Sangue di strega: Guerra e pace

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Legami ***
Capitolo 2: *** Il prezzo della verità ***
Capitolo 3: *** Reali conseguenze ***
Capitolo 4: *** Lumi nella notte ***
Capitolo 5: *** Parziale sconfitta ***
Capitolo 6: *** Ostilità ***
Capitolo 7: *** Freddo e paura ***
Capitolo 8: *** Coraggio ***
Capitolo 9: *** Debolezza ***
Capitolo 10: *** Miracolo provvidenziale ***
Capitolo 11: *** L'infrangersi di un cuore ***
Capitolo 12: *** Corsa alle armi ***
Capitolo 13: *** Giovane guerriera ***
Capitolo 14: *** Campo di battaglia ***
Capitolo 15: *** Scoperte e incertezze ***
Capitolo 16: *** Profezia ***
Capitolo 17: *** La vita contro la morte ***
Capitolo 18: *** Anima ***
Capitolo 19: *** In attesa della fine ***
Capitolo 20: *** Scontro finale ***



Capitolo 1
*** Legami ***


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Sangue di strega: Guerra e pace
Capitolo I
Legami
Piove, e il mio ritorno da Bakriat è stato profondamente diverso. Sono tornata a casa come ero solita fare, ma al mio ritorno, sapevo che tutto nella mia vita aveva subito un cambiamento. Finalmente, dopo un immemore arco di tempo passato a vivere nel dolore e nell’incertezza, potevo dirmi felice e priva di dubbi. Ora sapevo, e conoscevo ogni singola sfaccettatura della verità che mi era stata celata per anni. Il mio amore per Xavier poteva definirsi tale, l’eroico destino di mia figlia era stato scritto, e mia sorella stava per sposarsi. Era felicissima, e non smetteva di ripetermi quanto avesse atteso questo giorno. Ora come ora, cade la pioggia, ma presto il sole splenderà su di lei. Astrid è una ragazza dolce, ma al contempo forte e combattiva. Conosce sé stessa e il suo essere a fondo, e sa bene che nessuno al mondo potrà mai spingerla ad essere qualcuno che non è. Sosteneva fermamente di non credere nel vero e puro sentimento dell’amore, ma lei cose sono per lei cambiate nel giorno in cui ha incontrato e conosciuto Jonathan, unico uomo che sia mai riuscito a farle battere il cuore. Entrambi, sanno di appartenere l’uno all’altra, e credono che il loro rapporto sia letteralmente indissolubile. Si amano davvero, ed io, da semplice componente della sua famiglia, non mi permetterei mai di interferire con la loro vita. Mia sorella ricorda ancora con gioia il giorno in cui ha ricevuto la lettera contenente la proposta di matrimonio del suo Jonathan, e rimembra perfettamente l’incalcolabile numero di lacrime versate a causa della sua stessa gioia. Uno scintillante anello brilla con la luce del sole, e testimonia la loro imminente unione. Intanto, il tempo scorre, e il mondo cambia. Come ogni giorno, mi concedo del tempo per pensare, e riflettendo, realizzo che Astrid non ha notizie di Jonathan da quasi un intero anno. “Lascialo andare.” Le ripete ognuna delle Streghe Superiori, nel mero tentativo di convincerla a porre fine a questa relazione. “Non lo farò mai.” Risponde ogni volta, mostrando l’argenteo anello che porta al dito e sperando nel ritorno del suo amato. I giorni scorrono come fine sabbia all’interno di una vitrea clessidra, e pur non volendo credere alle parole delle Streghe, sto lentamente iniziando a convincermi. Astrid rimane in silenzio, ingannando il tempo scrivendo ognuno dei suoi pensieri in un piccolo diario che nessuno ha il permesso di leggere, e nel quale so che annota il suo immenso dispiacere. Di notte in notte, bagna il cuscino versando amare lacrime, e rompe il silenzio sussurrando delle preghiere. Non vuole assolutamente perdersi d’animo, ed io non posso che ammirarla. Il suo è un gesto nobile, scambiato dalle Superiori per caparbietà, e conoscendola forse meglio di me stessa, ne sono sicura. Ad ogni modo, il mattino ci ha nuovamente fatto visita, e quello odierno è un giorno di sole. Il cielo è fortunatamente sgombro dalle nuvole, e guardando fuori dalla finestra, miro il volo di un uccello. Le mie sorelle mi fanno compagnia, e mia figlia è occupata a giocare nella sua stanza. Improvvisamente, Astrid sembra riprendersi dallo stato di torpore in cui è caduta, e puntando un dito verso il cielo, mi segnala la presenza di un particolare nell’azzurro del cielo. Il volatile che avevo visto, non era che Hero, il gufo appartenuto a Logan, sembra voler avvicinarsi. Continuando a fissarlo, lo lasciamo fare, per poi scoprire che ha la chiara intenzione di posarsi sul davanzale della finestra. Guardandoci negli occhi, emette versi di paura, e sbattendo freneticamente le ali, cerca di comunicare con noi. Sfortunatamente, nessuna di noi sembra capire. Il tempo scorre, e Minerva si avvicina al volatile, tentando di calmarlo. Inizia quindi ad accarezzarlo, e il suo tocco sembra riportarlo alla calma. “Vuole che lo seguiamo.” Dichiara, vedendolo alzarsi nuovamente in volo. È quindi questione di un attimo, e noi tutte ci ritroviamo fuori casa, intente a seguire quel volatile e ammirare lo sfavillio delle stelle, nel mero e semplice tentativo di riportare in vita l’ora spezzato legame d’amore che congiunge le anime di Jonathan e Astrid.

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Capitolo 2
*** Il prezzo della verità ***


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Capitolo II
Il prezzo della verità
Il buio era ormai calato, e ognuna di noi continuava a correre. Eravamo tutte intente a seguire il volo di un gufo dalle ali argentee. Si muoveva sinuoso nel cielo, e mantenendo il silenzio, si librava in aria. Il tempo continuava imperterrito a scorrere, e dopo un tempo che nessuna di noi riuscì a definire, ci ritrovammo in un luogo che sapevamo di non aver mai visto. Attorno a noi la luce pareva inesistente, e non riuscivamo a vedere nulla. Aguzzando la vista, notai alcuni importanti particolari, che organizzati ad arte, mi portarono alla soluzione dell’enigma che sembravo vivere. Alla ricerca di certezze e conforto, guardai in alto, scoprendo che Hero aveva ormai smesso di volare, e si era placidamente appollaiato sul ramo più alto di un albero poco distante. Da quell’altezza, ci guardava, sicuro di averci condotto nel posto giusto. I miei occhi si muovevano a intervalli regolari, e pur continuando a guardarmi intorno, non avevo modo di capire dove mi trovassi. Per un singolo attimo, mi credetti cieca. Improvvisamente, nel buio saettò una luce, ed io compresi ogni cosa. Non ero a casa o nel covo delle Streghe, ma bensì in quella che in molti definivano “Prigione dei Maghi.” A quella forte luce seguì il suono di una voce, che mia sorella Astrid riconobbe quasi subito. Quella che aveva appena avuto la fortuna e l’occasione di sentire, non era una voce comune, ma più precisamente quella del suo amato Jonathan. Guardandola negli occhi, la chiamò per nome, e obbedendo a quella sorta di richiamo, Astrid si avvicinò alle sbarre della cella in cui il suo futuro marito era rinchiuso. Ad ogni modo, qualcosa di completamente diverso attirò la sua attenzione. Difatti, il viso di Jonathan appariva mesto, e sullo stesso giaceva una piccola cicatrice. “Cosa ti hanno fatto?” chiese Astrid, lottando per trattenere le lacrime che sapeva di voler lasciar sgorgare e sferrando inutili pugni contro le ferree sbarre di quella cella. “Calma.” La pregò, allungando una mano al solo scopo di carezzarle la guancia arrossata e ricoperta di lacrime. “È solo un avvertimento.” Aggiunse, alludendo alla ferita che i Cacciatori sembravano avergli procurato. “Perché sei venuta qui? Non avresti dovuto.” Le chiese, per poi ammonirla con quelle ultime parole. “Siamo qui solo grazie a Hero.” Disse, puntando un dito verso il cielo indicando quel coraggioso volatile. “Mi mancavi.” Ammise poi, facendo qualche ulteriore passo in avanti nel tentativo di avvicinarsi. “Anche tu. Ma adesso vattene, o ti prenderanno.” Continuò, sperando che le sue parole venissero ascoltate. “Non me ne andrò senza di te!” dichiarò, alzando bruscamente il tono della voce nel tentativo di farsi sentire dalle famigerate Streghe Superiori. “Astrid, dico sul serio, devi scappare.” La avvertì, finendo per ripetere quella sorta di monito. A quelle parole, Astrid non rispose, limitandosi a mantenere il silenzio e compiere un’azione di cui non credevo fosse mai stata capace. Proprio davanti ai miei occhi, fece uso dei suoi poteri, teletrasportandosi proprio all’interno della cella in cui il suo Jonathan era rinchiuso. “Mi uccideranno, e farai la stessa fine assieme a me.” Confessò, posandole una mano sulla spalla e impadronendosi con dolcezza delle sue labbra. A quel bacio seguì un momento di tetro e lugubre silenzio, che venne rotto da una seconda rivelazione. “Astrid, io ho osato tradirti.” Continuò, guardandola negli occhi e allontanandosi da lei e dandole le spalle al solo scopo di nascondere le piccole e amare lacrime che stava versando. “Ho amato una semplice umana, e sarò condannato a morire.” Disse infine, voltandosi e invitandola a fuggire per l’ultima volta. “Ti prego, scappa.” Biascicò, faticando a parlare a causa del nodo che gli stringeva la gola. Ad ogni modo, Astrid rimase ferma e immobile, e in quel preciso istante, le tre Streghe si materializzarono di fronte a Jonathan, che avvicinandosi a loro con estrema lentezza, non proferì parola, scegliendo di accettare il suo destino. In quel momento, il tempo parve fermarsi. Tutto non era che statico, ma nonostante questo, la reazione mia sorella Astrid fu fulminea. “Non toccatelo!” gridò, avvicinandosi pericolosamente ad una delle Streghe e brandendo minacciosa il suo pugnale. Fu questione di semplici secondi, e la daga finì a pochi centimetri dal collo di quella Strega. “Avvicinatevi e per voi è finita.” Sussurrò, fissando l’aguzzina del suo fidanzato negli occhi. A quella vista, la Strega non si scompose, scegliendo di indietreggiare e sparire dalla sua vista. I momenti che seguirono quella sorta di minaccia furono preziosi, ma nessuna di noi riusciva ad immaginare quello che sarebbe potuto accadere. Facendo un gesto con la mano, Astrid tornò al mio fianco, e guardandosi attorno, attendeva. Era una ragazza semplice, il cui coraggio tendeva a renderla capace di azioni a dir poco incredibili. Aveva ormai preso una decisione dalla vitale importanza. Sapeva di poter aver fiducia nel suo Jonathan, e le conseguenze non l’avrebbero toccato. Avrebbe certamente fatto qualsiasi cosa fosse in suo potere per salvarlo dalla morte, per poi continuare a proteggerlo ed amarlo come aveva fatto fino a quel preziosissimo momento. Era certamente spaventata, ma pronta a qualunque mossa per pagare il prezzo dell’amore che provava e dell’amara  verità che aveva appena scoperto.

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Capitolo 3
*** Reali conseguenze ***


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Capitolo III
Reali conseguenze
I momenti scorrevano, e Astrid era ferma. La sua daga appariva sempre più vicina al collo della Strega, che stranamente, non sembrava intenzionata a reagire. Ad ogni modo, e soltanto un attimo più tardi, vidi comparire mia nonna, che con un semplice cenno della mano, fu in grado di fermare sia Astrid che la sua sottoposta. “Che sta succedendo?” chiese, con aria severa e tono perentorio. “Questa ragazza ha tentato di uccidermi.” Rispose la Strega, sperando nell’aiuto di colei che era al comando. “Non osare mentirmi.” L’ammonì lei, fulminandola con una singola occhiata. A quelle parole, la Strega finì per sbiancare, ritrovandosi con un’unica possibilità, ovvero quella di obbedire indietreggiando e attendendo nuovi ordini. “Chiedo perdono, mia Signora.” Disse, chinando il capo in segno di profondo rispetto. “Ho tolto i poteri a molte streghe per questo. Non osare mai più disubbidirmi.” Rispose mia nonna, scandendo perfettamente l’ultima parola che pronunciò, e che sembrò seminare il terrore nel cuore della Strega stessa. “Puoi congedarti.” Le disse infine, rimanendo ferma a guardarla mentre si allontanava con lentezza. Subito dopo, spostò l’attenzione su Astrid, la quale, intimidita, lasciò che uno stato di paralisi la controllasse. “Sapevo che saresti venuta.” Le disse, guardandola negli occhi e parlando in tono serio. “So anche cosa vuoi, ma la tua richiesta non è esaudibile.” Continuò, non accennando a smettere di fissarla neanche per un singolo attimo. “Io credo nella sua innocenza.” Rispose Astrid, con gli occhi velati dalle lacrime e la voce rotta dall’emozione. “Mi spiace, ma le colpe del qui presente sono inammissibili, e nulla riuscirà a farmi cambiare idea.” Disse la nonna, riprendendo la parola unicamente dopo la fine del discorso di Astrid. Intanto, io e Minerva assistevamo alla scena in perfetto e religioso silenzio, non riuscendo a credere ai nostri occhi. A quanto sembrava, nostra nonna appariva alle Superiori come una regina, ed era capace, se contrariata, di atti rasentanti la follia. Istintivamente chiusi gli occhi, tentando di ricordare i luminosi momenti che mi collegavano a lei. Andando indietro nel tempo con la mia sola mente, rimembrai la mia infanzia, periodo di pace e felicità. Cadendo quindi preda di una sorta di trance, sorrisi. Fu questione di meri secondi, e il mio sorriso scomparve. Avevo tentato di immaginare una realtà differente da quella che vivevo, esprimendo il muto desiderio della libertà di Jonathan e Astrid, ma non era servito a nulla. Difatti, lei era ancora tremante e col viso ricoperto dalle lacrime, e lui rinchiuso nella fredda e buia cella dov’era stato segregato. Tentai in ogni modo di trattenermi, ma a quella vista, piansi, versando innumerevoli lacrime. Provando pena per me, Minerva tentò di confortarmi, ottenendo però un risultato contrario a quello sperato, e fallendo quindi nel suo misero intento. Per l’ennesima volta, il mio cuore appariva diviso in due metà perfettamente uguali. Una conteneva l’odio per quanto mi stava accadendo, e l’altra custodiva l’amore che mi legava ad Astrid, sentimento la cui forza appare centuplicata in situazioni di pericolo. In quel momento, riaprii gli occhi, ricordando ogni cosa. Non avevo scelta. Dovevo assolutamente agire, anche a costo della mia stessa vita. Astrid era la mia sorella minore, ed era decisamente troppo importante per essere condannata e messa a morte per aver tentato di difendere il suo amore e ciò in cui credeva con ardore e fermezza. Non lo avrei certamente permesso, arrivando ad ignorare le reali conseguenze.

