boccata e al freddo si condensò appannandogli la vista per qualche secondo. Fasci di luce dei fanali delle auto che di rado slittavano sul manto stradale gli accecavano gli occhi, per poi morire qualche miglio lontani; le strade asfaltate luccicavano dei grandi lampioni invece, in toni caldi, circolari, che allungavano la sua ombra solitaria in entrambi i lati del suo corpo. Ma poco se ne curò. Non avrebbe dormito a casa quella notte, avrebbe fatto meglio a trovare un posto dove stare. Dato il modo in cui se ne era andato dalla sala prove però, non voleva far capo ai suoi vecchi amici, per non metterli nella condizione di scegliere fra lui e Matt, nè per far arrivare nessuna voce a Michelle che potesse metterlo ancor più in cattiva luce. Quella donna doveva odiarlo in quel momento, probabilmente avrebbe fatto in modo di non vederlo per molto tempo e non poteva darle torto. Avrebbe preferito scomparire per quella notte per sapere quanto sollievo avrebbe giovato a tutti la sua mancanza.



***


-Bri? - Brian sventolo una mano in modo imbarazzato, mentre il padre gli aprì la porta d'ingresso a quell'ora della notte.

-Che fai quì? -

-Posso dormire nel garage stanotte? - Brian Senior si sporse sull'uscio della porta per guardarsi intorno, come se non l'avesse udito, ben oltre le spalle del figlio, per accertarsi che non ci fosse nulla di strano.

-Ma che dici? Hai bevuto?-

-No, papà.-

-Hai assunto droghe? -

-Oh, ti prego! - le iridi del giovane si portarono al cielo in un gesto esasperato mentre lo sguardo dell'uomo si corrucciò per cercare vagamente tracce di instabilità nei suoi occhi marroni.

-Dov'è la tua auto? -

-Posso entrare o vuoi farmi l'interrogatorio quì alla soglia? - l'uomo sembrò pensarci un pò, poi si scostò facendo cenno col capo di entrare piano.

-Dormono tutti, vieni. - Brian si mosse con cautela, attendendo il genitore prima di procedere nel corridoio buio dell'appartamento. Sembrò imbarazzarsi, camminare nervosamente finché non tornò a rivolgergli la parola.

-Puoi spiegarmi che succede? Hai perso di nuovo le chiavi di casa o hai fatto arrabbiare tua moglie? - accompagnò il tutto con una risatina sommessa, versando del caffè in una tazza, peccato che voltandosi finalmente ad osservarlo Brian Jr non avesse ricambiato la stessa espressione divertita.

-Qualcosa del genere. - si limitò a dire, accettando la bevanda calda. -Non volevo darti fastidio, prendo le chiavi del retro e vado.- Fece per allontanarsi con l'oggetto ma il padre lo seguì cautamente.

-Hei, hei, campione, guardati..- lo fece voltare osservandolo in viso. -.. è vero che sei una rockstar ma non dovresti avere uno guardo così serio anche con il tuo vecchio. E' alquanto inusuale averti a casa dopo tutto questo tempo. Tua madre lo sa che sei quì? - disdì col capo.

-Non lo sa nessuno e gradirei che la cosa rimasse fra di noi. - nonostante l'espressione seria, Brian Senior non smetteva di risultare simpatico nel suo caratteristico modo di fare. Cominciò ad assumere una smorfia pensosa e a gesticolare.

-Brian in che guaio ti stai cacciando? Mi farai morire di crepacuore. - Il giovane sorrise mestamente, con uno sguardo malinconico che cercava con poca convinzione di tranquillizzare il suo vecchio; gli portò una mano sulla spalla e la strinse come ai vecchi tempi, nonostante le loro altezze e i tratti somatici del viso mutati nel tempo.

-Nessuno papà, te lo assicuro, ho bisogno solo di un posto tranquillo dove pensare. Domattina non ti accorgerai neanche che sono stato quì. -

-Spero sia davvero così.. cioè, nel senso che.. Oh, diavolo! Hai capito! - Stavolta anche a lui sfuggì un risolino.

-Posso usare il telefono? -


***

-'chelle, stai riposando? - La testolina platinata della donna si sporse all'uscio dopo qualche ticchettio alla porta.

-No, entra. -

-Volevo augurarti la buonanotte, come stai tesoro? - le posò un bacio sulla fronte e le si sedette accanto. Michelle ricambiò un sorriso debole, e nascose sotto le coperte qualche fazzoletto strimizzito che aveva raggomitolato selvaggiamente fra le mani ore prima.

-Adesso sicuramente molto meglio. Mi dispiace del disturbo che sto recando a te e Matt, io.. -

-Non dirlo neanche, per me e Matt non è nessun problema. Resta anche quanto vuoi. - l'assicurò, cadendo dopo qualche attimo in un silenzio ristoratore. -Ne vuoi parlare?-

-Non c'è nulla da dire. - l'ammonì la mora, cercando di non incrociare i suoi occhi. Non ci sarebbe stato nulla di peggio se non piangere davanti a lei. -Davvero, sto bene. Avevo bisogno di stare da sola, tutto quì. - Valary si commosse, un rantolo alla bocca dello stomaco le fece salire quasi le lacrime agli occhi. Che le due sorelle di Benedetto vivessero della stessa aria era risaputo, e che entrambe soffrissero della situazione andatasi a creare non volgeva in positivo per loro.

-Su tesoro, vedrai che tutto si risolverà.-

-Avevi ragione! - l'interruppe con un singhiozzo. -Come ho fatto a non accorgermene prima? A non capire i segnali che mi stava lanciando? Vivevamo nella stessa casa, per Dio! - la voce si affievolì ad un flebile sibilo; non ci si abituava mai a vedere il viso dolce della donna contrarsi dal rancore.

Valary si allungò a carezzarle i capelli, interrompendo una lacrima che scivolava sulla guancia della giovane, ormai in preda ad un triste epilogo.

-Ho aspettato paziente che la dimenticasse, ho tollerato le notti che ha passato fuori da solo pochi mesi dopo che se ne era andata. Non dimenticherò mai la volta che mi strinse chiamandomi col suo nome.. - fu un'inspiegabile sensazione di vuoto che le colpi lo stomaco, fino a riprendere a singhiozzare con più frequenza. -Lo odio, con tutte le mie forze. Non credevo che.. -

-Non c'è mai stato da fidarsi di Brian, lo sai! Non mi sorprende che sia tornato a pensare come un ragazzino e fare chissà quali porcate! - inveì Valary; la tristezza aveva fatto spazio ad una collega incontentabile.

-Non lo conosci! Ci aveva messo tempo ma stava cambiando, lui ci stava provando.-

-'chelle, smettila di credere che lo avrebbe fatto, questa cosa continuerà solo a farti male. Brian non cambierà mai, lui è propenso solo a far del male a se stesso e agli altri, ed è per questo che ama quella donna: sono esattamente identici! Non saranno contenti finché dopo essersi rincorsi per anni non torneranno ad allontanarsi.-


***


-Lieve trauma cranico: dovrebbe stare più attenta quando scende le scale di casa, è stata davvero fortunata a non essersi fratturata. - Jillian annuì e si rialzò adagio dal lettino del medico come le era stato ordinato; l'uomo incamiciato sedette alla sua scrivania e annotò velocemente sistemandosi meglio le lenti sul naso.

-Adesso le prescriverò qualche antidolorifico, così da rendere più semplice i tempi di guarigione, ma non ne faccia abuso. Nel frattempo, c'è qualche altra cosa che vuole chiarire della caduta, signorina Gordon? - la donna disdì col capo e accigliata cercò di interpretare la strana espressione del professionista, poi respirò piano.

-Non è stato nulla di ecclatante, solo sbadataggine. Per quello che ricordi credo di essere inciampata per colpa della fibia dello stivale. - l'uomo sembrava annuire come ad accondiscendere ad una versione poco convincente, poi le porse il foglio ritornando di fronte a lei.

-L'unica cosa che non riesco a spiegarmi sono i diversi lividi circolari sulle sommità dei bicipiti, ecco guardi.- la convinse a scoprire le braccia indicando leggermente con la punta di un indice gli aloni violacei sulla pelle diafana. -Sembrano più che altro prese di un palmo, come se l'avessero agguantata. Riesce a notare la forma? Sono molto diversi da questi sulle coscia, dovute forse alla caduta e..-

-No, non noto nulla di strano, ma sarà stato sicuramente quando ho cercato di afferrare un appiglio. In momenti del genere non è facile capire cosa si ha intorno, almeno abbastanza affidabile alla quale aggrapparti. -

-Ha animali in casa per caso? - Jillian negò col capo audacemente, trovando fastidiose le continue domande volte ad indagine e apprestandosi ad infilare finalmente la giacca per lasciare intendere che la conversazione fosse finita.

-Le auguro buona giornata. - Jillian infilò gli occhiali da sole coprendo il viso tumefatto e fece per uscire con passo spedito.

-Anche a lei, spero di non rivederla tanto presto. E' un augurio ovviamente.- Si interruppe per voltarsi ad osservare lo sguardo serio che le porgeva, prima di tornare a confondersi fra la clientela della sala.


***


La tastiera del cordless si accese al buio in luminescenze aranciate e nel digitare gli ultimi numeri rimuginò selvaggiamente prima di tornare a cancellarli di nuovo nel giro di qualche minuto. Brian si rannicchiò scomodamente nel sacco a pelo che aveva sistemato in un angolo del garage, borbottando nervosamente su quanto lo ricordasse più grande rispetto alla realtà. Ormai era fatta, avrebbe passato lì la notte poi l'indomani avrebbe pensato al da farsi, inutile continuare a pensarci con una mente così affollata di pensieri. Non sapeva bene cosa fare. Chiamarla? Non chiamarla? Avrebbe voluto sentirlo? Forse il messaggio lasciato il segreteria era stato abbastanza da non convincerla a richiamarlo. Sbuffò per la rabbia e lanciò via con forza lo stupido cuscino in piuma che non voleva saperne di farlo sistemare comodo. Si sentiva come un adolscente idiota e sperava che quel posto, come anni prima, gli avrebbe giovato alla mente, invece ovunque guardava gli veniva a galla solo il viso sorridente di Jimmy che picchiettava con le sue bacchette sui tamburi, facendogli esplodere la testa. Aveva scelto il luogo più tormentato di ricordi: si vedeva quasi abbracciare gli amici, con diversi centimetri in meno di altezza e di capelli, con quei stupidi pantaloni attillati e la maglia della sua band preferita madida di sudore. Il sentirsi a casa, mentre a casa non era. Il sentirsi grande, quando grande non lo era neanche adesso, anzi si sentiva piccolo, più piccolo di un moscerino, più inutile e insignificante.

Gli servì molto coraggio per riscrivere il numero sul display e chiamare finalmente, porgendoselo all'orecchio con un attimo di esitazione.

L'attesa fu assillante, gli solleticava sulle dita la voglia di chiudere il telefono e tornare a rimanere il stallo, ma non cedette e attese ancora.

-Sì..? - la voce debole gli fece venire un sussulto. Era notte fonda, diede un'occhiata all'orologio da polso ed indicava le 3:02 AM poi fece un respiro profondo sapendo che l'avrebbe riconosciuto subito e sperò che non riattaccasse.

-Hei.. - ci fu qualche secondo di silenzio dove entrambi presero tempo per ristabilirsi e dall'altro capo ritornarono a parlare.

-Da dove stai chiamando? -

-Non sono a casa.. -

-Perché? Dove sei? Sei con quella? - avvertì un tono agitato che gli raggelò il sangue.

-No, 'chelle.. sono da solo. - ci fu dell'altro silenzio poi un sospiro instabile.

-Che cosa vuoi? -

-Sono un coglione, mi dispiace.-

-Anche a me dispiace, adesso ti conviene cavartela da solo. - Fece per riagganciare ma cercò di persuaderla a rimanere.

-Aspetta, aspetta! Ti prego.. io non so neanche come giustificarmi, non posso dire nulla per spiegare il mio stupido comportamento.-

-Hai lasciato la band? È vero? - Brian disdì nonostante lei non potesse vederla e si portò una mano ad asciugarsi la fronte.

-No.. no, è stato un momento di rabbia. -

-Non riesci a vedere cosa sei diventato? - avvertì un singhiozzo. -Hai distrutto le vite di tutti in poco più di un mese e il tuo duro lavoro se non quello dei tuoi amici! Maledetto stronzo che non sei altro! Come pensi che tornerà tutto come prima? -

-Non lo so..-

-Non contare su di me Brian. Io non... non ci sarò più per te. - strinse gli occhi e cercò di controllare la forte emozione che gli stava attanagliandogli il petto.

-Ho bisogno di vederti. -

-No... n-no, Brian. -

-Pensa con la tua testa, cazzo! Non farti convincere da altri su quello che vuoi! Credi che non sappia che mi hai lasciato per tutte le puttanate che ti hanno ficcato in testa?-

-Smettila.. - mormorò la donna cercando di calmarlo.

-No! Porca puttana! .. - prese un respiro che avrebbe dovuto aiutarlo a calmarlo. -Michelle sei tu a conoscermi e non gli altri. È vero, faccio molte stronzate, ti ho trascurata, sono stato.. stupido, insignificante, posso rimediare e farti capire che ormai ho capito.. ho capito.. - Capito che se non poteva averla non poteva perdere anche lei. Le amava, in modi diversi, in mondi diversi, in menti diverse, ma le amava.

-Ti prego, vediamoci a casa fra qualche giorno, sarò lì. È troppo vuota senza di te, aspetterò che sarai pronta.-

-Domani.. - Brian si sorprese credendo di aver capito male.

-C-cosa? -

-Domani, ci vediamo a casa..- non seppe bene cosa dire, rimase senza parlare, rantolò qualcosa poi annuì.

-Grazie. -

-Non è per te Brian, ho bisogno di essere felice, non deludermi. -



Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. ***


12


L'indomani fu colto da un risveglio brusco, con la serranda del garage aperto di botto e con i forti raggi del sole che lo andarono a colpire in faccia proprio come un pugno in un occhio. Mai nulla fu più traumatico; Brian mugugnò poi rotolò di lato per cercare di proteggere gli occhi quel poco che gli restava da sperare. Pochi secondi dopo una figura snella lo adombrò e solo al momento in cui si sentì pronto aprì un occhio ad osservarla: McKenna stava in piedi a fissarlo, con le mani poggiate ai fianchi ed un espressione stranita sul viso, tanto che il sopracciglio sottile assunse una strana impennata.

-Che. Diavolo. Fai. Lì? - sillabò lentamente, quasi fosse un rimprovero. L'uomo si prese qualche secondo per stiracchiarsi per sentire ancora se le ossa intorpidite fossero tutte intere, poi si alzò, ringraziando per quella benedizione.

-E cosa facevi nel mio sacco a pelo? È irriconoscibile! Non è questo quello che intendevo quando ti ho detto di venirci a fare visita ogni tanto! -

-Frena la lingua ragazza, ho un'emicranea pazzesco. - La giovane dalla fulva capigliatura di sfumature violacee ormai sparse quà e là boccheggiò, sbuffò, cercò di calarsi per acconciare il disordine lasciato dall'ospite. Poi, quando dopo qualche borbottio tornò in piedi, lo fissò interrogativa mentre egli si era appoggiato alla parete ancora assonnato.

-Che facevi lì disteso? -

-Non dovresti essere a scuola? - cercò di tagliare corto, ma la ragazza prontamente lo ammonì.

-Hai visto che ore sono? - Brian aprì un occhio per sbirciare l'orologio.

-Cazzo.. - recuperò la giacca poggiata agli scatoloni poco lontani e la infilò velocemente.

-Dove vai adesso? - l'uomo fermò la sua corsa verso l'entrata del garage ancora spalancato e sospirò, voltandosi a guardarla di nuovo mentre attendeva risposta.

-Ho fatto un sacco di casini, Ken.. - confidò, gettandosi fiaccamente contro la parete, maledicendosi sottovoce continuamente. A cosa sarebbe servito correre? Correre dove poi? Non ne aveva più idea. La ragazzina gli si avvicinò, tamburellando con i piedi per darsi del tempo di pensare a qualcosa per consolarlo.

-Qualsiasi cosa sia non sarà mica così grave, vero? Cerca di non peggiorare le cose con comportamenti impulsivi e concentrati su quelle importanti. - Brian si sentì stupido, affidare i suoi problemi ad una ragazzina, ma cosa gli era venuto in mente? Sua sorella era sicuramente più matura di quanto lui lo fosse mai stato in vita sua.

-Hai proprio ragione, sei sicura che siamo davvero fratelli? - risero per la stupida battuta e si abbracciarono, fino a che ella non si allontanò arricciando il naso.

-Fatti una doccia maledizione, e...! - gli mollò un forte pugno sulla spalla. -Non chiamarmi Ken! Lo sai che lo odio! -

-Dio, come sei diventata suscettibile.. - mormorò massaggiandosi il braccio come fosse un bambino. -Sarà meglio che vada, ho da fare visita ad una persona prima. Sono davvero molte miglia.. ma è da molto che manco, non me lo perdonerà mai. - McKenna lo osservò mentre si allontanava, prima di vederlo posare uno sguardo furbo verso la bici con la quale era appena tornata da scuola.

-Senti, non è che..-

-Neanche per sogno. -


***


Matt bevve un altro sorso di caffè prima di tornare ad alzare lo sguardo verso la moglie, con voce bassa per evitare di farsi udire.

-Come sta Michelle? - Valary si voltò, interrompendo per un attimo le sue faccende con la cucina per dirigersi alla tavola penisola che si trovava ad un metro da lei.

-Distrutta. Come darle torto? - Matt aveva già notato il piglio arrabbiato, la conosceva bene e quel suo lato la caratterizzava alquanto. Allungò una mano per posarla sulla sua e la carezzò per tranquillizzarla.

-Come stai tu, piuttosto.. - non riuscì a nascondere un certo disagio e tornò a sorseggiare il suo caffè. -Matt.. - lo rimpoverò e l'uomo alzò le mani in segno di resa.

-Non so come uscirne. Dovrò dire tutto ai ragazzi.. -

-Tutto cosa? - Lo vide tacere ancora e allora incalzò.

-Sulla band. Ho avuto una discussione con Portnoy e non ne siamo usciti proprio bene, credo che la collaborazione sia finita quì. Ed infondo è meglio così, oscurava il nostro potenziale e soprattutto ha la sua band della quale occuparsi, io.. -

-Matt! - l'interruppe la donna, vedendo come il tono di lui si facesse sempre più remissivo. -Calmati, ti prego. Vedrai che puoi contare sui tuoi amici più di quello che credi. Dopotutto lo hai detto tu, c'erano altre cose della quale doveva occuparsi. - l'uomo annuì e calò il capo verso il marmo nero della tavola, giocherellando con i pollici.

