Just a second of summer

di A Swiftie Life
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The beginning of the end. ***
Capitolo 2: *** We're in Miami, bitch. ***
Capitolo 3: *** Wet t-shirts. ***
Capitolo 4: *** Wrong dreams, wrong people. ***
Capitolo 5: *** Free house. ***
Capitolo 6: *** Fire on the beach. ***
Capitolo 7: *** He didn't kiss me. ***
Capitolo 8: *** Tequila and... ***
Capitolo 9: *** In the same bed. ***
Capitolo 10: *** Shopping with Luke. ***
Capitolo 11: *** Where's Kate? ***
Capitolo 12: *** "You're beautiful". ***
Capitolo 13: *** So human. ***
Capitolo 14: *** We look such cool kidz with our shoes off. ***
Capitolo 15: *** With a smile on my lips. ***
Capitolo 16: *** Hanging out in South Beach. ***
Capitolo 17: *** Seth and the changeable type of human evolution. ***



Capitolo 1
*** The beginning of the end. ***





1° capitolo

 

The beginning of the end.

 

 

Aprii svogliatamente gli occhi. Alcuni raggi tenui erano filtrati dalle tende rosso vermiglio della mia camera. Sollevai leggermente il busto per afferrare la sveglia dal comodino e controllare l'ora. Erano le 7.30 a.m. del 13 giugno. Strabuzzai gli occhi. 13 giugno?! Lanciai la sveglia, che ovviamente finì per terra in mille pezzi, urlando. Scalciai le lenzuola dal letto per liberare le mie gambe dalla loro presa e caddero a terra stropicciandosi. Mamma mi avrebbe uccisa, ma poco mi importava. Era il 13 giugno! Il giorno della liberazione, il giorno degli studenti: la fine della scuola. Con gli occhi a cuoricino mi diressi verso il bagno, a metà tra il saltellando e l'urlando. Mi lavai e truccai a velocità record. Potevo considerarlo l'unico giorno in cui non avevo fatto tardi. Spalancai le ante dell'armadio per scegliere cosa indossare: avrei dovuto fare shopping per l'estate. Afferrai una gonna a vita alta nera (semplice, leggermente a campana), e l'abbinai ad una canotta bianca da infilare dentro. Converse bianche e via. Indossato il tutto mi precipitai in cucina dove mamma era già alle prese con i pancakes; un odore invitante di sciroppo d'acero si insinuò nelle mie narici. Con mia grande sorpresa trovai a tavola già mio padre intento a leggere il suo giornale e quell'imbecille di mio fratello che mangiava come un maiale dei cupcakes al cioccolato. Mi accigliai sull'uscio. 
«Oh, Charlie, sei già in piedi!» commentò la sgargiante bionda nel suo grembiule da cucina, mamma. Allison Clifford era di fronte a me e mi guardava sorridente, come tutti i giorni. Trascinai la sedia all'indietro irritandomi da sola per il rumore provocato dai piedi in legno e mi sedetti molto elegantemente. Ovvero stravaccandomi sull'isolotto della cucina e afferrando un biscotto dalla ciotola. Mio fratello mi fissava. 
«Che ti guardi, Michael?» ringhiai a bocca piena. Michael Clifford era il fratello più rincitrullito, colorato e pervertito del mondo. Non avevo ancora capito se l'essere nella camera affianco alla mia era un unicorno o un zoofilo. Forse era entrambi. Aveva i capelli scuri tinti alle punte di verde e un modo tutto suo di vestirsi. Mi stava ancora guardando a metà tra lo sconvolto e accigliato. Riprese a mangiare il suo cupcake in silenzio.
«Di buon umore anche l'ultimo giorno di scuola, Lottie?» commentò sarcasticamente mio padre non staccando gli occhi dal giornale e sorseggiando la sua tazza di thè. 
«Io ero felice prima di vedervi» sorrisi, falsa «e non chiamarmi Lottie». Sentii una sonora risata. Finalmente la mia dolce e comprensiva Allie portò in tavola le ciambelle e ci spruzzò sopra una dose esagerata di sciroppo d'acero, come piaceva a me.
«Tuo padre ha ragione, Charlie. Non sei contenta?» chiese con fare premuroso. Beh, si che lo ero. Come potevo non esserlo?.
«Lasciala perdere, Allison. Probabilmente non merita neppure la vacanza che io e i miei soldi le permettiamo di fare.» esordì Mr-ho-trovato-un-dollaro-per-terra. Alzai gli occhi al cielo.
«Oh, andiamo George. Michael e Charlie sono abbastanza grandi per una bella vacanza, e anche meritevoli» sorrise. Eh già, dopodomani mi aspettava l'inizio di una vacanza da sogno.
«Io credo che Miami sia troppo lontano per delle sedicenni esaltate» mia madre ridacchiò all'affermazione di papà. Insomma, Miami non era dietro l'angolo, ma sicuramente era un gran bel posto per una vacanza. Io, le mie amiche, e l'estate.
«Se permettete, io non sarei una sedicenne esaltata» chiarì Mikey portando il piatto dei cupcakes nel lavello. Ah, già, e lui. Sarebbe stato tutto decisamente troppo bello se si fosse trattato di tre mesi di relax esclusivamente con le mie amiche. Quindi, mi ero dovuta accollare anche lui, come se non bastasse. Ingoiai l'ultimo biscotto senza ascoltare il resto di quell'assurda conversazione; mi alzai dalla sedia e mandai un bacio volante ai miei genitori, salutandoli. 

 

«Charlie!» una pazza schizofrenica e sclerotica ragazza mi piombò alle spalle. Urlai nel corridoio della Pennsylvania High School pieno zeppo di ragazzi. Anche l'ultimo giorno di scuola dovevano correre per le lezioni?! Minchia che angoscia. Comunque, eravamo arrivate al punto dove quella deviata cronica di Kate mi si era gettata addosso facendomi quasi perdere l'equilibrio. E io che urlavo. Portai una mano sul cuore, sentendolo accelerare. 
«Minchia, Katherine, mi hai fatto prendere un colpo!» esclamai risultando alquanto stridula. La sua risata cristallina mi invase le orecchie; passò un braccio intorno al mio collo, abbracciandomi. Katherine Grey era la mia migliore amica dal primo anno di liceo, e quindi da tre anni. Era una ragazza splendida; aveva dei capelli castani lunghi fino alle spalle e due occhi grandi e scuri. Ricambiai l'abbraccio. Non volevo sembrare troppo incazzata o scontrosa, anche se non lo ero per niente. Semplicemente ero abituata. Chiusi gli occhi, inspirando il suo profumo alla fragola. Quando si staccò esibì un sorriso enorme. 
«Allora» iniziò «sei pronta per la vacanza più fica del mondo?» era eccessivamente euforica. In fondo, per lei non era una cosa nuova. Le cose stavano più o meno così: i genitori di Kate erano divorziati da un pezzo, ma essendo ricchi fino al midollo, avevano potuto darle tutto ciò che desiderava. Così, ogni estate lei andava da suo padre a Miami per trascorrere del tempo con lui, dato che viveva con sua madre. In pratica, ospitava me, Emily e Mikey in un'enorme villa a tre piani per circa tre mesi. Non stavo più nella pelle. 
«Kate, sono mesi che ripeti sempre la stessa cosa» la rimbeccai ridendo. Fece un gesto seccato con la mano, mentre entravamo in mensa. Riempì il suo vassoio di insalate varie, frutta e acqua. Feci una smorfia guardando il mio, pieno di cose non consigliabili per una dieta salutare. Kate era una patita dell'esercizio fisico e della dieta, anche se aveva la forma di un righello. 
«Diventerai verde a forza di mangiare lattuga, Kate» le dissi incolore addentando un sandwich al tonno. Mi lanciò un'occhiataccia.
«Per prima cosa sono vegetariana, secondo tengo molto alla mia linea» si giustificò, aprendo la bottiglietta dell'acqua. «E di certo non siamo tutte 'self-confident' come te, Charlotte» alzò le sopracciglia sorridendo maleficamente. Un pezzo di pollo mi stava per andare di traverso.
«Scusami?» chiesi tossendo. 
Ridacchiò. «Quello che volevo dire è che tu sei una persona molto sicura di te; non ti interessa apparire come gli altri vorrebbero, ma come tu vuoi apparire. Te ne freghi del tuo aspetto perché sai già di essere fantastica» concluse guardando dei chicchi d'uva nel suo vassoio. Aggrottai le sopracciglia. Era quello ciò che pensava di me?
«E' davvero questo quello che pensi?» diedi voce ai miei pensieri. 
«Oh sì, Lottie» commentò una voce diversa da quella della ragazza di fronte a me, dal nulla. Infatti la sua bocca non si era mossa. Girai il capo e vidi una Emily sorridente e vivace sedersi affianco a me prima di mordere una mela rossa. Che fossero fissate entrambe con la dieta? Ma no; Emily non era idiota come Kate. La bionda affianco a me poteva sembrare schizofrenica almeno quanto Kate, ma in realtà era tutto il contrario. Aveva dei capelli chiari color miele, due piccoli occhi verdi e un bel sorriso. Le piaceva rimanere al posto suo e non dar fastidio. Ovviamente l'ultima frase non includeva me. 
«Ciao Emily, sono contenta di essere la tua amica preferita» alzai gli occhi al cielo e continuai ad ingozzarmi, mentre le due si scambiavano osservazioni maligne sulla mia eccessiva sicurezza; ma andiamo. 
«Io credo che Kate abbia ragione; a volte sei narcisista, e sfacciata» disse ridendo. Era arrivato il momento delle confessioni? 
«Oh, si, Kate vuoi aggiungere qualcos'altro alla lista nera di questa bionda malefica? Magari vorrete anche dire che sono ninfomane?» alzai un sopracciglio.
Risero come due deficienti; Kate dava una visione esplicita del suo palato, mentre Emily si limitava a portare la mano davanti alla bocca, ottima decisione. 
«Ma tu sei ninfomane!» dissero in coro, facendomi quasi strozzare con il gelato alla vaniglia. Tossii convulsamente. Le guardai malissimo.
«Direi che può bastare. L'abbiamo ferita nell'orgoglio abbastanza da farle mettere il broncio per tutta l'estate»
Grazie, eh.

 






AAAAAAAALLLOHA BELE FACIULE.
Saaaalve, eccomi con un'altra storia fantastique (si come no). Stavolta ho deciso di farla sui 5sos, ovvero i 5 seconds of summer. E guardacaso il titolo della storia è simile. Allora, come prima cosa volevo dirvi che è solo il prologo, ovvero quello che sta succedendo all'inizio prima di iniziare la storia vera e propria. Secondo me questa FF vi piacerà. Poi, volevo vedere come andava, quindi non la continuerò subito, ma aspetterò qualche recensione per decidere se continuarla o no. Cos'altro? Ah si, è finita la scuola, yeeeee. Tutte promosse? Io si, lol. Ovviamente mi farebbe piacere se mi raccontaste dei vostri programmi per l'estate nelle recensioni, mi incuriosisco ouo. Bene, detto  questo ci vediamo bellezze! 

La vostra Au.
 

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Capitolo 2
*** We're in Miami, bitch. ***


2° capitolo

 

We're in Miami, bitch.

 

 

DUE GIORNI DOPO, IN AEROPORTO.

 

«Ce la fai, Charlie?» chiese Mikey fermandosi in mezzo al corridoio dell'aeroporto. Alzai la testa di scatto per scostare le lunghe ciocche di capelli corvini dagli occhi; sbuffai.
«C-ce la faccio b-benissssssssssimo, grazie!» biascicai cercando di trascinare quel leone marino obeso che avevo al posto di una valigia. Dannazione al trolley. Se avessi deciso di portare il bagaglio a mano sarebbe stato più semplice. Strattonai la valigia con forza e si decise a percorrere qualche millimetro senza dare fastidio. Ovviamente Kate stava già ridendo come una scrofa con Emily, in fondo al corridoio. Michael mi si avvicinò imprecando e prese di peso il mio pesantissimo bagaglio, lasciandomi in mano solo il beauty. 
«Sei un bravo fratello» esordii scompigliandogli i capelli. Mi sorrise scoprendo gli abbaglianti che aveva come denti. Mah. Non appena arrivammo alla reception per timbrare le carte d'imbarco, notai che le altre due erano già salite. Timbrammo velocemente e ci affrettammo per raggiungerle. Michael prese posto vicino a Kate e iniziarono a fare i cretini. Li guardai: erano migliori amici da sempre, e sembravano molto più fratello e sorella di quanto io sembrassi con Mikey. Emily mi aspettava sbracciandosi per farsi vedere. Mi sedetti gettando le mie stanche membra sul morbido sedile. Che la vacanza abbia inizio.  

 


«Wow» pronunciai a mezza bocca sull'uscio della casa. O meglio, reggia. Kate esibì un sorriso vittorioso e soddisfatto osservando le nostre facce stupite nel guardare la sua villa. 
«Venite» ci invitò. Passammo per il salotto enorme, con un televisore a schermo piatto, due divani ad 'L' e molto arioso. Cioè, sarebbe potuto benissimo essere un appartamento per due persone, quello. 
«Allora, io vado a preparare qualcosa da mettere sotto i denti. Ehm, fate come se foste a casa vostra. Ah, Michael, non metterti già in mutande perché mio padre sarà qui da un momento all'altro» sorrise sorniona la padrona di casa. Michael rise, mentre io ed Emily ci limitammo ad annuire e a dirigerci verso il lungo corridoio. A detta di Kate, c'erano tre camere da letto. Ma per non dividerci saremmo dovuti stare in un'unica camera. E questo implicava il russare di Michael in piena notte, le allegre conversazioni che Kate faceva nel sonno con dei 'personaggi famosi' e il respiro pesante di Emily. Ah, non sto più nella pelle. Sbuffai e aprii una porta a caso. Emily mi raggiunse, alzando un sopracciglio. La camera da letto era praticamente... boh, gigante? Di dimensioni impressionanti. I quattro letti ad una piazza e mezza erano sistemati ordinatamente, un enorme tappeto per terra, un fantastico portico fuori dal balcone e persino un bagno. La mia valigia si posò a terra. Guardai Emily allibita.
Questa si che è una vacanza.
Mi gettai sul letto vicino alla finestra cercando di non spaccare di già la testiera; sarebbe potuta costare più di me. 
Emily invece scelse il letto vicino l'armadio, e il più lontano dalla porta lo lasciammo per Kate. Sì, perché aveva paura di alzarsi nel sonno, aprire la porta e andarsene in giro per la città. Invece più lontano dalla porta avrebbe rinunciato al suo viaggio notturno 'inciampando in qualcosa'. Avevo rinunciato da un po' a capire la logica di Kate.
Vidi la bionda alzarsi e tirare le tende dal vetro sottile, rivelando il mare e la spiaggia. 
«E' fantastico, Charlie!» esclamò voltandosi verso di me con gli occhi che brillavano. Sembrava una bambina in un negozio di bambole. Mi alzai per osservare il mare con lei.
«E' pronto!» sentimmo urlare dal piano inferiore. Ci precipitammo in cucina correndo come due sceme, e atterrammo sugli sgabelli vicini all'isolotto. Quando adocchiai ciò che Kate aveva preparato rimasi schifata. Frullato di frutta e qualche fetta di mela. Bleah. 
«Oh oh. Sembra che qualcuno non gradisca il benessere» ridacchiò la castana sedendosi vicino a Michael, che si stava già rimpinzando. Allontanai il frullato alla banana da me.
«Non c'è per caso della cioccolata?» chiesi ignorando l'affermazione di Kate. Lei rise. 
«Dovrebbe esserci una tavoletta in credenza» indicò il ripiano in alto, vicino i fornelli. Mi alzai in punta di piedi per acchiappare la cioccolata, ovvero la mia merenda, e per poco non caddi. Strappai velocemente la carta e misi in bocca 5 cubetti. Gli altri mi guardarono scandalizzati.
«Cosfa c'è?» chiesi a bocca piena alzando le spalle con fare innocente. Michael mi guardò con disapprovazione: «Sai, credo che una volta ogni tanto potresti evitare di mangiare cioccolata o altre schifezze» alzò un sopracciglio. Scoppiai a ridere sinceramente divertita.
«Stai scherzando, vero?» scosse la testa.
«Mi chiedo ancora come fai a non pesare 900 kg» commentò Emily bevendo un po' di frullato alla pesca. Me lo chiedevo anche io.
Kate batté le mani per tirarci fuori da quell'argomento ostile.
«Che ne dite di andarcene un po' in spiaggia?» chiese esaltata. Tutti annuimmo vivacemente. 
«Ah, Mikey! Prima che me ne dimentichi, ho chiesto ad Ash di venire a trovarci in spiaggia; quindi non sparire subito dietro la prima bagnina che vedi» lo mise in guardia lei cercando di rimanere seria. Ash? E questo chi diavolo era?
«Ash chi?» mi precedette Emily addentando l'ultimo pezzo di frutta del suo piatto. 
«Oh, un amico con cui passo l'estate quando sono qui. Mikey lo conosce perché sono andati ad un corso di calcetto insieme qualche anno fa, in Pennsylvania» sorrise la castana. Mio fratello aveva un amico che io non conoscevo? Lo guardai stranita e lui mi fece le spallucce. 
Comunque, decisi di non pensarci più di tanto e andai subito a cambiarmi.
Infilai il mio costume azzurro, che a detta mia si intonava col colore degli occhi. Emily aveva ragione, ero narcisista. Scossi la testa; indossai un paio di shorts e presi la borsa da mare con dentro il telo, la crema solare e una rivista di Vogue. C'era Taylor Swift sulla copertina, non potevo non comprarlo. 
«Siete pronte?», dopo dieci minuti Michael si affacciò dalla nostra camera con un paio di occhiali da sole sulla testa e della crema solare sul naso. Scoppiai a ridere quando lo vidi. Mi avvicinai e spalmai meglio la crema sul viso. «Molla, Charlie!» si lagnò ridendo. Gli tirai un pizzicotto.
«Sei un fratellino adorabile, Mikey» strabuzzò gli occhi. «Sei sicura di non aver mangiato nient'altro che la cioccolata?»
Gli mollai una sberla sul braccio. Ma guarda tu questo piccolo infame.
«Ci diamo una mossa?» chiese Kate dal soggiorno accompagnata dalla bionda. Uscimmo di casa e chiusi la porta dietro le mie spalle. 

 

«Brutto deficiente di un fratello barra pony colorato!» strillai dopo che quel coglione di Michael mi aveva buttata in acqua completamente vestita. Non avevo avuto neanche il tempo di poggiare la borsa, che quei tre avevano cospirato contro di me per prendermi di peso e gettarmi nell'acqua, per fortuna calda. E la cosa che mi istigava al nazismo era che stavano lì a ridere invece che aiutarmi a togliere qualche alga dai capelli. Kate era finita sulla sabbia bollente ed era diventata tutta rossa, talmente rideva. Mikey stava dando spettacolo tirando pugni sul suolo e ridendo nel contempo. Emily era l'unica anima pia che, sempre ridacchiando, mi stava aiutando ad alzarmi. Ah, maledetti ricchioncelli. Con eleganza e facendo finta di niente mi alzai, scrollando dai capelli l'acqua salata. Inspira ed espira. Raggiunsi il bagnasciuga e, prima che riuscissi a togliere di dosso i pantaloncini ormai zuppi, sentii la voce squillante di Kate salutare qualcuno. 
«Ciao!» mi voltai, intravedendo la mia migliore amica saltare addosso a qualcuno come un koala drogato. 
«Kate! Sono felicissimo di vederti!» diceva questo Mr. X, scompigliandole i capelli. Mettendo a fuoco la figura alta, notai che questo Mr. X era davvero, ma davvero un bel ragazzo. Aveva dei capelli di un colore simile a quello di Kate, un fisico da dio e soprattutto a petto nudo. Parlottarono per un altro po', fino a quando non mi accorsi che Kate mi stava indicando, e che Mr. X aveva voltato la testa verso di me, sorridendo. Oh, no! Ti prego, faccia che non vengano verso di me proprio mentre sono fradicia. Come non detto, i quattro tipi mi si avvicinarono. Kate era diventata una gallinella isterica, tipico di quando incontrava un bel ragazzo. 
«Ash, lei è Charlotte, la sorella di Michael» mi presentò facendo la finta cordiale. 
Le lanciai un'occhiataccia. «Charlie» la corressi stringendo la mano che mi aveva allungato il tipo. 
«Piacere, Charlie. Io sono Ashton», ma il piacere è mio, Ashton. Ero così incantata nell'osservare il ragazzo che non lo avevo notato scambiarsi delle 'pacche da uomini' con mio fratello. Non mi sembrava di averlo mai visto ad Erie, questo. Osservandolo meglio, notai il bel profilo del volto e le mani che stringevano una lattina di coca cola. 
«Dunque ti piace fare il bagno con i vestiti, eh?» mi aveva chiesto scherzosamente Ashton. Chissà perché, ma il suo tono calmo non mi fece per niente innervosire; anche se mi stava palesemente prendendo per il culo. Guardai i miei poveri shorts bagnati, insieme alla canotta.
«Eh, sai, fa caldo» dissi strozzata, sorridendo appena. Scoppiò a ridere, passandosi una mano fra i capelli. Mmh.
«Tra un po' dovrebbe scendere in spiaggia anche Calum. Vi va di unirvi a noi?» chiese cortesemente Ashton. Per poco non inciampai nei miei piedi cercando di togliere i pantaloncini. Ah, bene. Un altro ragazzo? Quanti altri ci vogliono per umiliarmi? Alzai gli occhi al cielo. Dopotutto, era Kate. La ninfomane per eccellenza; sarebbe stata strana un'estate passata da lei senza neanche un ragazzo in giro.
«Calum? Calum Hood?» mio fratello mi stava nascondendo troppe cose. Conosceva anche quello ora? Ashton annuì vivacemente. «Esatto. E' da un po' che non stiamo tutti insieme» commentò pacato.
Mi sentivo leggermente fuori posto. Guardai Emily per cercare un po' di conforto; ma la bella addormentata aveva gli occhi incollati su Ash. No, anche Santissima Madre Vergine Emily Watson stava azionando le sue ovaie (ovaie?). 
Kate sembrò molto entusiasta per la notizia riguardante questo famigerato Calum Hood. Iniziammo a camminare sul bagnasciuga, ascoltando Ashton mentre raccontava a Mikey ciò che era successo da quando si era trasferito. Camminavo con gli occhi fissi sulla sabbia.
Perché sentivo che questi ragazzi mi avrebbero solo portato guai?





OVER MY HEAAAAAAAAD.
Saaaalve, eccomi qui!
Allora, come vedete, questo è il secondo capitolo, spero vi piaccia.
Si aprono le danze, insomma. Entrano in scena Ashton e Calum, ma non temete; Luke comparirà molto presto ouo.
Bene, se non avete capito qualche passaggio contattatemi, o lasciate un commento.
Per questa fanfiction stavo pensando ad un bel trailer, che ne dite?
Ah, se volete vedere la protagonista, Charlie, eccovi il link (è la stessa ragazza di "i'll change my mind").

http://weheartit.com/entry/116156873/in-set/10258380-s?context_user=jacqueline_becheri&page=17
Per Kate ed Emily invece, qui: 
http://weheartit.com/entry/129786665/via/water_summer_hot?page=21
Detto questo, alla prossima!
E mi raccomando, recensite, ci tengo!
Tanti baci,
Au.

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Capitolo 3
*** Wet t-shirts. ***





3° capitolo
 


Wet t-shirts.


«Allora?» chiese una balenottera vestita di rosa gettandosi sul mio letto, dove stavo cercando di risolvere un cruciverba. Alzai gli occhi verso Kate, che mi fissava con un sorrisetto perverso. 
«Allora cosa?» le domandai riportando gli occhi sul giornalino; non avevo tempo per lei. Quel cruciverba era difficile, cazzo!
«Come ti sono sembrati i miei amici?» mi diede alcune gomitate facendomi scarabocchiare sul foglio con la penna. Ero indecisa se contare le lettere per la parola oppure contare i secondi per mollarle una sberla come si deve. Sbuffai. Dopotutto i suoi amichetti non erano tanto male; quel Calum era abbastanza carino, con i capelli neri e gli occhi scuri. Ma ovviamente non l'avrei mai ammesso, specialmente a Kate.
«Attore americano il cui cognome comincia con la 's', sette lettere» pensai ad alta voce, ignorando la domanda di Kate.
Mi fissò accigliata. «Sandler»
«Oh, sì! Grazie, Kate» ridacchiai, riportando le lettere nei quadratini bianchi. Emily rise vedendo la faccia contrariata della castana che mi stava uccidendo con lo sguardo. 
«Oh oh, sembra che qualcuno qui voglia evitare l'argomento ‘ragazzi’» My Little Pony versione deluxe uscì dal bagno con un asciugamano intorno alla vita, i capelli bagnati, e la faccia di uno che aveva appena origliato una conversazione. Alzai gli occhi al cielo e mi sistemai sul materasso, stropicciando le coperte sotto di me. 
«Oh oh, sembra che qualcuno qui si sia appena segato in una doccia» commentai di rimando, tenendo gli occhi arpionati sulla griglia del gioco. Mi arrivarono in faccia un paio di mutande sporche; quelle di mio fratello. 
«AAAH, che schifo!» strillai lanciando le mutande verso quel deficiente che rideva. Afferrò un paio di jeans puliti, chiari e una maglietta; dopo di che si rinchiuse in bagno, non prima di avermi riservato una linguaccia. Fissai la porta che si chiudeva.
«Perché si sta vestendo?» chiesi a Kate chiudendo il giornale. Indicai Michael.
«Forse per uscire, genio?» mi rispose molto, ma molto educatamente. Uscire? Uscire.  
«Usciamo?»
Kate ruotò gli occhi. «Sì, Charlotte, usciamo! Te l'abbiamo chiesto anche prima» spiegò esasperata mentre frugava nel cassettone dei jeans. Scesi dal letto per avvicinarmi al suo.
«Non me l'avete chiesto» alzai un sopracciglio. Oggi l'ho alzato talmente tante volte che sarebbe potuto rimanere in su per sempre. Emily si voltò verso di me.
«A dire il vero quando te l'abbiamo chiesto stavi bevendo un frappé al cioccolato, e hai detto espressamente: “fino a quando avrò questo bicchiere in mano, gettatemi anche in mare”, e l'abbiamo tradotto come un si» disse ovvia. Oh.
«Va bene, va bene. E dove si va?» 
«In giro»
«Ma dai? Credevo che andassimo a ballare la macarena con le meduse!»
Entrambe risero. «Indossa un vestito, bellezza» mi consigliò la castana nevrotica, tirando fuori dall'armadio un vestito verde smeraldo per sé.
Ooh, che palle.

 


Abbassai il lembo sinistro del vestito in pizzo nero. Era decisamente corto e attillato, con maniche a tre quarti e non troppa scollatura. Mi sentivo leggermente fuori posto tra Kate ed Emily, semplici nei loro vestiti. Ma fa niente. I boccoli corvini ondeggiavano ad ogni mio movimento; mi arrivavano già all'altezza della vita. Presi la borsa rossa, abbinata ai tacchi e mi catapultai giù in salone, dove gli altri mi stavano aspettando. Mi squadrarono da capo a piedi. Oh, eccoli, con le loro imminenti critiche sul mio modo di vestire. 
«Aloha» salutai, con un po' di allegria nel tono di voce. Perché io ero così: portavo brrrrio nella vita di tutti. Scossi la testa. Per mia fortuna non commentarono il mio outfit. 
Non mi ero nemmeno accorta che erano già usciti di casa e magari erano già arrivati al locale. Affrettai il passo chiudendomi la porta alle spalle. In giro per le strade, noi sembravamo i Fantastici 4. I ruoli combaciavano perfettamente: io ero Mr Fantastic (modestamente), Kate era il tipo infuocato (non è una coincidenza: quando si arrabbia Kate gli assomiglia molto), Emily la ‘cosa’, e Michael la donna invisibile (neanche per lui è una coincidenza). Ma che sto dicendo?
In pochi minuti eravamo arrivati al pub, completo di luci al neon, finti ubriachi sull'ingresso e una barista squallida. Alzai un sopracciglio.
«Qualcuno deve avertelo attaccato con lo scotch quel sopracciglio: è tutto il giorno che ce l'hai alzato» commentò Kate cercando di rimanere seria e alzando leggermente la voce per sovrastare la forte musica. Già mi rimbombava tutto. Emily rise all'affermazione della castana.
«Ah-ah-ah, molto divertente, davvero» esordii.
Arrivammo dritti alle panche del locale, dove si potevano benissimo intravedere Ashton e Calum. Erano vestiti con stile, dovevo ammetterlo. Kate sembrò quasi saltare in braccio a Calum, mentre al castano riservò un abbraccio affettuoso. Mio fratello li aveva già salutati con le solite pacche. Sì, le concedeva anche a me, e il più delle volte finivo in ospedale con la spalla rotta. 
«Ciao» mi limitai a dire, sorridendo. Ci accomodammo sulle panche e ordinammo qualcosa da mangiare. La pista da ballo era già piena, e io non vedevo l'ora di buttarmi nella mischia. La biondissima cameriera portò al tavolo snacks e una serie di bicchieri pieni d'alcol. Oh, no. Imprecai in coreano; era risaputo che la sottoscritta non poteva bere. E sapete perché? Beh, perché quando si ubriaca inizia a ridere come una scrofa con le coliche, senza un apparente motivo, e a raccontare la storia della sua vita agli sconosciuti. Mah.
«Non bevi, Charlie?» come non detto. Ashton si accigliò vedendomi spostare  il bicchiere di Vodka lontano. 
«Ehm... Preferisco di no» sorrisi sforzandomi di non bestemmiare. Alzò le spalle. Michael, Kate ed Emily ridevano. Idioti. Calum mi fissava divertito. Okay, sì, sono il nuovo fenomeno della serata. 
«Vado a prendere dell'acqua» annunciai cercando di alzarmi. Sfilai le gambe dalla panca per sgusciare via da quel tavolo di alcolisti cronici. Penseranno che sono una fifona; ah, se solo sapessero. Arrivai al bancone quasi sana; sì, perché un tipo stava portando via il mio tacco. Poggiai i gomiti sul bancone. 
«Posso esserti utile?» la barista mi fece sussultare. Oddio, che brutta. 
Sorrisi innocentemente. «Potrei avere dell'acqua, per favore?» per poco non mi scoppiò a ridere in faccia.
Sai, brutta tettona di una barista, alla gente non serve bere per passare una bella serata!
Sbuffai, vedendola annuire divertita. Mi porse l'acqua pochi secondi dopo.
Ringraziando afferrai il bicchiere per poi portarlo al tavolo. O almeno quella era l'intenzione. Non appena mi voltai una figura alta mi si parò davanti, facendomi fare un balzo all'indietro. Il bicchiere rimase arpionato alla mia mano, ma un po' di liquido finì sulla maglia nera del tipo. Misi una mano alla bocca. Oh, no. Non era successo davvero.
«Cazzo!» sentii pronunciare. Merda, merda, merda. Rimbecillita che non sono altro.
«O mio Dio, scusami tanto!» iniziai facendo un passo indietro. «Beh, è solo acqua, quindi non dovrebb-» lasciai la frase in sospeso quando vidi per la prima volta il viso dello sconosciuto. Due occhi azzurri, quasi identici ai miei, mi guardavano accigliati; i capelli biondi erano alzati in una cresta perfetta e le labbra erano bucate da un piercing nero. Oh, cavolo. Era... era... Boh, era stupendo.
L'espressione leggermente confusa del ragazzo scomparve, lasciando spazio ad un ghigno divertito. I suoi denti bianchissimi e dritti quasi mi accecarono. 
«Lo sospettavo; una ragazzina come te non avrebbe potuto di certo bere del whisky» esordì sfiorando la macchia sulla maglietta. Cosacosacosa? Mi aveva appena chiamata ‘ragazzina’? Lo aveva fatto davvero?
Senza pensarci due volte gli versai addosso ciò che era rimasto nel bicchiere, sbattendolo sul bancone subito dopo. AH!
Spalancò gli occhi, guardandomi esterrefatto. Girai i tacchi dopo avergli rivolto un ‘idiota’. Con chi pensava di aver a che fare? Ero indignata.
Tornai al tavolo ancora rabbiosa. Mi sedetti pesantemente sulla panca di legno.
«Allora, era buona l'acqua?» chiese ridendo Ash.
Ringrazia solo il fatto che hai un bel faccino, bello, altrimenti te lo saresti ritrovato nella sabbia. 
Ringhiai in risposta e iniziai a mangiare in silenzio. Risatine.
-
Passò un lasso di tempo che a me sembrò essere infinito, invece si erano trattati di pochi minuti.
«Luke, amico mio, pensavo fossi caduto nel cesso!» esclamò Calum dal nulla, alzando una mano. 
«Alla buon'ora!» disse invece Ash ridacchiando. Oh, che bello, un altro ragazzo.
«Scusate, ho avuto un imprevis-» per poco un pezzo di toast non mi finì di traverso.
No, non era possibile.
Si bloccò vedendomi. Il biondo schizzato di prima era di fronte al nostro tavolo, immobile.
Ma che ho fatto io di male? Mi guardava ancora imperterrito, e io ricambiavo.
Come prima, il sorrisetto strafottente non si fece attendere e ricomparve sul suo volto.
«Hemmings, amico mio!» sbottò Mikey, tirandoci fuori dal nostro momento ‘uccidiamoci a vicenda’. Si scambiarono un abbraccio, ridendo. Ossantapeppa, mio fratello era amico di quel depravato?!
Scossi la testa; okay, era solo un piccolo incidente, Charlie, non farne un dramma. Presi una grande boccata d'aria e ricominciai a mangiare. 
Dannata Kate, scommetto il jet privato di Taylor Swift che sapeva della sua presenza. E non mi aveva detto niente. 
Sentii la panca appesantirsi; mi voltai e vidi questo Luke seduto vicino a me, con la faccia da finto tonto.
«Luke Hemmings» si presentò come se non ci fossimo mai visti. Ripeto, idiota.
«Charlie Clifford» sorrisi più falsa dei denti di mia nonna. O di mio padre. Sorrise soddisfatto, iniziando a parlare con Michael. Ah, già, Michael. Lui sì che avrebbe dovuto spiegarmi molte cose. 
Per tutto il tempo feci finta di non avere accanto il tipo su cui avevo rovesciato (di proposito e non) il mio bicchiere d’acqua. 
«Cos'è successo alla maglietta, Hemm?» strabuzzai gli occhi. Mierdas. 
Lui abbassò lo sguardo sull'indumento, indeciso sul da farsi. «Ehm... boh, forse mi sono versato qualcosa senza accorgermene» ribatté, sornione. 
Non sapevo se la scena era comica o da incubo. Oddio, cioè, volevo ancora spaccargli la faccia, sia chiaro.
Tornando alla tavolata, Kate aveva fatto per tutto il tempo l’idiota, sparando qualche battutina fredda per attirare l’attenzione dei ragazzi. Ovviamente erano costretti a ridere per non farla rimanere di merda. Risi sotto i baffi.
«Andiamo a ballare!» annunciò Mikey urlando istericamente come una tredicenne che ha appena visto un pony. Scattai in piedi a quell’affermazione. Non vedevo l'ora di togliermi il biondo di dosso. Non feci in tempo a raggiungere le mie amiche e gli altri che una mano si avvolse attorno al mio polso e mi fermò, facendomi girare il collo stile esorcista. 
Alzai gli occhi al cielo notando l'espressione compiaciuta di Luke-verso-i-cocktail-sulla-mia-maglietta. Mi fece avvicinare a sé, trattenendomi. Percorse con gli occhi tutto il mio corpo, mentre giocava con il suo piercing nero mordendolo. Deglutii. 
«Dove corri, bambolina?» cantilenò deridendomi. Le mie capacità motorie si erano completamente disattivate; e precisamente da quando i nostri corpi si erano sfiorati. 
«Vado a ballare, ti dispiace?» oh, sì. La risposta spavalda ci sta sempre, brava Clifford.
Scosse la testa ridendo. «Non vorresti in qualche modo farti perdonare per questo?» indicò la chiazza scura della maglia. Ma io lo sapevo... Dannazione a questo ragazzo. 
«Ehm... fammici pensare...» feci finta di rifletterci su «No, grazie. Ora mollami» conclusi ferrea. Rise ancora di più alla mia risposta.
«Eddai, me lo merito dopo averti coperta con gli altri» sporse il labbro inferiore in fuori cercando di sembrare più tenero di quanto non lo fosse.
Sbattei ripetutamente il piede a terra. «La tua faccina idiota non intenerisce nessuno, sappilo» lo informai «E cosa dovrei fare per sdebitarmi?»
Sorrise soddisfatto, riaccendendo i fari barra denti. Se mai avessi perso la vista, sarebbe stata solo colpa sua. Un motivo in più per odiarlo.
«Vieni in bagno con me e rimediamo» patteggiò strofinando la mano sulla maglietta.
Ecco dove andava a parare.
«Beh, perché non te ne vai in bagno con una più grande, dato che le ragazzine non ti piacciono?» chiesi acida. Strinse dolcemente il mio polso ridendo. Senza aspettare una mia risposta definitiva mi trascinò in bagno velocemente. 
Mi lanciò letteralmente all'interno della stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Si levò la maglia, scoprendo i pettorali abbronzati. Rimasi a bocca aperta. Ammazza, che figlio di...
«Fammi pensare al modo in cui potresti farti perdonare...» mi si avvicinò pericolosamente, sorridendo sornione. La sua vicinanza mi mozzò il respiro.
Lanciò la sua maglia sul lavello, posando una mano accanto alla mia testa, sul muro. Trappola. Ero in trappola. In una pericolosa, invitante trappola.
«Mi piace il tuo nome» soffiò ad un palmo dal mio viso, cambiando completamente discorso. Deglutii a fatica. 
«Beh, e a me non piace il tuo! Anzi, sai che ti dico, fa proprio cagare. Ti accompagno io all'anagrafe per fartelo cambiare se vuoi» sbottai non fermandomi nemmeno un secondo. Mi scoppiò letteralmente a ridere in faccia. Ma che ragazzo educato. Si staccò dal muro scuotendo la testa. Afferrò qualche foglio di carta per asciugare la maglia e iniziò a strofinarla. Muoveva il braccio velocemente, flettendo i bicipiti. Merda, non potevo rimanere lì a bocca aperta con le mani in mano. Lo scostai dal lavandino con una piccola spinta del fianco e cercai di asciugare un po' la maglietta nera. Dovevo riparare in qualche modo. Feci finta di niente quando un'altra risata uscì dalle sue labbra, e con la coda dell'occhio lo vidi poggiarsi di spalle al lavabo, in modo tale da osservare ciò che facevo. Mi venivano le palpitazioni sapendo che mi stava osservando. 
«Perché prima mi hai dato della ragazzina?» chiesi cercando di rompere il ghiaccio, e soprattutto per fare in modo che smettesse di fissarmi. Avevo distolto lo sguardo. Non volevo che pensasse che ci ero rimasta male sul serio.
Alzò le spalle. «Non lo sei?»
«Abbiamo la stessa età, Luke»
Ridacchiò. «Lo so»
Silenzio. E non quel silenzio tranquillo; il solito, dannatissimo silenzio inquietante e pieno di imbarazzo. 
«E comunque stavo scherzando» confessò tenendo gli occhi bassi. Girai la testa per guardarlo. Non appena mi vide esibì quel suo sorrisetto strafottente, che tra l'altro gli stava benissimo. Ma che stavo dicendo? 
Non dissi nulla ugualmente.
Notai che la maglietta era quasi del tutto asciutta, per cui gliela restituii con gli occhi fissi sul pavimento. Le nostre mani si sfiorarono per un nano secondo. 
«Sei imbarazzata?» chiese compiaciuto mentre si infilava l'indumento. 
«Cosa? No!»
«Mah, sembravi rimasta quasi senza parole» ridacchiò. 
Io? Senza parole? AHAHAHAHAHAHAH, no.
Lo osservai. Delle fossette erano comparse sul suo volto; era ancora più gnocco con quelle. Dannazione. 
Non mi ero resa conto che era uscito dal bagno lasciandomi lì, da sola.
E soprattutto senza parole. 







SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Aloha, efpiane!
Eccomi qui con un altro capitolo, scusate se vi faccio aspettare tanto.
Cosa succede? Charlie ha incontrato Luke... ehm, cioè, gli ha versato l'acqua addosso, ma fa niente *ridoforever*
Cosa ve ne pare? 
Fatemelo sapere, plis.
Facciamo così, aggiorno a 3 recensioni, non di meno.
Ovviamente sapete perché lo faccio, vorrei sapere cosa ne pensate, se scrivo bene o se faccio vomitare i pesci, insomma.
Grazie per aver letto, significa molto per me questa storia.
Naturally, saluto la mia cucciola Laura
e vorrei che passaste dalle sue meravigliose storie:
A better life.

Everybody want to rule the world
You're just another wake up in a world of people who sleep
Quindi tutte lol
Detto questo vi saluto!


Au.

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Capitolo 4
*** Wrong dreams, wrong people. ***





4° capitolo


Wrong dreams, wrong people.



La doccia era sempre stato il mio posto preferito. Amavo il tepore della cabina, che mi avvolgeva e mi faceva rilassare. Sarei potuta addormentarmi lì. E non solo perché era notte fonda. Sbuffai sotto il getto d'acqua. 
Non voglio uscire, non voglio uscire, non voglio uscire.
Forse non avrei dovuto farmi una doccia nel bel mezzo della notte, ma mi ci era proprio voluta. Sentivo ancora il calore del locale e la puzza di fumo sulla pelle. 
E poi avevo bisogno di complicarmi la vita con i miei soliti problemi esistenziali.
Perché il cielo è blu?
Perché Kate era una riccona?
Perché Michael non aveva un cervello?
Perché Emily non riusciva ad accettare la morte del suo criceto Harold?
Perché non avevo un ragazzo?
Ah, già. Perché mi facevano schifo.
Uscii dalla doccia senza fare rumore: non volevo che il padre di Kate mi sorprendesse gironzolare per casa nuda. Chiusi l'anta della cabina e afferrai un asciugamano bianco.
Non avevo nessuna voglia di asciugarmi i capelli, così li legai in una crocchia disordinata, dalla quale delle ciocche uscirono per cadermi sul viso. Ovviamente. 
Mi avvolsi bene intorno al mio asciugamano e uscii dal bagno.
Chiusi cautamente la porta per non svegliare i tre idioti che stavano dormendo. Ma non appena, avanzando, i miei piedi nudi incontrarono un ostacolo, tesero a fare un balzo indietro e a inciampare. Sarei caduta se non fosse stato per una mano uscita da nulla che mi aveva presa per la base della schiena e mi aveva sorretta. Avrei voluto urlare, ma il mio respiro si mozzò quando vidi il volto scuro di Luke a pochi centimetri dal mio. Aprii la bocca per mandargli contro le mie migliori bestemmie, ma mi tappò subito la bocca con la mano e mi trascinò nel bagno senza fare rumore.
Chiuse velocemente la porta dietro di sé e mollò la presa sulle mie labbra.
Non sapevo se strattonarlo e uscire dal bagno urlando, o se rimanere immobile e non fissarlo negli occhi.
«Porca puttana, mi hai fatto venire un infarto!» squittii fulminandolo mentre mi portavo una mano sul cuore per lo spavento.
Mentre rideva per la mia reazione mi osservava tutta.
«Wow, se è questo il modo in cui dormi, allora credo che verrò più spesso a casa di Kate» esordì indicando il mio asciugamano. 
Porcapalettatimuorelamammaasciugamanodeimieistivali.
Bestemmiai in giapponese. Non ci potevo credere, non me ne ero neanche ricordata. 
Lo sapevo, avrei dovuto strattonarlo e correre via urlando.
Divenni tutta rossa in faccia, mentre lui mi faceva un occhiolino. Afferrai un altro telo e lo parai di fronte a me, in modo da coprirmi meglio.
«Cosa ci fai qui?» chiesi cercando di non alzare troppo la voce. 
Il tepore del bagno era ancora percepibile. Avevo decisamente troppo caldo. E precisamente da quando avevo notato che addosso aveva solo dei boxer. E nient'altro. Distolsi lo sguardo; lo avevo osservato per bene poche ore fa.
Basta Charlie.
«Dormo qui per stasera, non ricordi?» e bum, il mio classico buon umore post-doccia si era gettato da un grattacielo. Sbiancai. 
Lui. Dormiva. Da. Kate. Per. Stasera. 
«Eh?» chiesi strozzata. Oh, no. Oh, nonononono.
Rise. «Ho detto che dormo qui, sciocchina» disse con un tono zuccheroso, pizzicandomi una guancia. Santissima Madre Vergine. 
«L'abbiamo deciso poco fa con Michael» aggiunse. Bene, e io dov’ero quando prendevano questa sbagliatissima decisione?
«Bene, ora che mi hai avvisata potresti uscire?» domandai con finta cordialità. 
Stavo per esplodere. 
«Perché hai fatto la doccia a quest’ora?» ignorò la mia domanda alzando un sopracciglio.
La domanda giusta da fare era ‘perché ha alzato un sopracciglio?’
Forse qualcuno gli aveva detto che così era ancora più sexy? Bene, perché aveva terribilmente ragione.
«Che ci fai in  piedi a quest'ora?» chiesi mentre lanciavo il secondo asciugamano sul lavello.
Si accigliò. «Non hai risposto alla mia domanda»
«Neanche tu» incrociai le braccia lanciandogli un’occhiata di sfida. 
Ridacchiò passandosi una mano fra i capelli biondi. 
«Va bene, di grazia» e uscì.

Sbadigliai sommessamente rigirandomi fra le lenzuola bianche. Avevo dormito da schifo quella notte. Alzai il busto e notai che stranamente i letti degli altri erano vuoti e rifatti. Mi accigliai, e con svogliatezza poggiai i piedi sul pavimento freddo, abbandonando il mio adorato letto. Magari erano andati a fare shopping e mi avevano mollata a casa da sola. Para-para-paradise. Scesi le scale di corse rischiando più volte di cadere e rompermi la schiena, o di avere un trauma cranico. Andai in cucina e anche quella era vuota: c’erano delle carte sull’isolotto e delle tazze da caffè. Mi allungai verso la dispensa per cercare qualcosa da mettere sotto i denti, ma le uniche cose commestibili che trovai erano crackers integrali, barrette fitness e cereali cornflakes. Quelli dietetici, capite?
Chiusi l’anta, rinunciando direttamente a controllare nel frigorifero: dubitavo che Kate in casa avesse qualcosa di diverso dal pane integrale o dalla frutta. 
Il silenzio nella casa era veramente inquietante, così decisi di affacciarmi nel portico, dove tra parentesi c’era l’enorme piscina che il padre di Kate aveva fatto appositamente riempire. Mah.
Non appena misi piede fuori venni inondata da un getto d’acqua che mi bagnò tutta. Dalla testa ai piedi. Rimasi praticamente a bocca aperta per la meraviglia.
Alzai gli occhi e con mio grande disappunto trovai Michael con una pompa dell’acqua in mano che rideva come un perfetto deficiente. Kate era seduta sul bordo della piscina, in costume come gli altri, e rideva talmente forte che stava per cadere in  acqua. Emily invece si stava strozzando con il succo di frutta nel bicchiere che reggeva.
Mi scrollai l’acqua di dosso.
«MICHAEL!» urlai iniziando a rincorrerlo per tutto il giardinetto. Lo afferrai per il costume per fermarlo, ma ottenni solo che gli caddi addosso come una pera. Per ripicca iniziò a farmi quell'odiosissima cosa conosciuta anche come solletico, e mi scansai subito prima che iniziassi a ridere stile foca epilettica. E cioè la mia normale risata.
Atterrai sull’erba morbida, per fortuna.
«Brutto figlio di un-» mi bloccai all'istante quando una risata isterica mi invase le orecchie.
Ashton.
Era sulla sdraio bianca con un bicchiere in mano e rideva come un cavallo. Che metafora di merda, neanche di mattina mi uscivano le battutine. Non che fossi un asso.
Calum, seduto vicino ad Ashton, era l’unico Padre Pio della situazione che mi aveva aiutata ad alzarmi. «Tutto bene, Lie?» Lie. LIE? Mi aveva appena chiamata LIE
No, Charlie, ora calmati; ti ha anche aiutata ad alzarti, non essere irriconoscente. Respira.
«Si, grazie Cal» risposi mentre ero intenta a togliere dai pantaloncini fradici dei fili d’erba. 
Santa pazienza.
Guardando meglio, notai quel merluzzo di un biondo, ovvero Luke, sdraiato al fianco del cavallino con un paio di occhiali da sole poggiati sul naso (sembravano quasi cadergli), un braccio dietro la testa e gli occhi fissi su di me. 
Merda, che figuraccia. Ma dico, le attiro? Ho un cartello sulla testa con scritto “figure di merda gratis”?
«Se ci tieni proprio a farti un bagno levati i vestiti, e già che ci sei rimani in intimo» commentò Ash tentando di rimanere serio, beccandosi però dell’acqua in faccia da Kate. Inciampai quasi nei miei piedi sentendolo. Lo vidi dare un cinque a Luke. Ridevano entrambi.
Calum ed Emily erano gli unici non trichechi che mi capivano. Li amavo: calmi e pacati.
«Uo, Irwin, vacci piano, è mia sorella» lo rimbeccò mio fratello alzandosi dal prato.
Oh, non è così imbecille come pensavo.
«Ho il fratellino più cucciolo del mondo» cantilenai abbracciandolo forte. Ma solo per condividere con lui i miei vestiti zuppi. Muori fratello.
«Vado a mettere un costume, Irwin. Non ci tengo a mostrarti le mie mutandine fucsia fluorescente» lo informai rimanendo neutra. Troppa confidenza, decisamente.
-
Messo il costume, scesi nuovamente in piscina.
Emily parlava tranquillamente con Calum, passeggiando nel giardinetto per non essere infastiditi da Mikey e la sua infantile pistola ad acqua. Stava spruzzando contro Kate e Ashton. Vai, piccolo unicorno rosa!
Mi sedetti elegantemente sul bordo piscina (AHAHAHAHA,no) e spalmai della protezione solare sulle braccia.
«Te la spalmo sulla schiena?» chiese maliziosamente una voce troppo simile a quella di Luke l’occhialuto, che si era avvicinato a me. 
Lo fulminai. «Te la spalmo sulla faccia?»
Rise. Minchia, che risata. Una gran bella risata.
«Hai davvero un bel caratterino» commentò giocherellando con il suo maledetto piercing nero. Lo odio. Odio quei capelli biondi. Odio quegli occhi azzurri. Odio quei pettorali. Odio quei denti. Odio quella voce. LO ODIO.
Sbuffai sommessamente. «Perché?» chiesi.
Non volevo farmi uscire quella domanda dalla bocca. Che poi, che senso aveva ‘perché’? 
«Boh, sei tagliente. Mandi a cagare il mondo intero con solo uno sguardo, in più fai sentire piccole le persone. Come se avessero fatto qualcosa di male, capisci?» spiegò fissandomi negli occhi. Cos’è, mi aveva fregato l'azzurro? Era straordinariamente simile al mio.
«Ti faccio sentire piccolo?» chiesi divertita.
Uo, uo. Punto per Clifford. Vai così Charlie.
Scoppiò a ridere. «Piccola Charlotte, nessuno può farmi sentire piccolo. Nemmeno tu» mi assicurò facendomi un occhiolino e indicandomi con il capo. 
«Parli di me come se mi conoscessi» fece per alzarsi dal bordo della piscina ma si fermò. 
Sorrise. «Oh, ti assicuro che questo accadrà molto presto» e si alzò per raggiungere mio fratello, che a quanto pare aveva lasciato perdere la sua pistola giocattolo.
Diodiodiodiodiodiodio. Straordinariamente avevo iniziato a respirare in modo pesante, avevo quasi l’affanno. 
Dovevo smetterla di farmi di cocaina.
«Aloha bellezza!» la voce di Kate mi riscosse. La guardai mentre si strizzava i capelli, nella piscina. Mi schizzò scherzosamente un po’ d’acqua.
Le sorrisi tanto per farle capire che mi stavo divertendo; anche se la mia mentre era altrove.
E per altrove intendo il biondo di fronte a me che stava scuotendo i capelli in una maniera buffa e li stava riportando in ordine con la cresta.
Ah, a proposito...
«Kate, Luke è stato a dormire qui?» chiesi con finto disinteresse mentre finivo di spalmare la crema al cocco sulla pancia.
La vidi alzare un sopracciglio. «Luke è stato a dormire qui?»
Sbiancai. «Kate...»
«Che minchiate spari, Charlie?» rise, poggiando i gomiti sul piano dove io ero ancora seduta. Oddio. «Mi vuoi dire che non ti sei accorta che Michael ha invitato il suo amichetto?» chiesi stridula. Era impossibile, maledetta Katherine.
«Luke non ha dormito qui, Lottie» rispose allungandosi verso il bicchiere di coca cola che prima aveva lasciato accanto a me. Iniziò a bere rumorosamente.
«Si invece! L’ho visto!» no, ti prego. Non potevo avere anche le allucinazioni.
Forse ero sonnambula. 
Ora Kate aveva alzato entrambe le sopracciglia. «Secondo me ti fai, e anche molto. Non è che hai preso degli allucinogen-» si bloccò improvvisamente.
«Oh, no» bisbigliò. Spalancai gli occhi.
«Tu l’hai sognato!» mi accusò a bassa voce puntandomi un dito contro.
«Cosa? No! Io sono sicura di averlo visto! Era in bagno di fronte a me!» iniziai a protestare quasi lanciando in aria il flacone di crema. Dio, non era possibile.
«Oh oh, sembra che a qualcuno piaccia il bel biondo!» gracchiò stridula quella. 
Le misi subito una mano sulla bocca in modo da tapparle quel cesso ed evitare che mia madre dalla Pennsylvania ascoltasse tutto. Idiota.
«Ascoltami bene, pezzo di imbecille, a me non piace proprio nessuno. Piantala di fare Cupido versione femminile» bisbigliai cercando di assumere un’aria da dura. Ovviamente non riuscendoci.
Ridacchiò tra sé e sé quando le mollai la bocca. 
Sbuffando aggiustai il pezzo superiore del costume. 
Si prospettava una lunghissima estate.







SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Ho deciso, inizierò in questo modo lo spazio autrice.
Macciao fanciulle! Come andiamo?
Cosa succede? Charlie inizia a sognare Lukey. Oh, oh.
MUAHAHAHAHAHAH.
Michael è proprio uno stronzo con la nostra Lottie, eh?
Ma simmer down, succederà molto presto qualcosa di hot.
Bando alle ciance, volevo salutare ovviamente Lau, ovvero "potatoess" e vi chiedo gentilmente di passare dalle sue storie, sono favolose!
Inoltre, saluto la bellissima LukeIsMyPenguin che ha recensito tutti i capitoli.
Mi permetto anche di pubblicizzare la sua FF, “Good girls are bad girls that haven't be caught", leggetela, è fantastica:)
Ho iniziato a pubblicare la mia storia anche su wattpad, quindi potete seguirmi anche lì.
Infine, ringrazio chi ha recensito, chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate, e le lettrici silenziose.
Ormai lo sapete, aggiorno a 3 recensioni e bulabulabula.
Detto questo, io scappo, spero vivamente che il mio capitolo sia accettabile per voi!
Al prossimo capitolo!

Au.

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Capitolo 5
*** Free house. ***



*Leggete lo spazio autrice plis,xoxo*



5° capitolo

Free house.


«Stavo pensando» commentò Kate alzando gli occhiali da sole Chanel dal naso. Era sdraiata come una cozza al sole su una sdraio gonfiabile in piscina, completa di poggia-piedi e porta-bicchiere. Anche io avevo una cosa del genere da piccola, ma Michael non aveva capito che dentro ci fosse aria e avrebbe fatto un botto una volta scoppiato; era fortemente convinto che contenesse l’oceano solo perché era trasparente. Ma okay.
Girai la testa verso di lei; stavo giocando a carte con Ash sul prato, e quel bastardello aveva preso l’abitudine di nasconderle sotto il mio naso per vincere. 
«Potremmo organizzare una festa a casa mia questo week-end» considerò puntellandosi sui gomiti per guardarci. Emily era persa nel fatato mondo di unicorni e arcobaleni, ovvero aveva lo sguardo perso nel vuoto. Calum anche, stava fissando l’erba con molto interesse. Infine il caro vecchio Lukey aveva il cellulare in mano e lo agitava convulsamente come un ossesso.
«AH!» strillò Ashton facendo saltare tutti sul posto dalla paura. Dio, che idiota.
Lo guardai spaventata.
«Ho vinto!» ricevette una bella botta, o meglio piedata, sulla faccia da parte mia. Mi mostrò le sue carte non truccate ed esibì un sorriso vincitore.
Alzai gli occhi al cielo. «Si chiama barare, Ashy» lo rimbeccai.
«Mi avete sentito?!» alzò la voce Kate, alquanto turbata dal fatto che non avesse ricevuto attenzioni. Avrei voluto annuire per placare la sua ira funesta, ma in quel momento stavo picchiando Ash, non potevo prestarle attenzione.
«Sarebbe una bella idea, Katie» se non l’avevate ancora capito, Calum aveva la fissa di accorciare o storpiare i nostri nomi. Come in questo caso.
«Grande allora!» esultò. 
«Kate, ti ricordo che la casa non è solo tua, ma ci vive anche tuo padre. Non credi che non la prenderebbe bene nel vedere sedicenni ubriachi vomitare nei vasi?» intervenni continuando a guardare le mie carte. Avrei avuto comunque lo 0% di possibilità di vincere.
«Oh no, di quello non dobbiamo preoccuparci. Mio padre sloggia tra due giorni, ha delle faccende da sbrigare in Canada» si gasò alla grande. Kate era una di quelle ragazze patite di feste all'oscuro dei genitori e altre cose molto elettrizzanti. Io il massimo che potevo fare quando i miei genitori non erano a casa era lasciare le porte aperte o preparare un hot dog. E lei organizzava mega feste mega vietate. Per quanto ne sapevo il signor Grey sarebbe impazzito se avesse visto un ragazzino camminare sulla moquette del corridoio. 
«Perché no» si intromise mio fratello che aveva appena smesso di prendere il sole sul bordo piscina. Tanto rimani bianco come un cadavere, fratellone.
Ash aveva già acconsentito prima di permettere alla castana di finire la frase.
Luke era l'unico che non aveva espresso una sua opinione. 
Cos’aveva quel cellulare di così interessante? Era tutta la mattinata che stava sulla sdraio con quel maledetto affare in mano senza prestare ascolto a nessuno. 
«Ci stai Hemm?» gli chiese senza farlo apposta Ash. Secondo me quel ragazzo ha poteri telepatici.
Il biondo alzò lo sguardo disinteressato. «A meno che non ci sia Jennifer Lopez col suo didietro assicurato, no» oh, che gentile. Mi ribolliva il sangue nelle vene per quanto era acido.
«Ti assicuro che troverai di meglio» Kate fece un occhiolino nella sua direzione. Finalmente Luke posò il cellulare e si concentrò su quello che stava accadendo.
«Ah si? Del tipo?» chiese alquanto interessato, sfoggiando un sorriso perverso.
«La nostra piccola Lottie in lingerie, ad esempio» quel giorno Kate si ritrovò straordinariamente e misteriosamente senza faccia. Le avevo staccato la testa con lo sguardo mentre tutto il gruppetto, compreso Luke, aveva preso a ridere. Ero così infuriata (e imbarazzata) che mi sembrava di aver visto Suor Nausicaa con il costume a due pezzi in piscina che diceva ‘te ne darei tante, ma tante, ma tante’. Mi sentivo esattamente come lei in quel momento.
«Se la prospettiva della serata è così interessante credo che farò un salto da voi» dichiarò per poi alzarsi dalla sdraio.
«Perché il salto non lo fai da un dirupo?» domandai acida cercando di non farmi sentire. 
Okay, il fatto è che mi sono rotta di passare sempre per il limone di turno. Avrei voluto imparare a dosare la cattiveria nelle parole che usavo, anche se facevo sempre cilecca. Come mio fratello quando infilava le mani nell'acquario per constatare se il pesce palla pungeva. O come Kate quando cercava di farsi i colpi di sole senza l’aiuto di nessuno e finiva col tingere tutti i capelli; una volta era diventata persino peggio di Emily.
Comunque, era estate, dannazione. Non potevo continuare ad essere così.
«Ti ho sentita» mi richiamò Luke. Come aveva fatto ad avvicinarsi in così poco tempo? Non stava vicino alla finestra prima? Ora era di fronte a me con il suo abituale sorrisetto e un fisico da dio quasi spalmato sulla mia faccia.
Ecco, quello sarebbe esattamente il sogno di ogni ragazza: un biondo con gli occhi azzurri, i muscoli, un sorriso smagliante e portamento da perfetto bad boy. 
Se solo qualcuno gli cucisse quella stramaledetta bocca sarebbe stato anche il mio di sogno. Purtroppo quando parlava tutta la magia svaniva. E’ come quando apri un pacchetto di patatine e dentro ci trovi solo aria al 70%. 
Con tutto il mio flusso di pensieri non avevo realizzato che era sparito dietro l’uscio del portico e che gli altri mi fissavano allibiti.
Mi strinsi nelle spalle con fare innocente, come facevo davanti ai miei genitori per incolpare Michael.
«Allora, te la metti la lingerie?»
Un altro calcio colpì la morbidosa guancia di Ash. Okay, stavolta l’aveva meritato.
Mi alzai ed entrai in casa sbattendo i piedi, e naturalmente facendo finta di non sentire le sonore risate degli altri.

DUE GIORNI DOPO.

«Ripetimi un’ultima volta ciò che ti ho raccomandato»
Mi venne da ridere guardando Kate mentre alzava gli occhi al cielo.
«Non devo mandare a fuoco la casa, e devo lasciare i fornelli a Emily. Devo avvicinarmi al vaso della nonna solo per tirarlo in testa ad un presunto stupratore barra assassino. Non devo lasciare le porte aperte quando mi faccio la doccia, anche perché sono in vetro quindi si vede lo stesso, e infine devo ricordarmi di mettere in moto la lavatrice la sera»
Mr. Grey guardò la figlia con gli stessi occhi con cui un dinosauro guarderebbe un altro dinosauro. E cioè con indifferenza.
«E...?»
Kate sbuffò battendo il piede ritmicamente per terra.
«E non devo organizzare festini» concluse. Io ed Emily eravamo sul punto di ridere istericamente. Ci lanciammo un'occhiata di intesa.
Per fortuna Michael non c’era perché era uscito con i ragazzi, e quindi avevamo potuto evitare di essere scoperte.
Il signor Grey abbracciò Kate e strinse la mia mano e quella di Emily. 
«Allora arrivederci, ragazze» oltrepassò finalmente la soglia della porta e la chiuse alle sue spalle. Kate aveva ancora le mani dietro la schiena e la testa bassa. Sì, stava mostrando finto rancore per la partenza del padre. Tutta scena.
Non appena sentimmo il rombo dell’auto Kate ci guardò maleficamente.
In men che non si dica era già sul divano a saltare come una bambina. Risi alla scena.
Oh yeah, una villa tutta per noi per un'intera settimana!
Intanto le altre due stavano cantando ‘We are the champions’ con la lampada del tavolino a mo’ di microfono. Che sceme.
«Okay, okay, rimbambite, placate i vostri bollenti spiriti. C’è una festa da organizzare» le richiamai in modo tale da farle scendere dal divano. 
Scesero annuendo felici. 
Kate batté le mani. 
«Okay, io direi che il venerdì è perfetto» iniziò a blaterare su tutti i particolari della festa. Sicuramente non avrei alzato un dito per organizzare il festino; troppa fatica per me. Quindi mi limitai ad annuire ogni volta che Emily annuiva per dare l’impressione di star ascoltando.
Credo che andrò a gettarmi in piscina, fa troppo caldo qui.
Stavo per uscire dal retro, quando sentimmo dei rumori dall’ingresso. Mi voltai e vidi il fantastico quartetto entrare in casa; ma la cosa che mi aveva sconvolta di più era che con loro c’era una ragazza. Era bassina con dei capelli rosso fuoco liscissimi, e soprattutto era incollata a mio fratello. Okay, no. Non lo accetto.
«Ehilà, belle!» urlò Ashton con allegria, superando tutti per abbracciarci forte. Capirai, non ci vediamo da ieri pomeriggio.
«Oh Ashy, mi sei mancato!» dissi smielata ricambiando l’abbraccio. Mi guardò accigliato, ma sempre sorridendo.
«Davvero?»
«No» risposi tirandogli un pizzicotto sulla guancia. Fece una smorfia.
«Dio, come sei prevedibile Charlie»
Lo assassinai con lo sguardo. «Cosa?»
«Ho detto che sei sexy» disse serio guardandomi negli occhi. Lui si che mi tirava su il morale dannazione.
«Così va meglio»
Avevo quasi dimenticato la tipetta rossa che stava attaccata a mio fratello stile koala in carenza d’affetto. Scommetto che si era fatto anche l'amichetta qui ma non me l'aveva detto, stupido fratello.
«Sorellina, voglio presentarti  Edith» intervenne mio fratello tutto sorridente mentre toglieva il braccio dalla vita di quella. Oddio, non voglio che si accoppino qui davanti a me.
La ragazza si avvicinò a me a piccoli passi mentre mi allungava la mano. «Molto piacere» 
«Charlie» mi sforzai di sorridere presentandomi. Almeno era gentile. Esibì un enorme sorriso nella mia direzione per poi presentarsi a Emily.
«Kate!» quasi urlò nel vedere la castana che a quanto pare stava tentando di sgusciare via da quell’imbarazzante situazione. Si voltò sorridendo in un modo talmente fallace che mi fece quasi paura. Oddio, Kate stava facendo finta di essere entusiasta; ecco perché era la mia migliore amica.
«Edith, ciao!» e la rossa tutta pepe l’abbracciò stritolandola nella sua morsa. 
Kate, alle sue spalle, alzò gli occhi al cielo e trattenni una risata. Emily fissava la scena allibita.
«Beh, direi che possiamo anche andare di sopra, ciao!» tentò la castana staccandoci quasi un braccio per trascinarci al piano di sopra. 
Edith ridendo la fermò, divertita. «Ma dove vai? Sei appena arrivata a Miami e già fuggi?» la rimbeccò tirandole un pizzico alla guancia. E Kate odiava i pizzicotti. Fece lunghi respiri cercando di non tramutarsi in un drago viola sputa fuoco stile Maga Magò. 
Fece una risatina nervosa. «E’ che…» lanciò un’occhiata verso me e Emily «Devo…»
«Kate ha promesso ad Emily di farle una… una tinta, . Perciò andiamo di sopra. Ci si vede!» buttai lì. Emily aveva sgranato gli occhi e spalancato la bocca dallo stupore. 
Avrei voluto tanto ridere ma non era il momento.
«Già, una tinta» mi appoggiò Kate, grata per il mio intervento. «Mikey, perché non sali anche tu?» chiese apparentemente calma e disinvolta.
Mio fratello si accigliò. «Dovrei?»
«SALI.» e venne preso per il braccio per poi essere scaraventato al piano di sopra. La nana rossa era rimasta leggermente sconvolta, ma non aveva levato quel sorrisetto odioso dal faccino.
Una volta al piano di sopra, nella nostra camera, Kate chiuse la porta a chiave e si voltò in un modo che mi ricordò troppo la ragazzina indemoniata.
«Come cazzo ti è venuto in mente di invitare Edith?» sbraitò contro Michael che si era seduto sul mio letto.
Lui la guardò con fare curioso, come se non sapesse di che stesse parlando. «Cosa c’entra lei?»
Ora si che Kate era diventata un drago; ma non carino e viola come Maga Magò. Un drago terrificante, come solo lei sapeva essere. Per poco non gli tirò contro un abat-jour.
«Sai benissimo che c’entra, e anche molto» sibilò fra i denti. Non avevo mai visto Kate così incavolata.
«Calma ragazzi. Spiegate cosa sta succedendo, innanzitutto» intervenne la bionda con la solita calma e pazienza. 
Gli occhi di Kate guizzavano da noi due a Michael. «Avanti, Mikey, spiega tu ciò che sta succedendo»
Il diretto interessato sospirò e si alzò cautamente dal letto. 
«C’è che Edith è l’ex di Ashton» disse facendo riferimento alla rossa quasi con svogliatezza. 
Infatti sembrava abbastanza seccato dall’argomento.
«E…?» fece Emily. La guardò per un istante, per poi accigliarsi.
«Non gliel’hai detto?» chiese rivolto a Kate, mentre indicava noi altre con il pollice. Lei si era poggiata alla scrivania con lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava non aver ascoltato quel che lui aveva detto, e nemmeno sembrava volerlo sentire. 
Scosse la testa cercando di non alzare lo sguardo. Michael sospirò facendo ricadere le braccia lungo i fianchi.
«Mi sembra il momento di dircelo» considerai facendo un passo avanti, nella speranza che qualcuno non parlasse in codice e magari ci spiegasse ciò che stava accadendo.
Ora tutti gli occhi erano su Kate. «Okay, okay» fece con voce sottile. Dio, sembrava così… Così strana.
«Odio Edith, perché… Dio Mikey, spiegalo tu! Io non ce la faccio!» piagnucolò sedendosi sulla sedia girevole con le mani sul volto. 
Che cazz…
Michael la guardò con compassione. «Insomma… A Kate piace Ashton, e anche molto direi»
Emily si avvicinò alla castana per abbracciarla e lasciarle un bacio fra i capelli. «Perché non ce lo hai detto, Katie?»
La mia migliore amica era sommersa dai suoi boccoli marroni; le coprivano gran parte del viso. 
Non potei fare a meno di rimanere lì immobile. Non per lo stupore, ma perché mi era sembrata una cosa abbastanza stupida.
«Perché non posso…» disse lei cercando conforto nell’abbraccio di Emily. 
«Ma si che puoi, su»
«No, Emily. Ashton non può piacermi, non deve piacermi» biascicò.
Michael si avvicinò. «Kate, personalmente è una cosa da idioti. Sai bene che queste cose non le puoi evitare, tantomeno sopprimerle. Piantala di fare l’orgogliosa, piuttosto diglielo» si fermò un attimo. «Che ti piace»
Alzò lo sguardo.
«Insomma, con Edith è finita da tempo, è inutile portare avanti questa storia»
Per quanto mi dispiacesse ammetterlo, mio fratello non aveva tutti i torti. Voglio dire, ogni volta sapeva sempre cosa dire in situazioni del genere. Anche stavolta aveva azzeccato le parole giuste.
«Hai ragione» disse sciogliendo l’abbraccio di Emily. 
Mi decisi a parlare. «Da quanto tempo andava avanti?»
«Beh, sarà… qualche mese. Non so» confessò alzandosi dalla sedia azzurra. La mia Kate era cotta.
«Ah, bellezza, sei cotta come un maiale al forno» l’abbracciai affondando il naso nei suoi capelli. 
«Bella metafora, complimenti»
Una risata generale riempì la stanza. 
«Ci vuole della cioccolata» proposi, pensando alla tavoletta fondente che avevo visto prima in dispensa. Visto che tutti e tre annuirono, non senza avermi lasciato una risata, mi precipitai giù in cucina per sfamare i miei cuccioli. Cuccioli? Dio, a volte ero proprio patetica.
Per fortuna in cucina non c’erano gli altri, bensì erano in salotto davanti al televisore. Aperta l’anta della dispensa, notai con disappunto che la cioccolata era (ovviamente) sul ripiano alto, e che quindi avrei dovuto saltellare come un coyote per acciuffarla. Kate e la sua altezza.
Certo, lei se lo poteva permettere di prendere la cioccolata dal ripiano alto.
Con uno sbuffo cercai di alzarmi in punta di piedi, ma non ci arrivavo comunque. Dannazione.
Okay, non che fossi una ballerina di danza classica, ma provai a rimanere sulle punte delle converse per qualche secondo. 
Prima che potessi saltare per raggiungere quel maledetto ripiano, una mano afferrò prima di me la tavoletta e la fece scivolare tra le dita agilmente.
Mi girai di scatto e non ci misi molto a capire di chi si trattasse. Luke.
Aveva il braccio ancora alzato verso la dispensa, appoggiato sull’anta; nell’altra mano teneva la cioccolata. Ma la cosa più improbabile (e imbarazzante) era che si era avvicinato un po’ troppo a me, ed ero costretta a trattenere il fiato per via del suo corpo praticamente spalmato sul mio. 
Il ricordo di me e lui nel bagno ripiombò nitido nella mia mente; la scena era davvero molto simile. Mi chiudeva tra il suo fisico ed un muro, il suo braccio vicino la mia testa.
Dio, credo che tra poco sverrò.
«Cerchi questa?» indicò la cioccolata (della quale mi ero quasi dimenticata) che aveva in mano. Deglutii molto rumorosamente. Non credevo avrebbe potuto parlare normalmente con una distanza così ridotta tra noi; non sembrava affatto disturbato. Anzi, vi dico io cosa sembrava. Sembrava fare questa cosa ogni giorno, ragazza dopo ragazza, muro dopo muro, in ogni situazione. Maledetto Hemmings. 
«Grazie» borbottai cercando di strappargliela dalle mani. Si oppose ghignando. 
«Grazie e…?» oh, che palle. Che voleva ora?
Alzai gli occhi al cielo. «Grazie e arrivederci?» scosse la testa divertito.
«Grazie e levati perché tra un po’ ci mescoliamo anche il sangue per quanto siamo vicini?»
Scoppiò a ridere mostrando i suoi denti bianchissimi.
«Non intendo farlo.»
«Mescolare il sangue?»
«Cosa? No, intendo levarmi» che idiota devo essergli sembrata. 
Con grande autocontrollo resistetti all’impulso di tirarmi una sberla da sola. «E quindi dovremmo rimanere qui fino alla fine dell’estate?»
Continuavo a essere spavalda. Dov’era Kate con i suoi rovesci quando serviva? Avrei dovuto scostarlo da me; ma come al solito quando lui era in giro la mia mente non rispondeva delle mie azioni. Sembrava che tutto il corpo mi si paralizzava.
«Può darsi» si morse un labbro smettendo di giocherellare con il piercing nero. «Non stai bene così?» aggiunse sogghignando.
Se stavo bene? Ovvio che stavo bene, come negarlo. 
Ma dato che sono una donna e le donne rispondono al contrario… «No.»
Ressi il suo sguardo divertito. Maledizione, se solo non fosse un donnaiolo gli salterei addosso e lo stuprerei. 
Sentivo il suo profumo, mi entrava dritto nelle narici. Cos’è, cannella?
«E’ cannella quella che hai addosso?» chiesi incuriosita. Da dove mi era uscita quella?
Mi guardò curioso e si annusò la maglietta. Fa che non sia cannella, fa che non sia cannella, fa che non sia cannella…
«A quanto pare» sorrise sornione. Porca paletta.
«Ti piace?» sembrò interessato alla risposta. A quanto pare… 
L’unica cosa che uscì dalla mia bocca fu un “no” schietto e strozzato insieme. Rise di gusto.
«Certo» tirò un pizzicotto alla guancia prima di allontanarsi dal mio corpo. Aria! Aria! Scossi la testa come per scrollarmi di dosso la tensione che avevo provato prima.
Mi guardava fisso, con le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni. «Sai che sei inquietante? Intendo, quando fissi le persone» gli feci notare cercando disperatamente di farlo smettere. 
Il mio tentativo però si rivelò inutile, dato che continuava a guardarmi divertito.
«Ah si?» annuii alla sua domanda retorica. «C’è chi pagherebbe per essere guardata da me, piccola Charlie, sei una vera ingrata» commentò.
Per la 32461895 volta alzai gli occhi al cielo. «Può anche darsi ma sembri un maniaco sessuale»
«Potrei esserlo»
«O potresti semplicemente essere un biondo montato» considerai sfilando la cioccolata dalle sue mani. Dalle sue enormi mani.
«Se per montato intendi “montato” dalle ragazze allora…»
«Luke!» urlai per zittirlo, alquanto scioccata e stizzita. Quel biondo era un porco, punto.
Per un’altra volta rise, riempiendo la stanza del suono cristallino che emetteva.
Mi diede un altro pizzicotto alla guancia, per poi allontanarsi definitivamente da me.
-
«Lottie! Pensavamo fossi caduta dalle scale!» esclamò Emily una volta arrivata al piano di sopra. 
Se fossi caduta dalle scale sarebbe stato meglio. Ma feci un gesto sbrigativo con la mano per impedire loro di fare altri commenti malefici.
«L’ipotesi più probabile era che avesse mangiato l’intera tavoletta senza di noi» commentò invece mio fratello con un sorrisino sarcastico. Idiota.
«Bene, qualcun altro vuole essere pugnalato stanotte?»
Risero di gusto evitando di rispondere alla mia molto retorica domanda. Meglio così. 
«Ah, stavo giusto dimenticando una cosa- intervenne Kate finendo di masticare un cubetto di cioccolata -stasera avevo voglia di scendere giù in spiaggia con gli altri, vi va?»
Arricciai il naso. «A fare?»
«Beh, pensavo di arrostire qualche marshmallow e stare in compagnia» wow. Un caratteristico falò sulla spiaggia, come quello dei film.
Quello era il punto; Kate guardava troppi film. 
«Perché no» acconsentimmo tutti. 
Cosa poteva capitare?







SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Sciao bele!
Eccomi qui con un altro fantastico capitolo!
Questo mi piace molto, devo dire. Sono contenta di come è venuto.
Bene bene, cosa succede qui? Muahah, Luke sta dando proprio fastidio a Charlie, giusto?
Odora anche di cannella, lo stronzo.
Che era un maniaco sessuale, si sapeva, ma Charlie comincia a cedere...
O forse no, chi lo sa ouo
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, ci sarà un altro avvenimento, come dire... mlmloso tra i due piccioncini *faccia perversa*, e sarà interamente dedicato al falò sulla spiaggia che ha organizzato la nostra Kate.
Ah, Kate! L'unica cosa che posso annunciare è che con Ashton non sarà poi così facile eheh.
Bando alle ciancie, passiamo ai ringraziamenti.

RINGRAZIO IMMENSAMENTE:

-potatoess, ti voglio tanto bene Lau.
-Lavinia_bat00, grazie di cuore!
-Hemmodimple, che mi ha lasciato una recensione bellissima, e ragazzi, ha creato un account solo per recensirmi!!
-biihemmings, sono contenta che ti sia piaciuto il mio capitolo!
-tiedyemichael, che mi segue e recensisce sempre! Ti amo beibi.

Detto questo, ringrazio ancora chi ha messo la mia storia tra le preferite|seguite|ricordate, e le lettrici silenziose.
5 recensioni, ragazzi! Non ci credo!!
GRAZIEGRAZIEGRAZIE, a tutte!
Okay, dopo questo immenso spazio autrice, vi saluto, e ovviamente aggiorno a 3 recensioni!
P.s. sto cercando di realizzare il trailer ufficiale, non appena sarà pronto lo posterò e vi lascerò il link!

Tanti baci, 
Au.

 

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Capitolo 6
*** Fire on the beach. ***




6° capitolo

Fire on the beach.

 

Quella sera il mare era calmissimo. Sulla spiaggia non tirava nemmeno un filo di vento.
Ricordo quando mamma e papà portavano me e Mikey in California per qualche giorno, al mare. Lì era bellissimo; non volevo più staccarmi dalla sabbia e dall’acqua cristallina. Anche se la spiaggia di Miami mi ricordava molto quella della California. 
Strinsi la sabbia in un pugno, sentendola poco dopo cadere velocemente al suolo attraverso le mie dita. 
Io, Kate ed Emily eravamo scese in spiaggia prima per sistemare le coperte, mentre gli altri erano andati a cercare della legna per il fuoco. 
Non seppi spiegare a me stessa perché ero entusiasta per quella serata. Avevo sempre sognato di sedermi attorno ad un focolare e mangiare marshmallow infilzati in un bastoncino.
Il cielo era già scuro, il sole era appena tramontato sul mare.
Girai lo sguardo quando sentii Kate chiamare Michael in lontananza. Vidi Ash, Calum e mio fratello portare in mano qualche pezzo di legno e gettarlo subito sulla sabbia di fronte a noi, facendomi sussultare per il rumore. 
«La prossima volta chiamo un carro attrezzi per trasportare queste macerie» commentò seccato Ashton finendo con il sedere sulla coperta di Kate, che lo guardò puntualmente infastidita. La cosa che avevo sempre invidiato di Kate era che sapeva nascondere perfettamente le sue emozioni e i suoi sentimenti. Se non fosse stato per la scenata con Edith, non mi sarei accorta di niente.
Notai che Luke non c’era tra loro; non sapevo se essere grata o indifferente. 
Anche se era logico che un po’ quel frustrato mi piacesse (ormai lo avevo ammesso anche a me stessa), tendevo a fare la menefreghista. E forse era meglio così.
Insomma, non potevo essere triste solo perché non si era presentato, no? Non avrei avuto motivo. Per cui, avrei fatto meglio a tornare tranquilla e pacata come ero prima.
«Allora, lo accendiamo questo fuoco?» intervenne Calum uscendo un accendino dalla tasca posteriore dei pantaloni. 
Mentre i nostri ragazzoni si accingevano ad accendere il falò, mi avvicinai alle mie amiche, catapultandomi di proposito sulle gambe di Emily, per darle fastidio. 
Al contrario, lei mi mostrò un sorrisone e iniziò a giocherellare con i miei capelli. 
«Dovresti tagliare questa massa informe di capelli, Charlie, sono troppo lunghi» commentò lei con disapprovazione. 
«AHAHAHAH, no.»
Ridacchiò. «Insomma, non si è ancora capito. Sono ricci o lisci?»
«Sono ondulati, Emily, ondulati. Come le onde del mare» spiegai socchiudendo gli occhi per godere quel venticello beato che mi stava arrivando dritto in faccia. Ah, amavo il vento.
Tranne quando fa attaccare i capelli al lucidalabbra, in quei casi potrebbe gettarsi nell’acido solforico. 
«Dov’è Luke?» chiese invece la bionda cambiando argomento. 
Vedete? Non ero io che aprivo l’argomento. Dios.
«A me ha detto che non era sicuro di riuscire a venire» rispose Kate tenendo gli occhi fissi su Ashton, che in quel momento stava sventolando aria sul fuoco, apparendo alquanto buffo. 
Chissene se Luke non riusciva a venire. Cos’è, era troppo impegnato a farsi una bambola gonfiabile? Mah.
«Ecco fatto» sentenziò Ashton gettandosi per l’ennesima volta sul telo di Kate. Il fuoco iniziò a bruciare la legna fino ad illuminare lo spazio intorno a noi.
La brezza marina era perfetta, anche se faceva un po’ fresco, e avendo optato per dei pantaloncini la sentivo di più. 
Per questo avevamo portato delle coperte. L’avete mai vista un’idiota con i pantaloni lunghi al mare?
Tutti si sedettero intorno al fuoco caldo. Okay, mi sentivo in una delle puntate di Dawson’s Creek, o di The O.C. In questo caso sarei indecisa tra Summer o Marissa, ma dato che un carattere come quello della mora ce l'
aveva solo… beh, una mora come Kate lo affibbierei a lei. Mi rimane Marissa…
Ma scherziamo? Troppo bionda e gentile per i miei gusti, meglio lasciarla ad Emily. Però se potessi prendermi solo Ryan non farebbe differenza insomma.
«Ciao ragazzi» una voce mi distrasse dal mio flusso di pensieri idioti. In questo momento avrei tanto voluto che la figura che camminava verso di noi non fosse affatto Luke, ma robe tipo Edith (scusa Kate), o anche la barista del bar. Che tra parentesi avevo scoperto essere trans.
«Alla buon’ora come al solito» commentò Cal facendogli un po’ di spazio sulla coperta. Il diretto interessato sembrò molto seccato non dal commento, ma dalla situazione di per sé. Come avrebbe fatto a sedersi con quei pantaloni che somigliavano non vagamente a dei leggins? E se gli si fossero strappati?
Dio, non lo capivo.
Scosse la testa leggermente. «Mia sorella rompeva i coglioni, aveva mal di stomaco»
Aveva una sorella? Beh, condoglianze… Per lei.
«Io direi» iniziò Kate voltandosi per afferrare qualcosa «di iniziare» uscì un pacco enorme di marshmallows dalla sua borsa. 
In quel momento i miei bulbi oculari erano fuoriusciti per ballare il limbo. Li adoravo. Avevo persino una maglietta che mi aveva regalato Kate con dei marshmallows, chissà dov’era finita.
Distribuì una manciata ciascuno e iniziammo ad arrostirli sul fuoco. La parte più buona era quando si scioglievano e ti sembrava di avere in bocca della bava come quella dei cani. Beh, che paragone di merda, però dovreste provarlo. 
Un religioso silenzio era calato sul falò dal momento che ognuno mangiava. Ovviamente fu Michael a spezzare la magia con un gridolino che ricordava quello di un animale della notte. Tipo il pipistrello.
Si voltò e da non seppi dove estrasse la sua preziosissima chitarra classica. Melody. Come potete notare, un’altra intelligentissima cosa che aveva fatto era affibbiare un nome alla sua chitarra, ma dato che mi aveva permesso di sceglierlo mi andava bene. Iniziò a strimpellare qualche nota.
«Non è un fuoco sulla spiaggia senza chitarra» disse continuando a suonare. Ah, piccolo appunto; Michael era bravissimo a cantare. Aveva una voce angelica, mi piaceva quando canticchiava gironzolando per casa.
«I’m walking fast through the traffic lights. Busy streets and busy lives, and all we know is touch and go» cominciò a cantare. Subito riconobbi le prime parole di State Of Grace, di Taylor Swift. Mi lanciò un’occhiata che ricambiai con un sorriso da orecchio a orecchio. Aw, il mio piccolo fratellino.
Dovetti trattenermi dal lanciare un urlo di gioia; non potevo credere che stava davvero cantando per me una canzone di Taylor, nonostante non fosse proprio la sua cantante preferita. 
«And i never saw you coming, and i’ll never be the same» continuò tenendo lo sguardo verso il lungomare. Kate fece una risatina divertita vedendomi praticamente incantata nell’ascoltare le dolci note della canzone. La Swift è meravigliosa. 
In un attimo sentii tutti gli sguardi addosso. Ero l’unica a cui piaceva sul serio la Taylor? Mah.
«Su, Charlie, canta!» suggerì quella rompi bip di Kate, che trovava sempre il modo per mettermi in imbarazzo, anche non volendo. 
Scossi la testa energicamente, nervosa. Sapeva perfettamente che non cantavo davanti ad altre persone che non fossero lei o Emily.
Luke, a quanto pare per la prima volta stasera, si concentrò su di me. Sorrise beffardo. «Sai cantare?»
Sbiancai; non ce l’avrei mai fatta. Specialmente se c’era di mezzo lui. 
«No, sono stonatissima» cercai di pararmi il culo, non risultando per niente credibile nel mio intento. 
Kate scoppiò a ridere, istericamente. «Non è vero, è un angelo quando canta» porca miseria, maledetta Kate.
«Avanti, sorellina, cantiamo insieme!» okay, lo stavano sicuramente facendo apposta.
Sentii subito delle note diverse provenire dalla chitarra di Mikey, e le riconobbi subito con un fremito: Kiss You dei One Direction.
Kate urlò di gioia, adorava quei cinque ragazzi. La cosa brutta del momento era che la mia bocca iniziava a cantare autonomamente quando sentivo quella precisa canzone. Metteva una carica assurda. 
Il ritornello venne cantato da Mikey e Kate, allegramente.
«Yeah, so tell me girl if every time we touch you get this kinda rush, baby say yeah, yeah, yeah. Yeah, yeah, yeah! 
If you don’t wanna take it slow, and you just wanna take me home, baby say yeah, yeah, yeah. Yeah, yeah, yeah, and let me kiss you!
»
Come previsto avevo iniziato a muovermi senza essermene accorta, fin quando la strofa iniziale di Zayn non aiutò nel mio intento di tacere per non fare figure di merda.
«Oh, i just wanna take you anywhere that you like, we could go out any day, any night! Baby i’ll take you there, take you there! Baby i’ll take you there, yeah!» misi una mano sulla bocca. Dio, non potevo credere di aver cantato sul serio. 
Ashton e Calum mi fissarono allibiti.
«Minchia Charlie, non sapevo sapessi cantare» se ne uscì Ash accigliato.
Mi morsi nervosamente un labbro. «Infatti non so cantare» era vero. Non avevo questa gran voce, o almeno paragonandola a quella di mio fratello. Era inutile starci sopra: la voce più bella l’aveva lui, punto.
«Si, come no» Emily al momento stava facendo la cosa migliore: parlava con Cal tranquillamente, senza prestare ascolto o intromettersi. Ma si trattava di Kate; avrei potuto smettere di ascoltarla ma continuare a guardare fisso nei suoi occhi e non si sarebbe accorta di niente. La ignorai, per la mia integrità.
Michael fece la tipica tosse finta per far si che la nostra attenzione venisse rivolta a lui. E infatti. 
«C’è una cosa che io e gli altri dovremmo annunciare» disse mettendo via la chitarra. Persino Emily smise di parlare per ascoltarlo. 
Mio fratello lanciò un’occhiata ai suoi amici. «Forse voi non lo sapete, ma è da quando eravamo piccoli che suoniamo insieme; io, Calum, Ashton e Luke» Calum gli dette il gomito scherzosamente «E stavamo pensando… Per quest’estate, dal momento che possiamo vederci tutti i giorni, potremmo formare un gruppo, il nome non l’abbiamo ancora deciso»
Kate alzò un sopracciglio. «Cioè… Una band?» in risposta ricevette una risposta collettiva, affermativa.
Oh… Mio fratello, Michael Clifford, in una band. In una band composta da Ashton, Calum e Luke… 
«Cosa ne dite?»
«Ma è fantastico!» risposero all’unisono Emily e la castana, sinceramente sorprese. 
Si alzarono per abbracciarli. «Charlie…?»
Non sapevo davvero cosa dire; cioè… Una vera band. 
Massì che sono felice, fanculo. Senza dire niente mi catapultai su mio fratello strapazzandolo di coccole. Il mio piccolo unicorno rosa, dopo anni e anni di canzoni sotto la doccia, finirà su You Tube! Lo stritolai nella mia morsa, soffocandolo quasi. 
«Hey, intendi abbracciare solo tuo fratello?» mi rimbeccò Ash indicando il resto del gruppo. Okay, sapevo perfettamente che avrei dovuto dire ‘si’, ma non ce la facevo a resistere a quegli occhietti. Sbuffando mi avvicinai a loro molto lentamente e li abbracciai, partendo da Ash, poi Calum (che ricevette un morso alle guance, erano troppo pacioccone) e infine Luke. Mi afferrò una mano per tirarmi e mi strinse a sé premendo sui miei fianchi. Un brivido mi percorse la schiena. 
Dio, ma era possibile che quel ragazzo faceva svenire anche solo con un abbraccio? Era sensuale anche in quello!
Le sue enormi mani mi avevano avvolta e stretta per un lasso di tempo che a me sembrò un’eternità, invece erano pochi secondi. Avevo ricambiato portandogli le braccia al collo e posando il mento sulla sua spalla. Quel maledetto profumo di cannella mi mandò fuori di testa. 
Quando sciolsi l’abbraccio ricevetti un occhiolino, e rischiai seriamente di andare in iper ventilazione. 
Gli altri, mio malgrado, sembravano aver notato la sensualità con cui mi aveva abbracciata, infatti mi stavano ancora guardando straniti. 
«Io però vorrei sentirvi cantare» intervenne Emily, tirandomi fuori da quell’imbarazzante situazione. Kate annuì vivacemente, d’accordo con la bionda.
Michael rise e prese nuovamente la chitarra. «Abbiamo scritto un pezzo da soli»
Luke si schiarì la gola non appena sentì le prime note della canzone provenienti dallo strumento.
«Life’s a tangled web» la sua voce uscì roca dalle sue labbra. Le prime parole della canzone erano abbastanza alte, ma lui riusciva a domare la forza voluta per emetterle. «of cellphone calls and hashtag ‘i don’t knows’. And you, you’re so caught up in all the blinking lights and dial tones. I admit I’m a bit of a victim in the worldwide system too; but I find my sweet escape when I’m alone with you. Tune out the static sound of the city that never sleeps, here in the moment of the dark side of the screen»
Oddio; la sua voce mi aveva lasciata letteralmente senza fiato. Anche se il suo assolo era durato poco, non avevo fatto altro che fissare le sue labbra muoversi e il suo torace fare su e giù per riprendere fiato. 
«I like the summer rain, I like the sound you make. We put the world away, we get so disconnected. You are my getaway, you are my favourite place. We put the world away, yeah we’re so disconnected!» tutto il gruppo aveva preso a cantare questa bellissima strofa. Avevo quasi voglia di piangere talmente era passionale. 
Le loro voci unite erano qualcosa di spettacolare, e credo che anche se li avessi conosciuti solo su Youtube sarebbero finiti sicuramente nel mio iPod.
Non appena finirono di cantare ricevettero una valanga di applausi da parte delle mie amiche. Io ero ancora incapace di muovermi.
Avrebbero spaccato, senza dubbio.
-
Finita la “cena” vicino il falò, dopo altre canzoni o battutine, iniziammo a preparare le borse per tornare a casa. Erano le 3 di notte, dopotutto era stata una bella serata; avevamo parlato del più e del meno, come un normalissimo gruppo di amici e non i soliti casinisti pervertiti.
Forse si erano trattenuti per via della vicinanza del mare alla città, anche se ne dubito fortemente. Se ne fregavano altamente di chi o cosa c’era vicino a loro, anche se questa impediva il divertimento.
Michael è sempre stato un casinista, anche quando era da solo. Gli piaceva divertirsi. 
A questo punto mi venne da pensare che un po’ tutti i gruppi hanno una vena chiassosa e liberatoria; in poche parole, la normalità non è di questo mondo, come diceva Mikey.
Raccolsi la mia coperta dalla sabbia fredda e la piegai distrattamente. Mi ci era voluta questa sera in spiaggia; il mare riusciva sempre a calmarmi, anche se la notizia della band mi aveva scossa. 
«Dunque sai cantare, eh?» e se c’era una cosa che poteva farmi ritornare il malumore, era proprio la voce di Luke, per quanto bassa e suadente potesse essere.
Gli lanciai un’occhiata indecifrabile; non sapevo nemmeno io come guardarlo. Come risposta un sospiro lasciò le mie labbra. 
Cosa avrei dovuto dirgli? Si? No? Non lo so?
«Oh, andiamo. Sei l’allegria fatta a persona» mi rimbeccò spingendomi leggermente col fianco mentre avevamo iniziato a camminare. 
Stava facendo il sarcastico con me? «Cosa vuoi, Luke?» tagliai corto.
Non amavo i giri di parole. Fece spallucce guardando un punto verso l’orizzonte, quasi non più visibile. «Sei brava» disse dal nulla.
Lo guardai incuriosita. «A cantare»
Beh, anche tu, bello mio. Cioè… Non capivo sul serio: era lui quello con la voce da mozzare il fiato, eppure faceva i complimenti a me, che in confronto ero una mezza sega. 
«Anche tu» dissi, cordiale. Era vero. Sorrise vittorioso e mi si avvicinò di più.
«Sai, ho notato come mi guardavi mentre cantavo» esordì avvicinando la bocca al mio orecchio. 
La gola mi si seccò in un lampo, sembrava che la saliva si fosse prosciugata e fosse finita chissà dove.
«Non riuscivi a togliermi gli occhi di dosso» continuò, a bassa voce. Non che temesse di essere ascoltato da qualcuno: gli altri avevano allungato il passo ed erano abbastanza lontani.
«Ti guardavamo tutti, Luke» tentai di giustificarmi ponendo una ragionevole distanza tra di noi. 
Ridacchiò. «Non credo che tutti avessero avuto la bava alla bocca»
Brutto figlio di… Avrei voluto lanciargli una sberla, anche se in fondo non aveva tutti i torti. Il problema era che mi metteva così in soggezione…
Cercai velocemente una risposta adeguata nella mia mente, ma con scarsi risultati dato che me ne uscii nuovamente con: “cosa vuoi da me?” 
Rise di nuovo, e annullò la distanza che c’era fra noi. Se fino a poco fa stavamo camminando sulla sabbia fresca, ora mi sono ritrovata di schiena contro una palma (constatando che graffiava un casino) sul marciapiede vicino la strada, con lui di fronte a me. 
Perché faceva sempre così? Aveva una specie di mania nell’intrappolare povere ragazze innocenti?
La cosa che mi dava più fastidio era che il respiro puntualmente mi si era mozzato, ed ero costretta a respirare a sbuffi. Lui invece se la rideva mentre la visuale della spiaggia di fronte a me spariva, coperta dalle sue spalle. 
Mi fissò negli occhi. «Se dovessi risponderti sinceramente, ti traumatizzerei» soffiò nel mio orecchio.
Riuscii a sentire in tempo l’ultima sillaba pronunciata da Luke, che le mie orecchie si tapparono a poco a poco.
Ditemi che anche voi state sentendo la sigla di Dawson’s Creek come sottofondo…
Continuai a guardare nei suoi occhi azzurri, identici ai miei; se in quel momento mi avessero chiesto il nome, non avrei saputo rispondere. 
La sua mano raggiunse in fretta la mia guancia, percorse lentamente il profilo del collo con le dita. Tutta la sua lentezza stava facendo si che il mio stomaco si riducesse a un nodo strettissimo. Ero rimasta praticamente senza parole; non sapevo cosa fare, come muovermi, se muovermi.
Il mio cervello si era gettato in mare: non rispondevo più delle mie azioni, era come se si fosse disattivato. Era disconnesso.
Luke avvicinò il suo corpo al mio posando entrambe le mani all’altezza della mia vita; la sua testa si abbassò piano verso di me.
Oddio, che stava facendo? Era impazzito per caso?
Le braccia mi rimasero immobili lungo i fianchi. Il mio corpo non restò per niente indifferente ai suoi movimenti, anzi, la schiena si era inarcata senza che me ne fossi accorta.
Sfiorò il suo stomaco coperto dalla canotta nera; cosa stava succedendo?
Feci in tempo a guardarlo mentre si avvicinava molto lentamente al mio viso che un pensiero balenò nella mia testa. Seguii istintivamente il comando che mi ordinava di spostarmi prima che fosse troppo tardi. Ruotai la testa verso sinistra in modo da evitare qualsiasi suo movimento; poggiai due mani sul suo petto e premetti per allontanarlo da me.
Luke ritirò il viso sbattendo gli occhi con un’espressione confusa e stupita, ma non accennò a spostarsi. Strinse forte la mia vita tra le sue mani quando vide che cercavo in tutti i modi di sgusciare dalla sua presa: mi tenne ferma per un istante.
«Che stai facendo, Luke?» soffiai ad un palmo dal suo viso. Ovviamente non rispose, ma mi guardò negli occhi come se non avessi detto o fatto niente. Come se fossimo tornati a due minuti fa. Approfittando del fatto che si fosse distratto e avesse allentato la presa, riuscii a scrollarmi le sue mani di dosso.
Grugnì in risposta alla mia azione; mi fissò per l’ultima volta per poi girarsi e allontanarsi definitivamente.
Rimasi lì, con la bocca socchiusa, i capelli spettinati dal vento e le guance rosse. 
Ma cosa…






SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Ciao belle! Ho aggiornato subito eheh
Vedete? Quando recensite i capitoli arrivano! Premettendo che li ho già pronti da mesi, fino al 13 lol *risata isterica*
Allora, vi piace questo capitolo?
Come avevo detto, l'ho dedicato interamente al falò.
E Lukey? E' davvero troppo impulsivo il ragazzo, ma Charlie ha resistito ouo
Ve l'avevo detto eheh
Dobbiamo aspettare un altro po' per la Chake, o come volete chiamarla ahah.
Magari me lo inventate voi un nome più decente :')
Graaazie.
Va bene, passiamo ai ringraziamenti:
un ENOOORME grazie a tutte le ragazze che recensiscono, le 16 che hanno messo la storia tra le seguite, le 10 tra le preferite e le 3 tra le ricordate. Per non parlare delle 300 e passa di visualizzazioni. 
GRAZIE A TUTTE!
Sapete che vi amo, e mi fate felice quando recensite la mia storia. Perché come ho detto, credo sia la migliore che la mia mente sia in grado di elaborare.
Vi voglio davvero tanto bene e spero di non deludervi!
Aggiorno a 4 recensioni!

p.s. avete visto Shake It Off della Swift!? ASDFGHJKL i can't.

Come al solito, se qualche anima pia è disponibile per realizzare un banner per la storia, la accoglierò di buon grado!
Grazie ancora, alla prossima!

Tanti baci,
Au.

 

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Capitolo 7
*** He didn't kiss me. ***





7° capitolo

He didn’t kiss me.
 
Kate osservò attentamente il festone appeso vicino alla porta d’ingresso. Inclinò la testa da un lato, e subito si avvicinò per sistemare un lembo un po’ più in su. 
Indovinate? Stava finendo di addobbare la casa per la festa di stasera, e voleva che tutto fosse perfetto. 
Io ero tranquillamente seduta sul divano guardando Abito Da Sposa Cercasi, non potevo prestare attenzione ai preparativi. Dio, non capisco perché le spose grasse si lamentano di non entrare nel vestito al primo colpo: potete farla una dieta prima di anche solo pensare di entrare in atelier, no?
Michael interruppe il mio flusso di pensieri scendendo rumorosamente le scale (ovvero aggrappandosi alla ringhiera e simulando uno scivolo), gettandosi sul divano di fianco a me e afferrando il telecomando che avevo in mano per cambiare canale. 
Fermò lo zapping su una partita di rugby. Lo uccisi con lo sguardo: era normale secondo voi piombare addosso ad una persona e fregarle il telecomando?
Mi fece un sorrisone per evitare che la mia ira si abbattesse su di lui, ma non attaccò, non con me.
«Ridammi il telecomando Michael, è un ordine.» gli diedi l’opportunità di salvare la faccia tendendo la mano aperta verso di lui. 
Mi guardò divertito. «Direi che è ora di cambiare serie tv, sorellina. Sei troppo attaccata a queste scemenze da zitella cinquantenne che è ancora convinta che un principe azzurro verrà a chiedere la sua mano su un cavallo bianco» disse tornando a guardare la partita con interesse. Impallidii. 
Zitella cinquantenne? Principe azzurro?
Non risposi alla sua osservazione: misi le braccia conserte e un muso fino a terra.
«Ai ai, Charlie si è arrabbiata» intervenne Kate dal nulla, ridendo. Guardai entrambi malissimo.
Ora erano tutti e due seduti sul divano, di fronte a me, e mi fissavano; ecco, ora iniziano…
«Oh andiamo Charlie, lo sai che sono programmi demenziali e senza senso» Michael alzò gli occhi al cielo. Odiavo quando lo faceva, sembrava che stesse per vomitare. 
«Tu sei demenziale e senza senso.» risposi molto educatamente. Kate iniziò a ridere come un’orca morente.
«Okay, okay, prima che iniziate a tirarvi addosso padelle o cose del genere, venite ad aiutarmi con l’ultimo festone» mi alzai per andare ad aiutare Kate con quei maledettissimi cosi.
Non perché avevo voglia di farlo, sia ben chiaro, ma per evitare che incominciassi a litigare sul serio con mio fratello. Poi sarei diventata acida, isterica, nevrotica, e altri aggettivi che mi affibbiavano i miei “amici” di solito. 
Michael non accennò nemmeno ad alzarsi e rimase seduto (stravaccato) beatamente sul divano, meglio così.
Alzai il festone per incollarlo alla cornice di un quadro, vicino alla porta. «Sono orribili» commentai.
«Cosa?»
«I festoni. Sembra la festa di una dodicenne»
Kate sbuffò. «Piantala di fare l’idiota» disse ridacchiando. 
«Dov’è Emily?» chiesi una volta notata la sua assenza. Erano appena le 11 di mattina, e non era ancora in cucina intenta a prepararmi un milkshake al cioccolato.
Si, mi preparava la colazione…
Kate si grattò una tempia. «E’ andata a fare la  spesa» rimase un minuto in silenzio «con Calum»
Strabuzzai leggermente gli occhi. «Non dirmi, escono insieme?» risi istericamente. L’avevo sempre detto che avevo un futuro da indovina. Sapevo che si sarebbero piaciuti, erano fatti l’uno per l’altra.
Kate fu contagiata dalla mia risata. «Ma no dai, sono solo andati a comprare delle bibite»
Iniziai ad alzare e abbassare le sopracciglia velocemente, facendo ridere ancora di più la mia amica. «Da cosa nasce cosa» le ricordai «e poi ogni scusa è buona»
«A proposito di ‘da cosa nasce cosa’…» iniziò Kate togliendo un pezzo di scotch rimasto incollato alle dita «…come sta Lukey?» chiese maliziosa.
Oh no. No, no, no e no. Tutto ma non lui.
«Ehm… Spero che in questo momento sia stato preso da un attacco di diarrea, ma credo che stia bene dato che i desideri son sogni e i sogni son desideri» risposi a tono ignorando le mie stupide gambe che avevano preso a tremare come gelatina di frutta. 
Mi guardò sbigottita. «Io… Io non so davvero come fai» bisbigliò scuotendo lentamente la testa. Alzai le spalle con fare innocente.
«Hey, piccola Cinderella, non siamo stupidi, sai? Vi abbiamo visti in spiaggia» intervenne mio fratello sorridendo maliziosamente. 
Ah. 
Impallidii leggermente. Avanti, Charlie, non andare nel pallone come al tuo solito e pensa ad una risposta decente.
«In spiaggia?» i giri di parole funzionavano sempre, specialmente con Michael: avrebbe iniziato a rincoglionirsi e avrebbe lasciato perdere. 
Annuì, seguito poi da Kate. «Avete  bevuto» conclusi.
Mio fratello scoppiò a ridere spegnendo la televisione e avvicinandosi a noi due. «Non fare la finta tonta, sorellina. Sai che non mi arrabbio» a quanto pare quella volta non potevo darmela a gambe… Dovevo trovare un modo per raggirare sia Kate che Michael.
«Cosa state dicendo?» strabuzzai gli occhi come se non sapessi ciò che stavano blaterando. Mi guardarono come se avessi in testa un ragno o qualcosa del genere.
Tossicchiai. «Stiamo dicendo che abbiamo visto tutto»
«E cioè?» non che ci fosse stato molto quel giorno da guardare. In fondo non era successo un bel niente… ‘Se non l’avessi allontanato’ commentò la mia vocina interiore alquanto divertita e maliziosa. Se potessi le tirerei un ceffone.
«Il bacio»
Sgranai gli occhi all’affermazione di mio fratello. COSA? Credevano che Luke mi avesse baciata? 
Ossignore, no!
«Che cosa?» abbaiai contro di loro. Non potevo credere che l’avevano pensato sul serio!
Risero come due perfetti idioti. «State sbagliando tutto, non ci siamo baciati per niente!» tentai di chiarire sempre utilizzando un tono molto alto. 
«Si, come no» fece Kate facendomi un occhiolino. Mi oltrepassò per sedersi nuovamente sul divano. Ero ancora imbambolata a fissare il punto dove era sparita. Dio mio, era inconcepibile. 
«Non potete pensare una cosa del genere» bofonchiai.
«Per l’amor del cielo, Charlie, non è un problema! E’ inutile continuare a negare tutto!» disse Michael sedendosi vicino alla mia amica. 
Ah bene, neanche mi davano retta…
«Ciao belli!» Emily era appena tornata con due buste piene in mano e un sorriso smagliante. Mi avvicinai a lei come una furia e iniziai a scuoterla violentemente.
«Emily! Dillo! Dici che io e Luke non ci siamo baciati! Non lo pensi, vero?» iniziai a dire a raffica. Sperai che almeno la bontà e la saggezza della bionda avrebbero potuto far cambiare opinione a quei due imbecilli. 
Lei mi fissò con gli occhi sbarrati e mi chiese gentilmente di calmarmi. Posò le buste della spesa vicino ai suoi piedi, mettendo le mani sui fianchi dopo.
«Cosa sta succedendo qui?»
«Credono che Luke mi abbia baciata in spiaggia» risposi io indicando Kate e Michael, che ridacchiavano fra di loro. La bocca di Emily si piegò in un sorriso divertito.
«Non l’ha fatto?» chiese ancora più divertita. 
Diocristo. «NO.»
Emily scoppiò in una fragorosa risata. «Non preoccuparti, Charlie, va tutto bene» cercò di tranquillizzarmi.
Mi mossi a disagio. «Non mi ha baciata» borbottai a braccia conserte come una bambina di 5 anni. Ero patetica.
«Va bene, va bene; non ti ha baciata. Non c’è bisogno di fare casino» commentò la bionda andando in cucina con le buste. La seguii curiosa.
«Cosa hai comprato?» chiesi cambiando completamente argomento; non volevo più sentirne parlare. 
Emily tirò fuori dalle buste una valanga di bibite, alcoliche e non. Beh, almeno avevano pensato a me con il… crodino? Bleah.
Poggiai la bottiglia di vetro che avevo preso sull’isolotto e mi ci stravaccai sopra annoiata.
«Qualcosa non va?» fece lei, premurosa come sempre, iniziando a mettere le bottiglie nel frigorifero. La guardai con la coda dell’occhio.
«Niente, tutto okay»
Mi lanciò un’occhiata accigliata. «Te la sei presa molto per l’episodio di Luke» mi fece notare con calma dopo alcuni minuti. Alzai gli occhi al cielo sapendo che non poteva vedermi. 
Feci un verso gutturale per non dire ‘si’, sapete, quel ‘mmh’ che di solito sta a rappresentare una risposta positiva. 
Alzò un sopracciglio e stropicciò la busta di carta fra le mani. «Beh, sinceramente noi tutti eravamo convinti che vi foste baciati»
Sollevai la testa che avevo poggiato sulle braccia incrociate. «Cosa?»
«Già; ecco perché Kate e Mikey insistevano. Forse credevano che tu non lo volessi ammettere»
Beh, magari da lontano poteva sembrare una specie di bacio, perché (come al solito quando mi trovavo con lui) Luke mi era molto vicino. Anche se ero convinta che gli altri se ne fossero già andati… Minchia, mi era preso un infarto. 
Misi i gomiti sul piano da cucina. «Non è successo niente» spiegai tenendo un tono di voce basso. 
«Sembrava vi foste avvinghiati come sardine, non ti aveva lasciato nemmeno un millimetro per respirare» ridacchiò lei, allegra. 
Sospirai. «Non puoi immaginare» si sedette sullo sgabello di fronte al mio con un’espressione curiosa.
Aveva ragione, eravamo attaccati come i pancake alla padella. Che metafora di merda. 
«Ti piace, eh?» le lanciai un’occhiata alla sua domanda. 
Alzai le spalle cercando di non guardare quei pozzi verdi; piccoli ma profondi pozzi verdi. «Io…»
Cosa avrei dovuto dirle? Mi piaceva Luke? Cioè, aveva un bel faccino, un fisico da dio, dei capelli fantastici… La pecca era solo quel maledetto caratteraccio che si ritrovava. 
Mi guardò compassionevole. «Sai Charlie, io credo che tu gli piaccia molto» disse sorridendo. 
Si, e io ero Barbara Palvin.
«Non ci provare, Em»
«Ma andiamo, si vede da un miglio!»
«Cosa? Che è un gigolò?»
Mi guardò male. «Credi che se lo fosse non avrebbe fatto altrettante avance a me, o a Kate?»
La fissai per un secondo. Non c’entrava proprio niente questo; lui era scortese, stronzo ed egocentrico.
«E se le facesse ad altre ragazze?» provai, beccandomi un’altra occhiataccia.
Posò le mani sul tavolo. «Sai cosa? Per me dovresti smetterla di preoccuparti dei miei problemi. Abbiamo una festa stasera, e tu devi raccontarmi tutto del moretto» dissi mettendo in mezzo l’argomento ‘Calum’, sapendo che si sarebbe sciolta come un marshmallow al fuoco. Mh, marshmallow.
Infatti sorrise come un’ebete. 
«Hai ragione, andiamo di sopra»


