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Lista capitoli: Capitolo 1: *** I - Non c'è posta la domenica *** Capitolo 2: *** II - Il Fattore Potter *** Capitolo 3: *** III - Per Aspera ad Astra *** Capitolo 4: *** IV - Fortuna e Gloria *** Capitolo 5: *** V - Parenti Serpenti *** Capitolo 6: *** VI - Pottergirl *** Capitolo 7: *** VII - Storie di Mezzanotte *** Capitolo 8: *** VIII - Maelstrom *** Capitolo 9: *** IX - Senza colpo ferire *** Capitolo 10: *** X - La prima prova *** Capitolo 11: *** XI - Il Canto della Sirena *** Capitolo 12: *** XII - Le colpe dei Padri *** Capitolo 13: *** XIII - Il lavoro del diavolo *** Capitolo 14: *** XIV - Nodi gordiani e pettini di corno. ***
Lasciate che vi prenda per mano e vi racconti una storia.
Di nuovo.
Ancora e sempre, grazie di tutto.
I
Non c’è posta la domenica
“I'll come to you tonight, dear, when it's late,
you will not see me; you may feel a chill.
I'll wait until you sleep, then take my fill,
and that will be your future on a plate.
They'll call it chance, or luck, or call it Fate”.
- Neil Gaiman -
Tutto ciò che Maggie desiderava era riuscire a fare una magia. A cinque anni girava per le strade del quartiere con un ciuffetto impazzito di capelli biondo scuro che spuntava dal cappuccio della felpa e trascinando un carrellino di plastica blu con sopra un coniglio di peluche. Si era messa in testa di farlo scomparire: si sbracciava in complicatissimi arabeschi con le braccia e improbabili formule inventate che finivano quasi tutte in -boo.
A undici era una ragazzina graziosa, dalle guance rosa, che aveva preso quasitutto dalla madre, Melinda, di professione impiegata alla Biblioteca locale. I suoi capelli erano più scuri, il suo coniglio di peluche più sbiadito e la sua passione più fervente che mai. Suo padre aveva brontolato parecchio: si era imbronciato, e aveva detto una delle parole censurate. La fissazione di Maggie per la magia - una novità assoluta per la famiglia del padre, che aveva sempre considerato certi argomenti alla stregua di autentiche baggianate - sembrava inestirpabile. Melinda, da buona madre dotata di senso pratico, aveva liquidato la faccenda definendola un’infatuazione infantile, fingendo di non notare l’espressione perplessa e un po’ angosciata del marito.
Nessuno aveva mai pensato che la passione di Maggie per certi argomenti potesse nascere da qualcosa di diverso: né sua madre, che del resto non credeva in certe cose, né suo padre, nonostante la ruga in mezzo agli occhi che appariva ogni volta che si verificava qualche fenomeno insolito in presenza della bambina. Nessuno ci aveva mai pensato, neppure la nonna: non prima del suo undicesimo compleanno, comunque.
Il giorno in questione cadeva in agosto e, quell’anno, era una domenica. Per l’occasione, il giardino della villetta era stato addobbato con graziosi festoni colorati e composizioni di palloncini gialli. Poiché tutto era stato approntato la notte prima, non appena la bambina era andata a letto, grande era stato lo stupore di entrambi i genitori nel vedere, quella mattina, gruppi di palloncini penzolare, mezzo sgonfi, a ridosso del muro di cinta, e i festoni cosparsi di macchie biancastre.
«Dudley» Melinda aveva chiamato il marito che, basito, osservava la scena senza proferire parola.
Dudley aveva sporto il labbro in avanti, corrugando le sopracciglia. «Mindy? Sto sognando, vero?»
«Ci vorrà tutta la mattina per sistemare questo pasticcio. Che cosa sono queste chiazze» si era lamentata, prendendo una delle strisce di carta crespa, «è piovuto fango, stanotte?»
«Temo di no». Dudley aveva sbattuto le palpebre. «Posala. Credo che abbiamo un problema».
Melinda aveva arricciato le labbra. «Certo che lo abbiamo. Tra due ore tua figlia si sveglierà e tutto quello che avrà saranno palloncini flosci e… Cos’è questo schifo?» Aveva annusato la macchia da vicino. «Bleah, sembra… »
«Èguano. Di volatile». Dudley era molto pallido. Aveva sollevato una mano, indicando un punto impreciso davanti alla casa. «Guarda un po’ là».
Mindy aveva visto la schiera di gufi e civette appollaiati sui fili della luce.
«È uno scherzo. Dimmi che è uno scherzo grottesco dei tuoi parenti matti».
Dudley salì le scale, facendole tremare, e aprì la porta della stanza di Maggie. Schiuse leggermente l’anta della finestra per far entrare un po’ di luce.
«No, no, no» borbottò, pregando tra sé qualche divinità dal nome sconosciuto. Chiunque fosse, non doveva essere in ascolto: mentre tornava verso il letto, Dudley inciampò in qualcosa che produsse un crepitio fastidioso. Istintivamente, abbassò lo sguardo: ai suoi piedi, c’era una montagna di buste, tutte ugualmente spesse e chiuse con un sigillo di ceralacca rosso vivo, indirizzate a Margaret Dianna Dursley, numero cinque di Broad Oaks, Tolworth, Surrey.
Afferrò con le braccia malferme il cumulo di lettere. «È un sogno» ripeté a se stesso. «Ora cadrò dalle scale e mi sveglierò nel mio letto».
Tuttavia, quando ebbe sceso la rampa di gradini ancora illeso, trovò Melinda comodamente seduta in poltrona, che sembrava più che intenzionata a escludere ogni veridicità dell’ipotesi onirica. «Cosa sono quelle?»
Dudley fece spallucce. «Lettere, mi sembra evidente».
«Ma non c’è posta la domenica».
Lui sospirò. «Credo di doverti dire una cosa. Ma devi ascoltarmi molto, molto bene».
***
«Squilla il telefono».
Lily alzò la testa dal suo libro di Trasfigurazione e aggrottò le sopracciglia. «Ho sentito, Jamie. Va’ a rispondere» sbottò, rivolta a suo fratello maggiore, ch’era sdraiato sul divano e sfogliava oziosamente una rivista sul Quidditch.
«Nessuno ci chiama mai con quell’affare. Vorrei proprio sapere chi è». Albus, il secondo dei nati Potter, si stropicciò la faccia, prima di rimettersi gli occhiali.
«Guarda che l’invito vale anche per te, Al» ribadì la ragazza.
James sbuffò, facendole il verso. In corridoio, l’apparecchio smise di suonare. «Ecco» allargò le braccia con fare melodrammatico, «abbiamo perso la telefonata più importante nonché l’unica degli ultimi due anni e tutto per colpa tua».
Albus sfoderò un sorrisetto. Dei tre, era quello che somigliava di più al padre: James, a detta di tutti, aveva preso dal nonno. Lily, con la lunga chioma rosso fiammante e gli occhi verdissimi, era un fiero miscuglio delle famiglie di entrambi i genitori. Della madre, soprattutto, possedeva l’inclinazione a perdere in fretta la pazienza. «Io sto studiando» disse infatti, con un tono che, nelle intenzioni, non ammetteva repliche.
James le dedicò una smorfia. «Secchiona» la canzonò.
«Divertente. Quanti anni hai, sette?»
«Ne ho due più di te, cocca di papà».
«Oh, sì, ti prego» ribatté lei, scattando in piedi. «Continua. Mostra a tutti quanto sei maturo».
«Piantatela tutti e due» intervenne Albus. «Il telefono sta squillando di nuovo».
James liquidò la faccenda con un’alzata di spalle.
Lily sbuffò, chiudendo il libro che aveva ancora in mano. «Non vi scomodate! Vado io».
Raggiunse l’anticamera. Il numero dodici di Grimmauld Place era un luogo assai più soleggiato di com’era stato un tempo. Lily ricordava qualcosa dalle vecchie foto nell’album dei suoi genitori: lì, la luce sembrava molto meno forte, e la casa molto più vecchia.
Il telefono, comunque, non c’era. Non che fosse necessariamente un male, pensò, alzando la cornetta.
«Pronto?»
All’altro capo del filo, qualcuno tossì. «Lily Luna?»
Lei aggrottò la fronte. C’erano poche persone che la chiamavano con il suo nome completo: sua madre, quand’era molto arrabbiata, qualche insegnante. E la prozia Petunia, che era l’unica a usare il telefono.
«Zia Petunia?» tirò a indovinare. Di solito, quella telefonava solo per le feste comandate, lasciando al figlio il compito di comunicare nelle altre occasioni i suoi saluti.
Un altro colpo di tosse. «Sì, sono io. Tuo padre è in casa?»
Il telefono gracchiò e cominciò ad emettere strani suoni. C’erano troppi maghi in quella casa perché funzionasse senza intoppi.
«No. Posso fare qualcosa per te?» chiese Lily, ignorando le interferenze.
«Non saprei proprio». La donna sembrava confusa, un aggettivo che Lily difficilmente avrebbe usato per descriverla, in condizioni normali. Nelle rare circostanze in cui l’aveva incontrata, l’aveva sempre vista come una signora di una certa età, piena di sussiego. «Pensi di venire alla festa diMaggie, oggi?»
Lily soppresse un gemito di sorpresa. «Sì, certo» disse. «Ho confermato la mia presenza una settimana fa. Solo io, però» puntualizzò. «Jamie e Al hanno… Degli impegni». Si morse la lingua: aveva quasi dimenticato le regole. Niente magia, con Petunia Dursley. Nemmeno a parole.
«Oh, bene. Molto bene. A più tardi, allora» mormorò la prozia. A Lily parve di scorgere una sfumatura di sollievo nella sua voce e ne fu talmente stranita che dovette mettersi a sedere sulla poltroncina di fianco alla console del telefono.
«Ci… Ci vediamo più tardi, zia Petunia». Riappese, tormentandosi l’angolo sinistro del labbro inferiore; quand’era nervosa, sedeva in modo strano, diceva sua madre, scoccandole occhiate piene di preoccupazione nel vederla torcersi e avviluppare le gambe l’una all’altra, in un incastro quasi serpentino. Ginevra Potter, nata Weasley, era una medimaga e aveva idee piuttosto chiare sulla postura corretta da assumere da seduti; sua figlia, contraddizione intrinseca della famiglia con quel lato bizzarro che doveva derivarle dalla madrina, da cui aveva ereditato il secondo nome, sapeva bene di darle spesso qualcosa di troppo di cui preoccuparsi. Lo stesso valeva per i suoi fratelli, James Sirius, che tutti a scuola chiamavano semplicemente Potter, ritenendo che in quelle due sillabe si esprimesse a sufficienza il concetto di ciò che lui era, e Albus Severus, apparentemente tranquillo ma spesso invocato per sfatare il mito che nel nome si nascondesse il destino di chi lo portava; tuttavia, il loro essere maschi li aveva più volte preservati dall’ira paterna; quel privilegio non era toccato a lei che, femmina e tanto più graziosa e recalcitrante, s’era dovuta sedere spesso - per quanto metaforicamente - sulle ginocchia del padre per ascoltare una delle sue lezioni.
Così aveva cominciato a dare sfogo alla sua insofferenza con quella postura contorta, con il rifiuto di tagliarsi i capelli, che aveva lunghi fino alle natiche, e con la ferma opposizione a qualunque tipo di occasione formale che non fosse di suo preciso gradimento. Di rado si prestava alle manifestazioni pubbliche cui suo padre era costretto a presenziare; le uniche feste cui partecipava erano quelle della sua migliore amica. E i compleanni di Maggie.
«Siete tutti qui?»
Era la voce di sua madre. Lily alzò una mano in cenno di saluto e si sporse, testa all’indietro. «Ciao, mamma».
«Sta’ un po’ attenta» la rimbrottò quella, passandole una mano affettuosa sulla testa. «Se continui a fare queste cose, prima o poi cadrai».
Lily sbuffò. «Sì, mamma». Non importa che tu abbia combattuto una guerra e aiutato papà a sconfiggere il male incarnato, io morirò cadendo da una sedia e tu non potrai farci nulla.
«Dove sono i tuoi fratelli?»
«In soggiorno. O almeno, c’erano prima». Fece una smorfia. «Posso prepararmi un sandwich e mangiare fuori? Vorrei parlare con papà».
Gli occhi di sua madre si assottigliarono. «Lily Luna, oggi è domenica. Si pranza in famiglia e questo è quanto» sentenziò Ginny.
Lily non si arrese. «Anche papà è famiglia» obiettò, «e il fatto che sia in appostamento non gli vieta di prendersi un’ora di pausa per stare con sua figlia. E poi devo chiedergli una cosa».
Sua madre le riservò un’occhiata truce. «E, sentiamo, signorina, cosa dovresti chiedere a tuo padre che non puoi domandare a me?».
Lily si affrettò a troncare sul nascere quell’obiezione. Sua madre poteva essere molto pericolosa, in certi casi. «Niente, mamma, è… »
«La cocca di papà ha bisogno di essere consolata». James, in piedi sulla porta della cucina, la irrideva, le labbra atteggiate a una smorfia sfacciata.
«Piantala, Jamie» protestò Lily.
«James Sirius Potter». Ginny guardò il figlio con riprovazione. Aveva aggiunto anche il cognome: questo, Lily ne era consapevole, preludeva a una sfuriata con i fiocchi.
«La smetto, la smetto» Jamie si arrese immediatamente, sollevando entrambe le mani come se avesse avuto una bacchetta puntata contro. «Vado a… » Meditò, in cerca di un’ispirazione. «Ad apparecchiare?»
«Sarà meglio» osservò Ginny. «Fatti aiutare da tuo fratello».
Il ragazzo sbuffò. «Protesterà per il fatto che non abbiamo Elfi Domestici un’altra volta. No, grazie, preferisco fare da solo».
«Noi non abbiamo mai avuto un Elfo Domestico, a casa, e ce la siamo sempre cavata» lo liquidò Ginevra. «Di’ a tuo fratello di muoversi e di togliersi dalla testa queste idee così blasé».
