Winter wonderland

di lolasmiley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A merry little Christmas ***
Capitolo 2: *** White Christmas ***
Capitolo 3: *** Walking disaster ***
Capitolo 4: *** Do they know it’s Christmas ***
Capitolo 5: *** Somewhere in Neverland ***
Capitolo 6: *** Lonely this Christmas ***
Capitolo 7: *** Winter wonderland ***
Capitolo 8: *** All I want for Christmas ***
Capitolo 9: *** I believed in father Christmas ***
Capitolo 10: *** Father Chirstmas ***
Capitolo 11: *** Family portrait ***
Capitolo 12: *** Wonderful ***
Capitolo 13: *** Let it snow ***
Capitolo 14: *** Stay together for the kids ***
Capitolo 15: *** Through the dark ***



Capitolo 1
*** A merry little Christmas ***


 

 

(0)

A merry 

little Christmas

16 luglio.

 

 

 

Have yourself a merry little Christmas,
Let your heart be light
From now on,
our troubles will be out of sight

Through the years 
We all will be together,
If the Fates allow
Hang a shining star upon the highest bough.
And have yourself a merry little Christmas, now. 

 

Chris era seduta alla finestra intenta ad osservare alla luce del tramonto il piccolo abete che avevano piantato da poco in giardino, prima ancora di dipingere le pareti o di svolgere gli altri piccoli lavori di manutenzione, per inaugurare la nuova casa. 

Non avrebbe mai pensato che si sarebbe trovata a fare una vita del genere, proprio lei che si sarebbe immaginata più felice perfino a fare l’artista di strada, sedendosi qua e là con il suo blocco da disegno e facendosi pagare pochi spiccioli per un ritratto, piuttosto che in una casa come quella. Per anni aveva creduto che sarebbe stata un lupo solitario per tutta la vita perché si era convinta, in qualche modo, che l’amore non dura mai per sempre e che bisogna imparare a farcela da soli, senza far dipendere la propria felicità da qualcun altro.

E invece, eccola lì.

Sorrise, sfiorando con le dita il vetro seguendo il profilo dell’alberello. Sentì una mano familiare e calda posarsi sulla sua spalla e accarezzarle dolcemente il collo.

«Credi che in centosessantadue giorni riuscirà a crescere abbastanza per addobbarlo?» sussurrò Chris.

«No, ma potremmo comunque metterci delle lucine. Ne compreremo uno finto da mettere in salotto»

Chris non vedeva l’ora. Anni prima non sarebbe stata così entusiasta ma le cose erano diverse, ora. Non aveva mai amato particolarmente il Natale fino a quel dicembre duemilaquindici che le aveva cambiato la vita.

 

 

 

 

 

Ed è arrivato dicembreee ❄

Questa storia era nata come una os, ma mi sono affezionata ai personaggi, per cui ho continuato a scriverla e boh, dal prologo si capisce solo che è a tema natalizio perché non volevo svelarvi troppo, ma capirete nel prossimo capitolo!

Vi ringrazio se avete letto e se avrete pazienza di continuare :)

adios!

 

 

-lola

 

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Capitolo 2
*** White Christmas ***


 

 

 

(1)

White Christmas

Sei anni prima, 20 dicembre 2015

 

 

 

 

I’m dreaming of a white Christmas, 

just like the ones I used to know, 

where the tree-tops glisten

and the children listen

to hear sleigh bells in the snow.

 

 

Una leggera nuvoletta di vapore bianco si sollevò dalle sue labbra dischiuse mentre si appoggiava alla vecchia panchina vuota, che aveva bisogno di una seconda mano di vernice verde. La fresca aria dicembrina gli pungeva un po’ i polmoni, ma lui continuava a fare dei profondi respiri. Si sarebbe beccato l’influenza, forse, vestito com’era, lì fuori al freddo. Ma non gli importava.

Erano quasi le dieci di sera, e il centro commerciale stava chiudendo.

Gli piaceva il suo lavoro. Gli piaceva davvero, anche se con i suoi amici fingeva di infilarsi in quel costume un po’ ridicolo, che avrebbe dovuto togliersi prima di uscire, solo perché erano “soldi facili”. 

I suoi non erano dei veri amici, in fondo. Forse avrebbero potuto esserlo. Ma non lo erano, perché non sapevano davvero chi fosse quel ragazzo. Nessuno lo sapeva, tranne lui. Sapeva chi era, quello che faceva e perchè, che cosa voleva fare nella sua vita, ma ancora non sapeva come. Stava cercando il suo posto nel mondo. Ma non un posto qualunque, un riparo di fortuna a cui adattarsi, plasmandosi a misura delle circostanze e della società. Lui cercava il suo posto. Sapeva quale sarebbe dovuto essere, ma non dove trovarlo. 

Temporeggiava, alla ricerca del suo posto, tenendo gelosamente nascosti i suoi progetti, le ambizioni, i desideri e i sentimenti, come se avesse avuto paura che qualcuno avrebbe potuto strappargli via la sua personalità. 

Il suo sguardo era perso a contemplare la luce bianca e brillante di una stella, quando si sentì tirare per la manica. Si voltò e inizialmente non vide nessuno, ma poi si accorse di una bambina appesa al suo maglione. Il sorriso che le rivolse istintivamente era così dolce e gentile che la bimba, inizialmente intimidita e un po’ imbarazzata, si lasciò scappare un sospiro di sollievo e una leggera risata.

«Ciao» disse lui, piegandosi sulle ginocchia per essere alto quanto lei e riuscire così a guardarla negli occhi.

«Tu sei un elfo di Babbo Natale, vero?» chiese la bambina, speranzosa, con gli occhi che le brillavano. Lui sorrise, togliendosi il berretto a punta e accennando una leggera riverenza, poi le porse la mano.

«E’ così!» mentì, come faceva sempre. In realtà non gli piaceva definirle bugie. Le bugie erano una cosa brutta, ingiusta, mentre la possibilità di un bambino di volare sulle ali della fantasia era qualcosa di meraviglioso e fondamentale.

«Mi chiamo Ashton» aggiunse, mentre la piccola manina della bimba veniva nascosta nella sua.

«Io sono Aria! Sei alto per essere un elfo!» esclamò divertita. Ashton scrollò le spalle.

«Ho mangiato troppi icciaspi!» ribatté con finta aria noncurante. Aria lo osservò meravigliata.

«Icciaspi?! Cosa sono?»

«Spinaci!» rise lui, mentre le labbra della bambina si storsero in un’espressione disgustata.

«Posso provarlo?» chiese poi, indicando il berretto che Ashton si era poggiato di nuovo sui riccioli dorati. Lui annuì, chinando il capo per lasciare che lei lo prendesse più facilmente. La bimba lo indossò e guardo il ragazzo tutta sorridente, in attesa di un parere.

«Ti sta molto bene! Hai mai pensato di diventare uno degli elfi di Babbo Natale?»

«Davvero?»

Prima che Ashton potesse rispondere, una voce alle sue spalle attirò l’attenzione di Aria, che sollevò un braccio e salutò. L’elfo si alzò in piedi e notò una ragazza dall’aria piuttosto affannata e i capelli scompigliati tinti di un rosso acceso correre nella loro direzione. 

«Aria! Grazie al cielo! Mi hai fatto morire di paura!» si lamentò non appena fu al fianco della bambina, poggiandosi una mano sul cuore palpitante a causa della corsa e probabilmente anche dello spavento.

«Scusa Chris» Aria si guardò le punte dei piedi, visibilmente dispiaciuta «Babbo Natale se ne stava andando e io non ero riuscita a dargli la letterina... Poi ho visto lui uscire» indicò Ashton, che le regalò un sorriso di incoraggiamento «e ho pensato che se l’avessi data a lui, forse...»

«Avresti almeno potuto avvisarmi!» il tono della ragazza si addolcì quando notò l’espressione avvilita di Aria «senti... io non sono arrabbiata, mi ero semplicemente preoccupata! Quindi per favore, la prossima volta avvisami prima di allontanarti, okay?» chiese, posandole una mano sulla spalla. La bambina parve rincuorata da questo gesto e abbozzò un sorriso, annuendo.

Chris si voltò quindi verso il ragazzo, allontanando leggermente Aria da lui con fare protettivo. Lo squadrò, un po’ preoccupata. Un ventenne con un maglioncino a righe rosse e bianche, una saloppette verde e due fossette sulle guance non poteva certo sembrare un soggetto pericoloso, ma in diciannove anni Chris aveva sentito troppe cose brutte per fidarsi di un estraneo. Anche di un elfo troppo cresciuto.

«E tu chi saresti?»

«Mi chiamo Ashton» allungò la mano verso di lei, che la strinse piuttosto forte, senza staccare gli occhi dai suoi.

«Chris. Sono sua sorella» indicò Aria con un cenno del capo. Ashton annuì, e poi si rivolse di nuovo alla bambina.

«Quindi c’è una certa lettera che volevi far avere a Babbo Natale?» 

«Sì!» esclamò lei, entusiasta. Si sfilò lo zainetto a forma di orso di peluche dalle spalle e aprì la cerniera, procedendo poi a rovistare alla ricerca di una busta. Chris e Ashton attesero in silenzio finchè la bambina non lanciò una piccola esclamazione di vittoria. 

«Scusa, si è un po’ stropicciata» sussurrò Aria, porgendo la busta ad Ashton, che, come sempre, sorrise.

«Non fa nulla» scrollò le spalle e si rigirò la letterina tra le mani. Al posto dell’indirizzo del destinatario, Aria aveva disegnato con cura la slitta e le renne, colorate poi con i pastelli e decorate a dovere. Ashton si sfregò le dita: dei brillantini dorati vi erano rimasti appiccicati.

«Disegni davvero bene!» si complimentò.

«Chris mi ha aiutata, lei è una vera artista!» ribatté Aria, voltandosi verso la rossa, che arrossì di colpo. 

Era vero, però. Chris era portata per le cose manuali. Passava molto tempo con il suo quaderno, e quando  aggiungeva anche un tocco di colore i suoi disegni sembravano prendere vita. Quelle piccole opere d’arte non era dato permesso a nessuno di vederle. Erano il suo rifugio, una calda coperta da stendere sopra il mondo quando esso si faceva troppo ostile. L’unica a riuscire a sbirciare tra le fitte pagine del blocco da disegno di Chris era Aria. 

«Amh» mugugnò Chris, preda dell’imbarazzo che le aveva imporporato le guance. Si passò una mano tra i capelli mentre teneva lo sguardo fisso a terra. Prima di tutto, non aveva mai imparato come rispondere ai complimenti. Inoltre, odiava che le persone parlassero di una parte così intima di lei.

«Dovremmo andare, comunque. E’ tardi» tagliò corto, cercando la prima scusa per potersi levare da quella situazione spiacevole, senza preoccuparsi di controllare davvero che ore fossero.

«Se volete vi accompagno» si offrì Ashton. Chris era già pronta a rifiutare, ma Aria rispose prima di lei, con un “sì” così entusiasta che impedì alla ragazza di ribattere in qualsiasi modo.

«D’accordo» concesse la sorella maggiore «la macchina è da questa parte» indicò un punto nel parcheggio di fronte a lei e fece strada agli altri due. Aria la seguiva trotterellando al fianco di Ashton.

«Ma tu vivi al polo nord?»

«No, niente polo nord per me» 

«E perchè?»

«Perchè si può lavorare per babbo Natale in ogni angolo del mondo, non serve per forza stare al polo nord in mezzo ai pinguini...e poi, vedi, io sono allergico»

«A cosa?»

«Ai pinguini!»

Aria rise.

Chris si trattenne dallo sbattersi il palmo in fronte e scuotere la testa. Allergico ai pinguini? Accelerò il passo, impaziente di arrivare alla macchina, guardandosi alle spalle di tanto in tanto per controllare che sua sorella e l’elfo la stessero ancora seguendo e che lui si stesse comportando da bravo aiutante di Babbo Natale. 

La rossa scorse l’auto una fila più in là, così schiacciò il pulsante sul telecomando delle chiavi che aveva già preparato nella mano e i fari dell’auto si illuminarono, seguiti dall’apertura delle portiere con il classico “bip”.

«Eccoci qua» annunciò, voltandosi verso gli altri due con una piccola piroetta, entusiasta di potersene tornare al caldo.

«Allora ciao» disse Aria, sorridendo radiosa ad Ashton.

«È stato un onore conoscerti» lui improvvisò una piccola riverenza che fece ridacchiare la bambina. 

«Aria, il cappello. Non credo sia tuo» osservò Chris, indicando il berretto a punta da elfo. Aria alzò gli occhi per cercare di vedere che cosa aveva in testa, anche se sapeva perfettamente di che si trattava. Se lo tolse sospirando e lo porse ad Ashton, e anche se era consapevole che era la cosa giusta da fare le si leggeva la tristezza sul viso.

«Ah, hai ragione... Tieni»

Ashton sorrise, mostrando ancora le sue fossette, e respinse dolcemente la mano di Aria.

«No, non fa nulla, tienilo pure. Ne ho un altro a casa»

«Davvero?!» Aria saltellò un po’ dalla felicità, poi si buttò verso Ashton e lo abbracciò di slancio. Lui restò piuttosto sorpreso ma ricambiò stringendola leggermente e lanciando un sorriso un po’ imbarazzato a Chris.

«Grazie! Sei l’elfo migliore del mondo!» esclamò Aria prima di lasciarlo andare e di fiondarsi in auto. Si allacciò la cintura e lo salutò attraverso il finestrino mentre Chris saliva al posto del guidatore. Chiuse lo sportello e mise in moto.

Ashton restò lì per un secondo e proprio quando stava per voltarsi e andarsene, Chris abbassò il finestrino mentre gli passava vicino.

«Ehi, emh» lei si morse il labbro, alla ricerca di qualcosa da dire, ma, in mancanza di idee migliori, si limitò a un «grazie» abbozzando un sorriso di cortesia piuttosto imbarazzato «grazie. Davvero»

Lui si illuminò e annuì, salutandole poi con la mano.

«Di nulla! E buon Natale!»

«Sì, be’, anche a te» ricambiò la rossa, prima di richiudere il finestrino. L’auto si allontanò abbastanza in fretta mentre Aria continuava a salutare il suo nuovo elfo preferito attraverso il vetro.

Ashton restò lì in piedi finchè la macchina sparì del tutto dalla sua visuale, poi tornò indietro con l’intenzione di andare a recuperare la sua giacca che aveva lasciato all’interno del supermercato.

 

 

 

Una decina di minuti dopo, Ashton aprì lo sportello dell’auto e si infilò all’interno, ma prima di inserire le chiavi nel quadrante, attaccare il riscaldamento e partire, prese la lettera che aveva riposto con cura nella tasca della sua giacca. Era davvero curioso di aprirla e leggere cos’era che Aria voleva così tanto da inseguire un ragazzo vestito da elfo perché Babbo Natale non era riuscito a riceverla.

Strappò delicatamente la busta e fece scivolare fuori il foglio ripiegato che vi era contenuto, aprendolo subito dopo. La calligrafia era tonda e un po’ incerta, parole scritte con un pennarello rosso e adornate da qualche stellina di porporina dorata qua e là. 

Dopo aver letto le prime righe, il sorriso che si era dipinto sul volto del ragazzo iniziò a svanire piano piano.

 

Caro Babbo Natale,

So che ogni tanto quest’anno non mi sono comportata benissimo e mi dispiace tanto, però voglio comunque chiederti una cosa per Natale...

All’inizio volevo chiederti se per favore quest’anno mi potevi portare la nuova Barbie delle feste... Però ho cambiato idea, adesso non la voglio più. 

Vorrei che facessi una magia! Vorrei che facessi tornare felici la mia mamma e il mio papà. Sono sempre tristi! Sono tanto strani: non si abbracciano più e non si parlano quasi mai. Di notte a volte li sento gridarsi delle cose brutte, però quando ci sono anche io fanno finta di niente. Non ho capito che cosa è successo e gli ho anche chiesto perché le cose adesso sono cambiate e perché non mangiamo più tutti insieme... perché il papà di notte dorme sul divano e perché alla domenica non giochiamo più tutti a nascondino in giardino con Jonsy e Charlie. 

La mamma mi ha detto che capirò quando diventerò grande. 

Tutte le mie amiche vogliono diventare grandi, come Charlie e anche come la mamma, ma adesso che i grandi sono diventati tutti tristi non so più se voglio crescere.  

Comunque le ho detto che ho sette anni e sono già grande, perché non lo posso sapere ora? Lei non mi ha risposto.

Adesso facciamo sempre le cose divisi. Non siamo mai tutti insieme: se c’è il papà, la mamma va via, e se c’è la mamma se ne va il papà. Quando Charlie esce e non posso andare con lei, la mamma chiama la nonna perché mi porti da qualche parte così non devo restare a casa. Le prime volte ero felice: mi piace andare dalla nonna, perché così posso ascoltare le storie del nonno e coccolare il loro gattino che è tanto bello... però adesso io vorrei di più restare a casa con la mamma e il papà, ma loro non vogliono. 

Nessuno vuole dirmi che cosa succede! E’ colpa mia se litigano? Non glielo voglio chiedere perché tanto nessuno mi risponde mai e poi ho paura che direbbero una bugia. Ultimamente le dicono sempre.

Alla sera dico anche delle preghierine perché non so con chi altro parlare, ho chiesto di far tornare tutto com’era prima però Dio non ha ancora fatto succedere niente... Se è colpa mia non è giusto che siano la mamma e il papà ad essere tristi! 

Tu fai sempre felici tutti i bambini, quindi quest’anno ti vorrei chiedere di fare felici i miei genitori!

Ti prego!

 

Ti voglio tanto bene, 

Aria.

 

Man mano era andato avanti a leggere, la stretta attorno a cuore di Ashton si era fatta sempre più forte. L’ondata di tristezza che lo aveva investito non accennava a voler passare. Si strofinò gli occhi. Non avrebbe certo pianto. Appoggiò la lettera sul sedile del passeggero e afferrò il volante, preso dalla necessità di aggrapparsi a qualcosa che, per una volta, lo aiutasse a restare a galla anziché portarlo giù con sé.

Ad Ashton piaceva calarsi nei panni di elfo, per qualche settimana all’anno, per fare felici i bambini. Certo, c’erano quelli che un po’ lo irritavano, quelli più viziati a cui interessava non della magia del Natale ma dell’ultimo giocattolo che, alla fine dei capricci, mamma e papà gli avrebbero regalato e dopo un paio di giorni sarebbe finito sul fondo nell’armadio insieme a molti altri. Non era per loro che Ashton si infilava quel ridicolo cappellino.

Era per giocare con i bambini più timidi che non avevano coraggio a parlare con il grande Babbo, con quelli più soli che arrivavano senza un amico, con quelli tristi perché avevano avuto una brutta giornata, con quelli delusi perché i genitori non erano riusciti a dedicargli del tempo, con quelli in scalpitante attesa della neve, con quelli amanti degli animali che passavano il pomeriggio ad accarezzare le renne di peluche accanto alla grande slitta. 

Ashton cominciò a capire che quella che aveva interpretato come felicità negli occhi di Aria non era altro che speranza. Quella bambina credeva ancora in Babbo Natale, negli elfi, le favole. Credeva ancora nel lieto fine. 

Ma Ashton intuì che non ci sarebbe stato nessun lieto fine. Il cuore di quella piccola bambina si sarebbe spezzato in mille pezzi. 

La mattina del venticinque dicembre, una volta accorta che il suo desiderio non era stato esaudito, Aria avrebbe smesso di credere nella magia, in Babbo Natale, avrebbe capito che le favole non esistono, che non sempre il principe azzurro è così perfetto e che spesso sono i cattivi a vincere.

A sette anni sarebbe stata strappata al mondo innocente dei bambini e gettata in malo modo in quello cupo, triste e amaro degli adulti. Sarebbe stata costretta a diventare grande troppo presto, per adattarsi alla realtà che sarebbe cambiata drasticamente attorno a lei.

Forse Aria non avrebbe più creduto nemmeno nell’amore.

Ashton si lasciò sfuggire un’imprecazione a bassa voce. Per anni aveva ingenuamente coltivato la speranza che nessun bambino dovesse affrontare qualcosa di simile a quello che era toccato a lui. Certo, sapeva bene che non sarebbe potuto essere possibile e sapeva che Aria non si trovava nella stessa situazione che aveva colpito la sua stessa famiglia, ma tutto questo lo faceva stare ugualmente male.

Si sentiva responsabile, perché alla fine era a lui che la piccola aveva chiesto aiuto, ma non avrebbe potuto fare nulla. 

Si sentiva colpevole, perché non era riuscito a cambiare il “mondo dei grandi” e a renderlo un po’ meno brutto.

Lungo tutto il tragitto in auto regnò il silenzio più totale. Non che di solito Ashton si mettesse a parlare da solo, ma era molto strano che facesse un viaggio in macchina, anche di pochi minuti, senza accendere la radio. Fissava la strada quasi deserta, imponendosi di non distrarsi troppo durante la guida. Era difficile non dare corda ai pensieri che gli affollavano la mente e dimenticarsi di quella bambina e quella ragazza. Quella ragazza dai capelli rossi dall’aria schiva ma anche affascinante.

Certo, lei avrà avuto diciotto anni e di certo aveva già smesso di credere alla fantasia ma non era comunque giusto, nemmeno nei suoi confronti.

Il biondo parcheggiò davanti al condominio dove viveva e scese dall’auto senza dimenticarsi di prendere la triste richiesta d’aiuto di Aria. Camminò a passi spediti verso l’edificio e si lanciò su per le scale, impaziente di tornare al familiare tepore del suo appartamento, e magari di farsi una tazza di tè. 

Strofinò le suole sullo zerbino, prima di entrare, e poi richiuse la porta a chiave. Appese la giacca e si sfilò le scarpe, abbandonando tutto accanto alla porta e dirigendosi poi verso la cucina. Riempì il bollitore dell’acqua e preparò una tazza con una bustina di tè nero. Uno di zucchero.

Restò un attimo con lo sguardo perso nel vuoto, poi, con un gesto seccato e arrabbiato, aggiunse un secondo cucchiaino di zucchero e aspettò che l’acqua bollisse per poi ritirarsi sulla poltrona con la tazza fumante stretta in una mano e la lettera nell’altra.

Cosa avrebbe potuto fare per quella bambina?

Sapeva che non era giusto quello che le stava accadendo, e avrebbe voluto davvero poter cambiare le cose. Rigirò il cucchiaino, soprappensiero, alla ricerca di una risposta. Rilesse la lettera, una, due, tre volte.

 



e finalmente sono iniziate le vacanze, e io ho il raffreddore
non ho voglia di fare nulla.
spero che ci sia qualcuno che sta leggendo questa storia ahaha fatemi sapere
vi saluto, buon natale! 


-lola

 

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Capitolo 3
*** Walking disaster ***


 

 

(2)

Walking disaster

21 dicembre 2015

 

 

 

 

Sorry, Mom, but I don’t miss you 

Father is no name you deserve 

I’m just a kid with no ambitions 

Wouldn’t come home for the world 

 

Never know what I’ve become 

The king of all that’s said and done 

The forgotten son 

 

This city’s buried in defeat 

I walk along these no name streets 

Wave goodbye to all 

As I fall... 

 

At the dead end I begin 

To burn the bridge of innocence 

Satisfaction guaranteed 

A pill-away catastrophe 

 

On a mission nowhere bound 

Inhibitions underground 

A shallow grave I 

Have dug all by myself 

 

And now I’ve been gone for so long 

I can’t remember who was wrong 

All innocence is long gone 

I pledge allegiance to a world of disbelief 

Where I belong 

 

A walking disaster 

The son of all bastards 

You regret you made me 

It’s too late to save me 

 

 

 

Erano le sette e trentadue del mattino. Il primo giorno di vacanza.

Sul comodino di Chris la sveglia, un orologio tichettante dalla forma di un grosso gatto, restò muta. Le persiane abbassate, la porta chiusa e la coperta tirata su avvolgeva la ragazza raggomitolata nel suo letto, ancora persa in un sogno che non si sarebbe ricordata. Dal bozzolo di piumino e coperta fatta a maglia usciva solo il naso, gli occhi e le ciocche rosse dei capelli di Chris. Non sopportava di andare sotto le coperte anche con la testa perché le dava l’orribile sensazione di non riuscire a respirare, a differenza di Aria, che stava ancora dormendo completamente sotterrata. Nessuno era ancora andato a svegliarla.

Era una cosa strana. Di solito, anche nei giorni in cui non c’era scuola, Aria si alzava comunque presto. Faceva colazione guardando i cartoni animati, giocava un po’ Jonsy e convinceva qualcuno ad andare a fare un giro al parco, o al centro commerciale, oppure chiedeva di andare a trovare una sua amica.

Chris amava dormire fino a tardi. Sempre. Le uniche rare volte in cui si era alzata presto nei giorni in cui non ne era stata costretta dalla scuola e poi dal lavoro, lo aveva fatto solo perchè aveva in programma delle attività molto interessanti. Come una gita, un concerto, e, qualche volta, guardare l’alba. Ma questa non era una di quelle giornate. Chris aveva bisogno di riprendersi dalle mattine degli ultimi sei mesi un cui si era dovuta alzare alle sette per andare a lavorare alla caffetteria in centro.

Erano le sette e trentadue del mattino, e si poteva pensare che a casa Price regnasse il silenzio, ma non era così.

Al piano di sotto, in cucina, la macchina del caffè gorgogliava sul fornello mentre Evelyn, la mamma di Aria e Chris, reduce da un’altra notte insonne, si massaggiava le tempie seduta su uno degli sgabelli attorno al piano bar sul quale era appoggiata un’altra busta ancora chiusa. Era un’altra parcella dell’avvocato, Evelyn lo sapeva bene. Per fortuna sarebbe stata l’ultima fino all’anno successivo. 

Odiava gli avvocati. Aveva pensato che lei e James ne avrebbero fatto a meno. O meglio, sapeva benissimo che in un divorzio degli avvocati sarebbero stati fondamentali, ma sperava che il suo futuro ex marito avrebbe concordato con lei a proposito della divisione dei beni e della custodia della figlie. Perchè, infondo, era lui ad essere dalla parte del torto, no?

No, non era così, ma dargli la colpa rendeva le cose più facili e più accettabili e le alleggeriva il peso sul cuore. Il loro matrimonio era finito molto prima che James andasse a letto con quella sgualdrina della sua segretaria, ma questo fatto, per Eve, era stato un pretesto servito su un piatto d’argento. Certo, a suo tempo anche lei aveva vissuto le sue avventure, ma erano state così ben nascoste che non sarebbero mai venute fuori. 

Quand’era finito il loro matrimonio?

Evelyn si alzò per versarsi la sua tazza di caffè, dopodichè tornò al suo posto sullo sgabello. Già, il loro matrimonio. Si chiese perchè mai si fossero sposati. Cominciava a dubitare che l’avessero fatto davvero per amore. Forse era stata una scusa per fuggire via di casa appena aveva compiuto diciotto anni che, nella foga del momento e al pensiero della tanta agoniata libertà, James gli era sembrato il principe azzurro. E lo era stato, per un po’ di tempo.

Lo era stato, finchè non si era messo a correre dietro a quell’assurda idea di diventare tatuatore e aveva abbandonato il suo lavoro in ufficio, lasciandola sola a mantenere il peso della casa. La casa. A chi sarebbe andata la casa? Sarebbe spettata a lei. Era stata lei a pagare il mutuo.

Eve aveva raddoppiato i turni, cercato un altro lavoro, diminuito le ore di sonno, mentre il marito fantasticava e disegnava, ampliava le suo conoscenze tra i tatuatori della città per trovare qualcuno che gli insegnasse il mestiere.

Poi era arrivata Chris.

L’avevano davvero voluta?

No. Non entrambi. James non era al corrente del fatto che Evelyn stesse cercando di restare incinta. Lei credeva che un figlio sarebbe stato il miracolo che avrebbe salvato il loro matrimonio. James si sarebbe messo la testa a posto, avrebbe trovato un lavoro. Sarebbero stati una famiglia normale.

Le cose in effetti erano andate proprio così. Appena Evelyn tornò a lavorare, però, le cose ricominciarono da capo. James riprese in mano il suo progetto. E riuscì a portarlo a termine, alla fine. Riuscì ad aprire uno studio, diventò un ottimo tatuatore e riportò a casa abbastanza soldi da ripagare i sacrifici fatti da Evelyn. 

Ma non bastò a mettere le cose a posto, perché non si trattava solo di soldi. Si trattava del rancore che lei aveva messo da parte, che era cresciuto ogni qual volta James tornava a casa con un altro inutilissimo libro, un’iscrizione a un corso. Non riusciva a dare un ordine alle priorità? Prima i piaceri inutili e poi la famiglia? Cosa contava Evelyn per lui? Come poteva buttare via i soldi che sarebbero serviti a Chris?

Gli screzi tra la coppia erano cresciuti.

Aria era stata il secondo colpo di grazia.

Un dejà vù. Questa volta, Eve non aveva programmato un bel niente. Quando il test aveva annunciato l’arrivo di un altro figlio, Eve si era sentita mancare. Questa volta aveva parlato con James, che, al contrario, era entusiasta della notizia. Lui le aveva promesso che sarebbe cambiato, aveva detto che si era reso conto dei suoi sbagli.

James aveva iniziato a lavorare sempre di più, ma questo, oltre a portar a casa soldi sufficienti al mantenimento di una famiglia più larga della loro, aveva allontanato lui e Evelyn ancora di più. 

Smisero di parlarsi. Di confidarsi. Iniziarono i segreti. Le ostilità. Ogni minima cosa cominciò a diventare motivo di litigio, si evitavano, non condividevano più nulla. Ci furono i primi tradimenti.

Il loro matrimonio aveva iniziato lentamente a creparsi, e poi, di colpo, era crollato, sgretolandosi tra le loro mani.

Evelyn finì il suo caffè, senza zucchero, e appoggiò la tazza nel lavello. Lanciò un’occhiata all’orologio. Le sette e quarantacinque. La donna si chiese dove fosse James, o meglio, con chi.

Osservò il proprio riflesso debole e scolorito nella porta a vetri che dava sul loro giardino ricoperto di neve, e si ritrovò a immaginarsi cosa potesse avere l’amante di James che lei non aveva. Scosse la testa, sapeva che quello era un ragionamento assolutamente inutile e doloroso. Nemmeno lei lo amava più, non aveva senso stare lì a rimuginare su cosa avrebbe potuto fare per cambiare le cose: erano andate così, ora bisognava solo trovare il modo di andare avanti. Eve si rimboccò le maniche, presa da un lampo di sicurezza. Si sarebbe tenuta lei la casa, e avrebbe avuto l’affidamento di Aria. James se ne sarebbe andato, si sarebbe fatto la sua vita con quella scialba segretaria dai capelli stinti e le tette cadenti.

A lei che importava di lui? 

Assolutamente niente.

La domanda era più spinosa, al contrario, per James, seduto su una delle poltrone nell’atrio del suo studio con un bicchiere di barbon nella mano. Una bottiglia quasi vuota dello stesso liquore era appoggiata tra le varie riviste sui tatuaggi sul tavolino di vetro di fronte a lui.

A lui che importava di lei?

Abbastanza.

Sospirò e buttò giù quel che restava del barbon. Si prese il volto tra le mani, sconsolato. 

Come sempre, nella sua vita, aveva fatto un errore terribile e non era riuscito a porvi rimedio. Era un casino dopo l’altro. Un fallimento. Non era stato un grado di valutare cosa fosse più giusto per la sua famiglia, aveva dato più importanza prima alle sue passioni, poi al suo lavoro, trascurando la moglie e le figlie. Si era abbandonato all’alcool e aveva ceduto alle carezze di Diana, che lo faceva sentire così bene, così amato, da fargli dimenticare tutti i suoi problemi.

Lei gli ricordava che era stato giusto curare la sua passione, la sua “vocazione”, e se Evelyn non era stata in grado di capirlo, era solo una piccola stupida. Ovviamente Diana si era guardata bene dall’esprimersi in questo modo di fronte a James, ma lui aveva capito che il nocciolo del discorso era quello.

Si sentiva lacerato tra la parte di sè pentita per tutto ciò che aveva fatto, disperata e innamorata di Evelyn, e quella attratta da Diana, la parte felice di aver fatto le sue scelte e convinta che, se le cose tra lui e Evelyn non avevano funzionato, era stato perchè lei non era riuscita a mettersi nei panni di lui.

Chi avrebbe avuto la meglio?

Probabilmente la seconda, poichè Eve continuava ad allontanarlo tanto da fargli desiderare di andarsene.

Nessuno dei due si preoccupava per Aria, o Chris. Le coppie divorziate, con figli, erano così diffuse che sembravano una cosa normale, naturale, e per questo ad Evelyn e James non era passato neanche vagamente per la testa che le loro bambine avrebbero potuto soffrire a causa del divorzio. Stavano ancora lavorando sulla spiegazione da dare ad Aria quando le pratiche sarebbero terminate e il divorzio fosse stato effettivo.

Erano le nove e cinquantaquattro quando il cellulare che Evelyn aveva lasciato in camera sua trillò, svegliando Aria, ma non Chris, che se ne restò raggomitolata tra i piumini.

La piccola si stropicciò gli occhi e si stiracchiò, ignara dell’ora. Si alzò in piedi e infilò le pantofole a forma di panda, trascinando poi i piedi fino alla porta della camera. Mise fuori la testa.

«Mamma?» chiamò, ma non ricevette nessuna risposta.

Evelyn era salita a prendersi il suo telefono ed era già tornata al piano di sotto. Aria sentì la voce di sua madre, così decise di scendere e di fare colazione. Quando arrivò a metà della rampa di scale, però, si fermò.

«Assolutamente no!» 

Sua madre stava quasi urlando, al telefono. Aria si nascose nella curva delle scale, per poter ascoltare senza essere vista. Sapeva che quello che stava facendo non era giusto, ma decise di restare ugualmente lì a origliare.

«È Natale, James, porca puttana! È Natale, e staranno a casa! Cosa? Vorresti venire qui a pranzo? Non credo che sia una buona idea... No! James, non ti voglio in questa casa a Natale, hai capito?»

Aria non voleva sentire altro. Corse su per le scale, trattenendo le lacrime che le pungevano gli occhi. Arrivò davanti alla porta della sua camera senza fiato, e vi ci si chiuse dentro stando attenta a non fare troppo rumore per non far capire che era sveglia. Mise il piccolo sgabello davanti alla porta, nella speranza ingenua che servisse ad ostacolare l’entrata a qualcun altro. 

Cercò freneticamente il berretto da elfo nelle tasche del suo cappottino, e quando lo trovò se lo strinse al petto scoppiando in lacrime. Si nascose tra le coperte, abbracciata al cappello a punta e al suo peluche preferito. 

Non avrebbe passato il Natale con il suo papà? Non avrebbero cucinato le lasagne tutti insieme, nè aperto i reali sotto l’albero o guardato Mamma ho perso l’aereo per la ventesima volta? Papà non le avrebbe letto la storia di Pinpin, Mistì e Grigrì?

 

 

Quel pomeriggio, Chris sedeva sul divano, annoiata, con lo sguardo perso fuori dalla finestra, puntato sulle decorazioni dei loro vicini. A casa Price nessuno aveva tirato fuori addobbi, alberi e rametti di vischio. La casa non profumava di cannella, biscotti e cioccolata calda, il vecchio lettore cd stava in silenzio in un angolo del salotto.

La ragazza lanciò un’occhiata alla madre, elegantemente seduta sulla poltrona accanto con il computer portatile appoggiato sulle ginocchia. Ogni tanto batteva qualche parola sulla tastiera, poi sospirava, sbuffava, cliccava qualcosa.

«Cosa faremo a Natale?» Chris tamburellò con le dita sul poggiolo del divano, in attesa dell’attenzione di sua mamma.

Evelyn non rispose. Non sentì nemmeno le parole della figlia, che sbuffò, seccata.

«Mamma!»

«Che c’è?» sbottò, senza staccare gli occhi dal monitor.

«Cosa faremo per Natale?»

«Che vuoi dire?»

«Con papà» 

Evelyn sospirò e si sfilò gli occhiali, massaggiandosi poi i solchi lasciati dal naselli.

«Non lo so»

«Invitalo a pranzo» propose Chris. In tutta risposta ottenne un’occhiataccia da parte della madre. Questo gesto la fece infuriare, così scattò in piedi.

«Ma ce la fate a guardare oltre il vostro naso, per una volta?» sbottò.

«Ma come ti permetti?» ribattè Evelyn, ma prima che potesse continuare, Chris la interruppe bruscamente.

«Invitalo a pranzo, cercate di sembrare felici. Per Aria. Le rovinerete tanti Natali, per questo almeno ce la fate a non farglielo pesare così?» quasi urlò. Non aspettò a lungo una risposta da parte della madre, che sembrò esitare sulle sue parole, e, spazientita, imprecò tra i denti e corse verso le scale, salendo gli scalini a due a due. Doveva uscire di lì, subito.

Si fiondò in camera e infilò il giubbotto in fretta mentre un’escalation di insulti sempre più pesanti le pizzicava la lingua. Avrebbe voluto urlare, così forte da restare senza fiato. C’era una domanda che la perseguitava da quando aveva parlato con sua madre, nella speranza di farsi spiegare perchè le cose tra lei e James andassero male, che le aveva accennato di come le cose andassero male ben prima che Chris nascesse. Perchè diavolo, come diavolo, avevano potuto avere dei figli sapendo che il proprio matrimonio era già morto? Come avevano potuto fare una cosa del genere? Non importava nulla a loro dei sentimenti di lei e Aria?