«Non ho un emerito cazzo da mettere!» esclamai a non so chi dal momento che al piano di sopra non c’era nessuno, lanciando grucce e vestiti sul letto dietro di me.
Possibile che in quell’armadio c’erano solo magliette e jeans? Ma dico.
Non avevo nemmeno tempo per andare a fare shopping, erano le 8 di sera, ed ero ancora in mutande, con i capelli bagnati e senza trucco.
Sbuffai nervosamente. «Kate!» cercai di invocare la sua presenza, anche se in quel momento stava parlando con il dj appena arrivato. Insomma, la solita ritardataria.
La sua risposta mi fece calmare un po’: un “arrivo” molto allegro e spensierato. Sentii i suoi tacchi quindici calpestare il parquet del corridoio, e dopo qualche secondo apparve sulla soglia della porta, sgargiante come al solito. Indossava un vestito color pesca, perfetto per la sua carnagione, corto davanti, lungo dietro e cintura dorata sotto il seno.
«Vas happening?» esclamò imitando il tono abbastanza ritardato di Malik. Che mi faceva morire dalle risate. 
Indicai frustrata il mio guardaroba con un lamento. Mi diede una leggera spinta col sedere per farmi spostare e iniziò a frugare tra i miei vestiti facendo versi di disapprovazione.
«Zero vestitini, zero gonne… Mh, amore, hai bisogno di fare un po’ di shopping» mi fece notare spostando grucce a destra e a sinistra.
Mi lamentai con un gemito; aveva ragione.
Si mosse verso il suo armadio, aprì le ante e pescò un vestito davvero carino. Me lo mostrò sorridente.
«Questo vestito non mi è mai piaciuto; mi sta troppo largo» disse porgendomelo. «Provalo»
Feci come detto. In effetti, era stupendo. Era corto, con un taglio a impero; nero, gonna floreale e scollo a cuore. Davvero bello.
Kate rimase leggermente ammaliata.
«Beh, non credevo che a te sarebbe stato così bene» commentò a mezz’aria. Sorrisi compiaciuta.
«Okay, sei perfetta. Sai cosa? Te lo regalo» ow, ecco perché era la mia migliore amica.
Dopo averla ringraziata con un bacio sulla guancia tornò al piano di sotto per gli ultimi ritocchi della festa. Mi guardai nello specchio.
Argh.
Presi i miei tacchi neri, ovviamente non alti come quelli di Kate, sarei caduta di faccia per terra. 
Come trucco scelsi una riga di eye-liner, mascara e rossetto. Avevo l’impressione di sembrare una battona con il trucco pesante, quindi niente ombretto. 
I capelli si erano quasi asciugati; non erano né lisci né ricci, semplicemente mossi e mi piacevano. Davano l’idea dell’estate. 
Prontissima. 
Scesi di sotto per controllare come procedevano i preparativi della festa. 
C’era una Emily molto elegante e sobria con un bicchiere di carta in mano, annuendo ad ogni cosa che stava blaterando quella testa pelata che presumo fosse il dj.
Kate stava rimproverando Michael che aveva già iniziato a bere, e io ero ancora sulle scale con un sopracciglio alzato.
Emily si voltò verso di me e si allontanò subito dall’uomo scusandosi. Si avvicinò a grandi falcate e poi mi sorrise. 
«Dio, non ce la facevo più a sentirlo parlare!» si lamentò «Oh ma sei bellissima, Charlie!» esclamò facendomi fare una giravolta per guardarmi tutta.
La ringraziai sorridente. «Anche tu sei mozzafiato. Calum non ti toglierà gli occhi di dosso» le feci un occhiolino scompigliandole i boccoli biondi. Ero sicura che il moretto sarebbe impazzito per lei.
Fece una risatina imbarazzata per poi prendermi a braccetto per portarmi a vedere il resto della sala addobbata.
«Che te ne pare?» rimasi leggermente allibita. Wow. Non avrei mai pensato che il salone potesse essere ancor più bello di quello che era già. I festoni non sembravano più così infantili come pensavo, ma facevano un bel contrasto con le luci colorate. I tavoli erano disposti ordinatamente, provvisti di bevande e cibo. Ci mancava la statua di ghiaccio. 
«E’ fantastica» il mio commento fu coperto dalla musica che veniva trasmessa dalle casse vicino a noi. Portai una mano all’orecchio; però, che volume.
Riuscimmo ugualmente a sentire Kate che stava salutando. Dalla porta di ingresso infatti una valanga di ragazzi aveva varcato la soglia; forse Kate non li aveva mai neanche visti.
Ashton fu uno dei primi ad entrare, con una bottiglia di champagne in mano e un sorrisone a trentadue denti. 
«E’ qui la festa?» urlò come un maniaco alzando la bottiglia. Prevedo molti ma molti disastri.
Se fossi in Kate mi preoccuperei per il preziosissimo vaso della nonna. 







SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Lalala, innanzi tutto SCUSATEMI, in questo capitolo non c'è davvero una minchia. 
Lo so, è praticamente inutile (ç.ç), ma è il capitolo di passaggio per la festa, ce l'avevo pronto da tipo luglio e non avevo voglia di cambiarlo..
Scusate ragazze, so che molte di voi si aspettavano altro per il 7° capitolo..
Non vi preoccupate, l'8° sarà decisamente meglio, ve l'assicuro. Quindi, per favore non mi abbandonate solo per questa merdina di capitolo, oltretutto corto!
L'avvenimento hot sarà proprio nel prossimo, non posso dirvi altro eheh
Per farmi perdonare aggiornerò quanto prima, e non pretendo nemmeno un numero di recensioni determinato, perché effettivamente fa schifo più a me che a voi ç.ç
Scusate ancora.
Okay, passiamo avanti.

RAGAZZI, 7 RECENSIONII!

Peppeeepeppepeppepepeeeeeee *trenino di capodanno* OMG non posso crederci!
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE DI TUTTO CUORE!
Vi adoro, siete il massimo!
19 seguiti, 13 preferiti! Mi volete morta!
Okay, sclero finito smdgf.
Niente, spero che dopo questo completo buco nell'acqua continuiate a seguirmi, perché vi giuro che il prossimo sarà esplosivo, ridoforever.
Evaporo.
AAH, un'ultimissima cosa.
Lo so, già è tanto che vi ho chiesto di continuare a seguire questa sottospecie di tizia, la sottoscritta.
Ma potreste gentilmente passare da "Sky full of stars", della mia amica Roby_17black?
E' solo al prologo, ma vi assicuro che è una bella storia, dato che l'abbiamo progettata insieme, secondo me vi piacerà ewe. Ci sono 5sos e 1D tutti insieme eheh.
Graaazie.
Scappo sul serio, e cercherò di aggiornare in frettissimissima.
Tanti baci,
Au.


 

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Capitolo 8
*** Tequila and... ***



 
8° capitolo

Tequila and…

 

La musica stava rimbombando nelle mie orecchie, pesante. E il tipo che mi si era attaccato addosso era un rompipalle tremendo.
Me lo scrollai di dosso sbuffando; mi stava scartavetrando le biglie, e le sue mani erano peggio dei tentacoli di una piovra.
«Dove vai, bella?» mi urlò dietro. 
«Lontano da te, rincoglionito»
Riuscii a farmi strada verso i tavoli, dove fino a pochi minuti fa c’erano centinaia di bottiglie di birre e alcolici. 
Inutile descrivere la situazione…
Avevo perso Kate da un pezzo, ma riuscivo ad intravedere Emily seduta sul divanetto e Calum appoggiato al tavolo che rideva. Beati loro.
Ashton stava parlando con Edith (sì, il pony aveva invitato anche lei), e sembravano star affrontando un discorso serio visto che nessuno dei due rideva o scherzava.
Michael non c’era, come sospettavo. Non volevo nemmeno provare a cercarlo; l’avrei trovato in una delle camere da letto a fare ehm… quello che si fa ad una festa, o sul water a vomitare. 
Naturalmente, non avevo toccato alcol. Il ginger andava più che bene per una festa (considerato che avevo già un leggero mal di stomaco). 
Il molto pelato dj era abbastanza bravo, metteva buona musica. 
Non volevo disturbare Emily o Ashton, così decisi di andare in cucina. Speravo di trovare Kate, così almeno avrei avuto una compagna per ballare.
I ragazzi di Miami erano tanto belli quanto idioti. 
Aprii la porta scorrevole; niente, era vuota. Cioè, a parte le cassette di birre sull’isolotto, la cucina era un cimitero. 
«Ooooh! I knew you were trouble when you walked  in! So shame on me nooow!» qualcuno di molto colorato fece il suo ingresso alle mie spalle, cantando la fantastica canzone della Swift. Ovviamente Michael non si sarebbe mai sognato di cantarla davanti ad altre persone… o cantarla in generale. A parte la scenata che fece in spiaggia per prendere la parte del fratello premuroso.
Iniziò a ridere come cavallo imbizzarrito vedendomi. «Oooh, la mia dolce e tenera sorellina!» ora inizia… Speravo vivamente che non mi avesse vista, ubriaco com’era. 
Mi avvicinai a lui aiutandolo a rimanere in piedi; non era la prima volta che gli facevo da baby-sitter in quello stato. 
Lo feci sedere piano sullo sgabello; dio, sembrava aver fatto un bagno di birra. 
Gettò la testa all’indietro, come se non la sapesse reggere dritta, sempre ridendo. Gliela presi tra le mani e iniziai a schiaffeggiarlo piano.
«Michael…»
«Michael, sei fatto?» figuriamoci…
Annuì vivacemente. «C’era una strana cosa nel bicchiere, somigliava alle medicine che prendeva il nonno; sai, quelle tonde!» sbarrai gli occhi.
Cazzo, avevano drogato mio fratello!?
Gli tolsi subito la bottiglia che aveva in mano. «Ti sei rincoglionito per caso!? Come ti è venuto in mente di berlo?» urlai gesticolando.
In risposta prese a ridere più forte. 
Portai una mano sugli occhi. «Hai vomitato?» 
Stava per dire qualcosa ma venne bloccato… Vomitò a pochi centimetri dai miei piedi. 
«Porca troia Michael!»
Feci attenzione a scansare la chiazza di liquido giallognolo per reggergli la fronte. Era diventato pallidissimo e, cosa più spiazzante, non rideva più.
Presi della carta per asciugargli il viso e la bocca. Maledetto fratello, ecco perché fa male ubriacarsi.
«Va meglio, Mikey?» chiesi dolcemente. Tanto arrabbiarsi non serviva a niente.
Annuì, intanto aveva iniziato a riprendere colore. Lo aiutai ad alzarsi, mettendo il suo braccio attorno alle mie spalle.
Per grazia divina qualcuno decise di entrare in cucina: Ashton. Dio, ti ringrazio!
«Charlie! Ma che cazz…» sbarrò gli occhi quando vide lo stato di mio fratello.
«Non dirlo. Vieni, aiutami a portarlo di sopra» senza dire niente prese l’altro braccio di Michael per trascinarlo su per le scale. 
Una volta nella camera buia, lo facemmo sdraiare sul letto, dove si accasciò. 
«Credo sia meglio chiuderlo a chiave, per evitare che faccia altri casini» dissi incrociando le braccia al petto. Ash annuì, chiudendo la porta alle sue spalle.
«Come ha fatto a ridursi così?» chiese ancora sotto shock.
Sospirai. «A quanto pare qualcuno gli ha rifilato una pasticca nel bicchiere»
Ora aveva spalancato non solo gli occhi, ma anche la bocca. 
«Già» lo precedetti prima che potesse dire altro. Feci un sorso dalla bottiglia di… Che minchia era quella roba? Strizzai gli occhi per leggere l’etichetta: birra.
Sembrò surreale per me, ma un po’ di tensione era sparita con quel sorso. 
«Credo sia un bene che abbia vomitato; almeno ha espulso la droga» commentò passandosi una mano tra i capelli; non sembrava ubriaco.
Mi guardò attentamente. «Hai appena bevuto della birra?» chiese indicando la bottiglia che avevo in mano. Oh, ma pensavano che fossi una suora che non si era mai sbronzata?!
«Si» dissi con aria di sfida. Avevo anche dei video molto imbarazzanti che lo dimostravano. 
«Beh, questo significa che avrò una compagna per bere» disse prendendomi un braccio e trascinandomi al piano di sotto.
Oh merda. 
UN QUARTO D’ORA DOPO…

Iniziai a sentire delle voci ovattate intorno a me, davano un fastidio tremendo.
Portai una mano sulla fronte dal momento che la testa mi scoppiava, e provai ad aprire gli occhi. Perché ero sul pavimento?
I miei occhi distinsero molte figure attorno a me, tra cui Kate rossa come un peperone, Emily inginocchiata per terra vicino a me, Ashton con una mano alla nuca e Calum a braccia conserte.
«Ha aperto gli occhi!» fece Emily rivolta agli altri. Provai ad alzare il busto senza successo dato che mi ritrovai per terra, non picchiando la testa fortunatamente.
La mia amica bionda fece poggiare il capo sulle sue ginocchia e iniziò ad accarezzarmi i capelli. «Va tutto bene Charlie»
«Dove… Cosa è successo?» chiesi con una voce impastata, simile alla mattina appena sveglia.
Kate stava sbattendo i piedi per terra da quando mi ero svegliata; era incavolata. «Ashton ti ha fatto bere un po’ e sei colassata» mi spiegò lei furiosa.
Il diretto interessato sospirò. «Te l’ho detto Kate, non pensavo fosse così ehm… Non pensavo che non reggesse l’alcol per niente!» si giustificò indicandomi, come se la colpa fosse mia. Cercai di ricordare qualcosa dei minuti precedenti, ma nei miei pensieri galleggiava solo una nuvola nera. In altre parole, non ricordavo niente.
Avevo solo un po’ di mal di testa, ma stavo bene. 
La seconda volta in cui provai ad alzarmi fu quella buona e riuscii persino a reggermi sui tacchi. Kate sembrò riprendersi leggermente quando vide che ero già in piedi.
«Hey ragazzi» ed ecco che Luke Hemmings faceva il suo ingresso in cucina, con i capelli leggermente spettinati e i suoi stramaledetti skinny jeans. Aveva la faccia di uno che aveva appena avuto una serata esilarante. Lo salutarono tutti distrattamente, dal momento che stavano ancora ascoltando le lamentele di Kate per il comportamento di Ashton. Quel piccolo infame.
«Che succede?» chiese Luke incuriosito, entrando nella cerchia che si era formata attorno a me. 
Fissammo tutti il biondo, ignaro di quello che era successo qualche secondo fa. 
«Oh Luke, meno male che sei arrivato! Accompagna Charlie fuori in giardino, ha bisogno di una boccata d’aria. E io devo ancora finire con questo babbuino qui davanti a me» indicò Ashton (che deglutì) arrabbiata come un toro. 
Spalancai gli occhi quando rielaborai la frase per intero. Cosa c’entravo io?!
«Cosa? Posso andarci con i miei piedi fuori!» protestai facendo voltare tutti verso di me. Kate mi lanciò la sua solita occhiata che non ammetteva repliche, mentre Calum aveva preso Emily e stavano sgusciando fuori dalla combriccola per star fuori dalla situazione. Massì certo, mollatemi pure!
«Ah si? Ma se fino a poco fa non riuscivi ad alzare la testa. Va’ fuori e non fare cavolate. Luke, fa’ attenzione e reggila, potrebbe cadere» mi rimproverò la mia migliore amica, in una delle pochissime situazioni in cui era seria.
Fanculo, ma cosa sono io? Un procione andicappato? “Reggila gne gne… Potrebbe cadere gne gne…” 
Il biondo, dopo aver fatto una risatina (probabilmente aveva capito tutto), mise le mani attorno alla mia vita per aiutarmi ad attraversare la confusione che stagnava nel salone. Era quasi impossibile camminare. 
Per non stargli troppo attaccata e far si che il mio braccio non andasse attorno al suo collo, mi aggrappai saldamente alla manica della maglietta nera. Dopo un paio di minuti avevamo raggiunto la porta ed eravamo nel giardino. Inspiegabilmente la panchina era libera, così ci sedemmo e potei liberarmi dalla sua stretta. 
In effetti mi sentivo meglio ora che ero fuori; per tutto il tragitto le gambe non avevano fatto altro che tremare, avevo rischiato seriamente di cadere e rompermi qualcosa. Fui segretamente grata a Luke.
Quest’ultimo si appoggiò allo schienale dietro di lui e allungò le gambe in avanti. La musica rimbombava anche fuori, potei riconoscere le note di ‘Waves’ di Mr. Probz.
Iniziò a parlare. «Come ti senti?»
Lo guardai negli occhi. «Bene»
«Ma insomma, cosa hai bevuto?» mi chiese leggermente divertito, girandosi verso di me. Sinceramente non sapevo cosa avevo bevuto.
«Chiedilo ad Ashton» sbuffai scaturendo la sua risata. Scosse la testa.
«Cos’è tutto questo buonumore?» sbottai acida incrociando le braccia sotto il seno. 
Mi fece l’occhiolino invece di rispondere, idiota. 
«E così ti sbronzi facilmente, eh?» se ne uscì poggiando il braccio destro dietro le mie spalle, sulla panchina. Io lo odio. Lo odio.
«No» mentii, non sapendo precisamente perché. 
«Ah si? Ma non eri tu quella che dopo mezza birra era svenuta?» ridacchiò mentre mi prendeva in giro.
«Allora sai cos’ho bevuto» sorrise alla mia accusa, mentre io gli avevo puntato un dito contro.
«Può darsi»
Sbuffai. «Vorrei vedere te quanto riesci a reggere» accavallai le gambe. Dio, quei tacchi mi stavano uccidendo.
«Ti dico solo che potrei tranquillamente durare molto ma molto più di te, bambolina» ribatté bevendo un sorso di birra da una bottiglia che prima non avevo visto. 
Risi divertita alla sua affermazione. «Sì, e io sono Megan Fox»
Si girò verso di me, questa volta non rise. «Mi stai sfidando, Charlie?»
Lo guardai con sufficienza. «Se l’hai intesa così…» risposi lasciando la frase in sospeso.
Sogghignò e mi prese con forza una mano per farmi alzare.  Si era rincitrullito per caso?
«Dove diavolo stiamo andando, Luke?» urlai mentre stavamo entrando in casa nuovamente; la musica sovrastante coprì la sua eventuale risposta. Ma si girò ugualmente verso di me e mi sorrise. O meglio, ghignò.
Deglutii.
UN ALTRO QUARTO D’ORA DOPO…

«Bevi! Bevi! Bevi! Bevi!» 
L’ultimo bicchiere di whisky fu scolato dalla volgarotta che ero diventata dal momento che avevo iniziato a bere come un’ossessa.
Appena finii la cerchia di ragazzi e ragazze che si era formata attorno all’isolotto della cucina iniziarono a urlare e incitare. Urlai anche io portando due pugni in aria, sentendo l’euforia assalirmi. Non avevo idea di come facevo a ritrovarmi in testa un cappello con due enormi corna sopra, stile vichingo, e una collana di fiori hawaiani al collo.
Luke, che stava ridendo come un pazzo, aveva in mano una bottiglia di tequila. Mi sentivo come Katy Perry nel video di “Last Friday Night”. 
Tolsi i miei fantastici accessori e li lasciai sul bancone.
Barcollando, mi avvicinai al biondo di fronte a me e infilai una mano nei suoi capelli, attirandolo a me. La mia bocca era a un millimetro dal suo orecchio, e approfittando della situazione lui aveva posato una mano alla base della mia schiena.
«Chi ha vinto, Hemmings?» sussurrai nel suo orecchio, suadente. Quando mi allontanai per vedere la sua reazione aveva il labbro inferiore stretto fra i denti e un sorriso malizioso era spuntato sul suo viso. 
«Non è ancora finita, babe» prese un altro sorso dalla bottiglia mezza vuota di alcol e la passò a me con un ghigno. Eravamo entrambi brilli, e la cosa mi aveva sorpresa molto dato che avevo bevuto più bicchieri. Mi sorpresi quando trovai il coraggio di avvicinarmi in modo così ehm… “sensuale” a Luke, ma del resto era l’alcol che parlava.
Afferrai con decisione la tequila e mandai giù un sorso generoso.
Sentivo il calore del liquido scorrere nelle vene, e una sensazione di liberazione e tranquillità si impossessò di me. Ah, avevo dimenticato quanto ci si sentiva bene nel sentire l’alcol circolare nel corpo. Solo pensare che circa mezz’ora fa ero sul punto di sclerare per Michael mi faceva ridere. 
Luke continuò a ridere senza un motivo apparente, e la cosa straordinaria era che mi accodai. Ridemmo e ridemmo senza sapere il perché.
I ragazzi che prima mi stavano incitando erano usciti dalla cucina per andare a sferruzzare in giro per la casa. 
Il biondo mi si avvicinò lentamente lasciando andare la bottiglia ormai vuota sul bancone. Accarezzò la mia guancia con la punta delle dita, mentre sentivo il suo volto vicinissimo al mio. Stava per annullare la distanza ma fui talmente presa dalla situazione che scoppiai letteralmente a ridergli in faccia. Si ritrasse con una faccia più che sconvolta.
Allungai una mano per stringere a pugno la sua maglietta e tirarlo verso di me. Lo feci uscire dalla cucina, velocemente. Mi stava facendo delle domande ma non riuscivo a distinguere le parole né a percepirle per via della musica troppo alta. Lo condussi in salone, dove migliaia di corpi sudati stavano ballando a ritmo.
In quel momento iniziai a sentire il corpo farsi più pesante, quasi non riuscii a reggermi in piedi. Per fortuna nel buio trovai le spalle di Luke per aggrapparmi.
Lui, naturalmente, si accorse che stavo iniziando a cedere e mi prese subito. Mi scostò i capelli dal viso e sorrise vittorioso.
«Ho vinto»
Aveva ragione, mi stavo sbronzando alla grande; la tequila stava facendo effetto, terribilmente. Non gli risposi, mi limitai a posare la testa sul suo petto forte.
Le casse trasmisero ‘#SELFIE’ , e tutta la folla andò in delirio. 
Sentii una vibrazione provenire dal torace del biondo, e quando alzai lo sguardo vidi che lui aveva abbassato il suo verso di me. Avvicinò le labbra al mio orecchio.
«Amo questa canzone» disse mentre mi faceva fare mezzo giro su me stessa in modo tale da sentire il suo corpo alle mie spalle. Percepii le sue braccia avvolgermi la vita e il suo mento sulla mia spalla scoperta. Iniziò a muoversi lentamente a ritmo delle parole della ragazza che parlava. Ballavamo; avevo poggiato le mie mani sulle sue. Iniziò a sussurrare nel mio orecchio le parole che la tipa pronunciava, procurandomi brividi lungo tutta la schiena.
Piccolo appunto: anche io amavo #SELFIE.
Le note della canzone mi arrivavano dritte al cervello, scaricando un’energia pazzesca. Forzai la schiena contro il torace di Luke, poggiando la testa sulla sua spalla e mossi il bacino, cosa che lo fece irrigidire.
Lo feci ancora e ancora fino a quando non ottenni che fece pressione sui miei fianchi per far si che si avvicinassero sempre di più. 
L’unica cosa di cui ero sicura era che non stavamo semplicemente ballando come due normali amici; eravamo praticamente incollati, e i miei movimenti avevano lo scopo di farlo impazzire. Chissà cosa mi stava passando per la testa in quel momento. Mi girò velocemente e potei di nuovo guardarlo. Aveva una stana luce negli occhi, sprizzavano malizia; così gli portai le braccia al collo, ottenendo come risposta un sorrisetto. Usai la mia strategia.
Feci scendere le mani piano lungo la sua schiena, ma le fermò subito avvolgendo i miei polsi. Li portò davanti ai suoi occhi e sfiorò le mie nocche con le labbra.
«Sei troppo ubriaca, non voglio approfittarne come un morto di figa» mormorò più a sé stesso che a me. Ridacchiai quando sentii le sue parole.
Stetti per rispondere ma venni bloccata da un conato fortissimo. «Oh cazzo» biascicai a mezz’aria.
Luke mollò la presa vedendomi sbiancata. Mi voltai e vomitai nel primo contenitore che trovai, che somigliava vagamente ad un vaso.
Luke mantenne i miei capelli dietro la schiena per impedire che si sporcassero. Stavo ancora sboccando l’anima come se non avessi digerito quintali di cibo.
Sentii il biondo dietro di me pronunciare un “merda”. Quando finii vidi Luke che stava ridendo; alzai un sopracciglio. Ero così divertente mentre vomitavo?
Quando capii per cosa si stava scompisciando strabuzzai gli occhi. Era il vaso della nonna di Kate! Porca merda!
La situazione era talmente strana che non sapevo se disperarmi o ridere con lui.
Ero ancora impallidita sia per il vomito, sia per il vaso della nonna; ma Luke, sempre ridendo e dopo aver mormorato un “tagliamo la corda”, afferrò all’improvviso le mie gambe e mi caricò sulle spalle. Sembravo un vero sacco di patate, ma dato che di camminare non se ne parlava mi andava bene. Iniziò ad attraversare la marmaglia di adolescenti in piena crisi ormonale e a stento riconobbi le scale che portavano al piano superiore. 
Una volta sopra, aprì la porta di una stanza da letto. Mi posò delicatamente sul materasso e mi tolse i tacchi per poi gettarli ai piedi del letto. Mentre faceva il tutto avevo gli occhi fissi sulle sue spalle e sui muscoli che muoveva per togliermi le scarpe. I suoi capelli biondi mi sfioravano appena dal momento che era chino. 
Alzò lo sguardo incontrando subito il mio; mi fece un sorrisetto. Si alzò e si stese al mio fianco, supino.
Ero ancora seduta sul materasso con i capelli stile parrucca anni ’70, il trucco leggermente sbavato per il sudore, il vestito sporco di… mh… tequila e qualcos’altro, e un’espressione confusa sulla faccia. 
Mi guardò. «Ora prova a riposare. Io rimango qui, non ti lascio»
In un certo senso la sua affermazione mi tranquillizzò. La sua presenza mi rassicurava.
Lasciai che i miei capelli si sparpagliassero sul cuscino quando ci posai la testa. La girai dal lato di Luke, notando con sorpresa che stava già osservando ciò che facevo.
Ahi, che mal di testa. 
Non dissi nulla; entrambi non dicemmo nulla.
Chiusi gli occhi.
 







SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Ciao belle! Avete visto? Ho aggiornato subito dfjgh.
Cosa succede? Charlie e Luke hanno ballato insieme! E lui ci ha riprovato!
Beh, deve avere una grande stima di sé stesso per avere il coraggio di provare a baciarla dopo che è stato rifiutato due volte, non trovate? MUAHAHAH.
Non sono dolci, quei due? Luke è un piccolo orsacchiotto ksjg.
Ed ecco Kate che si arrabbia di nuovo con il nostro pover Ash che ha fatto partire Charlie *risata malefica*
Ma Cal ed Emily che se la squagliano? Stronzi! :')
Bene bene, c'è Edith alla festa... Cosa è successo? EHEH.
Ragazze, voglio ringraziarvi per non avermi abbandonata dopo quel capitolo del tutto impresentabile.
8 RECENSIONI! Ancora più di quante me ne aspettassi! Dio mio, non posso crederci!
Siete tutte meravigliose, vi ringrazio dal cuore!
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE a:
Emilyyyy;
Ilovepizzand5sos;
_Ihope_;
Hemmodimple;
Lavinia_bat00;
ohlove_;
tiedyemichael;
_beatris_!
Ringrazio anche le 23 che hanno messo la storia fra le seguite, le 16 tra le preferite e le 3 tra le ricordate!
Insieme alle 500 visualizzazioni!
Siete la mia forza; siete voi il fulcro di tutto, ciò che mi fa andare avanti!

Okay, dopo tutte queste smancerie evaaaaaporo.

 Tanti baci,
Au.


 
 

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Capitolo 9
*** In the same bed. ***



 

9° capitolo

In the same bed.

 

Schiusi le palpebre piano, iniziando a sbatterle subito dopo. La luce che era filtrata dalla finestra mi arrivava dritta negli occhi provocandomi un fastidio allucinante.
Stropicciai gli occhi con la mano; mi sentivo un po’ intontita, ma soprattutto affamata.
Mi guardai intorno, non riconoscendo le pareti azzurrine della nostra camera da letto. E poi il letto su cui mi trovavo era più stretto del solito.
Dove minchia ero?
Uno sbuffo riempì le mie orecchie, facendomi sussultare mentre ero ancora nella fase “semi-sveglia” mattutina. Mi voltai repentinamente.
Perché LUKE HEMMINGS era sdraiato sul letto insieme a me, a torso nudo e stava dormendo?!
Lanciai un urlo scandalizzato tirando sul mio corpo le lenzuola bianche. Lo vidi sobbalzare sul posto sgranando gli occhi. Quando si accorse di me si passò una mano fra i capelli e sembrò voler dire qualcosa. Per poco non ebbi tre ictus consecutivi.
«Cosa cazzo ci fai qui?!» strillai ancora più sbigottita mentre lui si era già rimesso a dormire supino. Strizzò gli occhi e alzò di nuovo il busto.
Mise una mano sulle mie labbra per impedire che continuassi a urlare. «Ma che ti urli?!» borbottò con la voce impastata dal sonno e gli occhi che si chiudevano da soli.
Ora. Sclero. Levai subito la sua mano dalla bocca.
«Cosa è successo? Dove sono?» chiesi una volta calma. Lui si voltò verso di me e si stropicciò gli occhi. «Siamo nella camera da letto del Signor Grey, bella addormentata»
L’ironia non era quello di cui aveva bisogno per rimanere con i denti attaccati alle gengive. 
«E cosa ci facciamo qui?» domandai ignorando la sua pertinente risposta.
Fece un sorrisetto. «Non ricordi niente?» non capivo se quello che mi inquietava di più era l’espressione di Luke o ciò che era successo la sera prima dato che non ricordavo un fico secco. C’era la festa di Kate, c’era Ashton, Calum ed Emily. Mio fratello chiuso a chiave in una stanza. E poi?
«Cosa dovrei ricordare?» chiesi allarmata. Controllai sotto le coperte: avevo il reggiseno e le mutande. Oh cappero.
Fece una risatina gutturale e poggiò la schiena contro la testiera del letto matrimoniale. Erano passati almeno due minuti da quando gli avevo fatto la domanda; sembrava stesse aspettando di proposito per farmi stare in ansia. Quel piccolo infame.
«Luke…» stavo per perdere quella cosa che i comuni mortali chiamavano pazienza.
Senza smettere di ridere borbottò: «Niente di che, abbiamo scopato»
Spalancai la bocca; la mandibola era finita sotto il parquet. Pregai solo di aver sentito male.
Luke, notando il pallore del mio viso alla sua affermazione, scoppiò a ridere, sinceramente divertito. «Calmati, stavo scherzando» 
Dio, meno male. Per un momento avevo pensato che mi sarei sul serio gettata dal terzo piano. 
Sbuffai per la sua innata dote di farmi venire un colpo anche di mattina presto. A proposito, che ore erano?
«E come mai ci troviamo nello stesso letto?» alzai un sopracciglio. Lui si stiracchiò leggermente. 
«Beh, dopo che ti sei ubriacata e hai sboccato l’anima (nel vaso della nonna di Kate), ti ho portata qui sopra per farti riposare. Sono rimasto con te nel caso ti sentissi male di nuovo» confessò pacato. Oh.
Aveva rinunciato a continuare a divertirsi per badare a me e reggermi la fronte mentre vomitavo? Un momento… avevo vomitato? Nel vaso della nonna? MI ERO UBRIACATA?
Ma questo è… Charlie, maledizione, concentrati!
Cioè, oddio… 
Strinsi le gambe. «Ehm… grazie… grazie Luke» dissi, sinceramente grata per il suo intervento di ieri sera. Non credevo fosse possibile aspettarsi una cosa del genere proprio da lui.
«Di niente, bambolina» rispose ancora più tranquillo di prima, portando un braccio alla nuca. 
Per tutti gli esseri umani aventi una vagina e due ovaie, dico solo una cosa: che pettorali. Il suo corpo abbronzato era la fine del mondo. 
Per cercare di non guardargli più i capezzoli con aria di chi non mangia da mesi, osservai i suoi capelli arruffati e il suo sorrisetto sbilenco. Anche la mattina appena sveglio era sexy, porca Cleopatra. Io sembravo una specie di orangutan ubriaco, e lui era appena uscito da una rivista di Playboy. 
«Vieni, andiamo a fare colazione» mi diede un colpetto leggero al braccio per invogliarmi ad alzare il sedere. Scoprì il resto del suo corpo dalle lenzuola e si alzò, facendomi notare che l’unica cosa che stava indossando erano dei semplici boxer (proprio come nel sogno).
«Luke, ma sei in mutande!» esclamai stridula coprendomi gli occhi con le mani. Sentii la sua risata pervadermi.
«Sono degli American Apparel, babe. Cos’è, non ti piace?» indicò sé stesso dopo che ebbi abbassato le mani e potei guardarlo. Mammina, che capolavoro. Altro che il David… Se dovesse cospargersi di vernice bianca e dovesse stare immobile sarebbe facilmente scambiato per uno di quei gladiatori, lanciatori di disco o che so io.
Insomma, mi avete capito?
«Non è quello, è che… ehm…» aspettò pazientemente la mia risposta. «Oh, fanculo» borbottai scendendo dal letto.
C’è qualquadra che non cosa… 
Merda, ma ero in mutande anche io! Prima di iniziare ad arrossire come al mio solito afferrai la coperta che avevo addosso per pararmi.
Luke aveva già iniziato a ridere quando mi si era avvicinato e mi aveva tolto il lenzuolo di dosso. Lo lasciò cadere per terra.
«Andiamo Charlie, non credi che ti abbia già vista in mutandine per averti svestita?» mi fece notare alzando un sopracciglio. Era per quello che mi ritrovavo mezza nuda!
Deglutii rumorosamente, cercando di non guardarlo negli occhi. 
«E poi non hai niente di cui vergognarti» esordì pizzicandomi un fianco. Uscì dalla camera del Signor Grey a piedi nudi e scompigliandosi i capelli.
Rimasi per un secondo con la bocca socchiusa. “Non hai niente di cui vergognarti”“Averti svestita”.
Perché trovavo tutto questo decisamente troppo… erotico? 
Decisi di andare in camera nostra per mettermi qualcosa addosso, e con stupore notai che i tre letti erano disfatti e vuoti. La luce entrava dalle finestre spalancate.
Aprii il cassettone e presi una maglia lunga che mi regalò Michael perché non gli entrava più. Era bianca e aveva la stampa dei Nirvana. 
Mi voltai per iniziare a scendere le scale ma sull’uscio della porta aperta trovai Luke che mi fissava. Profilo del braccio poggiato allo stipite, occhi che gli brillavano e faccia da ‘non stavo guardando, ma stavo guardando’. Portai le braccia incrociate sotto il seno.
«Hai visto tutto?»
«Ogni cosa» alzai gli occhi al cielo.
Mentre lo sorpassavo, avrei potuto giurare di aver visto un sorriso sulle sue labbra. «Aspetta» mi richiamò prendendomi un braccio. 
Mi voltai di scatto. Osservò la mia maglietta aka maglietta di mio fratello (grazie a Dio avevo lasciato il reggiseno).
«Hai la maglia dei Nirvana…» mi attirò verso di sé per osservarla meglio. ‘O per osservare meglio te’ aggiunse la maldestra vocina interiore. Sta’ zitta.
Lo guardai negli occhi; e allora? Annuii cercando di capire dove volesse andare a parare.
«Vai prima che te la strappi di dosso» mormorò continuando a tenere lo sguardo basso. Avvampai, ma non risposi.
Come poteva dire una cosa del genere? Che poi, stava apprezzando la maglietta o il mio davanzale? Oddio.
Mi sbrigai a fare come aveva detto e scesi le scale velocemente. Mi precipitai in cucina, dove trovai i miei coinquilini intenti a fare colazione.
Con l’aggiunta di Ashton e Calum che erano arrivati poco fa. Sorrisi alla scena.
«Ma buongiorno principessa! Dormito bene?» mi accolse quell’orsetto coccoloso anche conosciuto come Ashton Irwin. Mi abbracciò sollevandomi da terra. Stava cercando di farsi perdonare, sicuramente.
Comunque, tutti gli altri si erano voltati e mi avevano sorriso. Kate era più serena rispetto a ieri e stava azzannando un cornetto al cioccolato, con il risultato di trentadue denti marroni. Emily e Calum erano già seduti vicini e stavano bevendo del caffè. Mio fratello era ancora un po’ intontito; stava girando il cucchiaino nella tazza con un’espressione persa nel vuoto. Non appena mi vide fece un mezzo sorriso.
«Ciao cucci» brontolò passandosi una mano nei capelli mentre mi sedevo vicino a lui. Gli passai un braccio al collo e lo strinsi a me. 
«Come ti senti?» chiesi dolcemente. 
«Oh, meglio. A parte per il fatto che sono dovuto uscire dalla finestra in mutande perché la porta era chiusa» aggrottò le sopracciglia.
Io e Ashton ci lanciammo un’occhiata complice, ma non dicemmo niente. 
Avevamo iniziato a fare colazione tutti insieme, raccontandoci i vari episodi successi ieri sera. Mi avevano raccontato della mia sbronza e come era finita la festa dato che ero già di sopra.
Michael era rimasto sconvolto non appena seppe di quello che gli era successo: era ovvio che non era la sua prima volta, ma di sicuro non si era mai drogato e questo l’aveva spaventato un po’.
«Dio mio. E’ impossibile fidarsi di questi pazzi» commentò mentre si passava una mano fra i capelli verdi, scaturendo una risata generale. 
Notai di sfuggita Luke che si alzava e camminava verso il portico. Mi alzai con cautela cercando di non dare nell’occhio nella confusione e lo raggiunsi fuori. Non sapevo esattamente perché lo stavo facendo, ma era stato come se avessi dovuto. 
Era poggiato di spalle a me, con i gomiti sulla ringhiera. In lontananza si vedeva il mare che risplendeva; era un po’ che non ci ritornavamo.
Mi misi nella sua stessa posizione, accanto a lui. Sembrò quasi non notare la mia presenza, stava continuando a guardare l’oceano. Lo imitai.
«Stai rimuginando sul tuo passato come gli eremiti?» gli chiesi ironica, cercando di distrarlo dalla visuale del mare. Per dargli fastidio, ovviamente.
‘Si, come no’, maledetta stronza di una voce interiore.
Vidi l’ombra di un sorriso attraversargli il viso. Si girò, era di spalle al mare, con i gomiti sempre poggiati alla ringhiera del portico. «Perché no» rispose stando al gioco.
Ridacchiai; poi guardai il suo profilo. «A cosa pensi?»
Mi osservò, girandosi di scatto. Era più leggero rispetto a prima. Magari aveva solo bisogno di… compagnia.
«E tu a cosa pensi?» 
Avvampai. Non avrei mai immaginato che mi avesse fatto una domanda del genere. Credevo fosse tipo: “stavo pensando al culo della ragazza che mi sono scopato ieri”.
«L’ho chiesto prima io» ribattei di rimando, facendolo sorridere. Mentre si mordeva il labbro passò con gli occhi tutto il mio corpo, indugiando sulle gambe nude. 
Dio, che imbarazzo
«Pensavo a te» se ne uscì. Mi voltai repentinamente verso il biondo, cercando di guardarlo negli occhi per capire se mi stesse prendendo per un’idiota.
«Cosa?»
«Mi piace la tua maglietta» commentò cambiando argomento. Si voltò completamente verso di me per continuare ad osservarla. 
Mi mossi a disagio; ce l’aveva ancora con la mia maglia? 
«Ti sta bene, sai?»
Che qualcuno mi regga in piedi, per favore. Non ero più sicura di riuscire a respirare con i miei polmoni.
Era per quello, quindi, che aveva detto così prima…
Tirò il lembo dell’indumento tra le sue dita. 
«Ti piacciono i Nirvana?» chiesi. 
Annuì divertito. «Li adoro»
Si avvicinò ulteriormente a me, poggiando le mani sulla ringhiera ai lati della mia vita. Perché l’avevo seguito? Non potevo tener ferme le gambe?
Ero terribilmente a disagio e in imbarazzo; ogni volta non sapevo come comportarmi.
Lo vidi avvicinarsi molto ma molto lentamente. Poggiai le mani sul suo petto ancora scoperto.
«Chi è l’idiota che ha vomitato nel vaso della nonna!?» si sentì dal salone. Io e Luke ci guardammo. 
Oh, cazzo.

