il fabbricante di dei

di PeterPan_Sherlocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 - il ragazzo nuovo ***
Capitolo 2: *** 02 - anno 2015 ***
Capitolo 3: *** 03 - il primo giorno ***
Capitolo 4: *** 04 - addestramento ***
Capitolo 5: *** 05 - missione ***
Capitolo 6: *** 06 - il passato 1 - l'inizio di tutta la faccenda ***
Capitolo 7: *** 07 - Italia ***
Capitolo 8: *** 08 - il primo segreto ***
Capitolo 9: *** 09 - ovvero la faccenda inizia a complicarsi ***
Capitolo 10: *** 10 - l'ora è un'illusione ***
Capitolo 11: *** 11 - il Passato 2 - dea della Guerra ***
Capitolo 12: *** 12 - Benvenuti nel Bronx di Perugia ***
Capitolo 13: *** 13 - la cura mortale ***
Capitolo 14: *** 14 - voler perdersi, scoprire di trovarsi ***
Capitolo 15: *** 15 - quel disperato bisogno di ordine ***
Capitolo 16: *** 16 - il passato 3 - cosa porta il dolore ***
Capitolo 17: *** 17 - l'attrazione di due corpi ***
Capitolo 18: *** 18 - tutto tende all'ordine ***
Capitolo 19: *** 119 - e comunque le chiamiamo costanti ***
Capitolo 20: *** 20 - il terzo principio della dinamica ***
Capitolo 21: *** 21 - questione di priorità ***
Capitolo 22: *** 22 - questione di chimica ***
Capitolo 23: *** 23 - il passato 4 - come bianco samguinante ***
Capitolo 24: *** 24 - caccia al tesoro ***
Capitolo 25: *** 25 - la pericolosità di due elementi incompatibili ***
Capitolo 26: *** 26 - il gioco è iniziato ***
Capitolo 27: *** 27 - l'Olimpo passegia sulla terra ***
Capitolo 28: *** 28 - la caduta degli sei ***
Capitolo 29: *** 29 - il passatp 5 - il verso della corrente ***
Capitolo 30: *** 30 - reazioni collaterali al dolore ***
Capitolo 31: *** 31 - la fisica di una buca di potenziale ***
Capitolo 32: *** 32 - la regina della commedia ***
Capitolo 33: *** Capitolo Speciale - crossover ***
Capitolo 34: *** 33 - Un buco nel firewall ***
Capitolo 35: *** 34 - Quanto fa 6x7? ***
Capitolo 36: *** 35 - il fabbricante di dei ***
Capitolo 37: *** 36- l'ultima barriera dei sapiens ***
Capitolo 38: *** epilogo - a est del sole, a ovest della luna ***



Capitolo 1
*** 01 - il ragazzo nuovo ***


Nella discoteca c'era un gran rumore e ovviamente Lea non sentì il suo auricolare, perdendo la chiamata. Poco male per lei che si stava divertendo assordandosi di musica, ma il suo capo-direttore-preside e non so che altro non l'avrebbe sicuramente presa bene. Accennò due passi di danza classica, mischiandoli con il movimento ondeggiante del corpo che tutti i giovani facevano.

Aveva il viso illuminato dalle luci intermittenti del locale, ma non le dava fastidio. Il dee-jay le ammiccò, la ragazza sorrise. Era carina, una normalissima ragazza che dava l'impressione di essere dolce solo a guardarla. Si tirò indietro il ciuffo dagli occhi mentre un ragazzo le si avvicinava, sussurrandole una cosa all'orecchio.

"Louis" ridacchiò la Lea "di a quello che non mi interessa."

Il ragazzo di questione si chiamava Simon ed aveva i capelli rossi, mentre gli occhi del colore delle foglie d'estate. Molto bello, peccato che Lea aveva chiuso con i ragazzi da quando aveva quattordici anni; aveva tantissimi amici maschi, che sembravano apprezzare il suo taglio di capelli e il suo tatuaggio meglio delle ragazze, ma nessun fidanzato.

"Lea glielo dici tu" rispose Louis per poi far scorrere la mano sul suo braccio. Louis era un bravo ragazzo, un bravo ragazzo con una cotta per lei, ma sapeva di non avere speranze.

Lea smise di ballare e si aggiustò la canottiera azzurra che faceva risaltare i suoi occhi, avviandosi nel punto in cui si trovava il rosso, facendo rumore con i tacchi vertiginosi. Lui la guardò ammirato, seguendo con gli occhi il profilo perfetto del suo corpo.

"Lea." si presentò.

"E' un diminutivo?"

Si mi chiamo Neumalea.

"No è il mio nome completo. Tu sei Simon, vero?"

"Si" il volto del ragazzo si illuminò "sei così bella, vuoi ballare con me?"

"Scusa Simon, ma mi sono lasciata da poco e non me la sento."

Sul viso del ragazzo comparve un'espressione delusa. Lea non si era lasciata da poco, ma il ricordo era così vivo che le faceva ancora male. Aveva quattordici anni, e lui era il suo migliore amico, del quale era innamorata.

"E' un Crirale ora, Neuma. Ricordatelo, non esiste più il ragazzo che conoscevi."

La voce aveva avuto ragione. Alexander era cambiato, Alexander era morto. Era rimasto solo Alex, il Crirale, colui che aveva tradito. Avrebbe dovuto odiarlo, tutti lo odiavano, lei però non poteva. La testa le girò un attimo e prima di uscire prese un ultimo drink.

Fuori dal locale si rese conto della chiamata, ma era troppo stanca per darle peso. Lea chiuse gli occhi scoprendo un elaboratissimo tatuaggio a spirale infiorata sopra l'occhio destro, sorrise e si avviò a casa, la mattina dopo sarebbe stata dura. Louis la seguì fuori dalla discoteca:

"Lea! Dove vai?" le urlò dietro.

"A casa, di a Frank che sono stanca."

Per fortuna casa sua non era lontano dalla discoteca, quella sera non era in condizioni di guidare. E non per l'alcol, che reggeva perfettamente in quantità superiori a qualsiasi altro, ma per i ricordi, che avevano colpito la sua testa come un macigno.

La ragazza entrò nel suo appartamento buttando la borsa lungo uno stretto corridoio coperto di foto strane: una struttura bassa e geometricamente sbagliata, la Cappella Sistina non ancora dipinta, una piramide egizia, la statua della Libertà in costruzione, la cattedrale di Notte Dame, un teatro inglese dove veniva rappresentato Shakespeare, e poi paesaggi bui, navi immense che solcavano lo spazio, veicoli che non poggiavano terra, un posto in cui la gravità era invertita. Era così bello per Lea crogiolarsi in quei ricordi. Una veloce struccata dall'illusione e poi a letto, erano le due. Con la chiamata avrebbe fatto i conti dopo.

L'auricolare la svegliò alle sette e il suo capo era arrabbiatissimo, ma che ci poteva fare lei se gli addestramenti li facevano sempre in periodi strani? Se era un addestramento - era semplicemente stata richiamata per questioni urgenti. Poteva essere qualsiasi cosa.

Si trascinò in cucina, indossando svogliatamente i pantaloni neri, stretti e un maglione a righe, e iniziò a prepararsi la colazione.

In quell'esatto istante suonò il campanello e Lea andò ad aprire senza pensare alle conseguenze di quell'azione: subito dopo un ragazzo di diciassette anni la guardava tra il perplesso e lo spaventato e articolando poche parole disse: "Lea.. gli occhi..". La ragazza si rese subito conto di quanto fosse stata stupida, gli occhi, i capelli, tutto! "E' un nuovo tipo di lenti a contatto colorate, ti piacciono?" rispose comunque sfoderando il suo miglior sorriso, ma il ragazzo era ancora costernato.

Certo- pensò Lea- Conoscere una ragazza con i capelli nocciola e gli occhi azzurri e poi ritrovarsi davanti la stessa ragazza con i capelli argentati e gli occhi arancioni può creare qualche problema.

"Ciao Louis! Come mai qui, a quest'ora?"

"Lea oggi andiamo al cinema, vieni?"

"Ehm... non lo so, ti faccio sapere dopo!"

"Lea... e i capelli?"

"Una tinta temporanea, la tolgo subito, speravo avesse un effetto diverso e invece..." sbuffò lei, mentendo.

Se sapesse che la tinta temporanea in verità è quella castana...

"E scusa Louis, ma ora ho proprio da fare, ti scrivo dopo okay?"

"Okay" rispose il moro.

Liquidò il ragazzo e si toccò il pendente all'orecchio destro, l'auricolare:

"Ho avuto un piccolo contrattempo, agente Neumalea pronta per partire" annunciò velocemente.

"Bene agente, ci spiegherà i suoi contrattempi un'altra volta ora sta pronta che stiamo creando la distorsione nell'iperspazio. 3, 2, 1.. buon viaggio agente"

La ragazza si ritrovò sballottata nell'iperspazio, fra mondi ed epoche, fino arrivare in un piccolo punto dell'universo, senza tempo, e si sentì finalmente a casa. Non c'erano più quelle tre dimensioni che la schiacciavano continuamente, ma poteva stare comoda nelle cinque dimensioni dell'Agenzia e se le ripeté a memoria nella testa, assaporandone quasi il gusto: Altezza, Lunghezza, Larghezza, Seeza e Quasità (thanks to Bonvi per la citazione): la perfezione. Attraversò l'angolo concavo come se fosse stato convesso, cosa che molti non sarebbero riusciti a sopportare ma che per lei era la cosa più normale del mondo. Quella geometria che gli uomini del XXI secolo avrebbero sicuramente reputato "sbagliata", lei l'adorava, era casa sua. Nei suoi occhi si illuminarono le nervature gialle, succedeva sempre quando era felice. Ora doveva però andare a sentire il capo.

L'Agenzia le si stagliò davanti in tutta la sua maestosità, non esiste modo per descriverla. L'edificio che si stendeva più per altezza che per lunghezza, se non si contavano gli immensi cortili che di diramavano oltre le mura di cinta rivestite completamente di grafite, era un gigante nero in mezzo a una landa illuminata. La scritta in inglese AGENCY si poteva leggere da chilometri di distanza. Lea entrò dal portone principale attraversando i corridoi lindi e puliti, circondata da porte. Era un labrinto, un intrico assurdo, un nonsenso per tutti coloro che non facevano parte dell'Agenzia, troppe volte avevano dovuto recuperare ospiti persi; Lea però si muoveva a suo agio, prese dei cambi gravitazionali per cambiare piano (gli ascensori erano troppo lenti) e aprì una porta nel soffitto entrando tranquillamente in una stanza fatta di vetro.

«Agente Neumalea chiede colloquio con Headstrich» annunciò la ragazza al microfono.

«Entra Neuma, accomodati, è sempre un piacere vedere che ti ostini a portare quei capelli nel XXI secolo».

Davanti a lei si stagliava un salone immenso e disordinato. In fondo, dietro a una scrivania che la ragazza classificò mentalmente come ebano, c'era una donna sui quaranta, i capelli biondi raccolti in una crocchia stretta e il tailleur grigio.

Lea per risposta strinse le labbra e si toccò i capelli tagliati storti lanciando al direttore un'occhiata compiaciuta di odio puro. «Lo sai che mi piacciono così, a destra più lunghi e a sinistra più corti»

«Ma là in quell'epoca non ti hanno detto niente? Hai tutto il tuo bel viso che a sinistra è scoperto e a destra è inquietantemente coperto da capelli tatuaggio e orecchini».

Headstrich era un'inglese del XXI secolo che era stata scelta come capo dell'Agenzia e aveva sempre da ridire su come Lea si presentava alla gente di quell'epoca.

«No, ovvio. Gli rispondo che mi piacevano in questo modo. Tra i giovani è normale essere strani. Comunque perché mi hai chiamato sabato sera? Lo sai che c'è la discoteca e non sento le chiamate» rispose seccamente la ragazza. Solo Neuma poteva rispondere così a Headstrich, e questo perché era la migliore.

«Cosa devo sopportare! Solo perché mi servi devo lasciarmi trattare così!»

«Dica pure che se non ci fossi io Roma non sarebbe nata, la bomba nucleare sarebbe stata mandata sul Sole e miliardi di altre cose... dica pure che se non ci fossi stata io non c'era neanche lei qui a rompermi il sabato sera.. dica pure che sono l'unica di tutta questa massa di ragazzini incompetenti dell'Agenzia che riesce a potare a termine una missione e sono l'unica che riesce a vivere in un posto per tutto il tempo che serve senza farmi scoprire e adattandomi alla cultura, lo dica e dopo capirà perché almeno il sabato sera voglio un po' di riposo!»

«Ho un incarico per te" tagliò corto Headstich "Non è bene che tu sia la sola a doverti giostrare tra buona parte delle epoche, c'è un ragazzino molto promettente che potrebbe diventare come te. Lo porterai nel XXI secolo e gli insegnerai tutto.»

«Un altro? Che bello! Dov'è? E da che epoca viene?» esclamò sarcastica.

«Viene dal 2275 circa, quindi la sua scienza è meno progredita della tua... gli farà un strano effetto vedere la tua faccia come divisa a metà, là sono fissati con la simmetria. Comunque... Thomas, vieni.»

Dalla porta entrò un ragazzo di circa diciassette anni, i capelli bianchi come fosse albino e gli occhi neri. Tutto nel suo abbigliamento esprimeva precisione, a differenza del maglione che Lea aveva indossato quella mattina, che le lasciava scoperto l'ombellico. La ragazza quasi non lo guardò.

«Ciao, io sono Neumalea, Neuma per gli amici dell'Agenzia e Lea per tutti quelli delle altre epoche, ora partiamo, mi dirai tutto dopo, ho un appuntamento al cinema.»

Il ragazzo la guardò sbalordito ma non fece in tempo a ditre nulla che si ritrovarono di nuovo nel XXI secolo, nel preciso punto da dove era partita Lea: camera sua, un insieme di vestiti, foto e strani strumenti.

Lea chiamò Louis e si accordò per il cinema, poi si rivolse al ragazzo.

"Cambiati. Dovrei avere qualche vestito da uomo di là. Così non vai da nessuna parte! E dimmi un po' del tuo tempo."

"E' un periodo di pace, molto bello. Sono stato selezionato fra tutti i miei amici e il Capitano mi ha assegnato a te. Sei la migliore." rispose Thomas, ancora frastornato per la velocità con cui erano accadute quelle cose.

"Io sono la migliore, mettitelo in testa, Tom." confermò Lea "Mi muovo fra le epoche come se tutte fossero casa mia, e come se non lo fosse nessuna. Arrivo, mi faccio gli amici per passare inosservata, trovo il problema, lo risolvo e parto. Ora però sono in vacanza, ero in vacanza, ora ho te. Evita di guardare strano tutto ciò che non è simmetrico, sorridi, chiacchera, e chiamami Lea. Sai cos'è un cinema?" chiese e senza aspettare la risposta continuò "E' un posto dove si guardano film in 2D. Oggi ci vediamo The Maze Runner. Distopico."

Il ragazzo era sconvolto. Davanti a lui, a parlargli c'era l'agente Neumalea, una leggenda fra gli Agenti dell'Interspazio. Aveva completato la sua prima missione a dieci anni, si diceva, e ora che ne aveva diciassette era la più forte di tutti i Combattenti. Eccelleva in tutto. C'era persino qualcuno che diceva che era solo un mito e che lei non esisteva. Studiò il suo elaborato tatuaggio sula palpebra: una rosa circondata da spirali e piume elaborate si diramava fino al sopracciglio, color argento come i suoi capelli tagliati storti. Era mingherlina. La famosissima Neumalea appariva come una semplice diciassettenne un po' acida.

"Mi stai consumando a forza di guardarmi" sbottò lei.

"Scusa è che..."

"Si, lo so. Chissà che cosa vi avranno detto su di me a quella insulsa Scuola!"

"Che sei la migliore."

"Quello ovvio. Ma mi avranno descritto come una leggenda" la ragazza alzò gli occhi al cielo "invece semplicemente ragiono, cosa che non fa nessun altro nell'Agenzia a quanto pare. E ora ho te tra i piedi. Spero che sei promettente come dicono, ma c'è molto da lavorare, per esempio, smettila di toccare il vetro, quella è una finesra vera!"

Louis citofonò.

"Fa il bravo Tom"

"Si agente."

"No, agente. Io sono Lea, una tua carissima amica, vieni dall'Italia no? Bene ti presenterò come italiano. E metti l'illusione, ti farà diventare biondo"

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Capitolo 2
*** 02 - anno 2015 ***


"Ciao Louis! Lui è Thomas, italiano" Lea presenta il biondo e fa accomodare il suo amico su un pouf rilassante proveniente dal 2120, ovviamente lui non lo sa. Non dovrebbe usare utensili di altre epoche su ragazzi del duemila ma Thomas a prima vista è un bel po' strano, ed è a casa sua, cosa ambigua, quindi non ci sarebbe stato nulla di male nel rilassarlo un po'. "Ciao! Pronto per andare al cinema?!" disse con sguardo vacuo Louis. "Si" sorrise il ragazzo. Entrarono nella Punto e Tom fu presentato a Martha, la terza ragazza della compagnia, una diciassettenne un po' nerd, e anche un po' strana; una delle persone più simpatiche al mondo, probabilmente. L'auto era oggettivamente un caos. I sedili ricolorati con varie fantasie erano coperti da lattine, pacchetti di sigarette e carte dai fast food, in più c'era una coloratissima coperta di pail per le evenienze. "Woah andiamo a vedere The Maze Runner. E sia chiaro, Newt è mio." rise forte la ragazza. "No Martha" la contradisse Lea "Newt è mio." "Mai Lea.. lui... lui avrebbe dovuto sposare me, me!" si agitò sul sedile la mora, rischiando di travolgere Tom. "No spoiler" li avvisò Louis, e continuando a chiaccherare arrivarono al cinema. "Cerca di sembrare poco sopreso" ricordò l'agente a Thomas mentre si avviavano all'interno della sala. Il ragazzo rimase stupito in un primo momento dal fatto che le figure non erano ologrammi, ma alla fine il film gli piacque da morire anche perché il protagonista si chiamava come lui. Entrarono in gelateria. "Per il mio amico, fragola e cioccolato" disse Lea per poi sussurrare a Thomas "è buono fidati." Il ragazzo prese in mano un cilindro sormontato da una specie di crema fredda e colorata, lo assaggiò diffidente. Aveva ragione Lea. Era buono. Parlarono della scuola, un tipo di scuola che Thomas non conosceva e che lo incuriosiva, quindi rimase ad ascoltare, rimanendo sempre più sorpreso dalla capacità di Lea di trovarsi a suo agio in quell'epoca: parlava con la loro cadenza, faceva gli stessi gesti, rideva al momento giusto e sembrava conoscere quel mondo come l'Agenzia. Era bellissima e perfetta. Voleva diventare come lei, era stato scelto perché era il bravo, e sarebbe diventato il migliore. "Il tuo amico non parla?" chiese la ragazza di nome Martha. "Timido" sorrise lei. "Si, sono nuovo, vengo dall'Italia" "Oh! Ho sentito parlare così tanto dell'Italia! Com'è?" Come uno Stato sopravvissuto a due bombe nucleari, che sta ricostruendo piano la sua identità persa nel tempo - pensò Thomas. "Soleggiata" rispose solo. A Martha sembrò bastare. Arrivò il momento dei saluti, e il ragazzo tirò un sospiro di sollievo solo quando rientrò nell'appartamento di Lea. "Tom! Eri un pezzo di legno! Rilassati, a Martha piaci" "Martha?" chiese, poi si ricordò della ragazza con i capelli castani che gli aveva chiesto dell'Italia "Ahh... senti Lea mi devi dire com'è l'Italia ora." "Soleggiata va bene. E' sempre uguale l'Italia, solo che in questa epoca gli italiani si salutano sempre, sono gioviali e ridono spesso. E non hanno nessuna fissa malata per la simmetria. Domani andremo a scuola. Non dire per nessun motivo che abitiamo nello stesso palazzo, ci scambierebbero per fidanzati e io non voglio." Il ragazzo arrossì. "Comunque non abbiamo nessuna fissa malata per la simmetria." "Ma ti sei visto? E tu sei stato prelevato a quattro anni! Pensa chi continua a vivere lì come diventa!" sbuffò Lea scompigliando i capelli biondi del ragazzo, mentre lui si fiondava davanti allo specchio per rimetterli in ordine. La ragazza ridacchiò. "Beh, cosa devo fare?" "Ora ti darò un po' di informazioni, poi la mattina a scuola per imparare a interagire e il pomeriggio studio con me. La sera si esce." "Ma tu vai a scuola qui?" "Si, e studio mille anni di storia in meno, sono nata nel Tremila io, in compenso conosco cose che sui libri non ci sono" disse, e lo fece sedere su una sedia, dove iniziò a parlare. Lea gli insegnò tutto sul XXI secolo. Il ragazzo assorbiva informazioni come una spugna. Imparò a riconoscere i telefonini, i libri e le auto, scoprì parole come bulo e figo, capì che in quel tempo era considerato una bellezza. "Puoi sfruttarlo con le ragazze questo! Capelli slavati, occhi neri, anche se un po' inquietanti, sorriso bianchissimo e fisico da allenamento dell'Agenzia - il migliore in tutte le epoche." ammiccò lei. "Io non voglio... siamo qui per lavorare!" protestò lui. "E per divertirci. Cerca di sembrare meno simmetrico possibile e vediamo di farti un piercing o un tatuaggio." "No" "Non era una domanda. Qua i ragazzi si riconoscono per gruppi, e nel nostro gruppo hanno tutti almeno un tatuaggio. Di quelli dell'Agenzia lavabili, okay? Mica devi andare in giro come me!" Gli applicò un paio di ali d'angelo sulla schiena. Appena si tolse la maglietta Lea si fermò a guardare il fisico perfettamente scolpito del ragazzo, e sorrise facendo arrossire lui. "Io non voglio piacere." disse il biondo. "Ti dovrai divertire!" "Ma voglio trovare l'amore!" "Non c'è amore per gli Agenti. Ci muoviamo di epoca in epoca, non siamo stabili." "Ma un altro Agente?" "Una coppia di Agenti? Impossibile. Sarebbero troppo uguali." "Io e te ti sembriamo uguali?" chiese lui. "Intendi me?" ridacchiò Lea. "No Neuma, era un esempio." "E' vero, siamo diversi. Due Agenti... un sogno irrealizzabile Thomas, toglitelo dalla testa e lavora." rispose lei pensando a Alexander. Poi iniziò la lezione seria. "I Crirali, o Criminali Temporali, come sai già, si trovano particolarmente in difficoltà in questo tempo perché è un momento della Storia in cui tutti tendono a riconoscersi tra di loro. Hanno bisogno di avere qualcosa che li accomuna e che è un modo di fare praticamente impossibile da imitare." "Tu ce la fai" "Io sono la migliore. E poi io non lo imito, io sono. L'ho imparato dopo tanto tempo passato a vivere la vita di tutti i giorni in questo posto, a scoprire cosa amano e cosa odiano. Li riconosci i Crminali perché si guardano attorno con circospezione, usato termini sbagliati, camminano in modo impettito. E' inutile imitare qualcuno, bisogna essere qualcuno. Sii te stesso e poi tutto verrà da se, una delle più grandi caratteristiche umane è l'adattamento." "La fai facile tu, ma tu sei Neumalea!" "Ragazzino" avevano la stessa età, ma Lea serviva all'Agenzia da quando aveva dieci anni "io non sono una leggenda. Tu sei dotato, hai il carattere, hai il fisico. Oggi eri in imbarazzo, ma l'ultimo che mi hanno mandato ha bruciato la casa dopo mezz'ora. Ci sai fare, basta un po' di addestramento, non voglio sentirti piangere addosso. E non ti spaventare, la bastarda la faccio per spronarti, sono normalissima" "Insomma" sfuggì a lui in un soffio ma Lea, inaspettatamente, si mise a ridere. "Bravo Tom, non avere paura. Per oggi basta, domani tutti a scuola!" "A che grado appartieni Neuma?" chiese lui alzando la manica della camicia per far vedere il suo AA+ nero, il simbolo degli Agenti appena usciti dalla Scuola, che sarebbe scomparso quando sarebbe aumentato di grado. Lea scoprì il suo avambraccio dove spiccavano bianchissime le sue AA+. Primo comando. Lo Stemma Bianco era l'unico non rimuovibile, una volta che sei Primo Comando, sei per sempre Primo Comando. "Sei una Geniet." Thomas era visibilmente impressionato. "A letto ora, Tom." Lea odiava quando le ricordavano che era Geniet. Thomas non riusciva a dormire. Si stava addestrando con l'Agente migliore di tutta l'Agenzia, e lei era bellissima. A Scuola, il posto dove i migliori venivano preparati per entrare a far parte dell'istituzione più famosa dell'Universo, tutti, almeno una volta, avevano fatto un disegno di Neumalea. Nessuno le assomigliava. La rappresentavano alta almeno un metro e novanta, i capelli lisci e tagliati a saetta mentre i suoi erano morbidi e mossi, gli occhi di un'arancione crudele, mentre il suo colore assomigliava a un tramonto estivo, muscolosa in modo assurdo, e lei era mingherlina, sempre con qualche arma in mano, e quel giorno si era portata dietro solo il coltello. Nessuno poi aveva mai parlato del tatuaggio, così assurdamente perfetto, o del fatto che era acida. La preferiva dal vivo che dai disegni, nonostante il suo viso fosse asimmetrico, ed era molto più umana e meno eroe. Le inviò un messaggio. Ti dipingono come un'eroina tutta muscoli, io ti prefersco così. Arrossì un po' a quello che aveva scritto, ma non se ne preoccupò. La risposta arrivò subito. Sfortunato quel popolo che ha bisogno di eroi. Bertol Brecht. Thomas lo conosceva, era uno scrittore del Novecento. Non le rispose, ma rimase quasi tutta a notte a pensare. Ogni popolo, in ogni era, ha sempre avuto bisogno di eroi, per sentirsi sicuro, per sentirsi protetto. Voleva diventare come lei, e voleva risolvere missioni insieme a lei, come una squadra. Si sarebbe impegnato, e ce l'avrebbe fatta. Cullandosi in questo pensiero cadde lentamente tra le braccia di Morfeo. Sognò il suo primo giorno alla Scuola, e a come si era sentito piccolo in confronto a tutti quegli Agenti, e anche in confronto agli altri ragazzi del corso, aveva quattro anni ed era mingherlino. Gli insenganti lo avevano subito guardato male, chiedendosi per quale motivo era stato scelto. Glielo aveva fatto capire, il perché, alla fine era diventato il migliore, paragonato alla leggenda. La stessa leggenda che aveva conosciuto e che gli rispondeva per citazioni. Freddo. Tanto freddo. Thomas aprì gli occhi bagnato fradicio. "Neuma!" urlò lui aprendo gli occhi e ritrovandosela davanti, in camera sua. Dormiva solo in pantaloncini, aveva bisogno di privacy! Si tirò su il lenzuolo. "Che c'è?" bofonchiò lei masticando un biscotto. "C'era bisogno di bagnarmi?!" "Non ti svegliavi" sorrise divertita lei. "Se mi mandi un suono sull'auricolare lo sento." "Lo so, ma qui ancora non usano gli auricolari, non quelli che intendiamo noi. Benvenuto nel ventunesimo secolo Tom, sei più carino quando sei spettinato." "Un pettine... e il bagno... e qualunque cosa abbia un minimo di simmetria!" "Ehi stamattina t-shirt va bene?" "No". Lui odiava le t-shirt. "Camicia, è il massimo che posso fare, vieni a mangiare due biscotti." "Non faccio mai colazione, come ci arriviamo a scuola?" "In auto ovviamente" ridacchiò lei alla faccia sonfortata di lui. Thomas odiava le automobili dal giorno prima. Aveva pensato a lui tutta la notte, era il ragazzo più dotato che le avessero mai mandato, faceva domande intelligenti, apprendeva come una spugna e si impegnava per farcela. Certo, aveva ancora sogni sull'amore, non aveva mai fatto una missione e doveva togliergli quella sua fissa per la simmetria, poi sarebbe andato bene. Era anche simpatico nonostante fosse un ragazzino. "Mi stai simpatico ragazzino" gli disse infatti, lui arrossì. Ovviamente era in soggezione, Neuma lo sapeva, la guardava sempre, quasi per assicurarsi che fosse vera e beh... lo era. Sapeva a grandi linee che la nominavano a scuola, e aveva intuito che la rappresentazione che fornivano gli insegnanti non era veritiera. Già si immaginava descritta come una donna gigante con il cipiglio severo, mentre era solo una ragazza. Ma era la migliore.

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Capitolo 3
*** 03 - il primo giorno ***


Entrarono in classe e tutti si girarono verso Thomas: lunghe e provocanti occhiate dalle ragazze e sguardi assassini dai ragazzi. "Chi è Lea?" chiede un ragazzo moro. "Il nostro nuovo compagno di classe, Matt, si chiama Thomas" "Ciao Thomas" urlò tutta la classe. "Dai vieni vicino a me che la prima ora ci divertiamo c'è storia!" gli disse Lea indicandogli un banco a metà aula. Si sedettero e lasciò a Thomas il tempo di guardarsi intorno. La classe era personalizzata e dovunque c'erano poster, carteloni e scritte sui muri. La prof. stava parlando di Galilei. "Prof!" "Signorina Chane mi dica" la professoressa era scocciata. "In verità Galileo era stato avvisato che se avrebbe ritrattato dopo darebbe riuscito a completare la sua opera." "Le sue teorie sono interessanti come sempre signorina. Perché deve sapere signor Thomas, che la vostra compagna di classe qui presente, ha idee piuttosto confuse riguardo le cause della storia, nonostante una conoscenza paurosa di date luoghi e persone." "Oh ma prof lo so, a storia è la migliore da quando aveva dieci anni. Comunque sono d'accordo con Lea. L'ultima volta che qualcuno l'ha contraddetta abbiamo rischiato la..." Lea gli tappò la bocca. "Niente prof, continui la sua spiegazione!" "Ma la catastrofe nucleare?!" chiese il biondo a Lea. "Loro non sanno, ragazzino. Svegliati. Io faccio questi interventi per far ridere la classe ma nessuno sa la verità, dobbiamo sapere quello che c'è scritto sui libri!" "Ma questo c'è scritto nei libri!" "Non nei libri del 2015!" Sul loro banco atterrò un fogliettino. Scrivimi il tuo numero. Da: la bionda dietro di te. "Il che?" "Numero, ma tu non ce l'hai il telefono, rispondigli che ti dispiace ma sei work in progress con un'altra" gli disse Neuma e così fece lui. Al cambio dell'ora si scatenò il putiferio. "Già te lo sei prenotato Lea?" "Non so di cosa stai parlando" "Ehi miss tatuaggio strano, lo sai benissimo. Thomas è mio, non provare a cercare di stregarlo con i tuoi occhietti azzurro cielo" - Lea metteva le lenti azzurre e una tinta lavabile castana - "perché è troppo bello per te" "Scusa come ti chiami?" si intromise il ragazzo. "Cyril" civettò lei. "Cyril, io non sono di nessuno. E poi non ti conosco." "Ci possiamo conoscere!" "Solo se è anche lei un Agente" sussurrò lui a Lea. "Vedi" si lamentò l'altra "fa la civetta." "E' la mia migliore amica." sparò a zero Thomas. Il volto della bionda si fece raggiante. "Ah-ah Lea, friendzonata!" Thomas sorrise involontariamente, aveva imparato quel termine il giorno prima ed era felice di sentirlo usare. "Non ci ha mai provato con me." rispose il biondo per poi pensare che tra lui e Neumalea, al massimo sarebbe stata lei a friendzonare lui, in un futuro più o meno prossimo. La discussione fu interrotta dall'entrata di un professore sulla mezz'età che si rivelò insegnare matematica e fisica. "... Quindi ragazzi ricordatevi che la forza di gravità non si può sconfiggere." "E allora nello spazio?" Thomas alzò la mano. "Nello spazio la gravità non c'è" "E negli altri pianeti?" "E' diversa." "Appunto prof, quindi c'è per forza un modo per controllarla, se varia non varia a caso." "E' una riflessione interessante, però sbagliata." Lea rise sottovoce "Pensano di avere la scienza totale quando non sanno neanche far funzionare le automobili senza petrolio" Thomas rimase pensieroso, poi cambiò discorso. "Ma Cyril.." "Non sono tutte così, tranquillo ragazzino. Lei è un po' un'eccezione, hai la fortuna di avere la più popolare , e la più oca della scuola in classe." gli ammiccò lei. Thomas odiava l'asimmetria dei volti, ma quello di Neuma era perfetto anche così. "Ehi Tom, se continui a fissarmi, la bionda tinta penserà veramente che ci provi con me" Wow lo capisce una tinta idiota e non l'Agente più famoso dell'Agenzia? Ma a lui non piaceva Neumalea... non veramente, era solo la leggenda. L'Agenzia... il diminutivo per Agenzia Intergalattica Spionaggio Riconoscimento e Risoluzione dei Problemi Spaziotemporali, ma per dirla sprecavi venti minuti, quindi tutti la conoscevano come Agenzia. Avevano provato con la sigla all'inizio, ma AISRRPS non funzionava. La prossima ora, inglese. Avrebbe dormito. O si farebbe fatto dare notizie su quella città, gli sembrava si chiamasse Londra. "Signor Balchi mi sta ascoltando?" Thomas si riscosse dai suoi pensieri. "Eh?" La classe ridacchiò. Thomas si ridistese sul banco. Era il suo primo giorno, e nulla stava andando come sperava: tutto gli sembrava estraneo, tutti gli era estraneo, a partire dall'enorme cosa nera, lavagna, sulla quale la prof scriveva, le finestre di vetro che permettevano di vedere fuori, chissà, forse quando pioveva vedevano la pioggia, i banchi sistemati tutti storti, le persone senza divisa, ognuna così diversa dall'altra, la classe completamente asimmetrica, la cadenza sconosciuta, il modo di fare così aperto, da lui non ci si parlava mai. Solo una cosa era rimasta uguale, l'odore dei libri. Avevano provato a rimpiazzarli con l'elettronica, ma erano rimasti l'unica cosa uguale in tutte le epoche. Il fruscìo della carta, l'inchiosto sulle pagine, l'odore inebriante, la bellezza di tenere tra le mani quei foglio così piccoli e così potenti, capaci persino di cambiare la tua vita. E poi c'era Neuma, il sogno di qualsiasi Agente abbastanza stupido da sognare, quella ragazza era un mistero per tutti, anche per il capo. Si ricordò quando Headstrich lo chiamò per la prima volta nel suo ufficio. "Thomas" "Si, signore." "Sei molto bravo a Scuola Thomas." "Sono il migliore" rispose lui per poi aggiungere "signore." "Per questo ti ho chiamato. Faremo una cosa che abbiamo fatto solo con un'altra persona. Hai finito, sei pronto, ti affiderò a uno dei nostri Agenti." "L'unica finora era stata..." il ragazzo sgranò gli occhi. "Neumalea, si. Sei il migliore, sarà lei il tuo Agente." Thomas per poco non si strozzò "Neumalea? Quella Neumalea? Quella che a dieci anni faceva già missioni? Capelli argento, occhi arancioni, quella?" "Quante Neumalea conosci, ragazzino? E' unica per fortuna!" "Voleva dire purtroppo, signore." "Voglio dire proprio per fortuna, ragazzino. Tu non la conosci, adesso proverò a chiamarla, ma lei non risponderà e domani sarà anche inguastita perché ho osato disturbarla il sabato sera. Capisci? Quindi, per fortuna che ce ne abbiamo solo una." Lea quella sera non rispose. Quando l'aveva vista il giorno dopo, aveva a malapena messa a fuoco una piccola figura in camicia maschile e jeans strappati che si muoveva come iperattiva, che era stato sbalottato in un'altra epoca. Poi l'aveva messa a fuoco. Si, era decisamente iperattiva. E dannatamente bella, anche con quella pendenza asimmetrica degna di un film horror. "Sveglia Tom è ricreazione!" la dolce voce della sua compagna di banco lo risvegliò dai ricordi. "Ricrea-che?" "Ricreazione ragazzino, ci si riposa a metà mattina, vieni usciamo." La seguì e cercò di imitare - no di essere - come quei ragazzi che si muovevano molleggiando sulle caviglie, aggiustandosi sempre i capelli e sorridendo, mentre le ragazze si muovevano ondeggiando e gesticolando in maniera esagerata. Neumalea sembrava una di loro. "Non li capisco!" "Cerca di voler mostrare al mondo che sei perfetto." Si mettono in mostra? Guardò i ragazzi davanti a lui, che lanciavano lunghe occhiate a alcune ragazze. Allora capì. Non doveva fare come se fosse perfetto davanti al mondo. Gli sarebbe bastato farlo davanti a lei. I suoi gesti divennero meno affettati e più naturali. "Bravo vedi che hai capito!" "Sono malati di sogni." Era vero quello che aveva appena detto Thomas. Un'epoca in cui i distrutti erano i giovani, e gli adulti coloro che li massacravano. Bell'incubo pensò il ragazzo mentre osservava quello che c'era intorno a lui; ragazze che fumavano, coppiette che si baciavano, qualche professore annoiato, cartacce per terra, una noncuranza, una casualità delle disposizioni che lo spaventavano, quel mondo sembrava non avere senso. "Mi sento un po'... perso" disse a Lea. "E' normale all'inizio, ma cerca di non darlo a vedere." Lea quel caos lo amava, aveva un non so che di unico. Dava un'idea di libertà, di unicità, ma c'era anche un filo comune che li univa tutti. Era il loro modo di vivere, la loro particolare modalità di sentirsi uniti, come se tutti i loro destini fossero legati, in fondo. Alexander veniva dal ventunesimo secolo. Le ultime due ore avrebbero avuto ginnastica. "Ehi Thomas figo il tatuaggio" commentò un suo compagno di classe dentro lo spogliatoio. "Grazie Michael." "Mi dai anche il nome della tua palestra? Così non acchiappi solo tu!" risate sguaiate furono le risposta dei compagni di classe. "Faccio da solo" mentì lui "ma da quando avevo sei anni" Ho un insegnante dell'Agenzia da quando ne avevo quattro - pensò invece. "Magari sei strano come Lea anche tu" commentò un moretto basso. "Lea non è strana" protestò lui "beh... non troppo" sorrise poi. Uscirono dallo spogliatoio. "Lea non si stanca mai, sembra un automa." rispose Michael. Beh imparare a correre inseguiti da un Segugio Infernale aiuta. "No, io sono più bravo" rise Thomas "ma non diteglielo che si arrabbia. " "Che non mi dovete dire?" urlò dolcemente Lea sulle loro orecchie, spaccando i timpani a tutti. "Dice di essere migliore di te a corsa." "Chi hai avuto tu, Tom?" chiese lei. "Il capo." "Oh anche io. Beh, forse mi stai dietro almeno." ammiccò lei. Alla fine del riscaldamento arrivarono insieme. Sorriderono alle facce dei ragazzi davanti a loro e continuarono l'ora. Avevano capacità superiori alla norma, e per quanto cercassero di dissimulare, era evidente che alla fine delle due ore erano freschi e riposati, a differenza dei loro compagni, grondi di sudore. "Questo pomeriggio iniziamo l'addestramento cerebrale." "Che?" chiese lui. "La capacità di usare indipendentemente gli emisferi cerebrali, e la capacità di controllo del corpo, tipo battito cardiaco, riparazione dei vasi ecc.." "Ma questo lo sanno fare solo i Geniet!" "Non mi sei stato assegnato per fare di te un Secondo Comando. Tu avrai lo Stemma Bianco." soffiò lei vicino all'orecchio di Thomas. "Geniet" sbuffò lui, quasi divertito. In verità era orgoglioso. "Guarda qua un vero trucchetto Geniet. Cyril!" La bionda si girò verso di loro iniziando a correre sorridendo a Thomas. Poi cadde, come inciampata in un filo invisibile. "Questo è sleale. Hai cambiato che cosa?" disse Thomas, dicertito. "Un giochino tra la gravità e l'aria." rise lei, mentre l'altra ragazza si rialzava rossa in viso. "Bastarda" sorrise lui, per poi farsi serio "siamo così diversi, noi Agenti, quasi non fossimo più uomini, come se non appartenessimo più a questa razza." "Superuomini. Li ipotizzano già da ora, anche se non sanno come si riuscirà a concretizzare questa loro fantasia." "Siamo così distanti da loro, mentre cerchiamo di essergli vicini. Manipolare l'aria per loro è compito di un dio, siamo come dei per loro." "Lo siamo?" chiese lei. "Siamo ragazzi" rispose Thomas "e siamo dei." Non sapeva quanta verità si nascondeva dietro quella sua affermazione. Ragazzi e dei, una nuova razza.

