Fiore di Cristallo

di FairySweet
(/viewuser.php?uid=103013)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oltre il Passato ***
Capitolo 2: *** Pezzi di Ricordo ***
Capitolo 3: *** Piccolo angelo Custode ***
Capitolo 4: *** Il Gioco in ogni Cosa ***
Capitolo 5: *** Di Nuovo quel Gelo ***
Capitolo 6: *** Sogni e Incubi ***
Capitolo 7: *** Cuori tra le Spine ***
Capitolo 8: *** Fiocchi di Neve ***
Capitolo 9: *** Confine Sicuro ***
Capitolo 10: *** Solo una Parola ***
Capitolo 11: *** Un tesoro Prezioso ***
Capitolo 12: *** Dentro agli occhi di un Fantasma ***
Capitolo 13: *** Regali ***
Capitolo 14: *** Davanti a Me ***
Capitolo 15: *** Occhi di ghiaccio e sospiri Segreti ***
Capitolo 16: *** Somiglianze ***
Capitolo 17: *** Sospesi ***
Capitolo 18: *** Sorrisi ***
Capitolo 19: *** Timore ***
Capitolo 20: *** Datemi una Ragione ***
Capitolo 21: *** Niente di tutto questo è colpa Tua ***
Capitolo 22: *** Musica dagli Angeli ***
Capitolo 23: *** A metà Strada ***
Capitolo 24: *** Due Settimane ***
Capitolo 25: *** Domande e Sorrisi ***
Capitolo 26: *** Sorriso dal Cuore ***
Capitolo 27: *** Tremito ***
Capitolo 28: *** Tra te e Loro ***
Capitolo 29: *** Confidenze ***
Capitolo 30: *** Pochi secondi di Debolezza ***
Capitolo 31: *** Favole ***
Capitolo 32: *** Un semplice Desiderio ***
Capitolo 33: *** Un angelo Sfinito ***
Capitolo 34: *** Voglio il mio Papà ***
Capitolo 35: *** Un sogno di Cristallo ***
Capitolo 36: *** Lotterò io contro i brutti Sogni ***
Capitolo 37: *** Non devi aver Paura ***
Capitolo 38: *** Angelo tra le Stelle ***
Capitolo 39: *** Padre ***
Capitolo 40: *** Lontani ***
Capitolo 41: *** Sei uguale a Me ***
Capitolo 42: *** Un bacio nel Silenzio ***
Capitolo 43: *** Debole ***
Capitolo 44: *** Una sola Bugia ***
Capitolo 45: *** Tremito di Vita ***
Capitolo 46: *** Innocente Segreto ***
Capitolo 47: *** Eri nel mio Sogno ***
Capitolo 48: *** Confusi ***
Capitolo 49: *** Stelle ***
Capitolo 50: *** Per sempre con Voi ***
Capitolo 51: *** Insieme ***
Capitolo 52: *** Dolcissimo Segreto ***



Capitolo 1
*** Oltre il Passato ***


 Miei giovani cuori, vi presento il continuo di una favola perché è così che mi piace definirlo.
Mi avete scritto in tanti, ero affezionata a "Lascia cadere il mondo" così tanto da scriverne il continuo in pochi giorni.
Ho aspettato a pubblicarla fino ad ora, non ero certa del risultato finale ma ho deciso di condividere con voi i miei pochi dubbi. Conoscete il mio modo di scrivere, i miei personaggi, la gioia che provo nel trasmettervi un po' di quell'emozione che mi riempie il cuore ogni volta che scrivo qualcosa.
Grazie già da ora a chi di voi si soffermerà per qualche minuto sulla mia storia. Il primo capitolo è lungo ma consideratelo una bella introduzione a quello che verrà. Come sempre resto a vostra disposizione per domande e chiarimenti, ormai lo sapete già quindi, rilassatevi e prendetemi per mano in questo viaggio nel mondo interiore che custodisco. Un bacio enorme a tutti voi.   



             

              Oltre il Passato 







C'era profumo di neve nell'aria, la stessa neve lontana che presto avrebbe colorato i boschi e i campi lasciando un dolcissimo silenzio ad avvolgere il mondo.
Si voltò di lato e un sorriso leggero le sfiorò le labbra mentre le braccia del giovane la stringevano “Dovremo alzarci” “No ti prego” “Contessa, lo sapete cos'accadrà tra poco?” posò una mano sul suo fianco tirandola dolcemente verso di sé.
Era così dannatamente bella, con i capelli scompigliati, il volto rilassato e gli occhi ancora chiusi mentre tentava di ignorare il tocco dell'aria fresca sulla schiena nuda.
Le sfiorò le labbra con un dito scendendo sul collo “Sei sempre stata così bella?” la sentì sospirare, le labbra si schiusero dolcemente accogliendo quel bacio delicato che ormai era diventato il suo unico respiro.
La strinse più forte a sé nascondendola dal resto del mondo ma quei colpi leggeri sulla porta la costrinsero a sorridere “Come fa?” “Andrè” “Deve avere qualche strano modo di calcolare il tempo ...” ma lei sorrise scivolando via dalle sue braccia “ … sono abbastanza sicuro che sia colpa tua” “Mia?” domandò confusa infilando la camicia “Da piccola riuscivi a svegliarti in perfetto orario, a volte ti trovavo davanti alla finestra, con la coperta tirata fin sulla testa, dicevi di voler rubare i raggi del sole all'alba” “E tu?” domandò divertita chiudendo uno dopo l'altro i bottoni “Io cosa?” “Tu non facevi forse la stessa cosa? Ti trovavo accanto a me ogni volta che mi alzavo dal letto” ribatté divertita “Oscar non dovresti alzarti così presto, e se tuo padre ti vede?” “Hai messo la mia” “Cosa?” domandò confusa “Hai messo la mia camicia” si avvicinò allo specchio osservando per qualche secondo l'immagine riflessa.
Una donna ora anche mamma, i capelli molto più lunghi, chiari come l'oro. Un corpo delicato che la maternità aveva sfiorato appena, come se quei nove mesi tanto amati che per due volte le avevano regalato amore, avessero toccato appena i suoi fianchi e quell'incarnato che era lo stesso di sempre.
Sorrise stringedosi dolcemente nelle spalle, la stoffa della camicia si tese leggermente, era troppo grande per lei, le sfiorava le cosce coprendone quasi metà e lasciava libera la spalla sinistra. Tornò a concentrarsi sul suo volto, su quegli occhi che troppe volte aveva rivisto in sogno e che le mancavano più di quanto potesse immaginare.
Suo padre le aveva regalato quegli occhi ed era di suo padre il volto che appariva tra i sorrisi, quella ruga leggerissima che le sfiorava la fronte quando pensava troppo, quando si costringeva a lunghe ore di riflessione.
Inclinò leggermente la testa di lato sfiorandosi il collo con le dita “Andrè, tu credi che io sia ...” “Bellissima” si voltò verso di lui cercando quello sguardo tanto dolce capace di cancellare ogni paura “Trovo che tu sia bellissima, lo sei sempre stata ma ora, ora sei perfetta” le braccia scivolarono lungo i fianchi mentre un passo dopo l'altro si avvicinava al letto, a lui.
Lui che non riusciva a smettere di guardarla, lui che tratteneva il respiro ogni volta che l'aveva troppo vicina.
“Sei così bella” “E voi siete di parte” sussurrò chinandosi leggermente in avanti, la mano del giovane si strinse dolcemente attorno al suo collo, le labbra a pochi centimetri l'uno dall'altra mentre quella camicia ancora mezza slacciata era così maledettamente invitante da cancellare di colpo la razionalità.
Le sfiorò con le labbra la spalla nuda scendendo lentamente verso il seno ma la stoffa era un limite troppo debole e insulso per poter essere rispettato, la sentì tremare leggermente quando il primo bottone si aprì e così anche il secondo.
Aveva un bisogno disperato di lei, di baciarla e stringerla, come se quegli ultimi sette anni non fossero mai esistiti.
Forse era normale, forse, un uomo che per una vita intera aveva aspettato quelle labbra aveva tutto il diritto di chiedere all'amore qualcosa di più.
Di nuovo quei colpi leggeri sulla porta di nuovo un sorriso leggero sulle labbra “Ho idea che la vostra attesa durerà ancora qualche minuto signore” “Non puoi lasciarmi ora” sussurrò tirandola dolcemente su di lui “Ogni volta che mi lasci ...” seguì la linea delicata della schiena salendo fino alle spalle “ … ogni volta che ti allontani da me c'è questo gelo maledetto che mi fa paura” “Non scappo da nessuna parte” sussurrò sfiorandogli il volto con le labbra “Non ti lascio” un altro bacio, le mani intrecciate sul cuscino a pochi centimetri da quel volto meraviglioso che riusciva sempre a farla sentire protetta “Ma c'è qualcuno che ha bisogno di me” “Io ho bisogno di te” “Tu hai più di cinque anni” “Ti diverti?” “Abbastanza” lo baciò velocemente scendendo dal letto e allacciando di nuovo i bottoni della camicia, si avvicinò alla porta aprendola leggermente “Buon giorno amore mio” le braccina di Renée si alzarono verso di lei costringendola a sorridere.
Aveva gli occhi ancora pieni di sonno e i capelli tutti in disordine, stringeva nella manina sinistra quella bambola di pezza che da quando era nata le faceva compagnia nel sonno “Ti sei svegliata troppo presto” sussurrò prendendola in braccio “Va tutto bene?” “Tua figlia ha fatto un brutto sogno” “No mamma” “No?” domandò divertita sedendo sul letto accanto a lui “Ho sognato di cadere da cavallo” “E questo non è un brutto sogno vero?” sussurrò divertito sfiorandole la schiena ma la bambina era talmente stanca da non accorgersi nemmeno di quella carezza leggera.
Si strinse più forte alla madre nascondendo il volto sul suo seno “Ti va di dormire ancora un po'?” “No” ma quella debolissima protesta scatenò solo sorrisi “Ti prometto che non cadrai più da cavallo e che i brutti sogni non verranno a disturbarti” “Ma loro mi trovano lo stesso” “C'è tuo padre qui con te, li terrà lontani” Renée aprì gli occhi cercando il volto del padre “Vieni ...” mormorò Andrè allargando leggermente le braccia, le manine della piccola si strinsero alle sue, si staccò dalla madre lasciandosi tirare in quell'abbraccio “ … vieni qui farfallina” la strinse a sé posando le labbra sulla testolina della figlia “Nessuno ti farà più paura” “Vado a controllare Etienne” “D'accordo” Oscar sorrise tirando la coperta sul corpicino della bambina, sembrava un piccolo gattino arruffato che cercava in suo padre protezione e tenerezza.
La fronte posata contro il suo petto e le manine strette a pugno poco distanti dal volto mentre si abbandonava lentamente al sonno.
Renée era il suo piccolo capolavoro, la sua opera d'arte preziosa e rara con quei riccioli color del sole e gli occhi azzurri come il cielo. Aveva rubato a suo padre le venature delicate di verde e mare, venature che le coloravano lo sguardo ogni volta che incuriosita osservava qualcosa o qualcuno.
Se anni prima le avessero detto che la sua vita sarebbe stata così semplice probabilmente sarebbe scoppiata a ridere.
Non si era mai immaginata in nessun'altro posto all'infuori di Parigi e invece quel gioco di pensieri era diventato realtà.
Si chiuse la porta della camera alle spalle, il corridoio dolcemente illuminato era ancora assopito nella notte e nell'alba.
Si avvicinò alla porta del figlio aprendola lentamente.
Il suo bellissimo bambino se ne stava dolcemente voltato su un fianco, con una manina davanti al volto e l'altra stretta alla coperta perso nella stessa posizione che si portava via i sogni del suo papà.
Richiuse lentamente la porta cercando di fare meno rumore possibile.
Amava quell'ora del mattino, quando il sole ancora indeciso restava al sicuro oltre l'orizzonte e il cielo si tingeva lentamente di un pallido rosa.
Dalle finestre della saletta filtrava la luce tenue del cielo e in qualche modo, ogni cosa lì dentro sembrava prendere vita.
Il camino ancora tiepido, il pianoforte scuro che riposava al sicuro nell'angolo accanto alla finestra.
Era stato un regalo, un regalo stupendo da parte di un uomo che per sette anni era rimasto lontano da lei e che nonostante tutto, le aveva donato musica e dolcezza perché forse un padre non smette di fare il padre, nemmeno dopo tanto tempo di vuoto assoluto.
Sapeva bene che non approvava quella vita, la sua adorata figlia viveva in una casa normale, semplice e piccola sperduta da qualche parte a tra i boschi e il mare.
Lontana dai privilegi che il suo rango le concedeva, lontana da lui.
Una sciocca vita normale con i giochi dei bambini sparsi di fronte al camino, quattro graziose camere da letto e una sala troppo piccola per una contessa, il giardino pieno di colori assopiti che ogni primavera fioriva di nuovo riempiedo tutto di gioia e soprattutto un uomo, un uomo semplice, un figlio del popolo che si era portato via il suo futuro.
Fece un bel respiro chinandosi verso il cucciolo assopito a pochi passi da lei “Hai dormito bene?” sfiorò con le dita quel musetto assonnato che si muoveva felice sulla sua pelle “I brutti sogni sono scomparsi” “Davvero?” si voltò verso Andrè ridendo di quell'espressione a metà tra il sonno e la tenerezza “Direi che se vogliamo combattere i brutti sogni, dobbiamo lasciarle la porta della cameretta aperta, almeno per qualche ora” “Sono solo brutti sogni, passeranno” “Ne sei sicura? Perché è qualche tempo che Renée si sveglia nel sonno” “Andrà tutto bene, è ancora così piccola, i brutti sogni fanno parte della sua età” si alzò di nuovo giocherellando con il laccetto della camicia.
Sentì le mani dell'uomo sui fianchi, il torace forte che si modellava sulle linee delicate della sua schiena “Voglio solo che stia bene, che stiate bene” “Non aver paura per lei amore mio. La tua bambina è forte abbastanza per prendere a pugni tutti i brutti sogni di questo mondo” “Sei ancora troppo bella per camminare per casa con questa camicia addosso” “E tu stai ancora sognando” sussurrò divertita reclinando la testa indietro, le labbra del giovane le sfiorarono il collo scendendo fino alla spalla “Te l'ho già detto più e più volte, se mi cammini davanti così non usciremo mai da casa” “E la cosa ti dispiace?” la strinse più forte a sé ridendo “Si, si moltissimo” “Bugiardo” mormorò voltandosi dolcementre tra le sue braccia.
Quante volte l'aveva sognata così, quante volte negli anni passati si era svegliato di notte senza fiato per colpa di quegli occhi, per quelle labbra, le stesse labbra che erano così maledettamente vicine alle sue, gli stessi occhi che ogni mattina gli ricordavano quanto bella fosse la vita.
Le sfiorò il volto incantanto dalla perfezione dei suoi lineamenti ma la vocina di Etienne arrivò limpida e violenta costringendolo a sospirare, abbandonò la fronte sulla spalla di Oscar stringendola più forte “Abbiamo finito i figli vero? Ti prego non illudermi con il silenzio” sentì le dita della ragazza perdersi nei capelli mentre rideva divertita.
Etienne corse nella sala cantando filastrocche allegre mentre sua sorella rideva a perdifiato “Sono stata in camera sua tre minuti fa” “Ed eri sicura che stesse dormendo? Errore imperdonabile colonnello, non me lo sarei mai aspettato da voi” “Smettila” “Ehi ehi, cosa vi ho detto sul correre dentro casa?” “Ma sto vincendo una battaglia importante padre” “Che ne sai tu delle battaglie?” domandò confuso sollevando di nuovo il volto “Se sai lottare puoi tenere al sicuro le persone che ami” ribatté Etienne, la sorellina annuì decisa cercando lo sguardo del padre ma Andrè sorrise “Sei troppo piccola per le battaglie” “Ma padre io ...” “Tu sei sveglia ad un'ora improponibile ...” si voltò di nuovo verso Oscar ridendo “... sono sempre più convinto che sia colpa tua” “Forse è un bene” sussurrò scivolando via dalle sue braccia “Mamma posso giocare con Starlette?” “No, non fino a quando non ti sarai lavata e vestita e non avrai fatto colazione” Etienne si avvicinò a lei posando le mani sulle spalle della sorellina “Solo per pochi minuti” restò qualche secondo ad osservare l'espressione sul volto del figlio, quel modo divertente che aveva di chiedere cose mascherandosi dietro ad una finta dolcezza, il volto di Renée che copiava in tutto e per tutto suo fratello, le mani dietro alla schiena, le labbra dolcemente schiuse e gli occhi carichi di tenerezza “Non siete ancora così bravi” Andrè rise divertito inginocchiandosi davanti ai bambini “Vostra madre riusciva ad ottenere le cose senza nemmeno chiederlo” Te l'avevo detto” esclamò indispettita Renée voltandosi verso il fratello “Ora via di qui, avete sentito vostra madre?” “Andiamo, ti aiuto” mormorò Etienne prendendo per mano la piccola.
“Per quanto ancora vogliamo ignorare il fatto che i bambini abbiano incontrato tuo padre per caso?” domandò d'improvviso seguendo con lo sguardo i figli “Per tutto il tempo che sarà necessario” “Oscar ...” “Ti prego, ti prego possiamo solo fingere che tutto sia come sempre?” ma lui non rispose, si limitò ad annuire sfiorandole dolcemente una spalla e nulla di più.




“Con tutto il rispetto, non vedo come possa esservi utile tornare a ...” “Non sono incline ad accettare sciocche lamentele” “Perdonatemi” esclamò il giovane sedendo di fronte a lui “Pensavo solo che forse, per la vostra salute, sarebbe meglio evitare qualsiasi tipo di sforzo, e non intendo solo quello fisico signore” “Ritieni davvero che rivedere mia figlia possa essere uno sforzo?” “Penso che rivedere vostra figlia possa costringervi ad affrettare i tempi di guarigione” l'altro sorrise raddrizzando la schiena, l'azzurro che gli colorava lo sguardo si tinse di fierezza mentre osservava il volto del giovane di fronte a sé.
Giovane, fresco, con lineamenti fini e due occhi di un azzurro così intenso da togliere il respiro.
Era moro, alto, vestiva elegantemente e più elegante ancora era il suo incarnato. Abbronzato, fresco come la pelle degli ufficiali che per anni vivevano sulle navi.
Era abituato a quel giovane, in fondo, erano anni che l'aveva attorno “Mia figlia è forse l'unica medicina utile al cuore indurito e freddo che porto dentro. Mi conosci bene Maxime, quando tuo padre è morto mi sono preso cura di te come un figlio” “E proprio come un figlio vi dimostro rispetto perché senza di voi sarei stato perso. Per l'affetto che provo nei vostri confronti, vi prego di ripensarci ancora una volta” il generale rise appena muovendo leggermente la mano e un servo si avvicinò a lui reggendo un vassoio, sopra vi erano due bicchieri colmi di vino e un piatto d'argento dove due sigari riposavano silenziosi “Hai la stessa età della mia bambina, la stessa irriverenza nel rispondere” “Eppure non mi avete mai permesso di incontrarla” “Non ne avevo alcun motivo” “Forse, sarebbe stato meno difficile per vostra figlia trovare il proprio posto nel mondo” “Credi sia tutto così semplice? Il senso di colpa per l'errore che ho commesso mi sta consumando ragazzo. Ho distrutto la purezza di mia figlia e per cosa? Per questa sciocca follia dell'erede perfetto quando avrei potuto semplicemente adottarti” “L'avete fatto, non legalmente ma vi siete preso cura di me, delle proprietà di mio padre, della mia salute e delle mie finanze fino a quando non sono stato in grado di occuparmene da solo. Mi avete permesso di chiamarvi padre anche se non siete mio padre. Conosco il motivo che vi ha spinto ad allevare vostra figlia come un uomo ma sono convinto che se non l'aveste fatto, ora probabilmente vostra figlia sarebbe diversa, uguale alle altre” “Sarebbe felice e serena, lontana dalla Francia, lontana dal caos che brucia la nostra realtà. Sarebbe sposata ad un conte o un duca, qualcuno in grado di renderla felice e non costretta a vivere assieme ad un plebeo” il volto del giovane si colorò di tenerezza, le parole di quel padre adottivo che per anni era stato la sua unica salvezza erano piene di tenerezza, di esitazione che mai prima d'ora gli aveva sfiorato la voce.
“Ho una confessione da farvi padre” “Come mai ogni volta che inizi una frase così, il cielo e il mare si rivolta contro di me?” “Non credete di esagerare?” domandò il giovane prendendo un calice di vino, l'altro sospirò incrociando le braccia sul petto “Avevi sedici anni e mi hai detto la stessa cosa, dopo poche ore sono venuto a sapere che avevi sfidato il colonnello Marguìlle per uno sciocco motivo” “Non era sciocco” “Una donna! Hai sfidato un colonnello di sua maestà perché ti eri infatuato di sua moglie!” “Ne parlate come se fosse un peccato” “Allora? Aspetto questa confessione” il duca sorrise “Ho visto vostra figlia” “Oscar?” annuì divertito osservando le espressioni sul volto del generale “Mi avete ripetuto per anni che vederla era vietato, che non avevo il permesso di parlarle o di cercarla perché vostra figlia era destinata alla grandezza” fece un bel respiro giocherellando con il bicchiere “Mi avete imposto limiti e divieti per tenerla al sicuro, lontano dal resto del mondo perché doveva diventare perfetta” il generale socchiuse gli occhi rilassando ogni muscolo “Una mattina di primaversa sono passato a farvi visita. Quel bellissimo roseto bianco decorava ancora il giardino della vostra tenuta e i cancelli d'ingresso erano sorvegliati da un drappello di uomini dalle divise rosse e oro” “Avevi nove anni” “Lo ricordate?” domandò stupito ma l'altro annuì pensieroso stringendo con la mano sinistra il suo bastone “Oscar aveva appena compiuto nove anni, quelle rose erano state un regalo di sua madre” “Davvero?” “Era convinta che una vita di imposizioni e di regole avrebbe costretto Oscar a dimenticare la dolcezza dell'infanzia e il suo essere donna così, fece costruire quel meraviglioso giardino per donare a nostra figlia un po' di serenità” Maxime sorrise ascoltando incantato quei ricordi lontani “Ricordo bene l'inizio dei lavori, l'espressione confusa di Oscar, mi restava accanto osservando incuriosita quelle piante scarne e senza fiori. Non riusciva a capire per quale motivo sua madre avesse scelto piante tanto brutte” “Ma quelle piante sono diventate meraviglia, proprio come Oscar” il generale tossicchiò annuendo orgoglioso “Quando ho visto quel roseto sono rimasto senza fiato. Era così bello, così puro” “È questo che devi confessare? Hai visto quelle rose candide e hai immaginato mia figlia?” “No signore, mi sono accorto di quella breccia leggera nel muro e ho spiato vostra figlia” ribatté divertito “Ogni volta che cavalcavo accanto alla vostra tenuta mi fermavo, oltrepassavo il boschetto e seguivo il sentiero di terra battuta che costeggiava le mura ad est fino a quel piccolissimo squarcio coperto da fiori e menta” quelle immagini leggere e pure tornavano davanti agli occhi riscaldando il cuore.
“Restavo lì per ore ad osservare gli esercizi di una bambina con i capelli corti e lo sguardo orgoglioso. Mi incantava la forza e la dedizione che metteva in ogni cosa, negli esercizi a cavallo, nelle sequenze di passi che imparava per maneggiare la spada” “Hai visto una bambina” “Già, era bionda e bella, con i capelli così chiari da sembrare gocce di sole. I suoi occhi avevano rubato il colore del cielo e il suo incarnato era di porcellana” il servo si avvicinò di nuovo a loro reggendo l'ennesimo vassoio ma un gesto del generale bastò a congedarlo “Tornavo a spiarla giorno dopo giorno. A volte era tanto fortunato da riuscire a vederla per ore, altre invece solo pochi minuti. L'ho vista bambina e giovane adolescente. L'ho vista crescere indecisa sulla propria identità e poi fui costretto a lasciarla. È questa la confessione che ho da farvi padre, come vedete, conosco vostra figlia per colpa di una breccia nella roccia” “E come vedi, quella breccia non è mai stata chiusa” il giovane trattenne il fiato raddrizzandosi di colpo sulla sedia “Voi … voi sapevate?” “Mi credi davvero tanto ingenuo? Oscar è sempre stata ben protetta, fin da piccola Maxime. Conosco a memoria ogni angolo della mia tenuta, i giardini, i boschi, gli anfratti e il giardino interno dove mia figlia si esercitava. Conosco bene quel piccolo foro nella roccia, è sempre stato lì e ti ho visto più di una volta ragazzo” “Perché non me l'avete detto?” ribatté indispettito accavallando le gambe “Perché eri così piccolo, lo eravate entrambi. Era un gioco innocente e non arrecava a mia figlia nessun problema” “Mi avreste risparmiato anni di sedute sulla nuda roccia!” ma il generale non rispose. Era concentrato su qualcosa, su qualcuno che solo lui riusciva a vedere.
Forse era un sogno o forse un ricordo lontano ma i suoi occhi erano spenti e la voce ora tremante “Sono passati sette anni, sette lunghissimi anni senza poterla vedere, senza parlare con lei o stringerla tra le braccia” “Avete scelto il silenzio padre, avete scelto di starle lontano per evitare di soffrire, per evitare anche a lei un dolore troppo grande, perché ora volete rivederla?” “Perché è mia figlia” esclamò gelido “Mi ha regalato due nipoti, due figli che la maggior parte di noi chiama bastardi. Figli illegittimi nati da una relazione clandestina che non hanno futuro” “E voi?” sollevò lo sguardo dal bicchiere perdendosi qualche secondo sullo sguardo d'acqua del giovane “Voi come li chiamate?” “Ha importanza?” “Mi avete chiesto di andare da lei, di portarla qui per poterla rivedere. Sapete cosa significa, quei bambini entreranno nella vostra vita padre, volente o nolente vi affezionerete a loro e diventeranno il vostro ossigeno” “Lo pensi davvero?” “Sono cuccioli dagli occhi di cielo che incantano” “Anche ai cuccioli si può insegnare il rispetto. Impareranno a temermi” “Perché? Insomma, perché non potete semplicemente lasciar cadere la maschera fredda che portate?” “Stai davvero parlando in questo modo a tuo padre?” “Perdonatemi ma vedete, io credo che quei bambini possano farvi bene signore, non riavrete vostra figlia senza accettare nella vostra vita quei bambini e il loro padre” “Portala qui da me” “Ne siete davvero sicuro?” “Prendi due uomini e raggiungila. Falla venire qui non importa come o con quale scusa, ho bisogno di parlare con lei” “Non mi ascolterà se non ...” “Conosco mia figlia. Non è indifferente all'affetto per suo padre Maxime, non importa quanti anni sono passati, non si smette di amare una figlia così come non si smette di amare un padre” un debole cenno d'assenso come risposta e poi di nuovo il silenzio gelido ad invadere i pensieri.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Pezzi di Ricordo ***


                                             Pezzi di Ricordo





“Vi conosco?” “Perdonatemi” esclamò il giovane scendendo da cavallo “Probabilmente sarei dovuto venire prima contessa ma non ne ho avuto il tempo” “Non sono una contessa” “Vero” esclamò l'altro avvicinandosi a lei “E non siete nemmeno nobile ed elegante” socchiuse gli occhi cercando di capire chi diavolo fosse quell'uomo sbucato dal nulla.
Era alto e forte, con dei bellissimi occhi azzurri e la voce profonda. Indossava un elegante abito dai colori autunnali e i suoi movimenti erano controllati quasi regali “So che di questi tempi dichiararsi nobile è pericoloso. La monarchia è morta e questa surreale realtà in cui viviamo rende tutti follemente dediti all'amore per la nazione” “Perdonatemi, io non credo di capire cosa ...” “Sono qui per conto di vostro padre” trattenne il respiro stringendo più forte il gioco di Renée tra le mani.
“Mio padre?” “Sono il duca Maxime Julian Bertrand, ero al servizio di vostro padre” “Si ho … ricordo il vostro nome” “Davvero?” domandò incuriosito “Mio padre mi ha parlato di voi, eravate assegnato al secondo reggimento. Avete portato grande onore al mio generale” “Avete buona memoria contessa” “Non vi ho mai incontrato di persona” “Io vi ho incontrato molte volte” “Davvero?” domandò confusa "Vi ho vista quando eravate un giovane fiore in boccio. Così piccola, con i capelli corti e ricci e quegli occhi grandi ma ora ...” si fermò qualche secondo sorridendole “ … ora siete così bella da togliere il fiato” non rispose, si limitò ad annuire appena sosteneno quello sguardo senza cedere.
“Non era mia intenzione offendervi contessa” “Perché siete qui?” “Vostro padre desidera vedervi” “Perché?” ma l'altro sorrise “Quando il popolo si è rivoltato vostro padre ha lottato fino a che le forze lo hanno permesso” “È per caso accaduto qualcosa? ” “Vostro padre è stato ferito durante la rivoluzione, ormai è accaduto molti anni fa” “Due” mormorò tremante “Ha pregato in ogni lingua del mondo per voi. Sperava che foste al sicuro, lontana da ogni pericolo. La ferita alla gamba non è più così preoccupante ma l'età di vostro padre non aiuta certo la guarigione. Voi lo conoscete bene, sapete quanto possa essere testardo e ostinato” voleva rispondere, voleva bloccare quel fiume di parole e rispedire quell'uomo indietro il più velocemente possibile ma sentì la manina di Etienne stringersi dolcemente attorno alla sua.
Osservava incuriosito quell'uomo venuto da lontano, gli occhi socchiusi e le labbra leggermente arricciate “Mi aiuti con i miei esercizi mamma?” il duca sorrise chinando leggermente il capo verso il bambino “Vi conosco signore?” domandò confuso Etienne “No, ma non immaginate nemmeno che piacere è vedervi. Siete uguale a vostra madre” “Vi ringrazio duca per esservi scomodato arrivando fino a qui” esclamò gelida posando le mani sulle spalle del figlio “Tornerete?” “No” “Non dovreste rispondere così in fretta, mancate molto a vostro padre e sono certo che anche voi provate la stessa cosa” “Duca io non ...” “Non vi chiede di tornare per sempre. Tutto quello che desidera è vedervi per qualche ora e parlarvi” le sorrise stringendo le redini del cavallo tra le dita “Vi ringrazio per la vostra visita duca, vi auguro un rientro piacevole” l'altro scosse leggermente la testa salendo di nuovo a cavallo e senza aggiungere più una parola, partì al galoppo lasciandoli soli.
“Chi era?” domandò Etienne sollevando il volto verso la madre “Ricordi quando ti ho raccontato la favola di quel conte orgoglioso?” il bambino annuì silenzioso concentrandosi sugli occhi di sua madre, su quello sguardo confuso che mai, mai in tutta la sua giovane vita aveva velato quel colore di cielo tanto bello “Ricordi cosa ti ho detto su quel conte?” “Che è arrabbiato con te perché l'hai lasciato solo e che quel conte, anche se tanto arrabbiato, ci vuole bene” “Esatto” sussurrò sfiorandogli il volto “Vi vuole bene, anche se al momento è un po' confuso e stanco” “Perché vuole vederti?” “Perché non si sente molto bene ora” “Non devi andare per forza mamma” “Se tu stessi male e io fossi lontana, vorresti vedermi?” “Sempre mamma” sorrise tirandolo dolcemente tra le braccia “Andiamo?” “Mi aiuti con il latino? Papà è ancora lontano” “Certo che ti aiuto” gli fece l'occhiolino ridendo per quell'espressione divertita che colorava il volto del figlioletto.




“Ci andrai?” “Non lo so” si lasciò cadere sul letto, lo sguardo perso chissà dove mentre le mani slacciavano uno dopo l'altro i bottoni “Non è sbagliato” “Non voglio che entri nella nostra vita” “È tuo padre” mormorò raggiungendola “Lo conosci, sai cosa pensa di tutto questo” “E allora?” si inginocchiò davanti a lei sorridendole “Non importa quello che pensa, niente di quello che dirà potrà mai sfiorare il nostro mondo” sospirò mordendosi leggermente le labbra “Non puoi lasciarlo fuori dalla tua vita per sempre. È arrabbiato con noi, tu non lo saresti?” le sfiorò il volto giocando con quella pelle di seta “Siamo scappati di notte, come due ladri colpevoli Oscar. Sono passati sette anni amore mio, sette anni di silenzio. È diventato nonno e ha incontrato per caso i suoi nipoti, hai un'idea di quanto sia sconvolgente per lui?” la mano della ragazza si strinse dolcemente alla sua, tremava combattuta tra la voglia di rivedere suo padre e la paura di quegli occhi.
“Ti ho chiesto più e più volte se ti mancava, se eri felice” “Sono felice” “Lo so, ma a quella felicità manca qualcosa Oscar” “Oh per favore” “Mi hai fatto un regalo meraviglioso. Mi hai regalato una famiglia” un debole sorriso le sfiorò le labbra mentre si lasciava cullare dalle sue parole “Non riesco più nemmeno ad immaginare la mia vita senza di voi, passo le notti a chiedermi come diavolo sono riuscito a sopravvivere senza i miei bambini, senza di te per tutti questi anni. Sei una madre meravigliosa e ...” le sfiorò le labbra continuando a sorridere “ … tuo padre non ha nemmeno avuto la possibilità di vedere la dolcezza dei tuoi gesti. Non mi fa paura lottare contro la sua testardaggine” “Se gli permetto di avvicinarsi a me, se gli permetto di entrare nelle nostre vite non se ne andrà più” “Lo caccerò via” “Non scherzare André” “Non sto scherzando” “Si sentirà in diritto di prendere decisioni, di dare consigli che nessuno ha chiesto e ...” abbassò lo sguardo sospirando “ … non voglio che la sua presenza distrugga la nostra famiglia” “Non accadrà” “Non ha alcuna intenzione di accettare i nostri figli Andrè, è me che rivuole nella sua vita e non la nostra famiglia. Non gli interessa niente dei giochi di Renée, della sua voglia di vivere o della bravura di Etienne nella musica e nella scherma” le sollevò il volto perdendosi nel suo sguardo “Andrà tutto bene” “Me lo prometti?” un altro sorriso, delicato, leggero.
Le sue labbra erano miele, invitanti, dolci, delicate come petali di rosa.
Resistere? Come poteva anche solo pensarlo? Fece un bel respiro alzandosi leggermente, le labbra si posarono sulle sue, sfiorò con le mani la pelle delicata del collo perdendosi sul calore violento di quel bacio sempre più profondo.
La camicia si allentò di colpo mentre spogliava velocemente ogni centimetro di quella purezza meravigliosa.
Lei era il suo respiro, era la sua vita e l'amore profondo che ogni giorno aveva chiuso a chiave nel cuore.
Per sette anni l'aveva avuta solo per sé e ringraziava il cielo per ogni minuto passato accanto a lei, per ogni sorriso, per ogni bacio e tremito, per i suoi bambini e per quella nuova vita che lo cambiava giorno dopo giorno.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Piccolo angelo Custode ***


                       Piccolo angelo Custode




Il sole era alto nel cielo, nell'aria si respirava quel dolcissimo profumo di neve ancora lontana.
Si strinse nel mantello, il cavallo si mosse dolcemente in avanti avvicinandosi a lei “Sei sicura che non …” “No, preferisco cavalcare” “D'accordo” mormorò André stringendo più forte le cinghie attorno ai fianchi dell'animale “Madre?” si voltò di colpo attratta dalla voce di suo figlio “Sono pronto” “Forse dovrei lasciarlo con te” “Non ha mangiato Oscar. Quando abbiamo parlato con loro ha smesso di mangiare. Non vuole lasciarti, come puoi biasimarlo?” ma lei sospirò mordendosi le labbra “Ha scelto lui, lo sai che non ti lascerebbe andare da nessuna parte da sola” “Assomiglia a qualcuno che conosco” ribatté divertita ma André scosse leggermente la testa “Mi hai chiesto di lasciarti andare da sola, forse non hai nemmeno idea dello sforzo che mi chiedi amore mio” sorrise prendendo in braccio Renée “Mammina perché non mi porti con te?” “Perché sei ancora troppo piccola amore mio” la strinse più forte nel mantello nascondendole mezzo volto ma quel dolcissimo rossore sul nasino e sulle guance la fece sorridere “Devi aiutare tuo padre” “È vero” mormorò divertito “Senza la mia bambina come posso sopravvivere?” “Lo dici solo perché la mamma ci guarda” rise divertito da quell'esplosione di semplicità “Me lo dai un bacio Renée?” posò le labbra sulla fronte della piccola perdendosi nel suo profumo “Respiro di vita dagli occhi di mare ...” la vocina tremante della bambina si infranse nel silenzio costringendola a sorridere “ … ovunque nel mondo ti verrò a carcare” “Perfino in capo al mondo amore mio” “D'accordo, ora è meglio che tu vada, il viaggio è lungo” lasciò la figlia tra le braccia del padre cercando di ignorare la voglia folle di abbandonare l'idea di partire.
Etienne tirò dolcemente le redini avvicinandole il cavallo “Andiamo?” lo prese in braccio sistemandolo sulla sella e montò dietro di lui avvolgendolo nel mantello.
“Il viaggio è lungo. Fermati spesso, c'è troppo freddo per cavalcare la notte. Non sforzarti, non correre e abbi cura di te” le passò un'altra coperta, più piccola del solito ma abbastanza grande per avvolgere il bambino.
“Scrivimi appena arrivi e non preoccuparti di nulla, a questa piccola peste ci penso io” Renée si strinse al padre nascondendo le lacrime “Mi raccomando ometto, non far arrabbiare tua madre e prenditi cura di lei” “Si padre” ma un sorriso divertito gli sfiorò le labbra.
Etienne era avvolto nella coperta, nascosto dal mantello della madre lasciava a quello sguardo verde di mare il compito di spargere parole.
Oscar sospirò perdendosi per qualche secondo sul corpicino della figlia, su quegli occhioni arrossati che non volevano lasciarla andare, si chinò leggermente di lato, le labbra si sfiorarono appena costringendo Andrè a sospirare “Ciao amore mio” un altro sorriso e poi solo quel cavallo che correva via come il vento.


“Contessa” scese dal cavallo cercando di ignorare l'emozione che traspariva dalla voce della serva “Che gioia rivedervi! Sono passati sette anni e non … non credevo che avrei mai avuto la fortuna di guardarvi negli occhi di nuovo” lasciò le redini tra le mani del ragazzo sospirando, Etienne osservava incantato il marmo candido delle colonne, i giochi della luce su quella pietra chiara e meravigliosa.
C'era così tanta gente attorno a loro, persone che piangevano, altre che parlavano osservando la sua mamma.
“Contessa” si voltò di colpo incontrando gli occhi scuri di un giovane, era alto e vestito elegantemente, aveva una cicatrice sul volto sotto all'occhio destro e un bel sorriso caldo e rassicurante “Non mi sarei mai aspettato di vedervi arrivare qui a cavallo, da sola. A dire il vero, ero pronto per venirvi a prendere e ...” “Non è un problema che vi riguarda” “Vostro padre non sarà d'accordo con questa vostra affermazione” “Chi siete?” “Colonnello Martin François D'Orlean, perdonatemi, a volte dimentico le buone maniere” le sorrise amabilmente ma lei sembrava così lontana, così persa in pensieri tutti suoi.
Si voltò verso il bambino restando incantato da quei tratti così delicati e da occhi meravigliosi impreziositi da quel colore tanto bello “Voi dovete essere il giovane conte” “Ora basta” esclamò gelida Oscar “Mio figlio non è argomento delle vostre discussioni” prese il figlioletto tra le braccia aiutandolo a scendere da cavallo “Perdonatemi contessa, non era mia intenzione offendervi” la mano del piccolo si strinse alla sua, sentiva il calore del suo giovane corpo, la calma del suo respiro che la costringeva a restare inchiodata lì, davanti a quell'uomo che non conosceva e che sembrava più irriverente che mai.
“Vostro padre vi sta aspettando” “Ho idea che dovrà aspettare ancora un po'. Mio figlio ha bisogno di riposare” si incamminò lentamente lungo il viale incurante degli sguardi stupiti dell'uomo e di quel caldo senso di pace che improvvisamente era entrato nel cuore.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il Gioco in ogni Cosa ***


                      Il Gioco in ogni Cosa




“Vivevi davvero qui?” “Ti sembra tanto brutto?” Etienne sorrise scuotendo energicamente la testa, l'acqua schizzò ovunque costringendola a ridere “Tutto è più grande e pieno di luce” “Hai ragione, è così” “E non ti divertivi?” “A volte” “Davvero?” annuì appena posando dei teli puliti sulla sedia accanto alla vasca “Non credi di essere pulito ora?” “Ma mamma, ci sono appena entrato” “Tuo padre ha ragione, probabilmente dovevi nascere pesciolino” esclamò divertita sedendosi accanto a lui “Perché non ti divertivi?” “Avevo molte cose da fare Etienne, non era solo gioco la mia vita” “C'è il gioco in ogni cosa” mormorò alzandosi dall'acqua “Nei campi di fiori dove Renée corre, nel lavoro di papà e anche nelle composizioni di latino” “Ma davvero?” ribatté divertita avvolgendolo nei teli profumati “Vieni, davanti al fuoco non sentirai freddo” lo prese in braccio avvicinandosi a quelle fiamme scoppiettanti che spargevano solo tenerezza.
Era tutto come lo ricordava, il letto, i mobili, il pianoforte scuro e lucido che riposava nell'anticamera. Profumava tutto di ricordi, perfino il fuoco sembrava più dolce.
Prese dal divanetto i cuscini continuando a stringere il figlio a sé, lo sguardo vagò per qualche secondo sui libri ordinatamente riposti sugli scaffali, ordinati secondo autore e poi su quel vaso dove una rosa bianca fresca e profumata riposava serena, come se il tempo si fosse fermato, come se camminasse per i ricordi di una bambina di sei anni che restava sveglia la notte a contare quei petali mentre aspettava che suo padre tornasse.
“Adesso ...” lasciò cadere sul pavimento i cuscini sedendo con Etienne “ … io e te restiamo per un po' qui davanti” “Non ti piaceva stare qui?” domandò il bambino staccandosi dolcemente da lei “Non era bello?” “Certo che era bello” “E allora perché sei andata via?” “Vedi ...” gli scostò dalla fronte quei dolcissimi riccioli bagnati seguendo con le dita i lineamenti leggeri “ … a volte la bellezza è difficile da sopportare. Tuo nonno è un conte, un nobile, io sono nobile di nascita, sono stata cresciuta con regole e cerimoniali complicati che dovevano essere rispettati” “Perché?” “Perché mio padre voleva un erede” “E non l'ha avuto?” scosse leggermente la testa sorridendo “Ha cresciuto me come un uomo affinché io potessi portare onore alla sua famiglia. Ho imparato ad usare la spada, a cavalcare, a sparare. Mi hanno insegnato a seguire le regole” “Come mio padre le insegna a me?” “No, no amore mio” “E come?” domandò confuso concentrandosi sugli occhi della madre “Tuo nonno era molto severo, a volte troppo. Ho smesso di giocare a cinque anni Etienne, ho smesso di vedere mia madre, niente favole, niente baci e abbracci. Non potevo entrare nelle sue stanze né giocare con le mie sorelle” si fermò qualche secondo mentre i ricordi violenti tornavano davanti agli occhi “Dovevo essere un figlio perfetto” “Io non vorrei mai essere un figlio perfetto” “Non devi” “Non voglio” mormorò Etienne abbassando lo sguardo “Se io divento perfetto poi non posso più abbracciarti e non voglio farlo” “Ehi ...” gli sollevò il volto posando un bacio leggero sulla sua guancia “ … non devi essere perfetto, non ti vorrei mai diverso da come sei. Quello che è accaduto a me fa parte del passato, ho lasciato questo posto perché mi sono innamorata di tuo padre. Lo amo così tanto da rinunciare alla mia vita ma per mio padre non era una cosa possibile ...” sollevò leggermente il bambino sistemandolo meglio sulle gambe “ … e così sono scappata e non rimpiango nemmeno per un secondo questa decisione perché se non l'avessi fatto, mi sarei persa i doni più belli della mia vita” “Davvero?” annuì debolmente sorridendogli “Tu e tua sorella siete quanto di più importante ho al mondo amore mio” le labbra di Etienne si aprirono in un sorriso meraviglioso mentre si stringeva a lei con tutta la forza che il suo giovane corpo gli regalava.


“Ma non è stata colpa mia” “Non ti avevo vietato di giocare accanto al ruscello?” “Ma François ci è saltato dentro” “Se lui si lancia da un albero lo fai anche tu?” domandò mettendola a sedere sul tavolo della cucina, le gambine giocavano nell'aria mentre il suo faccino lo fissava confuso “Ma padre ...” “Quando ti vieto una cosa lo faccio per il tuo bene Renée” “Posso venire con te?” “Stai cambiando discorso” “Voglio vedere i cavalli nuovi” sorrise bagnando nel catino uno straccio pulito “Il signor Mildred comprerà Rayon?” “Se gli piacerà” tirò la sedia fino a lei sfiorandole il faccino con lo straccio, la sentì tremare leggermente ma nascose quel bruciore leggero dietro ad un sorriso enorme “Come ti è venuto in mente?” domandò scostandole i capelli dalla fronte “Potevi farti male davvero” “Ma sto bene” “Sei tutta piena di tagli” slacciò leggermente il colletto della camicia sollevandole il mento “Assomigli a tua madre anche nel modo di disobbedire” “Davvero?” domandò incantata ascoltando le parole del padre “Hai la stessa aria colpevole che aveva lei quando suo padre la sgridava per aver rischiato la vita in modi sciocchi e puntualmente, davanti a quegli occhi di cielo il generale cedeva. Eppure ci provava, restava immobile, con lo sguardo fiero e orgoglioso piantato sugli occhi di tua madre ...” sorrise mentre quel ricordo tornava velocemente davanti agli occhi confondendosi con il volto di sua figlia “ … ricordo che la sua voce era fredda, controllata, urlava, urlava sempre con lei” “Era cattivo?” “No” mormorò “No non lo era, amava tanto la tua mamma. Si urla per tanti motivi, quando sei arrabbiata o spaventata, lui urlava perché le voleva bene” “Ma tu non urli quando mi abbracci” scoppiò a ridere divertito da quell'innocente constatazione “No è vero, io non urlo quando ti abbraccio ma vedi, lui non abbracciava mai le sue figlie” “E perché?” “Non era conveniente” “Ma tu lo fai” “Io non sono un conte né un generale dell'esercito. Tuo nonno è una persona importante, non può contravvenire alle regole severe con cui è cresciuto” “Che vuol dire?” “Cosa?” domandò distratto continuando a pulire il taglio sulla fronte della figlia “Contravvenire “Che non puoi fare qualcosa che va contro le regole con le quali sei cresciuto. Non credo che nessuno abbia mai abbracciato tuo nonno, eccetto forse tua nonna” “Per questo urlava con la mamma? Perché forse anche lui voleva essere abbracciato?” “Forse era per quello. Molte volte urlava perché lei era talmente veloce da non accorgersi che arrampicarsi sulle rocce, sugli alberi, fare a gara a chi attraversava il fiume per primo, erano tutte cose troppo pericolose per una bambina di sei anni ma alla tua mamma non interessava molto” “Perché?” “Perché voleva diventare la più forte di tutti” “Per picchiare i prepotenti?” annuì appena continuando a pulire il faccino di Renée “La mamma ha picchiato tanti cattivi, è ancora arrabbiato con lei?” restò in silenzio qualche secondo cercando di trovare una risposta ma cosa poteva dirle? Che suo nonno non era mai venuto a trovarla perché la considerava figlia illegittima di un amore impuro? Che la nobiltà a cui apparteneva per metà la chiamava bastarda? Fece un bel respiro abbandonando lo straccio accanto alla bambina “Il motivo per cui tuo nonno è arrabbiato con lei non è qualcosa che passa con il tempo. Non subito almeno” “Tu lo sai perché è arrabbiato vero?” annuì appena sorridendole “E non me lo dici?” “Non è nulla di preoccupante amore mio, vedrai che tutto andrà bene ” “E se la mamma non torna?” domandò stringendo una manina attorno al polso del padre “Cosa facciamo se la mamma non torna?” “Secondo te potrebbe mai lasciarti qui da sola? Sai, quando tuo nonno si arrabbiava così tanto con lei, faceva di tutto per sembrare più forte e severo ma alla mamma bastava sollevare lo sguardo e sorridere ...” sfiorò il faccino della figlia seguendo quei lineamenti tanto belli “ … proprio come fai tu bambina mia, il generale grande e orgoglioso si scioglieva come neve al sole e un sorriso leggerissimo gli sfiorava le labbra, accadrà la stessa cosa amore mio, un giorno ti guarderà e tutto andrà a posto” la prese in braccio spingendo leggermente la sedia di lato “Andiamo?” “Dove?” domandò confusa aggrappandosi al padre “A vedere il medico” “Ma ...” “Niente proteste, quei bernoccoli vanno controllati” “Ma ...” “Farai le tue marachelle più tardi” la strinse più forte tra le braccia facendole il solletico.
L'inverno era ormai alle porte e l'aria fresca invadeva i polmoni scatenando quel brivido leggero che amava tanto, strinse più forte la figlioletta nascondendola nel mantello pesante e chiudendosi la porta alle spalle, si perse nel fresco del pomeriggio mentre quella vocina divertita narrava favole di farfalle e angeli.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Di Nuovo quel Gelo ***



                                 Di Nuovo quel Gelo





Ci aveva pensato ogni minuto di ogni ora negli ultimi sette anni, come sarebbe stato, che cosa avrebbe provato nel rivederlo.
Osservò qualche secondo la propria immagine riflessa nello specchio, in fondo era sempre la sua bambina, con gli stessi occhi color di cielo e la stessa irriverenza nel sorriso.
Sistemò la giacca dell'abito sospirando, c'era un buon profumo di lavanda nell'aria, sorrise ricordando le notti passate in quella stanza meravigliosa dove la governante era solita seccare la lavanda, il profumo che sprigionava e la magia che creava dal nulla.
Si morse leggermente le labbra, tremava, ogni muscolo teso e il cuore che batteva all'impazzata “Madre?” il volto di suo figlio apparve di colpo davanti agli occhi interrompendo quel silenzio pericoloso che troppe volte aveva conosciuto.
Lo specchio rifletteva un meraviglioso bambino di sette anni, quella somiglianza così dannatamente evidente era lì, davanti a lei, negli occhi tanto belli di suo figlio, nella postura elegante resa ancora più bella da quel abito creato apposta per lui e in quello sguardo fiero e orgoglioso che fin da bambina aveva usato per sopravvivere.
Etienne le assomigliava in modo impressionante ma più di tutto, in lui era evidente un'altra somiglianza, diversa, lampante.
Quel bambino innocente figlio dell'amore, aveva in sé molto più di un semplice retaggio, aveva in sé il portamento orgoglioso di suo nonno, il modo di osservare le cose che gli apparteneva, quel buffo quanto insolito movimento delle labbra che puntualmente arrivava quando si sentiva oppresso o costretto.
C'era così tanto del nonno in lui da lasciarla ogni volta senza fiato.
Sentì la sua manina stringersi attorno al polso “Sei bellissima mamma” “Grazie” “Perché non ti vesti più così?” domandò crucciato sfiorando gli intrecci sull'orlo della giacca preziosa “Perché comprare vestiti come questi vuol dire spendere tanti soldi, soldi che potrebbero aiutare molte altre persone” “Ma non devi comprarli, sono tuoi” “Una volta lo erano” sorrise al bambino giocherellando con la sua mano “Tuo nonno amava l'eleganza, dovevo essere sempre perfetta” “E lo eri?” ci pensò qualche secondo e poi scosse la testa divertita .
“Appena usciva dal giardino toglievo ogni cosa, mettevo una camicia pulita, prendevo la spada e andavo a giocare con il tuo papà” Etienne sorrise osservando i gesti lenti di sua madre, quel modo quasi magico che aveva di osservarsi allo specchio, quegli occhi di cielo che studiavano ogni più piccolo particolare perché anche se lo negava, la perfezione che le era stata imposta era sempre dentro di lei “Andiamo? Tuo nonno ci sta aspettando” “E se non dovessi piacergli?” “Come potresti essere motivo di dispiacere per lui?” prese dal ripiano il ciondolo d'oro nascondendolo nella tasca e senza più riflettere, uscì dalla stanza accompagnata dal figlio.
Un corridoio, un altro ancora, conosceva a memoria quelle stanze, conosceva a memoria ogni suono di quella casa grande e silenziosa.
Aveva cercato in tutti i modi di avere notizie di suo padre, era terrorizzata dal poter scoprire di colpo di aver perso i genitori, di aver perso il ricordo di un' infanzia che tutto sommato era stata perfetta.
Strinse più forte la mano del figlio entrando nel salone dove tanto tempo prima si ricevevano nobili e dignitari, dove feste e cene d'ufficiali contribuivano a scandire le ore di una vita lunga e precisa.
In fondo alla stanza, accerchiato da uomini e soldati, vi era un uomo ormai curvo sotto il peso degli anni.
Sedeva su di una poltrona finemente decorata, lo sguardo sempre carico di orgoglio, le mani che si muovevano nervose stringendo fogli, dando ordini.
Aveva il volto più scavato, lo sguardo stanco di chi vive troppo a lungo senza uno scopo preciso.
I muscoli nervosi si tendevano costringendolo a raddrizzare le spalle, a muovere quegli occhi severi come se in realtà muovesse una lama gelata.
Vide un uomo avvicinarsi a lui, sussurrare qualcosa e poi un debole sorriso sulle labbra mentre si sporgeva lentamente di lato cercandola oltre quella piccola folla.
Era nervosa, più nervosa del solito, conosceva bene quel sorriso, sotto quell'espressione vi era nascosto un lungo rimprovero, silenzi che regalavano litigi e che conosceva così bene ormai, da poterli quasi anticipare.
Si mosse lentamente in avanti, Etienne la seguì incuriosito da quell'uomo burbero e silenzioso che diventava sempre più vicino.
“Signori, lasciatemi solo” “Generale, ci sono ancora molte cose di cui dobbiamo discutere” mormorò un uomo avvicinandosi a lui “Cose che hanno la massima priorità e che non possono essere rimandate” “Mia figlia è ora la mia massima priorità” esclamò gelido piantando gli occhi sul volto del giovane.
“Se siete a conoscenza di qualcosa che possa superare in valore mia figlia parlate pure” “Abbiamo degli ordini signore, ordini che non possono essere ignorati. In un momento così delicato, con il popolo al comando di un paese ormai indebolito, c'è bisogno più che mai della sicurezza che solo un'esercito può dare. Non dimenticate che lo stato di grazia in cui vivete è solo per merito di ...” ma il generale ridacchiò bloccando a metà quel discorso tanto sciocco “Conosco bene i vostri ordini. L'esercito non andrà da nessuna parte ...” la mano si mosse leggera nell'aria e un servo si avvicinò a lui stringendo un bastone finemente intarsiato “ … non scapperà nessuno dai ranghi capitano, né si prenderanno la libertà di creare situazioni atte a smuovere altre guerriglie” “La Francia non può sopportare altro” “Le guerre tra poveri sono le più pericolose capitano. Hanno imprigionato la famiglia reale e a cosa è servito?” strinse le dita attorno al manico del bastone mentre il servo al suo fianco gli porgeva la mano aiutandolo “Ora fuori di qui, tutti!” uno dopo l'altro gli ufficiali lasciarono la sala e il silenzio gelido calò improvvisamente tra loro.
“E così ...” iniziò il generale camminando lentamente verso di lei “ … per poterti vedere devo arrivare ad essere in fin di vita” “Padre” sussurrò chinando leggermente il capo in avanti “Sei cambiata” “Anche voi” ma l'altro annuì leggermente, l'uomo al suo fianco posò sulle sue spalle la giacca dell'abito allontanandosi poi di qualche passo da loro.
“È vero, hai ragione, sono cambiato. Questa sciocca guerra mi ha reso più debole tuttavia, il buon Dio lassù mi ha concesso forza sufficiente per poter sopravvivere in questo pazzo mondo” ma lei non rispose “Non scherzavo sai? Sei cambiata” “Padre non ...” “Sei sempre la mia bellissima bambina, forse più magra di quanto mi piacerebbe ma sei sempre la mia bambina” sollevò una mano nell'aria sfiorandole il volto, la sentì tremare così forte da costringere le dita a paralizzarsi.
Era una semplicissima carezza eppure, racchiudeva tutta l'incertezza di gesti che per troppo tempo non erano appartenuti a nessuno dei due.
Lo sguardo si inchiodò al volto giovane e fresco di Etienne e la voce si colorò di forza “Sai chi sono?” il bambino annuì deciso “Ma davvero?” mormorò ironico fissando la figlia “Credevo avessi cancellato ogni ricordo del tuo passato” era confusa, incapace di rispondere o di muoversi.
Restava immobile con la mano stretta attorno a quella del figlio mentre nei suoi occhi passavano tutte le emozioni del mondo, rabbia, paura, forza, debolezza eppure ai suoi occhi non era mai stata tanto bella.
Il volto leggermente arrossato, i capelli lunghi, così lunghi da sfiorarle l'incavo della schiena e quegli occhi tanto belli che mai erano usciti dai suoi ricordi.
Il suo corpo era lo stesso di molti anni addietro, lo stesso che aveva forgiato con allenamenti rigorosi ed estenuanti ma la maternità aveva disegnato forme che sembravano solo una mera fantasia perché l'aveva resa reale, non più un figlio, non più un'erede ma semplicemente una donna.
Era una donna stupenda che gridava al mondo tutta la sua dolcezza, ogni suo gesto era controllato, elegante, la postura fiera e raffinata, la schiena dritta, le spalle, tutto di lei veniva dalla nobiltà e non erano bastati sette anni per cancellarlo.
“Perché mi avete fatta chiamare?” “Sette anni di silenzio sono una punizione più che crudele non credi?” “Ho fatto una scelta” “Credo di averlo capito il mattino dopo, quando mi sono svegliato e ho chiesto di mia figlia ma nessuno dei miei servi sapeva che fine avessi fatto” “Eppure non vi siete arreso” “Dici?” inspirò a fondo cercando di non urlare, di non arrabbiarsi con suo padre ed evitare che Etienne potesse odiare un nonno che nemmeno conosceva “I regali per Natale, per il mio compleanno, per il compleanno dei miei bambini. I soldi che non ho chiesto e che erano sempre lì per me, i ricchi signori che vengono continuamente nel nostro piccolo paese, il vostro pianoforte preferito sulla porta di casa” “Credevo di aver cancellato ogni traccia di me da quel pianoforte” “Suonate sempre allo stesso modo padre, toccate i tasti con forza e sento ancora il vostro profumo su quel legno. Mi credete davvero tanto sciocca?” “Al contrario bambina, sei ben lontana dall'essere una sciocca. Ti ho allevata io, conosco bene il tuo valore, la forza che ti porti dentro Oscar. Sei scappata senza dire una sola parola!” piantò gli occhi sul volto della figlia, le labbra tese in una smorfia di rabbia “Potevi essere morta o dispersa, poteva accaderti qualunque cosa!” “Non è stato così” “Già, non certo per merito tuo. Credevi davvero che sarei rimasto a guardare mentre ti distruggevi lentamente?” “Perché sono qui” rise sfinita passandosi una mano in volto, era lì da pochi minuti eppure sembrava un eternità “Perché siete incapace di accettare la mia assenza? Perché siete ferito o …” “Questo?” domandò il generale sollevando leggermente il bastone “È solo un piccolo incidente, ci sono ferite peggiori Oscar” il gelo di quelle parole la colpirono violentemente costringendola a sospirare.
“Assomigli a tua madre” riprese il padre cercando lo sguardo di Etienne “Hai lo stesso sguardo, lo stesso modo di osservare le cose e le persone” “Lo credete davvero?” annuì deciso studiando ogni particolare di quel volto giovane e fresco “La stessa postura, lo stesso sguardo limpido e puro, la stessa voglia di fare domane irriverenti abilmente trattenute dalla razionalità” “E questo è un male?” “No, no al contrario. Credo sia il regalo più grande che mi abbiano fatto, almeno rivedo qualcosa di lei in te, qualcosa di me. E dimmi giovane conte, ti piace la tua vita?” “Si signore” Oscar socchiuse gli occhi studiando il volto del padre “E cosa ti piace della tua vita?” “Tutto signor generale” “E tuo padre? Lui provvede a rendere la tua infanzia allegra?” “Si signore” “E secondo te rende tua madre felice?” Etienne inclinò leggermente la testa di lato strappando un sorriso leggero a quel vecchio generale perché in quel gesto rivedeva Oscar, la sua Oscar, ancora piccola, ancora innocente e pura, la sua Oscar che non capiva come mai i discorsi da grandi generali dovessero interessarle o perché ogni colonnello la salutava come l'erede di una grande famiglia quando in realtà era semplicemente Oscar.
“Pensi che tuo padre sia all'altezza di tua madre?” “La ama signore, questa è una bella cosa” “Punti di vista. E dimmi, che lavoro fa tuo padre?” “Alleva meravigliosi cavalli generale, molti ufficiali vengono a comprare stalloni pregiati e giovani puledri” “Alleva cavalli” ripeté gelido piantando gli occhi sul volto della figlia “Per questo sei scappata? Per passare la tua vita tra il fieno e l'odore delle stalle?” “Non mi sembra che questo sia un vostro problema” “No?” lo sguardo diventò più duro, l'espressione sul suo volto cambiò improvvisamente rendendolo di nuovo il generale freddo di un tempo “Mi farebbe piacere averti con me a cena Oscar” “Con tutto il rispetto padre, ho affrontato questo viaggio perché mi è stato detto che avete bisogno di parlare con me. Non ho molto tempo a disposizione e …” “Cosa te lo impedisce? I cavalli di quell'uomo?” “Dimenticate che quell'uomo è il padre di vostro nipote” lo vide sussultare per qualche secondo stringendo più forte il bastone “Non sono i cavalli o la mia vita ad impedirmi di rimanere, avete visto i miei figli tempo addietro signore, siete a conoscenza dell'esistenza di vostra nipote. È lei che mi impedisce di restare quindi, a meno che non abbiate qualcosa di importante di cui discorrere ...” “Sei sempre stata educata Oscar, ti ho educata al rispetto, all'onore, non sei mai stata arrogante e dispettosa, non hai mai offeso nessuno in vita tua e non credo tu voglia iniziare proprio ora, con tuo padre” il servo si avvicinò a lui sussurando qualcosa, annuì distrattamente senza staccare gli occhi dal volto della figlia “Cenerai con me Oscar e allora potremo parlare ma pretendo che in questa casa, tu vesta secondo il tuo rango” “Non ho più un titolo padre, smettetela di ripetere la stessa sciocca cosa!” “Sei nobile, sei una contessa! Pensi di poterlo cancellare? Sono passati sette anni e quell'eleganza è ancora così lampante, chiunque se ne accorgerebbe! Qui dentro sei ancora il conte Oscar François De Jarjayes e pretendo che indossi abiti adatti al tuo titolo!” esclamò picchiando con forza il bastone sul marmo lucido “Questo inculde la fascia in vita e la spilla con lo stemma della nostra famiglia! Non siamo in una stalla né in una locanda, questo è un palazzo nobile, lo resterà sempre, qualsiasi cosa accada e le persone che lo frequentano non possono in nessun modo contravvenire alle regole e questo vale anche per il bambino!” passi veloci attirarono l'attenzione del generale impedendole di rispondere.
“Mi avete fatto chiamare signore?” “Finalmente” sussurrò allargando le braccia “Quanto ancora devo aspettare prima di vederti?” “Perdonatemi, ho avuto qualche piccolo contrattempo. Contessa” Oscar scosse leggermente la testa ridendo “Conosci già il conte” “Si, si è stato il messaggero del vostro profondo dolore” “Oh andiamo, non sono stato poi così male” “Mi avete chiesto di raggiungere mio padre, mio padre ferito e solo che aveva bisogno di me. Avete omesso di dire che assomiglia ancora a quel lupo arrabbiato e arrogante che gioca con le vite delle persone” “Eppure siete qui” il generale sorrise posando la mano sulla spalla del giovane “Piano Maxime, è rimasta troppo tempo lontano da questa vita. Non puoi giocare con lei” “Non sono un gioco!” esclamò gelida, Etienne trasalì nascondendosi dietro alla madre “Smettetela di trattarmi come una bambina, smettetela di prendere decisioni al posto mio. Non vi permetto niente del genere padre. Ho una vita, una famiglia e se vi permettete di rovinare il mio mondo giuro su quanto ho di più caro che vi uccido” la voce era ferma, lo sguardo carico di sfida eppure il generale sembrava a proprio agio. Non indietreggiava, non rispondeva, restava immobile a fissare la figlia, la mano ancora stretta attorno alla spalla del duca e un sorriso ironico sul volto “Non sto scherzando, non spingetemi oltre il limite perché questa volta non mi fermo a riflettere signore” “Sarei davvero curioso di vederti oltre quel confine” “Continuate così e sono sicura che presto lo vedrete” le braccina di Etienne si strinsero con forza attorno ai suoi fianchi “Mamma” sussurrò spaventato sollevando il volto ma lei sorrise dolcemente tornando di colpo la madre amabile che aveva sempre conosciuto.
“La cena verrà servita tra qualche ora” esclamò gelido piantando gli occhi sul volto della figlia “Non ammetto vestiti sciatti o mancanza di rispetto, e questo vale anche per il bambino” la mano si strinse attorno al braccio di Maxine, il giovane sorrise chinando leggermente la testa verso di lei “A dopo contessa” pochi minuti ancora per comprendere, per tentare di mettere in ordine i pensieri mentre tutto attorno a lei diventava di nuovo buio e freddo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sogni e Incubi ***



                                                                    Sogni e Incubi






“Cosa ci fai qui?” la bambina scosse leggermente la testa abbracciando più forte la sua bambolina “La notte è fatta per i sogni amore mio” “La mamma quando torna?” già, la stessa semplice domanda di sempre: Quando torna la mamma?.
Chiuse il libro studiando per qualche secondo il volto della figlioletta, quello sguardo pieno di sonno e la forza nascosta dietro a quattro parole che le impedivano di dormire.
Oscar era per Renée il giorno e la notte, l'alba e il tramonto, era per lei la voce del passato, quella stessa voce che cantava nenie preziose e che la tranquillizzava quando i brutti sogni arrivavano insolenti.
Oscar era il suo mondo e ora, d'improvviso, si ritrovava sola, sperduta in mezzo ai grandi e nonostante ci fosse lui a proteggerla, quella domanda era sempre lì, chiara, lampante.
Allargò leggermente le braccia accogliendo il corpicino della figlia.
Ricordava minuto per minuto la nascita di quell'angelo prezioso, il pianto spontaneo di un padre orgoglioso quando per la prima volta, stringe tra le braccia un corpicino tremante.
Ricordava il profumo improvviso che invase la casa il giorno dopo la sua nascita, lo stesso profumo che aveva creato dal nulla Etienne e che Renée ricostruiva come un vaso prezioso, un ninnolo di cristallo che brilla di luce.
Per nove mesi aveva aspettato terrorizzato la nascita di quel figlio, pregando quasi inconsciamente che fosse una bambina, una bellissima bambina con gli occhi di cielo e il cuore puro, e aveva camminato su e giù per quella sala notti intere terrorizzato dalla nascita imminente, dal poter rovinare la sua giovane vita.
Aveva provato la stessa cosa con Etienne, aveva imparato ad essere padre con lui, assieme a lui ma una figlia era qualcosa di diverso, qualcosa di indifeso da proteggere per sempre perché crea con il padre un'affetto speciale.
E immaginava il suo futuro, la fila di giovani innamorati appena fuori casa sua, i divieti che avrebbe infranto, le prime lacrime per un amore forse troppo immaturo e poi i suoi sorrisi, gli abbracci, il suo ritorno a casa dopo mesi di lontananza e quelle domande forse un po' irriverenti che prima o poi tutti scoprono.
Fece un bel respiro giocando con i capelli di Renée, le dita intrecciate a quei fili d'oro preziosi mentre sentiva il respiro di sua figlia sul petto, la manina destra aggrappata alla camicia, gli occhi socchiusi che lottavano col sonno e le gambine dolcemente piegate sulle sue.
Sarebbe cresciuta e l'avrebbe fatto ad una velocità impressionante ma per ora, era ancora il suo piccolo gattino indifeso che si aggrappava a lui cercando un posto sicuro per sognare.
Non le avrebbe mai vietato nulla, niente imposizioni folli o costrizioni contro natura, Renée poteva essere ciò che voleva, poteva crescere decidendo di indossare abiti femminili o imparare a cavalcare meglio di un uomo.
Le avrebbe insegnato la vita, l'avrebbe protetta dalla cattiveria del mondo, dai giovani un po' troppo esuberanti, dalla paura di diventare grande e le avrebbe dato regole da rispettare e valori in cui credere perché crescere senza, voleva dire essere privi di ricchezza, quella ricchezza che non viene dal denaro ma che è molto più preziosa.
Era innamorato di sua figlia, ammaliato da quel sorriso che gli aveva rubato, dal colore di quegli occhi che pure erano suoi.
Ma rivedeva in lei così tanto di Oscar, il modo di camminare, la posizione che assumeva quando si preparava a fare qualche sciocchezza, quel movimento nervoso delle mani che appariva quando le vietava qualcosa.
“Papà?” “Dimmi amore mio” “Quando torna la mamma?” abbassò lo sguardo posando un bacio sulla fronte della figlia “Presto Renée, la mamma torna presto” “Me lo prometti?” “Te lo prometto” sussurrò sfiorando di nuovo quel nasino con le labbra “Papà? La mamma sta bene vero?” sorrise divertito dall'immagine che lentamente appariva davanti agli occhi.
“Vuoi sapere cosa fa la tua mamma ora?” la piccola annuì leggermente voltandosi dolcemente di lato, la fronte posata contro il petto del padre e il braccino avvolto attorno a lui “La tua mamma sta giocando con lo sguardo di tuo nonno” “Perché?” “Perché è passato tanto tempo dall'ultima volta che si sono visti. È seduta a tavola, probabilmente indossa uno di quegli abiti meravigliosi che suo padre aveva scelto per lei” “Come una principessa?” sussurrò Renée, Andrè sorrise appoggiandosi meglio ai cuscini “Come una principessa amore mio, ma una principessa speciale, vestita di meraviglioso velluto porpora, nascosta da una camicia bianca come la neve, una fascia preziosa stretta in vita e gli occhi pieni di sfida, perché il generale non accetta vestiti meno eleganti del rango a cui appartiene la tua mamma” disegnava sulla schiena della piccola dolcissime linee invisibili immaginando Oscar, disegnando nella mente il comportamento di quella ragazza testarda che mai sarebbe indietreggiata di fronte al padre.
“Sta giocherellando con la forchetta, la muove dolcemente sul tavolo cercando un motivo solo per non andarsene via” “Etienne è con lei?” “Certo” mormorò sorridendole “Etienne è il suo motivo amore mio, le resta accanto, composto, educato ” Renée si mosse dolcemente tra le sue braccia aprendo per qualche secondo gli occhi “A quest'ora la cena sarà quasi finita e la tua mamma si alzerà dal tavolo, prenderà per mano tuo fratello e tornerà nelle sue stanze. Si arrabbierà con il generale, si arrabbia sempre con lui” “E poi torna da me vero?” rise divertito da quella domanda innocente “Certo che torna da te” sussurrò posando un altro bacio sulla fronte della bambina.
“Ma cosa dirà la tua mamma se tornando ti vedrà stanca?” prese una coperta dalla poltroncina accanto a loro, vi nascose Renée cullandola dolcemente “Papà, mi canti la ninna nanna della mamma?” “D'accordo” si alzò in piedi stringendo la sua bambina tra le braccia e nel silenzio della sera quella nenia preziosa uscì dalle labbra accompagnata solo dallo scoppiettio del fuoco “Canta la tua mamma, scoppietta la fiamma tu chiudi gli occhietti, la luna è sui tetti ...” camminava lentamente per la sala, il cucciolo sollevò la testa osservando quella scena tanto dolce “ … sui tetti è il barbagianni che è vecchio di cent'anni, sui tetti è il gatto nero che sta sopra pensiero. Dall'alto del camino s'affaccia un topolino ...” osservò qualche secondo il volto della figlia sorridendo “ … ma vede il gatto e scappa giù dentro alla cappa, si salva il topolino e dorme il mio bambino” la strinse più forte scostando dolcemente la coperta dal suo volto “Dormi amore mio, c'è il tuo papà a difenderti” un bacio leggero sulla fronte mentre nel silenzio esplodeva il frastuono della vita.