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Capitolo 4
*** Lumi nella notte ***


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Capitolo IV
Lumi nella notte
Un intero giorno sta per giungere al termine, e il buio la fa da padrone. Il cielo è letteralmente tinto di nero, e la luna occupa il suo celeste trono come è solita fare con l’arrivo della sera. Non si ode nulla, e improvvisamente il silenzio è squarciato da un profondo lamento, che aprendo gli occhi e svegliandomi di soprassalto, identifico come un pianto. Mia sorella Astrid, ancora fortemente provata da quanto è accaduto al suo Jonathan, non fa che piangere da ormai tre intere notti. Senza volere, mi ha svegliata, e alzandomi, ho deciso di provare a consolarla. Da ormai qualche giorno, si dice troppo scossa per tornare a casa sua, ragion per cui, vive da me. Raggiungendo la sua stanza, bussai alla porta, aspettando che la stessa venisse aperta. “Ci stai ancora pensando?” le chiesi, sedendomi sul letto accanto a lei e ponendole una domanda che definirei retorica. Mantenendo il silenzio, mia sorella si limitò ad annuire e tentare di asciugarsi le lacrime. Mi voltai per un attimo verso la porta della stanza, e subito dopo, la vidi compiere un’azione che suscitò in me una sorta di incredulità. Rimanendo ferma e immobile di fronte a lei, notai che si era tolta il ciondolo che portava al collo, e che richiamando a sé il suo fido gufo, sembrava avere tutta l’intenzione di consegnarglielo. “Che stai facendo?” dissi, guardandola negli occhi e redarguendola con il solo uso dello sguardo. “È la mia unica scelta. Almeno so che non morirà.” Disse, prendendo parte a quel muto gioco di sguardi e parlando con una calma a dir poco mostruosa. “Ascolta, so che ami Jonathan, ma non hai controllo su tutto questo.” Risposi, posandole una mano sulla spalla e tentando di riportarla ad essere sé stessa. “Hai ragione. Io lo amo, e sono pronta a tutti per lui.” Dichiarò, indietreggiando lentamente e avvicinandosi alla finestra. In quel momento, ero letteralmente basita. Lo sconcerto mi aveva privato della parola, e finendo preda del mutismo più totale, non potei che guardarla istruire il suo gufo, che spiccando il volo, scomparì nella nebbia che caratterizzava quella notte. “Astrid, io…” biascicai, non riuscendo a trovare parole adatte a continuare quella frase, che interrompendosi, mi morì in gola. “No Miriel, ho deciso.” Rispose, dandomi le spalle e chiedendomi di lasciarla da sola. A quelle parole, non risposi, mantenendo il silenzio e limitandomi ad esaudire il suo desiderio. Non appena fui fuori da quella stanza, sentii mia sorella abbandonarsi ad un pianto straziante e liberatorio, che sapevo non le sarebbe stato di alcuna utilità. Camminando nel corridoio di casa, tornai subito a dormire, faticando a farlo a causa delle lacrime della mia povera e ora affranta sorella. I minuti scorrevano sembrando ore, e mi consolavo guardando fuori dalla finestra. Seppur lentamente, sapevo di stare per assopirmi, ma all’improvviso, qualcosa ridestò la mia allora labile attenzione. Aguzzando la vista, vidi due piccole luci splendere in cielo. A quella vista, sorrisi quasi istintivamente, poiché ora tutto sembrava andar bene, e nonostante le mille avversità, Astrid era riuscita a decidersi. Sapeva bene di essere rimasta sola, ma era al contempo consapevole di poter contare su sé stessa e sui suoi desideri, che uniti alla sua ferrea e incrollabile volontà, rappresentavano due importanti lumi in quella così lunga e tormentata notte. 

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Capitolo 5
*** Parziale sconfitta ***


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Capitolo V
Parziale sconfitta
Il sole sta per sorgere, ed io sono da sola. Fino a pochi attimi fa non sentivo suono dissimile dal sommesso e liberatorio pianto di mia sorella Astrid, affranta per quella che identifica come la perdita del suo amato Jonathan. La disperazione l’ha portata a compiere un gesto a me incomprensibile, e forse suggeritole dal suo stesso e nobile cuore. Delegando al suo gufo tale compito, ha deciso di donare il suo prezioso ciondolo al povero Jonathan. “Almeno so che non morirà.” Queste le parole che mi ha rivolto poche ore or sono, comunicandomi quindi la sua ardua e sofferta decisione. Scioccata dalle sue parole, ho tentato di riportarla sulla retta via, escogitando vari espedienti volti a farle comprendere la gravità del suo gesto, ma nulla è servito. Così, protetta dalla coltre dell’oscurità, ho deciso di uscire di casa, con la chiara e precisa intenzione di impedire il realizzarsi del desiderio di mia sorella. È innamorata, e non vuole che proteggere l’amore per il quale si ritrova a combattere, ma io, apparendo forse caparbia agli occhi di chi non conosce la natura del mio agire, non posso permettere che accada. Difatti, so bene che se la lasciassi fare, le cose continuerebbero a peggiorare, e lei si ritroverebbe ben presto priva di difese. Per tale ragione, corro scrutando il cielo, nella silenziosa attesa di scorgere Guardian, il fido volatile di Astrid, che ora gioca un ruolo importante nella sua travagliata vicenda amorosa. Il tempo scorre, e sento che le forze stanno per abbandonarmi. Arrestando il mio cammino, mi concedo del tempo per prendere fiato. Respirando profondamente, non perdo di vista il mio principale obiettivo, rimettendomi subito in marcia. Sono sempre più stanca, e all’improvviso, lo vedo. Guardian, il gufo che inseguo da ormai intere ore, vola silenzioso nel cielo, e non emette il minimo rumore. Chiudendo gli occhi, tento di ricordare come mia sorella è solita richiamarlo, per poi mettere in pratica quanto mi ha insegnato. Fermandomi per la seconda volta, emetto un fischio ben modulato, allargando le braccia alla sola vista del volatile. Essendo ormai abituato a rispondere a tale ordine, Guardian non perde tempo, e invertendo la sua rotta, si dirige verso di me. Appena un attimo dopo, lo vedo appollaiarsi sulla mia spalla, e nello spazio di un momento, il suo becco si apre. Il ciondolo di Astrid cade così in terra, e abbassandomi, ne approfitto per raccoglierlo. Dopo averlo fatto, lo nascondo nella tasca della mia giacca, scacciando il gufo con un cenno della mano e continuando il mio viaggio verso la mia destinazione. Seppur stremata, giunsi alla Prigione dei Maghi, scoprendo che Jonathan era placidamente addormentato nella sua cella. Avvicinandomi lentamente, chiamai il suo nome, riuscendo a svegliarlo e provando a parlargli. “Devi uscire di qui.” Sussurrai, guardandolo negli occhi e studiando l’espressione dipinta sul suo volto. “Astrid è disperata.” Aggiunsi, inducendolo a rimembrare quanto pianga per lui. “Ho provato a difendermi, ma non ho scelta. Devo morire, e lei dovrà dirmi addio.” Rispose, chinando leggermente il capo e indietreggiando con estrema lentezza. “Non è possibile. Se ciò che ama muore davanti ai suoi occhi, lei…” continuai, pur ritrovandomi costretta a lasciare quella frase in sospeso. “Ne uscirà distrutta.” Disse una voce alle mie spalle, che inizialmente non riuscii a identificare. Voltandomi, rividi quell’ormai conosciuto fascio di luce, e incrociai lo sguardo di mia nonna. Appariva seria, ed era in qualche modo stata capace di leggermi nel pensiero, completando quindi la frase che avevo interrotto. “Conosco bene ogni mia nipote, Miriel.” Mi disse, ponendo inaudita enfasi su quello che era il mio nome. “È per questo che ho deciso di portare qui Astrid.” Continuò, scostandosi e rivelando la sua presenza. “Da quanto mi hai detto, ho capito che prova dei veri sentimenti, perciò ho deciso di essere clemente e darle una scelta.” Disse poi, smettendo di parlare al solo scopo di prendere fiato. Subito dopo, la sua attenzione si concentrò su Astrid, che guardandola, attendeva. “Provami che lo ami, ed io lo lascerò andare.” Dichiarò, aprendo la cella del povero e ora incredulo Jonathan di fronte al suo sguardo inerme. A quelle parole, Astrid mantenne il silenzio, avendo l’unica reazione di avvicinarsi al suo amato. Alcuni istanti dopo, le loro labbra si incontrarono, e i loro cuori iniziarono a battere all’unisono. L’abbraccio in cui si erano stretti si sciolse, e dalle labbra di Jonathan uscì una frase che mia sorella scolpi letteralmente nel suo stesso cuore. Poco prima di parlare, le chiese di togliersi l’anello che portava, per poi prenderlo in mano e iniziare il suo discorso. “I miei giorni da mago avevano una fine, ma l’hanno persa con te. Astrid Finnegan, vuoi sposarmi?” disse, terminando la frase con quella domanda. Un singolo momento si confuse con il buio della notte, e al sorgere dell’alba, Astrid diede finalmente una risposta. “Lo voglio con tutta me stessa.” Disse, avvicinandosi al suo amato Jonathan al solo scopo di vedere le loro labbra unirsi per la seconda volta. Quella scena strappò un sorriso ed un’affatto amara lacrima a nostra nonna, che sotto il mio sguardo indagatore, si limitò ad annuire, decretando dopo quasi un anno d’attesa, la fine della pena inflitta all’ora felicissimo Jonathan, incredulo di quanto gli era appena accaduto, e che in tale momento non aveva occhi che per colei che era appena diventata sua moglie. Volendo mostrare rispetto, mi inchinai di fronte a mia nonna, che regalandomi un sorriso, ci dichiarò ufficialmente liberi di andare. Da quel momento in poi, il nostro viaggio verso casa ebbe inizio. Durante il mio cammino, non potei che mostrare la mia fierezza per il comportamento della coraggiosa Astrid, che ingaggiando un’aspra lotta contro le leggi che governano il nostro mondo, era uscita vincitrice da uno scontro a dir poco impari. Allo stesso tempo, non cessavo di riflettere e pensare, parlando unicamente con me stessa. Camminando, mi interrogai su cosa sarebbe potuto accadere, considerata la presenza di pericoli dietro ogni angolo.

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Capitolo 6
*** Ostilità ***


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Capitolo VI
Ostilità
È ormai l’alba, e il sole mi inonda il viso, costringendomi a tenere gli occhi chiusi per alcuni preziosi secondi. Ammirando lo spettacolare paesaggio visibile dalla mia finestra, mi perdo nella miriade dei miei pensieri, e riflettendo, ricostruisco la mia intera vita. Ora come ora, il mio matrimonio con Xavier non potrebbe essere migliore. Nostra figlia Jocelyn ha ormai sei anni, ed è da poco stata dichiarata una forte guerriera dalle Streghe Superiori. Crescendo, imparerà a difendersi da un mondo in cui il pericolo non cessa mai di esistere, ma attualmente, vive la sua giovane vita come ogni altra bimba della sua tenera età. Seppur lentamente, un altro anno è passato, ed io ho avuto la fortuna e il piacere di assistere al matrimonio di mia sorella Astrid. Sono sicura che quel giorno rimarrà per sempre impresso nella sua memoria. Difatti, ricordo bene che era felicissima, e che nel fatidico momento, aveva abbandonato le sue mani in quelle del suo sposo, deponendo un unico e casto bacio sulle sue labbra. Sin da allora, e a un anno di distanza da quel prezioso e lieto momento, Astrid e Jonathan si sono sposati, ben sapendo che la vita avrebbe continuato a sorridere ad entrambi. Ad ogni modo, quell’odierno appariva ai miei occhi come un giorno facente parte del mio quotidiano ordinario, ma dopo aver ricevuto la visita della stessa Astrid, scoprii di sbagliarmi. Appena arrivata, mi disse che doveva assolutamente parlarmi, ed io la feci accomodare sul divano di casa, come ero solita fare ogni volta che qualcuno veniva a trovarmi. “Sono qui e ti ascolto.” Le dissi, aspettando impazientemente che riprendesse a parlare. “Non posso.” Rispose, stentando a trattenere le forti emozioni che sapevo provasse in quel momento. “Certo che puoi.” La incoraggiai, guardandola negli occhi e prolungando senza volere la mia stessa attesa. “Deve restare un segreto, d’accordo?” Continuò, tendendomi la mano perché gliela stringessi in onore della promessa che stavo per farle. Mantenendo il silenzio, annuii lentamente, per poi scegliere di afferrare le sue dita con una vena di impazienza nei movimenti. “Va bene. Io e Jonathan avremo un bambino.” Confessò, ponendo fine alla mia trepidante attesa e portandomi a provare la miglior sensazione della mia vita. “Dici sul serio?” osai chiedere, incredula e forse spinta dall’impeto del momento. “Sì. Sono incinta di suo figlio.” Chiarì, posandosi una mano sul ventre. “Congratulazioni.” Dissi, avvicinandomi e stringendola in un abbraccio. Lo stesso, sembrò letteralmente infinito, tanto che al suo sciogliersi, fui costretta a sfregarmi gli occhi per l’incredulità. Ad ogni modo, alcuni minuti passarono veloci, e allo scadere degli stessi, vidi Astrid voltarsi, dandomi le spalle e scegliendo di tornare a casa. Ancora una volta, potevo dirmi felice. Sapevo bene che sarei presto diventata zia, e che non avrei esitato a proteggere quella creatura amandola come se fosse stata mia. Con l’arrivo della sera, comunicai a Xavier la lieta novella, e alle mie parole, non potè fare a meno di sorridere. La notte calò in fretta, e il buio avvolse tutta Farebury. Poco prima di addormentarmi, mi abbandonai alle mie ormai solite e consuete riflessioni, non riuscendo ad evitare di interrogarmi sulla titubanza di Astrid nei riguardi di una notizia così bella e sconvolgente. Per qualche strana e a me ignota ragione, voleva che  la nascita del bimbo che portava in grembo rimanesse un segreto, e che come tale andasse custodito. Nonostante i miei numerosi sforzi, non riuscii a capacitarmi della natura del suo gesto. Che volesse evitare di vivere un calvario pari al mio? Mi chiesi, pur non avendo modo di trovare una risposta a quella domanda. Forse era vero, e forse aveva ragione, ma in quel momento, nulla poteva essermi rivelato. Stando ai miei ricordi sulla mia infanzia e quella delle mie sorelle, Astrid non era mai stata una ragazza riservata, ragion per cui, la sua improvvisa chiusura nei riguardi di qualunque persona al di fuori della sua famiglia, mi preoccupava. Così, con quel singolo pensiero insito nella mia mente ora colma di dubbi, passai la notte ad interrogarmi, faticando ad ottenere dei risultati concreti. Durante la notte, riuscii a sentire delle urla provenire da uno dei villaggi limitrofi, e solo allora raggelai. Quelle così strazianti grida potevano significare solo una cosa. I Cacciatori ci avevano trovate, e di lì a poco, avremmo tutte assistito ai primordi delle centenarie  ostilità esistenti fra maghi e Cacciatori. Ero spaventata, ma stringendo i denti, presi in mano il mio pugnale. Appena un attimo dopo, decisi. Mi sarei difesa, uccidendo solo per evitare di rivedere la fame e la miseria divorare il mio villaggio come al tempo in cui non ero che una bambina, lottando strenuamente per restare in vita e non essere uccisa.