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Capitolo 4
*** 04 - addestramento ***


Lea lasciò Thomas da solo nell'appartamento e uscì a fare spesa. Il ragazzo si concentrò sulle foto appese in ogni angolo della casa: riconosceva quasi tutte le epoche ma non capiva chi fosse il ragazzo che stava sempre insieme a Lea nelle foto. Era alto, con i capelli neri e gli occhi verde acqua, un colore strano, mentre dai vestiti sembrava appartenere proprio al ventunesimo secolo. Poi entrò in camera sua e, guardando l'armadio, decise che avrebbe trascinato Lea a comprare qualcosa. Aveva in tutto tre camicie e, ovviamente, la divisa dell'Agenzia. Completamente nera, senza alcun segno di riconoscimento, sembrava una normale tenuta total black, anche se nascondeva più armi di un arsenale. Thomas sospirò e iniziò a mettere in ordine le sue cose. Una foto con un ragazzo sorridente dai capelli verdi, Lek, fu appesa sopra il letto, vicina a un'altra con la sua Classe alla Scuola; poi altre foto raffiguranti i posti dove era stato nel tempo e nello spazio, due casse modellabili e libri, libri, libri, la libreria di Lea non bastava e alcuni furono impilati per terra. Si buttò sul letto ad ascoltare un po' di musica classica, ecco, quella era una delle sue preferite: il volo del calabrone. Chiuse gli occhi e provò a sognare, poi li riaprì. Davanti a lui c'era il soffitto, poi la porta. Un rumore strano, ma già ascoltato arrivò alle sue orecchie: la chiave che si girava nella toppa. Il riconoscimento del DNA dei loro armadietti all'Agenzia era molto più utile. "Il pranzo è pronto" gridò Neuma dalla cucina. Thomas guardò stranito il piatto. "Pronto?" disse, indicando sconcertato un hamburger con patatine. "Ebbene si, confesso, ordinato da Mc Donald's, prova." Il ragazzo si buttò letteralmente sul pranzo. Era buono, niente a che vedere con i pasti della sua epoca, e all'Agenzia si attenevano a quelli. "Caspio! E' buono!" "Non citare i film senza aver letto i libri, pive." scherzò Lea. "Lo preferisco a ragazzino." ammise lui. "e poi non è detta che non possa iniziare i libri." "Okay pive, ma ora farai come dico io. L'addestramento cerebrale è roba seria." "E' roba da Geniet." sbuffò lui. Un murò d'aria si schiantò su di lui, facendolo barcollare. "E' roba seria." ammiccò Lea "e divertente." Lo fece stendere, e cercò di farlo concentrare sul mondo attorno a lui. "Gli uomini usano il dieci percento del loro cervello. Tu, pive, ne usi il cinquanta, come ogni neo - Agente. Io ti insegnerò a sfruttare il cento per cento del tuo ammasso di neuroni, ammesso che tu abbia un ammasso di neuroni, capito?" Thomas annuì, emozionato: il suo primo giorno di addestramento Stemma Bianco stava iniziando, era pieno di energia e non vedeva l'ora di mettersi alla prova. Non immaginava che saebbe stata tanto dura. Cercò di concentrarsi su se stesso, ignorando la sua mente che voleva concentrarsi su Neumalea, sentì il battito cardiaco, il respiro, la funzione delle sue cellule. Fece meno fatica di quello che si sarebbe aspettato. "Accellera il tuo battito cardiaco." la voce di Lea lo riportò alla realtà. "Senza distrati!" commentò la ragazza poi, acida. "Ti voglio bene anche io." rispose candidamente Thomas. "Concentrati." Il ragazzo si preparò per la seconda volta, ora aveva il controllo perfetto del suo corpo. Accellera - impose al suo cuore. Accellera, accellera, perché non accelleri? "Non ci riesco." "L'avevo notato." commentò lei sarcastica "cosa fai?" "Ordino al mio cuore di accellerare, ma non lo fa!" Lea, inaspettatamente, scoppiò a ridere. "Ordini?! Ordini al cuore? E' un muscolo involontario, ragazzino, fa quello che gli pare. Tu lo devi controllare, devi prenderne possesso, lo devi far diventare volontario. Sei tu che accelleri i battiti del tuo cuore, non il tuo cuore che esegue gli ordini! Di nuovo." Thomas provò una volta, due, tre, ma niente. Il mondo svaniva intorno a lui, sentiva il suo corpo lavorare, i muscoli contrarsi, le vene pompare sangue al cervello, ma non controllava nulla di ciò che accadeva, era solo uno spettatore esterno. Rimase steso in quella condizione per più di due ore finché la sua mente era così annebbiata da non riuscire più a pensare. Intorno a lui vedeva pareti che si muovevano, e i contorni erano sfocati; era decisamente stanco. "Di nuovo, ragazzino. Ti riposerai quando ci sarai riuscito." Anche la voce di Neuma era un suono indistinto ora. Cercò di nuovo la concentrazione, e questa volta sentì bene i battiti più vivi. Le forze però lo stavano abbandonando, doveva trovare una soluzione, e presto. Tum... tum. Ora doveva manipolarli. Tum... tum... Ma come? Lea aveva detto di non ordinare, ma di agire, forse... tum... tum... tum tum tum. "Bravissimo Tom!" l'urlo della ragazza quasi non gli fece venire un infarto. "Che urli, Neuma! Mi hai fatto perdere venti anni di vita!" ringhiò spaventato "e non ridere! Non sto scherzando." "Sei... così... buffo" la ragazza a stento riusciva a parlare per le risate "hai fatto un salto! Poi guardati, mister Simmetria tutto spettinato, con la camicia sbottonata - e si, era deconcentrante, Lea doveva ammetterlo - e il viso sconvolto!" Thomas assunse venti colorazioni diverse, in sfumature che passavano dal rosso carmiglio al viola cupo. "Ora sconvolgo te." disse e le si buttò contro senza neache pensare. Non era arrabbiato, non veramente, e alla Scuola fare a botte era considerato una specie di patto di amicizia, una tradizione che era passata anche tra gli Agenti. Non toccavi quelli con cui non volevi aver niente a che fare. Lea rise ancora più forte e si preparò a schivare il colpo, ma fu sbattuta al muro. Thomas le bloccò braccia e gambe, in modo da avere gli occhi arancioni a pochi centimetri dai suoi, poi Lea si ribaltò e lo trascinò per terra; lui la spinse via, fecendo forza sulla vita minuscola della ragazza e mandandola a sbattere contro un vaso, che cadde rovinosamente a terra. Non colpivano mai per fare male, e la soglia del dolore di un Agente era piuttosto alta. La ragazza si aggrappò alla camicia di Thomas per rimettersi in piedi, strappandola involontariamente, e gli arrivò addosso. Non sprecò però il colpo: al biondo arrivò una bella testata. Approfittando dello stordimento temporaneo del ragazzo, lo colpì di nuovo facendolo cadere sul divano, ma Thomas sfruttò la minima elasticità di quella poltrona per ritirarsi su e prenderla per la vita, tenendola in aria. Ormai aveva vinto. Rimase perciò sopreso quando Lea si ribaltò per terra, dimostrando un'elasticità non naturale, e lo spinse alla parete, bloccandolo con il suo corpo minuto ma forte. Furono interrotti dal campanello. Lea riuscì solo a rimettersi l'illusione, che Thomas aprì. Un ragazzo moro li guardava imbarazzato. "Oh emh ciao io... non volevo disturbare." I due ragazzi si guardarono con aria interrogativa, poi scoppiarono a ridere. Thomas era a torso nudo, ed erano tutti e due spettinati e rossi in viso. "No Louis!" rise Lea "noi stavamo..." Come potevi dire che stavi prendendo a botte un amico? "Ci stavamo allenando, sai quei bei risultati a ginnastica sono frutto di allenamenti." si risolse di dire alla fine. "I vasi per terra?" chiese il moro. "Colpa mia. Lea mi aveva bloccato a terra e io l'ho spinta verso il muro prima che riuscisse a prendermi a pugni." lo informò Thomas. Ottimo, se volevo dirgli che stavamo facendo a botte glielo dicevo prima, no, Tommy? pensò Lea, sarcastica. "Ho problemi con fisica, e di solito Lea mi aiuta." spiegò il ragazzo a Thomas, ancora imbarazzato: non sapeva se credere che stavano facendo a botte sul serio, ma non sembravano molto fidanzati, e sapeva che Lea non era una tipa da ragazzi. "Puoi farlo un attimo tu, Tommy? Riaggiusto il vaso. Mi raccomando attieniti al libro!" le urlò lei da dietro la porta. "E tu fa pochi danni con il vaso, non voglio che casa esploda!" La fisica era elementerare. E per buona parte sbagliata, ma Thomas si attenne al libro, come aveva ordinato Lea. Lavorarono anche sulla matematica, i numeri complessi. Thomas rimase sconvolto che ancora attibuivano agli immaginari un'importanza relativa, mentre l'Universo funzionava solo grazie a quelli. "Perché stavate facendo a botte tu e Lea?" chiese ad un tratto Matt. "Così, giusto per fare qualcosa. Avevo appena imparato ad accellerare il mio battito cardiaco che Lea mi ha spaventato, quindi le ho dato un pugno." "Accelerare il tuo battito cardiaco?" "Emh... si. Beh ci ho messo un po' ma il punto di partenza è facile, basta concentrarsi sul proprio corpo e sentire le propre cellule lavorare." "Non si può fare." Louis lo guardava stranito, giocherellando con la penna. "Si invece:" "Non le persone normali." "Ma io lo faccio" "Tu credi di farlo. Nessuno può, nessun essere umano, non sei un dio." "Non lo sono." confermò Thomas. Forse. Forse, perché c'era qualcosa che non gli quadrava. Lea tornò con il vaso aggiustato grazie a uno dei suoi aggeggini futuristici. "Tommy, perché Louis ha una faccia sconvolta?" "Gli sembra strano che due amici fanno a botte" arrossì lui. Lea sembrò poco convinta. "Tommy, ora ci penso io tranquillo." la ragazza si rivolse al biondo, che se ne andò tranquillamente. "Non mi avevi detto che avevi un coinqulino" Louis era contrariato. "Beh non volevo che vi facevate strane idee. E' solo un amico, lo ospito per un po'" "Ti guarda con ammirazione." "Non è innamorato di me." "Non ho detto amore, ho detto ammirazione, come se tu fossi un eroe o qualcosa del genere. Alcune persone lo fanno, altre invece ti parlano come se avessero timore." Louis si riferiva a alcuni Agenti che a volte passavano lì per chiedere indicazioni "E poi se così brava in tutte le materie, e so per certo che non studi, son il tuo migliore amico. A ginnastica fai finta di essere stanca e quel tatuaggio non è possibile che non hai urlato facendolo. Poi arriva Thomas, che è uguale a te, cioè strano, e che anche alla lezione di storia ti supportava come se tu fossi seria. Come se tutto quello che dici sulla storia fosse vero, sul serio. Che mi nascondi, Lea?" "Facciamo un segreto per un segreto. Io ti dico chi sono, e tu mi dici di chi sei innamorato." gli rispose, sapendo benissimo che Louis aveva una cotta per lei, e sicura che non avrebbe accettato. Il ragazzo rimase in silenzio. "Tutti abbiamo dei segreti, Lou, non c'è niente di male." "Ma il tuo è diverso, riguarda quello che sei, non quello che provi." "Ci sono segreti e segreti, alcuni semplici, alcuni protetti. Non possono esserci due persone che conoscono un segreto senza condividere l'essenza del segreto stesso." "Thomas è come te, quindi lo sa semplicemente perché il tuo segreto è il suo segreto. Mi stai dicendo questo? Io saprei mantenerlo." "Ci sono cose che ti farebbe solo male sapere. E segreti che possono sopravvivere solo a certe condizioni. A volte penso che sarebbe meglio se tutti noi così diversi, come dici tu, fossimo morti, almeno il segreto morirebbe con noi. Ma alcune cose sono troppo pericolose, e alcune spiegazioni non possono essere date." Così tanto dolore, e solo perché vengo dal futuro. Così tanto abisso, e solo per una cosa non detta. Non posso amarti, Lou, perché sono così diversa da te che non appartengo più alla tua razza. Thomas se lo chiede, ma io ne sono certa, anche senza prove. Noi non siamo umani.

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Capitolo 5
*** 05 - missione ***


Quella sera si sarebbero dedicati allo shopping. Occupazione strana per una serata, ma non per Thomas, visto che nella sua epoca i negozi aprivano alle nove: un'epoca devastata da bombe atomiche, di cui due lanciate in Italia. Si usciva principalmente di notte ormai, quando il sole non aggravava la situazione. Il buco nell'ozono aveva iniziato a ripararsi, ma ancora c'era molto da fare e uscire il pomeriggio equivaleva a una condanna a morte. Ma gli italiani non si persero d'animo e la notte provavano a ricostruire le città perdute, i monumenti degli inizi dei tempi e le rovine delle mura antiche. Il ventunesimo secolo non aveva lasciato loro niente, se non danni, mentre era dalle epoche a esso precedente che gli italiani traevano la vita: il turismo nelle città romane, gli archi etruschi e le colonie greche; poi il medioevo, il classicismo, il rinascimento, il romanticismo, tutti avevano lasciato un segno indelebile, fino a fare dell'Italia la più grande potenza storica, e la più pericolosa delle nazioni. La Cina aveva bombardato per cancellare, per eliminare ogni traccia di passato, ma gli italiani la storia ce l'avevano nel sangue, e avevano ricominciato Il centro commerciale davanti al quale si fermarono Thomas e Lea era immenso; si sviluppava su tre piani e comprendeva un cinema e una miriade di negozi, pizzerie, ristoranti e librerie. Lea si avviò a passo sicuro verso un negozio con l'insegna rossa che Thomas non riuscì a mettere a fuoco. L'interno era a dir poco assurdo: i capi di abbigliamento sembravano divisi senza alcun ordine apparente, e il ragazzo si chiedeva come facevano le persone a trovare le cose giuste. "Ma qua..." "Per te andiamo nel reparto camicie e maglioni, non sei un tipo da felpe e t-shirt." gli disse Lea, mentre pensava che Alexander invece andava sempre in giro con felponi e magliette con disegni strani. Non doveva pensare a Alexander. Thomas disse qualcosa. "Scusa Tommy non ho capito." "Pantaloni. Questi neri qui mi piacciono." "Ottimo! Li proviamo! Per la camicia... mhh a me piace l'azzurro e il verde, ecco!" disse lei affibbiandogli i due capi d'abbigliamento. "Ma come paghiamo?" chiese Thomas ad un tratto. "L'Agenzia sovvenziona tutte le spese, abbiamo il credito pressocchè illimitato." disse Lea mostrando una carta di credito. "Tu adesso pensa al guardaroba, vediamo un po'... due jeans, tre pantaloni, ma tutti neri? Vabbè... due camicie più una che avevi, due maglioni, un paio di scarpe... per oggi può bastare! Sicuro che non vuoi neanche una t-shirt? Ti starebbe d'incanto Tommy!" "No, è troppo... disordinata, anche se qua tutto lo è." "Ti ho detto che domani abbiamo il compito di matematica?" "No Lea! E io quando studio?" La ragazza rise. "No, devi solamente far finta di essere concentrato almeno per la prima mezz'ora, e non ti azzardare a fare tutti i calcoli e le deduzioni a mente, scrivi! Loro ancora lavorano solo con i Reali... gli Immaginari sono la prossima cosa, ma sono molto indietro. A volte..." Lea si interruppe per pagare alla cassa. "A volte?" chiese Thomas una volta usciti dal negozio, ma Lea non stava ascoltando, era concentrata, con le sopracciglia aggrottate e la mano che tormentava il bordo del maglione, poi parlò. "Partenza autorizzata, ho la spesa dietro comunque. Se è urgente son pronta, voglio anche Thomas." "Cosa?.." chiese lui. "Siamo richiesti all'Agenzia, ragazzino. E non per spaventarti, ma quando chiamano me non sono mai belle notizie." Una voce metallica riempì le orecchie di Thomas. DIstorsione dell'iperspazio tra tre... due... uno... I due ragazzi si trovarono nell'ala della Scuola. Lea entrò in una sala lasciando Thomas davanti alle aule della sua vecchia casa. "Ehi Teo!" un ragazzo dai capelli verdi e occhi violacei gli corse incontro. "Lucas!" "Che sono queste formalità Teo? Sei troppo intelligente per me? Mi hai sempre chimato Lek, ma perché sei qui? Bocciato?" ridacchiò il ragazzo, riprendendo finalmente fiato. "No, missione. Almeno quella Geniet ha detto così" "Assegnato a una Geniet? Wow Teo, ho sempre saputo che saresti diventato il migliore." In quel momento Lea sbucò fuori dal corridoio urlando al Thomas: "Tommy sono di missione. E tu sei la mia squadra, smettila di gingillarti e vieni la faccenda è grave!" Il biondo guardò Lucas sbiancare e cercare di proferire parola. "Tu... lei... Neumalea... leggenda... ti ha chiamato Tommy!" Thomas arrossì. "Non una parola con gli altri, Lek. E, giusto per fartelo sapere, è acida. Bellissima, ma acida." gli disse Thomas, per poi rivolgersi alla ragazza "Arrivo Neuma! Fammi salutare un mio amico!" "Lo saluti dopo, ragazzino!" "Geniet" sbuffò il ragazzo per poi ricordare a Lek di stare zitto sulla questione, mentre il ragazzo ancora cercava di capacitarsi di come... Thomas... Neumalea... Tom e Lea entrarono in una sala arredata come una scacchiera, con il pavimento a caselle bianche e nere, e i pezzi degli scacchi ai lati. Una voce metallica proveniente da un ologramma, spiegò loro il problema. Un Crirale italiano del 2767 era appena tornato indietro nel 2020 senza autorizzazione, portando con sè la Cura, un batterio letale proveniente dal 4002. "Secondo le nostre fonti questo batterio è modificato geneticamente per distruggere tutta la razza italiana. La Cura è estremamente pericolosa, in quanto porta le persone al suicidio" continuò la voce metallica "Agente Neumalea, conferma di volere l'Agente Thomas con lei nella missione?" Lea premette svogliatamente un tasto verde. La voce metallica ripartì. "FDA in corso. Avviare procedura OSR per evitare un Bane, attivare fascicolo temporato. Sarete muniti di Peter Pan." "Emh.. Neuma? Che sta dicendo?" "Dimenticavo quasi! FDA sta per problema grave; OSR è operazione sottomarino rosa, mai visto il film? Comunque significa Agenti sotto copertura, può essere indicato anche con OS, Operazione Sottoveste; una Bane è una catastrofe temporale, e il temporato lo sai, è un reato temporale. Ah, i Peter Pan sono i disintegratori." "Voi Agenti siete pazzi." "Io lo sono, tu lo sei. Anche tu sei Agente, ragazzino. E qua siamo tutti pazzi se pensiamo di mantenere l'ordine in tutte le epoche, ma è una missione che non scegli." Thomas la guardò stranito. "E' una causa persa in partenza che altri scelgono per te. E non fare domande." Thomas non poteva crederci, una missione, e con la leggenda! Cioè, con Lea. Sarebbe stato bello. Uscirono e davanti a loro si presentò tutta la ex-classe del biondo. "Teo!!!" urlarono felici, per poi ammutolire davanti a Neuma. "Ragazzi ve l'avevo detto che era Neumalea!" la indicò Luke. "Lek che diamine! Ti avevo detto di non dirlo!" "Sei più bassa" continuò imperterrito il ragazzo dai capelli verdi "più migherlina, hai un'aria meno cattiva e... wow quello che hai sopra l'occhio è un tatuaggio vero? Teo dice che sei anche acida. Comunque fai paura anche così eh, Agente." "Questo da dove l'hai tirato fuori, Tommy?" chiese stizzita la ragazza. "Ahhh Tommy! Avete sentito ragazze? Non avete speranza con lui, non più se Neumalea lo chiama Tommy. Wow Teo, non ti facevo così... Agente raccontaci qualcosa!" "Ma tu non ci stai mai zitto?" "No, Lea, viene dagli anni Novanta, Lek era il mio migliore amico alla Scuola." "Si e ora invece hai Neumalea. Oh niente, è un onore essere rimpiazzati da una leggenda, ti pare. Vedi Dal, te l'avevo detto che l'agente esisteva, tu non ci credevi!" finì di dire Luke rivolgendosi a una ragazza con gli occhi fucsia. "L'avete risolto l'Arcano degli Occhi poi?" chiese il biondo divertito. "Il cosa?" si intromise Lea. "L'Arcano degli Occhi, il motivo per cui tutti noi Agenti abbiamo gli occhi strani, e qualcuno non solo quelli"rispose Lek per Thomas, indicando i suoi occhi violacei e i capello verdi. "Oh... meglio non farsi domande, Lek. Lo dico per il tuo bene. Alcune domande non me le pongo neanche io." "Aveva ragione Teo, sei acida." "Tommy, hai detto che sono acida?" ghignò Lea. "Può essermi sfuggito." "Facciamo i conti dopo." sorrise lei, e Thomas immaginò una stupenda ora di boxe, poi contnuò "Perché ti chiamano Teo?" "Oh è una cosa che facevamo in classe nostra" si intromise Lucas "io sono Lucas, soprannominato Lek, lui Thomas, Teo; Del invece viene da Diana, lei con gli occhi verdi invece è Musa, si chiama Kalliope in verità e..." Thomas lo interruppe: "Volevamo darci soprannomi particolari." "Mhh si okay, è stato tutto molto bello, tu Lucas sei logorroico, voi tutti simpaticcissimi, io esisto, sono acida come dice Tommy, ma solo con lui, e così via. Ora dobbiamo proprio andare, a meno che non volete assisstere alla disgregazione del continuum." "Giusto per non spaventarci" borbottò la ragazza che Lek aveva chiamato Kalliope, o Musa. "Bene, Tommy, torniamo un attimo nel ventunesimo secolo. E guardati il braccio." Una volta a casa Lea si mise subito a fare le valigie mentre Thomas si alzò la manica. "Arancione!" urlò. "Ehi Tommy, serve almeno uno stemma arancione per fare una missione, e io ho chiesto esplicitamente di te." "Perché?" "Perché sei sveglio, sei capace, non discuti gli ordini, perché li capisci, ragioni velocemente. E perché sai ridere, non sei solo lavoro, e perché sei assolutamente bellissimo, sono l'invidia di tutte le altre Agenti, che darebbero il loro stemma per avere affianco questo fisico." "E tu?" "Io darei il mio stemma per avere affianco questa intelligenza" sorrise lei. "Però la missione è seria, e grave. Uno squarcio nel continuum a questi livelli porterebbe alla distruzione del continuum stesso. E tu sai cosa significherebbe." "Il tempo non reggerebbe, lo spazio verrebbe deformato e la terra non sopravviverebbe a questa deformazione, essendo un corpo rigido." rispose pragmatico Thomas, analizzando velocemente la situazione. "Ottimo, Tommy, non avrei saputo spiegarlo meglio. lo capirebbero anche i ragazzi del ventunesimo, e comunque ci sposteremo di pochi anni nel tempo, ma di tanti chilometri nello spazio." Fecero di fretta le valigie mentre Lea riusciva anche a fare una ricerca sul presunto criminale che si sarebbero trovati davanti. Thomas la guardò ammirato, non era da tutti saper utilizzare distintamente i due emisferi cerebrali. "Si chiama Gabriel, venticinque anni, di Roma ma abita a Perugia. Ma te lo spiego dopo... hai detto che sono acida, la pagherai ragazzino, ti userò come pungiball." "Devi prendermi prima, tesoro." "NON-CHIAMARMI-TESORO." rise forte lei, e gli mollò il primo pugno. Thomas non aspettava altro. Forse era strano, ma li avevano educati così da quando, a quattro anni, avevano deciso per le loro vite, e a lui non dispiaceva. Gli piaceva fare a botte con Lea, era un modo per sentirla vicina, per rendersi conto che la ragazza che aveva davanti non era solo una leggenda, ma anche una persona, ed ora era la sua compagna, lo aveva scelto per la missione. Sorridendo si scostò e Lea cadde, per la troppa forza messa nel pugno, poi lui la riprese per un braccio e la sollevò buttandola sopra il divano. Con la gamba libera, Lea gli fece lo sgambetto. "Mhh ragazzino, hai molto da imparare."

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Capitolo 6
*** 06 - il passato 1 - l'inizio di tutta la faccenda ***


La donna che aveva appena partorito chiuse gli occhi. Era stremata. Con tutta la loro tecnologia, il parto ancora era una cosa naturale e dolorosa, ma era la cosa più bella di tutte. Una figlia, la sua prima figlia, l'amore della sua vita, ora tutto sarebbe andato bene. Ci avevano provato, a togliere il parto dalla donna, ma non ci erano riusciti. E anche in quel mondo, dove tutto era calcolato, la nascita era ancora naturale e imprevedibile. Finalmente, sentì di potersi riposare. L'infermiera urlò. "E' il marchio dei pazzi, il marchio dei pazzi!" Subito il padre della bambina si avvicinò e, quando la vide, quasi svenne. "Come è successo?" chiese con un filo di voce al dottore. "Signor Moonwhite, non si sa. La bambina è nata normale, capelli castani e occhi azzurri, come confermato dall'analisi genetica. Subito dopo è successo questo. Probabilmente è una mutazione ." "Che significa, che comporta?" "Nessuno lo sa, signor Moonwhite." "Stephen" dall'altra stanza la madre sussurrò il nome di suo marito "che è successo alla nostra Sarah?" "Emanuela..." l'uomo sospirò guardando di nuovo l'italiana che amava "dicono mutazione genetica." "La voglio vedere." la voce della donna tremò appena. Appena nati i bambini non hanno mai un colore di occhi definito, Sarah invece aveva le iridi arancioni, ma non di quel colore che ti fa venire il mal di testa, dell'arancione di cui si tingeva il cielo quando ancora si poteva vedere il tramonto. Appena vide la madre, gli occhi della bambina di illuminarono di nervature gialle. "Dicono che il colore dei capelli sarà... argento o bianco." sussurrò Stephen. A Emanuela non importava, quella era sua figlia e nessuno avrebbe mai potuto additarla. Stephen le si avvicinò per rassicurarla, quando entrò un uomo alto, con i capelli biondi e le iridi bianche da far paura. "Questa è una stanza in maternità, se ne vada." il volto di Stephen era deciso e contratto. Nessuno poteva entrare in quelle stanza, e il padre della bambina già si preparava a litigare con i funzionari dell'ospedale. L'uomo non li degnò di uno sguardo ma lasciò sul comodino una busta di carta, materiale inconsueto, le lettere non si inviavano in quel modo dal 2500. "Lei è nostra." sussurrò indicando la bambina e poi, toccandosi l'orecchio destro annunciò la riuscita della missione e la sua partenza. Svanì davanti ai loro occhi. I due coniugi guardarono terrorizzati il sigillo impresso sulla carta; non solo loro erano gli unici a usare ancora la carta, ma la A impressa nella ceralacca, inserita all'interno di un orologio primitivo che si intrecciava con dei segni futuristici, non lasciavano dubbi: l'Agenzia, e quando loro reclamavano qualcosa o qualcuno, non c'era scampo. Tremando aprirono la lettera. Signori Moonwhite siamo l'Agenzia. Non perderemo tempo a spiegare in questa lettera chi siamo visto che nel Tremila ne siete perfettamente consapevoli. Vostra figlia è frutto di una mutazione genetica naturale che segna il primo passaggio per l'evoluzione della specie. Non è più una sapiens. Tutti i bambini che fanno parte della nuova evoluzione sono chiamati a servire l'Agenzia per tenere sotto controllo il tempo e il continuum. Non mi aspetto che capiate. La Scuola per Agenti inizierà a quattro anni. Lei è unica, ha il patrimonio genetico migliore, è l'ultima speranza per l'umanità. Avrete quattro anni per stare con lei, dopo non la rivedrete più. Ci dispiace, non siamo abituati a dare notizie con tatto, l'umanità non è la nostra prerogativa, siamo andati ben oltre l'uomo. Ci scusiamo per il disturbo. Il consiglio del Primo Comando. Direttore: Headstritch Emanuela e Stephen guardarono ognuno le lacrime dell'altro scorrere sul viso. Gli dèi a volte erano crudeli. E loro, gli Agenti, erano loro gli dèi. §§§ Sarah si ricordava di aver pianto, forse. Erano arrivati quella notte e avevano iniziato a parlare fitto con i suoi genitori mentre lei tendeva attenta l'orecchio, ma non riusciva a capire, sentiva solo gemiti soffocati, e se i suoi piangevano, quelli erano uomini cattivi. Anche lei era cattiva, forse erano venuti a prenderla. Glielo dicevano gli altri bambini, e fuggivano spaventati da lei, dai suoi lunghi capelli argento e dai suoi occhi arancioni. Il marchio dei pazzi - era questo invece che sussurravano gli adulti, pensando che lei non sentisse. A volte si sentiva proprio pazza, aveva quattro anni e già la sua mente formulava pensieri che neanche un ragazzino di dieci anni capiva. O cattiva. Si sentiva cattiva quando faceva accadere cose brutte agli altri bambini, quando la sua forza era troppa e quando ragionava senza sognare. L'ambiente intorno a lei captò il suo stato d'animo e subito partì una musica rilassante, e davanti a lei si materializzò un ologramma di una storia. La spense. Odiava le storie per i bambini di quattro anni, ma era la sua età, anagrafica almeno. Ragionava molto più velocemente. La mattina dopo gli uomini cattivi erano ancora lì. "Buongiorno Sarah." le venne incontro sua madre, bellissima nell'accostamento dei capelli castani con gli occhi azzurro ghiaccio. Aveva gli occhi gonfi di chi ha pianto. "Questi signori sono qui per te, perché sei più forte di tutti." "Sai cos'è l'Agenzia, piccola?" chiese una donna dai capelli biondi. "Polizia temporale, e non mi chiami piccola." rispose lei ritraendosi dalla mano di quella signora troppo strana, quasi fuori dal tempo, con quella gonna. Le ragazze non indossavano più gonne de cinquant'anni almeno. L'uomo invece era basso, con gli occhi gialli e i capelli lunghi raccolti in una coda. La rassicurava, anche lui era strano. "Sai, per diventare poliziotta temporale, come dici tu, noi ci chiamiamo Agenti, serve una particolare predisposizione genetica, che hanno solo poche persone. Tu sei una di queste, siamo venuti per farti iniziare l'addestramento." "E' il sogno di tutti i bambini diventare Agenti, come dite voi. Ma io non sono tutti i bambini. Dov'è la fregatura?" La donna si sambiò un'occhiata d'intesa con l'uomo. "Abbiamo bisogno di te, il tuo patrimonio genetico è a dir poco straordinario, saresti la migliore in breve tempo, i tuoi genitori mi hanno già detto che fai accadere cose. Nessuno ci riesce a quattro anni. E guarda come ragioni! Verrai con noi, cambierai nome e identità, e diventerai la più potente degli Agenti." Sarah si aggrappò con forza ai pantaloni della madre, lanciando occhiatacce all'uomo davanti a lei. "Non vuole." Questa era la voce forte e sicura di suo padre. "Deve." la donna strana assottigliò le labbra. "Suvvia Caroline, è solo una bambina. Io sono Gig." si presentò l'uomo "vogliamo il tuo bene. Ti trovi a tuo agio qui dove tutti i bambini hanno paura di te? Tu sei intelligente e capirai quello che sto per dire: non appartieni a questo posto, a questa epoca. Non appartieni a nessuna epoca, sei speciale. Noi abbiamo bisogno di te come tu hai bisogno di noi. E poi pensa ai problemi che avranno i tuoi genitori con una figlia così." "No" si frappose sua madre, ma le parole avevano già fatto il loro effetto. Sarah sapeva che la tenevano in pugno, sapeva quello che si diceva alle sue spalle, e avrebbe fatto ciò che è giusto.L'avevano messa all'angolo, sapevano cosa avrebbe detto. Doveva scegliere, per salvare i suoi genitori da una vita orribile. I figli erano la cosa più importante, erano quelli che avrebbero assicurato la continuazione di un certo genoma, e lei non sarebbe servita in quella società. "Non ho scelta. Se rimango, sono bloccata in un mondo che non mi appartiene, e voi lo sapete." Vide suo padre abbracciare sua madre in lacrime. Non era giusto, aveva quattro anni e era figlia unica. Allora decise. Sarebbe diventata la migliore, ma non per loro, ma per distruggerli. "Mamma... papà..." Sara si buttò verso di loro piangendo. "Farò finire tutto questo lo giuro. Tornerò." "Scegli bene il tuo nuovo nome piccola Sarah." le disse sua madre mentre uscivano sul vialetto di casa. I due Agenti portarono velocemente la ragazza dentro un sedile ad aria, quasi avessero paura di perdere tempo. "Allora Sarah, dicci qualcosa di te." "Io sono Neumalea." disse la bambina, scegliendo il suo nuovo nome e rimanendo zitta per il resto del tragitto. Sua madre si chiamava Emanuela, era italiana, e loro gliel'avevano portata via. Non li avrebbe mai perdonati. Arrivarono davanti a un'edificio enorme, che sembrava immenso agli occhi di una bambina di quattro anni che, per quanto cercasse di usare la logica, aveva una grandissima voglia di piangere e tornare a casa. La fecero entrare in una stanza dove c'erano tantissimi bambini come lei, tutti con qualcosa di strano. Alcuni piangevano, altri giocavano insieme, altri ancora stavano in silenzio seduti a fissare il vuoto. Neumalea sbuffò rumorosamente. Nessuna di quelle reazioni sarebbe stata utile. "Anche tu annoiata?" a parlare era stato un bambino con un cespuglio di capelli neri e gli occhi di colore diverso che mandavano in tilt Sarah: non sapeva se concentrarsi su quello verde acqua o su quello grigio tempesta. Era uno di quei classici bambini che tutte le mamme avrebbero adorato, sembrava un angelo. "Si comportano da stupidi." sorrise lei. "Alec." "Sarah. Hai già deciso il tuo nuovo nome?" "Alexander, non mi piacciono i nomi corti." sorrise schietto lui. "Neumalea." rispose lei "No, non mi chiedere perché." "Sai perché siamo qui?" "Agenti temporali. Io vengo da Tremila, tu?" "Wow, io sono del ventunesimo secolo, Duemila, ci pescano proprio dappertutto, considera che hanno dovuto dire ai miei genitori una bugia, non avrebbero mai creduto ai viaggi nel tempo." "No? Da noi li conoscono tutti, di nome intendo, nessuno sa cosa fanno, ma tutti i bambini sognano di diventare Agenti." "Dicevano che avevi il marchio del diavolo" disse lui indicandosi gli occhi. "E a me il marchio dei pazzi. Cambia il nome non il contenuto. Hanno ragione, abbiamo quattro anni e pensiamo come se ne avessimo dieci o dodici." In quel momento la porta si aprì, rivelando una donna in abito vittoriano. "Tutti a fare il test per il Q.I., seguite l'uomo vestito di blu e scusate l'abbigliamento, non ho fatto in tempo a cambiarmi." disse in tono asettico per poi andarsene di fretta. In fila indiana, come piccoli soldati mai preparati ma con l'addestramento segnato nel genoma da quando erano nati, si avviarono diligentemente verso l'uomo in blu.

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Capitolo 7
*** 07 - Italia ***


Thomas non aveva mai fatto un trasferimento con l'Agenzia, e non capiva come mai Lea continuava ad ammassare tutti i mobili in soggiorno. Quando ci trasportò i letti e sopra posò le valigie, si fermò a riprendere fiato. "Manca il frigo." disse sarcastico Thomas. "Già c'è, almeno così dicono quelli dell'Agenzia. Ora salta sul letto." Lea aveva già fatto il trasferimento tantissime volte, ma il ragazzo notò il suo volto teso e guardingo. Era sempre stato bravo a intuire quando qualcosa non andava e decisamente, qualcosa in Lea non andava. "Che mi devi dire, Lea? Dove andiamo?" "Tommy... a Perugia." Thomas fu colpito da quell'affermazione più di quanto avesse mai creduto. Sarebbe tornato in Italia, la sua Italia, quando ancora non era stato distrutto tutto. Un sogno, o forse un incubo. Aveva paura di non riconoscerla. Perugia era la sua città, e si chiedeva se tutto questo fosse uno scherzo del destino, una prova, una sfida per vedere se sarebbe resistito. "Dovremmo segnarci al quarto liceo." sussurrò il ragazzo, facendo un veloce conto mentale. "Occupatene tu. Io devo fare una cosa." rispose Lea assente, quasi non gliene importasse nulla della copertura, lei! Così attenta ai dettagli! C'era altro che non andava, e che Neuma non voleva dirgli, e che lui avrebbe scoperto. Il mondo cominciò a girare e loro si ritrovarono in un condominio minuscolo e abbastanza fatiscente. "Benvenuto al Bronx di Perugia, tesoro. A quanto pare la nostra prossima copertura non è da bravi ragazzi. L'Agenzia avrà pensato che i guai da affrontare sarebbero stati troppi per normali teenager. Questo non mi rassicura per nulla." Lea chiese semplicemente un androne dall'Agenzia, non sembrava dell'umore giusto per rimettere a posto. "Dovremmo prendere una macchina. Intanto qui passa la linea G e H dei pullman di linea. E non guardarmi così, sai perfettamente cosa è un pullman!" "Certo che so cosa è un autobus" rispose Thomas, usando un termine diverso per ricordare che lui con le parole ormai ci sapeva fare "E' che... beh, anche per la leggenda è difficile sapere quali linee passano trenta secondi dopo essere arrivati e senza aver consultato nemmeno il database dell'anno. Tu sai dove ci troviamo. Ci sei già stata, e non ti piace." "Io vado a farmi un giro. Leggi qualcosa, Tommy!" tagliò corto Lea. Leggerò qualcosa di molto interessante Lea. Non puoi nascondermi tutto. - pensò stizzito il ragazzo, prima che lei sbattesse la porta. Sapeva perfettamente come intrufolarsi nel database dell'Agenzia, ma prima voleva almeno provare a fare domanda ufficiale. Il fascicolo dell'agente Neumalea risultava inesistente. E se una cosa era inesistente voleva dire solo una cosa. Si trovava nell'Ufficio di Massima Segretezza, e poteva essere consultato solo da Headstrich. Non male. Ma l'unico modo per impedire a Thomas di scaricare una cosa da un computer, era non avercela mai messa. Non sarebbe stato facile, ma quel suo programmino sul quale lavorava da quando era entrato all'Agenzia, avrebbe fatto il suo lavoro, ne era sicuro. Cosa c'era in Lea di così pericoloso da dover mettere quel fascicolo in un ufficio impenetrabile? Lo avrebbe scoperto, ne era sicuro. Mentre aspettava il bip di avvenuta entrata, si mise a guardare fuori dalla finestra. Un sole non accecante, e non ustionante illuminava un perchetto lì davanti con altalena, scivoli e panchine, dove due bambini giocavano a rincorrersi. Gli alberi erano alti e maestosi, rigogliosi e a Thomas venne un'improvvisa voglia di toccare quelle foglie, di annusare l'erba. Gli edifici non erano diroccati e tutti si sviluppavano verso l'alto, quasi a ricercare quel sole che nella sua epoca tutti rifuggivano. Delle persone stavano passeggiando: una ragazza con le braccia e le gambe scoperte parlava gesticolando animatamente con un libro in mano verso un ragazzo che sembrava addirittura ascoltarla; una madre rincorreva soaventata un bambino che stava per attraversare pericolosamente la strada; una signora anziana portava i sacchetti della spesa dentro la macchina guidata da un giovane, probabilmente il figlio. C'era vita. Una vita così delicata, appesa a un filo, così spensierata. Come se fossero immortali, come se potessero vivere per sempre. Thomas invidiava la loro ignoranza. Lea odiava il destino. Odiava il tempo e odiava l'Agenzia. A Perugia, in quegli anni, in quel quartiere! Girò un po' per le intricate stradine che facevano perdere qualsiasi automobilista, e che risparmiavano solo chi ci era nato, e gli Agenti. Solo perché avevano ottima memoria. Si ricordava tutto. Quei viottoli sapevano ancora di lui, di loro; dei loro scherzi e delle loro corse per scappare dai Professori dell'Agenzia, delle loro partite e dei loro abbracci. Della loro promessa. "Ci vendicheremo insieme." avevano sussurrato al buio vicino a un bar che due quattordicenni non avrebbero dovuto frequentare. "Non ci avranno mai." era stata l'altra promessa. Tutte e due spezzate. Ora erano nemici, e lei apparteneva all'Agenzia totalmente. Si faceva schifo per quello, ma il suo istinto di sopravvivenza era stato troppo forte. Sapeva i segreti più pericolosi, e era consapevole che mettersi contro l'Agenzia non era una bella mossa anzi, era la peggiore scelta che chiunque potesse fare. Lui non aveva capito, già non era più umano, ma completamente Agente, più di quanto volesse ammettere. O era con lui, o contro di lui, le aveva detto la mattina in cui tutto cambiò. E lei lo aveva lasciato andare. Non l'aveva seguito, non l'aveva fermato. Era rimasta immobile a guardare l'aurora illuminare il profilo del ragazzo che amava, mentre lui se ne andava, annientandola. Lei aveva combattuto, non con armi, ma rifiutandosi di allontanarsi dall'umanità, e la sua missione era fare lo stesso con Thomas. Non avrebbe permesso a nessuno di togliere a quel ragazzo l'umanità. Lo avevano fatto con Alexander, e il suo rancore si era trasformato in un ragionamento logico per abbattere l'Agenzia, ma non avrebbero potuto farlo con Thomas. No. Si rese conto che era tornata indietro, come se i suoi pensieri si fossero allontanati dal ragazo che stava in quella casa, per poi ritornare di nuovo lì. Thomas la stava aspettando seduto, con un mazzo di fascicoli elettronici sul tavolo. La guardò, e lei capì subito, ancora prima che lui formulasse la domanda. "Chi è Alexander?"

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Capitolo 8
*** 08 - il primo segreto ***


Ogni muscolo di Lea si irrigidì quando vide gli occhi freddi di Thomas trapassarla. "È un Crirale. Perché hai legami con uno come lui?" lo sguardo che il ragazzo le rivolse era ghiaccio puro, la bocca storta in una smorfia quasi di disgusto. Non riusciva a credere che proprio lei avesse legami dubbi. "Come fai ad avere quello?" la ragazza indicò inorridita il fascicolo. "Alexander, Crirale. Visto l'ultima volta indovina dove? Perugia." lesse Thomas alzando gli occhi verso di lei. "Come l'ho avuto? Sono il migliore Lea, come te." Lea sospirò. Non poteva dirgli tutta la verità. "Era un Agente prima. Ora è un criminale. Non c'è nient'altro da sapere. Era mio amico e io l'ho lasciato andare. Che altro hai letto?" Non che le interessasse veramente, sembrava che quel giorno il passato dovesse tornare a ferirla e non riusciva a pensare ad altro. "Tutto." fu la lapidaria risposta di lui. Aveva letto la sua prima missione, le sue capacità in addestramento, l'assurdità di quello che le avevano fatto fare. "Avevi dieci anni." "C'è sempre una prima volta." Lea aveva lo sguardo basso e distrutto, non si era nemmeno arrabbiata perché Thomas aveva in mano i suoi fascicoli. L'avevano sempre usata e lei obbedì a non perché si sottomettesse ma perché capiva che era necessario fare certe cose. Si girò e andò verso la camera, si sedette sul letto e iniziò a fissare il vuoto. Alexander. La seguiva ovunque, era un coltello perennemente conficcato sul fianco, un ricordo che le martellava la testa fino a farla impazzire. Lui era stato il suo errore, la sue debolezza e lo era ancora. Eccola lì, l'invincibile Neumalea che non riusciva ad affrontare il passato. Si soffermò a pensare a Thomas. Era riuscito a hackerare il luogo informatico più blindato di tutte le epoche e lo aveva fatto in dieci minuti. Se fosse riuscito a disattivare gli allarmi e l'elettronica forse... c'era un posto ancora più sicuro perché nulla era presente sulla rete, erano fascicoli scritti a mano. Lì c'era tutta la verità. Un'idea iniziò a prendere forma nella sua testa. Thomas si sentiva in colpa, non avrebbe mai pensato che la forte leggenda in verità fosse spezzata dentro. Non gli aveva detto tutta la verità ma non era importante. Per lei era doloroso ricordare e Thomas non riusciva ad essere arrabbiato con lei per essere stata amica di Crirale. Aveva pensato ad un tradimento e ora scopriva che non era lei ad avere tradito, bensì lui. Doveva tenerci molto per stare così male anche solo sentendolo nominare. Prese il suo fascicolo quasi per farsi perdonare e glielo portò in camera. Non si aspettava di trovarla con lo sguardo fisso al muro e gli occhi decisi. "Lea..." sussurrò "mi dispiace. Io... questo è il mio fascicolo. Puoi guardarlo se vuoi. Oh, come suona infantile." Poi fece un gesto che lo stupì, si avvicinò a lei e la abbracciò. Lea gli rivolse iun sorriso tirato. "Va bene Tommy. Tranquillo, avrei dovuto spiegartelo prima, siamo compagni di missione e ti ho voluto io." poi gli fece l'occhiolino "certo che leggerò il fascicolo, Mr Simmetria. E ho anche un'idea." Thomas le sorrise di rimando e si mise seduto vicino a lei. "Dimmi tutto Geniet" la canzonò- "Non chiamarmi Geniet!" Lea gli fece la linguaccia. Thomas riusciva a tirarla su di morale con una sola frase, anche se lo conosceva si e no da tre giorni. "Non hai quattro anni!" rispose lui alla boccaccia, soffocando le risate. "Per quell'idea parliamo domani" Lea cambiò discorso "Questa sera ti portò in un posto... ci andavo sempre prima.* gli disse guardandolo con fare eloquente. " Sicura? " "Certo! È un bar, nulla di che ma ci passavo belle serate, c'è sempre gente interessante." Poi gli indicò la porta. "Mi devo cambiare e dovresti farlo anche tu." gli disse mentre lo squadrava dalla testa ai piedi. Lo spinse via e gli chiuse la porta in faccia. Si posizionò davanti all'armadio e analizzò tutti i vestiti. Si rimise l'illusione ma lasciò il tatuaggio in vista, scelse un outfit total black e contornò gli occhi.di un pesante trucco nero. Da quello che aveva capito era questa l'immagine che doveva dare a quell'epoca. Uscì dalla camera facendo ticchettare il tacco degli stivaletti. Quando Thomas la vide si fermò un attimo come incapace di proferire parola. Era tutto un contrasto. I capelli, neri questa volta e gli occhi ghiaccio; il viso pallido sul quale risaltava il rossetto; le braccia scoperte e la canottiera nera. "Wow" sussurrò. "Riprenditi ragazzino" ridacchiò lei "e non metterti l'illusione. Sei troppo perfettino per abitare nelle case popolari, sembrerà che tu sei tinto apposta." continuò osservando disperata l'ennesima camcia. "Ti sta d'incanto non fraintendermi, ma non sembri un cattivo ragazzo." Thomas arrossì. Uscirono di casa e Lea si accese una sigaretta. "Non era una sostanza dannosa?" chiese Thomas. "Non per il nostro organismo. Siamo un po' diversi dagli altri." Arrivarono al bar e non poche persone si girarono verso quella coppia strana e poco raccomandabile. L'attenzione di Thomas di catturata da un gruppo di ragazzi e una ragazza che parlavano animatamente. Non sapeva perché ma gli interessavano. La ragazza stava fumando, la bocca storta in un sorriso non limpido e gli occhi che facevano finta di ridere mentre parlava con un ragazzo carino che aveva la sua stessa espressione dipinta sul viso. Gli altri sembravano cercar di aiutare i due a parlare, poi probabilmente qualcuno fece una battuta, scoppiarono tutti a ridere. "Guarda quel gruppo." sussurrò Thomas a Lea "guarda lei. Mi ricorda te." "Ma lei è innamorata!" protestò Lea squadrando quella ragazza da cima a fondo. I capelli rossi tinti, un cappotto e un forte rossetto. Era come se ci stesse provando con quel ragazzo e allo stesso tempo cercasse di proteggersi da lui. "Si ma guarda l'espressione. È orgogliosa." rispose lui, poi la sentirono fare una battuta di amaro sarcasmo. "E acida." Lea sorrise. "Si lo è." Era un difetto di tutti gli Agenti, osservare e cercare di capire la quotidianità. La ragazza si girò verso di loro e ebbe un'idea. È doveroso far sapere che avrebbe voluto fare la scrittrice e appena vide Thomas e Lea nella sua mente prese forma un racconto che parlava di spazio e di tempo. Per ironia della sorte il racconto era la Storia che si stava diramando sotto di loro. Sarebbe stato interessante andare a scoprire anche come sarebbe andata a finire con quel ragazzo che dava l'impressione di essere un po' sociopatico come lei e facciamo tutti il tifo per quella ragazza perché anche lei si meritava un lieto fine. Questa però non è la storia della ragazza. Torniamo quindi a Lea che intanto si era presa una birra e si era seduta sui divanetti. Sorrise e invitò Thomas accanto a lei. "Questa Tommy, è l'Italia del ventunesimo." Il caos regnava sovrano ma nessuno sembrava preoccuparsene, anzi era come se tutti volessero essere utili a produrre tutto quel rumore. Lui e Lea non davano l'impressione di essere bravi ragazzi ma nessuno sembrava preoccuparsene. "È... strano." disse lui. "Sono così... non lo so, è un caos unico eppure non gli interessa. Vivono la serata come se fosse l'ultima ma come se superassero di vivere in eterno. È una contraddizione." Lea sorrise, tutti gli uomini erano una contraddizione.