“Sei distratta?” sollevò gli occhi dal piatto fermando per qualche secondo il movimento della forchetta “Perdonatemi, pensavo” “Hai lo stesso vizio che avevi quando eri piccola, quando qualcosa ti annoiava o quando eri costretta a fare qualcosa ti chiudevi nel silenzio” “Si? Beh, è confortante sapere che le cose non sono cambiate” piantò gli occhi sul volto del padre, il duca accanto a lui sorrise amabilmente sorseggiando il suo vino “Vorrei conoscere il motivo di questa cena imposta se non vi dispiace” “Sette anni di silenzio Oscar! Sette anni di vuoto totale! Era una punizione? Volevi punirmi per averti impedito di scegliere?” “Voi siete ...” “Pazzo? No Oscar, sono solo molto stanco e penso, che dopo tutto questo silenzio, chiedere a Dio la possibilità di rivedere mia figlia sia un mio diritto” “Non è venuto Dio a parlare con me padre! Avete mandato un uomo che nemmeno conosco!” Etienne sussultò posando la manina su quella della madre.
Era fuori posto lì, abituato a correre e giocare libero dalle imposizioni, ora si ritrovava improvvisamente ad imitare i gesti della sua mamma con il terrore folle di sbagliare perché mentre per lui era tutto così difficile, per la sua mamma sembrava così facile.
Lei era nata in quel mondo, a lei non dava fastidio la fascia stretta in vita o il tessuto prezioso dell'abito, lei non faticava a mantenere quella postura elegante che per lui era tanto difficile da imparare.
Oscar sospirò cercando di ritrovare per qualche secondo la calma, strinse la mano del figlio tornando a cercare gli occhi del padre “Volete litigare con me padre, volete mostrarmi ancora una volta quanto sbagliata sia stata la mia scelta. Non sono più una bambina, non lo ero sette anni fa e non lo sono nemmeno ora. Smettetela di sentirvi in diritto di prendere decisioni al posto mio” “Decisioni!” esclamò gelido picchiando il pugno sul tavolo “Che ne sai tu delle decisioni che in questi anni ho dovuto prendere? Il dolore che ha spaccato a metà la nostra famiglia con la malattia di tua madre” tremò leggermente infastidita da quelle parole cariche di odio “E ti ho cercato Oscar, Dio solo sa quante volte ho cavalcato fino a quel posto sperduto nel nulla! Ma ogni dannata volta che ti vedevo, ogni volta che spiavo il tuo volto … non sei più la mia Oscar!” “Perché?” rispose sostenendo senza fatica alcuna lo sguardo del padre “Perché ho avuto la forza di fare una scelta? Perché sono diventata madre? Ditemelo voi padre perché vi giuro che a questa domanda non trovo risposta!” “D'accordo” sussurrò il duca stringendo la mano attorno al polso del generale “Per il bene di tutti forse è meglio rallentare qualche minuto” “Sapevo del vostro arrivo, l'ho sempre saputo padre, vi ho visto più di una volta” il generale socchiuse gli occhi ascoltando pensieroso le parole della figlia “Dove il bosco si apre al verde della radura, vi fermavate lì con i vostri uomini. Non siete mai sceso da quel dannato cavallo!” “Perché avrei dovuto farlo? Per incontrare una figlia irriverente e debole?” trattenne il respiro cercando di mascherare il male violento che facevano quelle parole.
“D'accordo, signor generale, io credo che stiate un po' esagerando con vostra figlia” sussurrò Maxime “Oh sciocchezze ragazzo, mia figlia sopporta bene i nostri litigi, o almeno, questo è quello che ricordo perché in te Oscar, non vedo più niente di quella donna stupenda che ho cresciuto” “Mi dispiace essere una delusione tanto grande per voi, ma se essere madre e darvi dei nipoti è per voi motivo di delusione allora ...” “Nipoti?” esclamò il generale alzandosi di colpo “Non sono nipoti questi!” urlò indicando il bambino, Etienne lasciò cadere la forchetta stringendo più forte la mano della madre “Figli illegittimi nati da una relazione illegittima Oscar! Non sei sposata, non è un nobile! Lo sai come chiamano questi bambini?” il duca scattò in piedi cercando di calmare quella rabbia violenta ma le parole che uscirono dalle labbra del generale arrivarono violente come un colpo di frusta sul cuore di Oscar “Figli bastardi! È così che li chiamano Oscar! Che futuro possono avere? Come verranno additati dalla nobiltà che ancora resiste?” ma la ragazza si morse le labbra così forte da farne uscire il sangue mentre spingeva indietro la sedia alzandosi, Etienne nascosto al sicuro dietro di lei e lo sguardo piantato sul volto di un padre che nemmeno riconosceva.
“Nobiltà padre? Cosa c'è di nobile in quello che avete appena detto!” “Contessa vi prego, vostro padre è solo molto stanco” “No duca, mio padre ha solo voglia di sfogarsi su qualcuno perché quello che accade in Francia ora, non può essere controllato né fermato. Non sono il vostro pupazzo padre, non potete giocare con me e poi buttarmi via e non vi permetto di parlare dei miei figli in questo modo” il generale sorrise reggendosi alle spalle forti del duca.
“Quello che accade alla Francia è inevitabile e privo di senso ma putroppo accade. I tuoi figli sono quello che sono Oscar, non puoi cambiarlo, non cambierà mai e se pensi che voglia giocare con te allora sì, mia figlia è sparita, cancellata da sette anni di silenzio! Sarei potuto morire, tua madre sarebbe potuta morire e tu? Tu avresti continuato la tua vita, felice, con quell'uomo. Sette anni sono lunghi Oscar, immagini la paura che mi ha distrutto dentro quando non ti ho trovato?” Maxime sorrise appena stringendo più forte il braccio dell'uomo.
“Pensavo di averti persa, che la guerra fosse arrivata fino a te uccidendoti. Pensavo che la vita mi avesse deriso portandomi via la cosa più preziosa che possedevo! Quando ti ho rivisto, quando ho visto il sorriso sul tuo volto per qualche secondo ho ringraziato il cielo per averti protetta, per averti tenuta al sicuro ma ho aspettato sette anni Oscar!” “Voi parlate di paura padre? C'era disprezzo sul vostro volto, rabbia, rancore, siete arrabbiato con me per aver avuto la forza di vivere ascoltando il cuore! Non ho bisogno di voi, non ho bisogno dei vostri soldi né di regali! Restate lontano dai miei figli, state lontano dalla mia vita!” lo vide sorridere vittorioso, il servo si avvicinò a lui posando la giacca dell'abito sulle sue spalle “Tornerai da me Oscar, perché sei parte di me come io lo sono di te. Ecco perché ti svegli nel cuore della notte, perché passi ore a fissare il cielo, è la stessa cosa che faccio io e questo non puoi cambiarlo!” ma lei non rispose, prese in braccio il figlio e senza nemmeno congedarsi si allontanò da quella sala strappando via quella fascia maledetta che soffocava la sua nuova vita “Siete stato troppo duro con lei” “Dev'essere preparata ragazzo!” “Non è così che la riavrete, non è questo il modo per parlarle” “Mia figlia è in grado di sopportare dolori maggiori duca, tornerà vedrai, sarà arrabbiata, urlerà e maledirà me e le mie parole ma tornerà” il ragazzo sorrise appena annuendo “Voi la conoscete meglio di me padre, ma permettetemi di parlare liberamente” il cenno del generale bastò per convincerlo a continuare “Conosco bene il dolore che porta la solitudine e se questi sette anni sono stati una tortura per voi, credo che per vostra figlia non siano stati tanto semplici. Non vi serve il rancore per riaverla né vi serve prendervela con quei bambini che di colpe non ne hanno” “Sei sempre stato troppo buono con le persone Maxime” “Avete ragione padre, ma credo tuttavia, che l'amore di un figlio sia qualcosa di speciale ed è sciocco rinunciarvi solo per seguire cerimoniali antichi e polverosi” “Vieni accompagnami, ho bisogno di fare una passeggiata” il giovane sorrise appena prendendo a braccetto l'uomo e senza più aggiungere una parola, si incamminò assieme a lui dimenticando per qualche secondo il dolore di un litigio troppo a lungo trattenuto.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Cuori tra le Spine ***


                                                             Cuori tra le Spine






Colpi leggeri sulla porta, il profumo del mare ad invaderle i sensi costringendo gli occhi a cercare quella voce, quel volto giovane che suo padre tanto amava “Perdonatemi, non volevo spaventarvi” “Credete che possa spaventarmi così duca? Se dopo questa sera avete ancora delle remore al riguardo allora la prima impressione che ho avuto di voi è sbagliata” Maxime sorrise osservando i movimenti frenetici di quella ragazza testarda e terribilmente bella che buttava la giacca dell'abito sulla sedia incurante del valore di quel capo prezioso “E così scappate?” “Che motivo ho per restare?” sbottò gelida piantando gli occhi nei suoi “Non è un uomo pentito quello che ho visto stasera né un padre amorevole o disperato” “Lo so contessa, credetemi lo so bene” “Lo sapete? No, voi non avete la minima idea di cosa voglia dire crescere con quell'uomo!” il giovane sospirò avvicinandosi a lei di qualche passo “L'orgoglio, la forza, le regole da seguire, la paura di non essere all'altezza di un padre tanto amato dai suoi uomini, dalla corona. Credetemi quando vi dico che conosco bene il sentimento che ora vi scuote il petto, è lo stesso che ho provato io per anni” Oscar si morse leggermente il labbro giocando per qualche secondo con i capelli.
Aveva già visto quell'uomo, in qualche ricordo lontano quegli occhi erano stati un gioco, appartenevano a qualcuno che si nascondeva nei giorni felici dell'infanzia e che ora non riusciva a mettere a fuoco.
“Vostro padre vi vuole bene” “Beh, ha uno strano modo di dimostrarlo non credete?” Maxime sorrise divertito da quello sprazzo di semplicità “Non credeva nelle cose che vi ha detto. È solo molto arrabbiato Oscar, siete stata lontana da lui per molto tempo e posso assicurarvi che in tutti questi anni, voi eravate il primo pensiero al mattino e l'ultimo prima di addormetarsi” “Duca, non mi importa cosa pensa di me, non mi importa se è arrabbiato o deluso o affranto da qualcosa che ho fatto o detto. Ho scelto l'amore e lui non può capirlo e va bene così, l'ho sempre accettato ma non può permettersi in alcun modo di parlare dei miei figli come se fossero figli del caso o dell'ultima donna su questa terra” la voce era ferma, carica di rabbia e di forza, la stessa forza che viveva ancora dentro al cuore del generale.
“I miei figli sono bambini meravigliosi, sono bambini pieni di vita e molto intelligenti. Amano l'arte, la musica, sono veloci ad imparare e amano un nonno che non merita quest'affetto!” strinse più forte i pugni cercando di mantenere la calma “Ho scelto l'amore e ho creato qualcosa di meraviglioso. Non abbiamo mai escluso la figura di mio padre dalla loro vita, Andrè passa ore a raccontare loro quanto fosse ammirato e bravo il nonno, racconta loro di quando ha vinto per il re ricevendo titoli ed omaggi, Etienne è affascinato da mio padre e lui? Lui lo guarda negli occhi e lo chiama bastardo! Vedete ancora quel padre amorevole in lui?” Maxime tremò leggermente sconvolto dalla forza violenta di quelle parole “Pensate davvero che in tutti questi anni, a soffrire sia stato solo lui? Mi manca mio padre! Mi manca da morire perché nonostante le scelte o i litigi, lui mi ha regalato un'esistenza meravigliosa. Ho scelto e fatto tutto quello che mi andava perché cresciuta come un uomo, ho avuto privilegi che le altre dame non hanno e sono fiera della persona che sono diventata. I miei figli hanno solo regalato al mio cuore un pezzo di vita che ancora mancava” si passò una mano in viso cancellando quella lacrima insolente “Vorrei abbracciarlo duca, vorrei stringerlo tra le braccia e respirare di nuovo quel profumo che sentivo da bambina, quando tornava a casa dalla guerra ed entrava in camera mia per darmi la buona notte. Poi lo guardo negli occhi, ascolto le sue parole e provo repulsione nei suoi confronti” “Siete solo molto arrabbiata, dovete darvi tempo, tutti e due. Credetemi, avete bisogno l'una dell'altro ora più che mai” “Perdonatemi contessa” si voltò di colpo incontrando il volto della serva.
Etienne accanto a lei, la mano stretta nella sua e gli occhi inchiodati al volto di sua madre “Vieni pure amore mio” ci mise qualche secondo a lasciare la mano della giovane ma il sorriso della sua mamma era un invito a cui non poteva dire no.
“Come stai bambino mio?” “Torniamo a casa?” sorrise sfiorando il volto del figlio “Renée ci sta aspettando e anche papà, non possiamo di certo fare tardi non credi?” un sorriso bello come il sole sfiorò le labbra di Etienne mentre stringeva le braccia attorno ai fianchi della madre “Mi dispiace duca, ma non ho alcuna intenzione di rimanere in questa casa un minuto di più” “È molto tardi, non dovreste uscire a cavallo a quest'ora per ...” “Se davvero mio padre vuole giocare alla guerra e al ricordo, allora ricordategli che sono un colonnello dell'esercito, che so difendermi bene e che non mi spaventa un po' di buio” la serva si avvicinò a loro reggendo il mantello del bambino “Vai con Lisette amore mio? La mamma deve finire di parlare con il duca” “Si madre” un bacio leggero sul volto del piccolo prima di vederlo sparire oltre la porta.
“Siete davvero sicura di quello che fate?” “Accetterà i miei figli come nipoti?” non rispose costringendola a sorridere “Siete uguale al generale, ve l'hanno mai detto questo?” “Molte volte” “E non ne siete felice?” lo sguardo sul volto della giovane era già di per sé una risposta.
Sorrise osservandola ancora qualche secondo “Avete gli stessi occhi, la stessa determinazione. Siete bellissima e priva di quell'imperfezione frivola che allieta tutte le altre dame. Siete uguale a lui” “Ho imparato a cambiare duca perché nonostante il figlio perfetto che mio padre ha creato, vive in me anche la figlia che lui non ha mai imparato ad ascoltare. Sono grata al cielo per aver avuto un padre come lui perché ha forgiato il mio carattere rendendomi più forte di un uomo ma piango ogni notte perché quello stesso padre, mi disprezza per aver scelto con il cuore!” “Siete troppo dura con voi stessa, lo siete sempre stata” “E voi che ne sapete?” domandò gelida “Perdonatemi, non volevo offendervi, le mie erano solo mere considerazioni” “Considerazioni che non ho chiesto quindi vi prego di tenerle per voi” lanciò sul letto anche la spilla slacciando i primi bottoni della camicia “Ora se non vi dispiace, dovrei cambiarmi e raggiungere mio figlio” “State scappando contessa, sapete meglio di me che non si può scappare in eterno” “Smetterò di scappare quando lui smetterà di comportarsi ad sciocco” un ultimo sguardo, gelido, violento, uno sguardo per inchiodarlo a terra, per impedirgli di rispondere.
Gli passò accanto senza più dire una parola, il suo profumo invase i polmoni e un sorriso dolce e delicato si dipinse in volto “Siete due sciocchi sorellina” sussurrò al silenzio, sistemò la giacca e lasciò le sue stanza consapevole di aver appena creato un legame con quella ragazza terribilmente bella, con una giovane dagli occhi di cielo che aveva accompagnato silenziosamente tutta la sua infanzia.
Era legato a lei da un filo invisibile, qualcosa di speciale che lo aveva costretto a spiarla da quella breccia nel muro per anni interi. Cresciuto assieme a lei, cambiato assieme a lei aveva imparato a decifrare le emozioni che le sconvolgevano il petto semplicemente guardandola perché per tutta la vita, non aveva fatto altro che imprimersi nella memoria il volto della sorella che aveva sempre desiderato.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Fiocchi di Neve ***


                                                                     Fiocchi di Neve





“Guarda papà! C'è la neve!” sollevò gli occhi dalle pagine del libro sorridendo divertito a quell'immagine tanto dolce.
Renée se ne stava con le manine appoggiate ai vetri della finestra, lo sguardo che seguiva incantato la danza di quei primi fiocchi leggeri.
Aveva la testa leggermente inclinata di lato, come se stesse in qualche modo tentando di capire come potesse una cosa tanto bella nascere all'improvviso dal cielo.
Le aveva legato i capelli sollevandoli tutti assieme e fermandoli dietro alla nuca con un nastrino porpora ma per quanti sforzi avesse fatto, tenere ciocche scendevano ribelli incorniciandole il volto “Hai visto papà? C'è la neve!” “Allora questo significa che presto, il grande lago sarà ghiacciato e vedrai i cervi passeggiare nel bosco addormentato” “Quando?” domandò estasiata voltandosi appena verso di lui, la fiamma calda del camino riversava sul suo tenero volto una luce calda e piena di dolcezza che la rendeva ogni minuto di più una bambola preziosa, un tesoro da tenere lontano dalla cattiveria del mondo.
“Molto presto amore mio” mormorò tornando a concentrarsi sulle pagine del libro “Credi che anche al nonno piacerà?” gli occhi si fermarono di colpo bloccati tra una parola e l'altra mentre tentava di capire se quella domanda nata dal nulla fosse reale o meno “Pensi che anche lui stia guardando la neve?” “Forse ...” posò il libro sul cuscino accanto a sé osservando la figlia “ … ma ci sono tante cose che il generale deve fare, guardare la neve non è una delle sue preferite” “Forse non gli piace perché gli ricorda la mamma” “Renée?” la piccola si voltò verso di lui incuriosita da quel tono di voce così diverso “Vieni un po' qui?” a malincuore la bambina lasciò quel mondo magico oltre il vetro avvicinandosi al padre.
“La mamma ti ha raccontato la favola del conte di ghiaccio non è così?” “Si papà” le sorrise allacciandole meglio i bottoni della camicia “Cosa fa quel conte quando è molto arrabbiato?” “Si chiude al buio nelle sue stanze perché così nessuno può più fargli del male” “Esatto” “Ma se non vede mai nessuno come fa ad essere felice?” “Ecco vedi ...” la voltò leggermente di lato prendendola in braccio “ … le persone hanno tanti modi diversi di essere felici. C'è chi guarda la neve e sorride, chi è felice in mezzo a tante persone, chi ha bisogno di un abbraccio e poi ci sono le persone che hanno bisogno di silenzio e buio per essere felici” le scostò dagli occhi una ciocca di capelli sorridendole “Il conte ha bisogno di solitudine per essere felice” “Ma la mamma dice che nessuno è felice da solo” “La mamma ha ragione amore mio, nessuno è felice da solo, nemmeno il conte, anche se fa di tutto per dimostrare il contrario” “E come?” domandò incuriosita Renée, rimase qualche secondo in silenzio cercando di trovare un modo per descrivere a sua figlia il carattere forte e severo del generale, come poteva descriverle qualcosa di così complicato? Fece un bel respiro e giocando con i riccioli della bambina riprese a parlare .
“Sai amore mio, il conte è sempre stato bravo a nascondere le emozioni o i sorrisi, nei suoi occhi non c'era mai allegria, solo severità e forza” “E dove le nascondeva?” “Cosa?” “Le emozioni” “Le teneva tutte dentro una piccola gabbietta fatta di ghiaccio dov'era custodito anche il suo cuore. Chiuse lì dentro non potevano far alcun male e così allontanava la debolezza e la gioia. Era un generale dell'esercito, non poteva di certo permettersi l'allegria” “Ed era sempre serio?” domandò crucciata la piccola ma lui sorrise “Quasi sempre Renée, ma in mezzo a tutta questa severità esisteva qualcuno in grado di strappargli sorrisi. Erano leggeri, appena accennati eppure erano lì. A volte fingeva di tossire o di mascherarsi dietro ad una smorfia di approvazione ma io sapevo bene che quello era un sorriso” “E per chi era?” le sfiorò il volto soffermandosi qualche secondo su quello sguardo incuriosito carico di domande “Per la tua mamma amore mio. Quel sorriso era solo per lei. Ogni volta che lo guardava negli occhi, ogni volta che diventava più brava nella scherma o nelle cavalcate quel sorriso era lì” “Mamma” “Si piccola, la tua mamma che ...” “No papà” esclamò sorridente “C'è la mamma!” seguì lo sguardo della figlia fino alla porta, a quella ragazza meravigliosa che non aveva nemmeno sentito arrivare.
“Mamma!” esclamò Renée correndole incontro, un passo un altro ancora fino alle sue braccia “Oscar che … come hai ...” “Cavalcando” sussurrò tremante stringendo la bambina, Etienne al suo fianco sorrise divertito dalla gioia della sorellina “Ormai è notte amore mio, c'è troppo freddo per ...” “Stiamo bene papà” sussurrò Etienne “La mamma sta bene” prese in braccio il figlio stringendolo così forte da farlo ridere “Sei stato bravo ometto?” “Sempre” “Sono orgoglioso di te lo sai vero?” il bambino annuì deciso stringendosi più forte al padre “Sono stato sempre con lei papà, non l'ho mai lasciata” la vocina del figlio arrivò come aria pura nel cuore ma per quanti sforzi facesse, non riusciva a togliere lo sguardo dal volto di Oscar.
Sorrideva stringendo la bambina tra le braccia ma i suoi occhi erano tristi, stanchi, provati da qualcosa di più che semplice stanchezza.
Conosceva quel silenzio, conosceva quello sguardo perso nel nulla mascherato dietro al sorriso e alla normalità e per qualche secondo la ragazza sollevò il volto, gli sguardi si fusero assieme e in quell'attimo così dannatamente veloce, vi lesse la rabbia e il dolore di una figlia tradita.
“Renée, vuoi andare assieme a tuo fratello nella camera dei giochi?” “Ho un regalo per te sorellina” esclamò divertito scivolando via dalle braccia del padre “Davvero? Hai un regalo per me?” “Certo, pensavi davvero che mi fossi dimenticato della mia sorellina preferita” “Ma sono l'unica!” le fece una smorfia divertita correndo via inseguito da Renée.
“Oscar?” la vide tremare leggermente, lo sguardo inchiodato al suo poi quel movimento improvviso.
Si strinse a lui nascondendo il volto sul suo petto, le braccia strette attorno a lui così forte, come se d'improvisso qualcuno potesse portarla via da lui.
La sentiva tremare, piangere, singhiozzi violenti che le scuotevano il petto e che fino ad ora, erano rimasti ben nascosti dentro di lei.
“Va tutto bene amore mio” sussurrò stringendola più forte “Ora sei al sicuro” sentì le sue mani sulla schiena, il respiro spezzato dal pianto sfiorargli il collo, chiuse gli occhi perdendosi per qualche secondo nel suo profumo, le dita intrecciate ai suoi capelli e la corsa folle del cuore che non voleva e non poteva fermare.
Averla di nuovo tra le braccia, averla di nuovo al sicuro, accanto a lui, era questo l'unico pensiero che per tutto il tempo l'aveva torturato.
Ora era lì, stretta a lui e in quell'abbraccio violento leggeva tutto il rancore che quell'uomo le aveva vomitato addosso, la sua rabbia, il desiderio di ferirla come e più di prima e la stanchezza di una figlia, che per amore di un bambino aveva trattenuto quelle lacrime troppo a lungo.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Confine Sicuro ***


                                                                       Confine Sicuro






“Non funziona sai?” sussurrò disegnando sulla schiena nuda della ragazza tenerissimi cerchi invisibili “Quando pensi fai rumore amore mio” ma lei sorrise, gli occhi chiusi, la fronte posata sulla sua e le mani dolcemente intrecciate sul petto mentre lasciava alle braccia forti di Andrè il compito di proteggerla.
Avvolta in quell'abbraccio caldo e sicuro poteva lasciar andare ogni pensiero, ogni paura, perfino la rabbia che ancora faticava a lasciarla in pace “Dovresti riposare” “Sto bene” “Contessa, non penserete davvero di prendermi in giro così” la pelle di seta scorreva veloce sotto le dita come quello stesso tessuto prezioso che molte volte in passato l'avevano nascosta ai suoi occhi .
Seguiva i lineamenti delicati di quella giovane dalla pelle di luna, ne seguiva i movimenti leggeri creati dal respiro, i muscoli perfetti che si tendevano dolcemente sotto il suo tocco fino ad incontrare quei riccioli di sole che tanto amava.
Strinse dolcemente le dita attorno al collo della ragazza posando le labbra sulla sua fronte “Dicevi le bugie anche da bambina Oscar, lo facevi per gioco ma nemmeno tu ci credevi” la sentì ridere divertita da quel ricordo innocente mentre si lasciava stringere così forte come se d'improvviso potessero diventare un'unica persona, un cuore solo.
“Le hai permesso di giocare saltando il ruscello” “No, no amore mio, le parole che tua figlia ha abilmente utilizzato sono state: Papà, François mi ha chiesto se lo accompagno a pescare, ti prometto che starò attenta” ribatté indispettito giocando con i capelli profumati della giovane “Non le ho mai permesso di saltellare come una ranocchia sui sassi del ruscello, quando l'ho vista piena di tagli ho perso metà del cuore” Oscar sorrise sollevando leggermente il volto, gli occhi persi nei suoi e le labbra schiuse in quella smorfia divertita che lo faceva impazzire “Che c'è?” “Pensavo solo che sono fortunata, molto fortunata” “E io forse non lo sono? Penso che chiunque ti abbia incontrato lo è amore mio. I tuoi uomini, la regina, tuo padre” per qualche secondo, qualche stupido e insignificante secondo in quell'azzuro profondo vide un'ombra scura quanto la notte.
Un fantasma velato di lacrime che faticava a restare al proprio posto, lo sguardo si abbassò di nuovo costringendolo a sospirare “Sistemeremo ogni cosa Oscar te lo prometto” “Non voglio, non ho più niente in comune con lui, che scelga di odiarmi in eterno, se questo gli fa piacere chi sono io per impedirglielo?” “Amore mio” le sollevò il volto perdendosi nell'acqua del mare “Amore mio stai soffrendo, trattieni le lacrime, sorridi per evitare ad Etienne altro dolore e so che questo fa male, ti vedo lottare contro questo silenzio, l'hai fatto per sette anni. Non voglio perderti mentre insegui l'immagine di un rancore inutile” un bacio leggero su quelle labbra di rosa e una lacrima insolente che come rugiada si impigliava alle ciglia giocando con i riflessi del cielo e del mare.
“Niente e nessuno oltrepasserà mai il confine sicuro della nostra vita. Conosci tuo padre, conosci il suo egoismo, la sua rabbia, sei forte abbastanza per poterla sopportare ma sto male Oscar, sto male da morire perché se quel silenzio profondo in cui ti chiudevi torna qui, allora non sarò più in grado di allontanarlo da te” “Non ho alcuna intenzione di lasciare al silenzio il tempo di imprigionarmi” sussurrò sfiorandogli il volto “Non ho alcuna intenzione di concedere a mio padre una seconda possibilità per ferirmi. Ha già fatto abbastanza. Hai ragione, sono forte abbastanza, lo sono sempre stata è solo ...” si fermò qualche secondo sospirando “ … non ero preparata a tutto questo. Non ero preparata alla sua cattiveria, all'odio per il mio bambino. Ho paura Andrè, non voglio che Etienne soffra o che Renée debba fare i conti con un passato di cui non ha colpe” “Ehi” un altro bacio, un altro sospiro di miele “Nessuno farà loro del male” “Me lo prometti?” ma quel sorriso carico d'amore era già di per sé una risposta.
La strinse tra le braccia posando le labbra sulla pelle delicata del collo, respirava il suo profumo perdendosi nel movimento lento del seno sul suo torace, lo stesso movimento che molte volte da ragazzo aveva spiato mentre nascosto nell'ombra la osservava riposare.
Bella, troppo bella per lui, troppo bella per chiunque e così piena di vita da terrorizzarlo. Non era in grado di proteggerla da sé stessa, non lo era mai stato perché Oscar era l'immagine speculare di quel generale orgoglioso che mai indietreggiava.
Quell'uomo aveva creato dal nulla un figlio perfetto, aveva imbrigliato la forza del suo giovane cuore costringendola a diventare la degna erede di una casata tanto importante.
Aveva passato una vita intera affianco a lei ma quegli ultimi sette anni, gli avevano mostrato una giovane che ancora non conosceva, una madre stupenda e una donna terribilmente bella che cambiava davanti ai suoi occhi ogni giorno un po' di più.
Chiuse gli occhi ascoltando il suo respiro, il battito di quel ventre di perla che per due volte gli aveva donato la vita dipingendola negli occhi di due bambini vivaci e perfetti.
Restarono immobili così, persi nel silenzio della notte dove l'unica voce era quella calda e profumata del fuoco.
Il profumo di pino e rovere riempiva dolcemente la stanza cullandoli nei sogni, costringendoli a riposare uno stretto all'altra perché i loro cuori avevano bisogno di quell'abbraccio per battere assieme, in modo sincrono, come un'unica vita legata al mondo dalla perfezione del mare e dalla dolcezza del cielo.






 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Solo una Parola ***


                              Solo una Parola





Aveva passato due giorni a tentare di soffocare la rabbia, aveva smesso di pensare, sorriso per i bambini e per sé stessa ma ogni volta che chiudeva gli occhi, ogni volta che permetteva al riposo di invadere i sensi, la voce del padre tornava a rimbombarle dentro e quello sguardo gelido appariva di colpo davanti agli occhi.
La vita le aveva dato tutto quello che una giovane può desiderare, un uomo che l'amava, dei figli per i quali era disposta anche a morire, non poteva e non voleva chiedere al cielo nient'altro perché il suo piccolo mondo era già perfetto ma se le fosse stato concesso un desiderio, uno soltanto, avrebbe chiesto a Dio un attimo d'amore per suo padre.
Era certa che da qualche parte, nascosto dietro a quell'espressione dura e severa, suo padre fosse ancora lì, ancora lo stesso che quando era piccola passava ore ad osservarla mentre dormiva.
Lo stesso che le sorrideva inconsapevole del fatto che quella bambina addormentata in realtà era sveglia e che fingeva soltanto per averlo così vicino, solo per lei.
“Ehi, sei ancora qui?” tremò leggermente riportata alla realtà dal tocco leggero di Andrè sulla spalla “Credevo fossi uscita a cavallo” “No, la signora Moriel ha mandato suo figlio a chiedermi di ritardare di qualche ora il nostro incontro” “Davvero?” domandò domandò divertito posandole davanti una tazza fumante di tè profumato “E per quale motivo?” “Deve litigare con suo marito e teme che ci vorrà un po'” Andrè scoppiò a ridere cercando di non versare ovunque la bevanda bollente “Che c'è?” “Niente, tutto bene Oscar” “Oh andiamo!” “Ehi, penso solo che litigare non debba richiedere orari particolari” la giovane sospirò alzando leggermente gli occhi al cielo “Oh andiamo, io e te litighiamo spesso ma non abbiamo mai scelto di comune accordo l'ora adatta per farlo” “Mamma?” la vocina di Renée interruppe quella divertente chiacchierata.
La manina si posò sul polso della madre mentre con l'altra sfilava un biscotto dal piatto “Etienne dice che non dobbiamo più raccontare la favola del conte” “E perché mai?” domandò stupita “Etienne!” “Amore, vuoi dirmi per quale motivo tuo fratello ha detto una cosa del genere?” Andrè sospirò chiamando di nuovo il figlio “Dice che non abbiamo bisogno del conte di ghiaccio perché lui non ci vuole bene, è vero mamma? Non ci vuole bene?” “Ascoltami amore mio” la prese in braccio scostandole dal volto i capelli “Quello che ora sta accadendo nel cuore del conte è un po' difficile da capire” “Perché?” sollevò lo sguardo dal volto della figlia cercando gli occhi di André, il suo sguardo concentrato, calmo “Eecco vedi, tuo nonno in questo momento è ancora molto arrabbiato” “Con noi?” “Con me Renée” “Scusa papà, stavo leggendo” mormorò Etienne raggiungendo il padre “Mamma ha detto che il conte non è arrabbiato con noi” “Andiamo ometto” esclamò André prendendo il figlioletto in braccio “Dimmi cosa ti spaventa tanto” “Perché il nonno non vuole vederci?” Oscar sospirò passandosi una mano in volto.
Come poteva spiegare ai bambini la realtà di quel mondo tanto freddo? Fece un bel respiro cercando di ignorare quel fastidioso senso di nausea che lentamente nasceva dentro “Oscar” sollevò lo sguardo incontrando gli occhi di Andrè “Amore, forse è il momento di raccontare loro la verità” “D'accordo” ma l'esitazione nascosta nella sua voce arrivò al ragazzo come una pugnalata in pieno petto.
“Vostro nonno ha fatto scelte in passato che molte volte si sono rivelate esatte, altre invece un po' meno ma nonostante tutto, ha una storia da raccontare” “Come una favola?” la domanda innocente di Renée spezzo per qualche secondo l'aria tesa di quell'attimo.
“Sì, si piccola mia, come una fiaba ma questa volta è reale, fa parte del vostro passato” Etienne prese un biscotto dal piatto concentrandosi sulla voce della madre “Vostro nonno ha sempre sognato un futuro diverso da questo. Mi ha cresciuta come un uomo per poter un giorno occupare il suo posto. Sarei diventata generale, avrei ereditato il titolo e il grado di mio padre e regalato lustro e onore alla nostra famiglia ma è accaduto qualcosa ...” sciolse i capelli di Renée abbandonando il nastrino sul tavolo “ … qualcosa che non aveva mai nemmeno immaginato” “Cosa mamma?” “Mi sono innamorata” Etienne sorrise abbandonandosi dolcemente tra le braccia del padre “E non mi sono innamorata di un conte o di un duca. Ho scelto vostro padre, un uomo nato tra il popolo” “E questo è male?” domandò confusa la bambina ma lei sorrise iniziando a raggruppare ciocca dopo ciocca i suoi capelli “L'amore non è mai sbagliato Renée, se lo fosse nessuno al mondo sarebbe mai felice” “E allora perché si è arrabbiato così tanto?” “Perché non era permesso Etienne. Un nobile prima di sposare qualcuno doveva chiedere il permesso al re. Vostro nonno era molto vicino alla famiglia reale e questo amore per lui era un affronto” “Ma se l'amore non è sbagliato, perché il tuo doveva esserlo?” André sorrise stringendo più forte il bambino “Perché non era giusto, non era nell'ordine delle cose da lui stabilito ma ho scelto vostro padre” “Per questo ci chiama così?” Oscar tremò leggermente, le dita ancora intrecciate ai capelli della bambina e il respiro leggermente accelerato “Per questo ci chiama bastardi?” “Ehi” mormorò Andrè voltandolo leggermente verso di sé “Niente di quello che pensa o dice vostro nonno deve farvi sentire tristi chiaro? Voi siete stati un dono prezioso, siete la cosa più bella della nostra vita ...” sfiorò il volto della bambina sorridendo a quel faccino crucciato con le labbra sporche di cioccolato e gli occhi persi su di lui “ … e questa cosa non cambierà mai. Vostro nonno è solo molto arrabbiato e forse da un lato riesco a capirlo” “Perché?” domandò confuso Etienne “Ha sempre amato vostra madre, lei era la sua figlia prediletta e lo è tutt'ora. Aveva progetti per lei, aveva un futuro già scritto e poi d'improvviso, tutto è cambiato. Sono passati sette anni ed è diventato nonno, non vi ha mai visto, non ha mai passato del tempo con voi come può parlare di quello che siete?” “Papà?” “Dimmi bambina mia” “Cos'è un bastardo?” “Una brutta parola” esclamò ma Oscar sorrise “Oh andiamo, credi davvero che voglia ...” “Ricordi cosa mi hai promesso?” “Stavo mentendo” “André” “D'accordo” fece un bel respiro ricacciando indietro la rabbia.
“Quello che vuol dire … vedete, un ...” chiuse gli occhi qualche secondo sospirando “Non ce la faccio amore mio, non posso farlo” Oscar sorrise appena intrecciando i capelli della bambina “Vostro padre ha ragione bambini, è solo una brutta parola che troppe volte i grandi usano” “Ma cosa vuol dire mamma?” “Impuro” le labbra di Etienne si incresparono appena mentre i suoi occhi si colorarono di confusione “È qualcuno nato dall'unione di due persone diverse tra loro, divise da qualcosa” “Cosa?” “Per me era la nobiltà Etienne. Mio padre è un conte, ricco, con un titolo e un'eredità grande. Un uomo con sangue puro e nobile e quando sono nata aveva pronta per me una vita già scritta. Ho scelto vostro padre e ho tradito quella nobiltà dando alla luce due bambini, mischiando il sangue puro di mio padre con il sangue forte e meraviglioso di vostro padre ma non mi pento nemmeno per un secondo della mia scelta” “E ci vuoi bene vero mamma?” fermò quella treccia di sole con il nastrino posando un bacio sulla testolina della figlia “Vi avrei mai messo al mondo altrimenti? Per mio padre siete qualcosa di nuovo e diverso, figli della nobiltà e del popolo e non è abituato a niente del genere” Andrè annuì appena continuando a sfiorare la testa del figlio.
Cercava di sembrare calmo, naturale ma lo conosceva così bene da leggere in quelle carezze leggere la rabbia e la paura di quella nuova realtà che improvvisamente e senza avvertimento alcuno, stava invadendo il loro piccolo mondo sicuro.
“Allora è questo che siamo? Figli a metà?” “No amore mio. Siete i nostri bellissimi bambini e avete tutto il diritto di vivere e giocare e crescere e non deve importarvi nulla di quello che pensa il mondo là fuori perché voi siete nati dall'amore” il piccolo le sorrise annuendo deciso “Quando il nonno urlava con me, quando diceva tutte quelle cose brutte erano solo ...” si fermò qualche secondo cercando di trovare le parole più adatte “ … solo pensieri che in tutti questi anni sono rimasti troppo a lungo nel buio” “Il buio fa paura” sussurrò Renée “Ecco perché il nonno è così solo” “Hai ragione, il buio fa paura e vostro nonno vi ha passato un po' troppo tempo” “Forse se viene a giocare un po' con noi quel buio va via” “Renée non credo che al nonno piaccia ...” “La sai una cosa Renée?” esclamò divertito Etienne scivolando giù dalle gambe del padre “Consoco un'altra storia sul conte di ghiaccio” il volto della bambina si illuminò di colpo “Davvero?” “Andiamo, te la racconto” prese per mano la sorellina aiutandola a scendere dalle gambe della mamma “Oscar” ma lei non rispose, immobile, con lo sguardo perso sui bambini e le mani che torturavano senza sosta la manica della camicia “Ehi” “Scusa” mormorò tremante, Andrè sorrise sfiorandole il volto “Stai bene?” “Si è … va tutto bene” “Amore mio” le sollevò il volto e un sorriso sfinito arrivò ai suoi occhi stringendo lo stomaco e il cuore in una morsa atroce.
Avrebbe voluto evitarle un dolore del genere ma era consapevole che non gli avrebbe permesso di farsi carico delle sue lacrime perché era forte abbastanza per tutti e due ma quel sorriso a metà, quello sguardo che nascondeva a fatica le lacrime facevano un male atroce, un male che difficilmente avrebbe
dimenticato.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Un tesoro Prezioso ***


                                                                Un tesoro Prezioso






La neve cadeva leggera ricorprendo gli alberi, i campi, ogni suono era ovattato, nascosto da una soffice coltre bianca capace di rendere pura e limpida anche una pietra.
Aveva sempre amato la neve, il freddo leggero e per nulla fastidioso che portava con sé, il tocco dei fiocchi sul viso, sulle mani.
Quante notti era rimasta sveglia ad osservare il cielo mentre spargeva sulla terra candide gocciole di luce, quante notti passate a sorridere ogni volta che una di quelle gocce colpiva il vetro scivolando sulla superficie.
Ora come allora, la neve aveva su di lei un'effetto meraviglioso, la rendeva libera e il suo spirito tornava ad essere lo stesso di quella bambina con gli occhi spalancati e il naso all'insù che cercava di contare quante più perle possibile.
Sorrise stringendo più forte il mantello attorno alle spalle, gli occhi persi sulla corsa dei bambini, su quei faccini arrossati quasi completamente nascosti dai mantelli.
Giocavano a rincorrersi, a colpirsi l'un l'altro e poco importava se quella soffice nuvola bianca era fredda, i guanti coprivano più del necessario le loro manine, i vestiti pesanti li tenevano al caldo abbastanza per permettere loro di giocare correndo a perdifiato in quella distesa bianca.
Renée cercava in ogni modo di fuggire dal fratello ma le braccia di André la sollevarono d'improvviso verso l'altro costringendo Oscar a sorridere.
Sentiva la felicità di sua figlia, quella risata contagiosa che saliva fino al cielo mentre il padre la faceva ondeggiare nell'aria poi le manine di Etienne aggrappate alle gambe dell'uomo, quell'uomo che amava da morire e che ora giocava nella neve come un bambino.
Era perfetta quella vita, perfetta per lei, perfetta per i suoi figli, per vederli crescere sereni e felici, lontano dalla rabbia e dai pregiudizi del mondo.
Una vita incantata dove niente e nessuno poteva ferire i loro giovani cuori, dove il rancore di un nonno non avrebbe mai intaccato la loro voglia di scoprire il mondo “Oh andiamo amore mio, vieni a giocare con noi” sorrise riportata alla realtà dalla voce di André "Andiamo Oscar! La neve è soffice e i tuoi figli troppo allegri per restare ad osservare la loro mamma che si allontana con la mente da noi" annuì divertita muovendo un passo verso di loro “Si mamma, vieni a fare l'angelo di neve” pochi secondi appena prima di stringere tra le braccia una bambina sorridente “Ti diverti piccola mia?” “Non è bellissima la neve mamma?” “Oh certo che lo è ma conosco una cosa che è ancora più divertente” “E cosa?” mise per terra la figlia ridendo“Vuoi davvero scoprirlo?” Renée annuì decisa seguendo con sguardo sognante i movimeni della madre.
La vide stringere tra le mani la neve, modellarla fino ad ottenere una sfera e poi quel gesto rapido e la voce di suo padre che urlava qualcosa mentre la neve si spargeva ovunque sul suo petto “Etienne ...” il bambino sollevò il volto verso di lui “ … la mamma ha scatenato una guerra” “Facciamo prigionieri papà?” rise chinandosi a raccogliere neve “No, no nessun prigioniero” e senza più aggingere una parola corse in avanti seguito dal figlio.
Renée si nascose dietro alle gambe della madre ma la palla di neve colpì il ventre di Oscar costringendola a ridere “E così voi vorreste cominciare una rappresaglia?” “Colonnello, mi sorprendete” un'altra palla colpì la ragazza seguendo la stessa traiettoria della prima “Siete diventata più lenta” Etienne scivolò attorno alla madre colpendo la sorellina e costringendola a scappare.
Le risate si alzarono leggere da quel mondo incantato così diverso dal solito "Siete mia contessa"scappò via cercando di evitare l'ennesimo colpo ma le braccia del giovane si chiusero attorno a lei tirandola dolcemente indietro “Vi ho presa” esclamò divertito stringendola più forte “Non potete più scappare” “No ti prego” “No? Siamo arrivati alle suppliche” esclamò sollevandola da terra “Ma sappiate che non funzionano con me, ho anni e anni di neve arretrata da restituirvi” “Questo non è giusto” ma più cercava di liberarsi e più la presa di quelle braccia forti diventava salda e sicura.
Caddero nella neve ridendo come matti, le gambe intrecciate e gli occhi pieni di vita “Ho vinto io contessa” “Usando l'inganno?” “Non avete alcuna prova” esclamò divertito tirandola di nuovo per terra “Etienne, che cosa facciamo ai perdenti?” il bambino si fermò di colpo voltandosi verso il padre “Qual'è la punizione per chi scommette sulla riuscita della battaglia e perde?” “Il bagno di neve” l'espressione sul volto del piccolo cambiò di colpo.
Gli occhi si piegarono in quel sorriso carico di furbizia che gli colorava le labbra ogni volta che nella testa qualche marachella prendeva vita.
Prese tra le mani della neve fresca avvicinandosi alla madre “Un bel bagno di neve per spegnere il fuoco della battaglia” “No, ehi non ...” “Hai visto amore mio? Il nostro bambino ha una memoria strabiliante” esclamò divertito rovesciandola indietro, le mani imprigionate tra le proprie inchiodate a pochi centimetri dal volto “Come fai ad essere tanto bella Oscar?” posò le labbra sulle sue respirando la dolcezza del miele “Come fai?” “Giuro che quando mi sarò liberata da qui finirai nei guai André” “Siete pronti bambini?” Etienne annuì divertito stendendo le braccia sulla madre, Renée accanto a lui fece lo stesso imitando in tutto e per tutti suo fratello “Uno ...” provava a liberarsi, cercava di non ridere ma vedeva sopra di sé le mani dei figli che stringevano una montagna di neve, sentiva il corpo di André sul proprio, la teneva improgionata lì impedendole di fuggire, impedendole di essere qualcosa di diverso da sé stessa “ … due ...” “Giuro che ... tu non puoi davvero  ...” “ … tre!” i bambini lasciarono andare la presa e il volto di Oscar si riempì di neve.
Rise divertito tirandola a sedere “Il piano è perfettamente riuscito” mormorò sfiorandole il viso, le labbra della giovane si piegarono in un sorriso dolce e delicato mentre cercava di togliersi di dosso quanta più neve possibile ma per un secondo, un secondo lungo come anni interi, davanti a lui apparve un angelo fatto di carne e fiato.
Così bella, così dannatamente bella con i capelli umidi che le incorniciavano il volto, riccioli d'oro vestiti che sul bianco candido sembravano luce pura.
Cristalli di ghiaccio scivolavano sulla pelle di seta restando impigliati nelle ciglia, sulla linea delicata della labbra.
Quell'angelo che aveva imparato a conoscere e che quegli ultimi giorni aveva preferito il silenzio alla vita, ora era di nuovo lì, davanti a lui a ridere e giocare come se la rabbia e la paura di quelle ultime settimane non fosse mai esistita, come se tutto fosse normale e meraviglioso.
“Che c'è?” domandò osservando per qualche secondo il volto del giovane “Niente, niente amore mio, stavo solo pensando” “A cose belle?” sorrise baciandola di nuovo “Papà, è rimasto un prigioniero” “No, io non sono un prigioniero, sono un soldato” esclamò Renée “Bagno di neve?” “Si bambino mio, non possiamo permettere che resti impunita” “Hai ragione” “Si ma abbiamo solo pochi secondi per poterlo fare Etienne, dobbiamo rientrare” “In pochi secondi si vincono le battaglie papà” ma la bambina rise divertita nascondendosi tra le braccia della madre “Oh pessima scelta farfallina, davvero una pessima scelta perché ora il tuo papà si divertirà un sacco” prese da terra della neve fresca spalmandola sul visetto della figlia “No papà” Oscar sorrise cercando di proteggerla ma la neve cadeva ormai da ogni parte travolgendole, lasciandole senza fiato a ridere e giocare mentre attorno a loro quel piccolo mondo incantato proteggeva i sogni e le speranze.



Sembrava un sogno, un gioco innocente di un cuore ormai troppo stanco per immaginare eppure era lì, era reale.
La vedeva ridere e giocare, seduta sul manto fresco del mondo con gli occhi pieni di gioia e le labbra schiuse in quel sorriso meraviglioso che da troppo tempo non vedeva.
Strinse più forte il bastone tra le mani sorridendo a quell'immagine divertita che si costruiva davanti a lui pezzo dopo pezzo.
Una bambina che correva a nascondersi tra le sue braccia, la sua risata, il volto sorridente del bambino mentre raccoglieva altra neve da terra poi quel visetto pieno di bianchi cristalli e la sua bellissima figlia che si chinava sulla piccola cercando di proteggerla da quella guerra di dolcezza.
Era tutto perfetto, tutto esattamente come avrebbe sognato per lei ma quell'uomo lì accanto non riusciva ad entrare nell'ordine di cose a cui era abituato.
Amava sua figlia, lo leggeva nei movimenti, nei gesti delicati che riservava a lei soltanto, in quegli occhi innamorati sempre pronti a sostenerla eppure, c'era qualcosa in fondo al cuore che gli impediva di scendere da quella carrozza.
Nascosto tra gli alberi, abbastanza vicino per poterla vedere, abbastanza lontano per evitare di farla soffrire.
“Vi sentite bene padre?” annuì appena senza staccare gli occhi da quell'immagine tanto bella “Assicurati che non le manchi niente” Maxime annuì sistemando meglio la coperta sulle gambe del generale “Dai ordine affinché le venga portata legna a sufficienza e provviste” “Non le accetterà mai lo sapete” “Non è necessario che sappia da chi vengono, limitati solo a trovare una scusa per fargliele avere””Si signore” “Tra meno di due settimane sarà Natale, voglio che mia figlia abbia tutto quello che le serve per vivere serena” “Le basterebbe vedervi padre, sapere che nonostante tutto, accettate nella vostra vita quei bambini trattandoli come nipoti” lo vide sospirare, piegare qualche secondo la testa in avanti incontrando il suo sguardo “Quella è la vostra famiglia signore, quei bambini vi hanno reso nonno” “Ho altri nipoti duca, nipoti che vengono da un'ottima unione” “L'amore non è una cosa che si può programmare padre” “Dimenticavo i tuoi sciocchi ideali” ribatté sarcastico tornando a concentarsi sulla figlia “Credete che se avesse seguito i vostri insegnamenti, se avesse sposato un uomo diverso da quello che ha accanto sarebbe stata così felice? Guardatela” gli occhi si spostarono lentamente su Oscar ridendo di quell'espressione divertita che le colorava il volto “È così bella e serena, ha una casa e una famiglia e dei bambini stupendi. Non sono nobili di nascita ma sono felici e amabili” “Anche uno sciocco può essere amabile Maxime” “Siete il loro nonno, come possono essere sciocchi?” “Basta con questi pensieri, torniamo a casa” il cocchiere annuì deciso chiudendo la portiera della carrozza “Ne siete davvero sicuro padre?” “Assicurati che ogni cosa sia al proprio posto e che lei sia felice, il resto non è qualcosa di cui tu debba preoccuparti” “Siete testardo” ribattè indispettito appoggiandosi allo schienale “E tu irrispettoso, assomigli a mia figlia più di quanto immagini” “Meglio, forse un po' di buon senso potrebbe tornarvi prima o poi” ma il generale non ascoltava nemmeno più.
Perso con lo sguardo sul volto stupendo di sua figlia, sul volto di una donna dai lineamenti d'angelo che ora più che mai faticava a riconoscere come sua ma che, nonostante tutto, restava il suo più grande orgoglio, il gioiello prezioso che assieme a sua moglie aveva creato dal nulla e che ora, brillava sotto la luce di un pallido solo invernale mostrandosi in tutta la sua bellezza e mostrandogli che anche da sola, era in grado di sopravvivere bene alle intemperie del mondo e di un carattere troppo orgoglioso per chiedere scusa.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Dentro agli occhi di un Fantasma ***



                                                      Dentro agli occhi di un Fantasma






Respira, ascolta il cuore, respira.
Ripeteva gli stessi movimenti minuto dopo minuto.
Con gli occhi chiusi muoveva la spada seguendo i passi di una danza, un ballo silenzioso che da bambina aveva scandito ogni sua ora.
Quel piccolo angolo a metà strada tra le scuderie e casa era l'unico posto dove potersi esercitare con la spada senza permettere ai bambini niente di avventato, senza permettere loro di vedere quella perfezione disarmante che fino ad ora aveva nascosto.
Inspirò a fondo rilassando le spalle, il braccio sinistro leggermente staccato dal corpo per mantenere l'equilibrio, per evitare che quel freddo delicato potesse ferirla come se in realtà avesse davanti un'esperto spadaccino e non la pacata tenerezza di un inverno appena iniziato.
Sorrise ricordando per qualche secondo i lunghi pomeriggi passati all'aperto, a studiare sequenze di passi che una bambina di cinque anni appena non avrebbe nemmeno dovuto immaginare.
Ricordava il tocco severo del padre sulle gambe e sui fianchi quando sfinita dall'allenamento sbagliava una figura e la strana delicatezza di quel bastone in legno.
Un'asta di pino finemente intarsiato che suo padre usava per muoverla come se fosse un pupazzo di pezza, come se davanti non avesse più sua figlia ma un burattino.
Un burattino prezioso da toccare con estrema cautela per imprimergli il giusto movimento, per evitare che un filo fuori posto tirasse troppo un braccio o una gamba costringendola a mosse sgraziate o troppo femminili e lei? Lei così piccola che potere aveva per rifiutare quelle lezioni così lunghe? Sua madre aveva sempre espresso il proprio disaccordo ma le sue erano blande proteste, troppo deboli per essere ascoltate da un generale dell'esercito.
La bambina tanto dolce e bella che aveva messo al mondo aveva un futuro già scritto, qualcosa di grande dove non c'era spazio per le frivolezze.
Così, con il tempo aveva accettato le imposizioni e gli insegnamenti del padre senza remora alcuna perché dopotutto ne era innamorata e in quel modo, poteva averlo tutto per sé.
Poco importava se quegli occhi di ghiaccio scordavano i sorrisi, se per averlo così vicino doveva sopportare il dolore di quei tagli gelidi sulle braccia o del bruciore della polvere da sparo sulla pelle.
Amava quegli allentamenti perché poteva restare vicino a suo padre, perché per quegli allentamenti lui tornava a casa prima, perchè per allevarla come figlio prediletto, le concedeva la cosa più preziosa che possedeva: il proprio tempo.
Tempo che non avrebbe mai regalato ad altri, tempo che le sue sorelle non avevano mai nemmeno sognato di poter avere e che invece, per lei era sempre lì.
Le aveva regalato le colazioni assieme, i pomeriggi passati ad allenarsi, a leggere antichi testi o a ridere di quelle sciocche immagini che ritraevano un cavaliere innamorato che porgeva un fiore alla sua bella.
Non era quello il comportamento più adatto ad un uomo, prima veniva il dovere, l'orgoglio, l'onore della famiglia e poi c'era spazio per tutto il resto.
Strinse più forte le dita attorno all'elsa della spada muovendo leggermente il braccio, la lama si alzò appena e un sorriso nacque sulle labbra mentre riaprendo gli occhi cercava suo padre.
Sapeva per certo che un uomo così fiero e orgoglioso non avrebbe mai chiesto scusa, né si sarebbe scomodato ad arrivare fino a lì per poterla vedere perché non ci sarebbero state parole adatte, perché non avevano mai imparato a confrontarsi in quel modo.
L'unica via d'uscita che avevano erano le spade e l'unico modo che lei aveva per poterlo rivedere, era immaginarlo ancora una volta, ancora in quel modo.
Immobile davanti a lei nella stessa posizione che troppe volte da bambina aveva tentato di copiare.
La spada sollevata davanti al volto, il braccio sinistro leggermente disteso nella direzione opposta per equilibrare i movimenti, le spalle in quella rilassata tensione che ben presto aveva imparato a comprendere.
Le sorrideva insolente sfidandola, costringendola ad assumere la stessa posizione, costringendola ad essere sé stessa.
Fece un bel respiro rispondendo al sorriso di quel fantasma creato dal nulla, un fantasma nato dall'unione del vento e di quei fiocchi leggeri che mischiavano assieme il colore dei loro occhi.
Sollevò la spada e senza nemmeno riflettere colpì quella lama invisibile.
Sembrava sciocco, lei stessa ne era consapevole, sfidare un fantasma la divertiva, l'immaginazione era la porta di quel mondo interiore che troppe volte aveva nascosto e che ora non si sarebbe più negata.
Poteva ricreare nei minimi particolari il volto di suo padre, quella ruga leggera sulla fronte, la sfrontatezza di quei sorrisi mentre la costringeva a parare stoccate violente, i suoi abiti, la tenuta da allenamento che preferiva, semplice, senza troppi pizzi o merletti, abbastanza comoda da permettere ogni tipo di movimento ma intessuta di fili d'oro per sottolineare la grandezza della sua famiglia.
Tutto di quell'attimo silenzioso era diventato irreale, qualcosa di misterioso dove le folate leggere del vento si trasformavano in stoccate, dove il profumo della neve diventava improvvisamente un giardino di rose a pochi passi da loro.
Un colpo, un altro ancora, girò leggermente il bacino portandosi di nuovo nella posizione di guardia e con un movimento solo, affondò la lama nell'aria.
Lo vide sorridere, evitare quel colpo preciso muovendosi dal lato opposto, rise divertita da quel duello immaginario, sentiva l'aria fresca sfiorarle il volto e un brivido leggero salire lungo la schiena toccandole il cuore.
Non sentiva freddo, non era stanca, si sentiva semplicemente sé stessa, come se d'improvviso il temperamento forte di quel soldato fosse rinato dal nulla, come se gli anni d'accademia tornassero ad essere improvvisamente l'unico ricordo meraviglioso della sua giovinezza.
Indietreggiò di un passo riprendendo fiato, aveva il volto arrossato ma gli occhi ancora carichi di fuoco vivo e un sorriso irrisorio sulle labbra che riservava soltanto a quegli attimi ma quel fantasma insolente si fermò di colpo, le braccia abbandonate lungo i fianchi e la punta della spada quasi piantata nella neve.
Lo vide sorridere, inchinarsi leggermente a lei e poi scomparire d'improvviso con il vento.
Come fiamma di candela quel ricordo si era spento, trascinato via da quella stessa dolcezza che ne aveva creato i lineamenti.
Abbandonò la spada lungo il fianco posando la mano sinistra sul cuore, il battito accelerato la fece sorridere mentre la consapevolezza di essere di nuovo sola si faceva largo prepotentemente in lei.
Prese il fodero nascondendovi la lama e ridendo di sé stessa e di quell'attimo innocente tornò sui propri passi, verso il calore di una sala illuminata dal fuoco di un camino che custodiva i sogni di due gemme preziose.




 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Regali ***


                             Regali





“Ma la mamma non lo sa” “E deve continuare a non saperlo” “Perché?” sorrise scompigliandole i capelli “Che sorpresa è altrimenti?” “Posso dirlo solo alla mia bambolina?” “La tua bambolina sa mantenere i segreti?” Renée annuì decisa posando la bambola sul tavolo “Sai mantenere un segreto Lisette?” un sorriso dolce e tenero riempì il cuore del giovane.
La sua bambina era troppo pura e innocente per il mondo, così lontana dalle viscide proposte della corruzione, così lontana da tutto e tutti.
Chiuse la scatolina di legno legandovi attorno un nastro color del cielo “Che te ne pare?” “Alla mamma piacerà tanto, sei bravo papà” “Ti ringrazio” esclamò divertito prendendola in braccio “Dovresti essere a dormire amore mio, ho promesso alla mamma che ti avrebbe trovato addormentata” “Hai detto una bugia” fece il solletico alla bambina voltandola dolcemente a pancia in giù “Ti arrendi?” “No, dai papà!” “Non ho sentito, ti arrendi o no?” Renée scoppiò a ridere stringendo le manine attorno alle braccia del padre “Sei pronta per volare farfallina? C'è un bellissimo fiore che ti aspetta per riposare” “Ma la mamma dov'è?” prese la scatolina di legno dal tavolo e reggendo con un braccio la figlia si avvicinò al camino.
Le fiamme scoppiettavano tenere regalando un dolcissimo calore, Etienne era addormentato davanti al fuoco, sdraiato tra i cuscini sul tappeto con un braccino avvolto attorno al cucciolo e il volto rilassato.
“Prima o poi la mamma mi spedirà a dormire con i cavalli” “Posso venire a dormire anche io con te?” “No, no ora noi ci mettiamo qui sdraiati ...” posò la figlia sui cuscini sdraiandosi accanto a lei “ … e dormiamo” “Ma io non ho sonno” “Renée, vuoi bene al tuo papà?” “Tanto” “Allora ...” tirò la coperta più su coprendo i bambini fin sopra al naso “ … devi chiudere gli occhi e dormire perché se la mamma entra da quella porta e ti trova ancora sveglia, finirai con l'essere orfana di padre” “Cos'è un'orfana?” “Lascia stare” sussurrò stringendola tra le braccia, il mento posato sulla sua testolina e un bel sorriso sul volto.
“Papà, credi che sarà felice?” “Chi?” “La mamma, credi che sarà felice per il suo compleanno anche senza il suo papà?” ci mise qualche secondo a trovare una risposta sensata ma alla fine, chiuse gli occhi perdendosi nel profumo di sua figlia e rispose “Sarà felice di aprire il suo regalo e di abbracciarvi. Giocheremo tutto il giorno e andremo a cavallo fino al lago ghiacciato e a volte, vedrai nei suoi occhi la tristezza ma durerà solo pochi secondi, la mamma ti guarderà e tornerà a sorridere come prima” “Felice?” annuì appena divertito da quella domanda innocente “Felice amore mio, sarà felice” Renée sorrise appena chiudendo gli occhi e perdendosi nella ninna nanna del fuoco, abbandonò la sicurezza della razionalità per perdersi nel mondo dolce dei sogni.




“Perché ho la spiacevole sensazione di essere diventata un gioco?” “Perdonatemi contessa” “Non mi piace essere vittima di agguati senza senso” Maxime sorrise chinando leggermente il capo verso di lei.
Aveva il volto arrossato, colpa del freddo e della corsa a cavallo, il mantello pesante che copriva il corpo nascondendo anche le labbra ma poteva vederne il sorriso perfino da lì.
Strinse più forte la spada tra le mani sospirando “Credetemi duca, non vorrei mai essere scortese è solo che ...” “Non dovete chiedere scusa” prese dalla sella un sacco di finissimo tessuto, un nastro color lavanda ne chiudeva l'apertura avvolgendolo in un meraviglioso fiocco.
“Vostro padre non può viaggiare, ha mandato me a portarvi un dono” “Vi ha mandato con uno sciocco premio di consolazione” “Vedetelo come un'inizio ve ne prego. Ci ho messo giorni a tentare di farlo ragionare, sapete bene quanto me che non è facile ma ...” si fermò qualche secondo sorridendole “ … domani per lui è il giorno più importante al mondo. Domani è Natale” fece un bel respiro cercando di riordinare i pensieri.
Era terribimente arrabbiata con suo padre perché era tanto egoista da non comprendere il dolore che le stava regalando.
“Sta giocando duca” “Cosa?” “Gioca come un cacciatore con la preda. Le gira attorno, la prende in giro nascondendosi, riapparendo di colpo tra gli alberi, ridendo della sua paura e alla fine ...” si strinse nella spalle divertita da quella situazione quanto meno irreale “ … alla fine le salta alla gola uccidendola. Mio padre è quel cacciatore e io, io sono la povera piccola preda indifesa” Maxime socchiuse gli occhi studiando il volto della giovane “Prima mi costringe a dimenticare il passato accettando la folle idea di rivederlo, mi insulta, insulta i miei bambini, li considera illegittimi e impuri, mi costringe a scappare ed ora voi siete qui, davanti a me con un dono” si passò una mano in volto cercando di non urlare “Contessa, io capisco bene la rabbia che vi portate dentro. Domani è il vostro compleanno. Accettatelo e rendetelo felice” “Felice?” “Sono sette anni che il generale passa il Natale da solo. Io ceno con lui, passo ogni minuto assieme a lui per cercare di limitare i danni di un silenzio troppo profondo ma ogni anno i miei tentativi risultano vani” “Questo Natale per lui non sarà diverso dagli altri” esclamò gelida “Riportatelo indietro e ricordate a mio padre che non sono una preda tanto facile e che sono piuttosto brava a cacciare perché ho avuto un'ottimo maestro. Ora se volete scusarmi, i miei figli mi stanno aspettando” si congedò dal duca allontanandosi ma la voce del giovane arrivò chiara e limpida “Siete nata la notte di Natale, siete il regalo più bello che la vita gli ha fatto, non gettate tutto all'aria” avrebbe voluto scappare via, allontanarsi da lui e da quel passato che non voleva.
Eppure, nonostante la rabbia, c'era qualcosa nella voce del duca che la costringeva a restare “Ve ne prego contessa” ci mise qualche secondo a convincere ogni muscolo del corpo, il braccio si sollevò e le dita strinsero il tessuto prezioso “Vi ringrazio” “Aspettate” Maxime si voltò di nuovo verso di lei stringendosi più forte nel mantello.
“Perché lo fate?” “Cosa?” “Vi prendete cura di mio padre” “Non è un peso” “Perdonatemi” sussurrò sorridendogli “È solo che non capisco per quale motivo siate così legato a lui” il giovane sorrise stringendo più forte le redini del cavallo con la mano destra “Non ho secondi fini contessa né cattive intenzioni” la vide socchiudere gli occhi, lo stava studiando, lo osservava come si osserva una cartina militare o un campo di battaglia.
Sentiva quegli occhi di cielo scorrere sul volto e non gli era mai sembrata tanto bella.
Fin da piccoli l'aveva spiata di nascosto, era rimasto nell'ombra ad osservare una bambina cambiare velocemente.
L'aveva accompagnata con gli occhi mentre abbandonava l'infanzia, mentre il corpo cambiava sfiorando l'adolescenza, e anche se si nascondeva dentro abiti maschili tutto di lei urlava la dolcezza di quelle curve delicate ancora indecise e innocenti.
Allora era solo un ragazzo, un giovane incantato dalla figlia di un generale che diventava ogni giorno più bella ma quel sentimento era mutato d'improvviso trasformandosi in affetto.
“So che per voi è difficile da comprendere. Avete sentito parlare di me, non mi avete mai visto, ora d'improvviso sono assieme a vostro padre ovunque esso vada, qualsiasi cosa faccia” “Capirete quindi la mia riluttanza nel ...” “Voi siete importante per lui e lo siete per me” “Voi siete impazzito” mormorò stupita “E voi contessa siete mia sorella” il cuore mancò un colpo e tutto attorno a lei si bloccò cancellando d'improvviso ogni pensiero.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Davanti a Me ***


                            Davanti a Me




Avrebbe voluto dormire, Dio come avrebbe voluto chiudere gli occhi e dimenticare tutto, le parole del duca, quel sorriso tanto dolce che ora era diventato d'improvviso gelo … “Siete mia sorella contessa” “State … state scherzando?” “Non giocherei mai con rivelazioni tanto importanti. Non è mia intenzione prendervi in giro” “Allora spiegatemi questa sciocchezza duca! Perché sono già abbastanza arrabbiata con mio padre, non ho bisogno che vi divertiate a rincarare la dose” “I miei genitori sono morti quando avevo cinque anni. Avevo uno zio che si occupava di me ma per lui, il mio patrimonio e il mio titolo erano più importanti di me. Vostro padre si è preso cura di me contessa. Mi ha trattato come un figlio e ha cacciato mio zio restituendomi una vita” … fece un bel respiro stringendo più forte il bambino a sé, sentiva il suo respiro sul collo, il braccino avvolto attorno ai suoi fianchi.
Quando era rientrata in casa quella notte si era ripromessa di non piangere, di nascondere ai suoi figli e ad Andrè quelle lacrime tanto sciocche ma quando aprì la porta, quando li vide tutti e tre addormentati davanti al camino la razionalità scomparve di colpo e una dopo l'altra, quelle perle di diamante scesero dagli occhi.
Renée dormiva accanto al fratellino, protetta dalle braccia del padre con le gambine intrecciate a quelle di Etienne e la fronte posata sul petto dell'uomo.
Non aveva avuto il cuore di svegliarli e così si era sdraiata accanto al figlioletto, persa in quel mondo fatto di cuscini e coperte.
Pregava il cielo affinché la calma di quell'attimo perso nella dolcezza le entrasse dentro cullandola, costringendola a chiudere gli occhi e dimenticare ma più ci provava e più finiva a litigare con sé stessa.
Posò le labbra sulla testolina del figlio sospirando, la tenue luce dell'alba entrava placida dalle finestre mentre lo scoppiettio leggero di quell'ultima brace accompagnava i ricordi … “Dite a mio padre che questo gioco non mi diverte più duca! Che se questo è un altro dei suoi stupidi piani per riportarmi indietro allora ha sbagliato!” lanciò quel sacchetto prezioso ai piedi del giovane cercando di trattenere la rabbia, cercando di respirare “E riportate con voi questo, non ho bisogno dei suoi soldi” “Ve ne prego contessa, accettateli, è per il vostro bene” “Il mio bene?” esclamò gelida piantando gli occhi nei suoi “Che ne sa mio padre di ciò che è giusto per me! Ho accontentato ogni sua richiesta, sono diventata il figlio che ha sempre desiderato e l'ho fatto per amore duca! Perché nonostante le cattiverie, amo mio padre più di quanto mi piacerebbe. Mi è stata rubata l'infanzia e l'adolescenza e va bene così, l'ho accettato io e ho scelto di amare quel mondo, ci stavo bene, mi piaceva” rise passandosi una mano tra i capelli “Ho costretto me stessa a scelte che altrimenti non avrei mai nemmeno preso in considerazione. Ho spinto il mio cuore e il mio spirito a lottare contro sé stessi per diventare perfetta e ci sono riuscita, ma mentre mi riempiva la testa con ideali e perfezione, mentre mi ripeteva continuamente che come unico erede avrei dovuto portare onore alla famiglia, in segreto allevava un figlio che avrebbe potuto prendere il mio posto!” Maxime sorrise lasciando a quello sfogo la possibilità di liberare rabbia e paura “Vi ha tenuto nascosto, mi ha nascosto qualcosa di importante duca! Ed ora voi siete qui, davanti a me e lo chiamate padre, vi preoccupate per lui, per me come se foste davvero mio fratello e questo non è ammesso!” “So che siete arrabbiata, io lo sarei al posto vostro” mormorò sorridendole “Ma voglio che sappiate contessa, che l'affetto che provo nei vostri confronti è sincero perché ho passato più di dieci anni a spiarvi di nascosto, a ridere di quello sguardo orgoglioso che vi colorava il volto ogni volta che imparavate qualcosa di nuovo. Non ho alcuna intenzione di rubarvi l'affetto di vostro padre né di togliervi la sicurezza della sua eredità” “Credete davvero che sia questo?” “Vi ho sempre considerato una sorella, ho pregato più e più volte vostro padre di lasciarmi parlare con voi, l'ho pregato per potervi vedere ma ha sempre rifiutato perché vi considera il dono più prezioso di questo mondo” “Non mi ama davvero duca” “Come fate a dirlo?” ma lei sorrise “Perché non si distrugge ciò che si ama” … sospirò ridendo di sé stessa, di quella debolezza che non avrebbe mai nemmeno immaginato di poter provare “Ti ho già detto che fai rumore quando pensi” sollevò lo sguardo incontrando gli occhi di Andrè “Scusami, stavo solo ...” “Non vuoi dirmi cosa ti tiene sveglia?” “Sciocchezze” “Sciocchezze?” annuì appena continuando a sfiorare la schiena di Etienne con la mano “Colonnello, siete una bugiarda lo sapete vero?” “Stavo pensando a mio padre” “Davvero?” domandò stupito sollevando leggermente Renée, la bambina mormorò qualcosa strofinandosi gli occhi “Così la sveglierai” “Ehi, mi ha dormito addosso tutta la notte, ora ho una cosa importante da fare” “Cosa?” ma lui non rispose, si sollevò leggermente sfiorandole le labbra, un bacio tenero e pieno d'amore che per qualche secondo cacciò via il passato “Auguri amore mio” “Ci sono dei bambini tra noi” “Se continui a guardarmi così dimenticherò che non siamo soli e …” “Mammina?” Oscar sorrise mentre Renée si voltava verso di lei “Buongiorno amore mio” sussurrò sfiorandole il volto “Hai dormito bene?” la piccola annuì leggermente, gli occhi ancora chiusi e le manine strette attorno al suo polso “Il tappeto era abbastanza comodo?” “Ma non l'ho scelto io, è stata colpa di papà” “Traditrice” mormorò Andrè facendole il solletico “Ehi piccola peste, sai che giorno è oggi?” domandò divertito baciandole il volto “È Natale Renée, e sai cosa succede a Natale?” un sorriso bello come il sole colorò le labbra della bambina, gli occhi si aprirono e sussurrò sognante “Oggi la mamma compie gli anni” “Esatto, oggi la tua mamma compie gli anni amore mio” “E sei felice mamma?” ci mise qualche secondo a rispondere.
A dire il vero, non sapeva nemmeno se dalle labbra le fosse uscita una parola o solo un sussurrò, vide Renée sorridere, toccare dolcemente il fratello “Svegliati Etienne, la mamma ha già aperto gli occhi” il bambino si strinse più forte a lei nascondendo il volto “Dai Etienne, non puoi dormire così tanto” “Non sto dormendo” André rise divertito da quella risposta ancora assonnata “Non dormi? E allora cosa fai?” “Respiro la mamma” “Anche io voglio respirare la mamma” scavalcò il fratello aggrappandosi a lei, costringendola a ridere “Profumi di buono mammina” ma i colpi leggeri sulla porta bloccarono quell'attino di pace.
Oscar socchiuse gli occhi cercando lo sguardo del giovane accanto a lei “È l'alba, chi può essere?” “Non ne ho idea” “D'accordo, vado io” “Piccoli miei, via dalla mamma ora, basta respiarla altrimenti papà non riuscirà più a dormire la notte senza il suo profumo” prese i bambini tra le braccia alzandosi in piedi “Andiamo, ho idea che ci sia un bellissimo regalo da qualche parte” “Per noi?” domandò estasiata Renée “Sei stata brava?” “Sono stata brava mamma?” Oscar annuì divertita alzandosi in piedi.
Il pavimento fresco la riportò di colpo alla realtà e un brivido leggero salì fino alle spalle “Tutto bene?” domandò preoccupato Andrè posando i bambini per terra “Si, si va tutto bene non preoccuparti” “Sei sicura?” le braccina di Renée si strinsero con forza alle sue gambe e lo stesso fece Etienne “Buon compleanno mammina” “Hai visto? Sono o non sono i bambini più belli di questo mondo?” di nuovo quei colpi sulla porta, di nuovo quell'ombra nello sguardo che la costringeva a sospirare.
“Andiamo piccole pesti, c'è un tesoro da cercare” corsero via ridendo come matti seguiti da un padre che nemmeno nelle favole era mai esistito.
Fece un bel respiro rilassando le spalle, era troppo presto per incontrare persone, aveva i capelli in disordine, la camicia mezza slacciata e le scarpe erano finite da qualche parte tra il camino e il divano.
Si passò una mano tra i capelli cercando di assomigliare ad una persona normale e aprì la porta dipingendosi in viso un dolcissimo sorriso ma quando gli occhi sfiorarono quelli dell'uomo il mondo attorno a lei parve fermarsi di colpo “Devo passare due notti intere in una locanda come un comune contadino per poterti vedere” “Voi cosa ...” “Due notti intere Oscar ad aspettare la tua sciocca reazione. Credevo non arrivasse mai e invece mi sono sbagliato, poco male, almeno questo vuol dire che in te c'è ancora quella figlia per cui sarei morto” trattenne il respiro mordendosi le labbra, forse così sperava di inchiodare le parole dentro di sé, alle spalle dell'uomo Maxime, il suo sorriso calmo, sereno, in netto contrasto con la tensione di quel silenzio gelido che spaccava a metà le parole perché mai e poi mai si sarebbe immaginata di avere quegli occhi di ghiaccio così vicino.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Occhi di ghiaccio e sospiri Segreti ***


