Superando il buio dei pensieri di _Sam12 (/viewuser.php?uid=794069)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
CAPITOLO 1
Bip Bip Bip!
Al suono della sveglia sbattei le
palpebre più volte cercando di tornare alla realtà e,
quando realizzai che giorno era, affondai il viso nel cuscino nel
vano tentativo di soffocare.
Se avessi fatto finta di niente sarei
potuta rimanere a letto tutta la mattina e non andare a quella
stupida gita parrocchiale di tre giorni.
Mi si strinse ancora di più il
cuore quando decisi di lasciare le coperte.
Mi lasciai scivolare ai piedi del letto
e infilai la vestaglia per non congelare.
Scesi le scale, aprii la porta del
bagno e mi sciacquai il viso per poi guardarmi allo specchio.
Mi feci una smorfia: ultimamente era
diventato il mio modo affettuoso per darmi il buongiorno.
In cucina mi versai il latte nella
tazza e lo guardai ondeggiare prima di ordinare al mio stomaco di
ingurgitarlo.
Noiosa. Sì, ero incredibilmente
noiosa.
Un piccolo concentrato di noia, ansia,
tristezza ed euforia.
Ero pronta a scoppiare, su quello non
c'era dubbio, sarebbe bastata solo una piccola spinta e sarei
rotolata giù senza fermarmi.
“Sei pronta? Arriveremo tardi...”
disse mia madre entrando in cucina, mi scoccò un bacio sulla
guancia e continuò “Cos'è quella faccia scura?
Vedrai che andrà tutto bene e ti divertirai.” e allora
esibì un enorme sorriso.
Era quasi doloroso per me vedere quanto
mia madre si preoccupasse e non vedesse l'ora che la sottoscritta
avesse tanti amici e una vera vita sociale.
Ed era inutile ripeterle che le mie
quattro o cinque amiche le avevo, perché comunque finivo
sempre per passare troppi sabati sera da sola in casa.
Cosa ci potevo fare se ero timida e
impacciata?
Scossi la testa ricordando come mi
avesse a tal punto sfinita con questa gita che alla fine avevo
accettato di parteciparvi per non distruggere l'equilibrio familiare.
Mi sedetti in auto con lo zaino sulle
ginocchia e fissai lo sguardo fuori dal finestrino: sarei stata fuori
solo due notti, ma questo non bastava a tranquillizzarmi, dato che in
qualunque caso non avrei conosciuto nessuno.
Mia madre continuò a ripetermi
che non sarebbe stato male come credevo e a chiedermi se avevo
ricordato questa o quella cosa, dopodiché accendemmo la musica
e rimanemmo in silenzio.
Arrivammo appena in tempo, infatti,
benché teoricamente in orario, tutti erano già saliti
sulla corriera e mancavo in pratica solo io.
Salutai mia madre che ostentava ancora
un sorriso soddisfatto e corsi dai catechisti.
“Sono Emma Castelli...Scusate il
ritardo, io...”
“Nessun problema, sei arrivata
appena in tempo! Sali, sali pure...” mi accolsero gentilmente i
due adulti che indossavano dei berretti rossi alquanto discutibili.
Salii i gradini blu della corriera e
fui immersa da un frastuono di risate e grida.
Arrossii in imbarazzo: avrei dovuto
prendere posto accanto alla prima persona sconosciuta che mi fosse
capitata, infatti tutti gli altri si erano ormai già seduti.
Incespicai fino a metà
corridoio, dove come un miracolo mi apparve una coppia di sedili
vuota, mi accorsi purtroppo subito dopo che sul sedile accanto al
finestrino erano stati gettati una giacca e uno zaino.
Trattenni un sospiro e mi sedetti per
sottrarmi ad una qualsiasi occhiata curiosa.
Mia madre mi aveva pregata di venire
per fare amicizia e ora quella era l'ultima cosa che mi sentivo in
grado di fare: scendere direttamente prima che la situazione
degenerasse sarebbe stata la scelta migliore.
“Scusa..” mi disse una voce
accanto a me: vidi di sfuggita il viso del ragazzo che doveva essere
il mio vicino e mi strinsi contro il sedile per lasciarlo passare.
Tutto stava diventando sempre più
imbarazzante, infatti non sapevo mai come comportarmi o approcciarmi
con dei ragazzi.
Intendo dire che mi chiedevo sempre se
fosse giusto essere molto socievole o comportarmi come se non mi
interessasse conoscerli, e in tal caso ero spaventata dall'idea che
uno qualsiasi di loro pensasse che ero interessata a lui.
Allo stesso tempo avrei preferito
moltissimo giocare con loro a palla piuttosto che parlare di unghie
con le altre ragazze, anche perché di unghie non ne sapevo
nulla, ma finiva sempre che le poche volte che provavo ad unirmi a
loro, qualche ragazza riusciva a dire che ci stavo provando, mentre i
ragazzi in questione non mi consideravano mai troppo e si rifiutavano
di passarmi la palla.
Quindi con tutti questi drammi nella
mia piccola testolina decisi che per il viaggio sarei stata zitta e
non gli avrei rivolto la parola se non per necessità di vita o
morte.
Gli lanciai un'occhiata di sfuggita
mentre cercavo qualcosa nello zaino: da quello che riuscivo a vedere,
dato che in quel momento era voltato verso il finestrino e mi dava in
pratica le spalle, era carino: capelli castano scuro e lineamenti
delicati.
Un ragazzo dal sedile davanti al nostro
si voltò verso di noi ed esclamò: “Ehi Vale! Sei
venuta anche tu!”
“Gio! Non pensavo di trovarti
qui! Come va?” rispose la persona seduta accanto a me esibendo
un enorme sorriso.
La mia testa si bloccò
interdetta: Vale?
Mi voltai per
guardare il mio vicino e arrossii rendendomi conto che
effettivamente era una ragazza.
“Ehi Vale,
che hai fatto a questa povera ragazza qui accanto?” disse
ridendo il ragazzo che si chiamava Gio “Sembra che qualcuno le
abbia appena tirato uno schiaffo.” e allora mi squadro
divertito.
“La mia
bellezza sconvolgerebbe chiunque. Quante volte dovrò
ripetertelo?” rispose Vale all'amico, poi si voltò verso
di me “Tutto bene?”
“Sì,
sì, scusa...io...mi sono ricordata di aver dimenticato lo
shampoo e...” balbettai imbarazzatissima.
I due amici risero
e Vale esclamò: “Ma non preoccuparti, te lo presto
io...magari siamo anche in stanza insieme!”
Annuii ringraziando
e tornai a fissarmi le scarpe.
Irrazionalmente fui
presa da un'ansia terribile e presi una cicca per smorzare questa
assurda tensione in qualche modo.
Non sapevo bene
perché, ma all'improvviso l'idea di stare in camera con lei mi
terrorizzava.
Ma c'erano davvero
poche probabilità che succedesse, no?
Ero la solita
stupida che doveva stare in ansia per qualsiasi cosa anche senza
motivo.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
CAPITOLO 2
Alla fine del viaggio non riuscivo
quasi più a ricordare il motivo per cui ero stata colta da
tutta quell'ansia.
Anzi, Vale e Gio mi sembravano
simpatici e continuavano a ridere e parlare di avventure abbastanza
assurde che erano capitate ad entrambi negli anni precedenti.
“Quanti anni hai?” mi
chiese ad un certo punto Gio.
“Sedici, voi?”
“Sedici anch'io, lui
diciassette...ma non lasciare che ti bullizzi solo per quello.”
disse allora Valeria lanciando un'occhiataccia ironica all'amico.
“Peccato, era proprio quello che
volevo fare!” esclamò Gio alzando gli occhi al cielo.
“Ti chiami Emma, giusto?”
mi richiese il ragazzo.
“Sì...” risposi
perplessa, non ricordando di essermi mai presentata.
“L'hai detto ai catechisti quando
sei salita.” spiegò allora lui.
“Perspicace mi dicono.” lo
prese in giro Vale.
Lui le tirò addosso una
merendina, ma lei si scostò appena in tempo sfoggiando un
sorriso soddisfatto.
“Comunque io mi chiamo Gio, che
sta per Giorgio, non per Gioele, nel caso te lo stessi chiedendo, non
mi aspetto che tu rida, tranquilla, anzi, non so neanche se era una
battuta...”
Risi comunque grata del fatto che
stesse cercando di interagire in un qualsiasi modo con me.
La corriera si fermò e uno dei
catechisti disse: “Lasciate le cose che non vi servono e tenete
con voi l'indispensabile, perché abbiamo tanta strada da fare
e poco tempo da perdere.
Scendemmo tutti dal bus con gli zaini
di poco più leggeri, o almeno questo riguardava il mio,
infatti non sono mai stata brava a capire cosa fosse indispensabile e
cosa no.
Cercai di non allontanarmi dai miei due
vicini di sedile dato che erano gli unici che conoscevo.
La casa dove saremmo stati era immersa
nel verde e si confondeva tra gli alberi con i suoi mattoni rossi
ricoperti d'edera.
Seguimmo i catechisti per questa prima
scampagnata alla quale ero entusiasta di partecipare. (spero abbiate
colto la mia ironia)
Ci dissero di dividerci in quattro
gruppi, avremmo percorso sentieri diversi per raggiungere una stessa
meta e il primo ad arrivare avrebbe vinto.
“Io devo assolutamente essere in
squadra con Emma.” esclamò Giorgio dandomi una pacca
sulla spalla “non trovi Vale che ora questa ragazza emani una
straordinaria voglia di vivere?”
“Devi scusarlo.” borbottò
l'altra.
“Mi farebbe solo piacere stare
con voi, e poi scusate se sono così apatica, è solo che
non conoscendo nessuno è tutto così imbarazzante...”
spiegai, mordendomi la lingua subito dopo: da dove mi uscivano queste
frasi da uccellino bagnato e triste?
“Conosci noi, timida ragazza
apatica! Ti basterà.” rise Gio, subito dopo alzò
la testa, vide altri suoi amici e correndo loro incontro gridò:
“Vi unite anche voi?”
Vale alzò gli occhi al cielo
contagiandomi in una risata.
Il nostro gruppo era composto da una
decina di persone che sembravano andare dai quattordici ai
diciott'anni.
Senza che me ne accorgessi Vale si
avvicinò a me: “Allora, timida ragazza apatica, hai
forse detto che non conosci nessuno?”
“Non è un bel soprannome,
sai?” risi arrossendo “E comunque no, nessuno.”
Okay, stavo cominciando a ridere un po'
troppo per i miei gusti, dovevo controllare in un altro modo il
nervosismo.
“Quella ragazza bionda è
Marika, simpatica, puoi provare a fare amicizia con lei, se ti va, ma
non fare commenti sulle sua orecchie, le odia...quella alta dai
capelli neri è Naomi, evitala se non hai istinti suicidi, in
caso contrario accomodati. I due gemelli dai capelli rossi e le
lentiggini non si chiamano Fred e George, ma sarebbe fantastico, si
chiamano invece Carlo e Marco, poi te li faccio conoscere.”
“Grazie.” risposi, stupita
e riconoscente del suo interessamento “Il soprannome Vale per
cosa sta?” chiesi poi.
“Valeria.” rispose lei.
Annuii in risposta.
Continuammo a camminare in silenzio,
quando rialzai lo sguardo mi ritrovai davanti davanti un'improvvisa e
altissima salita che scompariva tra gli alberi senza che se ne
potesse vedere la fine.
“No, non se ne parla. Per
Gandalf, non farò un passo di più.” esclamò
Valeria.
“Come hai detto, scusa?”
chiesi io trattenendomi dal ridere.
“Che vorrei accasciarmi qui e
morire?”
“No, niente...lascia stare..”
risposi io. “credi che tra tutti i gruppi abbiamo preso la
strada peggiore?”
Non potevo ancora credere che avesse
detto per Gandalf, era una di
quelle cose che io mi sarei limitata a dire nella mia testa per
mantenere la mia ben poca rispettabilità.
“Sicuramente,
gli altri saranno in una pianura di fiori pullulante di coccinelle.”
mi rispose lei.
Continuammo
a camminare in silenzio.
Ormai
avevo deciso che il modo migliore per passare quei due giorni era far
finta che quella ragazza non fossi io, ma un personaggio di una
recita e che le scelte che facevo non erano dovute a me. Pensandola
così riuscivo ad essere più spigliata, non era male
come tattica.
Quando
mi voltai verso di lei per dire qualcosa, lei mi stava già
guardando e alzò un sopracciglio ironica: “A cosa
pensavi?”
“No..io
a niente.” balbettai imbarazzata.
Prima
che Valeria potesse aggiungere qualcos'altro, uno dei ragazzi poco
più avanti la chiamò e lei lo raggiunse accelerando il
passo e lasciandomi indietro.
Avevo
allora l'abitudine di osservare le persone e cercare di capire cosa
pensassero o chi fossero.
Osservavo
le loro espressioni, i modi in cui si muovevano o parlavano, non che
fossi una stalker, era solo un modo come un altro per capire chi
avevo davanti e come avrei dovuto comportarmi.
Notai
allora che una ragazza alta che identificai con Naomi, si allontanò
dagli altri assieme a Valeria e le due cominciarono a parlare.
Valeria
sembrava titubante, si mordeva nervosamente il labbro inferiore,
strizzava gli occhi ed evitava di guardare l'altra in viso.
Naomi,
d'altra parte, gesticolava e parlava a denti stretti con gli occhi
spalancati e le guance arrossate.
A
questo punto anche Valeria parve alzare la voce, si voltò
verso l'altra con il volto arrossato e una ruga al centro della
fronte.
Allora
Naomi parve colpita da quello che l'altra diceva, per un attimo la
sua bocca disegnò un cerchio perfetto, poi la richiuse con
rabbia, disse qualcos'altro sprezzante e si allontanò da Vale
che ora aveva smesso di camminare.
Vidi
la ragazza guardarsi lentamente attorno, poi si incamminò per
un sentiero nascosto al lato della strada che stavamo percorrendo e
che io fino ad adesso non avevo neanche notato.
Mi
fermai con il fiato sospeso: probabilmente avrei dovuto fregarmene:
non conoscevamo, sapevamo a malapena il nome e l'età l'una
dell'altra.
Eppure
qualcosa mi spingeva irrazionalmente verso di lei.
Cosa
ci avrei perso? Non ero a scuola e non vi era alcun voto finale in
condotta, inoltre di quello che avevano detto i catechisti non mi
importava neppure tanto.
Di
sicuro, mal che vada avrei facilmente ritrovato il sentiero
principale.
Nessuno
sta facendo caso a me.
Prima
che Valeria sparisse, la seguii.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
CAPITOLO 3
La seguii per una decina di metri
cercando di starle dietro e di non inciampare nelle radici e nei
sassi sparsi sul sentiero, finché la chiamai.
Lei si voltò squadrandomi
sorpresa: “E tu che ci fai qui?”
“Ho visto quello che è
successo con Naomi..e pii tu ti sei allontanata dal gruppo...ero
preoccupata...” balbettai realizzando l'assurdità di
quello che avevo fatto.
Lei mi lanciò un'occhiata
sprezzante: “E cosa ti ha fatto pensare che volessi essere
seguita, timida ragazza apatica?”
“Io...” balbettai.
“Appunto.” disse lei.
Aveva lo sguardo serio, indecifrabile,
me ne sarei volentieri andata vergognandomi per sempre di questa
conversazione, ma un particolare mi fermò: aveva gli occhi
lucidi e teneva le mani nascoste nelle maniche della felpa come se
tremassero.
“Scusa...” borbottò
Valeria dopo qualche secondo di silenzio.
“No...hai ragione tu, non avrei
dovuto impicciarmi...” mi scusai facendo per andarmene.
“Emma...”
Mi voltai stupita.
“Ti va di fare una strada
alternativa?”mi chiese con un sorriso stentato.
“Non ci perderemo?” chiesi
perplessa.
“No, sono già venuta qui
altre volte con la parrocchia, conosco questa strada. In realtà
dovremmo arrivare anche prima degli altri.”
“Allora va bene.”
acconsentii stupita del suo cambiamento improvviso d'umore.
La seguii per qualche minuto, poi
chiesi: “Quindi il gruppo viene spesso qui?”
