L'Immortale E L'Umano

di Scarlett Carson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Parte Uno. L'umano. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 03 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 04 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 05 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 06 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 07 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 08 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 09 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


L'immortale e L'umano


Fai attenzione a come pensi e a come parli,
perchè può trasformarsi nella profezia della tua vita.”

San Francesco D’Assisi

 

Prologo.
Foresta della Norvegia 1000 A.C.
Un umano particolare.

 

Era una giornata completamente bianca. Ad Ottavia piaceva molto la neve.

Era uscita per la sua passeggiata nel bosco alla ricerca di legna e cibo selvatico, non che le servisse a molto, ma era un ottimo diversivo alla sua solita dieta.

Le piaceva camminare affondando i piedi nella neve tant'è che lo faceva a piedi nudi, per sentire meglio quei pezzi di ghiaccio che sarebbero dovuti risultare freddi e che invece a lei pareva avere la stessa temperatura del suo corpo.

Con il suo cesto, si addentrò nella boscaglia alla ricerca di qualsiasi cosa, anche solo per abbellire la sua casetta sperduta.

Canticchiava a bassa voce, per non farsi sentire da nessuno, anche se le sue orecchie ed il suo naso, non sentivano la presenza di persone da quelle parti.

Con un abito sul turchese, acquistato al mercato rivendendo vari oggetti che trovava nella foresta presi in prestito dai vari criminali che la popolavano, ed una mantella per coprire il viso più che proteggere le sue spalle dal freddo, camminava con sicurezza all'interno della fitta boscaglia.

Dopo qualche tempo passato a girovagare, senza trovare nulla di particolare, udì delle voci. Era sicura che si trattassero di soldati, poté udire chiaramente che inseguivano qualcuno lì nei paraggi. Ed era qualcuno da riportare indietro, quindi, ipotizzò lei, qualcuno di importante che faceva i capricci.

Decise di andare nella direzione in cui sentiva le urla dei soldati di intimare un certo signorino a tornare a casa.

Non udì risposte, da parte del signorino in questione e, istintivamente, si preoccupò. Quel posto era molto frequentato dai malviventi di quelle zone, e pensò potesse essere successo qualcosa a questa persona.

Seguì il suo istinto che la portava sempre alle sue prede, quasi mai sbagliava. Negli anni, lo aveva perfezionato. Aveva scoperto che poteva fare molte cose e soprattutto, oltre che le vecchie abitudini umane non erano necessarie, continuava a farle più per passare il tempo che per bisogno, come mangiare cibo umano, respirare, dormire, scaldarsi, insomma tutte cose che avrebbe fatto da umana.

Si era abituata alle sue nuove condizioni e non rimpiangeva mai quel lontano giorno di 2000 anni fa.

Nessuno le avrebbe dato una simile età, perchè era rimasta esattamente come era prima del rituale: con l'aspetto di una diciannovenne.

All'improvviso sentì delle urla, che non erano quelle dei soldati, erano urla di dolore ed una leggera brezza trasportò fino a lei, l'odore del suo sangue. Non ne aveva mai sentito di così buoni. Temette di assalirlo invece che aiutarlo ma si fece forza e proseguì, sperando che lo trovassero prima i soldati.

Purtroppo per lei, non accadde. Lo trovò, immerso in una pozza di sangue.

“Controllati, Ottavia. Controllati” si disse, e smise di respirare, tanto non ne aveva bisogno, in questo modo era più semplice aiutarlo.

I soldati erano troppo lontani per trovarlo in tempo e si stavano allontanando da lui sempre più.

“Spero che non trovino casa mia” si disse di nuovo.

Si voltò nuovamente verso il ragazzo per vedere meglio. Era coricato in posizione prona, le braccia distese lungo il corpo inermi ed il volto coperto da un ammasso di capelli neri come il carbone.

La ragazza provò a girarlo e si accorse della ferita di una freccia all'altezza dello stomaco.

Non sapendo che fare, se lo caricò in spalla, come un sacco, per portarlo a casa.

Non era grave di per sé la ferita, ma lo sarebbe stata se non fosse stata curata a dovere.

“Dai, resisti ragazzo, non temere andrà tutto bene” gli sussurrò, per fargli capire che si sarebbe salvato.

 

La ragazza, a casa sua, lo curò con erbe medicinali che aveva trovato nel tragitto lungo casa, di cui conosceva le proprietà benefiche lette su vecchi libri.

Lo mise nel suo letto, sotto le coperte per farlo stare al caldo e, dopo tre giorni, dava segni di miglioramento.

Non aveva più dormito e cacciato per quel periodo per prendersi cura di lui.

Quando, un bel giorno di sole, lui decise di svegliarsi.

Si diresse verso la cucina perché aveva sentito dei rumori venire da lì, per ringraziare e capire dove fosse.

Si ritrovò davanti ad una ragazza con lunghi capelli rossi ed un abito azzurro tutto sgualcito.

Ottavia, avvertì la sua presenza e si preparò mentalmente a tutto. Fece per voltarsi e, quando i suoi occhi viola incontrarono i suoi, verdi e splendenti, sentì il suo cuore emettere un unico battito.



Eccomi! Sono tornata, un pò prima del previsto!
L'ho fatto perchè per altri motivi, sono rimasta indietro, ma per non prolungare fino a dopo capodanno la pubblicazione,ho deciso di postare almeno il prologo ;)
Contenti?
Il resto, spero di mantenere la promessa fatta, in caso contrario, sarà rimandata a dopo Natale o Capodanno.
Come avrete potuto notare, è ricominciata da dove si era interrotta ;) ma dal prossimo capitolo, come letto nella trama, ci sarà una sorpresa ;)
eh sì! Ho deciso di dividere la storia in tre parti differenti ;) per dare un senso alla storia. Vi anticipo solo che la storia riprenderà dal punto di vista di Ottavia solo verso la fine, cioè all'ultima parte del libro.
;) Bè vi lascio adesso ;)
Ditemi con un commentino cosa ne dite e secondo voi, quale sorpresa ho in serbo per voi e come si avilupperà questa nuova storia partendo da qui ;) 
Ringrazio anticipatamente, chi leggerà questa storia e chi la commenterà :)
Bè, alla prossima, 
Kiss KIss
Shana ;)
P.s.: vi piace l'immagine che ho scelto come copertina? Ho creata facendo un collage di altre immagini trovate su internet, ci tenevo a farvela vedere perchè rappresenta questo libro in tutto e per tutto ;) 

 

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Capitolo 2
*** Parte Uno. L'umano. ***


Parte prima . L'umano.

 

 

Capitolo 01. Brutte notizie

 

“Non posso credere che lo abbiate fatto davvero!” dissi, molto arrabbiato con chi credevo di potermi fidare davvero.

“Mi dispiace, figliolo, ma non c'è stata scelta e poi quella ragazza ha un'ottima dote” disse mio padre per giustificarsi, ma per per poteva avere tutto l'oro di questo mondo, non mi sarebbe mai andata bene.

Sono figlio di una prestigiosa famiglia, peccato che abbiano scelto già il mio destino. E a me non stava affatto bene. La vita da sposato non faceva per me.

La mia famiglia aveva guadagnato fama e rispetto da tutti i nostri compaesani, molti anni fa, quando mio nonno, iniziò a vendere, per denaro che gli sarebbe servito a dare l'educazione a mio padre e una vita agiata, la verdura e la frutta del suo campo.

Adesso il suo lavoro lo fanno altri al posto nostro e noi siamo diventati ricchi e potenti grazie a lui.

Mio nonno, purtroppo era deceduto per malattia circa due anni fa, e i soldi iniziavano a scarseggiare perchè mio padre era capace solo a spenderli tutti per se stesso, arrivando a non pagare i suoi lavoranti. Quindi, il fardello sarebbe passato a me sposandomi con una ragazza più piccola di me e ricca sfondata, per assicurare l'attività di mio padre e i soldi per soddisfare i suoi capricci.

Fosse stata bella non mi sarebbe dispiaciuto, ma non era così.

Avevo saputo questa notizia da mia madre, ormai perennemente affumicata dai fumi dell'alcol: mio padre la tradiva con ragazzine della mia età e lei, una volta scoperto, lo aveva tradito con litri e litri di brandy.

Io non mi ritenevo migliore di mio padre, anzi ero forse anche peggio: siccome ero considerato uno scapolo d'oro e dei più belli in paese, ero desiderato da molte ragazze, io non facevo altro che far avverare tutti i loro desideri più intimi e segreti.

Sapevano che ero ricco e quindi ero desiderato anche per quello, lo sapevo bene, ma non mi importava: mi piaceva divertirmi e non avrei smesso. Avrei continuato a farlo anche da sposato. Anche la ragazza, con cui mio padre ha combinato le mie nozze imminenti, mi desiderava ma era orrenda: era fin troppo in carne, stupida e pure viziata. Mangiava fino a scoppiare, lo sapevo perchè eravamo andati a cena da loro perchè suo padre era amico intimo con il mio e, per favore, siamo andati.

All'inizio credevo di poter fare come con tutte le altre ed invece, per una volta, volevo scappare da una donna. Poi, non è nemmeno una donna, ancora, ha solo quindici anni! Io ne ho venti, per questo sono considerato scapolo.

Secondo mio padre, ero già fin troppo vecchio per sposarmi, mi sarei dovuto sbrigare a mettere su famiglia e prendere le redini dell'attività di mio padre.

Non ne ero particolarmente entusiasta, ne tanto meno pronto per una simile responsabilità.

“Non mi interessa se ha un'ottima dote per te, perchè la dote interessa solo a te, ma io quella non la voglio sposare!” dissi, alzando la voce di molto affinché tutti mi sentissero.

“Devi prenderti le tue responsabilità, Cameron!” disse, capì che era arrabbiato quando pronunciò il mio nome per esteso. In genere, tutti mi chiamavano semplicemente Cam.

Peccato che da anni non mi interessava più di tanto di quello che mi diceva, anche perchè non è stato un ottimo esempio come capo famiglia, mia madre era un'altra conseguenza.

“Quali? Devo gestire i tuoi affari o le puttane che ti porti a casa?” anche io ero molto arrabbiato, ma non ne valeva la pena, presi e me ne andai fuori dal suo studio sbattendo la porta molto rumorosamente.

“Cameron torna subito qui!” sentì che sbraitava, ma feci finta di non udirlo.

“Signorino Cam tutto a posto?” disse la donna delle pulizie.

“Sì tutto a posto. Esco un pò” dissi.

Erika era la nostra donna delle pulizie da quando ero in fasce, mi aveva cresciuto praticamente lei e glielo dovevo. Era l'unica donna per cui nutrivo sentimenti sinceri e avevo grande stima di lei. La consideravo la mia vera madre, non perchè non amassi la mia, ma semplicemente perchè, quando ne avevo più bisogno, lei non c'era mai.

“Faccia attenzione, signorino” mi disse con un voce preoccupata.

Lei sapeva tutto quello che facevo, mi fidavo a dirle tutto perchè sapevo che non avrebbe mai fiatato né con mio padre né con quell'ubriaca di mia madre.

E sapeva anche dove stavo andando, adesso.

Avevo un gruppo di amici, con cui mi trovavo spesso alla locanda, tutti figli dei nostri dipendenti, per fare una cosa sola: ubriacarci fino a che non trovavamo donne disponibili, anche più grandi di noi.

Non ci importava quanti anni avessero, a noi importava solo che non fossero delle pezzenti per un semplice motivo: perchè erano sporche sempre di fango e non era molto gradevole realizzare le proprie fantasie.

Potevano essere anche bellissime ma, dalle nostre parti, giudicano chi sei in base ai vestiti che indossi.

Giunsi alla locanda e li vidi al nostro solito tavolo. Andai verso di loro con aria più sollevata, ero contento di vederli. Erano gli unici che mi capivano e che mi avrebbero sostenuto. Avevano la mia stessa età tutti e tre e, anche loro, erano tra gli scapoli più ambiti del paese.

“Ehi, Cam, come mai qui? Ti aspettavamo dopo cena” disse Alexandro, aveva i capelli color del bronzo e gli occhi dello stesso colore del terreno.

“Lasciate stare, sono qui per affondare i miei dispiaceri in alcol e donne” dissi.

“Ah adesso sì che ragioniamo” disse Rik. Lui era l'esperto di donne, sapeva come riconoscere i pesci grossi dell'alta società che erano disponibili ad incontrarci in situazioni molto più che intime senza farsi troppi problemi. Lui era entrato da poco nel gruppo ma si era rivelato un amico fantastico, media statura con capelli color dell'oro e occhi azzurri come il cielo limpido.

“Un boccale di birra per tutti, vado a dirlo al proprietario” disse Elia il più basso ma il più vivace come personalità, capelli rossi ed occhi color pece. Era, tra di noi, quello che beveva di più in assoluto ma era sempre molto lucido, soprattutto quando era a letto con una donna.

“Non tornare già ubriaco” disse, per scherzare Rik.

Non aveva tutti i torti: Elia aveva davvero il coraggio di farlo.

Ero davvero contento di avere loro come amici. Non li avrei mai sostituiti con nessuno, nemmeno con la mia teorica futura moglie.

Intanto, mi passai la mano destra tirando indietro i miei capelli neri di media lunghezza, come segno di stanchezza. Avevo le maniche della mia veste blu notte tirate su fino al gomito, per sembrare più sbarazzino e meno elegante, nel farlo Alex notò il mio tatuaggio di famiglia. Era un crocifisso, rappresentava lo stemma della mia famiglia fatto in modo semplice, lo stesso lo aveva anche mio padre. Me lo fece incidere quando aveva raggiunto la pubertà e, con essa, l'età per diventare capo della sua attività e padre a mia volta.

“Non lo avevo mai notato” mi disse solo.

“Semplicemente lo nascondevo bene” dissi io, ed era vero. All'inizio mi faceva sentire importante, ma da qualche tempo, era diventato più un peso.

“Non ne vai fiero?” mi chiese.

“Negli ultimi anni, no” risposi.

Intanto, era arrivato Elia, scortato da Rik, perchè temeva che si sarebbe bevuto tutta la birra da solo, con quattro boccali colmi di alcol.

Ne prendemmo una ciascuno e facemmo un bel brindisi alla nostra amicizia, all'alcol e, ovviamente, alle belle donne.

“Allora, Cam” disse Alex dopo il primo sorso, “come mai sei qui e non sei a casa a cenare con la tua famiglia?” disse, ridendo.

“Perchè ho discusso seriamente con mio padre” dissi, cupo al ricordo e sorseggiando altra birra, per offuscare meglio i miei pensieri.

“Wow” disse Elia “a che proposito?”

“Le mie imminenti nozze” dissi, marcando la parola nozze, con un tono molto shoccato.

“Cosa?” dissero in coro tutti loro, con un mezzo sorriso pensando che stessi scherzando, ma gli feci subito intendere che non era così.

“Non ci posso credere” disse Rik, “e chi sarebbe la fortunata?”

“Emily De Roquet” dissi ancora più terrorizzato al pensiero di dover far sesso con lei per avere un legittimo erede.

“Aspetta, non ti riferirai a quella porcella, obesa senza il minimo fascino, vero?” disse Alex.

“Sì, proprio a lei. Mio padre ha fatto tutto”.

“Oh cavolo, sei in seri guai, amico” disse Elia che, nel frattempo, aveva ordinato per sé, un secondo boccale e lo stavo per fare anche io.

“Adesso sì che capiamo perchè vuoi bere così tanto stasera, ma che ne dici di toglierti dalla mente il viso di Emily e sostituirlo con una ragazza più bella di lei? Almeno per stasera, giusto per svagarti un po'” disse Elia.

“Sai che ti dico”, iniziai pensando che, effettivamente, quella sera non volevo tornare a casa a vedere mio padre fare la stessa cosa che stavo per fare io, “non è affatto una cattiva idea” dissi, formando un sorriso di compiacimento.

“Sì, stasera Cam si diverte e dimenticherà questa brutta giornata e la sua orrenda futura sposa” disse Rik sollevando i calici e facendo un ulteriore brindisi.

“A Cam” iniziò Elia “l'eterno scapolo d'oro” aggiunse Alex, e quella definizione mi stava davvero a pennello, oltre che ad eccitarmi sempre più. E la nostra serata iniziò proprio in quella locanda che, di lì a poco, si sarebbe trasformato in un vero bordello.





Eccomi, dopo un momento di titubanza, ho deciso di pubbliare il primo vero capitolo ;) 
Come avete notato, personaggio nuovo, stile di vita nuovo  e fatti diversi ;)
Che ne dite di questo cambio? :) per il momento i ruoli si ribalteranno ;) ogni cosa a suo tempo. Questa è la prima parte, dove si parla appunto di lui, un essere umano con la sua vita, voi direte "ma questo mo che c'entra?" e io vi rispondo ongi cosa a suo tempo ;)
Dopo un dialogo con un recensore, mi è stato detto che l'immagine in prima pagina non si vede, mi dispiace di questo, ma non sapevo come fare :( 
I'm so sorry :,(
By the way, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ditemi, secondo voi, le vostre impressioni su questo personaggio ;) commentate in tanti, ci tengo davvero ;) a tutte le critiche ;)
Rintrazio chi ha letto e recensito lo scorso capitolo e chi già l'ha messa tra le preferite e chi tra le seguite, e a chi mi ha aggiunta tra gli autori preferiti ;) Thank You so Much!! ;)
Spero di poter postare il prossimo capitolo prima della fine dell'anno ;) 
Alla prossima
Kiss KIss
Shana ;)
Ps: titolo del prossimo capitolo : Emily, la futura sposa
sono curiosa di sapere che cosa credete possa succedere xD

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Capitolo 3
*** Capitolo 02 ***


 

Capitolo 02. Emily, la futura sposa

 

Il ricordo di quella sera era offuscato letteralmente dai vari boccali di birra presi nell'arco della serata. Quello che ricordavo di più era la festa che c'era stata, il banchetto e poi l'alcol e poi... le donne. Tutte bellissime, con curve che facevano girare la testa più della birra. Arrivate loro, gli altri ragazzi non li ho più visti ma potevo capire il motivo.

Tre ragazze mi condussero in una stanza privata dove, con loro, riuscì a dimenticare il volto di Emily e la lite con mio padre. Era incredibile di come quanto poco bastasse per tornare sereni!

La loro pelle candida e calda mi aveva fatto stare meglio, le loro carezze e le loro labbra mi avevano ricordato che ero un uomo in cerca di bramosia, ed avevo posseduto tutti i loro corpi. Non mi importava che età avessero e, a quanto pareva, nemmeno a loro importava della mia, ma ci stava bene così. Cosa avevamo fatto in quella stanza, in quel momento, nessuno lo avrebbe mai saputo, di conseguenza, non mi preoccupavo di nulla.

Il mattino mi alzai in una stanza completamente a soqquadro, ricordai subito dove mi trovassi: alla locanda.

Ero da solo, significava che mi avevano lasciato smaltire tutta la birra bevuta completamente svestito in quella stanza.

Mi ricomposi e scesi al pian terreno, dove trovai anche gli altri, non messi meglio di me.

Li trovai tutti seduti allo stesso tavolino occupato solo il giorno prima con, al posto della birra, con cibo e bevande per fare colazione.

Mi unii a loro tanto per sapere come se l'erano spassata.

“Ehi Cam” disse Alex con tono ancora assonato, come tutti gli altri. Ero l'unico che si era ripreso completamente?

“Ehi ragazzi, vi vedo distrutti che avete combinato?” dissi per buttarla sul ridere.

“Cosa abbiamo combinato? Elia ha avuto la grande idea di fare un'orgia. Siamo distrutti con dieci ragazze solo per noi tre, e tu dove eri sparito?” disse Alex, bè almeno erano felici.

“Io sono stato assalito da tre ragazze che mi hanno condotto un una stanza. Non ricordo molto, ma posso dire con certezza che era piacevole”.

“Eh beato te” dissero sospirando.

Dopo aver terminato la loro colazione, ci dirigemmo verso casa, ognuno verso la propria vita quotidiana. Anche a me attendeva la mia, e non so cosa sarebbe successo al mio rientro.

Entrai quasi di soppiatto sperando di raggiungere la mia camera per darmi una riordinata prima di incontrare qualsiasi persona.

Feci in tempo a salire le scale che vidi Erika incitarmi a fare silenzio e a raggiungerla.

“Erika, che succede? Come facevi a...” non finì in tempo la frase che mi fece gesto di fare silenzio.

“Non c'è tempo signorino” sussurrò per non svegliare la casa “deve sbrigarsi suo padre ha organizzato un appuntamento con lei e la signorina Emily. Deve essere presentabile. Le ho preparato un bagno, vada in camera sua” mi disse, ed eseguì gli ordini che mi impartì.

Non potevo credere che avesse ancora peggiorato la situazione! Credevo di essere stato eloquente ieri sera, ed invece stava facendo tutto per i suoi comodi. Non potevo pensare che avrei passato del tempo non solo con i miei genitori, ma anche con Emily ed i suoi genitori! No, no, no era troppo per me. Dovevo evitare quella follia.

Non avevo nulla contro Emily era solo il suo aspetto ed i suoi modi di fare che mi inquietavano. Non sarei mai stato capace di sfiorarla con un solo dito.

Avrei potuto supplicare Emily di convincere suo padre, coi miei bellissimi occhi verdi – una rarità nel mio paese – a lasciare perdere tutto e a concedere a papà un prestito, quello di cui aveva realmente bisogno.

La mia prestanza fisica e il mio aspetto, avrebbero solo contribuito, non doveva essere poi così difficile, almeno per uno come me.

Il mio aspetto esteriore, lo dovevo a mio nonno: all'età di venti anni era già sposato e già aveva il suo erede, mio padre, coi suoi occhi verdi, il suo metro e novanta e la sua forma fisica pressoché perfetta, avevano aiutato a far abboccare una ricca donna. Così aveva potuto ampliare la sua attività commerciale.

Perchè non me la potevo scegliere visto che c'ero? Potevo prenderne una ricca e bellissima e far contento mio padre per il lato economico, ed invece, aveva scelto lui una ricca ma racchia.

Mentre ero immerso nell'acqua calda, pensavo alla piacevole serata passata ed alla spiacevole giornata che mi attendeva, anche peggio della precedente saputa la notizia.

Mi asciugai e scelsi i vestiti più eleganti che avevo: per la mia missione dovevo sfoggiare il miglior lato di me.

Misi il completo nero che mi dava un'aria seria ed adulta, sistemai i miei capelli ed ero pronto.

Scesi le scale, facendo finta di essere pronto a quello che mi attendeva.

Al fondo della gradinata, mi aspettava Erika che, a voce alta, disse: “Buongiorno signorino Cam. Avete dormito bene? La colazione vi attende e suo padre ha una comunicazione per voi” disse, per farsi sentire fino alla sala da pranzo.

“Grazie, vado subito” dissi, adeguandomi al tono e stando al gioco, poi, con voce più bassa aggiunsi, “qualcuno si è accorto della mia assenza?”

“No, per fortuna” disse, come a rimproverarmi che non avrei più dovuto farlo.

Sentivo, dentro di me, che non potevo promettere una cosa simile.

Comunque, me lo immaginavo che, né mio padre né tanto meno mia madre, si sarebbero accorti che mancavo da casa da tutta la notte.

Oltrepassai, dopo un profondo respiro, la soglia che divideva l'ingresso dalla sala da pranzo.

“Buongiorno, Cam” disse mia madre in tono dolce. Per una volta, aveva deciso di non bere ma avrebbe resistito tutto il giorno senza?

Mi incamminai e presi posto a sedere vicino al capotavola, cioè a mio padre.

“Buongiorno a voi, madre” dissi una volta accomodatomi a tavola.

Per fortuna, aveva preso la saggia decisione di non fare colazione con gli altri. Cercai, comunque, di sforzarmi a mangiare anche se non avevo più appetito da un pezzo.

“Allora, Cam” disse mio padre, e da come disse il mio nome dedussi che non era più arrabbiato, mi chiedevo di chi fosse il merito del suo attuale buon umore.

Non volli né saperlo né immaginarlo.

“Sai cosa devi fare oggi, vero?” mi disse. Sapeva che Erika aveva già provveduto ad informarmi di ciò.

“Sì, padre. Hai organizzato il nostro primo appuntamento” dissi, cercando di sembrare il più calmo possibile.

“Esatto, cerca di essere un bravo gentiluomo come ti è stato insegnato” disse.

“Certo, padre” dissi, ci tenevo comunque a fare bella figura davanti a degli ospiti anche se non erano particolarmente desiderati dal sottoscritto, ma non avevo scelta.

Tanto valeva rassegnarsi, almeno per quel giorno, e cercare di essere gentili, educati e ospitali. Ecco perchè mia madre non aveva ancora toccato un goccio di brandy, ma solo del buon tè ai fiori, preparato dalla nostra cucina.