Afferrai il telefono che stava squillando dalla tasca dei pantaloncini e posai il pacco di patatine sul divano.
-Pvonfo?-
-Amore? Sono la mamma- masticai velocemente la patatina che stavo mangiando.
-Ciao mamma-
-Come va tesoro mio? Vi state divertendo?- chiese mia madre con la sua solita pacatezza e solarità. 
-Certo. Voi come ve la passate?-
-Oh, qui si sente la vostra mancanza. Allora, hai fatto nuove amicizie a Miami?- non sapendo come avesse fatto a balenarmi nella mente subito l’immagine di Luke, scrollai le spalle. 
-Ehm… Si, gli amici di Kate sono simpatici- risposi sedendomi composta sul divano. Si perché avevo le gambe sul bracciolo e la testa all’ingiù. 
-Sono contenta. Potresti passarmi tuo fratello? Sono dieci minuti che provo a chiamarlo, ma non risponde- disse spazientita riferendosi a quel citrullo di Michael.
-Non è in casa. E’ andato a provar- oh cazzo. Mi bloccai subito prima che potessi svelare tutto. Mamma ancora non sapeva della band di mio fratello, e sicuramente non avrebbe voluto che fossi stata io a dirlo, visto che oggi aveva davvero le prove. Boccheggiai per un po’ cercando una risposta più credibile.
-Provare cosa?
-Ehm… E’ andato a surfare! Che hai capito?-
-Mi sembrava di aver sentito provare…-
-Oh no. Ehm… Ora devo andare… a dare da mangiare a pesci rossi di Kate, ciao mamma!- chiusi subito la comunicazione prima che la sottoscritta iniziasse a mettersi nei pasticci come al solito.
E parlando del diavolo, vidi una sorridente e spensierata Katherine Grey scendere le scale trotterellando. Mi sedette sul divano al mio fianco, mentre io avevo ripreso la fantastica posizione del pipistrello.
«Allora, che si fa oggi?» chiesi incuriosita. Kate trovava sempre qualcosa da fare, ogni giorno, il che mi stupiva visto che io avevo una capacità di organizzazione pari a quella di un cammello. 
«Credo che ordineremo una pizza e staremo sul divano a guardare film strappalacrime. Ti va?» mi domandò girandosi verso di me. 
«Okay, Barbie. Ma il film lo scelgo io» patteggiai facendo ondeggiare le ciocche dei miei capelli sul pavimento. Annuì, tutto d’un tratto pensierosa.
Tenendo ancora la testa all’ingiù, la osservai. «Che hai, Katie?»
Fece spallucce, dondolando le gambe come una bambina. «Ashton ha detto che vuole parlarmi» rispose cupa. Sembrava che tutto il suo entusiasmo di prima fosse svanito in un soffio.
«E questo ti preoccupa» considerai. Kate non era il tipo di ragazza che si faceva prendere troppo; sarà perché si trattava di Ashton. O della presenza di Edith alla sua festa.
Non rispose. Mi raddrizzai per la seconda volta per metterle un braccio attorno alle spalle e abbracciarla forte. 
«Andrà tutto bene, Kate» mormorai sentendola rilassarsi tra le mie braccia. 
«Ora dobbiamo prepararci. Abbiamo un lungo pomeriggio di shopping davanti a noi» le ricordai facendole l’occhiolino.
Iniziò a mangiucchiarsi l’unghia. «Ehm… Charlie…»
Cosa c’era ora? «Kate, non te ne uscire con le tue solite trovate perché non abbocco, chiaro?»
«No, no! E’ che questo pomeriggio devo uscire con Ashton per discutere. Scusami, ma non posso rimandare!» mi supplicò congiungendo le mani in stile preghiera. 
Non ci potevo credere, aveva mandato a monte il nostro pomeriggio! Quell’odioso spilungone con la bandana me l’avrebbe pagata cara. Uffa.
«Va bene, va bene. Ma ora con chi ci vado a fare shopping? Emily sicuramente avrà “qualcosa” da fare con Cal, mio fratello è un idiota che non sa abbinare i colori e tu mi molli!» piagnucolai immaginandomi nel centro commerciale completamente sperduta e senza un buon consigliere. 
Scoccò la lingua al palato. «Potresti andarci con Luke!» 
Deglutii. Mierdas.
«Luke? Ehm, scusami Kate ma ti sembra un tipo da: “uh, andiamo a fare shopping!”?» 
«Oh andiamo Charlie! Sempre meglio che andarci da sola! Ti prometto che mi farò perdonare!» brutta balenottera rosa, tanto sconterai insieme a quel koala che porti appresso.
Alzai gli occhi al cielo prima di acconsentire. La castana mi stritolò in uno dei suoi soliti abbracci spappola ossa. 
Cosa non si fa per un vestito nuovo.
«Perfetto. Anche perché gliel’ho già detto quindi passerà di qui per le 5. Su, di corsa a prepararti!» okay, ora si che ero veramente scioccata. Aveva programmato tutto?
Iniziai a salire le scale ancora con la bocca spalancata.
Qualcuno lì su doveva avercela con me. 








SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Hola, hola!
Eccomi qui con l'attesissimo 9° capitolo, eheh.
Allora, com'è? Vi è piaciuto?
Charlie si è messa di nuovo nei pasticci, andrà a fare shopping con Lukey!  Vi lascio immaginare quello che potrebbe succedere muahahah
Ma non fatevi troppe pippe, la nostra testa corvina non abbocca facilmente, e questo lo sapete *alza e abbassa le sopracciglia velocemente*.
Ma Kate e Ash? Cosa si diranno? Beh, restate con me per scoprirlo ouo.
Va bene, ora passiamo ai soliti ringraziamenti:
UN GRAZIE ENORME A TUTTE VOI!
Lo scorso capitolo ha raggiunto ben 9 recensioni (incluso il commento breve) e non potrei chiedere di meglio!
Grazie a chi ha messo la storia tra le preferite|seguite|ricordate e per le 600 visualizzazioni!
Ma un grazie speciale va a 
tiedyemichael e potatoess che hanno recensito il primo capitolo, segnalandolo all'amministrazione.
E sapete perché? PERCHE' VORREBBERO INSERIRE LA MIA STORIA FRA LE SCELTE!
Dio, non posso davvero crederci!
Un applauso a queste due ragazze stupende!
Bene, dopo il mio abituale momento sclerotico, vorrei fare un annuncio.
Giusto ieri ho scoperto una fanfic a dir poco perfetta, su Luke. 
Si chiama "
My teacher's son", è davvero una bomba! Scritta benissimo, senza errori, coinvolgente e divertentissima!
Ve la consiglio fortemente perché è qualcosa di indescrivibile!
Saluto anche l'autrice (dubito che passi mai di qui ahaha) e mi scuso se le ha dato in qualche modo fastidio questa piccola pubblicità, volevo solo condividere con voi una bellissima ff e farvela conoscere.
Okay, credo di aver detto abbastanza e anche di avervi annoiate a morte, quindi grazie se siete arrivate a leggere fin qui ahaha.
Evaporo, ricordatevi che siete la mia ancora!

Tanti baci, 
Au.


 

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Capitolo 10
*** Shopping with Luke. ***




10° capitolo

Shopping with Luke.

 

Erano le 5 meno un quarto, e io ero già di sotto vestita di tutto punto (shorts, canotta, coda un po’ disordinata e vans) ad aspettare.
Picchiettavo la punta della scarpa per terra da dieci minuti. Ero così agitata che avrebbe potuto andare a fuoco la casa, ma io sarei rimasta allo specchio per sistemare la canotta. 
Magari avrebbe fatto tardi, o non sarebbe più potuto venire. Dovrei incavolarmi? O sentirmi meglio?
Un intero pomeriggio con Luke Hemmings. Insomma, niente male.
Era un appuntamento? Oh no, credo. Era semplicemente un’uscita, un’uscita solo ed esclusivamente destinata allo shopping.
Come avrei fatto a chiedere consiglio a lui? “Hey Luke, trovi che mi doni più il blu cielo o il giallo limone?”. Che figura, non credevo di potercela fare.
Scossi la testa osservando per la trecentesima volta il mio riflesso nello specchio all’ingresso. Ma quando arriva?
Il campanello mi fece sobbalzare. Era arrivato il momento.
Con l’ansia che mi divorava andai ad aprire la porta, scoprendo un Luke Hemmings poggiato alla ringhiera, con le braccia conserte e i suoi occhiali da sole sul naso.
Li tolse non appena aprii: indossava degli skinny jeans, una canotta larga e delle vans simili alle mie. Mamma, io ero vestita come una perfetta barbona, mentre lui sembrava un modello. 
Sorrise suadente. «Ciao Charlie» 
Lo spinsi leggermente verso gli scalini per poter chiudere la porta alle mie spalle; rimasi ferma per un istante. «Ciao Luke»
Prima partiamo, prima finirà questa tortura. 
Mi indicò eloquente la macchina parcheggiata nel vialetto. Era una bellissima auto nera con il tetto scoperto; faceva molto Grease. 
Partimmo con il rombo prodotto dal motore e procedemmo velocemente. Quella macchina era uno spettacolo.
Chiusi gli occhi al contatto con il vento fresco sulla faccia; in Pennsylvania non si vedevano molte auto di questo tipo.
Luke mi guardò per una frazione di secondo per poi ridacchiare fra sé e sé. Va bene che sembravo un labrador con la testa fuori dal finestrino in quel momento, ma a parte quello non credevo di essere così buffa.
La mia attenzione fu attirata dalla radio che trasmise un pezzo a me familiare: The Way You Make Me Feel, di Michael Jackson. 
Non ci potevo credere! 
Avevo una voglia tremenda di cantare. 
Luke iniziò a picchiettare le dita sul volante con gli occhi fissi sulla strada poco trafficata. Potevo giurare di sentirlo canticchiare.
Lo guardai. «Ti piace Michael Jackson?» chiesi incuriosita. Mi fece un occhiolino; ah, le sue risposte loquaci.
Sembrava un sogno: una macchina in perfetto stile Grease, un sottofondo di Michael Jackson e un ragazzo con una voce pazzesca al volante. Come se di pazzesco avesse solo la voce…
«E a te piace?» domandò. 
«Lo adoro!»
«Bene, allora cantiamo!» esclamò mettendo un braccio fuori da quella specie di pseudo finestrino. Lo sapevo che me l’avrebbe chiesto.
Presi coraggio e iniziai ad intonare qualche nota insieme a Luke, che aveva già iniziato a urlare a squarciagola le parole della canzone, facendomi ridere.
«Hey pretty baby with the high heels on, you give me fever like i’ve never ever known! You’re just a product of loveliness; I like the groove of your walk, your talk, your dress! I feel your fever from miles around, I’ll pick you up in my car and we’ll paint the town! Just kiss me baby and tell me twice that you’re the one for me!» cantò lui, sempre picchiettando le dita sul volante.
«The way you make me feel, you really turn me on! You knock me off of my feet, my lonely days are gone!» continuai con la sua voce come sottofondo. Non appena il ritornello si concluse ci guardammo e scoppiammo a ridere. 
In fondo non era così male stare con lui. Non mi aveva messa a disagio stavolta, era spensierato e leggero. Sembrava… normale.
Dopo cinque minuti di macchina eravamo arrivati al centro commerciale. Era un enorme edificio colorato. Rimasi impalata ad osservarlo fino a a quando Luke non mi si parò davanti con un sopracciglio alzato.
«Ci muoviamo?»
Scossi la testa. «Certo»
***
 
«Per l’ennesima volta, Charlie, tu non indosserai questa squallidissima copri-passera!» esclamò quell’idiota di Luke sventolando il vestito che avevo scelto per una serata in discoteca.
Alzai gli occhi al cielo. «Abbassa la voce, rincoglionito!» lo rimbeccai cercando di farlo tacere, visto che molte ragazze ci stavano guardando con un occhio chiuso e uno aperto. Solo lui poteva farmi fare certe figuracce. 
«E poi non è una copri-passera, è un normalissimo vestito» mi difesi strappandolo dalle sue mani. Mi infilai nel camerino per provarlo sotto i suoi sbuffi e le sue lamentele.
Beh, in effetti quel vestito era un po’ corto, ma bastava metterci sotto un paio di converse o delle ballerine ed era fatta. 
Stavo ancora guardando nello specchio il mio riflesso, quando Luke, senza aspettare che avessi finito o meno, aprì la tenda. Aveva ancora il sopracciglio alzato.
«Hai ragione, non è una copri-passera. E’ una maglietta, dannazione!» protestò indicando l’adorabile vestito giallo chiaro. Secondo me era carinissimo.
«Vado a scegliere qualcos’altro, e vedi di rimanere qui dentro» mi ammonì puntandomi un dito contro. Ero sicura che sarebbe tornato con una tunica da monaca benedettina.
Cosa non si fa per la propria migliore amica. 
Dopo circa un paio di minuti era di fronte al camerino con un altro vestito in mano. Era un modello a stampa fiorita, il mio preferito.
Ebbi l’impressione di avere il tick all’occhio. Come diavolo aveva fatto?
Lo presi senza dire ‘a’. Una volta provato, constatai che mi andava un po’ largo; infatti il nostro ‘esperto di moda’ mi aveva portato un vestito di una taglia più grande. Mi credeva così grassa?
«Hey Enzo Miccio! La mia taglia è la M, non la L!» alzai un po’ la voce per farmi sentire. Lo sentii imprecare.
Allungò la mano nel camerino per porgermi la taglia giusta. 
Con stupore, notai che questo mi stava decisamente bene. Non era troppo corto, a mezze maniche e neanche scollato. Per quanto da suora potesse essere, era davvero bello: l’elemento che preferivo era la cinta con il fiocco. Amavo i fiocchi.
Quando Luke fece capolino dalla tenda io avevo già le braccia conserte. «Mi vedi grassa per caso?» chiesi prima che potesse intervenire.
«In realtà non avevo nemmeno prestato attenzione alla taglia» rispose squadrando il mio corpo fasciato dal vestito.
«Mi piace» aggiunse subito dopo, facendomi arrossire. Dio, quanto ero patetica in quel momento.
Cercai di guardare da un’altra parte in quel momento. Uh, che bel vestito quello lì giù!
«Te la do vinta, ma ora potrei scegliere i vestiti da sola?» patteggiai sperando in uno shopping meno imbarazzante.
Luke sospirò prima di acconsentire e catapultarsi fuori dal negozio. Non mi importava che non avrei più avuto un consiglio per gli abiti; tutto pur di non avere più quel maledetto azzurro su di me, almeno per oggi.

«Ciao Jenny, e grazie!»
Uscii dal negozio salutando la commessa che mi aveva aiutata a scegliere altri abiti. Ricambiò il saluto con un occhiolino e un bacio volante. Per quanto potessi odiare le commesse, lei era di un’insolita allegria che mi metteva di buonumore, ma soprattutto era schietta nei pareri. Portavo in mano due buste belle piene, Kate sarebbe stata felice sapendo che il mio guardaroba si sarebbe riempito di gonne. 
Cercai con lo sguardo Luke; mi aveva detto che aspettava fuori, ed era già sparito. Maledetto biondo ossigenato.
Quando iniziai a camminare per i larghi corridoi illuminati da insegne dei negozi, scovai la figura alta di Luke poggiato contro una vetrina. Che minchia stava facendo? 
Allungai il passo cercando di raggiungerlo, ma quando notai che stava ridendo e scherzando con delle ragazze il corpo mi si paralizzò. Una delle ragazze era poggiata alla vetrina affianco a lui e gli stava sfiorando il braccio con la mano, ridacchiando.
Come se non bastasse, non solo lei stava toccando Luke senza pudore ma lui non si era nemmeno accorto che mi ero impalata di fronte alla scena. Sembrava stessero passando anni.
Quando finalmente mi vide salutò le sue amichette. Feci finta che niente fosse accaduto e iniziai a camminare sentendo i suoi passi dietro i miei.
«Finalmente, credevo non la finissi più!» si lamentò indicando con il mento le mie buste di carta. 
Lo guardai con un sopracciglio alzato quando esclamò: «Pretendo di visionare tutti i vestiti che hai scelto»
«Spero tu stia scherzando»
«Ti sembra che io scherzi?» indicò la sua faccia seria. Beh, a me non sembrava proprio che scherzasse in quel momento, ma non risposi comunque.
«Stai facendo tutto questo per…?» chiesi alludendo alla sua maledetta fissa per i vestiti da monaca. Sembrava che con lui una ragazza avrebbe dovuto indossare vestiti larghi, coperti e accollati. E state parlando con una ragazza che nell’armadio non ha niente di tutto questo. 
A me piaceva vestirmi secondo i miei gusti: e i miei gusti dettavano vestiti corti, top e gonne (dal momento in cui le avevo comprate). Si, lo so, non ero certo una santarellina per quanto riguardava vestiario, ma almeno ero ancora vergine. 
«Non permetto alle mie… amiche di girare nude» rispose di colpo, indugiando sulla parola ‘amiche’. Ma se quelle ochette avevano dei pantaloncini che non coprivano nemmeno mezza chiappa!
«Cosa? Ma non ha senso! Non puoi decidere cosa devo indossare» protestai «E poi io non giro nuda!»
Hey, per chi mi aveva presa? 
Non sapevo davvero se sentirmi felice perché (almeno un po’) gli importava di me, o incazzata nera. Probabilmente faceva così con tutte.
«Si che posso» rispose sorridendo, dandomi un colpetto al naso con l’indice. Scossi la testa.
«No invece. Come ti sentiresti se venissi a casa tua e ti dicessi ogni giorno cosa mettere?»
Boccheggiò per un po’, cercando una risposta. Sapevo di averlo chiuso. 
Sbuffò. «Uh, una gelateria! Andiamo!» esclamò tirandomi per un braccio verso il negozio. Quel ragazzo aveva qualche rotella fuori posto, sul serio.
Beh, almeno non doveva controllarmi più i vestiti che avevo comprato. Ci fermammo di fronte al bancone colorato; c’erano un mucchio di gusti, era impossibile scegliere.
In men che non si dica comparve un ragazzo niente male dietro al bancone. Mi fece un sorrisone.
«Gelato?» No, mojito. Senza badare alla stupidità di quella domanda retorica annuii ricambiando il sorriso. Non appena ebbi scelto il gusto ricevetti un altro sorriso ammiccante.
Quando mi consegnò il gelato e mi voltai verso Luke vidi che mi stava uccidendo con lo sguardo. 
«Non ci provare con quello» borbottò quando ci fummo allontanati con i coni in mano. 
Inarcai un sopracciglio. «Ma se tu ci stavi provando con cinque di ragazze» gli feci notare alludendo al fantastico incontro di prima con le ochette. 
Fece un segno sbrigativo con la mano. «Stai dicendo che tu puoi provarci con chiunque ed io no?» chiesi indicandomi.
Non ero sicura di aver capito la situazione: io non potevo rimorchiare e lui poteva portasi a letto mezza America. Siamo fuori luogo, ragazzi.
«Esattamente. E poi quel ragazzo lo conosco, si chiama Matt ed è un Don Giovanni» rispose seccato riferendosi al ragazzo della gelateria.
Mh, bene bene, Matt.
«Non avevo intenzione di provarci, stavo solo cercando di essere gentile» mi difesi mettendo una mano sul cuore. No, non era vero.
Mi guardò negli occhi e diede un morso al cono gelato; ma quanto mangiava veloce?
Ridacchiò prima di avvicinarsi di più. «Allora perché non cerchi di essere gentile con me?» bisbigliò nel mio orecchio. Sbarrai gli occhi.
Avevo capito male o voleva che io ci provassi con lui? Datti una calmata, Charlie.
Cercando di non farmi sentire, deglutii. «E perché dovrei farlo?»
«Perché è quello che vuoi»
Mi fermai nel bel mezzo del corridoio mentre lui dopo qualche passo mi imitò. Aggrottò le sopracciglia. 
Stetti per rispondere ma fui bloccata da una bambina bionda che correva verso di noi. Luke guardò la scena prima confuso; poi parve riconoscerla e sorrise.
«Lukey!» urlò la bambina. Doveva avere almeno sei anni, ma era già stupenda. 
«Clary!» prontamente la prese in braccio. Dovetti resistere alla tentazione di sciogliermi come ghiaccio al sole guardando quella scena: erano tenerissimi.
Luke si voltò verso di me con la bimba in braccio. «Di’ ciao, Clary» la piccola mosse velocemente la manina in un saluto.
Dovevo ammettere che nonostante il mio odio verso i bambini fosse profondo, mi aveva fatta intenerire talmente tanto che le sorrisi e ricambiai il saluto.
«Come ti chiami?» mi chiese lei con una vocina carinissima.
«Mi chiamo Charlie» risposi in imbarazzo, dal momento che Luke guardava la scena divertito. 
La mise giù dopo la presentazione ma continuò a tenerle la mano.
«Clary! Dove diavolo ti sei cacciata?» esclamò una voce in lontananza. Mi voltai scoprendo una ragazza poco più piccola di me che correva. Era bionda come Clary e Luke.
Una volta che si fu avvicinata sospirò. «Luke, che ci fai qui?» 
«Ehm… Ho accompagnato lei» mi indicò. La ragazza mi sorrise e allungò una mano aspettando che io la stringessi. «Molto piacere, Penny, la sorella di Luke»
Beh, in effetti si somigliavano parecchio. «Charlie» mi presentai arrossendo. Troppi incontri per oggi.
«Sei la ragazza di Luke?» chiese Penny curiosa. Avvampai. Oh mio Dio.
«Ehm… N-no, siamo solo amici» balbettai. Vidi Luke sgranare gli occhi. Penny arrossì leggermente.
Prese la sorella per mano e fece un passo indietro. «Io e Clary dobbiamo andare. Ci vediamo a casa, Luke. Ciao Charlie!» si congedò la bionda salutando.
La piccola Clary salutò di nuovo con la manina ed entrambe scomparvero dietro la porta di vetro del centro commerciale.
Dio mio, erano delle bambine deliziose. Sicuramente molto meglio di quell’unicorno che viveva in casa con me.
«Le tue sorelle sono bellissime» esordii mentre sentivo le guance andare a fuoco, ancora. 
Luke mi guardò sorridendo. Pensai che quel sorriso fosse il più bello che io avessi mai visto: era così splendente e disarmante.
«Sei piaciuta loro, a quanto pare» 
«Ah si?»
«Già, altrimenti Clary non ti avrebbe chiesto il nome, e Penny ti avrebbe uccisa con lo sguardo» rispose divertito.
Continuammo a camminare in silenzio: mi morsi un labbro per l’imbarazzo. 
E nel momento in cui Luke prese la mia busta dalla mano per portarla al posto mio, credetti che quello fu uno dei pochi attimi in cui potevo sentirmi davvero al settimo cielo.

«Luke, dio mio!» urlai mettendo le mani sugli occhi. Sentii la sua risata nonostante il vento che fischiava nelle mie orecchie.
Una volta usciti dal centro commerciale avevamo deciso di fare un giro in macchina, ma a quanto pare Luke non aveva capito che guidare alla velocità della luce mi terrorizzava.
E la cosa fastidiosa era che non decelerava.
«Dai Luke!»
Finalmente il suo buonsenso gli suggerì di rallentare, per la mia integrità. Sospirai posando una mano sul cuore.
«Volevi farmi prendere un infarto?» chiesi ridendo. Dovevo ammettere che passare del tempo con Luke mi metteva di buon umore (quando non faceva il pervertito). Era divertente e per un momento scordai tutti i problemi. Anche lui sembrò distrarsi.
«Non dirmi, hai paura della velocità?» sghignazzò. 
Arricciai il naso. «Solo se mi trovo in un’auto. Con le moto il discorso cambia completamente» spiegai mentre tentavo di rifarmi una coda di cavallo. Era vero, sulle moto la velocità diventava il limite da superare per me.
Mi guardò divertito. «Quindi se ti dicessi che ho una bellissima Suzuki nera nel garage, potrei portarti a fare un giro?»
Strabuzzai gli occhi. Oddio, aveva una Suzuki! 
Annuii senza dire niente: era come un sogno. Sorrise soddisfatto per poi riportare l’attenzione sulla strada. Ormai si erano fatte le nove di sera.
Era buio, e faceva un po’ fresco. 
Quando parcheggiò nel vialetto di casa Grey lo invitai ad entrare. Kate doveva essere tornata, mentre Emily aveva detto che sarebbe tornata per le sei del pomeriggio quindi non correvo rischi.
Infilai la chiave nella toppa e aprii la porta salutando chiunque ci fosse in casa.
«Kate? Emi?» nessuno sembrava rispondere però. Luke aveva una faccia incuriosita.
Forse erano uscite. Facendo spallucce camminai fino alle scale per andare di sopra, fino a quando in salone non si catapultò Emily, dal nulla. 
Aveva l’affanno. «Emi, ma cos-»
«Kate è scomparsa»






SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Yeah, ce l'ho fatta!
Ciao girlz, scusate per il ritardissimo ma non ho praticamente tempo per scrivere e aggiornare in fretta poiché è appena cominciata la scuola e ci hanno già caricati di compiti *sbuffa*.
Non potete capire, la situazione della mia classe è completamente disastrata, i professori peggiori dell'istituto li abbiamo beccati noi ç.ç
Va bene, non vi frega lol.
Aw, non sono tenerelli Charlie e Luke che fanno shopping insieme come due piccioncini?*3*
Trascurando il fatto che lei lo butta letteralmente fuori dal negozio muahah. Scusate ma ho scritto questo capitolo come se fossi davvero Charlie e mi sarei sul serio imbarazzata con Luke al mio fianco mentre sceglie i vestiti per me. Quindi l'ho tolto dalle palline *ghigna*.
Eh si ragazzi, Kate è scomparsa.
E' una bella batosta per tutti, cosa succederà?
Si spiegherà quasi tutto nel prossimo capitolo, quindi rimanete con me lol. Dico quasi tutto perché c'è una cosa che nella storia non verrà rivelata, capirete meglio non appena pubblicherò.
Bene, spero che questo colpo di scena vi abbia intrigate di più ewe
L'elemento Michael Jackson è stato forte, eh? kjdgeh lo adoro troppo.
Ma perché parlo tanto?
La smetto subito, ma prima vorrei salutare tiedyemichael che mi supporta sempre, e vi consiglio di passare dalle sue meravigliose storie.
Ah, un'ultima cosa. Ho pubblicato un'altra FF, che non sarà di molti capitoli, parlo di 5 o 6.
Si chiama "Don't." passate se ne avete voglia lol
P.s. avete visto che ho imparato a mettere le immagini, eh? Eh? muahaha. A proposito, che ve ne pare del banner?
Lo so, fa schifo, ma almeno ci ho provato. Ho anche altri, se volete li posto così decidete il migliore.
Bene, ora scappo sul serio beibiiiis.

Tanti baci, 
Au.

 


Il vestito che Luke ha scelto per Charlie*3*

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Capitolo 11
*** Where's Kate? ***





11° capitolo


Where’s Kate?


«Cosa hai detto?»
«Hai sentito. Kate non si trova. Ho provato a chiamarla ma non ha il telefono con sé. E qui non c’è» rispose lei passando una mano tra i capelli biondi. Sgranai gli occhi.
«Sei sicura? A me aveva detto che sarebbe andata a parlare con Ashton e…»
«Si, hai ragione. Ci è andata. Ma a quanto pare non è finita bene; insomma, deve averle detto qualcosa» spiegò ancora più in ansia di quanto non lo fosse già. 
La mia migliore amica era sparita. Kate…
Lanciai uno sguardo disperato verso Luke, che nel frattempo aveva irrigidito la mascella. Dio mio.
«Hai chiamato Calum?» chiesi cercando di mantenere la calma, scendendo quei pochi scalini che aveva iniziato a salire. 
Come risposta la bionda annuì. 
«Luke, tu non sai niente?» scosse la testa, ancora più rigido. Non potevamo stare con le mani in mano, dovevamo andare a cercarla. 
Tremante, pescai il telefono dalla tasca e chiamai subito Michael, nella speranza che sapesse dove si trovasse la mia migliore amica. Iniziai a camminare in tondo con il cellulare all’orecchio. Dov’era ora quell’altro rincoglionito?
Chiusi la chiamata di botto: c’era la segreteria telefonica, perfetto.
Sobbalzai quando sentii il campanello. Luke aprì la porta, facendo entrare un Calum preoccupato e serio. Salutò tutti con un ‘ciao’ debole.
Abbracciò Emily cercando di calmarla. Ebbi l’impressione di avere le lacrime agli occhi: dove diavolo poteva essere?
«Forza, andiamo a cercarla»
Ci precipitammo tutti fuori casa. Cercai di figurarmi ogni ambiente in cui Kate potesse trovarsi.
Cosa amava Kate? Il cinese, il bowling e lo shopping. Sicuramente dopo aver litigato con Ashton, conoscendola, non sarebbe andata in nessuno di questi posti.
E se avesse fatto qualcosa di sconsiderato? Solo Dio sapeva cosa stavo passando in quel momento.
Le strade erano buie e solitarie; in genere di lì non passava mai nessuno, perché c’erano solamente le poche ville che davano sul mare. 
Iniziai a preoccuparmi sul serio quando mi balenò nella mente l’idea che qualcuno potesse averle fatto del male. Se fosse capitato davvero non me lo sarei mai perdonato.
Insomma, forse era stata anche colpa mia: se fossi rimasta a casa magari sarei potuta andare con lei. L’avrei riportata a casa e niente di tutto questo sarebbe successo.
Delle lacrime amare iniziarono a sgorgarmi dagli occhi, sporcando le guance di mascara. 
Luke sembrò girarsi verso di me proprio in quel momento sbagliatissimo. Strabuzzando gli occhi lasciò passare Calum ed Emily avanti per raggiungermi. 
Senza accorgermene mi ero anche fermata nel bel mezzo della strada.
«Charlie…»
«E se fosse colpa mia?» mormorai una volta che si fu avvicinato a me. «Avrei dovuto rimanere a casa con lei…e…» non riuscii nemmeno a finire la frase. Sentivo le guance fredde per le lacrime, stavo tremando. Luke aveva serrato la mascella.
«Non lo dire nemmeno per scherzo. Non avevi idea che sarebbe successo tutto questo, non puoi incolparti Charlie» concluse severo. In lontananza vidi gli altri due camminare lenti senza essersi accorti della nostra assenza. Emily doveva essere spaventata e in ansia almeno quanto me: probabilmente avrà pensato le stesse cose.
Annuii alla risposta di Luke. Strinse le labbra.
Senza nessun preavviso mi accolse in un abbraccio. Mi sorpresi quando sentii il suo corpo a contatto con il mio: non era un abbraccio sensuale come quelli che avevo sempre ricevuto da lui. Era un abbraccio pieno di conforto e calore. 
Le sue mani stringevano forte la mia vita senza però toccarla; l’avevano avvolta senza nessun tipo di malizia. Forse era proprio quello di cui avevo bisogno in quel momento. 
Chiusi gli occhi quando poggiai la fronte sul suo petto forte e accaldato. Le mie braccia erano attorno alla sua vita.
Il momento in cui mi sentii più in colpa fu quando ebbi l’impressione di voler rimanere fra quelle braccia per sempre; avevo quasi dimenticato tutto.
Strinsi più forte il suo corpo al mio: non volevo che quell’abbraccio finisse subito, volevo che continuasse all’infinito. 
«Non lasciarmi, Luke» 
Sentii il suo mento poggiato sulla mia testa muoversi in una risposta negativa. Anche lui aumentò la dolce pressione su di me: voleva farmi capire che ci sarebbe stato, e che non avrebbe mollato tutto. 
Percepii le sue labbra lasciare un bacio fra i miei capelli. «E chi ti lascia, Charlie»
Sorrisi. Il suo cuore accelerava sempre di più il ritmo. 
Dopo una manciata di minuti ero pronta a sciogliere l’abbraccio: dovevamo trovare Kate al più presto. Con molta lentezza diminuii la pressione sul suo petto e le nostre braccia si allontanarono.
Il suo pollice scorreva attentamente sulla mia guancia sporca per cacciare le lacrime. Quel contatto era così tenero che mi spinse a chiudere gli occhi ancora una volta.
Quando li riaprii mi sembrò di non riconoscere Luke Hemmings. Quello di fronte a me non era il ragazzo patito del sesso, del divertimento e delle feste che avevo conosciuto qualche settimana fa.
Era un ragazzo premuroso e attento: era ciò di cui avevo bisogno.
Ricominciammo a camminare seguendo i passi di Calum ed Emily, che erano più avanti. La sua mano avvolse la mia con scioltezza.
Avvampai. 
«Va meglio?»
Annuii semplicemente. Le nostre dita intrecciate mi stavano regalando sicurezza: era come se il nostro abbraccio si fosse prolungato. 
Avanzammo così, mano nella mano. E credetti seriamente di sentirmi meglio.

