Ascension

di Puzzola_Rossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ceres ***
Capitolo 3: *** Frattura ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ascension

Prologo

Il mondo che conosciamo oggi non è sempre stato così, un tempo era diverso, o almeno è quello che leggiamo nei libri di storia, è ciò che i grandi saggi ci tramandano da quando la nostra civiltà ha preso forma.
Non sappiamo quando è successo, non sappiamo da quanto tempo questo nuovo pianeta esista, ma sappiamo cosa l’ha cambiato profondamente, cosa lo ha reso ciò che adesso è.
La pioggia di cenere lo chiamiamo, il grande cataclisma che si è abbattuto sulla terra, cancellando tutto ciò che un tempo era, portandosi via intere popolazioni, culture, razze ed etnie differenti, che ora non ci sono più, e delle quali non abbiamo alcun ricordo, se non qualche frammento, qualche oggetto che ci dice che sì esse sono esistite davvero, che non è frutto della nostra immaginazione.
La pioggia si è abbattuta sul mondo, coprendolo interamente con la sua cenere, e dopo averlo distrutto, lo ha riportato alla vita, lo ha reso fertile, ridando alla natura il suo antico splendore, e permettendo a tutti gli esseri viventi di poter esistere di nuovo.
C’è chi pensa che ci sia stata data una seconda possibilità, di redimerci, forse, di potere fare del buono, in modo da poter cancellare i peccati dei nostri predecessori, come se quella pioggia fosse stata una punizione divina per i loro errori. Coloro che sostengono questa teoria combattono ogni giorno contro ciò che la nostra società è. Temono che il manipolare la vita come facciamo sia l’errore che ha portato i nostri antenati alla distruzione, e temono, temono per le  loro vite, temono che si ripeta ancora quella catastrofe e che stavolta non vi sarà una terza possibilità, che questa volta la pioggia di cenere ci cancellerà per sempre.
Coloro che ci governano, d’altro canto, ignorano queste stupide credenze, la pioggia di cenere ha permesso di evolverci, di renderci più forti, di darci una seconda possibilità per poter creare cose meravigliose.
Ed è quello che hanno fatto, tutti i giorni, da quando se ne ha memoria, iniziando dagli antichi artefatti ritrovati, fino a creare nuove fantastiche invenzioni, rendendo la nostra civiltà la più fiorente e tecnologica mai esistita.
Hanno diviso il nostro continente in cinque regni, ed ognuno di esso è presieduto da un reggente, il quale, consigliato dai più grandi alchimisti del pianeta,  aveva il compito di mantenere la prosperità, e di assicurare il continuo progresso della nostra civiltà.
Ed è in questo mondo che siamo nati, nel periodo in cui la tecnologia aveva raggiunto il suo apice, e quando qualcosa, qualcosa nella macchia, l’enorme distesa verde, che la pioggia di cenere aveva regalato alla natura, iniziò a muoversi e rivelarsi, per la prima volta da quando ne abbiamo memoria.

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Capitolo 2
*** Ceres ***


 Ceres


Nessuno ricorda il momento della propria nascita, quando, per la prima volta, si viene stretti tra le braccia della propria madre, commossa perché il grande sforzo compiuto è servito a qualcosa, qualcosa di tanto meraviglioso, dare la vita ad un nuovo essere; io, invece, di quel giorno mi ricordo ogni istante.
La mia è stata decisamente diversa dall’ordinaria nascita di un bambino, proprio perché io non lo ero.
Quando aprii gli occhi mi ritrovai in una stanza illuminata da tante luci bianche artificiali, le quali, a primo impatto, mi impedivano di vedere con chiarezza ciò che avevo intorno.
Non capivo cosa stesse succedendo, non riuscivo a trovare una spiegazione plausibile a come fossi capace di pensare conoscendo ogni parola, ogni cosa presente in quella stanza.
Avevo la sensazione di essere onnisciente, tranne per quanto riguardasse  la donna dai capelli biondi che mi guardava dall’altro lato della stanza, con uno sguardo fisso ed un sorriso di soddisfazione.

Finalmente.- fu la prima parola che mi rivolse. Una voce limpida, suadente, quasi ipnotizzante. Non avevo idea di chi fosse, di cosa ci facesse lì in quel luogo, mentre, camminando lentamente, quasi circospetta, come se pensasse che in qualche modo mi potessi avventare su di lei, si avvicinò a me.
Rimasi in silenzio, sedendomi composta su quello che avevo riconosciuto essere un lettino da studio medico, ed aspettai, aspettai che fosse lei a rivolgermi nuovamente la parola.
Si sedette vicino a me, con aria compiaciuta, guardandomi come se fossi uno spettacolo di rara bellezza.
Finalmente ce l’ho fatta.- disse con un tremolio nella voce, ma trionfante. Mi sfiorò una guancia. Il contatto con le sue dita mi provocò un sussulto, un brivido lungo la schiena.

Ormai stanca della confusione nella mia testa, cercai di parlarle, di porle una domanda.

