Dare me

di Winry977
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Voci nella notte. ***
Capitolo 3: *** Buio. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Chiusa in camera sua da ormai chissà quante ore, Bonnie alzò lo sguardo dal suo enorme album e lo rivolse verso la piccola finestra posta in alto al centro della stanza e lontana dalla sua brandina. Fuori pioveva, e dalle strade di Hell's Kitchen, come al solito, si sentivano i tipici rumori della strada: sirene della polizia, seguite da quelle di un'ambulanza, le macchine che sfrecciavano, clacson che intimavano alle altre macchine di sgombrare l'incrocio, le gomme di qualche auto che stridevano rumorosamente contro l'asfalto bagnato nel tentativo di frenarsi in tempo, prima di mettere sotto un pedone.

Bonnie sospirò, le sue giornate non comprendevano mezze misure: o stava tutto il giorno fuori o restava chiusa in camera per una quantità innumerevole di ore.

Chiuse gli occhi per concentrarsi sul rumore della pioggia, e prima ancora che potesse sincronizzare il suo respiro con essa, la porta si spalancò, sbattendo contro il muro e facendola sobbalzare.

-Bonnie, Bonnie!- il suo fratellino le corse incontro e si inginocchiò davanti il suo letto. Benjamin aveva sei anni, era mingherlino e pallido quanto sua sorella.

-Ma ti pare modo di entrare?- sbottò sua sorella, notando che era persino crollato dell'intonaco giù per la parete. Lui alzò lo sguardo verso di lei, gli occhi lucidi e lo zigomo arrossato. -Ma che ti è successo?- gli prese il viso tra le mani, scrutandolo bene, ma non ci fu bisogno di rispondere. Sull'uscio della porta apparvero un gruppetto di ragazzini poco più grandi del fratellino.

-Fuggi da tua sorella, eh?- schiamazzò il più alto.

-Femminuccia!- gli urlò contro un bambino piuttosto corpulento.

-Ehi!- la ragazza mollò album e coperte e si alzò raggiungendo la porta a grandi passi. Prima che quei due potessero dileguarsi li acciuffò entrambi, tenendoli per i polsi.

-Lasciami!- cominciò ad agitarsi il primo che aveva urlato contro Benjamin.

-Voi spiegatemi perché prendete di mira mio fratello e potrei anche considerare l'idea.- Bonnie si inginocchiò, li osservò attentamente e strinse gli occhi fino a farli diventare due fessure. Non era la prima volta che quel gruppetto di bambini trattavano male suo fratello, e forse quella era la volta buona per capirne la ragione.

-Bonnie Dawson!- una voce adulta echeggiò nel corridoio. La ragazza contrasse la mascella. “Come al solito.” pensò digrignando i denti. I due, con un forte strattone, riuscirono a liberarsi dalla sua presa e se la diedero a gambe. Bonnie si alzò e si rivolse verso chi l'aveva chiamata.

-Suor Chelsea, posso spiegare.- disse senza guardarla e tenendo gli occhi fissi sul pavimento.

-Mi basta quello che ho visto.- disse la suora con tono severo.

-Ah si? E cosa ha visto?- sfidò lei.

-Una diciassettenne che non sa dare l'esempio, ecco cosa ho visto.- la suora si avvicinava, percorrendo i pochi metri che ormai le separavano.

-Oh, si certo. E sa cosa facevano quei due ragazzini insieme al loro gruppetto qui, suor Chelsea?- alzò il tono lei, stringendo i pugni. Si sentiva lo sguardo pungente della suora addosso. -Sa che prendono di mira mio fratello? Sa che gli hanno…-

-Bada a come parli!- tuonò la donna ormai a pochi centimetri da Bonnie. -Se tuo fratello ha un problema deve parlarne con me, e tu non sarai di certo la sua paladina! Quindi fila in camera! Stasera andrete a letto entrambi senza cena.- detto questo, chiuse la porta della loro camera così forte da far cadere dell'altro intonaco per terra, sino ad arrivare ai piedi della ragazza.

Era furiosa e come se non bastasse, dato che l'ora di cena era vicina, aveva già un certo languore.