 Chris non si fermò nemmeno un secondo a pensare che forse odiava i suoi genitori, e che forse questa sarebbe stata una cosa brutta da dire e anche solo da pensare.

Afferrò la piccola tracolla in pelle che già conteneva il suo album da disegno, matite e colori. Si chiuse la porta alle spalle, sbattendola leggermente e, prima di correre al piano di sotto, si fermò davanti alla stanza di Aria e bussò con quanta più delicatezza poteva fingere in quel momento di rabbia. Senza aspettare una conferma dall’interno, aprì leggermente la porta.

Si schiarì la gola, cerando un tono di voce gentile che non le riuscì molto bene.

«Ehi Aria, io esco... Ho bisogno di disegnare un po’, ti dispiace?»

La bambina sollevò gli occhi dalla bambola con cui stava giocando e scosse la testa.

«Vai nel tuo posto?»

Aria era l’unica che sapeva dove andava Chris per disegnare. Doveva saperlo, la maggiore le aveva confidato questo segreto nel caso in cui Aria avesse avuto bisogno di lei. 

Non che fosse un luogo introvabile, al contrario, ma i suoi genitori avrebbero potuto tranquillamente cercarla per tutta la città senza trovarla e Chris ne era più che felice.

«Sì» Chris la salutò con la mano «a dopo»

Scese le scale con la stessa velocità con cui le aveva salite, aprì la porta d’entrata e, prima di uscire, si voltò verso il salotto.

«Io esco!» urlò.

«Dove vai?»

Chris non rispose e si affrettò a chiudersi la porta alle spalle. Percorse il vialetto di casa sua quasi correndo, impaziente di lasciarsi alle spalle tutta quella situazione. Sapeva che scappare non era la soluzione migliore per risolvere i problemi, ma questo non si poteva risolvere. Lo poteva affrontare, certo. Mettendosi davanti allo specchio e ripetendosi “i miei genitori stanno divorziando” finchè non l’avrebbe accettato?

Si passò una mano tra i capelli rossi, scompigliandoli, e appena fu sul marciapiede rallentò il passo, comunque non di molto, e prese dei profondi respiri di aria fresca e pungente, profumata di pino. La neve fresca scricchiolava leggera sotto le suole dei suoi anfibi neri mentre Chris procedeva spedita verso il suo posto preferito di tutta la città: un piccolo angolo del parco.

Tastò le tasche del giubbotto alla ricerca dell’ipod, lo trovò dopo poco e si infilò le cuffiette fredde. Premette play, e partì la riproduzione casuale. Dopo qualche passo Chris fece una smorfia, accortasi che la canzone che stava ascoltando era Walking Disaster. 

Sbuffò.

Era ancora presto, il sole non era tramontato, eppure per strada non c’era quasi nessuno. Chris incrociò solo un paio di macchine e ne fu felice. Aveva bisogno di stare sola e sembrava che la città l’avesse capito.

Le piaceva la solitudine. O forse ci aveva semplicemente fatto l’abitudine. La soluzione a qualsiasi sentimento era restare da sola. Soffocare la rabbia, la tristezza, l’amarezza. Ancora una volta.

Sospirò. Si chiese quanto tempo sarebbe passato prima che Aria capisse, o che i suoi genitori le dicessero la verità. Tirò un calcio a un sassolino, sfogando la sua rabbia, che finì contro una buchetta della posta. 

Dannazione. Che vita di merda.

Chris cercò di non pensarci troppo, di distrarsi finchè poteva estraniarsi nel suo mondo, alzò il volume e cambiò canzone mentre attraversava il cancello del parco. Si affrettò lungo le varie stradine di mattonelle per raggiungere la sua panchina. 

“Pensa a qualcos’altro” si ripetè, giocherellando con l’anello che portava alla mano destra. 

Sospirò di sollievo quando notò la sua panchina all’orizzonte, libera, pronta per accoglierla. Vi ci sedette e estrasse il quaderno e una matita. Si tolse una cuffietta, per sicurezza, per sentire se qualcuno si fosse avvicinato, e cercò un foglio ancora bianco. Vi appoggiò la punta della matita, senza pensare davvero a che cosa disegnare. Dopo pochi secondi, la sua mano si stava muovendo senza che Chris ci riflettesse più di tanto, abbozzando qualche tratto.

L’unica cosa che continuava a saltarle in mente, più il tempo passava, era che non avrebbe mai voluto tornare a casa. Voleva scappare, lontano. Era il suo sogno. Andare via, lasciare tutto. Non le importava di nulla. Avrebbe voluto scappare di notte, si sarebbe anche messa a fare la barbona, la vagabonda, pur di andarsene. Ma in realtà le cose si prospettavano ancora più allettanti: con i soldi che aveva messo da parte avrebbe anche potuto comprare un biglietto di sola andata per qualche bella isola tropicale.

Loro non le sarebbero mai mancati. Non avrebbe mai voluto tornare, lo sapeva.

Ma c’era qualcosa a trattenerla in quella casa, a impedirle anche solo di andare lontano al college come avevano fatto alcune sue compagne di classe. Qualcuno che non avrebbe mai potuto abbandonare: Aria.





nuovo capitolo per il nuovo anno, whohoo
e io ho ancora il raffreddore, è una maledizione.
anyway, oggi facciamo conoscenza con i problemi della famiglia price
spero che la storia vi piaccia, buon anno anche dal mio gatto :)


-lola

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Capitolo 4
*** Do they know it’s Christmas ***


 

 

(3)

Do they know it’s Christmas

21 dicembre 2015

 

 

 

It’s Christmas time, and there’s no need to be afraid
At Christmas time, we let in light and banish shade
And in our world of plenty, we can spread a smile of joy

But say a prayer and pray for the other ones
At Christmas time, it’s hard but while you’re having fun
There’s a world outside your window, and it’s a world of dread and fear
Where a kiss of love can kill you, and there’s death in every tear
And the Christmas bells that ring there are the clanging chimes of doom

 

Chris si accorse, con la coda dell’occhio, di una figura che si avvicinava alla panchina e coprì con una mano, con finta nonchalace, parte del foglio su cui stava disegnando per nascondere i tratti abbozzati a memoria del viso di un ragazzo sorridente, con due fossette sulle guance e i capelli ricci e scompigliati. Lo stesso ragazzo che si stava avvicinando alla panchina, notò voltandosi verso di lui.

Lo guardò. E lui che diavolo ci faceva lì?

«Che stai disegnando?»

La rossa si sentì trasalire e per un secondo lo stupido dubbio che le avesse letto nel pensiero la mandò in panico. Si riprese velocemente, appena in tempo, e voltò la pagina del quaderno. Il disegno che ritraeva Ashton fu rimpiazzato da schizzi di uno scoiattolo in diverse pose proprio mentre il ragazzo si sedeva accanto a lei.

Chris tirò un mezzo sospiro di sollievo.

«Nulla» rispose, scrollando le spalle. Lanciò un’occhiata veloce verso Ashton e si accorse che la stava guardando. Chris riportò in fretta l’attenzione sul suo quaderno e con la matita iniziò ad aggiungere tratti leggeri, e assolutamente inutili poiché aveva già terminato quei disegni, qua e là fingendo di metterci molta attenzione.

Continuò per qualche minuto, in attesa che il ragazzo se ne andasse e la lasciasse in pace. Ma a quanto pareva, Ashton intendeva restare. Chris si chiese se fosse arrivato lì per caso o... 

No, lui doveva essere arrivato lì per caso. Non c’erano altre possibilità, lui non poteva sapere che quello era il luogo in cui lei si rifugiava per disegnare.

Mentre giocherellava con la matita, dopo aver risolto il piccolo dilemma di come lui potesse averla trovata e aver deciso che doveva essere stato il caso, Chris si chiese se fosse meglio dire qualcosa. Ma cosa? Di certo “ehi, ti stavo facendo un ritratto, ti va di posare per me?” non sarebbe stato adatto, anche se non le sarebbe dispiaciuto. Da un lato avrebbe voluto che Ashton se ne andasse per poter continuare la sua piccola opera, ma dall’altro sapeva che lo stava disegnando perché l’aveva trovato particolarmente bello e se fosse rimasta zitta ad aspettare che se ne andasse forse non l’avrebbe più rivisto, quindi avrebbe dovuto cogliere l’occasione di scambiare qualche parola con lui. Se si fosse voltata a parlargli, avrebbe potuto osservarlo meglio e continuare più tardi il suo ritratto.

Ma Chris era un tipo introverso. Non era brava ad attaccare bottone, a fare amicizia, ad esprimere i suoi pensieri e i suoi sentimenti. A quello ci pensavano i suoi disegni che, comunque, non mostrava a nessuno. Erano nascosti, rappresentavano tutto quello che non aveva mai detto. Forse non tanto per mancanza di coraggio, non perché avesse paura del giudizio degli altri ma perché, semplicemente, non le interessava. Non le interessava far capire a nessuno chi fosse. Era cresciuta così, mantenendosi a una certa distanza da tutti, si era sempre convinta di bastarsi, di stare bene da sola. Non voleva aver bisogno di nessuno ed era spaventata dal fatto che fosse sua sorella ad averne di lei, soprattutto ora.

Chris si morse il labbro e chiuse il quaderno con cura, ci appoggiò sopra la matita e la gomma che teneva strette nella mano. Alzò lo sguardo, senza voltarsi verso Ashton, e osservò il paesaggio davanti a lei, respirando il fresco profumo di pino e quello di castagne arrosto che veniva da qualche chiosco. 

La prima neve era caduta e aveva ricoperto l’erba del prato, lasciando qualche ricamo bianco anche sui rami degli abeti che circondavano lo spiazzo al centro del parco. Tra le file di alberi si diramavano diverse stradine che zigzagavano tutto intorno, raggiungendo anche la panchina di Chris. Il sole stava iniziando a tramontare tingendo il cielo, dove già luccicavano alcune stelle, di sfumature rosa e lilla, arancioni e rossastre, mentre gli ultimi raggi che filtravano tra gli alberi brillavano sulla neve candida e soffice.

Chris si innamorò di quel momento. 

«Sono dei colori meravigliosi» sussurrò Ashton, avendo notato lo sguardo perso della ragazza. Lei annuì e osservò per l’ultima volta quello spettacolo, per poi voltarsi verso il riccio.

Gli rivolse un sorriso timido, giusto per non essere scortese. Non sapeva ancora se volesse intrattenere una conversazione con quel ragazzo. Lo guardò per un secondo, riflettendo, e decise poi di parlargli.

«Io sono Chris, comunque» 

Ashton ridacchiò, cosa che indispettì un poco la ragazza. Che aveva da ridere? Trovava il suo nome così divertente?

«Ci siamo già presentati, ieri sera» spiegò.

«Oh» si lasciò sfuggire lei. Si sentì davvero stupida e spostò lo sguardo a terra, imbarazzata. Bel modo di iniziare una conversazione.

D’altronde, non avrebbe saputo come altro rompere il ghiaccio.

«E’ un bel nome» disse Ashton, cercando di alleviare il disagio della rossa.

Lei sollevò il capo e assunse un’espressione sarcastica, inarcando le sopracciglia in una smorfia piuttosto buffa. Poi scosse la testa, divertita.

«Mica tanto»

«E’ l’abbreviazione di Christine?» chiese il ragazzo, curioso. Lei sorrise, di fronte all’energia che Ashton sembrava avere.

«Non proprio» spiegò «nella mia famiglia ogni tanto qualcuno se ne esce con la tradizione del tramandare il nome dai nonni ai nipoti»

Ashton rifletté un secondo, corrugando la fronte. La rossa sapeva a che cosa lui stesse pensando, e aspettò la domanda che, puntualmente, arrivò.

«Se non è l’abbreviazione di Christine, allora come si chiamava tua nonna?»

«Oh, no, il nome l’ho preso da mio nonno Chris»

La risata di Ashton era bella, rumorosa, divertente, sembrava essere l’essenza della gioia e contagiò anche la ragazza.

«Sono una piccola Lady Oscar. Immagino si aspettassero un maschietto ma, ahimè, son nata io» aggiunse Chris, accennando la melodia della sigla del cartone animato.

Ashton era felice di essere riuscito a scambiare qualche parola con lei e così sorrise a questa battuta, che in realtà lo rattristò. Anche se estraneo alla vicenda, era abbastanza deluso dal destino ingiusto che sarebbe toccato alla famiglia di Aria e Chris. Mancava solo la battuta sui genitori che avrebbero preferito un maschio al posto della rossa.

Era venuto lì per un motivo ben preciso, ma non riusciva a trovare le parole. Rannicchiato sulla sua vecchia poltrona, la sera precedente, sembrava che discutere con quella ragazza fosse la cosa giusta da fare, e gli pareva quasi di aver già deciso cosa dire e come. Ma in quel momento, lì accanto a lei, si sentiva confuso. 

Contemplò la possibilità di non raccontarle nulla: non dirle cosa aveva letto in quella lettera, fare finta di nulla e conoscere meglio Chris. Forse la cosa giusta sarebbe stata stare vicino a lei e ad Aria, e un giorno la rossa  gli avrebbe parlato dei suoi genitori di sua spontanea volontà. E lui sarebbe stato lì per lei.

Ashton si morse le labbra e prese una decisione.

«Ascolta...» iniziò, prima ancora di aver formulato una frase precisa «so che non ci conosciamo, e non voglio che tu pensi che voglio farmi i fatti tuoi, anche se potrebbe sembrare.»

Chris lo osservò con un’espressione un po’ corrucciata, in silenzio, e attese che proseguisse.

«Ho riflettuto se parlarti di questa cosa oppure no. Non sapevo se fare finta di nulla e provare semplicemente a... esserti amico, o se dirti tutto, rischiando di metterti un po’ a disagio. Il fatto è che non mi va di mentirti e rischiare che tu un giorno scopra tutto e mi odi per non averti detto la verità»

Lei lo guardava stupita. Odiarlo?

«Cos’è, sei venuto dal futuro e sai già che diventeremo migliori amici? Odiarti? Nemmeno ti conosco» ribattè lei, un po’ confusa ma anche divertita. Forse lui la stava prendendo in giro. Anzi, sicuramente.

«E’ complicato da spiegare» Ashton si passò una mano tra i capelli ricci, scompigliandoli ulteriormente.

«Ma non sono venuto dal futuro» aggiunse con un mezzo sorriso.

La ragazza schioccò la lingua e scosse la testa fingendo un’espressione profondamente delusa.

«Peccato»

Lui inchiodò gli occhi a quelli di Chris.

«Avresti voluto sapere che cosa ti riserva il futuro?»

«No, per niente. Ma vorrei sapere se sarà mai possibile viaggiare nel tempo» ribattè lei.

«Il punto è la lettera che mi ha dato ieri tua sorella. L’ho letta e... mi ha colpito molto» osservando lo sguardo confuso della ragazza intuì che lei non sapesse che cosa aveva chiesto Aria a Babbo Natale.

«Ti ha colpito il desiderio di una barbie?» chiese confusa.

«No, tua sorella non vuole nessuna barbie» Ashton tirò fuori la busta dalla tasca della giacca e la porse a Chris, decidendo che fosse giusto la leggesse lei stessa.

La ragazza osservò stupita il pezzo di carta.

«L’ho letta» disse.

«Allora credo che allora l’abbia cambiata prima di darmela» 

Chris esitò.

«Non è un caso che tu sia qui, eh?» 

«Emh, no» Ashton abbassò gli occhi, un po’ imbarazzato «vedi, c’è l’indirizzo di casa tua sulla busta, sono andato lì e mi ha aperto tua madre, credo. Ho chiesto di te e mi ha detto che non c’eri, poi è saltata fuori Aria e mi ha detto che eri qui...»

«Aria?» la ragazza si rabbuiò un attimo, preoccupata che anche la madre avesse scoperto del suo posto.

«Sì, mi ha trascinato fuori e mi ha sussurrato tutte le indicazioni per arrivare qui» ridacchiò Ashton. 

La rossa sospirò di sollievo e annuì, poi afferrò la busta. Iniziò subito a leggere, incuriosita. Le parole della sorella le causarono un effetto decisamente peggiore di quello che avevano avuto su Ashton, la sera prima. La sincerità e l’ingenuità delle frasi di Aria erano spiazzanti, dolorose. Le iniziarono a bruciare gli occhi e si morse le labbra, imponendosi di non lasciarsi scappare nemmeno una lacrima.

Alla fine della lettera, però, il suo proposito andò tranquillamente a fanculo, lasciandole due sottili linee umide e nere di mascara a bagnarle le guance. Non si lasciò sfiorare da un solo singhiozzo, restò immobile con una mano stretta a pugno così forte che le si sbiancarono le nocche. Si concentrò sul paesaggio, obbligando le sue lacrime a smettere di scendere.

Passarono un paio di minuti e Ashton non osò rompere il silenzio o avvicinarsi a Chris, interpretando la sua reazione come un invito a starle lontano. 

Finalmente la ragazza si passò il dorso della mano sulle guance, asciugando le lacrime con un gesto veloce e seccato. Prese un respiro profondo e si voltò verso Ashton.

Lui restò sorpreso di ciò che vide nei suoi occhi. Non c’era traccia della tristezza e del dolore che le avevano rigato il volto poco prima. Il suo sguardo era quasi privo di emozioni, duro, determinato a mostrarla impassibile e forte.

Ashton cercò qualcosa da dire, ma l’unica frase che gli rimbombava nella mente era un semplice “mi dispiace”. Sarebbe state due parole dette con il cuore, ma gli sembravano comunque un banale cliché che aveva perso ogni significato. Che cosa avrebbe potuto rispondere Chris a un mi dispiace

Ashton si era sentito dire molte volte questa frase e spesso gli era venuta la tentazione di sbraitare un sì, be’, anche a me, grazie al cazzo.

 Chris continuò a guardarlo negli occhi, aspettandosi che parlasse e che pronunciasse quelle due parole che non arrivarono. Dopo qualche altro secondo, la rossa si inumidì le labbra, preparandosi a dire lei qualcosa.

«E’ cominciata molto tempo prima di quando crede Aria» sussurrò, abbassando gli occhi.

«Solo che fingevano un po’ meglio, con lei. Ma adesso credo che si odino così tanto che anche solo fingere un sorriso sia diventato impossibile e la teoria di stay together for the kids gli è crollata addosso» scrollò le spalle.

Non aveva mai parlato a qualcuno dei suoi genitori. Fino a tre anni prima, le cose sembravano andare bene e i suoi erano felici, o almeno così erano riusciti a far credere anche a lei. Fino ai quindici anni circa, Chris era stata abbastanza felice. La sua rubrica non pullulava comunque di infiniti nomi amici, ma c’era Michael a migliorarle la giornata.

Si era trasferito in città quando Chris aveva quattordici anni ed era finito in classe con lei, che preferiva stare da sola e per questo non aveva un compagno di banco, si era ritrovata ad essere la sua vicina. Avevano scoperto di condividere gli stessi gusti musicali e ad entrambi piaceva stare soli, così finirono per stare soli insieme. Michael l’aveva convinta a provarsi a tingere i capelli, come faceva spesso lui, così un giorno Chris aveva quasi fatto venire un infarto a sua madre tornando a casa con un caschetto viola un po’ spettinato e una busta di plastica con dentro lunghe ciocche di capelli castani. 

Si era anche un po’ innamorata di lui, e aveva anche pensato di dirglielo.

Ma dopo un anno e mezzo, arrivò il primo sfortunato evento di una lunga serie.

Michael se ne andò come se n’era arrivato. Suo padre se lo portò via con il suo lavoro, via fino a Londra, che non era esattamente alla porta accanto. Si era vista strappare l’unico vero amico che avesse mai avuto e il suo mondo sbiadì in una triste scala di grigi.

Michael sarebbe stato l’unico a cui avrebbe deciso di parlare dei suoi genitori, ma mentre lui era ancora lì, lei non si era mai accorta che i suoi genitori avessero cominciato ad allontanarsi. Se ne rese conto più tardi quando si ritrovò sola e per una volta, la cosa non le fece piacere.

Chris stava ripensando al fatto di essersi appena aperta con un mezzo sconosciuto, chiedendosi perché improvvisamente parlare con qualcuno le avesse fatto piacere, nonostante l’argomento poco leggero.

Sollevò lo sguardo e incrociò quello di Ashton che era velato di tristezza. Sembrava toccato profondamente da quella lettera e da ciò che la ragazza gli aveva appena confidato. Le sfuggì un piccolo sospiro sentendosi come se lui la potesse davvero capire.

«Vorrei fare qualcosa» disse il biondo.

Lei sorrise amaramente, storcendo poi le labbra in una smorfia.

«Tipo cosa?»

Lui scrollò le spalle, mordendosi il labbro.

«Non lo so. Qualsiasi cosa» guardò la neve ai suoi piedi, temporeggiando. Poi alzò gli occhi al cielo che si stava scurendo mentre le stelle brillavano sempre più numerose e intense.

«Per cominciare, potrei offrirti una cioccolata calda. Sta cominciando a far freddo» provò. Avrebbe semplicemente voluto dirle che se avesse avuto voglia di parlare l’avrebbe ascoltata, ma anche questa gli sembrava una frase fatta detta tanto per dire, mentre un invito era qualcosa di molto più realistico.

Si alzò in piedi, rendendo la cosa più ufficiale, e le porse la mano accennando un sorriso. Chris si sorprese di quella proposta e rimase interdetta ad osservare il gesto inaspettato di Ashton.

La rossa curvò le labbra in un sorrisino ironico.

«Potresti essere un maniaco, sai?» 

Non che lei lo pensasse davvero. Certo, i numerosi episodi di Criminal Minds l’avevano resa un po’ sospettosa del prossimo in generale ma il suo sesto senso sembrava essere certo che Ashton fosse un bravo ragazzo.

«So di non avere un modo efficace per provarti che non lo sono... Ma non lo sono»

L’espressione solare e dolce dipinta sul viso di Ashton convinsero Chris, che si alzò in piedi reggendo il suo quaderno stretto tra le braccia, guardandosi bene dall’afferrare la mano del ragazzo.

Ashton ritrasse la mano un po’ titubante, infilandola in tasca come l’altra, chiedendosi il perché del rifiuto di questo contatto. Poi si sentì un po’ sciocco: probabilmente era stato troppo invadente e non c’era poi motivo di meravigliarsi così tanto. 

In realtà non era stato per il suo comportamento un po’ affrettato ed azzardato che Chris non aveva fatto intrecciare le loro dita. Semplicemente era una cosa che non le piaceva, tenersi per mano. In generale era un po’ restia a qualsiasi contatto fisico. Si irrigidiva quando veniva stretta in un abbraccio o quando qualcuno le stampava un bacio sulla guancia il giorno del suo compleanno. Chris aveva regalato gesti affettuosi a un gruppo ristretto di poche persone a cui i suoi genitori non facevano parte da tempo. 

Poteva sembrare una persona fredda e forse un po’ lo era, ma non di indole. Lo era diventata.

 

 

 

 

salve mici!

prima di tutto scusatemi se per caso c’è il nome Charlie da qualche parte: inizialmente la protagonista si chiamava così ma poi ho cambiato idea e ho riletto tutto ciò che avevo già scritto, sostituendo tutti i Charlie con Chris ma potrebbe essere che me ne sia scappato qualcuno

comunque, Ashton è un tesoro come potete vedere (ovviamente) e boh, spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima puntata per la cioccolata calda!

 

ps. ho quasi detto a tre persone oggi “buon anno e felice anno nuovo!” sono stupida

 

 

 

-lola

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Capitolo 5
*** Somewhere in Neverland ***


 

piccola premessa: 

volevo scusarmi con voi perchè, come una ragazza mi ha fatto notare, leggere questa storia dal cellulare è una merda... all’inizio pensavo che fosse il mio spastico ma potrebbe essere colpa del codice html che uso per fare in modo che dal computer il testo sia centrato sotto il banner... cosa che mi piaceva un sacco, ma la abbandono per questo capitolo per vedere se le cose migliorano

 quindi se state leggendo dal computer noterete che non c’è più la colonnina carina, ma se siete dal telefono dovreste riuscire a leggere normalmente (?) se invece il problema persiste avvisatemi e vedrò cosa posso fare

 

 

 

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(4)

Somewhere in Neverland

21 dicembre 2015

 

 

 

 

We’ll talk about how your parents separated and
How you don’t want to make the same mistakes as them
I’ll say it’s all bout stickin’ it out and trying to feel forever young

 

 

Ashton accese la luce e si spostò di lato per permettere a Chris di entrare in casa, poi chiuse la porta e porse le braccia per invitarla a dargli il cappotto. La ragazza ammirò la galanteria del gesto: non era abituata a tanta gentilezza.

Si sfilò la giacca, avendo cura di non lasciare il suo quaderno neanche per un istante, e la lasciò tra le mani di Ashton, che la appese all’attaccapanni, aggiungendo poi la propria. Mentre il biondo sistemava gli abiti, Chris si guardò attorno. L’atrio del piccolo appartamento si apriva su un salotto quadrato arredato in modo abbastanza semplice. La parete di fronte a lei era occupata da due ampie bow windows, mentre in quella a destra troneggiava un caminetto in mattoni chiari dall’aria rustica e due poltrone erano rivolte nella sua direzione, pronte ad accogliere chi volesse rilassarsi e scaldarsi i piedi vicino al fuoco. Il muro opposto era coperto da una spessa libreria, e l’unico altro elemento d’arredo significativo era tra le due poltrone: un piccolo tavolino rotondo in un legno poco più scuro di quello del parquet. Alla sinistra di Chris, oltre l’appendiabiti, una porta lasciata aperta dava su una modesta cucina, mentre alla destra una scala a chiocciola si arrampicava fino al piano di sopra, ma la ragazza non riuscì a intravedere nulla oltre gli scalini. Immaginò comunque che lassù ci fossero la camera di Ashton e un bagno.

«So che non fa caldissimo, ma vedrai che tra poco staremo un po’ meglio» spiegò lui, avvicinandosi al caminetto e infilandovi qualche ceppo di legno. Si inginocchiò a terra per poter accendere il fuoco più comodamente, poi lanciò un’occhiata a Chris e le indicò le poltrone con un gesto del capo.

«Siediti, fa’ come se fossi a casa tua»

Lei accolse in pieno l’invito. Pestò il tallone di una scarpa con la punta dell’altra e si sfilò così gli anfibi neri senza bisogni di slacciarli, lasciandoli poi accanto all’appendiabiti. Zampettò in punta di piedi verso Ashton e si lasciò cadere sulla poltrona inclinata leggermente verso una delle due finestre. Aveva scelto quel posto a sedere perchè da lì avrebbe potuto ammirare la vista del cielo invernale. Chris si accoccolò inginocchiandosi di lato in una posa quasi raggomitolata che poteva sembrare scomoda, ma in realtà non lo era. Appoggiò il quaderno accanto a lei, contro il poggiolo della poltrona.

Ashton sorrise notando che la rossa sembrava trovarsi pienamente a suo agio, ma lei non se ne accorse, impegnata com’era a guardare da lontano la libreria.

Chris si riscosse dai suoi pensieri quando Ashton attraversò il suo campo visivo, diretto in cucina. Si fermò sulla soglia e si voltò verso di lei, appoggiando una mano allo stipite della porta.

«Va bene la cioccolata calda?» 

Chris annuì sorridente.

«Va benissimo. Vuoi una mano?» chiese, sentendosi improvvisamente un po’ troppo servita e riverita.

«Non serve, tranquilla» Ashton sparì in cucina e Chris lo sentì armeggiare con tazze e posate. 

La ragazza si stiracchiò leggermente, sprofondando di più nella poltrona di pelle un po’ vissuta. Aveva un buon profumo. 

«Mi piace casa tua» commentò, osservando le fiamme nel cammino danzare e rincorrersi con degli sfrigolii leggeri «è accogliente»

«Grazie!» la voce di Ashton le arrivò dalla cucina con il tono allegro che sembrava caratterizzarlo.

Chris chiuse gli occhi e sorrise tra sé: era da molto che non si sentiva così rilassata, che non percepiva un’atmosfera così calorosa e serena. L’appartamento di Ashton profumava di casa. Non di quella di Chris, solo di casa.

«Panna?»

«Sempre!» esclamò lei, pregustando già il sapore della cioccolata.

Pochi minuti dopo Ashton tornò in salotto reggendo un vassoio con due tazze fumanti. Lo appoggiò sul tavolino porgendone poi una a Chris.

«Sei molto gentile» commentò lei sinceramente. Strinse le mani attorno alla tazza per scaldarle. Erano sempre gelate, spesso anche in estate.

Il ragazzo accennò un sorriso timido e si sedette sull’altra poltrona. Il silenzio gli sembrava imbarazzante, ma a Chris non dava nessun fastidio. La rossa sorseggiò la cioccolata, che trovò particolarmente buona, e si leccò le labbra.

«Hai un tatuaggio?» chiese Ashton, quando notò una scritta nera sbucare dalla manica arrotolata del maglione grigio. Chris girò di riflesso la testa verso il biondo, per capire dove stava guardando, voltandosi poi nuovamente verso il proprio braccio destro. Appoggiò precariamente la tazza sul ginocchio e si tirò più su la manica, allungando poi il braccio verso il ragazzo seduto accanto a lei.

«Più di uno in realtà» ammise Chris, sottovoce, come se si trattasse di un segreto troppo grande per essere rivelato.

Ashton si era sporto in avanti per vedere meglio il tatuaggio e lo stava osservando. Era una scritta semplice ma allo stesso tempo molto elegante. L’art ne vient jamais du bonheur

«Che cosa vuol dire?» chiese il ragazzo, incapace anche solo di capire come si potesse leggere quella frase.

«Letteralmente, “l’arte non viene mai dalla felicità”» 

Quando Ashton sfiorò con le dita quelle parole aggraziate, Chris si trattenne dal ritrarre bruscamente il braccio perché aveva deciso che lui le stava simpatico. Era gentile, faceva una buona cioccolata calda e, nonostante fosse quasi un estraneo, si era preoccupato per lei, cosa che nessuno faceva più da un pezzo.

«È molto bello...Mi piacerebbe vedere i tuoi disegni» aggiunse Ashton, cambiando discorso.

Chris sgranò gli occhi e arricciò la bocca in un’espressione sarcastica. Istintivamente portò una mano sul suo quaderno, come per proteggerlo. Certo, di’ direttamente che vuoi vedermi nuda, allora  pensò.

«Non se ne parla»

Ashton sorrise: sapeva che sarebbe stato inutile chiederlo, ma ci aveva provato comunque, perciò non se la prese per la risposta secca di Chris e tornò a parlare d’altro.

«Quanti tatuaggi hai?»

«Tre» Chris bevve un sorso di cioccolata, sforzandosi di trovare un argomento di conversazione.

«Quanti anni hai?» le uscì, prima che ci avesse riflettuto. Avrebbe voluto prendere a testate il muro: era una domanda abbastanza stupida e banale, ma tutta la sua creatività appassiva quando i trovava a dover intrattenere un discorso.

«Ventuno. Tu?»

«Diciannove. Carini i baffi» aggiunse lei, indicando con la tazza il viso di Ashton, che si portò istintivamente una mano alle labbra. Il ragazzo ridacchiò, cercando di pulirsi al meglio dalla panna montata.

«Tu vai ancora a scuola, all’università o..?»

«Lavoro. Nella caffetteria in centro. Be’, tecnicamente adesso sono in vacanza, comunque. Non è male. Faccio degli ottimi caffè, dovresti provarli» Ashton sorrise, bevendo un altro po’ di cioccolata. Lui non amava molto il caffè, ma un giorno sarebbe passato di certo a provare quello di Chris.

«E tu?» domandò Chris e si sentì sollevata nel porre una domanda senza doverci pensare troppo «a parte fare l’elfo di Babbo Natale, ovviamente» aggiunse sorridendo.

«Ehi, è un lavoro che prendo molto seriamente» ribattè fiero «ma il resto dell’anno lavoro in un negozio di strumenti musicali»

«Sai suonare?» gli occhi di Chris brillarono. Aveva sempre sognato di imparare a suonare uno strumento ma non ne aveva mai avuto l’occasione. Ashton abbassò lo sguardo mentre un sorriso modesto gli curvava le labbra. Scrollò le spalle.

«Un po’. Mi piace soprattutto la batteria, ma non ne ho una. A volte il proprietario però mi lascia restare fino a tardi e posso suonare»

«Questa» disse Chris, indicando Ashton «è una cosa davvero forte. Figo, davvero. Voglio sentirti suonare»

Ashton rise, scuotendo poi vigorosamente la testa.

«Non credo proprio» 

«E perché?» Chris corrugò le sopracciglia, imbronciata.

«Perché tu non mi lasci vedere i tuoi disegni» il tono di Ashton era parecchio divertito, ma Chris rimase seria a meditare se valesse la pena tentare di contrattare un disegno per una canzone.

«Touchè» si limitò a dire, sbuffando un po’. Si alzò, infilò il suo quaderno sotto il braccio e se lo portò dietro insieme alla tazza di cioccolata calda che ancora stringeva nella mano sinistra, e si diresse verso la libreria con passi lunghi e lenti. Inclinò la testa per leggere i titoli, scorrendovi sopra l’indice destro.

«Li hai letti tutti, questi libri?» 

«No, alcuni erano di mia sorella»

«Di buon gusto» Chris si sedette sui cuscini sotto la finestra e appoggiò la fronte al vetro freddo per riuscire a vedere meglio il panorama senza il fastidioso riflesso dell’interno dell’appartamento di Ashton. Il tramonto era sfumato in un terso cielo blu scuro illuminato dalle stelle. Chris cercò di riconoscere qualche costellazione, ma erano anni che non si sdraiava sopra una coperta in giardino, in estate, con suo padre che le mostrava i disegni instrecciati tra le stelle.

Sospirò.

«Perché lavori come elfo?»

Ashton fu colto di sorpresa da quella domanda. Istintivamente fece per rispondere che lo pagavano bene, ma poi si bloccò, deciso ad essere il più sincero possibile con quella ragazza.

«Mi piace stare con i bambini»

Chris si voltò a guardarlo, sempre appoggiata alla finestra, e ridacchiò. Lei non adorava particolarmente i bambini. Certo, voleva un gran bene a sua sorella, ma non sopportava molti dei compagni di classe di Aria. Erano prepotenti. Antipatici. Viziati.

«Dio, alcuni sono allucinanti»

«È vero» concesse Ashton «ma altri sono molto dolci. O tristi, e hanno bisogno di qualcuno che rallegri loro la giornata, che mostri loro di nuovo il potere della fantasia. Della magia»

«È per questo che hai tenuto la lettera di mia sorella?» chiese lei con un filo di voce.

«Sì. Io... vorrei davvero fare qualcosa per voi. So cosa vuol dire dover crescere troppo presto e vorrei che Aria non dovesse farlo»

«Lo vorrei anch’io. Ma non credo che potremmo fare nulla»

«Mi farò venire un’idea»

«Ashton... Non credo che tu troverai il modo di far restare insieme i nostri genitori. Mi piacerebbe credere che esista qualche ingegnoso inganno da film, per far capire a loro quanto si amino. Per farli innamorare di nuovo e accettare i difetti l’uno dell’altra. Per ricominciare da capo. Ma io non sono più una bambina, e so che non c’è nulla in grado di far succedere di tutto ciò. Vorrei, davvero. Vorrei poterci credere»

Chris scoppiò in una risata amara, ricordandosi le parole di una canzone del cartone animato di Peter Pan. Vorrei poterci credere anch’io, vorrei quello che un giorno era mio.

Eccome se lo avrebbe voluto. 

«Da un lato, immagino che non sia nemmeno giusto. Obbligarli a restare insieme, intendo. È già palese quanto odino fingere di essere una famiglia quasi normale, figuriamoci se dovessero continuare così. Ma la cosa che davvero odio...» Chris si morse le labbra e strinse forte la tazza che teneva tra le mani, anche se il calore cominciava ad essere molto intenso. Le pizzicavano gli occhi. Tutto questo la faceva così arrabbiare da farle venire da piangere anche se non avrebbe voluto farlo. Avrebbe preferito di gran lunga prendere a pugni qualcuno, urlare contro i suoi genitori e fare le valige, piuttosto piangere. Piangere non sarebbe servito a nulla e di certo non l’avrebbe fatta sentire meglio.

Cercò di mandare giù il groppo il gola con un sorso di cioccolata.

«Non credi che dovremmo fare amicizia, prima, non so. Ti sto praticamente raccontando tutto quello che ho sempre nascosto come se ti conoscessi da anni» sussurrò Chris, più a sé stessa che ad Ashton. 

«Ti ho offerto della cioccolata, io sto cercando di fare amicizia» cercò di sdrammatizzare lui, senza ottenere sorrisi da parte della ragazza.

«Ma mi fa piacere che tu voglia parlare della tua vita» aggiunse, sperando di convincerla che l’avrebbe ascoltata volentieri perché in quel momento non vedeva come altro avrebbe potuto esserle utile.

«A me no. Non funziona così» mi spaventa, avrebbe voluto aggiungere Chris. Avrebbe voluto dirgli che non aveva un vero amico da tempo e che era terrorizzata dal fatto di essere riuscita a parlargli di sé così facilmente.  Stava andando contro tutti i suoi principi, si stava aprendo con lui in un modo così sincero che nemmeno si riconosceva. Forse aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, dopo tutto quel tempo passato a tenere per sé stessa ogni emozione. 

C’era una parte di lei che avrebbe voluto sedersi e raccontare ad Ashton ogni singola cosa che le era successa, ma dall’altro lato avrebbe voluto scappare e tornare a disegnare sulla panchina.