“Più o meno questa gita
viene riproposta tutti gli anni.”
Continuammo a camminare a passo veloce,
e non provai a rallentare come per paura di dovermi rimettere a
parlare.
Dopo un po' mi tolsi la felpa e la
infilai nello zaino: era da tanto che non c'era un'estate così
calda.
“Cos'hai per pranzo?” mi
chiese lei a questo punto.
“Panino al cotto.”
“Pure io..” sospirò
lei portandosi uno mano sullo stomaco “sono appena le dieci e
ho già fame.” aggiunse tragica.
“Anch'io..” mugugnai
ridendo subito dopo.
“Guarda laggiù!”
esclamò Valeria indicando un punto più in basso di noi.
La casa dove avevamo lasciato gli zaini
ora era piccolissima sotto i nostri piedi, dovevamo essere saliti
davvero tanto.
“Di qua.” disse Vale
salendo su una roccia e poi su quella seguente.
“Emm..non sarebbe meglio seguire
il sentiero?”
Lei non rispose neanche, ma proseguì
senza voltarsi per la sua strada improvvisata.
Sbuffai e la seguii a mia volta sempre
più certa che tutto ciò non stesse realmente accadendo
a me.
Poggiai un piede sulla prima sporgenza
di roccia, poi feci forza con le mani e mi sollevai puntando un
ginocchio sulla seconda.
Erano solo quattro metri circa e tutte
le mie lamentele potrebbero sembrare esagerate, ma vi garantisco che
qualsiasi sforzo fisico più del necessario non è mai
stato la mia passione.
Quando arrivai in cima mi sedetti
accanto a lei che se ne stava fresca come una rosa seduta a gambe
incrociate aspettandomi.
“Hai proprio avuto un'idea
fantastica...e ora da che parte dovremmo andare?” borbottai a
metà tra l'ironico e l'irritato.
“Guarda là.” rispose
lei indicando un punto poco più in basso di noi.
Guardai dove mi aveva indicato: “E'
bellissimo...” sussurrai incantata.
C'era un laghetto dalla superficie
luccicante e chiara che brillava immerso tra gli alberi.
“A me va un bagno.” esclamò
Valeria alzandosi in piedi.
Sbarrai gli occhi sperando che stesse
scherzando.
“A te no?” insisté
lei ora sorridendomi quasi euforica per la sua stessa proposta.
“Non lo so...non possiamo...”
“Sei una di quelle persone che
fanno sempre quello che devono quando devono, giusto?” mi
chiese storcendo il naso divertita.
“Ecco, io...” cercai di
dire arrossendo.
“Non lo saprà mai nessuno,
prometto.” esclamò allora lei in tono pomposo.
Risi per scacciare la tensione
crescente.
“Andiamo su...” disse, mi
prese una mano tirandomi in piedi e corremmo giù dalla
discesa.
Quando arrivai al limite dell'acqua mi
piegai sulle ginocchia per riprendere fiato.
Valeria lasciò cadere lo zaino a
terra e slacciò gli scarponcini per sfilarseli e abbandonarli
accanto ad una roccia.
Si avvicinò all'acqua e con
circospezione vi immerse la punta di un piede: “Ah, che
fredda!” esclamò rabbrividendo.
“Okay...allora sarebbe meglio
tornare indietro...” cercai di proporre di nuovo.
“Ma chi è che ha deciso
cosa è meglio e cosa no?” mi squadrò lei ironica
“hai sbagliato tutto seguendomi, Emma, ora paga le conseguenze
delle tue azioni.” rise immergendo anche l'altro piede
nell'acqua trasparente.
Si voltò di nuovo a guardarmi a
scoppiò a ridere.
“Ehi...” borbottai cercando
di assumere con scarso successo un'espressione offesa.
“Mi vuoi forse lasciare in acqua
da sola? Forza su, così avrai un motivo per ricordare questa
vacanza, tutto l'odio verso di me la renderà indelebile.”
rise di nuovo allontanandosi dall'acqua e tornando alla roccia dove
aveva lasciato le scarpe.
Stavo per dire qualcosa come che non
avevo alcun costume, ma le parole non fecero in tempo ad uscirmi di
bocca, che lei senza tanti complimenti si sfilò la maglia e i
pantaloni piegandoli e lasciandoli ordinatamente sulla roccia
rimanendo in mutande e reggiseno.
Arrossii involontariamente e mi voltai
perché non si notasse: era ovvio che non avremmo usato alcun
costume, come avevo potuto pensarlo?
Mi sfilai a mia volta le scarpe e la
maglia lentamente come per guadagnare tempo e lasciai tutto a caso in
giro.
Effettivamente Valeria sembrava molto
più ordinata di me.
La raggiunsi al limitare dell'acqua.
“Conto fino a dieci e ci
tuffiamo.” disse.
“Non ci pensare neanche...”
“Ma non è così
fredda!”
“No, e poi no...”
“Cinque, quattro, tre...”
“No, no Vale no, senti io...”
“Due...”
“Valeria, no, non ci provare!”
le gridai.
“Uno!”
Feci per allontanarmi, ma lei mi
afferrò per un polso e inciampammo tutte due dentro l'acqua.
Riemersi inspirando una boccata d'aria.
Lei non mi lasciò il tempo di
riprendermi che mi schizzò.
Chiusi gli occhi e li riapri due o tre
volte prima di riuscire a tirarle qualche nome, ma lei stava già
ridendo e nuotando poco più in là.
Scoppiai a ridere pure io, avrei
effettivamente potuto elencare quella mattina tra le più
assurde della mia vita.
Galleggiai sull'acqua facendo il morto.
Il cielo a tratti era cosparso di
nuvole, e talmente limpido in altri, mentre la luce sembrava
disperdersi tra le foglie degli alberi sopra di noi riemergendo in
alcuni punti e colpendo ciò che ci stava attorno.
Sentii l'acqua muoversi e Valeria mi
raggiunse, si lasciò galleggiare a morto sull'acqua accanto a
me.
“Se non pensi che questa sia
acqua, sembra quasi di volare.” dissi, arrossendo subito dopo
per aver espresso un pensiero che reputavo così stupido ad
alta voce.
Lei chiuse gli occhi e sorrise
annuendo.
“Oh no!” esclamai sbuffando
poco dopo.
“Brava, distruggi pure il mio
volo con una stupida lamentela!” mi prese in giro lei ridendo.
“Questa è una cosa
seria...mi sono completamente bagnata i capelli!”
“Pure io, ma dove sta il
problema?”
“Ma i tuoi sono corti...”
“Prima che raggiungiamo gli altri
si saranno già asciugati, vedrai.” mi rassicurò
scuotendo la testa con un mezzo sorriso.
“Come è possibile che i
catechisti non si accorgano della nostra assenza?” chiesi
mentre il mio sguardo era concentrato su una foglia chiara che
fluttuava cadendo sull'acqua.
“L'ho già fatto altre
volte e non se ne sono mai accorti, di solito non fanno l'appello, e
comunque fino a dopo pranzo non ci ritroviamo assieme a loro.”
mi spiegò.
Restammo per qualche secondo in
silenzio, poi mentre ancora galleggiavamo sopra la superficie
dell'acqua, lei mi prese una mano nella sua.
Per un attimo il respiro mi si bloccò
involontariamente in gola, poi mi voltai verso di lei e vidi che mi
stava sorridendo amichevole, allora le sorrisi anch'io, e il mio
cuore tornò a battere normalmente.
Era tutto così calmo e
tranquillo, quel posto non sembrava appartenere alla vita reale, e
comunque certamente non alla mia.
Salve a
tutti! Spero tanto che questa storia vi stia almeno un po'
incuriosendo, e che non sia troppo noiosa...
Ringrazio
tantissimo tutti quelli che mi stanno seguendo, non sapete quanto
sono stata felice nel vedere che c'era qualcuno che non ha ritenuto
un obrobrio questa “cosa” uscita non so come dalla mia
testa.
Ho già
in mente i prossimi due capitoli, quindi dovrei riuscire a
pubblicarli ancora a distanza di una settimana uno dall'altro e spero
di riuscire a continuare in questo modo anche per i seguenti.
Mi
farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate, per avere un
consiglio o anche una critica, l'importante è che non mi
gettiate delle zucche o delle arance, perché l'arancione non
mi dona affatto.
Credo
anche di non essere affatto divertente con le mie battute idiote, ma
abbiate pazienza, cerco di fare del mio meglio ahah
A
presto!
Sam
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
CAPITOLO 4
Uscimmo nel giro di un quarto d'ora
perché l'acqua era troppo fredda e ci asciugammo con una sorta
di coperta che non so bene perché mia madre aveva pregato di
infilare nello zaino e che per puro caso io vi avevo lasciato dentro.
Recuperammo le nostre cose e ci
incamminammo per raggiungere gli altri.
Valeria aveva ragione quando aveva
detto che quella che avevamo preso era una scorciatoia, infatti
arrivammo alla cosiddetta meta nel giro di venti minuti.
Era uno spiazzo tra gli alberi, una
sorta di radura che permetteva la visuale delle montagne
tutt'attorno.
“Vale, dov'eri finita?? Se hai
fatto qualcosa di esaltante senza di me non te lo perdonerò
mai!” esclamò Giorgio correndole incontro.
Valeria alzò le spalle: “Mi
sono solo attardata, niente di che.”
“Emma, ti prego, dimmelo
tu...cosa ha combinato quella disgraziata?” mi chiese il
ragazzo con sguardo implorante.
Valeria scosse la testa alzando gli
occhi al cielo: “Abbiamo sbagliato strada, smettila, su.”
Sorrisi dentro di me vedendo che stava
mantenendo la promessa di non dire quello che era successo benché
non fosse effettivamente nulla di così terribile.
“Raggiungiamo gli altri che
stanno mangiando. I catechisti arriveranno nel giro di una ventina di
minuti e in teoria dovremmo aver già finito per tornare
indietro.” ci spiegò allora lui arrendendosi.
“Che tempismo.” commentò
Valeria allegramente.
Le sorrisi per seguire poi Giorgio e
raggiungere il gruppo.
Ci sedemmo sull'erba ed aprii lo zaino
estraendo il panino che era finito in un qualche punto indefinito sul
fondo.
Una ragazza bionda con il naso
leggermente schiacciato mi chiese: “Come ti chiami?”
“Emma. Tu?”
“Marika.” rispose lei.
“I tuoi capelli sono piastrati o
lisci naturali?” chiese un'altra ragazza bassina con tantissima
matita sugli occhi: “Comunque mi chiamo Sofia.”
aggiunse.
“Sono così naturali.”
le risposi imbarazzata per il fatto che in molti ora mi stessero
guardando.
Nel frattempo Valeria aveva preso due
panini dallo zaino, entrambi di uguale grandezza, avvolti fino a metà
nello stesso tovagliolo verde e ricoperti di carta velina.
Ne srotolò uno con meticolosa
cura, senza strappare la carta trasparente, ma piegandola tre volte
su se stessa.
Il mio telefono, allora, vibrò
due volte e lo tirai fuori dalla tasca dei pantaloni per leggere il
messaggio.
Era di Maria, una mia amica che
frequentava la mia stessa scuola: ci eravamo conosciute quando
entrambe avevamo provato ad iscriverci nella squadra di pallavolo con
risultati rovinosi.
Dopo pochi mesi avevamo deciso di
desistere nell'impresa prima che fossero costretti a cacciarci fuori
a calci.
“Sei ancora intera o qualcuno
ti ha fatta inciampare giù da un burrone?”
Trattenni una
risata e risposi: “No, ma non è mai troppo tardi. In
realtà non è terribile come temevo (in sintesi non sono
ancora finita in un angolo a piangere. Emma: 1; Vita: 0 )
“Passiamo ad argomenti più
importanti...ragazzi carini?”
“Maria, ma non pensi ad
altro?? No, comunque no, ahah...però ce n'è uno che si
chiama Giorgio ed è simpatico.”
“Eddai, qualcuno ci sarà...”
“Okay, okay...volendo c'è
un ragazzo che non è male, è biondo e ha gli occhiali.”
“Ecco, cominciamo a
ragionare.”
Alzai gli occhi al
cielo scrivendole che le avrei raccontato tutto quando ci saremmo
riviste e chiusi la conversazione.
“Amici in
ansia per la tua incolumità?” la voce di Giorgio mi
riscosse dai miei pensieri.
“Più o
meno.” acconsentii.
“Mi
raccomando, fai sapere alle tue amiche quanto io sia irresistibile.”
“Non
mancherò!” promisi scoppiando a ridere.
“Sono proprio
felice che tu ti stia ambientando così bene, Emma.”
Sobbalzai e mi
voltai verso quella voce sottile e glaciale: Naomi mi stava
sorridendo con la bocca leggermente piegata verso l'alto e gli occhi
stretti in una smorfia.
“Emm...grazie.”
balbettai.
“Per fortuna
c'è il sole oggi!” esclamò Valeria
intromettendosi nella conversazione e forse sperando di cambiare
discorso.
“Scommetto
che è tutto grazie a Valeria” continuò come se
niente fosse “lei è così brava a far sentire le
persone speciali...”
“Naomi.”
Valeria sembrava sul punto di alzarsi in piedi, aveva tutti i muscoli
tesi e lo sguardo fisso in quello dell'altra “Basta, per
favore.”
“Non riuscivo
bene a capire le dinamiche di quello che stava succedendo, ma Naomi
si fermò per davvero e si voltò dall'altra parte con
mio enorme sollievo.
Continuammo tutti a
parlare di altro, come o dove sarebbero andati in vacanza o programmi
per la serata.
Non sapevo se mi
spaventava di più la proposta di giocare a nascondino nei
corridoi bui, saccheggiare la dispensa o uscire di nascosto.
Ma forse non erano
seri quando lo dicevano.
Dopo poco
arrivarono i catechisti, fecero l'appello e assieme a loro scendemmo
per tornare indietro.
La discesa mi
sembrò molto più breve della salita, e in due ore circa
arrivammo alla casa dove avevamo lasciato gli zaini e dove avremmo
passato le seguenti due notti.
“Avete tutto
il tardo pomeriggio libero.” stava dicendo una catechista “Per
le sette vi vogliamo qui, così apparecchieremo e ceneremo
tutti insieme. A dopo ragazzi. Il numero della vostra camera vi è
già stato assegnato, controllate sui tabelloni là sulla
parete.”
Si sentirono delle
lamentele come: “Non ce le lasciano mai scegliere a noi...”
seguite da degli sbuffi, poi tutti si accalcarono a controllare con
chi sarebbero stati.
Valeria, davanti a
me, stava scorrendo con lo sguardo la lista assieme a Giorgio,
dapprima la vidi rabbuiarsi, poi sul suo viso si aprì un
sorriso sghembo quasi divertito.
Stava
allontanandosi per prendere lo zaino, ma prima di andarsene mi passò
accanto e con ancora l'accenno del sorriso di prima mi bisbigliò
“Non vedo l'ora di prestarti lo shampoo.”
Alzai le
sopracciglia interrogativa, ma lei era già sparita su per le
scale.
Mi avvicinai al
tabellone: camera 22 Naomi, Emma, Valeria
Strabuzzai gli
occhi incredula: quella non sarebbe stata una camera, ma una bomba ad
orologeria e io non avevo nessuna voglia di starmene nell'occhio del
ciclone a sentirle litigare.
Con un sospiro
raccolsi il mio zaino e salii le scale per il secondo piano.
Giorgio mi superò
urtandomi una spalla: “Avete un'ora per sistemarvi, poi
raggiungeteci in cortile, vi aspettiamo, dillo tu a Vale.” mi
disse prima di continuare la sua corsa.
Sorrisi divertita
senza capire perché avesse tutta questa fretta, e raggiunsi la
mia camera.
Bussai prima di
girare la chiave nella toppa ed aprire.
“Siamo
educate, vedo.” mi accolse la voce fredda di Naomi.
Le feci un sorriso
stentato e mi sedetti sull'unico letto rimasto libero: era una
stanzetta piccola, c'era una finestra rettangolare con le tende
gialle, la parete di un semplice bianco e una scrivania nell'angolo.
“Com'è
il bagno?” chiesi titubante.