- Chi sei? Anzi, chi sono io?- solo col tempo avrei capito che quella domanda mi avrebbe tormentato per  tanto tempo ancora.
Sei impaziente, ma tutto ti sarà spiegato a tempo debito.-
Si, volevo sapere. Ma più di ogni altra cosa capire, capire ciò che stava accadendo.
Il tuo nome è Ceres e io sono colei che ti ha messo al mondo.- mi disse, guardandomi di sottecchi, cercando di cogliere una mia qualche reazione o emozione.
Anche se ti ho creata, tu non sei assolutamente come me. Sei diversa, speciale. Una meravigliosa creatura perfetta.- pronunciò le ultime parole con voce sognante, e gli occhi colmi di gioia e aspettative.

Subito dopo si alzò, invitandomi a fare lo stesso, accompagnandomi davanti a uno specchio; e per la prima volta vidi il mio volto, il mio corpo, vidi ciò che ero.
Dei corti capelli rossi mi coprivano il capo, occhi azzurri, sembravano liquidi, come se potessero diventare acqua da un momento all’altro, la mia pelle era così bianca, che sotto la luce dei neon sembrava quasi risplendere. Avvicinai la mano allo specchio, guardai la  donna che mi era accanto e poi mi osservai nuovamente. Aveva  ragione, non ero come lei, delle linee mi attraversavano gli occhi, il collo e quando guardai il resto del mio corpo, mi resi conto che si delineavano anche lungo le braccia e le gambe.
Fu allora che la donna riprese a parlare, intuendo che iniziavo a comprendere la mia vera natura.

Vieni con me, ti racconterò la tua storia e ciò che sei.- mi disse, poggiandomi una mano  sulla spalla, e portandomi in un’altra stanza.
Ciò, non aveva usato la parola Chi, ma Ciò. Una parola che mi avrebbe perseguitato e mi avrebbe condotto ad una follia senza fine.
 
La donna  mi diede una vestaglia per coprire la mia nudità, il verde smeraldo faceva risaltare il pallore del mio incarnato, ero ammaliata da me stessa, e avevo timore che lei se ne accorgesse e che pensasse che ero una creatura vanitosa non più degna della sua ammirazione e di quello sguardo che aveva rivolto quando mi aveva toccato la prima volta.
Mi condusse fuori quello studio, dove avrei preferito non tornare mai più.
Salii una lunga scalinata in marmo fino a giungere in un enorme salone, le cui mura non erano tali, al loro posto vi erano innumerevoli vetrate che affacciavano all'esterno della casa, grazie alle quali, per la prima volta, vidi il mondo, la bellezza sconfinata del mondo.
Mi avvicinai alla prima  vetrata, ignorando completamente le parole della donna che fino a quel momento era stato il mio punto fermo, poggiando una mano sul vetro e rimanendo immobile ad osservare il cielo.

Ceres! Sto parlando con te! - mi richiamò alla realtà, con tono stizzito e occhi di rimprovero, nonché di sorpresa, come se non si aspettasse che avrei potuto ignorarla in quella maniera.
Oh lasciala stare Meredith, si affaccia alla vita per la prima volta, è normale che sia curiosa e disorientata. - disse qualcuno, dall’altra parte della stanza, ridacchiando.
Era un uomo sulla sessantina, capelli grigi, occhiali tondi, un viso scarno e con non poche rughe. Mi sorrideva e mi guardava con dolcezza, come si fa con i bambini. Non sapevo cosa pensare. Ma volevo sapere chi fosse. Prima ancora che potessi muovermi in sua direzione Meredith prese la parola.
Signor Lancaster sa bene che non tollero disubbidienze, non le ho dato alcun permesso di andare dove vuole, ne tantomeno di potermi ignorare quando parlo.- disse tutto d’un fiato, rivolgendomi uno sguardo truce. Fu allora che capii di aver perso ogni qualsivoglia tipo di attrattiva per lei, ero già diventata qualcosa di rotto, un fallimento.
Beh tornerò immediatamente a mettermi a lavoro, devo raggiungere la perfezione. Suppongo lei possa fare gli onori di casa. - si rivolese nuovamente all’uomo, voltando le spalle e tornando nel luogo della sua nascita.
Avvicinati cara.- mi rivolse la parola con dolcezza, come se avesse paura che da un momento all’altro mi sarei potuta rompere, non capendo che qualcosa in me si era già rotto, all’altezza del petto sentivo come una morsa, come se qualcuno avesse preso qualcosa e lo avesse stritolato.
Feci come mi era stato chiesto, temendo di poter scatenare  nuovamente disappunto e rabbia. Mi avvicinai velocemente, a passo marziale, mi posi dinanzi a lui e rimasi immobile ad aspettare un altro ordine.
Non sono il tuo padrone, non mi devi ubbidire se non vuoi. Meredith è.. diciamo che non è cattiva, ma non è in grado di comportarsi, come avrai potuto notare. Ma ci tengo a precisare che non sei una mia proprietà, ti voglio considerare piuttosto.. una nipote, ecco. Se vorrai potrai stare sotto la mia protezione, potrò prendermi cura di te, spiegarti le cose che non sai, rispondere, al limite delle mie conoscenze, a tutte le domande che mi porrai; o se vorrai, potrai andare via, vedere il mondo e vivere la tua vita come vorrai. Cosa decidi di fare? Hai il totale libero arbitrio. - mi disse.