«Non ti obbligo certo a parlarne, se non ti va» 

Non è che non mi va. È che non so se sia la cosa giusta da fare, pensò Chris, ma si limitò ad annuire. Osservò la panna sciogliersi nella sua tazza, creando delle buffe striature chiare nella cioccolata densa. Chissà se, in qualche fondo di caffè, ci fosse scritto il suo futuro. Chris trattenne una risata e una smorfia: lei non credeva davvero in queste cose, ma cosa le veniva in mente? Il suo futuro non era scritto da nessuna parte.

Nonostante ne fosse convinta, una piccola parte di lei aveva paura che il suo futuro sarebbe stato restare intrappolata lì, in mezzo ai drammi della sua famiglia per difendere Aria dal mondo.

«Qual è il tuo colore preferito?»

«Come?» la rossa guardò Ashton stupita. E questo cosa c’entrava ora?

«Sto cercando di fare amicizia» 

Chris sorrise. 

«E il tuo?» 

«Non si risponde a una domanda con un’altra domanda»

Lei scrollò le spalle, sfogliando mentalmente le sfumature dei colori a tempera e dei pastelli che teneva in camera.

«Devo pensarci, devo decidere qual è il mio preferito. Ma se mi dici qual è il tuo puoi cercare di convincermi che sia il più bello»

Ashton sorrise, poi si fece pensieroso e osservò a sua volta fuori dalla finestra.

«D’accordo» accettò, una volta deciso che cosa rispondere «sai, un giorno sono andato in un negozio di arredamento e ho trovato una di quelle palette con tipo migliaia di sfumature di ogni colore. Mi sono chiesto “qual è il mio colore preferito?” e non lo sapevo. Mi sento come se io mi stia perdendo questo aspetto della vita perché non ho idea di quale sia il mio colore preferito perché ce ne sono troppi» ammise, ridacchiando. Guardò Chris in attesa di approvazione da parte sua, e poteva vederla ponderare mentalmente le varie possibilità per capire se, in realtà, ci fosse un colore più bello.

«Mi hai convinto. Sono d’accordo» 

Il biondo bevve un altro po’ di cioccolata, soddisfatto.

«Mi piace il rosso comunque»

«Elfo nel profondo» commentò istantaneamente Chris, ridacchiando e contagiando subito Ashton.

«Comunque» continuò lei, lanciandosi un’altra veloce occhiata intorno «sei un elfo di Babbo Natale, e in questa casa non c’è nemmeno un abete» osservò. Si voltò verso Ashton, curiosa di ricevere una risposta che pensava sarebbe stata ironica. Contrariamente alle aspettative di Chris lui si era improvvisamente rabbuiato, con quel commento che alla rossa era sembrato così innocente e divertente, aveva lo sguardo basso. 

«Non ha senso un albero di Natale senza nessuno con cui addobbarlo»

Ashton abbozzò un sorriso per mascherare la tristezza di quello che aveva appena detto, e si morse la lingua. Non gli piaceva essere troppo sentimentale e nemmeno lui era tipo da confidarsi con gli altri, nemmeno con gli amici che conosceva da più tempo. Non si era mai fermato a riflettere sul motivo per cui in casa sua non ci fosse nemmeno un albero di Natale perché lo conosceva già e preferiva ignorarlo. Avrebbe fatto meglio a lasciare quel commento per sé.

Chris tenne in silenzio lo sguardo fisso sul ragazzo, preoccupata per le emozioni che la sua domanda aveva suscitato. Era indecisa se cambiare argomento, chiedergli scusa o cercare di scoprire qualcosa di più su di lui e sul perché di quella risposta.

Chris si chiese se Ashton potesse essere orfano, e rabbrividì al solo pensiero. Glielo avrebbe voluto chiedere, ma sarebbe stata una domanda troppo delicata da fare e nel caso in cui lui le avesse risposto di sì, di certo Chris non avrebbe saputo che cosa dire. Non era nemmeno brava a consolare le persone. Si domandò se ci fosse una dannata cosa a cui fosse brava.

 

 

 

 

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allora ho cercato questa foto e l’avevo trovata tempo fa in un tweet che diceva “fai ad ashton una semplice domanda e lui ti risponderà con una storia molto profonda di 500 parole” e boh l’avevo amata e ho deciso di metterla nella storia

comunque. questo capitolo mi sa molto da broken boy meets broken girl e da safety pin in generale e come potete capire ashton ha i suoi problemi. povera anima, cosa gli sto facendo ahaha 

più avanti scoprirete tutta la sua storia

ho riletto così tante volte il capitolo per controllare gli errori, che al posto di "la lasciò tra le mani di Ashton” ho letto “si lanciò tra le mani di Ashton” ed ero tipo MA CHE CAZZO HO SCRITTO e poi mi sono accorta che avevo solo letto male. sono fusa e ho ripetuto letto tremila volte

 

adios e buona giornataaaa

 

 

-lola

 

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Capitolo 6
*** Lonely this Christmas ***


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(5)

Lonely this Christmas

22 dicembre 2015

 

 

 

Try to imagine

A house that’s not a home

Try to imagine

A Christmas all alone

That’s where I’ll be

My tears could melt the snow

 

It’ll be lonely this Christmas

Lonely and cold

It’ll be cold, so cold

 

 

 

 

Chris se ne stava in piedi di fronte alla caffetteria del centro commerciale da dieci minuti buoni, fissando intensamente l’insegna abbellita con qualche lucina colorata per creare un’atmosfera natalizia.

Azzardò un passo in avanti, poi si fermò di nuovo. Sospirò. Voleva prendersi un caffè. Ma di certo non era per un caffè che si era alzata ad un’ora decente e aveva guidato fin lì. Non l’aveva davvero ammesso a sé stessa, ma era venuta perché voleva rivedere Ashton e, siccome la sera precedente era stata così intelligente da non chiedergli il numero di telefono, presentarsi dove lui lavorava le era sembrata la soluzione più semplice. 

Si morse le labbra, uno o due caffè? Avrebbe almeno dovuto passare vicino allo spiazzo addobbato con tanto di neve finta dove una fila di bambini aspettava di parlare con Babbo Natale per controllare se ci fosse anche lui. Magari era il suo giorno libero.

Chris avrebbe voluto letteralmente prendere il muro a testate. Dopo un altro momento di esitazione, decise che avrebbe comprato quel dannato caffè e sarebbe andata a cercare Ashton e se non l’avesse trovato avrebbe dato la bevanda calda a uno dei barboni che facevano l’elemosina fuori dal centro commerciale. Si avvicinò alla caffetteria con passo deciso ma persa nei suoi pensieri.

La sera precedente lui era stato così gentile da accompagnarla a casa in macchina (dopo che sua madre l’aveva chiamata gridando terrorizzata pensando che sua figlia fosse stata rapita) verso mezzanotte, e lei era scesa dall’auto con un semplice “ciao, e, emh, grazie”. Quando era arrivata sulla soglia di casa si era mangiata la lingua e avrebbe voluto tornare indietro ma, non sapendo cos’altro dire, era entrata in casa ed era rimasta per un paio di minuti appoggiata alla porta che si era richiusa alle spalle, ripensando alle ultime ore passate in compagnia di quel ragazzo. Dopo il passo falso della domanda sull’albero di Natale Chris aveva cercato di recuperare qualche punto e senza nemmeno accorgersene si erano ritrovati a parlare di musica seduti davanti al fuoco. Ashton le ricordava Michael.

Chris si avviò verso la casa di papà Natale con i due caffè in mano mentre una strana sensazione le tormentava lo stomaco. La ignorò, pensando che probabilmente avrebbe dovuto fare colazione prima di uscire di casa. 

Imprecò in silenzio quando un bambino si avvicinò troppo e rischiò di farle rovesciare il caffè sulla sua giacca nuova. Lo fulminò con lo sguardo e lui le fece la linguaccia, tornando subito a correre in giro. La rossa si guardò intorno, alla ricerca di un elfo particolarmente alto con i capelli ribelli, ma non vide Ashton da nessuna parte. Proprio quando stava quasi per andarsene via, Chris notò un cappello a punta spuntare tra i bambini. Si avvicinò per guardare meglio ed eccolo lì, seduto per terra tra i bambini che continuavano a riempirlo di domande.

«Ma sei davvero allergico ai pinguini?»

«Già, proprio così. Ed è una brutta allergia» rispose lui, gesticolando in modo buffo. Chris ridacchiò, insieme a qualche bambino.

«Starnuti?» chiese una bimba.

«Si dice starnutisci!» la corresse subito un’altra, facendo ridere Ashton che, scuotendo leggermente la testa, fece ondeggiare i sonagli appesi al suo cappello rendendo la sua risata ancora più allegra e contagiosa.

«No, divento tutto blu!» 

«Non è possibile» una bimba appoggiò l’indice sulla fossetta nella guancia di Ashton.

«E invece sì!» ribattè lui. Alzò per un secondo lo sguardo e si stupì di incontrare quello di Chris, che osservava la scena divertita, immaginandosi un Ashton con la faccia blu. Lei sollevò i due bicchieri di carta per mostrarglieli, ricevendo un cenno del capo accompagnato da un tintinnio di campanellini in risposta. 

«Scusate bambini, torno subito» l’avviso di Ashton fu subito seguito da una serie di lamentele che gli chiedevano di restare.

«Arrivo subito, vedete di non farvi rubare il posto per parlare con il Grande Capo» esclamò allontanandosi. 

«Ehi» Ashton improvvisò un saluto militare un po’ scomposto mentre raggiungeva Chris, che lo osservava divertita.

«Sai, non credo che potrò mai guardarti senza ridere, vestito così» disse lei, allungandogli un bicchiere colmo di caffè. 

«Grazie» Ashton pensò che avrebbe potuto farsi piacere il caffè o dirle, prima o poi, che non lo amava poi così tanto, ma lo bevve comunque.

«Cosa ti porta a casa di Babbo Natale?» le chiese.

«Oh» Chris spostò il peso da un piede all’altro, temporeggiando «nulla, stavo solo... Facendo un giro e ho pensato di venire a vedere se eri qui» scrollò le spalle nel tentativo di darsi un’aria distaccata.

«Sì, be’, immagino che sarò qui fino al venticinque. Sai, ci sono anche i ritardatari che arrivano il ventiquattro con le loro lettere»

«Ma sai che quel cappello ti dona? Non capisco perchè non lo indossi anche fuori di qui»

«Perchè vado in giro in incognito, ovviamente» 

«Ashton!» 

Il ragazzo si voltò verso i bambini che lo stavano chiamando e gli fece segno di aspettare un attimo. Bevve un altro po’ di caffè, quanto bastava a far sembrare che l’avesse praticamente finito.

«Scusami, ma credo che dovrei tornare a lavoro» indicò alle sue spalle e Chris annuì.

«Sì, certo» gli sorrise, perennemente indecisa se aggiungere qualcosa o no. Lui la salutò con la mano e si voltò. La rossa poteva già sentire che l’istinto di prendere il muro a testate sarebbe cresciuto ancora se non avesse fatto subito qualcosa, così si sporse in avanti e lo afferrò per un braccio.

«Emh» si sentiva terribilmente imbarazzata, ma prese un gran respiro e «stasera hai in programma qualcosa?» 

Lui sorrise, avvicinandosi di nuovo a Chris scuotendo la testa.

«Non direi» la rossa stava quasi per tirare fuori quel che le restava del suo coraggio, ma lui la precedette «ti va di passare da me?»

«Certo!» si morse istintivamente il labbro per la velocità con cui aveva risposto.

«Ce la fai per cena?»

«In realtà, pensavo di vederci un po’ prima se non hai... impegni di lavoro» Chris indicò la slitta alle spalle di Ashton, che scosse nuovamente la testa.

«No, oggi finirò per le cinque»

«Che ne dici delle sei, allora?» 

«Dico che è perfetto!»

«Davvero?» farfugliò Chris, e si stupì di quanto fosse stato facile. Si aspettava un “no”. Qualche scusa. Gli aveva chiesto appena se avrebbero potuto vedersi, ci era riuscita, ma non si sarebbe aspettata davvero che lui accettasse. Forse le era sembrato quasi di farlo più che altro per avere conferma di un rifiuto che per uscire davvero con lui.

«Oh, allora, d’accordo» affermò con un po’ più di convinzione, accennando un sorriso «ci vediamo alle sei»

Ashton annuì e ricambiò il sorriso mentre indietreggiava di qualche passo.

«A dopo» la salutò e si voltò definitivamente, lasciandola lì in piedi da sola con il proprio bicchiere ancora pieno di caffè e un sorriso inconsapevolmente stampato sul volto a guardarlo tornare da quei bambini.

 

 

 

«Sei sicura che è a casa?» Aria faticava a reggere lo scatolone che la sorella le aveva affidato, ma non voleva darlo a vedere. Chris l’aveva invitata ad appoggiarlo a terra, così come avevano fatto per gli altri. Era stata una piccola impresa trascinarli giù dalla loro soffitta fino in macchina e poi di nuovo fuori, su per le scale del condominio. Avevano fatto diversi viaggi per riuscire a portare tutto ed erano state abbastanza brave da non fare rumore così che nessuno si accorgesse di loro.

Chris finse di sbuffare alla domanda di Aria, ridacchiando subito dopo.

«Sì, ti dico di sì. Hai suonato tre secondi fa, dagli un attimo di tempo» 

«Hai detto a mamma che avremmo preso queste cose?»

«No. Ma tanto non le servono» spiegò Chris, leggermente seccata, dondolandosi sui talloni. Poco dopo sentirono dei passi avvicinarsi dall’interno dell’appartamento e Chris si aggiustò istintivamente la giacca appena prima che la porta si aprisse. Ashton comparve sulla soglia con il solito sorriso accogliente.

«Ehi cia-» si bloccò un secondo, notando la piccola Aria accanto a Chris.

«Ciao!» esclamò la bambina, elettrizzata. Chris sollevò le braccia con fare stupito e le agitò in aria.

«Sorpresa!» esclamò, accompagnata da qualche saltello sul posto da parte della sorella, che notò l’espressione di Ashton e si affrettò a strattonare Chris per la manica della giacca, gesto che le costò parecchia fatica perché dovette sostenere lo scatolone con un solo braccio.

«E’ proprio sorpreso» ridacchiò la più piccola, riprendendo in fretta la scatola con entrambe le mani.

«Te l’avevo detto» commentò Chris, soddisfatta.

«Sì, lo sono» Ashton ridacchiò «cos’è tutta questa roba?» 

«Chris ha detto che non hai un albero di Natale, così ti abbiamo portato il nostro. Tanto a noi non serve, quest’anno non l’abbiamo fatto!»

Le parole di Aria pietrificarono letteralmente Ashton, con lo sguardo perso su uno scatolone da cui fuoriuscivano un paio di lucine, tanto da spaventare Chris, che si chiese se avesse fatto la cosa giusta.

«Possiamo entrare?» chiese Aria, senza rendersi conto dell’espressione di Ashton, semplicemente preoccupata di non riuscire più a sostenere il peso delle decorazioni chiuse nella scatola che stava reggendo ormai da diversi minuti, contando anche il tragitto per le scale.

Lui si riscosse e si spostò per lasciarle entrare.

«Certo» sussurrò. Aria si fece strada con il suo scatolone, seguita dalla sorella che ne portava uno grande quasi quanto lei, contenente il vero e proprio albero. Ashton le aiutò portando dentro l’ultimo pezzo abbandonato fuori dalla porta, lo stesso in cui aveva perso lo sguardo poco prima.

«Lì starebbe benissimo!» Aria aveva finalmente abbandonato a terra il suo piccolo peso e si era lanciata all’esplorazione dell’appartamento, notando in fretta che l’albero avrebbe occupato perfettamente l’angolo tra  la libreria e la parete con le finestre.

«Emh, già» annuì Chris, ancora preoccupata per la reazione di Ashton, che se ne stava con la schiena contro la porta chiusa e lo scatolone tra le braccia. Lei gli lanciò un’occhiata e, non appena se ne accorse, il ragazzo abbozzò un sorriso, avvicinandosi a loro.

«Lo appoggio qui?» chiese alla bimba, che scosse la testa contrariata.

«Un po’ più in là, o non ci sarà spazio per l’albero!» spiegò, indicando un punto più vicino alle poltrone.

«Agli ordini!» esclamò lui, posando a terra la scatola vicino a quella di Chris. 

«Datemi pure i cappotti» si offrì il ragazzo, aiutando Aria a sfilarsi la sciarpa arrotolata attorno al collo. Allungò il braccio verso Chris per farsi dare anche la sua giacca che ripose subito dopo sull’appendiabiti.

«Aria perchè... non inizi ad aprire le scatole con le decorazioni? Potresti tirare fuori quelle più belle, ti va? Intanto io e Ashton cerchiamo un paio di forbici per aprire quella con l’albero» la proposta di Chris fu accolta da un eccitato cenno di consenso da parte della sorella. La rossa lanciò un’occhiata ad Ashton, che la seguì nella cucina intuendo che lei volesse parlargli lontano da Aria.

«Senti mi... mi dispiace, io credevo che ti avrebbe fatto piacere, ma posso portare via tutto se non ti va di...» farfugliò Chris, giocherellando nervosamente con il suo anello di legno. Alzò timidamente lo sguardo sugli occhi di Ashton.

«No, io...»

Quel gesto aveva certamente sorpreso Ashton, e forse lo avrebbe anche commosso quando ci avrebbe ripensato, più tardi, ma in quel momento la sorpresa regnava sopra ogni altra emozione. Non voleva far pensare a Chris che avesse sbagliato, portandogli il loro albero di Natale. 

«E’ fantastico, davvero. Solo, non me l’aspettavo, ma mi fa piacere, molto» cercò di spiegarsi.

Chris lo osservò, non del tutto convinta, e si chiese che cosa gli passasse per la testa.

«Stai bene?»

«Io... sì, sto bene. Ecco le forbici. Abbiamo un albero da addobbare, no?» l’entusiasmo di Ashton contagiò subito anche Chris, che sorrise afferrando le forbici che lui le porgeva.

«Non si può addobbare un albero senza canzoni natalizie» esordì il ragazzo, appena lui e Chris furono di nuovo in salotto, dove Aria stava appoggiando sul piccolo tavolino una serie di palline e varie decorazioni che le sembravano particolarmente belle.

«Hai ragione!» la bimba battè le mani e scattò in piedi, entusiasta. Ashton cercò tra i vari cd alla ricerca di qualcosa di adatto, trovandolo poco dopo. Le note di Santa Clause is coming to town risuonarono allegre e Aria si unì subito alla voce di Frank Sinatra, canticchiando le parole della canzone.

«Guarda!» esclamò poi, abbandonando il suo lavoro di smistamento alle decorazioni. Corse verso l’appendiabiti e frugò nella tasca del proprio cappotto, da dove poco dopo tirò fuori il berretto che Ashton le aveva dato e lo indossò.

«Stai davvero bene» commentò lui.

«Grazie!» la bambina tornò saltellando alla sua scatola mentre Ashton si avvicinò a Chris per aiutarla con l’albero. Lei aveva già tirato fuori i vari pezzi abbandonandoli poi sul pavimento, e ora non restava che montarli. Chris posizionò a terra il piedistallo e prima che potesse recuperare la base dell’abete, Ashton si avvicinò con un altro pezzo.

«No, va prima quel pezzo! Questa è la punta!» rise Chris, cercando di allontanare il biondo, che ridacchiò a sua volta.

«Oh, non l’avevo notato» ribattè con aria innocente.

«Vedi, la punta è a forma di punta» spiegò lei «e va in cima»

«Illuminante, non l’avrei mai detto»

«Sopra ci va la stella. Chris, l’hai presa la stella?» si intromise Aria, che non aveva trovato quella decorazione insieme alle altre.

«Sì, ce l’ho, è nell’altra scatola. Ma non possiamo metterla adesso»

Aria si imbronciò un po’ e portò le mani ai fianchi, contrariata. 

«Perchè no?»

«Non credi che vada montato prima l’albero?» le fece notare Chris, indicandole i pezzi sparsi a terra e la punta che Ashton teneva ancora tra le braccia con grande cura.

«Ah» Aria scrollò le spalle e tornò a frugare nello scatolone delle decorazioni, lasciando i due ragazzi alle prese con l’abete.

 

 

 

«Ecco, ci sei» Ashton teneva in braccio Aria per aiutarla a mettere la stella sulla cima dell’albero ormai pieno di decorazioni e lucine colorate.

«Fatto!» esclamò lei, impaziente di scendere per vedere l’opera d’arte ultimata. In quel momento tornò Chris dalla cucina con un vassoio su cui aveva appoggiato tre tazze di cioccolata calda e un piatto di biscotti, che sarebbero stati la loro cena, probabilmente. 

«Spegniamo la luce» propose Ashton. Afferrò una tazza mentre Chris gli passava davanti, ricevendo un’occhiatina di rimprovero, e schiacciò l’interruttore. I tre rimasero per qualche istante a contemplare l’albero brillare nell’oscurità, mentre le lucine di vari colori si riflettevano ondeggianti sui loro visi e sul vetro delle finestre.

«E’ bellissimo» commentò Aria.

Chris sorrise soddisfatta e nel buio guardò Ashton, incantato dalla magia di quell’albero di Natale.

Un paio d’ore dopo, Aria era distesa su una delle due poltrone e dormiva profondamente, mentre Chris e Ashton sedevano sul pavimento, davanti all’abete, in silenzio. Il volume dello stereo era minimo ma si potevano ancore sentire le note deboli di Let it snow, un altro classico.

«Non mi aspettavo la compilation di Natale» commentò Chris, sottovoce per non svegliare la sorella.

«E’ un vecchio cd. Non credevo neanche di averlo ancora. L’ho trovato la settimana scorsa. Sai, non facevo un albero di Natale da...» Ashton si bloccò, forse perso in qualche calcolo «da quando avevo otto anni, credo. Da tredici anni»

Chris lo guardò, sorpresa. Non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere. Ashton sembrava l’incarnazione dell’essenza dello spirito del Natale, con questo desiderio di far felice i bambini e il lavoro da elfo, e invece non addobbava un abete da tredici anni?

 Guardò un sorriso amaro increspargli le labbra, prima che si voltasse verso di lei.

«Grazie» sussurrò lui «grazie, davvero»

 

 

 

 

 

!Buenos dias! non so fare il punto esclamativo al contrario

vi comunico che, sadly, non so quando aggiornerò prossimamente: ho approfittato in questi giorni che ero a casa perchè non stavo molto bene, ma tra i compiti una cosa e l’altra in futuro non so bene quando andrò avanti

comunque, ashton non fa un albero di natale da 13 anni chissà perché......... magari è stato in un carcere minorile per omicidio di primo grado (questo sì che sarebbe un colpo di scena, ragazzi) 

poi notiamo che apparentemente la canzone non c’entra nulla, con il capitolo, ma solo apparentemente

AMICHE stasera mangio la pizza, che gioia! 

Buona serata e un grazie grazie a tutte le persone che leggono/seguono/recensiscono, grazie grazie! :)



-lola

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Capitolo 7
*** Winter wonderland ***


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(6)

Winter wonderland

23 dicembre 2015

 

 

Sleigh bells ring, are you listening, 
In the lane, snow is glistening
A beautiful sight,
We’re happy tonight.
Walking in a winter wonderland.

Gone away is the bluebird,
Here to stay is a new bird
He sings a love song,
As we go along,
Walking in a winter wonderland.

In the meadow we can build a snowman,
Then pretend that he is Parson Brown

He’ll say: Are you married?
We’ll say: No man, 
But you can do the job
When you’re in town.

Later on, we’ll conspire,
As we dream by the fire
To face unafraid, 
The plans that we’ve made,
Walking in a winter wonderland.

 

 

 

Era la terza sera di fila che Chris usciva e sua madre, se non fosse stata troppo impegnata con le scartoffie del divorzio, se ne sarebbe sorpresa e le avrebbe chiesto dove andasse. Da chi.

Invece, per la terza sera di fila, Chris uscì di casa indisturbata, dopo aver salutato Aria e aver lasciato a sua madre un bigliettino scritto in fretta sopra il tavolino in salotto.

Aveva guidato fino a casa di Ashton, di nuovo, e aveva suonato il campanello. Questa volta, però, si era sentita un po’ colpevole di mangiare sempre a scrocco da lui, così aveva passato il pomeriggio a cercare di fare dei biscotti e, temendo che non fossero venuti buoni, era anche passata al supermercato per prendere qualcosa da bere. Di solito era suo padre quello che cucinava, a casa, infatti ultimamente sul loro tavolo erano comparsi solo piatti colmi di surgelati e qualche cartone di pizza o del take-away cinese e messicano. Chris non si era svegliata neanche una mattina con il profumo di pancake e gli unici muffin che aveva mangiato erano stati quelli confezionati.

La ragazza si dondolò leggermente avanti e indietro, mordicchiandosi le labbra, qualche secondo dopo la porta si spalancò. Chris strizzò un po’ gli occhi guardando Ashton, stretto nell’ennesimo paio di jeans neri e un maglione scuro, controluce, e gli sorrise.

«Io ho... ho portato questi» porse una vecchia confezione, di una pasticceria, che aveva riciclato per metterci i biscotti, al ragazzo che si spostò leggermente per lasciarla entrare. L’appartamento profumava di caffè appena fatto ed era piuttosto caldo, ma Chris non perse tempo a togliersi il cappotto.

«Li hai fatti tu?»

«Sì, ma non sono brava in cucina, di solito, ed è stata una fortuna che io non abbia bruciato nulla» Chris preferì omettere lo stato pietoso in cui aveva lasciato la cucina, e il grembiule della madre «nel dubbio, comunque, c’è anche questo»

La ragazza prese dalla borsa il cartoccio contenete una bottiglia di vetro e la liberò dall’involucro, sollevandola in aria ad imitare la torcia della Statua della Libertà.

«Sì, be’, non so cosa bevi di solito, ma il gin non è male, secondo me» 

«Biscotti e gin. Bella accoppiata»

Ashton non le disse che lui non beveva quasi mai.

«Di stile» confermò lei, seguendo il ragazzo in cucina per appoggiare tutto sul tavolo. 

«Bene, andiamo?»

«Adesso?» lui la guardò divertito della sua impazienza.

 

 

Chris camminava sul marciapiede a fianco di Ashton, non così vicino da sfiorarlo ma abbastanza per riuscire a parlarci mantenendo un tono di voce piuttosto basso, facendo moltissima attenzione a non calpestare per nessun motivo un solo centimetro quadrato che fosse stato già pestato da qualcun altro prima di lei, per poter lasciare le proprie impronte ben distinte nella neve. Ciò la faceva avanzare in modo piuttosto buffo e un po’ goffo, saltellando qua e là come se stesse giocando a campana seguendo delle regole che solo lei conosceva, che faceva ridere il ragazzo accanto a lei e attirava occhiate dubbiose, preoccupate e stranite dei passanti.

«Mangerei un gelato»

«Hai intenzione di congelarti il cervello?» Ashton le abbassò il berretto sugli occhi con un gesto scherzoso. 

«Ehi!» si lamentò Chris, restituendogli un pugno leggero sulla spalla come vendetta «è sempre un buon momento per un gelato» 

«Certo, anche con un paio di gradi sotto zero. Sai che ti dico? Potremmo comprare dei vasetti di yogurt e lasciarli fuori dalla finestra stanotte, così domattina avresti il tuo gelato»

Chris arricciò il naso. Ci aveva provato, una volta, da piccola, e la delusione era stata enorme.

«Non è la stessa cosa»

«Dubito troverai una gelateria aperta»

«Lo so! Le persone dovrebbero ampliare la propria mente»

«...E tenere le gelaterie aperte anche in inverno?»

«Ovviamente»

Ashton sorrise.

«Sarebbe un grande passo avanti, nella storia dell’evoluzione umana» commentò sarcastico.

«Gelaterie gelate. Okay, mi ritiro, era pessima»

Chris si fermò di colpo, notando la meta a poca distanza da loro, afferrò Ashton per un braccio e, con un entusiastico “ehi, andiamo!”, lo trascinò all’interno del parco da cui stavano iniziando ad uscire i bambini, che erano andati a giocare con i loro amici, per tornare a casa per cena. 

 

«Prendi questa!» urlò Chris, lanciando una palla di neve che colpì in pieno il berretto di Ashton, facendoglielo scivolare dai capelli. Istintivamente il ragazzo sollevò le braccia per cercare di prendere il berretto prima che cadesse a terra e Chris approfittò di questo momento di vulnerabilità per colpirlo in faccia con un’altra palla di neve.

«Bang!» urlò lei, agitando vittoriosamente un pugno in aria. Ashton si sfilò del tutto il berretto, lo spolverò con le mani dalla neve in modo molto teatrale e poi lo usò per ripulirsi da quella che aveva in faccia, infine lo ripose sui capelli.

«Hai appena firmato la tua condanna a morte»

La ragazza scoppiò a ridere e schivò appena in tempo il lancio di Ash.

«Dicevi?»

«Sappi che sono davvero un gentiluomo. Posso tenere le porte aperte, lasciarti passare per prima, darti la mia giacca se hai freddo. Ma nessuno può battermi a palle di neve»

«Ah! Vedremo!» gridò Chris, e corse a nascondersi dietro lo scivolo per usarlo come trincea momentanea. Pochi secondi dopo sentì una palla di neve schiantarsi contro lo scivolo.

Il sole stava sparendo all’orizzonte, trascinando via gli ultimi raggi caldi e luminosi che fino a poco prima avevano giocato rincorrendosi in mille riflessi che brillavano sulla neve candida. 

Chris rabbrividì, trovandosi all’ombra, e lasciò uscire uno sbuffo di condensa bianca dalle labbra. Si abbassò a terra e risalì con una mano colma e pronta a lanciare, ma, prima di farlo, si accorse di un secchiello abbandonato vicino ad uno di quegli spazi riempiti di sabbia perchè i bambini potessero costruirci torri e castelli, ma che ormai era completamente ricoperto di neve. Così decise di tentare il tutto per tutto, uscì allo scoperto e tirò la palla verso Ashton, ma non si fermò per controllare di averlo colpito perchè iniziò a correre verso il secchiello. I suoi stivali sprofondavano nella neve e iniziava ad avere un po’ freddo ai piedi, ma non pensò neanche per un secondo di rallentare. Quand’era circa a metà tragitto si sentì colpire alla spalla.

«Accidenti» farfugliò afferrando il secchiello e riprendendo a correre il più velocemente possibile verso la sua base improvvisata. Il ritorno non le andò meglio: Ashton riuscì a colpirla di nuovo. Appena arrivata allo scivolo, riempì il secchio di neve e salì in fretta la scaletta, si rifugiò sotto il piccolo tetto e si sporse fuori dal suo rifugio. Non riusciva a stare lì sotto in piedi, così si piegò sulle ginocchia, appoggiò un braccio al parapetto di legno e con una mano cercò di sistemarsi il cappuccio del giubbotto e il berretto, che nella corsa le erano scivolati sugli occhi.

Guardò Ashton, qualche metro più in là, che se ne stava in piedi a braccia conserte e gli fece un cenno con la mano.

«Chi si vede» rispose lui.

«Ehi, straniero» 

«Scendi dal balcone»

«Nah, c’è una bella vista» Chris sparì all’interno della casetta e si inginocchiò per prendere una manciata di neve dal secchio e farne una pallina, ma si interruppe sentendo la voce di Ashton canticchiare una canzone che ben conosceva e scattò in piedi, battendo la testa sul tetto troppo basso per chiunque superasse il metro e trenta. Imprecò sottovoce e si affacciò di nuovo con la palla di neve, nascosta dietro la schiena, pronta per essere lanciata.

«Check yes, Chris, are you with me?» cantava Ashton, con una mano chiusa a pugno a mo’ di microfono, «snow is falling down on the sidewalk, I won’t go until you come outside. Check yes, Chris, kill the limbo» improvvisamente, il ragazzo tirò una palla di neve a Chris, che però riuscì a schivarla ridendo «I’ll keep tossing snowballs at your window, there’s no turning back for us tonight»

Chris rispose al fuoco, colpendo solo di striscio il suo bersaglio che sembrava essere migliorato in agilità.

«Check yes, Chris, here’s the countdown» Ashton si avvicinò di più allo scivolo con le braccia protese e gli occhi socchiusi «three, two, one, and fall in my arms now»

In tutta risposta, una grossa palla di neve lo colpì in piena faccia. Ashton si passò le mani sul viso e sputacchiò un po’ di neve mentre Chris, che, nonostante lui fosse un ragazzo piuttosto slanciato, si trovava più in alto di lui, sopra lo scivolo, se la rideva della grossa.

«Run, baby, run» quasi urlò Ashton, lanciandosi verso le scale per raggiungere Chris, «don’t ever look back» 

Lei rise e si lasciò sfuggire un urletto divertito, all’ultimo momento, quando il biondo stava ormai salendo gli ultimi scalini e avrebbe potuto raggiungerla semplicemente allungando un braccio, lei si buttò sullo scivolo con il secchio di neve stretto tra le braccia.

Gridò divertita per tutta la discesa e riuscì a scattare in piedi una volta toccata terra. Si voltò, pronta ad affrontare Ashton che si aspettava di avere alle costole, e rise quando notò che, sì, aveva provato a seguirla, ma era rimasto incastrato.

«Oh mio dio!» urlò Chris, quasi piegata in due dalle risate mentre guardava Ashton dimenarsi per cercare di saltare fuori dallo scivolo. 

«Non ridere!» ribattè lui, ma un sorriso sulle sue labbra tradiva la serietà del commento. Chris si avvicinò a passi lenti, nascondendo il secchio dietro la schiena, fino ad arrivare accanto ad Ashton.

«Lascia che ti aiuti» propose lei, angelicamente, e prima che il ragazzo potesse accorgersene, Chris gli rovesciò l’intero secchio addosso. Ashton rabbrividì e si strinse nelle spalle il più possibile mentre la neve fredda si insinuava sotto il suo giubbotto, stringendo gli occhi.

«Tu non l’hai fatto davvero» sussurrò il ragazzo appena si fu ripreso, improvvisamente più serio, mentre la rossa continuava a ridere battendo le mani.

«Dovresti vederti! Oh mio dio non ci posso credere!» farfugliò coprendosi la bocca con le mani. Prima che Ashton riuscisse finalmente a spostarsi, Chris prese il telefono dalla tasca della giacca e gli scattò una foto, riprendendo a ridere ancora più di gusto mentre la guardava. Ashton era immortalato con un’espressione imbronciata, indignata, schifata, e anche un po’ arrabbiata, una cascata di neve bianca lo ricopriva e le mani strette attorno ai bordi dello scivolo.

«Perchè non mi aiuti?» 

«Perchè questo è il momento in cui ti vendichi» lei scrollò le spalle mentre nella sua mente passavano a ripetizione le scene di diversi film romantici che non si ricordava nemmeno perchè avesse guardato, visto che nemmeno le piacevano, in cui il ragazzo cadeva a terra, o in una piscina, e appena la ragazza gli offriva un aiuto, lui la trascinava giù con sé.

«Non mi piacciono i clichè» aggiunse.

«Hai ragione, mi vendicherò. Ma quando meno te lo aspetti» 

Chris si convinse a dargli una mano a scendere dalla giostra e lui quasi cadde a terra, ma all’ultimo momento riuscì a riprendere l’equilibrio. Lei si alzò in punta di piedi per sfilargli il berretto e lo scosse per far cadere la neve che c’era rimasta attaccata, e poi passò a scompigliare giocosamente i capelli di Ashton. 

«Immagino di poter dire di aver vinto» 

Chris gli restituì il cappello, soddisfatta.

«Non hai vinto, hai barato. E’ stato un attacco a tradimento»

«Hai ragione. Mi dispiace» ammise lei «ma è stato bellissimo» ridacchiò e agitò un piede nella neve.

«E adesso?» 

«Adesso credo che sia meglio che tu ti faccia una doccia prima che ti prenda una polmonite, con tutta quella neve» rispose Chris, buttando a terra con la mano un po’ della neve che era rimasta sulla spalla di Ashton «possiamo tornare più tardi»

«Farà buio»

«Ancora meglio, allora»

 

 

«Sai Chris, non sono mai venuti bene i miei pupazzi di neve, ma devo dire che questo non è niente male» 

Ashton sedeva di fianco alla ragazza sugli scalini del portico del piccolo condominio dove abitava, osservando il pupazzo che avevano tirato su nel piccolo giardino. Si sarebbe visto dalla finestra del salotto.

«Ma scherzi? E’ fantastico» 

Chris bevve un sorso dalla bottiglia di gin che avevano portato giù.

«Amo il sorriso» indicò il classico bastoncino di zucchero a righe bianche e rosse a forma di J che avevano usato per fargli un sorriso sghembo «mi ricorda...»

«Sì, lo so, lo so» la interruppe Ashton, scuotendo la testa divertito dopo la decima volta che sentiva quel commento «il sorrisetto di Harrison Ford»

«Non è solo il sorrisetto di Harrison Ford, è il sorrisetto alla Harrison Ford. E vedi di trattarlo bene, perchè-»

«E’ uno degli eroi della tua infanzia» finì di nuovo il biondo, e lanciò un’occhiata sorniona a Chris «l’hai ripetuto abbastanza, e io ascolto, mi ricordo le cose già dopo la prima volta che le dici»

«Scusa» ridacchiò lei, un po’ imbarazzata.

Il pupazzo di neve, che avevano chiamato Lucky-Luke, li fissava con i suoi occhi di tappi di bottiglia, uno verde e più grande dell’altro, nero. Avevano modellato delle orecchie con la neve, non abbastanza a punta da poter essere quelle di un gatto ma di certo meno tonde di quelle di un orso, gli avevano appoggiato in testa un vecchio cappello da Babbo Natale con delle lucine intermittenti che presto si sarebbero spente e, al posto della sciarpa, Lucky-Luke indossava una di quelle ghirlande dorate e luccicanti che si usano per decorare gli abeti ed erano avanzati dall’albero del giorno precedente.