“Normale.”
mi rispose Valeria uscendovi e gettandosi sul letto.
“Giorgio ha
detto che ci aspetta tra un'ora in cortile.” le informai.
“Perfetto.”
esclamò Naomi “La doccia la faccio prima io, se non vi
dispiace.” così aprì lo zaino, estrasse il beauty
e sparì nel bagno.
“Non è
sempre così insopportabile.” mi sussurrò Valeria
per non farsi sentire.
“Per
fortuna.” bisbigliai io in risposta.
Disfacemmo e
ordinammo quel poco che avevamo negli zaini mentre aspettavamo che
Naomi finisse.
Vale ordinò
sulla scrivania e ai piedi del letto le sue cose, lo aveva fatto
persino con un certo ordine, forse di importanza o colore.
La cosa mi
inquietava quasi, ma immagino che mia madre l'avrebbe amata.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
CAPITOLO 5
“Scendiamo?” chiese Naomi
finendo di pettinarsi allo specchio del bagno.
Aveva un'espressione serena e
tranquilla mentre si truccava, quasi soddisfatta di sé, è
quel sorriso che involontariamente nasce sul viso di chi si guarda
allo specchio e a cui piace ciò che vede.
“Sì, io ci sono.”
biascicò Valeria riemergendo dal lenzuolo nel quale era
sprofondata.
“Anch'io.” dissi alzandomi
e prendendo il cardigan che avevo appoggiato alla spalliera del
letto.
I pavimenti dei corridoi erano di un
marrone chiaro striato di scuro, qualche lampadina al suo inizio e
fine, pochi quadri alle pareti.
Arrivammo all'ingresso e uscimmo in
cortile: l'aria era ora più fresca, mi strinsi nelle spalle
sfregandomi le braccia.
“Pensavamo non arrivaste più.”
ci canzonò Giorgio dondolandosi su un'altalena.
“Ma smettila...siamo
perfettamente in orario.” lo rimbeccò Naomi sedendosi
sul seggiolino della giostra lì accanto.
“Mi sa di non averti mai
vista...”
“Sei nuova?”
Mi chiesero due voci di quasi lo stesso
timbro alla mia destra.
Erano due gemelli dai capelli rossi e
lentiggini di aspetto estremamente simile, la cosa che più
colpiva era che fossero magrissimi e alti allo stesso tempo.
“Sì, mi chiamo Emma. Voi?”
“Io Carlo, lui Marco. Piacere.”
“No, no non scendo!” stava
ululando tragicamente Giorgio.
Ci voltammo interrogativi per vedere
cosa stesse succedendo: Naomi stava ridendo con le lacrime agli occhi
strattonando l'altalena su cui il ragazzo era seduto per
impadronirsene lei.
“Ci sono salito prima io!”
insisteva lui.
Mi sedetti su un sasso e Valeria si
sistemò accanto a me.
“Ne vuoi una?” mi chiese
porgendomi un pacchetto di sigarette.
“No, grazie. Non fumo.” mi
affrettai a rispondere.
Lei scrollò le spalle e rimise
il pacchetto in tasca; la fiammella dell'accendino illuminò
per un breve secondo il suo viso, poi scompare lasciando posto al
fumo che uscì dalla sua bocca disperdendosi nell'aria.
“Tu non ami le altalene?”
sussurrò lei.
“Sì, da piccola avrei
voluto viverci su.” risposi.
Ora Giorgio e Marco stavano
gesticolando animatamente facendo ridere tutti gli altri; parlavano
di qualcosa come macchinette da caffè , ma non riuscivo a
seguire completamente il loro discorso, era un po' come se la
presenza di Valeria accanto a me mi avesse fatto sprofondare nel
torpore.
“Mi sembrava di essere sospesa
nel vuoto...un po' come se nulla di importante mi potesse accadere
mentre i miei piedi erano sollevati da terra.” continuò
a dire piano Valeria guardando l'altalena con occhi assenti, poi alzò
le spalle, rise ad una nuova battuta di Giorgio e mi disse: “Non
farci caso, è uno di quei momenti in cui dico tante cose
stupide...fai come se fossi stata zitta.
Avrei tanto voluto dirle qualcosa, ma
mi sentivo come tanto stanca all'improvviso, non mi veniva in mente
nulla e quasi senza rendermene conto appoggiai la testa alla sua
spalla.
Del muschio era cresciuto a chiazze sui
sellini o i manici di alcune delle giostre di quel parchetto, e lo
scivolo era in diversi punti graffiato.
Sembrava surreale il modo in cui il
buio aveva cominciato lentamente e silenziosamente ad avvolgere
tutto.
“E' ora di entrare.” la
voce secca di Naomi mi riportò bruscamente alla realtà.
“Sì, signor capitano.”
esclamò Giorgio caricandosela sulle spalle e barcollando verso
la porta d'ingresso.
La sala dove avremmo mangiato conteneva
due lunghi tavoli rettangolari che si affacciavano su due finestroni
lunghi quasi metà parete.
“Eccovi ragazze, come state?”
ci chiese una catechista con due occhiali dalla montatura metallica
perfettamente rotonda.
“Bene, Chiara, grazie.”
rispose allegramente Valeria.
Io sorrisi annuendo imbarazzata in modo
alquanto patetico.
“Possiamo fare qualcosa?”
chiese Naomi.
“Sì, sì certo.
Prendete i piatti e i tovaglioli dalla cucina e aiutateci ad
apparecchiare...ormai siete scesi quasi tutti.”
La cena precedette veloce: dopo la
preghiera mangiammo e trovai tutto squisito, sarà per la fame
terribile che mi era venuta.
“Alle dieci tutti nelle vostre
camere, non voglio sentire un rumore.” disse la catechista
salutandoci dopo averci augurato la buonanotte “Domattina alle
otto dobbiamo partire, quindi vedete di dormire, okay?”
“Allora...soffitta o scantinato?”
ci chiese Giorgio sottovoce con sguardo complice.
“Perché non l'Everest?”
chiese sarcastica Naomi.
“Intanto facciamo che ci troviamo
da me...poi si vedrà, volendo la soffitta la spostiamo a
domani.” decretò Marika alzandosi “vi aspetto.”
disse prima di andarsene con la sua compagna di stanza.
Mangiai gli ultimi due spicchi di
mandarino e Naomi insistette perché ci fermassimo ad aiutare
a sparecchiare.
“Vi ricordate cosa si farà
domani?” chiese infine mettendo via l'ultimo piatto.
“Non sono sicura, ma credo
saliremo sulla montagna più a destra rispetto a quella di
oggi.”rispose Valeria.
Naomi alzò le spalle e si
asciugò le mani nello strofinaccio.
“Salimmo in silenzio le scale
senza trovare nulla da dire, girai la chiave nella toppa e aprii la
porta della camera.
Proprio in quel momento il mio telefono
vibrò e sedendomi sul letto lessi il messaggio.
Era di mia madre: Come va? Qui
manchi a tutti, divertiti mi raccomando! Buona notte!”
Sorrisi tra me
chiedendomi come fosse possibile che prima i genitori ti facessero
fare qualcosa che non vuoi, e subito dopo, presi dai sensi di colpa,
si spendessero in mille parole dolci e premurose.
Avrei scommesso che
per il mio ritorno avrebbe cucinato una torta.
“Chi è?
Tua madre che si preoccupa per te?” chiese sarcastica Naomi
legandosi i lunghi capelli neri in una coda.
“Veramente
sì.” le risposi alquanto seccata.
Lei assunse
un'espressione tipo: non c'era bisogno che lo dicessi, lo sapevo già.
Prima che il mio
cervello fosse in grado di recepire e trovare qualcosa da ribattere,
Valeria disse: “Non basarti sulle apparenze, Naomi, guarda che
Emma è una ragazza molto trasgressiva.” e mi fece la
linguaccia.
Dopo questa battuta
che avrei voluto farle ingoiare, Valeria si diresse verso la porta e
disse: “Intanto vado da Giorgio, mi raggiungete là?”
Annuii
distrattamente, troppo concentrata ad ideare un piano per salvarmi la
vita da Naomi che mi stava guardando in cagnesco.
Dopo l'ennesima
occhiataccia le chiesi: “Perché ce l'hai con me? Se ho
fatto qualcosa di sbagliato mi dispiace.” okay, Emma, pessima
tattica.
Naomi strabuzzò
gli occhi e rise: “Mi chiedevo come mai tu fossi venuta qui. Si
vede benissimo che avresti preferito stare a casa, ma smettile di
comportarti come se ci stessi graziando della tua presenza, okay?
Perché, mi dispiace deluderti, ma non è così.”
“Io in realtà
non...”
“No, ora mi
lasci finire. Hai forse preferito accontentare tua madre che
desidererebbe tanto una figlia che si comporti da adolescente invece
che da novantenne? Immagino che tu sia la tipica ragazza che tutti
quando la vedono pensano sia la più buona del mondo. Ma io so
che non sei così, perciò smettila di fare quella
faccetta angelica, perché mi fa venire davvero voglia di
tirarti uno schiaffo.”
Rimasi in silenzio,
senza sapere cosa dire, con decisamente troppo sangue alla testa.
“Cos'hai tu
che io non ho?” ora non capivo più se Naomi stesse
parlando a me o più a se stessa “Ma tu non te ne sei
neanche resa conto, vero? Quando aprirai gli occhi, spero che anche a
te cada tutto in testa e ti garantisco che fa male.”
Detto questo con
gli occhi lucidi si alzò e aprì la porta per uscire:
“Ah, non prenderla sul personale. Fosse stato qualcun altro,
forse avrei fatto comunque una scenata.”
La porta si
richiuse con un tonfo.
Rimasi immobile per
qualche secondo, forse frastornata o maledicendo me stessa per non
trovare mai le parole giuste al momento giusto.
Ero davvero
riuscita solo a starmene in silenzio? Mi sentivo talmente
patetica...ma poi, di cosa stava parlando Naomi? Fosse stata ubriaca
sarebbe stato un conto, ma così non sapevo davvero cosa
pensare...non era bello sentirsi sputare addosso tutte quelle
crudeltà sulla propria vita senza riuscire a reagire.
Mi salirono le
lacrime agli occhi e le asciugai velocemente cercando di mantenere la
calma.
Tirai un respiro
profondo, contai fino a dieci e uscii a mia volta dalla stanza.
Ciao mondo! Spero che la storia vi
stia piacendo, e che questo capitolo non sia troppo noioso. Non amate
tantissimo anche voi le altalene? Io le trovo assolutamente adorabili
<3 ora chiudo subito la parentesi altalene perché
altrimenti rischierei di non finire più ahah
Ringrazio tutti voi che leggete,
seguite o che avete recensito la storia, mi fa davvero tantissimo
piacere e credo di amarvi quasi più delle altalene sopra
citate.
Anche se pateticamente in ritardo vi
auguro Buon Natale e buon anno nuovo!
A presto,
Sam
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
CAPITOLO 6
“Non giocherò ad obbligo e
verità!” esclamò Marco, uno dei due gemelli.
Speravo con tutto il cuore che
decidessero qualcos'altro: avrei recitato seduta stante tutto il
rosario, pur di evitare una tale calamità.
Eravamo una decina, tutti sistemati
come meglio potevamo in camera di Giorgio e dei due due gemelli.
“No,no! Ormai è deciso:
chi sarà il primo?” esordì Giorgio alzandosi in
piedi.
“Andiamo in fila.” propose
Marika.
“Ma tu così sarai
l'ultima!” si lamentò Marco con voce estremamente
offesa.
Lei gli fece la linguaccia mettendosi a
ridere.
“Allora Marco il primo sei tu.”
disse Giorgio.
“Non è giusto, io...”
“Obbligo o verità?”
“Obbligo.” rispose il
ragazzo sicuro.
“Canta una canzone in modo
estremamente sexy.” gli ordinò Carlo, il suo gemello.
“Emm...l'opzione verità
ora mi pare meglio...” cercò di dire lui.
“Tutti si misero a gridare che
no, ormai aveva scelto.
Ho sempre pensato che obbligo o verità
fosse uno dei giochi più sadici e masochistici insieme.
Il povero ragazzo si esibì in
una performance memorabile con tanto di sottofondo di tamburi fornito
da Giorgio.
La seconda era Naomi: “Verità.”
scelse.
“Ti rifai davvero le sopracciglia
tutte le mattine?” chiese Giorgio.
“Ma insomma come puoi sprecare
una domanda così?” rise Marika.
“Sì, tutte le mattine,
solo per voi.” rispose Naomi felice di essersela cavata con
così poco.
“Valeria...obbligo o
verità?”chiese Giorgio.
“Obbligo.” rispose lei
lanciandogli un teatrale sguardo di sfida.
“Devi ballare un valzer.”
decise lui.
“Basta Giorgio sei pessimo!”
lo rimproverò di nuovo Marika “poi dirigerò io.”
concluse la ragazza assumendo un espressione tragica.
Valeria si alzò in piedi sul
letto del ragazzo e sprofondando nel materasso si esibì in un
inchino.
“Qualche donzella mi farebbe
l'onore di questo ballo?” chiese cercando di assumere una voce
seria “lei per esempio, avrebbe voglia di ballare?”
aggiunse rivolgendosi a me.
Scoppiai a ridere facendo a mia volta
un inchino, e afferrata la sua mano, salii a mia volta sul materasso.
Tentammo di mettere insieme qualche
saltello sconnesso scatenando l'ilarità generale, poi Giorgio
mi afferrò un piede implorando: “Basta, basta, vi prego!
I miei poveri occhi non ce la fanno più...”
Mi sbilanciai a caddi trascinando
Valeria con me.
“Ahia!” esclamai quando mi
finì addosso.
“Osi forse insinuare che io sia
grassa?” mi prese in giro tenendosi sollevata con le mani
poggiate accanto al mio viso.
“Tocca a me dirigere ora!”
esclamò Marika “Carlo, obbligo o verità?”
“Sì, sì,
assolutamente pesante e grassa.” sussurrai intanto all'orecchio
di Valeria.
Lei stava per dire qualcos'altro, ma
chiuse e aprì la bocca senza dire nulla, si limitò ad
appoggiare la sua fronte alla mia e ad abbozzare un sorriso.
“Obbligo!” esclamò
Carlo.
“Okay, okay, devo pensare a
qualcosa di cattivo...” borbottò Marika socchiudendo gli
occhi.
“No! Non è giusto...”
si lamentò il ragazzo.
Improvvisamente mi sembrò di
soffrire di claustrofobia e arrossii fino alla radice dei capelli,
allora feci per spostarmi e liberarmi del peso di Valeria sopra di
me,e lei, arrossendo a sua volta, si scostò in fretta
rimettendosi seduta e passandosi una mano tra i capelli corti
tornando così a seguire il gioco come se niente fosse.
Ad un tratto Marika bisbigliò:
“Zitti!”
Ci zittimmo interrogativi.
C'erano dei passi in corridoio:
probabilmente i catechisti si erano chiesti il motivo di tanta
confusione ben oltre l'orario di coprifuoco e quindi stavano venendo
a controllare.
In tre o quattro corsero nel bagno e si
infilarono nella doccia tirando la tenda, io seguii Marika e Valeria
appiattendomi sotto al letto.
Bussarono alla porta e Giorgio andò
ad aprire.
“Ragazzi, ma cosa sta
succedendo?” chiese la catechista rimproverandoli.
“Nulla, nulla, ci scusi, ora
dormiamo.” spiegò il ragazzo.
Quando la donna se ne andò e i
suoi passi sparirono in corridoio uscimmo dai nascondigli.
Marika tossì e disse: “Mi
sento una palla di polvere.”
Io mi scrollai la patina di sporco dai
vestiti storcendo la bocca.
“Mi sono bagnata i piedi...”
si lamentò Naomi uscendo dalla doccia.
Vedendo la sua faccia scoppiammo tutti
a ridere soffocando le risate subito dopo per non farci sentire.
* * *
Ci attardammo per qualche altra ora
prima di andare definitivamente a dormire, inutile dire che appena
appoggiai la testa sul cuscino caddi addormentata.
Quando suonò la sveglia mi
rigirai più volte su me stessa e sbattei le palpebre cercando
di riprendere vita..
“Oh, qualcuno la spenga...”
mugugnò Naomi.