Questa era la vita che si faceva in quell'orfanotrofio, d'altro canto. Una vita piena di ingiustizie, di abusi di potere e di cattiverie. Poco contava chi aveva torto e chi era nel giusto, contavano solo le apparenze e se sembrava che lei stesse facendo la ragazza cattiva con i bulletti che tormentavano Benjamin, allora lei stava sbagliando e suo fratello non avrebbe ottenuto alcun tipo di attenzione.

-Bonnie?- la chiamò lui preoccupato.

Lei fece un respiro profondo, poi si voltò e fece un sorriso forzato. -Dai, chi ha bisogno di quella brodaglia che servono a mensa? Tanto puzza pure.- lo prese in braccio e si lasciarono cadere sul letto ridacchiando. Dopo un po' lei lo guardò negli occhi. Due occhi di colore diverso. Uno blu e l'altro marrone scuro, quasi nero. Sospirò aggiustandogli un ciuffetto di capelli che gli era scivolato sulla fronte. -Si può sapere cos'è successo stavolta?

Benjamin abbassò lo sguardo sulle coperte stropicciate.

-Benji…

-Stavano dando fastidio a Sally Bloom.- cominciò -Tim le voleva alzare la gonna, mentre Jeff le tirava i capelli… - si mise a sedere, mentre la sorella, distesa, si portò un braccio sotto la testa. -C'era tutto il gruppetto che hai visto prima… Allora mi sono messo in mezzo e… e uno di loro mi ha spinto di lato. Io l'ho spinto a mia volta e Tim mi ha tirato un pugno- si indicò lo zigomo che stava assumendo pian piano un colorito violaceo. -Allora mi sono messo a correre, perché tutti volevano colpirmi come aveva fatto lui e sono venuto da te.- si strinse le gambe al petto dondolando un poco.

Bonnie sospirò e chiuse gli occhi. -Sempre che vuoi fare l'eroe, tu, eh?- sospirò.

-Che?

-Niente.- si alzò anche lei, -so solo che salterò la cena, stasera.- ridacchiò e gli fece il solletico.

Chissà se quel sistema prima o poi sarebbe crollato. Quel sistema corrotto che era il suo orfanotrofio. Nella sua mente, Bonnie architettava già la sua prossima uscita di lì. Punizione o no.

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Capitolo 2
*** Voci nella notte. ***


Matt lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle, il tonfo rimbombò in tutto il condominio. Si sistemò gli occhiali rotondi sul naso e una volta fuori dall'edificio si avviò verso lo studio legale. Dopo che la questione con Fisk si era finalmente chiusa, l'avvocato aveva avuto un po' di tempo per sé, per curare le sue ferite e aspettare che rimarginassero. Anche i rapporti con Foggy si erano sistemati, l'amico non aveva quasi più nulla da ridire sulla sua identità segreta di giustiziere, o forse evitava semplicemente l'argomento, ma in ogni caso, tutto sembrava andare per il meglio.

Certo, Hell's Kitchen non era l'Eden, ogni notte ci si poteva aspettare di tutto, da una rapina a qualche colpo organizzato da qualche gruppetto di mafiosi, superstiti dopo il caso di Wilson Fisk. Ma Matt lo sentiva, che la situazione era momentaneamente più quieta. Solo momentaneamente. Ma gli bastava per tirare un sospiro di sollievo.

Mentre camminava, facendo scorrere il bastone bianco e rosso lungo il marciapiede, lasciò che il suo udito captasse i suoni attorno a lui, senza farci troppo caso. Sorpassò un uomo che parlava al telefono pregando di aspettarlo ancora cinque minuti per un convegno di lavoro; incrociò la strada con una donna che portava il suo gatto, a giudicare dalle lievi fusa e dai respiri affannati che provenivano dalla gabbietta, dal veterinario; poi una bicicletta gli sfrecciò accanto, lasciandosi dietro un forte odore dolciastro di ciambelle appena sfornate.

Matt sorrise lievemente. Quella era la Hell's Kitchen che tanto amava. Rumorosa e attiva, sin dal mattino.