Chris cominciava a sentire quella sensazione di calore e solletichio allo stomaco, la voglia di ridere e di scuotere veloce la testa perchè sapeva che le cose avrebbero iniziato a dondolare. 

«Facciamo una passeggiata?»

Ashton non replicò e si alzò il piedi dopo di lei, consapevole che farle notare di come ormai fosse tardi non l’avrebbe trattenuta. 

Chris non camminava, saltellava per un paio di metri abbondanti e poi aspettava che Ashton la raggiungesse per andare di nuovo avanti. Ogni tanto si girava e procedeva all’indietro per non dargli le spalle. Poi rise ad una battuta che nessuno aveva fatto e, di nuovo, attese che Ashton le fosse accanto e lo prese a braccetto.

«Sei un po’ felice?» rise lui.

«Lo ammetto»

Chris si era ubriacata solo un paio di volte, sempre seguite da una nausea mattutina poco piacevole e aveva così deciso di limitarsi all’essere brilla, che era piacevole e la divertiva.

«Solo un po’» aggiunse poi, riflettendo. Alzò gli occhi alle stelle.

«Sai, è stata una giornata davvero pazzesca. Non facevo queste cose da...» 

«Anch’io» la interruppe Ashton.

«E’ assurdo»

«Che cosa?»

«Tutto. Voglio dire, la battaglia a palle di neve, il pupazzo, tu»

«Oh, ti ringrazio» 

«Aspetta, voglio dire che, non lo so, ci conosciamo da qualche giorno e stiamo facendo una passeggiata a braccetto di notte e... Non lo so, questo è il genere di cose che faccio da sola dopo essere scappata dalla finestra» farfugliò Chris.

«Be’, è un bene che ci sia anch’io. E’ pericoloso»

«Pericolo? Io rido, in faccia al pericolo! Ah, ah, ah!»

«Stai citando Il re leone?»

«Scusa. Stavo cercando di fare un discorso serio, ma non ho resistito»

Ashton le fece cenno di continuare.

«La verità è che non ho idea di che cosa volessi dire davvero, di solito non sono una persona di molte parole. Vorrei essere sincera e dire tutto quello che mi passa per la testa, ma è così un casino che non lo so nemmeno io. Comunque sono davvero felice che tu... che tu mi abbia portato quella lettera, Ashton»

Chris sentì le parole che le stavano venendo in mente, frasi che voleva aggiungere, erano troppo sdolcinate per i suoi gusti, così tacque. I pensieri continuavano ad affollarsi. Si sentiva felice, con Ashton, ed era profondamente stupita di questo. Anche un po’ delusa da sé stessa per non aver mantenuto il suo proposito di non legarsi più a nessuno, così si chiese se stesse facendo la cosa giusta.

Era così presa dalle mille cose che le turbinavano per la testa che non sentì nemmeno Ashton sussurrare un debole “anch’io”.

Le luci colorate appese da un lato all’altro della strada creavano un tetto magico sotto il quale i due passeggiavano, ancora a braccetto, seguendo l’andatura sghemba e trotterellante della rossa. Chris aveva il naso congelato, e mandava fuori l’aria con piccoli sbuffi che la divertivano. Osservava la nuvola bianca dissolversi e perdere consistenza, volare via lontana. 

Quanto le sarebbe piaciuto volare via.

«Ascolta!» esclamò di colpo Chris, fermandosi e trattenendo Ashton per il braccio.

«Cosa?»

«Sh!» Chris alzò l’indice al cielo «...a beautiful sight, we’re happy tonight...» canticchiò, e Ashton riconobbe la melodia che arrivava da qualche casa lì accanto.

La rossa spostò la mano con cui aveva tenuto a braccetto Ashton sopra la sua spalla, si voltò verso di lui e gli prese l’altra mano, iniziando poi a ballare a ritmo della canzone. O meglio, si trascinavano a destra e a sinistra, girando in tondo qualche volta, ridendo.

 

 

Ashton avvicinò le mani al caminetto, dove il fuoco crepitava allegro riscaldando la stanza e illuminandola di una tremolante luce giallastra che giocava disegnando ombre buffe sui loro visi.

Chris osservava le fiamme, raggomitolata sulla poltrona. Sentiva le palpebre pesanti e temeva di addormentarsi da un momento all’altro. Le sembrava che il calore del fuoco le attraversasse il petto con uno strano formicolio delicato, piacevole.

«Domani è la vigilia» commentò.

«Oggi è già domani» rise Ashton, lanciando un’occhiata distratta all’orologio che portava al polso: le tre e ventisette.

«Buona vigilia»

«Grazie, anche a te»

La ragazza vide dei fiocchi di neve volteggiare leggeri e aggraziati fuori dalla finestra, illuminati dal fascio di luce di un lampione.

«Ti piace l’inverno?» chiese Chris, mascherando alla meglio uno sbadiglio.

«Molto. A te no?»

«La neve. Ma in realtà preferisco il caldo» si stropicciò gli occhi con una mano «Ma la neve mi piace. Ma...»

«Quanti “ma»

«Io sono un sacco di “ma”»

Ashton sorrise.

«Fammi indovinare. “Ma” non c’è il gelato»

«Giustissimo. In realtà volevo dire “ma rinuncerei alla neve per stare in qualche isola tropicale”»

«Sabbia, sole e mare?»

«Tutta la vita» confermò lei. 

«Prendere uno zaino, e fare il giro degli Stati Uniti in camper...» propose Ashton, illustrando la sua idea con qualche gesto con le mani.

«Arrivare fino a capo Horn»

«Fare un viaggio sull’Orient Express!»

Chris si illuminò, emozionata e piena di idee.

«No, ascolta, senti questa. Dobbiamo trovare qualche mappa di un tesoro perduto, e andare a cercarlo!»

«Dammi il tempo di comprare un berretto da Indiana Jones, e ti seguo»

Chris rise. Quanto le sarebbe piaciuto. Per un secondo si stupì di sognare ad occhi aperti con quello che fino a qualche giorno prima era solo un estraneo, poi pensò che lei era praticamente senza amici e che quindi aveva, in qualche modo, il diritto di farlo. E lui? Si chiese se fosse solo come lei.

«Dovremmo andarci, un giorno» ridacchiò Ashton. 

«Un giorno» espressione pericolosa, pensò Chris, un po’ come dire “mai”.

«Mi basterebbe andarmene via da qui» aggiunse, scrollando le spalle.

Ashton finse un’espressione offesa, e con il capo indicò alle spalle della ragazza.

«La porta è lì» 

Chris rise.

«Intendevo da questa città. Andare via, lontano. Credo che la mia più grande paura in assoluto sia svegliarmi una mattina, tra trent’anni, ed essere ancora bloccata qui»

Chris sapeva che, ovviamente, non se n’era ancora andata per via di Aria: non avrebbe potuto abbandonarla lì; Aria era davvero tutto quello che teneva Chris bloccata in quella piccola città, ma la rossa non voleva ammetterlo. Se lo avesse detto a voce alta si sarebbe sentita una persona spregevole. Non era giusto scaricare la colpa sulla bambina in quel modo.

«E tu?»

Ashton stava riflettendo sulle parole della ragazza, e le dava ragione: dopotutto, anche lui se n’era andato alla prima occasione. Si riscosse dai suoi pensieri e lanciò a Chris uno sguardo accigliato.

«Cosa?»

«Hai qualche paura nel cassetto?» 

«Di solito sono i sogni a stare nei cassetti»

Che risposta evasiva, pensò Chris. Chiaramente quella domanda lo aveva messo a disagio. Chris non voleva certo obbligarlo a parlare, ma la reazione di Ashton aveva suscitato una certa curiosità. Che male c’era, in fondo, a chiedere?

«Qualche mostro sotto al letto o scheletro nell’armadio, allora» riprovò.

«Qualcuno» ammise Ashton, con lo sguardo fisso sulle fiamme crepitanti nel caminetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SCUSATE IL RITARDO :c sono sempre stata una ritardataria su tutto, lo ammetto, e mi dispiace, sono passati tipo sei anni dall’ultimo capitolo e se volete prendermi a sberle, vi do ragione.

 

Non potete immaginare QUANTO HO RISO QUANDO MI E’ VENUTA L’IDEA DI ASHTON INCASTRATO SU UNO SCIVOLO AHAHAHAHAH so che probabilmente a voi non fa ridere così tanto ma quando mi è venuto in mente era esilarante

Btw Lucky-Luke è il nome di un personaggio dei cartoni che guardavo da piccola... Era bellissimo! La storia di un eroe dei cowboy, e probabilmente è colpa sua se chiamo Luke Liuc al posto di Luc

 (sono appena andata ad ascoltarmi la sigla comunque)

Poi, ieri sono andata a vedere Zootropolis al cinema (perchè io guardo ancora i cartoni animati) e Judy è appena diventata il mio nuovo idolo.

Non so bene cosa dirvi sul capitolo, se non che è emozionante perchè ha lo stesso titolo della storia (forse non vi emoziona, ma a me sì perchè ho scelto il titolo di questa fanfiction ascoltando questa canzone)

E basta, adios! :)

 

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Capitolo 8
*** All I want for Christmas ***


 

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(7)

All I want for Christmas

24 dicembre 2015






 I don’t care about presents 
Underneath the Christmas tree

I don’t need to hang my stocking 
There upon the fireplace 
Santa Claus won’t make me happy 
With a toy on Christmas day 
I just want you for for my own 
More than you could ever know 

 

Make my wish come true 
I won’t ask for much this Christmas 
I won’t even wish for snow 
I’m just gonna keep on waiting 
Underneath the mistletoe 
I won’t make a list and send it 
To the North Pole for Saint Nick 
I won’t even stay awake to 
Hear those magic reindeer click 
‘Cause I just want you here tonight 
Holding on to me so tight 


So brightly everywhere 
And the sound of children's
Laughter fills the air 

And everyone is singing 
I hear those sleigh bells ringing 
Santa won’t you bring me the one I really need

 

 

 

Chris si voltò prima di aprire la porta di casa e, come si aspettava, vide che Ashton era ancora lì ad attendere che lei entrasse prima di andarsene. Gli sorrise e gli fece un cenno con la mano, che lui ricambiò.

Le ricordava un po’ suo padre, quando la portava a casa di Michael e non se ne andava finché non era certo che lei fosse al sicuro in casa. Era un’abitudine che la metteva sempre in imbarazzo, mentre adesso le sembrava quasi di sentirsi fiera, orgogliosa della galanteria che Ashton le riservava.

Così, senza neanche accorgersene, per la prima volta dopo molto tempo varcò la soglia di casa con il sorriso sulle labbra. Sorriso che svanì poco dopo.

«Chris?»

Il tono della voce della madre non prometteva nulla di buono. La rossa sbuffò, chiuse a chiave e sbirciò dalla vetrata, appena in tempo per vedere Ashton andarsene.

«No, sono un ladro. Attenzione, questa è una rapina, mani in alto» biascicò Chris, già stanca di essere tornata  a casa.

«Santo Dio, hai visto che ore sono?»

Il rumore delle scarpe col tacco che trotterellavano impazienti sul parquet veniva verso di lei, così la rossa si preparò all’impatto con l’uragano Evelyn.

«Saranno le dieci e mezza» rispose senza entusiasmo. Ma scommetto che stai per dirmelo tu, con una precisione svizzera aggiunse tra sé e sé.

«Sono le dieci e trentotto!»

Eve arrivò a passo spedito, deciso, pulendosi le mani sul grembiule che aveva legato intorno alla vita -e Chris si chiese che cos’avesse combinato-  e le si parò davanti infuriata puntandole un dito contro.

«E sai che giorno è?»

«Già»

«Già? Accidenti Chris, è la vigilia di Natale, ti sembra l’ora di arrivare? Per non parlare del fatto che è stata Aria a dirmi che saresti rimasta fuori a dormire! E allora, dove sei stata?»

«Cos’è, era previsto di giocare alla famiglia felice e nessuno mi ha avvisata?» rispose sarcastica, ignorando le altre domande.

«Ma come ti permetti

Quella sembrava essere diventata una delle frasi preferite della madre, ultimamente.

Lo sguardo severo e indignato di Evelyn fece infuriare Chris, che si trattenne dal mettersi a urlare. La rossa fece un bel passo verso la madre, come per sovrastarla.

«Mi permetto eccome. Prima di tutto, devi smetterla di credere che tutto il mondo giri intorno a te. Non si tratta sempre di te, di quello che vuoi. Mi avresti voluta a casa prima per andare a trovare i Sanders qui in parte e fare la mamma di famiglia, come se andasse tutto bene? O per invitare la zia a pranzo e raccontarle di quanto bene va a scuola Aria, evitando di parlare di papà come se avesse la peste? Sei più preoccupata delle apparenze che di quello che stiamo passando io e Aria. Quando ti accorgerai che il divorzio non è una cosa solo tra te e papà? Ultime notizie: ci siamo anche noi, in mezzo a questa merda» sibilò.

Sua madre era senza parole, e Chris ne approfittò per rincarare la dose.

«Comunque, sono abbastanza grande da poter dormire fuori, la notte. E, oh, forse, se non fossi troppo impegnata a pensare a te stessa, avrei detto a te dove stavo andando, anziché ad Aria»

Dormire fuori. Chris ripensò istintivamente a quella mattina, quando si era svegliata terrorizzata in un letto sconosciuto. Poco dopo Ashton era entrato in camera, spiegandole che la sera prima si era addormentata sulla poltrona, così lui l’aveva portata di sopra per lasciarla dormire sul letto. 

Scacciò in fretta quel ricordo e ritornò al presente. Aveva concluso l’arringa, quindi salì le scale due gradini alla volta e si precipitò in camera. Si chiuse la porta alle spalle e sbuffò. Appese la giacca e la borsa, si sfilò le scarpe e si lanciò sul letto.

Si sentiva un po’ in colpa per quello che aveva detto, perché sapeva che sua madre ci sarebbe rimasta davvero male, ma in fondo era quella la verità e Chris era stanca di starsene in silenzio a guardare. C’era anche la sua vita in mezzo e aveva diritto di dire la sua. 

Non ce l’aveva poi tanto con i suoi genitori perché si stavano separando: era una cosa che poteva anche riuscire a capire. Ma come lo stavano facendo, non lo sopportava. Sembrava che non fossero mai stati una famiglia. 

Si ricordò che, all’età di circa dieci anni, aveva una compagna di classe i cui genitori erano separati, ma vivevano la situazione con una pace incredibile. Sembravano vecchi amici. Erano vecchi amici. Spesso venivano a prendere insieme la figlia a scuola, si sedevano vicini alle recite di fine anno, e la sua compagna raccontava che passavano spesso giornate insieme.

Chris si chiese se quei due fossero andati davvero ancora d’accordo o se lo avessero fatto solo per la figlia, ma in ogni caso erano ammirevoli. Le cose sarebbero state diverse, se anche i loro genitori si fossero comportati così. Sarebbe stato tutto molto più semplice.

Per un attimo Chris contemplò la possibilità di uscire dalle finestra e scappare di nuovo. 

Probabilmente Ashton non era andato così lontano nel frattempo. 

Ma no, decise che l’aveva disturbato abbastanza.

 

 

 

Cinque. Sei. Sette.

Sette squilli.

Per la quarta volta da quando aveva composto il numero, lo sguardo di Ashton cadde sull’orologio al polso. Otto squilli. Forse avrebbe dovuto riprovare più tardi.

Guardò di nuovo l’orologio: erano sempre le undici e dieci.

Al decimo squillo riattaccò e appoggiò il cellulare sul tavolo, un po’ preoccupato. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con una mano, pensieroso. Senan doveva rispondergli, altrimenti si sarebbe trovato in un gran brutto guaio. Era la vigilia di Natale, e non aveva molte altre speranze se non fosse riuscito a sistemare le cose con lui.

Sospirò e si alzò, cercando di tranquillizzarsi: aveva già preso accordi con quel vecchio irlandese squinternato, e di certo sarebbe stato di parola. Probabilmente era solo impegnato a bersi una pinta di birra prima del pranzo.

Ashton si avvicinò al lavello della cucina per prepararsi un tè, ma si accorse della macchina per il caffè ancora piena, e fece una smorfia. L’aveva preparato per Chris, il giorno precedente -per la prima volta nella sua vita-, ma se n’era completamente dimenticato. Aveva pensato che sarebbe stato carino e, se sull’alcool non sarebbe stato disposto a molti compromessi, almeno con il caffè avrebbe potuto fare un tentativo. Gli ci volle un forte slancio di buona volontà per prendere una tazza e versarvi un po’ della bevanda scura. 

La osservò per qualche secondo, poi ne bevve un sorso deciso. Il viso di Ashton si increspò in una smorfia di disgusto e se non avesse mandato giù il caffè così in fretta, ancora prima di sentirne il sapore, l’avrebbe probabilmente sputato. Era troppo amaro, freddo, e gli dava la sensazione di bere qualcosa di scaduto. 

Il ragazzo stava già per rovesciare il contenuto della tazza nel lavandino quando si disse che sarebbe stato uno spreco e avrebbe almeno potuto fare un’altra prova, così mise la tazza nel microonde e scaldò il caffè, nella speranza di migliorarne il sapore. Restò in piedi ad osservare la tazza che girava nel piccolo forno, e non appena scattò il classico ding, Ashton si riprese la tazza e ci verso due cucchiaini abbondanti di zucchero, mescolò e prese un altro assaggio.

Rovesciò la tazza e ciò che restava del caffè nel lavandino, spazientito.

Non faceva schifo come prima, questo era sicuro, ma Ashton trovava che quel sapore fosse di gran lunga lontano dall’idea di buono

Aveva già preso in mano il bollitore per farsi un tè, quando il suo telefono iniziò a squillare.

 

 

 

Chris giocherellava distrattamente con le posate, in attesa che anche sua madre e sua sorella finissero di mangiare per poter sparecchiare e alzarsi da tavola. Era scesa di malavoglia, solo perché aveva fame.

Aria era corsa ad abbracciarla e le aveva fatto delle domande a cui la sorella non aveva dato molto risposte a causa della presenza di Evelyn, che restò a lungo in silenzio e alla fine chiese alla bimba se volesse mettere su una dvd di un cartone animato. Aria aveva accettato entusiasta ed era andata a prendere Red e Toby.

A Chris era palese che la richiesta della madre era un modo per evitare possibili conversazioni con lei, e la cosa non le dava affatto fastidio. Nemmeno lei ne aveva voglia.

Quando finalmente Chris si alzò per sparecchiare, la vecchia signora Tweed stava abbandonando Red nella foresta cantando una canzone piuttosto deprimente. Chris si affrettò per risparmiarsi quelle scene che la intristivano ogni qual volta vedesse il cartone animato e andò a rifugiarsi in salotto. Si rannicchiò sulla sua poltrona e controllò se qualcuno le avesse scritto. O meglio, se Ashton lo avesse fatto. Si ritrovò a bloccare di nuovo il cellulare, un po’ delusa.

Non si erano organizzati per quando vedersi la prossima volta. Chris si intristì, rendendosi conto che, essendo la vigilia, probabilmente non lo avrebbe rivisto per un po’. Non aveva scoperto molto sulla sua famiglia, ma dubitava che Ashton avrebbe passato da solo i giorni successivi. 

In ogni caso, di certo non poteva continuare a presentarsi da lui ogni giorno, un po’ perché le sembrava di comportarsi da disperata e un po’ perché non voleva assillarlo, e tantomeno poteva tornare da lui proprio il giorno di Natale. 

Gli avrebbe mandato un messaggio? Forse avrebbe potuto chiamarlo.

No, sarebbe stato meglio scrivergli, probabilmente sarebbe stato occupato. Però il giorno successivo avrebbe potuto chiamarlo! O il ventisette, quantomeno. Gli avrebbe chiesto che aveva fatto a Natale, magari, e quando avrebbero potuto rivedersi. Calcolò che, anche essendo ottimisti, avrebbe dovuto aspettare almeno fino al ventotto o ventinove dicembre.

Sospirò.

Le piaceva stare con lui, anche troppo. Era gentile, simpatico, interessante, ed era così facile essere felice quando stava insieme a lui. E ovviamente lo trovava affascinante. Nessuno avrebbe potuto negare che lui fosse un bel ragazzo.

Avrebbe voluto sapere di più su di lui. C’era qualcosa che le nascondeva, era ovvio, e questo le dava un po’ fastidio. Ashton aveva detto di volerla aiutare ed ascoltare, e anche lei avrebbe voluto fare la stessa cosa per lui. Forse se lei avesse fatto la prima mossa, poi anche lui si sarebbe aperto con lei.

Chris si accorse di volere davvero che lui si fidasse di lei. Si chiese se lei fosse davvero pronta a fidarsi di lui.

«Chris, mi aiuti a fare i biscotti?» la chiamò Aria dalla cucina. Probabilmente il catone animato era finito.

«I biscotti? Perché vuoi metterti a fare i biscotti?» Chris si alzò e raggiunse la sorellina in cucina, che stava già cercando gli ingredienti nella credenza.

«Aspetta, ti aiuto» 

«Grazie! Prendi anche le gocce di cioccolato! E le formine!»

Chris appoggiava man mano il necessario sul tavolo, e appena trovate le formine Aria aprì la scatola alla ricerca di quelle più belle.

«Non ti piacciono quelli che aveva portato la nonna?» chiese Chris, sperando di poter evitare una seconda sessione culinaria.

«No, cioè sì, ma questi sono per Babbo Natale!» spiegò la sorella.

«Ah»

«Sai, gli ho chiesto una cosa un po’... difficile. Si merita dei biscotti speciali!»

Ah, pensò Chris, e io adesso cosa le dico? 

Poi le venne in mente che l’indomani sarebbe stato Natale. E Ashton le aveva promesso che avrebbe migliorato il loro, ma non le aveva più detto nulla.

Chris si afflosciò sulla sedia, improvvisamente abbattuta. 

Se n’era dimenticato? No, non avrebbe potuto, insomma... Ma non le aveva più chiesto niente, né le aveva parlato di qualche grande idea. Non aveva sperato davvero che lui riuscisse a fare un miracolo, ma si aspettava che ci provasse. E se non l’avesse fatto? Lei non aveva pensato a nessun piano di riserva perché, in realtà... era stata lei, a dimenticarsene. Era stata così presa da lui da scordarsi del resto. Non si era resa conto del tempo che passava e che Natale era alle porte. O meglio, sapeva benissimo che fosse il ventiquattro dicembre, ma non aveva ancora pensato a che cosa questo avrebbe comportato. 

Si sentì una sorella orribile.

«Chris? Chris? La bilancia. Qui ci sono scritti i grammi ma mi serve la bilancia... Chris?»

«Come?» la rossa alzò lo sguardo incerta.

«La bilancia!» esclamò Aria, impaziente.

«Ah. Giusto»

«Stai bene?»

«Sì, sì, tutto bene» Chris si alzò per prendere la bilancia e la passò alla sorella. 

«Comunque, vedi... Ecco» farfugliò Chris «sì, be’, non sempre Babbo Natale riesce ad accontentare tutti. Lui fa... del suo meglio. Davvero. Sai, una volta da piccola gli ho chiesto una casa delle bambole, e mi ha portato il camper. Ma, ehi, era forte. Quindi, sì insomma, magari non ti porterà proprio quello che hai chiesto, ma sarà comunque qualcosa di bello» cercò di spiegare, preoccupata.

«Scommetto che ce la farà! Ce la deve fare! E gli preparerò i biscotti! Dai, dammi una mano»

Chris sospirò, preoccupata. Si sentiva in colpa. Avrebbe dovuto pensarci prima. Avrebbe dovuto trovare un’altra soluzione in questi giorni, e non passarli a divertirsi. 

«Aspettami, devo fare una cosa. Torno subito» annunciò la rossa, correndo fuori dalla cucina.

 

 

 

«Che mi vai combinando, eh, ragazzone?»

«C’è tutto?» chiese Ashton, ignorando la domanda, prima di chiudere il bagagliaio della sua auto.

«Mi prendi in giro? Dico, ti ho mai deluso, eh? Certo che c’è tutto. Ho controllato, due volte» annunciò fiero Senan, accarezzandosi la barbetta sul mento. 

Non era così vecchio come poteva sembrare. I capelli, la barba e le sopracciglia erano diventati bianchi prima del previsto e non c’era il minimo cenno di qualche ciuffo brizzolato, probabilmente perché i capelli erano stati rossi, ma gli occhi, azzurri, erano ancora piuttosto vispi. Aveva l’aria da vecchio marinaio, con quel giaccone blu scuro ormai logoro e la pipa.

Ashton lo ringraziò sorridente e gli strinse calorosamente la mano, poi Senan gli batté una pacca sulla spalla.

«Mi raccomando» gli disse, guardandolo dritto negli occhi «non rovinarmi nulla. Ci campo, con quella roba»

«Mi prendi in giro? Dico, ti ho mai rovinato qualcosa?» lo canzonò il ragazzo, guadagnandosi un’altra affettuosa pacca, stavolta dietro la testa.

«Sta’ attento» ridacchiò il vecchio. Gli fece un cenno con la mano e se ne andò fischiettando.

 

 

 

Chris entrò nell’ufficio della madre -sapeva che Eve si era rinchiusa lì dopo il pranzo- senza bussare. Restò ferma sulla soglia per un secondo.

«Ho chiamato papà» annunciò, con voce atona «l’ho invitato a pranzo, domani»

Evelyn posò le carte che stava leggendo e lanciò un’occhiata rapida alla figlia, poi annuì in silenzio.

«Mi ha detto che l’avevi già fatto tu» 

La donna non rispose.

«Be’. Grazie» farfugliò Chris. Tacque un secondo, in attesa di una risposta, che non arrivò, da parte della madre, poi se ne andò com’era venuta.

Evelyn si sfilò gli occhiali e si abbandonò sullo schienale della sedia. Fece un respiro profondo e si coprì gli occhi prima di scoppiare a piangere.

 

 

 

 

 

Salve mici! Come state? Come vi va la vita?

Io sono a casa con la  febbre da mercoledì! Che tristezza. Ho visto tipo ottocento puntate del nuovo cartone animato di alvin superstar (che degrado)... poi sto prendendo un antibiotico, e siccome non ne prendo uno da quando avevo tipo sei anni ero terrorizzata perchè pensavo di dovermi bere uno sciroppo ma a quanto pare sono considerata un’adulta e mi hanno dato le pastiglie (aka siluri stingray)

Comunque io ve l’avevo detto che ashton era stato in prigione (è lì che ha conosciuto senan lo spacciatore di bastoncini findus) HAHAHA e boh questo è un capitolo un po’ triste se non fosse per ashton che a momenti sputacchia caffè

Adioss, vivibi ♥

 

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Capitolo 9
*** I believed in father Christmas ***


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(8)

I believed in father Christmas

25 dicembre 2015

 




 

They said there’ll be snow at christmas
They said there’ll be peace on earth
But instead it just kept on raining
A veil of tears for the virgin’s birth
I remember one christmas morning
A winters light and a distant choir
And the peal of a bell and that christmas tree smell
And their eyes full of tinsel and fire

They sold me a dream of christmas
They sold me a silent night
And they told me a fairy story
‘till I believed in the israelite
And I believed in father christmas
And I looked at the sky with excited eyes
‘till I woke with a yawn in the first light of dawn
And I saw him and through his disguise

I wish you a hopeful christmas
I wish you a brave new year
All anguish pain and sadness
Leave your heart and let your road be clear
They said there’ll be snow at christmas
They said there’ll be peace on earth
Hallelujah noel be it heaven or hell
The christmas you get you deserve

 

Aria aveva dormito tutta la notte in camera con Chris, nel grande letto a due piazze, per evitare di cedere alla tentazione di scendere al piano di sotto a controllare che fosse arrivato babbo Natale. Si era portata anche il suo peluche preferito, Georges la Volpe, che aveva tenuto stretto per tutta la notte.

Adesso la bambina se ne stava in piedi di fianco al letto e abbracciava forte Georges, la cui coda penzolava sfiorando il pavimento, e fissava la sorella raggomitolata tra le coperte in modo scomposto, i capelli spettinati e la bocca aperta. Aria si coprì le labbra e ridacchiò.

«Psss! Ehi, Chris... Chris? Sei sveglia?» sussurrò.

Qualcosa tirava leggermente la coperta, creando uno spiacevole spiffero freddo all’altezza della spalla, ma Chris non aprì gli occhi e cercò di ignorare la voce leggera della sorella, fingendo di dormire. Voleva rimandare quel Natale ancora, ancora e ancora. Forse, se non si fosse alzata...

«Chris! È Natale! Dai, svegliati» stavolta la voce di Aria si fece un po’ più sicura e insistente. Chris continuò a tenere gli occhi chiusi e sperò che la più piccola se ne andasse.

«Chris!»

Sbuffò, esasperata. Sapeva che questo richiamo era stato fatto ad un volume troppo alto per non riuscire a svegliarla se davvero fosse ancora stata addormentata e non volle dar a intendere che stesse fingendo, così grugnì qualcosa e si stiracchiò sbadigliando. Si stropicciò poi gli occhi con fare teatrale.

Aria ridacchiò.

«È Natale!» esclamò di nuovo, afferrando Chris per un braccio e tirandola leggermente giù dal letto. 

«Arrivo, arrivo» bofonchiò. Ridusse le coperte ad un groviglio e le calciò in fondo al materasso, poi si accorse di aver perso un calzino durante la notte, così infilò una mano nella palla formata da piumone e lenzuola alla ricerca del piccolo tesoro.

«Accidenti... preso!» Chris sollevò esultante il calzino, giusto per fare un po’ di scena per la sorella, che lo trovò molto divertente, e poi se lo infilò sul piede scalzo. 

Chris scompigliò i capelli di Aria.

«Allora?»

«Adesso ti somiglio?» chiese la bimba, indicandosi con una mano i capelli arruffati. Chris rise di gusto e poi cercò di darsi una sistemata.

«Ma guarda questa piccola impertinente» la canzonò «andiamo a vedere i regali?»

«No!»

Chris guardò preoccupata la sorella. 

«Perché no?»

Aria dondolò da un piede all’altro, stringendo Georges.

«Sai, perché così se Babbo Natale non è riuscito a darmi quella cosa magari passa dopo...»

Quella cosa. Chris annuì, pensierosa. In effetti era una grande idea: il padre sarebbe arrivato un po’ prima dell’ora di pranzo, quindi tanto valeva la pena aspettarlo. Lei dubitava in altri grandi miracoli, ed era convinta che l’unico regalo speciale sarebbe potuto essere vedere papà a Natale, ma se lui e Eve non avessero fatto grandi casini proprio quel giorno non sarebbe stato così lontano dal desiderio di Aria.

Be’... più o meno. In ogni caso, non poteva sperare in niente di meglio.

«Hai ragione! Ho sempre detto che eri tu quella sveglia in famiglia. Non è vero Georges? Come quella volta che ti ha fatto un collare per non perderti» Chris diede un buffetto sul naso alla volpe.

«Ma scusa... se non vuoi andare ad aprire i regali, che ci fai in piedi così presto?» 

«Non è presto. È normale. E non si può dormire fino a tardi il giorno di Natale, anche se non si aprono i regali!»

«D’accordo, d’accordo, hai ragione tu. Quindi, che si fa? Andiamo a farci uno spuntino?» Aria annuì soddisfatta «sicura che non ti verrà voglia di aprire qualche regalo quando li vedrai tutti belli incartati...?» Chris, per abitudine, stava per aggiungere “sotto l’albero”, ma poi si ricordò che loro non avevano nessun albero e si fermò.

«Sicurissima!»

«Allora andiamo, muoviti!» 

 

 

Chris era in piedi davanti allo specchio e reggeva nella mano destra una gruccia con appeso un vestito bianco, e nella sinistra uno verde acqua. Se ne appoggiava contro prima uno, poi l’altro, per decidere quale mettersi.

Sbuffò, indispettita, e gettò entrambi gli abiti sul letto sfatto. 

Come al solito regnava una gran confusione nella stanza: le coperte erano un ammasso informe ai piedi del letto; i vestiti che aveva indossato nei giorni precedenti erano stati appoggiati alla rinfusa sulla sedia nell’angolo, sopra la scrivania Chris aveva rovesciato i suoi trucchi e un arricciacapelli, mentre a terra erano sparsi diversi paia di scarpe.

«Oh, fanculo» afferrò il vestito bianco e lo indossò senza perdere ulteriore tempo per capire se le stesse bene. Se l’aveva comprato le era piaciuto, no? Che senso aveva riprovarlo di nuovo? Era già in ritardo.

Cambiò postazione, diretta alla scrivania, e si truccò, con più calma di quanta ne avesse dedicata alla scelta dell’abito, poi si arricciò i capelli rossi e li scosse a testa in giù. Tornò davanti allo specchio e annuì, piuttosto soddisfatta. Rischiò di cadere due volte -imprecando e valutando di scendere in pantofole- mentre si infilava le scarpe con il tacco.

Lasciò tutto in disordine, ma si ricordò di riporre l’altro vestito nell’armadio per non stropicciarlo, e uscì dalla camera. Mentre era a metà scalinata sentì il rumore familiare del campanello.

Chris cercò di convincersi che sarebbe andato tutto bene, sorrise e si affrettò sugli ultimi gradini.

«Papà!» esclamò, non appena ebbe aperto la porta. Suo padre reggeva diversi pacchi colorati e borse della spesa. 

«Ehi Aria, è arrivato l’equilibrista» commentò Chris, lasciandolo entrare.

«Direttamente dal circo» confermò James a fiato corto «Chris, tesoro, ti dispiace darmi una mano?»

Suo padre le passò un paio di scatole e una borsa, appena prima che Aria arrivasse correndo e gli si attaccasse alla schiena, saltandogli sulle spalle.

«Papà!» urlò emozionata. 

«Uh! Meglio che prenda anche qualcos’altro» commentò Chris, afferrando quante più cose poteva.

«Papà, sei tornato!»

«Certo piccola Pulce! Credevi che ti lasciassi sola a Natale?» James, ormai libero dai vari bagagli, fece accomodare meglio Aria sulle spalle e imitò il verso di un cavallo.

«Al trotto!» urlò Aria, che ben conosceva quel gioco. James partì correndo su e giù per il corridoio imitando un trotto.

«Clòpiti, clòpiti!»

Aria e Chris risero di gusto, una lanciando qualche gridolino di quando in quando, l’altra ancora ferma sulla soglia, incantata a guardare la sorella. Forse, pensò la maggiore, quel Natale non sarebbe stato poi così terribile, e qualcosa, per una volta, non sarebbe andato storto. Nonostante fosse consapevole che niente del genere sarebbe mai successo, anche lei nutriva, in fondo al cuore, la piccola speranza che i suoi genitori tornassero insieme. Una speranza che voleva tener nascosta anche a se stessa, perché la faceva sentire infantile, ingenua.

«James!» Claire, la nonna,arrivò di corsa a braccia aperte ad accogliere quello che era ancora il marito della figlia, mentre Louis, suo marito, ed Evelyn, restarono in disparte. Chris non poté fare a meno di notare l’espressione di disagio sul volto della madre e si diede della stupida, per la millesima volta, per quell’inutile sognare a occhi aperti a cui si abbandonava, di tanto in tanto. Era chiaro, che non ci sarebbe stato nessun lieto fine. Pregò perché Aria non se ne rendesse conto proprio quel giorno.

«Buongiorno Claire» James si fermò per il tempo di salutarla, un “salve” anche al padre di Eve, poi riprese a giocare con la figlia.

«Mamma» Chris allungò le borse «tieni, credo vada in cucina» 

Evelyn non le prese e tossicchiò per attirare l’attenzione del marito.

«Non credevo ci facessi la spesa» commentò.

James non fermò il trotto.

«Pensavo... che avrei potuto cucinare io. Insomma, di solito...» cercò di spiegarsi, visibilmente in imbarazzo.

«SI! TI PREGO!» Chris lo interruppe subito per anticipare qualsiasi possibile commento acido della madre. A lei piaceva un sacco come cucinava James, e non aveva intenzione di mangiare cibo riscaldato o di assaggiare i miscugli di ricette dietetiche della madre anche il giorno di Natale.

«Sììì!» Aria si unì al coro entusiasta. Poi sollevò una mano e cercò di toccare il soffitto.

«D’accordo» Evelyn si aggiustò gli occhiali e sparì in cucina con le borse della spesa, mentre James lasciò scendere la figlia dalle proprie spalle.

«Dopo continuiamo, ora vado a cucinare. Non aprite i regali senza di me!» 

«Agli ordini!»

 

 

 

James appoggiò sul tavolo il proprio piatto e si sedette, accolto dai colpi di Aria che picchiettava emozionata il legno battendovi contro le posate strette tra le mani. Nonostante questo caloroso benvenuto, la tensione a tavola si fece subito palpabile. James cercava in tutti i modi di riallacciare in pochi minuti i rapporti con tutti, soprattutto con le figlie, a cui rivolgeva un’infinità di domande. Eve, invece, cercava di ignorarlo in silenzio e con lo sguardo fisso sul piatto giocherellava con la forchetta, spostando il cibo qua e là, a disagio.

Claire collaborava con James, indispettita dall’atteggiamento della figlia che si era chiusa in se stessa, e trascinava nella conversazione anche Louis, che avrebbe preferito starsene più tranquillo e non sapeva bene come rivolgersi a suo genero. 

Nè Louis né Claire erano a conoscenza degli screzi che avevano allontanato James e Eve, ma si erano comunque fatti un’idea, e un’opinione in proposito. Era giusto quello che si stessero separando?