Lily si accasciò sulla poltrona. Le discussioni in quella famiglia erano così estenuanti che certe volte le veniva voglia di urlare. Strinse le palpebre e udì Jamie ridacchiare.
«L’umido dei Sotterranei gli da alla testa. Riferirò».
«Torniamo a noi, Lily». Sua madre si appoggiò allo schienale. «Cos’è che devi chiedere a tuo padre?»
Lei riaprì gli occhi. «Prima ha chiamato la prozia Petunia. Voleva sapere se sarei andata alla festa di Meg».
«E con questo?»
Arricciò il naso. Certe volte sua madre era tutto tranne che un’aquila, il che a ben pensarci era perfettamente logico. Di tutti, in famiglia, l’unica a potersi fregiare del vessillo dell’aquila era lei, da quando era stata smistata a Ravenclaw.
«Sembrava strana» buttò lì. «Volevo sapere se papà aveva qualche idea del perché».
Seguì una pausa. Sua madre, la fronte corrugata e gli occhi socchiusi, circondati da piccole rughe di espressione, sembrò studiarla, mettendo un broncio molto simile a quello che veniva a lei, quando si applicava a una materia particolarmente complessa.
«Certe volte proprio non so da chi tu abbia preso» sospirò alla fine. «D’accordo. Va’ a vestirti. Il tuo sandwich sarà pronto tra quindici minuti. Manda un gufo a tuo padre per avvisarlo. Torni a casa, dopo pranzo?»
Lily rifletté. Aveva pensato di andare direttamente alla festa; lo disse a sua madre, che annuì.
«Non cacciarti nei guai, non usare la magia…»
«Non parlare con gli sconosciuti e non menzionare niente che riguardi la scuola, il tuo lavoro o quello di papà. Sì, mamma, lo so a memoria» protestò, balzando giù dalla poltrona. Era senza pantofole. Le sarebbe toccata una lavata di capo anche per quello.
«E non andare in giro scalza!»
Appunto.
***
«Non mi piace quando stai fuori così a lungo».
Lucas, sulla soglia di casa, tese una mano a sua madre. Di fianco a lui, suo padre allargò le braccia, così che lei potesse rifugiarvisi: severa, Hermione li contemplò entrambi, prima che suo marito le passasse un braccio attorno alla vita.
«I miei uomini girovaghi». Gli strinse la mano. «Mi siete mancati. Entrambi».
Draco le sussurrò qualcosa all’orecchio, passandole una mano tra i capelli. Da quando lo avevano assegnato alla divisione internazionale, rimaneva lontano da casa per mesi. Quella volta era passato in Irlanda, dove Lucas stava lavorando in trasferta con una squadra del Ministero, e avevano fatto assieme la strada verso casa.
«Entriamo» disse Hermione. «Lyra è a pranzo dai tuoi. Se avessi saputo che sareste arrivati le avrei detto di rimanere a casa».
«Mi negano persino il piacere della sorpresa, adesso» scherzò Draco.
Lucas scosse la testa. «Non sia mai».
Entrambi seguirono Hermione attraverso l’atrio, fino in soggiorno, una sala ampia e illuminata con grandi finestre all’inglese aperte su un prato che sconfinava con l’infinito della brughiera. Da bambini, sia Lucas che sua sorella si erano appostati spesso al di qua dei vetri, nelle lunghe giornate di nebbia, immaginando storie e mondi avvolti nella bruma.
Suo padre sedette sul divano. Aveva l’aria stanca, pensò Lucas, e la barba incolta, da sempre di due toni più scura rispetto ai capelli, cominciava a mostrare tracce di bianco lungo la mandibola affilata; la bocca, comunque, era una linea ferma e, in quel momento, atteggiata a sincero divertimento. Era ancora il suo papà, grande e forte, e per sua madre doveva essere l’uomo più bello del mondo.
«Sarà meglio che prepari qualcosa» la udì mormorare. «Non mi aspettavo di dover nutrire qualcuno».
Draco le passò un braccio attorno al corpo e la strinse contro di sé. «Non ho fame».
«Tu no, ma forse tuo figlio sì» lo rimbrottò lei, ma rideva. «Posso fare in un attimo e tornare subito. Non dobbiamo neppure apparecchiare, possiamo mangiare qui».
«Come ventenni perdigiorno?» Il sopracciglio di suo padre scattò verso l’alto; Lucas scorse nei suoi occhi una scintilla di allegria: era la faccia feroce di papà, quella, un gioco tra i tanti che gli ricordava la sua infanzia.
Bentornato a casa.
Mancava solo Lyra, a completare l’equazione che traduceva in pratica l’equilibrio della loro famiglia; Lucas occhieggiò la foto di gruppo sul tavolo, che li ritraeva tutti e quattro insieme il primo giorno di scuola della sorella: lei, nella foto una ragazzina undicenne dal volto solenne ombreggiato da un ciuffo di capelli mossi, così scuri da sembrare neri, ora aveva sedici anni, quattro e mezzo meno di lui, che andava per i ventuno.
«L’idea era quella». Hermione gratificò suo marito con uno sguardo caldo e, sempre tenendogli la mano, si alzò dal sofà. «Possiamo fare i ventenni per un giorno?»
Draco le sfiorò le nocche con le labbra. «Con te, mia signora, posso fare di tutto».
«Oh, ma piantala» si lamentò lei; si vedeva ch’era felice. «Sarebbe terribilmente poco dignitoso, se io mi limitassi a scongelare delle fish&chips?»
«Mi sembra sufficientemente veloce» approvò Draco, rivolgendo al figlio uno sguardo interrogativo. Lucas scrollò le spalle; non era mai stato schizzinoso in fatto di cibo, neppure da piccolo. Aveva apprezzato le cucine di Hogwarts, ai tempi della scuola, ma non gli mancavano. E sua madre non era esattamente una casalinga esemplare; questo non gli era mai importato, così come non importava a suo padre o a sua sorella. Le madri dei suoi amici cucinavano, la sua aveva salvato il mondo e passava il tempo tra il Dipartimento Auror e le pratiche che si portava a casa. Era precisa e aveva un’autentica venerazione per l’ordine, ma di rado trafficava ai fornelli, anche se era piuttosto brava, quando ci s’impegnava.
«Vuoi una mano?» le domandò.
Hermione scosse la testa. «Riposatevi, voi due».
Lasciò il soggiorno, rivolgendo loro un sorriso affettuoso da sopra la spalla. Era diversa, quando c’era suo padre, sembrava più leggera. Draco stesso lo era; una volta Lucas gli aveva sentito dire che sua moglie sapeva tirare fuori il meglio di lui. A mostrare il peggio, asseriva, se la cavava benissimo da solo.
«Quando riparti?» gli chiese.
Lui esibì una smorfia tirata ed estrasse il portasigarette dal taschino. «Potrei rimanere per un po’» sentenziò, godendosi la prima boccata. «C’è qualcosa di sinistro in arrivo».
Lucas annuì. «Così si dice. Non è esattamente il momento migliore per riunire tanti maghi in un unico posto».
Suo padre gli tese la scatoletta d’argento; Lucas l’afferrò, ne trasse una sigaretta, lo richiuse e restò a guardarlo per qualche secondo: sul coperchio, un fine cesellatore aveva tracciato in linee armoniose lo stemma di famiglia. Sotto, vicino alla chiusura a scatto, c’era una scritta molto piccola, che lui non era mai riuscito a leggere. Si accese la sigaretta a sua volta e aspirò. Draco, la fronte corrugata e gli occhi socchiusi, scosse la testa.
«Non darti troppi pensieri, comunque» mormorò, soffiando fuori il fumo. «Non è mai il momento giusto, ma in qualche modo la nostra gente se la cava sempre».
Lucas fece un cenno in direzione della porta. «Credi che lei lo sappia?» Alludeva a sua madre.
«Oh, sì». Suo padre rise. «C’è poco, credimi, che le si possa tenere nascosto».
«Mi chiedo come facciate. Riuscire a gestire tutto questo… Quello che non puoi dirle, quello che lei non può raccontare a te». Reclinò il capo all’indietro, sospirando. «Non è folle?»
Draco parve rifletterci su; seguiva, con gli occhi, gli arabeschi del fumo sul soffitto. «Sai, » ribatté dopo un po’, «s’impara a parlare anche senza farlo, dopo un po’. Con i gesti, con gli occhi. S’impara anche a rispettare i silenzi. è così che va. Io e tua madre abbiamo dovuto capirci prima a questo modo» aggiunse, e un ricordo balenò nei suoi occhi d’acciaio, «per cui, forse, per noi è stato più facile che per gli altri».
«Sembra logico».
Draco annuì. «Lo è. Non arrovellartici troppo». Spense la sigaretta nel posacenere e aggiunse: «Vado a vedere come se la sta cavando».
«Ti manca, vero? Quando sei lontano».
Suo padre scrollò le spalle. «Continuamente».
Lucas lo guardò andare verso la porta, la camminata disinvolta, i capelli che gli sfioravano il colletto della camicia. Qualche istante dopo, sentì sua madre ridere. Così erano loro, si divertivano assieme come due ragazzini, misteriosi nel loro legame come sanno esserlo solo due complici; la sua infanzia con loro era stata un susseguirsi di domeniche assolate nel prato, corse sulla scopa, storie della buonanotte. Quando era arrivata Lyra, lui non era stato geloso: l’aveva sentita come la percepivano i suoi genitori. Il pezzo mancante. Assieme, avevano giocato nella brughiera, saltando nelle pozzanghere; avevano riso, certe volte, così tanto da farsi venire il mal di pancia. Si erano stretti tra loro nelle notti che sembravano non finire mai, Lyra, la loro madre e lui, quando Draco era lontano, quando pareva non sarebbe tornato più. Il centro pulsante della loro famiglia, come ogni cuore, aveva due lati: uno chiaro - le risate, i giochi e quella volta che avevano dipinto la faccia della mamma e le sue mani con i colori che brillavano al buio e avevano giocato ai fantasmi. Papà che gli insegnava come stare sulla scopa e gli faceva fare il giro della morte quando nessuno guardava; l’altro, più intimo, era fatto di cose non dette: la cicatrice sul braccio di Draco, quella sul polso di Hermione, le lacrime asciugate contro i loro vestiti, certe confessioni e certi peccati, persino un certo tipo di felicità ineffabile, l’equilibrio perfetto di elementi altrimenti instabili che si nascondevano nei suoi lineamenti e in quelli di sua sorella.
***
Diagon Alley, oziosa e pigra all’ora di pranzo, con i suoi tavolini dipinti di bianco nei déhors dei locali più recenti e i suoi sgabelli scalcagnati impilati fuori dalle taverne, era una delizia per gli occhi. Lily sedette su una panchina dallo schienale decorato, i cui ricami in ferro battuto si intrecciavano costantemente tra loro in volute complesse, per poi sciogliersi e comporre un nuovo disegno. Li contemplò per qualche istante, deliziata, e poi scartò il suo sandwich.
Uova e insalata. Sospirò: poteva andare peggio.
Suo padre, comunque non avrebbe tardato ad arrivare; probabilmente avrebbe insistito per offrirle il pranzo da qualche parte. James non aveva torto, certe volte, quando la definiva la prediletta; come Harry Potter posava gli occhi sulla minore dei suoi figli, questi s’illuminavano.
«Lils, ehi. Ho fatto più in fretta possibile».
La ragazza distolse lo sguardo dal pranzo e sorrise. «Ciao, papà».
Suo padre sedette con lei, giacca nera, divisa d’ordinanza, un grosso sorriso preoccupato sul viso. «Che succede, Lils? Qualcosa non va? Ti senti male o… »
«Sto bene» lo frenò, sollevando una mano. «Papà, calmati».
Lo udì sospirare. «Mi sei sembrata ansiosa, nel biglietto».
Lily corrugò la fronte; probabilmente era così. Aveva scritto di fretta, senza ponderare le parole, eppure conosceva suo padre abbastanza bene da non ignorarne la tendenza all’allarmismo. Si tormentò l’angolo del labbro con i denti, interdetta su come introdurre il discorso, e fece una smorfia. «Va tutto bene, sul serio» lo tranquillizzò. Poi, per prendere tempo, diede un morso al panino.
«Sarà meglio che mi procuri anch’io qualcosa per pranzo» borbottò Harry. «Avremmo potuto mangiare al ristorante, sai».
«Oh, so quanto odi la gente che ti fissa» tagliò corto Lily.
«Oramai sono abituato» dissimulò suo padre, passandosi una mano sulla nuca.
Lei gli lanciò un’occhiata carica d’affetto. «Non fa niente. Uova e insalata è una pacchia, davvero. Poteva essere carne in scatola». Storse il naso, facendolo scoppiare a ridere.
«Non ha voluto tagliare l’arrosto, eh?»
Lily nicchiò. «Non le piaceva l’idea che uscissi per pranzo. Sai come la pensa sulle domeniche in famiglia».
Suo padre annuì, comprensivo. «Immagino che, err, tu avessi un buon motivo per farla arrabbiare».
«Ha chiamato zia Petunia» annunciò lei, aggredendo nuovamente il suo sandwich.
Suo padre esibì un’espressione perplessa. «Che giorno è, oggi?»
Lily fece una risatina. «Uno qualunque. Cioè, è il compleanno di Maggie e lei ha telefonato per sapere se sarei andata alla festa».
«Ah». Harry posò i gomiti sulle ginocchia e restò immobile per un po’ a fissare la vetrina del negozio di fronte, che esibiva simpatiche decorazioni per la cucina. A quanto pareva, se fissate sopra il piano di cottura nel modo giusto, si allungavano e spegnevano il fuoco quando il cibo era cotto. Lily prese nota di raccontarlo a sua madre: sapere che l’aveva pensata le avrebbe fatto passare il cattivo umore.
«Non credo lo abbia mai fatto prima, vero?»
«No» confermò lei.