Giunto allo studio si accinse ad aprire il portone, ma prima che potesse infilare la chiave nella toppa, sentì una presenza, non lontano da lui, anzi, proprio accanto la piccola scalinata che conduceva al suo studio. Un cuore che batteva forte, un respiro affannato. Un cuore giovane.

Matt si girò verso chi se ne stava accucciato, alla sua sinistra, accanto gli scalini.

-Tutto bene?- domandò.

Il respiro si fece più veloce solo per un momento, poi tornò regolare come prima. Era il respiro veloce di chi aveva appena corso. -Si, grazie.- aveva risposto la voce di una ragazza, tirando su col naso.

Matt sorrise, nonostante sapesse che gli stava mentendo, ma, non essendo cose che lo riguardassero, entrò nel condominio, sorpassando la targa “Nelson & Murdock, Studio Legale”.

Giunto nel corridoio dove si trovava lo studio, già sentiva le voci di Foggy e Karen, che lo distrassero da ciò che aveva appena sentito.

-Te l'ho detto, dobbiamo provvedere per questa storia del caffè.- ridacchiò Foggy.

-Dai, ma è così terribile?- rise a sua volta la collega.

Matt sorrise e sorpassò l'uscio della porta, chiudendola piano.

-Ehi, Matt, devi provare il mio caffè, Foggy dice che è tremendo!- Karen, allegra ma col suo solito tremolio nella voce, si avvicinò a grandi passi e gli mise sotto il naso una tazza di caffè fumante. Matt la prese con una mano, lasciando il bastone per ciechi appoggiato allo stipite della porta.

-Amico, io te lo dico ora, è bollente e…- Matt lo stava già sorseggiando. -Ci ho provato. Com'è?

-Mmm…- rivolse il viso verso la segretaria, arricciando il lato destro del labbro. -Forse… un po' di zucchero in più?

Foggy sospirò ridacchiò. -Dai, non ci credo che è solo lo zucchero per te.

-Visto? Non è così male!- disse soddisfatta Karen.

-Allora,- cambiò argomento l'avvocato che era appena arrivato. -Ci sono clienti?- si avviò con la tazza verso la sua stanza.

-Ancora no.- risposero gli altri due all'unisono dall'entrata. -Dopo l'ultimo caso le acque sembrano essersi calmate persino troppo.- aggiunse Foggy. -Di questo passo non avremo mai un cliente.- si lasciò andare, sconfortato contro lo stipite della porta del collega.

-Si, ma il lavoro non manca!- ribadì Karen da dietro la sua scrivania. Si avvicinò a Foggy e gli mollò addosso un'enorme pila di carte da compilare, tutte riguardanti l'ultimo caso. -Oggi ci divertiamo. Vero Matt?

Ma lui aveva già smesso di ascoltarli da un po'. Il suo pensiero era tornato alla ragazzina che aveva incontrato accanto fuori. Il fatto che gli avesse mentito non solo lo aveva incuriosito, ma in parte lo aveva anche fatto preoccupare. Era come se fuggisse da qualcosa.

-Matt?

-Si? Scusate mi ero distratto.

-E a chi pensi?- disse con una punta di malizia l'amico, facendolo ridere. -E va bene, va bene, non dirmi nulla- lo precedette prima ancora che potesse rispondergli. -Mettiamoci all'opera, su.

Tutte le scartoffie da compilare e da registrare, per poi essere consegnate, portarono via ai tre l'intero pomeriggio, al punto che dovettero pranzare in ufficio. Quando ormai si erano fatte le sette di sera, Matt si rivolse all'amico con tono stanco: -Hai finito con quella pratica?- intanto faceva scorrere le dita sul codice Braille.

-Veramente sono fermo da un po'.- sospirò Foggy. -Però se vuoi andare a casa, per noi non è un problema. Anzi sembra che tu sia a un punto migliore del mio.

-Sicuro?- Matt stava già tendendo l'orecchio per sentire i rumori della città.