No, pensava Claire, il matrimonio è per sempre. Eve dovrebbe rimettere la testa a posto e riprendere i rapporti con suo marito, dopotutto, che sarà mai? Non si può sempre andare d’accordo e non è il caso di farne una tragedia così grave. 

Louis, invece, era più propenso a biasimare James per aver ferito la sua bambina, ma non era comunque troppo d’accordo con un possibile divorzio e credeva che avrebbero dovuto trovare un modo per rimettere le cose a posto.

Ma, anche in questo caso, le prese di posizione non nascevano da una riflessione sui sentimenti di Chris e Aria. Questa era troppo emozionata per notare l’atmosfera imbarazzante e un po’ forzata, presa a gustare il suo piatto preferito e a chiacchierare con suo padre, tentando di quando in quando di coinvolgere anche Eve nella conversazione. Quando questo avveniva, la madre si sentiva più in dovere di rispondere di quando non fosse interpellata da Claire, sorrideva e buttava là qualche frase per far contenta la bambina.

Chris, inizialmente, era stata presa dall’imbarazzo e masticava in silenzio osservando gli altri, ma dopo la prima portata si lasciò trasportare dall’entusiasmo della sorella e ritrovò un po’ di allegria. 

E poi, tanto valeva prendere parte alla recita. Ma era strano, pensò Chris, che la domanda non fosse ancora arrivata. Sapeva che era lì in agguato, nel cuore di Aria, pronta a saltar fuori. Si chiese se anche sua sorella lo sapesse, o se sarebbe solo sbucata inconsciamente, all’improvviso.

Nonostante il pranzo sembrò procedere in modo piuttosto tranquillo, per quanto possibile, come previsto, la domanda arrivò. Prima del dolce.

«Papà, ma dove sei stato?»

Chris si morse le labbra e si aggrappò disperatamente con lo sguardo a suo padre, in ansia, in attesa della risposta e preoccupata da quello che sarebbe potuto seguire. 

Aria non capì perché James avesse improvvisamente abbassato gli occhi e si fosse rabbuiato.

«Sono stato... impegnato con il lavoro»

«E quando torni a casa?»

Bam. 

Chris sentì un colpo al cuore, che poi prese a battere più veloce. Le sembrava che le avessero strappato via lo stomaco. Sentiva freddo, e vuoto.

Quando torni a casa, papà?

Anche lei avrebbe voluto chiederlo. 

Quando tornerà tutto com’era prima?

Si stropicciò gli occhi nervosamente appena li sentì farsi umidi. Sapeva già la risposta.

«Io... Non lo so, tesoro, ma sono qui, adesso, no?»

«Presto?»

«Io... sì, presto» sussurrò lui.

Aria parve accontentarsi e sorrise, pensando che, se era lì, sarebbe restato. 

«Sentite, perché non tagliamo questo bel dolce, eh?» propose Claire, ansiosa di riempire il breve momento di silenzio. 

«Certo. Vado a prendere un coltello pulito, che ne dici?» il tono di Eve era gelido «James, vieni con me?»

Chris trasalì. Si aspettava che sua madre avrebbe voluto rimproverare James per aver acconsentito a tornare presto, ma non che lo avrebbe trascinato via da tavola così. Le pareti sono sottili, pensò. 

Non di nuovo.

Improvvisamente le sembrò di starsene su una lastra di vetro fatta di crepe, così tante, così fitte, che al minimo movimento sbagliato sarebbe andata in frantumi, lasciando precipitare Chris nel vuoto.

«Tesoro, vado io, tranquilla» 

Chris si riscosse, accorgendosi di aver trattenuto il respiro, e si guardò attorno. Tutti avevano intuito, tranne Aria, e, grazie a dio, sua nonna era intervenuta.

«Figurati, mamma, sei ospite, oggi. Ci pensiamo noi» 

Il sospiro di sollievo che aveva gonfiato il petto di Chris le si soffocò in gola. Guardò implorante la madre, che la ignorò deliberatamente.

«Mamma» ringhiò, sottovoce.

Sentiva già le grida, le parole dure, qualche bicchiere frantumarsi dopo essere stato lanciato a terra. Un pugno tirato contro il muro. 

Non di nuovo. Non oggi.

«Emh, d’accordo, va bene. Ha ragione, siete ospiti» James cercò di sembrare il più naturale possibile e si alzò per seguire Evelyn in cucina, ma in quel momento Chris batté il tovagliolo sul tavolo con un gesto sprezzante e si alzò di scatto. 

Lanciò un’occhiata di rimprovero, rabbia e delusione alla madre, e una poco più leggera al padre, scosse la testa, poi si avviò d’istinto a passo spedito verso l’entrata, e le scale, pronta a prendere il proprio cappotto e quello della sorella ed uscire di lì al più presto. Aveva bisogno d’aria.

Tuttavia, proprio quando stava raggiungendo l’attaccapanni, uno scampanellio ben noto risuonò, due, tre volte. La ragazza si fermò un’istante con le braccia a mezz’aria, ancora protese verso i cappotti, poi si voltò verso la porta, strinse la mano destra attorno alla maniglia fredda e la girò. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amigas (come state?) ormai lo sapete che aggiorno ogni eclissi solare quindi spero non mi odiate (anche se mi odio già da sola per non postare più spesso)

Questo capitolo è stato un PARTO -e vi dirò che non sono particolarmente soddisfatta- perché non sapevo cosa far succedere, o meglio, avevo delle idee. Molte e ben confuse. Volevo far litigare James e Eve di brutto ma poi ho pensato che allora neanche ciò che succederà nel prossimo capitolo avrebbe salvato il natale ad Aria quindi ho evitato 

Ma grazie a dio il prossimo capitolo è già metà scritto quindi non dovreste aspettare fino al 2019 per leggerlo 

Se volete mi trovate sempre su twitter, @ashtonstringimi (il nick dice tutto)

adios as always e riguardatevi ahahah

 

 

ps. VI PREGo se qualcuna di voi ha bisogno di un banner me lo può dire?  ((in realtà sono già molto incasinata in questo periodo, ma così almeno mentre aspetto l’ispirazione per scrivere ho qualcosa da fare ahahaha))

 

 

 

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Capitolo 10
*** Father Chirstmas ***


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(9)

Father Chirstmas

25 dicembre 2015

 

 

When I was small I believed in Santa Claus

Though I knew it was my dad

And I would hang up my stocking at Christmas

Open my presents and I’d be glad
 

Have yourself a merry merry Christmas

Have yourself a good time

But remember the kids who got nothin’

While you’re drinkin’ down your wine



 


Chris era una ragazza impulsiva. Non si era mai soffermata a pensarci, ma era una cosa che le avevano ripetuto parecchie volte, forse in alcuni casi senza un vero motivo.

Era impulsiva, e molto, al momento di reagire. Pronta ad attaccare, senza preoccuparsi delle conseguenze, tranne in quelle notti insonni passate a ragionare su quale fosse la cosa più giusta da fare o a pentirsi della scelta fatta in troppa fretta.

E fu impulsiva, anche in quel momento. Era occupata a pensare a troppe cose per fermarsi un attimo a riflettere e concludere che sarebbe stato meglio guardare prima dallo spioncino, giusto per sicurezza, azione che era abituata fare. Ma in quel frangente il campanello suonò come un richiamo del mondo esterno, che la invitava a scappare via. Così spalancò la porta per il puro desiderio di andarsene, senza nemmeno pensare che ci fosse qualcuno, dall’altra parte, che aveva suonato il campanello. Stava già per slanciarsi fuori e sbattersi la porta alle spalle quando si rese conto di avere qualcuno davanti a bloccarle il passaggio e tornò alla realtà. 

L’istante dopo si copriva con la mano le labbra schiuse dalla sorpresa, e la delusione e il disprezzo che poco prima le avevano increspato il viso in una smorfia si dissolsero. 

«Non ci credo» sussurrò, prima di scoppiare a ridere.

«Ho, ho, ho!»

Chris continuò a ridere, scuotendo la testa sorpresa. Davanti a lei da un costume di Babbo Natale, compreso di imbottitura per la pancia, barba e folte sopracciglia bianche finte, sbucavano gli occhi verdi di Ashton, brillanti di sfumature d’oro.

Lui le fece l’occhiolino e sorrise.

«Ehi Aria!» gridò Chris «credo che sia per te!»

Sentì il rumore della sedia strisciare sul pavimento con il solito cigolio fastidioso e i passi della bambina che arrivava di corsa, ma non si voltò, non distolse lo sguardo da quello di Ashton.

Era meravigliata, senza parole. Non riusciva a credere a quello che stava succedendo, e la sgradevole situazione di poco prima era completamente dimenticata, così come il desiderio di correre via.

Aria imitò l’espressione di stupore di Chris, ma non riconobbe il ragazzo. Se ne stava lì, incantata, la bocca aperta e gli occhi brillanti, quasi lucidi. Per un attimo, Chris pensò che si sarebbe messa a piangere dalla felicità, ma non lo fece. Invece, la piccola corse in contro a Babbo Natale, che la sollevò tenendola stretta tra le braccia.

Era troppo agitata in quel momento per dare ascolto alle parole di Ashton, che si sforzava di modulare una voce più profonda e roca di quanto la sua non fosse, e lui dovette ripetere tre volte la stessa cosa prima che Aria iniziasse a seguirlo.

«Allora hai ricevuto la mia lettera!» esclamò la bambina, felice.

Nel frattempo, il resto della famiglia si era radunato nell’atrio per assistere incuriositi a ciò che stava accadendo. Al suono del campanello tutti gli adulti si erano chiesti chi mai potesse andare in giro per le case proprio il giorno di Natale, e sapere che questa persona era venuta per vedere Aria aveva destato ancora più stupore e un po’ di preoccupazione -soprattutto in Evelyn, che se ne stava alle spalle della figlia maggiore ed era trattenuta solo da James dallo strappare la sua bambina dalle braccia di quello sconosciuto.

Il padre di Chris aveva notato lo sguardo di ammirazione, orgoglio e gioia con cui la figlia osservava l’uomo addobbato nel costume, troppo largo qua e là nonostante l’abbondante imbottitura, così le strattonò leggermente la manica del vestito per ottenere la sua attenzione.

«Lo conosci?» sussurrò, per non farsi sentire da Aria.

Chris annuì vigorosamente, sorridendo, il che bastò a tranquillizzare un minimo Evelyn. 

«Dopo ti spiego» mimò poi con le labbra. A Eve bruciò che il commento fosse riservato solo al marito, ma non disse nulla.

Ashton si schiarì la gola e tutti lo guardarono in attesa di spiegazioni, compresa Aria, che gli stava ancora in braccio e aveva una visuale piuttosto ravvicinata tanto che avrebbe potuto accorgersi che almeno la barba era finta, ma con gli occhi della fantasia le apparve la più candida, soffice e folta che avesse mai visto.

«Mi scuso davvero se ho disturbato il vostro pranzo di Natale, certamente non era mia intenzione. Ma, vedete, avevo un conto in sospeso con la piccola Aria, un desiderio non proprio facile da realizzare. Sarei arrivato prima ma, purtroppo, ma mia slitta ha avuto un piccolo guasto...»

«Oh no!» esclamò Aria, preoccupata.

«Ah, tranquilla, l’ho lasciata ad uno dei miei elfi e sono sicuro che per questa sera sarà come nuova! Credo proprio che tu lo conosca, in fondo è stato lui a darmi la tua lettera»

Il viso di Aria si illuminò ancora di più, per quanto possibile.

«Ashton! È di lui che parli!»

Babbo Natale annuì, sorridendo, e lanciò un’occhiata d’intesa a Chris.

Gli “adulti” restarono ancora interdetti per un attimo, indecisi sul da farsi, quando Claire prese la parola e invitò, da buona padrona di casa -anche se, tecnicamente, non lo era- l’ospite a entrare, a nome di tutti.

«Be’, signor Babbo Natale... Si accomodi. Stavamo per tagliare il dolce» 

«Ho scelto il momento perfetto, allora» 

«Non immagini quanto» gli sussurrò Chris, mentre Ashton le passava accanto seguendo Claire e gli altri in sala da pranzo, trascinato per la manica del giaccone da Aria. Lui le sorrise, ammiccò in modo buffo e subito dovette aggiustarsi la barba che si era spostata leggermente, fingendo di accarezzarla, sovrappensiero.

«Allora, ti... si trova bene qui? Fa freddo come al nord?» 

Il tentativo di rompere il ghiaccio fu piuttosto imbarazzante, ma Ashton fece del suo meglio per mettere tutti a proprio agio.

«No, signora, fa molto più freddo al nord» rise «le mie renne si staranno spalmando la crema solare»

«Siediti qui!» esclamò Aria, trascinandolo verso una sedia libera. Ashton faticò a sedersi senza spostare l’imbottitura che gli gonfiava il vestito, ma con un po’ di aggiustamenti, ci riuscì.

«Una fetta?» 

Il ragazzo smise per un secondo di rivolgere la sua attenzione ad Aria, che aveva cominciato a raccontargli del più e del meno, per voltarsi verso quella che gli sembrava potesse essere la madre di Chris. La signora reggeva in una mano un piatto con una grossa fetta di torta, mentre nell’altra stringeva una spatola da dolce, con cui indicava dritto verso di lui.

Papà Natale rise, si battè la pancia finta e «una?» chiese, strappando un sorriso anche ad Evelyn. Aria, invece, che stravedeva per il suo eroe, scoppiò a ridere di gusto, trovandolo la persona più divertente sulla faccia della terra.

 

Mezz’ora e una torta dopo, Aria saltellava, in piedi accanto al tavolo a cui tutti erano ancora seduti, impaziente e smaniosa di andare a divertirsi con il suo nuovo compagno di giochi.

«Tesoro, santo cielo, stai ferma un secondo. Mi fai ballare tutto» commentò Claire, massaggiandosi le tempie.

«Ma nonna, io voglio andare a giocare!» 

«E dei regali, che ne dici?» le fece notare suo padre, indicandole i pacchetti ammassati vicino al caminetto.

«I regali!» Aria sembrava essersene completamente dimenticata «andiamo!»

Questa volta, non trascinò solo il Babbo Natale, ma anche la sorella, verso i regali, anche se ormai si era quasi convinta di avere già tutto quello che aveva desiderato. Erano tutti lì, insieme, ed era arrivato perfino Babbo Natale per assicurarsi che le cose andassero al meglio.

Frugò tra i pacchetti, leggendo le etichette e distribuendoli ai legittimi proprietari, lasciando i suoi sopra il divano. Quando ebbe finito si sedette, soddisfatta, ma appena iniziò a scartare fu interrotta da Babbo Natale.

«Ehi, consegni i regali così bene che potrei pensare di prenderti come apprendista!»

Aria rise e, tra un pacchetto e l’altro, riprese a parlare allegramente con lui. Era così impegnata da non accorgersi che Chris e la madre erano sparite in cucina e poco dopo anche James le aveva raggiunte.

«Mi spieghi chi è quello seduto sul nostro divano, e perché lo conosci? Ma soprattutto, perché conosce Aria?»

Eve era piuttosto preoccupata, e non era stata felice di aver lasciato entrare in casa uno sconosciuto, anche se vestito da Babbo Natale.

«Evelyn, calmati, è chiaro che Chris si fida di lui e dubito che nostra figlia avrebbe lasciato entrare un barbone qualunque» 

«Confermo» intervenne Chris, che, nonostante approvasse il ragionamento del padre, era infastidita dalla necessità di James di rispondere al posto suo. 

Tuttavia, Chris sapeva che questo non sarebbe bastato a rassicurare la madre.

«Si chiama Ashton» spiegò, a bassa voce «io e Aria l’abbiamo incontrato al centro commerciale tempo fa, era uno degli elfi di Babbo Natale. Siamo diventati amici... È una brava persona, mamma, non preoccuparti»

«D’accordo. Ma cosa ci fa qui, in casa mia?»

Chris scrollò le spalle. Non voleva certo dirle la verità.

«Voleva farci gli auguri, immagino. E poi Aria non è mai riuscita a vedere il vero Babbo, purtroppo. Ashton voleva solo essere gentile»

Evelyn era interdetta e non molto soddisfatta dalle spiegazioni della figlia, ma James non le diede il tempo di ribattere. 

«Visto? Aria si sta divertendo, non farne un dramma»

«Farne un dramma? Non è questione di farne un dramma, James! Mi preoccupo per mia figlia e mi chiedo perché sia in così tanta confidenza con un uomo che io non ho mai visto!» 

«È anche mia figlia!» 

«Shh! Ma la volete piantare?» sbottò Chris «vi dico che è una brava persona, smettetela»

Detto questo, li lasciò soli, tornando in salotto.

«Chris!» la chiamò Aria, sventolando un nuovo peluche a forma di renna -probabilmente portatogli da Ashton- «guarda!»

«Oh, è davvero bello!» 

«Vero? Chris, andiamo a giocare sulla neve?» 

«Ma certo» la sorella accettò ben volentieri al pensiero della lite che sarebbe potuta infuriare a momenti nella cucina «dai, andiamo» 

«Che bello! Ehi, vieni anche tu!» per la millesima volta, Aria strattonò per la giacca Ashton per costringerlo ad alzarsi, e lo condusse verso la porta d’entrata. Afferrò il suo giubbotto e, renna in una mano, e manica di Babbo Natale nell’altra, schizzò fuori. Chris ridacchiò, sulla soglia, imitò la sorella e prese una giaccone, abbandonò le scarpe col tacco e infilò i suoi anfibi. Un attimo dopo seguiva le orme fresche degli altri due, affondando nella neve.

«Ma che renna è?» 

«Schiacciale la zampa»

Aria obbedì, e premette sulla zampa che Ashton le stava indicando. Il naso della renna si illuminò di rosso.

«Rudolph!» gioì, prendendo a correre qua e là.

Chris approfittò di questo momento di distrazione di Aria per avvicinarsi ad Ashton. Gli picchiettò sullo stomaco.

«Ehi, pancetta da birra»

Lui rise, e si voltò verso la rossa.

«Te l’avevo detto» sussurrò, cingendole le spalle e avvicinandola a sé.

«Cosa?»

«Che avrei trovato un modo»

Chris gli sistemò il berretto, che si era spostato lasciando intravedere dei riccioli castani.

«Grazie, Gandalf»

«Weasly»

«Albus»

«Credo che vincerai sempre tu perché non mi viene in mente nessun altro con i capelli rossi» ammise Ashton, appena prima che Aria corresse nella loro direzione sventolando Rudolph. Si lanciò contro Babbo Natale e lo abbracciò.

«Grazie!»

«È il momento dei ringraziamenti» commentò Chris «aspetta aspetta aspetta! Obi-Wan»

Ashton rise.

«Chi è Obi?» si intromise Aria.

«Uno con la barba bianca come lui» la sorella indicò Babbo Natale «però non così lunga, in effetti...»

«Anche lo zio Jeremy ce l’aveva» 

«Hai ragione, Aria»

Ashton tossicchiò «comunque, ho una cosa importante da dirti, piccola futura apprendista elfo»

A sentirsi chiamare così, Aria si emozionò e strinse forte la sua renna. Pendeva dalle labbra di Ashton.

«Dimmi, dimmi, dimmi!»

«È una cosa un po’ complicata, ma sono sicuro che la capirai, sei grande abbastanza» Chris aveva già intuito dove Ashton volesse andare a parare e pensò che mentisse, che in realtà Aria non avrebbe capito. In fondo, nemmeno lei ci riusciva. Ma forse, forse era quello che la bambina aveva bisogno di sentirsi dire.

Babbo Natale si inginocchiò sulla neve per poter guardare Aria negli occhi.

«L’amore dovrebbe essere una cosa semplice. Tu vuoi bene a una persona, e spesso non puoi davvero spiegarne il motivo. Le vuoi bene e basta, ti fa sentire felice. Io non voglio che tu, un giorno, smetta di credere che l’amore esista, o che le persone non riescono a volersi bene per sempre. Non è così»

Chris, di nuovo, pensò che mentisse. Non era d’accordo. Non credeva che il vero amore esistesse, che fosse semplice, nemmeno che le persone potessero amarsi per sempre e ci vedeva una bella differenza tra “amare” e “voler bene”: che Eve non avrebbe mai smesso di voler bene ad Aria avrebbe potuto anche starci, ma che non avrebbe mai smesso di amare James... Pensarlo sarebbe stato un insulto all’intelligenza.

Ma, di nuovo, pensò che Aria avrebbe avuto bisogno di crederci con tutta se stessa e un giorno, forse, avrebbe potuto cambiare idea, ma ora era giusto che potesse ancora sperare nel lieto fine.

«È solo che... Non lo so nemmeno io, piccola. A volte commettiamo degli sbagli. Magari diciamo una bugia. Non chiediamo scusa. Teniamo nascosto qualcosa, forse pensando di fare la scelta giusta. Non pensiamo più se quello che facciamo va bene per “me e te”, ma solo per “me”, o magari scegliamo noi al posto dell’altra persona. Cominciamo ad inciampare ad ogni passo. Ed è una cosa molto brutta, lo so. E so che pensi di essere grande abbastanza per sapere la verità, so che fa male che nessuno te lo dica»

...o, forse, capita che due persone si accorgano di non essere felici insieme, completò Chris mentalmente.

«Io vorrei dirtela, vorrei spiegarti che cos’è successo tra i tuoi genitori, ma nemmeno io lo so, e, se lo sapessi, non sarebbe giusto che fossi io a parlartene. Ma sono sicuro di poterti dire una cosa: non può essere colpa tua, se litigano.»

Chris avrebbe avuto da ridire anche su quello, insomma, nessuna delle due figlie era stata davvero voluta.

«A volte...» Ashton sorrise mestamente e soffocò una risata amara. Quel cedimento nel suo ottimismo preoccupò Chris, che lo osservò di sottecchi senza riuscire ad incontrare il suo sguardo «a volte le cose succedono e basta. E vogliamo sapere il perché. Non capiamo. E pensiamo che, scoprendolo, potremmo stare meglio. Ma non è così. Cercare una motivazione può sembrare una buona idea, finché non riesci a trovarla.»

Aria manteneva lo sguardo fisso negli occhi di Babbo Natale, concentratissima. Ashton sospirò.

«Non so quanto questo possa aiutarti, Aria. Non sono delle vere risposte. L’amore è un mistero ancora irrisolto. E vorrei fare una magia ed esaudire tutti i tuoi desideri, ma le questioni di cuore... sono al di fuori della mia portata. Possono essere risolte solo dai diretti interessati. Per questo è fondamentale che ricordi sempre che, in ogni legame che stringi, sta a te e all’altra persona costruirlo, insieme, renderlo forte, così forte da sopravvivere a tutto.»

Aria restò in silenzio, ripensando alle cose che Babbo Natale le aveva detto.

«Come... la casetta di mattoni...»

«La casetta di mattoni dei tre porcellini» sussurrò Chris.

«Esatto!» esclamò Ashton «ricordalo sempre. Solo case di mattoni. E non puoi buttare insieme mattoni e paglia, o crollerà tutto al primo sbuffo di vento. È importante che insieme costruiate qualcosa di forte»

«Mamma e papà... non credo abbiano una casa di mattoni» concluse Chris «ma io e te, sorellina, eccome se ne abbiamo una. Con tanto di mura e fossato attorno» scherzò, per sdrammatizzare.

Aria sorrise a Chris, nascondendo un velo di tristezza.

«Quindi, mamma è papà potrebbero... lasciarsi?» sussurrò l’ultima parola, come se fosse una parolaccia.

«Potrebbero» rispose Chris, «o potrebbero ristrutturare. Ma sceglieranno loro. Alcune cose... non si possono riparare»

«Ma non tutte. A volte sei ancora in tempo per mettere un bel mattone al posto di un mucchio di paglia»

Chris era divertita da quella metafora, e pensò che rendeva abbastanza l’idea, e, questa volta, era d’accordo con quello che Ashton stava dicendo.  

Gliene era grata. Forse c’era riuscito. Forse era davvero riuscito a convincere Aria, non tanto che il lieto fine arrivasse sempre ma che si potesse ottenerlo combattendo. Forse era quella la cosa più importante. Sarebbe stato inutile farle credere che, nella vita, questo tanto agognato lieto fine ci fosse sempre: alla prima occasione la realtà le avrebbe sputato in faccia e Aria si sarebbe sentita ferita, tradita, e allora sì, non avrebbe più sperato. Ma farle capire che l’amore, la felicità, erano qualcosa per cui valeva la pena lottare, insieme, questo era l’unico messaggio vero che avrebbero potuto trasmetterle.

Chris non riusciva comunque ancora a vedere la vita con le stesse lenti rosa che sembravano improvvisamente calate davanti agli occhi di Ashton, ma si sentiva soddisfatta. E gliene era grata.

 

 

«Bene, credo sia ora che io vada» Ashton non controllò nemmeno l’orologio che aveva al polso. Quando lo disse, nessuno lo fece, nemmeno Chris, convinta che fosse rimasto anche più di quanto avrebbe dovuto. Forse aveva sprecato la giornata con loro, senza dedicare abbastanza tempo alla sua stessa famiglia. 

Questo pensiero tormentava Chris, la faceva sentire terribilmente in colpa e lei avrebbe voluto ringraziarlo davvero, ma sapeva che quello non era il momento adatto per dire più di un semplice “grazie”, o Aria avrebbe potuto sospettare.

La bimba corse ad abbracciarlo forte e il ragazzone ricambiò la stretta, raggiante. Lanciò un’occhiata alla sorella maggiore, che lo guardava commossa. Mimò un “ti ringrazio” con le labbra e distolse lo sguardo troppo in fretta per vedere Ashton sorriderle, abbassò il capo e si morse le labbra, strinse gli occhi per non piangere. 

Piangere di gioia?

Non ne era certa. Avrebbe solo voluto poter liberare le sue lacrime, ma non era quello il momento adatto. Forse più tardi, in camera, mentre gli altri sarebbero stati a dormire. 

Ora che Ashton se ne stava per andare, Chris sentiva già gli effetti benefici della sua presenza svanire e dissolversi man mano che lui si allontanava nella neve. Sentiva quel calore familiare abbandonarla piano piano, il cuore stringersi e le guance lasciar scivolare via il sorriso, come se fosse troppo pesante da sorreggere, e non vedeva l’ora che arrivasse sera per poter restare sola. 

 

 

 

 

L’orologio segnava quasi mezzanotte.

Troppo tardi, pensò Chris, troppo tardi.

Si rigirò nel letto, turbata, cercando di mettere ordine tra i suoi sentimenti, di ragionarci, darci una spiegazione logica. Distinguere quelli giusti da quelli sbagliati, quelli che voleva provare e quelli che voleva dimenticare, sforzandosi di districare il groviglio di emozioni che le tormentava il petto.

Osservò il soffitto, pensierosa, e si tirò su a sedere, incapace di dormire. 

Lo odiava. Odiava Ashton, per averle tolto tutte le sue certezze. Quando se n’era andato, qualche ora prima, il vuoto che lei aveva sentito non le era affatto piaciuto. E nemmeno le piaceva quello che stava provando ora. Aveva il terrore che stesse succedendo, che pian piano finisse ad essere così legata a lui da diventarne dipendente. 

Da un lato, lo odiava.

Aveva deciso anni prima. Aveva scelto di restare indipendente, si era convinta di non aver bisogno di nessuno, e se ne era data la prova allontanandosi da tutti e imparando ad amare la solitudine. Non voleva rischiare di finire come i suoi genitori. Non voleva che la sua felicità dipendesse da nessuno. Ma era davvero riuscita a trovarla, la felicità, da sola? No, certo che no. Forse ce l’avrebbe fatta, in un altro posto, in un altro momento, lontana da quella casa gelida.

Dall’altro lato, ne era terrorizzata. Ovvero, se ne stava innamorando.

Non voleva ammetterlo. Aveva bisogno di negarlo, di negare che lui fosse capace di renderla felice, per se stessa.

Ma aveva anche terribilmente bisogno di lui. In quel momento, e in quello dopo, e in quello dopo ancora.

Non ce la faceva più, non riusciva ad aspettare. Doveva farlo, subito.

Colta da una spinta di determinazione, ignorò la voce che le diceva di prendere le distanze da lui prima che fosse troppo tardi, si alzò e cercò nel buio un paio di scarpe, le infilò in fretta rischiando di inciampare e prese un vecchio giaccone. Lo indossò mentre apriva la porta della camera, scese le scale in punta di piedi, evitando le travi di legno che avrebbero cigolato, uscì di casa portandosi dietro le chiavi.

La sua meta non era lontana, avrebbe potuto arrivarci camminando... ma non abbastanza in fretta. E lei aveva bisogno di essere veloce. Prese le chiavi dell’auto che aveva in tasca e salì in macchina, anche se il rumore del motore avrebbe potuto svegliare qualcuno.

Guidò nella solitudine della notte, immersa nell’oscurità densa, fesa a fatica dai lampioni troppo distanti tra loro per illuminare tutta la strada. Non incontrò nessuno. Accelerò. Non accese la radio.

Arrivata, rischiò di dimenticare a bordo le chiavi. Corse fuori, nella neve, si lanciò disperata contro la porta e suonò tutti i campanelli, sperando che qualcuno avrebbe aperto.

Più si avvicinava e più cresceva in lei quella necessità, quel bisogno di lui.

«Andiamo!» ringhiò, colpendo la porta d’entrata, e finalmente qualcuno esaudì la sua richiesta. Chris spalancò la porta e alla luce sfarfallante del neon si gettò sulle scale, quasi arrampicandovisi, abbastanza veloce da rischiare di inciampare e scivolare ad ogni passo, che rimbombava cupo. Al pianerottolo giusto si avventò sulla porta che ben conosceva e prese a picchiarla come aveva fatto con quella d’entrata. Quando si aprì Chris quasi cadde all’interno dell’appartamento, buttata di peso com’era. Anzi, nessun “quasi”. Stava per cadere, riuscì a restare in equilibrio per una frazione di secondo, ma, non appena lo vide, si gettò tra le sue braccia, stringendolo forte fino a restare senza fiato, aggrappandosi alle sue spalle. Un Ashton sorpreso, un po’ assonnato, con i capelli ancora umidi di una doccia fatta da poco, un paio di pantaloni a scacchi del pigiama e una maglietta logora nera ricambiava l’abbraccio senza dire nulla.

E Chris non pensava più, non aveva paura di sembrare ridicola, non si curava delle lacrime che finalmente le rigavano le guance.

 

 

 

 

 

SBAABAM IL MIO PROGRAMMA DICE CHE SONO QUINDICI PAGINE 

amo amo amo ashton perché non ne ho uno a casa?

Comunque, qualcuna di voi è andata al slfl? Io a verona, a momenti non mi soffocavano nella calca e ho fatto dieci ore di fila e mi sono beccata comunque dei posti sfigati ma EHI ne è valsa la pena perchè i 5sos sono sempre e comunque i 5sos

(che poi rido tantissimo perché arrivo a scrivere la fine del capitolo e poi perdo quasi tutte le mie grammar skills e la punteggiatura e le maiuscole ma WHO CARES, right?)

vi saluto, adios!

 

ps. la storia non è finita e si protrarrà penso fino al 31 dicembre? ma non ne sono certa

pps. ammazzo qualcuno nella storia? ieri mi è venuto questo flash AHAHA di solito sono contraria ma boh, mi è venuto in mente che potrei anche farlo, per una volta. non so

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Capitolo 11
*** Family portrait ***


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(10)

Family Portait

26 dicembre 2015

 

 

 

Momma please stop cryin’, I can’t stand the sound 

Your pain is painful and its tearin’ me down 

I hear glasses breakin’ as I sit up in my bed 

I told dad you didn’t mean those nasty things you said 

 

You fight about money, ‘bout me and my brother 

And this I come home to, this is my shelter 

It ain’t easy growin’ up in World War III 

Never knowin’ what love could be, you’ll see 

I don’t want love to destroy me like it has done my family 

 

Can we work it out? Can we be a family? 

I promise I’ll be better, Mommy I’ll do anything 

Can we work it out? Can we be a family? 

I promise I’ll be better, Daddy please don’t leave 

 

Daddy please stop yellin’, I can’t stand the sound

Make mama stop cryin’, ‘cause I need you around 

My mama she loves you, no matter what she says its true 

I know that she hurts you, but remember I love you, too 

 

I ran away today, ran from the noise, ran away 

Don’t wanna go back to that place, but don’t have no choice, no way 

It ain’t easy growin up in World War III 

Never knowin what love could be, well I’ve seen 

I don’t want love to destroy me like it did my family 

 

In our family portrait, we look pretty happy 

Let’s play pretend, let’s act like it comes naturally 

I don’t wanna have to split the holidays 

I don’t want two addresses 

I don’t want a step-brother anyways 

And I don’t want my mom to have to change her last name 

 

Daddy don’t leave 

Turn around please 

Remember that the night you left you took my shining star? 

 

 

 

Ashton aveva chiuso la porta. Chris se n’era accorta, perché, per farlo, lui aveva dovuto lasciare per un attimo la presa attorno alla sua vita, ma non aveva accennato a spostarsi per aiutarlo nell’impresa.

Non voleva affatto lasciarlo andare. Lo stringeva più forte, come se annullare completamente le distanze tra loro l’avrebbe fatta sentire davvero meglio, ma più si avvicinava e meno le bastava. 

Nonostante piangesse, perché ne aveva bisogno, si sentiva felice, a casa. Una sensazione di torpore che le invadeva il petto e l’avvolgeva.

Ashton, invece, era preoccupato e non capiva il motivo di quella visita ma si guardava bene dall’allontanare Chris e aspettava che lei si calmasse, ricambiando l’abbraccio.

«È successo qualcosa?» sussurrò poi, quando ormai qualche minuto era passato e la ragazza ancora non aveva parlato.

Chris tentò di scuotere la testa ma, per non sollevare il capo e farsi vedere con gli occhi ancora umidi di lacrime, finì per strofinare il viso contro il collo di Ashton.

«No. Io... Scusa se ti ho disturbato» si strofinò la manica del maglione sugli occhi, asciugandoli. 

«Non scusarti»

Chris si schiarì la voce.

«Non è che avresti un fazzoletto?» si scostò leggermente per poter guardare il ragazzo di sottecchi.

Ashton le indicò la scatola appoggiata sul piccolo mobiletto di legno alle spalle di Chris, e lei ne sfilò uno soffiandoci poi il naso. 

«Nei film quando lei piange non ha mai bisogno di soffiarsi il naso» cercò di rompere l’imbarazzo, facendo ridacchiare il biondo.

«Ti va una tazza di tè?»

«No» sussurrò Chris dondolandosi un po’, spostando il peso da un piede all’altro «okay, sì»

Ashton le sorrise e sciolse dolcemente l’abbraccio; tuttavia, non voleva separarsi da Chris, quindi mentre lasciava scivolare un braccio lungo il corpo cercò la mano di lei, intrecciandola con la sua.

Chris si irrigidì e cercò di sfilare le dita dalla stretta di Ashton, imbarazzata. Quando ormai lui l’aveva trascinata di un paio di passi verso la cucina lei riuscì, tirando leggermente, a liberarsi e a nascondere entrambe le mani nelle tasche della giacca. Ashton strinse l’aria tra le dita, chiudendole a pugno con delicatezza, e si voltò verso Chris, confuso. Un attimo prima lo stava abbracciando, e ora non voleva che la tenesse per mano? Non capiva, come testimoniavano le sopracciglia aggrottate, cosa avesse fatto di sbagliato. 

«...Scusa» 

«Emh» Chris si schiarì la voce e abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. Erano sporche, avrebbe dovuto lasciarle all’entrata. Se le sfilò con un calcio, restando scalza.

«Scusa tu» farfugliò poi «è che... odio essere presa per mano. Lo so, è strano. Ma non ce l’ho con te, davvero, io... è solo che mi dà fastidio» cercò di spiegarsi, ma credette di star soltanto peggiorando la situazione, così sbirciò l’espressione sul viso di Ashton per controllare l’effetto delle sue parole. Con grande sorpresa ci trovò un sorrisetto appena accennato, ma che bastava a tranquillizzarla. 

Chris sorrise di rimando e lo seguì in cucina. Si sfilò la giacca e la appoggiò su uno degli sgabelli per poi sedersi sul tavolo e osservare Ashton intento a prepararle il tè. Per la prima volta da quando era uscita di casa, le venne in mente che indossava ancora i pantaloni a righe bianche e blu del pigiama, che le ricordavano quello di Mr Bean, e un leggero maglioncino celeste un po’ troppo corto, con disegnato un orso polare sovrappeso (da lontano poteva sembrare un semplice pois bianco dai contorni bitorzoluti) che dormiva beato. In altre parole, un’accoppiata vincente il titolo di outfit più imbarazzante da indossare durante una visita a sorpresa a casa di un bel ragazzo. Tirò verso il basso la maglia per allungarla sulla parte di schiena che era rimasta scoperta, ma il tessuto si ribellò e tornò al suo posto. Chris sbuffò leggermente e incrociò le braccia al petto, giocò dondolando i piedi sospesi nel vuoto finché Ashton non le porse una tazza.

Lui rimase in piedi, di fronte a lei, appoggiato contro il mobile della cucina e, dopo essersi scompigliato i capelli che avevano già iniziato a sembrare più asciutti, nascose le mani in tasca.

La luce fredda di un neon che scorreva sotto la base della credenza illuminava pigramente la stanza, lamentandosi di tanto in tanto con un ronzio leggero. Dalla finestra non si riusciva ad intravedere il bagliore delle stelle, coperte da una coltre di nuvole che rendevano il cielo di un blu denso. Chris soffiò sulla bevanda calda e apprezzò il silenzio e la tranquillità che regnavano nell’appartamento.

