Gli Eredi del Crepuscolo

di poison spring
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Non c'è posta la domenica ***
Capitolo 2: *** II - Il Fattore Potter ***
Capitolo 3: *** III - Per Aspera ad Astra ***
Capitolo 4: *** IV - Fortuna e Gloria ***
Capitolo 5: *** V - Parenti Serpenti ***
Capitolo 6: *** VI - Pottergirl ***
Capitolo 7: *** VII - Storie di Mezzanotte ***
Capitolo 8: *** VIII - Maelstrom ***
Capitolo 9: *** IX - Senza colpo ferire ***
Capitolo 10: *** X - La prima prova ***
Capitolo 11: *** XI - Il Canto della Sirena ***
Capitolo 12: *** XII - Le colpe dei Padri ***
Capitolo 13: *** XIII - Il lavoro del diavolo ***
Capitolo 14: *** XIV - Nodi gordiani e pettini di corno. ***



Capitolo 1
*** I - Non c'è posta la domenica ***


Lasciate che vi prenda per mano e vi racconti una storia.

Di nuovo.

Ancora e sempre, grazie di tutto.



I


Non c’è posta la domenica


“I'll come to you tonight, dear, when it's late,

you will not see me; you may feel a chill.

I'll wait until you sleep, then take my fill,

and that will be your future on a plate.

They'll call it chance, or luck, or call it Fate”.


- Neil Gaiman -


Tutto ciò che Maggie desiderava era riuscire a fare una magia. A cinque anni girava per le strade del quartiere con un ciuffetto impazzito di capelli biondo scuro che spuntava dal cappuccio della felpa e trascinando un carrellino di plastica blu con sopra un coniglio di peluche. Si era messa in testa di farlo scomparire: si sbracciava in complicatissimi arabeschi con le braccia e improbabili formule inventate che finivano quasi tutte in -boo.

A undici era una ragazzina graziosa, dalle guance rosa, che aveva preso quasi tutto dalla madre, Melinda, di professione impiegata alla Biblioteca locale. I suoi capelli erano più scuri, il suo coniglio di peluche più sbiadito e la sua passione più fervente che mai. Suo padre aveva brontolato parecchio: si era imbronciato, e aveva detto una delle parole censurate. La fissazione di Maggie per la magia - una novità assoluta per la famiglia del padre, che aveva sempre considerato certi argomenti alla stregua di autentiche baggianate - sembrava inestirpabile. Melinda, da buona madre dotata di senso pratico, aveva liquidato la faccenda definendola un’infatuazione infantile, fingendo di non notare l’espressione perplessa e un po’ angosciata del marito.

Nessuno aveva mai pensato che la passione di Maggie per certi argomenti potesse nascere da qualcosa di diverso: né sua madre, che del resto non credeva in certe cose, né suo padre, nonostante la ruga in mezzo agli occhi che appariva ogni volta che si verificava qualche fenomeno insolito in presenza della bambina. Nessuno ci aveva mai pensato, neppure la nonna: non prima del suo undicesimo compleanno, comunque.

Il giorno in questione cadeva in agosto e, quell’anno, era una domenica. Per l’occasione, il giardino della villetta era stato addobbato con graziosi festoni colorati e composizioni di palloncini gialli. Poiché tutto era stato approntato la notte prima, non appena la bambina era andata a letto, grande era stato lo stupore di entrambi i genitori nel vedere, quella mattina, gruppi di palloncini penzolare, mezzo sgonfi, a ridosso del muro di cinta, e i festoni cosparsi di macchie biancastre.

«Dudley» Melinda aveva chiamato il marito che, basito, osservava la scena senza proferire parola.

Dudley aveva sporto il labbro in avanti, corrugando le sopracciglia. «Mindy? Sto sognando, vero?»

«Ci vorrà tutta la mattina per sistemare questo pasticcio. Che cosa sono queste chiazze» si era lamentata, prendendo una delle strisce di carta crespa, «è piovuto fango, stanotte?»

«Temo di no». Dudley aveva sbattuto le palpebre. «Posala. Credo che abbiamo un problema».

Melinda aveva arricciato le labbra. «Certo che lo abbiamo. Tra due ore tua figlia si sveglierà e tutto quello che avrà saranno palloncini flosci e… Cos’è questo schifo?» Aveva annusato la macchia da vicino. «Bleah, sembra… »

«È guano. Di volatile». Dudley era molto pallido. Aveva sollevato una mano, indicando un punto impreciso davanti alla casa. «Guarda un po’ là».

Mindy aveva visto la schiera di gufi e civette appollaiati sui fili della luce.

«È uno scherzo. Dimmi che è uno scherzo grottesco dei tuoi parenti matti».

Dudley salì le scale, facendole tremare, e aprì la porta della stanza di Maggie. Schiuse leggermente l’anta della finestra per far entrare un po’ di luce.

«No, no, no» borbottò, pregando tra sé qualche divinità dal nome sconosciuto. Chiunque fosse, non doveva essere in ascolto: mentre tornava verso il letto, Dudley inciampò in qualcosa che produsse un crepitio fastidioso. Istintivamente, abbassò lo sguardo: ai suoi piedi, c’era una montagna di buste, tutte ugualmente spesse e chiuse con un sigillo di ceralacca rosso vivo, indirizzate a Margaret Dianna Dursley, numero cinque di Broad Oaks, Tolworth, Surrey.

Afferrò con le braccia malferme il cumulo di lettere. «È un sogno» ripeté a se stesso. «Ora cadrò dalle scale e mi sveglierò nel mio letto».

Tuttavia, quando ebbe sceso la rampa di gradini ancora illeso, trovò Melinda comodamente seduta in poltrona, che sembrava più che intenzionata a escludere ogni veridicità dell’ipotesi onirica. «Cosa sono quelle?»

Dudley fece spallucce. «Lettere, mi sembra evidente».

«Ma non c’è posta la domenica».

Lui sospirò. «Credo di doverti dire una cosa. Ma devi ascoltarmi molto, molto bene».


***


«Squilla il telefono».

Lily alzò la testa dal suo libro di Trasfigurazione e aggrottò le sopracciglia. «Ho sentito, Jamie. Va’ a rispondere» sbottò, rivolta a suo fratello maggiore, ch’era sdraiato sul divano e sfogliava oziosamente una rivista sul Quidditch.

«Nessuno ci chiama mai con quell’affare. Vorrei proprio sapere chi è». Albus, il secondo dei nati Potter, si stropicciò la faccia, prima di rimettersi gli occhiali.

«Guarda che l’invito vale anche per te, Al» ribadì la ragazza.

James sbuffò, facendole il verso. In corridoio, l’apparecchio smise di suonare. «Ecco» allargò le braccia con fare melodrammatico, «abbiamo perso la telefonata più importante nonché l’unica degli ultimi due anni e tutto per colpa tua».

Albus sfoderò un sorrisetto. Dei tre, era quello che somigliava di più al padre: James, a detta di tutti, aveva preso dal nonno. Lily, con la lunga chioma rosso fiammante e gli occhi verdissimi, era un fiero miscuglio delle famiglie di entrambi i genitori. Della madre, soprattutto, possedeva l’inclinazione a perdere in fretta la pazienza. «Io sto studiando» disse infatti, con un tono che, nelle intenzioni, non ammetteva repliche.

James le dedicò una smorfia. «Secchiona» la canzonò.

«Divertente. Quanti anni hai, sette?»

«Ne ho due più di te, cocca di papà».

«Oh, sì, ti prego» ribatté lei, scattando in piedi. «Continua. Mostra a tutti quanto sei maturo».

«Piantatela tutti e due» intervenne Albus. «Il telefono sta squillando di nuovo».

James liquidò la faccenda con un’alzata di spalle.

Lily sbuffò, chiudendo il libro che aveva ancora in mano. «Non vi scomodate! Vado io».

Raggiunse l’anticamera. Il numero dodici di Grimmauld Place era un luogo assai più soleggiato di com’era stato un tempo. Lily ricordava qualcosa dalle vecchie foto nell’album dei suoi genitori: lì, la luce sembrava molto meno forte, e la casa molto più vecchia.

Il telefono, comunque, non c’era. Non che fosse necessariamente un male, pensò, alzando la cornetta.

«Pronto?»

All’altro capo del filo, qualcuno tossì. «Lily Luna?»

Lei aggrottò la fronte. C’erano poche persone che la chiamavano con il suo nome completo: sua madre, quand’era molto arrabbiata, qualche insegnante. E la prozia Petunia, che era l’unica a usare il telefono.

«Zia Petunia?» tirò a indovinare. Di solito, quella telefonava solo per le feste comandate, lasciando al figlio il compito di comunicare nelle altre occasioni i suoi saluti.

Un altro colpo di tosse. «Sì, sono io. Tuo padre è in casa?»

Il telefono gracchiò e cominciò ad emettere strani suoni. C’erano troppi maghi in quella casa perché funzionasse senza intoppi.

«No. Posso fare qualcosa per te?» chiese Lily, ignorando le interferenze.

«Non saprei proprio». La donna sembrava confusa, un aggettivo che Lily difficilmente avrebbe usato per descriverla, in condizioni normali. Nelle rare circostanze in cui l’aveva incontrata, l’aveva sempre vista come una signora di una certa età, piena di sussiego. «Pensi di venire alla festa di  Maggie, oggi?»

Lily soppresse un gemito di sorpresa. «Sì, certo» disse. «Ho confermato la mia presenza una settimana fa. Solo io, però» puntualizzò. «Jamie e Al hanno… Degli impegni». Si morse la lingua: aveva quasi dimenticato le regole. Niente magia, con Petunia Dursley. Nemmeno a parole.

«Oh, bene. Molto bene. A più tardi, allora» mormorò la prozia. A Lily parve di scorgere una sfumatura di sollievo nella sua voce e ne fu talmente stranita che dovette mettersi a sedere sulla poltroncina di fianco alla console del telefono.

«Ci… Ci vediamo più tardi, zia Petunia». Riappese, tormentandosi l’angolo sinistro del labbro inferiore; quand’era nervosa, sedeva in modo strano, diceva sua madre, scoccandole occhiate piene di preoccupazione nel vederla torcersi e avviluppare le gambe l’una all’altra, in un incastro quasi serpentino. Ginevra Potter, nata Weasley, era una medimaga e aveva idee piuttosto chiare sulla postura corretta da assumere da seduti; sua figlia, contraddizione intrinseca della famiglia con quel lato bizzarro che doveva derivarle dalla madrina, da cui aveva ereditato il secondo nome, sapeva bene di darle spesso qualcosa di troppo di cui preoccuparsi. Lo stesso valeva per i suoi fratelli, James Sirius, che tutti a scuola chiamavano semplicemente Potter, ritenendo che in quelle due sillabe si esprimesse a sufficienza il concetto di ciò che lui era, e Albus Severus, apparentemente tranquillo ma spesso invocato per sfatare il mito che nel nome si nascondesse il destino di chi lo portava; tuttavia, il loro essere maschi li aveva più volte preservati dall’ira paterna; quel privilegio non era toccato a lei che, femmina e tanto più graziosa e recalcitrante, s’era dovuta sedere spesso - per quanto metaforicamente - sulle ginocchia del padre per ascoltare una delle sue lezioni.

Così aveva cominciato a dare sfogo alla sua insofferenza con quella postura contorta, con il rifiuto di tagliarsi i capelli, che aveva lunghi fino alle natiche, e con la ferma opposizione a qualunque tipo di occasione formale che non fosse di suo preciso gradimento. Di rado si prestava alle manifestazioni pubbliche cui suo padre era costretto a presenziare; le uniche feste cui partecipava erano quelle della sua migliore amica. E i compleanni di Maggie.

«Siete tutti qui?»

Era la voce di sua madre. Lily alzò una mano in cenno di saluto e si sporse, testa all’indietro. «Ciao, mamma».

«Sta’ un po’ attenta» la rimbrottò quella, passandole una mano affettuosa sulla testa. «Se continui a fare queste cose, prima o poi cadrai».

Lily sbuffò. «Sì, mamma». Non importa che tu abbia combattuto una guerra e aiutato papà a sconfiggere il male incarnato, io morirò cadendo da una sedia e tu non potrai farci nulla.

«Dove sono i tuoi fratelli?»

«In soggiorno. O almeno, c’erano prima». Fece una smorfia. «Posso prepararmi un sandwich e mangiare fuori? Vorrei parlare con papà».

Gli occhi di sua madre si assottigliarono. «Lily Luna, oggi è domenica. Si pranza in famiglia e questo è quanto» sentenziò Ginny.

Lily non si arrese. «Anche papà è famiglia» obiettò, «e il fatto che sia in appostamento non gli vieta di prendersi un’ora di pausa per stare con sua figlia. E poi devo chiedergli una cosa».

Sua madre le riservò un’occhiata truce. «E, sentiamo, signorina, cosa dovresti chiedere a tuo padre che non puoi domandare a me?».

Lily si affrettò a troncare sul nascere quell’obiezione. Sua madre poteva essere molto pericolosa, in certi casi. «Niente, mamma, è… »

«La cocca di papà ha bisogno di essere consolata». James, in piedi sulla porta della cucina, la irrideva, le labbra atteggiate a una smorfia sfacciata.

«Piantala, Jamie» protestò Lily.

«James Sirius Potter». Ginny guardò il figlio con riprovazione. Aveva aggiunto anche il cognome: questo, Lily ne era consapevole, preludeva a una sfuriata con i fiocchi.

«La smetto, la smetto» Jamie si arrese immediatamente, sollevando entrambe le mani come se avesse avuto una bacchetta puntata contro. «Vado a… » Meditò, in cerca di un’ispirazione. «Ad apparecchiare?»

«Sarà meglio» osservò Ginny. «Fatti aiutare da tuo fratello».

Il ragazzo sbuffò. «Protesterà per il fatto che non abbiamo Elfi Domestici un’altra volta. No, grazie, preferisco fare da solo».

«Noi non abbiamo mai avuto un Elfo Domestico, a casa, e ce la siamo sempre cavata» lo liquidò Ginevra. «Di’ a tuo fratello di muoversi e di togliersi dalla testa queste idee così blasé».

Lily si accasciò sulla poltrona. Le discussioni in quella famiglia erano così estenuanti che certe volte le veniva voglia di urlare. Strinse le palpebre e udì Jamie ridacchiare.

«L’umido dei Sotterranei gli da alla testa. Riferirò».

«Torniamo a noi, Lily». Sua madre si appoggiò allo schienale. «Cos’è che devi chiedere a tuo padre?»

Lei riaprì gli occhi. «Prima ha chiamato la prozia Petunia. Voleva sapere se sarei andata alla festa di Meg».

«E con questo?»

Arricciò il naso. Certe volte sua madre era tutto tranne che un’aquila, il che a ben pensarci era perfettamente logico. Di tutti, in famiglia, l’unica a potersi fregiare del vessillo dell’aquila era lei, da quando era stata smistata a Ravenclaw.

«Sembrava strana» buttò lì. «Volevo sapere se papà aveva qualche idea del perché».

Seguì una pausa. Sua madre, la fronte corrugata e gli occhi socchiusi, circondati da piccole rughe di espressione, sembrò studiarla, mettendo un broncio molto simile a quello che veniva a lei, quando si applicava a una materia particolarmente complessa.

«Certe volte proprio non so da chi tu abbia preso» sospirò alla fine. «D’accordo. Va’ a vestirti. Il tuo sandwich sarà pronto tra quindici minuti. Manda un gufo a tuo padre per avvisarlo. Torni a casa, dopo pranzo?»

Lily rifletté. Aveva pensato di andare direttamente alla festa; lo disse a sua madre, che annuì.

«Non cacciarti nei guai, non usare la magia…»

«Non parlare con gli sconosciuti e non menzionare niente che riguardi la scuola, il tuo lavoro o quello di papà. Sì, mamma, lo so a memoria» protestò, balzando giù dalla poltrona. Era senza pantofole. Le sarebbe toccata una lavata di capo anche per quello.

«E non andare in giro scalza!»

Appunto.


***


«Non mi piace quando stai fuori così a lungo».

Lucas, sulla soglia di casa, tese una mano a sua madre. Di fianco a lui, suo padre allargò le braccia, così che lei potesse rifugiarvisi: severa, Hermione li contemplò entrambi, prima che suo marito le passasse un braccio attorno alla vita.

«I miei uomini girovaghi». Gli strinse la mano. «Mi siete mancati. Entrambi».

Draco le sussurrò qualcosa all’orecchio, passandole una mano tra i capelli. Da quando lo avevano assegnato alla divisione internazionale, rimaneva lontano da casa per mesi. Quella volta era passato in Irlanda, dove Lucas stava lavorando in trasferta con una squadra del Ministero, e avevano fatto assieme la strada verso casa.

«Entriamo» disse Hermione. «Lyra è a pranzo dai tuoi. Se avessi saputo che sareste arrivati le avrei detto di rimanere a casa».

«Mi negano persino il piacere della sorpresa, adesso» scherzò Draco.

Lucas scosse la testa. «Non sia mai».

Entrambi seguirono Hermione attraverso l’atrio, fino in soggiorno, una sala ampia e illuminata con grandi finestre all’inglese aperte su un prato che sconfinava con l’infinito della brughiera. Da bambini, sia Lucas che sua sorella si erano appostati spesso al di qua dei vetri, nelle lunghe giornate di nebbia, immaginando storie e mondi avvolti nella bruma.

Suo padre sedette sul divano. Aveva l’aria stanca, pensò Lucas, e la barba incolta, da sempre di due toni più scura rispetto ai capelli, cominciava a mostrare tracce di bianco lungo la mandibola affilata; la bocca, comunque, era una linea ferma e, in quel momento, atteggiata a sincero divertimento. Era ancora il suo papà, grande e forte, e per sua madre doveva essere l’uomo più bello del mondo.

«Sarà meglio che prepari qualcosa» la udì mormorare. «Non mi aspettavo di dover nutrire qualcuno».

Draco le passò un braccio attorno al corpo e la strinse contro di sé. «Non ho fame».

«Tu no, ma forse tuo figlio sì» lo rimbrottò lei, ma rideva. «Posso fare in un attimo e tornare subito. Non dobbiamo neppure apparecchiare, possiamo mangiare qui».

«Come ventenni perdigiorno?» Il sopracciglio di suo padre scattò verso l’alto; Lucas scorse nei suoi occhi una scintilla di allegria: era la faccia feroce di papà, quella, un gioco tra i tanti che gli ricordava la sua infanzia.

Bentornato a casa.

Mancava solo Lyra, a completare l’equazione che traduceva in pratica l’equilibrio della loro famiglia; Lucas occhieggiò la foto di gruppo sul tavolo, che li ritraeva tutti e quattro insieme il primo giorno di scuola della sorella: lei, nella foto una ragazzina undicenne dal volto solenne ombreggiato da un ciuffo di capelli mossi, così scuri da sembrare neri, ora aveva sedici anni, quattro e mezzo meno di lui, che andava per i ventuno.

«L’idea era quella». Hermione gratificò suo marito con uno sguardo caldo e, sempre tenendogli la mano, si alzò dal sofà. «Possiamo fare i ventenni per un giorno?»

Draco le sfiorò le nocche con le labbra. «Con te, mia signora, posso fare di tutto».

«Oh, ma piantala» si lamentò lei; si vedeva ch’era felice. «Sarebbe terribilmente poco dignitoso, se io mi limitassi a scongelare delle fish&chips

«Mi sembra sufficientemente veloce» approvò Draco, rivolgendo al figlio uno sguardo interrogativo. Lucas scrollò le spalle; non era mai stato schizzinoso in fatto di cibo, neppure da piccolo. Aveva apprezzato le cucine di Hogwarts, ai tempi della scuola, ma non gli mancavano. E sua madre non era esattamente una casalinga esemplare; questo non gli era mai importato, così come non importava a suo padre o a sua sorella. Le madri dei suoi amici cucinavano, la sua aveva salvato il mondo e passava il tempo tra il Dipartimento Auror e le pratiche che si portava a casa. Era precisa e aveva un’autentica venerazione per l’ordine, ma di rado trafficava ai fornelli, anche se era piuttosto brava, quando ci s’impegnava.

«Vuoi una mano?» le domandò.

Hermione scosse la testa. «Riposatevi, voi due».

Lasciò il soggiorno, rivolgendo loro un sorriso affettuoso da sopra la spalla. Era diversa, quando c’era suo padre, sembrava più leggera. Draco stesso lo era; una volta Lucas gli aveva sentito dire che sua moglie sapeva tirare fuori il meglio di lui. A mostrare il peggio, asseriva, se la cavava benissimo da solo.

«Quando riparti?» gli chiese.

Lui esibì una smorfia tirata ed estrasse il portasigarette dal taschino. «Potrei rimanere per un po’» sentenziò, godendosi la prima boccata. «C’è qualcosa di sinistro in arrivo».

Lucas annuì. «Così si dice. Non è esattamente il momento migliore per riunire tanti maghi in un unico posto».

Suo padre gli tese la scatoletta d’argento; Lucas l’afferrò, ne trasse una sigaretta, lo richiuse e restò a guardarlo per qualche secondo: sul coperchio, un fine cesellatore aveva tracciato in linee armoniose lo stemma di famiglia. Sotto, vicino alla chiusura a scatto, c’era una scritta molto piccola, che lui non era mai riuscito a leggere. Si accese la sigaretta a sua volta e aspirò. Draco, la fronte corrugata e gli occhi socchiusi, scosse la testa.

«Non darti troppi pensieri, comunque» mormorò, soffiando fuori il fumo. «Non è mai il momento giusto, ma in qualche modo la nostra gente se la cava sempre».

Lucas fece un cenno in direzione della porta. «Credi che lei lo sappia?» Alludeva a sua madre.

«Oh, sì». Suo padre rise. «C’è poco, credimi, che le si possa tenere nascosto».

«Mi chiedo come facciate. Riuscire a gestire tutto questo… Quello che non puoi dirle, quello che lei non può raccontare a te». Reclinò il capo all’indietro, sospirando. «Non è folle?»

Draco parve rifletterci su; seguiva, con gli occhi, gli arabeschi del fumo sul soffitto. «Sai, » ribatté dopo un po’, «s’impara a parlare anche senza farlo, dopo un po’. Con i gesti, con gli occhi. S’impara anche a rispettare i silenzi. è così che va. Io e tua madre abbiamo dovuto capirci prima a questo modo» aggiunse, e un ricordo balenò nei suoi occhi d’acciaio, «per cui, forse, per noi è stato più facile che per gli altri».

«Sembra logico».

Draco annuì. «Lo è. Non arrovellartici troppo». Spense la sigaretta nel posacenere e aggiunse: «Vado a vedere come se la sta cavando».

«Ti manca, vero? Quando sei lontano».

Suo padre scrollò le spalle. «Continuamente».

Lucas lo guardò andare verso la porta, la camminata disinvolta, i capelli che gli sfioravano il colletto della camicia. Qualche istante dopo, sentì sua madre ridere. Così erano loro, si divertivano assieme come due ragazzini, misteriosi nel loro legame come sanno esserlo solo due complici; la sua infanzia con loro era stata un susseguirsi di domeniche assolate nel prato, corse sulla scopa, storie della buonanotte. Quando era arrivata Lyra, lui non era stato geloso: l’aveva sentita come la percepivano i suoi genitori. Il pezzo mancante. Assieme, avevano giocato nella brughiera, saltando nelle pozzanghere; avevano riso, certe volte, così tanto da farsi venire il mal di pancia. Si erano stretti tra loro nelle notti che sembravano non finire mai, Lyra, la loro madre e lui, quando Draco era lontano, quando pareva non sarebbe tornato più. Il centro pulsante della loro famiglia, come ogni cuore, aveva due lati: uno chiaro - le risate, i giochi e quella volta che avevano dipinto la faccia della mamma e le sue mani con i colori che brillavano al buio e avevano giocato ai fantasmi. Papà che gli insegnava come stare sulla scopa e gli faceva fare il giro della morte quando nessuno guardava; l’altro, più intimo, era fatto di cose non dette: la cicatrice sul braccio di Draco, quella sul polso di Hermione, le lacrime asciugate contro i loro vestiti, certe confessioni e certi peccati, persino un certo tipo di felicità ineffabile, l’equilibrio perfetto di elementi altrimenti instabili che si nascondevano nei suoi lineamenti e in quelli di sua sorella.


***


Diagon Alley, oziosa e pigra all’ora di pranzo, con i suoi tavolini dipinti di bianco nei déhors dei locali più recenti e i suoi sgabelli scalcagnati impilati fuori dalle taverne, era una delizia per gli occhi. Lily sedette su una panchina dallo schienale decorato, i cui ricami in ferro battuto si intrecciavano costantemente tra loro in volute complesse, per poi sciogliersi e comporre un nuovo disegno. Li contemplò per qualche istante, deliziata, e poi scartò il suo sandwich.

Uova e insalata. Sospirò: poteva andare peggio.

Suo padre, comunque non avrebbe tardato ad arrivare; probabilmente avrebbe insistito per offrirle il pranzo da qualche parte. James non aveva torto, certe volte, quando la definiva la prediletta; come Harry Potter posava gli occhi sulla minore dei suoi figli, questi s’illuminavano.

«Lils, ehi. Ho fatto più in fretta possibile».

La ragazza distolse lo sguardo dal pranzo e sorrise. «Ciao, papà».

Suo padre sedette con lei, giacca nera, divisa d’ordinanza, un grosso sorriso preoccupato sul viso. «Che succede, Lils? Qualcosa non va? Ti senti male o… »

«Sto bene» lo frenò, sollevando una mano. «Papà, calmati».

Lo udì sospirare. «Mi sei sembrata ansiosa, nel biglietto».

Lily corrugò la fronte; probabilmente era così. Aveva scritto di fretta, senza ponderare le parole, eppure conosceva suo padre abbastanza bene da non ignorarne la tendenza all’allarmismo. Si tormentò l’angolo del labbro con i denti, interdetta su come introdurre il discorso, e fece una smorfia. «Va tutto bene, sul serio» lo tranquillizzò. Poi, per prendere tempo, diede un morso al panino.

«Sarà meglio che mi procuri anch’io qualcosa per pranzo» borbottò Harry. «Avremmo potuto mangiare al ristorante, sai».

«Oh, so quanto odi la gente che ti fissa» tagliò corto Lily.

«Oramai sono abituato» dissimulò suo padre, passandosi una mano sulla nuca.

Lei gli lanciò un’occhiata carica d’affetto. «Non fa niente. Uova e insalata è una pacchia, davvero. Poteva essere carne in scatola». Storse il naso, facendolo scoppiare a ridere.

«Non ha voluto tagliare l’arrosto, eh?»

Lily nicchiò. «Non le piaceva l’idea che uscissi per pranzo. Sai come la pensa sulle domeniche in famiglia».

Suo padre annuì, comprensivo. «Immagino che, err, tu avessi un buon motivo per farla arrabbiare».

«Ha chiamato zia Petunia» annunciò lei, aggredendo nuovamente il suo sandwich.

Suo padre esibì un’espressione perplessa. «Che giorno è, oggi?»

Lily fece una risatina. «Uno qualunque. Cioè, è il compleanno di Maggie e lei ha telefonato per sapere se sarei andata alla festa».

«Ah». Harry posò i gomiti sulle ginocchia e restò immobile per un po’ a fissare la vetrina del negozio di fronte, che esibiva simpatiche decorazioni per la cucina. A quanto pareva, se fissate sopra il piano di cottura nel modo giusto, si allungavano e spegnevano il fuoco quando il cibo era cotto. Lily prese nota di raccontarlo a sua madre: sapere che l’aveva pensata le avrebbe fatto passare il cattivo umore.

«Non credo lo abbia mai fatto prima, vero?»

«No» confermò lei.

«È strano» ammise suo padre. «Magari non preoccupante» rifletté, passandosi le dita tra i folti capelli brizzolati, «ma di certo strano».

Lily appallottolò nella mano il cartoccio del sandwich. «Pensi che sia successo qualcosa? Cercava te, all’inizio. Così ha detto» concluse, a disagio. Aveva un’idea molto vaga dei trascorsi tra suo padre e i suoi parenti: quando l’argomento veniva a galla, era inevitabilmente fonte di tensione.

«Non lo so, Lils». Lo vide corrucciarsi e piegare il collo di lato, un cenno senza dubbio d’insofferenza. «Dovrò prendermi la giornata libera e venire con te».

Lei gemette. «Non è necessario. Posso sentire io cos’ha da dire e riferirtelo».

«No» si oppose lui. «Potrebbe essere importante».

«O potrebbe essere una sciocchezza. Per favore, papà» implorò. «Se ci fosse Jamie al mio posto, manderesti lui». Era scorretto usare quella carta e lei lo sapeva: James non si sarebbe mai trovato in quella situazione, perché non aveva mai legato con i Dursley; men che meno Al, che, somigliante com’era al padre, aveva faticato ad accettare e farsi accettare in quell’angolo di mondo senza magia.

Suo padre si strofinò la fronte. «Ma se non vuoi che venga con te, perché hai voluto vedermi?»

«Pensavo dovessi saperlo» mormorò lei, cercando di suonare innocente. «E credevo sapessi di cosa voleva parlarti».

«No». Harry distolse lo sguardo dal suo, non prima che lei potesse indovinarvi una scintilla di omissione, e si schiarì la gola. «D’accordo, pensaci tu. Ma non fare nulla di azzardato» raccomandò.

«Sì, papà».


***


Il divano preferito di Melinda Dursley era color porpora; Lily lo sapeva perché nessuno l’aveva mai fatta sedere lì, quando era ospite a casa sua. Tutti le dicevano “prendi una sedia” o “accomodati sulla panca” ma mai l’avevano condotta al sofà. Per cui, quando, non appena varcata la soglia, si era vista prendere la mano dalla prozia Petunia, che l’aveva trascinata in soggiorno e messa a sedere tra i morbidi cuscini imbottiti, aveva pensato a qualcosa di molto serio.

«Vuoi del tè, cara?»

Cara? Lily sbatté le palpebre, interdetta. «No, grazie, ho pranzato da poco. Temo di essere in anticipo comunque» osservò, contemplando dalla finestra il giardino deserto.

«Oh, non preoccuparti». La prozia Petunia le dedicò un sorriso nervoso; teneva il pugno stretto sotto il mento. «è un bene che tu sia qui. Dudley e io dobbiamo parlarti».

Il tono della donna non le piacque; presagiva urla e scenate. Del resto, all’inizio lei aveva espresso delle riserve sulla sua frequentazione con Meg, paventando un’influenza negativa che Lily avrebbe avuto sulla cugina, a lungo andare. Ciò non di meno, il tempo aveva appianato le divergenze e di certo il fatto che Petunia e suo marito abitassero a Little Whinging, a una certa distanza da Tolworth, aveva contribuito a far sì che lei potesse frequentare quella casa senza mai sentirsi un’intrusa.

Fino a quel momento, per lo meno.

Il cugino Dudley entrò nella stanza. «Sei arrivata» biascicò, spalancando i piccoli occhi azzurri. «Meno male». Si accomodò di fronte a lei e sua madre fece lo stesso.

Lily deglutì, sentendosi catapultata di nuovo di fronte alla commissione d’esame per i G.U.F.O. Un rivolo di sudore le percorse la schiena.

«Sei sicura di non volere del tè? Un succo di frutta?» La mano di Petunia tremava.

«Un succo andrà bene» acconsentì lei. Sul volto della donna apparve un tremulo sorriso.

«Ci penso io, ecco». Lasciò rapidamente il soggiorno e Lily intuì che aveva voluto lasciarla sola con il figlio. Anche questo era piuttosto insolito, ragionò: di norma, Petunia si comportava con Dudley come una gatta con i suoi cuccioli: gli stava sempre intorno, anche a costo di impedire agli altri di intrattenere una conversazione con lui.

«Allora» esordì, incrociando le gambe, «come sta Meg? Non l’ho ancora vista».

Dudley tossì. «Oh, lei è di sopra. Scenderà appena avrà scelto il vestito da indossare. è indecisa tra il rosso papavero e il rosso fragola, anche se io non capisco la differenza». Incassò la testa nelle spalle, ricordando molto suo padre. Vernon Dursley era il membro della famiglia più ostile che Lily avesse conosciuto: la trattava con apatica indifferenza, quand’era costretto a relazionarsi con lei, e la ignorava come se lei non esistesse per il resto del tempo.

«Ecco il tuo succo. Mela». Petunia le porse un bicchiere, colmo fino all’orlo di un liquido color giallo pallido. «È il tuo preferito, no?»

Lily annuì, lanciando alla donna l’ennesimo sguardo stupito. «Grazie» quasi balbettò. Non era abituata a tutta quella deferenza; bevve un sorso di succo. «È buono» disse.

«Posalo pure sul tavolo, da’ qua». Zia Petunia si sporse e urtò con il ginocchio il giornale che stava sul bordo del ripiano. Il quotidiano - il London Herald, probabilmente - scivolò per terra con un fruscio e trascinò con sé alcune lettere apparentemente ancora chiuse. Lily si accigliò: erano buste larghe, di carta pesante e lievemente ingiallita.

«Biglietti d’auguri per Maggie?» chiese, sicura di aver già visto qualcosa del genere.

«Più o meno. Sono arrivate stamattina» ribatté Dudley, cupo.

«Scommetto che sarà felicissima, quando le aprirà».

Petunia si schiarì la voce. «A proposito di questo… »

«Sì?»

Dudley sbuffò. «Oggi è domenica, capisci? Non c’è posta la domenica».

«Ma sì che c’è» protestò lei, senza capire dove volessero andare a parare, «Jamie ha ricevuto le sue lettere stamattina e il gufo era…» Inghiottì le parole, sentendo il sangue defluirle dalle guance: Petunia e Dudley la fissavano con gli occhi strabuzzati. Boccheggiò, alla ricerca di qualche parola di scusa, il capo chino e lo sguardo puntato a terra, proprio sulle buste, quelle buste gialle e spesse, così insolite in una casa di Babbani.

«Oh» le sfuggì. Si chinò ad afferrarne una: l’inchiostro con cui era stato vergato l’indirizzo era di un blu sbiadito e la scrittura era chiaramente amanuense; il nome di sua cugina, scritto in quelle lettere piene di riccioli, sembrava diverso. Lily scoppiò a ridere, rigirando la busta sottosopra. C’era il sigillo di Hogwarts: il Leone, la Serpe, l’ Aquila e il Tasso, circoscritti da una grande H. «è per questo… ?»

«Già» confermò Petunia.

«Capisco».

«Noi, io e Melinda… » Dudley si arrestò, il volto arricciato in una smorfia eloquente. «Ecco, abbiamo pensato che forse tu…»

Lily attese, composta, il bicchiere tra le dita. Dovette fare uno sforzo ingente per non ridere: l’espressione sofferente del cugino denunciava una certa impreparazione. Nessuno di loro aveva mai ponderato l’idea che Maggie potesse essere una strega. Eppure, non era certo così insolito: condividevano una parte di DNA e il sangue che scorreva loro nelle vene non era del tutto differente.

«Se qualcuno mi avesse interpellata» intervenne Petunia, «avrei detto che tutto ciò è assolutamente assurdo». Ebbe la buona grazia di arrossire, all’occhiata sgomenta di Lily. «Ma d’altra parte, Maggie non è figlia mia, per cui, cara, quello che Dudley vorrebbe chiederti è se saresti disposta a farle da guida, con… » Storse le labbra in una smorfia di disgusto. «I libri per la scuola e tutte le altre cose» concluse.

«Dovresti anche aiutarci a dirglielo… Vedere che ne pensa» Dudley s’illuminò. «Potrebbe anche non voler avere niente a che fare con la cosa».

Lily ne dubitava, ma acconsentì con un cenno. «Le parlerò».

Dudley la gratificò di un sorriso sin troppo entusiasta e annuì. «Vado a chiamarla» borbottò, lasciando il soggiorno.

«Potresti fare in modo che stia in camera con te?» chiese Petunia, stridula. «Non è mai andata da nessuna parte da sola… »

«Questo non posso prometterlo» sospirò lei. «è il Cappello Parlante che smista gli studenti».

Petunia inorridì. «Un cappello?» Si passò le lunghe dita ossute sul volto. «Oh, credo che mia sorella ne avesse parlato in una delle sue lettere». Aveva le labbra strette, come se non una parola dovesse fuoriuscirne, neppure per sbaglio; osservò Lily con biasimo. «Tu le somigli così tanto…»

«Ah sì?» ribatté lei. Si accorse di aver usato un tono polemico e restò in attesa della reprimenda, che non arrivò.

«Sì» rispose Petunia, asciutta. «Parla con Maggie. Io devo occuparmi della torta».




And, here we are.
Note, che ci stanno sempre bene:
Questa storia è un sequel. Se non avete letto i prequel, non prendetevela con me. Come il suo prequel principale, trae il titolo da un volume di Dylan Dog, precisamente il numero 238 (Masiero/Montanari e Grassani)
I personaggi non della Rowling li ho inventati io. Se li prendete, abbiate almeno la decenza di dire grazie. Questo include Lucas Altair Malfoy, Lyra Joanne Narcissa Malfoy, Margaret Dianna Dursley, la fam. Dawson jr. e sr., Cassandra Charlotte Virginie Jones, Wendy Curran, Michael Demetrius Rowland, Devonne Alexandra Lucille Pierce e tutti gli altri.
Vediamo come va, ora che ho deciso di imbarcarmi in questa cosa assolutamente folle.
Vi prego, fatemi sapere com'è. Mi sta friggendo il sedere.
Find me here for news.

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Capitolo 2
*** II - Il Fattore Potter ***


II


Il fattore Potter


“I've been making a list of the things they don't teach you at school.

They don't teach you how to love somebody. They don't teach you how to be famous.

[…]

They don't teach you how to know what's going on in someone else's mind.

They don't teach you what to say to someone who's dying.

They don't teach you anything worth knowing.”


- Neil Gaiman, Sandman Vol. 9 - The Kindly Ones -


In settembre, la città aveva indossato il suo vecchio manto grigio e vi si era avviluppata, riempiendo le sue vie di una foschia familiare. Lily indossava un soprabito leggero: sua madre aveva insistito perché si coprisse e suo padre si era raccomandato di usare abiti che passassero inosservati. Naturalmente, Al aveva fatto orecchie da mercante: il suo mantello scuro, su cui era appuntata la spilla di Caposcuola, frustava la brezza di fine estate, occupando la visuale dei passanti come un presagio di sventura.

Al momento di uscire di casa, James li aveva salutati con un sorriso eloquente; lui aveva finito la scuola l’anno prima e, nella miglior tradizione di famiglia, giocava come cercatore nei Chudley Cannons. Questo riempiva d’orgoglio gli zii - George, Bill e Charlie - ma non migliorava di molto la situazione della squadra: i Cannons erano così scarsi che riuscivano a perdere anche se lui prendeva il boccino. Ma erano tutti così entusiasti dei risultati di Jamie - che a tempo perso frequentava i corsi da Auror e probabilmente avrebbe seguito la carriera del padre - che nessuno se ne rendeva conto: James Sirius Potter era wonderboy e, se il fratello mezzano sfuggiva alla sua ombra grazie alla propria peculiare natura indipendente, lei ne era miseramente investita: sapeva volare, ma non abbastanza bene da essere presa in squadra, aveva buoni voti, ma non eccellenti, era carina, ma non popolare, perché univa alla propria avvenenza un carattere schivo che non l’aiutava a socializzare.

Forse avrebbe dovuto sorridere di più.

Su questo meditava, trascinando il proprio baule con la mano destra, mentre nell’altra stringeva saldamente quella piccola e sudata della cugina e camminava svelta lungo il marciapiede della stazione di King’s Cross.

«Qui c’è scritto nove e tre quarti».

Un gemito d’impazienza le sfuggì dalle labbra socchiuse. «Sì».

«Non ho mai visto il binario nove e tre quarti».

«Lo so, Meg. È nascosto, così i Babbani non possono vederlo».

«Oh».

Albus si voltò, con una smorfia beffarda sul viso. «Questa è la quarta volta che glielo spieghi, vero?»

«La quinta» replicò lei, insofferente. «Siamo quasi arrivati alla barriera, venite».

Scattarono in una corsa improvvisata, sfrecciando tra i viaggiatori ignari: qualcuno di essi si voltò, incuriosito da quei tre bizzarri ragazzi che portavano con sé due gufi - Maggie non aveva potuto prendere un animale: su questo, Mrs. Dursley era stata molto chiara - e tre bauli zeppi di strani ammennicoli. Albus rideva, reggendosi gli occhiali sul naso.

«Corri, sorellina, o il treno partirà senza di noi!»

«Dice sul serio?» strillò Maggie, preoccupata, evitando per un pelo di urtare una signora con una pelliccia viola.

«Siamo… » Lily ansimò, scartando di lato e tirandosi dietro la cugina, « … Perfettamente… In orario! Vieni, Meg, contro il muro!»

«Ma così ci schianteremo!»

«Fidati di me!»

Udì solo le urla di Maggie e, in sottofondo, un fischio lontano che le rammentava le distese sconfinate attorno alla scuola, le piccole case e i negozi di Hogsmeade, la cioccolata e gli zuccotti di zucca. Come sempre, varcare la barriera era un salto nel vuoto: oltre il buio, vide un balenio rosso fiammante, poi la locomotiva dell’Espresso per Hogwarts prese forma dinnanzi a lei e Lily si concesse un sospiro di sollievo.

«Non male, eh?»

L’aria era carica di fumo e vapore e ovunque c’erano capannelli di studenti, radunati in attesa di salire sul treno. Li scorse velocemente con gli occhi, cercando di riconoscere qualcuno.

«Come abbiamo fatto?»  Maggie, stupefatta, mosse qualche passo in avanti.

Lily le strizzò l’occhio. «Magia».

«Vado a cercare i miei compagni». Albus fece loro un cenno con la mano e si allontanò verso un gruppo di Slytherin che scherzava ad alta voce. Di norma, sarebbe rimasto ancora con lei, finché non avessero incontrato qualcuno con cui trascorrere il tempo del viaggio, ma Lily sapeva che non aveva preso di buon grado la presenza di  Maggie. Dal canto suo, lei sembrava non dare importanza alla scortesia del cugino: era troppo occupata a stupirsi di ogni cosa che la circondava.

«Vieni» la invitò. «Andiamo a cercare uno scompartimento».

Quella annuì. Avrebbe camminato per tutta la mattina con il naso all’insù, probabilmente, emettendo gemiti di felicità, se non fosse stata travolta da una ragazzina con i capelli color carota ugualmente smarrita. Le due rovinarono a terra e Lily imprecò.

«Vi siete fatte male?» Si chinò per aiutarle.

La ragazzina con i capelli rossi scosse la testa. «Io sto bene» cantilenò. «Scusa, sai» si giustificò, tendendo la mano a  Maggie, «non guardavo dove andavo».

Meg, gli occhi lucidi, scrollò la testa. «Non fa niente». Si raddrizzò, spolverandosi la giacca, e strinse educatamente la mano che le veniva porta. «Mi chiamo Maggie Dursley».

«Wendy, ehm, Wendy Curran». Sembrava imbarazzata: il viso, trapuntato di efelidi, aveva assunto una sfumatura di rosa intenso. Si girò a chiamare qualcuno e Lily vide che si trattava della signora in viola di poco prima.

«Oh, Wendy, sta’ un po’ attenta» la rimbrottò quella, con un forte accento irlandese. «Scusa» disse poi, rivolta a Lily, «primo anno». Rassettò il cappottino di Wendy, che teneva lo sguardo contrito fisso sulla punta delle proprie scarpe.

«Non fa niente. È sua figlia?»

«Nipote» la corresse la signora, con voce gutturale. «È la figlia di mio fratello».

«Capisco». Scrutò i lineamenti della bambina, trovandoli piuttosto comuni; era la classica fisionomia britannica spesso sormontata da una folta capigliatura fulva, alterata da un naso appena più camuso. Lei stessa era abbastanza sicura di somigliarle, almeno un po’. «Questa invece è mia cugina Maggie e io sono Lily, Lily Potter».

La signora si portò una mano guantata alla bocca. «Potter, certo!» esclamò, guardandola bene per la prima volta.

«Già» ammise Lily. «Immagino abbia sentito parlare di mio padre».

Ottenne, in risposta, un gran sorriso. «È proprio così, sì. Sono una sua ammiratrice».

«Glielo saluterò» replicò lei. Aveva imparato sin da piccola a gestire il gran brusio attorno al proprio cognome. «Chi devo dire?»

«Oh, ehm…» La signora sembrava in imbarazzo. «R-Roberta Curran. Lui non mi conosce» si affrettò ad aggiungere.

«Fa niente». Lily fece spallucce. «Gli farà piacere».

«Bene, uhm, grazie. Ora noi dobbiamo andare, vero, Wendy?» Acchiappò la ragazzina per un braccio. «Dobbiamo trovare uno scompartimento libero».

«Lo stiamo cercando anche noi. Su,  Maggie, andiamo».

Si salutarono, le due bambine con un po’ di rimpianto e loro assai di fretta. La signora in viola sembrava essere ansiosa di trovarsi altrove e Lily non chiedeva altro che trovare la sua compagna di stanza e salire sul treno. Si fece largo tra i bauli e resistette a un paio di spintoni, uno dei quali assestato da Michael Rowland, un ragazzo massiccio dai capelli castani che giocava come battitore nella squadra di Quidditch di Ravenclaw, di cui era il Capitano. Erano usciti assieme per metà dell’anno precedente e lui l’aveva scaricata poco prima delle vacanze estive.

«Chi aspettiamo?»  Maggie s’era alzata sulle punte e faceva vagare il suo sguardo tra la folla.

«Un’amica». La migliore che avesse, per la precisione.

La intravide tra la folla: Lyra Malfoy, precisa e impeccabile nel suo blazer blu scuro, con la cravatta intonata e una camicia bianca dal colletto inamidato, i capelli bruni accuratamente raccolti in uno chignon sulla nuca; aveva gli occhi profondi e scuri, orlati da ciglia incurvate, il naso della madre, la bocca del padre - e della nonna e della sorella, quella matta - e il carattere più impossibile che potesse aver ereditato dai suoi geni controversi. Lily l’adorava e Lyra ricambiava a modo suo: con discrezione.

«Lyra!» vociò, agitando una mano in aria. A voltarsi, tuttavia, non fu lei, ma il giovanotto che l’affiancava; disinvolto tanto quanto lei era impostata, biondo quanto lei era bruna, teneva le mani nelle tasche dei calzoni dell’uniforme grigia in forza a qualche Divisione Speciale del Ministero. La blusa, chiusa da lacci di cuoio scuro che s’incrociavano fino all’attaccatura del collo, si tendeva su un torace robusto e i fregi sulle spalle, d’argento che scintillava nella tiepida luce di quel mattino, raccontavano una carriera esemplare. Il colletto, una semplice striscia che si chiudeva con un bottone all’altezza della cucitura laterale, era slacciato, quasi distrattamente. Un sottufficiale richiamato al comando centrale, forse in visita alla famiglia.

«Chi cavolo è quello? Lo conosci?» Maggie, dimentica della propria timidezza, lo guardava come si contempla una visione. Non che lei potesse darle torto, in ogni caso.

«Sì, so chi è».

Lui, di rimando, inclinò il capo di lato, noncurante come se la cosa non lo toccasse, gli occhi chiarissimi socchiusi in una smorfia di incredulità nel guardarla. Sfilò le mani dalle tasche e finalmente sorrise, mettendo in mostra una chiostra di denti bianchissimi; il cuore di Lily prese a battere in maniera disordinata, senza che lei volesse assecondarlo e, tuttavia, senza che potesse impedirgli di perseverare nell’errore che, già negli anni più acerbi della sua adolescenza, l’aveva spesso sprofondata in uno stato emotivo di completa desolazione. Seguì i movimenti di lui, che si passava una mano sul volto e poi sotto la mandibola, velata di un casuale accenno di barba; lo vide chinarsi e sussurrare qualcosa a Lyra, che si voltò a guardarla e le fece un cenno, invitandola a raggiungerli.

«Lilou» la salutò il giovane, quando furono abbastanza vicini.

Il respiro le si mozzò, chiudendole la gola con un groppo amaro. Si riscosse in tempo, prima che qualcuno facesse domande inopportune, e tentò di sorridere. «Ciao, Lucas» disse. «Come stai?»


***


«Avrei dovuto avvertirti». Lyra accavallò le gambe ed emise un sospiro contrariato. «Per la verità, stavo pensando di farlo, ma poi mi sono messa a leggere il Profeta e l’ho scordato».

«Qualche notizia interessante?»

«Oh, Lily, non hai intenzione di tenermi il broncio, vero?» Lyra si protese verso di lei ed esibì un’espressione contrita. «Guardami, mi dispiace sul serio. Sto facendo la mia faccia desolata

«È proprio per questo che ti terrò il broncio. È molto sleale da parte tua usarla contro di me». Lily si lasciò sfuggire una risatina, osservando la campagna inglese che scorreva monotona fuori dal finestrino dell’Hogwarts Express. Maggie guardava entrambe rapita, lusingata forse dalla compagnia di due ragazze più grandi di lei di diversi anni che non sembravano trattarla come una mocciosa.

«Così questa è la cugina Dursley». Lyra aveva archiviato l’argomento scuse e Lily gliene fu grata. Era già abbastanza imbarazzata.

«Già» annuì. «L’ultimo ed inaspettato acquisto di una lunga genia di Maghi e Streghe».

Maggie gonfiò il petto e arrossì compiaciuta.

«Mia madre ne sarà deliziata, com’è ovvio» commentò Lyra, sorridendo.

Lo pensava anche Lily. «È quel che ha detto mio padre. Certe volte sono così prevedibili».

«Come procedono le cose in casa Potter?»

«Oh, al solito. Non vedevo l’ora di tornare a scuola». Si sistemò contro lo schienale. «Gli orari sono un po’ proibitivi, ma almeno non devo dividere il soggiorno con due cavernicoli».

Lyra rise. «Ah, no. Ma c’è Michael Rowland pronto a prendere il loro posto quando vuoi. Esce con Devonne Pierce, a quanto pare».

«Sai quanto me ne importa». Lily fece spallucce, pensando a Devonne e al suo petto procace.

«Già» commentò Lyra, estraendo un tascabile dalla borsa. «I palpiti del tuo cuore sono riservati a un altro».

«Piantala» protestò Lily, arrossendo. «La cotta per tuo fratello mi è passata da tempo».

«Sì, sì, come no».

Anche Maggie la guardava con scetticismo; Lily sbuffò: non riusciva ad essere convincente neppure per una ragazzina di undici anni.

«È normale che ti piaccia» sentenziò infatti quella. «È molto carino».

«Attenta, Lils. Hai una rivale». Lyra rideva apertamente adesso.

«Oh, no»  Maggie scosse la testa, facendo ondeggiare le trecce, «non ti ruberei mai il fidanzato».

«Non è il mio fidanzato!» sbottò Lily, provocando l’ennesimo scoppio d’ilarità. «E non mi piace, quindi smettetela subito».

Si richiuse in un silenzio ostinato, volgendo lo sguardo oltre le colline, dove il verde dei declivi della Cornovaglia sfumava nel blu intenso dei confini del suo cielo. Cessate le risa, anche le sue compagne di viaggio dovevano aver trovato qualche passatempo che non includesse prendersi gioco di lei. Non che portasse loro rancore; al massimo, ne serbava per se stessa e per la sua sciocca infatuazione.

Si voltò: Maggie era immersa nella contemplazione del paesaggio e Lyra leggeva il suo romanzetto, sorridendo sotto i baffi: il titolo era “Il bacio del Dissennatore” e, in copertina, una figura incappucciata ghermiva una fanciulla procace.

«Bel titolo» osservò, guadagnandosi un’occhiataccia.

«Ne ho trovato uno anche peggiore» trillò Lyra, sollevando gli occhi al cielo. «C’erano le parole cavalcare e ippogrifo. Nella stessa frase».

Sghignazzarono entrambe.  Maggie le osservava, perplessa.

Lily si affrettò a fornire una spiegazione accettabile. «Sono titoli buffi di libri, ehm, piuttosto sciocchi».

«Alta letteratura» ironizzò Lyra, riponendo il tascabile.

Maggie gli diede uno sguardo distratto. «Sembrano quelli che legge la nonna. Cos’è un Dissennatore?»

«Uno dei tuoi futuri argomenti di studio. Dubito ci siano, nei romanzi della prozia Petunia».

Maggie storse il naso. «Quanto manca all’arrivo?» chiese, sporgendosi a guardare dal finestrino.

«Un po’. Perché non ti fai un giro? Magari conosci qualcuno dei tuoi futuri compagni di casa». Lyra scrollò le spalle, scoccando uno sguardo in tralice a Lily che era già sul punto di obiettare. «Tanto deve comunque godersi la gita sul lago con vista panoramica, non può fare il tragitto con noi, giusto?»

Lily si rassegnò:  Maggie sembrava entusiasta di quella nuova prospettiva. «Gita sul lago?» chiese infatti. «C’è un lago? Oh, ma come faccio con i bagagli?»

«Puoi venire a prenderli dopo. Ci penso io a sorvegliarli».

Ottenne in cambio un sorriso smagliante. Poco dopo, Maggie era uscita dallo scompartimento; probabilmente si sarebbe cacciata nei guai, ma Lyra aveva ragione. Doveva stare con i suoi coetanei.

«Così, finalmente sole». Lyra sorrideva, lo sguardo malizioso sotto le lunghe ciglia scure a suggerire un’intima soddisfazione. Certe volte quegli occhi di velluto si spalancavano, illuminati di una scintilla ambigua. Adesso invece erano socchiusi, allusivi.

Lily conosceva quello sguardo. «Raccontami» disse.

«Tu sei proprio sicura che ti sia passata la cotta per mio fratello, eh».

«Lyra!» protestò, ma prima che potesse continuare, la sua amica mise le mani avanti.

«Lo chiedo solo perché quest’anno lo vedrai spesso».

Quella rivelazione la spiazzò. «Che?» balbettò, imprecando mentalmente. Non era neppure capace di incassare la notizia senza vacillare. Deglutì, nervosa, turbata dal ricordo di sogni non così remoti come avrebbe voluto. Lucas e il grigio fumo dei suoi occhi, la chioma scomposta in cui era impossibile non desiderare di affondare le dita, il sorriso sfrontato da schiaffeggiare e baciare così a lungo da fargli rimanere il segno.

Lyra interruppe il corso dei suoi pensieri. «Quest’anno c’è il Torneo Tremaghi. Lui è nelle squadre di sorveglianza, quindi sarà a scuola con noi per la maggior parte del tempo».

«E con lui, decine di studentesse straniere che gli svolazzeranno attorno. Benvenuta al tuo sesto anno, Lily Potter» si lasciò sfuggire, con rammarico. Pensò che Lyra avrebbe riso, ma quando incrociò il suo sguardo la vide seria e composta. «Ti faccio proprio pena, allora».

Lyra colse l’allusione. «No. A dir la verità pensavo che è piuttosto strano che mandino addirittura i Corpi Speciali. Secondo me c’è qualcosa di losco».

«Se lo dici tu». Aveva avuto intenzione di liquidare la faccenda in fretta - Lyra Malfoy e le sue fissazioni potevano essere estremamente stancanti, talvolta - ma non poté fare a meno di ricordare lo sguardo reticente di suo padre quando gli aveva chiesto se stesse succedendo qualcosa. Allora aveva pensato che la sua ritrosia avesse a che fare con l’ombra che da sempre si proiettava sui suoi rapporti con i Dursley, ma improvvisamente non si sentiva più così sicura. Osservò Lyra, che aveva ripreso in mano il suo tascabile e lo sfogliava, annoiata, giocherellando con le pagine.

«C’è dell’altro, vero?» la incalzò.

«Potrebbe» rispose Lyra. Aveva una ruga verticale in mezzo alle sopracciglia corrugate e le labbra strette in una linea dura d’apprensione.

«Ma tu non vuoi dirmi cosa» concluse Lily, con una certa stizza.

Il volto di Lyra si distese. «Scusami» si giustificò, «è solo che non sono sicura. Mio padre non è mai a casa, ma ora casualmente è tornato e in famiglia sono tutti agitati. Non penso possa essere soltanto colpa del Torneo Tremaghi, no? Io comunque non ho nessuna intenzione di partecipare e loro lo sanno bene. Perderei troppo tempo con lo studio».

Lily annuì. «Già, dovrebbero saperlo che non è da te inseguire qualcosa di vacuo come un Trofeo» commentò, non priva di sarcasmo.

«Inseguo ben altri onori, io». Lyra le fece l’occhiolino, mettendo in mostra la sua spilla da Prefetto. «E, a proposito di onori e oneri, devo raggiungere quella zucca vuota di Carmichael e gli altri nello scompartimento riservato. Tu non crucciarti troppo» le raccomandò. «E non farti venire strane idee in testa. Ci vediamo a terra?»

«Va bene. Quali strane idee?»

«Oh, lo sai. Fortuna e gloria. Tieni a bada il fattore Potter».

«Io non sono Jamie» protestò Lily, gonfiando le guance.

Lyra sospirò. «No, ma qualcosa in comune l’avete. E sarà quello a cacciarti nei guai, prima o poi».


***


Raggiunsero Hogwarts sulle carrozze, come al solito; Lily aveva perso di vista  Maggie dopo averla scorta mentre si allontanava con Wendy al seguito del Custode, il quale, tutto trafelato, come da tradizione scortava gli alunni del primo anno durante la loro traversata. Era un uomo tarchiato, con una vistosa zoppia e il viso da folletto, che si chiamava Wilder Boyle e aveva sostituito Rubeus Hagrid qualche anno dopo la Grande Maledizione del Sonno.

Hagrid viveva in Francia con la moglie; scriveva, ogni tanto. Una volta erano andati a trovarlo: le aveva chiesto di Hogwarts, non senza una certa malinconia, che lei aveva veduta riflessa pure negli occhi di suo padre.

«Ti muovi?» Lyra la chiamò. «Ci perdiamo lo smistamento!»

Si fecero strada tra la calca; Lily intravide Albus che manteneva l’ordine tra le fila degli studenti più giovani e li dirigeva ai rispettivi tavoli con pochi cenni efficienti. Gli fece una linguaccia e lo vide sollevare le spalle, insofferente. Era così diverso da Jamie o da lei, così quieto e ligio al dovere che spesso, nonostante l’evidente somiglianza con il padre, in molti si chiedevano da chi avesse preso. Da Harry Potter, il suo figlio mezzano aveva preso una certa asprezza del carattere, ma non quella turbolenza che Lily aveva sempre sentito menzionare associata al padre. Quella se l’era presa James, assieme a una baldanza che, invece, proveniva da più lontano.

Lily sorrise al fratello, che le indicò il tavolo di Ravenclaw.

«Va proprio fiero del suo ruolo, eh?» osservò Lyra, precedendola e conquistando due posti.

«Oh, lui è fatto così. Mamma dice che somiglia allo zio Percy». Le venne da ridere. «E di solito aggiunge che è solo una fase».

«Non saprei». Lyra incrociò le braccia davanti al petto e scosse la testa. «Comunque, ci siamo perse lo smistamento di tua cugina, com’era prevedibile. È laggiù, seduta al tavolo di Hufflepuff».

Maggie sollevò timidamente una mano e la salutò: aveva ricevuto le insegne giallonere e indossava la sua cravatta annodata storta. Era seduta in mezzo a due ragazzine, una bruna dall’aria smarrita e una dalla folta capigliatura arancione vivo.

«Chi è quella con i capelli fluorescenti?» chiese Lyra, che le stava osservando a sua volta.

«Si chiama Wendy; l’abbiamo incontrata sul binario».

«Sembrano grandi amiche». Lyra si versò del succo di zucca. «Oh, guarda!» esclamò poi, indicando il grande palco dove gli ultimi studenti stavano per essere smistati. «C’è zio Neville, cioè, il Professor Paciock che legge i nomi».

Ben presto, lo smistamento si concluse. Neville Paciock, l’insegnante di Erbologia, prese posto al tavolo dei Professori, tra la Cooman - che ormai era più che altro una figurante, in quella compagine - e l’insegnante di Pozioni, Claire Morgan, una bella donna dai corti capelli scuri e dallo sguardo penetrante. Di fianco a lei sedeva il titolare della cattedra di Difesa contro le Arti Oscure,  un ex Auror di mezza età che rispondeva al nome di Parsifal Dalamar, il cui predecessore, poi divenuto Preside, era stato il primo a conservarsi il posto per più vent’anni di fila sfatando il mito della malasorte che ancora aleggiava attorno a quell’incarico nonostante la dipartita di Voldemort. Dalamar era un uomo dal viso austero, gli zigomi alti e appuntiti e gli occhi neri scintillanti che spiccavano sotto le sopracciglia grigio ferro.

«Benvenuti» disse in quel momento una voce chiara, sovrastando il brusio degli studenti, che si placò immediatamente. «Benvenuti ai nuovi studenti, naturalmente, e bentornati a tutti gli altri».

Gli occhi di tutti si posarono sul leggio al centro del palco, davanti al quale sostava un Mago dalla folta capigliatura scura e dal sorriso caloroso, che indossava una lunga veste chiara. «Io sono il Preside, naturalmente, e il mio nome è Renwick Faulks».

«Ammettiamolo» bisbigliò Lyra, «quest’anno è vestito meglio del solito».

«E non ha nemmeno un anello colorato» l’assecondò Lily. «Ne sentirò la mancanza».

Indossava, però, diversi bracciali, che tintinnavano al movimento delle sue mani. Il professor Faulks aveva una fama più che giustificata di eccentrico; l’opinione più diffusa sul suo conto era che fosse un buon Preside ma che non sarebbe mai stato grande. Lui pareva non curarsene: anzi, era perennemente ben disposto nonostante i più non lo considerassero degno della carica che ricopriva;  aveva preso il posto del successore di Minerva McGranitt, Q.J. Masterson, dopo che quest’ultimo, a metà dell’anno precedente, aveva improvvisamente deciso di partire per l’oriente. Il consiglio scolastico si era riunito e aveva optato per nominare Renwick Faulks come Preside ad interim, una carica che era divenuta ufficiale solo quell’anno e che lasciava molti insegnanti piuttosto perplessi. Faulks era cordiale e simpatico, ma certe volte sembrava uno sprovveduto; era sbadato e sovente lo si poteva incontrare nei corridoi alla ricerca di qualcosa che aveva smarrito.