-Si, tranquillo. Tu che puoi, vai a dormire, tanto qui ci siamo io e Karen, che…- si girò a guardarla. -Che si è addormentata.- sospirò più rumorosamente di prima. Matt rise.

-E va bene, affido il resto a te, allora.- si alzò e si diresse verso la porta.

Una volta fuori dall'edificio, si fermò sull'ultimo gradino per sentire se la ragazza di quella mattina fosse ancora lì, ma le sue aspettative furono deluse. “Sarà tornata a casa” si disse e si avviò sulla strada del ritorno.

La città era più calma adesso, molte meno persone si aggiravano per le strade, e il marciapiede era molto più libero rispetto a quella mattina. Un leggero odore di pioggia cominciava ad aleggiare nell'aria, e l'avvocato affrettò il passo. Non gli sarebbe dispiaciuto non tornare fradicio a casa per una volta, visto che dimenticarsi dell'ombrello ormai era tipico suo.

Fu proprio ad un isolato di distanza dal suo appartamento che aveva cominciato a sentire delle voci minacciose provenire da un vicolo. Voci basse ma taglienti. Non aveva il suo costume con sé, e se combattere fosse stato necessario, avrebbe rischiato di smascherarsi da solo. Si accostò dietro l'angolo, in ascolto.

-Lei, signorina, lavorando per noi, otterrà tutti i soldi di cui ha bisogno.- disse una voce serpentina e acuta.

-Otterrò il vostro aiuto? Aiuterete me e mio fratello a uscire di lì?- mormorò una voce poco convinta di sé. Una voce che Matt aveva già sentito quella stessa mattina.

-Ma certo!- esclamò una seconda voce maschile. Avevano un che di orientale. -Le basta solo, firmare qui.- si sentì un rumore di fogli. Ci fu un breve silenzio. -A lei la penna.- insistette la medesima voce.

Matt contrasse la mandibola. Quell'accento orientale lo aveva già sentito, e non gli ricordava nulla di buono. Sentì la penna entrare a contatto con la carta e muoversi con un po' di indulgenza su di essa.

-Molto bene, signorina Bonnie Dawson.- concluse la voce orientale. -Molto… Bene…- ci fu un veloce spostamento di corpi. La ragazza aveva cominciato a dimenarsi.

-Che cosa volete farmi?!- urlò, probabilmente con tutta l'aria che aveva nei polmoni.

-Ora, signorina Dawson, lei dovrà solo…- si sentì una bottiglietta che veniva stappata. -… fidarsi di noi.

-No! No! Lasciatemi!- la ragazza aveva preso a dimenarsi. Nell'indecisione, Matt lasciò andare il bastone sul marciapiede, e si sistemò gli occhiali ben fissi sul naso. Sperava che il buio sarebbe stato dalla sua. Con una mossa strategica, riprese il bastone e lo lanciò verso le persone dall'altra parte del vicolo, in modo da dividerle, almeno temporaneamente.

Presto cercò di appiattirsi contro la parete, e di muoversi velocemente verso di loro.

-Aiuto!- esclamò la ragazza, che continuava a dimenarsi tra gli uomini che tentavano di tenerla ferma. Il bastone era stato di poco aiuto, anzi, aveva attirato l'attenzione, a giudicare dalle due persone che si avvicinavano velocemente verso di lui. Un calcio sulla nuca stese il primo senza che lo potesse scoprire, lasciando il secondo immobile in mezzo alla strada. Matt si era nascosto di nuovo.

Mentre studiava velocemente un altro modo per stendere l'altro, Bonnie cacciò un urlo. Un urlo lancinante che sembrò durare fin troppo. Riuscì a mettere fuori gioco il secondo uomo con un altro colpo alla nuca, con un pezzo di legno che aveva trovato vicino al suo nascondiglio.

Quando finalmente era giunto il più vicino possibile alla ragazza, chi fino a quel momento l'aveva immobilizzata, era scomparso.