   Occhi di ghiaccio e sospiri Segreti





Si muoveva a fatica, ogni cosa attorno a lei sembrava andare a rilento.
Seguiva quegli occhi di ghiaccio mentre studiavano ogni cosa di lei, della sua casa, mentre riversavano su di lei milioni di parole silenziose costringendola a trattenere ancora una volta le urla e la rabbia.
Fece un bel respiro aprendo di più la porta “Non vi aspettavo” “Non ne sono sorpreso” esclamò gelido, Maxime alle spalle dell'uomo sorrise salutandola con un lievissimo cenno della testa “Voi cosa ...” “Vi chiedo scusa contessa, nostro padre mi aveva espressamente vietato di raccontarvi la verità” “Smettetela duca, state giocando con il fuoco” mormorò divertito il generale entrando in casa.
Ricordava il suo profumo, quel modo di camminare che da bambina sapeva riconoscere in mezzo a milioni di persone.
Suo padre, lo stesso padre così forte e altero ora più stanco, piegato sotto il peso degli anni e di quella ferita che guariva con lentezza.
I suoi passi erano più pesanti, la stretta della sua mano più leggera, quasi tremante, come se d'improvviso potesse cadere o lasciarsi andare.
Maxime lo aiutava a camminare, lo seguiva come un genitore segue i primi passi del proprio figlio ma non lo toccava quasi mai, inchiodato a quella distanza imposta da una dignità e una forza impressionante.
“Così ...” iniziò il generale sedendo sul divano “ … è per questo che hai lasciato la mia casa?” Oscar non rispose, raccolse da terra la coperta ascoltando silenziosa le parole del padre “Da quando dormire per terra è naturale?” “Era molto tardi, non aveva senso svegliare i bambini. Davanti al fuoco si riposa bene lo stesso” il generale sorrise appena osservando i movimenti della figlia “Capelli in disordine, piedi nudi, camicia slacciata, mi chiedo se ho allevato una figlia o un cucciolo di lupo” “Non lo so, ditelo voi a me” “Mamma! Mammina!” Renée corse nella sala ridendo come una matta.
Aveva i capelli sollevati, imprigionati da un nastrino di velluto e una camicia di cotone con il colletto finemente ricamato e completamente aperto, una camicia che era stata un regalo e che ora copriva per metà le gambine nude “Renée amore, questo non è ...” “Ehi, piccola scheggia impazzita vieni qui e ...” ma la voce di André si spense di colpo.
Lo sguardo corse al volto di Oscar, a quegli occhi smarriti che non sapevano cosa dire o come muoversi.
“Scusami, non credevo fosse ...” “Nemmeno io” mormorò prendendo in braccio la figlia, Andrè sorrise avvicinandosi al generale “Signore, non mi aspettavo certo di vedervi qui” “Immagina la mia sorpresa quando dalla mia mente è uscita un'idea del genere ma, gli ultimi eventi mi hanno costretto ad un cambio di opinioni” “Non so cosa dire signore, vi aspettavo certo e devo ammettere che la vostra venuta la figuravo diversa” gli occhi del generale seguirono il volto di Andrè, quel sorriso che per anni aveva considerato il sorriso di un figlio, un ragazzo che aveva allevato per proteggere Oscar e che ora d'improvviso era diventato uomo.
Alto e forte con occhi di mare e il sorriso di un angelo, i capelli più lunghi sciolti sulle spalle, le maniche della camicia dolcemente arrotolate sulle braccia e un asciugamano di lino posato sulla spalla “Voi dovete essere Andrè” mormorò Maxime sorridendogli “Credetemi, è davvero un piacere conoscervi” “Il piacere è tutto mio duca, Oscar mi ha parlato di voi” “Spero solo cose belle” ma la ragazza sorrise stringendo più forte la bambina “Vi ho già detto una volta di non giocare con me” “Siete pericolosa?” “Continuate a parlare duca e scoprirete quanto posso picchiare forte!” “Uao, d'accordo amore mio” sussurrò Andrè tirandola dolcemente indietro “Forse questo non è il modo migliore di iniziare una conversazione” “Credi che sia qui per conversare?” “Mia figlia ha ragione” esclamò divertito il generale “È arrabbiata con me, conversare ora sarebbe quanto meno folle” “Allora perché siete qui padre!” “Perché è Natale, perché in questo stesso giorno tempo addietro sei nata tu e ritenevo doveroso guardarti negli occhi e augurarti il meglio” gli sguardi si fusero assieme e in quei pochi secondi di silenzio, tutte le parole trattenute esplosero violente.
“Chi è?” mormorò Renée osservando confusa quell'uomo tanto elegante seduto di fronte a lei “Mamma, chi è?” “Amore mio, forse ora ...” “Mi hai già visto una volta” esclamò il generale piantando gli occhi sul volto della piccola “Davvero?” “Sei cresciuta, assomigli a tua madre” “Sei il mio nonno?” ma il generale non rispose “Vieni farfallina, lasciamo la mamma a parlare con il generale” mormorò Andrè prendendo tra le braccia la bambina, Oscar sorrise lasciando un bacio leggero sulla testolina di Renée “Vai amore mio, la mamma arriva subito” “Promesso?” “Promesso. Puoi tenere Etienne di là per qualche minuto?” “Non preoccuparti, ci penso io” un bacio leggero e poi di nuovo il silenzio e quegli occhi di ghiaccio a studiarle l'anima.
Si sedette di fronte al padre giocando con il laccio della camicia come se quella situazione irreale nata dal nulla fosse solo frutto della fantasia“Non hai domande?” “Molte padre, ma sto facendo uno sforzo enorme per trattenermi perché ci sono due bambini di là che non meritano la vostra rabbia” “Ti assomigliano” “È forse un male?” “Al contrario, la bambina ha il tuo sorriso, il taglio dei tuoi occhi e i capelli d'oro puro” “Ma ha il sorriso di suo padre e quel verde brillante nello sguardo che non vi fa dormire la notte, non è così forse?” “Passo meno tempo possibile a pensarci Oscar” “Voi non volete sedere duca?” Maxime scosse leggermente la testa restando al proprio posto “Ne siete sicuro?” “Padre?” “Aspettami fuori ragazzo” il giovane annuì appena lasciando la stanza.
“Allora, hai intenzione di vivere qui ancora per molto?” “Avete adottato un figlio?” “Non devo giustificare le mie scelte con te” “Quando questa scelta mi appare davanti un giorno chiamandomi sorella sì padre, credo di meritare qualche spiegazione” “Suo padre era un mio buon amico. Eravamo come fratelli da ragazzi e quando è morto ho giurato su Dio che mi sarei preso cura di suo figlio. Aveva la tua età ed era innocente e puro proprio come lo eri tu” “Perché non me l'avete detto?” l'altro sorrise gelido piantando gli occhi nei suoi “Eri una bambina Oscar! Piccola, indifesa ed erede di una grande famiglia. Non avevi bisogno di distrazioni e di debolezze” “Potevate evitarmi tutto questo padre! Potevate addotarlo e risparmiarmi così una vita fatta di scelte difficili! Potevate crescermi come le mie sorelle lasciandomi libera di amare!” “Vorresti rinnegare la vita libera e agiata che ti ho regalato?” “No padre, vi sono grata per quella vita ma potevo avere la possibilità di scegliere da sola la mia strada e non accettare per forza i vostri capricci!” sentiva la rabbia ribollire dentro, strinse più forte le mani sui braccioli della poltrona mentre quel confronto troppo a lungo rimandato diventava via via più reale.
“Maxime non è mio figlio, non è sangue del mio sangue. Voglio bene a quel ragazzo ma non gli avrei mai lasciato le redini della mia famiglia. Tu sei mia figlia, porti dentro una parte del mio cuore Oscar e anche se fai scelte sciocche e insensate resti sempre mia figlia” “Oh, le scelte sciocche sono i miei figli?” “Non ti ho allevata per essere una donna comune. Porti la grandezza dentro di te, non sei fatta per dormire sui tappeti davanti al fuoco o per giocare nella neve incurante del mondo!” “Voi come ...” rise stringendo più forte il bastone “Ho imparato a leggere nella mente delle persone” “Perché siete qui?” domandò confusa ignorando quell'ironia gelida “Te l'ho già detto Oscar” “No, no voi avete solo inventato una scusa plausibile padre” “Hai rifiutato il mio dono” “Non ho bisogno dei vostri soldi” “Questo lascialo giudicare a me” “No!” esclamò raddrizzando di colpo la schiena, ogni muscolo era teso, corde di violino pronte a scattare al più piccolo segno di rezione “Non avete più il diritto di scegliere per me, non ho bisogno di voi né della vostra presenza!” “Io ho bisogno di te” il respiro si bloccò di colpo e il cuore rallentò nel petto.
Suo padre non supplicava, non le chiedeva aiuto e non viaggiava per giorni solo per poterla vedere, non c'era dolcezza nei suoi movimenti né supplica nel suo sguardo eppure, in quelle cinque parole era nascosto qualcosa di più “Ormai non fate più parte della mia vita, non conoscete i miei figli, non volete accettarli come vostri nipoti, non ho bisogno di questo padre” lo vide sorridere rialzandosi faticosamente dal divano “Vivi a miglia e miglia di distanza dalla sicurezza della tua casa, da me, e anche se ti ostini a negarlo, hai bisogno di tuo padre” “Voi non ...” “Starò alla locanda per qualche giorno” “Non credo possiate alloggiare in una delle loro stanze, non penso siano di vostro gradimento” “Oh non temere, ho intenzione di alloggiare in tutte le loro stanze. Fino a quando la cosa mi aggrada Oscar, la locanda diventerà una mia proprietà” la porta si aprì dolcemente e Maxime apparve reggendo un mantello di tessuto pesante riccamente decorato “Forse è meglio se vi corpite un po' di più. Fuori fa molto freddo” “Ti preoccupi troppo ragazzo” mormorò divertito posando una mano sulla spalla del giovane “Inutile sottolineare il fatto che desidero vederti nei prossimi giorni Oscar” ma lei non rispose, distolse lo sguardo dal padre trattenendo a stento la voglia folle di prenderlo a schiaffi.
Non aveva il diritto di giocare con lei né poteva in alcun modo cancellare le parole taglienti che aveva riservato ai suoi bambini.
Averlo così vicino era pericoloso, tremendamente pericoloso perché per quanto si ostinasse a negarlo, quel filo invisibile che l'aveva sempre legata a suo padre non si era mai spezzato.
Erano passati sette maledetti anni e ora più che mai, quel filo era teso, aggrovigliato attorno ai loro cuori così forte da tagliare e lacerare, così forte da costringere gli occhi a cercarsi e la voce a ferire.
Restò immobile così, con lo sguardo inchiodato al volto di un uomo arrogante e stanco che le sorrideva lasciandosi aiutare dalle mani di un giovane che non aveva nulla a che fare con la loro vita o con lei.




Era arrabbiata, delusa, stanca di quel gioco terribile che stava velocemente prosciugando il suo cuore ma non gli avrebbe permesso di giocare ancora, non adesso.
Strinse più forte le mani attorno alle spalle del giovane sospirando, sentiva le sue labbra sulle spalle, sul seno mentre le mani seguivano la linea delicata della schiena salendo fino al collo.
Gli occhi chiusi, il respiro spezzato dalla violenza di quell'attimo d'amore, sorrise rallentando dolcemente, sentì quel tremito leggero salire dal ventre fino al cuore regalando un tenue calore ai sensi “Sei davvero così arrabbiata?” sussurrò Andrè posando la fronte sulla sua “Così tanto da farmi del male?” “Non ti farei mai del male” le mani si intrecciarono alle sue tirandola in avanti “Allora perché ti fermi?” la vide sorridere divertita da quel gioco di sguardi così perfetto, così puro e violento.
La strinse più forte rovesciandola sul letto, seguì con le labbra la linea delicata del ventre salendo fino al seno, la sentì sospirare, inarcare la schiena poi di nuovo quel bacio profondo che toglieva il respiro “Dovresti rivederlo” “E per cosa?” sussurrò tremante stringendo più forte le gambe attorno ai suoi fianchi “Per farmi prendere in giro?” “Perché è venuto fino a qui amore mio” “E tu perché ci pensi ora?” un'altra spinta, l'ennesima di quella danza infinita.
Chiuse gli occhi perdendosi in quell'attimo tremendamente dolce, perdendosi in lei.
Così dannatamente bella, con gli occhi chiusi, il collo reclinato all'indietro e il respiro accelerato.
Morse la pelle delicata del collo costringendola a tremare, il profumo violento di quell seta preziosa lo incatenava lì, incapace di muoversi o di respirare, le dita intrecciate ai suoi capelli, le labbra che si sfioravano seguendo quel ritmo che la faceva impazzire.
Sentiva il suo ventre tremare, unito al suo, così dannatamente meraviglioso da togliere il respiro “Non gli permetterò di farti del male, te lo prometto amore mio” “Lo so” la strinse più forte a sé sollevandola di nuovo dal letto, i respiri fusi assieme e un'unico battito per contare i minuti.
Aggrappata a lui, persa nel suo respiro, nella dolcezza che quei baci spargevano sul suo corpo, sarebbe rimasta così in eterno, protetta dall'amore di un uomo che mai l'avrebbe lasciata sola.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Somiglianze ***



                             Somiglianze





“Che ci fanno qui?” domandò irritato giocherellando con il bastone “Hanno accompagnato il padre e credo abbiano approfittato di un attimo di distrazione per sgattaiolare di sopra e vedervi” “Non ho questo piacere” “Oh andiamo, sono solo bambini e devo ammettere che la piccola assomiglia in modo impressionante a vostra figlia” “E sia, ma non più di cinque minuti” Maxime sorrise annuendo appena.
La porta si aprì e una bambina sorridente sollevò lo sguardo dal suo libro incontrando gli occhi del generale.
“Allora? Cosa c'è di tanto importante?” Etienne accanto a lei tossicchiò leggermente, assomigliava in modo impressionante ad un piccolo soldatino, serio, composto, gli occhi seguivano attenti i movimenti della sorellina.
“Volevo solo vederti nonno” gli occhi freddi del generale si spostarono qualche secondo sul volto di Maxime immobile al suo fianco, lo vide sorridere intenerito dalla vocina di Renée, dal quel modo così infantile di fare domande “François mi ha detto che eri qui” “Non c'è troppo freddo per voi?” “La neve non è molto alta” rispose Etienne posando le mani sulle spalle della sorella “C'è meno freddo di ieri e camminare per il sentiero non è molto pericoloso” “Vostra madre è d'accordo nel lasciarvi camminare soli per il paese?” “Non siamo soli, nostro padre è di sotto a parlare con il signor Bertrand” “Abbiamo portato delle cose a François, la mamma non c'è e ...” “Non c'è?” Maxime tossicchiò chinandosi leggermente verso il generale “Vostra figlia è diventata un'ottima istitutrice signore e un'eccellente maestro d'armi” “Un istitutrice” ripeté sospirando “Non era questo il futuro che avevo sognato per lei” “Non datevi pena padre, vostra figlia è felice” “Anche uno sciocco può essere sempre felice” lo sguardo corse di nuovo al volto giovane e fresco di Etienne “Non dovresti essere a lezione giovanotto?” “Mia madre si occupa della mia istruzione” “Mi pare più che ovvio” ribatté orgoglioso “Tua madre ha ricevuto un'educazione completa” “Anche mio padre” ma il generale sorrise “Non è la stessa cosa” “Sei stato tu ad insegnarle tutto nonno?” “Bambina ...” piantò gli occhi sul volto della piccola tossicchiando “ … quando ti rivolgi a me gradirei che tu usassi il voi” “Ma sei mio nonno” “Oscar è mia figlia e quando parla con me usa il voi” le labbra di Renée si mossero leggermente ma Etienne le tappò la bocca “Lasciala parlare giovanotto” ci mise qualche secondo ad obbedire a quell'ordine tanto sciocco ma alla fine, lasciò cadere le braccia nel vuoto.
“Allora? C'è qualcosa che vuoi aggiungere piccola impertinente?” “Ti ho pensato tanto sai? Mi ero dimenticata come sei fatto e credevo tu fossi uguale alla mamma” “E lo sono?” “No” esclamò la bambina incrociando le braccia sul petto “Ma non fa niente, sei sempre il mio nonno” “Non sono il tuo nonno, puoi chiamarmi generale o signore, scegli tu ciò che più ti aggrada ma non ammetto sciocche frivolezze” “Renée, ora dobbiamo proprio andare” “Secondo me sei così burbero perché la gamba ti fa molto male” “Secondo te sarei burbero?” Maxime nascose le labbra con la mano evitando di mostrare al generale quel sorriso leggero “Perché non vuoi bene alla mia mamma?” “È questo che pensi?” la bambina annuì decisa “Allora a rigor di logica non dovrei amare nemmeno voi” Etienne tirò leggermente indietro la sorella nascondendola agli occhi freddi del generale “Mi dispiace ma ora dobbiamo proprio andare, nostro padre ci starà cercando” la prese per mano e congedandosi dal generale lasciò la stanza.
“Sfacciata, ironica, dispettosa, uguale a sua madre” “Vi avevo detto che vi avrebbero sorpreso. Trovo che il bambino sia straordinariamente maturo per la sua età. È riflessivo e razionale e molto educato” “Non poteva essere altrimenti, dimentichi che sua madre è un colonnello delle guardie di sua maestà” “Era” puntualizzò il ragazzo sedendo sul tavolino di fronte a lui “Forse padre, un po' di merito per la perfezione di quei bambini va anche al giovane che rende felice vostra figlia non credete?” “Forse, ma resta comunque una cosa irrisoria” “Non prendetemi in giro, quella bambina vi ha stregato dalla prima volta che avete posato gli occhi sul suo volto” “La trovo straordinariamente somigliante ad Oscar, lo stesso modo di increspare le labbra, la stessa espressione di sfida, lo stesso modo di incrociare le mani sul petto senza mai distogliere lo sguardo dal mio volto” “Voi dite?” “Il giovanotto è molto più riflessivo ma porta nei lineamenti la mia bambina” “Quindi questo vuol dire che accetterete quei bambini nella vostra vita?” “Non essere sciocco, non hanno nulla di nobile” “Il sangue di vostra figlia” “Questo li salva” il giovane alzò leggermente gli occhi al cielo sorridendo.
Conosceva bene quell'espressione, per quanto ostinato fosse il suo modo di rifiutare quei bambini, leggeva nei suoi occhi di cielo l'orgoglio per aver ritrovato nel volto di qualcun'altro la sua bambina.
Renée aveva molto di sua madre e il fratello non era da meno e questo bastava per renderli più interessanti.
“Volete pranzare padre?” “Si, avverti che oggi mangeremo di sopra e manda il mio capitano a Parigi, voglio essere informato di tutto quello che accade in città” “D'accordo” mormorò Maxime sistemandosi la fascia in vita “Fammi un favore ragazzo” “Dite pure padre” “Cerca in questo posto sperduto qualcuno che sappia costruire giocattoli” “Cosa?” domandò stupito cercando gli occhi del generale “Giocattoli, cose che si muovono e rendono felici i bambini” “Si, si so cos'è un giocattolo. Quello che non so è perché volete ...” “Se devo passare del tempo qui, lontano dalla civiltà e dall'eleganza, dovrò sopportare le fastidiose visite di una bambina irriverente e di suo fratello” si appoggiò al bastone alzandosi dalla poltrona “ Tanto vale che ci sia qualcosa di infantile che li tenga occupati” “Questa è una cosa molto da nonno” “Questo è buon senso! Ora fuori di qui prima che questo bastone finisca sulla tua testa” ma l'altro annuì divertito lasciando la stanza e quell'uomo dalla corazza di ghiaccio che lentamente iniziava a sciogliersi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Sospesi ***


   
                                             Sospesi 





Era rimasta lontana da casa tutto il pomeriggio, le lezioni di latino, quelle di grammatica e storia, amava quel lavoretto che in qualche modo la trasportava via dalla realtà.
Quelle ore passate con i figli dei signori benestanti del posto le ricordavano in qualche modo la sua infanzia, l'amore che provava nei confronti dell'arte e della letteratura e i pomeriggi passati a leggere nascosta sotto il grande salice accanto al lago.
Eppure, nonostante la leggerezza e la gioia di quegli attimi passati lontano dalla realtà, ogni volta non vedeva l'ora di tornare a casa e abbracciare i suoi piccoli tesori.
Rise divertita da quei pensieri sciocchi, sentiva le voci allegre dei bambini oltre la porta e la risata di Andrè.
Era tutto così semplice, tutto così perfetto e tranquillo e non avrebbe mai permesso a nessuno di frantumare quel mondo sicuro che avevano costruito assieme.
Spinse dolcemente la porta sorridendo quando le manine di Renée si aggrapparono ai suoi pantaloni “Sei tornata presto mammina” “Ma che buon profumino” “Ho fatto la torta e Etienne mi ha aiutato” “Davvero?” André annuì divertito posando il coltello sul tavolo “Una buonissima torta di mele. I nostri figli sono davvero bravi a fare dolci sai?” “Se tua nonna fosse ancora qui probabilmente sarebbe orgogliosa di loro” tolse il mantello abbandonandolo sulla sedia e prendendo in braccio Renée si avvicinò al giovane lasciando un bacio su quelle labbra meravigliose che sapevano di crema e mele “Sai di buono” “Amore mio non giocare con me” sussurrò sfiorandole il volto con la mano “Com'è stata la lezione dal piccolo della famiglia Moreau?” “Orribile” sussurrò Oscar giocando con i capelli della figlia “Continuano a ripetermi quante speranze ripongano su di lui e quanto sia intelligente” “E non è così?” domandò confuso posando i piatti sul tavolo “Cosa studiava oggi?” “Un testo di Livio, il generale Maarbale che affianca Annibale: Tu sai vincere, Annibale, ma non sai sfruttare la vittoria” “Vincere scis, Hannibal, victoria uti nescis” mormorò Etienne raggiungendola “E bravo il mio piccolo ometto” “Sai amore, se tu fossi il figlio dei Moreau probabilmente avrebbero ragione nel dire che sei l'orgoglio della famiglia” ma il bambino rise tornando a concentrarsi sulle parole chiuse in quel libro tanto vecchio.
“Non mi piace” “Chi?” “Martin Moreau” “E perché?” “Fa sempre l'antipatico con Etienne” esclamò Renée giocando con la camicia della madre “È prepotente e cattivo” “È solo troppo viziato” rispose Oscar sollevando i capelli della bambina “A volte capita” “E quando?” “Quando i genitori danno ai propri figli tutto quello che vogliono” fermò quella coda d'oro con il laccetto e baciandola la mise a sedere sulla sedia di fronte a sé.
“D'accordo, ora di cena. Etienne?” “Si padre” “Ehi, non sbuffare, ti ho detto milioni di volte che non si legge a tavola” “Non stavo sbuffando” “No ma lo farai a breve” il piccolo sospirò togliendo il libro dal tavolo “Hai visto?” “Andrè” “D'accordo, fa lo stesso” “E tu?” domandò osservando divertita la figlia “Cos'hai fatto di bello oggi?” “Ho visto il nonno” quella risposta così semplice arrivò al cervello come una lama tagliente.
Cercò gli occhi del giovane, il suo sguardo per capire se quella fosse una bugia o la pura verità ma lo vide sorridere, alzare leggermente le mani mormorando “Colpa mia, mi sono scappati per qualche minuto” “Stanno bene?” “Oh certo, loro stanno benissimo ma tuo padre beh, credo sia impazzito?” “Impazzito?” domandò confusa alzandosi “Ha fatto recapitare una bambola di porcellana e due libri di favole storiche per Etienne” “Ma che ...” “Ecco vedi? L'espressione che hai tu adesso amore mio è la stessa che mi ha colorato il volto oggi, quando ho aperto la porta e ho visto quel messo” “È impazzito” mormorò tremante prendendo dalle mani del giovane i bicchieri di latte “Forse sta cambiando” “Mio padre cambia solo se qualcosa torna a suo vantaggio” “O magari sta cambiando perché dopotutto, anche se diversi da ciò che desidera, i nostri figli gli ricordano la dolcezza dei tempi passati” “O magari è solo stanco di restare qui e affretta i tempi per costringermi a credere che li cambiamento è reale” “E non lo è?” domandò divertito passandole le forchette “No, non lo è Andrè! Vuole portarmi via da qui, ancora! Come se fossi una bambina di qualche anno appena!” “Forse corri troppo amore mio” “Lo conosci?” l'altro sorrise annuendo leggermente e per qualche secondo, tutto il fastidio provocato da quella nuova rivelazione sparì.
Di cosa si stupiva? Aveva sempre avuto quell'effetto su di lei, il suo sorriso, i suoi occhi, la dolcezza dei suoi movimenti. 
Perfino ora, davanti alla sua agitazione Andrè conservava serenità e tenerezza, i capelli in disordine e le mani sporche di farina per completare un dipinto di dolcezza.
Assomigliava più che mai a quel giovane dallo sguardo irriverente che più di vent'anni fa ormai le aveva rubato anima e cuore.
Andrè era un compagno stupendo e un padre meraviglioso, amava i loro figli più di quanto amasse sé stesso e poteva leggere quell'amore nei suoi occhi, nel tempo che passava con loro, in quella cena meravigliosa preparata di fretta “Etienne, è pronto” “Abbiamo uno stufato degno di un re bambini” “Ma non stavi bruciando la carne papà?” “Ehi, chi sei tu? La spia dell'esercito?” Etienne sedette di fronte alla sorella ridendo dell'espressione del padre “Non hai detto dieci minuti fa che questo stufato è buonissimo?” “Perché lo è, a me piace” “Anche a me” “E per Starlette? Anche lei mangia cose buone papà?” Oscar annuì divertita sedendo accanto a Renée “Oh certo, anche lei mangerà cose buone non preoccuparti” “Quando?” “Amore mio ti prego salvami” la ragazza rise riempiendo il piatto di Etienne “D'accordo, basta domande, è ora di mangiare” “Ti amo, e ti amo ancora di più quando riesco a sentire il mio pensiero che risale a galla nel mare di domande che mi fanno” ma lei non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo nascondendo quello scoppio di allegria che nasceva spontanea dal cuore.



“Allora dottore? Come sta?” “Vostro padre ha bisogno di riposo. L'inverno qui è rigido, sarebbe stato meglio un clima mite ma visto che la testardaggine regna sovrana, chi sono io per impedirgli di restare qui?” Maxime sorrise seguendo il dottore lungo le scale “È importante che si alimenti in modo adeguato e che passi meno tempo possibile in mezzo al gelo di questo inverno” “Chiuso in una stanza impazzirà” “Avete detto che vostra sorella è qui” “Si signore” “La compagnia dei nipoti può aiutarlo a dimenticare il tempo che scorre lento” tossicchiò leggermente cercando un modo per spiegare quella sitauzione tanto complicata.
"Dottore credetemi, la situaizone è più complicata di quanto sembri. Mia sorella al momento non è incline ad ottemperare alle sue richieste” “Conosco bene il generale ragazzo” un giovane dall'aria svampita entrò nella locanda porgendo al medico due boccetti scuri “Ecco signore, ho tutto quello che mi avete chiesto” “Molto bene, duca ...” si voltò verso Maxime inforcando gli occhiali “ … sarà vostra premura fargli prendere questo tonico. Sei gocce in un bicchiere d'acqua alla mattina e alla sera” “Per quanto tempo?” “Direi che una settimana potrebbe bastare ma ve ne lascio altro, nel caso lo vedeste troppo irritato o troppo tranquillo” il dottore scoppiò a ridere divertito da quell'ultima battuta ma l'espressione confusa sul volto del giovane lo costrinse a continuare “Lo conosco da una vita intera ragazzo. Non è difficile capire quando sta pensando a qualcosa di sciocco o di serio. Ha eccessi che vanno dall'irrequietezza al silenzio assoluto. Sua figlia è uguale a lui” “Non ho il piacere di conoscere mia sorella come la conoscete voi” “Oscar è una ragazza meravigliosa, datele del tempo e vi permetterà di entrare nel suo mondo” “Voi dite?” l'altro annuì deciso iniziando a sistemare tutti i suoi attrezzi “Siete piombato qui dal nulla e le avete rivelato una verità pesante quanto un macigno. Vi aspettavate fiori e dolcetti?” “Nemmeno la guerra” “È stata cresciuta per la guerra. Voi non la spaventate per niente duca così come non la spaventa suo padre” Maxime sospirò raddrizzando la schiena “Vi ringrazio dottore” “Oh non preoccupatevi, ci rivedremo presto, verrò a controllarlo prima che si faccia venire una crisi di nervi” chiuse la valigetta e calcandosi il cappello sulla testa lasciò la locanda accompagnato dal suo aiuto.
“Signor duca perdonate l'intrusione” sussurrò l'oste avvicinandosi “Volevo sapere a che ora preferite pranzare” “Tra mezz'ora. Portate il pranzo nella camera del generale e sostituite le candele” “Come desiderate” sistemò la giacca con cura perdendosi qualche secondo nel silenzio, fece un bel respiro, un altro ancora e salendo di nuovo le scale tornò in quella stanza scura e fredda.
C'era silenzio, lo stesso silenzio che prima della tempesta invadeva le orecchi e i polmoni “Padre?”  il generale sollevò lo sguardo dal libro cercando il volto del ragazzo “Come vi sentite?” “In trappola” “Oh andiamo! Dovete solo riposare un po' di più” “Riposo già dodici ore al giorno, se resto chiuso qui dentro ancora un po' uccido qualcuno” “Ho fatto prelevare da Parigi una parte della vostra servitù. Tra qualche giorno sarete circondato da persone” “Hai svolto tutti i compiti che ti ho assegnato?” “Mi avete preso per un bambino forse?” ribatté confuso sedendo sul tavolino di fronte all'uomo “Esistono sedie in questa stanza” “Qui è più comodo” “Stai giocando un po' troppo” “Vi alzate e mi inseguite?” domandò divertito il giovane “Dovreste dirlo a vostra figlia” “Non è niente di grave. Solo un leggero mancamento” “Solo?” gli occhi del generale tornarono a concentrarsi sul libro ignorando l'insistenza del giovane.
La porta si aprì lentamente e due ragazze entrarono reggendo dei bei vassoi d'argento colmi di vivande “Andiamo, chiudete quel libro è ora di pranzare” “Potrò anche essere impossibilitato ad inseguirti per la stanza ma la cosa non durerà per sempre ...” chiuse irritato il volume sistemandosi meglio sui cuscini “ … e quando tornerò a camminare bene, prenderti a calci sarà la prima cosa che farò” “Come volete, per ora limitatevi solo a fingere di accontentarmi” posò il vassoio sulle gambe del padre ridendo di quell'espressione accondiscendente che nascondeva in realtà ribellione e proteste.  

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Sorrisi ***


                                             Sorrisi




“Mi dispiace, se cercate Oscar dovrete tornare più tardi, è uscita con i bambini e ...” “In realtà, volevo parlare con voi Andrè” si spostò leggermente di lato permettendo al duca di entrare in casa.
C'era un buon profumo di biscotti nell'aria e il fuoco scoppiettava allegro nel camino riscaldando l'ambiente “Gradite una tazza di tè?” “Vi ringrazio. Questo freddo entra nelle ossa” “Non più di qualsiasi altro freddo” mormorò Andrè versando l'acqua bollente nella tazza “A cosa devo il piacere della vostra visita?” “Volevo parlare con voi” “Del generale?” Maxiem sorrise sedendosi accanto al tavolo “Siete bravo” “Ho imparato a decifrare le espressioni delle persone duca” “Potete chiamarmi Maxime e darmi del tu. Non mi offendo di certo se qualcuno mi chiama per nome” “Così, non date importanza al fatto di essere nobile?” “Non molta” “E il generale approva?” domandò passandogli la tazza fumante.
Il bel volto di Maxime si aprì in un sorriso mentre seguiva con lo sguardo i movimenti dell'uomo davanti a sé, le sue mani che si muovevano sicure, quel sorriso leggero sempre presente sul volto “Se conoscete il generale allora conoscete anche la risposta” “Vero, ma volevo comunque sentirla da voi” ribattè divertito sedendo di fronte al duca.
“Allora, per quale motivo vi ho davanti?” “Oscar” “Oscar?” “Mia sorella Andrè” “Non credo sia il caso di chiamarla ...” “Ho passato una vita intera a spiarla. La vedevo crescere giorno dopo giorno e sapevo che prima o poi tutto questo sarebbe accaduto. L'avrei inconrata, le avrei raccontato la verità” “Le avete mentito” “No” strinse più forte la tazza tra le mani sorridendo “No credetemi, mentirle è l'ultima cosa che voglio” “Perché siete qui allora?” “Quando ho perso mio padre tutto il mio mondo è crollato. Mia madre era di salute cagionevole, troppo debole per prendersi cura di me e del mio patrimonio. Mio zio? Un perfetto incapace, in grado solo di scialaquare ogni mio bene. Che vita avrei avuto se fossi rimasto con mio zio?” domandò più a sé stesso che ad Andrè “Poi d'improvviso, il generale è apparso dal nulla pretendendo la mia custodia. Era il miglior amico di mio padre e si è preso cura di me come un figlio” “Voi avete la stessa età di Oscar non è così?” “No, sono un anno più grande. Ho trentaquattro anni Andrè ed è inutile dirvi quanto la cosa disturbi mio padre, non sono sposato né fidanzato” “Capisco” mormorò l'altro sorseggiando il suo té “Ho seguito passo dopo passo le orme del generale. Sono stato cresciuto con severità. Ho avuto i migliori istitutori, i migliori maestri d'armi presenti in Francia. Ho imparato a sparare a sei anni, a cavalcare a cinque, suonavo il violino a otto anni e il pianoforte a nove” “Avete vissuto il passato di Oscar” “La stessa vita Andrè. Uguale identica. Ecco perché passavo ogni minuto libero nascosto dietro a quella breccia nel muro. Potevo vederla e ridere di quello sguardo irriverente che le colorava il volto quando sbagliava qualcosa. O stesso che avevo io quando il generale mi sfidava” “Cosa volete da lei?” “Siete sposati?” Andrè trasalì posando la tazza “Volete ripetere?” “Era solo una curiosità. Oscar è importante per me” “Lo è molto anche per me duca” “Lo so bene credetemi” “Non voglio nel modo più assoluto vederla soffrire. So che il generale nasconde sempre un secondo fine dietro ad ogni cosa che fa, soprattutto se queste riguardano Oscar” “Vedete, non è stato molto bene negli ultimi giorni. Questo freddo lo debilita molto e la gamba fatica a guarire. Il medico ha prescritto molto riposo ed è quelo che farà nelle prossime settimane” il giovane sospirò passandosi una mano tra i capelli.
Leggeva preoccupazione sul suo volto e un profondo affetto che legava padre e figlio, conosceva bene quell'affetto, era lo stesso che legava lui ai bambini “Temo che la monotonia di quest'inverno isolato da Parigi possa in qualche modo provocare una profonda depressione che non lo aiuterebbe a guarire” “Credetemi, mi dispiace davvero per il generale ma non vedo come possa ...” “Vorrei che passasse più tempo con i bambini” ma Andrè scoppiò a ridere stringendosi leggermente nelle spalle “Siete piuttosto bravo a raccontare divertenti aneddoti” “Credo che vostra figlia sia riuscita in qualche modo a fare breccia nel cuore troppo duro di mio padre” “Renée è sempre stata brava ad incantare le persone. Fin dal suo primo respiro è stata capace di togliermi il fiato, credo sia normale che un nonno provi affetto per il proprio nipote, anche se lo considera impuro o bastardo” Maxime sorrise annuendo leggermente “Le parole a volte fanno più male delle armi” “Voi dite duca? Perché vedete, i miei figli non meritano niente del genere!” era arrabbiato, perfino così poteva sentirlo ma in fondo come poteva impedirlo? Aveva ritrovato un passato che non avrebbe mai voluto e nonostante tutto, conservava una fierezza degna di ogni altro nobile.
Leggeva in quegli occhi di mare tutto l'amore di un padre, un uomo che non avrebbe permesso a nessuno nemmeno a Dio di toccare i suoi bambini.
“Ho visto la mia compagna piangere, soffrire per colpa di un uomo che non la merita! L'ho vista lottare per anni contro quel ricordo. Sapeva che sua figlia stava bene, sapeva che era felice e innamorata” “È solo molto testardo, ancora attaccato a vecchie convinzioni” “Quando è nato Etienne lui dov'era!” esclamò gelido Andrè “Avevo scritto lettere, l'avevo supplicato di mettere da parte il rancore perché da lì a qualche giorno sarebbe diventato nonno ma sono abbastanza sicuro che abbia bruciato quelle lettere senza nemmeno aprirle!” Maxime restò immobile con lo sguardo perso negli occhi del giovane, fermo in quel mondo quasi irreale ad ascoltare uno sfogo troppo a lungo trattenuto “Ha fatto la stessa cosa quando è nata mia figlia e ora pretende di poterli vedere?” “No lui non pretende proprio niente. Sono quasi sicuro che mi sparerebbe in fronte se sapesse cosa sto facendo. Questa è una richiesta mia Andrè e so di chiedervi molto ma sono affezionato a quell'uomo e vorrei averlo accanto il più a lungo possibile” “Non è quello di cui hanno bisogno i miei figli” “No è vero, ma è quello di cui ha bisogno mia sorella” “Oscar non è vostra sorella!” esclamò picchiando con forza il pugno sul tavolo “Non siete fratelli, non siete niente duca! Non intendo lasciarla cos vicino a voi o al generale perché conosco quell'uomo e sono certo che la vedrei piangere, di nuovo e non sono pronto a farlo” “L'amate davvero così tanto?” “Volete mettermi alla prova?” Maxime sollevò leggermente le mani sorridendo “Per l'amor di Dio. Lungi da me l'idea di sfidarvi in qualsiasi cosa. Vi chiedo solo di riflettere su questo ...” si alzò dalla sedia agganciando di nuovo il mantello all'abito “ … per quanto difficile e tormentato sia stato il passato di Oscar, ora più che mai ha bisogno di passare del tempo con suo padre perché non so quanto ancora quel padre potrà avere la gioia di vedere il mondo” prese il copricapo dal tavolo sospirando “Riflettete su questo Andrè, costringetela a passare del tempo con nostro padre perché il tempo perduto non torna indietro mai, e per quanto mi riguarda ...” si fermò qualche secondo cercando lo sguardo di Andrè “ … considero Oscar mia sorella. L'ho sempre considerata come tale e continuerò a farlo, non mi toccano le vostre parole né mi spaventa il vostro amore così grande. In qualche modo mi sento legato a lei e per il suo bene vi prego di pensare a quello che vi ho detto” un lieve cenno della testa prima di congedarsi uscendo da quel piccolo mondo protetto e lasciando un uomo confuso a lottare con sé stesso.



“Sei ancora qui” “Mamma dice che se ti sto vicino forse diventi meno arrabbiato” “Dov'è tua madre?” Renée sorrise voltandosi verso la porta, Oscar era immobile sulla soglia, appoggiata allo stipite osservava silenziosa quella scena così strana senza dire una sola parola.
Il generale socchiuse gli occhi osservando il volto della figlia, quella calma apparente che nascondeva in realtà un uragano.
“Mi è piaciuta la bambolina sai? Era bella” “Ma davvero?” rispose ironico concentrandosi di nuovo sulla bambina “E tuo fratello dov'è?” “È andato con papà a comprare tre bellissimi stalloni. A maggio nasceranno tre puledrini e abbiamo quattro belle cavalle che cercano uno sposo. A te piacciono i cavalli?” “Ti ho già detto una volta che pretendo il voi” “Scusa nonno, se questo ti fa piacere userò il voi” “Così va meglio” rilassò ogni muscolo del corpo abbandonandosi contro lo schienale della poltrona.
Lo sguardo di Renée studiava continuamente il suo volto, ne seguiva i lienamenti fino alla gamba leggermente sollevata e quello sgabello d'avorio e velluto che ne sosteneva il peso “Cos'hai fatto alla gamba?” Oscar sorrise giocando con i capelli, Renée era troppo piccola per comprendere il leggero confine che esisteva tra le parole “Cos'hai fatto nonno?” il generale alzò gli occhi al cielo sospirando “È stata una ferita di guerra” “E com'è accaduto?” “Mi hanno sparato” “E fa male?” “Ci sono ferite che fanno più male” sbottò gelido piantando gli occhi sul volto della figlia ma lei non si scompose minimamente.
Restò immobile a seguire quel discorso mentre le parole del padre le scivolavano addosso “E perché non guarisce?” “Guarisce, ci mette solo un po' di tempo” “Forse è perché stai troppo tempo qui dentro. Anche se sei malato puoi sempre fare passeggiate” “Io non sono malato” puntualizzò altero “Ho solo una sciocca ferita alla gamba” “Renée” la bambina si voltò verso la madre attratta dalla sua voce “Basta così piccola, è ora di tornare a casa” “Si mamma” si alzò dallo sgabellino sistemando la giacchetta dell'abito “Posso tornare a farti visita?” “Ho per caso scelta?” un bel sorriso colorò le labbra di Renée mentre incurante del silenzio e della distanza abbracciava un uomo gelido, immobile, con la mano stretta al bastone e l'altra ancorata al bracciolo “Ti voglio bene nonno, anche se tu sei tanto arrabbiato con noi” sussurrò Renée staccandosi dolcemente da lui, gli occhioni della bambina si fusero qualche secondo a quelli gelidi dell'uomo, pochi secondi ancora prima di correre via di nuovo stringendo la mano della mamma "Amore mio, vai ad aspettare di sotto per qualche minuto?" "Posso mangiare la torta di Lisette?" "Certamente" le sfiorò il volto baciandola.
C'era freddo in quella stanza, più freddo di quanto potesse sembrare l'inverno o il gelo del ghiaccio.
Fece un bel respiro avvicinandosi di qualche passo "Come state?" "Per quale motivo sei qui?" "Non posso chiedervi come vi sentite?" ma l'altro sospirò appoggiandosi allo schienale "Intendi portare la bambina con te molte altre volte?" "Tutto il tempo necessario a farvi tornare un essere umano" ma il generale sorrise perdendosi con lo sguardo da qualche parte oltre il vetro della finestra "Non voglio nient'altro da voi padre, solo sapere che state bene e che avrò ancora un padre per molto tempo" "Non si gioca con la morte Oscar, te l'ho insegnato il giorno in cui è morto il tuo gattino" "Sapete, quando Etienne è venuto al mondo ho temuto di poterlo perdere" "Non mi importa" sbottò gelido ma Oscar sorrise sedendosi di fronte a lui "Tu e tuo fratello avete lo stesso brutto vizio, è pieno di sedie qui, che motivo avete di sedere sul tavolino?" ma la giovane non rispose, si limitò ad annuire ignorando la parola "fratello" che aveva imparato ad odiare così tanto negli ultimi giorni.
Gli occhi persi sul suo viso, il respiro calmo, regolare di chi non teme nulla "Lo ricordo come fosse ieri padre, è nato a notte fonda dopo molte ore di travaglio. Credevo di morire, non riuscivo a respirare e il mio bambino faticava a nascere" il generale scosse leggermente la testa distogliendo lo sguardo dal volto della figlia "Quando è nato, quando ho sentito il suo pianto, tutto il dolore provato fino a quel momento era sparito ma il troppo sangue perso mi ha costretto a restare inchiodata a quel letto otto giorni padre. Sono svenuta subito dopo averlo dato alla luce e in quel momento ho promesso a me stessa che mai più avrei messo al mondo un figlio ..." si fermò qualche secondo sorridendo " ... a che scopo farlo se alla fine la sua giovane vita rischiava di perdersi? Avevo fatto dei piani, preparato il futuro di mio figlio, della mia famiglia e poi, poi è arrivata Renée" "Oscar, ho bisogno di riposare!" "Lei è nata sorridendo. Ha sorriso per qualche secondo e poi è scoppiata a piangere e ha continuato fino a quando non è arrivata tra le mie braccia" un debolissimo sorriso sfiorò le labbra del generale, durò pochi secondi e poi di nuovo il gelo e l'indifferenza.
"Vi ho portato mia figlia perché credo che passare del tempo con lei possa aiutarvi a dimenticare la rabbia e la stanchezza. Credo che possa regalarvi un po' di serenità ma non ho alcuna intenzione di vederla soffrire" "Non ti ho chiesto niente del genere Oscar. Sai bene cosa penso dei tuoi figli" "Vero, ma a quanto pare qualcosa dentro di voi è cambiato" si alzò dal tavolino sospirando "Padre io vi voglio bene lo sapete, non voglio perdervi e sono pronta a fare un passo indietro per voi, a dimenticare i litigi e la rabbia ma la mia famiglia non deve soffrirne" restò qualche secondo immobile nel silenzio, aspettava qualcosa, un gesto, un sorriso, qualsiasi cosa che potesse rassicurarla ma suo padre restava immobile a fissare il paesaggio candido oltre il vetro.
Strinse più forte il mantello attorno alle spalle e senza aggiungere una parola lasciò la stanza, il generale sorrise giocherellando con il bastone "Anche tu sei nata sorridendo bambina mia".

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Timore ***


                                                Timore




“Allora, siete pronti?” “Si papà” mormorò sorridente Renée sistemando il tessuto prezioso del vestitino “Uao, lo sai che sembri proprio una principessa?” “Davvero?” annuì deciso prendendola in braccio “Sei più bella della regina Maria Antonietta, e lei era molto bella” “Più della mamma?” ci pensò qualche secondo ma un bel sorriso gli colorò le labbra “No, no nessuna può essere più bella della tua mamma” “Papà?” “Che c'è?” “Come faceva la regina a correre con questa cosa addosso?” scoppiò a ridere posando di nuovo la bambina a terra “Non correva” “No?” domandò crucciata “E allora cosa faceva?” Andrè tossichiò leggermente tendendo una mano verso di lei.
Rise dello sguardo confuso sul volto di sua figlia poi la manina si strinse alla sua, fece un leggerissimo inchino camminando assieme a lei “Spalle rilassate, schiena dritta, sguardo sempre in avanti” “Perché?” “Perché era una regina, doveva essere sempre perfetta, sempre impeccabile ...” camminavano lentamente attorno al divano fingendo che quella piccola sala piena di calore fosse in realtà una delle immense stanze di quel palazzo tanto lontano nei ricordi “ … camminava lentamente, come se lei e solo lei potesse muovere quei passi leggeri” “A me sembra sciocco” “Prova ad immaginare di camminare sulle nuvole. Devi pensare che ogni tuo movimento sia leggero come una piuma, era così che faceva lei e sorrideva sempre” “Come faceva a non inciampare?” sbuffò Renée sollevando con la manina libera la gonna del suo vestitino “Sei fortunata angelo mio, la regina indossava abiti molto più ingombranti di questo” “Papà, la mamma ha bisogno di te” mormorò Etienne avvicinandosi alla sorellina “Sei buffa” “Lo so! Non c'è bisogno di ripeterlo” “Ehi” i bambini si voltarono verso il padre sospirando “Basta litigare per questa sciocca idea” “Ma padre ...” “No, niente proteste. Smettila di prendere in giro tua sorella e tu ...” sollevò il volto di Renée ridendo di quel faccino imbronciato “ … lascia andare la gonna di quest'abito, se lo rompi mi arrabbierò davvero tanto” “Ma io ...” “No, non funziona bambina. Ora via, andate a giocare” Etienne tossicchiò tirando leggermente indietro sua sorella “Andiamo, ti aiuto a fare la principessa” rimase ad osservarli mentre camminavano attorno al divano canticchiando.
Ci mise qualche minuto a convincere le gambe, mosse un passo e poi un altro ancora allontanandosi da quella scena tanto tenera uscita fuori da un altro mondo.
“È permesso?” Oscar sorrise voltandosi appena verso la porta “I vostri piccoli paggetti stanno litigando colonnello” “Per cosa?” domandò confusa tornando a concentrarsi sullo specchio “Renée ha paura di assomigliare ad una tenda” “Per questo le ho fatto fare quel vestitino. È diverso dagli abiti ingombranti che la moda fa passare per meraviglie. Non voglio che mia figlia soffochi sotto chili di tessuto pesante” si avvicinò a lei posando le mani sui fianchi della ragazza “Mi aiuti?” alzò gli occhi al cielo posando la fronte sulla spalla di Oscar “Oh andiamo, lo sai che non ama queste cose” si voltò verso di lui sorridendo “E poi è solo per qualche ora” “Sei bellissima così amore mio” le sfiorò il volto scendendo sul collo, la camicia era completamente aperta e il tessuto nascondeva quel seno meraviglioso che ogni volta gli toglieva il respiro “Non mi piacciono le fasce, preferisco averti intorno senza” la giovane rise divertita lasciandogli tra le mani il tessuto candido che di lì a poco avrebbe nascosto la dolcezza del suo corpo.
Fece un bel respiro e voltandola dolcemente verso lo specchio posò le mani sulle sue spalle tirando leggermente indietro il tessuto leggero della camicia.
Le maniche scesero dolcemente liberando ogni centimetro del suo corpo “No soldato, non è il momento” “Pensi davvero che mi importi?” posò un bacio sul suo collo scendendo dolcemente sulla schiena, la camicia cadde al suolo mentre le labbra seguivano i movimenti di quei muscoli perfetti.
Era così dannatamente innamorato di lei da scordare tutto il resto.
Il mondo, il generale, la paura, ogni cosa spariva quando l'aveva tra le braccia.
Sarebbe rimasto così in eterno, inginocchiato dietro di lei con le mani strette attorno alla vita sottile e le labbra che lasciavano teneri baci nell'incavo della sua schiena “Sei così bella” “Andrè ...” sorrise stringendo leggermente tra i denti il bordo dei pantaloni “ … mio padre mi sta aspettando” strinse più forte i suoi fianchi tirandola leggeremente indietro “Questo è un incubo” Oscar scoppiò a ridere divertita da quell'esplosione di sincerità.
Sentiva il suo respiro sulla pelle, le braccia avvolte attorno a lei così forte da toglierle il respiro “Non ho mai avuto bisogno d'aiuto per mettere queste fasce amore mio. Sai perché lo faccio?” “Perché mi ami?” “Già” si rialzò da terra sospirando “Solleva le braccia” “Non è un'errore vero?” “Quale?” domandò confuso iniziando ad avvolgerle il tessuto attorno al corpo “Permettere a mio padre di stare così vicino ai bambini” “Credo che tuo padre si stia lasciando andare” “Davvero?” mormorò confusa cercando di voltarsi ma le mani di Andrè la tennero inchiodata al proprio posto “Alza le braccia” “E se fosse un'errore?” “Tu desideri che lo sia?” “Io desidero solo che tutto torni alla normalità” “Se lo spingi continuamente via niente tornerà alla normalità” “Mi prendi in giro?” bloccò le fasce sul fianco sinistro voltandola di nuovo verso di sé “Siete due lupi arrabbiati Oscar” “Ma che ...” “Siete pronti a sbranarvi a vicenda ma per qualche strano motivo ...” le scostò dagli occhi i capelli perdendosi qualche secondo in quell'azzurro perfetto “ … siete attratti l'uno dall'altro. Siete pronti a farvi a pezzi ma esitate perché entrambi temete di ferire l'altro e voi stessi e i nostri figli, i nostri bellissimi figli sono i lupacchiotti teneri e sorridenti che vi impediscono di dare il via alla guerra” “Non voglio che entrino in quella guerra!” “Non ci entreranno mai Oscar perché li terremo al sicuro, lontano dai piani segreti di tuo padre ma se ora interrompi questa cosa, se smetti di vederlo farei del male a te stessa e ai tuoi cuccioli” “I miei cuccioli si affezioneranno a lui” “Consenti a tuo padre quell'affetto amore mio. Lascialo in loro compagnia, deve imparare come sia amano i nipoti” ma lei sospirò raccogliendo da terra la camicia.
Sapeva bene quanto fosse restia ad incontrare suo padre, a permettere ai bambini di restare così vicino al lupo cattivo ma per il bene di tutti loro doveva farlo “I miei figli non saranno le esche indifese per quel lupo” “Se lo diventeranno ti prometto che lo azzannerò” la vide sorridere allacciando uno dopo l'altro i bottoni fino a quando la pelle stupenda scomparve completamente “Non serve” “Di che stai ...” “Se sfiora i miei cuccioli lo uccido prima io” rimase immobile, divertito e spaventato da quello sguardo che da molto tempo non vedeva “Porto i bambini da mio padre e Andrè ...” si fermò a pochi passi da lui sospirando “ … se mi paragoni un'altra volta ad un lupo rabbioso ti faccio del male” gli diede un bacio ed uscì dalla stanza accompagnata dalle risate divertite del ragazzo.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Datemi una Ragione ***


                                 Datemi una Ragione







La locanda semplice che fino ad ora aveva imparato a conoscere era sparita, c'erano servitori che andavano avanti e indietro senza sosta, portavano libri, teli puliti, sistemavano cose e perfino persone, davano a tutto un tocco di altezzosa eleganza che conosceva bene e che fino ad ora aveva tentato di eliminare dai ricordi.
“Mammina, dov'è sparita la locanda?” mormorò confusa Renée stringendo con la manina il corrimano delle scale “Perché non è come prima?” “Forse tuo nonno si è lasciato sfuggire di mano la situazione” Etienne sorrise seguendo la madre su per le scale.
I corridoi erano improvvisamente più luminosi, c'erano candele ovunque e quadri apparsi dal nulla “Contessa, che piacere rivedervi” “Lisette?” “Si signore” esclamò estasiata la donna portandosi le mani alle labbra.
Gli occhi verdi della serva erano gli stessi che le avevano sorriso quando da ragazza si arrabbiava e litigava con suo padre.
Lisette aveva dieci anni in più di lei, il generale l'aveva presa a servizio per accontentare le rischieste della moglie.
Oscar viveva come un uomo dimenticando spesso di avere dentro una dolcezza e una fragilità nata donna.
Lisette era lì per ascoltarla, per prendersi cura di quegli sfoghi, per prendersi cura di quella giovane donna nascosta dietro ad un muro di ghiaccio “Oddio contessa siete diventata ancora più bella” “Ti ringrazio ma non devi ...” “Vostro padre vi aspetta” indicò la sala accanto a loro spostandosi di lato per farla passare.
Qualche secondo ancora di silenzio poi i colpi sulla porta e la voce profonda del padre “Non ti aspettavo oggi” “No? Beh, le sorprese sono cose belle padre” Renée corse verso il nonno aggrappandosi con forza alle sue braccia “Come stai oggi?” “Ti ho già detto tante volte che non sono incline ad amare queste esplosioni di affetto” “Nemmeno oggi? È una bella giornata” un debolissimo sorriso sfiorò le labbra del generale mentre la bambina scivolava giù dalle sue gambe “Giovanotto” “È un piacere rivedervi signore” mormorò Etienne sedendo assieme alla madre di fronte a lui “Sai che c'è la neve?” “E cos'è cambiato rispetto a due giorni fa?” “Che questa volta è più soffice ancora” “L'hai vestita da donna” Oscar sorrise appena prendendo dalle mani della serva la tazza di tè “Perché?” “Perché quest'abito è stato un regalo” “E non lo trovi sciocco?” “Quello che penso io non importa. Mia figlia può indossare tutto quello che vuole” “Non ti piace?” domandò crucciata la bambina osservando il volto severo del nonno “Lo so che è buffo” “Non è buffo, sei molto carina signorina” “Davvero?” annuì leggermente cercando di nascondere la tenerezza di quell'espressione nata dal nulla.
Era un soldato, un generale, non poteva certo permettersi emozioni del genere, cos'avrebbero pensato i suoi sottoposti? Tuttavia, per quanto si ostinasse a nascondere quella nuova dimensione dela sua vita, Oscar di fronte a lui sorrideva divertita imrpimendosi a fuoco nella memoria quegli attimi insoliti.
Suo padre seduto sulla poltrona accanto al fuoco, il bastone stretto nella mano sinistra mentre osservava Renée sdraiata sul tappeto di fronte a lui.
A lei non importavano le sciocchezze sul rango o sulla nobiltà, era solo una bambina, piccola e felice, una bambina sdraiata a pancia in giù davanti a suo nonno.
Le gambine dolcemente incrociate mentre disegnava con i piedi cerchi invisibili, il volto posato sulle mani intrecciate e due occhi grandi e limpidi pieni di domande.
Cosa mancava a quella scena tanto bella? Cosa poteva renderla più perfetta di così? Forse, se suo padre avesse smesso di comportarsi da sciocco la loro vita sarebbe diversa.
Le mancava, le mancava da morire e se solo avesse voluto, la famiglia piena d'amore e di dolcezza che le aveva restituito una vita sarebbe stata anche la sua. Lo avrebbe accolto in casa loro permettendo ai suoi figli di conoscere quell'uomo forte e fiero che era orgogliosa di chiamare padre e che mai, mai nonostante il tempo passato, era uscito dai suoi pensieri.
Conosceva bene quello sguardo, l'orgoglio nascosto dietro al sorriso falso che gli colorava le labbra, conosceva il dolore che poteva regalare quel sorriso ed era da quello che cercava di proteggere i bambini ma Renée sembrava non dare importanza a quello sforzo.
Lei non vedeva la differenza tra passato e presente, tra ricordo e realtà perché non capiva come mai, quell'uomo che ora chiamava nonno, fosse tanto arrabbiato con lei e con suo fratello.
Perché tentava in tutti i modi di respingerli oltre il confine sicuro fatto di gelo che lo circondava.
Non le importavano i grandi discorsi né dava importanza alla preoccupazione della sua mamma.
Restava lì davanti a lui, a guardarlo, a sorridergli come se fosse possibile sciogliere un cuore che per anni si era cullato nel gelo “Come state padre? Come vi sentite?” “Non mi posso lamentare, il medico mi impedisce perfino di passeggiare” “Forse dovreste ascoltarlo, è per il vostro bene” “Il mio bene? Il mio bene è uscire da questa topaia e tornare alla mia vita” “Così ...” sussurrò Oscar sollevando dal vassoio una tazza di tè “ … passare del tempo con me e con i miei figli è una cosa futile?” “Pensavo di tornare a Parigi non appena l'inverno se ne va. Potresti venire con me” “Padre” “Non fare quella faccia, non ti ho chiesto di indossare di nuovo la divisa e partire per la guerra” “Non posso lo sapete bene” ma il generale sorrise tornando a fissare la bambina “Ti piacerebbe vedere Parigi?” “Davvero?” domandò estasiata Renée “Davvero nonno? Posso vedere Parigi?” “Hai visto?” sussurrò ironico tornando a cercare gli occhi della figlia “A lei non dispiace” “Perdonatemi signore” “Che c'è?” sbottò irritato, il giovane servo abbassò lo sguardo avvicinandosi di un passo appena “Sono arrivati i corrieri da Parigi” “Molto bene, porta i bambini di sotto e ...” “Padre ma che ...” “Non posso fare un regalo ai tuoi figli?” Etienne osservò confuso la madre “Madre?” “Non preoccuparti, non ho alcuna intenzione di avvelenarli né di rapirli” “Credete davvero che possa pensare una cosa del genere?” “Mi stupirebbe il contrario” mormorò divertito “Fai attenzione ai bambini. Ti ritengo responsabile” “Si signore” balbettò tremante il servo porgendo la mano ad Etienne “Possiamo andare mamma?” “Fate i bravi?” Renée annuì decisa rialzandosi da terra “D'accordo allora” li vide sorridere, guardarsi l'un l'altro per qualche secondo incuriositi da quella visita inaspettata e prendendo per mano il giovane, scomparvero dietro alla porta lasciandoli soli a guardarsi negli occhi.
“Credete davvero che possa pensarlo?” “Ironia, si usa quando ...” “So cos'è l'ironia” “Una volta eri molto più brava a decifrare i miei discorsi” sorrise appena tornando a concentrarsi sulla tazza che stringeva tra le mani, sentiva lo sugardo di suo padre sul volto, bruciante, pieno di domande e di severità “Non scherzavo prima, potresti venire a Parigi con me per qualche settimana” “Conoscete il motivo del mio rifiuto, perché continuate a chiederlo?” “Perché non è prudente restare da sola con due bambini” “Non sono sola” “Oh per favore” esclamò ridendo “Quando André partirà per il sud cosa farai?” lo guardò confusa cercando di capire da dove uscisse quella domanda “Voi come ...” “Sei mia figlia, mi preoccupo per te” “Volete qualcosa da me padre” puntualizzò idispettita “Credevi davvero che non fossi a conoscenza degli affari di Andrè? Ci sarà una meravigliosa partita di stalloni provenienti dall'Italia, arriveranno in Provenza alla fine di questo mese e vi resteranno fino a quando Andrè non avrà chiuso gli accordi con il duca Moilél. Tre settimane solo per raggiungere la Provenza. È un viaggio lungo” “E non è affare vostro” “Dici?” sospirò cercando di ignorare quello sguardo carico di sfida “Non è la prima volta che Andrè ci lascia per qualche giorno. Sono più che in grado di occuparmi dei nostri figli da sola” “Su questo non ho alcun dubbio” esclamò orgoglioso “Ti ho allevato io, conosco bene il tuo valore, non ho paura di lasciarti sola in questo posto sperduto” “E allora?” lo vide sospirare, massaggiarsi il collo con la mano libera, lo stesso gesto che faceva quando troppo stanco per litigare delegava al silenzio ogni sforzo.
Posò la tazza sul tavolino sposanto leggermente il vassoio di lato “Non volete dirmi per quale motivo mi volete a Parigi?” domandò incuriosita sedendo al posto del vassoio “E tu perché continui ad ignorare il galateo? Inizio a pensare che tu e quel ragazzo siate devvero fratelli” sbottò ironico ma lei sorrise “Non avete paura di lasciarmi qui sola” “Esatto” “Allora per quale motivo dovrei venire con voi?” aspettava quelle cinque parole come un assetato aspetta di bere acqua cristallina: perché ho bisogno di te.
Erano così semplici da pronunciare, cinque stupide parole che leggeva nel suo sguardo e che nonostante tutto, restavano ben inchiodate dietro alla razionalità.
Si passò una mano tra i capelli giocandovi “Se mi volete a Parigi padre dovete darmi una ragione per lasciare casa mia e seguirvi” “A che scopo? Sappiamo bene che non ...” “Andrè non ha fatto altro che spingermi verso di voi padre. Lo fa ancora e ancora, crede che voi siate cambiato, crede di aver visto nei vostri occhi una luce diversa” “Ha sbagliato” ma le labbra di sua figlia si schiusero nel sorriso più bello che avesse mai visto “Forse ha ragione” “La vita quaggiù ti ha indebolita Oscar, non sei più mia figlia” “Sono sempre la stessa ma ho imparato a fare un passo indietro padre, e ad accettare sfumature di vita che prima non vedevo. Ho imparato ad essere me stessa, non che prima non lo fossi certo, ma ho capito con il tempo ad accettare compromessi. Ora, voi per me siete un compromesso padre” ma lo sguardo confuso sul volto dell'uomo la costrinse a continuare senza permettere alle risate di invadere il silenzio “Siete il passato che entra nel mio presente. Devo trovare un punto d'incontro, devo proteggere i miei figli. Penserò a Parigi, ve lo prometto, penserò seriamente a questa cosa ma voi dovete darmi una ragione per venire con voi” pochi secondi di silenzio tra loro, pochi secondi dove le parole perdevano il loro significato perché degli occhi era il compito di discorrere.
In quello sguardo fuso assieme, in quell'azzurro meraviglioso che ora più che mai apparteneva ad entrambi vi erano tutte le frasi non dette di quegli ultimi anni ma la vocina allegra di Renée blocco sul nascere qualsiasi tentativo da parte del generale.
Distolse lo sguardo dal volto della figlia seguendo con gli occhi la corsa della bambina “Mammina! Guarda mamma!” sollevò le manine stringendo una meravigliosa bambola dai capelli scuri come la notte e il vestito rosso fuoco “È molto bella amore mio” sussurrò sfiorando il volto del giocattolo “Come la chiamerai?” “Luise” esclamò la bambina “Non credi sia il caso di ringraziare il generale per questo dono?” la piccola sorrise lasciando la bambola tra le mani della madre “Grazie nonno” esclamò arrampicandosi sulle sue gambe “È di tuo gradimento?” ma quell'abbraccio improvviso bloccò qualsiasi altra domanda, Oscar sorrise divertita dall'espressione del padre, fuori posto, quasi come se quel contatto innocente fosse una pericolosissima malattia.
Etienne affianco alla madre chinò leggermente il capo verso di lui reggendo tra le mani una fodera finemente intarsiata che nascondeva al suo interno una spada di grandissimo valore e un libro, un bel libro dalla copertina dorata con lettere nere d'inchiostro “Credi sia un regalo adatto a te giovanotto?” “Si signore, e vi ringrazio immensamente per questi doni” “Non devi ringraziare per questo conte. Quella spada è la stessa che tua madre usava da bambina” “È vero Etienne, è la mia spada” mormorò divertita giocando con i capelli del figlio “È una spada d'allentamento con la punta stondata, tua madre dice che sei piuttosto bravo nella scherma, questa ti aiuterà a migliorare le figure e il libro ...” si fermò qualche secondo sistemando meglio la bambina sulla gamba sinistra “ … è un manuale di tattiche militari. Era il preferito di tua madre e credo piacerà anche a te” Etienne sorrise stringendo più forte quei doni tanto preziosi “La mia bambola viene da un posto lontano nonno?” “Cosa te lo fa pensare?” domandò confuso osservando il volto della bambina “Può venire da un mondo lontano?” “Hai un motivo particolare per volere una cosa del genere?” “Viene da un mondo lontano amore mio” rispose divertita Oscar alzandosi “Un mondo pieno di neve, ecco perché il suo abito è così rosso, perché ricorda il calore del fuoco e quando questa bella dama cammina nei boschi, tutti gli animali si sentono al sicuro ricordando il dolcissimo tepore che liberano i fuochi delle loro casette” tese una mano verso di lei aiutandola a scendere dalle gambe del nonno “Dobbiamo andare ora, vostro padre sarà a casa tra poco” “Vieni con noi nonno?” Oscar sollevò lo sguardo cercando gli occhi del padre “No, no ho cose importanti da fare” “Siete sicuro padre?” “Ho mai rimandato gli affari per passare del tempo a chiacchierare?” scosse leggermente la testa chiudendo il mantello appena sotto al mento della bambina “Etienne?” “Sono pronto madre” “Andiamo?” il bambino annuì appena sollevando il cappuccio della sorellina “Ci vediamo presto nonno?” ma da quelle labbra serrate non arrivò nessuna risposta, solo un leggerissimo cenno del capo e nulla di più.     

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Niente di tutto questo è colpa Tua ***



    Niente di tutto questo è colpa Tua







“Perché mio padre sapeva del tuo viaggio prima di me?” “Sei arrabbiata?” scosse leggeremente il capo continuando a piegare i vestiti dei figli “Sto solo … cerco di capire” Andrè sorrise sfiorandole il volto con le dita “Te l'ho detto che sta cambiando” “Mi sta controllando” “Davvero?” annuì distratta sistemando la camicia di Etienne “È incapace di ammettere che ha bisogno di me, che gli manco e così ...” fece un bel respiro continuando a piegare i vestiti dei bambini “ … elabora strane e complicate strategie per aiutare sé stesso, per convincersi che è giusto così, che non ha bisogno di ammettere queste cose perché lui è un soldato, non ha bisogno di sembrare debole!” “D'accordo, Oscar ...” “Arriverà a negoziare con me. Sono più che certa che lo farà, me l'ha insegnato lui: quando arrivi a negoziare figlio mio puoi anche festeggiare la vittoria perché una delle due parti, lascerà il tavolo da perdente” “Si ma ...” sorrise continuando quel discorso folle con sé stessa cancellando di colpo la presenza di Andrè.
Accadeva di rado, a volte nemmeno se ne accorgeva ma quando troppi pensieri le affollavano la mente, d'improvviso le parole uscivano incontrollate dalle labbra accelarndo di colpo i battiti del cuore e lui, povero semplice umano, non poteva fare nient'altro se non tentare di riportarla sulla terra “Negozierà con me i soggiorni a Parigi, le visite dei bambini, farà di tutto per avermi accanto e proverà a controllare la mia vita anche così e mi dispiace, credimi mi dispiace davvero perché sarei felicissima di averlo nella mia vita e ...” “Ti fermi un secondo?” sussurrò divertito stringendola per i polsi, gli occhi si unirono ai suoi, a quello sguardo carico di domande, a quel volto tanto bello e quelle labbra di rosa che venivano torturate da mille pensieri “Fai un bel respiro e ...” “Non funziona” “Nemmeno ci hai provato” la strinse per le spalle tirandola leggermente in avanti “Ti ho detto milioni di volte che devi respirare, quando qualcosa ti tortura raddoppi improvvisamente la velocità di pensiero amore mio e io divento matto” “Sono così stanca” “Lo so” la strinse tra le braccia sorridendo “Ma tutto si aggiusterà vedrai. Ogni pezzo andrà al proprio posto e la nostra vita tornerà quella di sempre” sentì il corpo delicato della ragazza abbandonarsi a quell'abbraccio caldo, le sue braccia strette attorno ai fianchi, il respiro sul collo “So di cos'hai paura Oscar, è la stessa paura che mi tiene sveglio la notte ma ...” la staccò dolcemente da sé sollevandole il volto “ … contro ogni aspettativa tuo padre sta imparando ad amare i nostri figli. Insomma, non avrei mai immaginato che permettesse a Renée di sedere sulle sue ginocchia ma lei non fa altro che parlare di questo, di quanto sia bello il suo nonno e forte” “Già” “Ed Etienne? Passa ore e ore a giocare con la sua spada immaginando guerre e scontri. È intimorito da lui ma attratto da un nonno che non ha mai conosciuto” “Mi stai consigliando di andare con lui?” “Ehi” esclamò indispettito “Non darmi colpe future che non merito” “Non l'ho fatto” “Fai sempre così Oscar e alla fine, quando litighiamo ti chiedo scusa per cose che nemmeno ricordo di aver detto o fatto” “Partirai presto?” “Tra qualche giorno” la giovane sospirò tornando a concentrarsi sui vestiti di fronte a sé “Posso rimandare se questo ti ...” “No, no il tuo lavoro è importante” “Anche tu sei importante per me” sorrise lasciandosi cullare da quella carezza leggera sulla schiena “Stanno dormendo?” ma il rumore di cocci rotti ruppe il silenzio costringendo Andrè a sospirare “Vado io e giuro che li lego a quel letto” le diede un bacio lasciandola sola a sorridere nel silenzio.
Forse Andrè aveva ragione, forse non era tutto sbagliato, forse suo padre stava davvero imparando ad amare e forse, non ne era nemmeno tanto dispiaciuta.
Ma quelle parole, quei pensieri troppo veloci usciti dalle labbra tornavano a torturare il presente: negoziato, strategie, vittorie.
Quelle erano parole di guerra, parole che si usavano per distruggere e vincere e non per amare.
Chiuse gli occhi sospirando, le risate dei bambini riempirono la stanza, i muscoli si rilassarono e un bellissimo sorriso si prese le labbra cancellando di colpo le preoccupazioni.