***

Si erano fatte le dodici ormai, e di Kate nessunissima traccia. Emily non aveva più retto dopo aver realizzato che anche nell’ultimo locale dove avevamo deciso di cercare, Kate non c’era. Era scoppiata a piangere fra le mie braccia, sporcando la mia canotta di eye-liner. Io invece ero rimasta con lo sguardo perso nel vuoto, come Calum.
Luke sembrava l’unico di noi a saper gestire la situazione; aveva voluto continuare le ricerche anche nei posti più assurdi.
Avevo proposto di chiamare la polizia, ma non era una buona idea. Il padre di Kate non era ancora tornato per fortuna, e non volevamo metterci nei guai.
Continuavo a fissare lo schermo del cellulare nella speranza che Kate o Michael chiamassero. 
Alzai lo sguardo, prima arpionato sul marciapiede, quando sentii Luke litigare al telefono con qualcuno. 
Potevo sentire varie imprecazioni provenire dalle sue labbra. Sembrava che quel qualcuno avesse chiuso la comunicazione dato che Luke rimase in piedi con l’apparecchio in mano, sconfitto.
«Che succede?» chiese Calum alzandosi dalla panchina del parco dove avevamo controllato.
Il biondo sbuffò. «Ashton sta arrivando»
Sbarrai gli occhi. «Credo che abbia fatto già abbastanza» considerai alzandomi a mia volta. Luke scrollò le spalle in segno di resa.
«Lo so»
Qualche minuto dopo vidi la figura del castano correre verso di noi frettolosamente: quando ci ebbe raggiunto notai che stava ansimando per la corsa e che aveva gli occhi lucidi.
«Trovato niente?» chiese con voce spezzata. Gli sembrava che qui con noi ci fosse Kate?!
Evitai di rispondere per non attaccar briga; avevamo già abbastanza problemi. 
Consigliai agli altri di continuare a cercare, ottenendo come risposta dei segni affermativi distratti. Ashton continuava a passarsi le mani fra i capelli, facendo aumentare (almeno in me) l’ansia. Ma in fin dei conti aveva ragione: era stata colpa sua se Kate era fuggita.
«Si può sapere cosa cazzo le hai detto?» sentivo urlare Calum contro Ash. 
«Ti sembra il momento per parlarne?» aveva risposto nervoso.
Gli altri avevano già rinunciato a fare ulteriori domande. 
Passavano i minuti, le ore; tutto quello mi stava logorando lentamente. Non solo Kate era scomparsa, ma anche mio fratello non rispondeva alle chiamate e a casa non c’era. 
Se fosse successo loro qualcosa sarei impazzita.
Luke camminava a grandi falcate con le mani a pugni. Mi sentivo più vulnerabile senza le sue dita fra le mie, per quanto mi costasse ammetterlo. 
Avrei voluto avvicinarmi a lui per afferrargli di nuovo la mano, ma non era il momento adatto. 
«E se provassimo fuori città?» considerò Ashton. Tutti lo guardammo straniti. «Sì, insomma… Mi ricordo che quando ci conoscemmo io portai Kate nel campo di girasoli appena fuori Miami. Lei… A Kate piacciono i girasoli» borbottava più a sé stesso che a noi. Ci pensai su. Era vero: Kate adorava quei fiori.
Poteva sul serio trovarsi lì. 
«Andiamoci» intervenni fremendo. Era la nostra ultima carta da giocare.

***

Qualche chilometro fuori dalla città, come aveva detto Ashton, c’era una bellissima distesa di girasoli. 
Avevamo preso la macchina di Luke per andarci. Avevo ancora le gambe che tremavano come gelatina per l’accaduto.
Scendemmo velocemente dal veicolo e iniziammo ad incamminarci. L’ansia che stavo provando in quel momento era indescrivibile. Tutti erano silenziosi, nessuno aveva spiccicato parola, né in auto, né in strada. 
Emily aveva la sua mano arpionata alla mia.
Non appena superammo la staccionata di legno si sentirono forti schiamazzi. Qualche metro più lontano c’era un’auto. 
La riconobbi all’istante: era il vecchio fuoristrada del signor Grey. 
Emily probabilmente aveva avuto il mio stesso pensiero e mi lanciò uno sguardo speranzoso, che ricambiai subito. Lo raggiungemmo in poco tempo.
Come sospettavo, proprio lì si trovava Kate. 
Era stesa sul cofano anteriore dell’auto, e al suo fianco c’era Michael seduto. Rimasi lì impalata con la bocca socchiusa.
Tutto quel tempo loro si erano trovati lì?
La cosa che mi fece più orrore era che entrambi reggevano una bottiglia di vetro, e non ci misi molto a capire che avessero bevuto.
«Kate!» urlai a gran voce mentre correvo. Mio fratello si voltò: aveva la faccia di uno che si era appena svegliato da una lunga notte di sonno.
Sperai solo che non fossero ubriachi. La mia migliore amica mi stava guardando, senza alzare la schiena dal cofano.
«Hey Charlie! Vuoi unirti al club del due di picche?» chiese stridula alzando la bottiglia. 
Porca puttana. Mi avvicinai a lei cercando di farla alzare, reggendole la testa per non farle male.
«Kate, maledizione. Sei ubriaca?» Emily mi aveva raggiunta e aveva sbarrato gli occhi.
Tirai su con il naso cercando di ricacciare le lacrime e la sollevai di peso.
«Kate…» la mia amica bionda iniziò a tirarle qualche schiaffetto per farla riprendere. Le carezzai i capelli.
La mia migliore amica non meritava tutto quello. 
Gli altri ragazzi osservavano la scena preoccupati. 
Ashton si avvicinò alla castana con cautela. Non appena lei lo vide avanzare gli puntò un dito contro. 
«Tu! Tu sei uno stronzo!» iniziò a urlare. Gli stava sputando contro le peggiori parole che la sua bocca avesse mai osato pronunciare. Mi sentii rabbrividire.
Lui cercava di calmarla, ma ottenne solo un sonoro schiaffo sulla guancia, che fece zittire tutti. Portò una mano sul punto che era stato colpito, provocando gli sguardi infuocati di lei.
Prese un profondo respiro e se ne andò, senza proferire parola. 
Luke sospirò scuotendo la testa: si fece avanti e mi lanciò un’occhiata prima di prendere Kate in braccio.
«La porto in macchina» biascicò prima di sparire. Mio fratello era ancora seduto sul cofano con uno sguardo appannato.
«Hai bevuto anche tu, eh?» chiesi incavolata. Non rispose. Lo aiutai ad alzarsi dall’auto per poi infilarlo dentro e chiedere a Calum di guidare fino a casa.
Il moro annuì. 
Mi voltai per raggiungere l’auto di Luke: vidi che l’aveva già stesa sui sedili posteriori e si era addormentata. Poggiai stancamente il corpo sulla fiancata del veicolo.
«Si riprenderà» mi assicurò il biondo chiudendo lo sportello. Annuii senza aver prestato troppa attenzione. Era stata una giornata sfiancante, non avrei mai più voluto passarne una del genere.
«Ti accompagno?» 
«Emily…»
«A Emily ci pensa Calum; la accompagnerà con tuo fratello» non potei fare altro che acconsentire alla proposta del ragazzo.
Sprofondai nel sedile nero in pelle, volevo solo tornare a casa e crollare in un sonno profondo. Diedi un’occhiata a Kate che dormiva beatamente, come se non fosse successo niente.
Ebbi una voglia istintiva di piangere: mi limitai a tirare su con il naso ancora.

 

***


«Grazie Luke, grazie sul serio» borbottai impacciata mentre scendevo dall’auto e reggevo Kate per un fianco cercando di farle fare due passi.
Mi fece un sorriso accennato, alzando l’angolo destro del labbro, per poi aiutarmi a portarla in casa. Calum non era ancora arrivato con Michael ed Emily.
La stendemmo sul divano e la lasciammo dormire lì: portarla sopra richiedeva più fatica, ed eravamo entrambi esausti.
Accompagnai Luke fuori, sul portico. Ci fermammo per qualche minuto all’aria aperta senza dire niente.
Cercai di mettere tutti i pezzi insieme: il centro commerciale, Clary, Penny, il vestito a fiori, Kate, il campo di girasoli.
Mi sentivo esausta solo a pensarci.
«Come ti senti?» sentii chiedere da Luke, che mi stava guardando con le mani in tasca.
«Sono stanca» pronunciai a mezz’aria, sbadigliando senza farlo apposta.
Sorrise divertito e si avvicinò a me ma stavolta non ebbi paura. Lo guardai dal basso.
«Buonanotte Charlie» mi lasciò un bacio sulla fronte per poi tornare nella sua macchina, suonare il clacson e partire.
Stetti lì impalata a guardare.
«Buonanotte Lukey»








SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

AAAAAAH, AIUTO!
Lo so, so che faccio schifo e sono una pessima persona.
Ovviamente il motivo di questo scandaloso ritardo è e rimarrà per sempre la scuola.
Dios.
Comunque, hanno trovato Kate, eh? Povero Ashy.
Se ricordate, nello scorso spazio autrice vi dissi che una cosa non verrà raccontata nella storia: ovvero ciò che Ash ha detto a Kate quando si sono incontrati.
Muahhahaha sono davvero malefica.
Tuttavia stavo pensando di realizzare una piccola OS (a parte dalla storia) non appena avrò terminato i capitoli, dove spiegherò tutto. Perché ho elaborato l'accaduto nella mia testolina malvagia.
*doppiomuahahah*
Vi piace quest'idea? Perché altrimenti cambio sdjhg
Mi dispiace per le Kashton shippers, ma è così che deve andare ewe
Questo è uno dei miei capitoli preferiti, perché Luke ha imparato che Charlie non è un giocattolino e finalmente riesce a mettere da parte la malizia e l'orgoglio. La mia piccolina invece ha capito che può davvero fidarsi di Luke, che non la lascerà mai da sola.
L'abbraccio è diciamo il momento culminante del capitolo e della storia. Il momento il cui entrambi si spogliano di tutto
(in senso metaforico lol) e riescono a entrare a contatto.
Insomma ragazze, è il momento. Quello che preferisco. Vi assicuro che per me è molto più significativo di successivi baci o cose del genere
(leggerissimo spoiler).
Vi è piaciuto? A me tantissimo!
Bene, detto questo, cosa ve ne pare del nuovo banner? Vi ricordo che non sono capace di crearne uno con i ragazzi, quindi riesco a fare dei merdosissimi banner con delle immagini già pronte *risata isterica*.
Se non vi piace posso metterne altri che ho pronti, ma l'ho messo principalmente per Lau.
sjdhg okay credo di aver finito con gli annunci.
Ovviamente saluto tutte le ragazze che commentano ogni capitolo!
Nuova storia: Don't. Vi invito a passare!

Tanti baci,
Au.

 

Emily e Kate:

 

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Capitolo 12
*** "You're beautiful". ***




12° capitolo


“You’re beautiful”.

UNA SETTIMANA DOPO.

Il suono del cellulare mi perforò i timpani. Passai una mano fra i capelli mentre cercavo di alzare il busto dal materasso, con gli occhi ancora semichiusi.
Tastai la coperta per afferrare quell’aggeggio infernale e metterlo a tacere. Ma che ore erano?
-Pronto?- ringhiai lasciandomi cadere nuovamente sulle lenzuola, posizionando il cellulare sul mio orecchio in modo da ascoltare.
-Ciao Charlie- riconobbi subito la voce di Luke provenire dall’altra parte della comunicazione. I miei occhi finalmente si aprirono.
Girai il busto in modo da trovarmi supina.
-Luke, hai idea di che ora è?- 
-Sono le undici, bambolina, è ora di alzarsi- lo sentii ridere. Stropicciai gli occhi con la mano e diedi un’occhiata all’orologio della camera. Era vero.
-Odio quando mi chiami bambolina- dissi frustrata cambiando argomento.
-Okay bambolina- 
-Ti odio-
-Oh, io di più-
Repressi l’impulso di sorridere. 
-Allora, cosa vuole alle undici di mattina, di grazia?- chiesi sconfitta avendo realizzato che grazie a lui non avrei più preso sonno.
Scostai le lenzuola dalle mie gambe e mi alzai. 
-Sei sicura di volerlo sapere?- 
Assottigliai gli occhi. -Che vuoi dire?-
Percepivo il suo sorriso strafottente anche se la cornetta ci divideva.
-Penny oggi va in campeggio fino a domattina, e i miei sono fuori per lavoro- disse, dal nulla.
-Mh, bene. Grazie per l’informazione- risposi ironica non capendo cosa volesse dire. 
Sbuffò. -Era per dirti che a me non piace giocare con le bambole di Clary. Quindi, se Madame Capelli Selvaggi volesse farmi compagnia per badare a mia sorella, mi farebbe molto piacere-
-Mi hai appena chiamata ‘Capelli Selvaggi’?- strillai nel telefono per dargli fastidio. La sua risata arrivò dritta nelle mie orecchie.
-Perché, stai dicendo che non hai dei capelli ribelli?- 
-Sei un asso con i complimenti, Hemmings. Sai cosa? Spero tu sappia fare le treccine alle barbie, perché io non ci sarò- ribattei facendo la finta offesa mentre scendevo le scale.
Vidi di sfuggita mio fratello steso sul divano, con le gambe all’aria mentre guardava la solita partita di rugby. Raggiunsi la cucina, dove trovai Kate ed Emily con le teste nelle loro rispettive tazze di caffè.
-Per tua sfortuna sono un asso anche nelle treccine- rispose lui cercando di mantenere un tono di voce piatto.
-Ti odio sempre di più, sappilo- 
Emily alzò lo sguardo verso di me, curiosa di sapere con chi conversavo al telefono. Mimai Luke con le labbra, e quando capì mi fece un cuoricino con le mani. Fanculo, bionda tinta.
-Allora, ci vieni?- avevo completamente perso il filo del discorso.
-Eh?-
-Venire. Tu. Casa. Hemmings?- rispose facendo finta di parlare con un cinese appena sbarcato in America. Evitai di rispondergli a tono.
Piuttosto, le parole “casa Hemmings” mi incutevano più timore di quanto pensassi. Mh.
Casa Hemming. Casa di Luke. Cioè, dove Luke viveva.
Dio, sentivo le viscere aggrovigliarsi; mi era passata quasi completamente la fame.
-Ehm…- non feci nemmeno in tempo a dire ‘si’, ‘no’, ‘banana’, che mi bloccò.
-Perfetto, devi essere qui per le quattro. Ciao bambolina- e chiuse la chiamata. Rimasi accigliata mentre fissavo lo schermo dell’apparecchio. Seguirono poi degli schiamazzi e dei ghigni da parte delle mie due migliori amiche. 
Senza spiegare loro cosa mi aveva riferito Luke, mi sedetti sullo sgabello dell’isolotto e iniziai a mordicchiare la cannuccia del milkshake preparato da Emily come ogni mattina. Ormai in cucina l’unico rumore percepibile era quello che produceva la cannuccia quando bevevo.
«Allora? Cosa ti ha detto?» chiese Kate, maliziosa. La guardai distrattamente. Era passata una settimana dalla sua sbronza, ma non era assolutamente decisa a raccontarci come era andata con Ashton. Anche lui si era rifiutato di parlare. 
Sapevamo solo che lui si era fatto perdonare chiedendo a Kate di uscire; ovviamente tutti noi credevamo che Kate gli avesse confessato i suoi sentimenti, e che magari lui non li avesse mai ricambiati. O che avesse paura di rovinare tutto. 
Era meglio non pensarci, a Kate andava bene che Ashton le avesse proposto un appuntamento. Anche se si era sforzato.
«Devo andare a casa sua per aiutarlo con Clary» spiegai iniziando a picchiettare le unghia smaltate di blu scuro sul bicchiere in vetro.
Kate arricciò il naso. «Clary? La sorellina di Luke?»
Tossicchiai. «Ehm… si?»; sembrava più una domanda che una risposta.
Lanciò un’occhiata a Emily. «Lottie, come hai fatto a conoscere sua sorella?» chiese alzando un sopracciglio.
«Beh, al centro commerciale le abbiamo incontrate»
«Le?»
«Ehm, beh si, c’era anche Penny. Sono adorabili» risposi cercando di non arrossire come una demente per quei ricordi imbarazzanti.
Emily emise un gridolino compiaciuto. 
«Sicuramente ti avrà chiamata per sua sorella, certo» fece la castana ironica, alzando e abbassando le sopracciglia nell’intento di imitarmi. Non solo la situazione era di per sé molto critica, ma ci si metteva anche lei con quelle frasi provocatorie.
Alzai gli occhi al cielo scherzosamente. «Risparmia il fiato, signorina Grey. Non succederà niente, anche perché non credo che la bambina non rimarrebbe traumatizzata dalla visione di una pomiciata esplicita, ammesso che le probabilità che capiti siano accettabili» feci un gesto seccato con la mano, realizzando dopo di aver parlato esattamente come Sheldon di The Big Bang Theory.
Ripensandoci, avevo perso il conto di quante volte Luke aveva provato a baciarmi. Anche se dopo la quasi scomparsa di Kate non ci aveva più provato. Anzi, eravamo diventati molto più che semplici conoscenti, e la nostra amicizia era cambiata in meglio.
Qualcosa doveva avergli fatto il lavaggio del cervello: magari lo shopping dell’altro giorno. Sorrisi fra me e me al ricordo.
«E se fosse tutta una balla?» considerò la mia migliore amica.
Emi rise. «Non credo che Luke arriverebbe a tanto per portare a casa una ragazza» intervenne molto saggiamente. Per mia fortuna, la bionda era sempre dalla mia parte.
«Si, ma penso che per lui Charlie non sia “una ragazza”. Charlie è diversa. Lei è… è Charlie» concluse meno intelligentemente di quanto avesse fatto Emi.
Beh, a meno che mia madre non avesse deciso di cambiare il mio nome in quel preciso istante, ero Charlie.
«Grazie al cielo, avevo paura di essere l’orso Yoghi»
Le mie due amiche risero.
Poi, Michael fece la sua trionfale entrata in cucina, sbadigliando come se non ci fosse un domani. 
«Che succede?»
Lanciai un’occhiata eloquente alle mie amiche.
«Charlie va da Luke oggi pomeriggio!» sbottarono in coro quelle brutte stronze. Le uccisi mentalmente.
Mio fratello si stropicciò prima gli occhi ed emise un altro sbadiglio.
«E quindi?» ah, l’aveva presa bene.
Ritrassi di scatto il volto quando sentii la risposta di mio fratello. «Ehm, niente» feci io prendendo un biscotto dal contenitore vicino al frigorifero.
La cucina piombò in un silenzio tombale, fino a quando Michael non disse: «C’è qualcosa che vorresti dire, Charlie?»
Non avevo capito a cosa avessi voluto alludere con quella domanda: in verità non stavo nascondendo niente di niente. Scossi la testa senza proferir parola.
Mio fratello sembrò essersi ripreso dalla sua fase ‘sono le undici di mattina ma ho ancora sonno’ (da che pulpito) dal momento che si era posizionato con i gomiti sul bancone, e una faccia seria.
«Come va con Luke?» chiese poi, sorridendo.
Aggrottai le sopracciglia. «Siamo buoni amici»
«Sai, credo che tu gli abbia fatto una sottospecie di incantesimo. Non mette piede in un night dall'età della pietra e soprattutto non si porta a letto una ragazza da ben otto giorni» confessò facendo una faccia buffa, che consisteva nell’arricciare sia il naso sia il labbro superiore. Andai in iper ventilazione.
Non sapevo che dire… 
«Davvero? Io ero convinta che prima della festa fosse andato a scop-» mio fratello tappò la bocca di Kate con la mano.
COSA? Rimasi di stucco. E vi potevo assicurare che quello non era un barbatrucco.
«Ah si?» chiesi con finto disinteresse. Oggi Luke morirà.
Gli altri scossero energicamente la testa in una risposta negativa.
«Hey imbecilli, potete dirmelo se Luke si va a divertire. Non siamo di certo fidanzati» feci io ridendo nervosamente. Anche un’iguana aveva capito che stavo schifosamente mentendo. Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene. 
Okay Charlie, mantieni la calma.
«Quello che volevo dire -mio fratello lanciò un’occhiataccia a Kate, che si strinse nelle spalle- è che gli devi aver fatto un gran bell’effetto» si alzò dallo sgabello per lasciarmi un bacio sulla guancia.
«Sono contento»
Sorrisi.
Emily batté le mani. «Bene. Ma credo che prima di andare dovresti farti una tisana, rischi di svenire davanti alla sua porta d’ingresso»
«Ah-ah-ah»

 
***
ORE 14:13

KATE’S P.O.V.

-Pronto?-
-Katie? Sono Ash- non mi ero nemmeno resa conto di aver risposto al cellulare senza guardare chi fosse. Sentii il cuore accelerare in un baleno.
Presi un profondo respiro e risposi. -Hey-
Si sentivano dei rumori in sottofondo, come se stesso in metro, o cose del genere. Ma Ashton odiava la metro.
-Potremmo anticipare l’appuntamento?- chiese dopo una serie di interferenze. 
-Ehm… Okay- 
-Fantastico, perché sono sotto casa tua- sgranai gli occhi. Allontanai il telefono dall’orecchio e mi avventai sulla porta d’ingresso, trovandolo effettivamente sul mio portico.
Chiusi la chiamata mentre continuavo a fissarlo sbalordita. Mi fece un saluto con la mano e mi indicò la sua auto parcheggiata nel viale.
Senza pensarci due volte chiusi la porta alle mie spalle: non avevo nemmeno prestato attenzione al mio abbigliamento. Sperai solo di non essere uscita con le mie imbarazzanti infradito a fiori. Controllai senza farmi notare e per mia fortuna stavo indossando gli shorts e una maglietta abbinata ai sandali.
Ashton stava camminando pensieroso verso la macchina; poi si fermò davanti alla vettura e mi fece un sorriso prima di aprirla.
«Avvisa gli altri che starai fuori tutto il giorno» disse enigmatico mentre entrava in macchina.
Aggrottai le sopracciglia senza rispondere. Digitai un messaggio da mandare a Charlie perché avvisasse anche Emily; bloccai la schermata e tornai a guardare avanti a me, scoprendo che stavamo già percorrendo la strada.
Osservai il profilo di Ashton: sembrava così a suo agio mentre guidava, come se non fosse successo praticamente niente e fossimo tornati ad un anno fa.
Io ero imbarazzata; non volevo pensare che aveva fatto tutto questo solo per farsi perdonare e non perché aveva voglia di farlo.
Per quanto Ashton potesse essere gentile ed educato, non si poteva capire bene se una cosa la stesse facendo di sua spontanea volontà, e questo mi preoccupava.
Sprofondai nel sedile della sua auto.
«Allora, dove mi porti?» chiesi cercando di non fargli capire quanto stessi in ansia. Si voltò verso di me e sorrise.
«Vedrai»
A volte mi chiedevo se la scelta migliore fosse davvero stata quella di rivelargli tutto: avevo avuto tanta paura di quello che sarebbe potuto succedere. Infatti, era successo…beh… quel che era successo. 
Decisi di non pensarci più e di godermi quella giornata con lui, dato che era stato il mio sogno da qualche mese.
Sorrisi.

 
***
ORE 15:57.

CHARLIE’S P.O.V.


Chiusi la porta alle mie spalle sospirando. Erano quasi le quattro, e stavo raggiungendo casa di Luke con l’ansia di uno che sta per essere immerso nell’acido.
Mi aveva dato l’indirizzo e il numero civico, speravo di non bussare alla porta sbagliata o perdermi.
Casa Hemmings era più vicina di quanto potessi immaginare e questo mi fece stringere ancora di più il nodo allo stomaco: se avessi camminato di più magari mi sarei calmata e un po’ d’ansia sarebbe andata via. 
Ma avevo comunque avuto modo di pensare a tutto quello che era successo. 
Ripensai all’abbraccio di quella maledetta sera in cui scomparve Kate: era stato un turbine di emozioni per me, anche se in quel momento non avevo saputo definirle. Era stato talmente improvviso e stretto che non mi aveva dato il tempo di pensare. Ma riflettendoci, avevo finalmente capito che potevo fidarmi di lui. Non mi aveva abbandonata, era rimasto vicino a me.
Mi aveva tenuta stretta per tutto il tempo di cui avevo bisogno. 
Ma cosa era successo? Perché l’aveva fatto?
Le domande che mi intasarono il cervello furono migliaia. Questo perché Luke non aveva mai agito così con me… Forse con nessuno.
Mi ritrovai senza essermene accorta davanti alla sua porta d’ingresso, su cui c’erano inchiodate delle lettere dorate. “Hemmings”, dettavano.
Suonai il campanello tremante. Lo stavo facendo per lui.
Vidi la porta che si apriva, scoprendo dietro essa la figura minuta di Clary, con i capelli biondi scompigliati e una manina che stropicciava l’occhio sinistro.
I miei occhi si accesero vedendo la bambina. 
«Charlie?» chiese con una voce impastata dal sonno; probabilmente stava dormendo.
«Ciao Clary» feci io abbassandomi per darle un bacio sulla guancia e pizzicandole dolcemente il mento. Sorrise per il mio gesto.
Fece spazio per farmi entrare e chiudere la porta dietro di me. I minuscoli piedini coperti da calzini rosa camminarono fino alle scale che conducevano al piano di sopra.
Si fermò prima di mettere un dito sulle labbra. «Vieni» 
La casa era un po’ buia all’interno. Probabilmente stavano facendo il sonnellino pomeridiano. Anche il piano di sopra era abbastanza buio; alcune avvolgibili erano socchiuse.
Clary, dopo avermi preceduta sulle scale, mi indicò una porta chiusa. Doveva essere la camera di Luke. 
L’aprì con calma e mi spinse leggermente al suo interno; poi, chiuse la porta uscendo. Ebbi un fremito.
Ero nella stanza di Luke, da sola. Era completamente immersa nel buio, solo pochi raggi di sole pomeridiano entravano dagli spiragli della finestra.
I miei occhi scovarono la sagoma del biondo nonostante l’oscurità: era sdraiato sul letto, dormiva. Potevo sentire il suo respiro pesante. 
Non avevo idea di cosa fare, dovevo svegliarlo? Mi avvicinai a piccoli passi, fortunatamente attutiti dalla moquette sul pavimento. 
Una volta raggiunto il lato destro del materasso, mi fermai per guardarlo. Luke era così maledettamente bello, anche mentre dormiva.
Il suo petto era scoperto, si alzava e si abbassava lentamente; i capelli scompigliati e il volto addormentato era rivolto verso la finestra. Quindi nella mia direzione opposta.
Con tutta la calma (e l’ansia) del mondo poggiai le ginocchia per terra e incrociai le braccia sulle lenzuola per osservarlo meglio. Poggiando il mento sul tessuto profumato della coperta, pensai a quante ragazze fossero passate per il suo letto. Quante avevano dormito in quelle lenzuola, quante l’avevano toccato, e quante avevano perso la testa per lui.
E la cosa peggiore, era che stavo per diventare una di loro. Stavo per perdere completamente la testa per lui.
Un sospiro scoraggiato uscì dalle mie labbra involontariamente.
«Ti si fondono i neuroni se continui ad fissarmi» pronunciò una voce bassa e roca. Arrossii di botto e tolsi le braccia dal materasso.
Sentii la risata gutturale di Luke riempire le mie orecchie e la stanza. Quando vidi che aveva girato la testa verso di me, stabilii a me stessa che non mi sarei tirata indietro e che avrei scacciato via l’imbarazzo.
«Non volevo svegliarti» fu la mia risposta al suo commento. Nonostante sentissi la paura e il tremore stagnare in me, continuai a comportarmi come se non stesse accadendo niente che avrebbe potuto mettermi a disagio.
Potei ascoltare i quasi impercettibili cigolii della testiera quando lui si mosse. Era girato di fianco e mi guardava. 
Avete presente quando si dice che il silenzio fa da padrone? Quando non ci sono bisogno di parole? Beh, quella era la situazione in cui mi trovavo.
La nostra battaglia di sguardi si concluse quando Luke parlò: «Vieni» mi fece spazio sul materasso.
Come prima, sentii una serie di brividi percorrermi il corpo. Ringraziando il buio che copriva il mio volto arrossato e senza dire niente, sfilai le converse e mi stesi supina.
Il letto era morbido e accaldato. Luke era sempre steso di fianco, un braccio piegato dietro la testa e un sorriso pigro sulle labbra.
Ricambiai nervosamente. 
«Mi dispiace di avervi svegliato» ripresi a bassa voce guardando il soffitto, posando le mani sulla mia pancia. 
«Naah, ci siamo solo appisolati mentre ti aspettavamo» rispose lui sbadigliando. Annuii non sicura che fosse riuscito a vedermi.
Per scaricare almeno un po’ di tensione, iniziai a picchiettare l’indice sulle nocche della mano. E ora?
«Luke?»
«Mh?» ebbi l’impulso di sorridere sentendo il suo grugnito assonnato. 
«Perché mi hai fatto venire qui?» chiesi dal nulla, sempre tenendo lo sguardo arpionato sul soffitto.
Non rispose. Si limitava a fissarmi. Si sdraiò anche lui supino.
«Luke» lo richiamai sospirando. Stava solo facendo si che il mio cuore accelerasse.
«Te l’ho detto, ho bisogno di aiuto con Clary» soffiò. 
«Devo usare la forza per farti parlare?» lo minacciai assottigliando gli occhi.
Sorrise. «Fammi vedere che sai fare»
L’aveva voluto lui. Sollevai la schiena dai cuscini e scostai le gambe scoperte per posizionarle ai lati dei suoi fianchi. Infine mi sedetti a cavalcioni su di lui, meritandomi uno sguardo sorpreso. Non perse nemmeno un minuto e allungò le mani tenendole saldamente sui miei fianchi per non farmi spostare. 
Non sapevo dove mettere le mani, fin quando non le poggiai sul suo petto nudo e iniziai a lanciargli occhiate di sfida. Lo sovrastavo; forse era la prima volta.
«Ora me lo dici perché vuoi che stia qui?» mi guardava con talmente tanta lussuria che quasi volevo nascondere il viso fra i capelli; ma non era il momento. Non l’avrei più fatto. 
Non avevo paura. 
Anche lui alzò il busto verso di me, facendo scivolare le mie mani sul torace fino a farle finire nuovamente sulle mie gambe. Mi tenne stretta fra le sue braccia, come per chiudermi in un abbraccio, mentre le nostre gambe si stavano toccando.
«Lo sai, si?» sviò la mia domanda con un’altra, non cogliendomi alla sprovvista dal momento che era diventata un’abitudine fra di noi.
Alzai un sopracciglio non capendo cosa volesse dire. Prima che parlasse lo guardai intensamente negli occhi che al buio apparivano di un blu scurissimo, quasi nero.
Sarei potuta affogarci. Ci avrei nuotato fino a quando non sarei morta.
«Cosa?»
Sorrise. 
«Sei bellissima»








SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Heey girls!
Eccomi qui con un altro capitolo!
Direi che è anche questo uno dei miei capitoli preferiti; allora, Charlie è andata da Luke per un pomeriggio intero, eh?
Cosa succederà? *faccia perversa*
Vi ho già dato un accenno, eheh.
Vi piace? 
Ehm, credo di non aver più niente da dire, a parte che sono consapevole del fatto che ormai il tempo per leggere si è ridotto con la scuola di mezzo e magari non avete tempo di passare, ma mi è dispiaciuto non aver ricevuto pareri sullo scorso capitolo, che è il mio prefetito in assoluto. 
Ma vabbè, non importa, so che avrete sicuramente i vostri motivi.
Ah, vorrei anche ricordarvi che ho iniziato una nuova storia su Luke, Don't.
Vorrei che deste un'occhiata ed esprimeste il vostro parere.
Allora, aggiorno a 4 recensioni, non di meno!

p.s. ho comprato 1989! (non vi frega)
p.p.s. vi amo tutte!

Besos,
Au.

 

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Capitolo 13
*** So human. ***







13° capitolo


So human.


