Superando il buio dei pensieri

di _Sam12
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1


Bip Bip Bip!

Al suono della sveglia sbattei le palpebre più volte cercando di tornare alla realtà e, quando realizzai che giorno era, affondai il viso nel cuscino nel vano tentativo di soffocare.

Se avessi fatto finta di niente sarei potuta rimanere a letto tutta la mattina e non andare a quella stupida gita parrocchiale di tre giorni.

Mi si strinse ancora di più il cuore quando decisi di lasciare le coperte.

Mi lasciai scivolare ai piedi del letto e infilai la vestaglia per non congelare.

Scesi le scale, aprii la porta del bagno e mi sciacquai il viso per poi guardarmi allo specchio.

Mi feci una smorfia: ultimamente era diventato il mio modo affettuoso per darmi il buongiorno.

In cucina mi versai il latte nella tazza e lo guardai ondeggiare prima di ordinare al mio stomaco di ingurgitarlo.

Noiosa. Sì, ero incredibilmente noiosa.

Un piccolo concentrato di noia, ansia, tristezza ed euforia.

Ero pronta a scoppiare, su quello non c'era dubbio, sarebbe bastata solo una piccola spinta e sarei rotolata giù senza fermarmi.

“Sei pronta? Arriveremo tardi...” disse mia madre entrando in cucina, mi scoccò un bacio sulla guancia e continuò “Cos'è quella faccia scura? Vedrai che andrà tutto bene e ti divertirai.” e allora esibì un enorme sorriso.

Era quasi doloroso per me vedere quanto mia madre si preoccupasse e non vedesse l'ora che la sottoscritta avesse tanti amici e una vera vita sociale.

Ed era inutile ripeterle che le mie quattro o cinque amiche le avevo, perché comunque finivo sempre per passare troppi sabati sera da sola in casa.

Cosa ci potevo fare se ero timida e impacciata?

Scossi la testa ricordando come mi avesse a tal punto sfinita con questa gita che alla fine avevo accettato di parteciparvi per non distruggere l'equilibrio familiare.

Mi sedetti in auto con lo zaino sulle ginocchia e fissai lo sguardo fuori dal finestrino: sarei stata fuori solo due notti, ma questo non bastava a tranquillizzarmi, dato che in qualunque caso non avrei conosciuto nessuno.

Mia madre continuò a ripetermi che non sarebbe stato male come credevo e a chiedermi se avevo ricordato questa o quella cosa, dopodiché accendemmo la musica e rimanemmo in silenzio.

Arrivammo appena in tempo, infatti, benché teoricamente in orario, tutti erano già saliti sulla corriera e mancavo in pratica solo io.

Salutai mia madre che ostentava ancora un sorriso soddisfatto e corsi dai catechisti.

“Sono Emma Castelli...Scusate il ritardo, io...”

“Nessun problema, sei arrivata appena in tempo! Sali, sali pure...” mi accolsero gentilmente i due adulti che indossavano dei berretti rossi alquanto discutibili.

Salii i gradini blu della corriera e fui immersa da un frastuono di risate e grida.

Arrossii in imbarazzo: avrei dovuto prendere posto accanto alla prima persona sconosciuta che mi fosse capitata, infatti tutti gli altri si erano ormai già seduti.

Incespicai fino a metà corridoio, dove come un miracolo mi apparve una coppia di sedili vuota, mi accorsi purtroppo subito dopo che sul sedile accanto al finestrino erano stati gettati una giacca e uno zaino.

Trattenni un sospiro e mi sedetti per sottrarmi ad una qualsiasi occhiata curiosa.

Mia madre mi aveva pregata di venire per fare amicizia e ora quella era l'ultima cosa che mi sentivo in grado di fare: scendere direttamente prima che la situazione degenerasse sarebbe stata la scelta migliore.

“Scusa..” mi disse una voce accanto a me: vidi di sfuggita il viso del ragazzo che doveva essere il mio vicino e mi strinsi contro il sedile per lasciarlo passare.

Tutto stava diventando sempre più imbarazzante, infatti non sapevo mai come comportarmi o approcciarmi con dei ragazzi.

Intendo dire che mi chiedevo sempre se fosse giusto essere molto socievole o comportarmi come se non mi interessasse conoscerli, e in tal caso ero spaventata dall'idea che uno qualsiasi di loro pensasse che ero interessata a lui.

Allo stesso tempo avrei preferito moltissimo giocare con loro a palla piuttosto che parlare di unghie con le altre ragazze, anche perché di unghie non ne sapevo nulla, ma finiva sempre che le poche volte che provavo ad unirmi a loro, qualche ragazza riusciva a dire che ci stavo provando, mentre i ragazzi in questione non mi consideravano mai troppo e si rifiutavano di passarmi la palla.

Quindi con tutti questi drammi nella mia piccola testolina decisi che per il viaggio sarei stata zitta e non gli avrei rivolto la parola se non per necessità di vita o morte.

Gli lanciai un'occhiata di sfuggita mentre cercavo qualcosa nello zaino: da quello che riuscivo a vedere, dato che in quel momento era voltato verso il finestrino e mi dava in pratica le spalle, era carino: capelli castano scuro e lineamenti delicati.

Un ragazzo dal sedile davanti al nostro si voltò verso di noi ed esclamò: “Ehi Vale! Sei venuta anche tu!”

“Gio! Non pensavo di trovarti qui! Come va?” rispose la persona seduta accanto a me esibendo un enorme sorriso.

La mia testa si bloccò interdetta: Vale?

Mi voltai per guardare il mio vicino e arrossii rendendomi conto che effettivamente era una ragazza.

“Ehi Vale, che hai fatto a questa povera ragazza qui accanto?” disse ridendo il ragazzo che si chiamava Gio “Sembra che qualcuno le abbia appena tirato uno schiaffo.” e allora mi squadro divertito.

“La mia bellezza sconvolgerebbe chiunque. Quante volte dovrò ripetertelo?” rispose Vale all'amico, poi si voltò verso di me “Tutto bene?”

“Sì, sì, scusa...io...mi sono ricordata di aver dimenticato lo shampoo e...” balbettai imbarazzatissima.

I due amici risero e Vale esclamò: “Ma non preoccuparti, te lo presto io...magari siamo anche in stanza insieme!”

Annuii ringraziando e tornai a fissarmi le scarpe.

Irrazionalmente fui presa da un'ansia terribile e presi una cicca per smorzare questa assurda tensione in qualche modo.

Non sapevo bene perché, ma all'improvviso l'idea di stare in camera con lei mi terrorizzava.

Ma c'erano davvero poche probabilità che succedesse, no?

Ero la solita stupida che doveva stare in ansia per qualsiasi cosa anche senza motivo.


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2


Alla fine del viaggio non riuscivo quasi più a ricordare il motivo per cui ero stata colta da tutta quell'ansia.

Anzi, Vale e Gio mi sembravano simpatici e continuavano a ridere e parlare di avventure abbastanza assurde che erano capitate ad entrambi negli anni precedenti.

“Quanti anni hai?” mi chiese ad un certo punto Gio.

“Sedici, voi?”

“Sedici anch'io, lui diciassette...ma non lasciare che ti bullizzi solo per quello.” disse allora Valeria lanciando un'occhiataccia ironica all'amico.

“Peccato, era proprio quello che volevo fare!” esclamò Gio alzando gli occhi al cielo.

“Ti chiami Emma, giusto?” mi richiese il ragazzo.

“Sì...” risposi perplessa, non ricordando di essermi mai presentata.

“L'hai detto ai catechisti quando sei salita.” spiegò allora lui.

“Perspicace mi dicono.” lo prese in giro Vale.

Lui le tirò addosso una merendina, ma lei si scostò appena in tempo sfoggiando un sorriso soddisfatto.

“Comunque io mi chiamo Gio, che sta per Giorgio, non per Gioele, nel caso te lo stessi chiedendo, non mi aspetto che tu rida, tranquilla, anzi, non so neanche se era una battuta...”

Risi comunque grata del fatto che stesse cercando di interagire in un qualsiasi modo con me.

La corriera si fermò e uno dei catechisti disse: “Lasciate le cose che non vi servono e tenete con voi l'indispensabile, perché abbiamo tanta strada da fare e poco tempo da perdere.

Scendemmo tutti dal bus con gli zaini di poco più leggeri, o almeno questo riguardava il mio, infatti non sono mai stata brava a capire cosa fosse indispensabile e cosa no.

Cercai di non allontanarmi dai miei due vicini di sedile dato che erano gli unici che conoscevo.

La casa dove saremmo stati era immersa nel verde e si confondeva tra gli alberi con i suoi mattoni rossi ricoperti d'edera.

Seguimmo i catechisti per questa prima scampagnata alla quale ero entusiasta di partecipare. (spero abbiate colto la mia ironia)

Ci dissero di dividerci in quattro gruppi, avremmo percorso sentieri diversi per raggiungere una stessa meta e il primo ad arrivare avrebbe vinto.

“Io devo assolutamente essere in squadra con Emma.” esclamò Giorgio dandomi una pacca sulla spalla “non trovi Vale che ora questa ragazza emani una straordinaria voglia di vivere?”

“Devi scusarlo.” borbottò l'altra.

“Mi farebbe solo piacere stare con voi, e poi scusate se sono così apatica, è solo che non conoscendo nessuno è tutto così imbarazzante...” spiegai, mordendomi la lingua subito dopo: da dove mi uscivano queste frasi da uccellino bagnato e triste?

“Conosci noi, timida ragazza apatica! Ti basterà.” rise Gio, subito dopo alzò la testa, vide altri suoi amici e correndo loro incontro gridò: “Vi unite anche voi?”

Vale alzò gli occhi al cielo contagiandomi in una risata.

Il nostro gruppo era composto da una decina di persone che sembravano andare dai quattordici ai diciott'anni.

Senza che me ne accorgessi Vale si avvicinò a me: “Allora, timida ragazza apatica, hai forse detto che non conosci nessuno?”

“Non è un bel soprannome, sai?” risi arrossendo “E comunque no, nessuno.”

Okay, stavo cominciando a ridere un po' troppo per i miei gusti, dovevo controllare in un altro modo il nervosismo.

“Quella ragazza bionda è Marika, simpatica, puoi provare a fare amicizia con lei, se ti va, ma non fare commenti sulle sua orecchie, le odia...quella alta dai capelli neri è Naomi, evitala se non hai istinti suicidi, in caso contrario accomodati. I due gemelli dai capelli rossi e le lentiggini non si chiamano Fred e George, ma sarebbe fantastico, si chiamano invece Carlo e Marco, poi te li faccio conoscere.”

“Grazie.” risposi, stupita e riconoscente del suo interessamento “Il soprannome Vale per cosa sta?” chiesi poi.

“Valeria.” rispose lei.

Annuii in risposta.

Continuammo a camminare in silenzio, quando rialzai lo sguardo mi ritrovai davanti davanti un'improvvisa e altissima salita che scompariva tra gli alberi senza che se ne potesse vedere la fine.

“No, non se ne parla. Per Gandalf, non farò un passo di più.” esclamò Valeria.

“Come hai detto, scusa?” chiesi io trattenendomi dal ridere.

“Che vorrei accasciarmi qui e morire?”

“No, niente...lascia stare..” risposi io. “credi che tra tutti i gruppi abbiamo preso la strada peggiore?”

Non potevo ancora credere che avesse detto per Gandalf, era una di quelle cose che io mi sarei limitata a dire nella mia testa per mantenere la mia ben poca rispettabilità.

Sicuramente, gli altri saranno in una pianura di fiori pullulante di coccinelle.” mi rispose lei.

Continuammo a camminare in silenzio.

Ormai avevo deciso che il modo migliore per passare quei due giorni era far finta che quella ragazza non fossi io, ma un personaggio di una recita e che le scelte che facevo non erano dovute a me. Pensandola così riuscivo ad essere più spigliata, non era male come tattica.

Quando mi voltai verso di lei per dire qualcosa, lei mi stava già guardando e alzò un sopracciglio ironica: “A cosa pensavi?”

No..io a niente.” balbettai imbarazzata.

Prima che Valeria potesse aggiungere qualcos'altro, uno dei ragazzi poco più avanti la chiamò e lei lo raggiunse accelerando il passo e lasciandomi indietro.

Avevo allora l'abitudine di osservare le persone e cercare di capire cosa pensassero o chi fossero.

Osservavo le loro espressioni, i modi in cui si muovevano o parlavano, non che fossi una stalker, era solo un modo come un altro per capire chi avevo davanti e come avrei dovuto comportarmi.

Notai allora che una ragazza alta che identificai con Naomi, si allontanò dagli altri assieme a Valeria e le due cominciarono a parlare.

Valeria sembrava titubante, si mordeva nervosamente il labbro inferiore, strizzava gli occhi ed evitava di guardare l'altra in viso.

Naomi, d'altra parte, gesticolava e parlava a denti stretti con gli occhi spalancati e le guance arrossate.

A questo punto anche Valeria parve alzare la voce, si voltò verso l'altra con il volto arrossato e una ruga al centro della fronte.

Allora Naomi parve colpita da quello che l'altra diceva, per un attimo la sua bocca disegnò un cerchio perfetto, poi la richiuse con rabbia, disse qualcos'altro sprezzante e si allontanò da Vale che ora aveva smesso di camminare.

Vidi la ragazza guardarsi lentamente attorno, poi si incamminò per un sentiero nascosto al lato della strada che stavamo percorrendo e che io fino ad adesso non avevo neanche notato.

Mi fermai con il fiato sospeso: probabilmente avrei dovuto fregarmene: non conoscevamo, sapevamo a malapena il nome e l'età l'una dell'altra.

Eppure qualcosa mi spingeva irrazionalmente verso di lei.

Cosa ci avrei perso? Non ero a scuola e non vi era alcun voto finale in condotta, inoltre di quello che avevano detto i catechisti non mi importava neppure tanto.

Di sicuro, mal che vada avrei facilmente ritrovato il sentiero principale.

Nessuno sta facendo caso a me.

Prima che Valeria sparisse, la seguii.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3


La seguii per una decina di metri cercando di starle dietro e di non inciampare nelle radici e nei sassi sparsi sul sentiero, finché la chiamai.

Lei si voltò squadrandomi sorpresa: “E tu che ci fai qui?”

“Ho visto quello che è successo con Naomi..e pii tu ti sei allontanata dal gruppo...ero preoccupata...” balbettai realizzando l'assurdità di quello che avevo fatto.

Lei mi lanciò un'occhiata sprezzante: “E cosa ti ha fatto pensare che volessi essere seguita, timida ragazza apatica?”

“Io...” balbettai.

“Appunto.” disse lei.

Aveva lo sguardo serio, indecifrabile, me ne sarei volentieri andata vergognandomi per sempre di questa conversazione, ma un particolare mi fermò: aveva gli occhi lucidi e teneva le mani nascoste nelle maniche della felpa come se tremassero.

“Scusa...” borbottò Valeria dopo qualche secondo di silenzio.

“No...hai ragione tu, non avrei dovuto impicciarmi...” mi scusai facendo per andarmene.

“Emma...”

Mi voltai stupita.

“Ti va di fare una strada alternativa?”mi chiese con un sorriso stentato.

“Non ci perderemo?” chiesi perplessa.

“No, sono già venuta qui altre volte con la parrocchia, conosco questa strada. In realtà dovremmo arrivare anche prima degli altri.”

“Allora va bene.” acconsentii stupita del suo cambiamento improvviso d'umore.

La seguii per qualche minuto, poi chiesi: “Quindi il gruppo viene spesso qui?”