-E' che questo non avrebbe ancora comportato un vero e proprio cambiamento alla band, rimaneva un tournista e noi saremmo rimasti ancora stretti alla figura di Rev. Questo significa che.. dovrò indire delle selezioni, un nuovo membro, un qualcosa di estraneo, cazzo. - strinse i pugni e li battè con rabbia. -Dovrò chiamare Jacob, non sa nulla neanche lui e non ne sarà per nulla felice, finirà tutto sui tabloid in meno di qualche giorno; credevo di risolvere la cosa in meno tempo invece quella testa calda di Brian aveva già capito tutto. - la donna circondò il tavolo per andare ad abbracciare le spalle dell'uomo.

-Sei un grande leader, una brava persona e un ottimo amico, Rev non vorrebbe mai vi fermaste ora. Devi farlo per la band, so che hai paura che Jimmy venga dimenticato, che la gente possa vedere gli Avenged Sevenfold con occhi diversi, ma non succederà.. né tu né tutti quelli là fuori lo dimenticheranno. -


***



-E spostati! -

-Ti sembra il caso di metterti così per strada? -

-Cammina a piedi che è meglio! - Brian si corrucciò stringendo sempre più forte il manubrio della bici. Gran bella idea, non c'era che dire. I rumori di clacson erano stati un vero toccasana per tutta la mattinata, aveva la testa così piena che quasi credeva di volare via. Con sua grande fortuna notò Gran Park Avenue e a soli pochi metri gli si formò un groppo in gola difficile da mandare giù. Imboccò la prima stradina scoscesa che l'avrebbe portato all'altro lato della strada e cominciò a rallentare la corsa alla vista del cancello recintato del cimitero di St.Vincent. Diverse persone in silenzio si diressero verso le cancellate, e alla vista mesta di quel traghettare di figure accostò ad un muretto la bici, unendosi successivamente al via vai e al dolore dei parenti di defunti senza neanche conoscere i loro nomi e i loro vissuti. Che tristezza, rimuginò, nessuno di quei uomini sarà mai stato ricordato in eterno, e poco importava, se non il bene di coloro che si sarebbero sporti al loro angolo di terreno. Brian notò la targhetta nera e argento sbucare dai fili di erba verde e rigogliosa, pulita ogni giorno con cura dove neanche un fiore risultava mai fuori posto. Si calò a toccare con la punta delle dita il nome che sporgeva luccicante e lo portò alla labbra per baciarlo.

-So che non ti va che ti tratti così ma salutarti con un pugno chiuso contro l'epitaffio risulterebbe un pò... da pazzi. E la cosa non sarebbe divertente se qualcuno mi vedesse, se non per te amico mio. - Brian si sedette poco lontano a gambe incrociate, quasi rilassato, facendosi carezzare da un sole brillante che sembrava nascondersi dietro il fogliame increspato di un albero. Era passato del tempo che non aveva mai tenuto a mente, e che non gli sembrava mai trascorso. Era fermo a qualche giorno prima di quel maledetto epilogo e mai più da lì si sarebbe mosso. Ormai fargli visita non lo faceva più soffrire o almeno cercava di non farlo più vedere, nonostante non credesse a nulla di particolare, non avrebbe mai voluto ferirlo ancora facendosi vedere in uno stato così pietoso. Brian parlava e parlava come se a controbattere ci fosse stato lui, a stringergli le spalle, pizzicarlo, sgridarlo se necessario. Non era più la stessa cosa, non era più la stessa vita. Tutto era influenzato dai suoi amici e dopo quella notte aveva una fottura paura di perderli tutti. Cosa avrebbe fatto senza loro? Era un guscio vuoto ed inutile, futile, infertile, come quando aveva perso lei, e tornare a riaverla era stato anche peggio di prima. Si toccò il mento puntellato di barba e sopperì con un sospiro.

-Hai capito che guaio.. se si sta meglio dove sei tu spero di non metterci troppo ad arrivare. - un fruscio di siepe lo interruppe e si concentrò su un animaletto peloso sbucato di lì. -Cosa stai cercando di dirmi? Lo sai che sono un pò locco.- d'improvviso sentì la vibrazione al suo cellulare, non credeva di averlo ancora addosso. Si agitò forsennatamente per cercarlo in tutte le numerose tasche dei jeans e della giacca in pelle, e quando lo trovò rispose senza attendere oltre.

-Bri, riunione in sala, ci sarai vero? - Brian guardò alla targhetta brillante di James, lesse il nome per intero, ebbe alla mente ricordo di qualche momento passato insieme finché il suo sguardo non fu catturato dallo stesso animaletto di prima raggruppatosi alla sua famiglia poco lontana per salire solo infine fra i rami delle piantagioni che ombreggiavano la sua postazione.

-S-sì... - esclamò ancora sovrappensiero. -Arrivo subito. - non seppe bene se allegare quello che era accaduto al fatto che Jim avesse ascoltato i suoi problemi o meno, fatto sta che gli lasciò un fiore di campo bianco; avrebbe tanto desiderato un forte abbraccio, ma si limitò a lasciarsi andare ad una lacrima prima di andare.


***


-Non può darmi venticinque dollari per una chitarra del genere! Varrà almeno qualcosa in più! - Jillian cercò di mantenere la calma ancora per qualche istante, ma sapeva bene che il suo interlocutore cercava di farla traboccare nel peggior modo possibile.

-Mh, nenche più di tanto, se ne vedono tantissime in giro e oltretutto è scordata. - La donna roteò gli occhi in modo esausto, trattenendo convulsivamente lo strumento fra le mani. Stava cercando di vendere tutti gli oggetti di Mark che aveva in casa per cercare di racimolare il più possibile e per liberarsi finalmente di tutte quelle cianfrusaglie che davano alla casa ancora un aspetto di lui.

-D'accordo la tenga, maledizione. - gliela porse nel modo più sgarbato possibile e afferrò fra le mani i suoi venticinque dollari.

-Che ne dici di questi vinili? Sono degli anni '80. Questo invece è un vaso che acquistò mia nonna trent'anni fa in Vietnam, è fatto completamente a man..-

-Guarda che il mio è un negozio non una discarica. - Jillian sbuffò e lo guardò mentre era distratto a darsi un'occhiata in giro per casa. Doveva avere almeno una quarantina di anni, lo conosceva bene perché già prima che andasse via da Huntington Beach gli vedeva acquistare cose strane e fuori dal comune. Si era fatto crescere i capelli e li teneva in un codino spettinato, gli abiti erano laschi e ancor di più facevano intravedere il corpo troppo snello, mentre da dietro le lenti tonde una luce gli illuminò gli occhi vispi.

-E questo? - Jillian gli si avvicinò per vedere meglio l'oggetto che aveva tra le mani.

-No, questo è mio.- non le diede attenzione e continuò a rigirarsi la confezione rigida fra le mani.

-Un inedito del nuovo album degli Avenged Sevenfold.. -

-Sì, ma.. -

-Di una cosa del genere non si vede ombra neanche in internet, come hai avuto una cosa simile? -

-È un regalo di amici.-

-Devo averlo! Quanto vuoi? - Jillian si catapultò verso di lui e lo strappò via dalle dita.

-Hei hei, questa è roba mia è il resto che deve interessarti! - l'uomo disdì col capo divaricando le braccia.

-Dai, questa è tutta robaccia, non ci guadagnerai mai nulla! Quello è una bomba invece, capisci che se non è un falso allora è davvero il primo inedito? Si credeva che la band fosse ferma invece quella è la prova che Matt e i ragazzi pubblicheranno un nuovo disco e ce l'hai fra le tue mani. - Jillian lo ripose sul ripiano e si poggiò anche ella ormai stanca della giornata.

-Senti per favore, ti faccio spazio in macchina così potrai caricare la chitarra e il resto della roba che hai pr..-

-Ti do trecento dollari!-

-Cosa? C-cosa hai detto? - Jillian si voltò spalancando gli occhi credendo di aver capito male. L'uomo dal canto suo la osservò ridacchiando.

-Credevi stessi scherzando? Voglio quell'inedito e trecento dollari mi sembra più che ragionevole.- davvero stavolta dovette tenersi al ripiano per evitare di crollare a terra, si portò una mani fra i capelli arruffati che gli cadevano davanti gli occhi per concedersi più aria. Sembrava che d'un colpo la stanza fosse rimasta senza.

-Mio Dio, Sten..-

-Sven.-

-S-sven.. stai scherzando? T-trecento dollari? Oh Mio Dio...-

-Sono un tipo da sorprese io, e posso dartele in contanti solo per quel piccolo oggetto alle tue spalle. - Jillian si morse il labbro a guardare il regalo di benvenuto dei suoi amici, un regalo che gli stava dando forse la possibilità di respirare economicamente di più quel mese?

-Non mi hai ancora detto che diavolo hai fatto a quell'occhio, comunque. - Nella testa di Jillian vorticava furiosamente la possibilità di accettare, ma cosa diavolo stava diventando? Non riusciva a capire più nulla di quello che le stava succedendo intorno né della figura snella e scomposta che continuava a spostarsi fra le cianfusaglie in attesa di risposta. Questo era davvero il fondo che stava raschiando con le unghia.


***


Quando entrò in sala i ragazzi si guardarono con un'occhiata interrogativa, mentre si dirigeva verso di loro al centro della stanza in assoluto silenzio. Matthew al suo arrivo stava già parlando di qualcosa e gli altri si erano trattenuti in un sacro torpore, quasi come se non avessero nessuna voglia che smettesse. Probabilmente era qualcosa di davvero importante perché nonostante Brian fosse in pessimo stato nessuno aprì bocca per metterlo in ridicolo.

-Vieni amico..- l'invitò Matt, avvicinandosi per stringerlo in un abbraccio, che Brian ricambiò con fin troppo ardore.

-Sembra che quel confronto, seppur violento, abbia portato ad una svolta almeno.- Esclamò Zack, che in tutta risposta stappò una birra con un espressione non troppo sollevata.

-Va bene, ma adesso cosa si fa? - continuò Johnny. -Non abbiamo neanche il tempo materiale per indire una selezione e siamo cibo per milioni di giornalisti. Aspettano di metterci spalle al muro.- Matt annuì e storse la bocca amareggiato.

-Jacob cercherà di essere più discreto possibile, dopotutto i brani che abbiamo composto finora erano solo un prototipo e nessuno avrà modo di basarsi su quelli.-

-E sarà meglio che così continui ad essere: la differenza talentuosa di Portnoy con un qualsiasi altro batterista raccattato dalle selezioni non ci darebbe neanche la possibilità di iniziare. Falliremmo a prescindere, non ci sarebbe confronto. - gli amici subirono drasticamente le parole forti di Zack, facendo calare in sala un duro silenzio.

-Io direi invece di far girare la voce della selezione il più possibile.. -

-Brian che diavolo dici? -

-Che se ne parli. L'importante è che bene o male si parli di noi, e avremo più possibilità di ascoltare qualcuno di veramente bravo anzichè un buffone da cabaret che vuole mettersi in mostra. I tabloid ci catapulteranno in prima pagina? Beh è lì che vogliamo finire, no? Dobbiamo aprire subito le direttive per il cast. - gli amici stettero qualche secondo a riflettere, effettivamente forse non tutto era perduto. Magari sarebbero riusciti a ritornare in pista annunciando le selezioni al nuovo batterista e sarebbe stata la nuova riuscita per l'album.

-Non lo so, sono completamente fuso.- I ragazzi si avvicinarono al leader e presero a scuoterlo come facevano di solito per infastidirlo.

-Eddai Matt, rilassa il cervello! Abbiamo trovato il modo di uscirne! -


***


-Non correre troppo con la tua pericolosissima bicicletta! - si lagnò Johnny, infastidendo l'amico che alzò il medio nella sua direzione.

-Davvero non vuoi un passaggio a casa? - Chiese Matthew avvicinandosi a lui una volta che smise di ridere, quando oramai ognuno se ne stava tornando a casa proprio dopo la serata passata insieme. Avevano raggiunto un accordo finalmente, e per domani avrebbe avviato le procedure indirizzate al manager della band.

-No, grazie, quest'aria fresca mi farà bene. E poi domani ho un appuntamento a casa e non posso perdermi in chiacchiere.- Matt non cercò minimamente di nascondere la sua espressione sorpresa.

-Tu e..-

-Michelle. - Lo vide risollevarsi e sospirare cautamente. Matt era in quei mesi gravemente preoccupato per la sua relazione con Michelle, e non poteva dargli torto. Gli diede qualche pacca amichevole sulla spalla che gli fece capire che la conversazione finiva lì.

-Attento con questo bolide, non farmi avere scrupoli di coscienza. -

-Dormirai come un ghiro stanotte.-


Ed effettivamente la notte era fresca, così come era stata la sera precedente. Il suo aspetto non era dei migliori, gli serviva una doccia assolutamente e un cambio pulito o la prima impressione di Michelle sarebbe stata quella di metterlo in lavatrice insieme al resto. Magari le avrebbe preparato qualcosa di buono, nonostante lui non sapesse cucinare poi tanto bene, o le avrebbe fatto trovare la casa sistemata o... No, stava esagerando, niente di tutto questo, avrebbe solo cercato di essere sincero con lei e farle capire che tutto quello di cui aveva bisogno ormai lo aveva capito. Che non avrebbe preso altre sbandate, che aveva ancora bisogno che lei gli tirasse le orecchie ogni tanto quando perdeva la giusta strada. Forse McKenna aveva ragione: doveva smettere di reagire impulsivamente e avrebbe dovuto piuttosto concentrarsi sulle cose davvero importanti prima che se le facesse sfuggire tutte di mano una ad una.

Aveva già percorso diverse miglia, la strada era ancora poco affollata della sera e fra tanti fanali quasi sembrava che la notte dovesse ancora calare. Il manubrio cominciò a farsi scivoloso quando iniziò a sudargli il palmo.

-Jillian... - mormorò a fior di labbra, quando sfregò le ruote all'asfaldo chiamando la figura che nella sera passeggiava distrattamente poco lontano da lui. La donna l'udì, ancora col capo chinato, e sorpresa, sbalordita quanto lui del loro incontro fortuito. Rabbrividì, le si raggelò il sangue nel guardare lo sguardo di lui sul suo viso e seppe quanto la cosa fosse diventata pericolosa e quanto avrebbe potuto impressionarlo. Aveva cercato di farsi da parte finchè i segni non fossero scomparsi e invece il destino li aveva fatti incontrare nel momento meno opportuno.

-Brian..- l'uomo non parlò più. Lo vide concentrato cupamente su di lei, sulle gote violacee, sui capelli arruffati, sul labbro spaccato che aveva preso solo in parte a sanarsi.

-..ti posso spiegare.. è una storia molto lunga, i-io.. - gli si avvicinò per sperare che la stesse ascoltando ma quel suo sguardo raggelante la fece esitare e rimase di qualche passo distante.

-Dov'è? - Jillian capì che si stesse riferendo a Mark e cercò bene di tranquillizzarlo.

-Via. L'ho allontanato, non lo vedo più da un pò. Che si vada ad ammazzare in quei luridi bar che conosce.. io non ne voglio sapere nulla di lui. Adesso sto bene.. - prese qualche secondo di respiro pesante. -Avevi ragione, avrei dovuto capirlo anni fa. Cazzo, non posso prendermela con nessuno, mi sono sotterrata con le miei mani..-

-Luridi bar.. - gli sentì rimuginare a bassa voce, con ancora la voce impastata di rabbia che cercava di nascondere stritolando il manubrio fra le mani, quasi facendo sbiancare del tutto le nocche. Lo vedeva vagare con lo sguardo, concentrandosi altrove come se stesse facendo viaggiare la memoria.

-Brian.. - disdì la donna col capo, cercando di allontanare dalla proprio testa l'idea che potesse fare qualcosa di stupido.

-Brian, ti prego guardami.. - lo vide posizionarsi meglio sui pedali e porgersi in avanti per darsi la spinta.

-No! NO! Dove vai? Che diavolo vuoi fare? - cercò di trattenerlo ma la strattonò e fu costretta ad allontanarsi iniziando a correre per tenergli testa in strada.

-BRIAN FERMATI! TI PREGO, TORNA QUI! - gridò, fregandosene degli occhi dei passanti che continuavano a guardarla come una pazza. Si dimenò per cercare il suo cellulare dalla borsa, cercando con mani tremanti di scorrere la rubrica il più velocemente possibile. Quando se lo portò all'orecchio ci volle qualche secondo infinito prima che dall'altro capo, l'interlocutore, rispondesse.

-Matthew ti supplico, devi aiutarmi! -



Note dell'autrice:

Stiamo giungendo alla fine, non c'è ancora nessun capitolo pronto ma è ormai palpabile! Spero vivamente che, nonostante il processo lento, questa mia esperienza di raccontare questa storia vecchia di anni (per chi l'avesse seguita già diverso tempo fa) sia piaciuta a voi quanto a me. Negli anni comunque ha mutato, è cambiata e diversi dettagli si sono intrecciati in modo inaspettato!

Ringraziocomunque di cuore chi ha recensito la fanfiction dedicando un pò del suo tempo, chi l'ha aggiunta fra preferiti, seguite, ricordate!


P.s. Nomi di strade e del cimitero sono puramente casuali, inventati e non hanno affinità con la realtà.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. ***


13


Non seppe bene se fu più forte l'impatto di vederla, o di vederla in quello stato. Sicuro non si aspettava nessuna delle due cose ed ora l'unica immagine che si trovava davanti era quella della sua bocca che amava tanto fatta a pezzi. Brian pedalò il più veloce possibile, tanto che molti giri andarono a vuoto perdendo per qualche secondo il controllo del manubrio. Non seppe bene come ne dove si stesse dirigendo, ne se fosse stato meglio trovarlo o meno. Trovare quel verme, viscido, che già da anni prima aveva odiato con tutto se stesso e che ormai adesso non aveva più scuse per impedirsi di scovarlo. Lo avrebbe cercato nei buchi più nascosti della città, negli angoli più bui e fetidi, avrebbe ficcato la testa nelle fogne se necessario pur di averlo fra le mani quella notte stessa. Gli avrebbe parlato e gli avrebbe detto di stare lontano da lei, di lasciarla in pace, di lasciare che si facesse una nuova vita lontana da lui e semmai la cosa non gli fosse risultata chiara ci avrebbe pensato in altro modo a rendergli nitide le idee. Sentì come il sangue gli pulsasse invasivo e veloce nelle vene, scorreva a fiumi, gli colorì il viso incredibilmente e cominciarono ad ingrossarsi spesse vene, come cordoni, sui dorsi delle mani. Diede un'occhiata nelle strade deserte di Broadway Street, non c'era un povero diavolo in giro, fino all'incrocio del quadrivia in fondo alla strada, dove iniziava ad accalcarsi qualche gruppo di ragazzini caotico e indiscreto. Si passò una mano fra i capelli umidi di sudore e attraversò la strada pedalando a ritmo serrato, col vento che gli tagliava la faccia ma era come se neanche lo sfiorasse. Le sue iridi si muovevano freneticamente, frastagliavano da un lato all'altro della strada, squadravano i visi con velocità impressionante; Brian si drizzò sulla schiena lungo la strada deserta fino al Johnny's, dove il chiacchiericcio si fece accesso e diverse risate si drizzavano nell'aria. Erano risate brille, a gola sbarrata, sguaiate, frizzanti. Frenò la sua corsa e si accostò ad ascoltare, conosceva il Johnny's come le sue tasche e anche coloro che lo frequentavano di solito o chi invece era solo di passaggio. Non c'erano facce che conosceva né potevano interessargli fino a che non udì il cellulare vibrare nella tasca: del perché Matt lo stesse contattando a quell'ora non riusciva a capirlo, forse voleva sapere se era riuscito a ritornare a casa? Quando finì di dare un'occhiata alla schermata luminescente drizzò il capo in direzione del bar.