“Guarda che il telefono è
il tuo...e poi non senti che ritmo delizioso di prima mattina?”
chiese sarcastica Vale da sotto le coperte.
Naomi sbuffò allungando la mano
per spegnere Worth it che suonava come sveglia.
“Cinque minuti a testa per il
bagno...o arriveremo tardi.”! Esclamò allora Naomi
scattando in piedi.
La osservai perplessa per richiudere
gli occhi subito dopo.
“Dove trovi la forza?”
bofonchiò Valeria.
“La forza è con me,
semplice dato di fatto, dormigliona.”
Il timbro affettuoso con cui lo disse
mi portò a riaprire gli occhi, ma Naomi era già
scomparsa nel bagno.
Facemmo colazione in fretta e in men
che non si dica eravamo di nuovo sul sentiero.
Rispetto al giorno precedente si erano
addensate molte nuvole in cielo che tendevano a compattarsi sempre
più l'una all'altra oscurando il sole.
Verso l'una arrivammo in cima, stremati
e affamati.
Infilai il pail per ripararmi dal
freddo che, una volta fattosi completamente grigio il cielo, aveva
deciso di divorarci.
Mangiammo al limitare degli alberi
assieme ai catechisti che oggi erano venuti fin da subito con noi, e
ad un giovane prete della parrocchia che ci aveva raggiunto la sera
precedente.
Ad un certo punto una catechista ci
chiese di fare silenzio.
“No, no, ti prego no...”
disse sottovoce Valeria vedendo il prete alzarsi e dire “Preghiamo.”
“Ora fuggo.” bisbigliò
Giorgio.
Gli lanciai un'occhiataccia e i due
amici si zittirono assumendo le espressioni di due cani bastonati.
Prima che il prete potesse concludere
si sentì un tuono; ci guardammo attorno spaventati,
consapevoli di essere in cima ad una montagna.
Il prete continuò a celebrare la
messa come se niente fosse.
Dopo qualche minuto altri due tuoni
rimbombarono uno dopo l'altro, mentre il cielo si faceva sempre più
scuro.
Davamo tutti occhiate perplesse ai
catechisti che a loro volta guardavano titubanti il giovane prete, la
cui voce però non sembrava intenzionata ad accelerare.
Stava dando la benedizione finale,
quando cominciarono a cadere le prime gocce.
“Se la Divina Provvidenza non ci
mette le mani e muoio per aver celebrato una messa...” borbottò
Giorgio coprendosi con il cappuccio della felpa.
Camminammo a passo spedito giù
dalla discesa cercando di affrettarci per arrivare prima che
cominciasse a piovere seriamente.
Scivolai due o tre volte sulle pietre
bagnate, dopodiché finii a terra in una performance delle
migliori.
Non avrei saputo dire se fossimo stati
più preoccupati per le nostre vite o per il problema più
concreto dei cellulari che si stavano bagnando.
Sentivo i brividi correre lungo la
schiena, non so se più per i vestiti bagnati o per il vento
freddo che si era alzato.
Una volta arrivati alla casa mi sentivo
più vicina che mai a capire l'impellente bisogno di un orso di
andare in letargo e rispuntare solo a primavera.
Come il giorno precedente i catechisti
ci informarono dell'ora della cena, poi Valeria Naomi ed io corremmo
su per le scale fino alla nostra camera, desiderose più che
mai di un letto e di una doccia calda.
Arrivai per ultima, loro erano già
davanti alla porta ad aspettarmi.
“Non entrate?” chiesi.
“La chiave ce l'hai tu.”
asserì Valeria.
“No...io l'avevo data a te,
Naomi.” replicai.
“Io avevo chiesto a Vale di
prenderla, ma lei ha detto che invece l'hai presa tu.” spiegò
lei.
Sentii un'improvvisa ondata di panico:
“E' impossibile, io non ce l'ho...non ricordo di averla
presa...”
“Potrei averla presa io, in
effetti, ma non me lo ricordo affatto...” borbottò
Naomi.
“Io non ricordo di averla
toccata.” tentennò Valeria.
“Scusate, ma allora siamo chiuse
fuori?” chiesi sgranando gli occhi.
“Perspicace, tesoro.” disse
Naomi alzando gli occhi al cielo.
Valeria scoppiò a ridere vedendo
le nostre facce preoccupate e noi la guardammo come se fosse
impazzita: non c'era niente di divertente, faceva freddo e la
situazione era tragica.
“Tranquille...chiederemo alla
signora di sotto...c'è di sicuro un modo per rientrare, e
comunque lei avrà la chiave di scorta.”
“Io da quella vecchia pazza non
ci vado.” esclamò Naomi.
“Vecchia pazza?” chiesi
preoccupata.
“No...non è..cioè..è
un po' eccentrica. Si tratta dell'anziana che vive qui e possiede
questa sorta di albergo.” mi spiegò Valeria “Mi
accompagni?” mi implorò subito dopo.
“Okay...” acconsentii per
niente volentieri.
“Se siamo fortunate, i catechisti
non lo verranno neanche a sapere.” disse Valeria mentre
scendevamo le scale.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
CAPITOLO 7
Seguii Valeria lungo un corridoio,
oltre la cucina, fino ad una porta di legno chiaro dal pomello
dorato.
“Probabilmente tenterà di
metterci in un forno...per mangiarci ovviamente. Potrei entrare io
per prima, mentre tu che sei più indietro scapperesti a dare
l'allarme.” mi prese in giro Valeria dopo aver squadrato la mia
espressione preoccupata.
“Cercherò, ma non prometto
niente...i suoi gatti carnivori potrebbero essere più veloci
di me.” risposi facendole una smorfia.
“Qualche ultimo desiderio prima
di morire?” mi chiese allora lei.
“Avrei voluto leggere Guerra e
pace almeno una volta nella
vita...” dissi con voce tragica “o è meglio che io
chieda la pace nel mondo?” poi aggiunsi “Tu?”
Valeria fece un
passo verso di me fissando i suoi occhi nei miei: erano occhi comuni,
castani, ma c'erano delle striature più chiare vicino alla
pupilla che non avevo mai notato.
Poi abbassò
lo sguardo e si allontanò dirigendosi verso la porta: “Diciamo
che avrei voluto imparare a sciare.” disse.
Ripresi a respirare
accorgendomi solo allora di aver trattenuto il fiato.
Bussò due
colpi secchi alla porta e dopo pochi secondi questa si aprì:
apparve un'anziana dagli occhi grandi e chiari, alcune rughe le
appesantivano i lati della fronte adagiandosi una sull'altra sotto
gli occhi e agli angoli della bocca.
“Sì,
ragazze?” chiese.
Aveva una voce
flebile e fragile lo quanto sembrava lei.
“Non troviamo
più la chiave della camera...forse ci è caduta...non è
che per caso l'ha trovata?” le chiesi.
“Ora che ci
penso sì...Entrate, entrate pure nel frattempo, ora la cerco.”
La seguimmo
all'interno del suo appartamento: la prima cosa che notai fu l'odore
di minestrone che si insinuò nei polmoni, poi le pareti chiare
che risaltavano contro il mobilio di legno scuro lucido.
La signora sparì
nella stanza accanto borbottando fra sé.
Valeria si avvicinò
ad un quadro appeso alla parete e ne sfiorò con l'indice la
cornice.
“Questa
signora sembra ossessionata dai papaveri.” disse sottovoce.
Mi avvicinai a mia
volta al quadro: era un campo di frumento su cui spiccava il rosso
dei papaveri a pennellate precise, ma veloci.
Accanto vi era un
quadro rettangolare: su uno sfondo azzurro era dipinto un papavero
con grande cura nei particolari. Vi era poi un piccolo quadro della
grandezza del palmo di una mano dove si poteva vedere una casa di
campagna, solitaria in mezzo ad un prato verde e lì alcuni
papaveri che si nascondevano tra l'erba.
Il mio sguardo
cadde poi su una foto appoggiata ad un tavolino rotondo vicino alla
libreria: era un uomo con una bambina tra le braccia e per mano una
signora dagli occhi grandi che sorrideva all'obiettivo; attorno a
loro dei papaveri.
“La signora
ha figli?” bisbigliai osservando la donna sorridente della
foto.
“No, non
credo.” mi rispose Valeria incamminandosi senza far rumore
verso la libreria.
La seguii: “Forse
non è il caso...” le dissi, ma lei mi fece segno che la
signora non ci avrebbe viste.
“Le
copertine dei libri recitavano: Notti bianche, Delitto e
castigo, Anna Karenina, I demoni...
Vi erano due
ripiani con libri di scrittori russi allineati l'uno accanto
all'altro, da quelli più conosciuti ad altri che non avevo mai
sentito nominare.
“Vi piacciono
i libri?” la voce dell'anziana ci fece sobbalzare.
“Sì,
moltissimo.” le rispose Valeria.
La donna sorrise:
“Anche a me.” disse.
Sembrò voler
dire qualcos'altro, ma annuì e fece un gesto della mano come
per scacciare via tutte quelle parole che avrebbe voluto dire, ma non
le sembrava il caso di farlo.
“Ecco la
vostra chiave. State più attente la prossima volta.” ci
disse infine.
“Certo, ci
scusi. Arrivederla.” le dissi.
Una volta in
corridoio Valeria mi sussurrò: “Forse suo marito era
russo...lei ha comprato questa casa dopo la sua morte...e l'ultima
volta che l'ha visto erano in quel campo di papaveri.”
“Forse...”
le risposi sentendomi a disagio di fronte ai suoi occhi assorti a
sognanti che non riuscivo affatto a decifrare.
“Forse legge
e rilegge lo stesso capitolo di Anna Karénina, quello in cui
lei è saltata sotto il treno, e vede quella luce, decine e
decine di volte, senza mai riuscire a percepire il suo fascino, né
cpsa possa esserci dopo...perché, forse, è sotto un
treno che è finito suo marito.” sospirò “Mi
sembra così sola...”
Rimanemmo
in silenzio fino alla nostra camera sulla cui porta c'era un post-it
“Sono da Marika, se volete poi raggiungetemi. Naomi.”
Infilai la chiave
nella toppa ed entrammo.
Valeria si sedette
sul letto e fissò un punto indistinto del pavimento.
“Fa così
freddo...” dissi rabbrividendo.
“Con il
brutto tempo la temperatura deve essere scesa
all'improvviso.”commentò Valeria con voce monocorde.
“Tutto bene?”
le chiesi.
“Sembrava
tutto ad un tratto così triste che non sapevo se scegliere tra
il silenzio o romperlo.
Lei annuì:
“Se non abbiamo preso una broncopolmonite oggi, non la
prenderemo mai più.” disse poi ridendo.
“Assolutamente.”
concordai io con i capelli bagnati ancora incollati al collo.
“Se vuoi
faccio prima io velocemente la doccia, poi così tu puoi starci
sotto fin che vuoi.” propose.
“Va bene.”
annuii.
Valeria sparì
nel bagno e dopo dieci minuti sentii l'acqua della doccia spegnersi.
“Eccomi.”
disse aprendo la porta.
Mi voltai verso di
lei dal letto su cui ero distesa, lei aveva solo un asciugamano
avvolto attorno al corpo, e raggiunse il suo zaino tirando fuori i
vestiti.
“Prima che
l'idea di cambiarsi in camera con me presente la sfiorasse, mi
fiondai in bagno portando con me il cambio che avevo preparato.
Mi spogliai in
fretta e battendo i denti dal freddo mi rifugiai sotto il getto di
acqua calda.
Ma subito dopo
appoggiai la fronte alle piastrelle fredde cercando di trattenere le
lacrime.
Mi sentivo stupida,
molto stupida e vulnerabile.
Improvvisamente
volli solo tornare a casa, sparire, tornare alla mia routine, dove
non c'erano vecchiette ossessionate dai papaveri e ragazze che ti
proponevano di tuffarsi in un lago alle undici di mattina.
Mi insaponai i
capelli e lasciai che l'acqua calda lavasse via il freddo che avevo
accumulato nelle ossa.
Mi era già
capitato di trovare carina qualche ragazza, ma non ci avevo mai dato
tanto peso, abbassavo semplicemente lo sguardo, allontanavo tutto
negli angoli più remoti della mente per poi non pensarci più.
E ora
irrazionalmente tutti i ricordi simili che avevo soffocato mi
tornavano alla mente, come tessere di un puzzles, a formare un'idea
che non riuscivo neanche a sussurrare.
Ma una doccia non
può durare per sempre, così spensi l'acqua, e dopo
essermi vestita e asciugata i capelli, mi decisi a tornare nell'altra
stanza
E' solo perché
in questo momento sono stanca, io non sono così...mi ripetevo
nella testa.
Uscii dalla porta
del bagno e il mio sguardo cadde su di lei seduta sul suo letto con
un semplice paio di pantaloncini corti e un maglione blu scuro
probabilmente troppo grande per lei.
Mi morsi l'interno
delle guance, ma non riuscii a fermare i miei pensieri, la trovavo
bella, e non potevo farci nulla.
Valeria alzò
lo sguardo dal cellulare e inclinò la testa di lato
sorridendomi: “E' inutile che mi fissi,lo so che stai
giudicando i miei pantaloncini perché sono corti, ma non ne ho
un altro paio di lunghi e quelli che avevo la pioggia oggi ha ben
pensato di bagnarli.”
“Ehm...sì
appunto.” biascicai appendendo alla sedia i miei panni bagnati.
“Scendiamo?”
propose Valeria.
“Sì,
sì, andiamo.” risposi.
Ciao a tutti!
Scusate se la scorsa settimana non
sono riuscita ad aggiornare, ma avevo davvero troppi compiti...
Come vedete Emma sta cominciando a
porsi dei grossi problemi esistenziali e a farsi tante pare; avrei
voluto saltare questa parte, ma poi ho pensato che il personaggio non
sarebbe stato realistico, perché è abbastanza umano che
lei entrasse un po' in crisi, altrimenti sarebbe stata un robot.
Quindi mi spiace se questa parentesi non vi piace, ma prometto che
cercherò di renderla il più breve possibile.
Per il resto spero che la storia
continui a piacervi e grazie tantissimo per continuare a leggerla :)
a presto!
Sam
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
CAPITOLO 4
L'accendino sfrigola
una matita percorre ruvida la carta
spiriti abbozzati di una notte,
le pallide labbra sussurrano: “Io
ci sono. Tu?”
Ombre che sbattono contro le pareti
della sua mente
la fronte si distende
respira
ma lo stoppino annega nella cera
si è spenta
distingue ancora i due occhi
che l'oscurità assorbe
“Io non esisto.”
rispondono.
Scendemmo le scale e arrivammo nella
sala dove si mangiava.
In tanti erano già lì, e
i mancanti arrivarono nel giro di cinque minuti.
“Ragazzi, ci dispiace moltissimo
informarvi che il riscaldamento funziona male e non vi sono molte
coperte pesanti negli armadi...forse a causa dell'improvviso ed
imprevisto calo della temperatura vi toccherà dormire con la
giacca.”
La sala si riempì di lamentele.
“Su, su, è solo per una
notte!” ci redarguì la catechista.
“Non ci posso credere...come se
il freddo di oggi non fosse stato abbastanza.” si lamentò
Giorgio sottovoce.
“Poi salite da me?” ci
chiese Marika stranamente allegra nonostante la notizia.
Valeria fece spallucce :”Okay.”
“Su, un po' di vita!” rise
Marika “Ho io quello che vi serve.”
A Giorgio si illuminarono gli occhi:
“Perché non l'hai detto subito?”
“Sorpresa!” esclamò
allora lei.
Io la guardai perplessa “Ehm...quindi?”
chiesi. Ovviamente sembravo l'unica a non aver afferrato il concetto.
“Ha dell'alcool, tesoro.”
mi fece l'occhiolino Giorgio.
“Ah...” dissi io e poi mi
lasciai sfuggire: “Ma io non...” poi mi fermai. Era
davvero il caso e il momento di dire che non bevi, sciocca? Be, no,
non lo era.
“Non bevi? Gesù, che brava
ragazza!” esclamò Valeria alzando gli occhi al cielo per
prendermi in giro.