Anche io bevevo del tè, ma per far passare ancora i postumi della sera precedente.

“Per che ora arriveranno?” chiesi, almeno quell'informazione me la doveva.

“Per l'ora di pranzo, gli accoglieremo nella sala da tè e poi ci sposteremo qui per mangiare, poi faremo una passeggiata attorno ai giardini e poi torneremo qui a prendere il tè” disse, aveva organizzato tutto, come sempre, nei minimi dettagli.

Avevo ancora un paio d'ore di tempo per cercare un modo per non insultare Emily in tutti i modi possibili e non scoppiare a ridere non appena l'avessi vista.

Andai verso la biblioteca, una delle mie stanze preferite in tutta la casa.

Mi sedetti su una poltrona e, dopo aver preso un libro dal tavolo lì di fronte, iniziai a leggere.

Quel libro in particolare, insegnava a come mantenere la calma nelle situazioni più difficili sembrando un vero gentiluomo. Quel libro era vecchio quanto me, infatti tutto quello che sapevo, lo aveva imparato da quel libro.

Lo tenevo come una reliquia preziosa.

In genere lo leggevo con piacere, ma quella volta non era facile e posai lo sguardo fuori dalla finestrella. Notai che il sole era sparito ed il cielo si era ricoperto di nuvole grigio chiaro, non erano minacciose ma, si preannunciava una bella nevicata di lì a qualche giorno.

Mi piaceva vederla scendere, dava un senso di calma a tutti i miei sensi che io stesso non avrei mai saputo spiegare. Ormai era inverno e tutti ci saremmo dovuti preparare al freddo pungente che avrebbe fatto per lunghi mesi.

La mia finestra affacciava sul giardino dove, quel pomeriggio, avrei passeggiato non solo con Emily ma anche con la mia e la sua famiglia alle costole.

Ancora più in là, che faceva da sfondo a tutto il paesaggio incorniciato dalla mia finestra, la foresta.

Nessuno aveva mai osato addentrarsi lì, giravano delle voci piuttosto inquietanti, una delle quali era la più fondata, ospitava un sacco di criminali che, in questo periodo dell'anno, uscivano allo scoperto per rubare tutte le nostre provviste e tutti gli oggetti di valore che trovavano.

La mia famiglia e quella di Emily, si mobilitava ogni anno per fermare quei disgraziati. Un giorno li avremmo presi e dato loro la giusta punizione.

L'altra voce che girava sulla foresta era che lì, viveva un eremita che, una volta ogni tanto, si faceva vedere qui in paese; nessuno sapeva dire chi fosse, se era uomo o donna o se era pericolosa o no, ma si sapeva solo che la stessa persona era residente in quella foresta da molti, anzi, moltissimi anni, si parla addirittura di millenni. Alcuni dicono anche che si aggiri sempre con un mantello color marrone scuro e sempre con il cappuccio calato in testa. A questa cosa quasi nessuno credeva più. Chi può vivere tanto a lungo? La persona più anziana del villaggio aveva solo cinquant'anni.

Magari, prima o poi, avrei verificato di persona la veridicità di queste voci, solo per avere poi la soddisfazione di dire a tutti che non esisteva nessun eremita e che i criminali erano stati depennati per sempre. Sulla seconda ci speravo sempre che accadesse, anno in anno, da quando ne avevo solo dieci se ne parlava già. Era ora si smetterla.

Sulla prima, invece, sapevo che era una perdita di tempo, ma era solo per rendere più tranquillo tutto il paese.

Erika mi distrasse da quei pensieri e mi riportò alla crudele realtà: era venuta ad annunciarmi che, a breve, sarebbero arrivati i De Roquet.

Con malavoglia, mi alzai e mi diressi alla sala da tè.

Presi un profondo respiro prima di varcare la soglia, sapevo che erano già arrivati dalle innumerevoli voci che si sentivano dalla stanza. Aprì la porta lentamente e, cercando di sembrare calmo e entusiasta, senza esagerare, salutai i presenti.

“Buongiorno signori De Roquet. Perdonate il mio ritardo mi ero soffermato in biblioteca a leggere alcuni libri che mi hanno incantato” dissi.

“Oh, tu sei Cameron Mork. Sei davvero cresciuto ragazzo” mi disse il signor De Roquet e ci stringemmo la mano in segno di amicizia.

“Che piacere vederti dopo così tanto tempo” mi disse la signora De Roquet e capì da chi avesse preso Emily, anzi era anche peggio della figlia.

Con la nausea e malavoglia, mi diressi a salutarla col baciamano; se una donna non veniva salutata così, non solo si offendeva ma tu venivi etichettato come un grande maleducato.

Quindi, afferrai la sua mano e, poggia le mie labbra sulla sua mano, per fortuna c'era il guanto a creare una barriera tra la sua pelle e le mie labbra.

Alle sue spalle c'era colei che mi metteva più paura di quei criminali che vivevano nella foresta: Emily De Roquet.

“Vorremmo presentarti nostra figlia” disse il signor De Roquet, “Emily, lui è Cameron Mork” disse, presentandoci.

“Molto onorata, Cameron” disse lei, ma la voce era molto melodiosa, scommetto che cantava molto bene; avevo trovato un pregio, incredibile!

“L'onore è mio, Emily” dissi, con voce calda e suadente, per compararla alla sua, e mi apprestai a salutarla con il baciamano. Grazie al cielo, anche lei portava i guanti, bianchi e di pizzo.

Da allora, avrei cercato un modo per ascoltarla senza guardarla troppo: la sua voce tradiva, ingannava un uomo credendo di avere accanto un fiore bellissimo. Mi sarei aggrappato a quello, con tutte le mie forze.



Salve a tutti ;)
Ho postato il secondo capitolo, mentre io mi sto dedicando alla stesura del nono. xD non sono molto più avanti alla fine.
Sperabvo di finire questa prima parte prima della fine dell'anno ;)
Allora, come vi pare questa Emily e la sua famiglia? E dell'atteggiamento del nostro protagonista?
Che credete combinerà nel prossimo capitolo dal titolo "Il Primo Appuntamento"? xD
Ringrazio chi ha recensito gli scorsi capitoli e chi legge solo, che mi piacerebbe mi lasciasse anche solo un breve commentino per farmi sapere cosa ne pensa ;)
Grazie anche a chi ha già messo la storia tra le preferite e chi tra le seguite ;) e chi continua ad aggiungersi nella storia precedente a questa "La Ragazza ed Il Principe d'Egitto" grazie a tutti ;)
Spero che questa storia possia piacere sempre più, man mano che andremo avanti ;) 
Ora vi lascio, non pubblicherò finchè non avrò finito il nono capitolo ;) dove accadranno un pò di cose, ma non anticipo nulla ;)
Alla prossima
Kiss Kiss
Shana ;)

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Capitolo 4
*** Capitolo 03 ***


Capitolo 03. Il primo appuntamento

 

“Prego, da questa parte” disse mio padre, facendo strada verso la sala da pranzo, già imbandita.

Mio padre si sedette a capotavola e, alla sua destra, si mise mia madre ed accanto a lei la madre di Emily; io presi il mio posto accanto a mio padre e fui subito seguito dal padre di Emily e lei si mise accanto a sua madre.

Questa disposizione mi piaceva. Ero lontano da lei, anche se ce l'avevo praticamente di fronte.

“Allora, Cameron” disse il padre di Emily “stai per prendere le redini dell'attività di tuo padre, che farai?”

Quella domanda non me l'aspettavo.

“A dire il vero, speravo di poter continuare a fare quello che ha fatto lui, né più né meno”.

“Saggia decisione, figliolo” disse mio padre, incredibile quanto sapeva essere accondiscendente quando voleva.

“Hai dei passatempi?” mi disse, all'improvviso, sua madre.

Non potevo dirgli i miei veri passatempi, non davanti a loro almeno, ma non mi andava di mentire.

“Mi piace leggere, signora De Roquet, infatti prima ero nella biblioteca di famiglia nell'attesa che arrivaste” dissi, sospirando per essermela cavata con così poco.

La madre di Emily, notai, mi guardava con uno sguardo che, in una donna, avevo già visto: molto malizioso da parte sua, ma cercai di non dare a vedere che lo avevo notato. Cercai, piuttosto, di concentrarmi sul cibo che veniva servito e sugli argomenti su cui discutevano i due signori accanto a me.

Parlavano di attività, lavoro, affari insomma. Argomento solito tra uomini e non me ne stupì.

Quando arrivò il cibo, si parlò a parlare delle pietanze servite e dei gusti personali riguardo alla selvaggina.

Scoprì che il padre di Emily andava spesso a caccia nella foresta e mi chiesi se avesse visto qualcuno o qualcosa.

Non resistetti a chiedere.

“Domando scusa per l'intrusione nel vostro discorso” dissi educatamente, “ma sentivo che andate spesso nella foresta a caccia, mi chiedevo se le voci che circolano su essa sono fondate” dissi, alla fine, tutto d'un fiato, attendendo la risposta.

“Posso dirti, ragazzo, che in parte sono vere. I criminali li ho visti di persona e ho rischiato la pelle, ma per fortuna avevo la mia strumentazione da caccia e me la sono cavata bene. Riguardo all'altra, c'è ancora molto mistero” disse.

“Volevo chiedere perchè appunto, sull'esistenza dell'eremita ho seri dubbi che esista” dissi.

“Io so che esiste” aveva detto Emily, che fino a quel momento, era stata in silenzio.

“Come lo sai?” dissi, per capire da dove venisse tanta sicurezza in quell'affermazione.

Non volevo ridere di lei, volevo prima ascoltare le sue motivazioni: avrà avuto senz'altro i suoi buoni motivi per affermare la sua teoria.

Nel suo abito color verde, come i miei occhi e come la vegetazione che circondava il nostro bel paese, iniziò a sembrare minuscola e capì che si pentì di averlo detto ad alta voce.

“Ho le mie buone ragioni, Cameron” disse.

“D'accordo, mi scuso per essere stato così invadente” dissi. Caso mai fossimo rimasti soli, glielo avrei richiesto, magari non voleva dirlo davanti a suo padre.

La capì, in fondo, quante cose tacevo anche io ai miei stessi genitori!

“Non ti preoccupare” disse, allargando un sorriso, semplice e puro.

Iniziai a pensare di averla giudicata male; sono stato un stupido a giudicarla solo dall'aspetto esteriore. Sono stato colpito dall'aspetto esteriore che non avevo mai visto dentro di lei.

Non volevo sposarla lo stesso, dopotutto, ma il motivo era cambiato: io non la meritavo, non l'opposto, come credevo. Meritava qualcuno che la apprezzasse di più di quanto avrei potuto fare io.

Da quel momento, mi parve di comportarmi molto più naturalmente, sia nei confronti dei nostri ospiti, sia con i miei stessi genitori. Quella giornata era quello che sempre cercavo, il rapporto che avrei sempre voluto si formasse tra me e i miei genitori. Peccato che sarebbe durato poco.

Alla fine del pasto, come da programma, ci dirigemmo verso l'ingresso per prepararci a fare una passeggiata nei giardini. Era stata programmata apposta affinché io ed Emily sviluppassimo un certo tipo di rapporto ma anche per conoscerci meglio.

Infatti, io e lei, ci ritrovammo davanti rispetto ai nostri genitori, e parlano insieme, mi accorsi che avevamo molte cose in comune.

A lei piaceva tutto quello che piaceva a me, o quasi, adorava leggere e camminare per la vegetazione, amava vestire elegante ma semplice.

In quel momento, indossava uno scialle che utilizzava anche per ripararsi il capo, “non amo molto il freddo, e l'aria gelida mi fa venire spesso un terribile mal di testa” mi aveva detto. Guardandola meglio, non era poi così grassa come mi era parso di vederla, ma va anche detto che l'ultima volta che l'avevo incontrata era molto tempo prima: lei era ancora una bambina, io mi stavo sviluppando e mi affacciavo al mondo del divertimento e delle donne.

Lei aveva un fisico importante ma non troppo, aveva le curve nei punti giusti, il suo vestito le metteva ben in evidenza, aveva il viso tondeggiante ma nel complesso era molto carina, davvero. Gli occhi color nocciola erano molto espressivi e a aveva un bellissimo sorriso, i capelli corvini le incorniciavano il viso raccolti sotto al velo che portava, dello stesso colore del vestito ma molto più trasparente.

Mi aveva dato prova di essere molto intelligente, mi aveva spiegato molte cose riguardo a quello che faceva lei e la sua famiglia. Aveva capito che amava la casa e ancor di più prendersene cura di persona, come sua madre, le piaceva prendere i fiori dal giardino e metterli per casa, per renderla sempre fresca e profumata.

Le piaceva l'ordine, come anche a me, anche se nessuno lo avrebbe detto mai.

Siccome il terreno era piuttosto fangoso, per evitare che inciampasse e si sporcasse il vestito, le offrì il braccio per assicurarmi che non accadesse, lei arrossendo, mise il suo braccio sotto al mio. La sua mano, piccola e magra, si appoggiò sul mio braccio, senza stringere troppo, con una presa molto delicata.

Non sapevo cosa ne pensassero i nostri genitori alle nostre spalle, ma sperai che i De Roquet apprezzassero il gesto.

“Allora, Cameron” disse lei, con voce sottile.

“Oh, per favore, chiamami solo Cam, preferisco” dissi.

“Oh, va bene, Cam” disse, accontentandomi “sei cambiato molto dall'ultima volta che ti ho visto, sei diventato altissimo” disse, guardandomi dal basso; lei non era altissima ma almeno non mi arrivava alla cintura. Mi arrivava all'altezza del petto e io, col il braccio che le avevo offerto, le toccavo quasi il seno.

“Sì, l'altezza l'ho preso da mio padre e lui da mio nonno” dissi, ne andavo fiero: ero uno tra i più alti in paese.

“Devi esserne molto fiero allora”

“Sì molto” dissi, aveva colto nel segno.

“Ascolta” disse, stavolta più malinconica e mi chiesi cosa le era preso così all'improvviso. “Vorresti davvero prendere il posto di tuo padre? A pranzo non mi sembravi così convinto” disse, era molto più attenta di quanto immaginassi. Sperai che se ne fosse accorta solo lei.

“Si notava così tanto?” chiesi.

“No, credo di essermene accorta solo io, tranquillo” disse, con sorriso triste.

“In effetti, non credo di essere adatto a questo. Mi piace la nostra attività di famiglia ma non sono sicuro che con me continuerebbe ad andare bene. Sono troppo inesperto, purtroppo” dissi, ed era vero.

Non mi sentivo per nulla pronto a quello che mio padre mi stava per lasciare. Non essendoci mai, non aiutandolo mai, non sapevo nemmeno come gestire il tutto. Comunque, non volevo che finisse con mio padre: prima o poi avrei trovato qualcuno che la potesse gestire al posto mio. Come un erede. Forse mio padre lo aveva capito prima di me: voleva farmi sposare adesso di modo che avessi un erede e lui un nipote da istruire per quel lavoro, che io non avrei mai saputo gestire da solo.

A quel punto mi chiedevo se ero l'ultimo a capire quello che davvero stava accanendo quel giorno o anche Emily ne era del tutto ignara. Lei sapeva che, alla fine di questo, ci saremmo dovuti sposare? Era d'accordo su questa decisione presa senza il nostro consenso?

“Scusa, mi rendo conto di essere stata poco delicata nei tuoi confronti, cambiamo argomento ti va?” mi disse, dolcemente.

“Sì, ti ringrazio, Emily” dissi, e per la prima volta, la chiamai per nome.

“Grazie” mi sussurrò e capì a cosa si riferisse.

Decisi di cogliere l'attimo e di chiederle come mai era certa dell'esistenza dell'eremita.

“Vedi” iniziò a dire “mi ha salvato la vita”. Cosa? Allora esisteva sul serio?

“E come è successo?”

“Mi sono addentrata troppo nella foresta per la mia passeggiata quotidiana, qualche giorno fa” cominciò a raccontarmi.

“In genere, cerco sempre di stare il più vicino possibile al paese e di non andare troppo oltre. Arrivo fino ad un certo punto e poi torno indietro. Insomma cerco di stare sempre tra la foresta ed il paese. Quella volta non andò così” disse, e con un gesto del capo le chiesi di continuare.

“Fui attirata da qualcosa, seppur fosse giorno, mi sembrava di aver visto delle ombre muoversi e, pensando fosse qualcuno che si fosse perso, le andai incontro. Mi ritrovai faccia a faccia con i criminali che abitano la foresta. Non mi ero resa conto di averli seguiti così a lungo.”

“E poi? Cosa è accaduto?” dissi io, ormai spinto dalla curiosità, sempre più determinato a vedere quei mostri lontano da qui.

“Accade che mi scoprirono e avevano preso la decisione di derubarmi e uccidermi. Non avevo vie di fuga: avevo provato a scappare ma loro furono più veloci e mi circondarono. In quel momento credetti davvero che non avrei più rivisto i miei genitori o l'alba di un nuovo giorno” disse con una nota di tristezza.

“Credetti davvero tutto questo e si sarebbe realizzato se una strana figura non fosse arrivata all'improvviso in mio soccorso”.

“E che aspetto aveva?” forse c'eravamo quasi, esisteva allora quest'eremita? Ma chi era davvero? Doveva essere molto vecchio visto che è qui da molto, molto tempo, no?

“Non saprei dirtelo con certezza. L'ho vista di spalle, si è frapposta tra me e i criminali. Aveva un mantello marrone con tanto di cappuccio, lungo fino ai piedi. Dal corpo, potrei dirti con certezza che è una donna, ma non l'ho vista mai in viso: aveva il cappuccio calato fino agli occhi, ma non era poi così vecchia. Comunque, credo proprio che sia lei la misteriosa eremita”.

“Dal suo arrivo, che è successo poi?” chiesi, ma qualcosa non mi tornava.

Se era qui da anni, come mai nessuno l'aveva mai vista? Anche solo come era capitato ad Emily? Molti erano entrati nella foresta e mai tornati, non ha aiutato anche loro? Forse non si trovava nei paraggi, mi dissi, in conclusione.

“Con una velocità ed una tecnica di combattimento che non avevo mai visto” continuò lei “batté tutti i suoi avversari, che erano circa una ventina in pochissimo tempo. Non me ne sono nemmeno resa conto di quello che faceva, era incredibile!” né parlo quasi come se la stesse elogiando.

“Dopo averli storditi, venne verso di me, ed io credetti avesse fatto lo stesso con me, ma poi mi porse la mano. Gliela presi ed era fredda come il vento di oggi, che annuncia neve in arrivo. Dal cappuccio potevo solo vedere le sue labbra, rosee e carnose, e ne dedussi che era davvero molto giovane. Non mi parlò. Mi accompagnò fino al confine della foresta e poi scomparve tra la vegetazione” concluse, fissandomi.

“Incredibile, sembra il racconto di un libro” dissi io.

“Già, me lo sono ripetuto anche io diverse volte da quel giorno”

“L'hai mai più vista?”

“No, avrei voluto farlo ma avevo troppa paura di addentrarmi nella foresta, ma non ho mai smesso di dirle grazie per quello che ha fatto per me. Non la dimenticherò mai” disse, con un sorriso.

In quel momento, un soffio divento freddo, un po' dispettoso, fece volare lo scialle di Emily. Non arrivò in tempo a prenderlo, ma io, con la mia altezza, riuscì a fermare la sua corsa afferrandolo con la mano libera.

“Il vento oggi è alquanto dispettoso, non trovi?” dissi, per farla ridere ancora.

“Sì, hai ragione” disse ed io ottenni la ricompensa che speravo.

 

Finita la passeggiata, il sole stava già lasciando posto alla notte e noi rientrammo a casa per prendere il tè e salutare i signori De Roquet.

Il tè venne servito nell'apposita stanza e sì iniziò a parlare del vero motivo per la quale ci eravamo incontrati.

“Dunque, Richard” disse il signor De Roquet a mio padre, “è giunto il momento di parlare dei nostri figli” e nel dirlo, ci fissò entrambi prendere il tè seduti vicini.

Quel giorno, alla fine, lo avevo trovato piacevole il compagnia di Emily, non era affatto come credevo, era la persona più dolce e pura che avessi conosciuto, anche se magari dal suo aspetto sembrava tutt'altro. Avevo commesso un grosso errore a giudicarla prima ancora di conoscerla. A quel punto, mi ero convinto che poteva essere una buona soluzione, ma non sapevo ancora di quanto ne ero sicuro.

“Ma certo, Domenik” disse mio padre, chiamandolo per nome “ è il momento di organizzare le loro nozze” era molto diretto, certe volte, non c'era dubbio su questo.

Accanto a me, vidi le guance di Emily diventare molto più rosee di prima e capì che l'argomento la imbarazza quanto me.

“Oh” intervenne mia madre, “lasciate a noi donne il compito di organizzare le loro nozze, ne sappiamo più di voi” disse entusiasta e scambiò qualche sorriso di complicità con la signora De Roquet, che non la smetteva di guardare me.

Riposai gli occhi su Emily e, dopotutto, scorsi un sorriso sognante sul suo viso, con gli occhi persi nel liquido che c'era nella sua tazza fumante.

Mi sentì vuoto e, per la prima volta, senza cuore, avevo ferito, senza che lei lo sapesse, il suo animo offendendola senza sapere nulla di lei.

Ero un vigliacco. Solo un povero vigliacco.



Eccomi qui! ;) Dopo aver termiato il capitolo che avevo iniziato, come promesso, pubblico il terzo capitolo ;)
Allora, qui si notano dei cambiamenti, cosa ha smosso l'intrepido Cam a cabiare idea su Emily? cosa gli è successo secondo voi?
é più convinto di prima a sposarsi con lei? come lo trovate in questo capitolo? ed Emily? come vi sembra come personaggio? cosa accadrà nel prossimo capitolo intitolato: Un Matrimonio da Organizzare.
Spero abbiate passato un buon Natale e, dato che ci sono, visto che ho parecchi impegni fino al 31 che mi impediranno di andare avanti come vorrei, vi auguro Buon Anno! ci risentiamo nel 2014 XD
Ringrazio chi ha seguto la storia finora e chi, recensisce e chi ha messo, non solo questa ma anche la storia precedente, nelle varie categorie ;)
Grazie a tutti ;) festeggiate bene questo caèpodanno che possa essere un anno migliore per tutti quanti voi! ;)
Alla prossima
Kiss Kiss
Shana ;)


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 04 ***


Capitolo 04. Un matrimonio da organizzare

 

“D'accordo, signore, lasceremo questo arduo compito a voi. Noi penseremo come sempre agli affari, giusto Richard?” disse il signor De Roquet.

“Giusto, Domenik” e scoppiarono in una fragorosa risata.

Praticamente, ognuno di loro, in quel momento, si stava facendo i fatti suoi.

Ne approfittai per sapere cosa ne pensasse Emily di tutto questo, a bassa voce senza che nessuno di loro ci potesse sentire. Capendo le mie intenzioni, complice, mi rispose con lo stesso tono basso, quasi sussurrandomi all'orecchio.

“A dire il vero, Cam, io lo sapevo già. E ho già accettato” disse, quasi imbarazzata di rivelarmi una cosa del genere.

Quindi lei, forse, era già innamorata di me? Sul serio? Sapevo di fare breccia nei cuori delle donne, ma immediatamente così, non lo avrei mai detto!

La guardai stupito, mentre lei continuava a fissare il suo tè, nella speranza di trovarvi qualche risposta, ma cosa stesse cerando non lo avrei mai saputo dire.

Io non mi sentivo completamente attratto da lei, né tanto meno innamorato, ma mi piaceva come persona.

Non sapevo nemmeno io cosa provavo in quel momento. Avevo bisogno di tempo per raccogliere le idee e riflettere su quel turbine di sensazioni che mi avevano invaso, solo parlando con lei.

Con le altre donne, non mi sono mai soffermato su quest'aspetto, mi accontentavo della loro bellezza e bravura a letto, ma sotto l'aspetto intellettuale, sapevo come fossero: solo delle rozze galline vanitose.

“Bene,” sbottò mio padre, dopo un bicchierino di brandy con il signor De Roquet, “ è tutto deciso. Ragazzi, voi vi sposerete, tra quattordici giorni” annunciò.

“Che splendida notizia!” esclamarono le due donne.

“Sì, magnifica” dissi, senza sapere come avrei dovuto reagire a quella notizia. “Emily, sei d'accordo?” le chiesi. Era giusto sapere anche il suo parere.

“Hai sentito, Mariluna cara” disse mia madre alla sua nuova amica “la chiama già per nome” disse entusiasta e lo era anche Mariluna, almeno così parve.

“Direi che” iniziò Emily “tra quattordici giorni è perfetto” disse, guardandomi.

Bene, tutto era stato deciso, senza ancora il mio pieno consenso ed alle mie spalle. Ero l'ultimo, allora, a sapere di tutta la faccenda delle nozze, e la cosa non mi piaceva molto. Non mi piaceva essere messo da parte in decisioni importanti, specialmente se riguardavano il futuro del sottoscritto.