In quel momento, per esempio, rovistava nelle tasche alla ricerca della propria bacchetta.

«Molto bene» cominciò, quando l’ebbe trovata. «Prima di dare inizio al banchetto, qualche avviso». Si schiarì la voce, mentre, ad un suo cenno, una serie di foglietti colorati cominciava a fluttuare ordinatamente di fronte ai suoi occhi. «So che siete quasi tutti al corrente del fatto che il Torneo Tremaghi, quest’anno, si terrà qui a Hogwarts. Pertanto, tra un mese esatto arriveranno i rappresentanti delle Scuole di Magia di Durmstrang e Beauxbatons. Fate in modo che i nostri ospiti si sentano i benvenuti…»

Lyra stava osservando i post-it. «Bel trucco» disse. «Dovrei usarlo per studiare, così non avrei le mani sempre occupate».

«Hai già scelto le lezioni che frequenterai?»

«Ti ho segnato tutto qui. Quelle sottolineate sono le nostre e di fianco c’è il motivo per cui dovresti darmi retta». Lyra le porse una copia dell’orario - ma come aveva fatto a procurarsela? - corredata di sottolineature e appunti a margine.

«Non credo di voler seguire tutte queste materie». Si attorcigliò una ciocca fulva attorno all’indice, sbuffando. «Erbologia avanzata? Chi diavolo segue Erbologia avanzata?»

«Chiunque voglia inseguire fortuna e gloria e partecipare a una folle impresa suicida». Lyra la gratificò di un sorriso angelico. «In altre parole, tu».

«Ma io…» tentò di obiettare Lily.

«Vuoi dirmi che non hai nemmeno pensato di infilare il tuo nome nel Calice di Fuoco?»

Il ragazzone biondo seduto di fronte a loro rise di gusto: era Carmichael, l’altro prefetto di Ravenclaw. «Ehi, Mikey» esordì, dando di gomito a Rowland che si stava pavoneggiando con Devonne Pierce, «la tua ex vuole partecipare al Torneo».

Gli studenti lì attorno ridacchiarono. Lily era nota nella sua classe come una studentessa dalle poche ambizioni al di là della media scolastica, che era in effetti piuttosto alta; in realtà, la sua era la timidezza naturale dell’eterna seconda. Portava a termine con un discreto successo ogni compito che le veniva assegnato, ma offrirsi volontaria non aveva mai fatto per lei: passare inosservata, tutto sommato, era più sopportabile di quanto lo fosse anche solo l’idea di essere scartata. Lyra, tuttavia, aveva visto giusto: il Torneo Tremaghi la tentava. Mettere un biglietto nel Calice di Fuoco non era come alzarsi in mezzo alla Sala Grande: garantiva comunque una certa forma di anonimato.

«E anche se fosse?» butto lì, senza pensarci troppo.

Molte paia d’occhi si spalancarono. Poi Devonne emise un risolino. «Non hai speranze».

«E chi lo dice» rispose lei, serrando i denti. «Magari il Calice di Fuoco ha gusti migliori del tuo ragazzo».

«Scommettiamo?» la provocò Devonne.

Lily stava per alzarsi e risponderle a tono, ma Lyra la trattenne per una manica, facendo un cenno verso il tavolo di fronte. Sheila Warren, la caposcuola di Hufflepuff, osservava torva la compagine dei Ravenclaw e sembrava sul punto di prendere provvedimenti. Le risatine cessarono di botto e persino Rowland sedette compunto ad ascoltare le ultime parole del discorso del Professor Faulks.

«In ultimo» stava dicendo il Mago, «per la vostra sicurezza è stato necessario isolare l’area del Lago. A quanto pare abbiamo un’inopportuna e imprevista invasione di piante acquatiche, ehm, piuttosto irritabili». Tossicchiò e sorrise, allargando le braccia. «Il nostro Professor Paciock sta studiando la questione e ci auguriamo tutti che la cosa si risolva nel minor tempo possibile».

Neville si alzò e fece un breve inchino, cui seguirono una serie di fischi di approvazione. Lily applaudì con gli altri: tutti amavano gli eroi di guerra, soprattutto se la loro fama era dovuta all’aver decapitato un serpente gigantesco con la spada di Godric Gryffindor.

Il Preside alzò le mani e il clamore cessò. «Molto bene, molto bene. Credo di aver detto tutto» annunciò e detto questo si avviò verso il tavolo. Uno dei suoi foglietti lo inseguì, svolazzandogli davanti agli occhi in  maniera insistente. Faulks lo afferrò e lo lesse. «Oh, sì! E buon appetito!»

In Sala Grande riecheggiarono diverse risate. Lyra si portò una mano sulla fronte. «È un caso disperato» commentò, servendosi una porzione di pesce.


***


«È un peccato che Maggie non abbia potuto fare la gita sul Lago». Albus stava ritto in piedi, vicino alla porta, e controllava i movimenti del corpo studenti.

Lily si morse la nocca dell’indice. «Scommetto che sei distrutto per lei».

«Facevo una semplice osservazione» puntualizzò lui. «Dovresti essere già nel tuo dormitorio, comunque».

«Aspetto Lyra».

«Lyra è un Prefetto, ha il permesso di stare fuori. Tu no».

Lily represse un gemito. «Sei davvero insopportabile».

«E sono un Caposcuola».

Probabilmente, se fossero stati a casa, Lily avrebbe tirato fuori una delle sue rispostacce. A Hogwarts, tuttavia, Albus godeva di un potere che a lei era negato e, poiché da un paio d’anni erano Ravenclaw e Slytherin a contendersi la Coppa delle Case, se gli avesse concesso la possibilità di approfittarsi così della sua posizione avrebbe presto dovuto pagare la sua ingenuità. Così confezionò l’imitazione di un sorriso e la esibì in mezzo alla folla, che tutti potessero assistere e testimoniare la sua educazione.

«Ma certo, Caposcuola Potter. Vado subito» disse.

Seguì gli altri studenti e lasciò che il loro mormorio la stordisse, per qualche istante. Salì le scale con le braccia conserte e fu solo all’ultimo che sentì una mano sottile agganciarla e darle una stretta amichevole.

«Dovresti smetterla di deprimerti per colpa di quel cazzone».

Lily spalancò la bocca. «Credo di non averti mai sentita dire cazzone in diciassette anni».

Lyra fece spallucce. «Ma mi hai sentita dire Rowland. Che io sappia sono sinonimi».

«Non è per lui, comunque» disse Lily, sbuffando.

Rowland era qualche passo più avanti, intento a dare spettacolo per il diletto di alcuni ragazzini del secondo anno. Raccontava le sue imprese sul campo da Quidditch, un argomento che aveva sempre molta presa sul pubblico. Anche Devonne lo contemplava ammirata, come se non fosse stata testimone delle numerose sconfitte subite dalla squadra di Ravenclaw da quando lui era diventato Capitano. Come stratega non valeva un granché, a dispetto della Casa in cui era stato smistato, ma questo importava poco. Lui era popolare.

«È che comincio a pensare di aver ereditato tutto il peggio della famiglia. Non sono nemmeno capace di mettermi in gioco senza farmi venire i sudori freddi. Nessuno scommetterebbe uno zellino sulla sottoscritta».

«Scema». Lyra aveva inarcato il sopracciglio sinistro. «Sai, credo che dovresti provarci. Metti il tuo nome nel Calice. Sfida la sorte».

Lily la studiò. «Non avevi detto che dovevo tenere a bada il fattore Potter?»

«Già. Ma sarebbe come chiedere al mare di stare all’asciutto. E poi sarebbe una gradevole ventata di novità, se tu facessi qualcosa d’imprevisto».

«Devo farmi ammazzare perché tu ti annoi?»

«Come sei melodrammatica» sospirò Lyra. Si era appoggiata a una delle colonne che reggevano il soffitto a volta dell’anticamera e guardava con insofferenza il gruppetto di studenti giovani che confabulava nei pressi dell’entrata del Dormitorio. «Ehi, voi, là davanti, perché siete tutti fermi?»

«Non riusciamo a farci aprire la porta» rispose una delle ragazzine.

«Che cosa vi ha chiesto?» domandò, facendosi strada. Lily la seguì e in breve si ritrovò anche lei attorniata da ragazzini.


«Sono la Morte, sono un cane a tre teste, sono la furia delle tempeste.

Una sola mossa contro tre nemici. Che arma scegli?»


La voce incolore della porta tacque.

«Oh, su, è facile». Lyra arricciò le labbra. «Possibile che nessuno qui lo sappia?»

Un brusio sommesso riecheggiò tra i ragazzi più giovani. Gli studenti anziani sembravano non badare a loro, come se non avessero alcuna fretta di entrare. Persino Carmichael se ne restava in disparte, a dispetto del suo ruolo di Prefetto: era una sorta di tradizione, a Ravenclaw, che i nuovi arrivati risolvessero da soli il primo indovinello.

«Non possiamo rimanere qui fuori tutta la sera» brontolò qualcuno.

Carmichael fece spallucce; guardava Lyra, quasi sfidandola a fare qualcosa di cui, chiaramente, la riteneva incapace. Sbagliava, naturalmente: infrangere le regole senza darlo a vedere era il suo passatempo preferito. Di certo, però, non avrebbe sfidato apertamente la legge non scritta del rito d’iniziazione, se non in caso di estrema necessità. Lily la vide scuotere il capo con aria rassegnata.

Si levò una debole protesta: quell’indovinello non era adatto a ragazzini del primo anno.

«Non potremmo chiedere una domanda di riserva?» propose una di loro.

Lyra sollevò un sopracciglio. «Non credo sia mai successo».

«Io vorrei entrare» s’intromise Devonne, che si era avvicinata all’ingresso.

«Risolvi l’indovinello, allora». Lyra le dedicò un largo sorriso.

«Fossi matta, Malfoy. Non lo sai? Porta sfortuna infrangere la tradizione». Devonne fece una smorfia. «Non ricordi la leggenda? Chiunque impedisca il rito d’iniziazione discende nell’Averno. Non ho voglia di morire entro l’anno!»

«Sono sciocche superstizioni. Nessuno muore per una risposta esatta».

«Perché non lo fai tu?» Una serie di consensi si levò alle spalle di Devonne. Se proprio una regola doveva essere infranta, era bene che lo facesse un Prefetto. Era quello che pensavano tutti.

«Lo faccio io» disse Lily e si ritrovò immediatamente tutti gli sguardi puntati addosso. «La musica, come nel mito di Orfeo. Orfeo riesce a placare la natura suonando la lira e il suo canto placa le fiere. Anche Cerbero, il guardiano dell’Ade; e il Dio della Morte si commuove tanto da concedere a Orfeo di riportare la sua amata in vita» concluse.

Tutti trattennero il fiato. La serratura si sbloccò con uno scatto anonimo e la porta si aprì, rivelando l’imbocco della scala; appeso a mezz’aria a fili invisibili c’era, come ogni anno, uno striscione di benvenuto, con una grande aquila al centro.

«Beh, non si è aperta nessuna voragine con accesso diretto all’Aldilà, mi sembra» commentò Lyra, con una nota di sollievo nella voce. «Tutti dentro, coraggio».

Devonne scrollò la testa. «C’è ancora tempo» mormorò, avviandosi.

Lily rabbrividì. «Gentile».

«Come sempre. Ignorala». Lyra sorrise. «Sei stata grande, li hai zittiti tutti».

«Non mi si avvicinerà nessuno per il resto dell’anno, ma ne è valsa la pena. Non credo di essermi mai sentita tanto bene».

Lyra le strizzò l’occhio e la prese sottobraccio. «È genetico. Non puoi farci niente».

«Stai ancora parlando del fattore Potter?»

«E di che altro?» rise Lyra, trascinandola su per le scale.



Ciao. Ehm.
Che dire. Intanto, grazie a chi ha recensito, seguito, preferito, likato, cuorato e via andare. Poi dopo:
Note, citazioni, luoghi, etimo e nomenclatura:
• i romanzetti Harmony dei maghi. Mi fanno buttare via dal ridere e non posso farci niente.
Fortuna e gloria è una citazione da Indiana Jones e il Tempio Maledetto.
• Parsifal Dalamar è un nome che viene da due fonti: Parsifal, uno dei cavalieri della tavola rotonda, e Dalamar Lo Scuro, un personaggio di Dragonlance.
La leggenda di Ravenclaw e la tradizione dell'indovinello sono una libera invenzione della sottoscritta. Quel discende nell'Averno fa un po' eco a un vecchio teen movie che conosco solo io.
• I corpi speciali che conoscerete come W.A.T.S. sono una libera invenzione di me medesima.
• Hagrid sposato con Madame Maxime è, a quanto sembra, inesatto. Ma ormai l'avevo scritto.

Sarebbe carino se mi diceste cosa ve ne pare. E anche se mi raggiungeste qui.

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Capitolo 3
*** III - Per Aspera ad Astra ***


III


Per aspera ad astra


“All your questions can be answered, if that is what you want. 

But once you learn your answers, you can never unlearn them.”


Neil Gaiman, American Gods



“Lily Potter se la fa sotto” c’era scritto su uno dei banchi dell’Aula di Difesa Contro le Arti Oscure. Lily corrugò la fronte, mostrando a Lyra l’ultima prodezza di Devonne Pierce.

«Oh, esistono rime peggiori» sentenziò lei, facendo svanire la scritta offensiva con un colpo di bacchetta. «E comunque, lasciala starnazzare. Dee ha lasciato il cervello nello sgabuzzino delle scope».

«Ha tappezzato di fogli con scritte come questa l’intero Dormitorio» protestò Lily, prendendo i libri sottobraccio. «Non credo di poterla ignorare».

Lyra arricciò le labbra. «Fantastico. Allora falle una fattura. Ne conosco una assolutamente perfetta».

«Tu non capisci. Queste cose ti scivolano addosso» obiettò Lily, seguendola fuori dall’Aula. Fece finta di non vedere Michael e il suo gruppo di amici che si davano di gomito al suo passaggio: da quando avevano rotto lui non faceva altro che cogliere ogni occasione per darle fastidio. Lily cercava di non dargli importanza; non aveva grandi rimpianti del periodo passato con lui, ma il sorriso trionfante che Devonne le dedicava ogni volta che s’incrociavano l’aveva fatta vomitare bile per una settimana. 

Lyra scosse la testa. «Ti ricordi al secondo anno, quando tu hai avuto l’influenza e sei rimasta in infermeria per cinque notti? Ho scritto una lettera al giorno a casa chiedendo che venissero a prendermi perché nessuno mi parlava tranne te». Fece una smorfia, accorgendosi che Lily stava per obiettare. «E l’anno scorso prima che tutti partiste per le vacanze di Natale una delle ragazze ha appeso sopra il mio letto una foto della sorella di mia nonna, quella che torturava le persone, con scritto cattivo sangue non mente».

«Lyra…» 

«Non avrei mai potuto chiamare mia madre. Ci sarebbe rimasta troppo male» aggiunse, scrollando le spalle.

Lily annuì, pentendosi di averla lasciata sola. «Lo so» disse. «Ma avresti potuto stare da noi».

Il volto di Lyra si rischiarò. «Non ce l’ho con te» disse, «e ucciderei per la cioccolata calda di Molly Weasley, ma tu lo sai che non le piaccio. Oh, sono tutti molto gentili, sia chiaro» rise, scostandosi di lato per far passare il custode che barcollava, rischiando di far cadere i due grossi candelabri che stava trasportando, «ma quando mi guardano ho la sensazione che vorrebbero vedere qualcuno che non sono io». Si morse il labbro con gli incisivi, rivelando una certa agitazione. Diventava sempre nervosa quando si toccava l’argomento della famiglia Weasley. L’unica che non la metteva a disagio era la madre di Lily: tutti gli altri, per Lyra, erano argomento tabù.

Un nutrito manipolo di ragazzi in divisa azzurra le sorpassò, lasciandosi dietro una scia di chiacchiere in lingua francese. Erano quelli di Beauxbatons, giunti a scuola una settimana prima: sfilavano per i corridoi spargendo sorrisi e r mosce, fra gli sguardi stravolti degli studenti di Hogwarts che non erano abituati a tutto quel sussiego. Lily si fece da parte, stringendo a sé la sua borsa, e uno dei francesi, un giovanotto coi capelli castano scuro, alto e massiccio, e le rivolse un distratto cenno di scuse. 

«Quello era Armand De Rais» spiegò Lyra, una volta che il ragazzo fu fuori dalla loro portata. «Dicono tutti che sarà il campione di Beauxbatons. A quanto pare è bravissimo, oltre che pieno di ammiratrici» cantilenò, storcendo il naso. «Se penso che avrei potuto essere in quella scuola mi vengono i brividi».

«Non è così male» obiettò Lily, mentre sbucavano in Sala Grande. «E ti avrebbe evitato situazioni come quella dell’anno scorso. Almeno credo».

«È quello che ha detto anche mio padre» Lyra si accigliò. «Ma ha sempre saputo che alla fine avrei scelto Hogwarts. Non ho fatto altro che sognare di vedere tutto questo, fin da quando avevo quattro anni». Stese un braccio in avanti, sull’ampia visuale della Sala già addobbata per Halloween. «Puoi darmi torto?»

«No». Lily sospirò. «Glielo hai detto, a tuo padre? Della foto».

«Sei matta? Se lo avesse saputo avrebbe appeso la colpevole al segnavento della Torre per il cappuccio del mantello. Cioè» si corresse, reprimendo l’ilarità che le si era annidata nella voce, «avrebbe minacciato di farlo. Sai quanto sono convincenti le sue minacce» chiosò, sedendosi al tavolo e afferrando un muffin salato. 

«Avresti dovuto scrivermi. Mamma ti avrebbe ospitata volentieri a Grimmauld Place fino all’inizio delle lezioni».

Lyra tagliò il suo muffin in due e si servì dal piatto delle salsicce. «Non preoccuparti, non sono sola al mondo. Sono andata a trovare i nonni, alla fine. È stato divertente» Levò lo sguardo verso la volta del salone, che si andava riempiendo di nuvole bianche e soffici come fiocchi di cotone. «Nonna Cissy mi ha portata a fare shopping e mi ha comprato metà Diagon Alley».

A Lily andò il boccone di traverso. «Letteralmente, scommetto».

«Più o meno» sogghignò Lyra. «Ma non è questo il punto» riprese, tornando seria. «Dee che fa le rime col tuo cognome non dovrebbe turbarti più di quanto la somiglianza con una lontana parente non turbi me. Reagisci, porca miseria. Hai già messo il tuo nome nel Calice di Fuoco?»

Lily abbassò lo sguardo sul piatto. «Non posso» bofonchiò. «Gli studenti che non hanno ancora compiuto diciassette anni non sono ammessi. Non hai letto il regolamento?»

Era appeso al piedistallo su cui stava il Calice, al centro della Sala. Lily si meravigliò che Lyra non ne sapesse niente; si voltò per dirglielo, ma si accorse che lei stava fissando due degli ospiti di Durmstrang intenti a consultare la lunga pergamena. 

«Quel regolamento?» chiese, indicandolo con il manico della forchetta.

«Ne vedi altri?»

«Lils» Lyra posò la forchetta e drizzò le spalle piegando la testa di lato, in quel suo modo che preannunciava una lezioncina. «Potter» esordì, «mi meraviglio di te. Quel regolamento ha più buchi del formaggio ballerino».

«Buchi?»

«Non ci posso credere» Lyra fece una smorfia esasperata. «Sai, certe volte penso che tu avresti dovuto sederti laggiù» disse, indicando alla cieca il tavolo di Gryffindor. «Se ci sono delle regole c’è sempre un modo per aggirarle. E nel caso non te ne fossi accorta, il Professor Faulks ha stilato l’elenco personalmente».

«Lo so» ribatté Lily, che aveva riconosciuto la calligrafia. «E allora?»

«E allora» la scimmiottò Lyra, tornando a guardarla, «hai mai notato quanto sia sbadato?»

Lily si concesse un sorriso. «Pensi che riuscirà a dimenticare la parola d’ordine del gargoyle anche quest’anno?» chiese, girandosi a guardare il tavolo dei professori. Faulks era intento in una fitta conversazione con Neville Paciock e i suoi bigliettini colorati gli svolazzavano attorno alla testa come tante farfalle.

«Probabilmente» Lyra liquidò la faccenda con un’alzata di spalle. «Credo che dovremmo dare un’occhiata a quel regolamento più da vicino». 

Lily annuì e si contorse sulla sedia. Rischiò quasi di cadere un momento dopo, vedendo suo fratello che si avvicinava a sua volta per consultare la lunga serie di requisiti necessari per accedere al sorteggio. «Porca vacca» mormorò, mettendo quasi un punto fra una parola e l’altra.

A Lyra uscì del succo di zucca dal naso. «Che c’è?»

«Guarda là» disse lei, indicando Albus che leggeva. «Sai che cosa significa?»

«Non penso, no».

Lily si accasciò sul tavolo, fra il piatto sporco di sugo e un bicchiere di latte pieno fino all’orlo. Guardò di nuovo Al e poi la sua migliore amica: a lei non era toccato di contendersi lo spazio con nessun fratello. Tra Lyra e Lucas c’erano cinque anni di differenza, abbastanza perché non sentissero il bisogno di pestarsi i piedi a vicenda. Non avrebbe capito.

«Ha i migliori voti del suo anno, Lyra. Contro di lui non ho speranze».

Lyra prese un gran respiro e sollevò teatralmente gli occhi al cielo. «Qualsiasi avversario può essere battuto, se solo fai la mossa giusta».

«Non è questione di mosse, e tu lo sai. È il Calice di Fuoco che sceglie il campione e per ogni scuola può essercene soltanto uno». Lily si sentiva così a terra che provò l’improvviso desiderio di coprirsi con il Mantello dell’Invisibilità di suo padre e scomparire. Possibilmente per sempre. Ma quel Mantello lo aveva suo fratello James. Schiacciò il naso contro il tavolo: c’erano giorni in cui le sembrava che sarebbe stato tutto più semplice se solo fosse nata per prima e con le palle.

«Sai» commentò Lyra, guardandosi le unghie, «ci sono molti modi per eliminare un avversario ancor prima che la partita cominci».

«Stai dicendo che dovrei imbrogliare?»

Lyra le rivolse un sorriso innocente. «Non si chiama imbrogliare. Si chiama giocare d’anticipo».


*** 


Alle quattro avevano finito di studiare e si erano avventurate nel parco. 

C’erano pochi studenti fuori a quell’ora, soprattutto in prossimità del Lago, dove la foschia sottile che si snodava fra i viali mutava trasformandosi in una muro solido che chiudeva lo sguardo e nascondeva l’orizzonte. A Lily era sembrato di vedere delle ombre agitarsi oltre la spessa coltre di bruma: si alzò in punta di piedi, sforzando la vista, ma non riuscì a distinguere nulla.

«Ancora non capisco perché hai voluto venire qui» borbottò, soffiandosi sulle mani intirizzite. «Fa freddo e credo di ricordare qualcosa a proposito di una specie di pianta poco amichevole».

Lyra sbuffò. «Non so se l’hai notato, Lils, ma questa storia della pianta è davvero assurda. Lo zio Neville non fa altro che confabulare con il Preside, ma a quanto pare la pianta è ancora qui. E poi, scusa, ti sei guardata attorno? Non vedi niente?» chiese, sgranando gli occhi. 

«Scusa, ma non capisco cosa dovrei vedere. È tutto bianco» obiettò Lily, sedendosi sul prato.

Lyra si sedette accanto a lei. «Appunto. Hai mai visto una nebbia del genere?»

«Vivo a Londra, lì la nebbia è verde».

Ridacchiarono entrambe. 

«Beh, io sono cresciuta nella brughiera» riprese Lyra, arricciando il naso, «e lì c’è nebbia da settembre fino a maggio. Ma la nebbia normale è umida e quando ci passi attraverso ne senti l’odore. Sa di acqua e mondi segreti. Filtra la luce e ti bagna i capelli e l’erba si copre di quel velo lucido che la fa sembrare ancora più verde». Sollevò una mano perfettamente pulita e gliela mostrò. «Guarda: qui non c’è una goccia d’acqua. È tutto asciutto».

Lily strofinò le dita sull’erba. «Non ci avevo fatto caso».

«Se ti fossi seduta su un prato bagnato ti saresti gelata il culo» disse Lyra, facendola scoppiare a ridere. «Quindi direi che almeno una parte di te ci ha fatto caso eccome».

«Pensi che questa strana nebbia abbia a che fare con la pianta del mistero?»

Lyra si strinse di più nel mantello e le poggiò la testa sulla spalla. «Non ne ho idea, Lils. Ma quelli di Durmstrang sono arrivati col treno e non con la nave, come fanno di solito. Qualsiasi cosa sia che li tiene lontani dal Lago, dev’essere molto pericoloso».

«Io credo che volessero semplicemente essere sicuri» Lily si sfregò le mani, come sempre quando si sentiva nervosa. «Sai, che non si facesse male nessuno».

«Zio Neville sa qualcosa. E io voglio scoprirlo». Lyra si tirò su e spazzò via l’erba secca dal fondo del mantello. Le tese una mano per aiutarla ad alzarsi. «Comunque» commentò, quando furono entrambe in piedi, «voglio cercare ancora in Biblioteca. Mi accompagni?»

Lily fece un cenno di assenso. «È una buona idea» disse. «Magari trovo un buon sistema per sparire nel nulla ed evitare l’umiliazione quando mio fratello sarà sorteggiato e io finirò nel dimenticatoio».

«A proposito di questo, hai letto la postilla in fondo al regolamento?» Lyra schiuse le labbra in un sorriso soddisfatto. «Dice che gli studenti che non hanno ancora compiuto diciassette anni ma li compiranno entro un anno possono comunque partecipare, se hanno un’autorizzazione scritta».

Lily fece per replicare, quando udì un rumore provenire dai cespugli. Afferrò Lyra per un braccio e sguainò la bacchetta. «Chi è là?» chiese, guardandosi attorno. 

I rami secchi della siepe si mossero scricchiolando forte; il rumore echeggiò nel silenzio, seguito da una voce infantile. «Lily?» la interpellò una delle due figure che emergevano lentamente dalla nebbia. 

«È solo tua cugina» Lyra posò una mano sul polso di Lily. «Abbassa la bacchetta o si spaventerà».

Maggie e la sua amica le raggiunsero qualche istante dopo, sbuffando aria condensata dalle narici. Quando furono abbastanza vicine, Lily riconobbe i capelli arancione vivo di Wendy e il suo visetto lentigginoso, su cui erano sbocciate due grosse chiazze scarlatte. 

«Come mai siete qui?»

«Abbiamo fatto un giro e ci siamo perse nella nebbia». Maggie si grattò la fronte. «È un sacco strana».

Lyra incrociò le braccia sul petto. «Avreste potuto perdervi nella Foresta. Dovrei togliervi dei punti per questo: gironzolare qui attorno è proibito» disse, mettendo su il suo cipiglio da Prefetto. 

Wendy si fece avanti. «Oh, no, per favore» pigolò. «Volevamo solo salutare il custode, ma tornando indietro abbiamo sbagliato strada e ci siamo perse». Aveva l’aria contrita, notò Lily, e si fissava le punte dei piedi anziché guardarle in faccia: aveva alzato gli occhi, che aveva di un blu profondo e scuro, solo per quei pochi attimi necessari a calcarsi il cappello sulle orecchie rosse per il freddo. 

«Andiamo. Torniamo a scuola tutte insieme». Lyra fece segno alle due bambine di precederle. 

Il sentiero era costellato di foglie secche che scricchiolavano sotto i loro piedi; man mano che si allontanavano dal Lago il silenzio rarefatto sembrava dissolversi assieme alla nebbia. 

«C’è una cosa che non capisco: perché siete andate a salutare il custode?» Lyra si tirò su il bavero e affondò il naso nella sciarpa blu. «È l’uomo più scontroso che conosca. Non credo ci abbia mai rivolto la parola in sei anni che siamo qui».

Meg si voltò. «Oh, con noi è stato gentile. Ci ha offerto la cioccolata con i biscotti e ha chiacchierato un sacco con me».

«Boyle?» Lyra sollevò un sopracciglio. «Non ci posso credere. Accidenti».

Lily sorrise sotto i baffi. Avrebbe detto di peggio, se non ci fossero state le bambine; la osservò camminare al suo fianco con le mani in tasca, muta, succhiandosi il labbro inferiore, e prese nota di chiederle cosa stesse pensando non appena fossero state di nuovo per conto loro.

La giornata volgeva al tramonto: uscendo dalla fitta coltre bianca riuscirono a scorgere il castello e i profili delle torri tinti di una luce del colore del miele. Sbuffi di nuvole dai riflessi iridescenti galleggiavano in un cielo altrimenti sgombro, ammassandosi lentamente alle spalle della Torre di Astronomia. Lily si schermò gli occhi con la mano: nel largo spiazzo di fronte al portone c’era un uomo dalla folta chioma grigia, alto almeno due metri e mezzo, che parlava con suo fratello Al.

«Hagrid!» chiamò. 

L’uomo si voltò e la sua bocca si allargò in un sorriso gioioso. Percorse lo spazio che lo separava da lei in due rapide falcate e l’avvolse in una stretta soffocante, sollevandola da terra di un palmo. «Lily Luna Potter! Oh!» tossicchiò, posandola di nuovo sul selciato, «Sei diventata grande! E guardati! Sei spiccicata a tua nonna! Grande, grande strega, Lily Potter…»

«Ciao, Hagrid». Lily si sistemò il mantello stropicciato. «Come mai da queste parti?»

«Ho raggiunto la mia signora» rispose quello, facendole l’occhiolino. «Olympe proprio non ce la fa a stare senza di me. Ah, Lily, lo stavo proprio dicendo a tuo fratello: quante ne ha viste questa scuola! Quanto mi manca» borbottò dandole un’affettuosa gomitata che la fece barcollare. «E tuo padre, che scavezzacollo! Una ne faceva e cento ne pensava. Lui, Ron e Hermione non riuscivano a stare fuori dai guai neanche per mezza giornata».

Lyra, che era rimasta in disparte, si schiarì la voce. 

«Uh, oh» Lily si sentì avvampare. «Hagrid, ti presento Lyra. E, Lyra, lui è Hagrid».

«Piacere» mormorò lei. «Mia madre ha ancora delle vecchie foto della scuola dove ci siete tutti. Mi ha parlato molto di quel periodo». Sembrava ancora nervosa: spostava il peso da un piede all’altro e la mano che aveva teso in direzione di Hagrid non era del tutto ferma. 

«Hagrid?» lo chiamò Lily. 

Lui, dal canto suo, era rimasto fermo a studiare la ragazza che aveva di fronte, quasi soppesandola. Dopo qualche secondo parve illuminarsi, come se avesse trovato la risposta a una domanda che lo tormentava. 

«La figlia di Hermione! Oh, ma sicuro!» esclamò, afferrandole la mano. «Beh, non le somigli molto, ma hai il suo stesso modo di parlare». Diede un’occhiata alla spilla da Prefetto che riluceva sul bavero della ragazza. «E anche i suoi voti, scommetto».

«Lyra è la migliore della scuola» disse Lily, facendo scoppiare Hagrid a ridere di gusto.

«La migliore del suo anno».

Tutti si voltarono. Albus era rimasto dietro Hagrid di qualche passo e sorrideva con quella calma e quella sicurezza che Lily gli aveva sempre invidiato. Nessun altro in famiglia era capace di rimanere così impassibile. 

«Caposcuola Potter» lo salutò Lyra a denti stretti. «Ti ricordo che ho un G.U.F.O. più di te»

«In Rune Antiche» motteggiò Albus, facendole il verso. «Fondamentale».

Lyra era impallidita e aveva spalancato gli occhi. «Più o meno come il tuo in Divinazione» sbottò. 

«Non crucciarti troppo, Malfoy». Albus estrasse un foglio di pergamena arrotolato dalla tasca. «Lo vedi questo? Questo è quello che dimostrerà a tutta la scuola chi è il migliore. Ho intenzione di vincere il Torneo Tremaghi. Stavo andando a spedire il modulo di autorizzazione a casa perché lo firmino; peccato che tu sia un anno indietro, non è vero?»

Hagrid gli batté una vigorosa pacca in mezzo alla schiena. «Ha! E bravo! Un altro Potter campione di Hogwarts!»

Lyra confezionò un sorriso di facciata. «Sono sicura che sarà così» ribatté. «Vero, Lils? Tiferemo tutti Potter quest’anno».

Albus fece una smorfia. «È meglio che mi sbrighi» borbottò. «Ciao, Hagrid. Ci vediamo».

«Sì, vai» disse Lyra senza guardarlo. «Potter» mormorò, levando gli occhi al cielo.

Lily si toccò le guance in fiamme. «Lyra…»

«Scusa. Scusami tanto, davvero». Strizzò gli occhi e scosse la testa. «Ti voglio bene, Lils, ma detesto tuo fratello e se lo avessi in casa tutto il giorno rimarrebbe schiantato dalla mattina alla sera» ammise, allargando le braccia.

«Beh» azzardò Maggie, che era rimasta in disparte fino a quel momento, «lui non è gentile come te» disse, guardando Lily, mentre si strattonava la cravatta con lo stemma del Tasso. «Mi ha presa in giro tutto il tempo, mentre andavamo alla stazione». D’istinto cercò protezione avvicinandosi a Wendy, che però sembrava distratta e fissava un punto in mezzo ai cespugli.

Hagrid abbassò gli occhi. «E questa chi è?»

«Hagrid, ti presento mia cugina Maggie. Meg» disse Lily, spingendola dolcemente avanti, «lui è Hagrid. Prima lavorava qui come custode».

«Cugina?» Hagrid si chinò sulla ragazzina e la esaminò. «Non mi sembra una Weasley».

Maggie scosse la testa. «No, signore. Io mi chiamo Dursley».

Sbalordito, Hagrid guardò prima Lily e poi la piccolina davanti a lui. «Dursley? È la figlia di…»

Lily annuì, mentre Maggie si faceva paonazza e Hagrid si grattava la folta zazzera irsuta. «Che mi venga un accidente». Piombò a terra battendo le natiche e facendo tremare il suolo circostante; si coprì la faccia con le mani.

«Hagrid, ti senti bene?»

Le grosse spalle dell’uomo andavano su e giù, scosse dai singulti. 

«Ma che ha?» Wendy spalancò la bocca. «Signore?» lo chiamò, battendogli sul braccio.

La faccia di Hagrid riapparve dietro le dita tozze, lucida di lacrime. Nei suoi occhi nerissimi risplendeva una scintilla di ilarità.

«Uh, uh» ululava, senza riuscire a smettere di ridere. «Non ho niente» le rassicurò, raccogliendo uno dei grossi lucciconi con l’indice. «Ma quando torni a casa per Natale, per favore, di’ a tuo padre… Digli che mi dispiace davvero tanto per la sua coda!»


***


La voce secondo cui uno dei figli Potter avrebbe partecipato al Torneo si era sparsa, veloce come solo i pettegolezzi erano capaci di diffondersi. Che tutti tifassero per Al era una conseguenza più che naturale, secondo sua sorella: persino lei avrebbe tifato per Al, se quel tarlo di inquietudine non le avesse divorato lo stomaco, spingendo sul cuore alla vana ricerca di un riscatto da quella eterna condizione di ultima venuta. Lily si mise a sedere sul letto, dove stava sdraiata da un quarto d’ora senza dire niente.

«Non ce la farò mai» sospirò, guardando il suo tema di Pozioni, che giaceva abbandonato assieme agli appunti che aveva preso a lezione. «Qual è la differenza fra le bacche e le foglie di Belladonna?»

Lyra chiuse il suo libro. Si era sciolta i capelli sulle spalle e se li attorcigliava attorno alle dita, quasi accarezzando, o pettinando, un pensiero latente. «La Belladonna ha un potere calmante. Le vittime della maledizione Contremui o i pazienti affetti da malattie con effetti che includono tremori possono trarre un certo giovamento da una pozione con estratto di foglie di Belladonna». Le mostrò i suoi appunti, evidenziando la parte sottolineata. «Ma non ti consiglio di usare le bacche. Il riposo in quel caso potrebbe essere eterno».

«Accidenti». Lily afferrò il suo tema e si affrettò a correggere. «Di che colore dovrebbe essere questa pozione?»

«Lattementa. Il verde intenso indica che hai usato troppe foglie. Se invece diventa blu e fa le bolle, l’hai fatta cuocere troppo a lungo». Lyra prese un gran respiro. «Dov’eri con la testa, mentre la Morgan spiegava queste cose?»

Lily grattò la pergamena con la penna e guardò fuori dalla finestra. A quell’ora, probabilmente, Al aveva già ricevuto il modulo di autorizzazione firmato e l’indomani lo avrebbe consegnato al Preside. Strinse i pugni, sbuffando: suo fratello meritava più di lei quella partecipazione. Lui di certo sapeva preparare il Distillato della Morte Vivente e non avrebbe avuto difficoltà a ricordare come ricavare un’essenza per la Pozione Fermascosse. Possedeva il talento che mancava a lei e pure a James, che però riusciva a brillare di una luce che era tutta sua. 

Lyra scese dal letto e andò a sedersi accanto a lei. «Sai cosa? Penso che le intenzioni bellicose di tuo fratello potrebbero volgersi a tuo favore».

«Terrà alto il buon nome della famiglia, suppongo. Comunque, nessuno a casa mia si sarebbe mai sognato di firmare per me». Ripose il tema in un cassetto. «Inoltre, il limite di età è una vera fregatura».

«Ah, ma allora sei di legno!» Lyra balzò in piedi e si sfilò dalla tasca un rotolo di pergamena pieno di scritte che si srotolò nella sua mano. Era così lungo che toccava terra.

«Oh, caz… Hai rubato il regolamento?»

Lyra scosse la testa. «Ma certo che no, Lils. L’ho duplicato». Estrasse la bacchetta dalla manica e picchiettò su un rigo: una piccola bolla che fluttuava nell’aria andò a posarsi sulle parole che le interessavano, ingrandendo i caratteri per permetterle di distinguerli anche a distanza. «Leggi».

«Gli studenti che compiranno la maggiore età entro un anno possono partecipare al Torneo se autorizzati dai genitori. Chiunque disponga dell’autorizzazione firmata può passare nell’ufficio del Preside per ritirare il suo lasciapassare entro il giorno dell’estrazione del nome» recitò Lily, scandendo le parole. «E allora?»

Il foglio si ripiegò ordinatamente nella mano di Lyra. «Hai letto bene? Dice un anno. Quando è il tuo compleanno?»

«Lo sai, è ad agosto». Sua madre era rimasta incinta che Albus non aveva neanche due mesi: era una cosa che entrambi i suoi fratelli non mancavano mai di farle notare, attribuendole una certa capacità di rompere sempre le uova nel paniere.

«Esatto. Di norma, questo non basterebbe a renderti idonea» Lyra esibì un sorriso trionfante, «ma la distrazione del Professor Faulks potrebbe averti fornito una scappatoia. Vedi, un anno non è la stessa cosa di quest’anno. Un anno sono dodici mesi e in questo senso hai tutti i requisiti per accedere al sorteggio».

Lily ci pensò su. «È un cavillo che non reggerà. Si renderanno conto dell’errore e lo correggeranno» disse dopo un po’.

«Non è possibile. Anche se nella pratica si tratterebbe di risolvere un’irregolarità, formalmente sarebbe come cambiare le regole. E le regole per il Torneo Tremaghi non si possono cambiare, una volta stilate». Lyra tornò a sedere. «Storia della Magia, volume quinto. Competizioni fra Maghi, Tornei e Olimpiadi di Stregoneria».

Lily annuì: adesso ricordava anche lei le noiosissime lezioni di Storia della Magia sull’argomento. «Bene, forse hai ragione, ma rimane il problema dell’autorizzazione che non ho. Nessuno firmerebbe per me, soprattutto visto che sto cercando di infrangere le regole».

«Quanto a questo, penso che tuo fratello possa decisamente aiutarci».

«Al?» Lily rise. «No, guarda, tu non lo conosci. Non mi aiuterà. Mamma gli taglierebbe la testa se lo scoprisse. Anzi, gli taglierà la testa appena scoprirà che vuole partecipare al Torneo» precisò, immaginando la faccia di sua madre mentre leggeva la lettera. «No, è escluso. Credimi: è un piano senza speranze».

«A me sembra» disse Lyra, annodandosi i capelli sulla nuca, «che tu abbia già gettato la spugna. Non mi fraintendere: normalmente mi starebbe benissimo così, ma sei tu che mi hai rotto le palle per settimane con la storia di tutti quelli che ti hanno sottovalutata nella tua vita». Le scoccò uno sguardo di biasimo.

«Lo so. Mi dispiace».

«Lils. Per favore, ascoltami solo un momento. So come ottenere il lasciapassare: non è una cosa semplice» ammise, sfregandosi lo spazio fra le sopracciglia, «ma si può fare. Ecco il piano: anche tuo fratello ha bisogno dell’autorizzazione, giusto?»

Lily fece un cenno affermativo. «L’hai sentito oggi, con Hagrid. Compie gli anni tra due settimane. Nel suo caso è una pura formalità».

«Esatto. Ma come hai detto tu, ha più probabilità di ottenerla perché è un maschio».

«Io non ho detto questo!»

«Oh, sante palle della prozia Belvina, è chiaro che è per questo!»

Lily scoppiò a ridere. «Hai una parente che si chiama Belvina?»

«Ma certo che ce l’ho. Solo che non sono del tutto sicura se sia una zia o una cugina. L’antica e nobilissima Casata dei Black ha un albero genealogico molto intricato. A proposito» saltò su come una molla, «lo sapevi che siamo quasi parenti? Una delle prozie di tuo padre era sorella del mio trisavolo Black».

«Non ci credo».

«È così. Mi sono studiata le carte quest’estate a casa dei nonni. Lo sai, le famiglie di Maghi finiscono per essere tutte imparentate fra loro, anche alla lontana. Mamma ha riso molto quando gliel’ho raccontato». Gli occhi di Lyra si illuminarono. «Papà un po’ meno. Ma l’ha presa meglio di quanto mi aspettassi».

«Supereranno mai questa storia?» Lily si strinse nelle spalle. 

«Mamma dice che si odiavano ai tempi della scuola. Anche con lei» mormorò Lyra, arricciando le labbra. «Ma alla fine se l’è sposato. Immagino che, se uno s’impegna…»

«Posso farti una domanda?» 

«Suppongo di sì» ribatté Lyra, fissando il soffitto.

«Papà mi ha raccontato qualcosa della guerra; è stato piuttosto vago, non credo gli piaccia rivangare certe faccende. Quando eravamo più piccoli diceva che ce lo avrebbe spiegato non appena fossimo stati in grado di capire». Lily si fissava le mani in grembo: certi argomenti fra loro non erano mai stati affrontati - le ferite degli altri, gli incubi dei tempi che erano stati si stagliavano di rado sulle loro vite senza terrore e quando lo facevano era per il tempo di un battito di ciglia.

«Quindi?»

Lily si fece coraggio. «Voi in famiglia parlate di queste cose?»

«A volte» Lyra sembrava ansiosa di cambiare argomento. «I miei non sono mai stati reticenti e Lucas e io volevamo sapere perché mamma non avesse preso il cognome di papà. Così ci hanno spiegato tutto quanto; io avevo sette anni. Lucas quasi dodici».

«Capisco». Avrebbe voluto chiedere altro, ma la sua amica sembrava essersi chiusa in se stessa, le braccia attorno al corpo e lo sguardo fisso sul poster di una squadra femminile di Quidditch. Lyra l’aveva ospitata spesso per le vacanze: aveva una casa assolutamente normale, piena di libri e foto di famiglia. Lily era rimasta incantata di fronte a una rastrelliera piena di manici di scope da corsa. I suoi genitori sembravano molto felici: casa Malfoy era diventata, per lei, un rifugio sicuro dal caos di Grimmauld Place. Hermione la trattava come una seconda figlia, anche se aveva l’orribile abitudine di regalarle soltanto libri. «Comunque, la tua famiglia mi piace» disse, un po’ per spezzare quel silenzio pesante e un po’ perché lo pensava davvero. «Siete in gamba. Non credo di aver mai visto nessuno come voi».

«Per aspera ad astra» mormorò Lyra, schiudendo le labbra in un sorriso.

«Il motto di famiglia?»

«Papà ha pensato che quello di prima non fosse più adatto. Ovviamente mio nonno ha battuto i pugni sul tavolo». Lyra sfoggiò un’espressione noncurante. «Ma non è il peggiore dei mali possibili, non credi?»

«Comincio a pensare di no. Le famiglie sono un gran casino. Guarda me: io adoro i miei fratelli, ma certe volte vorrei essere figlia unica».

Lyra fece una smorfia. «Se mio fratello fosse Albus Severus Potter probabilmente io lo sarei già».

«Lyra!»

Quella si fece seria. Posò le mani aperte sul copriletto blu e si drizzò, allungando il collo sottile, quasi in ascolto. Da fuori, non giungeva alcun rumore. Lyra estrasse la bacchetta e imperturbò la stanza. «Sto per dirti una cosa che non dovrei dirti, essendo un Prefetto. Quindi ascoltami perché non lo ripeterò. Per te è molto importante partecipare al Torneo, giusto?»

Lily fece per obiettare.

«No, non provarci. Tanto con me non attacca. So che lo vuoi».

«Suppongo che tu abbia ragione» ammise Lily, «ma non credo che questo cambi le cose».

«Un modo ci sarebbe, te l’ho detto prima. Ma non sono sicura che tu voglia usarlo». Lyra si alzò e cominciò a girellare nella stanza. «Sai cosa vuol dire la frase che ti ho detto prima? Per aspera ad astra?»

«Attraverso le difficoltà per arrivare alle stelle» Lily sorrise. «E allora?»

«E allora non tutte le difficoltà si possono superare in modo convenzionale. A volte è necessario forzare un po’ la mano».

«Significa giocare sporco». Sua madre l’avrebbe inseguita col manico di scopa in mano se avesse scoperto una cosa del genere e suo padre avrebbe avuto più di qualcosa da dire. «Non lo so, non credo mi si addica».

Lyra si voltò a guardarla: il nodo che aveva fatto ai capelli si era quasi sciolto e le ciocche di riccioli scuri sfuggivano alla costrizione come schizzi di una fontana d’acqua scura. «Sei così corretta» sorrise, tentando di ricomporre l’acconciatura. «Io lo capisco, sai. Devi reggere talmente tanti confronti che non sai quale sia più importante».

«E tu sì?»

«No. Ma so che dovresti pensare un po’ a quello che vuoi tu. Ad ogni modo, non ho nessuna intenzione di tifare per un altro Potter». 

Lily incrociò il suo sguardo e vi intravide una scintilla di sfida. «Questo cosa dovrebbe significare?»

«Che se non partecipi sarò costretta a tifare per Durmstrang. Anche se, adesso che ci penso, potrebbe non essere tanto male». Lyra le dedicò un sorriso con troppi denti. «Magari mi ospitano per un semestre, se gli faccio da supporter».

«Lyra!»

«O magari mi regalano un viaggio premio in Transylvania. Ho sempre desiderato visitarla».

Lily prese la bacchetta e la puntò verso la testa del letto.

«Non oserai!»

Il cuscino volò sulla faccia di Lyra in uno svolazzo di piume bianche.



Here we go.
Babies. Siete una meraviglia.
Note, citazioni, luoghi, etimo e nomenclatura:
• De Rais, da Gilles de Rais. Un personaggio poco rassicurante.
Contremui lat. ind. perf. di contremeo, tremare. L'equivalente magico del Morbo di Parkinson (come Pansy?)
• La pozione Fermascosse, invenzione della sottoscritta.
Il motto della famiglia Malfoy è originariamente «Sanctimonia vincet semper» cioè la purezza vince sempre. A prescindere che non avrei mai usato la parola Sanctimonia in quel senso, Per aspera ad astra mi sembrava adatto e magari qualcuno capirà perché.


Sarebbe carino se mi diceste cosa ve ne pare. E anche se mi raggiungeste qui.

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Capitolo 4
*** IV - Fortuna e Gloria ***


IV


Fortuna e gloria


“From every dingy basement, on every dingy street,

Every dragging handclap over every dragging beat,

It's just the beat of time, the beat that must go on

If you've been trying for years, we 'ready heard your song.

Death or glory, becomes just another story.

Death or glory, just another story?”


The Clash, Death or Glory


La mattina del ventisette ottobre, a quattro giorni dall’estrazione dei nomi dei partecipanti al Torneo, la delegazione del Ministero era arrivata a Hogwarts con la scorta, una cosa vieppiù insolita. Il rappresentante dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale si aggirava estasiato per le aule dalle dieci: era un Mago dalla faccia lunga, cavallina, e le orecchie a sventola, dal nome improbabile di Augustus Fauchelafleur. Sembrava costantemente sul chi vive e ogni volta che qualcuno lo interpellava si consultava con la sua assistente, una bionda molto bella che lui chiamava Cass. In quel momento, per esempio, le stava domandando qualcosa sulle statistiche dei feriti nelle ultime venti edizioni del Torneo sotto lo sguardo corrucciato del Professor Dalamar, che non vedeva l’ora di tornare alla distinzione fra Inferi e Dissennatori. La bionda, Cass, leggeva da un lungo elenco e scherzava coi militari della scorta quando il suo capo era distratto.

«Si chiama Cassandra Jones» spiegò Lyra sottovoce, mentre Lily la guardava con una certa ammirazione. «Ha un anno in più di mio fratello. La sua famiglia è venuta a trovarci qualche volta. Sua madre avrebbe dovuto sposare papà».

Lily guardò l’amica, incredula. Non riusciva proprio a immaginare una fidanzata di Draco Malfoy che non fosse la zia Hermione. Lyra dovette leggerle quello sconcerto nello sguardo, perché le strinse il braccio quasi a mo’ di conforto.

«Era una specie di accordo fra famiglie. Ma poi è venuto fuori che lei era incinta di un altro» sussurrò. «Ed ecco Cassie».

Come se si fosse sentita chiamare, Cassandra si voltò verso di loro. Sulle sue labbra rosee si dipinse un sorriso incantevole, che le illuminò gli occhi come un raggio di sole sull’acqua verde di un lago. Un brusio sommesso si levò da un gruppo di studenti maschi; persino Michael si era incantato a fissarla, nonostante le furiose gomitate che la sua ragazza gli stava assestando.

«È finta, vero?» Lily si concesse di ridere.

Devonne sembrava furiosa e sul punto di strillare; si chetò soltanto quando il Professor Dalamar batté senza troppe cerimonie la mano aperta sulla scrivania.

«Oh, no. Ma non sei l’unica a pensarlo, credimi». Lyra sollevò una mano in cenno di saluto e l’altra ricambiò, mentre Fauchelafleur berciava ancora di statistiche e teste rotte.

«Suppongo che abbiamo finito». La voce di Dalamar, profonda e autoritaria, mise a tacere ancora una volta il chiacchiericcio sommesso che serpeggiava fra gli studenti. Tutti trovarono qualcosa di interessante da leggere sulla pagina che avevano davanti; persino i due giovani cadetti, vestiti con l’uniforme nera con la sigla W.A.T.S. sul petto scattarono sull’attenti in attesa di ordini.

«Ma perché vanno in giro con la scorta?» bisbigliò Lily, coprendosi la bocca con la mano.

Lyra si incupì. «È quello che cerco di dirti da settimane» replicò, sottovoce. «C’è qualcosa di molto strano nell’aria, a partire dalle politiche difensive del Ministero degli ultimi anni. Io credo che si aspettino un attacco da più fronti».

«Che?»

Si era dimenticata di parlare a voce bassa, tanta era stata la sorpresa. Il Professore la guardava con gli occhi ridotti a due fessure sottilissime: Lily sentì le orecchie avvampare e si agitò sulla sedia, facendola scricchiolare.

«Potter». Dalamar si avvicinò, facendosi largo fra i banchi, sfiorandoli con le dita fasciate dai guanti.

«Scusi, Professore».

«Potter, vorresti condividere con tutti noi la notizia che ha causato la tua intemperanza?»

Lily fissò le lunghe dita guantate del Professore che tamburellavano sulla sua pergamena, denotando una certa insofferenza. Si tirò su fino a incontrare il suo sguardo, lottando contro l’impulso di sprofondare nella sedia, mentre Devonne e la sua cricca ridevano, nella fila in fondo.

«Mi domandavo, Professore, come mai la Delegazione del Ministero fosse arrivata con la scorta. È la prima volta, credo, in occasione di un Torneo fra scuole». Cercò lo sguardo di Lyra e la vide annuire.

«Infatti». Dalamar si voltò verso i diretti interessati, come se condividesse quella domanda.

Fauchelafleur tossì. «Il Preside e il Corpo Docenti sono stati avvisati ancora prima che la scuola iniziasse della presenza della W.A.T.S. in qualità di scorta e servizio d’ordine» precisò. Sembrava che avesse improvvisamente fretta di andarsene: fissava la porta e sfuggiva quasi con ostinazione gli sguardi degli studenti che cercavano di incontrare il suo.

Fu Cassandra a toglierlo d’impiccio. «Le prove del Torneo includono situazioni che possono diventare a rischio in pochi minuti. La W.A.T.S. è una squadra di Maghi addestrati a contenere qualsiasi tipo di pericolo fornendo una risposta immediata. Inoltre» aggiunse, girando un paio di pagine degli appunti che teneva in mano, «durante il Torneo del 1994 che si è tenuto in questa scuola, qualcuno ha manomesso la Coppa trasformandola in una passaporta. È ovvio che nessuno si aspetta che succeda di nuovo» disse, guardando Lily diritta in faccia, «ma la prudenza non è mai troppa. Per questo motivo abbiamo ritenuto che fosse meglio richiedere una sorveglianza costante».

«Sì, giusto» fece eco Fauchelafleur. «È esattamente come dice lei».

Lily ammutolì.

«Oh, poveri noi» gemette Lyra, di fianco.

Dalamar sembrava essere d’accordo con lei, ma non disse niente. Si passò una mano sulla barba brizzolata e poi estrasse dalla blusa una piccola clessidra contornata da linee luminose. «C’è qualcos’altro che desideri chiedere, signorina Potter?»

«No, signore».

«Benissimo». Il Professore ripose la clessidra in tasca. «È ora di pranzo. Purtroppo non ho potuto concludere la lezione. Confido che interruzioni del genere non si verificheranno più» concluse, fulminando la Delegazione con uno sguardo torvo.


***


Lily si stava servendo di una porzione di ali di pollo quando vide Maggie entrare, correndo a perdifiato, con la sua amica al seguito. Si ripromise di darle una strigliata, anche se era più probabile che qualcuno di Hufflepuff ci avrebbe pensato prima di lei. La Caposcuola Warren, infatti, le bloccò prontamente prima che raggiungessero i due posti vuoti che avevano pensato di occupare.

«Finiranno per cacciarsi in un bel guaio se continuano ad andarsene in giro in quel modo» sentenziò Lily, prendendo una grossa patata arrosto dal vassoio.

Lyra era silenziosa: tracciava strani disegni nel sugo dell’arrosto che aveva nel piatto, come inseguendo un pensiero che le sfuggiva. «Uh?» chiese, accorgendosi che Lily la fissava.

«Dove sei, con la testa?»

«Oh, non lo so. Non capisco perché abbiano voluto visitare le aule. Le hanno viste tutte, dalla cima della Torre di Astronomia fino all’ultimo dei sotterranei. Persino dove c’erano i ragazzi del primo anno Augustus Fauchelafleur è andato a porgere i suoi omaggi».

«Gentile». Lily strappò un morso di pollo.

«Sì, ma perché?» Lyra batté entrambe le mani sul tavolo, facendo sobbalzare Devonne, che era seduta di fianco a lei. «Che cosa guardi?» le chiese.

Dee si affrettò a trovare qualcosa di meglio da fare, non prima di aver bofonchiato qualcosa che suonava come spostata. Di norma, Lyra gliel’avrebbe fatto ingoiare.

«Che ti succede, Bun?» Aveva usato il suo vecchio soprannome infantile.

Lyra posò la forchetta e le sorrise. «Nessuno mi chiama Bun da un sacco di tempo» mormorò, dando una stretta affettuosa alla sua mano. «Sto bene. Ma succedono troppe cose insolite ultimamente e non riesco a non pensarci. Hai letto il Profeta, stamattina?»

Lily non l’aveva fatto. Il giornale le era arrivato come al solito, ma lei aveva la testa immersa in altri pensieri: aveva dato il compenso al gufo e aveva infilato la Gazzetta nella borsa. Lo prese e lo aprì, stendendolo sul tavolo. «Allora?»

«Pagina tredici. C’è un accuratissimo resoconto di Rita Skeeter, che Merlino la trasformi in una statua di sale nel bel mezzo di un gregge di capre, sulle opposizioni alla politica del Ministro Shacklebolt». Sulla fronte di Lyra comparvero due rughe orizzontali. «A tutta pagina. Vogliono farlo saltare e stanno usando la Skeeter come tramite. Ovviamente a lei non dispiace affatto».

«Con quali motivazioni?» chiese Lily, sfogliando il quotidiano alla ricerca della pagina giusta.

«Lo accusano di applicare una politica troppo morbida. Ultimamente ci sono state diverse violazioni del Decreto di Segretezza» raccontò Lyra, riponendo gli avanzi in un pacchettino. «Nulla di che. Cose piccole, ma fin troppo frequenti. I media Babbani si sono scatenati con una lista delle cose più strane che sono successe negli ultimi mesi».

«Non gli hanno cancellato la memoria?» Lily diede un’occhiata all’articolo e lo ripose, disgustata.

Lyra scrollò le spalle. «Sai com’è, qualcuno gli è scappato. Ma è possibile che tu non sappia mai niente? Vivi con il Capo del Dipartimento Auror!»

«Non lo so». Lily tornò a dedicarsi al pollo. «A casa, papà non parla di lavoro». E forse era per quello che, per tutto il mese di agosto, Harry Potter si era trattenuto spesso in ufficio o in missione fino a tardi. Le tornò in mente il suo atteggiamento circospetto a Diagon Alley, quando era andata a parlargli della prozia Petunia: cominciava a pensare che quelle occhiate preoccupate e la sua aria sciupata potessero avere a che fare con la campagna diffamatoria nei confronti di Shacklebolt e forse anche con i disordini avvenuti nell’estate appena trascorsa.

Distratta da quei pensieri posò l’osso che stava rosicchiando senza neppure accorgersi di averlo ripulito: non aveva più fame. La moltitudine variopinta di studenti si muoveva nella Sala Grande senza che lei vi facesse neppure caso; si avvide a malapena del manipolo di giovani in divisa che si faceva largo fra le teste dei ragazzi che si voltavano a guardarli, incuriositi dalla loro presenza.

Lily si riscosse dal proprio incantamento in tempo per vedere i cadetti che stavano di guardia dietro il tavolo dei professori scattare sull’attenti. Il Professor Faulks si alzò e fece segno a tutti di mettersi a sedere.

«Studenti, state calmi» disse. «La presenza di questi valorosi guardiani della comunità dei Maghi vi è stata ampiamente illustrata questa mattina. Non agitatevi, non fate chiasso: sono certo che la nostra collaborazione con la squadra W.A.T.S. sarà un esempio per tutti».

«Un esempio per cosa?» Lily afferrò il braccio di Lyra che contemplava la scena con gli occhi spalancati, ignorando la reazione scomposta della maggior parte degli studenti.

I due Caposcuola si occuparono dei ragazzi più giovani, conducendoli ai loro posti. La Warren aveva un diavolo per capello: acchiappò una coppia di Gryffindor del secondo anno e li rispedì al tavolo fulminandoli con lo sguardo. Lyra si alzò, per dare manforte e governare quelli della sua casa.

«Calmi, state calmi» li invitò, a bassa voce. Gli studenti si risedettero, senza smettere di fissare il tavolo dei Professori: davanti a esso stava il gruppo di militari, che portava uno scrigno d’ebano esagonale. Il Mago che li guidava accennò un inchino, piegando il capo scuro, e slacciò il mantello rosso il cui bavero rialzato gli copriva la faccia, svelando una cicatrice che gli solcava il sopracciglio, passava sul rilievo arcuato del naso e raggiungeva la bocca, tagliandola in due. Batté il pavimento col bastone che reggeva con la sinistra, sulla punta del quale aveva fissato la propria bacchetta.

«Sono il Capitano Lance». La voce risuonò possente spandendosi per la Sala Grande. Tutti tacquero e il Mago riprese a parlare. «Il coordinatore della Squadra Tattiche Avanzate».

Fece un cenno a due della squadra, vestiti di nero come i cadetti di guardia: quelli sguainarono le bacchette e le puntarono insieme contro lo scrigno, che levitò sopra le loro teste, irradiando una luce bianca dal fregio sulla cima. Il Capitano batté ancora il bastone per terra e lo sportello che chiudeva lo scrigno tremò; dalla serratura scaturì una scia di scintille azzurre e blu che circondò il lucchetto e lo fece scattare, liberando il chiavistello.

«La Coppa del Torneo!» esclamò il Capitano mentre il coperchio superiore si sollevava, rimanendo sospeso in aria.

Lo scrigno si aprì, un lato alla volta. Tutti gli studenti guardarono su, verso il trofeo che scintillava, riflettendo i raggi del sole di fine ottobre che penetravano dalle finestre colorate: un mormorio di sorpresa echeggiò fra le pareti della Sala Grande.

Il Preside applaudì due volte. «Splendido» esclamò, lasciando la sua postazione per raggiungere il Capitano Lance. Gli posò le mani sulle spalle come per coinvolgerlo in un abbraccio a metà: Lance lo lasciò fare, ritraendosi soltanto quando Faulks gli tese la mano per farsela stringere.

«Ma che fa?» chiese qualcuno, bisbigliando. Lily si voltò e incrociò lo sguardo color fiordaliso di Devonne, che si era alzata in piedi e si tormentava una ciocca castano chiaro sfuggita alla coda, stropicciandola fra le dita.