“Più o meno questa gita viene riproposta tutti gli anni.”

Continuammo a camminare a passo veloce, e non provai a rallentare come per paura di dovermi rimettere a parlare.

Dopo un po' mi tolsi la felpa e la infilai nello zaino: era da tanto che non c'era un'estate così calda.

“Cos'hai per pranzo?” mi chiese lei a questo punto.

“Panino al cotto.”

“Pure io..” sospirò lei portandosi uno mano sullo stomaco “sono appena le dieci e ho già fame.” aggiunse tragica.

“Anch'io..” mugugnai ridendo subito dopo.

“Guarda laggiù!” esclamò Valeria indicando un punto più in basso di noi.

La casa dove avevamo lasciato gli zaini ora era piccolissima sotto i nostri piedi, dovevamo essere saliti davvero tanto.

“Di qua.” disse Vale salendo su una roccia e poi su quella seguente.

“Emm..non sarebbe meglio seguire il sentiero?”

Lei non rispose neanche, ma proseguì senza voltarsi per la sua strada improvvisata.

Sbuffai e la seguii a mia volta sempre più certa che tutto ciò non stesse realmente accadendo a me.

Poggiai un piede sulla prima sporgenza di roccia, poi feci forza con le mani e mi sollevai puntando un ginocchio sulla seconda.

Erano solo quattro metri circa e tutte le mie lamentele potrebbero sembrare esagerate, ma vi garantisco che qualsiasi sforzo fisico più del necessario non è mai stato la mia passione.

Quando arrivai in cima mi sedetti accanto a lei che se ne stava fresca come una rosa seduta a gambe incrociate aspettandomi.

“Hai proprio avuto un'idea fantastica...e ora da che parte dovremmo andare?” borbottai a metà tra l'ironico e l'irritato.

“Guarda là.” rispose lei indicando un punto poco più in basso di noi.

Guardai dove mi aveva indicato: “E' bellissimo...” sussurrai incantata.

C'era un laghetto dalla superficie luccicante e chiara che brillava immerso tra gli alberi.

“A me va un bagno.” esclamò Valeria alzandosi in piedi.

Sbarrai gli occhi sperando che stesse scherzando.

“A te no?” insisté lei ora sorridendomi quasi euforica per la sua stessa proposta.

“Non lo so...non possiamo...”

“Sei una di quelle persone che fanno sempre quello che devono quando devono, giusto?” mi chiese storcendo il naso divertita.

“Ecco, io...” cercai di dire arrossendo.

“Non lo saprà mai nessuno, prometto.” esclamò allora lei in tono pomposo.

Risi per scacciare la tensione crescente.

“Andiamo su...” disse, mi prese una mano tirandomi in piedi e corremmo giù dalla discesa.

Quando arrivai al limite dell'acqua mi piegai sulle ginocchia per riprendere fiato.

Valeria lasciò cadere lo zaino a terra e slacciò gli scarponcini per sfilarseli e abbandonarli accanto ad una roccia.

Si avvicinò all'acqua e con circospezione vi immerse la punta di un piede: “Ah, che fredda!” esclamò rabbrividendo.

“Okay...allora sarebbe meglio tornare indietro...” cercai di proporre di nuovo.

“Ma chi è che ha deciso cosa è meglio e cosa no?” mi squadrò lei ironica “hai sbagliato tutto seguendomi, Emma, ora paga le conseguenze delle tue azioni.” rise immergendo anche l'altro piede nell'acqua trasparente.

Si voltò di nuovo a guardarmi a scoppiò a ridere.

“Ehi...” borbottai cercando di assumere con scarso successo un'espressione offesa.

“Mi vuoi forse lasciare in acqua da sola? Forza su, così avrai un motivo per ricordare questa vacanza, tutto l'odio verso di me la renderà indelebile.” rise di nuovo allontanandosi dall'acqua e tornando alla roccia dove aveva lasciato le scarpe.

Stavo per dire qualcosa come che non avevo alcun costume, ma le parole non fecero in tempo ad uscirmi di bocca, che lei senza tanti complimenti si sfilò la maglia e i pantaloni piegandoli e lasciandoli ordinatamente sulla roccia rimanendo in mutande e reggiseno.

Arrossii involontariamente e mi voltai perché non si notasse: era ovvio che non avremmo usato alcun costume, come avevo potuto pensarlo?

Mi sfilai a mia volta le scarpe e la maglia lentamente come per guadagnare tempo e lasciai tutto a caso in giro.

Effettivamente Valeria sembrava molto più ordinata di me.

La raggiunsi al limitare dell'acqua.

“Conto fino a dieci e ci tuffiamo.” disse.

“Non ci pensare neanche...”

“Ma non è così fredda!”

“No, e poi no...”

“Cinque, quattro, tre...”

“No, no Vale no, senti io...”

“Due...”

“Valeria, no, non ci provare!” le gridai.

“Uno!”

Feci per allontanarmi, ma lei mi afferrò per un polso e inciampammo tutte due dentro l'acqua.

Riemersi inspirando una boccata d'aria.

Lei non mi lasciò il tempo di riprendermi che mi schizzò.

Chiusi gli occhi e li riapri due o tre volte prima di riuscire a tirarle qualche nome, ma lei stava già ridendo e nuotando poco più in là.

Scoppiai a ridere pure io, avrei effettivamente potuto elencare quella mattina tra le più assurde della mia vita.

Galleggiai sull'acqua facendo il morto.

Il cielo a tratti era cosparso di nuvole, e talmente limpido in altri, mentre la luce sembrava disperdersi tra le foglie degli alberi sopra di noi riemergendo in alcuni punti e colpendo ciò che ci stava attorno.

Sentii l'acqua muoversi e Valeria mi raggiunse, si lasciò galleggiare a morto sull'acqua accanto a me.

“Se non pensi che questa sia acqua, sembra quasi di volare.” dissi, arrossendo subito dopo per aver espresso un pensiero che reputavo così stupido ad alta voce.

Lei chiuse gli occhi e sorrise annuendo.

“Oh no!” esclamai sbuffando poco dopo.

“Brava, distruggi pure il mio volo con una stupida lamentela!” mi prese in giro lei ridendo.

“Questa è una cosa seria...mi sono completamente bagnata i capelli!”

“Pure io, ma dove sta il problema?”

“Ma i tuoi sono corti...”

“Prima che raggiungiamo gli altri si saranno già asciugati, vedrai.” mi rassicurò scuotendo la testa con un mezzo sorriso.

“Come è possibile che i catechisti non si accorgano della nostra assenza?” chiesi mentre il mio sguardo era concentrato su una foglia chiara che fluttuava cadendo sull'acqua.

“L'ho già fatto altre volte e non se ne sono mai accorti, di solito non fanno l'appello, e comunque fino a dopo pranzo non ci ritroviamo assieme a loro.” mi spiegò.

Restammo per qualche secondo in silenzio, poi mentre ancora galleggiavamo sopra la superficie dell'acqua, lei mi prese una mano nella sua.

Per un attimo il respiro mi si bloccò involontariamente in gola, poi mi voltai verso di lei e vidi che mi stava sorridendo amichevole, allora le sorrisi anch'io, e il mio cuore tornò a battere normalmente.

Era tutto così calmo e tranquillo, quel posto non sembrava appartenere alla vita reale, e comunque certamente non alla mia.



Salve a tutti! Spero tanto che questa storia vi stia almeno un po' incuriosendo, e che non sia troppo noiosa...

Ringrazio tantissimo tutti quelli che mi stanno seguendo, non sapete quanto sono stata felice nel vedere che c'era qualcuno che non ha ritenuto un obrobrio questa “cosa” uscita non so come dalla mia testa.

Ho già in mente i prossimi due capitoli, quindi dovrei riuscire a pubblicarli ancora a distanza di una settimana uno dall'altro e spero di riuscire a continuare in questo modo anche per i seguenti.

Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate, per avere un consiglio o anche una critica, l'importante è che non mi gettiate delle zucche o delle arance, perché l'arancione non mi dona affatto.

Credo anche di non essere affatto divertente con le mie battute idiote, ma abbiate pazienza, cerco di fare del mio meglio ahah

A presto!

Sam

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4


Uscimmo nel giro di un quarto d'ora perché l'acqua era troppo fredda e ci asciugammo con una sorta di coperta che non so bene perché mia madre aveva pregato di infilare nello zaino e che per puro caso io vi avevo lasciato dentro.

Recuperammo le nostre cose e ci incamminammo per raggiungere gli altri.

Valeria aveva ragione quando aveva detto che quella che avevamo preso era una scorciatoia, infatti arrivammo alla cosiddetta meta nel giro di venti minuti.

Era uno spiazzo tra gli alberi, una sorta di radura che permetteva la visuale delle montagne tutt'attorno.

“Vale, dov'eri finita?? Se hai fatto qualcosa di esaltante senza di me non te lo perdonerò mai!” esclamò Giorgio correndole incontro.

Valeria alzò le spalle: “Mi sono solo attardata, niente di che.”

“Emma, ti prego, dimmelo tu...cosa ha combinato quella disgraziata?” mi chiese il ragazzo con sguardo implorante.

Valeria scosse la testa alzando gli occhi al cielo: “Abbiamo sbagliato strada, smettila, su.”

Sorrisi dentro di me vedendo che stava mantenendo la promessa di non dire quello che era successo benché non fosse effettivamente nulla di così terribile.

“Raggiungiamo gli altri che stanno mangiando. I catechisti arriveranno nel giro di una ventina di minuti e in teoria dovremmo aver già finito per tornare indietro.” ci spiegò allora lui arrendendosi.

“Che tempismo.” commentò Valeria allegramente.

Le sorrisi per seguire poi Giorgio e raggiungere il gruppo.

Ci sedemmo sull'erba ed aprii lo zaino estraendo il panino che era finito in un qualche punto indefinito sul fondo.

Una ragazza bionda con il naso leggermente schiacciato mi chiese: “Come ti chiami?”

“Emma. Tu?”

“Marika.” rispose lei.

“I tuoi capelli sono piastrati o lisci naturali?” chiese un'altra ragazza bassina con tantissima matita sugli occhi: “Comunque mi chiamo Sofia.” aggiunse.

“Sono così naturali.” le risposi imbarazzata per il fatto che in molti ora mi stessero guardando.

Nel frattempo Valeria aveva preso due panini dallo zaino, entrambi di uguale grandezza, avvolti fino a metà nello stesso tovagliolo verde e ricoperti di carta velina.

Ne srotolò uno con meticolosa cura, senza strappare la carta trasparente, ma piegandola tre volte su se stessa.

Il mio telefono, allora, vibrò due volte e lo tirai fuori dalla tasca dei pantaloni per leggere il messaggio.

Era di Maria, una mia amica che frequentava la mia stessa scuola: ci eravamo conosciute quando entrambe avevamo provato ad iscriverci nella squadra di pallavolo con risultati rovinosi.

Dopo pochi mesi avevamo deciso di desistere nell'impresa prima che fossero costretti a cacciarci fuori a calci.

Sei ancora intera o qualcuno ti ha fatta inciampare giù da un burrone?”

Trattenni una risata e risposi: “No, ma non è mai troppo tardi. In realtà non è terribile come temevo (in sintesi non sono ancora finita in un angolo a piangere. Emma: 1; Vita: 0 )

Passiamo ad argomenti più importanti...ragazzi carini?”

Maria, ma non pensi ad altro?? No, comunque no, ahah...però ce n'è uno che si chiama Giorgio ed è simpatico.”

Eddai, qualcuno ci sarà...”

Okay, okay...volendo c'è un ragazzo che non è male, è biondo e ha gli occhiali.”

Ecco, cominciamo a ragionare.”

Alzai gli occhi al cielo scrivendole che le avrei raccontato tutto quando ci saremmo riviste e chiusi la conversazione.

“Amici in ansia per la tua incolumità?” la voce di Giorgio mi riscosse dai miei pensieri.

“Più o meno.” acconsentii.

“Mi raccomando, fai sapere alle tue amiche quanto io sia irresistibile.”

“Non mancherò!” promisi scoppiando a ridere.

“Sono proprio felice che tu ti stia ambientando così bene, Emma.”

Sobbalzai e mi voltai verso quella voce sottile e glaciale: Naomi mi stava sorridendo con la bocca leggermente piegata verso l'alto e gli occhi stretti in una smorfia.

“Emm...grazie.” balbettai.

“Per fortuna c'è il sole oggi!” esclamò Valeria intromettendosi nella conversazione e forse sperando di cambiare discorso.

“Scommetto che è tutto grazie a Valeria” continuò come se niente fosse “lei è così brava a far sentire le persone speciali...”

“Naomi.” Valeria sembrava sul punto di alzarsi in piedi, aveva tutti i muscoli tesi e lo sguardo fisso in quello dell'altra “Basta, per favore.”

“Non riuscivo bene a capire le dinamiche di quello che stava succedendo, ma Naomi si fermò per davvero e si voltò dall'altra parte con mio enorme sollievo.

Continuammo tutti a parlare di altro, come o dove sarebbero andati in vacanza o programmi per la serata.

Non sapevo se mi spaventava di più la proposta di giocare a nascondino nei corridoi bui, saccheggiare la dispensa o uscire di nascosto.

Ma forse non erano seri quando lo dicevano.

Dopo poco arrivarono i catechisti, fecero l'appello e assieme a loro scendemmo per tornare indietro.

La discesa mi sembrò molto più breve della salita, e in due ore circa arrivammo alla casa dove avevamo lasciato gli zaini e dove avremmo passato le seguenti due notti.

“Avete tutto il tardo pomeriggio libero.” stava dicendo una catechista “Per le sette vi vogliamo qui, così apparecchieremo e ceneremo tutti insieme. A dopo ragazzi. Il numero della vostra camera vi è già stato assegnato, controllate sui tabelloni là sulla parete.”

Si sentirono delle lamentele come: “Non ce le lasciano mai scegliere a noi...” seguite da degli sbuffi, poi tutti si accalcarono a controllare con chi sarebbero stati.

Valeria, davanti a me, stava scorrendo con lo sguardo la lista assieme a Giorgio, dapprima la vidi rabbuiarsi, poi sul suo viso si aprì un sorriso sghembo quasi divertito.

Stava allontanandosi per prendere lo zaino, ma prima di andarsene mi passò accanto e con ancora l'accenno del sorriso di prima mi bisbigliò “Non vedo l'ora di prestarti lo shampoo.”

Alzai le sopracciglia interrogativa, ma lei era già sparita su per le scale.

Mi avvicinai al tabellone: camera 22 Naomi, Emma, Valeria

Strabuzzai gli occhi incredula: quella non sarebbe stata una camera, ma una bomba ad orologeria e io non avevo nessuna voglia di starmene nell'occhio del ciclone a sentirle litigare.

Con un sospiro raccolsi il mio zaino e salii le scale per il secondo piano.

Giorgio mi superò urtandomi una spalla: “Avete un'ora per sistemarvi, poi raggiungeteci in cortile, vi aspettiamo, dillo tu a Vale.” mi disse prima di continuare la sua corsa.

Sorrisi divertita senza capire perché avesse tutta questa fretta, e raggiunsi la mia camera.

Bussai prima di girare la chiave nella toppa ed aprire.

“Siamo educate, vedo.” mi accolse la voce fredda di Naomi.

Le feci un sorriso stentato e mi sedetti sull'unico letto rimasto libero: era una stanzetta piccola, c'era una finestra rettangolare con le tende gialle, la parete di un semplice bianco e una scrivania nell'angolo.

“Com'è il bagno?” chiesi titubante.