Avevo solo quattordici giorni per prepararmi all'avvenimento e capire, soprattutto, cosa provavo e cosa volevo davvero: la felicità dei miei, la mia indipendenza o la felicità di Emily?

In quel periodo, decisi che mi sarei concentrato per capire meglio me stesso. Lo dovevo, almeno ad Emily, l'ultima persona che avrei voluto ferire. Dei miei genitori, non mi importava granché, ma di lei sì. E anche di me stesso. Avrei trovato certo una soluzione.

 

I giorni seguenti all'appuntamento, furono dedicati solo alla mia persona. Continuavo a vedere quelle teste calde dei miei amici, convinti che stessi facendo un grosso sbaglio; non avrei dovuto pensare ad Emily, loro la vedevano ancora come la vedevo io, accecato solo dal suo aspetto esteriore.

Non provai nemmeno a spiegare loro le mie ragioni, non avrebbero capito a fondo la situazione che si era creata.

Aiutai anche mio padre, visto che avrei preso il suo posto, decisi che era meglio darmi una svegliata e interessarmi degli affari di famiglia. Se qualche giorno fa avrei pensato che un giorno lo avessi fatto davvero, io stesso non ci avrei creduto. Lo trovai molto istruttivo e produttivo per me. Mia madre, con questa storia, aveva addirittura diminuito i bicchieri di brandy per aiutare la sua amica Mariluna ad organizzare le nozze e sistemare l'abito nuziale per Emily. Io avrei indossato quello di mio padre, che aveva ereditato mio nonno a sua volta. Non mi dispiaceva, dovevo dire.

Di tanto in tanto, vedevo Emily, che veniva a casa da noi, con sua madre o suo padre. Parlavamo sempre del più e del meno, di tutto un po'. Prendevamo il tè insieme e passeggiavamo spesso. I miei erano contenti: credevano avessi cambiato idea e mi fossi deciso.

La verità era che non avevo ancora realizzato del tutto; insomma, non era la vita che avrei sempre voluto, per me, ma non potevo fare altro. Non conoscevo altro modo per vivere e, di conseguenza, lo stavo pian piano accettando.

Una sera però, che volevo un po' distaccarmi da tutto e tutti, ero andato alla locanda ed ordinato della birra. Ero seduto al tavolo da solo e non mi accorsi che qualcuno mi era arrivato alle spalle.

Non seppi con certezza chi fosse finchè non si sedette di fronte a me: era Mariluna.

La guardai con aria interrogativa, posai il mio boccale, lo prese lei e ne bevve un sorso, nell'esatto punto dove avevo appoggiato le mie labbra un istante prima.

Dopo aver posato il boccale, mi fece segno di seguirla. Io obbedì, senza capire cosa stava accadendo. Andammo verso una delle tante stanze private, e lei si preoccupò di chiudere la stanza a chiave.

“Allora, cosa succede signora De Roquet?” chiesi, ma cercai di rimanere sulla difensiva; non mi convinceva il fatto che fosse venuta e poi condotto in questa stanza. Anche se una mia idea me l'ero fatta, e non me lo sarei mai aspettato, non dopo quello che stava per succedere.

“Stasera non chiamarmi così Cam” disse.

Cos'è tutta questa confidenza? Mi chiesi tra me.

“E come dovrei chiamarvi invece? Mariluna? Perchè mai?”.

“Perchè ho da farti una proposta, molto allettante che non potrei in alcun modo rifiutare” disse, con un sorriso per nulla rassicurante.

“Allora parla” la incitai.

“Ti propongo si passare la notte con me, se non tutta almeno in parte” disse, come se mi avesse chiesto di offrirle una tazza di tè.

“Cosa? Perchè dovrei? Fra poco lei diventerà mia parente” le dissi, shoccato dalla proposta, anche se era quello che mi aspettavo, altrimenti che senso avrebbe avuto tutto questo.

Ma perchè adesso? Avrebbe potuto chiedermelo prima quando non sapessi ancora chi fosse.

“Oh qui non siamo parenti né conoscenti. Una volta non guardavi in faccia a nessuno pur di stare con una donna. Adesso cosa ti ha cambiato, Cameron? Mia figlia? Non credo proprio che quell'esserino abbia potuto. Se non avessimo avuto quest'occasione per farla convogliare a nozze, non sapremmo con chi si sarebbe sposata” disse.

“Come puoi dire questo di tua figlia?” dissi, sconcertato dal modo in cui aveva appena parlato di sua figlia e di come potesse chiedere questo a colui che l'avrebbe sposata di lì a pochi giorni.

“Posso parlare di lei come mi pare e piace. Allora, ti sta bene? Se non lo farai, dirò ai tuoi genitori che preferisci questo mondo a quello che ti spetta di diritto. Ti farò esiliare da qui, te lo garantisco” disse.

“Mi pare di capire che non ho altra scelta” dissi, non avrei voluto, ma non mi lasciava soluzione alcuna. Per la nostra gente, quello che aveva appena minacciato di fare a me, equivaleva essere allo stesso livello dei criminali che vivevano nel cuore della foresta; nessuno avrebbe voluto una reputazione simile.

“Bene, allora direi di non perdere altro tempo” disse e, avvicinandosi a me in modo sensuale, premette il suo corpo contro il mio e iniziò a baciarmi i lati del collo e, giocando coi miei vestiti, andò più in basso, verso il petto.

Onestamente lo trovavo molto sgradevole, pensare che era la madre di colei che dovrò sposare, mi veniva la nausea al solo pensiero. La allontanai momentaneamente per spegnere le candele che davano luce alla camera, non per dare atmosfera, come disse lei, ma solo per non guardarla. In questo modo, mi sarebbe stato più semplice proseguire.

Si avvicinò di nuovo, stringendosi a me, stavolta sfilandomi i vestiti, leccando e baciando ogni parte di pelle che avevo scoperto in quel momento.

Le sue carezze, i suoi baci non mi trasmettevano nulla, solo ribrezzo. Pensavo ad Emily a come la stavo tradendo, con sua madre, per giunta!

Fino a qualche giorno fa, davvero, non mi sarei fatto problemi a riguardo, ma ferire una persona come lei era crudele quanto togliere ad un bambino l'affetto della madre, solo per insegnarli ad essere un uomo adulto.

Per qualche minuto rimasi immobile, dopo di che lei si staccò, prese un boccale colmo di birra e me lo porse: aveva capito che sarebbe stato difficile se fossi stato sobrio, o era solo per istigare la parte più rude di me per convincermi a trattarla come facevo con tutte le altre?

Lo presi e bevvi il contenuto in un solo, lunghissimo sorso. La stanza attorno a me iniziava a vorticare pericolosamente e la donna di fronte a me non ebbe più un volto.

La presi ed iniziai a prendermi il suo corpo, la spogliai quasi strappandole gli abiti che indossava, la sentivo ridere e gemere sotto il mio tocco rude e possessivo.

La gettai sul letto li accanto e, con lei in posizione supina, iniziai a fare quello che facevo sempre con tutte: possederla completamente, fino allo sfinimento.

La mia vista era annebbiata, il mio corpo non rispondeva ai miei comandi, ma la mia mente pregava affinché una cosa del genere non si ripetesse più.

Non sapevo per quanto andassimo avanti, ma alla fine, entrambi allo stremo delle nostre forze e dell'alcol che iniziava ad abbandonare il mio corpo, ci fermammo.

Completamente svestita accanto a me, Mariluna disegnava con la punta delle dita dei piccoli cerci sulla mia pelle tra i miei capezzoli. Quante volte lo avessimo fatto non lo ricordavo, ma rimembravo un'alternanza di lei sotto e io sopra e viceversa per tutto il tempo.

“È stato magnifico, come ci si aspettava da te” disse.

“Sul serio? Bè non me ne stupisco” decisi di tirare fuori il vecchio me per un po'. In fondo, mi divertivo sempre.

“Manterrai la promessa, vero?” chiesi, per essere sicuro che ricordasse il vero motivo per cui avevo accettato.

“Ma certo, se prometti che lo rifaremo ancora” .

“Cosa?” esclamai saltando a sedere.

“Ops, mi sono dimenticata questo particolare” disse, arrotolandosi nel letto per mostrarmi il suo corpo, ma ormai i corpi delle donne, essendo tutti uguali, non scaturivano in me, nessun tipo di desiderio.

Capendo che col suo corpo non avrebbe ottenuto altro da me, per quella volta, si alzò e si rivestì, come nulla fosse successo. La imitai e feci lo stesso.

“Se vuoi mantenere questo stato, dovrai fare quello che ti dico, senza fiatare. Quando ti chiedo di vederci qui, sai il perchè”.

“Allora, mi assicurerò di essere ubriaco anche per le prossime volte” dissi, ma non per scherzare.

“Almeno una volta potresti essere sobrio” disse, rispondendo alla mia battuta.

“Aspetta un po' prima di andare, altrimenti sospetteranno qualcosa quelli che sono di sotto, non trovi?” disse, aprì la porta e se né andò, lasciandomi in una pessima situazione.

Quanto avrei voluto ucciderla con le mie stesse mani! Come poteva essere colei che aveva dato alla luce una ragazza completamente diversa da lei in tutto e per tutto?

La guardai andare via dalla finestrella della stanza e, dentro di me, la maledissi per tutto quello che aveva fatto a me e per quello che avrebbe potuto fare.

 

Dopo che passarono diversi minuti, interminabili, uscì e mi diressi verso casa dove mi accolse Erika, come sempre. Anche quella volta, nessuno si era accorto di nulla: mio padre era a lavoro e mia madre era nella sala da tè a sorseggiare brandy.

Andai in camera e mi lavai via di dosso l'odore e il tocco di quella donna, i suoi baci e le sue carezze.

“Che cosa ho fatto?” dissi a bassa voce a me stesso, per ricordarmi cosa avevo appena accettato da quella donna: la seduzione per il suo silenzio. Era crudele anche per me, che lo avevo fatto sempre, senza mai curarmi di nulla.

Come ero cambiato in così poco tempo, senza accorgermene nemmeno! Forse, avendo dato uno sguardo alla realtà, mi ero rassegnato, ma era davvero questa la vera motivazione.

Uscì dalla vasca, mi asciugai e presi abiti puliti, lasciando quelli sporchi del mio peccato, in un angolo della stanza, per terra. Erika li avrebbe presi e lavati alla fonte d'acqua più vicina.

Scesi per la cena, dove i miei mi raccontarono i progressi dell'attività e dell'organizzazione delle mie nozze: era tutto perfetto, come avevano detto loro.

Peccato che non sapessero a quale prezzo avrei mantenuto quella perfezione.

Mi sarebbe piaciuto sposare Emily e portala via da quella realtà crudele.

Decisi di pensare seria,ente a quell'eventualità, magari parlando con Emily, senza scendere troppo nei dettagli.

“Tutto è ormai pronto, manca solo prendere le misure per vedere se bisogna modificare l'abito a te” disse mia madre, strappandomi dai miei progetti per il futuro.

“Ah si?” dissi, completamente spaesato.

“Oh Cam, te lo sei dimenticato?” mi rimproverò lei.

“Suvvia, Moira” disse mio padre, “ è stato impegnato con me, come poteva ricordare!” esclamò lui, concludendo con una risata, seguita da quella di mia madre.

Per fortuna, mi aveva salvato lui. Tirai un sospiro di sollievo.

“Vedrai, tesoro, che matrimonio” proseguì mia madre. “L'abito di Emily è bellissimo, con le giuste modifiche. La sarta ci lavorerà per gli ultimi otto, massimo, nove giorni” disse, felice. Mancava già così poco, dovevo sbrigarmi per preparare il mio piano di fuga con Emily.

Il resto del discorso non lo seguì, fino alla fine del pasto.

“Chiedo scusa, ma non mi sento bene stasera, vado a coricarmi” annunciai e me ne andai via.

Non era poi del tutto falsa la mia affermazione, mi sentivo ancora male per quello che era avvenuto con la madre di Emily.

“D'accordo, riposa e riprenditi figliolo. Domani ti aspetta una dura giornata” disse mio padre, riferendosi anche alla prova del vestito.

“Certo, padre” dissi e me ne andai, ma invece di svoltare per la camera, andai alla libreria. Mi sedetti alla poltrona e guardai fuori, stava iniziando a nevicare, e avrebbe continuato per i prossimi giorni. Quello mi rasserenava un po'.

I fiocchi toccavano il suolo per poi disperdersi, ci avrebbe messo un po' a creare il suo manto bianco e coprire ogni cosa.

Girai la poltrona verso la finestra, di modo che rimanesse di fronte a me e guardassi fuori seduto comodo.

La neve mi ipnotizzava sempre, vederla scendere era uno spettacolo bellissimo che si ripeteva per almeno novanta giorni l'anno, se non di più.

Stavo per socchiudere gli occhi, quando notai un'ombra scura al limitare della foresta.

Li sgranai per vedere meglio, precipitandomi alla finestra, ma scomparve.

Mi chiesi se stessi già dormendo o se era frutto della mia stanchezza.

Decisi di tornare in camera mia e riposarmi.

 

Il giorno dopo si svolse come programmato: provai l'abito di mio padre che, come immaginai, avendo lo stesso fisico imponente e la stessa altezza, saltò fuori che non c'era nulla da cambiare. Per mia fortuna.

Mio padre me lo consegnò, affidandomi il compito di conservarlo fino al giorno delle nozze.

L'abito non era nulla di particolare, solo un po' vecchiotto: era nero con i dettagli verdi, quei pochi che aveva.

La sottoveste era bianca, per rappresentare la purezza della persona ed io non volli esprimermi.

Gli stivali erano di cuoio marrone scuro e, alla cinta, era appeso uno spadino, molto lungo e sottile ma affilato; veniva dato per simboleggiare il mio ruolo nella famiglia, cioè di protezione. E lo avrei fatto sul serio.

Nel pomeriggio, per evitare sgradevoli incontri, restai a casa, aiutando mio padre e poi rinchiudendomi in libreria.

Non volevo vedere nessuno fino alle nozze. Sperai che Mariluna non venisse in mente di venire a casa mia per i suoi scopi.

Vidi il mio riflesso nello specchio d'acqua che si era creato per terra, la casa era vecchia e, in certi punti, entrava acqua, ed era per via della neve caduta la sera prima.

Fuori era tutto bianco, il manto però era sottile, e si era già sciolto in parte per via del sole che aveva fatto capolino tra una nube e l'altra.

Quello che vidi riflesso era un ragazzo che era distrutto da una condizione a lui non troppo favorevole. I suoi occhi verdi lucenti, si stavano spegnendo diventato di un verde scuro che non mi apparteneva.

“Cosa devo fare?” dissi al mio riflesso, che a sua volta mi mostrò la sua espressione nel pronunciare quella domanda: era triste, sconsolato e senza speranza.

 

Eccomi, nell'anni nuovo con un nuovo capitolo :)
Allora, come avete passato queste feste? avete mangiato molto? 
Passiamo a parlare di altro che mi sa che è meglio -.-"
Dunque, come vi è parso questo capitolo? Avete capito l'inganno della cara mammina della futura sposa? 
Secondo voi, perchè lo fa? Cosa succederà al nostro Cam, dopo tutto questo?
Nel prossimo capitolo, la storia, spero o credo, inizierà per davvero ;) dal titolo
Il Giorno Prima delle Nozze.
Teorie sui cosa accadrà? ;) lo sapete che mi piace sapere cosa credete possa accadere ;)
Intanto, ringrazio tutti quelli che mi hanno seguita fino a qui, a chi recensisce e a chi legge solo, che invito a postare anche un loro piccolo commento se vogliono ;) 
Grazie a chi mi ha aggiunto nelle varie categorie, sono molto contenta ;) 
Alla prossima
Kiss Kiss
Shana ;) 

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Capitolo 6
*** Capitolo 05 ***


Capitolo 05. Il giorno prima delle nozze

 

I giorni passarono in fretta e mi resi conto che, a breve, mi sarei dovuto sposare.

Mi ritenni fortunato perchè, nel periodo trascorso, ancora la signora De Roquet non si era più fatta vedere, almeno davanti a me.

Ero sempre più nervoso per quella storia e, di notte, avevo gli incubi: sognavo che, invece di Emily, mi toccava sposare Mariluna.

Era riuscita a mandarmi in confusione, non sapevo più cosa pensare al perchè stava facendo tutto questo, soprattutto ad Emily. Non credo che lei sarebbe stata felice al pensiero che io e sua madre fossimo stati insieme, anche se per il momento, si trattava solo di una volta.

Avevo incontrato anche i miei amici, quel giorno, per staccare un po' da quello stato di confusione che si era creato dentro di me.

Ci incontrammo in una giornata in cui la neve era attecchita al suolo e il sole illuminava timidamente, nascosto da qualche nube, il nostro paesino.

“Ehi Cam” disse Alex scorgendomi tra la folla. Quella mattina c'era il mercato e molte persone avevano portato animali, vesti, antichi gioielli per venderli e ottenere altrettanto cibo, vestiti e gioielli. Chi era fortunato, possedeva anche soldi veri e propri che provenivano da paesi vicini molto più ricchi di noi. Anche i miei erano presenti con le nostre colture. Quella giornata mi avevano lasciato la mattina trascorrerla con i miei amici che non avevo più avuto modo di vedere dall'organizzazione del matrimonio.

Insieme ad Alex, c'erano anche Rik ed Elia. Li abbracciai per la felicità di averli potuti rivedere.

“Amico, che bello rivederti!” disse Elia.

“Sì, anche io sono felice di rivedervi!” dissi felice.

“Ne è passato di tempo, allora cosa ci racconti? Cosa ti è successo? Come è andata poi con Emily De Roquet?” disse Rik, ma sapevo che non era curioso solo lui: gli altri due mi guardavano con un sorriso che prometteva che, se non avessi parlato, se la sarebbero presa.

Gli raccontai, anche se solo in parte, quello che era successo quel famoso giorno in cui la incontrai. Rimasero di sasso appena accennai loro che non era la stessa ragazza che vedemmo anni fa.

“Sei davvero sicuro che si tratti della stessa Emily?” disse Elia, sconcertato.

“A me pare di averla incontrata giorni fa, con la madre” il solo accenno a lei mi faceva sobbalzare, “se non fosse stato che lei l'avesse chiamata Emily, probabilmente non l'avrei riconosciuta” concluse Rik.

Anche loro apprezzavano Emily, adesso. Mi raccontarono che, parlandole, si sono resi conto che non la si poteva non apprezzare e quindi mi chiesero tra quanto tempo saremmo convogliati a nozze.

“Tra due giorni esatti” dissi, entusiasta di poter dirlo a loro.

“Bene, speriamo di poter assistere allora” disse Alex.

“Lo spero anche io” ci tenevo che venissero anche loro.

Le nozze si sarebbero svolte nella mia abitazione e le avrebbe celebrate il saggio del nostro villaggio, che usciva si e no, una o due volte l'anno per occasioni come questa, per poi restare chiuso nella sua abitazione chissà a fare cosa.

Mentre parlavamo del più e del meno, girammo per il mercato a curiosare cosa c'era in giro. Mi sorprese quando vidi nuove bancarelle con i più svariati oggetti trovati per il mondo.

Era incredibile quali meravigliosi oggetti, vesti, gioielli erano riusciti a trovare queste persone che avevano o avuto il coraggio di fare quello che io non avrai mai saputo fare: prendere e andarmene di lì.

Tra i vari banchi del mercato, scorsi il profilo di una persona che ero certo di non aver mai visto nel nostro paesino; purtroppo mi fu permesso di vedere solo di schiena, ma ero certo che fosse una ragazza, era piuttosto bassa, un mantello lungo fino al suolo color marroncino, le proteggeva le spalle dal freddo pungente e copriva tutta la sua figura, un cappuccio enorme le copriva anche la testa. Aveva un cesto di vimini fatto a mano, che reggeva con il braccio sinistro: era quasi vuoto.

Stava scambiano qualche oggetto con stoffe e quelli che sembravano gioielli. Feci per avvicinarmi, facendo notare agli altri quello che avevo visto.

“No, Cam, nemmeno io credo che abiti qui” disse Rik, rispondendo alla domanda che avevo posto, cioè se l'avessero già vista da queste parti, immaginavo la risposta.

“Già, ma magari ci sbagliamo, insomma il suo volto non si vede in fondo” fece notare Alex.

“Seguiamola magari capiamo chi è” propose Elia, e tutti acconsentimmo.

Così, tenendoci a dovuta distanza, la pedinammo. Sembrò non accorgersene, anche perché ci sembrava troppo impegnata a fare le sue commissioni.

Ad un certo punto, si fermò davanti al banco dei miei genitori che la accolsero e le chiesero cosa desiderasse: lo capì dal loro labiale e perchè era quello che si faceva di solito.

Notai che la stavano guardando con aria interrogativa, come se, come noi, cercassero di capire chi accidenti fosse.

Finalmente, lei si decise e prese della frutta e pagò con qualcosa che, nel vederla i miei rimasero chiaramente colpiti e felici e, notai, non la smettevano di ringraziare la ragazza per la sua donazione: gli aveva pagati con una moneta d'oro.

Per noi qui, possedere una di quelle reliquie che le si poteva trovare fuori dal nostro paese, era come trovare un tesoro.

“Incredibile” sussurrò Elia, per non farci scoprire “avete visto che roba? Cam credo che i tuoi siano appena diventati più ricchi di prima” bé, non c'erano dubbi a riguardo!

Fece per andare quando vivi correrle incontro Emily.

“Ma che fa?” mi chiesi, quasi impaurito da quello che sarebbe potuto succederle.

Stavo quasi per correrle incontro ma notai che era amichevole e le stava porgendo qualcosa, ma non capì cosa, visto che era avvolta in un panno bianco, come se la stesse ringraziando.

La ragazza non reagì subito ma si voltò verso di noi e la vedemmo, in parte, in viso: nonostante fosse coperto col cappuccio, notammo che il colore della sua pelle era molto chiaro, quasi bianco e gli occhi parevano chiari da quella distanza. Non aveva espressione, fece poi un mezzo sorriso e si accostò alla guancia di Emily, e la mano sinistra sulla guancia opposta, ricoperta da dei guanti marroni come il suo mantello.

Ci aveva scoperti! Come aveva fatto? Da quella distanza poi!

Notai che poi se ne andò, lasciando Emily sorpresa e con le gote rosse quasi in fiamme. Si diresse verso la foresta per poi sparire al suo interno.

 

Corsi, senza pensarci, verso i miei genitori ed Emily, ero curioso di sapere cosa fosse successo. Alex, Rik e Elia mi seguirono immediatamente, si vede anche loro curiosi di sapere chi fosse quella ragazza misteriosa. Non doveva essere più grande di me, non dimostrava nemmeno vent'anni.

“Ehi, ma quella chi era?” dissi a perdifiato.

“Non lo so, figliolo” disse mio padre “so solo che era molto strana, non credo sia di queste parti”.

“Quello che ho visto” disse mia madre “e che aveva degli occhi molto particolari, non ne avevo mai visti così”.

Alla fine, nessuno seppe dirmi qualcosa in più. Andai verso Emily, che era rimasta esattamente dove era dopo che aveva incontrato quella ragazza.

“Oh, Cam” disse, come se si fosse svegliata da un lungo sonno.

“Emily, cosa è successo? Ti ho vista con quella ragazza e...” non terminai la frase che lei mi precedette, svegliandosi dolcemente da quel sogno che si era impossessata di lei.

“Era lei, Cam” disse, quasi sussurrandolo, come se non volesse che nessun altro lo sapesse, “colei che mi salvò tempo fa”.

“Stai dicendo che quella era l'eremita della foresta?” chiesi quasi scioccato da quella rivelazione. Non poteva essere era assurdo, semplicemente impensabile.

Quella ragazza avrà, sì e no, l'età di Emily, se non qualcosa in più, ma non chissà quanti millenni alle spalle!

Era impensabile, no c'era sicuramente una spiegazione: magari era la figlia dell'eremita che viveva qui, o una qualsiasi parente che ha lasciato a lei questo mito da perseverare negli anni, e così via. Se mai l'avessi rivista, glielo avrei chiesto di sicuro.

Non amavo i segreti, anche se al momento io stesso ne mantenevo uno, ma era un'altra faccenda, ma quella storia andava risolta, come quella dei criminali. Poteva essere addirittura in combutta con loro per quanto ne sapessimo noi.

Non sapevamo molto di lei, e nemmeno Emily, l'avevamo vista una volta, almeno io, non potevamo giudicarla dal solo aspetto, c'era qualcosa di più grande in quella storia, me lo sentivo e difficilmente il mio senso sbagliava.

 

Per l'intera giornata, continuavo a farmi domande su quella ragazza misteriosa, eppure c'è qualcosa che non torna, mi dissi tra me, rinchiuso nel mio covo preferito: la biblioteca.