Alzò gli occhi verso Ashton, che la guardava ancora con un’ombra di preoccupazione. Gli doveva delle spiegazioni, spiegazioni che non sapeva neanche se fosse stata in grado di dare. Maledisse mentalmente il suo carattere che l’aveva trascinata fuori dal letto a mezzanotte per correre lì, senza nemmeno essersi preparata qualcosa da dire.

Che cos’era che voleva dirgli, cos’era che l’aveva spinta fin lì?

Molte cose. Alcune ancora non le capiva, altre avrebbe voluto ignorarle, altre ancora non avrebbe saputo raccontarle.

«Ashton, io... mi dispiace di essere piombata qui nel mezzo della notte, non riuscivo a dormire e non sono rimasta troppo a rifletterci, in effetti» iniziò, mentre già formulava mentalmente le prossime frasi.

«Ero sveglio» tagliò corto lui «non scusarti»

Chris annuì e rigirò il cucchiaino nel tè.

«Era solo un’introduzione» ammise, e si lasciò sfuggire una risata nervosa. Strinse la tazza tra le mani fredde e tornò a guardare Ashton. Sembrava stanco -e come poteva biasimarlo? Chris si sentì terribilmente in colpa- ma un sorriso leggero sulle sue labbra la incoraggiava a continuare, così la ragazza si fece coraggio.

«Volevo ringraziarti, davvero. Sai quando ti ho detto che avevi avuto un tempismo perfetto per arrivare in quel preciso momento? Non esageravo, hai davvero salvato la situazione. Ero davanti alla porta d’entrata perché stavo per andarmene e portare via Aria, per evitare che assistesse all’ennesimo litigio tra i nostri genitori. Ci hai portato un po’ di pace»

Chris si fermò e si dedicò ad osservare la reazione di Ashton, che sorrise radioso e soddisfatto ma poi abbassò gli occhi un po’ imbarazzato. La rossa decise quindi di rincarare la dose, perché era convinta che lui meritasse di sentire quanto ciò che aveva fatto era stato apprezzato. Inoltre, voleva vederlo sorridere di nuovo in quel modo carino, un po’ impacciato e modesto.

«Io non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto. Non avrei mai potuto sperare in niente di simile, ci hai davvero lasciate senza parole e... voglio dire, non eri nemmeno tenuto a farlo, ma l’hai fatto. Non so se ti rendi conto di che persona meravigliosa sei! Hai sprecato il tuo Natale per noi, infagottato in quel costume! Hai dovuto perfino sopportare la mia famiglia» Chris ridacchiò, seguita da Ashton.

«La torta è valsa tutta la fatica» scherzò lui.

Lei gli diede corda, annuendo alla battuta a cui era impossibile credere.

«Sul serio, Ashton, non finirò mai di dirti grazie. Hai reso questa giornata stupenda... Aria era al settimo cielo per merito tuo! E quel discorso, tu... Le hai davvero salvato il Natale» questa frase le ricordava un film visto da piccola, e le venne da ridere, ma si fece di nuovo seria e continuò «Il fatto che tu le abbia insegnato che è importante lottare per costruirsi il proprio lieto fine, e che ci si può riuscire insieme a chi si ama...»

«Già, be’, ho passato un po’ di tempo per prepararmi un discorso che fosse adatto» Chris approfittò dell’intervento di Ashton per bere in fretta dei grossi sorsi di tè, poi si allungò a posare la tazza sul ripiano accanto a lui «mi sono sentito un po’ come Obama quando l’ho ripetuto davanti allo specchio, prima di uscire, oggi»

Chris rise, ma si chiese se quel ragazzo ci avesse davvero perso così tanto tempo.

«Sai, in realtà all’inizio non ero d’accordo con quello che le stavi dicendo, anche se Aria aveva di certo bisogno di sentirlo. Ma io, sinceramente, non credevo a una parola. Non credo che l’amore sia così semplice e, da quello che ho visto finora, non me la sento di dire che possa durare per sempre. Le persone smettono di amarsi. Tutti i giorni. Sembra che tutte le relazioni siano destinate a cadere a pezzi»

«Davvero credi che non ci sia speranza?»

Lo sguardo di Ashton si era fatto serio, quasi triste. Chris sospirò. Non era venuta per ringraziarlo? Cosa le era venuto in mente di fare, adesso? Perché si era inoltrata in discorsi simili?

«Credevo di no, ma forse mi sbagliavo. Forse hai ragione, servono solo due persone disposte ad costruire un rapporto solido» ammise. Le sembrava di deluderlo a vedere il mondo con così tanto pessimismo.

«Qualche volta bisogna anche essere disposti ad abbattere dei muri»

Il commento di Ashton sembrò quasi una battuta, tanto che Chris sorrise, ribattendo un po’ più allegra «già, le mura di cinta, eh?»

«Mi sembra che in cima, le tue abbiano anche il filo spinato»

Questa volta, il tono brusco non lasciava dubbi d’interpretazione. E nemmeno le sopracciglia aggrottate potevano lasciar pensare che Ashton stesse facendo dell’umorismo. Chris lo osservò, confusa, e inclinò la testa.

«Questo non è giusto. Non è vero. Sei tu quello che alleva coccodrilli con cui popolare il fossato, Ashton»

«Che vuoi dire?»

Non le piaceva la piega che la discussione aveva preso. Non piaceva nemmeno a lui, e nessuno dei due capiva davvero come fossero arrivati quasi a litigare.

Chris tacque, ma avrebbe avuto tante cose da dire. E da chiedere. 

Lei si stava arrabbiando come riflesso dell’irritazione di lui, e non riusciva a capire cosa fosse andato storto. Perché ora ce l’aveva con lei? Chris sospirò e fece del suo meglio per addolcire la sua espressione. Ashton lo notò e si rilassò lentamente, sfilò le mani dalle tasche e le appoggiò sul mobile, accanto alla propria vita.

«Scusa»

Lei scrollò le spalle.

«Non capivo come fossimo arrivati a questo punto»

«Scusa, davvero. Non so cosa... sono solo stanco, credo. L’ultima cosa che volevo era attaccarti in questo modo» si passò una mano sul viso e poi tra i capelli, sospirando.

«Dove sei stato, oggi?» Chris era sollevata che ogni traccia di ostilità fosse svanita, ma non voleva abbandonare del tutto la conversazione. 

«Da te» 

«Appunto» Chris si fermò prima di chiedere “e perché non eri con la tua famiglia? Cosa mi nascondi?” e cercò di formulare le sue domande in modo meno intrusivo, concludendo con un «qualsiasi cosa sia, non me la vuoi dire» 

«Cosa sia, cosa

Chris scrollò le spalle. Non aveva nessuno con cui addobbare l’albero, parole sue. Non le aveva mai parlato della sua famiglia e non poteva aver partecipato a nessun pranzo di Natale, visto che aveva passato la giornata da Chris. Certo, a casa Irwin ci sarebbe potuta essere la tradizione di festeggiare con un appetitoso cenone la sera della Vigilia, ma ciò non significava passare il venticinque da soli.

«Non ne ho idea! Ma è evidente che c’è qualcosa che non mi dici. Mi piacerebbe che lo facessi, vorrei sapere qualcosa di più su di te, ma rispetto che tu non ne voglia parlare. Solo non lanciare la prima pietra se sei il primo ad avere dei segreti, Ashton»

«Hai ragione, scusa»

La rossa rispettava davvero la scelta di Ashton, ma allo stesso tempo moriva dalla voglia che lui si fidasse di lei e le raccontasse cosa lo tormentava. 

Qualcuno doveva fare il primo passo.

Chris sospirò e prese una decisione. 

«Hai ragione anche tu, comunque. Sai già molte cose, ma hai “scoperto” tutto leggendo la lettera di Aria. Io non ti ho detto nulla. E credo che sia anche ora che qualcuno dei due inizi a fidarsi. Sai cosa? Fanculo al cazzo di muro»

La rossa si preparò ad iniziare a raccontare, dopo un momento di riflessione per capire da dove cominciare.

«Avevo sedici anni, era una normalissima serata estiva. Aria giocava con nostra madre in giardino, mentre papà era uscito a comprare del gelato. Ero sull’altalena. Guardavo le lucciole, erano bellissime, e le cicale cantavano. Andava tutto bene. Poi Aria mi chiese di farla provare: voleva che la spingessi, per poter andare più in alto. Poi lei si sporse, mentre l’altalena la portava verso il cielo, per acchiappare una lucciola, ed è stata questione di un secondo. È caduta, si è tagliata il mento. Mamma era terrorizzata e corremmo all’ospedale. Le misero tre punti»

«Mi dispia-» iniziò Ashton, ma Chris, presa nel racconto, si sporse in avanti e gli fece cenno di tacere, con così tanta enfasi che gli sfiorò davvero le labbra.

«No, aspetta, aspetta, non è finita, e quelli erano solo tre maledetti punti, magari la storia finisse qui. Mentre mamma era con Aria per tranquillizzarla, mi chiese di chiamare papà per avvisarlo ma io avevo lasciato il cellulare a casa, quindi usai il suo. Dopo averlo chiamato, mi accorsi di alcuni messaggi non letti, e li aprii. E lì iniziò tutto. Erano bravi, così bravi da litigare per messaggio. Così nessuno li avrebbe sentiti, e probabilmente non avevano mai preso in considerazione l’eventualità che noi potessimo leggerli.

«Ero sconvolta e volevo saperne di più, ma non volevo chiedere nulla a loro. Pensavo che, se non ne avessi parlato, tutto sarebbe tornato normale. Era un’illusione consolatoria a cui mi aggrappavo. Allo stesso tempo, però, avevo bisogno di capire. Così frugai per casa, in ufficio, ovunque, e trovai un diario. Era di mia madre. Bastarono poche pagine per concludere che le cose andavano peggio di quanto potessi immaginare. Litigavano da anni. Da sempre, in pratica»

Chris si ritrovò con lo sguardo perso nel vuoto e iniziò a perdere espressione nella voce per cercare di restare estranea a quelle emozioni che aveva provato, ma le era difficile nascondere l’amarezza.

«Sai, mi sfugge il perché abbiano deciso di sposarsi. Anzi, forse questo più di tanto non è difficile da capire. Erano giovani. Stupidi» scrollò le spalle «innamorati dell’idea dell’amore, si dice, no? Ci può stare, crescendo in un altro modo anche io avrei potuto essere come loro, adesso. Ma quello che davvero non capisco... perché diavolo hanno fatto me»

Ashton avrebbe voluto intervenire. Quella era una questione che non poteva tollerare, non poteva permettere che lei... desiderasse di non essere mai nata. Ma, di nuovo, Chris lo zittì.

«Lasciami finire, non te lo sto raccontando perché mi consoli. Dunque, i problemi erano nati ben prima di me, quando mio padre si era dato alla passione tattoo, mentre mia madre era stata costretta a fare i doppi turni per pagare l’affitto. Da lì sono cominciati gli screzi, i litigi, le bugie, le decisioni prese alle spalle l’uno dell’altra. E io ancora mi chiedo perché diavolo hanno voluto mettere al mondo un figlio, sapendo di essere già in crisi? Io non ho chiesto di finirci, in questo casino, e non capisco perché mi ci abbiano trascinata. Credevano che la cicogna avrebbe riportato l’amore rinnovato come quello di due scolaretti alla prima cotta?» il tentativo di non farsi toccare dal racconto era stato inutile e già si stava rimettendo piangere.

«Io ho solo peggiorato le cose. L’ho scoperto leggendo quel diario. Non cercare di consolarmi, o dire che non è vero, che non è stata colpa mia! Era tutto lì, nero su bianco. Li ho incasinati, Ashton, più di quanto non fossero già. Ogni cosa che ho fatto... quasi tutto ha portato a dei litigi, di cui io non sapevo nulla» si bloccò, con la voce rotta, e si asciugò di nuovo gli occhi con il maglione, aspettando che i singhiozzi si calmassero per riprendere a parlare. 

Il ragazzo si sentiva terribilmente impotente mentre ascoltava e, nonostante Chris cercasse di allontanarlo, le sfiorò il braccio, ma lei si scansò bisbigliando “non ne ho bisogno” e poi tirò su col naso.

«Litigavano per i soldi. Lessi che avevano litigato perfino per una stupida giacca che io avevo voluto comprare e ci rimasi così di merda, mi sentii così in colpa, che non chiesi mai più dei soldi, né dei regali. Avevano litigato anche per il tatuaggio che avevo voluto farmi e per il mio unico amico, che a mia madre sembrava un poco di buono, mentre a mio padre piaceva. E’ stato orribile scoprire di essere io la causa di tanto odio...»

Chris scosse la testa, piangendo, allontanando con la mano Ashton che aveva tentato nuovamente di avvicinarsi per confortarla.

«Un giorno ero così disperata che provai a scappare di casa. Preparai uno zainetto e andai al parco, gran nascondiglio, eh? Be’, indovina, ci misero un bel po’ a trovarmi. Ero nascosta vicino alla panchina dove stavo disegnando quel giorno che sei venuto a parlarmi, e a dirla tutta non è proprio che mi trovarono: tornai indietro perché sapevo di non avere altra scelta e non potevo abbandonare Aria. Ne ero consapevole anche prima di andarmene, ma lo feci comunque perché avevo bisogno di illudermi di poter evadere, essere libera, almeno per un po’»

Chris si coprì parte del viso con le mani e chiuse gli occhi. Era strano raccontare tutto a qualcuno. Non solo strano, ma anche difficile. 

Lei avrebbe voluto che le sue emozioni si fermassero lì e non andassero oltre, avrebbe voluto provare solo imbarazzo e l'amarezza, la tristezza e la rabbia riportate a galla dai ricordi, così da poter riconoscere a se stessa che per tutto questo tempo aveva avuto ragione e aveva fatto bene a chiudere a chiave il suo passato.

Ma non era così. Mentre parlava si accorse a malincuore di essere stata nel torto, perché aprirsi con qualcuno, nonostante la difficoltà nel parlare dei propri sentimenti, era liberatorio. E anche se Ashton non fosse riuscito a capirla, solo avergli parlato la faceva sentire meglio. Le sembrava di essersi finalmente liberata da qualcosa che, per tutto questo tempo, aveva cercato di soffocarla, e di aver ripreso a respirare, ad annaspare furiosamente alla ricerca d’ossigeno.

Aveva bisogno di continuare.

«La prima volta che li ho davvero sentiti litigare, è stata una sera. Tornavo a casa dopo aver cenato fuori, ed ero in anticipo, mentre Aria era da una sua amica a dormire. Li sentii urlare da fuori della porta di casa. Non entrai nemmeno, rimasi all'esterno, seduta sul portico. Ascoltai la discussione, le grida, il rumore di qualcosa che andava in frantumi -il giorno dopo mi accorsi di una tazza mancante. Aspettai quasi un’ora a piangere lì fuori, finché non calò il silenzio. Credevo che fosse finita, poi la porta si spalancò ed uscì mio padre a passo spedito, diretto verso l’auto. Mia madre gli urlava con tutto il fiato che aveva in gola di non tornare. Lei era in piedi a mezzo metro da me, ma io ero nascosta dalla porta e così nessuno dei due mi vide. Fu la prima notte che mio padre dormì fuori casa. Pregai che si voltasse, almeno una volta, mentre se ne andava. Ma non lo fece. Mi spezzò il cuore»

Le si era davvero spezzato il cuore, quel giorno. 

Fino a quel momento aveva potuto continuare a fingere che quelle prove fossero solo circostanziali, che non significassero niente, che le cose andassero ancora bene. Aveva potuto sperare che il diario sparisse, sognare di svegliarsi una mattina e accorgersi che era tutto un brutto sogno. 

E le era sembrato che sarebbe davvero potuto succedere perché, quando li vedeva insieme, i suoi genitori, continuando a recitare, sembravano felici. 

Ma sentirli litigare aveva reso tutto reale. Le parole, che fino a quel momento erano state solo degli svolazzi d'inchiostro da poter dimenticare e ignorare, avevano preso vita e l'avevano attaccata. Chris aveva visto le sue speranze, seppur ingenue, di tornare ad essere una famiglia normale frantumarsi. Avrebbe voluto provare a raccogliere i pezzi e rimetterli insieme, ma era troppo tardi. L'illusione era svanita, il mondo le era crollato addosso. 

Non riusciva più nemmeno a guardare in faccia suo padre e sua madre, né se stessa allo specchio.

«Un giorno, non moltissimo tempo fa in realtà, ho deciso di affrontarli, e spiegare che sapevo tutto. Oh, se erano sorpresi. Come due bimbi colti nel bel mezzo del guaio che stavano combinando. All’inizio si sono arrabbiati, tanto per cambiare, poi devo avergli fatto un po’ pena e ci sono state un sacco di quelle frasi fatte da genitori prossimi al divorzio tipo “ma tu resti la cosa più bella che abbiamo fatto” e “sarai sempre mia figlia” e bla, bla, bla. Come se me ne importasse qualcosa! Potevo comprarmi un libro di Sparks e un pacco di Baci Perugina e avrei avuto le stesse risposte» gridò.

«Non avevo concluso niente, parlandoci, tranne di aumentare lo screzio tra loro due, che, tra l’altro, avevano deciso di abbandonare parte della farsa visto che comunque io avevo scoperto la verità. Certo, a questo punto, tanto valeva mandare tutto a puttane. Ed è andata avanti così, fino adesso. Li coprivo, con Aria, per evitare che scoprisse tutto. Poi le cose sono peggiorate. Papà ha tradito mamma, mamma ha tradito papà. Forse non era nemmeno la prima volta. Ma ha fatto più male a me che a loro, soprattutto sapere che mio padre... lui era il mio eroe. I papà sono sempre gli eroi dei loro figli, e lui ha...»

Chris soffocò un singhiozzo coprendosi la bocca con la mano, mentre lo sguardo rimbalzava disperatamente da un punto all’altro della stanza alla ricerca di un punto fermo a cui aggrapparsi.

«Non ho più cercato di capirci qualcosa. Loro hanno smesso gradualmente di parlarsi e adesso quando lo fanno è per litigare. Non so, ho abbandonato il tentativo di capirci qualcosa. E ora papà dorme fuori casa una notte no e tre sì»

Restò in silenzio per un po’ e si soffiò di nuovo il naso. Aveva la voce roca e tremolante, ma voleva concludere il suo discorso.

«E sì, mi sono chiusa a riccio. E sì, l’ho costruita, una casa di mattoni. L’ho costruita con me stessa, per lasciare fuori tutti gli altri. Perché non volevo, non voglio avere bisogno di nessuno per essere felice, voglio stare sola. E forse non so nemmeno che cosa sia, l’amore, ma non voglio che mi distrugga. Non voglio che mi succeda quello che è successo ai miei genitori. Non voglio innamorarmi di nessuno, non voglio fidarmi di nessuno, mai più»

Dopo qualche istante di silenzio Ashton si avvicinò di poco, più lentamente di prima, con cautela, come si fa per non spaventare gli animali selvatici. Non voleva dirle che gli dispiaceva. Era scontato e non avrebbe fatto nessuna differenza, di certo non avrebbe lenito il suo dolore. Inoltre, ancora una volta, quelle due parole non sarebbero bastate ad esprimere quello che provava. Era molto più di un “mi dispiace”, lui soffriva davvero e stava male al pensiero di quello che Chris aveva dovuto passare.

«Lo pensi veramente?» sussurrò, incapace di dire altro.

Lei lo guardò negli occhi. Voleva dirgli di no, che non lo pensava, che sperava che per lei le cose sarebbero andate diversamente e che moriva dalla voglia di essere felice con qualcuno, con lui, di innamorarsi, di lui. 

«L’ho pensato per anni e lo vorrei ancora, vorrei essere felice solo con me stessa. Ma adesso sto venendo meno a tutte le promesse che mi ero fatta, ti ho praticamente tirato addosso le chiavi della mia fottutissima casetta di mattoni e ne sono terrorizzata. Ed è tutta colpa tua. Ti odio» gli tirò un pugno sul petto, arrabbiata e ancora in lacrime.

«Se credi che saresti più felice da sola e vuoi che le cose tornino com’erano prima che ci incontrassimo mi dispiace, e molto. Ma se è questo che vuoi, va bene» tuttavia, non indietreggiò di un passo.

«Ti odio»

«L’hai già detto. Vuoi che me ne vada?»

«Sei a casa tua, Ashton»

«Dalla tua vita»

Chris si passò per l’ultima volta una mano sugli occhi, per poter guardare Ashton senza vedere i contorni sfuocati.

«No. Ed è per questo che ti odio. Ti odio, perché sto dannatamente bene con te» 

Lui le sorrise leggermente e si avvicinò ancora, posò le mani sui fianchi di Chris per attrarla a sé. Lei scivolò tra le sue braccia e nascose il viso contro il suo petto. 

«Chris, tu davvero non credi nel per sempre?»

«Vorrei crederci»

«Vorresti? E perché?»

«Perché forse mi sto innamorando»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SBABAM SONO STATA ANNI A SCRIVERE QUESTO CAPITOLO MA FINALMENTE L'HO CONCLUSO e spero che non ci siano errori e in realtà ci sarebbero altre cose che potrei aggiungere ma sono stufa e lo posto così com'è.

mi dispiace che dia poco spazio a ciò che pensa ashton, ma amen

diciotto pagine stavolta, minchia. 4576 parole.

è praticamente giugno e qui diluvia e ancora non ho mai visto il mare né sono andata a prendere il sole ma che stagioni di merda

btw voi come state? avete finito verifiche/interrogazioni? a me manca solo un’interrogazione di matematica (forse sì forse non la faccio idk) e poi do fuoco ai libri YEAH (e ricomincio a scrivere e leggere ogni volta che voglio alleluiaaaa)

oh ma seriamente qui diluvia in modo scandaloso 

per quanto riguarda questo capitolo è molto aw ma anche lacrimoso (vi ho già detto che i miei angoli autrice fanno davvero pena HAHAH scusate) e perché no, anche petaloso

che dite, si baciano ora? 

invia si (=ora limonano male e chris gli salta addosso e hehehe) o no (= non credo proprio bc chris ora si richiude a riccio e fugge dalla finestra) al 48480

il televoto è aperto! (ma voto del pubblico non influirà davvero sul corso della storia ahaha)

 

 

ps vi consiglio vivamente di ascoltare le canzoni di inizio capitolo, se non le avete mai sentite (a parte quelle di natale che boh okay ahaha ma tipo family portrait è stupenda)

 

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Capitolo 12
*** Wonderful ***


 

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(11)

Wonderful

26 dicembre 2015

 

 

I close my eyes when I get too sad

I think thoughts that I know are bad

Close my eyes and I count to ten

Hope it’s over when I open them

 

I want the things that I had before

Like a Star Wars poster on my bedroom door

I wish I could count to ten

Make everything be wonderful again

 

Hope my mom and I hope my dad

Will figure out why they get so mad

Hear them scream, I hear them fight

They say bad words that make me wanna cry

 

Close my eyes when I go to bed

And I dream of angels who make me smile

I feel better when I hear them say

Everything will be wonderful someday

 

Promises mean everything when you’re little

And the world’s so big

I just don’t understand how

You can smile with all those tears in your eyes

Tell me everything is wonderful now

 

Please don’t tell me everything is wonderful now

 

I go to school and I run and play

I tell the kids that it’s all okay

I laugh aloud so my friends won’t know

When the bell rings I just don’t wanna go home

 

Go to my room and I close my eyes

I make believe that I have a new life

I don’t believe you when you say

Everything will be wonderful someday

 

No, I don’t wanna hear you tell me everything is wonderful now

I don’t wanna hear you say

That I will understand someday

No, no, no, no

I don’t wanna hear you say

You both have grown in a different way

No, no, no, no

I don’t wanna meet your friends

And I don’t wanna start over again

I just want my life to be the same

Just like it used to be

Some days I hate everything

Everyone and everything

Please don’t tell me everything is wonderful now

 

 

 

Chris si morse le labbra e trattenne il respiro, come se ciò l’avrebbe resa invisibile o avrebbe cancellato le parole che le erano scivolate di bocca. Restò immobile sperando di mimetizzarsi contro il petto di Ashton e aspettò. 

Aspettò una reazione da parte sua, aspettò così tanto che dovette concedersi un respiro leggero per non restare senz’aria. 

Aspettò, ma non successe nulla. O meglio, lei non notò nulla: così nascosta, non vide il sorriso che illuminò il volto di Ashton in modo tanto spontaneo che lui neanche se ne accorse. 

Quel sorriso rivelava ogni parola non detta e sarebbe bastato a spiegare ogni cosa.

Chris chiuse gli occhi, sempre più convinta di aver sbagliato a dare vita ai suoi pensieri e si chiese se Ashton la stesse abbracciando solo perché provava pena nei suoi confronti. Si sentiva una stupida. Un piccolo silenzio era bastato a farle dubitare di tutto, a renderla completamente insicura. Raccolse quello che le sembrava restasse della sua dignità insieme a un briciolo di coraggio e cercò di allontanare Ashton, decisa a salutarlo e ad andarsene in fretta dimenticando tutto quello che era appena successo. Lo spinse prima leggermente, sicura che bastasse a fargli capire che doveva lasciarla andare, ma senza risultati. Riprovò con più forza e in tutta risposta si sentì stringere ancora più forte.

«Ashton...» si sentì ancora più in imbarazzo a parlare di nuovo, ma le sembrava fosse l’unica opzione rimasta per convincerlo ad allontanarsi.

«Sì?»

«Lasciami»

«Perché?»

«Così me ne vado» rispose, un po’ seccata.

«Ah, okay»

Chris sospirò di sollievo, pensando di aver vinto, e spinse di nuovo Ashton, felice di potersene andare al più presto e tornare a casa a rimpiangere di aver mai lasciato la sua stanza. Ma, di nuovo, al suo tentativo di ribellione si sentì stringere con più forza.

«...perché non mi lasci?»

Ashton rise, ma lei non ci trovò nulla di divertente.

«Perché non voglio»

Chris finalmente sollevò la testa e lo guardò, ma la confusione che provava svanì non appena vide il sorriso sulle labbra di Ashton. Si morse la lingua per non esserne contagiata e sostenne il suo sguardo, poi lui sospirò.

«Chris, non c’è un modo per renderlo più giusto. Mi sento assolutamente inutile»

La rossa fu presa alla sprovvista: si sarebbe aspettata una ripresa dell’ultimo argomento che lei stessa aveva appena affrontato e fu confusa dal fatto che Ashton stesse quasi ignorando la sua ammissione. Si accigliò, ripensando alla giornata che avevano appena passato e rispose di getto.

«Non sei inutile»

«Mi dispiace non poter fare nulla per...»

Voleva parlare dei suoi genitori?

«Hai già fatto più di quanto dovessi, Ashton»

Chris continuava a non capire se lui avesse cambiato argomento perché si sentiva in imbarazzo o se, siccome non ricambiava i suoi sentimenti -che in realtà lei non aveva espresso in modo poi così chiaro-, aveva deciso di ignorare la sua piccola confessione. Decise di ignorarla a sua volta, almeno fin quando non avesse avuto un quadro più certo della situazione. In ogni caso non le sembrava più, come qualche istante prima, di aver rovinato tutto, e si sentì più rilassata.

«Non m’importa. Sono comunque impotente»

«Lo so, ma non capisco come tu possa fartene una colpa»

Ogni traccia del sorriso era ormai scomparsa dal volto di Ashton e la tristezza trapelava dai suoi occhi, tanto che Chris dovette davvero ricredersi e si sentì male per aver dubitato che lui le volesse almeno un po’ di bene.

«Non è questione di farsene una colpa, è che sto davvero male vedendoti soffrire e non potendo fare nulla»

«Ti ho già detto che hai fatto anche troppo»

Ashton scosse la testa e avvicinò con delicatezza una mano verso il viso di Chris, accarezzandole la guancia.

«Niente potrebbe essere troppo»

Chris gli sorrise, commossa, e, prima di finire di nuovo in lacrime, si nascose un’altra volta contro il suo petto. Si sentì ancora una stupida, ma per un altro motivo. L’ansia l’aveva aggredita dopo aver ammesso che forse provava dei sentimenti più forti della semplice amicizia nei confronti di Ashton -anche se questo non l’aveva specificato era certa che lui l’avesse capito. Adesso le sembrava molto più chiaro che quell’ansia fosse stata inutile e immotivata, l’ansia di una quattordicenne che si dichiara per la prima volta; ora stava tornando in sé e non aveva dubbi che Ashton tenesse a lei. Certo, forse non in quel senso, ma le voleva bene.

«Se trovassi delle parole che riuscissero farti sentire meglio le direi» le sussurrò lui.

«Ma le parole non servono a niente»

«Forse no. Non in questo caso, non credo»

«No, infatti» Chris pensò di aver messo fine a quel discorso, ma Ashton continuò.

«Io...»

«Smettila» lo zittì, tornando a guardarlo negli occhi. Una piccola ruga buffa si era formata tra le sopracciglia di Ashton mentre la guardava.

«Di fare cosa?»

«Di cercare di consolarmi»

«Chris, sarei un mostro se non ci provassi»

«E perché mai?»

«Sembrerebbe che non me ne importi nulla di te»

«Be’, e cosa vorresti dirmi? Che ti dispiace per me? Che non dovrei incolparmi, che tutto si aggiusterà alla fine?» rispose Chris, ironica. Ashton sospirò e abbassò gli occhi. Avrebbe voluto cambiare tutto, avrebbe voluto trovare una soluzione, avrebbe voluto...

«Lo so, so che hai ragione, so che non servirebbe a nulla e, sinceramente?»

«Sinceramente..?» lo incalzò, curiosa.

«Non è detto che alla fine tutto si aggiusti. Non come vorresti tu, quantomeno»

«Io lo so, ma non credevo l’avresti mai detto»

«No, aspetta» si corresse Ashton «voglio dire, non penso che i tuoi torneranno insieme dall’oggi al domani. Tuttavia, questo non esclude un altro possibile finale più felice»

«Tipo quale?»

«Non lo so. Non vengo dal futuro, ricordi?»

Chris sorrise e sciolse lentamente l’abbraccio -questa volta lui la lasciò fare- ma non si allontanò da Ashton.

«Be’, grazie di tutto. Ora me ne vado sul serio e ti lascio dormire» Chris raccolse la giacca e si bloccò un attimo, indecisa se abbracciarlo di nuovo molto velocemente, se dargli un bacio sulla guancia o semplicemente correre fuori dall’appartamento e tornare a casa.

«Ma non dire cazzate» prima che lei prendesse una decisione, Ashton le strappò la giacca dalle mani e la rimise sulla sedia «non ti rimando a casa a quest’ora»

Chris gli sorrise riconoscente. Un po’ aveva sperato in una reazione simile, ma non credeva che sarebbe davvero successo. Ashton si avvicinò per prenderla per mano, ma poi si ricordò di quello che lei gli aveva detto prima e decise invece di porgerle il gomito. Chris rise della galanteria con cui Ashton si era atteggiato compiendo quel gesto e poi si aggrappò al suo braccio mentre lui la conduceva fuori dalla cucina.

«Miss Price, vi prego di perdonare il disordine della mia umile dimora. Non attendevo visite e non ho avuto abbastanza tempo per nascondere tutto ciò che era fuori posto dentro qualche armadio» il tono buffo e il tentativo di simulare un accento inglese di Ashton divertirono Chris.

«Oh, Mr Irwin, dovrebbe vedere la mia stanza da letto!»

«Inaudito, una signorina disordinata! Qual rara notizia! Dovete essere davvero speciale» si complimentò. Poi, abbandonando il tono che imitava ironicamente i nobili inglesi dei libri della Austen, aggiunse «però in due non ci si sale per la scala a chiocciola. Volevo dire... perdonatemi se vi lascio procedere sola, ma lo spazio angusto non permette che io goda della vostra compagnia mentre saliamo le scale»

Chris rise e si avventurò per prima ma, appena mise un piede in camera, Ashton la sorpassò per affrettarsi a sistemare quanto poteva i vestiti sparsi sul letto sfatto. 

«Se non ti fa troppo schifo, puoi dormire qui. Il materasso è morbido» 

«Non mi fa schifo, ma mi dispiace spodestarti... Posso aiutarti?» la rossa allungò una mano per prendere una maglietta, ma Ashton scosse la testa.

«No, figurati. Comunque le poltrone non sono poi così scomode» scrollò le spalle, poi si avvicinò all’armadio pensando di offrire alla ragazza un pigiama ma, lanciando una rapida occhiata a Chris, sorrise accorgendosi che non ne aveva bisogno.

«Carino» Ashton indicò l’orso bianco. Chris arrossì e incrociò le braccia al petto per coprire la palla di lardo stampata sul suo maglioncino. Appena le parve che Ashton avesse finito di mettere in ordine si infilò sotto le coperte, rannicchiandosi in un angolo, e se le tirò sopra la testa per qualche secondo. Profumavano di bucato. Poi sbucò di nuovo fuori con un’espressione buffa ed Ashton rise, sedendosi sul letto. Chris picchiettò con la mano sulle coperte per invitarlo ad avvicinarsi.

«Potrebbe venirti mal di schiena se dormissi sulla poltrona e io non voglio sentirmi in colpa» gli spiegò con nonchalance. 

«Se è così...» Ashton spense la luce, scostò le coperte e si sdraiò accanto alla ragazza, che si rannicchiò sul suo petto, e la strinse a sé. Chris sorrise: sentiva il suo respiro, il suo cuore, il suo calore, il suo profumo. Chiuse gli occhi.

Provò a ricordare quand’era stata l’ultima volta che era andata dormire e aveva chiuso gli occhi con così tanta leggerezza, felice, senza pensieri cupi che la tenevano sveglia e si trasformavano in incubi nelle poche ore di sonno. L’ultima volta che aveva chiuso gli occhi senza desiderare di essere in un altro posto, o in un altro momento.

L’ultima volta che aveva chiuso gli occhi, e non per allontanarsi dalla realtà e sperare che, una volta riaperti, le cose fossero diverse.

Non se lo ricordava.

«Chris, te lo prometto» il sussurro di Ashton ridestò la rossa dai suoi pensieri.

«Che cosa?»

«Che sarai felice. Vedrai che un giorno sarai davvero felice»

Chris sorrise ma non aprì gli occhi. Che ingenuo, pensò.

«Non fare promesse che non puoi mantenere»

«Chi ti dice che non possa mantenerla?»

Dico che non puoi esserne davvero certo, tuttavia Chris non disse nulla e sorrise di nuovo. Lui ci credeva, ci credeva davvero.

 

 

 

«Sai, ci avevo pensato, non voglio dire “a lungo” perché probabilmente sembrerei pazza, ma ci avevo pensato. Mi chiedevo se ce l’avessi qualche difetto» spiegò ironicamente Chris, passeggiando su e giù per la stanza. Aveva svegliato Ashton, che si stropicciò gli occhi e si tirò su a sedere scompostamente sul letto. Sbadigliò. Si era perso buona parte dell’inizio del discorso e così cercò di mettere a fuoco quello che Chris stava dicendo. Nel mentre, si accorse che la rossa stava gesticolando con qualcosa che teneva nella mano. 

Si passò una mano tra i capelli ricci. Non capiva di cosa stesse parlando Chris.

«E finalmente mi si è aperto un mondo!» gli puntò contro una forchetta e lui sollevò le braccia, quasi Chris l’avesse minacciato con un’arma vera «Ashton, tu russi!»

Lui la guardò sempre più confuso. L’aveva svegliato solo per dirgli questo brandendo una posata? 

«Cos..?» 

«Russi» ripeté lei, scandendo bene le lettere.

«Davvero?»

Chris fece per ribattere ma si bloccò a labbra dischiuse e lasciò cadere il braccio con la forchetta lungo i fianchi, stupita.

«Tu...non lo sapevi?»

Ashton scrollò le spalle «sai com’è, Chris, non mi sento mentre dormo» 

«Nessuno t-» te l’ha mai detto? ma si bloccò prima di finire la domanda. Si premette leggermente con l’indice sulla punta del naso come faceva sempre quando rifletteva, e il gesto sembrò divertire molto Ashton, che ridacchiò.

Chris sventolò la mano come a dire di lasciar perdere «comunque, passando alle cose importanti: devo correre e sperare di essere a casa prima che là qualcuno si svegli...»

Ashton guardò prima la finestra, che rivelava un paesaggio invernale quasi notturno, e poi si sporse per dare un’occhiata all’orologio spostato troppo di lato per permettergli di leggere cosa indicavano le lancette.

«Ma che ore sono?»

«Le cinque»

Lui fece una smorfia di disgusto e si lasciò cadere di nuovo sul materasso. Chris ridacchiò e si infilò la giacca.

«Anche a me piacerebbe restare qui a dormire ancora un po’, ma devo andare. Comunque, siccome dormire con una locomotiva in parte non è così semplice» la sua voce fu accompagnato dai passi veloci quando si precipitò giù per la scala a chiocciola «mi sono alzata e ti ho preparato la colazione. Be’, non sono una gran cuoca ma non è male. Quindi... vado, ciao» concluse.

«Ehi, be’, grazie» si sentì dal piano di sopra.

«Ti ho rubato una maglietta, addio» urlò lei, mentre usciva «sì, nel senso... a presto» specificò poi chiudendosi la porta alle spalle.

 

 

 

La serratura scattò con un rumore secco, nonostante Chris avesse cercato di trattarla nel modo più delicato possibile, guadagnandosi un “vaffanculo” bisbigliato. La ragazza entrò in casa in punta di piedi e si richiuse la porta alle spalle, facendo ancora più attenzione mentre girava la chiave e questa volta fu ripagata da un clack più sommesso del precedente.