Bonnie stava ancora urlando dal dolore. -Non ci vedo! Non ci vedo!- era inginocchiata sul cemento umido e si teneva i polpastrelli delle dita sugli occhi, premendo forte, sperando che il dolore sparisse. Ma niente. Quei bastardi le avevano versato sugli occhi chissà quale sostanza acida, e il dolore era insopportabile. E per che cosa? Per uno stupido contratto che aveva firmato, senza leggerlo, come sempre. Ma al momento quello era solo uno dei suoi tanti pensieri confusi. Il dolore scacciava ogni pensiero razionale e lei si era stesa completamente per terra, pregando e urlando che tutto finisse.

-Ehi, ehi. Sono qui.- Matt si era inginocchiato freneticamente accanto a lei.

-Chi sei?- lei cacciò un calcio che lui bloccò con una mano.

-Non sono uno di loro.- si limitò a dire Matt, freddo. Poi si ricordò che non era nemmeno in vesti di Daredevil, e tentò di addolcire la voce. -Sono Matt. Stai calma. Ora chiamo un'ambulanza.- ma Bonnie era svenuta per il troppo dolore.

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Capitolo 3
*** Buio. ***


Bonnie si svegliò in preda ad un dolore insopportabile agli occhi. Era tutto, buio, come dire, non vedeva nulla. Si portò una mano agli occhi e sfiorò una benda. Una fitta agli occhi sembrò colpirla come una frustata, e le bastò per riportarle tutto alla mente.

Era uscita, le sue piccole fughe dall'orfanotrofio avevano uno scopo ben preciso: trovare un modo di uscire da quell'inferno. E il modo sarebbe stato trovarsi un lavoro per poter mantenere se stessa e suo fratello. L'unico dettaglio che non aveva considerato, era che forse sarebbe stato meglio trovarsi un lavoro onesto, invece di rivolgersi a dei perfetti sconosciuti, dai quali aveva origliato una conversazione al quanto allettante su un certo numero di posti vacanti sul loro posto di lavoro. All'inizio aveva avuto anche lei dei dubbi, però, sentendo la cifra che avrebbe potuto ricevere con del lavoro costante, non si era fatta troppi scrupoli a intromettersi nella conversazione.

Poi… poi avrebbe solo dovuto firmare il contratto di lavoro, visto che il fatto che fosse minorenne era di poca importanza. Ma… era evidente che c'era qualcosa che quegli uomini non le avevano detto, o quella benda sugli occhi e quel dolore lancinante non si sarebbero spiegati.

Ad un tratto il ricordo di una fiala e degli uomini che l'avevano immobilizzata le tornò in mente, e si alzò così velocemente che le si staccarono le flebo attaccate al braccio sinistro.

-Oh, sei sveglia.- una voce familiare le giunse alle orecchie. L'aveva già sentita, ma non ricordava quando.

-Dove mi trovo?- il respiro si faceva sempre più veloce.

-In ospedale.- sospirò la voce dell'uomo.

-No, no, io… io non dovrei essere qui.- si agitò lei e si alzò da letto, seppur barcollando. -Perché ho una benda sugli occhi? Che ci faccio qui? Se all'orfanotrofio si venisse a sapere…- poi si bloccò.-Benjamin…- sentì la presenza dell'uomo vicino a lei, ma la ignorò, portandosi le mani alle bende, e prima che lui potesse intervenire, se le strappò dagli occhi. Tenne le palpebre chiuse, ancora bruciavano. Ci passò sopra le dita, sentendole gonfie e con qualche vena a fior di pelle. Poi, con uno sforzo enorme, ansimante, le aprì. Non poté tenerle aperte a lungo, considerato lo strazio che comportava, ma le bastò solo per capire una cosa: non ci vedeva più.

Cercò un appoggio da qualche parte. -Io… io non ci vedo.- le lacrime cominciarono a scenderle, giù dagli occhi chiusi, ed erano calde come non mai. Si sedette sul letto, mentre il panico l'assaliva. -Perché non ci vedo?- il suo tono, tremante, cresceva pian piano. -Perché?- ora urlava. -Perché io non ci vedo?!- sentì che l'uomo si era seduto accanto a lei, e lo afferrò per la giacca. -Chi è lei? Perché è qui con me?- all'inizio lo aveva strattonato, ripetendo sempre le stesse domande, poi, pian piano si era lasciata andare ad un pianto isterico.