Non aveva pensato alla sua reazione nel rivederlo: così vispo, frenetico, chiaramente brillo come uno stupido scolaretto al ballo della scuola, appena uscito dalla soglia del locale. Dio, gli stava nascendo qualche enorme mostro nel petto che cercava disperatamente di scavargli lo sterno con le unghia arcuate. Dovette asciugarsi il sudore in viso, stringere un pugno per stiracchiare le ossa, permettendosi un pienissimo inspiro prima di dirigersi a piedi verso di loro lasciando cadere il mezzo come se non avesse minimamente importanza, guardando dirimpetto a lui come stregato e impossibilitato a distogliere lo sguardo. Continuava a divertirsi aggirandosi fra i suoi amici, bazzicavano sorseggiando la birra dal becco che tenevano stretto fra le mani e stringendo con l'altra un mozzicone di sigaretta. Brian sembrò non riuscire mai ad avvicinarsi, sembrava come se ci volessero interminabili minuti per raggiungerlo, invece era lì, ad un passo, lo stava guardando quando era finalmente arrivato verso di lui, squadrandolo per bene, chiedendosi forse.. perché? Mark rimase sorpreso, probabilmente con quel poco di lucidità che gli era rimasta si era reso conto che era lì per lui, e ricambiò lo sguardo, ma non riuscì a raggiungere lo stesso grado di freddezza. Barcollava un pò, si muoveva a stento al lato opposto per guardarlo meglio, poi aprì le braccia, le spalancò come a pavoneggiarsi, o per abbracciarlo, non si capì bene come.

-Ce ne hai messo di tempo per arrivare. - Brian rimase qualche altro secondo a guardarlo per non dimenticare mai più quell'espressione, prima che venisse completamente oscurata da quella di Jillian qualche minuto prima. Non seppe bene cosa o come il suo pugno riuscì a raggiungere quella faccia di scherno così velocemente, ma si dimenò contro di lui senza riuscire a controllarsi e tutto quello che riuscì a godere poco dopo fu quella stessa espressione contro i suoi pugni serrati.


***


-Cazzo... rispondi.. - mormorò a bassa voce e denti stretti, con il cellulare attaccato al viso come se volesse quasi attraversarlo per vedere esattamente con gli stessi occhi dell'amico. -Sei proprio sicura che sia andato a cercarlo? - disse infine, una volta aver riposto via il cellulare per poterle parlare. Jillian mestamente annuì, poi sbuffò muovendosi a cerchio per la stanza nervosamente.

-Non ha detto più nulla ed è fuggito via, di certo la sua non mi sembrava una faccia da passeggiatina. -

-Neanche la tua se è per questo. -Jillian si interruppe all'intervento serio dell'uomo, zittendo e mordendosi le labbra come per vergogna con quello sguardo fisso nel suo.

-Sta di fatto che ora dobbiamo trovarlo prima che faccia qualcosa di veramente stupido.- Zack smorzò i toni e prese di corsa le chiavi della macchina. -Ci dividiamo?- Matt annuì.

-Chi lo trova prima avverte gli altri, lo stesso vale per Mark. E faremmo meglio a scovarlo prima di lui. - Jillian fece per seguirli ma il giovane dalle spalle ampie si voltò interrompendola mentre gli altri sparivano già oltre l'uscio della porta, lasciandoli soli.

-Voglio venire con voi. -

-Non mi sembra una buona idea sinceramente, soprattutto vedendoti in queste condizioni. Faresti bene a tornare a casa e a rifoccillarti un pò, penseremo noi a riportare Brian a casa. È chiaro del perché fosse preoccupato per te. - esclamò alludendo al viso tumefatto. -Avresti dovuto denunciarlo.-

-Credi che in tutti questi anni non lo abbia fatto?- Matt negò col capo come ad allontanare qualsiasi tipo di pensiero.

-Non lo so, ma di tutte le scelte che potevi prendere questa è stata la più sbagliata. Brian si sente responsabile, ha completamente perso il senno! Avresti potuto chiedere aiuto a noi da diverso tempo! Se non troviamo quel figlio di puttana, Brian potrebbe fare qualche stronzata e spero non irreparabile.- il suono del clacson da parte di Zacky gli fece capire che lo stava attendendo con impazienza. -So che non dovrei dirti queste cose e credimi, neanche io mi trovo nella posizione di farlo, ma Brian è la mia famiglia e se proprio dovete amarvi smettetela di rincorrervi in capo al mondo. Scoprirete che stare fermi insieme non è poi così male.- Notò come gli occhi smeraldo di lei calarono a guardarsi le punte delle scarpe, digrignando la dentatura come a non sapere cosa dire. Il giovane intuì quanto disagio aleggiasse fra loro e scomparì, raggiunse il suo migliore amico e insieme sfrecciarono lungo le strade deserte; Johnny li aveva già preceduti da un pò, ma ancora non aveva avuto notizie.


***


Cadde scagliandosi contro un tavolo che barcollò al peso cadendo in terra, mentre Brian lo raggiunse con sole due falciate recuperando il corpo inerme per la sbronza e le botte.

-Erano dieci anni che sognavo questo momento, gran figlio di puttana! - soffiò fra i denti ad un palmo dal naso, intento a farsi ascoltare solo da lui; una cerchia cominciò a distanziarsi fra di loro, mentre il vociare si alzava forte senza però intervenire a causa dello stato brillo degli altri clienti del bar.

-Dio, Haner.. se ci hai messo dieci anni per fotterla è solo colpa tua.. - la voce era esitante, smorta dal sangue che scivolava dalle gengive, percorreva il mento e moriva nel bavero che Brian stava cagnescamente stritolando nei palmi. L'occhio era già livido e probabilmente da lì non vedeva più, mentre le guancie cominciavano a colorarsi di rosa, poi rosso, poi blu. Gli scagliò un altro pungo, seguito da altri due mentre era sopra di lui ormai a terra, infervorendosi sempre di più e sentendo la pressione del braccio smorzarsi ulteriormente.

-Quanto ti senti uomo a picchiare una donna? Ti piace allo stesso modo così? Eh? TI PIACE? RISPONDI, CAZZO! - Mark tossì incassando sugli zigomi ossuti, nella sua figura già magra che aveva perso qualsiasi affinità con colui che aveva conosciuto anni fa, uno dei suoi grandi amici.

-Vaf..fanculo.. - Brian lo tirò su sentendolo ormai debolissimo fra le braccia, senza che riuscisse più a tenersi in piedi se non contro la parete sulla quale l'aveva scagliato tendendoglisi contro. -C-credi che Jill ti amerà grazie a questo? Jill.. non ama niente e nessuno. È .. solo una che.. puoi tenere buona in questo modo.. sei.. s-ei solo il suo animaletto preferito.-

-Sta zitto! -

-Tu non la conosci.. ma se ci tieni tanto t-te ne accorgerai, a meno che da stanotte.. non è già andata via. - Brian gli tappò la bocca fortemente come ad impedirgli di continuare.

-Ti ho detto di stare zitto! Non ti permetterò di trattarla così mai più, semmai succedesse ti ammazzerei con le mie stesse mani. Mark, ti giuro, cazzo, che ti ammazzo..- sibilò così lievemente che dovette avvicinarsi al suo viso affinché l'udisse. Con un lieve cenno lo vide sorridere debolmente e Brian dovette contenersi nell'evitare di strozzarlo in quel momento esatto. La folla cominciò ad accerchiarli infierendo contro Brian affinché lo lasciasse andare, ma l'unica cosa che sentivano entrambi furono le enormi scariche di adrenalina che gli elettrizzava i corpi.



-Merda! Accosta!! - Matt scese dalla macchina che ancora doveva inchiodarsi al terreno e si precipitò verso la folla, mentre Zachary, allarmato, contattava gli altri dal posto di guida per avvisare di averlo trovato. Si preoccupò dell'incredibile folla che si era scatenata intorno, sperando vivamente che non fosse successo più di una futile rissa. Sapeva che con Brian arrabbiato a quel modo le conseguenze sarebbero potute essere pericolose.

-BRIAN! - Matt si fece spazio fra la folla scalciando e dimenandosi per raggiungerlo, afferrandolo per il gomito che stava caricando per colpirlo ancora una volta al viso. Mark era completamente inerme e mentre Matt lo squadrava cominciò a tirare via l'amico trattenendolo per le braccia.

-LASCIALO, CAZZO! LASCIALO! - Cercò di farsi udire più del rumore che si stava scatenendo intorno, mentre Brian infervorato continuava a dimenarsi contro di lui. -Brian ti prego, fermati! Vieni via! Dobbiamo andarcene subito! - fortunatamente fece come detto, lasciò che il corpo si accasciasse contro la parete e si fece trascinare via senza perdere gli occhi verso di lui. Sapeva che Mark lo stava guardando, debolmente, dagli occhi ormai gonfi e lacrimanti, ma così gli sarebbe rimasta impressa maggiormente la sua faccia alla mente. Non se ne sarebbe dimenticato facilmente, così come credeva che neanche Jillian lo avrebbe mai più fatto.

-Si sono invertiti i ruoli, bastardo! Ti scoverò ovunque andrai a nasconderti! -

-Sali in macchina! - ordinò Matt ormai vicino all'abitacolo e respirando affannosamente.

-Brian che cazzo hai fatto? - chiese Zack vedendolo arrivare macchiato di sangue alle nocche e alla t-shirt, ma non ebbe risposta se non dal leader che richiuse la portiera porgendosi dall'esterno conto il finestrino.

-Portalo a casa, aspetterò Johhny. - Zack si dimenò completamente preoccupato e fuori di senno.

-Ma dico, sei impazzito? Vieni, ti porto a casa!-

-Non posso lasciare quel verme in quello stato! Sta arrivando un'ambulanza per lui! Per non parlare che ci sono centinaia di testimoni e presto sarà assediato dalla stampa! Devo calmare almeno le acque, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono denunce di omissione!-

-È solo sbronzo, per questo non si tiene in piedi! Gli avrò dato al massimo un paio di pugni, neanche la metà di quelli che si sarebbe meritato! - Matt strinse i pugni serrati davanti al viso per trattenere l'isteria.

-Cazzo! Vallo a dire al suo avvocato questo! Dio, ti aprirei quel cranio pieno di merda che ti ritrovi! Filate a casa! - Zack annuì e partirono veloci sfrecciando lungo la strada, mentre Matt li guardava scomparire con un espressione preoccupata.


-Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo! Brian tu sei completamente impazzito! Che.. cazzo hai nella testa!? Hai idea dei problemi che ti creerà quello lì? C'erano testimoni ovunque e la tua bella faccia di sicuro non è una di quelle che passa inosservata! - gli occhi cerulei dell'amico si spalancarono al bianco dei fanali osservando la strada con fosse un mostro tentacolato, colpendo più volte il palmo contro lo sterzo per sfogare la paura appena subìta.

-Chi vuoi che crederà a quelli lì? Non si manteneva in piedi per lo stato in cui era! Gli troveranno qualsiasi schifezza possibile nel sangue. - Zack sbuffò come fintamente risollevato.

-Oh, e tu invece passerai per quello che voleva soccorrerlo a pugni in faccia! - Brian tacque per quasi tutto il tragitto ai rimproveri dell'amico che ormai quasi rischiava di perdere la voce. Una vena gli pulsava in gola e su per la fronte a testimone del fatto che non sapeva più come contenere la sua preoccupazione.

-Hai visto la faccia di Jillian? Era completamente tumefatta per colpa di quel figlio di puttana! -

-E tu quindi hai pensato bene di tumefare anche la sua anziché andare alla polizia! Mossa astutissima. - Brian disdì col capo amareggiato, guardando fuori dal finestrino le luminescenze che nascevano e morivano simultaneamente sulla strada.

-Jillian non avrebbe mai deposto contro di lui. -

-Lui invece stai pur certo che deporrà benissimo contro di te, e si alzerà minimo qualche verdone infangando la tua faccia ! Cazzo, Brian! Spera che Matt ti faccia salvare solo con qualche denuncia di stronzagine oppure sei nella merda fino al collo.-



***


Non sapeva bene quale era la cosa migliore da fare, se telefonare al suo amico o meno per vedere come erano mutate le cose, e di sicuro delle scelte fatte nell'ultimo periodo nessuna era stata veramente positiva. Si distese sfiancato nel letto troppo grande per una sola persona pensando al giorno dopo: doveva attendere Michelle sperando che si sarebbe fatta viva, come aveva promesso. La sua ultima azione non era stata delle più intelligenti e forse sarebbe stata la rovina definitiva del rapporto con sua moglie, la notizia ci avrebbe messo poco per uscire su giornali e tabloid e di sicuro non sarebbe stata per nulla contenta. Non riusciva a smettere di deludere quella donna ne la sua famiglia, era tutto un devastante casino. Si portò una mano fra i capelli bruni stringendosi il cranio per rannicchiarsi su se stesso come un bambino, aveva un gran bisogno di aiuto e aveva allontanato tutti nell'ultimo periodo per sapere a chi chiederne. Forse non avrebbe mai più rivisto Jillian e da domani un nuovo capitolo della sua vita si sarebbe aperto, ma se in bene o male era tutto ancora da scoprire. Forse Mark aveva ragione, aveva letto nei suoi occhi la verità su di lei: non amava niente e nessuno, la conosceva meglio di quello che lui credeva di sapere, di quello che avevano provato da ragazzi. Doveva essere tutto diverso e smetterla di pensare come allora, nulla più sarebbe stato come prima. Si rigirò cercando di dormire, ma non era servita una doccia fredda con una birra per aiutarlo a rilassarsi; avrebbe passato la notte in bianco a ripensare a tutto ciò che di bello c'era a parte lei, che però non riusciva a ricordare.



Note dell'autrice:


Il cerchio si stringe, forte! Sono elettrizzata e dispiaciuta al tempo stesso. La pausa estiva è stata un ottima alleata per riprendere a scrivere con successione e finalmente riusciremo a scoprire la fine di queste vicende tumultuose! Ho ricevuto almeno due messaggi privati di voi lettrici/tori, della difficoltà di affrontare un argomento così articolato e intimo, e mi rendo conto della particolarità che richiede la lettura di situazioni che accadono anche nelle vite reali. Sperando di non aver mai toccato nessun nervo scoperto e magari di sensibilizzare di più i lettori/trici alla vicenda, vi auguro un buon ferragosto, una buona vacanza e attesa al prossimo capitolo! :)


Sempre lieta di leggere le vostre opinioni,

Angela.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. ***


14.

Brian provò a rigirarsi nel letto, a stringere un cuscino come a reclamare conforto, a resistere all'impulso di accendere la tv per non imboccare in spiacevoli scoperte. Ormai ci aveva riflettuto tutta la notte e solo ora aveva rivisto tutto il suo operato con mente più lucida: Mark sarebbe passato per la parte della vittima e a quel punto avrebbe potuto infangare la sua faccia e gettare nel baratro insieme a lui tutta la band. Non era questo di cui avevano bisogno per risollevarsi dopo la morte di Jim, e non era questo che quest'ultimo aveva sperato per loro. Brian aprì gli occhi, il sole non arrivava minimamente a sfiorarlo dato che aveva tenuto giù le persiane per evitare anche i flash di eventuali scocciatori. Avrebbe aspettato con ansia notizie da parte di Matt e prima di allora si sarebbe rigirato nel suo stesso brodo nell'attesa di sapere se mai Michelle si sarebbe fatta viva: era il giorno della verità e questo lo faceva rabbrividire. Diede un'occhiata all'orologio sul comodino e notò che era ancora presto, si sarebbe fatto prima una doccia e fumato una sigaretta per rifocillare tutti i pensieri. La casa era vuota, silenziosa, il freddo marmo del pavimento non gli arrecava nessun danno, troppo occupato ad osservare il desolante spazio infinito della casa. L'aveva scelta per Michelle e anche per Pinkly, affinché ognuno di loro avesse lo spazio che desiderava; lui si era solo accontentato di insonorizzare la soffitta così da avere il suo angolo privato di musica. Uscì dalla doccia ancora gocciolante, scivolando una mano fra i capelli umidi per dargli un garbo più voluminoso; si asciugò con malavoglia, si avvitò un asciugamano alla vita e poi si diresse alla penisola della cucina per versarsi del caffè. Sorseggiò a malapena e si affiancò all'enorme vetrata della stanza per accendersi una sigaretta, tenendola pendente fra le labbra sottili che assunsero una smorfia di disapprovazione. Cercò di essere poco visibile dalla strada ma lui godè della vista dello spiazzale che l'avvicinava ad una lunga scia luminosa di mare, che si estendeva fino all'oceano, era un punto strategico che gli catapultava in casa le bellezze della litorale californiana. Ma non la osservò per davvero. Il suo sguardo color nocciola si mosse da una parte all'altra della strada, spiava il via vai frenetico, il caramello brillante di una duna di spiaggia. Qualcosa però nella sua mente si ricollegava ai ricordi recenti che gli frastagliavano fra le pareti della testa, lasciandolo completamente estraneo. Aspirò una boccata di fumo e attese qualche secondo prima di soffiarla via, il suo gesto lento si amplificò ancor più, come se il mondo corresse veloce e lo lasciasse indietro, senza rumori, senza espressione. Non oggi, non domani. Strinse fra le dita la punta della sigaretta fino a portarla alle labbra con rabbia, il fumo uscì dalle narici poi risalì fra i denti come se fosse un palmo aperto ad agguantargli la faccia, prima di gettarla via con uno slancio del dito. Brian sospirò, la città era viva e lì fuori stava solo aspettando di poterlo sbranare. Quando udì il cellulare vibrare dall'altra stanza accorse veloce, portandoselo all'orecchio trattenendolo fra la testa e la spalla per darsi la possibilità nel frattempo di indossare un jeans.

-Brian, come stai?-

-Un pò.. stordito. - Matt dall'altro capo sospirò lasciandosi andare a qualche secondo di pausa. -Matt.. - l'intimò, l'amico doveva dargli notizia della sua situazione.

-Non si sa ancora nulla. Mark è in ospedale, gli faranno una tac per accertarsi che non abbia subito danni alla testa. Lo hai gonfiato come un pallone, lo sai vero?-

-Ho ricordi confusi. Mi sembra passata un'eternità. - si portò una mano alla fronte cercando di riaffiorare alla mente qualche sprazzo di ricordo che non salì a galla. -Jillian.. come sta? So che l'hai vista, ne sono certo. - Matt ammutolì, poi tornò a sospirare.