Ero sorpresa, allibita, quest’uomo era totalmente diverso da Meredith. Agiva diversamente e mi guardava diversamente. Meredith guardava la sua creazione, il signor Lancaster guardava una donna.
Chi sono? Dove mi trovo?Lei chi è? E Meredith?- chiesi tutto d’un fiato. La mia risposta era stata abbastanza chiara, volevo rimanere lì ed imparare, sapere tutto ciò che non sapevo, e magari riconquistare la fiducia e l’apprezzamento della donna che mi aveva dato la vita.
Ehi ehi quante domande in una volta!- esclamò,ridendo, provocandomi un leggero imbarazzo, - Da dove posso cominciare.. vediamo.. Lasciamo la domanda più importante alla  fine. Io sono il signor Lancaster, ma puoi chiamarmi anche Seamus, sono il proprietario di questa immensa casa, nonché dei laboratori sottostanti. Meredith è un’alchimista, una donna che si occupa di genetica e in particolar modo della tua razza. Gli Homunculus. Cerca di creare l’Homunculus perfetto. Mi chiedo sempre quale sia il suo parametro di perfezione, perché credo che con te e Joshua lo abbia già raggiunto. Su chi sia Joshua ne parleremo poi. Penso tu voglia sapere chi tu sia. Bhe che dire, oltre ad essere bellissima, e a parer mio una creatura meravigliosa, come già ho accennato sei un homunculus, un essere fatto per metà umano e metà macchina. Tu in particolar modo sei fatta di titanio, un materiale resistente all’acqua, Meredith è molto scrupolosa su questo. Sei completamente una macchina, se non fosse per due importanti organi al tuo interno. Come potrai notare, poggiando la tua mano sul petto, sentirai dei battiti, è il tuo cuore, il cuore di un essere umano, e precisamente della mia defunta figlia. Abbiamo provato a salvarla ma non vi è stato rimedio, Meredith ha quindi avuto l’idea di metterlo dentro di te. Infatti, inizialmente il tuo unico organo doveva essere il cervello.
Ti sarai sicuramente chiesta come fai a conoscere molte cose, nonostante sia appena nata, e come riesci ad avere pensieri tuoi, come tu possa fantasticare sul mondo là fuori.
Il tuo emisfero sinistro è parte del cervello di un importante studioso, nonché ingegnere e matematico, il tuo emisfero destro è invece quello di un artista. Meredith ha voluto renderti capace di poter eccellere in qualsiasi materia, mentre per l’addestramento fisico, nonché alla battaglia ti addestrerà Joshua, che è stato creato proprio per svolgere la mansione di guerriero.- prese un lungo sospiro e cessò di parlare, aspettando che fossi io ad aprir bocca, che dicessi qualcosa, probabilmente qualsiasi cosa.

Credo pensasse di avermi chiarito tutto, invece ero ancora più confusa di prima. Cosa ero? Una macchina o un essere umano? E chi era Joshua? Forse lui avrebbe potuto aiutarmi, era come me, avrebbe sicuramente capito, mi avrebbe sicuramente dato una risposta.

Chi è Joshua?- fu l’unica cosa che chiesi, perché sapevo, capivo, qualcosa dentro di me lo stava urlando forte e chiaro, Seamus, per quanto potesse essere gentile, buono e una brava persona, non avrebbe mai potuto capire cosa sentivo, provavo e che non avevo bisogno di sentirmi dire ciò che agognavo, ma la sola e pura verità.
Penso che dovresti chiederlo a lui, è qui fuori la villa, ad allenarsi, parla con lui, potrebbe essere più istruttivo che parlarne con me. - mi disse, guardandomi di sottecchi, come se mi avesse letto nella mente. Cosa che mi mise terribilmente a disagio, ma feci come mi disse, scacciando quella sensazione, e voltandomi ogni tanto verso quello strano uomo mentre mi allontanavo verso il giardino.

Quando uscii fuori respirai a pieni polmoni, nonostante non ne avessi, e non avessi necessità di respirare, ma era la prima cosa che avevo desiderato non appena avevo guardato il cielo. Davanti a me si stagliava un giardino poco curato, o più che malmesso era inesistente, vi era ghiaia, pietra, non un filo di erba o qualsiasi cosa che potesse parere un vegetale; sembrava più un campo di addestramento. Non appena formulai quel pensiero mi si parò davanti un uomo. Era più alto di me, circa 2 metri, e qualcosa di più. I capelli castani, di media lunghezza portati in alto, come se fosse una cresta, ma non aveva nulla per tenerli su, era la loro normale posizione. Aveva gli occhi neri, penetranti. Capii subito chi era, era come me, era Joshua.
Mi tornarono in mente le parole di Lancaster, “Vuole raggiungere la perfezione, ma ritengo che con te e Joshua ci sia già  riuscita”, non vi era nulla di più vero. Joshua le sembrava perfetto, se non fosse per le sue braccia, nere, totalmente meccaniche, come le sue, ma non coperte dalla pelle. Probabilmente lei ne sarebbe stata turbata, ma a lui sembravano piacere così, come se far vedere ciò che era lo riempisse di orgoglio.