“Normale.” mi rispose Valeria uscendovi e gettandosi sul letto.

“Giorgio ha detto che ci aspetta tra un'ora in cortile.” le informai.

“Perfetto.” esclamò Naomi “La doccia la faccio prima io, se non vi dispiace.” così aprì lo zaino, estrasse il beauty e sparì nel bagno.

“Non è sempre così insopportabile.” mi sussurrò Valeria per non farsi sentire.

“Per fortuna.” bisbigliai io in risposta.

Disfacemmo e ordinammo quel poco che avevamo negli zaini mentre aspettavamo che Naomi finisse.

Vale ordinò sulla scrivania e ai piedi del letto le sue cose, lo aveva fatto persino con un certo ordine, forse di importanza o colore.

La cosa mi inquietava quasi, ma immagino che mia madre l'avrebbe amata.


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5


“Scendiamo?” chiese Naomi finendo di pettinarsi allo specchio del bagno.

Aveva un'espressione serena e tranquilla mentre si truccava, quasi soddisfatta di sé, è quel sorriso che involontariamente nasce sul viso di chi si guarda allo specchio e a cui piace ciò che vede.

“Sì, io ci sono.” biascicò Valeria riemergendo dal lenzuolo nel quale era sprofondata.

“Anch'io.” dissi alzandomi e prendendo il cardigan che avevo appoggiato alla spalliera del letto.

I pavimenti dei corridoi erano di un marrone chiaro striato di scuro, qualche lampadina al suo inizio e fine, pochi quadri alle pareti.

Arrivammo all'ingresso e uscimmo in cortile: l'aria era ora più fresca, mi strinsi nelle spalle sfregandomi le braccia.

“Pensavamo non arrivaste più.” ci canzonò Giorgio dondolandosi su un'altalena.

“Ma smettila...siamo perfettamente in orario.” lo rimbeccò Naomi sedendosi sul seggiolino della giostra lì accanto.

“Mi sa di non averti mai vista...”

“Sei nuova?”

Mi chiesero due voci di quasi lo stesso timbro alla mia destra.

Erano due gemelli dai capelli rossi e lentiggini di aspetto estremamente simile, la cosa che più colpiva era che fossero magrissimi e alti allo stesso tempo.

“Sì, mi chiamo Emma. Voi?”

“Io Carlo, lui Marco. Piacere.”

“No, no non scendo!” stava ululando tragicamente Giorgio.

Ci voltammo interrogativi per vedere cosa stesse succedendo: Naomi stava ridendo con le lacrime agli occhi strattonando l'altalena su cui il ragazzo era seduto per impadronirsene lei.

“Ci sono salito prima io!” insisteva lui.

Mi sedetti su un sasso e Valeria si sistemò accanto a me.

“Ne vuoi una?” mi chiese porgendomi un pacchetto di sigarette.

“No, grazie. Non fumo.” mi affrettai a rispondere.

Lei scrollò le spalle e rimise il pacchetto in tasca; la fiammella dell'accendino illuminò per un breve secondo il suo viso, poi scompare lasciando posto al fumo che uscì dalla sua bocca disperdendosi nell'aria.

“Tu non ami le altalene?” sussurrò lei.

“Sì, da piccola avrei voluto viverci su.” risposi.

Ora Giorgio e Marco stavano gesticolando animatamente facendo ridere tutti gli altri; parlavano di qualcosa come macchinette da caffè , ma non riuscivo a seguire completamente il loro discorso, era un po' come se la presenza di Valeria accanto a me mi avesse fatto sprofondare nel torpore.

“Mi sembrava di essere sospesa nel vuoto...un po' come se nulla di importante mi potesse accadere mentre i miei piedi erano sollevati da terra.” continuò a dire piano Valeria guardando l'altalena con occhi assenti, poi alzò le spalle, rise ad una nuova battuta di Giorgio e mi disse: “Non farci caso, è uno di quei momenti in cui dico tante cose stupide...fai come se fossi stata zitta.

Avrei tanto voluto dirle qualcosa, ma mi sentivo come tanto stanca all'improvviso, non mi veniva in mente nulla e quasi senza rendermene conto appoggiai la testa alla sua spalla.

Del muschio era cresciuto a chiazze sui sellini o i manici di alcune delle giostre di quel parchetto, e lo scivolo era in diversi punti graffiato.

Sembrava surreale il modo in cui il buio aveva cominciato lentamente e silenziosamente ad avvolgere tutto.

“E' ora di entrare.” la voce secca di Naomi mi riportò bruscamente alla realtà.

“Sì, signor capitano.” esclamò Giorgio caricandosela sulle spalle e barcollando verso la porta d'ingresso.

La sala dove avremmo mangiato conteneva due lunghi tavoli rettangolari che si affacciavano su due finestroni lunghi quasi metà parete.

“Eccovi ragazze, come state?” ci chiese una catechista con due occhiali dalla montatura metallica perfettamente rotonda.

“Bene, Chiara, grazie.” rispose allegramente Valeria.

Io sorrisi annuendo imbarazzata in modo alquanto patetico.

“Possiamo fare qualcosa?” chiese Naomi.

“Sì, sì certo. Prendete i piatti e i tovaglioli dalla cucina e aiutateci ad apparecchiare...ormai siete scesi quasi tutti.”

La cena precedette veloce: dopo la preghiera mangiammo e trovai tutto squisito, sarà per la fame terribile che mi era venuta.

“Alle dieci tutti nelle vostre camere, non voglio sentire un rumore.” disse la catechista salutandoci dopo averci augurato la buonanotte “Domattina alle otto dobbiamo partire, quindi vedete di dormire, okay?”

“Allora...soffitta o scantinato?” ci chiese Giorgio sottovoce con sguardo complice.

“Perché non l'Everest?” chiese sarcastica Naomi.

“Intanto facciamo che ci troviamo da me...poi si vedrà, volendo la soffitta la spostiamo a domani.” decretò Marika alzandosi “vi aspetto.” disse prima di andarsene con la sua compagna di stanza.

Mangiai gli ultimi due spicchi di mandarino e Naomi insistette perché ci fermassimo ad aiutare a sparecchiare.

“Vi ricordate cosa si farà domani?” chiese infine mettendo via l'ultimo piatto.

“Non sono sicura, ma credo saliremo sulla montagna più a destra rispetto a quella di oggi.”rispose Valeria.

Naomi alzò le spalle e si asciugò le mani nello strofinaccio.

“Salimmo in silenzio le scale senza trovare nulla da dire, girai la chiave nella toppa e aprii la porta della camera.

Proprio in quel momento il mio telefono vibrò e sedendomi sul letto lessi il messaggio.

Era di mia madre: Come va? Qui manchi a tutti, divertiti mi raccomando! Buona notte!”

Sorrisi tra me chiedendomi come fosse possibile che prima i genitori ti facessero fare qualcosa che non vuoi, e subito dopo, presi dai sensi di colpa, si spendessero in mille parole dolci e premurose.

Avrei scommesso che per il mio ritorno avrebbe cucinato una torta.

“Chi è? Tua madre che si preoccupa per te?” chiese sarcastica Naomi legandosi i lunghi capelli neri in una coda.

“Veramente sì.” le risposi alquanto seccata.

Lei assunse un'espressione tipo: non c'era bisogno che lo dicessi, lo sapevo già.

Prima che il mio cervello fosse in grado di recepire e trovare qualcosa da ribattere, Valeria disse: “Non basarti sulle apparenze, Naomi, guarda che Emma è una ragazza molto trasgressiva.” e mi fece la linguaccia.

Dopo questa battuta che avrei voluto farle ingoiare, Valeria si diresse verso la porta e disse: “Intanto vado da Giorgio, mi raggiungete là?”

Annuii distrattamente, troppo concentrata ad ideare un piano per salvarmi la vita da Naomi che mi stava guardando in cagnesco.

Dopo l'ennesima occhiataccia le chiesi: “Perché ce l'hai con me? Se ho fatto qualcosa di sbagliato mi dispiace.” okay, Emma, pessima tattica.

Naomi strabuzzò gli occhi e rise: “Mi chiedevo come mai tu fossi venuta qui. Si vede benissimo che avresti preferito stare a casa, ma smettile di comportarti come se ci stessi graziando della tua presenza, okay? Perché, mi dispiace deluderti, ma non è così.”

“Io in realtà non...”

“No, ora mi lasci finire. Hai forse preferito accontentare tua madre che desidererebbe tanto una figlia che si comporti da adolescente invece che da novantenne? Immagino che tu sia la tipica ragazza che tutti quando la vedono pensano sia la più buona del mondo. Ma io so che non sei così, perciò smettila di fare quella faccetta angelica, perché mi fa venire davvero voglia di tirarti uno schiaffo.”

Rimasi in silenzio, senza sapere cosa dire, con decisamente troppo sangue alla testa.

“Cos'hai tu che io non ho?” ora non capivo più se Naomi stesse parlando a me o più a se stessa “Ma tu non te ne sei neanche resa conto, vero? Quando aprirai gli occhi, spero che anche a te cada tutto in testa e ti garantisco che fa male.”

Detto questo con gli occhi lucidi si alzò e aprì la porta per uscire: “Ah, non prenderla sul personale. Fosse stato qualcun altro, forse avrei fatto comunque una scenata.”

La porta si richiuse con un tonfo.

Rimasi immobile per qualche secondo, forse frastornata o maledicendo me stessa per non trovare mai le parole giuste al momento giusto.

Ero davvero riuscita solo a starmene in silenzio? Mi sentivo talmente patetica...ma poi, di cosa stava parlando Naomi? Fosse stata ubriaca sarebbe stato un conto, ma così non sapevo davvero cosa pensare...non era bello sentirsi sputare addosso tutte quelle crudeltà sulla propria vita senza riuscire a reagire.

Mi salirono le lacrime agli occhi e le asciugai velocemente cercando di mantenere la calma.

Tirai un respiro profondo, contai fino a dieci e uscii a mia volta dalla stanza.




Ciao mondo! Spero che la storia vi stia piacendo, e che questo capitolo non sia troppo noioso. Non amate tantissimo anche voi le altalene? Io le trovo assolutamente adorabili <3 ora chiudo subito la parentesi altalene perché altrimenti rischierei di non finire più ahah

Ringrazio tutti voi che leggete, seguite o che avete recensito la storia, mi fa davvero tantissimo piacere e credo di amarvi quasi più delle altalene sopra citate.

Anche se pateticamente in ritardo vi auguro Buon Natale e buon anno nuovo!

A presto,

Sam

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6


“Non giocherò ad obbligo e verità!” esclamò Marco, uno dei due gemelli.

Speravo con tutto il cuore che decidessero qualcos'altro: avrei recitato seduta stante tutto il rosario, pur di evitare una tale calamità.

Eravamo una decina, tutti sistemati come meglio potevamo in camera di Giorgio e dei due due gemelli.

“No,no! Ormai è deciso: chi sarà il primo?” esordì Giorgio alzandosi in piedi.

“Andiamo in fila.” propose Marika.

“Ma tu così sarai l'ultima!” si lamentò Marco con voce estremamente offesa.

Lei gli fece la linguaccia mettendosi a ridere.

“Allora Marco il primo sei tu.” disse Giorgio.

“Non è giusto, io...”

“Obbligo o verità?”

“Obbligo.” rispose il ragazzo sicuro.

“Canta una canzone in modo estremamente sexy.” gli ordinò Carlo, il suo gemello.

“Emm...l'opzione verità ora mi pare meglio...” cercò di dire lui.

“Tutti si misero a gridare che no, ormai aveva scelto.

Ho sempre pensato che obbligo o verità fosse uno dei giochi più sadici e masochistici insieme.

Il povero ragazzo si esibì in una performance memorabile con tanto di sottofondo di tamburi fornito da Giorgio.

La seconda era Naomi: “Verità.” scelse.

“Ti rifai davvero le sopracciglia tutte le mattine?” chiese Giorgio.

“Ma insomma come puoi sprecare una domanda così?” rise Marika.

“Sì, tutte le mattine, solo per voi.” rispose Naomi felice di essersela cavata con così poco.

“Valeria...obbligo o verità?”chiese Giorgio.

“Obbligo.” rispose lei lanciandogli un teatrale sguardo di sfida.

“Devi ballare un valzer.” decise lui.

“Basta Giorgio sei pessimo!” lo rimproverò di nuovo Marika “poi dirigerò io.” concluse la ragazza assumendo un espressione tragica.

Valeria si alzò in piedi sul letto del ragazzo e sprofondando nel materasso si esibì in un inchino.

“Qualche donzella mi farebbe l'onore di questo ballo?” chiese cercando di assumere una voce seria “lei per esempio, avrebbe voglia di ballare?” aggiunse rivolgendosi a me.

Scoppiai a ridere facendo a mia volta un inchino, e afferrata la sua mano, salii a mia volta sul materasso.

Tentammo di mettere insieme qualche saltello sconnesso scatenando l'ilarità generale, poi Giorgio mi afferrò un piede implorando: “Basta, basta, vi prego! I miei poveri occhi non ce la fanno più...”

Mi sbilanciai a caddi trascinando Valeria con me.

“Ahia!” esclamai quando mi finì addosso.

“Osi forse insinuare che io sia grassa?” mi prese in giro tenendosi sollevata con le mani poggiate accanto al mio viso.

“Tocca a me dirigere ora!” esclamò Marika “Carlo, obbligo o verità?”

“Sì, sì, assolutamente pesante e grassa.” sussurrai intanto all'orecchio di Valeria.

Lei stava per dire qualcos'altro, ma chiuse e aprì la bocca senza dire nulla, si limitò ad appoggiare la sua fronte alla mia e ad abbozzare un sorriso.

“Obbligo!” esclamò Carlo.

“Okay, okay, devo pensare a qualcosa di cattivo...” borbottò Marika socchiudendo gli occhi.

“No! Non è giusto...” si lamentò il ragazzo.

Improvvisamente mi sembrò di soffrire di claustrofobia e arrossii fino alla radice dei capelli, allora feci per spostarmi e liberarmi del peso di Valeria sopra di me,e lei, arrossendo a sua volta, si scostò in fretta rimettendosi seduta e passandosi una mano tra i capelli corti tornando così a seguire il gioco come se niente fosse.

Ad un tratto Marika bisbigliò: “Zitti!”

Ci zittimmo interrogativi.

C'erano dei passi in corridoio: probabilmente i catechisti si erano chiesti il motivo di tanta confusione ben oltre l'orario di coprifuoco e quindi stavano venendo a controllare.

In tre o quattro corsero nel bagno e si infilarono nella doccia tirando la tenda, io seguii Marika e Valeria appiattendomi sotto al letto.

Bussarono alla porta e Giorgio andò ad aprire.

“Ragazzi, ma cosa sta succedendo?” chiese la catechista rimproverandoli.

“Nulla, nulla, ci scusi, ora dormiamo.” spiegò il ragazzo.

Quando la donna se ne andò e i suoi passi sparirono in corridoio uscimmo dai nascondigli.

Marika tossì e disse: “Mi sento una palla di polvere.”

Io mi scrollai la patina di sporco dai vestiti storcendo la bocca.

“Mi sono bagnata i piedi...” si lamentò Naomi uscendo dalla doccia.

Vedendo la sua faccia scoppiammo tutti a ridere soffocando le risate subito dopo per non farci sentire.

* * *


Ci attardammo per qualche altra ora prima di andare definitivamente a dormire, inutile dire che appena appoggiai la testa sul cuscino caddi addormentata.

Quando suonò la sveglia mi rigirai più volte su me stessa e sbattei le palpebre cercando di riprendere vita..