Chris appese la giacca e attraversò il corridoio diretta in cucina: non intendeva tornare in camera, prima di tutto per paura di svegliare sua madre o Aria, ma anche perché ogni traccia di sonno l’aveva ormai abbandonata. Non entrava molta luce dalle finestre, ma per Chris era abbastanza. Si preparò un caffè e ci versò una dose abbondante di latte, prese un paio di biscotti e decise di stendersi sulla poltrona in salotto finché qualcun altro non si fosse svegliato.

Inizialmente, presa dai suoi pensieri, non vi fece caso, ma una volta arrivata davanti al divano se ne accorse: suo padre aveva dormito lì. I cuscini riposti tutti contro il bracciolo destro, la coperta piegata male, la macchia di caffè lasciata da una tazza sul giornale appoggiato sopra il tavolino erano degli indizi inequivocabili, a cui, ora che ci pensava, si aggiungeva anche il pacco di biscotti già aperto. 

La ragazza rubò un paio di cuscini, per sistemare la poltrona a soffice rifugio, e la coperta con cui si infagottò prima di rannicchiarsi nella sua posa preferita. Restò con la tazza bollente a scaldarle le mani mentre si perdeva tra i suoi pensieri.

La sera precedente era andata a dormire abbastanza presto, insieme ad Aria, e si chiese se, prima di coricarsi, avesse visto suo padre andar via. No, decisamente no. Credeva che fosse rimasto per poter parlare -litigare- ancora un po’ con Eve, in fondo di certo avevano qualcosa di carino da dirsi che avevano trattenuto per tutta la giornata, ma che se ne sarebbe andato presto. E invece era rimasto a dormire.

Chris lanciò un’occhiata all’orologio. Erano quasi le sei. Com’era possibile che suo padre avesse dormito lì e se ne fosse andato prima che lei arrivasse?

Si morse il labbro. Suo padre l’aveva notata sgattaiolare fuori di casa, la sera precedente? Chris pregò di no, ma poi pensò che, anche se fosse stato così... Be’, chi se ne frega

Erano le sette e mezza quando i passi strascicati di Evelyn che scendeva le scale ridestarono Chris dai suoi pensieri. Sua madre si stava dirigendo in cucina, probabilmente per prepararsi del caffè, ma si fermò per un momento sulla porta del salotto notando la figlia rannicchiata sulla poltrona.

«Ehi»

Chris rispose con un cenno del capo.

«Credevo fossi ancora a letto»

«Non riuscivo a dormire»

Eve annuì, anche se dubitava che ciò fosse vero, distolse lo sguardo dondolandosi da una gamba all’altra e poi  batté la mano con delicatezza un paio di volte contro lo stipite della porta su cui si era appoggiata, come per salutarlo, e riprese la sua strada.

«Papà ha dormito qui?» chiese Chris, senza spostarsi dalla poltrona. 

«Per un po’... abbiamo parlato» ammise Evelyn, quasi sottovoce «ti vanno dei pancakes?»

«Sul serio, pancakes? Tu? Ma stai bene?» 

Eve ridacchiò e l’espressione di Chris si fece sempre più corrucciata.

Era da parecchio che nessuno provava a cucinare qualcosa, tanto che Chris ormai aveva scordato il sapore dei pancakes a colazione, o delle uova strapazzate.

«Di che avete parlato?»

«Sai, credo che... le cose andranno meglio, ora» sussurrò Eve, dalla cucina. La ragazza saltò a sedere in modo più composto e si voltò, incredula. Possibile che..?

«Cosa? Vuoi dire che volete...rimettervi insieme?» farfugliò, sorpresa.

«Rimetterci..? Oh santo cielo, no» 

Certo, era ovvio. Chris si lasciò cadere di nuovo sulla poltrona, scoraggiata. Che sciocca, cosa aveva creduto? Degli stupidi dolcetti erano bastati a darle qualche assurda speranza. Probabilmente con la chiacchierata che aveva tanto allietato l’umore di Evelyn erano soltanto stati stabiliti i termini del divorzio. Termini che dovevano essere più favorevoli per lei che per James, evidentemente.

«E allora non dirmi che le cose andranno meglio» sbottò.

«Chris...» sospirò Eve, ma venne interrotta dalla figlia.

«Non ci credo. Perché dovrei? Cosa vuol dire che credi le cose andranno meglio? Hai imparato a leggere il futuro? Sei andata da una chiromante? Ti sei provata a informare su cosa vorremmo io e Aria, per una volta? Hai lanciato una monetina o guardato le statistiche? Il meteo promette bene la settimana prossima?»

«Smettila»

«Ma smettila tu. Come fai a sparare una cosa del genere, così a caso. Giochiamo a indovina indovinello, già che ci siamo. Credo che... più tardi pioveranno conigli!»

Sua madre stava iniziando ad arrabbiarsi e aveva abbandonato l’impasto dei pancakes sul ripiano della cucina, tornando in salotto. L’espressione sul suo viso andava facendosi sempre più severa.

«Chris, è impossibile parlare con te!»

«Già, forse perché le volte che ci ho provato non hai mai -non avete mai- voluto ascoltarmi, e ora mi sono stancata delle vostre stronzate!» la ragazza si alzò in piedi, incapace di contenere la collera.

Sua madre avrebbe voluto ribattere, ma si fermò e rimase in silenzio per un attimo, sperando che Chris assorbisse le sue stesse parole e che si rendesse conto di quanto fossero state dure. Non successe nulla. La ragazza se ne stava zitta, in piedi, pronta a scattare, a difendersi e ad attaccare, le guance imporporate e le mani chiuse a pugno.

Eve sospirò.

«Tu credi che sia colpa mia, se io e tuo padre ci stiamo lasciando?»

«Io credo sia colpa di entrambi» non aveva bisogno di rifletterci, ne era più che certa.

«Perché ti comporti così con me, allora?»

«Forse perché, a prescindere da quello che può essere successo tra voi, sei tu che di solito ci tratti di merda..?» ribatté, ironica.

«Chris, questo non è vero»

La rossa sollevò le braccia in segno di resa: «ah, no, hai ragione, scusa. Errore mio»

«Lo vedi? Non si può parlare con te!» urlò Evelyn, ferita.

«Parlare? Sentiamo, di cosa vorresti parlare?»

«Capisco che tu stia soffrendo, ma non è che per me non sia così...»

«Vedi, è proprio questo il punto. Io non credo proprio che tu capisca un bel niente, altrimenti ti comporteresti diversamente. Sembra che non te ne importi nulla di me e di Aria. Neanche a papà granché, in realtà»

«Non è così!» provò a difendersi Eve «Credimi, un giorno capirai» 

«No! Mamma, no! Non dirmi che un giorno capirò, dannazione!»

«Chris, purtroppo l’amore a volte finisce...»

«Questo l’ho capito fin troppo bene, ma non capirò mai perché avete fatto me se non vi amavate! Non lo capirò mai! “Facciamo un bambino, risolverà tutti i nostri problemi” ma i problemi li avevate in testa, cazzo. Egoisti» gridò, frustrata. Era stanca. Voleva andarsene.

«E a te non sembra di essere un po’ egoista?» la incalzò Evelyn.

Il colpo decisivo. Chris tremava da quanto era nervosa e incrociò le braccia al petto per non darlo a vedere. Annuì, deglutendo a fatica il groppo che le si era formato il gola.

«Se a me non..?» sussurrò «Dio mio! Sì, sono terribilmente egoista per criticare il fatto che da prima che nascessi, fino ad ora, a nessuno di voi importa di me, di Aria, di quello che vorremmo, perché siete troppo impegnati a farvi la guerra e a discutere ad ogni parola. Accidenti, grazie di avermelo fatto notare! Sai che c’è? Hai ragione, con me non si può parlare. Non ho altro da dirti» Chris indietreggiò fino ad uscire dal salotto e poi corse su per le scale, fino alla sua camera, e ci si chiuse dentro. Spalancò la finestra e si sedette sul balcone a respirare un po’ d’aria fredda.

Eve, di sotto, restò immobile per un paio di minuti e si concesse di versare qualche lacrima in silenzio. Poi si asciugò le guance e tirò su con naso, tornò in cucina a cercare una delle vecchie bottiglie di James.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

scusate il ritardo LO SO SONO PIU’ INCOSTANTE DEL TEMPO QUESTI GIORNI mi schifo da sola

raga come vanno le vacanze?

qui la situa si è evoluta: si passa da 18° a 36° in due giorni............

poi mia nonna vede il brutto tempo arrivare (nuvole nere nerissime), esce con la candela benedetta e BENEDICE IL TEMPO, OKAY?, così che non venga la pioggia. 

cinque minuti dopo diluvia+lampi tuoni saette che ti scuotono anche le budella RIDO TANTISSIMO AHAHAHHAH

(in realtà sono felice perché amo i temporali ed è bellissimo stare in camera rannicchiata sul letto con la copertina a scrivere con i tuoni di sottofondo)

btw questo capitolo è stato un PARTO e non so neanche il perché, soprattutto la parte in cui litiga con sua madre oh god. A momenti vado da mia mamma piangendo a chiederle scusa se la protagonista della mia storia ha urlato contro sua madre AHAHA

scusate eventuali errori, ma sono stufa e potrei rileggere quello che scrivo ottanta volte e non accorgermi di un “un’altro” o che ne so. 

quindi addiooo

 

 

 

pps ascoltate anche wonderful

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Capitolo 13
*** Let it snow ***


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(12)

Let it snow

28 dicembre 2015

 


When we finally kiss goodnight,
How I’ll hate going out in the storm!
But if you’ll really hold me tight,
All the way home I’ll be warm.

The fire is slowly dying,
And, my dear, we’re still good-bying,
But as long as you love me so,
Let It Snow! Let It Snow! Let It Snow!

 

 

Chris si soffiò sulle mani avvolte nei guanti di lana e le strofinò tra loro. Non faceva poi così freddo lì al chiuso ma, dopo il tragitto sotto la neve dal supermercato a casa di Ashton, lei non si sentiva quasi più la punta delle dita.

«Vuoi che lo tenga io?» la rossa si allungò per prendere il sacchetto di carta che Ashton teneva sottobraccio, rendendosi la ricerca delle chiavi di casa ancora più difficile, mentre si frugava nelle tasche.

«No, credo di aver...» lui sorrise, ascoltando un tintinnio familiare «eccole!»

Ashton aprì la porta, la lasciò spalancata e sparì all’interno, abbandonando Chris sulla soglia a pulirsi le scarpe sullo zerbino. Fu investita da una folata di aria calda che la fece rabbrividire dal sollievo.

«Comunque, non vedo perché hai insistito tanto per prendere quel dvd, Ashton, non ce l’hai nemmeno una televisione» commentò lei chiudendo la porta. Tuttavia, non appena seguì il ragazzo nell’appartamento, dovette ricredersi. Ashton aveva arrangiato il piccolo salotto unendo le poltrone e un poggiapiedi, a mo’ di divano, su cui era appoggiato un piumino bianco, e sopra piccolo tavolino c’era un proiettore puntato su un telo bianco attaccato al muro di mattoni.

Chris si coprì la bocca per lo stupore e rise, saltellò, emozionata come una bambina. 

«Non posso crederci! Come diavolo..?» 

Sembrava un po’ uno di quei fortini di cuscini e coperte che creava da bambina con suo padre. Lasciò la giacca sull’appendiabiti, le scarpe accanto alla porta, e si buttò di peso su una delle poltrone, raggomitolandosi nel piumino bianco. Doveva essere quello con cui aveva dormito l’altra sera. Aveva lo stesso profumo.

Ashton fece spallucce e finse indifferenza «un amico mi ha prestato il proiettore... Ammetto che fissare il lenzuolo al muro non è stato semplice, ma alla fine» indicò con un gesto teatrale la sua opera «alla fine ce l’abbiamo fatta»

«È pazzesco» Chris si accoccolò meglio tra le coperte, ma dovette presto rinunciare alla sua comoda sistemazione quando Ashton le lanciò il dvd.

«Ehi, lì c’è il computer» indicò accanto al proiettore «seleziona la lingua mentre prendo da bere» aggiunse, sparendo in cucina.

«Okay... Che ne dici dell’arabo?»

«Emh, no..?» Ashton ridacchiò ma, nonostante fosse nell’altra stanza, Chris lo sentì perfettamente.

«Cinese? Portoghese? Russo?» continuò la rossa, scorrendo tra le varie opzioni sullo schermo. 

«Da»

Chris rise e si voltò verso la cucina, appena in tempo per veder arrivare Ashton con un vassoio.

«Da vuol dire »

«Ah. Ecco, giusto per darti un’idea di quanto bene conosco il russo. Comunque se il film ti fa paura non serve che lo metti in un’altra lingua, ti proteggo io» commentò con aria spavalda, gonfiando il petto.

«Io non ho paura» ribatté Chris, tirando la custodia del dvd addosso al ragazzo, con l’intenzione di colpirlo, ma lui, sorprendentemente, la prese al volo.

«Ah, no? Vedremo»

Chris lo bloccò prima che si sedesse, e indicò le finestre accanto alla poltrona che lei stessa aveva occupato: fuori era già buio, e le finestre di notte l’avevano sempre fatto un effetto un po’ strano.

«...piuttosto, chiudi le tende» 

«Perché?» Ashton aveva intuito perfettamente, ma stuzzicare Chris lo divertiva, così restò dov’era e, anzi, sistemò i cuscini dove stava per sdraiarsi.

«Mi inquietano» ammise lei. Fece spallucce, sperando di minimizzare la cosa.

«Le tende? Oh, forse hai paura di scorgere qualcosa fuori, nel buio della notte? Qualcosa che ci guarda dalla finestra?» tirò ad indovinare lui. La rossa annuì vagamente.

«Da piccola ho visto una specie di ‘documentario’ sui vampiri, ed era molto inquietante» iniziò a spiegare Chris, torturandosi le dita «e ad un certo punto c’era questo paio di occhi rossi che compariva di colpo fuori dalla finestra e mi è decisamente rimasto impresso. Non ho problemi a guardare film horror, ma le finestre... » scosse la testa.

«Okay, okay» Ashton fece come lei aveva chiesto, assicurandosi che non si potesse vedere nulla «ecco fatto. Sono o non sono il tuo eroe?»

«Oh, certo. Vieni a sederti, eroe» Chris batté la mano sulla poltrona accanto a sé, dove si sistemò subito Ashton. Trovarono un compromesso con le coperte e, nonostante fosse un po’ scomodo a causa dei poggioli, il biondo riuscì a cingere con un braccio le spalle di Chris.

«Giusto nel caso in cui sbucassero degli occhi rossi dal nulla» le aveva spiegato con nonchalance. 

 

 

«Direi che devo tornare a casa. Mi aspettano per cena...» Chris si stiracchiò, non appena i primi titoli di coda iniziarono a scorrere sul muro, e si alzò in piedi. Ashton la seguì a ruota e andò a tirare le tende, mentre lei si rimetteva giacca e scarpe.

«Nevica» obiettò.

«Ho promesso che sarei tornata»

«Ti accompagno»

«Grazie. In effetti fare la strada da sola, al buio, dopo aver visto un film horror è un po’ inquietante» ammise, allungando ad Ashton il suo giaccone. Lui le sorrise e prese le chiavi.

«Non vorrei mai che ti mangiassero» le sussurrò, mentre chiudeva la porta.

«Oh, che pensiero dolce»

Ashton rise e la prese a braccetto. La neve si stava accumulando, tanto che il loro pupazzo era cresciuto parecchio ma aveva perso ogni forma diventando una montagnetta scomposta. Mentre i due ragazzi si incamminavano sul marciapiede, lasciando spesse impronte alle loro spalle, i fiocchi bianchi li avvolgevano sciogliendosi appena sfioravano la loro pelle.

«Freddino» commentò Chris, stringendosi ad Ashton. Lui sfilò il braccio che aveva intrecciato con quello della ragazza e glielo poggiò sulle spalle, sperando di scaldarla di più, mentre con l’altro si sfilò la sciarpa e gliela porse.

«Tieni»

«Oh, grazie» Chris gli sorrise riconoscente, si sistemò la sciarpa e si nascose contro il corpo di Ashton per stare al riparo dal vento. 

Raggiunta la macchina, Ashton le aprì la portiera e poi andò a sedersi al posto del guidatore. L’aria calda del riscaldamento fu accolta con dei sospiri di sollievo e il resto del tragitto lo passarono cantando una canzone di Natale alla radio. Anche una volta arrivati, il biondo si rifiutò di lasciar semplicemente scendere la ragazza dall’auto, e si ostinò ad accompagnarla. Chris si fermò davanti al cancelletto sul retro di casa sua e si voltò verso Ashton, rivolgendogli un sorriso dolce. Non aveva voglia di entrare, avrebbe preferito restare lì con lui. 

Era già buio e, nonostante avesse smesso di nevicare, faceva freddo, i ricordi del film di prima le rivoltavano lo stomaco e le facevano venire i brividi, ma, anche se un paio di occhi rossi avrebbero potuto minacciare di saltare fuori all’improvviso, sarebbe rimasta fuori volentieri.

«Grazie per avermi accompagnata» 

Il lampione che li illuminava disegnava strane ombre sul viso di Ashton, riflettendosi prima nei suoi capelli ricci. La luce calda dava ai suoi occhi una sfumatura dorata.

«Di nulla» Ashton ricambiò il sorriso e prese delicatamente tra le dita la sciarpa che aveva prestato a Chris, avvicinandosi a lei di un bel passo. La ragazza, senza distogliere lo sguardo da quello di Ashton, si appiattì contro la staccionata, ma il suo indietreggiare portò lui a fare un’altro piccolo passo, bloccandola. 

Restarono immobili a studiarsi, aspettando che l’altro facesse la prima mossa, finché Ashton non tirò leggermente la sciarpa costringendo Chris ad avvicinare il viso al suo. Lui stava aspettando un qualsiasi cenno da parte sua che lo inducesse ad allontanarsi: era tormentato dall’idea che lei lo respingesse. Osservò con attenzione l’espressione di Chris alla ricerca di un qualsiasi segnale.

La rossa sentiva il cuore martellarle nel petto e cercava di fare il movimento più piccolo anche solo per respirare, quasi a voler diventare invisibile. Quando lo sguardo di Ashton cominciò a rimbalzare dai suoi occhi alle sue labbra, se le morse d’istinto. Non sapeva se voleva baciarlo, perché sarebbe stato qualcosa di incancellabile: non avrebbe mai potuto fingere che non fosse mai successo.

Tuttavia, non era solo il tessuto avvolto attorno al suo collo che l’attirava verso il viso di Ashton. Non c’era nulla che le impediva di allontanarlo. E allora capì che voleva farlo, ma non ebbe il tempo di chiedersi se fosse la cosa giusta che le loro labbra si scontrarono. Era un tocco leggero e Chris per un secondo pensò che se si fosse messa il burrocacao avrebbe avuto delle labbra più morbide, come quelle di Ashton, ma lui le fece presto scordare quel pensiero.

Sembrava perfetto, lo era. Per questo, quando Chris allontanò dolcemente Ashton premendo le mani sul suo petto, lui aveva un’espressione confusa. 

«Noi...» sussurrò lei, evitando con cura gli occhi che poco prima l’avevano incantata «io...non posso»

Le guance di Ashton si colorarono a quelle parole e si allontanò da lei il più in fretta possibile, lasciandole parecchio spazio, preoccupato di aver rovinato tutto. Si sentiva un idiota.

«Scusa io... credevo...» farfugliò. Si voltò, imbarazzato, deciso ad andarsene, ma Chris lo afferrò per la manica della giacca e lo trascinò indietro riportandolo dov’era pochi istanti prima.

«No, è che...» la ragazza prese un respiro profondo e si passò una mano tra i capelli. Arrossì e si nascose la mani in tasca, dondolò un po’. Cosa aveva intenzione di dirgli, come poteva spiegargli quello che provava? Sono io, non sei tu. È colpa mia. Non voleva farlo soffrire, non voleva mentirgli.

«Tu mi piaci, Ashton. Tanto, troppo. E ne sono terrorizzata» ammise, lanciandogli solo un’occhiata di sfuggita per vedere la sua reazione.

Lui non sembrò meno confuso di prima. Scrollò le spalle.

«Sai, di solito le persone la trovano una cosa bella»

«La paura?» Chris inarcò un sopracciglio e inclinò la testa. Non ci trovava nulla di bello.

«L’amore»

La rossa ridacchiò ironica e alzò le braccia al cielo.

«Certo, l’amore piace a tutti. È l’aspirazione più grande dell’essere umano, vero? Sono tutti innamorati dell’amore e nemmeno sanno cos’è. Te lo vendono nei libri, nei film, nelle canzoni, e tu passi la vita a cercarlo. A trovare qualcuno che ti completi. Io non voglio nessuno che mi completi, io voglio completarmi da sola» spostava nervosamente il peso da un piede all’altro e faceva del suo meglio per guardare ovunque, tranne che negli occhi di Ashton: se l’avesse fatto, probabilmente non sarebbe riuscita a finire ciò che voleva dire.

«E poi» riprese «quando ce l’hai, o credi di averlo trovato, lo tieni per un po’ nella teca di cristallo e lo contempli, meraviglioso com’è. Tipo la rosa rossa della Bella e la bestia. Credi che adesso tutto andrà meglio, adesso che hai trovato quello che tutto il mondo sta cercando. Poi un giorno la rosa appassisce e muore, fine. La butti nel cesso» finalmente si concesse un’occhiata al viso del ragazzo. Vi lesse un’espressione combattuta e corrucciata. Lui restò in silenzio per un momento, riflettendo su cosa dire.

«Chris, io non voglio ‘completarti’ o stronzate da cioccolatino del genere» tese la mano, quasi a voler prendere quella della ragazza, e la lasciò sospesa in aria «voglio solo stare con te. Mi biasimi per questo?» il suo tono era leggero, dolce, basso, quasi sussurrasse -a differenza di Chris che per poco non aveva urlato. 

Il biondo ficcò le mani in tasca e aspettò una risposta. Lei si limitò a sospirare e prese a giocare con uno dei bottoni della giacca di Ashton, tirandolo più vicino.

«No. Anch’io voglio stare con te» mormorò. Le sembrava una strada senza uscita. Lui, invece, si sentì terribilmente sollevato e si lasciò scappare un sorriso, appoggiando le mani sui fianchi di Chris, poi scosse la testa.

«E allora qual è il problema? Mi sta bene che ti piaccia criticare l’idea di amore che ci viene sbattuta in faccia, mi sta bene che tu voglia comunque essere... indipendente. È giusto, non sto dicendo che voglio strapparti le tue idee e cambiarti. Non capisco, davvero» le sussurrò.

«Non lo capisci? Come puoi non capirlo!» lei lo spinse leggermente, ma Ashton non la lasciò andare «l’amore finisce e io non voglio perderti. È tutto qui, il mio problema. Sto benissimo con te, ma ho paura che un giorno tutto questo possa finire»

«Sì, e io ho paura che un giorno potrò morire, ma non per questo passo la vita rinchiuso in casa» ribatté ironico, con un sorriso sornione sulle labbra. Notando che Chris non sembrava poi così divertita, continuò:

«E comunque, non tutte le storie finiscono. Alcune sì, altre no. Non dobbiamo finire anche noi, noi... possiamo essere diversi. Io credo davvero che possiamo costruire qualcosa»

Forse aveva ragione, forse no. Nessuno poteva saperlo, ma era di quello che Chris aveva bisogno: di un’assicurazione, una certezza che i suoi sentimenti non sarebbero stati sprecati, che quella fosse la cosa giusta da fare.

«Ashton, tu sei in grado, in questo momento, di giurarmi che per noi sarà diverso? Che staremo insieme per sempre?» Chris era convinta di avere ragione, e che lui si sarebbe arreso all’evidenza. Da un lato, lei riusciva nemmeno a pensare  seriamente che un ragazzo conosciuto una settimana prima potesse essere il suo ‘per sempre’ e sprecare del tempo a rincorrere una storia che forse non sarebbe durata le sembrava inutile, ma dall’altro... provava comunque qualcosa per lui.

Invece, Ashton sorrise.

«Vuoi che ti chieda di sposarmi?»

«Cosa? No!» esclamò Chris «No, assolutamente no. E comunque ti direi di no»

«Carino. Potevi almeno fingere di pensarci» 

«Voglio dire...» iniziò lei, preoccupata di averlo offeso in qualche modo. Era chiaro a entrambi che non l’avrebbe sposato, ma Chris pensò che in effetti avrebbe potuto mostrarsi meno disgustata all’idea, giusto per educazione.

«Dovevo inginocchiarmi, è questo? O è il fatto che non ti ho dato un anello?» Ashton ridacchiò, ma poi notò che Chris era seria «ehi, scherzavo»

«Io no. Puoi assicurarmi che noi saremo per sempre?»

«Posso assicurarti che farò del mio meglio perché sia così. E anche se tu, adesso, sapessi che un giorno noi due ci lasceremo, ma che vivremo la felicità insieme, rinunceresti a giorni, mesi, anni di felicità con me, per paura della fine?»

Chris soppesò con cura quelle parole e rifletté con attenzione. No. La risposta era un coraggioso no, doveva esserlo, perché quello che Ashton aveva appena detto era probabilmente l’unica sicurezza che qualcuno avrebbe mai potuto darle. 

Si avvicinò di nuovo ad Ashton e lo prese per il colletto della giacca, si alzò in punta di piedi, sorrise leggermente mentre lo guardava negli occhi e poi gli lasciò un bacio delicato a fior di labbra. E poi un altro, e un altro ancora, finché uno dei due non si decise ad approfondire quel contatto. Ashton la tirava sempre più vicina a sé, stringendole i fianchi, mentre lei lasciò la presa sul bavero della giacca per intrecciare le dita tra quei riccioli biondi e vi si aggrappò. Non aveva più dubbi che fosse la cosa giusta.

«Sembra che abbia vinto tu» commentò Chris, sorridendo sulle labbra di Ashton quando ormai sembrava che entrambi fossero rimasti a corto di ossigeno.

Lui le rivolse un sorriso soddisfatto, le poggiò la mano alla base della schiena per avvicinarla di nuovo a sé e si chinò per posarle un bacio sulla fronte, poi le sistemò meglio la sciarpa attorno al collo.

«Allora ciao» sussurrò Chris, voltandosi verso il cancello. Prima di aprirlo, però, si girò di nuovo.

«Ciao, Chris»

«Ciao» ripeté, divertita. Ashton dondolò da una gamba all’altra, senza accennare a volersi muovere, poi indicò con il pollice alle sue spalle.

«Allora vado» 

Chris rise e lo spinse per le spalle. 

«Vai»

«Vado»

Chris lo guardò tornare sui suoi passi finché scomparve dalla luce del lampione e si confuse nell’ombra. Sorrise intravedendo di nuovo il suo profilo illuminato dalla lucetta di cortesia quando Ashton aprì lo sportello dell’auto.

«Ciao» gli sussurrò.

 

 

 

Se tu sapessi di perdere una gamba domani, te ne staresti sul divano a piangere il destino o ti metteresti a correre, a saltare e fare delle capriole finché sei in grado di farle? -Marshall Eriksen (HIMYM)

 

questa cit mi è venuta in mente mentre scrivevo il dialogo tra gli ashris e boh calzava come la scarpetta di cenerentola

mi fa cagare questo capitolo ed è già passato più di un mese di vacanza e mi viene da spararmi :)))) che gioie

poi dio grazie il prossimo capitolo è già quasi pronto e EHI dopo c’è il reveal della storia di ashton, preparate i popcorn e i fazzoletti

quindi in tutto mancano tipo quattro capitoli :( più un potenziale epilogo ma non so

ma EHI DI NUOVO si sono baciati! sono sconvolta, addio

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Capitolo 14
*** Stay together for the kids ***


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(13)

Stay together for the kids

23 dicembre 2010

 

 

Their anger hurts my ears, been running strong for seven years

Rather than fix the problems, they never solve them, it makes no sense at all

I see them everyday, we get along so why can't they?

If this is what he wants, and it's what she wants, then why is there so much pain?

 

So here's your holiday,

hope you enjoy it this time, you gave it all away.

it was mine, so when you're dead and gone

will you remember this night, twenty years now lost,

it's not right.

 

 

I fiocchi bianchi cadevano fitti, turbinando nel vento freddo della sera. Chris aveva il naso incollato alla finestra, intenta ad osservare quello spettacolo natalizio, alle sue spalle la piccola Aria si era appisolata in grembo a James, seduto sulla poltrona, mentre lui le leggeva una fiaba.

«Chris, tesoro, togli il naso dal vetro: lo sporchi» le fece notare Eve, sottovoce, entrando in salotto. Chris obbedì, sospirò e andò a sedersi accanto a suo padre.

«È tardi, dovresti andare a letto» questa volta era stato James a parlare. In tutta risposta Chris sbuffò e alzò gli occhi al cielo: anziché trattarla come una ragazza della sua età, si comportavano come se fosse ancora una bambina. 

«Papà! Non c’è scuola domani, dammi ancora cinque minuti» si lamentò, mettendo il muso. James rise e annuì.

«D’accordo, solo altri cinque minuti» 

Non era stanca. Si stava bene lì, al caldo, ad osservare la tempesta di neve che avvolgeva la notte, con solo la fioca luce calda della lampada, appoggiata sul tavolino accanto alla poltrona, e quella colorata delle decorazioni dell’albero di Natale, il profumo dei biscotti alla cannella. 

No, Chris non sarebbe comunque andata a dormire, non avrebbe sprecato una notte magica. Una volta in camera, avrebbe accesso l’mp3 e ascoltato musica finché non si fosse addormentata, probabilmente avrebbe scritto a Michael.

Eve scosse la testa sorridendo, prese delicatamente Aria dalle ginocchia del marito e la strinse tra le braccia badando a non svegliarla «la porto a letto, voi due vedete di non fare troppo tardi, okay?» li ammonì, prima di chinarsi per posare un bacio sulla fronte della figlia maggiore e uno veloce sulle labbra del marito.

Salì le scale piano, per evitare che cigolassero, e sentiva Chris e James ridere nel salotto. Si chiese che cosa si stessero mai raccontando mentre rimboccava le coperte alla bambina e la lasciava dormire nel suo lettino.

Si diresse poi verso la sua camera, si sciolse i capelli biondi, li spazzolò con cura, e si infilò la camicia da notte. Stava già per coricarsi quando notò che uno dei cassetti del comò non era chiuso a causa di un pezzo di stoffa che era rimasto incastrato e sbucava fuori di poco. Per un secondo pensò di lasciarlo lì, ma poi decise che forse non si trattava un calzino, ma della sua canottiera di seta, e non aveva intenzione di lasciarla rovinarsi. Così si avvicinò al cassetto e lo aprì.

Falso allarme, era un calzino. Ripensandoci, forse la sua canottiera era a lavare. Scrollò le spalle e sistemò come poté il contenuto disordinato del cassetto e le venne da ridere. Ripensandoci ancora, quello era in cassetto di James, non il suo. Era decisamente troppo stanca. Quando ormai aveva quasi ultimato di ordinare il cassetto, però, le sue dita sfiorarono qualcosa di duro, ruvido, di cui non riusciva a immaginare la forma, le sembrava squadrato in un punto e rotondo in un altro. Eve aggrottò le sopracciglia e afferrò l’oggetto misterioso per tirarlo fuori dal cassetto. Era una scatolina blu, ricurva sul coperchio, simile ad un piccolo forziere foderato di tessuto, avvolta in un nastrino bianco.

Non avrebbe dovuto aprirla, ma la tentazione era troppo forte.

Un’estremità del nastro era fermata da un adesivo argentato su cui si leggeva il nome di una gioielleria del centro. Eve sciolse il fiocco con cura, in modo da poterlo poi ricomporre in seguito, sollevò il coperchio e restò senza parole. La scatolina conteneva una catenina d’argento da cui pendeva un ciondolo meraviglioso, un piccolo, delicato fiocco di neve. Si chiese se quello al centro fosse un diamante. 

Per un attimo si sentì inadeguata: questo era il suo regalo di Natale, e lei non aveva nulla di così mozzafiato per James. Avrebbe dovuto cercare qualcos’altro per lui, non poteva presentarsi con una sciocchezza di quelle comprate  perché tanto ormai ci si è già regalati tutto.

Si affrettò a rimettere a posto la scatolina e a richiudere il cassetto appena sentì un rumore provenire dal piano di sotto, si infilò sotto il piumino e spense la luce. Accoccolata tra le coperte, si addormentò felice: non avrebbe pensato che James potesse perdere del tempo per farle un regalo così bello. Credeva di non essere più così importante per lui, ma doveva essersi sbagliata: era chiaro che quella collana fosse il suo calumet per lei.

 

25 dicembre 2010

Né James, né Eve erano riusciti a contenere l’entusiasmo che aveva svegliato Aria e Chris quella mattina. Erano saltate fuori dai letti alle prime luci dell’alba -Chris avrebbe preferito dormire ancora un po’, ma aveva deciso di assecondare la sorellina che credeva in Babbo Natale- e si erano precipitate, dopo aver costretto anche i genitori ad alzarsi, in salotto, dove alcuni pacchetti le aspettavano ai piedi dell’albero di Natale.

Il bicchiere che avevano riempito di latte era vuoto, al posto dei biscotti alla cannella c’erano solo briciole e della mela lasciata per una delle renne era rimasto solo il torsolo spolpato fino all’osso.

Aria raccolse i pacchetti e, mentre gli altri si sedevano attorno all’albero, li distribuì uno ad uno ai legittimi proprietari, facendosi aiutare da James, a volte scuotendoli per cercare di capire cosa contenessero.

«Vestiti» commentò delusa, allungando alla sorella un pacco troppo morbido per i suoi gusti. Chris rise. Sapeva cosa conteneva: era di certo quel maglione grigio di lana che aveva visto in negozio insieme ad Eve. Fu sorpresa però nel trovarci anche una camicia nera a quadretti che ci stava molto bene insieme e una sciarpa.

Aria scartò con gusto dei pacchi a forma di scatola. Sapeva che dovevano contenere dei giocattoli e ne era ben felice, mentre sarebbe rimasta delusa nel trovare dei pacchi molli come quello di Chris. Aria era ancora piccola, ma questa associazione le era chiara: se i regali sono molli sono vestiti, e i vestiti sono noiosi. Meglio le scatole, e più grandi sono, meglio è. Stava già per impossessarsi di un’altra scatola, molto più piccola, quando Chris la fermò.

«Ehi, vacci piano, qui non c’è scritto ‘Aria’» ridacchiò, scompigliandole i capelli «questo è per papà»

La bimba si arrese -pensando che tanto era una scatola troppo piccola per essere interessante- e consegnò il pacchetto al padre, che lo scartò e vi trovò un bellissimo orologio. Eve fu profondamente soddisfatta dall’espressione sorpresa di James, pensando di essere riuscita a colmare le aspettative.

Tuttavia, il sorriso di Evelyn si afflosciò quando Aria le porse un pacco molle. Lo guardò, confusa, e abbozzò una smorfia -che doveva sembrare grata e felice- mentre lo scartava. Un maglione, simile a quello di Chris. 

Fece del suo meglio per non mostrarsi delusa e per non cercare con gli occhi tra i pacchetti rimasti se ci fosse la scatolina che aveva trovato nel cassetto, mentre Aria continuava a consegnare gli altri regali. Un album da disegno e dei colori nuovi per Chris, un gioco per Aria, una cravatta per James... tutte cose che aveva già visto quando le aveva comprate. Dei cioccolatini per lei. Cioccolatini. Il regalo più inutile che si fa quando si è a corto di idee, o di soldi. Della collana, nessuna traccia.

Eve aspettò tutto il giorno, diede del tempo a suo marito per darle quel regalo in ritardo, si disse che non avrebbe dovuto cedere a delle conclusioni affrettate.

Aspettò. Ma quando, ormai tra le coperte, James spense la luce e le diede la buonanotte in tutta tranquillità, quando restò sveglia nel buio fino a che le lancette dell’orologio sul comodino segnarono la mezzanotte, in quel momento la consapevolezza la pugnalò dritta al cuore. E lei pianse.

Quella collana non era per lei.

 

29 dicembre 2015

«Mamma, hai visto la mia sciarpa?» Chris gridò per farsi sentire. Stava cercando quella vecchia sciarpa da dieci minuti buoni, e sembrava essere sparita, ma era determinata a trovarla: non aveva intenzione di rubare ancora quella di Ashton e di condannarlo ad un mal di gola. 

In camera sua non ce n’era traccia, sebbene la ragazza avesse rovesciato più di un cassetto durante le sue ricerche.

«Quale?» la madre rispose con voce altrettanto forte, dalla cucina.

Chris sbuffò, innervosita dai risultati ottenuti, e abbandonò il mucchio di vestiti che stava ispezionando per affacciarsi sul pianerottolo fuori dalla camera.

«Quella a quadri beige» 

«Non è in camera tua?» 

La ragazza alzò gli occhi al cielo. Certo, in camera sua! Come aveva fatto a non pensarci?

«Non ti pare che abbia già guardato lì?»

«Chris, non lo so. È vecchia, potremmo anche averla buttata via... prova a cercare nel mio armadio, magari è in qualche scatolone che non abbiamo aperto facendo il cambio di stagione»

«Okay...ehi, è profumo di polpette quello che sento?» Chris annusò l’aria, stupita.

«Già, le sto preparando per questa sera»

Chris annuì perplessa, anche se Eve non poteva vederla, e si diresse verso quella che era stata la camera dei suoi genitori. Restò per un attimo sulla soglia, a disagio. Non le andava di frugare tra le loro cose, non più. Prese un respiro profondo e si disse che ormai tutti gli scheletri le erano già caduti addosso l’ultima volta che aveva aperto l’armadio, quindi tanto valeva rimboccarsi le maniche e trovare la sua sciarpa.