Quando, all'improvviso entrarono a disturbare il mio pensiero, i miei amici fidati.

Mancava un solo giorno alle nozze, e come loro sapevano, non sarei più potuto stare con loro come prima. Mi restava un solo giorno di libertà e questo loro lo sapevano e immaginai per cosa erano venuti a fare.

“Ehi, amico! Che ci fai qui, tutto solo soletto, al buio?” disse Elia, con un tono divertito.

“Pensavo, prima che voi mi interrompeste!” dissi, ma non per essere cattivo con loro, anzi la presero molto sul ridere.

“E a cosa pensavi, di grazia?” chiese Rik, cortese, ma dopo pochi minuti scoppiarono tutti a ridere: erano già brilli.

“A quello che è successo stamane. A voi non sembra stano?” di colpo, ebbi la loro attenzione. Si guardarono seri per un attimo e poi tornarono a guardare me, con aria confusa.

“Sinceramente non ci abbiamo più pensato, ma ora che ce lo hai ricordato”, disse Alex, l'unico che era rimasto abbastanza sobrio per rispondermi seriamente, “ci è sembrato strano che attraversasse la foresta. Magari ci sbagliamo, magari no, ma secondo noi, o abita nella foresta e quindi essere il famoso eremita o uno dei criminali che la popolano, oppure per tornare a casa deve attraversarla in parte”. In effetti, il suo ragionamento non fece una piega. Ci avevo pensato anche io al fatto dell'eremita e dei criminali, anche sulla base di quello che mi aveva detto Emily, ma non avevo pensato alla probabilità più banale.

“Quindi voi credete che abiti semplicemente dall'altra parte della foresta?” chiesi, per avere conferma.

“Sì, esatto. Sai che non crediamo molto all'eremita e tanto meno che una ragazza come quella faccia parte di una banda criminale” disse, rispondendomi, Rik.

“Qualcosa ancora non ti torna, vero?” disse Elia, scrutandomi.

“Già” dissi io, sospirando profondamente.

“Non preoccuparti più, Cam. Magari se la incontreremo ancora potremmo provare a chiederglielo” disse Rik.

“Uhm, non credo che si farà avvicinare facilmente” osservò Alex.

“Concordo” risposi per supportare la risposta di Alex.

“Provare non costa nulla” esordì Elia e, in effetti, non aveva tutti i torti.

“Mah sì, proveremo semmai ci sarà occasione! Cosa siete venuti a fare qui, a proposito?” dissi, cambiando argomento: stava diventando angosciante.

“Siamo venuti per farti uscire e bere un po' con noi. Tranquillo, niente donne per te, ti stai per sposare!” disse Elia, spensierato: quanto la vorrei la sua spensieratezza!

Così come la pazienza di Rik e la saggezza di Alex. Erano tutto quello che io non ero e che avrei voluto essere.

Con sollievo e gratitudine, accettai la loro proposta ed andammo a divertirci un po' per smorzare quella tensione che si era creata per colpa di una ragazza misteriosa che, mi portava sempre più a pensare a chi fosse e da dove venisse.

 

Tornammo quasi all'alba, il buio della notte stava per lasciare spazio alla luce splendente del giorno, portando con esso il sole, con le solite nubi all'orizzonte, che giravano da ormai giorni sul nostro cielo. Sarebbero rimaste ancora per parecchi giorni, lo sapevo molto bene. E avrebbe nevicato ancora.

Avevo provato a restare sobrio, ma nonostante tutto, ero riuscito a non ubriacarmi completamente. Mi ritenevo soddisfatto: era il primo passo per diventare una persona matura e saggia.

Mi infilai nella vasca colma di acqua calda che mi aveva preparato Erika, se quella donna se non ci fosse stata non avrei saputo cosa fare!

Chiusi gli occhi per rilassarmi, ma ogni volta che lo facevo, non sapevo il perchè, ma mi veniva in mente sempre quella ragazza.

Era diventata una fissazione per me, spero che non avrebbe influito sul mio imminente matrimonio! Sarebbe stata la catastrofe.

Anche perchè, non avevo ben chiaro cosa sentissi per Emily, ma ero certo che non era amore, me ne sarei accorto, no?

Era una persona dolcissima e anche molto carina, questo sì ma non aveva scaturito in me nulla, non c'era quella passione che, come lessi nei miei libri da ragazzo, avrebbe scaturito se fosse stata la donna che mi avrebbe rapito il cuore.

No, non era lei, era solo quella che mi colpì la prima volta che la rividi dopo anni, solo qualche giorno prima e con cui mi sarei dovuto sposare il giorno seguente.

Mi dispiaceva che non era lei, magari col tempo l'avrei apprezzata di più e me ne sarei potuto anche innamorare, ma al momento, non era quelli i miei sentimenti per lei.

Mi chiesi, dentro di me, se mai avrei potuto provare quel sentimento chiamato amore e se mai ne sarei stato degno. Ormai il mio destino era segnato e si sarebbe compiuto di lì a qualche ora di distanza, non credo che lo proverò mai, ma uno ci spera sempre.

Un'ondata di gelo mi pervase su tutto il corpo, all'improvviso, mi ridestai: mi ero appisolato nella vasca e l'acqua ormai era diventata fredda.

Mi sbrigai ad uscire, asciugarmi e mettermi vestiti puliti e caldi, scaldati col fuoco che ardeva nella mia stanza.

Andai nella sala da pranzo per la colazione, ma scoprì con mia sorpresa, che era già ora di pranzo.

Fantastico, mi sarei dovuto inventare qualcosa per giustificare il mio ritardo.

Non appena entrai, credetti di dovermi subire la ramanzina di mio padre, ed invece trovai la stanza completamente vuota, c'era solo un posto apparecchiato.

Mi accomodai a quello che era sempre stato il mio posto, imbandito del pranzo di quel giorno. Mangiai senza fiatare, senza fare domande, ma con mia enorme sorpresa, entrò Erika.

“Buongiorno, Erika, grazie per il bagno e per aver pensato a me, come sempre” dissi, per ringraziarla di tutto, ma il suo viso era tutt'altro che felice.

“Ma che succede?” chiesi iniziando a preoccuparmi.

“Mi ascolti signorino Cam, farebbe meglio ad andarsene prima che i suoi genitori tornino” mi disse, a bassa voce, avvicinandosi alla mia sedia.

Si inginocchiò accanto alla mia sedia, io mi abbassai cercando di capire cosa volesse dirmi con quel monito.

“Ascolti, signorino, stamattina è venuta la signora De Roquet, infuriata” disse e a quel nome che avevo associato a tutti i miei guai, mi preoccupai più seriamente.

“Cosa ha detto?” temendo il peggio.

“Non so cosa sia successo tra voi e la signora, ma è venuta qui sbraitando che voi foste solo un seduttore e che avevate ingannato la sua famiglia e la sua innocente figlia” disse, sempre più allarmata. A quel punto, avevo capito cosa stesse accadendo: non avendola più vista si era infuriata e stava minacciando di dire a tutti delle mie scappatelle. Ovviamente omettendo che tra le varie donne che avevano giaciuto come me a letto, c'era anche lei.

“Dannazione, mi ha giocato! Ascolta, può anche essere vero, tu mi conosci Erika, ma non sai cosa è capace di fare quella donna: è meschina, persino con la sua stessa figlia!” le dissi io, cercando di difendermi da quelle accuse, anche se, in parte, erano vere.

“Lo so, signorino, lo sa che può sempre contare su me, ma deve darmi retta e scappare finchè non si sarà trovata una soluzione. Si faccia ospitare da uno dei suoi amici. Sono sicura che l'accoglieranno” mi disse, “per favore signorino. Faccia come le dico io, per una volta” mi supplicò ed io che mi fidavo di lei, acconsentì.

Sapevo già a chi chiedere asilo, e quella persona era Alex. Ero certo che non mi avrebbe giudicato e che mi avrebbe ascoltato. Corsi su in camera mia, presi degli abiti puliti e uscì dalla finestra, scostando le tendine che separavano l'esterno con l'interno della mia camera e saltai giù. Il salto non era alto di per sé e quindi, riuscì a rialzarmi subito e correre verso la casa di Alex.

Erika, mi aveva detto che, tramite lui, mi avrebbe fatto sapere come si sarebbero svolte le cose d'ora in avanti, ma proprio a questo punto doveva fare una cosa del genere quella donna?

Più me lo chiedevo, meno trovavo risposte, ma mi aveva avvertito, era stata molto chiara a riguardo.

La dimora di Alex e di suo padre si trovava dall'altra parte del paese rispetto a casa mia, e sapendo che suo padre non c'era perchè era a lavoro per conto di mio padre, bussai all'uscio della porta senza preoccuparmi della forza che mettevo nei pugni, quasi volessi sfondare la porta per entrare, ero troppo agitato. Mi guardai continuamente le spalle per vedere se qualcuno mi aveva visto. Non vidi nessuno.

Finalmente, Alex si decidette ad aprire, era ancora mezzo addormentato lo si vedeva da quanto ci mise a capire che ero solo io.

“Cam!” esclamò dopo che si fu svegliato del tutto. “Che ci fai qui?” disse stranito dal trovarmi lì, con una borsa a spalle, col fiatone e stanco per la corsa fatta.

“Ti prego, Alex, mi devi aiutare!” dissi, disperato non appena trovai il fiato.

“Certo, avanti entra e spiegami tutto” disse e mi fece accomodare a casa sua.

La sua casa era più piccola della mia: come si entrava c'era un enorme tavolo di legno rettangolare, un focolare accanto acceso e caldo e una piccola cucina. Al fondo, vi erano poste due porte, dove immaginai portavano una alla stanza del padre e l'altra a quella di Alex. Quel luogo mi infuse un senso di accoglienza e un calore che la mia non avrebbe mai saputo dare.

La madre di Alex era morta mentre vagava per la foresta a cercare varie cibarie senza farvi mai ritorno.

Alex, mi fece accomodare al tavolo e mi porse una brocca colma d'acqua della quale ne bevvi un bel sorso prima di cominciare a parlare sul perchè ero lì da lui.

“Capisco, accidenti sei davvero in un bel guaio!” mi disse “a tranquillo, troveremo un modo per uscirne. Per sicurezza, starai qui nella mia camera, non deve sapere mio padre che sei qui, lui è molto devoto a tuo padre lo sai e glielo andrebbe di certo a dire” le sue parole mi confortarono, sapevo che di lui mi potevo fidare, soprattutto in un momento delicato come questo.

“Emily sa tutto questo?” mi chiese.

“Non lo so” confessai “ma se i miei sono andati a casa sua, non ci metterà molto a venire a sapere tutto. Mi domando quale possa essere la sua reazione” continuai io. In effetti, non avrei voluto che lo venisse a sapere così, da una persona che non la dava il rispetto che meritava oltretutto.

“Dovresti andare a dirglielo” mi confidò.

“Sei matto? Come faccio ad entrare a casa sua?”

“Lo so, ma credo che preferirebbe sentire il tutto dalla tua bocca piuttosto che da quell'arpia di sua madre!”

“Non mi crederà” conclusi.

“Se davvero ti ama come dici, lo farà” mi disse, era quella la fiducia di una persona che amava profondamente un'altra persona? Era incredibile quanto potente potesse essere quel sentimento e quello che poteva far dire o fare o anche pensare.

Annebbiava tutto, non pensavi ad altro che all'amato ed al suo bene. Mi sentì onorato di essere una persona amata così tanto.

“D'accordo” dissi.

“Devi farlo stanotte, o non avrai altre occasioni. Prova a cercare la finestra della sua camera. Prenditi tutto il tempo, una volta finito torna qui ed entra dalla finestra della mia stanza” disse lui.

Una volta accordati, aspettammo il calar del sole.

 

Corsi, con le tenebre a mio favore, con solo una piccola torcia fatta sul momento per assicurarmi di non sbagliare strada.

L'abitazione dei De Roquet non era poi così lontana da quella di Alex, era nel mezzo tra la mia e quella del mio amico, e poco più avanti, la foresta.

Ci misi molto meno tempo a percorrere quella strada e mi ritenni fortunato che non ci fosse nessuno, fino a quel momento, durante tutto il tragitto.

Quando giunsi davanti all'abitazione di Emily, mi venne un colpo e mi nascosi subito: c'erano molti uomini intorno ad essa e dedussi che cercassero il futuro marito della giovane De Roquet: cioè me!

“E adesso, come faccio?” mi dissi, mentre mi guardavo tutto intorno per assicurarmi che non mi notassero. Per maggiore sicurezza, spensi la mia torcia con l'aiuto del terreno sottostante, che era ancora coperto di neve.

Aspettai il momento più propizio per correre verso la finestra di Emily, che era situata nella direzione opposta, per mia fortuna, ancora una volta.

Così, appena ne ebbi occasione, scattai e senza pensarci due volte, scavalcai la finestra, trovandomi Emily di fronte.

“Cam! Come osi venire qui, dopo quello che hai fatto?” disse adirata: a quanto pare sapeva già la storia, ma non la mia versione.

“Ti prego, Emily, mi devi ascoltare, non sai tutto e poi è stato prima di te!” dissi, in mia difesa.

Dopo un breve attimo passato a fissarmi in modo intenso, quasi volesse aprirmi per vedere a cosa pensassi, bussarono alla porta. Ero spacciato.

Dall'altra parte della porta, sentì la voce di Mariluna dire alla figlia, se fosse tutto a posto; evidentemente aveva sentito le nostri voci parlare.

La ragazza, si diresse verso la porta, la chiuse a chiave e disse: “Sì, tutto a posto madre, sono solo stanca, vorrei riposare” e si voltò verso di me: mi stava coprendo.

“Capisco, è stato un duro colpo per te, vero?” disse e la sua voce non tradì un tono decisamente divertito; anche Emily se ne accorse.

“Sì, avete indovinato. Per favore, vorrei stare sola” continuò lei.

“D'accordo, tranquilla, lo troveremo ed avrà quello che merita” disse, e stavolta la sua voce era delle più crudeli che avessi mai udito.

Non appena sentimmo i suoi passi farsi sempre più flebili, Emily corse alla finestrella per tirare le tendine e non far vedere cosa stesse succedendo all'interno della stanza.




Eccomi qui! Scusate di nuovo per il ritardo ma troppi impegni xD 
Allora, vi avevo promesso che, terminato un capitolo che stavo scrivendo, per l'appunto il 10, avrei pubblicato, ecco ho antenuto la promessa ;)
All'inizio dell'11esimo capitolo, eccovi il quinto! ;) 
Allora, che ne pensate della situazione che si è creata? Che farà e cosa accadrà al nostro protagonista? Emily lo ascolterà? cosa accadrà tra i due?
Vediamo le vostre ipotesi ;) commentate in tanti, sono curiosa di sapere cosa ne pensate di questa storia ;)
Intanto, ringrazio chi ha aggiunto la storia in una delle tre categorie e chi mi segue sempre e chi commenta sempre appena può ;) e grazie anche a chi legge solo ;) mi farebbe piacere sentire anche i vostri pareri, ma non voglio obbligare nessuno ;)
Alla prossima, spero di avere tempo per finire questo nuovo capitolo e pubblicare il successivo, dal titolo La Fuga, e, come sempre, lascio immaginare voi cosa potrebbe succedere ;) 
Alla prossima
Kiss Kiss
Shana :)

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 06 ***


Capitolo 06. La fuga

 

“Allora, cosa ci fai qui?” disse, chiaramente molto scocciata per quello che aveva sentito dire su di me.

“Ti ringrazio per avermi coperto” risposi io.

“L'ho fatto perchè vorrei sentire la tua versione dei fatti, per vedere cosa mi avresti detto di diverso” disse, più calma di prima, ma forse era solo per non farsi sentire.

“Mi crederai?” chiesi.

“Solo se sarai sincero con me” mi rispose.

“Lo farò, lo giuro” non avrei avuto motivo per andare fin lì e mentirle, più di quanto abbiano fatto gli altri.

“D'accordo, parla, ti ascolto” mi disse, ma prima dovevo sapere cosa avevano detto a lei, per capire dove stava la menzogna e dove la verità, se mai ci fosse stata.

“Probabilmente ti avranno parlato di me come un adulatore dell'altro sesso, ed era vero, almeno fino a prima di rincontrarti” iniziai.

“Sì, mi hanno detto però che continuavi a farlo anche dopo e che ti hanno visto spesso in compagnia di donne in questi ultimi giorni” mi disse lei.

“E qui si sbagliano e sai perchè? Perchè non sono più uscito molto, ho aiutato mio padre con l'attività di famiglia e non avevo nemmeno il tempo di vedere i miei stessi amici!” mi difesi, mantenendo un tono comunque basso.

“Ma allora come mai i tuoi non ti hanno difeso su questo punto? Cioè lo hanno fatto ma hanno creduto a mia madre che diceva loro che uscivi di nascosto ignorando i tuoi futuri impegni” mi disse, sconcertata.

“Non è vero nulla, tua madre mi odia, anche se non so il perchè. Mi ha ricattato dicendomi che se non avessi fatto quello che voleva” e qui omisi volontariamente quello che era successo pochi giorni fa “avrebbe fatto in modo che venissi esiliato” le confessai, anche se non potevo dirle che ero andato a letto con sua madre per assicurarmi il silenzio, anche se alla fine non era accaduto.

“Dici che mia madre ti odia? Può darsi, anche se prima ti elogiava dicendomi che saresti stato un buon partito, dopo l'appuntamento è cambiata nei tuoi confronti” mi disse. Possibile che sua madre... no non poteva essere sul serio così, ma spiegava tutto.

“Sul serio?” ero sconvolto: più parlavamo più scoprivamo cose nuove.

“Già, ma non capisco il motivo di tanto odio. Anche con me ogni tanto ha degli scatti d'ira così, ma non da far chiamare a sé uomini per darti la caccia. Devi stare attento, potrebbero anche ucciderti!”

“Maledizione, è più grave di quanto credessi allora” ammisi.

“Ascolta, mi hai detto che stai da Alex giusto? Il figlio di uno dei tuoi dipendenti?”

“Sì esatto, Erika mi passerà le informazioni tramite lui, almeno finchè non capiremo che succede” le dissi.

“Bene, farò lo stesso anche io: passerò tutto quello che scopro ad Erika e lo dirà a te” mi disse. Bene, anche lei, per fortuna, era dalla mia parte. Che possa essere vero quello che mi aveva detto Alex riguardo le persone che si innamorano? Può darsi, in fondo ci avevo sempre sperato.

Ci interrompemmo quando udimmo delle voci vicino alla finestra.

Per paura che ci scoprissero, afferrai Emily per le spalle e la strinsi a me, più forte che potei e scivolai contro il muro accanto alla finestra, accovacciandoci per terra.

Potevo sentire i nostri cuori battere all'unisono, il suo profumo dolce come un fiore, invadere le mie narici per poi scendere giù fino ai miei polmoni.

La sentì stringersi sempre più a me, quasi come se non volesse più staccarsi da me. Nemmeno io lo volevo e sapevo esattamente cosa volevo in quel momento. Sperai solo che lo volesse anche lei.

Ci guardammo, per un momento intenso, negli occhi, dove vi sprofondai e, lentamente avvicinai il mio viso al suo.

Lei non si ritrasse e si preparò al contatto. Le nostre labbra si sfiorarono e poi si toccarono, sempre più intensamente. Le mie mani vagarono a lungo sulle sue spalle, coperte solo dalla veste da notte che indossava, bianca con svariati pizzi e merletti, che cadeva morbida sulla sua pelle; le mie braccia si soffermarono sulla sua schiena, la strinsi a me più che potei; stringendo nelle mani il tessuto della sua veste, facendo calare leggermente il colletto che lasciò scoperte parte delle sue spalle, dove mi ci fiondai con le labbra.

La sentì stringersi sempre più a me, perchè le piaceva quello che facevo altrimenti mi avrebbe respinto. Quando capì che non c'era più pericolo che ci sentissero, mi staccai momentaneamente e la sollevai, adagiandola sul letto.

Lei sotto di me, mi guardava incurvando le labbra in un leggero sorriso, timido, per dirmi che sapeva cosa stavamo per fare e lo accettava.

Mi chinai su di lei e ripresi quello che avevo interrotto, stavolta abbassando sempre più quella scollatura fino a scoprirle completamente le spalle, adagiando poi le mie labbra sulla sua pelle. La sentì gemere silenziosamente, per non farci scoprire, ma per me fu gratificante lo stesso.

Continuammo così finchè non fummo completamente privi dei vestiti e, abbracciati l'un l'altra, non fummo pronti per diventare una cosa sola.

Restammo insieme per quasi tutta la notte, poi dovetti andare, promettendole che prima o poi ci saremmo rincontrati.

 

Scappai più veloce che potei per arrivare sano e salvo da Alex, che mi attendeva nella sua stanza.

Come feci poco prima da Emily, entrai dalla finestrella senza fare rumore. Nell'ombra, notai Alex accovacciato sul letto, in attesa che gli raccontassi tutto.

“Cam, finalmente amico. Iniziavo ad essere in pena per te. Come è andata da Emily?” alla sola domanda, l'unica cosa che mi venne in mente, fu l'ultima parte della nostra... conversazione.

“Meravigliosamente, Alex. Davvero non poteva andar meglio. Mi ha creduto e, mi aiuterà a capire che intenzioni ha sua madre” gli dissi entusiasta.

“Fantastico. Invece, da quanto mi ha raccontato mio padre, anche i dipendenti di tuo padre ti cercano, ma la loro intenzione non è farti del male, almeno così ha detto” mi informò lui.

“Già ma non gli uomini che ha ingaggiato quella serpe della madre di Emily; lei mi ha riferito che hanno anche l'ordine di uccidermi a vista”.

“Le cose non si mettono bene per te, dobbiamo sperare che nessuno ti trovi qui. Mio padre al momento non sospetta nulla. Tra poco dovrebbe alzarsi per andare al campo. Mettiti sotto al mio letto e resta finchè non te lo dico io, d'accordo?” mi disse, con aria preoccupata.

“Chiederò l'aiuto anche di Rik ed Elia, sono sicuro che saranno dalla tua parte, non preoccuparti, dirò loro di mantenere il massimo riserbo per questa faccenda” fantastico, un maggiore aiuto per me, mi avrebbe aiutato a farla franca.

“Adesso io vado di là e cercherò dio comportarmi come se nulla fosse, tu chiedo solo di fare attenzione a quello che fai e a come ti muovi” e dicendo questo, aprì la porta che separava la sua stanza e la cucina e sparì dietro ad essa.

Stavo mettendo nei guai persone a me care solo per avermi dato una mano, sperai che anche Erika stesse bene e che fosse riuscita a mascherare bene quello che sapeva su questa faccenda. Anche Emily avrebbe dovuto vedersela con sua madre e capire cosa stava architettando senza farsi scoprire, dopo la notte passata insieme, pregai che nessuno se ne accorse. Chissà cosa pensavano i miei genitori dell'intera faccenda, ma solo sapere che non avevano alzato un dito in mio favore mi faceva adorare e non poco. Si sentivano più liberi una di ubriacarsi fin dall'alba e l'altro di portarsi tutte le sue prostitute a casa? Da chi credevano avessi preso? Era colpa della loro condotta che si era arrivati a questo? O era solo colpa mia, che fino a quel m omento aveva fatto quello che più m'andava senza curarmi delle conseguenze?

Mi misi le mani tra i capelli, volevo urlare per dare il giusto sfogo ai sentimenti che provavo in quel momento, ma mi trattenni e, accasciandomi al suolo, ai piedi del letto, con gli occhi velati da lacrime che impedì io stesso che scendessero, mi autocommiserai, affibbiando la colpa a persone che non c'entravano nulla con la mia condotta.

Rimasi così fermo per un po', e concentrandomi sui rumori della casa che stava prendendo vita senza che me ne rendessi conto, sentì Alex che salutava suo padre e faceva le raccomandazioni solite affinché non si facesse male sul lavoro.

Cercai di asciugarmi gli occhi così che non capisse cosa stessi passando; sapevo che anche Alex sarebbe dovuto andare a lavoro, ne faceva diversi a dire il vero, anche se non sapevo davvero cosa. Lo ammiravo molto, se fosse stato donna lo avrei sposato! Facendo dell'ironia, però, non miglioravo di certo la situazione. Non dimostravo per nulla di essere uomo, anzi in quel momento non credevo nemmeno di esserlo: mi sentivo più un bambino che si nascondeva per un errore fatto per non farsi trovare dai genitori per paura di essere picchiato.

Spalancò la porta ed entrò, abbastanza contento di come era andata, almeno così mi pareva.