«Siediti, Pierce». Lyra le scoccò un’occhiata funerea e Dee parve accusare la gravità della situazione, perché si affrettò a eseguire senza replicare, cercando la protezione del suo ragazzo, che però non la guardava.

Lyra tamburellava con le dita sul tavolo e teneva lo sguardo fisso sul tavolo dei Professori. Lily la imitò e si accorse che il Capitano Lance si era voltato di poco verso il loro tavolo, mostrando la metà destra del corpo che era rimasta sempre rivolta verso l’altro lato della Sala: il braccio era bloccato contro il petto, infilato fra il lembo della divisa e la camicia che portava sotto. La mano che sporgeva era coperta da una benda scura.

«Mi dovete scusare» disse il Capitano Lance accennando a un inchino. «Non posso stringere la mano a nessuno».

Il Professor Faulks abbozzò un cenno di scuse, allontanando con la mano uno dei bigliettini che gli svolazzavano costantemente intorno. Puntò la bacchetta contro il Trofeo, facendolo levitare fino a un piedistallo che era emerso dal pavimento di fronte al suo scranno. Due dei cadetti in coda al gruppo di militari si affrettarono a raggiungere la postazione e si fermarono lì davanti. Lily li studiò per qualche istante: non potevano avere che un anno o due più di lei e uno dei due, biondo e imberbe, appariva persino più giovane.

«È un ragazzino!» mormorò Lyra, come se le avesse letto nel pensiero.

Lily si lisciò la stoffa della gonna, agitandosi sulla sedia. «È possibile che reclutino maghi minorenni?»

Lyra esitò. «È contro la legge» spiegò, in risposta a una sua occhiata incredula. «Ma ho sentito mio fratello dire a papà che il numero dei cadetti sta aumentando molto per via dell’affiancamento».

«Affiancamento?»

«Te lo spiego dopo» rispose Lyra, accennando con il mento in direzione della delegazione del Ministero. «Cass sta venendo qui».

L’ennesimo chiacchiericcio si levò dalle file di Ravenclaw; né le occhiate della Warren di Hufflepuff né gli sguardi truci di Lyra riuscirono a metterlo a tacere: l’assistente di Fauchelafleur era più sconvolgente di quanto lo fossero le forze armate, per i maschi di Hogwarts. Lily si conficcò i denti nel polpastrello dell’indice: Cassandra sorrideva, scuotendo il carré biondo fresco di taglio, lanciando occhiate indulgenti a destra e a sinistra.

«Perché viene qui?»

Lyra non rispose. Cassandra si era fermata a salutare la responsabile degli studenti di Durmstrang che, contrariamente a Madame Maxime, mangiava al tavolo con i suoi studenti. Era una bruna giovane e austera, coi capelli raccolti in una crocchia stretta e tirata e un’uniforme che si chiudeva appena sotto il mento. Si chiamava Anna Grigorievna. Cassandra disse qualcosa che la fece sorridere e poi si congedò, riprendendo la sua via verso il tavolo di Ravenclaw.

«Viene a salutarmi». Lyra si era riscossa dal suo incantamento. «Te l’ho detto che ci conosciamo. Penso volesse farlo stamattina, ma il Professor Dalamar si sarebbe arrabbiato ancora di più».

«Uh». Lily non trovò niente di meglio da dire. Distolse lo sguardo dalla bionda magnifica che camminava verso di loro: il Preside si era alzato e aveva lasciato il tavolo da pranzo, segno che il pasto era finito e gli Elfi domestici sarebbero arrivati ben presto per sparecchiare i tavoli. Un tramestio di passi e sedie spostate si levò dagli altri tavoli e lei, infastidita, pensò che sarebbe stato meglio andarsene.

«Lyra Malfoy!»

«Ciao, Cass» Lyra si alzò e si lasciò baciare sulle guance. «È bello vederti».

Cassandra le rivolse un sorriso incantevole. «Sei cresciuta tantissimo» commentò stringendo le mani di Lyra, che si fece più rigida. Lily intercettò una sua occhiata nervosa e si alzò per andarle in soccorso, ignorando il proprio impellente desiderio di allontanarsi.

«Cass, lei è Lily Luna Potter, la mia migliore amica» Lyra si divincolò, grata del diversivo. «Lily, ti presento Cassandra. Ha studiato all’Accademia delle Streghe di Salem, ma adesso lavora al Ministero, nella sezione cooperazione internazionale».

«Piacere». Lily guardava altrove, verso la bolgia che si accalcava a contemplare l’ambita coppa del Torneo Tremaghi. Si accorse che, dall’altra parte della sala, anche suo fratello guardava il trofeo sul piedistallo presidiato dalle due giovani guardie. Il Capitano Lance aveva lasciato a istruirli un sottufficiale in uniforme grigia. Il cuore di Lily si impuntò tra una speranza e la preghiera che la negava nell’attimo immediatamente successivo.

«Oh, sì, Lyra mi ha parlato di te!» esclamò Cassandra, con un lieve accento americano. «Giocavate sempre insieme!»

Lyra annuì. «Siamo un po’ grandi per giocare ormai».

«Eh già!» Cassandra rise. Il suo entusiasmo sembrava impossibile da estinguere. «Guardatevi. Siete quasi donne ormai e invece a me sembra ancora di sentirti raccontare le vostre scorribande». Passò un braccio attorno alle spalle di Lyra.

«Oh, potrei raccontarti storie migliori adesso» ribatté quella, senza usare troppa cortesia.

Cassandra batté le mani. «Perché non ci prendiamo un pomeriggio per noi, allora? Sarebbe divertente!»

Lyra annuì senza sorridere. «Adesso però dovremmo andare» disse, cercando di prendere Lily sottobraccio.

«Ma certo. Avrete un sacco di cose da fare». Il sorriso benevolo di Cassandra si ampliò. «Sai» disse, guardando Lily, «è buffo conoscerti soltanto da adulta. Io ti ricordo come una bambina che cadeva dalla scopa di Lucas».

Lily sentì le guance scottare. Coltivava il ricordo confuso di una schiena calda di sole su cui aveva poggiato la guancia per proteggersi dal rumore del vento che vorticava attorno a lei, dei suoi capelli che sfuggivano alla costrizione di una treccia già allentata dai giochi folli di una giornata estiva. Il braccio che aveva passato attorno alla vita di Lucas era sudato, più per un’emozione senza nome che per il caldo di un pomeriggio qualunque di fine estate e il battito del cuore di lui le risuonava nell’orecchio come la canzone del mare dentro una conchiglia.

Era scivolata giù senza neppure accorgersi che stava cadendo.

«È stata una distrazione. E poi ero piccola» obiettò, conscia della debolezza della propria voce. «Avevo dieci anni».

«Undici».

Qualcuno aveva parlato dietro le sue spalle e quell’unica parola le si insinuò giù per la schiena come una carezza ghiacciata. Una delle dicerie più in voga di Hogwarts era che il figlio di Draco Malfoy avesse l’aspetto di un angelo e una voce che poteva appartenere soltanto al più gelido degli inferni. Dal canto suo, Lily pensava che fossero tutte sciocchezze: Lucas era ben oltre ogni sorpassata dicotomia e i suoi volti erano più di quanti un osservatore casuale avrebbe potuto cogliere senza soffermarsi.

Oh, merda.

Vide Cassandra illuminarsi e si voltò mentre lei la sorpassava - in ogni senso - e si sporgeva verso il suo primo amore, posandogli un bacio sulla guancia.


***


«La odio».

Lyra la trascinò verso uno dei tavoli liberi, facendosi largo tra la clientela dei Tre Manici di Scopa. Era il loro primo sabato a Hogsmeade, quell’anno, e cadeva appena prima di Halloween: Madama Rosmerta, ancora piacente nonostante l’età che avanzava, aveva addobbato il pub con festoni a forma di fantasma che svolazzavano qua e là, tuffandosi nei boccali di Burrobirra.

«Chi?» Lyra bevve un sorso e diede un morso al suo dolcetto alla zucca.

«Cass». Lily pronunciò il suo nome con disprezzo e si sentì immediatamente in colpa: non aveva alcun diritto di odiare un’altra ragazza solo perché era bella e baciava in modo innocente il fratello della sua migliore amica. Afferrò il boccale e lo trangugiò per metà: la Burrobirra non era abbastanza alcolica per darle alla testa, ma Lily sperava che l’avrebbe aiutata a non pensare troppo a quello che era successo il giorno prima.

Lyra inclinò la testa di lato. «È carina, a piccole dosi. Rimanevano sempre da noi almeno una settimana ogni estate: era divertente» raccontò, scacciando uno degli spettri decorativi dalla sua bevanda.

«Oh, certo, ci credo» sbottò Lily nascondendo il viso fra le mani. La sua mente capricciosa produsse l’immagine della bella Cassandra, splendida già da adolescente, seduta sul prato con Lucas: era una scena così normale che doveva per forza corrispondere a realtà.

«Lils, non c’è niente tra lei e mio fratello».

«Chi se ne frega». Lily svuotò il boccale in un sorso. «E a proposito, grazie di averle raccontato la mia figuraccia sulla scopa. Vaffanculo, Bun».

Lyra spalancò gli occhi, impallidendo. «Non sono stata io!»

«Come no». Lily si alzò. «Vado a prendere altra Burrobirra» borbottò, ignorando la protesta del suo stomaco. Si avviò al bancone: Lyra la guardava, incerta sul da farsi, e Lily si sentì assalire dal rimorso. Avrebbe dovuto scusarsi con lei: Lyra non avrebbe mai raccontato una cosa così umiliante sul suo conto, anche se ne avevano riso subito dopo, con la noncuranza ormai remota dell’infanzia. L’unico a non ridere era stato Lucas: i suoi occhi di nebbia si erano soffermati a lungo su di lei, cercando di carpire nei suoi movimenti anche la più piccola traccia di dolore.

A quindici anni, Lucas Malfoy si comportava come un adulto.

Lily posò il boccale vuoto sul bancone e si fece allungare altre due Burrobirre.

Quando tornò al tavolo, Lyra non la guardò nemmeno.

«Bun».

Non ottenne risposta; si accomodò sullo sgabello accanto al suo e le spinse davanti il boccale pieno. «Scusa, Bun. Probabilmente tua madre ha pensato che fosse divertente e lo ha raccontato ai suoi. Non importa» continuò senza aspettare una risposta. «Sembrava molto divertente anche a me in quel momento».

Lyra disegnava con l’unghia sul vetro appannato del boccale. «Sai» sospirò, tagliando la schiuma con un rapido colpo di bacchetta, «non è tanto il fatto che non mi credi. È che sembra che tu sia convinta che mi importi più di lei che di te».

«Ma… » Lily aprì la bocca per negare e la richiuse dopo un secondo.

«Ho visto la tua faccia quando mi ha chiesto di passare un pomeriggio con lei». Lyra spostò i capelli all’indietro: li aveva sciolti sulle spalle e i le luci dorate delle lanterne li facevano risplendere accendendo le volute dei suoi boccoli di riflessi fiammeggianti. Lily pensò, non per la prima volta, che Lyra fosse molto bella e che non si meritasse una pessima amica come lei.

«Che schifo, eh?» commentò, bevendo un sorso.

«La tua autostima ha bisogno di un aiuto» Lyra rovistò dentro la borsa ed estrasse una pergamena pulita, una penna coi colori di Ravenclaw e un nuovo tascabile. La ragazza sulla copertina posava le mani affusolate sui muscoli palpitanti di uno sconosciuto col volto coperto da una maschera.

«A letto con il Mangiamorte». Lily inorridì. «Come fai a leggere queste cose? Voglio dire, non pensi che sia poco rispettoso?»

Lyra contemplò il suo libro per un attimo. «Questa roba fa ridere. Nella maggior parte dei casi il tenebroso, affascinante sconosciuto è una spia che fa il doppio gioco e salva la fanciulla del suo cuore. È edificante» spiegò, riponendo la pergamena e tornando a cercare, «ti insegna a non giudicare nessuno dalle apparenze».

«Tipo Cass?» Lily riprese in mano il volumetto e cominciò a sfogliarlo.

«No, tipo te. Hai una famiglia ingombrante e ti sei convinta di essere pari a zero» la rimproverò Lyra continuando ad affondare il braccio nella borsa. «A volte penso che tu abbia bisogno di una bella scossa».

Lily sbuffò, gonfiando le guance. «Ha un fondo quest’affare?» chiese, pizzicando la bisaccia di pelle fra due dita.

«È incantata. Mi ha insegnato la mamma a farlo. È molto utile, sai» Lyra sollevò la testa e sorrise. «Posso portarmi tutto quello che mi serve e avere le mani libere. Pensavo di regalartene una per Natale ma sto ancora perfezionando l’organizzazione. Se riuscissi a dividerla in scomparti eviterei di perdere ore per trovare qualcosa».

Lily fischiò di ammirazione. «Sei un genio».

«Non cambiare discorso». I capelli di Lyra si stavano arricciando, come sempre quando lei si spazientiva e cominciava a strapazzarli, spostandoli a destra e a sinistra. «Davvero, mamma ha ragione quando dice che hai la sindrome dell’ultimo arrivato. Dev’essere ereditaria».

«Papà è figlio unico» puntualizzò Lily, «e mamma è tutto fuorché priva di autostima» aggiunse, pensando alla sicurezza con cui Ginny Potter teneva testa ai suoi numerosi fratelli.

«Probabilmente hai preso questa cosa da qualche altro parente». Lyra aveva ormai tutto il braccio nascosto dentro la borsa e continuava a frugare. «Per esempio, cosa sai di quel tuo zio Ron di cui parlano tutti?»

Lily si ricordò di quel che aveva detto Hagrid e ci pensò su. «Non l’ho mai conosciuto» confessò, svuotando il secondo boccale di Burrobirra. «Mamma odia parlarne e se lo chiedo a nonna Molly va a finire che piange. Ma ho visto delle foto a casa: ci sono tutti. Anche zia Hermione». Omise di dire che zio Ron teneva il braccio intorno alla vita di zia Hermione: non aveva l’aria di un abbraccio fra amanti, ma raccontava comunque una storia che doveva essere accaduta in un tempo che non era più.

«Anche mamma ne ha diverse. Uscivano insieme credo». La mano di Lyra emerse dalla borsa stringendo un pacchettino bianco, di carta anonima, accuratamente chiuso. «Ma è partito vent’anni fa e nessuno ne sa più niente. Così ha detto mamma».

Lily contò a bassa voce. «Più o meno quando i tuoi si sono sposati. Pensi che c’entri qualcosa? Se usciva con tua madre forse era geloso».

«È probabile. Questo spiegherebbe perché tua nonna non mi sopporta, a parte la mia somiglianza con la prozia Bella». Lyra posò l’involto di carta sul tavolo e lo spinse verso di lei. «Comunque, ho trovato quello che cercavo. Ecco, tieni. Prendine uno».

Lily scartò il pacchetto ed esaminò il contenuto. «Sono dolcetti?» chiese, prendendone uno: era un biscotto tondo, ricoperto di glassa arancione. La scritta sei in gamba fatta con il cioccolato bianco campeggiava al centro del piccolo dessert. Lily diede un’occhiata veloce agli altri biscotti: erano di colori diversi, ma tutti riportavano una frase motivazionale scritta sopra.

«Biscottini Incoraggianti. Li ho presi da Mielandia, mentre tu compravi le Bolle Bollenti». Lyra ne afferrò uno decorato in blu e glielo mostrò: diceva sei tu che determini il tuo valore. «Assaggia. Sono buoni. Questo per esempio è ai mirtilli».

Lily ne prese un morso controvoglia. «Arancia. Non male» commentò, «ma non credo che mi daranno più autostima. Per quello probabilmente ci vorrebbe un miracolo».

La porta del pub si aprì, lasciando entrare un gruppo di studenti di Durmstrang: uno di loro, coi capelli scuri e ondulati raccolti in una coda stretta sulla nuca, fece un cenno a Lyra, che saltò sullo sgabello. Le sue guance assunsero una sfumatura rosata e il biscotto che aveva in mano si sbriciolò.

«Chi è?» chiese Lily.

«Vasily» Lyra tossì, sbocconcellando un po’ del dolce che era caduto sul tavolo. «Abbiamo fatto due chiacchiere in corridoio e ho scoperto che il mio russo ha bisogno di essere perfezionato. Così si è offerto di insegnarmelo».

Lily scoppiò a ridere. «Certo. Il tuo russo».

«Ehi. Io credo alle tue scuse, tu credi alle mie» Lyra si morse il labbro e lanciò uno sguardo disinteressato verso il gruppo di giovani. Quello che l’aveva guardata le sorrise: i suoi occhi, che erano di un blu quasi violaceo, sembravano ammiccare, suggerendo un tacito invito.

Lily la spinse giù dallo sgabello. «Vai».

«Oh, Lils. Grazie, ma non penso che dovrei lasciarti qui da sola».

«Ti prego» Lily ruotò gli occhi verso l’alto. «Non me lo perdonerei mai se perdessi l’occasione con il tuo russo per colpa mia!»

Lyra posò la borsa sulla sedia. «Sei sicura? Torno subito. Voglio dire» si corresse, «lo saluto e arrivo».

«Vai!» Lily la spinse via. La guardò allontanarsi, riassestandosi i capelli con la mano e sollevarla un momento dopo.

«Vasya, dozhdìs’» chiamò. Lily si accorse il ragazzo si era fermato ad aspettarla e stava prendendo qualcosa da bere anche per lei. Intercettò il suo sguardo e la vide ridere, passando la mano attorno al braccio muscoloso di Vasily. A Lyra bastava così poco, a volte, per socializzare.

Lily si rimise a leggere il tascabile col Mangiamorte in copertina, ma era distratta. Continuava a vedere la Coppa del Torneo; aveva deciso di abbandonare l’idea di partecipare ma la tentazione le rodeva la coscienza a colpi di accuse di codardia, abbattendo le sue obiezioni come tessere del domino.

Afferrò il pacchetto dei biscotti e ne prese una manciata, innaffiando i bocconi con la Burrobirra che Lyra aveva avanzato. Cominciava a pensare che si sarebbe ritrovata a tifare per Durmstrang anche lei: l’affetto per i suoi fratelli era inquinato dalla patina opaca della propria insicurezza da quando aveva aveva compiuto undici anni e aveva smesso di essere la principessa di papà per confrontarsi con loro fuori dall’ovattata seppur caotica realtà casalinga. A scuola nessuno diceva a Jamie e Al di non prenderla in giro o di lasciarla giocare a Quidditch sulla vecchia scopa di Ginny. Nessuno avrebbe detto a Al di concederle almeno quell’unica occasione per fare qualcosa prima di lui o al posto suo.

Lily sfogliò un’altra pagina, cercando di arginare quella voce nella testa che le imponeva di smetterla di essere patetica e di fare qualcosa per riscattarsi da quell’immobilità. L’eroina del romanzo aveva l’aria di essere esattamente nella sua stessa condizione: voleva cambiare la sua vita ma non sapeva da che parte cominciare.

«Che cazzata» sentenziò. Nessun eroe a dorso di un Pegaso dalla criniera nera come la notte sarebbe venuto a salvarla: la narrativa rosa era una truffa. Persino Lyra, che aveva un debole per quei tascabili stropicciati portava sempre con sé, rideva di quei libri classificandoli come romanzetti scollacciati. La bella cade fra le braccia del suo salvatore e si perde nei suoi occhi - fine capitolo terzo, con la conclusione già anticipata in quelle poche righe di bugie bianche. Nelle storie così la protagonista era sempre bellissima e irresistibile, anche se non lo sapeva.

«Lily?»

Riconobbe la voce di Cassandra e afferrò un altro biscotto. «Signorina Jones» la salutò, sollevando a stento lo sguardo dalle pagine scritte.

«Chiamami Cassie» disse quella, raggiante. «C’è anche Lyra da qualche parte?»

Lily sospirò e staccò un morso dal biscotto per prendere tempo. Altri passi, di piedi rivestiti di anfibi in pelle di drago, la indussero a staccarsi dal libro e a posarlo sul tavolo. Ingollò l’ultimo sorso di Burrobirra e confezionò un sorriso che aveva l’acre sapore della finzione. Lucas si fermò a qualche passo di distanza da Cassandra e indicò la sedia vuota di fronte a sé.

«Sì. Questa è la sua borsa».

Cassandra gli posò la mano sulla spalla. «Grandioso. Vado a cercarla» disse, sparendo nella penombra un attimo dopo.

«Dovrei dirle che sta cercando di imparare il russo, credo». Lily saltò giù dallo sgabello e fece per inoltrarsi a sua volta fra la bolgia della clientela dei Tre Manici di Scopa. Lucas le dedicò un accenno di sorriso e posò la borsa di sua sorella sul tavolo, urtando il tascabile, che cadde per terra.

«Un titolo interessante». Si chinò a raccoglierlo e glielo porse, scostandosi il mantello sulla spalla così che non toccasse il pavimento.

«È di Lyra» ribatté Lily, ansiosa di tagliare corto. Lucas si era seduto e aveva posato un bicchiere pieno di un liquido rosso e aromatico di fianco ai boccali vuoti. La luce delle lanterne scivolava sui fregi della divisa confondendosi con lo scintillio freddo dell’argento. Lui rise e spostò il libro di lato.

«Lo immaginavo».

«Siete venuti insieme?». Lily cercò la testa di Cassandra in mezzo alla confusione.

Le spalle di Lucas si sollevarono. «Aveva bisogno di una guida» disse, noncurante. «E io sono in libera uscita». Bevve un sorso del suo drink e chiuse gli occhi, inclinando il capo all’indietro.

Il fuoco del camino scaldava troppo e le seccava la bocca, riempiendole il petto di una baldanza ignota; Lucas sembrava quasi addormentato. La vibrazione regolare delle sue ciglia suggeriva un sogno quieto, quasi l’incanto di un bambino baciato dalla luna piena in una notte tranquilla. Lily deglutì e fu come tentare di inghiottire i frammenti di vetro delle sue ambizioni frantumate.

«Ho sete. Vado a prendere da bere» riuscì a improvvisare, dimentica della scusa che aveva usato per allontanarsi da lui solo cinque minuti prima.

Gli occhi di Lucas si aprirono. «Lilou» disse a bassa voce. Le passò il bicchiere, quasi come una sfida. «Tieni».

«Non chiamarmi così. Non ho più otto anni». Lily si avvicinò quel tanto da annusare il profumo del Whiskey Incendiario nel bicchiere. «Questa roba non fa per me. Preferisco la Burrobirra» disse, facendo un passo indietro.

Lucas scosse la testa e prese un altro sorso, passandosi la lingua sulle labbra. «Uno dei tanti vantaggi di non avere più otto anni, scommetto» commentò, tornando a guardare altrove.

La rabbia la sorprese prima che potesse mettervi un freno. «Non ho detto questo».

«Un sorso». Lily scorse una scintilla di divertimento nei suoi occhi luminosi. Le porgeva il calice panciuto come se le stesse offrendo un fiore, ma la sua gentilezza era un filo teso su un precipizio nero e irto di pericoli nascosti.

«Non ti succederà niente di male, se ti prendi qualche rischio». Il profumo del liquore era denso e portava con sé il ricordo delle caramelle e della cioccolata assaggiata a casa Malfoy una fredda sera d’inverno. Fuori c’era la neve ma lei aveva insistito lo stesso per farsi accompagnare e passare il Capodanno con Lyra e suo fratello, quando ancora nel suo animo non c’era ombra di debolezza e i loro scontri avevano il sentore di lotte fra bambini.

«Preferisco di no».

Un sorriso si dipinse sulle labbra di Lucas. «Paura, Potter?»

Lily afferrò il calice. «Ti piacerebbe».

Bevve d’un fiato senza fermarsi a pensare; probabilmente se l’avesse fatto avrebbe preso a maledirsi da sola.

Lucas rise di nuovo. «Te ne offrirei un altro, ma poi la mia cortesia potrebbe essere scambiata per un sentimento meno nobile». Le offrì il braccio per aiutarla a sedersi e quando lei rifiutò tornò a guardare il tavolo pieno di briciole.

«Tu hai mai desiderato qualcosa di diverso da quello che tutti si aspettavano da te?» Lily si arrampicò sullo sgabello: il brusio delle voci attorno la stordiva. Sentiva la bocca impastata e un fuoco che nel petto che andava su e giù al ritmo del battito del suo cuore.

Lucas raccolse il resto di un biscotto con la punta dell’indice e lo portò alle labbra, strofinandolo fra i polpastrelli. «Le aspettative degli altri non dovrebbero riguardarti, Lilou. Ciò che conta davvero è quanto tu sei fedele a ciò che ti aspetti da te stessa». Si voltò a guardarla, soffiando via i minuscoli frammenti di dolce. «Tu cosa vuoi?»

«Un altro bicchiere».

Lucas scosse la testa, protendendosi verso di lei come se stesse per rubarle un segreto. Il chiarore che veniva dalle finestre aperte era scemato, tramutando il pomeriggio in un crepuscolo già sull’orlo della sera. «Dico davvero» mormorò, increspando la sua pelle con migliaia di minuscoli brividi, «cosa vuoi?»

«Fortuna e gloria, Malfoy. Fortuna e gloria».



Hi there.
Che posso dire. Trenta follows e quasi venti favs. Sono tantissimi. Grazie, ma se non fossero le solite indefesse, inesauribili e meravigliose a recensire probabilmente mi sarei tirata di sotto e mi sarei trasferita su Wattpad dove quello che va per la maggiore nel fandom di HP sono le classifiche - e ho detto tutto.
Note, citazioni, luoghi, etimo e nomenclatura:
• Cassandra, lo avrete capito, è la figlia di Astoria. Per delucidazioni, cfr. La Bellezza del Demonio, Cap. 29 e precedenti.
Fauchelafleur da «Il Barone Rampante» di Italo Calvino, l'abate svampito.
Nella maggior parte dei casi il tenebroso, affascinante sconosciuto è una spia che fa il doppio gioco e salva la fanciulla del suo cuore. Mi prendo in giro da sola e ne vado anche molto fiera, cfr. La Bellezza del Demonio Cap. 21
Paura, Potter? Ti piacerebbe, Harry Potter and the Chamber of Secrets.
Vasya, dozhdìs’ cioè Vasya, aspetta, dove Vasya è un diminutivo di Vasily.


Sarebbe carino se mi diceste cosa ve ne pare. E anche se mi raggiungeste qui.

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Capitolo 5
*** V - Parenti Serpenti ***


V


Parenti serpenti


With skin too tight

And eyes like marbles

You spin me high

So watch me as I glide

Before I tumble homeward, homeward”


Mumford and Sons - Lover of the Light



Nel dormitorio di Ravenclaw e pure nell’intera scuola era cosa nota che Michael Rowland avesse scaricato Lily giudicandola scialba e poco interessante, al punto di averla soprannominata Miss Under Standing, un gioco di parole che poteva suonare come fraintendimento oltre che non all’altezza della sua reputazione. Ciò che in pochi sapevano invece era che quel nomignolo insultante aveva inseguito Lily fino a Grimmauld Place, dove era stato soppiantato sulla bocca dei suoi fratelli soltanto da una reprimenda materna. Ginny Potter aveva messo i suoi figli maschi di corvée alle pulizie domestiche per settimane senza bacchetta nel tentativo di estirpare da loro quell’abitudine detestabile. Fuori di casa, tuttavia, Albus continuava a usarlo con impietosa precisione ogni volta che sua sorella faceva qualcosa che fosse così non Potter da attirare l’attenzione anziché scongiurarla come lei avrebbe desiderato.

La verità secondo Lily era che chiamarsi Potter poteva essere una fortuna o una condanna e a lei era capitata la seconda opzione.

A quella conclusione era seguito l’inevitabile proposito di vivere in punta di piedi, come se sulle porte delle vite degli altri ci fosse perennemente il cartello non disturbare - probabilmente, sulla sua, lei stessa aveva impresso a fuoco un marchio che diceva fuori servizio.

Nessuno pensava che Lily avrebbe mai messo i bastoni fra le ruote a suo fratello, tanto meno lei.

«Dov’è il mio lasciapassare?»

Gli occhi verdi di Albus saettarono da lei a Lyra e poi viceversa. Un mormorio sommesso si levò dai pochi studenti presenti nel corridoio.

«Non so di che stai parlando, Al». Lily guardò a destra e poi a sinistra: la lezione di Pozioni era finita da un pezzo ma la porta della Professoressa Morgan era a malapena socchiusa. Se li avesse sentiti, avrebbero passato dei guai.

Suo fratello si passò la mano sulla fronte, arruffandosi il ciuffo di capelli neri che gli si drizzava sulla testa. «Il lasciapassare per il Torneo. So che l’ha preso una di voi». Estrasse dalla tasca un sasso tondo, bianco, venato di striature madreperlacee, su cui era scritto semplicemente Potter. «È una pietra come questa. Tirala fuori, Lils».

Lyra indicò la sua mano. «Sei sicuro che non sia proprio quella?»

Albus non la degnò di uno sguardo. «Sembrerebbe, non è vero?» Fece rimbalzare il sasso in mano. «Ma se così fosse, io stamattina avrei potuto mettere il mio nome nel Calice di Fuoco. E invece indovina un po’, sorellina» disse, con la voce malferma, «sembra che questo lasciapassare sia falso».

«Perché lo dici a me?» Lily spalancò la bocca, scandalizzata.

Il pugno di suo fratello si accartocciò nonostante fosse abbandonato lungo il fianco. Al sgranò gli occhi. «Perché non c’è nessun altro Potter qui» ribatté, celando a malapena la propria stizza. «Quindi devi per forza essere stata tu a prenderlo».

«Beh, ti sbagli».

Un visetto minuto, seguito da altri dipinti della stessa sfumatura di perplessità, sbucò dall’angolo che dava sulle scale. Erano gli studenti del primo anno che raggiungevano i sotterranei per la loro ora di Pozioni: quel giorno era il turno di Ravenclaw e Hufflepuff. Due lunghe file doppie di divise ordinate per colore si snodarono lungo l’androne, osservando i contendenti che osavano disturbare la quiete dei Sotterranei.

«Lily». Albus mise il falso lasciapassare in tasca e tese la mano verso di lei. «Avanti. Non lo dirò a nessuno».

Un tocco leggero le sfiorò la spalla inducendola a voltarsi; Lily si accorse di essersi staccata da Lyra ed essere andata avanti anziché indietreggiare per evitare lo scontro. Fece per tornare sui propri passi, ma vide la sua migliore amica scuotere la testa e ci ripensò un’altra volta.

«Non c’è niente da dire, Al».

Un silenzio sbigottito cadde nel corridoio.

«Mamma ti chiuderà in casa per un mese». Il tono della voce di suo fratello racchiudeva la promessa di una rappresaglia consumata fra le mura di casa, ma le dita lunghe della mano destra che battevano ritmicamente sul palmo sinistro aperto tremavano, rendendo incerta la minaccia che cercavano di sottintendere.

«Chi ti ha firmato il permesso?»

Albus impallidì: le braccia gli ricaddero mollemente lungo i fianchi e Lily vide un’espressione confusa comparire sul suo volto.

Lily sorrise. «È stato papà?»

«Non sono affari tuoi».

«No, è vero». Gli sorrise. «Ma non credo che ti avrebbe mai firmato un permesso del genere. E neanche la mamma».

«Ti sbagli». Sulle guance e sulla fronte di Al era sbocciato un leggero rossore. «La firma era valida».

Mentre suo fratello si frugava addosso alla ricerca del modulo di autorizzazione la fila di ragazzini passò tra loro sotto lo sguardo severo di Lyra che sembrava essere l’unica a rammentare il proprio ruolo di guardiana degli studenti più giovani. Posò una mano sulla spalla di Maggie che invece di camminare insieme ai suoi compagni si era fermata e fissava con insistenza i suoi cugini intenti a fronteggiarsi.

«Va’» le suggerì, assestandole una spinta delicata.

La piccola Dursley prese la mano di Wendy, che stava alla sua sinistra, ma quella sembrava non volerne sapere di muoversi. I suoi grandi occhi blu erano puntati su Lily, che le sorrise, a disagio.

«Hai sentito, Curran? Vale anche per te».

Il visetto innocente di Wendy si accartocciò in una smorfia sgradevole. «Non prendo ordini da una Malfoy» replicò con la vocina sottile che grondava disprezzo.

«Wendy!» Meg staccò la mano dalla sua e le rivolse uno sguardo che esprimeva tutta la sua delusione. Un mormorio stupefatto si propagò rapidamente sotto la volta di pietra. Lyra era pallidissima e le sue labbra erano ridotte a una fessura biancastra: incrociò le braccia sul petto e alzò il mento.

«Bene» mormorò. «Hai mancato di rispetto a un Prefetto. Dieci in punti in meno a Hufflepuff. Il Capo della tua Casa sarà informato e deciderà se togliertene altri. A meno che il Caposcuola Potter non abbia qualcosa da dire». Guardò Albus, che aveva smesso di cercare la sua autorizzazione e osservava la scena con un’espressione sbigottita.

«Come ti chiami tu?» Si chinò, serio, aggiustandosi gli occhiali sul naso. Wendy ricambiò lo sguardo con un misto fra il timore e la reverenza.

«Wendy Curran».

«Beh, Wendy Curran, se ti comporti così darai ai tuoi parecchi grattacapi». Albus cercava di essere gentile: Lily riconobbe il suo sorriso come quello che aveva visto tante volte sulla bocca del padre, quando la discussione si spostava su un argomento delicato.

Il labbro di Wendy tremò.

«Dovresti chiedere scusa al Prefetto Malfoy. Sono sicuro che questo renderebbe superfluo ogni rapporto disciplinare». Albus le rivolse un cenno di incoraggiamento e cercò di incrociare gli occhi di Lyra per avere una conferma: lei però fissava il vuoto con una freddezza che rispecchiava in tutto quella di suo padre.

«Al». Lily si frappose fra suo fratello e la piccola Wendy. «Basta così. È meglio che ce ne andiamo». Stringeva convulsamente l’impugnatura della bacchetta dentro la tasca del tabarro, più per sfogare la tensione che per sedare un eventuale scontro: pensare che una ragazzina di undici anni potesse addirittura attaccare un Prefetto era così assurdo da farle balenare il sospetto di essere completamente impazzita.

Albus si rimise eretto. «Io penso che dovrebbe…»

«È la figlia di un Mangiamorte». Il ringhio basso nella voce di Wendy zittì tutti in un colpo solo. «Non devo scusarmi di niente» concluse, girandosi verso Lyra e sputandole sulle scarpe.

Nell’attimo immediatamente successivo a quel gesto così oltraggioso, la tensione si fece così fitta che nessuno in quel corridoio pensò di essere più in grado di respirare. Le labbra di Lyra si schiusero e i suoi occhi si spalancarono assumendo una forma quasi circolare, mostrando più bianco di quanto chiunque avrebbe creduto possibile.

«Bun». Lily la afferrò per un braccio, ma si trovò addossata alla parete prima di poter pensare a qualcosa da dire. Le spalle di Lyra si abbassarono e Lily la vide inginocchiarsi a pulire la punta delle proprie calzature con un fazzoletto bianco.

Albus stava ancora guardando Wendy. «Trenta punti in meno a Hufflepuff» decretò, controvoglia. Dalla compagine giallonera si levò un gemito angosciato. «Via tutti ora, prima che decida di mandarvi dal Preside».

Wendy non si mosse: i ragazzi attorno a lei si appiattirono contro il muro come se non volessero condividere lo spazio con chi aveva osato una colpa tanto grave. Maggie si limitava a guardare per terra e Lily si accorse che si passava la mano sugli occhi come se volesse nascondere le lacrime.

«Ho detto via». Il tono di Al perse la morbidezza che aveva stemperato le sue istruzioni fino a quel momento. «Non c’è bisogno che tu faccia rapporto, Malfoy. Lo farò io stesso al Capo di Hufflepuff».

Per tutta risposta Lyra estrasse la bacchetta e la puntò contro Wendy.

«Lyra, no!»

L’incantesimo pronunciato a fior di labbra scaturì dalla bacchetta prima che Lily potesse fermarla.

«Che questo vi sia di monito» scandì. «Venti punti saranno tolti a Ravenclaw per uso improprio di un incanto Efflatus. Domani» aggiunse, puntando Wendy con gli occhi vitrei, «potresti ritrovare il coraggio di parlare, piccolina. Cerca di usare questo dono con saggezza: nessuno dovrebbe discutere di cose che non sa».

Albus le posò delicatamente la mano sul polso, costringendola ad abbassare la sua arma. «Dovrò riferire anche questo».

«Sono certa che lo farai, Caposcuola Potter» convenne, sorridendo. «Ma nel frattempo, credo che sia bene per tutti quanti rimanere in silenzio».


***


Oltre la balaustra di marmo del balcone e il giardino le cui strade si intrecciavano in spirali fitte e delimitate da siepi che non appassivano mai, si stendeva il mare di nebbia che dal Lago Nero allungava le proprie volute come tentacoli pronti a prendere lentamente possesso di tutta la vallata attorno a Hogwarts. Lame di raggi di sole si immergevano nella bruma densa come crema di latte e sparivano al suo interno lasciando di sé null’altro che deboli riverberi d’oro.

Lucas si sfilò il guanto e si accese una sigaretta.

«Luke».

Solo una persona lo chiamava così e lui l’avrebbe permesso soltanto a lei.

Si voltò a guardare sua sorella esalando fumo dalle narici. «Bunny» sussurrò con un sorriso nella voce. «Come stai?»

Comprese di non aver bisogno che lei rispondesse alla domanda non appena la vide varcare la soglia del terrazzo, scivolando fuori dall’ombra gettata dalla volta. Gli occhi scuri di sua sorella erano lucidi e desolati come un giorno di pioggia.

Lyra fece scivolare il cappuccio all’indietro e si avvicinò a lui perché potesse accoglierla fra le braccia.

«Mi dispiace, Luke».

Singhiozzava leggermente e Lucas la prese per mano conducendola alla balconata, rigirando fra le dita la sigaretta appena accesa che si consumava nelle folate casuali della brezza di metà autunno.

«Raccontami».

«Non so se ne ho voglia».

Si staccò da lui e intrecciò le dita posandosi le mani sul petto. I suoi occhi inquieti saettarono verso un punto a est, oltre la Torre di Ravenclaw e il recinto delle creature magiche, dove la nebbia mutava in una foschia rada e lasciava intravedere gli anelli dei campo di Quidditch. Lucas aspirò una boccata di fumo, stringendo il filtro fra i denti.

«Allora perché mi hai cercato?»

Lyra rise piano. Il tintinnio dei sonagli di un rettile dalla coda di diamante. Il fatto che sua sorella avesse spiccato il volo su ali bronzee verso una torre non faceva di lei una creatura meno serpentina di quanto lo fosse lui, ma quella era una verità che veniva a galla nei pensieri altrui solo quando era troppo tardi.

E lei aveva già morso.

«Ho maledetto una ragazzina di undici anni e le ho rubato la voce». Sciolse il nodo della sciarpa e allentò la cravatta, insinuando le dita all’interno del colletto fino a catturare fra di esse una sottilissima catenina d’argento a cui era appeso un ciondolo ricavato dal guscio di un Nautilus. La conchiglia striata di arancione risplendeva come se racchiudesse una piccola fiamma: Lucas la sfiorò e la sentì scottare.

«Brucia, non è vero?»

Lui annuì. «Non deve aver detto parole gentili».

«No». Il pendente ricadde sul suo petto e Lyra si affrettò a nasconderlo fra la pelle e la stoffa della camicia. «Dammi una sigaretta, Luke».

«Mamma si arrabbierà con me». Le porse la scatoletta d’argento e lei sorrise, aprendola: profumava di casa. Fumava lo stesso tabacco di suo padre, una miscela di White Shade e Red Burley, due varietà talmente rare che i Babbani non ne conoscevano neppure l’esistenza o le credevano estinte: nonno Granger, da sempre amante dell’odore dei sigari della Tobacco Valley giù in Louisiana, ne aveva preteso un sacchetto come regalo di compleanno.

Lyra sospirò. «Credo che se la prenderà prima con me, quando saprà cosa ho fatto oggi».

«Penso che tu avessi le tue buone ragioni, Bunny».

Fra loro non passava neppure un’ombra senza che entrambi se ne accorgessero.

«Cosa te lo fa pensare?»

Lucas schiacciò il mozzicone consumato sotto il tacco dello stivale e lo guardò ridursi in un mucchietto di polvere in attesa di essere soffiato via. «Hai pianto».

Lyra annuì, scoprendo gli incisivi superiori.

A nove anni aveva già finito di cambiare i denti da latte, rivelando il tratto distintivo che era stato  il cruccio di Hermione fino a che non era divenuta adolescente. I loro genitori avevano discusso a lungo su come correggere quel capriccio della genetica che le era capitato in sorte. La bocca di suo padre e i denti di sua madre. Erano andati avanti finché Lyra non si era quasi fatta saltare in aria puntandosi la bacchetta della nonna contro la gengiva nel tentativo di fare da sé e Lady Narcissa aveva ceduto.

Nessuno se l’era sentita di riportare la situazione esattamente al punto in cui era prima, neppure  la loro madre che era una fautrice dei traguardi ottenuti con sudore e lacrime. Aveva detto a Lyra che le dispiaceva di non aver capito quanto per lei fosse importante - Lucas era convinto di aver letto nei suoi occhi autentico terrore al pensiero della figlia di fronte allo specchio, così determinata a sistemare quella faccenda da sanguinare per due giorni - e aveva fatto un piccolo pianto fra le gonne di sua suocera, ringraziandola dell’incantesimo che aveva reso sua figlia una bambina sorridente di fronte alla prospettiva di non aver bisogno di quella ferraglia Babbana che ricordava fin troppo un morso per cavalli.

Il soprannome, tuttavia, le era rimasto.

Bunny, coniglietto.

Un animaletto soffice e dagli occhi profondi, così piccola in confronto a lui che in statura superava il padre, delicata e talmente leggiadra che il fabbricante di bacchette gliene aveva offerta una la cui anima era costituita dalle membrane sottilissime delle ali di un folletto.

Gli strinse il braccio. «Luke, sto bene».

Lui rise. «Bugiarda».

«Niente affatto». Lyra poggiò la fronte contro la sua schiena e rimase ferma così. «Ho infranto le regole, ma ho vendicato un torto e ho dato a una studentessa più giovane una lezione che non dimenticherà».

«Faresti impallidire il Wizengamot col tuo senso di giustizia».

La risata argentina di Lyra gli riecheggiò contro le costole. «Non mi risulta che il tuo sia tanto diverso».

Sette anni. Si era conteso con Louis Weasley il titolo di migliore studente nei loro anni di permanenza a Scuola; capitano di Slytherin, cercatore della sua squadra, aveva portato la Casa verde argento a trionfi che nessuno osava menzionare da prima dell’avvento di Harry Potter, ma non era mai diventato Prefetto. Aveva sempre interpretato le regole come un complicato sistema di trappole da evadere per esercitare il proprio diritto all’orgoglio e alla vendetta.

«Hai ragione». Si voltò per guardarla. «Io ho fatto assai di peggio».

«Anche tu avevi i tuoi motivi».

Lucas trasse a sé il capo di sua sorella per posarvi un bacio. «Restituiscile la voce. Non vorrai farti espellere».

«No» Lyra scosse la testa. «Prima che le lancette dell’orologio indichino la mezzanotte la piccola Pan di Zenzero avrà indietro quello che le ho tolto. Ma tu devi farmi un favore».

Il suo tono era pratico e sbrigativo e aveva perso ogni traccia di emotività, suonando in tutto e per tutto identico a quello di sua madre quando gli diceva qualcosa della massima importanza. Lucas fece un cenno, invitandola a continuare.

Sulle labbra di bambola di Lyra apparve un sorriso che avrebbe fatto piangere di gioia persino la più nera delle sorelle Black. «È tutto scritto qui» mormorò, porgendogli un rotolo di pergamena da spedire col primo dispaccio del mattino. «Niente di complicato».

Lucas sospettava che fosse vero tutto il contrario, ma non lo disse.


***


Era accaduto così di rado in tutta la Storia di Hogwarts che un Preside tenesse per sé la Cattedra che aveva occupato prima di ricoprire la massima carica direttiva che la presenza di Renwick Faulks nell’Aula di Trasfigurazione veniva ritenuta un evento anche quasi due mesi dopo l’inizio delle lezioni. Nei corridoi della scuola si sussurrava che il motivo di tanta reticenza a designare un successore fosse che da ricercare nella difficoltà di rintracciare un esperto della materia abbastanza competente dai tempi del ritiro di Minerva McGranitt.

Il Professor Faulks, secondo alcune delle biografie non autorizzate che giravano sul suo conto, aveva esplorato così approfonditamente quel campo da essere in grado di materializzare dal nulla un essere umano quasi del tutto accettabile. Nessuno glielo aveva mai visto fare e chiunque dotato di buon senso sarebbe inorridito al solo pensiero di una creatura umana sbocciata dal nulla e destinata a svanire nell’arco della vita di una farfalla. Tuttavia quella e altre peculiari capacità di cui pareva essere in possesso rendevano Faulks l’insegnante perfetto per rendere i suoi studenti maestri nell’arte dell’Evocazione.

Lily disegnò sulla sua pergamena lo schema dell’incantesimo che il Professore aveva appena finito di illustrare: le sarebbe servito per la prova pratica del compito della settimana successiva.

«Una noctiluca» stava dicendo Faulks, afferrando a uno a uno i suoi bigliettini colorati per poi riporli in un cassetto, «è un coleottero estremamente complesso da evocare, se si vuole che sopravviva per più di qualche ora. Inoltre, la bioluminescenza che caratterizza questa specie si presenterà solo se avrete eseguito l’incantesimo alla perfezione».

«Insetti» si lamentò Devonne dalla prima fila. «Non potevamo evocare un animaletto più carino?»

«Si potrebbe dire la stessa cosa di lei». Lyra prese la bacchetta e cercò di seguire i movimenti dell’insegnante, riproducendoli nel modo più fedele possibile.

Seduto di fianco alla Pierce, Rowland si voltò a dedicarle un’occhiataccia. «Sei già in punizione, Malfoy. Vuoi altri guai, per caso?»

«Chiudi il becco, Rowland». Lily posò la penna e rivolse a Michael uno sguardo di sfida.

Il ragazzo la squadrò con insolenza. «Oppure?» chiese, con un sorriso che rasentava l’incredulità.

«La natura si è già accanita abbastanza con te senza che io infierisca» ribatté lei ricambiando con una smorfia di aperta ostilità.

Rowland aprì e chiuse la bocca un paio di volte, ma sembrava proprio che per quanto si sforzasse non riuscisse a trovare una risposta abbastanza sferzante. Tornò a sedere composto e passò di nascosto dal Preside un braccio attorno alla vita di Devonne.

«Però!» Lyra emise un fischio basso di approvazione, mentre Lily si nascondeva il volto arrossato fra le mani. «Niente male».

Lily gemette. «È colpa dei tuoi orribili biscottini».

«Hai ancora strascichi?».

La punta della bacchetta di Lyra tracciò un cerchio luminoso e, come se stesse disegnando con un pennello intinto nella polvere di fata, altre linee scaturirono dal punto in cui la circonferenza si era chiusa, formando un ovale più piccolo al suo interno. Entrambi i tracciati cominciarono a ruotare sui propri assi velocemente, fino a creare l’illusione di una sfera luminescente che levitò dal banco fino all’altezza del suo naso.

«Davvero splendido». La voce pastosa del Professor Faulks le sovrastava. Lily alzò gli occhi e lo vide osservare orgogliosamente il globo dorato delle dimensioni di una mela che fluttuava nell’aria. «Vedete» Faulks allungò una mano affusolata, «questo è esattamente quello che intendevo».

Il bagliore scemò e la piccola sfera cominciò a diventare trasparente; quando il dito del Professore la toccò, Lily la vide infrangersi come se fosse stata il guscio sottilissimo di un uovo. Frammenti di una membrana finissima volteggiarono per poi svanire nel nulla e, quando si dissolsero, da quello che era stato il centro della sfera comparve un puntino verde lampeggiante.

«Meraviglioso».

Lyra aprì il palmo e la lucciola andò a posarvisi nel mezzo. Quelli di Slytherin, che assistevano alla lezione assieme ai Ravenclaw, esplosero in un applauso.

«Hai un vero talento, signorina Malfoy. Venti punti alla tua casa».

L’entusiasmo dei verde argento scemò: poteva anche trattarsi di una Malfoy, ma la rivalità fra Case era più forte di qualsiasi cognome. Lily si accorse che qualcuno di loro stava ancora osservando la magia di Lyra con una punta di invidia.

Or yet in wise old Ravenclaw

If you've a ready mind,

Where those of wit and learning

Will always find their kind;

Lily sorrise e quelli la ricambiarono.

L’interesse di Faulks tornò a concentrarsi sui bigliettini che, chissà come, erano riusciti a uscire dal cassetto. Non si prese neppure il disturbo di congedare i propri studenti, che dovettero intuire da sé che la lezione era finita.

Lily sospirò. Quell’uomo era impossibile.

«Hai davvero evocato dal nulla una lucciola viva al primo colpo?»

Aura Nott, di Slytherin, compostamente in piedi di fianco al loro tavolo, osservava con vivido interesse il minuscolo coleottero che Lyra aveva trasferito in un vasetto traforato.

«Le evocazioni durevoli sono più complicate. Se non avessi voluto essere certa che vivesse a lungo avrei potuto evocarne cento nello stesso tempo che ho impiegato a fare questa».

La Nott si chinò. «È davvero un fenomeno, eh?» disse a Lily, scuotendo la lunga treccia scura.

«È solo applicazione, Aurie» obiettò Lyra, ma il lucore dei suoi occhi suggeriva un certo compiacimento.

Carmichael passò dietro Aura senza degnarla di uno sguardo, ma tutti si voltarono e risero vedendola cadere in avanti un minuto più tardi, mostrando a gran parte degli studenti del sesto anno il colore della sua biancheria. Nel precipitare a terra si era aggrappata al foglio di pergamena su cui era appoggiato il vasetto che conteneva la lucciola e se l’era trascinato dietro. Aura si guardò la mano e sgranò gli occhi blu vedendola macchiata di sangue.

Lily balzò in piedi mentre Lyra la soccorreva.

«Carmichael, sei stato tu?»

Lui aveva ancora in mano la bacchetta. «Datti un contegno, Miss Under Standing, ricorda che gli incidenti capitano a tutti».

Lily guardò verso la scrivania del Professore, accorgendosi che lui aveva lasciato l’Aula molto prima di loro. «Perché?»

Carmichael scosse le spalle, indolente. «È divertente». Dietro di lui, Devonne emise un risolino stringendosi al petto del suo fidanzato.

«Te lo faccio vedere io com’è divertente». Prima di avere il tempo di pensarci puntò la bacchetta contro Carmichael. «Diffindo!»

I pantaloni di Carmichael furono ridotti in coriandoli.

Soltanto cinque minuti dopo qualcuno andò a chiamare il Professor Vitious per avvisarlo che uno dei suoi prefetti correva per i corridoi dell’Ala di Trasfigurazione con addosso solo un paio di boxer blu, imprecando contro il sangue matto di certe famiglie di Maghi e contro i Salvatori del Mondo Sfregiati che decidevano di mettere al mondo delle figlie femmine.

«Almeno la smetterà di chiamarti in quel modo». Aurie si contemplò la fasciatura che Madama Chips aveva confezionato per la sua mano.

«Oh, cacca di ippogrifo». Lily si lasciò scivolare sul pavimento dell’infermeria. «Quando finirà l’effetto di quei biscotti infernali?»

«Non darti troppa pena, Lils». Lyra porse a entrambe una tazza di tè fumante. «A me sembra che ti facciano più bene che male».

Or perhaps in Slytherin

You'll make your true friends,

Those cunning folk use any means

To achieve their ends.


«Che cosa ha mangiato?» Aura girò il cucchiaino nell’infuso bollente, guardando Lyra con meno ammirazione e più sospetto.

«Non ho avvelenato nessuno se è questo che pensi».

La Nott confezionò una risatina educata. «Non si sa mai, quando c’è di mezzo una Malfoy. Mamma dice che è un vecchio detto dei sotterranei».

«Se è per questo, si dice anche che ad andare coi Nott si impara a maledire».

Aura cominciò a sghignazzare. «Se baruffi con un Black prima o poi vedrai le stelle».

«L’erba dei Greengrass nasconde sempre una serpe». Altro ululato.

Avevano perso totalmente il contegno. Lily bevve un sorso di tè, incassando la testa nelle spalle, e imperturbò lo spazio all’interno della tenda, così che nessuno potesse udire le loro perle di saggezza.

«No, davvero» Aura si asciugò le lacrime di ilarità con la mano sana, «che cos’hai mangiato, Potter?»

«Biscottini Incoraggianti». Lily posò la tazza sul pavimento. «Secondo la mia migliore amica qui presente, avevo bisogno di una sana iniezione di autostima».

«Sono quelli nuovi di Mielandia?»

«Già» ribatté lei, facendo una smorfia all’indirizzo di Lyra che ostentava indifferenza guardando per aria.

Aura si leccò le labbra un paio di volte prima di parlare. «Quanti ne hai mangiati?»

«Quattro?» azzardò lei, sicura che fossero almeno sei.

Morsi di dolce fra una pagina e l’altra, fra mille promesse di un amore perfetto.

Anche la Nott aveva riposto la sua tazza sul comodino. «Potter, uno di quelli basta per un giorno intero».

Sette, per spegnere la gelosia.

«Li ha mischiati con un sorso di Horntail Fire». Lyra leccò il cucchiaino e lo fece evanescere.

«Quella roba stenderebbe un Gigante. Quando ero al terzo anno, Lassiter ne ha dato un sorso a Grop e l’abbiamo sentito russare dietro il campo da Quidditch per una settimana» Aura posò una mano gentile sul polso di Lily. «Gli usciva una bolla dal naso. I ragazzini più piccoli continuavano a divertirsi scoppiandola, ma poi Lucas ha detto a tutti che le caccole dei Giganti erano velenose, così hanno smesso».

Otto, per cancellare dalla bocca il sapore di cioccolato di un ricordo.

«Ci hanno creduto?» La voce di Lyra era intrisa di divertimento e tenerezza, come sempre quando qualcuno nominava suo fratello.

Aura socchiuse gli occhioni blu in modo eloquente. «Qualsiasi cosa che uscisse dalla bocca di tuo fratello era legge a Slytherin». Prese un altro sorso di tè. «Sa essere molto persuasivo».

Nove, per il desiderio di sfiorare con le labbra i muscoli rilassati del suo collo e sincerarsi se  la pelle in quel punto fosse liscia come appariva alla luce fumosa delle lanterne.

«E anche molto bello».

Lily si accorse di aver parlato a voce alta e si tappò la bocca con le mani per non andare oltre, avvampando di vergogna.

«Viva la sincerità». Lyra alzò la tazza di tè come per fare un brindisi e ne trangugiò il contenuto in un sorso solo.

Dieci, per il vulcano che le era esploso nello stomaco più per il pensiero di aver condiviso con lui il bicchiere che per il liquore infiammato che le aveva bruciato la gola.

Cercò di comportarsi come niente fosse.

«Hai le orecchie tutte rosse, Potter».

Lily ricambiò il sorrisetto di Aura Nott con una smorfia.

«Non darti troppa pena. La cotta per Malfoy è una specie di passaggio obbligatorio». Sospirò, facendo spallucce, come se considerasse perfettamente ovvio quanto stava dicendo. «Beh» aggiunse, guardando Lyra, «a meno che tu non sia sua sorella, è chiaro».

«Anche tu?» chiese Lily, asciutta.

«A una festa, quando avevo dodici anni, sono rimasta tutta la sera a fissarlo sperando che mi chiedesse di ballare, ma non l’ha fatto». Aura giocherellava col cucchiaino stringendolo fra le dita. «Non lo ha chiesto neanche a mia cugina, e lei è molto più carina di me».

«Tua cugina?»

«Cassandra, quella che accompagna la delegazione».

Lily sbuffò, guadagnandosi un’occhiata solidale.

«Già, sua madre e la mia sono sorelle. Un termine di paragone che ammazzerebbe i buoni propositi di un santo». I begli occhi di Aura si adombrarono. «Comunque, non ha concesso un valzer neanche a lei e credo che tutti si aspettassero il contrario».

«Ha ballato solo con me». Lyra sorrideva, le palpebre socchiuse, cullandosi nel piacere del ricordo. «È il suo modo di appianare i conflitti. Fra due possibili vie Lucas sceglie la terza, quella che non scontenta nessuno».

Lily mise il broncio. «Maledetto ipocrita».

Le altre due risero. «Potter» Aura le batté sulla coscia, «questi tuoi effetti collaterali sono assolutamente spassosi».

«Non volevo dire così!» strillò mettendosi le mani nei capelli. «Anche se non riesco a capire questo genere di mediazioni. Che ci vuole a scegliere?»

La Nott ci pensò su e poi prese un gran respiro. «Una preferenza».

«Eh?»

«Hai detto che ci vuole a scegliere? e io te l’ho detto: una preferenza. Nessuna di noi due gli interessava e chiunque avesse scelto, l’altra si sarebbe risentita. Io trovo che si sia comportato in modo intelligente». Aurie cercò di maneggiare la bacchetta con la mano buona per appellare il bricco del tè, ma non le riuscì molto bene e Lily si ricordò improvvisamente di averla sempre vista usare la sinistra. Le andò in soccorso, eseguendo l’incantesimo al posto suo, e ottenne in cambio un largo sorriso di gratitudine.

«Comunque» proseguì, mentre Lily versava a tutte un’altra dose abbondante di tè, «a me è passata. Cassie credo ce l’abbia ancora su con lui per quel ballo negato, ma ormai se n’è fatta una ragione. Chiunque sia colei che possiede il cuore di Lucas Malfoy, deve averlo legato a sé con una catena forgiata dai Goblin e aver distrutto la chiave che la apre».

Lyra scosse la testa. «Mio fratello fa tutto a modo suo».

La carezza leggera della sua voce sulla braccia e sul volto come un soffio di vento ghiacciato.

«Beh, vorrei che si facesse me a modo suo».

La tazzina di Lyra cadde sul pavimento con un tintinnio di porcellana. «Lily Luna Potter, controllati, questo non è un lupanare!»

Aura si teneva la pancia e non riusciva a smettere di ridere. «Lily Potter e il Bordello di Fuoco». Si asciugò una lacrima dalla guancia arrossata. «Qualcuno dovrebbe scriverci uno dei tuoi romanzetti, Malfoy».

Lyra ghignò. «Un’eroina palpitante di passione».

«Taci» Lily la guardò in cagnesco. «Se non fosse per te non parlerei come una ballerina dei night di Nocturne Alley».

«Hai mischiato il Sangue di Drago con la radice di acanto che c’era nell’impasto dei dolci» spiegò Lyra, facendosi più seria. «L’acanto viene chiamato fin dal Medioevo la pianta del coraggio e il Sangue di Ungaro Spinato è famoso per liberare chiunque dalle inibizioni. E tu hai divorato una confezione intera di biscotti che servivano a portare alla luce il tuo vero io senza temere il giudizio altrui».

«Vuoi forse insinuare che il mio vero io è una mangiauomini

«Al massimo una mangiaserpi». Aura aveva ricominciato a sbellicarsi senza ritegno.

«Beh, no. Ma questo aspetto della tua personalità ha dei lati positivi». Lyra sollevò una mano e cominciò a contare. «Per esempio, sei riuscita a far stare zitto Rowland e Carmichael si guarderà bene dal dar fastidio a chiunque in tua presenza».

«Sei stata davvero carina a prendere le mie difese».

Lily si mordicchiò il labbro, imbarazzata, mentre Aura le dedicava uno sguardo adorante.

«Certo, sei stata un po’ impulsiva…» mugugnò Lyra, guardando il soffitto.

Praticamente una Furia.

«Ma estremamente coraggiosa… »

Senza macchia e senza paura.

«… Insomma, Aurie, aiutami a dire, come la definiresti?»

Aura tossì nella mano a coppa e si afferrò la punta della treccia. «Direi che è stata… nobile… Solo che dovresti imparare a vendicarti in maniera meno grezza, fare a pezzi i pantaloni di Carmichael è stato decisamente rozzo anche se…»

Audacia, fegato e cavalleria.

«… Hai rischiato parecchio, a farlo nell’Aula di Trasfigurazione».

Un certo disprezzo per le regole.

Lily balzò in piedi disperata. «Oh, per le palle di comesichiama! Non è possibile! Mi hai trasformata… in una Gryffindor!»



Beh.
Mi avete quasi sorpresa con questa botta di commenti dettagliati e di questo non posso che essere immensamente felice. Fatelo ancora o vi picchio con un mestolo.
Note, citazioni, luoghi, etimo e nomenclatura:
• Aurie Nott è la cugina di Cassandra perché è figlia di Daphne e di Theodore Nott. Per delucidazioni, cfr. La Bellezza del Demonio, Cap. 29 e precedenti.
Wendy intepretatela come meglio credete, cercando di capire che è solo una ragazzina a cui hanno fatto il predicozzo..
La storia del lasciapassare che ho lasciato un po' in sospeso verrà fuori meglio al momento debito. Del perché e del percome Albus Severus si comporti così, idem.
Ls voce racchiusa nella conchiglia fa fin troppo Ursula la Strega del Mare, l'incanto Efflatus dal latino ex flatus, alito (di vento, di voce) in uscita.
Lucciole è un termine non del tutto corretto per indicare il coleottero in questione, ma nei paesi anglosassoni non è diffusa la specie luciola, comune invece in Italia.


Attendo con ansia, impazienza, tremori il vostro parere. Vi aspetto anche qui.

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Capitolo 6
*** VI - Pottergirl ***


VI


Pottergirl


“Sometimes you wake up.

Sometimes the fall kills you.

And sometimes, when you fall, you fly.”


Neil Gaiman, Sandman, Vol. 6 - Fables and reflections


Se le premesse per il giorno di Halloween erano quelle eloquentemente enunciate dalla rissa che si era scatenata quella mattina in Sala Grande ancor prima di colazione c’era da star freschi, pensò Lily afferrando una focaccina e spalmandola di un abbondante strato di burro.