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Capitolo 7
*** Freddo e paura ***


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Capitolo VII
Freddo e paura
Il dorato sole trascorre il suo tempo giocando nel cielo e nascondendosi fra le bianche nubi. Ha così inizio un freddo giorno d’inverno. Aprendo gli occhi, scopro di essermi addormentata sul divano di casa, e alzandomi, mi metto subito alla ricerca di Xavier. Prima che riesca a muovere un passo, vedo mia figlia Jocelyn camminare lentamente verso di me. È tranquilla e sorride, ma qualcosa sembra turbarla. “Che sta succedendo?” mi chiede, con voce fievole e angelica, mentre guarda fuori dalla finestra e scorge i particolari di quella che presto diventerà una guerra. “Niente.” Rispondo, stringendola in un delicato abbraccio e minimizzando quanto in realtà sento stia per accadere. “Papà non c’è.” Continua, stringendomi la mano. A quelle parole, il mio viso diviene bianco come la neve, e lo sconcerto è tale da farmi barcollare. “Sai dov’è andato?” Le chiedo, tacendo nell’attesa di una risposta. Mantenendo il silenzio, Jocelyn si limita a scuotere il capo. Prendendola per mano, vengo travolta da un’orribile sensazione di preoccupazione. Uscendo quindi di casa, la vedo iniziare a seguirmi. La mia corsa alla sua ricerca ha quindi inizio, ma vista la coltre di umida nebbia che permea l’aria, unita al fischio e all’ululato del vento, la mia voce sembra non avere alcun suono. Con gli occhi velati dalle lacrime, sono certa che non possa sentirmi, e chinando il capo, tentai di nascondere le mie amare lacrime alla vista della piccola e innocente Jocelyn. Il tempo scorreva, e la paura sembrava dominarmi. “Sta calma.” Mi ripetevo, parlando con me stessa e tentando di arginare il fiume di lacrime che scendeva dai miei ora lucidi e verdi occhi. improvvisamente, accadde ciò che non mi sarei mai aspettata. Jocelyn mi lasciò la mano, e subito dopo, si fermò. A quella vista, raggelai, non riuscendo a muovere un singolo muscolo. Ad ogni modo, sapevo di dover agire in fretta. La temperatura si stava pericolosamente abbassando, e se non fossimo tornate a casa saremmo morte congelate. Spronandola a camminare, ripresi il mio viaggio alla ricerca di Xavier, per poi sentire in lontananza un suono che col tempo avevo imparato a riconoscere. Eravamo arrivate nel bosco, la tana dei famelici lupi. I miei passi rompevano il silenzio, e ogni volta, sentivo quelle belve ringhiare. Spaventata, indietreggiavo, ma Jocelyn non si muoveva. Istintivamente, chiusi gli occhi nella speranza di sognare, e quando li riaprii, vidi ciò che non avrei mai voluto vedere. Un grosso lupo si stava avvicinando a mia figlia, e pareva avere la ferma e precisa intenzione di attaccarla. Gridando il suo nome, la convinsi a voltarsi, e poco prima che quella feroce belva si avventasse su di lei, vidi Logan comparire di fronte a me, sempre avvolto dall’ormai canonica e forte luce che precedeva tali apparizioni. Nel tentativo di proteggere me e Jocelyn, si parò di fronte all’animale, e con un singolo gesto della mano, riuscì a ridurre quella bestia alla più cieca e fedele obbedienza. “Non fatelo mai più. Potrebbe essere pericoloso.” Ci ammonì, mentre le sue lucenti iridi castane incontravano le mie, verdi come l’erba dei rigogliosi prati. “Quel lupo voleva aggredirci.” Replicai, guardandolo negli occhi e fallendo nel controllare la rabbia che sapevo di provare. “Quella non è una bestia qualsiasi. È la mia lupa.” Continuò, riuscendo a riportarmi alla calma e vedendo quell’animale avvicinarsi a lui. “Xavier sta bene, fidatevi.” Concluse, trovando una semplice e immediata risposta alla domanda che fluttuava nella mia mente. A quelle parole, abbozzai un debole sorriso, e ringraziandolo, presi in braccio la mia piccola Jocelyn, stanca e spaventata. Ricominciai quindi a camminare, e credendo di aver ritrovato la felicità, fui costretta ad accettare il contrario. Guardandosi intorno, mia figlia lasciò che una piccola lacrima le rigasse il volto, per poi pronunciare una singola e semplice parola, che mi colpì al cuore, provocando una ferita che non credevo si sarebbe mai rimarginata. “Papà.” Disse, portandomi a versare calde lacrime durante il mio cammino. Ad ogni modo, arrivai a casa spossata e tremante per il freddo, scoprendo che mia sorella Astrid sembrava avermi aspettato. “Sta lontana dai boschi, e non avvicinarti a nessuno.” Mi avvertì, lasciando che mi sedessi sul divano di casa. Un mero secondo scomparve dalla mia vita, e fu allora che notai un particolare. Non riuscivo a spiegarmi come, ma Astrid era stata ferita. “Cosa ti hanno fatto?” chiesi, alludendo alla sorta di piccolo taglio che giaceva sul suo braccio. “Sono stati i Cacciatori, ed era solo un avvertimento.” Rispose, provvedendo a massaggiarsi la ferita, che sembrava bruciare e provocarle dolore. “Torneranno, e per più di un motivo.” Continuò, riuscendo stavolta a mostrarsi incredibilmente enigmatica. Mantenendo il silenzio, attesi che riprendesse a parlare, venendo pesantemente raggiunta dalle parole che pronunciò. “Sono qui per tutte noi, ma soprattutto per noi due.” Chiarì, guardandomi fissamente e parlando in tono serio. “Cosa?” non potei fare a meno di chiedere, confusa e stranita da quelle parole. “Siamo il loro obbiettivo, Miriel.” Aggiunse, ponendo inaudita enfasi sul mio nome. “Perché?” biascicai, realizzando di aver posto una domanda a dir poco retorica. “Io e te non siamo che traditrici.” Rispose, mentre la sua voce si abbassava fino a divenire inudibile, e il suo corpo sembrava sparire dalla mia vista. Frastornata da quanto avevo sentito, vidi mia sorella scomparire definitivamente, e prendendomi la testa fra le mani, sospirai piangendo. Ormai nulla aveva un senso. Non sapevo cosa fare né cosa pensare. In breve, la mia intera vita sembrava ruotare attorno al binomio costituito da sensazioni quali la solitudine e la paura.

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Capitolo 8
*** Coraggio ***


Image and video hosting by TinyPic Capitolo VIII
Coraggio
Era ormai trascorso un intero mese dal giorno dell’incontro mio e di Jocelyn con la famelica bestia che minacciava di aggredirla. Quasi avendo ascoltato le mie preghiere, Logan ci aveva salvate entrambe, e mi aveva prontamente assicurato che Xavier, mia ragione di vita e grande amore, non fosse ferito o in pericolo. Tale rivelazione mi aveva rinfrancata, ma nonostante tutto, non avevo sue notizie sin da quel fatidico giorno. L’istinto mi portava a volermi fidare di Logan, ma la mia mente e il mio cuore non sembravano essere d’accordo. I minuti scorrevano con estrema lentezza, tanto da sembrare intere ore. Trascorrevo le mie giornate seduta sul divano di casa, intenta a leggere il libro datomi in dono dalla mia defunta madre, a suo dire sacro alle streghe come noi, conservando la segreta speranza di ricevere un segno. Non riuscendo a mantenere la calma, spostavo spesso il mio sguardo sulla porta di casa ora chiusa, desiderando semplicemente che la stessa venisse aperta, e che Xavier si avvicinasse per abbracciarmi e consolarmi in un momento così difficile. Andando alla palese e forse disperata ricerca di conforto, ho fatto visita a mia sorella Minerva, scoprendo che contrariamente alla mia, la sua vita appariva felice, e che nonostante i suoi trascorsi, fra i quali lei non dimentica mai di annoverare la morte del suo fido corvo Valtor, tutto andasse bene. La scena alla quale assistetti entrando in casa, che la ritraeva fra le braccia del suo amato marito, mi strappò un sorriso, ma le cose cambiarono non appena mi avvicinai. Difatti, notai che ai loro piedi sedeva una serafica gatta bianca, che aveva evidentemente preso il posto del defunto volatile appartenuto a mia sorella. Lei e Logan volevano bene a quella gatta, e non rinunciavano a trattarla come se fosse loro figlia. Riflettendo, non posso dar loro tutti i torti, considerando che hanno precedentemente perso il concreto seme del loro profondo amore. Ad ogni modo, quel bianco felino portava il nome di Mysia, e appariva costantemente calmo e tranquillo. Lentamente, mi accomodai accanto a loro sul divano di casa, notando che la gatta in questione non esitò a saltarmi in braccio. “Sembri piacerle.” Osservò Logan, lasciandosi poi sfuggire una risatina. “Non sono qui per il gatto.” Replicai, fallendo nel misero intento di dominare la frustrazione che dimorava nel mio corpo. “Se devi parlarci, siamo qui.” Intervenne Minerva, riuscendo a calmare i miei bollenti spiriti. “Sono solo preoccupata.” Esordii, guardando entrambi i miei interlocutori negli occhi e iniziando a passeggiare nervosamente per il salotto. “Per cosa?” chiese mia sorella, ponendomi una domanda evidentemente retorica che mi fece saltare i nervi. A quelle parole, mi voltai di scatto, per poi rispondere non badando al tono che utilizzai nel farlo. “Xavier è di nuovo sparito, il nostro villaggio è in guerra, Jocelyn è terrorizzata ed io sono sola!” gridai, iniziando quasi istintivamente a piangere. “Ti sbagli, Miriel.” Rispose Logan, avvicinandosi a me e cingendomi un braccio attorno alle spalle. “Finchè noi saremo al tuo fianco, non dovrai temere.” Aggiunse, mostrandomi un debole ma convincente sorriso. “Avete ragione.” Dichiarai, scattando nuovamente in piedi e lasciando la loro casa solo dopo averli ringraziati. Alcuni attimi scomparvero dalla mia giovane esistenza, ed io mi ritrovai nuovamente fuori al freddo. Camminando, riflettevo, e facendolo, compresi di aver appena acquisito un nuovo obiettivo. Dovevo tornare a casa, mantenere la calma e continuare a sperare. Le parole di Logan e Minerva erano servite ad infondermi la sicurezza e il coraggio che mi mancavano, e quando raggiunsi la mia destinazione, mi sedetti accanto al crepitante caminetto. Mia figlia sedeva sulle mie gambe, e ingenuamente, sorrideva. Guardando per un attimo fuori dalla finestra, mi accorsi che il buio stava per calare, ragion per cui, decisi di passare il poco tempo che rimaneva a Jocelyn. Guardandola negli occhi, di un colore permanentemente a metà fra il verde e il grigio, le parlai per ore, e con toni delicati, riguardo a quanto ci stesse accadendo, avvertendola di ogni possibile pericolo, e avendo ad ogni modo cura di non spaventarla. Ascoltando ogni mia parola con grande attenzione, mia figlia si limitava ad annuire, ma la frase che pronunciò mettendosi in piedi, mi riempì di gioia e orgoglio. “Ti proteggo io, mamma.” Disse, per poi avvicinarsi e provare ad abbracciarmi. Lasciandola pazientemente fare, la sollevai da terra, per poi baciarle la fronte e metterla a letto. “Un giorno questo sarà tuo.” Dissi, mostrandole il mio pugnale poco prima che potesse addormentarsi. “Ti proteggo io.” Ripetè, appena un attimo prima di chiudere gli occhi e cadere preda del sonno. A quelle semplici parole, sorrisi, richiudendo la porta della sua stanza alle mie spalle e lasciandola da sola. Subito dopo, mi preparai per andare a letto, faticando a dormire poiché tenuta sveglia dall’onirica visione di quello che sapevo sarebbe stato il mio destino. Parlando con me stessa, ricordai i moniti pronunciati da Xavier nel giorno del nostro fidanzamento, riuscendo finalmente a comprendere la più dura ed importante delle lezioni. La mia intera famiglia mi sosteneva, ed io non dovevo avere altro che coraggio.

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Capitolo 9
*** Debolezza ***


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Capitolo IX
Debolezza
Una nuova e immacolata pagina nel libro della mia vita che profuma di novità, e che è pronta per essere riempita. Gli astri giocano nel cielo, e il sole prevale su di loro, splendendo in quella che amo definire una magnifica potenza priva di contraddizioni. Un giorno importante e dissimile da tutti gli altri, poiché oggi viene al mondo mio nipote. Il piccolo Edward, figlio di mia sorella Astrid, fa oggi il suo ingresso nel mondo, comunicando la sua presenza ad una famiglia come quella nella quale e nato, e che sin da quel momento, si dimostra felice della sua esistenza. Ora come ora, sono ferma in piedi nella camera da letto di mia sorella, troppo occupata a sorridere e fissare il miracolo che tiene fra le braccia per guardarmi intorno. La luce del sole si è fatta più tenue, e grazie ad alcune plumbee nuvole, la gentile e bianca neve ha cominciato a scendere lenta e tranquilla, coprendo il villaggio con il suo candido manto, e regalando gioia ad ogni abitante. Per nostra mera sfortuna, la stessa si scioglie con velocità inaudita, per colpa del lucente e dorato sole, che splendendo, opera la sua talvolta distruttiva magia. Il silenzio è poi rotto da un urlo, che squarciando la fredda aria, ha il potere di spaventare ognuno di noi, compreso il neonato Edward, che piangendo, non fa che agitarsi. Nel tentativo di calmarlo, Astrid lo culla dolcemente, pur non riuscendo a farlo addormentare. Posando il mio sguardo sul vetro della finestra, appannato dal freddo, realizzo che le mie paure si sono trasformate in realtà. I Cacciatori si stanno davvero avvicinando. Terrorizzata, non riuscivo a smettere di guardare, e tremando, fuggii via da quella casa. Sapevo bene cosa stava succedendo, ma per qualche strana ragione, forse dovuta all’intenso freddo, la mia vista si tingeva di nero, tanto che per qualche prezioso secondo, temetti di avere un mancamento che di lì a poco avrebbe significato la mia morte. La bianca coltre di neve attutiva il ritmico suono dei miei passi, e le urla continuava a rompere il silenzio. Il mio corpo era scosso da tremori evidenti, e nascondendo il volto con le mani, speravo ardentemente di riuscire a nascondermi fra i civili innocenti. Un volere che molti avrebbero sicuramente interpretato come narcisistico, ma che io non riuscivo a sopprimere. Una tremenda guerra era in corso, ed io non desideravo che salvarmi. Il freddo pungeva come migliaia di minuscoli spilli, limitandomi nei movimenti, ma nonostante tutto, continuavo a camminare. Tenevo la testa bassa, e correndo, piangevo. Le mie lacrime esprimevano il perfetto connubio esistente fra tristezza e rabbia, e il sangue che colava da una ferita che mi ero procurata graffiandomi un ginocchio dopo una caduta, scorreva copioso, andando a macchiare di nero la neve. Seppur lentamente, sentivo che le forze mi stavano abbandonando, e non appena fui sul punto di arrendermi ed accettare il mio forse ignobile e duro destino, sentii qualcuno afferrarmi un braccio impedendomi di cadere. Quell’uomo aveva il volto coperto, ma un singolo particolare mi indusse ad avere fiducia. Il suo marchio, perfettamente uguale al mio, testimoniava la sua chiara appartenenza alla mia stessa stirpe. In quel momento, avrei voluto fuggire, ma il turbine di emozioni che infuriava nel mio animo mi rendeva debole, convincendomi ad abbandonare la mia precedente decisione. Alcuni secondi dopo, lo sentii proferire una frase, che agendo da antidoto contro la mia paura, fece dischiudere le mie labbra in un sorriso. “Non temere.” Disse, facendo quindi uso della sua forza per sollevarmi da terra e aiutarmi a sfuggire dai Cacciatori. Ancora una volta, il mio animo e la mia mente erano confusi. Non sapevo se fidarmi di quell’uomo mi avrebbe condotta alla salvezza, né se le sue azioni non erano che un imbroglio, ma nonostante tutto, chiamai a raccolta le mie forze, scegliendo poi di porgli una domanda di vitale importanza. Biascicando qualche parola, chiesi informazioni sulla sua identità, e scoprendomi inerme e priva di risposte, svenni. Il sentiero innevato sarebbe stato la mia tomba, ed io non avrei potuto reagire.  