“Ho una sorpresa che ti solleverà il morale” mi disse e, dalla porta, come per chissà quale fortuito caso, vi entrarono Elia e Rik. Quanto ero felice di vederli! Corsi ad abbracciarli contento che almeno loro, non avevano sentito quello che mi era successo solo il giorno precedente. E pensare che oggi mi sarei potuto sposare con Emily. Avrei conservato il ricordo di quella notte, questo era certo, una delle poche volte in cui mi sarei ricordato con chi lo avessi fatto, con molto piacere.

“Ehi amico è tutto a posto? Stai bene?” disse Elia, tastando tutto il corpo alla ricerca di ferite.

“Sì sto bene, puoi smettere di toccarmi per favore? È imbarazzante da parte tua” confessai. “Ma dunque, sapete già tutto?” chiesi, dopo quella domanda, era lecito pensare che la notizia avesse fatto il giro del paese.

“Sì un uomo sta dando la notizia per tutto il paese, c'è una taglia sulla tua testa. Eravamo venuti qui per sapere se Alex ti aveva visto, ed eccoti qui!” è una fortuna che nessuno sappia che sei qui.

“Si sta mettendo male, amico. Anche stando qui, non è detto che non finiscano col trovarti. Stanno perquisendo anche le varie abitazioni per vedere dove ti trovi. Faresti bene a non essere qui quando arriveranno” disse Rik.

Appena lui pronunciò queste parole, sentimmo bussare.

“Non ditemi che sono già qui?” disse Alex sconcertato.

“Cam salta dalla finestra e rimani lì fermo e immobile, ce la vediamo noi” disse Elia. Stava diventando un'abitudine entrare ed uscire dalle finestre.

“Ehi ragazzi, tutto sotto controllo. Cam c'è qui Erika” annunciò Alex e dalla porta entrò, con aria stanca e preoccupata.

“Erika, cosa ci fai qui?” chiesi sorpreso di vederla così presto.

“Signorino, la situazione degenera, mi dispiace dirlo, ma qui non è al sicuro. Deve scappare il più lontano possibile! Non deve più farsi vivo qui, altrimenti la uccideranno!” disse, con le lacrime agli occhi.

L'afferrai per le spalle possenti e la guardai negli occhi, per essere il più convincente possibile, e le mormorai:

“Adesso calmati, cosa succede? So che c'è una taglia sulla mia testa e che mi cercano, ma una volta passati i controlli qui, non mi cercheranno più qui, no?” dissi, anche se iniziavo ad esserne poco convinto.

“Ehi c'è nessuno” sentimmo una voce venire da fuori. L'avrei riconosciuta tra mille.

Corsi verso la porta e la spalancai trovandomela di fronte: “Emily! Che ci fai qui?” dissi, stava diventando una storia sempre più ingarbugliata.

“Scusate se piombo qui, ma ho seguito Erika e, stando a quello che mi avevi detto ieri sera sapevo dove cercare. Ascolta, devi scappare e subito anche” disse, perchè me lo dicevano? Cosa stava accadendo, qualcuno me lo avrebbe spiegato?

“Anche io glielo detto” ammise Erika.

“Ma mi dite il perchè che succede? Sto impazzendo!” sbottai io, quasi urlando.

“Cam, mia madre ha pagato i criminali della foresta per darti la caccia, non si fermeranno mai! Sono qui e stanno seminando il panico, ma per fortuna non hanno ancora fatto del male a nessuno” disse allarmata.

Adesso era più chiaro il motivo per la quale era meglio se non stavo da Alex, anche perchè lo avrei messo in pericolo più di quanto abbia già fatto, ed ora c'erano anche Rik, Elia, Erika e pure Emily.

“Aspetta un momento” disse Rik all'improvviso “se tu hai seguito Erika, loro possono aver seguito te?” chiese lui.

“Io... ” disse lei più spaventata di prima “io...non lo so”.

“Dobbiamo andare via tutti da qui” disse Elia.

“Bene, andiamo allora” disse Alex, ma come uscimmo dalla sua dimora, vedemmo in lontananza un gruppo di uomini che saccheggiava le abitazioni nei dintorni. Ancora di noi non si erano accorti.

“Che facciamo? Sono già qui signorino” disse Erika.

“Va bene,” dissi io, prendendo una decisione “Erika, prendi Emily e, senza farti notare, portala a casa. Dì che l'hai trovata a vagare per il paese e stava per essere trovata da quei predoni. Inventa qualcosa, ti crederanno. Ragazzi, cercate di allontanarvi anche voi da qui, trovate un riparo e restateci finchè non si saranno calmati”.

“D'accordo, signorino. Noi andiamo. Signorina Emily, venga con me” disse con dolcezza.

“Non farti prendere” mi disse lei.

“Tranquilla, non accadrà. Tornerò lo prometto” le dissi ed Erika la portò via.

“Bene, inizia ad andare anche tu Cam. Ti faremo avere un vantaggio su loro” mi disse Rik, serio.

“Ma?” protestai io.

“Ma un corno!” disse Elia “siamo amici e ti aiuteremo” concluse Alex per lui.

“Va bene, non fatevi ammazzare” mi augurai.

“Ehi per chi ci hai presi?” disse, offeso, Elia.

“Buona fortuna” sussurrai.

“Forza, adesso vai. Non c'è tempo” mi incitò Rik ed io, corsi via.

L'ultima cosa che vidi fu loro combattere contro quegli esseri mostruosi, alcuni di loro avevano passato la loro difesa e mi stavano rincorrendo.

Preso dal panico, mi infilai nell'ultimo posto dove sarei voluto andare: la foresta.

“No, Cam, non andare ti perderai!” mi urlò Alex, ma era troppo tardi ormai la vegetazione della foresta divenne la mia unica speranza.

Mentre correvo la neve riprese a cadere, credetti di essere fortunato, perchè la nuova neve avrebbe cancellato le mie impronte, ma avrei dovuto correre per molto per assicurarmi di non averli più alle spalle. Sapevo che la mia era una corsa disperata, ma ce l'avrei messa tutta per sopravvivere e tornare da Emily e dai miei amici.



Eccomi, dopo un lungo periodo sono di nuovo qui! xD vi sono mancata? 
-.-" vabbè lasciamo stare, Parliamo del capitolo che è meglio. Bè ho rispettato la consegna, no? Almeno quello xD
Che ne dite? cosa farà adesso il nostro protagonista? come sopravviverà? riuscira a scappare? dove andrà?
Ditemi cosa cretete accada nel prossimo capitolo, o cosa vorreste che accadesse xD intitolato: L'eremita della Foresta ;) chje ahimè dovrete attendere un altro mese -_-"
Ringrazio, intanto, chi mi sostiene e chi mi ha aggiunta agli autori preferiti e aggiusto la seguente storia in una delle tre categorie ;) 
Grazie mille ;) ;) anche a chi legge solo ;) 
Alla prossima
Kiss Kiss
Shana ;) 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 07 ***


Capitolo 07. L'eremita della foresta

 

Corsi più in fretta che potei, ma iniziavo ad essere stanco. Mi sarei tanto voluto fermai ma finchè avevo quelli alle costole, non me lo sarei mai potuto permettere.

Mi voltai alle spalle e non vidi nessuno, quindi decisi che una sosta me la potevo anche permettere. Mi accovacciai dietro ad un albero, e presi fiato senza farmi sentire. La neve e la vegetazione mi avrebbero aiutato a nascondermi meglio. Sperai che sarebbe potuto bastare, ma concretizzai che ero nel loro territorio e conoscevano questa fitta boscaglia meglio di me, mi avrebbero trovato di sicuro.

Devo trovare un'uscita, sperando che dall'altra parte non ci siano altre sorprese,dissi tra me e me.

Nonostante avessi desiderato visitare e scoprire cosa c'era dall'altra parte della foresta che confinava con la metà del mio paese, non era certo quello il modo in cui avrei voluto scoprirlo.

Sentì all'improvviso un buco allo stomaco e pensai che era dal giorno prima che non toccavo ne cibo ne acqua, così decisi, sempre prestando attenzione, di cercare qualcosa da mettere sotto i denti.

A dire il vero non sapevo molto di sopravvivenza, ma avevo letto molto a proposito.

Pensai alla ragazza che vidi solo il giorno prima, chissà se l'avrei vista qui, chissà se mi avrebbe aiutato. Di certo lei sapeva come cavarsela, senza incontrare quei brutti ceffi che avevo dietro di me.

Vagai per un po' fino a che non sentì il rumore dell'acqua: magari lì vicino c'è un ruscello, o qualcosa di simile. Decisi si seguire il rumore dell'acqua per vedere fin dove mi avrebbe condotto.

Percorsi un bel pezzo a piedi, ma la vista che mi si parò davanti mi ridestò quasi del tutto: altro che ruscello, c'era un immensa pozza d'acqua cristallina, mi avvicinai e il rumore che avevo sentito era quello di un ruscelletto che si gettava nella pozza d'acqua in parte congelata per via del freddo, ma ero contento che dell'acqua era ancora nella sua forma. Mi avvicinai al ruscelletto e bevvi bei sorsi d'acqua con avidità. Era molto fredda, ma non mi importava, anche se non trovavo cibo solido, avevo trovato acqua buona e fresca. Sentì delle voci alle mie spalle, in fretta e furia, cancellai le mie impronte rendendole indistinguibili e salì sul primo albero che mi capitò.

Meno male che lo feci, perchè da dove ero arrivato io, giunsero cinque uomini, evidentemente erano quelli che mi seguivano. Ascoltai quello che si dissero, mi avrebbero illuminato sulla situazione attuale. Pregai però che anche loro non venisse l'idea di arrampicarsi su di un albero. Mi avrebbero visto di sicuro.

Cercai di nascondermi tra il fogliame rigoglioso dell'albero su cui ero salito, era altissimo e imponente, senz'altro doveva avere almeno cento anni.

“Maledizione, ci è sfuggito!” disse un omone con voce grassa.

“Tranquillo, Ivan, lo troveremo” disse l'altro con fare sicuro. Avevano tutti la stessa corporatura: erano tutti più o meno bassi rispetto a me, ma grossi e imponenti. Non avrei mai vinto contro tutti loro, senza contare che ero disarmato. Loro disponevano di un ricco arsenale, evidentemente preso durante i saccheggi al mio paese.

“Quella donna ci pagherà oro quando gli porteremo la sua testa” disse un altro.

Si sedettero e, come animali, bevvero dalla mia stessa sorgente. Date le abitudini, mi chiesi se avrebbero potuto anche sentire il mio odore ed individuarmi.

Notai che erano, oltre che rozzi, anche sporchi, era evidente che non avevano una buona igiene della persona, vivendo in una foresta non poteva che essere così.

“Già, potremmo fare tante cose con quell'oro. Potremmo vivere nel lusso più sfrenato” disse il tizio che era stato denominato Ivan.

“Se non lo farà prenderemo il suo corpo, mi sembrava ben disposta a farlo, avete visto come si atteggiava e come lasciava intravedere le sue grazie?” disse uno.

Che puttana! Allora il suo era un vizio, non mi sarei stupito se fosse andata con mezzo paese e persino con mio padre!

“Sì hai ragione” disse uno che si era accasciato al suolo, cerchiamolo ancora per un po' poi andremo a riscattare in ogni caso.

“Dobbiamo tenercela buona quella donna. Chissà quanto ancora potrebbe offrirci” disse Ivan.

Era incredibile, quanto ancora era capace di fare la signora Mariluna De Roquet?

“Signori, pregate, in questa ricerca, di non incontrare quella ragazzina sfrontata che vive qui, l'ultima volta ci ha decimato” disse un altro con aria preoccupata.

Cosa? Una ragazza? Davvero temevano una ragazza più della signora De Roquet? Li aveva decimati? Che voleva dire? Quanto avrei voluto sapere di più, magari proprio questa ragazza mi avrebbe aiutato! Dovevo trovarla a tutti i costi, l'avrei pregata con il mio modo di fare seducente e lei mi avrebbe aiutato di sicuro.

Non capivo però cosa intendevano con “l'ultima volta ci ha decimati”? Che sia davvero così forte? Era in grado di ucciderli? Se era così, mi sarei informato anche su sul modo per ucciderli, così avrei potuto liberare il mio paese dalle loro continue visite notturne.

“Già, quella è davvero una furia. Sapete da quanto tempo è qui?” chiese uno di loro.

“Da molto tempo: già da quando ho iniziato a stabilirmi qui, lei c'era già” fu Ivan a parlare e la sua voce era ormai quasi un sussurro.

Se quella ragazza era qui da prima di lui, non doveva essere poi così giovane.

“Sul serio? Non sembra, è giovane per essere più vecchia di te, Ivan” disse un uomo alla sua destra.

“Che ci crediate o no, quella ragazza è diversa, non sembra nemmeno umana” disse e poi ci fu il silenzio più totale.

Non avevo capito bene la sua ultima affermazione ma mi feci una mia teoria: doveva essere almeno sulla quarantina e con qualche segno caratteristico che la faceva sembrare un mostro. La descrizione che ne avevo ricavato era pressapoco questa.

Sempre ammesso che fosse davvero così.

É una descrizione alla quale nessuno crederebbe, a che pensi Cam? Ti aspettavi forse una bella ragazza sulla ventina?

Non ci capivo più nulla, era meglio non pensarci più e dedicarsi, piuttosto, alla sua ricerca. L'avrei vista una volta avuta di fronte.

“Forza signori andiamo, cerchiamolo verso ovest, sarà andato a caccia di cibo, il signorino” disse un altro omone, pronunciando la parola signorino con un tono cagnesco misto all'odio. Quanto avrei voluto strozzarlo!

Dopo che se ne furono andati, decisi di non scendere da quell'albero ma di riposare un po' sopra esso, da lassù nessuno mi avrebbe visto e gli animali non sarebbero mai arrivati a quell'altezza.

Salì ancora di qualche ramo per essere più tranquillo, mi fermai su un tronco piuttosto spesso e mi ci appisolai, era quasi buio e, a pericolo quasi scampato, direi, mi sentivo più sicuro di me per permettermi di riposare un po'.

Nonostante fosse buio, non riuscì a prendere sonno facilmente: i rumori che venivano dal basso erano inquietanti ed il vento che serpeggiava tra gli alberi produceva un suono sinistro.

Ero anche in pensiero per i miei amici: quelli sotto di me, non avevano accennato a loro, sperai che se la fossero cavata con soli lividi e graffi e che Erika ed Emily si fossero messe in tempo, al sicuro.

Mi accorsi anche di come la neve non aveva smesso di cadere, era uno spettacolo bellissimo vederla così da vicino, tutto sotto di me e a fianco era coperto di bianco. Pensai che ormai le mie tracce erano belle che coperte. Ero certo che non mi avessero trovato più.

L'indomani mi sarei potuto dedicare a cercare qualche cosa da mangiare, frutto o animale che fosse. Dovevo sopravvivere per cercare l'eremita e tornare da Emily e da tutti i miei amici. Con questi pensieri positivi, mi addormentai.

 

Il mattino dopo mi alzai più stanco di prima e anche tutto indolenzito.

Non avevo dormito bene per via della posizione e, mi ero svegliato frequentemente, per assicurarmi di non cadere e fare un bel volo che mi avrebbe di certo ucciso.

Con cautela e, dopo essermi assicurato che non ci fosse nessuno, scesi dall'albero e corsi a bere un po'. La neve che continuava a scendere, aveva creato un mantello di neve molto alta, lo potevo notare dai miei piedi che sprofondavano di cinque o sei dita circa, prima di toccare il suolo.

Tastai il terreno per vedere se avessero lasciato qualche cosa e, con la mia solita fortuna la trovai, era un piccolo pugnale con il manico in acciaio nero ed il fodero in cuoio. Il classico pugnale per squartare gli animali cacciati. Mi sarebbe stato utile di sicuro. Ero molto positivo, e dopo quel ritrovamento come non esserlo.

“Spero che la fortuna oggi mi aiuti a trovare anche l'eremita” bisbigliai tra me, affinché nessuno mi sentisse.

Col il mio nuovo pugnale, andai a caccia di animali di piccola taglia, i più facili da prendere. Non fu facile, essendo la prima volta fallì diverse volte, finchè non catturai un piccolo coniglietto. Mi dispiacque molto ucciderlo, ma dovevo mangiare.

Avevo letto anche di come accendere un fuoco, ma era meglio evitare, mi avrebbero notato subito e, pur di non correre questo rischio, lo mangiai crudo. Aveva un sapore viscido ed orrendo, per via del sangue che colava da tutte le parti, ma dopo aver bevuto, mi potevo sentire sazio. Tenni la pelliccia del coniglietto, non si poteva sapere, sarebbe potuta tornarmi utile.

Constatai di quanto fosse facile leggere di qualcosa, ma quanto sapeva essere difficile la messa in pratica.

Vagai a lungo nella foresta, ma oltre al paesaggio bianco, non notai nulla di diverso: credetti anche di aver fatto dei giri tutt'intorno alla pozza d'acqua, perchè dovunque mi girassi, tornavo sempre lì.

Non sapevo più da che parte andare, mi fermai di nuovo in mezzo a quella che doveva essere una prateria, se non fosse stata letteralmente coperta di neve.

Quando sentì un sibilo che attraversava il vento ed un freccia che mi colpì in pieno stomaco, ed un animale fuggire via accanto a me.

Preso dal panico mi nascosi, fuggendo per quanto potessi da lì senza farmi notare, ma la ferita mi rallentava parecchio.

Nel mezzo della prateria vidi gli stessi uomini del giorno prima spuntare da una boscaglia dall'altra parte da dove ero arrivato io.

“Dannazione, credevo di averlo preso quel cervo” disse, allora non ero io la sua preda! Quindi voleva dire che non mi avevano visto! Meno male, aspettai che ripresero la corsa verso l'animale che sarebbe diventato presto o tardi il pasto per poter uscire allo scoperto.

Non hai preso il cervo, ma hai preso me, bastardo! Imprecai tra me, contro quell'uomo lo stesso che avevo minacciato a me stesso di strozzare.

Dopo che si furono allontanati a dovere, mentre gli altri quattro continuavano a cercare me, e l'altro a cercare il cervo, continuando a chiamarmi signorino in modo rozzo, io con la vista che mi si stava annebbiando, mi accasciai al suolo.

Con le mani mi tenevo la ferita contro la neve che almeno un minimo di sollievo me lo stava dando, ma non quanto sperassi per non sentire più dolore.

Non distinguevo più la realtà dalle allucinazioni provocate dalla ferita e dalla perdita di sangue. Credetti di morire, quando scorsi tra la neve, un paio di piedi nudi fermi davanti a me.

Per favore, aiutami, mormorai nella mia mente e poi il buio prese il sopravvento.

Sentì solo una voce bella, flebile, che mi mormorava che sarebbe andato tutto bene e di resistere. Forse era l'eremita; mi sentì sollevare di peso ed essere cullato dalla sua camminata ed io, credendomi ormai al sicuro, mi riposai.



Eccomi tornata ;) 
Vi annuncio che sono riuscita a terminare la prima parte della storia e che sto per cominciare a scrivere la seconda, della quale non anticipo nulla.
Per il momento, vi dovete accontentare di questo breve capitolo (chiedo scusa per la brevità di questo capitolo -.-").
Come vi sembra? Di chi è la voce che sente? 
Lo scoprirete nel prossimo capitolo ;) anche se questo titolo dice già tutto :P, intitolato; Le Cure di una Ragazza Bianca come la Neve 
Spero si pubblicare al più presto xD 
Grazie, intanto, a chi recensisce la mia storia e chi mi segue anche solo leggendola. Grazie anche a chi mi ha aggiunto nelle varie categorie XD
Alla prossima
Kiss Kiss
Shana ;) 

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Capitolo 9
*** Capitolo 08 ***


Capitolo 08. Le cure di una ragazza bianca come la neve

 

“Dai, resisti ragazzo, non temere andrà tutto bene”.

Queste furono le ultime parole che udì prima di svenire per la stanchezza.

A pronunciarle era una voce dolce e melodiosa, molto più di quella di Emily.

Provai a chiedere chi fosse, ma dalle mie labbra non uscì nessun suono, solo un lamento. Potevo sentire la ruvidità delle sue vesti a cui ero appoggiato, molto consumate, dedussi, seppur fredde mi infonderono tranquillità, come se quella persona fosse l'unica che avrebbe potuto aiutarmi, ed in parte, mi sa che era proprio così! Mi sarebbe piaciuto vederla in viso, ma la vista non me lo permise e, oltretutto, lei stessa non me lo aveva permesso, perchè il mio sguardo era rivolto verso la strada che ci stavamo lasciando alle spalle.

Per tutto il tempo che rimasi incosciente, feci un sogno, un sogno in cui la smettevo di scappare da tutti e mi trovavo in un luogo di pace e serenità. Sarei voluto rimanere lì per sempre: non sentivo dolore di alcun tipo, la mia ferita era come svanita.

In quel luogo, ricoperto di neve e con un sole caldo, mi sentivo a mio agio.

Non c'era nessuno, solo io con il paesaggio che mi circondava: nulla di tutto ciò aveva senso, ma a me piaceva molto.

Mi chiesi diverse volte se fossi morto e se quello era un altro mondo in cui una persona approdava una volta che aveva lasciato la vita terrena. Se era davvero così, sapevo che lì non sarei mai stato felice, anche perchè mi resi conto che ero solo.

Alla fine non c'erano molte differenze con quel posto e dove ero finito solo la notte prima, era esattamente uguale.

Quando lo realizzai, il mondo intorno di distorse e il sole svanì lasciando solo oscurità, la neve divenne roccia e, d'un tratto, ci fu solo desolazione.

Forse quel posto mutava al mutare del mio stato d'animo: un attimo prima ero sereno ed il paesaggio che mi circondava era piacevole e, adesso che ero sconsolato, il paesaggio era diventato un deserto.

Provai a pensare di essere di nuovo felice, ma nulla mutò; dipendeva dal fatto che il cambiamento che volevo era volontario?

Tanto vale lasciar perdere, pensai e in quell'attimo, una fitta all'altezza dello stomaco mi percorse lungo tutto l'addome e la testa. Mi immobilizzò completamente, fino a dovermi accasciare a terra per constatarne il motivo di quel dolore improvviso.

Feci per alzare la veste e notai che la mia ferita sanguinava.

Si è riaperta dunque, ma come è possibile? Che cosa mi sta accadendo? Più ci pensavo, più non ne trovavo riposta. Se ero morto, avrei voluto morire una seconda volta, se ero inconscio, avrei voluto ridestarmi.

Iniziai a schiaffeggiami, a pizzicarmi, a fare tutto quello che si faceva di solito quando ci si voleva svegliare da un incubo o semplicemente stabilire se, quello in cui si era, era sogno o realtà.

Sembrò funzionare, il mondo attorno a me scomparve del tutto e fu di nuovo buio, finché non svenni un'altra volta.

 

Quando mi ridestai, per la seconda volta, notai che ero all'interno di una piccola casetta fatta interamente di legno, evidentemente fatta con i tronchi degli alberi che si trovavano nella foresta. L'arredamento stesso era fatto di tronchi piccoli, ceppi e fogliame. Il tetto non era altissimo sarà stato più alto di me forse di una o due teste.

Il letto su cui ero appoggiato era fatto di rami d'albero ancora pieni di fogliame, probabilmente erano quegli alberi che restavano sempre verdi, come i pini, lì che n'erano parecchi.

La stanza di per se era minuscola, se mi fossi coricato a terra sarei stato lungo quanto il pavimento sia in lunghezza che in larghezza.

Davanti a me era situata una piccola tenda, evidentemente per dividere le stanze. La varcai e mi ritrovai in una stanza più grande, almeno di tre o quattro volte la precedente, dove c'era un camino in cui il fuoco era padrone, un tavolino posti subito davanti e due sole sedie ai lati di esso. Il resto era spoglio, non c'era altro.

Al centro del tavolo, che era lungo circa due o tre braccia, era posto un cesto di vimini famigliare. Ci andai incontro e, al suo interno, notai foglie che non avevo mai visto prima, e sacchettini in pelle di animale con all'interno monete d'oro.

Ma che...? sussultai, era molto più famigliare di quello che immaginassi, forse si trattava di quella ragazza al mercato due o tre giorni prima, non sapevo quanto tempo fosse passato. Ancora c'era un ciondolo che rappresentava un fiore che qui sbocciava solo in questa stagione: un bucaneve.

Avrei riconosciuto quello stemma ovunque: si trattava dello stemma dei De Roquet.

Ecco cosa aveva donato Emily a quella ragazza, adesso sì che ero certo a casa di chi fossi finito.

Alla mia sinistra, notai un'altra tendina lì c'era del movimento. Immaginai fosse la ragazza in questione. Avrei voluto chiederle un sacco di cose, ma per il momento, avrei solo esprimere la mia gratitudine.

Ispirai profondamente e buttai fuori l'aria dalla bocca ma senza produrre troppo rumore perchè non mi sentisse.

Per la prima volta, ero nervoso dinanzi ad una donna. Era raro che mi capitasse.