E che fossero state due femmine a darsele di santa ragione - strano, di solito quelli che cedevano al testosterone mattutino erano sempre i ragazzi - o che fossero due del primo anno - di solito gli studenti giovani erano troppo impegnati a rabbrividire alla prospettiva di un’interrogazione o a emettere versi di stupore per il soffitto cangiante - erano due cose pur sempre meno sorprendenti del fatto che la Casa di appartenenza delle due contendenti non fosse né Gryffindor né Slytherin.

Lily prese il piattino della marmellata di petali di violaciocca e si servì.

Persino Ravenclaw sarebbe stata un’ipotesi meno improbabile. Due anni prima, Mary Ann Buttercup, presidentessa del club degli Scacchi Magici, e Chalista Appleseed, una bruna malaticcia che arrivava al massimo al metro e quaranta e che tutti chiamavano Yorkshire per via del suo carattere irritabile e della sua statura ridicola, si erano accapigliate per la paternità dell’invenzione di un fermaglio per capelli che riusciva a riprodurre ogni tipo di acconciatura che venisse in mente a chi lo indossava. Si erano rotolate per terra in mezzo ai fischi di eccitazione dei maschi quando ancora non era comparsa la prima caraffa di succo di zucca sul tavolo. Mary Ann aveva letteralmente strappato una ciocca di capelli grande quanto il suo pugno alla rivale e si era alzata brandendolo come il pegno della vittoria, sostenendo che la sua avversaria non avrebbe più avuto bisogno di alcun fermaglio.

Nessuno però aveva mai visto neppure uno spintone fra le file di Hufflepuff.

Che consumassero le loro rivalità in privato - come Slytherin - o le sfogassero nella competizione sportiva - come Gryffindor - i Tassi apparivano come un unico laborioso corpo teso alla cooperazione e allo sforzo comune. Erano anche quelli che, a memoria degli archivi dell’infermeria, avevano dato meno lavoro ai Guaritori che si erano avvicendati nella direzione dell’ala curativa della Scuola: il dormitorio giallonero vantava un numero di feriti gravi decisamente basso rispetto alle altre Case.

Lily diede un morso alla sua colazione e si alzò di furia, incamminandosi verso il tavolo dietro di sé, dove la Caposcuola Warren stava rimproverando sua cugina.

«Dursley, vuoi dirmi che ti prende? Sembravi una di quelle che non danno problemi».

Maggie teneva lo sguardo ostinatamente piantato a terra.

«Non solo arrivi sempre in ritardo, adesso fai anche a botte! Davanti a tutti!»

Un singhiozzo. Sheila Warren prese Maggie per le spalle senza scuoterla e si chinò davanti a lei: era una ragazza alta e robusta, che giocava come Battitrice, ma la delicatezza dei suoi modi era tale che tutti pensavano che fosse stata scelta come Caposcuola proprio per quel peculiare talento che aveva, di farsi obbedire senza dover ricorrere alle minacce.

Sollevò il mento di Maggie con un dito. «Posso sperare che questa sia l’ultima volta che ti vedo fare una cosa del genere?»

«Sì, Caposcuola Warren».

Quella alzò gli occhi al cielo e si tirò in piedi. «Molto meglio. E quanto ai ritardi…»

«Non succederà più» disse Maggie, rabbuiandosi.

«Meglio così». Sheila si accorse della presenza di Lily e la guardò storto. «Che vuoi, Potter? Non abbiamo bisogno di altri guai».

Lei avvampò. L’effetto dei biscotti stava svanendo, lasciando il posto a qualche residuo di insolenza e ad accesi sensi di colpa e recriminazioni. «Mi devi scusare, Caposcuola Warren. Volevo solo vedere se mia cugina stava bene».

«Oh» il cipiglio della Warren si distese, «è solo un po’ ammaccata. Wendy Curran è messa decisamente peggio, ha un labbro spaccato e parecchi lividi. Ma le passerà» spiegò, allungandosi per afferrare il piatto delle uova.

«Lo spero».

Era vero, anche se Wendy non suscitava più in lei la simpatia immediata delle prime settimane. Il rancore che la ragazzina aveva manifestato nei confronti di Lyra aveva raffreddato notevolmente i suoi sentimenti.

«L’abbiamo affidata alle cure di Madama Chips. In poche ore sarà come nuova».

La Caposcuola Warren si era messa a mangiare, ma Maggie sembrava non avere molta voglia di sedersi con gli altri, anche se lanciava occhiate nostalgiche al piatto delle aringhe. Aveva ereditato l’appetito dal padre e il suo umore doveva essere decisamente pessimo perché decidesse di saltare la colazione.

«Meg?» Lily le tese la mano. «Vuoi venire a fare colazione con me?»

Un sorriso timido apparve sul volto di sua cugina. «Credevo fosse contro le regole».

Un’occhiata all’andirivieni della Sala Grande le sarebbe bastata per capire che non se ne sarebbe accorto nessuno. I francesi di Beauxbatons avevano contribuito agli addobbi di Halloween con candele rosse e bianche e pupazzi animati a forma di folletti avvolti in mantelli gialli e verdi. Giravano qua e là, mostrando orgogliosi le loro creazioni sotto gli occhi attenti e benevoli di Madame Maxime. Quelli di Durmstrang erano ammassati in gran parte ai tavoli di Gryffindor e Slytherin, dove si raccoglievano scommesse clandestine sui nomi dei campioni del Torneo Tremaghi. Lily incrociò lo sguardo truce del fratello e capì che la storia del falso lasciapassare non gli era ancora andata giù.

«Non ti preoccupare. È più un fatto di tradizioni, ma non c’è nessun divieto». Prese Maggie per mano, lasciandosi alle spalle gli occhi verdi di Albus che sembravano volerla perforare da parte a parte. «E comunque, in tutta questa confusione, chi ti vedrebbe?»

Sua cugina diede un’occhiata al tavolo di Hufflepuff da sopra la spalla. «Ho fatto un casino».

«Mi piacerebbe capire perché» ribatté Lily, passandole una ciotola di pudding.

Una piccola v apparve fra le sopracciglia di Maggie, mettendo in chiaro prima ancora che lei scuotesse la testa che non aveva alcuna intenzione di affrontare l’argomento. Afferrò un cucchiaino e prese un boccone di crema di riso, dilatando le narici in un modo che ricordava moltissimo sua nonna Petunia quando cercava di trattenere un’affermazione spiacevole.

«È colpa mia».

Entrambe sollevarono la testa. Lyra aveva spessi segni violacei sotto gli occhi e il suo volto era molto pallido. Aveva scontato due ore di punizione al servizio della Professoressa Morgan, a ripulire le fiale e gli alambicchi dell’Aula di Pozioni. «Ti ho dato un pessimo esempio, non è vero?» chiese, andando a prendere posto di fronte a loro.

Maggie si disinteressò totalmente dal suo pudding. «Io penso che tu sia fortissima» disse, in un modo che rasentava la venerazione. «E anche Wendy lo pensava».

Tacquero tutte e tre per qualche minuto mentre lei ricominciava a mangiare.

«È per questo che avete litigato?» Lily recuperò la sua focaccina imburrata e ne staccò un pezzettino, facendolo rotolare fra l’indice e il pollice.

«È cambiata» Maggie si pulì la bocca con il dorso della mano. «Pensavo che fosse a posto. È stata la mia prima amica, cioè… Credevo che lo fosse. Mi piaceva. Ma poi ha cominciato a dar retta a…»

«A chi?» Lyra si mordeva la punta dell’indice e i suoi occhi erano animati di curiosità.

Maggie cercò lo sguardo di Lily, abbandonando definitivamente la ciotola di crema, e lei scorse un’ombra così fosca sul suo viso che dovette sopprimere la tentazione di abbracciarla e consolarla come se fosse stata una pupattola di cinque anni e non una ragazzina di undici.

«La gente parla troppo, non è vero?»

Un cenno di assenso.

«Che cosa avete sentito?» chiese Lily con un tamburo al posto del cuore.

Maggie si leccò le labbra, sbattendo le ciglia come se una fonte di luce troppo forte l’abbagliasse costringendola a ripararsi. Poi domandò con voce incerta: «Cos’è un Mangiamorte?»

Inquieta, Lily gettò uno sguardo verso Lyra: aveva evitato quell’argomento per anni, certa che disseppellire le storie di una volta fosse un modo come un altro per lasciarsi addosso ferite che sapevano di stantio.

«Un Mangiamorte è, o meglio era, un affiliato di Lord Voldemort, il Mago Oscuro più potente di tutti i tempi». L’aringa che Lyra aveva nel piatto fu decapitata e sezionata sotto gli sguardi incuriositi di una buona metà degli studenti di Ravenclaw, che la fissavano senza neppure preoccuparsi di dissimulare. «Mio nonno, in buona parte, e mio padre in misura minore sono stati considerati molto vicini a quell’ambiente e in molti pensano ancora che fossero tra i massimi colpevoli di quanto è accaduto. È stato prima che nascesse mio fratello, all’epoca della Seconda Battaglia di Hogwarts. Lo studierai, prima o poi».

Nessuno parlò né si udì rumore di posate o di stoviglie.

Uno dei tanti Halloween che aveva passato alla Tana, Lily lo aveva trascorso ascoltando nonno Arthur che raccontava storie del terrore a lei e ai suoi cugini più giovani. Rammentava ancora la deliziosa sensazione di paura che le si era annidata in gola mentre si faceva illustrare per filo e per segno quanto fosse terribile la visione dello scheletro del Cavaliere senza testa che giaceva in fondo alla sua tomba a Sleepy Hollow. In quell’occasione, Arthur Weasley aveva detto ai suoi nipoti una frase che Lily non aveva mai dimenticato: è meglio non disturbare i morti, perché non si sa mai come potrebbero svegliarsi.

«Che è successo dopo?»

Lyra masticò un boccone di aringa. «Dopo è successo che Lord Voldemort è stato sconfitto da gente come il padre di Lils, qui, e mia madre…» Puntò la forchetta verso il tavolo dei Professori. «… E il Professor Paciock, lassù, il Capo della Casa di Gryffindor…»

Maggie fece sì con la testa. «Lui mi piace, ha la faccia buona».

«… E tanti altri che non… Non ho mai conosciuto». Lyra si schiarì la gola. «La guerra è una cosa triste. Cattiva, stupida e triste».

È meglio non disturbare i morti…

«E i Mangiamorte?»

Gli occhi di Lyra si velarono per un momento. «Qualcuno è morto. Qualcuno è in prigione e qualcun altro ha avuto modo di impiegare le proprie energie in attività socialmente più utili. Mio nonno per esempio ha contribuito quasi spontaneamente a un fondo per sostenere le famiglie delle vittime di guerra».

… perché non si sa mai come potrebbero svegliarsi.

«Wendy mi ha detto che ai Malfoy non piacciono quelli come me». Meg grattava il tavolo con l’indice. «Coi genitori che non sono Maghi. Quindi se sei gentile con me lo fai solo per prendermi in giro. Per questo le ho dato uno spintone».

«Un giorno ti farò conoscere mamma». Lyra concesse ai suoi spettatori un sorriso tagliente come una mannaia. «Anche i suoi genitori sono Babbani. I miei nonni materni, voglio dire».

«C’è una cosa che non capisco» Maggie acchiappò un panino dolce dal cesto. «Se i tuoi erano, cioè… Sai… » Smise di balbettare non appena Lyra diede cenno di aver capito. «Perché si sono sposati?»

Numerose paia di orecchie dovevano essersi rizzate contemporaneamente nell’udire quella domanda. Lily era pronta a giurarlo, guardando Devonne con la forchetta sospesa davanti alla bocca, da cui penzolava un boccone di uovo.

«Beh» rispose Lyra, candida, «perché si amano».

Tutti ripresero a masticare.

Lily sentì la tensione lasciarle le spalle e il sollievo gonfiarle il petto finché non esplose, facendola ridere con le mani sugli occhi per celare il fatto che fossero diventati lucidi per il nervosismo. Pumpkin, il suo assiolo, le atterrò sulle ginocchia in un dolce frullare di piume e le lasciò la posta del mattino, becchettandole le mani per ottenere una ricompensa.

«Oh» sospirò Maggie, addentando il suo panino, «com’è romantico!»


***


L’aria intorno alle serre profumava di muschio e fertilizzante, di terra morbida e smossa dai passi degli studenti che si dirigevano pigramente alla lezione di Erbologia. Fra i capanni fatti di vetri pieni di condensa oltre i quali crescevano indisturbate centinaia di varietà vegetali accuratamente invasate si snodavano sentieri che sfociavano in macchie di vegetazione lussureggiante e spesso bizzarra che cresceva quasi indisturbata, come se uno sbuffo di vento capriccioso avesse rubato un po’ da questa e un po’ da quella serra, seminando a suo piacimento come un giardiniere distratto.

Lily affondò le dita protette dai guanti nella terra grassa: nonostante le proteste iniziali di fronte alla prospettiva di caricarsi di altri impegni didattici aggiungendo anche la materia dello zio Neville a quelle da seguire, le lezioni di Erbologia la rilassavano così tanto da essere diventate un appuntamento imprescindibile. Inspirò profondamente, riempiendosi i polmoni di quell’aria pura che portava con sé l’odore delle piante nella serra numero tre, quelle curative: il sentore lussureggiante e dolciastro della Digitalis Pernigra, i cui petali di velluto nero invitavano a una carezza che poteva essere letale, si mischiava a quelli altrettanto suadenti dell’Aconito e dei fiori del Diospero Aureo.

«Non è bellissimo?» Neville Paciock ne afferrò un ramo. «Nella Grecia antica, fra i sapienti, i suoi frutti erano considerati il cibo degli Dei. Chi sa dirmi la particolarità di quest’albero? Glover?»

Ethbert Glover, di Gryffindor, si sistemò i guanti. «I frutti sono… d’oro?» azzardò, occhieggiando fra le foglie i petali dei fiori ancora chiusi.

«Beh, è un bel tentativo e non è nemmeno del tutto sbagliato» Neville intrecciò le lunghe dita, lasciando andare il ramo che ritornò dolcemente al suo posto, con uno slancio docile, come se fosse dotato della capacità di muoversi per conto suo. «Qualcun altro?»

«Per farne crescere uno non è sufficiente piantare i semi di un frutto solo. Da ognuno dei tre pomi che l’albero produce durante la sua vita va estratta una coppia di semi che andranno interrati insieme in un giorno in cui c’è il temporale in un buco di queste dimensioni». Lyra posò la cazzuola da giardinaggio e mostrò il vaso rettangolare in cui aveva scavato una piccola fossa a forma di croce. «Se i semi attecchiscono, il primo giorno di luna nuova del mese successivo alla semina dalla terra spunteranno tre germogli che inizieranno a crescere intrecciati, diventando un albero solo, proprio come quello».

Tra le file dei Gryffindor si levò un cicaleccio contrariato. Una di quelle che stavano sedute in fondo, Marlene Merryweather, azzardò un commento, alzando educatamente la mano. «Mi pare di aver letto che quest’albero fosse protetto da un drago».

Neville alzò una mano e la fece ondeggiare prima da una parte e poi dall’altra. «Non proprio, signorina Merryweather, ma grazie per il contributo. E grazie a te, signorina Malfoy. Ringraziatela anche voi» disse, rivolgendosi ai loro compagni di casa. «Cinque punti a Ravenclaw. Quante volte hai letto il tuo manuale dall’inizio dell’anno?»

«Due, Professore» Lyra sollevò il mento, aprendosi in un sorriso orgoglioso. «Ho avuto un sacco di cose da fare».

«Sei odiosa» mormorò Lily, ridacchiando sotto i baffi.

«Non ho mai preteso di non esserlo» rispose Lyra sottovoce.

Marlene Merryweather mimò loro un applauso di cortesia, fingendo di battersi con le dita sul dorso dell’altra mano.

«Adesso, vediamo» Neville fece qualche passo in tondo, «chi mi racconta qualcosa di questa storia del Drago guardiano?»

Lily prese un pizzico di Concime Concentrato Grewalot e lo sparse nel suo vaso, ridendo: le lezioni di Neville Paciock erano divertenti, e questo era uno dei motivi per cui il Capo del dormitorio Rosso Oro era amato universalmente dalle Torri ai Sotterranei.

«Proviamo… Whitestone!» disse lui e puntò l’indice contro un ragazzo di Gryffindor con le sopracciglia cespugliose e uno sfogo di acne sulla guancia sinistra.

Quello trasalì e cominciò a sudare. «Eh… Ah. La leggenda dice che un gigantesco serpente dorme dentro il tronco dell’albero. Non è esattamente… un drago perché non ha… le ali e non è nemmeno una viverna». Si allargò il colletto e arrossì. «Anche le viverne hanno le ali».

Scrosci di risatine piovvero da entrambi i lati e il ragazzo divenne ancora più paonazzo.

«Beh, ha ragione». Lily saltò su, seccata. «Anche le viverne hanno le ali».

Zio Neville le rivolse un sorriso pacato e il brusio scemò.

«Il Fattore Potter è vivo e lotta insieme a noi» mormorò Lyra, con un tono di voce che la sorprese per la sua morbidezza.

Gli sguardi di buona parte dei Ravenclaw e quelli speculari dei compagni di lezione rosso oro erano tutti puntati addosso a lei che apriva con attenzione il vasetto di semi sconosciuti e seguiva le istruzioni scritte sull’etichetta.

«Che vorrebbe dire?» chiese, controllando il dosaggio di Rugiada Istantanea sulla boccetta - una goccia, una doccia diceva lo slogan sull’etichetta trasparente - per innaffiare i semi appena interrati. La valutazione finale di Erbologia di quell’anno dipendeva in gran parte da quel progetto che a Neville Paciock piaceva chiamare la pianta del mistero, perché le sementi, tutti diverse, erano state estratte a sorte e nessuno aveva veramente idea di cosa stesse coltivando.

Lyra usò l’incantesimo di appello su un piccolo annaffiatoio di rame. «Difendi il prossimo e parli quando non sei interpellata» spiegò, colmando il recipiente di una sostanza verde e traslucida, «stai cominciando a somigliare a tuo fratello».

«Al?» Lily non era certa che fosse un complimento.

«No» Lyra versò un po’ di liquido sulla terra che aveva ricomposto a forma di spirale. «L’altro».

Lily grugnì. Jamie era stato probabilmente la sua croce più grande da quando aveva compiuto undici anni. «Cerco solo di fare la cosa giusta».

Lyra sembrò non badare alla sua contrarietà. «Non so. Forse somigli soprattutto a zio Harry, anche se non si direbbe. Mamma dice che il suo hobby scolastico preferito era finire nei guai inseguendo lo stesso proposito».

Neville, che stava passando davanti a loro, rise.

«Cocche dei professori» borbottò Carmichael, a due banchi di distanza.

«Qualcuno vuole venire qui e mostrare a tutti di cosa stava parlando il nostro Whitestone?» Neville batté una mano sulla schiena del ragazzo, studiando i suoi. «Andiamo! La culla dei coraggiosi non sforna gente che dà solo fiato alla bocca!»

Fra i Gryffindor nessuno si mosse: tutti guardavano l’albero, i cui rami sembravano scossi da una brezza dolcissima e ondeggiavano lentamente, quasi seguendo il ritmo di una danza suadente. Carmichael, che sembrava ancora assai piccato per essere stato visto correre in mutande, non poté trattenere una risata sardonica.

«Buon per voi» lasciò cadere a mezza voce, quando vide che nessuno reagiva.

«Buon per te, signor Carmichael» Neville raggiunse il suo tavolo da lavoro e lo invitò a oltrepassarlo. «Facci vedere».

Il ragazzo impallidì e si passò una mano sulla testa quasi rasata. «Non mi sento molto bene».

«Capisco».

Lily sorrise. «Chi è che se la fa sotto adesso?»

«Stai zitta, Potter!»

Si voltò a guardarlo: era rosso in viso e i suoi occhi castani mandavano strali di odio e vergogna.

«Basta così» Paciock alzò una mano e sospirò, il volto amichevole contratto in una smorfia preoccupata. «Non fatevi la guerra tra voi. C’è già abbastanza di che preoccuparsi fuori di qui. Lily Potter» le fece cenno di seguirlo, «vorresti offrirti volontaria?»

La domanda nascondeva la richiesta di un favore: far ricorso a Lyra, a lei, ai suoi fratelli in altri frangenti, era il sistema di zio Neville per cavarsi da un impiccio. Sapeva molto bene che uno qualsiasi di loro avrebbe avuto meno remore a fidarsi rispetto ai suoi compagni di scuola: per Neville, Jamie, Al e lei erano quanto di più vicino a dei figli lui potesse avere.

«Ma certo» rispose con la bocca secca.

  Il sorriso che ebbe in risposta la gratificò abbastanza da darle la spinta per scavalcare il banco e portarsi al centro del capanno, esattamente di fronte all’albero di Diospero. Da quell’angolazione i raggi del sole facevano scintillare le corolle semichiuse, fiori dai petali spessi che sembravano fatti di burro e zucchero, striati d’oro pallidissimo.

«Cogline uno, e avrai una O».

Lily annuì nervosamente e allungò una mano verso il ramo più basso, sfiorandolo. L’albero ebbe un fremito e i tre fusti saldamente intrecciati scricchiolarono forte.

«Forse non dovrei…» incominciò a dire, ma ormai era tardi per recriminare. Il ramo che aveva scelto si arcuò come il tentacolo di una piovra e le si allacciò intorno al polso, tirandola verso l’alto.


***


Da lassù era tutto molto chiaro, pensò Lily scalciando energicamente per recuperare una posizione che non prevedesse di vedere le cose sottosopra. L’albero era giovane e non avrebbe ancora messo frutti per un paio di decenni a giudicare dal colore del fusto, ma era riuscito comunque a sollevarla da terra di almeno sei piedi. Si aggrappò a uno dei rami che sembravano più solidi e vide che gli altri convergevano tutti in un unico punto, come se fossero attirati da un qualcosa di invisibile.

«Forse è meglio fare qualcosa» Lyra la guardava da sotto in su con gli occhi spalancati.

Lily puntellò i piedi contro il tronco rimettendosi in verticale: la presa sul braccio si allentò e lei per un momento temette di precipitare a terra, ma si accorse di essere stata acchiappata da un altro ramo ricoperto di foglie, che le si era avvolto attorno alla vita.

«Non preoccuparti» riuscì a sollevare un pollice. «Tutto bene! È come andare… sull’altalena!» improvvisò, saggiando la stretta che la reggeva appena sopra l’ombelico.

Altre facce perplesse si unirono a quella di Lyra; l’unico che sembrava a suo agio era zio Neville che seguiva la scena con le braccia incrociate sul petto e un sorriso storto.

«Professore, potrebbe dirmi come si scende da quest’affare?»

Lui rise. «Vedete? Questo è il vero guardiano dell’albero» Bussò sul tronco intrecciato, assestando una serie di colpetti in alto, in basso e al centro, e il ramo che teneva Lily sospesa cominciò a scendere dolcemente verso terra. «La forma completa è visibile soltanto una volta che il Diospero Aureo ha messo il primo frutto e raggiunge la massima potenza alla maturazione dell’ultimo».

«Come mai se l’è presa soltanto con me?» Lily si allungò, cercando di toccare il pavimento con i piedi. Anni a volare sulla scopa l’avevano resa totalmente insensibile alle altezze ma non avere il controllo dei suoi movimenti le rendeva l’esperienza poco gradevole.

«Perché ha sentito che volevi prendere qualcosa che gli apparteneva, signorina Potter. Se l’avessi toccato, diciamo, per mostrare a tutti la sua bellezza, non avresti avuto alcun problema».

Marlene Merryweather si sistemò gli occhiali sul naso aquilino. «Significa che è impossibile prendere un fiore?»

«Non proprio, no» Neville staccò la mano dal fusto dell’albero. «Un fiore è semplice da cogliere se si conosce il modo di aggirare i rami più esterni, che vengono chiamati sentinelle». Ne indicò uno con un cenno e Lily si accorse che era esattamente quello che aveva puntato lei. «Ma se voleste cogliere uno dei frutti scoprireste che l’impresa può essere molto complicata».

Glover grugnì. «Scommetto che bastava un incantesimo di appello». Prese la bacchetta dalla tasca e la puntò contro uno dei rami carichi di fiori. Pochi minuti dopo, mentre Lily stava ancora cercando di raggiungere il suolo, Whitestone cominciò a sanguinare dal naso copiosamente. Il sorriso soddisfatto di Neville scomparve per la prima volta dell’inizio della lezione.

«Uh-oh. Glover, abbassa quella bacchetta, non usare nessun tipo di incantesimo su quell’albero».  Materializzò una confezione di salviette e cominciò a tamponare l’emorragia. «Che succede, signor Whitestone? Ti ho perso di vista solo un momento».

Lyra, che si era avvicinata all’albero per aiutare Lily a scendere, tossì. «Credo che abbia respirato le sue sementi un po’ troppo da vicino. A giudicare dall’effetto, direi che si tratta di una pianta di Fiordifiamma».

«Notevole deduzione» Neville premette la pezza bianca sul naso di Whitestone: dagli occhi del ragazzo scendevano lacrime fumanti. «Forse è meglio che ti porti in infermeria» disse, ottenendo in cambio un biascicato grazie, «voi non toccate niente, non fate niente e non… Beh, direi che va bene così».

Lily stava ancora a un paio di piedi da terra e il ramo si era fermato non appena Neville aveva incominciato ad allontanarsi. «Ehm. Come faccio a scendere?»

Lui si girò, evitando per un pelo lo schizzo di sangue che stava sgorgando dal naso di Whitestone. «Già, giusto. Signorina Malfoy, c’è un punto sul tronco, circa a metà, contrassegnato da un pezzo di corteccia più morbido. Strofinalo, così si addormenterà» disse, prima di uscire dalla serra.

«Devo fare… i grattini a un albero?» Lyra aveva una faccia e un tono di voce così scandalizzato che Lily non poté fare a meno di ridere, guardandola dall'alto. «Guarda che mi tocca fare per te, Lily Potter» sibilò, passando una mano attenta su uno dei tre fusti che formavano il tronco.

Glover continuava a giocherellare con la bacchetta. «Secondo voi perché ha detto di non usare incantesimi?»

«Oh, ecco, credo di averlo trovato». Il volto di Lyra si illuminò e Lily sentì il ramo afflosciarsi allungandosi verso il basso. Udì una specie di respiro provenire dal folto della chioma dell’albero e un fremito scuotere le foglie che frullarono come le ali di minuscoli uccellini.

Lily si rilassò.

Il pavimento era così vicino ai suoi piedi che nel sentirsi sbalzare nuovamente verso l’alto pensò di essersi data una spinta per saltare. Alzò la testa e si accorse che il soffitto di vetro della serra era a un palmo dal suo naso. Sotto di lei, invece, c’era Glover con la bacchetta in mano, e tutti i rami interni che si erano raggruppati in qualcosa che somigliava a un pungiglione e puntava direttamente al collo del ragazzo.

«Glover, testa di schiopodo sparacoda!» Era la voce di Lyra, furente e fuori controllo: Lily non riuscì a vederla, per quanto si sporgesse. «L’albero dai frutti d’oro è resistente a ogni tipo di incantesimo. Ma tu non ascolti mai?»

Quello aprì la bocca per dire qualcosa, ma il fascio di legno si tirò indietro e poi lo colpì esattamente al centro del petto. Non fu un colpo molto forte, ma era abbastanza per farlo cadere seduto e tremante.

«Pensavo che le lezioni di Erbologia fossero tranquille!» piagnucolò, strisciando all’indietro sul posteriore.

Lily sbuffò mentre l’albero si piegava in avanti per seguirlo. «Lo sono se segui le istruzioni!» Chiuse gli occhi mentre veniva sballottata giù e poi di nuovo su. Pensò che le si sarebbe rovesciato lo stomaco e alla cieca protese le mani cercando qualcosa a cui aggrapparsi.

«Stai ferma, Lils, se ti agiti è peggio!»

Urtò il soffitto con la schiena e batté i denti. «Ci sto provando» gridò. «Tirami giù di qui!»

«Non so che fare!»

La risposta fu così disperata che Lily aprì gli occhi nonostante la nausea e guardò giù. A pochi passi da lei si sporgeva un unico ramo immobile e grosso quanto la sua gamba, nudo di foglie e con un solo fiore alla sommità, completamente sbocciato. Si riempì i polmoni d’aria e esalò un respiro che la scosse come un tremito dall’interno. Non era affatto una buona idea.

«Ce la fai a ritrovare il suo punto debole?»

«Credo» Lyra sembrava aver recuperato il sangue freddo, «ma adesso è arrabbiato e non penso che…»

«Bene! Trovalo e colpiscilo più forte che puoi».

Lyra guardò su con gli occhi strabuzzati. «Non è affatto una buona idea!»

«È l’unica che ho!»

«Sia maledetta la tua zucca vuota, Glover!» Lyra appellò un paio di cesoie appese al muro. «Sei pronta, Pottergirl?»

Non attese la sua risposta e sferrò al tronco un colpo fortissimo, che si propagò in tutta la pianta sotto forma di vibrazione sorda. Il ramo che teneva Lily si schiantò a terra con uno schiocco che somigliava a una frustata un attimo dopo che lei ebbe spiccato un salto verso l’unico approdo che le fosse venuto in mente di utilizzare. Rovinò di fianco, percorrendo tutta la lunghezza del ramo, con il rumore della stoffa della divisa che si strappava a fare da controcanto al suo urlo disperato.

«Si ammazzerà!» Era la voce lamentosa della Merryweather.

Il suo appoggio si piegò all’ingiù caricando il lancio e Lily strinse la mano attorno al fiore appena prima di essere sbalzata via e ritrovarsi a sfrecciare nell’aria.

«Aresto momentum».

Lily aprì gli occhi e si vide fluttuare verso il basso. Lyra era pallidissima e le dita che stringevano la bacchetta erano bianche come le ossa di un morto.

«Grazie mille, Bun» mormorò, lasciandosi scivolare dolcemente a terra.


***


«Credo che tu sia la prima persona che prende una O cadendo da un albero».

Lily si rigirò nel letto in tempo per assistere allo sguardo di disapprovazione di Madama Chips. L’anziana infermiera le stava porgendo un bicchiere colmo di Ossofast fumante.

«Non è che l’abbia proprio fatto apposta».

Madama Chips alzò gli occhi al cielo. «Ho avuto più Potter in questo reparto di quanti tu immagini» disse, smorzando appena il tono della voce.

«Sia buona, Madama» Lyra intervenne in suo soccorso, «ha fatto un bel volo».

«Ho avuto anche tuo fratello e tuo padre, signorina Malfoy». La fronte di Madama Chips si distese un pochino. «Certa gente non sa che farsene della salute. Hai tre costole incrinate» borbottò, tornando a guardare Lily. «Se la signorina qui non avesse frenato la tua caduta ti sarebbe andata molto peggio».

«È stato quando mi sono lanciata sul ramo di sotto, credo». Si tastò il torace attenta a non compiere movimenti bruschi e una fitta acuta la trapassò da parte a parte. Lo sguardo della Chips seguiva le sue mosse con tanta attenzione che Lily si ritrovò a riprendere il bicchiere per finire la sua medicina. «Sa di gesso» borbottò quando l’infermiera le ebbe lasciate sole.

Lyra allargò le braccia, arricciando il naso. «Lo so. Ti ricordi quando ho cercato di picchiare tuo fratello Jamie alla festa dei tuoi sette anni e sono scivolata dal tetto di casa dei tuoi nonni?»

«Zia Hermione si è arrabbiata talmente tanto da minacciare di fargli un segno sulla fronte uguale a quello di papà» Lily scoppiò a ridere piegandosi sul letto. «Ahi» si lamentò, «credi che farà male ancora per molto?»

«In un paio di giorni sarai come nuova. Madama Chips sa il fatto suo».

«Bun» Lily occhieggiò la clessidra sopra la porta, «è ora di cena. Va’ o ti perderai la festa».

«Non mi va di lasciarti qui. Dovrebbe essere il tuo momento di gloria». Indicò il fiore bianco sul comodino, che galleggiava quieto sulla superficie di una bacinella di ottone. «Non è da tutti conquistare un trofeo come quello. L’unica corolla sbocciata».

«È stata solo fortuna» si schermì lei, affondando il viso nel cuscino per nascondere il rossore. «E poi se non ci fossi stata tu sarei ridotta a una frittella».

«Siamo una bella squadra, Pottergirl».

«Perché mi chiami così? L’hai fatto anche mentre ero sull’albero».

«Pottergirl è come… Supergirl, ma magica» Un sorriso a metà fra le scuse e una bonaria presa in giro comparve sulla bocca di Lyra. «Da piccola leggevo… Quando la mamma mi portava dai nonni Granger avevano sempre un sacco di roba educativa sulla salute dei denti. Coi disegni di un molare che combatteva la placca usando uno spazzolino» Roteò gli occhi verso l’alto. «Una noia mortale. Ma ogni tanto se ero fortunata trovavo le storie di un’eroina che combatteva il male sorvolando una città col suo bel mantellino rosso».

«Volava? È una strega?»

Lyra ci pensò su. «No, non credo. Non aveva la scopa» spiegò, facendosi posto ai piedi del letto. «Ma comunque era una bella variante rispetto a Molar Warrior, il molare coi muscoli». Sollevò le braccia assumendo la posa del modello di una copertina di Wizard’s Health, il mensile per i Maghi che non devono chiedere mai.

Lily sorrise. Certe volte l’affetto che provava per Lyra era così forte da farle pungere gli occhi e farle venire voglia di saltare giù dal letto per abbracciarla nonostante il dolore al torace. Rinunciò, perché sapeva che l’avrebbe imbarazzata, e tornò a fissare le lenzuola. «Dovresti andare» mormorò. «Fra poco è ora di cena. Sento odore di frittelle alla zucca».

«Io sento solo il tuo stomaco» disse l’altra, alludendo al gorgoglio della fame.

«Madama Chips mi farà avere qualcosa di consono, non ti preoccupare».

«È Halloween» protestò Lyra, «dovremmo stare alzate fino a tardi a raccontarci storie del terrore. Sai una cosa? Ho un’idea. Aspettami qui, Pottergirl».

Corse via prima che Lily potesse protestare.

Mezz’ora dopo si era assopita e stava sognando di galleggiare nell’aria, trascinata verso l’alto dalle correnti ascensionali con il cuore pieno di una gioia spaventosa che avrebbe fatto male se fosse stata appena un po’ più forte. Si tuffò dentro un banco di nuvole basse e vi rimase invischiata a respirare aria dolce come lo zucchero.

L’aria le sfrecciava veloce attorno al corpo gonfiandole i vestiti e sciogliendole i capelli; si mosse  nel sogno e allargò le braccia per darsi una direzione mentre la nuvola si dissolveva sotto la sua schiena lasciandola precipitare nel vuoto.

«No».

La carezza insita in quell’unica sillaba le sfiorò la nuca, braccia solide l’avvolsero sorreggendola e avvolgendo la sua schiena. Si ritrovò col naso schiacciato contro la stoffa ruvida di un mantello, la tastò sotto i polpastrelli, e alzò la faccia, offrendosi docile al tocco di una mano ghiacciata.

«Lilou».

I capelli le si rizzarono sulla nuca come se fosse stata attraversata da una leggera scarica elettrica; sentiva i muscoli tesi e contemporaneamente fiacchi, e il battito del suo cuore si spandeva in ogni recesso del suo corpo come la vibrazione di una corda tesa su una cassa di risonanza.

«Lucas» mormorò, e aprì gli occhi, ridestandosi di soprassalto. Velata dalla confusione immediatamente successiva al risveglio, la sua vista le offrì l’immagine sfocata di un colletto slacciato rifilato d’argento, muscoli tesi e l’accenno di un sorriso asimmetrico.

«Sono qui».



Ciao a voi.
È bello leggere le vostre recensioni. Per chi non le lascia c'è sempre il mio fidatissimo mestolo.
Note, citazioni, luoghi, etimo e nomenclatura:
• Grewalot, ossia grew-a-lot, in inglese è cresciuto un sacco.
• il Diospero è un albero realmente esistente. Che io abbia ripreso il mito della Mela del Giardino delle Esperidi è, beh, una faccenda a parte, oltre che essere tipico di me.


Recensite, porca miseria! Vi aspetto anche qui.

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Capitolo 7
*** VII - Storie di Mezzanotte ***


VII


Storie di mezzanotte


Millions of miles from home

In the swirling, swimming on

When I'm rolling with the thunder but bleed from thorns

Leave a light, a light on

Leave a light, a light on”.


Coldplay, Midnight



Dita fredde le carezzarono la fronte scostando il raso rosso di una ciocca di capelli che le copriva gli occhi; poco più di un respiro leggero che l’aveva strappata al sonno, chiudendole il fiato nei polmoni e costringendola a un’apnea dolorosa.

Lucas si alzò rapidamente. «Sei sveglia». Si passò una mano sul mento, osservando il comodino. «Che cosa ti sei fatta?»

«Sono caduta da un albero». Era una cosa così stupida da dire che abbassò gli occhi, accorgendosi di avere la stoffa del mantello di lui stretta nel pugno. Rilassò la mano per quanto il torpore di cui si sentiva preda le concedesse e cercò qualcosa da guardare, qualsiasi cosa che non fosse lui.

Il lucido specchio dei suoi occhi che era come il ghiaccio sottile sulla superficie di un lago, fascinoso e infido come un trappola d’argento per una gazza ladra.

«Ti agitavi così tanto che credevo avessi la febbre».

«Sto bene». Cercò di alzarsi e la fitta che le trapassò il costato la costrinse a contraddirsi un momento dopo. Un piccolo gemito di dolore le sfuggì dalle labbra strette. «Accidenti» imprecò, tornando a guardare il soffitto.

Lucas sollevò il bicchiere e lo annusò. «Ossofast». La smorfia sulla sua faccia passò dal disgusto all’irritazione in pochi secondi. «Cosa ti sei rotta?» Il suo sguardo attento le scivolò sulle mani e sulle braccia, facendola arrossire.

«Niente che non si possa aggiustare» rispose, massaggiandosi il torace.

Lui sembrò vedere solo allora il fiore che galleggiava nell’acqua: si piegò ad osservarlo attento, sfiorando con i polpastrelli il liquido che lo attorniava.

«Fortuna e gloria?» chiese, sedendosi accanto a lei.

Un sorriso le incurvò le labbra quasi contro la sua volontà.

«È per questo che ti sei fatta male, Lilou?» Lucas immerse le dita nella bacinella sollevando quel pugno di petali tanto ambiti nel palmo della mano a coppa. «Poche cose sono più desiderate di questo piccolo miracolo di Madre Natura e una di quelle è il frutto che nasce sullo stesso albero. Il Pomo dell’Immortalità, la Mela d’Oro degli Dei».

«Rende davvero immortali?»

Lucas rimise il fiore al suo posto. «Non è così semplice» disse. «Il potere che racchiude è terribile, per questo i testi che ne parlavano sono stati distrutti. Ma è comunque possibile estrarre l’essenza dal polline. Ha molti effetti utili, mia piccola Lilou».

«Io vorrei solo che restasse così, senza appassire». Lily si sporse per annusarlo riempiendosi le narici di un profumo che somigliava al miele fermentato e al vino speziato. «Ma non lo farà. Qui il tempo non smette mai di passare».

«Davvero non vuoi usarlo?» Il suono rauco della voce di Lucas la turbò, costringendola a esprimere una risposta solo con un cenno del capo. Lui sorrise, socchiudendo le palpebre, e si appoggiò alla poltrona.

Lily si afferrò fra i denti una ciocca di capelli. «Prendilo, se lo vuoi» disse, arrotolandosi le punte attorno al dito, «con me andrebbe sprecato. Non sono una gran pozionista, in ogni caso».

«Non credo di poter accettare».

«Beh, dovresti. Fai finta che sia un regalo di Natale» s’impuntò e lui rise alzando una mano.

«È Halloween. Non sei un po’ in anticipo?»

In quel momento udirono il rumore del carrello del cibo che cigolava e la clessidra sopra la porta girò per sei volte, illuminando il trattino al centro dell’emiciclo inferiore.

«Sono solo le sei» commentò Lily. «Credevo fosse più tardi».

Lucas annuì. «Ho il cambio della guardia. Ero venuto a cercare mia sorella, ma non è nemmeno qui».

«È andata via poco prima che arrivassi tu. Hai bisogno che le riferisca un messaggio?»

Lo vide estrarre una lettera dalla tasca, chiusa con un sigillo lucido di ceralacca rossa su cui era impressa la grossa M doppia che indicava una comunicazione del Ministero della Magia.

«Nessun altro deve vederla, Lilou». Le rivolse un sorriso colpevole.

«Non accadrà» replicò lei, nascondendola nel cassetto.

«Grazie». Le sfiorò la guancia col dorso delle dita. «Sei un po’ troppo calda. Sei sicura di non avere la febbre?»

Lily fece su e giù con la testa con forza. «Lucas?» lo interpellò, quando lui aveva quasi raggiunto la porta. «Il tuo fiore. Lo hai lasciato qui».

La bacinella si alzò e lo raggiunse obbediente galleggiando nell’aria.

«Non sono sicuro che mi appartenga» mormorò lui, afferrandola. «Ma ne avrò cura come se fosse mio».


***


Alle sei e dieci erano tutti in mensa tranne uno studente e quattro studentesse, tre delle quali sgattaiolavano più o meno furtivamente verso l’infermeria.

Lily le sentì ridere piano e alzò la testa dal libro di Pozioni che teneva aperto sulle ginocchia, riponendo la penna e la pergamena su cui aveva vergato con cura il suo tema sugli effetti della pozione Antilupo. Sulla soglia c’era sua cugina Maggie con un cappello a punta che la salutava con la mano.

«Meg» Lily sorrise e ripose le sue cose nel cassetto. «Perché non sei a cena?»

Altre due facce sorridenti comparvero nella penombra. Lyra si fece largo con la bacchetta sollevata da cui scaturiva un bagliore ceruleo che sembrava sostenere senza troppo sforzo un lungo bastone avvolto in un drappo di stoffa blu notte.

«Visto che tu non potevi venire alla Festa di Halloween abbiamo portato la Festa di Halloween da te». Fece un cenno in direzione della stoffa che cominciò a srotolarsi mentre il bastone rimaneva sospeso per aria.

Aura Nott si avvicinò al letto di Lily e posò per terra un sacco pieno di vettovaglie. «È arrivata la cena!»

Dalla sporta cominciarono a uscire ordinatamente cibi di ogni tipo. Lily seguì divertita la processione di piatti che sfilavano davanti ai suoi occhi; la tenda di Lyra invece seguiva i movimenti della sua bacchetta e si stava sistemando attorno al suo letto.

«Passerete dei guai per questa cosa?» chiese. Non aveva alcuna voglia di rispondere alle lamentele di Zia Petunia che l’accusava di aver traviato la sua piccola, dolce nipotina innocente, anche se aveva il sospetto che, se Maggie si fosse fatta espellere da Hogwarts, Dudley e sua madre avrebbero tirato un sospiro di sollievo.

Lyra scosse la testa. «Ho chiesto il permesso a Madama Chips e al Professor Faulks. Mi hanno concesso di fare una piccola eccezione visto che in infermeria ci sei solo tu. Così ho reclutato loro per farmi aiutare».

Maggie le porse un calderone in miniatura e Lily sollevò il coperchio, scoprendo che all’interno c’era un piccolo fuoco azzurro. «E questo?»

«Il contributo di mamma al nostro piccolo party». Lyra sbuffò. «Mi ero completamente dimenticata di averlo messo nella borsa quando sono partita. Dai, apri lo sportello».

Frattanto aveva sistemato la tenda blu in modo tale che le isolasse dal resto dell’infermeria, lasciando aperto l’unico lato che dava sulla porta, che si chiudeva e si apriva esclusivamente dall’interno. Lily cercò qualcosa che somigliasse a un pomello da tirare e alla fine trovò una levetta che, quando lei l’ebbe premuta, produsse uno scatto metallico e rivelò il piccolo calderone per quello che era: una lanterna da appendere al gancio che sporgeva proprio sopra il suo capezzale.

«Che cosa pazzesca!» Maggie osservò l’interno della tenda, che riproduceva fedelmente il cielo dell’emisfero boreale. «Le stelle si muovono…»

«Ci abbiamo messo tre mesi a farlo» Lily sistemò la lanterna. «Pensavamo che fosse un’idea carina per le feste. È anche auto-riscaldante, se fuori fa freddo».

«Porca…» Aura si morse l’interno della guancia. «È una meraviglia!»

Lyra la tirò per il braccio. «Su, venite. Tutte dentro e chiudiamo la tenda. Lily che fine ha fatto il tuo fiore?»

«Nessuno prima di te era riuscito a prenderne uno, non è nemmeno un argomento da M.A.G.O. Perché il Professor Paciock insiste tanto con quella pianta?» Aura sedette sulla poltrona e afferrò un piatto di Fish&Chips.

«Che vuol dire che insiste?» Lily aveva adocchiato il suo piatto preferito: il tortino di carne e patate.

«Ha proposto la sfida a tutti quelli del sesto e del settimo. Tuo fratello Al ha preso una sonora sederata» Aura sembrava trovare la cosa molto divertente. «Quando si è saputo che tu ce l’avevi fatta, le ragazze di Slytherin hanno giurato che avrebbero accettato solo te come campionessa di Hogwarts».

Lyra tornò in quel momento con altre due sedie. Batté sullo schienale della prima per invitare Maggie a sedersi e lei acconsentì, acchiappando al volo una porzione di zuppa d’avena. «A proposito» intervenne, «stasera si sapranno i nomi. Non sei emozionata?»

Il pezzo di tortino che aveva addentato le andò di traverso. «Non penso che qualcuno dirà Potter stasera. Se non per rispondere alla domanda chi è quella scema che è caduta dall’albero?»

«Ho i miei dubbi, Pottergirl» Aura la liquidò con un’alzata di spalle, mentre Lyra rideva.

Lily la fulminò con un’occhiataccia. «Le hai detto tu di chiamarmi così?»

«Lo fanno tutti» disse Maggie, fra un boccone e l’altro.

«Perché?» saltò su Lily, emettendo un gridolino così acuto che il cappello di Maggie si sollevò, cominciò a ondeggiare su se stesso e poi cadde. Meg si portò le mani alla testa, disperata: i suoi capelli biondo scuro erano stati intrecciati in una complicatissima acconciatura sulla nuca. Aggrappato a una delle trecce c’era un folletto che si dondolava emettendo buffe risatine.

Aura inclinò la testa di lato. «È uno di quei cosi di Beauxbatons» sentenziò. «Mandy Montague dice che si chiamano Manteillons».

«Beauxbatons, Manteillons… Che rottura di… Bonbon?» cantilenò Lily, correggendosi appena in tempo.

Maggie non sembrava convinta. «Non fa proprio rima».

«Feuilletons?» improvvisò Aurie.

«Non so che vuol dire. Comunque con i capelli sono una bomba». Maggie pizzicò il folletto prendendolo per il mantello fra l’indice e il pollice. «Anche se non so proprio come farò a scioglierli» sospirò, mentre Lyra le scoccava uno sguardo comprensivo.

«Intrecciano le criniere degli Unicorni e dei cavalli. Suppongo che, essendo sprovvisto di materia prima questo piccoletto si sia accontentato della tua. Dammi qua». Le tese la mano e Meg vi depositò il folletto sgambettante. «Che cosina fastidiosa».

«A me piace».

«Domattina ti piacerà di meno» Lyra sospirò, esaminando le ciocche di capelli di Maggie, attorcigliate in trecce sottilissime. «Evanesco» mormorò, puntandogli contro la bacchetta.

Lily riprese il suo tortino e rimase ad ascoltarle chiacchierare; la clessidra incantata sopra la porta segnava le sette e mezza. A quell’ora probabilmente tutti stavano acclamando i Campioni del Torneo; si passò una mano sul costato dolorante e sospirò.

«Che ti prende?» A chiederlo era stata Aura, che si era fermata nel bel mezzo di una storia che parlava di morti viventi e la fissava con un’espressione critica. Sua cugina posò solennemente il muffin al cioccolato verde che stava divorando e sgranò gli occhioni azzurri.

Lyra fece una smorfia. «Sta pensando al Torneo Tremaghi. Non è vero?» Aveva tra le mani un fiore di zucchero, una margherita bianca tanto verosimile che avrebbe ingannato un botanico. «Ti stai chiedendo se è uscito il tuo nome, non è così?»

Controvoglia, Lily si trovò costretta ad annuire. Allungò la mano sul tavolino fluttuante per prendere qualcosa di dolce.

«Quindi è vero!» Aura si batté le mani sulle ginocchia. «Hai rubato il permesso a tuo fratello! Non si parla d’altro negli ultimi due giorni, devo assolutamente sapere come hai fatto!»

«Oh, sì, racconta!» fece Meg, completamente disinteressata al suo dolce.

«Quando siamo tornate da Hogsmeade ero un pochino su di giri per quello che avevo mangiato e bevuto» Lily si schiarì la voce schermandosi il volto con la mano per nascondere un sorriso imbarazzato. «L’abbiamo incontrato appena fuori dalla nebbia, stava… Facendosi bello con una ragazza, insomma, era tutto preso a dirle che sarebbe stato lui il Campione di Hogwarts, proprio come papà».

Lyra mostrò i denti. «Che spaccone».

Maggie e Aura risero.

«Così… Ero tutta scombussolata per via dei dolci e del sangue di Drago, sapete» ripeté, cercando di sembrare disinvolta, «e allora…»

«Non farla tanto lunga» Aura si versò un bicchiere di vino di ortiche da una bottiglia che aveva trafugato nelle dispense. Doveva essere piuttosto forte, perché le sue guance divennero paonazze al primo sorso. «A me pare che tu abbia fatto benissimo, ultimamente è insopportabile».

«Solo ultimamente?»

Aura storse la bocca e sbuffò. «La ragazza con cui l’hai visto era una bionda con le gambe lunghe due metri e la divisa di Durmstrang?»

Fu Lyra ad annuire per lei. Sembrava trovare la cosa molto divertente, forse perché la valchiria che Al stava assiduamente corteggiando era un bel po’ più alta di lui, che pure aveva preso la statura del padre.

«Il Caposcuola Potter si è montato la testa: ha scaricato Tessa Harrington del settimo per mettersi a correre dietro alla Bionda della Steppa e metà del dormitorio femminile di Slytherin gli ha dichiarato guerra per solidarietà. Non che Tessa incontri le simpatie di tutte» disse Aura, prendendo un altro goccetto, «ma mollarla in quel modo è stato assolutamente da villani. E poi quando qualcuno glielo ha fatto notare, ha cominciato a dare punizioni alle ragazze, senza togliere punti ma comportandosi come un autentico idiota».

Lily alzò gli occhi verso il soffitto. «Che novità. È per questo che non fanno più il tifo per lui?»

«Esatto. E dire che avere un Campione di Slytherin sarebbe piaciuto a tutti, abbiamo tanto sperato che decidessero di riprendere l’idea del Torneo quando c’era Malfoy» spiegò, guardando Lyra che esibiva un sorriso compiaciuto, «avrebbe avuto parecchi oppositori, ma l’unico a poterlo scalzare dal ruolo, se avesse deciso di candidarsi, sarebbe stato tuo cugino Louis».

«Mi ricordo» annuì Lily, pensando a quanto fosse scontato. A opporsi a Slytherin era sempre e solo Gryffindor, come se non si potesse sfuggire a quella legge non scritta che affondava le sue radici ai tempi della Fondazione.

Maggie le aveva poggiato la testa sul braccio e ascoltava rapita.

«Così quando abbiamo saputo che voleva candidarsi una ragazza, c’è stata molta eccitazione» riprese Aura, «a noi non importa molto di che Casa sia il Campione, ma sarebbe davvero bello se fossi tu. Riusciresti a raccogliere il sostegno da tutti i dormitori, almeno quello delle donne, a partire dalle ex fidanzate di quel deficiente di Rowland».

«Tutte quelle povere anime illuse di aver trovato un grande… cervello» ridacchiò Lyra, sollevando indice e pollice come se stesse reggendo qualcosa di molto piccolo, «quando invece… Che delusione».

Aura strabuzzò gli occhi. «Non ci credo!»

Maggie sbadigliò. «Di che parlate?»

«Discorsi sciocchi» Lily le rimproverò con un’occhiataccia. «Su persone sciocche con teste minuscole».

«Oh, ok» Maggie annuì, mentre le altre due sghignazzavano. Si tirò su e riprese il suo muffin, leccandosi le dita impiastricciate di verde menta.

«Lasciamo stare gli attributi intellettuali del Capitano di Ravenclaw» cantilenò Lyra, affondando il naso nel suo fiore di zucchero. «Vi dispiace? Ogni volta che penso a lui sento puzza di letame».

«Figurati». Aura liquidò il discorso con un’alzata di spalle. «Sono molto più interessata a sapere del lasciapassare misterioso».

Lily sospirò. «Al stava facendo il gradasso e io volevo dargli una lezione, così… L’ho provocato un pochino».

Il lampo di sorpresa che aveva illuminato i suoi occhi verdi dietro le lenti quadrate le aveva fatto intendere che non se l’aspettava, ma Lily sapeva che la vera fortuna era stata trovarlo in compagnia di una ragazza. Quello gli aveva impedito di tirarsi indietro e lo aveva costretto allo scontro diretto. Non si era neppure accorto che la piccola pietra bianca con cui giocherellava prima che Lyra e lei arrivassero non era più nella sua tasca. Del resto, ci era tornata appena prima di cena - solo che non era la stessa.

«Lyra ha duplicato il lasciapassare e gli ha restituito la copia senza che se ne accorgesse» spiegò.

Quella chinò il capo, sospirando. «È stato un giochetto da ragazzi. Il vecchio trucco della spallata con gomitata finale. Quell’inutile sassolino senza alcun potere gli è scivolato nel mantello senza che lui battesse ciglio» disse, sfoderando un sorriso senza ombra di empatia.

«A volte tu mi fai paura» Aura prese dal piattino dei dessert un cioccolatino bianco a forma di fantasma. «A parte la tua tendenza a lanciare maledizioni a destra e a manca, adesso salta fuori che conosci le mosse dei tagliaborse di Nocturne Alley».

«Far scivolare cose nelle tasche altrui passando inosservati è una virtù di famiglia» ribatté Lyra, indifferente.


***



Maggie dormiva beata sulla sua spalla da quaranta minuti e Aura era tornata al suo dormitorio quando Lily si ricordò della lettera di Lucas. Spostò delicatamente la testa della cugina, cercando di non svegliarla, e allungò il braccio verso il cassetto del comodino, dove aveva riposto la missiva.

«Tieni».

La busta di pergamena spessa e pesante crepitò passando fra le loro mani. Lyra fece un sorriso distratto e la voltò per rompere il sigillo.

«Te l’avrei data prima ma tuo fratello mi ha detto di non farla vedere a nessuno».

«Hai fatto bene» fu la risposta, anch’essa distratta. «Mi fido di Aura, ma non si sa mai». Indicò Maggie con un cenno della mano. «Dorme?»

Lily rimase in ascolto: il respiro di Meg era dolce e profondo come una notte di primavera, la quiete che una ragazzina di quell’età avrebbe presto imparato a rimpiangere. Le passò una mano fra i capelli intrecciati e la vide sorridere per un istante.

«Sì. Che succede?» Rimase in attesa, osservandola: Lyra aveva estratto il foglio dalla busta e stava leggendo velocemente. I suoi occhi scuri guizzavano da una parola all’altra e sembravano non conoscere requie.

«Chiappe di Troll, non è possibile!» sibilò, ripiegando nervosamente la lettera in quattro.

Lily represse una risatina. «Il tuo vocabolario delle imprecazioni è meraviglioso, dovrebbero stamparlo».

«Winifred Viviane Curran, detta Wendy. Padre sconosciuto, madre sconosciuta, probabilmente Babbana. Il Ministero della Magia e i suoi controlli non riescono a dare una risposta a una domanda semplicissima come chi diavolo è quella?»

Il sorriso di Lily si spense. «Stai indagando su di lei?» bisbigliò. «È una ragazzina, Bun!»

Lyra esibì una smorfia di fastidio. «Non sto mica cercando di sterminare la sua famiglia» obiettò, scuotendo la testa. «Voglio solo sapere chi le ha detto certe cose. Se è orfana dovrebbe essere cresciuta in un orfanotrofio Babbano, no?»

Lily annuì, di malavoglia. «Ma potrebbe aver sentito qualche studente più grande» soggiunse, stringendo il lenzuolo fra le dita.

«Lils, certe volte sei un po’ troppo naïf. Hai guardato bene la sua faccia? Non stava solo ripetendo dei discorsi sentiti un paio di volte, quello era… Sembra quasi che le abbiano fatto il lavaggio del cervello!»

«Fammi leggere». Lily tese la mano cautamente, attenta a non svegliare Maggie, e afferrò il foglio. Qualcosa in quella fredda relazione fatta di dati anagrafici e resoconti minuziosi le faceva storcere il naso. Arrivò fino in fondo, prima di rendersi conto di cosa c’era che non andava. «No» disse, illuminandosi, «è un errore. Qui dice nessun parente noto, ma non è vero. Quando l’ho incontrata al Binario Nove e Tre Quarti era insieme a sua zia».

Lyra corrugò la fronte. «Sei sicura?» chiese, alzandosi dalla poltroncina per raggiungere la finestra.

«Assolutamente. Ha detto di chiamarsi Roberta, è un’ammiratrice di papà» raccontò Lily, stiracchiandosi nonostante il dolore sul lato sinistro del torace.

«Che altro ha detto?»

«Che Wendy era la figlia di suo fratello. Non credo sia sposata» rifletté, osservando sopra la sua testa la costellazione del Falco che sembrava planare quieta lungo il drappo della tenda. «Niente anelli al dito, e si è presentata con lo stesso cognome della nipote».

Lyra non rispose; sembrava intenta a contemplare l’oscurità tracciando disegni casuali sul vetro appannato. Lily sbadigliò e sprofondò nel cuscino.

«Ti ho tenuta sveglia troppo a lungo, vero?»

«Non fa niente. È stato carino avervi qui, senza di voi sarebbe stato l’Halloween peggiore di sempre».

Lyra le passò una mano sulla fronte. «Hai gli occhi pesti, Pottergirl. È meglio se provi a dormire».

Maggie si mosse nel sonno. «E di lei che ne facciamo?» chiese Lily, poggiandola delicatamente al cuscino. «Potrebbe dormire qui. Se la sveglio in tempo domattina Madama Chips non la troverà».

«Non ti da fastidio? Posso portarla io fino al suo dormitorio e sperare di ricordarmi la sequenza dei barili» propose Lyra. «L’anno scorso ho dovuto aiutare Sheila Warren quando si sono rotti e nessuno riusciva a trovare il Professor Faulks. Credo che riuscirei a entrare senza problemi».

Lily scosse la testa. Maggie dormiva così profondamente che svegliarla le pareva un delitto; le posò un bacio sulla fronte, affettuosa, accorgendosi che l’affetto che provava per quella ragazzina goffa e ingenua stava cominciando ad assomigliare a quello che si concede a una sorella più piccola. «Lasciala qui. Riuscirò a inventarmi una scusa valida».

«Tipico. Hai il burro al posto del cuore». Un sorriso affiorò sul volto di Lyra. «Vi caccerete nei guai, ma d’altra parte…» Smise di sorridere e si bloccò, guardinga, a testa bassa; Lily fece per dire qualcosa, ma lei sollevò due dita davanti alle labbra. «Arriva qualcuno» mimò, senza quasi emettere suono. Estrasse la bacchetta e la puntò contro i resti del loro festino, che svanirono in pochi secondi.

Lily tese le orecchie: udì un rumore di passi decisi, tacchi duri e sagomati di anfibi militari, scarpe morbide di pelle di camoscio e piedi piccoli, fasciati in babbucce di stoffa. Contò rapidamente e poi alzò una mano aperta - cinque. Suo padre le aveva insegnato a distinguere le persone ascoltando il rumore dell’andatura; sorrise al ricordo e si strinse Maggie al petto, prevedendo guai.

Il primo a entrare fu il Professor Vitious.

Lyra si morse la nocca dell’indice. «Buonasera, Professore».

«Oh, signorina Malfoy». Vitious sembrava più nervoso del solito e i suoi capelli bianchi si ergevano dritti sulla sua testa. Era vestito di tutto punto, segno che non si era neppure ritirato nelle sue stanze.

«So che è molto tardi» improvvisò Lyra, lanciando un’occhiata all’orologio che segnava le undici e un quarto. «Mi dispiace, stavamo…»

Vitious agitò una mano come per metterla a tacere. «Non siamo qui per questo, signorina Malfoy, signorina Potter» disse, avanzando verso il letto. Lily si tirò il lenzuolo sulle gambe e cercò di sorridere.

La sagoma minuta di Vitious fu affiancata in pochi istanti da quella alta e massiccia del Capitano Lance. Il suo sguardo inquieto e plumbeo vagò per tutta l’infermeria, le dita strette attorno al bastone erano livide e il suo mento irto di barba non rasata. «Avanti». Fece strada scostandosi di lato, lasciando entrare Cassandra, che le salutò con un sorriso gioioso, e il segretario Fauchelafleur. Lucas, che era l’ultimo della fila, si fermò di fianco alla porta, rigido e composto, una mano dentro la giubba della divisa.

«Ci dispiace irrompere qui in questo modo» disse Fauchelafleur, i cui occhi acquosi perlustravano distratti la tenda stellata, «ma la situazione è oltremodo urgente. Signorina, vorrebbe cortesemente illustrare le circostanze che ci hanno condotti in infermeria a quest'orario increscioso?»

Cassandra fece un passo in avanti. «Lily Luna Potter…» cominciò, ma prima che potesse proseguire Lyra era già scattata in piedi.

«Era necessario venire armati?»

«Sono nei guai?» chiese Lily nello stesso momento.

Vitious si permise una risatina educata. «Oh, beh» borbottò, «in un certo senso sì».

«In circostanze normali, signorina Potter, a nessuno sarebbe venuto in mente di venire qui con la scorta» intervenne il Capitano Lance, «ma è d’obbligo specificare, visto che nessuno pare rendersene conto, che queste non sono circostanze normali».