Chi sei?- fui la prima a parlare, nonostante sapessi chi fosse, volevo che si presentasse, volevo rendere quella prima esperienza il più umana possibile.
Un’unità d’assalto creata per combattere per coloro che  la pagano.- disse con tono serio, forse solo io sarei stata in grado di percepire quell’incrinazione nella sua voce.
Non ti ho chiesto per cosa sei stato messo al mondo, ma chi sei tu. – insistetti, insoddisfatta di quella risposta.
Un’unità d’assalto creata per combattere per coloro che  la pagano.- ripeté nuovamente.
- Oh per diamine!- esclamai, dandogli uno spintone, mi stava prendendo in giro? Quella non era una risposta, non era ciò che  voleva dirmi realmente, non era ciò che volevo udire. Iniziai a prenderlo a pugni, che prontamente riusciva a parare, e sfogai con lui tutte le frustrazioni che ero riuscita ad accumulare in 3 ore di vita. Avevo il terrore di sapere come sarebbe stato il resto della mia esistenza.
- Non sei un’unità di assalto. Sei  Joshua! E sei splendido! I tuoi capelli sembrano rame al sole! E sei bravo a combattere mi hanno detto.. e .. e .. e sei come ME! Sei un Homunculus! Siamo una razza speciale! NOI siamo speciali, siamo creature perfette! Siamo immortali! Non sei una COSA! IO NON SONO UNA COSA! Siamo vivi! Siamo su questo mondo! Ed è la nostra vita! Non di chi ti paga! OK? Tua è solo e unicamente TUA!- gli urlai addosso quel fiume di parole, sentendo il cuore battere sempre più forte, il mio cervello cercava altre parole, qualcos’altro da dire, qualcosa che potesse fargli capire che eravamo vivi, quando sentii dell’acqua scorrere sul mio viso. Rimasi immobile, senza parole, quelle che stavano scendendo sulle mie guance erano lacrime. Joshua mi guardava allibito, finalmente qualcosa aveva scalfito quella corazza impenetrabile, e non erano state le mie parole, erano state le mie lacrime. Mi si avvicinò con fare incerto, e con un dito raccolse una goccia prima che potesse scivolare giù dal mio volto.
La osservò, poi guardò me, e finalmente mi rivolse nuovamente la parola.
Ce l’ha fatta. Sei veramente tu quella perfetta. – disse con voce roca, in silenzio come se le sue parole potessero distruggere ogni cosa.
Non per lei. Sono disubbidiente. Per Meredith non sono perfetta. Ma per me si! E lo sei anche tu! E anche per il signor Lancaster. Ha detto che io e te siamo perfetti. – dissi con un po’ di rammarico, odiavo essere stata una delusione per colei che mi aveva messa al mondo, ma ero felice che Seamus mi apprezzasse, e ancor di più che ci fosse Joshua, non sapevo niente di lui, ma sapevo che avremmo potuto aiutarci.

Vieni con me. – mi prese da un braccio e mi condusse lontano dal giardino, dalla vetrata, lontano dalla casa. Mi portò in un boschetto che affacciava direttamente sulla villa. Non era un bosco come quelli che potevi immaginare in un libro di favole, era piuttosto mal ridotto, i tronchi erano vecchi, e le uniche foglie erano su quegli alberi chiamati Sempreverdi.
Non dire più quello che hai detto poco fa. E prima che tu possa  fare un’altra sfuriata, non è perché non lo pensi anche io, o perché non sia vero, ma perché l’unico a credere che siamo esseri viventi come gli altri è Seamus. Ripeto: L’UNICO. Se ti avesse sentito Meredith saresti già stata distrutta. – mi disse con rimprovero, ma con tanta gentilezza, una gentilezza che mi spiazzò totalmente.
Ci ha creati, perché mai dovrebbe volerci distruggere? – gli chiesi, conoscendo in parte la risposta.
- Meredith ci ha creati è vero.  E nella sua mente ritiene che come ci ha dato alla luce può spegnerci definitivamente. L’unico motivo per il quale io sono qui, è Seamus, e ora lo è anche il tuo. Meredith ci crede dei  fallimenti. I fallimenti devono essere distrutti. Non hai idea di quanti di noi ce ne sono stati prima di noi, e quanti se ne siano andati manco un’ora dopo aver visto la luce di quei neon, se non la soddisfavano. Siamo stati fortunati come pochi, perché una volta che ci porta su, Seamus è la nostra unica garanzia di sopravvivenza. E credimi, non so ancora quanto durerà. Gli umani non sono nati per vivere a lungo.  E quando lui morirà potrebbe essere il nostro ultimo giorno su questo pianeta. – concluse, facendo un cenno, e assicurandosi che avessi capito ciò che mi aveva detto. In presenza di Meredith dovevo essere una semplice macchina, nulla di più.