“Oh, qualcuno la spenga...” mugugnò Naomi.

“Guarda che il telefono è il tuo...e poi non senti che ritmo delizioso di prima mattina?” chiese sarcastica Vale da sotto le coperte.

Naomi sbuffò allungando la mano per spegnere Worth it che suonava come sveglia.

“Cinque minuti a testa per il bagno...o arriveremo tardi.”! Esclamò allora Naomi scattando in piedi.

La osservai perplessa per richiudere gli occhi subito dopo.

“Dove trovi la forza?” bofonchiò Valeria.

“La forza è con me, semplice dato di fatto, dormigliona.”

Il timbro affettuoso con cui lo disse mi portò a riaprire gli occhi, ma Naomi era già scomparsa nel bagno.

Facemmo colazione in fretta e in men che non si dica eravamo di nuovo sul sentiero.

Rispetto al giorno precedente si erano addensate molte nuvole in cielo che tendevano a compattarsi sempre più l'una all'altra oscurando il sole.

Verso l'una arrivammo in cima, stremati e affamati.

Infilai il pail per ripararmi dal freddo che, una volta fattosi completamente grigio il cielo, aveva deciso di divorarci.

Mangiammo al limitare degli alberi assieme ai catechisti che oggi erano venuti fin da subito con noi, e ad un giovane prete della parrocchia che ci aveva raggiunto la sera precedente.

Ad un certo punto una catechista ci chiese di fare silenzio.

“No, no, ti prego no...” disse sottovoce Valeria vedendo il prete alzarsi e dire “Preghiamo.”

“Ora fuggo.” bisbigliò Giorgio.

Gli lanciai un'occhiataccia e i due amici si zittirono assumendo le espressioni di due cani bastonati.

Prima che il prete potesse concludere si sentì un tuono; ci guardammo attorno spaventati, consapevoli di essere in cima ad una montagna.

Il prete continuò a celebrare la messa come se niente fosse.

Dopo qualche minuto altri due tuoni rimbombarono uno dopo l'altro, mentre il cielo si faceva sempre più scuro.

Davamo tutti occhiate perplesse ai catechisti che a loro volta guardavano titubanti il giovane prete, la cui voce però non sembrava intenzionata ad accelerare.

Stava dando la benedizione finale, quando cominciarono a cadere le prime gocce.

“Se la Divina Provvidenza non ci mette le mani e muoio per aver celebrato una messa...” borbottò Giorgio coprendosi con il cappuccio della felpa.

Camminammo a passo spedito giù dalla discesa cercando di affrettarci per arrivare prima che cominciasse a piovere seriamente.

Scivolai due o tre volte sulle pietre bagnate, dopodiché finii a terra in una performance delle migliori.

Non avrei saputo dire se fossimo stati più preoccupati per le nostre vite o per il problema più concreto dei cellulari che si stavano bagnando.

Sentivo i brividi correre lungo la schiena, non so se più per i vestiti bagnati o per il vento freddo che si era alzato.

Una volta arrivati alla casa mi sentivo più vicina che mai a capire l'impellente bisogno di un orso di andare in letargo e rispuntare solo a primavera.

Come il giorno precedente i catechisti ci informarono dell'ora della cena, poi Valeria Naomi ed io corremmo su per le scale fino alla nostra camera, desiderose più che mai di un letto e di una doccia calda.

Arrivai per ultima, loro erano già davanti alla porta ad aspettarmi.

“Non entrate?” chiesi.

“La chiave ce l'hai tu.” asserì Valeria.

“No...io l'avevo data a te, Naomi.” replicai.

“Io avevo chiesto a Vale di prenderla, ma lei ha detto che invece l'hai presa tu.” spiegò lei.

Sentii un'improvvisa ondata di panico: “E' impossibile, io non ce l'ho...non ricordo di averla presa...”

“Potrei averla presa io, in effetti, ma non me lo ricordo affatto...” borbottò Naomi.

“Io non ricordo di averla toccata.” tentennò Valeria.

“Scusate, ma allora siamo chiuse fuori?” chiesi sgranando gli occhi.

“Perspicace, tesoro.” disse Naomi alzando gli occhi al cielo.

Valeria scoppiò a ridere vedendo le nostre facce preoccupate e noi la guardammo come se fosse impazzita: non c'era niente di divertente, faceva freddo e la situazione era tragica.

“Tranquille...chiederemo alla signora di sotto...c'è di sicuro un modo per rientrare, e comunque lei avrà la chiave di scorta.”

“Io da quella vecchia pazza non ci vado.” esclamò Naomi.

“Vecchia pazza?” chiesi preoccupata.

“No...non è..cioè..è un po' eccentrica. Si tratta dell'anziana che vive qui e possiede questa sorta di albergo.” mi spiegò Valeria “Mi accompagni?” mi implorò subito dopo.

“Okay...” acconsentii per niente volentieri.

“Se siamo fortunate, i catechisti non lo verranno neanche a sapere.” disse Valeria mentre scendevamo le scale.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7


Seguii Valeria lungo un corridoio, oltre la cucina, fino ad una porta di legno chiaro dal pomello dorato.

“Probabilmente tenterà di metterci in un forno...per mangiarci ovviamente. Potrei entrare io per prima, mentre tu che sei più indietro scapperesti a dare l'allarme.” mi prese in giro Valeria dopo aver squadrato la mia espressione preoccupata.

“Cercherò, ma non prometto niente...i suoi gatti carnivori potrebbero essere più veloci di me.” risposi facendole una smorfia.

“Qualche ultimo desiderio prima di morire?” mi chiese allora lei.

“Avrei voluto leggere Guerra e pace almeno una volta nella vita...” dissi con voce tragica “o è meglio che io chieda la pace nel mondo?” poi aggiunsi “Tu?”

Valeria fece un passo verso di me fissando i suoi occhi nei miei: erano occhi comuni, castani, ma c'erano delle striature più chiare vicino alla pupilla che non avevo mai notato.

Poi abbassò lo sguardo e si allontanò dirigendosi verso la porta: “Diciamo che avrei voluto imparare a sciare.” disse.

Ripresi a respirare accorgendomi solo allora di aver trattenuto il fiato.

Bussò due colpi secchi alla porta e dopo pochi secondi questa si aprì: apparve un'anziana dagli occhi grandi e chiari, alcune rughe le appesantivano i lati della fronte adagiandosi una sull'altra sotto gli occhi e agli angoli della bocca.

“Sì, ragazze?” chiese.

Aveva una voce flebile e fragile lo quanto sembrava lei.

“Non troviamo più la chiave della camera...forse ci è caduta...non è che per caso l'ha trovata?” le chiesi.

“Ora che ci penso sì...Entrate, entrate pure nel frattempo, ora la cerco.”

La seguimmo all'interno del suo appartamento: la prima cosa che notai fu l'odore di minestrone che si insinuò nei polmoni, poi le pareti chiare che risaltavano contro il mobilio di legno scuro lucido.

La signora sparì nella stanza accanto borbottando fra sé.

Valeria si avvicinò ad un quadro appeso alla parete e ne sfiorò con l'indice la cornice.

“Questa signora sembra ossessionata dai papaveri.” disse sottovoce.

Mi avvicinai a mia volta al quadro: era un campo di frumento su cui spiccava il rosso dei papaveri a pennellate precise, ma veloci.

Accanto vi era un quadro rettangolare: su uno sfondo azzurro era dipinto un papavero con grande cura nei particolari. Vi era poi un piccolo quadro della grandezza del palmo di una mano dove si poteva vedere una casa di campagna, solitaria in mezzo ad un prato verde e lì alcuni papaveri che si nascondevano tra l'erba.

Il mio sguardo cadde poi su una foto appoggiata ad un tavolino rotondo vicino alla libreria: era un uomo con una bambina tra le braccia e per mano una signora dagli occhi grandi che sorrideva all'obiettivo; attorno a loro dei papaveri.

“La signora ha figli?” bisbigliai osservando la donna sorridente della foto.

“No, non credo.” mi rispose Valeria incamminandosi senza far rumore verso la libreria.

La seguii: “Forse non è il caso...” le dissi, ma lei mi fece segno che la signora non ci avrebbe viste.

Le copertine dei libri recitavano: Notti bianche, Delitto e castigo, Anna Karenina, I demoni...

Vi erano due ripiani con libri di scrittori russi allineati l'uno accanto all'altro, da quelli più conosciuti ad altri che non avevo mai sentito nominare.

“Vi piacciono i libri?” la voce dell'anziana ci fece sobbalzare.

“Sì, moltissimo.” le rispose Valeria.

La donna sorrise: “Anche a me.” disse.

Sembrò voler dire qualcos'altro, ma annuì e fece un gesto della mano come per scacciare via tutte quelle parole che avrebbe voluto dire, ma non le sembrava il caso di farlo.

“Ecco la vostra chiave. State più attente la prossima volta.” ci disse infine.

“Certo, ci scusi. Arrivederla.” le dissi.

Una volta in corridoio Valeria mi sussurrò: “Forse suo marito era russo...lei ha comprato questa casa dopo la sua morte...e l'ultima volta che l'ha visto erano in quel campo di papaveri.”

“Forse...” le risposi sentendomi a disagio di fronte ai suoi occhi assorti a sognanti che non riuscivo affatto a decifrare.

“Forse legge e rilegge lo stesso capitolo di Anna Karénina, quello in cui lei è saltata sotto il treno, e vede quella luce, decine e decine di volte, senza mai riuscire a percepire il suo fascino, né cpsa possa esserci dopo...perché, forse, è sotto un treno che è finito suo marito.” sospirò “Mi sembra così sola...”

Rimanemmo in silenzio fino alla nostra camera sulla cui porta c'era un post-it “Sono da Marika, se volete poi raggiungetemi. Naomi.”

Infilai la chiave nella toppa ed entrammo.

Valeria si sedette sul letto e fissò un punto indistinto del pavimento.

“Fa così freddo...” dissi rabbrividendo.

“Con il brutto tempo la temperatura deve essere scesa all'improvviso.”commentò Valeria con voce monocorde.

“Tutto bene?” le chiesi.

“Sembrava tutto ad un tratto così triste che non sapevo se scegliere tra il silenzio o romperlo.

Lei annuì: “Se non abbiamo preso una broncopolmonite oggi, non la prenderemo mai più.” disse poi ridendo.

“Assolutamente.” concordai io con i capelli bagnati ancora incollati al collo.

“Se vuoi faccio prima io velocemente la doccia, poi così tu puoi starci sotto fin che vuoi.” propose.

“Va bene.” annuii.

Valeria sparì nel bagno e dopo dieci minuti sentii l'acqua della doccia spegnersi.

“Eccomi.” disse aprendo la porta.

Mi voltai verso di lei dal letto su cui ero distesa, lei aveva solo un asciugamano avvolto attorno al corpo, e raggiunse il suo zaino tirando fuori i vestiti.

“Prima che l'idea di cambiarsi in camera con me presente la sfiorasse, mi fiondai in bagno portando con me il cambio che avevo preparato.

Mi spogliai in fretta e battendo i denti dal freddo mi rifugiai sotto il getto di acqua calda.

Ma subito dopo appoggiai la fronte alle piastrelle fredde cercando di trattenere le lacrime.

Mi sentivo stupida, molto stupida e vulnerabile.

Improvvisamente volli solo tornare a casa, sparire, tornare alla mia routine, dove non c'erano vecchiette ossessionate dai papaveri e ragazze che ti proponevano di tuffarsi in un lago alle undici di mattina.

Mi insaponai i capelli e lasciai che l'acqua calda lavasse via il freddo che avevo accumulato nelle ossa.

Mi era già capitato di trovare carina qualche ragazza, ma non ci avevo mai dato tanto peso, abbassavo semplicemente lo sguardo, allontanavo tutto negli angoli più remoti della mente per poi non pensarci più.

E ora irrazionalmente tutti i ricordi simili che avevo soffocato mi tornavano alla mente, come tessere di un puzzles, a formare un'idea che non riuscivo neanche a sussurrare.

Ma una doccia non può durare per sempre, così spensi l'acqua, e dopo essermi vestita e asciugata i capelli, mi decisi a tornare nell'altra stanza

E' solo perché in questo momento sono stanca, io non sono così...mi ripetevo nella testa.

Uscii dalla porta del bagno e il mio sguardo cadde su di lei seduta sul suo letto con un semplice paio di pantaloncini corti e un maglione blu scuro probabilmente troppo grande per lei.

Mi morsi l'interno delle guance, ma non riuscii a fermare i miei pensieri, la trovavo bella, e non potevo farci nulla.

Valeria alzò lo sguardo dal cellulare e inclinò la testa di lato sorridendomi: “E' inutile che mi fissi,lo so che stai giudicando i miei pantaloncini perché sono corti, ma non ne ho un altro paio di lunghi e quelli che avevo la pioggia oggi ha ben pensato di bagnarli.”

“Ehm...sì appunto.” biascicai appendendo alla sedia i miei panni bagnati.

“Scendiamo?” propose Valeria.

“Sì, sì, andiamo.” risposi.





Ciao a tutti!

Scusate se la scorsa settimana non sono riuscita ad aggiornare, ma avevo davvero troppi compiti...

Come vedete Emma sta cominciando a porsi dei grossi problemi esistenziali e a farsi tante pare; avrei voluto saltare questa parte, ma poi ho pensato che il personaggio non sarebbe stato realistico, perché è abbastanza umano che lei entrasse un po' in crisi, altrimenti sarebbe stata un robot. Quindi mi spiace se questa parentesi non vi piace, ma prometto che cercherò di renderla il più breve possibile.

Per il resto spero che la storia continui a piacervi e grazie tantissimo per continuare a leggerla :)

a presto!

Sam

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***



CAPITOLO 4


L'accendino sfrigola

una matita percorre ruvida la carta

spiriti abbozzati di una notte,

le pallide labbra sussurrano: “Io ci sono. Tu?”

Ombre che sbattono contro le pareti

della sua mente

la fronte si distende

respira

ma lo stoppino annega nella cera

si è spenta

distingue ancora i due occhi

che l'oscurità assorbe

Io non esisto.” rispondono.



Scendemmo le scale e arrivammo nella sala dove si mangiava.

In tanti erano già lì, e i mancanti arrivarono nel giro di cinque minuti.

“Ragazzi, ci dispiace moltissimo informarvi che il riscaldamento funziona male e non vi sono molte coperte pesanti negli armadi...forse a causa dell'improvviso ed imprevisto calo della temperatura vi toccherà dormire con la giacca.”

La sala si riempì di lamentele.

“Su, su, è solo per una notte!” ci redarguì la catechista.

“Non ci posso credere...come se il freddo di oggi non fosse stato abbastanza.” si lamentò Giorgio sottovoce.

“Poi salite da me?” ci chiese Marika stranamente allegra nonostante la notizia.

Valeria fece spallucce :”Okay.”

“Su, un po' di vita!” rise Marika “Ho io quello che vi serve.”

A Giorgio si illuminarono gli occhi: “Perché non l'hai detto subito?”

“Sorpresa!” esclamò allora lei.

Io la guardai perplessa “Ehm...quindi?” chiesi. Ovviamente sembravo l'unica a non aver afferrato il concetto.

“Ha dell'alcool, tesoro.” mi fece l'occhiolino Giorgio.

“Ah...” dissi io e poi mi lasciai sfuggire: “Ma io non...” poi mi fermai. Era davvero il caso e il momento di dire che non bevi, sciocca? Be, no, non lo era.

“Non bevi? Gesù, che brava ragazza!” esclamò Valeria alzando gli occhi al cielo per prendermi in giro.