«Ah, no?». Lyra lo fissava, polemica.

«No, signorina. E oso suggerire che un pochino di rigore militare conferisce disciplina anche alla lingua più biforcuta». Agitò il bastone in direzione di una delle sedie, che si spostò obbediente fino a permettergli di sedersi. «Con tuo fratello, almeno, ha funzionato» commentò, osservando Lucas, immobile sulla soglia.

Lyra si accomodò sul letto e a Lily parve che stesse cercando di soffocare una risposta impertinente. Vitious invece sembrava abbastanza soddisfatto: fra le tante voci di corridoio, a Ravenclaw tutti avevano sentito parlare della sua contrarietà in merito alla presenza della W.A.T.S. che si intrometteva nella sicurezza di Hogwarts e faceva il giro delle aule al seguito della delegazione ministeriale. «Non riuscivamo a trovarti, signorina Potter» disse, avvicinandosi, «e poi Madama Chips mi ha ricordato del tuo piccolo incidente con l’Albero. Davvero una storia appassionante: ne ho visto uno completamente formato più di vent’anni fa, ma non ho mai avuto a che fare con un esemplare all’inizio della fioritura. Che tipo di forma ha assunto?»

«Una poco affabile» Lily fece una smorfia. «Sembrava un grosso serpente ma molto grezzo».

«Affascinante!» Le piccole mani di Vitious si unirono in un gesto di esaltazione. «E dimmi, signorina Potter, dov’è il tuo fiore? Vorrei proprio esaminarne uno».

Lily si strinse nelle spalle, cercando di confezionare una risposta adeguata, ma Vitious stava guardando un punto alle sue spalle. «E quella?» chiese, indicando Maggie che dormiva.

«Mia cugina Margaret, di Hufflepuff. Era venuta a vedere come stavo, ma si è addormentata. Stavamo appunto decidendo che fare quando siete arrivati voi».

Il Capitano Lance batté un colpo di tosse. «Il Sergente qui può sicuramente chiamare il Capo della sua Casa perché le apra la porta e riaccompagnarla nelle sue stanze». Fece un cenno a Lucas, che lasciò la sua postazione. «E lasciarci a discutere del motivo della nostra visita».

Vitious scosse la testa. «Ah, no. Ci mancano solo i soldatini in giro per la Scuola di notte. Nei dormitori femminili! Non se ne parla» inveì, agitando il pugno sotto il naso di Lucas. «La signorina Malfoy è un Prefetto, può occuparsene lei».

Lucas guardò sua sorella che prendeva Maggie in braccio e sorrise, la posa marziale appena allentata in un accenno di tenerezza fraterna. La piccola fiamma appesa sopra le loro teste danzava nei suoi occhi tingendoli di blu, come il centro di una fossa oceanica, un bacino d’acqua profonda pronta a inghiottire i nuotatori meno esperti.

Lyra si fece passare le mani di Maggie attorno al collo. «Su, andiamo» sospirò. Maggie si lamentò nel sonno. «Un pochino di pazienza, Zucchetta. Professore, Capitano, Segretario, io mi ritiro». Li salutò piegandosi leggermente sulle ginocchia. «Buonanotte, Luke» aggiunse, passando una mano sulla spalla sulla spalla di suo fratello.

Cassandra le aprì la porta con un sorriso e allungò un’occhiata a Meg che dormiva.

«Signorina Potter, quello che è successo stasera è molto grave». Il Capitano Lance la guardò severamente e Lily afferrò il fiore di zucchero che Lyra aveva abbandonato fra le coperte.

Augustus Fauchelafleur si fece avanti e afferrò la sbarra ai piedi del letto. «Quando è stato indetto il Torneo, il primo dopo quella scandalosa faccenda della Coppa tramutata in Passaporta, sapevamo che esisteva questo rischio. Eravamo convinti che sarebbe stato tuo fratello, però, a mettere il suo nome nel Calice di Fuoco. Tra i due sembrava il più… probabile». Si schiarì la voce e spinse all’infuori il labbro inferiore, sollevando entrambe le sopracciglia.

Vitious prese posto di fianco a lei, nella poltroncina che Aura aveva occupato per metà della serata. «Segretario, la signorina Potter aveva diritto di tentare esattamente quanto gli altri».

«Tuttavia, viste le circostanze, sarebbe stato bene prevedere anche questo». Lance scoccò a Fauchelafleur un’occhiata torva. «Il momento è estremamente delicato. Nessun calcolo avrebbe dovuto essere ignorato, neppure il più remoto».

Lily avvampò e strinse lo stelo della margherita, sentendolo cedere sotto la pressione della sua mano. Cercò il sostegno di Vitious, che però guardava quasi incantato la tenda sopra di loro. «Sentite, mi dispiace molto. So che Al sarebbe diventato un Campione e avrebbe salvato la partita, mentre io… Sono davvero desolata» mormorò.

«Lilou». La voce di Lucas, bassa e setosa, la indusse a rialzare la testa, strappandola alle recriminazioni. Sorrideva e a un cenno del Capitano Lance venne verso di lei, inginocchiandosi di fianco al letto. «Va tutto bene».

Lance si riempì i polmoni di un respiro profondo e sdegnato. «No, niente affatto. Ma ormai è successo ed è assolutamente necessario che ci accertiamo che le cose vadano nel modo migliore possibile. Tuo padre, signorina Potter, mi ucciderebbe se accadesse il contrario».

«Che vuol dire?» chiese Lily. Il suo stomaco sembrava essere pieno d’aria ghiacciata, una massa quasi solida d’ansia ed eccitazione. Fra le sue dita i petali di zucchero cominciarono a staccarsi dal centro del fiore, uno per ogni domanda.

Fauchelafleur lasciò andare la sbarra di ferro e si voltò verso Cassandra perché lei lo raggiungesse. Cass, che camminava sui suoi tacchi rossi come se stesse indossando delle sneakers, le rivolse un sorriso diplomatico che la fece somigliare a un manichino di Madama McClan. «Il fatto è che non pensavamo volessi candidarti. Non sei neppure maggiorenne e comunque tuo fratello Albus aveva più speranze di te di procurarsi un permesso, anche se non gli sarebbe servito a molto».

«Beh, non credo che lo abbia ottenuto in maniera esattamente regolare» obiettò lei, mordendosi la lingua un attimo dopo.

Cass e il Segretario si scambiarono uno sguardo. «Quindi è vero che ha tentato di partecipare» commentò Fauchelafleur grattandosi il mento.

«Sì, ma il suo lasciapassare l’ho preso io. Così il Calice ha accettato il mio nome, invece di spedirmi via a calci». A quel punto, tanto valeva dire la verità, pensò Lily incontrando lo sguardo divertito di Lucas ai piedi del suo letto. Uno spasmo le attraversò la mano e un altro petalo della margherita si staccò, mentre lei cercava di non tremare in modo vistoso.

Il Capitano Lance si drizzò sulla sedia. «Immagino che tu ti senta molto fiera della tua bravata» sentenziò, stringendosi al petto il braccio destro che appariva come totalmente inerte.

«Non credevo che fosse così importante» obiettò, gettandosi all’indietro sul cuscino. «Se avessi saputo che Al doveva diventare Campione mi sarei fatta da parte!»

Vitious si schiarì la voce. «A dire il vero, signorina Potter, Lily Luna… »

«Non credo che tu abbia capito, ragazzina». Il Capitano batté la punta del bastone sul pavimento. «Vedi, nonostante lo sfuggente Preside di questa Scuola e la sua maledetta distrazione, il Ministero cerca di tenervi al sicuro dall’inizio di questa assurdità del Torneo, che francamente non capisco perché riscuota così tanto successo, vista la percentuale di vittime che miete ogni volta che qualcuno si mette in testa di organizzarlo». Si aiutò per alzarsi puntellando la lunga asta per terra, e gliela puntò contro dalla parte della bacchetta. «Nessuno di voi ragazzi Potter avrebbe dovuto partecipare al Torneo. Queste erano le istruzioni di Kingsley Shacklebolt in persona».

Lily sgranò gli occhi, sentendosi improvvisamente incapace di parlare. Si portò le mani fra i capelli, distogliendo lo sguardo da quello severo del Capitano, e si distese all’indietro un’altra volta, cercando conforto nel blu del drappo di seta ancora disteso sopra il suo letto, una distesa lucidissima cosparsa di punti luminosi. «Non è vero» disse, quando riuscì a parlare. «Mio padre ha cercato di truccare il sorteggio?»

Fauchelafleur si piegò leggermente in avanti. «Non tuo padre, signorina Potter. La decisione è stata unanime e una squadra di incantatori è stata messa al lavoro per far sì che non si presentasse nessun incidente».

«Oh mio Dio!» esclamò Lily tirandosi su di scatto. «E come? Tanto valeva scrivere il nostro nome nella lista dei proscritti, Segretario, se non ci volevate fra i piedi» continuò, premendosi le dita sulla fronte.

Lance si protese verso di lei. «Esistono modi più efficaci e discreti, signorina Potter».

«Che…» Lily si sentiva soffocare. Si portò il pugno chiuso sul petto e inalò profondamente, gonfiando il petto di un respiro che la scosse da capo a piedi, e serrò gli occhi, piegandosi su se stessa. Nel buio delle palpebre chiuse si agitavano mille stelle.

Il tocco gentile di una mano grande le sfiorò la schiena e le raggiunse le spalle, insinuandosi fra il collo e la guancia; dita lunghe e leggere come fiocchi di cotone che le scostavano i capelli dalla fronte e si spostavano sulla sua nuca, costringendola ad alzare la testa.

«Lilou». Lucas si piegò a sentirle la fronte. «Ti senti bene?»

«No». Lily si divincolò, ignorando il brivido che le correva lungo la schiena. «No, non credo. E comunque, perché siete qui?» chiese, strofinandosi le guance bollenti. «Voglio dire, è tutto a posto, Al è salvo, no? Non parteciperà al Torneo per merito mio. È tutto a posto» mormorò con la voce che si affievoliva, nel notare gli sguardi allibiti che la circondavano, «vero?»

Il Capitano Lance afferrò il suo mantello sulla sedia e glielo porse. «Forse dovresti venire con noi, signorina Potter. Nello Studio del Preside».



Una parola sola: MESTOLO.
(No, davvero, la parola era GRAZIE)

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Capitolo 8
*** VIII - Maelstrom ***


VIII


Maelstrom


“Bite your tongue, swear to keep

Keep your mouth shut

Make up something

Make up something good. Holding hands

Skipping like a stone, burn the witch

Burn to ash & bone”


- Queens of the Stone Age, Burn the Witch -



Nello studio di Renwick Faulks c’era odore di legno, muschio e cera di candele; a lato dell’ingombrante scrivania ricoperta di pergamene un busto da sarto con indosso un abito di seta lucida troneggiava dinnanzi alla libreria stipata di volumi. Altri vestiti, alcuni addirittura femminili, le parve di capire dal taglio, erano ammassati sopra un grosso baule dall’aria antichissima, chiuso con un grosso lucchetto seminascosto dalle pieghe di un mantello di velluto verde che spuntava da sotto la tesa di un cappello a punta.

La porta si aprì e Lily si agitò sulla sedia e accavallò le gambe cercando di darsi un tono.

«Signorina Potter».

La voce seria e profonda era quella del Professor Dalamar; Lily si voltò e ne incontrò lo sguardo fosco, accorgendosi che la sua aria composta e impassibile era stata sostituita da un’espressione furiosa.

«Professore…»

Quello alzò una mano per zittirla. «Per favore. È molto tardi, lasciami parlare».

«Mi scusi». Lily tornò a fissare il cumulo di indumenti sopra il baule.

«Di norma, questo è un incarico che spetterebbe al Preside, ma la nostra infestazione di piante acquatiche ha scelto il momento sbagliato per rifarsi viva». Dalamar indicò la finestra che dava sul versante del Lago con un gesto stizzito. «Il Professor Faulks e il Professor Paciock sono sul posto per cercare di contenerla. Così, immagino che tocchi a me dirti che succede» concluse, gelido.

«Sono in punizione, non è vero?»

Dalamar sollevò entrambe le sopracciglia e la guardò con sussiego. «Forse lo preferiresti, signorina Potter. Ti sei domandata perché la delegazione del Ministero è qui con la scorta? Perché ci sono addirittura i militari a sorvegliare la situazione?»

Lily si passò la mano fra i capelli, alzando gli occhi al soffitto. Sugli scaffali più alti della libreria c’erano vasi di ogni foggia e provenienza, compreso un canopo egizio con la testa di un faraone un barattolo di terracotta turato con il sughero. Cercò di leggere l’etichetta senza successo, prima che Dalamar richiamasse la sua attenzione battendo le nocche sulla scrivania.

«Avevo avvisato i Maghi che si sono occupati di filtrare il nome di tuo fratello che sarebbe stato bene prevedere anche il tuo» disse, con un’occhiata penetrante. «Quell’aura da studentessa modello che ti trascini dietro da sei anni non mi ha mai convinto del tutto».

«Ho già detto che mi dispiace» mormorò Lily. «Non pensavo che avrebbe causato tutto questo scompiglio».

Dalamar sospirò. «Signorina Potter, il peso del cognome che porti grava sulle spalle di tutto il Mondo Magico, che ti piaccia o meno. Che cosa accadrebbe se ti ferissi gravemente? O peggio, se morissi? Il Ministero della Magia che non sa proteggere i figli di una delle sue famiglie più illustri. Sarebbe uno scandalo». Il Professore si sfilò i guanti che portava sempre e li infilò in tasca. Il lampo che scaturì dalla punta della sua bacchetta illuminò per un istante i suoi occhi nerissimi e sul tavolo apparve una teiera ricolma affiancata da due tazze e una zuccheriera.

«Tè alla cannella». Dalamar spinse una delle tazze già riempite di fronte a Lily. «Bevi».

«Grazie» ribatté lei, educata. «Professore, vorrei che mi dicesse perché sono qui. Da quel che ho capito, il nome di Al non avrebbe comunque potuto essere estratto. È giusto?»

Dalamar annuì gravemente, afferrando il suo tè. «È così».

«So che rubargli il lasciapassare è stato un gesto molto infantile. Accetterò qualsiasi punizione, però… » Lily si interruppe per sorseggiare dalla tazza. Il costato le faceva male e inspirare le causava una fitta all’altezza del seno. «Sono… un po’ ammaccata. Mi sono fatta male a Erbologia».

«Sì, lo so. Tutti sono a conoscenza del tuo incontro ravvicinato con l’Albero dai Frutti d’Oro. Ma a giudicare dalla studentessa del primo anno che mi hai rimandato al dormitorio alle undici passate, direi che dovresti avere sufficienti energie per ascoltare ancora una cosa».

Lily arrossì: aveva dimenticato che Dalamar era il Capo di Hufflepuff e che doveva essere al corrente dei loro bagordi notturni per via di Maggie. Si sfregò le mani stringendosi dentro il mantello e annuì, mentre la tazza si riempiva di nuovo di tè.

«Aspetta qui, signorina Potter». Dalamar raggiunse la porta e si sporse all’esterno, facendo cenno di avvicinarsi a qualcuno che Lily non riusciva a vedere. Lo svolazzo di un drappo scuro oltre la soglia le suggeriva la presenza di uno dei cadetti, ma a farsi strada nella stanza fu un giovanotto che indossava la divisa blu chiaro di Beauxbatons. La guardò per qualche secondo e poi sorrise, accennando a un inchino: i suoi occhi, di un nocciola chiaro che sfumava quasi nel giallo, la esaminarono rapidamente mentre si passava una mano fra i corti capelli castani e Lily lo riconobbe come il ragazzo incontrato nel corridoio.

«Bonsoir, mademoiselle».

Lily tossì, strozzandosi col tè, e sollevò una mano incerta, ricordandosi di essere in pigiama. Quello le rivolse un sorriso distratto, mentre lei si copriva ancora di più, avvolgendosi del tutto nell’unico indumento che aveva avuto il tempo di prendere.

Altri passi le annunciarono la presenza di un secondo studente. Il francese intanto aveva preso una sedia e sembrava molto interessato al busto da sarto vestito di seta. Lo studiava con così tanta attenzione che Lily cominciò a sentirsi a disagio e la tazzina che aveva in mano quasi le cadde, facendo tintinnare il cucchiaino contro le pareti di porcellana.

«Mi chiamo Lily Luna Potter».

Il ragazzo - Lily era abbastanza sicura che avrebbe dovuto sapere il suo nome - annuì e le tese la mano. «Sì, so chi sei. Io mi chiamo Armand De Rais» replicò. Parlava con la dolce cantilena del sud e una voce morbida come un frusciare di raso, ma il muscolo che guizzava sulla mandibola squadrata sembrava alludere a una certa durezza.

Lily si sforzò di sorridere. «Come mai sei qui?»

«Oh, beh, suppongo per lo stesso motivo per cui ci sei tu. Ti hanno cercata tutta la sera» rispose, passandosi le dita sul mento.

Si accorsero nello stesso momento di non essere soli. L’altro li aveva raggiunti mentre parlavano: Lily lo osservò attentamente: la divisa scura di Durmstrang e l’espressione contrariata che aveva in volto lo incupivano, distorcendo i lineamenti quasi eterei. Un ciuffo di capelli sfuggito alla coda gli sfiorava lo zigomo all’altezza degli occhi obliqui.

«Vasily Petrov» si presentò. «Tu sei… l’amica di Lyra» azzardò, fissandola.

«Sì. Mi chiamo…»

«Lily Luna Potter. Lo so» ribatté lui distendendosi. «Mia sorella Katia ha conosciuto tuo fratello. Avete gli stessi occhi».

«Gli occhi di nostro padre. Già» convenne Lily, annuendo.

«Petrov, siediti» intervenne il Professor Dalamar richiamando una sedia dalla parte buia dello studio. «Signorina Potter, spero che tu capisca che sei qui solo grazie a una serie di sfortunate coincidenze ed errori grossolani. Tuttavia, ormai ci sei. Immagino che tu sia al corrente delle regole inalienabili cui sei sottoposta».

«Quali regole?»

Di fianco a lei, Vasily Petrov storse la bocca. «Non hai letto le regole?» chiese. Le sue lunghe dita giocherellavano con uno degli alamari di legno che chiudevano il bavero della sua uniforme. «Credevo che gli inglesi fosse precisi».

Dalamar lo squadrò. «Potter, nessuno ti ha avvisata? Il tuo nome è uscito dal Calice. Loro sono i campioni di Beauxbatons e Durmstrang e tu…»

Lily balzò in piedi. «Il mio? Sono la campionessa di Hogwarts?»

Armand De Rais si alzò educatamente. «Speravo proprio che fosse una donna. Cominciavo a pensare che avrei dovuto dividere la tenda con un branco di bifolchi». Le prese la mano e Lily la ritrasse di scatto, avvampando.

«Non pensare di avere un trattamento di favore» Petrov la guardò sdegnato, comodamente seduto sulla poltroncina come un principe sul trono. «Non presentarti al sorteggio è stato davvero inqualificabile».

«Ero in infermeria» ribatté Lily. «Non mi state prendendo in giro, vero?» Si voltò verso Dalamar che la fissava, truce, e sembrava non condividere affatto il suo entusiasmo. Il Professore afferrò la sua tazza di tè e scosse la testa.

«No, signorina Potter. E ci tengo ad aggiungere che, essendo tu minorenne, la scuola è responsabile di tutto quello che ti succede. Poiché è assolutamente superfluo chiederti di ritirarti…»

«Ritirarmi? Oh, ma… io non voglio ritirarmi!» Il mantello le scivolò dalle spalle e Lily lo riacchiappò, coprendo alla bell’e meglio il pigiama blu che indossava. «E credo non sia possibile. Mi ricordo di aver letto che il Torneo Tremaghi non può essere disdetto, rimandato o in alcun modo adulterato. Storia della Magia, volume quinto. Competizioni fra Maghi, Tornei e Olimpiadi di Stregoneria» recitò, sperando di ricordare bene le parole di Lyra.

«Infatti, no». Il Professor Dalamar fece un cenno di assenso, il volto segnato dalla stanchezza atteggiato a profonda preoccupazione. «Dovremo presentarvi al pubblico come i tre campioni, il che vuol dire convocare la stampa. Non è necessario ricordarvi che qualunque dichiarazione incauta può portare conseguenze incalcolabili».

«La stampa?»

Dalamar congiunse le mani e sollevò il mento. «Sì, signorina Potter. Lei conosce una certa Rita Skeeter?»


***


I gufi entrarono dalle finestre planando dolcemente con la posta del mattino. Molti occhi seguirono il volo di Pumpkin che si adagiava sulla spalla della sua proprietaria. L’assiolo, in tutta risposta, emise un verso infastidito e sbatté le ali, facendo volare via la posta di Devonne Pierce, che lo guardò scandalizzata.

«Terresti quel coso lontano da me?» chiese, recuperando le lettere che erano finite nel piatto della Appleseed.

Lily non rispose e continuò a sfogliare le sue buste, allungando a Pumpkin un biscottino per gufi. «Curioso» commentò, mentre Lyra richiudeva accuratamente le sue pergamene. «Sai, pensavo che avrei ricevuto una strillettera. Insomma, pensi che i miei non siano stati avvisati?»

«Non ne ho idea». Lyra arruffò le piume sotto il becco della sua civetta che emise un verso basso e compiaciuto. «So che sei molto stanca, Flutter, ma devo chiederti di consegnare queste».

«Non mi stai neanche ascoltando» sbuffò Lily. «Guarda» disse, sollevando la lettera che aveva ricevuto da casa, «l’unica cosa che mi dicono è che per Natale non saranno a casa. Jamie ha ricevuto una convocazione per la Nazionale di Quidditch, giocherà la Coppa d’Inverno. In Australia. Dove è estate».

Flutter spiccò il volo e Lyra si appoggiò una mano sulla fronte. «Quindi che fate voi?» chiese, indicando brevemente il tavolo di Slytherin, dove Al non aveva neppure toccato cibo. Lily lo guardò: anche lui aveva una lettera e la stava leggendo con aria irritata. Si accorse che lo stavano fissando e mimò con le labbra una serie di irripetibili volgarità.

«Non lo so. Immagino che dovrò stare coi nonni».

«Un magnifico Natale a casa Weasley!»

L’esclamazione fu così forzatamente allegra che Lily batté i denti, a disagio.

«Scusa, Lils. Non lo faccio apposta. I tuoi cugini sono… fantastici».

«È inutile che cerchi di essere diplomatica. E comunque non mi importa. Per una volta sono d’accordo con te: passare le feste in mezzo a un clan di Weasley che scommette sulla mia imminente dipartita non è una prospettiva esaltante». Si alzò e afferrò la sua borsa, lasciando che Pumpkin riposasse sulla sua spalla. Tutti quanti al suo tavolo si voltarono a guardarla; Michael lasciò cadere i libri della sua fidanzata, che protestò.

«Oh, aspetta, ti aiuto io» disse, accorrendo a spostarle la sedia.

«Ora cominceranno a ronzarti intorno come doxy in una casa abbandonata. Sciò» Lyra la raggiunse, allontanando Rowland con la mano. «L’alto costo della popolarità. Ho sentito dalle ragazze di Slytherin che stanno preparando gli striscioni col tuo nome».

«Io non sono popolare» protestò a voce appena più alta del normale. Dal tavolo di Hufflepuff si levarono un paio di occhiate ammirate. Due ragazzi del terzo anno la stavano fissando con interesse, scambiandosi delle gomitate. Lily sorrise a sua cugina Maggie, che la stava salutando con la mano. Wendy, da sola in un angolo, le rivolse uno sguardo quasi implorante. «Quella è una ragazzina davvero strana» disse, distogliendo gli occhi da lei.

«Sì, lo è. Sorridi e cammina» Lyra la afferrò per il braccio. «Sai, se non ti va di andare alla Tana potresti venire da me. A Natale, intendo» spiegò, conducendola lungo il corridoio fra i tavoli in direzione della Biblioteca. Vasily Petrov, seduto comodamente al tavolo di Gryffindor a chiacchierare con il Capitano della squadra di Quidditch, sollevò un braccio e le salutò con un sorriso beffardo.

«Il tuo russo mi ha definita inqualificabile, sai?»

Lyra fece una smorfia eloquente. «Non è il mio russo. È un tuo avversario».

Le teste voltate verso di lei raddoppiarono. «Sai, sto cominciando a sentirmi strana».

Cercò una via di fuga in fondo alla sala dove i cadetti eseguivano il cambio della guardia: una processione di mantelli scuri che volteggiavano, aprendo la strada a due uniformi grigie. Il picchetto d’onore si arrestò ponendosi sull’attenti e salutò il Capitano Lance, stretto nel suo cappotto rosso scuro. Quando ebbe dato loro le spalle, il più alto dei due sottufficiali sciolse la formazione e si voltò, sfilandosi i guanti in pelle di drago. I loro occhi si incrociarono e il cuore di Lily accelerò, un tamburo nelle sue orecchie che soffocava il brusio concitato dei suoi compagni di scuola e riusciva a dilatare quel momento come se la sabbia della clessidra avesse smesso di cadere.

Limpido e chiarissimo, quello sguardo le scorreva addosso come la rugiada di una mattina d’inverno, riportandole alla mente quanto fosse facile cedere alle dolci lusinghe di un’illusione.

Lucas piegò il capo biondo, riccioli pettinati all’indietro perché non manifestassero la natura ribelle, che lei ricordava morbidi fra le sue dita quand’era una bambina per cui la prima neve poteva separare la felicità dall’assenza di essa.

«Allora, ci vieni da me a Natale? Possiamo bere eggnog e mangiare biscotti».

Il sogno fragile di un bacio sotto il vischio, attimi spesi a pettinarsi le speranze seduta su un tappeto morbido e bianco dentro una stanza che profumava di legna e lucido per manici di scopa.

«Mia madre può dirlo alla tua senza problemi. Magari prima che arrivi la notizia della tua partecipazione al Torneo, potrebbero relegarti in casa anche se non c’è nessuno».

Un picchiettare leggero di gocce di pioggia sulle finestre, repentino e inaspettato, la fece sorridere. Di nuovo si trovò a specchiarsi in un sorriso identico, cullandosi fra le maglie sottili di un ricordo: a Lucas piaceva la pioggia. A lei piaceva perché piaceva a lui.

«Lils?»

«Sarebbe davvero bello passare il Natale con voi. Sei sicura che ai tuoi vada bene?»

Prima che potesse impedirselo si era concessa un desiderio che era sbocciato al centro del suo petto come una crepa, un dolore così dolce da non volerlo sopire.

«Figurati. Prestami Pumpkin. Lo sapranno prima di sera».


***

  

Con la sospensione del Quidditch per via dell’imminente inizio del Torneo Tremaghi, il Capitano Michael Rowland di Ravenclaw stava subendo un brusco calo della popolarità. Questo secondo Lily bastava a spiegare perché le ronzasse intorno da quella mattina all’ora di colazione, questo unito al non poco considerevole impennarsi delle sue quotazioni.

Miss Under Standing era diventata la reginetta del ballo.

In Biblioteca era stata l’oggetto delle attenzioni di mezza scuola. Mandy Montague e le sue Green Girls, tutte con un nastro di seta fra i capelli e un golfino di cachemire grigio perla, erano andate a farle le congratulazioni annunciandole il loro pieno sostegno. Mickey e il suo adorante crocchio di ragazzine non l’avevano digerito affatto bene, quello scambio di convenevoli che aveva tutto l’aspetto di un’alleanza.

Le ragazze di Slytherin si erano allontanate lasciandosi dietro una scia di sguardi infastiditi e in parte invidiosi, che le erano piovuti addosso per quella sorta di gioco che erano i rapporti scolastici: il minuetto complesso dei sorrisi e dei saluti, dita che frullavano a mezz’aria e calderoni opportunamente sorvegliati durante le lezioni della Morgan, nascondeva uno schema così semplice che chiunque lo avesse studiato dall’esterno lo avrebbe trovato quasi sciocco: i nemici dei propri nemici diventavano amici per un giorno, il tempo necessario per stringere l’odiato avversario in una trappola che aveva denti da entrambi i lati.

Quando l’anno prima Mickey aveva vinto la finale del Quidditch deviando un bolide contro la fronte della cacciatrice verde argento Samantha Doyle si era dimenticato di calcolare, tra le forze presenti in quella bizzarra regola che era quasi una legge fisica, l’opposizione del gruppo delle Green Girls, che avevano appena trovato il loro nuovo punto d’appoggio per spodestarlo dal trono della sua effimera gloria.

Troppe attenzioni potevano essere fastidiose.

Whitestone, reduce dalla brutta avventura con i semi di Fiordifiamma, aveva gironzolato attorno al loro tavolo abbastanza a lungo da indurla a chiedersi se non si fosse perso. Il suo sguardo era sfuggente, come se fosse sempre sul punto di scivolare nella tana come un topolino inseguito dagli artigli letali di un gatto.

«Oh, che palle».

Sorpreso nell’atto di osservarla, il ragazzo si era nascosto dietro la schiena della Merryweather, che stava leggendo un manuale per il trattamento degli ippogrifi. Nel vederlo sopraggiungere aveva fatto una smorfia, trincerandosi dietro il suo volume, e Whitestone era sgattaiolato via, verso lo scaffale dedicato alla Trasfigurazione, attirando l’attenzione della Caposcuola Warren, che aveva guardato nella direzione di Lily con un sorrisetto infastidito.

Pioveva ancora fuori dalla finestra: i pochi che si erano avventurati all’esterno erano sagome scure stagliate contro il fondo nebbioso che saliva dai giardini e si faceva più denso col passare dei giorni. Brevi schiamazzi giungevano dal battente socchiuso, voci sottili, impuberi, e lo sciacquio dei piedi nelle pozzanghere che spezzavano il riflesso plumbeo del cielo nell’acqua limacciosa.

«Credo che farò un giro fuori».

Lyra chiuse il suo libro di Difesa contro le Arti Oscure. «Solo tu potresti aver voglia di uscire con questo tempo. Tu e mio fratello». Il suo sguardo severo e posato si ammorbidì. «Sareste davvero una bella coppia».

«Bun!»

«Dico davvero. Mi piacerebbe averti in famiglia».

«Peccato che non accadrà mai». Lily chiuse i suoi libri e li ripose nella bisaccia, assieme alla pergamena col tema di Pozioni e alla boccetta d’inchiostro. La penna con cui scriveva li seguì, schiacciandosi su un lato: era così spiumata sulla cima, visto che lei usava masticarla mentre studiava, che Lily non lo giudicò un gran danno. Lyra, al contrario, scosse la testa cominciò a rovistare nella sua borsa.

«Prendi questa». Le porse la penna blu sfumata di bronzo che Lily aveva visto a Hogsmeade. «Quella comincerà a scrivere storto prima che tu possa dire doxy».

«Bun, questa è tua. È la tua penna portafortuna. Non voglio che me la lasci».

Lyra fece spallucce. «Considerala un prestito di buon augurio».

Tutti erano tornati alle loro normali attività: Dorcas Wallenberg, una dei due Prefetti di Hufflepuff, camminava di fronte al tavolo delle punizioni, dove Maggie e Wendy stavano sedute entrambe, ai capi opposti. Tale era il silenzio che aleggiava sopra di loro da risultare straniante anche per una Biblioteca. Dorcas diede di gomito alla Caposcuola Warren e le bisbigliò qualcosa nell’orecchio: qualsiasi cosa fosse, Sheila doveva essere in disaccordo, perché la spinse via con poca grazia.

Lily si guardò attorno disorientata, cercando di riprendere il contatto con la realtà che era stata fino a quel momento oltre la soglia della sua attenzione. Camminava fra gli sguardi dei suoi compagni di scuola senza potersi ammantare del provvidenziale anonimato che l’aveva protetta per cinque anni, lottando fra l’istinto che le suggeriva la fuga e quello più bizzarro di drizzare la testa e sorridere.

La reginetta del ballo che apriva le danze destreggiandosi fra gli strali ambigui delle cortigiane pronte a volteggiare, occhi ricolmi di ambizione che non desideravano altro che uno sguardo di benevolenza. Lame di coltello fra i denti a guisa di sorrisi reverenti che seguivano il suo incedere, tutto per un nome e un cognome che l’avevano catapultata nell’empireo della fama non appena aveva smesso di nascondersi fra i mortali.

Lily Luna Potter.

Mai si era illusa di poter passare inosservata, consapevole com’era che sarebbe bastato un solo passo falso per cambiare il suo stato, strappare a quei sorrisi dei versi animaleschi di derisione nel vederla passare.

La reginetta del ballo - la strega da bruciare sul rogo.

Il temporale si era richiuso in se stesso, addensandosi entro il cerchio tracciato dalla nebbia. Salendo in alto, forse, avrebbe veduto oltre la cappa il cielo schiarirsi e pallide tracce di sole che illuminavano l’erba che costeggiava la strada verso Hogsmeade. Dalla voliera arrivavano gli stridii dei gufi più pavidi, che non si erano avventurati nella spessa cortina di pioggia.

Lily si appiccicò il mantello addosso.

Un paio di Slytherin le passarono di fianco correndo e strattonandosi, sporcandole le scarpe di fango, troppo occupate a ridere fra loro per accorgersi di lei: erano due studentesse giovani. Si trascinavano l’una con l’altra verso il campo da Quidditch, tutte guance rosse e occhi lucidi, involontario ma efficace tributo all’innocenza dei loro giochi, e quasi senza volerlo Lily si trovò ad andar loro dietro.

Qualcuno dal fondo della strada levò una voce e quelle iniziarono a correre, sollevando schizzi di mota dallo sterrato.

«Impervius».

La pioggia smise di inzupparle i capelli; Lily alzò il colletto del tabarro e rimpianse amaramente di non avere un cappuccio. Gli spalti dello stadio somigliavano a rapide gemelle disposte in cerchio,  al centro, sul terreno dal quale decollavano i giocatori, si era formato un gorgo quasi mostruoso per via delle correnti incrociate. Le tre ragazze che l’avevano preceduta si tenevano le mani davanti alla fronte per pararsi gli occhi e guardavano su, innalzandosi sulle punte come se volessero librarsi in volo pur non avendo le ali.

Lily seguì la direzione dei loro sguardi. Tre sagome incolori sfrecciarono dinnanzi ai suoi occhi intrecciando le traiettorie in modo così naturale ed elegante che le ricordò una figura di un qualche tipo di coreografia. Uno di loro, sulle spalle un mantello foderato di blu, l’unica macchia vivida in tutto quel grigio, si staccò dal gruppo planando in basso ed eseguì una rovesciata sulla scopa, colpendo con forza una Pluffa arancione che sembrava sbucata dal nulla. Era esattamente davanti a lei e Lily lo riconobbe come il cadetto biondo che faceva la guardia al trofeo.

Urla di entusiasmo provennero dalle Slytherin. «Forza, Weyland!»

L’altro cadetto eseguì una virata a una velocità così folle che Lily pensò che sarebbe stato sbalzato via, arrivando a coprire l’area dei tre cerchi della porta per un soffio. La Pluffa fu sbattuta via con un violento schizzo d’acqua e un attimo dopo, dal cielo gonfio di nubi nere come la pece, un quarto giocatore che non aveva visto prima scese in picchiata verticale, avvitandosi su se stesso come se fosse lui stesso parte del mulinello vorticoso che si apriva sotto di lui. Sporse una gamba all’esterno staccandola dalla scopa e assestò un calcio alla Pluffa, spedendola dentro uno degli anelli al lato opposto del campo.

«Questo sì che è Quidditch!» Una delle tre spettatrici poco lontano da lei alzò il braccio in segno di approvazione, mentre le altre due salutavano Weyland che ansimava pesantemente. Non doveva essere facile giocare in quel modo in mezzo alla pioggia, per di più in quattro a coprire l’intera superficie del campo. Il portiere avversario gli fece un cenno, disponendo le mani perpendicolari l’una all’altra come per chiedere un time-out, ma lui scosse la testa e alzò il pollice come per dire che andava tutto bene.

La prima che era arrivata fra le Slytherin si avvicinò a lei. «Potter!» la salutò allegramente, scostandosi i capelli castani e fradici dalla faccia. «Cecile Copperhead, quinto anno. Chiamami Cee. Quello là è Dave, mio cugino» disse, puntando con l’indice il giocatore che era rimasto fermo a guardare e che sembrava armeggiare con qualcosa che nascondeva sotto la casacca. «Davey! Quando liberi il Boccino?» chiese a voce alta, sbracciandosi perché lui la notasse.

Anche lui comunicava a gesti. Sollevò il braccio e mostrò il pugno chiuso. Cee diede segno di aver capito. «La corsa al Boccino in mezzo ai bolidi è la cosa più pazzesca del mondo» le spiegò, tirando fuori la bacchetta dalla manica. «Con la chiusura del Quidditch per via del Torneo Tremaghi questo campo sarebbe rimasto inutilizzato, così i ragazzi della W.A.T.S. hanno chiesto di poterlo usare per allenarsi. Sta’ a guardare» la invitò.

Un bagliore dorato si sprigionò dalla mano di Dave e volteggiò quasi indeciso per qualche secondo prima di schizzare verso l’alto muovendosi a destra e a sinistra. La punta della bacchetta di Cecile si illuminò e lasciò scaturire numerose scintille che piovvero verso il basso confondendosi a tratti con le gocce che cadevano dal cielo. Lily vide sollevarsi quattro bolidi.

«E ora?»

Cee non stava nella pelle. «E ora via!»

I bolidi fremettero e partirono velocissimi all’inseguimento dei giocatori.

Weyland fu il primo a essere colpito: precipitò all’altezza della Tribuna d’onore e dovette scansarsi rapidamente di lato, rotolando per evitare la palla nera e pesante che si schiantò un attimo più tardi nel punto dove lui era caduto, perforando i gradini.

«Coraggio, Dave!» Cee, presa dall’entusiasmo, afferrò il braccio di Lily, che cominciava a pensare di essere l’unica sana in un mondo pieno di pazzi. Ma il tifo di quelle ragazze era così coinvolgente e loro sembravano così spontanee che le venne da ridere e quando Dave scacciò il suo bolide facendolo esplodere esultò con loro. «Non è pazzeschissimo?» chiese Cecile, tenendosi la pancia.

Lily sorrise per il bizzarro neologismo. Il giocatore che aveva eseguito la picchiata, intanto, aveva ripreso quota abbastanza da risultare una macchia indistinta di nero e verde, che doveva essere la fodera del mantello. Volava così velocemente che seguire i suoi movimenti era quasi impossibile senza farsi attanagliare lo stomaco dal terrore del vuoto sotto di lui.

«Diavolo di un Malfoy». Cee serrò le labbra e fece segno al cugino. «Dave, è in alto! Non l’ha ancora capito. Lucas ha sempre giocato come Cercatore, se sale significa che il Boccino è in alto».

Il ragionamento non faceva una piega, ma Lily era ancora ferma a incespicare in quella rivelazione che Cee aveva lasciato cadere per caso. Abbassò gli occhi sul vortice in mezzo al campo, che girava trascinando con sé ciuffi d’erba e cartacce e intravide un riflesso giallo pallido: ali sottilissime, piume dorate sul pelo della corrente generata dall’acqua in continuo movimento.

I giocatori scesero rapidamente uno dopo l’altro: Lucas sembrava essere rimasto indietro, ma quello che era in testa, di cui Lily non conosceva il nome, non si era accorto del bolide in avvicinamento. Il fischio della palla lanciata a quella velocità lo spaventò: il cadetto sobbalzò sull’arcione e perse la presa, mentre il bolide rimbalzava sul cerchio e tornava indietro, mirandolo alla spalla.

«Coop! Attento!» gridò Weyland, saltando da una tribuna all’altra.

Improvvisamente, Lily si accorse di vedere le cose come se fossero al rallentatore. Lucas sporse nuovamente il piede e si agganciò al manico di scopa del suo compagno, scaraventandolo dall’altra parte. Il bolide gli passò a un palmo dalla fronte e lui si piegò all’indietro, rovesciandosi con la testa in giù e i piedi verso l’alto, iniziando a precipitare verso il gorgo.

«Lucas, no!»

Lily afferrò la mano di Cee, che si era sporta dalla tribuna assieme alle altre due Slytherin e urlava frasi di incitamento. «Forza, Capitano Malfoy!» Una delle ragazze si era messa a cavalcioni del parapetto e urlava con tutto il fiato che aveva in gola. Lily la imitò, salendo in piedi sul cordolo, gli occhi fissi sul corpo in caduta che sembrava teso in avanti per acquisire velocità, il mantello che gli sventolava attorno come un vessillo di guerra.

«Non azzardarti a precipitare!»

Lucas lasciò andare la scopa che girando su se stessa si diresse al centro del vortice sollevando all’impatto due onde gemelle tanto alte da nasconderlo per un momento solo alla vista degli spettatori. Poi, velocissime, le sue gambe si flessero come per eseguire una figura carpiata. La suola degli anfibi toccò il manico della Firebolt e lui si drizzò, sfiorando il pelo dell’acqua con gli steli della scopa che slittò lateralmente, fermandosi davanti alle ragazze.

«Con un tifo così è impossibile perdere». Le sorrise, sfilandosi le protezioni e gettandole per terra, e scese con un balzo.

Una delle ragazze batté le mani, indicando il guanto sinistro. «Il Boccino! Cee, mi devi venti falci!»

«Accidenti!» Cecile rise e andò incontro a suo cugino. «Bravo comunque, Davey. Sei stato grande».

«Scommettono?» Un sorriso perplesso si formò sulle labbra di Lily.

Lucas si era steso sulle gradinate, come se non gli importasse della pioggia torrenziale sopra e sotto di lui. Si passò la mano sulla faccia e agitò la bacchetta. «Finitus» disse. L’acqua che inondava gli spalti diminuì di portata fino a divenire un insieme di sporadici rigagnoli e il terreno all’interno del campo si prosciugò, tornando a essere la solita distesa d’erba verdissima, a tratti interrotta da pozzanghere fangose.

«Era finto?»

Lucas si mise a sedere e si slacciò il mantello foderato di verde smeraldo. «No, non finto. Creato per divertimento, convogliando le forze della natura, assorbendo la pioggia che avrebbe dovuto cadere altrove». Sorrise, un balenio negli occhi pieni della stessa luce che sgorgava dal centro del maelstrom, un guizzo della lingua a lambire il labbro superiore solcato da un graffio rossastro.

«Credevo che stessi cadendo». Il cuore le batteva ancora così forte che sembrava urtarle le costole nel doloroso tentativo di uscirle dal petto. Si accorse che le tremavano le mani e le cacciò sotto il mantello per nascondere quella sfacciata ammissione di colpa, affondando il viso nel bavero quando si sentì avvampare.

«Noi andiamo. Venite con noi?»

Lily si voltò. Cee e le sue amiche si erano unite ai tre cadetti, che a differenza loro sfoggiavano una posa quasi formale.

«Sergente» Weyland batté i tacchi insieme. «Vorremmo asciugarci e cambiarci».

Lucas alzò una mano per congedarli senza muoversi. Sembrava esausto: gocce d’acqua piovana si inseguivano rotolando lungo la sua fronte, giù per il naso diritto fino a disegnare la forma della sua bocca. Teneva gli occhi chiusi e le sue ciglia frementi, fili d’oro brunito folti e curvi, gettavano un’ombra morbida sugli zigomi alti.

Un gemito le sgorgò dalla gola e Lily lo soffocò a stento.

L’incanto di una tenerezza quasi infantile che le seccava la bocca di fronte allo spettacolo che avrebbe dovuto essere ordinario delle sue dita che si tuffavano in mezzo ai riccioli arruffati sulla fronte e la mano che ricadeva di dorso sulle gradinate di pietra.

«Volare è in gran parte cadere» mormorò Lucas a voce bassa.

«Beh, quello è cadere con stile».

Gli occhi di Lucas si spalancarono e dalla sua gola sgorgò una risata profonda. Le tese la mano e senza attendere un suo cenno di assenso afferrò le sue dita, tirandola a sedere accanto a sé, sul mantello disteso a mo’ di tappeto. Il calore del suo corpo solido la colpì come una coltellata, causandole un un brivido, che lei represse con un istante di ritardo.

«Stai qui con me per un po’. Una volta ti sedevi sempre al mio fianco».

Ancora una volta la stretta attorno alla sua vita fu abbastanza forte da sorreggerla nel momento in cui aveva pensato che sarebbe caduta, le sue dita robuste le afferrarono il polso e scivolarono sul suo palmo sudato. «Ti senti male?»

«No». Era vero: la pressione sulla mano era gentile, una carezza appena più accentuata che scivolava lungo i suoi muscoli contratti risvegliando in lei domande disperate che non avrebbe dovuto concedersi di fare.

Come l’avrebbe toccata in altri frangenti.

«Ho una cosa per te». La lasciò andare e l’assenza di quel contatto la spiazzò: ritirò la mano e se la portò in grembo, in cerca di aria neutra da respirare, che non fosse satura della sua presenza. Lucas armeggiava con la chiusura della giubba, slacciando la doppia fila di bottoni.

Non indossava camicia sotto e la sfumatura chiara della sua pelle era una distesa liscia, interrotta solo da una cicatrice che iniziava sotto la clavicola sinistra e spariva nel buio dei lembi di stoffa.

«Come te la sei fatta?»

Un sorriso balenò sul suo volto. «Un drago. Normale addestramento». Si sfilò dal collo un cordoncino di cuoio e se lo avvolse attorno alle dita tenendolo stretto. «Non ha fatto nemmeno tanto male».

«Certo che no». Lily rise, inalando aria umida, quasi elettrica e il respiro che seguì era pervaso di un’euforia strana, che le riecheggiò dentro facendola tremare.

Stava per essere baciata.

«Non voglio che tu ti faccia male». Le allargò le dita, che aveva contratto così forte da sentirle dolere, e coprì la sua mano con la propria. Quando la tolse, Lily abbassò lo sguardo e si accorse che vi aveva posato qualcosa. Lo sollevò per guardarlo meglio: appesa al laccio c’era una lama perlacea che sembrava d’avorio, ricurva, lunga la metà della sua bacchetta.

«È bellissimo». Lily sospirò. «Ma cos’è?»

«Un ricordino del mio drago. Dente da latte. I nostri armaioli hanno pensato che fosse un ottimo pugnale e lo è. Taglia anche le corde incantate. Voglio che lo tenga tu: ti servirà».

«Lucas…» Avrebbe voluto obiettare, ma il sorriso che le stava nascendo sulle labbra trasformò la sua protesta in un sussurro condiscendente. Tenne lo sguardo basso e si morse l’interno delle guance mentre lui slacciava il fermaglio d’argento che chiudeva il suo mantello e le faceva passare il cordoncino attorno alla testa. Le sue dita agili le scivolarono fra i capelli e ne scostarono il peso sollevando la treccia in cui erano acconciati, attimi fatti di tocchi leggeri come battiti d’ali di un colibrì e intensi come piccole scosse elettriche che sembravano correre lungo il suo corpo, addensandosi nel ventre.

Stava davvero per essere baciata.

«Non voglio che te ne separi».

«Non lo farò».

«Lilou». Lucas le afferrò il mento con due dita. L’accenno di durezza nella sua voce era una nota quasi sorda, il suo respiro una lama tagliente che le accarezzava la pelle e lacerava le sue certezze per infliggere deliziosi tormenti.

L’estasi lancinante del dubbio e della speranza.

Gli posò la testa sulla spalla e lui le sfiorò la tempia con le labbra, con una tale intensità che Lily pensò, per un istante, che ne sarebbe morta.

«Andrà tutto bene».



Alle solite, il mio più sentito grazie a chi si ferma e recensisce, perché quando non lo fate mi prendono le crisi isteriche e vi prenderei a mestolate, ma poi mi ricordo che vi voglio anche un po’ di bene.

Citazioni, note, etimo e nomenclatura:

- Copperhead, testa di rame, è un tipo di serpente.

- pazzeschissimo, se qualcuno ha visto Bolt [Disney Pixar] sa da dove viene.

- le mie green girls sono inevitabilmente figlie ideali delle Blue Ladies di Savannah.

- cadere con stile, oggi ce l'ho con la Pixar [Toy Story]


Per amor di dio, che devo fare per farvi recensire?

Tè, biscotti e Lucas nudo per tutte? Venite a reclamarlo qui.

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Capitolo 9
*** IX - Senza colpo ferire ***


IX


Senza colpo ferire


Golden boy, take a chance

You're a clockwork toy, you're a dime a dance

The truth is only black and white

No shade of grey

It's easy answers babe

But it's the hell to pay”


- Motörhead, Another Perfect Day -


Rita Skeeter e la sua penna verde acido erano arrivate a Hogwarts col treno di mezzogiorno e tutti, vedendola arrivare, si erano trovati qualcosa di estremamente importante da fare. Hagrid, che di norma teneva compagnia a sua moglie persino durante l’ora del tè, era sparito verso la Foresta Proibita e c’era chi sussurrava che fosse andato a rintanarsi nella sua vecchia casa a raccontare aneddoti da custode a Wilder Boyle davanti a svariati boccali di vino di ortica. Di certo c’era solo che nessuno voleva incrociare la strada dell’inviata più spregiudicata della Gazzetta del Profeta.

Con le diverse biografie non autorizzate di maghi famosi che poteva vantare di aver scritto, Rita Skeeter veniva guardata da tutti come un faro.

Da evitare a tutti i costi.

«Così, un’altra Potter da consegnare agli onori della storia». Rita emise una risatina leziosa, aggiustandosi gli occhiali a farfalla sul naso piccolo e dritto. «Delizioso» sillabò, facendo schioccare le labbra.

Lily si strinse le braccia al petto, a disagio. «Vede, non è proprio così…»

Il Campione di Durmstrang fece un passo in avanti: i suoi occhi scivolarono con disprezzo addosso al tailleur di Rita e si soffermarono sulla sua espressione estasiata. Rita si lasciò sfuggire l’ennesimo risolino, con un’occhiata che non lasciava nulla all’immaginazione.

«E lei è Vasily Petrov, non è così?»

«Ma dobbiamo proprio farla quest’intervista?» Armand De Rais levò verso il soffitto i palmi aperti. «Tanto scriverà comunque quello che le pare, n’est ce pas?»

La penna verde scarabocchiò qualcosa sulla pergamena e Lily, sporgendosi sulle punte, riuscì a leggere le parole arrogante e volitivo.

Questo le fece tornare in mente i racconti di suo padre sull’abitudine di Rita Skeeter di romanzare i fatti per ricavarne storie, una qualità assai apprezzabile in un romanziere secondo lei, ma decisamente deprecabile per una giornalista. Rita non pareva preoccuparsene, comunque: passeggiava in tondo nell’ufficio del Preside, facendo ondeggiare i boccoli che aveva ancora folti e di una sfumatura d’oro che poteva venire solo da un esperto acconciatore con un talento particolare per le colorazioni.

La penna continuava a scrivere. L’aria carica di tensione per l’imminente prima prova del Torneo ha completamente contagiato i pretendenti al titolo di campione che…

Lily sbuffò e allontanò con uno schiaffo la pergamena che le girava attorno con la stessa solerzia di un moscone deciso a infastidirla. Carta e penna si afflosciarono contro il muro con uno squittio, mentre Rita si girava, spalancando la bocca con consumato talento da attrice.

«Non si può chiudere la bocca alla stampa, cara» la ammonì, richiamando a sé l’attrezzatura ammaccata. «Nessuno è immune al suo potere. Così, questo è l’arredamento di Renwick Faulks, eh? Oh, guarda qua, che meraviglia!» esclamò, sollevando il drappo pesante posato sul manichino da sarto. «Sapete, al nuovo Preside di Hogwarts piacciono moltissimo i vestiti da donna. Credo sia una specie di mania, due anni fa durante le vacanze di Natale l’hanno visto girare per tutti i negozi di stoffe e abiti di Diagon Alley alla ricerca di un particolarissimo tipo di velluto verde. Un tipo singolare, già». Rita abbassò la voce fino a raggiungere a un tono che secondo lei doveva essere confidenziale e continuò: «Ma naturalmente tutti noi abbiamo le nostre piccole fissazioni. Per esempio, tu, Lily Luna, non hai proprio niente da confessare? Un piccolo segreto, una storia che possa piacere ai miei lettori» le sorrise, sporgendosi verso di lei sorniona come un gatto a caccia di farfalle. «Una passioncella, magari?»

«Oh, ma per favore» Vasily si frappose fra lei e Rita. «Lei è qui per parlare del Torneo Tremaghi. Se vuole farci delle domande su quest’argomento le faccia. Altrimenti esca in fretta».

Rita inclinò il capo di lato e si poggiò sul petto la mano destra, al cui medio spiccava un grosso anello. «Oh, quanta fierezza. Del resto, che cosa mi dovevo aspettare dall'ultimo discendente di una stirpe così illustre come la sua. È vero che i suoi genitori vantano parentele con una famiglia reale?» Gli poggiò l’indice sul petto abbassando di nuovo gli occhiali per guardarlo di sottecchi, mentre la penna verde prendeva velocemente appunti.

Vasily si produsse in un sorriso dall’apparenza cortese e si staccò di dosso la mano di Rita. «Signora». Un’ombra cupa aleggiò nel fondo dei suoi occhi violacei, il suo labbro si contrasse per uno spasmo improvviso. «Si allontani. La prego. È meglio per tutti». Lasciò la presa, senza battere ciglio, e si sistemò il colletto.

Il sorriso smagliante di Rita sbiadì. La bocca grinzosa tinta di rosso lacca schioccò nervosa e Lily scorse sul suo viso un’ombra di autentica paura.

De Rais sorrise. «Immagino che abbiamo finito» cantilenò.

«Non ne sarei così sicura…» fu la risposta melliflua. Rita recuperò penna e pergamena e scorse rapidamente le righe di appunti. «Ma immagino che dovrò accontentarmi per oggi».


***


«Hanno affisso la data della prima prova».

L’annuncio era caduto nell’indifferenza più totale. Lily era troppo intenta a fissare la lettera che Pumpkin stringeva fra gli unghioli per occuparsi di rispondere: la busta era stata stropicciata e probabilmente accartocciata molte volte prima di essere spedita e l’inchiostro violetto l’aveva macchiata in più punti vicino alle lettere in stampatello che componevano il suo nome.

«Mamma ha parlato con zia Ginny. Puoi stare da noi per Natale».

La calligrafia minuta e ordinata, segni quasi geometrici come righe tracciate con l’ausilio di una squadra.

Quelle piccole chiazze.

Sua madre l’avrebbe uccisa.

«Dovresti aprirla, sai?»

La strillettera cominciò a fumare: la busta divenne di un rosso vivissimo e levitò all’altezza del suo naso, arricciandosi, espandendosi fino ad assumere le sembianze imbronciate della bocca di Ginny Potter.

«Mi stai ascoltando?»

La busta urlò. Lily si tappò le orecchie e vide Lyra impallidire e afferrare la bacchetta: per un momento temette che avesse intenzione di distruggerla o colpirla con qualche tipo di fattura del silenzio. Lyra invece si limitò a scuotere la testa e pronunciare qualche sillaba, tracciando un cerchio attorno a sé.

«Lily Luna Potter! Fra te e i tuoi fratelli non so chi tenga meno alla pelle, accidenti a te! Ah!» La lettera volteggiò su se stessa, e Lily vide chiaramente le movenze irose di sua madre riflesse in quel turbinio. «Sta’ molto attenta a quel che fai, mi capisci? Se osi soltanto rischiare la vita ti ammazzo con le mie mani!» La busta frusciò, dilatandosi, come se stesse prendendo fiato. «Adesso vado. Devo dire a tuo padre di smetterla di cercare di smaterializzarsi a Hogsmeade per venire a fermarti! È così arrabbiato che continua a spaccarsi

«Però». Lyra soffiò sul suo compito di Antiche Rune, spazzando via i brandelli della lettera che si era sbriciolata sotto i loro occhi. «L’ha presa bene».

«Splendidamente».

Lyra estrasse dalle orecchie i due tappi di cera che aveva materializzato all’inizio delle urla. «Almeno non ha ritirato il permesso per Natale».

«Ci mancava soltanto l’ennesima vacanza alla Tana, con Al che mi gira intorno vantandosi perché lui può usare la magia e io no. Lo sai» Lily si sdraiò sul pavimento della Sala Comune, contorcendosi per assumere una posizione almeno in parte comoda, «ancora non mi parla. Credo che non gli passerà tanto in fretta».

Lyra arricciò il naso. «Succederà. Non preoccuparti. I fratelli a volte sono un gran casino».

«Il tuo almeno non pensa che tu sia orribile».

«Le cose non sono sempre rose e fiori neppure fra noi». Lyra fece una smorfia, abbassando gli occhi sui suoi rotoli di pergamena, sparsi sul tappeto blu. «Abbiamo il nostro metodo per risolvere le dispute. Cioè, avevamo. Era una cosa più frequente quando eravamo piccoli, sai, adesso ci vediamo così di rado che perdere tempo a litigare sarebbe un’autentica assurdità».

«E quale sarebbe?»

«Quidditch. Brutto, sporco e cattivo, bolidi imbottiti a parte, che erano l’unica imposizione di nostra madre per permetterci di darcele di santa ragione. Partite all’ultimo sangue nel giardino dietro casa. Finivamo sempre pieni di lividi ma senza rancore, anche se lui è sempre stato più bravo di me e molto più grosso». Il sorriso divertito sul suo volto si velò di nostalgia. Afferrò la borsa abbandonata al suo fianco e ne estrasse il libro di Pozioni. «Hai finito il tema che ci ha dato la Professoressa Morgan?»

«Cinquecento modi per diventare invincibili: medicamenti ed estratti dell’invulnerabilità» Lily srotolò il suo saggio e lo mostro a Lyra, che si chinò a leggere, compitando con attenzione.

«Sono solo quattrocentonovantanove, lo sai?»

«Pensavo che cinquecento fosse solo un modo di dire!»

«Claire Morgan ama le cifre tonde». Lyra sollevò un sopracciglio, eloquente, e si protese verso di lei schiudendo le labbra. «Solo quattrocentonovantanove. Ti costerà la tua O, signorina Potter. Peccato» recitò, affettando una convincente parlata cockney.

«Ha-ha. E i tuoi quanti sono, guitta dei miei stivali?»

La risposta giunse corredata da un sorriso abbagliante. «Cinquecentodieci. Posso prestartene qualcuno, tanto non mi servono».

«Ti odio».

«In effetti non so se rinunciare al Sangue di Unicorno o ai semi di Athanatos. Voglio dire, tutti e due mantengono in vita ma non ti rendono propriamente invulnerabile allo stato puro. Vanno lavorati un bel po’, come il tuo fiore». Lyra saltò su, come se si fosse appena ricordata qualcosa di importante. «Aspetta. Il tuo fiore! È al sicuro, vero?» I suoi occhi guardinghi la scrutarono, correndo da lei alla sua borsa, che giaceva slacciata sul tappeto.

Lily abbassò lo sguardo sulle proprie mani e si accorse che le stava sfregando nervosamente fra loro. Certe volte lo faceva così forte da farsele dolere: l’anno prima, nel periodo degli esami, si era strofinata così a lungo da rendere la pelle lucida e tenera come quella di un neonato.

«Non dirmi che l’hai perso. Non si è seccato, vero? Da secco è completamente inutile!»

«No, non è secco. Ma non ce l’ho più».

Dietro di loro due ragazzine del primo anno che chiacchieravano smisero immediatamente di parlare.

«Ti prego, dimmi che non è vero».

Le due spettatrici della loro conversazione ridacchiarono. Quella con le gambe più lunghe, che si stava esercitando con l’incantesimo di levitazione, posò la bacchetta e iniziò a giocherellare con la sua piuma.

«Non avrei saputo che farci, Bun». Lily fece spallucce, mordendosi il labbro inferiore, e si afferrò la treccia, arricciandosi ciocche di capelli fra le dita nervose. «Come pozionista sono appena passabile, e solo perché mi impegno. I miei calderoni esplodono appena mi giro e non ho idea del perché. Avrei combinato un disastro o l’avrei tenuto lì ad appassire lentamente per paura di fare danni. Che altro avrei dovuto fare?»

«Potevi darlo a me!» Lyra si accasciò contro una poltrona. «Un petalo solo racchiude più potere di una fiala di Lacrime della Fenice, quello che si può fare con quel fiore è grandioso! Tu sei una sconsiderata. Dar via così il fiore d’oro è una cosa che solo una col tuo Fattore Potter avrebbe potuto considerare».

«Non ci avevo pensato».

Adesso le due ragazzine non facevano neppure finta di non ascoltare.

«Oh, bene» sospirò Lyra, raddrizzandosi. La tempesta sembrava essere passata: il suo volto, graziato da quella bellezza terribile che le era toccata alla nascita, era disteso e mostrava un accenno di allegria. Socchiuse le palpebre e cominciò a fissarsi le unghie. «Voi due sulle poltrone avete qualcosa di costruttivo da aggiungere a questa conversazione?»

«No, Prefetto Malfoy, scusa».

«Già» intervenne l’altra bambina, che aveva i capelli raccolti in una buffa coda che le sventolava sopra la testa. «Scusa, non volevamo intrometterci».

«Ti diverti a terrorizzare piccole anime innocenti?»

«Abbastanza».

Lily le poggiò la testa contro la spalla. «Non volevo farti un torto».

Lyra rimase in silenzio per un po’ a fissare il fuoco che danzava nel camino. «Non importa. Ogni tanto mi lascio prendere, lo sai. Posso solo chiederti chi ce l’ha? Pensavo che se l’avessi dato via l’avresti regalato a tuo fratello Al, ma se è ancora arrabbiato con te significa che non ce l’ha nemmeno lui».

«A cosa serve?»

«È lungo da spiegare. Testi di alchimia parlano dei frutti dello stesso albero come di un potentissimo surrogato della Pietra Filosofale, ma per i fiori è diverso. Il suo polline ha un grande potere, ma estrarre l’essenza è incredibilmente difficile». Lyra le rivolse un sorriso con troppi denti. «Mi sarebbe piaciuto provarci, comunque. Sarà per un’altra volta».