“Sai cosa penso nonno?” “Cosa?” “Penso che tu sia come un biscotto” “Sono lusingato” ribattè divertito sistemandola meglio sulle ginocchia.
In qualche modo quella bambina le ricordava Oscar, la sua Oscar sempre sorridente, sempre piena di vita e di gioia, la stessa gioia che lui aveva smorzato giorno dopo giorno.
Stringeva con le mani il libro incurante del tempo che passava o degli sguardi inteneriti della servitù, sentiva le manine di Renée sulle proprie, girava le pagine di tanto in tanto osservando le figure, ridendo di quei disegni tanto buffi “Perché sarei come quel biscotto?” “Quando i biscotti escono dal forno devono riposare e raffeddare. Diventano duri e profumati ma quando li mordi, il cioccolato esce dal loro cuoricino e sono buonissimi” “Così ...” iniziò il generale girando un'altra pagina “ … io avrei il cioccolato dentro?” Renée rise divertita voltandosi appena verso di lui “No nonno, tu sei forte e profumi di buono proprio come quei biscotti ma da qualche parte dentro di te hai un cuoricino caldo caldo” “Ma davvero?” annuì decisa tornando a fingere una lettura che in fondo nemmeno le interessava “E tu come lo sai bambina?” “Perché lo so” “Oh si, questo elimina ogni dubbio” il libro si chiuse di colpo e Renée scivolò giù dalle sue gambe.
Era una piccola donnina, con la camicetta ben allacciata e i pantaloni scuri identici a quelli del fratello, i capelli raccolti in una bellissima treccia e quel sorriso sempre presente che scioglieva i cuori.
“Andiamo a passeggiare nonno?” “Non posso, il mio medico ancora non lo permette” “Mamma dice che non bisogna dare troppa importanza a quello che dice il dottore, a volte si guarisce pensando a cose belle” “E da quando tua madre è diventata medico?” ma la piccola non rispose, si strinse leggermente nelle spalle inclinando la testolina di lato “Perché sei arrabbiato con la mamma?” “Non sono arrabbiato con lei” “Si che lo sei” “Questi non sono discorsi per una bambina” “Perché sei arrabbiato con la mamma?” socchiuse gli occhi studiando qualche secondo il volto di Renée, fece un bel respiro e iniziò a parlarle “Ero arrabbiato con tua madre è vero. Ha distrutto tutto quello che avevo creato per lei, il suo futuro, la sua carriera, tutto” “Perché?” “Per amore” lo sguardo di Renée divenne improvvisamente più profondo.
Era incantata da quelle parole, dal racconto di un uomo che diventava giorno dopo giorno più importante.
“Amore, che parola sciocca. Cinque lettere che possono bastare a scatenare la guerra. Tua madre ha fatto questo Renée, ha scatenato la guerra” “Con te?” “Con me, con il mio mondo, con tutto ciò che avevo sognato per lei. I genitori sbagliano sai? A volte costringono i propri figli a seguire la strada tracciata anni prima e non si accorgono che quella strada non è adatta per loro” “Nonno?” sollevò lo sguardo attratto da quella vocina triste che non aveva mai immaginato potesse appartenerle.
La vide esitare, mordersi appena le labbra indecisa sul proseguire o meno “Nonno, sono anche io impura?” “Impura?” Renée non rispose ma l'altro sospirò “Vieni un po' qui signorina” la manina si strinse attorno alla sua, qualche passo appena per avvicinarsi ad un uomo di gelo improvvisamente più tenero “Quello che è accaduto in passato è accaduto tra me e la mia stupida incapacità di accettare tua madre come tale. Ho provato a cambiarla, ho spento giorno dopo giorno la sua gioia per poter avere un figlio perfetto e l'ho ottenuto. È entrata in accademia, è diventata colonnello delle guardie reali. Le ho regalato una vita piena di lusso e un'educazione che pochi possono permettersi ma nonostante tutto, è fuggita via da me” sorrise al faccino triste della bambina “Tu non sei impura, non lo sei mai stata signorina. Io e tua madre abbiamo litigato e litigheremo ancora e ancora” “Perché?” “Perché questo è l'unico modo che abbiamo per parlare, l'unico modo che abbiamo per liberare il cuore da tutto il peso del passato. È una cosa sciocca vero?” la piccola annuì appena seguendo le parole dell'uomo “Già, eppure è la realtà. Vedi, le persone amano e odiano, lo fanno continuamente. Io voglio bene alla tua mamma, le voglio più bene che a qualsiasi altro essere umano in questo mondo” “E allora perché ci hai chiamati …” posò un dito sulle labbra della bambina bloccando quella parola che ora sembrava terribilmente brutta.
“Non sono pronto a questa cosa signorina. Mia figlia non doveva sposare un uomo comune, non doveva sposare tuo padre. È perfetta e forte, è fatta per la grandezza e appartiene alla classe più alta della nobiltà. Non credo sarò mai pronto a tutto questo” “Non sono quella brutta parola?” sorrise appena posando una mano su quella testolina piena di riccioli d'oro “Ti ameranno e ti odieranno signorina ma niente di tutto questo avrà a che fare con te” “Posso chiamarti lo stesso nonno?” “Ho provato ad impedirtelo, ci sono riuscito?” un bel sorriso tornò a colorare le labbra della bambina restituendo a quel volto giovane e fresco la dolcezza di sempre.
La porta si aprì leggermente costringendo entrambi ad abbandonare quel discorso “Renée?” “Mamma!” “Ehi” si avvicinò alla bambina sfiorandole il volto “Ti sei divertita?” annuì decisa voltandosi qualche secondo verso il generale, lo vide sorridere appena facendole l'occhiolino “Ho letto un libro” “Davvero?” domandò confusa cercando lo sguardo del padre “Che c'è?” “Avete letto un libro” “E?” “Un libro?” “Si Oscar, un'insieme di pagine rilegate” “So cos'è un libro” “E allora cosa c'è di così strano?” “La vostra improvvisa benevolenza nei confronti delle ore di riposo” “Non ho mai amato il riposo, tempo perso” “Riuscite ad immaginare la mia sorpresa nell'apprendere che voi, il generale freddo e altero di sempre, avete passato due ore a leggere un libro con mia figlia?” “Sei qui per mancare di rispetto a tuo padre?” domandò irritato picchiando leggermente il bastone per terra, Oscar sorrise tornando a concentrarsi sulla figlia “No, sono qui per prendere il mio piccolo tesoro, andiamo, papà sta per partire” “Deve proprio andare?” si inginocchiò davanti a lei sistemandole quella ciocca ribelle dietro all'orecchio “Se non fa questo viaggio come può regalarti tutte le cose belle della tua vita?” “Hai ragione” l'avvolse nel mantello prendendola in braccio “Avete bisogno di qualcosa padre?” “Verrai a Parigi con me?” “Qualcosa di reale” puntualizzò ironica prendendo il libro di Renée dalla poltrona “Quante volte ti ho detto di non giocare così con tuo padre?” “Troppe” “Sparisci, fuori di qui. Se resti un minuto di più qui dentro sono più che sicuro che ti strangolo con le mie mani” “Vi voglio bene anche io. Saluta il generale amore mio” “Ciao nonno” mormorò Renée nascosta nel mantello “Arrivederci signorina” le fece l'occhiolino, la vide sorridere poi quel bacio mandato nel silenzio e lo sguardo divertito di Oscar che nascondeva quella tenera vittoria che lui tanto odiava.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Musica dagli Angeli ***


                                      Musica dagli Angeli






Non le piaceva mai restare lontana da lui, ogni volta che accadeva sentiva il cuore perdere un po' di quella luce che ormai era diventata la sua unica ragione di vita.
Strinse più forte Renée tra le braccia nascondendola dal freddo mentre con lo sguardo seguiva i suoi passi, quel sorriso tanto bello che riservava a lei soltanto.
Era a pochi passi da lei con la mano stretta attorno a quella del figlio, conosceva a memoria il suono dolce delle sue parole, erano le stesse che da sette anni ripeteva ad Etienne ogni volta che li lasciava “Sei l'uomo di casa ora, devi prenderti cura della mamma e soprattutto di Renée, puoi farlo per me piccolo?” il bambino sorrise annuendo deciso “Niente sciocchi litigi con tua sorella per scoprire chi vince in una gara di arrampicata sugli alberi, niente corse per i pendii con questa neve” “Io ci provo papà, è Renée che ogni volta ...” “Lo so, ma vorrei trovare la mamma così come l'ho lasciata e non più folle di prima d'accordo?” “Si papà” “Comportati bene con il generale. È un po' burbero ma vedrai che saprà essere un nonno meraviglioso” “Non vuole essere il nostro nonno” “Lo è già Etienne, deve solo capirlo ma vedrai che tutto andrà per il verso giusto” scompigliò i capelli del figlio ridendo di quell'espressione crucciata sul suo volto “Ti voglio bene amore mio” Etienne si aggrappò alle braccia del padre lasciandosi sollevare da terra.
Il cielo era chiaro e sereno ma l'aria fresca profumava di neve e se non fosse partito subito, si sarebbe trovato in mezzo alla bufera.
Fece un bel respiro avvicinandosi a lei, a quel volto tanto bello leggermente arrossato dal freddo “Andrai a Parigi con tuo padre?” “Andrè io ...” “Ti prego, sarò più tranquillo sapendoti al sicuro” “Sono al sicuro anche qui” le sfiorò le labbra con un dito seguendone i lineamenti “Hai ragione, è vero amore mio ma, non ti ho mai lasciata sola così tanto e non … voglio solo che voi siate al sicuro” “Da quando hai così paura?” osservò per qualche secondo la figlioletta poi di nuovo gli occhi di cielo della giovane e quel sorriso tanto bello che già gli mancava da morire “Promettimi solo che ci penserai” “Te lo prometto” “Ti scriverò Oscar, ogni giorno, ogni ora, sarai sempre nei miei pensieri amore mio” un bacio leggero che sapeva di tenerezza “Sii prudente ti prego, il viaggio è lungo e con questo freddo non sono sicura che sia ...” “Non preoccuparti, Moris sta preparando i cavalli al meglio. Arriveremo sani e salvi, tutti, cavalli inclusi” un debolissimo sorriso le sfiorò il volto ma c'era qualcosa di diverso dietro a quelle labbra, qualcosa che sapeva di tristezza e silenzio, qualcosa che mai avrebbe voluto vedere e che invece ora era lì, davanti a lui a sfidarlo, a deriderlo.
Riusciva a sentire quella tristezza urlare “Coraggio, mostrami quanto sei in grado di ferirla” ma non le avrebbe permesso di parlare ancora, non avrebbe permesso a nessuno di farle del male.
Fece un bel respiro giocherellando con quei capelli d'oro “Renée mi ha raccontato del biscotto dal cuore caldo, non è così amore mio?” la bambina annuì appena “Mi ha detto che il nonno inizia ad assomigliare ad un vero nonno” “Credimi, la cosa fa più paura che mai” “E perché?” domandò divertito prendendo la figlia tra le braccia “Mio padre non è mai stato un nonno. Nemmeno con i figli delle mie sorelle è mai ...” “Oh ma questa volta è diverso” “Perché?” “Vedi Renée, la tua bellissima mamma è la figlia prediletta del generale” “Ed è una bella cosa?” “Dipende” Oscar sorrise posando le mani sulle spalle di Etienne “D'accordo basta così, questi non sono discorsi da fare ora” “Hai sentito la mamma?” diede un bacio alla bambina facendole il solletico, la risata fresca della figlia entrò nel cuore aggrappandosi a quei battiti veloci come il profumo di Oscar o i baci di Etienne.
Un giovane incappucciato e sorridente si avvicinò a loro stringendo le redini dei cavalli “Siamo pronti Andrè” “D'accordo” lasciò Renée tra le braccia di Oscar sistemandosi il mantello “Mi mancherete da morire” la strinse tra le braccia perdendosi in quel calore tanto bello.
Sentiva le braccia di Etienne strette attorno alla vita, la sua testolina sul ventre poi il volto di Renée sulla spalla e le lacriem trattenute che ai suoi occhi l'avrebbero resa una bellissima bambina indifesa.
Moris sorrise intenerito da quell'immagine tanto bella, due bambini nascosti dall'abbraccio dei genitori, nascosti al sicuro nel loro amore dove tutto sapeva di buono e la paura non esisteva.




“Come state padre?” “Non ti aspettavo così presto” esclamò il generale chiudendo di colpo il libro, Maxime sorrise abbracciando il padre “Il dottore mi ha detto che state meglio, che la vicinanza di quei bambini giova alla vostra salute” “Forse hai ragione” rispose togliendo dalle spalle del giovane la neve soffice “Portate due tazze di thé caldo e ravvivate il fuoco. Mio figlio ha bisogno di riposare” “Si signore” mormorò la serva inchinandosi leggermente “Allora, com'è andato il tuo viaggio?” “Burrascoso, abbiamo incontrato la bufera di neve a pochi giorni da qui” “Hai svolto tutti i compiti che ti avevo assegnato?” “Si signore, a casa aspettano solo il vostro rientro” “Non appena finirà questa sciocca nevicata partiremo” “Ne siete sicuro?” annuì deciso soffermandosi qualche secondo sul volto del giovane “Oh, vi ho portato una cosa” sfilò dalla tasca dell'abito una scatola finemente intarsiata.
Il generale sorrise prendendo tra le mani quel tesoro prezioso. Conosceva bene il valore di quell'oggetto, era forse l'unico regalo per una figlia che rifiutava il suo essere donna.
Ne seguì con le dita i bordi dorati sorridendo di quel ricordo lontano che appariva vivido davanti agli occhi “Quando le ho regalato questa cosa mi ha guardato con aria stranita, come se in realtà le stessi regalando una pericolosissima malattia o una punzione” Maxime sorrise sedendo sul tavolino di fronte a lui “Non riusciva a capire per quale motivo dovesse giocare con quelcosa del genere. Era convinta di avermi fatto arrabbiare in qualche modo e non si rendeva conto che questo dono ...” si portò una mano al collo muovendo leggermente il tessuto pesante dell'abito fino a quando le dita non incontrarono il segreto prezioso custodito vicino al cuore da una vita intera. Una catenina d'oro che aveva il compito di imprigionare una chiave minuta e finemente lavorata “ … era in realtà il tentativo di un padre troppo egoista, un tentativo solo per riportarla ad amare la sua vera natura” infilò la chiave in un piccolo foro sul lato destro della scatolina e dopo averla girata più e più volte, sollevò il coperchio.
Le note delicate si sparsero nell'aria e un bellissimo sorriso si prese le sue labbra “Non conosco questa composizione padre” “Nemmeno io” lo sguardo incuriosito di Maxime lo fece sorridere di nuovo “Era una bella mattina di primavera. Stava passeggiando per il parco della tenuta giocando di tanto in tanto con un bastone. Camminava a pochi passi da me e l'ho sentita canticchiare più e più volte questa musica nata chissà dove” la serva si avvicinò a loro reggendo il vassoio, Maxime si alzò dal tavolino permettendole di posare le tazze preziose tra loro “Non era la prima volta che la sentivo sussurrare quelle note. Era come se da qualche parte dentro di lei nascesse musica pura e angelica, la mia bambina era un angelo. Ho fatto incidere queste note da un maestro di musica e le ho chiuse al sicuro in una scatolina d'oro e di legno pregiato” “Questo è davvero un bel dono padre” “Eppure al mio angelo non interessava più di tanto. Era molto piccola e vedeva nel suo futuro solo spade e carriere scintillanti. Non le interessavano i giochi né i doni classificati come regali per giovani damine. Ho trasformato quell'angelo in un soldato” l'altro sospirò sorseggiando il thé caldo “Non c'è un solo minuto del giorno in cui non maledico me stesso per quella scelta tanto egoista e sciocca e allo stesso tempo, sono grato al cielo per aver regalato a mia figlia una vita come la mia. L'ho resa forte abbastanza per sopravvivere al male di questi tempi” “Credetemi, vostra figlia sopporta bene le intemperie del mondo” “Lo so bene” ribatté orgoglioso tornando a fissare il volto del giovane “Dai disposizioni ragazzo, quando questo inverno pazzo ci concederà una tregua partiremo” “Come volete padre” tornò a concentrarsi sul carillon che stringeva tra le mani e su quella musica tanto bella che profumava di ricordi.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** A metà Strada ***


                                  A metà Strada






“Non è vero, questa è una effe” “Ma cosa dici Renée? A me sembra un uccellino con le ali aperte” “Solo perché tu sai scrivere da più tempo” Oscar sorrise posando i piatti nel mobiletto accanto al tavolo.
Il fuoco era acceso e scoppiettava allegro e i bambini sdraiati sul tappeto davanti al camino giocavano, ridevano, scrivevano racconti improbabili che forse nemmeno dovevano avere un senso logico “A te sembra una effe Starlette?” il cagnolino abbaiò saltando sulla schiena di Etienne “Vedi? Nemmeno Starlette ci vede una effe” ma Renée rise divertita giocando con il cucciolo.
Amava da morire quegli attimi di pace rubati alla vita, quando restava sola con i propri figli, quando imparava a scoprirli, quando si ritrovava ad amare alla follia una carezza o un biscotto mezzo rotto sparso sul tappeto.
Prese un libro dagli scaffali sedendo sul divano accanto a loro “Cosa leggiamo mamma?” sorrise sfilando dalla custodia il violino, il libro aperto sulle gambe e Renée a pochi passi da lei con gli occhi pieni di meraviglia “Mi accompagni Etienne?” “Certo mamma” esclamò il bambino raggiungendo divertito il pianoforte “Cantiamo la canzone della neve amore mio?” la bambina annuì decisa sedendosi con il cucciolo tra le gambine “Ricordi le parole?” “Certo mammina” sistemò il violino rilasssando le spalle, Etienne posizionava le dita sulla tastiera provando i tasti, cercando di ottenere la tonalità esatta poi un bel sorriso sulle labbra e le note allegre e deliziose di due strumenti meravigliosi.
Renée canticchiava giocherellando con il cucciolo e la voce di Etienne la costringeva a tenere il ritmo.
Poteva desiderare qualcosa di meglio? Aveva due figli meravigliosi, due bambini in grado di cancellare la tristezza o l'assenza di Andrè e una vita tanto bella da sembrare quasi una favola.
Posò l'asta leggera del violino pizzicando le corda con le dita, Etienne ridacchiò accelerando il ritmo nel tentativo di restare al passo con sua madre ma il rumore secco dei colpi sulla porta la costrinse a sollevare il volto abbandonando quella melodia leggera.
Etienne sollevò le mani dalla tastiera voltandosi verso la porta “Chi è mamma?” “Dopo cena? Non lo so amore mio” si alzò dal divano scavalcando Renée “Cosa posso ...” ma la voce morì in gola quando suo padre le sorrise “Cosa … cosa fate qui? C'è molto freddo e ...” “Da quando balbetti?” ribatté ironico, Maxime al suo fianco sorrise stringendo più forte il braccio del padre “Entrate vi prego” si spostò di lato permettendo al padre di oltrepassare la soglia.
Renée scattò in piedi “Nonno” urlò correndo verso di lui “Dovevo mostrare a questa signorina una cosa” “Che cosa?” domandò divertita aggrappandosi alle gambe del generale “Il dottore mi ha permesso di camminare di nuovo” “La tua gamba è guarita?” “Non del tutto” “Perdonatemi contessa, vi abbiamo disturbato?” “No, no stavo solo ...” “Certo che ti abbiamo disturbata, stavi suonando il violino” “Potete smetterla di interrompermi?” il generale sorrise prendendo per mano Renée “Vieni nonno, stavamo cantando la canzone dell'inverno” “Suonavi il pianoforte giovanotto?” Etienne annuì sorridente scendendo dallo sgabello.
“Perdonatemi contessa, non era nostra intenzione disturbarvi ma come potete vedere, nostro padre ha insistito per potervi vedere” “Duca, vi sarei grata se smetteste di definire il generale “nostro” padre. Non amo dividere il mio passato con gli estranei. Non vi conosco, non sono cresciuta con voi né tanto meno vi ho mai chiamato fratello. Non siete figlio di mia madre né di mio padre per tanto ...” chiuse la porta piantando gli occhi sul volto del giovane “ … non vi considero parte della mia famiglia” “Credete di avermi ferito con le vostre parole? So che non sono vostro fratello, non per quello che la natura considera fratello certo, ma ...” le sorrise sfiorandole leggermente una spalla “ … per quanto vi ostiniate a tenermi lontano da voi, vi considero la sorella meravigliosa che da bambino spiavo perché a volte fratelli non lo si è solo di sangue e un giorno o l'altro lo scorpirete” ma lei non rispose, si limitò a scuotere leggermente la testa raggiungendo i figli.
Renée era seduta sulle gambe del nonno ed Etienne sdraiato sul tappeto di fronte a lui con il cagnolino accanto “Allora, è questo che suonavi con il violino?” domandò sollevando il libro “So che non appartiene al vostro repertorio musicale preferito padre, ma è un ottimo modo per insegnare loro la musica” “Non mi sono mai opposto alla musica, di qualsiasi tipo essa sia. Rende la mente elastica e aiuta la memoria” “Voi suonate?” domandò incuriosito Etienne “Suono ancora giovanotto. La vecchiaia non mi impedisce certo di usare pianoforte e violino” “Avete insegnato voi la musica alla mamma?” Oscar sorrise sedendo sulla poltrona di fronte al padre “Si, all'inizio si ma poi è diventata così veloce ad apprendere da costringermi ad assumere maestri di musica per seguirla. Ha imparato a suonare il violino, il pianoforte e l'arpa” il bambino si voltò verso la madre sorridendole “Suoni l'arpa mamma?” “Mi è stato insegnato molto tempo fa” “Maxime?” “Si padre” “Dai ordine affinché la mia carrozza sia pronta, torniamo alla locanda tra qualche minuto” “Vai già via nonno?” “Ricordi cos'ha detto il dottore? Solo pochi minuti” “Ma non sono passati pochi minuti. Resta qui con noi, può restare con noi il nonno?” domandò Renée voltandosi di colpo verso la madre, Oscar sorrise appena mordendosi le labbra.
Si, no, qual'era la risposta giusta? Fece un bel respiro cercando di calmare i battiti del cuore, per qualche secondo davanti agli occhi apparve il volto di Andrè, il suo sorriso, i suoi occhi che lentamente si confondevano con gli occhi di sua figlia “Mamma?” “Se il generale desidera passare la notte con noi, chi sono io per impedirglielo?” “Hai sentito nonno? Mamma ha detto che puoi restare” “Oh non credo sia ...” “Padre” il generale si bloccò di colpo rassicurato dalla mano di Maxime sulla spalla.
Il giovane sorrise chinandosi fin quasi a sfiorargli l'orecchio con le labbra “Forse non è poi così male non credete? Sarete più vicino a vostra figlia” “Si, credo sia questo che voglia evitare ragazzo!” “Non preoccupatevi, io torno alla locanda e inizio a preparare la partenza. Restate qui, godetevi questi bambini fino a quando non saremo pronti per tornare a casa” Etienne seguiva confuso quello scambio di battute silenziose.
Si alzò da terra senza staccare gli occhi dal generale e posò una mano sul ginocchio della madre “Che c'è amore mio?” “Cosa stanno facendo?” “Mio padre vorrebbe scappare da qui e il duca tenta di farlo ragionare” “Perché vuole scappare?” domandò confuso arricciando le labbra “Perché ha paura di legarsi troppo a noi” “Ma tu sei sua figlia” “Si? Beh, per ventisette anni l'ha dimenticato” gli fece l'occhiolino prendendolo in braccio.
Pochi minuti ancora poi gli occhi gelidi del padre sul volto e quel sorriso a metà tra la calma e la tempesta “Molto bene, allora è deciso. Resterò qui stanotte” “Davvero?” Maxime sorrise scompigliando i capelli della bambina “Davvero, contessa vi ringrazio per ...” “Per cosa? Per aver permesso a mio padre di dormire in casa mia?” “Basta così” esclamò perentorio il generale picchiando leggermente il bastone per terra.
Oscar tornò a fissare il vuoto e Maxime sbuffò “Ci vediamo domani mattina padre, se avete bisogno di qualcosa non dovete far altro che mandare un messo e sarò qui il prima possibile” un leggero cenno d'assenso poi il rumore dei suoi passi e di nuovo il silenzio.
“Avete mangiato?” “Da quando cucini?” domandò confuso ma la giovane sollevò leggermente le spalle continuando ad accarezzare la testa del figlio “La nonna ci portava spesso in cucina e molte volte cucinavo assieme a lei” “Quando non ero a casa suppongo” “Altrimenti come avrei potuto imparare?” “Troppa ironia bambina, io starei attenta” ribatté irritato posando una mano sulla spalla di Renée “Potete restare sapete?” “Ho appena ...” “No voi ...” si fermò qualche secondo cercando di trovare le parole adatte ma come si potevano spiegare le emozioni? Strinse più forte il figlio tra le braccia sospirando “Avete detto che per la fine dell'inverno Parigi vi aspetta” “Mancano due settimane appena Oscar” “In verità padre ...” “La mia fine dell'inverno termina tra due settimane” “Lo so, potete restare con noi fino ad allora insomma, so che la mia casa non è come il vostro palazzo ma ho una camera vuota con un bel camino e un letto grande e comodo” ci provava, ci provava con tutta sé stessa a tornare la giovane che suo padre amava.
Si sarebbe aspettata una risata ironica, uno sguardo freddo o quel movimento della mano che puntualmente arrivava quando si sentiva a disagio ma suo padre non si muoveva di un solo centimetro.
Assomigliava alle belle statue di marmo chiaro che da bambina aveva sempre amato.
Passava ore nel grande salone di casa, seduta per terra con le game incrociate e la testa leggermente inclinata di lato mentre con gli occhi cercava di estrarre da quei corpi incantati tutta la magia e la purezza del mondo.
“Amore, vai con tua sorella a mettere la legna asciutta nel camino?” “Si mamma” le diede un bacio e scese dalle sue gambe tendendo la manina verso la bimba “Vieni Renée, aiutami a sistemare la camera del generale” “D'accordo” “Non hai più paura di avermi vicino?” domandò altero seguendo i passi dei bambini “Sono terrorizzata padre ma provo a lasciarmi il passato alle spalle” “Rinneghi il passato?” “No, no sto solo ...” sospirò sollevando le gambe sul divano, il generale sorrise appena divertito da quella posizione stravagante.
Le gambe incrociate, le mani che torturavano continuamente i lacci della camicia e quell'esitazione nella voce che la rendeva forse ancora più bella “ … non so cosa sto facendo, forse tento di ricorstruire qualche tipo di rapporto, so che volete portarmi via da qui perché non pensate sia la vita giusta per me ma non mi importa” lo vide annuire leggermente, silenzioso, lontano “Ma se fate del male ai miei bambini, se li fate piangere o li ferite in qualsiasi modo vi giuro che ...” “Cosa? Che mi uccidi?” scoppiò a ridere divertito dalla reazione che quella domanda provocò in lei “Lo so bene Oscar ma non è quello che voglio” “E allora cosa ...” “Sono un uomo vecchio e stanco bambina. Sto aspettando che l'inverno finisca per tornare a casa. Passerò il resto dei miei giorni a Parigi e non tornerò più qui. Puoi vivere la tua vita come ti pare, ti ho persa ormai molti anni fa ma come puoi vedere, un figlio ancora mi è rimasto accanto” sentì una scarica elettrica percorrerle la schiena e fece uno sforzo enorme per trattenere la risposta violenta che pulsava sulle labbra “Per quale motivo dovrei fermarmi qui?” “Perché mia figlia è innamorata di voi. Vi considera un'eroe, il suo nonno perfetto che non è in grado di farle del male e mio figlio ...” sorrise appena scostandosi dagli occhi i capelli “ … vorrebbe imparare da voi l'arte della spada” “Può imparare da te tutto quello che vuole. Ti ho addestrato io, sei perfetta” “Non riuscite ad accettare i miei figli nella vostra vita?” “Ho già dei nipoti” “Oh certo, nipoti puri” “Nipoti che avranno un futuro certo!” “Per questo raccontate a Renée che esistono persone cattive e buone? Che niente di tutto questo è colpa sua? Volete bene ai miei figli ma continuate a negarlo. Va bene, non ho la pretesa di cambiare le vostre opinioni ma ...” lasciò scivolare i piedi sul pavimento sospirando “ … sono certa che se passaste qui due settimane, non riuscirete più a lasciarci andare padre” “Ma davvero?” “Resterete con me?” “E sia, almeno avrò la certezza che non sarai sola. Anche se non vedo l'utilità di questa …” “Io ho un lavoro, di solito lascio i bambini con Marie e ...” “Marie?” domandò confuso “La figlia del mugnaio. È una brava ragazza e tiene i bambini tutta la mattina. Andrè li va a riprendere dopo pranzo ma visto che lui non c'è, potrei chiederle di portarli da Emìle così potete riposare” “E questo baldo giovane chi è?” “Il maniscalco” “La figlia del mugnaio, il maniscalco, la notte con li lasci? Con la moglie del locandiere?” “Non siete divertente” esclamò ironica infilando di nuovo le scarpe “Non li lascerei mai con degli sconosciuti. Marie ed Emìle sono come dei fratelli padre, ci hanno aiutato da quando i bambini sono venuti al mondo, staranno bene con loro” “Sciocchezze, staranno meglio a casa, con me” “Ne siete sicuro?” “Potranno imparare un po' di sana cultura e se ne avranno voglia, potranno leggere tutti i libri che ho con me. Manderò a chiamare la mia cuoca e ...” “Non ce n'è bisogno padre, posso tornare a casa per ...” “Sciocchezze” esclamò perentorio “Ho accettato di restare qui per qualche giorno, ora tu accetterai questa piccola decisione” forse non era sbagliato accettare, dopotutto, incontrarsi a metà strada allontanava di nuovo quel negoziato tanto odiato.
Si alzò sistemando il tessuto leggero della camicia “Volete seguirmi padre? Vi mostro la vostra stanza” ma l'altro non rispose, strinse più forte il bastone alzandosi a fatica, lo vide tremare leggermente nello sforzo di raddrizzare la schiena ma non avrebbe mai chiesto aiuto.
Non era mai stato debole e poteva leggere nel suo sguardo quanto odiasse questa nuova condizione, si avvicinò di un passo al padre allungando una mano ma il generale sollevò di colpo gli occhi da terra costringendola ad arretrare di nuovo.
La spingeva via, lontano, oltre un muro gelido che forse un giorno si sarebbe sgretolato.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Due Settimane ***


                                Due Settimane





Amava quell'ora del giorno, quando ancora il mondo dormiva e solo il canto di qualche uccello si perdeva nel silenzio.
Le era sempre piaciuta l'alba, fin da bambina quel piccolo attimo di pace, diventava l'unico desiderio di un cuore troppo giovane per capire.
Lo ricordava bene, aspettava tutte le mattine il sorgere del sole nascosta sotto un lenzuolo chiaro, il fuoco che ancora scoppiettava nel camino, una tenerezza insolita di suo padre che ordinava alla servitù di tenere vive le braci nel camino.
Ricordava ancora il profumo del legno che lentamente si spegneva, il rumore dei passi di sua madre che si alzava sempre tanto presto e quelli del padre dai quali si nascondeva divertita.
Posò il latte fresco sul tavolo togliendosi il mantello, qull'alba leggera era arrivata pallida e silenziosa e con sé, aveva portato di nuovo la neve.
Scosse leggermente la testa, i fiocchi leggeri caddero al suolo e il sorriso le sfiorò le labbra.
Sollevò i capelli dalle spalle fermandoli con un laccetto di cuoio “Ehi Starlette, che ne dici se mettiamo altra legna nel forno?” il cucciolo sbadiglio stiracchiandosi “D'accordo allora, vieni” Andrè amava la cucina, quel posto pieno di vita dove tutta la famiglia parlava e rideva.
In qualche modo gli ricordava sua nonna, l'unico affetto che colorava i suoi ricordi rendendo la vita in qualche modo più lieve.
Aveva ricreato in casa la stessa cucina dove sua nonna si muoveva a Parigi, molto più piccola è vero ma in ogni caso somigliante.
C'erano dei bei mobili di legno scuro che seguivano i muri, meno preziosi di quelli che suo padre aveva scelto ma avevano l'unico compito di custodire piatti, bicchieri, tazze e ogni altra cosa, non le servivano mobili impreziositi da meravigliosi intarsi per tenere al sicuro le stoviglie.
Il forno a legna separato dalla parte centrale era costruito interamente in pietra, con un'ampio bracere e i ferri ordinatamente riposti al suo fianco.
Vi erano poi quattro lose di pietra anch'esse, occupavano tutto il piano accanto al forno e perfino dopo una notte intera senza fuoco acceso, passandovi la mano sopra si poteva sentire un tiepido calore ancora impregnato nel materiale duro e compatto.
Amava cucinare su quelle piastre, ogni pietanza aveva un profumo diverso e meraviglioso, il fuoco che vi scoppiettava sotto manteneva una buona temperatura e i cibi cuocevano lentamente evitando di creare troppo fumo o troppo poco.
Sollevò da terra il cesto con la legna perdendosi con i pensieri da qualche parte oltre il cielo “Sei già sveglia?” il ciocco cadde al suolo mentre la risata del generale invase il silenzio “Perdonami, non volevo spaventarti” “No è … non sono abituata tutto qui” “Hai lo stesso brutto vizio che avevi da bambina Oscar, eludi il sonno per spiare l'alba” ribattè divertito sedendo accanto al cucciolo “Voi perché siete sveglio?” “Che domande sono?” “Non avete impegni, non ci sono guerre da combattere né sovrani da proteggere” “Le vecchie abitudini” “Volete un po' di thé?” annuì leggermente seguendo i movimenti di sua figlia.
Era serena, tranquilla, con i capelli sollevati ma così lunghi da sfiorarle l'incavo della schiena, c'era sempre la stessa bambina davanti ai suoi occhi.
La sua meravigliosa bambina che lo guardava incuriosito con quegli occhioni tanto belli, con quel sorriso meraviglioso che ora brillava sul volto di Renée.
Era cambiata, tutti cambiano ma faticava ad accettarlo, forse perché faticava ad accettare perfino la propria vecchiaia “I bambini dormiranno ancora qualche ora, potete riposare in sala, vi accendo il fuoco se ...” “No, qui andrà benissimo” “Come volete” “Il latte?” Oscar sorrise scostandosi dagli occhi una ciocca dorata “I miei figli amano il latte. Abbiamo tre mucche, beh, in realtà quattro ma la piccola non conta” “Allevi bestiame?” posò il piattino davanti al padre sedendo qualche minuto con lui “E conigli e galline anche” “Avevo scordato di aver allevato per tutti questi anni un fattore” ridacchiò divertita perdendosi per qualche secondo nell'espressione serena di suo padre “La vita qui è diversa padre” “Questo non lo metto in dubbio” “Va tutto più lento, più tranquillo e divertente. C'è un bel paesino pieno di persone gentili, il fiume, i boschi e a qualche ora da qui anche il mare” si voltò leggermente controllando l'acqua sul fuoco ma aveva ancora qualche minuto per condividere sé stessa con suo padre.
Fece un bel respiro voltandosi di nuovo verso il generale “Tornerò presto oggi, se vi fanno impazzire potete sempre lasciarli a Marie. Passerà a controllare se va tutto bene” “Non trattarmi come uno sciocco Oscar” “Non è per voi che viene Marie” “Oh giusto” ribattè l'altro giocherellando con il bastone “Potrei rapirli o abbandonarli da qualche parte in mezzo alla neve” “Tornerebbero a casa prima di voi” rispose divertita togliendo l'acqua dal fuoco “Ci sono libri in ogni angolo di questa casa padre, se avete voglia di leggere qualcosa non dovete far altro che allungare la mano e scegliere quello che più vi aggrada” “Maxime porterà tutto il necessario più tardi, non c'è motivo di preoccuparsi” “Forse avete ragione” lasciò la tazza davanti al padre tornando a sedere al proprio posto “Non hanno bisogno di aiuto per vestirsi, sono in grado di farlo da soli e lo stesso vale per la cura personale. Etienne aiuta sua sorella quando non sono a casa perciò non vi daranno molti problemi” “Non ho alcuna intenzione di fare da balia Oscar” “Non ve l'ho chiesto” spinse verso di lui un piatto colmo di biscotti “Etienne ama molto leggere, è attratto da tutto ciò che può insegnargli qualcosa di nuovo. Ama la musica, il pianoforte in particolare” “Mi ricorda te. Concentrato, riflessivo, troppo serio per la sua età” “Non sembrava dispiacervi troppo avermi attorno così” “Mai detto il contrario” asserì sorseggiando la bevanda calda “Renée ama il canto e la pittura, Andrè le ha regalato una bellissima cassetta piena di pennelli e colori, ho una sola richiesta padre” “Dimmi” “Se vi chiede di dipingere non lasciatela preparare il colore da sola, l'ultima volta ha colorato di porpora sé stessa e Starlette. Ci sono voluti tre bagni ad entrambe per riaverle come prima” un debole sorriso sfiorò il volto del padre, leggero, appena accennato eppure così dannatamente reale “Vi farà molte domande, su tutto, vi prego solo di evitare qualsiasi ...” “Non le parlerò di quello che è accaduto in passato, puoi stare tranquilla” “Vi ringrazio” un debolissimo cenno d'assenso prima di tornare a fissare la tazza candida tra le mani “Padre, siete davvero sicuro di voler ...” “I tuoi figli non perderanno tempo con un maniscalco e una mugnaia, le ore perse non tornano più indietro Oscar, è meglio che le impieghino studiando e imparando” rimase qualche secondo immobile, incerta sulla risposta più adeguata ma alla fine sorrise annuendo leggermente.
Non riusciva ancora a chiamarli nipoti ma goccia dopo goccia, l'acqua gelata che gli avvolgeva il cuore se ne stava andando, ci sarebbe voluto un po' di tempo ancora ma era certa, che quelle due settimane le avrebbero regalato un padre diverso e un nonno meraviglioso.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Domande e Sorrisi ***




                       Domande e Sorrisi









“Cosa ci fai già sveglia?” “Non ho più sonno” “Non è una buona scusa” chiuse il libro concentrandosi sul volto ancora assonnato della bambina “Dovresti restare al caldo nel tuo letto” “Ma se non dormo cosa faccio?” domandò crucciata strofinandosi gli occhi “Puoi riflettere” “E su cosa?” “Su quello che più ti piace. Giochi, il tuo racconto preferito” posò il libro sul tavolino spiando il volto di Renée “Vieni un po' qui signorina” la piccola annuì appena stringendo la mano del nonno “Hai per caso fatto un brutto sogno?” “No nonno” socchiuse gli occhi restando immobile a cercare l'esitazione negli occhi della piccola “Te lo chiedo di nuovo. Hai fatto per caso un brutto sogno?” “No” “Guarda che le bugie con me non funzionano” “Ma non è una bugia” le sollevò leggermente il volto sorridendo “Fai esattamente le stesse cose che faceva tua madre quando tentava di nascondermi le cose” “E cosa?” “Se te lo dicessi sapresti come correggerlo e mentiresti” Renée sbuffò incrociando le braccia sul petto “Allora, vediamo un po' cos'hai sognato” “Un cavallo tutto nero” “E cos'ha di strano un cavallo tutto nero?” vide la bambina abbassare lo sguardo nascondendo il volto.
Per qualche strano motivo l'immagine di quella bambina con gli occhi ancora pieni di sonno e i capelli arruffati scatenava qualcosa di simile alla tenerezza.
Non era una sensazione nuova al suo cuore, quando Oscar era piccola più e più volte quello strano sentimento gli aveva fatto visita ma chissà per quale strano motivo, la tenerezza che scatenava Renée era diversa.
Le sistemò il colletto della camicia, la piccola sbadigliò aggrappandosi alle braccia del generale.
La sollevò da terra sospirando, non era abituato a niente del genere ma era solo in casa con due cuccioli umani e non aveva idea di come sopravvivere ai loro occhi, alle loro domande o a quei sorrisi “Cos'aveva di tanto strano quel cavallo?” “Era cattivo” “Era un cavallo signorina” “Ma ogni volta che ci salgo mi fa cadere” “E tu stringi bene le redini?” annuì appena posando la testolina sulla spalla del nonno “Ne sei sicura?” “Si nonno, ma ogni volta lui fa un salto e io cado a terra e mi portano via da mamma” la staccò leggermente da sé sollevandole il volto “Chi ti porta via?” “Delle persone cattive” “Nessuno ti porterà via dalla mamma” “Me lo prometti?” “C'è un generale dell'esercito in questa casa, pensi davvero che qualcuno entri qui indisturbato?” Etienne si avvicinò lentamente reggendo il catino dell'acqua vuoto “Perdonatemi signore” mormorò “Renée? Vieni, devi vestirti” “D'accordo” “Vai in camera tua, io arrivo subito, prendo dell'acqua fresca” la piccola annuì appena lasciando andare la mano del generale “Giovanotto” gli occhi del bambino scattarono di colpo inchiodandosi al volto dell'uomo “Sono felice di vedere che nonostante la tenera età, sei perfettamente in grado di badare a e stesso” “Si signore” “Sei vestito, pettinato, pronto per la giornata, sei proprio uguale a tua madre” asserì orgoglioso stringendo più forte il bastone “Anche se lei, per la fretta di vedermi al mattino dimenticava di allacciare la camicia” “A volte capita anche a me” “Oh questo non sarebbe grave, e non lo fu con tua madre, almeno per un po' di tempo, ma il giorno del suo quattordicesimo compleanno iniziò ad esserlo” “Perché?” domandò incuriosito posando qualche secondo il catino sul tavolo “Perché era una bellissima giovane. Troppo bella per passare inosservata” “Ma una camicia slacciata non fa del male a nessuno” “Sei troppo piccolo ancora ma crescerai e imparerai come funziona il mondo. Quando tua figlia diventerà più bella giorno dopo giorno, sentirai dentro una nausea profonda quando camminando assieme a lei, ti accorgerai degli sguardi lascivi sul volto degli uomini.Per un figlio è più semplice, gli abiti, le attività di studio e tutto il resto. Una figlia richiede una cura diversa, dev'essere protetta e accudita” “Anche se è come la mia mamma?” per la prima volta l'innocenza trasparì dalla voce di Etienne colorando d'infanzia i suoi occhi.
Il generale raddrizzò la schiena concentrandosi sul volto del bambino “Soprattutto se è come la tua mamma giovanotto” “E perché?” “Non si è mai resa conto della meraviglia che scatenava nelle persone, soprattutto negli uomini. Li trattava come propri pari sfidandoli e giocando con loro. Le ho insegnato io ad essere così spigliata e irriverente nei loro confronti, l'ho fatto per offrirle una difesa in più giovanotto, ma più cresceva ...” si fermò qualche secondo giocherellando con il bastone “ … e più mi rendevo conto che quella difesa non funzionava e non bastava a proteggerla da sguardi troppo arditi. Ecco perché le ho imposto un modo di vestire tanto severo” “La camicia signore? Non è così severa. Noi ci stiamo bene” “La natura ci ha fatto diversi giovanotto” lo sguardo di Etienne diventò improvvisamente più profondo, come se d'improvviso il legame che cercava con quell'uomo freddo e altero fosse appena nato.
Nelle sue parole non c'era rabbia né rancore, la sua immagine era ben diversa da quella di un uomo indignato che urlava senza tregua alla sua mamma cose orribili.
Forse Renée non aveva torto, forse in lui c'era davvero un nonno “Mia figlia non era molto diversa dalle altre dame, anche per lei la natura aveva dipinto un quadro meraviglioso, pronto per essere ammirato ma credo di aver sempre avuto qualche problema con questo tipo di ammirazione” “Se una cosa è bella è giusto che il mondo ne parli” il generale sorrise appena annuendo “Sono d'accordo con te giovanotto eppure, c'era qualcosa in tua madre che mi costringeva ad essere tanto severo” “Cos'era?” domandò incuriosito Etienne “Era una giovane donna, proprio come tante altre ma più passavano i giorni e più la sua bellezza esplodeva violenta. Sembrava miele prezioso per i giovani sbarbatelli animati da troppo ardore” “Davvero?” “Davvero, e così le ho imposto le fasce ovunque andasse, volevo nasconderla, mascherarla agli occhi del mondo e costringerla a diventare un figlio perfetto” “A che servono le fasce signore?” “Come?” ribatté confuso “Le fasce, avete detto che mia madre le indossava. A cosa servono?” “Beh ecco, servono per coprire … nascondono la natura che ha creato … lo sai no?” ma il faccino confuso del bambino lo costrinse a tossicchiare “Non importa, non sono discorsi per bambini. Ora vai, tua sorella ha bisogno di te” “D'accordo signor generale” gli fece un bel sorriso e riprendendo il catino si diresse verso il lavello “Piccoli umani” sbuffò il generale riprendendo il libro tra le mani “Piccoli, fastidiosi e curiosi” ma quasi senza accorgersene, si ritrovò a fissare quel mare di parole sorridendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Sorriso dal Cuore ***


                   Sorriso dal Cuore






Aveva passato ore intere a tentare di insegnare il latino ad un ragazzetto svogliato e privo d'interesse e ora, dopo una mattinata così maledettamente stancante, si chiedeva se i suoi figli stessero bene, se suo padre fosse sopravvissuto a quei due piccoli maremmoti di vita.
Scese da cavallo sorridendo, aveva le spalle indolenzite e un leggerissimo mal di testa che la infastidiva da ore.
L'inverno ancora freddo incatenava ogni briciolo di natura nascondendolo sotto un dolcissimo manto di neve fresca talmente soffice da sembrare nuvola.
Spinse la porta della stalla parlando con il suo cavallo, sorridendogli come se in realtà fosse un altro figlio mentre gli altri animali custoditi lì dentro nitrirono “Sei stato bravo sai? Insomma, a nessuno piace svegliarsi al mattino e camminare nella neve ma sono orgogliosa di te” tolse i finimenti accarezzando il muso dell'animale “Ti sei meritato un premio” chiuse il cancelletto di legno agganciando i finimenti al muro.
Era Andrè ad occuparsi dei cavalli ma farlo le regalava un senso di pace decisamente nuovo.
Non aveva bisogno di usare milioni di parole né di controllare i movimenti, quelli che la razza umana tanto amava e che agli animali poco importavano.
Amava quel rituale pomeridiano, gli occhi dei cavalli che seguivano ogni suo movimento, il profumo del fieno, il rumore dei cereali nei secchi e quel movimento leggero delle code mentre sistemava la paglia.
Ci mise due ore buone prima di poter finalmente aprire la porta di casa, sentiva le risate di Renée provenire dalla cameretta e suo padre che in qualche modo scatenava quella gioia.
Lasciò il mantello sulla sedia assieme ai libri e senza fare alcun rumore, raggiunse la camera di Renée.
Suo padre era seduto sul letto di sua figlia, con un libro tra le mani e i due bambini sul tappeto davanti al fuoco.
Ascoltavano estasiati la voce del generale, gli occhi inchiodati sul suo volto,i respiri sospesi nel tentativo di anticipare le  parole e lei, lei così sconvolta, immobile, appoggiata allo stipite della porta, incantata da quell'attimo irreale che mai avrebbe immaginato “L'ha trovato?” “Cosa ti ho detto prima signorina?” “Che non devo avere fretta” sbuffò Renée stringendo la sua bambolina “Esatto, tuo fratello è molto più educato di te signorina” “Non è vero” “Si che lo è. Ora silenzio e lasciami finire” tornò ad aprire il libro cercando di ritrovare lo stesso paragrafo che Renée aveva interrotto ma la vocina della bambina tornò a riempire il silenzio costringendolo a sospirare.
Chiuse il libro posandolo sul letto accanto a sé “Perché non mi hai risposto nonno?” “Perché non so come vada a finire la nostra storia. Se continui ad interrompermi ...” “No, io volevo la risposta di prima” “Quale?” domandò confuso Etienne “Quella che ho chiesto prima al nonno quando stavamo mangiando i biscotti” “Se ti riferisci alla domanda sconclusionata completamente priva di senno che hai avuto l'accortezza di lasciar cadere nel silenzio mentre bevevo il thé, allora no, la mia risposta è no” “Perché no?” “Perché sei troppo piccola per chiedere cose del genere” “Ma è una cosa seria” “Non lo metto in dubbio” esclamò ironico sistemandosi la giacca elegante dell'abito “Tuttavia, credo sia più opportuno in questo momento ...” si alzò stringendo il bastone con la mano sinistra “ … che la smettessimo con queste sciocchezze perché vostra madre è appena tornata” gli sguardi dei bambini scattarono velocemente alla porta e un sorriso enorme riempiù il faccino di Renée.
Corse verso di lei aggrappandosi alle sue gambe “Mammina” “Ciao amore mio” sussurrò scompigliandole i capelli “Ti sei divertita con il generale?” “Abbiamo letto dei libri bellissimi sai? E la cuoca del nonno ha cucinato tante cose buone” “La cuoca?” domandò confusa ma suo padre sorrise annueno orgoglioso “Credevi davvero che li avrei fatti morire di fame?” Etienne raggiunse la madre abbracciandola “Sarebbe dovuta venire Marie a ...” “Oh, interessante ragazza” ribattè il generale oltrepassandola “Certamente carina, pienotta e sorridente, c'è solo un piccolo difetto che la rende difficile da comprendere Oscar” seguì il padre lungo il corridoio lasciando i bambini a giocare tranquilli.
La cucina profumava di buono, biscotti e stufato caldo, verdure speziate e perfino cioccolata “Padre ma che ...” “Dobbiamo convivere bambina mia e dobbiamo farlo per qualche settimana in una casa troppo piccola per poter evitare di incontrarci” “Mi dispiace di non potervi offrire una reggia” “Meno sarcasmo” esclamò indispettito sedendo accanto al tavolo “Non mi dispiace restare così vicino a mia figlia, ma dobbiamo venirci incontro Oscar. Maxime ha portato qui la mia governante con vivande e tutto quello che può servire a te e ai bambini” “Padre” “Ogni mattina la porterà qui e ogni sera la riporterà alla locanda” “Padre” “Che c'è?” “Voi avete … non c'è bisogno di tutto questo” si sedette di fronte a lui sospirando “Non voglio che le abitudini dei bambini vengano sconvolte” “Sconvolte? La mia governante è più che qualificata Oscar. Cucinerà per noi e terrà in ordine la casa” “D'accordo, d'accordo ma solo perché non ho voglia di discutere con voi. Vi vengo incontro padre” “Molto bene” “Ho solo una richiesta” lo sguardo attento del generale si fuse al suo “Non ha senso far viaggiare un'anziana governante con questo freddo. Resterà qui” “Qui?” “Può dormire nella camera di Renée. I bambini divideranno la camera di Etienne” “Non dire sciocchezze” “Credete di fare un torto ai miei figli? Non vedono l'ora di passare le notti a disobbedire giocando fino a tardi” rise divertita da quell'immagine tanto reale “E sia, come vedi, anche io vengo incontro alle tue richieste” “Lo so, ve ne sono grata” l'altro annuì appena rialzandosi "E Marie è più che qualificata padre" "Oh certo, sorridente, carina, sembra una di quelle bambole di porcellana che tua madre si divertiva a collezionare" Oscar alzò leggermente gli occhi al cielo stringendosi nelle spalle "L'unico difetto che trovo in lei è lo stesso che trovavo nel giardiniere zoppo che tanto ti piacev da bambina" "Oh per l'amore di Dio" "Oscar, la tua qualificatissima mugniaia è muta" "Fatica a parlare" "Muta" "Non è mai stato un grosso problema" "Oh certo, così non senti mai niente di sciocco. Ora mi ritiro nella mia camera per qualche ora. Ho bisogno di scrivere una lettera molto importante e soprattutto, ho bisogno di qualche ora di silenzio” “Padre?” si voltò verso la figlia aspettando il seguito di quella domanda, la vide sorridere scostandosi dal collo i lunghi capelli di sole “Cosa vi ha chiesto Renée?” “Ti prego non ricordarmelo” sbuffò alzando gli occhi al cielo “Tua figlia è un'otre di domande aperto da qualche irresponsabile” “Non mi assomiglia?” “Tu almeno avevi il buon gusto di non fare certe domande a tuo padre” “Vi ha chiesto di incontrare i suoi amici? Molti di loro non credono che un generale dell'esercito viva qui e ...” “Mi ha chiesto come nascono i bambini!” “Come … lei … davvero?” domandò divertita cercando di nascondere le labbra e quel sorriso meraviglioso che nasceva spontaneo “Lo trovi divertente?” ma quello scoppio improvviso di risate era già di per sé una risposta “No? Tua figlia ha lo strano bisogno di scoprire come nasce la vita” “Forse è giusto, sono domande che prima o poi arrivano” “Si? Beh, gradirei che quel poi arrivasse il più tardi possibile” fece un leggerissimo cenno con capo prima di ritirarsi lasciandola sola a ridere come una bambina nel silenzio.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Tremito ***


                                                 Tremito








I giorni passavano veloci, più veloci di quanto forse avrebbe sperato.
Chiuse il foglio perdendosi qualche secondo con lo sguardo fuori dalla finestra.
La neve se ne andava lentamente lasciando di nuovo la terra libera di respirare.
Aveva fatto una promessa ad Andrè e l'avrebbe mantenuta, dopo tutto, andare a Parigi non era poi così brutto.
Sarebbe tornata nella stessa casa che da bambina le aveva regalato sicurezze e speranze.
Immaginava di nuovo quei giardini, il suono leggero della natura che spezzava a tratti il silenzio pesante di una vita piena di regole, rivedeva il sorriso di sua madre, quell'espressione tanto dolce che mai avrebbe dimenticato e che l'accompagnava ogni volta che il cuore batteva troppo veloce e le lacrime trovavano un varco attraverso la ragione.
Aveva ritrovato suo padre, lo stesso padre che immobile sulla soglia la osservava silenzioso.
Le mani ordinatamente chiuse dietro alla schiena, lo sguardo serio e profondo, osservava sua figlia, la sua bambina a cui voleva un bene tremendo e per la quale era disposto a morire.
Diversa da quella che ricordava, uguae a quella di sempre.
Seduta su quella poltrona, assorta nei pensieri con lo sguardo perso oltre il vetro freddo.
Continuava a stringere quel foglio di carta, lo rigirava tra le dita portandolo vicino alle labbra, uno stupido foglio che valeva più di mille parole.
Quella mancanza violenta che riempiva i suoi giorni la stava uccidendo dentro ma nonostante tutto, continuava a sorridere, per sé stessa, per i suoi figli, per quella nuova vita che colorava ogni suo giorno.
Aveva sempre immaginato sua figlia esattamente come quel giorno di sette anni fa, quando debole per la febbre apriva gli occhi e tornava a sorridere.
Gli mancava quel sorriso, quella figlia obbediente e tranquilla che aveva allevato per diventare leggenda.
La prima volta che la rivide il suo cuore tremò e il respiro restò a metrà tra labbra e polmoni.
Forse, da qualche parte in fondo all'anima, custodiva in segreto il desiderio di ritrovare quella figlia, di riaverla esattamente come prima e invece, quella che apparve davanti ai suoi occhi sette anni fa, era in realtà l'immagine sfocata della sua bambina.
Una donna tanto bella e felice da costringerlo ad indietreggiare.
Un passo indietro per restare oltre il confine sicuro di quel nuovo mondo che la rendeva diversa.
Un passo indietro per allontanarsi da lei.
Non era pronto a dividerla con il resto del mondo, non era pronto a perdere sua figlia ma dopo così tanto tempo cosa poteva pretendere da lei? Come poteva chiederle di ritornare ad essere quel figlio perfetto di cui era innamorato? Avrebbe amato sua figlia anche se fosse stata una contadina o un'allevatrice di bestiame, l'avrebbe fatto cancellando i rancori o le sciocche regole che aveva imposto alla vita.
Era sua figlia, la prediletta tra tutte, la sua meravigliosa bambina che ora faticava ad accettare quel cambiamento improvviso.
Lo leggeva sul suo volto, sul movimento leggero delle mani, nel modo che aveva di inclinare la testa di lato mordendosi le labbra.
Sorrise appena perché davanti agli occhi apparve di nuovo quel ricordo meraviglioso: una bambina piena di vita che gli camminava accanto con il sorriso sulle labbra e gli occhi carichi di orgoglio.
Lei era l'unica tra le sue figlie a poterlo accompagnare ovunque, perfino nelle lunghe passeggiate pomeridiane, quando il sole caldo iniziava la sua lenta discesa verso il riposo.
I raggi ormai di rosa vestiti la rendevano un angelo prezioso creando tra l'oro dei suoi capelli sfumature di miele e quegli occhi tanto belli creati dal nulla, diventavano improvvisamente un lago profondo dove sogni e speranze nuotavano placide sotto la tenue dolcezza del tramonto.
Ricordava ancora quegli attimi preziosi, la voce di sua figlia che riempiva il silenzio, le domande sul futuro che quasi sempre lo facevano sorridere “Diventerò anche io grande e forte come voi?” “Devo indossare anche io quei vestiti tanto sciocchi?” “Perché i giovani amano tanto le mie sorelle padre? Non le trovate frivole anche voi? Non sanno nemmeno cavalcare” poi quello sguardo pieno di tenerezza, pochi secondi per rassicurarla prima di stringere quella manina tanto piccola camminando nel tramonto assieme a lei.
“Nonno?” abbassò lo sguardo incontrando il volto sorridente di Renée “Posso parlare con la mamma ora?” “No signorina, la mamma ha bisogno di restare un po' da sola” “Perché?” posò la mano sulla testa della bambina sorridendole “Perché le manca tuo padre” “Anche a me” ma la mano del generale si mosse dolcemente sollevandole il volto “Lo so ma a volte per i grandi è più difficile conviverci” “Perché?” “Perché quando si è piccoli come lo sei tu si affrontano i sentimenti in modo diverso. Se tua madre partisse domani sentiresti la sua mancanza?” “Tantissimo” “Ogni minuto ti sembrerebbe lungo ore intere perché è la tua mamma e vivi dei suoi sorrisi ma per lei ...” si fermò qualche secondo spiando il volto della figlia “ … per lei è diverso. È l'amore che la rende triste” “Ma l'amore non è bello?” “L'amore è di tutte le passioni la più potente” “Davvero?” annuì appena sospirando “Perché nonno?” “Perché attacca allo stesso modo il cuore, la testa e il corpo” “Te l'ha detto lui?” “No, Voltaire” rise di sé stesso, mai nella vita si sarebbe lasciato tentare da libri del genere ma da quando sua figlia l'aveva lasciato, aveva cercato nella lettura l'unica via di fuga possibile.
Non ricordava più nemmeno quanti libri erano passati tra le sue mani, d'improvviso le vecchie regole erano sparite, le parole diventavano solo parole, le idee nascoste dietro ad esse si fondevano con i pensieri creando armonia.
“Come una malattia?” il generale sospirò prendendola in braccio “A volte assomiglia ad una malattia signorina. Ho visto persone morire per amore” “Tu hai amato nonno?” per qualche secondo, tutto attorno a loro si fermò di colpo lasciandoli sospesi nel silenzio.
Fece un bel respiro tornando a spiare il volto della figlia “Se non avessi amato, ora probabilmente tua madre non sarebbe qui davanti a noi” “Com'era la nonna?” sentì il cuore tremare appena, il volto di sua moglie tornò limpido davanti agli occhi confondendosi con Renée “Era una donna molto bella” “Bella come la mia mamma?” “Credo sia da lei che Oscar abbia rubato la dolcezza dei lineamenti” “Ti ricordi il suo nome?” certo che lo ricordava, ma perfino per un generale dell'esercito forte e orgoglioso come lui ricordare era doloroso “Via, non sono discorsi per una bambina” “Non sono troppo pesante per te nonno?” “Sai cos'ha detto il dottore?” Renée scosse leggermente la testa osservando confusa il volto dell'uomo “Che la mia gamba sta guarendo bene e che posso iniziare di nuovo a passeggiare” “Davvero?” sorrise appena scostando dagli occhi della bambina le tenere ciocche ribelli “Andiamo a passeggiare?” “Vai a prendere tuo fratello. La mamma ha bisogno di riposare per qualche ora” la mise per terra e la sua risata accompagnò quei pochi attimi di silenzio colorando i pensieri di allegria.




L'aria era fresca e qualche sprazzo di neve resisteva ancora sui campi e sugli alberi.
Non aveva mai pensato di poter un giorno passeggiare per i sentieri del bosco con due bambini per mano e la mente libera da pensieri eppure, in quella splendida mettina, era un generale dell'esercito che attraversava quella boscaglia silenziosa rispondendo alle domande di due piccoli cuori.
“E se gli uccellini si perdono?” “Come fanno a perdersi Renée? Sono uccellini, la loro mamma canta per fargli trovare la strada di casa non è così signore?” il generale annuì appena sorridendo “E se la loro mamma scappa?” “Non può scappare” “Tuo fratello ha ragione signorina. Nessuna madre lascia i propri figli” “Ne sei sicuro?” ribattè indispettita sollevando il volto verso il nonno “Tua madre scapperebbe mai lasciandovi soli?” “No” “Lo vedi? Ho ragione io” “Padre” sollevò lo sguardo incontrando gli occhi chiari di Maxime “Bentornato ragazzo. Tutto in ordine?” “Si signore, tutto pronto per la vostra partenza” “Mi raccomando, ci sono due bambini con noi. Pretendo sicurezza e massima comodità2 il giovane sorrise studiando per qualche secono il volto del padre.
Era rilassato, disteso, diverso dall'uomo cupo e stanco che aveva avuto accanto per tutti quegli anni.
Camminava ormai senza il bastone, sorrideva molto di più e mai si sarebbe aspettato di vederlo camminare per mano a quei bambini che fino a poco prima chiamava bastardi.
D'altronde, come poteva essere diverso? Renée aveva qualcosa di magico dentro, una capacità tutta sua di sciogliere i cuori e le anime.
Forse era colpa di quegli occhioni grandi e luminosi, sempre piegati in un sorriso, sempre pronti a fare domande.
Assomigliava così tanto ad Oscar da costringere un vecchio arrabbiato con il mondo a sorridere di nuovo e il bambino così pacato e silenzioso, custodiva sul volto lo stesso sorriso della madre, la stessa calma rassicurante che aveva visto da piccolo in lei.
Era più che certo che fosse quello il motivo per cui suo padre si preoccupava tanto dei bambini, di sua figlia.
Nei bambini rivedeva il suo passato, la rassicurante tranquillità di quei giorni lontani che ora sembravano improvvisamente rinati “Perdonatemi padre, forse mi sono sbagliato ma ...” si fermò qualche secondo cercando lo sguardo del generale “ … pensavo di trovarvi al caldo in casa, non era questo che mi avete detto?” “C'è stato un piccolo cambiamento” “Un cambiamento” ribattè ironico “I cambiamenti fanno parte della vita ragazzo” “È vero sai? Si cambia tate volte” esclamò divertita Renée, Maxime sorrise inginocchiandosi davanti a lei “Hai ragione piccola. Si cambia tantissime volte ma vedi, il cambiamento di questo nonno un po' scorbutico mi è totalmente nuovo” “Non tirare troppo la corda ragazzo” “Mi avete sconvolto padre, dico davvero” “Si? Beh, sono piuttosto sconvolto anche io” esclamò confuso stringendo il mantello attorno al collo “Vostra figlia?” “Le ho imposto qualche ora di riposo. Se non rallenta un po' rischia di diventare matta” “Questo è un sentimento molto paterno” “Siete stato a cavallo duca?” domandò Etienne continuando a stringere la mano del generale “Siete un ottimo osservatore. Sono stato a svolgere commissioni molto importanti per mio padre” “Voi siete davvero fratello di mia madre?” Maxime sorrise rialzandosi ma il generale tossicchiò bloccando quella risposta spontanea e leggera “Ti ho spiegato il rapporto di parentela che intercorre tra me e il duca non è così?” “Si signor generale” “Il duca diventerà presto mio figlio adottivo” “Anche se è così grande?” “Vedi Renée ...” sussurrò Maxime sfiorandole il volto “ … non c'è età per l'amore di un padre” “Tu non piaci molto alla mia mamma” scoppiò a ridere divertito dalla semplicità di quella risposta “Invece la tua mamma a me piace davvero tanto piccola. La considero mia sorella e prima o poi, lascerà da parte il sospetto e la paura e imparerà a conoscermi” “E andrete d'accordo?” lo sguardo si spostò qualche secondo sul volto del generale, lo vide scuotere leggermente la testa stringendo più forte la mano di Etienne “Spero proprio di si Renée” “Basta così, è ora di rientrare” “La vostra carrozza sarà pronta tra qualche giorno. Stiamo cercando di predisporre ogni cosa nel migliore dei modi padre” “Molto bene, mi raccomando solo l'accuratezza” il giovane sorrise annuendo appena “Ora se volete scusarmi, Lisette mi cerca da qualche ora ormai” “Se sapeva che ti stava cercando come mai non sei ...” “Altrimenti che divertimento sarebbe?” “Prima o poi ti prenderà a schiaffi ragazzo” “Mi ha cresciuto, non lo farebbe mai” gli fece l'occhiolino ridendo prima di allontanarsi canticchiando da loro “Nonno?” “Dimmi” “Davvero il duca prenderà una pentola in faccia?” “Se continua a prendere in giro la sua governante si bambina” “Possiamo vederlo?” rise alzando leggermente gli occhi al cielo “Ora torniamo a casa, vostra madre vorrà vedervi di nuovo non credi?” mormorò muovendo leggermente la mano della bambina nell'aria, la vide sorridere, annuire leggermente stringendo le dita attorno alle sue.
Sarebbe andato tutto bene, li avrebbe avuti accanto per qualche settimana ancora e il cuore troppo stanco che gli batteva in petto, avrebbe ritrovato di nuovo la forza di un tempo.


                                          

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Tra te e Loro ***


                          Tra te e Loro






Non si era nemmeno resa conto di quanto veloce andasse il tempo.
Aveva lasciato la sicurezza di quel mondo per tornare nel passato, per tornare di nuovo in quel mondo che amava e odiava.
Fece un bel respiro seguendo con lo sguardo i movimenti della servitù fuori da quella carrozza, correvano avanti e indietro ridendo, c'era felicità nei loro occhi.
Alcuni di loro li ricordava bene di altri non aveva mai sentito parlare “Non ti mangiano sai?” “Perdonatemi” sussurrò stringendo più forte Renée tra le braccia “Non sono più abituata a cose del genere” “Manifestazioni d'affetto? La bambina che dorme tra le tue braccia potrebbe facilmente smentirti” “L'affetto dei miei figli è cosa ben diversa” “Anche quello di un padre” i cavalli rallentarono e il cuore schizzò violentemente nel petto “L'hai fatto tante volte Oscar, fai un bel respiro e metti tra te e loro un vetro spesso e resistente. Ti vedono ma non possono toccarti né infastidirti in nessun modo” la portiera laterale si aprì e la luce del mattino perforò quella leggerissima penombra che fino ad ora li aveva protetti.
Suo padre scese orgoglioso lasciando il bastone tra le mani del cocchiere, la sua voce forte e profonda impartiva ordini secchi e poi gli inchini leggeri delle cameriere e quella mano tesa verso di lei.
La stessa mano che da bambina era diventata la sua unica e sola ancora di salvezza.
Fece un bel respiro ricacciando indietro quel tremito leggero che si portava via i pensieri, strinse più forte la figlioletta tra le braccia come se d'improvviso quel corpicino delicato potesse darle forza e calore.
Allungò la mano verso il padre, le dita si intrecciarono assieme e la luce sfiorò lentamente il suo volto mentre scendeva da quel piccolo rifugio tranquillo.
Sentiva su di sé gli sguardi carichi di emozione, li vedeva piangere commossi da una gioia che lei nemmeno riconosceva.
Un passo, un altro ancora, la mano stretta a quella del padre così forte da farlo sorridere “Conte, voi non immaginate nemmeno che gioia è per me rivedervi” “Louise?” “Eravate una ragazzina quando vi ho visto l'ultima volta. Vostro padre mi aveva mandato a servizio da vostro cugino” “Mi dispiace, non mi ricordo di voi” “Oh non importa signore, abbiamo tempo per ricordare assieme ma siete molto più bella di quello che avrei immaginato” “Basta così” esclamò secco il generale frapponendosi tra loro “Mia figlia è molto stanca. Preparate la sua camera e quella per i bambini e fai in modo che sia calda abbastanza!” “Si signore” “Stai bene?” domandò d'improvviso cercando gli occhi della figlia “Si, si è solo … ho bisogno di riposare” “E tu giovanotto? Sei stanco?” “No signore” ma il volto sfinito di Etienne lo fece sorridere.
Prese per mano il bambino aiutandolo a salire le scale.
C'era un buon profumo nella sala grande, profumava di passato, di dolcezza e fiori.
Una stanza, un'altra ancora poi finalmente la porta chiusa e il silenzio tutto attorno a lei.
Fece un bel respiro cercando di calmare i battiti violenti del cuore, Etienne posò il mantello sulla poltrona perdendosi con lo sguardo sulle grandi librerie ordinate “Amore, cosa ne dici se ora io e te andiamo a riposare un po'?” la mano del bambino si chiuse attorno alla sua mentre oltrepassavano le sale fino alla camera da letto.
Ricordava a memoria ogni angolo delle sue stanze, c'era ancora il suo pianoforte preferito nella prima anticamera e tutti i suoi spartiti.
L'ultimo libro che aveva letto ancora aperto sul divano, la camicia abbandonata sulla poltrona accanto al fuoco, l'aveva lasciata lì il giorno prima di scappare di casa “Mamma, questo è lo stesso posto dell'altra volta?” “Si amore mio” sussurrò posando Renée sul letto “Ma sembra più grande” “Non la ricordi?” il bambino sorrise scuotendo leggermente la testa “Posso prendere un libro mamma?” “Devi riposare” “Ti prego, non lo leggo, lo scelgo soltanto” come poteva negargli qualcosa del genere? Gli aveva insegnato l'amore per le parole e per la cultura, l'amore per la vita e ora quell'amore brillava dolcemente in due occhi di mare stanchi e assonnati “Ricordi come arrivarci?” “Esco dalla stanza e giro a sinistra” “A destra amore mio. A sinistra c'è la sala da bagno” rispose divertita sfilando le scarpine della figlioletta “Giusto mamma, a destra. Dopo il pianoforte vero?” “Esatto. Dopo il pianoforte” “Mamma?” “Dimmi tesoro” “Non avevi paura tutta sola qui dentro?” “Sai, quando ero piccola come Renée, mio padre decise di regalarmi un angolo tutto mio, un posto speciale dove poter crescere serena ...” tolse la giacchetta alla bambina scostandole dal volto i capelli “ … mi ha regalato cinque stanze grandi più o meno come casa nostra” sospirò nascondendo l'ironia dietro ad un sorriso “Libreria, sala della musica, uno studio ampio e luminoso, la sala da bagno piena di profumati aromi e infine la camera da letto” “E non eri contenta?” tirò leggermente indietro la coperta sistamadovi Renée “Sarei stata più contenta di passare il mio tempo assieme a lui ma era convinto che per crescere forte, mi sarei dovuta abituare all'indipendenza e un posto tanto grande mi avrebbe aiutata” Etienne sbadigliò strofinandosi gli occhi “Senti ...” strinse leggermente il bambino per le spalle tirandolo dolcemente verso di lei “ … che ne dici se il libro lo scegli più tardi e ora riposi” “Ma non sono stanco” “Oh questo lo vedo” rispose divertita iniziando a spogliarlo “Sei il bambino più sveglio di questo mondo” “Mamma!” “Che c'è?” rispose divertita baciandolo “Ehi, lo sai che papà torna a casa tra un po'?” “Quanto po'?” “Beh ...” lo prese in braccio togliendogli una dopo l'altra le scarpe “Nell'ultima lettera ha scritto che il duca è piuttosto contento dei nuovi cavalli. Devono raggrupparli e poi portarli a casa. Ci vuole ancora qualche settimana” posò Etienne sul letto accanto alla sorellina “Ma non devi preoccuparti amore mio, i giorni passano veloci” tirò più su la coperta nascondendoli entrambi dal freddo della notte “Perdonatemi contessa, le stanze dei bambini sono pronte” “No ora no. Riposeranno nelle mie stanze” “Come desiderate” mormorò la serva chinando leggermente il capo verso di lei “Vostro padre ha fatto preparare la colazione. Vi chiede di raggiungerlo nella sala grande” sfiorò la testolina del figlio sorridendo di quell'espressione combattuta tra il sonno e la voglia di ascoltare quei discorsi tanto difficili “Dite a mio padre che sarò lieta di raggiungerlo tra qualche minuto” “Come desiderate signore” un altro leggero inchino poi di nuovo il silenzio e due bambini addormentati nel suo letto che rendevano quel cambiamento improvviso più dolce.