Il mio cuore prese a palpitare: ero decisamente nervoso, ma non me ne spiegavo il motivo.

Cercai di darmi una regolata e, a passo deciso, mi avvicinai alla tendina e di colpo la spostai, rivelando una minuscola cucina, grande quanto la stanza in cui mi ero svegliato ed una ragazza, con lunghi capelli rossi, che le cadevano lungo tutta la schiena che mi dava le spalle.

Quest'ultima, stava preparando qualcosa ma non avrei saputo dire che cosa per l'esattezza, ma l'odore non era dei migliori. Poi la vidi smettere all'improvviso, si era accorta già della mia presenza? Eppure ero stato cauto!

Forse la mi agitazione, la poteva avvertire anche lei, mi sentivo ridicolo in una situazione come quella, che non era mai stata per me ingestibile.

Lentamente, si voltava, notai dapprima le mani lungo i fianchi, piccole e estremamente pallide, per il freddo?

Il suo abito era un turchese molto sbiadito e molto usurato, strappato in diversi punti lungo l'orlo della gonna che arrivava fino alle caviglie, i piedi anch'essi molto pallidi, nudi sul pavimento fatto solo di legno.

Al solo vederla, mi vennero i brividi di freddo!

Notai che era abituata a stare scalza, anche se i suoi piedi non sembravano per niente rovinati ma avevano solo dei residui di... neve?! Camminava scalza nella neve? No, no c'era qualcosa che non mi tornava.

Non volli pensare alle sue abitudini, ma piuttosto al suo aspetto, ero davvero curioso chi fosse quella ragazza spuntata, al nostro villaggio, dal nulla per poi svanire nella foresta.

Quando la guardai, altro che perdere un battito, rimasi incantato, il suo viso piccolo e magro era chiaro, come la sua pelle, non aveva nessuna imperfezione su di esso, ma la cosa che più mi lasciò a bocca aperta furono gli occhi: due gemme viola scuro che mi guardavano con aria interrogativa.

Era un viso delicato e dalle curvature morbide, l'opposto del mio che aveva tagli netti e decisi, soprattutto sulla mandibola, caratterista comune alla maggior parte degli uomini.

Dei lineamenti come i suoi non ne avevo mai visti, forse era straniera. Non mi sembrava originaria delle nostre parti.

Ci fissammo per un tempo indefinito, per poi decidermi finalmente a parlare, ma non dissi quello che avrei voluto dire, almeno non subito.

“Tu chi sei?” chiesi, invece. Sembrava talmente perfetta da non sembrare nemmeno vera!

“Quella che ti ha trovato” disse solo. Una bella voce caratterizzata da un forte carattere. Sarebbe stato difficile cercare di conoscerla meglio.

Era una situazione davvero imbarazzante. Forse era talmente abituata a stare in quella casa sola che forse non era in grado di colloquiare con gente che non conosceva, ma con Emily lo aveva ben fatto! Forse non conosceva molti uomini. Mi convinsi di questo e riprovai.

“Abiti qui da molto?” chiesi, ancora.

“Da un paio di anni” rispose esitante, come se dovesse cercare una risposta.

“L'hai fatta tu questa casa?”

“Sì”. Come sì? Era impossibile! Una donna in grado di fare un lavoro eccellente come questo? Forse non era come tutte quelle con cui avevo avuto a che fare, dovevo cambiare tattica.

“Ti ringrazio per avermi portato qui. Quanto tempo sono rimasto incosciente?” chiesi.

Dopo aver fatto una smorfia di stupore, come confusa dal mio cambiamento di discorso, rispose abbastanza sicura e tranquilla.

“Da circa tre giorni. La ferita è quasi del tutto rimarginata, come hai notato tu stesso” disse, indicando le bende che mi avvolgevano l'addome.

Mi aveva curato sul serio? Non me ne ero nemmeno accorto, il dolore era quasi del tutto sparito, solo camminando avvertivo delle fitte, ma comunque era un dolore sopportabile.

“Incredibile, non sento più nulla, come hai fatto?” domandai, davvero stupito.

Con un viso molto più rilassato, rispose: “Con erbe particolari, trovate nella foresta, che hanno la facoltà di guarire le ferite. Non è stato facile curarti anche se eri incosciente, scalpitavi per il dolore comunque”.

“Attraversi spesso la foresta?”

“Io ci vivo nella foresta” disse sottolineandolo per bene.

Eravamo in una casetta sperduta nella foresta? Quindi poteva essere che lei... no, no non era assolutamente possibile, come poteva difendersi contro quei tipi che ci abitavano davvero nella foresta?

No, non credevo fosse lei l'eremita e poi era qui da solo un paio di anni, quell'eremita dicevano che era qui da millenni!

Magari lo aveva incontrato.

Iniziavo seriamente a non capirci più nulla. Forse era meglio lasciare stare, ma non fu facile.

“Sul serio? E non hai paura di quello che c'è fuori?” era pur sempre una donna, dopo tutto; avere paura faceva parte della loro natura.

“No, sono abituata” rispose solo.

“Cosa fai lì?” dissi, cambiando di nuovo argomento. Però che donna di poche parole!

“Sto preparando una medicina da farti bere. Così guarirai del tutto, fino a che no rimarrà solamente una cicatrice” disse, rivoltandosi e riprendendo quello che stava facendo prima che la interrompessi.

“Ti ci sono voluti solo tre giorni per rimettermi in forze, incredibile. Al mio paese ci avrebbero messo una settimana” ironizzai, ed era vero. Il tempo minimo di guarigione per una qualsiasi ferita, anche la più superficiale, ci voleva almeno una settimana.

“Non raccolgono le erbe che nascono qui? Sono molto buone e guariscono in fretta molte ferite” chiese. Stavamo conversando, finalmente.

“No, nessuno di noi si è mai addentrato qui. Molti temono gli uomini che ci vivono. Molti non sono più tornati”.

“A parte te, giusto? Come mai ti sei addentrato?”

“È una storia lunga” dissi solo. Non mi andava ancora di parlare di questo con qualcuno che non conoscevo.

“Capisco” disse solo. Non mi chiese altro ed io lo apprezzai. Non si voleva intromettere o perchè non le interessava o per gentilezza nei miei confronti, non sapevo quali delle due ma puntavo sulla prima ipotesi.

“Ecco, bevi” disse, porgendomi una ciotola anch'essa in legno con all'interno un liquido verdastro non molto invitante.

Lo guardai con riluttanza e la guardai, chiedendole con lo sguardo, se dovevo proprio bere quella cosa.

“Non è poi così cattivo. Basta che ti tappi il naso e la mandi giù in fretta. Non sentirai nulla” disse, come se mi avesse letto nella mente.

Con aria molto schifata, avvicinai la ciotola alla bocca, ma la allontanai subito, capì perchè mi aveva detto di tappare il naso: l'odore era orrendo!

Lei si voltò e si allontanò. “Con tutta calma, mi raccomando, ma se non la bevi farai infettare la ferita e dopo sarà più difficile guarirla con le sole erbe! Ci andrà qualcosa di molto peggio di quell'intruglio!” mi disse, più per convincermi che per cattiveria o per spaventarmi, ipotizzai.

Onestamente, non avevo intenzione di prolungare la guarigione più del dovuto e quindi, mi feci coraggio, mi tappai il naso e bevvi tutto d'un sorso mandando giù con difficoltà.

La guardai di sottecchi, il suo viso era divertito ma soddisfatto.

Il sapore era disgustoso e viscido, non avevo mai mangiato o bevuto, come in quel caso, nulla di simile sia come sapore che di consistenza. Sperai che non me ne desse altre, davvero, non avrei sopportato ancora!

“Bene, bravo” disse solo.

Uscì dalla cucina e si diresse verso la porta che avrebbe condotto fuori. La spalancò, un vento gelido mi arrivò e subito cercai di scaldarmi col fuoco lì vicino, che si trovava di fronte alla porta dall'altra parte della stanza.

“Dove vai?” chiesi, non capendo cosa stesse facendo.

“Esco un momento a cercare del cibo da mangiare. Torno subito, resta qui al caldo, fa come se fossi a casa tua” mi disse, infilandosi la ben nota mantella marrone scuro, sgualcita anch'essa per la continua usura; afferrò un altro cesto lì vicino all'uscio e se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.

Feci in tempo a notare, che la neve aveva smesso di cadere.

Eccomi qui ;) 
finalmente mi deciso a pubblicare un altro capitolo ;) 
HO notato che siete sempre di più a seguire la storia di Ottavia e ne sono molto contenta visto che ho notato che la state aggiungendo alle seguite ;)
NOn ci avrei mai creduto se non lo avessi visto :)
Allora, passiamo a questa storia e a questo capitolo ;) come vi è parso? come la trovate questa misteriosa eremita xD ? 
cosa sperate o cosa credere possa accadere da adesso? 
Il prossimo capitolo, dal titolo Permanenza, arriverà sperò entro questo mese. ;) 
Grazie a tutti per continuare a seguire questa pazza scrittrice con questa assurda storia xD xD spero che commentiate in tanti ma anche leggiate e che sia di vostro gradimento ;) 
Alla prossima, io continuo a scrivere le mie storie ;) 
Kiss Kiss
Shana ;) 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 09 ***


Capitolo 09. Permanenza

 

Non appena uscì, corsi verso la porta e la spalancai, per rendermi conto di dove fossi capitato. Quando lo feci, notai che la casetta da fuori era piccola quanto lo sembrava dentro, il paesaggio tutto in intorno era bianco per via della neve caduta in questi ultimi giorni, ma lei era già sparita in mezzo alla vegetazione che mi circondava. Come aveva fatto a sparire tanto in fretta? Era davvero misteriosa ma avrei capito chi fosse, avevo escluso l'eremita, tuttavia, il comportamento di Emily e da quello che mi aveva detto, risultava proprio essere il famoso eremita di cui si vociferava al mio paese.

Per il freddo richiusi la porta e mi andai a sedere vicino al fuoco per scaldarmi. L'intruglio che mi aveva obbligato a bere, stava davvero avendo effetto: la ferita ormai non mi procurava più dolore ed io iniziavo a sentirmi davvero meglio. Mi chiesi se, una volta che mi fossi ristabilito del tutto, mi avesse lasciato al mio destino. Sperai che sarebbe stato tanto generosa da permettermi o di rimanere o di accompagnarmi fino al villaggio più prossimo.

Per fare qualcosa, andai in cucina a vedere com'era visto che prima non ne avevo avuto l'occasione perchè ero stato distratto per tutto il tempo.

Varcai nuovamente la soglia e notai di quanto fosse minuscola, si vedeva che ci abitava solo lei, negli armadietti ricavati da arbusti molto vecchi, a giudicare dalle venature, erano riposte provviste ed erbe. C'erano diverse brocce molto grandi contenenti acqua, altre ciotole con bacche di diverse qualità, sapevo che ne esistevano di velenose e non mi fidai ad assaggiarle. Non sapendo a cosa le servivano, a parte per mangiare, tutte quelle bacche. Altro cibo non ce n'era, meno male che era andata a procurarlo allora!

Continuai a curiosare per casa e notai che c'era una stanzetta solo con la vasca per il bagno, una vasca di metallo, molto grezzo e molto vecchio. La stanzetta era accanto al caminetto, non l'avevo notata per via del colore della tendina identica a quello delle mura. Alcune pareti erano di pietra, altre di legno come la maggior parte della casa. Era molto tranquilla ma soprattutto essenziale. Difficile crede che l'avesse tirata su da sola, in soli due anni. Sembrava un'impresa impossibile, eppure c'era riuscita, contro ogni legge della natura.

Mi chiesi se aveva avuto a che fare con quei criminali che mi davano la caccia ma soprattutto in quale parte della foresta fossi. Quanto ero distante da casa? A parte quegli uomini, chi altri mi cercava? Chi per uccidermi e chi per portarmi indietro?

Improvvisamente, mi colse la stanchezza e senza farmi troppi problemi mi sedetti a terra usando la sedia come schienale, le ginocchia piegate e le gambe leggermente divaricate, con il capo all'indietro e chiusi gli occhi per riposare un altro po'.

Quella cosa che avevo bevuto, mi aveva letteralmente privato delle forze che mi erano rimaste, anche se avevo riposato abbastanza, non resistetti a fare un altra dormita.

 

Mi risvegliai lentamente, il mio era stato un sonno senza sogni, e ringraziavo per questo: l'ultimo che avevo fatto, non mi era piaciuto affatto.

Sentivo del movimento dall'altra parte della casa, che sia già tornata? Mi alzai, lentamente e mi accorsi che mi aveva messo il suo mantello come coperta, lo afferrai e lo riposi dove glielo avevo visto prendere, su un gancio posto vicino alla porta d'ingresso, dopodiché mi diressi in cucina dove la vidi preparare qualcosa.

“Sei già tornata” constatai.

“Ti sbagli, sei tu che hai dormito troppo” controbatté.

“Cosa? Perchè in che momento della giornata siamo?” chiesi. Non era possibile che avessi dormito un'altra giornata intera.

“Siamo ormai a sera inoltrata” disse senza mai abbandonare quello che stava facendo.

Andai di corsa alla prima finestrella, cioè quella della sala principale e guardai fuori: aveva ragione, il sole era tramontato da un pezzo lasciando spazio alle stelle. Le nuvole che avevano occupato il cielo in quegli ultimi giorni erano sparite.

“Non posso crederci” dissi, senza parole.

Tornai in cucina a vedere cosa stesse facendo. Aveva un animale di piccola taglia che stava accuratamente spolpando per poi mettere in una ciotola, notai che aveva anche tolto la pelliccia da esso e allora riconobbi l'animale: un piccolo coniglietto, come quello che avevo trovato io.

Chissà se avevo ancora quella pelliccia, provai a cercarla ma non la trovai. Lei dissipò i miei dubbi.

“Se cerchi la pelliccia del coniglio che hai trovato è in camera su un mobile vicino al letto” disse.

“Grazie, anche se non so ancora che farne” confessai.

“Potresti provare con un paio di guanti” disse, come se fosse la cosa più semplice del mondo.

“Magari mi insegni, ok?” dissi io.

“Va bene” disse, e sentì una leggera risata: allora sapeva ridere anche lei.

Non sopportavo stare con le mani in mano, mentre lei faceva tutto; mi offrì per fare qualcosa e lei mi propose di apparecchiare la tavola, per me da solo.

“E tu non mangi?” chiesi.

“Ho mangiato prima mentre dormivi” disse generalizzando.

“Capisco”, dopo che mi spiegò dove trovare tutto l'occorrente, preparai la tavola per me da solo. La tavola da apparecchiare non era altro che il tavolino che c'era davanti al camino.

Quando il coniglietto fu pronto, facendolo abbrustolire a dovere sul fuoco del camino, me lo mise nella ciotola e iniziai mangiare.

Lei si sedette davanti a me con, quella che sembrava essere, una tazza di tè.

Cercai di mantenere un certo contegno a tavola, non tanto per abitudine, ma per non mostrarmi troppo affamato: erano giorni che non mangiavo e mi sentivo piuttosto debole.

“Non c'è bisogno che ti trattieni” mi disse lei. Era incredibile, riusciva sempre a sapere quello che pensavo, “Mangia anche con le mani, non mi scandalizzo mica, sai” mi disse, continuando a sorseggiare la sua bevanda.

Non me lo feci ripetere due volte: abbandonai le posate che mi ero preparato e addentai con avidità la coscetta del povero coniglietto, passando poi al petto, più sostanzioso.

Mentre lei era intenta a bere il suo tè e a fissare intensamente il fuoco, cercai di guardarla più nel particolare, senza farmi notare.

Il fuoco illuminava la sua pelle chiara, che sembrava porcellana, le labbra erano piene e rosee, le mani piccole ed eleganti, con un anello d'oro che non riuscivo a capire da dove venisse, sembrava rappresentare un occhio molto delineato. Lo portava al dito medio della mano destra.

Era seduta rannicchiata su se stessa, le ginocchia piegate fino al petto, nascoste dal suo abito turchese, completamente rovinato. Non credevo che ne avesse altri oltre quello. Potevo vedere i suoi piedi nudi che si appoggiavano alla sedia per evitare di scivolare. Era perfettamente immobile, quasi come se non fosse reale.

Volevo cercare un argomento per spezzare quel silenzio che c'era, quell'atmosfera resa calda dal camino che scoppiettava, stava diventando troppo gelido per me.

“Ormai sono quasi guarito” iniziai a dire “cosa succederà quando lo sarò del tutto?”

“Non lo so, dipende da te cosa vuoi fare” mi disse.

Non sapevo se interpretarlo come un invito a restare o ad andarmene, era molto enigmatica sotto questo aspetto.

“Significa che posso restare ancora? Sai, sono stato esiliato e non conosco bene la zona dove mi trovo” dissi, sperando che accolse la mia richiesta di aiuto, formulata solo nella mia mente e resa pubblica solo con una scusa che fosse credibile.

Non avevo mentito a riguardo, ma mi sarebbe piaciuto che, prima di andare, mi avesse mostrato come vivesse lei, per essere il più possibile indipendente, caso mai fossi stato ancora attaccato.

“Se vorrai, per me va bene. Sono anni ormai che vivo sola, un po' di compagnia gioverà anche a me” disse.

Lo disse quasi come se fosse anche per lei un conforto avere qualcuno accanto, e a me non poteva che andar bene così.

“Mi insegnerai tutto quello che sai su come vivere qui?” la mia non era una supplica, ma una richiesta vera e propria.

“Se vorrai, ti insegnerò a cacciarti il cibo da solo, a riconoscere le erbe medicinali, ad usare anche le armi che dispongo ed a orientarti qui” disse, guardandomi per un breve attimo per poi tornare alla sua tazza.

Perfetto, proprio quello che volevo sentirmi dire, mi ritenevo fortunato ad essere capitato qui con una persona che sapeva il fatto suo.

“Ci vorrà tempo” dissi solo.

“Ho tutto il tempo che vorrai” mi rispose, enormemente convinta delle sue parole.

“Significa che posso stare per tutto il tempo necessario?”

“Sì, sarà divertente” mi disse, come se sapesse che non sarebbe stato facile insegnarmi tutto, ma lei non sapeva che ero un eccellente allievo; imparavo molto in fretta.

Il nostro accordo ormai era stipulato: sarei diventato un bravo cacciatore, sia di bestie che di uomini, e sarei potuto tornare da Emily, ma stavolta per portarla via con me, lontano da quel paese ormai corrotto dalla menzogna e dalla crudeltà della gente.

“Cominceremo subito da domani, ormai sei quasi in forze” mi disse; ero d'accordo, non c'era tempo da perdere.

“Quindi ti consiglio di riposare ancora, non sarò magnanima, per niente” continuò e non so perchè ma nei suoi occhi potevo scorgere tutta la sua esperienza in quel mondo a me sconosciuto ancora per poco.

“D'accordo, anche tu dovrai riposare, non sarò un facile allievo” ammisi.

“Lo farò, non preoccuparti di ciò” mi disse.

Dopo quella breve conversazione, mi obbligò a tornare nell'unico letto di cui era disposta la casa.

“E tu dove dormi?” avevo chiesto.

“Tranquillo, mi arrangio” disse solo e mi spedì dritto in camera dove, una volta steso sul comodo letto, mi addormentai, anche se prima avrei giurato di sentire la porta d'ingresso aprirsi con un cigolio.

 

Il mattino dopo, mi alzai in forze. Mi sentivo davvero bene, come non mai. Ero pronto a qualsiasi sfida.

Andai nella sala dove c'era lei già sveglia, con una ciotola con altra carne per me.

“Buongiorno” dissi, mi resi conto solo allora che non sapevo ancora il suo nome.

“Buongiorno” disse lei “ti ho preparato la colazione, spero che tu gradisca” mi disse.

“Ti ringrazio. Sai mi stavo chiedendo, che non so nemmeno il tuo nome. È stata una grave mancanza da parte mia non chiedertelo”.

“Già, è vero” disse, notandolo anche lei solo allora, “mi chiamo Ottavia” mi disse.

“Io sono Cameron, ma tutti mi chiamano Cam” dissi io.

“Molto lieta, Cam” disse lei, ed io le fui immensamente grato per aver usato la parte del nome che preferivo.

“Il piacere è mio, Ottavia” risposi.

Aveva un nome che non avevo mai udito da queste parti, chissà da dove proviene davvero, mi chiesi io; mi piaceva quel nome, dopotutto, aveva un non so che di poco comune e a me, tutto ciò che non era comune, piaceva immensamente.

“Immagino che questa colazione mi serva per sopportare gli insegnamenti di oggi” ipotizzai io.

“Sì esatto, oggi ti mostrerò la foresta in generale i posti dove andare a cacciare e dove è meglio che tu stia alla larga” mi disse e, per una volta, la vidi sorridere, forse era contenta di condividere quel suo piccolo mondo con un quasi perfetto sconosciuto, quale sono io.

“Bene, imparerò ad orientarmici allora” dissi entusiasta anche io.

“Sì pressapoco” disse lei.

Mi spicciai a mangiare anche perchè ero ancora molto affamato: il coniglietto di ieri non mi aveva per niente saziato. Quello che stavo addentato, ero certo, che non fosse un altro coniglio, era un animale ancora più piccolo: era forse uno scoiattolo?

Non volevo saperlo, perchè era appetitoso, e non volevo guastarmi la colazione.

Finita la colazione, mi porse un mantello, sembrava essere usato, ma da chi non si sapeva.

“Mettilo, fuori fa un po' freddo” disse, e lo presi subito.

Lo infilai, era caldo e morbido.

“Di che animale è?” chiesi, era la prova per vedere se lo aveva fatto lei oppure lo aveva preso da qualche parte.

“Credo di un orso” disse, mentre era intenta ad indossare il suo solito, con tanto di cappuccio. Spalancò la porta, da cui entrò un po' di sole, dopo giorni di neve e nuvole.

C'era ancora delle neve a terra, ma non ne era rimasta molta.

Il paesaggio si apriva con una minuscola radura, circondata da alti pini e altri tipi di alberi. La casetta era ai piedi di una quercia ultracentenaria, immensa ed altissima. Tra gli alberi, potevo scorgere tre piccoli sentieri che si inoltravano nella fitta boscaglia. Ottavia, mi disse che, il primo sentiero alla nostra sinistra, conduceva al mio paese, ed era da lì che era arrivata da dove mi aveva trovato; quello centrale conduceva bel cuore della foresta, dove lei andava a cacciare animali di media e grossa taglia; l'ultimo a destra era quello che conduceva al villaggio più vicino, a parte il mio.

Da quanto avevo capito, lei si trovava vicino al cuore della foresta perchè si trovava a metà strada tra il mio paese d'origine e quello più vicino dall'altra parte.

“Quale strada vuoi vedere per prima?” mi chiese.

Era difficile come scelta, ma per non darle l'impressione di volermela filare a gambe levate, scelsi la centrale. La caccia, al momento, era quello che mi interessava di più.

“Bene, come mai questa scelta, se posso chiedere?” mi chiese.

“Mi interessa la caccia” dissi, senza troppi giri di parole.

“Bene, ma ti devo avvertire: non possiamo addentrarci troppo, più in là vivono quelli che, immagino, ti stessero inseguendo” mi disse.

Ah bene, avevo scelto la via più pericolosa, per così dire.

“Sì, esatto” dissi io per fondare i suoi dubbi.

A quel punto, c'era ancora una cosa che volevo sapere e, nonostante avessi già, in parte almeno, la conferma, volevo sentirlo dire dalla sua bocca.

“E l'eremita? Sai dove si trova?” dissi.

“L'eremita” ripeté lei, come per accertarsi di aver capito bene.

“Bé, l'eremita di cui si parla al tuo villaggio, ce l'hai di fronte” mi disse, guardandomi seriamente.

Lo avevo capito la sera prima, ma sentirselo dire così a quel modo, mi stupì, era come un secchio d'acqua gelata che mi avevano buttato addosso.

“L'eremita che intendiamo noi, vive qui da millenni, come puoi essere tu?” chiesi in un sussurro.

“Non lo so, magari un giorno saprai dove è la verità e dove sta l'inganno” mi disse solo.

Era davvero misteriosa, ma avevo intenzione di scoprire sia quella verità di cui lei parlava, sia l'inganno. Lo avrei scoperto presto o tardi.

“Forza,” disse all'improvviso “dobbiamo sbrigarci devo farti vedere la strada e dobbiamo tornare indietro prima che faccia buio” e partì con me dietro pronto a non perdermi nemmeno una parola di quello che mi avrebbe detto d'ora in avanti.

Aveva un passo svelto e sicuro, mentre si muoveva per quella fitta boscaglia riconoscendo ogni singola foglia di ogni singolo albero.

“Stai attento” mi disse, fermandosi accanto ad un albero dove era apposto un segno fatto con la lama di un coltello “gli alberi che vedi segnati, come questo, significa che di qui sono passati quei criminali che vivono più avanti. Questo è vecchio, qui la corteccia dell'albero sta ricrescendo. Non sarà passato poco più di un anno” disse, esperta.