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Capitolo 3
*** Frattura ***


Frattura


Passai i successivi due anni in tranquillità. Studiavo tutto ciò che il professor Lancaster mi poneva davanti agli occhi. Libri di storia, ingegneria, biologia, geografia, i costumi della società, tutto ciò che poteva essermi utile per quando sarò andata nel mondo là fuori. E nonostante continuassi a dirgli che quello era il posto in cui sarei voluta rimanere per sempre, insieme a lui e a Joshua, lui mi diceva che “per sempre” era per lui una parola troppo grande da dire. Con Joshua invece imparavo a combattere, armi da taglio, contundenti, archi, ma ciò che amavo di più e in cui mi ero specializzata era l’utilizzo delle armi da fuoco, Joshua era rimasto veramente colpito della mia bravura e della mia capacità di apprendimento, era così fiero di me che non potevo che esserne felice.
Meredith usciva raramente dal suo studio, si riuniva col signor Lancaster solo per consumare i pasti della sera, e solitamente io e Joshua non c’eravamo mai.

Sentivo lo sguardo di Meredith su di me quando ci incontravamo per caso nel piano superiore della casa, una volta rimanemmo a lungo una nello sguardo dell’altra. Avevo la sensazione che avesse qualcosa da dirmi, come se fossi il suo più grande rimpianto. Ma poi tornava austera e riassumeva il suo sguardo truce e altezzoso, guardandomi con disprezzo e disgusto.
Non lo capivo, non potevo accettarlo. Perché si comportava in quella maniera. Ero sua figlia in parte, era lei che mi aveva dato alla luce, era lei che aveva assemblato il mio corpo, che mi aveva dato questi occhi, questa bocca, tutto ciò che ero, era lei che mi aveva donato un cuore, un cervello, una coscienza, lei mi aveva dato il mio essere; perché mi odiava così tanto?
Chiesi a Joshua, ma non seppe rispondermi, mi disse che era per colpa nostra, che eravamo dei fallimenti, che non eravamo ciò che voleva.
Era una risposta che non mi soddisfava. Non mi andava proprio giù. Come poteva essere colpa mia? Era lei che mi aveva fatto così.
Decisi di chiedere allora a Seamus, il mio secondo punto di riferimento. La sua risposta mi aprì gli occhi, mi diede una scossa, mi fece capire qualcosa di più di Meredith, e forse aveva ragione, non era proprio cattiva.
-Lei non odia te, Ceres, come potrebbe mai farlo? Lei odia se stessa, non è stata in grado di farti come voleva, è molto esigente con se stessa, pensava che saresti stata quella perfetta. Ma per lei non è stato così. Purtroppo Meredith è così intelligente ma anche così limitata, è una cosa che non riesce a capire. Lei vi ha dato una coscienza, un cuore, e come tali non siete semplici macchine, non siete burattini nelle mani di noi umani, solo perché vi abbiamo creato, è come dire ad un bambino appena nato di non piangere e pretendere che ubbidisca. Meredith non odia te, ma il fatto di non aver completato un lavoro così ben riuscito. Credimi Ceres, per me sei perfetta. E non parlo solo della tua bellezza, o della tua capacità di apprendere, parlo del tuo essere umana, sei una macchina eppure sei più sensibile e empatica di altri “veri” esseri umani che conosco. Sei più umana persino di Meredith, che con la sua ricerca della perfezione ha dimenticato cosa significhi essere umani. Lei non era così un tempo, sai? Quando era più giovane studiava per la gioia di apprendere, come te. Ha iniziato ad approcciarsi alla …. quando per salvare il fratello dovette renderlo per metà meccanico, da allora non è stata più la stessa. Voleva creare un essere perfetto, qualcuno che non sarebbe mai morto, ma che sarebbe stato in grado di provare emozioni, di avere una coscienza, ma voleva totale ubbidienza, che nonostante fosse una persona , lei la potesse comandare a bacchetta. Ma credimi Ceres, non è cattiva, ha solo perso la via. – mi spiegò con accortezza, osservandomi. Io intanto metabolizzavo tutto ciò che aveva detto, se Meredith non mi odiava, forse avrei potuto fare qualcosa che potesse farla tornare in sé, che potesse darle un po’ di gioia, qualcosa, qualcosa per la quale valesse sorridere di nuovo, qualcosa che le avrebbe fatto ritrovare la “retta via”.

Quando saliva per la cena le chiedevo quale fosse il suo piatto preferito, se volesse che fossi io a cucinarlo per la cena del giorno seguente, quale fosse il suo artista preferito, quale strumento musicale avrebbe preferito che suonassi per lei, cercai di riconquistarmi quella fiducia che avevo perso, non sarei stata una creatura perfetta, ma sarei potuta diventare una figlia perfetta.
Joshua continuava a dirmi che i miei tentativi erano inutili, che non sarei riuscita nel mio intento, ma io lo riuscivo a sentire, potevo vederlo, il cuore di Meredith si ammorbidiva, la sentivo più vicina, e passava sempre più tempo al piano di sopra. Le piaceva quando leggevo, suonavo o cucinavo per lei. Ero felice, come non lo ero mai stata.  Io e Joshua ci allenavamo la mattina, il pomeriggio lo dedicavo a Seamus e la sera la passavo con Meredith, era tutto perfetto. Una perfezione che sarebbe durata poco. E che avrei scoperto col tempo, che non dura mai abbastanza, e che più sei felice, più il dolore potrà distruggerti e dilaniarti il cuore dopo.