-Se la caverà. Ce la caveremo tutti. Pensa a cose più importante adesso. -

-Cosa c'è di più importante? - Brian non seppe bene per quanto tempo rimasero in silenzio, dovette convincersi a pensare ad altro solo che la sua mente era albergata dalla continua, innefrenabile voglia di sapere di lei. -Non so cosa mi sta succedendo.. Non ho mai provato tutto questo. Cazzo, io, sentivo nelle braccia la voglia di ammazzarlo. Di ammazzare un uomo, capisci? Per quello che le aveva fatto! La mia testa era solo piena di questo! -

-Ma non lo hai fatto. Non farti uscire una dichiamazione del genere davanti un giudice, cazzo, o ti farai la tua schifosa vecchiaia in una topaia. -

-Fratello, non mi pento di averlo pestato se questo basta a far passare la voglia a quel figlio di puttana. Spero che nessuno provi mai una tale rabbia da sentirsi esplodere il sangue nelle vene. Pensa se una cosa del genere accadesse a Val o tua sorella..-

-Ho capito, ho capito.. sei stato chiarissimo. Non ti biasimo ma non possiamo comportarci come bestie. Non come Mark. Questo è solo colpa di quella di merda che.. Dio, come è finito così?! - Brian si lasciò cadere pesantemente sul letto, ancora a petto nudo, con le schiere di tatuaggi che gli ornavano il corpo per ogni centimetro di pelle delle braccia e del petto.

-Non è più la persona che conoscevamo, l'ho capito quando l'ho guardato negli occhi e quando.. quando mi parlava in.. quel modo. - Brian strinse i denti, tornando a ricordare la loro conversazione con la stessa intensità di quando ce lo aveva avuto vicino.

-Perché? Che cosa ti ha detto? - Brian sapeva di non poterne parlare con nessuno, che non avrebbero capito, che le parole di Mark non avrebbero toccato nessuno nel profondo come invece avevano fatto con lui. -Brian?-.

-Veramente.. lui.. - il bussare alla porta lo aveva completamente colto di sorpresa, costringendolo a spalancare le iridi e a rizzarsi in piedi in un secondo. -Ti devo lasciare, scusami. - quando interruppe la comunicazione si diresse nell'altra stanza con un passo veloce, ma allo stesso tempo rallentò per prendersi il tempo necessario per prepararsi a trovarsela davanti. Si portò una mano alla bocca scompigliando la barbetta incolta, prima di calare giù la maniglia.


Mad World – Gary Jules


Quando i loro occhi si incontrarono Brian credette di affogare, gli si mozzò il respiro in gola per così tanto tempo che un lungo ispiro non colmò la mancanza nei polmoni.

-Sei l'ultima persona che mi aspettavo di vedere.- Jillian calò il cappuccio nero lasciando libera la chioma ramata, prima di sorridere mestamente alle sue parole. Amava lasciarlo di sorpresa, oppure sapeva nel profondo che quella era una delle più forti emozioni che gli procurava in ogni caso, come fosse la prima volta. Sempre.

-Anche io non credevo che sarei venuta. - L'uomo distolse lo sguardo, era troppo per lui sperare di evitarla almeno in quel momento di pura fragilità. Sperò che non se ne accorgesse, ma cosa non potevano scorgere i suoi occhi? Erano verdi, come specchi, vitrei, brillanti e quasi lo mettevano a nudo contro il suo volere.

-Cosa ci fai quì? Il viale è pieno di scocciatori. - non sapeva come comportarsi, dal suo petto infervorava la voglia di stringerla e dirle che tutto sarebbe finito, che sarebbe passato, che adesso avevano la possibilità di riprovarci. Ma non sarebbe stato così.

-Ho preso una scorciatoia. Posso entrare? Per favore.. - Notò il suo modo di comportarsi un pò strano, di rannicchiarsi le mani al petto come una bambina spaventata che però aveva uno strano ghigno stampato in viso. Brian si guardò intorno poi si fece da parte. -Non ho parole per descrivere tutto quello che sta succedendo. -

-Io sì. - l'interruppe l'uomo, che si porse poco lontano da lei per non calare le sue difese. Ella cercò di non badargli troppo, di non cedere al tono provocatorio e di darsi la possibilità di spiegarsi ancora.

-Non potevo non ringraziarti. -

-Di cosa in particolare? - Brian storse il viso in una smorfia. -Di fare tutto quello che vuoi? Che ti basta battere le ciglia ed io sarei disposto a gettarmi da un ponte? - adesso stava urlando, eppure non se ne era neppure accorto. -Sapevo che liberarti di lui era quello che volevi e l'ho fatto. E se tu me l'avessi detto, io l'avrei fatto ugualmente. Avrei fatto tutto per te. - si allontanò da lei come se lo stesse scottando, poi si voltò trattenendosi i capelli all'indietro per prendere fiato lontano da quello che lei avrebbe potuto fare. La donna non si mosse, non parlò, si limitò ad ascoltare con un nodo alla gola che le strozzava le parole ad un soffio dall'essere pronunciate.

-Mi dispiace.. - Brian si voltò a guardarla mentre sulle guance lentigginose scivolava una lacrima sottile e orgogliosa che morì asciugata dal suo piccolo palmo.

-Ti dispiace? - Tornò a pronunciarsi con un tono più pacato ma comunque gutturale che la fece tremare.

-Sì. Non ho scelto io quello che doveva accadere. -

-Sì invece. Sei stata tu a scegliere per entrambi! È tutta una vita che lo fai! - Brian si diresse contro di lei arrabbiato, ringhiando a denti stretti, indicandosi con un indice accusatorio come se la colpa fosse solo sua di averglielo lasciato fare: andare e distruggere le loro vite.

-Non ti è mai successo di fare la scelta sbagliata? - Brian annuì alla sua risposta.

-Ho solo fatto scelte sbagliate, e questa è stata un'altra di quelle. - Jillian l'osservò ed egli si sentì morire.

-Quale in particolare? - sapeva la risposta e anche lei, gliela si leggeva in faccia, passava trascritta nei suoi occhi come una richiesta disperata di stare finalmente con lei.

-Non provarci Jill, non giocare con me. Non farlo. Non sarò il tuo giocattolo preferito. -

-Sai con cosa mi piace giocare? - la donna gli si avvicinò, un passo dopo l'altro gli era sempre più vicino. Portò lo sguardo a squadrargli il petto, a respirare contro la pelle del collo che era l'ultimo punto alla quale riusciva ad arrivare a causa della sua altezza; a guardare il viso di lui dal basso, mentre lui con un respiro pesante come se avesse scalato montagne la osservava, a quella distanza così misera, così debole che un solo centimentro l'avrebbe fatta sua.

-A biliardino, come hai vecchi tempi, ricordi?- mormorò ad un soffio da lui che riuscì finalmente a sentire il suo odore. -Ad inseguire le oche, oppure a spruzzarci con l'acqua gelida dell'oceano.. ma non con le persone. Non arrivo a questo punto, Bri. - Brian deglutì, credette di non udire bene le sue parole, troppo accecato dalla bocca di lei che si muoveva ad un passo dal suo petto.

-Hai bevuto.. - la donna annuì, i suoi occhi vitrei e lucidi ne erano la conferma. Avrebbe dovuto accorgersene subito.

-Sì. Sì ho bevuto, altrimenti non avrei avuto il coraggio di venire quì stamane e fare questo.. - si porse il avanti e toccò con la bocca il centro del suo petto, vi posò appena le labbra ma Brian sussultò, come fosse il tocco più violento e agognato che avesse mai avvertito. Dopo quell'interminabile secondo le vide alzare il viso contro di lui, sporto a chiederle di stringerla fra i palmi e trascinarla a sè, di toccare la bocca con la sua, di infrangere lo stesso respiro, di avvertire la stessa eccitazione che convogliava in lei. Lui la guardava, bella come una dea, con i capelli che le incorniciavano il viso e che sarebbero stati così morbidi al centro della sua mano, affinchè aderisse bene al suo viso.

-Ti prego.. Jillian.. - Brian alzò le mani ai lati delle spalle, come ad arrendersi ed impedirsi di sfiorarla con un solo dito. La donna dopo qualche secondo di mutismo tornò a stare dritta avanti a lui, roteando solo un pò la testa in modo rilassato.

-Suonami qualcosa.. - L'uomò disdì col capo, cercando di trattenere il respiro, ancora scosso violentemente dal corpo di lei che ancheggiava aggrazziatamente.

-No.. n-non credo sia una buona idea. Forse è meglio che ti riaccompagni.. - Jillian si allontanò senza curarsene e lo precedette lungo la stanza adiacente che aveva entrata per la soffitta. Salì le scalinate con qualche problema di equilibrio e lui le venne dietro per accertarsi che non cadesse. Qualcosa, una forza che non capiva, lo convinse a seguirla e non dissuaderla, nonostante questa non fosse la cosa giusta da fare. Quando entrambi riuscirono a salire lui la guardò a lungo, nei suoi momenti sconnessi che volevano sembrare più naturali possibili. Richiuse la porta del pavimento e rimasero in quel silenzio docile qualche secondo, sopprimendo la voglia di chiederle cosa avesse in mente.

-Allora.. - gli sorrise. - Suonami qualcosa. - Brian sorrise di rimando. Stava scherzando, vero?

-Perché ti sei ridotta così?- alludeva al suo stato brillo e lei non se lo lasciò sfuggire.

-Sai quanta difficoltà ho nel parlare. -

-No, non lo so.. hai sempre parlato chiaro. Nulla di tutto quello che ti passava per la testa te lo tenevi per te. -

-Non tutto quello che dicevo era importante. Adesso invece ho imparato a stare zitta.- Brian si prese qualche secondo per pensare, seduto per terra con una mano penzoloni sul ginocchio mentre lei rigirava per la stanza ammaliata come l'ultima volta.

-Credevo avessi smesso. -

-Di bere? Ho smesso di fare molte cose. - Sapeva che Brian attendeva che continuasse. -Ho smesso di bere, di fumare quella robaccia, di fidarmi di chi mi prometteva il mondo a parole. Starai sicuramente pensando che se una persona fa del male a se stessa come non potrebbe ferire gli altri? .. ed io non so darti una risposta. Io ci ho creduto e basta. - l'uomo si guardò le mani laccate di nero, con le scie nere di inchiostro che gli imbrattavano i dorsi delle dita, senza interessarvisi davvero.

-Se fossi rimasta, un motivo per regalartelo lo avrei avuto.- Jillian si voltò a guardarlo finalmente, ed egli ricordava fedelmente il Brian Haner di venti anni o poco più, che si era lasciata alle spalle un decennio prima. Sorrise, così mestamente che Brian ebbe un tuffo al cuore, spaventato per la sua risposta.

-Lo so Brian. È per questo che sono andata via.. io, non avevo nulla da offrirti. - quando lo vide alzarsi, con il viso infervorato dalla collera, la donna non si scompose, continuò a guardarlo mentre batteva le ciglia lunghe, in parte annebbiate dalle lacrime che affioravano come gemme.

-Tu sei completamente pazza! Pazza, maledizione! Preferirei schiattare senza una risposta anziché credere ad una falsità simile! - le fu ad un centimetro di distanza ed ella indietreggio per incollarsi al muro per chiedere protezione.

-E quale credi sia la verità? -

-Che eri innamorata di Mark. Che hai preferito stare con lui.. che credevi fosse più adatto a te. -

-Mark è sempre stato uno stronzo alcolizzato, pezzo di merda! - urlò Jillian, tanto che Brian zittì portandosi una mano fra i capelli pur di sperare che quella conversazione non stesse davvero avvenendo. -Per colpa sua ho iniziato a bere e drogarmi, mi ci sono voluti sette anni per uscirne pulita! Ho perso un figlio a causa delle botte ed ogni volta che cercavo di allontanarlo compariva come un fantasma! Quel maledetto viveva per tormentarmi! -

-E allora perché non sei tornata da me? - Brian si spazientì e scaraventò le braccia contro il muro ai lati della testa di Jillian, tanto che ella tremò e chiuse gli occhi fremendo le labbra. Si prese qualche secondo per tornare a normalizzare il respiro, e quando tornò a guardarlo lo vide ringhiare a denti stretti a pochi centimetri da lei. Deglutì, prese qualche respiro ampio dalla bocca ma non riuscì a parlare. Brian rimase qualche altro secondo immobile, a guardare ogni particolare del suo viso, ogni angolo, ogni discromia della pelle che la rendevano così bambinesca e prese a calmarsi. -Perdonami. Ho odiato Mark con tutto me stesso per quello che ti aveva fatto e ho finito per spaventarti anche io.- si prese una pausa facendo per allontanarsi. -Fai uscire davvero il peggio dalle persone, lo sai?- Jillian rimase incollata alla parete per permettersi un appoggio, guardandolo allontanarsi in quel suo piccolo angolo di paradiso con un passo leggero e calmo, diverso da poco prima.

-Nel profondo speravo non ti fossi dimenticato di me.-

-Perché sei egoista e dovevi colmare il tuo ego. Ed io ti ho dato la possibilità di farlo.- la punzecchiò amaro.

-Perché dopo anni ho capito che non avevo più una casa dove tornare, se non quella che avevo abbandonato quì.. - tornò a tenersi sulle proprie gambe dirigendosi al centro della stanza per raggiungerlo con passo felpato. Brian era di spalle ma la sentiva avvicinarsi, forse per questo non ebbe il coraggio di voltarsi. -Brian.. ero così spaventata. Mi rendeva così vulnerabile stare con te che avevo scambiato quel sentimento per una minaccia, invece non era altro che l'inizio di quello che ho cercato in tutti questi anni lontana. Eppure ce lo avevo già quì, a casa mia. - quando mancavano pochi passi da lui si fermò un attimo ad osservare i muscoli turgidi della schiena: era agitato, teso, tanto che quando lo toccò appena lo sentì fremere. Prese coraggio e gli circondò la vita con una mano arrivando a posargliela sul petto, mentre poggiava il viso stanco contro la sua schiena. Brian non si mosse, si godè appieno il tocco della sua mano, perfino contando i respiri di lei che gli si infrangevano sulla pelle.

-Cosa vuoi adesso da me? - Jillian non lo sapeva, tanto che questa domanda la lasciò ammutolita. Cosa voleva da lui? Perdono? Conforto? Amore? Probabilmente voleva tutto, e niente. Perché sapeva di non meritarlo una seconda volta.

-Voglio baciarti. Lo vuole ogni fibra del mio corpo. - alzò il viso e con la pressione del braccio lo spinse a voltarsi verso di lei. Brian era quasi pallido, scosso nell'ascoltarla. Non immaginava Brian Haner, la stessa persona che surfava sui palchi di tutto il mondo, ad affrontare migliaia di fans incalliti, potesse spaventarsi così.

-Non posso. Non di nuovo.- Jillian squadrò i dettagli del viso di lui, garbatamente, come se stesse parlando ad un bambino.

-Perché? Perché non vuoi baciarmi?- Brian si morse le labbra, le sopracciglia assunsero una espressione dolorosa e una mano le carezzò la guancia come fosse l'oggetto più delicato al mondo.

-Perché non riuscirei più a fermarmi.- disse in un soffio quasi inudibile, tanto che quando quel suono le sfiorò le orecchie un lungo brivido le percorse la schiena. Era un'alchimia perfetta, tanto che Jillian non seppe come continuare a sopprimerla.

-Nessuno ti ha chiesto di farlo.- si alzò sulle punte delle scarpe sperando di riuscire a sfiorare almeno la punta delle sue labbra, nonostante lui rimanesse immobile come una statua di bronzo. La bocca di lui non si mosse, anzi diventò d'improvviso pastosa e la gola si prosciugò in un attimo, lasciandolo senza fiato. La donna gli afferrò il viso, battè le ciglia per lubrificare gli occhi stanchi e si sporse ancora fino a toccarlo, fino a socchiudere le labbra per sperare che l'accogliesse allo stesso modo. Gli baciò la bocca per un pò, per dargli il tempo di convincersi a fare lo stesso, di prenderla, di volerla. Continuò finchè lui non chiuse gli occhi e cercando tutta la forza che aveva in corpo le afferrò i polsi che aveva ai lati della testa per allontanarla appena.

-Jillian.. c'è una cosa che devo dirti.- la vide sorridere, curvare le meravigliose labbra che fino a poco fa sentiva soffici su di sè.

-Lo so che vivi con Michelle. So che quel pantalone che mi hai prestato la prima sera non era di McKenna e che quell'oggetto floreale in cucina non era parte dei tuoi gusti personali. - continuò a sorridere come se la cosa fosse divertente. -E so leggere il suo cognome insieme al tuo fuori dalla porta di casa.- osservò Brian che rimaneva impassibile a guardarla, con un'espressione che non trapelava nulla che lei potesse leggere.

-Non è solo questo..- Jillian annuì, forse era stato troppo presuntuoso il suo gesto, troppo credere che dopo tanti anni di vuoto Michelle non l'avesse finalmente colmato.

-Ci tieni a lei.. lo capisco, è normale. Cioè, è l'unica donna che ha davvero capito di cosa avevi bisogno e lei c'è sempre stata per t..-

-Siamo sposati. - l'interruppe lui, trovando le parole per impedirle di continuare a porsi domande. -Da un anno.- Le vide spalancare le iridi, dilatare tanto la pupilla che quasi sembrava una palla da bowling. Aveva trattenuto il respiro che espirò via quando si accorse di esserselo dimenticata in gola, zittendo e voltandosi appena per programmare le informazioni arrivatele al cervello. Un decennio ad aspettarla e solo un anno di ritardo per riuscire forse a riparare le cose. Jillian si portò una mano alla bocca inchiodando gli occhi al pavimento, mentre Brian la osservava in ogni gesto risollevato dalla sua dichiarazione.

-Adesso lei se ne è andata. Ha creduto che tra me e te potesse esserci di nuovo qualcosa, ha pensato che farsi da parte era la cosa migliore per renderci le cose più facili ed evitare di soffrire. È una donna speciale, lei.. non lo merita. Ho trovato la persona che mette la mia felicità al di sopra della sua, e l'ho distrutta dal dolore.- si prese un secondo di pausa come per accertarsi che lo stesse ascoltando. -Anche io sono una pessima persona Jillian, anche io ferisco gratuitamente me stesso e gli altri. Sono uno stronzo, un povero stronzo che non capisce dov'è la sua casa e gira a zonzo sperando che qualcuno venga a prenderlo per mano.- le si avvicinò trovandosi davanti la sua nuca nuda e le spalle morbide, e dovette calarsi per poterle posare un bacio.

-Noi insieme, tenendoci la mano, vagheremmo all'infinito, perché siamo uguali. Siamo maledettamente uguali. - Jillian socchiuse la bocca ad ascoltarlo, le lacrime che cominciavano a scendere a fiotti fra le onde del viso. Le afferrò la sommità del braccio e la costrinse a voltarsi; Jillian deglutì rumorosamente, gli occhi persi in una pozza di lacrime. Brian le afferrò la nuca e la baciò con forza, rudemente, tanto che lei gemette per la forza improvvisa con cui la strinse. L'impatto fu forte che lei indietreggiò, si trovò spalle a muro, petto contro il suo, il fiato infranto dall'eccitazione che le infiammava le gote. La mano di lui le scivolò lungo il fianco, voleva avvertire ogni centimetro perso in quegli anni fino a sollevarla di qualche centimetro verso di lui tenendola per il retro della coscia. Le dita sottili e affusolate di lei andarono ad affondare nei suoi capelli corvini, a scoprirli ed agguantarli per impedirgli di allontanarsi di nuovo. Le loro bocche si muovevano all'unisono, erano alla ricerca continua dell'altra metà, alla disperata ricerca del fiato dell'altro nel proprio. Jillian non lo credette possibile ma il suo cuore tremava, un battere forsennato che quasi le facevano credere che stava per sfuggirle dal petto.