A quelle parole una spina di rimorso le si conficcò in gola. Lily cercò di tenerla a bada, senza spostarsi, quasi come se interrompere quel labile contatto fra loro potesse significare separarsi per sempre. «Sai, stavo quasi per darlo a te quando sei uscita dall’infermeria per prepararmi il banchetto di Halloween. E adesso mi sento persino più in colpa».

Lyra le arruffò i capelli. «Non preoccuparti. Probabilmente avrei fatto un pasticcio: il procedimento richiede una lavorazione molto lunga e io non ho la strumentazione adatta. Avrei dovuto aspettare le vacanze e non avrei nemmeno fatto in tempo, sarebbe appassito prima. Spero solo che chiunque lo abbia avuto al posto mio ne faccia un buon uso e non lo usi come decorazione per lo stagno di casa».

«Penso che gli tornerà utile».

«A chi?»

Lily chiuse gli occhi. Un dolore dolcissimo la colse alla bocca dello stomaco; respirò e le parve di aver affondato il viso tra quella massa selvaggia di riccioli biondi che aveva accarezzato intrisi di pioggia.

«Lucas».

Lyra smise di respirare.

«È un soldato. Ho pensato che avrebbe potuto salvargli la vita prima o poi».

«Mi ricordo quanto hai pianto, quand’è partito». Dolce come una carezza il sussurro di Lyra le sfiorò la fronte, le sue dita bianchissime le ravviarono i capelli sulla fronte con un affetto così esplicito che Lily si sentì una sciocca ad aver dubitato dell’amicizia che le legava.

Nessun trofeo si sarebbe mai adornato dell’ulteriore gloria di averle divise.

«L’amore non dovrebbe mai arrivare quando stai ancora giocando con le bambole». Tutta quella dolcezza le fece bruciare gli occhi di una tenerezza profondissima: lo sguardo vellutato di Lyra era pieno di un calore familiare, che addolciva i suoi tratti severi.

Quella bellezza terribile, piena di grazia diabolica.

«Grazie, Lils».

Alle loro spalle si levarono gridolini eccitati: un gruppetto eterogeneo di studenti si era ammassato davanti alla porta e fra le loro urla di entusiasmo la porta del dormitorio si chiuse con uno scatto violento.

«Oh, ma è magnifico!» Mary Ann Buttercup girò su se stessa, facendo svolazzare la folta chioma del colore del miele d’acacia. «Quindi le voci sono vere».

Lily si tirò in piedi. «Che succede?»

Un brusio concitato riempì la sala comune. Fra le gambe degli studenti si fece largo una creatura alta poco meno di due piedi: la sua pelle era di una graziosa sfumatura di verde pistacchio e i suoi occhi erano due bilie di cristallo, tondi e luminosi.

La creatura sorrise.

«Tutto questo caos per un Elfo Domestico?»

Un’altra serie di strilli in rapido susseguirsi le fece venire voglia di gridare a sua volta.

«Va bene. Ora basta. Tutti via». Lyra si chinò e sorrise all’Elfo che nel frattempo stava abbracciando la sua gamba. «Questo è inaspettato, lo ammetto. Ma è bello vederti, Puck».

«Puck? Tu hai un Elfo Domestico?»

Lyra le lanciò un’occhiata sdegnata. «Non è il mio Elfo. È un amico».

«Bene. E che ci fa qui?»

La creatura si inchinò e Lily si accorse che indossava un maglione bianco al posto della tradizionale pezza attorno alla vita. «Puck è venuto a trovare la sua amica Lyra».

«Da solo?»

«Oh, no». Puck schioccò le dita e indicò la porta marrone. «La signora ha portato Puck con sé!»

I ragazzi si dispersero lentamente, tranne un paio di studenti del primo anno che osservavano con estrema attenzione la visitatrice sulla porta, che si passava una mano fra i capelli folti che la pioggia incessante di quei giorni aveva reso simili alla criniera di un leone.

Gli stessi ricci di suo figlio.

«Zia Hermione!»


***


«Ho sempre sognato di entrare qui dentro». Hermione Granger contemplava con occhi quasi sognanti la volta blu della Sala Comune di Ravenclaw, il suo sorriso divertito illuminava il suo volto togliendole almeno dieci anni. Si era seduta composta, sul tappeto, incrociando le gambe fasciate in un paio di calzoni aderenti. «Sai, il Cappello Parlante pensava che sarei stata un’ottima Ravenclaw».

Testoline adoranti si mossero in su e in giù confermando quella tesi. Lyra, infastidita, sfilò dai capelli lo spillone d’argento che li teneva in ordine. «Scusate, è una conversazione privata».

Mary Ann Buttercup sembrava avere qualcosa da dire, ma l’arma improvvisata che Lyra si era procurata la dissuase. Guardò le altre ragazze del comitato di benvenuto, tutte diligentemente in ginocchio e in ascolto e si schiarì la voce, cercando di attirare la loro attenzione.

Lily nascose dietro il braccio un sorriso condiscendente, mentre la Pierce e la sua combriccola entravano con la solita aria tronfia senza essere degnati delle solite attenzioni. Dee si girò smarrita, scrutandosi attorno come se non si capacitasse di tutta quell’indifferenza. I loro sguardi si sfiorarono, niente più che un rapido battito di cuore e di ciglia, poi Michael Rowland passò un braccio intorno alla vita della sua ragazza e la trascinò via.

Jason Carmichael, invece, non si mosse.

«Come mai sei qui?»

Hermione sorrise a sua figlia. «Sai, avrei voluto dirtelo prima, ma la comunicazione ufficiale è arrivata stamattina insieme ai nomi dei Campioni del Torneo». Fece una pausa per studiare le reazioni di Lily, che abbozzò un sorriso imbarazzato. «Tuo padre è fuori di sé. Come se non avesse mai rischiato volontariamente la pelle alla tua età» sentenziò, tendendole la mano perché lei l’afferrasse. «Non aver paura, gli passerà».

Le fece una carezza gentile e Lily ricambiò, stringendo più forte le sue dita.

«Lei è uno dei giudici?» Carmichael si era avvicinato, chinandosi accanto a loro.

Hermione socchiuse le palpebre, osservando il distintivo scintillante sul petto del ragazzo. «È così» disse infine, laconica. Le piccole rughe che le contornavano gli occhi si distesero: un segno più marcato, verticale, apparve fra le sue sopracciglia. «E tu, sei…?»

«Carmichael» intervenne Lyra, ravviandosi i capelli ancora sciolti.

Il comitato di benvenuto era tutto intento a fare sì con la testa. «Mary Ann Buttercup. Presidentessa del Club degli Scacchi Magici e campionessa in carica del Torneo Scolastico».

Hermione sorrise alla bionda al centro, che le tendeva la destra con aria pomposa e ufficiale. «È bello conoscere giovani menti assetate di sapere. Ma non vorrei distogliervi dai vostri compiti». Quella frase, lasciata cadere quasi casualmente, ebbe l’effetto di indurre tutti gli astanti ad alzarsi e correre immediatamente alla ricerca di un libro qualsiasi per mettersi a studiare. Coleen Davies, una delle ancelle di Mary Ann, afferrò Carmichael ancora attonito per la cravatta e lo condusse con sé in un angolo per esercitarsi con gli schiantesimi. Vederlo passeggiare come un cagnetto al guinzaglio fece ridere Lily, che trasse un grosso sospiro di sollievo.

Lyra si raccolse di nuovo i capelli, abbassando le lunghe ciglia scure. «Bisogna fargli capire chi comanda».

«I tuoi metodi rimangono comunque un po’ troppo violenti». C’era tanto di quell’orgoglio represso, in quel rimprovero bonario, che Lyra, anziché adombrarsi, si concesse un sorriso deliziato. Sua madre scosse la testa. «Non era un complimento».

«Mi fa comunque piacere che tu l’abbia notato, mamma».

L’espressione di Hermione rimase impassibile. «Non so chi di voi due meriti di più il cognome che porta».

«Lei» disse Lily, prendendosi la soddisfazione di far ridere sua zia.

Lyra appoggiò i gomiti al divano dietro di sé, sollevando il mento. L’eleganza naturale del suo movimento era qualcosa che Lily non poteva fare a meno di invidiare, seduta com’era con le gambe avviluppate l’una all’altra mentre tormentava il folto manto del tappeto. Lyra era adagiata con gli occhi spalancati verso la volta blu e sulla sua bocca carnosa era apparsa una smorfia divertita.

«Ha parlato Pottergirl».

«Sei molto, molto ingiusta». Lily balzò in piedi e afferrò un cuscino. «Ti sfido a duello».

«Ti conviene risparmiare le energie». Una nota di preoccupazione nella voce di Hermione le costrinse a voltarsi: si era alzata anche lei e guardava fuori dalla larga finestra che dava sui giardini immersi nella nebbia. La Foresta Proibita, attorno al Lago, nascosta da quella spessa coltre bianca, somigliava a un mare di fumo. «La prima prova è domenica. Sei pronta?»

Lily si sforzò di risultare convincente mentre annuiva.

«Sotto è pieno di soldati». Lyra raggiunse sua madre e ne indicò un paio che passeggiavano nel cortile, fra gli studenti perplessi.

Weyland e Coop, a giudicare dalla corporatura.

«Come è possibile che li prendano così giovani? Tu hai parlato di affiancamento, ma non mi hai mai spiegato cosa vuol dire». Lily premette i palmi contro il vetro, ripensando al viso imberbe di Weyland che si lanciava con la scopa fra un bolide e l’altro come se ne andasse della sua vita.

«La Commissione per la Difesa del Ministero ha approvato nuovi metodi di inserimento. Questi che vedi sono soprattutto ragazzi istruiti a casa dai genitori che hanno poche speranze di diplomarsi in una Scuola Tradizionale. Le Accademie Militari hanno pensato di sfruttare la cosa per reclutare nuove forze: affiancano l’insegnamento tradizionale orientato alle tecniche di combattimento, così da formare nuovi Maghi e Streghe particolarmente adatti a incarichi di sicurezza». Hermione si leccò le labbra, grattando il vetro con l’unghia. «Molti di noi pensano che sia una pessima idea. Sono così giovani che affidare loro una missione del genere può comprometterne la riuscita».

«O la loro vita, se è per questo» aggiunse Lyra, corrucciata.

Lily annuì. «Sono addestrati molto bene, comunque». Il ricordo dei loro riflessi prontissimi le balenò in mente, illuminando la scena nella sua memoria come un fulmine durante un temporale. «Velocissimi e agguerriti».

«A volte non basta». Un’ombra di perplessità apparve sul viso di Hermione, che tuttavia sorrideva, contemplando il quieto spettacolo della ronda. «Ma Lucas sa il fatto suo. Ci sono mattine in cui mi sveglio e spero che decida di fare un lavoro normale. Sarebbe stato un Guaritore eccezionale, ma non era il suo destino. Guardalo» disse, indicando la figura che raggiungeva i due cadetti per dar loro istruzioni. «Sembra nato per comandare».

Un sospiro sfuggì dalle labbra di Lily prima che le venisse in mente di trattenerlo. «Non gli succederà niente di male, vero? Non c’è nessuna guerra» obiettò, più a se stessa che ad altri. «È solo una precauzione».

Lyra le aveva poggiato la testa contro la spalla contratta. Il suo respiro irregolare le sfiorò la nuca e il battito capriccioso del suo cuore le risuonava contro la schiena. «Mio fratello starà bene» disse e Lily avvertì in quelle parole il desiderio di una certezza mai totalmente conquistata. Le strinse la mano e ottenne in cambio un buffetto affettuoso.

Riportò lo sguardo su sua zia.

Occhi caldi, di una sfumatura più scura delle foglie d’autunno, fissi sul cortile, soffusi di una luce interiore che poteva venire solo dalla consapevolezza dell’esistenza dei miracoli.

E che uno di questi l’aveva fatto lei.


  ***


Nessun incantesimo di duello o offesa può essere utilizzato.

Lily rilesse tre volte il suo cartiglio per essere sicura di avere capito bene. Gli altri due campioni, radunati con lei di fronte al piedistallo del Trofeo, avevano stampata in volto la medesima perplessità che lei sentiva roderle lo stomaco.

Sono ammessi i sortilegi scudo, gli incanti senza valenza offensiva, gli incantesimi di appello, le materializzazioni, l’uso della trasfigurazione, le preparazioni alchemiche, le pozioni e gli unguenti.

Armand fece un mezzo sorriso. La delicatezza dei suoi tratti armoniosi sembrava essere scomparsa, lasciando spazio a una durezza inusitata che contrastava con la cantilena melliflua delle sue parole sussurrate.

Dieci punti di penalizzazione verranno inflitti per ogni artificio non ammesso utilizzato per raggiungere la fine del percorso.

Le sopracciglia di Vasily scattarono verso l’alto, la sua mandibola si contrasse e i suoi occhi vagarono alla ricerca di quelli cinerei della sua insegnante, che assisteva alla scena immobile, coi suoi schierati a semicerchio dietro di lei. Katia Petrova, la bionda della steppa, fece un passo verso suo fratello, ma la professoressa sollevò una mano, costringendola a fermarsi.

Chiunque cada prima del traguardo verrà eliminato.

Il Preside Faulks batté una mano sulla spalla del Segretario.

Fauchelafleur sollevò le sopracciglia cespugliose. «Oggi è giovedì. Avete tre giorni».


***


«Sergente».

Lucas alzò la testa, riscuotendosi dai suoi pensieri. «Cadetto» disse. «Riposo».

Weyland sciolse la posa marziale, passandosi le dita fra i capelli rasati. Un filo di rossore si era diffuso sulle sue guance lisce. «Signore, abbiamo smontato la guardia adesso. Io e Dave Morrison ci ritireremmo, se non ha altri ordini».

«Chi c’è al perimetro?»

«Charlie Alpha, Signore. Echo Bravo è dentro, di guardia alla porta dell’ala ospiti».

«I nostri fantasmi?»

Weyland congiunse le mani a pugno. «Si confondono. Nessuno li ha notati».

«Una preoccupazione di meno».

«Sì, Signore».

«Va bene, Weyland. Va’ pure».

Il Cadetto batté i tacchi, producendosi in un saluto impeccabile, e aprì senza voltarsi l’uscio che dava sul corridoio della Foresteria. Alle sue spalle, decine di porte gemelle di legno scuro schierate lungo file parallele chiudevano gli alloggi dei soldati, tutti identici.

Tranne il suo.

Lucas udì lo scatto della serratura.

La bacinella di rame sul suo tavolo era vuota, l’acqua che la colmava ferma e velata di una patina d’oro lucente che scintillava riflettendo i raggi bassi e sbiechi del sole al tramonto. Oltre la finestra, a far da contrappunto al biancore della nebbia, una coppia di divise identiche sfilava guardinga, osservando i confini labili dell’anello impalpabile che tracciava il limite fra lo spazio sicuro e quello dove la gambe cedevano e il senso dell’orientamento veniva soffocato dall’incapacità di vedere.

Giorni prima Everton e Burns, un soldato semplice e un cadetto, si erano persi cercando di perlustrare le rive del Lago Nero, senza poter utilizzare l’Incanto Quattro Punti per venir fuori da quella cortina soffocante, asciutta, coi piedi che si incagliavano in lunghe radici molli come liane e il naso pieno di un profumo dolciastro di latte e fragole rancide. La Stellata Mortalis, i cui petali color amaranto erano protetti da una fitta sfera di spine pronte a scagliarsi non appena qualcuno le sfiorava.

La Trappola delle Sirene, che sceglieva le sue vittime confondendo loro la mente e trapassandole da parte a parte con aculei spessi come le braccia di un uomo adulto, capaci di perforare lo scafo di una nave da guerra senza neppure scalfirsi.

Una pianta così rara che chiedersi come debellarla avrebbe dovuto essere una priorità assolutamente secondaria rispetto all’altro interrogativo che gli premeva sui pensieri impedendogli di concentrarsi su quello che stava facendo.

Come fosse arrivata fin lì.

Scacciò quelle domande passandosi una mano sugli occhi e aprì l’armadio.

«Lucas ha bisogno del suo amico Puck?»

Il muso furbo e vispo dell’Elfo spuntò dall’ombra dello sportello, fra le uniformi stirate e i mantelli pesanti. Le sue piccole mani strette attorno alla sbarra lasciarono la presa, mentre lui si dondolava, e Puck balzò sul letto disadorno.

«La camera di Lucas a casa è molto più bella di questa».

«Sì, lo so. Quindi mia madre è già arrivata».

«Oh, sì». L’Elfo fece diligentemente cenno con il capo. «La signora e Puck sono arrivati ieri sera, ma Lucas era di guardia. Così hanno detto alla signora». Fece una pausa, seguendo il suo sguardo che si attardava lungo uno scaffale su cui erano posate dieci boccette di uguale grandezza, piene di un liquido ambrato, e una scatola lucida chiusa con un fiocco d’argento. «Puck vorrebbe sapere cosa sono quelle, se il suo amico Lucas vuole dirglielo».

Lucas afferrò tre delle fiale, soppesandole in mano.

La sua stanza era ancora satura del loro profumo; il fluido viscoso ottenuto dai pollini del fiore d’oro era un tesoro di inestimabile valore. Maghi molto più anziani ed esperti di lui avrebbero pagato per una sola goccia di quella sostanza.

L’invulnerabilità in bottiglia.

Le posò sul letto e vi si sedette accanto, sotto lo sguardo attento di Puck.

«Hai visto dove tengono gli attrezzi del Torneo?»

L’Elfo annuì, protendendosi in avanti con gli occhi verdi spalancati.

«Una per ogni baule. Non commettere errori».



MESTOLO CHE PASSIONE.

No, anzi: figo epico jr. nudo che passione. Mi sembra che l’incentivo sia servito e ne sono lieta. Continuate così, che mi fate venire voglia di scrivere.

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Capitolo 10
*** X - La prima prova ***


X


La Prima Prova

“We hear them sayin’

Now first you must cure your temper

Then you find a job in the paper

You need someone for a saviour

Oh, Rudie can't fail”


- The Clash, Rudie can’t fail -



Lily si alzò dal letto con la voglia precisa di tirare in testa a Chalista Appleseed le sue preziosissime scarpe col tacco.

«Potter, per la miseria».

L’imprecazione dal piano di sotto fu seguita da una serie di ruzzoli e capitomboli che la strapparono del tutto al breve sonno che si era concessa alla vigilia di quella che lei chiamava ormai la sua esecuzione pubblica.

«Ti uccido se lasci ancora i tuoi libri sparsi per la Sala Comune. Per poco non mi rompo l’osso del collo».

Lily aprì la porta. Chalista aveva l’aria perennemente scocciata di chi si considerava troppo bella, troppo in gamba e troppo intelligente per dividere la sua aria con qualcun altro. Alle undici e un quarto, tuttavia, la sua espressione peggiorava di netto. I suoi occhi piccoli, di un castano anonimo e tuttavia freddo, erano pesti, e le sue dita tozze si agitavano nell’aria come vermi bianchi e grassi.

Lily sbatté le palpebre, allontanando quell’immagine raccapricciante dal suo cervello.

Chalista le porse i libri con un gesto teatrale. Si era fatta tutta la scala per raggiungere la loro stanza. Coi tacchi.

«Grazie, ehm, Appleseed».

«Grazie un corno. Stavo rientrando, se non me ne fossi accorta in tempo sarei caduta».

Dal piano intermedio, Coleen Davies gettò una voce, seguita da sordi tonfi contro il soffitto. La Appleseed sbuffò, roteando verso l’alto lo sguardo esasperato.

«Ecco, adesso metà dormitorio femminile è sveglio per colpa tua».

«Mia?»

Chalista ondeggiò sui tacchi, facendo oscillare i fianchi stretti. Indossava un abitino corto e aderente, nascosto sotto la lunga cappa coi colori di Ravenclaw, segno che non si era certo attardata in Biblioteca a studiare, posto che Madama Pince permettesse a qualcuno di aggirarsi fra i suoi scaffali oltre l’ora di apertura.

«Che cosa guardi, Potter?»

«Il tuo abbigliamento. Dov’eri, fino a poco fa?»

«Oh». Chalista ammiccò, sorridendo. «Lo so, non è da brave ragazze avere un appuntamento notturno con un aitante sconosciuto, ma non ho saputo resistere. Armand è così affascinante».

L’ennesimo pettegolezzo. Armand Raphael Laval de Rais si intratteneva con la ragazza più indisponente che il Cappello Parlante avesse mai smistato nel nido delle aquile, una che passava tutto il suo tempo a litigare con le sue compagne di casa con la stessa noncuranza con la quale camminava di notte con le scarpe a stiletto sulle scale di legno.

Chissà se la ciocca di capelli che Mary Ann le aveva strappato era ancora così corta.

Il ticchettio dei tacchi che scendevano i gradini accompagnò l’uscita di scena di Chalista, che entrò nella sua stanza sbattendo la porta. Dalla camera di fronte Mary Ann strillò una lunga serie di improperi all’indirizzo di chiunque fosse stato così indelicato da svegliarla quando ancora il sole doveva sorgere e lei non aveva ancora finito il suo sonno di bellezza.

Lily sbuffò, poggiando la fronte allo stipite e si voltò. In procinto di raggiungere il letto gettò un’occhiata fuori dalla finestra: stracci di nuvole bianche all’orizzonte come lembi di stoffa morbida staccavano a colpo d’occhio il cielo dal contorno della vallata, dove piccole luci segnalavano la presenza del villaggio di Hogsmeade. Sopra di esse, una distesa quasi sconfinata di blu fitto di stelle che spandevano la loro luce sui merli delle torri.

La guardia cambiava in quel momento. Davanti al portone, sotto la volta di ferro con lo stemma di Hogwarts, scorse un volteggiare di mantelli e una rapida scia di scintille scaturì dalle punte delle bacchette alzate.

Lily afferrò di corsa il mantello, scostandosi i capelli dalla fronte.

Se lo Yorkshire poteva avere un appuntamento, lei poteva almeno sperare in un bacio.


***


Si era nascosta fra le ombre gettate dalle colonne, dove la luce sfumata di verde e rosso dai vetri colorati delle finestre mutava repentina in buio. Così svuotato da schiamazzi e rumore l’atrio della Scuola non l’aveva mai visto, così silenzioso da poter udire il respiro pesante e tremulo che le gonfiava i polmoni e li svuotava in un tempo troppo breve.

Il pesante portone di bronzo all’ingresso si chiuse con un rimbombo; poco dopo, passi rapidi e secchi ebbero l’effetto di farle sobbalzare in cuore in gola.

Lucas camminava con lo sguardo fisso in avanti, l’eco dei suoi tacchi sul pavimento di pietra sembrava non riguardarlo affatto. Distante e altero, il mantello pesante drappeggiato intorno all’uniforme umido di rugiada, l’andatura marziale appena fiaccata da un accenno di stanchezza attorno agli occhi chiarissimi.

Lily si costrinse a uscire dal suo nascondiglio.

«Ciao». Si morse l’interno della guancia, nascondendo il viso dietro ai capelli sciolti, combattendo invano contro il sorriso impacciato che sentiva nascere sulle labbra secche per la tensione.

La camminata si arrestò.

«Dovresti essere a letto». La durezza latente nella sua voce la fece trasalire, ma nel tempo di un battito di ciglia lui l’aveva già raggiunta e le aveva fatto scivolare un braccio attorno alla vita. «Non riesci a dormire?»

«No».

Il suo tocco gentile le salì lungo la schiena, la pressione sulle scapole la fece rabbrividire. Quando con le dita penetrò la massa dei suoi capelli, per raggiungere la nuca e costringerla a sollevare il volto, Lily sentì le ginocchia cedere.

Usava così tanta prudenza quando venivano in contatto che non l’aveva mai sfiorata con una delicatezza minore di quella che avrebbe usato per raccogliere uno scricciolo caduto dal nido; le sue ciglia vibrarono gettando un’ombra sul cristallo opaco dei suoi occhi.

«Vedo» disse, aprendosi in un sorriso. La stretta della sua mano era leggera, qualcosa da cui avrebbe potuto liberarsi facilmente per fuggire in tempo per essere nella sua stanza entro mezzanotte e dimenticare il giro sulla giostra delle emozioni.

Un peso che le gravava soltanto sul cuore.

«Volevo fare due passi».

Lucas rise, poggiandole l’altra mano sul fianco, dove la giacca del pigiama si arricciava disobbediente lasciando un tratto di pelle scoperta e vulnerabile. Entrambi sussultarono come se si fossero scottati e l’espressione di Lucas cambiò, facendosi più torbida.

«E li fai spesso vestita così?»

Sembrava che cercasse di prendere tempo, e le dita dell’altra mano che le scivolarono lungo il collo le strapparono un brivido delizioso. «Rispondi».

Il sussurro dalla sua bocca fu tanto soffice quanto era acuminato il suo sguardo. Lily sollevò una mano per schermirsi, proteggersi da quell’accurata ispezione; si passò i capelli dietro l’orecchio e sollevò il mento, decisa a dare battaglia.

«Non penso siano affari tuoi».

«Suppongo di no. Ma prenderai freddo, se vai in giro svestita». Le afferrò il mento senza stringere e prima che lei potesse ribellarsi aveva il petto schiacciato contro il suo, la sua mano aperta premuta sulla pelle nuda dell’anca che irradiava un calore insopportabile.

La lama tagliente del suo sorriso si addolcì. «Mi rendi tutto così complicato».

Ammissioni così sincere da poter essere letali le premevano contro le labbra, colmandole gli occhi di lacrime che mai avrebbe pensato di piangere, in bilico fra la felicità e il turbamento profondo che alla fine la fece crollare costringendola a nascondersi contro il suo petto.

«Lilou».

La pressione delle sue dita si spostò dall’anca alla schiena strattonando bruscamente la stoffa, fino a raggiungere la colonna vertebrale scorrendola verso l’alto. La blusa del pigiama era larga abbastanza da permettergli una libertà di movimento che lei non aveva neppure mai immaginato.

Tocchi lievissimi che la sfioravano facendola vibrare di una musica struggente.

La presa sul suo mento si trasformò in una spinta verso l’alto perché lui potesse raggiungere più facilmente la sua bocca.

Le sue dita sulle guance e le sue labbra che la baciavano, palpebre tremanti e un alito dolce di liquore con cui la stregava, serrandosela contro mentre scoccava la mezzanotte.

«Tre gocce, fiamma bassa. Cinque giri in senso antiorario. Cinque minuti, non uno di più. Pensi di ricordartelo?»

«Sì». Neppure gli domandò di cosa stesse parlando, tanto sembrava vitale quello che le aveva detto. Chiuse solo gli occhi, cercando di mandarlo a mente e quando li riaprì lo vide annuire.

«Fa’ in modo che sia così».

***


Coppa. Spada. Bacchetta.

Gli antichi simboli della magia scolpiti nel bronzo scintillavano sotto il sole, tre scrigni gemelli di legno pregiato e scuro sull’erba verdissima del prato. Gli spalti gremiti brulicavano di cappelli a punta coloratissimi e bandiere con gli stemmi delle scuole.

Lily rientrò nella tenda, imprecando.

Vasily le scoccò un’occhiata sardonica, abbassando le ciglia sugli occhi violacei. «Oh oh. Qualcuno è nervoso» sentenziò, raccogliendosi i capelli scuri sulla nuca. Le sue dita agili si chiusero attorno alla coda e la legarono con un cordino di cuoio. «Non hai fatto i compiti, figlia di papà?»

«Chiudi il becco» gli rispose, controllando la sua sacca. Rovistò a lungo per cercare un elastico, senza accorgersi che lui era rimasto in piedi di fronte a lei e la osservava attentamente. Lo notò solo sollevando lo sguardo: indossava un giustacuore in pelle, sopra la camicia scura coi lembi del colletto sollevati e le maniche arrotolate che gli scoprivano gli avambracci robusti. Colse la sua disapprovazione e si spostò con una mossa che fu quasi galante, accennando a un inchino con il capo bruno. Lily gli fece una smorfia. «Damerino» sbottò e lui rise educatamente.

Dietro il paravento, Armand sollevò una mano.

«Non credo parlasse con te». Vasily, divertito, le tese la mano. «Facciamo pace, Potter. Non si dovrebbe mai litigare prima di una sfida. Carica i nervi, ma nel modo sbagliato».

Lily scrollò le spalle. «D’accordo». Accettò la sua stretta di malagrazia. «Comunque» disse, ricominciando a intrecciarsi i capelli, «tu non mi piaci affatto. Giusto perché sia chiaro, Petrov».

«Chiarissimo» ribatté lui, fissandola con interesse. «Niente trucchi, niente inganni. È ammirevole, sebbene un po’ ipocrita, se ci pensi a fondo. Guarda lui, per esempio» disse, indicando Armand bardato di tutto punto, che usciva dal separé. «Scommetto che in quella marsina da galantuomo nasconde più segreti di un prete confessore».

Il francese scosse la testa. «Tu vaneggi» disse, stringendo la cinta in vita.

Fauchelafleur scostò il lembo che chiudeva la tenda giusto in tempo perché tutti coloro che vi erano all’interno potessero vedere lo striscione delle Slytherin che diceva “Forza, Pottergirl” fare il giro delle gradinate. Ignorò il rossore che aveva colorato le guance di Lily, ma l’occhiataccia scandalizzata che le riservò entrando fu più che eloquente.

«Spero che vi siate preparati per bene» disse, puntandole addosso i suoi occhi slavati. «Sorteggeremo ora chi potrà scegliere per primo e poi, ovviamente, per secondo. L’ultimo naturalmente dovrà pescare la rimanenza. Avete capito?»

De Rais fece un sorriso annoiato. «Oui» rispose, passandosi sull’orlo della giacca le punte delle dita guantate. «Gli inglesi e la loro fissazione per i regolamenti». Diede di gomito a Petrov, che non sembrava molto convinto della battuta.

Lily chinò la testa in un cenno affermativo.

«Molto bene». Il segretario scostò il panneggio della tenda, lasciando entrare il Preside e tre militari al suo seguito che reggevano un forziere ciascuno. Weyland riconobbe Lily e la salutò con un inchino abbozzato e un sorriso fanciullesco. Gli altri due, serissimi, gli si disposero di fianco coi loro scrigni in mano, dietro al Professor Faulks che esibiva un’espressione impassibile. Uno dei suoi post-it gli si era posato sulla spalla, i suoi lembi di carta vibravano come ali di una farfalla indecisa se restare o volare via. Faulks lo prese delicatamente fra l’indice e il pollice, lo lesse e lo appallottolò, ficcandoselo in tasca.

«Dunque, ehm, che cosa… Oh, sì. Giusto». Tossì un paio di volte per schiarirsi la voce ed estrasse la bacchetta, ponendola in bilico sull’indice della sinistra. «Ecco qua. Campioni, venite avanti, su». Descrisse un circolo immaginario con la mano libera e tutti trattennero il fiato, perché la bacchetta aveva cominciato a roteare lentamente, oscillando sul perno del suo dito. «Colui o colei verso il quale punterà illuminandosi sarà il primo estratto. Tanto per chiosare con una legge che sicuramente vi è nota» aggiunse, mentre la rotazione acquistava velocità, «è la bacchetta a scegliere il mago». Li guardò tutti e tre, a turno, soffermandosi sulle loro facce contratte dalla tensione.

Lily si sfregò sulla veste i palmi sudati, il cuore le martellava nelle tempie ed era sicura che da un momento all’altro qualcuno dei presenti si sarebbe messo a gridare che lei non avrebbe dovuto essere lì. Invece, nessuno parlò: tutti avevano gli occhi puntati sul bastoncino di legno che girava, rallentando con dolcezza. Una luce debolissima sfumata di blu cominciò a sgorgare dalla punta e Lily si ritrasse per istinto, ricordando uno dei detti preferiti di nonna Weasley.

Chi rompe paga e i cocci sono suoi.

La bacchetta rallentò, beccheggiando come lo scafo di un veliero trascinato dalla tempesta, la punta si piegò verso il pavimento e riprese a muoversi, sorpassandola. La spinta residua non bastava per farle compiere un altro giro completo, ma era sufficiente per dirigere il bagliore verso Armand De Rais, che sorrise di trionfo.

«Ça va» disse, sotto gli occhi soddisfatti di Fauchelafleur, che fece cenno ai soldati di avvicinarsi. Si voltò a guardare gli scrigni, ma prima che potesse scegliere il Segretario alzò un dito e gli fece segno di aspettare.

«Ecco qua. Questi forzieri contengono tre diversi equipaggiamenti, ognuno accuratamente scelto per simboleggiare una disciplina delle Arti Magiche. Il Comitato che ha deciso le prove ha pensato che fosse interessante vedere come ve la sareste cavata differenziando le possibilità di scelta» spiegò, colpendo il primo baule, che recava il simbolo della Coppa. Il coperchio si sollevò, mostrando due calderoni da viaggio, un bruciatore e una doppia fila di barattoli e ampolle. «Questo è l’arsenale del pozionista. Ingredienti rarissimi ed eccezionalmente preziosi a cui potrà miscelare i suoi, qualora ne abbia, per dare vita a prodigi in bottiglia».

De Rais parve riflettere, mentre il secondo forziere si apriva cigolando.

«La Spada» annunciò Fauchelafleur, grave. «Lame da rendere infallibili per difendersi dalle insidie, daghe e pugnali affilatissimi da scagliare contro il nemico. E infine, la Bacchetta» disse, aprendo l’ultimo coperchio e svelando un legno dipinto di chiaro, che scintillava alla luce delle fiaccole. «Scegliere questo forziere potrebbe sembrarle un azzardo, se non sa controllare altra arma che la sua, ma prima di escludere questa possibilità forse vorrà sentire cosa ha da dire il nostro Professor Faulks. La prego» lo invitò e il Preside sorrise compiaciuto, sollevando la bacchetta intarsiata.

«È stata realizzata appositamente per questa competizione, da un artigiano eccezionale. Questa potrebbe rappresentare la tua fortuna, monsieur. O la tua sciagura, è ovvio» aggiunse, abbozzando una smorfia quasi desolata. Armand fissò a lungo il legno smaltato e i rilievi finissimi che ne ornavano il corpo, poi sembrò prendere una decisione.

Afferrò la bacchetta e sorrise. «Questa e il contenuto delle mie tasche saranno più che sufficienti a farmi vincere». Nel chiudere le dita attorno all’impugnatura abbassò le ciglia sullo sguardo ambrato, acceso di un entusiasmo improvviso.

«Pazzo» borbottò Vasily, occhieggiando il baule delle spade.

Lily si lasciò sfuggire un lamento. «Tutte tue, Petrov» sussurrò, «quella roba non fa per me».

«Mossa stupida, quella di farmelo sapere» ribatté lui. «Ma sei fortunata. Pignatte e calderoni mi fanno orrore» continuò, sottovoce. «Inoltre, qualsiasi cosa tu possa escogitare ti farà perdere un sacco di tempo». Le rivolse un sorriso furbo, mentre Fauchelafleur era intento a esaminare un’ampollina piena di polvere dorata che era rotolata fuori dal fondo di velluto del forziere di Armand.

«E questa?»

Il professor Faulks sbuffò. «Dotazione standard, immagino. La lasci dov’è, Segretario. Sembra che sia in tutti i bauli» chiosò, indicandone una simile che risplendeva nello scrigno da pozionista, fra l’artiglio del diavolo e le radici di mandragora. «Continuiamo col sorteggio. Signorina Potter, vieni qui. Anche tu, Petrov».

Vasily fece schioccare la lingua. «Bene» disse, quando la bacchetta del Preside lo indicò. «A me le spade» disse, senza badare alla piccola fiala che luccicava sul rivestimento nero del forziere.

«Fantastico!» Fauchelafleur circondò le spalle di Lily con un braccio, conducendola dinnanzi Weyland. «E questo è per lei. Spero sia di suo gradimento» aggiunse, sebbene il suo tono di voce sembrasse sottintendere esattamente il contrario.


***


«Pozioni. Tu devi essere pazza».

Lily roteò gli occhi verso l’alto. «Grazie per la fiducia» biascicò, cercando di abbottonarsi il corsetto rinforzato. Sbuffando, Lyra si alzò e la raggiunse, afferrando i lacci.

«Non è questo» disse, tirando così forte che Lily boccheggiò. «Ti prenderà un sacco di tempo preparare qualcosa di efficace. E dovrai farlo davanti a tutti, il che significa…»

«Che non puoi aiutarmi, sì, lo so. Ma non è che avessi scelta, sono stata estratta per ultima».

«Ma non dire stupidaggini, volevo solo... ». Un sospiro alle sue spalle. «Quando ti fissano diventi nervosa. Non saresti tanto male, altrimenti».

«La diplomazia non è mai stata il tuo forte».

Lyra rise. «Ecco fatto». Le batté una pacca sulla spalla. «Non preoccuparti, andrai alla grande» disse, con un sorriso incoraggiante. «A che ora comincia?»

L’orologio nella tenda segnava le undici e quarantacinque. Lily corrugò la fronte. «Un quarto d’ora alla prova di Armand». Lo indicò. Era in fondo alla tenda, intento a confabulare con Madame Maxime. «Chissà come sarà eccitata Chalista, il suo spasimante esce per primo», sentenziò, osservando con attenzione il lembo aperto della marsina, che lui stava tendendo per mostrare qualcosa alla Preside di Beauxbatons.

«Però» lo sguardo di Lyra scintillò di riluttante ammirazione. «Guarda lì, ha tutto il campionario del Conte di Cagliostro».

«Chi?»

«Un alchimista. Lascia perdere. Quella è roba da professionisti».

Lily gemette. «Se è così bravo con intrugli e polveri, perché non ha scelto il baule col calderone?»

«Ma è ovvio. Perché ha addosso tutti gli intrugli che gli servono».

Lily ricordò il suo sorriso soddisfatto, mentre alludeva al contenuto delle sue tasche. «Porca vacca» le sfuggì, «sono nella cacca».

«Comunque, l’alchimia è un processo che richiede molto più tempo rispetto alla preparazione di comuni pozioni. Quelle se le deve essere portate prevedendo di essere scelto». Adesso la voce di Lyra grondava sufficienza. «Un fulgido esempio di modestia, ma non si può negare che sia stato previdente».

«Già. Contrariamente a me, che non ho alcun asso da estrarre dalla manica» rispose Lily. Si accasciò sulla panca, il corsetto rigido le toglieva mobilità e le schiacciava il petto, rendendole difficile respirare. Il sangue le defluì dalle guance, afferrò la bacchetta e cercò di allentare i lacci, ma la morsa al torace non si placava.

«Non ho alcuna speranza» sussurrò.

Sentì Lyra chinarsi davanti a lei e stringerle la mano. «Non dire stupidaggini, Pottergirl. Qualcosa ti verrà in mente, vedrai. Ora alzati. Che cosa diciamo alla sconfitta?»

«Sii veloce e indolore?»

«No, accidenti! Non oggi, la risposta giusta è non oggi».

Quella battuta le strappò una risata sconsolata. Lily si coprì il volto con le mani, cercando un ritmo regolare da imprimere a quei respiri tremanti che le scavavano il petto riempiendole e svuotandole i polmoni. Delicata, Lyra le carezzò la testa, senza dire nulla.

Chi rompe paga, si ricordò Lily accoccolandosi meglio sulla tavola di legno per non cadere.

«Che ha?» udì e aprendo gli occhi si accorse della presenza di suo fratello.

Albus la fissò per qualche secondo dall’alto in basso, prima di dire qualcos’altro. Sembrava incerto su cosa fosse meglio fare, se dileguarsi o rimanere. Alla fine scrollò le spalle e si accucciò di fianco a Lyra, che fece una smorfia.

«Si chiama panico. Scommetto che sua sensibilità ne ha letto in uno di quei manuali da cui prende le frasi per abbordare le straniere» lo prese in giro, «se sei venuto fin qui per prenderti una rivincita per la storia del lasciapassare puoi anche sparire. Sei un fratello orribile».

La fronte di Albus si aggrottò. «No. Ero venuto per accompagnare qualcuno, ma l’ho perso in giro per gli spalti. E visto che me lo ricordi, Malfoy, io e te abbiamo qualcosa di cui discutere».

«Oh» le labbra di Lyra si incresparono in un sorriso magnifico, «vuoi aspettarmi fuori? Facciamo a pugni, piccolo Potter?»

Pallidissimo, Albus fece per spostarsi indietro e sottrarsi al suo sorriso di scherno.

Lily sospirò, studiando l’ombra di fastidio negli occhi verdissimi di suo fratello. Certe volte, quando pensava che nessuno lo guardasse, Al si soffermava sulla bocca di Lyra con un languore così evidente da spezzare le ginocchia. Altre, il suo sguardo scagliato con impietosa precisione sembrava volerla trafiggere in mezzo al cuore, come un dardo scagliato per uccidere.

«Sono ancora un Caposcuola, cerca di non dimenticartelo» borbottò, Al, senza degnarla di un’occhiata.

Forse era stato solo il frammento polveroso di un raggio di sole che, filtrando dai drappeggi che chiudevano la tenda, gli era entrato negli occhi, costringendolo ad abbassarli.

Fasci di frecce scheggiate, intinte nel veleno e nel miele da un Cupido ubriaco.

Lyra arricciò le labbra. «Fammi rapporto».

Un fiotto di luce li investì e il cadetto che portava lo scrigno scelto da Armand entrò, facendo strada a un visitatore. «Beauxbatons, allons-y, Durmstrang» aggiunse, indicando Vasily che parlava con la sua insegnante, «hai quarantacinque minuti. Hogwarts per ultima». Sorrise a Lily che si sforzò di ricambiare e si fece più vicino di un paio di passi, mentre aspettava l’uscita del concorrente francese. «Signorina Potter, il Sergente mi ha pregato di ricordarti la vostra conversazione di stamattina».

«Oh».

Chinò la testa per non arrossire davanti a tutti; ciò che Lucas le aveva detto era solo la pallida ombra del ricordo di quel che aveva fatto.

Fa’ in modo che sia così.

Il cadetto si schiarì la gola. «Hai una visita. Cinque minuti, Comandante. Anche voi due». Fece un cenno ai due ragazzi seduti a terra, che annuirono. «Mi dispiace», si scusò, «sono le regole».

  

***


«Uh, err» bofonchiò suo padre. E poi, per buona misura, «Oh, accidenti».

Albus si alzò, spazzolandosi il fondo dei calzoni. «Vado» annunciò, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero. «Katia mi aspetta. Voleva entrare, ma quella» disse, alludendo alla Grigorievna che li  osservava, impassibile, «non gliel’ha permesso. Nessuno deve disturbare concentrazione di mio Campione» scimmiottò, imitando un passabile accento russo.

Suo padre rise a bassa voce, rischiarandosi in volto.

«Pensavo che fosse contro le regole per le famiglie dei campioni assistere alla prima prova» commentò Lyra. «Comunque è bello vederti, zio Harry». Si avvicinò per abbracciarlo e baciarlo sulla guancia, sfiorandogli la spalla con un volteggio aggraziato.

«Non so proprio dire quale parte di te mi faccia più paura, certe volte. Comunque, non sono qui per quello». Un attimo di incertezza gli incrinò la voce. «Neville mi ha chiesto di passare in via confidenziale, è sicuro che ci sia qualcosa di insolito nella pianta che ha invaso le rive del lago e vuole che dia un’occhiata o qualcosa di simile, naturalmente io… Beh, ne ho approfittato». Finalmente si soffermò su Lily, che lo scrutava, con occhi imploranti. «E tu, signorina, sei nei guai. Questa storia del Torneo è… Err. Un vero disastro» sentenziò, grattandosi la fronte. «Dovrei farti a pezzi, ma hai una faccia così abbattuta che forse non serve, magari hai capito da te che hai commesso un errore di valutazione».

Piccata, Lily fece schioccare la lingua. «Se non volevi che partecipassimo bastava non firmare i permessi».

«Non l’ho fatto. Jamie ne ha dato uno a me a tua madre, camuffato da modulo di iscrizione come  spettatori al suo Torneo di Quidditch. Per i posti in tribuna» spiegò, agitando una mano nervosa, «così penso che… »

«Oh, ma certo, ecco come mai Albus aveva la sua autorizzazione. Non ha nemmeno provato a chiedervela!»

Suo padre scosse la testa. «Sapevo che avrebbe chiesto l’aiuto di Jamie e ho cercato di giocare d’anticipo. Senza contare che se non fosse stato per quella svista nel regolamento…»

Finì Lyra per lui. «Non avrebbe avuto i requisiti per essere ammessa. Già».

«Beh, ora ci sono. Quindi cerca di essere incoraggiante». Le vibrava nella voce uno sdegno inaudito fomentato da quella parte di lei ancora bambina che voleva pestare i piedi, strillando che non era giusto che suo padre la trattasse così, e si faceva largo nei suoi pensieri confusi.

Qualcosa le sfuggiva e la tormentava insieme, la spina di una rosa appena sbocciata conficcata nella memoria dolcissima della sua mano sulla pelle.

Il ventaglio scuro e folto delle ciglia abbassate su miriadi di segreti custoditi da una mente che non conosceva riposo.

«Err. Okay. Andrai benissimo».

«Che entusiasmo sfolgorante» intervenne Lyra in suo aiuto. «Puoi fare di meglio, zio Harry».

«Oh, sicuro. Voglio dire, tu sei bravissima in…»

«… Pozioni».

«Pozioni?» Debolissimo quel sussurro la distolse per un secondo dalle sue riflessioni. Sospirò.

Harry Potter, il salvatore del mondo, che andava in crisi solo davanti a due cose: la figlia in lacrime e un calderone in ebollizione.

«Beh… Te la cavi comunque meglio di me».

Lyra fece una smorfia. «Ricordati solo di sminuzzare bene. Gli ingredienti cuociono più in fretta, così puoi guadagnare un paio di minuti che useresti per farli ammorbidire. Quelli essiccati intendo. Come le radici disidratate».

«D’accordo. Sminuzzerò». Lily si alzò e abbracciò suo padre che le baciò dolcemente la fronte.

«Sai» disse, «io facevo pozioni orribili, tua madre se la cavava meglio. Spero che tu abbia preso da lei. Ma l’unica a cui mi affiderei in caso di pericolo mortale è tua zia Hermione. Riusciva a prendere voti eccezionali, date le circostanze». Si adombrò per qualche istante, perso in un ricordo a cui non aveva mai dato voce in sua presenza. Eppure Lily sapeva e gli fece una carezza, che lui ricambiò con affetto.

«Mamma è eccezionale». Lyra sorrise compiaciuta. «Ma non sminuzza, è una patita delle rondelle e anche piuttosto spesse. Devono essere trasparenti. Ecco» aggiunse, illuminandosi «se vedi il sole che ci passa attraverso vuol dire che sono dello spessore giusto. Ma è impossibile farle così sottili, i coltelli che abbiamo nel laboratorio non sono adatti. Quindi sminuzza».

Lily ci pensò su, saggiando il peso del pugnale che aveva appeso al collo. «Ma, se io avessi qualcosa che può tagliare…»

«Oh, meglio le rondelle, senza dubbio. Se riesci a farle abbastanza sottili cuoceranno in fretta e sarà molto più facile filtrarle. Un vero capolavoro».

Un sorriso le affiorò sulle labbra.

Non voglio che tu ti faccia male, aveva detto Lucas.

Un commento quasi casuale sulla sua bocca, una lama così dura e affilata da poter affettare la pietra e tre provette identiche per beffare la sorte.

Indisturbata, in fondo al compito di pozioni che aveva distrattamente infilato nella sacca, fra un nastro per capelli e rinforzi di cuoio per le braccia, giaceva la soluzione della sciarada. Scorgendola, Lily scosse la testa.

Non ci posso credere.

L’ambrosia, il cibo degli dei.

Diavolo di un Malfoy.


***


I sorrisi delle Slytherin la accolsero quando entrò in campo. Aura, seduta di fianco a Lyra e alle Green Girls, la salutò agitando la mano e un gruppo di ragazze con le insegne verde argento sollevò un cartello grande quanto un manifesto del Quidditch con lo Stemma di Hogwarts che per l’occasione sfoggiava al centro l’aquila di Ravenclaw, piume di bronzo su uno sfondo sfumato di blu, le ali maestose spalancate e gli artigli protesi in una morsa. Sotto di essa, il Tasso, il Leone e il Serpente si schieravano compatti a darle supporto. Era la prima volta, dopo la Guerra, che Slytherin seppelliva così apertamente l’ascia di guerra avallando la candidatura di una studentessa di un’altra casa e poco importava che nascesse dagli sciocchi balletti delle coppie fuori e dentro i Sotterranei.

Un applauso entusiasta seguito da un vociare fortissimo si levò dagli spalti. Vitious riuscì persino a sorridere a Claire Morgan, ottenendo in risposta un cenno garbato. Weyland, che stava davanti al forziere, lo spalancò e sollevò la bacchetta, invitandola ad avanzare.

Attirato dalle scintille luminose generate dall’incantesimo del cadetto, il Capitano Lance li raggiunse. «Ecco qua» disse, afferrando per un angolo un pesante panno di velluto che copriva il tavolo, «il tuo banco di lavoro. Hai quarantacinque minuti, come gli altri. Da regolamento ti è consentito usare la tua bacchetta, fatta eccezione per gli incantesimi che comportano penalità, e ogni altro strumento che riterrai necessario. Ma dovrai realizzare almeno una Pozione correttamente, per non essere squalificata. Mi hai capito bene?» Le porse la sinistra per aiutarla a salire sulla pedana, mentre il cadetto Weyland ripiegava il telo.

«In bocca al lupo» le sussurrò mentre gli passava di fronte. Grata, Lily sillabò una risposta muta, corredandola con un sorriso tremante.

Lance sollevò il bastone. «La concorrente di Hogwarts, Lily Luna Potter, è in postazione». La sua voce, amplificata con la magia tuonava per gli spalti. Tutti trattennero il fiato. «Si scopra lo scenario!» Puntò la bacchetta in cima all’asta contro l’erba umida. Lo stesso fecero quattro figure ammantate disposte in cima alle gradinate orientate secondo i punti cardinali dello stadio di Quidditch e dall’incontro dei cinque fiotti di luce scaturì una miriade di puntini luminosissimi, che costrinsero tutti gli spettatori a schermarsi la vista con le mani.

Delicate scie dai contorni di colori violenti tracciarono i contorni di un largo bacino pieno di un liquido nero e denso, al centro del quale emergeva un promontorio ricoperto di terra asciutta e polverosa. Solidamente conficcate nel terreno, grosse radici nodose davano vita a viticci spessi e intricati di colore verde cupo, che si univano a cuspide arrampicandosi lungo i piedi di un braciere spento.

«Il Fuoco di Prometeo!»

Come Lance ebbe parlato, i baccelli che spuntavano lungo i rami si schiusero, rivelando petali color sabbia che fiorivano attorno ad un nucleo rosso vivo, irradiando una luce giallognola. Il Capitano appallottolò il foglio della sua convocazione, poggiato sul tavolo, e lo scagliò contro la fitta macchia di vegetazione. Una fiammata improvvisa scaturì dalla tromba di una delle corolle e generò uno spostamento d’aria, facendo precipitare il mucchietto di carta nel fluido che circondava l’isoletta.

La folla ammutolì, guardandolo mentre si dissolveva.

«Come vedi» disse Lance, «non sarà una nuotata di piacere».




Alle solite, ho da ringraziarvi per la preferenza. È per me un onore concreto farvi sapere che questa storia ha raggiunto un totale di 39 favs e 69 follows. Questo numero è enorme e di questo non posso che darvi atto. Grazie.

Continuo a spingervi a recensire perché più che i numeri mi interessano le parole, nello specifico, quindi fatelo, ma non pensate che il vostro apprezzamento espresso in un «segui storia» abbia meno valore. Semplicemente, mi piace stabilire un dialogo con chi legge e penso che una recensione in questo senso aiuti di più. A tal proposito, non ho ancora risposto e me ne scuso, ma sono fuori forma e fatico a stare al computer per qualcosa di più impegnativo che guardare ossessivamente una serie tv dopo l’altra.


Citazioni, note, etimo e nomenclatura:


- Che cosa diciamo alla sconfitta? […] Non oggi! è una parafrasi di una ben nota frase di Game of Thrones.

- L’ambrosia, il cibo degli Dei, direttamente dai miti greci. L’ossessione di una ex classicista.

- Oui e Ça va in francese e va bene. Elementare, me ne rendo conto.

- Il Conte di Cagliostro. pseudonimo di Giuseppe Balsamo, esoterista e alchimista italiano.


Attendo recensioni e vado a scrivere. Pace. Se qualcuno di voi amasse seguirmi su Facebook, mi trovate qui

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Capitolo 11
*** XI - Il Canto della Sirena ***


XI


Il canto della sirena


I was scared, I was scared

Tired and under-prepared

But I'll wait for it.


- Coldplay, In my place -



Acceso di blu, il fuoco del bruciatore divampò riscaldando l’acqua nel calderone. Lily si asciugò la fronte tergendola dal sudore e diede un’occhiata alla sua pergamena.

Radice di mandragora, per la buona sorte.

Si sfilò dal collo il cordoncino di cuoio che custodiva sul suo petto il regalo di Lucas e posò la mandragora essiccata - e silenziosa, per fortuna - sul tagliere. Colpì con la punta della bacchetta il manico perlaceo del coltello e la lama si inclinò, obbediente, rilucendo sotto il sole. Seguendo i suoi movimenti iniziò a tagliare, rondelle così sottili che si arricciavano su se stesse cadendo morbide sul legno.

«Perennis» mormorò Lily distogliendo l’attenzione dal coltello per afferrare gli altri ingredienti.

Artiglio del diavolo, contro il dolore.

Spezzettò gli uncini nel mortaio e cominciò a pestare. I suoi spettatori si schermavano gli occhi con le mani e seguivano attenti, Maggie si era aggiudicata un posto in prima fila e stringeva con fervore una sciarpa di Ravenclaw che qualcuno le aveva prestato; si accorse che Lily la stava guardando e la agitò, facendo sventolare l’aquila di bronzo.

Uno sbuffo di vapore salì dalla pignatta con un sibilo. Lily agguantò il tagliere e gettò la mandragora affettata nell’acqua bollente; stessa sorte toccò alla polvere nel mortaio, mentre il coltello si conficcava nel legno del banco, perforandolo da parte a parte.

«Oh, merda». Rigirò la mistura, rabbrividendo. Un momento di ritardo e la lama le si sarebbe conficcata nel palmo. Il tavolo scricchiolò, segno che l’effetto dell’incanto Continuum non si era ancora esaurito, ma sembrò reggere, trattenendo il pugnale. Dal baule, Lily afferrò la fiala che conteneva l’estratto di polline Aureo, sperando di aver visto giusto: non aveva idea di cosa sarebbe successo se il contenuto non fosse stato ciò che lei sperava ardentemente.

Posò l’ampolla sul tavolo, le dita le tremavano così forte ed erano così sudate che per un momento pensò che l’avrebbe fatta cadere. Quando udì il tintinnio del vetro contro il filo metallico del supporto chiuse gli occhi e attese che la morsa allo stomaco si allentasse, permettendole di proseguire. Minuscoli punti esplosero come stelle danzanti nel buio cielo dei suoi occhi chiusi, mentre lei ricominciava a respirare.

Se solo si fosse sbagliata, il prezzo sarebbe stato così alto che solo pensarlo le trasformava le gambe in un unico blocco di roccia insensibile.

«Forza» si intimò, offrendo al vento il viso surriscaldato dal vapore. Uno stridio acuto e sinistro le fece eco e nel guardare il cielo si accorse della presenza di tre sagome, nere contro il sole pallido di novembre. Grandi ali spiegate, librate sulle correnti ascensionali, che piegavano girando in tondo, accompagnando il loro volo con urla agghiaccianti.

L’altra parte del mito di Prometeo.

Le aquile arpia, coi loro becchi aguzzi, pronti a divorarle l’anima.

Come rispondendo a un richiamo silente, uno dei rapaci scese in picchiata. Lily afferrò il calderone di riserva e lo sostituì a quello che stava usando. Prese dal baule una fiala piena di polvere urticante e un barattolo di pece e mescolò rapidamente, ottenendo una poltiglia appiccicosa. Con cautela la cosparse di semi di Fiordifiamma: il fuoco divampò istantaneamente, sfiorandole le ciglia. Riparò il volto nell’incavo del gomito per non respirarne i vapori, che l’avrebbero fatta vomitare sangue per giorni, si abbassò sotto il tavolo e puntò la bacchetta contro il calderone.

«Relascio!»

Un turbinio di scintille esplose scagliando la pignatta in fiamme verso l’aquila, che scartò di lato, stridendo. L’ala destra annerita dal fumo sbatteva freneticamente nel tentativo di riprendere quota e aggiustare la traiettoria della caduta. Lily cercò fra la folla quasi ipnotizzata uno sguardo familiare. Non vide suo padre, ma Lyra si era alzata in piedi e si era tirata la sciarpa davanti alla bocca. Sollevò verso di lei il pugno col pollice alzato.

Stai andando bene, Pottergirl.

Il rapace sfiorò con gli artigli l’erba del campo e spalancò il becco, emettendo un verso selvaggio quando il calderone lo urtò sulla schiena, infiammandogli le penne erettili del capo. I suoi occhi gialli si spalancarono, ricolmi di terrore; l’animale si rivoltò sulla schiena cercando di spegnere il fuoco, ma la pece gli si era appiccicata addosso. Inarcandosi, emise un grido così sofferente che Lily uscì dal suo nascondiglio, allarmata.

Lance tese il bastone per fermarla. «Signorina, l’aquila non è affar tuo! Hai solo trentacinque minuti!»

«La spenga! Morirà! Volevo solo spaventarla…»

Il Capitano le rivolse uno sguardo impassibile. «Torna al tuo tavolo e finisci quello che stavi facendo!»

L’aquila si contorse e nello sforzo rotolò di lato avvicinandosi al bordo della piscina piena di liquido corrosivo. Se si fosse agitata ancora sarebbe caduta giù.

«Impedimenta!» Il battito delle grandi ali del rapace rallentò, mentre Lily fissava sgomenta il suo punteggio sul tabellone passare da cinquecento a quattrocentonovanta. Deglutì e strizzando gli occhi puntò nuovamente la bacchetta, facendo scaturire un getto d’acqua che estinse l’incendio.

Quattrocentottanta.

L’aquila si abbandonò sul terreno erboso, il petto piumato si gonfiò liberando un verso più docile, quasi un tubare stanco. Lily si asciugò il volto, pulendolo dalla fuliggine e tornò al suo posto, ignorando il pubblico che applaudiva.

Rimise la sua pozione sul fuoco e versò nel composto un po’ di estratto di polline.

Tre gocce, fiamma bassa. Cinque minuti, cinque giri in senso antiorario.

Ribaltò la clessidra e mescolò.


***


Non aveva controllato la fiamma.

Il contatore segnava quindici minuti, non c’era tempo per rifare la pozione da capo. Il profumo che saliva dal calderone era un sentore dolcissimo e inebriante di fiori e vino di mele. Usando un mestolo, Lily ne versò un poco in una ciotola che mise da parte, tolse il calderone dal fuoco e spense il bruciatore. Infine, levò gli occhi al cielo, dove due sagome cruciformi solcavano l’aria indisturbate.

La sua unica speranza era quella di aver conservato il calore abbastanza costante da concludere correttamente la cottura. Controllò il fondo di ghisa, sospirando di sollievo nell’accorgersi che non c’erano incrostazioni, e vuotò la pozione in un calice di vetro, filtrandola con un setaccio a maglie sottili.

Alle sue spalle, Weyland batté i tacchi e si spostò per lasciare il posto ad un altro militare. Le ombre delle loro gambe si sovrapposero per un momento prima di distanziarsi, poi passi leggeri frusciarono fra l’erba e Lily li udì allontanarsi in direzione degli spogliatoi. Si voltò a guardare e del cadetto scorse solo la nuca; nel punto dov’era stato fino a qualche momento prima, c’era Lucas, che la guardava.

Le bastò un accenno dei suoi occhi sfolgoranti puntati sull’indicatore del tempo. Rapidamente gli diede le spalle e tornò al lavoro. Adesso aveva tutti gli occhi addosso, e nulla l’avrebbe tolta dai guai, se una sola delle sue mosse non fosse risultata quella giusta.

Tornò a guardare il cielo.

Sereno variabile, traffico intenso di rapaci, niente miracoli all’orizzonte.

«Mus». Dalla punta della bacchetta un alone lattiginoso si riversò su uno dei cucchiai di legno, turbinando in tondo. Non appena la luce divenne più fioca, un topolino marrone dai piccoli occhi vispi si drizzò in piedi e corse verso il bordo del tavolo. «Vieni qui, tu». Gli porse la ciotola con la pozione; il piccolo roditore vi immerse la zampina e poi la leccò.

Risatine di consenso si levarono dagli spalti. Lily lo osservò zampettare per qualche istante e poi lo sollevò fra le mani. «Vieni. Facciamo un bagno». Tremando si avvicinò al bordo del bacino artificiale, oltrepassò l’aquila ferita e posò il topolino sulla riva. «Spero tanto che tu sappia nuotare».

Lo spinse delicatamente oltre il ciglio e lo guardò affondare, inghiottito dal liquido brunastro che si richiudeva sopra di esso.

Per trenta secondi, nessuno fiatò.

Poi una coda sottilissima infranse la superficie densa e calma del bacino, piccole orecchie tonde emersero, perfettamente pulite, e il topolino nuotò placidamente fino a raggiungere di nuovo la terraferma. Si scosse, alzando il muso: la sua pelliccia emanava una delicata luminescenza, visibile anche da lontano. Avvicinandosi, Lily, sospirò di sollievo.

«Accio calice!» urlò, fra gli applausi scroscianti del pubblico. Bevve la pozione in un sorso, un sapore di miele mai provato le scivolò dalla bocca nella gola, scaldandole lo stomaco. Immerse le gambe, gettandole oltre la sporgenza, palpebre serrate e pugni stretti.

Il suo cuore batteva forte e il contatore segnava sette minuti.