“Padre?” sollevò gli occhi dai fogli incontrando l'azzurro cristallino del cielo “Ti aspettavo più tardi Oscar, credevo volessi riposare qualche ora” “No” mormorò sedendo di fronte a lui, la governante sorrise posando davanti a lei una tazza fumante e un piatto colmo di biscotti “Non dovevate aspettarmi per forza padre” “Oh sciocchezze. Ti aspetto per fare colazione da quando avevi cinque anni, perché dovrei cambiare ora?” abbandonò i fogli tra le mani del suo paggio concentrandosi sul volto della figlia “C'è qualcosa che non va?” “No, è solo … insomma, riabituarsi di colpo a tutto questo non è facile” “Non c'è niente di male nel ritrovare il passato qualche volta” ma lei non rispose, si limitò ad annuire leggermente stringendo tra le mani la tazza calda “Ho pensato di portare i bambini a passeggiare per la tenuta più tardi” “Mi sembra un ottima idea bambina. Sono sicuro che ameranno le stalle, ci sono due cavalli tutti per loro” “Padre” “Tu avevi il tuo cavallo, è giusto che anche loro abbiano il proprio” “Venite con noi?” “No, ho affari importanti da sbrigare” per qualche secondo le apparve davanti agli occhi di nuovo il padre freddo e lontano che non riconosceva più ormai “Ma vi raggiungerò non temere” “Perdonatemi signore” “Sei in ritardo” “Di tre minuti?” ribatté ironico Maxime sedendo accanto a Oscar “Non è un ritardo così grave” “Giudico io cos'è grave e cosa no ragazzo” “Avete ragione” il generale annuì rabbonito tornando a studiare il volto della ragazza.
Era stanca, lo leggeva nel suo sguardo, nella postura forzatamente elegante che tentava di mantenere eppure, nonostante tutto, si rifiutava di cedere anche un solo attimo al sonno o al riposo.
“Perché non accompagni mia figlia più tardi?” Maxime sollevò lo sguardo dal suo piatto sorridendo “Volentieri” “No” “Meraviglioso, due risposte allo stesso tempo” esclamò divertito il generale “Un po' di compagnia ti fa bene Oscar” “I miei figli sono diventati improvvisamente invisibili?” “Potrei accompagnarvi a vedere le nuove fontane” “Conosco casa mia duca, credo di poterci arrivare da sola” “Oh andiamo, Renée mi adora” “Purtroppo non posso porvi rimedio” quello scambio carico di ironia e semplicità riempì il cuore dell'uomo costringendolo a sorridere.
Sembravano davvero fratello e sorella, uniti da qualcosa di invisibile e lontano eppure tanto diversi da scontrarsi continuamente uno contro l'altra.
Conosceva bene il carattere di sua figlia, era forte, ostinata, convinta delle proprie scelte e perfettamente in grado di affrontare quella nuova dimensione della sua vita e Maxime non era da meno.
Averli tenuti separati tanti anni, gli aveva concesso il tempo necessario per poter organizzare il loro incontro.
Dopotutto, quei due giovani tremendamente testardi, sarebbero diventati agli occhi della legge fratello e sorella a tutti gli effetti, l'avrebbe evitato, se solo Oscar avesse accettato nuovamente il suo titolo avrebbe evitato quella scelta tanto complicata “Sentite, facciamo un patto vi va? Io vi accompagno per qualche ora nel pomeriggio, passeggiamo, mostriamo ai vostri figli la bellezza di questa tenuta e voi fingete di amarmi” “Non è uno scambio equo duca” “Davvero?” domandò confuso “Fingere di amarvi è tremendamente faticoso e prosciuga le energie” “Allora forse dovreste mangiare di più. Siete piuttosto magra ve l'hanno detto per caso?” “Concordo” “Padre!” “Che c'è?” Oscar sospirò alzando leggermente gli occhi al cielo “Sei troppo magra, dovresti alimentarti di più bambina mia” “Non vi siete mai preoccupato di queste cose, perché ora?” “Sbagli” asserì orgoglioso “Ho sempre avuto cura della tua alimentazione. Se non sei forte abbastanza come puoi sopportare i lunghi giorni di questa vita?” la giovane sorrise posando la tazza “Proprio per questo ...” mormorò alzandosi “ … ora vi lascio alle vostre chiacchiere” “Non hai finito la colazione” “Credo seguirò i vostri insegnamenti padre, andrò a riposare” “Non ho ...” “Come potrei essere forte abbastanza fingervi di amarvi come un fratello?” ribatté ironica cercando lo sguardo del duca, Maxime rise divertito da quel gioco che amava da impazzire “Con permesso padre” un debolissimo cenno d'assenso e poi un padre indispettito che fissava il volto di un giovane solare e pieno di vita “Che c'è?” “Devi proprio comportarti così?” “Vostra figlia vi assomiglia padre, testarda come lo siete voi e tremendamente brava nel rigirare le parole a proprio favore” “L'hai avuta davanti per anni e non ci hai mai fatto caso?” “No, non a questa sua capacità di ottenere la vittoria con uno sguardo” “Secondo te l'ho allevata come una contadina?” il giovane rise tornando a concentrarsi sulla sua colazione e sul quel nuovo affetto che gli scaldava il cuore regalandogli finalmente una sorella.








 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Confidenze ***



                                      Confidenze






“Avete riposato bene?” non rispose, si dipinse in volto quel leggerissimo sorriso falso e bugiardo che tante volte aveva usato da bambina, Maxime scosse leggermente la testa ridendo “Non siete brava a dire le bugie, dovreste imparare da vostra figlia” “I vestiti sono tutti della mia misura. Volete spiegarmi questo piccolo mistero?” “Sono stato bravo” esclamò orgoglioso passandole le redini del cavallo “Avevo qualche dubbio sulla misura dei pantaloni contessa. Ho usato i fianchi di Lisette e le spalle di Diane. Siete un intrigante miscuglio di sensualità e muscoli” “Dovrebbe essere un complimento?” ribattè ironica montando a cavallo “Non vi è venuto bene duca” “Volevo solo dire che siete unica e bellissima contessa. Avete un corpo perfetto, le forme aggrazziate sono tornite da muscoli armoniosi, la vita sottile, le spalle che seguono una postura meravigliosa” “Iniziate ad essere noioso” ma il sorriso che le colorò le labbra lo costrinse a montare in sella ridendo “La verità è che vi divertite un mondo a prendermi in giro” “Vero, colpa mia, ho il difetto di essere donna” “Io non lo trovo un difetto, penso sia una delle virtù più belle che possedete” le fece l'occhiolino e spronando il cavallo partì al galoppo.
Quel giovane la confondeva, riusciva a leggerle dentro con una semplicità strabiliante.
La faceva sentire in qualche modo indifesa, sola, incapace di attingere alla forza violenta che le bruciava nel cuore.
Fece un bel respiro stringendo più forte le redini, in fondo, due settimane passano in fretta no? Spronò il cavallo seguendo la corsa folle del duca e cancellando dalla mente ogni altro pensiero.


Il rumore degli zoccoli sulla ghiaia pallida era un tenero passatempo, Renée se ne stava appoggiata alle gambe del generale sorridendo di tanto in tanto al fratello.
Comodamente seduto sulla poltroncina di velluto quell'uomo burbero osservava orgoglioso Etienne montare in sella.
Aveva regalato al bambino il suo primo cavallo, un meraviglioso purosangue dal manto ambrato con finimenti bordati d'oro e porpora.
Il clima mite di Parigi era l'ideale per imparare a cavalcare e quel bel pomeriggio a metà tra l'inverno e il primo pallido accenno di primavera, regalava temperature ideali e un bel parco illuminato “Bene così giovanotto. Ora stringi bene le redini” “Si signore” “Posso provare anche io?” “No signorina, per te è ancora presto” esclamò posando una mano sulla testa della bambina “Perché non posso?” “Perché sei troppo piccola” “Ho cinque anni” ribattè indispettita incrociando le braccia sul petto ma il generale sorrise voltandola di nuovo verso il fratello.
Era immobile su quell'animale troppo grande per lui eppure, dal suo sguardo non traspariva paura, niente timore né angoscia.
Divertito da quell'esperienza che ai suoi occhi appariva un gioco, stringeva le redini dell'animale cercando di tenere quella postura scomoda il più a lungo possibile, lo stalliere era a pochi passi da lui, la corda d'allenamento legata ai finimenti del cavallo e una bella espressione orgogliosa sul volto “Ora farai qualche passo assieme a lui, non devi aver paura” “Non ho paura signore” un lieve cenno del generale diede il via libera a quel meraviglioso pomeriggio di allegria.
Il cavallo mosse i primi passi girando lentamente attorno allo stalliere “Molto bene, stringi più forte le gambe attorno ai fianchi del cavallo e sollevati sulle staffe” l'animale accelerò appena portandosi al trotto “Andate benissimo conte, siete un cavaliere nato” “Il giovane conte è davvero molto bravo signore” mormorò un giovane colonnello al suo fianco “Sembra nato per cavalcare” “Naturale, sua madre è mia figlia, poteva mai essere qualcosa di lontano dalla perfezione?” tornò a seguire i movimenti del nipote battendo leggermente le mani “Devi alzarti di più sulle staffe” “Io ci provo signore ma è ...” un debole sorriso gli sfiorò le labbra, era ancora troppo piccolo per potersi reggere con forza sulle staffe troppo lunghe per lui “D'accordo per ora basta così” “Posso cavalcare da solo con lui?” “Non hai paura?” “No, vi prometto che starò attento e che tornerò tra qualche minuto” “Non preoccupatevi signore” mormorò il colonnello avvicinandosi al cavallo “Cavalcherò affianco a lui” “Mi raccomando Bertrand” un altro ragazzetto si avvicinò a loro seguito da un meraviglioso cavallo nero come la notte “Niente corse sciocche nel parco, arrivate alla fontana e tornate indietro” “Non temete signor generale, starò attento” “Vi ritengo responsabile” un altro cenno d'assenso, il giovane salì a cavallo sistemandosi il mantello “Non posso andare con loro?” “Torneranno subito Renée” “Tra quanto passa subito? Anche la mamma l'ha detto e non è ancora tornata” “Tua madre è andata a cavalcare. Ha bisogno di sfogarsi un po', le è sempre piaciuto cavalcare, forse questo le farà bene” “Nonno?” “Che c'è?” Renée sorrise arrampicandosi sulle gambe del generale “Mi insegni a usare la spada?” “Tua mamma non l'ha fatto?” “Non ancora, dice che sono troppo piccola” “Ha ragione” le sorrise sfiorandole il nasino con un dito “Sei troppo piccola” “Sono sempre troppo piccola per fare le cose belle” “Avrai tutto il tempo di questo mondo signorina. Ho portato via alla tua mamma l'infanzia, non è una cosa bella correre, hai tutta la vita per imparare queste cose” “Ma te lo sto chiedendo io nonno” tornò a seguire i passi di Etienne ignorando per qualche secondo quegli occhi tanto belli capaci di sciogliergli il cuore “Nonno” “D'accordo” “Davvero?” esclamò sognante la piccola “Se è questo che vuoi signorina, allora imparerai ad usare la spada” le braccia della bambina si strinero con forza attorno alle sue spalle costringendolo a sorridere.





Aveva dimenticato quanto fosse bello cavalcare correndo fino a restare senza fiato, quanto fosse bello cavalcare nei parchi di una tenuta che aveva sempre custodito nel cuore.
I raggi tiepidi del sole scendevano lentamente oltre l'orizzonte, gli alberi si assopivano lentamente mentre il canto degli uccelli accompagnava quella passeggiata silenziosa.
Sentiva lo sguardo del duca su di sé, i suoi occhi azzurri di cielo che percorrevano ogni centimetro della sua pelle e quelle domande silenziose che perfino così riusciva a sentire.
Si strinse nelle spalle continuando a camminare, le redini strette nella mano sinistra e quel cavallo stupendo che l'accompagnava docile lungo quel sentiero avvolto da quercie addormentate che mostravano orgogliose le prime foglie “A cosa pensate?” “Come?” “Quando pensate fate rumore contessa” un debole sorriso le sfiorò le labbra rendendola ancora più bella “Sono sempre stato affascinato da quello” “Da cosa?” “Da quel sorriso meraviglioso che vi sfiora le labbra ogni volta che siete a disagio o che qualcosa vi fa stare bene” si voltò leggermente verso di lui spiando la dolcezza di quegli occhi rubati alla vastità del cielo “A volte nemmeno ve ne rendete conto. Fingete di assecondare le persone ma quel sorriso è lì, delicato, tenero eppure tanto forte” “Mi avete spiato davvero così tanti anni?” Maxime sorrise annuendo leggermente “Perché?” “Non so dirvelo nemmeno io. All'inizio era solo curiosità, ero un bambino, la mia famiglia era sparita e quando vi ho visto per la prima volta, ricordo di aver pensato: mi piacerebbe giocare assieme a lei” sfiorò il muso del suo cavallo con la mano libera continuando a dipingerle davanti agli occhi stralci di ricordi che ormai appartenevano al passato “Vi ho visto correre, giocare e ridere e poi i vostri allenamenti, la determinazione che vi colorava lo sguardo ogni volta che vostro padre vi raccontava il futuro” “Perché non avete mai ...” “Non mi era permesso contessa. Eravate destinata alla grandezza, il vostro futuro era già tracciato davanti ai vostri piedi” “Ho lasciato quella strada parecchi anni fa” mormorò tornando a fissare la strada di fronte a sé “Siete pentita di questo?” “No, no duca. Sono felice di aver ascoltato il cuore, se non l'avessi fatto ora i miei figli non sarebbero qui” “Eppure ...” si fermò a pochi passi da lei cercando il suo sguardo “ … c'è del rammarico nelle vostre parole” gli sguardi si fusero assieme costringendolo a trattenere il respiro.
Era sempre stata bella, ma ora, davanti a lui non c'era la ragazzina sfacciata e testarda di tanti anni prima.
Leggeva nell'anima di una meravigliosa donna dagli occhi così belli da togliere il fiato.
In quel mare di parole silenziose cercava risposte, qualcosa che potesse dirgli: va bene, puoi avvicinarti a me fratello perché sono qui assieme a te.
Su quella pelle d'avorio il sole dipingeva sfumature meravigliose, riusciva a leggere le emozioni che provava, quel movimento leggero dei muscoli che si contraevano appena costringendola a sollevare appena il volto e la dolcezza di quel collo meraviglioso nascosto dai vestiti eppure così chiaro davanti agli occhi da confondere i pensieri “Non dovreste darvi colpe che non meritate contessa” “Lo credete davvero?” annuì appena senza staccare per un secondo gli occhi dai suoi “Questa è stata la vostra vita per ventisei anni. Non potete cancellarla dal cuore né maledire i ricordi. Meritate quei ricordi” “Non mostrare mai la tua debolezza” lo sguardo confuso di Maxime la fece sorridere “Mio padre lo ripeteva sempre: Non mostrare mai la tua debolezza Oscar” “Non l'avete mai fatto” “Ho scelto l'amore” “E la considerate una sconfitta?” “No, la cosidero una salvezza duca. Sono diventata più forte, molto più forte di quello che mio padre avrebbe mai sperato” “Ma continuate a pensare a questo mondo” non sapeva nemmeno lei come o perché ma, parlare con quel giovane era più semplice che mai.
Era in grado di togliere ogni ostacolo dal cammino delle parole lasciandole libere di correre sulle labbra, lasciandole libere di fuggire regalando al cuore un attimo di pace “Accade di rado, a volte nemmeno me ne accorgo ma i ricordi iniziano a scorrermi davanti agli occhi. Questa casa, la mia regina, la sicurezza di un mondo fatto di regole” sollevò leggermente le spalle ridendo “Forse sono solo sciocchezze” “Amate vostro padre. Con i suoi pregi e i suoi mille difetti, lo amate incondizionatamente perché vi ha reso la donna che siete oggi” un tremito leggero le sfiorò la schiena salendo fino alle labbra “Non c'è niente di male nell'ammettere che troppi anni di silenzio vi hanno ferito contessa. Di cos'avete paura?” sfiorò il collo del cavallo perdendosi qualche secondo nel silenzio poi di nuovo gli occhi fusi a quelli del giovane e un sorriso delicato sulle labbra “Non voglio che i miei figli soffrano per qualcosa che prima o poi accadrà” “O magari ...” ribatté accarezzando il cavallo della giovane “ … avete paura di scoprire che questo mondo vi manca così tanto da non riuscire più a tornare indietro” “Credo di poter convivere con questa cosa sapete?” “Si? Beh, l'ho detto anche io molti anni fa ma sono di nuovo qui, davanti a voi a rassicurarvi” “Perché lo fate?” socchiuse gli occhi cercando di leggere nell'anima del giovane, lo vide sospirare, mordersi leggermente le labbra nel tentativo di comprendere sé stesso “Perché vi preoccupate per me?” “Sono legato a voi. Non so nemmeno io da cosa ma vi sento nel cuore. Quando siete triste o felice, quando pensate a qualcosa e trattenete le lacrime ...” si portò una mano al petto cercando di nuovo i suoi occhi “ … vi sento qui dentro ed è una sensazione talmente forte da farmi male. Vostro padre crede sia colpa vostra, ammaliate le persone con una semplicità strabiliante. Io credo sia colpa di quei giorni lunghi passati a spiarvi” i capelli si mossero leggeri sotto il tocco del vento incorniciandole il volto “Vi ho chiuso a chiave nel cuore contessa. Ovunque andassi, qualsiasi cosa io facessi, voi eravate lì, davanti a me e mi costringevate a sorridere e a rialzarmi, non importa quale ostacolo fosse davanti a me. Il vostro sorriso mi rendeva forte” non rispose, restò immobile in quel silenzio di perla avvolta dalla sincerità di un giovane che fino ad ora aveva odiato da morire “Vi ho sempre considerato una sorella, anche perché vostro padre non mi avrebbe mai permesso di pensare a voi in maniera diversa” le fece l'occhiolino prendendo di nuovo le redini del cavallo “Ora dovremo rientrare, i vostri figli si staranno chiedendo che fine ha fatto la loro mamma e sono abbastanza sicuro che vostro padre stia impazzendo” una risata, semplice, spontanea, una risata così bella da legarli ancora di più.
Salì di nuovo a cavallo “Grazie” sussurrò sistemandosi i capelli “E per cosa di grazia?” “Per avermi ascoltato” un altro sguardo prima di scappare via lasciandolo solo a ridere di sé stesso, di quella giovane pura e tenera che inseguiva costantemente la donna perfetta che era diventata.






 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Pochi secondi di Debolezza ***


                  Pochi secondi di
                       Debolezza











“Lettere dal paradiso” sbuffò strappando dalle mani del giovane la busta di carta “Che c'è? Ti preferivo quand'eri soldato, eri molto più divertente” “Anche tu” Alain sorrise sedendo di fronte a lui “Pensavo avessi rinunciato a queste cose, che fossi scappato con la tua bella e messo su famiglia. Immagina la mia sorpresa quando ti vedo entrare in città con servitù al seguito” Andrè annuì appena giocherellando con la carta candida “Come sta il nostro comandante?” “Chi?” “La giovane dai capelli d'oro e gli occhi di cielo che ha conquistato il mio cuore dal primo giorno che la vidi” “Bene, sta bene” “Molto loquace” ribattè indispettito addentando una mela “Scusa, scusami davvero Alain. È solo che ho mille cose da fare, il duca non si decide sugli esemplari che secondo lui sono migliori” “Di cosa parliamo?” “Cavalli, quei meravigliosi stalloni che sono appena arrivati” “Li ho visti, cavolo, sono davvero una meraviglia” “Già, talmente splendidi da mettere in crisi uno sciocco travestito da nobile” “Però” esclamò divertito il ragazzo seguendo con lo sguardo i movimenti delle persone oltre i vetri della locanda “L'inverno è finito e l'ho lasciata partire. È la cosa giusta da fare ma era così spaventata, temeva di rovinare in qualche modo la nostra vita” “Parliamo sempre di cavalli?” ma lo sguardo ironico sul volto di Andrè lo convinse a tacere “Ora leggo le sue parole, immagino il suo volto e vorrei solo essere con lei, con i bambini” “Lo sapevo!” esclamò estasiato Alain dandogli una pacca sulla spalla “Hai dei figli!” sorrise annuendo leggermente “Quanti?” “Due, Etienne ha sette anni e Renée cinque, lei direbbe: ne ho sei papà, smettila di farmi sembrare piccola” risero assieme mentre davanti agli occhi tornava il faccino sorridente di sua figlia “Le assomigliano non è così? Ho sempre pensato che se il comandante avesse avuto dei figli sarebbero stati angeli in terra” “Davvero?” Alain annuì deciso “È talmente bella amico mio, che avere un bambino normale è praticamente impossibile” “Oh su questo hai ragione, il volto d'angelo ce l'hanno tutti e due” “Lo sapevo!” “Il caratterino? Quello temo sia un miscuglio incomprensibile” “Non preoccuparti, con il tempo si calmeranno” “Non lo so amico mio, c'è qualcosa che non mi fa riposare tranquillo” “Riguarda gli affari?” “Riguarda Oscar” l'altro sospirò posando la mela sul piatto “Non è la prima volta che la lascio sola, è già accaduto che per lavoro sia stato lontano giorni interi ma ogni volta, ogni dannata volta avevo la certezza di ritrovarla esattamente come prima” “Ora no?” ci mise qualche secondo a rispondere.
Come poteva descrivere quel leggero timore che si portava nel cuore? Era la prima volta da anni che quello sciocco sentimento era tornato a fargli visita.
In passato era accaduto spesso, quando la guardava cambiare, quando si chiudeva in quei maledetti silenzi che la portavano via da lui, dal mondo intero.
Fece un bel respiro ricacciando indietro ogni cosa “Forse sono solo molto stanco” “Sai che facciamo? Ora io e te usciamo da qui, andiamo a farci una bella passeggiata. C'è un posticino ottimo per mangiare” “Alain non devi per forza ...” “Cosa? Offrire un pasto al mio buon amico? Dopo tutto quello che abbiamo passato forse un po' di tranquillità ce la meritiamo” gli fece l'occhiolino prendendo il mantello dalla sedia lì accanto “Vado a parlare con un amico, ci vediamo qui fuori tra qualche minuto?” annuì leggermente ma il giovane era già scappato fuori dalla stanza lasciandolo solo a fissare quel foglio di perla stretto tra le dita.
Lo aprì lentamente terrorizzato dal poter vedere all'improvviso quelle parole tanto belle volare via Quando pensi fai rumore amore mio, te l'ho già detto? … sorrise passandosi una mano tra i capelli … Probabilmente stai ridendo di me, lo so che è così, non importa, posso sopportarlo.
È tutto così diverso amore mio, è la stessa casa di sempre ma vi è qualcosa di insolito, è come se d'improvviso tutta l'austerità e le regole imposte dal generale fossero sparite, sostituite da un mondo nuovo e pieno di serenità. Oh certo, ci sono capitani e colonnelli che entrano ed escono, a volte mi ricordano i soldati della guardia a Versailles, altre invece li trovo semplicemente sciocchi.
Sono rimasta lontano da questo mondo così tanto, ora ogni cosa mi sembra nuova, diversa e meravigliosa, la tranquillità di questa nuova realtà cancella il dolore profondo che l'assenza di mia madre ha lasciato in tutti.
Mi manca amore mio, mi manca da morire e sarei stata felice di poterla abbracciare, di poter sentire il suo profumo almeno una volta … sollevò qualche secondo lo sguardo cancellando una lacrima insolente.
Conosceva bene l'amore di Oscar nei confronti della madre, quell'amore violento e profondo di cui era stata privata a cinque anni e che nonostante tutto, continuava a bruciarle nel petto creando lacrime e pianti abilmente soffocati … Etienne ieri ha ricevuto in dono un meraviglioso cavallo. Mio padre ha leggermente perso il senso della misura, avevamo accettato entrambi l'idea di un puledro e lui ha tirato fuori dal nulla un purosangue talmente bello da togliere il respiro. Tuo figlio ne è rapito, passa ore intere assieme a lui, mio padre gli ha regalato un'ala intera della stalla dove può prendersi cura del suo nuovo cucciolo.
A volte fatico perfino a trovarlo, scappa in libreria e resta lì dentro per ore assieme a Renée, leggono, cercano in quei libri antichi le risposte della vita, a volte le cercano in mio padre.
Pensavo fosse diverso, pensavo reagisse in maniera più dura ma quello che ho davanti è un uomo sorridente, disposto ad ascoltare per ore le chiacchiere innocenti dei bambini e non so se esserne felice o meno.
Non riesco a capirlo Andrè, è mio padre e non riesco più a capirlo, vorrei che fossi qui, assieme a me.
Vorrei averti accanto e stringerti tra le braccia perché non credo che tu possa immaginare quanto mi manchi … la voce di Alain lo distrasse, sollevò lo sguardo perdendosi sulla risata del giovane oltre le finestre.
Sentiva ancora quel sentimento nel cuore, quel timore assurdo che litigava con le sicurezze, forse, se avesse chiuso gli occhi il sorriso di Oscar avrebbe cancellato ogni brutto pensiero.
Fece un bel respiro richiudendo il foglio “Mi manchi anche tu angelo mio” un bacio leggero sulla carta profumata prima di chiuderla al sicuro nel cuore e nei pensieri.







Sfiorò con le dita la cornice preziosa del quadro, custodita all'interno vi era il volto meraviglioso di una donna che mai sarebbe uscita dal cuore.
La sua bellissima madre che fin da piccola le aveva insegnato l'amore per il mondo, per sé stessa, le mancava, le mancava da morire.
Avrebbe dato la vita per poterla vedere di nuovo, un'ultima volta per poterla stringere tra le braccia, per lasciarsi cullare da quel profumo che era aggrappato all'anima così forte da farle male.
Sentì il cuore accelerare di colpo e le lacrime spingere violentemente contro la barriera troppo fragile della ragione poi quella mano posata delicatamente sulla sua spalla, la voce calma e profonda a cui ormai era abituata “Non è un peccato piangere” “Non sto piangendo” “No è vero” sussurrò voltandola leggermente verso di sé “Stai solo fingendo di piangere” un debole sorriso le sfiorò le labbra “Perché fa così male?” Maxime sospirò scostandole dagli occhi i capelli “Farà sempre male” quelle carezze leggere fino ad ora sempre e solo immaginate, erano diventate reali qualche giorno prima.
Gli aveva permesso di avvicinarsi a lei, non troppo per poterla ferire ma abbastanza per permettergli di scoprire il suo mondo.
Era accaduto per caso, l'aveva raggiunta in giardino stringendo tra le mani quel libro tanto prezioso che per tutto il pomeriggio aveva cercato, era silenziosa, più silenziosa del solito, nei suoi occhi non c'era allegria né sorrisi.
Aveva lo sguardo perso da qualche parte oltre il bosco, sembrava non sentire il vento fresco né quella temperatura ancora troppo bassa per permettere lunghe chiacchierate con sé stessi la tramonto.
Una settimana passata assieme gli aveva forse regalato il diritto di preoccuparsi per quei silenzi troppo lunghi, stava per chiederle cosa ci fosse di sbagliato, cosa le fosse accaduto di tanto grave da rubarle la serenità ma lei non gli diede nemmeno il tempo di proferire parola.
Si voltò verso di lui abbracciandolo, stringendolo a sé così forte da togliergli il respiro, in lacrime, tremante come una bambina troppo a lungo lasciata sola.
Sorrise sistemandole i capelli dietro all'orecchio “Quando penserai a lei sentirai le lacrime lacerare violente occhi e ragione, ti sembrerà di morire ma con il tempo imparerai a conviverci” la tirò in avanti nascondendola tra le braccia “Fa male” “Lo so” “Davvero?” “Ero solo un bambino ma ricordo la morte di mia madre come se fosse ieri. Il suo volto pallido, i suoi occhi, quell'ultimo respiro” la giovane sorrise stringendosi più forte a lui “Ho imparato a conviverci, accadrà anche a te, il suo ricordo diventerà sopportabile, guarderai la sua immagine e sorriderai e allora non farà più così male” “Vorrei poterla vedere un'ultima volta, solo una volta per guardarla negli occhi e dirle quanto l'amo” “Lo sa già contessa” sospirò posando il mento sulla spalla della giovane “Sono un fratello niente male vero?” la sentì ridere divertita da quelle parole tanto spontanee “È inutile che ridi contessa, prima o poi dovrai accettare l'idea di avermi attorno per il resto della tua vita” “Sto ancora cercando di capire come ho fatto a permetterti di abbracciarmi” la strinse più forte divertito dalla tenerezza di quell'attimo “Forse perché hai bisogno di qualcuno che ti aiuti ad uscire da quei silenzi maledetti” “Mi ricordi un sogno” “Un sogno?” domandò confuso giocherellando con i suoi capelli “Ho sognato un giovane, alto, forte, dallo sguardo profondo e il sorriso di un angelo, voleva distruggere il silenzio costringendomi a vivere. Ma è accaduto ormai molto tempo fa” “E il tuo compagno sa che fai sogni del genere?” Oscar sospirò staccandosi leggermente da lui.
In quel mare profondo poteva trovare la piccola Oscar, quella di un tempo che amava la vita così tanto da oltrepassare continuamente i confini sicuri che suo padre tracciava “Che c'è? Insomma, se mia moglie sognasse un altro uomo sarei geloso” “Si? Beh Andrè sa ogni cosa” “Anche quello che provi in questo momento?” la vide sospirare mordendosi leggermente le labbra “Perché non gli hai mai parlato di tua madre?” “L'ho fatto” “Si certo e io sono in realtà il re, sono rinato di recente per riprendermi il trono” la sentì sbuffare allontanandosi da lui “Ti ho già detto che non è divertente” “Nemmeno tenersi dentro le cose ma tu lo fai costantemente” “Sono discorsi molto paterni duca, direi quasi da marito” “Davvero?” ribattè confuso “Già, ho già chi si preoccupa per me” “Eppure non gli racconti la verità” lo sguardo della giovane si fece più profondo “Senti, lo so che ti servono i tuoi spazi e che non vedi l'ora di scappare di nuovo nel tuo piccolo mondo sicuro” “Ehi!” puntualizzò gelida fissandolo “Io non scappo, mai!” “Scusa” esclamò sollevando leggermente le mani al cielo “Non è divertente! Non sono mai scappata in vita mia e non lo faccio adesso!” “Non ho mai detto niente del genere” “Perché Dio mi punisce con due giovani tanto sconsiderati!” la voce del generale irruppe secca nella stanza costringendoli a sussultare “Sono due ore che vi cercano, la cena è quasi pronta, i tuoi figli sono lavati e vestiti ...” si avvicinò ad Oscar cercando i suoi occhi “ … aspettano di sotto, o almeno credo visto che Renée cerca in tutti i modi di scappare nel parco” “Nel parco?” domandò confuso Maxime “Già, vuole rubare gli ultimi raggi di sole per regalarlo alle lucciole” un debole sorriso si prese le labbra della giovane ma la mano del padre si strinse con forza attorno al suo polso costringendola a sollevare lo sguardo “Perché hai pianto?” “Cosa?” lo sguardo gelido dell'uomo passò di colpo sul volto di Maxime “Allora?” “Prima che vi vengano in mente strane idee padre, io ho ...” “Strane idee? E come potrebbero mai attraversarmi la mente?” “L'ironia non è passata inosservata” “Stavo solo ricordando mia madre” mormorò Oscar sfilando la mano “Un semplice attimo di debolezza” “Non ti ho insegnato ad essere debole Oscar” “Per questo ora me ne vado padre, vi lascio a litigare da soli per futili inezie e vado a prepararmi per la cena” “Meno arroganza signorina” ma il sorriso della figlia fu tutto quello che riuscì a vedere.
Il generale sospirò voltandosi di nuovo verso Maxime “Non ho fatto niente padre” “Perché ogni volta che vi trovo assieme lei finge di stare bene?” “Forse perché le ricordo il passato?” “Non l'ho portata qui per vederla piangere!” esclamò gelido “Né per farla soffrire” “Ma volete controllarla” “Mi preoccupo per lei!” “Padre” posò le mani sulle spalle dell'uomo cercando i suoi occhi “So che siete preoccupato per lei, siete sempre preoccupato per lei, quando dormite o pensate o fate colazione. C'è sempre lei nei vostri pensieri ed è giusto così ma vostra figlia non è più una bambina” “Credi che non lo sappia?” ribattè gelido “Padre posso chiedervi una cosa?” “Riguarda mia figlia?” “Per estensione” lo vide tentennare indeciso sulla risposta da dare ma alla fine mosse leggermente il capo autorizzando quella domanda “La lascerete tornare a casa? Perché vedete, vostra figlia vi ama così tanto da accettare questa convivenza a forse le fa bene, ma ha bisogno di ritrovare la sua vita, quella che la fa stare bene, lontano da tutto questo” “Quando arriverà il momento, sarà libera di scegliere quello che più le aggrada” “Dite sul serio?” il generale annuì appena sospirando “Ora via di qui, tra poco si cena e non ammetto ritardi” il giovane sorrise correndo fuori dalla sala, lo sguardo dell'uomo sfiorò il ritratto e un debolissimo tremito mosse le labbra.
Era da molto tempo che non entrava lì dentro, troppo tempo che non guardava quegli occhi tanto belli che forse, gli mancavano più di quanto potesse immaginare.






 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Favole ***



                                                    Favole 





“Come sta?” “La temperatura è scesa ma la tosse continua a darle fastidio” il generale sospirò avvicinandosi alla porta “Fate venire il dottore” il servo tossicchiò leggermente “Che c'è?” “Il dottore è fuori, è andato ...” “Fuori?” “Padre” sussurrò Maxime avvicinandosi a lui “Forse dovreste calmarvi e ...” “Non mi importa dove sia o cosa stia facendo! Portatemi qui il dottore!” “Si signore” esclamò tremante il giovinetto scappando via “Fate preparare dalle cucine qualcosa di caldo e portate lenzuola pulite” la governante annuì appena portandosi via le altre cameriere lì accanto.
“Padre forse dovremmo evitare che Etienne ...” “Ci avevo già pensato ragazzo. Non possiamo rischiare che si ammali anche lui. Oscar dov'è?” “Dentro con la piccola” “D'accordo” fece un bel respiro spingendo dolcemente la porta.
C'era un buon profumo di lavanda, leggero, non troppo nauseante ma creato apposta per rilassare.
Le tende erano completamente aperte e la luce tenue del sole filtrava attraverso i vetri illuminando la stanza.
Rimase immobile ad osservare sua figlia, se ne stava seduta sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini, una piccola bambina assonnata aggrappata a lei e un libro aperto posato sulle gambe “Come sta?” Oscar sorrise sollevando leggermente lo sguardo dalle pagine “Meglio, stiamo leggendo una bellissima favola” “Ma davvero?” domandò sedendo sulla poltrona accanto a loro, Renée sorrise appena continuando a stringere la madre.
La testolina posata sul suo seno, le manine aggrappate alle camicia e il corpicino nascosto dalla coperta “E questa fiaba è di tuo gradimento signorina?” “Non tanto” “Non tanto? E perché mai” “Perché la principessa si è persa” cercò confuso lo sguardo della figlia ma la vide sorridere accarezzando la testolina della piccola “A volte perdersi è l'unico modo che abbiamo per ritrovare noi stessi” “Davvero?” ma la tosse spezzò il respiro della bambina costringendola a sussultare “Va tutto bene amore mio” la sollevò più su scostandole dal volto i capelli “Passerà presto vedrai” “Ho fatto chiamare il medico. Sarà qui a breve” “Ma non era ...” “Sarà qui a breve” asserì perentorio stringendo più forte i braccioli della poltrona “L'ha già visitata il dottor De Guise”” “Un altro parere non ha mai fatto male a nessuno. Non mi fido dei medici giovani di oggi” “Nonno?” “Che c'è signorina?” “Giochiamo con le spade dopo?” “Fino a quando non ti sentirò respirare senza interruzioni portate da tosse o febbre resterai qui a riposare” “Allora giochiamo domani” il generale sorrise prendendo il libro tra le mani “Allora, vediamo un po' questa principessa cosa combina” la porta si aprì e il volto di Maxime fece capolino “Oscar?” “Che c'è?” “Etienne ti cerca” “Vai, resto io assieme a lei” “D'accordo” “No mammina, ti prego non te ne andare” strinse più forte le manine attorno ai suoi fianchi costringendola a sospirare “Amore, ehi ascoltami. Esco solo qualche minuto” “Me lo prometti?” le sfiorò il volto arrossato cercando di non mostrarle lo sconforto o la paura per quella febbre che non voleva andarsene “Non preoccuparti, il dottore arriverà presto” “Padre io non … la temperatura sta salendo di nuovo e ho ...” “Vai, tuo figlio ha bisogno di te. Noi leggeremo questa bellissima favola” “Voi odiate quel libro” “Me lo farò piacere” “D'accordo” non le piaceva mai lasciarla sola, soprattutto così, con quel visetto arrossato e gli occhi che imploravano solo tenerezze “Ehi, la mamma torna subito” si chinò verso di lei sorridendo “Prometti che non farai mille domande al generale?” “Promesso” “Brava amore mio” le labbra si sfiorarono appena in quel bacio tanto dolce che sapeva d'amore “Molto bene signorina” riprese il generale aprendo il libro “Vediamo un po' che problema ha questa principessa” “E se si perde?” Oscar sorrise fermandosi qualche secondo sulla soglia, lo sguardo perso su sua figlia, su quel visetto stanco ma ancora pieno di domande e suo padre, un uomo altero e pieno d'orgoglio che restava seduto accanto a lei, con un libro tra le mani incurante della malattia o di quella tosse fastidiosa che non la lasciava in pace.




“Che stai ...” “Devo tornare a casa” esclamò buttando la giacca sul letto “Sei impazzito? Stai per finire finalmente il tuo lavoro amico mio. Non puoi tornare a casa ora e ...” “Mia figlia sta male” “Cavolo” sussurrò Alain massaggiandosi il collo “Quando hai ...” “La lettera è arrivata questa mattina, da una settimana convive con tosse e febbre che appare e scompare. Devo tornare da lei” “Ehi, aspetta un attimo” sussurrò afferrandolo per le spalle “Lasciami” “Anche se partissi adesso non riusciresti ad arrivare in poche ore. Ci vogliono due settimane per raggingere Parigi e magari Renée ha solo una spiacevole infreddatura che l'ha debilitata un po' troppo ma passerà” “Non l'ho mai lasciata sola Alain, da quando è nata ogni volta che ha avuto infreddature o influenze ero con lei” “C'è Oscar con tua figlia” l'aria tornò di colpo e riempire i polmoni costringendo il cuore a rallentare “Credi che il generale resti indifferente ai bisogni di tua figlia?” “L'ha chiamata bastarda più di una volta. Scusami se ho qualche dubbio al riguardo” sbottò liberandosi dalla sua presa “Oh andiamo! Perché devi sempre pensare al peggio?” “Perché la donna che amo passa le sue giornate a confidarsi con un uomo sbucato dal nulla che probabilmente diventerà suo fratello! Mia figlia è malata e mio figlio è talmente innamorato di suo nonno da dimenticare tutto il resto!” “E non sei contento?” “Ho paura di aver commesso un'errore Alain” lo sguardo dell'amico diventò improvvisamente più profondo “L'ho spinta di nuovo verso il passato e ho paura che non tornerà più come prima! Soffrirà, lo so che accadrà e la vedrò piangere e odio vederla piangere e non … non riesco più a respirare senza di lei ma sembra che questo non le importi e ...” “André!” lo sguardo si inchiodò di colpo al volto dell'amico “Ora fai un bel respiro e rallenta” “Non è ...” “Zitto” esclamò l'altro dandogli un pugno sulla spalla “Respira e stai zitto! Sei spaventato, lo capisco insomma, sei lontano da loro da quanto? Quattro settimane? Anche io impazzirei a restare così lontano dalla mia famiglia, certo, lo farei se avessi una famiglia” Andrè sospirò alzando gli occhi al cielo ma l'altro rise “Famiglia a parte amico mio, quello che tento di dirti è che non ti serve a niente impazzire con pensieri e parole. Stanno bene, staranno bene, continuare a tormentarti così non ti fa bene” lo sentì tremare leggermente poi un bel respiro prima di riavere davanti lo stesso André di sempre “Così va meglio” “Non resterò comunque qui fino alla fine del mese Alain” “Lo so, ecco perché verrò con te. Almeno le idiozie non ti daranno alla testa se sono assieme a te” gli sguardi si incrociarono per qualche secondo ancora prima di lasciare al silenzio l'ingrato compito di riempire i pensieri.








 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Un semplice Desiderio ***


                              Un semplice Desiderio







“Guarda un po' chi ti ho portato” “Starlette!” la codina del cucciolo si mosse veloce nell'aria mentre le manine di Renée si sollevarono verso di lui “Hai visto? È cresciuta” “Chi gioca con lei?” “Oh non preoccuparti, tuo fratello si prende ottima cura di lei” per qualche secondo vide un'ombra leggera sfiorare lo sguardo della piccola “Che c'è tesoro?” “Vorrei vedere mio fratello” “La mamma ti ha spiegato il motivo di questa separazione non è così?” “Si” “Vedrai che durerà ancora pochi giorni” lasciò il cucciolo tra le braccia della bambina sedendosi sulla poltrona accanto al letto.
C'era un bel sole alto nel cielo e se fosse dipeso da lui, avrebbe portato la bambina sul terrazzo lasciando che quei raggi tiepidi le sfiorassero il volto ma il parere contrario del medico era bastato per distruggere il pensiero di quell'attimo di tenera pace “Sei davvero mio zio?” trasalì divertito da quella domanda uscita dal nulla “Il nonno dice … dice che presto avrai lo stesso cognome della mamma” “Esatto” “E diventi come un fratello?” “Più o meno” “Alla mamma non piacevi, era arrabbiata con te” “Lo so” la tosse le spezzò il respiro costringendola a sussultare  “Va tutto bene” mormorò sfiorandole la schiena “Perché … perché era arrabbiata?” “Conosci la storia della tua mamma?” la vide annuire appena coprendo quell'ennesimo colpo di tosse con la mano “Io sono una parte nascosta di quella storia” “Eri nascosto nel muro” “Dietro al muro" puntualizzò sistemandole le coperte  "Se fossi stato una pietra probabilmente tutti questi problemi non sarebbero nati” prese dal tavolo un cucchiaino d'argento e con la mano libera aprì un vasetto accuratamente avvolto dentro una meravigliosa stoffa ricamata “Ho visto la tua mamma diventare grande e in qualche modo mi sono affezionato a lei” “E le vuoi bene?” “Certo che le voglio bene” “E non le fai del male vero? Perché allora dovrò ucciderti” “Allora vorrà dire che starò molto attento” ribatté divertito “Ora basta parlare, apri la bocca tesoro” Renée obbedì lasciando che la dolcezza del miele lenisse quel dolore violento che bruciava ogni centimetro di respiro “Bravissima” “Ehi” “Ecco la mamma principessa” Oscar sorrise chiudendosi la porta alle spalle “Scusa, scusami davvero ma sono stata a cavallo con mio figlio e lungo la strada abbiamo incontrato il colonnello e ...” “Va tutto bene” “Si mammina, va bene” si avvicinò al letto abbandonando la giacca dell'abito sulla tavola “Come stai angelo mio? Come ti senti?” “Bene” quell'unica parola sussurrata a fior di labbra era peggio di una pugnalata in pieno petto perché quella era una bugia.
Non stava bene, non stava bene ormai da troppo tempo “Hai visto mamma? Starlette è … è venuta qui” “Lo so” mormorò divertita sdraiandosi accanto a lei.
Era troppo stanca per qualsiasi cosa che non fosse restare accanto a sua figlia.
Appoggiata con la schiena ai cuscini sollevò leggermente le gambe, i muscoli leggeri si tesero all'unisono mentre giocava con l'aria intrappolandola tra le ginocchia "Vieni qui piccola mia" prese Renée tra le braccia tirandola leggermente verso di sé, la bambina sorrise lasciandosi guidare dalle mani della madre. La testolina si posò sul seno della ragazza, la schiena aderì al ventre della madre diventando improvvisamente tutt'uno con lei. Respirava seguendo il suo respiro, si muoveva leggera cullata dalle carezze di una giovane troppo bella per quel posto “Sei pallida, lo sai vero?” “Sto bene” Maxime sospirò appoggiandosi allo schienale “Continua a ripeterlo, magari prima o poi qualcuno ci crederà” “Non sei divertente” “Nemmeno tu contessa” “Dov'è finito mio padre?” “Credo stia risolvendo delle questioni importanti” “La nuova riforma dell'esercito?” annuì distratto sfogliando il libro “C'è un po' di burrasca all'orizzonte. Hanno distrutto la monarchia imprigionando i sovrani” Oscar tremò leggermente ricacciando indietro quella domanda insistente che continuava a tormentarle i pensieri ma vide Maxime sorridere appena cercando i suoi occhi “Ha chiesto di te. La regina ha chiesto di poterti vedere un'ultima volta” "Tu come ... quando?" "Qualche giorno fa" "Perché non me l'ha detto?" "Questo dovresti chiederlo a lui non credi? Il desiderio di sua maestà di rivederti è sempre stato l'unica richiesta fatta fino ad ora" “Tu incontreresti un traditore della corona?” “Le sei rimasta accanto tutta la vita” “L'ho lasciata per prendermi cura di me stessa e dopo sei anni, quando aveva bisogno di me io non ero lì a proteggerla” l'altro sorrise soffermandosi qualche secondo su di lei "Non è un peccato scegliere sé stessi. Non si rinuncia mai all'amore, nemmeno per un sovrano Oscar" non arrivò nient'altro che silenzio.
Il legame profondo che ancora le univa assieme era lì, in quello sguardo vuoto dove troppo spesso i fantasmi vagavano indisturbati.
Aveva scelto l'amore ed era scappata da tutto rifiutando i suoi doveri, il suo titolo e quel grado tanto ambito che sarebbe diventato la sua unica preoccupazione.
Quante volte Maria Antonietta aveva chiesto di lei? Quante volte aveva pregato il generale di riportarla a casa? L'unico desiderio della regina era poter rivedere di nuovo quella giovane dagli occhi di cielo che per vent'anni le era rimasta accanto dividendo con lei ogni momento di vita, non c'era forza in quell'ordine ormai vuoto, niente costrizione né rabbia.
Ricordava bene quegli attimi tanto dolci, aveva accompagnato molte volte il generale in quegli incontri velati “La rivedrete” aveva sussurrato "Vi prometto che la rivedrete maestà" e sul quel volto di perla ormai segnato dal dolore si era dipinto un sorriso, troppo debole per appartenere alla gioia ma abbastanza forte per sopravvivere al buio di quella prigione.
“Non si fa così, non si manda a morire il proprio sovrano” esclamò gelido rigirandosi il libro tra le mani “Li hanno imprigionati come se fossero comuni assassini, costretti a Tour du Temple come volgarissima feccia e un mese fa hanno ucciso un re consacrato da Dio” “Dio ... è davvero così potente nostro Signore?” “Cosa?” “Niente, pensavo solo che … non importa” “Mamma” lo sguardo della ragazza si abbassò di colpo incontrando il faccino arrossato della figlia “Secondo te la regina è felice? Il nonno dice che si chiude tante volte nel mondo delle favole” “Il nonno ha ragione” sussurrò posando il mento sulla testolina di Renée “Credo che la favola ormai sia l'unica via di fuga che le resta. È rimasta sola amore mio, le hanno portato via i suoi bambini e il silenzio è una compagnia costante” “Ma tu le vuoi bene ancora, non è così?” ci mise qualche secondo prima di rispondere ma alla fine, un debolissimo si uscì dalle labbra “Inseguivano il sogno di un mondo migliore. Ora che l'hanno ottenuto, non riescono nemmeno a mettersi d'accordo sulle cose più banali” “Non è semplice amministrare una nazione" “Non lo metto in dubbio” “È come guidare per la prima volta un gruppo nuovo di soldati. C'è un periodo di assestamento da affrontare e non è facile convivere con i problemi” per qualche secondo tornarono davanti agli occhi i volti di tutti gli uomini che le erano rimasti fedeli durante i lunghi anni di servizio.
Giocava con i capelli di sua figlia ricordando, ridendo di sé stessa e di quel passato che tanto scioccamente tornava a farle visita.
Forse se non avesse scelto quella vita sarebbe morta difendendo la regina o magari avrebbe difeso gli ideali di un popolo che chiedeva solo il diritto di vivere, non sapeva nemmeno lei come avrebbe reagito a quel caos immenso, l'amore in fondo l'aveva salvata risparmiandole l'atroce dolore di una rivoluzione piena di sangue.
Non rimpiangeva niente del proprio passato, nemmeno l'abbandono delle armi ma qualche volta, il desiderio di scoprire se quel volto angelico che per anni era stato davanti a lei fosse cambiato, tornava a farle visita.
Si chiedeva se Maria Antonietta era sempre la stessa meravigliosa donna di sempre o se ormai di lei esisteva solo la pallida imitazione che crea l'illusione, combattuta tra la voglia di rivederla e il timore di reggere quello sguardo spesso si perdeva in pensieri lontani chiudendo fuori da sé stessa tutto il mondo “All'inizio non è semplice per nessuno duca, dovreste saperlo” “Non possono nemmeno costringere il generale a sforzi di questo tipo. Le nuove riforme, gli incontri in assemblea che richiedono costantemente la sua presenza e in più, si preoccupa di far visita alla regina regolarmente insomma, ormai ha un'età” “Il nonno è vecchio?” Maxime scoppiò a ridere e Renée si voltò confusa verso sua madre “Che c'è mamma? È una domanda” “Hai ragione amore mio. Vedi, il nonno e la nonna si sono incontrati da giovani e sono stati una delle poche coppie nobili ad avere la stessa età” “Non si fa così?” “Una volta era diverso” mormorò il duca tentando di bloccare quelle lacrime allegre “Le giovani dame venivano date in sposa a vecchi signori ricchi e potenti. In questo modo le famiglie si univano e diventavano più ricche” “E la nonna non era giovane?” “Erano tutti e due giovani amore mio. Si sono sposati e hanno avuto dei bimbi molto presto, ecco perché il tuo nonno è ancora tanto forte” “E si volevano bene?” le sfiorò il volto seguendone i lineamenti, in quegli occhi di mare rivedeva lo sguardo di Andrè, il suo sorriso e l'amore profondo che li aveva sempre tenuti assieme “Credo che all'inizio ci fosse solo amicizia tra loro e che l'amore sia nato dopo, con il tempo” Starlette abbaiò saltellando sul letto “Mammina?” “Che c'è amore mio?” “Perché il nonno non ricorda più il nome della sua sposa?” Maxime sollevò lo sguardo dal libro incontrando gli occhi di Oscar “Tesoro, che ne dici se ti leggo una di queste storie?” ma la bambina scosse la testa "No? E per quale motivo?" “Il nonno dice che solo lui può leggermi le favole” “Ma davvero?” ribatté stupito voltando l'ennesima pagina “State attento duca, il generale è piuttosto geloso di quel libro” “Dov'è finito il soldato freddo e controllato di sempre?” “Mi ha insegnato a leggere su quel libro, se lo rovinate dite pure addio alla vita meravigliosa che conducete” la porta si aprì e un uomo agitato e arrabbiato con il mondo intero fece il suo ingresso.
“Che ci fai qui?” domandò irritato avvicinandosi al giovane “Sto cercando una storia per questa piccola principessa e ...” “Sei seduto al mio posto!” “Scusatemi” ribatté alzandosi velocemente “Come stai signorina? Come ti senti?” “Non male signor generale” “Non male?” la piccola sorrise sfinita annuendo leggermente “Noto con piacere che abbiamo visite” “Ho pensato che Starlette avrebbe aiutato Renée a sorridere” mormorò il giovane accarezzando il musetto del cucciolo “A quanto pare avevo ragione” “Come state padre?” “Bene, tutto bene” “Siete sicuro? Perché non sembrate ...” “Sei pallida” “Che c'è?” “Non te l'avevo detto?” Oscar sorrise lasciando scivolare sulla pelle quell'ironia leggera “La smetti di trattarmi come una bambina?” “E tu la smetti di comportarti come tale?” il generale tossicchiò riportando di colpo la pace tra loro.
Prese il libro tra le mani sistemandosi gli occhiali sul naso “Allora, dov'eravamo rimasti?” “Alla favola della volpe d'oro” “Oh giusto” “Vado a controllare Etienne” sussurrò Maxime "Raggio di sole mi prometti che farai la brava?" "Promesso" strinse quella mano tanto piccola tra le proprie lasciandovi un bacio leggero ”Oscar ..." "Lo so, Etienne ha una sorpresa per me" "Sei pregata di arrivare puntuale" “Basta così! State disturbando” sbottò gelido il generale “Chiedo umilmente perdono signore” sorrise allontanandosi dal letto, da loro e da quella favola tenera che gli regalava solo allegria.





Era lì fuori da pochi minuti e il senso di colpa per aver lasciato la sua bambina stava violentemente massacrando il cuore.
Era sfinita, distrutta da quella nuova realtà che risucchiava lentamente ogni briciolo di forza ancora chiusa in lei.
Fece un bel respiro cercando di allungare ogni muscolo della schiena “Allora? Sei pronta?” rise divertita sollevando le braccia verso il cielo “Perché sono qui?” “Per giocare un po' con me contessa” Etienne lasciò la mano del duca abbracciandola. Sentiva le mani del figlio strette alla camicia e il mento posato sul ventre mentre con gli occhi cercava il suo sorriso “Così è questa la mia sorpresa” “Si mamma” la strinse più forte a sé posando le labbra su quelle della madre, un bacio tenero e pieno d'amore capace di sciogliere anche il cuore più duro.
Era molto tempo che non giocava più con spade e duelli, forse tornare un po' al passato non le avrebbe fatto male “Siete pronta a perdere?” “Non dite sciocchezze duca” prese la spada tra le mani ricordando d'improvviso la prima volta che strinse tra le dita quell'elsa preziosa “Volete sapere una cosa?” “Cosa?” “Abbiamo un pubblico di tutto rispetto oggi” lo sguardo confuso di Oscar lo fece sorridere “È vero mamma, il nonno ci raggiunge subito” “Oh grandioso” “Che c'è?” “Hai appena scatenato una guerra” il giovane annuì appena tentando di rispondere ma la voce del generale arrivò come un fulmine a ciel sereno.
Si avvicinò a loro rinvigorito da quel sole leggermente più caldo del solito “Questo è proprio il pomeriggio giusto per esercitarsi un po' con le spade” posò le mani sulle spalle del nipote osservando qualche secondo il volto di sua figlia “Come sta Renée signore?” “Tua sorella si è appena addormentata giovanotto” “Quando posso vederla?” “Presto” “Ma non …” “Ora concentrati su quello che hai davanti” lo voltò di nuovo verso la madre evitando quella risposta tanto scomoda.
Erano passati molti anni ormai ma l'eleganza di quei movimenti era incisa a fuoco dentro di lei.
Sfilò la spada dal fodero muovendola leggermente nell'aria “Vedi come la studia?” sussurrò orgoglioso “È composta, sicura di sé. L'arma diventa una naturale estensione del suo corpo, riesci a vederlo giovanotto?” “Si signore” la manina di Etienne si strinse a quella del generale mentre le parole cullavano i movimenti di sua madre “Guarda bene ora” Oscar sorrise rilassando le spalle, la gamba destra scivolò leggermente in avanti, il busto ruotò appena e la spada si sollevò davanti al volto. “Questa ..." iniziò estasiato l'uomo " ... è la posizione di guardia, il busto ruota a sinistra, il piede destro scivola in avanti e il braccio libero si stacca appena dal corpo” “Perché?” “Ti aiuta a mantenere l'equilibrio e durante gli affondi puoi usarlo per correggere i movimenti. Ogni mossa va eseguita con eleganza, la spada diventa parte di te e tu di essa. Siete un'unica persona e quando la muovi, devi immaginare di spostare nell'aria un prezioso ninnolo di cristallo” “Ma che senso ha immaginare qualcosa che non è?” “Ti aiuta a visualizzare l'eleganza giovanotto. Immagina di camminare su un filo sottile e di tenere sul palmo della mano una sfera di cristallo. La mano non si chiude mai e la sfera non deve cadere nel vuoto. Cammini su quel filo muovendoti leggero come una piuma, trovando il tuo equilibrio. Quando riuscirai a visualizzarlo i movimenti con la spada diventeranno più fluidi ed eleganti senza alcuna difficoltà, proprio come quelli di tua madre” “Anche il duca esegue la stessa posizione” “Esatto, ma per quanto riguarda l'eleganza c'è un dislivello notevole” Maxime sorrise copiando quei movimenti armoniosi “Siete pronta contessa? Non mi fermerò solo perché siete donna” “Vi sembro per caso spaventata? Padre, quando volete” il generale annuì appena e quella danza di lame nacque dal nulla.
Ogni movimento era calcolato e rapido, davanti agli occhi dell'uomo riapparve d'improvviso la figlia perfetta che aveva forgiato dal nulla.
Il corpo agile si muoveva leggero nell'aria, ogni affondo era intriso di una perfezione quasi maniacale, figlio di quei lunghi allenamenti imposti che ora bruciavano ancora dentro di lei.
Ora come allora aveva davanti una giovane donna in grado di sfidare il mondo intero, vedeva nei suoi occhi di nuovo quella voglia di vita che da qualche settimana era sparita, i capelli sciolti sulle spalle si muovevano leggeri sotto i colpi di un vento troppo leggero per infastidirla.
Una cascata d'oro puro che arrivava a sfiorarle l'incavo della schiena e che il cuore di padre che ancora gli batteva in petto, aveva sempre custodito tra i ricordi come un tesoro prezioso.
Dopotutto era quello per lui, non aveva bisogno delle ricchezze né di grandi tesori, aveva sua figlia nel cuore, l'oro dei suoi capelli, la seta preziosa della sua pelle dove raggi di sole sfumavano dolcezza e due diamanti preziosi colorati di cielo che in passato erano stati la sua forza e la sua disperazione.
Seguiva orgoglioso ogni movimento della ragazza divertito da quello sguardo ironico e pieno di sfida che riservava al suo avversario “Devo ammettere che siete brava contessa” la lama della giovane si mosse leggermente di lato costringendolo ad indietreggiare “Molto brava” “Non ero una semplice donna?” si avvicinò a lui di un passo portando il braccio libero leggermente vicino al petto “Guarda bene Etienne, tua madre terminerà a breve il duello” il bambino seguiva sognante quel gioco meraviglioso senza staccare gli occhi nemmeno per un secondo da quella danza leggera.
Il braccio si allontanò di colpo, il busto si piegò leggermente in avanti e un sorriso bello come il sole le colorò il volto, spinse con forza la spada in avanti incontrando la lama del giovane e girando leggermente il polso la sfilò dalla sua mano lanciandola pochi metri più in là.
Etienne battè le mani divertito mentre il duca sorrise inchinandosi leggermente “Brava mamma!” una risata cristallina per riempire i cuori di gioia, il volto leggermente arrossato e gli occhi pieni di forza “Avete fatto un ottimo lavoro padre” “Credevi le avessi insegnato l'arte del ricamo? Sono stato il suo istruttore, conosco bene il suo valore” “Posso provare?” domandò sognante Etienne “Certo che puoi giovanotto” “Tieni amore mio” prese dalle mani della madre la spada voltandosi verso il generale.
“Molto bene” esclamò avvicinandosi al nipote “Ora rilassa le spalle” “Così?” posò le mani sulle braccia del bambino annuendo “Lascia scivolare il piede in avanti ...” la gamba si mosse leggera corretta nei movimenti dal generale “ … la schiena dritta, molto bene” Oscar sorrise assieme al giovane seguendo i movimenti di un uomo orgoglioso che faceva di tutto per nascondere l'orgoglio di un nonno per il proprio nipote.
“Ruota leggermente il busto, le gambe devono formare un angolo pressoché perfetto” “Così?” “Sei troppo sbilanciato” “Non è vero” “No?” spinse leggermente la mano sulla fronte del bambino, Etienne si mosse appena indietreggiando di un passo “Vedi? Questo non deve accadere” “Ma è difficile” “Lo so, per questo si ha bisogno di allenamento costante” “Ha ragione amore mio. Ho passato anni interi ad esercitarmi con la spada” “Anche con la pioggia?” “Certo, almeno fino a quando mia moglie l'ha permesso. Per questo le ho fatto costruire una sala apposta per le lezioni di scherma” “Davvero? Posso vederla signore?” il generale tossicchiò leggermente sistemandosi la giacca elegante dell'abito “Chi sono io per negarti un po' di sane abitudini?” “Posso mamma?” un debole cenno d'assenso, la spada cadde al suolo e la mano di Etienne si strinse con forza attorno a quella dell'uomo mentre si incamminavano assieme lungo il viale alberato.
“Che cos'è appena accaduto?” domandò confuso grattandosi il mento “Mio figlio ha costretto l'orgoglio di mio padre a rinascere” “Ha rapito il generale?” “Più o meno” rispose raccogliendo la spada da terra “Che succede?” “Niente” “Bugiarda” le sollevò leggermente il volto perdendosi in quello sguardo meraviglioso che negli ultimi giorni era stato la sua salvezza “Allora? Vuoi dirmi cosa ti tormenta?” a che scopo chiedere? Leggeva in quegli occhi ogni cosa senza nemmeno il bisogno di sentirlo dalle sue labbra “Non è un peccato prendersi qualche ora per sé stessi” “Lo so” “E allora?” “Non lo so” mormorò sfinita “In questo momento sta riposando, c'è la balia con lei e il medico nella stanza accanto. Non è facile sopportare tutto questo, prendere qualche ora di pausa dal mondo a volte fa bene, ne hai bisogno” ma il silenzio che arrivò alle orecchie era già di per sé una risposta “Niente senso di colpa contessa, non ne avete diritto” il vento sfiorò dolcemente i suoi capelli muovendoli nell'aria come fili di seta preziosa, ciocche leggere si posarono sulla sua mano intrecciandosi alle dita e il respiro per qualche secondo si fermò in fondo al cuore, la vide sorridere mentre con una semplicità disarmante legava gli occhi ai suoi “Che c'è?” sussurrò confusa inclinando leggermente la testa di lato “Va tutto bene?” “Si è solo … stavo pensando” “A cosa pensavi?” già, a cosa pensava? A chi pensava quando l'unico angelo che gli tormentava il cuore era lì davanti a lui? Sentiva la dolcezza di quei lineamenti nascosti sotto il suo tocco, i capelli di seta pura avvolti attorno alle dita, al polso, come lacci di velluto colorati di sole stringevano la carne lacerando la razionalità e costringendo il cuore a sanguinare.
La mano scivolò lentamente sulla pelle preziosa di quel volto d'angelo ricadendo leggera nel vuoto, lontano da lei, lontano da ogni altra cosa che non fosse la pura distanza imposta dalla mente e un leggerissimo sorriso gli sfiorò le labbra  “Pensavo che non hai ancora pranzato” “Ti prego!” “No, le proteste sono vietate per ordine del generale” “Mangerò più tardi” “Non funziona così” “Non sei tu a dettare legge” “Vuoi vedere che riesco a vincere con facilità ogni cosa?” la giovane rise scuotendo leggermente la testa “Guarda, non è una farfalla stupenda?” “Dove?” “Lassù” “Ma di che stai ...” si chinò leggermente in avanti lasciando cadere le spade e senza darle tempo di reagire la sollevò da terra “Sei impazzito per caso?” la risata del giovane riempì il silenzio costringendola a cedere a quell'attimo di pazzia “Basta proteste o giuro che ti lascio cadere” sentiva il gomito della ragazza posato sulla schiena nel tentativo di restare in equilibrio ma non le avrebbe mai permesso di scivolare via da lui.
Con il braccio destro le cingeva le gambe camminando come se in realtà vi fosse una piuma posata sulla spalla e non una bellissima ragazza “Posso camminare duca” “E perché mai dovrei perdermi il divertimento di trascinarvi in giro come un sacco di cereali?” si chinò raccogliendo le spade da terra incurante delle sue proteste “Così mi fai ...” “No, non su quest'abito, è il mio preferito” “Guarda che diventa faticoso camminare così” “Oh per favore! Sono più alto di te, più forte di te, continua pure ad alimentarti in maniera errata e presto raggiungerai il peso di una piuma. Smettila di trovare scuse sciocche e lasciami ridere un po'” quella risata cristallina che aveva imparato ad amare negli anni ruppe il silenzio regalandogli di nuovo l'allegria di un attimo passato assieme a lei.




 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Un angelo Sfinito ***


                                    Un angelo Sfinito








“Cosa c'è che non va” mormorò sfinita massaggiandosi il collo “Il nuovo infuso le fa bene, la tosse sta andando via” “Ma la febbre c'è ancora!” “È permesso?” si voltò verso la porta incontrando lo sguardo del dottore “Scusatemi, non era mia intenzione interrompervi ma ho bisogno di parlare con voi per qualche minuto” “Prego” lo invitò a sedere trattenendo il respiro, la mano del giovane stretta con forza attorno al polso le dava la forza di non scappare via, di restare lì, di fronte al medico ad aspettare parole, sguardi, qualsiasi cosa che potesse aiutarla a capire come guarire sua figlia “La temperatura sta calando, la nuova cura sembra avere buoni effetti sulla sua salute di vostra figlia” “Non è mai accaduto prima, era una bambina sana e felice, com'è possibile che ora sia così … ha già avuto la febbre prima ma non è mai durata più di due giorni” “Vostra figlia ha sempre giocato all'aria aperta, la sua dieta è varia e ben equilibrata, non c'è alcun motivo per credere che ci sia qualcosa di strano o sbagliato” “E allora cosa c'è che non va!” l'uomo sospirò cercando qualche secondo lo sguardo del duca “Ci sono cose che la medicina non può spiegare. Non so dirvi quale sia la causa di queste febbri insolite, posso aiutarla somministrandole infusi e medicine alle quali risponde bene ma dopo qualche giorno i sintomi riappaiono e la febbre torna a disturbare il suo giovane corpo” Oscar sospirò stringendosi leggermente nelle spalle “Vi prego ditemi che non è il cuore, è così piccola, ha bisogno di un cuore forte e ...” “D'accordo” mormorò Maxime stringendo più forte la mano attorno alla sua “Fai un bel respiro” “Non fatevi prendere dallo sconforto contessa, vostra figlia è forte” “Perdonate quest'attimo di debolezza dottore, voi capite che sono ormai due settimane che mia nipote sembra sul punto di lasciarsi andare” sentì la mano della ragazza tremare leggermente, il medico di fronte a loro sorrise cercando di regalarle quanta più calma possibile “Continueremo con la cura attuale” “Dunque escludete il cuore?” “Le malattie di cuore portano spesso altri sintomi e lei è troppo giovane, no io credo che vostra nipote sia affetta da qualche cosa di nuovo. Le sue difese al momento sono basse e questo la costringe a sforzi molto grandi. Ho preso nota di ogni sintomo apparso fino ad ora: tosse, febbre, debolezza muscolare con lievi tremiti, inappetenza e dolore diffuso alla testa e alle spalle” “Oddio” sussurrò Oscar passandosi una mano tra i capelli “Ogni sintomo riappare esattamente nello stesso ordine. Temo sia una malattia insolita e sarei un'ipocrita a raccontarvi che ne conosco il decorso perché non è così” si fermò qualche secondo perdendosi sul volto della ragazza, su quella mano intrecciate con forza a quella del giovane affianco e lei “Non ho mai visto niente del genere fino ad ora, è una malattia insolita e sinceramente sono stupito dalla forza che vostra figlia dimostra” “Cosa devo … come posso aiutare la mia bambina?” una lacrima scivolò via dagli occhi della ragazza costringendo il medico a sospirare.
Tolse gli occhiali chinandosi leggermente in avanti, le mani si strinsero attorno a quell'intreccio di forza “Farò tutto quanto in mio potere per farla stare bene contessa, vi prego di credere che avrò cura di lei come fosse figlia mia. Voi dovete solo continuare ad amarla esattamente come state facendo” “Dottore ...” “Tenetela allegra, passate con lei tutto il tempo che volete. Aggiusteremo la sua dieta e cercheremo di curare un sintomo per volta. È importante tuttavia proteggere vostro figlio da eventuali contagi, fino ad ora siamo stati bravi e forse anche molto fortunati ma consiglio un periodo di pausa per il bambino e ...” “Devo amministrare alcune cose per la mia tenuta” lo interruppe Maxime cercando lo sguardo della ragazza “Se non hai niente in contrario posso portarlo con me” “No, hai delle cose importanti da fare e non voglio che mio figlio ti distragga da ...” “Non essere sciocca” le sfiorò il volto sorridendo “Porterò con me la seconda governante, si prenderà cura dei suoi bisogni, Etienne ama cavalcare, verrà con me a visitare i possedimenti più a nord. Questo lo aiuterà a dimenticare per qualche ora sua sorella” “Grazie” il dottore sorrise intenerito da quell'attimo di pace “C'è qualcosa che posso fare per aiutarvi?” “No duca, preoccupatevi di distrarre il bambino, ho i miei assistenti qui con me e il generale che controlla ogni ora il mio operato” per la prima volta un sorriso tenero e innocente sfiorò le labbra di Oscar “Dovreste riposare un po' contessa” “Sto bene” “Non è vero, hai sentito il dottore? Devi riposare” “Coraggio, c'è vostro padre con la bambina” “Vi ringrazio” un giovane alto e di bell'aspetto entrò nella sala avvicinandosi al medico “Oh sei qui, molto bene” “Ho tutto quello che avete ordinato signore” “Le erbe?” “Bernard è appena rientrato” “Ottimo, ora vi lascio contessa” si alzò lasciando tra le mani del giovane gli occhiali “Riposate altrimenti vostro padre avrà la mia testa” le fece l'occhiolino e senza aggiungere una parola uscì seguito dal suo assistente. “Andiamo?” la strinse per le spalle aiutandola ad alzarsi “Coraggio” era stanca, troppo stanca per parlare o per pensare, troppo stanca per opporsi a quell'attimo.
Chiuse gli occhi qualche secondo cercando di respirare, un passo un altro ancora circondata dal silenzio e dalla paura, con l'unica certezza di avere qualcuno accanto che non era un marito, non era un compagno e forse nemmeno un fratello ma pur sempre qualcuno.