-Mi dici come.. come potrei.. fermarmi adesso? - la voce di lui era spezzata dall'eccitazione, tanto che Jillian fremette e carezzò le labbra sottili di lui con un dito.

-Anche se lo sapessi.. non te lo direi mai.. - gli carezzò il petto nudo dolcemente, tanto che lui sperò di poter fare presto lo stesso.


***


Michelle prese qualche lungo respiro, osservando da lontano la coltre di giornalisti e fotografi che si era piantata fuori la casa di Synyster Gates, per documentare chissà quale scoop da mettere in mostra al mondo. Dovette convincersi ad entrare dal retro, l'ultima cosa che avrebbe voluto quella mattina era rispondere alle domande sulla loro relazione sentimentale quasi completamente in frantumi. Sapeva che qualsiasi cosa le si sarebbe ritorta contro e prefererì optare per una strada spianata. Non era brava nè abituata alle interviste. Pinkly si avviò al fianco della padrona, camuffata con cappello e occhiali da sole, crogiolandosi dolcemente in quel sole californiano che cominciava a mostrarsi sempre più spesso le mattine di aprile. Avrebbe parlato con Brian e cercato una soluzione al problema, non avrebbe potuto ancora rimandare la cosa dopo che fra qualche mese sarebbe di nuovo iniziato il tour e altri impegni legati alla band, che lo avrebbero visto fuori casa per chissà quanto.

La parte opposta alla strada era lontana da occhi indiscreti, o almeno così le era parso. Dovette sfoderare le chiavi di casa e penetrare con attenzione nelle scale di emergenza, per poi percorrere l'interno di casa fino al pianerottolo.


B. E. Haner – M. Di Benedetto


Michelle si guardò la punta delle scarpe per allontanare la tensione e darsi la possibilità di inspirare ancora un pò. Gli faceva sempre un gran effetto vederlo, non avrebbe mai potuto negare di amarlo all'inverosimile. Diede un'occhiata al muso languido del suo batuffolo bianco, che alla soglia di casa iniziò a grattare il legno dell'abitazione per incitarla a sbrigarsi. Pensò bene di suonare e attendere che venisse lui ad aprirle, così avrebbe dato la possibilità ad entrambi di prepararsi, di trovarsi sullo stesso piano. Non sapeva se abbracciarlo o rimanere ferma; magari avrebbe aspettato che lo facesse lui e gli si sarebbe abbandonata fra le braccia come desiderava. Non doveva lasciarsi abbindolare da belle parole, lei era lì per cambiare la situazione che li stava allontanando. Attese qualche altro minuto poi tornò a bussare, pensò stesse ancora dormendo e quasi roteò gli occhi per l'esasperazione: strano come un uomo cresciuto e pasciuto di trentadue anni continuasse a comportarsi come un adolescente del collage. Il tintinnio metallico delle chiavi di casa si espanse nel silenzio del pianerottolo, completamente confezionato in granito con qualche pianta a foglia larga che risiedeva agli angoli dell'atrio.

-Coraggio Pinkly. - esclamò la donna, come se di coraggio ne avesse bisogno il cagnolino ansimante. Quando entrò in casa si accorse del silenzio impressionante, stroncato solo dal rumore di auto dalla strada che si udiva a causa delle finestra spalancata della cucina. Notò una tazza di caffè ormai freddo e odore di una sigaretta; il letto era disfatto e gli abiti disseminati in giro, ma di lui non c'era traccia. Il bagno era in disordine, ci andò sperando di trovarlo lì ma sentì solo l'odore del bagnoschiuma al muschio bianco che adorava lui. Michelle non seppe cosa pensare, possibile che non fosse in casa? Credeva l'attendesse quella mattina e invece non riusciva a capire dove fosse e perché avesse lasciato la casa in quelle condizioni. Il guaire sinistro di Pinkly la smorzò dai suoi pensieri: era adagiato a terra teso e puntava il muso contro la soffitta, Michelle alzò la testa anche lei a dare un'occhiata. Non seppe bene cosa pensare, sapeva solo che Brian non poteva permettersi scherzi con lei, non glielo avrebbe permesso. Non un'altra volta.




Note dell'autrice:

Vi ho consigliato una canzone da ascoltare a metà del racconto che mi ha ispirato a scrivere il paragrafo; per ogni scena ho bisogno della musicalità giusta per non perdere il ritmo e questa canzone, "Mad World" di Gary Jules mi ha accompagnato per tutto il tempo! Non mi ero neanche accorta di aver scritto tanto in questo capitolo, tutto e solo concentrato su di loro per spiegare un pò il personaggio strano e contorto di Jillian e di Brian, che si completano e distruggono allo stesso momento. Brian dopo tanti anni non è più sofferente, ma arrabbiato, perché ha superato l'allontanamento della donna riuscendo a trovare ciò che cercava in sua moglie senza però riuscire mai a trovare allo stesso modo una motivazione dell'allontanamento di Jillian. Spero che il capitolo vi sia piaciuto come è piaciuto a me scriverlo.


Un grazie speciale per i complimenti, a chi ha recensito, a chi recensirà, chi ha aggiunto la storia fra le preferite, ricordate, seguite.


Comments are love


Un abbraccio :)

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. ***


15.

Brian sentì una forte pressione invadergli il basso ventre, soffocandolo, risucchiando tutto il fiato che aveva ancora a rantoli nei polmoni finché con un solo gesto delle dita non sbottonò il jeans. Dovette cingerle il corpo con il braccio per sorreggerla, nella sua vita esile e longilinea come quelle di una venere maledetta dalla quale invece di fuggire si stava lasciando risucchiare via l'anima. Si cibò del suo collo, lo baciò lungo tutto l'incavo nascosto, intimandosi di non smettere neanche alla richiesta silenziosa di lei che gli graffiava le braccia. Le mani gli artigliarono così le scapole muscolose fino a farlo mugugnare sulle sue labbara, sfilandole la maglietta con una velocità tale che gli sembrava non essersi mai staccato da lei proprio come desiderava. Il fiato s'era fatto così corto e affannoso che faticavano a parlare, al massimo qualche mugolio gli sfiorava le orecchie e non era altro che il suono più melodioso che avesse mai ascoltato. Quando le scoprì i seni erano turgidi e acerbi, così come li ricordava, così come l'aveva amata anni prima, nella loro ingenuità di ragazzini maldestri e goffi, ritrovatisi invece adesso come due amanti in attesa e in scoperta l'uno dell'altro. La mano ruvida e callosa di lui si posò con tale delicatezza che quasi non l'avvertì, aiutandolo piuttosto a stringerla con più fervore grazie anche allo sguardo malizioso con la quale si era persa a fissarlo. Brian non vedeva più ubriachezza nei suoi occhi ma solo passione, languidi e brillanti come enormi smeraldi incastonati nell'incavo dell'iride. Grandi, dominanti, poi dolci, socchiusi per lo sforzo di resistere alle sue carezze. Brian la baciò di nuovo, cercò di mozzarle i gemiti da bocca e rubarli nella sua gola carezzando la lingua con la sua sempre nella stessa danza; si trascinarono entrambi verso il pavimento senza scollarsi mai; la donna allungò un braccio alla parete e colpì forte una Gibson ES-150 sistemata lì al muro, poco lontana, che lanciò un suono stridulo e tremolante tanto che li fece sorridere, guardarsi appena mentre entrambi si scambiavano un'ilare e sonora risata che li aveva interrotti in un momento così intimo e confusionario.

-Attenta o ci cade tutto addosso..- tornò a posarle un bacio casto che poi lo tramortì e lo indirizzò sempre più verso il pulsare irrequieto della sua intimità; dovette costrinsersi ad abbassare i jeans per non sentirsi ancora stretto nei limiti del vestiario e agguantò la coscia di lei pur di trascinarla meglio sotto di lui e sovrastarla trattenendosi appena a pochi cenimetri di distanza tenendosi solido sugli avambracci.

-Davvero tu.. t-tu vuoi.. - la donna annuì interrompendo il suo biascicare irrequieto, lo guardava a bocca socchiusa, con la fronte imperlata di sudore ed il petto scoperto che si muoveva su e giù su di lei affannosamente. Aderivano perfettamente, si sentiva parte del suo stesso busto, tanto che la linea che li divideva quasi scomparì schiacciata dal suo corpo. L'uomo gracchiò qualcosa, forse stava pensando ad alta voce e si fece trasportare dallo stesso tremolio che avvolgeva il corpo di lei, perfettamente fremente sotto di lui, sotto la presa delle sue mani, del caldo del suo fiato sul collo. Sentì sfilarsi il pantalone lentamente, mentre lui si limitava a palmare ogni zona scoperta della sua pelle; era calda per la foga con la quale lo cercava, pallida, diafana, morbida da far invidia. Sembrava di carezzare pura seta e godè di quel manto setoso finché non fu impossibile resisterle: si posizionò fra le sue gambe sentendosi accolto con un bacio che finì col mordergli il labbro, ma il dolore era troppo al di sotto della sua eccitazione. Troppo al di sotto della sensazione di pienezza che avrebbe colmato quegli anni di vuoto.


Michelle roteò su se stessa in cerca di qualcosa: non sapeva bene cosa ma se ci fosse stato lo avrebbe trovato. Si lanciò sul letto e lo scoprì completamente in cerca di indumenti femminili, intimo, borse, oggetti nascosti. Tutto ciò che fosse stato estraneo a quella casa lo avrebbe scovato e avrebbe temperato la fedeltà di Brian. La spaventava l'idea che avesse potuto fare l'amore con qualche altra donna nel suo letto, nella sua casa mentre lei continuava a soffrire della situazione nella quale erano caduti. La risollevò il fatto di non trovare nulla ma non si arrese alla ricerca per il resto dell'abitazione. Pinkly continuara a puntare un angolo indefinito della soffitta guaendo come nella speranza di farsi accarezzare dall'odore del suo padrone, ma Michelle si ritrovò troppo occupata dal suo rimuginare irrequieto per prestarvi ascolto. Si diresse verso l'enorme cucina pensile, la squadrò completamente, contò gli utensili sporchi nel lavello d'acciaio, scarpe o tracce di impronte in giro: quando se ne rese conto cominciò a pensare di essere diventata pazza e si portò una mano alla fronte come per frenare questo suo comportamento insolito. Pensò bene di prendere il suo smartphone e telefonargli, chiedergli dove fosse e di tornare subito perché la situazione fuori dall'abitazione era irrefrenabile e l'avrebbero atteso come lupi famelici. Magari si era rifugiato a casa di qualcuno dei ragazzi ma sarebbe stato meglio non fare giri di telefonate per allarmare gli altri, gli avvenimenti degli ultimi tempi avevano reso Brian più responsabile e sarebbe riuscita a trovarla a breve. Mentre si dirigeva nell'altra stanza per recuperare la sua borsa notò Pinkly e solo allora pensò alla possibilità di trovarlo nella sala musica. Che sciocca, pensò, semmai fosse stato lì tutto il tempo nessuno dei due se ne sarebbe mai accorto a causa della parete insonorizzata.



Brian le baciò il corpo sudato, annaspando e stringendo i pugni ai lati della testa di lei per scaricare l'eccitazione che gli stava scuotendo violentemente il corpo. Pelle contro pelle emanavano un calore sovrumano, li avvolgeva e li spingeva a cercarsi sempre di più con la stessa foga e la stessa energia. Jillian cinse il bacino di lui con le gambe e accompagnò il ritmo delle sue spinte con i gemiti della sua voce serafica, mite, che gli fece accapponare la pelle costringendolo a stringere i denti pur di non deturpare il momento idilliaco. La voce di lui era graffiante, cercava di trattenere in gola i mugugni, troppo occupato a non perdersi neanche un solo istante sulla pelle di lei. Non poteva descriverla, non voleva descriverla, non gli bastavano parole adatte a ciò che stava provando in quel momento. Il pavimento in parquet laminato sembrò farsi irrimediabilmente rovente, invece era solo frutto della sua immaginazione e di quel giaciglio così arrangiato che aveva ancor più il profumo della passione.



Michelle salì la scaletta di legno con malcelata preoccupazione, sempre troppo precaria per i suoi gusti: come prima cosa avrebbe cercato di convincere Brian a cambiarla con una più sicura e meno traballante. Portò le mani piatte contro il soffitto proprio dove si parava l'angolatura per l'apertura interna e spinse guardandosi bene dal rimanere in equilibrio. Non ci saliva quasi mai, alle volte Brian le raccomandava di voler restare solo per non perdere la concentrazione e lei aveva sempre soddisfatto questo suo angolo di privacy. Cercò di dargli una spinta assestata ma qualcosa non andava, c'era come un peso a bloccare l'apertura e dovette murirsi di fiato e forza per riuscire a riprovare. Rifilò un'altra spinta all'entrata alla soffitta, ma non riuscì a sollevarla in alcun modo neanche stavolta.

-È come bloccata. - biascicò lamentandosi, come se il cagnolino vispo stesse lì ad ascoltarla. Dovette arrendersi dopo qualche tentativo e sperare che rintracciarlo al cellulare sarebbe risultato più semplice.



Brian si lasciò andare su di lei senza fiato, neanche le braccia con le quali si era trattenuto fino a quel momento avevano continuato a sostenerlo. Era esausto, il corpo completamente in balia degli ultimi sussulti che l'avevano visto vittima di una fortissima eccitazione. Jillian amorevolmente lo strinse, il viso di lui posato al seno, come a dare il tempo ad entrambi di formulare nella loro mente quello che era appena successo e cioè che erano finiti per fare l'amore, insieme, come a spolverare un vecchio ricordo sepolto in un angolo della loro mente. Non potè credere a ciò che aveva provato, si sentì ancora il calore che le pervadeva le budella così le mani scesero a carezzare i capelli corvini: le era mancato, le era mancato tutto. Le parve come se in tutti quegli anni di rapporti con un altro uomo non avesse mai più provato una sensazione così pura di felicità e di completezza. Brian l'aveva trattata con una premura che non credeva possibile, nonostante la forza del suo ritmo e dei suoi baci le davano quasi l'impressione che volesse divorarla. Sapeva essere l'uomo più imprevedibile che avesse mai incontrato, e per questo che quando le ribadiva che erano perfettamente uguali lei non poteva fare a meno di dargli ragione.

-Wow.. Tutto questo non lo avevo previsto.. - Brian era ancora stretto alla presa delle sue braccia, morbidamente posato fra le rosee curve del suo petto. Quando la sentì parlare non potè fare a meno di sorridere.

-Avevo ragione allora: programmi davvero come distruggermi la vita.- Le sfuggì un sorriso, ma non era tutto così divertente nelle sue parole. Brian si umettò le labbra poi tornò a puntare i gomiti al pavimento per permettersi di guardarla. Riuscì a trattenere il suo sguardo diversamente da poche ore prima, adesso vi si perdeva dentro, ammaliato, felice, non potè evitare di baciarglieli dolcemente, prima uno poi l'altro. -Sei stata comunque la rovina più bella della mia vita.-

Quando si staccò le portò con una mano delicatamente una ciocca di ciuffi ramati dietro l'orecchio argentato da orecchini e schioccò la lingua sotto al palato per darsi il tempo di parlare di nuovo.

-Se mi avessero chiesto come mi sarei visto fra dieci anni dopo quel maledetto giorno, di sicuro non avrei mai pensato a questo. - entrambi tornarono a ridere, una risata che rieccheggiò sublime e li costrinse a guardarsi ancora negli occhi con una luce diversa.

-Neanche io.. Ma non nego che adesso è come se la mia vita fosse cambiata una seconda volta. Probabilmente potrò finalmente tornare a vivere e sperare di riuscire a ricominciare. - Jillian alludeva al fatto di essersi liberata finalmente della presa possente di Mark e Brian annuì poco convinto, dimenticando quel piccolo particolare e ritornando con i piedi per terra. Uno strano ronzio sommesso interruppe entrambi dai loro pensieri e dal loro abbraccio ancora indissolubile. Brian si portò seduto e recuperò i jeans, cogliendo l'occasione per infilare nuovamente i boxer abbandonati poco lontani e ci mise qualche secondo per riuscire a capire che l'attrazione della sua curiosità era contenuta nella tasca posteriore. Jillian si infilò la t-shirt lentamente cercando di rivestirsi anche lei, fino a che non si fermò nel guardarlo immobile a fissare lo schermo dello smartphone che continuava a lampeggiare invano.

-Merda.- gli sentì sussurrare agguantanto i jeans per indossarli.



Michelle interruppe la chiamata con una smorfia che voleva essere tutto tranne che benevola: davvero non riusciva ad immagiarsi una persona più difficile da rintracciare di quell'uomo. Manco fosse presidente dei cinquanta stati d'America. Dovette permettersi un lungo inspirò per non mettersi ad urlare prima di lanciare lo smartphone con forza nella borsa per portarla in spalla e voltarsi nell'altra stanza per dirigersi verso la porta d'ingresso.

-Andiamo Pink.. Brian! Cristo, mi hai spaventata! - le comparve alle spalle poco prima che svoltasse verso la porta, lasciandola impalata ad occhi spalancati come se avesse visto un fantasma. L'uomo, a petto nudo e leggermente affaticato le si porse con un'espressione basita, pallido, sorpreso anche di lui di trovarla già lì.

-'chelle, cosa ci fai quì? - la donna lo guardò come per far finta di non aver sentito, dandogli la possibilità di recuperare al torto. -Cioè.. cazzo, lo so, dovevamo vederci.-

-Dove diavolo eri? Ti ho cercato per tutta la casa. - L'uomo biascicò qualcosa, si grattò la nuca in modo incomprensibile poi si avvicinò per abbracciarla.

-Perdonami, non ti ho sentita entrare.-

-Brian..- esclamò sorpresa dal suo comportamento, cercando spiegazioni.

-Lo so, lo so, vieni c'è del caffé di là, parleremo più con calma. Sono sicuro di averlo preparato, almeno. Non ho dormito tutta la notte mi sento un pò tramortito, perdonami. Mi serve solo un secondo.- prese ad avvantaggiarsi lungo la cucina mentre finalmente Pinkly gli andava incontro, contento di vederlo perfettamente scodinzolante.

-Hei, hei! Campione! - cercava di acciuffarlo ma il cagnolino continuava a sgusciargli via dalle mani completamente fuori di senno dalla contentezza. -Come stai? La mamma ti ha portato a fare una corsetta in questi giorni? - scherzò beffeggiando l'animaletto ancora su di giri e regalandogli qualche carezza.