“E' l'ultima sera che passiamo
assieme, quindi troverò il modo di farti bere.” concluse
Marika cambiando poi discorso.
Intanto Valeria mi lanciava occhiate
ironiche facendomi delle smorfie e le mie orecchie stavano andando
lentamente a fuoco. Le avrei tanto volentieri infilato la testa in un
sacchetto.
Nel giro di una ventina di minuti
finimmo di mangiare, recitammo una preghiera di ringraziamento e ci
allontanammo dal tavolo.
* * *
“Chi per primo?” tirando
fuori due o tre bottigliette di collutorio.
Sospirai: non ci potevo credere.
“Io!” esclamò
Giorgio.
“Mi sa che tu non ne hai affatto
bisogno.” borbottò Marika squadrandolo.
“Per fortuna che non sei tu a
comandare il mio libero arbitrio, ma sono io, appunto.” esclamò
il ragazzo.
“La battuta era pessima. E
comunque cosa c'entra? Quell'alcool è di mia proprietà.”
rise lei cercando di riafferrarlo.
“Giorgio saltò sul letto
dove era seduta Naomi e bevve un sorso, poi lo passò alla
ragazza che fece altrettanto.
La bottiglia passò di mano in
mano a tutti fino ad arrivare alla sottoscritta.
Marika stava ancora discutendo con
Giorgio e gli altri non parevano fare molto caso a me.
Stavo per passarla senza bere nulla
scampandola, quando notai che Valeria mi stava fissando con sguardo
di sfida misto a un che di sfrontato.
La fissai a mia volta corrugando la
fronte. (purtroppo non ho lo straordinario dono di alzare un solo
sopracciglio.)
Sul suo viso allora si aprì un
sorriso che cercava invano di nascondere tentando di rimanere seria.
Allora di nuovo quella stupida domanda
mi riaffiorò nella mente come il giorno precedente: Cosa ci
perderesti? E di nuovo la
risposta fu Assolutamente nulla.
Così bevvi a
mia volta prima di passare la bottiglietta a Giorgio.
Allora Valeria
scoppiò a ridere, venne a sedersi accanto a me e mi
bisbigliò: “Sì, sì, proprio una brava
ragazza.”
Io le diedi una
spinta con la mano destra per allontanarla assumendo un'espressione
offesa che più che altro sembrava quella di un pulcino
bagnato.
“Edificio più
alto dove siete stati.” propose Marika.
“Empire State
Building.” disse Naomi bevendo di nuovo.
“Suppongo la
Tour Eiffel.” risposi io.
“Il tetto del
mio palazzo.” rise Valeria.
“Sei salita
su un tetto??” le chiesi strabuzzando gli occhi.
“Ne ha fatte
di cose, tetti a parte.” rise Giorgio vedendo la mia
espressione stupita.
“Posto più
strano dove avete dormito.” propose stavolta Giorgio.
“Un
sottoscala.” rispose prontamente Valeria.
“Un secondo
che ci penso...era una casa piena di persone...lui un incantatore di
serpenti credo.” Naomi si piegò in due dal ridere
probabilmente anche per gli effetti dell'alcool che aveva in circolo.
“In aereo.”
borbottai io alquanto sconvolta dalle loro risposte.
“Tranquilla
Emma, io su un treno.” mi disse Marika “non sono tutti
pazzi qui, io ti faccio compagnia.
Le sorrisi
sollevata che qualcun altro la pensasse come me.
“Prima
persona con cui siete stati.” disse Naomi, e mi sembrò
di cogliere una certa cattiveria nella sua voce.
“Si chiamava
Chiara e aveva due...no okay niente, aveva i capelli castani, ci
siamo conosciuti al mare.” rispose Giorgio ridendo.
“Sei la
persona meno romantica del pianeta.” lo accusò Marika
lanciandogli addosso un cuscino.
“Ero ad un
campeggio...” cominciò Valeria “E...” parve
titubante per un attimo, poi concluse velocemente “era più
alto di me e si chiamava Luca.”
Toccava a me:
sentii la temperatura corporea salire.
Ebbene sì,
non ero mai stata con nessuno, ma non mi andava di sentire i commenti
che ne sarebbero seguiti se l'avessi detto o vedere lo sguardo
sarcastico di Naomi, così inventai: “Si chiamava Tommaso
e ci siamo conosciuti al mare.”
Sentii lo sguardo
di Valeria sulla nuca, ma non mi voltai.
Man mano che la
serata procedeva, le bottigliette di collutorio si svuotavano e ci
stringevamo sempre di più uno vicino all'altro per combattere
il freddo buttandoci addosso le coperte sepolte nei cassetti.
“Naomi si è
addormentata.” disse Giorgio ad un certo punto indicandola “non
ha senso che la svegliate, noi ci stringeremo nell'altro letto...non
darà fastidio qui.”
Valeria alzò
le spalle: “Per me è uguale, dipende se per voi è
un problema.”
“No, no,
tanto lo faremmo comunque, fa così freddo...”
Ci salutammo ed
ognuno tornò nelle rispettive camere. Eravamo stanchissimi,
calcolando poi che la sera prima non avevamo quasi dormito e quanto
avevamo subito dopo camminato non so dire come ci reggessimo in
piedi.
Una volta in
camera, girai la chiave nella toppa e presi il pigiama dallo zaino.
Ci cambiammo in
silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri, oppure fingendo di
pensare poiché non trovavamo nulla da dire.
Dopo poco mi
rifugiai sotto le coperte spegnendo la luce del mio comodino e
Valeria fece altrettanto lasciando però la sua accesa.
Dopo un po' si mise
su un fianco rivolgendosi verso di me: “Emma...” disse,
interrompendosi poi titubante.
“Sì?”
risposi, improvvisamente preoccupata per quello che avrebbe detto.
“Quel Tommaso
di cui hai parlato prima, esiste?”
Il respiro mi si
bloccò in gola e arrossii: “No.” ammisi,
pentendomene subito dopo.
Lei allora annuì
e si lasciò ricadere sul cuscino per poi fissare il soffitto.
Un pensiero mi
attraversò la mente, e prima che potessi fermarlo, si
trasformò in parole: “E Luca esiste?”
Lei parve
irrigidirsi, poi mi sorrise e rispose: “Sì, esiste, ma
non è la prima persona con cui sono stata.”
Perché aveva
mentito? Chi poteva essere questo fantomatico primo ragazzo allora?
Forse un drogato o chissà cosa...poi però realizzai che
non aveva detto la parola ragazzo, ma persona. Arrossii
dei miei stessi pensieri scacciandoli via.
Valeria spense la
luce.
Mi rigirai due o
tre volte nel letto rabbrividendo dal freddo; il buio era così
denso che sembrava volersi insinuare persino nell'anima.
Ad un certo punto
sentii qualcosa fare pressione sul materasso e riaprii gli occhi di
scatto.
“Posso?”
mi chiese Valeria “fa troppo freddo per dormire da soli, così
potremmo mettere la mia coperta sopra la tua e stare più al
caldo.” spiegò
“Sì,
sì, va bene.” risposi con il cuore che però
cominciava ad accelerare.
Okay Emma, quanto
sei infantile da uno a dieci? E' ora di dormire, chiudi quegli occhi
e spegni quello stupido cervello. Dov'è Morfeo quando serve?
Si coricò
accanto a me, per qualche secondo ci guardammo negli occhi, poi lei
chiuse i suoi e io feci altrettanto.
Dopo poco sentii un
braccio cingermi la schiena e avvicinarmi di più a lei;
involontariamente posai la testa nell'incavo della sua spalla, e
inspirai il suo profumo come a imprimerlo nella memoria.
Arrossii subito
dopo per averlo fatto.
“Mi
piacerebbe andare sulla Tour Eiffel. Quando ci sei stata?” mi
chiese.
“Qualche anno
fa. Ma perché tu sei salita su un tetto?”
“Io ed un mio
amico volevamo semplicemente vedere se riuscivamo a farlo. In realtà
non c'era un vero motivo.”
“Tua madre
non ti ha detto nulla? La mia mi avrebbe sicuramente ucciso.”
“Non che le
importi molto di me...è sempre fuori.” disse sottovoce,
quasi sarcastica “la tua invece è una di quelle che si
preoccupa sempre?” mi chiese subito dopo.
“Sì,
sa sempre cosa faccio e dove sono.”
“Potresti
mentirle e poi fare ciò che ti va.”
“Non ci
riesco...” sospirai.
Restammo ancora un
po' in silenzio e Valeria cominciò meccanicamente ad
accarezzarmi la schiena causandomi una serie di brividi e un
improvviso rossore per la vergogna.
“Mi
piacerebbe viaggiare.” aggiunse poi.
Sorrisi in
risposta.
“Non è
assurdo che dobbiamo sempre avere paura di tutto quello che facciamo
La vita è così breve...potremmo morire da un momento
all'altro, eppure non riusciamo mai a dire quello che vorremmo
dire...” disse a fatica.
“Il fatto è
che siamo immersi in un mondo di persone, è normale che ci
importi la loro opinione...” risposi.
“Come se a
loro importasse davvero qualcosa...” sussurrò lei.
Mi sistemò
una ciocca di capelli dietro l'orecchia avvicinandosi ancora di più
a me.
I nostri nasi quasi
si sfioravano e la sua bocca era a pochi centimetri dalla mia.
Chiusi e riaprii
gli occhi con lo stomaco improvvisamente stretto in una morsa, ma
quando stavo per darle la schiena per porre fine a questa situazione,
fu lei ad allontanarsi per prima.
Ritornai a
respirare.
Mi prese una mano
nella sua e sussurrò: “Buonanotte.”
“Buonanotte.”
risposi.
E ci addormentammo.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
CAPITOLO 9
Raschia cadendo
pareti che non esistono
bramosa angoscia
di atterrare
e il nulla
che accolga senza dolore
asciughi la lacrima
forse intrappolata
una bugia
mare
sciaborda ridendo
ecco
e lo schianto?
“E' suonata la sveglia.” al
sentire quella voce sobbalzai svegliandomi.
Il viso di Valeria era sul cuscino
accanto a me: “Non l'hai sentita.” mi spiegò.
“Dovevo avere particolarmente
sonno.” risposi sbadigliando.
“Dovresti vedere i tuoi capelli,
sei mostruosa.” bisbigliò.
“Insomma!” sbottai io
tirandole un calcio per farla cadere dal letto.
Lei rise, mi scoccò un bacio
sulla guancia e se ne andò in bagno.
Arrossii per l'ennesima volta in quei
due giorni.
Ad un tratto il suo telefonino cominciò
a squillare.
“Se è Naomi rispondi
pure!” la voce di Valeria mi raggiunse dal bagno.
Non era Naomi, così stavo per
rimettere il cellulare al suo posto, ma per sbaglio schiacciai
l'icona delle immagini: non volevo farmi gli affari suoi, ma mi
apparvero alcune immagini di lei e Giorgio che facevano smorfie
all'obiettivo e non trovai niente di male nello scorrere un attimo
anche le altre.
Ad un tratto notai alcune immagini di
Valeria e Naomi assieme che sorridevano, e me ne stupii poiché
avevo sempre pensato che non si sopportassero, poi ecco un'ultima
foto, come dimenticata, di loro due che si baciavano.
Il mio stomaco si strinse in una morsa,
era come aver scoperto l'ultima tessera che faceva andare tutto al
suo posto e i vari avvenimenti cominciarono a prendere senso.
L'acqua in bagno si spense.
Rimisi in fretta il telefono sul suo
comodino prima che Valeria uscisse.
Finimmo entrambe di preparare gli zaini
in silenzio: non trovavo nulla da dire e avevo paura che parlando la
mia voce avrebbe tremato.
Era un atteggiamento stupido, lo
sapevo, ma sapere che Valeria fosse stata con Naomi, ed avere così
la conferma che le piacessero la ragazze, mi destabilizzava.
Mi sentivo un po' come se qualcuno
avesse dato un calcio a tutte le mie barriere etichettandole come
insulse ed inutili.
“Tutto bene?”
mi chiese.
“Sì,
sì.” risposi fingendo di mettere le ultime cose nello
zaino.
Valeria si legò
i capelli e riprese in mano il telefono; la vidi sbiancare.
Mi irrigidii
trattenendo il respiro.
“Hai guardato
tra le mie foto. C'era l'icona ancora aperta.”
“Io...non
l'ho fatto apposta...” tentai di spiegare.
“Sì,
come no.”
“Mi
dispiace!”
“Su, di
qualcosa. So che hai qualcosa da dire.” sbottò irritata.
Scossi la testa
frastornata.
“Tu non
conosci né me , né Naomi, né tanto meno come è
andata realmente; non puoi giudicare nessuno.”
“Non volevo
giudicarti...”
A questo punto la
porta si aprì di scatto e Naomi entrò per recuperare il
suo zaino.
“Hai lasciato
in bagno la piastra.” le fece notare Valeria.
“Lo so,
grazie.” rispose irritata lei “Stavate litigando?”
aggiunse tagliente.
“Non mi
sembrano affari tuoi.” replicai io.
“Oh...allora
vi lascerò da sole, a quanto pare la tua nuova fidanzatina non
mi vuole tra i piedi.” disse a Valeria.
“Io non...”
dissi sbiancando.
“Tu cosa? Non
sei la sua ragazza, stai dicendo? O non sei lesbica? Non so a quale
credere meno.” replicò Naomi assottigliando gli occhi.
Mi mancò il
fiato e non seppi cosa dire, troppo sangue al cervello e incapace di
mantenere una discussione con chiunque, non riuscivo a formulare
alcuna risposta.
Valeria abbassò
lo sguardo limitandosi a fissare la punta delle scarpe.
“Sei la
persona più orribile che abbia mai visto...” stavo
infine dicendo a Naomi, ma Valeria mi fermò: “No, Emma,
basta.”
“Perché??”
Naomi assunse
un'espressione soddisfatta.
Valeria era pallida
con le guance arrossate: “Perché qui l'unica stronza
sono io, okay? E no, nessuna di voi due mi conosce affatto. E se non
vi dispiace, ora, da stronza, me ne vado.” Detto questo,
raccolse lo zaino da terra ed uscì.
Dopo pochi secondi
Naomi sbuffò: “Chiudi tu la porta a chiave, e ricordati
di portarla alla reception.” poi sparì a sua volta.
Rimasi sola, con il
terribile bisogno di mettermi a piangere come una bambina.
* * *
Durante il seguito
della giornata non ci parlammo: non ci potevo credere che fosse
possibile arrivare così vicini a capire una persona e
trovarvisi anni luce subito dopo.
Sulla corriera non
ci sedemmo più vicine; infilai le cuffiette della musica e
guardai fuori dal finestrino cercando di non pensare.
Ci fermammo in un
autogrill e io ne approfittai per andare in bagno.
Mi accorsi che
Valeria mi aveva seguito solo quando la sua voce alle mie spalle mi
fece sobbalzare.
“Mi
dispiace.” mi disse.
Mi colse talmente
di sorpresa che balbettai un: “Anche a me.” da risultare
assolutamente falso, benché non fosse mia intenzione.
Poi si avvicinò
e disse: “Ti spiegherei tutto, ma sarebbe lungo e complicato.”
si avvicinò e mi lasciò un bacio leggero sulle labbra
“Peccato fossero solo due giorni.” aggiunse, poi uscì.
Sono quei momenti
della vita in cui il protagonista dovrebbe agire, ma allora non ero
affatto così.
Me ne tornai sulla
corriera con i pensieri più aggrovigliati e confusi che mai e
non feci nulla.
Nel giro di
un'oretta arrivammo al parcheggio dove ci aspettavano i nostri
genitori; mia madre mi accolse a braccia aperte e volle salutare
personalmente le catechiste.
In fine salimmo in
auto e lei mise in moto per uscire dal parcheggio.
“Guarda
quella ragazza...ha già firmato il contratto per il cancro ai
polmoni...ma poi guarda come è conciata...” disse ad un
certo punto mia madre mentre manovrava indicandomi un muretto vicino
a cui prima aveva sostato l'autobus.
Vi era seduta
Valeria: le gambe a penzoloni e le scarpe di tela che dondolavano
sfiorando l'asfalto.
“Tra tutti
quelli che c'erano, spero solo che tu non abbia stretto amicizia
proprio con lei.” borbottò poi preoccupata.