Era rimasto lì dentro per tutto il pomeriggio a leggere, ridere e parlare con quella bambina che ora sembrava un piccolo cucciolo indifeso.
Si era addormentata da pochi minuti, rannicchiata su un lato e così piccola da sembrare quasi irreale.
Le sfiorò la fronte, la febbre era calata ma il respiro irregolare a volte si fermava spezzato dalla tosse.
Tirò più su le coperte nascondendola dall'aria fresca della sera, il camino alle loro spalle scoppiettava allegro ma questo non bastava a rassicurarlo.
Sentiva la voce del medico oltre la porta, le direttive impartite ai suoi assistenti poi quei passi familiari che si bloccarono accanto a lui e la voce dell'uomo ad interrompere i pensieri “Allora? Come vi sentite?” “Sto bene dottore, preoccupatevi della bambina” “Si è addormetata” mormorò sfiorandole il volto “La temperatura è scesa, il respiro è più irrgolare di quanto vorrei ma posso accettarlo. Per ora è bene che dorma” “Per quale motivo le febbri appaiono e scompaiono?” “Non so darvi una risposta” “Molto rassicurante” sbottò ironico alzandosi “Vostra nipote al momento ha bisogno di riposare. Ho dato ordine alle vostre cucine di preparare molta verdura e carni magre, so che l'infuso ha un sapore tutt'altro che gradevole” “Renée lo definisce orribile” “Vedremo di addolcirlo con un cucchiaino di miele dopo ogni tazza” “Darò ordine affinché sia sempre pronto” “Useremo pane scuro, è più adatto ed utile alle funzioni corporee. La bambina inizia a mostrare un leggero fastidio nell'ingerire formaggi e latte” “Ha sempre bevuto il latte, per quale motivo ora fatica a sopportarlo?” “Non so darvi una spiegazione certa, credo sia qualche fastidio che se non controllato può portare a conseguenze gravi e per il momento, non abbiamo bisogno di altre preoccupazioni” “D'accordo” “Nonno?” si voltò di scatto attratto dal suono di quella vocina tanto debole e tremante “Che ci fai già sveglia signorina?” “Mi fa male la gola” il dottore sorrise avvicinandosi al letto, tirò le coperte indietro aiutandola a sedere “Potete aprire la bocca contessina?” Renée si voltò verso il nonno, lo vide annuire appena e questo bastò a convincerla “Cosa c'è che non va?” “Avete il brutto vizio di mettermi fretta generale” sollevò leggermente il volto della bambina studiandone il colorito “Ora per favore, seguite con lo sguardo il mio dito” un bel sorriso gli colorò il volto mentre quegli occhi di mare si muovevano seguendo la sua mano “Va bene, siete molto brava” “Allora?” “Fate portare acqua calda e miele” la serva a pochi passi da loro si mosse senza nemmeno aspettare l'ordine del generale “Ora dovete riposare” “Ancora?” “Hai dormito cinque minuti signorina, questo non è riposo” “Vostro nonno ha ragione” mormorò l'altro sistamandola sui cuscini “Cinque minuti non sono riposo” “Dov'è la mamma?” “Sta riposando” “Non sta bene?” “Ha bisogno di dormire un po' proprio come te” “L'acqua calda signore” esclamò la governante reggendo il vassoio d'argento “Ve ne occupate voi?” “Con piacere signore” si avvicinò alla bambina lasciando la tazza sul tavolino “Allora bambolina, come ti senti?” Renée mosse leggermente la manina nell'aria sospirando “Così così? Oh questo non va bene, vediamo se riusciamo a farti stare meglio” il generale sorrise avvicinandosi di qualche passo al medico “Posso parlare con voi? In privato” l'altro sospirò alzando leggermente gli occhi al cielo.
Seguì il generale fuori dalla stanza avendo cura di chiudere per bene le porte “Jacques ...” “So cosa stai per chiedermi ma non ho una risposta” “Ho bisogno di una risposta perché mia figlia è sfinita” “Sto provando ad aiutarla in ogni modo. Reagisce bene e se Dio ci aiuta, entro la fine della settimana dovremo aver debellato la febbre” “L'hai detto anche la settimana scorsa ma siamo sempre qui” mormorò sfinito passandosi una mano in volto “Allora è proprio vero che questa bambina ti ha rubato il cuore” “Mi ha restituito mia figlia. Negli occhi di Renée rivedo la mia bambina, i suoi sorrisi, il suo passato, sono affezionato a Renée, mi chiama nonno, mi vuole bene” “E tu le vuoi bene?” “Che domande sono?” “Sto solo cercando di capire” ribatté divertito passando al suo assistente una boccetta scura “Voglio sapere se ami quella bambina come tale o se la vedi solo come un contenitore di ricordi” “È mia nipote dottore!” un debole sorriso sfiorò le labbra del medico mentre quelle quattro parole riempirono l'aria.
Era la prima volta che la definiva nipote, la prima volta che si sentiva così legato a lei da ignorare qualsiasi vizio di forma “Ci siamo inteneriti generale?” “Non sei divertente” “Ti conosco da così tanto tempo ormai, riesco a tradurre ogni tuo pensiero” l'altro non rispose, si limitò a sbuffare incrociando le braccia sul petto “Ho chiesto un consulto, a breve arriveranno molti dei miei illustri colleghi e cercheremo assieme una soluzione” “Di cosa sei certo?” “François non credo sia sano parlare di queste ...” “Davvero? Stai davvero provando ad ignorarmi?” “No, tento di evitare inutili crisi di nervi. Tua figlia è già abbastanza stanca, non ha bisogno di ...” “Di cosa sei certo?” gli occhi freddi del generale si inchiodarono a quelli scuri dell'uomo, lo vide sospirare indeciso sulla risposta giusta da dare ma alla fine annuì appena rispondendogli “Credo sia un'affezzione delle vie respiratorie” “Non è il cuore” un debole sorriso si portò via le labbra del generale “Dio ti ringrazio” “No, no non è il cuore. Ho il timore che sia molto più grave di quello che riusciamo a vedere, prego solo che non siano i polmoni” “Fai quello che vuoi, non mi importa quanto cambierà il prezzo delle tue medicine o quanto il tuo onorario salirà, fai quello che devi e restituiscile la salute” “La bambina ha chiesto più volte di suo padre” “Lo so” “E?” “Ho mandato un messo con una lettera” “Mi stupite generale” ribatté voltandosi appena verso di lui “A volte mi stupisco anche io” “Signor generale” lo sguardo scattò veloce sul volto della giovane serva “Che c'è?” “La contessina chiede di voi” “Arrivo subito” esclamò deciso “E tu assicurati di trovare una cura” un ultimo sguardo poi di nuovo la consapevolezza di dover sopportare quel peso per sé stesso, per Renée e per Oscar perché sua figlia non meritava tutto quel dolore.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Voglio il mio Papà ***


                               Voglio il mio Papà







“Perché non posso vederla?” “Amore mio ne abbiamo parlato ricordi?” Etienne sospirò abbassando lo sguardo “Renée non sta molto bene” “Per quanto tempo mamma?” “Ehi” si inginocchiò davanti al bambino sollevandogli il volto “Vedrai che tutto andrà bene” “Non voglio andare via! Io voglio restare qui con mia sorella!” “No amore ora non si può” “Ma perché!” li aveva tenuti separati per settimane intere nel tentativo di proteggerlo da qualcosa che non potevano controllare, qualcosa che sembrava amare molto i corpicini indifesi dei piccoli umani e che non resisteva a contatto con gli adulti.
Giorni lunghi come anni interi che massacravano le loro giovani vite riempiendole di solitudine e regole scandite da quella maledetta malattia.
Ogni volta che usciva dalla camera di Renée doveva lavare le mani, le braccia e il volto prima di poter abbracciare Etienne o di giocare con lui.
Una volta al giorno erano costretti ad ingerire un infuso amaro e piuttosto maleodorante ma a dire le medico, serviva per rinforzare il corpo e suo figlio aveva cambiato regime alimentare.
Le regole erano rigide e tutti, dallo stalliere alla governante dovevano assicurarsi di seguirle senza eccezione alcuna.
Ogni stanza veniva regolarmente areata, le lenzuola venivano cambiate e lavate ogni giorno e le giovinette che si occupavano di Etienne avevano il divieto assoluto di avvicinarsi alla camera della bambina.
Se per lei tutto questo era una prigione per Etienne diventava giorno dopo giorno una tortura violenta.
Non capiva cosa stesse accadendo, perché d'improvviso la sua sorellina era tenuta segregata in quella stanza, tutto il suo mondo stava velocemente cadendo a pezzi e lei non poteva fare niente per impedirlo “Starete via solo qualche giorno” “Ma quando torno starà bene vero?” avrebbe voluto rispondere, l'avrebbe fatto ma le parole sembravano bloccate da qualche parte in fondo alla gola “Vero?” “D'accordo, Etienne ascoltami ...” fece un bel respiro cercando di trovare un modo per spiegare a suo figlio la verità “ … tua sorella non sta troppo bene. Ha bisogno di riposare molto perché la febbre non vuole andare via” “Ma ha già avuto la febbre l'anno scorso ed è guarita” “Hai ragione ma questa volta è diverso” “Perché?” cercò con lo sguardo gli occhi di Maxime, immobile alle spalle del bambino ascoltava silenzioso cercando di regalare alla ragazza tutta la calma che possedeva “Mamma?” “Il dottore non riesce a capire cosa c'è di sbagliato. Ha chiesto un consulto con altri medici ma non riescono a trovare una soluzione ecco perché Renée deve riposare tanto, ha bisogno di recuperare le forze per lottare contro questa malattia” “Papà lo sa?” “Gli ho scritto ma è molto lontano da qui e ...” “Perché non torna?” trattenne il fiato sconvolta da quella domanda buttata nel vuoto con una semplicità strabiliante.
Maxime si avvicinò al bambino sfiorandogli una spalla “Sai giovanotto, sono abbastanza sicuro che tuo padre sia già sulla via di ritorno ma ci vuole ancora un po' di tempo” “Aveva promesso che saremo stati bene, che nessuno ci avrebbe fatto del male” “Etienne” “No mamma! Mi ha promesso che sarebbe tornato presto e che tutto sarebbe andato bene. La mia sorellina sta male e papà non c'è!” “Amore ascolta ...” “Non voglio ascoltare!” lo sentì tremare sotto le dita, allontanarsi di un passo da lei creando un vuoto tremendo che faceva più male che mai.
Il cuore batteva violento nel petto, il suo bambino era lì, davanti a lei, arrabbiato e confuso.
Legato a quella promessa ora chiedeva solo di poter riavere il suo papà perché c'erano dei mostri cattivi a spaventare sua sorella e lui era troppo piccolo per poterla difendere.
“Etienne, sai ora che facciamo? Prendiamo le nostre cose e partiamo e lungo la strada, io e te scriviamo una bella lettera per tuo padre” “Me lo prometti?” Maxime annuì sorridendo appena “Lo prometto” “Va bene” “Ora che ne dici se vai assieme a Lisette?” la giovane balia sorrise tendendo la mano verso il bambino “Venite conte, finiamo di preparare le vostre cose” strinse la mano della ragazza lasciandosi guidare da lei oltre la porta, via, lontano da tutto quel dolore “Stai bene?” “Forse ha ragione, gli ho raccontato solo bugie e ora vuole suo padre e io non … non so ...” “No” la strinse per le spalle costringendola ad alzare lo sguardo “Sei stanca, lo siamo tutti. Tuo padre passa tutto il tempo libero accanto a Renée e quando esce da quella stanza sembra un lupo rabbioso, urla e strepita contro tutti e tutto, la servitù è sfiancata, sei umana” “Non so cosa fare” la sentiva tremare sfinita da quel maledetto senso di impotenza che la distruggeva dentro “Come posso aiutare la mia bambina? È così piccola e non … deve guarire, non può … lei non può ...” “Non è scritto da nessuna parte che finirà così Oscar!” “No?” una lacrima scivolò via da quegli occhi di cielo massacrandogli il cuore “Starà meglio, è forte, lotterà contro questa malattia e starà meglio” la tirò in avanti posando la fronte sulla sua “E quando suo padre tornerà a casa, la troverà felice e sorridente ad aspettarlo” “Mia figlia è forte” “Certo che lo è, ti assomiglia no? È testarda e ostinata proprio come lo sei tu” un debole sorriso le sfiorò le labbra, un sorriso tra le lacrime che la rendeva troppo bella per lui, per il mondo intero.
Era vicina, troppo per poter ignorare il profumo della sua pelle, la dolcezza di quei lineamenti che scorrevano leggeri sotto le dita.
Chiuse gli occhi qualche secondo cercando di respirare, provava a ritrovare sé stesso in quel mare di pensieri che solo lei era in grado di scatenare ma per quanti sforzi facesse, tutta l'attenzione era rapita dalla dolcezza della sua pelle.
L'aveva lasciato entrare nella sua vita rassicurata dalle parole del padre, dalle sue decisioni e dalla sua presenza ma quella semplice concessione si era rivelata un'errore tremendo.
Inspirò a fondo staccandola leggermente da sé “Andrà tutto bene” mosse leggermente la mano cancellando le lacrime dal suo viso “D'accordo, ora vado a finire i preparativi” “Se ti fa arrabbiare puoi ...” “Trattarlo come un nipote? Non temete contessa, ci penso io a vostro figlio” seguì con il dito le sue labbra perdendosi qualche secondo nella dolcezza dei suoi occhi, di quello sguardo colorato di cielo impreziosito da lunghe ciglia scure e perfette “La governante ti ha preparato la colazione. Non farla aspettare o si arrabbierà” “D'accordo” un ultimo sguardo prima di lasciarla andare al silenzio.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Un sogno di Cristallo ***


Giovani cuori eccomi qui a scrivervi poche righe. Come sempre vi ringrazio per essere sempre qui, assieme a me.
Vi informo che la svista del capitolo precedente è stata corretta e ringrazio Frakkis per avermelo fatto notare, a volte una svista capita anche a me.
Vi lascio con il nuovo capitolo, un bacio enorme miei cuori.
                     






                                    Un sogno di Cristallo







Sarebbe rimasto a guardarla per ore incantato dalla dolcezza dei suoi lineamenti e da quel corpo terribilmente bello.
Era così dannatamente sensuale da togliergli il respiro ed era sicuro che lei nemmeno ne fosse a conoscenza. 
Non le importava nulla degli sguardi che gli uomini le regalavano, era ancora troppo ingenua per quel mondo ma così forte da poter sopravvivere al male, al dolore, a tutto.
Ora l'aveva davanti, così bella, con i capelli imprigionati in complicati intrecci, sollevati dal collo e invasi da piccole perle che rendevano quell'oro ancora più prezioso.
Gli abiti maschili erano spariti, sostituiti un meraviglioso vestito, leggero, semplice, diverso da quelli pesanti e complicati che le dame erano solite esibire.
La stoffa chiara di luna avvolgeva il suo corpo nascondendo la dolcezza del seno, il ventre, i fianchi delicati.
Le spalle erano scoperte, i muscoli della schiena si tendevano dolcemente regalandole quella postura composta e perfetta che nemmeno la regina era in grado di esibire.
Aveva letto molti libri, aveva sorriso incantato dai disegni che ritraevano le dee greche, i loro volti, i loro sorrisi ma quella bellezza svaniva nel nulla perché ora aveva davanti una dea di carne e fiato, così luminosa e pura da rendere buia perfino la luna.
Mosse un passo, un altro ancora fino a raggiungerla “Sei bellissima” la giovane tremò voltandosi di colpo “Scusa, non volevo spaventarti” ma lei sorrise tornando ad osservare la propria immagine “Avevo giurato a me stessa che mai più avrei indossato abiti del genere” “E perché?” “Perché questa non sono io” “Tu sei sempre bella, anche vestita da angelo” rispose Maxime posando le mani sulle spalle della ragazza “Etienne sta bene?” “Si è addormentato durante il viaggio. Svegliarlo non ha alcun senso, è meglio che riposi un po'” “È arrabbiato con me” “Con te, con me, con il medico, con suo padre. È arrabbiato con il mondo Oscar” “Ne ha tutto il diritto” “Lo so” “Ho scritto a mio … gli ho scritto ormai tre settimane fa, so che ci vuole del tempo, so che è lontano e che non merita questo dolore, ama sua figlia così tanto e ...” “Nessuno può tradurre il futuro Oscar. Non potevi saperlo, nessuno di noi immaginava niente di tutto questo” un debolissimo si le uscì dalle labbra ma in quell'unica parola si poteva tradurre tutto il senso di colpa di una madre sfinita.
“Sai, quando ho avuto tra le mani la lettera del generale credevo fosse uno scherzo” sorrise indietreggiando di un passo, la schiena si fuse al corpo del giovane lasciandolo stordito perché quel collo delicato e tremendamente invitante era a pochi centimetri dalle labbra, una distanza effimera e facilmente violabile.
Leggeva sul quel volto d'angelo la paura, la stanchezza, il senso di colpa, vi leggeva un mondo intero di emozioni che forse nemmeno le appartenevano ma erano lì, chiare e limpide davanti ai suoi occhi.
Fece un bel respiro cercando di ignorare il bisogno violento di assaggiare la dolcezza della sua pelle “Sono stato convocato con urgenza per fare il principe?” “E sei in ritardo” “Non è colpa mia” “È così pallida, non credo che … lei ...” la vide chiudere gli occhi sospirando, la testa ricadde dolcemente indietro incontrando la spalla del giovane “ … sono così stanca, non voglio più vederla soffrire, non voglio” “Devi essere forte” la strinse a sé costringendola a sorridere, poteva sentire sotto le dita quel ventre perfetto, le contrazioni delicate provocate dal suo respiro “Ti prego dimmi che non ha assoldato anche un'architetto per costruire un bel castello in miniatura” “No, no solo tre maestri di musica armati di violino” “Davvero?” “Mio padre pensa che immaginare qualcosa di diverso dalla sua camera possa aiutarla a stare bene” “Leggere le favole non funzionava più?” “Renée non riesce più a parlare e mio padre ha deciso che parlare non serviva più a nessuno di noi, per questo sono vestita così” “Ho una cosa per te” sfilò dalla tasca una scatolina di raso scuro aprendola “Non dovevi ...” “Non protestate contessa, non potete giocare a fare la dama senza un bel gioiello” sfilò una meravigliosa collana lasciandola scivolare davanti al suo volto.
Un filo sottile d'argento puro con un pendente di diamante che attirava su di sé tutta la luce “Ora sei perfetta” sussurrò chiudendola attorno al collo della giovane.
Un sorriso delicato sfiorò le labbra di Oscar mentre sfiorava con le dita quel ciondolo prezioso “Adesso sei perfetta” la voltò verso di sé giocando con le ciocche dorate che scendevano soffici sul collo “Coraggio, tua figlia si aspetta una principessa sorridente” le sollevò il volto perdendosi qualche secondo nell'azzurro profondo del cielo “Non vuole vedere sua madre triste, niente lacrime” “Niente lacrime?” “Esatto” sfiorò il volto della giovane cancellando quell'unica perla innocente che scivolava sulla pelle “Niente lacrime. Adesso fai un bel respiro, fingi di amare quest'abito stupendo e raggiungi Renée, io arrivo subito” “D'accordo” un altro sorriso poi quel bacio delicato sulla fronte della ragazza, un bacio leggero, un bacio per legarla a lui.




“E poi d'improvviso, la porta si aprì e una bellissima principessa entrò nella sala. Duchi e cavalieri trattennero il fiato perché quell'angelo apparso dal nulla era così bello da fermare i cuori” gli occhi stanchi di Renée si riempirono di gioia e un tenero sorriso colorò il volto pallido quando vide la sua bellissima mamma entrare in camera “Tutti si domandavano da dove venisse e quale paese avesse celato un così prezioso tesoro fino ad ora” lo sguardo del generale si sollevò qualche secondo dalle pagine del libro “Sei bellissima bambina mia” “Padre” sussurrò Oscar chinando leggermente il capo poi un bel sorriso prima di sedersi sul letto accanto a sua figlia “Ciao angelo mio” “Mamma” “No amore, non puoi parlare. Ricordi cos'ha detto il dottore?” “Sei … sei bellissima” le sfiorò il volto seguendone i lineamenti “Ti avevo detto che in questa casa esisteva davvero una principessa, non l'avevo fatto forse signorina?” “Si nonno” “Che fine ha fatto il nostro principe?” “Credo sia quasi pronto ormai” rispose divertita osservando quella stanza tanto diversa.
Nell'angolo più lontano della vi erano tre uomini seduti composti.
Avevano i violini posati in grembo e un abito elegante scuro come la notte, al loro fianco la governante con un bel sorriso sulle labbra e un panno candido ordinatamente piegato tra le mani.
“Ti avevo promesso un ballo signorina, avrai la tua principessa e speriamo anche un principe in grado di muovere braccia e gambe” la bambina sorrise mentre d'improvviso la porta si aprì e un uomo elegante corse dentro cercando di riprendere fiato “Il nostro principe è in ritardo” esclamò ironico il generale “Perdonatemi padre, cambiarsi in dieci minuti richiede una buona dose di rapidità e sono troppo stanco” “Sciocchezze” fece l'occhiolino alla bambina tornando a concentrarsi sul libro che stringeva tra le mani “Poi d'improvviso la musica si alzò soave e il principe si avvicinò a lei ...” i violini si mossero leggeri e un bellissimo valzer colorò il silenzio, il duca sistemò la giacca avvicinandosi ad Oscar “ … le sorrise e senza esitazione alcuna le chiese di danzare assieme a lui” “Posso avere l'onore di questo ballo?” tese la mano verso di lei e per qualche secondo gli sguardi dei si fusero assieme.
Non riusciva a muoversi, quegli occhi stupendi la tenevano inchiodata lì a sorridere, a studiare per qualche secondo quel volto bello e pieno di sole mentre la voce di suo padre narrava una favola senza inizio né fine.
I capelli erano scuri come la notte, ordinatamente raccolti e fermati da un nastro di velluto, il suo sorriso era luminoso come il sole, i suoi occhi un cielo pieno di vita.
Alto e forte con un corpo agile e muscoloso nascosto da un abito elegante finemente decorato e creato apposta per un giovane nobile proprio come lui.
Ci mise qualche secondo prima di riuscire a convincere la ragione, la mano si mosse leggera nell'aria e le dita si intrecciarono a quelle del giovane.
Sul volto del generale apparve un bel sorriso pieno d'orgoglio mentre seguiva ogni passo della figlia.
Conosceva bene l'odio che provava nei confronti di quel mondo a lei tanto sconosciuto, aveva passato tutta la vita a comportarsi come un uomo e ora si ritrovava per la seconda volta improgionata in quell'abito.
Le aveva fatto cucire quei capolavori molto tempo addietro ormai, abiti preziosi diversi da qualsiasi altro capo presente in quel mondo frivolo, gioielli di sartoria creati apposta per lei e per quel rifiuto che fino ad ora l'aveva tenuta in vita.
Forse, dopo tutti quegli anni di silenzio, continuava a custodire segretamente in cuore la speranza di vederla vestita così, di vederla felice, sorridente, in pace con sé stessa e con il mondo intero.
Ora aveva davanti quel sogno ma non c'era niente di quell'immagine in lei, niente sorrisi, niente felicità.
Aveva accettato quel dolcissimo delirio solo per amore di sua figlia eppure non era mai stata tanto bella.
Renée sfiorò la mano del nonno attirandone l'attenzione “Ti piace signorina?” un debole si le uscì dalle labbra costringendolo a sorridere, la musica accelerò leggermente e sul volto del duca si riempì di allegria “Stai andando bene contessa” “Mio padre mi ha insegnato a danzare duca, smettetela di comportarvi da protagonista” “Oh questo lo vedo, ora per favore, lasciatemi guidare la danza” “Ma io sto ...” “Stai diventando di nuovo il colonnello delle guardie che danza senza emozioni” la strinse più forte, il ventre unito al suo e le labbra a pochi centimetri l'una dall'altra “Non si danza senza emozioni” “E che ne sa un colonnello di marina dei sentimenti?” gli occhi persi nei suoi mentre chiudeva fuori il mondo intero lasciandosi guidare da lui.
Un sogno di cristallo, un attimo di pace sospeso nel tempo dove tutta la paura e il dolore sembrava scomparso nel nulla “Ma che … c'è un ballo?” domandò confuso il dottore togliendo gli occhiali “Ho pensato di rallegrare un po' la vita di mia nipote” “Vostra figlia è così ...” “Bellissima” “Hai ragione Renée, la tua mamma è bellissima” ribatté sorridente avvicinandosi alla bambina, le sfiorò la fronte annuendo appena “La febbre sta scendendo” “Questo è un bene non è così?” “Se può darle un po' di tregua sì” “E se invitassi a danzare questa piccola bambina?” “Solo se ben coperta generale e solo pochi minuti” “Signorina, mi concedete l'onore di questo ballo?” Renée sorrise tendendo le braccina verso di lui “Sei pronta?” “Si nonno” la strinse più forte a sé sollevandola dal letto.
Era rimasta così tanto immobile da non riuscire nemmeno a muoversi da sola senza tremare ma la gioia che aveva negli occhi, era un regalo troppo grande per lui, per Oscar, per il mondo intero.
Aiutato dalle mani del medico sistemò Renée nascondendola dall'aria fresca della sera “Non scherzavo prima, vostra figlia è stupenda” “Lo è sempre stata” ribatté orgoglioso “Sai cosa sembra vero?” “Ma di che stai …” “Guardali” gli occhi tornarono a seguire la danza leggera di due giovani cuori, quel volto d'angelo sfinito da un presente che non meritava, quel volto d'angelo dove per la prima volta da giorni splendeva la dolcezza di un sorriso puro e spontaneo “Stanno bene assieme” “Naturale, è suo fratello” “Quelli non sono sguardi che scambiano fratelli e sorelle. Stai attento amico mio, sono entrambi stanchi, soli e tua figlia è ...” “Sciocchezze” quel ballo meraviglioso si fermò a pochi passi da loro interrompendo le confidenze di due vecchi amici “Posso avere l'onore di ballare con questa meravigliosa bambina?” le labbra di Renée si mossero appena ma nessun suono ne uscì.
Oscar trattenne il respiro stringendosi nelle spalle, riusciva solo a restare lì, immobile ad osservare la sua meravigliosa bambina lottare con sé stessa “Non sforzarti tesoro” sussurrò il duca prendendola tra le braccia “Non ti serve la voce per danzare con me” le diede un bacio costringendola a ridere mentre la trascinava lontano seguendo note preziose, note di magia che regalavano ad una bambina ormai distrutta un attimo di serenità.

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Lotterò io contro i brutti Sogni ***



               Lotterò io contro i brutti Sogni







Era troppo stanca per dormire, troppo stanca per fare qualsiasi cosa.
Mangiare, riposare, sorridere, tutto sembrava privo di senso, qualcosa di futile che non meritava più nemmeno la sua attenzione.
Si avvicinò al letto di Etienne divertita da quel modo tanto tenero di dormire.
Stringeva tra le braccia la bambolina preferita di sua sorella nascondendola dal gelo di quel mondo cattivo.
Si sedette accanto a lui sfiorandogli il volto, lo sentì sospirare poi quegli occhi di mare ancora pieni di sonno “Ciao amore mio” “Mamma” “Volevo solo vederti qualche minuto” sorrise lasciandosi cullare da quelle carezze tanto dolci “Sembri una principessa” “Davvero?” annuì appena giocando con una ciocca di capelli così lunga da sfiorarle il seno “Papà dice sempre che sei bella, tanto bella mamma” “È vero, il tuo papà lo ripete sempre” “Ma ora lui non c'è, devo farlo io” gli sorrise chinandosi leggermente verso di lui “Sei un angelo lo sai vero?” Etienne si alzò appena aggrappandosi a lei “Mamma?" "Dimmi" "Secondo te Renée mi sente? Sente quanto le voglio bene?" "Certo che lo sa bambino mio. Non vede l'ora di giocare di nuovo con te" "Le manca la sua bambolina non è così?" staccò dolcemente da sé il bambino concentrandosi qualche secondo sul suo volto "L'ha dimenticata in camera mia prima che questa brutta malattia le facesse del male. L'abbraccio ogni sera mamma, non voglio che si senta sola" "Devi essere forte amore mio, devi farlo per tua sorella e per il tuo papà" "Ma lui non c'è" sollevò il volto di Etienne perdendosi nel mare "Il tuo papà sta facendo di tutto per tornare a casa amore mio ma è andato molto lontano da qui" "Il nonno dice che questa è la seconda volta che indossi un vestito tanto bello" sorrise divertita da quel cambio innocente di discorso "Il nonno ha ragione, la prima volta fu per colpa di  un uomo" "Chi era?" “Un conte, un nobile svedese” mormorò passando una mano tra i capelli del bambino “Ma ho scelto tuo padre e voi siete stati il regalo più bello del mondo” “Al nonno sarebbe piaciuto” “Chi?” “Il conte” “Hai ragione” rispose divertita abbracciandolo “Ora basta così amore mio, è tardi” “Mammina?” “Che c'è?” “Resti qui con me ancora un po'?” “Solo fino a quando non dormirai di nuovo” lasciò cadere le scarpe sdraiandosi accanto al figlioletto.
Non le importava niente di quel vestito elegante e bello né dei gioielli che ancora le brillavano addosso.
Strinse il bambino tra le braccia cancellando per qualche secondo il resto del mondo.


I raggi teneri dell'alba tardavano a colrare un cielo ancora addormentato, come se il sole si fosse stancato di lasciare ogni giorno la sicurezza del proprio giaciglio oltre l'orizzonte.
Avevano passato la notte in quella locanda persa tra i campi silenziosi dove Alain aveva ritrovato il suo vecchio amico, un'oste rubicondo e sempre sorridente che aveva accettato di buon grado la loro presenza “Emile dice che Troyes non è molto lontana” “Esatto” esclamò passandogli i finimenti “Dista circa un giorno e mezzo a cavallo da Orléans” “Se partiamo adesso possiamo arrivare a Sens e riposare qualche ora” ma l'oste scosse leggermente la testa “Non lo so ragazzo, Sens non è un luogo molto sicuro ora. Ci sono briganti ovunque e viaggiare di notte da soli è piuttosto pericoloso” “Forse Emile ha ragione amico mio” “Non posso fermarmi oltre, devo tornare a Parigi” “Lo so e ci arriveremo” il volto di Alain si aprì in un sorriso meraviglioso “Anche io voglio rivedere la tua bella” “Ho idea che tu debba difendermi dalla mia bella” “E perché mai?” “Oscar mi ucciderà” infilò i finimenti al cavallo sospirando “Sarà arrabbiata con me” “Non puoi volare Andrè, nessuno poteva prevedere niente del genere” “Emile!” l'oste si voltò verso un giovinetto dall'aria piuttosto agitata “Che succede ragazzo?” “C'è un messaggero che ha bisogno di te” “Un messaggero?” “Si, ha bisogno di chiederti qualcosa di importante suppongo, non parlerà con nessun'altro all'infuori di te” “Questo pazzo mondo sta andando a rotoli” ribattè indispettito seguendo il ragazzo fuori dalle stalle.
Alain rise dando una pacca sulla spalla dell'amico “Coraggio, siamo a tre giorni da casa, arriveremo prima di quanto immagini” “Spero solo che stiano bene” “Ma certo che stanno bene! Oscar è forte abbastanza per tutti noi” un debole sorriso apparve sulle labbra mentre l'immagine della ragazza prendeva vita davanti agli occhi poi la voce di Emile e quell'aria preoccupata che li costrinse di colpo a tornare alla realtà “Andrè ragazzo, credo ci sia … ho idea che quest'uomo abbia bisogno di te” “Ma che ...” “Siete voi Andrè Grandier?” annuì confusto studiando per qualche secondo il volto del ragazzo.
Gli abiti erano eleganti, il volto mezzo nascosto dal mantello scuro e il copricapo bardato da una lunga piuma scura che scendeva sulla spalla destra “Il mio signore mi ha mandato a cercarvi” “Cercate me?” “Siamo in venti a cercarvi signore” “Però” esclamò divertito Alain “Che hai fatto? Dev'essere sicuramente qualcosa di divertente che hai omesso di raccontarmi” ma l'altro tossicchiò leggermente interrompendo quelle risate gioiose “Mi è stato ordinato di cavalcare verso Marsiglia, il mio signore era certo che foste partito ormai molto tempo fa ma non potendovi più scrivere, non aveva idea di dove potervi trovare e ha mandato noi lungo tutte le più grandi strade per il sud” “Posso chiedervi di grazia per conto di chi cercate il mio compagno?” “Il generale Jarjayes” sentì il cuore accelerare di colpo mentre quell'uomo sconosciuto sbucato dal nulla diventava improvvisamente la persona più importante del mondo “Avete notizie di mia figlia?” “Il generale vi prega di tornare il più in fretta possibile a Parigi” “Siamo a qualche giorno, non ci vorrà molto ancora e ...” “Non siamo più sicuri che vostra figlia abbia ancora qualche giorno” “Cosa?” Alain inspirò a fondo stringendo la mano attorno alla spalla dell'amico “Di che stai ...” “Vi prego di seguirmi signore, adesso!” Emile si passò una mano in volto trattenendo il respiro “Vecchio mio posso ...” “Vai Alain, non preoccuparti di niente” “Ti ringrazio” si voltò di nuovo verso Andrè cercando di sembrare il più calmo possibile ma c'era confusione tra i pensieri e quell'ansia maledetta che non riusciva a celare “Andiamo” André annuì appena montando a cavallo e senza più riflettere partì al galoppo lasciandosi dietro un amico preoccupato e il silenzio di quelle maledette parole che ora più che mai assomigliavano ad un incubo.






Quel piccolo sogno trasformato in realtà aveva regalato a Renée pochi attimi di sorriso aiutando il generale a respirare di nuovo.
Era riuscita a riposare ma un'altra crisi aveva costretto il suo giovane corpo ad uno sforzo troppo grande.
I medici erano ormai impotenti di fronte a quel male orrendo che si stava portando via quel giovane angelo, lottare contro un'infezione ai polmoni era già di per sé difficile ma quei nuovi sintomi mai visti fino ad ora, avevano cancellato ogni speranza di guarigione.
Renée stava perdendo giorno dopo giorno un po' di quella luce meravigliosa che fino ad ora l'aveva tenuta in vita e assieme ad essa, trascinava con sé la sua giovane madre costringendola a lottare con sé stessa, con il mondo, con Dio per poter trovare una ragione a tutto quel dolore orrendo “Lisette?” “Si signor duca?” “Sai dov'è finita la contessa?” “Nella camera del conte signore. Si è addormetata accanto a lui, volete che la svegli?” “No, no è l'alba e non voglio disturbarla” “Forse dovreste signore. Non si è nemmeno cambiata e non ha mangiato nulla da ieri, sono preoccupata per lei” “Anche tu?” un debole sorriso sfiorò le labbra della governante “Non preoccuparti, ci penso io” le diede un bacio leggero sul volto allontanandosi silenzioso lungo il corridoio.
Era sempre stato affezionato a Lisette, era stata per lui una madre, si era presa cura dei suoi bisogni affettivi e del suo piccolo mondo sicuro.
Spinse dolcemente la porta di Etienne sorridendo a quella scena tanto dolce.
Oscar dormiva stringendo tra le braccia il suo bambino, le labbra posate sulla fronte del figlio, chiusi in quell'abbraccio delicato che sapeva di amore.
Aveva ancora quell'abito meraviglioso addosso ma la seta leggera scivolava via da lei mostrandogli la dolcezza di quel corpo stupendo.
La schiena scoperta, un braccio dolcemente abbandonato sul fianco del bambino e quelle gambe meravigliose per metà scoperte da quella stoffa preziosa.
Si avvicinò a lei sfiorandole un braccio “Ciao principessa” la vide sorridere appena senza nemmeno aprire gli occhi “Lisette mi ha detto che avete disertato il vostro letto” “Solo per qualche ora” “È sorto il sole mentre trascorrevi solo qualche ora qui dentro” le sfiorò il volto costringendola ad aprire gli occhi “Renée è ...” “Addormentata, il medico è rimasta assieme a lei tutta la notte” “Dovrei andare da lei e ...” “Non pensarci nemmeno” la mano si strinse attorno alla sua bloccandola sul letto “Sto bene” “Sei sfinita, devi riposare” “Ho dormito troppo” ma quegli occhi tanto belli ancora pieni di sonno lo costrinsero a sorridere “Ora ti porto in camera tua, toglierai questo vestito ...” le sfiorò il collo con la mano libera sollevandola dolcemente “ … e riposerai come si deve per qualche ora” le cinse i fianchi costringendola a lasciare Etienne “Andiamo contessa?” un debole sorriso sulle labbra mentre si lasciava cullare dalle braccia forti di Maxime.
La sollevò dal letto stringendola a sé “Siete bellissima, soprattutto quando non protestate” “Non ti ho già detto di smetterla di giocare così?” ma lui sorrise sistemandole la collanina sul seno “Andiamo? Vi porto io contessa” la strinse più forte sollevandola da terra, il volto della ragazza si posò dolcemente sul suo petto mentre reggeva senza fatica alcuna quel corpo tanto delicato.
Sarebbe rimasto immobile così per tutta la vita, stringeva tra le braccia un angelo di cristallo sfinito dal mondo.
Il suo respiro lento, il profumo della sua pelle, la perfezione di quelle gambe nascoste dalla seta preziosa che si concedevano al suo tocco.
Uscì dalla stanza seguito dallo sguardo dolce di Lisette, in fondo, aveva davanti lo stesso duca di sempre, forse più umano di quanto avesse mai immaginato ma sempre lo stesso meraviglioso ragazzo che in passato le aveva regalato tanto amore.
Camminava silenzioso verso le stanze della contessa, lo sguardo perso da qualche parte oltre il vuoto, le mani forti strette attorno ad una figura esile e delicata che si abbadonava al suo calore cercando solo protezione, una protezione che non era compito suo regalare ma cosa importava ora? Seguì Maxime fino alla camera della giovane “Vi preparo il bagno?” “No, no la contessa si alzerà tra qualche ora” “Come desiderate signore” “Servite la colazione al dottor Mériel. È rimasto sveglio tutta la notte e date ordine di preparare la terrazza. La contessina vi passerà qualche ora assieme al generale “Subito signore” un debolissimo inchino prima di lasciarli di nuovo soli nel silenzio.
Ci mise qualche secondo a convincere cuore e ragione ma alla fine si avvicinò al letto adagiandovi quel corpo d'angelo profumato di vita.
Si sarebbe allontanato da lei, l'avrebbe fatto davvero ma la mano della ragazza si strinse più forte attorno alla giacca dell'abito costringendolo a rimanere immobile accanto a lei “Oscar ...” “Non lasciarmi da sola, ti prego resta ancora qualche minuto con me” “Non posso lo sai” “Ti prego, non voglio più incubi nei miei sogni” “D'accordo” si sdraiò accanto a lei cercando di lasciarle quanto più spazio possibile ma la mano si strinse più forte tirandolo dolcemente verso di lei.
Era sempre rimasto incantato dalla sua bellezza ma vederla dormire così tenera ed indifesa, spingeva il cuore a liberare quelle catene pesanti che avevano l'unico compito di imprigionare passione e sentimenti.
L'incarnato delicato di quel volto aveva il colore del cielo all'alba, le labbra di rosa a pochi centimetri dalle sue, gli occhi chiusi mentre il sonno portava lontano ogni paura.
Posò la fronte sulla sua sospirando “Non ti lascio da sola” sentiva la pelle fresca della sua schiena sotto le dita, il ventre unito al suo e il movimento leggero del seno che accompagnava per la prima volta un respiro carico di serenità “Non permetterò agli incubi di torturarti, te lo giuro” sfiorò con un dito quelle labbra meravigliose perdendosi nel calore del suo corpo, chiuse gli occhi imprigionando quella dolcezza nel cuore.
Non l'avrebbe mai lasciata sola, non poteva, non ora che scopriva lentamente in sé quell'amore leggero verso sua sorella, verso una contessa, verso una giovane donna che prendeva velocemente ogni posto libero nei ricordi.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Non devi aver Paura ***


                           Non devi aver Paura







“Me lo ricordo sai?” la strinse più forte tra le braccia perdendosi nell'azzurro cristallino del cielo … “Ha lottato fino ad ora, non ce la fa più e io non posso aiutarla” … seguì con lo sguardo il volo di una farfalla accarezzando la testolina di sua nipote … “Come posso … non so cosa fare Jacques, per la prima volta nella vita non so cosa devo fare” la mano del medico si strinse con forza sulla sua spalla “Regalagli il suo nonno fino a quando ha la forza di respirare” “Mia figlia?” ma lo sguardo del medico divenne improvvisamente più triste … sentiva il suo dolore, perfino così riusciva a sentire il pianto violento della sua bambina.
Sorrise appena concentrandosi di nuovo sul volto di sua nipote, se ne stava rannicchiata su di lui come i bambini appena nati.
Così piccola, così dolce e indifesa si lasciava cullare dalle braccia forti di suo nonno perdendosi nel suo profumo, abbandonandosi alle sue parole.
Con la manina stringeva il bordo ricamato del suo abito, la testa abbandonata sul braccio sinistro e il respiro lento a cullarne i pensieri.
Sollevò meglio la coperta nascondendola nel tiepido calore del suo abbraccio “Ricordo il nome di tua nonna signorina” la vide sorridere appena muovendo le labbra e in quel fil di voce troppo debole per poter essere ascoltato lesse una domanda innocente “Marguerite Louise Emilie Henriette, bellissima sposa del generale Jarjayes” le sorrise continuando a raccontarle quanto di più prezioso custodiva nel cuore “Non l'ho mai detto a nessuno signorina ma credo che tua nonna fosse la donna più bella del mondo” la bambina sorrise sollevando leggermente la testa “No, ricordi cos'ho detto? Niente parole, devi solo ascoltare” si appoggiò allo schienale cullando dolcemente sua nipote “Aveva meravigliosi capelli castani, così chiari da confondersi con l'oro. I suoi occhi avevano lo stesso colore del cielo, chiari, pieni di luce e il suo volto era delicato e impreziosito da un sorriso di una dolcezza infinita” sorrise mentre davanti agli occhi tornava di nuovo l'immagine di sua moglie “Quando la vidi la prima volta ricordo di aver pensato: è lei la mia sposa, lei così bella e perfetta” “Poi?” “Cos'ho detto sul parlare?” “Ma nonno ...” “Non ti sento Renée” il faccino della piccola si colorò di tenerezza mentre quelle paroline uscivano roche dalle sue labbra “Non le ho mai detto queste cose ma credo che in fondo le sapesse” una giovane serva li raggiunse posando sul tavolino un vassoio d'argento “Non sono mai stato bravo con le parole ma lei riusciva a tirare fuori la parte migliore di me” raddrizzò la schiena prendendo dal vassoio la tazza fumante “Coraggio signorina, dobbiamo bere un po'” “No” “Solo un sorso” avvicinò la tazza alle labbra della bambina, la sentì tremare infastidita dal dolore violento che perfino l'acqua era in grado di provocarle.
Abbandonò di nuovo la tazza sul tavolo continuando a raccontarle il passato “Amava la musica e i fiori. Le piaceva passeggiare sotto il sole, diceva che la luce del sole regalava sempre nuova vita e per questo era preziosa” forse era davvero colpa di quel ricordo se ora se ne stava seduto su quella poltrona in terrazzo, forse sperava nel miracolo che quella luce delicata poteva creare dal nulla “A volte passava ore intere a spiare la dolcezza della natura, la tua madre le somiglia molto sai?” “Davvero?” “Ha gli stessi occhi, la stessa dolcezza nei lineamenti, le sue labbra. È merito di mia moglie se la tua mamma è diventata una splendida donna” “Nonno?” abbassò lo sguardo incontrando gli occhi della bambina “Fa male?” “Cosa?” “Volare in cielo” fece un bel respiro studiando qualche secondo quello sguardo tanto stanco “Non lo so bambina mia. Non ho una risposta per questo” ma quella vocina sottile e rauca non gli avrebbe mai permesso di scappare così ad una domanda tanto semplice “Nonno?” “Dimmi” “Ho paura di volare in cielo” la strinse più forte tra le braccia posando le labbra sulla sua fronte “Non devi avere paura piccola mia. Andrà tutto bene te lo prometto” per la prima volta da anni sentì il respiro accelerare e poi quella lacrima preziosa scivolò via lacerando la carne e distruggendo sogni.





Quel piccolo angolo di paradiso nascosto dagli alberi il suo rifugio sicuro, l'unico posto dove nessuno poteva arrivare eppure, chissà per quale sciocco motivo sapeva di trovarla lì.
Seduta sul pavimento con la schiena posata alla panca gelida e il volto nascosto sulle ginocchia, immobile avvolta dal canto leggero degli uccelli e da quei raggi tiepidi che le sfioravano i capelli sfumandoli di rame e dolcezza “Tuo padre è preoccupato per te” abbandondò la giacca sul marmo gelido sedendole accanto “Io sono preoccupato per te” le sfiorò il collo intrecciando le dita a quei capelli meravigliosi.
La sentì tremare, il respiro più accelerato del solito mentre attorno a loro il silenzio regalava a quel patio luminoso nient'altro che solitudine “Dovremo rientrare” “La mia bambina sta morendo, non ho alcuna voglia di rientrare in casa” la tirò verso di sé costringendola a sollevare il volto, le braccia si strinsero con forza attorno a lui mentre il pianto esplodeva violento rompendole il respiro.
“Devi essere forte” chiuse gli occhi perdendosi nel bisogno violento di protezione che solo lei era in grado di scatenare “Sarò assieme a te” la strinse così forte da toglierle il respiro ma lei non si mosse, restò immobile, incapace di controllare lacrime e sospiri, incapace di pensare.
Si nascose tra le sue braccia chiedendo al cielo un motivo per continuare a respirare, una scusa anche sciocca per potersi alzare ogni mattina perché se la sua bambina avesse chiuso gli occhi sarebbe morta assieme a lei “Mi prenderò cura di te Oscar, penserò al tuo futuro e a quello di tuo figlio” “Me lo prometti?” le sollevò il volto cercando i suoi occhi “Me lo prometti Maxime? Perché se lei … se lei si lascia andare io non sarò più in grado di ...” “Questo non devi nemmeno pensarlo” strinse il suo volto tra le mani sorridendole “Etienne ha bisogno della sua mamma e anche Andrè” “Andrè mi odierà” la sentì tremare violentemente abbandonandosi a singhiozzi che laceravano il cuore “Non è vero, non ti odierà, non potrebbe mai farlo” “Mi odierà, mi odierà così tanto per averle permesso di andare via e io non … non voglio perdere la mia bambina, è così piccola e innocente e … non merita questo” bloccò quello scroscio violento abbracciandola.
Stretta da quelle catene violente che costringevano l'aria ad entrare nei polmoni cercava di ritrovare sé stessa, quella calma perfetta che un tempo faceva parte della sua vita e che ora sembrava sparita nel nulla “Promettimelo Maxime, ti prego tu devi … devi promettermi che sarai qui con me e che mi costringerai a vivere perché se mio … se Andrè mi guarderà con quegli occhi così pieni di risentimento e ...” “Te lo prometto.Ti prometto che troverai sempre un fratello in me” ma il cuore ripeteva sempre la stessa cosa: troverai un fratello innamorato di te.
Una lacrima scese dagli occhi costringendolo a tremare legato ad una promessa, legato a lei per la vita intera.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Angelo tra le Stelle ***


                                           Angelo tra le Stelle








Non sentiva niente, niente gioia, niente dolore, niente di niente.
Restava immobile con le braccia abbandonate lungo i fianchi, gli occhi inondati di lacrime persi sul verde cristallino di quel campo infinito.
Sentiva il vento leggero sulla pelle, lo sentiva giocare con la stoffa leggera della camicia, con i suoi capelli intrecciati e sciolti da quella brezza troppo fredda per lei.
Cercava di respirare, provava a muovere gambe e braccia ma tutto quello che riusciva a fare, era restare immobile, immersa in quel tramonto che ormai di dolce non aveva più niente “Non devi avere paura c'è la mamma qui con te” la mano del giovane era stretta con forza attorno alla sua, intrecciate sulla schiena di Renée si muovevano lentamente, la cullavano in una carezza delicata che aveva l'unico compito di lenire in parte quel tremito violento che le scuoteva il corpicino “Sei stata brava, sei stata molto brava amore mio” il generale seduto sul letto accanto alla bambina accarezzava quel volto pallido sorridendo di tanto in tanto mentre lo sguardo seguiva rapido i movimenti del medico “Ricordi cosa ti ho detto signorina?” sussurrò d'improvviso tornando a cercare il volto di sua nipote.
Era debole, stremata, respirava a fatica ormai ma quegli occhi grandi e pieni di tenera paura si mossero leggeri cercando il volto dell'uomo “Mi hai reso il nonno più orgoglioso del mondo e ti vorrò sempre bene, mi senti signorina? Ti voglio bene”trattenne il respiro stringendosi appena nelle spalle Le labbra della bambina si mossero appena e in quel filo di voce tanto difficile da controllare, vi erano incise a fuoco sempre le stesse parole “Voglio il mio papà” Oscar annuì stremata stringendola più forte a sé, cercava di sorriderle, di tenerla tranquilla ma faticava perfino a nascondere le lacrime, come poteva pretendere di regalarle pace se nemmeno lei ne aveva per sé stessa? Strinse la manina pallida portandosela alle labbra “Sta arrivando, il tuo papà è a casa ormai” “Mammina” abbassò lo sguardo perdendosi negli occhi di sua figlia “Perché piangi?” “La mamma è stanca Renée” sussurrò Maxime “Hai … hai paura mammina?” sentì la mano del duca stringersi con forza attorno al braccio mentre quella domanda innocente la colpì con la violenza di un uragano “Nonno dice che non … non devi avere ...” “Non ho paura angelo mio, il duca ha ragione, sono solo molto stanca” ma quella bugia dolorosa non sfuggì al generale, si chinò leggermente verso la figlia cancellando per qualche secondo le lacrime sul suo volto “Mamma” “Dimmi piccola” “Sono stanca” “Lo so” il medico sussurrò qualcosa all'orecchio del suo assistente, parole lontane che non avevano ormai più alcun senso “Papà?” “È quasi arrivato amore mio, devi solo … ti prego ...” “Scusatemi” mormorò il medico posando una mano sulla fronte della bambina “Allora?” lo sguardo impotente del medico lo costrinse a sospirare seguendolo a qualche metro dal letto della bambina … gli alberi mostravano orgogliosi le prime gemme alzando verso il cielo i rami ancora assopiti.
Piccole gemme verdi brillanti che avrebbero regalato al mondo la purezza di un fiore.
Chiuse gli occhi cercando di ignorare il freddo di quelle dannate lacrime, si strinse più forte nelle braccia legando quel pianto alla flebile razionalità che ancora era in grado di controllare … “Mi dispiace signor generale” mormorò il medico togliendo gli occhiali “Il cuore è sempre più debole, respira a fatica e ha smesso di alimentarsi da quasi due giorni ormai” “Così è ...” “Non ho altra scelta se non quella di lasciarla andare amico mio” lo sguardo del generale corse veloce sul volto di Oscar, su quelle labbra tremanti che continuavano a baciare la bambina ripetendole sempre le stesse cose “Il tuo papà è sta arrivando” “Papà?” “Si amore mio, il tuo papà è qui ormai” “Ho fatto la brava papà” Maxime annuì tremante cancellando velocemente le lacrime dal volto, fece un bel respiro chinandosi leggermente verso Renée “Sono qui per te” posò la fronte sulla sua, le parole tremavano sulle labbra e i pensieri svanivano velocemente ma per renderla felice almeno un'ultima volta, avrebbe finto di essere Andrè, o un angelo o Dio in persona se questo l'avesse aiutata a respirare anche un solo maledetto minuto “Ti chiedo scusa se ho fatto tardi piccola mia, sono qui per te” un debolissimo sorriso sfiorò le labbra di Renée mentre con la mano, seguiva i lienamenti di quel volto confuso con i ricordi e lontano da quello che le aveva sempre sorriso “Ora sono qui con te, non preoccuparti amore mio, il tuo papà è qui e anche la tua mamma” Oscar sorrise cercando giocando con i capelli di sua figlia “Appena starai meglio farfallina ce ne andremo a casa” “A casa?” “Vi porterò a casa e potrai correre e giocare assieme a tuo fratello” un debole sospiro, il verde del mare nascosto dal buio e il pianto violento di una madre che massacrava il silenzio … gli occhi erano invasi da lacrime gelide capaci di lacerare la carne, ogni cosa sembrava lontana, appannata da un pianto che non riusciva e non voleva combattere.
Era arrabbiata con il mondo, con quel Dio così crudele e indifferente, un Dio senza più amore che le aveva appena portato via il cuore riempiendo quel vuoto pesante di lacrime e dolore.
Nel bagliore leggero di quegli ultimi raggi distingueva il profilo sfocato delle cose e di quel fantasma irriverente che le correva incontro.
Fece un passo indietro terrorizzata da quel sogno, non era un fantasma a correre verso di lei, non era di un'apparizione quella voce.
Il cuore accelerò di colpo come se d'improvviso potesse schizzare fuori dal petto lasciandola sospesa nel vuoto, incapace di muoversi e respirare mentre seguiva la corsa folle di quel cavallo, i disegni contorti della nube di polvere sollevata dall'arrestodi quella corsa tremenda.
Il pianto fino ad ora faticosamente trattenuto esplose violento liberandola, permettendole di correre verso di lui, un passo, un altro ancora poi due braccia forti strette con violenza attorno a lei, il respiro accelerato, il corpo tremante di una giovane spezzata dal dolore più grande del mondo e un uomo stremato incapace di parlare o di respirare.






 

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Padre ***


                                          Padre






“Mi dispiace” strinse più forte la bambola di sua figlia tra le mani ignorando quelle dannate lacrime che non smettevano nemmeno per un secondo di riempire gli occhi “Il dottore ha fatto tutto quanto in suo potere ma vostra figlia aveva una grave affezione ai polmoni a cui si è aggiunta una progressiva perdita della voce. Faticava a mangiare, a riposare, ultimamente perfino l'acqua era difficile da sopportare” si fermò qualche secondo cercando di decifrare lo sguardo spento di Andrè, quel tremito violento che muoveva le sue labbra, le mani strette così forte attorno a quella bambolina “Dio ha preso con sé il nostro piccolo angelo poche ore prima del tramonto e ...” “Basta così duca, vi prego, io non posso … non posso più sentire ...” “Lo so e vi chiedo perdono per questo ma ho fatto una promessa a mia sorella” per qualche secondo gli sguardi si sfiorarono “Mi ha raccontato di aver visto un fantasma, suppongo siate voi Andrè e so che le sue lacrime sono state una pugnalata in pieno petto” “Dov'è?” mormorò tremante portandosi la bambolina alle labbra “Al momento è con il padre, sembra che il generale sia l'unica persona che voglia accanto” aveva davanti un uomo distrutto, massacrato dai sensi di colpa, dal pianto, dalla paura, un uomo che non era nemmeno in grado di tradurre quelle parole.
Non era in grado di comprenderlo né di confortarlo, non era padre, non conosceva il dolore violento che la perdita di un figlio provocava nel cuore.
Fece un bel respiro cercando con lo sguardo Lisette, un debole cenno d'assenso per congedarla poi di nuovo gli occhi concentrati sul volto di Andrè “Vostro figlio desidera vedervi” “Oscar dove ...” “Con il generale. Non temete, si prenderà cura di lei” un debolissimo assenso uscì dalle sue labbra poi solo silenzio.
La porta si aprì lentamente e un bambino silenzioso entrò per mano alla governante.
Indossava un vestito scuro di notte, la camicia candida sbucava appena dalle maniche e appena sotto al collo quel nodo leggero fermato da un rubino.
Il suo sguardo era triste, le labbra serrate, si muoveva lentamente come un burattino manovrato da chissà quali mani “Etienne” il piccolo sospirò sollevando lo sguardo e per qualche secondo una luce leggera gli colorò gli occhi “Padre?” Andrè tremò riportato alla realtà da quell'unica parola “Padre” la mano scivolò via da quella della governante e la voce si riempì di lacrime mentre correva verso l'unica persona in grado di rassicurarlo.
“Amore mio” lo strinse a sé sollevandolo da terra “Sono qui bambino mio” “Hai fatto tardi” chiuse gli occhi trattenendo i singhiozzi “Ti chiedo scusa Etienne, ero lontano e ho … scusami bambino mio” cadde in ginocchio continuando a stringere quel corpicino tremante a sé.
Maxime si avvicinò alla governante cercando di ignorare quel pianto violento “La contessa?” “Il generale l'ha portata nella sala degli allenamenti” “Ha mangiato?” “No signore” “D'accordo, fai preparare la stanze per il nostro ospite e assicurati che nessuno li infastidisca! Nessuno, sono stato chiaro?” “Come desiderate signore” “Lisette” la donna si fermò di colpo a metà tra la porta e il corridoio “Dai ordine affinché il nostro stemma sia messo a lutto. Il generale ha appena perso sua nipote” un debolissimo cenno d'assenso prima di uscire “Signor duca, perdonatemi ma c'è un messo per il generale” “Non può essere disturbato, me ne occuperò io” rimase qualche secondo in silenzio ad imprimersi a fuoco nella memoria l'immagine di un padre distrutto aggrappato al giovane corpo di suo figlio.




“Mi ha chiesto com'era tua madre” sorrise concentrandosi sul volto sfinito di sua figlia. Era sdraiata sul divanetto accanto al fuoco ma sembrava solo la pallida immagine di quel ricordo che aveva sempre custodito nel cuore.
Sola, silenziosa, stremata da quel male atroce che le massacrava il cuore.
Il capo abbadonato sui cuscini, i capelli sciolti sulle spalle così lunghi da sembrare una dolcissima cascata d'oro puro.
La camicia slacciata e il braccio destro abbandonanto sul fianco.
Stringeva tra le ginocchia un cuscino porpora ricamato da sua madre, la stessa posizione che assumeva da bambina quando si addormentava davanti al fuoco, in quella stanza, la stessa dove si sentiva al sicuro circondata dalle rigide regole create apposta per tenerla lontana dal mondo.
“Non vuoi parlare con lui? ” fece un bel respiro sedendo sul tavolino di fronte a lei “Oscar” “Come si può … come si sopravvive a questo?” le sfiorò la fronte seguendo i lineamenti preziosi del suo volto “Fin da quando ti ho sentita piangere per la prima volta bambina mia, ho pregato Dio affinché ti proteggesse” scostò dal collo della ragazza quelle ciocche leggere incontrando la pelle fresca “Ho pregato per vederti felice ma ora mi chiedo se quel Dio in cui confidavo, non abbia dimenticato da qualche parte la misericordia o l'amore” sentì la mano della figlia stringersi dolcemente attorno alla sua, le dita intrecciate assieme e quel tremito leggero che da troppi giorni non le dava tregua “Oscar, ascoltami bambina ...” le sollevò leggermente il volto costringendola ad aprire gli occhi
“ … quello che stai provando ora è il dolore più grande che un'essere umano possa mai sentire. Non appartiene all'uomo né al padre, è qualcosa che solo una madre può comprendere” “Non riesco … non riesco nemmeno a respirare senza di lei, come posso sopravvivere?” il generale sorrise continuando ad accarezzarle il volto “Il tempo cura ogni ferita, non sarà facile angelo mio, il ricordo di tua figlia brucerà nel cuore ogni volta che guarderai il cielo” “Non meritava niente del genere padre” “Lo so” strinse più forte la sua mano sospirando “E credimi, se potessi restituirtela lo farei. Non so come aiutarti e questo mi fa soffrire, vederti piangere mi fa soffrire” “Restate qui, assieme a me, non vi chiedo nient'altro padre” “Dovresti vederlo, ha bisogno di te” “Non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi, ho il terrore di leggervi rabbia e rancore e ...” posò un dito sulle labbra della ragazza bloccando quelle parole nervose “Non potrebbe mai incolparti per quello che è accaduto Oscar” “Ho il terrore che non riesca a perdonarmi” “Per cosa dovrebbe perdonarti?” “Non posso vederlo adesso” gli occhi sfiniti dell'angelo biondo di fronte a lui chiedevano soltanto un attimo di pace, era suo padre ed era compito suo tenerla al sicuro almeno per qualche minuto, via, lontano dal dolore e dalle lacrime.
Fece un bel respiro tornando a sorriderle “Hai ragione, qualsiasi cosa tu decida in questo momento hai ragione” “Padre ...” “Renée non meritava di morire e non meritava nemmeno la mia cattiveria” “Non ha più importanza padre” “Nemmeno tu la meritavi e ti chiedo scusa” la giovane trattenne il respiro senza staccare gli occhi dal volto del generale “Non meritavi le mie scelte, il mio egoismo, la mia scellerata ricerca del figlio perfetto. Non meritavi sette anni di silenzio” il cuscino scivolò sul tappeto mentre lentamente sedeva di nuovo composta davanti al padre ma muovere le gambe, le braccia, muoversi anche solo di un centimetro era una fatica enorme.
Le mani del padre si strinsero con forza attorno alle sue aiutandola “Smettila di guardarmi così, sto provando ad essere un buon padre, almeno ora concedimelo” quella leggerissima nota d'ironia increspò leggermente le labbra, era un sorriso, leggero, debole, un sorriso solo nel buio di quello sguardo “Vieni qui” la tirò in avanti nascondendola tra le braccia.
Sentì il profumo dell'uomo entrarle nel cuore legandosi ai sentimenti, le sue mani sulla schiena, il suo respiro sul collo mentre la cullava come una bambina “Non devi aver paura” sfiorò la testa della figlia intrecciando le dita all'oro puro “Tuo padre è qui per te, non importa cosa sceglierai bambina mia, sarò qui per te domani, tra un anno, fino a quando Dio mi concederà la forza di respirare Oscar, sarò qui per te” per la prima volta da quando aveva memoria, quell'uomo freddo e ligio al dovere aveva lasciato cadere le regole rigide del galateo eliminando il voi e quella distanza maledetta che fino ad ora li aveva tenuti separati “Padre?” “Dimmi” “È pieno di poltrone, perché sedete sul tavolo?” la risata cristallina dell'uomo riempì il silenzio mischiandosi alle lacrime, la strinse più forte, le mani della ragazza si sollevarono lentamente nel vuoto aggrappandosi con forza all'abito prezioso, a quel corpo forte che fin da piccola l'aveva protetta.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Lontani ***


                                               Lontani






“Dove stai andando?” non rispose, non si mosse nemmeno. Immobile davanti allo specchio allacciava uno dopo l'altro i bottoni della camicia, gesti lenti, così dannatamente lenti da fargli male.
Si avvicinò a lei studiando qualche secondo il suo volto, quello sguardo vuoto dove non c'era più nemmeno un solo sorriso “Oscar” le sfiorò una spalla ma la sentì tremare così forte da costringerlo a ritrarre di colpo la mano “Etienne vuole vederti” “Sta male?” “No, no amore mio” quella distanza violenta faceva più male di ogni altra cosa al mondo.
Erano passati tre giorni appena, tre giorni per cercare di respirare perché il vuoto lasciato da Renée faceva un male atroce.
Non riusciva a mangiare, a malpena dormiva perché ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva la sua bellissima bambina, il suo sorriso e sentiva la sua vocina fargli domande sul mondo, sulla vita e sulla mamma.
Fece un bel respiro cercando di ricacciare indietro le lacrime “Pensavo che potremo … potremo tornare a casa” “A casa” annuì appena massacrato dal vuoto delle sue parole “Hai bisogno di riposare, non posso vederti ...” la voce si spense lentamente nel silenzio.
Oscar sospirò sistemando i capelli, il ciondolo si mosse appena sul seno e un debolissimo sorriso riuscì a perforare quella coltre gelida di silenzio “Oscar?” si voltò incontrando lo sguardo preoccupato del giovane “Stai … stai bene amore?” “Si ho solo … ho bisogno di un attimo per pensare” “Oscar io ...” si sottrasse al tocco del ragazzo costringendolo a tremare “Mi dispiace, ho solo … mio padre mi sta aspettando” “Tuo padre?” annuì appena allontanandosi da lui e da quello sguardo preoccupato che faceva solo molto male.




Forse non era saggio rivelare quella piccola verità ma era convinto che da qualche parte in fondo a quello sguardo spento e vuoto, sua figlia esistesse ancora.
Posò la tazza sul tavolo soffermandosi qualche secondo sulla busta ancora chiusa posata sul vassoio d'argento di fronte a lui.
“Padre?” “Vieni pure bambina” la invitò a sedere spingendo leggermente il vassoio verso di lei “Cos'è?” “Una lettera” “Perché?” “Perché è una lettera? Domande profonde questa mattina” “Scusatemi” prese tra le mani la busta candida concentrandosi su parole che in realtà nemmeno vedeva “Perché non la apri?” “Non ho molta voglia di leggere, scusatemi padre ma ...” “Viene dalla nostra regina” “La regina?” sussurrò confusa cercando lo sguardo del padre “Perché dovrebbe ...” “È sempre stata molto legata a te. Leggi la lettera Oscar” “Vi offendete se lo faccio più tardi?” “Portate questa lettera in camera di mia figlia” “Subito signore” “Potete pure servirle la colazione, non scapperà di qui” la governante annuì appena lasciando davanti a lei un vassoio colmo di dolci delizie.
“Etienne mi ha chiesto che fine avesse fatto la sua mamma” “Davvero?” “Non lo vedi da ieri pomeriggio, dovresti passare più tempo assieme a lui” “Lo so” giocava con il liquido ambrato senza curarsi molto dello sguardo indagatore del padre “Ho solo bisogno di un po' di tempo, solo qualche giorno per poter tornare a respirare” “Tenerlo lontano non lo aiuterà” “Ha bisogno di tranquillità, vedermi piangere continuamente non lo aiuta” “Non aiuta nemmeno Andrè. Lo sai vero che ha passato tutta la notte a guardare il vuoto?” un debolissimo si le uscì dalle labbra “Avete bisogno entrambi uno dell'altra, restare sospesi in questo silenzio non vi aiuta di certo” “Che fine ha fatto mio padre?” il generale sorrise colpito da quella leggera ironia che per la prima volta da settimane aveva forato la coltre gelida attorno a sua figlia “Mi preoccupo per te, tutto qui” “Vi ringrazio padre” si alzò sistemando il colletto della camicia “Dove vai?” “Pensavo di ...” “Sederti e fare colazione? Si, sono d'accordo con te” ma lei non rispose, si limitò a sorridere uscendo senza aggiungere una sola parola.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Sei uguale a Me ***



                            Sei uguale a Me






Il sole alto nel cielo illuminava quella giornata tiepida, gli alberi ormai svegli si stiracchiavano placidi tendendo le braccia verso l'azzurro cristallino, aveva sempre amato la primavera, l'inizio della rinascita meravigliosa che riempiva di colore il mondo ma ora, di fronte a quella giovane silenziosa seduta nell'erba fresca, tutta la bellezza della natura sembrava svanita nel nulla.
Se ne stava lì, all'ombra di quell'enorme quercia con le gambe leggermente incrociate e la testa appoggiata al tronco fresco dell'albero.
Era così bella, i capelli sciolti sfioravano l'erba brillante e i raggi di sole che riuscivano a forare la coltre verde di foglie appena nate giocavano con il suo incarnato, con quel sorriso leggero che tingeva di dolcezza le labbra.
Aveva deciso di restarle lontana per qualche giorno per permetterle di unire il cuore a quello di giovane distrutto dal dolore che passava le notti a piangere.
Ma quella distanza non era servita, lasciarla sola non le aveva regalato la serenità sperata né aveva contribuito a cancellare quei silenzi maledetti che se la portavano via.
Strinse più forte il mantello incamminandosi lentamente verso di lei ma la vocina di Etienne bloccò di colpo i suoi passi “Duca?” “Ciao tesoro, come stai?” “Perché la mamma non sorride più?” si inginocchiò davanti a lui prendendolo per mano “La mamma ha bisogno di un po' di tempo” “Io lo so che ha paura, che le manca tanto Renée. Manca tanto anche a me” sussurrò abbassando lo sguardo “Renée sarà sempre qui assieme a te” “Secondo te mi sente zio?” annuì appena cancellando quelle lacrime innocenti “Certo che ti sente” “Vorrei giocare di nuovo assieme a lei, era la mia sorellina. Sai, avevo promesso che nessuno le avrebbe mai fatto del male ...” lo sguardo del bambino si soffermò qualche secondo sulla madre, su quel bisogno continuo di solitudine che stava mangiando vivo il suo mondo ormai tanto fragile “ … non ho mantenuto la mia promessa e ora la mamma è triste” “Non è stata colpa tua tesoro. Non è un compito dell'uomo giocare con la vita” “No?” “Solo Dio può assumersi questo peso. La tua sorellina ti vuole bene e sono sicuro che anche da così lontano continuerà a restarti accanto” “Promesso?” lo abbracciò nascondendolo per qualche secondo dal cielo e dal sole “Promesso” lasciò un bacio delicato tra quei riccioli dorati staccandolo leggermente da sé “Ora sai cosa facciamo? Prendiamo la mamma e andiamo a fare una bella passeggiata” “Papà?” “Corri a chiamarlo” Etienne sorrise e senza più aspettare corse via lasciandolo di nuovo assieme a lei.
In fondo era semplice no? Avrebbe parlato con lei costringendola ad uscire dal vuoto dove si stava rifugiando, già, e allora come mai si sentiva così male? Inspirò profondamente cercando di rilassare ogni muscolo “Perché sei tornato?” “Dovevo forse restare lontano da casa mia?” “Il padre è ancora mio o no?” “Cosa ci fai qui tutta sola? Dovresti essere a passeggiare assieme a tuo figlio e ad Andrè” la vide sorridere senza nemmeno aprire gli occhi “Non hanno bisogno di me, non in queste condizioni” “Sei bellissima” “No non è vero” tese una mano verso di lei sospirando “Questo lascialo decidere a me. Andiamo?” “Max io ...” “Oscar!” aprì gli occhi e il sorriso del giovane invase ogni angolo dei pensieri.
Era calmo, sorridente, restava immobile davanti a lei ad aspettare senza forzare i suoi tempi, senza costringerla a niente di diverso dalla semplice attesa.
Aspettava qualcosa, qualcuno, aspettava di sentire di nuovo il battito leggero del cuore, lo stesso battito che Renée riusciva a creare dal nulla semplicemente sorridendole, aspettava, aspettava e basta “Hai bisogno di fare delle cose, devi fare cose. Non puoi restare da sola con il silenzio. È pericoloso” “Mi aiuta a pensare” “Non sono mai belli i pensieri nati nella solitudine” la mano si strinse alla sua e per qualche secondo il mondo parve fermarsi.
Sentì le braccia del giovane sollevarla da terra come una bambola leggera, il suo sorriso bello come il sole a scaldarle il cuore mentre la nascondeva tra le braccia, gesti lenti a cui ormai era abituata e che in qualche modo, la facevano sentire terribilmente protetta




Conosceva bene quell'espressione, la continua ricerca della solitudine che troppe volte aveva visto in passato.
Odiava da morire quegli attimi vuoti dove nessuno poteva avvicinarsi ai suoi sentimenti, nemmeno lui.
Posò la fronte sul vetro gelido restando ad osservare i movimenti lenti del duca, il suo sorriso appena accennato che perfino da così lontano riusciva a distinguere.
Ma quello che lo faceva soffrire, quello che fermava il cuore era Oscar.
La vide annuire, una risposta silenziosa a qualche domanda lontana, poi la mano tesa verso di lei e quell'indecisione leggera sul volto.
Era confusa, forse perfino infastidita dall'intrusione del duca nei suoi pensieri ma chissà come, la sua presenza riusciva a cancellare in pochi secondi lacrime e paure, le dita si intrecciavano assieme e si lasciava sollevare da terra come una bambina, una bambola di porcellana tanto bella da costringere alla pazzia ma anche terribilmente triste.
“Non devi preoccuparti per lei” tremò violentemente riportato alla realtà dalla voce del generale “Signore io … perdonatemi, pensavo di essere solo” “L'ho pensato anche io ed è durato sette anni” raggiunse Andrè perdendosi con lo sguardo oltre il vetro “Ma alla fine ho messo da parte il rancore e la rabbia. Mia figlia merita solo di essere amata” “Io volevo … volevo ringraziarvi signore. Vi siete preso cura di lei, di mio figlio e avete … avete ...” la mano del generale si strinse con forza attorno alla sua spalla bloccando le parole da qualche parte in fondo al cuore “Tua figlia mia ha costretto ad amare di nuovo Andrè. Ha sciolto il ghiaccio che avvolgeva il mio cuore e ha cancellato in pochi giorni un passato fatto di scelte sbagliate e di egoismo. Non ringraziarmi ragazzo” “Devo farlo” “No. Sono io che devo ringraziarti perché l'hai resa felice” un debole sorriso gli sfiorò le labbra mentre il volto confuso del ragazzo si lasciava cullare dalla sua voce “Ti ho odiato, ti ho odiato così tanto, l'ho fatto ogni giorno, ogni ora, ogni minuto degli ultimi sette anni perché mi hai rubato i suoi sorrisi, la sua voce. Quando l'ho rivista il cuore si è fermato, era diventata la donna che non ero mai riuscito ad ascoltare e aveva donato al mondo due gemme preziose” “Come si sopravvive alla morte della propria figlia?” le lacrime scivolarono via dal mare e lo sguardo del generale si concentrò qualche secondo su di lui “La morte di un figlio è qualcosa di tremendo e sono grato a Dio per avermi sempre negato un dolore del genere ma, è sempre stata la mia più grande paura. Tua figlia mi ha costretto a sorridere e a preoccuparmi di nuovo per un piccolo umano” sorrise divertito dal gioco di Maxime, da quel movimento delle mani che costringevano sua figlia a ridere “Mi conosci bene ragazzo, sai che difficoltà provo nel parlare con te, in questo modo ma, ti ho sempre considerato come un figlio e mi piacerebbe continuare a farlo” erano scuse, forse difficili da comprendere, nascoste dietro a sorrisi e sospiri diversi ma comunque scuse, per lui, per Oscar, per i suoi figli.
Ci mise qualche secondo a comprendere appieno la profondità di quelle parole, feece un bel respiro e annuì leggermente indeciso sul modo giusto di rispondere, dopotutto, non stava parlando con Alain o con Emile, c'era sempre quel generale di fronte a sé, forse diverso, cambiato dal tempo e dal mondo ma pur sempre un soldato.
“Coraggio, ci vuole tempo, molto tempo ...” strinse più forte la mano attorno alla sua spalla voltandosi leggermente verso il ragazzo “ … ma alla fine tornerete a respirare di nuovo. Credimi, provo un dolore profondo nell'aver scoperto in me troppo tardi l'amore per i tuoi figli” “Non scusatevi signore, le ho ripetuto molte volte che prima o poi sareste cambiato e non vi nascondo che per un po' vi ho odiato signore” “Lo so” “No credetemi, avrei voluto prendervi a pugni dalla mattina alla sera per il male che il vostro silenzio provocava in lei” “Addirittura?” sorrise ma Andrè sospirò “Padre!” si voltarono entrambi attratti da quella vocina squillante “Vieni con noi? Il duca ha detto che con questa bella giornata è un delitto restare fermi qui” “No amore mio, non ho molta voglia di passeggiare” “Ma stiamo via solo qualche ora” “Etienne ...” “Giovanotto” il bambino sbuffò incrociando le braccia sul petto “Si signor generale” “Ora fuori di qui, tua madre sta aspettando” diede una leggera pacca sulla schiena del piccolo voltandolo di nuovo verso la porta “Lisette?” “Si signor generale?” “La lettera di mia figlia è stata riposta al sicuro?” “Si signore” “E così dovrà restare fino a quando non avrà deciso di leggerla chiaro?” un debolissimo inchino prima di lasciarlo di nuovo immobile ad osservare sua figlia oltre il vetro.
Sorrideva o almeno fingeva di farlo, ma restava lì, di fronte al giovane incapace di rifiutargli qualcosa “Sembra felice con lui” “È suo fratello” “Non la vedevo sorridere da giorni” “Per qualche strano motivo Maxime è l'unico in grado di farla uscire dal silenzio” Andrè sospirò senza staccare gli occhi da lei “Sta attraversando un momento orribile, tutti e due siete inchiodati nel dolore ma rivoglio i miei ragazzi Andrè. Vi voglio vedere reagire, voglio vedervi rialzarvi dal buio gelido dove Dio vi ha rinchiusi” tornò a cercare lo sguardo del ragazzo trattenendo un sospiro carico di dolore “Le ho promesso che qualsiasi decisione prenda, qualsiasi cosa scelga di fare sarò qui per lei. Le sarò accanto fino a quando Dio mi permetterà di aprire gli occhi al mattino” “Voi state ...” “Io vi do la mia benedizione” la reazione fu semplice, instintiva, abbracciò il generale dimenticando per un secondo le regole, l'etichetta o qualsiasi altra cosa.
In passato non avrebbe mai nemmeno immaginato di poter fare una cosa del genere ma ora, sentiva in fondo al cuore la voglia tremenda di piangere stringendo tra le braccia l'unico uomo che nella vita era diventato la sua figura paterna.
Lo sentì ridere poi le braccia del generale strette con forza attorno a lui in quel legame rinsaldato che aveva il compito di lenire e soffocare le lacrime di un padre distrutto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Un bacio nel Silenzio ***


                                  Un bacio nel Silenzio






Protetti, soli, nascosti da mura spesse e tende di velluto in quella stanza dove nemmeno la luna riusciva a donare speranza.
Ascoltava il suo respiro, ascoltava le suppliche dei pensieri torturarle la mente, era sveglia, perfino così poteva sentirla.
Sdraiata a pochi centimetri da lui, troppo vicina per poterla ignorare ma così dannatamente lontana da terrorizzarlo.
Sentiva il profumo violento della sua pelle aggrapparsi ai sensi, la seta preziosa dei suoi capelli che gli sfioravano la spalla.
Ogni sera, ogni dannata sera era sempre uguale, si sedeva sul letto accanto a lui, restava minuti interi a fissare il vuoto, forse cercava una risposta o magari cercava solo silenzio.
Minuti lunghi come ore intere prima di spiare di nuovo i suoi movimenti, slacciava la camicia abbandonandola sulla sedia mentre cercava di raccogliere tutti i capelli di lato sfiorandosi il collo con la mano, ogni volta che si muoveva, che sospirava o inclinava la testa di lato, i muscoli si tendevano scavando linee delicate, creando ombre e luce.
Si sdraiava accanto a lui nascondendosi al suo sguardo, alla possibilità di parlare assieme a lui, con lui.
Sospirò voltandosi verso di lei, la luce seguiva leggera il profilo della giovane, i movimenti leggeri, la schiena nuda e quella linea tanto dolce mezza nascosta dalla coperta.
I capelli intrecciati in un bellissimo disordine erano ad un soffio dal suo volto, avrebbe allungato una mano stringendola attorno alla vita sottile, l'avrebbe fatto con tutto il cuore ma c'era una sottilissima linea d'aria tra loro che incatenava mani e pensiero perché quel confine inviolabile era stato creato apposta per tenerlo lontano.
Come si tiene lontano l'amore? Come si impedisce ad un uomo distrutto di restare tanto lontano dal conforto di un abbraccio? La sua bellissima bambina non c'era più, aveva chiuso gli occhi fregandosene del vuoto che avrebbe lasciato nel cuore di sua madre, della rabbia che ora bruciava in lui.
Aveva cavalcato notte e giorno per tornare da lei pregando senza tregua un Dio che ora faticava a riconoscere come tale.
Faceva male, un male atroce ma se per lui era l'inferno, per Oscar era una tortura costante.
Un dolore violento e martellante che lacerava il cuore ad ogni battito e a poco serviva provare a parlare, non c'era niente che potesse fare per regalarle anche solo un attimo di pace.
Chiuse gli occhi sfiorando quelle ciocche setose, oro puro che si avvolgeva sulla pelle come un gioiello prezioso, inspirò a fondo lasciando un bacio leggero su quel dolcissimo intreccio, un bacio che lei non avrebbe mai sentito, un bacio solo per legare a sé il suo profumo, un bacio.