«È strano» ammise suo padre. «Magari non preoccupante» rifletté, passandosi le dita tra i folti capelli brizzolati, «ma di certo strano».
Lily appallottolò nella mano il cartoccio del sandwich. «Pensi che sia successo qualcosa? Cercava te, all’inizio. Così ha detto» concluse, a disagio. Aveva un’idea molto vaga dei trascorsi tra suo padre e i suoi parenti: quando l’argomento veniva a galla, era inevitabilmente fonte di tensione.
«Non lo so, Lils». Lo vide corrucciarsi e piegare il collo di lato, un cenno senza dubbio d’insofferenza. «Dovrò prendermi la giornata libera e venire con te».
Lei gemette. «Non è necessario. Posso sentire io cos’ha da dire e riferirtelo».
«No» si oppose lui. «Potrebbe essere importante».
«O potrebbe essere una sciocchezza. Per favore, papà» implorò. «Se ci fosse Jamie al mio posto, manderesti lui». Era scorretto usare quella carta e lei lo sapeva: James non si sarebbe mai trovato in quella situazione, perché non aveva mai legato con i Dursley; men che meno Al, che, somigliante com’era al padre, aveva faticato ad accettare e farsi accettare in quell’angolo di mondo senza magia.
Suo padre si strofinò la fronte. «Ma se non vuoi che venga con te, perché hai voluto vedermi?»
«Pensavo dovessi saperlo» mormorò lei, cercando di suonare innocente. «E credevo sapessi di cosa voleva parlarti».
«No». Harry distolse lo sguardo dal suo, non prima che lei potesse indovinarvi una scintilla di omissione, e si schiarì la gola. «D’accordo, pensaci tu. Ma non fare nulla di azzardato» raccomandò.
«Sì, papà».
***
Il divano preferito di Melinda Dursley era color porpora; Lily lo sapeva perché nessuno l’aveva mai fatta sedere lì, quando era ospite a casa sua. Tutti le dicevano “prendi una sedia” o “accomodati sulla panca” ma mai l’avevano condotta al sofà. Per cui, quando, non appena varcata la soglia, si era vista prendere la mano dalla prozia Petunia, che l’aveva trascinata in soggiorno e messa a sedere tra i morbidi cuscini imbottiti, aveva pensato a qualcosa di molto serio.
«Vuoi del tè, cara?»
Cara? Lily sbatté le palpebre, interdetta. «No, grazie, ho pranzato da poco. Temo di essere in anticipo comunque» osservò, contemplando dalla finestra il giardino deserto.
«Oh, non preoccuparti». La prozia Petunia le dedicò un sorriso nervoso; teneva il pugno stretto sotto il mento. «è un bene che tu sia qui. Dudley e io dobbiamo parlarti».
Il tono della donna non le piacque; presagiva urla e scenate. Del resto, all’inizio lei aveva espresso delle riserve sulla sua frequentazione con Meg, paventando un’influenza negativa che Lily avrebbe avuto sulla cugina, a lungo andare. Ciò non di meno, il tempo aveva appianato le divergenze e di certo il fatto che Petunia e suo marito abitassero a Little Whinging, a una certa distanza da Tolworth, aveva contribuito a far sì che lei potesse frequentare quella casa senza mai sentirsi un’intrusa.
Fino a quel momento, per lo meno.
Il cugino Dudley entrò nella stanza. «Sei arrivata» biascicò, spalancando i piccoli occhi azzurri. «Meno male». Si accomodò di fronte a lei e sua madre fece lo stesso.
Lily deglutì, sentendosi catapultata di nuovo di fronte alla commissione d’esame per i G.U.F.O. Un rivolo di sudore le percorse la schiena.
«Sei sicura di non volere del tè? Un succo di frutta?» La mano di Petunia tremava.
«Un succo andrà bene» acconsentì lei. Sul volto della donna apparve un tremulo sorriso.
«Ci penso io, ecco». Lasciò rapidamente il soggiorno e Lily intuì che aveva voluto lasciarla sola con il figlio. Anche questo era piuttosto insolito, ragionò: di norma, Petunia si comportava con Dudley come una gatta con i suoi cuccioli: gli stava sempre intorno, anche a costo di impedire agli altri di intrattenere una conversazione con lui.
«Allora» esordì, incrociando le gambe, «come sta Meg? Non l’ho ancora vista».
Dudley tossì. «Oh, lei è di sopra. Scenderà appena avrà scelto il vestito da indossare. è indecisa tra il rosso papavero e il rosso fragola, anche se io non capisco la differenza». Incassò la testa nelle spalle, ricordando molto suo padre. Vernon Dursley era il membro della famiglia più ostile che Lily avesse conosciuto: la trattava con apatica indifferenza, quand’era costretto a relazionarsi con lei, e la ignorava come se lei non esistesse per il resto del tempo.
«Ecco il tuo succo. Mela». Petunia le porse un bicchiere, colmo fino all’orlo di un liquido color giallo pallido. «È il tuo preferito, no?»
Lily annuì, lanciando alla donna l’ennesimo sguardo stupito. «Grazie» quasi balbettò. Non era abituata a tutta quella deferenza; bevve un sorso di succo. «È buono» disse.
«Posalo pure sul tavolo, da’ qua». Zia Petunia si sporse e urtò con il ginocchio il giornale che stava sul bordo del ripiano. Il quotidiano - il London Herald, probabilmente - scivolò per terra con un fruscio e trascinò con sé alcune lettere apparentemente ancora chiuse. Lily si accigliò: erano buste larghe, di carta pesante e lievemente ingiallita.
«Biglietti d’auguri per Maggie?» chiese, sicura di aver già visto qualcosa del genere.
«Più o meno. Sono arrivate stamattina» ribatté Dudley, cupo.
«Scommetto che sarà felicissima, quando le aprirà».
Petunia si schiarì la voce. «A proposito di questo… »
«Sì?»
Dudley sbuffò. «Oggi è domenica, capisci? Non c’è posta la domenica».
«Ma sì che c’è» protestò lei, senza capire dove volessero andare a parare, «Jamie ha ricevuto le sue lettere stamattina e il gufo era…» Inghiottì le parole, sentendo il sangue defluirle dalle guance: Petunia e Dudley la fissavano con gli occhi strabuzzati. Boccheggiò, alla ricerca di qualche parola di scusa, il capo chino e lo sguardo puntato a terra, proprio sulle buste, quelle buste gialle e spesse, così insolite in una casa di Babbani.
«Oh» le sfuggì. Si chinò ad afferrarne una: l’inchiostro con cui era stato vergato l’indirizzo era di un blu sbiadito e la scrittura era chiaramente amanuense; il nome di sua cugina, scritto in quelle lettere piene di riccioli, sembrava diverso. Lily scoppiò a ridere, rigirando la busta sottosopra. C’era il sigillo di Hogwarts: il Leone, la Serpe, l’ Aquila e il Tasso, circoscritti da una grande H. «è per questo… ?»
«Già» confermò Petunia.
«Capisco».
«Noi, io e Melinda… » Dudley si arrestò, il volto arricciato in una smorfia eloquente. «Ecco, abbiamo pensato che forse tu…»
Lily attese, composta, il bicchiere tra le dita. Dovette fare uno sforzo ingente per non ridere: l’espressione sofferente del cugino denunciava una certa impreparazione. Nessuno di loro aveva mai ponderato l’idea che Maggie potesse essere una strega. Eppure, non era certo così insolito: condividevano una parte di DNA e il sangue che scorreva loro nelle vene non era del tutto differente.
«Se qualcuno mi avesse interpellata» intervenne Petunia, «avrei detto che tutto ciò è assolutamente assurdo». Ebbe la buona grazia di arrossire, all’occhiata sgomenta di Lily. «Ma d’altra parte, Maggie non è figlia mia, per cui, cara, quello che Dudley vorrebbe chiederti è se saresti disposta a farle da guida, con… » Storse le labbra in una smorfia di disgusto. «I libri per la scuola e tutte le altre cose» concluse.
«Dovresti anche aiutarci a dirglielo… Vedere che ne pensa» Dudley s’illuminò. «Potrebbe anche non voler avere niente a che fare con la cosa».
Lily ne dubitava, ma acconsentì con un cenno. «Le parlerò».
Dudley la gratificò di un sorriso sin troppo entusiasta e annuì. «Vado a chiamarla» borbottò, lasciando il soggiorno.
«Potresti fare in modo che stia in camera con te?» chiese Petunia, stridula. «Non è mai andata da nessuna parte da sola… »
«Questo non posso prometterlo» sospirò lei. «è il Cappello Parlante che smista gli studenti».
Petunia inorridì. «Un cappello?» Si passò le lunghe dita ossute sul volto. «Oh, credo che mia sorella ne avesse parlato in una delle sue lettere». Aveva le labbra strette, come se non una parola dovesse fuoriuscirne, neppure per sbaglio; osservò Lily con biasimo. «Tu le somigli così tanto…»
«Ah sì?» ribatté lei. Si accorse di aver usato un tono polemico e restò in attesa della reprimenda, che non arrivò.
«Sì» rispose Petunia, asciutta. «Parla con Maggie. Io devo occuparmi della torta».
And, here we are.
Note, che ci stanno sempre bene:
Questa storia è un sequel. Se non avete letto i prequel, non prendetevela con me. Come il suo prequel principale, trae il titolo da un volume di Dylan Dog, precisamente il numero 238 (Masiero/Montanari e Grassani)
I personaggi non della Rowling li ho inventati io. Se li prendete, abbiate almeno la decenza di dire grazie. Questo include Lucas Altair Malfoy, Lyra Joanne Narcissa Malfoy, Margaret Dianna Dursley, la fam. Dawson jr. e sr., Cassandra Charlotte Virginie Jones, Wendy Curran, Michael Demetrius Rowland, Devonne Alexandra Lucille Pierce e tutti gli altri.
Vediamo come va, ora che ho deciso di imbarcarmi in questa cosa assolutamente folle.
Vi prego, fatemi sapere com'è. Mi sta friggendo il sedere.
Find me here for news.
“I've been making a list of the things they don't teach you at school.
They don't teach you how to love somebody. They don't teach you how to be famous.
[…]
They don't teach you how to know what's going on in someone else's mind.
They don't teach you what to say to someone who's dying.
They don't teach you anything worth knowing.”
- Neil Gaiman, Sandman Vol. 9 - The Kindly Ones -
In settembre, la città aveva indossato il suo vecchio manto grigio e vi si era avviluppata, riempiendo le sue vie di una foschia familiare. Lily indossava un soprabito leggero: sua madre aveva insistito perché si coprisse e suo padre si era raccomandato di usare abiti che passassero inosservati. Naturalmente, Al aveva fatto orecchie da mercante: il suo mantello scuro, su cui era appuntata la spilla di Caposcuola, frustava la brezza di fine estate, occupando la visuale dei passanti come un presagio di sventura.
Al momento di uscire di casa, James li aveva salutati con un sorriso eloquente; lui aveva finito la scuola l’anno prima e, nella miglior tradizione di famiglia, giocava come cercatore nei Chudley Cannons. Questo riempiva d’orgoglio gli zii - George, Bill e Charlie - ma non migliorava di molto la situazione della squadra: i Cannons erano così scarsi che riuscivano a perdere anche se lui prendeva il boccino. Ma erano tutti così entusiasti dei risultati di Jamie - che a tempo perso frequentava i corsi da Auror e probabilmente avrebbe seguito la carriera del padre - che nessuno se ne rendeva conto: James Sirius Potter era wonderboy e, se il fratello mezzano sfuggiva alla sua ombra grazie alla propria peculiare natura indipendente, lei ne era miseramente investita: sapeva volare, ma non abbastanza bene da essere presa in squadra, aveva buoni voti, ma non eccellenti, era carina, ma non popolare, perché univa alla propria avvenenza un carattere schivo che non l’aiutava a socializzare.
Forse avrebbe dovuto sorridere di più.
Su questo meditava, trascinando il proprio baule con la mano destra, mentre nell’altra stringeva saldamente quella piccola e sudata della cugina e camminava svelta lungo il marciapiede della stazione di King’s Cross.
«Qui c’è scritto nove e tre quarti».
Un gemito d’impazienza le sfuggì dalle labbra socchiuse. «Sì».
«Non ho mai visto il binario nove e tre quarti».
«Lo so, Meg. È nascosto, così i Babbani non possono vederlo».
«Oh».
Albus si voltò, con una smorfia beffarda sul viso. «Questa è la quarta volta che glielo spieghi, vero?»
«La quinta» replicò lei, insofferente. «Siamo quasi arrivati alla barriera, venite».
Scattarono in una corsa improvvisata, sfrecciando tra i viaggiatori ignari: qualcuno di essi si voltò, incuriosito da quei tre bizzarri ragazzi che portavano con sé due gufi - Maggie non aveva potuto prendere un animale: su questo, Mrs. Dursley era stata molto chiara - e tre bauli zeppi di strani ammennicoli. Albus rideva, reggendosi gli occhiali sul naso.
«Corri, sorellina, o il treno partirà senza di noi!»
«Dice sul serio?» strillò Maggie, preoccupata, evitando per un pelo di urtare una signora con una pelliccia viola.
«Siamo… » Lily ansimò, scartando di lato e tirandosi dietro la cugina, « … Perfettamente… In orario! Vieni, Meg, contro il muro!»
«Ma così ci schianteremo!»
«Fidati di me!»
Udì solo le urla di Maggie e, in sottofondo, un fischio lontano che le rammentava le distese sconfinate attorno alla scuola, le piccole case e i negozi di Hogsmeade, la cioccolata e gli zuccotti di zucca. Come sempre, varcare la barriera era un salto nel vuoto: oltre il buio, vide un balenio rosso fiammante, poi la locomotiva dell’Espresso per Hogwarts prese forma dinnanzi a lei e Lily si concesse un sospiro di sollievo.
«Non male, eh?»