“No, no.”
la rassicurai io, e mi morsi le labbra accorgendomi con quanta
facilità, e senza pensarci due volte, le avessi appena
mentito.
Come Valeria mi
vide, inclinò la testa e mi sorrise, e io le sorrisi di
rimando.
Era rimasta
l'ultima: gli altri genitori avevano già ritirato i rispettivi
ragazzi e lei doveva aver rassicurato i catechisti che sua madre
sarebbe arrivata nel giro di due minuti, così quelli non si
erano sentiti in obbligo di aspettarla.
Fumava una
sigaretta del pacchetto appoggiato accanto a lei; aveva
un'espressione sfrontata o di sfida a mascherare ogni altro
sentimento, come nei confronti del parcheggio vuoto.
In quel momento
preferii interpretare quel sorriso come una promessa di rivedersi,
più che come un addio.
Chiedo perdono per il capitolo che è
più corto degli altri ed inoltre in ritardo, ma abbiate pietà
e non sommergetemi di pomodori, vi prego. Avrei voluto scriverlo
meglio, e ammetto che non mi è venuto un gran ché;
prometto cercherò di fare meglio nel prossimo :)
Inoltre vi anticipo che Valeria ed
Emma ovviamente si rincontreranno tra forse neanche due capitoli,
altrimenti avreste tutto il diritto di odiarmi.
Pensavo di scrivere i prossimi due
capitoli concentrandomi di più sulla vita di Valeria e
lasciare per un attimo da parte Emma, cosa ne pensate?
A presto :)
sam
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
CAPITOLO 10
POV VALERIA
La voce dell'insegnante rimbombava
lenta e monocorde contro le pareti gialle dell'aula.
Valeria pensava che tutto l'odio nei
confronti della scuola si concentrasse anno dopo anno nel colore di
quei muri.
Un giallo troppo forte che catturava
qualsiasi allegria attorno per non scolorire lui stesso: in breve un
parassita.
Giorgio le bisbigliò qualcosa
all'orecchio e lei alzò gli occhi al cielo, poi Valeria
disegnò un fantasma obeso sul banco.
“Sei tu.” scrisse accanto.
Giorgio annuì sospirando e
disegnò una corda attorno al collo dell'omino condannandolo al
patibolo.
“Una nuova vittima della
matematica.” scrisse allora lì di fianco.
A questo punto la prof lanciò
loro un'occhiataccia e sia Valeria che Giorgio si zittirono.
L'insegnante continuò allora la
lezione sugli algoritmi e le loro proprietà.
“Mi sembra abbastanza chiaro fino
ad adesso...qualcuno non ha capito?” chiese scrutando i suoi
alunni.
Né Valeria né Giorgio
risposero, ma stavano entrambi guardando storditi la lavagna,
increduli di quante scritte quel rettangolo nero potesse contenere.
“Algoritmi?” bisbigliò
il ragazzo all'amica, poi scrisse sul banco What do you mean?
Valeria soffocò
una risata nascondendosi dietro la testa del ragazzo di fronte a lei.
La campanella suonò
e tutti si alzarono per fare lo zaino e uscire.
I due amici furono
all'aria aperta in pochi minuti.
“Andiamo dai
gemelli domani?” chiese Giorgio.
“Fred e
George?” chiese Valeria.
“Smettila di
chiamarli così!” rise lui “Sono Marco e Carlo.”
“Sì,
potremmo andare da loro.” annuì lei.
La scuola era
cominciata da appena una settimana e il caldo di settembre dava
ancora quell'illusione di vacanza e la voglia di festeggiare.
“Ci sentiamo
più tardi allora.” la salutò Giorgio.
Valeria si avviò
alla fermata dell'autobus e si sedette sul marciapiede ad aspettare.
Dal bar accanto
proveniva un profumo di patatine fritte che però si mescolava
in modo nauseante con quello acre dell'asfalto.
Valeria abitava in
quella città almeno da un anno ormai: sua madre si era
trasferita per lavoro e ormai la ragazza poteva dire di essersi
abituata alla miriade di persone che erano ovunque in qualunque
momento.
In realtà le
piaceva uscire e confondersi tra la folla, scomparire in quel mare di
persone, come se i suoi pensieri si confondessero con quelli degli
altri e non fossero più suoi.
L'autobus si fermò
a pochi metri da lei, così la ragazza si alzò e lo
raggiunse.
In una decina di
minuti scese davanti al palazzo dove abitava: un condominio di sei
appartamenti dalla facciata rosata e dei balconcini di ferro battuto
allineati ad ogni piano.
Salì i
gradini contandoli, ma perdendo il conto dopo il numero trentadue e
arrivò alla sua porta con il fiatone.
Girò la
chiave nella toppa ed entrò: l'appartamento era piccolo,
essenziale, ma accogliente.
Eppure era sempre
vuoto.
La ragazza poggiò
a terra lo zaino sentendo il vuoto sulle piastrelle vibrare, si sentì
quasi in colpa schiacciando il vuoto nella pentola per metterci
l'acqua, poi accese la televisione per avere la parvenza di non
essere sola.
Aspettando che
l'acqua bollisse uscì sul balcone, appoggiò i gomiti
sulla ringhiera e tirò fuori una sigaretta per accenderla, ma
si fermò e la rimise nel pacchetto.
Tornò
indietro, chiuse le ante della portafinestra e spense l'acqua che
aveva messo a bollire; non vi buttò la pasta, ma mise via
tutto.
Aprì il
frigo, prese uno yogurt ai frutti di bosco, pelò qualche
carota ed andò ad accoccolarsi davanti alla tv.
Senza accorgersene
si addormentò e si svegliò che erano ormai le quattro.
Non aveva voglia di
fare i compiti, era sabato, li avrebbe rimandati fino alla domenica
sera, come suo solito.
Andò in
camera per togliere i libri dallo zaino ed ordinarli nei giusti
scomparti, poi si sedette alla scrivania e tamburellò le dita
sul banco di legno bianco, come indecisa.
Infine si alzò,
si avvicinò ad una tastiera accanto alla finestra e con un
dito schiacciò un tasto.
Chiuse per un
attimo gli occhi con una smorfia, poi si sedette e cominciò a
suonare.
Spesso pensava che
quella fosse l'unica cosa che lei fosse in grado di fare nella vita;
non aveva particolari abilità, non eccelleva in niente, ma
sapeva pur sempre suonare.
Aveva cominciato
tanti anni fa come per lanciare una sfida a se stessa, come se,
vedendo quanto fosse brava, suo padre sarebbe tornato a casa.
Ero veramente così
ingenua? Si era poi chieste più volte.
La musica allora
cancellava tutto, si ricominciava da capo, e mentre le sue dita
scorrevano sui tasti, lei capiva di non essere triste, anzi, di amare
se stessa, la sua famiglia e il vuoto di quella casa.
Cosa le impediva di
essere felice?
POV EMMA
Fu nei giorni e nei mesi seguenti che
cominciai a fare i conti con me stessa.
Lei riappariva nella mia mente quando
meno me lo aspettavo, come un fantasma la ritrovavo in ogni cosa,
persino nei sogni.
Allora mi svegliavo sudata con il cuore
che batteva forte e una sensazione di panico che non riuscivo a
spiegarmi.
Un giorno mia madre entrò nella
mia camera e mi chiese: “Ma Maria è fidanzata?”
“Sì, mamma...con
Giovanni.”
“Non ha degli amici da
presentarti questo Giovanni?”
“Non lo so mamma, magari la
prossima volta che esco con loro glie lo chiedo.”
Allora era uscita abbastanza
soddisfatta, ma poi la settimana seguente era già pronta di
nuovo a propormi questo o quel ragazzo chiedendosi come fosse
possibile che la sua cara bambina non trovasse nessuno.
Ogni volta che parlava di qualcosa
vicino all'argomento “ragazzi”, venivo presa dall'ansia
di non essere in grado di recitare, dal disagio per quello che le
stavo nascondendo, e conseguentemente ero presa da un'ansia
incontrollabile.
C'erano sere in cui, quando spegnevo la
luce, mi salivano le lacrime agli occhi e allora mi conficcavo le
unghie nei palmi delle mani per scacciare quella sensazione di
inadeguatezza e ansia che mi stringeva il petto.
Non volevo essere me stessa con tutte
le mie forze.
Cercavo di guardarmi intorno per
valutare i vari ragazzi e convincermi che erano loro a piacermi.
Ma se mai uno di loro ci provava con
me, mi sembrava improvvisamente tutto così forzato che non
riuscivo più a capire se ciò che volevo era stare con
loro o essere come loro; così li allontanavo con due parole e
mille sensi di colpa.
La parola “lesbica”
cominciò a procurarmi un tale senso di ansia che facevo fatica
a pronunciarla e se lo facevo mi veniva spontaneo abbassare la voce
come se fosse una bomba e potesse scoppiare.
Il tempo passò in fretta e il
fantasma di Valeria sfumò via lasciandomi però una
buona dose di crisi d'identità da affrontare.
Piano, piano una parte di me cominciò
a comportarsi e pensare come supponevo avrebbe fatto lei, un po' come
se così potessi esserle vicina o capirla.
Quando me ne resi conto, fui troppo
pigra per tornare indietro, lasciai che tutto corresse via come del
resto avevo sempre fatto, incapace di prendere in mano la mia vita.
In realtà non conoscevo affatto
Valeria, neppure il suo cognome o dove abitasse.
Mi maledissi più volte per non
averle chiesto neanche il numero di telefono, avevo solo quello di
Giorgio e fui più volte tentata di chiamarlo.
Ma poi ne sarebbe valsa la pena?
A parte il cognome, c'erano davvero
tantissime cose di lei che non conoscevo, era davvero la stessa
persona della gita, o di solito si comportava diversamente?
E poi volevo davvero chiamare una
ragazza e chiederle di vederci? Come l'avrei giustificato?
Ma poi no, io non
volevo veder nessuna ragazza, questa era solo una stupida fissazione.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
CAPITOLO 11
POV VALERIA
Marika aveva dato una festa a casa sua
approfittando che i genitori fossero andati in vacanza e aveva
invitato, a parere di Giorgio, decisamente un meraviglioso e
incalcolabile numero di persone.
“Hai visto quella?” chiese
Giorgio cercando di sovrastare il suono della musica a Valeria
indicando una ragazza mora con le lentiggini che chiacchierava con
alcune altre ragazze vicino alla porta d'ingresso.
Valeria alzò le spalle, poi
vedendo l'espressione sognante dell'amico, scoppiò a ridere:
“Su forza, vai.”
“Ma se...” borbottò
lui sconsolato.
“Te lo ordino Giorgio, vai e
provaci con lei.”
“Okay, capo.” obbedì
lui alla fine assumendo una camminata baldanzosa.
Valeria rimase a guardare l'amico
ridendo tra sé: Giorgio aveva raggiunto la ragazza prescelta e
le doveva aver detto una delle sue solite battute; il viso di quella
era passato dallo sconvolto al divertito.
Doveva essersi conclusa nel migliore
dei modi perché ora la mora e Giorgio stavano parlando
animatamente dimentichi di chi stesse loro intorno.
Accanto a loro c'era una ragazza alta
dai capelli scuri che le arrivavano fino quasi alla vita e un paio di
occhiali dalla montatura quadrata.
Lo sguardo di lei incrociò
quello di Valeria, le sorrise e le si avvicinò.
“Giorgio ti ha lasciata sola.”
constatò quella.
“Anche la tua amica mi pare. E
comunque ciao Naomi, ti sono cresciuti tantissimo i capelli e
conciata così non ti avevo neanche riconosciuta.”
Naomi rise: aveva un vestito cortissimo
e i tacchi alti la slanciavano così da essere di una spanna
più alta di Valeria.
La ragazza cominciò a battere la
punta della scarpa al suono della musica e guardava indistintamente
la folla.
“Quel ragazzo laggiù con
la camicia, lo vedi? Non è ingiusto che sia fidanzato? Me lo
sarei anche fatta...ma poi vedi quella sua ragazza? Gli sta
appiccicata come un polipo.” si lamentò improvvisamente
Naomi.
Valeria aggrottò le
sopracciglia: “Assolutamente ingiusto.” concordò
guardando la cosiddetta ragazza polipo e pensando che effettivamente
non le sarebbe dispiaciuto fosse stata un po' più single.
“Ti va di ballare?” le
chiese Naomi.
“Perché no?”
acconsentì l'altra.
Naomi le prese la mano e la trascinò
in mezzo alla folla.
Le due ragazze cominciarono a muoversi
al ritmo della musica facendo commenti sulle persone lì
attorno e ridendo subito dopo.
Ad un certo punto qualcuno urtò
Naomi che finì addossò a Valeria e si aggrappò
al suo braccio per non cadere.
Si rialzò scuotendo la testa e
sistemandosi i capelli con mano: “Mi accompagni in bagno?”
chiese.
Valeria annuì e salirono le
scale della casa di Marika, quando passarono davanti ad un orologio,
l'occhio di Valeria cadde sull'ora: “Sono già le tre?”
esclamò.
“Non sto in piedi, gira tutto.”
rise l'altra accasciandosi sul pavimento del bagno dopo aver chiuso
la porta dietro di sé e l'amica.
Valeria si appoggiò alla parete
e chiuse gli occhi per qualche secondo cercando di ragionare sul come
sarebbe tornata a casa.
“Dovrò andare a stare da
una delle mie amiche stanotte, spero non se ne siano già
andate.” commentò Naomi tirando lo sciacquone e aprendo
l'acqua del lavandino.
“Come mai?”
“Ho dimenticato a casa la
chiave.” spiegò.
Aveva gli occhi scuri che risaltavano
sul viso pallido, le guance arrossate, mentre lo smalto risaltava
sulle dita curate.
Dalla sala si sentì l'inizio di
una nuova canzone.
Naomi piegò leggermente di lato
la testa , come concentrata su qualcosa che non voleva esternare.
Valeria le si avvicinò e
sentendo il pavimento ancora instabile le sfiorò un fianco con
la mano.
“Come si chiama il tuo profumo?”
chiese Naomi.
“Non ricordo...me l'ha prestato
Marika stasera.”
“Mi piace...” sussurrò
Naomi poggiando le labbra sul collo dell'altra.
Valeria riaprì gli occhi:
“Naomi...” balbettò.
“Sì?” disse l'altra
con una risata e guardandola con le pupille troppo dilatate.
“Niente..” Valeria scosse
la testa.
Naomi spostò le labbra su quelle
dell'altra che rispose al bacio, poi si staccò e bisbigliò:
“Devo trovare qualcuno che mi porti a casa.” e poggiò
una mano sulla maniglia della porta.
“Rimani da me.” disse d'un
fiato Valeria, e le scappò un sorriso: “Mia madre non è
a casa.”
L'altra si voltò verso di lei, e
sorridendo a sua volta annuì.
POV VALERIA
Valeria si svegliò frastornata,
con un lieve senso di nausea e la testa pesante.
Si girò di lato e scattò
a sedere ricordando improvvisamente gli avvenimenti della sera
precedente.
Naomi non era più lì e
per un attimo Valeria si chiese se non fosse stato tutto frutto della
sua immaginazione, ma no, neppure lei poteva arrivare ad un tale
livello di pazzia.
Affondò il viso nel cuscino,
sbuffò e si decise ad alzarsi: doveva pur controllare almeno
dove fosse l'altra.
Poggiò i piedi sulle piastrelle
fredde, si diresse verso l'armadio e prese la prima maglietta del
cassetto.
Dopo essersi vestita andò in
salotto.
Aveva un po' di panico nel cercare
qualcosa da dire a Naomi; girò le due o tre stanze
dell'appartamento, ma non la trovò.
Non aveva lasciato alcun biglietto,
Valeria controllò il cellulare ma non vi trovò alcun
messaggio: era semplicemente sparita.
La ragazza si lasciò cadere sul
divano e chiuse gli occhi: rimase così immobile per qualche
secondo, poi fece un respiro più lungo degli altri, riaprì
gli occhi e andò in cucina.
Lì mise l'acqua sul fuoco per
preparare un thé tamburellando nel frattempo le dita sul
ripiano cottura.