«C-come hai detto?»
Il sorriso svanì dalle sue labbra in un soffio. Lo sentii deglutire a fatica.
«Ho detto che sei bellissima» ripeté stringendo le braccia attorno alla mia vita, facendo inarcare la mia schiena.
Avevo portato le mani sulle sue spalle, alla base del collo, e in quel momento le stavo stringendo.
Luke Hemmings mi aveva appena detto “bellissima”. Il ragazzo più menefreghista e asociale che io abbia mai conosciuto mi aveva dato della bellissima.
Se avessi potuto spiegare ciò che stavo provando in quel momento, l’avrei fatto. Lo guardavo negli occhi come se stessi cercando qualche risposta da dare; un “grazie”, un “no”, qualcosa. 
«Lo hai detto davvero?» chiesi invece, con un tono di voce bassissimo. Lo vidi ridere e scuotere la testa, divertito dal mio imbarazzo.
Annuì facendo sfiorare le nostre fronti; nel frattempo si era avvicinato al mio viso, sorridendo.
Feci un mezzo sorriso anche io. «G-grazie» soffiai. Trattenni il respiro per quelli che mi sembrarono secoli, nell’attesa di qualunque cosa.
Ma il momento fu interrotto dal rumore della porta che si apriva. Girai di scatto la testa verso Clary che era sull’uscio con un grande sorriso stampato in volto.
Sentii Luke sbuffare. «Va’ a dormire, Clary» era decisamente scocciato. 
«Ma Lukey, io non ho sonno» si lamentò la bambina, con una punta di divertimento nella voce; sapevo che aveva capito ciò che stava accadendo. Trattenni una risata.
Mi mossi tra le braccia di Luke per far si che le sciogliesse. 
Così fece, e potei scendere dal letto per raggiungere la bambina e prenderle una mano. «Facciamo merenda?» chiesi con la solita voce mielosa che si usa con i bambini. Il che era molto strano per me. Forse era stata tutta la dolcezza di prima; quella nelle sue parole e nei suoi gesti.
Non pensavo che Luke potesse essere davvero così… così umano.
La bimba mi trascinò al piano di sotto e si apprestò ad attivare alcune avvolgibili automatiche, che si sollevarono da sole, scoprendo un’enorme casa.
Era grandissima, arredata con gusto e molto elegante. Rimasi in piedi ad osservare quella reggia. Non che potesse essere paragonata a quella di Kate, ma era pur sempre di classe e ariosa. Bellissima.
Vidi Clary muovere passi verso quella che doveva essere la cucina; la seguii, notando che si era già seduta sullo sgabello dell’isolotto e stava aspettando qualcuno che le cucinasse qualcosa. Mi chiesi se Luke le avesse mai preparato un frullato o qualcosa di vagamente simile. 
Ridacchiai quando immaginai il biondo con una retina per capelli in testa e un grembiule. 
Ispezionai la cucina per cercare di capire dove potesse essere la dispensa. 
«E’ qui» sentii borbottare. Luke era dietro di me, ancora a petto nudo, ma con un pantalone della tuta addosso. Che panorama, ragazzi.
Allungò il braccio verso l’anta della dispensa e l’aprì, uscendo della Nutella e del pane. Nutella!
Anche Clary esultò vedendo la cioccolata nel vasetto. Con tutta la calma del mondo, ancora assonnato e pigro, il biondo prese una manciata di cioccolato con un coltello per poi spalmarla sul pane. Lo passò alla sorella minore, che fece un sorrisone e sparì dalla cucina per andare a sedersi sul divano.
Mannaggia, quella biondina aveva l’ossessione di lasciarci soli.
«Ne vuoi?» la voce di Luke mi distrasse. Annuii senza pensarci.
Mi ero ritrovata ad avere la gola secca e lo stomaco vuoto.
Nella cucina c’era un silenzio decisamente troppo imbarazzante, a parte il rumore dei cartoni animati che stava guardando Clary. 
Quando Luke mi passò il pane con la Nutella, iniziai a divorarlo come se non mangiassi da mesi, meritandomi uno sguardo divertito da parte sua.
«Che c’è?» chiesi a bocca piena, facendolo scoppiare in una fragorosa risata. 
«Hai tutti i denti marroni» indicò la mia bocca divertito. 
Per ripicca presi un po’ di cioccolato infilando il dito nel vasetto e glielo spalmai sul naso. Cercai di non ridere guardando la sua espressione scioccata.
Finii di stendergli la crema sul naso e dopo gli concessi un sorriso. «To’, hai tutto il naso marrone, Lukey» toccò il naso sporco con un dito, trovandolo effettivamente coperto di cioccolato.
Mi lanciò un’occhiata sbalordita per poi scoppiare a ridere, contagiandomi subito.
«Vuoi la guerra, Clifford?» chiese minaccioso, avvicinandosi a me. Mi veniva ancora più da ridere vedendo il suo povero naso marrone, a contrasto con la sua pelle dorata per via dell’abbronzatura. Dio, era una scena troppo comica.
Pizzicò l’anellino nero che aveva al labbro con l’indice e il pollice, ridacchiando contemporaneamente. «Sai, ora dovresti pulirmelo tu» soffiò facendosi serio.
Il divertimento sparì anche dal mio volto, dal momento che si stava avvicinando sempre di più, con uno sguardo per niente rassicurante. Se prima la scena era comica, ora era davvero inquietante. 
Sentii il piano freddo dell’isolotto urtare contro la mia schiena, e senza rendermene conto avevo indietreggiato. 
Emisi un gridolino quando mi sentii presa dalle gambe per poi essere adagiata sul bancone freddo. Luke mi aveva afferrato la parte posteriore delle cosce, e ora aveva le mani poggiate sul piano, ai lati dei miei fianchi. Non sapendo cosa fare precisamente, aprii le gambe per farlo sistemare meglio. Sembrava fossimo tornati a qualche minuto fa. 
Continuava a guardarmi divertito dal mio imbarazzo; non era il suo solito sguardo di scherno, quello che utilizzava sempre con me. Era uno sguardo… semplice. 
Rimasi lì, a fissarlo negli occhi nell’attesa che dicesse (o facesse) qualcosa. 
Mi chiesi dov’era finita la vecchia Charlie.
Quella ragazza acida che non permetteva a nessuno di leggerle dentro, che non abbassava mai lo sguardo per prima, che non dubitava mai di piacere a qualcuno. 
Perché piaceva, e basta. 
Luke era stato forse il primo ragazzo a non avermi confermato niente del genere, almeno fino a poco tempo fa. Non avrei mai immaginato di piacergli sul serio, mai. Lui non era come gli altri, e questo l’avevo capito sin dall’inizio. Ecco perché gli avevo permesso di entrarmi nel cuore.
Quando strofinò il suo naso contro il mio, sporcandolo di Nutella, feci per indietreggiare col capo. 
«E questa sarebbe la tua vendetta?» mormorai dal momento che eravamo ad un palmo l’uno dall’altra. Ridacchiò, ponendo più distanza fra di noi.
«La mia vendetta in questo momento sarebbe sbatterti contro quel muro e baciarti fino allo sfinimento» confessò indicando la parete dietro di me.
Non appena sentii quelle parole, arrossii di botto. Oh mio Dio, dalla sua bocca le parole avevano tutt’un altro effetto. Più sensuale.
Ma presi coraggio.
«Perché non lo fai, allora?»
Un guizzo di felicità passò per i suoi occhi azzurri. Mi sorrise mentre stava torturando il piercing con quei denti perfetti.
Prendendomi per la parte bassa della schiena mi avvicinò a sé ancora di più, se possibile.
«Sarebbe fantastico, ma se è una cosa che vuoi anche tu non vale come vendetta» ridacchiò sulle mie labbra. «Preferisco le cose spontanee»
Scossi la testa non riuscendo a trattenere un sorriso. Uno dei pochi sinceri che tenevo in serbo.
Una sensazione di vuoto si appropriò di me quando il suo corpo si allontanò dal mio. Scesi dall’isolotto con un piccolo balzo.
Mi guardò negli occhi. «Sì, ho proprio ragione»
Lo guardai incuriosita per la sua affermazione.
«Cosa?»
«Sei davvero bellissima»
***

KATE’S P.O.V.


«Ash, io ti ammazzo»
«Andiamo Katie! Mi hai detto che avresti voluto farlo!» mi supplicò quell’idiota di un batterista con le mani giunte e in ginocchio sulla sabbia. Non sapevo esattamente perché lo stavo facendo: forse perché mi piaceva troppo per dirgli di no.
«Ma quando ho detto che mi piacerebbe provare il windsurf non intendevo che l’avrei fatto sul serio!» protestai cercando di non urlare troppo.
Misi una mano sugli occhi per coprirmeli; sapevo che gli avrei detto si lo stesso.
Sentivo la sabbia calda del pomeriggio entrare nei sandali che affondavano. Ah, che sia maledetto il suo charm.
Non mi diede nemmeno il tempo di acconsentire che mi prese in braccio stile sposa, facendomi girare.
«ASH!» urlai a metà tra il ridere e il piangere. Lo sentii esultare, il suo petto vibrava ad ogni gridolino che faceva. Credetti di trovarmi in paradiso percependo il suo tocco su di me. Il suo profumo stava mandando i miei neuroni a farsi fottere.
Quando mi mise giù mi afferrò subito una mano e mi trascinò verso la riva, dove si poteva benissimo vedere la grande vela della tavola, mantenuta da un tizio in lontananza. Mi stavo già cagando sotto.
Poi mi ricordai che eravamo ancora entrambi vestiti e senza un costume.
«Hey geniaccio, non credi che dovremmo infilarci prima un costume?» lo rimbeccai prima che potessimo raggiungere la vela. 
Ridacchiò. «Il costume è facoltativo, piccola» 
Avvampai. Non voleva farmi andare in intimo!
Quando vide che mi ero fermata di scatto, sorrise. «Andremo con i vestiti addosso, non temere»
«Non credo di voler bagnare la mia maglietta per te, Irwin»
«Io bagnerei tutte le mie magliette per te» rispose facendomi sorridere come un’ebete. Dio, solo lui aveva quella capacità di farmi sciogliere con una sola parola.
Arricciò il naso. «E poi non dovresti preoccuparti. Hai un intero guardaroba a casa, una maglietta non fa differenza; prendi me che sono un poveraccio!»
«Ash, tu sei ricco sfondato»
«Dettagli» 
Risi spensierata e lasciai che mi guidasse verso la riva. 
L’uomo che reggeva la vela fece un cenno di saluto col capo, che Ash ricambiò. «Grazie per la vela Johnny» lo sentii dire.
«Nulla Ashton» rispose trascinando la tavola in acqua. Il ragazzo castano rimase al mio fianco, con ancora le dita intrecciate alle mie.
L’occhio mi cadde sulle nostre mani.
«Ash?»
«Mh?»
«Se sapevi che saremmo venuti qui, perché non hai portato dei costumi?» chiesi sinceramente incuriosita.
Il sorriso che mi rivolse poteva illuminare un’intera città. «Voglio che tu ricordi questo giorno, Katherine»
Aggrottai le sopracciglia, non capendo cosa volesse dire.
«Tutti fanno windsurf con la muta. Ma noi non siamo “tutti”, quindi faremo windsurf con i vestiti» spiegò guardando il mare di fronte a noi. Un onda riversò l’acqua sui nostri piedi, fortuna che prima avevo tolto i sandali. 
“Noi non siamo tutti”. 
Noi non eravamo tutti, ma non eravamo nemmeno tutto. E mi piaceva.
«Non penso che avrei comunque potuto dimenticare questo giorno» mormorai prima che mi lasciasse la mano per aiutare Johnny con la tavola.
Sospirai e lo raggiunsi.
***
 
ORE 22.46

CHARLIE’S P.O.V.



Rimboccai le coperte sotto le quali Clary era rannicchiata. Quel pomeriggio era stato terribilmente sfiancante, sia per me che per Luke.
Ringraziai il cielo di non avere una sorella più piccola: ma era comunque bello occuparsi di lei. 
Avevamo giocato ad acchiapparella, al gioco dell’oca, a prendere il tè con le bambole e altre cavolate da bambine. Dovevate vedere Luke seduto su quella minuscola sediolina azzurra, con le gambe che superavano il bordo del tavolo, una tazzina di plastica in mano e una faccia per niente amichevole.
Sorrisi come un’ebete al ricordo. Clary si mosse sotto le lenzuola.
Stetti per spegnere l’abat-jour sul comodino, quando mi fermò.
«Cosa c’è, piccola?» chiesi dolcemente, sedendo sul materasso affianco a lei.
Arricciò attorno al dito una ciocca di capelli biondi. «Perché tu e Lukey non siete fidanzati?»
Il mio cuore perse un battito. «Ehm… Siamo buoni amici» risposi cercando di concludere lì quel discorso. Avrei preferito leggerle una favola piuttosto che parlare della mia situazione con Luke.
Clary scosse la testa mostrando un sorriso un po’ sdentato. «Mio fratello è stupido; tratta male le sue amiche, e non sa nemmeno perché. Ma con te non fa quello che… che…» cercò di trovare le parole giuste per spiegare. Il suo tono infantile mi fece intenerire. 
«Lui ti piace» concluse alla fine. Dannazione, l’aveva capito anche una bambina di sei anni.
«Piace a molte ragazze, Clary» le spiegai carezzandole i capelli. 
Rise di gusto. «Ma lui non vuole le altre ragazze»
La guardai sorridendo. Non potevo credere che una bimba stesse ragionando sulla mia situazione sentimentale.
«Ora dormi, biondina» dissi scherzosamente dandole un bacio fra i capelli. 
Annuì prima di sistemarsi meglio nel letto. Spensi l’abat-jour e mi alzai dal materasso.
Prima che potessi voltarmi, mi chiamò di nuovo.
«Charlie, aspetta»
«Dimmi»
Fece una piccola pausa. «Credo che tra tutte le “amiche” di Lukey, tu sia la migliore»
Sorrisi, sapendo però che nel buio non poteva vedermi. 
«Io invece credo che tra tutte le bambine bionde di questo mondo tu sia la più bella» risposi facendola ridacchiare.
Uscii dalla camera chiudendo la porta alle mie spalle. Sobbalzai quando vidi che Luke era poggiato al muro di profilo, qualche metro più lontano dalla porta, e sorrideva.
«Luke! Mi hai fatto paura» 
Senza smettere di sorridere si avvicinò a me, con due mani nelle tasche dei pantaloni. Per la mia incolumità mentale, gli avevo chiesto di indossare anche una maglia, altrimenti sarei finita per scambiare quei pettorali per una tavoletta di cioccolata.
«Immagino che tu abbia sentito tutto» iniziai a parlare, dato il silenzio imbarazzante. 
«Immagini bene» sorrise.
Iniziammo a scendere le scale per raggiungere il piano di sotto. Dovevo tornare a casa, Emily mi aveva già tartassata di chiamate e messaggi perché aveva paura di lasciare la casa in mano a Calum e Michael. Temeva che avrebbero distrutto qualcosa, dopotutto Kate non c’era.
Luke mi aprì la porta e aspettò che uscissi per prima, richiudendola subito dopo dietro di sé. 
Mi propose di accompagnarmi a piedi, ma non mi diede nemmeno il tempo di protestare che stavamo già camminando.
Le mani in tasca, gli occhi arpionati sull’asfalto e respiro pesante. Ecco Luke Hemmings in quel momento. 
Gli diedi una piccola spinta col fianco per farlo risvegliare dal suo stato di trance momentanea. Gli scappò un sorriso.
Con mia grande sorpresa sentii il suo braccio poggiarsi sulle mie spalle, con assoluta nonchalance. Aggrottai le sopracciglia mentre alzavo il viso verso di lui, che mi teneva stretta. 
«E questo?» chiesi alludendo al suo braccio. Mi mostrò un sorriso a trentadue denti prima di rispondere.
«Devo proteggerti dagli uomini cattivi che si aggirano per queste tortuose strade buie. Potrebbero rapirti, ucciderti e vendere i tuoi organi» spiegò guardando dritto davanti a sé.
Feci una smorfia. «Come sei rassicurante»
Beh, dovevo ammettere che quella scusa idiota era stata abbastanza efficace, dato che mi stavo beando del contatto con il suo corpo. 
Cosa dovevo fare? Dovevo passare un braccio intorno alla sua vita per ricambiare il gesto? 
Il mio cuore stava pulsando ad una velocità incredibile, le mie gambe stavano cedendo. La sua sola vicinanza mi metteva così in ansia che potevo addirittura perdere i sensi.
«Allora, Superman - iniziai a dire - cosa hai sentito prima?» ripensai alla conversazione tra me e Clary. Effettivamente non c’era stato molto su cui discutere, non c’era niente di equivoco. Forse stavo prendendo la questione come argomento di conversazione e basta.
«Mh, direi quasi tutto» borbottò gesticolando con la mano che sporgeva dalla mia spalla. Era così bello vederlo parlare, muoversi, sapendo che le attenzioni e tutto ciò che faceva era rivolto esclusivamente a me. Mi faceva sentire così bene. 
«Sai? Se potessi, girerei per le strade vestito da supereroe» confessò ridacchiando, come se fosse qualcosa di cui vergognarsi. Era un po’ strano sentirlo dire da lui; era come se dentro fosse ancora un bambino che credeva in Batman o altri eroi che mio fratello venerava.
«Dimmi che stai scherzando» aggiunsi dopo una sonora risata. Fece il labbruccio, la sua solita faccia ‘intenerisci persone’. Con me non aveva mai attaccato; ma stiamo parlando di Luke.
«Hey, io ti racconto qualcosa di personale e tu ridi? Fanculo» brontolò facendo il finto offeso.
«Tutti abbiamo delle cose di cui vergognarsi» 
«Ti odio»
«Oh, andiamo Lukey!» cantilenai strattonandolo di poco, sperando che non se l’avesse presa sul serio. Mi guardò risentito.
Passarono pochi istanti di silenzio. «Se mi perdoni, prometto che potrai essere il mio supereroe per il resto di questa vita. Okay?» gli proposi seria, anche se dentro di me ero un misto di imbarazzo (perché mi sembrava abbastanza patetico da parte mia) e di felicità. Scoppiò a ridere: un sorriso bellissimo, uno di quelli con i denti, che piacevano tanto a me. 
«Okay. Sarò la tua ombra, babe» rispose imitando la voce di Superman, facendomi ridere. Dopo di che, nessuno dei due parlò e procedemmo l’uno stretto all’altro.
Dopo un minuto di straziante silenzio, parlai. «Cosa intendeva Clary con “le tue amiche”?» tornai seria in una frazione di secondo.
Sentii i muscoli del braccio irrigidirsi ma, a parte quello, sul suo viso non apparve forma di nervosismo.
Sospirò. «Charlie…»
«Ho capito: intendeva le ragazze che ti porti a letto, non è vero?» mi maledissi quando realizzai che il mio tono di voce era risultato più acido di quanto avessi voluto. Non ero arrabbiata, in fin dei conti sapevo che Luke si divertiva spesso. 
«Ascoltami» esordì prima di fermarsi in mezzo alla strada, togliendo il braccio dalle mie spalle. «Sono andato a letto con tante ragazze, e questo lo sai. Ma non voglio che questo influenzi… ehm… Non voglio che questo ci influenzi, okay?» 
Mi accarezzò una gota, ormai rossa, e prese fra le dita una ciocca corvina vicino al mio orecchio. 
«Perché dovrebbe farlo?» chiesi invece io, non sapendo precisamente perché.
«Io non voglio delle scappatelle, Clifford. O almeno, non più» spiegò, mentre aveva ripreso a camminare verso casa Grey. Non mi guardava negli occhi, sembrava imbarazzato.
La villa entrò nella mia visuale, imponente come al solito, anche al buio. Arrivati di fronte alla porta d’ingresso, sul portico, potei sentire gli schiamazzi che provenivano dall’interno. Chissà in che stato avrei trovato la casa.
Mi spaventai quando mi voltai, scoprendo il corpo di Luke vicinissimo al mio. 
Presi ad osservarlo per l’ennesima volta, mentre lui faceva lo stesso. «Cos’è che vuoi, allora?» soffiai, incapace di respirare regolarmente. 
Abbozzò un sorriso. Rassegnandomi al fatto che non mi avrebbe dato una risposta definitiva, mi voltai per infilare la chiave nella serratura.
Non feci in tempo a girarla del tutto che sentii la sua mano avvolgersi attorno al mio braccio.
Ruotai gli occhi prima di girarmi. «Cosa c’è ancor-»
La frase non fu mai completata perché in quel momento Luke mi sbatté contro la porta di legno e premette improvvisamente le sue labbra contro le mie.
Il mio cuore fece un salto nel vuoto. 
Con gli occhi spalancati e il respiro mozzato, rimasi immobile, il suo corpo premuto contro il mio. Si staccò subito, di scatto quasi. Avevo l’affanno, come lui. Ci guardammo negli occhi per quella che poteva sembrare un’eternità.
Senza pensarci due volte gli portai le braccia al collo e lo tirai a me in un altro bacio. Non era affatto come il precedente.
Era senza pudore, era umano
Il mio cuore sembrava essere salito su una montagna russa; faceva su e giù di continuo, quasi mi veniva la nausea talmente ero su di giri. Luke afferrò i miei fianchi nell’intento di premerli contro i suoi, cosa che mi fece sobbalzare.
Nessuno dei due aveva intenzione di staccarsi. 
Ci misi un po’ per riuscire a realizzare che effettivamente Luke Hemmings stava baciando proprio me
Era… Era quello che avevo sempre desiderato, sin dalla prima volta che l’avevo incontrato. E non ci potevo credere.
Quando passai la lingua sul suo perfetto labbro inferiore, potei sentire il metallo freddo del piercing nero. Quel piercing… Quelle labbra…
Mi sentivo così elettrizzata che avevo voglia che quelle mani iniziassero a vagare su di me più a fondo. Volevo di più, volevo che durasse per sempre.
Le sue braccia che mi stringevano a sé erano qualcosa di incredibile, il suo profumo di cannella già stagnava nelle mie narici e le mie dita erano infilate nei suoi capelli.
Gli spettinai la cresta bionda, sentendolo protestare con un ringhio. Risi nel bacio e gli morsi il labbro scherzosamente.
Avevo sempre desiderato farlo; ardevo dal desiderio di sapere com’era morbido e delicato.
Era il momento in cui mi sentivo più viva che mai. Era il momento perfetto.
Quando si staccò per riprendere fiato, avevo ancora gli occhi chiusi. Li aprii, e la prima cosa che vidi fu la più bella del mondo. Luke mi stava sorridendo. 
Sarei potuta morire per avere un altro suo sorriso tutto per me.
Avevo ancora le mani fra i suoi capelli, dietro la testa, e lui ancora sui miei fianchi. Mosse la destra, strofinandola sul fianco verticalmente.
Era ufficiale: voleva vedermi morta.
Incontrai i suoi occhi blu, ridenti. «E’ questo che voglio» soffiò, in risposta alla domanda che gli avevo fatto prima. 
Sorrisi imbarazzata, meritandomi un altro bacio a stampo. 
«E sei fottutamente bella quando sorridi» strinsi i suoi capelli tra le dita per la felicità. Ero completamente partita. 
Avevo voglia di urlare per la gioia. 
Per evitare di lasciarmi scappare gridolini o cose del genere mi limitai a fissarlo in quei pozzi chiari, che sprizzavano lussuria e malizia. 
Mi si accapponò la pelle quando lo sentii percorrere il profilo delle mie braccia, per poi afferrarmi le mani e stringerle. Mi morse il labbro inferiore prima di lasciarmi un bacio sulle labbra.
«Buonanotte bambolina»
Strinsi a mia volta le sue mani grandi prima di lasciarle andare. «Buonanotte Luke»
Mi concesse un occhiolino e poi sparì nel buio della notte.








SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

AAAAAAAAAH!
OMG FINALMENTE CHARLIE E LUKE SI SONO BACIATIIII!
PEPPEPEPEPEPEEPEEEEPPEEEEEE
Oh yeah! Vi piace? Oddio a me tantissimo!
Mi preme farvi sapere che è dall'estate che sto lavorando su questo bacio, non è stata una passeggiata decidere come e quando descriverlo. E l'elemento Kashton? Aw, troppo carini. Un applauso alle Kashton shippers!
Bene, dopo questa fase di sclero, passiamo ai ringraziamenti.
RINGRAZIO IMMENSAMENTE LE RAGAZZE CHE:
• hanno recensito i miei capitoli;
• hanno messo la storia tra le preferite|seguite|ricordate;
• hanno sempre seguito la storia, sin dai primi capitoli.
Scusate se non metto tutti i nomi, ma sono pigra e devo aggiornare anche Don't, quindi colgo l'occasione per invitarvi a passare, lol.
Cos'altro? Ah, aggiorno a 6 recensioni, proviamo così.
Direi di aver finito con gli annunci e posso anche sloggiare per la vostra felicità.
Quindi, addio!

Tanti ma tantissimi baci,
Au.

 

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Capitolo 14
*** We look such cool kidz with our shoes off. ***


   
      



14° capitolo


We look such cool kidz with our shoes off.




«Michael, se non stai fermo ti tingerò anche le orecchie, piantala!» brontolai contro quel deficiente di mio fratello, che stava ballando la macarena sulla sedia. Eh già, eravamo nel bagno della nostra camera e stavo cercando di tingere i capelli di Michael di un rosso fuoco. Ma era parecchio complicato dal momento che non stava un secondo fermo. 
«Non ci riesco, le setole mi fanno il solletico!» biascicò tra una risata e l’altra mentre continuava a muoversi a scatti, per niente preoccupato dal fatto che io avessi un pennello pieno di colore che poteva benissimo scivolarmi dalle mani e finire sul pregiato parquet di casa Grey. Se il padre di Kate ci vedesse in questo momento gli verrebbero due infarti, cinque attacchi cardiaci e una crisi epilettica. Kate invece l’aveva presa meglio: ci aveva guardati e aveva detto “Una sola goccia di colore per terra e non vedrete mai più la luce del sole”. Beh, meglio si fa per dire. Scostai la coda di cavallo disordinata che avevo improvvisato appena sveglia dagli occhi e sbuffai.
Emily, seduta sul bordo della vasca da bagno intenta a maneggiare il cellulare, fece una risatina con gli occhi incollati sullo schermo.
«Vorresti una pennellata di rosso su quelle impeccabili ciocche bionde, Em?» scherzai continuando con il mio lavoro da titani. Charlie passione parrucchiera.
«Almeno la distrarrebbe da quel cellulare a cui è attaccata da giorni» ridacchiò invece Michael, riferendosi al suo continuo mandare messaggi con Calum.
Lei ci lanciò un’occhiata di fuoco e mise il cellulare in tasca, ma l’avevo comunque vista arrossire dallo specchio di fronte a me. 
«Lo dici solo perché tu non hai la ragazza» borbottò la bionda, incrociando le braccia al petto. 
«Non ho bisogno di una ragazza, santarellina» rispose mio fratello a tono. Mi accigliai.
«Michael, hai qualcosa da confessare?» chiesi molto seria, facendo ridere Emily dietro di me. Lui allungò una mano e mi diede uno schiaffo sul sedere. Uno schiaffo molto forte.
«Non sono gay, cogliona» meno male.
Scoppiai a ridere fragorosamente, contagiando poi anche i due. 
«Sul serio, Mikey. Quando ti deciderai a trovare una ragazza?» ripresi, abbastanza seriamente. Non volevo che mio fratello trascorresse la sua adolescenza scopandosi ogni cosa vivente e avente un buco. Mi ricordai di quante volte era tornato a casa con delle ragazze, a volte anche più grandi di lui.
Lo sentii sbuffare. «Non la voglio la ragazza. Sto bene così»
La mia risposta fu bloccata dalla voce di Kate dal piano di sotto. Probabilmente stava sclerando al cellulare con Ashton. Emily scattò in piedi e si precipitò alla porta del bagno, preoccupata. Quando ritornò nella piccola stanza aveva un sorrisetto che avrei osato definire ‘perverso’. 
«Credo che ci sia qualcuno per te, Charlie» disse indicando la porta. Rimasi col pennello a mezz’aria e un’espressione stranita. 
«Di’ a Kate che se si tratta del suo orripilante amico che vuole il mio numero di telefon-»
«No. Ti conviene scendere»
Sbuffai e lasciai il pennello sporco nel lavandino. «Hey! E io?» strillò Michael indicandosi i capelli.
«Arrivo subito» soffiai prima di scendere le scale con Emi, che stava ridacchiando sommessamente. 
Quando riuscii a intravedere la porta d’ingresso e Kate al suo fianco, mi accigliai. Scesi gli ultimi scalini molto lentamente, bloccandomi alla fine della rampa, con la mano ancora arpionata alla ringhiera. Luke era nel salotto, intento a parlottare con Kate. Resistetti all’impulso di cedere alle ginocchia che stavano tremando come due… ginocchia che tremano. Quando entrambi si voltarono verso di me, deglutii. «Charlie! Erano ore che ti chiamavo!» esclamò Kate, senza alcuna traccia del suo solito nervosismo tipico della fase premestruale. Mi avvicinai a loro due.
Luke mi sorrise strafottente. «Hey»
Mi sporsi per dargli un bacio sulla guancia. «Cosa ci fai qui?» chiesi una volta che ebbe ricambiato il saluto.
«Dovete uscire, idiota» si intromise Kate, dal nulla. Aggrottai le sopracciglia.
Non sapevo di un’uscita. «E quando l’avremmo deciso, scusa?»
«Che palle che sei. Muovi quel culo e andiamo» rispose molto finemente quel biondo antipatico, prendendo il mio braccio per trascinarmi fuori. 
Sentii Kate ridere. «Hey, hey! Aspetta, devo cambiarmi!» strillai strattonando il suo braccio di ferro. Mi lanciò un’occhiata di sufficienza e osservò il mio penoso outfit, composto da canotta, pantaloncini decisamente troppo corti (simili a delle mutande, ) e ai piedi… ah, bene, ero a piedi nudi.
«Stai bene così, andiamo» questo è pazzo.
«Luke!»
Alzò gli occhi al cielo, sorridendo appena. Sgusciai dalla sua presa e mi infilai degli shorts di jeans di Kate che erano piegati sul divano.
Lo vidi aprire la porta. Cos’era tutta quella fretta? «Dove sono le scarpe, K?»
Prima che la mia amica potesse rispondere, Luke mi prese la mano per farmi uscire sul portico. «Non servono le scarpe»
Non feci in tempo a chiedere “cosa?” perché vidi che anche lui non le aveva. Ma che cazz…
«Divertitevi!» esclamò la stronza, chiudendo la porta nel tentativo di nascondere la sua risata malata.
In parole povere, ero sul portico di una schizzata mora, con indosso una canotta da riciclare, a piedi nudi e un figlio di Zeus davanti agli occhi, occupato a mordersi il piercing nero. Aprii la bocca per sputargli tutte le bestemmie che avevo elaborato nel corso di quei due minuti imbarazzanti e pazzoidi, ma prima che potessi emettere suono mi bloccò le labbra con la sua mano enorme. 
«Prima che tu parli, stammi a sentire» iniziò, sopprimendo una risata. «1°: qui a Miami girano tutti senza scarpe, quindi non ti sorprendere, e 2°…»
Tolse la mano dalla mia bocca, premendoci sopra le sue labbra, gonfie e morbide, in un lungo bacio a stampo. Quello era sicuramente il modo migliore per zittirmi. Quando si staccò e potei osservarlo meglio, notai che aveva un cappello in testa, i suoi occhiali da sole sul naso, una canotta larga e dei pantaloni very very skinny, ma very very sexy. Sorrise con la lingua tra i denti e fece scivolare le dita lungo il profilo del braccio per poi prendere la mia mano sinistra. Cercai di nascondere l’imbarazzo e il rossore, ma a quanto pare risultò inutile perché con la sua mano libera mi diede un leggerissimo colpetto al naso, ridacchiando. Iniziammo a camminare lentamente lungo il viale alberato, di fronte a cui c’era la spiaggia che era tanto amata da me medesima. Il volto di Luke veniva coperto di volta in volta dall’ombra degli alberi sotto i quali passeggiavamo, rendendolo ancora più bello e roseo. Accanto a Luke mi sentivo una vera cacca: lui era sempre fantastico, io… beh, io no. Dal momento in cui l’avevo conosciuto ero cambiata completamente. Non mi sentivo più pronta, sicura di me e bella. Ero sicura di piacere, il più delle volte. E anche se Luke l’aveva ammesso apertamente, sentivo di dovermi preoccupare del mio aspetto in ogni momento, solo per compiacergli. Non so se avete mai vissuto un’esperienza del genere; sapete, quell’orribile momento in cui ti senti insicura di te stessa. Probabilmente avevo solo paura che se un giorno mi fossi presentata in modo diverso da come Luke si aspettasse, mi avrebbe mandata a cagare e non gli sarei più piaciuta. Vederlo camminare a piedi nudi, con la sua mano nella mia e un’espressione solare, come se fosse in pace col mondo, mi fece stringere il cuore. 
Passai il pollice sulle sue nocche, e giurai di aver visto per il suo viso un filo di compiacimento. 
«Posso parlare?» sussurrai scherzosamente, dondolando le nostre mani.
Si morse il labbro prima di rispondere. «Aspetta…» si sporse improvvisamente per darmi un bacio sulle labbra. «Okay, parla»
Feci una risatina divertita per il suo comportamento deviato.
«Dove stiamo andando?»
Arricciò il naso, sempre tenendo lo sguardo di fronte a sé. Sollevò le nostre mani e posò il braccio sulle mie spalle, continuando però a stringere le nostre dita. Lo guardavo dal basso. Era come se tutto ciò che faceva, anche solo camminare, sbattere le palpebre, qualunque cosa, mi meravigliasse.
«In un posto dove io possa violentarti» commentò, apparentemente serio. Sgranai gli occhi alla sua risposta.
Quando vide che non avevo praticamente reagito, si voltò verso di me e, prendendomi alla sprovvista, mi fece girare su me stessa in modo da trovarmi di fronte a lui. Ora stavo camminando a mo’ di gambero, con il suo petto completamente spiaccicato sul mio, le braccia bloccate dietro la schiena dalle sue mani e un’espressione ancora più sbigottita. Continuava a sorridere come se il modo in cui stavamo camminando fosse del tutto normale. 
«Luke, sento che sto per inciampare» borbottai ricordandomi di avere una coordinazione cervello-gambe davvero debole. Pessima, oserei dire. Rise di gusto, ma lasciò andare i miei polsi permettendomi così di ritornare a camminare normalmente, al suo fianco. 
Osservai i miei piedi nudi. «Non avevo mai camminato senza scarpe prima d’ora» commentai continuando a tenere lo sguardo basso. Era una strana sensazione. Sorrise compiaciuto. Camminammo in silenzio per una manciata di minuti. Avevamo superato la zona urbana del quartiere; ormai il paesaggio era costituito da campi di fiori e alberi. Raggiungemmo in pochi secondi una distesa d’erba davvero grande, incorniciata da alberi e fili di rampicanti che sfioravano il suolo. Seguii Luke fino ad un piccolo muretto dietro alla staccionata che contornava la radura, alto circa un metro e mezzo. 
Una volta ai piedi del muretto, il biondo si inginocchiò e incrociò le mani a coppa, lasciandomi intendere che avrei dovuto scavalcare con il suo aiuto.
«Ho capito, oggi vuoi la mia morte» gracchiai scaturendo la sua risata, mentre posavo una mano sulla sua spalla forte. La strinsi prima di poggiare il piede sulle sue mani e premere fino a fare un piccolo salto, che mi fece finire seduta sulla parte alta del muro. A Luke bastò sollevarsi con le braccia per scavalcare e saltare direttamente dall’altra parte della distesa. Ginnaste vite parallele versione Hemmings. Lo vidi pararsi di fronte a me, con le braccia tese. Elaborai un secondo ciò che stava accadendo: la mia mente arrivò dunque alla conclusione che voleva che gli saltassi in braccio. Esattamente come se non fossi capace di scendere da sola da un muretto di merda. Esitai prima di lasciarmi prendere dalla vita; mi sentii posare a terra dolcemente, sotto i nostri piedi c’era altra erba. Dopo aver ricevuto un sorriso da Luke, mi voltai e rimasi basita. Dietro di noi c’era un ruscello limpido e grande, alimentato da una piccola cascata situata fra le rocce. Era un vero spettacolo; non credevo che a Miami potessero esserci posti del genere, così naturali e puliti. Feci qualche passo avanti, ancora a bocca aperta. Quando girai il capo verso destra, notai che il biondo era al mio fianco, con le mani in tasca e un sorriso accennato, che consisteva solo nell’alzare un lato della bocca.
«Vengo qui quando ho bisogno di stare da solo» disse dopo qualche secondo, mentre raggiungeva una passerella in legno. Collegava la sponda destra del laghetto con la sinistra, e i bordi erano contornati da due file di ringhiere, sempre in legno, con la differenza che i piedi erano quasi interamente ricoperte di muschio. Una volta lì, potevo benissimo vedere tutto il ruscello e la cascata. Sotto di noi l’acqua scorreva tranquilla.
«A cosa pensi mentre sei qui?» chiesi poggiando i gomiti sulla ringhiera sinistra. 
Lo vidi osservare attentamente il paesaggio, con le mani in tasca. «A tutto, più o meno»
Annuii. «Non capisco, se avevi bisogno di stare solo, perché mi ci hai portata?»
Non rispose, ma sollevò la gamba destra per scavalcare la piccola recinzione e sedersi. Con un sospiro, lo imitai. Non avevo mai capito perché continuava a fare il difficile, nonostante non ci fosse più nulla da nascondere. Insomma, ieri sera mi aveva confessato ciò che pensava. Quando mi sedetti, stesi le braccia per reggermi meglio sulla poco stabile ringhiera, lasciando che i miei piedi nudi penzolassero liberamente. 
«In realtà non avevo bisogno di stare da solo - iniziò facendomi voltare verso di lui - volevo solo che tu sapessi che, se mai volessi cercarmi…» spinse le mani sulla ringhiera in modo da sollevarsi di poco e avvicinarsi a me. Passò il suo braccio attorno alla mia vita, facendo sì che la mia testa si poggiasse sulla sua spalla. «… saprai dove guardare»
Sorrisi appena guardandolo dal basso. Tutto quello che riuscii a fare fu lasciargli un bacio sulla pelle sotto-mento, per quanto il suo braccio mi permise. Sentii la sua testa posarsi sulla mia, e non riuscii più a definire i miei precisi sentimenti in quell’istante perché il mio cervello si disattivò completamente.






 

SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!
 