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Capitolo 9
*** 09 - ovvero la faccenda inizia a complicarsi ***


Thomas si sedette accanto a Lea scoprendo piacevolmente che quei divanetti erano comodi. Si mise ancora ad osservare la sua Italia come non l'aveva mai vista, viva e caotica. Gli piaceva osservare, un conto era farsi dare le informazioni attraverso i fascicoli, quelli erano semplicemente dati freddi e calcolati, mentre tutto intorno a lui esprimeva calore, vita e voglia di fare qualcosa. Era una generazione che non voleva essere dimenticata. Lea gli passò la sigaretta e lui guardò stranito e dubbioso quel piccolo cilindro fumante. "Come..?" Inaspettatamente Lea rise. Era tutta le sera che rideva, forse per dimenticare il passato che la stava rincorrendo in ogni dettaglio, dalla televisione che mandava in onda la partita dentro il bar ai posacenere sui tavolini, dalla strada tutta curve e salite alle macchine parcheggiate male dalle quali uscivano giovani vestiti per farsi notare. Si obbligò a concentrarsi su Thomas. "Ti faccio vedere... ecco prendi un tiro, aspiri..." fece un repiro profondo "e butti fuori." soffio via il fumo con forza, soffoncando un risolino. "di solito al primo tiro tossiscono tutti ma... ehi sei un Agente!" Thomas prese in mano la sigaretta e se la portò alla bocca, il gesto gli venne praticamente naturale e sorrise verso di lei. "Solo una domanda... perché lo fanno? Non è nulla di che..." chiese a Lea, che gli rivolse un sorriso un po' malinconico e riprese a fumare. "Non lo senti? Quando butti via il fumo è come se con esso uscissero fuori anche i tuoi pensieri. Li mandi via da te, fuori da te. E' rilassante... non so spiegarlo meglio è una cosa che devi sentire..." Non aveva mai saputo spiegare perché avesse iniziato con il fumo, per lei non era dannoso e nemmeno una dipendenza, il suo organismo era immune alle dipendenze. Era stata anni senza toccare una sigaretta eppure quando andava nell'Italia del ventunesimo secolo era quasi un bisogno mentale, non fisico. Alzò lo sguardo e vide il gruppo di prima. La ragazza le assomigliava molto, o almeno assomigliava a quello che sarebbe stata lei se le avessero lasciato la giovinezza invece di farla crescere forzatamente. "Tommy, guarda quelli che mi hai indicato prima. Un tempo mi divertivo a interferire, ormai sono anni che non lo faccio più, anche se..." Lo facevano lei e Alexander. Piccoli scherzi, interferenze minuscole, aiuti a persone per cui simpatizzavano a pelle... si divertivano. Aveva l'istinto di far accadere qualcosa, magari di far inciapare lei su di lui o viceversa, o usare le sue capacità psicovisive per guardare dentro la testa di quel ragazzetto con gli zigomi pronunciati e lo sguardo indecifrabile. "Non dovresti." le rispose Thomas. Lea sospirò. Alexander avrebbe voluto farlo, ma Thomas non era Alexander. Alexander era uguale a lei, Thomas era il suo contrario. "Scusa coscienza..." sbuffò Lea. Il ragazzo sorrise. "Solo che mi sembra inutile ora come ora. Non li vedi? Saranno felici ma non ancora, la cosa è troppo acerba, sono all'inizio e lui è leggermente... tonto?" non riusciva a trovare le parole. "cioè non lo capirebbe." Lea si girò di scatto verso Thomas. Non aveva mai sentito un Agente fare questi discorsi. "No, non lo vedo, ma tu come... come fai a vederlo?" gli rispose. Thomas alzò le spalle. Era sempre stata la sua capacità capire le persone, non gli era mai servito entrargli nella mente. "E' palese. I gesti di lei, quelli di lui, il tono con cui si parlano, gli atteggiamenti... non lo so! Per me è palese." Lea rimase a pensare. Da quando gli era stato affidato si era chiesta cosa lo rendesse così speciale da farlo affidare a lei. Era brillante naturalmente, sveglio e capace, ma l'avrebbero potuto affidare a una Geniet qualsiasi. Ora iniziava a capire. Aveva qualcosa in più, aveva la capacità di capire le persone in un modo così profondo e spaventosamente preciso che sarebbe stato pericoloso non controllarlo. Per questo lo avevano affidato a lei che era una macchina senza cuore, almeno secondo quelli che la conoscevano da dopo quella Giornata. Lea non parlava mai di cosa accadde in quelle ore e se proprio doveva farlo non aveva nemmeno la forza di nominare la data, la chiamava soltanto la Giornata e dal tono della voce potevi capire che quella G era maiuscola. La ragazza ripensò a quel pomeriggio e le balenò in mente l'abbraccio di Thomas. Lui l'aveva capita, aveva capito subito che non era la maschera fredda di acidità e sarcasmo, per questo era andato a ricercare il fascicolo. La cosa più terribile è che nessuno gliel'aveva detto di questa sua particolarità, avevano cercato di nasconderlo e poi l'avevano dato a lei con la speranza che lo facesse smettere; semplicemente non potevano, era scritto nel suo DNA probabilmente, era questo che lo rendeva pericoloso. Lea ebbe l'ennesimo moto di disgusto per l'Agenzia. Dovevano essere inquadrati come dicevano loro e non pensare troppo a emozioni e sentimenti ma solo a calcoli e logica. A lei la tenevano perché era la migliore ma Thomas, Thomas era un pericolo e doveva essere cambiato. La sua vendetta sarebbe iniziata da lì, da far capire a quel ragazzo le potenzialità e a fargliele sviluppare al meglio. "Sei pericoloso..." gli disse infatti, guadagnandosi una sua occhiata interrogativa. "Quello che tu fai, capire le persone così, c'è un motivo se sono rimasta interdetta. Nessuno lo può fare di noi Agenti, e nessun essere umano lo fa a questi livelli. Ma ne parleremo bene a casa." "Davvero? E quale era la tua idea?" le chiese, ricordandosi di una cosa che lei le aveva detto prima di uscire. Davvero era speciale? Per questo lo avevano affidato a lei? Perché non gliel'avevano detto prima? Tutte queste domande affollavano la sua testa ma si trattenne, se Lea voleva parlarne a casa c'era un motivo. "Oh. Dobbiamo fare un'effrazione all'Agenzia. Ho bisogno che sviluppi un programma per disattivare le difese di tutto l'edificio, interno e esterno, ogni singolo cavo non deve funzionare nemmeno nella stanza numero 42." "Perché? In fondo l'Agenzia è casa... e comunque è praticamente impossibile disattivare le difese nella stanza 42! Non si può entrare se non si conosce la domanda e nessuno conosce la domanda perché probabilmente non esiste nemmeno!" Lea lo guardò seria. "L'Agenzia è casa si. Il luogo e basta però. Qualcuno ai piani alti ha deciso che qualcosa è troppo scomodo e oscuro perché gli Agenti lo sappiano. Qualcuno ha deciso che noi non possiamo sapere perché siamo nati così e perché dobbiamo obbedienza a loro. Nessuno vuole farci sapere perché i nostri occhi sono così." lo sguardo di Lea era duro. C'era qualcosa che non tornava, domande alle quali nessuno sapeva la risposta, argomenti intoccabili. E tutto portava a quella stanza. Quando Alexander era diventato Crirale quella stanza era stata aperta e qualcosa avevano fatto li dentro. Lea sapeva solo che c'erano fascicoli di carta, perché si era nascosta e li aveva visti entrare. L'unica cosa che aveva visto però era stata tanta carta e tante altre porte. "Gli occhi... perché siamo così... pensi che sia qualcosa di brutto." "LO è sicuramente e tu sei sicuramente pericoloso per loro. Perché sennò nasconderti questa tua capacità?" La mente di Lea stava lavorando a una velocità impressionante, scandagliando tutte le possibili risposte e le possibili domande eppure non riusciva a trovarla. "perché non volerti far scoprire una capacità così umana? Oh. È ovvio, è così ovvio! Gli Agenti non ragionano come gli uomini, ma a capo dell'Agenzia ci sono esseri umani e solo loro hanno accesso a quelle informazioni. E' qualcosa nella tua testa che ti potrebbe rendere capace di capire la domanda o qualcosa che non vogliono farci sapere. Solo chi pensa in maniera umana può accedere a quelle informazioni... oh se sei pericoloso Tommy, se sei pericoloso! Come ho fatto a non pensarci prima?" "Quindi che facciamo?" Thomas stava iniziando a capire da quelle poche frasi che l'Agenzia era molto più oscura e torbida di quello che si immaginava e che qualcuno aveva paura di quello che avrebbero potuto scoprire gli Agenti. "Lavora a quel tuo programmino, prima viene la missione, non possiamo abbandonarla. Se si disgrega il continuum non sarà importante sapere perché siamo così, saremo morti."

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Capitolo 10
*** 10 - l'ora è un'illusione ***


Lea e Thomas rimasero in silenzio per qualche secondo finché il ragazzo non chiese: "E' così che si divertono?" "Beh, quando ci venivo io era diverso, stavo con il gruppo di Alexander" Lea sentì Thomas irrigidirsi. "Scusa. Comunque si sta qui a parlare, a bere o a mangiare. Qualcuno va a ballare ma non ne avevo voglia questa sera." "Okay." "Sei a disagio." "No." mentì lui. "Per tutto il cronospazio! Non serve essere empatici come te per capirlo. E' per Alexander vero?" "Ho solo un brutto presentimento riguardo a lui." era una mezza verità. Certo il presentimento c'era ma da quel pomeriggio la figura di Alexander era stata un fantasma onnipresente nelle loro conversazioni. Era quel luogo, quel tempo, qualcosa era successo. Un ragazzo si girò verso di loro perplesso e Thomas poteva intuire che era per il loro diverso abbigliamento. Lui poteva avere anche i capelli bianchi, ma aveva addosso una camicia e il tatuaggio non si vedeva perché era dietro la schiena, mentre Lea faceva quai paura con il tatuaggio sull'occhio, il trucco e quell'AA+ bianco sul braccio che sembrava una cicatrice. Thomas avrebbe voluto dirgli che era tutto un travestimento, ma ogni travestimento è un autoritratto ed era vero che Neuma faceva paura e lui era solo un ragazzino che avevano messo al suo fianco quasi a caso. Lea diceva che l'avevano fatto apposta per fare in modo che non scoprisse della sua capacità ma lui ancora non aveva capito quale fosse questa fantomatica capacità. Si limitava a osservare. "Domani continuiamo l'addestramento" Lea cambiò discorso, poi ripiombò il silenzio. Stavano tutti e due pensando alla missione, all'Agenzia e ad Alexander ma tenevano le considerazioni per loro. Thomas sbottò. "Okay, no. Mi rifiuto di passare la mia ultima serata libera prima di iniziare la missione in queste condizioni. Neumalea andiamo a ballare." "Non ne ho voglia, Tommy." Lea accavallò le gambe e prese un sorso di birra "Io si. Quindi adesso ti alzi, chiami l'Agenzia per una macchina e andiamo, sennò lo faccio io." Lea si tocco svogliatamente l'auricolare e fece mille scene e smorfie prima di chiedere la macchina e un paio di tacchi. In verità l'idea di andare a ballare non le dispiaceva più di tanto ma non poteva ammetterlo davanti a Thomas. "E i tacchi per cosa?" chiese lui. Lea lo guardò inorridita. "Come per cosa? Già il mio abbigliamento nom è adatto, i tacchi sono il minimo! Se bisogna fare qualcosa si fa per bene!" poi , vedendo Thomas ridere, rise anche lei. Quella sera era così, un secondo malinconia e un secondo felicità, un secondo Alexander e un secondo Thomas, un secondo ricordi e un secondo futuro. Le andava bene, aveva imparato a prendere le cose così come vengono, senza pensarci troppo, vivendo ogni singolo momento. "Sai guidare?" chiese a Thomas. Il ragazzo non riuspose, solo sorrise e si mise dalla parte del giudatore. "Imparo in fretta, tesoro." "Non chiamarmi tesoro!" "Va bene tesoro." Gli piaceva stuzzicarla, gli piaceva vederla assottigliare gli occhi e storcere la bocca in quel modo così particolare, gli piaceva vederla gesticolare animatamente quando si arrabbiava. Lea alzò la mano in un moto di stizza. "Okay, okay. Andiamo?" La discoteca era un caos unico al quadrato. "Ma che ore sono?" chiese Thomas. "Penso le una, l'ora è un'illusione..." rispose Lea e, prendendolo sotto braccio, lo trascinò all'interno del locale. Thomas decisamente era a disagio, non aveva mai visto tutte quelle persone in uno spazio in quel modo piccolo, le ragazze svestite che si mettevano in mostra per dei ragazzi che non riuscivano a distinguere un maschio da una femmina per quanto erano fuori. La musica era rintronante e ripetitiva e quei corpi si muovevano improvvisando un ritmo semplice e cadenzato. Lea si avvicinò a lui e iniziò a ballare. "Coraggio Tommy." le sussurrò attraverso l'auricolare. Era un aggeggino piuttosto utile in caso di rumori molesti, ti permetteva di sentire l'altra persona anche se sussurrava. Thomas prese un respiro e provò ad andare a ritmo di musica. Non ne capiva il senso, non ne capiva il divertimento ma Lea sembrava così a suo agio in quell'epoca che ti chiedevi se veramente era nata mille anni dopo oppure se apparteneva a quel secolo disastrato. Si prese un secondo per guardarla, guardarla veramente come persone, come donna e non solo come leggenda. Era decisamente più bassa di lui, mingherlina, il fisico scattante, così diverso dalle forme morbide di tutte le altre ragazze dentro il locale. Non le servivano gonne corte o scollature per essere attraente, tutta la sua figura era provocante ed estrema, la sua espressione, i suoi movimenti. Avrebbe fatto impazzire chiunque. Si tolse i capelli dalla faccia e sorrise a Thomas, un sorriso non schietto e decisamente malizioso. Si avvicinò ancora di più tanto che i loro corpi quasi si sfioravano. Il cuore di Thomas perse un battito indipendentemente dalla sua volontà e lui si morse il labbro. Lea ridacchiò. "Tantissima gente ci sta guardando." gli disse nascondendo il viso sul collo di lui. "Ci credo sei bellissima." fu un attimo, poi si rese conto di quello che aveva detto. "Cioè, nel senso..." "E' okay. Anche tu sei bellissimo, non faccio altro che ripetertelo." Si ma per te non ha importanza - pensò Thomas. Sospirò. "Vado a prendere qualcosa da bere." le disse e la lasciò in mezzo alla pista. Non che a Lea interessasse qualcosa e non che le mancassero gli aspiranti cavalieri, ma in fondo ci rimase un po' male, prima di ricominciare a ballare con uno dei ragazzi. Thomas andò al bar e chiese della vodka quando gli si avvicinò una biondina sorridente. Aveva troppo trucco intorno agli occhi che stonava con la sua faccia ancora un po' infantile e una scollatura troppo generosa per non essere volgare. Avrà avuto la stessa età di lui e di Neumalea ma erano così diversi. Sul viso di Lea non c'erano i tratti leggermente infantili che ancora si potevano ritrovare in quella ragazza. "Chiara." gli urlò cercando di sovrastare la musica. "Thomas." si presentò lui. Il barman hgli servì la vodka che lui finì tutto d'un fiato. Chiara sorrise. "Ti va di ballare?" Thomas scrollò le spalle, il che fu un incoraggiamento sufficiente per lei che lo trascinò in pista. La ragazzina gli mise le braccia intorno al collo e si lanciò in una danza che di decente aveva poco. Thomas si chiese perché lo faceva, perché tutto quel bisogno disperato di affetto che lui non avrebbe mai potuto dargli. Per una sera forse, ma non era il tipo e lei non era la sua tipologia di ragazza. Quale era la sua tipologia? Se lo chiedeva anche se lo sapeva già, con lo sguardo che si girava per cercare Lea e la mente assente. Quando Chiara provò a baciarlo decise che era ora di darci un taglio, la mollò in mezzo alla pista con poca grazia, si girò verso il ragazzo che stava ballando con Lea lo spinse via e ricominciò a ballare con lei. Aveva deciso. I problemi alla mattina dopo, e quanti problemi ci sarebbero stati!

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Capitolo 11
*** 11 - il Passato 2 - dea della Guerra ***


La stanza dove avrebbero dovuto fare il test del Q.I. era totalmente bianca e asettica, con dei panneli super avanzati davanti a ogni sedia. Tutto era rotondo, dalla forma delle poltrone agli spigoli della stanza, era come se qualcuno non volesse vedere cose appuntite. "Sembra un manicomio..." sussurrò Alex a Sarah. "Cosa è un manicomio?" chiese lei curiosa. Da loro non esisteva nulla di simile. "Un luogo dove ci tengono la gente malata di testa. La curano la malattia, o almeno ci provano" "Cosa è una malattia?" la bimba era visibilmente curiosa e guardava Alex con i suo occhioni arancioni sgranati. La loro conversazione fu interrotta da una voce metallica che chiedeva di andare alle postazioni e comunicare il nome. La bimba si avvicinò alla sedia più lontana dalla porta e arrivata al microfono, sussurrò: "Neumalea." e in quell'istante Sarah smise di esistere. "Alexander" il ragazzino si era seduto nel pannello vicino a lei e le sorrise. Uno ad uno tutti i bambini risposero a quella semplice domanda e andarono a sedersi ai posti. "I quiz sono cento. Avete tutto il tempo che volete. Verrete assegnati alle classi in base al tempo impiegato." "Non in base ai quiz sbagliati?" chiese un bimbo mingherlino, gli occhi neri come l'inferno e una zazzera di capelli bianchissimi, che aveva appena sussurrato il nome Thomas al microfono. L'uomo in blu rise "Non esiste nessuno che abbia sbagliato i quiz, alcuni di voi ci mettono semplicemente meno di altri." Vorrei dire che tutti furono soddisfatti della risposta ma non sarebbe la verità. Lea e Thomas storsero un po' il naso, ma non dissero nulla. Tutti avevano quattro anni eppure tutti sapevano leggere, scrivere e calcolare funzioni e probabilità difficilissime. Erano piccoli robot già addestrati I quiz erano banali. Neumalea muoveva quella schermata così velocemente da far pensare che non fosse umana e leggeva istantaneamente le domande. Molti si girarono verso di lei durante quel quiz e alla fine c'era un piccolo gruppo di adulti che la guardavano e prendevano appunti. Sbuffò e consegnò tra gli sguardi attoniti degli Agenti e dell'uomo in blu. Un quarto d'ora, era questo il suo tempo. Cento domande in un quatro d'ora. Un essere così andava ben oltre l'umanità. Guardò l'uomo in blu e tutti gli altri con uno sguardo gelido e calcolatore, poi chiese il permesso di uscire. Tutti si accalcarono davanti allo schermo. "C'è un errore." sussurrò un uomo dai capelli viola. Nella stanza scese il silenzio e si girarono verso Neumalea. Un errore era una cosa indicibile, qualcosa che doveva essere cancellata dalla Storia. "Domanda numero 47 vero? No, è che il mio risultato è più preciso, controllate." rispose lei alzando un sorpracciglio. Erano circa dieci adulti che borbottavano tra loro ricercando una soluzione. "Ha ragione." dissero alla fine sbigottiti, cercando di articolare qualche altra parola. L'Agenzia sconfitta da una bambina di quattro anni, mai si era vista una cosa del genere eprobabilmente mai si rivedrà più. Guardarono gli altri bimbi che intanto erano completamente immersi nei loro test. Quella ragazzina con gli occhi grandi e freddi e i capelli lunghi era qualcosa di ancora diverso da tutti loro. Alexander fu il secondo a finire, in un tempo considerato normale anche se molto buono. "Geniale." le disse. "Sai che si dice? Che i bambini normali più grandi di noi non saprebbero rispondere a nessuna di queste domande mentre noi non ne sbagliamo mai nessuna. Ah, nessuno mai ha fatto il tuo tempo. Sentivo che lo bisbigliavano quelli vestiti di blu a quelli vestiti di nero e ce n'era anche uno vestito di bianco che faceva paura." I colori delle tute cambiavao in base al grado e quello che mise paura al piccolo Alexander era uno Stemma bianco, un Geniet, un Generale temporale. "E chi sbaglia?" chiese Neumalea riprendendo le parole del ragazzo con i capelli bianchi e ignorando volutamente la parte in cui lui le diceva del suo tempo da record. "Nessuno sbaglia. Te l'hanno detto prima Neuma." "Qualcuno sbaglia per forza. E' statistica." tutti quei discorsi sembravano fuori luogo e costruiti sulla bocca di una bambina, eppure c'era qualcosa nell'espressione di Neumalea che ti faceva capire che lei quella statistica l'aveva già calcolata. Alexander chiuse un attimo gli occhi come per concentrarsi, poi li riaprì di botto e la guardò strano: "Hai ragione. Ci hanno mentito." Neumalea lo guardò e sorrise, mostrando quel ghigno storto che fanno tutti i bambini quando sanno qualcosa in più di te. "Sei uno zuccone!" la sua risata era cristallina. "Ha detto che non esiste nessuno di vivo, non ha mai detto che non è mai esistito." disse semplicemente applicando la logica e con il tono che i bambini usano quando dicono qualcosa di ovvio, quello stesso tono che spaventa gli adulti perché parlano di orrori come se nulla fosse. "Oh. E' terribile." esclamò ALexander. "Penso di si." Neumalea scrollò le spalle, non si rendeva minimamente conto di quello che stava dicendo, le sembrava logico. Lea si fece una treccia, le piaceva farsi trecce, le piaceva fare qualsiasi cosa che le permettesse di non stare ferma e in silenzio. Alexander rimase a pensare o almeno ci provò. Quello fu il giorno in cui iniziò la loro amicizia. Quando tutti i ragazzi ebbero finito li distribuirono nelle classi. Furono create due classi per Agenti, tre per archivisti e una per gli storici. Solo Neumalea non fu affidata a nessuna classe ma arrivò da lei una signora bionda stretta in un tailleur del ventunesimo secolo. "Sono Headstrich." "MI ricordo di te." rispose Neumalea. "Oh, bene. Tu farai un addestramento separato da tutti, penso che tu sappia il motivo." la sua voce era così dura che la bimba pensò di aver fatto qualcosa di male. "Sono un mostro?" la sua era una domanda spontanea e dolorosa. Anche dove sperava di trovare qualcuno come lei era stata additata. "No, sei una dea. E noi faremo di te la dea della guerra." Headstrich moderò il suo tono di voce in modo più dolce. Non erano esattamente le parole più adatte da dire a una bambina, ma Lea non era una tra le tante. Non solo sarebbe stata una dea. Sarebbe stata la più potente dea. Neumalea sorrise e si avviò in un'altra stanza mano per la mano con un signore in blu e girandosi un attimo si voltò a salutare Alexander e a mimargli con la bocca una promessa che sarebbe diventata la loro promessa. "Ci vediamo dopo." La cosa curiosa da sapere è che se Neumalea avesse fatto l'addestramento insieme agli altri non sarebbe capitata nella classe di Alexander ma in quella di Thomas e forse ora la storia sarebbe stata diversa. Ma perché fare supposizioni? In fondo la Storia si riavvolge su se stessa e trova sempre il modo di far capitare quello che ha in mente. Il Tempo è imprevedibile ma la Storia, la Storia tende sempre verso lo stesso fine.

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Capitolo 12
*** 12 - Benvenuti nel Bronx di Perugia ***


La mattina dopo Neumalea ancora dormiva quando Thomas stava già alla seconda ricerca. Aveva deciso di concentrarsi solo sulla missione e aveva momentaneamente lasciato da parte sia il programma per entrare nella stanza 42 sia la sera prima. In verità appena si era svegliato ci aveva pensato e si era chiesto perché lei dovesse fargli tutto quell'effetto. Si era ricordato la calca di gente, il rumore, il corpo di Lea contro il suo, le sue reazioni irrazionali, gli occhi di lei socchiusi mentre seguiva la musica e il suo sorriso. Ed era vero che quelo che le aveva detto, poteva pure dirgli che era bellissimo ma per lei non aveva importanza mentre per lui quelle parole significavano molto. La conosceva da quanto? Pochissimi giorni eppure dalla prima volta che l'aveva vista aveva pensato che la perfezione dovesse avere il suo volto, nonostante non avesse nulla di simmetrico. Aveva notato anche che la sua testa si stava abituando presto all'asimmetria, probabilmente grazie ance agli esercizi di controllo che faceva dopo aver fatto l'allenamento con Lea. Rise mentalmente a tutti quei suoi inutili pensieri irrazionali e si concentrò su quello che avevano detto all'Agenzia. UN Crirale del 2767 era in quell'epoca, in quella città in quel momento. Perugia non era grande ma quell'uomo sarebbe potuto essere dappertutto. Si fece dare informazioni sull'anno 2767 e scoprì che in quel periodo c'era una cruenta dittatura, tutti gli abitanti avevano un complesso che li faceva nascondere sempre da tutto per paura di trovarsi davanti la polizia e soprattutto in luoghi malfamati perché in questo modo speravano di avere più protezione. Un pensiero attraversò la mente di Thomas così velocemente che non riuscì a catturarlo subito. Si mise seduto a gambe incrociate sulla sedia e chiuse gli occhi cercando di capire cosa gli stava sfuggendo. Quando apparve Neumalea poteva essere passato un minuto come un'ora e di più. Lei lo guardava confuso mentre si stropicciava il pigiama da uomo. "Che ci fai già sveglio?" Thomas stava per rispondere quandpo catturò quel pensiero. "Oh." disse. Si alzò di scatto. Ovvio. Dannatamente ovvio, aveva avuto la soluzione sotto gli occhi tutto quel tempo e non se ne era reso conto. Benvenuto al Bronx di Perugia - gliel'aveva detto proprio lei il giorno stesso che erano arrivati. Ecco perché l'Agenzia li aveva mandati lì in quel quartiere e su quelle case. Quelle parole continuavano a rimbombargli in mente. Non rispose a Lea, solo inziò a cercare una cartina di quel posto. La ragazza capì che stava su una pista e si sedette vicino a lui. "I luoghi abitati da persone equivoche sono la soluzione, ecco perché siamo qui." le disse, iniziando a segnare le strade. Con sua grande sorpesa, Lea gli strappò la proiezione di mano. "E' inutile che segni queste." gli disse cancellando alcune strada. "L'hai detto tu che questo quartiere è malfamato e non posso che darti ragione." le rispose. "Si, io ci sono stata cinque anni fa e allora potevi anche vivere una vita tranquilla, ora è peggiorato visibilmente. Siamo nel 2020 no? Comunque queste strade non ti serviranno a nulla. Il quartiere si divide in parte alta e parte bassa sia sal punto di vista geografico che non. Dal punto di vista geografico non ci interessa." fece scorrere via una linea. "e quelle altre informazioni l'Agenzia non ce l'ha. Io si. Ci ho vissuto per un po'." "Ti piace proprio il ventunesuimo secolo!" borbottò Thomas seguendo però il ragionamento. "dimmi tutto." "Esiste Ferro alta e Ferro bassa. Ferro alta non ci interessa, ci sono le ville, le case con i giardini, le signore che si possono permettere i gioielli d'oro vero e i signori che possono permettersi una Ferrari. E' una macchina costosa." gli spiegò. "hai detto che la chiave sono i posti malfamati. Ferro bassa." in tutto questo tempo aveva annerito parti di cartina. "Ferro bassa è tutta un'altra questione. Condomini e case popolari, nient'altro. Quando c'ero io i posti più malfamati erano questa fila di palazzi, questo parchetto, quest'altro." cerchiava i punti mentre faceva scorrere la cartina verso destra e in basso "e queste strade al lato prima del curvone. Penso che ora la questione sia peggiorata e che tutta Ferro bassa sia messa male quindi dovremmo estendere le nostre ricerche. Dimmi come sai che si trova qui." Thomas le passò il file e lei annuì leggendo. "Sei un genio, perfetto! Non è l'unico quartiere con gente equivoca come dici tu, tra l'altro come ti è venuto in mente 'gente equivoca'" Lea rise "ma se l'Agenzia ci ha mandato qua ci sono ottime probabilità che si trovi in questo posto. Ora vado a fare colazione, vieni?" "Non faccio colazione" urlò lui "Te l'ho già detto..." "Ah, già me lo sono dimenticata." rispose Lea. Thomas entrò in cucina e alzò un sopracciglio. "Okay" continuò lei. "Non me lo sono dimenticata, solo che la colazione fa bene." "Sta zitta e passami una sigaretta." rispose lui. Neumalea prese un pacchetto e glielo lanciò. "Non eri tu quello che non trovava il senso di fumare?" ridacchiò con un biscotto in bocca. "La notte porta consiglio, dove sta l'accendino o come diavolo si chiama quel coso per farle funzionare?!" "Accedino Tommy. E cerca di non fare queste uscite in pubblico." "Sei tu quella che ieri si è messa a mischiare danze cronologicamente sbagliate in discoteca." le rispose lui uscendo in terrazzo e accendendosi la sigaretta "Mi diverto, ne ho il diritto!" urlò Lea dalla cucina. "E puoi fumare anche qua dentro!" Thomas rientrò e si sedette accanto a lei. "Hai i capelli spettinati." sorrise lei come rendendosene conto iìper la prima volta. "Succede." la verità è che quando pensava si passava costantemente la mano per arruffarsi i capelli e già immaginava il disastro in testa. Lea allungò il braccio e affondò la mano nell'ammasso bianco sulla sua testa per spettinarli ancora di più. "Stai meglio così, fai decisamente meno paura." "Disse la Geniet con gli occhi arancioni e i capelli grigi...." "La prima volta che vidi un Generale avevo quattro anni e mi spaventai a morte. Mi sembrava così grande e terribile..." "Non ti preoccupare" scherzò lui. "tu sei mingherlina e acida, non dai l'impressione di essere capace nemmeno a tirare un destro come si deve." "Vogliamo provare." Lea lo provocò. Lui rise e si alzò per avviarsi verso camera sua. "Mi fido tesoro. Vado a cambiarmi e tu vedi di sbrigarti, abbiamo un Crirale da trovare!" Se avesse avuto la possibilità di vedere il viso di Lea si sarebbe sopreso del sorriso a trentadue denti che aveva appena fatto. In fondo avevano parlato di Alexander solo il giorno prima e lei si trovava in quella città e in quel quartiere maledetto. Ma nulla attirava Neumalea come un criminale da catturare, un ragazzo affascinante e sicuro di se e una pessima idea. Quel giorno si sarebbe gustata tutte e tre le cose.

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Capitolo 13
*** 13 - la cura mortale ***


Era sempre stato un problema vestirsi per andare a lavorare. La divisa dell'Agenzia era piuttosto particolare e andava camuffata bene senza però alterarne la funzionalità; non era mai stata un'operazione semplice. L'Agenzia aveva pensato a metà del problema, al resto ci avrebbero dovuto pensare gli Agenti. Dentro l'edificio pentadimensionale dove venivano addestrati giravano con i vestiti particolari del loro grado ma l'armatura era nera per tutti. Thomas si lambiccò il cervello per almeno dieci minuti mentre Lea, che nel ventunesimo secolo ci aveva fatto praticamente casa, era già pronta. Quando il ragazzo uscì, Lea annuì. Aveva fatto un ottimo lavoro, anche se non si sapeva spiegare come. "Non ho mai visto questa soluzione." gli disse "come hai fatto?" "Ho trovato il modo di deformare il materiale mantenendo intatte le caratteristiche funzionali." Lea sorrise. Erano così diversi, due geni con le menti opposte. Lei e Thomas erano la prova vivente che la genialità non aveva solo un modo di esprimersi. Lea calcolava, prendeva le cose così come le erano date, senza cambiarle e ci costruiva sopra i ragionamenti, trovava il modo di aggirarle, calcolava le probabilità di successo. Thomas non accettava quello che gli veniva dato, modificava la realtà, inventava, cambiava e trasformava a suo favore. Arrivavano allo stesso risultato in due modi diametralmente opposti. "Niente disintegratori. Oggi lo troviamo e gli facciamo sapere che è nei guai." "Non si nasconderà in un altro posto?" chiese Thomas. "Si vede che è la tua prima missione" rise lei. "Gli facciamo l'analisi del DNA, così che rimarrà tracciato e schedato dall'Agenzia. Sapremo anche se la sua posizione varia di un mentro." Gli mostrò il tracciatore. Era uno strumento simile alle lenti a contatto con all'interno un computer avanzatissimo. A Lea sarebbe bastato sfiorarlo un attimo per avere tutte le informazioni sul suo genoma e così avrebbe potuto schedarlo e trovarlo sempre. "Oh... non lo immaginavo." rispose Thomas acquisendo l'informazione e preparandosi a uscire. Lea lo seguì saltellando come una bambina. Non vedeva l'ora, aveva bisogno di un po' di azione, di muoversi e di fare danni. "Sono comodi questi campanelli con il nome." osservò Thomas. "Se è riuscito a portare un batterio mortale qui è abbastanza sveglio da cambiare nome. Ho già calcolato il tempo che ci metteremo in relazione ai campanelli per ogni casa, abbiamo massimo un'ora e mezza per via." la mente di Neumalea stava correndo a fare calcoli su calcoli quando Thomas la interruppe. "E' una pedina." lo disse quasi senza pensare. Era un'idea che gli ronzava in testa irrazionalmente da un po' di tempo, quasi un'intuizione indipendente dalla logica. Thomas iniziava a capire cosa intendeva Lea quando parlava della sua capacità particolare. Nessun Agente era intuitivo in modo non logico. Si sentì in dovere di spiegare a Lea il perché lo aveva detto. "Nella sua epoca c'è una dittatura, è quasi sicuramente disperato e le menti dei disperati non funzionano a calcoli ma a impulsi. Perché sarebbe dovuto venire qui a fare danni? Qualcuno deve avergli promesso qualcosa, forse la salvezza, quindi è una pedina. Di conseguenza non è abbastanza sveglio." Lea si girò sbalordita verso di lui. Aveva questo modo di pensafe così sensibile e per fili aggrovigliati che la mandava fuori di testa. Lei era logica al cubo, in una maniera che nessun Agente avrebbe maipotuto eguagliare, per lui invece di numeri erano una questione marginale, quasi inutile. "Okay, quindi secondo te lo scopriremo leggendo solo i campanelli?" "Si, proviamo. Se non porta a nulla da domani facciamo come dici tu." Thomas sorrise. Quel giorno la fortuna era dalla loro parte. Erano arrivati in fondo alla fila di palazzi quando Lea notò qualcosa di strano. "Non lo senti?" Thomas negò. "Questo rumore... è un lieve ronzio..." Il ragazzo si mise in ascoltò e localizzò il rumore continuando però a guardare Neumalea confuso. "Oh, Tommy! Questo ronzio deriva per forza da un oggetto anacronistico perché le onde che genera non sono ancora state create in quest'anno! La frequenza è diversa!" Lea aveva il vizio di calcolare tutto ciò che era calcolabile intorno a lei, era come se avere qualcosa intorno che non avesse calcolato la mandasse in panico. Era una fissazione che si rivelava utile nella maggior parte dei casi perché le permetteva di scoprire istantaneamente tutte le anomalie presenti nell'ambiente. A volte faceva solo paura. Thomas andò a controllare i campanelli. "Gaabriel! Eccolo! Qua il nome Gabriel si usa con una 'a' sola! Avevo ragione, Lea!" le fece una linguaccia. Lea rispose, poi indossò il suo miglior falso sorriso e citofonò. "Chi è?" la voce era distorta dalla pessima qualità dell'apparecchio. "Oh salve sono Lea, mi sono trasferita appena qui ma ho dimenticato le chiavi a casa, mi può aprire?" "Si certo... com... come si apre?" I due ragazzi si scambiarono un'occhiata significativa e Thomas mimò a Lea il numero quattro. Quarto piano. Il fatto che non gli piacesse fare calcoli non singificava che non li sapesse fare. "C'è un pulsante con una chiave." rispose Lea e l'uomo aprì. Appena entrati nell'ingresso si tolsero i camuffamenti per le tute, Thomas la risportò allo stato originario e Lea si tolse l'illusione e si mise un un occhio il tracciatore. Con le scale salirono fino al quarto piano e si posizionarono davanti la porta. Si guardarono un attimo come per darsi il via. Sorrisero, si andava in scena. Lea buttò giù quella fragile porta con un calcio e, mentre l'uomo che era corso a vedere cosa stesse succedendo ancora non capiva, Thomas sbucò da dietro la porta e gli tirò un pugno in faccia. Gaabriel si riprese subito e rispose con un calcio, ma l'addestramento degli Agenti superava di gran lunga quello di un civile spaventato. Thomas gli prese il braccio e lo tirò addosso a Lea. "Tutto tuo!" gli disse il ragazzo e Lea lo bloccò mentre il tracciatore faceva il suo dovere. "Per chi lavori?" chiese Thomas. Con sua grande sopresa l'uomo rise. "L'aveva detto che avrebbero mandato lei. Sono così scontati, così idioti da non saper risolvere niente senza la leggenda." Gaabriel rise. "Come fai a conoscermi?" sibilò Lea stringendolo. "Tutti ti conoscono, soprattutto lui. Dice che fallirai. Quello che ti porti appresso non so chi è, ma lo trascinerai nella caduta con te." "Ne sarei onorato." rispose vagamente Thomas. "In fondo, cosa c'è di meglio che cadere con la leggenda?" il suo era palese sarcasmo. Prese l'uomo dalle mani di Lea e lo legò. "Cerchiamo questo batterio." Lea entrò in una stanza. C'erano tantissimi dispositivi ultratecnologici e qualche cartina stampata su carta. Decisamente quest'uomo non voleva essere tracciato. Prese la maggior parte dei documenti e uscì nel corridoio. Thomas la stava aspettando con una piccola provetta in mano. Il batterio. "Voi non capite!" urlò Gaabriel "Quella è la cura!" "Un batterio che sterminerà un'intera razaza?" questa volta era Neumalea ad essere sarcastica. "A volte una cura deve essere mortale." furono le sue lapidarie parole.

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Capitolo 14
*** 14 - voler perdersi, scoprire di trovarsi ***


Tornarono all'ingresso, si rivestirono e uscirono dalla casa ridendo. Per loro era sempre una liberazione muoversi, colpire, pensare. Nessuno di loro si era mai chiesto se tutto ciò era normale Lea aveva in mano scartoffie e elementi ipertecnologici ed era così tanto materiale che quasi le cadeva dalle mani. Thomas corse in suo aiuto prendendola in giro. "Ohhh... la leggenda che soccombe sotto dei fogli di carta!" rise ma le alleggerì il peso prendendo qualche foglio, poi si fece serio. "Secondo te cosa significava? La cura mortale... ho i brividi." "A me preoccupa il suo mittente. Mi conosce e conosce l'Agenzia." "Tutti ti conoscono e tutti conoscono l'Agenzia. Tutti." "No, Tommy. Tutti sanno cosa è l'Agenzia e tutti sanno chi sono io. Il suo mittente conosce l'Agenzia da dentro, sapeva che avrebbero potuto mandare solo me per una cosa del genere. Nessuno si nasconde poi nel ventunesimo, troppo pericoloso e meno che naturalmente non si conosca perfettamente. Ed è anche qualcuno che si aspettava che lavorassi da sola..." "Lea." la interruppe Thomas e la guardò in modo significativo. "No. C'è un'altra motivazione." il sorriso si era spento dalla faccia di Lea e le mani le tremavano leggermente. "Lea." la voce di Thomas aveva una sfumatura di rimprovero. Doveva guardare in faccia la realtà e accettare che tutto quello che era successo li portava a una sola persona. Il nome non si poteva dire ad alta voce, lo avrebbe fatto diventare reale e nè Thomas, nè Lea volevano che lo fosse. Lea perché non lo avrebbe sopportato e Thomas perché non avrebbe sopportato Lea in quello stato. La ragazza tremò di nuovo. Lui era il suo tallone d'Achille, il suo più grande errore, il suo difetto fatale. Salirono in casa e Lea buttò sul tavolo tutto ciò che aveva in mano. "Vado in camera mia, non disturbarmi." disse a Thomas lasciandolo sconcertato in cucina davanti al caos di fogli e tecnologie. Sospirò e si mise al lavoro. Prima di tutto divise i file dai fogli di carta e si mise ad analizzare questi ultimi. Erano principalmente mappe della città più o meno accurate e c'erano segnati percorsi ogni volta diversi. C'era anche un libricino con gli orari dei pullman e qualche scontrino. Nulla di più, ma gli sarebbe servito l'aiuto di Lea per riuscire a collegare il tutto. La maggior parte dei documenti non potevano essere stati scritti da Gaabriel, alcuni calcoli erano troppo complessi, così decise di aspettarla. Mentre si preparava un caffè, una bevanda che aveva scoperto da poco e che gli piaceva particolarmente, sentì il primo rumore di vetri infranti e cercò di ignorarlo. Prese in mano un libro di quell'epoca, "l'enigma del solitario" di Gaarder e al primo capitolo sentì il secondo rumore di vetri infranti. Ignorò la questione per la seconda volta e continuò a concentrarsi sul libro che si stava facendo sempre più interessante ma alla quinta volta mise giù il libro e si incamminò verso la stanza. "Tutto bene?" Thomas entrò nella stanza. Lea stava accasciata ai piedi del letto, intorno a lei fogli di carta pieni di calcoli e frecce che portavano a un solo nome; davanti a lei vetri rotti. Il ragazzo camminò verso l'armadio e vide altre tre bottiglie simili a quelle frantumate. Vodka. "E'una condanna." rispose Lea come se non avesse sentito la domanda di Thomas. "Non ci possiamo ubriacare, non possiamo perdere il controllo, siamo costretti a pensare sempre. E' una condanna, una condanna." la sua voce era rotta dal pianto, il suo viso distrutto, il trucco colato che lasciava scie nere lungo le guance. Era spezzata dentro, ridotta in frantumi. Thomas si chinò e iniziò a pulire la stanza. Prendeva tutto e lo buttava nel corridoio, spazzava via con i piedi i vetri rotti, il silenzio rotto solo dai leggeri singhiozzi di lei; alla fine si mise seduto accanto a lei e le prese la mano. Fu quel gesto a far scattare qualcosa dentro di Lea. Pensò a Thomas la prima volta che l'aveva visto, poi in discoteca e pensò che quello che stava per fare era estremamente egoistico, ma ne aveva bisogno. Si rigirò e bloccò Thomas contro le sponde del letto. "Scusami." sussurrò, poi lo baciò. All'inizio fu solo il bisogno di non pensare, fu solo quel mero atto egoistico per il quale aveva chiesto scusa. Thomas semplicemente non pensò alle ragioni che l'avevano spinta a baciarlo, ma la tirò verso di sé circondandole la schiena con le mani, come se avesse bisogno di sentirla sempre più vicina. Lea sussultò leggermente a quel gesto così possessivo ma allo stesso tempo delicato. Era iniziata per perdersi ma mai avrebbe immaginato di trovarsi a casa tra quelle braccia, come se stesse finalmente facendo qualcosa di giusto. Gli morse leggermente il labbro inferiore e gli passò le mani dietro il collo. Aveva baciato ragazzi un po' dappertutto quando ne aveva avuto voglia, anche ragazzi innamorati di lei ma nessuno era mai stato come quella volta. Era come se tutto il suo corpo e la sua mente rispondessero al tocco di Thomas e quello che era iniziato come un bacio disperato si stava trasformando in qualcosa di radicalmente diverso. Era qualcosa di cui sentiva il bisogno, e lo sentiva così tanto che arrivò a chiedersi come aveva fatto a sopravvivere fino a quel momento senza quelle labbra. Appena la sua mente formulò questo pensiero si spaventò e si staccò dal bacio. "Tommy..." il suo era poco più di un sussurro. Voleva dirgli che non capiva perché significasse tanto, che gli dispiaceva, che per lei era una cosa così forte nonostante si conoscessero da pochissimo giorni, che gli Agenti erano abituati ad analizzare subito le loro sensazioni quindi era ovvio che ci era voluto così poco tempo, che naturalmente capiva se lui fosse stato ancora confuso ma che lei avrebbe aspettato. Thomas la guardò e se Lea fosse stata capace di capire i sentimenti delle persone e non solo la chimica, avrebbe visto che era distrutto. Ma non lo fece e quando lui le parlò non capì cosa c'era dietro quelle parole. "Lo so perché l'hai fatto. Non ti biasimo per questo ma non sono lui. Non lo sarò mai." Thomas lo disse più a se stesso che a lei. Pensava che Lea stesse giocando con i suoi sentimenti perché non li conosceva. Per lui quel gesto era stato di una ragazza disperata che aveva bisogno di affetto, nulla di più. Non sapeva quello che aveva provato Lea, sapeva solamente che quella ragazza lo faceva uscire fuori di testa e lo distruggeva. Si alzò e uscì dalla stanza, lasciandole prima un leggero bacio sulla guancia. Lea rimase lì pensando che lui la odiasse. Solo una lacrima amara le rigò il viso e fu la lacrima più dolorosa di tutte quelle versate fino a quel momento. Guardò la porta e sentì l'impulso di andare da Thomas, di dirgli tutto, di baciarlo e di provare a essere felici ma rimase lì accasciata contro la sponda del letto a fissare il vuoto.