Spense il fuoco e versò l'acqua
nella tazza troppo in fretta, così la rovesciò fuori,
imprecò e le cadde il pentolino a terra.
Si sedette sospirando sul pavimento e
si prese la testa tra le mani.
POV NAOMI
Naomi camminava con lo sguardo rivolto
all'asfalto scuro e irregolare; ogni tanto sollevava il viso e
spalancava gli occhi come per catturare qualcosa, poi continuava a
camminare.
Si fermò davanti ad un bar,
entrò e si diresse verso il bancone.
Vi appoggiò i gomiti e aspettò
qualcuno a cui ordinare: arrivò un ragazzo, di quelli che la
mattina ricordano sempre di pettinarsi e di indossare il maglioncino
stirato.
“Sì?” chiese a
Naomi da dietro il banco e aveva un bel sorriso; probabilmente
lavorava la domenica per guadagnare dei soldi per pagarsi
l'università.
“Un cappuccino e una brioche.”
disse lei.
“Crema, cioccolata o vuota?”
“Scegli tu.” rispose lei
alzando le spalle.
“Okay.” rispose quello
divertito.
Il bar era semivuoto: i tavolini di
legno e le pareti rosate davano un particolare senso di tranquillità;
un vecchio con il berretto rosso cominciò a sfogliare un
giornale strizzando gli occhi da dietro le lenti.
Il ragazzo dietro il bancone le porse
la sua ordinazione con espressione apparentemente noncurante, ma a
Naomi non sfuggì la rigidità con cui si voltò,
né come avesse leggermente sollevato l'angolo della bocca.
“Ti va di farmi compagnia? Tanto
non mi sembra che ora tu abbia molto da fare.” chiese Naomi
indicando un tavolino.
Le guance del ragazzo si colorarono di
rosa e nascondendo un'espressione compiaciuta annuì dicendo:
“Va bene.”
Si sedettero l'uno di fronte all'altra;
Naomi strappò con l'indice e il medio un pezzo della brioche e
se lo portò alla bocca.
“Speriamo che non si metta a
piovere.” disse lui.
“Già.” concordò
lei nascondendo un sorriso divertito nella tazza di cappuccino.
“Perché ti fa ridere?”
Naomi alzò le spalle: “Perché
lavori qui?”
“Devo pagarmi gli studi.”
“Lo sospettavo.” commentò
lei finendo di bere.
Allora si alzò e si diresse
verso il banco seguita dal ragazzo.
“Quant'è?” chiese.
“Ti faccio il conto.” disse
lui in risposta.
Naomi annuì, poi rise, azzerò
la distanza tra loro e lo baciò.
“Potremmo vederci qualche volta.”
gli disse quando si lasciarono.
“Okay.” disse lui stranito.
Lei si allontanò e si diresse
verso l'uscita.
“Quando?” chiese lui
avanzando di qualche passo.
“Oh...” lei scrollò
le spalle “Ripasserò.”
Il ragazzo la seguì con lo
sguardo ancora incredulo, poi si rimise a lavorare e allora ogni
tanto sorrideva ai bicchieri vuoti.
Dopo qualche minuto si portò una
mano alla fronte: quella ragazza non aveva pagato.
Il vecchietto dal berretto rosso
sospirò e lo guardò scuotendo la testa.
Naomi intanto era lontana, stava
costeggiando la piazza, quando ad un tratto un bambino le sbatté
contro le gambe.
“Scusa!” esclamò
quello correndo subito via.
Lei sorrise mentre all'angolo tra un
negozio di scarpe e una libreria un uomo, poggiato a terra il
cappello, cominciava a suonare la fisarmonica.
Benché ci fosse vento, benché
a casa nessuno la stesse aspettando, Naomi si sentì felice.
Forse era la sensazione di libertà,
quell'essere ovunque e da nessuna parte allo stesso tempo, o sentire
il sangue sotto la pelle perché era viva.
Alzò lo sguardo: mai aveva
notato quanto fosse azzurro il cielo.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
CAPITOLO 12
( 1 ANNO DOPO)
PDV EMMA
“Andiamo in spiaggia domani?”
“Okay.” acconsentii mentre
mia cugina Chiara si esibiva in una specie di danza celtica per la
contentezza.
Avrei trascorso le seguenti due
settimane a casa di mia zia come del resto ero solita fare tutte le
estati: mia cugina aveva la mia stessa età e insieme ci
eravamo sempre trovate bene.
“Partiamo la mattina presto?”
chiese.
“Mm..” mugugnai “mi
hai appena ucciso.”
“Smettila...basterà
alzarsi verso le otto...tanto in un quarto d'ora saremo là.”
rettificò lei subito dopo.
“Okay, va già meglio.”
approvai ridendo.
“Rimaniamo là la sera?
Stiamo a casa di una mia amica. Che ne dici?”
“Non saprei..” tentennai.
“Non la conosco e non vorrei essere un impiccio...”
“Ma lei ha detto che ti conosce!
Si chiama Marika...e comunque ci ha invitate lei, quindi non credo
sia affatto un problema la tua presenza.”
Spalancai la bocca interdetta: “Marika
con i capelli biondi...mezza altezza...parla molto...?”
“Sì, proprio lei.”
“Ah...sì per me va bene.”
acconsentii al piano ancora un po' incredula.
In fondo era felice di rivederla, mi
dispiaceva di aver perso i contatti con tutti, magari ci sarebbe
stato anche Giorgio...e Valeria. Aggiunse
una vocina nella mia testa.
“Non...non so
però se mi va di restare lì a dormire. Dobbiamo proprio
andare al mare?” chiesi di getto.
“Eh?”
chiese mia cugina perplessa.
“Mi...mi fa
mal la testa.”
“Stai
scherzando?”
Aprii e richiusi la
bocca rendendomi conto di quanto mi stessi comportando in modo
infantile e sospirai: “Sì, scusa lascia perdere. Va
benissimo se domani andiamo.”
Chiara batté
le mani e mi abbracciò.
* * *
Ci sedemmo sulla
sabbia sotto l'ombrellone e mia cugina Chiara prese i panini dalla
borsa.
“Ancora non
riesco a credere che ci siamo riviste...il mondo è piccolo per
davvero...vi va di andare a prendere un gelato dopo? Non saprei che
gusti scegliere...cioccolato o fragola? Ma il pistacchio...E comunque
avete visto quella bici?” Marika prese un attimo fiato e
ricominciò a parlare “Se no anche stracciatella...chi
può avere inventato un nome del genere per un gusto del
gelato? Guardate quel ragazzo...quello a destra...no! Non tutti
insieme, o se ne accorgerà...okay, fa niente...che figura di
merda.”
Quella ragazza non
aveva ancora smesso di parlare da quando eravamo arrivati, stentavo
davvero a credere che fosse possibile.
Addentai un panino
e lo sguardo mi cadde su Giorgio stravaccato sul telo alla mia
sinistra: era cambiato moltissimo nell'ultimo anno, si era alzato,
diceva meno battute, e alzava troppo spesso le sopracciglia.
L'aria fresca del
mare si mescolava al calore del sole e tentava invano di raffreddare
la sabbia bollente.
“Poi sei
stato a Roma con Valeria?” chiese Marika a Giorgio.
“Sì,
ma ormai ho deciso che non andrò mai più da nessuna
parte con lei” affermò lui convinto.
“Ma perché?
Lo dici sempre, ma alla fine ripartite sempre...”
“Saresti
dovuta venire anche tu.” la rimproverò lui.
“La prossima
volta.” promise Marika “E smettila di fare quella faccia,
neanche ti avesse costretto a uscire di notte da una finestra.”
lo prese in giro lei.
“Eh...scommettiamo?”
Marika spalancò
gli occhi e scoppiò a ridere.
Risi a mia volta
vedendo la faccia di Giorgio; a quanto pare Valeria non sarebbe
venuta quel pomeriggio e mi ero imposta di non chiedere se sarebbe
venuta più tardi.
In realtà
ero contenta che non ci fosse, forse più sollevata che
contenta, ma mi andava bene così, non volevo che arrivasse.
Ci sdraiammo sugli
asciugamani e lasciammo che il sole ci scaldasse la pelle e le ossa.
Ad un tratto
Giorgio si alzò in piedi e propose: “Chi mi accompagna
sugli scogli?”
“Io no.”
bisbigliò Marika “Mi sto per addormentare e non ne ho la
forza.”
Chiara non rispose
e Giorgio fece una smorfia deluso.
“Vengo io.”
dissi allora alzandomi “Tanto non mi piace un granché
prendere il sole.”
Il suo viso si
illuminò: “Ottimo. Allora facciamo una camminata fino a
quelli là in fondo.”
Ci incamminammo in
silenzio: mi piaceva sentire solo lo sciabordare del mare e l'acqua
fredda che sfiorava i piedi scalzi
Ogni tanto avevo
preso l'abitudine di concentrarmi su poche cose attorno a me
estraniandomi da tutte le altre per rendere reali solo quelle che
volevo.
“Cosa ne
pensi delle balene che si arenano sulla spiaggia?” chiese
all'improvviso Giorgio.
“Eh?”
mi riscossi sorpresa “Cioè...non so...mi spiace per
loro...?”
“Scherzavo.”
rise lui “Cercavo un argomento di conversazione e non so di
cosa ti interessi, ma credo di aver sbagliato campo!” spiegò.
“Cosa ti
piace fare nel tempo libero?” mi chiese subito dopo.
“Non
saprei...leggo o guardo la tv...vado a camminare...” dissi
“tu?”
“Più o
meno anch'io.” rispose “Ma in più suono la
chitarra.”
“Bello!”
esclamai.
“In realtà
non sono per niente bravo...”
“Ma
smettila...” lo presi in giro “Anche Marika suona?”
“No, lei no,
ma Valeria suona il piano, lo sapevi?”
“No.”
risposi.
“Ma vi sarete
sicuramente riviste da quella gita in montagna, è anche molto
brava, pensavo te ne avesse parlato.”
“Non ci siamo
riviste...”
Lui aggrottò
la fronte: “Ah..ok, scusa, è che dopo che siamo tornati
da quella gita Valeria ti ha nominato tante volte per tanto
tempo...non ne potevo più! Per questo avevo pensato così,
ma mi sono sbagliato, fa niente...” spiegò.
“Ah okay.”
cercai di sorridere.
Arrivammo agli
scogli e Giorgio mi precedette nel salire sul primo, avanzammo per
qualche metro, poi ci sedemmo immergendo i piedi nell'acqua.
* * *
PDV VALERIA
Avevo passato un
paio di giorni in tenda con un gruppo di amici e ora sarei rimasta da
Marika per un po' mentre loro se ne sarebbero tornati a casa.
Arrivai in spiaggia
quando ormai la maggior parte delle persone se ne era andata e in
pochi erano rimasti a guardare il cielo tingersi di rosa e il sole
affogare nel mare. E' quasi doloroso il modo in cui il sole tramonta,
lento ed inesorabile.
Riconobbi Marika e
Giorgio in riva al mare, assieme a quelli che dovevano essere Carlo e
Marco, c'erano poi altre due ragazze che non mi sembrava di
conoscere.
Marka era seduta
sulla sabbia bagnata e guardava gli altri giocare a palla.
La raggiunsi:
“Ehi!”
“Ciao!”
esclamò lei alzandosi e abbracciandomi con un enorme sorriso
“Gio! E' arrivata la luce della tua giornata!” aggiunse
rivolta all'amico.
Allora gli altri si
accorsero della mia presenza e interruppero la partita per salutarmi.
“Mi dicono
che ti sei degnata di raggiungerci.” commentò Marco.
“A me dicono
che più che divertente sei logorroico.” lo presi in giro
io.
Lui rise facendomi
una smorfia.
“Io sono
Chiara.” disse una ragazza dai capelli rossi e mossi
stringendomi la mano “La cugina di Emma.”
Per un attimo non
riuscii a capire di chi stesse parlando, poi volsi lo sguardo verso
destra all'altra ragazza che non avevo ancora salutato e riconobbi
stupita la ragazza di quella gita d diversi mesi fa.
Quella arrossendo
sorrise: “Ciao.”
“Ciao.”
risposi.
“Come mai
siete qui?” chiesi stupita.
“Chiara è
un'amica di Marika e io e Chiara siamo cugine.” spiegò
lei.
“E perché
se no?” rise Marika “Piccolo il mondo vero?”
Alzai le spalle
cercando di sembrare divertita o almeno o un po' più
disinvolta.
Non mi sarei mai
aspettata di rivederla; non era cambiata molto, aveva gli stessi
capelli ondulati, gli stessi occhi scuri, ma c'era qualcosa di
diverso.
Subito non riuscii
a cogliere cosa fosse, poi capii: era più disinvolta, era come
aver di fronte un'estranea; non che potessi dire di averla davvero
conosciuta, ma avevo creduto di aver capito qualcosa di lei.
Non mi rivolse
quasi la parola, eppure con gli altri rideva e scherzava, sentivo la
sua ostilità quasi come elettricità nell'aria e ne ero
inspiegabilmente ferita.
Ciao
a tutti, scusate tantissimo per il ritardo. Cosa ne pensate? Io sono
tanto contenta che si siano ritrovate, ma sono ancora indecisa su
cosa far succedere nel prossimo capitolo...se qualcuno ha qualche
suggerimento sappiate che sono molto ben accetti ahah
Un
bacio e a presto,
sam
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
CAPITOLO 13
“Sei incinta.”
“Ma come...io non ho un
ragazzo, non...” balbettavo guardando allo specchio quanto
fosse cresciuta la mia pancia.
Tutto attorno a me fu nebbia e la
scena cambiò: una bambina dai riccioli castani giocava poco
distante da me; qualcosa mi diceva che fosse mia figlia, eppure non
la conoscevo.
All'improvviso inciampò e la
presi appena prima che cadesse a terra: non volevo che le accadesse
nulla.
Ma ecco che la scena cambiava di
nuovo: ora la bambina mi guardava con gli occhi lucidi ed era
evidente che stesse soffrendo.
Volevo aiutarla ma era evidente che
non ero in grado, non sapevo cosa avesse e quindi neanche cosa fare.
Ed il tempo passava: anni o giorni
non aveva importanza.
Brillava un sole strano, una luce
troppo chiara, e seppi che la bambina era morta.
Nel momento in cui lo seppi,
compresi anche che era colpa mia, perché non ero stata capace
di aiutarla.
La scena cambiò di nuovo: ero
su un divano dal tessuto azzurro tenue, accanto a me c'era una
ragazza che non avevo mai visto, ma qualcosa mi diceva che stavamo
insieme e che ero perdutamente innamorata di lei.
Lei mi baciò con gli occhi
che sembravano sorridere ed io sentii di essere felice, le sue mani
mi accarezzarono la schiena e lei mie dita si infilarono tra i suoi
capelli mentre lentamente perdevo cognizione di ciò che stava
attorno.
Ad un tratto sentii un singhiozzo.
Mi stupii non capendo da dove
venisse: allora mi accorsi che era quella ragazza a piangere.
“Va tutto bene...”
balbettò la me del sogno abbracciandola spaventata.
Ma lei mi scacciò via: “No,
è tutto orribile...” singhiozzò ancora.
Compresi che si riferiva a noi due e
le mani cominciarono a tremarmi.
“Ma non devi pensarla
così...ci sono tante altre persone che...”
Ma lei non mi ascoltava e non potevo
fare nulla; una punta cominciò a perforarmi il petto, allora
annaspai cercando di non soffocare.
Mi svegliai,
sbattei le palpebre più volte mettendo a fuoco la stanza
attorno a me.
Richiusi gli occhi
e sospirai, mi alzai.
Uscii dalla cucina
a prendere un bicchiere d'acqua: guardai le varie mensole, poi storsi
la bocca e optai per bere direttamente dal lavandino.
Ero a casa di
Marika e non erano ancora le otto: la cucina era immersa nella
penombra, sul tavolo filtravano degli spiragli di luce delle
tapparelle, e i mobili tutt'attorno e i mobili tutt'attorno
sembravano addormentati come tutti gli altri nella casa.
Tornai in camera e
mi sdraiai sul mio materassino, attenta a non svegliare gli altri.