“E' l'ultima sera che passiamo assieme, quindi troverò il modo di farti bere.” concluse Marika cambiando poi discorso.

Intanto Valeria mi lanciava occhiate ironiche facendomi delle smorfie e le mie orecchie stavano andando lentamente a fuoco. Le avrei tanto volentieri infilato la testa in un sacchetto.

Nel giro di una ventina di minuti finimmo di mangiare, recitammo una preghiera di ringraziamento e ci allontanammo dal tavolo.


* * *


“Chi per primo?” tirando fuori due o tre bottigliette di collutorio.

Sospirai: non ci potevo credere.

“Io!” esclamò Giorgio.

“Mi sa che tu non ne hai affatto bisogno.” borbottò Marika squadrandolo.

“Per fortuna che non sei tu a comandare il mio libero arbitrio, ma sono io, appunto.” esclamò il ragazzo.

“La battuta era pessima. E comunque cosa c'entra? Quell'alcool è di mia proprietà.” rise lei cercando di riafferrarlo.

“Giorgio saltò sul letto dove era seduta Naomi e bevve un sorso, poi lo passò alla ragazza che fece altrettanto.

La bottiglia passò di mano in mano a tutti fino ad arrivare alla sottoscritta.

Marika stava ancora discutendo con Giorgio e gli altri non parevano fare molto caso a me.

Stavo per passarla senza bere nulla scampandola, quando notai che Valeria mi stava fissando con sguardo di sfida misto a un che di sfrontato.

La fissai a mia volta corrugando la fronte. (purtroppo non ho lo straordinario dono di alzare un solo sopracciglio.)

Sul suo viso allora si aprì un sorriso che cercava invano di nascondere tentando di rimanere seria.

Allora di nuovo quella stupida domanda mi riaffiorò nella mente come il giorno precedente: Cosa ci perderesti? E di nuovo la risposta fu Assolutamente nulla.

Così bevvi a mia volta prima di passare la bottiglietta a Giorgio.

Allora Valeria scoppiò a ridere, venne a sedersi accanto a me e mi bisbigliò: “Sì, sì, proprio una brava ragazza.”

Io le diedi una spinta con la mano destra per allontanarla assumendo un'espressione offesa che più che altro sembrava quella di un pulcino bagnato.

“Edificio più alto dove siete stati.” propose Marika.

“Empire State Building.” disse Naomi bevendo di nuovo.

“Suppongo la Tour Eiffel.” risposi io.

“Il tetto del mio palazzo.” rise Valeria.

“Sei salita su un tetto??” le chiesi strabuzzando gli occhi.

“Ne ha fatte di cose, tetti a parte.” rise Giorgio vedendo la mia espressione stupita.

“Posto più strano dove avete dormito.” propose stavolta Giorgio.

“Un sottoscala.” rispose prontamente Valeria.

“Un secondo che ci penso...era una casa piena di persone...lui un incantatore di serpenti credo.” Naomi si piegò in due dal ridere probabilmente anche per gli effetti dell'alcool che aveva in circolo.

“In aereo.” borbottai io alquanto sconvolta dalle loro risposte.

“Tranquilla Emma, io su un treno.” mi disse Marika “non sono tutti pazzi qui, io ti faccio compagnia.

Le sorrisi sollevata che qualcun altro la pensasse come me.

“Prima persona con cui siete stati.” disse Naomi, e mi sembrò di cogliere una certa cattiveria nella sua voce.

“Si chiamava Chiara e aveva due...no okay niente, aveva i capelli castani, ci siamo conosciuti al mare.” rispose Giorgio ridendo.

“Sei la persona meno romantica del pianeta.” lo accusò Marika lanciandogli addosso un cuscino.

“Ero ad un campeggio...” cominciò Valeria “E...” parve titubante per un attimo, poi concluse velocemente “era più alto di me e si chiamava Luca.”

Toccava a me: sentii la temperatura corporea salire.

Ebbene sì, non ero mai stata con nessuno, ma non mi andava di sentire i commenti che ne sarebbero seguiti se l'avessi detto o vedere lo sguardo sarcastico di Naomi, così inventai: “Si chiamava Tommaso e ci siamo conosciuti al mare.”

Sentii lo sguardo di Valeria sulla nuca, ma non mi voltai.

Man mano che la serata procedeva, le bottigliette di collutorio si svuotavano e ci stringevamo sempre di più uno vicino all'altro per combattere il freddo buttandoci addosso le coperte sepolte nei cassetti.

“Naomi si è addormentata.” disse Giorgio ad un certo punto indicandola “non ha senso che la svegliate, noi ci stringeremo nell'altro letto...non darà fastidio qui.”

Valeria alzò le spalle: “Per me è uguale, dipende se per voi è un problema.”

“No, no, tanto lo faremmo comunque, fa così freddo...”

Ci salutammo ed ognuno tornò nelle rispettive camere. Eravamo stanchissimi, calcolando poi che la sera prima non avevamo quasi dormito e quanto avevamo subito dopo camminato non so dire come ci reggessimo in piedi.

Una volta in camera, girai la chiave nella toppa e presi il pigiama dallo zaino.

Ci cambiammo in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri, oppure fingendo di pensare poiché non trovavamo nulla da dire.

Dopo poco mi rifugiai sotto le coperte spegnendo la luce del mio comodino e Valeria fece altrettanto lasciando però la sua accesa.

Dopo un po' si mise su un fianco rivolgendosi verso di me: “Emma...” disse, interrompendosi poi titubante.

“Sì?” risposi, improvvisamente preoccupata per quello che avrebbe detto.

“Quel Tommaso di cui hai parlato prima, esiste?”

Il respiro mi si bloccò in gola e arrossii: “No.” ammisi, pentendomene subito dopo.

Lei allora annuì e si lasciò ricadere sul cuscino per poi fissare il soffitto.

Un pensiero mi attraversò la mente, e prima che potessi fermarlo, si trasformò in parole: “E Luca esiste?”

Lei parve irrigidirsi, poi mi sorrise e rispose: “Sì, esiste, ma non è la prima persona con cui sono stata.”

Perché aveva mentito? Chi poteva essere questo fantomatico primo ragazzo allora? Forse un drogato o chissà cosa...poi però realizzai che non aveva detto la parola ragazzo, ma persona. Arrossii dei miei stessi pensieri scacciandoli via.

Valeria spense la luce.

Mi rigirai due o tre volte nel letto rabbrividendo dal freddo; il buio era così denso che sembrava volersi insinuare persino nell'anima.

Ad un certo punto sentii qualcosa fare pressione sul materasso e riaprii gli occhi di scatto.

“Posso?” mi chiese Valeria “fa troppo freddo per dormire da soli, così potremmo mettere la mia coperta sopra la tua e stare più al caldo.” spiegò

“Sì, sì, va bene.” risposi con il cuore che però cominciava ad accelerare.

Okay Emma, quanto sei infantile da uno a dieci? E' ora di dormire, chiudi quegli occhi e spegni quello stupido cervello. Dov'è Morfeo quando serve?

Si coricò accanto a me, per qualche secondo ci guardammo negli occhi, poi lei chiuse i suoi e io feci altrettanto.

Dopo poco sentii un braccio cingermi la schiena e avvicinarmi di più a lei; involontariamente posai la testa nell'incavo della sua spalla, e inspirai il suo profumo come a imprimerlo nella memoria.

Arrossii subito dopo per averlo fatto.

“Mi piacerebbe andare sulla Tour Eiffel. Quando ci sei stata?” mi chiese.

“Qualche anno fa. Ma perché tu sei salita su un tetto?”

“Io ed un mio amico volevamo semplicemente vedere se riuscivamo a farlo. In realtà non c'era un vero motivo.”

“Tua madre non ti ha detto nulla? La mia mi avrebbe sicuramente ucciso.”

“Non che le importi molto di me...è sempre fuori.” disse sottovoce, quasi sarcastica “la tua invece è una di quelle che si preoccupa sempre?” mi chiese subito dopo.

“Sì, sa sempre cosa faccio e dove sono.”

“Potresti mentirle e poi fare ciò che ti va.”

“Non ci riesco...” sospirai.

Restammo ancora un po' in silenzio e Valeria cominciò meccanicamente ad accarezzarmi la schiena causandomi una serie di brividi e un improvviso rossore per la vergogna.

“Mi piacerebbe viaggiare.” aggiunse poi.

Sorrisi in risposta.

“Non è assurdo che dobbiamo sempre avere paura di tutto quello che facciamo La vita è così breve...potremmo morire da un momento all'altro, eppure non riusciamo mai a dire quello che vorremmo dire...” disse a fatica.

“Il fatto è che siamo immersi in un mondo di persone, è normale che ci importi la loro opinione...” risposi.

“Come se a loro importasse davvero qualcosa...” sussurrò lei.

Mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchia avvicinandosi ancora di più a me.

I nostri nasi quasi si sfioravano e la sua bocca era a pochi centimetri dalla mia.

Chiusi e riaprii gli occhi con lo stomaco improvvisamente stretto in una morsa, ma quando stavo per darle la schiena per porre fine a questa situazione, fu lei ad allontanarsi per prima.

Ritornai a respirare.

Mi prese una mano nella sua e sussurrò: “Buonanotte.”

“Buonanotte.” risposi.

E ci addormentammo.

















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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9


Raschia cadendo

pareti che non esistono

bramosa angoscia

di atterrare

e il nulla

che accolga senza dolore

asciughi la lacrima

forse intrappolata

una bugia

mare

sciaborda ridendo

ecco

e lo schianto?


“E' suonata la sveglia.” al sentire quella voce sobbalzai svegliandomi.

Il viso di Valeria era sul cuscino accanto a me: “Non l'hai sentita.” mi spiegò.

“Dovevo avere particolarmente sonno.” risposi sbadigliando.

“Dovresti vedere i tuoi capelli, sei mostruosa.” bisbigliò.

“Insomma!” sbottai io tirandole un calcio per farla cadere dal letto.

Lei rise, mi scoccò un bacio sulla guancia e se ne andò in bagno.

Arrossii per l'ennesima volta in quei due giorni.

Ad un tratto il suo telefonino cominciò a squillare.

“Se è Naomi rispondi pure!” la voce di Valeria mi raggiunse dal bagno.

Non era Naomi, così stavo per rimettere il cellulare al suo posto, ma per sbaglio schiacciai l'icona delle immagini: non volevo farmi gli affari suoi, ma mi apparvero alcune immagini di lei e Giorgio che facevano smorfie all'obiettivo e non trovai niente di male nello scorrere un attimo anche le altre.

Ad un tratto notai alcune immagini di Valeria e Naomi assieme che sorridevano, e me ne stupii poiché avevo sempre pensato che non si sopportassero, poi ecco un'ultima foto, come dimenticata, di loro due che si baciavano.

Il mio stomaco si strinse in una morsa, era come aver scoperto l'ultima tessera che faceva andare tutto al suo posto e i vari avvenimenti cominciarono a prendere senso.

L'acqua in bagno si spense.

Rimisi in fretta il telefono sul suo comodino prima che Valeria uscisse.

Finimmo entrambe di preparare gli zaini in silenzio: non trovavo nulla da dire e avevo paura che parlando la mia voce avrebbe tremato.

Era un atteggiamento stupido, lo sapevo, ma sapere che Valeria fosse stata con Naomi, ed avere così la conferma che le piacessero la ragazze, mi destabilizzava.

Mi sentivo un po' come se qualcuno avesse dato un calcio a tutte le mie barriere etichettandole come insulse ed inutili.

“Tutto bene?” mi chiese.

“Sì, sì.” risposi fingendo di mettere le ultime cose nello zaino.

Valeria si legò i capelli e riprese in mano il telefono; la vidi sbiancare.

Mi irrigidii trattenendo il respiro.

“Hai guardato tra le mie foto. C'era l'icona ancora aperta.”

“Io...non l'ho fatto apposta...” tentai di spiegare.

“Sì, come no.”

“Mi dispiace!”

“Su, di qualcosa. So che hai qualcosa da dire.” sbottò irritata.

Scossi la testa frastornata.

“Tu non conosci né me , né Naomi, né tanto meno come è andata realmente; non puoi giudicare nessuno.”

“Non volevo giudicarti...”

A questo punto la porta si aprì di scatto e Naomi entrò per recuperare il suo zaino.

“Hai lasciato in bagno la piastra.” le fece notare Valeria.

“Lo so, grazie.” rispose irritata lei “Stavate litigando?” aggiunse tagliente.

“Non mi sembrano affari tuoi.” replicai io.

“Oh...allora vi lascerò da sole, a quanto pare la tua nuova fidanzatina non mi vuole tra i piedi.” disse a Valeria.

“Io non...” dissi sbiancando.

“Tu cosa? Non sei la sua ragazza, stai dicendo? O non sei lesbica? Non so a quale credere meno.” replicò Naomi assottigliando gli occhi.

Mi mancò il fiato e non seppi cosa dire, troppo sangue al cervello e incapace di mantenere una discussione con chiunque, non riuscivo a formulare alcuna risposta.

Valeria abbassò lo sguardo limitandosi a fissare la punta delle scarpe.

“Sei la persona più orribile che abbia mai visto...” stavo infine dicendo a Naomi, ma Valeria mi fermò: “No, Emma, basta.”

“Perché??”

Naomi assunse un'espressione soddisfatta.

Valeria era pallida con le guance arrossate: “Perché qui l'unica stronza sono io, okay? E no, nessuna di voi due mi conosce affatto. E se non vi dispiace, ora, da stronza, me ne vado.” Detto questo, raccolse lo zaino da terra ed uscì.

Dopo pochi secondi Naomi sbuffò: “Chiudi tu la porta a chiave, e ricordati di portarla alla reception.” poi sparì a sua volta.

Rimasi sola, con il terribile bisogno di mettermi a piangere come una bambina.


* * *


Durante il seguito della giornata non ci parlammo: non ci potevo credere che fosse possibile arrivare così vicini a capire una persona e trovarvisi anni luce subito dopo.

Sulla corriera non ci sedemmo più vicine; infilai le cuffiette della musica e guardai fuori dal finestrino cercando di non pensare.

Ci fermammo in un autogrill e io ne approfittai per andare in bagno.

Mi accorsi che Valeria mi aveva seguito solo quando la sua voce alle mie spalle mi fece sobbalzare.

“Mi dispiace.” mi disse.

Mi colse talmente di sorpresa che balbettai un: “Anche a me.” da risultare assolutamente falso, benché non fosse mia intenzione.

Poi si avvicinò e disse: “Ti spiegherei tutto, ma sarebbe lungo e complicato.” si avvicinò e mi lasciò un bacio leggero sulle labbra “Peccato fossero solo due giorni.” aggiunse, poi uscì.

Sono quei momenti della vita in cui il protagonista dovrebbe agire, ma allora non ero affatto così.

Me ne tornai sulla corriera con i pensieri più aggrovigliati e confusi che mai e non feci nulla.

Nel giro di un'oretta arrivammo al parcheggio dove ci aspettavano i nostri genitori; mia madre mi accolse a braccia aperte e volle salutare personalmente le catechiste.

In fine salimmo in auto e lei mise in moto per uscire dal parcheggio.

“Guarda quella ragazza...ha già firmato il contratto per il cancro ai polmoni...ma poi guarda come è conciata...” disse ad un certo punto mia madre mentre manovrava indicandomi un muretto vicino a cui prima aveva sostato l'autobus.

Vi era seduta Valeria: le gambe a penzoloni e le scarpe di tela che dondolavano sfiorando l'asfalto.