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Capitolo 15
*** 15 - quel disperato bisogno di ordine ***


La mattina dopo Thomas si svegliò e scoprì di essersi addormentato sul divano, con il libro ancora aperto davanti a lui. Si massaggiò la testa e fece mente locale di quello che era successo il giorno prima. Era difficile concentrarsi sul Crirale quando ogni secondo gli veniva in mente Lea, le sue labbra, il suo tocco. Si guardò in giro e tutto lì gli parlava di lei, dal caos che regnava in quella cucina ai libri stranissimi, dai biscotti aperti per la colazione che lui non faceva ai vestiti sparsi. In cucina. Era veramente disordinata. Thomas non riuscì più a sopportare quella vista dove ogni angolo gli parlava di Neumalea; prese i vestiti e li tirò nel corridoio, chiuse i biscotti dentro le credenze, lanciò i libri sul divano della sala e iniziò a mettere in ordine tutto. Aveva un bisogno disperato di qualcosa di asettico e soprattutto simmetrico. Si toccò l'auricolare. "Ho bisogno di un drone per montare cucine del ventunesimo" sussurrò e l'Agenzia, efficiente, rispose facendo suonare il campanello. Il drone assomigliava a uno dei primi robot anche se era mille votle più sofisticato. Sperando che il campanello non avesse svegliato Lea, si mise al lavoro. Smontare una cucina e rimontarla in modo che sia perfettamente simmetrica in piena estate non è un'attività raccomandabile, soprattutto se l'estate è del ventunesimo secolo e ci troviamo in piena città circondati da gas di scarico, ma Thomas era deciso a ricreare quella cucina. Lea fu svegliata da un rumore meccanico. Aprì gli occhi e provò ad alzarsi ma fu come se una fitta al petto le impedisse di muoversi. Quella fitta era il bacio, gli occhi di Thomas, le sue braccia e i suoi capelli spettinati. Non era mai stato così con Alexander, mai avrebbe immaginato di poter provare una cosa in quel modo forte. Thomas era diverso, Thomas era come il pezzo mancante del puzzle, il motivo per cui tutta la sua vita era andata in quel modo, era come se ogni secondo della sua esistenza fosse servito per prepararla a incontrarlo. Si fece forza, indossò una maglia che le arrivava alle ginocchia e uscì nel corridoio inciampando rovinosamente su alcuni vestiti e tagliandosi con dei pezzi di vetro. Era come se qualcuno avesse riversato mezza casa in quel tratto di corridoio. C'erano fogli accartocciati con sopra i suoi calcoli, bottiglie rotte e una quantità immensa di suoi vestiti che - ne era sicura - aveva lanciato in giro per la cucina. Entrò in sala e vide tutti i documenti che avevano oreso il giorno prima a Gaabriel e tutti i suoi libri sul divano, come se qualcuno non avesse avuto tempo di metterli a posto e - era sicura anche di quello - quei libri li aveva lasciati in giro per la cucina. Okay, era leggermente disordinata e praticamente viveva in cucina, dove poteva mangiare ininterrottamente, ma perché Thomas avrebbe dovuto fare tutto quel casino? La porta della cucina era aperta e davanti a lei c'era Thomas in cima a una scala intento a trapanare il muro. Senza maglietta. Lea si appoggiò allo stipite della porta e si fermò a guardarlo. Era perfetto, i muscoli contratti per il leggero sforzo fisico, la vita stretta, il tatuaggio che le aveva fatto in America non era ancora sbiadito e quelle due ali riempivano la sua schiena da scapola a scapola. Lea era come incantata, sarebbe potuta rimanere lì a guardarlo per sempre. "Buongiorno" gli disse. Thomas sussultò e quasi cadde dalla scala. "Oh.. emh, buongiorno" scese. Solo in quel momento Lea si rese conto di quelcos'altro che non fosse lui. La cucina. "Che cos-?" "Oh. Ne avevo bisogno." Lea alzò un sopracciglio. Era stato rimontato tutto in modo da essere perfettamente simmetrico in maniera micromillimetrica. Le stava facendo venire il mal di testa. "O-okay. Bene. Cioè giuro sto impazzendo." si avvicinò a lui. Non sapeva se stava impazzendo effettivamente per la cucina o per Thomas senza maglietta. Era così distratta che inciampò su un trapano e cadde rovinosamente addosso a Thomas arrossendo. Il ragazzo tremò impercettibilmente ma la ritirò su, poi si rimise la maglietta. "Puoi metterti qualcosa... dei pantaloni... qualsiasi cosa." chiese visibilmente imbarazzato Thomas. Lea annuì in silenzio e tornò in camera. Le era sembrato di sentirlo tremare quando lei le era caduta addosso, ma probabilmente era stata solo una sua impressione. Si mise il primo paio di jeans che trovò sul corridoio, che tra l'altro erano di Thomas, glieli aveva rubati un giorno che non aveva voglia di mettersi i suoi e rientrò in cucina. "Dove sono i biscotti?" "Metà di sinistra, secondo scaffale da destra e terzo dal basso." rispose Thomas mentre ammirava soddisfatto il suo lavoro "dovresti mettere a posto tuto quel caos nel corridoio... ehi quei pantaloni sono miei!" Lea bofonchiò qualcosa di incomprensibile e andò a prendere i biscotti. "Ti prego Lea, ho bisogno che almeno questa casa sia normale." "Ripristineremo la normalità appena saremo sicuri di cosa sia in ogni caso normale. Grazie." rispose Lea imitando una voce metallica e spargendo briciole di biscotto dappertutto. Si alzò trasportando si dietro il pacco di Gocciole e uscì dalla cucina a prendere i documenti in sala poi entrò in camera di Thomas. Solo lui aveva fogli bianchi negli scaffali. "Per tutto il cronospazio Tommy! Sei così ordinato, sembra quasi che tu non abbia dormito qui stanotte." "Infatti mi sono addormentato sul divano" gli rispose Thomas una volta che Lea entrò in sala. "Oh..." la ragazza era sconcertata. Doveva essere successi qualcosa di pesante per farlo dormire sul divano, poi realizzò "oh." forse lo aveva giudicato male, ma non era quello il momento di mettere al primo posto i problemi sentimentali. "Perché ti sei portata in giro per casa tutti quei file? Li dovevi spostare solo dal divano al tavolo!" "Eh?" "Lea sveglia!" Thomas le schioccò le dita davanti alla faccia. "Mhh... si. Si. Okay ho tutto collegato, iniziamo." Il ragazzo aprì le cartine e dispose i file elettronici sopra. "Sono le stesse cartine in tutte e due i formati. In quelle di carta abbiamo il sentiero tracciato. Quest'uomo non vuole essere seguito." "Peccato per lui. Abbiamo il tracciatore." rispose Lea annoiata. "Altro?" "Oh beh. Speravo mi potessi spiegare dove va precisamente quest'uomo. In fondo conosci il ventunesimo meglio della tua epoca." Lea sbuffò e si concentrò sulla cartina. Thomas sorrise e si concentrò sul viso di Lea, sui capelli che le ricadevano disordinatamente davanti alla faccia, sulla maglietta larga che lasciava solo intravedere le sue forme minute, l'espressione corrucciata e ebbe l'impulso di baciarla di nuovo. Distolse lo sguardo, sospirò e guardò prima la cartina, poi di nuovo chi occhi arancioni di lei che lo attiravano in modo indecente. "Allora? Idee?" "Se è come penso... siamo nei guai."

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Capitolo 16
*** 16 - il passato 3 - cosa porta il dolore ***


I giorni di addestramentosi susseguivano monotoni davanti a Lea. Vedeva gli altri bambini solo a pranzo e per dormire. Nel suo dormitorio non aveva nessuna amica, le altre bambine la guardavano male e irritate. Provavano a farle dei dispetti ma Lea li prevedeva tutti. La sera quando tutte si allenavano da sole davanti allo specchio con un computer che le correggeva, l'unica postazione dalla quale non si sentiva la voce metallica delle correzioni era quella di Lea, eppure i suoi esercizi erano mille volte più difficili di quelli delle altre ragazze. Le lezioni dell'Agenzia erano rigidamente suddivise per età ma Lea, che di anni ne aveva quattro, si allenava come i ragazzi della Scuola. La Scuola era il sogno di tutti i bambini che venivano presi dall'Agenzia; dai quattordici ai diciannove anni ti addestravi e se eri abbastanza bravo diventavi Agente, in caso contrario andavi a coprire altri ruoli meno importanti nonostante fossero comunque fondamentali per il funzionamento della gerarchia. A Lea da sola, in una stanza insonorizzata, veniva imposto l'addestramento dei ragazzi della Scuola. Aveva quattro anni. Avevano ragione quando, quattro anni prima,avevano scritto che l'umanità non faceva più parte di loro. Le altre bambine vedevano solamente Neumalea, la ragazzina che già si allenava come per la Scuola, non sentivano le sue urla, i suoi pianti disperati in quella sala, quando il dolore fisico e mentale era troppo per essere sostenuto. E Lea non faceva trasparire nulla, tutti i suoi gesti erano misurati, i suoi colpi letali, i suoi problemi risolti correttamente. Se qualcuno l'avesse guardata attentamente si sarebbe reso conto che aveva smesso di ridere, ma nessuno ci faceva caso. L'unica persona con cui parlava era Alexander. Si vedevano durante il pranzo e parlavano di tutto, tranne che dell'addestramento di Lea. "Neumalea" a metà pranzo c'era sempre l'uomo in blu che la chiamava. Non gli aveva mai chiesto il nome e non era suo interesse farlo. Lui la portava nella stanza insonorizzata e allora Lea si lasciava andare in un sospiro rassegnato. Sentiva l'Agenzia come casa più della sua epoca ma non poteva dire di aver trovato una famiglia se non sorelle gelose e fratelli impauriti. I bambini infatti non si avvicinavano a lei, era più forte di loro e per un maschio questo è imperdonabile. "Benvenuta Neumalea. Seduta di allenamento numero due del giorno 317 da quando sei arrivata all'Agenzia." era sempre quella voce metallica che l'accompagnava da trecentodicassette giorni. Era passato quasi un anno e alla fine Lea avrebbe dovuto sostenere l'esame con i ragazzi quindicenni della Scuola. Quel giorno una donna in carne ed ossa si presentò davanti a lei. Di solito l'uomo in blu la accompagnava fino ala porta e poi se ne andava lasciandola sola con il computer. "Cosa vuoi?" "Sono Trillian" Lea colse l'ironia di quel nome. Tricia, Trillian. Un nome più spaziale. Quei libri era disponibili nella biblioteca dell'Agenzia e lei li aveva letti tutti e cinque. Non aveva amiche e un sacco di tempo libero la notte quando le altre si scambiavano pettegolezzi. "Cosa vuoi?" chiese solo. Si domandò se la donna sapesse che lei aveva letto la Guida Galattica, ma non parlò oltre. "Non ti presenti?" chiese affabile, facendo guizzare i suoi occhi rosso fuoco da una parte all'altra di quella stanza asettica che Lea non si era mai presa la briga di decorare. "Sai perfettamente chi sono, Tricia." La donna sussultò. "Come sai...? Oh. Sei la prima che mi ha ricollegato a quei libri." "Addestramento da Scuola nella testa di una bambina di quattro anni. I risultati sono sorprendenti, ma tu lo saprai meglio di me. Già mi immagino cosa dite intorno ai vostri tavoli." la bimba moderò la voce per imitare un tono pomposo, riuscendoci a metà e rendendo tutto ancora più grottesco. "L'immaginazione e le capacità intuitive presenti nella fascia di età dai quattro ai sei anni combinate con un addestramento fuori dalla norma portano alla creazione di un... mostro." Quell'ultima parola era stata pronunciata in tono piatto e non ampolloso. Non era più un'imitazione. "Che cosa vuoi, Tricia mcMillan*" può la voce di una bambina essere sarcastica? Avete mai sentito l'ironia amara dalla bocca di una ragazzina di quattro anno? E' terribile. E' come se quelle parole non fossero sue ma di un adulto forzato a vivere in quel suo piccolo corpo. "Non possiamo farti fare l'esame senza aver visto che ne sei effettivamente capace." "Avete il computer." "Si, ma la commissione ha deciso che è il caso che assista uno di noi alla prova." "Oh." Neumalea rise tristemente. "Sono un mostro anche per voi, non ci credete perché non volete crederci." "Non sei un mostro, se l'evoluzione" la voce della donna cercava di essere comprensiva. "Evoluzione. Peggio ancora, avrete paura di me. Comuneu dimmi, cosa devo fare." Trillian sembrò momentaneamente riprendere tutta la dignità che aveva perso stando a guardare quella bambina spaventosa a bocca aperta per tutto il tempo. "Okay. Tecniche di combattimento step cinque e sette. Blocco mentale, capacità di dividere i due emisferi cerebrali e creazione di un muro d'aria." disse con tono professionale. "Bene. Vieni verso di me" la incitò svogliatamente Neumalea e appena la donna fece due passi la fece andare a sbattere contro un muro d'aria invisibile. Trillian fece una faccia così stupita e buffa che Lea accennò una risata. "La capacità di dividere i due emisferi cerebrali è compresa nel trucco che le ho appena mostrato." "Non è un trucco, è una manipolazione dell'aria da parte..." "Si, si" rispose Lea. "E' un trucco." La bimba si mise in posizione di attacco a sferrò il primo calcio al manichino umano davanti a lei. Dentro di lei si erano già formati decine e decine di schemi di attacco che avrebbe potuto applicare a seconda della mossa che il computer avrebbe fatto fare al manichino. Gli schemi del computer erano sempre quelli mentre la sua mente da bambina ancora creava schemi nuovi con decisioni marginalmente irrazionali che le permettevano di sconfiggerlo sempre. Sorrise dentro di sè, un sorriso di vittoria. Il giorno del suo compleanno, a cinque anni, avrebbe passato l'esame. *per chi non avesse letto la Guida Galattica per Autostoppisti e i quattro libri che la seguono. Leggetela, è stupenda. Comunque Tricia McMillan è una terrestre che scappa con il presidente intergalattico Zaphod Beeblebrox (due teste, affascinante, idiota, quelle cose lì...). Girano lo spazio con una nave rubata la Cuore d'Oro (propulsione d'improbabilità infinita**, porte che mettono buonumore, il computer di bordo idiota, un robot depresso incorporato, quelle cose lì...) e Tricia cambierà il nome in Trillian, definito da lei stessa più "spaziale". **attenzione ad attivarla, potreste essere sommersi da budino o inseguiti da scimmie urlanti volenterose di parlare della sceneggiatura di Amleto o, nel caso del film, potreste trasformarvi in un divano o in dei fiori. Ma il libro era più bello.

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Capitolo 17
*** 17 - l'attrazione di due corpi ***


Thomas si buttò all'indietro appoggiandosi allo schienale della sedia e guardando la mappa attraverso i capelli che gli erano ricaduti disordinati davanti agli occhi. Ogni tanto gli era capitato di fermare a guardarsi veramente allo specchio e la cosa che gli aveva sempre fatto più impressione erano stati quei capelli bianchi come una pagina vuota, di quel colore che faceva venire il mal di testa. Era più semplice guardarsi negli occhi, così neri da far dubitare persino della presenza della pupilla, che fissare quel bianco sulla testa. "Dove porta quella strada?" Lea aveva detto che erano nei guai, ma cosa erano i guai per gli Agenti? Avevano preso quel Crirale in mezza giornata, erano praticamente invincibili, cosa mai sarebbe potuto essere un problema per i superuomini? "Al colle della Trinità." la sua voce era bassa e rassegnata. Thomas la guardò con fare interrogativo, a lui quel nome non diceva nulla e questo gli dava fastidio. Era lei, con quella sua conoscenza indecente di quel luogo come se ogni posto le risportasse a un ricordo. Era lei che gli dava sui nervi. "Un colle. Okay. Mi vuoi spiegare?" la sua voce fu più irritata di quello che sarebbe dovuta essere. Lea si irrigidì. C'era tensione, era palpabile e misurabile per quanto era potente, come una corrente elettrica che saettava e creava scintille tra di loro. Era come se cercassero di allontanarsi ma qualcosa li costringeva a stare vicini, a quel confronto, a quei respiri. La legge di gravitazione universale vale per tutti e due corpi si attraggono con una forza uguale e opposta. Fisica, era la fisica più elementare di tutte che Lea e Thomas non riuscivano a spegarsi. "Ci sono molti luoghi in cui nascondere le cose, è un posto elevato e... beh, non so come spiegartelo!" era la prima volta che dalla bocca di Lea uscivano quelle parole ma quel posto aveva poco di logico e tutto di ricordi "Se vuoi fare qualche danno vai alla Trinità, è una cosa risaputa" Quello era il linguaggio dei ricordi, il linguaggio dei ragazzi di quel secolo che avevano bisogno di ritrovarsi in posti ben definiti per fare cose strane. Il colle della Trinità era perfetto. Immenso e sinistro, pieno di stradine e viottoli che portavano chissà dove, un cerchio di pietra ad anfiteatro che faceva da portone di ingresso a un bosco all'interno del quale era difficile non perdersi. Quel bosco era il punto in cui tutti andavano quando avevano bisogno di stare soli, o di nascondere qualcosa. Era perfetto e la notte lo era ancora di più. Ti sentivi quasi invincibile a girare tra le foglie per sentieri non tracciati ma che conoscevi ormai a memoria, stretto nel cappotto con il colletto alzato per ripararti dal venti che soffiava incessante alla Trinità, in una mano la sigaretta e nell'altra il cellulare che ti faceva luce. "Si, risaputa nel Ventunesimo." l'affermazione di Thomas ne nascondeva altre. L'unico Crirale che conosceva quel secolo così bene da potersi permettere di andare alla Trinità era lui ovviamente, e Lea lo sapeva. La ragazza scattò, come se qualcosa dentro la sua testa si fosse rotto, come se tutti i pensieri di quella notte premessero di uscire nella maniera sbagliata. "Che vuoi che ti dica? Che è Alexander - no scusa, Alex il Crirale?! Si è lui, hai ragione. Tutti in questo caso ha il suo marchio di fabbrica. Cosa pensi di ottenere così? Ti credi tanto meglio di lui? Oh, il ragazzino che è riuscito a baciare la leggenda." "Tecnicamente mi hai baciato tu." la interruppe Thomas guardandola male. "Scusa, giusto! Io. Io ti ho baciato, io mi rifiuto di vedere il marchio di Alex, io lascio in disordine la casa oh, scusa se faccio colazione! Ops, ho anche addosso i tuoi pantaloni ma non ti preoccupare se vuoi me li tolgo, non penso ti dispiacerà troppo, vero? " "Beh, la prossima volta che starai piangendo per una cotta adolescenziale per un idiota che è diventato il tuo nemico numero uno, me ne vedrò bene di entrare in camera tua a consolarti. Magari ti ci tagliavi anche un occhio con quelle stupide schegge di vetro! E poi mi sembra proprio che sia tu quella tanto volenterosa di spogliarsi qui, io non ho mosso un dito ancora, tesoro!" Thomas iniziava ad essere veramente arrabbiato. Era innamorato di lei forse, ma questo non significava farsi trattare in quel modo. Non significava doverla sopportare mentre sceglieva nella sua testa tra lui e un Crirale. Era una cosa che lo mandava in bestia. Alexander. Un criminale temporale, nulla di più. Quello che le aveva appena detto era orribile eppure non riusciva a sentirsi in colpa. Stavano ormai tutte e due in piedi uno davanti all'altro, lontani. Le vecchie abitudini. Non tocchi quelli con cui non vuoi avere nulla a che fare. Questo facevano alla Scuola e questo succedeva anche tra Agenti. Lea e Thomas non avevano nemmeno l'istinto di prendersi a schiaffi, semplicemente gli avrebbe fatto ribrezzo. "Mi sembravi di tutto altro avviso ieri ragazzino. Non eri così triste, ne così aggressivo. Sei solamente l'ultima di una lista di idioti che mi hanno mandato nella speranza che li facessi diventare Generali. Certo sei promettente ma ricordati con chi stai parlando, soldato semplice." Ci fu un momento di silenzio dopo quelle parole, quasi come se Thomas non credesse che lei le avesse dette seriamente; come se Lea capisse solo in quel momento le sue parole. "Hai ragione." la voce di Thomas era distante, come se tutte le parole di Lea gli fossero scivolate addosso. Era impermeabile. "Hai ragione. La Geniet più forte mai nata non ha bisogno di un soldato semplice." quasi sputò le ultime due parole. Si alzò dalla sedia come fosse un automa e si avviò verso la porta. Soldato semplice. Nessuno li chiamava mai così, era l'insulto peggiore da dare a qualcuno. Inutile. Il soldato semplice non pensa, non ne è in grado, obbedisce agli ordini. Di solito per insultare qualcuno lo si chiamava con il grado, se era inferiore, eppure se lo avesse chiamato Stemma Arancione lo avrebbe sopportato. Chiamavi qualcuno soldato semplice solo se volevi distruggerlo. Ma Thomas non era chiunque. Era orgoglioso, testardo e potente. "Tommy" nella voce di Lea c'era una nota di disperazione. "Sono Thomas signor Generale. Il soldato semplice aspetta gli ordini del Generale." Lea non parlò e quando iniziò a correre verso di lui,Thomas se ne andò sbattendole la porta in faccia. "Tommy..." fu questo il sussurro che rivolse a quella porta ormai chiusa prima di accasciarsi per terra. Cosa aveva fatto?

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Capitolo 18
*** 18 - tutto tende all'ordine ***


Dolore. Una fitta al petto che non credeva possibile. L'aveva ferito finalmente, era riuscita a scalfire quella corazza di dolcezza, lo aveva fatto arrabbiare. Lo aveva colpito. Non era quello che voleva fare, ferirlo, allontanarlo da lei? Perché allora il dolore era così forte da non permetterle di respirare? Doveva vomitare. Alzò lo sguardo verso l'orologio, erano passate due ore. Due ore senza Thomas, senza la sua presenza in casa, senza il suo bisogno di simmetria, senza il suo buttare qualsiasi cosa in corridoio, come se magicamente si potesse mettere a posto. Quel ragazzo aveva una fiducia illimitata nell'entropia, era questa la prima cosa che le era venuta in mente nel vedere il caos che creava sempre, mentre le altre stanze erano perfette. Si alzò ancorandosi alla maniglia della porta e si trascinò fino al bagno. Si guardò allo specchio. Chi era quella ragazza che la guardava con gli occhi rossi e lo sguardo vuoto? Non la Neumalea che tutti conoscevano. Okay Thomas non c'era ed era tutta colpa sua, ma quando mai aveva reagito in quel modo per aver allontanato una persona? Mai. Chiuse un secondo gli occhi, si lavò il viso e rientrò in salotto. I fogli erano ancora sul tavolo, la parte di Thomas impilata e la sua un caos pazzesco. Riordinò tutto, buttò per terra i fogli che non le sarebbero serviti e iniziò a studiare le mappe. Da quelle elettroniche poteva vedere che ogni mercoledì andava per via dei Priori, ogni venerdì si incontravano dietro il Duomo, ogni giovedì al Lago Trasimeno. Ma nulla, nulla le diceva cosa facevano la domenica. Prese le due cartine, una portava alla Trinità e una a Monte Tezio. Quale era quella giusta, quale? Doveva avere un minimo di senso, Alexander faceva sempre tutto per un motivo. Dove si va la domenica? Tutte e due i luoghi erano punti di ritrovo per le famiglie eppure c'era qualcosa che le sfuggiva. Prese un biscotto continuando a fissare la cartina. La Trinità stava sopra Monte Malbe, altezza 500 metri. La ragazza continuava a segnare con e dita le curve della cartina. Al Colle ci si arrivava in macchina. Monte tezio invece era alto 961 metri. Si ricordava le ripide salite e gli stretti sentieri del Tezio, la lupa quando ancora c'era e il panorama dall'alto. Si alzò di scatto. Sciocca che era stata. Sciocca e lenta. Era così ovvio, così ovvio! Li prendevano a quattro anni, erno piccoli. Troppo piccoli per riuscire a scalare Monte Tezio, ma non troppo piccoli per la Trinità. C'era il parco giochi, l'anfiteatro di pietra, il viale principale. Ecco dove andava il piccolo Alec la domenica con i suoi genitori! Non potava credere di essere stata così lenta. Si mise l'illusione, si vestì decentemente e uscì di casa e non vide la macchina. L'aveva presa Thomas. Poco male, avrebbe aspettato il pullman. La linea G arrivò dieci minuti dopo, con un ritardo totale di venti minuti. Alcune cose non cambiano mai e la G in ritardo era storia. Lea salì, pagò il biglietto e si mise a sedere sui sedili fatiscenti del veicolo, iniziando ad ascoltare la musica attraverso l'auricolare. Sarebbe stato quella sera. Provò a chiamare Thomas ma il suo auricolare era staccato e lei sentì una piccola fitta al petto, ma la ignorò. Molte persone si girarono verso il suo tatuaggio. Il taglio di capelli non le dava problemi in quel quartiere, in quell'epoca, in quell'autobus che collegava i peggiori posti di Perugia; c'era una ragazza con i capelli corti tutti sparati verso l'alto, verdi, un ragazzo con i capelli lunghi, due gemelle con la tinta grigia. Il tatuaggio faceva impressione. La palpebra dell'occhio era un punto molto doloroso, così almeno avevano detto a Lea quando se lo fece fare. Lei aveva scrollato le spalle e aveva detto che non le interessava. Sarebbe stato difficile trovare qualcosa nel ventunesimo capace di farle provare vero dolore fisico e gli aghi per quel tatuaggio non facevano eccezzione, erano stati come acqua fresca. Arrivò alla stazione e si prese da mangiare al McDonald, poi si mise a sedere sul prato vicino piazza del Bacio, una piazza che si trovava sopra il fast food. Quando vide arrivare verso di lei un gruppo di ragazzi nemmeno ci badò. Erano in cinque o sei, alcuni italiani altri stranieri, con la sigaretta in bocca, la birra in mano e l'atteggiamento di chi sa che sta facendo qualcosa di proibito e se ne vanta. Avevano tatuaggi sulle braccia scoperte dalle canottiere da basket e piercing sul viso. Probabilmente ne andavano fieri, si sentivano potenti. "Che ci fa una ragazza qui tutta sola?" aveva parlato un ragazzetto moro, gli occhi blu come il cielo che sovrastava l'Agenzia. "Saresti potuto essere un bel ragazzo ma ti manca stile." fu la risposta acida di Lea. Teneva gli occhi bassi e i capelli davanti al tatuaggio. Lo aveva sfidato. La sua risposta fu accompagnata da un "ohhhh" generale. Lea sbuffò. AVeva proprio voglia di litigare ed era ovvio che il capo banda non avrebbe accettato la sconfitta così facilmente, non dopo la reazione degli altri ragazzi. "Guardami negli occhi sgualdrina, oppure vediamo di tagliarti quei bei braccini, penso che basti anche il vetro della bottiglia, nemmeno tiro fuori il coltellino." Fu il riferimento ai vetri che fece scattare Lea. Le era appena venuto in mente Thomas. Si alzò e lo guardò fisso negli occhi, gustandosi la loro reazione nel vedere il tatuaggio. Faceva sempre così scena, era una cosa che amava. Si girò e fece per andarsene, sapendo che avrebbe reagito. Voleva farlo arrabbiare, voleva prenderlo a botte, voleva sfogarsi su qualcosa. Thomas, Alexander, la Trinità, erano troppe cose in un giorno, stava per esplodere. Il ragazzo le lanciò una bottiglia di birra ancora piena addosso mirando alla testa, Lea nemmeno di girò e la bloccò con una mano. Si girò soddisfatta verso di loro e le loro facce stupite. Intorno a loro nessuno sembrava far caso alla scena, erano cose ordinarie, c'era sempre qualcuno che faceva a botte alla stazione, per i motivi più stupidi. "Oh, mi hai bagnato i capelli." disse. Quello che stava per fare era assolutamente contro ogni crono-regola. Si sfilò l'illusione e vide il gruppo indietreggiare di fronte ai suoi capelli grigi, ai suoi occhi arancioni. "Che cosa sei?" mormorò qualcuno. A Lea non sfuggì che aveva detto cosa e non chi. "Sono la dea della Guerra. Atena." era decisamente la verità. Atena non era la forza bruta di Ares, era la saggezza in guerra, la strategia in battaglia, la forza davanti al nemico. Era stata Atena tanti secoli prima, era stata adorata come una dea. Lo era. Era una dea. Fu lei a dare il primo pugno al capobanda. Misurò la sua forza in modo da non rompergli il cervello e lo colpì sul viso. Lui si riprese e incitò gli altri. Era così che funzionava nel Ventunesimo. Un branco contro uno. Non importava se eri uomo o donna, loro ti attaccavano in gruppo. Lea rise, una risata che di umano non aveva nulla, davanti a quei ragazzetti che credevano di poterla anche solo ferire. Si divertì e fu anche gentile. Ruppe solo qualche braccio. Decisamente no, non era un'eroina, non lo era mai stata. La prima cosa che ti insegnavano alla Scuola era che gli Agenti sono eroi perfetti. Lei non era un'eroe, non era perfetta; era una ragazza ribellata con troppa forza tra le mani, che si divertiva a distruggere tutto. Viveva roteando un'ascia tra le mani e colpendo a caso chiunque si trovasse nel suo cammino. Poi si ritrovava da sola e non ci capiva, di nuovo, più nulla. Era ormai sera quando Thomas si decise a fermare la macchina. Aveva guidato tutto il giorno, senza mangiare e senza fermarsi. Aveva girato tutta la città, imparato ogni via, ogni casa, ogni galleria. Sulle labbra aveva segni rossi, come se per tutto il giorno avesse cercato di strapparsi via il sapore del bacio della sera prima. Nella testa gli rimbombavano le parole di Neumalea. Voleva andarsene, tornare alla sua vita normale, essere affidato ad un'altra Geniet, a una normale che non lo avrebbe ucciso. Perché era questo che stava facendo Lea, lo stava uccidendo. Si fermò a prendere la cena e decise di rimetteri l'auricolare. In quell'esatto istante gli arrivarono delle coordinate attraverso una chiamata d'emergenza. Thomas scattò in piedi, lasciò la cena lì e si rimise in macchina. Si maledì mentalmente per quello che stava facendo, non se lo meritava. In quel momento però, nulla era importante. Sperava solo di arrivare in tempo. Oh Lea. Perché l'hai fatto? Neumalea alzò lo sguardo verso il ragazzo davanti che le stava davanti. Il luogo era come se lo ricordava. Due cerchi concentrici, quello interno che delimitava una grande aiuola, il muretto esterno che creava il cerchio più piccolo quasi una pista di pietra dove i bambini giocavano a rincorrersi. "Ciao Alexander." Lea non sapeva se essere terrorizzata o felice. Alexander era lì, i capelli castani tagliati cortissimi e gli occhi ancora inquietantemente diversi, eppure non sentiva quello che avrebbe voluto provare. Era stata innamorata di lui per così tanto tempo, si era crogiolata nel suo ricordo giorno dopo giorno eppure ora che lo vedeva non provava nulla, sperava solo che Thomas arrivasse. "Ora il mio nome è Alex non te l'hanno detto?" il suo tono era beffardo. "Oh, se è per questo il tuo nome è Alec e tu odiavi i nomi corti." "Sono cambiato." "Lo sono anche io." la loro sembrava quasi una chiaccherata tra due amici che non si rivedevano da tanto tempo "Cambi nome per ogni facciata, ma tu sarai sempre Alec." "E tu Sarah. Che nome insulso, non trovi? Capisco perché hai scelto Neumalea. Così particolare, così unico, così spaziale. Come la tua prima esaminatrice ti ricordi? Trillian. C'entrava qualcuno dei tuoi strani libri. E' da te il nome Neumalea." "Sono sempre stata unica." La ragazza scrollò le spalle. Non l'aveva mai capito il vero motivo del suo nome, eppure lui avrebbe potuto. Conosceva il nome di sua madre. "Oh si, me lo ricordo bene. Come dimenticarlo? Non facevano altro che ripetercelo." la sua voce era piena di sarcasmo "Neumalea. La migliore. Cento per centro fredda logica e quanto te ne vanti! Lo hai sempre fatto." La ragazza incassò il colpo senza controbattere. "Come mai non c'è il tuo giocattolino? Oh si, ti ho seguita. Sorpresa? Ho i miei metodi. Sembrate la coppietta dell'anno quando andate in giro e la discoteca te la potevi risparmiare. Se gli volevi saltare addosso potevi farlo, lui non aspetta altro e nemmeno tu. Certo, pensavo avessi gusti migliori ma..." le sue parole nascondevano una punta di amarezza. Lea rabbrividì, l'aveva veramente seguita. "Thomas non è quello che pensi." la sua voce era fredda. "Thomas." Alexander sembrava deliziato "il giocattolino ha un nome. Lui non è me." le ricordò. La ragazza sentì freddo lungo la schiena. Era la prima cosa che aveva pensato di Thomas e se prima lo pensava con disprezzo, ora ne era felice. Non era Alexander, era meglio. "Sei psicopatico, ma ti vedi? Basta chiacchere ora. Perché sterminare gli italiani?" "Impicciano essenzialmente. Si dice che un italiano mi fermerà." il ragazzo mosse una mano come se infastidito "Tua madre non era italiana? Ops. Unisciti a me, sarebbe alquanto fastidioso doverti uccidere." "Uccidere? Non verrò con te ma tu non mi ucciderai. Siamo amici." "Sentimentalismo? Ti sei rammollita per caso? Non ho tempo." mandò un segnale luminoso e tre uomini bloccarono Lea. "Come?" "Sono droni. Cioè. Ho preso degli uomini e gli ho impiantato il cervello di un drone. La macchina fa il resto. Nessun uomo può competere con te, dea della Guerra. Avevo bisogni di qualcos'altro." Lea si dimenava e ci metteva cos' forza che avrebbe divelto un muro, eppure quegli esseri non si spostarono di un millimetreo. Alexander si avvicinò con una siringa. "A volte una cura deve essere mortale." sussurrò. Lea chiuse gli occhi e aspettò la puntura. Un secondo dopo era libera mentre una furia dai capelli diafani prendeva a pugni Alexander. Gli aveva strappato di mano la siringa e l'aveva lanciata fuori dal muretto. "Scusa il ritardo, c'era traffico!" urlò Thomas mentre lasciava andare il Crirale e correva a disattivare gli esseri. "Figurati stavo solo morendo." Lea si riprese e scaraventò Alec per terra con una facilità indecente. "Hai detto bene. Nessun uomo può competere con la dea della Guerra." Alexander sorrise nello stesso momento in cui Thomas urlò: "E' una bolla spazio-tempo! Via se non vogliamo essere trascinati con lui!" Thomas corse e prese per mano Lea. Ce la potevano fare. Cinque, quattro, tre, due, uno... allo zero saltarono insieme il muretto mentre Alexander spariva dietro di loro. Ricaddero in piedi e Lea si buttò al collo di Thomas. "Sei tornato. Oh Tommy, sei tornato!" Thomas si scansò. "Si." disse abbassando lo sguardo. Era tornato. Se non lo avesse fatto, Lea sarebbe morta. "Scusa." "E' okay." "No, non lo è. Alexander aveva ragione. Mi sono sempre sentita superiore a tutti. Ho sempre avuto il diritto di farlo, solo che con te non posso. Tu non sei tutti. Tu sei pericoloso, ricordi?" alla fine abbozzò un sorriso. Thomas lo ricambiò. "Non dovresti andare in giro con gente pericolosa." le disse, passandole il braccio sulla vita e abbracciandola. Non sapeva se l'aveva perdonata del tutto, ma quella sera andava bene così. In fondo tutte le cose tendevano all'ordine, era entropia.

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Capitolo 19
*** 119 - e comunque le chiamiamo costanti ***


Thomas si svegliò con un gran mal di testa. Era di nuovo sul divano. C'era qualcuno davanti a lui, qualcuno che continuava a muovere le gambe contro la sua vita. Si alzò di scatto. Contatto umano. Odiava il contatto umano di prima mattina. Davanti a lui, con la testa appoggiata al bracciolo opposto al suo, Lea stava aprendo gli occhi. Un secondo dopo aveva tutto sotto controllo e si ricordava perché erano in quella situazione. "Che cosa era? Giuro qualcosa mi ha dato un calcio." bofonchiò tra gli sbadigli, passandosi una mano tra i capelli e scompigliandoli ancora di più. "Ero io. Contatto umano appena alzato, mi da fastidio. E le tue gambe continuavano a stiracchiarsi sulla mia pancia." "Eri comodo." Lea ributtò la testa sul bracciolo del divano. "Perché ci siamo addormentati così." Thomas intuì il punto di domanda a fine frase. "Ieri sera ti ho riportata a casa, deliravi un po'. Ti ho messa sul divano ma continuavi a dire che non ti saresti addormentata se io non fossi rimasto, quindi sono rimasto." "Oh..." la ragazza si tirò su "sei rimasto. Dopo tutto... sei rimasto. Grazie." "Mi hai chiesto scusa ieri sera." le ricordò lui. "Me lo ricordo. Non pensavo bastasse." "Infatti non basta." Thomas sorrise leggermente "Anche se potresti migliorare mettendo in ordine camera tua e ridandomi i pantaloni. E non provare a fare battutacce, è mezzogiorno. E' un orario indecente per le battutacce." "Mezzogiorno è un orario indecente punto!" Lea saltò giù dal divano correndo in camera sua per mettersi qualcosa di decente. Sempre correndo andò in bagno. "Tommy mi tiri fuori la colazione? Pane e Nutella stamattina!" "Se tu non facessi colazione risparmieremmo tempo!" Lea si affacciò dalla porta del bagno con il viso ancora bagnato e il trucco a metà. "La colazione viene prima di tutto! Ho bisogno di qualcosa di schifosamente dolce per iniziare la giornata." "Anche perché tu hai la stessa dolcezza del latte andato a male!" gli urlò di rimando Thomas e lei gli corse da lui a schizzargli l'acqua addosso, poi riempì un bicchiere e glielo tirò sui capelli. "Perché?" borbottò lui. Mezzo bagnato tornò in camera sua a cambiarsi e quando uscì già Lea stava facendo tranquillamente colazione. "Non mi ricordo molto di ieri sera dopo... l'abbraccio. Mi stavi abbracciando?" "Ne avevi bisogno." Thomas scrollò le spalle sedendosi accanto a lei. "Gaabriel ti ha colpito con qualcosa e tu hai iniziato a delirare dicendo che dovevi ucciderlo, lo hai chiamato Alec e continuavi a parlare di espiazione e della stanza numero 42." Lea si girò di scatto. "Deliravo? Come... cosa ha scoperto?" era sconvolta, come se Thomas avesse detto qualcosa di impossibile e, effettivamente, era così. Niente riusciva a intaccare le capacità psichiche di un Agente, nessuna sostanza. Che cosa aveva fatto? Sospirò. "Alec è il suo vero nome, il mio è Sarah se vuoi saperlo, il resto lo sai già. Era il mio migliore amico." Thomas assimilò quelle informazioni senza rendersi conto di quello che gli era stato appena detto. Il vero nome di Lea, erano tre persone a saperlo. Headstrich, Alexander e ora lui. "Raffaele." disse solo lui. "E' un bel nome." "Lo scelse mia sorella per me." Ci fu un secondo di silenzio. "Perché Thomas?" "Non lo so, era come se qualcosa mi spingesse verso quel nome straniero." Straniero. La ragazza alzò gli occhi. "Sei italiano. Tu sei italiano. E' la prima cosa che mi hai detto e io sono stata così lenta da non capirlo." corse in sala trascinando Thomas con lei, accese uno schermo e ci trasferì qualche file. "Alexander ha detto che la cura mortale funziona solo sugli italiani perché dice che un italiano lo fermerà. Lui però non sa che tu sei italiano. Sei tu Tommy! Oh la Storia trova sempre un modo per aggirare tutti. Alec non vuole problemi eppure la Storia glieli crea!" "Ma se riesce a eliminare tutti gli italiani del Ventunesimo io non esisterò più dato che sono nato dopo." "E questa è la beffa più grande! Non lo sa nessuno perché nessuno ci pensa mai. L'Agenzia non si trova in uno spazio-tempo definito. Fluttua in mezzo al continuum in una posizione che non interferisce con il flusso ma che riesce comunque a stare in mezzo ad esso. Chi entra in questa dimensione esiste e non esiste. Se non rimanessimo tutta la nostra vita all'Agenzia non invecchieremmo mai, ecco perché le lezioni da piccolini si fanno in luoghi esterni, ecco perché siamo costretti a stare fuori un po' di giorni all'anno. Io ho diciassette anni secondo il calendario dell'Agenzia ma sono una degli Agenti più vecchi. Ho risolto tantissimi casi mangiando biscotti in camera mia fuori dal continuum. Una volta che tu esci anche solo una volta dal continuum per vivere sopra di esso esisti e basta. E' come se non fossi mai nato, eppure ci sei. Se non sei mai nato non puoi morire." "Immortali come dei." "Esattamente!" Lea colpì lo schermo in un punto. "Alexander avrà anche trovato un modo per intaccare il nostro sistema nervoso, ma ancora non può competere con me. E' genetico, è scritto nei suoi cromosomi e nei miei. Sarò sempre un passo avanti a lui." "Però continuo a non capire, se sono qui e lancia la cura, prenderà anche me." Thomas era perplesso. Aveva seguito il discorso e lo aveva capito, eppure qualcosa gli sfuggiva. "No, te lo dovrebbe iniettare. Tu non fai parte di questo tempo, tu non fai parte nè del Tempo nè dello Spazio, sei qualcosa al di sopra, come tutti noi Agenti. Guarda. Ora noi siamo con i piedi per terra, sottoposti a una certa forza gravitazionale che dipende da una costante k. Così tutti quelli che vivono lo fanno qui e ora e dipendono da queste due grandi costanti unversali lo spazio e il tempo. Lo spazio fuori di loro e il tempo dentro di loro. Sono come due costanti che non possono essere cambiate." Lea si concentrò un attimo e improvvisamente si trovarono a fluttuare leggermente pur senza riuscire distanziarsi troppo dal pavimento. "Cambiando k, cambia la gravità. Si cambia la costante e si può anche annullare." la ragazza fece due calcoli allo schermo e ora volavano tranquillamente per la stanza. "Così si possono annullare anche le due grandi costanti Spazio e Tempo. Non la Storia però perché dipende solo dal flusso del continuum e si trova al di sopra di esso. Tu, io gli Agenti, viviamo indipendentemente dallo Spazio e dal Tempo, come a gravità zero. Quindi possiamo fermarlo." Thomas si massaggiò le tempie. Non erano concetti intuitivi. Sorrise verso di Lea, era proprio un genio. "Buongiorno." le disse scherzando e lei riposto la gravità alla normalità, facendolo capitombolare per terra. "Lea!" brontolò "In ogni caso. Ho capito eh, ma perché chiamarle costanti quando costanti non sono?" "E' un vecchio retaggio. Loro poi non lo sanno che Spazio e Tempo non sono costanti." Lea ammiccò e riportò la gravità a zero ridendo. Amava fluttuare.