Spostò la sedia davanti all’armadio per riuscire a raggiungere le ante superiori dov’erano gli scatoloni di cui aveva parlato sua madre e dapprima diede un’occhiata, senza toccare nulla. Poi notò un contenitore che le pareva familiare, più piccolo, in cui di solito riponevano gli indumenti più delicati che avrebbero potuto rovinarsi, e si sporse per afferrarlo. Sembrava incastrato, così dovette strattonarlo un paio di volte per tirarlo fuori. Si sedette sul letto e lo aprì, ispezionando il contenuto, ma senza grandi risultati: la sua sciarpa non era nemmeno lì, ma prima di riporre il coperchio un lembo di carta catturò la sua attenzione e in meno di un secondo si ritrovò a sfilare un foglio accartocciato dal fondo della scatola.

Se lo rigirò tra le mani e si morse le labbra. Sapeva da dove veniva: riconosceva la rigatura della carta e il suo colore bianco sporco. Era del diario di sua madre. Si ricordò di un dettaglio che aveva dimenticato, presa dalla foga delle sue scoperte, quando l’aveva letto. Mancavano delle pagine. Una doveva essere quella, e se sua madre l’aveva strappata, doveva esserci un motivo.

Deglutì a fatica, la gola improvvisamente secca, e aprì il foglietto con cura, sciogliendo ogni piega. La grafia solitamente ordinata della madre era più aggrovigliata del solito e in alcuni punti l’inchiostro blu era sbavato, come se... Come se si fosse bagnato. Chris pensò che forse Evelyn aveva pianto mentre stava scrivendo.

La data impressa in alto a destra era quella del 26 dicembre 2010. Gli occhi di Chris scivolarono subito sulla prima riga e le parole che lesse la ferirono tanto da lasciarla senza fiato.

James mi tradisce.

Batté le palpebre e rilesse di nuovo, ancora e ancora, sperando di essersi sbagliata e che i suoi occhi le stessero giocando solo un brutto scherzo, che le lettere si fossero annodate, rincorse e scambiate tra loro per formare una frase sbagliata. Ma più continuava a leggerle e più quelle parole le si imprimevano a fuoco nella mente, le rimbombavano in testa e le rivoltavano lo stomaco.

Mandò giù il boccone amaro e accartocciò di nuovo il foglietto, ficcandoselo nella tasca dei jeans, richiuse la scatola e la rimise in fretta al suo posto, sistemò la sedia e poi corse fuori dalla camera, giù per le scale. Non riusciva a pensare a nient’altro. L’impulso di scappare era troppo forte.

Quand’era sulla porta si bloccò per un attimo, notando Aria che giocava tranquilla in salotto, e quell’istante di esitazione le costò la possibilità di sgattaiolare via senza essere vista.

«Chris, l’hai trovata la sciarpa?» Eve si affacciò dalla porta della cucina.

«No» gracchiò, senza guardarla «esco a prendere un po’ d’aria, torno tra poco» sussurrò poi. Afferrò la sua giacca e la infilò mentre scappava fuori in fretta, ma riuscì a sentire la voce di Eve che le chiedeva di non fare tardi a cena.

Si avviò lungo il vialetto a passo spedito e, appena fu sulla strada, tirò fuori il foglio dalla tasca e riprese a leggere. Venne a sapere della misteriosa collana che sua madre aveva trovato poco prima di Natale, cinque anni prima, e di come avesse creduto fosse per lei, della delusione nello scoprire di essersi sbagliata. Lesse della speranza che aveva rincuorato Eve quando si era imbattuta in quel pacchettino e aveva interpretato il ciondolo come un tentativo di pace, un pegno d’amore, la promessa di ricominciare da capo, da parte di James; e poi dell’amara consapevolezza di aver frainteso tutto, della realtà che le veniva sbattuta in faccia: se quella collana non era per lei, James doveva avere un’altra donna a cui regalarla. Un’amante. 

Ma in fondo Evelyn sapeva di non aver sbagliato poi così tanto perché quella collana era davvero un pegno, ma non di amore per lei: era il simbolo della fine ufficiale del loro matrimonio. Avevano sempre litigato, certo, a volte anche pesantemente, ma Eve non si era mai arresa e aveva sempre continuato a rimettere insieme i pezzi. Ed era convinta che anche James l’avesse fatto, ma si era sbagliata. Lui aveva ceduto, aveva deciso da solo che non valesse più la pena di lottare per quello che avevano. Si era trovato un’altra.

Chris alzò gli occhi dal foglio che teneva stretto tra le mani, tanto stretto da rischiare di strapparlo, e rallentò il passo accorgendosi di essere davanti a casa di Ashton. Si accorse di esserci arrivata senza neanche rendersene conto, e le sue labbra si incurvarono in un sorriso spento. Tirò su col naso, poi asciugò con rabbia le lacrime che stavano per rigarle le guance. 

Per la prima volta capì che anche sua madre aveva sofferto molto e che non era poi stata lei a volere il divorzio, almeno non all’inizio, e si sentì in colpa per aver sempre creduto che se Eve fosse stata più forte e paziente, meno egoista, il matrimonio con James avrebbe funzionato. Invece lei ci aveva provato, per molto tempo, e alla fine non ce l’aveva più fatta. E suo padre che Chris, come tutti i bambini, aveva sempre considerato il suo eroe... Non lo era affatto.

Certo, sapeva già che loro due si erano traditi, in passato, ma credeva che quegli episodi non risalissero a così tanti anni prima: James aveva buttato via la storia con Eve ancora prima che la loro famiglia colassero a picco e, anzi, forse era stata questa una delle ragioni che li aveva trascinati verso il fondo.

Chris stava per avvicinarsi alla porta e suonare il campanello per vedere se Ashton fosse in casa, ma si bloccò e decise di proseguire. Non le andava di scaricare altri problemi sulle sue spalle e pensò che stare da sola fosse l’opzione migliore, così si diresse verso il parco. Sentiva il bisogno di riflettere e, anche se non sapeva bene su che cosa, era certa che avrebbe fatto male. 

Mentre camminava affondando gli stivali nella neve, decise che quando sarebbe arrivata a casa avrebbe abbracciato sua madre.

 

 

 

 

SO JUST GIVE IT ONE MORE TRY, WITH A LULLABY 

Quanto bella è questa canzone, ho i brividi. La dedico a Mavis (...spoiler)

Anyway.

Soooo avevate pensato che tra james e eve, fosse meglio james, che lei fosse una stronza e lui un poveretto  👀  E INVECE AH VE L’HO FATTA AHAHAH

Comunque io di solito non leggo mai i titoli dei capitoli (o le consegne negli esercizi a scuola, infatti poi mi capita sempre che nelle domande a crocette in cui c’è scritto “barra la risposta SBAGLIATA” io scelgo quella giusta e poi sbaglio) e se voi siete come me (spero di no AHAH) forse vi siete perse che l’inizio del capitolo era ambientato nel 2010 but i think che andando avanti a leggere si sia comunque capito 

e bohhh come vi avevo anticipato, nel prossimo capitolo verrà fuori da dove viene ashton e tutta la storia della sua vita.
adios!

ps. il calumet è quella pipa da cerimonia che usavano gli Indiani d’America principalmente per siglare i trattati di pace

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Capitolo 15
*** Through the dark ***


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(14)

Through the dark

30 dicembre 2015

 

 

 

If you wanna cry or fall apart

I’ll be there to hold you

But don’t burn out

Even of you scream and shout

It will come back to you

And I’ll be here for you

 

 

 

L’aria fredda bruciava nei polmoni di Chris, ma lei non poteva smettere di respirare così affannosamente mentre si infilava i guanti di lana. Era emozionata e allo stesso tempo terrorizzata dalla pista di pattinaggio sul ghiaccio che si stendeva davanti a lei e su cui non aveva mai messo piede. Strinse le dita guantate al parapetto che circondava la pista, pensando che quello sarebbe stato il suo migliore amico per le ore successive, mentre osservava le persone sfrecciare sullo specchio bianco. Una ragazza si sollevò dalla superficie di ghiaccio, eseguendo una piroetta, e Chris sobbalzò.

«Tutto bene?» 

La rossa si voltò verso Ashton che, dopo aver finito di allacciare i propri pattini, l’aveva raggiunta e le sorrideva, divertito dalla sua espressione preoccupata. Chris scosse la testa.

«Cadrò ancora prima di entrare»

«Oh, andiamo Chris, è impossibile» lui le cinse le spalle con un braccio per rassicurarla.

«Impossibile? Devo riuscire ad arrivare, in qualche modo, fin là» Chris indicò l’entrata della pista «e saranno almeno quattro metri. Devo camminare per quattro metri con questi cosi ai piedi...Tanto vale che mi butti per terra e ci arrivi strisciando» 

Ashton rise di gusto e finì per strappare un sorriso anche a Chris, che si rilassò per un secondo, poi le porse la mano.

«So che non ti va a genio, ma se pattiniamo a braccetto di certo finiremo a terra dopo neanche mezzo passo»

Chris fece un respiro profondo e prese la sua mano, lasciandosi guidare verso l’entrata.

«Solleva il piede tutto insieme, non come quando cammini, e vedrai che dopo questi quattro metri sarai tutta intera» la rassicurò lui «poi non garantisco»

«Ash!» la ragazza lo colpì sulle spalle con l’altro braccio, appena prima che lui appoggiasse il primo pattino sul ghiaccio e lasciasse andare la sua mano. Lo guardò avanzare un paio di... passi sulla superficie scivolosa e si sistemò la sciarpa, che alla fine era riuscita a trovare in camera di Aria.

«Dammi la mano» 

Chris si lasciò sfuggire un gemito di disperazione e fece come Ashton le aveva chiesto, lasciandosi scivolare lentamente sul ghiaccio. Si irrigidì di colpo alla sensazione di aver perso ogni stabilità, e restò perfettamente immobile mentre Ashton la trascinava piano verso di sé. 

Le era capitato diverse volte di scivolare, nella sua vita, spesso a causa del suo essere un po’ impacciata, ma il tutto si concludeva con un piccolo spavento e una slittata in avanti di mezzo metro. Pattinare era una cosa completamente diversa: non solo il ghiaccio era terribilmente scivoloso, ma Chris doveva anche starci sopra appoggiando tutto il proprio peso su una sottile lama di metallo.

«Non lasciarmi, non lasciarmi, non lasciarmi, oh dio NON lasciarmi» farfugliò, quasi senza muovere le labbra per paura di perdere l’equilibrio «Ashton io te lo giuro, se non ti fermi adesso la prima volta che cadrò mi aggrapperò a te e ti trascinerò con il culo a terra»

«Grande minaccia» rise lui, continuando a pattinare e trascinarla.

«Non mi sento di pianificare vendette che prevedano che io esca viva da qui»

Finalmente, Ashton si fermò e Chris sospirò di sollievo, ma la sensazione di sicurezza l’abbandonò non appena si rese conto di essere al centro della pista.

«Cosa cazzo hai fatto!» urlò la ragazza. Cercò di spingersi in avanti agitando disperatamente le braccia, in preda al panico, poi perse l’equilibrio e andò a sbattere contro Ashton, a cui si aggrappò con tutte le forze. Sentiva il calore dell’adrenalina scorrerle nelle vene e scosse la testa ripetendosi che aveva solo mosso un piccolo passo.

«Allora, prima di tutto: rilassati, non ti succederà nulla. Poi, se senti di cadere non sbilanciarti in avanti: meglio una botta sul culo che sul naso» le spiegò.

«Non ti succederà nulla, Chris, sarà divertente. Certo, fantastico» borbottò lei, lasciando andare Ashton. Cercò di stabilizzarsi il più possibile e di abituarsi alla sensazione del giaccio sotto i suoi piedi. Provò a guardare come si muovevano gli altri, sfrecciando tutti nello stesso verso ai lati della pista. Sembrava divertente ma guardarli le fece girare la testa e perdere un po’ l’equilibrio, così prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, ripetendosi ce la posso fare.

«Okay, spiegami come faccio a muovermi senza ammazzarmi»

Ashton le sorrise e le porse di nuovo la mano, pronto a cimentarsi in una lezione di pattinaggio. Due ore, sei cadute e tante risate dopo, scivolavano fianco a fianco tranquillamente, qualche volta addirittura si rincorrevano per gioco. Chris sbandava ancora in curva di tanto in tanto, ma riusciva sempre a riprendere l’equilibrio all’ultimo momento e a tornare dal biondo che si era fermato per aspettarla.

Si stava facendo tardi e il volume della musica trasmessa dagli altoparlanti agli angoli della pista si abbassò per permettere a una voce gracchiante di comunicare che la pista stava per chiudere. Chris mugugnò in dissenso e incrociò le braccia al petto, delusa, mentre rallentava.

«Vuoi ammettere che ti stai divertendo?» Ashton notò l’espressione contrariata della ragazza, così la raggiunse e la trascinò di nuovo fino in mezzo alla pista. Quando si fermò lei scrollò le spalle e iniziò a girargli intorno, inclinando la testa da una parte e poi dall’altra come a valutare la situazione.

«D’accordo, avevi ragione... è divertente e potrei anche confessare di volerci tornare» non riuscì quasi a finire la frase che perse l’equilibrio, scivolando all’indietro, ma Ashton l’afferrò prima che potesse cadere.

«Ritiro tutto» ridacchiò Chris, infilando le mani nelle tasche del giaccone del ragazzo. 

«Ormai puoi iscriverti alle prossime Olimpiadi Invernali nel pattinaggio di figura» Ashton le sorrise e si avvicinò al suo viso per baciarla, ma lei lo spinse via leggermente, ridendo.

«Ah-ha, certo. Solo se portiamo Lo Schiaccianoci come pezzo da ballare» sussurrò Chris. Cercò la mano di Ashton, mentre con l’altra si appoggiava alla sua spalla e lui le cingeva la vita. 

 

 

Ashton si mordicchiò le labbra lanciando un’altra occhiata, la decima negli ultimi quattro minuti, al polso sinistro, teso sul poggiolo della poltrona, su cui l’orologio si ostinava ad andare avanti troppo lentamente. Sospirò leggermente, per non farsi notare. Stava temporeggiando e lo sapeva bene, continuava a ripetersi che al prossimo scoccare del nuovo minuto avrebbe iniziato a parlare. Ripensando a questo suo compromesso notò che la lancetta dei secondi aveva appena intrapreso un altro giro, ma la ignorò facendo finta di nulla. E poi, forse lei si era addormentata. Era scivolata nel silenzio già da qualche minuto e di certo lui non voleva svegliarla.

«Chris?» Ashton la chiamò con il sussurro più leggero che potesse sfiorare le sue labbra nella speranza che lei, anche se fosse stata sveglia, non lo avrebbe sentito.

«Mh?»

Il biondo si sentì sprofondare nella poltrona. Era sveglia. Era ora di piantarla di rimandare. Prese un respiro profondo e si inumidì le labbra nella convinzione istintiva che parlare sarebbe stato più semplice.

 «Credo che... che sia giusto che io ti racconti un paio di cose. Tu sei stata onesta con me e...» Ashton si passò una mano tra i capelli e scompigliò i ricci con un sospiro. Non era affatto semplice

A quelle parole Chris, che era sdraiata con la testa poggiata sulle sue ginocchia, si tirò su a sedere e lo osservò, preoccupata. Lo studiò per qualche secondo, in attesa che lui si spiegasse. Era palesemente teso, e quando Chris notò la mano sinistra aggrappata alla poltrona vi ci posò sopra la propria.

«Un paio di cose? Riguardano per caso dei muri da abbattere?» cercò di sdrammatizzare lei. 

«Già...»

Chris sospirò, delusa di non essere riuscita a farlo sentire più a suo agio, e si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

«Senti, Ashton, lo so che avevo detto di voler sapere più cose su di te, ma se non te la senti... Non voglio obbligarti»

Lui abbozzò un sorriso e scosse la testa.

«No, lo so. È una mia scelta. Spero che questo non cambi nulla»

«E cosa potrebbe cambiare?»

«Il modo in cui mi guardi»

Chris scosse la testa, confusa e stupita dalla serietà nella voce di Ashton. Come avrebbe potuto cambiare qualcosa tra loro? L’angolo più creativo del suo cervello macinò in fretta una serie di ipotesi orribili: era un assassino? Un criminale? Era sposato? Scacciò quelle idee con un gesto infastidito del capo e si concentrò sulla realtà, convincendosi che non sarebbe stato nulla di tanto preoccupante.

«Non cambierà. Te lo prometto» 

«Una volta una persona mi ha detto di non fare promesse che non si possono mantenere» la rimbeccò lui.

«Ma io so di poterlo fare» Chris sorrise, scompigliandogli i capelli «puoi fidarti di me»

«Lo so. Be’, negli ultimi giorni ho riprovato un paio di volte da che parte iniziare a raccontare questa storia, e mi sembrava di aver trovato un discorso adatto. Filava bene, aveva senso. Ma me lo sono dimenticato» Ashton ridacchiò nervosamente, poi rubò dalle dita di Chris, ancora appoggiate sulla sua mano, l’anello di legno scuro e prese a giocarci.

«Mia madre ci ha abbandonati quando io ero piccolo, non andavo nemmeno a scuola. Infatti non ho dei veri ricordi di lei, più che altro si tratta di storie che mia sorella mi ha raccontato, negli anni successivi, prima che...» lasciò la frase in sospeso, riflettendo su come continuare. Scosse la testa: così non andava affatto bene.

«No, okay, ricominciamo da capo»

Chris gli sorrise, incoraggiante.

«Mia madre se n’è andata quando io avrò avuto su per giù quattro anni. Una mattina sparì, senza una parola, un biglietto, nulla. Non ho mai saputo cos’è successo davvero, mia sorella non ha mai voluto dirmelo e non so a chi dare la colpa per farmi meno male» le frasi gli scivolavano via in fretta ma tra una e l’altra faceva una piccola pausa «quando mia madre se n’è andata ovviamente le cose sono cambiate drasticamente, non ho dei ricordi chiari perché ero troppo piccolo, ma da quando avevo undici anni non ho fatto altro che ripensare a tutto quello che era successo in modo da ricostruire la verità»

Chris aggrottò le sopracciglia di riflesso, un po’ confusa, ma non lo interruppe. Cos’era successo quando lui aveva undici anni? Le stava dando elementi sconnessi tra loro che non l’aiutavano troppo a capire, ma decise di aspettare la fine della sua storia sperando che a quadro completo tutto risultasse più comprensibile.

«...e ho capito che per tutti quegli anni l’ombra spaventosa che arrivava la sera in camera mia e di mia sorella ondeggiando era Steve...» Ashton si interruppe e si lasciò scappare una piccola smorfia «mio padre,» si corresse a malincuore, come a non voler accettare quel legame di sangue «che tornava a casa ubriaco. Non ricordo che l’avesse mai fatto prima che mia madre ci abbandonasse, ma non posso escludere che in realtà lei se ne sia andata per i suoi problemi con l’alcol. È questo a cui mi riferivo quando dicevo che non so a chi dare la colpa: mia madre potrebbe averci lasciati perché non ci voleva bene, o a causa di Steve. Non lo so e non so quale sia l’opzione più orribile»

Ashton sollevò gli occhi dall’anello, incrociando lo sguardo con quello di Chris. E lo vide. Vide il dispiacere e fu tentato di fermarsi, di non continuare a raccontare. Stava succedendo. Restò in silenzio per un attimo e pensò che, se l’avesse chiusa qui, sarebbe anche potuto bastare. Che bisogno c’era di continuare? Lei non sapeva quando la storia sarebbe finita, quindi perché non limitarsi all’inizio?

Guardò di nuovo Chris, che aspettava, silenziosa, e scosse impercettibilmente la testa: non voleva mentirle. Si schiarì la voce e andò avanti.

«Lui inizialmente ‘annegava i dispiaceri nell’alcol’ quando tornava da lavoro, così di giorno Mavis, mia sorella, mi faceva da mamma, e di notte io mi nascondevo in camera e lei...» una smorfia gli increspò il viso e la sua voce salì di tono «ci hanno fatto un sacco di film, no? Lui inizia a bere e diventa violento. Si sfogava su Mavis, metà delle volte le urlava che non se ne sarebbe dovuta andare, convinto di star parlando con mia madre, l’altra metà si rendeva conto di parlare con sua figlia e la insultava. La incolpava di tutto, la picchiava, la sgridava per cose che ho fatto io ma di cui lei si dichiarava responsabile»

Era strano ripensare a quei momenti. Non aveva fatto altro che riviverli, da quando aveva lasciato quella casa fino a qualche anno prima, analizzando ogni dettaglio, immaginando come avrebbe potuto agire diversamente per cambiare le cose, chiedendosi il perché. Quegli istanti orribili impressi a fuoco nella sua memoria lo avevano perseguitato ogni volta che chiudeva gli occhi, e bruciavano, rendendogli quasi impossibile dormire. Aveva rischiato di impazzire e poi era finalmente riuscito a lasciarsi tutto alle spalle. Ma in quel momento, dopo tutto il tempo passato a cercare di scordarsi cos’era successo quando ancora viveva in quella piccola casa di campagna, i ricordi lo investirono. 

Chiuse gli occhi: gli sembrava di essere ancora lì, nascosto nell’angolo del letto a castello, che divideva con Mavis -lui aveva quello in alto, che lo faceva sentire più al sicuro-, rannicchiato contro il muro nel buio spettrale di quelle stanze. Stanze vuote, fredde. Per questo si precipitava fuori appena possibile, a giocare in cortile, esplorando nuove zone fino a sconfinare nel terreno dei vicini. Abitavano in Iowa, nella contea di Taylor, a sud-ovest, quindi prima di incontrare un’altra casa poteva fare parecchia strada.

Aprì gli occhi e guardò Chris, desiderando di potersi fermare. Non ci riuscì. 

«Ci eravamo quasi rassegnati a quella routine, in cui di giorno cercavamo di dimenticarci che cosa ci aspettava la sera, Mavis si occupava di me, mi raccontava di com’era nostra madre...» 

Lorelay. Lorelay Brennan. 

Occhi verdi e riccioli biondi, un velo di fard per cercare di coprire le lentiggini che le davano un’aria da bambina e rossetto rosso per farla sentire una donna la notte in cui, a diciotto anni, scappò di casa. 

Scappò da una relazione con Ethan, il figlio del pastore del paese, perché sarebbe potuta finire in qualcosa di troppo serio, scappò da quella casa che le sembrava tanto opprimente, lasciando una madre troppo severa e un padre solitario, scappò da Steve, sei anni dopo, e da una vita di campagna che le era sembrata splendida e spensierata ma di colpo le andava troppo stretta, e continuò sempre a scappare da ogni cosa, perfino da se stessa.

Il ritratto che Mavis aveva dipinto per Ashton, però, era più gentile e generoso: Lorelay era una donna dolce e premurosa, che preparava delle ottime crepes -frittate, in realtà- e lasagne al sugo -surgelate-, curava le rose davanti alla veranda -appassirono in fretta e furono soccorse da Mav- e raccontava delle fantastiche storie della buonanotte. Quest’ultima cosa era vera. I ricordi vaghi e sbiaditi che Ashton aveva di lei presero la forma e i colori delle storie che la sorella gli raccontava, regalandogli l’immagine di una splendida donna.

 «...e mi accompagnava a scuola. Mav non ci andava più: aveva sedici anni e per legge poteva restare a casa, così aveva abbandonato il liceo. Poi un giorno le cose cambiarono. Steve fu licenziato, credo, perché cominciò ad essere sempre a casa, dalla mattina alla sera, il che significava un inferno a tempo pieno, soprattutto per Mavis, e morire di fame: quei pochi soldi che aveva, li spendeva per comprare da bere» Ashton si passò una mano sul viso, coprendosi le labbra e il naso per non respirare la puzza dell’alito di scotch che gli ritornò in mente «Mav iniziò a lavorare ad una tavola calda mentre io ero a scuola, ed era un bene perché così non avrebbe dovuto affrontarlo da sola a casa, ma poi iniziarono a darle il turno serale. Ciò implicava lasciarmi a casa da solo con...quel mostro, e Mavis non lo accettò. Lasciò il lavoro»

Chris era furiosa, indignata, sconvolta. Si sentiva morire, e sapeva di provare solo una piccola parte del dolore che aveva soffocato l’infanzia di Ashton e di sua sorella. 

«Ricordo che una mattina presto, prima dell’alba, ci eravamo alzati ed eravamo andati in cortile per ideare un piano per scappare. Io ero un bambino pieno di idee, ma buona parte delle opzioni che proponevo erano piuttosto irrealizzabili: passavo dalle macchine del tempo alle mongolfiere» gli sfuggì una debole risata nostalgica: le mattine erano state i momenti più felici della sua infanzia «a me non venne in mente, mentre a Mavis di certo, di andare alla polizia: ci provò, ma scoprì che in centrale lavorava un amico di Steve. Che venne a farci visita... e peggiorò solo le cose. Steve si infuriò, quella sera, e da lì in avanti diede il peggio di sé. All’inizio pensavo che si limitasse a picchiare Mav, ma una notte mi svegliai sentendo delle urla e uscii dalla mia camera di nascosto. Spiai dalla fessura della porta e vidi che...» la voce di Ashton si affievolì, poi lui si schiarì la gola. Quasi non si accorse delle mani di Chris che erano corse ad intrecciarsi con le sue, pronte a dargli qualcosa a cui aggrapparsi.

«Lei si accorse che li avevo visti, lui no. Il giorno dopo rovesciai un bicchiere di latte e mi beccai diversi colpi. Mentre mi medicava, Mavis giurò che mi avrebbe tirato fuori di lì. E lo fece. Spedì una lettera...» Ashton chiuse gli occhi per un momento «due giorni dopo si suicidò»

Era una mattina di settembre e le primi luci dell’alba erano entrate prepotenti dalla finestra della camera dei due fratelli, svegliando Ashton. Lui aveva sbadigliato e si era lamentato ad alta voce, ancora insonnolito, con Mavis, perché non aveva chiuso le imposte la sera prima. Si era rigirato per un po’ nelle lenzuola spiegazzate e poi si era accorto che lei non gli aveva risposto. 

Gli era sembrato di aver sentito, a metà tra il sogno e la realtà, la voce dolce e impastata dal sonno di Mav bisbigliare un “avresti potuto chiuderle tu, per una volta, peste”, ma non ne era certo. Così si era sporto dal proprio letto, rischiando quasi di cadere per terra, e aveva visto che quello della sorella era vuoto. Ashton aveva pensato che lei fosse andata in cortile a preparare una delle loro solite riunioni mattutine e quindi vi si era trascinato, scalzo.

Nemmeno lì trovò nessuno. Iniziò a preoccuparsi, e corse in cucina, chiamando piano sua sorella. 

Non rispose nessuno.

Restò seduto per un po’ a tavola, dopo essersi versato un bicchiere di succo, ad aspettare che lei tornasse, fiducioso, con lo sguardo fisso nel vuoto. Quando però passò l’ora in cui avrebbero dovuto, come al solito, guardare il loro cartone animato preferito alla televisione, Ashton ebbe davvero paura. 

Non si ricordava perché finì per guardare nel bagno nonostante la porta fosse chiusa e quindi la stanza avrebbe potuto essere stata occupata, magari anche da Steve. 

La trovò lì dentro, nella vasca. Era seduta con la schiena appoggiata contro il muro e le gambe distese, gli occhi annebbiati, persi a guardare un punto lontano, nello spazio e nel tempo, davanti a sé. Sembrava un fantasma, la pelle candida dello stesso colore della camicia da notte e della vasca da bagno. Un rivolo scuro di sangue secco scorreva dai polsi di Mav, incrostandosi sul cotone della veste e riversandosi nello scolo dell’acqua.

«La trovai io e restai con lei fino all’arrivo della polizia» 

Ashton si precipitò nella vasca, tanto che rischiò di scivolare su una piastrella bagnata, e scosse Mavis a lungo. Poi lasciò perdere e scivolò accanto a lei. Era rimasto lì finché un agente di polizia non lo aveva strappato dall’ultimo abbraccio con sua sorella e l’aveva portato via. I ricordi seguenti erano confusi, Ashton non sapeva nemmeno chi avesse chiamato il 911.

Chris strizzò gli occhi, umidi, poi allungò una mano verso il viso del ragazzo e gli sfiorò la guancia, accarezzandola, mentre lottava con le proprie labbra perché non si incurvassero in una smorfia di dolore.

O almeno questo è ciò che parve a lui, ma quella non era una carezza. Le dita di Chris stavano raccogliendo le lacrime che Ashton non si era neanche accorto di perdere. Lui appoggiò la mano su quella della ragazza e abbassò lo sguardo, riprendendo a raccontare.

«Poi scoprii che aveva mandato la lettera direttamente alla detective della centrale, per evitare che finisse nelle mani di quel poliziotto corrotto. In quella lettera raccontava tutta la verità. C’era un foglio anche per me, nella busta che aveva spedito. Diceva che ce l’aveva fatta, che mi aveva liberato, che adesso mi avrebbero portato via di lì e che Steve avrebbe pagato, e si scusava. Si scusava per quello che aveva fatto, ma mi spiegava che non sarebbe riuscita a convivere con quello che le era successo e mi chiedeva di perdonarla» 

Non sapeva se ci era riuscito, l’unica cosa di cui era certo era che Mavis gli mancava da morire. Ashton si sentiva terribilmente in colpa per non essere riuscito a fare niente di più per lei, per averla lasciata andar via in quel modo. Se solo avesse potuto parlare con lei, prima di quella notte, dirle quanto le voleva bene e chiederle di non abbandonarlo, prometterle che avrebbero affrontato insieme quello che sarebbe venuto.

Erano così vicini, ce l’avevano quasi fatta. Mav aveva avuto un’idea perfetta: con quella lettera aveva messo la firma sul loro rilascio. Sarebbero stati liberi. Per anni Ashton si era chiesto perché lei avesse mollato a così poco dalla fine, come avesse potuto rinunciare alla speranza di una nuova vita, e aveva immaginato come sarebbero potute andare le cose se lui fosse riuscito a fermarla.

«Finii in qualche casa famiglia perché non si riusciva a trovare nessun parente a cui affidarmi, finché un giorno non si fece vivo mio nonno materno, che era rimasto vedovo. Sua moglie era morta di cancro qualche anno prima. Neanche sapevo della loro esistenza... voglio dire, non li avevo mai conosciuti. A quanto pare la perplessità era reciproca: nemmeno lui sapeva di avere un nipotino e non sapeva nemmeno che fine avesse fatto mia madre. Lei era scappata di casa a diciotto anni e non si era più fatta sentire, fino a qualche giorno prima, quando aveva mandato una lettera, da una città in Messico, a mio nonno, chiedendogli di controllare come andassero le cose da noi» 

I genitori di Lorelay, sebbene a lei sembrassero severi e poco interessanti a lei, avevano sofferto molto per la sua scomparsa e l’avevano cercata a lungo, ma non riuscirono mai a rivederla. 

Quando Jenny, la madre di Lorelay, morì, Bernie Brennan lasciò la loro vecchia casa e si trasferì a Bar Harbor, insieme a Cip e Ciop -in realtà quei due non avevano mai avuto un nome fisso, fu Ashton a ribattezzarli così-, un grosso gatto tigrato e un incrocio di Labrador che erano diventati ottimi amici. 

Una mattina di pochi anni dopo un vecchio amico di Bernie, che gentilmente gli rispediva le lettere che ancora arrivavano al suo precedente indirizzo, gli mandò una busta sudicia e piena di francobolli. Fu così che Bernie scoprì di avere ben due nipotini nelle campagne dell’Iowa e, nonostante fosse un uomo che amava la solitudine, non poté rinunciare al desiderio di conoscerli. 

Purtroppo, dopo lo scomodo viaggio fino a Blockton, si trovò di fronte a una realtà un po’ diversa da quella che aveva immaginato e scoprì tutto quello che era successo negli ultimi anni. 

«Non riuscimmo più a rintracciarla e io andai a vivere con mio nonno, nel Maine. È morto d’infarto due anni fa, e io sono partito e sono venuto qui. Mi sono sistemato con i soldi che mi aveva lasciato e ho iniziato a lavorare in quel negozio di musica...» la voce di Ashton si spense e il suo sguardo si perse nel vuoto. 

Dopo qualche minuto Chris si decise a rompere il silenzio che li aveva avvolti, sentendo il bisogno di dire qualcosa -anche senza sapere cosa, così si strofinò gli occhi umidi e si schiarì la gola.

«Ashton, io...» si mordicchiò le labbra, indecisa e un po’ arrabbiata. Era disgustata dal mondo e si sentiva quasi un po’ in colpa, perché di quel mondo ingiusto e crudele faceva parte anche lei. Si sentiva quasi in dovere di scusarsi con Ashton a nome dell’umanità intera.

«Ecco, lo vedi?»

Chris sollevò lo sguardo, confusa, puntandolo su Ashton, e aggrottò le sopracciglia.

«Che cosa?»

«Mi stai guardando come si guarda un cucciolo bastonato. Lo hanno fatto già, e non serve a nulla»

«Non posso sentirmi triste per te?»

«Solo non voglio che inizi a trattarmi in modo diverso»

«Non lo farò. Non ti tratterò in modo diverso. Ma che cosa ti aspettavi? Che restassi impassibile? Tengo troppo a te per non stare male sapendo quello che vi è successo» Chris agitò le mani in modo confuso, come a voler maneggiare le parole alla ricerca di quelle più adatte «io non riesco nemmeno a dirti come mi sento. E vorrei provare a spiegartelo, ma mi sembra di offenderti in qualche modo, perché so che sono sentimenti che tu hai provato in prima persona e non mi sento in diritto di...» si lasciò cadere le mani in grembo con un sospiro angosciato «Non meritavi nulla, nulla, di quello che ti è successo. Non è giusto. E, Ashton...perdonami»

«Per cosa?»

«Mi dispiace di averti... vomitato addosso tutti i miei problemi come se fossero la cosa peggiore che possa capitare. Mi dispiace, non sai quanto» mormorò. Perché non poteva ignorare che a tutto il dolore che stava provando al pensiero di quello che lui aveva dovuto passare, di quello che aveva visto, si aggiungevano i sensi di colpa per avergli parlato della propria famiglia, che in confronto era perfetta, come se fosse la più orribile, la più rovinata. 

«Mi dispiace» farfugliò «sono stata orribile»

Ashton scosse la testa.

«Sono stato io a voler entrare a tutti i costi nella tua vita e a chiederti di parlarmi della tua famiglia. E poi tutti hanno il diritto di essere tristi per tutto quello che li fa soffrire, anche se ci dovesse essere qualcuno che sta peggio»

Chris sollevò lo sguardo e lo incastrò con quello di Ashton. Era stupita, meravigliata, sconvolta da quello che vedeva. 

«Come fai... ad essere così?»

«Così come

«Non lo so. Sei così... allegro. Altruista. Nonostante tutto. Sei irreale»

Ashton le regalò un sorriso debole, dolce, pieno di ricordi: «sai, mio nonno era davvero una bella persona. Credo che mi abbia salvato dall’orlo della follia. Ma ho sofferto e soffro, ho passato anni ad odiare il mio passato, ma, purtroppo, questo non l’ha fatto sparire. Non si può cambiare, resta lì. Puoi rivangarlo, ignorarlo o accettarlo, lui non cambierà. Posso solo ricordare Mavis, diventare tutto meno che come Steve e cercare di impedire che altri debbano vivere ciò che ho vissuto io»

Chris sorrise, commossa, e scivolò tra le braccia del ragazzo stringendolo forte. 

«Ashton, credo di aver infranto la mia promessa di prima: adesso mi sembri una persona ancora più meravigliosa»

 

 






 

(((aggiungiamo che si era fatto anche un po’ di terapia ma dirlo avrebbe rovinato il momento)))

LA MAVIS DI LULLABY ECCOLAAA povera stella mi viene da piangere 

Mi odio perché ho voluto inserire un prologo a questa storia, che ho numerato come “0” e adesso tutti i numeri che io metto sono sbagliati rispetto a quelli che dà efp. 

Mi odio anche un po’ per aver ammazzato Mavis e l’infanzia di Ashton vabbene lo ammetto

Vabb, a voi come stanno andando le vacanze? Io mi sto flagellando mentalmente perché ho appena fatto i diciotto e sento incombere il pensiero che tra un mese e mezzo inizio l’ultimo anno di liceo e tra meno di un anno avrò la maturità e devo fare la patente e scegliere cosa fare della mia vita e dovrò ammazzarmi di studio per dieci mesi ((((((((: che gioia

Comunque ora che si amplia il quadro possiamo conoscere meglio Ashton! Mi dilungherei a parlare di lui e le sue differenze/affinità con Chris, ma ho predisposto un commento speciale alla fine della storia in cui chiarisco tutto quello che vorrei dire adesso quindiiiii sto zitta.

Scusatemi se non ho aggiornato prima, credevo di riuscirci e invece ciccia!

A presto :)

 

 

ps. ho in mente la trama di sei nuove storie (la mia testa lavora troppo) e devo ancora finire l’altra che avevo iniziato a postare su ashton e mi sparo perché non avrò mai il tempo di mettermi a scriverle DATEMI ALTRI NOVE MESI DI VACANZE VI PREGO. Odio agosto.

pps. HANNO SMESSO DI FARE LE NUOVE PUNTATE DI HOW I MET YOUR MOTHER E MI SONO CONSUMATA QUASI TUTTO IL 3G DEL TELEFONO DI QUESTO MESE PER ANDARE AVANTI SOLO PER VEDERE BARNEY E ROBIN RIMETTERSI INSIEME MA INVECE LEI È RIMASTA CON KEVIN MA MI PRENDETE PER IL CULO ALLORA

ppps. scusate non sono calma atm

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