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Capitolo 10
*** Miracolo provvidenziale ***


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Capitolo X
Miracolo provvidenziale
I minuti scorrevano, le urla echeggiavano, ed io ero incosciente. Ogni voce mi appariva eterea, e l’unica cosa che ero in grado di vedere era una forte luce. I miei occhi erano chiusi, e per l’ennesima volta, temetti di morire. Improvvisamente, sentii qualcuno scuotermi con delicatezza, riuscendo a svegliarmi solo in quel momento. Riaprendo gli occhi, mi guardai intorno, scoprendo di essere sdraiata su un letto all’interno di una casa che non riconobbi. “Dove sono?” chiesi, faticando a riprendere le forze. “Al sicuro.” Rispose l’uomo che mi aveva soccorsa, il cui volto era ancora nascosto da un cappuccio. A quelle parole, sorrisi debolmente, e spostando il mio sguardo sul pavimento della casa, vidi la distinta figura di un lupo. Alla mia vista, l’animale agitò la coda, per poi colpirmi una mano col muso. “Bevi questa.” Disse quel misterioso uomo, aiutandomi a sedere sul letto e porgendomi quella che identificai come una tisana. “Stai meglio?” mi chiese, non appena finii di bere. Mantenendo il silenzio, annuii lentamente, per poi decidere di far luce sul mistero che lo circondava. “Chi sei in realtà?” chiesi, tacendo nella mera attesa di una risposta. “Non vuoi davvero saperlo.” Mi disse, nel semplice tentativo di dissuadermi dal conoscere la sua vera identità. “Dimmelo.” Continuai, sfidandolo con la voce. “Sei sicura?” mi chiese, posando il suo sguardo su di me. Quella domanda non trovò una risposta, poiché mi limitai a continuare a fissarlo. Fu quindi questione di singoli attimi, e l’identità di quell’uomo si palesò davanti ai miei occhi increduli. Non riuscivo a credere a ciò che stavo vedendo, eppure il mio amato Xavier era di fronte a me. “Perché l’hai fatto? Perché sei fuggito di nuovo?” chiesi, mentre delle amare lacrime iniziavano a sgorgare rigandomi il volto. “Non volevo che succedesse, ma ho dovuto combattere.” Rispose, tentando di giustificarsi. “Tutti noi dobbiamo farlo!” gridai, alzandomi in piedi e affrontandolo a muso duro. “Sono sparito solo per proteggerti, e Mistral mi ha portato da te.” Continuò, riferendosi alla lupa che sedeva immobile al suo fianco. A quelle parole, non risposi, scivolando nel mutismo più completo e tentando in ogni modo di smettere di piangere. “Non posso più fidarmi.” Sussurrai, guardandolo negli occhi e procedendo a dargli le spalle. Quasi ignorando le mie parole, Xavier si avvicinò a me, e afferrandomi un polso, mi costrinse a voltarmi. Da quel momento in poi, la mia rabbia svanì. Le nostre labbra si unirono in un bacio, e sentendo i miei sopiti sentimenti riaffiorare, e il mio cuore ricominciare a battere, ne assaporai ogni istante. In poco tempo, mi trovai letteralmente con le spalle al muro, e quando l’abbraccio in cui ci eravamo stretti si sciolse, mi resi contro di tremare. “Ricorda, io ti amo, e finchè io sarò qui, tu non morirai.” Ascoltai quelle parole in religioso silenzio, per poi provare la più strana delle sensazioni. Il mio cuore batteva forte, e per qualche arcana ragione, mi abbandonai piangendo fra sue braccia. “Andrà tutto bene, te lo prometto.” Mi disse, tentando di consolarmi e lasciando che mi sfogassi. Di lì a poco, eravamo nuovamente stretti in un secondo abbraccio, e un secondo bacio aveva unito le nostre labbra. Il mio dolore era finalmente svanito, e ora sapevo di potermi fidare. Xavier era l’uomo che amavo, e che durante questa guerra, aveva rischiato la sua stessa vita pur di non perdermi. Mi aveva scelta, e mi amava davvero, e tutto nonostante l’odio che ero ormai abituata a gettargli in faccia durante le nostre liti. Non volevo forse ammetterlo, ma a dispetto di quanto ci stava accadendo, e stando ad una concatenazione di eventi che non aveva fatto altro che dividerci, io lo amavo ancora, e non sopportavo l’idea di stargli lontano. Lentamente, ognuno dei miei ricordi trovò un preciso posto nella mia memoria, ed io riuscii a rimembrare perfettamente ogni attimo trascorso assieme a lui. Il nostro amore era diverso, e non poteva certamente essere paragonato a nessun altro. Un sentimento proibito, e nato grazie a quello che ora consideravo un miracolo provvidenziale.

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Capitolo 11
*** L'infrangersi di un cuore ***


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Capitolo XI
L’infrangersi di un cuore
I lunghi giorni scorrevano, e la guerra continuava ad imperversare. Le condizioni del villaggio peggioravano di minuto in minuto. Gli alberi bruciavano, le genti fuggivano, e le urla si sentivano ovunque. Io ero tornata a casa, e mi era unita a Xavier nella ricerca di un rifugio. “Ci troveranno.” Continuavo a ripetere, mentre ero impegnata a passeggiare nervosamente per tutto il salotto. “Calmati.” Mi diceva Xavier, avvicinandosi e stringendomi in delicati abbracci al solo scopo di riportarmi alla normalità. Ad ogni modo, gli stessi non sembravano avere effetto su di me. Ero troppo tesa, e per qualche strana ragione, continuavo a fissare la porta di casa ora chiusa. Pochi istanti dopo, la vidi aprirsi con uno scatto, e notai mia sorella Minerva fare il suo ingresso sulla scena. Sembrava triste, e il suo volto era contratto in un’espressione inequivocabilmente mesta. Alla sua vista, corsi ad abbracciarla, ringraziando il cielo che fosse ancora viva. Il suo corpo era fortunatamente privo di ferite, ma un differente particolare finì per catturare la mia attenzione. Le mancava qualcosa. “Dov’è il tuo anello?” le chiesi, prendendole delicatamente una mano e facendole notare l’assenza di quel gioiello. “L’ho gettato via.” Rispose, tirando su col naso e faticando a trattenere delle lacrime che riuscivo a vedere chiaramente. “Cosa?” esclamai, incredula. “Ho deciso di farlo. Logan mi ha tradita.” Confessò, nascondendo poi il volto con le mani, volendo semplicemente evitare di intristire la piccola Jocelyn, che allarmata da quanto stava accadendo, ci aveva raggiunti. “Il problema non è solo questo.” Continuò, trovando faticoso perfino l’atto di parlare. Continuando a guardarla, provai pena per lei, così, lasciandomi muovere dalla compassione, mi avvicinai per offrirle conforto. Subito dopo, Minerva tentò di calmarsi respirando a fondo, per poi pronunciare una frase che mi fece gelare il sangue nelle vene. “Mi mentiva sin dall’inizio, e le Streghe lo hanno punito. Ricordi la lettera che avevi ricevuto?” mi disse, completando il suo discorso con quella domanda. Mantenendo il silenzio, annuii lentamente, e nulla potè prepararmi alla risposta che mi diede. “Era stata colpa sua. Diceva di non sapere che fossimo sorelle, ma ha mentito.” Disse, facendosi improvvisamente seria e scura in volto. Alle sue parole, raggelai. “Hai fatto la cosa giusta.” Le dissi, guardandola negli occhi e tacendo solo dopo la fine di quella frase. Intanto, il conflitto appena fuori dalle mura di casa continuava, e prima che riuscisse a rendermene conto, vidi la porta di casa venire aperta con violenza. Improvvisamente, un uomo dal volto incappucciato posò gli occhi su mia figlia, e afferrandole un polso, me la portò via. Colta alla sprovvista, rimasi immobile, e con gli occhi velati dalle lacrime, gridai il suo nome. Per pura sfortuna, il mio urlo non ricevette risposta, ed io non sentii altro che disperato pianto della mia amata bambina. Urlando con quando fiato avesse in gola, invocava il mio aiuto, e pur volendo intervenire, mi scoprii troppo spaventata per farlo. Rimanendo immobile, non smettevo di piangere, fissando quello che riconobbi come un violento Cacciatore, strapparmi via la parte più importante di me. Istintivamente, spostai il mio sguardo su Xavier, che notando la mia preoccupazione, si precipitò fuori di casa. “Andrò a prenderla.” Mi disse, poco prima di allontanarsi e sparire fra la neve e la nebbia. Annuendo, rimasi impassibile, per poi scoprire di essere rimasta letteralmente da sola. Minerva era ancora con me, ma era ormai divenuta come invisibile. Non lo credevo reale, eppure Jocelyn mi era stata sottratta una seconda volta. Piangendo amare lacrime, passai quella notte a pregare. Il tempo continuava a scorrere, e con esso aumentava la mia preoccupazione. Avevo nuovamente perso la sicurezza e la fiducia in me stessa, e non mi restava che piangere. Sapevo bene che i poteri di Jocelyn avevano appena iniziato a manifestarsi, ma data la sua età, temevo che gli stessi non sarebbero stati abbastanza forti da proteggerla. Sconsolata, volsi il mio sguardo alla luna, reiterando la mia sentita preghiera. In quel momento, non avevo desiderio dissimile dalla salvezza della mia bambina, e quello che avevo appena sperimentato, non era che dolore unito all’infrangersi di un nobile cuore.

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Capitolo 12
*** Corsa alle armi ***