***


Riaprì gli occhi e fu come respirare melassa, polmoni chiusi e oppressi dalla tensione che raddensava l’aria, un battito sordo e doloroso nella parte sinistra del petto. Il rombo indifferente del sangue nelle orecchie, il vento che gli asciugava il sudore dalla fronte: Lucas registrò quei dettagli come elementi di contorno, l’unico rumore dominante era lo sciabordio del sangue dell’Idra che riempiva la fossa, quasi arricciandosi contro le ginocchia di Lily.

La vide avanzare a braccia larghe, ondeggiando come una barca in mezzo a una tempesta, circondata da un alone chiarissimo, più intenso di quello che aveva emanato la pelliccia del topo prima che si ritrasformasse in un utensile da cucina.

«Ha cotto troppo in fretta». Il Capitano scosse la testa, occhieggiando i rimasugli di pozione nella ciotola. Glieli indicò e Lucas non poté che annuire.

«Non ha abbastanza tempo» ribadì Lance.

Lily raggiunse la base dell’isoletta e i boccioli di Fiordifiamma che ondeggiavano dormienti si sollevarono minacciosi, pronti a sputare fuoco. Un getto violento si sprigionò dalla corolla più sporgente e la spinse indietro, facendola gemere e barcollare. Lucas si trattenne dal fare un passo avanti.

Non lasciare la postazione.

Lance gli rivolse un cenno di intesa. «Se ce ne sarà bisogno interverremo. Per adesso…»

Avrebbe dovuto lasciare che se la cavasse da sola. Nulla di ciò che aveva potuto fare per lei era in grado di combattere o vincere al suo posto; quella scontata considerazione lo assalì inchiodandogli i piedi al suolo e il cuore a una preghiera altrettanto banale.

Non voglio che tu ti faccia male.

«Se continua così si farà male. Pozione o non pozione, anche se supera questa prova…»

Lucas sollevò un sopracciglio e Lance tacque.

Lily urlò, spinta all’indietro da un getto respingente delle corolle di Fiordifiamma, e incespicò, suscitando le proteste del pubblico. Dagli spalti si alzò un grido che Lucas avrebbe riconosciuto ovunque. «Le aquile! Attenta alle aquile!»

Spinti da quella raccomandazione, in molti sollevarono gli occhi al cielo per guardare i rapaci che scendevano insieme lentamente, girando in tondo. Lucas invece guardò sua sorella, che stringeva le mani di una Slytherin dai capelli neri, gli occhi fissi sulle ombre dei rapaci proiettate sulla densa massa liquida e scura che circondava l’isoletta.

Lily si parava la testa coi gomiti. Il fuoco non la bruciava, ma viluppi di vegetazione foltissima le sbarravano la strada, impedendole di aprirsi un varco con le mani.

«Se usa un incantesimo lacerante il suo punteggio scenderà ancora». Lance gli afferrò il braccio e strinse finché Lucas non si voltò. «Forse dovremmo intervenire prima che finisca il tempo. Se si rompe qualche osso quando l’effetto della pozione svanisce, suo padre ci farà saltare tutti quanti. E l’opinione pubblica sarà addosso al Ministro senza che noi ci possiamo fare niente. Guarda lassù, Sergente» disse, indicandogli la tribuna riservata alla stampa, dove Rita Skeeter sorrideva, battendo le mani ad ogni salto che Lily faceva, come se stesse assistendo ai volteggi di una prima ballerina.

Grinzose e sottili, quelle dita ingioiellate si arcuavano nell’atto dell’applauso somigliando ad artigli protesi in attesa di una carcassa da depredare.

Se solo avesse potuto spezzarle una per una e fargliele ingoiare.

Lucas prese fiato. «Malefica puttana».

Il Capitano rise. «Se la cava benino, la piccola Potter» commentò, osservando Lily che trovava un appiglio per salire. Il bagliore che emanava diminuiva velocemente di intensità, pochi secondi e sarebbe diventato nulla più che un pallido alone. «Ma se cade adesso…»

«Non lo farà».

Certe volte gli pareva che lei potesse udire anche quello che lui non diceva. Poggiati i piedi sul suolo, Lily si voltò come se avesse percepito quei pensieri e gli sorrise coraggiosamente, sguainando la bacchetta che aveva infilato nella manica perché non si danneggiasse a contatto col liquido corrosivo. «Accio pugnale!»

La lama si piantò nel fusto di una delle piante di Fiordifiamma, che si staccò di netto dalla radice, sgorgando fuoco e lava. Lily gettò all’indietro la testa snudando il collo e afferrò il viticcio dalla parte del gambo e lo fece roteare, lanciandolo in alto, verso le aquile, che si ritrassero, spaventate. Un applauso assordante la accompagnò, mentre scavalcava il recinto del braciere e vi gettava il viticcio in fiamme.

Il contatore segnava un minuto e non accennava a fermarsi.

«Perché non si accende?» Tagliò un altro ramo e lo unì al primo e così via fino all’ultimo disponibile, senza che la torcia prendesse fuoco. «Accidenti! Cosa sto sbagliando?»

Lucas guardò verso l’alto le sagome delle aquile calare contro il sole.

Cinquanta, quarantanove, quarantotto.

«Accenditi!» Lily afferrò il fascio di Fiordifiamma e lo lanciò verso l’alto, parandosi dai colpi dei rapaci che la attaccavano, ora che il fuoco non li disturbava più. Una fontana rossastra e ardente si sprigionò dalle corolle descrivendo nell’aria decine di parabole discendenti, inghiottite dai vapori prodotti dal sangue dell’Idra che, surriscaldato da tutto quel fuoco, stava cominciando a ribollire.

Quarantadue, quarantuno, quaranta.

Lance si appoggiò al bastone, prossimo allo scatto in avanti. «Se continua così farà un bel volo».

«Se così dovesse andare, non arriverà a toccare terra».

«La prenderai prima tu, Sergente?» gli chiese il Capitano, sollevando il mento. «Tu e quella ragazza…»

Lucas si voltò bruscamente. «No, signore. Non può accadere».

Trentaquattro, trentatré, trentadue.

Guarda in alto, Lilou.

E inaspettatamente, quel filo sottile di comunicazione lontana e muta sembrò funzionare. Lily alzò al cielo gli occhi verdissimi e capì.

«Il sole! Il fuoco di Prometeo è il sole! Aquafors!» Puntò la bacchetta contro la brocca dell’acqua sul tavolo, il cui contenuto si sollevò roteando in aria come una sfera elastica e schizzò verso di lei, posizionandosi sopra il braciere. Un getto di scintille azzurre la investì e la circondò ed esaurendosi lasciò spazio a una lente di vetro convessa.

Venti, diciannove, diciotto.

Il Capitano respirò profondamente. «Perché no? Ha il naturale talento per i guai che attira tanto quelli del tuo stampo». C’era persino dell’ammirazione in quel commento che si sforzava di essere neutrale. Lucas scosse la testa, stringendo le labbra. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

Una folata improvvisa d’aria calda le aveva sciolto la treccia trasformandola in turbine che era esso stesso una fiammata selvaggia. Lei, pelle bianca e gote scarlatte, scandì un ultimo incantesimo, la sua voce si spanse come un’eco disperata fra le gradinate raccolte in religioso silenzio.

Nove, otto, sette.

«È troppo giovane».

Quattro, tre, due.

Il fuoco divampò senza preavviso e il contatore si fermò quando mancava un secondo alla fine del tempo. Scrosci di applausi accompagnarono la prima fiammata, ondate asincrone di entusiasmo, una dopo l’altra, si unirono mentre il pubblico si alzava in piedi per acclamarla. Lily alzò il pugno chiuso, senza avvedersi del turbine d’ali grigie che si aprivano e si chiudevano sopra la sua testa. Agli occhi di Lucas, tutto si muoveva con una lentezza estenuante. Intuì ciò che sarebbe accaduto con la consapevolezza impotente di chi assiste a una caduta da altezze da capogiro, lo stomaco trafitto dalle fredde lame della paura.

Nient’altro che una meccanica successione di fotogrammi che congelavano un istante. Una piuma leggera che le volava davanti al volto, lei che alzava gli occhi per guardare, artigli robusti che si chiudevano attorno al suo polso trascinandola verso l’alto.

E le sue gambe che scalciavano l’aria, sopra il fuoco acceso.

Lance imprecò. «Weyland, qui! Le scope! Andatele dietro!»


***


«Mettimi giù!»

Stridendo l’aquila planò verso il basso, piegando verso sinistra. I piedi di Lily sfiorarono i rami più bassi di una quercia con un sinistro fruscio, che la indusse a raccogliere le ginocchia per non essere sballottata ulteriormente qua e là. I capelli sciolti le vorticavano attorno alla faccia: cercò di spostarli con la mano sinistra, per toglierseli dagli occhi.

Sentì d’un tratto le suole delle proprie scarpe poggiare su qualcosa di solido e si accorse di avere entrambe le braccia libere. Un fragoroso frullare di piume le sfiorò la testa mentre si abbassava, poi il rapace che l’aveva trasportata fin lì si aggrappò con gli artigli al ramo di un albero di fronte a lei e, aprendo le ali un’ultima volta, emise un grido soddisfatto.

«Bene, ora siamo pari» ruggì Lily, appoggiando la schiena alla parete rocciosa dietro di sé. Si asciugò il viso sudato e sporco, lordandosi le mani di cenere. L’aquila girò la testa, come per osservarla meglio. «Non sono cibo, sai. Faresti meglio a starmi lontana, vedi questa? È una bacchetta magica» disse, puntandogliela contro. «Puoi farti molto male, se ti avvicini».

Uno sbuffo, un altro verso basso e pacato.

«Perché sto parlando con te, poi, è una cosa che…»

Il rapace abbassò il capo maestoso, protendendolo verso di lei. Sebbene il suo primo istinto fosse stato quello di ritrarsi, Lily si sporse invece, per capire cosa stesse facendo. Una zaffata di bruciato la investì catalizzando la sua attenzione. «Oh, ma sei tu!» esclamò. In risposta, ottenne un frullare d’ali che fece volar via piume strinate dal fuoco.

«Ti ho salvato le penne, il minimo che potessi fare era non rapirmi. Non sei molto carina».

L’aquila rialzò la testa. Come se avesse percepito il rimprovero si ritrasse e spalancò il becco, producendo un fischio acuto. Arricciò le piume della gola, gonfiandosi, e poi si lanciò verso il basso, volando via.

Lily rimase a bocca aperta. «Accidenti» mormorò poco dopo, battendosi le mani sulle cosce.

Si arrampicò sullo spuntone di roccia più in alto, per lanciare il segnale di soccorso. Oltre le fronde dei primi alberi che celavano alla vista il folto della foresta, le acque del Lago Nero scintillavano come uno specchio impolverato di un velo di bruma. Chiusa fra tronchi di conifere vecchissime, la valle dei Centauri si stendeva in una vasta macchia ombrosa, oltre la parete di roccia forata che conduceva alle gallerie dei ragni.

La nebbia era quasi scomparsa.

Zio Neville doveva essere riuscito a debellare l’infestazione della pianta che aveva confinato gli studenti di Hogwarts tenendoli ben lontani dalle ombrose spiagge dove erano ormeggiate le barche. Lily spinse lo sguardo verso il pontile, ricoperto di una fitta vegetazione verdastra, un tappeto di liane dall’aspetto scivoloso.

«Che cosa bizzarra».

Saltò giù, aggrappandosi a una specie di liana che sembrava protendersi dal nulla serpeggiando fra le fronde di un elce, e appoggiò il piede destro al tronco, aggirandolo per appoggiarsi su uno dei rami più robusti. Un rumore di zoccoli come numerosi tamburi echeggiava dal cuore della Foresta Proibita, il sole già basso sull’orizzonte proiettava sui sentieri ombre lunghe e fitte. Lily si chinò per usare l’incavo quasi piatto dell’albero come una scaletta, cercando un appiglio lungo il fusto, una sporgenza bassa che le permettesse di aggrapparsi.

Incappò in un’altra liana, che le avvolse il braccio in una stretta delicata e altrettanto cautamente sembrò srotolarsi verso il terreno per permetterle di raggiungerlo. Posando i piedi al suolo, Lily tirò un sospiro di sollievo. Era abbastanza vicina al castello da raggiungerlo da sola, senza aspettare i soccorsi, inoltre…

… la nebbia era quasi scomparsa, e nessuno aveva detto niente.

Le bastò un passo per capire di non essere al sicuro come credeva. Sbucando nella stradina oltre le felci e i tronchi marci abbattuti dal temporale si trovò quasi avviluppata in groviglio di viticci fittissimi e appiccicosi. Boccioli di un rosso sfumato d’arancio tappezzavano i tronchi che affiancavano il sentiero, un odore di frutta marcia e caglio la inondò facendole reclinare la testa di lato, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo. Lily si tappò il naso con la mano e cominciò a camminare più in fretta per allontanarsi.

«Oh, no» gemette, svoltato l’angolo.

Dietro la curva che apriva sulla riva sud, dove avrebbe incrociato la sterrata che l’avrebbe condotta dritta alla casa del custode, un fitto di fiori già sbocciati le sbarrava il passo. La brezza tenue che saliva dal lago ne smuoveva i petali, grandi quanto la sua mano, facendoli ondeggiare. Era un moto così dolorosamente incantevole che per un attimo Lily desiderò toccare quella trappola di velluto. Allungò esitante una mano, chiudendo gli occhi, stordita dal profumo nauseante che aleggiava nell’aria fredda della sera.

Era lo stesso odore che doveva infestare i bordelli, essenze da due soldi e sudore stantio.

Allusioni e desideri coltivati in stanze buie, segreti conservati come petali di rose, a marcire dentro scatole sepolte nei recessi di una memoria da non riesumare mai.

Un bacio sulla bocca, legato a un sasso in fondo a un pozzo.

Il canto della Sirena.

«Togliti da lì!»


***


In my place, in my place,

were lines that I couldn’t change

and I was lost, yeah.


Quando la maledizione di Lucas le saettò sopra la testa, Lily si abbassò, riparandosi coi gomiti. Violentissimo, l’incanto lacerante si abbatté sul groviglio di liane staccando di netto i fiori, che caddero mollemente nelle pozzanghere.

«Non muoverti!»

Annuì senza parlare. Fischi feroci come di proiettili sparati a velocità incredibile la assediavano chiudendola in un cerchio immaginario. Afferrò la bacchetta che teneva alla cintola e senza alzarsi né fiatare cercò di farsi scudo evocando una parete di roccia. Lucas si chinò accanto a lei, il suo braccio saldo le scivolò attorno ai fianchi.

«Ti spiace se approfitto del tuo riparo?»

«Fa’ pure» ribatté facendogli spazio. «Cosa sono quei cosi che volano?»

«Spine. Non credo ti farebbe piacere fare la loro conoscenza».

Quasi a fargli da sottofondo, uno degli spuntoni si infranse sulla pietra, scheggiandola. Lily incassò la testa nelle spalle. «Quindi è questa la pericolosa infestazione del Lago?»

«Oh, sì. Ma è migliorata, sai. Non c’è quasi più nebbia, le spine si vedono. Devi solo stare attenta a non avvicinarti troppo ai fiori, il profumo che emanano può ipnotizzare la più furba delle streghe». Le rivolse un sorriso a metà, senza girarsi del tutto verso di lei. «La settimana scorsa due dei ragazzi si sono persi, di notte. Recuperarli è stato un bel problema».

«Non so perché, non faccio fatica a crederlo».

Lucas rise. «Già. Per fortuna tu eri abbastanza vicina».

«È colpa di quella stupida aquila».

«Se non fosse stato per Skree, te la saresti vista piuttosto brutta. Dovresti essergli più grata».

«Skree?»

«Già. Gli hai salvato la vita, immagino volesse ricambiare. Sono animali molto intelligenti. Quando ha visto che stavi per essere buttata giù dalle sue sorelle ti ha presa… Beh, è il caso di dire che ti ha presa al volo». Il tono della sua voce perse impeto e si ammorbidì, somigliando di più a una carezza. «Dovrò dire ai suoi addestratori di dargli una razione extra di cibo» disse, sollevandosi per controllare la situazione.

Lily si aggrappò alla sua spalla e lo sentì contrarsi leggermente. Una lieve pressione sul suo polso la lasciò per un momento priva di voce. Sollevò lo sguardo per incontrare quello di lui. «Che succede?» sussurrò.

«Forse dovremmo cambiare strada, allungheremo un po’ ma arriveremo prima che faccia buio. Comunque, da questa parte non si passa». Coi denti si sfilò il guanto, e, non appena ebbe liberata la mano, le premette sul labbro col pollice. «Ti sei graffiata qui» mormorò, mentre lei chiudeva gli occhi.

«Sono stati i rami. Hai messo tu le fiale nei bauli?»

«Tu cosa ne pensi?»

Quella domanda le sfiorò le ciglia abbassate, soffiandole via dal volto un ciuffo di capelli. Lucas la tirò in piedi, aiutandola a ripararsi dietro il tronco spesso di una quercia.

Ciò che il profumo ingannevole delle trappole fiorite aveva offerto alla sua mente spossata, nient’altro che cadere per lasciarsi raccogliere da quelle braccia.

«Penso di sì».

Gli posò la mano sul petto e lo sentì trasalire di nuovo, vibrare sotto le sue dita come un cavo d’acciaio tirato fra due massi in bilico sull’orlo di un precipizio. La stretta attorno ai suoi fianchi aveva smesso di essere rassicurante, era una morsa tesa che premeva sulla sua schiena, propagandosi ai lombi.

Indecente.

Lucas allentò la presa, scostandosi appena da lei.

«Non è esatto, no». Fu un commento cortese, tuttavia, accompagnato dal tocco leggero della sua mano che dal mento scendeva lungo il collo. «Hai indovinato il mandante, ma hai sbagliato l’esecutore. E questo, di fronte a una commissione disciplinare, potrebbe salvare il mio grado, perché bisognerebbe prima provare che, chiunque abbia fatto scivolare quelle tre fiale identiche nei forzieri, l’abbia fatto su mio espresso ordine. E questo significherebbe trovarlo». La indusse a sollevare il mento che lei aveva abbassato per rifugiarsi fra i lembi morbidi del suo colletto. «Non pensi anche tu?»

«Ci sono molti modi per rintracciare l’autore di un incantesimo» obiettò lei, voltando lo sguardo verso le acque calme del Lago. «Per esempio la sua bacchetta. Immagino che i bauli fossero sigillati. Chiunque li abbia aperti deve aver fatto un bel po’ di tentativi».

«Non tutti hanno bisogno di una bacchetta per fare magie». Le allontanò i capelli dalla fronte, vi immerse le dita per qualche istante, rivolgendole un’occhiata guardinga. «Sei arrabbiata?»

«Avrei potuto cavarmela anche da sola».

Lucas sorrise. «L’hai fatto. Tu hai preso il fiore, tu hai fatto la pozione. Hai soltanto approfittato di un ingrediente come un altro. Un ingrediente che avevate tutti. E così» aggiunse, inclinando il capo verso destra, «abbiamo sistemato anche la regolarità. Non hai imbrogliato, se è questo che ti preoccupa. Comunque, è meglio andare». Le afferrò la mano e scostando le frasche le indicò una via semi nascosta, che conduceva verso il centro della Foresta. «Tra poco ci staranno tutti addosso. Non so tu, ma io non ho alcuna voglia di rientrare con la scorta. Preferirei godermi la passeggiata».

Lily annuì. «Pensi che mio padre mi stia cercando?» domandò, lasciando che fosse lui a fare strada.

«È più probabile che stia cercando di convincere il vostro Preside a radere al suolo la foresta per trovarti più in fretta». Lucas si voltò verso di lei, ombroso. «Sta’ attenta qui» le raccomandò, indicando un fitto intrico di vegetazione sopra le loro teste. «Devi saltare, ma non troppo in alto».

«Allora sarà più un problema per te che per me» ribatté lei, con una smorfia, ma nel flettersi si rese conto di aver dimenticato qualcosa che lui probabilmente aveva messo in conto. Il corsetto rinforzato le premeva sul ventre, mettendola in difficoltà. Spiccò un balzo incerto e sporco e atterrò rotolando sul fianco, cercando di minimizzare l’impatto, mentre lui superava la spaccatura con una falcata.

«Stai bene?»

«Sì» replicò lei alzandosi. «Andiamo. Il sole è tramontato, se non ci sbrighiamo rimarremo al buio».

Riprese a camminare, premendosi la mano sullo stomaco. L’orlo rigido del busto doveva averla ferita. Sperò che lui non se ne accorgesse, o avrebbe rallentato per permetterle di stargli dietro. Avanzarono fino a raggiungere una radura isolata, circondata da cespugli bassi e ciuffi di felci. Lo sterrato lì era più asciutto, la terra sotto i piedi più solida. Quello che sembrava un edificio votivo costruito in marmo bianco era completamente ricoperto di liane rampicanti e di fiori rossastri irti di spine.

«Cos’è questo posto?»

Lucas scosse la testa. «Sembra un santuario. C’è scritto qualcosa sulla porta, ma non riesco a leggere. Troppe foglie» sospirò, indicandole. «Comunque siamo sulla strada giusta. Vedi le torri?»

Lily ansimò. «Sì. Quanto manca?» chiese, abbandonandosi contro una colonna spezzata per riprendere fiato.

«Mezz’ora di cammino. Sei sicura di stare bene?»

Annuì senza parlare, ma prima che potesse rimettersi diritta lui l’aveva già raggiunta, strappandola quasi al sostegno del marmo. Le affondò le dita nelle braccia e lei rabbrividì. «È troppo stretto, vero? Il busto. Potevi dirmelo». Un rimprovero soffice le percorse la pelle nuda, dalla mandibola al collo, mentre Lucas le posava le mani sulle scapole.

«Non è niente» cercò di protestare, ma la voce le uscì così flebile da vanificare il suo intento.

«Continui a premerti sul fianco, ma non dici una parola. Tutto quest’orgoglio è troppo per una ragazzina. Finirà per soffocarti».

«Non sono una ragazzina». Le scottavano le guance e chiuse gli occhi per impedirsi di soccombere alla stanchezza che le pesava sul cuore. Respirare stava diventando doloroso come dopo una lunga immersione, la pressione le schiantava il petto e l’aria che le entrava nei polmoni sembrava fatta di spilli minuscoli e acuminati.

Lo sentì armeggiare coi lacci e cercò di allontanare le sue braccia con uno schiaffo, ma lui, più lesto, le bloccò entrambi i polsi, piegandoglieli dietro la schiena.

«Oh, sì, lo sei». Premeva la fronte contro la sua e così la punta del naso, il petto, il ventre. Tentare di divincolarsi l’avrebbe esposta alla sua mercé e d’altra parte non era poi così sicura di volersi staccare.

Neppure lui lo sembrava.

Ciò che lo tradiva, che li tradiva entrambi, forse, erano l’ondeggiare lento sulle ginocchia, le scosse dei muscoli tesi, i sospiri lenti.

Indizi di una trappola mai disinnescata, in cui si dibattevano insieme senza ragione apparente.

Se non quella di non allontanarsi.

La stretta divenne una carezza, dal punto delicato dove il riverbero del battito del suo cuore fluiva violento verso l’incavo dei gomiti, fino alle spalle e al centro della schiena. Improvvisamente, Lily si accorse di essere in grado di prendere fiato: il corsetto si spostò verso il basso, mentre Lucas la sollevava agganciandola sotto le braccia.

«Intendi spogliarmi?»

Lo vide scuotere la testa. Tuttavia un luccichio cupo gli danzava negli occhi, mentre le premeva il palmo contro la colonna vertebrale, salendo verso la nuca. «Temo di dover dire di no». La linea ferma fra le sue sopracciglia si distese e sulla sua bocca apparve un sorriso sfacciato. «Ma non significa che non mi dispiaccia». La sosteneva in modo che lei non toccasse la terra coi piedi, ma quando gli allacciò le gambe dietro la schiena lo sentì barcollare, e non perché gli pesasse troppo. «Non farlo» disse, ma non la lasciò andare e la sua voce vibrò.

Tutte le crepe nel suo sguardo di marmo.

«No?» Non si era neppure avveduta di potersi muovere e quando se ne accorse gli allacciò al collo le braccia, sfiorandogli i capelli con le mani che fino a poco prima avrebbe voluto usare per strappagli a forza di schiaffi sulla bocca le scuse che le doveva.

Risposte che lui non le avrebbe dato se non schivando la banalità delle parole.

Forse afferrare quei riccioli che sentiva sotto le dita e tirare l’avrebbe soddisfatta.

Quello, o i morsi dei suoi denti sulle labbra e un ginocchio su cui poggiarsi, per non trascinarlo a terra con sé.




Sono malata e posto random.

Quindi mi sento autorizzata a dirvi che se non mi arrivano una marea di recensioni sciopero ad oltranza. Oltretutto ci tengo a farvi sapere che il prossimo è un capitolo molto importante e che sto faticando a dargli un’impronta che mi piaccia. Quindi incoraggiatemi o vi mestolo.


Alle solite, note, citazioni, etimo e nomenclatura:


Aquafors e Mus sono entrambe formule di mia creazione, sebbene sull’impronta di J. K. Rowling. Aquafors viene da aqua (lt. acqua) e dalla radice for di fero (fers, tuli, latum, ferre: portare). Mus (lt. mus, muris: topo)

La Mandragora era effettivamente creduta un talismano per la buona sorte, l’artiglio del diavolo viene tutt’ora usato in preparazioni erboristiche per applicazione locale (unguenti, pomate) che hanno effetti analgesici e antiflogistici.

Siccome so che qualcuno salterà su a prendersela con Lucas, vi fermo prima. Ci sono dei motivi per cui dice quello che dice, ma non vi dirò quali, per adesso. Però ci sono, fidatevi.


Grazie come sempre a chi partecipa e recensisce, anche perché sono recensioni davvero belle e piene di entusiasmo.

Torno a rantolare, soffrendo. Se volete, mi trovate QUI


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Capitolo 12
*** XII - Le colpe dei Padri ***


XII


Le colpe dei padri


And I forget just why I taste

Oh yeah, I guess it makes me smile

I found it hard, it's hard to find

Oh well, whatever, never mind.


- Nirvana, Smells like teen spirit -



Qualcosa, nel modo in cui la toccava, era cambiato.

Poco più di una sfumatura che si infiltrava nella pressione delle sue dita sui polsi e sulla schiena, nel tremito della gamba che la reggeva, puntellata contro il piedistallo della colonna, nei baci rabbiosi che le dava sulla bocca e lungo il collo.

Una spaccatura che affondava le radici chissà dove, dentro di lui.

Le sue dita si attardarono lungo il fianco, dove i lacci allentati gli offrivano accesso alla stoffa sottile della blusa, poi ai lati del torace, chiuse attorno ai bordi rinforzati del busto. Un leggero strattone e la sua corazza sarebbe caduta a terra, niente altro che cuoio sull’erba del bosco.

Se solo non si fosse fermato.

«Lilou».

Lasciarla andare sembrava per lui più penoso di quanto non lo fosse per Lily. Si allontanò comunque, di un passo solo, sorreggendola ancora sotto le ascelle, l’altro braccio rilassato lungo il fianco, la lingua fra i denti e una domanda, da qualche parte, in fondo agli occhi.

«È buio. È meglio… ».

«Sì».

Se solo…

Balzò giù dalla colonna monca su cui l’aveva posata, rovesciando all’indietro la testa per venire a capo del groviglio dei capelli. Li raccolse sulla spalla, attorcigliandoli, avrebbe voluto avere qualcosa con cui legarli, ma dovunque fosse finito il suo fermaglio non era certo lì. Avvertì un peso sulle spalle, stoffa spessa e ruvida soffiata dal vento, e si rese conto di avere addosso il suo mantello.

«Chiudilo» le raccomandò e come se avesse ragione di dubitare che l’avrebbe fatto, allacciò lui stesso la fibbia d’argento con lo stemma della sua divisione. Lily alzò il mento e sentì le sue dita fredde sulla gola.

… non si fosse…

«Non vogliamo che ti vedano così». I suoi pollici le sfiorarono le guance, mentre le sollevava il cappuccio. «Certe visioni dovrebbero essere riservate».

«Lucas…»

Si scoprì incapace di obiettare o replicare. Non c’era nulla che potesse dire, in quel momento, che non le suonasse sciocco. Abbassò lo sguardo e si lasciò condurre per mano verso i cespugli che la pioggia aveva mutilato dei loro rami più esterni. Non li avevano ancora superati, quando Lucas si arrestò di botto e si voltò indietro.

… fermato.

«C’è qualcosa di strano qui, non è vero? Non so cosa sia questo posto» disse, tornando a esaminare la lastra di marmo che chiudeva l’ingresso della cappella alla loro sinistra. «Ho girato questa foresta in lungo e in largo. Dovrei conoscerne ogni palmo».

Lily scosse la testa. «La Foresta Proibita è immensa. Nessuno può dire veramente di conoscere tutti i segreti che nasconde. E poi è pur sempre Hogwarts, qui le cose possono sparire e riapparire dopo anni senza che nessuno se ne accorga, se non pochi». Gli strinse il braccio e lui aggrottò la fronte.

«Forse è così». Le passò il braccio attorno alle spalle e le aprì la via dentro la macchia, sguainando la bacchetta. «Meglio fare luce. Non si sa mai».

Le foglie le scricchiolavano sotto i piedi, un frullare di piccole ali si levò dagli alberi sopra di loro. Lily alzò lo sguardo: una falce di luna sottilissima, nulla più che la curva bianca di un sorriso disegnata con la matita su un cielo di velluto blu e nero, incorniciata dalle alte chiome degli elci sfumate d’argento. In lontananza, di nuovo zoccoli di cavalli al galoppo e un ululato basso e fondo, come quello di un lupo.

«Quanto tempo siamo stati qui?»

Lucas le rivolse uno sguardo sbieco. «La notte arriva in fretta, a novembre. Non a Londra, immagino, troppi lampioni, ma qui… ». Le mostrò la via illuminata dal suo incantesimo, una striscia di terra che si snodava fra i sassi e gli sterpi come un serpente silenzioso. «Qui… Non c’è niente, a fare luce sui nostri passi».

Aveva appena finito di parlare quando le fece segno di fermarsi, l’indice sulle labbra. Lily trattenne il fiato, tendendo le orecchie, e capì.

«Nox».

Un’eco ovattata, non lontana ma attutita, di radici che smuovevano la terra, risuonò nel silenzio della notte, detriti scivolarono colpendo il suolo umido. Uno, due, tre, quattro respiri: due affannati, uno calmo e pesante, l’ultimo era il suono che faceva il vento che soffiava attraverso una stretta gola rocciosa. Guardò Lucas, che aveva lo sguardo fisso sul buio e aveva sollevato quattro dita all’altezza della spalla. Le ruotò, indicando a sinistra della radura, da dove provenivano i rumori.

Lily annuì, indicandosi gli occhi e lui in tutta risposta, scosse la testa, picchiettandosi a lato dell’orecchio. Sembrava divertito, come se non si aspettasse che lei conoscesse il codice militare dei gesti, ma naturalmente non era così.

Era pur sempre la figlia del Capo Auror.

Per lo stesso motivo riconobbe il lampeggiare della sua bacchetta come un segnale.

Rimasero entrambi immobili, ad attendere la risposta: se fosse arrivata entro dieci secondi avrebbero potuto procedere. Nessuna luce poteva significare che non erano stati avvistati o che chiunque ci fosse nella foresta non era un amico.

Erano codici di guerra.

Lucas tese il braccio, i suoi occhi saettarono alle sue spalle e lei si voltò, schiacciando la schiena contro la sua con la bacchetta in mano.

Codici di guerra.

Perché?

Quando il primo schiantesimo volò sulle loro teste la tirò verso il basso, facendole battere le ginocchia sulle pietre che costellavano il sentiero. Lily incespicò e gli finì addosso, ansimando. Puntò alla cieca e senza emettere un suono: un incantesimo senza voce non era mai potente come uno urlato, ma era sicura di avere abbastanza energia per poterlo lanciare e così non l’avrebbero sentita.

L’onda d’urto esplose in avanti, trascinando con sé rami e foglie, un gufo solitario che dormiva fra le fronde di una quercia accompagnò con uno stridio il rumore di un corpo che sbatteva contro il tronco di un albero.

«Stai bene?»

Lucas le tappò la bocca con la mano e annuì. Un getto di luce rosso vivo partì dalla sua bacchetta e quando raggiunse il bersaglio l’impatto fu così inaspettato da farla sibilare.

Silenzio dall’altra parte, poi una voce ben nota lanciò una sequela di bestemmie che avrebbe fatto impallidire un becchino dopo una giornata di lavoro sotto la pioggia.

«Sai» Lucas rideva adesso. «Credo di aver appena disarmato tuo padre».


***


«Tutto bene, laggiù?»

Hagrid venne avanti, i suoi occhi neri sgranati e la fronte e le guance arrossate per la corsa. «Oh, Harry, vieni qui. Tua figlia mi sembra tutta intera!»

«Sono io che non lo sono!»

Lily si tirò in piedi e cercò di andar loro incontro, stringendosi nelle ampie falde del mantello di Lucas, che la seguiva a breve distanza. Lo vide oltrepassare Hagrid senza fermarsi: i due si scambiarono uno sguardo vuoto, a metà fra l’indifferenza e l’aperta ostilità, poi Lucas la raggiunse e le strinse la spalla con una tenerezza disarmante, che la fece avvampare. Gli nascose il volto contro il braccio, mentre Hagrid brontolava sommessamente.

«Tutto bene, tu, sì» borbottò alla fine, pulendosi la faccia sulla manica del soprabito. Lily sollevò la testa in tempo per accorgersi del suo sguardo torvo e quasi senza accorgersene fece un passo verso di lui, mettendosi in mezzo.

«Tutto a posto, grazie». Gli sorrise e le sue spalle si abbassarono, le braccia penzoloni cominciarono a dondolare, come per scacciare l’imbarazzo.

«Beh, sai, non sapevamo chi fosse. Nessuno di noi ti ha colpita, vero?»

«No».

Lucas si fece avanti. «Non avete visto i segnali?»

Gli altri della comitiva intanto si affollavano alle spalle di Hagrid. Lily incrociò lo sguardo corrucciato di suo padre: aveva gli occhiali rotti e il naso sporco di terra, la mano destra vuota che si sfregava con insistenza sui pantaloni tremava. Nella fretta doveva essersi dimenticato la giacca dell’uniforme, perché indossava solo il mantello sopra la camicia chiara.

«Niente male, come colpo, direi che Petrov ti sottovaluta». La dolce cantilena di Armand era intrisa di una certa dose di rispetto. Nello scorgere Lucas accennò un saluto militare e un inchino: aveva il guanto sporco di polvere bianca e sembrava in difficoltà, nell’attendere di fianco agli altri che qualcuno facesse la sua mossa.

Grop, invece, in coda al corteo, salutò entrambi con la mano ed emise uno sbuffo di contentezza.

«Malf». C’era tanto di quell’affetto manifesto nella sua voce tonante che nessuno avrebbe potuto negare di averlo notato. Il Gigante scavalcò con un sol passo le teste dei suoi compagni d’avventura e si abbassò, posando un ginocchio a terra, per tendere un colossale indice verso Lucas, che lo colpì col palmo della mano aperta.

«Come va, Grande Coso Verde

Neppure a dirlo, ad Hagrid cadde l’ombrello.

Grop grugnì e fece sì con la testa, sollevando il pollice. Tutto bene, grazie.

«Spero di non avervi, ehm, spediti troppo in là». Lily si schermì, facendo scivolare il cappuccio all’indietro. «Ero un tantino nervosa e voi non avete risposto al segnale».

Qualcosa gorgogliò, seguito dal rombo di un tuono. Grop rideva. «Boom bello!»

Lucas si unì a lui. «Al Gigante è piaciuto il tuo Reductor. Grop, conosci la signorina Potter? No, suppongo di no» aggiunse, mentre quello chinava il capo per salutarla, «non prende tante punizioni quante ne prendevo io».

«Salve, Grop». Lily piegò le ginocchia, imitando un principio di riverenza. Un pensiero improvviso le balenò in mente, riportandole alla memoria le parole di Aura Nott che raccontava dell’episodio del sangue di drago e degli studenti più giovani che si divertivano a disturbare il guardiano addormentato.

Lucas ha detto a tutti che le caccole dei Giganti erano velenose, così hanno smesso.

Quell’eco distante le gonfiò il petto di un respiro così tremulo che se non avesse avuto gli occhi del padre addosso gli si sarebbe aggrappata al collo. Invece si limitò a dedicargli un sorriso segreto, che lui accolse socchiudendo le palpebre.

«Amica?»

Hagrid si schiarì la voce. «Certo che è un’amica. Su, torna a casa, adesso, penso che qui è tutto a posto, giusto?»

«Avresti potuto dire che eri tu, non ti avremmo certo attaccato».

«Papà…»

Lucas alzò due dita e lei tacque. «Comandante, io ho degli ordini e gli ordini sono di aspettare il feedback. L’ho domandato prima e non ho avuto risposta: nessuno di voi ha visto la luce di segnalazione?»

Suo padre si bloccò. «Abbiamo… Ci è sembrato, ma non eravamo sicuri. Il signor de Rais…»

«L’avevo detto» intervenne l’interessato, con una smorfia. «Ho visto cose del genere nei campi di addestramento di Lione».

«Sì, bene. Ma se si fosse sbagliato… »

«Ci avete quasi schiantati!» protestò Lily battendo i piedi a terra. «Persino io conosco il significato della luce gialla lampeggiante, papà, me l’hai insegnato tu! Ci avete attaccati senza motivo, è una cosa.. stupida!» Si passò una mano sulla fronte, accorgendosi solo in quel momento che stava tremando. «Se invece di disarmarti lui avesse usato qualcosa di peggio… Non voglio neanche pensarci».

Interdetto, suo padre scosse la testa. «Mi ha disarmato lui?»

«Oh, mio Dio, è tutto qui quello che riesci a dire? Mi ha disarmato lui? Non ci posso credere. Sai tutte le volte in cui mi interrogo e mi chiedo da chi diavolo hanno preso i miei stupidi fratelli? Ecco, adesso ho la risposta!»

«Lils… »

«No, niente Lils. Sono stanca e voglio andare a letto». Strinse i denti che le battevano in una smorfia disperata. Gli occhi di suo padre nella penombra scintillavano del medesimo verde cupo della Foresta Proibita. Corsero rapidamente da Lucas a lei, svuotandosi di ogni espressione, ma prima che potesse rimproverarla, Hagrid si batté il pugno chiuso sul palmo.

«Forse, uh, Harry, noi… Portiamo tua figlia al castello, è meglio».

Lily gli sorrise, grata, e suo padre fece un cenno di assenso. «Sì, giusto». Le fece cenno di avvicinarsi a lui, tendendole la mano, che aveva come impolverata di gesso.

«Ce la faccio, grazie».

«Molto bene. Andiamo. Quanto a lei, Sergente, si aspetti un richiamo».

Lucas schiuse le labbra, gli occhi stretti in due fessure dalle quali balenavano le lame affilate del suo sguardo. «Per cosa?»

«Il suo comportamento, il fatto di non aver segnalato la posizione…»

«L’ho fatto».

«… aver messo a rischio mia figlia, decida lei».

«È ridicolo».

«Insubordinazione, allora».

«Bene» ribatté Lucas con calma. «Quando mi farà rapporto si ricordi di menzionare quanto male ha fatto andare col sedere per terra».

«Niente di cui scrivere a casa, Sergente. Ho dimenticato la bacchetta nella giacca e ho dovuto usare quella del Torneo, fortuna che il signor De Rais l’aveva ancora con sé. Se avessi avuto la mia non staremmo facendo questa discussione».

«Ne sono persuaso. Ma giusto per essere sicuro di aver capito bene andrò dal mio ufficiale in comando a dirgli che cosa ho fatto stasera». Scansò col piede le felci altissime aprendo la via a Lily, che lo seguiva senza parlare. Oltre la verzura, l’erba rada che costellava lo spiazzo di fronte ai giardini della scuola si piegava sotto la gelida brezza serale.

Stanchissima, Lily gli si appoggiò contro e lui la sorresse senza curarsi degli sguardi ostili di suo padre, che si era ammutolito come se gli avessero tagliato la lingua.

«Grazie».

«Come ho detto, mi rendi tutto molto complicato» le rispose in un sussurro. «Ma non è detto che sia un male». Le sfiorò il polso conducendola verso un varco che si apriva nelle siepi, mentre Grop rimaneva indietro, fra il fruscio degli arbusti che si spostavano al loro passaggio quasi obbedendo al suono dei loro passi. La sua mano era ferma e i suoi muscoli così tesi che le sembrava di avere roccia sotto le dita.

Lance li aspettava davanti al portone, quando li vide arrivare alzò il bastone e una scia di vivide scintille rosse infiammò l’aria notturna. Neppure trenta secondi più tardi il battente si spalancò e Lyra uscì, seguita da sua madre e dal Professor Vitious, che indossava la vestaglia da notte.

«Santo cielo, stai bene».

«Bun…»

«Oh, stai bene. State bene tutti e due». Strinse prima lei e poi suo fratello, che le posò un bacio sulla fronte. «Luke, me l’hai riportata tutta intera».

Lucas scrollò le spalle e le lasciò al loro abbraccio.

Un momento di assenza e le mancava già.

«Signore» disse al Capitano Lance, mettendosi sull’attenti, «devo avvisarla che riceverà una lamentela su di me».

«Che hai combinato, Sergente?» chiese l’ufficiale. Tutti tacquero.

Hermione le posò una mano sulla spalla, sporgendosi in avanti per ascoltare suo figlio. Un tremito leggero le scuoteva le dita e il respiro; quando il suo sguardo intercettò quello di Harry Potter, per un momento, si fece duro e cupo. Vitious si drizzò in punta di piedi e le batté una pacca di incoraggiamento sul dorso della mano.

«Una cosa gravissima, signore». Una risata vibrò beffarda nelle sue parole. «Inaudita. Credo che non l’abbia fatto nessuno prima di me».

Lance fece una smorfia. «Sei uno dei miei migliori elementi, Sergente. Dubito che tu abbia fatto qualcosa che possa farmi cambiare idea in proposito. Allora, cos’hai combinato?»

«Signore» un breve sorriso tese le sue labbra, «mi permetta, devo domandare scusa anche a mia madre. Sono certo che mio padre ne sarà informato e si comporterà di conseguenza».

Harry alle sue spalle emise un gemito fiacco.

«Che succede?» domandò Hermione con un mezzo sorriso.

Stretta ancora fra le braccia di Lyra, Lily sospirò. L’espressione tirata di suo padre s’incupì ancora, le scivolò addosso lungo le falde grigie del mantello da sottufficiale che si stringeva addosso come un’armatura. Rendersi conto di non poter più mascherare ciò che incatenava il suo sguardo agli occhi arroganti di Lucas mentre si posavano quasi distratti su di lei fu un tutt’uno con un’altra allarmante constatazione.

Suo padre, chissà come, sapeva.

E non approvava affatto.

«Sei stata grande, Pottergirl».

Lily si voltò, rivolgendo a Lyra un’occhiata che traboccava d’affetto. «Ti ringrazio».

«Siete praticamente pari, la tua pozione era… perfetta».

«Non lo era, ma apprezzo che tu non abbia detto quasi».

Lyra annuì, stringendole la mano.

«Accompagnala dentro, signorina Malfoy». Vitious fece loro cenno di andare, «Nel mentre suppongo che tuo fratello ci spiegherà per quale motivo ci sta tenendo qui fuori al freddo. Sarà mia cura riferirvelo, se dovesse essere rilevante per le vostre vite». Aprì la pesante porta di bronzo così che loro potessero sgattaiolare all’interno e Lance tese un braccio per aiutarlo.

«Avanti, Sergente, siamo tutti molto stanchi» disse a Lucas, quando furono passate.

«Temo che lei mi debba settantacinque galeoni, Signore». Ma invece che su di lui, il suo sguardo morbido si poggiò su Lily attraverso la fessura del battente, così sfacciato da farla arrossire nonostante la penombra.

Grigio cupo sfumato d’argento e oro dalla luce delle fiaccole appese ai muri, uno specchio di ghiaccio in cui danzava un fuoco selvaggio.

L’aspetto di un angelo e una voce che poteva venire solo dal più gelido degli inferni.

«Ho disarmato Harry Potter».


***


I'm worse at what I do best

And for this gift I feel blessed

Our little group has always been

And always will until the end.


«Non si riprenderà mai, vero?»

«Credo di no».

Aura sghignazzava senza commentare da dieci minuti. Qualcuno di Slytherin aveva scoperto come aprire la dispensa dove gli Elfi tenevano il vino per cucinare e aveva sparso la notizia per tutti i sotterranei, i cui inquilini venivano spesso visti gironzolare per i corridoi di notte, intenti a smerciare bottiglie per la maggior parte riempite con l’acqua.

Lily posò la forchetta e si pulì la bocca, scansando di lato il piatto degli spaghetti. «Povero papà. Non credo che l’abbia presa con filosofia».

«Raccontatemelo di nuovo».

«Oh, Aurie» Lyra prese un bicchiere di vino annacquato, senza curarsi delle occhiatacce degli Elfi Domestici che andavano e venivano nelle cucine. «Non è molto carino. Lo zio Harry ha salvato il mondo!»

Anche Lily scoppiò a ridere. «È quello che vi diceva sempre vostra madre, vero?»

«Già, soprattutto a Luke. Non essere indisponente con lo zio Harry, ha salvato il mondo!» Un singulto allegro spezzò la frase a metà. Lyra picchiò la fronte sul tavolo. «Non sbuffare quando viene zio Harry… »

«Non disarmare zio Harry…» le fece eco Aura, sollevando il suo calice. «Oh, ti prego, sto morendo» ululò, causando un altro scoppio di ilarità. Si inerpicò sullo sgabello e da quello saltò sul tavolo barcollando. «Signorine, brindate con me alla rivincita di Slytherin e alla Campionessa di Hogwarts, che è riuscita a piazzarsi quasi a pari merito con Sorriso A Molla e il Cosacco dello Zar!»

«Qui dentro non c’è abbastanza acqua, credo. Perché Sorriso A Molla?» Lily ingollò il contenuto del suo bicchiere e incrociò le gambe. «Capisco il Cosacco, in compenso, bel soprannome».

Lyra scosse la testa. «Non ubriachiamoci nelle cucine o mi toglieranno il distintivo da Prefetto. Comunque» cantilenò afferrando la bottiglia quasi vuota, «lo chiamano così perché sorride a comando, non te ne sei accorta? Quelli così sono i peggiori».

«Non mi fido di lui» sentenziò Aura mettendosi a sedere.

«Ditelo alla Appleseed, lei lo trova affascinante».

«Oh, lo so» borbottò Lyra, appoggiandosi alla sedia, «li ho visti in Biblioteca. Lei sventolava le ciglia come se avesse la congiuntivite, povera me, che orrore». Passò la bottiglia a Lily, che bevve direttamente dal collo.

«Oh, accidenti, sono di nuovo ubriaca».

«Ma non dire sciocchezze, è allungato. Sei solo stanca». Lyra le batté sul dorso della mano con affetto. «È meglio che ti porti in camera, ti ho trascinato qui con la forza».

«Nah» Lily scosse la testa, «hai fatto bene. Se mi fossi addormentata senza mangiare domattina sarei stata uno straccio».

«A proposito di ciglia sventolanti…» Aura appoggiò il mento sui palmi, roteando gli occhi verso l’alto, «qualcuno ha fatto festa nella Foresta?»

«Non so di cosa stai parlando».

«Ma dai, Potter, hai la faccia tutta rossa…»

Lily sbuffò. «È colpa del vino. Ho caldissimo».

… e hai un segno sul collo».

«Mi sono graffiata» ribatté, alzando il colletto della divisa. «E comunque smettila, non è affatto divertente».

«Però avevi i vestiti stropicciati e il busto slacciato». Lyra prese una forchettata di pasta dal piatto. «Insomma, ammetterai che la cosa è sospetta» mormorò, assaggiandola. «Accidenti, è colla. Aspetta, vado a vedere se ce n’è ancora nella pentola».

«Il busto slacciato?» Per nulla interessata al cibo, Aura cominciò a giocherellare con la forchetta.

«Mi dava fastidio, era troppo stretto».

«Per che cosa?» Un sorrisetto malizioso accompagnò quella domanda; gli occhi della sua compagna erano fissi sul pavimento, le gambe penzolavano oltre il bordo del tavolo come per il capriccio di una bambina.

«Non è successo niente di quello che pensi».

Aura sospirò. «Peccato. Lyra ha finito i romanzetti, ce ne voleva uno nuovo per la notte. E poi sareste davvero una bella coppia» commentò, incrociando le braccia sul petto. Sembrava persa nelle proprie riflessioni e per un po’ non disse niente, tanto che Lily pensò che stesse per addormentarsi. Infatti di lì a poco sbadigliò e si stiracchiò con un sorriso colpevole. «Parlando di coppie» borbottò, stropicciandosi gli occhi «con chi andrai al Ballo?»


***


«Non mi avevi parlato di un ballo».

Sdraiata sul letto, Lyra alzò le mani. «Beh, tanto per cominciare pensavo di scamparlo… »

«È un ottimo motivo per non dirmelo».

« … Secondo, saresti andata nel panico. E infatti, adesso ci sei». Si tirò a sedere, ravviando i capelli arruffati come un groviglio di serpenti. «Non ricordavo che i Campioni dovessero partecipare per forza, so quanto detesti ballare».

«Io non odio ballare. Odio ballare quando la gente mi guarda. E poi volevo davvero andare a casa tua per Natale, mi sembrava una cosa così… casalinga. Per una volta, niente strilli e confusione e maglioni che prudono» si lamentò, drizzandosi a sua volta. Le girava la testa, il vino che aveva bevuto le risciacquava lo stomaco riempiendolo di fuoco. «Ricordami di non bere mai più. Mi piace essere sobria quando devo disperarmi per qualcosa».

Per qualche motivo, Lyra sembrò trovare quella frase estremamente divertente. «Possiamo comunque andare, se vuoi. Mamma sicuramente conosce un modo di portarci a casa velocemente».

«Oh, no, no, no!»

«Che c’è!»

«Devo comprarmi un vestito!»

Lyra sghignazzò. «E dov’è la tragedia, in tutto questo?»

«Non ho mai partecipato a un ballo! Come pensi che possa avere idea di che vestito mi serve, di come si cammini con quelle gonne senza inciampare… Sono finita. Mi sono salvata da tre aquile giganti e morirò su una pista da ballo».

«A tempo di valzer. Teatrale» sentenziò Lyra compiaciuta.

«Io ti odio, Bun».

«Posso aiutarti io con il vestito. Questo fine settimana possiamo andare a Hogsmeade e comprarne uno».

La proposta la risollevò. «Che colore dovrei scegliere?»

Lyra scrollò le spalle. «Non saprei. Dipende dal tuo cavaliere. Hai idea di chi ti accompagnerà?»

«No. E improvvisamente sono di nuovo depressa». Si lasciò cadere sul cuscino con un tonfo morbido, sprofondando nei desideri inespressi che le chiudevano il petto in una morsa.

Lucas.

«Immagino che tu andrai con Vasily, il francese inviterà la Appleseed e io…» La voce le morì in gola. La speranza che lui la invitasse, una lama lucidissima in cui specchiarsi prima di ferirsi mortalmente, la sfiorò solo per un secondo. Lui aveva mani salde che avrebbero potuto condurla senza che temesse di cadere e sollevarla per farla volteggiare in un attimo che le avrebbe tolto la voce.

Un ballo con lui e poi morire.

Uno solo.

Si scoprì capace di pregare a occhi chiusi per la felicità passeggera di un sogno fatto senza dormire.


***


With the lights out, it's less dangerous

Here we are now, entertain us

I feel stupid and contagious

Here we are now, entertain us.


«I tuoi settantacinque galeoni, Sergente».

La borsa di stoffa cadde sul tavolo tintinnando. Lucas annuì, guardando alle spalle del Capitano i corridoi della foresteria che si svuotavano man mano che i militari entravano nelle loro stanze. «Signore, è un piacere scommettere con lei».

«Sì, certo». Lance sospirò, scuotendo la testa. «Ti ha fatto rapporto, ovviamente. Ha chiesto che venissi sollevato da questo incarico e trasferito immediatamente altrove».

«Con quale motivazione, Signore?»

«Sostiene che tu gli abbia mancato di rispetto definendolo ridicolo».

«In questo caso, Signore, temo che abbia detto il vero. Ma a mia difesa sono stato provocato».

Lance gli scoccò un’occhiata severa, battendo il pugno sullo stipite della porta. «Dannazione, Sergente, ti avevo detto di tenere a posto la lingua!» Una smorfia di dissenso gli distorse il viso, la cicatrice che gli attraversava il mento era una linea bianchissima e lucida di sudore. «Mai i miei uomini devono essere ripresi dagli Ufficiali di un altro corpo. E tu vai a baruffare con il Capo del Dipartimento Auror! Dovrei sbatterti fuori a calci!»

«Signore…» Lucas si passò un dito sullo zigomo, doveva averlo battuto durante lo scontro. Il gonfiore sotto i polpastrelli doleva e lo costrinse a chiudere gli occhi e prendere un respiro prima di continuare. «Ci ha attaccati senza rispondere al segnale e ha deliberatamente tentato di darmi la colpa. Se ritiene di dovermi trasferire lo faccia. Non sarà questo a compromettere l’operazione. Darò istruzione ai fantasmi affinché obbediscano al mio sostituto, posso farlo stanotte stessa».

Lance sembrò pensarci su. Alla fine scostò la sedia dal tavolo e prese posto di fronte a lui, facendogli cenno di fare lo stesso. Lucas obbedì.

«Sai, Sergente, abbiamo tutti un punto debole. In questo caso direi che il punto debole del Comandante Potter è sua figlia» commentò, «ma potrei sbagliare. Quello che non capisco è perché ti cacci così nei guai per una ragazza che non vuoi corteggiare».

«Signore, con tutto il rispetto, ho detto di non potere, questo sì. Mai di non volere».

Questo fece ridere Lance, che aprì il cassetto, tirando fuori delle carte da gioco consunte. «Beh» disse, iniziando a mescolarle, «allora o è cambiato qualcosa, figliolo, o tu sei matto da legare». Gli porse il mazzo da tagliare posando il dorso della mano fra due boccali di Ogden stravecchio. «E ti dirò una cosa. Mi sembri perfettamente sano».

«Se anche non lo fossi, avrei un buon motivo».

Abbassò le palpebre prendendo fiato. Dove aveva urtato il tronco per proteggere Lily aveva un livido che l’indomani sarebbe diventato violaceo, la testa gli doleva ed era stanco morto. Afferrò le carte che aveva davanti e le guardò.

«Cos’ha deciso, Signore? Devo andarmene?»

Lance prese un sorso di Whiskey Incendiario e fece schioccare le labbra. «Non rinuncio a un uomo sul campo perché il Comandante degli Auror fa i capricci. Gioca, Sergente».

Lucas annuì. «Che cosa farà, allora?» domandò, posando sul tavolo il cinque di coppe. Un numero uguale di amorini che reggevano calici ricolmi di vino volarono in tondo sopra le loro teste prima di rientrare nella carta. Lance scelse una carta dalle proprie e la posò di fianco alla sua.

Due di spade, un clangore di lame nell’aria.

Il duello e il sacrificio.

«Hai tutti i turni peggiori fino alle vacanze. Mi dispiace. Niente ballo per te».

«Mi inventerò qualcosa». Lucas pestò il pavimento coi tacchi degli anfibi e calò due carte. Rumore di zoccoli accompagnò il Cavaliere Nero, che si abbatté sul banco affiancato dall’Asso di Denari.

Il destino implacabile giocava una partita a sé stante, fissando indifferente il soffitto pieno di ragnatele.

Il Re di Bastoni del Capitano prese una delle spade dal legno e la incrociò con quella dell’avversario. Era un gioco barbaro, Lucas lo sapeva, le figure di carta non si inchinarono neppure prima di iniziare a menar fendenti.

«L’ultima carta è la migliore, Sergente». La girò e quattro pugnali bloccarono la via al Cavaliere, conficcandosi fra lui e il Re, che rideva trionfante. «Intendi controbattere?»

«Oh, sì». Gli concesse qualche secondo, in cui il destriero di Spade e il suo guerriero aggirarono l’ostacolo. La carta che aveva in mano gli sorrise e gli mandò un bacio.

Pelle d’avorio, seta bianca sotto le dita e il rosso scarlatto dei suoi capelli, fulgida fiammata che consumava la sua vita in un delirio di insonnia e sigarette accese a metà della notte.

La Fantesca di Coppe.

Non ancora regina, se non del suo universo.

«Hai vinto ancora, Sergente» Lance scosse la testa osservando la figuretta aggraziata che versava il vino per gli amorini cinguettanti. «Peccato tu non abbia scommesso».

Lucas rise. «Oh, ma l’ho fatto. Ho scommesso».

«Su cosa?»

Occhi verdi di bosco e una bocca di ciliegie mature.

«Su di lei, è chiaro».



Ehm, ciao.

Intanto: sono negli autori preferiti di più di 400 persone.

È bellissimo e non posso che ringraziarvi, è un numero davvero spropositato.

Vi adoro, sul serio.

Poi vi faccio sapere che Lucas non si spoglia se non recensite, ve lo dico così, poi fate voi.

Infine, per coerenza, le note:

- zio Harry che ha salvato il mondo viene citato anche nella brevissima «Until the very end».

- i significati delle carte nella partita in fondo sono corrispondenti a quelli dei tarocchi nella lettura comune (e in Jodorowsky)

- la Fantesca è l’unica licenza che mi sono concessa, poiché il fante nei tarocchi può indicare anche una giovinetta.

- mi ero dimenticata di dirlo nel capitolo precedente: le arpie sono aquile delle Filippine, dette anche aquile delle scimmie per la loro capacità di sollevare in volo piccoli esemplari di questi animali. Essendo fra le aquile più grandi ho sperato che non fosse troppo audace inserirne una varietà appartenente al Mondo Magico, che fosse capace di sollevare una persona.




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Capitolo 13
*** XIII - Il lavoro del diavolo ***


XIII


Il lavoro del Diavolo


Who's that younder all in flames

Dragging behind him a sack of chains

Who's that younder all in flames

Up jumped the Devil and he staked his claim.


- Nick Cave and the Bad Seeds, Up jumped the Devil -


«Whitestone».

Lily gonfiò le guance e sbuffò, ripiegando le ginocchia sulla panca per sedersi più comoda.

«Whitestone» ripeté Lyra, incapace di soprassedere. Era sempre stata poco incline alla diplomazia, rifletté Lily pensando alle sue stoccate velenose nei confronti delle appartenenti al Club del Tè di Mary Ann, ma se si trattava di un Gryffindor goffo e impacciato la sua perfidia poteva sfiorare livelli mai visti prima. Incredibilmente, invece, Lyra si rifiutava di commentare oltre.

«Beh, è un bel gesto, sicuramente lo hai fatto felice» commentò Aura, neutrale, posando il vassoio con l’Acquaviola sul tavolo. La locanda di Madama Rosmerta era un tripudio di colori, sciarpe tirate sul naso e fumo che si alzava dai boccali di Burrobirra calda. Un paio di cadetti accanto alla porta scherzavano con Mandy Montague e la sua corte: quel sabato pomeriggio le Green Girls avevano scelto un completo composto di un golfino verde chiaro e gonna al ginocchio. Lily le osservava con una punta d’invidia girare fra i tavoli con leggiadra indifferenza e distribuire inviti per quello che loro chiamavano l’antiballo. I volantini erano stati dipinti con una tempera particolare che cambiava colore a seconda della superficie su cui poggiavano, per dar loro la massima visibilità in qualunque condizione. 

«Non dovrebbero portare la divisa, fuori dalla scuola?» chiese, afferrando una manciata di salatini. 

«Oh, ma ce l’hanno». Lyra si alzò e indicò la mantella col blasone di Slytherin sul petto che le ragazze indossavano aperta e morbida sulle spalle. «Hanno solo cambiato il maglione. Non è poi così grave» sorrise, mentre Mandy lasciava sopra il loro tavolo un invito che, a contatto con la tovaglietta lilla assunse immediatamente una vibrante tonalità di arancione. 

«Supportate le Green Girls, partecipate al vero ballo degli Studenti. Oh» mormorò Mandy, «ciao, Potter, sei stata grandiosa con quella pozione. È un vero peccato che tu debba presenziare a quella barba del Ballo ufficiale. Il nostro sarà molto meglio. Tu verrai, vero, Aurie?» 

«Non saprei, non vado matta per le feste clandestine. Di solito sono sinonimo di guai».

«Abbiamo preso tutte le precauzioni del caso, non preoccuparti. Malfoy, spero che almeno tu non ci deluderai» cinguettò Mandy, prima di allontanarsi col suo fascio di volantini sotto braccio. 

Lyra arricciò il naso. «Tanta faccia tosta dovrebbe essere premiata. Qui in giro è pieno di professori, potrebbero essere scoperte da un momento all’altro» fu il suo commento, velato di disapprovazione. «Chissà cos’hanno architettato, quelle matte, ho sentito che vogliono fare le cose in grande. È quasi un peccato perderselo».

«Non pensarci neanche, non puoi scappare. Vasily ti aspetta» la minacciò Lily, brandendo il bicchiere vuoto come un’arma. 

«Pensa per te» Lyra fece spallucce. «Come ti salta in testa di andare al ballo con Whitestone, dico io. Persino l’invito di Mickey era meno fuori luogo». Le lanciò un salatino alla pancetta e Lily lo prese al volo ridacchiando.

«Per prima cosa, non ho nessuna voglia di ritrovarmi con una fattura e Devonne sarebbe capace di farmela se accettassi. Secondo, mi ha invitata solo per farsi bello. Quest’anno niente Quidditch, la sua fama è in ribasso. Povero Mickey, nessuno vuole più giocare con lui». Sporse il labbro inferiore nell’imitazione di una smorfia patetica, guadagnandosi le risatine delle compagne. «Wilford invece è stato molto gentile e detto fra noi credo che a lui piaccia Cee. Vuole solo mettersi in mostra con lei, si allena col valzer da settimane, e almeno non ci proverà con me».