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Capitolo 20
*** 20 - il terzo principio della dinamica ***


Thomas si era steso di nuovo sul divano e cercava di assimilare tutte quelle informazioni. Chiuse gli occhi per pensare finché non udì una musichetta dalla cucina. Sbuffò. Era mai possibile che per Lea esistessero solo la camera e la cucina? Mangiava e dormiva. Più che altro mangiava e non per bisogno, un Agente riuscirebbe a stare settimane senza mangiare, ma per gola pura. "Che cosa sai facendo?" le urlò ancora steso sul divano. "Guardo una serie TV." "Una che?" Lea scosse la testa e portò lo schermo in sala. Guardò divertita Thomas e poi si mise a sedere lanciandosi sopra le sue gambe. "Ahhh! Lea!" brontolò lui, poi guardò lo schermo "che è?" "Una roba investigativa, lui è tipo un genio, mi piace come deduce. Mi piace anche come attore." la ragazza fermò l'immagine su quell'uomo dagli occhi ghiaccio e gli zigomi pronunciati. "Manda da capo, ma noi non dovremmo lavorare?" "E' mezzogiorno e mezza, per le due questa puntata è finita, poi lavoriamo." "E il pranzo?" chiese Thomas. Lea gli passò un pacco di biscotti. Thomas fece un verso di insofferenza. "Ma si riproducono da soli? Tra poco esco io per quanti pacchi di biscotti ci sono!" "Zitto e mangia." lo redarguì Lea già incantata da quella puntata piena di misteri, uomini e deduzioni improbabili. "E' tipo un superuomo anche lui?" chiese ad un tratto Thomas. "Uh? Sherlock? No, no, è solo molto intelligente- molto molto intendo. E' tutta logica, per questo mi piace." Per tutto il resto della puntata Lea commentò ad alta voce ogni cosa, dagli zigomi di lui ('Perfetto!'), al cappotto ('ne voglio uno!'), a John Watson ('è proprio un cucciolo d'uomo!'), fino addirittura a Moriarty ('il mio psicopatico preferito...'). Finita la puntata - e i biscotti - i due ragazzi si alzarono, Lea si scrollò le briciole di dosso e Thomas si passò una mano distrattamente tra i capelli. Era piacevole sentirli disordinati, anche se era una cosa strana da pensare per lui. "E' ora di applicare il terzo principio della dinamica!" esclamò Lea facendo sobbalzare il ragazzo. "A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Bene. A cosa ci serve?" Thomas guardò i calcoli sul tavolo. "No Tommy! Non dico nei calcoli, nella realtà. Alexander sarà andato a fare danni da qualche parte e noi lo seguiamo. Ha cercato di uccidermi e ora tocca a me." mentre pronunciava quelle parole il cuore di Lea cadeva in un buco nero di dolore, eppure sapeva di doverlo fare. Non era più Alec, non era più Alexander. Era solo un criminale pericoloso e lei l'unica che poteva fermarlo. "Non sappiamo dove si trova." notò Thomas. La ragazza lo guardò divertita, si inserì il tracciatore nell'occhio e disse: "Dicembre 1801, Bath. Oh, così saluto anche una mia cara amica!" Thomas strabuzzò gli occhi alla parola amica ma si concentrò sul resto del problema. "L'hai tracciato. Ti sei fatta quasi uccidere per traciarlo. Come sapevi che ti avrei salvata?" "Non lo sapevo" Lea scrollò le spalle e lo guardò sorridendo leggermente. "Perché vuoi farti uccidere?" "E' il nostro lavoro." "No. Lea. E' un pericolo del nostro lavoro ma nel tuo caso sembra lo scopo finale!" Lei lo ignorò e lo trascinò in camera sua, poi tirò fuori dall'armadio un abito di mussola verde e uno di seta bianco, in più busti, copribusti, giarrettiere e crinoline. "Naturalmente nella mia tenuta ne ho di più. Si, ho una tenuta a Bath nel 1801 per via di una mia vecchia missione" rispose alla domanda implicita del ragazzo. "Visto che abiterai con me farai mio marito ma non ti preoccupare, non ci si baciava in pubblico all'epoca." poi gli porse l'abito verde. "mi aiuti? Non arrivo ad allacciare il busto dietro." "Chiama qualcuno dall'Agenzia." "Per farmi indossare un abito." Lea lo guardò male. "E poi lì dovrai farlo per forza "Rimanderò con gioia questo impegno." "Ti prego Tommy!" la ragazza spalancò gli occhi e li addolcì. "Non ti spoglierai davanti a me." "E' per questo? Facciamo così io mi vesto per quello che riesco, poi ti chiamo" Thomas annuì e si chiuse fuori dalla camera. Si toccò l'auricolare. "Vestiti da uomo anno 1801, Bath. Gentiluomo ozioso." Il drone arrivò dopo pochi secondi portando guati, cappelli, cravatta, giacca, camicia, pantaloni e un bastone da passeggio. "Ah no questo no." borbottò tra se e se Thomas alla vista del bastone. In verita quegli abiti non gli dispiacevano, erano molto precisi e da damerino. Iniziò a litigare con i pantaloni e alla fine riuscì a capire come si indossavano. In quel momento lo chiamò Lea. "Non posso!" "Si che puoi, io qui sto morendo!" "Fammi mettere qualcosa addosso e arrivo" sbuffò lui infilandosi la camicia e correndo in camera di lei mentre cercava di abbottonarsela. "Ci litighi dopo con i bottoni, adesso mi aiuto con il busto." lo riprese lei. Thomas, non avendo la più pallida idea di cosa un corpetto fosse, alzò lo sguardo tranquillamente per poi arrossire come un peperone alla vista di Lea con una gonna ampia mentre si teneva una camicetta aperta davanti al seno. "No." "Me lo devi abbottonare dietro, non fare il puritano!" "IL che? No guarda non lo voglio sapere." disse Thomas quando Lea aprì bocca di nuovo. "Non hai niente addosso." "Ho la gonna." "Sai cosa intendo." "Non fare il bambino Tommy! Dammi una mano e chiuditi quella dannata camicia." "Mi avevi detto di farlo dopo" protestò lui. "Beh, fallo ora!" Vederlo praticamente senza maglia addosso la metteva troppo in soggezione, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. Aveva visto tantissimi Agenti cambiarsi la divisa eppure solo Thomas gli faceva quell'effetto. "Calma, sei tu quella praticamente in topless." non si allacciò la camicia per dispetto, però si avvicinò dietro di lei e prese in mano il busto tenendoglielo davanti al seno. "E ora?" era visibilmente impacciato. "La camicia va allacciata dietro, poi il busto lo stringi in vita e allacci i nastri." Thomas stava cercando di concentrarsi sui fili invece che sulla schiena di Lea, sulla sua vita, sulle fossette di Venere. Cercò di non toccarle la schiena, impresa pressocchè impossibile e Lea tremò. "Hai le mani fredde" sussurrò. "Scusa" bofonchiò lui rimettendosi al lavoro. Prese poi il busto e lo strinse. "Ancora." "E' già stretto." "Di più." Lui obbedì non capendone il senso, stava quasi smettendo di respirare! "Perfetto! Ora devi allaccirami il vestito sopra!" L'operazione non fu semplice ma Thomas era più rilassato, anche perché Lea aveva qualcosa di più consistente addosso. Era una perfetta signora ottocentesca. Quasi. Prese un'illusione la indossò, poi si guardò allo specchio. Non sembrava lei, non era lei la ragazza che sorrideva gentile e accondiscendente. "No." la voce di Thomas la riportò alla realtà. "Io non sarò fidanzato con una bionda." "Marito, non fidanzato. Allora dimmi, con quae illusione preferiresti vedermi?" "Senza illusione..." sorrise lui. "Sii serio, Tommy." Thomas era serio, ma non lo disse, però le passò un'illusione simile a quella che mettreva in quell'epoca. Capelli neri e occhi azzurri, però non era più rasata da una parte. Lea li acconciò mentre lui si allacciava la camicia e andava a prendere la giacca. "Chi è quella tua amica?" "Jane Ausen. Non mi aspetto che tu sappia chi sia." Indossò un cappellino e sorrise al ragazzo in perfetto stile ottocentesco. Sarebbero stati una meravigliosa coppia e Lea sperava di poter andare ad almeno un ballo. "Io sono Lady Elisabeth White e tu mio marito Lord Nathan Walter White. Chiaro?" poi si toccò l'auricolare. "Pronti per il viaggio nell'iperpazio. 1801, Bath, dimora di lady Elisabeth. Headstritch, sai cosa fare." In un secondo furono sballottati nell'iperspazio.

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Capitolo 21
*** 21 - questione di priorità ***


Atterrarono in camera da letto. Lea si tirò su e si massaggiò la schiena. "Sappiamo viaggiare nel tempo ma non sono siamo capaci di atterrare per bene." "Questa volta niente trasloco eh?" chiese Thomas per poi rendersi subit conto che quello che aveva detto non aveva senso. Non potevano mica portare un frigorifero nel 1801! Si alzò e si sistemò la giacca guardandosi attorno. "Tutta questa precisione è stupenda, mi rilassa". Thomas si avvicinò allo specchio ammirando soddisfatto la sua elegante e distinta figura. Lea intanto era uscita dalla camera per andare a controllare la posta. "Si!" urlò dall'ingresso tornando di corsa verso Thomas. Già le si erano distrutti i capelli, il cappello era finito per terra e si teneva il vestito alzato con le mani. Il ragazzo sospirò visibilmente a quella mancanza di stile. "Cosa?" "Un ballo stasera, un ballo stasera! Vedrai lo adorerai, io amo i balli di quest'epoca. Ci vogliono buone maniere, compostezza, un buon uso della dialettica ed una certa eleganza innata!" la ragazza stava saltellando per la camera sorridendo e facendo volteggiare quell'enorme gonna. "Tutte cose che a te mancano." il ragazzo alzò un sopracciglio e si tolse momentaneamente l'illusione. Era perfetto anche con i capelli bianchi, etereo, composto, elegante. Lea gli fece una linguaccia. "Ti stupirò. Tu invece non sai ballare." "Non è mai troppo tardi per imparare." rispose Thomas porgendole la mano. Stava cercando di perdonarla per le sue parole di quella sera. Lei faceva come se nulla fosse successo anche se ogni volta che lo vedeva aveva una fitta al cuore e lui cercava di sorriderle e di non essere arrabbiato. Lea si stirò la gonna e gli porse la mano, per togliersi l'illusione con l'altra. Le dava fastidio avere una maschera in faccia quando la persona davanti a lei non ce l'aveva. I suoi occhi si accesero di qualche nervatura gialla mentre Thomas la guardava dubbioso. "Oh a volte succede, molto raramente. Ma ora... via alle danze." lo trascinò fino al salotto e iniziò a guidare i suoi passi. Ben presto lui capì lo schema e allora iniziarono a ridere tutti e due mentre ballavano. Era tutto in insieme di piccoli passi, saltelli e scambi di partner; i capelli di Lea iniziavano a chiedere pietà mentre Thomas era ancora impeccabile. Si toccavano a malapena e solo le mani. Era così diverso dall'ultima volta che avevano ballato, dalla musica alta e dal ritmo sfrenato, dai loro corpi così vicini e i loro occhi così distanti. Ora si guardavano, non erano imbarazzati, sorridevano in quelle vesti cosìn particolari e persino Lea sembrava a suo agio, nonostante tutto avresti detto tranne che fosse il suo genere. Sotto un Agente ben addestrato rimaneva comunque una donna che a volte riusciva a fare capolino tra la ragazza ribelle e la fredda evoluzione. Thomas lo notò, notava sempre quei piccoli cambiamenti e sorrise involontariamente. "Quindi Alexander domani?" chiese ad un tratto. Lea smise di ballare. "Lo vedremo stasera. Sa perfettamente che Lady Elisabeth non può perdersi un ballo a Londra, ci sarà anche lui." si riaggiustò la gonna e sospirò. "Che ore sono?" chiese Thomas. Lea si riscosse un attimo. "Tardi tardi tardi tardi tardi. Oh quanto è tardi! Presto che è tardi! Chiama l'Agenzia per la carrozza Tommy, è tardissimo dobbiamo arrivare a Londra!" la ragazza si chiuse in camera. Doveva vestirsi per un ballo dell'Ottocento. Non lei, Lady Elisabeth doveva vestirsi. Per prima cosa si rimise l'illusione, poi cercò un vestito elaborato. Ne trovò uno dorato e bianco, lo guardò e rimase soddisfatta. Elegante, sobrio nonostante il colore e perfetto per una donna del suo rango. "Tommy!!! Il vestito." Stranamente nessuno brontolò ma quando la porta si aprì davanti a lei c'era un drone. "Mi hai chiesto la carrozza e io ho fatto un'aggiunta" urlò Thomas mentre si cambiava abito. Il viaggio in carrozza passò in fretta, anche perché fecero un inventario di tutte le armi che si erano portati dietro, appuntarono un piano di cattura e uno di fuga, e Thomas rimase sconvolto dalla quantità di arsenale che Lea aveva nascosto sulle calze, sotto la gonna, sul corpetto. "E' artiglieria pesante quella!" Lui si era portato dietro solo armi leggere e letali, veleni e piccoli paralizzatori. Li mostrò a Lea accuratamente nascoti sotto la camicia e dietro la cravatta. "E' decisamente il tuo stile, come tutto qui del resto." sorrise leggermente lei. Arrivarono davanti alla tenuta dove ci sarebbe stato il ballo. "Oh, mia cara lady Elisabeth!" "Oh Jane, che piacere! Ci delizierai con una delle tue letture stasera?" Lea fece un piccolo inchino. Miss Austen era invitata solamente in veste di amica sua ed era un'ottima scrittrice. "No stasera no, è un ballo così elegante. Sono al lavoro su un'altra opera, il titolo è Prima Impressione ma non mi convince." "Sono sicura che troverai il titolo adatto, come sempre." rispose lei pensando al suo amato Orgoglio e Pregiudizio. "Questo è mio marito, Lord Nathan." Thomas si inchinò leggermente. "E' un piacere conoscere il marito di lady Elisabeth." "E' onore mio conoscere la donna che ha creato lo scritto preferito di mia moglie." Thomas parlava in quel tono aulico molto facilmente. Prese Lea sotto braccio e si avviarono all'interno. Il salone era enorme e scintillante. Pesanti lampadari pendevano dal soffitto e illuminavano la sala, le grandi vetrate erano coperte da bianchissime tende e le pareti adorne di dipinti e sculture. "Lady Elisabeth!" "Lady Catherine!" Lea esclamò deliziata. "Lasciate che vi presenti mio marito Lord Nathan." Thomas si inchinò in risposta, per poi tornare a guardarsi intorno. C'erano signori e signore di tutte le età ma solo una attirò il suo sguardo. Aveva i capelli rossi raccolti ma dall'acconciatura sfuggiva una ciocca ribelle e gli occhi del colore del mare d'estate quando è illuminato dal sole. Qualcosa in quella ragazza, nei suoi modi di fare, nel suo vestito, lo metteva a disagio. Lea continuava a parlare con la padrona di casa mentre lui non riusciva a distogliere lo sguardo dalla ragazza. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in lei. Voleva andarle a parlare ma era un uomo sposato e non sarebbe stato conveniente, quindi continuò a seguire ogni suo movimento. La ragazza lo guardò un attimo e gli ammiccò divertita. DI nuovo Thomas sentì quella profonda sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato nel modo provocante con cui lei lo aveva guardato, nel modo in cui gli aveva ammiccato, nel suo modo di muoversi. Lei si passò le mani davanti alla faccia e un nanosecondo gli sembrò di aver visto qualcosa di strano, di ancora più strano. "Elisabeth." sussurrò "Beth..." nessuna risposta "Lea!" Neumalea si girò di scatto e sbiancò alla faccia preoccupata di lui. Sorrise a lady Catherine. "Mio marito ha appena visto un suo amico, mi scuserete se lo accompagno a salutarlo." Lady Catherine fece un piccolo inchino e se ne andò. "Che c'è Tommy?" sussurrò Lea. "Alexander non è l'unico Agente che ha tradito e non è solo." le sussurrò, poi le indicò la ragazza. "Vuole farsi scoprire." continuò lui. "mentre la stavo guardando si è girata e si è tolta l'illusione. Quanti nell'Ottocento hanno i capelli ciano? Vuole che sappiamo chi è, potrebbe essere una trappola." "Perché la stavi guardando?" chiese Lea. "Per tutto il cronospazio! Ti sto dicendo che un altro Agente ha tradito e mi chiedi perché la stavo guardando? Le priorità Lea!" "E' una priorità, rispondimi." Thomas sbuffò. "E' carina. E si comportava in modo strano per essere una di quest'epoca." "E' carina?" "Lea la vuoi smettere! Okay che siamo marito e moglie come copertura ma non ci sente nessuno ora!" La ragazza non lo stava ascoltando, guardava solamente la rossa con occhi omicidi. "Carina. Ho il tremendo impulso di rovinarle quel diafano visetto." borbottò Lea a bassa voce non pensando che Thomas sentisse. Thomas la sentì e sorrise.

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Capitolo 22
*** 22 - questione di chimica ***


In un attimo Lea riprese il gentile sorriso e si avviò verso il padrone di casa, lord Norris, trascinando con se Thomas. "Signore, sarebbe un onore per me fare la conoscenza della dama dai capelli rossi, poiché mi sembra di averla già vista ma non vorrei sbagliarmi e preferisco farmi presentare." L'uomo annuì senza fare domande. Quando lady Elisabeth faceva una richiesta tutti si adoperavano per compierla quindi lei e Thomas si avviarono dietro di lui. "Mia cara miss Sophie, lasciate che vi presenti lady Elisabeth e lord Nathan White." "Miss Sophie." esclamò Lea deliziata "Io e mio marito siamo così onorati di fare la vostra conoscenza." sorrise falsamente rimarcando il tono sulla parola marito. La rossa fece una smorfia di rimando a Lea e un sorriso a Thomas. "Il piacere è tutto mio, come mai vi trovate qui?" "Oh, sono balli ai quali mia moglie prende sempre parte con piacere, ed è sempre piacevolmente sorpresa dell'invito." Thomas aveva accompagnato questa frase a maniere squisite e un sorriso disarmante. "E' sempre un esempio di modi e eleganza per tutte le giovani donne." Era un modo velato per dire a Sophie che il suo tentativo di passare per una signorina ottocentesca era miseramente fallito da prima che si togliesse l'illusione, ma lei non sembrò recepire. Lea invece era una maestra del trasformismo, mai avresti pensato che la lady pacata e sorridente era in verità l'Agente ribelle che obbedisce a modo suo. Thomas aveva imparato da lei, l'addestramento e i suoi modi innati lo facevano passare per un vero lord. Sophie stava per rispondere quando fu annunciato l'inizio delle danze. Thomas si scusò con la rossa, prese Lea per mano e la portò al centro della sala dove le coppie si stavano disponendo per il ballo. "Non sa che siamo Agenti. Cioè sa che ci saranno due Agenti questa sera ma non ha capito che siamo noi. ALexander dovrebbe trovarsi aiutanti migliori. Si è tolta l'illusione probabilmente nella speranza di spaventare o incuriosire qualche giovanotto affascinante." disse la rgazza stizzita. Come osava pensare che Thomas fosse affascinante? Lo era ovviamente, ma quella rossa non aveva il diritto di pensarlo. "E questo l'hai dedotto da...?" chiese Thomas facendo i primi due passi di danza. Si allontanarono, si riavvicinarono e quando girarono schiena contro schiena, Lea sussurrò. "Non ha capito il tuo riferimento." poi si riallontanarono "e mi guardava con sguardo vacuo." "E?" "Non è abbastanza sveglia da contraffare lo sguardo, non sa chi siamo." Questa conversazione avvenì tra un passo e un altro, tra un sorriso cordiale e uno scambio di battute banali. Alla fine sorridevano tutti e due, Thomas la prese sotto braccio e lei gli lasciò un leggero bacio sulla guancia. Per quella sera, per quel secondo il resto fu dimenticato. Erano un lord e una lady sposati, felici per sempre. Ma l'idillio è qualcosa di illusorio e la realtà reclama prepotente il suo posto nel presente. "Posso avere l'onore di avere un ballo con vostra moglie, lord White?" Thomas e Lea rabbrividirono impercettibilmente alla vista di Alexander sottobraccio a Sophie. "E io sarò molto lieta di ballare con voi lord." disse la rossa. Thomas fu costretto a seguire gli usi di quell'epoca e accettare lo scambio mentre Lea lanciava uno sguardo assassino a Sophie. "E' sicuro di conoscere veramente sua moglie, lord White? Io e mio fratelli ce lo chiedevamo" chiese lei a ballo già iniziato. "Molto a fondo, miss Hunter. Penso di conoscerla più di quanto immagini." mentre parlva il cervello di Thomas correva veloce. Alexander le aveva detto di Lea ma non di lui e a giudicare dal fatto che non lo aveva nemmeno guardato, non sapeva chi era. Quella sera in fondo era buio e non lo aveva visto bene, probabilmente non lo aveva considerato importante. Brutto errore, la superbia. "Non ha mai voluto fare un ballo ottocentesco con me." sussurrò Alexander a Lea. "Non è mai stato nella lista delle mie priorità, soprattuttoo negli ultimi quattro anni." "Eppure ti sei trovata anche un alibi. Come fai a sopportare un vero uomo di quest'epoca?" Lea represse una risata. Thomas la classe ce l'aveva nel sangue e anche quel vago alone britannico e distaccato che lo accompagnava dovunque andasse. Stava ingannando Alexander. "Invece tu come fai a sopportare un Agente in quel modo stupido?" chiese di rimando Lea. "Può essere utile." rispose, poi fec una cosa che mai Lea si sarebbe aspettata. La attaccò. Andava contro tutte le leggi temporali, logiche e del buonsenso. Lea ringraziò mentalmente i suoi riflessi e schivò il colpo di spada. Almeno l'arma non era cronologicamente sbagliata. La ragazza reagì e gli diede un calcio sul mento con il ginocchio, facendolo cadere per terra. Nello stesso istante in cui Alexander attaccò Lea, Thomas si lanciò verso di lei, ostacolato da Sophie che però non sapeva di avere davanti un Agente e Thomas era palesemente più addetsrato di lei. "Sono due" urlò Sophie. "Dannazione!" imprecò Alexander tirandosi su. In mezzo al caos generale Lea e Thomas uscirono. "Copertuta bruciata, ripeto: copertura bruciata." disse all'auricolare. "rimozione della memoria a chiunque abbia visto anche solo una volta lady Elisabeth e lord Nathan. Se dico rimozione della memoria è un ordine! - passami Headstritch. Dannazione non mi interessa se è un problema, risolvilo! Voglio la rimozione della memoria! Ah e, Headdy, ne abbiamo un altro che ha tradito. Cerca Sophie Hunter" Alexander e Sophie uscirono. Alex si buttò subito ad attaccare Lea ma fu fermato da Thomas. "Neuma vedi che carino? I tuoi due ragazzi che combattono. Uno per la tua vita e uno per la tua morte, però." "Oh zitto Alec! Tu non sei mai stato il mio ragazzo!"Lea era impegnata con Sophie. La Crirale era una discreta Combattente ma nulla in confronto a Lea. Provò a darle un calcio ma la mancò e Neuma rispose con due pugni ben assestati e la sbattè sul muro. Non so se voi avete mai visto due ragazze combattere. Ecco, toglietevi dalla testa quelle scene perché non sembravano donne, sembravano automi da guerra iperpotenziati. E non rende l'idea. Sophie scivolò in basso cercando di farle uno sgambetto ma Lea saltò e le diede un calcio, puntandole la spada contro. Colpiva con cattiveria, per riuscire a sfregiare quel corpo perfetto quel viso carino. A Thomas non stava andando in quel modo bene, Alexander era forte e arrabbiato perché dava inconsciamente a Thomas la colpa di tutto. Era sicuro che se quel ragazzetto non fosse comparso, Lea sarebbe andata con lui. Probabilmente aveva ragione anche se la Storia avrebbe avuto da ridire e avrebbe cambiato di nuovo tutto, facendoli incontrare. Non combattevano per la salvezzadell'umanità, non veramente. I loro erano interessi personali, gelosie e ripicche. Si potrebbe inorridire al pensiero delle nostre vite nelle mani di Agenti così, ma Lea e Thomas erano unici. La logica e il sentimento, tutti e due ribelli nello spazio a loro concesso. Cosa sarebbe successo se fossero usciti dal loro spazio? La vera salvezza del mondo o la sua distruzione finale? Eppure è inutile porci questa domanda, Lea e Thomas erano al servizio dell'Agenzia. Alexander colpì Thomas con la spada sul viso, dall'occhio fino al collo. Fu un attimo, come se il tempo si fosse dilatato per lasciare a tutti i secondi per comprendere quello che era successo. Thomas urlò. Quello non era metallo normale e Lea se ne accorse troppo tardi. "Trasferimento spazio-temporale. Riportatemi nel ventunesimo - idioti ho un ferito, ora trasferitemi o la prossima volta che mi vedrete sarà l'ultimo giorno della vostra vita!" Corse verso Thomas e lo prese prima che cadesse per terra. Un secondo ed erano a Perugia mentre i due Crirali ancora nell'Ottocento. Lea corse a prendere il kit di soccorso, analizzò la ferita e trovò il modo di fasciare e far cicatrizzare lo squarcio salvando l'occhio. Thomas continuava a lamntarsi impercettibilmente e la ragazza provò un moto di odio verso ALexander, un odio che mai avrebbe creduto di poter provare per lui. Quello era acciaio bombardato e al suo interno erano presenti sostanze chimiche che corrodevano la pelle umana. Era un'arma sperimentata appositamente per distruggere gli Agenti. Thomas guardò Lea, poi fu tutto nero. Quando si svegliò la casa era invasa dalle urla di due donne. Una era LEa e l'altra Headstritch. "No." "Io lo ucciio, lo uccido! Lo torturerò finchè non implorerà in lacrime la morte. Lo torturerò con la stessa lama che ha osato colpire Thomas!" questa era Lea. "La tortura è illegale, cresci!" "L'ha colpito! Ha osato colpirlo!" "Gli Agenti vengono spesso colpiti. Non mi sembra un buon motivo per ucciderlo." "lo è!" "Non farti trascinare dai sentimenti che provi per lui, saranno la tua rovina." "Questi non sono affari tuoi. L'ha colpito con l'acciaio bombardato, quella cicatrice gli rimarrà per sempre. Io ucciderò Alec e tu non mi fermerai. Se proverai a ostacolarmi farò così tanti danni tra le epoche che l'AGenzia stessa ne uscirà distrutta. Se esiterà ancora." "Stai minacciando l'Agenzia?" "Si." Headstrich la guardò e se ne andò. Neumalea era più importante della vita di un Crirale e lei doveva accettare certi patti. Thomas chiamò Lea e lei si catapultò da lui. "Sei sveglio, sei sveglio!" "Quanto...?" "Un giorno. Le tue cellule hanno lavorato ininterrottamente ma la cicatrice rimarrà." "Non devi ucciderlo." "Si, ti ha colpito." Lea gli passò la mano lungo quella che era già diventata una cicatrice. Era bello anche così, ancora più bello di prima e lei era stata così lenta, così stupida a non capire che era lui, era sempre stato lui. Non ALexander, non quell'emozione momentanea ma Thomas, il sentimento, qualcosa duraturo, intenso, strano. Quante scuse gli doveva! Lo abbracciò, lui la strinse e Lea pensò che avrebbe potuto passare il resto della sua vita tra quelle braccia. Thomas era sorpresp ma affondò il viso nel collo di Lea quasi a voler nascondere la ferita. Lei sapeva di buono e di biscotti. Era così minuta, la circondava completamente con le braccia. "Non sono così importante." "Lo sei di più." rispose Lea. Thomas le baciò il collo delicatamente, risalendo piano fino alla guancia. L'avev salvato, voleva uccidere Alexander per lui, era importante. Guardo un attimo dentro quelle iridi arancioni e si sentì annegare. Per una volta non pensò, lo fece e basta. Le prese le labbra in un bacio intenso e contraddittorio; era bisogno di averla, di sentirla, di possederla e insieme era un donarsi totalmente a lei. Erano le scuse che aveva accettato e la speranza che fosse qualcosa di più di quel momento. La tirò sul letto e lei gli passò le mani intorno al collo, poi gli accarezzò la schiena. "Sei così bello..." gli sussurrò, poi arrossì. Non era da lei ma quelle parole le erano uscite spontanee, come se premessero di uscire da troppo tempo. Ricambiò il bacio, sentendosi annegare e contemporaneamente sapendo che quelle labbra l'avrebbero salvata.

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Capitolo 23
*** 23 - il passato 4 - come bianco samguinante ***


Neumalea spegneva la candelina sulla torta dei suoi dieci anni. Alexander era davanti a lei sorridente. Erano solo loro due, Lea non aveva altri amici; i ragazzi della sua età la scansavano pieni di invidia e rancore e quelli più grandi non volevano avere a che fare con una bambina che avrebbe potuto batterli. Il suo addestramento era quasi completato, stava per diventare la più giovane Agente di tutta la Storia. Il ragazzo le porse un pacchetto mentre lei divideva la torta in due. Lo guardò felice e lo abbracciò. «Sempre insieme, è una promessa.» «Sempre insieme!» rispose lui ricambiando l'abbraccio. Lea scartò il regalo. Era una mini schermata come quella che avevano gli Agenti veri, e sullo sfondo c'era una loro foto. «E' stupendo!» I ragazzo annuì fieramente. Ci aveva pensato tanto e quello gli era sembrato il migliore da farle. Lea adorava quegli affari tecnologici e già sapeva usarli, mentre tutti gli altri della sua età avrebbero iniziato l'anno dopo. «Come è addestrarsi da Agente?» le chiese infatti lui, guardando Lea usare la schermata. C'era una punta di invidia in quella domanda, nel sentirsi sempre un po' di meno, nel guardare Neumalea fare miracoli e lui fare giochetti; era però ancora troppo piccolo per accorgersene. «Normale, cioè... è dura all'inizio ma impari un sacco di cose interessanti.» rispose lei. Era così felice di avere Alexander accanto a lei. Le giornate del suo addestramento si erano susseguite monotone e dolorose, gli esercizi, i problemi mentali che aveva appreso non erano adatti a essere impartiti a una bambina ma a nessuno sembrava interessare. A loro importava soltanto vederla volare, osservarla manovrare gli elementi, seguirla mentre si confondeva tra le varie epoche e assistere sbalorditi a ogni suo trionfo. Aveva passato tutti gli esami la prima volta, mai rimandata, mai bocciata, mai nessuno aveva avuto da ridire su come faceva le cose. Un robot perfetto, ecco cosa era. Non mostrava sentimenti, emozioni, nulla. Solo con Alexander si scioglieva un po', con quell'angelo che non aveva avuto paura del mostro. Perché Alexander era un angelo, eccome se lo era. I capelli gli ricadevano ordinati davanti alla faccia, i suoi occhi erano dal taglio dolce, nonostante facessero venire il mal di testa, aveva sempre il sorriso. Sempre. Quando gli stavi vicino ti sentivi in pace con il mondo. E ALexander voleva veramente bene a Lea, a quella strana ragazzina che continuavano tutti a pressare mentre lei avrebbe voluto solamente vivere la sua vita. Prese il suo pezzo di dolce e se lo mise in bocca, facendo cenno a Lea di fare lo stesso. Neumalea provò quel dolce e sorrise. «E' buonissimo, dove lo hai preso?» «Sgraffignato in una pasticceria vicino casa mia, nel ventunesimo. Si chiama ciaramicola.» Lea si mise in bocca un altro pezzo di quel dolce rosa sormontato da uno strato gigante di glassa bianca e codette. «E' vietato tornare a casa.» gli disse con la bocca piena, anche se non le interessava veramente. Nessuna regola le interessava veramente, le seguiva per quieto vivere e spesso trovava il modo di aggirarle. «Lo so.» il ragazzo fece spallucce e le rivolse un ghigno. A differenza di Lea, Alexander amava infrangere le regole e adorava far imbestialire i suoi superiori. Era bravo a scappare e a nascondersi, i Professori potevano cercarlo per ore in un posto senza trovarlo, finché lui non decideva di uscire allo scoperto. Adorava la sua epoca, anche se era vista come uno dei periodi più bui. Era un'epoca distruttiva, nella quale la disperazione regnava sovrana e tutti cercavano di lasciare un segno nel mondo senza riuscirci. Eppure aveva un fascino tutto suo al quale nessuno aveva ancora resistito. Il Ventunesimo era una trappola e una salvezza allo stesso tempo, questo tutti gli Agenti lo sapevano.. Lea lo abbracciò, scoprendo sul braccio il suo primo tatuaggio, un AA+ nero. Aveva passato anche l'ultimo esame, era Agente. «Ti voglio bene, Xan! Tanto tanto bene!» Si stesero sul letto, giocarono con la nuova schermata di Lea e per un po' si ritagliarono un pezzo di quell'infanzia a loro negata. Durò poco. "Agente Neumalea." "Trillian..." la bambina si girò e fece una smorfia alla sua esaminatrice. "E' il giorno del mio compleanno." "Auguri. L'ultimo test è fissato per oggi, esperienza sul campo." Alexander fischiò e si prese un'occhiataccia dalla donna e dalla bambina. "Alexander torna al dormitorio, Agente." fece un cenno di rispetto a Lea. "seguimi." La bambina la seguì distrattamente e Trillian le passò l'auricolare. Era un semplice puntino di metallo da mettere sul lobo dell'orecchio. Neumalea aveva visto giovani Agenti portarlo in fondo a qualche pendente, orecchino o in mezzo a strani tatuaggi sulle orecchie. Era una moda. eppure a lei non diceva niente. Si posizionò l'auricolare e ascoltò. "Verrai mandata nel 1996 a Foggia in Italia e lì ti sarà detto chi dovrai uccidere." le disse una voce metallica all'orecchio. Lea non era sorpresa, lo aveva capito. Come prova finale facevano uccidere un uomo, un colpevole di qualche reato. Così ripulivano la piazza dai piccoli criminali e facevano la prova del nove ai neo-Agenti. Non le avrebbe dato fastidio uccidere un criminale e loro lo sapevano. Quella prova però era stata creata per mettere in difficoltà i ragazzi, che di solito impallidivano davanti alla parola uccidere. Per Neumalea sarebbe stato diverso. Le passarono una gonna lunga fino al ginocchio, una camicetta, parigine a righe e delle graziose scarpe di vernice. La bambina indossò tutto e si mise la sua prima illusione. L'aveva chiesta esplicitamente. Capelli castani e occhi azzurri, come sua madre. Le diedero anche un'arma, un pugnale di acciaio bombardato intriso nel veleno. Era un pugnale veramente particolare, molto letterario. L'elsa era tutta intarsiata, al suo centro c'era una rosa che perdeva i primi petali, di quel rosso innaturale che solo il sangue può avere e tutto intorno piume candide sporche di sangue. Era una rappresentazione un po' macabra, soprattutto le piume così bianche dipinte di rosso antratti per rendere più realistico l'intarsio. La prima uccisione avveniva sempre a mano eppure Lea rimase un po' perplessa davanti a quell'arma. "Distorsione dell'iperspazio tra tre, due, uno..." Per Lea era il primo viaggio. Certo, aveva fatto le simulazioni, ma pensare di andare veramente in un'altra epoca a compiere una missione per l'Agenzia la faceva un po' tremare per l'emozione. Era Agente, il più giovane Agente mai esistito e il più dotato. Arrivò davati a un'immensa costruzione di archi al cui interno c'era un parco. "Questa è la Villa." disse la voce di Trillian dall'auricolare. "Tu devi attraversare la rotonda, andare a destra e entrare dentro al negozio Ore Liete. Vende abiti da sposa." Lea si sitemò la giacchetta e fece come le era stato ordinato. Nel frattempo si guardava intorno, osservava lo scorrere della vita quotidiana, le persone che correvano indaffarate o che passeggiavano lentamente, automobili che si susseguivano senza un ordine apparente, due ragazzi in un motorino senza nulla in testa e - Lea ne era sicura - era contro le regole ma quella che aveva individuato come polizia si girò facendo finta di niente. Camminò lungo il marciapiede e attraversò la strada finché non si trovò davanti al negozio. Dentro c'era una bella ragazza dai capelli scuri con un'amica un po' più bassa di lei. "Marinella si sposa, meh! Sarai la più bella sposa del mondo. Solo così lontano te ne vai, poi scenderai ogni tanto? Al nord te lo sei trovato l'uomo. E' simpatico, giuro e tu sei così tanto felice ma quando ci vedremo?" la ragazza più bassa aveva detto tutto questo senza riprendere fiato e strascicando le ultime parole della frase. "A' Tizià, nun te preoccupare okay? Adesso aiutami a scegliere l'abito." la ragazza era veramente bella. Non era altissima, era magra e aveva gli occhi tra il verde e il grigio, tutti luminosi. Non era truccata ma era così bella che non ce n'era il bisogno. "Ma estate è, meh! A Gennaio ti sposi, te pare! Lassù che fa un freddo che si muore!" Dietro una fila di abiti, spuntò una signora distinta con gli stessi capelli della ragazza chiamata Marinella. "Prova questo, bella di mammà. Uno splendore sei. Perché devi andare da quello al nord!" "Sta al centro, mamma!" protestò la ragazza che si doveva sposare. La donna non volle sentire ragioni. "Sentila anche a Tiziana, è d'accordo con me. Venite giù, almeno aspettate un altro poco per sposarvi, nemmeno un anno di fidanzamento è!" "Mammà, lavora lui. Famme provà questo abito che mi piace!" In quel momento Neumalea distolse lo sguardo e si concentrò su quello che doveva fare. "Il commesso." disse la voce metallica. "Che ha fatto?" chiese Lea a bassa voce. "Niente, è un innocente." "No." "Agente, obbedisca agli ordini." "No." Nel cuore di Lea si era aperta una voragine. Un innocente. Così anche lei aveva un cuore, così era quello il dolore? No. Non era dolore, era rabbia. Era un grande perché. Perché un innocente, perché lei, era una bambina! Lo pensava sapendo che non era vero, non era una bambina, ma uccidere un innocente era un'atrocità che nessuno dovrebbe mai compiere. Guardò il commesso sorridere gentile alla ragazza che aveva scalto il vestito da sposa e che stava uscendo dal negozio, salutarla con la mano e augurarle buona fortuna. Lo guardò sistemare in giro il negozio e aspettare un altro cliente. Non ci sarebbe stato nessun altro cliente. Lea chiuse le porte del negozio e seguì l'uomo in bagno. "Scusi..." disse con la sua vocetta ancora da bambina mentre nascondeva l'arma dietro la schiena. Non erano esattamente questi gli ordini, avrebbe dovuto ucciderlo senza farsi vedere ma era le che voleva vedere. Voleva sapere come ti guarda un innocente mentre lo uccidi. Non farlo sarebbe significato che era fuggita, che aveva trovato una scappatoia, una scusa e lei non voleva. Quegli occhi le sarebbero rimasti impressi per tutta la vita, avrebbero popolato i suoi incubi, se li sarebbe trovati davanti la mattina e poi la sera prima di coricarsi, l'avrebbero inseguita in tutte le sue missioni. Prese il coltello in mano e infilzò l'uomo nel punto esatto del cuore in cui sarebbe morto prima. Poteva solo cercargli di dare meno dolore possibile. "Scusa..." gli sussurrò mentre una lacrima, una sola lacrima le rigava la guancia e la rabbia cresceva dentro di lei. Si asciugò la guancia. "Missione compiuta." disse con voce atona all'auricolare. Missione compita, continuava a ripetersi nella testa, la sua prima missione, la sua prima vittoria ed era distrutta.

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Capitolo 24
*** 24 - caccia al tesoro ***


"Quindi che si fa?" chiese Thomas alzandosi dal letto e dando un leggero bacio sulla bocca a Lea. Lei sorrise involontariamente. Non sapeva esattamente cosa erano, ma gli piaceva. Mai due Agenti erano stati insieme in quel senso, quindi loro non è che si potevano definire fidanzati o altro, eppure Thomas le aveva appena dato un bacio così intimo e quotidiano. "Te l'ho detto. Lo uccido. Però mi serve l'arma giusta." "Cioè?" "Un'arma che invoca vendetta dal suo primo utilizzo, una lama che deve lavarsi da sangue sporco. Hai letto il mio fascicolo Tommy, sai cosa successe." Lea corse in camera sua e aprì il baule delle armi. Ci si buttò dentro e iniziò a lanciare sul pavimento buona parte dell'arsenale finché non uscì trionfante dall'immensa cassapanca con un involucro di vecchia pelle. "Mi aspettavo una teca, un bauletto a parte..." Lea sbuffò "Perché avrei dovuto farlo?" poi tirò fuori il pugnale e se lo rigirò in mano, giocherellandoci e lanciandolo in aria, poi lo passò a Thomas "Attento è acciaio bombardato." "E' un pugnale! Nemmeno una spada, uno spadone, una scimitarra. Ecco, una scimitarra sarebbe stata interessante. E' un pugnale!" "E allora? E' letale e se ti piacciono tanto le scimitarre ce ne ho una magnificamente intarsiata nel baule." la ragazza scrollò le spalle. "E' lo stesso del tuo tatuaggio. Il disegno sull'elsa del pugnale." Thomas era incantato e allo stesso tempo si chiedeva quanto ancora di quell'antico dolore Lea si portava dietro. "Si ma senza tutto quel sangue..." ci aveva pensato bene, quando era andata a fare quel tatuaggio. Lo aveva voluto pulito, come se l'orrore fosse già stato lavato. "Perché sopra l'occhio? E' un posto alquanto inconsueto... il collo, la schiena, il polso, la spalla, la caviglia sarebbero stati più normali. Oh beh, okay ho capito." Thomas rise alla faccia che aveva appena fatto Lea. Ovvio, normale. Lea non lo era mai stata, era qualcosa di estremo, di diverso, di fuori le righe. Quel giorno aveva intenzione di uscire con un lungo cappotto nero e un rossetto così forte che sarebbe potuta anche sembrare Lisbeth Salander se non fosse stato per un cappello a falda larga e dei decoltè così eleganti da creare un outfit perfetto per passeggiare nelle grandi vie della moda, non in un quartiere malfamato di una Perugia del Ventunesimo. Era veramente uno schianto, elegante, impeccabile, ogni elemento era al suo posto e lei mostrava una grazia che mai lui le aveva visto addosso. Fu questa la cosa che lo folgorò di più, la grazia di cui nonostante tutto era capace, la delicatezza con la quale si muoveva su quei tacchi vertiginosi. "Dove andiamo?" chiese infatti Thomas. "A litigare con Headstrich, di nuovo." sbuffò Lea. "Non è solo il capo dell'Agenzia, ma è anche una delle direttrici di una nota rivista femminile di moda. E per andare a parlare con lei serve un certo... stile." Lea si sistemò allo specchio quell'immenso cappello che le copriva metà faccia e si ripassò il rossetto, poi prese un paio di orecchini di giada. "Ci vuole un po' di colore con un total black, e questi riprenderanno perfettamente il cinturino della borsa che sta... la borsa! Dove sta la mia Gucci?" "Questa?" Thomas le tirò una pochette nera con il cinturino oro e verde acqua. "Non tirarla! E' una Gucci!" sbraitò Lea, per poi ricomposi e toccarsi l'acconciatura "vedi di vestirti per bene, non è una tortura per te. Ah, il nome di Headstritch qua è... Francesca Delogu. Certo che un cognome migliore poteva trovarselo. Vabbè... ci sei?" Thomas fece capolino dalla sua camera. Era completamente in nero anche lui, persino la camicia era di quel colore, anche se lucida e la giacca gli stringeva perfettamente in vita. "Balenciaga." disse Thomas aggiustandosi il gel suo capelli tirati all'indietro mentre una ciocca studiata gli ricadeva davanti al viso. "Spero che con questo completo mi farò perdonare la cicatrice." agguantò un cappotto e si preparò ad uscire. "Portatemi a Milano, dicembre 2016, sede della Cosmopolitan." sussurrò Lea all'auricolare mentre si spruzzava un po' dell'intramontabile Chanel n. 5, poi si ritrovarono in una strada immersa nella nebbia e nelle luci natalizie. "Vieni con me!" lo trascinò davanti a un palazzo enorme, ticchettando sul marciapiede sull'atrio e avvicinandosi a un uomo in uniforme. "Siamo qui per la signora Delogu." "La signorina e il suo accompagnatore hanno un appuntamento?" "No" rispose Lea. "La signora Delogu è molto impegnata e non riceve visite in questo momento." Lea si tolse il cappello e socchiuse gli occhi, guardando l'uomo attraverso lo spesso strato di mascara steso perfettamente sulle ciglia, poi gli mise il cappello e il cappotto in mano. "Lo metta dove mettete di solito quelli degli ospiti importanti, Thomas, vieni con me." "Mi ha preso per un fattorino?" sbraitò l'uomo attirando l'attenzione di non poche persone nella sala. Era proprio quello che Lea voleva. "No" disse alzando un po' la voce "Ma vista l'urgenza della visita mi farà questo piacere, non posso presentarmi alla signora Delogu con il cappello in mano. E ora, se vuole scusarmi..." Thomas sorrise dentro di sé, era sempre Lea, che riusciva a ottenere tutto quello che chiedeva. Lasciò il cappotto all'uomo e la seguì nell'ascensore e poi nel caos di corridoi che si intersecavano per l'edificio. Spalancò decisa la porta e si trovò davanti Headstrich in riunione. Non si lasciò per questo intimidire, indossò il suo miglior sorriso e cinguettò: "Mia cara Francesca, mi dispiace interromperla in un momento così poco opportuno..." "...ma il problema che dobbiamo esporle è di una certa rilevanza" cointinuò Thomas "e..." "Ho capito, tutti fuori." sbuffò la signora vestita di azzurro quel giorno. Poi si rivolse a Lea: "Vedo che questa volta almeno i vestiti sono accettabili" "L'ultima volta avevo gli shorts e un top" sussurrò la ragazza a Thomas facendolo ridere. Headstrich sbuffò. "Cosa volete?" "Ho bisogno che mi riapra il varco per l'Ottocento." "Cosa?" esclamarono insieme Thomas e Headstrich. "Quella zona è off-limits per te ora." continuò il capo dell'Agenzia. "Se vuole vedere il globo terrestre implodere..." continuò Lea sarcastica. "Cosa cerchi li?" "Il prossimo indizio. Alexander sta giocando e noi non possiamo far altro che cercare di raggiungerlo in tempo." poi tirò fuori dalla borsetta un foglietto di carta "me lo ha messo in tasca lui mentre combattevamo. Sono coordinate spazio-temporali di Bath ottocentesca mentre la carta dove sono state scritte è stata prodotta nel Ventunesimo, ho controllato." "Quindi è molto probabile che nell'Ottocento, a quelle coordinate ci sia un altro foglio di carta con altre coordinate." finì Thomas per lei. Solo non capiva perché non gliel'aveva detto. Headstrich sospirò: "Quindi ti devo lasciar andare per forza..." "Già." "Ricordati che l'amore porta a fare le scelte sbagliate. Per questo scoraggio le relazioni tra Agenti." Lea storse la bocca e la serrò. "L'amore fa fare scelte coraggiose." ribatté Thomas. "Scelte stupide. Andate." Lea non se lo fece ripetere due volte, prese e uscì dalla stanza, mentre Thomas salutava con un cenno del capo Headstrich. "Mette un po' soggezione" le disse quando furono di nuovo dentro l'ascensore. "A me fa solo innervorise." "Perché non mi hai detto del foglietto?" "Perché l'ho analizzato in ascensore" rispose lei mentre Thomas andava a riprendere i cappotti e insieme uscivano in strada. "Allora perché siamo venuti qui se ancora..." "Voglio il libero accesso a tutte le epoche, sempre. Questa è una cosa sulla quale non discuto mai." Thomas scoppiò a ridere. Era stata tutta una questione di orgoglio. Tornarono a quella che avevano iniziato a chiamare 'casa', quell'appartamento fatiscente nel Ventunesimo. "Dovresti vestirti più spesso così..." le disse Thomas, squadrandola seduto sul divano. "Ti piace?" chiese lei mentre si accendeva una sigaretta. "Ha un certo livello di stile non indifferente." Lea buttò il fumo addosso a lui e sorrise, facendo contrasto tra il rossetto rosso e io bianco dei suoi denti, poi si tolse l'illusione. "Io la chiamo classe." "Sbruffona" la canzonò Thomas. Lei lo baciò.