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Capitolo XII
Corsa alle armi
Era ormai passata un’intera ora, e di Xavier neanche l’ombra. Con lo scorrere del tempo, divenivo sempre più ansiosa e preoccupata, e ignorando i consigli delle mie sorelle, mi feci coraggio, presi il mio pugnale e corsi fuori. I miei passi facevano scricchiolare i rami degli alberi ormai consumati dalla violenza dei Cacciatori, e l’intera città appariva completamente rasa al suolo. Ad ogni modo, sapevo che non era possibile. Tentando di ritrovare la calma, concentrai il mio pensiero su mia figlia. Pochi istanti dopo, i miei sensi di strega si fecero vivi, e facendo uso dei miei poteri, sentii la voce della mia piccola Jocelyn risuonare nella mia testa. Fermandomi di colpo, presi fiato, per poi lanciarmi in una trafelata corsa verso il centro del villaggio. Non appena arrivai, vidi mia nonna. Era circondata dalle sue sottoposte, che utilizzando le loro armi, consistenti in spade e daghe simili a quella che nascondevo, chiamavano a raccolta le loro forze per difendersi dagli attacchi che i Cacciatori continuavano a sferrare senza sosta. Improvvisamente, sentii qualcuno chiamare il mio nome, e voltandomi, scoprii nel mio interlocutore la mia ormai vetusta nonna. “Il pugnale!” mi gridò, consigliandomi di usare la mia arma al solo scopo di difendermi. Guardandola negli occhi per un singolo attimo, annuii, per poi spostare il mio sguardo su uno di quelli che sarebbe presto divenuto un mio aguzzino. Si avvicinava a me con velocità inaudita, e sguainando quella che identificai come un’argentea e affilata spada, scelse di provare ad attaccarmi. Schermendomi il volto con le mani, mi ferii accidentalmente, per poi cadere a terra con un tonfo. Sperando di fargli perdere interesse verso di me, mi finsi morta per alcuni secondi, allo scadere dei quali, con un profondo respiro, riuscii a rimettermi in piedi e restituire il colpo. Fu questione di un singolo attimo, e la mia daga penetrò nel suo braccio. Dalla profonda ferita sgorgava del sangue, e seppur lentamente, il mio nemico si stava indebolendo. Fissando il mio sguardo su di lui, svuotai la mente per alcuni secondi, rimembrando allo scadere degli stessi, un particolare di cui avevo letto nel libro di mia madre. I Cacciatori come quello che mi accingevo ad uccidere, possedevano un marchio la cui forma ricordava quella di una croce celtica. “Dimmi dov’è mia figlia.” Gli intimai, inchiodandolo a terra con la sola forza del mio sguardo. “Non lo so.” Rispose, lamentandosi per il dolore che la ferita gli provocava. “Stai mentendo.” Continuai, avvicinando il pugnale al suo volto. A quella vista, l’uomo iniziò a tremare. Era come se le mie parole lo privassero della forza e della crudeltà che caratterizzava lui e quelli della sua ignobile stirpe. “Non è vero.” Disse, incrociando il mio sguardo e tacendo nella vana ed inutile speranza di convincermi. “Dimmi dov’è mia figlia!” gridai, scandendo l’ultima parola che pronunciai e sferrandogli un pugno in pieno volto. “È stata rapita… dalle Superiori.” Biascicò, pregando che dopo tale confessione io lo lasciassi andare, per poi abbandonarlo al suo triste e ormai segnato destino. Per sua fortuna, quelle parole erano ciò che aspettavo di sentire, ragion per cui, mi voltai dandogli le spalle, per poi scegliere di mettermi alla ricerca di mia nonna. Correvo facendomi strada nella nebbia, evitando le infuocate frecce e gli innumerevoli cadaveri che incontravo, avendo comunque la premura di controllarli e sincerarmi che non appartenessero alla mia famiglia. La fortuna sembrava assistermi, e il mio cammino fu interrotto da una voce fin troppo conosciuta. Xavier chiamava disperato il mio nome, e voltandomi, notai che non era da solo. Difatti, e per quella che non esitai a definire una sorte benevola, era affiancato da Minerva, Astrid e Jonathan. In quel momento, le uniche persone assente all’appello erano Logan e Jocelyn. Ad ogni modo, abbracciai Xavier, felice di averlo ritrovato e di sapere che fosse ancora vivo. “Dov’è Logan?” non potei fare a meno di chiedere, notando delle amare e fredde lacrime rigare il volto di mia sorella e continuando a seguirlo nella corsa che ci avrebbe a suo dire condotto alla salvezza. “C’è stata un’imboscata, siamo riusciti a fuggire, ma lui è morto.” Rispose, lasciando che le parole venissero supplite dagli eloquenti sguardi che mi rivolse. A quella notizia, sbiancai. La scomparsa del povero Logan mi aveva colpito, ma ad ogni modo, la persona maggiormente provata dall’accaduto, risultava essere Minerva. Entrambi, si erano amati nonostante mille difficoltà, e poi lasciati a causa di un semplice errore, ma anche se ora lui non faceva più parte della sua vita, mia sorella dovette ammettere di avere la sua dose di colpa, e piangendo, si accasciò lentamente a terra. “Rialzati.” Le dissi, aiutandola a rimettersi in piedi e sperando che smettesse di piangere. In quel preciso istante, il suo dolore si dimostrò troppo forte per essere ignorato, ragion per cui, mi ignorò completamente, rifiutando di continuare a seguirci. “Io lo amavo!” gridò fra le lacrime, posando una mano sulla bianca e fredda coltre di neve, per poi sferrare un pugno al terreno. Subito dopo, sentii un urlo, e vidi una freccia scagliata da un abile arciere dirigersi proprio nella sua direzione. Istintivamente, chiamai il suo nome, e lei non ebbe che il tempo di voltarsi. I secondi scorrevano, e sentivo che la fine si avvicinava. Non sopportando quell’orribile vista, chiusi gli occhi, riaprendoli solo al calare del silenzio. Tutto appariva immobile, e non si sentiva nulla. Riacquistando la capacità di vedere, notai che Minerva era sana e salva, e che al suo posto, c’era qualcun altro. Istintivamente, lasciai andare la mano di Xavier, per poi muovere qualche indeciso passo in avanti e scoprire che nostra nonna aveva tentato di salvarla. “Io starò bene, ora fuggite.” Biascicò, rialzandosi lentamente da terra e sopportando il dolore e il colpo appena subiti. Posando il mio sguardo su di lei, esitai per un attimo, salvo poi vederla sorridere debolmente. “Va con loro, Miriel.” Mi disse, indicando il resto della mia famiglia con un cenno del capo. Seppur lentamente, mi allontanai da lei, decidendo quindi di darle ascolto. Non ebbi occasione di chiederle della mia bambina, ma stando a quel che avevo visto, Jocelyn non era con lei. Tutto questo, poteva avere un solo significato. Quello spregevole uomo mi aveva mentito in punto di morte, ed io avrei dovuto farmi giustizia da sola. Lasciando che Xavier mi prendesse nuovamente per mano, ricominciai a correre al suo fianco. Alcuni istanti dopo, sentii un suono basso e soffocato, che inizialmente non fui in grado di distinguere. Un guizzo di memoria mi saltò in mente, e ricordando, realizzai. Sapevo bene che i Cacciatori erano una stirpe a dir poco orrenda, e che erano disposti a qualunque sacrificio perché il volere di chi li comandava si compiesse. A tale scopo, avevano perfino addestrato le belve dei boschi ad obbedire ai loro comandi. Volendo unicamente proteggere la mia famiglia, mi voltai sguainando il mio pugnale, e scoprendo, con mia grande sorpresa, che un lupo ci stava seguendo. Alla mia vista, l’animale si fermò, mostrandosi pronto ad obbedirmi. “Mistral?” chiamai, dubbiosa. A quel nome, il lupo abbaiò, e da quel momento in poi, fui sicura della sua identità. Correndo, si mise in testa alla nostra marcia, e ululando, ci guidò fino ad un luogo che appariva sicuro. Guardandomi attorno, strinsi la mano di Xavier. Spostando poi il mio sguardo sulla coraggiosa Mistral, la accarezzai, complimentandomi silenziosamente. In fondo, la lupa non aveva fatto che il suo dovere, e ci aveva condotti in quello che riconobbi come il covo delle Streghe. Ancora una volta, mossi qualche incerto passo in avanti, per poi ritrovarmi di fronte una delle Streghe in persona. “Che cosa vuoi, miserabile strega?” chiese, in tono acidamente scortese. “Sono qui per mia figlia.” Risposi, riuscendo incredibilmente a tenerle testa. “Qui non c’è nessuno oltre a noi.” Mi disse, riferendosi al resto delle sue compagne. “Ho dato alla luce una Sangue Striato.” Chiarii, alterandomi di colpo. Per qualche strana ragione, la Strega risultò ferita dalle mie parole, tanto da massaggiarsi le tempie indolenzite. “Venite con me.” Disse, per poi guardarsi indietro e assicurarsi che la stessimo seguendo. In quel momento, camminavo senza proferire parola, e ad ogni passo, mi interrogavo sulle condizioni della povera Jocelyn. Sapevo che era stata nuovamente rapita dalle Superiori, e data l’assenza di mia nonna, ero certa che le avessero fatto del male. Dopo alcuni minuti passati a guidarci negli ampi e oscuri corridoi di quel covo, la Strega si fermò, per poi indicare un punto lontano e immerso nell’oscurità. “È proprio lì, ma fate attenzione.” Ci ammonì, fissando il suo sguardo su me e Xavier, e notando che le nostre mani erano di nuovo unite. Lentamente, ci avvicinammo al punto indicato, scoprendo che nostra figlia Jocelyn appariva diversa. Per qualche strana ragione, infatti, il marchio che la caratterizzava rendendola forse unica a questo mondo, risplendeva costantemente, e le sue mani erano calde al tatto. Limitandosi a fissarci, non parlava, e prendendola in braccio, notai che il suo esile corpicino era scosso da evidenti tremori forse dovuti al freddo di questo così pungente inverno. Parlandole con gentilezza, la rassicurai, avendo quindi la gioia di vederla sorridere. “Portatela via, e non tornate mai più.” Ci intimò quella Strega, per poi sparire dalla nostra vista attraverso l’uso dei suoi poteri. Per nostra fortuna, e forse anche a causa della forza d’animo che accompagnava i nostri movimenti, il viaggio di ritorno a Farebury fu breve, e al nostro arrivo, nulla era più uguale a prima. La nostra vista pareva ingannarci, eppure sapevamo di esser desti. D’improvviso, le mie palpebre si fecero pesanti, e i miei occhi si chiusero. Sentendo Xavier stringermi una mano, mi sforzai di riaprirli, e non appena lo feci, vidi ciò che non avrei mai voluto vedere. La bianca neve era completamente ricoperta di sangue, e gli alberi e le case bruciavano senza consumarsi. Non l’avevo mai detto ad anima viva, eppure la mia paura più grande era rappresentata dal fuoco. La sola vista delle fiamme libere e senza controllo mi terrorizzava fino a fami star male. Ad ogni modo, quello era forse l’ultimo dei problemi. Difatti, mia figlia fece qualche passo in avanti, e il silenzio si ruppe come vetro. Non vidi altro che lo splendere del suo marchio, e subito dopo, un urlo squarciò l’aria di quella notte. 
 
 

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Capitolo 13
*** Giovane guerriera ***


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Capitolo XIII
Giovane guerriera
D’improvviso, cadde il silenzio. Le tenebre avvolsero mia figlia, ma rimanendo perfettamente immobile, riuscì a liberarsi dalla morsa in cui la stringevano. Ero esterrefatta, e non proferendo parola, la guardavo. La luce e il calore che il suo corpo sprigionava era tale da impedirmi di farlo, ragion per cui, mi ritrovai costretta a coprirmi il volto con le braccia. Alcune lacrime ruppero gli argini presenti nei miei occhi, e venendo assalita dalla preoccupazione, piangevo. Le stesse, cadevano copiose sulla neve, e quasi ribellandomi alla ferrea presa che Xavier esercitava sulla mia mano, mossi qualche passo in avanti. “Lascia che agisca.” Mi disse Astrid, costringendomi ad arrestare il mio cammino. “Non vedete che succede? È la mia bambina!” gridai disperata, mentre il mio pianto veniva pesantemente ignorato. “Sta cercando di salvarci.” Continuò Xavier, prendendomi nuovamente per mano e regalandomi un luminoso sorriso. Da quel momento in poi, smisi di piangere, per poi assistere ad una scena che mi privò della parola. Jocelyn aveva ormai smesso di urlare, ma appariva stanchissima. Voltandosi per un attimo verso di me, sorrise, per poi sentirsi mancare e svenire crollando in terra. La fresca neve la accolse, e da quel momento, tutto fu buio. Avvicinandomi, la chiamai per nome, e scuotendola leggermente, riuscii a farla rinvenire. I suoi occhi si aprirono lentamente, e non appena fu nuovamente in grado di parlare, mi pose una singola e semplice domanda. “Ce l’ho fatta?” mi chiese, alludendo forse all’obiettivo che si era prefissata, ovvero quello di proteggermi e porre fine a quest’assurda e sanguinosa guerra. “Ce l’hai fatta.” Risposi, annuendo e avendo la gioia e la fortuna di vederla sorridere per la seconda volta. “Portami via.” Pregò, mentre la sua voce si affievoliva come la luce di un’ormai consumata candela. Obbedendo a quella sorta di ordine, annuii lentamente, per poi prenderla in braccio e avvicinarmi a Xavier. Lentamente, gli presi la mano, iniziando quindi a correre verso la nostra unica destinazione, rappresentata stavolta dalla nostra casa, e dal nido che eravamo riusciti a costruirci. Non appena arrivammo, accompagnai Jocelyn a letto. Poco prima che si addormentasse, le baciai la fronte. Subito dopo, mi avviai verso la porta della stanza, rivolgendo un ultimo sguardo prima di uscirne. Un sorriso si dipinse quindi sul mio volto. Era incredibile. Mia figlia, una bambina di sei anni, era riuscita a sterminare ogni singolo nemico che ci stesse dando la caccia. In quel momento, non potevo essere che orgogliosa. Aveva mantenuto la parola data, e cosa ancora più importante, era riuscita a salvarci. Sospirando, raggiunsi il salotto di casa, per poi sedermi e iniziare a leggere. Mi impegnai in quell’attività fino al calar della sera, per poi scegliere di andare a dormire. La giornata era stata lunga e stressante, motivo per cui, credevo che un buon sonno ristoratore sarebbe servito a schiarirmi le idee. Per mia mera sfortuna, mi sbagliavo. Chiudendo lentamente gli occhi, caddi preda di un profondo sonno, che venne ad ogni modo disturbato dalla visione onirica di mia nonna, che scelse di parlarmi attraverso tale dimensione. “Tua figlia è una guerriera, ma questo non è che l’inizio.” Una frase incoraggiante e al contempo enigmatica, che per qualche arcana ragione, mi costrinse a svegliarmi. Riaprii gli occhi scoprendo l’accelerazione del mio battito cardiaco, e avvalendomi del mio intelletto, capii che non poteva trattarsi di un semplice incubo. Difatti, stavolta tutto era diverso, ed io ero una strega diversa da ogni altra, perché madre di una giovane guerriera.

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Capitolo 14
*** Campo di battaglia ***


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Capitolo XIV
Campo di battaglia
Gli anni hanno continuato a passare, e nonostante il placido e tranquillo andar del tempo, la guerra che terrorizza il mio villaggio sembra non giungere mai ad una concreta fine. Ora come ora, mia figlia Jocelyn e mio nipote Edward sono poco più che adolescenti, e il rapporto che li lega non potrebbe essere migliore. Riflettendo, io e mio marito Xavier ci meravigliamo del tempo che è ormai scomparso dalle nostre vite. Abbandonandomi ad un cuoi sospiro, posai lo sguardo su Jocelyn. Era calma, e i suoi occhi sprigionavano vitalità. Sorridendole, mi avvicinai a lei. Sembra passato solo un giorno dal momento in cui è nata, eppure solo guardandola mi accorgo che non è così. Difatti, ha quasi diciott’anni, ed è diventata una forte e saggia guerriera Intanto, proprio fuori dalla mia finestra non si sentono altro che le urla della povera gente spaventata, che fugge da quelli che i maghi e le streghe conoscono come Cacciatori. Improvvisamente, una sonora esplosione. Istintivamente, mi voltai, e posando il mio sguardo sulla porta di casa ancora chiusa, esito. “Sono qui.” Dissi, guardando il mio Xavier negli occhi e sguainando il mio pugnale. Subito dopo, mi precipitai fuori, pronta ad affrontare i miei nuovi nemici. Mantenendo il silenzio e la concentrazione, mi facevo strada nella fredda neve, concentrando il mio pensiero sulla mia stessa vita. In quel momento, sapevo solo di non voler morire, e desideravo ardentemente proteggere la mia famiglia. Il tempo scorreva, e un Cacciatore mi si parò davanti. Fulminandomi con un’occhiata carica di odio, mi sferrò un pugno in pieno volto, ed io finii a terra. Il colpo appena ricevuto mi aveva letteralmente disorientato, facendomi perdere prezioso tempo che avrei potuto impiegare per difendermi. Respirando profondamente, sopportai il freddo e rotolai nella neve, fino a notare che i miei capelli sembravano aver cambiato colore, passando dal rosso fuoco al bianco latte. Appena un istante più tardi, mi rialzai, e  guardandolo fissamente, mossi un braccio con velocità inaudita, vedendo la mia daga sfiorargli il volto, per poi notare l’aprirsi di una seria ferita, dalla quale sgorgava del sangue fortemente dissimile dal mio. Da quel momento in poi, l’intera situazione parve ribaltarsi. Sapevo bene di averlo atterrato, e fuggendo, mi misi subito alla ricerca di mia figlia. Il combattimento mi aveva privato di gran parte delle mie energie, e l’impegno che avevo profuso nel difendermi me l’aveva fatta perdere di vista. Non sapevo dove fosse, né se fosse ancora viva. Correndo, gridavo il suo nome nella forse vana speranza che mi sentisse, e dopo alcuni minuti passati a cercarla, ebbi la gioia e la fortuna di rivederla. Inducendola a voltarsi, andai contro la volontà del mio amato Xavier. “Non darle il pugnale.” Mi diceva, riferendosi a nostra figlia Jocelyn. “È più forte di noi, e non sappiamo cosa potrebbe accadere.” Aggiungeva, tentando di dissuadermi dall’insegnarle ad usarlo. Ad ogni modo, i suoi richiami non ebbero effetto su di me, e quasi ignorando le sue parole, le mostrai come usare una daga. Non appena iniziammo le sessioni d’allenamento, mia figlia scelse di concentrarsi e provare a fare del suo meglio, dando vita a risultati a dir poco stupefacenti, che sapevo di voler ammirare sul campo di battaglia ora rappresentato dal nostro villaggio. Ero preoccupata, ma al contempo fiduciosa. Mia figlia era una ragazza forte e combattiva, e aveva ereditato tali caratteristiche dal padre e dalla zia Astrid, che sin dal giorno della sua nascita si era mostrata felicissima. Improvvisamente, arrestai la mia corsa, per poi incrociare lo sguardo di mia figlia e decidere di lanciarle il mio pugnale, che sarebbe presto diventato la sua arma. Afferrandolo con grande maestria, Jocelyn riuscì ad evitare di ferirsi, ma proprio in quel momento, la sorte le voltò le spalle. Fu quindi questione di un attimo, ed io vidi un Cacciatore avvicinarsi a lei e infliggerle una quasi mortale ferita al petto. Essendo troppo lontana per aiutarla, e ritrovandomi braccata da un gruppo di nemici, non potei fare altro che fissare il suo corpo cadere con un tonfo nella fredda neve, e la sua ferita sanguinare copiosamente. Disperata, gridai il suo nome, e non vedendola muoversi, iniziai istintivamente a piangere. Animata quindi da una forza misteriosa, fuggii dai Cacciatori, correndo verso mia figlia più veloce che potessi. Alcuni istanti dopo, notai la presenza di suo cugino Edward sul campo di battaglia. Aprendo lentamente gli occhi, Jocelyn chiamò a raccolta le sue forze per posare il suo debole sguardo su di lui. “Lasciami andare.” Sussurrò, faticando a respirare e sentendo che le forze la abbandonavano. “Non puoi morire qui. Sei la mia… ragazza.” Le rispose Edward, inginocchiandosi e tentando di aiutarla a rialzarsi. Per sua mera sfortuna, Jocelyn sembrò perdere la battaglia che aveva ingaggiato con la vita, e smettendo di respirare, chiuse gli occhi. La scena che seguì quel momento fu incredibile. Avvicinandosi a lei, Edward, la guardò negli occhi, per poi scegliere di baciarla. In quel preciso istante, le loro labbra si unirono, e la mia amata Jocelyn riuscì a riprendersi. Le sue ferite scomparvero lentamente, e rialzandosi da terra, lei abbracciò Edward, e da quel momento in poi, tutto fu più chiaro. Ero incredula, ma al contempo felice. Mia figlia era ancora viva, ed era perfino riuscita a trovare l’amore. Il suo rapporto con Edward andava ben oltre l’amicizia, e guardandoli, non potei fare altro che sorridere. Si amavano, e i sentimenti che provavano erano ora palesemente reali. Sapevo bene che la loro relazione sarebbe stata osteggiata, ma ero certa che non avrei permesso tale sopruso nei loro confronti. Difatti, e come mi era stato insegnato sin dalla tenera età, nessun amore poteva essere definito impossibile. Il loro rapporto avrebbe continuato a rafforzarsi, fino a sbocciare nel sentimento più puro a questo mondo. Ero finalmente sicura di una cosa. Una nuova e forte emozione era per loro nata durante una cruenta battaglia.   