Mi girai di lato e
chiusi gli occhi, ma ormai mi ero svegliata ed era inutile cercare di
dormire di nuovo.
Quando ero piccola
le stanze buie e quel silenzio surreale mi spaventavano, era così
strano il modo in cui il tempo sembrava fermarsi.
Il mio sguardo
cadde su Valeria che dormiva poco più in là: si era
fatta crescere i capelli, ora le arrivavano alle spalle.
Non le avevo quasi
rivolto la parola, ogni volta che pensavo di farlo mi sentivo a
disagio, non avrei saputo dire se più per rabbia o per timore;
era come se l'odiassi per l'effetto che ancora mi faceva.
Mi sentivo stupida:
era come se in tutti quegli anni mi fossi costruita un piedistallo,
bianco, candido. Standovi sopra non mi sarebbe potuto accadere nulla,
e ammettere di essere attratta da lei sarebbe stato come prendere una
palla da demolizione e rotolare via.
Valeria aprì
gli occhi e i nostri sguardi si incrociarono; subito parve sorpresa,
poi sorrise.
Fu come se il pezzo
di ghiaccio che avevo nel petto avesse cominciato a sciogliersi ed
era una sensazione bellissima.
“Hai già
fatto colazione?” sussurrò.
“No.”
risposi.
“Allora
andiamo, ho fame.” disse e si alzò.
Aprì con
cautela la porta della camera e mi fece cenno di seguirla.
“Biscotti e
fette biscottate?” chiese una volta in cucina aprendo la
credenza.
“Sai dove
sono tutte le cose.” notai.
“Sono già
stata qui altre volte.” spiegò.
Mise tutto sul
tavolo, si sedette e io mi sistemai sull'altra sedia di fronte a lei.
Valeria aveva
posizionato il davanti delle varie confezioni nella stessa direzione.
Avrei voluto
chiederle come mai fosse così ordinata, come mai stesse
torturando con le dita i tovagliolo, perché fosse così
nervosa, se si ricordasse chi fossi, o ormai sapesse a stento il mio
nome.
Mi morsi il labbro
inferiore e presi un biscotto.
“E' da tanto
che non ci vediamo.” disse togliendosi l'anello e giocandoci.
“Sì,
sono passati quasi due anni.” aggiunsi.
Lei rise: “Assurdo
non trovi?”
“Cosa?”
“Che ci siamo
rincontrate”
“Sì, è
vero.” concordai.
Lei si versò
il latte nella tazza e mi sorrise.
Io arrossii e presi
la marmellata.
“C'è
troppo scuro.” disse dirigendosi verso la tapparella e
alzandola “Ti va di fare una passeggiata intanto che gli altri
dormono?”
“Ehm...sì
okay.” risposi distogliendo lo sguardo dai suoi occhi che per
un attimo mi erano parsi brillare per la luce del sole.
“Sai dove
sono le chiavi?” chiesi.
Lei alzò le
spalle: “Usciamo dalla finestra...tanto siamo al piano terra.”
“Non sei
proprio cambiata, eh?” risi senza riuscire a trattenermi.
“Mi sa di
no...”
Aprii le ante e
facendo forza sulla braccia salii sul davanzale per poi sedermi con
le gambe a penzoloni e lasciarmi cadere.
Valeria fece lo
stesso dopo di me.
Fu come ritrovare
una vecchia amica e con l'incomprensibile desiderio di voler affidare
la propria anima ad un'estranea lasciai che mi parlasse e risposi
alle sue domande.
Non che avessi una
particolare ragione per fidarmi di lei, ma sentivo il bisogno di
capirla, e per conoscere qualcosa di più di lei, dovevo
condividere qualcosa di mio.
Girammo a caso per
il quartiere per una ventina di minuti, poi Valeria disse: “Prendiamo
la bici che ho lasciato nel cortile? Potremmo andare in spiaggia.”
“Va bene.”
concordai.
Lei aprì il
cancello, montò sulla bicicletta appoggiata al muro e mi
raggiunse.
Io salii sul
portapacchi e dopo qualche sbandamento partimmo mentre le ruote
producevano un sono vivo e irregolare sull'asfalto sconnesso.
L'aria calda del
mattino sembrava accarezzarci il viso mescolandosi al profumo di
panetteria, dei pini e del sole.
La vita allora mi
sembrò improvvisamente semplice, intravedevo la soluzione
dell'equazione e non sarei mai voluta scendere.
Appoggiai la fronte
sulla schiena di Valeria e chiusi gli occhi: ero come immersa nel
torpore, le avrei svelato la mia anima se solo me lo avesse chiesto.
Lei allora frenò
e mi riscossi.
Il mare che
rifletteva il cielo era di un azzurro incantevole; Valeria legò
la bici con il lucchetto e si tolse le scarpe.
La imitai e
incespicando sulla sabbia non ancora calda raggiungemmo l'acqua.
“E' fredda.”
dissi quando un'onda mi bagnò i piedi.
“Cos'hai
fatto di bello quest'anno?”
“Non
saprei...tu?” risposi.
Valeria alzò
le spalle: “Un po' di tutto...ho anche assaggiato un gelato
alla zucca.”
“Allora hai
vinto tu.” risi.
Dopo un po' di
silenzio Valeria aggiunse: “Ti ho pensato sai?”
Trattenni il
respiro mentre il mio cuore accelerava.
Vedendo che non
rispondevo lei cambiò discorso:Camminiamo un po'? Magari
cerchiamo di non tornare troppo tardi o si chiederanno dove
siamo...Sai che Giorgio...”
“Anch'io ti
ho pensato.” la interruppi.
Sentivo la gola
stretta, inspirai cercando di calmarmi. Mi costava davvero così
tanto ammetterlo? Mi sentii patetica.
“Comunque sì,
potremmo arrivare fino là in fondo e poi tornare
indietro...non ci metteremmo molto.” continuai senza sapere
bene cosa stessi dicendo.
“Scusa.”
“Per cosa?”
chiesi fissando il suolo.
“Per non
essermi più fatta sentire.”
Ci incamminammo.
“Neanch'io ti
ho chiamata.”mi stupii di me stessa sentendo la rabbia che
avevo riposto in quelle parole: perché avrei dovuto ferirla?
Forse perché non volevo essere la vittima?
“Allora
entrambe non ci siamo pensate abbastanza.” disse lei
incrociando lo sguardo con il mio.
“Pare di no.”
sussurrai sentendomi morire.
Continuammo un po'
la strada in silenzio, poi la sua mano cercò la mia e deglutii
a vuoto.
“Preferisci
il mare o la montagna?” chiesi.
“Mare. Tu?”
“Montagna.
Come mai il mare?”
“Non
saprei...credo sia perché l'acqua sembra non finire mai...un
po' come se dicesse fermati sei arrivato.” Spiegò
ridendo.
“Non avevo
mai pensato a quest'aspetto.”ammisi voltandomi verso l'acqua.
“Giorgio mi ha detto che suoni.” aggiunsi poco dopo.
“Ah sì...”
rispose. Sembrava la imbarazzasse parlarne: un po' come se facesse
parte di quelle cose personali che se espresse ad alta voce rischiano
di diventare semplicemente banali.
Allora non chiesi
altro “sarà ormai ora di tornare.” dissi.
Tornammo alla bici,
ma prendendo dalla tasca il lucchetto fece cadere a terra il
telefono.
Sbuffò e
mentre mi chinavo per raccoglierlo lei fece lo stesso.
“Scusa...”
dissi accorgendomene, mi rialzai e allora la voce mi morì in
gola vedendo quanto fossi vicina alle sue labbra.
Lei mise un braccio
attorno alla mia vita, ma io mi allontanai di scatto e scossi la
testa: “Non ha senso...” balbettai “Ci perderemmo
di vista comunque.”
Dalla sua
espressione capii che non si aspettava questa mia reazione.
“Scusa...”
mi voltai e mi allontanai.
La
nausea era reale o solo nella mia testa? Mi odiavo, non
riuscivo a far nulla senza che si incastrasse in una logica ferrea,
oppure finivo per dire di sì a tutto, a caso, quasi per
pigrizia.
Ed ora avevo posto un no.
Ricacciai indietro le lacrime e cercai
di soffocare quella fottutissima domanda: perché?
Scusate
tantissimo per il ritardo, ma ho avuto moltissime verifiche
nell'ultimo periodo e non sono riuscita ad aggiornare...
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto e vi prometto che nel prossimo
finalmente risolveranno ogni incomprensione.
Inoltre
ho finito di scrivere a carta la storia (sigh) quindi dovrei
aggiornare gli ultimi capitoli con un po' più di regolarità.
A
presto, baci,
sam
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
CAPITOLO
14
“E'
tutto il giorno che sei silenziosa, qualcosa non va?” Giorgio
si sedette accanto a me sui gradini davanti a casa. L'erba e i fiori
del giardini stavano diventando scuri assieme al cielo.
“No,
va tutto bene.” gli sorrisi.
“E'
la stessa cosa che ha detto anche Valeria.” rispose lui.
Deglutii
a vuoto.
“Ti
va di parlarne?”
Sospirai
mentre il cuore accelerava “Io...cioè...ecco...”
ma le parole mi si bloccarono in gola. Allora scossi la testa e
rimasi in silenzio.
“Abbiamo
tempo. Tanto gli altri devono ancora tutti fare la doccia..”
constatò lui incrociando le gambe e sorridendomi.
Mi
scappò una risata nervosa mentre mi rendevo conto di quanto
fosse assurda la situazione e io incapace di fare nulla. “In
realtà è una cosa molto stupida.” dissi.
Lui
aggrottò la fronte.
Sospirai:
“Mi piacciono le ragazze.” lo dissi di getto e restai
senza respirare per qualche secondo.
“Beh...non
mi aspettavo questa confessione, ma ti trovo sempre più
interessante, sai?” e vedendo la mia espressione ancora
contratta in una smorfia aggiunse: “Ok, e invece il problema
qual è?”
“E'...è
quello il problema.” balbettai senza capire.
“Posso
supporre che c'entri Valeria?” aggiunse Giorgio mentre sul suo
viso si apriva un sorriso provocatorio.
Sbuffai
prendendomi la testa fra le mani, mentre lui cominciava a parlare di
quanto saremmo state bene insieme e di come non vedesse l'ora che
succedesse.
“Ehi...”
mi disse fermandosi e vedendo una lacrima rigarmi la guancia.
“E'
che è tutto così complicato...”
“No,
non lo è.” cercò di rassicurarmi lui.
“Le
ho appena fatto capire che non potrà mai accadere nulla tra di
noi...e...e anche se so che è giusto così...”
“Stop,
stop. Perché giusto così? Riavvolgi il nastro. Conosco
Vale da una vita, e sì, può essere strana, ma questo
non è necessariamente un difetto.”
“Ma
non è lei il problema, Giorgio...Sono io. Hai presente cosa mi
si para davanti?”
Lui
rimase in silenzio aspettando che continuassi.
“Se
mi mettessi davvero con...con lei, allora dovrei ammettere di essere
come sono, e anche se può sembrarti infantile, faccio davvero
fatica. Nel mio futuro avevo sempre immaginato una famiglia...dei
figli...e poi come posso fare per dirlo ai miei genitori? E poi tutte
le altre persone che forse non saranno mai in grado di prendermi sul
serio...”
“Sei
un po' tragica, Emma.” tentò di dire lui “Stai
esagerando giusto un pochino...”
“Non
è il fatto di essere attratta dalle ragazze che mi spaventa,
anzi quello mi sembra naturale, è una parte di me e non rieso
neppure ad immaginarmi diversamente. Il problema è la vita che
ne seguirà...il confronto con gli altri e...” mi sentivo
un fiume in piena, si erano rotti gli argini e, dopo anni di
silenzio, le parole uscivano senza che potessi fermarle.
Giorgiò
allora mi abbracciò e per un attimo fui presa dall'istinto di
scoppiare a piangere.
“Non
posso essere di grande aiuto, purtroppo, ma ti dirò le stesse
cose che ho detto a Valeria qualche anno fa. Tu avrai una famiglia,
potrai in ogni caso avere dei figli, e sarà una vera famiglia;
inoltre i tuoi genitori vogliono il tuo bene e che tu sia felice,
andrà tutto bene vedrai...E' vero che ci vuole coraggio ad
essere diversi, ma la diversità è una cosa bella,
dipende tutto da come la guardi.”
Risi
ricambiando l'abbraccio e tirando su con il naso, neanche avessi tre
anni.
“E
dato che ora sono il filosofo della situazione: vai da Valeria, ti
piace? Diglielo. Non sai neppure quello che può succedere
domani...il mondo è così grande e noi così
piccoli, che è veramente stupido farsi certi problemi...”
Appoggiai
la testa alla sua spalla: “Grazie.” sussurrai.
Nel
frattempo il sole era completamente calato, si era acceso qualche
lampione; mi chiesi perché prima non avessi fatto caso al
frinire delle cicale.
*
* *
Valeria
evitò per tutta la sera il mio sguardo e, benché avessi
le migliori intenzioni del mondo, feci lo stesso anch'io. Mi sentivo
divisa tra mille parti contrastanti che volevano tutte una cosa
diversa e non riuscivo ad ascoltarne nessuna. Allora mi immaginavo di
essere composta da miliardi di elettroni che seguivano tutti un
percorso diverso e rabbrividendo pensavo a come la loro orbita
potesse spezzarsi, loro sparire e io con essi.
“Andiamo
in spiaggia?” chiese Marika.
“In
spiaggia di notte? Non ti credevo così trasgressiva.” la
prese in giro Giorgio.
“Prendiamo
le bici?” chiese Marco, uno dei gemelli.
“Ma
non le abbiamo per tutti...” fece notare Marika.
“Non
c'è problema.” dissi “ Io e Valeria vi
raggiungiamo a piedi.” non so come trovai il coraggio di dire
una cosa del genere: tutti si voltarono e fui grata che fosse buio.
Lo
sguardo di Valeria mi perforò la nuca e, dopo quache secondo,
disse: “Ok, arriveremo in pochi minuti.”
Giorgio
mi fece un cenno divertito, e andò in garage a prendere la sua
bici.
Quando
se ne furono tutti andati, Valeria disse: “Non ti credevo una
fanatica della camminata.” era ironica? Arrabbiata?
Scossi
la testa: “Devo parlarti...”
“Non
mi risulta che abbiamo molto da dire.”
“Non
molto, ma qualcosa sì.” cercai di sorridere mentre
tentavo di nascondere il tremore alle mani.
Lei
sospirò: “Ok, anch'io ho qualcosa da dire.”
Al
suo tono, ora più pacato, ripresi a respirare.
Ci
incamminammo: “Non so da dove partire.” ammisi nervosa.
Vale
rise: “Da dove vuoi.”
“Ma
tu non fermarmi, ok? Oppure non riuscirò più a dire
nulla.”
“Sono
muta come un pesce.”
Sorrisi
e incominciai a raccontare, e non credevo avrei avuto così
tante cose da dire, ma lei asoltava e le parole uscivano leggere
dalla mia bocca prima ancora che si formulassero nella mia mente.
Quando
finii, cominciò lei a parlare, e i minuti trascorsero veloci,
quanto le auto e le biciclette che ci passavano accanto. Poi ci
trovammo entrambe a ridere e corremmo per raggiungere gli altri che
ormai si dovevano star chiedendo dove fossimo finite.
Ci
fermammo per riprendere fiato una volta alla fine del viale:
intravidi Giorgio, Marika e Marco al limitare dell'acqua e mi voltai
verso Valeria per dirglielo.
Mi
ritrovai ad incrociare il suo sguardo, e pensai che non erano
semplici occhi scuri, ma che c'era così tanto dietro le
pupille.
Mi
baciò e io negai alla mia mente di porsi alcun domanda, quella
mi ascoltò e si spense. Era così dolce lo sciabordare
del mare.
Ciao
a tutti,
scusate
se aggiorno questa storia inserendo l'ultimo capitolo solo adesso,
anche se era già pronto anni fa. Spero davvero che la storia
vi sia piaciuta, se vi va lasciatemi un commento, mi farebbe molto
piacere avere un riscontro. Se vi interessa darci un'occhiata ho
appena iniziato un'altra storia sempre su questo profilo.
A
presto e baci,
Sam
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