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Capitolo 25
*** 25 - la pericolosità di due elementi incompatibili ***


Lea si staccò dal bacio. "E' comunque classe." "Anche il fatto che sei una sbruffona?" Thomas alzò un sopracciglio e sorrise, guardandola come se fosse una dea mentre si passava una mano sul collo. "Che poi sono io quello che ha classe qui. Sempre." "Effettivamente potrei iniziare a vestirmi più spesso così, almeno le persone la smetterebbero di chiedersi cosa ci fa un damerino in comagnia di una ragazza che sembra uscita da un film horror... oppure potresti vestirti tu da punk, o da rocker o da qualsiasi altra cosa di estremo. Anche street style funzionerebbe. Ti ci vorrei vedere almeno una volta." rispose Lea cercando di concentrarsi sulla frase e non su Thomas, che con quel completo addosso l'avrebbe fatta impazzire. "... senza considerare che senza i chili di trucco nero intorno all'occhio riesco anche a vedere quelle stupende iridi arancioni. Eh?" aggiunse poi "Street style? Stile da strada? Punk? Lea non mi metterò la matita sotto l'occhio se è per questo!" "Ti piaccio senza trucco?" "Certo che mi piaci senza trucco, dannazione Lea sei un'Agente, non un'adolescente." imprecò Thomas senza riucire a stare serio. "Tecnicamente sono un'adolescente... okay, okay, non guardarmi male. E poi no, niente trucco sull'occhio, io pensavo più una cosa casual, una t-shirt un po' larga, jeans larghi, sneakers, cose così..." "Quel cose così mi lascia vagamente perplesso. Comunque mi ci vestirò quando torneremo nel Ventunesimo." "Promesso?" Lea lo guardò seria. "Quando torneremo. Dopo che tutto sarà finito torneremo qua. Noi due." "Noi due." Thomas le passò una mano sui capelli, facendo cadere l'elaborata acconciatura che nascondeva la parte rasata. "Stanno ricrescendo. Prima sembrava proprio come se non avessi capelli, ora invece senti, è fantastico passarci la mano attraverso!" La ragazza rigirò la parte a destra verso sinistra, in modo da nascondere la rapa. "Ora sembro più normale?" "Sicuramente più adatta al 1801... poi definisci normale. Normale è noioso." fece un giro su se stesso e mentre camminava verso la camera gridò: "Dimmi quando hai bisogno di una mano per il busto!" "Ah, ora vuoi aiutarmi, eh?" gli corse dietro Lea. Thomas fece capolino dalla porta e le fece l'occhiolino. "Certo, cara." L'abito di Lea era molto più sobrio di quelli di lady Elisabeth, soprattutto era da giorno quindi molto meno ingombrante. Mentre camminavano verso il luogo indicato dalle coordinate a Thomas venne un dubbio. Stava sottobraccio a Lea, mentre lei si muoveva tranquillamente dentro quell'abito verde come se ci fosse abituata e come se non lo odiasse. Già si immaginava quanto le mancavano i suoi pantaloni. Passò un signore che avrebbe dovuto conoscerli, eppure fu come se non li avesse mai visti. "Ma se è stata rimossa la memoria, non hanno un buco di alcuni giorni in testa?" Lea ridacchiò. "Dovrebbero, eppure no. Questa è una delle prove portate da un gruppo di ricercatori che affermano che l'entità che noi chiamiamo Storia, è un'entità pensante. Va preso tutto un po' con le pinze ma questo non si può negare. Tutti loro non conoscono Neumalea o lady Elisabeth, ma conoscono una certa lady Susan o lady Margaret o lady non so cosa che è stata con loro un tempo, magari la durata delle sue vacanze e che poi è tornata a casa sua. O è morta. O scomparsa. Questo non lo fa l'Agenzia, lo fa la Storia da sola. Bel mistero eh? Questo non te lo insegnano alla Scuola, ti vogliono far credere che l'Agenzia è onniscente, quando sono tante le cose che non sa!" "Oh." rispose solo il ragazzo cercando di assimilare tutto. Iniziava a capire perché Lea non aveva mai contatti con nessuno. Sapeva troppe cose, era pericolosa, avrebbe potuto ribaltare l'Agenzia. Il fatto che fosse misantropa e sociopatica di suo era solo stato un vantaggio che i capi avevano sfruttato al meglio. Meno persone venivano a contatto con Neumalea più le loro menzogne e il loro castello di carta rimaneva in piedi e contemporaneamente alimentavano la leggenda e diventavano sempre più famosi. Lui era stato affidato a lei perché era un altro problema, glielo aveva detto Lea, era troppo empatico, troppo profondo per le macchine perfette che sarebbero dovuti essere gli Agenti. Speravano di creare i due misantropi perfetti, i due sociopatici che avrebbero alimentato il mito dell'AGenzia e non avrebbero dato problemi con il loro anticonformismo. "Oh." ripetè. La ragazza si girò verso di lui e un guizzò attraverso gli occhi resi azzurri dall'illusione. "Hai capito tutto vero. Io ti ho raccontato della Storia e tu sei arrivato fino a..." "I due sociopatici perfetti, i due grandi che stanno lontani e non creano problemi." "Io ci sono arrivata essendo in possesso di molte più informazioni e esperienze delle tue. Sei veramente pericoloso." poi si fece seria. "Eccoci." Davanti a loro si estendeva un prato immenso, era tutta campagna, completamente campagna inglese vuota e splendida. Erano tutti e due perplessi, soprattutto Lea, che non capiva perché Alexander avrebbe vovuto trascinarli di nuovo nell'Ottocento. "Oh certo, è così ovvio." esclamò THomas. "Cosa?" chiese lei stizzita dal fatto di non esserci arrivata. "Spostati da lì Lea, le coordinate sono esatte, ci dicono un punto esatto, di un esatto anno, mese, giorno. Lea sotto i tuoi piedi." La ragazza alzò la scarpa e si chinò a raccogliere un foglietto spoco di fango. "SI legge?" chiese Thomas. "Perfettamente." disse, poi si avviò verso la tenuta messa a loro disposizione nell'Ottocento. Era lì vicino, solo venti minuti di camminata. "Dove?" "1223, pieno Medioevo. Francia. Io odio il Medioevo, la donna che veniva trattata in quel modo, quegli insulsi poeti che la vedevano come una dea e che però inorridivano al solo pensiero di sfiorarla, dannazione! E quella mentalità così retrogada. Poi tutte quelle guerre senza senso, fatte così perché ai signorotti andava! Alexander sa quanto odio quel posto!" "È per questo che sei così nervosa?" le chiese Thomas conoscendo già la risposta. Se si concentrava un attimo poteva capire quello che Lea intendeva con pericoloso. Lui capiva, intuiva. Ed era una cosa che gli piaceva, dava un'insolita sensazione di potere. "Sai che Alexander mi innervosisce." "Non rimaniamo nemmeno per una notte qua in mezzo al nulla, da soli?" le chiese lui sorridendole e trascinandola verso di se in maniera poco consona a un gentiluomo dell'Ottocento. Lea si allontanò ridendo. "Per quanto sia una proposta indecentemente allettante, il Medioevo ci aspetta. Però puoi mettere il broncio." "Perfetto" rispose Thomas e appena furono dentro casa, la baciò. Gli piaceva baciarla spesso, sentire il sapore delle sue labbra, circondarla con le braccia e sapere che era tutta sua. "Quando torniamo mi faccio un orecchino... o chissà, una serie di orecchini." sussurrò a una Lea stupita. Lei gli accarezzò la cicatrice. Era una cosa che aveva bisogno di fare spesso, per ricordarsi perché era innamorata di lui e per quale amore era disposta a uccidere. "Forza e coraggio, basta cose romantiche, nonostante non smetterei mai con te eh" ammiccò Lea "abbiamo degli interessantissimi vestiti medievali da indossare e un po' di storia locale da imparare!"

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Capitolo 26
*** 26 - il gioco è iniziato ***


"Filippo II di Francia, detto il Guercio." iniziò Thomas "forse non è il caso di chiamarlo così se lo vediamo... mhh... soprannominato Augusto! Si dava poca importanza dicevano." "E' nato in Agosto e ha vinto tantissime inutili guerre." entrò nella grandissima camera da letto matrimoniale che avevano per quell'epoca e iniziò a cercare vestiti dentro l'armadio. "Spiegami come fai ad avere abiti medievali qui." "Tommy! Ogni postazione dell'Agenzia ha vestiti primitivi, dell'epoca greca e romana, orientali, medievali, rinascimentali e della rivoluzione roboumana del 2900. A volte mi dimentico che sei solo uno Stemma Arancione." sbuffò divertita Lea "Saremo mercanti del popolo, profilo basso. Non possiamo atterrare proprio sul punto delle coordinate non so per quale motivo, litiga tu con Headstritch io non ne ho più voglia. Partiremo da Beardeux e arriveremo in un paesino altrettanto sperduto, Chatelier. Siamo marito e moglie, io tengo Léa e tu Thomas Gerardieux, i nostri sono comunque nomi francesi se cambi l'accento." "Okay." Thomas stava facendo mente locale. "Sei una donna, dovremmo vendere stoffe o lana... stoffe colorate mi ispira di più. Evita di fare la femminista, hai detto profilo basso no? Lascia parlare me. Ti prego Lea, pochi danni, lì danno la caccia alle streghe e una donna come te è facilmente additabile come strega." Donna. Era una parola così grande da dire, Lea aveva appena diciassette, quasi diciotto anni, eppure era una donna, si. Lo era. Forse da quando aveva dieci anni, da quando aveva impugnato quella lama veramente maledetta, perché sporca di sangue innocente. Thomas aprì la sua parte dell'armadio e trovò quello che gli aveva detto Lea. Una camicia, casacca e pantaloni di un tristissimo marrone unto. Si vestì e guardò Lea a lavoro compiuto. Sorrise. "Ti prego. Abbiamo detto di non attirare l'attenzione e quella scollatura farebbe dimenticare a chiunque che hai anche degli occhi." borbottò arrossendo. Non era abituato a dire certe cose. "Mi hai vista molto più scoperta" sorrise di rimando lei. "In discoteca." Thomas avvampò ancora di più. "Copriti. Non voglio problemi con gli idioti di quell'epoca. E non voglio dover essere geloso." "Sei geloso?" Lea alzò un sopracciglio mentre indossava l'illusione. Quella sua di sempre, i capelli castani e gli occhi azzurri di sua madre. "Naturalmente." le lanciò un mantello. "Come minimo metti questo addosso. O ti allacci quella dannata camicia!" La ragazza si abbottonò svogliatamente la camicia. "Dovremmo fare un tratto di strada da soli, poi ci uniremo a una carovana di mercanti." Thomas stava osservando il percorso dalla mappa che avevano chiesto all'Agenzia e memorizzandola. Poi guardò Lea e le diede l'okay. "Chiedo partenza per il 1223, Beardeux, Francia." annunciò lei all'auricolare. I viaggi nell'iperspazio erano ormai diventati un'abitudine anche per Thomas, che aveva smesso di stupirsi per il vortice inimagginabile di spazio e tempo che li circondava ogni volta per quella frazione di secondo che sembrava racchiudere l'eternità. Si ritrovarono all'interno di un'abitazione fatiscente, circondati da insetti e sporcizia. "Quando abbiamo detto che la casa ci sarebbe servita solo per arrivare, ci hanno preso in parola." borbottò Lea sarcastica lisciandosi la gonna. "usciamo, abbiamo il carro fuori ed è ora di andare." "Servirà una giornata di cammino, arriveremo questa sera." disse Thomas. Lì infatti era appena mattina. Era come aver attraversato più fusi orari contemporaneamente, solo che a loro non dava fastidio. L'ora è un'illusione, l'unica cosa che conta è il continuum. E la Storia. "Sali dietro al carro, come fanno le donne, io guiderò qui davanti." "E se ti devo parlare ma non posso urlare?" chiese Lea contrariata. Thomas alzò un sopracciglio. Era una cosa che facevano a turno e dall'esterno era abbastanza comica. "Usi l'auricolare, non trovare problemi che non esistono." "E se ti voglio abbracciare dolciosamente?" la ragazza spalancò gli occhi e mise un piccolo broncio. "Tu non sei dolce, Lea." rise Thomas. "Okay hai ragione. Però questa è seria. Se voglio saltarti addosso e mangiarti tutte le labbra? Perché ne avrò voglia e come faccio se tu non ci sei." "Stai ferma. E' uno dei trecentonovantaquattro motivi per cui è bene che tu stai seduta dietro." "Ma tu non vorresti che ti saltassi addosso?" provocò Lea, sapendo che quello che diceva Thomas aveva senso. Solo non voleva piegarsi alla mentalità di quell'epoca. "Anche questo è uno dei trecentonovantaquattro motivi. Non possiamo permetterci distrazioni." A questo punto Lea obbedì, con grande sorpresa di Thomas. Certo sbuffo e si lamentò, ma il ragazzo non potè fare a meno di notare il leggero sorriso che le aveva increspato le labbra appena le aveva detto l'ultima frase. Appena le aveva detto che la voleva. Era naturale che il viaggio non sarebbe potuto andare tranquillamente, almeno non finché non si sarebbero uniti alla carovana. Era come se i banditi li stessero aspettando. Alla seconda curva uscirono puntando le spade verso di loro. Thomas sbuffò. "Tu stai ferma." mormorò a Lea tramite l'auricolare. "E tu stai attento, se quelle spade gliele ha date Alexander sono di acciaio bombardato." Il ragazzo la rassicurò e scese svogliatamente dal carro. "Vi prego, non voglio farvi del male." li avvisò stancamente. "Siamo quattro armati contro uno disarmato." a parlare era stato quello con lo spadone più grande, probabilmente il capo. Thomas piegò la testa sorridendo. "Ma io sono armato..." Da dietro il carro, Lea gli lanciò la scimitarra che tanto gli era piaciuta. Il ragazzo sospirò. Aveva sperato in qualcosa di meno anacronistico, ma Lea si sentiva inutile e quindi aveva voglia di fare danni. Brutta bestia la noia. Thomas fece finta di nulla e si preparò a combattere. Il primo colpo di spada fu parato con tale forza da far rimbalzare l'uomo indietro mentre, sconcentrato, guardava impaurito i suoi compagni e Thomas. L'Agente si avvicinò a quello che sembrava il capo e gli puntò l'arma alla gola. "Via di qui. Ora." L'uomo, come aggrappandosi all'ultimo straccio di orgoglio rimasto, alzò la sua arma ma Thomas fu più veloce e in un solo colpo gli staccò la mano. Forse aveva esagerato ma aveva una rabbia repressa dentro che non sapeva spiegarsi e che voleva solo sfogare. Vorrei lasciare una frase sul futuro di questo bandito. Si diede alla pirateria e i suoi uomini iniziarono a chiamarlo Uncino. Si dice anche che abbia avuto problemi con un ragazzetto di strada e una bestia feroce, ma sono solo supposizioni e già le frasi sono diventate due, quindi può bastare. Thomas risalì sul carro e si rifiutò di rispondere a Lea che continuava a chiedere dettagli sul combattimento e a lamentarsi del fatto che si annoiava. Il ragazzo la ignorò amabilmente finché non raggiunsero la carovana, per l'ora di pranzo. Thomas notò con piacere che Lea non sarebbe stata l'unica donna e con molto meno piacere l'identità di quella donna. "Lea" sussurrò all'auricolare "hai presente quella ragazza dai capelli turchesi e gli occhi di due colori?" "La rossa..." sibilò Lea in risposta. "Ecco... è qui davanti a me. Sta... civettando con degli uomini che la guardano scandalizzata. Perché deve farlo?" Lea scese dal carro e si affiancò a Thomas. "Spero si faccia scoprire. Certo che tu l'hai notata subito!" lo rimproverò dandogli un colpetto dietro la schiena per non farsi vedere dagli altri. "Gelosa?" "Io? Di una ragazza di un metro e ottanta con i capelli rossi lunghi fino a metà schiena? No, perché me lo chiedi?" "Lea, siamo in missione." c'era una nota divertita nel tono di voce del ragazzo. "Si, si, sarà qui sicuramente per accertarsi che troviamo il foglietto, non per ucciderci." Thomas intanto si era allontanato per andare a parlare con un altro uomo, lasciando Lea interdetta e innervosita. Il ragazzo stava cercando di non dare troppo nell'occhio isolandosi dal gruppo e per questo si era messo a scambiare due battute con un mercante di ceramiche. "Lei è sposato?" chiese l'uomo. "Oh, si. Mia moglie è quella che sta lì, seduta al carro." sorrise Thomas. "Non sembra molto contenta." "Oh, per nulla. Questa mattina non voleva proprio partire, abbiamo anche incontrato dei banditi lungo la strada, fortuna che sono armato e dietro di noi un uomo ci ha aiutati." "Queste donne!" esclamò l'uomo con una mezza risata "Chi le capisce deve ancora nascere, dico sul serio. Almeno sanno stare al loro posto, la mia è rimasta a casa con i bambini." Nel frattempo Lea si era avvicinata impertinente e osservava la scena. Thomas era veramente un abile attore e un Agente particolarmente capace di calarsi nelle culture più assurde, era quasi un piacere vederlo all'opera. Il viaggio passò così tranquillamente che nessuno dei due ragazzi ci credeva veramente e la ragazza che aveva detto di chiamarsi Sophie, l'alleata di Alexander, era scomparsa. Arrivarono a Chatelier quasi in un attimo. Il tempo passava veloce, c'erano così tante cose da scoprire, storie da raccontare e ogni mercante sembrava desideroso di narrare la sua. Era così strano come un gruppo di completi sconosciuti riusciva a fare un viaggio insieme parlando come se tutti si conoscessero da tempo; e questo nel Medioevo, nell'età della diffidenza, della paura, dell'insicurezza. A notte fonda Lea e Thomas uscirono dalla locanda dove alloggiavano per andare a cercare le coordinate. Vagarono per le strette e diroccate viuzze della città, scansando ubriachi e donne abbandonate sul ciglio della strada. Alla fine si fermarono. Il luogo era nascosto, così diverso dal campo aperto dell'Ottocento e Thomas si mise subito all'erta. "La, Lea, fa presto!" Ma come provarono ad avvicinarsi, un campo invisibile li respinse. Come vomitata dall'inferno stesso arrivò la ragazza che si era presentata come Sophie, ora i suo capelli erano turchesi e i suoi occhi verdi con un punto arancione. "Carnis." si presentò. Lea le rise in faccia e Thomas le rivolse un'occhiata sarcastica. "Ma davvero?" chiese Lea "Carnis... donna rossa. Ti piace l'idea della femme fatale, ragazzina?" "La ragazzina, come dici tu, può permetterti di prendere il foglio o può lasciare il campo attivo." "E immagino che il pulsante sia su quel delizioso bracciale anacronostico che hai al polso." si intromise Thomas. Carnis sorrise. "Alexander lo sa?" chiese Lea. "Alexander" la voce della ragazza era piena di disprezzo "avrebbe voluto te. Non fa altro che ripetermi quanto io non sia nulla in confronto alla leggenda e mi dice anche che tu tornerai da lui. Ti stancherai del tuo giocattolino e tornerai da lui. Ma se non prendi il foglio, non puoi." Lea non sembrava aver sentito il discorso. L'unica cosa che continuava a rimbolbarle nell'orecchio facendola arrabbiare sempre di più era quella parola. "Thomas non è un giocattolino. Dillo pure ad Alec, digli che non tornerò mai." poi si avventò contro la ragazza con una forza che avrebbe potuto buttare giù un muro di cemento. Carnis venne sbalzata contro il muro che si ergeva ai lati della strada ma si riprese subito. Thomas prese il braccio di Lea. "Ci penso io, così la uccidi." detto questo scattò in avanti per darle un pugno in faccia. La lotta non fu delle migliori, probabilmente per via della poca pratica di quella ragazzina che giocava a fare la criminale per ribellarsi a un mondo che si era creata dentro la sua testa. "Voi pensate di essere nel giusto. Ma alla resa dei conti ci rivedremo e ricordatevi, chiedetemi se siamo sapiens. Chiedetemi se siamo uomini o dei." dopo, scomparve e il campo intorno al foglio anche. Lea lo raccolse subito, per poi muovere la mano in un gesto di stizza. "E' molto ironica la cosa." "Dove andiamo?" chiese il ragazzo aggiustandosi i capelli e scrollandosi la polvere di dosso. "Atene, V secolo a.C. età classica. Avremmo un travestimento forzato." "Quale? Lo ha deciso lui?" "No" il sorriso bianco di Lea brillò nel buio di quella strada "l'ha deciso l'Agenzia. Io sono la dea della guerra, della strategia militare, della sapienza. Io sono Atena da un numero incalcolabile di anni." "E io?" chiese Thomas curioso, immaginandosi Neumalea come una dea e riuscendoci facilmente. Lea pensò a quel ragazzo, ai capelli bianchi e gli occhi bui, alla sua cicatrice e a quel suo sorriso sbilenco che non sapeva di avere. "Tu sei Ade, naturalmente. Preparati, non dovremmo mettere l'illusione."

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Capitolo 27
*** 27 - l'Olimpo passegia sulla terra ***


Era quasi l'aurora e Thomas stava indossando la veste nera che il drone gli aveva appena portato. Sembrava un vero greco e sembrava un vero dio. Non aveva bisogno di nessuna illusione, la sua pelle pallida dava l'impressione di qualcuno che raramente vede la luce del sole; gli occhi così neri da far confondere pupilla e iride, i capelli così mortalmente bianchi e la pericolosa cicatrice lo rendevano così misterioso e oscuro che nessuno avrebbe messo in dubbio la sua identità. Anche il suo sorriso, che Lea sapeva essere schietto, ad occhi estranei appariva quasi inquietante, perché era un ghigno storto. Alcuni Agenti sembravano creati apposta per incutere timore e gli altri diventavano spaventosi nel tempo, Thomas era così cambiato dalla prima volta che lo aveva visto, quel vasto caos del tempo e dello spazio lo aveva segnato profondamente. "Nei miti antichi Atena ha qualche intrallazzo con Ade?" chiese Thomas ridendo. Lea, che si stava raccogliendo i capelli in un'elaborata acconciatura, fece spallucce. Aveva messo la riga dei suoi capelli in mezzo, così da non far vedere il taglio particolare e se li stava alzando in modo da lasciare qualche capello mosso sulle spalle. "Mhh... no. Di solito Ade non è un grandissimo pezzo di ragazzo. In ogni caso non importa, esistono così tanti miti che uno in più o in meno non cambia nulla ai fini della Storia." Thomas arrossì e Lea sorrise. Alcune cose non sarebbero mai cambiate. "Sono cosa?" "Un grandissimo pezzo di ragazzo, si dice nel Ventunesimo e hai capito perfettamente quello che significa." "Potrai essere nata nel Tremila ma non appartieni alla tua epoca. Il tuo posto è il Ventunesimo secolo." Lea alzò un sopracciglio e non replicò. Lo sapeva naturalmente, quel periodo l'aveva segnata più di tutti gli altri. La sentiva come casa quasi più dell'Agenzia. Perché nonostante tutto, l'Agenzia era casa sua. "Come sto?" gli chiese. Il ragazzo in tutta risposta le lasciò un bacio a fior di labbra. "Dimmi che facciamo in giro per Atene vestiti da dei." "Diamo spettacolo ovvio." rispose lei "ci facciamo adorare, cose così. Usciremo dal Partenone" Lea fece un gesto plateale con le mani. "Tu avresti dovuto fare teatro, altroché! Ma gli eroi non erano quelli che salvavano il mondo senza mettersi in mostra?" "Io infatti non sono un'eroina." poi cambiò discorso. "presto che è tardi, tra poco tutti si sveglieranno" si avvicinò a Thomas e sussurrò all'auricolare "Atene, 458 a. C., Grecia." Apparvero esattamente in mezzo al Partenone spaventando non poche persone. I greci guardarono la statua e Lea ripetutamente, poi si buttarono a terra. Solo un uomo, un anziano rimase in piedi e chinò il capo, sorridendo alla ragazza. "Mia dea della guerra, signora della saggezza, cosa la porta qui accompagnata dal re degli spettri, signore degli Inferi e comandante delle legioni morte del Tartaro?" Era veramente vecchio, eppure nei suoi occhi brillava una luce particolare, quasi sarcastica. Lea si avvicinò e sussurrò attraverso l'auricolare a Thomas: "E' il vecchio Agente che ha creato il mito di Atena e mi ha scelta per questa terra. Loro lo considerano un figlio di Poseidone, un semidio." "Avete ricreato l'Olimpo?" sorrise vagamente Thomas, poi si rivolse alla folla. "Su, su, in piedi, in piedi." Posò i suoi occhi neri come le profondità del Tartaro su un uomo che si ritrasse spaventato, poi su una ragazza che abbassò la testa. Sorrise, era così strano sentirsi potenti, era divertente. Avrebbe potuto addirittura farci l'abitudine. "Vieni." gli disse Lea porgendogli il braccio. Thomas le rivolse un sorriso storto e si avviò in avanti. Ade. Il dio degli Inferi. Sarebbe dovuto essere un po' sociopatico, beh lo era già un po' di suo; un po' pensieroso e decisamente pericoloso. Mentre camminava tutti intorno a lui si scansavano impauriti mentre si riavvicinavano a Lea che sorrideva enigmatica. Era un gioco di ruolo, un gioco di potere che riusciva dannatamente bene a tutti e due. "Divertiamoci" gli sussurrò Lea all'orecchio prendendolo sottobraccio. Thomas si chiese quando erano diventati tutti e due in quel modo,da quando reputavano il loro personale divertimento più importante della salvezza del mondo. Spesso aveva seguito missioni alla Scuola, aveva guardato attraverso uno schermo gli Agenti dare anima e corpo in quello che facevano, senza dormire o mangiare, mentre cercavano la soluzione del problema. Loro erano gli eroi, i veri eroi, quelli che davano la vita all'Agenzia, che mantenevano sul serio la pace tra le epoche. Lui e Lea erano un po' dei ribelli ma non ribelli come i ragazzini che si divertono a fare qualcosa fuori dalle regole, erano lì sul filo del rasoio, sulla linea così sbiadita della differenza tra un Agente e un Crirale, tra un eroe e un cattivo, tra un salvatore e un distruttore. Erano così diversi dagli altri, Thomas stava iniziando a capirlo. Pensavano in modo diverso, qualcosa nel loro genoma doveva essere andato storto, poteva esserci stata un variazione imprevedibile che li aveva resi in quel modo, potevano essere un'evoluzione ancora più in alto. Il ragazzo scacciò via quei pensieri e si girò verso Lea. Erano ormai usciti in strada e continuavano a dare spettacolo. In breve tempo la piazza si riempì, tutti erano davanti ai due dei, troppo stupiti per dire qualsiasi cosa, finché una donna non chiese a bassa voce come mai Atena era in giro con Ade. Era strano, di Atena avevano la statua ma non di Ade; eppure appena videro Thomas lo associarono subito al dio dei morti. Il sussurro della donna ruppe il silenzio totale della piazza. Thomas fece finta di ignorarla mentre Lea alzò lo sguardo adirata e un po' divertita. "Non ti impicciare di affari divini, non è saggio." Continuarono a camminare per la piazza, ora era Thomas che seguiva Lea. Il brusio intorno a loro si faceva sempre più insistente ma bastò un'occhiataccia di Thomas per ridurli al silenzio. C'era molta più devozione verso Lea, Atena, in fondo la loro città era stata benedetta dalla dea eppure avevano più paura di lui. "Dove stiamo andando? Spero che questo spettacolino abbia un senso." "Adoro quando riesco a unire l'ultile al dilettevole. Il teatrino l'avremmo fatto lo stesso, ogni tanto ci torno qua a divertirmi ma è servito a qualcosa." rispose Lea. Si stavano avvicinando al punto che le coordinate indicavano. Intorno a loro c'era una marea di persone. Qualcuno indicava i capelli argentati di Lea, qualcuno i suoi occhi, altri invece si soffermavano sul bianco terribile di Thomas o sulla sua cicatrice o sulla tonaca che lasciava intravedere lo Stemma Arancione. Tra la gente Lea riconobbe Alexander. Nemmeno lui aveva indossato l'illusione ma nessuno sembrava farci caso. La guardò e sorrise, di quel sorriso schietto e gentile che mai avresti detto potesse appartenere a un mostro. Alexander non era cambiato, sembrava ancora il classico angelo dolce e gentile mentre Thomas, oh! Thomas sembrava uno di quei ragazzi che vengono sotto casa tua a rigarti la macchina oppure a dar fuoco a qualcosa. Lea mantenne il contatto visivo con il Crirale. Da una parte ancora le mancava, ancora quella ferita era aperta, dall'altra parte però aveva Thomas. E Thomas valeva mille Alexander. Si girò e lo prese per mano, suscitando non poco scalpore tra la gente e facendo divertire il ragazzo che la tirò a se e alzò un sopracciglio. "Dai che siamo quasi arrivati." gli sussurrò Lea. C'era un foglio incastrato tra le mura di una casa anonima e dalla folla si levò il grido di Alexander. "Sempre più indietro! Fino a che resiterai Atena?" Vicino al Crirale apparve Carnis. Thomas li guardò e gli mostrò un ghigno divertito. "Ares e Afrodite, siete così scontati, così squallidi." Carnis gli tirò un pugnale mirando alla fronte ma Thomas lo fermò in volo. Stava capendo di essere molto più forte degli Agenti normali e stava capendo come fare certi giochetti. La folla intorno a loro si ritrasse spaventata. Lea prese il foglietto e inviò i dati all'Agenzia mentre Alexander e Carnis sparivano. "Abbiamo dato abbastanza spettacolo per oggi, che ne dici Tommy?" le sussurrò Lea e il ragazzo annuì. In una frazione di secondo vennero sballottati indietro, ancora più indietro, troppo indietro. Lea non si era messa a pensare alle coordinate che aveva letto ma quel viaggio stava durando troppo. Era come se continuassero a viaggiare per miliardi di anni all'indietro, in un tempo dove il Tempo ancora non esisteva. La Storia si diramava sotto di loro sempre più veloce, per poi finire di colpo, senza nessun boato, solo restringendosi in un piccolo punto luminoso quasi fossero arrivati allo schermo dell'esperimento di Thompson, dopo che erano stati deviati non si sa dove. Si ritrovarono in montagna, sull'orlo di una cascata. Davanti a loro Alexander e Carnis. "Sai dove siamo?" gli occhi di Alexander brillavano di una luce febbrile. "Sono le cascate più famose della storia della letteratura, Lea! Il tempo non è importante, ancora non esisteva nemmeno la Storia. Siamo all'inizio, quando colonizzarono la Terra, dove nascosero il segreto dell'immortalità, nell'istante in cui tutto può distruggersi e rigenerarsi in una nuova Terra dove sarò io il padrone." "Le cascate di Reichenbach..." urlò Thomas a Lea, sovrastando il fragore dell'acqua. "E' uno spettacolo non è vero?" con quel tono di voce e quel sorriso sadico Alexander sembrava quasi pazzo. "Ed è come è stato scritto. Non è la Storia a fare la letteratura, è la letteratura a fare la Storia. E questa, questa è la caduta degli dei."

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Capitolo 28
*** 28 - la caduta degli sei ***


All'inizio c'era la Terra naturalmente. C'erano anche tutti gli altri pianeti che giravano incapaci di formare la Vita. Non che la Terra se la stesse cavando meglio, continuava a far nascere tutti quei bellissimi vegetali e qualche animale piuttosto sballato e decisamente non pensante. Insomma, la situazione non era delle migliori e la Storia si annoiava così tanto. Se gli animali non pensavano, lei come faceva a creare qualcosa di carino? Aveva tante idee ingarbugliate in testa e non poterle attuare le faceva solamente diventare ancora più caotiche. Così quando i primi colonizzatori arrivarono non capirono nulla di quello che era successo fino a quel momento perché la Storia era tutta ingarbugliata. Ci misero così tanto tempo a sbrogliare la matassa, per fortuna non se ne accorsero, che il tempo non esisteva. Come faceva a non esistere il tempo? Non chiedetelo a me! Si dice che ancora esista un punto sulla Terra dove il Tempo ancora non esiste. Per saperne di più però dovreste riuscire a trovare un bambino presuntuoso di nome Peter Pan e ancora nessuno è riuscito a trovarlo. Ovviamente l'hanno visto i suoi sperduti, ma loro non tornano mai indietro e nessuno ci può riferire niente di quel luogo che si trova lungo la seconda a destra e poi dritti fino al mattino. Almeno così dicono le cartine, solo che non nessuno è mai riuscito a capire a cosa si riferisse quel lungo la seconda a destra. Dove eravamo rimasti? Ah, naturalmente, i colonizzatori! Sappiamo veramente poco di loro, solo che venivano da un altro pianeta ed erano immortali. Per loro era normale colonizzare altri pianeti, il loro era decisamente sovrapopolato. Questi però erano diversi. Estrassero l'immortalità da loro e decisero di vivere per un po' e poi andarsene non si sa dove. Erano anche ottimi scienziati e la scienza del loro pianeta era così evoluta da permettere l'estrazione e lo scambio di un genoma senza uccidere l'individuo stesso. La Storia era tutta contenta, finalmente aveva qualcosa da fare. E con esseri pensanti non immortali! Non stava più nella pelle e la prima cosa che creò fu il Tempo. Era un'idea che le frullava nella testa da molto tempo ma non l'aveva mai messa in atto. A che scopo poi? Per degli esseri depensanti? Comunque creò il Tempo, il che a posteriori fu considerata una cattiva idea ma li per li era una novità interessante. Poi i colonizzatori subirono un processo di evoluzione e diventarono uomini, con il Tempo però dimenticarono tutto del loro pianeta natale. Dico con il Tempo perché per divertirsi un po' di più un giorno decise di eliminare tutti i ricordi utili. Quindi l'uomo iniziò la sua evoluzione. Il termine evoluzione riferito all'uomo ha dato molto da pensare a molte persone negli anni Duemila; infatti il passaggio da una scimmia (allora credevano questo) a un agglomerato di esseri con i pantaloni che lasciavano la caviglia scoperta d'inverno e che si lamentavano del freddo, non sembrava esattamente un'evoluzione. Anche nel 4002 fu ripresa questa idea, poi fu dimenticata. Gli uomini del 4002 pensarono che forse dagli inizio c'era stata un'involuzione, ma almeno nella loro epoca nessuno andava in giro con le caviglie scoperte d'inverno. Il segreto dell'immortalità rimase comunque nascosto in quel punto del continuum dove ancora non esisteva il Tempo, ed era lì che erano bloccati Thomas, Lea, Alexander e Carnis, sul precipizio delle cascate di Reichenbach. "Perché ci vuoi qui?" chiese Lea. "Oh, no. Io volevo te qui. Lui è un effetto collaterale." rispose Alexander. Thomas alzò un sopracciglio. "Se distruggi la Terra distruggerai anche te!" disse Thomas. "Ecco, si vede che non pensi." Il Crirale sembrava quasi annoiato. "Qui il tempo non esiste! Io distruggo il continuum con questa leva che attiverà il virus nell'aria, la Terra fa boom e tutto torna a questo istante dove tutto è iniziato. Noi saremo la nuova razza. No, non te giocattolino, tu muori." "Non te lo permetterò, Alexander." Lea si mise a scudo davanti tra i due ragazzi. Alexander sospirò. Si era preparato così tanto per quel momento, ovvio che aveva pensato a come immobilizzare Neumalea. Esisteva solo un tipo di catene in grado di paralizzare completamente un Agente e lui le aveva appena lanciate contro la ragazza. Subito le molecole e gli atomi di quel congegno di dispersero nell'aria per poi andare a riagglomerarsi addosso alla ragazza. "Naturalmente puoi liberarti, basta che capisci il codice." Alexander le lanciò il telecomando. Non ce l'avrebbe fatta e avrebbe visto morire Thomas pensando che se fosse stata più intelligente avrebbe potuto salvarlo. Il Crirale si mise in posizione. Spade. Era così indecentemente squallido. Spade. Come se fossero stati nell'Ottocento o nel Medioevo, come se l'evoluzione non ci fosse mai stata. Ma non semplicei spade. Acciaio bombardato, letale, affilato come un rasoio. La lotta era una danza, tutti e due schivavano, paravano e attaccavano perfettamente. Sembrava la battaglia tra due esseri superiori, tra due titani, tra due dei. Thomas avrebbe potuto vincere su Alexander naturalmente, ma il criminale non aveva intenzione di perdere per nessun motivo e da dietro di Thomas, Carnis lo costrinse al muro. Alexander lo aveva messo all'angolo. Thomas lo guardò. Voleva guardare in faccia il suo assasino, voleva guardare la morte negli occhi. Si toccò involontariamente la cicatrice, sentendosi puntare al cuore la stessa lama che gli aveva sfregiato la faccia. Vide il colpo arrivare al rallentatore, come se il Tempo avesse deciso di renderlo un punto focale della Storia. Non chiuse gli occhi, no. Vide tutto. Vide una scheggia minuta frapporsi tra lui e il suo assassino, gli occhi disperati, un urlo in gola. Non gli arrivò mai quel colpo, lei era stata più intelligente. Thomas si abbassò a sorreggerla, per non farle toccare terra. C'è bellezza nella morte di una dea, nella grazia con la quale il corpo si accascia e la bocca si apre in un sordo gemito di dolore. È come se tutta l'umanità se ne andasse di colpo e rimanesse solo l'alterigia eleganza di chi umano non è più. "Lea... ti prego" sussurrò a quel corpo che respirava appena. "Quella parola..." sospirò lei in un rantolo "quella che odio.. È vera.. Sono innamorata di te. È il mio testamento... ragazzino." Poi chiuse gli occhi. Due metri più in là Alexander continuava a guardare la scena con occhi spalancati e distrutti. "No... no..." continuava a dire. Thomas abbracciò quel corpo riversò in modo scomposto su di lui, fino a macchiarsi tutto di sangue. "Ti odio." le disse "sarei dovuto morire io." le lacrime che aveva trattenuto sgorgarono fuori disperatamente e quando alzò lo sguardo appannato dal pianto, vide la figura di Alexander in piedi, il viso perso e la spada abbassata. Thomas non aveva mai provato il desiderio di uccidere eppure in quel momento era lì, prepotente più del desiderio di morire. Quando il pugnale di Lea centrò il cuore del Crirale e Sophie scomparì nel nulla, scappando, Thomas capì che non c'era nulla di nobile nella morte di un assassino, come non c'era stato nulla di degno nella sua vita. Il corpo di Alexander cadde all'indietro scomparendo nella cascata. Thomas corse a disattivare il virus, poi si girò verso il corpo esanime di Lea. Piangeva, piangeva ma nel suo cuore non c'era nemmeno dolore. C'era il vuoto. Non poteva essere morta. No. Si avvicinò al bordo della cascata pronto per la caduta. Aveva avuto ragione Alexander. Era la caduta degli dei. Ma la Storia, il Tempo, il destino o qualche dio ancora più potente di loro, aveva deciso che Thomas non aveva nemmeno il diritto al dolore. In un tonfo sordo si ritrovò nel Ventunesimo, steso sul letto come se nulla fosse successo, come se non fossero mai partiti, come se ancora la sua promessa potesse essere mantenuta. Ti vestirai da punk, da rocker. Quando torneremo. Dopo che tutto sarà finito torneremo qua. Noi due. Con una sola, disperata differenza. Lei non c'era. Non era andata alla Stazione, o nell'Ottocento, o a girare per le stradine malfamate con il trucco intorno agli occhi e la sigaretta in bocca. Non era andata a comprare altri biscotti o a litigare con Headstrich vestita da diva. Non c'era. Non c'erano la sua risata sarcastica, i suoi capelli spettinati. Non c'erano i tacchi alti e i vestiti corti, non c'era la sua figura minuta, non c'erano le sue occhiate maliziose. Non c'era. Non ci sarebbe più stata. Non era morta solo la leggenda, era morta Lea, la ragazza, la donna che sorrideva in faccia alla morte. "Alla fine" disse Thomas a nessuno in particolare, guardando fisso il muro davanti a lui. "Alla fine eri un'eroina."

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Capitolo 29
*** 29 - il passatp 5 - il verso della corrente ***


Erano scappati di nascosto. Di nuovo. Aveva come l'impressione che quella volta non l'avrebbero fatta franca, eppure Alexander era pieno di fiducia nei confronti delle loro capacità. Soprattutto aveva fiducia in Lea, che mai una volta aveva fatto un errore. Vestiti come due adolescenti in piena regola, si trovarono davanti a quella che ormai chiamavano 'casa': un'abitazione fatiscente e diroccata in un quartiere di villette, in una sperduta città del Ventunesimo secolo. Certo, quello non era il loro quartiere preferito, ma si erano dovuti adattare. Ora dovevano solo decidere cosa fare. Di solito erano abbastanza oziosi, se ne stavano sulle panchine di qualche parco o del centro a guardare la vita scorrere sotto di loro, altre volte invece giravano i negozi o si imbucavano la sera alle feste per liceali e universitari. Lui aveva appena iniziato la Scuola per Agenti, lei invece l'aveva finita da quattro anni e ormai le missioni erano la sua quotidianità. Era appena tornata da Roma antica e aveva bisogno di rilassarsi. Guardò Alexander iniziare a cucinare della pasta e pensò che se mai avesse dovuto scegliere un uomo, avrebbe scelto lui. Un Agente, perché aveva sempre avuto bisogno di qualcuno come lei. Era sempre stata romantica. Nonostante la sua razionalità, nonostante le sue ferite, Neumalea era romantica. Non poteva non esserlo guardando Alexander, confondendosi in quegli occhi diversi. Era il suo migliore amico, ma non solo. "Mi stai consumando Neuma, vieni a darmi una mano." lui sorrise e le lanciò un grembiule. Lea si avvicinò. Non aveva mai saputo cucinare, andava avanti a pasti già preparati o piatti della mensa dell'Agenzia. Avrebbe potuto imparare velocemente, solo non ne aveva mai avuto voglia. Indossò il grembiule e scolò la pasta, poi iniziò ad impanare le fettine di carne. Ecco, quello di solito riusciva a farlo senza troppi danni. "Oh! Il maiale è già morto!" le disse ridendo Alexander, guardando Lea prendere a pugni la carne. "Non si attacca il pangrattato!" si lamentò lei, prendendo in mano il sale. Alexander la fermò giusto in tempo. Lea e il sale... mhh, no. Per consolazione la ragazza prese un biscotto. "Neuma!" Alexander sorrideva esasperato "ti rovini la cena!" "Fi fofini la fefa" gli fece il verso Lea sputacchiando biscotto dappertutto. Cenarono in piedi, ballarono sulla musica di un vecchio giradischi e si raccontarono vecchie storie di fantascienza che forse erano più realtà che altro. Ormai era quasi mezzanotte e ancora sembrava che nessuno si fosse accorto della loro assenza all'Agenzia, oppure se ne erano accorti e stavano facendo finta di nulla. Lea si sedette su uno sgabello alla finestra. Alexander si stese e appoggiò la testa alle sue gambe mentre lei era completamente rapita da quella notte stellata. Era una zona con poca illuminazione artificiale e le stelle erano visibili e splendenti. Sotto di loro c'era il rumore della notte, della vita. Ragazzi e ragazze, musica e risate. Fu quasi inconsapevolmente che Neumalea si ritrovò a cantare. La sua voce era tremula, quasi non fosse abituata a sentire dalla sua bocca cose diverse da numeri e logica, eppure aveva un che di ipnotico. Non era di quelle voci che potresti mai definire belle, eppure era come se quella musica ti entrasse dentro, perché a cantarla era lei. È una notte in Italia che vedi questo taglio di luna freddo come una lama qualunque e grande come la nostra fortuna la fortuna di vivere adesso questo tempo sbandato questa notte che corre e il futuro che arriva chissà se ha fiato. Era una canzone un po' vecchia per quegli anni ma Lea la adorava. Le sembrava che l'essenza di quella nazione fosse racchiusa in quelle poche righe. Aveva sempre amato l'Italia, forse perché lì sentiva le sue radici o forse per quella malizia ironica che permeava ogni sua città. Come se un'intera nazione volesse sedurti con i suoi monti, le sue pianure e il suo mare, con le sue opere e le sue città, con la sua musica e i suoi balli, con le sue risate e il suo sarcasmo, con le sue regole infrante e i suoi valori rispettati. Quella sera lei e Alexander erano proprio l'Italia, proprio italiani con il sorriso schietto e gli occhi orgogliosi. Era una serata perfetta. Almeno, sarebbe potuto essere una serata perfetta. A volte il dolore ci sorprende quando non ce l'aspettiamo, quando speriamo, quando sognamo. "Neuma..." la voce di Alexander era calata di un tono, come se avesse paura a dire qualcosa. La ragazza non si rese conto di nulla e abbassò lo sguardo verso di lui. "Io me ne vado" "Oh, se vuoi possiamo andare dove vuoi tu, sai che non dobbiamo venire per forza qui." rispose lei. "Non hai capito. Me ne vado dall'Agenzia." Ci fu un momento di silenzio, come se Neumalea stesse cercando di capire il senso di quella frase, di elaborarne il significato e di comprenderne i motivi. "Perché?" Una domanda forse un po' scontata, eppure l'unica domanda che sembrava avere senso in quel momento, in quel caos di pensieri che vorticavano nella mente di Lea. Quella mente che era sempre stata logica, matematica, precisa con tutti i calcoli e le probabilità al loro posto, quella stessa mente ora implorava una spiegazione, un perché. "Ci usano. Io li distruggerò." rispose lui. Non disse altro, in fondo a quattordici anni non hai bisogno di altro per distruggere qualcosa. Non disse come era arrivato a quella conclusione, non spiegò il dolore e la rabbia. Due frasi, due semplici frasi per distruggere qualsiasi cosa. "Sono la nostra famiglia. Sarebbe come diventare orfani." per Lea quella conversazione era surreale. Era successo tutto troppo in fretta, senza preavviso, senza segni di cambiamento, durante una serata perfetta. Certo odiava l'Agenzia ma la sentiva troppo come famiglia per tradirla. Alexander scosse leggermente la testa. Per lui era così ovvio e capiva anche le ragioni di Lea. Agente a dieci anni, completamente assorbita da quel sistema e da quella causa. "Noi siamo già orfani. Loro ci hanno fatto diventare orfani." la rabbia nella sua voce ora era palpabile, tangibile. Ed era vera. Così vera che persino Lea dovette arrendersi a quella affermazione. "Perché me lo hai detto?" "Perché voglio che vieni con me?" "E diventare Crirale? Mai." Nella sua logica non aveva messo in conto una cosa, la rabbia. "Ma ti senti? Senti come parli? Crirale? Criminale temporale? Sono loro i criminali Neuma. Sono gli Agenti, è l'Agenzia! Devi capire, tu odi l'Agenzia. Ti usa per le missioni, ti distrugge lo sai!" "Odio non vuol dire tradimento. Io non tradisco casa mia." la voce della ragazza si era di fatta di colpo gelida. È sorprendente come tutto può cambiare in pochi secondi. "Tu non sei Alexander." "No, non lo sono. Non sono più il ragazzino che serve." "Oh Alec ti senti parlare? Che cosa vuoi ottenere? Vuoi regnare su un cumulo di macerie?" "Meglio regnare all'Inferno che servire il Paradiso." rispose lui lapidario. "Milton" annuì stancamente Lea. Il ragazzo se l'era fatto tatuare sulla schiena lo stesso giorno in cui lei si era fatta il suo all'occhio. Se lo ricordava quel giorno, era stato una di quelle volte in cui il dolore e il senso di colpa erano stati troppo forti per essere ignorati e lei aveva capito che non poteva sconfigge i suoi mostri. Avrebbe dovuto conviverci. Per questo si era fatta tatuare il fregio del suo primo pugnale, per ricordarsi sempre del suo primo omicidio, per ricordarsi di risparmiare sempre gli innocenti. Quello stesso giorno Alexander si era tatuato quella frase che a quel tempo era solo una bella citazione. Ormai era quasi l'alba e quasi ora di tornare all'Agenzia. Neumalea stava letteralmente implorando Alexander, le lacrime agli occhi e le parole bloccate in gola. Ti amo Alexander - pensò. "Addio." gli disse. Lei non l'avrebbe seguito. Vide la sua figura di quattordicenne mingherlino allontanarsi verso l'aurora, quasi a voler correre verso quel sole, eppure sapendo di avere tutto il tempo del mondo. Lea lo seguì con gli occhi fino a vederlo scomparire e non seppe mai dell'unica lacrima che solcò il volto del ragazzo. Erano soli tutti e due ora. Soli contro il mondo. Alexander per distruggerlo e Neumalea per salvarlo. Ma come avrebbe potuto salvare il mondo se non sapeva nemmeno salvare se stessa? In quel momento nulla aveva un senso per lei, non capiva in che verso stava andando la sua vita. La vita però è come la corrente. Ne capisci il verso solo dopo aver fatto i calcoli.