L'uomo le mise un braccio sulle spalle e si presentò con tono calmo. -Bonnie, sono Matt, ti ho trovata in un vicolo distesa per terra che urlavi dal dolore.- strinse i pugni, ma senza che lei potesse percepirlo. Un'altra persona privata della vista. Cosa avrebbe dovuto dirle? Che si era fatta truffare e che per giunta ci aveva rimesso non solo i soldi ma anche la vista?

-Come sai il mio nome?- disse tra un singhiozzo e l'altro la ragazza, interrompendo il suo flusso di pensieri.

-Ti ho dovuta ricoverare in ospedale, quindi ho dovuto dare i tuoi documenti.

Lei si irrigidì. -Ha chiamato l'orfanotrofio?- il problema della vista sembrava passato in secondo piano.

-Io no, ma probabilmente le infermiere che ti hanno concesso questo posto letto, si. Le spese saranno state sicuramente addebitate all'orfanotrofio di cui parli.- era sorpreso, sembrava che si fosse dimenticata del suo trauma. Che ci fosse qualcosa di più importante?

-No, no, no. Non voglio tornare lì.- si aggrappò alla giacca di Matt.

-Lei… lei deve aiutarmi… ora… ora non potrò più difenderlo, non potrò più fare nulla!- le lacrime scendevano più copiose.

-Chi?- Matt era sempre più serio.

In quel momento la porta della stanza si aprì, sbattendo contro il muro. E solo una persona che Bonnie conosceva aveva quell'abitudine.

-Bonnie, Bonnie!- la voce di un bambino si insinuò nelle orecchie di entrambi. -Che ti è successo, sorellona?- Benjamin abbracciò la sorella, stringendola al ventre. -I tuoi occhi!- delicatamente le prese il viso tra le mani e si ammutolì. La tensione vibrava nell'aria.

Matt decise che quello era il momento di uscire da quella stanza. A denti stretti, si richiuse la porta della camera d'ospedale alle spalle. Era come rivivere il suo trauma da bambino, forse in una forma peggiore. Fece un respiro profondo, e si limitò ad appoggiarsi alla parete, cercando di scacciare via i ricordi.

-Il signor Matthew Murdock?- una voce profonda di una donna si avvicinò gradualmente.

-Si.- si rizzò.

-Mi presento, sono suor Chelsea, gestisco l'unico orfanotrofio di Hell's Kitchen. La ringrazio per ciò che ha fatto per la nostra ragazza, gliene saremo eternamente grati.

Ci fu un attimo di silenzio. Poi Matt si decise a parlare. -Grazie a lei. Non so cosa sia successo a Bonnie, ma quando l'ho trovata in strada stava davvero soffrendo molto. Non ho idea di chi le abbia fatto questo.- “Diplomatico come sempre” si rimproverò.

-Oh non si preoccupi.- disse con tono mieloso la suora. -Mi occuperò personalmente della situazione della ragazza. Se vuole, può anche andare, ha già fatto abbastanza per noi.

-Certo. Buona notte, allora.- porse la mano, ricevendo una stretta fin troppo forte per essere la mano di una donna. Il suo discorso non lo convinceva nemmeno lontanamente, ed era chiaro che mentisse spudoratamente. Ad Hell's Kitchen non c'era solo un unico orfanotrofio, tanto per cominciare. E poi, non gli aveva dato proprio l'impressione che si sarebbe interessata del caso, più che altro, aveva fatto tutti quei giri di parole per liberarsi di lui.

Quando fu fuori dall'ospedale, si fermò a riflettere. Fuori ormai pioveva, perciò il taxi era d'obbligo, a meno che non volesse arrivare fradicio a casa. Però, dopo quello che era successo a quella ragazza, Bonnie, e il discorso smielato della suora, aveva più voglia di andare a fare un sopralluogo all'orfanotrofio. Ma era tardi, e forse sarebbe stato meglio aspettare all'indomani, considerato che non aveva nemmeno una pista da seguire.

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