L’aria era carica di fumo e vapore e ovunque c’erano capannelli di studenti, radunati in attesa di salire sul treno. Li scorse velocemente con gli occhi, cercando di riconoscere qualcuno.
«Come abbiamo fatto?»Maggie, stupefatta, mosse qualche passo in avanti.
Lily le strizzò l’occhio. «Magia».
«Vado a cercare i miei compagni». Albus fece loro un cenno con la mano e si allontanò verso un gruppo di Slytherin che scherzava ad alta voce. Di norma, sarebbe rimasto ancora con lei, finché non avessero incontrato qualcuno con cui trascorrere il tempo del viaggio, ma Lily sapeva che non aveva preso di buon grado la presenza diMaggie. Dal canto suo, lei sembrava non dare importanza alla scortesia del cugino: era troppo occupata a stupirsi di ogni cosa che la circondava.
«Vieni» la invitò. «Andiamo a cercare uno scompartimento».
Quella annuì. Avrebbe camminato per tutta la mattina con il naso all’insù, probabilmente, emettendo gemiti di felicità, se non fosse stata travolta da una ragazzina con i capelli color carota ugualmente smarrita. Le due rovinarono a terra e Lily imprecò.
«Vi siete fatte male?» Si chinò per aiutarle.
La ragazzina con i capelli rossi scosse la testa. «Io sto bene» cantilenò. «Scusa, sai» si giustificò, tendendo la mano aMaggie, «non guardavo dove andavo».
Meg, gli occhi lucidi, scrollò la testa. «Non fa niente». Si raddrizzò, spolverandosi la giacca, e strinse educatamente la mano che le veniva porta. «Mi chiamo Maggie Dursley».
«Wendy, ehm, Wendy Curran». Sembrava imbarazzata: il viso, trapuntato di efelidi, aveva assunto una sfumatura di rosa intenso. Si girò a chiamare qualcuno e Lily vide che si trattava della signora in viola di poco prima.
«Oh, Wendy, sta’ un po’ attenta» la rimbrottò quella, con un forte accento irlandese. «Scusa» disse poi, rivolta a Lily, «primo anno». Rassettò il cappottino di Wendy, che teneva lo sguardo contrito fisso sulla punta delle proprie scarpe.
«Non fa niente. È sua figlia?»
«Nipote» la corresse la signora, con voce gutturale. «È la figlia di mio fratello».
«Capisco». Scrutò i lineamenti della bambina, trovandoli piuttosto comuni; era la classica fisionomia britannica spesso sormontata da una folta capigliatura fulva, alterata da un naso appena più camuso. Lei stessa era abbastanza sicura di somigliarle, almeno un po’. «Questa invece è mia cugina Maggie e io sono Lily, Lily Potter».
La signora si portò una mano guantata alla bocca. «Potter, certo!» esclamò, guardandola bene per la prima volta.
«Già» ammise Lily. «Immagino abbia sentito parlare di mio padre».
Ottenne, in risposta, un gran sorriso. «È proprio così, sì. Sono una sua ammiratrice».
«Glielo saluterò» replicò lei. Aveva imparato sin da piccola a gestire il gran brusio attorno al proprio cognome. «Chi devo dire?»
«Oh, ehm…» La signora sembrava in imbarazzo. «R-Roberta Curran. Lui non mi conosce» si affrettò ad aggiungere.
«Fa niente». Lily fece spallucce. «Gli farà piacere».
«Bene, uhm, grazie. Ora noi dobbiamo andare, vero, Wendy?» Acchiappò la ragazzina per un braccio. «Dobbiamo trovare uno scompartimento libero».
«Lo stiamo cercando anche noi. Su,Maggie, andiamo».
Si salutarono, le due bambine con un po’ di rimpianto e loro assai di fretta. La signora in viola sembrava essere ansiosa di trovarsi altrove e Lily non chiedeva altro che trovare la sua compagna di stanza e salire sul treno. Si fece largo tra i bauli e resistette a un paio di spintoni, uno dei quali assestato da Michael Rowland, un ragazzo massiccio dai capelli castani che giocava come battitore nella squadra di Quidditch di Ravenclaw, di cui era il Capitano. Erano usciti assieme per metà dell’anno precedente e lui l’aveva scaricata poco prima delle vacanze estive.
«Chi aspettiamo?»Maggie s’era alzata sulle punte e faceva vagare il suo sguardo tra la folla.
«Un’amica». La migliore che avesse, per la precisione.
La intravide tra la folla: Lyra Malfoy, precisa e impeccabile nel suo blazer blu scuro, con la cravatta intonata e una camicia bianca dal colletto inamidato, i capelli bruni accuratamente raccolti in uno chignon sulla nuca; aveva gli occhi profondi e scuri, orlati da ciglia incurvate, il naso della madre, la bocca del padre - e della nonna e della sorella, quella matta - e il carattere più impossibile che potesse aver ereditato dai suoi geni controversi. Lily l’adorava e Lyra ricambiava a modo suo: con discrezione.
«Lyra!» vociò, agitando una mano in aria. A voltarsi, tuttavia, non fu lei, ma il giovanotto che l’affiancava; disinvolto tanto quanto lei era impostata, biondo quanto lei era bruna, teneva le mani nelle tasche dei calzoni dell’uniforme grigia in forza a qualche Divisione Speciale del Ministero. La blusa, chiusa da lacci di cuoio scuro che s’incrociavano fino all’attaccatura del collo, si tendeva su un torace robusto e i fregi sulle spalle, d’argento che scintillava nella tiepida luce di quel mattino, raccontavano una carriera esemplare. Il colletto, una semplice striscia che si chiudeva con un bottone all’altezza della cucitura laterale, era slacciato, quasi distrattamente. Un sottufficiale richiamato al comando centrale, forse in visita alla famiglia.
«Chi cavolo è quello? Lo conosci?» Maggie, dimentica della propria timidezza, lo guardava come si contempla una visione. Non che lei potesse darle torto, in ogni caso.
«Sì, so chi è».
Lui, di rimando, inclinò il capo di lato, noncurante come se la cosa non lo toccasse, gli occhi chiarissimi socchiusi in una smorfia di incredulità nel guardarla. Sfilò le mani dalle tasche e finalmente sorrise, mettendo in mostra una chiostra di denti bianchissimi; il cuore di Lily prese a battere in maniera disordinata, senza che lei volesse assecondarlo e, tuttavia, senza che potesse impedirgli di perseverare nell’errore che, già negli anni più acerbi della sua adolescenza, l’aveva spesso sprofondata in uno stato emotivo di completa desolazione. Seguì i movimenti di lui, che si passava una mano sul volto e poi sotto la mandibola, velata di un casuale accenno di barba; lo vide chinarsi e sussurrare qualcosa a Lyra, che si voltò a guardarla e le fece un cenno, invitandola a raggiungerli.
«Lilou» la salutò il giovane, quando furono abbastanza vicini.
Il respiro le si mozzò, chiudendole la gola con un groppo amaro. Si riscosse in tempo, prima che qualcuno facesse domande inopportune, e tentò di sorridere.«Ciao, Lucas» disse. «Come stai?»
***
«Avrei dovuto avvertirti». Lyra accavallò le gambe ed emise un sospiro contrariato. «Per la verità, stavo pensando di farlo, ma poi mi sono messa a leggere il Profeta e l’ho scordato».
«Qualche notizia interessante?»
«Oh, Lily, non hai intenzione di tenermi il broncio, vero?» Lyra si protese verso di lei ed esibì un’espressione contrita. «Guardami, mi dispiace sul serio. Sto facendo la mia faccia desolata!»
«È proprio per questo che ti terrò il broncio. È molto sleale da parte tua usarla contro di me». Lily si lasciò sfuggire una risatina, osservando la campagna inglese che scorreva monotona fuori dal finestrino dell’Hogwarts Express. Maggie guardava entrambe rapita, lusingata forse dalla compagnia di due ragazze più grandi di lei di diversi anni che non sembravano trattarla come una mocciosa.
«Così questa è la cugina Dursley». Lyra aveva archiviato l’argomento scuse e Lily gliene fu grata. Era già abbastanza imbarazzata.
«Già» annuì. «L’ultimo ed inaspettato acquisto di una lunga genia di Maghi e Streghe».
Maggie gonfiò il petto e arrossì compiaciuta.
«Mia madre ne sarà deliziata, com’è ovvio» commentò Lyra, sorridendo.
Lo pensava anche Lily. «È quel che ha detto mio padre. Certe volte sono così prevedibili».
«Come procedono le cose in casa Potter?»
«Oh, al solito. Non vedevo l’ora di tornare a scuola». Si sistemò contro lo schienale. «Gli orari sono un po’ proibitivi, ma almeno non devo dividere il soggiorno con due cavernicoli».
Lyra rise. «Ah, no. Ma c’è Michael Rowland pronto a prendere il loro posto quando vuoi. Esce con Devonne Pierce, a quanto pare».
«Sai quanto me ne importa». Lily fece spallucce, pensando a Devonne e al suo petto procace.
«Già» commentò Lyra, estraendo un tascabile dalla borsa. «I palpiti del tuo cuore sono riservati a un altro».
«Piantala» protestò Lily, arrossendo. «La cotta per tuo fratello mi è passata da tempo».
«Sì, sì, come no».
Anche Maggie la guardava con scetticismo; Lily sbuffò: non riusciva ad essere convincente neppure per una ragazzina di undici anni.
«È normale che ti piaccia» sentenziò infatti quella. «È molto carino».
«Attenta, Lils. Hai una rivale». Lyra rideva apertamente adesso.
«Oh, no»Maggie scosse la testa, facendo ondeggiare le trecce, «non ti ruberei mai il fidanzato».
«Non è il mio fidanzato!» sbottò Lily, provocando l’ennesimo scoppio d’ilarità. «E non mi piace, quindi smettetela subito».
Si richiuse in un silenzio ostinato, volgendo lo sguardo oltre le colline, dove il verde dei declivi della Cornovaglia sfumava nel blu intenso dei confini del suo cielo. Cessate le risa, anche le sue compagne di viaggio dovevano aver trovato qualche passatempo che non includesse prendersi gioco di lei. Non che portasse loro rancore; al massimo, ne serbava per se stessa e per la sua sciocca infatuazione.
Si voltò: Maggie era immersa nella contemplazione del paesaggio e Lyra leggeva il suo romanzetto, sorridendo sotto i baffi: il titolo era “Il bacio del Dissennatore” e, in copertina, una figura incappucciata ghermiva una fanciulla procace.
«Ne ho trovato uno anche peggiore» trillò Lyra, sollevando gli occhi al cielo. «C’erano le parole cavalcare e ippogrifo. Nella stessa frase».
Sghignazzarono entrambe.Maggie le osservava, perplessa.
Lily si affrettò a fornire una spiegazione accettabile. «Sono titoli buffi di libri, ehm, piuttosto sciocchi».
«Alta letteratura» ironizzò Lyra, riponendo il tascabile.
Maggie gli diede uno sguardo distratto. «Sembrano quelli che legge la nonna. Cos’è un Dissennatore?»
«Uno dei tuoi futuri argomenti di studio. Dubito ci siano, nei romanzi della prozia Petunia».
Maggie storse il naso. «Quanto manca all’arrivo?» chiese, sporgendosi a guardare dal finestrino.
«Un po’. Perché non ti fai un giro? Magari conosci qualcuno dei tuoi futuri compagni di casa». Lyra scrollò le spalle, scoccando uno sguardo in tralice a Lily che era già sul punto di obiettare. «Tanto deve comunque godersi la gita sul lago con vista panoramica, non può fare il tragitto con noi, giusto?»
Lily si rassegnò:Maggie sembrava entusiasta di quella nuova prospettiva. «Gita sul lago?» chiese infatti. «C’è un lago? Oh, ma come faccio con i bagagli?»
«Puoi venire a prenderli dopo. Ci penso io a sorvegliarli».
Ottenne in cambio un sorriso smagliante. Poco dopo, Maggie era uscita dallo scompartimento; probabilmente si sarebbe cacciata nei guai, ma Lyra aveva ragione. Doveva stare con i suoi coetanei.
«Così, finalmente sole». Lyra sorrideva, lo sguardo malizioso sotto le lunghe ciglia scure a suggerire un’intima soddisfazione. Certe volte quegli occhi di velluto si spalancavano, illuminati di una scintilla ambigua. Adesso invece erano socchiusi, allusivi.
Lily conosceva quello sguardo. «Raccontami» disse.
«Tu sei proprio sicura che ti sia passata la cotta per mio fratello, eh».
«Lyra!» protestò, ma prima che potesse continuare, la sua amica mise le mani avanti.
«Lo chiedo solo perché quest’anno lo vedrai spesso».
Quella rivelazione la spiazzò. «Che?» balbettò, imprecando mentalmente. Non era neppure capace di incassare la notizia senza vacillare. Deglutì, nervosa, turbata dal ricordo di sogni non così remoti come avrebbe voluto. Lucas e il grigio fumo dei suoi occhi, la chioma scomposta in cui era impossibile non desiderare di affondare le dita, il sorriso sfrontato da schiaffeggiare e baciare così a lungo da fargli rimanere il segno.
Lyra interruppe il corso dei suoi pensieri. «Quest’anno c’è il Torneo Tremaghi. Lui è nelle squadre di sorveglianza, quindi sarà a scuola con noi per la maggior parte del tempo».
«E con lui, decine di studentesse straniere che gli svolazzeranno attorno. Benvenuta al tuo sesto anno, Lily Potter» si lasciò sfuggire, con rammarico. Pensò che Lyra avrebbe riso, ma quando incrociò il suo sguardo la vide seria e composta. «Ti faccio proprio pena, allora».
Lyra colse l’allusione. «No. A dir la verità pensavo che è piuttosto strano che mandino addirittura i Corpi Speciali. Secondo me c’è qualcosa di losco».