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Capitolo 30
*** 30 - reazioni collaterali al dolore ***


Thomas si alzò dal letto e si trascinò svogliatamente in cucina. Aprì la credenza e ci trovò un pacco di biscotti aperto. Lui non mangiava mai biscotti, erano quelli di Neumalea. Prese il pacco e lo buttò nel cestino con rabbia e dolore. Erano passati tre giorni da quando lei... il dolore faceva ormai parte di lui. Il vuoto faceva parte di lui. Quel momento, quell'istante lo aveva colpito così nel profondo che era cambiato radicalmente. Prese una maglietta qualunque, una delle t - shirt da uomo che aveva trovato in camera di lei e si mise davanti allo specchio per pettinarsi. Il ragazzo che lo stava guardando non era lui. La cicatrice ormai non gli faceva più impressione ma le occhiaie, i capelli disordinati e le labbra piene di piccole ferite per quanto se le era morse con forza, gli rimandavano un'immagine che non si sarebbe mai aspettato di vedere. Era distrutto. Lasciò i capelli spettinati, uscì di casa e si accese una sigaretta. Fumare gli ricordava lei. Avrebbe potuto prendere la macchina, in fondo doveva arrivare in un altro quartiere di Perugia e quella città era tutta in salita, eppure si avviò correndo. Non era saggio correre in pieno giorno per tutto quel tempo, soprattutto a quella velocità. Molti si girarono confusi verso quella scheggia che di umano non aveva nulla. Passò la rotonda, i semafori, lo stadio, salì a destra dopo il minimetrò* e poi salì, scese, sinistra, ancora a sinistra. Aveva fatto una strada lunghissima per arrivare ma aveva bisogno di sfogarsi. Via martiri dei lager. Quando entrò nel negozio, l'uomo non si scompose. Infondo non era strano vedere un ragazzo piuttosto spaventoso nel laboratorio di un tatuatore. Thomas si avvicinò e tirò fuori il pugnale di acciaio bombardato, ancora sporco di sangue. L'uomo non si scompose più di tanto ma forse era un po' intimorito ora. "Voglio questo pugnale tatuato sulla schiena." furono le sue uniche parole. "Anche con l'effetto sangue finto?" chiese il tatuatore. "Questo è sangue vero. Lo voglio in bianco e nero, solo il sangue colorato. Lungo la linea della spina dorsale la lama, l'elsa a livello delle scapole. Dovrebbe arrivare fino al collo." L'uomo indietreggiò leggermente quando Thomas parlò del sangue vero. "E' un tatuaggio bello grosso." Thomas alzò un sopracciglio come a voler chiedere di non affermare ovvietà. Ci aveva pensato quei tre giorni. Quel pugnale era quello che collegava tutto. Era stato l'inizio e la fine. La morte della ragazza e la nascita della dea quando, a dieci anni, era stata costretta a uccidere un innocente; e tre giorni prima, la caduta di quella stessa dea che tutti dicevano invincibile. Quello stesso pugnale intriso del sangue del ragazzo che aveva ucciso Lea. La vendetta però non l'aveva riportata indietro. Nulla avrebbe potuto. Lei si era fermata, come cristallizzata nel tempo e sarebbe stata ricordata come una leggenda mentre ora stava a lui andare avanti senza di lei. Senza la donna che aveva imparato ad amare. "Farà male, è sui punti più sensibili." disse l'uomo alzando le spalle e facendo accomodare Thomas. "Tu non sai cosa è il dolore." rispose il ragazzo, lasciando il tatuatore piuttosto confuso. Uscì da quel laboratorio dopo aver pagato velocemente l'uomo e corse fino in centro. Corse di nuovo, tutto in salita, dritto sinistra, destra, in alto, salita, sinistra. Lì avrebbe fatto un'altra pazzia. Non era rimasto niente del ragazzino fissato con la simmetria, ora l'unico modo che riusciva a trovare per sfogare la sua rabbia erano quella sfilza di orecchini neri che ricoprivano tutto il suo orecchio sinistro. Era un modo per ricordarla, per sentirla un po' più vicina a lui, come se avere quell'aspetto significasse portarsela un po' dentro. "Agente Thomas chiede trasferimento all'Agenzia." sussurrò all'auricolare. "Siamo felici di risentirla, Agente, trasferimento tra tre, due, uno..." Si ritrovò in un corridioio anonimo dell'Agenzia. Gli addetti ai trasferimenti avrebbero dovuto smetterla di divertirsi a farli apparire dappertutto all'interno di quell'edificio. Thomas percorse a testa bassa i corridoi, cercando di non farsi riconoscere. "Tom?" una voce troppo familiare lo stava chiamando. Alzò lo sguardo. "Ciao, Lucas." "Per tutto il cronospazio Thomas! Che cosa ti è successo?" Il ragazzo non rispose e continuò a camminare, ma Lucas non desistette e lo seguì, continuando a fare domande inopportune sul suo aspetto. "Agente Thomas chiede colloqui con Headstrich." disse al microfono. "Headstrich è in riunione." rispose una voce metallica. Thomas fece una cosa ce Lucas non si sarebbe mai aspettato. Sbattè il pugno sul muro fino a far tremare le pareti e disse calmo al microfono. "Headstrich alza il suo regale culo e si presenta ora davanti a me a discutere della morte dell'Agente Neumalea o io entro e scateno il putiferio. E sa perfettamente che ne sono in grado, per questo mi avete - avevate - affidato a lei, perché non scoprissi quello che so fare." "La morte... della leggenda?" sussurrò Lucas. "E' morta Neumalea?" Lo disse con una voce così sorpresa che a Thomas non potè fare altro che guardare il muro. Quando si girò stava piangendo. Lucas lo guardò ancora più sopreso. "Non dirmi di non piangere, perché lei era la mia ragazza." Heastrich uscì dalla sala delle riunioni e ricevette Thomas nel suo ufficio. "La sua mancanza totale di educazione, mi costringe a darle una nota di biasimo per..." "Stai zitta." la interruppe lui. "parliamo del funerale." "Sa perfettamente che noi facciamo funerali solo agli eroi, Agente." Era una questione tecnica. All'Agenzia tutti erano eroi, di conseguenza non lo era nessuno. Alcuni cadevano in battaglia o durante le missioni, era normale amministrazione. I corpi venivano rispediti ai familiari e il nome cancellato dall'elenco degli Agenti. Le uniche volte che si tributava qualcosa ai morti era quando morivano per salvare il mondo intero. Solo una volta era successo, Lea sarebbe dovuta essere la seconda. "Infatti Lea era un'eroina. Ha salvato il mondo." "No. La salvezza del mondo è stata un effetto collaterale. Neumalea ha salvato solo lei, Agente." "Discutiamo della realtà, non di quello che stava dentro la testa di Lea." "Agente Thomas." la voce di Headstrich era dura "io capisco la perdita del partner di missione, ma deve mantenere la calma e attenersi a quello che io le dirò." Non avrebbe potuto dire parole più sbagliate. Erano passati solo tre giorni, ma in quelle ore Thmas aveva capito perch Neumalea diceva che lui era pericoloso. Creò un muro di aria intorno a loro modificando le particelle come tutti gli Agenti sanno fare, poi cercò di collegarsi ai neuroni di Headstrich. Non sapeva come faceva a riuscirci o quale legge chimico-fisica regolasse questa sua spaventosa capacità, eppure gli bastarono dieci secondi. Il viso del direttore si storse in una smorfia. "Un essere non può provare così tanto dolore. Muore." disse mentre due lacrime le solcavano la guancia. Era il dolore per il tatuaggio e per i piercing, che Thomas non sentiva ma Headstrich si, essendo solo una sapiens; era il dolore per la cicatrice che bruciava incessantemente anche al ragazzo come se quell'infezione non potesse mai guarire del tutto; era il dolore per Lea. Lancinante, straziante, era un buco nero che risucchiata tutto intorno a se. "Io sono morto" rispose Thomas. "Sono morto con lei." Quanta verità c'era dietro quelle parole. Thomas, il ragazzo che Lea aveva conosciuto, non c'era più. È vero quando dicono che il dolore ti cambia da dentro. È tutto vero. Ti cambia perché ti corrode lentamente, inesorabilmente. Lasciò andare il contatto con Headstrich che si accasciò per terra e abbassò la protezione di aria. Subito tutti gli Agenti che si erano accalcati intorno corsero a soccorrerla. Thomas li guardò freddo. "Headstrich vorrebbe dare una notizia. L'Agente Neumalea è caduta in battaglia da eroina. Ci sarà il funerale a data da destinarsi." Detto questo aprì la porta e se ne andò davanti agli occhi confusi di Lek e terrorizzati di tutti gli altri Agenti. *per chi non abita a Perugia: il minimetrò è una metro sopraelevata che collega i punti principali della città attraverso piccole cabine che passano ogni due minuti costantemente.

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Capitolo 31
*** 31 - la fisica di una buca di potenziale ***


Stava facendo le valigie. Se ne sarebbe tornato all'Agenzia, non avrebbe resistito un giorno di più in quella casa. La camera di Lea era ancora disordinata come lei l'aveva lasciata e Thomas non aveva avuto il coraggio di entrarci. Sarebbe rimasto tutto lì, tutto tranne la scimitarra e il pugnale. Quel pugnale ovviamente, quello che ora aveva tatuato lungo tutta la schiena. Erano passate sei settimane, era ora di andare via. Ripensò di nuovo a lei, lei che trasformava tutto i numeri mentre lui trasformava tutto in sentimenti. Il giorno dopo ci sarebbe stato il funerale, nonostante Headstrich fosse ancora contrariata. Appena la notizia della morte di Neumalea era trapelata, tutti avevano chiesto a gran voce il riconoscimento. Tutti gli Agenti ci sarebbero stati, tutti i Professori, gli Archivisti, gli Storici, persino gli studenti della Scuola. Tutti a salutare la leggenda, l'eroina. "Agente Thomas chiede..." iniziò a dire all'auricolare ma fu interrotto dal suono del campanello. Si interruppe. Chi mai poteva essere? Nessuno citofonava mai. Andò ad aprire e davanti a lui si stagliò una ragazza vestita come nei film di Tim Burton. Aveva i capelli ricci malamente acconciati che le ricadevano fino a metà schiena, un corsetto di plastica sopra una maglia rosa antico e l'inizio di una crinolina sopra dei pantaloni a righe. A completare il quadro c'era il rossetto nero e il trucco rosso, come se avesse invertito i colori di qualsiasi cosa. "Posta" urlò. "Ci sento eh! Ma tu non sei il postino..." La ragazza sorrise enigmatica rivelando un dente d'oro e piroettò su dei tacchi rossi a punta. "Proprio per questo devi prendere il pacco" gli porse una scatola imballata male, facendo tintinnare tra loro i pesanti bracciali che aveva al polso. "O non sei tu Raffaele?" Quella domanda colpì Thomas in pieno come un macigno. Raffaele. Tre persone al mondo conoscevano il suo vero nome. Due si erano dimenticate di lui, di quel figlio che gli avevano strappato via; la terza era morta. "Io sono Thomas." rispose e fece per chiudere la porta, ma la ragazza glielo impedì ridacchiando. "Oh, aveva detto che avresti fatto così. Lei lo aveva detto. Bene. Presto che è tardi!" la ragazza piroettò di nuovo su se stessa, affidò il pacco a Thomas, gli fece l'occhiolino e gli sbattè la porta in faccia. Lei lo aveva detto. Lei. Lei chi? Lui continuava a fissare quel pacco chiuso mentre la sua testa esplodeva. Raffaele. Quel nome, quel dannato nome italiano che lo aveva reso il ragazzo della profezia, quel nome che non sapeva nessuno all'Agenzia, tranne lei. Una ragazza pazza che gli lasciava un pacco, i funerali il giorno dopo e poi Lea. Dopo sei settimane era ancora tutto come il primo giorno, il dolore era lo stesso. Aprì lentamente la scatola e tirò fuori un libro, Alice nel Paese delle Meraviglie. Chi mai avrebbe potuto inviargli il romanzo della pazzia attraverso una pazza? Sicuramente qualcuno che conosceva bene la letteratura del Ventesimo secolo. Stava quasi per scartarlo annoiato quando si accorse di un foglietto messo come segnalibro. Lo aprì. C'era una frase sottolineata, delle coordinate spazio tempo impossibili e un appunto vicino alla frase. Thomas scaraventò con rabbia il libro dall'altra parte della stanza mentre quella frase continuava a risuonargli in testa con la stessa voce della pazza che gli aveva consegnato il pacco. Presto che è tarsi, presto che è tardi. Presto che è tardi. Continuava a martellargli in testa, finché la voce della ragazza non diventò quella di Lea. Presto che è tarsi; presto che è tardi, ragazzino. Era quella la parola appuntata al lato della pagina con quella calligrafia inconfondibile. L'aveva vista morire, era stato accanto a lei mentre esalava l'ultimo respiro. Presto che è tardi, ragazzino. Raffaele. Lei lo aveva detto. Coordinate impossibili. Thomas si passò una mano tra i capelli e poi davanti al viso. Si mise al lavoro. Maledetto, dannatamente maledetto a sperare che fosse vero, che non fosse uno scherzo o una trappola. Fece qualche buon calcolo. Aveva dieci minuti per manomettere e isolare il suo auricolare e poi collegarlo a qualcuno che lo avrebbe potuto aiutare. Odiava avere poco tempo ma ora le parole della pazza iniziavano ad avere senso. Presto che è tardi. "Kalliope!" urlò all'auricolare. "Thomas, per tutto il cronospazio, sono fuori servizio, come ti sei collegato." "Ascoltami, mi devi far arrivare alle coordinate che ti invio ora, okay? E' questione di vita o di morte." rispose lui mentre metteva la scimitarra nel fodero e se la assicurava alla schiena. "Sono impossibili" rispose lei. "No, solo molto improbabili." "Thomas, ti sto dicendo che queste coordinate non esistono." la ragazza aveva paura a inserirle nella macchina per i trasferimenti, sarebbe potuto saltare tutto. "Te l'ho detto, è solo altamente improbabile ch esistano. Immettile Kalliope." Fece appena in tempo a prendere il libro dal pavimento che si ritrovò nel nulla più assoluto. Kalliope non rispondeva più all'auricolare e intorno a lui c'era solo un'immensa distesa di bianco. "Ottimo sono nel Nulla." commentò ad alta voce. "No, sei solo vicino in una buca di potenziale." a parlare era stata la pazza. "Ma tu chi sei?" chiese Thomas. "Piacere, io sono la Storia, vieni con me che lei vuole vederti." questa volta si era cambiata e aveva addosso un vestito nero strappato in fondo, così si vedeva la sottana bianca e i capello raccolti in due trecce. In più i colori del trucco avevano un senso, anche se il rosso delle labbra era troppo acceso. "Ma chi è lei?" In tutta risposta la Storia ridacchiò. Lei lo stava aspettando poco più in là. I capelli le erano cresciuti e aveva addosso un lungo vestito azzurro impreziosito da piccoli fiori e un leggero velo sulla spalla. Non sembrava lei. Eppure i capelli erano grigi e mossi come quelli della nebbia di Londra, gli occhi arancioni come i tramonti mediterranei e il sorriso storto di chi ha appena compiuto lo scherzo del secolo. Thomas la fissò un attimo. "Sei settimane..." disse solo. Lea abbassò la testa come per scusarsi. "Come faccio a sapere che sei vera?" "Non lo sai, ma spero tu abbia portato un cambio da uomo che con questo abito mi sentov eramente un fantasma." rispose lei. Thomas si avvicinò lentamente e scoprì la parte dove ci sarebbe dovuta essere la ferita mortale. Una lunga e storta cicatrice bianca si trovava all'altezza del suo cuore. "Siamo segnati tutti e due." gli disse lei. "Sei viva. Perché sei viva?" "Colpa mia." si intromise ridacchiando la Storia. Cambiò forma e diventò una vecchia, poi una donna trasandata, poi una diva, poi una guerriera e infine tornò alla sua versione originaria. "Racconta no?" il ragazzo stava iniziando a perdere la pazienza e stava iniziando a pensare che fosse tutto un sogno. Magari era morto. "Lei era morta tecnicamente. Ma io sono la Storia e faccio quello che mi pare. Se lei fosse morta poi nel futuro rispetto a ora, cioè non relativo al Tempo ma relativo al continuum, sarebbero morti tutti perché tu e lei avete ancora tanto da fare." rispose la Storia. "Sembra pazza ma non lo è. E' semplicemente tanto sola." si intromise Neumalea. "Ti sta dicendo che il Tempo e il continuum si diramano in modi differenti, ma questo lo sai già. Il Tempo è quello umano, il continuum è quello nostro e di chi viaggia nel tempo. In pratica dobbiamo entrare nella stanza 42 e tu non l'avresti fatto senza di me." "Sei viva..." rispose solo Thomas. Era viva, era veramente viva. Dopo sei settimane di dolore e di lutto, lei era viva. Una lacrima scese sulla guancia del ragazzo bagnandogli la cicatrice. Lea si alzò e gli asciugò la lacrima. "Sei cambiato." disse solo, indicando gli orecchini. "Non ti piaccio?" Lea lo baciò. Erano state sei settimane d'inferno. Non poteva comunicare con lui, non poteva fare nulla se non cercare di guarire e cercare un modo di uscire da quella buca di potenziale. Serviva qualcuno da fuori ma il suo auricolare era rotto. Il dolore più grande era stato rimanere senza Thomas. Senza quelle labbra, senza quel sorriso. Era cambiato, era distrutto, dentro di lui ora c'era qualcosa che si era spezzato, un dolore antico che non avrebbe potuto dimenticare. Eppure quel bacio sembrava poter aggiustare tutto, tutte le loro cicatrici, tutti i pezzi della loro mente che se ne erano andati a spasso in quelle sei settimane, tutti i frammenti dei loro cuori. Tutto. Era un affogare e poi riprendersi, un morire e poi ricominciare a respirare come se quell'amore fosse allo stesso tempo una condanna e una salvezza. Thomas non ci poteva credere, Lea era lì, era veramente lì, viva, davanti a lui mentre lo baciava. La strinse con forza come se avesse paura di perderla, come se gli potesse scivolare via dalle mani da un momento all'altro. "E comunque è sempre valido il mio testamento, anche se ora sei un cattivo ragazzo." sorrise lei ai vestiti di Thomas. "Sono mai stato un bravo ragazzo?" "Ooookay perfetto ragazzi, ora fuori da questa dannata buca di potenziale! Dovete entrare nella stanza 42, Raffaele vedi se riesci a contattare quella ora!" si intromise la Storia. "Puoi chiamarmi Thomas?" chiese il ragazzo. "Eh no, tu sei Raffaele!" protestò la pazza. Thomas la ignorò e cercò di contattare Kalliope. "Pronto... pronto? Oh per il cronospazio Thomas dove eri finito? Che faccio?" chiese l'Agente dall'altra parte del continuum. "Portaci nel Ventunesimo. A me e all'Agente Neumalea." disse Thomas sorridendo raggiante. Era viva, era veramente viva. Ancora stentava a crederci. "Neumalea? Ma non era...?" "Non ti preoccupare Kalliope! Ho appena chiaccherato con la Storia!" detto questo fece l'occhiolino alla pazza Storia che li stava salutando e un attimo dopo si ritrovarono nel Ventunesimo. "Bentornata a casa." sorrise lui. "Ottimo. Tommy, hai addosso la mia maglia." rise Lea. Il ragazzo se la tolse e fece per andare in camera sua ma fu paralizzato dall'urlo di Lea. Già, aveva un enorme tatuaggio per tutta la schiena, non ci aveva ripensato. Si girò verso la faccia stupita di lei. "Non ti piace?" chiese alzando un sopracciglio. "Oh, sta zitto. Sei bellissimo Tommy!"

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Capitolo 32
*** 32 - la regina della commedia ***


"Ti sei tatuato quel pugnale?" gridò Lea sconvolta. "Si ma i miei timpani non ti hanno fatto nulla di male, sono innocenti." rispose lui. All'inizio era stato troppo strano guardarsi allo specchio e vedere quell'enorme disegno che gli occupava tutta la schiena, ormai invece ci aveva fatto l'abitudine, lo considerava parte di sé. "Te lo sei tatuato... ti sei tatuato quel pugnale..." "Dovevo." Thomas indossò una camicia e quasi sembrò tornare il ragazzo che Lea conosceva, come se quelle settimane non fossero mai passate, come se non avesse dovuto convivere con un lutto. Ancora non riusciva a capacitarsi di come Lea potesse essere ancora viva ma aveva deciso di non pensarci troppo. "Me ne vado per sette settimane... mhh quanto suona strano con tutte queste t... e ritrovo il mondo ribaltato. Niente biscotti a casa, tu con un tatuaggio enorme e gli orecchini, la sala piena di disegni con me come soggetto e non dirmi che sul divano c'è il violino perché hai imparato a suonarlo!" la ragazza prese in mano lo strumento, rigirandoselo cuoriosa tra le mani. Era sempre stato lo strumento che preferiva ascoltare, amava guardare la grazia con la quale i violinisti suonavano e amava la musica che parlava di passioni e dolore. "Emh... ho imparato a suonare il violino, si." Thomas lo prese in mano e se ne andò in camera sua. Il violino in quelle settimane era stata l'unica cosa attraverso la quale sfogarsi e ora ne aveva di nuovo bisogno. Per quanto non lo volesse ammettere, era successo tutto troppo in fretta. La sua morte, il lutto e poi trovarla viva e tornare in quella casa insieme, come se nulla fosse successo, come se non ci fosse mai stata la caduta. Si chiuse in camera e iniziò a suonare. Era un canone inverso delicato e straziante, e lui suonava quello strumento più forte che poteva, come se quella musica potesse rispondere alla sue domande, con le sue note dolorose e le sue pause distrutte. Lea si avvicinò alla camera per forzare la maniglia ed entrare, poi sentì le prime note. Ne rimase quasi incantata, si sedette davanti alla porta e chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare da quella musica. L'inizio era rassegnazione, annichilimento, poi alzava i toni, quasi a voler reagire con rabbia a tutto quel male. Quelle note alte, quasi sgraziate parlavano di un dolore antico e sempre nuovo, di ricordi perduti e speranze illusorie. Era una melodia che parlava di amore e di dolore, di rabbia e di illusioni. Ecco che si faceva più concitata, più dolorosa ancora, come uno strappo su di una tela candida. Le scale veloci, i piccoli rallentamenti, quella forza con la quale lui continuava a suonare quello strumento disperato, Lea non se ne rese conto ma aveva gli occhi lucidi. Era questo il dolore che aveva provato lui allora, un dolore che non credeva possibile. La melodia si interruppe come se fosse finita, per poi riprendere. Le note erano le stesse ma ora parlavano di rinascita, di speranza, di un futuro che forse sarebbe potuto esistere. Eppure non era solo quello, era rinascita ma non del tutto, quel dolore aveva lasciato una cicatrice profonda, era un ferito che cercava di rialzarsi ma non poteva riuscirci perché mutilato a una gamba e allora guardava il cielo sopra di sé sapendo che alzandosi avrebbe vissuto ma consapevole di non poterlo più fare. Thomas stava appoggiato alla porta, piangendo e ridendo allo stesso momento. Non era mai riuscito a finire quel canone inverso, non era mai riuscito a suonare quel finale di liberazione, quelle frasi che urlavano la sua incapacità di rialzarsi fino a quel momento. Alla fine si accasciò sulla porta, il violino accanto a sé mentre l'ultima lacrima gli scorreva lungo il viso, incespicando sulle pieghe della cicatrice e fermandosi sull'orlo del labbro, quasi non volesse andarsene. Thomas si morse il labbro sentendo il salato del suo pianto nella bocca. Quando si decise ad aprire la porta della camera non si aspettava di trovare Lea addossata alla porta con gli occhi lucidi. "Uh... scusa. Non volevo farti piangere." borbottò lui passando in corridoio. "Sei bravissimo lo sai? Non ho mai sentito suonare qualcuno in questo modo." sorrise stancamente lei. "Sono stato un Agente con molto tempo libero ultimamente." Fu un attimo, si sentì immensamente felice di averla lì davanti mentre sorrideva. Forse era ora di crederci, era ora di ricominciare. La tirò su e la baciò come non aveva mai fatto nemmeno quando l'aveva ritrovata. Era un bacio spezzato, c'era la perdita e la gioia di averla ritrovata. Le passò le mani sulla schiena e sui fianchi stringendola sempre di più mentre lei lo abbracciava forte, mordendogli il labbro inferiore e accarezzandogli le spalle. "Troppo romanticismo...?" chiese ad un tratto Lea interrompendo il bacio. Thomas scrollò le spalle. "Decisamente, così rischiamo di arrivare in ritardo al tuo funerale." sorrise lui. "Mhh già. Ah Tommy, io ho l'auricolare fuori uso." "Non c'è problema, te ne creo un altro collegato con il mio, così farai tutti i miei trasferimenti." il ragazzo corse in salotto e tirò fuori dal cassrtto del tavolo che si trovava in mezzo alla stanza, tutto l'occorrente per creare un auricolare illegale. "Non una parola." disse a Lea che già aveva pronta qualche battutina sarcastica. La ragazza chiuse la bocca, non riuscendo però a trattenere un sorriso. L'auricolare fu pronto in cinque minuti. "Agente Thomas chiede trasferimento nell'area posteriore dell'Agenzia." La sua richiesta fu accolta con una velocità inaudita, probabilmente perché i Macchinisti sapevano del suo particolare legame con la presunta morta. Atterrarono sul parco dietro l'Agenzia. "Tu nasconditi per ora." gli disse Thomas e si avviò verso la sala dove si sarebbe tenuto il funerale. Era tutto completamente bianco, come il suo grado. Il colore dei Generali Temporali, dei Geniet, era il bianco e quel giorno si sarebbe reso omaggio al miglior Generale che l'Agenzia avesse mai visto. Headstrich, in grigio come sempre, stonava palesemente con il candore di quell'allestimento e la bocca storta in una smorfia di disapprovazione faceva trasparire tranquillamente il suo pensiero al riguardo. Non c'erano sedie, solo una lapide bianca in fondo alla stanza, con sopra inciso: Agente Neumalea. Generale Temporale, eroe di guerra. Un signore con i capelli brizzolati e gli occhi lucidi si avvicinò ad Headstrich. "Il suo nome è Sarah Moonwhite." nonostante sembrasse distrutto, la sua voce era ferma. "Signor Moonwhite, Sarah non è mai esistita, ora la prego torni al suo posto vicino ai nostri Agenti. Anche se questo non è il suo posto." Thomas sentì la conversazione di sfuggita e ebbe il forte istinto di prendere a schiaffi Headstrich, ma si controllò. Guardare quella lapide, pensare che lei sarebbe potuta tranquillamente essere morta, distrusse Thomas ancora di più. Erano presenti quel giorno non solo gli Agenti ma anche i Professori, i Macchinisti, gli Archivisti e tutti coloro che in un modo o nell'altro erano collegati all'Agenzia. "Siamo qui oggi per ricordare un nostro Generale temporale caduto valorosamente per la salvezza del mondo." iniziò Headstrich "purtroppo però non condivido i sentimenti che vi hanno spinto a chiedere a gran voce il funerale. L'Agente era irrispettosa, egoista, disubbidiente e..." Non finì mai la frase perché qualcun altro la finì per lei. "...imprevedibile." Neumalea faceva così il suo ingresso teatrale nella stanza, mentre Thomas sorridev pensando alla sua carriera di attrice melodrammatica. Aveva la divisa da Generale e i capelli raccolti in una coda tirata che la rendeva ancora più severa. Sarebbe potuto essere un fantasma, la sua divisa bianca si confondeva con il candido della pareti. "Sempre gentile, Headstrich." continuò imperterrita lei "oh si, sono viva. Come? Vada a chiedere alla Storia, anche se di solito non ha voglia di parlare con le vecchie noiose. Detto questo sono molto onorata per avermi acclamato come eroina. Bene ora ce ne andiamo. Dove sta il mio Thomas?" Dentro la sala c'era un silenzio tombale. Tutti gli occhi erano rivolti verso quella figura che aveva sarcasticamente commentato il discorso del direttore, insolentemente ringraziato per il funerale e sfacciatamente chiesto di un Agente. Headstrich si passò una mano tra i capelli, non sapeva se essere spaventata o disgustata. "Che sei tu l'abbiamo appurato al primo insulto, come non è lecito chiedere da quello che ho capito ma almeno perché questa messa in scena?" domandò la direttrice esausta. "Perché è la regina della commedia, lei." A rispondere non era stata lei ma Thomas che sorridendo, le era andato incontro e le aveva passato il braccio dietro la schiena. "Sarah..." una voce si levò dall'assemblea e fece la sua comparsa l'uomo brizzolato. Aveva gli occhi stanchi e lo stesso sorriso storto di Lea. La ragazza rimase pietrificata. Quello non se l'aspettava, non sapeva come reagire, era passato così tanto tempo... "Papà, come mai sei qui?" "Non avrei potuto fare altrimenti. Mi sono perso la tua vita, almeno avrei onorato la tua morte." Lea si sciolse dall'abbraccio di Thomas per correre incontro al padre e stringerlo forte. "Papà! Oh quanto mi sei mancato!" "Per questo impediamo agli Agenti di venire in contatto con i loro concepitori." sentenziò Headstrich. "Concepitori?" Lea alzò lo sguardo "Come se fossero due persone da usare per raggiungere uno scopo, come se fossero due macchine usate per produrre il vostro caso umano da usare per vantarvi con l'Universo. Mia madre mi ha tenuta in grembo per nove mesi. Pensa che non contano niente quei nove mesi? Illusa. Non potete togliere a un bambino una madre e anche solo illudervi che non ne sentirà una mancanza così atroce da distruggerlo interiormente. Un bambino ha bisogno di una madre. E di un padre che ascolti i suoi pianti e li culli con fermezza, che non vizi, che protegga. Ma voi questo lo sapete, giocate proprio su questa disperazione per creare gli Agenti. Create i nuovi orfani, non vi fate schifo?" Aveva detto queste parole di getto, non pensando a quanto somigliassero al discorso di Alexander tanto tempo prima. Loro erano i nuovi orfani, senza madre e senza padre, cresciuti dalla logica. Lea si rivolse suo padre. "E la mamma?" Non era sicura di voler sentire la risposta, il volto di suo padre era già abbastanza espressivo. L'uomo però non rispose a Lea, ma a Headstrich. "Non potete pensare di portare via una figlia a una madre e sperare che non impazzisca. O non muoia di dolore. E' sopravvissuta per tre anni dopo che te ne sei andata, io invece ancora mi trascino nella vita." le ultime parole erano rivolte alla figlia. Lea si arrabbiò. Thomas corse a prenderle la mano per tranquillizzarla, con scarsi risultati. "Io ti ucciderò." sussurrò verso Headstrich.

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Capitolo 33
*** Capitolo Speciale - crossover ***


Thomas uscì dal suo dormitorio e iniziò a scendere silenziosamente le scale. "Anche questa notte?" chiese scocciata una voce femminile, seguita da un leggero brusio, sbadigli e da sussurri di approvazione. "E tu anche questa notte hai svegliato tutti." borbottò il ragazzo rivolto verso il muro. "Un giorno o l'altro smetteremo di coprirti!" questa voce invece era maschile. "Con una di quella razza poi!" "Attenta a non offendere." si intromise una voce strascicata, seguita vari versacci. "Perché non te ne torni nei sotterranei che ami tanto mentre noi ragioniamo con Thomas?" Le voci si susseguivano confuse e sempre più rumorose. Era come se si stesse svegliando una piazza di gente. Thomas sbuffò sonoramente. Era così tutte le volte. Continuò a scendere le infinite scale a chiocciola mentre le voci lo rincorrevano e aumentavano. "Volete svegliare tutto il castello?" sbottò lui ad un tratto riducendo tutti a un religioso silenzio, interrotto naturalmente dalla voce femminile che aveva dato il via alla discussione. "Controlla i Troll di Barnaba al settimo piano!" Quell'affermazione fu seguita da una serie di considerazioni poco graziose sui Troll del terzo piano, da qualche lamentela degli assonnati e da borbottii sulla maleducazione e l'indecenza di quel ragazzo. "Sarà fatto m'lady." sussurrò Thomas rivolto verso un quadro, poi continuò la sua discesa. Controllò i Troll del settimo piano, che dormivano ovviamente, ma la signora della Torre viveva in uno stato di ansia perenne da quando era stata travolta da quegli stessi Troll durante una passeggiata nel castello; poi entrò in un'aula lì davanti. La porta era immensa e intarsiata, completamente differente dalle altre porte del catstello, come se non ci dovesse essere lì. Lei non era ancora arrivata naturalmente, quindi Thomas continuò a leggere il suo libro. Una soffusa luce verdastra illuminava il volto di Lea, creandi giochi di ombre nello specchio davanti a lei. "Vai da quello strano vero?" chiese una ragazza stesa in modo scomposto su un elegante divano. Tutto in quella sala era distinto e superbo, dagli arredamenti alle stesse persone che chiaccheravano divise in piccoli gruppetti. Si assomigliavano un po' tutte, forse per quella particolare espressione di superiorità perennemente dipinta sul loro volto oppure per l'ostentata eleganza con la quale si muovevano. Sembravano tanti infidi ed orgogliosi serpenti. "Non sono affari tuoi, Cathy." rispose Lea. "Si, se te ne vai in giro con i capelli grigi e gli occhi arancioni. Prima non lo facevi, ti cambiavi. Poi è arrivato lui con i capelli bianchi e tutto è cambiato. Sei inquietante e l'arancione non mi piace con il verde." "Sai che sono i colori che mi vengono più naturali." Lea continuò ad aggiustarsi i capelli, incurante dell'occhiataccia della sua amica, poi si avviò verso la porta. "Neumalea Atria Black!" la riprese Catherine. "Eh?" "Metti almeno il profumo!" la ragazza le lanciò una boccatta ridacchiando, poi risalì nel dormitorio, lasciando Lea a correre per i corridoi del castello. Era in ritardo, era sempre in ritardo. Arrivò trafelata al settimo piano, poi si girò verso la porta, si ricompose ed entrò come se non avesse corso. Thomas alzò gli occhi verso di lei. Era proprio questo il motivo per cui l'aveva notata la prima volta, lei riusciva a fargli interrompere qualsiasi attività, persino la lettura. Era strana anche lei. Quella notte aveva addosso la divisa da uomo che usava anche di giorno e un piccolo orecchino a forma di serpente si attorcigliava pigramente intorno al suo lobo, sibilando di tanto in tanto. Testurbante naturalmente e anche se alla fine in lei era stata più forte la parte fredda e calcolatrice, il Cappello aveva avuto il suo bel da fare per decidere se assegnarla alla Casa dei saggi o degli ambiziosi. Thomas era Corvonero naturalmente, il Cappello Parlante non aveva avuto dubbi. La ragazza si avvicinò e lo baciò sulla punta delle labbra sorridendo. Due metamorfmagus con l'ossessione per la logica e per le regole infrante, erano perfetti. "Idee per stasera?" chiese Thomas inclinando leggermente la testa di ato e sorridendo. Amava quella stanza, permetteva di fare qualsiasi cosa senza che gli altri lo scoprissero. "Svegliamo Sir Cardogan naturalmente!" la ragazza piroettò su se stessa e lo prese per mano, trascinandolo per il corridoio. "Intendi svegliare buona parte del castello?" la voce di Thomas era tra il divertito e il preoccupato. Svegliaere Sir Cardogan equivaleva a creare un rumore di proporzioni colossali, era un po' come organizzare uno scherzo con Pix, ammesso che tu fossi riuscito a sopravvivvere illeso a un incontro con il poltregeist e ad avergloi parlato. Sarebbe comunque servito un diversivo per Gazza, questo Lea lo sapeva bene. "Pix!" propose la ragazza. "E' imprevedibile. Ci serve qualcosa di più o meno controllabile. La Signora Grassa! No, poi avremmo i Grifondoro tra i piedi..." il ragazzo si mise a pensare. "Ci sono! Va a dare fuoco alla sala dei Trofei, è abbastanza lontana dalla Torre di Divinazione. Ci vediamo alla Torre di Corvonero. Se non mi vedi arrivare, entra." Thomas aveva detto questo tutto di un fiato, dando inoltre per scontato che Lea sarebbe riuscita ad entrare. Per secoli nessuno che non fosse Corvonero non era riuscito a entrare nella Torre ma ormai erano secoli che non si vedeva una Testurbante Corvonero dei livelli di Lea. La ragazza stranamente non ebbe nulla da obiettare e iniziò a scendere le scale, mentre Thomas doveva solamente arrivare alla Torre, che si trovava proprio in quel piano. Corse fino al quadro. Sir Cardogan dormiva beatamente, appoggiato in maniera buffa al suo grasso pony. Quando il ragazzo iniziò a sentire dei passi affrettati e una voce che imprecava, capì che Lea aveva appena fatto il suo danno. "Sir!" urlò "Vi sfido a duello!" Il povero cavaliere si svegliò di soprassalto e l'elmo gli si chiuse davanti alla faccia, così che brandiva la spada verso il nulla. "Tie fellone, tiè! Non sfidare Sir Cardogan!" Il quadro iniziò ad urlare e a sbatacchiare dappertutto con la sua armatura, il pony imbizzarrì e tutti i quadri intorno iniziarono a svegliarsi. Thomas prese e iniziò a correre verso la Torre di Corvonero. Avevano iniziato a creare danni nel castello quasi da subito, li divertiva e nessuno dei professori ne tantomento Gazza, riuscivano a prenderli. Ovviamente sapevan che erano loro, quella Serpeverde e quel Corvonero che stavano insieme sfidando qualsiasi astio tra Case. Si incontrarono proprio davanti alla Torre Corvonero. "Eccolo di ritorno!" commentò il quadro che l'aveva fermato all'inizio "hai controllato i Troll?" "Dormono con Barnaba il Babbeo, come sempre m'lady" commentò Thomas. "Oh ma quella è la Serpeverde?" chiese pettegola, svegliando di nuovo i quadri intorno, che vollero subito dare un'occhiata a quella ragazza che aveva preso il cuore dl loro studente preferito. "Carina..." "Serpeverde." "Anche lei metamorfmagus?" Prima che Thomas riuscisse a rispondere si udì un rumore di passi sulle scale. Gazza. I due ragazzi si rovolsero verso l'entrata del dormitorio. "Viene prima la fenice o il falò?" chiese enigmatica l'aquila. Thomas ridacchiò. "E' un ciclo, un cerchio, non ha..." "Nè un inizio nè una fine!" completò velocemente Lea la frase. Thomas ci stava mettendo troppo, si divertiva a spiegare le sue risposte ma non avevano tempo. L'aquila li fece passare e nello stesso istante arrivò Gazza. I quadri chiusero gli occhi. I due ragazzi fecero solamente in tempo a sentira le signora della Torre rispondere al custode. "Ragazzo e ragazza? No, non li ho visti, dormivo!" Thomas ridacchiò, in fondo erano tutti dalla sua parte. Ragazzi, dieci punti alla Casa si chi indovina come dove si incontrano Thomas e Lea all'inizio;) Non è facile ma ho lasciato indizi un po' dappertuto!