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Capitolo 15
*** Scoperte e incertezze ***


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Capitolo XV
Scoperte e incertezze
Un anno era nuovamente svanito dalla mia vita come uno benevolo spirito o un etereo fantasma, e la guerra al di fuori delle mura di casa mia, continuava. Era ormai arrivata la primavera, ma nonostante questo, il caldo sole appariva sempre celato alla mia vista dalle bianche e immacolate nuvole, rifiutandosi di uscire dal suo nascondiglio. Quasi come se fosse spaventato dalla guerra stessa, non splende più come un tempo, e i giorni che passano scanditi dalle ora innumerevoli morti ne sono la prova. Ognuno di noi ha paura, ma non desiderando altro che la libertà dalla minaccia degli scaltri e ignobili cacciatori, ci difendiamo sempre al meglio delle nostre possibilità. Ora come ora, sono in casa, e il mio corpo è pervaso da un’orribile sensazione. So bene che le parole rivoltemi da mia nonna non sono un caso, così come non lo era quel seppur strano sogno, ma ad ogni modo, la mia mente lotta per convincermi del contrario. “Nessuno potrà farmi del male.” Queste le cinque parole che mi ripeto come se stessi recitando un vedico mantra e parlando con me stessa, finendo poi per trascorrere gran parte del mio tempo a preoccuparmi per la mia intera famiglia. “Fidati di noi.” Dice mia sorella Astrid, abbracciandomi nel mero tentativo di confortarmi. Accettando il suo affetto, sorrido debolmente, per poi abbandonarmi a dei cupi sospiri. Il tempo non arresta la sua infinita corsa, e la mia mente si riempie di pensieri e paure. Le parole di mia nonna continuano a risuonare nella mia povera testa, e il terrore mi assale. Così, con questo unico pensiero insito nei meandri della mia giovane coscienza, inizio quasi inconsapevolmente a tremare, e dopo solo alcuni attimi di silenzio, svengo. Le forze mi abbandonano, ed io divento letteralmente cieca. Il buio finisce per inghiottirmi e circondarmi, e con il passare delle ore, la sorte mi sorride. Difatti, vengo aiutata da mia sorella e da mio marito, che al mio risveglio, appaiono sollevata. “Ci hai fatto preoccupare.” Dice mia figlia Jocelyn avvicinandosi unicamente per posarmi uno straccio bagnato sulla fronte. Data la sua reazione, mi poso una mano sul viso, scoprendo che le mie guance sono improvvisamente divenute bollenti. Stordita da quanto era accaduto, non riuscivo a trovare una spiegazione logica al mio svenimento, salvo riuscire a farlo solo dopo concreti attimi di riflessione. Evidentemente, il mio corpo aveva avuto un’esagerata reazione allo stress al quale mi sottoponevo senza volere, causando il mio fortunatamente temporaneo stato di malessere. “C’è qualcosa di cui dobbiamo parlarti, mi dissero Jocelyn ed Edward, parlando all’unisono. “Non adesso.” Risposi, massaggiandomi le tempie ancora doloranti. “È importante.” Replicò Edward, quasi ignorando quella che alle sue orecchie giungeva come pura indifferenza. In quel momento, mi arresi, sospirando e lasciando che lui e Jocelyn mi parlassero. Poco prima di iniziare il loro discorso, mi chiesero di seguirli fino alla mia stanza, unico posto in cui sapevano di non poter essere uditi da nessuno oltre a me. “Mantieni la calma.” Mi dissi, ben sapendo che quella sorta di promesso avrebbe significato qualcosa di realmente serio. Con un gesto della mano, li incoraggiai a parlare, ma sorprendentemente, nessuno dei due proferì parola. Alcuni secondi trascorsero veloci, e muovendo qualche deciso passo in avanti, Jocelyn decise di sciogliere il nodo che le stringeva la gola, rivelandomi ciò che affermava di nascondermi da tempo. “Sono incinta, e il bambino è di Edward.” Confessò, mentre la sua voce diveniva fievole e a tratti inudibile, e il suo mento sembrava tremare a causa di quello che identificai come un sommesso e silenzioso pianto. In quel preciso istante, allargai le braccia per invitarla ad avvicinarsi, e subito dopo la strinsi a me. “Noi non volevamo.” Mi disse fra le lacrime, tentando di giustificarsi per ciò che le era successo. Ascoltandola in silenzio, vidi Edward avvicinarsi a lei, iniziando quindi a carezzarle la schiena. Subito dopo, le sussurrò in un orecchio qualcosa che non capii, e da quel momento in poi, non mi restò che assistere alla sua reazione. Sostituendo le amare lacrime con un debole ma convincente sorriso, lasciò che Edward la baciasse su una guancia, per poi dirigersi verso la porta della stanza ed uscirne, ormai sicura della mia calma riguardo a quanto mi aveva appena confessato. Seguendola, tornai nel salotto di casa, per poi incrociare lo sguardo di Mistral, la lupa un tempo appartenuta all’ormai defunto Logan, e passata a me secondo la sua stessa volontà. Seduta accanto al divano di casa, mi guardava con occhi vivaci e brillanti, e la sua espressione calma mi rassicurava. “Sono qui.” Sembrava dire, mentre pareva perfino sorridermi. A quella vista, mi feci sfuggire un lieto sospiro, scegliendo di sedermi sul divano e contemplare l’ora spento caminetto. Appena un attimo dopo, Mistral si avvicinò ulteriormente a me, e mugolando, posò la testa sulle mie ginocchia. Intuendo il suo stato d’animo, l’accarezzai gentilmente. Rimanendo fermo, Salem la fissava. Non muoveva un muscolo, ma qualcosa, una sorta di freddo scintillio nei suoi grandi occhi gialli tradiva quella che io definivo gelosia. Non ero sicura che il mio gatto provasse tale sentimento verso un lupo ormai accettato e conosciuto, ma ad ogni modo, sapevo di non avere certamente tempo di occuparmene. Al calar della sera, posai il mio sguardo sull’argentea luna, e mantenendo il più completo silenzio, mi convinsi di una realtà previamente esistente, secondo cui l’ora dominante calma sarebbe stata sconvolta e tradita dalla più ardua delle tempeste.    

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Capitolo 16
*** Profezia ***


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Capitolo XVI
Profezia
La buia notte si stava lentamente trasformando in giorno, e il sole mi colpiva il viso, non dandomi scelta dissimile dall’aprire gli occhi e alzarmi dal letto. Uscii dalla mia stanza mantenendo la calma, e raggiungendo il salotto di casa, vidi mia figlia Jocelyn. Era comodamente seduta sul divano, e mostrava un sorriso che ai miei occhi appariva palesemente mellifluo. “Qualche problema?” le chiesi, avvicinandomi e lasciando che la preoccupazione avesse la meglio su di me. “La nonna mi ha parlato.” Disse, chinando leggermente lo sguardo, forse a causa di quella che identificai come paura. Posandole quindi una mano sulla spalla, compresi che aveva quasi inconsapevolmente iniziato a tremare. “Ha scoperto tutto, e ho paura.” Continuò, guardandomi negli occhi e sperando nel mio aiuto. “Cosa ti ha detto?” azzardai, per poi tacere nell’attesa di una sua risposta. “Mi è apparsa in sogno, e ha detto che qualcosa ci accadrà.” Mi disse, fornendomi tuttavia una risposta alquanto enigmatica. “Vieni.” Dichiarai, afferrandole un polso e convincendola a seguirmi. Senza proferire parola, mia figlia iniziò a camminare al mio fianco, e appena un attimo dopo, anche Mistral scelse di seguirci. Aveva tenuto compagnia a Jocelyn mentre era da sola in salotto, ed era in qualche modo riuscita a carpire ogni parola della nostra conversazione. Quasi ignorandola, la lasciammo fare, concentrandoci unicamente su quella che sarebbe stata la nostra meta. Non appena uscimmo di casa, Jocelyn ed io ci ritrovammo costrette ad assistere ad una scena a dir poco orribile. Una delle case del villaggio era in fiamme, e una folla di persone non faceva che rimanere immobile, godendosi quello che percepivano come uno spettacolo. “Qui viveva una strega!” gridò un uomo, forse autore di quel così efferato crimine. In quel momento, ero spaventata. Non saprei dire se fosse stata la mia mente a replicarle, ma ad ogni modo, quelle parole risuonarono nella mia mente come fossero state parte di un’eco infinita. Un singolo attimo scomparve quindi dalla mia vita, e muovendo qualche incerto passo in avanti, mi avvicinai alla casa che appariva completamente avvolta dalle fiamme. Subito dopo, feci una scoperta incredibile. Non riuscivo a credere ai miei occhi, eppure quella sembrava casa di Minerva. Allarmata da quella vista, mi voltai verso Mistral. “Cerca.” Le dissi, per poi vederla iniziare a percorrere un sentiero poco distante. Intanto, sentivo una giusta rabbia pervadermi. Avrei davvero voluto vedere negli occhi di quell’uomo una sofferenza pari a quella che provavo, ma stringendomi una mano, Jocelyn riuscì a dissuadermi dal farlo. Senza che me ne accorgessi, la mia mano era andata a posarsi sul fodero del mio pugnale, e in quel preciso istante, arrivai perfino a desiderare la morte di un innocente. Scuotendo energicamente la testa, mi liberai da quel così egoistico pensiero, per poi tornare a correre al solo scopo di evitare i Cacciatori, che non curandosi di niente e nessuno, portavano avanti la loro ingiusta strage, scatenando una guerra che il mio villaggio aveva già visto negli anni addietro, ma che ad ogni modo, non sembrava avere precedenti. Istintivamente, percorsi il sentiero a me dinanzi, imboccando la via per Bakriat, città dove sapevo si trovasse il covo delle Superiori. Stando a quanto mia figlia aveva avuto il coraggio di dirmi, dovevamo assolutamente parlarle, e per quella che definii una sorte benevola, scoprii che era ancora viva, e che nonostante le gravi ferite, era riuscita a riprendersi completamente. “So perché siete qui.” Esordì, avvicinandosi a noi e tendendo una mano verso mia figlia. “Jocelyn.” La chiamò, per poi tacere nel tentativo di trovare le parole giuste ed iniziare il suo discorso. “La creatura che custodisci è un miracolo, e dovrai metterla al mondo ignorando il pericolo.” Disse, posando una mano sul suo ventre ora gonfio. “Sarai una brava madre, e tutto andrà secondo i piani dettati dalla profezia. Ora andate, e che la fortuna sia con voi.” Aggiunse, poco prima di sparire dalla nostra vista per mezzo dei suoi poteri. Istintivamente, tesi una mano nella sua direzione, e fallendo nell’intento che mi ero prefissata, la vidi scomparire completamente. “Questa guerra deve finire.” Disse mia figlia, mentre i suoi occhi, di un verde sapientemente mescolato al grigio, persero completamente il loro colore, iniziando a brillare assieme al suo marchio. A quella vista, mantenni il silenzio, limitandomi a guardarla. Sapevo bene di non dover aver paura, poiché quella che ora osservavo era l’ennesima manifestazione dei suoi poteri. “Ha ragione.” Mi disse poi, alludendo alle parole pronunciate dalla nonna. Appena un istante più tardi, Jocelyn riuscì a ritornare alla normalità, e sfiorando la mia daga, la prese in mano, stringendola senza ferirsi. “Andiamo.” Disse, iniziando a correre e allontanandosi da me. Scegliendo di fidarmi, la seguii senza fiatare, per poi vederla fare uso dei suoi poteri e riportarmi a Farebury. Subito dopo, le regalai un sorriso, e guardandola, notai che appariva letteralmente esausta. Di lì a poco, mia figlia perse i sensi, e sentendomi divorata dalla tensione, gridai alla disperata ricerca di aiuto. Copiose lacrime cadevano bagnando il terreno, ed io rimanevo sola. Conservando una seppur flebile speranza di salvezza, mi voltai guardandomi indietro, e avendo quindi la fortuna di rivedere Mistral. Notando la mia presenza, mi corse incontro abbaiando, e portando con sé il resto della mia famiglia. Abbracciando ognuno di loro, misi fine al mio pianto, per poi ringraziare la lupa con una carezza. Ad ogni modo, il tempo scorreva, e Jocelyn era ancora a terra. Preoccupata, la guardai, per poi notare l’inaspettata e fulminea reazione di mio nipote Edward. Senza proferire parola, si avvicinò al suo corpo apparentemente privo di vita, per poi accovacciarsi al suo fianco tentando di farla rinvenire. “Voi andate, la proteggerò io.” Ci disse, invitando me e le mie sorelle a fuggire e nasconderci. Obbedendo a quella sorta di ordine, ci allontanammo in fretta, ma per pura sfortuna, la nostra fuga non sembrò durare a lungo. Difatti, ci ritrovammo circondate da un gruppo di Cacciatori, che fissandoci con odio, attendevano un nostro passo falso. I secondi scorrevano veloci, e volendo unicamente evitare che venissi ferita, Minerva scelse di difendermi, attaccando il nemico con tutte le sue forze, riuscendo ad ucciderlo solo dopo una lunga lotta. La colluttazione le aveva procurato una ferita in prossimità dell’occhio, ma nonostante il dolore, continuò ad andare avanti e mostrare il suo stoicismo. La guerra proseguiva, e al fianco delle mie amate sorelle, combattevo. Il mio pensiero si concentrava sulla povera Jocelyn e la mia sfrenata corsa alla sua ricerca diede fortunatamente i suoi frutti. Quando la vidi, era ancora incosciente, ed Edward aveva mantenuto la sua promessa. Le era infatti rimasto accanto, affrontava qualunque nemico incrociasse. Era ferito, ma la cosa non sembrava toccarlo. Amava Jocelyn, e i sentimenti che lo legavano a lei erano l’unica cosa a contare davvero. Ogni Cacciatore faceva la stessa e identica fine, venendo sorpreso dalla morte a causa dei colpi ricevuti. La sera calò in fretta, e una seconda battaglia appariva vinta. Il silenzio ci avvolgeva, e Jocelyn era immobile. Accanto a lei, Edward versava delle fredde lacrime, pronunciando delle solenni preghiere affinchè riuscisse a svegliarsi. I minuti si susseguirono, e dopo un tempo che nessuno di noi seppe definire, le nostre speranze si tramutarono in realtà. Muovendo lentamente il capo, mia figlia parve riprendersi, e biascicando qualche parola, tentò invano di rialzarsi. “Cos’è successo?” chiese, faticando a parlare e a rimanere in piedi. “Sei viva, e noi ce l’abbiamo fatta.” Rispose Edward, sorreggendola e stringendola in un abbraccio che racchiudeva i loro sentimenti. A quelle parole, Jocelyn sorrise debolmente, per poi chiudere gli occhi e posare le sue labbra su quelle del suo amato. Sorridendo, mi limitai a guardarli, confermando ognuna delle mie convinzioni. Si amavano davvero, e una guerra come quella che stavamo affrontando, non avrebbe certamente distrutto i loro sentimenti. Entrambi erano animati dal coraggio, e quando l’uno era al fianco dell’altra, tutto sembrava passare in secondo piano. Mantenendo il silenzio, non facevo che riflettere, concentrando il mio pensiero sulle parole di mia nonna Zelda. Aveva menzionato una sorta di sconosciuta profezia, ed io, colta alla sprovvista, ero sfortunatamente impreparata. In quel preciso istante, e dati i miei trascorsi, non potevo che sperare.