Il giorno del mio terzo anno di vita Seamus morì. Se ne andò una mattina, mentre io e Joshua eravamo nel bosco, non seppi mai come morì, quali furono le sue ultime parole, cosa guardò per l’ultima volta, a chi erano rivolti i suoi pensieri. Non mi fecero vedere nemmeno il suo corpo, ne potetti assistere al suo funerale. Ne io ne Joshua, non ce ne fu concesso il tempo.
Meredith sembrava affranta, si avvicinò e mi abbracciò, una cosa che non aveva mai fatto, e che pensai non avrebbe fatto mai, ricambiai l’abbraccio. Forte, ma non troppo, avevo paura di poterle fare male. Mi disse di seguirla, mentre disse a Joshua di rimanere lì, e che saremmo tornare da lì a poco. Non feci caso a quel cenno del capo, a quello sguardo furtivo che aveva rivolto agli uomini che erano venuti per il “funerale” di Seamus.

Ero troppo sconvolta per la perdita del mio mentore, e per quell’abbraccio che avrebbe potuto cambiare totalmente il rapporto tra me e Meredith, da una parte fui contenta di questa improvvisa scomparsa, dato che avrebbe potuto significare il ritrovato amore materno della mia creatrice, subito dopo questo pensiero mi sentii in colpa, sporca, un essere ignobile, come potevo gioire della morte di Seamus? L’unico che mi aveva dato la forza di essere quello che ero. Una macchina umana.
Ero così persa nei miei pensieri che non mi accorsi nemmeno che Meredith mi faceva cenno di entrare in una stanza, sobbalzai e mi infilai velocemente oltre la porta, sperando che non me lo avesse chiesto più di una volta, pregando di non averla fatta arrabbiare e dubitare nuovamente di me.
Ci trovavamo  nel luogo in cui ero nata, ove tutto era iniziato. Ebbi una morsa al cuore, quando sul lettino, nel quale ero sdraiata io una volta, vi era una nuova creatura. Non capivo, cosa stava accadendo? Perché ero lì? Il flusso dei miei pensieri fu interrotto da dei rumori al piano di sopra.
-Meredith che sta succedendo?- chiesi allarmata, fissando intensamente il soffitto, lei e il nuovo essere.
-Pensavo che tu fossi quella perfetta. Quella giusta. La macchina finale, ma mi sbagliavo. Vedi è tutto lì sul tavolo. Leggi e capirai. – mi disse, indicandomi un tavolino pieno di fogli, progetti, scartoffie varie.
Iniziai a leggere, e pian piano capii; quello era il mio progetto, ciò che era dentro di me, e di fianco al mio c’era un altro progetto, il cui titolo era l’essere perfetto. Era identica a me, ma a quel fantoccio sul letto mancavano due cose, due cose che io avevo.
-Inizi a capire vero? Volevo un essere perfetto, in grado di provare sensazioni, di avere una coscienza, di poter persino versare lacrime, ma mi sbagliavo su una cosa, non ho mai voluto che aveste libero arbitrio. Sono io a dovervi comandare, io devo decidere cosa voi potete fare. Quindi si a lei, la mia amata creatura perfetta ha una coscienza, sa cosa accade intorno a lei, può provare emozioni, ma non può decidere cosa fare della sua esistenza, perché sono io ad avergliela data, io posso togliergliela, io posso farne quello che voglio. – il tono della sua voce, rasentava la follia, era in iperventilazione, rideva, gli occhi spalancati, mi raccontava i suoi progetti come se io fossi un’ignara spettatrice, come se realmente potesse importarmi ciò che lei desiderava.

Fu con un pugno allo stomaco che arrivò la consapevolezza. Era quello che avevo fatto, avevo reso la sua opinione, il suo ben volermi, la sua stima parte integrante del mio io. Volevo la sua approvazione e l’avevo resa mia padrona senza accorgermene, facendo ciò che voleva, facendomi manipolare.

-Ho pensato che forse potevi andare bene, che alla fine facevi ciò che desideravo, ti comportavi esattamente come avresti dovuto. Ma ho capito, ho capito che non ero io a comandarti, ma eri tu a permettermelo. Il tuo comportamento con Joshua, con Seamus erano tutti sintomi del mio fallimento. Ricordati Ceres tu non sei umana. Seamus ti ha illusa. Non sei perfetta. Sei solo un fallimento. Un rottame. Qualcosa che deve essere distrutto. Oh, ma per te, mia cara, ho progetti più grandi, sarai parte di qualcosa di molto di più. Mi serve parte di te,Ceres. La mia nuova creazione ne necessita. – dopo aver pronunciato quelle ultime parole, protese le sue mani verso di me. Per la prima volta nella mia giovane vita, provai quell’emozione che era il puro e vero terrore.