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Capitolo 34
*** 33 - Un buco nel firewall ***


Erano ormai tre giorni che Thomas rimaneva chiuso in camera. Non mangiava, non dormiva, non parlava con nessuno. Lea aveva provato a bussare, a forzare la serratura, ad arrabbiarsi e a pregare, nulla aveva funzionato. Ore di silenzio si alternavano a frenetiche melodie distorte suonate con il violino a qualsiasi ora. La svegliavano a notte fonda, le facevano compagnia il giorno; quello era l'unico sintomo della presenza del ragazzo in casa. All'alba del quarto giorno Thomas uscì dalla stanza per andare a prepararsi delle puntarelle. Ne aveva voglia. Lea fu svegliata dallo sfrigolare del fornello e lo trovò che mangiava tranquillamente, come se tutto fosse normale. "Tommy, sono le cinque del mattino." gli fece notare lei mentre storceva la bocca verso il suo pasto. "Avevo voglia di puntarelle, poi ho finito." il ragazzo scrollò le spalle. "Quindi mi dirai cosa hai fatto questi tre giorni?" "Tre giorni? Devo aver perso il senso del tempo..." si passò una mano tra i capelli, arruffandoli ancora di più. Erano cresciuti nell'ultimo mese e ora qualche riccio ribelle gli ricadeva davanti agli occhi creando un effetto particolarmente affascinante: sembrava una statua greca con quell'espressione corrucciata e quel ciuffo che quasi gli sfiorava il naso. Lui sembrava non accorgersene, prese un elastico e si raccolse i capelli in un buffo codino. Lea trattenne una risata. "Ho sviluppato un virus." spiegò Thomas andando a lavare il piatto. "E' abbastanza potente da riuscire a bucare il firewall." "Quanto tempo avremo?" chiese la ragazza sbadigliando. Era preoccupata, anche se cercava di non darlo a vedere. Le difese dell'Agenzia erano praticamente impossibili da far saltare. Lui però sorrise, di quel sorriso che ha chi ha preparato il miglior scherzo dell'epoca. "Manderà in tilt qualsiasi cosa. " iniziò a spiegare pragmatico, ma si vedeva che era fiero di quello che aveva creato. "ogni minimo impianto tecnologico, compresi quelli di emergenza. Questo virus sa muoversi attraverso il continuum e attaccherà ogni fonte informatica, elettrica e meccanica. Vede il continuum come una rete informatica di scambi di informazioni. Naturalmente ho delimitato il raggio di azione per evitare di contagiare tutti i sistemi informatici della Storia. "E noi come faremo a scappare una volta che non funzionerà più nulla all'interno dell'Agenzia, quindi nemmeno i trasferimenti illegali?" Lea si prese un pacco di biscotti e si buttò su una sedia. "Qui viene il difficile." "Fortuna." commentò sarcastica lei. "Ci serve qualcuno che si muova al di sopra del continuum perché non sarà attaccato dal virus. Dobbiamo ricontattare la Storia." "Io non ci torno in quella buca di potenziale." esclamò lei puntando i piedi per terra come una ragazzina. Lo era, una ragazzina, in teoria aveva appena diciassette anni. Quasi diciotto in realtà, ma non era importante l'età. Tutti gli eroi erano sempre stati troppo giovani, in tutti i libri di ogni epoca che lei aveva letto. Sembrava quasi uno scherzo del destino che lei, che eroina non si era mai sentita, si era ritrovata a recitare quel ruolo che non sentiva, che non le apparteneva fino in fondo. Thomas sarebbe potuto essere un eroe una volta, ora nemmeno lui riusciva più a rimanere dentro quel vestito stretto che gli avevano cucito addosso. "Torniamo indietro alle cascate di Reichenbach allora. " propose lui accendendosi una sigaretta. Non aveva voglia di discutere, era appena emerso da tre giorni di studio informatico e quel virus era qualcosa di distruttivamente unico. Nessun altro Agente avrebbe mai potuto sviluppare un programma del genere. Lea annuì pensierosa. "Secondo te, entrare nella stanza 42 sarà un momento così distruttivo da permetteci di trovare il segreto dell'immortalità?" "Vuoi diventare immortale?" Il sorriso bianchissimo di Lea fece capolino sulla sua faccia. "Perché no?" "Ci serve la Storia anche per questo" osservò Thomas giocherellando distrattamente con la sigaretta accesa. "Lo so. Quindi a Reichenbach?" chiese lei. "Hai le coordinate?" Lea annuì. "Allora Reichenbach sia!" Lea sorrise leggermente e corse a vestirsi. Indossava semplicemente la divisa da Geniet e, come il giorno del suo funerale, incuteva un timore reverenziale. Thomas era ancora uno Stemma Arancione e la sua era la classica divisa nera con la fascia del suo colore appuntata al braccio, come un militare. Perché erano questo, erano soldati, erano un esercito di ragazzini. "Dovremmo farti alzare di grado. Generale per i servigi resi all'Agenzia e per la salvezza del mondo intero." commentò Lea, vedendolo arrivare tutto preciso, i capelli legati all'indietro e la divisa perfetta. "Headstrich non era molto per la quale, sai ci aveva quasi sperato nella tua morte." "I giorni di Headstrich però sono contati." "Non fare pazzie, Lea." "Non da sola." la ragazza sorrise e provò lo stupido impulso di baciarlo. Si poteva dire che stavano insieme, però non era ancora abituata a pensarsi in una relazione. Cacciò via tutte le sue paure e si sporse verso di lui, lasciando un piccolo morso sul labbro inferiore del ragazzo, che si era istantaneamente storto in un sorriso. Chiesero immediatamente il trasferimento e, per una volta, furono accontentati senza proteste. Ora tutti avevano timore e ammirazione per Thomas, per quel ragazzo che era diventato leggenda. "Dovremo trovare un altro modo per il mio auricolare. Se poi io mi arrabbio con te e non posso andarmene perché i miei trasferimenti sono legati ai tuoi?" brontolò ridendo Lea. "Primo, in caso sono io che mi arrabbio con te. Secondo, ci sto già lavorando, ma devo perfezionarlo, voglio..." Thomas non finì mai la frase perché un getto d'acqua lo investì in pieno, facendo sbuffare lui e ridere lei ancora più forte. "Chissà dove sarà la Storia" commentò a bassa voce il ragazzo, per venire poi travolto da una figura minuta avvolta in un vortice di vestiti. Aveva una bombetta nera quel giorno sormontato da un'altra bombetta nera e da un cilindro rosa dal quale partiva una piuma gialla. Era piena di gioielli e il viso era mortalmente bianco. "Hai avuto fortuna, ieri non ero qui ma oggi avevo voglia delle cascate!" mostrò i denti bianchissimi e il dente d'oro piroettando continuamente su se stessa. "So perché siete qui, sono la Storia no? La Storia che sa tutto e tutto risolve, la Storia che sta al di sopra ma anche in mezzo al Tempo, la Storia dei re pazzi e dei saggi bambini, la Storia degli intrighi e degli onesti, la Storia delle porte chiuse e dei portoni aperti!" "Davvero sai perché siamo qui?" Lea era leggermente stupita. Continuava a cercare di capire le parole della Storia ma era perennemente distratta dall'accozzaglia dei vestiti. "E' per la stanza no? Ma certo che è per la stanza! Ottimo programmino tra l'altro." ammiccò rivolta a Thomas. "Sai...?" "Io so tutto quello che è successo lungo il continuum fino ad ora, si dirama come mi diramo io. A voi serve essenzialmente un passaggio.! "Esatto, ci aiuterai?" chiese Lea. "No" ridacchiò la Storia "io non posso interferire." Thomas alzò un sopracciglio: "Finora infatti non lo hai mai fatto." le ricordò sarcastico. "Beh ho deciso che da oggi non interferirò mai più con me stessa." "Ma sei tu la Storia! Anche non interferire significherebbe interferire, decidi tu cosa succede! Più o meno..." le urlò addosso Lea che aveva già perso la pazienza. "Non puoi non interferire con te stessa, significherebbe non far accadere nulla." "La risposta è no." "Non farti pregare." sospirò Thomas. "Ognuno ha il diritto di conoscere le proprie origini." Era stato un azzardo, lui non sapeva cosa si trovasse all'interno della stanza numero 42, aveva avuto soltanto una strana sensazione ma aveva imparato ad ascoltare le sue intuizioni. La Storia infatti sbiancò un attimo e si fece seria. Non c'era più nulla della pazza in lei, ora potevi leggere nei suoi occhi il peso di millenni. Anche Lea si stupì delle sue parole, non disse nulla ma gli strinse forte l'avembraccio. "Come lo sai?" "E' importante?" rispose lui alla Storia. "No, naturalmente no. Questo non cambia niente." "Questo cambia tutto." si intromise Lea. "Noi entreremo in un modo o nell'altro, anche se verremo catturati. E tu questo non puoi permettertelo vero?" Il cervello di Lea aveva lavorato velocemente nell'ultimo minuto. Quando non era morta la Storia aveva nominato sia la staza 42 sia un futuro lontano e indistinto. Sarebbero ancora serviti, non sarebbero potuti morire giustiziati dall'Agenzia. "Ho alternative?" chiese la Storia. "Non si hanno mai." fu la lapidaria risposta di Thomas.

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Capitolo 35
*** 34 - Quanto fa 6x7? ***


"E sia allora, vi trasferirò io." la Storia sbuffò contrariata "Anzi, vi darò dei trasferitori indipendenti, non voglio rotture di scatole." Detto questo iniziò a frugare nel cappello, tirando fuori due bracciali in ferro sopra i quali si trovavano due schermi illuminati. "Potete avvicinare il braccio alla bocca e parlare, oppure vi do due interessantissime alternative." iniziò a spiegare aprendo la bocca in un sorriso che di sano aveva poco. "Non ci interessano le tue doti da venditrice." la interruppe Lea "Dicci." "Questo connette il bracciale a qualsiasi cosa." la Storia tirò fuori dal cappello due piccole palline argentate, una per bracciale. "Va impiantato o sulla bocca così potrete parlare o a un nervo, ma dovreste riuscire a mandare l'input giusto al momento giusto. Naturalmente questo funziona con il Tempo, non con il continuum, quindi non sarà attaccato da quel tuo delizioso virus." "Non sarà un problema per noi Agenti. Vada per il passaggio neuronale." le rispose Thomas "Bucaci." "Così suona male Tommy." rise Lea. Il ragazzo sbuffò. Sembrava quasi un percing alla base del collo, lì dove si poteva dire che iniziava la spina dorsale. Lea e Thomas erano un po' stanchi di tutti quegli sfregi sul loro corpo riempiti da impianti elettronici, ma non si lamentarono quando il connettore si artigliò al nervo. "Mi dovete un favore." disse la Storia appoggiandosi a un albero. "Quale?" lo sguardo del ragazzo si indurì in un attimo. "No, non ora, tra un po' di anni. Quando i pazzi vi verranno a cercare, ascoltateli e ricordatevi del favore." sembrava preoccupata, sempre che il viso della Storia potesse apparire in qualche modo preoccupato. "Quindi tra un po' di anni arriveranno degli scemi a parlarci, noi dovremmo ascoltare. Ottimo, si può fare." rispose Lea. "Non scemi, persone molto intelligenti, solo con disturbi della personalità. Ora presto che è tardi, dovete entrare nella stanza!" "Solo una domanda." la fermò Lea "apriremo uno squarci nel continuum abbastanza potente da permetterci di recuperare il gene dell'immortalità?" "Naturalmente." la Storia non sembrava affatto sopresa "Mi troverete qui di nuovo, se avrete successo." "Tu non dovresti già saperlo?" era stata sempre Lea a parlare. "Alcuni eventi sono troppo importanti anche perché io li conosca, spesso le cose hanno un esito oscuro e non sempre vedo in maniera indistinta il futuro, che è passato da qui, presente qui e futuro dopo qui." ora non era più una ragazzina pazza, ma una donna sfatta, il vestito lungo stracciato e gli occhi di terribile follia, di quella follia che avrebbe distrutto il mondo, non salvato. Fu un attimo. "Qualcosa non va." continuò "e la risposta è in quella stanza e nella vostra missione. Avete visto cosa posso diventare, è come se uno di quei virus informatici sia entrato nella mia testa e non voglia andarsene. Quel segreto non può rimanere nascosto, è destabilizzante per la Storia dell'Universo!" Non avevano mai visto la Storia così, nemmeno Lea che ci aveva passato sei settimane insieme. Era preoccupante, decisamente preoccupante e allo stesso tempo follemente interessante. Si trasferirono davanti all'Agenzia all'istante. La strada che portava direttamente al portone pricipale era costantemente attraversata da un flusso di neri mezzi volanti mentre ai lati gli Agenti camminavano verso le loro destinazioni, stretti nella loro divise, con lo sguardo freddo di chi umano non è. Quella era stata casa loro per così tanto tempo, cosa era cambiato? Cosa c'era di diverso in loro, perché quello sguardo spento degli altri Agenti non era anche il loro. Non che gli altri non fossero pieni di vita, scherzavano, adoravano girare per le epoche e farsi tatuaggi, un modo per distinguersi eppure per riconoscersi; ma avevano tutti il viso di chi ha passato una vita a ubbidire senza accorgersene. Era quel senza accorgersene che spaventava Thomas e Lea. "Pronto?" chiese lei. "Dammi cinque secondi... okay, immissione del programma completata. Non capisco perché tutti si ostinano a chiamarlo virus. Ci sarà un po' di panico tra tre, due, uno..." Nessuno diede l'allarme attraversi gli autoparlanti, perché non funzionavano. Non arrivò la notizia agli Agenti attraverso gli auricolari, perché erano fuori uso. Semplicemente ci fu un momento, un solo momento in cui tutto diventò buio. "Vieni, conosco la strada a memoria." Lea lo prese per un braccio e lo trascinò verso una porta di servizio. Attreversarono corridoi e stanze, confondendosi nel caos generale, tenendo sempre la testa bassa e le mani strette uno su quelle dell'altra per non perdersi. La stanza si trovava nei sotterranei ovviamente. Era uno dei posti meno frequentati di tutto l'edificio e al buio sembrava quasi fatiscente. La porta era lì davanti a loro. Non aveva nulla di speciale, era una semplice porta di metallo come tutte quelle disseminate per i vari piani, tutte numerate allo stesso modo. Quella era la numero 42. Una scelta piuttosto ironica, nascondere la risposta che tutti cercano dentro la stanza che ha come numero la risposta alla Vita, l'Universo e tutto quanto*. L'unica particolarità era il piccolo microfonino sulla maniglia. Andava premuto e andava pronunciata la domanda giusta. Perché la risposta era 42? Ora che c'era la risposta il problema era la domanda, era sempre la domanda. Se vuoio trovare qualcosa bisogna fare la domanda giusta o la risposta apparirà priva di senso. "Quale può essere la domanda?" chiese Thomas. Lea premette il microfono. "Quante strade deve attraversare un uomo?" commentò ironica.** "Secondo me è più semplice, deve essere una risposta da homo sapiens." le sussurrò Thomas. "Tu se convinto che non siamo sapiens?" "Ovvio." borbottò lui, per poi rimettersi a pensare. Certo, Quarantadue. Quante domande avevano come risposta Quarantadue? Un bel po' di equazioni, di sistemi, di integrali definiti, di aree eppure c'era qualcosa di più semplice che continuava a sfuggirgli. Rise. Di una risata così liberatoria e così strana. Era follia, era pura follia. Rise ancora più forte, come un pazzo davanti alla camicia di forza. "Fai piano Tommy!" lo riprese Lea. Lui si avvicinò alla maniglia, premette il microfono e sussurrò: "Quanto fa sei per sette?"*** La porta si aprì in un clic. Era tutto così assurdo, così follemente sbagliato. Quarantadue. Sei per sette. Era così facile, così da sapiens. La Domanda era una moltiplicazione. La stanza corcolare era quasi del tutto buia, solo una vecchia candela si consumava lentamente. C'era un tavolo e tutto intorno un'immensa libreria. Scaffali su scaffali pieni di scartoffie si susseguivano confondenosi con i plichi ammassati per terra e sulla scrivania. In fondo c'era un'altra porta, di legno questa volta, mezza aperta. C'era un uomo seduto, illuminato dal leggero chiarore della candela. Di aspetto avrà avuto una quarantina d'anni ma i suoi occhi chiari, di un colore indistinto, parlavano di eternità. Quell'uomo era rinchiuso in quella stanza da tempo immemore, eppure la sua barba era fatta e i suoi vestiti puliti. Quasi fosse a casa sua e fossero Lea e Thomas gli estranei. "Chi sei?" chiese Lea. "Oh, numero 1279 e numero 3547, Raffaele e Sarah, Thomas e Neumalea giusto? Di voi ricordo anche i nomi. Era naturale che prima o poi qualcuno sarebbe risalito a me. Sedetevi, immagino vogliate delle risposte." indicò loro due sedie. La sua voce era profonda, baritonale, dolce. "Chi sei?" Thomas ripetè la domanda di Lea. "Chi sono?" la voce dell'uomo sembrava quasi divertita, le labbra aperte in un sorriso drittissimo e spontaneo. "Io sono il fabbricante di dei." *Secondo Pensiero Profondo, un computer immenso costruito per dare la risposta alla Vita, l'Universo e tutto quanto nei libri di Douglas Adams, la risposta è 42. Il problema è la domanda, che mai sarà scoperta in quei libri perché... oh, leggetevi i libri che sono stupendi;) ** citazione dai libri di Douglas Adams. *** io lo so che voi non capite, ma anche questa è una semi - citazione.

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Capitolo 36
*** 35 - il fabbricante di dei ***


"Che cosa significa?" chiese ancora Thomas. L'uomo non replicò, solo indicò le sedie, di nuovo. I due Agenti si avvicinarono lentamente e si misero a sedere su quelle vecchie sedie di legno. "Il mio nome non è importante, molti lo hanno dimenticato. Dovrei opporre resistenza ma voi siete due superuomini e io solo un sapiens. Non sarebbe saggio e questo momento sarebbe dovuto arrivare, è stato scritto il giorno stesso in cui voi due siete arrivati all'Agenzia. Illusa Headstrich che sperava di tenermi segreto." Poi iniziò a raccontare. Partì da lontano, dalla prima macchina del tempo. All'inizio c'erano solo le macchina, non si conosceva nulla del continuum, della Storia, del Tempo; venivano solo utilizzate le macchine del tempo per esperimenti scientifici. Quando si scoprì come trasportare le persone, tutto cambiò, un po' in meglio, un po' in peggio. Le persone iniziarono a viaggiare nel tempo per fare i propri interessim nacquero i Criminali Temporali ma non c'era nessun corpo di polizia adatto a fermarli: loro erano scienziati, conoscevano la fisica, la chimica e le armi nucleari, erano anni luce avanti a chiunque altro. Per un periodo nel continuum il caos regnò sovrano, bisognava addestrare dei soldati per la pace tra le epoche. Dopo i primi fallimenti si capì che i sapiens non erano adatti a questo, che dei soldati non potevano nulla contro degli scienziati e forte si sentì il bisogno di creare dei nuovi militari. Non potevano essere uomini, dovevano essere dei super - uomini senza legami con nessuno, senza paura di morire, qualcosa che il mondo non aveva ancora visto. "Io vi creai." continuò il fabbricante. "Io decisi le vostre caratteristiche in un laboratorio di genetica." Fu creato un virus e fu rilasciato nelle epoche dal 1900 in poi e infettò tutta la popolazione mondiale femminile, senza dare sintomi. Si attivava solo in un momento: una settimana prima del parto: attecchiva anche nell'embrione e se trovava una predisposizione genetica poi nel feto, iniziava a riprodursi e a prendere il posto delle cellule del bambino. Non era un semplice virus, era un sostitutore di cellule, portava a un'evoluzione forzatandel genere umano, creava degli dei, degli essere umani che non erano più uomini. Non era un'evoluzione naturale e di conseguenza c'erano delgi effetti collaterali, il virus alterava anche il colore degli occhi e dei capelli. "No." era stata Lea a parlare, la voce tremante. Era figlia di un virus, erano tutti figli di un virus. Orfani più di quanto immaginassero. Le sue cellule erano state sostituite, il suo DNA cambiato. Non c'era rimasto più nulla dei suoi genitori. Prese la mano di Thomas e la trovò fredda come la morte. Evoluzioni forzata. Virus. Effetti collaterali. Erano un insieme di una patologia e dei suoi effetti collaterali. Chissà che persone sarebbero state se non fossero stati colpiti dal virus. Magari lei avrebbe avuto una predisposizione per le lettere, avrebbe avuto una vera famiglua, sarebbe andata a scuola e avrebbe dovuto faticare per studiare. Lui magari si sarebbe innamorato di un'altra ragazza e non di una dea che veniva da un'altra epoca. Casualità, errore, probabilità. "No." ripeté. "Fatemi finire." l'uomo alzò i suoi occhi freddi verso le sue creature. Era naturale quella reazione ma si sarebbero ripresi subito, era scritto nel loro genoma. Capacità di razionalizzare istantaneamente. Fu costruita l'Agenzia, comandata da sapiens e grazie ai nuovi dei furono perfezionate le tecnologie. I bambini venivano addestrati dai quattro anni per creare un esercito di bambini senza sentimenti. C'era paura però, paura dell'altro, del diverso, di quel super-uomo che era così più forte dell'uomo da poterlo schiacciare, le nuove creature venivano cresciute insegnandogli a obbedire, inserendoli in una gerarchia che potesse soddisfare la loro fredda logica. Non avrebbero mai dovuto fare domande, non avrebbero mai dovuto scoprire le loro origini. "Vi ho dato anche un nome, in fondo sono vostro padre. Homo alius, è un termine latino, vuol dire altro. Naturalmente non avevo preso in considerazione una cosa. C'è sempre una cosa, un dettaglio che sfugge, il soffio che fa crollare il castello di carte." l'uomo socchiuse un attimo gli occhi, sospirando. "Ora vi racconto." FLASHBACK La donna aveva le labbra serrate in una smorfia di disapprovazione, quella smorfia che mai sarebbe cambiata negli anni. I capelli biondi erano raccolti in una coda stretta e tirata, lo unghie dipinte di un rosso intenso che faceva contrasto con tutta la smorta figura. "Vanno eliminati." il fabbricante si sporse sulla scrivania. Era venuta da lui naturalmente, dal creatore. "Sono bambini." "Sono mutazioni, Headstrich. Il virus è mutato dentro di loro, sono imprevedibili." "Io non uccido dei bambini." rispose ancora la donna. "Abbiamo profezie su di loro." "Sei diventata una mistica?" l'uomo rise, appoggiandosi allo schienale della sedia. "No, ho solo incontrato la Storia..." Il volto del fabbricante scattò in alto. "Cosa? E' pericoloso ascoltarla, vuole la nostra distruzione, è nella sua natura. Tutta la sua anima anela all'anarchia, al caos." "Però non vuole la distruzione del mondo." L'uomo assentì con la testa, questo era vero. "Chi sono? Voglio sapere i loro nomi." Headstrich alzò stupida le sopracciglia, quasi sarcastica. "Voglio ricordarmeli quando verranno a reclamare la verità." "Non lo faranno." assicurò la donna. "I nomi, Headstrich." "Sarah e Raffaele. 3547 e 1279." fu la lapidaria risposta della donna. "loro vivranno." Detto questo se ne andò, sbattendo la porta. FINE FLASHBACK "Lo sapevo che avreste portato solo problemi. Anche Headstrich se ne rese conto molto presto, ma speravo che voi sareste finiti prima dell'arrivo di questo momento. Solo quaranta anni e la vostra minaccia sarebbe stata debellata. Avete mai visto Agenti anziani?" chiese poi davanti agli sguardi confusi dei due ragazzi. Dopo i quaranta anni gli Agenti vengono resi inattivi. Come i bambini che non passano il test. Headstrich pensa che li rimandiamo a casa ma a noi basta un'iniezione. Uccisi, anche se non è il termine esatto. Non siete vere e proprie persone voi, siete i numeri di un esercito. Non possiamo rimandare i soldati difettosi a riprodursi nel mondo. Se passate il test per il mondo non esistete più, il farvi scegliere nuovi nomi è per illudervi di avere un'identità, è farvi pensare di essere persone." Aveva finito il racconto dell'orrore. Perché quello era l'orrore, era l'inferno, era il bruciare costantemente, era essere condannati a sopravvivere con quella consapevolezza. Erano un errore quindi, o erano un orrore? Ironico come queste due parole si differenzino per una vocale, in fondo sono strettamente collegate tra loro, se ci si pensa bene. Un orrore non viene forse da un errore? E gli orrori non possono far altro che errori, forse... Ci fu un minuto di silenzio, un minuto lungo una vita, mentre Thomas e Lea cercavano di accettare la cosa, di capirla, di farla propria. Non erano considerati nemmeno persone da quello che si definiva loro padre e che aveva parlato di omicidio a sangue freddo di bambini, di adulti nel pieno delle loro forze, che aveva parlato di automi e di numeri, di addestramento e di virus. Thomas si passò una mano tra i capelli e guardò fisso l'uomo. Non sentiva più nulla, nulla, come se avesse finalmente accettato di rinunciare a quella umanità, come se per una volta fosse fiero di essere il mostro. Non il mostro, il dio. Lea lo sentiva, sentiva la fredda calma del ragazzo, l'odio calcolato e i battiti regolari del suo cuore. Si impose lo stesso, si impose la sua stessa calma. Loro non solo erano prodotti di un virus ma anche prodotti sbagliati di un virus. Eppure questo non le fece male, anzi sorrise impercettibilmente ricordandosi le parole di quel Crirale, Gaabriel. Forse loro erano la cura, e una cura a volte deve essere mortale. "Quanti anni hai?" chiese il ragazzo. "Centotredici. Sono stanco ormai." "Immortale." constatò Lea. "Dove sono le altre due?" "Come fai a sapere che sono tre le fiale?" l'uomo era sorpreso. "Il virus ha alterato le mie cellule neuronali conferendomi un'intelligenza superiore alla norma, non ti interessa sapere altro, sbaglio?" il pensiero di Lea andò un attimo ad Alexander, così senza motivo. Un'altra vittima. Il fabbricante si alzò in piedi. Era alto, la sua figura era elegante, la camicia andava a definirgli i muscoli. Era un bell'uomo, terribile e bello, di quel fascino che hanno solo i potenti. Si girò di spalle per andare a prendere un cofanetto di plastica disposto con noncuranza sopra un'antica cassettiera in legno intarsiato. Quella piccola scatola stonava con il resto dell'ambiente. Tirò furi due semplici fiale di vetro e le poggiò sulla scrivania. "Contrattiamo." "Prima analizzo le fiale." lo interruppe Lea. "Avete fatto saltare qualsiasi cosa." "Non questo." la ragazza mostrò il bracciale. Non era solo un trasportatore, lo aveva analizzato in un attimo, aveva molte funzioni. Prese le fiale e le scannerizzò. Genoma. Non letale. Queste furono le parole che apparvero sullo schermo illuminato. "Contrattiamo." ripetè l'uomo. "Potremmo ucciderti e prenderci le fiale." osservò Lea. "Potreste. Voi però siete eroi, non chiedo molto. Solo la vita salva." Thomas prese le fiale e annuì prima che Lea facesse qualcosa di terribilmente avventato. "Affare fatto." poi prese la ragazza per mano e la trascinò via da quella stanza. Una volta fuori, la ragazza si liberò con uno strattone dalla presa. Le lampaggiavano gli occhi di rabbia e di odio. "Non sarebbe stato saggio. Pensa a lungo termine Neumalea." "Sono incazzata." rispose la ragazza. "Voglio ucciderlo perché sono incazzata." "Lea!" La ragazza si calmò, almeno sembrò farlo. "Sento l'impellente bisogno di rendere inattivo quel sapiens a causa di una alterazione nervosa molto forte. Va meglio?" Thomas scoppiò a ridere. "Ascoltami, non possiamo far sapere a tutti del fabbricante, sarebbe l'anarchia..." "Uccidiamolo!" "Lea!" "Rendiamolo inattivo?" propose lei. Il ragazzo la ignorò. "Sarebbe un insieme di superuomini che distruggono il mondo, ma Headstrich deve pensare che noi siamo disposti anche a questo." "Perché?" ora nella voce di Lea c'era curiosità. "Perché la ricatteremo. Prima dovrà far ritirare il virus, poi dovrà creare una città dove far vivere gli Agenti fuori servizio e le famiglie perché si, creeremo Agenti di seconda generazione. Non più nati da un virus ma nati da due Agenti con già il genome modificato, quindi i bambini che nasceranno saranno sempre superuomini. Pensaci, una nuova generazione, una società diversa. E a capo dell'Agenzia ci sarà uno di noi." Mentre parlavano correvano fuori dall'Agenzia per andare a nascondersi dietro a un blocco di cemento. Thomas prese la sua chiavetta e disattivò il programma. Piano piano le luci iniziarono a riaccendersi, gli auricolari a funzionare e i computer a ronzare. "Homo alius." sorrise Lea. Thomas riusciva sempre a fare del bene. "Homo alius. Guardati intorno. Qui nel continuum c'è spazio per un altro mondo, non sarà un problema costruire la città." "E noi?" Il ragazzo tirò fuori due siringhe e le due fiale. "Noi saremo la minaccia." Detto questo inserì il Dna nel suo organismo. All'inizio il dolore fu lancinante, fu come se ogni cellula stesse implorando pietà e allo stesso tempo respingesse quello che aveva subito riconosciuto come non - self. Thomas riprese il controllo del suo respiro, del suo battito cardiaco, di ogni sua minuscola cellula che opponeva resistenza. Fece entrare la modificazione, poi il dolore passò. Lea era davanti a lui, le mani ancora strette a pugno e la bocca deformata in un'espressione di dolore. Le bastarono cinque secondi ed era di nuovo normale. "Ti rendi conto di quello che ha passato il fabbricante per diventare immortale?" chiese Thomas. "Mhh, peccato. Noi prodotti del virus sappiamo anche controllare le nostre cellule, a differenza dei sapiens." Lea scrollò le spalle. Erano passati cinque minuti da una notizia che avrebbe dovuto distruggerla e lei ci faceva del sarcasmo sopra. Guardò Thomas e il ragazzo annuì. Gli piaceva il fatto che riuscivano a capirsi senza parole. Era una cosa un po' stucchevole e smielata, eppure si stava rivelando utile. Gli diede un piccolo bacio a stampo. "Chiedo colloquio con Headstrich." disse attivando uno dei tanti microfoni disseminati per l'Agenzia.

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Capitolo 37
*** 36- l'ultima barriera dei sapiens ***


Stavano aspettando nella sala a scacchi, dove Headstrich amava ricevere le persone per fare sfoggio della bellezza dell'Agenzia. Perfettamente inutile per loro, che lì dentro ci erano praticamente nati, eppure continuava a riceverli lì. Quando la donna fece il suo ingresso nella stanza, sembrava non essersi accorta di nulla, nè del blackout, nè dello sguardo assassino che i due ragazzi le riservarono; forse perché era abituata ai continui sguardi assassini di Neumalea, che mai er andata d'accordo con il potere. La lunga veste grigia che aveva sostituito i soliti tailleur la faceva sembrare quasi irreale. Raramente si vedeva Headstrich con la sua divisa da Capitano e questo poteva significare una sola cosa: nessuno era riuscito a capire da cosa era stato causato il blackout ed era stato convocato il consiglio. "Sono stata trattenuta per via di quel piccolo problema tecnico. Ditemi, immagino voi sappiate cosa è stato." "Noi sappiamo." disse solo Lea, la voce misurata in un velo di minaccia. "Sapete cosa?" la voce di Headstrich si fece più guardinga, forse per il tono della ragazza, forse perché quel giorno le era stato predetto. Appoggiò i gomiti all'immenso tavolo di vetro e si sporse verso di loro, cercando di mantenere il suo classico sorriso condiscendente. "Tutto. Ogni cosa. Quell'uomo è un debole che tiene solo alla sua sopravvivenza, ci ha raccontato tutto. E noi vogliamo farlo sapere a tutti." rispose Lea. "Il fabbricante, gli studi, il virus..." continuò Thomas "lo diremo a tutti. Lei si troverà per le mani uana bella rivoluzione di super uomini. Che potreste mai fare voi deboli sapiens?" il ragazzo le mostrò il suo sorriso storto, sarcastico. Lea poteva anche minacciare, ma lui sapeva come arrivare alle paure più profonde delle persone, sapeva come installare il dubbio, il terrore. A volte non serviva la forza bruta, a volte la violenza psicologica funzionava meglio. La paura che i sapiens, che Headstrich aveva nei confronti degli Agenti doveva essere sfruttata. Per questo era nato Thomas, per entrare nella mente delle persone, per distruggerle, come Lea era stata creata per uccidere. I due ragazzi videro gli occhi della donna appannarsi in un lampo di paura, poi recuperò un apparente controllo. "Non oserete. Vi farò arrestare..." sapeva dell'inutilità della sua minaccia, eppure era l'unica cosa che le era venuta in mente, l'ultimo appiglio a quel potere che già vedeva scivolare via. Erano bastate due frasi per instillarle il terrore. Ogni persona ha un suo punto debole e quello di Headstrich era la èaura degli Agenti, quella paura che l'aveva portata a comandare su di loro senza pietà. "Da chi?" chiese Lea, ridendo crudele. Quella pantomima era durata fin troppo, era ora di far vedere a quella inutile donna quanto erano arrabbiati. "Da quegli stessi Agenti che vi si saranno già rivoltati contro?" Ci fu un secondo di silenzio. Un second che racchiudeva tutte le possibili prospettive e i possibili futuri. Un secondo dal quale dipendevano molte vite e le sorti del continuum. Un secondo che era stato studiato a tavolino da quegli uomini che non erano più sapiens, un secondo che poteva portare a una sola e inevitabile conclusione, perché i calcoli degli dei sono sempre esatti. "Farò qualsiasi cosa." nonostante la voce della donna cercasse di rimanere ferma, le sue stesse parole tradivano la sua resa. Era stato facile. Banale. Scontato come i ragionamenti di quei piccoli uomini ancora non evoluti. "Ma ricordatevi che un giorno voi morirete..." "Memento mori... me lo vado ad appuntare da qualche parte." borbottò Lea sarcastica. "Non esattamente..." rispose enigmatico Thomas "Comunque lei ritirerà il virus, farà costruire una città, smetterà di mandare a morte gli Agenti anziani e i bambini che non superano il test... ops, non lo sapeva? Il fabbricante fa anche questo." rise leggermente alla faccia inorridita della donna. "L'Agenzia si servirà di Agenti di seconda generazione, puri al cento per cento. E il direttore sarà uno di noi, un Agente, un homo... alius, come ci chiamate." "Voi chiedete troppo... io..." non sapeva che altro dire, eppure era peggio di quello che immaginava. Gli Agenti fuori dal controllo dei sapiens, una razza superiore che avrebbe potuto annientare l'umanità. Quei due ragazzini non si rendevano conto del problema... o forse si, forse era proprio quello il motivo per cui stavano facendo tutto quello. Forse volevano il potere, forse volevano la distruzione. Questi pensieri si susseguivano dentro la testa di Headstrich, senza un filo logico apparente, alimentando quella paura che aveva tenuto nascosta per tuttu quegli anni. "Lei non vuole morire per mano delle sue creature, quindi farà esattamente quello che le viene detto. E non sgarrerà, ci saremo noi a controllarla, sempre." "Mi stai minacciando?" "No, non ancora." rispose Lea. "Quando ti starò minacciando te ne accorgerai. Farai quello che ti abbiamo detto?" "Si." fu l'unica risposta della donna, detta in un sospiro rassegnato, mentre si accasciava sulla sedia, il lungo mantello della divisa che strisciava per terra. Si era immaginata il potere, aveva pensato l'Agenzia per anni ancora sotto il suo comando, poi sotto quello di un altro sapiens. Non aveva immaginato la sua fine, se non dopo una grande guerra tra bene e male, tra i Criminali e gli Agenti, in cui le creature avrebbero inconsapevolmente difeso i loro creatori. Eppure era così che stava finendo, non con un'eroica scena ma con una chiaccherata in un ufficio, con un sorriso cattivo e le braccia incrociate. "Sarà la fine di un'era." "Sarà l'inizio di un'altra era. E' un ciclo. La fine è l'inizio di qualcosa e ogni inizio è la fine di qualcos'altro." sorrise leggermente Lea. "Torneremo tra dieci giorni. Ti vogliamo fuori." Detto questo si alzarono e scomparirono davanti a lei, senza dire una parola sulla loro destinazione, senza dirle come avrebbe dovuto fare. Semplicemente se ne lavarono le mani. Ora era un problema di Headstrich, lo era sempre stato. La donna si accasciò ancora di più sulla sedia, quasi scomparendo in quella stanza che ormai le appariva spaventosamente enorme, poi prese il microfono e iniziò a parlare. Era la fine, la fine di tutto e l'inizio di qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare. L'inizio di tutto il resto, la creazione di un popolo che avrebbe difeso i sapiens per i secoli a venire, consapevoli della propria superiorità ma anche della propria missione. Dovevano lasciar vivere ai sapiens la loro vita, dovevano lasciarli evolvere naturalmente, senza virus e senza errori. Loro, gli dei, sarebbero rimasti a vegliare, a controllare, a proteggere. Come degli angeli custodi killer. Non Thomas e Neumalea, non loro. Loro avrebbero controllato l'Agenzia, loro se ne sarebbero tirati fuori. Fuori dai giochi, fuori da quell'umanità che li aveva nauseati, usati. Gli altri Agenti non sapevano, loro si. E il dolore e la rabbia non possono essere dimenticati.

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Capitolo 38
*** epilogo - a est del sole, a ovest della luna ***


La Via prosegue senza fine
Lungi dall'uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Devo inseguirla ad ogni costo
Rincorrendola con piedi alati
Sin all'incrocio con una più larga
Dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa. La Via prosegue senza fine
Lungi dall'uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Presto, la segua colui che parte!
Cominci pure un nuovo viaggio,
Ma io che sono assonnato e stanco
Mi recherò all'osteria del villaggio
E dormirò un sonno lungo e franco Voltato l'angolo forse si trova
Un ignoto portale o una strada nuova;
Spesso ho tirato oltre, ma chissà,
Finalmente il giorno giungerà,
E sarò condotto dalla fortuna
A est del Sole, ad ovest della Luna



Erano tornati a Londra, un mese dopo la loro teorica partenza. Viaggiare lungo il continuum era molto più intelligente che viaggiare nel tempo, evitavi sempre i tuoi doppioni, dato che il continuum si dispiegava sempre nel futuro, e non creavi distorsioni nel passato che avrebbero potuto alterare il futuro. Anche perché quel "passato" rispetto al tempo, dove eri stato portato tecnicamente era il tuo futuro lungo il continuum.

I ragazzi del gruppo di Lea erano felicissimi di rivederli, ma anche sorpresi. Stavano al parco del loro quartiere, birre e sigarette alla mano, storie e ricordi sulle labbra, sorrisi e rancori nel cuore. Intorno a loro qualche bambino si divertiva sullo scivolo, qualche signora portava in giro i suoi cani etutte le panchine erano riempite da famiglie felici. Almeno in apparenza. Se c'era una cosa che quei ragazzi sapevano, era che la felicità è spesso solo apparenza.

"Sei cambiata." Louis guardò Lea inclinando la testa e sorridendo leggermente, morendo un po' dentro. La felcità era decisamente apparenza. Non aveva potuto fare a meno di notare che la ragazza continuava a cercare Thomas con lo sguardo, non aveva potuto fare a meno di soffermarsi su quegli occhi sempre più scuri, su quel rossetto sempre più nero, su quelle occhiaie non nascoste, su quei capelli non curati, come se non fosse quello l'importante, come se non le interessasse della rapa che stava ricrescendo disordinata. Anche Thomas era cambiato, forse per gli orecchini, forse per la cicatrice, forse per la sua bocca che sorrideva stancamente solo a Lea, quasi avesse sulle spalle il peso del mondo e lo potesse dividere solo con lei. Non era più il ragazzo timido che aveva conosciuto.

"Beh, sono successe molte cose. Siamo stati in Italia." Lea sedette su una panchina, appoggiando la borsa accanto a lei e allungando le gambe sull'erba, poi si fece passare mezza sigaretta da Thomas. Avevano qualcosa di strano quei due, il modo con cui si guardavano, si parlavano; c'era tensione tre di loro eppure sembravano quasi incastrarsi perfettamente.

"Tra le cose successe, quale è la storia del tuo sfregio, Tom?" era stato sempre Louis a parlare, analizzando attentamente la cicatrice che percorreva la faccia del ragazzo, che sorrise sarcastico.

"Sai come si dice... mai far arrabbiare un pretendente. Soprattutto se è un ottimo spadaccino. Lea però non sarebbe stata sua mai."

"Quando ha vinto Thomas sono praticamente morta..." disse Lea guardando Thomas sputare la sua birra e tossire. "... dalla felicità." finì la frase.

Il volto dell'Agente si era rabbuiatoper un attimo, la ferita non era ancora stata rimarginata del tutto, la paura di perderla era forte in lui.

"Quindi voi due..." questa volta a parlare era stata Martha che avvicinò ripetutamente gli indici delle mani tra loro, facendo l'occhiolini e accavallando le gambe preparandosi a ricevere la risposta.

"Mhh..." sospirò Thomas "lei è completamente e totalmente innamorata di me. Che posso farci, ho troppo fascino."

"Zitto pallone gonfiato." la ragazza gli rifilò una gomitata sulle costole. "io non sono innamorata. Diciamo che devo sopportarlo."

"L'hai detto ad alta voce, non puoi tornare indietro, l'ho sentito. Sei innamorata di me!" la canzonò lui.

"Infatti poi sono morta..." continuò Lea.

"E tornata in vita." puntualizzò il ragazzo.

"Dopo sei settimane, dovevo riprendermi."

Martha li interruppe di nuovo.

"Siete così carini quando battibeccate." Lea simulò un conato di vomito ma Martha continuò imperterrita. "State bene insieme, Thomas sembra l'unico capace di farti stare zitta e poi lo mangi con gli occhi."

"Si, ho istinti di cannibalismo, soprattutto quando mi sveglia alle tre di nomme per strimpellare."

"Tu suoni?" chiese Louis, dondolandosi stancamente sull'altalena.

"Violino e..." Thomas non fece in tempo a finire la frase che la voce di Martha lo travolse come un uragano.

"Violino! Allora sposa me invece di Lea, che non ti vuole!" scherzò lei facendo la linguaccia e beccandosi un'occhiataccia da Lea.

Rimasero qualche mese, a scherzare e a far finta di essere normali. Un giorno partirono, sparirono. Non salutarono nessuno, non ne sentivano il bisogno; non si voltarono indietro, gli dei non lo fanno mai. Semplicemente dovevano tornare. Tornare a casa prima di partire di nuovo, per nascondersi da quei mortali, per vivere le loro infinite esistenze fuori dal mondo, lontani dagli uomini. Prima di staccare i loro legami, tornarono in Italia, a Perugia, in quell'appartamentino che era diventato casa loro. Lì tutto sembrava perfetto, il loro far finta di essere due ragazzi normali, guidare, mangiare cinese e farsi portare le pizze a domicilio; le passeggiate e le corse per prendere l'autobus, i baci e le certezze.

Quella sera stavano in camera, Lea che si sporgeva dalla finestra e Thomas dietro di lei ad abbracciarla. Non si erano mai lasciati andare troppo a dolcezze e smancerie, ma in una notte in Italia tutto può accadere. Può accadere anche di cantare, di nuovo.

"È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna
freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna
la fortuna di vivere adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che arriva
chissà se ha fiato."

Non erano intonati, non del tutto, in fondo non erano stati programmati per esserlo. EPpure c'era qualcosa di bello nelle loro voci, qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto imitare. Quella canzone parlava di loro, dei loro sogni, delle loro notti in Italia.

Gli alberi si intrecciavano inquietanti davanti a loro, i palazzi di cemento si confondevano come fantasmi con il buio, le luci artificiali coprivano le eterne stelle, le strade erano invase dall'odore pungente dell'alcol e dalle risate di chi quella notte in Italia la amava. Non era un paesaggio mozzafiato, non era un quartiere rinomato, non c'era la tranquillità di chi non ha un po' paura ad uscire di casa. Era pericoloso trovarsi lì a notte inoltrata, ma in quel quartiere tutti erano pericolosi a modo loro. Per questo Lea lo amava, per questo Thomas ci si trovava bene.

Uno, due, tre. Tre squilli del campanello. Davanti alla porta non c'era nessuno. Una sola frase campeggiava su un foglio di carta straccia, scritta a macchina:

Il fabbricante è morto.

Si poteva dire che avevano mantenuto la promessa, non avevano ucciso loro il fabbricante. Solo un loro sicario. Ora erano loro i cattivi della favola, quelli che minacciavano il potere, che tenevano sotto scacco i re. Ma se c'è una cosa di cui essere sicuri, è l'inevitabilità di questa fine. Se sopravvivi alla morte, se sopravivi al dolore, puoi solo diventare il cattivo della favole. Eppure a loro stava bene così, gli stava bene sembrare senza cuore, eppure averne uno che batteva così forte da lacerargli l'anima, da fargli bramare vendetta. Ora però le vendetta era compiuta e loro potevano darsi pace.

"Ti amo." sussurrò Thomas affondando il viso dentro al collo di lei. Non lo aveva mai detto, non c'era stato mai bisogno di dirlo. Era una parola forte, una parola che spaventava, una parola per sempre. E il per sempre può essere molto lungo se si è immortali. Era questa la verità però. La amava. Le accarezzò una guancia e si stupì di doverle asciugare una lacrima. Neumalea era rotta dentro, spezzata. Quello che Thomas ancora non sapeva era che una lacrima può anche riparare un cuore spezzato.

"Non volevo..." continuò lui, per essere interrotto dalle labbra di Lea sulle sue.

"Ti amo anche io, Tommy."

Lo aveva detto, lo aveva ammesso. Ora tutto sarebbe stato più facile, o più difficile. Probabilmente più difficile, perché l'idillio è un'illusione che presto viene spezzata. Fu la voce della Storia a riecheggiare nelle loro menti, quella stessa voce che li avrebbe torturati negli incubi, insieme alle paure di chi ha visto l'inferno.

"Manterrete la promessa o non conoscerete la felicità, manterrette la promessa o l'inferno vi prenderà. I pazzi a volte possono salvare il mondo, basta solo che la loro mente non cada in profondo. Venti anni e un legame di sangue si spezzerà, venti anni e il mondo cadrà."

Questa era la cantilena che la Storia gli aveva instillato in testa, questa era la cantilena che li avrebbe torturati lentamente.

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Era bella, bella quanto la morte con quelle elfelidi da bambina e quei fianchi da signora. Non era bella come il diavolo no, lei non tentava. Lei ti uccideva, come la morte; ti uccideva con quei capelli rossi, con quella risata cattiva. Non era nella Resistenza per degli ideali o per eroismo, a lei semplicemente piaceva tutto quello. Le piaceva la paura di essere scoperta, la minaccia del governo; le piaceva mentire e le piaceva dimostrare la sua intelligenza. Eppure la sua bellezza aveva qualcosa di sbagliato, di distorto: non c'era dolcezza nei suoi occhi azzurri e pastosi come un mare che nasconde qualcosa, non cerano sentimenti nella maschera dura del suo volto di ventenne.

Era bella, bella quanto la morte: precisa, logica, indistruttibile.

Era bella, bella quanto la morte. Lei era la morte.

Jules questo lo sapeva bene ma era per questo che la voleva, che voleva Nazelie. Si dice che tutti i sadici siano ance masochisti nel profondo. Forse era per questo che la desiderava. Sapeva che gli avrebbe fatto male, che si sarebbero fatti male, per questo la voleva.

FINE


ANGOLO AUTRICE E RINGRAZIAMENTI

Piango. E' finita quindi. O è cominciata? Il fabbricante di dei giunge alla sua fine, eppure non è finita qui. Cosa succederà dopo venti anni? Perché la Storia tortura Thomas e Lea in quel modo? Chi sono Jules e Nazelie? Trovate la vendetta di un dio minore sul mio profilo.

Ringrazio: per prima Pix ringrazio te, perché hai creduto in me. Sei stata la prima a dirmi di pubblicare, di non avere paura, la prima a leggere e commentare. E tante altre cose ma scriverei un altro libro nel dirle tutte. Ringrazio Carmen perché non l'ha letto su wattpad semplicemente perché sapeva già tutto, mi ha aiutata a riempire i buchi della trama e si è letta le bozze durante tutte le ore scolastiche. Ringrazio Rita e Maria perché dai su, senza di loro tante idee non ci sarebbero state, perché si sono appassionate e perché ci sono sempre per dirmi cosa non hanno capito (vero Mari?). Ringrazio Debora, che leggerà questa storia una volta revisionata, perché mi ha fatto innamorare della scrittura, devo tutto a lei. Ringrazio Sara (perché legge, commenta e poi mi scrive in chat per farmi i complimenti. E io arrossisco.), Raffale (che non lo ha letto ma non importa, è il mio fisico di fiducia.), Matteo (lui non sa nemmeno che scrivo, appure purtroppo tanto di questo non esisterebbe senza il suo carattere come personale ispirazione per le teste di cazzo. PS gli voglio bene eh!), Toadino di wattpad perché si, cioè dai è l'amore mio (non ti montare la testa u.u). Okay. Fine... vi voglio bene.


 

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