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Capitolo 17
*** La vita contro la morte ***


Sangue-di-strega-III-mod
Capitolo XVII
La vita contro la morte
Era di nuovo notte, ed io faticavo a dormire. L’aria notturna era divenuta pesante e a tratti irrespirabile a causa dei numerosi incendi appiccati dai Cacciatori. La guerra che loro stessi avevano scatenato con l’assurdo pretesto di eliminare ogni strega e creare poi un potente esercito che avrebbe poi sconfitto l’immenso potere delle Streghe Superiori, continuava, e le grida delle genti si udivano ovunque. Quello era l’unico suono apparentemente esistente, e capace di rompere il silenzio nel peggiore dei modi. Istintivamente, inizio a piangere. La mia casa è completamente vuota, ed io sono sola. So bene che Xavier se n’è andato nel mezzo della notte per combattere e proteggermi, e il solo pensiero di perderlo durante questo così aspro conflitto mi porta alle lacrime. Ora come ora, non provo sensazione dissimile dalla paura, e il tempo mi appare fermo. Volgendo il mio sguardo al cielo stellato, giungo le mani in segno di preghiera, per poi sussurrare quelli che sono i miei più ardenti desideri. Subito dopo, tento strenuamente di riaddormentarmi, seppur fallendo nel mio misero intento e prendere una ponderata ma saggia decisione. Respirando a fondo, mi alzai dal letto, scegliendo di raggiungere il salotto di casa e avvicinarmi a Mistral, la mia lupa. Chiamando a raccolta le mie forze e il mio coraggio, scrissi di mio pugno una lettera a Xavier, sperando che nonostante le difficoltà che era impegnato ad affrontare la ricevesse senza alcun problema. Alcuni istanti sparirono dalla mia esistenza, e con gli occhi velati dalle lacrime, lasciai che Mistral stringesse fra i denti la mia lettera. Con mia grande sorpresa, la lupa sembrava aver capito le mie intenzioni, e per tale ragione, stringeva quel foglio senza fare un eccessivo uso della sua forza, e avendo quindi cura di non rovinarla. Accarezzandole la testa, mi avvicinai alla porta di casa, scegliendo di aprirla e vedendola scomparire nella notte. Una lacrima mi solcò quindi il viso, ed io mi allontanai. La porta si richiuse sbattendo con violenza, ed io imputai la colpa di tale avvenimento all’aria notturna, che ora spirava con molta più decisione. Le ore scorrevano lente, e inginocchiata in un angolo della mia stanza, pregavo. Il freddo e la paura mi limitavano nei movimenti, ma nonostante tutto, continuavo stoicamente ad andare avanti, vivendo la mia vita per quella che era, e sperando di riuscire a restare al riparo dal dolore che la guerra mi stava lentamente e inesorabilmente infliggendo. I miei lamenti squarciavano la notte, e non venivano ascoltati dalle vive e codarde anime che fuggivano dal conflitto che stringeva il mio amato villaggio in una letale morsa. Mi sentivo pesantemente ignorata, ma raccogliendo le mie idee, compresi di non aver alcun potere su i sentimenti dei meri e semplici umani. Improvvisamente, avvertii un acuto dolore alla testa, e posandomi una mano sulla tempia dolorante, riuscii a calmare quella sensazione di malessere. Le forze mi vennero meno, e crollando sul letto mi addormentai. Sperando vivamente di non essere vittima di un ennesimo svenimento, tentai di aprire gli occhi e risvegliarmi, riuscendoci solo a causa di quello che riconobbi come un orribile incubo. Non sentivo altro che grida, e non vedevo altro che alte fiamme avvolgere ogni membro della famiglia che ero lentamente riuscita a costruirmi. Pur non essendone consapevole, mi agitavo nel sonno, e la vista che più mi turbava risultava essere quella di mia figlia Jocelyn. Piangendo calde lacrime, mi chiamava a gran voce perché la salvassi, ma nonostante i miei tentativi di aiutarla, ogni passo verso di lei risultava completamente vano. I battiti del mio cuore aumentarono quindi a dismisura, e gridando, mi svegliai di soprassalto. Guardandomi attorno, mi scoprii madida di sudore, per poi notare l’arrivo del mattino. Uscendo subito dalla mia camera, mi resi conto che la mia lupa non era tornata. Preoccupandomi, corsi fuori casa, rendendomi quindi artefice di una scoperta a dir poco orribile. Per qualche strana e a me ignota ragione, gli eventi che mi accadevano attorno sembravano seguire quelli del mio sogno, portandomi a provare una sensazione di freddo mista ad un’incredibile paura. Istintivamente, iniziai a correre gridando a squarciagola il nome di ognuno dei miei familiari, ma non ricevetti alcuna risposta. Il tempo scorreva, e quasi istintivamente, lasciai che la tristezza mi pervadesse, per poi cadere in ginocchio. Subito dopo, mi coprii il volto con le mani, quasi a voler fermare l’inarrestabile scorrere delle mie calde e amare lacrime. Scivolando nel più completo silenzio, piansi sommessamente, per poi sentire un suono distinto e facilmente riconoscibile. Guardando dritto di fronte a me, rividi Mistral. Mi fissava ma appariva ferita, ed io potevo scorgere il dolore nei suoi profondi occhi marroni. Istintivamente, le carezzai la testa, per poi sentirla mugolare. Provando quindi a rialzarmi, caddi nuovamente in terra, per poi venire aiutata dalla stessa Mistral, che lasciando che mi appoggiassi a lei, mi aiutò a rimettermi in piedi. Appena un attimo dopo, la lupa iniziò ad abbaiare, quasi fosse allarmata da qualcosa, e guardandosi attorno, tentò di convincermi a seguirla. Rimanendo perfettamente immobile, non proferii parola, scegliendo unicamente di annuire e seguirla nella sua corsa verso quello che speravo essere un luogo. Correvo senza sosta, avendo cura di non perdere di vista la mia lupa, unica compagnia in quel lungo viaggio. I minuti scorrevano veloci, e improvvisamente, non sentii che una voce. “Miriel!” chiamava, inducendomi a voltarmi e fare la migliore delle scoperte. Il mio amato Xavier era alle mie spalle, e sorrideva, felice di rivedermi nonostante quanto ci stesse accadendo. “Grazie al cielo sei ancora viva.” Mi disse, scegliendo di abbracciarmi stringendomi a sé e coronando quel momento con un magnifico bacio. Piangendo per la gioia, accettai il suo amore senza fiatare, per poi sentirlo stringermi una mano e pronunciare una frase di vitale importanza. “Non lasciarmi.” Disse, faticando a parlare e respirare a causa della corsa che lo aveva fortunatamente condotto fino a me. “Non lo farò mai.” Risposi, sorridendo debolmente e avvicinandomi ulteriormente a lui. “Hai visto Jocelyn?” chiesi, preoccupata. “Edward è con lei.” Replicò, riuscendo a rassicurarmi. “Vieni.” Continuò, afferrandomi un polso e invitandomi a seguirlo. Guardandolo negli occhi, annuii lentamente, per poi lanciarmi in una corsa verso il mio obiettivo più importante, ovvero mia figlia. Alcuni minuti trascorsero, e con gli stessi, scemavano le mie speranze di ritrovarla. Stavo per arrendermi, e fu allora che la vidi. Combatteva al fianco del suo amato Edward, ma faticava a difendersi a causa della sua ormai conosciuta condizione. Avvicinandomi, chiamai il suo nome, vedendola voltarsi e notando un debole sorriso sul suo volto. “Scappa.” Le consigliai, sperando di convincerla ad allontanarsi dal pericolo rappresentato dai Cacciatori. Per mia sfortuna, mia figlia scelse di disobbedire, e nello spazio di un momento, la vidi venir ferita da uno dei miei più acerrimi nemici. Stoica, accusò il colpo senza muovere un muscolo, ottenendo però un unico risultato, ovvero quello di venire rapita dagli ignobili Cacciatori. Il colpo che aveva ricevuto le aveva fatto perdere i sensi, e nonostante i miei sforzi nel tentare di liberarla dalle grinfie dei suoi aguzzini, la vidi sparire dalla mia vista come umida nebbia. Animata da una forza quasi mistica, mi lanciai all’inseguimento di quell’orribile uomo, avendo la fortuna di scoprire dove avesse intenzione di portarla. A quanto sembrava, anche i Cacciatori avevano un covo in cui ritirarsi assieme alle vittime e ai prigionieri che riuscivano a catturare. Muovendomi lentamente, mi nascondevo, conservando la segreta speranza di non essere vista. Per quella che io considerai fortuna, il mio nemico non sembrò notarmi, e il mio espediente funzionò alla perfezione. All’improvviso, accadde ciò che non mi sarei aspettata. Il ramo di un albero secco si spezzò sotto i miei piedi, e il Cacciatore si voltò, per poi tentare di ferirmi. “Quella è mia figlia!” gridai, sguainando il mio pugnale e difendendomi al meglio delle mie possibilità. “In questo caso, tu verrai con me.” Disse, legandomi i polsi con una robusta corda e costringendomi a seguirlo camminando forzatamente al suo fianco. In quel mentre, tentai di parlare con Jocelyn, ma ogni tentativo si rivelò vano ed inutile. Difatti, ad ogni mia parola corrispondeva quello che identificai come un sonoro e doloroso colpo di frusta. Volendo unicamente evitare altre ferite, tacqui istintivamente, per poi perdere i sensi. Mi risvegliai accanto a mia figlia dopo un tempo che non riuscii a definire, scoprendo che le corde che mi legavano i polsi erano state sostituite con delle robuste e pesanti catene. Le stesse, mi limitavano nei movimenti, e improvvisamente, un lamento giunse alle mie orecchie. Era Jocelyn, che lamentandosi per un apparente dolore, si posava una mano sull’ora gonfio ventre. “Aiutami.” Sussurrò tentando di liberarsi dalle catene che la bloccavano impedendole di muoversi. Contrariamente a lei, arrivavo a toccarla, ma nonostante tutto, sapevo di non poter fare nulla per aiutarla. Intanto, il suo dolore sembrava intensificarsi, e allo stesso seguirono delle strazianti urla, che ebbero il solo scopo di attirare l’attenzione del nostro aguzzino. “Smettila subito, miserabile strega!” le ordinò, ponendo inaudita enfasi su quello che giunse alle mie orecchie come il peggiore degli insulti. “Non toccare mia figlia!” risposi, riuscendo a liberarmi e alterandomi di colpo. Subito dopo, estrassi il mio pugnale dal fodero che lo conteneva, e lanciandolo, lo vidi volare all’interno della stanza fino a colpire il nostro nemico dritto negli occhi. Urlando per il dolore, il Cacciatore nascose il volto, fallendo nel tentativo di occultare il copioso scorrere del suo stesso e sporco sangue. Alcuni istanti dopo, quell’ignobile uomo tornò a guardarci, notando l’insolito splendore presente negli occhi di mia figlia. “Sta per succedere.” Sussurrò, parlando forse con se stesso. Attonita, mi ritrovai a fissare mia figlia, per poi vederla avvolta da un fascio di luce. Un suo urlo mi portò a posarmi le mani sulle orecchie, e quando finalmente quella forte luce svanì, la vidi intenta a tenere in braccio la sua neonata creatura. A quella vista, un ricordo si fece spazio nella mia mente, e riflettendo, concentrai il mio pensiero sulla profezia rivelatami da mia nonna. Ogni parola corrispondeva a verità, e finalmente, durante quest’aspra e cruda guerra, la luminosa vita aveva prevalso sulla nera morte.  