“Solleva di più la punta” “Lo sto facendo” “No non è vero” “Si signore” la spada del generale toccò quella di Etienne sbilanciandolo “Cos'è appena accaduto?” “Stavo per cadere” “La tua posizione era sbagliata” esclamò avvicinandosi al bambino “Il braccio va tenuto leggermente in tensione ...” prese l'elsa della spada stringendo le dita attorno a quelle di Etienne, il braccio si alzò leggero senguendo il movimento del nonno “ … non troppo per evitare di uscire dalla posizione ma non dev'essere nemmeno troppo morbido. La spada si solleva ...” piegò leggermente il polso, la lama del bambino si alzò e il generale sorrise “ … ecco, questa è la posizione giusta” “Ho capito signore” tornò di fronte a lui sollevando la spada ma lo sguardo di Etienne era lontano, perso da qualche parte oltre la realtà di quegli attimi “Vuoi dirmi cosa c'è che non va?” “A Renée piaceva tanto giocare con la spada” “Lo so” “Sono passati sette giorni appena ma non riesco a dimenticarla” “Perché dovresti farlo?” domandò confuso studiando il suo volto “Perché se lo faccio e torno a sorridere forse la mamma sta meglio” “Vieni un po' qui giovanotto” posò la spada sulla panca sedendo a pochi centimetri dalla lama, Etienne sospirò avvicinandosi a lui “Tu vuoi bene alla tua mamma non è così?” “Si signore” “E vuoi vederla sorridere di nuovo non è così?” “Si signore” “Allora devi continuare ad essere lo stesso meraviglioso bambino di sempre. Non devi dimenticare tua sorella, devi custodirla al sicuro Etienne” “Ma è volata in cielo signore, dove posso ...” “Qui dentro” mormorò posando la mano sul petto del bambino “Devi custodirla nel cuore. Ogni sorriso, ogni gioco, il suono della sua voce, il suo profumo” “Volevo vederla” c'era rancore in quella giovane voce, rabbia fino ad ora trattenuta, rabbia innocente che spezzava il respiro di suo nipote “Volevo vederla ma la mamma ...” “Non potevi vederla” “Perché!” “Il male che ha portato via Renée? È stato qualcosa di improvviso e non potevamo rischiare di farti ammalare” “Ma non le ho detto che le volevo bene!” sfiorò il volto del bambino sollevandolo “Sai cosa mi disse la tua sorellina?” “Cosa?” “Stavo leggendo la sua favola preferita sul balcone, pensavo che un po' di sole le avrebbe fatto bene, che l'avrebbe aiutata. Il giorno prima eravamo rimasti là per un po' e le aveva fatto bene ...” lo prese in braccio sistemandolo sulle ginocchia “... ma quella volta ricordo che mi guardò e disse con un fil di fiato: a mio fratello piacerebbe tanto questa favola. Le chiesi come mai e lei sorrise dicendo che il suo fratellino amava i boschi e che nei boschi si trovavano tesori” un leggero sorriso sfiorò le labbra di Etienne “Ti voleva bene giovanotto e fino alla fine sei rimasto nei suoi pensieri” sentì la mano del bambino stringere la sua mentre si abbandonava ad un pianto soffocato nascondendo il volto “Aveva ragione giovanotto? Ti piacciono i boschi?” “Si signore” mormorò tremante “Allora ti porterò ad esplorare un meraviglioso bosco pieno di tesori” lo fece scendere sistemandogli il colletto “Troverai orme e tracce, potrai cavalcare e andare a caccia e ogni volta che guarderai le stelle, ricorderai il sorriso di tua sorella e il cuore si riempirà di amore” “Lo farà anche la mamma vero?” “Si, lo farà anche la mamma” “E il papà?” “Lo faranno entrambi ma ci vuole del tempo giovanotto. Tu devi essere forte, devi riposare e mangiare, devi studiare e applicarti in tutto ciò che più ti aggrada e vedrai che il tempo scorrerà più veloce. Puoi farlo Etienne?” “Si signore” “D'accordo” gli fece l'occhiolino riprendendo la spada “In guardia allora giovane conte” il bambino sorrise asciugando le lacrime e sollevando la lama colorò lo sguardo di forza, la stessa che un tempo regnava nel cuore di Oscar.

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Debole ***


                                           Debole 







“Perché sei qui?” “E tu?” domandò confusa “Perché sei qui?” “Perché ci sei tu” sorrise divertita dalla semplicità di quella risposta “Allora? Vuoi dirmi cosa ci fai qui dentro?” “Sta piovendo, voglio solo leggere, tutto qui” “Dov'è tuo figlio?” “Assieme a suo padre, credo siano in biblioteca a cercare un libro di favole” “E non potevi leggere nella stessa stanza assieme a loro perché?” ribatté ironico togliendo il mantello “Ho bisogno di restare sola” “Questa è la tua risposta a tutto ultimamente lo sai vero?” “Ci sto provando, provo a sorridere, a fingere che tutto vada bene e mi ripeto continuamente che devo farlo per mio figlio, per Andrè ma non riesco … non ...” “Oscar” “Lo so, ti prego, ti prego non ripetermi di nuovo le stesse cose” “Sei pallida” sussurrò inginocchiandosi accanto alla poltrona. Le sfiorò il volto studiando qualche secondo quell'espressione a metà tra stanchezza e rabbia “Sei pallida e fredda” “Sto bene” “E da quanto tempo stai così bene?” un lieve cenno del capo per chiamare la giovane serva immobile a pochi metri da loro “Dite pure signore” “Manda un messo al dottore, che arrivi qui il prima possibile” “Maxime non ...” “Tu fai silenzio, ci penso io. Marie ...” esclamò fissando di nuovo la serva “ … ho detto il prima possibile e pretendo che sia così. Ha dieci minuti per raggiungere questa casa altrimenti lo trascinerò qui dentro per i capelli!” un leggero inchino poi di nuovo quegli occhi di cielo davanti a lui “Ora ti alzi da qui e ...” “Vorrei finire questo capitolo” “Si? Beh lo farai più tardi” le sfilò dalle mani il libro alzandosi “Hai bisogno di stenderti per qualche minuto e chiudere gli occhi e non puoi farlo leggendo” la vide sospirare mentre lentamente le gambe scivolavano giù dalla poltrona.
Tese le mani verso di lei sorridendo “Andiamo contessa, vi aiuto” “Vi ringrazio” rispose divertita ma senza alcun preavviso, ogni cosa in quella stanza iniziò a vorticare lasciandola stordita e confusa “Va tutto bene?” “Si” “Bugiarda” si aggrappò a Maxime chiudendo gli occhi nel tentativo disperato di cacciare via quella sensazione orribile “D'accordo, fai un bel respiro profondo” sentì le mani del giovane stringersi con forza attorno ai fianchi costringendola a restare immobile al proprio posto “Brava, ora ti porto di là e ti sdrai fino a quando non arriva il medico vuoi?” “D'accordo” “Bravo il mio angelo” le scostò i capelli dal volto cercando di restare calmo ma era pallida e fredda, si reggeva tremante a lui cercando di respirare e niente di quello che diceva o faceva poteva tranquillizzarlo.
La strinse più forte sollevandola da terra, un sospiro leggero prima di sentire il peso del suo volto sul petto “Oscar? Ehi, devi aprire gli occhi … coraggio” Lisette apparve sulla soglia correndogli incontro “Oddio, ma che ...” “Ha perso conoscenza, dove diavolo è il dottore!” “Maurice è partito due minuti fa signor duca” “D'accordo, chiama il generale e informalo dell'accaduto” “Non ne sarà contento” sussurrò la donna sistemando i capelli della ragazza “Non ne sarà per niente contento signore, sapete bene come reagisce a queste cose, soprattutto se è sua figlia a ...” “Lo so ma ora non ha importanza. Tieni lontano Etienne da quest'ala della casa, inventati una scusa ma tienilo lontano” “Subito signore” la strinse più forte sistemandola meglio tra le braccia e senza aggiungere una parola uscì dalla sala.
Reggeva quel corpo delicato come un ninnolo prezioso, qualcosa di tanto fragile da potersi spezzare.
Sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, le aveva ripetuto mille volte che per combattere quell'attimo gelido della vita avrebbe dovuto lottare con le unghie e con i denti e lei? Lei non mangiava, a malapena dormiva, restava sospesa in quel limbo a metà tra passato e presente senza più nemmeno reagire.
La voce del generale rimbombò per il corridoio, era arrabbiato, spaventato, urlava con le cameriere come se avessero una qualche colpa dell'accaduto “Che diavolo è successo!” “Padre” “È svenuta?” domandò preoccupato sfiorando il volto della figlia “È così fredda. Hai mandato a chiamare il medico?” “Si signore” “Spero per lui che sia tanto veloce da apparirmi davanti entro cinque minuti” sbottò gelido seguendo Maxime “Venite signore” mormorò tremante Lisette chiudendo le finestre “Etienne?” “Marguerite ha l'ordine di tenerlo ben lontano” “Portate dell'acqua fresca e dei panni puliti. La porta deve restare chiusa fino a quando non avremo la certezza che sia tutto normale. Non voglio che mio nipote veda sua madre in queste condizioni” “Signore?” si voltò verso la governante aspettando il seguito di quella domanda tanto evidente “Non credete che il padre del bambino abbia il diritto di sapere ...” “Andrò a parlare con lui non appena il dottore sarà qui” rispose togliendo dal divano ogni cuscino “Oscar, ehi andiamo, apri gli occhi” il generale sospirò inginocchiandosi accanto alla figlia “Andiamo bambina mia apri gli occhi” la mano stretta con forza attorno a alla sua poi quel leggerissimo sospiro, gli occhi si aprirono tremanti e un debole sorriso portò via la paura di quegli attimi “Grazie a Dio” sussurrò alzando gli occhi al cielo “Ti sembra questo il modo di spaventare tuo padre?” “Vi … vi chiedo perdono” “Perdono? E pensi possa bastare una supplica per avere il mio perdono?” “La prossima volta giuro che ti faccio cadere” sbottò Maxime portandosi la mano della giovane alle labbra “Non sto scherzando Oscar, giuro su Dio che la prossima volta ti lascio cadere per terra e continuerò a farlo fino a quando non ti comporterai da adulta” “Basta così” esclamò perentorio il generale “Dove diavolo è il medico!” “Calmatevi padre, vado a controllare” diede un ultimo bacio a quella mano debole e tremante lasciandola alle cure dell'uomo.


Non era certo di ricordare da quanti minuti fossero lì fuori, il tempo sembrava andare a rilento prendendosi gioco di tutti loro.
Il generale camminava nervosamente per la stanza torturandosi le mani, gli stessi gesti che lo portavano lontano quando pensava a sua figlia, al suo passato.
La porta si aprì e i passi lenti del dottore rupperò il silenzio fermando la corsa del generale “Allora? Cosa mi dite?” “Calmatevi signor generale” “Calmarmi? Cosa c'è che non va in mia figlia!” “Sta bene, la sua è solo debolezza” “Ne siete sicuro?” mormorò preoccupato Maxime avvicinandosi al padre “Non ci sono altri sintomi che possano ...” “No signor duca. La contessa è solo molto stanca. Ha bisogno di riposare di più e alimentarsi in modo adeguato. Date ordine affinchè sia portato del thè caldo e i suoi pasti d'ora in avanti, verranno serviti un'ora prima” il generale annuì deciso voltandosi verso la governante ma lei non rispose nemmeno, si limitò ad annuire scappando via “Vado da lei padre” “D'accordo” “Generale, posso parlarvi un attimo?”annuì deciso attendendo paziente fino a quando la porta non separò di nuovo quei giovani cuori da loro.
“Parlate pure, cosa c'è che non va?” “Vostra figlia si riprenderà presto, quello che mi preoccupa è lo stato depressivo che ultimamente colora le sue giornate” “Faccio di tutto affinché sia serena ma più tento di confortarla e più la vedo lottare con sé stessa” “Credo sia opportuno che vostra figlia si allontani da Parigi per un po'” “La mia tenuta in Normandia?” “Si, si potrebbe essere una buona soluzione” “Jacques?” mormorò guardingo osservando l'espressione cupa dell'uomo “Sei assolutamente sicuro che il legame tra il duca e tua figlia sia solo fraterno affetto?” “Perché dovrebbe ...” “Ha chiesto di lui. Non appena ha avuto la forza di parlare ha chiesto del duca e non di suo marito” “Non è suo marito” puntualizzò deciso giocherellando con la manica preziosa della camicia “Non sono sposati. Ho accettato quel giovane nella mia famiglia, ho accettato la sua presenza accanto a mia figlia ma il matrimonio è una cosa di cui ancora non abbiamo parlato” “Perdonami amico mio, trovo solo che il bisogno violento che lega Oscar a Maxime sia troppo forte” “Ho sempre sperato che nascesse un legame tra loro. Maxime diventerà presto suo fratello a tutti gli effetti e devo ammettere che ero spaventato all'idea che potessero litigare e odiarsi ma ...” si fermò qualche secondo ridendo di quella preoccupazione tanto sciocca “ … l'antipatia che li teneva lontani si è trasformata in affetto. Ne sono felice Jacques, almeno ora so che andranno d'accordo per sempre” l'altro scosse leggermente la testa abbozzando un pallido sorriso “Quello che tento di dirti è che negli occhi di Maxime non vedo il tenero senso di protezione che un fratello ha verso sua sorella. Temo sia qualcosa di più forte che vostra figlia al momento fatica a riconoscere” “Tu credi … impossibile!” sbottò gelido “Non voglio insinuare dubbi in te né costringerti a parlare con loro per qualcosa che forse vedo solo io” “No vecchio mio, non accadrà di nuovo. Parlerò con il ragazzo non appena Oscar starà meglio e chiariremo questa cosa” irritato da quella rivelazione che fino ad ora aveva creduto solo sciocca fantasia, camminava per la stanza borbottando tra sé e sé costringendo il medico a seguire divertito quel balletto “Se vuoi posso parlare con lui al posto tuo e ...” “No. Mi sono preso cura di quel ragazzo per vent'anni. Sono suo padre a tutti gli effetti, tocca a me” “Signor generale” si voltò di scatto inchiodando gli occhi al volto di un paggio dall'aria spaurita “Il colonnello D'Ilé vi aspetta nella sala grande” “Questo non è un buon momento!” “Oh andiamo! Tua figlia è al sicuro, non c'è alcun motivo per rinviare quest'incontro tanto importante” “D'accordo” sussurrò irritato “Fatelo accomodare arrivo subito” “Agli ordini signor generale” “Chiamami non appena Oscar sarà in grado di alzarsi” un debole cenno d'assenso bastò a convicerlo, sistemò la giacca soffermandosi sul nodo del colletto, il volto tornò a colorarsi di fierezza mentre con passo deciso si allontanava da loro.




“Non scherzavo prima” Oscar sorrise stringendo tra le mani la tazza fumante “Se mi fai un'altra volta uno scherzo del genere ti lascio per terra” “Sei più spaventato tu di me?” domandò divertita ma il giovane sbuffò abbandonandosi con la schiena contro ai cuscini della poltrona “È stato solo un'attimo di debolezza. A volte capita” “Ti avevo detto che dovevi mangiare di più, non l'avevo fatto forse? Dovevi vedere la faccia di tuo padre” rise divertito mentre davanti a lui tornava la confusione di quei minuti tanto lunghi “Ho idea che ti punirà per averlo spaventato” “Non sono più una bambina” “E pensi che basterà a fermarlo? Verrai punita ragazzina impudente” Lisette entrò reggendo un vassoio d'argento “Come vi sentite contessa?” “Sto bene, grazie” “E di cosa?” domandò confusa la donna avvicinandosi a lei “Ecco qui” posò sul tavolino un piatto colmo di biscotti annuendo decisa “Questo vi aiuterà a riprendere un po' di forza” “Ti ringrazio ma non ho appetito ora” “Ricordate cos'ha detto il dottore? Vi darò il tormento fino a quando non mangerete almeno uno di quei biscotti” “Dalle retta, ti farà impazzire Oscar” ma la donna socchiuse leggermente gli occhi stringendo tra le dita l'orecchio del giovane “Ehi … d'accordo, hai ragione tu” “Su cosa?” “Su tutto, hai ragione su tutto ma ora ti prego, lasciami andare” Oscar sorrise prendendo dal piatto un biscotto ma per quanti sforzi facesse, non riusciva a convincere i muscoli a reagire, la mano restò bloccata a metà strada tra la bocca e il piatto e una nausea leggera salì fino alle labbra “Tutto bene?” domandò preoccupato Maxime osservandola, la vide annuire ma quel sorriso era falso come d'altronde lo erano stati tutti i sorrisi fino a poche ore prima “Ci riproverete tra un po' contessa” sussurrò Lisette accarezzandole il volto “Vedrete che tra qualche minuto vi sentirete più forte” “Già” mormorò sfinita abbassando lo sguardo.
Colpi leggeri sulla porta poi Marie davanti ai loro occhi e quel sorriso leggero che colorava un volto pieno e solare “Perdonatemi signora contessa, vostro figlio chiede insistentemente di voi e vostro marito non è più disposto ad ascoltare sciocche scuse” “Mio marito?” “La persona con cui hai vissuto fino ad ora Oscar, il padre dei tuoi figli” “Oddio” chiuse gli occhi reclinando leggermente la testa indietro fino ad incontrare la stoffa morbida del cuscino “Il generale ha dato ordine affinché Etienne restasse lontano da questa stanza” “È stato detto al bambino e a suo padre che siete uscita a cavallo assieme al duca. Volete che li conduca ...” “No” “Sei impazzita?” domandò confuso “Oscar, non puoi fingere che questa cosa non sia mai accaduta, come dovrebbe reagire Andrè se ...” “Ti prego Maxime” il cielo cristallino si fuse al suo sguardo bloccando quella frase a metà “Non deve vedermi così, non puoi permetterlo ti prego, ti prego non farlo venire qui. Si preoccuperebbe per me e non voglio” “Ma di che ...” “Lo sento Maxime! Ogni notte sento il suo sguardo su di me, sento la sua paura e vorrei guardarlo negli occhi ma è … non riesco nemmeno a muovermi. Non voglio che mi veda così, ti prego” “D'accordo” mormorò stirngendola leggermente per le spalle “D'accordo mentirò per te ma promettimi che parlerai con lui” Lisette tossicchiò attirando l'attenzione del duca “Che c'è?” “Dovresti sbrigarti ragazzo perché ho idea che se non trovi una scusa convincete tra qualche minuto quel giovane piomberà qui dentro” fece un bel respiro cercando di riordinare i pensieri.
Non gli piaceva mai mentire, le bugie non portano mai niente di buono e in quel frangente più che mai, come poteva rifiutarle qualcosa? Come poteva restare impassibile davanti a quegli occhi? Le sfiorò la fronte con le labbra sospirando “Cerca di riposare d'accordo?” un debole sì riempì il silenzio regalandogli almeno in parte un po' di sicurezza.
Si alzò dal divano cercando di sistemare al meglio la camicia “Ho idea che verrò punito da nostro padre e indovina di chi sarà la colpa?” Lisette sorrise aiutandolo a fermare i capelli con un nastro nero “Siete in debito con me contessa” un ultimo sorriso poi solo il silenzio e il volto sorridente di una donna accanto a lei che le regalava tanta sicurezza.




 

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Una sola Bugia ***


                            Una sola Bugia






“Andiamo conte? C'è un gioco meraviglioso che vostro nonno ha appena fatto arrivare per voi” “No” lasciò la mano della giovane fermandosi sulla soglia “Voglio la mamma!” “Ve l'ho detto, vostra madre arriverà presto” “È questo che si racconta ai bambini ora?” sbottò gelido Andrè avvicinandosi al figlio “Sciocche bugie?” “Perdonatemi signore, la contessa è uscita a cavallo assieme al duca e mi ha pregato di ...” “Raccontare una bugia, non preoccuparti, Oscar è sempre stata brava a mascherare le cose”prese in braccio il figlio voltandole le spalle “Andiamo bambino mio, tua madre è ...” “Andrè!” alzò gli occhi al cielo cercando di ritrovare la calma necessaria ad affrontare quel giovane dagli occhi di cielo che ultimamente entrava in ogni suo incubo “Duca” “Mi è stato riferito che avete bisogno di mia sorella” “Ma davvero?” “Dov'è la mamma?” “Arriva subito Etienne. Siamo stati a cavallo per un po' e ci siamo esercitati con la spada” ma quegli occhi di mare inchiodati al suo volto diventavano più profondi ogni secondo passato “Vi chiedo perdono, avrei dovuto avvertirvi ma Oscar è scappata via senza dire una parola” “Già” mormorò Andrè stringendo più forte il figlio “Posso sapere dove si trova ora duca?” “Tra qualche minuto rientrerà e ...” si avvicinò al bambino giocherellando con la sua mano “ … sono sicuro che sarai la prima persona che verrà a cercare” “Dove hai lasciato la spada zio?” Maxime trattenne il respiro portandosi una mano al fianco sinistro “Credo di averla dimenticata” “Duca, vi ringrazio per l'impegno che mettete in questa sciocca bugia ma non credo sia opportuno continuare a ...” “Andrè” lo sguardo si mosse veloce alle spalle del duca incontrando gli occhi di Oscar.
Camminava veloce verso di loro stringendo tra le mani una spada lucente, il volto era pallido, i capelli sciolti sulle spalle e la camicia appena slacciata sul petto e nascosta da una giacca color porpora decorata da fili d'oro “Perdonami, ho fatto tardi” “Mamma” “Ciao amore mio” lasciò la spada tra le mani di Maxime prendendo il figlio tra le braccia “Ecco la spada” ribatté confuso il duca giocherellando con l'elsa preziosa “L'avevi dimenticata nelle scuderie” “Ma dove ho la testa?” Andrè seguiva silenzioso quello scambio di battute cercando di capire per quale diavolo di motivo lei continuasse a mentire ma in quegli occhi tanto belli vedeva solo il vuoto e niente di più.
“Hai trovato il tuo libro?” “Si mamma” “Davvero?” domandò scostando dagli occhi del figlio una ciocca dorata “Papà mi ha aiutato” lo sguardo si spostò qualche secondo sul volto di Andrè, solo un attimo per spiare i suoi occhi e poi di nuovo il sorriso di Etienne per costringerla a respirare “Mammina, giochiamo assieme?” “Devo cambiarmi e parlare con mio padre, è piuttosto arrabbiato e credo voglia punirmi” “Per cosa?” domandò divertito il bambino ma lei sorrise lasciandolo scendere di nuovo “Colpa di tuo zio” “Perché è sempre colpa mia?” sussurrò Maxime avvicinandosi leggermente a lei “Non fare domande” “Ma che ...” “Zitto” lo spinse leggermente indietro giocando con lo sguardo di suo figlio “Facciamo così piccolo mio, ora vado a cambiarmi e prima di parlare con tuo nonno vengo da te e leggiamo assieme quel bel libro che ti piace tanto” “Davvero?” annuì appena costringendolo a sorridere “Davvero, vai con Marie ora?” la giovane tese la mano verso di lui ma Etienne si voltò cercando l'assenso del padre “Vai amore mio, io ti raggiungo subito” strinse la mano della ragazza allontanandosi assieme a lei.
Oscar sospirò cercando di mascherare quel maledetto giramento di testa ma la mano di Andrè si strinse con forza attorno al suo polso tirandola leggermente in avanti “È passato?” “Cosa?” “Davvero vuoi continuare a prendermi in giro?” lo sguardo si fuse al suo costringendola a tremare “Smettila di tenermi lontano Oscar! Ho bisogno di te, ho bisogno di parlare con te e tu ...” “Perdonatemi contessa” l'aria entrò di nuovo nei polmoni mentre la voce di Lisette entrò nelle orecchie costringendo Andrè ad indietrggiare di un passo “Vostro padre ha urgente bisogno di voi e del duca” annuì appena senza staccare gli occhi dal volto del giovane “Vai, tuo padre non può aspettare no?” “Andrè ...” “Etienne si aspetta di avere suo padre affianco” fece un bel respiro ricacciando indietro la voglia folle di abbracciarlo.
Maxime affianco a lei tossicchiò leggermente riportandola alla realtà “Andiamo?” “Andiamo” si voltò interrompendo quel contatto violento tra loro che per la prima volta da giorni li aveva tenuti così vicino.
Un passo, un altro ancora, sentiva lo sguardo di Andrè percorrerle le spalle, la schiena, lo sentiva urlare in silenzio, maledire la distanza tra loro che diventava ogni giorno più grande “Va tutto bene?” domandò preoccupato Maxime camminandole accanto “Si, si è solo … gli passerà” “Ti ho detto che mentire non era una buona idea” “Preferisco che si arrabbi con me per una bugia piuttosto che vederlo preoccupato per qualcosa che ormai è passato” “Passato?” ribattè stupito “Non ti girava la testa due minuti fa? Se me ne sono accorto io come puoi pensare che lui abbia ...” “D'accordo basta così” “Come hai fatto a raccontargli la mia stessa bugia?” sorrise appena scosandosi i capelli dal volto “Non sei bravo a mentire. Un cavallo, una spada e Lisette sarebbero bastati a completare la tua bugia” la strinse leggermente a sé divertito dalla semplicità innocente che usava per leggergli dentro “Ora devi tornare in camera tua, toglierai questo bell'abito e ti riposerai mezz'ora ancora” “Maxime” “Riposerai e poi manterrai la promessa che hai fatto a tuo figlio” nessuna risposta, nessuna sciocca protesta.
Il braccio avvolto attorno alle sue spalle e un sorriso leggero sulle labbra mentre in quell'attimo innocente stringeva al cuore sua sorella.




 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Tremito di Vita ***


                                    Tremito di Vita







Non le piaceva mentire, non a lui, non in quel modo ma preferiva essere odiata piuttosto che compatita e non gli avrebbe permesso di soffrire per lei perché perdere Renée l'aveva distrutto e non poteva occuparsi anche di lei, non ora.
Fece un bel respiro osservando qualche secondo l'immagine che rimandava lo specchio, era stanca, troppo stanca per sorridere o per piangere.
A nulla era servito il riposo, quel tremito leggero era sempre presente, poteva leggerlo nell'azzurro dei suoi occhi, nel movimento delicato delle dita.
Il bottone si chiuse leggero nascondendo la pelle, un altro e un altro ancora fino a sfiorare il seno.
Chiuse gli occhi qualche secondo concentrandosi sul proprio respiro, sul battito costante di un cuore che lentamente tornava alla vita poi quei passi leggeri alle sue spalle e un leggerissimo sorriso sulle labbra “Non sono pronta, nostro padre dovrà aspettare ancora qualche minuto” riaprì gli occhi cercando il volto sorridente di Maxime su quel vetro lucente ma le parole si bloccarono di colpo quando lo sguardo di Andrè le sfiorò il volto “Scusami, stavo solo ...” “Avevi fatto una promessa a nostro figlio” “Lo so” si affrettò a chiudere l'ultimo bottone annodando leggermente la stoffa sotto al collo “Ho fatto tardi, mi dispiace” “Ti sta aspettando” “Ho bisogno di parlare con mio padre” “Puoi farlo più tardi, il generale non scappa da nessuna parte” ma lo sguardo del giovane seguiva lentamente ogni centimetro del suo corpo.
Indossava pantaloni scuri chiusi appena sotto al ginocchio da un bottone dorato, la camicia candida le fasciava i fianchi seguendo le linee delicate del ventre salendo fino al seno.
La giacca elegante, impreziosita da bottoni lucenti e ricami d'oro che si intrecciavano creando meravigliosi disegni riposava dolcemente ripiegata sulla sedia accanto a lei.
Il volto era teneramene arrossato, i capelli sciolti sulle spalle si abbandonavano delicatamente sulla sua schiena fino a sfiorarne l'incavo ma quello che lo costringeva a tremare non era la sua bellezza ma quella fascia preziosa stretta in vita che lo trascinava di colpo nel passato
“Oscar ...” “Mi dispiace” “Per cosa?” domandò confuso ma la giovane scosse leggermente la testa voltandosi verso di lui “So che sei arrabbiato e che non … mi dispiace per non essere riuscita a proteggerla” “Stai scherzando?” si avvicinò sfiorandole una spalla ma lei indietreggiò di colpo sottraendosi ancora un volta a quel contatto leggero “Stai scherzando vero? Ti prego dimmi che scherzi perché se pensi davvero che io possa anche solo pensare di ...” “Devo andare, mio padre aspetta” la mano si chiuse di colpo attorno alla sua impedendole di scappare “Lasciami” “No amore mio, non ti lascio, non puoi continuare a tenermi lontano. Conosco il tuo dolore, è lo stesso che mi lacera il cuore ogni notte!” “Il mio dolore?” era arrabbiata, tremava e cercava in ogni modo di allontanarsi da lui ma non le avrebbe permesso di correre a nascondersi di nuovo nel silenzio “L'ho portata dentro per nove mesi e lei ... non l'ho protetta!” “Pensi davvero che sia colpa tua?” “Non l'ho protetta Andrè e ora sono qui a lottare contro questa maledetta vita! Vorrei riaverla e se Dio ascoltasse le mie preghiere forse allora potrei stringere di nuovo mia figlia un'ultima volta perché morirei per poterla rivedere! Se servisse a qualcosa sarei felice di morire per restituirtela!” “Oscar!” la strinse per le spalle inchiodandola al muro, la sentiva tremare, il respiro accelerato e gli occhi pieni di paura “Perché fai così! Perché mi costringi a soffrire” “Non voglio farti del male” “Lo fai ogni volta che mi lasci solo, ogni volta che sorridi a quell'uomo e ...” “È mio fratello!” “Davvero? Perchè io vedo solo un uomo innamorato che si lega a te ogni giorno un po' di più e tu nemmeno te ne accorgi” “Smettila” la forza di quella presa attorno alle spalle non le dava nemmeno la possibilità di respirare “Lasciami andare, Andrè lasciami!” “Indossi gli stessi abiti che tuo padre pretendeva in passato, sei tornata quella giovane silenziosa e lontana che per anni mi ha torturato e sono arrabbiato Oscar, sono arrabbiato con me stesso per non essere riuscito a proteggervi, per non averti tenuta lontano da tutto questo! Ma ti prego, ti prego credimi, non ho mai pensato che la morte di Renée sia colpa tua” la strinse più forte tirandola in avanti ma le mani della giovane posate sul petto lo spinsero di nuovo indietro rispettando una stupida distanza che nessuno dei due voleva davvero “Lasciami andare” “Perché? Per permetterti di morire in quel silenzio maledetto che ti trascina via?” le mani scivolarono lungo la schiena inchiodandosi alla vita sottile.
Sollevò lo sguardo perdendosi per qualche secondo nel mare profondo dei suoi pensieri incapace di rispondere o di reagire “Non eri a cavallo questa mattina e non basta una sciocca bugia per tenermi lontano da te. Non stai bene Oscar e ti vedo … Lotti contro qualcosa che non riesco a vedere e questo mi fa impazzire!” “Ho solo bisogno di un attimo per respirare Andrè” “Se ti lascio sola con te stessa finirò per perderti e non posso farlo!” “Allora vattene. Se non riesci a restarmi accanto vattene!” per qualche secondo la forza di quelle parole lo colpì violentemente bloccando il respiro.
“Se non riesci ad accettare questo maledetto silenzio lasciami sola! “Non posso farlo!” urlò tremante rafforzando la presa “Sei quel sogno violento che ogni notte torna a torturarmi amore mio, sei l'aria che respiro, il battito del mio cuore. Vorrei scappare da te, vorrei scappare e lasciarti sola fino a quando non torna la stessa meravigliosa donna che ho sempre amato!” la vide sorridere mascherando una risposta gelida dietro a quell'unico raggio di sole “Non riesco a parlare con te, non vuoi nemmeno … È sbagliato, scappare via lasciandoti da sola è sbagliato, restarti accanto è sbagliato ...” quella risata nervosa la costrinse a sussultare, sconvolta dalla sincerità delle sue parole, sconvolta dal calore violento che per troppo tempo aveva tenuto lontano “Che altro posso fare! Se non parli con me amore mio non posso aiutarti. E vorrei farlo, vorrei aiutarti ma non me lo permetti” “Lasciami andare!” ogni difesa cadde di colpo abbattuta da quell'azzurro violento troppo vicino.
Le labbra si unirono alle sue togliendole il respiro, le mancava, le mancava da morire e quel contatto improvviso con il calore del suo corpo cancellò in un secondo la razionalità.
La strinse più forte a sé bloccandola contro il muro, sentì il corpo di Oscar spingere violentemente contro il proprio, il ventre unito al suo, il seno perfetto inchiodato al petto poi quel dolore violento sulle labbra e il respiro tremante della ragazza sul volto “Lasciami andare o ti giuro che ...” “Che cosa! Che al prossimo bacio morderai ancora?” intrecciò le dita ai capelli costringendola a sollevare il volto “Credi che mi spaventi? Il tuo silenzio Oscar, è quello che mi terrorizza” seguì con le labbra la dolcezza del suo collo incurante delle proteste o di quelle suppliche cariche di rabbia che avevano solo il compito di confonderlo perché in realtà, quel contatto violento era mancato da morire anche a tutti e due.
Staccò di colpo la giovane dal muro stringendola tra le braccia, un passo, un altro ancora fino al letto ma uno schiaffo violento si infranse d'improvviso sul volto “Ancora Oscar, fallo ancora perché se questo può aiutarti allora resterò qui a farmi prendere a schiaffi per tutta la vita” la mano della giovane si sollevò di nuovo colpendolo con violenza.
La lasciò cadere tra i cuscini strappandole di dosso la stoffa delicata, le mani intrecciate a pochi centimetri da quel volto d'angelo, strette con forza attorno ai polsi per evitarle di scappare ma non sarebbe scappata nemmeno costretta.
Era troppo bella per lui, per il mondo intero, troppo bella per gli uomini.
Sentì le gambe stringersi con forza attorno ai fianchi, il respiro accelerato e il tenero abbandono di quel collo meraviglioso dolcemente reclinato.
Un morso per cancellare di colpo la distanza tra loro, un morso per assaggiare di nuovo la dolcezza del suo corpo e uno schiaffo violento come punizione per averla lasciata troppo a lungo da sola.
Le mani scivolarono leggere lungo le braccia mentre le labbra avevano l'unico compito di costringerla a sospirare.
Baci leggeri che scendevano sul seno, sul ventre ormai nudo.
Sfiorò le cosce della giovane aggrappandosi alla perfezione maledetta creata dai muscoli e tirandola verso di sé, chiuse le labbra attorno al bordo dei pantaloni tirandone il tessuto.
Il bottone si slacciò dolcemente e un dolcissimo sorriso le sfiorò gli occhi.
Strinse più forte le mani attorno alle gambe costringendola a cercare le sue labbra ancora e ancora.
Una tortura lenta che lo divertiva da morire perché quei baci violenti cancellavano di colpo ogni secondo passato lontano da lei.
Temeva di perderla, di vederla trasformata di nuovo in qualcosa di lontano che ormai non le apparteneva più.
In quelle carezze così profonde, in quei baci che massacravano la razionalità era racchiuso tutta la paura di quelle ultime settimane.
Sentiva la sua rabbia, la sentiva nei tremiti violenti del corpo, nella fatica tremenda che faceva per trattenere le lacrime nascondendole dietro ai sospiri.
Sfiorò di nuovo quel ventre perfetto seguendone ogni dannata linea come se d'improvviso avesse imparato ad amare di nuovo.
Ne seguiva il profilo con la bocca fino alla dolcezza del seno e a quelle labbra di miele che amava da impazzire.
La schiena si inarcò leggera e il ventre si fuse al suo togliendogli il respiro.
Pregava in tutti i modi possibili di poterle resistere ancora qualche minuto ma non riusciva nemmeno a respirare, perché chissà come, lei riusciva sempre a distruggere le deboli difese della ragione.
La strinse più forte sollevandola, un sorriso violento colorò quegli occhi di cielo mentre aggrappata a lui stringeva con forza le gambe attorno ai suoi fianchi.
Tirò violentemente indietro quella maledetta camicia ormai mezza strappata bloccandola per qualche secondo.
Era un angelo o un demone a giocare con lui? Era di un angelo il seno nudo che gli sfiorava il petto? Apparteneva ad un demone quel sorriso carico di sfida mentre si muoveva leggera nel suo abbraccio costringendolo ad impazzire? Si strinse più forte a quel corpo di cristallo assaggiandolo, mordendone la dolcezza.
Quei baci massacranti la costringevano a respirare di nuovo, i capelli scivolarono leggeri intrecciandosi alle dita, concedendogli la dolcezza della sua pelle e il bisogno violento di averla.
Un altro bacio, profondo, violento, un bacio che chiedeva sempre di più mentre gli strappava di dosso ogni dannato pezzo di stoffa, le mani di quell'angelo scesero bloccando il respiro da qualche parte oltre la ragione, la strinse più forte sollevandola appena e un dolcissimo tremito unì i loro corpi.
Gli era mancata, Dio come gli era mancata, le sue labbra, i suoi baci, il suo respiro sul collo.
Quel demone biondo dagli occhi d'angelo trascinava via ogni briciolo di vita da lui legandolo a quei sospiri, a quei baci di fuoco che imprimevano al cuore battiti nuovi.
Chiuse gli occhi perdendosi nel suo respiro, nel tocco leggero di quelle labbra schiuse sulle sue.
Sentiva le mani della ragazza sulla schiena, le dita piantate nella carne così forte da provare brividi gelidi di piacere.
Le mani salirono seguendo la linea delicata della schiena, la seta pura che copriva ogni dannato centimetro del suo corpo scorreva veloce sotto al suo tocco, le dita si intrecciarono ai capelli costringendola a tremare mentre la rovesciava sul letto spingendosi in lei così forte da toglierle il respiro.
Voleva punirla? Era per quello che la costringeva a sospirare? Per averlo lasciato troppo a lungo da solo, per aver pensato di essere la causa di quel dolore violento che sconvolgeva la vita di entrambi, per averlo sostituito e distrutto.
Era davvero una punizione? Eppure, in quegli occhi tanto belli non c'era nessuna paura.
Niente odio, solo quel debole sorriso carico di sfida che riusciva sempre a spazzare via ogni certezza.
Quel corpo perfetto si inarcò di più spingendo il seno contro le sue labbra, costringendolo ancora una volta ad uno sforzo troppo grande per un comune mortale.
Non le avrebbe permesso di allontanarsi da lui, non le avrebbe permesso di scappare né di chiudere gli occhi perché aveva bisogno di quel cielo, di vederla perdere il controllo, di quelle labbra tanto dolci che non avrebbe mai voluto lasciare.
Intrecciò con forza la mano attorno a quei fili d'oro puro inchiodando la fronte alla sua, gli sguardi si fusero assieme mentre quel tremito leggero saliva dal ventre accelerando il respiro.
L'avrebbe avuta ancora e ancora perché quel tremito era aria pura, perché nei suoi occhi trovava la forza di respirare di nuovo e quelle labbra schiuse a pochi centimetri dalle sue erano uno dei pochi motivi che lo costringevano a vivere.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Innocente Segreto ***


                          Innocente Segreto







Freddo, era chiusa in quell'abbraccio tenero e rassicurante ma tutto quello che riusciva a sentire era freddo.
Aveva paura di muoversi, di parlare perfino di respirare.
Sentiva le braccia di Andrè strette attorno a lei, le sue labbra sul collo, il respiro lento e regolare figlio del sogno.
Ma lei, lei così confusa e stordita da quell'amore profondo continuava a fissare il vuoto di fronte a sé, terrorizzata dal poter interrompere quel silenzio quasi irreale.
La luce tenue filtrava dalle tende e il sole salutava la fatica di quel lungo viaggio nascondendosi al sicuro oltre l'orizzonte, avrebbe lasciato la dolcezza di quel cielo ad una luna stupenda in grado di rasserenare i cuori.
Fece un bel respiro muovendosi tra le braccia di Andrè, tirò il lenzuolo scoprendo le gambe, lo sentì sospirare, il braccio scivolò via da lei permettendole di scappare via dalla sicurezza di quel tenero calore.
Infilò i pantaloni raccattando le scarpe e la fascia, la camicia strappata ancora abbandonata sul pavimento le ricordava costantemente le ore passate, i baci, le carezze.
Fece un bel respiro allontanandosi da lui, da quei ricordi, dal suo amore.
Faceva una fatica tremenda a trattenere le parole, le sentiva vorticare nella mente cercando continuamente una via d'uscita ma non avrebbe permesso ancora per molto quel gioco insolente.
Si chiuse la porta alle spalle coprendo il seno con le braccia, se suo padre fosse entrato l'avrebbe trovata mezza nuda, con i capelli in disordine e gli occhi pieni di confusione.
Si avvicinò al guardaroba sfilando una camicia pulita profumata di buono.
Ci mise pochi secondi per rivestirsi, strinse la fascia in vita infilando la giacca, le cuciture dorate brillarono leggere e un dolcissimo sorriso tornò sulle labbra, davanti agli occhi rifiorì d'improvviso il volto di Renée, il suo sorriso, i suoi occhi tanto belli e l'espressione meravigliosa che faceva ogni volta che qualcuno le impediva di fare domande.
Camminava tranquilla lungo i corridoi silenziosi, le cameriere che incrociava sorridevano affabili chinando il capo davanti a lei poi quel sorriso tanto bello e la voce squillante di Lisette “Come state? Vi sentite meglio contessa?” “Sai dov'è mio padre?” “È uscito mezz'ora fa signora” “È uscito?” la donna sorrise passandole un bicchiere colmo d'acqua “Aveva un impegno molto importante, non sarà di ritorno prima di notte Vi prega di cenare in orario. Ora bevete” “Ma non ...” “Coraggio, sapete bene cos'ha detto il dottore” sbuffò divertita portandosi alle labbra il cristallo prezioso “Vostro figlio sta giocando assieme a Marie, volete vederlo?” “No, preferisco continui a giocare. Lo vedrò più tardi” finì di ingoiare quell'intruglio, Lisette rise divertita togliendole di mano il bicchiere ormai vuoto “La cena sarà servita tra un'ora” “Maxime?” “Vostro fratello?” ci mise qualche secondo a comprendere quanta forza fosse racchiusa in quella parola.
Aveva cinque sorelle, era legata a loro ma non aveva mai condiviso pensieri e preoccupazioni, ora d'improvviso aveva un fratello, qualcuno che riusciva a capirla semplicemente guardandola negli occhi.
“Credo sia ancora a cavallo” “Grazie” Lisette sorrise annuendo decisa prima di lasciarla di nuovo ai suoi pensieri.





“Che ci fai qui?” domandò confuso posando il frustino sul tavolo “L'ultima volta che ho controllato, queste erano ancora le mie stanze” “Lo so” “Ma che ...” si avvicinò a lei confuso da quella risata così leggera e allegra “ … stai bevendo?” Oscar sollevò il calice verso di lui annuendo “È solo un passatempo” “E da quanto tempo giochi con questo passatempo?” domandò divertito lasciandola sola “Non tanto” “Non tanto?” rise abbandonandosi contro i cuscini morbidi del divano.
Sentiva la voce di Maxime arrivare chiara dalla camera accanto, il suo profumo nell'aria e la sicurezza della sua presenza.
Fece un bel respiro giocherellando con i capelli, gli occhi persi sulle fiamme del fuoco mentre per la prima volta da giorni si sentiva finalmente in pace con sé stessa “Hai cenato?” “Vuoi sapere se Lisette ha svolto a dovere i compiti assegnati?” “Voglio solo sapere se hai cenato” annuì appena come se quel gesto leggero potesse oltrepassare i muri e arrivare fino ai suoi occhi “Non ti ho visto tutto il pomeriggio” “Avevo delle cose da fare” “Con mio padre?” “Il generale aveva cose da fare di importanza ovviamente superiore. No, io avevo affari di famiglia da risolvere” “Non fate forse parte della mia famiglia ora?” sentì la risata cristallina del giovane poi la sua voce a pochi passi da lei.
Sollevò lo sguardo incontrando un uomo sorridente, aveva i capelli sciolti, il volto ancora inumidito dall'acqua fresca.
La camicia era aperta sul petto e la fascia stretta in vita era sparita lasciando solo l'immagine di un giovane libero da costrizioni “Che c'è?” “Mi sbaglierò contessa ma leggo nella vostra domanda un leggero fastidio” “Era solo una domanda” “Vediamo ...” si avvicinò al tavolo ignorando lo sguardo della ragazza “ … una, due, tre. Uao, giochi con questo passatempo da molto” “Sto bene” “Sei ubriaca” esclamò allegro sedendole accanto “Questa cosa è divertente, non ti ho mai visto ubriaca” “Sono uguale ad ogni altra persona” “No sorellina ...” le sfiorò il volto giocando con una ciocca di sole “ … sei più bella di ogni altra persona” le labbra si schiusero nel sorriso più dolce che avesse mai visto.
Era così tenera, così indifesa, i capelli leggermente scompigliati e il volto arrossato, nei suoi occhi c'era solo allegria e la voglia di dimenticare anche solo per qualche minuto il male degli ultimi giorni.
Come poteva rimproverarla? Prese dalle sue mani il bicchiere assaggiandone il contenuto “Però, questo è davvero un gran bel bicchiere di vino. Il tuo passatempo è davvero buono” “Dove sei stato?” “Te l'ho detto, avevo delle cose da fare” “Evitarmi?” lo sguardo si fuse al suo togliendogli il respiro “Me ne sono accorta sai?” si riprese il bicchiere stendendo dolcemente le gambe sulle sue “Passi tutto il tempo a girare per chissà quali sciocchezze, mi lasci sola, non parli con me” Maxime sospirò posando una mano sulle ginocchia di Oscar “Non ti sto evitando” “Lo disse anche un mio soldato una volta” “E che fine a fatto?” “Plotone d'esecuzione” “Uao” sussurrò giocherellando con il bottone stretto appena sotto quei pantaloni preziosi “E perché ha ...” “Disertato, si è preso la libertà di lasciare il posto a lui assegnato. Ho provato a parlare con lui, l'ho cercato per giorni e lui?” prese dal tavolino la bottiglia riempiendo di nuovo il bicchiere “Lui ti ha evitato?” “Esatto! L'ha fatto per giorni, quello sciocco ha continuato ad evitarmi!” “Finirò come quel soldato? È questo che stai tentando di dirmi?” “Non puoi permettermi di provare affetto per te e poi sparire” “Oscar di cosa stiamo ...” “Mi vuoi bene?” “Che domanda è?” ribatté confuso togliendole di mano la bottiglia mezza vuota “Voglio sapere se mi vuoi bene” “Certo che ti voglio bene” “E allora perché scappi?” sbuffò bevendo assieme a lei “Andrè ha detto … lui dice che ...” vedeva nei suoi occhi la confusione, la voglia folle di fare domande e il timore di quelle risposte che ora diventavano terribilmente importanti.
“Perché non mi fai quella domanda?” “Che domanda?” mormorò confusa passandosi una mano tra i capelli “Non lo so” “Sei innamorato di me?” “Eccola” strinse più forte la bottiglia bevendo un bel sorso di vino “Maxime?” posò il bicchiere sul pavimento cercando gli occhi dell'uomo “Sarebbe una cosa tanto brutta?” la vide annuire mordendosi leggermente le labbra “Allora no contessa, non siete il centro dei miei pensieri” “Maxime?” “Che c'è?” “Pensi che io sia brutta?” “E questa domanda da dove esce?” ribatté divertito ma lei sorrise lasciando scivolare le gambe di lato “Forse non sono il centro dei tuoi pensieri perché non sono abbastanza bella” si voltò verso di lei cercando di capire da dove uscisse quel bisogno così forte di contare qualcosa, per il mondo, per lui “Sei più bella di qualsiasi altra donna a questo mondo. Non puoi essere il centro dei miei pensieri perché sei mia sorella” “E tu sei un bugiardo” risero assieme persi nel tepore dell'alcool, in quell'attimo di mera illusione dove ogni inibizione crollava permettendo domande complicate “Non accusatemi invano contessa” annuì divertita alzandosi dal divano.
Il corpo leggero faticava ad obbedire al comando fermo della gravità, sorrideva, giocava con i suoi occhi come una bambina irriverente costringendolo a ridere “Sei un bugiardo e sai come lo so?” “Forse dovresti tornare a sedere perché sembri piuttosto instabile” scosse leggermente la testa ridendo “Sei bugiardo perché non riesci a togliermi gli occhi di dosso e ...” si avvicinò a lui inchiodando lo sguardo al suo “ … quando sono così vicino a te sento il tuo cuore che batte più forte” sfiorò con le mani il volto dell'uomo sedendosi su di lui “Lo sento Maxime” posò una mano su quel petto forte e liscio come seta mentre un debole sospiro usciva dalle labbra.
Era vicina, troppo vicina per ignorarne il profumo, troppo vicina per fingere che quelle labbra tanto belle a pochi centimetri dalle proprie fossero solo illusione “Sei innamorato di me?” “Perché vuoi saperlo?” “Perché se questa cosa è vera allora devo … devo trovare un modo per conviverci. Non posso permetterti di farmi del male e non posso permetterti di soffrire. Amo da morire mio figlio e Andrè e ...” “Allora non chiederlo” le sfiorò il volto incantato dalla dolcezza di quei lineamenti “Non chiedermelo Oscar” “Perché?” “Perché sei ubriaca sorellina” la mano della giovane si posò leggera sul suo volto seguendone i lineamenti fino al collo “Hai mai fatto un sogno tanto reale?” “Come questo?” sussurrò stringendo le mani attorno ai suoi fianchi.
Era un sogno, solo un sogno e nulla di più, doveva esserlo perché dalla realtà non ci si risveglia e lui aveva un bisogno disperato di aprire gli occhi.
Fece un bel respiro cercando di ignorare quegli occhi tanto belli, il seno che sfiorava il suo petto, le gambe strette dolcemente attorno alle sue “Ti ho sognato una volta” “Hai sognato tuo fratello?” “Ho sognato un uomo che si preoccupava per me. Ho sognato un uomo che mi prendeva per mano costringendomi a vivere, quando Andrè ha … quando mi ha ... Era così uguale a te” “Era un sogno” “Eppure sei qui, davanti a me” un debole sorriso sulle labbra, leggero, appena accennato poi quell'attimo sospeso nel tempo e un bacio di miele che sapeva di vino.
La strinse più forte tirandola verso di sé, il cuore martellava nel petto ad una velocità impressionante mentre quel sogno diventava improvvisamente reale.
Le mani salirono lungo la schiena, sotto le dita scorreva la purezza di quei muscoli delicati, i movimenti costretti da un respiro spezzato, l'avrebbe nascosta al mondo intero, l'avrebbe fatto davvero ma quell'amore massacrante che la inchiodava dentro al cuore, era lo stesso che in quel momento urlava: fermati, non puoi farle del male.
Strinse più forte le mani attorno alle spalle della ragazza staccandola dolcemente da sé “Credo sia ora di smetterla con questi passatempi, sono pericolosi” Oscar sorrise abbandonando la fronte contro la sua “Non ti fanno bene” “I brutti sogni scompaiono e per qualche ora dimentico mia figlia, il suo volto sfinito e la sua voce tremante” “Lo so ma, credo sia meglio smetterla comunque altrimenti nostro padre mi ucciderà” le sorrise giocando con i suoi capelli ma che fatica assurda ignorare la voglia folle di baciarla, di averla solo per sé.
La strinse più forte tra le braccia alzandosi in piedi, le gambe della giovane si chiusero attorno ai fianchi mentre lo sguardo diventava improvvisamente uno solo “Ora sai che facciamo? Ti porto in camera tua a riposare” “Non posso andare in camera” “E perché?” camminava tranquillo reggendola tra le braccia fino allo specchio.
Osservò qualche secondo la propria immagine assicurandosi di assomigliare il più possibile a sé stesso, allo stesso uomo che il generale amava e che aveva cresciuto come un figlio “Mi ha presa più e più volte oggi e non ho ...” “D'accordo” esclamò tappandole la bocca “Sai una cosa? Non ci fa bene parlare di queste cose” sentì le labbra della giovane muoversi appena contro il palmo costringendolo a ridere “Se le tue prossime parole riguardano quello che è accaduto assieme a tuo marito sappi che non le ascolterò” lo specchio rimandò quel leggerissimo cenno della testa convincendolo a cedere “Non sei stanco di portarmi a spasso così?” “Pesi quanto una piuma” “Lui non è mio marito” vide nei suoi occhi un'ombra leggera forse rimorso o forse paura “Lo so che ha bisogno di me, lo so perché anche io ho bisogno di lui ma quando oggi ha ...” “Non ascolterò!” esclamò allontanandosi dal vetro lucente
“ … quando eravamo assieme ho sentito il suo dolore, l'ho sentito Maxime e mi sento così in colpa per questo, nostra figlia è morta e non sono riuscita a proteggerla” annuì appena ascoltando quello sfogo colorato dal tepore dell'alcool.
La strinse più forte entrando nella camera lì affianco, era una bellissima stanza finemente decorata.
Un grande camino di marmo bianco accoglieva il fuoco scoppiettante, i muri erano ornati da stupendi quadri e ritratti di una famiglia che ormai apparteneva al passato.
Il letto dal lato opposto della camera era nascosto da tende di velluto rosso ordinatamente legate e un salotto in piena regola riposava a pochi passi dalla finestra “Non l'ho protetta, non gli ho evitato questa realtà e ora lo sento piangere in silenzio perché ha perso sua figlia e ...” “Non è colpa tua” mormorò tirando indietro le coperte “Non è colpa di nessuno, non si gioca ad inpersonificare nostro Signore” “Secondo te la mia bambina sta bene?” la posò sul letto sorridendo “Gli angeli non soffrono” “Grazie” “E di cosa? Ora contessa, voi resterete qui a riposare” sciolse il nodo della fascia liberando quei fianchi delicati dalla prigionia del passato “Ma questo è il tuo letto” sussurrò sfinita lasciandosi cullare da quei gesti delicati “Si, ma io posso sopravvivere agli occhi di tuo marito” “Non è mio marito” “Ma è il padre dei tuoi figli” la spinse leggermente indietro costringendola a sdraiarsi sui cuscini soffici, rise divertito mentre Oscar si voltava verso di lui stringendo più forte il lenzuolo tra le mani “Ora dormi un po'. Io faccio sparire le prove di questo gioco innocente e mi occupo di nostro padre ...” le sfiorò il volto sospirando “ … ho idea che non sarà di buon umore” “Resti qui con me?” assomigliava ad una bambina.
Sdraiata su un fianco con i capelli sciolti sul cuscino come una coperta di sole puro e gli occhi chiusi, sembrava così serena, così lontana dalle lacrime e dalla paura “Resta solo un po'” “Tu devi dormire e io dovrei cenare, altrimenti Lisette mi prenderà a pugni” “Ho paura che quegli incubi maledetti tornino” sentì la mano della ragazza aggrapparsi con forza alla manica della camicia e ogni tentativo di rifiuto si cancellò di colpo dalla mente “D'accordo” sussurrò intrecciando le dita alle sue “Resterò qui con te fino” un sorriso leggero e quel respiro lento e regolare tanto bello da togliere il fiato.
Le sarebbe rimasto accanto fino a quando ne avesse avuto bisogno perché l'amava.
L'amava così tanto da rinunciare a lei ma quanto male costringere il cuore a cambiare sé stesso, costringere il pensiero a chiamarla con un altro nome.

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** Eri nel mio Sogno ***


                           Eri nel mio Sogno





Si avvicinò di qualche passo al letto imprimendosi nella memoria il volto sereno della ragazza, le labbra sfiorate appena dalla luce tenue delle candele, il respiro lento, delicato.
Forse, se fosse stato un giorno comune pieno di scelte comuni, quella scena innocente sarebbe arrivata come tale ai suoi occhi ma quello non era un giorno come tutti gli altri.
Aveva passato ore intere ad amarla, si era addormentato accanto a lei stringendola tra le braccia, perdendosi nel suo profumo convinto che niente al mondo avrebbe potuto allontanarla di nuovo.
Ma quando aprì gli occhi, si accorse d'improvviso che quel pensiero innocente non avrebbe mai trovato conferma nella realtà di un tardo pomeriggio di primavera.
Non era scappata, non si era sottratta ai suoi baci, non si era allontanata dalle carezze, eppure non era lì, non c'era più.
L'aveva cercata ovunque, aveva chiesto ad ogni domestico perfino allo stalliere ma nei loro occhi viveva solo un sorriso leggero e pudico, qualcosa creato apposta per eliminare ogni sciocca possibilità di chiacchiera.
Conosceva bene quel sorriso, era stato il generale ad imporlo per proteggere sua figlia, per proteggere sé stesso.
Ma adesso, nel silenzio di quella stanza ogni convenzione cadeva, ogni pensiero spariva e perfino il battito del cuore sembrava dissolto, un rumore lontano e ovattato, quasi irreale poi di colpo quella mano sulla spalla e il volto del generale al suo fianco.
Portò un dito alle labbra mentre con la mano stringeva il braccio di Andrè costringendolo adseguire i suoi passi oltre la porta “Signore ma che state ...” “Non voglio che si svegli Andrè. Questa è la prima volta che la vedo riposare così tranquilla” chiuse la porta della camera cercando di fare meno rumore possibile.
“Lisette, porta del vino e manda Marie a controllare il bambino” la cameriera annuì decisa lasciando la stanza “Sei geloso di suo fratello?” “Non è suo fratello!” “Da questo pomeriggio lo è a tutti gli effetti. Maxime Julian Fançois De Jarjayes” “Oscar lo sa?” “Maxime avrà il compito di provvedere al suo futuro quando io non sarò più in grado di farlo Andrè” “Sembrate dimenticare che Oscar è la mia famiglia” “Non lo dimentico affatto tuttavia, considero la situazione attuale degna di un'attenzione in più” lo sguardo confuso di Andrè lo convinse a continuere “Tu hai reso felice mia figlia, è innamorata di te anche se al momento fatica a riordinare le priorità della sua vita” lo invitò a sedere cercando un modo per spiegare il groviglio di pensieri che si portava dentro da giorni ormai.
Non era abituato a niente del genere, insomma, non è compito di un generale aprire il proprio cuore, eppure era lì, a parlare con Andrè, a tentare di tranquillizzare un cuore troppo veloce
“Oscar sta cercando un modo per convivere con il vuoto che vostra figlia ha lasciato in lei. Non è abituata a sofferenze del genere, è sempre stata forte e preparata a tutto, io l'ho preparata. Mi sono preso cura del figlio perfetto rafforzandolo e istruendolo a dovere e ho completamente tralasciato i bisogni di una figlia innocente. Non l'ho mai istruita sul mondo, sulle debolezze, sui sentimenti e sul dolore che essi portano. L'ha imparato da sola e ora da sola uscirà da questo buio profondo” “Non mi lascia nemmeno avvicinare ai suoi pensieri, come posso aiutarla se mi spinge via!” “Non puoi aiutarla” Lisette si avvicinò a loro lasciando un vassoio sul tavolino “Etienne?” “Si è appena addormentato signore” “Molto bene, puoi andare” un altro sorriso poi di nuovo lo sguardo sfinito di Andrè “Non vuole il tuo aiuto, non vuole l'aiuto di nessuno. Conosce bene sé stessa, se ora chiede aiuto si sentirà morire e la perderemo” prese tra le mani il bicchiere soffermandosi sul volto del giovane.
Era nervoso, arrabbiato, geloso di quel legame violento che univa Maxime ad Oscar, un legame evidente per tutti tranne forse che per lui, un vecchio generale da troppo tempo abituato al gelo “Vorresti portarla via da quel letto” “Signore ...” “Oh andiamo! Credi davvero che sia nato ieri? La gelosia che ti brucia nel petto l'ho provata prima di te. Hai ragione Andrè, mio figlio è innamorato di Oscar” un debolissimo sorriso sfiorò il volto del giovane regalando a quegli occhi una tenera espressione carica di sconforto “Li ho sempre tenuti separati, volevo proteggerla, volevo proteggere il mio sciocco sogno. Maxime ha passato undici anni a spiarla” scosse leggermente la testa sospirando “Conoscevo bene l'affetto che provava nei confronti di Oscar, la considerava sua sorella a tutti gli effetti. Ho passato anni a riempirgli la testa con ideali e regole, lo preparavo per lei, perché un giorno sarebbe stato compito suo proteggerla. Ricordo che si allenava con impegno, eccelleva in ogni cosa solo per poter essere un giorno allo stesso livello di sua sorella, per poterle parlare senza il timore di sentirsi fuori luogo o inferiore a lei” davanti agli occhi tornarono di colpo quegli occhi azzurri come il cielo, occhi che appartenevano ad un bambino irriverente che passava il suo tempo a sfidarlo continuamente “Conoscevo l'esistenza di quella piccola breccia nel muro e sapevo che Maxime passava tutto il tempo libero a spiare sua sorella ma non gliel'ho mai impedito” “Perché?” “Credevo di essere nel giusto Andrè. Erano solo sguardi innocenti, sogni di bambino. Gli ho permesso di vivere in qualche modo la vita di mia figlia e temo di aver alimentato un affetto che ora non posso controllare” posò il bicchiere cercando gli occhi di Andrè “Volevo adottarlo già da tempo ma lui ha sempre rifiutato. Diceva di non essere pronto, di non essere all'altezza di Oscar, di non essere pronto a sopportare il peso del nostro nome. Ha sempre evitato quest'argomento ma ieri, quando è venuto da me ...” strinse più forte il bicchiere abbozzando un debole sorriso “ … ho letto nei suoi occhi la grandezza di quel sentimento” “Conosco bene quell'amore signor generale. Stavo impazzendo per quell'amore, ho fatto del male a vostra figlia per quell'amore e ho passato giorni interi ad odiarlo. Non si cancella dal cuore un sentimento tanto forte, nemmeno cambiando nome” “Amo mia figlia, la amo così tanto da ascoltare le suppliche silenziose del suo sguardo. Il sentimento acerbo e innocente che vive in Maxime resterà solo un'utopia e niente di più” Andrè sospirò passandosi una mano tra i capelli.
Sentiva il cuore battere più forte nel petto ma più si sforzava di controllarlo e più sentiva la sua stupida corsa accelerare “Vedi ragazzo, la famiglia che hai creato assieme ad Oscar è qualcosa di prezioso e assolutamente non comune. Mia figlia è innamorata, prima o poi riuscirà a districare i pensieri e tornerà da te” “La sto perdendo, la perdo ogni volta che si allontana, che il duca la stringe tra le braccia” sussurrò distogliendo lo sguardo ma il generale tossicchiò attirando di nuovo la sua attenzione “È per questo che Maxime avrà il compito di proteggerla” “È innamorato di mia moglie!” “Non siete sposati” esclamò gelido ma Andrè rise alzando gli occhi al cielo “Maxime sarà quel mondo sicuro dove i problemi non potranno toccarla” “Sono io quel mondo!” urlò picchiando con forza il pugno sul bracciolo “È da me che dovrebbe correre quando ha qualche problema! Sono io che l'ho stretta tra le braccia, che l'ho baciata e amata!” “Non può confessarti ogni cosa Andrè! Ogni persona ha diritto ad avere i propri segreti, le proprie debolezze, dovresti conoscerla!” “Proprio perché la conosco signore, vi chiedo di lasciarci partire” ma il generale sorrise “Chiedi? Non costringo mia figlia a restare o a partire, le ho promesso che sarei stato dalla sua parte qualsiasi decisione avesse preso. Come posso ora costringerla?” fece un bel respiro massaggiandosi il collo “Andiamo a dormire ora, vedrai che domani mattina tutto ti sembrerà più chiaro. Maxime sta riposando nell'ala opposta del palazzo. Credo tu possa lasciarla serena per qualche ora” ma sul volto del ragazzo c'era solo preoccupazione.
Si alzò in piedi lasciando tra le mani del servo il bicchiere vuoto “Non svegliarla altrimenti me la prenderò con te e ...” si voltò verso di lui socchiudendo gli occhi “ … la prossima volta che mi parli di baci o carezze o qualsiasi altra cosa che riguarda la mia bambina in situazioni diciamo così, private, ti passo da parte con la spada, chiaro?” un ultimo sguardo prima di lasciarlo solo con il silenzio e con quei maledetti pensieri che non smettevano di tormentarlo.



“Mammina, dai apri gli occhi mamma!” si mosse dolcemente coprendosi il volto ma Etienne rise scostandole i capelli dal seno “Il sole è alto mamma” “Davvero?” “Si è vero! Zio puoi dirle che è vero?” la risata di Maxime riempì la stanza costringendola ad aprire gli occhi ma la luce cristallina del giorno era troppo forte, soprattutto per una giovane appena sveglia con un tremendo mal di testa a farle compagnia.
Si sollevò leggermente dai cuscini tentando di sedere in posizione più o meno comoda, Etienne si rifugiò sulle gambe di sua madre osservando divertito l'uomo di fronte a loro “Come stai principessa?” “Confusa” mormorò posando il mento sulla testolina del figlio “Molto confusa” “Si? A volte capita, soprattutto se giochi con bottiglie e bicchieri” “Hai giocato mamma?” “Forse un po' troppo amore mio” chiuse di nuovo gli occhi stringendo le braccia attorno al corpicino del figlio.
Le mani intrecciate sul pancino di Etienne e il volto perso tra quei riccioli leggeri “Fai dei bei respiri profondi” “Sto respirando” “No” esclamò divertito Maxime “Credi di sognare. Non è un fantasma che stringi tra le braccia ma il mio bellissimo nipote e se la nausea diventa più forte lo riempirai di ...” “Ho fatto un sogno stranissimo” “Che sogno?” “Tu eri nel mio sogno” “Io?” domandò confuso avvicinandosi al letto “Per caso ti ho ...” “D'accordo” esclamò ridendo “Basta così prima che tuo figlio inizi a fare domande” Oscar sollevò il volto confusa da quell'interruzione improvvisa.
Strinse più forte il bambino socchiudendo gli occhi “Era un sogno?” ma il silenzio improvviso rispose ad ogni sua domanda “Non era un sogno” “Non è accaduto nulla di grave” “No, no è … oddio, scusami è stata solo una sciocca debolezza e non …” Etienne sollevò appena il volto cercando nella voce tremante di sua madre una qualche spiegazione “Oscar, va tutto bene, non è accaduto niente di grave” “Niente di grave?” c'era ironia nella sua voce, imbarazzo e paura, sentimenti contrastanti che non riusciva a buttare fuori “Ti ho baciato!” “Sulla guancia” si affrettò ad aggiungere Maxime sorridendo al bambino “La tua mamma ha giocato un po' troppo ieri e mi ha dato un bacio sulla guancia” “Ed è sbagliato?” domandò confuso Etienne “No” “Si” si guardarono qualche secondo indecisi su quale fosse la risposta giusta ma alla fine Oscar sospirò sussurrando quel no leggero che pesava più di un macigno.
Strinse più forte il figlio tornando a nascondere il volto tra i suoi capelli “Non devi arrabbiarti mamma. Papà dice che i baci sono belli” “Tuo padre ha ragione, ma non credo sarà d'accordo con questo … non importa” Maxime sfiorò il volto di Etienne sedendo sul letto accanto a loro “Non preoccuparti tesoro, la mamma sta bene. Deve solo ritrovare un po' di lucidità” “Mi odierà” sussurrò sollevando appena lo sguardo “Se lo scopre lui … oddio!” “Nessuno verrà a conoscenza di questa cosa, non è accaduto niente quindi ora ...” allungò le braccia verso il bambino sfilandolo dalle sue mani “ … fai un bel respiro profondo” “Non funziona!” “Nemmeno ci provi!” ribattè divertito stringendo il nipote a sé “Coraggio” Oscar inspirò a fondo cercando di rilassare ogni dannato muscolo ma sentiva dentro solo la voglia folle di urlare “Ancora una volta” “Zio?” “Dimmi tesoro” “Perché la mamma ha dormito qui?” domandò crucciato Etienne stringendo più forte la manina attorno alla camicia del giovane “Perché stava leggendo quel bel libro di strategia che tengo nello studio, te l'ho mostrato ricordi?” “Si” “Ne ha lette talmente tante pagine da addormentarsi sulla poltrona di fronte al fuoco” “È vero amore mio, mi sono addormentata nella stanza qui accanto e quando Maxime mi ha trovato ha solo ...” “Ho pensato che svegliarla sarebbe stato un'errore. La tua mamma non dorme molto in questi giorni, così l'ho portata in camera mia” “Hai dormito anche tu con lei?” Oscar trasalì trattenendo il respiro ma il giovane scoppiò a ridere scompigliando i capelli di Etienne “Ho dormito nelle stanze del generale, o meglio, in una delle camere che di solito accolgono gli ospiti” Lisette entrò nella camera assieme a due cameriere “Avete riposato bene contessa?” “Ma che ...” “Ho pensato che sarebbe stato più comodo farti portare la colazione” “Ti sto odiando” Maxime annuì divertito alzandosi dal letto.
Reggeva Etienne con un braccio mentre la mano libera prese dal vassoio una tazza di thé “Hai fatto colazione giovanotto?” “Assieme a papà” “Amore mio, dov'è tuo padre?” “A cavallo mammina” annuì appena alzandosi ma Lisette la spinse di nuovo sul letto bloccandola lì “Non provate nemmeno a pensare di poter lasciare questo letto” “Sei impazzita?” “Il generale mi ha affidato un compito contessa” “Un compito?” domandò confusa cercando risposte nel giovane a pochi passi da lei, lo vide sorridere, sussurrare qualcosa ma Lisette tossicchiò chiudendo qualche secondo gli occhi “Vi vedo duca” “Non ho fatto niente di male” “Oh per favore!” “D'accordo, come vuoi” posò la tazza sul tavolo stirngendo più forte Etienne “Noi andiamo a giocare un po' con le spade” “Posso fare il soldato buono?” “E io chi dovrei essere?” “Un rivoltoso!” lo sguardo di Oscar si sollevò di colpo ma Etienne scoppiò a ridere infastidito dal solletico che suo zio creava dal nulla “Andiamo allora piccolo soldatino” “Maxime aspetta ...” la voce si perse nel nulla, era già uscito dalla camera lasciandola sola in balia di una donna sorridente e piena di consigli.