«Wilford? Davvero si chiama Wilford Whitestone?» domandò Lyra, posando il bicchiere. «E io che credevo che la prozia Belvina fosse sfortunata».

Aura si morse il labbro, pensosa. «Continui a nominarla, devi avere un debole per lei. Cee chi sarebbe» domandò, poi a Lily, «la Copperhead? Lei gira con le Vipere, dubito che la impressionerà con qualche giravolta».

«Vipere?»

«Le sette stelle della nostra squadra di Quidditch». Aura fece un sorrisetto. «Non ho idea di dove abbiano trovato questo nome, ma a loro piace. Santo cielo, Potter, dove vivi?»

Lily fece spallucce. «Quando l’ho incontrata erano solo in tre, lei e due bionde. Non me le ha presentate».

«Quelle sono Beatrix e Elle. Ti sei persa Lucy, Sofie e Budd. E Bill, ovviamente, che è il Capitano da quando Lucas ha finito la scuola». Un sospiro. «Oh, vorrei tanto che mi invitasse lui, ma è uno molto fedele, anche se Beatrix l’anno scorso gli ha spaccato una mazza sulla testa. Davvero, non capisco come tu faccia a non saperlo».

«Non vado matta per il Quidditch».

Aveva smesso di andare alle partite quando Lucas aveva finito il suo settimo anno. Persino quand’era stata fidanzata con Mickey non si era presentata spesso a fare il tifo, tantomeno contro Gryffindor o Slytherin: i suoi fratelli non gliel’avrebbero perdonato. D’altra parte, non essere presa in squadra era stata una delusione tanto cocente da creare in lei una sorta di repulsione per lo sport. Prima di assistere all’allenamento dei ragazzi della W.A.T.S. non frequentava il campo da quasi un anno. 

Prima che Lucas tornasse, sconvolgendo di nuovo la sua esistenza con la forza di un uragano e la precisione di un tiratore scelto.

Non lo vedeva da una settimana, dalla sera della prova. Lily si passò la lingua sulle labbra secche, il sapore dolciastro dell’Acquaviola le dava la nausea. Avrebbe voluto alzarsi e uscire ma così le altre le avrebbero seguita e non era sicura di poter sopportare le domande che le avrebbero fatto. Mangiò un altro paio di salatini, lasciando lo sguardo libero di scorrere da una parte all’altra della Locanda, mentre Aura snocciolava a ruota libera le coppie già formate per il Ballo del Ceppo. Naturalmente, Mickey aveva ripiegato su Devonne, che doveva aver deciso di fargliela pagare più avanti.

«Penso che Carmichael l’abbia chiesto a Coleen Davies» intervenne Lyra, rovistando nella borsa alla ricerca dei fazzoletti. «A quanto sembra, lei lo trova fantastico. Io invece vorrei trovarlo muto, sarebbe già un miglioramento».

Mandy doveva aver finito la distribuzione degli inviti, perché oltrepassò il loro tavolo ancheggiando e si voltò solo per un momento per rivolgere a lei un sorriso cortese, quasi amichevole, e consegnarle un volantino ripiegato. Le fece l’occhiolino e Lily ricambiò, confusa, mentre Mandy si allacciava il mantello e prendeva sottobraccio due delle sue Green Girls, che sembravano in vena di civetterie. Uscirono dai Tre Manici di Scopa scoccando baci volanti a destra e a manca. 

Aura aggrottò la fronte. «Esibizioniste».

«Un bel po’». Lyra giocherellava con la ciotola delle noccioline, rimbalzandola da una mano all’altra senza curarsi delle occhiatacce di Madama Rosmerta. «Ma non sono male. Mandy è simpatica. Che cos’è quello?» domandò a Lily, che aveva infilato distrattamente l’invito in tasca. 

«Non ne ho idea, non volevo essere scortese». Rimase a guardare la porta e quella si aprì, lasciando entrare Cassandra, avvolta in mantello foderato di pelliccia bianca. Un refolo di vento capriccioso le spostò una ciocca di capelli dorati nell’occhio e Cassandra rise, facendo immediatamente voltare gli avventori di sesso maschile che si produssero in un sospiro quasi all’unisono nel contemplarla mentre scioglieva il legaccio che teneva fermo il colletto con tranquilla sicurezza. Il serico manto bianco le scivolò lungo le braccia con tanta levità che ci si sarebbe aspettati di vederlo fluttuare o che qualcuno si alzasse per andare a raccoglierlo al posto suo; lei invece lo afferrò prima che cadesse e se la ripiegò nell’incavo del gomito, camminando fra i tavoli con l’indifferenza consumata che poteva avere soltanto qualcuno che non facesse neppure caso alle attenzioni che suscitava.

«Oh, mio Dio, no» borbottò Lily a denti stretti.

Il volto di Cassandra si illuminò. «Ragazze, come va? Fa un freddo terribile, fuori».

«Qui invece fa caldo». Lily sbuffò, era troppo nervosa per fingere di essere gentile.

Aura mascherò una risatina con un colpo di tosse, abbassando le palpebre sui grandi occhi blu. «Cugina, è bello vederti. Stai sempre incollata a quella mummia del tuo capo». Non le fece cenno di accomodarsi né di unirsi a loro per una bevuta, ma diede di gomito a Lyra, che sembrava persa a contemplare qualcosa al di là dei vetri appannati di condensa.

«Ehm» la pungolò vedendo che non si girava.

«Oh, ciao Cassie. Scusami, mi sembrava di aver visto qualcuno che conosco».

Cassandra fece un gesto noncurante con la mano. «Non preoccuparti. Senti, hai visto tuo fratello? Dio solo sa se non lo cerco da giorni, sembra scomparso nel nulla».

Lyra si strinse nelle spalle. «Ha dei turni di guardia orribili, l’hanno spedito di piantone sul Lago ad aiutare il Professor Paciock con… »

«La cosa con le spine, sì».

«Stellata Mortalis» la riprese Lyra, poco incline a soprassedere su una definizione così poco accurata. 

«Accidenti». Cassandra arricciò il naso piccolo e aggraziato, scostandosi di lato i capelli perfettamente acconciati. «È per il ballo. Beh» sorrise, rischiarandosi, «immagino che dovrò riferire a qualcun altro». 

Lily batté i pugni sul tavolo. «Già, forse è meglio». 


***


O poor heart

I was doomed from the start.

 

«Merda».

Lyra alzò il bavero del mantello per proteggersi dal freddo. «Credo che tu stia equivocando» mormorò senza troppa veemenza. 

«Oh, io non credo. L’hai vista anche tu. Oh, è per il ballo, oh, lo dirò a qualcun altro. Come mi dispiace». Lily diede un calcio al pietrisco, che si sollevò con un gran polverone. «L’ho detto dall’inizio che quella non mi piaceva e non mi sbagliavo. Mi toccherà vederla ballare con lui tutta la sera. Che strazio». 

«Ti ripeto…»

«Un corno!» esclamò. Le mani le tremavano e le nascose all’interno della fodera per non sentirsi così esposta. Lo sguardo impassibile che Lyra le restituì prima di abbassarlo sui ciottoli lungo la strada ebbe l’effetto di farla arrossire. Impacciata e furibonda, si staccò dal suo fianco e deviò verso una panchina coperta di foglie.

Avrebbe dovuto concentrarsi sul Torneo, invece che tormentarsi con quelle sciocchezze; tenersi occupata la mente per non concederle neppure la distrazione di inciampare nel ricordo dei momenti trascorsi con lui nella Foresta.

Attimi di tempo dilatato e denti sulla gola, a lambire il battito folle del cuore che le rimbombava in tutto il corpo spandendosi dal petto schiacciato contro il suo.

Ad un certo punto aveva creduto che quella tensione meravigliosa l’avrebbe fatta impazzire o scoppiare in lacrime e lui le aveva chiuso le mani nelle proprie, palmo contro palmo in una morsa spasmodica che l’aveva costretta a spalancare le palpebre per guardarlo.

Se non l’avesse baciata e stretta in quel modo, se lei non avesse scorto quell’ombra cupa nei suoi occhi quando l’aveva lasciata andare, non si sarebbe neppure concessa di abbandonarsi a sogni che ora le apparivano una terribile presa in giro. Poggiò la fronte sulle ginocchia e represse un singhiozzo che sentiva di aver incastrato in gola da troppo tempo.

«Avanti, dimmi che succede».

La panchina scricchiolò mentre Lyra si sedeva accanto a lei.

«Niente, sto bene». Alzò la testa, sfregandosi le guance bollenti. «Non devi preoccuparti per me, davvero. È una stupida cotta, passerà». 

«Suppongo che sia per questo che hai accettato l’invito di Whitestone. Per non aspettare lui, giusto?»

Lily si morse la lingua. «Volevo solo… Togliermi il pensiero. E Wilford non è quello che si potrebbe definire una fonte di possibili problemi, non so se capisci cosa intendo».

Una scintilla si accese negli occhi di Lyra; durò solo un secondo e si spense nell’abbassarsi delle ciglia scure. «Sicuro. Ti tratterà come una principessa e non proverà ad allungare le mani, sentendosi fortunato soltanto a guardarti respirare» commentò, dura. 

«Dio, la fai suonare una cosa orribile».

«Un po’ lo è, ma una ragazza deve fare anche questi calcoli, non è così?» Lyra gettò all’indietro la testa, poggiandosi contro lo schienale. «Inoltre, immagino che se mio fratello si facesse vedere quel poveretto non alzerebbe neppure un dito per impedirti di ballare con lui».

«A lui piace Cee, te l’ho detto». 

«Questo lo so. Ma dubito che la Copperhead rimarrà molto, immagino farà giusto una comparsa prima di fuggire altrove». Un sorriso le illuminò il volto severo, spazzando via l’ombra di rimprovero che aveva sulle labbra. «E fra parentesi credo che tu abbia fatto un’ottima cosa, quel ragazzo ha bisogno di sciogliersi un po’». Si passò la mano fra i capelli scompigliati, l’espressione del suo viso rimandava a pensieri che portavano altrove, lungo la strada spazzata dal vento aspro di novembre. Poggiò il mento sul palmo e si voltò a guardare oltre la frotta di studenti che affollava le vetrine dei negozi, verso una via fra due edifici che apriva su un largo spiazzo lastricato.

Un soriano grigio a strisce marroni balzò dal davanzale di una finestra facendosi strada fra le gambe dei passanti fino a confondersi nell’ombra complice di un muretto a secco, l’unica traccia della sua presenza era lo scintillio di due occhi verdi e penetranti. L’animale trotterellò verso di loro e raggiunse una macchia di sole fra due vasi di petunie; si sdraiò mollemente e cominciò a leccarsi una zampetta.

«Perché guardi quel gatto?»

Lyra sollevò le sopracciglia e fece una smorfia. «Per lo stesso motivo per cui guardavo dalla finestra prima».

«E sarebbe?»

«Ha qualcosa di familiare, non pensi?»

«Sì, credo». Lily ci pensò su. «L’hai visto anche fuori dai Tre Manici di Scopa?»

«No» Lyra scosse la testa, «ma ho visto una persona, o almeno credo di averla vista, che forse potrebbe averci qualcosa a che fare. O forse è solo lo stress, il pensiero degli esami… »

«Ma sono l’anno prossimo!»

«Non significa che non ci pensi».

«Oh, non avevo dubbi». Lily fece un sorrisetto, abbandonandosi contro lo schienale sbeccato della panca. Le parve che i baffi del gatto vibrassero come per una risata silenziosa, poi la bestiola si leccò il labbro superiore e l’impressione svanì. «È meglio andare, credo. Tua madre ci aspetta e a noi serve un vestito».

Lyra annuì. «Madama McClan è da quella parte» disse, indicando una vetrina luminosa gremita di ragazze. 


*** 


Soffiate via le nubi che si ammassavano all’orizzonte il vento si era acquietato mutandosi in brevi folate che portavano con sé tutto il gelo della stagione imminente. Le sagome alte e affusolate delle torri di Hogwarts svettavano come neri ritagli nella luce morente del crepuscolo. Lungo la via sterrata che da Hogsmeade si inerpicava lungo le colline e portava ai confini della scuola camminavano gruppi isolati di ragazzi che portavano con sé grossi involti di tela. L’annuncio del Ballo d’Inverno che si sarebbe tenuto di lì a poco più di un mese aveva infranto l’apparente calma che era seguita dal termine della prima prova del Torneo: la popolazione studentesca era in fermento come un calderone sul fuoco e i vapori che aleggiavano su quella singolare mistura di eccitazione e pettegolezzi avevano il profumo penetrante della curiosità.

Lily si sfregò le mani intirizzite soffiandovi sopra. Aura, che camminava al suo fianco, era una delle poche senza un vestito in mano: i suoi gliel’avevano spedito dal Dorset, le aveva raccontato ponendo l’accento su quanto fosse assolutamente perfetto. 

«Comunque» si lamentò, chinandosi a raccogliere lo strascico del suo, che sfiorava il selciato, «temo che nessuno di interessante sia più libero per questo ballo. A meno che non accetti l’invito di Schaatz, di Durmstrang, ecco, ma preferivo di no. Il suo modo di camminare mi fa temere per i miei piedi».

«Forse dovresti, invece. Suggeriscigli di mettere delle scarpe morbide, però». 

«Oh» Aura sbuffò. «Non penso possano ballare davvero con quegli stivaloni. Però le loro divise hanno un certo fascino, non posso negarlo, e si intonano col mio vestito. Tu che ne pensi?»

«Ah, ehm. Sì?»

«Non mi stai neppure ascoltando, non è così?» Per nulla offesa, Aura fece una giravolta e, continuando a camminare all’indietro, si rivolse a Lyra che camminava a pochi passi da loro, vicino a sua madre. «Tu che ne pensi, Malfoy? Dovrei accettare l’invito di Andreas Schaatz?»

Lyra fece spallucce. «Chi è, quello biondo?» domandò, mentre Hermione rideva in sottofondo. 

Prima di voltarsi per tornare con lo sguardo fisso sul profilo maestoso del castello, Lily vide Aura che annuiva e rallentava per affiancare l’amica. Grata per quel momento di inaspettata quiete, allungò il passo ripiegandosi il vestito sul braccio. Improvvisamente le chiacchiere le sembravano un inutile riempitivo, le risate che giungevano alle sue orecchie un insieme cacofonico e senza senso. L’unico rumore gradevole era lo scricchiolio delle foglie sotto i piedi: si concentrò su quello inspirando a fondo, ignorando la sensazione di fastidio che le procuravano gli sguardi alle sue spalle. Lyra parlava a bassa voce e le raffiche di vento tramutavano le sue parole in una cantilena senza senso. 

Raggiunsero senza fatica la parte del sentiero che si apriva spaccando in due la Foresta Proibita; in fondo, i cancelli di Hogwarts si stagliavano maestosi contro l’indaco pallido del cielo. Due figure maschili stazionavano di fronte alle sbarre. Lily riconobbe i due cadetti che avevano partecipato all’allenamento di Quidditch che a loro volta le rivolsero un cenno di saluto e battendo i tacchi si scansarono di lato, permettendo alle inferriate di spalancarsi per lasciarle entrare.

«Signorine» disse Weyland e poi, scorgendo Hermione aggiunse: «Signora».

«Cadetto» ribatté quella sorridendo. «Come procede con l’infestazione?»

Era un modo come un altro per chiedere di Lucas. Lily chinò il capo, riconoscendo la sfumatura di apprensione in quella domanda, e attese. Weyland strisciò i piedi nella polvere e si schiarì la voce prima di rispondere.

«Io sono rimasto di guardia qui tutto il giorno, signora. Però» disse, guardando il suo commilitone, «Coop, qui, ha dato il cambio al Sergente stamattina. Pare che ci sia qualche novità».

Lily si strinse l’abito al petto. Hermione sembrava calma, il suo sguardo appena increspato da piccole rughe attorno agli occhi si soffermò per qualche secondo sul viso imberbe e infantile di Weyland e poi si posò sul secondo cadetto che abbozzò un sorriso nervoso. 

«Sì, signora. Il professor Paciock e il Sergente Malfoy hanno trovato le radici del primo fusto vicino alle rive del Lago Nero. Sembra che siano lì da un bel po’, ma il Professore pensa che sia impossibile. Dice che qualcuno se ne sarebbe accorto, soprattutto quando era ancora preside la Professoressa McGranitt. Eppure è strano» borbottò, guardandosi con insistenza la punta degli anfibi graffiati, «ho visto anch’io le radici: sono grandi e nodose. Confrontandole con i modelli sui manuali di Erbologia si direbbe che abbiano almeno tre anni di vita. I semi devono essere finiti lì in qualche modo». Si sfregò il mento con le dita, i suoi caldi occhi scuri erano lucidi e confusi. «Ma non sappiamo come. Paciock voleva consultare il Preside stanotte stessa, ma non l’ha trovato. ».

«Capisco». La fronte di Hermione si aggrottò. «È strano davvero. Il Comandante Potter cosa ne pensa?»

Coop allargò le braccia. «È andato via in fretta e furia stamattina. Richiamato d’urgenza a Londra dal Ministro della Magia in persona, sembra ci sia stata un’altra…»

«La Skeeter è ancora qui?» lo interruppe Hermione.

 Il cadetto le rivolse un sorriso abbagliante. «Signorsì, signora. Trattenuta a viva forza dal Capitano Lance, sembra che abbia insistito per rilasciare un’intervista proprio in questi giorni. Naturalmente non ha detto quando» ghignò, mentre il volto di Hermione si rilassava e Lily udiva il respiro di Lyra farsi più regolare e profondo. 

Si voltò a guardarla: il velluto scuro dei suoi occhi era una pozza nera e insondabile, ma le labbra strette tremavano ed erano quasi bianche. «Che succede?» bisbigliò, avvicinandosi a lei. 

«C’è stata un’altra violazione della segretezza, ecco che succede. E dall’inizio dell’estate a oggi sono almeno quindici. Quindici violazioni nelle zone più varie, tutte con alta concentrazione di Babbani. Roba appariscente che non passa inosservata». Lyra scosse la testa. «Di solito queste cose succedono in presenza di Maghi molto giovani, ma un bambino non sarebbe in grado di far esplodere tutte le finestre di un grattacielo. Non è affatto normale» disse, mentre la guardia si spostava per lasciarle passare. 

Hermione si voltò, la fronte aggrottata e il viso pallido e serio. «Cerchiamo di non creare allarmismi, anche se siamo tutti molto preoccupati» confermò. «Riguarda anche voi ragazzi, se la situazione sfuggisse di mano sareste i primi a dover stare attenti».

«Potrebbe succedere?» Lily si leccò nervosamente le labbra rallentando il passo per lasciarsi affiancare da Aura, che era rimasta indietro a parlare con i cadetti. Quando l’ebbe raggiunta, le batté sulla spalla a mo’ d’incoraggiamento, mentre Lyra raggiungeva la madre.

«È un’eventualità molto remota».

«Ma se succedesse?»

Hermione scosse la testa. «In quel caso, immagino che faremo tutti del nostro meglio». Arcuò le sopracciglia e il suo cipiglio si distese come per un automatismo involontario. Le braccia le scivolarono morbide lungo i fianchi. «Ma non è una cosa a cui dobbiate pensare adesso» aggiunse nel notare l’espressione corrucciata che Lily aveva assunto senza avvedersene. «Tu hai un Torneo da vincere e un impegno irrinunciabile la vigilia di Natale».

Lyra sospirò vistosamente. «E pensa» intervenne, «ancora non sa ballare!»


***


Consumare il resto della salita lungo il declivio lento che dai cancelli portava alla soglia di Hogwarts fra le chiacchiere leggere delle ragazze e i bonari rimproveri di Hermione l’aveva aiutata a stemperare la tensione degli ultimi minuti, ma aveva lasciato intatte le sue preoccupazioni più prosaiche. Lily camminava con gli occhi bassi: si era di nuovo isolata, concedendo alle altre lo spazio e il lusso di una spensieratezza che sentiva di non possedere. Di quando in quando tutte e tre le lanciavano occhiate rapidissime e poi si voltavano, quasi non volessero, con domande troppo invadenti, turbare il silenzio in cui si era rifugiata.

Gli schiamazzi allegri delle comitive di studenti erano echi lontanissimi. Lily alzò la testa e si rese conto di essere rimasta indietro di una quindicina di passi: le altre erano già sbucate nel grande piazzale, lei ancora arrancava lungo il sentiero polveroso. Si affrettò a raggiungerle accennando qualche passo di corsa, stringendosi l’involto del vestito contro il petto. 

Sbucò nel largo piazzale che fronteggiava il portone e andò quasi a sbattere contro le spalle di Aura che si era fermata a chiacchierare con un gruppo di Slytherin, tra le quali Lily riconobbe Cecile, che la salutò sventolando le dita.

«Ciao, Potter, come ti va?» Un sorriso cordiale era comparso sul suo volto grazioso. Volteggiò su se stessa e la prese sottobraccio. «Hai bisogno di aiuto col vestito?»

«No, ehm» bofonchiò Lily presa alla sprovvista. «È solo un po’ ingombrante».

La risatina di Cee riecheggiò nel silenzio del crepuscolo. «Così, vai al ballo con un Gryffindor, eh?» Era un commento neutrale che pareva nascere da una sincera curiosità e Lily non trovò nulla di male nel rispondere di sì. Il sorriso di Cecile si allargò. «Spero che non ti annoierai. Mandy ti ha dato un invito per la nostra festa speciale?»

«Sì, ma non so se riuscirò a…»

«Oh, ma tu devi! Devi assolutamente».

 Quell’obiezione era giunta così in fretta che Lily si strinse nelle spalle, a disagio. L’altra dovette notare qualcosa nel suo sguardo, perché accennò una smorfia di scuse. «Naturalmente» aggiunse con altrettanta veemenza, «solo se ne hai voglia».

Lily annuì, rilassando i muscoli. «Farò del mio meglio per passare».

«Fantastico. Le istruzioni sono sul volantino». Le batté sul dorso della mano e si allontanò volteggiando in direzione delle sue compagne. Si voltò giusto per un secondo per lanciarle un altro dei suoi saluti volanti, mentre Lily già riprendeva la via verso il portone, domandandosi dove fossero finite le altre. Udì le loro voci in lontananza e ne seguì l’eco fino a raggiungere il piazzale. Lyra e sua madre erano una di fianco all’altra e oltre le loro figure minute svettava quella più alta e robusta di Lucas. Parlavano fittamente e Lily pensò di allontanarsi per lasciarli tranquilli; poi si accorse della bionda che teneva il braccio mollemente agganciato a quello di lui e per qualche secondo - uno o due soltanto - smise di respirare.

Di sottecchi osservò la scena, Lucas con la testa ritta e gli occhi fissi cerchiati di scuro e Cass che gli poggiava la testa contro la spalla. D’improvviso lei si drizzò sulle punte e gli sussurrò qualcosa che lui accolse con un sorriso distratto, nient’altro che un lieve arricciarsi dell’angolo delle labbra. Lily voltò loro le spalle e si diresse spedita oltre la soglia.

Un rumore di passi la indusse ad affrettarsi, tenne gli occhi bassi per non incrociare lo sguardo di chiunque la stesse sorpassando, ma dovette rialzarli poco dopo sentendo una pressione sulla schiena. 

«Ti senti bene?»

Albus doveva essersi accorto di come si era comportata e l’aveva seguita. Lily annuì sforzandosi di sorridere. «Il vestito mi impiccia».

Una smorfia di improvvisa empatia comparve sul viso di suo fratello. «Ti do una mano» disse e raccolse da terra l’estremità dell’involto che lei stava lasciando penzolare. «Vieni, ti accompagno fino alle scale».

«Non serve, Al, posso fare da me».

«Credo di sì» annuì lui di rimando, «ma penso che non dovresti. Non ti fa bene portare certi pesi da sola».

Lily lo guardò senza capire. «È solo un vestito. Ecco». Un rapido svolazzo della bacchetta fu sufficiente a farlo galleggiare a mezz’aria. «Visto?» Gli rivolse un’occhiata piena di imbarazzo, sperando che lui la lasciasse sola, ma con suo grande stupore Albus, invece di tornare da Katia, chinò il capo e si arruffò i capelli sulla nuca. 

«Non parlavo di questo» disse, come se avesse percepito la sua perplessità. «Parlo di… Quello che è successo prima. Malfoy e la sua…»

«Non è la sua ragazza».

Albus sollevò un sopracciglio. «Ah no?»

«No».

«Lo sei tu?»

Il vestito cadde per terra con un tonfo e Lily, confusa, abbassò lo sguardo sul telo bianco da cui spuntavano i mille veli del suo abito da festa. «Smettila, Al, che sciocchezze» disse, cercando di suonare perentoria, ma quando alzò gli occhi si accorse che suo fratello non aveva intenzione di darle tregua.

«Oh, per piacere: papà era sconvolto, quando siete tornati dalla Foresta e tu hai appena reagito come se avessi visto Voldemort reincarnato» sbottò. 

Lily si strinse nelle spalle. «Non è niente» ribatté, dopo un tempo troppo lungo perché la sua reazione potesse risultare credibile. «Ho solo voglia di tornarmene in camera e mettere questa giornata nel dimenticatoio».

Aveva parlato senza pensare. Al le rivolse un’occhiata eloquente e si chinò a raccogliere il suo abito. «Sai» disse, rialzandosi con un lungo sospiro, «io e Jamie ci chiedevamo quando questa storia sarebbe venuta fuori. Quando eravamo piccoli non ti perdeva di vista un attimo».

Lily si irrigidì. Era un’affermazione strana, che scavava una ferita in un punto della sua anima ancora ricoperto di cicatrici, alcune delle quali dolorosamente recenti.

«Che cosa stupida». Scosse la testa, seguendo suo fratello che già si incamminava lungo il corridoio che portava alle scale. «Probabilmente voleva solo evitare una punizione». Si morse il labbro, lasciandosi trafiggere dal ricordo recidivo della sua caduta dalla scopa. Il modo in cui Lucas l’aveva guardata quella volta e molte altre era parte di una memoria fatta di respiri mozzi e battiti di cuore fuori controllo, una fiamma che aveva coperto con i cenci dei giorni spesi a dimenticare, finché rincontrarlo non l’aveva fatta divampare più violenta di prima. 

I suoi baci e le sue carezze come armi che debellavano ogni sua resistenza al primo fendente.

Si riscosse, cercando di scrollarsi di dosso quella rete pericolosa di pensieri, e imboccò la rampa che conduceva al dormitorio. Davanti a lei, Albus camminava disinvolto, il gancio dell’appendiabiti che penzolava dall’indice della mano destra. Si girò per scoccarle un’occhiata in tralice. «A volte voi ragazze siete completamente cieche» sbuffò, prima di riprendere il proprio cammino. 

Lily aggrottò la fronte. «Adesso non stai più parlando di me, non è vero?»

La reazione di Al la sorprese; qualunque cosa si aspettasse da lui, suo fratello semplicemente scoppiò a ridere. «Quando reagisci così significa che ho indovinato» commentò, cedendole il passo perché potesse raggiungere la porta. «Ma almeno tu hai un vantaggio» aggiunse, mentre lei già gli dava le spalle. 

«E quale sarebbe?»

Suo fratello sollevò entrambe le sopracciglia. «Ma tu davvero non lo sai?»

«Non ne sono sicura» ammise lei, afferrando il proprio vestito, pronta alla ritirata. 

Albus tossì. «Non posso crederci. Senti, lo sanno tutti che Lucas Malfoy…»

Mentre parlava la sua voce, già bassa, fu sovrastata da un tonfo sordo che riecheggiò per la tromba delle scale. Pochi istanti dopo la porta del dormitorio si spalancò e Chalista ne uscì strillando una serie di improperi irripetibili. Rossa in viso, si voltò prima da una parte e poi dall’altra con una smorfia furibonda, finché non incrociò lo sguardo perplesso di Albus, che era rimasto a bocca aperta.

«Caposcuola Potter, vieni con me».

Al si schiarì la voce e pensò bene di darsi un tono. «Che cosa succede, Appleseed?»

«Mary Ann, è stata lei!» berciò Chalista battendo a terra i piedi che calzavano graziose scarpette a punta. 

«A fare cosa?» domandò Lily educatamente.

Chalista si chinò e si raccolse i capelli sulla sommità del capo, mettendo in mostra la nuca completamente rasata. Lily soffocò una risata, mentre Albus scuoteva la testa, paonazzo. «Vuoi sfoggiare un look alternativo per il ballo?»

«Accidenti!» sbottò quella rialzandosi, «se continuano a cadere in questo modo andrò alla festa completamente pelata!» Si voltò di scatto cogliendo il bel faccino di Mary Ann che si affacciava dalla soglia. «Ti ammazzo!» urlò, partendo alla carica.



Non ci credete? Nemmeno io.

Ma sono riuscita a riprendere.

Sarò molto più lenta di prima e ve lo dico col cuore, mi dispiace, ma il lavoro mi tiene impegnata per ore e ore al giorno, com’è ovvio, e la sera ho poco tempo.

Ma se continuerete ad esserci voi, continuerò ad esserci io. Vi chiedo anche scusa se non rispondo alle recensioni, fate conto che vi abbracci forte e abbiate fede, prima o poi ce la farò.


Non riesco neppure a scrivere le note, quindi vi sollecito a chiedere qualora qualcosa vi risulti oscuro. 

Specifico solo una cosa: siccome in molte mi hanno chiesto se fra Lucas e Lily ci sia già stato un qualcosa, la risposta è NO. Non nel senso convenzionale, almeno. Sarà tutto più chiaro più avanti suppongo, ma per farvela chiara lei gli va scema dietro da anni e lui fino ad ora si è sempre mantenuto a una certa distanza.

E no, Albus e Lyra non faranno tanti bambini. 

Grazie mille dei commenti, delle recensioni, dei like.

Di aver atteso.




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Capitolo 14
*** XIV - Nodi gordiani e pettini di corno. ***


XIV


Nodi gordiani e pettini di corno


Why you want to take me to this party and breathe

I'm dying to leave

Every time we grind you know we sever lines

Where have all those flowers gone

Long time passing.

- Massive attack, Risingson
-



La settimana prima del Ballo il professor Vitious aveva convocato i suoi studenti più anziani per una lezione speciale, tutti tranne Mary Ann che era stata esclusa dai festeggiamenti per colpa di quello che aveva combinato ai capelli di Chalista Appleseed. Lei si proclamava innocente, neppure a dirlo, e strepitava la sua estraneità a quel fatto increscioso dalla sala dei Trofei, dove era stata confinata per tutti i pomeriggi da lì fino a Natale. L’onda indiscreta dei pettegolezzi dipingeva una Chalista tronfia e soddisfatta per quel risultato, ma Lily, guardandola sospirare mentre cercava di sistemare la parrucca speciale che le era arrivata direttamente da Diagon Alley, la trovava piuttosto contrariata; le cure di Madama Chips non avrebbero avuto effetto prima di un mese: questo significava che avrebbe dovuto presentarsi al ballo con una pettinatura fin troppo appariscente o non presentarsi affatto. Tutto questo non giovava per nulla al suo umore: quella mattina, in preda a uno sfogo rabbioso, aveva messo in fuga un paio di ragazzine del primo anno che avevano dovuto saltare la colazione per non incorrere nelle sue ire. 

Mentre il Professor Vitious spiegava come ballare un valzer - con la sua statura la dimostrazione diventava piuttosto buffa, ma nessuno quel pomeriggio sembrava in vena di ridere - lo sguardo di Lily saettava da una parte all’altra dell’aula, da Chalista e la sua parrucca al professore e viceversa. Andò avanti così per cinque minuti, prima che la Appleseed si accorgesse di essere osservata e riprendesse il suo abituale cipiglio pieno di spocchia. Lyra, che le sedeva esattamente di fronte, scosse il capo.

«Non lo ammetterà mai, ma non è stata Mary Ann a farle quella fattura» bisbigliò, attenta a non sovrastare la musica.

Lily corrugò la fronte. «E allora chi è stato?» domandò. A tutti era parso ovvio che la rivalità fra le due fosse riaffiorata in un’occasione così importante come un ballo. 

«Non lo so. Ma il suo cavaliere ha un sacco di pretendenti». 

«Pensi che si tratti di questo?»

«Chi lo sa». Lo sguardo di Lyra era perso oltre le teste delle compagne. «Mary Ann la detesta, questo è certo, ma credo che le avrebbe strappato i capelli uno per uno piuttosto che stregarle la spazzola o avvelenarle lo shampoo. Non è il tipo da usare dei trucchetti come questi».

Vitious, nel frattempo, aveva chiamato una delle allieve in prima fila perché ballasse con lui. Mormorii divertiti si diffusero per l’aula: Addie era una delle ragazze più basse del dormitorio, ma doveva sforzarsi per tenere le ginocchia piegate. Qualcuna delle più alte tirava lunghi sospiri di sollievo, altre, meno ben disposte, ammiccavano in direzione della Appleseed dandosi di gomito: tutti sapevano che era l’unica che avrebbe potuto ballare con Vitious senza contorcersi.

«Persino il professore dev’essersi accorto che non è giornata» bisbigliò Coleen Davies, prima che un’occhiataccia di Chalista la mettesse a tacere.

Devonne si sporse verso di lei ridacchiando; sembrava aver riposto i propositi di vendetta nei confronti del suo ragazzo, da quando lui aveva smesso di girare attorno a Lily un’altra volta. I suoi grandi occhi color fiordaliso erano pieni di maligno divertimento. Si mise una mano davanti alla bocca e borbottò qualcosa di incomprensibile.

Lyra roteò gli occhi verso il soffitto. «Galline».

«Da quando ti piace la Appleseed?» chiese Lily, perplessa.

«Non mi piace» fu la risposta concisa. «Ma non mi piacciono neanche loro. Sono tutte fatte della stessa pasta, in fondo, sprecano energia sparlandosi dietro le spalle a vicenda. La differenza fra loro e Chalista è che lei è sola e non fa neppure uno sforzo per trovare compagnia. In questo senso e solo in questo, un po’ mi somiglia: se non ci fossi tu, non avrei neanche un’amica in questa classe».

Lily scosse la testa, chiudendo gli occhi mentre Vitious con un colpo di bacchetta rimetteva la musica da capo. «Non dire sciocchezze. Avresti trovato qualcuno, prima o poi».

«Non lo so». Lyra si strinse nelle spalle. «A volte penso di no. È un nido di vipere peggio che a Slytherin in un certo senso: le fatture alle spalle sono mal considerate persino lì». Rise a bassa voce e Lily si unì a lei, mentre lentamente, ad un cenno del professore, tutti si alzavano e raggiungevano il centro della stanza per formare le coppie. 

«Pensi che sia stata una di loro?» chiese, muovendosi impacciata per seguire gli altri.

Lyra mosse il capo in un cenno di diniego. «Non ne sono sicura. Chalista potrebbe aver lasciato la spazzola in giro e qualcuno potrebbe averne approfittato. Non per forza una di Ravenclaw». Trattenne il respiro per un attimo, gonfiando il petto. «Potrebbe persino essere stato un ragazzo, no? Anche se non è propriamente una cosa a cui un maschio penserebbe, credo. Ma la gelosia gioca brutti scherzi a tutti».

Lily avvampò, incespicando. Cercò di impedirsi di pensare a Cassandra, ai suoi occhi tersi come pozze di cielo e ai suoi capelli biondi sempre perfetti. Inutile: il cedimento di un attimo le aveva già gonfiato il cuore di una tristezza che pesava come un drappo di velluto bagnato che le avvolgesse il petto, facendola sentire come se avesse dimenticato il semplice meccanismo del respiro. Scrollò la testa e la drizzò in tempo per incontrare lo sguardo serio e composto di Rex Van Houtem, un ragazzo del settimo, che le tendeva educatamente la mano. 

«Tutto bene, Potter?»

Lily annuì e lasciò che lui la conducesse nel valzer, guardando oltre la sua spalla come la posizione imponeva. Era un bravo ballerino, e lei, intimidita, cercò di stargli dietro: si aspettava di vederlo sbuffare, ma Rex le rivolse un sorriso educato, e Lily accennò una smorfia di scuse. «Non credo di aver mai ballato un valzer negli ultimi cinque anni» borbottò, cercando una giustificazione.

Lo seguì nella giravolta, mentre le coppie attorno a loro sembravano scivolare leggiadre sul pavimento tirato a lucido. Rex sorrise ancora. «Non è difficile, non preoccuparti» bisbigliò rafforzando la presa sulla sua vita. «Segui la musica».

Lily sospirò. Morbida, lasciò che lui la trascinasse in un secondo giro e poi un terzo. L’aula che Vitious aveva scelto per quella particolare lezione era al piano terra e dava sull’ampia anticamera che portava alla sala dei trofei. Appena il volume della musica accennò a salire la soglia si riempì di curiosi. 

Van Houtem fece una risatina, subito seguita da altre in contrappunto. «Abbiamo un pubblico» disse a voce così bassa che Lily dovette leggerglielo sulle labbra e quando lui la sollevò per cambiare passo, lei si accorse che oltre i ragazzi più giovani che si accalcavano per rubare qualche frammento dell’arcano mistero del Ballo d’Inverno, c’era Lucas, che osservava lo spettacolo, in penombra. Lo colse nell’atto forse inconsapevole di seguirla con lo sguardo sottile come una lama di coltello e posò una mano sulla spalla di Rex, che le lasciò la vita, permettendole di piroettare verso l’esterno e incrociare la propria traiettoria con le altre ragazze che come lei si disponevano in fila per la riverenza. 

Un rapido sguardo verso la porta fu sufficiente.

Io.

Al di là di una massa di ricordi confusi, frotte di immagini sbiadite le affollarono la mente. Il suo primo valzer, frutto di una delle tante feste comandate vissute a stretto contatto, quasi come un’unica famiglia: era un bambina e come una bambina si era lasciata cullare da braccia che scopriva ogni volta più forti di quanto avrebbe potuto immaginare.

Lui, quasi distratto, che l’aveva sollevata non come nella figura tradizionale, ma prendendola dalle ginocchia per spezzare tutta la solennità ufficiale di quel momento e riportarlo in una dimensione che non la intimidisse, che ora la guardava inchinarsi ad un altro con l’espressione dura di un volto di marmo.

Come se nessuno dei due sapesse trattenere il proprio ascendente sull’altro, adesso ancor più di quando il confine fra l’infanzia e l’adolescenza aveva preso a somigliare ad una pietraia scoscesa. Sentire il suo sguardo addosso e desiderare di corrergli incontro facendo a brandelli i sogni di rivalsa erano due emozioni fuse insieme così a fondo da non poter distinguere la fine di una e l’inizio dell’altra.

Ti. 

Alla fine quell’inutile castello di ipocrisie sarebbe volato via al primo soffio di vento, pensò, mentre la musica finiva e veniva rimpiazzata dagli applausi. Quello annoiato e forzato di Chalista le risuonò nelle orecchie come un molle avvertimento. Lily si voltò di nuovo verso la porta: le ragazzine del primo e del secondo anno fischiavano e battevano le mani a ritmo, nonostante le occhiatacce di Vitious. Lucas, dietro di loro, non si era mosso di un passo.

Rex le prese la mano. «Un altro giro?» chiese. Le coppie sembravano indecise se riprendere o mano. Vitious alzò la bacchetta e la puntò verso il grammofono, che sparì.

«Penso che per oggi abbiamo finito». Corse a prendere la sua borsa mentre il suo cavaliere improvvisato la guardava smarrito. «Scusa, sono in ritardo».

«La prossima volta, allora». Rex accennò a un inchino e lei gli sorrise, incamminandosi. Non avrebbe mai potuto essere così sfrontata da dirgli che sperava che una prossima volta non arrivasse mai. 

Non così, sotto gli occhi di Lucas che contemplavano il mondo come se volessero darlo alle fiamme. 

Odio.

Qualche tempo prima, con tutta la sicumera che può avere solo un’adolescente, Lily Luna Potter aveva avuto l’esatta cognizione di chi fra loro conducesse il gioco. In quel preciso istante, osservando la linea diritta della sua mandibola contrarsi, si rese conto di non saperlo più.


I seen you go down to a cold mirror

It was never clearer in my error

So you lick a shine upon your forehead or

Check it by the signs in the corridor


***


Gli aveva dedicato un’unica lunga occhiata prima di oltrepassarlo facendosi largo fra i gridolini  delle studentesse del primo e del secondo anno. I loro sguardi si erano congelati spegnendo l’eccitazione che li circondava, imprigionando le voci e i respiri attorno a loro in un limbo di silenzi e attese. 

Chiari e affilati, quegli occhi l’avevano costretta a rallentare il passo e la furia di cui erano colmi le aveva annodato lo stomaco in un groviglio di rimorsi e trionfo. 

Segni scuri di stanchezza come ombre sinistre sul suo volto cesellato, soffiati via in poco più di un istante da un accenno di sorriso nel momento in cui l’aveva vista arrossire prima di allontanarsi.

Si era concessa appena la debolezza di scrutarlo di sottecchi prima di incamminarsi per il corridoio con il sottofondo del vociare che riprendeva. Passi concitati sul punto di sorpassarla si interruppero bruscamente e la voce di Lyra dal fondo del corridoio riecheggiò in un rimprovero ovattato.

«Mi stai evitando?»

Alta e imponente l’ombra di lui si allungava stagliandosi contro l’arco di luce dorata sul pavimento sotto la finestra. Senza voltarsi, Lily smise di camminare, improvvisamente conscia del calore della sua mano sulla spalla.

Sospirò e si girò a guardarlo; lui accolse la sua occhiata di biasimo con un sorriso beffardo, la finzione quasi perfetta di una calma che tuttavia non traspariva dalla mobilità nervosa dei suoi occhi. Quelli che passavano si fermavano a guardarli per qualche istante e riprendevano la loro strada, senza che né lui né lei vi badassero, come se una parete invisibile li separasse dal resto del mondo.

«Dovrei?»

La mano sulla sua spalla ebbe un lieve tremito, subito placato. «Dimmelo tu».

Lily scosse la testa. «Come posso evitarti se non ti vedo da settimane?» Fece un passo indietro per guadagnare spazio, poggiandosi al muro, e lui protese entrambe le braccia ai lati del suo corpo, imprigionandola. Il suo respiro le sfiorò la fronte, caldo, ma lei sapeva che, quando lui avesse risposto, la sua voce sarebbe stata fredda come il vento che spazzava la brughiera fuori dalla finestra.

«Tuo padre mi ha fatto rapporto». Lucas sollevò il mento continuando a scrutarla da sotto le palpebre socchiuse. «E tu non mi hai cercato» aggiunse distogliendo da lei lo sguardo indurito per lasciarlo vagare alle sue spalle. La linea ferma del suo labbro superiore si arricciò per pochi secondi in un sorriso tirato. Lily abbassò gli occhi, nervosa.

«Ho avuto delle cose da fare».

Una risata secca gli scaturì dal petto. «Sì» ribatté, «me ne sono accorto». Lucas lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi quasi volesse offrirle una via di fuga che lei, tuttavia, non imboccò. Avrebbe voluto invece che lui desse voce all’eco di furia che gli rombava nella voce dandole la conferma dell’idea che la tormentava da quando l’aveva scorto ad osservarla danzare. 

«Sei arrabbiato» sussurrò Lily, cercando di cogliere una risposta nel suo sguardo.

Lucas reagì a quel sussurro sommesso con un’occhiata sardonica. «Dovrei?»

«Non lo so» ribatté lei, avvampando. Le guance avevano preso a scottarle e il cuore aveva cominciato a batterle al ritmo forsennato di un tamburo, colpi secchi e dolorosi che le si propagavano nel petto infrangendosi contro le costole. «Voglio dire, questa tua entrata in scena per farmi sapere che ti infastidisce che io balli con qualcuno è davvero pretenziosa. Stavamo solo provando, faceva parte della coreografia». Gli posò una mano sul petto per farsi spazio: lui era talmente vicino da confonderla un’altra volta, ma quando lei accennò a spingerlo via si fece da parte, quasi smarrito. 

«L’hai fatto apposta» ribatté dopo qualche istante, la voce ammorbidita da una sfumatura indefinibile. Nel rialzare finalmente lo sguardo colpevole per incrociare il suo, Lily si accorse che Lucas stava sorridendo. «Perché?» le domandò; il riverbero di quella domanda le vibrò sotto le dita, ancora poggiate sul suo sterno.

Lily confezionò un sorriso altrettanto dolce. «Probabilmente perché sono una ragazzina sciocca. Dovresti chiederlo a Cassie, sono sicura che lei ha la risposta a questa domanda». Sgusciò di lato lasciandoselo alle spalle, sfregandosi il palmo contro la gonna per scacciare il ricordo del calore del suo corpo. 

Lucas rise, un suono limpido e cristallino come la pioggia scrosciante. «Sei gelosa». 

«Sciocchezze» lo liquidò, lanciandogli un’occhiata fuggevole da sopra la spalla. Prima che potesse illudersi di essere creduta, lui la raggiunse sbarrandole la strada. La presa delle sue mani sulla vita era solida e gentile, appena venata di un’imposizione sottesa.

«Rispondi».

«Non ti devo spiegazioni» ribatté Lily. «Lasciami, devo prendere dei libri in Biblioteca». Aveva usato un tono che avrebbe voluto essere perentorio ma alle sue orecchie era suonato pericolosamente incerto. Anche lui doveva essersene accorto, perché le rialzò il mento con le nocche, osservandola con attenzione; il suo sguardo era affilato come la tempra di una spada piantata nell’anima, e sembrava capace di leggere i suoi respiri mandando in frantumi il gioco di specchi con cui lei si proteggeva dal mondo esterno.

Le sue dita le scivolarono lungo la mandibola fin dietro la nuca, tuffandosi fra i suoi capelli. «Pensi che mi sfuggirai così ogni volta che qualcosa ti fa arrabbiare?» Quella domanda gli era scaturita dalle labbra in un soffio leggero come il tocco della sua mano.

«Nemmeno tu mi devi spiegazioni». Un respiro tremulo le gonfiò il petto; Lucas le sfiorò il labbro con il pollice, curvandosi su di lei. Il suo fiato le sfiorò i capelli e lei chiuse gli occhi cercando nel buio una tregua dall’emozione che la stordiva.

«Qualunque cosa tu pensi di Cassandra e me, ti stai sbagliando». Il suo tono stavolta era più distaccato, ma lui non accennò ad allontanarsi né a lasciarla andare. «Avresti potuto chiedermelo. Ma naturalmente è molto più comodo così, non è vero? Ti permette di sentirti comunque dalla parte della ragione».

Piccata, Lily spalancò le palpebre e si divincolò dal suo abbraccio. «Sei così arrogante» sibilò a denti stretti. «Non sono venuta a cercarti perché ti stava già cercando lei. Disperatamente. Ha chiesto a tua sorella dove fossi. Doveva parlarti del ballo, ma immagino che ti abbia trovato a giudicare da come ti accarezzava la spalla quando siamo rientrate da Hogsmeade». 

Lucas sollevò il mento sprezzante, gli occhi ricolmi di un’allegria amara e beffarda.

«Era una ripicca, quella?» domandò restando a qualche passo da lei. «Mi hai rifilato il tuo stesso boccone amaro, non è così?»

Disarmata da quell’ammissione così esplicita, Lily trattenne il fiato. «Stavo solo ballando». Quelle poche sillabe le avevano fatto tremare la voce costringendola a chiudere la bocca di scatto

«Lo so» rispose lui, greve, e poi entrambi tacquero. 

Sarebbe stato così facile muovere un passo nella sua direzione e finire fra le sue braccia, pensò mentre raccoglieva da terra la borsa con i compiti e guardava il resto della sua classe passare senza degnarli di uno sguardo. Il tempo attorno a loro aveva ricominciato a fluire lento e vischioso come la melassa: Devonne Pierce, a braccetto con la Davies, si voltò spalancando la bocca non appena la vide e soffocò un gridolino scandalizzato. 

Non erano più soli.

«Non verrò al ballo». Lucas le voltò la schiena; si era irrigidito per qualche motivo e osservava la processione di studenti che popolavano pigramente il corridoio. «Il mio turno finisce alle dieci e grazie al rapporto disciplinare dai piani alti è ben lontano dalla Sala Grande».

«Capisco».

«E se ci andassi, non inviterei Cass né nessun’altra». La sua chiosa tranquilla sembrava voler  sottintendere qualcosa di ovvio. Si ficcò le mani in tasca e gettò il capo all’indietro, tornando a guardarla.

Lily si strinse nelle spalle. «Immagino che ci vedremo a Natale allora». 

«Se è quello che desideri». C’era una punta di freddezza in quella voce e una nota di impazienza che in qualche modo sembrava divertita, come se all’ombra delle sue ciglia folte e scure si annidasse un segreto, qualcosa che lei aveva dimenticato. Lucas le rivolse un sorriso fugace e accennò un inchino. «Spero almeno che tu ti diverta a rendermi le cose difficili. Questo renderebbe la cosa più interessante».

Il suo sguardo cupo indugiò su di lei ancora per qualche istante prima di scivolare lungo le pietre del pavimento, uno specchio d’argento scuro ricolmo di certezze improvvisamente rinnegate.

Giuramenti fatti al vento e lunghi silenzi dove smarrirsi alla ricerca di una risposta da dargli, parole mozzate dall’impietosa mannaia dell’orgoglio.

«Lucas…»

Lui scrollò le spalle. «Ci vediamo, Lilou».


I sink myself in hair upon my lover

I don't know her from another miss

I don't know you from another


See me run now you're gone, dream on


***


«Hai la divisa in disordine».

Lily afferrò i lembi della camicia e li tirò verso il basso, osservando le pieghe mal disposte che increspavano il cotone bianco. Suo fratello si grattò la testa: la sua osservazione non aveva niente di malevolo, tuttavia lei si sentì arrossire, come se lui avesse voluto alludere alla causa dei suoi indumenti stropicciati. Eppure avrebbe dovuto saperlo: Al era così concentrato sul proprio ruolo di Caposcuola che l’unica natura possibile di quel rimprovero poteva essere quella disciplinare.

Lo vide sospirare e sfilarsi gli occhiali per pulirli sulla camicia perfettamente stirata. Pareva che si fosse ricordato in quel momento di avere davanti sua sorella: sulla sua fronte era apparsa un’unica ruga che sottolineava la luce preoccupata ora accesa nei suoi occhi. «Che cosa ti succede? Sei tutta strana in faccia».

Le fece cenno di sedersi accanto a lui e Lily annuì: il cortile della scuola era deserto, il blu del cielo al crepuscolo un manto cupo e infinito che tingeva il paesaggio di sfumature livide; sporadici mulinelli d’aria trascinavano con sé le ultime foglie staccandole dai rami degli alberi e il profumo della sera era quello freddo e pulito dell’inverno.  

Al si sfregava le mani: era uno dei pochi gesti che avevano in comune, qualcosa che li identificava come fratelli più degli occhi dello stesso colore. Lily gli afferrò la destra e lui si voltò a guardarla, sorpreso.

«Ti farai venire le piaghe» lo rimproverò. «Fa freddo, ormai».

Lui scalciò la polvere con i tacchi delle scarpe. «Sì, lo so» disse, abbassando gli occhi. «Sono nervoso. Ho trovato la Skeeter che parlava fitto fitto con Tessa Harrington. Immagino che farà uscire un’esclusiva sulla mia turbolenta vita sentimentale».

«Tessa Harrington? Quella che hai scaricato per uscire con Katia?»

Albus incrociò le braccia sul petto, scoccandole un’occhiataccia. «Non è andata così. Tessa l’ha raccontata a modo suo, ovviamente, ma non è stato per quello che ho rotto con lei».

«D’accordo». Un sospiro uscì quasi all’unisono dalle labbra di entrambi, come se si fossero resi conto al contempo di aver imboccato una delle tante strade cieche dei loro dialoghi stentati. Lily si sfiorò il naso con la nocca dell’indice: era ghiacciato, si accorse, affondando il volto nella sciarpa.

«Perché sei qui?»

«Ti ho visto seduto».

«Ma dai» fu la risposta, con una risata di gola in sottofondo. «Che coincidenza». Lo sguardo sagace di Albus saettò sul suo volto. «Avanti» la esortò nascondendo le mani arrossate sotto il mantello, «che cosa vuoi?»

Lily si strinse nelle spalle. «Cosa ne sai della faccenda della Appleseed?»

«Sei venuta a chiedermi questo?» 

«Sì». Non era neppure del tutto una bugia, in fondo. Al sembrò soppesare la sua sincerità e forse si convinse, perché si sfregò la fronte e cominciò a parlare.

«Non molto. Quello che mi ha detto lei è che Mary Ann Buttercup le ha stregato la spazzola. Ho fatto quello che potevo: ho chiesto in giro e tutti mi hanno confermato che quelle due non si sopportano. Ovviamente Mary Ann giura e spergiura di non essere stata lei» aggiunse, strizzando gli occhi. «D’altra parte, chi non negherebbe?»

Lily si leccò le labbra secche. «Io non penso che sia stata lei».

«Nemmeno io, ma non posso farci niente. Ho dovuto fare rapporto, chiunque sia stato ha fatto una cosa molto grave. La Buttercup condivide con la Appleseed il bagno e il dormitorio, era abbastanza ovvio che la colpa ricadesse su di lei, visto che si odiano».

 «Se le sono date di santa ragione al quarto anno» confermò Lily, sollevando lo sguardo sulle prime stelle che bucavano il velo scuro del crepuscolo. «Mary Ann le ha praticamente fatto lo scalpo, immagino che Chalista abbia pensato che volesse finire l’opera».

Albus fece una smorfia. «Brutta storia» commentò a denti stretti. «Perché ti interessa tanto, comunque? Non mi sembra che siano amiche tue».

«No». Quell’ammissione le uscì naturale: non aveva mai fatto mistero dei pochi legami che era riuscita a instaurare all’interno della Torre di Ravenclaw. «Sinceramente, non saprei dire quale delle due mi stia più antipatica, se la Presidentessa del Club del Tè o lo Yorkshire. Ma stanno succedendo troppe cose insolite quest’anno, ho come l’impressione che ci stia sfuggendo tutto di mano».

«Sì, so come ti senti. Ci mancava solo la Skeeter da queste parti». Un breve cenno del capo, poi suo fratello parve richiudersi in una sorta di mutismo. Fissava lo sterrato di fronte a loro con lo sguardo assorto, tanto che Lily pensò che non volesse più parlarne. Invece aggiunse qualcosa , una domanda scandita a voce bassissima. «Lyra cosa ne pensa?»

«È d’accordo con te» rispose Lily omettendo di fare commenti. «Su tutto quanto».

Un sorriso fugace gli increspò le labbra. «Non proprio tutto».

«Beh, sulla Skeeter sì» ribatté lei in tono leggero. «Da qualcosa bisogna pur cominciare».

Un’altra risata, questa volta libera e quasi spensierata, gli sgorgò dal petto. Al sollevò entrambe le braccia come per sgranchirsi: per un attimo sembrò che fosse sul punto di passarle il destro attorno alle spalle, poi lo abbandonò lungo il fianco come l’altro e si raccolse le ginocchia contro il petto.

«Sputa il rospo» disse, intrecciando le dita le une con le altre. «Non sei venuta solo per il mistero della spazzola stregata, giusto?»

Riluttante, Lily scosse la testa. Aveva avuto in mente di chiedergli a cosa alludesse quando avevano parlato di Lucas, ma sentiva la gola ostruita. 

«È per lui, vero?» Una nota aspra era comparsa nella sua voce. In imbarazzo, Lily abbassò gli occhi al suolo, stringendo fra le dita un lembo del mantello.

«L’ho incontrato in corridoio». Si sfregò il volto, nascondendolo nei palmi a coppa. «E sono sempre più confusa».

«Vuoi sapere cosa stavo per dire quando Chalista Appleseed ci ha interrotti». Al la studiava con un sorriso bizzarro stampato sulle labbra, come se volesse suggerirle una certa ovvietà nelle sue richieste. Lily abbassò le braccia, appoggiando la schiena contro il muro gelido: il sorriso di suo fratello si ampliò, trovando forse una risposta persino nel suo silenzio tenace. «Non so niente di quello che vorresti chiedermi. Malfoy non è esattamente un mistero facile da sciogliere».

«Immagino di no».

«Se ne stava sempre per i fatti suoi, quando veniva a scuola. Non è che non avesse amici». Al strizzò le palpebre un’altra volta, come cercando di vedere un senso nell’insieme dei suoi ricordi. «Però non penso che qualcuno a Hogwarts l’abbia mai visto per due volte con la stessa ragazza».

«Rassicurante».

«Non voleva esserlo» ribatté Albus, spensierato. «Però…»

«Però?» Lily si morse la lingua: non avrebbe voluto suonare così ansiosa. La luce divertita negli occhi di suo fratello le suggerì che lui stesse tergiversando con tutta l’intenzione di indurla ad esporsi. 

Al fece spallucce. «Non lo so, forse è una cosa stupida, ma sai… Se non ha mai voluto una ragazza, forse, è perché una ragazza ce l’ha». 

Lily deglutì, sentendo il sangue che le defluiva dalle guance. 

Al fece una smorfia, scuotendo la testa. «No» si affrettò ad aggiungere, «non parlo di una fidanzata segreta. Pensavo a qualcosa di più complicato» sbuffò, grattandosi la nuca. «Non corrisposto, lontano, proibito».

«Di’ la verità, rubi i romanzetti di Lyra quando viene a trovarci» lo punzecchiò Lily, strappandogli un gemito di protesta. «Non ti facevo così romantico» aggiunse, mentre lui distoglieva lo sguardo puntandolo sull’orlo della siepe che limitava il cortile. All’improvviso aveva preso a tormentarsi di nuovo le dita, covando un qualche pensiero tortuoso dietro la fronte corrugata e le labbra strette. 

Lily chiuse gli occhi: quella giornata l’aveva talmente spossata che si sarebbe addormentata così, con la spalla che toccava quella di suo fratello, come faceva quando erano entrambi troppo piccoli per i crucci sentimentali. Le possibilità che lui aveva voluto sottintendere con le sue ultime parole le  facevano girare la testa, le pulsavano nelle tempie in modo pressante e doloroso. 

Lontano, forse proibito.

Qualcosa che avrebbe osservato con l’ardore immutato di un amante devoto o di un nemico giurato, che lo schianto violento del suo sguardo avrebbe alla fine inchiodato con una domanda che non ammetteva di restare senza risposta.

Rialzò la testa: qualcuno camminava attraverso le siepi. Lily diede di gomito al fratello, sul cui volto l’espressione vaga e pensierosa era stata rimpiazzata da una ben più presente. 

«Chiunque sia, ha un bel problema. Non si può girare a quest’ora fuori dal recinto delle siepi, la nebbia non c’è più, ma non è un buon motivo per andarsene a zonzo nella Foresta».

«Aspetta». Gli posò una mano sul braccio, facendogli segno di fare piano. Albus increspò un sopracciglio, ma le diede retta e la seguì in silenzio all’ombra di una colonna dell’atrio. «Voglio vedere chi è» bisbigliò Lily, ritagliandosi un po’ di spazio nel nascondiglio improvvisato. 

Suo fratello appoggiò la testa contro il muro, fissando il soffitto. «Mi sembra una cosa stupida, chiunque sia merita una bella lavata di capo». 

«Non parlare così forte, ti sentirà». 

Al roteò gli occhi verso l’alto. «Si può sapere cosa diavolo ti sei messa in testa?». Aveva abbassato la voce e Lily la considerò una mezza vittoria, rinunciando ai rimbrotti che avrebbe voluto rivolgergli per la sua mancanza di fiducia.

«Aspetta» ripeté invece, sporgendosi appena per controllare. Una figura minuta stava salendo le scale a piccoli passi svelti, ritagliando nella luce sbiadita della sera un’ombra innaturalmente lunga. Quando ebbe oltrepassato la soglia, si guardò intorno circospetta e voltandosi dalla loro parte permise loro di scorgere, sotto il cappuccio del mantello ben calato sulla testa, un visetto arrossato e pieno di lentiggini. 

Lily udì il respiro di suo fratello che rallentava. «Guarda guarda». La sua voce era ridotta a un soffio che le sfiorò l’orecchio. «Non è l’amichetta di Margaret?»

«Sì, è Wendy. Ma non credo siano più così amiche, dopo quella scenata nei sotterranei».

Albus si tirò indietro. «Adesso possiamo smetterla di giocare a guardie e ladri?» chiese, appena più forte. 

Indecisa, Lily scosse la testa. Wendy stringeva contro il petto un fagotto, come una pezza di stoffa chiara, e si affannava per raggiungere l’imbocco del corridoio che portava al suo dormitorio. «Quella ragazzina è così strana».

«Cos’ha in mano?»

Aveva parlato troppo forte. Lily si voltò per rimproverarlo e con la coda dell’occhio vide Wendy che sussultava. Un ticchettio sinistro riecheggiò nell’ampia sala, poco prima che il chiasso prodotto dei suoi passi spazzasse via tutti gli altri rumori. 

«Aveva un bel po’ di fretta» commentò Al, seguendola fuori dall’ombra. «Pensi che nasconda qualcosa?»

«Ben più di qualcosa» ribatté lei. «Guarda questo». Si era chinata a raccogliere quello che Wendy aveva lasciato cadere. Lo porse ad Albus, che sgranò gli occhi in una smorfia di autentico stupore.

«Ma non ha senso!»

Lily si strinse nelle spalle, rigirandosi in mano il proprio bottino. «È solo un pettine. Non vuol dire niente, magari è suo» obiettò, suonando poco convincente persino alle proprie orecchie. 

«Perché una ragazzina dovrebbe andare in giro per la Foresta con un pettine di corno?»

«Questo» rispose lei, infilandolo in tasca, «è quello che vorrei scoprire anch'io».


Now you're lost and you're lethal

And now's about the time you gotta leave all

These good people...dream on.




E non riesco a scrivere le note neanche stavolta.

Ma vale sempre la solita storia: se non vi è chiaro qualcosa, dite.

Grazie a tutti per il feedback, anche se non sputerei sopra qualche recensione in più, ma con i ritmi con i quali aggiorno non ho diritto a lamentarmi.

Purtroppo, il lavoro viene prima, ma come vedete non vi abbandono.

Un grande abbraccio,

il demonio, impegnatissimo a fare pentole senza coperchi.

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