“Quelli più recenti non presentano quella ricrescita che dici tu?”

“No, non la presentano, ma tieni sempre conto che per recente si intende meno di un anno; quelli recenti di pochi giorni si riconoscono per il fatto che si sentono al tatto che sono fatti da poco. A volte, puoi anche sentire la linfa vitale dell'albero all'interno della ferita che gli hanno provocato” disse.

In poco tempo, avevo imparato una cosa che mi sarebbe stata utile, caso mai avessi voluto trovarli volutamente per dare loro la caccia, ma un passo alla volta.

“Perchè lo fanno?” chiesi mentre, cambiando direzione, continuammo a camminare.

“Non ci crederai, ma tutti questi anni e non hanno ancora un buon senso dell'orientamento: quando contrassegnano, come hai visto prima a forma di X, è perchè è per loro una strada da evitare, quando vedi solo una linea semplice verticale, significa, per loro che di lì si può passare senza pericolo” disse.

Li conosceva davvero bene. Il simbolo visto prima, una X appunto, era vicino a casa sua, significava che per loro lei era da evitare? Bè forse, avevo sentito la loro conversazione riguardo una ragazza da evitare, forse era proprio lei, anche se non la ritenevo capace di uno sterminio.

Proseguimmo percorrendo una strada costeggiata da grandi alberi, i loro tronchi erano enormi. Accanto crescevano piccoli cespugli di bacche, di diverso tipo, come avevo visto a casa di Ottavia.

“A che servono queste bacche? Sono tutte commestibili?”

“Alcune sì, altre hanno proprietà curative, altre invece sono velenose per un essere umano, ma non per un animale”.

Adesso mi era tutto più chiaro, per fortuna non avevo avuto la brillante idea di assaggiarle tutte!

“Un altra volta le vedremo con calma, molte di queste erbe e bacche le possiedo già” affermò.

“D'accordo” dissi io.

Ad un certo punto arrivammo ad un ruscello, ipotizzai fosse quello che poi, più avanti o indietro, ancora non lo sapevo, sarebbe sfociato in quella pozza dove avevo trovato riparo per soli due giorni.

Si fermò all'improvviso, voltandosi e facendo cenno di fare silenzio. Poco dopo, ne seppi il motivo: dall'altra parte, c'erano due uomini, non li avevo mai visti prima ma ero sicuro che stessero cercando il sottoscritto. Lentamente io ed Ottavia, ci inginocchiammo a terra affinché i cespugli davanti a noi impedissero a loro di notarci.

Ero molto teso, in realtà, pregai con tutto me stesso che non venissero dalla nostra parte e che, soprattutto, non ci vedessero.

Invece, mi stupì di come lei riuscisse a gestire le sue emozioni, se mai ne avesse; il suo respiro era quasi del tutto impercettibile, era calma e, con pazienza, attendeva, come me, che andassero via. Lo fecero dopo che furono passato diversi minuti.

Mi accorsi di aver trattenuto il respiro più a lungo di quanto credessi possibile, quindi buttai fuori l'aria che avevo trattenuto e mi sentì subito meglio.

“Tutto a posto, sono andati al loro nascondiglio” disse lei, alzandosi; la imitai e mi sollevai, rimuovendo i residui di terra dai pantaloni scuri, ormai sudici.

“Se vuoi lavare i vestiti puoi farlo poco più avanti” disse lei, notandolo. Era un'acuta osservatrice, dovevo ammetterlo.

“Sul serio? Dove?” dissi io, contento di saperlo.

“Adesso ci arriviamo” disse lei, ricominciando a camminare.

Seguimmo il percorso del ruscello, che andava controcorrente rispetto a noi. Camminammo finchè il sole non si ritrovò sopra le nostre teste, segnalando, per la gente comune, che era ora di pranzo.

Un certo languorino lo iniziavo a sentire anche io, purtroppo. Sperai che mi mostrasse al più presto la caccia, dovevo assolutamente mangiare qualcosa. In genere, non mangiavo mai molto, ma si vedeva che dovevo ancora recuperai tutti i giorni in cui ero rimasto a digiuno.

Giungemmo alla fonte di quel ruscello, che, scendendo da una parete rocciosa, formava una pozza d'acqua grande quasi quanto una vasca da bagno.

Vidi Ottavia immergere le mani, prelevare un sorso d'acqua e portarlo alla bocca, la bevve con gusto.

Quando finì mi guardò come per suggerirmi di fare lo stesso e non me lo feci dire due volte. La assaggiai e mi resi conto che era molto più buona e fresca rispetto a quella che avevo trovato io. Ne bevvi più che potei.

Potevo scorgere sott'acqua dei piccoli girini che nuotavano in fretta e furia in quel piccolo spazio fino a ritrovarsi spazzati via dalla corrente. Immaginai dove sarebbero finiti.

“Puoi venire qui, se vuoi, per sciacquare i tuoi indumenti o per farti un bel bagno. Sennò si può portare un po' di acqua a casa. Ne dovrei avere ancora se non sbaglio” disse lei.

Buono a sapersi, pensai. Eravamo usciti per una cosa e ne troviamo tante altre. Quella foresta era molto meno terrificante di quanto si vociferava. Sbagliavo a dare retta agli altri quando ne parlavano come se fosse infestata da creature mostruose: io ne avevo trovata una, a dir poco, eccentrica ma meravigliosa.

Dopo quella trovata, trovammo un paio di cerbiatti che abbattemmo e portammo a casa da cucinare e mangiare.

Lei lo arrostì sul fuoco del suo caminetto e il mangiai tutto quello che potei; anche lei mangiò quello che avevamo cacciato, ma sembrava quasi che lo facesse come se fosse obbligata.

Il suo comportamento mi lasciava sempre più perplesso, ma forse era colpa mia: col mio arrivo, le avevo cambiato tutto.

Uscimmo di nuovo, ma stavolta per mostrarmi il suo arsenale di armi. Aveva di tutto: pugnali, coltelli, spade, archi con frecce, insomma tutto quello che occorreva per la caccia e la difesa personale.

“Dove hai preso tutta questa roba?” chiesi.

“L'ho trovata” mi rispose ella, trovata o presa dai criminali che abbiamo incontrato stamane? Mi chiesi.

Quella notte l'avevo sentita uscire, ora che mi tornava alla mente, ma per fare cosa, non lo capì.

“Se vuoi, puoi esercitarti con queste quando vuoi” disse Ottavia e fece per andarsene, ma la fermai. “Aspetta, dove vai?” chiesi, cercando di sembrare normale, ma invece risultai alquanto curioso di sapere.

“A cuocere il cervo rimanente” disse solo. Chissà che risposta mi aspettavo. Forse mi stavo costruendo attorno a lei una persona che invece non era, forse ero troppo sospettoso io date le voci che avevo sentito su di lei per anni.

Pensavamo tutti fosse chissà quale mostro, invece era la più dolce creatura che avessi mai visto e conosciuto, forse più di Emily.


Eccomi, eccomi, eccomi!! ;) 
so di essere in ritardo ma tornavo tardi da lavoro e la scuola è sempre più pesante ultimamente che non sono riuscita a continuare ;)
I'm so sorry!! Comunque, eccomi qui con questo nuovo capitolo ;) allora, come vi è parso? cosa accadrà adesso?
il titolo del prossimo capitolo è: Semtimenti sempre più forti. Secondo voi a cosa si riferisce?
Scusate per questa mia breve "intromissione" ma sono sempre più di corsa ultimamente :=) 
Ancora un ultima cosa: grazie a chi recensisce sempre, a chi mi segue e chi aggiunge la storia nelle tre categorie, spero che continui a piacervi e che non vi delusa ;) 
Bè io vi saluto alla prossima, spero di farcela entro un mese ;) 
Kiss Kiss
Shana ;) ;) 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10. Sentimenti sempre più forti

 

Passarono i giorni, ed io imparavo sempre più da Ottavia, l'eremita della foresta: imparai a cacciare animali sempre più grossi, ad orientarmi nella foresta seguendo tracce, il ruscelletto per cercare la fonte più vicina, ad usare tutte le armi del suo arsenale.

Ero diventato anche io una specie di eremita della foresta. Ero diventato più forte e la mia muscolatura era di poco più imponente. Oramai, andavo anche da solo nella foresta per cacciarmi il cibo, e Ottavia faceva lo stesso per se stessa.

Ci vedevamo sempre più di rado; lei a casa di giorno a cucinare quello che portavi per poi mangiarlo e lei andava via di notte.

Ogni tanto la mente andava da Emily, mi chiedevo spesso cosa stesse facendo, se era preoccupata per me e cosa era accaduto da quanto ero qui, esiliato nella foresta.

Desiderai di poterla rivedere almeno una volta per assicurarmi che stesse bene. Sarei potuto tornare al villaggio per vedere che cosa era cambiato e cosa si diceva di me.

Sviluppai lentamente, l'idea di poter tornare, senza farmi scoprire, giusto per dare un'occhiata e avrei potuto farlo di notte. Perchè no, infondo anche Ottavia usciva di notte per andare chissà dove, dopo che sarebbe uscita, sarei potuto evadere per poi tornare al mattino, senza farmi scoprire. Lo avevo fatto tante volte, avrebbe funzionato. Lei non se ne sarebbe mai accorta.

Avevo davvero bisogno di tornare alla civiltà per vedere chi mi aveva aiutato, se stavano tutti bene e, per rassicurare loro, che anche io stavo bene.

Mentre sviluppavo il piano nei dettagli, fui interrotto dalla porta che si era aperta con un leggero cigolio. Lo odiavo quel suono, avrei pensato a come farlo smettere il giorno seguente.

“Bentornata” le dissi, tranquillamente seduto a, quello che ormai, era diventato il mio posto davanti al camino.

“Cosa hai portato?” le chiesi, andandole incontro per aiutarla, mi sembrava abbastanza affaticata.

“Ho portato un po' di selvaggina così ne avremmo per un pò” disse. Infatti, dietro di lei, scorsi diversi cerbiatti, conigli ed un cinghiale molto robusto.

Però, che bottino! Dovevo ammetterlo, lei portava a casa molte più cose di me.

La aiutai a portare dentro la carne e metterla in cucina, vicino alla finestrella dove entrava l'aria gelida dell'inverno. Da quando ero lì, non aveva più nevicato, solo piovuto qualche volta, ma per il resto c'era sempre stato il sole.

La invitai a sedersi un po' vicino al camino, Ottavia non controbatté e, come ero abituato a fare con una signora, le accostai la sedia il più vicino possibile al fuoco, ma senza esagerare.

Inavvertitamente toccai la sua pelle, nell'incavo del collo, mentre le scostavo i lunghi capelli portandoli dietro, di modo che non si bruciassero: non era né fredda ma di certo non calda; la sua pelle color porcellana, al contatto con la mia, molto più calda e leggermente più scura della sua, aveva provocato una specie di scossa dentro di me, sperai che lei non se ne accorse, ma come me, si era irrigidita.

Non capivo, mi sentivo confuso e l'avevo solo sfiorata; certo era la prima volta che accadeva tra noi due, non ci eravamo mai toccati a vicenda, eppure con tutte le ragazze che avevo toccato, persino quanto avevo fatto l'amore con Emily, non avevo provato nulla di simile.

Quella sera, parlammo pochissimo, io non avevo più avuto il coraggio di pronunciar parola, mi sentivo teso, agitato, il cuore che batteva troppo forte, mi pareva che anche lei potesse udirlo dato quanto batteva con forza come se volesse uscire e schiaffeggiarmi in faccia quello che sentiva.

Non aveva tutti i torti nel volerlo fare, in fondo mi avrebbe chiarito molte cose, ad esempio, come mai non trovavo il coraggio di chiederle le cose più banali, ad esempio chi era, da dove veniva, come era capitata qui, quanti anni aveva, io non sapevo nessuna di queste cose sul suo conto. Lei invece, non mi aveva mai chiesto nulla, sapeva solo che ero un esiliato, che mi nascondevo a casa sua perchè mi volevano morto. Pensai che, per rompere quel silenzio imbarazzante, avremmo potuto parlare di questo, ma la mia lingua si sbloccava sempre per paura di dire qualcosa di poco consono, o anche solo per paura di offenderla.

Più volte aprì la bocca ma senza che nessun suono ne uscisse. Alla fine, fu lei a parlare ed io la ringraziai mentalmente per averlo fatto.

“Vuoi chiedermi qualcosa?” la sua domanda mi stupì.

“Come fai a dirlo?” risposi io, cercando di mascherare la mia voce tremante per l'agitazione.

“Ti ho visto mente cercavi di dire qualcosa, ma non lo facevi mai” disse solo, senza mai guardarmi in viso, come se fosse imbarazzata quanto lo fossi io.

“Bè, stavo pensando al fatto che so molto poco di te, come tu di me, come puoi fidarti senza sapere nulla di me. Potrei essere un ragazzo poco raccomandabile e tu potresti essere in pericolo” dissi io, anche se erano parole confuse e non era quello che avrei voluto dire davvero.

“Bè se avessi avuto davvero quelle intenzioni” disse “lo avresti già fatto, senza pensarci, come fanno quelli là fuori” capì a chi aveva atto riferimento.

“Ti hanno mai fatto del male?” chiesi.

“No, ma ho rischiato che scoprissero troppo sul mio conto” disse, quindi io non avrei avuto molte speranze di estorcerle qualche informazione in più. Era molto riservata, sotto questo punto di vista.

“Capisco” dissi io, senza sapere cos'altro dire.

“Come mai sei qui? Intendo, come sei finito in questo pasticcio?” mi chiese lei. Era tanto che volevo raccontarlo a qualcuno, soprattutto a lei, volevo che sapesse parte della mia storia.

“Mi sarei dovuto sposare, peccato che la madre della mia promessa, abbia rovinato tutto ricattandomi; vuole proprio farmi fuori, il punto è che non ne conosco il vero motivo” dissi io, cercando di confidarmi.

“Davvero? Bè potrebbe essere gelosia da parte sua?” disse lei. Stava cercando di consigliami qualcosa.

“Gelosa? E perchè mai?” chiesi, in effetti era da molto che pensavo a questa teoria, ma non ne vedevo il motivo.

Credevo fosse solo la follia di una donna vogliosa ed infatuata di un ragazzo più giovane di lei, ma da arrivare a questo punto mi sembrava esagerato.

Tuttavia, anche Ottavia l'aveva pensata come me, eravamo più in sintonia di quanto pensassi. Nonostante fossimo l'uno l'opposto dell'altra, sentivo che mi poteva comprendere, dopotutto.

“Forse vorrebbe essere al posto di sua figlia” disse lei, provando ad indovinare.

Essere al posto di Emily, cioè sposarmi? No, non era possibile.

Non capì, però, cosa volesse dirmi con quell'affermazione, ma sapevo che probabilmente aveva ragione. In questo tempo che ero con lei, avevo capito che era difficile che sbagliasse una teoria.

“E tu, come mai ti trovi qui?” dissi, per contraccambiare la domanda che mi aveva posto.

“È una lunga e triste storia, che da anni non racconto, e che fa ancora male, nonostante di anni ne siano passati. Ti basta sapere che per me stare qui, come te, corrisponde ad un esilio, ma la differenza è che me lo sono autoindotto” disse, senza staccare mai lo sguardo dalle braci del caminetto, che si stava per spegnare.

Si alzò con molta calma e lentezza, come se fosse stanca, afferrò dei ceppi di legno e li buttò tra le fiamme ancora scoppiettanti, in poco tempo, presero fuoco e tornò a scaldarci.

“Non ti va ancora di raccontarla?” chiesi; lei era bella e misteriosa e credo che avrebbe mantenuto questo status per ancora molto tempo.

“No” rispose semplicemente, “è ancora troppo dolorosa” terminando la frase con un sorriso malinconico.

Dopo un tempo interminabile, andai a dormire. Occupavo ancora la sua camera, ma lei mi aveva quasi pregato di restare lì anche se mi sentivo uno schifo a sapere che, con molta probabilità, sarebbe stata su quella poltrona tutta la notte, da sola.

Mi richiusi la porta della camera alle spalle, coricandomi sul letto che reggeva il mio peso da giorni, abituato forse più al corpo esile della sua padrona che a quello di uno sconosciuto.

Non feci in tempo ad addormentarmi che sentì la solita porta aprirsi, il vento gelido della sera fare capolino nella dimora, con il fuoco nel camino che scoppiettava per impedire che, per colpa sua, la casa gelasse, combattendo contro il freddo finchè la porta non venne richiusa, con molta dolcezza.

Da quando ero lì, ogni sera lei usciva e prima o poi avrei capito il perchè.



Ehilà! Eccomi tornata dopo mesi e mesi xD perdonatemi, ma tra esami e lavoro non ho più avuto le forze di scrivere nuovi capitoli o storie ;)
Ma provvederò ;) 
Per ora vi pubblico tutto quello che avevo scritto finora mentre cercherò di scrivere nuovi capitoli ;) 
Spero vi sia piaciuto questo capitolo ;) e come sempre, chiedo un vostro parere e, stavolta, vi chiedo, come vorreste che andasse a finire? non so se ve lo avevo mai chiesto prima ma ero curiosa, visto che siete tanti e invito sempre a lasciare commenti anche a chi, in questa mia assenza, ha messo la storia, e non solo questa, tra le preferite le seguite e le ricordate e grazie anche a chi mi ha aggiunto tra gli autori preferiti
Grazie di vero cuore a chi, nonostante questa lunga assenza, mi ha continuato a seguire ;) 
Spero di non avervi deluso e di non deludervi ;) 
See you next time ;) 
Kiss Kiss
Scarlett ;) ;)


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11. Dubbi

 

Ogni giorno, il comportamento di quella ragazza mi lasciava sempre più perplesso: sapevo che aveva dei segreti e non pretendevo di conoscerli tutti, ma c'era qualcosa che non tornava.

I suoi strani comportamenti, di recente, lo confermavano: usciva di nascosto la notte e mi chiedevo perchè la passasse fuori, mangiava molto poco e a volte saltava i pasti con me, con una scusa; ma quello che mi chiedevo di più era il perchè i criminali che vivevano in questa foresta la temessero tanto da aver segnato il territorio come invalicabile.

Dopo la nostra ultima conversazione, parlammo poco; non so quale muro si fosse innalzato ma per ora avevo intenzione di riflettere su cosa stesse accadendo e del bisogno che avevo di vedere Emily, ma anche Rik, Elia ed Alex che mi avevano aiutato senza fare domande. Dovevo sapere come se la stessero cavando e se stavano tutti bene.

Anche se non avrei bevuto una birra con loro, anche se non gli avrei parlato di persona ma solo spiarli da lontano, anche se non avrei potuto baciare e toccare Emily, lo dovevo fare, solo così mi sarei potuto tranquillizzare.

Anche Ottavia me lo aveva raccomandato, e forse lei lo aveva capito prima di me, di che cosa avevo davvero bisogno, come se potesse in qualche modo, leggermi dentro.

Quella ragazza mi faceva provare un vortice di sentimenti confusi: un attimo prima mi spaventava, un attimo dopo mi sembrava la ragazza più bella del mondo, un altro dopo mi sembrava la più misteriosa, la più intelligente e la più sola.

Non capivo cosa provassi per lei se semplice ammirazione o qualcosa di più, ma mai nessuno, nemmeno Emily mi aveva mandato così in confusione prima d'ora.

Con tutte le ragazze con cui avevo giaciuto, non mi era mai successo, non provavo mai nulla, solo piacere e basta. Mi chiedevo come mai adesso mi sentivo tanto diverso.

Decisi di cercare qualcosa da mangiare per casa, in fondo avevamo cacciato selvaggina che ci sarebbe bastata per giorni.

Rovistando in giro, trovai molti oggetti curiosi che non avevo mai visto prima, ma pensai che venissero tutti dal mercatino dove l'avevo vista per la prima volta. Collezionava davvero oggetti particolari, dovevo ammetterlo. Non erano cose facilmente reperibili, soprattutto al nostro mercato, ipotizzai dunque che potessero venire da altri paesi che aveva visitato in precedenza.

La maggior parte erano decori, vasi, ma soprattutto gioielli particolari; aveva molto buon gusto la ragazza! Peccato che, tra tutta quel ciarpame, trovai qualcosa che mai avevo visto: delle pergamene riposte con molta cura e molto ben nascoste nella credenza del salotto, molto lontano dal camino.

Le srotolai con cura, per non far in modo che mi si sgretolassero in mano, avevano l'aria di essere parecchio vecchie. Rimasi si sasso nel vedere che, al posto di parole, c'erano dei strani disegni e simboli, non avrei mai saputo dire da dove provenissero, ma quello incise dentro di me il desiderio di sapere chi realmente fosse Ottavia.

Era perfetta, ma aveva l'aria una persona che aveva vissuto talmente tanto da conoscere bene la vita, nonostante dimostrasse meno dei miei anni.

Riposi le pergamene al loro posto, con estrema cura affinché non si accorgesse mai della mia intromissione nei suoi fatto personali, ma prima o poi, mi avrebbe dovuto dire la verità. Almeno quello me lo doveva, io le avevo raccontato molto di me, ma quando toccava a lei, sviava l'argomento o addirittura restava in silenzio o se ne andava via. Potevo immaginare quanto soffrisse, questa parte di lei era molto palpabile, perfino ad uno come me.

Qualcosa mi diceva che quelle pergamene erano collegate a chissà quale parte della sua vita, altrimenti non le avrebbe mai tenute così ben nascoste.

No, c'è qualcosa di più, mi dissi. Contro cosa stava combattendo che richiedeva tutta questa segretezza? Ormai eravamo in confidenza, me lo poteva dire, non lo avrei detto a nessuno.

Quanto trovai qualcosa da addentare, mi sedetti vicino al fuoco e mangiai fissando le fiamme. Intanto, pensai a come fare per poter tornare al mio paese senza essere catturato né dai criminali assunti dalla madre di Emily e né dalla stessa signora De Roquet.

Mi chiesi anche cosa era stato raccontato a tutti su di me e se i miei genitori mi stessero cercando.

Chissà se a qualcuno importa ancora di me? Ormai erano passati parecchi giorni, non sapevo quanti con esattezza, avevo perso il conto quando avevo perso i sensi nella foresta, ma immaginai che fossero molti per il semplice fatto che i miei capelli erano più lunghi e la barba era cresciuta parecchio lo potevo capire al passaggio delle mie mani. Decisi, a quel punto, visto che non ero tipo da tenere la barba per molto, di prendere un catino e versare dell'acqua dalle nostre scorte, presi un coltellino e una lama più grande per permettermi di specchiarmi che affondai nei tavolo per far si che stesse in piedi da sola.

Spero che non me ne voglia per il buco nel tavolo che ho appena fatto, dissi tra me sperando che, a riguardo, Ottavia non sarebbe saltata su tutte le furie non appena avrebbe visto il buco sul tavolo di legno.

La lama della spada era talmente spessa e lucida che mi permetteva di specchiarmi senza problemi ed iniziai a passare la lama del coltellino più piccolo vicino all'attaccatura della barba con la pelle.

Il rumore era orrendo, mi resi conto di quanto fosse lunga dopo che avevo tolto la lama dopo aver fatto un piccolissimo pezzo. Oltretutto, era anche leggermente dolorosa. Sperai di non tagliarmi visto che dovevo andare abbastanza a fondo per evitare che, dopo qualche giorno, comparisse di nuovo.

Ero sempre stato abituato a farmi la barba da solo e non aveva mai fatto così male; sì le prime volte era normale che mi tagliassi, avevo solo tredici anni dopo tutto, e non permettevo mai che crescesse abbastanza da vedere il colorito nero sulle guance.

Dovevo mantenere il mio grado di fascino, specialmente con le signore!

Nel riflesso vedevo come, man mano che toglievo, il mio viso cambiava. La barba mi rendeva più vecchio, per questo non la sopportavo e, di come un semplice gesto, poteva rendere il mio viso di nuovo affascinante e guardabile.

Dopo aver finito una metà, iniziai con l'altra e, nel mentre, Ottavia era rientrata.

“Ehi dove sei andata?” chiesi. Dai primi giorni, iniziavo ad essere più me stesso con lei e più spigliato, come se fossimo amici di vecchia data.

“A fare un giro, per controllare che non ci fossero visitatori sgraditi” disse lei.

La seguì con lo sguardo fino a che non la vidi sparire in cucina.

“Finalmente ti sei deciso” disse lei, ad un tratto.

“A far cosa?” chiesi confuso.