-Tu sei pazza!-  le urlai di rimando, scansandole le mani.
-Tu non capisci. Cesserai di vivere come Ceres, ma una parte di te sarà qui, ai miei ordini, non sarà un addio.- il suo volto era deformato in una maschera di pura isteria.
-NO! IO NON SONO UNA MACCHINA! NON SONO TUA! NON PUOI FARE DI ME CIO’ CHE PIU’ TI PARE E PIACE! SONO VIVA! E NON TI PERMETTERO’ DI UCCIDERMI!- mi scagliai contro di lei, la buttai a terra facendo cadere anche il suo nuovo lavoro.
-No! La mia creazione!- esclamò, forse per la prima volta davvero impaurita.

Non ebbi la forza di farle realmente del male, nonostante volesse cancellarmi dalla faccia della terra, non potevo ucciderla, non sarei diventata come lei. Mi rimisi in piedi con agilità, presi tutti i fogli del mio progetto e della sua nuova creazione, ignorando totalmente Meredith e le sue urla di diniego. Non mi avrebbe ritrovata mai più. E non le avrei permesso di distruggere la vita di quella nuova creatura, di mia sorella.
Sarebbe stata meglio senza essere completa, non potendo ancora vivere piuttosto che vivendo agli ordini di qualcuno senza poter fare niente.
Uscii dalla stanza in fretta e furia, ripercorsi quegli scalini, ogni passo che facevo era un ricordo, una lama dritta nel cuore. Joshua aveva ragione. Seamus era l’unico che ci vedeva come esseri viventi, che ci voleva bene. Il pensiero di Joshua mi diede un sussulto al cuore, temevo di oltrepassare la porta del salone, di vedere cosa gli avevano fatto.
Ma non c’era tempo da perdere, se avessi dovuto avrei fatto di tutto per salvarlo. Era l’unica famiglia che mi rimaneva e non potevo assolutamente perderlo.
Aprii la porta e lo scenario che mi parve dinanzi mi fece sospirare di sollievo, Joshua era al centro, attorniato da quattro uomini stesi a terra. Il mio primo impulso fu quello di abbracciarlo forte, abbraccio che ricambiò calorosamente.
-Pensavo che quella pazza ti avesse fatto del male. – mi disse con tono preoccupato e sollevato al contempo.
-Ci ha provato, ma non è stata fortunata. Del resto sono stata addestrata da un’unità d’assalto creata per combattere per coloro che  la pagano.- gli risposi, sorridendo. Lo stare con lui, nonostante il momento critico, mi sollevava e mi dava una pace senza eguali.
-Dobbiamo andare, qui non è sicuro per noi. – affermò serio, iniziando a trascinarmi dietro di lui, fuori la villa, verso il bosco.
-Dove stiamo andando? Non abbiamo dove stare? Che faremo adesso?- il panico iniziò ad impadronirsi di me, non avevamo più una casa, non sapevamo dove andare, che ne sarebbe stato di noi adesso? Meredith ci voleva morti. Dove saremmo stati al sicuro?
-Te lo dissi il giorno in cui sei nata. La morte di Seamus avrebbe significato la nostra fine. Ti ricordi?-.

Annuii, ricordavo ancora le sue parole, e la loro veridicità mi colpivano adesso nel profondo. Mi ero fatta fregare. Mi ero illusa. Avevo amato per essere poi ferita in quella maniera così stupida.
-Beh se pensavi davvero che non avrei fatto nulla per salvaci  la pelle  non sei poi così intelligente come ti credeva Seamus. C’è un passaggio sotto al bosco, è collegato con la casa e con dei sotterranei che portano in città, da lì andremo in un altro posto.-
-Dove Joshua?-
-Un posto dove ci sono altri come noi, esattamente come noi, capisci?Andiamo dalla nostra razza, avremo una nuova, vera famiglia. Nessuno che voglia ucciderci, distruggerci. Nulla di tutto questo!-
per la prima volta vidi Joshua euforico, e non perché doveva combattere o allenarmi, era felice, finalmente avrebbe avuto ciò che io credevo di aver trovato in quella villa. Una famiglia.
-Dove credete di andare?- la voce di Meredith rimbombò nella mia testa, ancora oggi rivivo quella scena vividamente nei miei pensieri.
-Non crederete davvero di poter andare via così?- un sorriso maligno le si dipinse in volto, tra le mani stringeva forte una revolver, la posizionò in alto, mirandomi.
-Ti ho fatta resistente, voglio proprio scoprire quanto.- rise, e iniziò a sparare.