«Se lo dici tu». Aveva avuto intenzione di liquidare la faccenda in fretta - Lyra Malfoy e le sue fissazioni potevano essere estremamente stancanti, talvolta - ma non poté fare a meno di ricordare lo sguardo reticente di suo padre quando gli aveva chiesto se stesse succedendo qualcosa. Allora aveva pensato che la sua ritrosia avesse a che fare con l’ombra che da sempre si proiettava sui suoi rapporti con i Dursley, ma improvvisamente non si sentiva più così sicura. Osservò Lyra, che aveva ripreso in mano il suo tascabile e lo sfogliava, annoiata, giocherellando con le pagine.
«C’è dell’altro, vero?» la incalzò.
«Potrebbe» rispose Lyra. Aveva una ruga verticale in mezzo alle sopracciglia corrugate e le labbra strette in una linea dura d’apprensione.
«Ma tu non vuoi dirmi cosa» concluse Lily, con una certa stizza.
Il volto di Lyra si distese. «Scusami» si giustificò, «è solo che non sono sicura. Mio padre non è mai a casa, ma ora casualmente è tornato e in famiglia sono tutti agitati. Non penso possa essere soltanto colpa del Torneo Tremaghi, no? Io comunque non ho nessuna intenzione di partecipare e loro lo sanno bene. Perderei troppo tempo con lo studio».
Lily annuì. «Già, dovrebbero saperlo che non è da te inseguire qualcosa di vacuo come un Trofeo» commentò, non priva di sarcasmo.
«Inseguo ben altri onori, io». Lyra le fece l’occhiolino, mettendo in mostra la sua spilla da Prefetto. «E, a proposito di onori e oneri, devo raggiungere quella zucca vuota di Carmichael e gli altri nello scompartimento riservato. Tu non crucciarti troppo» le raccomandò. «E non farti venire strane idee in testa. Ci vediamo a terra?»
«Va bene. Quali strane idee?»
«Oh, lo sai. Fortuna e gloria. Tieni a bada il fattore Potter».
«Io non sono Jamie» protestò Lily, gonfiando le guance.
Lyra sospirò. «No, ma qualcosa in comune l’avete. E sarà quello a cacciarti nei guai, prima o poi».
***
Raggiunsero Hogwarts sulle carrozze, come al solito; Lily aveva perso di vistaMaggie dopo averla scorta mentre si allontanava con Wendy al seguito del Custode, il quale, tutto trafelato, come da tradizione scortava gli alunni del primo anno durante la loro traversata. Era un uomo tarchiato, con una vistosa zoppia e il viso da folletto, che si chiamava Wilder Boyle e aveva sostituito Rubeus Hagrid qualche anno dopo la Grande Maledizione del Sonno.
Hagrid viveva in Francia con la moglie; scriveva, ogni tanto. Una volta erano andati a trovarlo: le aveva chiesto di Hogwarts, non senza una certa malinconia, che lei aveva veduta riflessa pure negli occhi di suo padre.
«Ti muovi?» Lyra la chiamò. «Ci perdiamo lo smistamento!»
Si fecero strada tra la calca; Lily intravide Albus che manteneva l’ordine tra le fila degli studenti più giovani e li dirigeva ai rispettivi tavoli con pochi cenni efficienti. Gli fece una linguaccia e lo vide sollevare le spalle, insofferente. Era così diverso da Jamie o da lei, così quieto e ligio al dovere che spesso, nonostante l’evidente somiglianza con il padre, in molti si chiedevano da chi avesse preso. Da Harry Potter, il suo figlio mezzano aveva preso una certa asprezza del carattere, ma non quella turbolenza che Lily aveva sempre sentito menzionare associata al padre. Quella se l’era presa James, assieme a una baldanza che, invece, proveniva da più lontano.
Lily sorrise al fratello, che le indicò il tavolo di Ravenclaw.
«Va proprio fiero del suo ruolo, eh?» osservò Lyra, precedendola e conquistando due posti.
«Oh, lui è fatto così. Mamma dice che somiglia allo zio Percy». Le venne da ridere. «E di solito aggiunge che è solo una fase».
«Non saprei». Lyra incrociò le braccia davanti al petto e scosse la testa. «Comunque, ci siamo perse lo smistamento di tua cugina, com’era prevedibile. È laggiù, seduta al tavolo di Hufflepuff».
Maggie sollevò timidamente una mano e la salutò: aveva ricevuto le insegne giallonere e indossava la sua cravatta annodata storta. Era seduta in mezzo a due ragazzine, una bruna dall’aria smarrita e una dalla folta capigliatura arancione vivo.
«Chi è quella con i capelli fluorescenti?» chiese Lyra, che le stava osservando a sua volta.
«Si chiama Wendy; l’abbiamo incontrata sul binario».
«Sembrano grandi amiche». Lyra si versò del succo di zucca. «Oh, guarda!» esclamò poi, indicando il grande palco dove gli ultimi studenti stavano per essere smistati. «C’è zio Neville, cioè, il Professor Paciock che legge i nomi».
Ben presto, lo smistamento si concluse. Neville Paciock, l’insegnante di Erbologia, prese posto al tavolo dei Professori, tra la Cooman - che ormai era più che altro una figurante, in quella compagine - e l’insegnante di Pozioni, Claire Morgan, una bella donna dai corti capelli scuri e dallo sguardo penetrante. Di fianco a lei sedeva il titolare della cattedra di Difesa contro le Arti Oscure,un ex Auror di mezza età che rispondeva al nome di Parsifal Dalamar, il cui predecessore, poi divenuto Preside, era stato il primo a conservarsi il posto per più vent’anni di fila sfatando il mito della malasorte che ancora aleggiava attorno a quell’incarico nonostante la dipartita di Voldemort. Dalamar era un uomo dal viso austero, gli zigomi alti e appuntiti e gli occhi neri scintillanti che spiccavano sotto le sopracciglia grigio ferro.
«Benvenuti» disse in quel momento una voce chiara, sovrastando il brusio degli studenti, che si placò immediatamente. «Benvenuti ai nuovi studenti, naturalmente, e bentornati a tutti gli altri».
Gli occhi di tutti si posarono sul leggio al centro del palco, davanti al quale sostava un Mago dalla folta capigliatura scura e dal sorriso caloroso, che indossava una lunga veste chiara. «Io sono il Preside, naturalmente, e il mio nome è Renwick Faulks».
«Ammettiamolo» bisbigliò Lyra, «quest’anno è vestito meglio del solito».
«E non ha nemmeno un anello colorato» l’assecondò Lily. «Ne sentirò la mancanza».
Indossava, però, diversi bracciali, che tintinnavano al movimento delle sue mani. Il professor Faulks aveva una fama più che giustificata di eccentrico; l’opinione più diffusa sul suo conto era che fosse un buon Preside ma che non sarebbe mai stato grande. Lui pareva non curarsene: anzi, era perennemente ben disposto nonostante i più non lo considerassero degno della carica che ricopriva;aveva preso il posto del successore di Minerva McGranitt, Q.J. Masterson, dopo che quest’ultimo, a metà dell’anno precedente, aveva improvvisamente deciso di partire per l’oriente. Il consiglio scolastico si era riunito e aveva optato per nominare Renwick Faulks come Preside ad interim, una carica che era divenuta ufficiale solo quell’anno e che lasciava molti insegnanti piuttosto perplessi. Faulks era cordiale e simpatico, ma certe volte sembrava uno sprovveduto; era sbadato e sovente lo si poteva incontrare nei corridoi alla ricerca di qualcosa che aveva smarrito.
In quel momento, per esempio, rovistava nelle tasche alla ricerca della propria bacchetta.
«Molto bene» cominciò, quando l’ebbe trovata. «Prima di dare inizio al banchetto, qualche avviso». Si schiarì la voce, mentre, ad un suo cenno, una serie di foglietti colorati cominciava a fluttuare ordinatamente di fronte ai suoi occhi. «So che siete quasi tutti al corrente del fatto che il Torneo Tremaghi, quest’anno, si terrà qui a Hogwarts. Pertanto, tra un mese esatto arriveranno i rappresentanti delle Scuole di Magia di Durmstrang e Beauxbatons. Fate in modo che i nostri ospiti si sentano i benvenuti…»
Lyra stava osservando i post-it. «Bel trucco» disse. «Dovrei usarlo per studiare, così non avrei le mani sempre occupate».
«Hai già scelto le lezioni che frequenterai?»
«Ti ho segnato tutto qui. Quelle sottolineate sono le nostre e di fianco c’è il motivo per cui dovresti darmi retta». Lyra le porse una copia dell’orario - ma come aveva fatto a procurarsela? - corredata di sottolineature e appunti a margine.
«Non credo di voler seguire tutte queste materie». Si attorcigliò una ciocca fulva attorno all’indice, sbuffando. «Erbologia avanzata? Chi diavolo segue Erbologia avanzata?»
«Chiunque voglia inseguire fortuna e gloria e partecipare a una folle impresa suicida». Lyra la gratificò di un sorriso angelico. «In altre parole, tu».
«Ma io…» tentò di obiettare Lily.
«Vuoi dirmi che non hai nemmeno pensato di infilare il tuo nome nel Calice di Fuoco?»
Il ragazzone biondo seduto di fronte a loro rise di gusto: era Carmichael, l’altro prefetto di Ravenclaw. «Ehi, Mikey» esordì, dando di gomito a Rowland che si stava pavoneggiando con Devonne Pierce, «la tua ex vuole partecipare al Torneo».
Gli studenti lì attorno ridacchiarono. Lily era nota nella sua classe come una studentessa dalle poche ambizioni al di là della media scolastica, che era in effetti piuttosto alta; in realtà, la sua era la timidezza naturale dell’eterna seconda. Portava a termine con un discreto successo ogni compito che le veniva assegnato, ma offrirsi volontaria non aveva mai fatto per lei: passare inosservata, tutto sommato, era più sopportabile di quanto lo fosse anche solo l’idea di essere scartata. Lyra, tuttavia, aveva visto giusto: il Torneo Tremaghi la tentava. Mettere un biglietto nel Calice di Fuoco non era come alzarsi in mezzo alla Sala Grande: garantiva comunque una certa forma di anonimato.
«E anche se fosse?» butto lì, senza pensarci troppo.
Molte paia d’occhi si spalancarono. Poi Devonne emise un risolino. «Non hai speranze».
«E chi lo dice» rispose lei, serrando i denti. «Magari il Calice di Fuoco ha gusti migliori del tuo ragazzo».
«Scommettiamo?» la provocò Devonne.
Lily stava per alzarsi e risponderle a tono, ma Lyra la trattenne per una manica, facendo un cenno verso il tavolo di fronte. Sheila Warren, la caposcuola di Hufflepuff, osservava torva la compagine dei Ravenclaw e sembrava sul punto di prendere provvedimenti. Le risatine cessarono di botto e persino Rowland sedette compunto ad ascoltare le ultime parole del discorso del Professor Faulks.
«In ultimo» stava dicendo il Mago, «per la vostra sicurezza è stato necessario isolare l’area del Lago. A quanto pare abbiamo un’inopportuna e imprevista invasione di piante acquatiche, ehm, piuttosto irritabili». Tossicchiò e sorrise, allargando le braccia. «Il nostro Professor Paciock sta studiando la questione e ci auguriamo tutti che la cosa si risolva nel minor tempo possibile».
Neville si alzò e fece un breve inchino, cui seguirono una serie di fischi di approvazione. Lily applaudì con gli altri: tutti amavano gli eroi di guerra, soprattutto se la loro fama era dovuta all’aver decapitato un serpente gigantesco con la spada di Godric Gryffindor.
Il Preside alzò le mani e il clamore cessò. «Molto bene, molto bene. Credo di aver detto tutto» annunciò e detto questo si avviò verso il tavolo. Uno dei suoi foglietti lo inseguì, svolazzandogli davanti agli occhi inmaniera insistente. Faulks lo afferrò e lo lesse. «Oh, sì! E buon appetito!»
In Sala Grande riecheggiarono diverse risate. Lyra si portò una mano sulla fronte. «È un caso disperato» commentò, servendosi una porzione di pesce.
***
«È un peccato che Maggie non abbia potuto fare la gita sul Lago». Albus stava ritto in piedi, vicino alla porta, e controllava i movimenti del corpo studenti.
Lily si morse la nocca dell’indice. «Scommetto che sei distrutto per lei».
«Facevo una semplice osservazione» puntualizzò lui. «Dovresti essere già nel tuo dormitorio, comunque».
«Aspetto Lyra».
«Lyra è un Prefetto, ha il permesso di stare fuori. Tu no».
Lily represse un gemito. «Sei davvero insopportabile».
«E sono un Caposcuola».
Probabilmente, se fossero stati a casa, Lily avrebbe tirato fuori una delle sue rispostacce. A Hogwarts, tuttavia, Albus godeva di un potere che a lei era negato e, poiché da un paio d’anni erano Ravenclaw e Slytherin a contendersi la Coppa delle Case, se gli avesse concesso la possibilità di approfittarsi così della sua posizione avrebbe presto dovuto pagare la sua ingenuità. Così confezionò l’imitazione di un sorriso e la esibì in mezzo alla folla, che tutti potessero assistere e testimoniare la sua educazione.
«Ma certo, Caposcuola Potter. Vado subito» disse.
Seguì gli altri studenti e lasciò che il loro mormorio la stordisse, per qualche istante. Salì le scale con le braccia conserte e fu solo all’ultimo che sentì una mano sottile agganciarla e darle una stretta amichevole.
«Dovresti smetterla di deprimerti per colpa di quel cazzone».
Lily spalancò la bocca. «Credo di non averti mai sentita dire cazzone in diciassette anni».
Lyra fece spallucce. «Ma mi hai sentita dire Rowland. Che io sappia sono sinonimi».
«Non è per lui, comunque» disse Lily, sbuffando.
Rowland era qualche passo più avanti, intento a dare spettacolo per il diletto di alcuni ragazzini del secondo anno. Raccontava le sue imprese sul campo da Quidditch, un argomento che aveva sempre molta presa sul pubblico. Anche Devonne lo contemplava ammirata, come se non fosse stata testimone delle numerose sconfitte subite dalla squadra di Ravenclaw da quando lui era diventato Capitano. Come stratega non valeva un granché, a dispetto della Casa in cui era stato smistato, ma questo importava poco. Lui era popolare.