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Confusi ***


                                      Confusi
    






Era scappata senza nemmeno avere l'accortezza di avvertire suo padre o Maxime.
L'unica cosa che desiderava era raggiungere Andrè, guardarlo negli occhi e scoprire che quell'amore era ancora lì, ancora per lei.
Fermò il cavallo a pochi metri dal lago, il sole caldo sfiorava le chiome ormai folte degli alberi e colorava di teneri riflessi la superficie dell'acqua.
Scese stringendo più forte le redini dell'animale, conosceva a memoria quel parco lontano, suo padre l'aveva fatto progettare apposta per lei, per la sua allegria e suo diletto.
Da piccola vi passava ogni ora libera, era abbastanza lontano dal palazzo, circondato da un bellissimo bosco di quercie e faggi e impreziosito da quel lago meraviglioso dove le ninfee si aprivano silenziose verso il cielo.
Lasciò il cavallo libero di muoversi per il prato fresco e si incamminò silenziosa lungo la stradina sterrata che fiancheggiava il bosco.
Un debole sorriso le sfiorò le labbra quando gli occhi incontrarono la figura lontana di Andrè.
Se ne stava seduto con la schiena posata contro il tronco di un bellissimo salice, i rami così lunghi sfioravano l'acqua increspandola, creando piccoli cerchi che si allargavano veloci proprio come i pensieri.
Tutto sommato era divertente, una cosa così semplice e pura, creata dalla natura per concedere all'uomo di spiarne la dolcezza ma lui non ne sembrava molto attratto.
Stringeva tra la mani un libro e lo sguardo correva veloce sulle pagine accompagnato solo dalla pace di un attimo passato nel silenzio.
Fece un bel respiro lasciando uscire ogni preoccupazione dal cuore e un passo dopo l'altro, si avvicinò a lui tentando di sorridere o per lo meno, di assomigliare alla stessa donna che per anni aveva avuto accanto “Perché sei qui?” “Non ti ho visto per tutto il mattino” si sfiorò il collo giocando con i capelli “Come stai?” “E tu?” domandò Andrè sollevando per pochi secondi lo sguardo dal libro “Come stai?” “Te l'ho chiesto prima io” sussurrò divertita ma lui sospirò tornando a perdersi nell'inchiostro di parole lontane “Andrè io ho … ho bisogno di parlare con te” “Si? Beh, in questo momento sono io a non averne il bisogno” chiuse di colpo il libro alzandosi ma la mano di Oscar si strinse leggera attorno al polso bloccandolo.
Sollevò lo sguardo incontrando un volto di perla leggermente arrossato.
I suoi occhi dello stesso colore del cielo erano così dannatamente puri e cristallini.
Poteva leggervi ogni più piccola sensazione, tutte le paure di un cuore troppo veloce per lui, per il mondo intero “Ho bisogno di te” “Allora perché mi tieni lontano” la tirò leggermente in avanti bloccandola a pochi centimetri da lui “Mi allontani! Mi costringi a passare le notti sveglio a cercare un modo per poterti aiutare ma non mi permetti di fare niente Oscar!” “Mi dispiace” la voce tremò leggera e una lacrima scivolò via dagli occhi bloccando il respiro “So che sei preoccupato per me, ti vedo ma non riesco … non riesco a fare niente. Rido, scherzo, provo ad essere la stessa mamma per Etienne ma dentro mi sento terribilmente vuota” “E credi che non lo capisca?” la strinse più forte cercando il suo sguardo “Ho perso una figlia! Non sono nemmeno riuscito a dirle addio e questo mi fa impazzire. Renée era il mio piccolo angelo e mi è stato strappato via. Hai ragione, forse io non so cosa provi, non posso comprendere il dolore di una madre” “Andrè ...” “Ma non vieni da me quando le lacrime ti tolgono il respiro. Non sono io la persona che cerchi quando gli incubi ti svegliano nel cuore della notte!” le mani scivolarono via lasciando all'aria il compito di gelare ogni parola.
Si allontanò da lei ridendo, cercando di resistere alla voglia di baciarla, di stringerla così forte da toglierle il respiro ma il suo profumo era lì, forte, insistente “Forse abbiamo bisogno di un po' di tempo per riflettere” “Vuoi lasciarmi?” il silenzio tra loro diventò improvvisamente più freddo.
Oscar socchiuse gli occhi inclinando leggeremente la testa di lato “È questo che vuoi dirmi?” si portò una mano al seno slacciando il bottone d'argento della camicia, lo vide trasalire stringendo più forte i pugni nel tentativo di resistere “Non hai bisogno di me? È per questo che vuoi riflettere?” il tessuto leggero si aprì mentre ad ogni passo cancellava un po' di quell'imbarazzo assurdo che per giorni li aveva divisi.
Si fermò così vicino al giovane da poterne sentire il respiro sul volto, sorrise sollevando lo sguardo, le labbra così vicine da potersi quasi sfiorare mentre negli occhi passavano milioni di parole.
Sentì le mani di Andrè stringersi con forza attorno ai fianchi tirandola in avanti, la fronte posata alla sua e gli occhi chiusi nel tentativo di respirare “Non puoi giocare con me” “Un gioco?” sussurrò confusa cercando di nuovo il suo volto “Pensi davvero di essere un gioco per me?” “Oscar ...” lo spinse indietro, la schiena toccò il tronco gelido ma le mani del ragazzo così strette attorno ai polsi la tirarono verso di lui, un debole sorriso sulle labbra mentre le girava attorno bloccandola, inchiodandola al corpo e ai pensieri.
Non poteva scappare, non poteva muoversi e forse nemmeno voleva, restava lì, aggrappata con le mani al tronco mentre sentiva il corpo di Andrè modellarsi sul suo, il petto forte che si univa alla schiena, le mani strette sui seni e il suo respiro sul collo.
La baciava, la stringeva così forte da farle male ma non l'avrebbe mai lasciata nemmeno sotto tortura perché aveva bisogno di lei, un bisogno disperato quasi viscerale di sentirla, di averla e non importava nulla se i pensieri venivano dimenticati, se si nascondevano dietro a quei sospiri per evitare di parlare, aveva solo bisogno di lei.
Sfiorò con le labbra il collo della ragazza mentre le mani scesero sul ventre costringendola a sospirare, la sentì tremare quando le dita scivolarono sulla pelle nuda ignorando il bordo dei pantaloni, oltrepassandolo insolente, giù sempre più giù fino alla dolcezza di quel tenero calore “Mi fai del male Oscar, ogni volta che ti allontani mi fai del male” ma lei sorrise lasciandosi sfiorare.
Strinse più forte i pugni sul tronco inarcando la schiena, cercava le sue mani, le sue labbra, i suoi baci.
Cercava Andrè, lo stesso uomo che amava, lo stesso in grado di cancellare il volto di Maxime e quel bacio tremante che ora le appariva davanti.
Chiuse gli occhi cacciando via quel ricordo, la testa dolcemente reclinata sulla spalla del giovane ricopriva di seta dorata il suo petto costringendolo ad uno sforzo enorme per mantenere il controllo.
La sentì tremare, sospirare mentre cercava le sue dita sopra al tessuto prezioso dei pantaloni “Dio quanto ti amo” “Perché vuoi lasciarmi?” sfilò lentamente la mano da quel calore tremendamente invitante cercando per l'ennesima volta la perfezione del suo seno “Perché vuoi lasciarmi Andrè?” “Non vorrei mai lasciarti, mai. Ma tu sei … sei così lontana” “Sono qui” si girò tra le sue braccia cercando il mare profondo dei suoi occhi “Sono qui con te” “No, no amore mio non ci sei. Non sei il mio angelo” le sfiorò il volto ma lei rise scivolando via da lui “Allora cosa sono?” esclamò ironica chiudendo di nuovo la camicia sul petto “Sono una pazza che non riesce più a ragionare? Cosa sono!” “Sei sfinita amore mio” provò ad avvicinarsi ma la giovane rise spingendolo di nuovo oltre quel dannato confine che odiava da morire “Sei sfinita e confusa e non … Torna a casa con me” “Cosa?” “Torna a casa assieme a me Oscar, io tu e il nostro bambino” non rispose, non si mosse nemmeno.
Continuava a sistemare i vestiti nascondendogli centimetro dopo centimetro la pelle fresca del suo corpo “So che fa male e so che è difficile ma abbiamo bisogno di ritrovare un po' di serenità” “Scherzi vero?” ribatté gelida piantando gli occhi sul suo volto “Oscar non puoi continuare così! Non dormi, a malappena mangi, se non ti avessi baciata e amata ieri pomeriggio probabilmente penserei ancora di averlo sognato!” “Sto bene” “Non stai bene, nostro figlio non sta bene, nessuno di noi sta bene amore mio” la vide sospirare indietreggiando di un passo ancora “Etienne vive in un mondo che non gli appartiene, tira di scherma immaginando di avere davanti i “rivoltosi” devo dirti a chi assomiglia? Cosa mi ricorda?” “Mio padre gli vuole bene! È circondato da persone che pensano solo al suo bene, Maxime lo ama come fosse un figlio!” “E tu?” trasalì confusa da quelle parole lasciate cadere d'improvviso tra loro “Tu gli vuoi bene?” “È mio figlio!” “Non parlo di Etienne!” urlava, sapeva di farlo ma che altro modo aveva per parlare con lei? Fece un bel respiro tentando di ricacciare la rabbia in fondo cuore “Quell'uomo è innamorato di te!” “È mio fratello” “E secondo te questo basta a cancellare un sentimento tanto forte? Oh andiamo! Sono stato innamorato di te per una vita intera e non è servito ubriacarmi o ripetermi che era sbagliato!” ma lei rise lasciando cadere le braccia lungo i fianchi “Non te ne accorgi nemmeno amore mio, non riesci a … Ti prego, torna a casa con me” “Devo rientrare” “Oscar” “Ho promesso a nostro figlio che avrei pranzato assieme a lui” restò immobile, inchiodato accanto a quel salice mentre il suo angelo biondo si allontanava evitando perfino di guardarlo negli occhi.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Stelle ***


                                            Stelle







“Cosa ci fai qui fuori?” si avvicinò a lei sedendole accanto “Il sole ormai è basso” tolse la giacca posandola sulle spalle della giovane “Allora? Non vuoi dirmi cosa c'è che non va?” “Maxime tu sei ...” si voltò verso di lui cercando nei suoi occhi risposte che forse nemmeno voleva “ … non importa” “Andiamo sorellina, vuoi davvero nascondermi le cose?” “Erano solo pensieri” “Tuo padre è tornato” “Sta bene?” “Lo conosci? Certo che sì” ribattè divertito osservando il cielo.
Le sfumature del tramonto sfioravano tenui l'orizzonte mentre le stelle facevano capolino sorridendo raggianti al mondo “Non sono bellissime?” Oscar sollevò lo sguardo sorridendo “Guarda come brillano, sembrano piccole fiamme insolenti che ridono in faccia alle disgrazie dell'uomo” strinse il braccio attorno alle spalle della giovane sospirando “Si svegliano tardi, stirano le braccia verso alla luna e poi iniziano la loro lenta corsa nel cielo. Sono svogliate e insensibili, mostrano la loro bellezza senza alcun velo” “Renée amava le stelle” sussurrò Oscar “Passava ore e ore a spiarle. Ogni sera l'accompagnavo a dormire, le raccontavo di mondi lontani e sogni. Restavo con lei fino a quando il sonno non la portava via da me ma, ogni sera, esattamente alla stessa ora, la ritrovavo davanti alle finestre con il nasino appiccicato al vetro” “Magari adesso fa la stessa cosa” “Lo credi davvero?” “Sono sicuro che in questo momento ci sta guardando da una di quelle stelle, si, guarda la sua mamma da lassù e sorride” la strinse più forte giocando con il laccio della camicia “Segue ogni passo del suo papà e parla con Etienne anche se lui non può sentirla. Oh, e poi ...” si voltò appena incontrando i suoi occhi “ … sono abbastanza sicuro che stia ridendo di me” “Perché dovrebbe ...” “Perché tuo figlio ha lasciato i suoi giochi in cima alle scale. Se non mi fossi aggrappato al corrimano sarei volato al piano di sotto in pochi secondi” la risata cristallina di Oscar ruppe il silenzio colorando di tenerezza il loro innocente abbraccio “Allora, non vuoi proprio dirmi cosa c'è che non va?” “Andrè” “Andrè?” “Io, Andrè … Oddio, sto impazzendo” mormorò sfinita stringendosi il volto tra le mani.
Tremava, per il fresco brio della sera, per i troppi pensieri, era così tenera, così diversa da quella che aveva sempre avuto davanti agli occhi.
Non era mai stato abituato a preoccuparsi per altre persone, a dire il vero non si era mai preoccupato di nessun'altro all'infuori di sé ma ora d'improvviso, si ritrovava scaraventato in un mondo nuovo e terribilmente complicato da sopportare.
Era innamorato di sua sorella, un amore tenero nato da sguardi innocenti che con il tempo era cresciuto assieme a lui.
Non poteva controllarlo, a malapena ci conviveva ma per il bene di Oscar l'avrebbe soffocato e l'avrebbe fatto con ogni dannata fibra del proprio essere “Sto impazzendo sai? Vorrei tornare ad essere quella di sempre, la stessa che sorride e gioca e ...” si voltò verso di lui trattenendo il respiro “Non sei caduta da cavallo, non ti hanno ferito in duello o sparato ad una spalla. Hai perso una figlia” “Non riesco a respirare” “Non è sbagliato sentirsi confusi. Hai bisogno di un altro po' di tempo ma ogni cosa tornerà al proprio posto” “Non riesco nemmeno a parlare con lui, ogni volta che siamo a pochi centimetri uno dall'altra finiamo con il …” “Ehi, non voglio sentirne parlare” “E da quando?” domandò confusa ma lui rise “Non mi infastidisce parlare di qualsivoglia argomento, quando però c'è mia sorella in determinati, diciamo così, discorsi, allora ...” “Ti ho baciato” “Torniamo a quel discorso ti va?” domandò il giovane fissando di nuovo il cielo “Perché non me l'hai detto?” “Quando avrei dovuto farlo? Dormivi, era la prima volta da giorni che ti vedevo riposare serena” “Potevi svegliarmi e ...” “Scordatelo” “Lo sa” Maxime sospirò tornando a concentrarsi sui suoi occhi “So che lo sa” “Gli hai raccontato la tua piccola scaramuccia con il vino? Non è una cosa furba sorellina” “Sei impazzito? No!” esclamò dandogli un leggerissimo pugno “E allora come fa a saperlo?” “Non lo so ma so che lo sa” lo sguardo confuso di Maxime la fece sorridere
“Hai aperto la lettera di sua maestà?” “Stai cambiando discorso” “È vero ma ti prego assecondami” “Non l'ho ancora letta” “Cosa aspetti?” “Perché sei più curioso di me?” rise alzandosi “Eppure sono sicura che sulla lettera ci sia il mio nome” “Non importa, so già cosa c'è scritto lì dentro” lo fisso confusa indecisa se stringere o meno la mano tesa verso di lei “Andiamo? Nostro padre ci aspetta per cena e ho idea che la persona che sa ogni cosa di te aspetta di vederti” “Non sei divertente” si aggrappò a lui lasciandosi tirare dolcemente in piedi “D'accordo, ora per favore, ritorna la giovane bellissima figlia del generale che siamo abituati a vedere” le diede un bacio leggero in volto e prendendola a braccetto si incamminò assieme a lei verso il salone.




“Padre?” “Buon giorno bambina, hai riposato bene?” “Devo parlarvi di una cosa” mormorò avvicinandosi alla scrivania “Ho bisogno di parlare con voi e so che probabilmente vi sembrerà strano, voglio che voi sappiate che so che è strano” il generale sollevò lo sguardo dai fogli incontrando l'azzurro cristallino dei suoi occhi “Credevo fosse un sogno, pensavo di sognare, avevo bevuto del vino, un po' troppo direi e credevo di sognare! Quando ho realizzato che … insomma ero …” “Di cosa stiamo parlando?” “L'ho baciato” “Oscar, non mi fa bene immaginare mia figlia in certe situazioni” “No padre, non intendevo ...” si passò una mano in volto giocando nervosamente con i capelli “ … non ho baciato Andrè” “Non hai baciato Andrè?” ripeté confuso “D'accordo Oscar, è meglio che tu mi dica quello che devi dirmi senza troppi giri di parole” “Mio fratello” “Maxime?” la vide sospirare, le labbra torturate dai denti mentre un lieve rossore le colorava il volto “L'ho adottato ieri pomeriggio ma a quanto pare ...” si alzò dalla sedia chiudendo con forza il libro “ … dovrò dire addio all'idea di avere un'altro figlio, peccato, iniziavo ad abituarmici” “Padre” “Non voglio sentire scuse Oscar! Tuo fratello verrà punito per questo!” “Io ho baciato lui!” il generale si voltò di colpo verso di lei “Tu?” “Non so nemmeno io perché l'ho fatto e non ...” “Sei impazzita per caso?” “Forse” mormorò ridendo “Forse sono così pazza da buttare all'aria la mia famiglia, forse la morte di mia figlia ha fatto più danni di quanto potessi immaginare” la strinse per le spalle costringendola a rallentare “Guardami” “Padre ...” “Guardami!” il cielo si fuse al mare cristallino, in quello sguardo limpido e pieno d'acqua leggeva i suoi sentimenti come fossero parole incise a fuoco sulla pagina del cuore “Conosci l'affetto che lega Maxime a te non è così?” “Credevo fosse ... Pensavo di immaginarlo” “ Ma è reale. Così reale da costringerlo a venire da me supplicando per il nostro nome. Credeva di tenerti al sicuro, lontano dal sentimento giovane che gli brucia in petto” “Non mi sento protetta né serena padre! Ho baciato un giovane che voi avete appena adottato e Andrè mi ha appena chiesto di tornare a casa assieme a lui” si sciolse dalla presa del padre sedendo sul divano.
Era nervosa, tremendamente nervosa da costringere ogni muscolo a scattare, sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, si era preparato a questa cosa da anni ma davanti agli occhi di sua figlia, ogni bel discorso, ogni parolone attentamente studiato spariva nel nulla “Mi sento male, terribilmente male perché ho mentito al mio compagno” “Non hai fatto niente del genere” “Ogni volta che mi guarda negli occhi, ogni volta che mi stringe o mi bacia sento quella bugia picchiare forte in petto. Vorrei parlare con lui, raccontargli la verità ma ho paura” “E di cosa?” domandò sedendole accanto “Ti ama, un bacio non cambia il sentimento che per anni vi ha tenuto assieme” “Ho paura di perderlo” le sorrise stringendo la mano attorno alla sua “Se gli racconto la verità lo perderò, se continuerò a mentire perderò me stessa” “Difficile l'amore vero bambina mia?” gli occhi dell'uomo si riempirono di tenerezza “È da questo che tentavo di proteggerti. Ogni decisione, ogni scelta fatta per quanto egoista e disdicevole, serviva per tenerti lontano dalle delusioni” “Dall'amore?” “Anche” “Perché?” “Volevo evitarti le lacrime, le notti insonni a pensare, tua madre ripeteva sempre che mi comportavo da sciocco, aveva ragione sai? Ma chissà come, nella mia testa eri solo una purissima bambina che doveva essere protetta” Oscar sorrise posando la testa sulla spalla del padre.
La strinse dolcemente appoggiando appoggiandosi ai cuscini soffici “Sei innamorata di Andrè?” “Con tutto il cuore” “Allora bambina mia, ogni cosa tornerà al proprio posto. Forse ci vorrà più tempo del previsto ma vedrai che tutto andrà bene” “Vi ringrazio padre” “E per cosa?” domandò confuso sollevandole leggermente il volto “Ho perso vent'anni di confidenze con mia figlia, almeno ora lasciami fare il padre” rise aggrappandosi alla camicia del generale.
Era tornata quella bambina sorridente a cui aveva regalato pochissime tenerezze, non era compito di un generale abbracciare i figli né giocare con loro.
Ma se ora gli fosse concesso un solo desiderio, uno soltanto, avrebbe chiesto a Dio il permesso di poter vivere di nuovo quei giorni assieme a lei.
Le avrebbe raccontato favole, l'avrebbe stretta tra le braccia ogni giorno regalandole sorrisi e tenerezza, l'avrebbe protetta dagli sguardi irriverenti dei giovani rampolli comportandosi da padre e non da soldato “Padre?” “Dimmi” “Avete fatto un buon lavoro con me” “Cosa?” domandò confuso ma lei sorrise “Mi avete cresciuto nel migliore dei modi, smettetela di torturarvi” “Hai aperto la lettera?” sbuffò sedendo di nuovo composta “Perché tutti mi tormentate con questa lettera?” “Perché è importante” la vocina di Etienne interruppe quel discorso costringendola a sorridere.
Lo vide correre nella stanza reggendo un libro tra le mani “Mamma!” “Da dove vieni amore mio?” Andrè seguì il figlio ridendo quando il faccino si contorse in una smorfia buffa “Papà mi ha regalato un bellissimo libro” “Davvero?” “Sono uscito presto e ho trovato questo bellissimo libro in un negozietto di Parigi” “Posso venire con te la prossima volta?” Andrè sorrise scompigliando i capelli del figlio “Tua madre cosa dice?” “Mammina” “Oh no, scordatelo” “Hai già iniziato a leggerlo giovanotto?” “Si signore” esclamò orgoglioso lasciando il libro tra le mani del generale “Questo è proprio un gran bel volume Etienne. Dopo colazione ne leggeremo un capitolo assieme” “Davvero nonno?” “Davvero, ora però via di qui” “Hai sentito amore mio?” sussurrò Oscar prendendolo per mano “Se non facciamo colazione il generale non manterrà la sua promessa” gli diede un bacio leggero alzandosi “Vieni con noi?” Andrè trasalì sconvolto dalla semplicità di quella domanda.
Si era appena abituato a convivere con l'idea di starle lontano tutto il giorno e invece, lei aveva lasciato cadere nel vuoto tre semplici parole di una dolcezza impressionante.
Fece un bel respiro annuendo appena “D'accordo allora, ti aspettiamo di sotto” “Si papà, non fare tardi” “Etienne?” il bambino si voltò di colpo attratto dalla voce della madre “Vuoi provare a vincere?” il generale rise raggiungendo Andrè “Ma di che stanno ...” “Hai mai fatto una gara di corsa ragazzo?” diede una pacca sulla spalla del giovane mentre sua figlia e suo nipote si bloccavano di colpo aspettando il via libera per scappare “Questa volta vinco io mamma” “Ne sei proprio sicuro?” domandò divertita “Padre?” “State attenti, non vorrei essere costretto a chiamare il medico” “Potete semplicemente darci il via libera?” “Ancora una parola signorina e finirai a ripulire le stalle” sbottò irritato ma il sorriso sulle labbra di Etienne cancellò il fastidio di quegli ultimi secondi.
Sollevò leggermente una mano, il bambino spiò qualche secondo il volto di sua madre poi quell'unica parola nel silenzio e due cuori che battevano all'impazzata uscendo di corsa dalla sala “Scivoleranno sul tappeto del corridoio” esclamò divertito tornando a sedere dietro alla sua scrivania “Ma da quando lo ...” “Più o meno un mese, era uno dei giochi che faceva per distrarre Etienne dalla malattia di Renée” negli occhi del giovane passò un leggerissimo velo di tristezza ma le risate provenienti dal corridoio bastarono a cancellare quell'attimo di debolezza “Dovresti raggiungerli Andrè, non lasciarli troppo tempo da soli” “Vi ringrazio signore” “Ora fuori di qui” tornò ad aprire il libro ignorando il sorriso del giovane e quella gioia nel cuore che da un po' rallegrava la sua nuova vita.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** Per sempre con Voi ***


                             Per sempre con Voi








Non aveva mai amato quel posto, l'aria era pesante e le pareti sudice e sporche.
C'era odore di marcio nell'aria e i drappeggi delle tende strappate si muovevano leggere sotto il tocco del vento.
I topi si correvano furtivi nell'ombra seguendo i passi silenziosi di quelle nuove visite tanto attese.
Fece un bel respiro seguendo il padre, la luce fioca delle candele illuminava tremante le loro figure mentre la guardia faceva strada attraverso il buio.
Un piano, un altro ancora fino a quella porta di legno chiusa da un'asse pesante rivestita da gelido ferro “C'è un pericoloso criminale dietro a questa porta?” sussurrò voltandosi appena verso Maxime “È una donna! Che diritto hanno di rinchiuderla qui dentro!” “Il potere è spesso deleterio sorellina, come può un popolo per la maggior parte ignorante avere l'accortezza di trattarla con pietà” “Non è pericolosa, non lo è mai stata” “Lo so” “Solo pochi minuti signore” sussurrò la guardia cercando gli occhi del generale.
Aveva indossato l'alta uniforme di rappresentanza, lo faceva sempre quando visitava la regina, lo sguardo era freddo, carico di disprezzo per quel figlio del popolo che si arrogava il diritto di dare ordini.
Fece un bel respiro e poi posò una mano sulla spalla della figlia tirandola leggermente in avanti “No signor generale, questo non era nei nostri accordi” “La regina ha chiesto di poter vedere mia figlia” “Dovete chiedere il permesso all'assemblea e ..” “Sono un generale dell'esercito di sua maestà! Fino a quando la regina sarà viva e in grado di parlare eseguirò i suoi ordini ragazzino! A costo di dover rivoltare ogni mattone di questo palazzo ed ogni sciocco ignorante improvvisamente diventato essere pensante!” “D'accordo signor generale” balbettò l'altro sollevando l'asse “Chi sono io per negarvi una cosa del genere?” “Appunto” sbottò gelido voltandosi verso sua figlia “Sei pronta?” era nervosa, continuava a mordersi le labbra nel tentativo di allontanare quanta più ansia da sé “Oscar” “Si padre” “Andrà tutto bene bambina” “Grazie” “Ehi” la mano di Maxime si strinse appena attorno alla sua restituendole un po' di pace “Andrà tutto bene” “Non credo sia una buona idea” “Non puoi andare via, ha chiesto di te” “Come posso presentarmi a lei così? Non indosso la divisa, non sono ...” “Sei bellissima” un debole sorriso le sfiorò le labbra mentre si avvicinava alla porta.
Quello non era un posto per una regina, per la sua regina.
Entrò nella cella gelida lasciando alla guardia il compito di chiuderle in quel silenzio pesante che faceva più male di uno sparo.
Era bella come la ricordava, i suoi capelli avevano perso la dolcezza dell'oro e l'incarnato pallido meno curato di prima, poteva leggere la sofferenza in ogni movimento delle labbra, il dolore per aver perso d'improvviso l'amore dei suoi figli, la vita colorata e frivola a cui era abituata ma i suoi occhi, quelli erano sempre gli stessi.
Se ne stava seduta su di una sedia di legno scheggiato, voltata appeno verso l'unica finestra presente, un libro aperto in grembo e gli occhi che scorrevano veloci sulle righe.
Non aveva nemmeno prestato attenzione al rumore della porta, ai passi che rimbombavano sulla pietra.
Si avvicinò a lei cercando di assumere la stessa postura rigida e controllata di quel colonnello orgoglioso che un tempo le era appartenuto “Maestà?” la giovane tremò lasciando cadere il libro “Voi ...” si inchinò a lei portandosi la mano destra al cuore “Vi chiedo perdono altezza” “Non fatelo ve ne prego. Non chiedete perdono, non ne avete bisogno” “Mia regina io vorrei ...” “Non immaginate nemmeno che gioia profonda mi regalate. Temevo non aveste mai accettato di incontrarmi” “Vi ho abbandonato proprio quando avevate più bisogno di me” un bellissimo sorriso sfiorò le labbra di Maria Antonietta mentre posava la mano sul volto di Oscar sollevandolo leggermente “Non potrei mai odiarvi, voi siete l'unica amica che mi sia sempre stata vicina. Avete protetto ogni mio passo, avete sacrificato la vostra vita per proteggermi, per proteggere i miei figli e il re” strinse le mani attorno alle sue costringendola ad alzarsi “Avete scelto l'amore, non potrei mai giudicarvi per questo” “Credetemi altezza, se ne avessi il potere vi porterei via da qui subito” sentì la risata cristallina della giovane invaderle il cuore e il ricordo di quei tempi passati tornò limpido nel cuore.
In quegli occhi di cielo stanchi e sfiniti vedeva di nuovo la sua meravigliosa regina, la bambina innocente arrivata dall'Austria troppo giovane per quel matrimonio, troppo piena di allegria e di vita per quel mondo di serpi mascherati da nobili.
Sedette di fronte a lei stringendosi più forte nel mantello “Non credo che mi permetterebbero di uscire da questa prigione” “Non siete un'assassino né un mostro, con che diritto vi tengono prigioniera qui dentro?” “Non mi sono occupata del mio popolo, non ho ascoltato il loro pianto, merito questo posto ma vorrei solo ...” la voce tremò appena e negli occhi passò veloce il desiderio di piangere ma il contegno regale che fin da piccola le era stato insegnato cancellò di colpo quell'attimo di debolezza “ … vorrei rivedere per un'ultima volta i miei bambini. Solo una volta ancora” Oscar sospirò raccogliendo il libro da terra “Ho cercato di essere una buona madre per loro. Me li hanno strappati via dalle braccia allontanandoli da me ma sento ancora le loro urla, il loro pianto. Li sento mentre gridano il mio nome” “Maestà io non ...” “Vostro padre mi ha raccontato la vostra nuova vita” “Mio padre a volte si fa trasportare un po' troppo” “Lo credete davvero?” domandò divertita cercando gli occhi della ragazza “Non ho visto mio padre per sette anni, credevo mi odiasse per aver scelto una vita semplice e in un certo senso è andata così” “Ma ora si prende cura di voi” sorrise annuendo appena “Vi ho immaginato molte volte così sapete? Mi chiedevo se senza qeull'uniforme avreste sorriso di più, vi immaginavo madre” “E sono simile a quell'immagine?” Maria Antonietta rise divertita stringendosi appena nelle spalle “Sì” “Lo credete davvero?” “Come si chiama vostro figlio?” “Etienne” mormorò confusa da quel cambio improvviso di discorso.
Cancellava il dolore mascherandosi dietro a domande innocenti come se quel mondo buio e pauroso per qualche minuto fosse costretto fuori dalla porta sudicia della sua cella “Etienne, è un bel nome. Vostro padre dice che vi somiglia molto” “I bambini si fanno in due, nella bellezza di mio figlio si legge molto di suo padre” rimase immobile qualche secondo a studiare il volto della sua regina.
Stanca, affranta, senza più forze a cui aggrapparsi eppure, quel sorriso tanto dolce era lì, per lei “Vostro padre vi ama e ama vostro figlio, così come amava vostra figlia” si bloccò di colpo paralizzata dalle parole della giovane “I vostri figli l'hanno cambiato sapete? Ricordo bene il generale che veniva a farci visita. Era un uomo freddo, indurito dal tempo e dalla guerra ma poi ...” si fermò qualche secondo giocando con un tovagliolino profumato “ … d'improvviso, qualcosa è cambiato nei suoi occhi. Suppongo che il cambiamento sia dovuto all'amore dei vostri figli” “Mia figlia ha sempre … lei ...” “So cosa provate. Quando mio figlio è morto credevo d'impazzire, mi svegliavo ogni giorno con le lacrime agli occhi pensando che forse, nella morte avrei trovato più dolce conforto” “Come si riesce a sopravvivere?” sentì le mani di Maria Antonietta stringersi con forza attorno alle proprie “Non ci sono parole per consolare chi ha visto in pochi minuti finire il proprio cuore. Il dolore che provate in questo momento non passerà mai ma con il tempo, imparerete a conviverci” “Come?” domandò tremante intrecciando le dita a quelle della regina, una stretta forte e delicata assieme, una stretta tra due cuori sofferenti che per una vita intera avevano ascoltato l'uno il canto dell'altro.
“Aggrappatevi ai sorrisi di vostro figlio, alla sua voce allegra che vi cerca nel silenzio, aggrappatevi all'amore di Andrè” “Temo di averlo ferito fin troppo” “Oh io credo ci voglia ben altro per convincere quell'uomo a lasciarvi sola. Ho sempre saputo che prima o poi vi avrebbe confessato i propri sentimenti” sembrava tornata una bambina.
Rideva, si confidava con lei senza preoccuparsi molto del proprio aspetto o del luogo, era semplicemente sé stessa e se questo l'avrebbe aiutata a dimenticare anche solo per qualche minuto il male a cui era sottoposta, sarebbe rimasta lì, di fronte a lei con le mani strette alle sue e un bel sorriso sul volto per tutto il tempo che le fosse stato concesso “L'amore che vi univa era lampante. Lo leggevo negli occhi di Andrè ogni volta che vi cercava con lo sguardo, ogni volta che vi parlava” “Non sono mai stata brava con i sentimenti” “Non è mai stata colpa vostra” mormorò la giovane sospirando “Le decisioni dei genitori spesso ricadono sui figli, è stato così per me e lo è stato anche per voi” “Vi siete mai immaginata lontana da Parigi?” ma trattenne il fiato sconvolta dalla propria voce, da quelle parole insolenti che non sarebbero mai nemmeno dovute uscire dalle labbra.
La giovane regina di fronte a lei sorrise stringendo più forte la sua mano “Perché avete paura di parlare con me?” “Perdonatemi io non ...” “In questo momento non sono una regina né una principessa” ma il silenzio la costrinse a continuare “Mi immaginavo in un piccolo paesino perso chissà dove sulle montagne. Una vita normale, in una graziosa casetta con cinque o sei figli e un cane” scosse divertita la testa alzando qualche secondo gli occhi al cielo “Ma sono nata principessa e per tutta la vita mi è stato insegnato che la nobiltà è quanto di più prezioso al mondo, qualcosa che va protetto anche a costo della vita” la porta si aprì e il volto della guardia apparve dal buio “Contessa devo chiedervi di lasciare questa stanza” “Dateci ancora cinque minuti ve ne prego” mormorò tremante Maria Antonietta stringendo più forte la mano di Oscar “Soltanto cinque minuti” “E sia ma non sono disposto ad aspettare oltre!” tornò sui propri passi chiudendo con forza la porta.
L'aria gelida del corridoio entrò veloce colpendo la giovane in volto, un tremito violento percorse le spalle arrivando fino alle mani “State tremando” sussurrò Oscar alzandosi “Non preoccupatevi, sto bene” “No maestà, voi state tremando” tolse il mantello avvolgendolo attorno al corpo esile di quella regina senza più gioia negli occhi.
Il suo sguardo si era spento di colpo, c'erano solo ombre, ombre cariche di rabbia che come cani rognosi le correvano attorno togliendole il respiro “Non hanno nessun diritto di ...” “Non sono … non sono più niente ...” si inginocchiò davanti a lei stringendola per le spalle “Maestà, vi prego guardatemi” quegli occhi meravigliosi si fusero ai suoi e un debolissimo sorriso sfiorò le labbra “Non dovete mai dimenticare cosa rappresentate, voi siete Maria Antonietta regina di Francia, io ho conosciuto la grandezza del vostro cuore, so cosa siete capace di regalare” le sfiorò il volto cancellando una lacrima insolente “Oscar posso chiedevi una cosa?” “Tutto quello che volete” “Posso abbracciarvi?” il respiro accelerò di colpo mentre la vedeva lottare contro la regalità e l'etichetta a cui era abituata.
Non avrebbe mai fatto una domanda tanto personale ma era spaventata e sola “Vedete io so … so che tra pochi giorni mi porteranno via e … so che tra pochi giorni morirò. Sono pronta, posso affrontare la loro rabbia ma voi ... ma se ora voi mi concedete, se voi ...” la strinse più forte tirandola tra le braccia.
Il volto nascosto nell'incavo del suo collo, il respiro spezzato dal pianto mentre si aggrappava a lei.
La stringeva così forte da toglierle il respiro ma non le avrebbe mai negato la dolcezza di quell'attimo passato assieme, lontane dalla paura, dal male, dalle delusioni.
Fece un bel respiro posando la fronte sulla spalla della regina “Mi fate una promessa?” “Qualsiasi cosa mia signora” “Promettetemi che lotterete per vostro figlio, promettetemi che non lo lascerete mai solo, che ..” la staccò dolcemente da sé sollevandole il volto “ … promettetemi che sorriderete Oscar” una lacrima scivolò via dagli occhi costringendola a sorridere. Piangevano come bambine perse nel silenzio, avvolte da un manto di paura che non voleva andarsene.
La porta si aprì di nuovo e la guardia fece il suo ingresso seguito da due uomini.
La regina si alzò di colpo stringendo le mani attorno al braccio della ragazza “Mi dispiace contessa ma devo chiedervi di uscire” “Mi ricorderete?” “Ve lo giuro” la strinse di nuovo tra le braccia nascondendola nel mantello troppo grande per lei “Siete la mia regina, lo sarete sempre e vi giuro altezza che non ...” un singhiozzo spezzò il respiro, le braccia si strinsero più forte costringendole ad unire quei battiti violenti che massacravano il petto “ … non vi dimenticherò mai. Fino a quando avrò la forza di respirare altezza, ricorderò il vostro sorriso e la vostra dolcezza” sentì le mani della guardia sulle spalle, il corpo esile della regina aggrapparsi a lei.
Le era mancata, nonostante gli anni passati nel silenzio la vicinanza della sua regina le era mancata da morire.
In quell'abbraccio era nascosto il rispetto, l'affetto, la complicità di due giovani nate per soddisfare i desideri di genitori forse troppo egoisti.
Due giovani che si erano incontrate a quattordici anni e che per una vita intera erano rimaste la sola certezza l'una dell'altra.
Due giovani che avevano imparato ad amare e a soffrire e che nonostante la distanza imposta dal rango, riuscivano a leggersi nell'anima semplicemente guardandosi negli occhi.
“Vi voglio bene Oscar, vi pregodi ricordarlo sempre” la porta si chiuse allontanando da lei quel volto di perla violato dal pianto, quel sorriso tra le lacrime che lacerava il cuore.
Maxime la tirò leggermente indietro allontanandola dai litigi tra le guardie e il generale “Stai bene?” “Non merita tutto questo” le sfiorò il volto tentando di bloccare quel pianto violento ma più ci provava e più i singhiozzi le rompevano il respiro “Questa cosa la sta uccidendo, lei non può … non può morire” il generale si avvicinò alla figlia posandole sulle spalle il proprio mantello “Vieni bambina, andiamo” sussurrò stringendola tra le braccia.
Maxime li seguì imprimendosi a fuoco quelle parole nel cuore: lei non può morire.
Parole piene di dolore, parole che racchiudevano il desiderio violento di riavere tra le braccia la sua piccola bambina, parole che cercavano una scusa per convivere con il senso di colpa e la paura che a causa sua, una giovane regina condannata ingiustamente, si abbandonasse al tormento permettendo alla purezza dei ricordi di sparire ingoiati di colpo dal buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** Insieme ***


                                            Insieme







“Posso?” si voltò di colpo incontrando il volto sfinito e pallido della ragazza “Che ci fai qui?” domandò confuso chiudendo il baule “Perché non mi hai detto la verità?” “Riguardo a cosa?” “Stai partendo” Maxime sorrise sistemando la camicia “Sono un colonnello di marina contessa, i miei uomini hanno bisogno di me” “E io no?” “Oscar ...” si avvicinò a lei giocando con quei capelli meravigliosi che per troppo tempo aveva avuto vicino “ … sarò sempre qui per te. Tra un'ora, domani, tra cinque anni. Conosci bene la mia vita perché per anni è stata la tua” “Non puoi lasciarmi sola” “Non sei sola, hai tuo figlio e Andrè e nostro padre” “Maxime ...” “Ascolta” la strinse per le spalle costringendola a sollevare lo sguardo “La tua famiglia ha bisogno di te, tuo figlio ha bisogno di ritrovare la madre stupenda e sorridente di un tempo” la sentì sospirare come una bambina troppo a lungo lasciata sola.
Era spaventata, confusa da quell'ennesimo cambiamento che ora intaccava l'equilibrio precario della sua nuova vita “Tu l'avresti mai fatto? Avresti mai lasciato i tuoi uomini da soli?” nel suo sguardo rivide per qualche secondo il colonnello orgoglioso e fiero di un tempo “No non lo faresti mai. Ci rivedremo presto vedrai, il tempo passa veloce” “Non prendermi in giro” rise divertito da quella protesta innocente colorata di tenerezza “Ti voglio bene, un bene tremendo Oscar che a volte va oltre il naturale affetto per una sorella” “Lo so” “Davvero?” domandò stupito ma lei sorrise “Come hai …” “Mio padre” le mani scivolarono via da lei scottate da quella rivelazione improvvisa ma la linea d'aria sicura che li teneva ben distanti uno dall'altra non aumentò.
Le dita di Oscar si strinsero attorno al suo polso inchiodandolo esattamente nella stessa posizione “Devo chiederti una cosa Maxime e ho bisogno che tu sia sincero con me perché ...” “Ti ho mai preso in giro?” “Smettila” le sfiorò il volto costringendola a sorridere “Provi davvero qualcosa per me?” strinse più forte la mano attorno alla sua leggendo in quell'azzurro cristallino la paura di poter sentire dalle sue labbra parole sincere, parole a cui non era preparata.
Fece un bel respiro sollevandole dolcemente il volto “Ho passato una vita intera a spiarti attraverso una breccia nel muro. Sei stata l'unica gioia della mia vita” una lacrima leggera scivolò via dagli occhi della ragazza, una lacrima solitaria e insolente “Ho perso mia madre, mio padre, il mio passato. Il generale mi ha offerto la possibilità di iniziare a vivere di nuovo ma quella figlia dai capelli d'oro e gli occhi d'angelo che teneva nascosta dal mondo mi ha restituito il sorriso. Sei importante per me” “Lo sei diventato anche tu” posò la fronte sulla sua sospirando “Ma non posso ...” “Non ti ho chiesto niente del genere” la sentì tremare confusa da quella tenerezza che fino ad ora le era sembrata terribilmente innocente “Ti odiavo” “Uao” “Ti odiavo da morire perché eri entrato nella mia vita di colpo, ti odiavo perché mio padre provava affetto per te, perché si era preso cura di te per anni senza mai parlarmene” “Non credo di poter sopportare altra dolcezza” “Sono una siocca” la strinse più forte nascondendola in un abbraccio caldo e profumato “Non è vero non lo sei” “E allora cosa sono?” sorrise intrecciando le dita ai suoi capelli “Sei testarda e ostinata e per giunta sei anche molto bella” sentì le braccia della giovane stringersi attorno ai fianchi mentre la dolcezza di quell'attimo si incatenava ai loro giovani cuori.
“Maxime, io non posso ...” “Non voglio costringerti a soffrire né a scegliere perché non hai nulla da scegliere Oscar. Sei innamorata ed è di questo amore che devi prenderti cura” “E il tuo? So cosa si prova, so cosa vuol dire convivere con un sentimento che brucia l'anima notte e giorno, un dolore costante che lacera il cuore nell'indifferenza” si allontanò da lui passandosi una mano in volto “Sono stata innamorata una volta, non credevo potesse accadere a me insomma, non ero abituata a certi sentimenti ma è accaduto” rise camminando nervosamente attorno a lui.
Era agitata, la calma di poco prima era sparita, sostituita da parole pronunciate ad una velocità allarmante perfino per lui “Sei diventato importante per me, sei importante perché sei diventato parte di me ma non posso regalarti me stessa, non posso farlo e sono terrorizzata! Ho paura di ferirti, di costringerti a soffrire perché l'ho passato prima di te, perché fa male e io … Dio! Sono così egoista Maxime, tu mi hai donato il tuo affetto, la tua forza, mi sei rimasto accanto quando Renée è volata in cielo. Ho preso da te ogni cosa e non ti ho restituito nulla!” “D'accordo” esclamò d'improvviso bloccando quel fiume di parole “Prima di tutto devi fermarti perché mi sta girando la testa” lo sguardo ironico della giovane colpì il suo volto scatenando un bellissimo sorriso “Mi sono innamorato di te? È vero. Sei diventata importante? Sì, così tanto da non riuscire a pensare e nient'altro che non sia il tuo sorriso” si fermò qualche secondo divertito da quell'espressione persa a metà tra la stanchezza e l'ironia.
Ora più che mai nei suoi lineamenti rivedeva Renée, le stesse labbra, lo stesso sguardo indeciso e quel modo tremendamente bello che aveva di giocare con i capelli “Ma per il bene di entrambi, questo sentimento acerbo resterà ben lontano da te e dal tuo piccolo mondo sicuro. Sono diventato tuo fratello per impedire a me stesso di desiderarti e forse, inconsciamente l'ho fatto per tenerti al sicuro, per il futuro, per nostro padre” “Oddio” mormorò Oscar coprendosi il volto “Sono così ...” “È un regalo” “Cosa?” “Il mio amore è un regalo e sai perché?” strinse le mani attorno alle sue liberando di nuovo l'azzurro del cielo “Ti regalo amore perché ti amo, non perché mi aspetto che tu lo ricambi. Se lo facessi pretendendo i tuoi sorrisi, la tua gioia, i tuoi baci sarei uno sciocco perché passerei tutta la vita ad aspettare soffrendo ma ...” le diede un bacio in fronte sistemandole il nodo della camicia “ … se ti regalo questo sentimento senza pretendere nulla il cuore trema d'emozione, ti sento vicina a me e con il tempo questo sentimento diventerà più forte, un legame nuovo per me, per te ...” sollevò una mano seguendo con le dita quei lineamenti di porcellana “ … la mia folle e bellissima sorella” Oscar sospirò studiando per qualche secondo il volto del ragazzo “Lo pensi sul serio?” “Se non avessi la certezza di lasciarti al sicuro con l'uomo che desideri davvero probabimente ti risponderei di no” “Grazie” e in quel cielo immenso apparve per la prima volta la piccola Oscar che in passato l'aveva incantato.
L'avrebbe lasciata andare, l'avrebbe fatto per il suo bene, perché ne era innamorato e non le avrebbe permesso di distruggere sé stessa con domande sciocche e inutili.
Comprendeva il dolore nascosto dietro alle sue parole, la confusione, le lacrime trattenute.
Avrebbe continuato a donarle il proprio cuore, il proprio amore e con il tempo avrebbe trasformato il desiderio in protezione, il sentimento in orgoglio fraterno.
Quegli occhi l'avrebbero accompagnato ovunque e ogni notte si sarebbe fermato a spiare la luna pregando affinché la sua meravigliosa sorella fosse al sicuro, cullato dalla certezza che se avesse avuto bisogno di lui l'avrebbe raggiunta ovunque, perfino in capo al mondo perché era questo che l'aveva preparato il generale.
“Tornerai presto?” “Prima di quanto immagini” le fece l'occhiolino scompigliandole i capelli “Non temere, sarai la prima persona che verrò a cercare” la giovane annuì distratta aiutandolo a sistemare ogni laccio d'oro della divisa “Siete piuttosto attraente duca” “Trovi?” ribatté divertito chiudendo il colletto “Si, devo ammettere che mi piaccio” ma lei sbuffò alzando gli occhi al cielo “Scusatemi” mormorò Lisette raggiungendoli.
Stringeva tra le mani un foglio arrotlato elegantemente chiuso da un nastro rosso “Ma che ...” “Vostro padre vi ricorda come sempre i vostri compiti” “Compiti?” “Nostro padre crede ancora che io sia un bambino” sbottò prendendo il foglio tra le mani “La carrozza è pronta?” “Si signore, Maurice ha già caricato i vostri bauli. Se qui avete finito do ordine affinché lo portino di sotto” Maxime annuì deciso prendendo per mano la giovane “Andiamo, accompagnami di sotto” “Non ho molta voglia di ...” “Mi fai una promessa?” si voltò appena cercando i suoi occhi “Mi prometti che sorriderai?” “Che sciocchezza” “Sei uguale a tuo padre lo sai si?” “Siete fastidioso duca” “Tu promettimelo e basta d'accordo?” “Perché?” “Perché ho fatto una promessa a mio nipote e la mia promessa dipende dalla tua quindi ti prego, fammi contento” ci mise qualche secondo a rispondere, divertita da quel cambio improvviso di discorso restava immobile ad osservare un volto meraviglioso illuminato da un sorriso enorme “Te lo prometto” “Meno male” sussurrò l'altro tornando a camminare affianco a lei, la mano stretta alla sua e i cuori uniti in quell'abbraccio forte ora più fraterno che mai.





Non le piacevano mai gli addii, non amava restare sospesa nell'attesa.
Fece un bel respiro spingendo leggermente la porta, André sorrise sollevando gli occhi dal libro.
Se ne stava seduto sul tappeto di fronte al camino con Etienne tra le braccia e un mare di cuscini attorno “Lo zio è già arrivato?” si avvicinò a loro sedendo accanto al ragazzo “Non ancora, ci vuole ancora un po' di tempo” “Ma tornerà vero?” “Certo che tornerà” Etienne sollevò il volto incontrando il sorriso del padre “Ti ha fatto una promessa no?” lasciò un bacio sulla fronte del bambino stringendolo più forte tra le braccia “Come stai?” ci mise qualche minuto a capire che quella domanda era rivolta a lei e non a suo figlio “Oscar?” “Scusami, stavo pensando a ...” “Al duca?” “No” ribatté ironica giocando con un cuscino“Pensavo che forse è ora di tornare a casa” “Cosa?” Etienne rise scivolando via dalle gambe del padre “Davvero mamma? Torniamo a casa?” “Ne sei felice?” “Il nonno viene con noi vero?” lo sguardo di Andrè si fuse al suo per qualche secondo togliendole il respiro “No piccolo mio, il generale ha delle cose importanti da fare ma verrà a trovarci presto” “Tua madre ha ragione giovanotto” il bambino si voltò verso la porta incontrando lo sguardo del nonno “Verrò a trovarti molto presto” “Lo promettete?” l'uomo annuì deciso tendendo una mano verso Etienne “Vieni, c'è una cosa che voglio mostrarti” “Vai pure amore mio” un debole sorriso, un bacio e poi di nuovo il silenzio e gli occhi di Andrè su di lei.
Lasciò andare il cuscino permettendogli di intrappolarla in un abbraccio carico di dolcezza.
Si strinse a lui nascondendo il volto sul suo petto come una bambina indifesa “Ne sei sicura? Se hai bisogno di tempo per ...” “Ho bisogno di restare sola con voi” “Potrei tornare a casa e spostare … per spostare i giochi di Renée e la sua camera” la voce tremò mentre cercava in tutti i modi di trattenere il pianto.
Le braccia si chiusero più forte attorno al corpo esile e delicato costringendola a sorridere “Non voglio vederti lottare contro la sua assenza. Posso sistemare ogni cosa e ...” “Non importa, possiamo farlo assieme” “No, no non possiamo, non posso lasciarti ...” “Andrè” un dito sulle labbra del ragazzo mentre il verde del mare si fondeva al cielo “Ho bisogno dei suoi giochi, ho bisogno di dirle addio e non posso farlo se mi nascondi continuamente” posò la fronte sulla sua chiudendo gli occhi mentre un bacio leggero univa le labbra.
Un bacio diverso, dolce, delicato, lontano dalla rabbia e dalla paura che fino ad ora li aveva uniti gettandoli in un limbo di emozioni che non avevano mai chiesto.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Dolcissimo Segreto ***


                                            Dolcissimo Segreto








Passerà in fretta e prima di quanto immagini sarò di nuovo a casa … risentiva la voce di Maxime nelle orecchie ogni ora di ogni dannato giorno.
Erano passati due anni da quell'ultimo abbraccio ma nonostante il tempo trascorso lontani, le lettere di suo fratello erano un balsamo delicato per le ferite del cuore.
Maxime era diventato il suo confidente, suo fratello, l'unico uomo eccetto suo padre ad avere il permesso di toccarle l'anima.
L'amore che provava per Andrè la costringeva a respirare ma a volte, quando la notte diventava più cupa e i silenzi tornavano a galla, il volto di suo fratello appariva davanti agli occhi.
Dopotutto suo padre aveva ragione, ci sono luoghi dell'anima dove non è consentito l'ingresso all'amore perché ogni persona ha diritto ad avere piccolissimi spazi segreti dove custodire pensieri e paure, dove poter conversare con sé stessi e con la propria famiglia “Dove potevo trovarti se non qui?” sorrise senza nemmeno voltarsi “Etienne ti sta cercando” mormorò il giovane raggiungendola “Si chiede come mai sua madre stia ritardando l'uscita a cavallo” “Perché tuo figlio non vuole finire la composizione di latino” posò sulla terra un mazzo di rose bianche come la neve e un debole sorriso le sfiorò le labbra mentre con le dita, seguiva il contorno della croce di pietra che avrebbe custodito per l'eternità il riposo della sua dolcissima bambina.
Il sole era caldo e il vento sfiorava i rami degli alberi creando musica leggera.
Era seduta davanti a quella croce da ore ormai, spesso restava lì a parlare con Renée, a raccontarle la vita come se in realtà l'avesse davanti “Pensi mai a come sarebbe la nostra vita se ...” “Sempre” la strinse per mano aiutandola a rialzarsi “La immagino mentre corre disobbedendomi, mentre prende di nascosto il cavallo scappando e poi l'espressione innocente nei suoi occhi quando arrabbiato l'avrei sgridata” Oscar rise lasciandosi guidare lungo la stradina piena di fiori “Non vuoi dirmi cosa ti preoccupa?” “Niente” “Ed è lo stesso niente che ti tiene sveglia la notte? Tornerà presto vedrai” la giovane sospirò stringendosi più forte a lui “Doveva tornare tre mesi fa” “Ci vuole tempo amore mio, dovresti saperlo meglio di chiunque altro non trovi?” “Andrè ...” si voltò verso di lui inclinando leggermente la testa, i capelli scivolarono via dal collo costringendolo a sorridere “ … non voglio che questo ti infastidisca” “Sei impazzita?” “Lo considero mio fratello, solo questo e non vorrei mai ...” “Oscar” le sollevò il volto seguendo con le dita il contorno delle labbra “Non mi infastidisce sentirti parlare di lui, né lo fanno le domande tenere e folli che ogni tanto sbucano dal silenzio” lasciò un bacio sul collo della ragazza ascoltando quelle domande silenziose che esplodevano nel suo sguardo “È vero, all'inizio devo ammettere che il mio unico pensiero era ucciderlo” “State attento soldato, confessare queste cose può mettervi nei guai” sussurrò divertita “Correrò questo rischio colonnello. Altrimenti come potrei confessarvi che ho accettato la presenza di vostro fratello nella nostra vita?” “Davvero?” annuì appena baciandola di nuovo “La mia bambina amava suo zio. Ripeteva sempre che era divertente, che riusciva a rompere il silenzio freddo che il generale aveva portato alla locanda. Se il mio angelo aveva accettato la sua presenza, chi sono io per negargli un po' di fiducia?” “Avrebbe sette anni ora” strinse più forte le braccia attorno alla giovane nascondendola a quella brezza leggera.
Tornare a vivere in quella casa era stato difficile, più difficile di quanto immaginasse, Etienne correva continuamente a cercare sua sorella, Oscar mangiava a fatica e per quanti sforzi facesse, quell'assenza così pesante aveva su di lei un'effetto terribile.
Qualcosa di diverso e sconosciuto che l'aveva trasformata in una giovane diversa da quella che aveva ritrovato a Parigi.
Spesso si era chiesto se trascinarla via da suo padre, da quell'uomo che d'improvviso era diventato anche fratello non fosse stato un'errore ma con il tempo, la sua bellissima compagna era tornata a fiorire di nuovo proprio come quelle rose meravigliose che sua madre aveva fatto piantare apposta per lei “A quest'ora sarebbe una bellissima bambina di sette anni con gli occhi grandi e i capelli lunghi colorati di sole. Una bambola dal volto di porcellana che avrebbe incontrato i giovani svampiti molto tardi” “Io ti ho incontrato a cinque anni” “Per questo mia figlia non avrebbe incontrato nessuno prima dei venti” le diede un bacio perdendosi qualche secondo nella dolcezza dei suoi occhi “Mamma” Etienne corse verso di loro reggendo tra le mani il fodero della spada.
Due anni le erano sembrati un'eternità ma ogni volta che guardava suo figlio, si rendeva conto che in realtà due anni erano passati veloci quanto un battito di ciglia.
Era cresciuto così tanto, il volto più fine, i capelli più lunghi ordinatamente legati dietro alla nuca, l'incarnato chiaro e uno sguardo furbo e intelligente a decorargli il volto.
Etienne assomigliava a suo nonno più di quanto avesse mai immaginato, aveva lo stesso portamento fiero e orgoglioso, lo stesso modo di muovere le mani, lo stesso passo forte e regolare.
Si fermò a pochi passi da lei portandosi le mani dietro alla schiena “Sono pronto, andiamo a cavallo?” “Hai finito la tua composizione?” “Quasi” “Allora io sono quasi pronta per andare a cavallo” Andrè rise divertito dall'espressione del figlio “Ti ho chiesto di finire i tuoi esercizi” “Li ho finiti” “No, li hai quasi finiti” Etienne sorrise avvicinandosi di un passo a sua madre “Quasi è a metà tra del tutto e niente, quindi direi che sono a metà strada” “Uao, devo ammettere che questa è una gran bella risposta Oscar” “Ricordami di impedire a mio padre di mandargli consigli per lo studio” sussurrò voltandosi appena verso di lui “Non gli fa bene” “Sono sconvolto, nostro figlio è terribilmente furbo” il bambino scoppiò a ridere abbracciando la giovane ma il suono il degli zoccoli sul selciato attirò il suo sguardo.
C'era una bellissima carrozza tirata da quattro meravigliosi cavalli neri come la notte.
Sulla fiancata vi era dipinto uno stemma dai bordi dorati e le tendine nascondevano accuratamente i passeggieri.
Si avvicinava lenta fiancheggiando lo steccato fino all'ingresso del giardino “Nonno?” domandò confuso il bambino portandosi una mano alla fronte per riuscire a vedere meglio “Mamma, è lui?” il cocchiere smontò chinando leggermente il capo verso di loro, la porta si aprì e un uomo in divisa ne scese stringendo il cappello con la mano sinistra “Nonno!” urlò Etienne correndogli incontro “Sei cresciuto giovanotto” esclamò orgoglioso “Se diventi alto ancora un po' non riuscirò più a prenderti in braccio” lo strinse più forte sollevandolo da terra “Allora, come stai?” “Bene signor generale” “Hai studiato?” “Quasi” “Quasi?” ribattè incuriosito posando il cappello sulla testa di Etienne “Devo finire la composizione” “Allora non dovresti essere qui fuori, studiare è importante, ti farà diventare un uomo intelligente ed educato” “Anche il gioco?” “Si giovanotto, anche il gioco ma c'è una differenza” “E quale?” domandò confuso “Il volto di tua madre” Oscar rise fermandosi a pochi passi dal padre “Come state?” Andrè prese il figlio permettendo al generale di abbracciare la ragazza.
Le era mancata, le mancava ogni volta che la lasciava, ogni volta che ripartiva disturbato dalla distanza.
La staccò dolcemente da sé sfiorandole con le labbra la fronte “Hai perso peso” “Possiamo solo passare qualche giorno assieme senza queste osservazioni?” “Ho mai preso ordini da te?” ribatté ironico ma lei sorrise “Andrè” il giovane chinò leggermente il capo stringendo la mano tesa verso di lui “Hai una risposta per caso?” “Per cosa signore?” “Per il calo di peso di mia figlia” “Padre” “Se continui a perdere peso finirai per scomparire e vorrei avere attorno mia figlia ancora per un po'” “Allora smettetela di parlarne” “Meno sarcasmo e più concretezza bambina” “Perché siete così ...” “Perché ho un regalo per te” “Per me?” il generale rise posando le mani sulle spalle del nipote “Non capisco cosa vi succede, siete così strano e non ...” le parole morirono in gola mentre gli occhi si perdevano su qualcosa oltre le spalle del padre.
C'era un uomo accanto al cocchiere, un uomo elegante nascosto da abiti militari.
Il mantello color della notte, agganciato sul petto da finimenti dorati abilmente intrecciati tra loro, l'abito di prezioso tessuto scuro intarsiato da ricami delicati e una croce d'argento appuntata sul petto,
Era una figura elegante e fiera nascosta da quella maschera che tante volte in passato aveva indossato ma quel sorriso l'avrebbe riconosciuto ovunque “Padre voi ...” “Visto che per riuscire a vederti devo attraversare il mondo, ho portato il mio regalo fino a qui” ma la giovane non l'ascoltava nemmeno più, correva verso quel fratello tanto amato che l'aspettava a braccia aperte senza curarsi delle parole del padre.
Andrè prese per mano il figlio seguendo quella corsa folle, poi la risata cristallina di Oscar mentre il giovane la stringeva tra le braccia “Dio quanto mi sei mancata” “Dovrei smettere di parlare con te” “Oh andiamo! Avevo cose da fare” esclamò divertito sollevandola da terra “Come stai?” “E tu?” rise divertito da quella domanda innocente mascherata dietro ad un finto velo di rabbia “Ora sto bene contessa” Oscar sospirò staccandosi qualche secondo da lui, le sfiorava il volto giocando con i suoi capelli, lo stesso gesto innocente che molte volte li aveva uniti assieme “Cos'hai fatto?” “Io?” “Sorellina mia, tu hai combinato qualcosa” “E tu?” “Io ho trovato l'amore” “Stai scherzando?” Maxime scosse la testa ridendo “Una bellissima dama dagli occhi scuri come la notte. Nostro padre ne è entusiasto” “Per questo profumi di lillà?” “Divertente” ribatté ironico “Stavo pensando di presentarle la mia dolcissima sorella, temo tuttavia di vederla scappare ad una velocità improponibile sconvolta dal tuo dolce caratterino” “Dovresti essere grato al cielo per tua sorella” la mano del ragazzo si posò dolcemente sul suo volto sollevandolo appena “Sono grato al cielo per averti vicino Oscar, ti ho promesso che mi sarei preso cura di te, che avrei nascosto il sentimento che mi lega a te e giuro su quanto ho di più caro al mondo che lo farò” posò un bacio sulla fronte della ragazza perdendosi nel profumo delicato della sua pelle “Ti resterò accanto sorellina mia come un fratello orgoglioso. Ho promesso a me stesso e a nostro padre che ti avrei difesa dal mondo e se per farlo devo sposarmi o amare chiunque il cielo mi metta davanti allora lo farò Oscar” restava immobile così ad osservarla come un bambino incantato da un gioco nuovo e prezioso.
I suoi occhi erano pieni di tenerezza ma quell'azzurro meraviglioso sfumato di mare, custodiva un segreto innocente che tentava di nascondere con tutte le forze eppure era lì, chiaro e lampante davanti a lui.
Il cuore accelerò appena e un bel sorriso gli colorò le labbra “Che c'è?” domandò confusa “Non lo so dimmelo tu” “Io?” “Hai mai smesso di mangiare da quando ti ho lasciata?” “Siete impazziti tutti e due per caso? Il generale crede di vedermi dimagrita, tu mi vedi più ...” "Credi sia uno sciocco Oscar? Ti ho stretto tra le braccia poco fa e c'è qualcosa di diverso in te” “Sono uguale a prima” “Si certo e io sono entrato in convento e ho preso i voti, mi vedi così ora perché sono in missione” “Non sei divertente” ma il sorriso che le colorava il volto era così bello e innocente da costringerlo a continuare “Nostro padre è solo un po' agitato, sono mesi che non ti vede” “Tu no?” “Io so cosa nascondi” la vide tremare, tentare con ogni forza di nascondere quella leggerissima esitazione dietro alla normalità “Oh certo, devo ammettere che sei molto brava a mascherarlo. La camicia più larga, un bel sorriso per nascondere le mille domande” “Un sorriso non vuol dire niente” “Se tu sorridi sorellina, lo sguardo di chi hai di fronte è attratto da quegli occhi meravigliosi e tutte le domande scompaiono. Ecco perché sei brava a nascondere le cose, non che ci sia ancora molto da nascondere, devo ammettere che hai iniziato presto a dire bugie ma se credi di prendermi in giro stai sbagliando” "Andrè non è così fastidioso, ti ho vicino da cinque minuti appena e ho già voglia di prenderti a pugni" "Andrè è troppo impegnato a tentare di capire cosa ti passa per la testa per accorgersi che c'è qualcosa di diverso in te" “Maxime non sei ...” “Sei bellissima lo sai?” “Non lo ero anche prima?” “Si ma la bellezza di cui parlo è fiorita da poco. C'è una luce diversa nei tuoi occhi, una luce che ho visto molte volte negli sguardi delle giovani dame ma che in te è speciale” “Forse è colpa di Renée, è qualche giorno che si diverte ad entrare nei miei sogni” l'altro annuì continuando a studiare il suo volto “Ho imparato a convivere con la sua assenza, a volte fa male, altre invece mi sembra di averla ancora davanti agli occhi. È come se fosse qui, assieme a me e non riesco ad accettare l'idea che sia solo pensiero ormai” “Non è una cosa sbagliata” “Lo so” “Per questo ti senti in colpa?” la risata di Etienne attirò gli sguardi di entrambi.
Se ne stava al sicuro tra le braccia di Andrè mentre suo nonno parlava con entrambi raccontando chissà quali storie.
Lontani da loro, rispettosi di quella distanza innocente creata apposta per due fratelli ormai ritrovati “Non è qualcosa per cui sentirsi in colpa” “Lo so Maxime è solo ...” “Oscar” lo sguardo si fuse al suo e le parole morirono in gola “Non aspettare troppo tempo, non negargli il piacere di immaginare il futuro” “Dio si è preso mia figlia Maxime, ha tolto ad entrambi la voglia di immaginare” “Eppure sei qui, tuo figlio diventa ogni giorno più grande, tuo padre ha fatto pace con sé stesso e con il mondo” “Lui cerca di cambiare il mio mondo” rise divertito giocando con il suo sguardo “Cerca sempre di cambiare il nostro mondo insomma, pretende che io mi sposi seguendo le sue regole e poi si arrabbia quando sono troppo rigido sulle direttive per il fidanzamento. È fatto così, come puoi pretendere di averlo diverso?” “Non lo voglio diverso, lo voglio solo un po' meno sé stesso” “Non ha senso lo sai?” “Vuoi litigare davvero?” scosse la testa prendendola a braccetto “Andiamo, hai un segreto da condividere” “E se non fosse ...” “Il momento giusto? Non esiste un momento giusto sorellina, quel Dio tanto crudele che odi da morire ti sta regalando una cosa meravigliosa” la vide sospirare indecisa, stringeva con forza la mano attorno alla sua mentre si lasciava guidare verso due uomini sorridenti “Non buttarla via Oscar, non è giusto né per te né per lui e nemmeno per noi” “Non voglio soffrire di nuovo, non voglio vedere un'altra volta ...” “Non è scritto da nessuna parte che il futuro sia uguale al passato. Guarda Etienne, è sano e forte, non c'è niente di sbagliato in questo. Lascia che sia speciale per entrambi, se lo merita Oscar, ha sofferto abbastanza non credi?” un debolissimo si usci dalle labbra poi la voce allegra di suo figlio e il braccio del padre attorno alle spalle “Eccoli qui i miei giovani eredi” “A volte dimenticate che ho cinque sorelle” mormorò ironica prendendo tra le braccia il figlio “Le tue sorelle non sono mai state uguali a te bambina” “Ecco vedi? Questo sì che è amore paterno” esclamò divertito Maxime stringendo la mano di Andrè “È un piacere rivedervi duca” “Il piacere è tutto mio Andrè e ti prego d'ora in avanti di chiamarmi per nome, non mi sono mai piaciute queste sciocche regole” il generale tossicchiò stringendo più forte la mano attorno alla spalla della figlia “Oh andiamo padre! Ho un nome, perché non posso avere il piacere di sentirlo pronunciare dalle labbra di chi considero amico?” “D'accordo, ma solo perché questo è un lieto evento” “Che cosa nonno?” “Ritrovare tua madre” Oscar sorrise scostando dagli occhi del figlio una ciocca ribelle “E resterai con noi per un po'?” “Cosa ne dice la contessa?” domandò divertito cercando gli occhi della ragazza “Siete contenta di avere vostro padre attorno per qualche giorno?” “Promettete di trattarmi da adulta?” “Inizi ad esagerare, ho acconsentito all'uso del nome, non alla sfacciataggine” “Potete restare padre, una settimana, un mese, un anno. Restate tutto il tempo che volete” le sorrise tornando a fissare orgoglioso il volto del nipote “Mi avrai attorno per un po' giovanotto” “Davvero?” esclamò estasiato Etienne “Davvero nonno? Resterai con me per un po'?” “Almeno così tua madre avrà la certezza che le composizioni di latino le farai per intero” esclamò divertito Maxime scompigliandogli i capelli “Resti anche tu zio?” Andrè rise divertito da quelle domande innocenti “Certo tesoro ma ...” tolse il bambino dalle braccia di Oscar sollevandolo per qualche secondo verso il cielo “ … solo se mi fai una promessa” Etienne scoppiò a ridere aggrappandosi alle braccia di Maxime “Quale?” “È un segreto, non è così Oscar?” la giovane sospirò alzando leggermente gli occhi al cielo “D'accordo, che ne dite ora di andare tutti insieme a bere un buonissimo té caldo?” esclamò Andrè, il generale annuì sorridente e così fece anche Maxime “Andiamo?” “Posso … posso parlarti un secondo?” mormorò Oscar prendendo per mano il giovane “Che c'è amore mio? Non stai bene?” “Avrei solo bisogno di parlare con te per qualche minuto” “Ma di che ...” “Venite padre, lasciamo i nostri giovani innamorati assieme” esclamò Maxime prendendo a braccetto il padre “Se la mia bambina non sta bene ho il diritto e il dovere di prendermi cura di lei ragazzo” “La vostra bambina ormai è una donna adulta” “Credi che non lo sappia?” ma l'altro sorrise stringendo più forte il bambino tra le braccia “Certo che lo sapete, a volte però faticate a lasciarla andare” attraversarono il giardino fino alla porta di casa.
Etienne corse in cucina seguito dal generale, Maxime sorrise restando immobile qualche secondo con la mano sulla porta e gli occhi persi su quella giovane dal volto d'angelo, la vide stringersi qualche secondo nelle spalle, immobile, tremante come se quel segreto innocente assomigliasse ad un colpo di pistola in grado di uccidere.
Andrè di fronte a lei la osservava confuso, spaventato dalla sua voce, da quel modo tanto insolito di nascondersi ai suoi occhi poi un sorriso enorme sul volto, le braccia strette attorno a lei così forte da toglierle il respiro e la risata cristallina di sua sorella a spezzare il silenzio.
Niente e nessuno al mondo avrebbe interrotto la dolcezza di quell'attimo, l'aveva promesso a sé stesso e cascasse il mondo avrebbe mantenuto quella promessa anche a costo della vita.
Durante quei lunghi mesi passati lontani aveva combattutto contro il suo ricordo, contro il suo profumo lasciandola oltre il confine sicuro delle emozioni.
Si era preoccupato per lei, le lettere del generale arrivavano puntuali e non era la stessa Oscar di sempre a vivere nelle sue parole ma ora, davanti ad un angelo sorridente strette tra le braccia dell'amore, ogni preoccupazione cadeva al suolo frantumandosi in mille pezzi.
Nella sua risata ritrovava la stessa ragazza che fin da bambino l'aveva accompagnato e per quella giovane avrebbe affrontato il mondo intero.
Chinò leggermente il capo verso di lei e sorridendo si chiuse la porta alle spalle chiudendoli fuori dal mondo, in un abbraccio caldo pieno di speranza, la stessa speranza che aveva costretto quel giovane cuore a ritrovare la forza di vivere per qualcuno di tanto piccolo da sembrare solo sogno, qualcuno che respirava solo grazie a lei e che in lei avrebbe trovato il porto sicuro dove rifugiarsi cullato da quegli occhi meravigliosi che per tutta la vita avrebbe avuto accanto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3324810