-Sono contento di avervi quì, solo che.. è stata una nottata strana.- cercò di mantenersi sul vago sperando che non le fosse giunta ancora nessuna voce e nel frattempo prese ad armeggiare ancora con le mani che gli fremevano per la situazione improponibile che si era andata a creare. Non credeva che Michelle fosse già lì, chissà da quanto ormai, le aveva detto di averlo cercato ovunque e ringraziò il cielo che la sua avanscoperta non l'avesse portata dove realmente risiedeva fino a pochi minuti fa insieme a Jillian. Dio, Jillian, sperò rimanesse buona per un pò: avesse potuto si sarebbe preso a schiaffi in quel momento. Michelle a quel punto si arrese, preferì aspettare che Brian scaldasse del caffé e attese sedendo alla pensilina della cucina con le mani congiunte come a non saper come iniziare la conversazione.

-Wow, è una situazione strana.-

-Puoi dirlo forte..- biascicò l'uomo a bassa voce fra sè e sè, voltandosi solo dopo per porgerle la tazza e avvicinandosi per sedersi di fronte. -Che intendi?-

-Hai la lampo aperta.- L'uomo calò lo sguardo verso la zip dei jeans e la tirò su imbarazzato, mettendosi a ridere pur di smorzare lo stupido comportamento teso che stava assumendo.

-Odio le zip, sono... così scomode.- alzò le mani in segno di resa quando osservando la donna cominciò a trovare in lei un'espressione fermamente stranita. Stava cercando di essere più naturale possibile invece gli sembrava di stare rovinando tutto.

-Beh comunque, sono stata felice della tua telefonata e ci tenevo comunque a ribadirlo..- Brian sorrise e annuì, sollevato anche lui.

-Sì, e sono felice che tu abbia accettato di vederci.-

-Non significa che la cosa si sia risolta, credo tu lo sappia questo.- annuì e lei proseguì. -Brian io.. ci ho pensato tanto e nonostante la mia famiglia non sia molto d'accordo con la mia decisione frettolosa, vorrei darti la possibilità di rimediare. Salvare il nostro matrimonio è troppo importante per me. - fece per commuovere la voce e Brian sentì una morsa allo stomaco, sentendosi il pezzo di merda peggiore sulla faccia della terra. Una feccia umana. Allungò una mano a carezzare quella di lei posata sul ripiano e la tranquillizzò annuendo dolcemente senza riuscire a dire nulla.

-Val non ne è per nulla felice, credo tu lo sappia, e ..neanche mio padre ha preso bene la cosa.- Avesse avuto un colletto, Brian si sarebbe preoccupato di allentarlo all'estremità del collo, eppure era a petto nudo e sentiva comunque una morsa invisibile come fossero le mani del suocero.

-Certo, posso solo immaginare.-

-Naturalmente, dall'ultima discussione che abbiamo avuto ho fatto in modo di non lasciarmi influenzare troppo, quindi..- prese un lungo respiro. -adesso sono quì. Non farmene pentire, Brian.- il suo sguardo non ammetteva repliche. -Mi serve che tu mi faccia delle promesse.. -

-'chelle ti prego..-

-Brian..- chiamò supplichevole e l'uomo capitolò.

-I-io posso provarci ma promettere è un qualcosa che.. lo sai, è fatto per chi ha una vita normale e tranquilla. Quì è tutto sregolato, non posso rispettare orari, ho impegni internazionali e..-

-Se ci trovassimo in una situazione inversa avresti spostato mari e monti pur di riuscire a tranquillizzare il tuo cervello. Io non riesco più a vivere con questo peso sullo stomaco, mi sento come trattata da stupida! Io so di poter gestire la mia vita ed il mio matrimonio!-

-Certo che puoi..-

-Giurami allora che non c'è stato niente.- Brian si interruppe e deglutì rumorosamente sperando di aver frainteso le sue parole.

-Cosa?-

-Giurami.. che non c'è stato niente.- battè le palpebre velocemente come per ossigenare il cervello da quella improvvisa supplica, si portò una mano alla bocca mestamente scompigliando i ciuffetti di barba che sbucavano dal mento.

-Michelle io non so cosa intendi, cioè cosa vuoi che..-

-Che non sei stato con lei! Che non l'hai baciata, che non hai passato attimi sperando in lei. Brian noi siamo una famiglia, dobb.. - il campanello interruppe la donna indirizzando il viso di entrambi verso la direzione della porta d'ingresso, cosa che Brian ringraziò felice di averlo salvato. Certo che se non fosse stato certo che Jillian fosse nascosta nella sala musica non avrebbe avuto tutta questa sicurezza nel dirigersi ad aprire.

-Aspettavi qualcuno?- mormorò la donna, mentre l'uomo si allontanò per chiedersi anche lui effettivamente chi fosse a cercarlo.

-Agente..- Disse Brian aprendo la porta con sorpresa e mentre corrugava le sopracciglia gli venne sporta una carta compilata che si apprestò a leggere con malcelata preoccupazione.

-Brian E. Haner? - egli annuì e continuò a scivolare gli occhi sulle righe rigide e formali di un arresto riferito ad un certo Haner come stato di fermo per l'aggressione al sopracitato Sig. Johnson, vittima di una rissa, con annessi acciacchi annotati sul referto medico allegato.

-Deve esserci un errore, dovrò sicuramente parlare con il mio avvocato prima.- Michelle si alzò dalla sua postazione assistendo alla scena con un'espressione disorientata, che quasi sentì le gambe gelatinose cederle sotto il peso del proprio corpo.

-Mi sa che lo farà direttamente alla nostra stazione di polizia.- cercò di ribattere ma non se la sentì, trovò solo la forza di voltarsi a guardare sua moglie, spaesata, confusa; tutto lo stupore e il rancore racchiuso nei suoi occhi che solo sfiorarli con lo sguardo lo punivano di tutte le sue colpe. Quanto male le stava facendo, quanto male stava facendo a lui.

-'chelle.. perdonami..- mormorò. Gli fu appena concesso di indossare una t-shirt insieme alla giacchetta di pelle prima di trovarsi inghiottito dalla folla dei giornalisti fuori al vialetto di casa, con i flash contro che lo immortalavano spento in viso, colpito nel profondo mentre si infilava in auto insieme agli agenti locali. Alzò il viso alla palazzina e scontrò il viso di Michelle completamente insabbiato dal pianto e avrebbe voluto allungarsi per abbracciarla, ma chissà se mai le sarebbero arrivate le sue richieste di perdono se solo l'avesse guardato negli occhi in quel momento.




Angolo dell'autrice:

Quando prendo di mira i personaggi so essere davvero spietata ma tutto questo serve all'andamento della storia, coraggio Bri!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che le descrizioni siano state abbastanza chiare da riuscire a ricreare le scene così come sono nate nella mia mente. Il compito più difficile è sempre trasferirle su carta -se così si può chiamare-.

Sono felice ed entusiasta del tempo che ho a disposizione per questa causa.

Ringrazio animatamente chi ha recensito la fanfiction, per i complimenti ed il tempo dedicatomi che mi da una spinta sempre maggiore a completare la fanfiction; a chi ha aggiunto la storia tra le preferite, seguite, ricordate.


A presto! :)

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16. ***


16.

-Brian è stato arrestato? State scherzando spero! Q-questo non è possibile! - Valary si contorse dall'angoscia, portandosi seduta e con una mano a cingersi i fianchi osservando un punto impreciso della sala di registrazione. Tutti i restanti del gruppo si erano radunati alla telefonata tempestiva di Matthew, che stava ormai da più di dieci minuti in silenzio a guardare il notiziario trasmesso alla tv riguardando il loro primo chitarrista. Zachary e Johnny rimasero a tranquillizzarla, con le mani incrociare al busto senza riuscire a nascondere le loro sensazioni di sfiducia: possibile che la situazione si fosse ridotta a questo? Avevano sperato in un pò di discrezione da parte degli avvocati ed invece sembrava che il virus mediatico avesse già preso ampio campo sulla faccenda.

-Non è stato arrestato, è solo in stato di fermo. - Iniziò Zacky, alla quale si allacciò subito dopo il bassista.

-Già. Serve ad evitare che uno se la squagli dopo il fattaccio. È capitato già centinaia di volte: Jimbo era dentro quasi ogni anno. -

-Stai parlando dei tempi del collage. Non abbiamo l'età e non passiamo neanche più tanto inosservati.. Brian ha fatto una tremenda puttanata.- La donna si asciugò le lacrime che le coprivano gli occhi per poi sbottare su di giri, ringhiando contro Zachary a pugni stretti.

-Di che puttanata stai parlando? Dite tutto quello che sapete sulla faccenda! Tanto lo so che state cercando di coprirlo!- un tremendo frastuono improvviso scosse i tre, tanto che sull'attenti si voltarono verso il leader che aveva scaraventato via gli oggetti dal ripiano di fianco lo schermo da parete. Matt era furibondo, non aveva pronunciato una parola e il suo fiato si era fatto improvvisamente affannoso. L'aria in sala si fece torbida, arida e i ragazzi dovettero deglutire a fatica per ritornare a parlare. Attesero qualche secondo di comune accordo poi si spostarono verso l'amico portandogli una mano sulla spalla e stringendola con convinzione.

-Vedrai che sarà fuori in un batter d'occhio. -

-Siamo invasi dalla stampa.- dalle vetrate ampie del secondo piano una massa informe e brulicante di giornalisti aveva invaso le strade parallele alla sala.

-Quando avrà chiarito la sua posizione se ne andranno.-

-Rimane il fatto che lo ha pestato a sangue! Questo ci vorrà tempo prima che qualcuno se ne dimentichi!-

-Di cosa diavolo state parlando? - Valary intervenne su di giri, ma i ragazzi accerchiati erano troppo presi dalla situazione sfuggita di mano.

-Dovrò andare a depositare per lui.- Matt si voltò dileguandosi verso l'ingresso dopo aver afferrato la giacca al volo, ma i ragazzi lo raggiunsero in un batter d'occhio.

-Sei impazzito? Centinaia di testimoni sanno che sei intervenuto dopo, finiresti nei guai anche tu!-

-E allora cosa diavolo possiamo fare? Non posso lasciarlo così! - Zachary affondò lo sguardo negli occhi del leader, le sue pupille continuavano a cerchiarsi e dilatarsi come sotto l'effetto di una droga, non lo aveva mai visto così. Sicuro fosse lo stesso Matt di sempre? Quei due giorni avevano mandato tutti ad impazzire, si era perso lo scorrere del tempo ed i loro neuroni stavano andando completamente a farsi fottere.

-Tu non puoi. - intervenne Johnny richiamando l'attenzione vagante di tutti. -Ma abbiamo chi può farlo.-

***


Jillian riaprì gli occhi attendendo qualche secondo per riuscire a rendere nitida la veduta di ciò che la circondava: la sala era immersa nel silenzio, poteva udire il suo respiro come mai prima d'ora, come se si trovasse in un sogno distorto. Si tirò seduta aiutandosi con le braccia, mugugnando per la scomoda posizione in cui aveva giaciuto per chissà quanto tempo in attesa che Brian tornasse, ma così non era stato a quanto pareva. Non seppe bene che ora fosse, in quello spazio di legno e corde di rame sembrava che il tempo non potesse penetrare o imporre limiti, era tutto innaturale. Diede un'occhiata al display del suo smartphone sorprendendosi di quanto tempo fosse passato, chiedendosi quale fosse davvero la cosa migliore da fare. Aveva accantonato per un attimo ciò che era successo quella mattina stessa, con Brian, abbracciati a fare l'amore sul pavimento della sua stanza dello spirito e del tempo. Jillian rise al pensiero, poi però smise riflettendo sul motivo del perché ora lui non fosse più lì. Pensò bene di raccattare le sue cose e fare in modo di dileguarsi il prima possibile: sentiva la testa pesante per lo stato brillo delle ore precedenti e ora si sentiva anche stupida di aver causato alla vita coniugale di Brian una falla grande quanto il suo ego. Brian era sposato e ora che ci rifletteva a mente lucida tutto stava riprendendo pian piano forma. Una forma mostruosa e diabolica ma pur sempre una risposta alle sue domande. Affondata di nuovo dalle sue iniziative che prima o poi l'avrebbero lasciata sola, in qualche angolo dell'America, senza più speranza. Prese un gran respiro prima di alzare la botola impiantata al pavimento, incapace di evitare di far cigolare il legno e costretta ad una smorfia di sforzo e terrore. Si sentiva una ladra e la cosa le immobilizzò il cuore in gola per qualche tempo, finché non riuscì a rendersi conto che la casa era completamente deserta e che vi fosse solo lei ormai. Dovette sbrigarsi ad allontanarsi verso l'altra parte della strada, dove ormai vigilavano insieme ad un brusio sconnesso un'orda di giornalisti e affini, cercando di confordersi tra loro una volta alzati al viso i grandi occhiali specchiati. Come se la sua esistenza venisse cancellata solo grazie a quello.


***


-Davvero sei della tv?- Brian continuò ad accerchiare con la punta dell'indice il legno del tavolo della sala d'attesa, stralunato, stanco delle continue domande della guardia ingorda che continuava a sputacchiargli addosso pezzetti di donut alla nutella.

-Non sono della tv.-

-Ma sei uscito nel notiziario, non posso crederci! Finalmente qualcosa di interessante anche da queste parti. Che cosa fai allora?- Non alzò lo sguardo, si limitò ad aspettare il suo avvocato sbirciando la porta d'entrata con la coda dell'occhio, grugnendo infastidito quando si accorgeva che rimaneva ancora ottusamente serrata.

-Eddai, puoi parlarne con me! Quì la vita non è semplice: scartoffie, ronde di routine, altre scartoffie. Secondo me tu sei un ragazzo a posto, ne ho viste di facce da galera e a parte quella matita sotto l'occhio non hanno nulla a che fare con te. Nel minore dei casi spacciano qualche merda ai ragazzi di quartiere fino a sparare alle vecchiette per le loro pensioncine da quattro soldi. Che sudicio mondo. - mormorò, tornando a cibarsi quasi come per allontanare la collera fremente. Brian si voltò a guardarlo sorpreso dalle sue parole, quasi annuiva per la rabbia che aveva sentito dalla sua voce e non potè evitare un'espressione amareggiata. L'attenzione dei due si spostò però fugacemente al rumore della porta che si apriva, mostrando una guardia che irruppe col capo quasi come evasivo.

-Hai una visita: dice di essere tua moglie. - Brian si alzò in piedi fulmineo e annuì, notando la figura snella di Michelle nascosta dietro due grandi occhiali a specchio.

-'chelle.- pronunciò quando gli si sedette di fronte, sempre sotto l'occhio attento dei due agenti in divisa. La donna non parlò, armeggiò con la borsa finché non riuscì a trovare la posizione adatta per contenere leggermente la sua impazienza.

-Dimmi che c'è stato un errore e che non è possibile che tu sia quì, adesso.-

-Come hai fatto a..-

-Brian! Maledizione, dillo! Che accuse hanno contro di te per tenerti quì? - La donna si spazientì, strinse i pugni contro il bancone ed i suoi occhi specchiati non ammettevano nessun contatto con quello dell'uomo. Brian attese qualche secondo poi umettò le labbra con un gesto veloce cercando le parole giuste da usare, semmai ce ne fossero state.

-È una situazione passeggera..-

-Sono otto mesi di reclusione, questo ti sembra passeggero?- la voce della donna si fece disarmante ma nessuno trovò il modo giusto di aiutarla a calmarsi.

-I miei avvocati devono ancora deporre, non è nulla di effettivo! Stiamo aspettando che riescono ad ottenere tutto l'occorrente per ribattere. Lo sai che non so come funzionano queste cose..-

-Perché?-

-Perché pago loro per farlo.-

-Intendevo, perché ti hanno arrestato. Voglio la verità Brian, non credi di aver già mentito abbastanza? Quanto credi che io possa reggere queste umiliazioni da parte tua?- I due agenti restarono impalati ad assistere, costretti per motivi interni agli ordini, ma Brian non se ne curò, era come se nella sua testa fosse tutto vuoto ed il solo motivo per uscirne era scomparire. Peccato fosse impossibile.

-C'è stata solo una stupida rissa.. - mormorò con un filo di voce, che gli uscì appena mentre stringeva forte i pugni fino a far sbiancare le nocche.

-Una rissa? Cristo, ma sei impazzito? Con chi? - Strinse le labbra mentre gli moriva il nome sulla punta della lingua: solo ricordare quel momento gli faceva scorrere la rabbia fin dentro le vene delle braccia.

-Mark..-

-Mark?-

-Johnson. Mark Johnson.- Michelle spalancò gli occhi ma il gesto si materializzò solo nella testa dell'uomo che immaginava ognuna delle sua reazioni alla scoperta di quel nome. Mark, Mark Johnson, terza classe del college; numero otto nella squadra di football della scuola; chitarrista a tempo perso, grande amico ai tempi della loro vita da adolescenti; fidanzato di Jillian con la quale si trasferì fuori la California pochi anni dopo il diploma. Il tutto tornava a ricollegarsi a lei, a Jillian, e Michelle non potè che stringere i denti alla notizia.

-Mark Johnson.- iniziò con una smorfia annichilita. -Il fidanzato di Jillian.-

-Non è come pensi. L'aveva picchiata, il suo viso era completamente gonfio e tumefatto. Quel figlio di puttana era ubriaco e sballato di merda, mi rilasceranno per forza, è solo questione di ore.-

-Perché non me lo hai detto? Perché mi tratti come una stupida, come.. come una cosa inutile, un ripiego? - Brian disdì col capo per rinnegare le parole di lei, scaricate fuori con rabbia, come tante lingue di fuoco che lo schiaffeggiavano.

-Non è così! Avevo solo paura che non saresti venuta..-

-E avevi ragione. Almeno qualcosa di me lo conosci. - la donna si alzò in uno scatto veloce che lo immobilizzò per qualche istante, finché con un gesto immediato non le vide trascinarsi la borsa in spalla e voltarsi verso la porta.

-Michelle! Michelle, aspetta..- cercò di afferrarla ma il braccio esile le sfuggì dalla presa, mentre un agente lo fermava all'uscio per impedirgli di seguirla.