“A farti la barba” disse lei. Era incredibile, sapeva che aveva raggiunto quella lunghezza e non mi aveva detto nulla! Capì anche un altra cosa: evidentemente le persone barbute non le piacevano ed era ovvio che gli piacevo di più senza. Mi sentì di nuovo sicuro di me, quella sua affermazione aveva ricordato a me che eravamo due sessi opposti. Mi sentivi di nuovo un uomo, ma sapevo che con lei non sarebbe mai andata a finire come con tutte le ragazze che mi vedevano in determinati contesti. Lei era una donna che se si sarebbe mai concessa, l'avrebbe fatto con la persona giusta, come Emily.

Avevo trovato molte similitudini tra lei ed Emily, e forse mi piacevano entrambe per quello, ma non sapevo più di chi mi sentivo più attratto.

Entrambe avevano la loro personale bellezza: Emily per il suo carattere dolce e generoso, Ottavia per la sua incredibile perfezione.

Era difficile scegliere, anche per me.

Quando finì vidi il rossore dovuto al passaggio rude della lama, nemmeno con l'acqua si calmava; a casa avevo una lozione per quello ma lì non sapevo con che cosa aggiustarmi. Ottavia mi porse una strana poltiglia color verdastro e mi disse: “Prova con questa, dovrebbe passare un pò” disse lei.

Io presi la ciotola e spalmai il contenuto su tutta la zona mandibolare e sugli zigomi. Era fresco e subito vidi che il rossore si era fatto più tenue.

“Fantastico” dissi guardando il mio riflesso sbigottito.

L'unica cosa che ancora non mi aveva insegnato erano le erbe: quali si usavano per motivi officinali. Mi aveva detto solo quali erano quelle commestibili e quelle velenose.

Forse non lo riteneva ancora importante, magari me lo avrebbe mostrato più avanti come preparare quegli intrugli incredibili.

“Sì, decisamente meglio” commentò poi lei.

Le riporsi la ciotola ormai vuota, e lei la portò via in cucina con il catino che avevo usato per radermi, piena ormai dei peli della mia barba.

Io rimossi la spada dal tavolo e la riposi al suo posto.

“Mi dispiace per il buco nel tavolo” dissi, tanto valeva dirlo subito; mi aveva colto in fragrante non aveva senso tacere.

“Tranquillo, tanto mi sarei dovuta decidere a sostituirlo. Mi hai trovato una scusa per farlo” disse con tono calmo e rilassato.

Ero contento che non si fosse arrabbiata, tuttavia mi sentivo in dovere di rimediare. Ero molto bravo nella falegnameria, Rik mi aveva mostrato una volta come si faceva e con lui facevamo vere e proprie costruzioni con il legno.

“Posso costruirtene uno più bello, sono molto bravo” dissi io.

“Sul serio?” mi disse, guardandomi stupita.

“Che c'è? Non mi ritieni all'altezza del compito?” dissi per punzecchiarla.

“No solo non lo avrei mai detto che lo sapevi fare” disse lei, abbozzando un sorriso; quanto mi piaceva quando lo faceva, la faceva sembrare più radiosa togliendole quel velo di malinconia che la ricopriva.

Mi aveva perfino fatto scordare, per un attimo, la battuta sarcastica che mi aveva fatto.

“Spiritosa” dissi io, scherzosamente, dopo un attimo.

Quel piccolo dibattito scherzoso, ci aveva riavvicinati per un momento, ma poi mi ritornarono in mente le pergamene che avevo trovato poco fa e ritornai serio mentre lei era affaccendata a sistemare alcune cose.

Che cosa mi stai nascondendo? Era tempo che mi facevo quella domanda, ma l'avevo sempre ignorata, dicendomi poi, che non era affar mio, ma adesso mi sentivo in dovere di sapere. Ora era affar mio, ormai ci eravamo dentro fino al collo: l'avevo trascinata nei miei casini, così come lei aveva trascinato me nei suoi; questo mi dava diritto di sapere.

“Allora, hai trovato un modo per vedere i tuoi amici?” mi chiese, ricordandomi che me ne aveva parlato solo pochi giorni prima ed io non avevo più risposto.

“No, tu hai suggerimenti?”.

“Potresti andare di notte, col buio non ti vedrebbe nessuno. Posso accompagnarti fino al confine della foresta, ma oltre te la devi cavare poi da solo” mi disse.

Soppesai la sua proposta e pensai che fosse la maniera più sicura per andare, al buio non mi sapevo ancora orientare bene, lei sì, lo sapevo molto bene.

“D'accordo, ma per tornare qui non posso farlo da solo” evidenziai.

“Sarò nei paraggi” disse in risposta.

Mi rincuorava saperlo: mi dava la sensazione che avrebbe potuto tirarmi fuori dai guai. Mi faceva sentire inutile e un debole sapere che non potevo fare lo stesso per lei, darle la stessa garanzia.

Anche per gli altri sono stato un peso, qualcuno da proteggere, avrei voluto essere io quello a proteggerli al contrario. Mi sarei sentito frustrato sapere che se mai loro avrebbero avuto bisogno di me, non avrei potuto fare nulla. Forse era anche per quello che avevo incontrato Ottavia, lei sapeva come cavarsi fuori dai guai da sola, è il destino che ci ha fatto incontrare, ne ero certo più che mai. Non l'avevo incontrata e poi stabilito qui per puro caso. Così come anche trovato quelle strane pergamene scritte, non era un caso. Forse era il segno che ero vicino alla verità molto più di quanto credevo.

“Quando vuoi agire?” mi chiese.

Avevo atteso anche troppo. “Stanotte” dissi sicuro.

 

Il resto della giornata mi servì per prepararmi all'azione di quella notte. Sentivo che sarebbe andata bene, ma avevo una sensazione che mi faceva gelare il sangue nelle vene e non era per la neve ormai attecchita al suolo.

Scelsi delle armi adatte al mio intento: leggere e, allo stesso tempo, efficaci all'occorrenza. Scelsi, dunque, un coltellino ed una daga, uno spadino che mi avrebbe permesso di muovermi senza che mi pesasse o che mi intralciasse.

Ottavia, non prese nulla, solo un minuscolo coltellino da tasca. Mi stupì quella sua scelta, ma non importava, lei sapeva cosa fare di certo.

Quando divenne buio, indossammo i nostri mantelli ed uscimmo nel freddo della notte.

Calammo i cappucci sul capo e ci incamminammo. Lei davanti a me, mi faceva da guida per quella foresta che di notte sembrava più minacciosa, mi tornò in mente la prima volta che mi ci addentrai, prima di incontrarla.

Scacciai il pensiero e mi concentrai su quello che dovevo fare.

Ad un tratto, Ottavia iniziò ad arrampicarsi su un albero, istintivamente la seguì.

“La zona è piena di quei criminali dobbiamo stare in alto, affinché non ci vedano” disse e mi mostrò come correre sugli alberi.

Saltammo da un tronco all'altro, con molta cautela e senza fare nessun rumore. In questo modo, ci fu facile aggirare quegli uomini, ma mi chiesi se fossero in giro a cercare ancora me.

“Dici che mi stanno ancora dando la caccia?” chiesi quasi in un sussurro ma non ero sicuro che mi avesse sentito.

“Sì, può darsi” disse lei sussurrandomi appena la raggiunsi su un tronco vicino. Era incredibile, nonostante la distanza e il tono basso che avevo usato, mi aveva sentito chiaramente. Anche questo era strano, o magari aveva un udito molto sviluppato.

Accantonai quell'ultima stranezza e continuammo ad avviarci. Oramai eravamo vicini alla meta, lo sentivo.

Finchè, in lontananza, non scorsi alcune casette. Ero a casa, finalmente, dopo tanto tempo.

Non mi sembrava molto cambiata, era come sempre, come l'avevo lasciata.

Non c'era nessuno in giro, solo quei loschi uomini che abitavano nella foresta, come Ottavia e, ormai, come me.

Da quell'altezza, potevo vedere la casa di Alex. Le luci della sua stanza erano accese.

“Da qui devi andare da solo. Ti guarderò dall'alto, se qualcosa non va, intervengo. Adesso vai. Buona fortuna” mi disse ed io iniziai la lenta discesa verso il solido terreno.

Appena toccai il suolo, mi assicurai che intorno a me non ci fosse nessuno. La strada che separava me e l'abitazione di Alex, aveva ben pochi posti dove nascondersi, ma ero diventato abbastanza bravo a correre in fretta.

Scattai verso il primo nascondiglio, una pietra abbastanza grande, che era a un centinaio di passi da me, e lo raggiunsi senza difficoltà. Mi voltai indietro e non vidi più Ottavia sull'albero.

Dov'è sparita? Ma poi pensai che stesse guardando intorno o forse si stava sbarazzando di qualcuno che si era accorto di noi.

Ritornai al mio problema, ossia arrivare, senza farmi scoprire, fino a casa di Alex. Il nascondiglio dopo era un cespuglio e distava a circa una cinquantina di passi; avrebbe offerto uno scarso riparo ma dovevo accontentarmi.

Dopo essermi guardato in giro, come prima, fui pronto a scattare e corsi velocemente verso il nascondiglio.

Fin lì ero salvo, tirai un sospiro di sollievo per il successo raggiunto fino a quel momento. Negli ultimi tempi ne avevo fatte di incursioni in casa altrui senza essere scoperto.

Ora, alla casa, mancavano circo centocinquanta passi almeno, ero arrivato fin lì e non potevo fallire. Ce l'avrei fatta di sicuro. Inspirai profondamente per avere abbastanza fiato per la corsa e scattai dopo aver espirato l'aria accumulata nei polmoni.

Corsi più veloce che potei, finchè non sentì i piedi a malapena toccare il suolo per lo scatto successivo. Mi sembrava di volare a quella velocità e, in poco tempo, riuscì ad arrivare a destinazione, appena in tempo per evitare di essere visto da uno degli uomini che, di sicuro, aveva assoldato Mariluna.

Mi misi il più possibile contro al muro per non essere visto; una volta assicuratomi del pericolo scampato, sbirciai dalla finestrella per vedere se Alex era da solo. Per mia immensa fortuna, il padre era appena uscito dalla sua stanza e quindi mi feci sentire affinché mi vedesse e mi aiutasse a scavalcare la sua finestrella: un conto era uscirne, che all'epoca mi era risultato facile, un conto era entrarci.

Il mio piano riuscì, ma vidi che Alex non era il solo ad aver udito: un uomo stava venendo dalla mia parte.

Forza Alex! Lo chiamai dentro di me, sperando che arrivasse al più presto.

“Cam” sentì chiamarmi, mi voltai ed Alex era lì, con lo sguardo fisso su di me, come se non credesse che fossi lì.

“Aiutami” dissi solo e lui mi aiutò ad entrare. Appena in tempo, l'uomo era appena arrivato ed Alex si riaffacciò nuovamente.

“Scusa ero io che faceva baccano” disse tranquillo e l'uomo se ne andò senza dire parola.

Mi stupì con la leggerezza con cui aveva comunicato con lui; fino a poco tempo fa magari lo inseguiva per ucciderlo. Che succede qui?

“Cam, amico, sei vivo!” disse felice e mi abbracciò contento.

“Sì Alex, anche io sono felice di vederti, ascolta sono tornato per vedere che succede qui e se state tutti bene dopo quello che è successo” dissi io, arrivando dritto al succo della questione.

“Va bene, amico ma fatti tagliare quei capelli, sei orrendo con i capelli lunghi” mi disse, io mi fissai al suo specchio ed effettivamente riuscì a vedermi meglio rispetto al riflesso della spada.

Non avevo visto che i capelli erano così lunghi, ma allora quanto era passato da allora?

“D'accordo” dissi e lui iniziò a dirmi, per filo e per segno, cosa era successo.

Mentre con coltellino molto affilato mi tagliava le ciocche in più e mi sistemava i capelli come li avevo sempre portati, mi disse che Emily era stata reclusa in casa senza la possibilità di uscire; lui, Rik ed Elia avevano provato a liberarla, ma ogni sera spuntavano fuori gli uomini che abitano nella foresta per darmi la caccia, caso mai fossi tornato visto che nella foresta non mi avevano mai trovato.

Mio padre aveva provato a cercarmi ma poi aveva rinunciato, come se non bastasse, l'attività di famiglia stava fallendo miseramente, i miei perdevano soldi e mio padre era sempre con qualche prostituta. Mia madre di era data all'alcol più di prima, andava anche nei locali pur di bere qualcosa, quando le scorte a casa erano terminate. Nessuno più li vedeva come una famiglia facoltosa. Tutti i lavoratori avevano preso in mano l'attività dei miei genitori e la mandavano avanti come potevano ma senza risorse di denaro era ben difficile.

Erika, la donna che aveva badato a me da quando ero nato, aveva trovato lavoro nel vecchio locale dove andavano di solito, licenziandosi da casa mia, subito dopo la mia scomparsa, affermando che lì non c'era più lavoro per lei da quando ero scomparso.

“Un bel disastro” dissi io pensando a quanto era cambiata la situazione di tutti dopo la mia presunta scomparsa.

Alex lavorava alla mia capigliatura con estrema cura, cosa che tempo fa, faceva Erika. Era quasi come la ricordavo, mancavano ancora dei ritocchi che, il mio amico, provvedé a fare.

“E tu? Che fine ai fatti in questi ultimi mesi?”

“Mesi?” ripetei io.

“Sì, sono passati più di nove mesi dalla tua fuga nella foresta amico, non te lo ricordi?” mi chiese stupito.

“Ho perso il conto dei giorni. Mi sembravano poche settimane” ed invece erano addirittura mesi! Era passato, dunque, quasi un anno da allora? Come era possibile che non me ne fossi accorto? E Ottavia non mi aveva detto nulla, perchè?

Non voleva allarmarmi? Per questo voleva che tornassi qui a controllare la situazione? Sapeva che qualcosa qui non andava?

Dovevo sapere dove andava tutte le volte che spariva nel nulla, lo dovevo sapere. Cosa mi nascondeva? Cosa sapeva?

Dissi, alla fine, cosa era successo a me, raccontando poi dell'eremita della foresta che non era la persona che tutti credevano fosse, ma non rivelai i miei sospetti su di lei, quello che sapevo, quello che avevo scoperto in quei giorni.

“Quindi, mi stai dicendo che la ragazza che vedemmo al mercato tempo addietro era lei? L'eremita? E adesso vivi con lei nella foresta?” disse lui stupito.

“Esatto, vi chiedo scusa per non essere potuto tornare prima, ma non conoscevo bene la foresta per essere sicuro di trovare la strada. Mi ha insegnato molto, lei stanotte mi ha accompagnato per guardarmi le spalle ma ne rimane fuori, così ha detto. È molto riservata, non so ancora nulla di lei, ed è passato quasi un anno” dissi quasi tra me.

“Capisco, tranquillo amico, hai fatto bene, la situazione in quei giorni era disastrosa. Sembra quasi essersi calmata ma la signora De Roquet non si arrende” mi rivelò.

“Già mi chiedo cosa voglia da me? Che male le ho mai fatto?”.

“Gli altri come stanno?” chiesi dopo un po'.

“Loro stanno bene, cerchiamo ogni giorni un modo per andarcene da qui, non era più il paese che era quando eravamo piccoli” mi rivelò con sconforto.

“Non andiamo via solo per i nostri cari” concluse poi.

“Troppo affezionati alla terra natia?” dissi io, provando ad indovinare il vero motivo.

“Sì, anche lo ammetto. È difficile abbandonare le proprie radici” confessò.

“Ma se per una vita migliore, fatelo. Dall'altra parte della foresta, mi ha raccontato” riferendomi ad Ottavia “che c'è un villaggio maestoso e pacifico, dove ci accoglierebbero. Sono tornato per portare via di qui voi ed Emily” dissi alla fine, quello era il vero motivo per cui volevo tornare.

Qualche tempo prima, Ottavia mi aveva raccontato di quel villaggio, ci andava spesso per fare delle compere.

Mi aveva detto, che sarei potuto andare a vivere lì, nessuno si sarebbe mai interessato al mio passato, ma solo al mio futuro. La gente lì era deliziosa ed accogliente, non era gente che si lasciava condizionare dai pregiudizi, erano un popolo equilibrato e saggio. Da quando me lo aveva detto, l'avevo pregata di portarmici o di mostrarmi la strada, ma non c'era mai stata occasione, non era più tornata anche perchè, mi disse allora, che era un viaggio di almeno tre giorni dal nostro rifugio, nascosto dalla vegetazione.

Diedi queste informazioni anche a lui che si mostrò subito entusiasta della scelta.

“Bisogna solo organizzare tutto per la partenza” mi disse.

“Non preoccuparti, non dobbiamo partire per forza stasera” gli dissi io.

Gli dissi che appena possibile, sarei ritornato a prenderli e che, se Ottavia era d'accordo, a scortarci fin laggiù per poi lasciarci al nostro destino così lei era finalmente libera di tornare alla sua vita.

Ora che sapevo da quando occupavo il posto ne l suo letto, mi sentivo sempre più in colpa, e volevo a tutti i costi andare via al più presto, anche se non avrei mai saputo la verità. Se un giorno l'avessi rincontrata nella foresta, glielo avrei chiesto.

“Va bene. Ecco fatto, ora stai molto meglio” disse Alex soddisfatto del suo lavoro. Guardandomi allo specchio notai che ero tornato il vecchio me, solo che ero più sporco, o meglio, più selvaggio. La cosa, dovevo ammettere, non mi dispiaceva per nulla.

“Grazie, amico” dissi.

“Ho bisogno che tu lo dica anche agli altri: Rik, Elia anche Erika, se la rivedi. Stasera non ho tempo per fare il giro da tutti. Volevo solo più andare da Emily” confessai.

“D'accordo, ti faccio strada allora” disse lui. Non volevo corresse rischi, ora sapevo come badare a me stesso, potevo farcela.

“Posso andare da solo, tu rimani qui al sicuro” dissi, alla fine.

“No, la signora De Roquet l'ha spostata non vive più con genitori. L'ha imprigionata, anche se non so perchè. Puoi chiederlo a lei però” disse lui.

Se le cose stavano così, allora avevo bisogno per forza della sua guida, sperando di poterlo proteggere.

 

Furtivamente, riuscimmo ad uscire da casa sua senza che suo padre si svegliasse. Il problema era non farsi scoprire; Alex si era portato il suo coltellino per difendersi. Gli avevo anche chiesto come se l'erano cavata quel giorno, e mi aveva risposto che dopo che mi ero addentrato nella foresta li avevano lasciati stare per inseguire me. Da allora si erano stabiliti, almeno la metà di loro, al villaggio senza, per il momento, torcere un capello a nessuno. Lo avrebbero fatto se li avessero ostacolati o avessero dato asilo al fuggitivo, cioè io.

Gli ordini venivano dati loro direttamente dalla signora De Roquet, come avevo anche sentito io, tempo fa da due uomini che ne parlavano.

Sapevo che per loro era solo questione di denaro, dissi poi ad Alex, ma per Mariluna il motivo era ancora avvolto nel mistero. Ed era quello che volevo scoprire, se Emily aveva quella risposta, cosa però di cui dubitavo fortemente, ma tanto vale provarci.

Da quanto avevo capito, la prigione di Emily era esattamente dall'altra parte del villaggio, ma abbastanza vicina a casa De Roquet; mi ero chiesto cosa ne pensasse il padre ed esposi il mio quesito anche ad Alex.

“Lui non proferisce parola, lui fa quello che la moglie gli impone. Questo preoccupa tutti, molti stanno ipotizzando che lei abbia chissà quale oscuro potere su di lui” mi rivelò.

La storia si stava facendo sempre più complicata e non era affatto un bene se volevo sapere cosa stava succedendo.

I ragionamenti ero bravo a farli, alle soluzioni ci arrivavo da solo pensandoci molto, ma quello non sapevo dove sbattere la testa per trovare la soluzione che fosse quella corretta.

All'inizio credevo fosse solo un'infatuazione quello della signora, ma mi stavo rendendo conto che ci doveva essere di più sotto.

Era come il mistero di Ottavia: quelli erano gli unici misteri che ancora non avevo risolto, con la differenza che a quello della mia salvatrice c'ero quasi.

Dopo diverso tempo, tra nasconderci dagli uomini di Mariluna e localizzare il posto, arrivammo a destinazione.

Era una casetta lasciata a se stessa, sapeva di vissuto e stava cadendo a pezzi. Era piccola ed angusta, buia e, scommettei, anche fredda al suo interno.

“Ma sei sicuro che è questo il posto?” chiesi, mi sembrava troppo deserta perchè ci fosse qualcuno al suo interno, soprattutto una come Emily.

“Sì, guarda bene, ci sono almeno una ventina di uomini lungo tutta la casa. Per quale motivo sorvegliarla sennò?” mi disse lui che tutti i torti non aveva.

Parlammo di come avvicinarci senza farci scoprire e, facendo una perlustrazione tutto intorno, notammo che non potevamo avvicinarci più di così, ed eravamo a mille passi da lì.

“Dobbiamo rassegnarci Cam, non ci avvicineremo mai senza farci vedere” disse lui.

“O li sorprendiamo un po' per volta e li stendiamo così non abbiamo più il problema. E meno venti uomini che mi inseguirebbero” dissi io, valutando ogni ipotesi.

“Ucciderli? Scherzi? Non sono mai arrivato a tanto, non so se potrei farlo” mi disse, barcollando un po' alla mia idea.

“Pensa che siano animali che devi cacciare per mangiarli e che loro sono la tua unica salvezza per non morire di fame” gli dissi io, che era come mi sentivo in quel momento.

A parte poveri animali, non avevo mai ucciso. Me lo disse una volta Ottavia, durante una delle mie prime volte da cacciatore. Aveva funzionato.

“Quella foresta ti ha davvero cambiato, ma in meglio devo dire” mi disse lui, accennando un sorriso.

“Merito della giovane eremita” ribattei io.

Elaborammo un piano per prenderli di sorpresa ma non tutti assieme, non avremmo gestito la cosa, un conto era se ci fossero stati anche Rik ed Elia, ma eravamo solo noi due.

All'improvviso, vedemmo un ombra avvicinarsi a passo sicuro, subito non inquadrai chi fosse, ma quando vidi che era a piedi nudi capì che era lei.

“Chi è quella?” disse il mio amico, notando la figura in ombra che si avvicinava alla casetta con estrema tranquillità.

“Credo sia la mia amica: l'eremita” dissi io, stupito nel vederla lì. Sapevo che mi guardava le spalle da chissà dove, ma aveva detto che non sarebbe intervenuta. Sì, lo aveva detto, ma solo in caso di bisogno, magari voleva darci una mano.

Gli uomini la videro e, dopo degli ammonimenti che ovviamente lei non ascoltò, le andarono incontro lasciando le loro posizioni, a quel punto decidemmo di cogliere l'occasione e di avvicinarci.

Tutti e venti ora erano attorno a lei, immobile e, apparentemente, indifesa.

Che cosa ha in mente adesso?

Si teneva stretta nel suo mantello, il cappuccio più calato che mai. Le braccia erano sotto al mantello per nascondere i suoi coltelli, forse.

“Ehi non puoi stare qui, te ne devi andare, hai capito, bellezza?” disse uno di loro, ghignando, e sorridendo facendomi capire che gli passava altro per la testa se non se ne sarebbe andata. Lo avevo dedotto anche da come aveva enfatizzato la parola bellezza. Lo aveva detto con un tono quasi volgare.

Nessuna risposta tornò indietro e nessun movimento tradì i suoi pensieri.

“Va bene, come vuoi. Ci stavamo giusto annoiando” disse e fece per avvicinarsi, insieme a tutti gli altri. Le armi erano leggermente basse, che problema volevano che gli desse una ragazzina? Era questo quello che pensavano, ma loro non la conoscevano ed io non l'avevo mai vista combattere contro venti uomini. Stavo temendo il peggio quando accadde.

Fu più veloce della luce del lampo che sovrasta il cielo prima che si senta il rumore del tuono, quello che ti fa sobbalzare per la paura. Anche io sobbalzai di paura nel vedere la scena che si presentò davanti a me un attimo dopo e, di come in un attimo, finì.



 

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Salve a tutti! :)
Sono consapevole del fatto che è da un pezzo che non aggiorno più nulla, vi chiedo scusa, ma ho avuto una serie di problemi e contrattempi che non mi hanno più permesso di scrivere!
Comunque eccomi qua! sperando di non far passare tutti questi mesi! Magari molti di voi questa storia nemmeno la ricordano!
Tornando a noi, spero di aggiornare anche altre storie in corso e magari finirle ;) e finire anche di scrivere anche altre che ho in cantiere xD sperando un  giorno di pubblicarle qui xD
By the Way, spero che questo capitolo (bello lungo così mi posso far perdonare) vi sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pensate e, come sempre, commentate come vorreste proseguisse e se è stato di vostro gradimento o deludente. 
Ringrazio anche coloro che, nonostante la mia assenza da efp, hanno continuato a leggere le mie storie e metterle tra le preferite, le ricordate e le seguite! ;) 
Alla prossima
Kiss Kiss
Scarlet ;) ;) 

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