“Tra tutti quelli che c'erano, spero solo che tu non abbia stretto amicizia proprio con lei.” borbottò poi preoccupata.

“No, no.” la rassicurai io, e mi morsi le labbra accorgendomi con quanta facilità, e senza pensarci due volte, le avessi appena mentito.

Come Valeria mi vide, inclinò la testa e mi sorrise, e io le sorrisi di rimando.

Era rimasta l'ultima: gli altri genitori avevano già ritirato i rispettivi ragazzi e lei doveva aver rassicurato i catechisti che sua madre sarebbe arrivata nel giro di due minuti, così quelli non si erano sentiti in obbligo di aspettarla.

Fumava una sigaretta del pacchetto appoggiato accanto a lei; aveva un'espressione sfrontata o di sfida a mascherare ogni altro sentimento, come nei confronti del parcheggio vuoto.

In quel momento preferii interpretare quel sorriso come una promessa di rivedersi, più che come un addio.




Chiedo perdono per il capitolo che è più corto degli altri ed inoltre in ritardo, ma abbiate pietà e non sommergetemi di pomodori, vi prego. Avrei voluto scriverlo meglio, e ammetto che non mi è venuto un gran ché; prometto cercherò di fare meglio nel prossimo :)

Inoltre vi anticipo che Valeria ed Emma ovviamente si rincontreranno tra forse neanche due capitoli, altrimenti avreste tutto il diritto di odiarmi.

Pensavo di scrivere i prossimi due capitoli concentrandomi di più sulla vita di Valeria e lasciare per un attimo da parte Emma, cosa ne pensate?

A presto :)

sam

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10



POV VALERIA


La voce dell'insegnante rimbombava lenta e monocorde contro le pareti gialle dell'aula.

Valeria pensava che tutto l'odio nei confronti della scuola si concentrasse anno dopo anno nel colore di quei muri.

Un giallo troppo forte che catturava qualsiasi allegria attorno per non scolorire lui stesso: in breve un parassita.

Giorgio le bisbigliò qualcosa all'orecchio e lei alzò gli occhi al cielo, poi Valeria disegnò un fantasma obeso sul banco.

“Sei tu.” scrisse accanto.

Giorgio annuì sospirando e disegnò una corda attorno al collo dell'omino condannandolo al patibolo.

“Una nuova vittima della matematica.” scrisse allora lì di fianco.

A questo punto la prof lanciò loro un'occhiataccia e sia Valeria che Giorgio si zittirono.

L'insegnante continuò allora la lezione sugli algoritmi e le loro proprietà.

“Mi sembra abbastanza chiaro fino ad adesso...qualcuno non ha capito?” chiese scrutando i suoi alunni.

Né Valeria né Giorgio risposero, ma stavano entrambi guardando storditi la lavagna, increduli di quante scritte quel rettangolo nero potesse contenere.

“Algoritmi?” bisbigliò il ragazzo all'amica, poi scrisse sul banco What do you mean?

Valeria soffocò una risata nascondendosi dietro la testa del ragazzo di fronte a lei.

La campanella suonò e tutti si alzarono per fare lo zaino e uscire.

I due amici furono all'aria aperta in pochi minuti.

“Andiamo dai gemelli domani?” chiese Giorgio.

“Fred e George?” chiese Valeria.

“Smettila di chiamarli così!” rise lui “Sono Marco e Carlo.”

“Sì, potremmo andare da loro.” annuì lei.

La scuola era cominciata da appena una settimana e il caldo di settembre dava ancora quell'illusione di vacanza e la voglia di festeggiare.

“Ci sentiamo più tardi allora.” la salutò Giorgio.

Valeria si avviò alla fermata dell'autobus e si sedette sul marciapiede ad aspettare.

Dal bar accanto proveniva un profumo di patatine fritte che però si mescolava in modo nauseante con quello acre dell'asfalto.

Valeria abitava in quella città almeno da un anno ormai: sua madre si era trasferita per lavoro e ormai la ragazza poteva dire di essersi abituata alla miriade di persone che erano ovunque in qualunque momento.

In realtà le piaceva uscire e confondersi tra la folla, scomparire in quel mare di persone, come se i suoi pensieri si confondessero con quelli degli altri e non fossero più suoi.

L'autobus si fermò a pochi metri da lei, così la ragazza si alzò e lo raggiunse.

In una decina di minuti scese davanti al palazzo dove abitava: un condominio di sei appartamenti dalla facciata rosata e dei balconcini di ferro battuto allineati ad ogni piano.

Salì i gradini contandoli, ma perdendo il conto dopo il numero trentadue e arrivò alla sua porta con il fiatone.

Girò la chiave nella toppa ed entrò: l'appartamento era piccolo, essenziale, ma accogliente.

Eppure era sempre vuoto.

La ragazza poggiò a terra lo zaino sentendo il vuoto sulle piastrelle vibrare, si sentì quasi in colpa schiacciando il vuoto nella pentola per metterci l'acqua, poi accese la televisione per avere la parvenza di non essere sola.

Aspettando che l'acqua bollisse uscì sul balcone, appoggiò i gomiti sulla ringhiera e tirò fuori una sigaretta per accenderla, ma si fermò e la rimise nel pacchetto.

Tornò indietro, chiuse le ante della portafinestra e spense l'acqua che aveva messo a bollire; non vi buttò la pasta, ma mise via tutto.

Aprì il frigo, prese uno yogurt ai frutti di bosco, pelò qualche carota ed andò ad accoccolarsi davanti alla tv.

Senza accorgersene si addormentò e si svegliò che erano ormai le quattro.

Non aveva voglia di fare i compiti, era sabato, li avrebbe rimandati fino alla domenica sera, come suo solito.

Andò in camera per togliere i libri dallo zaino ed ordinarli nei giusti scomparti, poi si sedette alla scrivania e tamburellò le dita sul banco di legno bianco, come indecisa.

Infine si alzò, si avvicinò ad una tastiera accanto alla finestra e con un dito schiacciò un tasto.

Chiuse per un attimo gli occhi con una smorfia, poi si sedette e cominciò a suonare.

Spesso pensava che quella fosse l'unica cosa che lei fosse in grado di fare nella vita; non aveva particolari abilità, non eccelleva in niente, ma sapeva pur sempre suonare.

Aveva cominciato tanti anni fa come per lanciare una sfida a se stessa, come se, vedendo quanto fosse brava, suo padre sarebbe tornato a casa.

Ero veramente così ingenua? Si era poi chieste più volte.

La musica allora cancellava tutto, si ricominciava da capo, e mentre le sue dita scorrevano sui tasti, lei capiva di non essere triste, anzi, di amare se stessa, la sua famiglia e il vuoto di quella casa.

Cosa le impediva di essere felice?



POV EMMA


Fu nei giorni e nei mesi seguenti che cominciai a fare i conti con me stessa.

Lei riappariva nella mia mente quando meno me lo aspettavo, come un fantasma la ritrovavo in ogni cosa, persino nei sogni.

Allora mi svegliavo sudata con il cuore che batteva forte e una sensazione di panico che non riuscivo a spiegarmi.

Un giorno mia madre entrò nella mia camera e mi chiese: “Ma Maria è fidanzata?”

“Sì, mamma...con Giovanni.”

“Non ha degli amici da presentarti questo Giovanni?”

“Non lo so mamma, magari la prossima volta che esco con loro glie lo chiedo.”

Allora era uscita abbastanza soddisfatta, ma poi la settimana seguente era già pronta di nuovo a propormi questo o quel ragazzo chiedendosi come fosse possibile che la sua cara bambina non trovasse nessuno.

Ogni volta che parlava di qualcosa vicino all'argomento “ragazzi”, venivo presa dall'ansia di non essere in grado di recitare, dal disagio per quello che le stavo nascondendo, e conseguentemente ero presa da un'ansia incontrollabile.

C'erano sere in cui, quando spegnevo la luce, mi salivano le lacrime agli occhi e allora mi conficcavo le unghie nei palmi delle mani per scacciare quella sensazione di inadeguatezza e ansia che mi stringeva il petto.

Non volevo essere me stessa con tutte le mie forze.

Cercavo di guardarmi intorno per valutare i vari ragazzi e convincermi che erano loro a piacermi.

Ma se mai uno di loro ci provava con me, mi sembrava improvvisamente tutto così forzato che non riuscivo più a capire se ciò che volevo era stare con loro o essere come loro; così li allontanavo con due parole e mille sensi di colpa.

La parola “lesbica” cominciò a procurarmi un tale senso di ansia che facevo fatica a pronunciarla e se lo facevo mi veniva spontaneo abbassare la voce come se fosse una bomba e potesse scoppiare.

Il tempo passò in fretta e il fantasma di Valeria sfumò via lasciandomi però una buona dose di crisi d'identità da affrontare.

Piano, piano una parte di me cominciò a comportarsi e pensare come supponevo avrebbe fatto lei, un po' come se così potessi esserle vicina o capirla.

Quando me ne resi conto, fui troppo pigra per tornare indietro, lasciai che tutto corresse via come del resto avevo sempre fatto, incapace di prendere in mano la mia vita.

In realtà non conoscevo affatto Valeria, neppure il suo cognome o dove abitasse.

Mi maledissi più volte per non averle chiesto neanche il numero di telefono, avevo solo quello di Giorgio e fui più volte tentata di chiamarlo.

Ma poi ne sarebbe valsa la pena?

A parte il cognome, c'erano davvero tantissime cose di lei che non conoscevo, era davvero la stessa persona della gita, o di solito si comportava diversamente?

E poi volevo davvero chiamare una ragazza e chiederle di vederci? Come l'avrei giustificato?

Ma poi no, io non volevo veder nessuna ragazza, questa era solo una stupida fissazione.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11



POV VALERIA


Marika aveva dato una festa a casa sua approfittando che i genitori fossero andati in vacanza e aveva invitato, a parere di Giorgio, decisamente un meraviglioso e incalcolabile numero di persone.

“Hai visto quella?” chiese Giorgio cercando di sovrastare il suono della musica a Valeria indicando una ragazza mora con le lentiggini che chiacchierava con alcune altre ragazze vicino alla porta d'ingresso.

Valeria alzò le spalle, poi vedendo l'espressione sognante dell'amico, scoppiò a ridere: “Su forza, vai.”

“Ma se...” borbottò lui sconsolato.

“Te lo ordino Giorgio, vai e provaci con lei.”

“Okay, capo.” obbedì lui alla fine assumendo una camminata baldanzosa.

Valeria rimase a guardare l'amico ridendo tra sé: Giorgio aveva raggiunto la ragazza prescelta e le doveva aver detto una delle sue solite battute; il viso di quella era passato dallo sconvolto al divertito.

Doveva essersi conclusa nel migliore dei modi perché ora la mora e Giorgio stavano parlando animatamente dimentichi di chi stesse loro intorno.

Accanto a loro c'era una ragazza alta dai capelli scuri che le arrivavano fino quasi alla vita e un paio di occhiali dalla montatura quadrata.

Lo sguardo di lei incrociò quello di Valeria, le sorrise e le si avvicinò.

“Giorgio ti ha lasciata sola.” constatò quella.

“Anche la tua amica mi pare. E comunque ciao Naomi, ti sono cresciuti tantissimo i capelli e conciata così non ti avevo neanche riconosciuta.”

Naomi rise: aveva un vestito cortissimo e i tacchi alti la slanciavano così da essere di una spanna più alta di Valeria.

La ragazza cominciò a battere la punta della scarpa al suono della musica e guardava indistintamente la folla.

“Quel ragazzo laggiù con la camicia, lo vedi? Non è ingiusto che sia fidanzato? Me lo sarei anche fatta...ma poi vedi quella sua ragazza? Gli sta appiccicata come un polipo.” si lamentò improvvisamente Naomi.

Valeria aggrottò le sopracciglia: “Assolutamente ingiusto.” concordò guardando la cosiddetta ragazza polipo e pensando che effettivamente non le sarebbe dispiaciuto fosse stata un po' più single.

“Ti va di ballare?” le chiese Naomi.

“Perché no?” acconsentì l'altra.

Naomi le prese la mano e la trascinò in mezzo alla folla.

Le due ragazze cominciarono a muoversi al ritmo della musica facendo commenti sulle persone lì attorno e ridendo subito dopo.

Ad un certo punto qualcuno urtò Naomi che finì addossò a Valeria e si aggrappò al suo braccio per non cadere.

Si rialzò scuotendo la testa e sistemandosi i capelli con mano: “Mi accompagni in bagno?” chiese.

Valeria annuì e salirono le scale della casa di Marika, quando passarono davanti ad un orologio, l'occhio di Valeria cadde sull'ora: “Sono già le tre?” esclamò.

“Non sto in piedi, gira tutto.” rise l'altra accasciandosi sul pavimento del bagno dopo aver chiuso la porta dietro di sé e l'amica.

Valeria si appoggiò alla parete e chiuse gli occhi per qualche secondo cercando di ragionare sul come sarebbe tornata a casa.

“Dovrò andare a stare da una delle mie amiche stanotte, spero non se ne siano già andate.” commentò Naomi tirando lo sciacquone e aprendo l'acqua del lavandino.

“Come mai?”

“Ho dimenticato a casa la chiave.” spiegò.

Aveva gli occhi scuri che risaltavano sul viso pallido, le guance arrossate, mentre lo smalto risaltava sulle dita curate.

Dalla sala si sentì l'inizio di una nuova canzone.

Naomi piegò leggermente di lato la testa , come concentrata su qualcosa che non voleva esternare.

Valeria le si avvicinò e sentendo il pavimento ancora instabile le sfiorò un fianco con la mano.

“Come si chiama il tuo profumo?” chiese Naomi.

“Non ricordo...me l'ha prestato Marika stasera.”

“Mi piace...” sussurrò Naomi poggiando le labbra sul collo dell'altra.

Valeria riaprì gli occhi: “Naomi...” balbettò.

“Sì?” disse l'altra con una risata e guardandola con le pupille troppo dilatate.

“Niente..” Valeria scosse la testa.

Naomi spostò le labbra su quelle dell'altra che rispose al bacio, poi si staccò e bisbigliò: “Devo trovare qualcuno che mi porti a casa.” e poggiò una mano sulla maniglia della porta.

“Rimani da me.” disse d'un fiato Valeria, e le scappò un sorriso: “Mia madre non è a casa.”

L'altra si voltò verso di lei, e sorridendo a sua volta annuì.



POV VALERIA


Valeria si svegliò frastornata, con un lieve senso di nausea e la testa pesante.

Si girò di lato e scattò a sedere ricordando improvvisamente gli avvenimenti della sera precedente.

Naomi non era più lì e per un attimo Valeria si chiese se non fosse stato tutto frutto della sua immaginazione, ma no, neppure lei poteva arrivare ad un tale livello di pazzia.

Affondò il viso nel cuscino, sbuffò e si decise ad alzarsi: doveva pur controllare almeno dove fosse l'altra.

Poggiò i piedi sulle piastrelle fredde, si diresse verso l'armadio e prese la prima maglietta del cassetto.

Dopo essersi vestita andò in salotto.

Aveva un po' di panico nel cercare qualcosa da dire a Naomi; girò le due o tre stanze dell'appartamento, ma non la trovò.

Non aveva lasciato alcun biglietto, Valeria controllò il cellulare ma non vi trovò alcun messaggio: era semplicemente sparita.

La ragazza si lasciò cadere sul divano e chiuse gli occhi: rimase così immobile per qualche secondo, poi fece un respiro più lungo degli altri, riaprì gli occhi e andò in cucina.

Lì mise l'acqua sul fuoco per preparare un thé tamburellando nel frattempo le dita sul ripiano cottura.