«È che comincio a pensare di aver ereditato tutto il peggio della famiglia. Non sono nemmeno capace di mettermi in gioco senza farmi venire i sudori freddi. Nessuno scommetterebbe uno zellino sulla sottoscritta».
«Scema». Lyra aveva inarcato il sopracciglio sinistro. «Sai, credo che dovresti provarci. Metti il tuo nome nel Calice. Sfida la sorte».
Lily la studiò. «Non avevi detto che dovevo tenere a bada il fattore Potter?»
«Già. Ma sarebbe come chiedere al mare di stare all’asciutto. E poi sarebbe una gradevole ventata di novità, se tu facessi qualcosa d’imprevisto».
«Devo farmi ammazzare perché tu ti annoi?»
«Come sei melodrammatica» sospirò Lyra. Si era appoggiata a una delle colonne che reggevano il soffitto a volta dell’anticamera e guardava con insofferenza il gruppetto di studenti giovani che confabulava nei pressi dell’entrata del Dormitorio. «Ehi, voi, là davanti, perché siete tutti fermi?»
«Non riusciamo a farci aprire la porta» rispose una delle ragazzine.
«Che cosa vi ha chiesto?» domandò, facendosi strada. Lily la seguì e in breve si ritrovò anche lei attorniata da ragazzini.
«Sono la Morte, sono un cane a tre teste, sono la furia delle tempeste.
Una sola mossa contro tre nemici. Che arma scegli?»
La voce incolore della porta tacque.
«Oh, su, è facile». Lyra arricciò le labbra. «Possibile che nessuno qui lo sappia?»
Un brusio sommesso riecheggiò tra i ragazzi più giovani. Gli studenti anziani sembravano non badare a loro, come se non avessero alcuna fretta di entrare. Persino Carmichael se ne restava in disparte, a dispetto del suo ruolo di Prefetto: era una sorta di tradizione, a Ravenclaw, che i nuovi arrivati risolvessero da soli il primo indovinello.
«Non possiamo rimanere qui fuori tutta la sera» brontolò qualcuno.
Carmichael fece spallucce; guardava Lyra, quasi sfidandola a fare qualcosa di cui, chiaramente, la riteneva incapace. Sbagliava, naturalmente: infrangere le regole senza darlo a vedere era il suo passatempo preferito. Di certo, però, non avrebbe sfidato apertamente la legge non scritta del rito d’iniziazione, se non in caso di estrema necessità. Lily la vide scuotere il capo con aria rassegnata.
Si levò una debole protesta: quell’indovinello non era adatto a ragazzini del primo anno.
«Non potremmo chiedere una domanda di riserva?» propose una di loro.
Lyra sollevò un sopracciglio. «Non credo sia mai successo».
«Io vorrei entrare» s’intromise Devonne, che si era avvicinata all’ingresso.
«Risolvi l’indovinello, allora». Lyra le dedicò un largo sorriso.
«Fossi matta, Malfoy. Non lo sai? Porta sfortuna infrangere la tradizione». Devonne fece una smorfia. «Non ricordi la leggenda? Chiunque impedisca il rito d’iniziazione discende nell’Averno. Non ho voglia di morire entro l’anno!»
«Sono sciocche superstizioni. Nessuno muore per una risposta esatta».
«Perché non lo fai tu?» Una serie di consensi si levò alle spalle di Devonne. Se proprio una regola doveva essere infranta, era bene che lo facesse un Prefetto. Era quello che pensavano tutti.
«Lo faccio io» disse Lily e si ritrovò immediatamente tutti gli sguardi puntati addosso. «La musica, come nel mito di Orfeo. Orfeo riesce a placare la natura suonando la lira e il suo canto placa le fiere. Anche Cerbero, il guardiano dell’Ade; e il Dio della Morte si commuove tanto da concedere a Orfeo di riportare la sua amata in vita» concluse.
Tutti trattennero il fiato. La serratura si sbloccò con uno scatto anonimo e la porta si aprì, rivelando l’imbocco della scala; appeso a mezz’aria a fili invisibili c’era, come ogni anno, uno striscione di benvenuto, con una grande aquila al centro.
«Beh, non si è aperta nessuna voragine con accesso diretto all’Aldilà, mi sembra» commentò Lyra, con una nota di sollievo nella voce. «Tutti dentro, coraggio».
Devonne scrollò la testa. «C’è ancora tempo» mormorò, avviandosi.
Lily rabbrividì. «Gentile».
«Come sempre. Ignorala». Lyra sorrise. «Sei stata grande, li hai zittiti tutti».
«Non mi si avvicinerà nessuno per il resto dell’anno, ma ne è valsa la pena. Non credo di essermi mai sentita tanto bene».
Lyra le strizzò l’occhio e la prese sottobraccio. «È genetico. Non puoi farci niente».
«Stai ancora parlando del fattore Potter?»
«E di che altro?» rise Lyra, trascinandola su per le scale.
Ciao. Ehm.
Che dire. Intanto, grazie a chi ha recensito, seguito, preferito, likato, cuorato e via andare. Poi dopo:
Note, citazioni, luoghi, etimo e nomenclatura:
• i romanzetti Harmony dei maghi. Mi fanno buttare via dal ridere e non posso farci niente.
• Fortuna e gloria è una citazione da Indiana Jones e il Tempio Maledetto.
• Parsifal Dalamar è un nome che viene da due fonti: Parsifal, uno dei cavalieri della tavola rotonda, e Dalamar Lo Scuro, un personaggio di Dragonlance.
• La leggenda di Ravenclaw e la tradizione dell'indovinello sono una libera invenzione della sottoscritta. Quel discende nell'Averno fa un po' eco a un vecchio teen movie che conosco solo io.
• I corpi speciali che conoscerete come W.A.T.S. sono una libera invenzione di me medesima.
• Hagrid sposato con Madame Maxime è, a quanto sembra, inesatto. Ma ormai l'avevo scritto.
Sarebbe carino se mi diceste cosa ve ne pare. E anche se mi raggiungeste qui.
“All your questions can be answered, if that is what you want.
But once you learn your answers, you can never unlearn them.”
Neil Gaiman, American Gods
“Lily Potter se la fa sotto” c’era scritto su uno dei banchi dell’Aula di Difesa Contro le Arti Oscure. Lily corrugò la fronte, mostrando a Lyra l’ultima prodezza di Devonne Pierce.
«Oh, esistono rime peggiori» sentenziò lei, facendo svanire la scritta offensiva con un colpo di bacchetta. «E comunque, lasciala starnazzare. Dee ha lasciato il cervello nello sgabuzzino delle scope».
«Ha tappezzato di fogli con scritte come questa l’intero Dormitorio» protestò Lily, prendendo i libri sottobraccio. «Non credo di poterla ignorare».
Lyra arricciò le labbra. «Fantastico. Allora falle una fattura. Ne conosco una assolutamente perfetta».
«Tu non capisci. Queste cose ti scivolano addosso» obiettò Lily, seguendola fuori dall’Aula. Fece finta di non vedere Michael e il suo gruppo di amici che si davano di gomito al suo passaggio: da quando avevano rotto lui non faceva altro che cogliere ogni occasione per darle fastidio. Lily cercava di non dargli importanza; non aveva grandi rimpianti del periodo passato con lui, ma il sorriso trionfante che Devonne le dedicava ogni volta che s’incrociavano l’aveva fatta vomitare bile per una settimana.
Lyra scosse la testa. «Ti ricordi al secondo anno, quando tu hai avuto l’influenza e sei rimasta in infermeria per cinque notti? Ho scritto una lettera al giorno a casa chiedendo che venissero a prendermi perché nessuno mi parlava tranne te». Fece una smorfia, accorgendosi che Lily stava per obiettare. «E l’anno scorso prima che tutti partiste per le vacanze di Natale una delle ragazze ha appeso sopra il mio letto una foto della sorella di mia nonna, quella che torturava le persone, con scritto cattivo sangue non mente».
«Lyra…»
«Non avrei mai potuto chiamare mia madre. Ci sarebbe rimasta troppo male» aggiunse, scrollando le spalle.
Lily annuì, pentendosi di averla lasciata sola. «Lo so» disse. «Ma avresti potuto stare da noi».
Il volto di Lyra si rischiarò. «Non ce l’ho con te» disse, «e ucciderei per la cioccolata calda di Molly Weasley, ma tu lo sai che non le piaccio. Oh, sono tutti molto gentili, sia chiaro» rise, scostandosi di lato per far passare il custode che barcollava, rischiando di far cadere i due grossi candelabri che stava trasportando, «ma quando mi guardano ho la sensazione che vorrebbero vedere qualcuno che non sono io». Si morse il labbro con gli incisivi, rivelando una certa agitazione. Diventava sempre nervosa quando si toccava l’argomento della famiglia Weasley. L’unica che non la metteva a disagio era la madre di Lily: tutti gli altri, per Lyra, erano argomento tabù.
Un nutrito manipolo di ragazzi in divisa azzurra le sorpassò, lasciandosi dietro una scia di chiacchiere in lingua francese. Erano quelli di Beauxbatons, giunti a scuola una settimana prima: sfilavano per i corridoi spargendo sorrisi e r mosce, fra gli sguardi stravolti degli studenti di Hogwarts che non erano abituati a tutto quel sussiego. Lily si fece da parte, stringendo a sé la sua borsa, e uno dei francesi, un giovanotto coi capelli castano scuro, alto e massiccio, e le rivolse un distratto cenno di scuse.
«Quello era Armand De Rais» spiegò Lyra, una volta che il ragazzo fu fuori dalla loro portata. «Dicono tutti che sarà il campione di Beauxbatons. A quanto pare è bravissimo, oltre che pieno di ammiratrici» cantilenò, storcendo il naso. «Se penso che avrei potuto essere in quella scuola mi vengono i brividi».
«Non è così male» obiettò Lily, mentre sbucavano in Sala Grande. «E ti avrebbe evitato situazioni come quella dell’anno scorso. Almeno credo».
«È quello che ha detto anche mio padre» Lyra si accigliò. «Ma ha sempre saputo che alla fine avrei scelto Hogwarts. Non ho fatto altro che sognare di vedere tutto questo, fin da quando avevo quattro anni». Stese un braccio in avanti, sull’ampia visuale della Sala già addobbata per Halloween. «Puoi darmi torto?»
«No». Lily sospirò. «Glielo hai detto, a tuo padre? Della foto».
«Sei matta? Se lo avesse saputo avrebbe appeso la colpevole al segnavento della Torre per il cappuccio del mantello. Cioè» si corresse, reprimendo l’ilarità che le si era annidata nella voce, «avrebbe minacciato di farlo. Sai quanto sono convincenti le sue minacce» chiosò, sedendosi al tavolo e afferrando un muffin salato.
«Avresti dovuto scrivermi. Mamma ti avrebbe ospitata volentieri a Grimmauld Place fino all’inizio delle lezioni».
Lyra tagliò il suo muffin in due e si servì dal piatto delle salsicce. «Non preoccuparti, non sono sola al mondo. Sono andata a trovare i nonni, alla fine. È stato divertente» Levò lo sguardo verso la volta del salone, che si andava riempiendo di nuvole bianche e soffici come fiocchi di cotone. «Nonna Cissy mi ha portata a fare shopping e mi ha comprato metà Diagon Alley».
A Lily andò il boccone di traverso. «Letteralmente, scommetto».
«Più o meno» sogghignò Lyra. «Ma non è questo il punto» riprese, tornando seria. «Dee che fa le rime col tuo cognome non dovrebbe turbarti più di quanto la somiglianza con una lontana parente non turbi me. Reagisci, porca miseria. Hai già messo il tuo nome nel Calice di Fuoco?»
Lily abbassò lo sguardo sul piatto. «Non posso» bofonchiò. «Gli studenti che non hanno ancora compiuto diciassette anni non sono ammessi. Non hai letto il regolamento?»
Era appeso al piedistallo su cui stava il Calice, al centro della Sala. Lily si meravigliò che Lyra non ne sapesse niente; si voltò per dirglielo, ma si accorse che lei stava fissando due degli ospiti di Durmstrang intenti a consultare la lunga pergamena.
«Quel regolamento?» chiese, indicandolo con il manico della forchetta.
«Ne vedi altri?»
«Lils» Lyra posò la forchetta e drizzò le spalle piegando la testa di lato, in quel suo modo che preannunciava una lezioncina. «Potter» esordì, «mi meraviglio di te. Quel regolamento ha più buchi del formaggio ballerino».
«Buchi?»
«Non ci posso credere» Lyra fece una smorfia esasperata. «Sai, certe volte penso che tu avresti dovuto sederti laggiù» disse, indicando alla cieca il tavolo di Gryffindor. «Se ci sono delle regole c’è sempre un modo per aggirarle. E nel caso non te ne fossi accorta, il Professor Faulks ha stilato l’elenco personalmente».
«Lo so» ribatté Lily, che aveva riconosciuto la calligrafia. «E allora?»
«E allora» la scimmiottò Lyra, tornando a guardarla, «hai mai notato quanto sia sbadato?»
Lily si concesse un sorriso. «Pensi che riuscirà a dimenticare la parola d’ordine del gargoyle anche quest’anno?» chiese, girandosi a guardare il tavolo dei professori. Faulks era intento in una fitta conversazione con Neville Paciock e i suoi bigliettini colorati gli svolazzavano attorno alla testa come tante farfalle.
«Probabilmente» Lyra liquidò la faccenda con un’alzata di spalle. «Credo che dovremmo dare un’occhiata a quel regolamento più da vicino».
Lily annuì e si contorse sulla sedia. Rischiò quasi di cadere un momento dopo, vedendo suo fratello che si avvicinava a sua volta per consultare la lunga serie di requisiti necessari per accedere al sorteggio. «Porca vacca» mormorò, mettendo quasi un punto fra una parola e l’altra.