-Aspetta cazzo, devo parlare con mia moglie! - intimidò con uno strattone a lasciarlo ma non gli fu dato ascolto, guardandola mentre si allontanava lungo i corridoi del distretto locale accompagnata dai suoi richiami rauchi. -Michelle! Michelle, cazzo!-


***



Tirò su col naso ancora dolorante, gli tiravano tutti i punti di sutura che aveva sul collo della narice e con una smorfia contratta cercò di sopportarli con appena qualche rantolo. Erano due ore che aspettava in auto al buio, con accesa la radio, crogiolandosi della notizia che girava ormai da ore sull'arresto di Synyster Gates, chitarrista degli Avenged Sevenfold. Incredibile, non si sarebbe mai aspettato che finisse dentro con tanta velocità e la cosa non potè che farlo sorridere. Mark fece un altro tiro veloce di sigaretta: Jillian mancava dall'intera mattinata da casa e cercare di capire dove fosse stata non era difficile. Sicuramente quei maledetti dei suoi amici l'avevano tenuta dentro una campana di vetro finché uno dei loro componenti principali non è finito al fresco. Già se li immaginava piangenti e smarriti in mancanza dell'anello che concatenava tutti gli altri della band. Synyster Gates non era quello che conosceva di lui, ma Brian Haner sì. Ricordava ancora come fosse stato appena il giorno prima la sua faccia a vederlo andare via stretto a Jillian: come aveva fatto ad innamorarsi di lei? Era bella, sì. Ed era buffa, lentigginosa, scuoteva la testa come una bambina quando qualcosa non la convinceva. Forse per questo Brian Haner l'aveva amata? Non era una donna a quei tempi, non era neanche formosa, non era provocante, vestiva come una suora e leggeva tanti noiosi libri. Eppure anche lui l'amava, l'amava tanto. Lei era premurosa con lui, gli prestava attenzioni di cui aveva bisogno per colmare il vuoto costante intorno a sè. Non aveva famiglia, non aveva una casa, era un ragazzo strano e attivo che l'aveva stretta fra le braccia e le aveva fatto credere che fosse l'unica. Ma chi può davvero credere di essere unica in una popolazione così vasta come quella? Solo una sciocca. I fanali dell'auto restarono oscuri a mimetizzarsi nella sera, mentre passi svelti si erano apprestati a rincasare. La fiaccola aranciata della sigaretta si accese in quel buio assoluto, prima di morire lanciato via sull'asfalto. Jillian aveva varcato la soglia di casa e probabilmente avrebbe passato qualche secondo a rinsavire prima di mettersi a letto. Chissà se le era giunta la notizia: il suo Brian non sarebbe stato lì a prendersi cura di lei. Che peccato. Scese dall'auto con un tremolio alla gamba, gli faceva così male che la trascinò fino al pianerottolo dove sbirciò con la coda dell'occhio verso ogni angolo. Il cancello alto era ancora socchiuso, sapeva che la sua abitudine si prolungava finché non si sarebbe coricata, allora ne approfittò per sgusciare all'interno. Non era molto agile, gli ci volle un pò per salire i gradini ma poi si affiancò al portone poggiandovisi contro per ascoltare. Non c'era nulla, solo silenzio. Mark si accostò spingendo e cercando di girare la maniglia, ma era chiusa, avrebbe dovuto bussare? Oppure prendere il suo mazzo personale per farle una bella sorpresa?

-Principessa? Finalmente a casa.- bofonchiò. Sapeva che il suo tono era troppo basso e ovattato per sperare in una risposta ma sogghignò, come se la cosa lo divertisse al quanto: essere un'ombra, un sospiro di vento. Il tintinnio metallico dell'anello di chiavi riecheggiò nel vialetto disabitato, era come il suono di catene che cozzavano, di spade, di una gabbia d'oro che stava per sigillare il suo portoncino ovale. Oro ma pur sempre una gabbia. Quando il chiavistello combaciò perfettamente ci fu un momento di pausa, qualche secondo per darsi il tempo di respirare a pieni polmoni l'aria della notte. Sapeva di bruciato, ma forse era solo un pensiero che gli affiorava la mente o la causa dei forti pugni al viso. Non ci pensò troppo, aveva solo pochi minuti. Il pomello iniziò a rigirare su se stesso e questo fu il chiaro segno che quella porta non li avrebbe divisi, non l'avrebbe tenuta lontana da lui come le volte precedenti. Solo allora Jillian sobbalzò; si chiedette più e più volte se fosse stato il vento a scuotere i cancelli o a graffiare fuori dalla porta, ma quel particolare le diede la conferma che forse non era sola. Quasi le gambe diventarono molli sotto il suo peso, dovette farsi forza in un ultimo estenuante tentativo prima di dileguarsi verso la stanza da letto e chiudere la porta alle spalle con un giro di mandata, come se bastasse a renderla immune. Jillian annaspò, il suo fiato si assottigliava sempre di più, divenne un alito che sembrava spirare da un momento all'altro minacciando di lasciarla senza ossigeno. Indietreggiò senza perdere d'occhio il legno inciso, inciampando contro il caos, gli angoli del letto, oggetti sparsi in giro. Ci fu un tonfo, il rumore di passi sconnessi e scoordinati, che il suo cuore, quasi come se volesse tuffarsi fuori dal petto, monitorò a suon di battiti forsennati.

-Ti prego... ti prego... - piagnucolò a voce bassa, stesa a terra come se riuscisse ad unirsi al pavimento per scomparire. -N-non.. no.. no.. - si asciugò le lacrime con la manica della maglia e camminò carponi verso l'angolo del letto per pararsi dall'aura pesante che la stava schiacciando come un macigno.

-Possibile che hai ancora voglia di giocare? - Jillian sobbalzò, la voce di Mark era atona, quasi cordiale, dovette prendere un lungo respiro per impedirsi di urlare. -Apri questa porta Jillian, sono stanco di perdere tempo. - sentì spingere da fuori e battere contro la maniglia serrata. -Coraggio, apri questa porta. Siamo persone adulte, perché non chiarire una volta e per tutte?- La donna batté velocemente le palpebre per liberare gli occhi dalle lacrime, che le rendevano la vista offuscata fino a rigarle le guance. -Apri questa cazzo di porta! - non riuscì a trattenere un urlo debole, spaventata dai rantoli e dai suoni dei palmi che si scagliavano sulla superficie. -Va bene.. va bene.. Troverò un modo altrenativo.- Il suono dei passi zoppi e innatuali si allontanò di poco per poi tornare iniziando a colpire forte con qualcosa di pesante, finché non avrebbe fatto cedere la sua unica protezione fra mille schegge appuntite. -Hai sentito la notizia? Oh, sì che l'hai sentita. Chi è che ormai in tutto il mondo non sa che Brian Haner è al fresco a pagare per i suoi crimini? Dio, quanto si è esposto per te! Un vero martire! - Il cuore della donna accellerò fino a scoppiare, mentre si portava una mano alla bocca per evitare di gemere ancora. Brian arrestato? Voleva vendicarsi di lui continuando a perseguitarla, ormai stretti in una morsa che mai l'avrebbe allontanata da Mark. Cosa poteva fare? Cosa avrebbe potuto evitare che entrasse in quella stanza? Cosa voleva da lei?

-Incredibile quanto quell'uomo non sia cambiato di una virgola! In tutti questi anni non ha ancora capito quanto sforzo gli sia costato stare con una come te, ma quanto si è fatto male adesso? Avrà imparato la lezione spero! Sei davvero un pericolo, principessa. Ci manderai tutti all'inferno! - il crepitio violento cominciava ad inarcare la soglia della porta fino a farle emettere un suono stridulo, come un urlo soffocato di sofferenza. Jillian si asciugò gli occhi e i lati della bocca, raggiungendo l'angoliera ai lati del letto per afferrare il suo smartphone: le dita le tremavano così tanto che quasi non riusciva ad usarlo, continuava a sbagliare e riprovare finché non si appiattì con le spalle al muro attendendo che qualcuno rispondesse alla sua chiamata di aiuto.

-Cristo, sono due ore che cerco di mettermi in cont..-

-È quì... è quì..- Jillian emesse un lungo lamento che scoppiò in pianto. Era stanca, sfinita, non avrebbe affrontato Mark con la forza debole che le appesantiva le braccia.

-Chi?-

-Aiutami Matt, ti prego.. ti supplico.. è quì.. non so cosa voglia! Sta buttando giù la porta! - i colpi alla porta furono udibili dal microfono tanto che Matt sussultò e si rizzò in piedi di scatto afferrando la giacca.

-Sto arrivando! Dove sei? -

-A casa.. a casa..- emesse in un soffio quando riuscì a smettere di piangere, raggelata dalla porta della stanza che si spalancava e dalla figura affannata e imperlata di sudore dell'uomo. Il buio della stanza dove risiedeva lasciò spazio alla luce soffusa che proveniva dalla cucina; era un alone ombrato, caldo, che aveva circondato il corpo snello e mal messo di lui, voltatosi a sogghignare contro di lei rannicchiata al buio in un angolo.

Il labbro di Jillian aveva preso a tremare forsennatamente fino ad impedirsi di fermarsi, mentre lo guardava avvicinarsi a lei con un passo lento imbracciando la mazza da baseball della squadra del paese.

-Resisti, sto arrivando! - lo smartphone cadde al pavimento in un tonfo sordo, mentre la voce di lei si affievoliva, le moriva in gola, stretta fra le sue dita.

-Jill.. Jillian! -



Angolo dell'Autrice:

A qualche settimana di distanza eccovi quello che sembrerebbe essere il penultimo capitolo. Ringrazio chi con tanto affetto mi ha seguito, recensito, chi silenziosamente ha apprezzato la mia storia. L'argomento che ho trattato mi è stato tanto a cuore e tutt'ora lo trovo decisivo per sensibilizzare sempre più persone a combattere contro la violenza sulle donne; in questo caso in particolare la fan fiction è raccontata in modo molto soft, soprattutto con i nostri idoli quindi è stata resa più leggera possibile.

Comunque, dato che i ringraziamenti e le risposte a possibile vostre domande saranno poste solo alla fine, vi ringrazio ancora per essere arrivate/i fin quì.

Un abbraccio e a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Epilogo ***


17.


C'erano stati solo due aspetti positivi in questa macabra e malata storia, che avevano fatto in modo che il suo intero mondo non cadesse nel baratro più totale. O meglio, che cadesse con qualche giorno di ritardo dalla reale data di scadenza. E di tutto questo se ne stava rendendo finalmente conto mentre perdeva il fiato a causa della stretta al collo. Le dita di Mark si strinsero sempre più forte mentre lei si inginocchiava con malsana lentezza, come se il tempo avesse iniziato a girarle intorno più affannosamente. A causa della mancanza d'ossigeno iniziarono a seccarlesi gli occhi, inchiodati a quelli di lui che stava mormorando qualcosa a bassa voce mentre la guardava morire; ma lei non poteva udirlo perché aveva iniziato a perdere qualsiasi speranza di liberarsi, come se avesse accettato il momento con infinito coraggio, maledicendolo fra le labbra sottili come una dannazione che lo avrebbe accompagnato per sempre. Ma Mark era già dannato, era già un uomo finito, con o senza di lei. Sapeva sin dall'inizio che avrebbe raggiunto la fine e che il suo correre lontana ed il suo affannarsi l'avrebbe sempre e comunque ricondotto a lei. Rivedere e rivivere Brian era stato come una boccata di aria fresca, acqua gelida in viso, la scarica elettrica dell'adrenalina che la risvegliava dal torpore, e le era bastato così. Era stato il pericolo più grande e allo stesso tempo la necessità più fervida che l'avesse mai motivata a vincere la paura. Forse ne era valsa la pena, o forse no, certi ricordi stavano pian piano sfollando la mente, faticava a ricordare e quella sensazione di abbandono cominciò ad appesantirle le braccia.

-Tu andrai via dalla città, non è vero?- ebbe una boccata di aria che attirò a sè con un inspiro fortissimo, come uscita da una corrente di acqua.

-S-s... - l'uomo la derise avvicinando l'orecchio alla bocca di lei, fingendo di non capire cosa dicesse. Jillian allungò una mano debolmente e gliela portò al viso cercando di spingerlo via, ma non riuscì, come paralizzata da una forza misteriosa.

-Se resti quì potrebbero approfittare per farti parlare, potrebbero indurti a dire cose cattive su di me. Voglio allontanarci Jillian, lo capisci questo? Perché tutte queste persone vogliono che io mi separi da te. - Continuò a nutrirla di aria pian piano, allentando la presa con voce sempre più docile e carezze al viso che non avrebbe mai preferito agli schiaffi. -Tu devi andartene, stanotte! Sparire dalla cazzo di circolazione, lasciare la città, chiuderti in una cazzo di topaia finché il processo non sarà finito! Vedrai che ci vorrà poco e quando tutto sarà risolto ti raggiungerò e potremo stare di nuovo insieme, amore mio. - Jillian riaprì gli occhi di scatto per impedirsi di perdere i sensi. -Eh Jillian, hai capito? Non permetterò mai che manderai tutto a puttane per fare la troia con Haner! -

C'erano stati solo due aspetti positivi in questa macabra e malata storia. Ma ora ne ricordava solo uno.

-Và al..dia..volo. - non era un sorriso, forse un ghigno, fatto sta che il colpo fu così forte che seppe di morire.


***


Non c'era stato modo di non cedere all'impulsività, nè di sopprimere le voci presenti nella sua testa nonostante la maturità dei suoi trent'anni. Il materializzarsi di questi ultimi anni in così pochi mesi aveva avuto un impatto così forte da demolire quasi la sua ragione, non gli aveva dato neanche il tempo di capire o di provare a capacitarsi di ciò che stava per colpirlo con tanta foga. Forse gli era stata data finalmente la possibilità di liberarsi dei fantasmi del passato che continuavano segretamente a tormentarlo e a chiedergli quale fosse la sua colpa, e forse, seppur nel peggior modo possibile, gli era stata ceduta la risposta che avrebbe chiuso il capitolo di venti anni della sua vita. Non sarebbe stato facile e questo lo sapeva, non gli avrebbe dato scampo conoscere o immaginare di sapere, ma almeno avrebbe alleviato un pò il peso al cuore. Era così disabilitato che al cospetto della stampa tenne gli occhiali sul naso calando il viso sotto il bordo del cappello come fosse un ladro, un fedifrago e traditore di stati. Il vociare perpetuo e i flash lo costrinsero a vaneggiare con lo sguardo aprendosi una strada fra la complicità dei suoi amici, che erano arrivati a tirarlo fuori dalla sua "cella" fatta di mura di vetro e notiziari alla tv.

-Dove stiamo andando? - riuscì solo a dire una volta entrato di soppiatto nel fuoristrada della band, dove Johnny inserì la marcia con una forza maggiore del solito.

-A mettere la parola fine a questa storia.- Brian guardò le sagome dei giornalisti iniziare a rimpicciolirsi al lato opposto della strada, nonostante i flash continuassero a raggiungerlo imperterriti, costringendolo ancora per qualche secondo ad una fuga di sguardi.

-Johnny che cazzo sta succedendo? Come avete fatto a farmi uscire? - una fugace occhiata fu scambiata fra chitarrista e bassista, che iniziò a mordicchiarsi il labbro nervosamente.

-Chiedilo a Matt appena lo raggiungeremo. -

-Che vuoi dire? Cosa c'entra Matt? -


***


Lo sfregare delle ruote sull'asfaldo emesse un suono stridulo che si udì a distanza di metri, mentre Matthew scivolava via dall'abitacolo incurante del resto delle auto che venivano in senso contrario, precipitandosi all'interno della casa che vide aperta. Entrò con cautela penetrando nel più assoluto silenzio ed incapace di capire cosa aspettarsi iniziò a chiamare il nome di Jillian.

-Jill? .. Dove sei Jillian? - chiamava, attento ai cocci di vetro sparsi per il pavimento e il disordine trascurato. Cercò di stare attento a qualsiasi movimento e si sporse verso gli angoli nascosti del soggiorno e della cucina, prima di precipitarsi nella camera da letto.

-Cazzo... Jillian! - disse a bassa voce, mentre si abbassava sul corpo inerme di lei riverso a terra completamente incosciente. O almeno così sperava Matthew. -Non posso crederci, sono arrivato in ritardo.. rispondi Jillian, maledizione! - rantolò con la voce ridotta ad un soffio, mentre spostava i capelli dal viso tumefatto di lei notando una fuoriuscita di sangue. Cercò di tamponare la ferita con le lenzuola del letto prima di udire un fruscio alle sue spalle: gli sarebbe bastato mezzo millimetro in più e Mark avrebbe potuto aprirgli il cranio come aveva ben pensato di fare.

-La solita fortuna, Sanders. - Matt ancora spaventato iniziò ad annaspare mentre si era gettato completamente al lato opposto della stanza per evitare l'aggressione. Mark invece se ne stava in piedi mentre maneggiava la sua mazza da baseball, nonostante la postura fosse piuttosto sofferente e imprecisa.

-Che diavolo ti passa per quella testa di cazzo, Mark! Quanta merda ti sei tirato al cervello per finire così? Avrei dovuto credere a Brian quando diceva che avevi completamente perso il senno.-

-Sì, bravo, avresti dovuto farlo. - esclamò con una voce pacata e flebile, mentre la vena al collo di Matt si gonfiava a testimoniare la sua incontenibile rabbia.

-Che cosa diavolo le hai fatto? - Mark guardò Jillian inerme capendo si riferisse a lei.

-Sta solo dormendo..- Matt fece uno scattò violento contro di lui con un pugno chiuso all'altezza del viso, tanto che colto alla sprovvista Mark cercò di parare con la sua arma.

-Giuro che se non si risveglia io ti ammazzo con le mie mani, e non basteranno uomini a togliermi dal tuo sudicio corpo! -

-Sempre pronti alla difesa del più debole..- li schernì l'uomo, liberandosi con un colpo di anca prima di caricare l'arma verso il suo avversario e colpirlo violentemente alla spalla. Matt gridò per il dolore prima di caricare nuovamente contro di lui schiantandosi entrambi contro la parete alle loro spalle, digrignando per il dolore con in sottofondo il suono di oggetti che frastagliavano a terra frantumandosi in mille pezzi. Cercò di bloccarlo nella presa ma nonostante la disabilità riuscì a sfuggirgli come un fuscello fra le mani.

-Non so come hai fatto ad arrivare quì nel momento giusto, ma avresti dovuto preferire startene a casa con la tua famiglia. O anche tu avevi una tresca con questa maledetta ed eri venuto per rotolarti a letto con lei? - Matt digrignò i denti e lo colpì in pieno volto facendogli sputare sangue.

-Di che cazzo stai parlando? - iniziò ad avere il fiato corto. Mark sorrise con la bocca tumefatta e denti completamente cinabri.

-Non dirmi che non lo sapevi... che non sapevi che lei e Brian stavano insieme. Facevano tutto sotto i nostri occhi, ci hanno preso per il culo. - Restò completamente paralizzato dalla notizia, non poteva credere che Valary avesse ragione sul suo conto. -Oh, non dirmi che il tuo amico non ti ha detto niente? Ah già, forse perché anche lui è sposato. - Matt deglutì forzatamente, senza sapere cosa dire, se credere ad una calunnia del genere o se fosse solo una stupida trovata di quel bastardo.

-Rimangiati quello che hai detto. -

-E se non lo facessi? - Matt si trattenne la spalla slogata mentre l'altro continuava a bavare sangue fra i denti.

-Tanto è finita Mark, le pattuglie degli sbirri stanno arrivando per te e stavolta non ti basterà stordire Jillian perché ci sarò io a sputarti tutto il veleno addosso in tribunale. Cazzo, avrai molti anni per pensare a quanto tu sia stato un perdente nella tua esistenza. Potrei farti un riassunto di quella che sarà la tua vita in carcere se ci tieni. Mi fai davvero.. pena.- Un gruppo di sirene si udirono in lontananza mentre Matt prese finalmente a sorridere sollevato, avevano vinto. Finalmente le prove che Mark non era più mentalmente stabile avevano dato i suoi frutti, perché ora lui e Jillian erano testimoni oculari della sua pazzia. Notò mancargli il fiato e iniziare a guardarsi intorno spaesato, prima di scattare contro di lui per uscire dalla porta della camera e fuggire fuori dalla casa cercando di mettere in moto l'auto. Matthew non se ne curò, anzi si parò per difendersi da una possibile aggressione mentre cercava di fuggire nel suo pessimo stato. Si prese coraggio e si calò contro la donna sperando di sentire i suoi battini.