Spense il fuoco e versò l'acqua nella tazza troppo in fretta, così la rovesciò fuori, imprecò e le cadde il pentolino a terra.

Si sedette sospirando sul pavimento e si prese la testa tra le mani.



POV NAOMI


Naomi camminava con lo sguardo rivolto all'asfalto scuro e irregolare; ogni tanto sollevava il viso e spalancava gli occhi come per catturare qualcosa, poi continuava a camminare.

Si fermò davanti ad un bar, entrò e si diresse verso il bancone.

Vi appoggiò i gomiti e aspettò qualcuno a cui ordinare: arrivò un ragazzo, di quelli che la mattina ricordano sempre di pettinarsi e di indossare il maglioncino stirato.

“Sì?” chiese a Naomi da dietro il banco e aveva un bel sorriso; probabilmente lavorava la domenica per guadagnare dei soldi per pagarsi l'università.

“Un cappuccino e una brioche.” disse lei.

“Crema, cioccolata o vuota?”

“Scegli tu.” rispose lei alzando le spalle.

“Okay.” rispose quello divertito.

Il bar era semivuoto: i tavolini di legno e le pareti rosate davano un particolare senso di tranquillità; un vecchio con il berretto rosso cominciò a sfogliare un giornale strizzando gli occhi da dietro le lenti.

Il ragazzo dietro il bancone le porse la sua ordinazione con espressione apparentemente noncurante, ma a Naomi non sfuggì la rigidità con cui si voltò, né come avesse leggermente sollevato l'angolo della bocca.

“Ti va di farmi compagnia? Tanto non mi sembra che ora tu abbia molto da fare.” chiese Naomi indicando un tavolino.

Le guance del ragazzo si colorarono di rosa e nascondendo un'espressione compiaciuta annuì dicendo: “Va bene.”

Si sedettero l'uno di fronte all'altra; Naomi strappò con l'indice e il medio un pezzo della brioche e se lo portò alla bocca.

“Speriamo che non si metta a piovere.” disse lui.

“Già.” concordò lei nascondendo un sorriso divertito nella tazza di cappuccino.

“Perché ti fa ridere?”

Naomi alzò le spalle: “Perché lavori qui?”

“Devo pagarmi gli studi.”

“Lo sospettavo.” commentò lei finendo di bere.

Allora si alzò e si diresse verso il banco seguita dal ragazzo.

“Quant'è?” chiese.

“Ti faccio il conto.” disse lui in risposta.

Naomi annuì, poi rise, azzerò la distanza tra loro e lo baciò.

“Potremmo vederci qualche volta.” gli disse quando si lasciarono.

“Okay.” disse lui stranito.

Lei si allontanò e si diresse verso l'uscita.

“Quando?” chiese lui avanzando di qualche passo.

“Oh...” lei scrollò le spalle “Ripasserò.”

Il ragazzo la seguì con lo sguardo ancora incredulo, poi si rimise a lavorare e allora ogni tanto sorrideva ai bicchieri vuoti.

Dopo qualche minuto si portò una mano alla fronte: quella ragazza non aveva pagato.

Il vecchietto dal berretto rosso sospirò e lo guardò scuotendo la testa.


Naomi intanto era lontana, stava costeggiando la piazza, quando ad un tratto un bambino le sbatté contro le gambe.

“Scusa!” esclamò quello correndo subito via.

Lei sorrise mentre all'angolo tra un negozio di scarpe e una libreria un uomo, poggiato a terra il cappello, cominciava a suonare la fisarmonica.

Benché ci fosse vento, benché a casa nessuno la stesse aspettando, Naomi si sentì felice.

Forse era la sensazione di libertà, quell'essere ovunque e da nessuna parte allo stesso tempo, o sentire il sangue sotto la pelle perché era viva.

Alzò lo sguardo: mai aveva notato quanto fosse azzurro il cielo.


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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12


( 1 ANNO DOPO)



PDV EMMA



“Andiamo in spiaggia domani?”

“Okay.” acconsentii mentre mia cugina Chiara si esibiva in una specie di danza celtica per la contentezza.

Avrei trascorso le seguenti due settimane a casa di mia zia come del resto ero solita fare tutte le estati: mia cugina aveva la mia stessa età e insieme ci eravamo sempre trovate bene.

“Partiamo la mattina presto?” chiese.

“Mm..” mugugnai “mi hai appena ucciso.”

“Smettila...basterà alzarsi verso le otto...tanto in un quarto d'ora saremo là.” rettificò lei subito dopo.

“Okay, va già meglio.” approvai ridendo.

“Rimaniamo là la sera? Stiamo a casa di una mia amica. Che ne dici?”

“Non saprei..” tentennai. “Non la conosco e non vorrei essere un impiccio...”

“Ma lei ha detto che ti conosce! Si chiama Marika...e comunque ci ha invitate lei, quindi non credo sia affatto un problema la tua presenza.”

Spalancai la bocca interdetta: “Marika con i capelli biondi...mezza altezza...parla molto...?”

“Sì, proprio lei.”

“Ah...sì per me va bene.” acconsentii al piano ancora un po' incredula.

In fondo era felice di rivederla, mi dispiaceva di aver perso i contatti con tutti, magari ci sarebbe stato anche Giorgio...e Valeria. Aggiunse una vocina nella mia testa.

“Non...non so però se mi va di restare lì a dormire. Dobbiamo proprio andare al mare?” chiesi di getto.

“Eh?” chiese mia cugina perplessa.

“Mi...mi fa mal la testa.”

“Stai scherzando?”

Aprii e richiusi la bocca rendendomi conto di quanto mi stessi comportando in modo infantile e sospirai: “Sì, scusa lascia perdere. Va benissimo se domani andiamo.”

Chiara batté le mani e mi abbracciò.


* * *


Ci sedemmo sulla sabbia sotto l'ombrellone e mia cugina Chiara prese i panini dalla borsa.

“Ancora non riesco a credere che ci siamo riviste...il mondo è piccolo per davvero...vi va di andare a prendere un gelato dopo? Non saprei che gusti scegliere...cioccolato o fragola? Ma il pistacchio...E comunque avete visto quella bici?” Marika prese un attimo fiato e ricominciò a parlare “Se no anche stracciatella...chi può avere inventato un nome del genere per un gusto del gelato? Guardate quel ragazzo...quello a destra...no! Non tutti insieme, o se ne accorgerà...okay, fa niente...che figura di merda.”

Quella ragazza non aveva ancora smesso di parlare da quando eravamo arrivati, stentavo davvero a credere che fosse possibile.

Addentai un panino e lo sguardo mi cadde su Giorgio stravaccato sul telo alla mia sinistra: era cambiato moltissimo nell'ultimo anno, si era alzato, diceva meno battute, e alzava troppo spesso le sopracciglia.

L'aria fresca del mare si mescolava al calore del sole e tentava invano di raffreddare la sabbia bollente.

“Poi sei stato a Roma con Valeria?” chiese Marika a Giorgio.

“Sì, ma ormai ho deciso che non andrò mai più da nessuna parte con lei” affermò lui convinto.

“Ma perché? Lo dici sempre, ma alla fine ripartite sempre...”

“Saresti dovuta venire anche tu.” la rimproverò lui.

“La prossima volta.” promise Marika “E smettila di fare quella faccia, neanche ti avesse costretto a uscire di notte da una finestra.” lo prese in giro lei.

“Eh...scommettiamo?”

Marika spalancò gli occhi e scoppiò a ridere.

Risi a mia volta vedendo la faccia di Giorgio; a quanto pare Valeria non sarebbe venuta quel pomeriggio e mi ero imposta di non chiedere se sarebbe venuta più tardi.

In realtà ero contenta che non ci fosse, forse più sollevata che contenta, ma mi andava bene così, non volevo che arrivasse.

Ci sdraiammo sugli asciugamani e lasciammo che il sole ci scaldasse la pelle e le ossa.

Ad un tratto Giorgio si alzò in piedi e propose: “Chi mi accompagna sugli scogli?”

“Io no.” bisbigliò Marika “Mi sto per addormentare e non ne ho la forza.”

Chiara non rispose e Giorgio fece una smorfia deluso.

“Vengo io.” dissi allora alzandomi “Tanto non mi piace un granché prendere il sole.”

Il suo viso si illuminò: “Ottimo. Allora facciamo una camminata fino a quelli là in fondo.”

Ci incamminammo in silenzio: mi piaceva sentire solo lo sciabordare del mare e l'acqua fredda che sfiorava i piedi scalzi

Ogni tanto avevo preso l'abitudine di concentrarmi su poche cose attorno a me estraniandomi da tutte le altre per rendere reali solo quelle che volevo.

“Cosa ne pensi delle balene che si arenano sulla spiaggia?” chiese all'improvviso Giorgio.

“Eh?” mi riscossi sorpresa “Cioè...non so...mi spiace per loro...?”

“Scherzavo.” rise lui “Cercavo un argomento di conversazione e non so di cosa ti interessi, ma credo di aver sbagliato campo!” spiegò.

“Cosa ti piace fare nel tempo libero?” mi chiese subito dopo.

“Non saprei...leggo o guardo la tv...vado a camminare...” dissi “tu?”

“Più o meno anch'io.” rispose “Ma in più suono la chitarra.”

“Bello!” esclamai.

“In realtà non sono per niente bravo...”

“Ma smettila...” lo presi in giro “Anche Marika suona?”

“No, lei no, ma Valeria suona il piano, lo sapevi?”

“No.” risposi.

“Ma vi sarete sicuramente riviste da quella gita in montagna, è anche molto brava, pensavo te ne avesse parlato.”

“Non ci siamo riviste...”

Lui aggrottò la fronte: “Ah..ok, scusa, è che dopo che siamo tornati da quella gita Valeria ti ha nominato tante volte per tanto tempo...non ne potevo più! Per questo avevo pensato così, ma mi sono sbagliato, fa niente...” spiegò.

“Ah okay.” cercai di sorridere.

Arrivammo agli scogli e Giorgio mi precedette nel salire sul primo, avanzammo per qualche metro, poi ci sedemmo immergendo i piedi nell'acqua.


* * *


PDV VALERIA


Avevo passato un paio di giorni in tenda con un gruppo di amici e ora sarei rimasta da Marika per un po' mentre loro se ne sarebbero tornati a casa.

Arrivai in spiaggia quando ormai la maggior parte delle persone se ne era andata e in pochi erano rimasti a guardare il cielo tingersi di rosa e il sole affogare nel mare. E' quasi doloroso il modo in cui il sole tramonta, lento ed inesorabile.

Riconobbi Marika e Giorgio in riva al mare, assieme a quelli che dovevano essere Carlo e Marco, c'erano poi altre due ragazze che non mi sembrava di conoscere.

Marka era seduta sulla sabbia bagnata e guardava gli altri giocare a palla.

La raggiunsi: “Ehi!”

“Ciao!” esclamò lei alzandosi e abbracciandomi con un enorme sorriso “Gio! E' arrivata la luce della tua giornata!” aggiunse rivolta all'amico.

Allora gli altri si accorsero della mia presenza e interruppero la partita per salutarmi.

“Mi dicono che ti sei degnata di raggiungerci.” commentò Marco.

“A me dicono che più che divertente sei logorroico.” lo presi in giro io.

Lui rise facendomi una smorfia.

“Io sono Chiara.” disse una ragazza dai capelli rossi e mossi stringendomi la mano “La cugina di Emma.”

Per un attimo non riuscii a capire di chi stesse parlando, poi volsi lo sguardo verso destra all'altra ragazza che non avevo ancora salutato e riconobbi stupita la ragazza di quella gita d diversi mesi fa.

Quella arrossendo sorrise: “Ciao.”

“Ciao.” risposi.

“Come mai siete qui?” chiesi stupita.

“Chiara è un'amica di Marika e io e Chiara siamo cugine.” spiegò lei.

“E perché se no?” rise Marika “Piccolo il mondo vero?”

Alzai le spalle cercando di sembrare divertita o almeno o un po' più disinvolta.

Non mi sarei mai aspettata di rivederla; non era cambiata molto, aveva gli stessi capelli ondulati, gli stessi occhi scuri, ma c'era qualcosa di diverso.

Subito non riuscii a cogliere cosa fosse, poi capii: era più disinvolta, era come aver di fronte un'estranea; non che potessi dire di averla davvero conosciuta, ma avevo creduto di aver capito qualcosa di lei.

Non mi rivolse quasi la parola, eppure con gli altri rideva e scherzava, sentivo la sua ostilità quasi come elettricità nell'aria e ne ero inspiegabilmente ferita.



Ciao a tutti, scusate tantissimo per il ritardo. Cosa ne pensate? Io sono tanto contenta che si siano ritrovate, ma sono ancora indecisa su cosa far succedere nel prossimo capitolo...se qualcuno ha qualche suggerimento sappiate che sono molto ben accetti ahah

Un bacio e a presto,

sam

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13


Sei incinta.”

Ma come...io non ho un ragazzo, non...” balbettavo guardando allo specchio quanto fosse cresciuta la mia pancia.

Tutto attorno a me fu nebbia e la scena cambiò: una bambina dai riccioli castani giocava poco distante da me; qualcosa mi diceva che fosse mia figlia, eppure non la conoscevo.

All'improvviso inciampò e la presi appena prima che cadesse a terra: non volevo che le accadesse nulla.

Ma ecco che la scena cambiava di nuovo: ora la bambina mi guardava con gli occhi lucidi ed era evidente che stesse soffrendo.

Volevo aiutarla ma era evidente che non ero in grado, non sapevo cosa avesse e quindi neanche cosa fare.

Ed il tempo passava: anni o giorni non aveva importanza.

Brillava un sole strano, una luce troppo chiara, e seppi che la bambina era morta.

Nel momento in cui lo seppi, compresi anche che era colpa mia, perché non ero stata capace di aiutarla.



La scena cambiò di nuovo: ero su un divano dal tessuto azzurro tenue, accanto a me c'era una ragazza che non avevo mai visto, ma qualcosa mi diceva che stavamo insieme e che ero perdutamente innamorata di lei.

Lei mi baciò con gli occhi che sembravano sorridere ed io sentii di essere felice, le sue mani mi accarezzarono la schiena e lei mie dita si infilarono tra i suoi capelli mentre lentamente perdevo cognizione di ciò che stava attorno.

Ad un tratto sentii un singhiozzo.

Mi stupii non capendo da dove venisse: allora mi accorsi che era quella ragazza a piangere.

Va tutto bene...” balbettò la me del sogno abbracciandola spaventata.

Ma lei mi scacciò via: “No, è tutto orribile...” singhiozzò ancora.

Compresi che si riferiva a noi due e le mani cominciarono a tremarmi.

Ma non devi pensarla così...ci sono tante altre persone che...”

Ma lei non mi ascoltava e non potevo fare nulla; una punta cominciò a perforarmi il petto, allora annaspai cercando di non soffocare.



Mi svegliai, sbattei le palpebre più volte mettendo a fuoco la stanza attorno a me.

Richiusi gli occhi e sospirai, mi alzai.

Uscii dalla cucina a prendere un bicchiere d'acqua: guardai le varie mensole, poi storsi la bocca e optai per bere direttamente dal lavandino.

Ero a casa di Marika e non erano ancora le otto: la cucina era immersa nella penombra, sul tavolo filtravano degli spiragli di luce delle tapparelle, e i mobili tutt'attorno e i mobili tutt'attorno sembravano addormentati come tutti gli altri nella casa.

Tornai in camera e mi sdraiai sul mio materassino, attenta a non svegliare gli altri.