Joshua si posizionò tra me e i proiettili, prendendoli tutti, uno dietro l’altro, assorbendo ogni colpo in silenzio, sembrava che su di lui non facessero effetto, d’altronde era stato creato per essere un’unità da assalto. Una revolver non avrebbe dovuto nemmeno scalfirlo. Non feci nemmeno in tempo a pensarlo quando l’ultimo proiettile gli oltrepassò l’addome.
Joshua si inginocchiò a terra, era stato ferito, nonostante non perdesse sangue, era ferito, e quella ferita speravo che non gli fosse fatale.
Non so se la rabbia che iniziò a montarmi dentro derivava dalla paura di perdere Joshua o dal fatto che nostra madre ci avesse attaccato. Fatto sta che non  ebbi il tempo di cercare di capire quella nuova emozione che già stringevo le mie mani intorno al suo collo.

Furono due i ricordi che decisi di mantenere di quella donna. Lei che rideva follemente cercando di ucciderci e le mie mani che le toglievano la vita. Vidi il suo volto diventare bianco, quasi cinereo, mentre i suoi occhi si spegnevano spalancati dalla sua follia.

-  Ceres…- la voce di Joshua mi ridiede lucidità, e mi riportò alla realtà, facendomi rimanere inorridita da ciò che avevo appena fatto. Avevo ucciso mia madre.
Non riuscii a capacitarmi delle mie azioni, mi muovevo meccanicamente, mentre cingevo con un braccio la schiena di Joshua e lo calavo nel sottopassaggio. Ero ancora sconvolta, mi feci guidare da lui, senza proferire parola, tranne quella che esplodeva nella mia testa. Assassina.

Le parole di Joshua mi riportarono nuovamente alla realtà, senza di lui, mi resi conto, sarei stata persa.
- Ceres, mi devi promettere che andrai in quel luogo, che ti creerai una nuova famiglia, che sarai felice, promettimelo.-
- Ci andremo insieme, dobbiamo solo trovare qualcuno che ti aggiusti, io so fare qualcosa, ma è limitato a ciò che mi ha insegnato Seamus, non voglio peggiorare la tua situazione, abbiamo bisogno di un esperto.-
-Promettimelo.-


Non volevo ascoltarlo, non volevo promettergli nulla, perché promettere avrebbe significato ammettere che da lì a poco non ci sarebbe stato più, e io non potevo permetterlo. Non potevo, ma soprattutto, non volevo accettarlo. Sentivo i suoi segnali vitali sempre più deboli, le sue forze abbandonarlo. Quando arrivammo in città, chiesi aiuto ai passanti, chiesi se conoscevano un alchimista, qualcuno, chiunque.
Mi ignoravano, facevano finta di non vedermi, come se io non fossi lì, come se ne io ne Joshua esistessimo.

-Vi prego! Aiutateci!- iniziai ad urlare, disperata, piangendo. Solo una bimba si avvicinò a me, guardandomi, ma la madre la portò immediatamente lontana, sentii loro pronunciare due semplici frasi.
-Mamma perché quella donna sta piangendo? Sta male? La possiamo aiutare?-
-Non piange davvero, è una macchina, fa finta, sono lacrime finte, le macchine non stanno male, tesoro mio.-

-NOI NON SIAMO MACCHINE!- le urlai addosso, tant’è che la donna impaurita, scappò con la figlia al seguito. Per un momento altri si voltarono in mia direzione, per poi riprendere ad ignorarmi.
Piangevo, inginocchiata a terra con Joshua tra le braccia.
-Non mi lasciare, ti prego. Non te ne andare. Non posso farcela senza di te.- lo pregai, lo scongiurai, chiesi aiuto a quegli dei di cui avevo letto nei libri di storia. Ma nulla potette impedire alla morte di portamelo via.
-Te lo prometto.. Capito Joshua? Te lo prometto.. -.

Lasciai il suo corpo in mezzo alla strada, con il cuore dilaniato dal dolore, non sapendo dove andare, da dove iniziare. Corsi il più lontano possibile. Dalla mia vecchia casa, da quella odiosa città e dal corpo di Joshua, da tutto.

Un umano mi aveva creata, mi aveva dato una coscienza, delle emozioni, un cuore. Quest’ultimo, me lo aveva strappato via con la forza. Non sapevo più se era lì dove sarebbe dovuto essere. Ma ero sicura che se ci fosse stato non sarebbe stato più lo stesso. Non volevo avere più spazio per l’amore, la bontà, l’amicizia, la famiglia, tutti quei valori in cui avevo creduto sino alla morte di Joshua, non avrei mantenuto quella promessa, non fino a quando esseri come Meredith respiravano la mia stessa aria, camminavano sulla mia stessa terra. Meredith mi aveva creata, e io avrei dato la caccia a tutti quelli come lei.
Ci sarebbe stato spazio solo per persone come Seamus, gli altri li avrei eliminati uno a uno, senza alcun rimorso, senza rimpianti.
Lo avrei fatto per Joshua, per tutti gli altri homunculus come me, che si sentivano confusi, persi, soli in un mondo tanto crudele, ma soprattutto lo avrei fatto per me, perché non avrei mai più permesso ad un altro essere di potermi possedere, comandare e considerare una cosa.
Solo allora avrei cercato quel posto, quel luogo che Joshua agognava tanto, solo allora avrei cercato la mia nuova famiglia, solo dopo essere stata certa che saremmo stati al sicuro, senza nessuno che volesse controllarci o distruggerci.

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