A Lyra uscì del succo di zucca dal naso. «Che c’è?»
«Guarda là» disse lei, indicando Albus che leggeva. «Sai che cosa significa?»
«Non penso, no».
Lily si accasciò sul tavolo, fra il piatto sporco di sugo e un bicchiere di latte pieno fino all’orlo. Guardò di nuovo Al e poi la sua migliore amica: a lei non era toccato di contendersi lo spazio con nessun fratello. Tra Lyra e Lucas c’erano cinque anni di differenza, abbastanza perché non sentissero il bisogno di pestarsi i piedi a vicenda. Non avrebbe capito.
«Ha i migliori voti del suo anno, Lyra. Contro di lui non ho speranze».
Lyra prese un gran respiro e sollevò teatralmente gli occhi al cielo. «Qualsiasi avversario può essere battuto, se solo fai la mossa giusta».
«Non è questione di mosse, e tu lo sai. È il Calice di Fuoco che sceglie il campione e per ogni scuola può essercene soltanto uno». Lily si sentiva così a terra che provò l’improvviso desiderio di coprirsi con il Mantello dell’Invisibilità di suo padre e scomparire. Possibilmente per sempre. Ma quel Mantello lo aveva suo fratello James. Schiacciò il naso contro il tavolo: c’erano giorni in cui le sembrava che sarebbe stato tutto più semplice se solo fosse nata per prima e con le palle.
«Sai» commentò Lyra, guardandosi le unghie, «ci sono molti modi per eliminare un avversario ancor prima che la partita cominci».
«Stai dicendo che dovrei imbrogliare?»
Lyra le rivolse un sorriso innocente. «Non si chiama imbrogliare. Si chiama giocare d’anticipo».
***
Alle quattro avevano finito di studiare e si erano avventurate nel parco.
C’erano pochi studenti fuori a quell’ora, soprattutto in prossimità del Lago, dove la foschia sottile che si snodava fra i viali mutava trasformandosi in una muro solido che chiudeva lo sguardo e nascondeva l’orizzonte. A Lily era sembrato di vedere delle ombre agitarsi oltre la spessa coltre di bruma: si alzò in punta di piedi, sforzando la vista, ma non riuscì a distinguere nulla.
«Ancora non capisco perché hai voluto venire qui» borbottò, soffiandosi sulle mani intirizzite. «Fa freddo e credo di ricordare qualcosa a proposito di una specie di pianta poco amichevole».
Lyra sbuffò. «Non so se l’hai notato, Lils, ma questa storia della pianta è davvero assurda. Lo zio Neville non fa altro che confabulare con il Preside, ma a quanto pare la pianta è ancora qui. E poi, scusa, ti sei guardata attorno? Non vedi niente?» chiese, sgranando gli occhi.
«Scusa, ma non capisco cosa dovrei vedere. È tutto bianco» obiettò Lily, sedendosi sul prato.
Lyra si sedette accanto a lei. «Appunto. Hai mai visto una nebbia del genere?»
«Vivo a Londra, lì la nebbia è verde».
Ridacchiarono entrambe.
«Beh, io sono cresciuta nella brughiera» riprese Lyra, arricciando il naso, «e lì c’è nebbia da settembre fino a maggio. Ma la nebbia normale è umida e quando ci passi attraverso ne senti l’odore. Sa di acqua e mondi segreti. Filtra la luce e ti bagna i capelli e l’erba si copre di quel velo lucido che la fa sembrare ancora più verde». Sollevò una mano perfettamente pulita e gliela mostrò. «Guarda: qui non c’è una goccia d’acqua. È tutto asciutto».
Lily strofinò le dita sull’erba. «Non ci avevo fatto caso».
«Se ti fossi seduta su un prato bagnato ti saresti gelata il culo» disse Lyra, facendola scoppiare a ridere. «Quindi direi che almeno una parte di te ci ha fatto caso eccome».
«Pensi che questa strana nebbia abbia a che fare con la pianta del mistero?»
Lyra si strinse di più nel mantello e le poggiò la testa sulla spalla. «Non ne ho idea, Lils. Ma quelli di Durmstrang sono arrivati col treno e non con la nave, come fanno di solito. Qualsiasi cosa sia che li tiene lontani dal Lago, dev’essere molto pericoloso».
«Io credo che volessero semplicemente essere sicuri» Lily si sfregò le mani, come sempre quando si sentiva nervosa. «Sai, che non si facesse male nessuno».
«Zio Neville sa qualcosa. E io voglio scoprirlo». Lyra si tirò su e spazzò via l’erba secca dal fondo del mantello. Le tese una mano per aiutarla ad alzarsi. «Comunque» commentò, quando furono entrambe in piedi, «voglio cercare ancora in Biblioteca. Mi accompagni?»
Lily fece un cenno di assenso. «È una buona idea» disse. «Magari trovo un buon sistema per sparire nel nulla ed evitare l’umiliazione quando mio fratello sarà sorteggiato e io finirò nel dimenticatoio».
«A proposito di questo, hai letto la postilla in fondo al regolamento?» Lyra schiuse le labbra in un sorriso soddisfatto. «Dice che gli studenti che non hanno ancora compiuto diciassette anni ma li compiranno entro un anno possono comunque partecipare, se hanno un’autorizzazione scritta».
Lily fece per replicare, quando udì un rumore provenire dai cespugli. Afferrò Lyra per un braccio e sguainò la bacchetta. «Chi è là?» chiese, guardandosi attorno.
I rami secchi della siepe si mossero scricchiolando forte; il rumore echeggiò nel silenzio, seguito da una voce infantile. «Lily?» la interpellò una delle due figure che emergevano lentamente dalla nebbia.
«È solo tua cugina» Lyra posò una mano sul polso di Lily. «Abbassa la bacchetta o si spaventerà».
Maggie e la sua amica le raggiunsero qualche istante dopo, sbuffando aria condensata dalle narici. Quando furono abbastanza vicine, Lily riconobbe i capelli arancione vivo di Wendy e il suo visetto lentigginoso, su cui erano sbocciate due grosse chiazze scarlatte.
«Come mai siete qui?»
«Abbiamo fatto un giro e ci siamo perse nella nebbia». Maggie si grattò la fronte. «È un sacco strana».
Lyra incrociò le braccia sul petto. «Avreste potuto perdervi nella Foresta. Dovrei togliervi dei punti per questo: gironzolare qui attorno è proibito» disse, mettendo su il suo cipiglio da Prefetto.
Wendy si fece avanti. «Oh, no, per favore» pigolò. «Volevamo solo salutare il custode, ma tornando indietro abbiamo sbagliato strada e ci siamo perse». Aveva l’aria contrita, notò Lily, e si fissava le punte dei piedi anziché guardarle in faccia: aveva alzato gli occhi, che aveva di un blu profondo e scuro, solo per quei pochi attimi necessari a calcarsi il cappello sulle orecchie rosse per il freddo.
«Andiamo. Torniamo a scuola tutte insieme». Lyra fece segno alle due bambine di precederle.
Il sentiero era costellato di foglie secche che scricchiolavano sotto i loro piedi; man mano che si allontanavano dal Lago il silenzio rarefatto sembrava dissolversi assieme alla nebbia.
«C’è una cosa che non capisco: perché siete andate a salutare il custode?» Lyra si tirò su il bavero e affondò il naso nella sciarpa blu. «È l’uomo più scontroso che conosca. Non credo ci abbia mai rivolto la parola in sei anni che siamo qui».
Meg si voltò. «Oh, con noi è stato gentile. Ci ha offerto la cioccolata con i biscotti e ha chiacchierato un sacco con me».
«Boyle?» Lyra sollevò un sopracciglio. «Non ci posso credere. Accidenti».
Lily sorrise sotto i baffi. Avrebbe detto di peggio, se non ci fossero state le bambine; la osservò camminare al suo fianco con le mani in tasca, muta, succhiandosi il labbro inferiore, e prese nota di chiederle cosa stesse pensando non appena fossero state di nuovo per conto loro.
La giornata volgeva al tramonto: uscendo dalla fitta coltre bianca riuscirono a scorgere il castello e i profili delle torri tinti di una luce del colore del miele. Sbuffi di nuvole dai riflessi iridescenti galleggiavano in un cielo altrimenti sgombro, ammassandosi lentamente alle spalle della Torre di Astronomia. Lily si schermò gli occhi con la mano: nel largo spiazzo di fronte al portone c’era un uomo dalla folta chioma grigia, alto almeno due metri e mezzo, che parlava con suo fratello Al.
«Hagrid!» chiamò.
L’uomo si voltò e la sua bocca si allargò in un sorriso gioioso. Percorse lo spazio che lo separava da lei in due rapide falcate e l’avvolse in una stretta soffocante, sollevandola da terra di un palmo. «Lily Luna Potter! Oh!» tossicchiò, posandola di nuovo sul selciato, «Sei diventata grande! E guardati! Sei spiccicata a tua nonna! Grande, grande strega, Lily Potter…»
«Ciao, Hagrid». Lily si sistemò il mantello stropicciato. «Come mai da queste parti?»
«Ho raggiunto la mia signora» rispose quello, facendole l’occhiolino. «Olympe proprio non ce la fa a stare senza di me. Ah, Lily, lo stavo proprio dicendo a tuo fratello: quante ne ha viste questa scuola! Quanto mi manca» borbottò dandole un’affettuosa gomitata che la fece barcollare. «E tuo padre, che scavezzacollo! Una ne faceva e cento ne pensava. Lui, Ron e Hermione non riuscivano a stare fuori dai guai neanche per mezza giornata».
Lyra, che era rimasta in disparte, si schiarì la voce.
«Uh, oh» Lily si sentì avvampare. «Hagrid, ti presento Lyra. E, Lyra, lui è Hagrid».
«Piacere» mormorò lei. «Mia madre ha ancora delle vecchie foto della scuola dove ci siete tutti. Mi ha parlato molto di quel periodo». Sembrava ancora nervosa: spostava il peso da un piede all’altro e la mano che aveva teso in direzione di Hagrid non era del tutto ferma.
«Hagrid?» lo chiamò Lily.
Lui, dal canto suo, era rimasto fermo a studiare la ragazza che aveva di fronte, quasi soppesandola. Dopo qualche secondo parve illuminarsi, come se avesse trovato la risposta a una domanda che lo tormentava.
«La figlia di Hermione! Oh, ma sicuro!» esclamò, afferrandole la mano. «Beh, non le somigli molto, ma hai il suo stesso modo di parlare». Diede un’occhiata alla spilla da Prefetto che riluceva sul bavero della ragazza. «E anche i suoi voti, scommetto».
«Lyra è la migliore della scuola» disse Lily, facendo scoppiare Hagrid a ridere di gusto.
«La migliore del suo anno».
Tutti si voltarono. Albus era rimasto dietro Hagrid di qualche passo e sorrideva con quella calma e quella sicurezza che Lily gli aveva sempre invidiato. Nessun altro in famiglia era capace di rimanere così impassibile.
«Caposcuola Potter» lo salutò Lyra a denti stretti. «Ti ricordo che ho un G.U.F.O. più di te»
«In Rune Antiche» motteggiò Albus, facendole il verso. «Fondamentale».
Lyra era impallidita e aveva spalancato gli occhi. «Più o meno come il tuo in Divinazione» sbottò.
«Non crucciarti troppo, Malfoy». Albus estrasse un foglio di pergamena arrotolato dalla tasca. «Lo vedi questo? Questo è quello che dimostrerà a tutta la scuola chi è il migliore. Ho intenzione di vincere il Torneo Tremaghi. Stavo andando a spedire il modulo di autorizzazione a casa perché lo firmino; peccato che tu sia un anno indietro, non è vero?»
Hagrid gli batté una vigorosa pacca in mezzo alla schiena. «Ha! E bravo! Un altro Potter campione di Hogwarts!»
Lyra confezionò un sorriso di facciata. «Sono sicura che sarà così» ribatté. «Vero, Lils? Tiferemo tutti Potter quest’anno».
Albus fece una smorfia. «È meglio che mi sbrighi» borbottò. «Ciao, Hagrid. Ci vediamo».
«Sì, vai» disse Lyra senza guardarlo. «Potter» mormorò, levando gli occhi al cielo.
Lily si toccò le guance in fiamme. «Lyra…»
«Scusa. Scusami tanto, davvero». Strizzò gli occhi e scosse la testa. «Ti voglio bene, Lils, ma detesto tuo fratello e se lo avessi in casa tutto il giorno rimarrebbe schiantato dalla mattina alla sera» ammise, allargando le braccia.
«Beh» azzardò Maggie, che era rimasta in disparte fino a quel momento, «lui non è gentile come te» disse, guardando Lily, mentre si strattonava la cravatta con lo stemma del Tasso. «Mi ha presa in giro tutto il tempo, mentre andavamo alla stazione». D’istinto cercò protezione avvicinandosi a Wendy, che però sembrava distratta e fissava un punto in mezzo ai cespugli.
Hagrid abbassò gli occhi. «E questa chi è?»
«Hagrid, ti presento mia cugina Maggie. Meg» disse Lily, spingendola dolcemente avanti, «lui è Hagrid. Prima lavorava qui come custode».
«Cugina?» Hagrid si chinò sulla ragazzina e la esaminò. «Non mi sembra una Weasley».
Maggie scosse la testa. «No, signore. Io mi chiamo Dursley».
Sbalordito, Hagrid guardò prima Lily e poi la piccolina davanti a lui. «Dursley? È la figlia di…»
Lily annuì, mentre Maggie si faceva paonazza e Hagrid si grattava la folta zazzera irsuta. «Che mi venga un accidente». Piombò a terra battendo le natiche e facendo tremare il suolo circostante; si coprì la faccia con le mani.
«Hagrid, ti senti bene?»
Le grosse spalle dell’uomo andavano su e giù, scosse dai singulti.