Mi girai di lato e chiusi gli occhi, ma ormai mi ero svegliata ed era inutile cercare di dormire di nuovo.

Quando ero piccola le stanze buie e quel silenzio surreale mi spaventavano, era così strano il modo in cui il tempo sembrava fermarsi.

Il mio sguardo cadde su Valeria che dormiva poco più in là: si era fatta crescere i capelli, ora le arrivavano alle spalle.

Non le avevo quasi rivolto la parola, ogni volta che pensavo di farlo mi sentivo a disagio, non avrei saputo dire se più per rabbia o per timore; era come se l'odiassi per l'effetto che ancora mi faceva.

Mi sentivo stupida: era come se in tutti quegli anni mi fossi costruita un piedistallo, bianco, candido. Standovi sopra non mi sarebbe potuto accadere nulla, e ammettere di essere attratta da lei sarebbe stato come prendere una palla da demolizione e rotolare via.

Valeria aprì gli occhi e i nostri sguardi si incrociarono; subito parve sorpresa, poi sorrise.

Fu come se il pezzo di ghiaccio che avevo nel petto avesse cominciato a sciogliersi ed era una sensazione bellissima.

“Hai già fatto colazione?” sussurrò.

“No.” risposi.

“Allora andiamo, ho fame.” disse e si alzò.

Aprì con cautela la porta della camera e mi fece cenno di seguirla.

“Biscotti e fette biscottate?” chiese una volta in cucina aprendo la credenza.

“Sai dove sono tutte le cose.” notai.

“Sono già stata qui altre volte.” spiegò.

Mise tutto sul tavolo, si sedette e io mi sistemai sull'altra sedia di fronte a lei.

Valeria aveva posizionato il davanti delle varie confezioni nella stessa direzione.

Avrei voluto chiederle come mai fosse così ordinata, come mai stesse torturando con le dita i tovagliolo, perché fosse così nervosa, se si ricordasse chi fossi, o ormai sapesse a stento il mio nome.

Mi morsi il labbro inferiore e presi un biscotto.

“E' da tanto che non ci vediamo.” disse togliendosi l'anello e giocandoci.

“Sì, sono passati quasi due anni.” aggiunsi.

Lei rise: “Assurdo non trovi?”

“Cosa?”

“Che ci siamo rincontrate”

“Sì, è vero.” concordai.

Lei si versò il latte nella tazza e mi sorrise.

Io arrossii e presi la marmellata.

“C'è troppo scuro.” disse dirigendosi verso la tapparella e alzandola “Ti va di fare una passeggiata intanto che gli altri dormono?”

“Ehm...sì okay.” risposi distogliendo lo sguardo dai suoi occhi che per un attimo mi erano parsi brillare per la luce del sole.

“Sai dove sono le chiavi?” chiesi.

Lei alzò le spalle: “Usciamo dalla finestra...tanto siamo al piano terra.”

“Non sei proprio cambiata, eh?” risi senza riuscire a trattenermi.

“Mi sa di no...”

Aprii le ante e facendo forza sulla braccia salii sul davanzale per poi sedermi con le gambe a penzoloni e lasciarmi cadere.

Valeria fece lo stesso dopo di me.

Fu come ritrovare una vecchia amica e con l'incomprensibile desiderio di voler affidare la propria anima ad un'estranea lasciai che mi parlasse e risposi alle sue domande.

Non che avessi una particolare ragione per fidarmi di lei, ma sentivo il bisogno di capirla, e per conoscere qualcosa di più di lei, dovevo condividere qualcosa di mio.

Girammo a caso per il quartiere per una ventina di minuti, poi Valeria disse: “Prendiamo la bici che ho lasciato nel cortile? Potremmo andare in spiaggia.”

“Va bene.” concordai.

Lei aprì il cancello, montò sulla bicicletta appoggiata al muro e mi raggiunse.

Io salii sul portapacchi e dopo qualche sbandamento partimmo mentre le ruote producevano un sono vivo e irregolare sull'asfalto sconnesso.

L'aria calda del mattino sembrava accarezzarci il viso mescolandosi al profumo di panetteria, dei pini e del sole.

La vita allora mi sembrò improvvisamente semplice, intravedevo la soluzione dell'equazione e non sarei mai voluta scendere.

Appoggiai la fronte sulla schiena di Valeria e chiusi gli occhi: ero come immersa nel torpore, le avrei svelato la mia anima se solo me lo avesse chiesto.

Lei allora frenò e mi riscossi.

Il mare che rifletteva il cielo era di un azzurro incantevole; Valeria legò la bici con il lucchetto e si tolse le scarpe.

La imitai e incespicando sulla sabbia non ancora calda raggiungemmo l'acqua.

“E' fredda.” dissi quando un'onda mi bagnò i piedi.

“Cos'hai fatto di bello quest'anno?”

“Non saprei...tu?” risposi.

Valeria alzò le spalle: “Un po' di tutto...ho anche assaggiato un gelato alla zucca.”

“Allora hai vinto tu.” risi.

Dopo un po' di silenzio Valeria aggiunse: “Ti ho pensato sai?”

Trattenni il respiro mentre il mio cuore accelerava.

Vedendo che non rispondevo lei cambiò discorso:Camminiamo un po'? Magari cerchiamo di non tornare troppo tardi o si chiederanno dove siamo...Sai che Giorgio...”

“Anch'io ti ho pensato.” la interruppi.

Sentivo la gola stretta, inspirai cercando di calmarmi. Mi costava davvero così tanto ammetterlo? Mi sentii patetica.

“Comunque sì, potremmo arrivare fino là in fondo e poi tornare indietro...non ci metteremmo molto.” continuai senza sapere bene cosa stessi dicendo.

“Scusa.”

“Per cosa?” chiesi fissando il suolo.

“Per non essermi più fatta sentire.”

Ci incamminammo.

“Neanch'io ti ho chiamata.”mi stupii di me stessa sentendo la rabbia che avevo riposto in quelle parole: perché avrei dovuto ferirla? Forse perché non volevo essere la vittima?

“Allora entrambe non ci siamo pensate abbastanza.” disse lei incrociando lo sguardo con il mio.

“Pare di no.” sussurrai sentendomi morire.

Continuammo un po' la strada in silenzio, poi la sua mano cercò la mia e deglutii a vuoto.

“Preferisci il mare o la montagna?” chiesi.

“Mare. Tu?”

“Montagna. Come mai il mare?”

“Non saprei...credo sia perché l'acqua sembra non finire mai...un po' come se dicesse fermati sei arrivato.” Spiegò ridendo.

“Non avevo mai pensato a quest'aspetto.”ammisi voltandomi verso l'acqua. “Giorgio mi ha detto che suoni.” aggiunsi poco dopo.

“Ah sì...” rispose. Sembrava la imbarazzasse parlarne: un po' come se facesse parte di quelle cose personali che se espresse ad alta voce rischiano di diventare semplicemente banali.

Allora non chiesi altro “sarà ormai ora di tornare.” dissi.

Tornammo alla bici, ma prendendo dalla tasca il lucchetto fece cadere a terra il telefono.

Sbuffò e mentre mi chinavo per raccoglierlo lei fece lo stesso.

“Scusa...” dissi accorgendomene, mi rialzai e allora la voce mi morì in gola vedendo quanto fossi vicina alle sue labbra.

Lei mise un braccio attorno alla mia vita, ma io mi allontanai di scatto e scossi la testa: “Non ha senso...” balbettai “Ci perderemmo di vista comunque.”

Dalla sua espressione capii che non si aspettava questa mia reazione.

“Scusa...” mi voltai e mi allontanai.

La nausea era reale o solo nella mia testa? Mi odiavo, non riuscivo a far nulla senza che si incastrasse in una logica ferrea, oppure finivo per dire di sì a tutto, a caso, quasi per pigrizia.

Ed ora avevo posto un no.

Ricacciai indietro le lacrime e cercai di soffocare quella fottutissima domanda: perché?



Scusate tantissimo per il ritardo, ma ho avuto moltissime verifiche nell'ultimo periodo e non sono riuscita ad aggiornare...

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi prometto che nel prossimo finalmente risolveranno ogni incomprensione.

Inoltre ho finito di scrivere a carta la storia (sigh) quindi dovrei aggiornare gli ultimi capitoli con un po' più di regolarità.

A presto, baci,

sam

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


CAPITOLO 14


E' tutto il giorno che sei silenziosa, qualcosa non va?” Giorgio si sedette accanto a me sui gradini davanti a casa. L'erba e i fiori del giardini stavano diventando scuri assieme al cielo.

No, va tutto bene.” gli sorrisi.

E' la stessa cosa che ha detto anche Valeria.” rispose lui.

Deglutii a vuoto.

Ti va di parlarne?”

Sospirai mentre il cuore accelerava “Io...cioè...ecco...” ma le parole mi si bloccarono in gola. Allora scossi la testa e rimasi in silenzio.

Abbiamo tempo. Tanto gli altri devono ancora tutti fare la doccia..” constatò lui incrociando le gambe e sorridendomi.

Mi scappò una risata nervosa mentre mi rendevo conto di quanto fosse assurda la situazione e io incapace di fare nulla. “In realtà è una cosa molto stupida.” dissi.

Lui aggrottò la fronte.

Sospirai: “Mi piacciono le ragazze.” lo dissi di getto e restai senza respirare per qualche secondo.

Beh...non mi aspettavo questa confessione, ma ti trovo sempre più interessante, sai?” e vedendo la mia espressione ancora contratta in una smorfia aggiunse: “Ok, e invece il problema qual è?”

E'...è quello il problema.” balbettai senza capire.

Posso supporre che c'entri Valeria?” aggiunse Giorgio mentre sul suo viso si apriva un sorriso provocatorio.

Sbuffai prendendomi la testa fra le mani, mentre lui cominciava a parlare di quanto saremmo state bene insieme e di come non vedesse l'ora che succedesse.

Ehi...” mi disse fermandosi e vedendo una lacrima rigarmi la guancia.

E' che è tutto così complicato...”

No, non lo è.” cercò di rassicurarmi lui.

Le ho appena fatto capire che non potrà mai accadere nulla tra di noi...e...e anche se so che è giusto così...”

Stop, stop. Perché giusto così? Riavvolgi il nastro. Conosco Vale da una vita, e sì, può essere strana, ma questo non è necessariamente un difetto.”

Ma non è lei il problema, Giorgio...Sono io. Hai presente cosa mi si para davanti?”

Lui rimase in silenzio aspettando che continuassi.

Se mi mettessi davvero con...con lei, allora dovrei ammettere di essere come sono, e anche se può sembrarti infantile, faccio davvero fatica. Nel mio futuro avevo sempre immaginato una famiglia...dei figli...e poi come posso fare per dirlo ai miei genitori? E poi tutte le altre persone che forse non saranno mai in grado di prendermi sul serio...”

Sei un po' tragica, Emma.” tentò di dire lui “Stai esagerando giusto un pochino...”

Non è il fatto di essere attratta dalle ragazze che mi spaventa, anzi quello mi sembra naturale, è una parte di me e non rieso neppure ad immaginarmi diversamente. Il problema è la vita che ne seguirà...il confronto con gli altri e...” mi sentivo un fiume in piena, si erano rotti gli argini e, dopo anni di silenzio, le parole uscivano senza che potessi fermarle.

Giorgiò allora mi abbracciò e per un attimo fui presa dall'istinto di scoppiare a piangere.

Non posso essere di grande aiuto, purtroppo, ma ti dirò le stesse cose che ho detto a Valeria qualche anno fa. Tu avrai una famiglia, potrai in ogni caso avere dei figli, e sarà una vera famiglia; inoltre i tuoi genitori vogliono il tuo bene e che tu sia felice, andrà tutto bene vedrai...E' vero che ci vuole coraggio ad essere diversi, ma la diversità è una cosa bella, dipende tutto da come la guardi.”

Risi ricambiando l'abbraccio e tirando su con il naso, neanche avessi tre anni.

E dato che ora sono il filosofo della situazione: vai da Valeria, ti piace? Diglielo. Non sai neppure quello che può succedere domani...il mondo è così grande e noi così piccoli, che è veramente stupido farsi certi problemi...”

Appoggiai la testa alla sua spalla: “Grazie.” sussurrai.

Nel frattempo il sole era completamente calato, si era acceso qualche lampione; mi chiesi perché prima non avessi fatto caso al frinire delle cicale.


* * *


Valeria evitò per tutta la sera il mio sguardo e, benché avessi le migliori intenzioni del mondo, feci lo stesso anch'io. Mi sentivo divisa tra mille parti contrastanti che volevano tutte una cosa diversa e non riuscivo ad ascoltarne nessuna. Allora mi immaginavo di essere composta da miliardi di elettroni che seguivano tutti un percorso diverso e rabbrividendo pensavo a come la loro orbita potesse spezzarsi, loro sparire e io con essi.

Andiamo in spiaggia?” chiese Marika.

In spiaggia di notte? Non ti credevo così trasgressiva.” la prese in giro Giorgio.

Prendiamo le bici?” chiese Marco, uno dei gemelli.

Ma non le abbiamo per tutti...” fece notare Marika.

Non c'è problema.” dissi “ Io e Valeria vi raggiungiamo a piedi.” non so come trovai il coraggio di dire una cosa del genere: tutti si voltarono e fui grata che fosse buio.

Lo sguardo di Valeria mi perforò la nuca e, dopo quache secondo, disse: “Ok, arriveremo in pochi minuti.”

Giorgio mi fece un cenno divertito, e andò in garage a prendere la sua bici.

Quando se ne furono tutti andati, Valeria disse: “Non ti credevo una fanatica della camminata.” era ironica? Arrabbiata?

Scossi la testa: “Devo parlarti...”

Non mi risulta che abbiamo molto da dire.”

Non molto, ma qualcosa sì.” cercai di sorridere mentre tentavo di nascondere il tremore alle mani.

Lei sospirò: “Ok, anch'io ho qualcosa da dire.”

Al suo tono, ora più pacato, ripresi a respirare.

Ci incamminammo: “Non so da dove partire.” ammisi nervosa.

Vale rise: “Da dove vuoi.”

Ma tu non fermarmi, ok? Oppure non riuscirò più a dire nulla.”

Sono muta come un pesce.”

Sorrisi e incominciai a raccontare, e non credevo avrei avuto così tante cose da dire, ma lei asoltava e le parole uscivano leggere dalla mia bocca prima ancora che si formulassero nella mia mente.

Quando finii, cominciò lei a parlare, e i minuti trascorsero veloci, quanto le auto e le biciclette che ci passavano accanto. Poi ci trovammo entrambe a ridere e corremmo per raggiungere gli altri che ormai si dovevano star chiedendo dove fossimo finite.

Ci fermammo per riprendere fiato una volta alla fine del viale: intravidi Giorgio, Marika e Marco al limitare dell'acqua e mi voltai verso Valeria per dirglielo.

Mi ritrovai ad incrociare il suo sguardo, e pensai che non erano semplici occhi scuri, ma che c'era così tanto dietro le pupille.

Mi baciò e io negai alla mia mente di porsi alcun domanda, quella mi ascoltò e si spense. Era così dolce lo sciabordare del mare.



Ciao a tutti,

scusate se aggiorno questa storia inserendo l'ultimo capitolo solo adesso, anche se era già pronto anni fa. Spero davvero che la storia vi sia piaciuta, se vi va lasciatemi un commento, mi farebbe molto piacere avere un riscontro. Se vi interessa darci un'occhiata ho appena iniziato un'altra storia sempre su questo profilo.

A presto e baci,

Sam

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