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Capitolo 18
*** Anima ***


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Capitolo XVIII
Anima
Rimanevo muta ed immobile, non riuscendo a credere ai miei occhi. La mia cara nonna Zelda aveva ragione, e ogni singola parola di quella così oscura profezia si era tramutata in realtà. Difatti, e proprio davanti ai miei increduli occhi, mia figlia aveva messo al mondo una dolce creatura. Una bambina diversa da ogni altra, poiché nata durante il peggiore dei momenti, ovvero quello di una cruda e aspra guerra, che durante la sua evoluzione, è solita non risparmiare alcuna vittima. La luce avvolgeva sia lei che la bambina, e accanto a noi, giaceva l’ormai morto corpo di uno degli ignobili Cacciatori che avevano tentato di rapirci e ridurci in schiavitù. Compiendo il più arduo degli sforzi, Jocelyn ed io abbiamo lottato, riuscendo ad affermare la nostra indipendenza e conquistando il diritto morale di essere noi stesse. Ora come ora, non restava che fuggire, e allontanarsi dal pericolo al più presto. Facendo uso dei suoi poteri, mia figlia riuscì a teletrasportarsi fuori dal covo nemico, e poco prima che potesse sparire, la presi per mano, così da riuscire a seguirla. Una volta fuori, la lasciai andare allontanandomi da lei, mettendomi quindi alla ricerca del mio amato Xavier. Per pura fortuna, lo ritrovai in fretta, scoprendolo tuttavia gravemente ferito. Avvicinandomi, lo aiutai a rialzarsi da terra, per poi scegliere di provare a curare le sue ferite, ma senza successo. “Ti porto via.” Gli dissi, rassicurandolo e cingendogli un braccio attorno alle spalle, così che appoggiandosi a me non faticasse a camminare. Subito dopo, mi persi nella miriade dei miei pensieri, ricordando che esisteva una sola persona al mondo in grado di aiutarmi, ovvero mia sorella Astrid. Contrariamente a me, che ero stata benedetta alla nascita con il dono della fortuna, lei aveva ricevuto dei poteri curativi, che aveva poi provveduto a convogliare e imprigionare nel lucente smeraldo che era solita portare al collo. Parlando poi con me stessa, mi imposi di accelerare il passo, e anche se con difficoltà dovute alla stanchezza,  raggiunsi la casa di mia sorella. Bussando alla porta, attesi che venisse aperta, e in quel mentre, ebbi cura di continuare a rassicurare Xavier, che intanto faticava a respirare e rimanere vigile a causa del dolore derivante dalle sue profonde ferite. Il suo petto era stato sfiorato da una freccia, e i graffi che ne risultavano, bruciavano come le fiamme infernali. Dopo un tempo che mi apparve letteralmente interminabile, mia sorella Astrid aprì la porta, e accorgendosi di quanto era accaduto, ci lasciò entrare, per poi scegliere di aiutare Xavier a sdraiarsi sul divano di casa. Subito dopo, preparò delle bende per fermare la perdita di sangue, e posandogliele sul petto, si assicurò che fossero abbastanza strette. Nello spazio di un momento, prese in mano il suo cristallo, e toccandolo, lasciò che le sue stesse mani venissero pervase da una sorta di energia, che io potei chiaramente vedere sotto forma di piccole scariche elettriche. La mano di mia sorella andò quindi a posarsi sul petto di Xavier, che subito dopo smise di accusare qualunque forma di malessere. Sorridendo, ringraziò Astrid, per poi bere un sorso della tisana che Jonathan gli aveva gentilmente offerto. Lentamente, arrivò per noi il momento di tornare a casa, e mentre ero nell’atto di voltarmi, rividi Jocelyn, la quale, tenendo in braccio la mia nuova nipotina, camminava lentamente. Mentre si avvicinava, notai  che non era da sola, e che al contrario, era seguita da Mistral, la lupa dall’aureo cuore che mi apparteneva e che mi aveva seguita proteggendomi fedelmente. A quella vista, sorrisi, ma la mia felicità si dimostrò purtroppo di breve durata. Per qualche strana e sfortunata ragione, la bambina non respirava, e il suo esile corpicino appariva privo di vita. Istintivamente, mi avvicinai fino a sfiorarle una guancia con le dita, e in quel preciso istante, avvenne il miracolo. Riaprendo gli occhi, la bimba iniziò a piangere, e delle lacrime di gioia iniziarono a scorrermi sul viso. La stessa cosa accadde al resto dei presenti in quella stanza, e dopo alcuni minuti di silenzio, Jocelyn pronunciò una parola per me piena di significato e speranza. “Alma.” Disse, posando il suo sguardo sulla mia nipotina e scivolando nel silenzio. Guardando mia figlia negli occhi, sorrisi posandole una mano sulla spalla. Non tutti ne erano a conoscenza, ma il nome di quella bimba non era che un lemma spagnolo recante il significato di anima. La parte spirituale del corpo di ogni persona, nettamente superiore al corpo stesso, si palesava nell’identità di una nuova e piccola strega.

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Capitolo 19
*** In attesa della fine ***


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Capitolo XIX
In attesa della fine
Quattro lunghi si sono metaforicamente rincorsi nel calendario della vita di ognuno di noi, e nulla è più come soleva essere. La guerra che dilania il mio villaggio va avanti da tempo ormai immemore, e di giorno in giorno non sento che dolore. Fortunatamente, lo stesso svanisce ogni volta che guardandomi indietro, inizio a pensare, rimembrando ogni ostacolo che sono riuscita a superare solo grazie all’aiuto della mia famiglia. Le mie sorelle Minerva e Astrid, mio marito Xavier, e mia figlia Jocelyn. Alleati preziosi in una vita come la mia, piena di insidie e preoccupazioni. Ora come ora, sono felice, poiché mia figlia Jocelyn ha avuto la fortuna di diventare madre, divenendo quindi responsabile di una dolce e innocente creatura. Esattamente quattro anni or sono, la mia adorata nipotina Alma ha fatto il suo ingresso in un mondo come quello in cui viviamo, e in un villaggio che si sta lentamente consumando a causa di un’insulsa ma sanguinosa guerra, che con l’andar del tempo, miete un numero sempre maggiore di vittime innocenti. Riflettendo, mi concedo del tempo per pensare, esprimendo un unico desiderio, ovvero quello di vedere la mia nipotina crescere nella felicità dettata dal suo vero essere. Un’anima candida e priva di difetti, pronta a vivere imparando ogni giorno, e andando alla scoperta del puro ignoto. Il silenzio regna sovrano, e mia nipote è impegnata a giocare sul tappeto del salotto. Data la sua giovane età, mia figlia non è sposata né ha un posto dove andare, ragion per cui, lei e il suo amato Edward vivono a casa mia. Per loro sfortuna, sono legati dal sangue, e per tale e semplice motivo, il loro amore non è ben visto dalle genti del villaggio. Nei momenti di piatta calma che precedono gli attacchi dei feroci Cacciatori, loro vengono guardati con odio e disprezzo. Secondo il pensiero dei passanti, che non sono a conoscenza del profondo sentimento che li lega sin dall’adolescenza, il loro non è un amore puro e reale, e non dovrebbero che lasciarsi dicendosi quindi addio per sempre. Amandosi con ogni singolo battito dei loro rispettivi cuori, mi hanno parlato, e hanno quindi maturato un’importante decisione, secondo la quale, proveranno a tutta Farebury la purezza dei sentimenti che provano facendo un annuncio all’intera popolazione. Appoggiando completamente il loro volere, ho scelto di aiutarli, accompagnandoli nella piazza principale, dove un gruppo di persone si era radunato per discutere della migliore strategia da adottare per la fine di questo cruento e ormai annoso conflitto. Con un semplice gesto della mano, Jocelyn riuscì ad attirare l’attenzione di quella gente, per poi pronunciare una frase che rimarrà per sempre impressa nella mia mente. Poco prima di iniziare il suo discorso, mia figlia prese la mano del suo Edward, prolungando il suo silenzio al solo scopo di selezionare le parole giuste per esprimersi. “Voi tutti non conoscete la verità. Io ed Edward, cugini carnali, ci amiamo, e abbiamo persino avuto una figlia.” Disse, per poi sorridere e scivolare nel silenzio. Subito dopo, la vidi abbracciare Edward e scegliere di baciarlo. Mantenendo il silenzio, non mossi un muscolo, ben sapendo che quella non era che una delle loro palesi manifestazioni d’amore. Di fronte a quella scena, l’intera scena, l’intera folla non emetteva un fiato, e lentamente, il silenzio fu rotto da un battito di mani, che gradualmente si trasformò in un fragoroso applauso. Finalmente, le genti del villaggio avevano scelto di approvare il loro amore, applaudendo e regalandogli luminosi sorrisi. La realtà che ci circondava era cambiata, e ognuno di noi era in attesa della fine.

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Capitolo 20
*** Scontro finale ***


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Capitolo XX

 
Scontro finale

 
I secondi passavano, diventando minuti e ore, che formavano i giorni, le settimane, i mesi, e infine anche gli anni. Ben dieci sono stavolta giunti al loro culmine, e in questo preciso momento, sono occupata a riflettere. Ammirando il paesaggio appena fuori dalla finestra del mio salotto, mi immergo nel vasto e azzurro oceano rappresentato dai miei lieti ricordi, e sospirando mestamente, desidero invano che i tempi andati tornino indietro. Poco dopo, scelgo di voltarmi, finendo per posare lo sguardo su Mistral, la mia fida lupa, che nonostante ogni difficoltà, mi ha sempre obbedito al solo scopo di proteggermi. Istintivamente, le rivolgo un sorriso, e agitando la coda, sembra voler ricambiare. Recentemente, ha perfino avuto un adorabile cucciolo, che con lo scorrere del tempo, sta crescendo e imparando da sua madre ogni nozione che gli saranno utili con la crescita. Quasi come se fosse un cagnolino, corre per la casa abbaiando e facendomi le feste, e in tali occasioni, non posso che sorridere e carezzargli la testa. Ora come ora, Jocelyn trascorre il suo tempo affilando la lama del pugnale che ho scelto di regalarle nel giorno del suo quindicesimo compleanno, avendo cura di saggiare la consistenza della lama stessa con le dita. Continua a ripetere tale azione per alcuni minuti, fermandosi solo quando si ritiene soddisfatta del risultato ottenuto. La figlia Alma apprende da lei ogni sfaccettatura della vita da strega, pur avendo un’unica preoccupazione, ovvero quella di deludere la sua stessa madre e disonorare così l’intera famiglia. Avvicinandosi, Jocelyn le cinge un braccio attorno alle spalle, parlandole in maniera calma. “Sei una strega speciale.” Le dice, facendo quindi in modo che fissi il suo sguardo sul marchio che la caratterizza. Una luna e una stella incrociate, simbolo della stirpe dei Sangue Striato. Annuendo, la giovane Alma sorride debolmente, per poi avvertire una sorta di orribile sensazione. Il freddo le scuote il corpo, e voltandosi, si avvicina alla finestra, notando un particolare che sfugge ai miei seppur attenti occhi. “Sono tornati.” Dice, fissando lo sguardo su un lontano punto del villaggio. Il tempo scorre, e aprendo la porta di casa, mia nipote si precipita all’esterno, sparendo quindi dalla mia vista. Poco prima che la porta si richiude alle sue spalle a causa del vento, Mistral decide di prendere con sé il suo cucciolo e seguirla, sperando di riuscire a proteggerla dai pericoli della guerra di cui ha tanto sentito parlare e che non ha mai avuto il coraggio di affrontare. Posando il mio sguardo colmo di preoccupazione su Jocelyn e Xavier, li convinsi a seguirmi, uscendo di casa e lanciandomi alla ricerca di mia nipote. Ognuno di noi si guarda intorno, ma la persona che risulta maggiormente provata dall’intera faccenda, non è che la povera Jocelyn, preoccupata per la figlia che ama, addestrata a combattere e difendersi in situazioni di pericolo. Ad ogni modo, il tempo scorre, e di lei nessuna traccia. D’improvviso, un suono conosciuto rompe il silenzio, e guardando dritto di fronte a me, rivedo Mistral, che abbaiando, inizia a girarmi attorno e annusare il terreno. Posandole una mano sul grigio pelo, le parlo gentilmente, per poi provare a rassicurarla. Nello spazio di un momento, Mistral abbaia, per poi lanciarsi in una corsa a perdifiato verso il nostro obiettivo, ovvero la povera Alma, che ora risulta sola e troppo spaventata per tentare di difendersi. Correndo, seguivamo ogni singolo passo di quella lupa, avendo ad ogni modo cura di evitare gli attacchi dei Cacciatori, che ancora fedeli alla loro missione, non vogliono che uccidere i maghi e le streghe, così da regnare sull’intero mondo che ci circonda. Un desiderio di grandezza e potere privo di ogni fondamento, ma che potrebbe tramutarsi in una disastrosa realtà. I minuti appaiono lunghi quanto ore, e improvvisamente, incrocio lo sguardo di mia nipote. I suoi occhi colpiscono i miei per alcuni preziosi secondi, allo scadere dei quali, Alma viene raggiunta e circondata da un nutrito gruppo di Cacciatori. Sfoderando il suo pugnale, prova istintivamente a difendersi, riuscendo ad atterrare ognuno dei suoi nemici. Continuando a lottare, mi ritrovo impegnata a fronteggiare le persone che più odio, non desiderando altro che la morte di tali e ignobili individui. D’improvviso, un urlo attira la mia attenzione, e voltandomi, riconosco la voce di mia nipote. Gridando il suo nome, le corro incontro, scoprendola priva di sensi. Chinandomi, le afferro un polso cercando il suo battito, e notando con piacere che è debole ma presente. Guardandola, la scuoto leggermente, per poi scoprire la presenza di un particolare. La sua pelle appare calda al tatto, e il marchio con cui è nata risplende come una stella nel cielo notturno. I minuti scorrono veloci, e davanti ai miei occhi di mera e preoccupata spettatrice, la giovane Alma riprende i sensi, e rialzandosi da terra, riprende in mano la sua daga. I suoi occhi assumono il colore del fuoco, e con furia inaudita, si avventa contro il resto dei famigerati Cacciatori. Chiamando a raccolta le mie forze, tento strenuamente di aiutarla, uccidendo qualunque nemico incroci il mio sguardo e il mio cammino. Venendo poi baciata dalla sfortuna, inciampai in una piccola buca presente nel terreno, per poi cadere e ritrovarmi di fronte a quello che diverrà presto il mio assassino. Chiudendo istintivamente gli occhi, recitai le mie ultime preghiere, per poi scoprire di non essere spacciata. Riacquistando la capacità di vedere, notai la presenza della mia fida lupa sul campo di battaglia. Scansando ogni attacco del mio aguzzino, abbaiava furiosa, avanzando solo per tentare di mordere e difendermi. Approfittando della distrazione del mio nemico, fuggii riavvicinandomi a Xavier, e fissando il mio sguardo sulla lupa che stava ancora combattendo al mio posto. Il tempo continuò quindi a scorrere, e le grida di mia nipote squarciarono nuovamente il silenzio. Spostando il mio sguardo su di lei, notai che aveva concentrato tutta la sua forza in un colpo che risultò fatale per il mio nemico. Appena un istante dopo, la vidi voltarsi a guardarmi, per poi mostrarmi la sua daga ormai sporca del sangue di quell’orribile uomo. Sorridendole, mi guardai intorno, notando gli ormai morti corpi dei nostri innumerevoli nemici. Un fascio di luce attirò quindi la mia attenzione, e mia nonna Zelda si materializzò al mio fianco. Mantenendo il silenzio, si limitava a sorridermi. Era sfortunatamente divenuta vittima della cecità, ma ciò non le impediva di accorgersi di quanto le accadeva intorno. La quiete aveva fatto ritorno, e il rumore aveva finalmente cessato di esistere. Lentamente, Alma si avvicinò a me, consegnando il suo pugnale e guardandomi fissamente. Incrociando il suo sguardo, scelsi di abbracciarla. In quel preciso istante, avevo una sola certezza. La minaccia rappresentata dai Cacciatori era stata cancellata, e solo grazie ad una giovane ma forte guerriera, questo conflitto aveva raggiunto il suo tanto sospirato culmine. In altre parole, ogni sanguinosa battaglia era finalmente finita.


Salve a tutti! Siete appena giunti alla fine di questa trilogia. Spero vivamente che ognuno dei capitoli vi abbia emozionato e coinvolto, Con questo commento, saluto tutti coloro che hanno avuto tempo e voglia di leggere, dandovi appuntamento nel resto delle mie storie. Mi congedo, e vi auguro una buona  lettura. Alla prossima, e non dimenticate di recensire,

Emmastory :)

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