«Ma che ha?» Wendy spalancò la bocca. «Signore?» lo chiamò, battendogli sul braccio.
La faccia di Hagrid riapparve dietro le dita tozze, lucida di lacrime. Nei suoi occhi nerissimi risplendeva una scintilla di ilarità.
«Uh, uh» ululava, senza riuscire a smettere di ridere. «Non ho niente» le rassicurò, raccogliendo uno dei grossi lucciconi con l’indice. «Ma quando torni a casa per Natale, per favore, di’ a tuo padre… Digli che mi dispiace davvero tanto per la sua coda!»
***
La voce secondo cui uno dei figli Potter avrebbe partecipato al Torneo si era sparsa, veloce come solo i pettegolezzi erano capaci di diffondersi. Che tutti tifassero per Al era una conseguenza più che naturale, secondo sua sorella: persino lei avrebbe tifato per Al, se quel tarlo di inquietudine non le avesse divorato lo stomaco, spingendo sul cuore alla vana ricerca di un riscatto da quella eterna condizione di ultima venuta. Lily si mise a sedere sul letto, dove stava sdraiata da un quarto d’ora senza dire niente.
«Non ce la farò mai» sospirò, guardando il suo tema di Pozioni, che giaceva abbandonato assieme agli appunti che aveva preso a lezione. «Qual è la differenza fra le bacche e le foglie di Belladonna?»
Lyra chiuse il suo libro. Si era sciolta i capelli sulle spalle e se li attorcigliava attorno alle dita, quasi accarezzando, o pettinando, un pensiero latente. «La Belladonna ha un potere calmante. Le vittime della maledizione Contremui o i pazienti affetti da malattie con effetti che includono tremori possono trarre un certo giovamento da una pozione con estratto di foglie di Belladonna». Le mostrò i suoi appunti, evidenziando la parte sottolineata. «Ma non ti consiglio di usare le bacche. Il riposo in quel caso potrebbe essere eterno».
«Accidenti». Lily afferrò il suo tema e si affrettò a correggere. «Di che colore dovrebbe essere questa pozione?»
«Lattementa. Il verde intenso indica che hai usato troppe foglie. Se invece diventa blu e fa le bolle, l’hai fatta cuocere troppo a lungo». Lyra prese un gran respiro. «Dov’eri con la testa, mentre la Morgan spiegava queste cose?»
Lily grattò la pergamena con la penna e guardò fuori dalla finestra. A quell’ora, probabilmente, Al aveva già ricevuto il modulo di autorizzazione firmato e l’indomani lo avrebbe consegnato al Preside. Strinse i pugni, sbuffando: suo fratello meritava più di lei quella partecipazione. Lui di certo sapeva preparare il Distillato della Morte Vivente e non avrebbe avuto difficoltà a ricordare come ricavare un’essenza per la Pozione Fermascosse. Possedeva il talento che mancava a lei e pure a James, che però riusciva a brillare di una luce che era tutta sua.
Lyra scese dal letto e andò a sedersi accanto a lei. «Sai cosa? Penso che le intenzioni bellicose di tuo fratello potrebbero volgersi a tuo favore».
«Terrà alto il buon nome della famiglia, suppongo. Comunque, nessuno a casa mia si sarebbe mai sognato di firmare per me». Ripose il tema in un cassetto. «Inoltre, il limite di età è una vera fregatura».
«Ah, ma allora sei di legno!» Lyra balzò in piedi e si sfilò dalla tasca un rotolo di pergamena pieno di scritte che si srotolò nella sua mano. Era così lungo che toccava terra.
«Oh, caz… Hai rubato il regolamento?»
Lyra scosse la testa. «Ma certo che no, Lils. L’ho duplicato». Estrasse la bacchetta dalla manica e picchiettò su un rigo: una piccola bolla che fluttuava nell’aria andò a posarsi sulle parole che le interessavano, ingrandendo i caratteri per permetterle di distinguerli anche a distanza. «Leggi».
«Gli studenti che compiranno la maggiore età entro un anno possono partecipare al Torneo se autorizzati dai genitori. Chiunque disponga dell’autorizzazione firmata può passare nell’ufficio del Preside per ritirare il suo lasciapassare entro il giorno dell’estrazione del nome» recitò Lily, scandendo le parole. «E allora?»
Il foglio si ripiegò ordinatamente nella mano di Lyra. «Hai letto bene? Dice un anno. Quando è il tuo compleanno?»
«Lo sai, è ad agosto». Sua madre era rimasta incinta che Albus non aveva neanche due mesi: era una cosa che entrambi i suoi fratelli non mancavano mai di farle notare, attribuendole una certa capacità di rompere sempre le uova nel paniere.
«Esatto. Di norma, questo non basterebbe a renderti idonea» Lyra esibì un sorriso trionfante, «ma la distrazione del Professor Faulks potrebbe averti fornito una scappatoia. Vedi, un anno non è la stessa cosa di quest’anno. Un anno sono dodici mesi e in questo senso hai tutti i requisiti per accedere al sorteggio».
Lily ci pensò su. «È un cavillo che non reggerà. Si renderanno conto dell’errore e lo correggeranno» disse dopo un po’.
«Non è possibile. Anche se nella pratica si tratterebbe di risolvere un’irregolarità, formalmente sarebbe come cambiare le regole. E le regole per il Torneo Tremaghi non si possono cambiare, una volta stilate». Lyra tornò a sedere. «Storia della Magia, volume quinto. Competizioni fra Maghi, Tornei e Olimpiadi di Stregoneria».
Lily annuì: adesso ricordava anche lei le noiosissime lezioni di Storia della Magia sull’argomento. «Bene, forse hai ragione, ma rimane il problema dell’autorizzazione che non ho. Nessuno firmerebbe per me, soprattutto visto che sto cercando di infrangere le regole».
«Quanto a questo, penso che tuo fratello possa decisamente aiutarci».
«Al?» Lily rise. «No, guarda, tu non lo conosci. Non mi aiuterà. Mamma gli taglierebbe la testa se lo scoprisse. Anzi, gli taglierà la testa appena scoprirà che vuole partecipare al Torneo» precisò, immaginando la faccia di sua madre mentre leggeva la lettera. «No, è escluso. Credimi: è un piano senza speranze».
«A me sembra» disse Lyra, annodandosi i capelli sulla nuca, «che tu abbia già gettato la spugna. Non mi fraintendere: normalmente mi starebbe benissimo così, ma sei tu che mi hai rotto le palle per settimane con la storia di tutti quelli che ti hanno sottovalutata nella tua vita». Le scoccò uno sguardo di biasimo.
«Lo so. Mi dispiace».
«Lils. Per favore, ascoltami solo un momento. So come ottenere il lasciapassare: non è una cosa semplice» ammise, sfregandosi lo spazio fra le sopracciglia, «ma si può fare. Ecco il piano: anche tuo fratello ha bisogno dell’autorizzazione, giusto?»
Lily fece un cenno affermativo. «L’hai sentito oggi, con Hagrid. Compie gli anni tra due settimane. Nel suo caso è una pura formalità».
«Esatto. Ma come hai detto tu, ha più probabilità di ottenerla perché è un maschio».
«Io non ho detto questo!»
«Oh, sante palle della prozia Belvina, è chiaro che è per questo!»
Lily scoppiò a ridere. «Hai una parente che si chiama Belvina?»
«Ma certo che ce l’ho. Solo che non sono del tutto sicura se sia una zia o una cugina. L’antica e nobilissima Casata dei Black ha un albero genealogico molto intricato. A proposito» saltò su come una molla, «lo sapevi che siamo quasi parenti? Una delle prozie di tuo padre era sorella del mio trisavolo Black».
«Non ci credo».
«È così. Mi sono studiata le carte quest’estate a casa dei nonni. Lo sai, le famiglie di Maghi finiscono per essere tutte imparentate fra loro, anche alla lontana. Mamma ha riso molto quando gliel’ho raccontato». Gli occhi di Lyra si illuminarono. «Papà un po’ meno. Ma l’ha presa meglio di quanto mi aspettassi».
«Supereranno mai questa storia?» Lily si strinse nelle spalle.
«Mamma dice che si odiavano ai tempi della scuola. Anche con lei» mormorò Lyra, arricciando le labbra. «Ma alla fine se l’è sposato. Immagino che, se uno s’impegna…»
«Posso farti una domanda?»
«Suppongo di sì» ribatté Lyra, fissando il soffitto.
«Papà mi ha raccontato qualcosa della guerra; è stato piuttosto vago, non credo gli piaccia rivangare certe faccende. Quando eravamo più piccoli diceva che ce lo avrebbe spiegato non appena fossimo stati in grado di capire». Lily si fissava le mani in grembo: certi argomenti fra loro non erano mai stati affrontati - le ferite degli altri, gli incubi dei tempi che erano stati si stagliavano di rado sulle loro vite senza terrore e quando lo facevano era per il tempo di un battito di ciglia.
«Quindi?»
Lily si fece coraggio. «Voi in famiglia parlate di queste cose?»
«A volte» Lyra sembrava ansiosa di cambiare argomento. «I miei non sono mai stati reticenti e Lucas e io volevamo sapere perché mamma non avesse preso il cognome di papà. Così ci hanno spiegato tutto quanto; io avevo sette anni. Lucas quasi dodici».
«Capisco». Avrebbe voluto chiedere altro, ma la sua amica sembrava essersi chiusa in se stessa, le braccia attorno al corpo e lo sguardo fisso sul poster di una squadra femminile di Quidditch. Lyra l’aveva ospitata spesso per le vacanze: aveva una casa assolutamente normale, piena di libri e foto di famiglia. Lily era rimasta incantata di fronte a una rastrelliera piena di manici di scope da corsa. I suoi genitori sembravano molto felici: casa Malfoy era diventata, per lei, un rifugio sicuro dal caos di Grimmauld Place. Hermione la trattava come una seconda figlia, anche se aveva l’orribile abitudine di regalarle soltanto libri. «Comunque, la tua famiglia mi piace» disse, un po’ per spezzare quel silenzio pesante e un po’ perché lo pensava davvero. «Siete in gamba. Non credo di aver mai visto nessuno come voi».
«Per aspera ad astra» mormorò Lyra, schiudendo le labbra in un sorriso.
«Il motto di famiglia?»
«Papà ha pensato che quello di prima non fosse più adatto. Ovviamente mio nonno ha battuto i pugni sul tavolo». Lyra sfoggiò un’espressione noncurante. «Ma non è il peggiore dei mali possibili, non credi?»
«Comincio a pensare di no. Le famiglie sono un gran casino. Guarda me: io adoro i miei fratelli, ma certe volte vorrei essere figlia unica».
Lyra fece una smorfia. «Se mio fratello fosse Albus Severus Potter probabilmente io lo sarei già».
«Lyra!»
Quella si fece seria. Posò le mani aperte sul copriletto blu e si drizzò, allungando il collo sottile, quasi in ascolto. Da fuori, non giungeva alcun rumore. Lyra estrasse la bacchetta e imperturbò la stanza. «Sto per dirti una cosa che non dovrei dirti, essendo un Prefetto. Quindi ascoltami perché non lo ripeterò. Per te è molto importante partecipare al Torneo, giusto?»
Lily fece per obiettare.
«No, non provarci. Tanto con me non attacca. So che lo vuoi».
«Suppongo che tu abbia ragione» ammise Lily, «ma non credo che questo cambi le cose».
«Un modo ci sarebbe, te l’ho detto prima. Ma non sono sicura che tu voglia usarlo». Lyra si alzò e cominciò a girellare nella stanza. «Sai cosa vuol dire la frase che ti ho detto prima? Per aspera ad astra?»
«Attraverso le difficoltà per arrivare alle stelle» Lily sorrise. «E allora?»
«E allora non tutte le difficoltà si possono superare in modo convenzionale. A volte è necessario forzare un po’ la mano».
«Significa giocare sporco». Sua madre l’avrebbe inseguita col manico di scopa in mano se avesse scoperto una cosa del genere e suo padre avrebbe avuto più di qualcosa da dire. «Non lo so, non credo mi si addica».
Lyra si voltò a guardarla: il nodo che aveva fatto ai capelli si era quasi sciolto e le ciocche di riccioli scuri sfuggivano alla costrizione come schizzi di una fontana d’acqua scura. «Sei così corretta» sorrise, tentando di ricomporre l’acconciatura. «Io lo capisco, sai. Devi reggere talmente tanti confronti che non sai quale sia più importante».
«E tu sì?»
«No. Ma so che dovresti pensare un po’ a quello che vuoi tu. Ad ogni modo, non ho nessuna intenzione di tifare per un altro Potter».
Lily incrociò il suo sguardo e vi intravide una scintilla di sfida. «Questo cosa dovrebbe significare?»
«Che se non partecipi sarò costretta a tifare per Durmstrang. Anche se, adesso che ci penso, potrebbe non essere tanto male». Lyra le dedicò un sorriso con troppi denti. «Magari mi ospitano per un semestre, se gli faccio da supporter».
«Lyra!»
«O magari mi regalano un viaggio premio in Transylvania. Ho sempre desiderato visitarla».
Lily prese la bacchetta e la puntò verso la testa del letto.
«Non oserai!»
Il cuscino volò sulla faccia di Lyra in uno svolazzo di piume bianche.
Here we go.
Babies. Siete una meraviglia.
Note, citazioni, luoghi, etimo e nomenclatura:
• De Rais, da Gilles de Rais. Un personaggio poco rassicurante.
• Contremui lat. ind. perf. di contremeo, tremare. L'equivalente magico del Morbo di Parkinson (come Pansy?)
• La pozione Fermascosse, invenzione della sottoscritta.
• Il motto della famiglia Malfoy è originariamente «Sanctimonia vincet semper» cioè la purezza vince sempre. A prescindere che non avrei mai usato la parola Sanctimonia in quel senso, Per aspera ad astra mi sembrava adatto e magari qualcuno capirà perché.
Sarebbe carino se mi diceste cosa ve ne pare. E anche se mi raggiungeste qui.