-Un'ambulanza per favore, 124, Avenue Street. Fate in fretta.- le pulì il viso con premura mentre riponeva il cellulare nuovamente.

-Non sono riuscito ad evitarlo. Perdonami..-


***


-Ma che diavolo succede quì? - mormorò Johnny con la voce spezzata dalla sorpresa, mentre l'entrata al viale della casa di Jillian brulicava di auto della polizia e di un'ambulanza proprio davanti il suo porticato. -Deve essere successo qualcosa..- Johnny fece per rivolgersi all'amico ma questi scattò fuori dall'auto correndo a perdifiato verso l'entrata della strada, respirando a gran polmoni l'aria fredda del mattino. -Brian! Dove diavolo pensi di andare?- chiamò battendo contro il metallo dell'auto, ma era ormai lontano, la voce parve a Brian solo un lamento che andava sfumando. Slittava fra le auto con gran velocità, inciampando fra i piedi, urtando gli agenti che ostruivano il suo passaggio. Cercava con lo sguardo un viso amico, qualcuno che potesse spiegargli cosa fosse successo e perché, se stavano tutti bene, dove si trovasse Jillian.

-Fermo, non può stare qua. - Un uomo in divisa gli si parò davanti, portandogli un palmo al petto per cercare di contenerlo.

-Agente, cos'è successo? -

-C'è stato un arresto. -

-Dov'è Jillian?-

-Chi è Jillian?-

-L'.. l'inquilina dell'abitazione.- continuava a lanciare occhiate in giro come un forsennato, perdendo fiato nonostante fosse immobile dirimpetto la casa costernata di fermi degli agenti.

-Non conosco i nomi delle persone fermate, sono almeno tre. Non posso darle altre informazioni se lei non è un parente stretto, quindi la prego di farsi indietro.- Dall'altro capo della linea che li divideva, gli operatori dell'ambulanza uscirono in barrella e tirò un sospiro di sollievo quando la possente figura di Matt uscì insieme a loro accompagnandoli verso la discesa delle brevi scalinate dell'entrata.

-Matt! - l'agente si ritrovò travolto dalla sua impazienza e fece in modo di bloccarlo ulteriormente. -Matt! Sono quì! - iniziò a sbracciare e riuscì finalmente ad attirare l'attenzione del ragazzo che gli si precipitò contro trattenendosi la spalla fasciata fedelmente.

-Che cosa ti è successo?-

-È una lunga storia..- Matt lo abbracciò come se non lo avesse mai fatto in tutti questi anni. -Avevi ragione Brian. Jillian è sull'ambulanza, ma stà tranquillo hanno detto che si riprenderà. Io dovrò andare a firmare delle deposizioni sull'accaduto.- l'altro asserì ma in realtà la sua testa vorticava come se ci fosse un terremoto sotto i piedi e ritrovarsi all'oscuro della situazione iniziava a tormentarlo. Si diresse a passo spedito verso l'entrata dell'ambulanza e nonostante gli agenti cercassero di trattenerlo il suo unico pensiero si preoccupava di sapere di lei.

-Lasciatemi andare! Sono l'unico che può restare con lei!-

-Ci serve il permesso di un parente.-

-Non vado da nessuna parte! Sono io la persona più vicina, ha bisogno di me!-


***


Le pareti atone e bianche ricreavano un ambiente sterile e freddo, così surreale che sembrava quasi di essere atterrati su una nuvola. L'orologio da parete era l'unico rumore nella stanza d'attesa, un ticchettare monotono e continuo che sembrava quasi colmare qualsiasi pensiero nella testa nonostante ce ne fossero stati fin troppi.

-Signori.- Tutti si drizzarono in piedi come schegge all'arrivo del medico, mentre il fiato rimaneva bloccato nelle gole esterrefatte di tutti, consorti comprese. -Sembra che la paziente sia sveglia e fuori pericolo, credo quindi che non le faccia male vedere qualche faccia amica dopo quello che è successo. Vi chiedo solo di essere molto cauti, ha comunque subito una frattura. Scegliete magari con cura chi può farle visita in questo momento delicato.- fece per salutare calando il capo, mentre ognuno di loro ringraziava con una calorosa stretta di mano una volta passata la preoccupazione di quelle ore. Quando il gruppo si ritrovò da solo cercarono di consolarsi fra loro, contenti di aver superato la situazione critica di pericolo. Matt si lasciò aiutare da Valary ad indossare la sua giacca, essendo stato costretto ad ingessare la zona della scapola per qualche settimana per non correre pericoli, mentre il resto parlottava fra sé cercando di capire cosa fosse meglio fare.

-Brian. Secondo me è lui che dovrebbe andare. - Il borbottare di fondo tacque alle parole di Michelle, che calò gli occhi come sopraffatta dalla sua stessa rivelazione, nonostante gli altri si trovassero d'accordo. Anche Brian tacque, la guardò con occhi languidi come catturato dalla sua bontà nonostante la conoscesse; la conosceva bene infatti, conosceva la sua dolcezza d'animo eppure non se ne sarebbe mai abituato. Non sarebbe mai riuscito a stare a passo con la generosità di lei, di quella donna così nobile che aveva avuto l'onore di sposare. La ringraziò con uno sguardo taciturno pieno di gratitudine, prima di sfiorarle appena le spalle per non metterla a disagio a causa delle ultime cose che erano capitate fra di loro: presto sarebbe riuscito a farsi perdonare, o almeno sarebbe arrivato il momento di migliorarsi per lei.

Il passaggio dalla sala d'attesa in quella in cui giaceva Jillian coricata era come fare un salto in un passaggio magico, che gli scombussolava i muscoli e la forza delle gambe, che gli imperlava la mente di ricordi, di riguardi e di paure. Quando lanciò un occhio alla stanza la vide lì, raggomitolata fra le coperte, stretta in un casco di bende dal capo al collo, con i capelli ramati che cascavano alla rinfusa e gli occhi gonfi e lividi da renderla irriconoscibile. Ma non ai suoi occhi. Quando lo notò entrare vide come quel semplice sforzo le costasse dolore e come la mano di lui, sulle sue raccolte in grembo, le dessero la forza di muoversi appena per guardarlo dritto negli occhi. Non dissero nulla, non ci vollero parole, come non ci vollero gesti degni di nota che loro stessi non apprezzassero.

-Ciao..- Jillian sorrise e mosse il capo ricambiando il saluto, nonostante le costasse ancor più che parlare, ma a quel punto le parole non uscivano, solo le lacrime e la gratitudine.

Brian si accomodò su una sedia lì di fianco e ancora una volta strinse una mano nella sua per darle conforto. Che pena vederla così, fortuna voleva che non sarebbe durata. -Come stai? Solo qualche giorno e sarai dimessa, potrai continuare le cure da casa.-

-Già..- biascicò lei. -Mi sento solo la testa gonfia come un pallone.- Brian fece una smorfia guardandola attentamente in viso.

-Beh.. in effetti.. - scoppiarono entrambi in una risata, prima che la donna si fermasse per il fastidio alla bocca.

-Smettila, non posso...- disse a bassa voce continuando a ridacchiare.

-Sì, scusa.- Si dedicarono qualche secondo, poi ripresero.

-Sono davvero una fortunella, non c'è che dire.- Brian ridacchiò amaramente insieme a lei; quanto le era costata questa cocciutaggine? Forse tutto quello che aveva perso finora e che mai più sarebbe riuscita a riavere. -Grazie.-

L'uomo si portò le dita affusolare di lei alla bocca per baciarle appena, per ricambiare la gratitudine che anche lui provava nei suoi confronti, in un piccolo sigillo racchiuso sulle labbra che sarebbe rimasto per sempre fra loro.

-Avrei dovuto fare di più.-

-No, sai che non te lo avrei permesso.-

-Lo so. Hai fatto in modo che non potessi accorgermene in nessun modo ed è stato un grave errore.- Il silenzio che albergava fra loro non pesava ai loro cuori, piuttosto li rendeva leggeri, liberi dall'opprimente bisogno di spiegare e di parlare.

-Mi dispiace Bri. Sono tornata a sconvolgere la tua vita e tutto questo perché non ho saputo tenere le redini della mia.-

-Non è stata colpa tua.-

-Non so neanche io come è possibile spiegare una cosa simile, è così difficile esprimere quello che mi passa per la testa. Adesso ascoltandomi sembrano anche a me vaneggiamenti di una pazza e non posso darti torto.- Brian la zittì negando col capo: poteva ben capire cosa voleva dire dipendere totalmente da una persona ed era per questo che il suo allontanamento lo aveva completamente reso impotente di reagire alla situazione. Gli ci erano voluti anni eppure nel suo cuore sentiva forte il battito di lei ogni volta la pensava. -Non avrei potuto fare scelta peggiore. Ho rovinato le nostre vite.-

Brian si strinse attorno al palmo di lei mormorandole di fare silenzio, di smetterla, che non c'era bisogno di continuare.

-Ti ho già perdonata da tempo. È tutto finito. Tutto. Anche Mark. Mai più ti farà del male.-

-Mark è stata la mia redenzione. Avevo continuato a convincermi che era quello che mi meritavo.-

-Nessuna donna merita questo Jillian, neanche tu.- l'uomo si portò una mano alla faccia come a scaricare la tensione di quelle ultime ore. Finalmente Mark era stato arrestato a pochi isolati dalla casa di Jillian, ed in più era stato accusato di furto d'auto, aggressione e tentato omicidio, nonché possesso di qualche stupefacente di poco conto. La deposizione di Matt insieme a quella di Jillian gli sarebbero costati così tanti anni che gli sarebbe servito solo un miracolo uscirne in meno di dieci, anche perché fuori avrebbe sempre trovato loro ad attenderlo al minimo passo falso.

-Questo.. è un addio?- Brian affondò nei suoi occhi finché poté, poi il peso fu troppo grande da abbandonarlo.

-Non lo so cosa sarà. So solo che ho qualcuno che mi aspetta oltre quella porta e ha bisogno di me.. ed io di lei.- Jillian annuì, come di coscienza, mentre il forte pizzicore andava a torturarle gli occhi fino a sprofondare sulle guancie violacee. Sentì il sapore tipico di una lacrima scivolarle nelle labbra e così l'assaporò, prima però chiuse gli occhi per evitare di guardarlo.

-Wow... - iniziò con un risolino. -Non ti facevo davvero così maturo, Haner.- rise, eppure stavolta le lacrime divennero scie salate impossibili da fermare e le parole singhiozzi che le impedirono di continuare. Brian strinse le labbra e si alzò a posarle la bocca alla fronte in un bacio casto, abbracciandole il capo con un braccio per fermare il suo sfogo, mentre lei si portava le mani a coprire il viso per la vergogna. Le parole non avrebbero fatto altro che graffiare la loro gola, uscendo con difficoltà, ferendo entrambi come fendenti. Preferirono quindi restare immobili ad ascoltarsi in silenzio: le mani calde, il battito del cuore, i respiri infranti dalla commozione. Non lo sapevano con certezza ma non ci sarebbe mai stato un addio fra di loro, o forse preferivano non dirselo per non sfidare il destino. Cosa importante, che riuscì a colmare i loro cuori dopo anni, fu la sincera disponibilità ad amarsi sempre: ma non ad amarsi come amanti, ma nel senso mutaforme della parola; nell'ascoltarsi, nel difendersi, nel conoscersi e capirsi senza essere costretti a parlarsi. Erano l'uno l'ombra dell'altra, nonostante fosse stata quella la loro paura più grande. Erano come quei legami che anche lontani e senza meta, avrebbero avuto un filo conduttore ad unirli, un sottile filo di cotone, rosso magari, stretto all'anulare nella mano. Non c'era ma si sentiva, si percepiva come un dito intrecciato all'altro e questo rubò loro un sorriso che fu l'epilogo del loro incontro. Non il primo, ma sicuramente più forte di quello fù.



EPILOGO



L'odore di caffè cominciò ad impregnare l'aria della cucina dolcemente, lasciando che i pensieri di Jillian si rilassassero e che venissero interrotti a malapena dallo sbuffo della macchinetta, in quell'ultimo periodo che caratterizzava ormai la fine dell'inverno e si avvicinava all'inizio del nuovo anno. Erano passati ben otto mesi dalla sua completa ripresa: era di nuovo tornata ad uscire con la voglia di riprendere fra le mani la propria vita e risistemare le cose sfuggitele per troppo tempo fra le dita. Da quando tutto era finito non c'era più timore né pensiero che svalutasse la sua autostima; era tornata una ragazza dai complicati gusti letterali, appassionata di giornalismo e thriller in seconda serata. Ogni giorno era quasi come riscoprirsi di nuovo, e il dolce sapore della vita tornava a rinvigorire il suo corpo gioviale e dalle curve ammalianti, e adesso, come grande ritorno, aveva tenuto conto di un monolocale che distava appena un paio di miglia dal precedente, completamente abbandonato anche di tutti i mobili ed effetti personali che l'avevano riguardata da dodici anni a quella parte.

Probabilmente era ancora tutto uguale, nessuno da fuori avrebbe notato l'incredibile cambiamento o forse era anche fin troppo evidente da non rendersene neanche pienamente conto.

Dovette sbrigarsi a spegnere la fiamma del fornetto e a rinsavire dai suoi pensieri quando si accorse che stava combinando uno dei suoi soliti disastri e che oramai andava ripulito tutto.

Non sbuffò, piuttosto mangiucchiò qualche biscotto poi si riempì la tazza di caffè rimasto, allontanandosi solo dopo nell'altra stanza a piedi nudi e scivolando sul pavimento con passi felpati come se stesse danzando, fino al salottino antecedente la stanza da letto.

Aveva pochi effetti personali ricomprati nell'ultimo periodo ma perfettamente riposti, vestiti nuovi e qualche piccolo accessorio distribuito in giro. Tutto quello che ci voleva era una buona scrollata di spalle e la possibilità di cedesi del meritato relax.

Quando l'acqua della doccia cominciò a gettarlesi contro, i capelli ramati le si incollarono alle spalle, costringendola a chiudere gli occhi e a passarsi le dita nel mezzo per districarli appena.

Era il momento perfetto che si dedicava per smettere di pensare, per lasciarsi coccolare da un momento intimo e per tornare a potersi toccare senza la paura di sentire dolore. Era tutto risanato, il suo corpo lo aveva fatto altre centinaia di volte ma il suo animo, quello stava iniziando a ricucirsi da solo, pian piano, con grandi risultati.

Lasciò scivolare via tutto il sapone dal proprio corpo e si coprì con un asciugamano quando ne uscì, sbrinando lo specchio del bagno con il palmo della mano per spiare l'immagine riflessa: era lei, sempre lei. Quella di un tempo e quella di adesso. Quasi si immaginava lì davanti con uno zigomo un po' gonfio e qualche lividura sul braccio e avrebbe voluto carezzarsi, ma poi guardando bene vedeva un'altra sé: la pelle candida, le linee perfette.

Sorrise e osservò la curva delle labbra cincerle il viso prima di dirigersi distrattamente nell'altra stanza, come ogni mattino a ripetere sempre i soliti gesti quotidiani senza accorgersene, tamponando la lunga chioma e spettinandola con le mani.

La sua attenzione si lasciò cogliere dalla rivista Kerrang! con in copertina una composizione piuttosto selvaggia degli Avenged Sevenfold, che erano finalmente tornati in campo musicale con altri scritti da portare in sala di registrazione insieme al nuovo batterista. I ragazzi si erano dati subito da fare con le audizioni ed un certo Arin aveva bussato alla loro porta come bravura e incredibili capacità di improvvisazione nonostante la giovane età. Era ancora una decisione poco condivisa dalla band, ma presto si sarebbero abituati ad una nuova e stabile figura al posto di Jimbo. Serviva andare avanti in questi casi, come aveva fatto lei. All'articolo sulla band della prima pagina come quella di copertina c'era anche il suo nome, come intervistatrice gli avevano concesso una giornata di domande più che contenti e la cosa aveva giovato a tutti nel miglior modo possibile. Finalmente aveva il lavoro che amava e che mai avrebbe sperato di ottenere; fu finalmente un buon inizio che avrebbe accompagnato il resto di ciò che sarebbe stato di lei.

Lo squillo del cellulare partì all'improvviso e Jillian sussultò. Lo schermo del display si illuminava ininterrottamente per svariati secondi, finché non lo afferrò per rispondere ancora un pò assopita dalla dolcezza della doccia.

-Hei Jill, sono Brian. Sei dei nostri anche stasera? Johnny ha perso una scommessa e gli tocca pagare da bere!- Sorrise nell'udire la sua voce, poi tornando a posare lo sguardo sulla rivista sfogliò qualche pagina svogliatamente ascoltando gli altri ridere di sottofondo.

-Ma sì dai, anche perché per stasera ho solo da festeggiare. L'articolo è stato una bomba, ha venduto milioni di copie.-

-Grande! Allora stasera è d'obbligo un brindisi, anche se non avevo dubbi.- Si udì un mormorio compiaciuto e poi lo scoccare di una lingua sotto al palato.

-Già, anche se non ho voglia di ubriacarmi almeno per una volta voglio sentirmi.. sobria.-


Fine


E quindi la parola "Fine", "Epilogo", "Conclusione" hanno fatto capolino e come ogni storia ha smesso di esistere almeno per il momento. Non so, sempre ieri ho continuato a pensare che forse potrei scrivere altri sprazzi della loro vita che vanno ad incatenarsi un pò nel futuro, ma è solo un'idea che al momento non ha avuto accoglienza. Se sono riuscita ad arrivare alla fine devo ringraziare chi mi ha seguita e invogliata sempre di più nonostante il tempo scarseggi e anche l'ispirazione si lasci desiderare, ma non diniego che in cantiere ho qualche altra situazione sicuramente meno tragica di quella che è stata "Sober"; e tornando appunto alla fanfiction, spero che non abbia turbato nessun animo ma mi sono attenuta ad una scelta che di gran lunga avrebbe fatto qualsiasi persona normale, senza ritenere i miei personaggi solo frutto di una storia. Se questo ultimo epilogo invece vi dà l'impressione di averlo già letto da qualche parte non state sbagliando, è in effetti tutto il prologo della storia revisionato per la sua conclusione: così com'è iniziata la storia è finita, o almeno ha fatto un paragone tra il prima e il dopo. Mi auguro di leggere qualche commento da parte di chi è rimasto contento della storia o di chi abbia avuto qualche perplessità, qualcosa da chiarire o da farmi sapere. Grazie a tutti voi per la compagnia e per la passione che ci accomuna a questi cinque ragazzi!


P.S. Nella storia è inteso il nome di Arin per rispettare lo spazio-tempo della realtà.


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2412961