Oh Em Jee, salve girlz.
So che non dovrei nemmeno azzardarmi ad introdurre il mio penoso spazio autrice con uno schifoso 'salve', specialmente dopo tutto questo tempo d'attesa e dopo non aver aggiornato 'Don't', per chi se ne frega qualcosa. Lo so, faccio schifo ma non ho ancora finito il capitolo e ho un sacco di compiti ogni giorno perché ho scelto una scuola di merda, ecco perché.
Non. Prendete. Lo. Scientifico. Sul. Serio. 
Va bene, passiamo alla mia ff.
Vi piace il 14°, eh, EH? Sono felicissima per i due pappagallini(?), sono riusciti ad avere una mattinata tranquilla senza che nessuno rompesse il cazzo *finezza*. Yaaay. Sono romantica, vero?
E poi OH EM JEE, è sabato! Peppepepepepeppeeee.
Cosa fate oggi? Io credo che uscirò per stalkerare il mio boy crush che non mi si fila, lol.
Ma vabbeh. 
Eniuei, ringrazio le pupette che hanno recensito lo scorso capitolo, siete fantastiche! E scusate se non ho risposto, ma non ho più tempo mannaggia.
39 ragazze hanno messo la storia tra le seguite, OMG.
GRAZIE DI CUORE!
Vi prometto che nelle vacanze di Natale scriverò come una macchinetta. 
OMG NATALE. Ne approfitto ora per augurarvi Merry Xmas visto che so che non passerò fino al 26 lol.
Cosa fate a Natale? Partite? Fate baldoria? O come la sottoscritta rimarrete con gli occhi incollati sul televisore che trasmette film natalizi? Parlo tantissimo, sarà perchè è SABATO.
Va bene, basta, evaporo, volo, me ne vado, mi smaterializzo, vado a fancu-.
Credo che alcune di voi - tutte - mi abbiano già mandato appena hanno letto il 'simmer down'.
OOOOH EEEEEM JEEEEEEE 
OGGI E' IL COMPLEANNO DI TAYLOR SWIFT!
Happy birthday to youuuu, lalalaaaa. We love you since 1989, babe!
E Happy Swift Day, piccole swifties!
Dopo questo annuncio piccolissimo, vado a prepararmi.
p.s. il banner vi piace? è una piccola cagatella sono incapace, lol.
Au revoir.

Tanti baci,
Au.

 

La scena del lago è tipo così:




 

 

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Capitolo 15
*** With a smile on my lips. ***





15° capitolo



With a smile on my lips.

UNA SETTIMANA DOPO.


«Charlie! Il telefono!» sentii Kate urlare dal piano di sotto. Ero appena uscita dalla doccia, così presi un telo bianco dal ripiano vicino allo specchio e lo avvolsi intorno al mio corpo. Avevo tutti i capelli bagnati, già leggermente ondulati. Li tamponai un po’ prima di uscire dal bagno per poi scendere velocemente le scale. Vidi Emily seduta sul divano con Calum, ovvero praticamente stesa su di lui, guardare un orripilante documentario sulle mantidi religiose. Lui sembrava parecchio interessato al programma, mentre le accarezzava i capelli; lei invece giocava con l’orlo della maglietta del moro. Erano così carini. Mi fermai un secondo di più a guardarli, fino a quando sullo schermo piatto di tipo 89165 pollici comparve un’enorme mantide religiosa, con quegli orrendi occhi di fuori e quelle zampe terrificanti. Lanciai un urlo che fece sobbalzare i due sul posto e affacciare Michael dalla cucina con un’espressione preoccupata. Emily portò una mano sul cuore. «Charlotte! Cosa ti passa per la testa?!»
«Cosa passa a voi per la testa! Guardare questi programmi alle dieci di mattina è praticamente disumano e scandaloso!» strillai cercando di riaggiustare l’asciugamano che stava cadendo per terra. Sentii Calum ridacchiare per la mia reazione. Non era veramente possibile. Se ve lo state chiedendo, sì, avevo una paura pazzesca di quegli esseri demoniaci con due palline da biliardo al posto degli occhi. Da bambina erano sempre nei miei incubi più… incubosi. Sbuffai sommessamente e mi apprestai a raggiungere Kate nel secondo studio del signor Grey, dove c’era il telefono fisso. Quando entrai vidi la mora che teneva impazientemente in mano la cornetta del telefono. La afferrai senza tante cerimonie, meritandomi una scherzosa pacca sul sedere, a cui risposi con una linguaccia. Aspettai che avesse chiuso la porta in legno.
-Pronto?-
-Charlie?-
Aggrottai le sopracciglia. -Chi parla?-
-‘Sto cazzo-
-Luke- pronunciai a denti stretti. Avrei subito dovuto capire che quella voce nasale che aveva appena fatto era sua. Infatti sentii la sua allegra risata roca dall’altra parte della cornetta, trasmessa con qualche interferenza.
-Era tuo quell’urlo agghiacciante che si è sentito prima?- sbiancai. Che figuraccia.
-C’era una gigantesca mantide sullo schermo piatto di Kate, cos’altro avrei dovuto fare?- mi giustificai riferendomi a quella cosa verde che avevo visto due minuti fa. Credo che questa notte non dormirò. Scommetto che aveva scosso la testa, il bastardo.
-Perché hai chiamato sul fisso?- chiesi curiosa cambiando argomento.
-Ho provato sul tuo cellulare, undici volte. Ma non rispondevi, pensavo che stessi dormendo e non avessi sentito il telefono, cosa molto probabile conoscendoti, o ti avessero rapita i marziani- ah. Brutto infame. 
-Se permette, ero sotto la doccia. Per questo non ho sentito il cellulare- spiegai scocciata, sedendomi sulla grandissima poltrona dello studio e mettendo i piedi sulla scrivania. 
-Doccia?-
-Si, Lukey, la doccia. Sai, quel posto in cui c’è un soffione, dal quale esce l’acqua…- 
-So cos’è una doccia. Stavo solo immaginando te dentro, senza vestiti, senz- 
-LUKE!- tuonai.
Maledizione, quel ragazzo era più pervertito di quella pornostar che si faceva ehm… che faceva sesso con un cavallo. Com’era che si chiamava? Ah si, Cicciolina! Lo sentii ridere nuovamente, questa volta senza interferenze varie, permettendomi così di ascoltare il mio suono preferito. Suono preferito? Oh Dio Charlie, dov’è finita la tua dignità?
-Sto scherzando, permalosa- disse sempre ridacchiando, divertito dal mio imbarazzo. Come al solito. Mi sistemai meglio sulla poltrona, tirando giù i piedi dalla scrivania di mogano del padre di Kate. 
-Allora, come vanno le cose a Hollywood?- lo presi in giro sogghignando. Luke e la sua famiglia erano partiti per la California giusto ieri: quando me l’aveva detto ero rimasta almeno un quarto d’ora con la bocca aperta, poi Luke aveva fatto, divertito, una battutina decisamente sconcia e a dir poco volgare e l’avevo picchiato selvaggiamente. Comunque, dovevano passare l’intero weekend dai suoi nonni, che abitavano nel paesello più sperduto della California. In pratica, ogni estate era costretto dai suoi genitori a passare qualche giorno con loro nella città di non-mi-ricordo-il-nome. Era anche molto lontano dalla spiaggia, e Luke detestava stare lontano dalla sua amata sabbia. Per questo lo stavo prendendo in giro. Bando alle ciance, avevo cercato di non dare di matto appena saputo della sua partenza, almeno davanti a lui; poi arrivata a casa avevo imprecato e imprecato fino a ricevere una bella botta in testa dalla fanatica religiosa Santa Maria Vergine Emily. La parte peggiore è stata quando Kate continuava a ripetermi cose come “tornerà presto”, “ti terrò lontana da ogni coltello, finestra aperta o strapiombo finché non sarà di nuovo a Miami”, “Sheldon dice che, quando qualcuno è sconvolto, la procedura comune prevede che si offra una bevanda calda”. Infine, per completare il quadretto, arrivava Michael in uno dei tre salotti in cui eravamo spaparanzate (uno per ogni piano, sì…) ed esclamava “quando scoperete usate un preservativo perché non ho intenzione di fare da zio ad un poppante”. Così, avevo deciso di non pensarci, ma erano passate più o meno 18 ore e già volevo sotterrarmi e non riemergere più. Okay, forse stavo esagerando ma mi sentivo praticamente giù di morale senza il solito Luke Hemmings che mi ronzava intorno facendomi prendere quattro attacchi cardiaci, due ictus e una crisi isterica. Ovviamente “ronzare intorno” in senso buono, non volevo assolutamente far ricadere la frase nell’odiosissimo e banale “è carino ma fastidioso”. Insomma, come Lucas Robert (avevo scoperto il suo secondo nome il giorno dopo della serata al locale, quando ci conoscemmo, ed è davvero poco dire che gli scoppiai a ridere in faccia) Hemmings potrebbe essere definito solo carino? Fastidioso lo era, certo, ma avete presente quel fastidio piacevole? Ecco, era esattamente quello che mi mancava in quel momento. Da quando aveva tragicamente e misteriosamente scoperto che soffrivo troppo il solletico sulle gambe, si teneva in un inconsueto allenamento che riguardava il passarmi le punte delle dita sui polpacci, cosa che mi faceva sobbalzare. Quello era un esempio di piacevole fastidio. Rabbrividii al pensiero. 
Il suo sbuffo mi riportò alla realtà. -Voleva essere una battuta?-
-Voleva essere una presa per il culo-
-Touché- sorrisi istintivamente al suo commento fintamente offeso. Mi mancavano le sue smorfie quando non otteneva ciò che voleva o quando lo prendevo in giro. Mi mancava tutto, decisamente tutto di lui. Dai suoi capelli biondi ai suoi skinny jeans scuri. Mi consolavo con il solo pensiero che sarebbe tornato fra qualche giorno.
-Sul serio, come procede nella terra del vuoto assoluto?-
-Uhm, bene direi. A parte mio nonno malato di alzheimer che si era completamente dimenticato chi fossero le mie sorelle e da dove fossimo arrivati- scoccò la lingua al palato.
-Poveretto. Ma sono pronta a scommettere che il tuo faccino non l’ha dimenticato- commentai arricciando una ciocca di capelli attorno all’indice. Proprio come faceva sempre Luk- basta.
-Chi potrebbe dimenticare la mia faccia?- chiese altezzoso, marcando la parola ‘chi’. Ovviamente mi ero aspettata una risposta del genere da parte sua.
-Sei patetico Lukey, neanche io sono così sfacciata e narcisista- lo sentii ridere fragorosamente dall’altra parte della cornetta.
Seguirono delle leggere interferenze che interruppero per un secondo la chiamata, facendomi aggrottare le sopracciglia. 
-Devo andare bambola, mia madre vuole che porti Clary al parco e non ho altra scelta perché rimanere in casa sarebbe sinonimo di gettarsi dal quinto piano- mi avvertì facendomi ridere. Sistemai la cornetta dall’altro lato, incastrandola fra la spalla e il mio orecchio sinistro. Mi preparai psicologicamente a dover salutare al cellulare Luke Hemmings, e ad avere un’altra fucilata al cuore, come ogni volta che mi parlava. Per questo mi alzai dalla poltrona nera per appoggiarmi pesantemente alla scrivania. 
-Ti assicuro che la tua giornata non potrà essere peggiore della mia. Kate e gli altri hanno deciso di andare in barca per guardare le orche, che cosa disgustosa- commentai abbastanza schifata. Giustamente la mia migliore amica non sapeva dire di no al bel visino di Ashton quando la supplicava di fare cose stupide per lui. Tant’è vero che quando propose di lanciarci in questa spericolata scampagnata al largo, mi ero subito tirata indietro mandandoli felicemente a cagare. Al che Kate mi aveva supplicata per un giorno intero, ma le avevo risposto che sarei morta nel mio letto, al caldo, a cent’anni come Rose di Titanic, e non sbranata da un’abominevole orca per colpa di un batterista piagnucolone. Insomma, sarei rimasta a casa, piangendo la morte prematura dei miei amici davanti ad una vaschetta di gelato.
-Wow, perché non ci vai anche tu?-
-Scherzi? Ci tengo a non morire sedicenne- borbottai. Ancora una volta, ridacchiò alla mia affermazione.
-Sei suonata, Charlie- parlò il gentleman della situazione. 
-Saluta Clary da parte mia- ignorai il suo commento malefico, ricordandomi della piccola bambina bionda che aveva contribuito alla riuscita del primo bacio tra me e suo fratello dopo tredici maledettissimi capitoli.
-Ci si vede bambolina- e chiuse la telefonata. Agganciai anch’io, rimettendo la cornetta al suo posto con il sorriso sulle labbra. Attraversai il corridoio con il sorriso sulle labbra, salii le scale con il sorriso sulle labbra e mi gettai sul letto con il sorriso sulle labbra. Chissà perché da quando Luke Hemmings era entrato a far parte della mia vita facevo ogni cosa col sorriso sulle labbra.


 

***


«Teen Wolf!»
«The Walking Dead!»
«Teen Wolf!»
«Ho detto The Walking Dead!»
«E io ho detto Teen Wolf, sturati le orecchie brutto psicolabile!»
«Cosa cosa cosa? Ascolta versione down di Mussolini, sono arrivato prima io, quindi decido io!»
«Scusa, puoi ricordarmi per favore di chi è questa casa e chi ti ci ha invitato?!»
«Uh guardate, c’è Grease su cielo!»
Kate e Michael girarono la testa contemporaneamente verso di me, in pieno stile esorcista. Probabilmente la mia esclamazione non aveva placato la loro ira funesta su quale maledetta serie tv guardare oggi, ma fatto sta che mi stavano guardando truci mentre ero seduta sul divano e avevo il telecomando puntato contro la televisione. Mi feci piccola piccola, cercando di sprofondare nei cuscini, ma loro continuarono felicemente a bisticciare fra di loro. Insomma, non volevo guardare quelle serie, preferivo di gran lunga andare al mare o fare un giro per i negozi. Il sottofondo MTV che rallegrava la casa come al solito cessò in un secondo, facendo zittire i due rincitrulliti che subito si voltarono. Emily aveva appena tolto la spina del televisore e ci stava guardando con disappunto. Affianco a lei, Calum ci stava guardando divertito.
«Avete finito di comportarvi come dei bambini, voi?» la sua voce, di solito dolce e calma, echeggiò nel salotto producendo un suono a dir poco inquietante e ambiguo. Feci un’espressione allibita per via del suo tono che mai avevo sentito. Lei lasciò cadere la spina per terra e si parò davanti allo schermo spento. 
«Invece di litigare, perché non venite a farvi un giro con me e Calum?» propose la bionda, tornando al suo solito umore solare. 
Kate alzò un sopracciglio. «Dove?»
«South Beach, se partiamo subito possiamo andare a prenderci un gelato e poi rimanere per cena. Che ne dite?»
Calum le sorrise e si avvicinò di più a lei; erano così carini insieme. A quanto avevo capito, si erano fidanzati; lui gliel’aveva chiesto sotto il gazebo della spiaggia che frequentavamo solitamente, ad una festa di amici dello stesso Calum. Così, da quel giorno la nostra cara vecchia Emily aveva sempre un sorriso da ebete stampato sul volto e un’espressione sognante. Anche Kate stava passando il suo, come dire, periodo rosa. Non avevamo ancora capito se Ashton era il suo ragazzo sul serio, ma la mia migliore amica se la passava molto bene ed eravamo tutti felicissimi per lei. Oddio, a parte quando talvolta volavano padelle e cucchiai di legno dalla cucina perché appunto stavano litigando, il che era oggettivamente preoccupante. Ma erano Ashton e Kate, per cui non c’era niente di strano. Comunque, tornando al precedente discorso e saltando la parte in cui mi ero persa nei miei pensieri da completa deviata, ora stavamo raggiungendo la porta d’ingresso: quindi potremmo dedurre che avevano tutti acconsentito. Calum non fece nemmeno in tempo ad afferrare la maniglia che il campanello trillò fastidiosamente, facendolo voltare di scatto verso Em. Aprì la porta, e quello che vedemmo ci lasciò un filino perplessi.
«Ciao ragazzi!» 
Decisamente perplessi.
«Edith… mh, ciao»

 

***


«Non ho ancora capito perché sono qui» borbottai incrociando le braccia al petto. Eravamo nell’auto di Cal da più di mezz’ora, e francamente avrei preferito rimanere sul divano a sentire Kate e Michael bisticciare per quale cacchio di serie tv guardare. Detto fra noi, Edith non era così magrolina; le sue cosce mi stavano fracassando l’anca, non ero sicura che sarei riuscita a ritrovare la tasca del mio pantaloncino. Era seduta dietro, dalla parte dello sportello, io schiacciata dal suo peso e parzialmente da quello di mio fratello accanto a me, e Kate dalla parte dello sportello opposto. Avevamo deciso di piazzarla il più lontano possibile da Edith per evitare che la prendesse a capelli o peggio, che glieli infuocasse. Comunque, la parte più fastidiosa del viaggio non era (per quanto possa essere difficile da credere) l’attentato da parte della rossa ai miei poveri fianchi ma il fatto che il braccio di mio fratello si muovesse continuamente dietro la mia nuca per “giocherellare” con i capelli di quella squinternata, e la sua acutissima voce nel mio orecchio urlargli di piantarla. A mio avviso non ne era per niente infastidita, anzi. Potevo vedere le mani di Kate che nel frattempo erano serrate a pugno sulle sue gambe. Beh, alla fine mi era rimasto solo sperare che la macchina prendesse in pieno un semaforo e rotolasse giù dallo strapiombo sotto il ponte che stavamo percorrendo, oppure che sbucasse un Luke Hemmings con la sua macchina nera e mi portasse via. Ecco, lo stavo pensando di nuovo; nonostante fosse davvero difficile pensare a qualcosa di diverso dal peso di Edith. Ah, a proposito di questa qui, era piombata a casa di Kate alla ricerca disperata di mio fratello; non appena Calum aveva evasivamente cercato di mandarla via, liquidandola con la frase “stiamo uscendo”, lei aveva esclamato “non vi dispiace se mi unisco a voi, vero?”. No Edith, non ci dispiace per niente. E fu così che il drago rosso sputa fiamme alias ragazza seduta al mio fianco, si unì alla nostra combriccola. Kate aveva quasi avuto un attacco di sincope, ma si era ripresa grazie alla sua straordinaria carriera di attrice mancata e il suo “calo di zuccheri”. Mio fratello invece parve più che felice di vederla, ed ero sicura al cento per cento che non l’aveva appositamente invitata solo per la stabilità mentale della mia migliore amica. Calum ed Emily erano tranquilli nei posti anteriori, lui aveva la mano destra sulla gamba della bionda, che a sua volta stringeva la mano del moro, e la spostava solo per alzare il volume della radio o per cambiare marcia. Sospirando, cercai di immaginare come si sarebbe evoluta la giornata se qui ci fosse Luke: probabilmente avrebbe sbuffato, mi avrebbe tirato per un polso e avrebbe detto seccamente “prendiamo la mia macchina”. Al che io avrei annuito in modo ipnotico e avrei biascicato “si padrone”. Ora che ci penso, mi sa troppo di Cinquanta Sfumature; chissà se a Luke piace il sadomaso. Oh mio Dio, ma come mi fa la testa? Ero davvero una frustrata. Non era la prima volta che mi facevo pippe mentali su quella sottospecie di ragazzo, ma sicuramente non lo avevo mai immaginato con un frustino in mano e la stanza piena di manette o corde. Bleah.
«Allora, la nostra prima destinazione è la gelateria, poi andiamo a pranzo visto che sono già le 11» ci informò Emily, distraendomi dai miei pensieri. 
«Conosco una gelateria super fica di South Beach, potremmo andarci!» si intromise Edith, sporgendosi verso il sedile di Calum. E dire che mi era anche sembrata educata e perbene la prima volta. 
«Ehm, direi che va bene. Che ne dite?» ci fu un coro di ‘si’, e poi di nuovo il silenzio tombale, che durò per tutto il viaggio.
Prima di aprire lo sportello per scendere, sfilai repentinamente gli occhiali da sole di mio fratello dal suo viso per indossarli e fargli un sorrisone.
«Rassegnati, donano di più a me fratellino» mi fece una linguaccia vivace prima di rispondermi.
«Honey, anche i sacchi della spazzatura ti starebbero bene addosso» rimasi decisamente accigliata. Michael non mi avrebbe mai detto una cosa del genere, o almeno non davanti agli amici. Beh, grazie, pensai. Edith aprì lo sportello, e liberandomi dalla sua non indifferente presenza uscì. Calum girò le chiavi nella toppa per chiudere l’auto una volta che tutti fummo fuori, e poi diede un’occhiata al cellulare.
«Sei sicura che sia il posto giusto?» chiese alla rossa, che annuì. 
«Guardate, vedo già l’insegna» indicò un punto sfavillante in lontananza, e afferrò il polso di mio fratello per tirarlo con lei. 
Prevedo che questa giornata sarà un terribile fiasco. 
Kate non aveva detto una parola per tutto il tempo, il che era preoccupante. Stava armeggiando con il telefono quando mi avvicinai a lei per metterle un braccio sulle spalle. 
«Cosa dice Ashton?» scherzai alludendo al suo modo frenetico di premere i tasti sullo schermo. Mi rifilò un’occhiataccia. Non le era mai piaciuto parlare di ragazzi con gli altri, specialmente di quelli che le interessavano.
«E’ mia madre, impicciona» ficcò il suo iPhone nella tasca posteriore dei pantaloncini e ricambiò l’abbraccio. 
«Levami una curiosità, tu e Ash non vi sentite mai per telefono?» 
«E’ che oggi è andato in barca con suo padre e mi ha detto che nel pomeriggio mi avrebbe chiamata. Non mi piace sentirci per messaggi, è fastidioso» spiegò gesticolando.
«Anche io odio i messaggi» concordai in pieno. Era una delle tante cose su cui io e Kate eravamo d’accordo. 
Davanti a noi, Calum teneva la mano di Emily mentre camminavano e lui le parlava nell’orecchio facendola ridere. Erano così teneri insieme, formavano la coppia perfetta. Mi ricordavano me e Luke quando mi portò al ruscello, solo in uno scenario meno imbarazzante e senza le sue battutine sconce. Sorrisi da ebete al pensiero di quel giorno. Vidi mio fratello e quella testa rossa girare l’angolo e sparire dietro una grande porta in vetro colorato; quando li raggiungemmo notai con grande sorpresa che il posto di cui Edith parlava era pazzesco. Era un ambiente vivace e allegro, con un mucchio di tavolini disposti in modo disordinato ma carino. Dall’entrata si poteva intravedere una porta sul retro che dava dall’altra parte del negozio ed era una zona all’aria aperta. Con mio grande piacere notai che quella era la nostra meta, infatti Calum spinse la porta con il braccio e ci ritrovammo nuovamente fuori, dove c’erano altri tavoli. Non appena ci accomodammo una frizzantissima cameriera tutta lentiggini si catapultò al nostro tavolo sorridente.
«Salve, mi chiamo Nancy e sono la vostra cameriera per oggi. Cosa posso portarvi?» oh, che dolce. Aveva una erre moscia adorabile, doveva essere francese. Ci regalò un sorriso dopo aver preso le ordinazioni e volò via velocemente. Michael la guardò allontanarsi, poi tornò tranquillamente a parlare con Edith. Mentre aspettavamo il ritorno della cameriera, mi guardai un po’ intorno. La parte esterna del locale era quasi completamente piena, i piccoli tavoli erano occupati da ragazzi di tutte le età, persino da coppiette anziane. Mi soffermai di più su quella di fronte a noi. Avevo sempre creduto che non avrei mai potuto sopportare la stessa persona per anni, pensavo che sarebbe stato frustrante e noioso. Ero riluttante nei confronti delle relazioni, quelle che durano tanto tempo; per me erano inconcepibili. Non sapevo spiegarmi il perché, ma da quando avevo incontrato Luke quel presentimento di disgusto sembrava essersi affievolito. Forse, ero addirittura arrivata a pensare che più i giorni passavano, più lo volevo accanto a me. Avevo capito che non c’era niente da fare, che quel frustrato mi piaceva sul serio e che non avevo mai voluto che qualcuno mi ronzasse attorno come faceva Luke. Ma l’accettavo, ed era incredibile. 
«Ecco a voi ragazzi!» l’arrivo della cameriera mi distrasse dal mio flusso di pensieri da mentecatta su Luke Hemmings. Era impossibile che quel ragazzo mi annebbiasse la mente anche quando non c’era. Un enorme bicchiere di vetro con dentro del frappé mi si parò davanti e ringraziai la ragazza. Iniziai a ingurgitare a cucchiaiate la bevanda come se non mangiassi da mesi, meritandomi puntualmente occhiate stranite dai miei amici. Non ci feci troppo caso e continuai a ingozzarmi. Dopo qualche secondo mi arrivò un sonoro schiaffo sulla gamba da parte di non so chi che mi fece saltare sul posto. Mi trattenni dal lanciare un urlo e mollare un pugno a chiunque avesse osato fare una cosa del genere. Mi voltai furiosamente verso destra, notando che Kate aveva la mano leggermente sollevata sulla mia gamba e lo sguardo puntato verso un tavolo più lontano. Intuendo che fosse stata lei, scostai la sua mano e presi a massaggiarmi la gamba che nel frattempo aveva assunto un colorito più roseo del solito.
«Ma ti sei rincoglionita, brutta befana?» le sputai contro nella speranza che mi degnasse di un’occhiata. Mi lanciò un altro schiaffo, ma molto più leggero del precedente.
«Charlie, quella non è Laura?» sibilò non staccando gli occhi dal tavolo. Mi accigliai e mi voltai repentinamente, non capendo cosa volesse dire. Quando i miei occhi focalizzarono quella figura lontana, sbattei ripetutamente le palpebre per accertarmi che non fosse una delle solite trovate di Kate, con la sua vista molto funzionante. La osservai meglio.
«Laura? La biondina del nostro corso di inglese?» chiesi sporgendomi più in avanti. Emily, vedendo me e Kate in stile agenti segreti 007 fissare la ragazza, si voltò discretamente (al contrario di noi), facendo ondeggiare i boccoli. 
«E’ proprio lei!» sussurrò concitata una volta riportato lo sguardo su di noi. Nel frattempo che Kate aveva boccheggiato “non è possibile”, Michael, conosciuto anche come l’uomo più discreto e silenzioso del mondo, si era alzato in piedi e aveva urlato “Laura chi?!”. Ora, tralasciando che mezza sala aveva smesso di sorseggiare tranquillamente le proprie bevande per guardarci allibiti, aveva fatto in modo che la ragazza in questione si girasse verso di noi e ci riconoscesse subito. Spalancò gli occhi, stupita, e si alzò subito dal tavolo per raggiungere il nostro. 
«Kate, Charlie, Emily! Cosa ci fate qui?» esultò la biondina, spalancando le braccia per salutarci. Noi tre ci alzammo subito e la abbracciammo felici.
«Tu cosa ci fai qui! Non sapevo che fossi a Miami!» rispose Kate, entusiasta. Quando ci scollammo da Laura, ci concesse un altro sorrisone.
«I miei genitori hanno comprato una casa in questo quartiere qualche mese fa e abbiamo deciso di passare l’estate qui» spiegò lei. «E voi?»
«Mio padre vive a Miami Beach da otto anni, quindi passo ogni estate con lui. Charlie ed Emily sono mie ospiti per tre mesi» esclamò la mora, sfoggiando un sorriso vincitore e soddisfatto. Laura annuì sorridendo e poi si rivolse a me.
«Lottie, che bello rivedere te e la tua pelle sempre e comunque pallida!» commentò abbracciandomi ancora una volta. Risi per la sua battuta ironica. Laura era un vero personaggio: era simpaticissima e gentile, con dei lunghi capelli biondi e due grandi occhi azzurri. Era un vero schianto. Passavamo intere ore di inglese a parlare, scherzare, commentare gli assurdi outfit della prof e ridere, era bello quando di tanto in tanto si univa alla nostra combriccola di schizzate.
«Ti costringo a sederti con noi, e non ammetto repliche» ordinai con un finto tono di autorità, sbattendo il palmo della mano sulla sedia libera tra me e Michael. Lei ridacchiò e posò il suo frappé sul tavolo, sedendosi delicatamente. Mio fratello prese a squadrarla dalla testa ai piedi, né con sufficienza né con simpatia. Cosa gli prende ora? Per interrompere questo clima imbarazzante, Calum tossicchiò e allungò una mano verso di lei per presentarsi.
«Piacere, sono Calum»
«Laura» sorrise. 
Edith, che era rimasta tutto il tempo in silenzio, le lanciò un’occhiata per poi sfoggiare il sorriso più falso che io abbia mai visto (persino più falso di quello di Kate) ed esordire il suo nome in una sottospecie di presentazione. L’atmosfera si era fatta più densa e non capivo proprio il motivo. Guardai con disprezzo la rossa e mi focalizzai su mio fratello, che non aveva mosso un dito.
«Lui è Michael, mio fratello» feci allora io, scalciando ripetutamente sotto il tavolo in modo da beccare il ginocchio di quell’imbecille. Da quando era così scortese? Laura gli sorrise timidamente e gli tese la mano per stringerla, ma lui non si mosse. Continuò ad osservarla, poi un ghignò gli si formò in volto.
«Bel costume» disse prima di alzarsi e trascinare Edith con lui, verso non so quale posto. Gli lanciai uno sguardo pieno di ferocia, ma non l’aveva neppure notato dal momento che era di spalle e stava già camminando. Ma cosa diavolo gli è preso?! Kate era a bocca aperta per il suo comportamento, Calum aveva la mascella serrata, Emily gli stringeva il braccio. Laura era ancora accigliata mentre abbassava lo sguardo sul costume che era lasciato intravedere dalla canotta larga. La alzò per coprirlo e arrossì di botto. Lo vidi spingere con forza la grande porta di vetro per poi sparire dietro di essa.





 

SIMMER DOWN! SIMMER DOWN!

I'm back, bitches.
Okay, allora scusatemi per il mostruoso quanto imperdonabile ritardo. Ormai sapete com'è, passo tutto il mio tempo libero a studiare e non ho più uno schifo di minuto per scrivere qualcosa di decente. Ho finito questo capitolo stamattina dato che sono due giorni che manco da scuola *balla la conga* e l'ho pubblicato in fretta e furia.
Allora, EDIIITH.
Brutta baldracca, è ritornata eh? Pensavate che fosse fuori gioco ma non è così! Potete immaginare che la sua "non indifferente presenza" (come ha detto Lottie) non porterà a niente di buono.
Abbiamo una new entry, eh? La mia bellissima Lau.
Colgo l'occasione per salutarla e mandarle un bacione. 
Michael è stato davvero uno stronzo, non trovate? A me francamente ricorda Luke con Charlie la prima volta che si sono conosciuti. Non sono djhgsj? 
Okay, io penso che sia meglio sloggiare prima che voi mi lanciate addosso pomodori, cucchiai e padelle addosso.
[parentesi: Luke versione 50 sfumature mlml] 
A proposito, l'avete visto? Io ero tipo *Q*
Va bene, va bene, me ne vado a fanculo.
Adieu.


Tanti baci,
Au.


 


 

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Capitolo 16
*** Hanging out in South Beach. ***


 

16° capitolo

Hanging out in South Beach.



«Mi dispiace davvero tanto, Lau. Non so cosa gli sia preso» borbottai a disagio mentre chiudevo lo sportello dell’auto di Calum. Quel caprone di mio fratello non si era più fatto vivo per un’ora, così avevamo deciso di andare a pranzare senza quei due. Conoscendo Michael, ero abbastanza sicura che sarebbe spuntato verso le otto di sera. O non sarebbe spuntato affatto. Se lo avessi avuto davanti gli avrei mollato una sberla talmente forte da fargli vedere la Madonna. Avevamo portato con noi anche Laura, così da passare più tempo insieme. Inoltre, lei conosceva molto bene la zona. Alzò lo sguardo verso di me e mi sorrise. 
«Oh, non preoccuparti» rispose mentre allacciava la cintura di sicurezza. Senza quei due cinghiali da ottocento chili, in auto si stava da Dio; era un sollievo non essere schiacciata dalla versione brutta della moglie di Shrek. Ora che ci penso, la principessa Fiona aveva anche i capelli rossi, ce n’erano di somiglianze. Probabilmente era anche ciò che stava pensando Kate dal momento che era rilassata e non si stava conficcando le unghie laccate di rosso nella pelle delle cosce. Ma tralasciamo. 
«Ho voglia di una valanga di BigMc e patatine» affermai lasciando andare la mia schiena contro i morbidi sedili azzurri. Le mie amiche mi lanciarono uno sguardo accigliato. 
«Non crederai che siamo venuti fin qui per rinchiuderci in un McDonald?!» fece Kate, più stridula di una iena partoriente. Qual era il problema del McDonald? Emily era scoppiata a ridere mentre Laura aveva una mano davanti alla bocca. 
«Perché?»
«Primo, lo sai che io sono vegetariana…» iniziò la castana, dando il via ad una lunga serie di lamenti vari alla Grey.
«Le patate sono ortaggi, giusto? Allora ingozzati di patatine fritte e non rompere» mi lanciò un’occhiata talmente fulminante che mi venne da abbassare lo sguardo. Ma non lo feci.
«Ti conviene tappare quel cesso, riccioli d’oro. Siamo venuti qui per pranzare in un ristorante che non sia un odioso e decisamente troppo americano fast food» mi rimbeccò lei, mentre tutti gli altri stavano ridacchiando per la nostra piccola scenata. Mbah.
«Calum, ti sto interrogando in veste di commentatore esterno. Cosa proponi?» domandai sporgendomi verso il sedile del guidatore, mentre il moro in questione era alle prese con la frizione che non andava. Riuscii a sentire la sua risata nonostante il rombo del motore che ci fece sussultare.
«Per la mia incolumità mentale e fisica non mi schiero da nessuna parte. Mi dispiace, Lie, ma voi donne siete combattive e mi fate paura» rispose scaturendo una fragorosa e collettiva risata, che durò per almeno un minuto. 
«Okay, okay. Propongo di lasciare la scelta alla new entry. Lau?» la Santissima Biondissima Purissima e Levissima Emily seppe ancora una volta riportare la pace e tutti acconsentimmo nel far decidere la ragazza che in quel momento ci guardava spaesata. 
«Ehm… Direi, il locale che si trova sulla seconda strada di Collins Avenue, qui vicino. Si mangia benissimo» propose lei con un sorriso. 
«Come ci arriviamo?»
«Devi solo procedere dritto per qualche chilometro e poi girare a destra»
Seguendo le indicazioni della bionda, avevamo raggiunto il ristorante in pochissimo tempo e ci eravamo subito accomodati. Era un posto davvero carino. Miami messa a confronto con la Pennsylvania sembrava come un enorme circo. Era la città più colorata, vivace e attiva che io avessi mai visto: ad Erie sembrava tutto così spento e monotono. A volte pensavo di voler rimanere in Florida per sempre; magari avrei potuto frequentarci l’università. La gente qui si divertiva un mondo; ogni sera c’era una festa, un happy hour in spiaggia, le discoteche sempre divertenti e coinvolgenti. La sera era la parte migliore qui: di solito andavamo in giro per le strade, a ballare oppure venivamo trascinati da completi sconosciuti esaltati e fatti sulla spiaggia. La gente era sempre allegra, festosa. Non si annoiavano mai e sapevano come far divertire. 
«Stavo pensando» iniziò Kate, mettendo i gomiti sul tavolo. Era sempre stata la sua peggior abitudine. 
«Magari potresti rimanere da noi per qualche giorno. Così, per stare insieme» considerò con voce a metà tra l’entusiasta e supplichevole. Non afferrai al volo con chi stesse parlando in quel momento perché mi ero giustamente persa in CharlieLand, il luogo dove tutto è perduto. Seriamente, dovevo farmi controllare da qualcuno. Quando alzai gli occhi vidi la mia migliore amica che aveva lo sguardo puntato in pieno stile stalker sulla povera Laura, che aveva appena posato il tovagliolo sulle gambe e la osservava un po’ smarrita. 
«E’ un’idea fantastica!» commentò Emily, battendo le mani. Mi accodai anche io, immaginando che grandissima figata potesse essere stare tutti insieme in estate. Kate aveva quella villa gigantesca ed era ormai scontato il fatto che ci fosse posto. Una volta avevamo organizzato una festa a casa, il giorno dopo avevamo trovato una quindicina di persone sparpagliate per i tre piani dormire tranquillamente. 
«Il posto naturalmente c’è» intervenne infatti la padrona di casa, tutta euforica. 
«Direi che si può fare, dovrei prima chiedere ai rompipall-, ehm, genitori» disse Laura ironica, scaturendo una risata isterica da parte mia. 
«Torno subito» annunciò poi, alzandosi un po’ goffamente dalla sedia e afferrando il suo cellulare. Iniziò a incamminarsi verso l’uscita per parlare al cellulare (molto probabilmente con sua madre), poi però fece dietrofront e si bloccò. 
«Quanti giorni?» 
Kate ci pensò su per alcuni istanti, poi fece come un gesto seccato con la mano. «Fai la vaga» meritò una risposta affermativa dalla nostra amica e sparì dietro la porta in vetro. 
Tornai a rivolgere la mia attenzione al mio cellulare, quando notai un messaggio. Luke. Il mio cuore perse un battito prima di aprire il messaggio per leggerne il contenuto.
“Non c’è veramente niente di meglio che svegliarsi con il mio caro nonnino ai piedi del mio letto mentre sonnecchia tranquillo. Sono in una casa di pazzi.” una volta che ebbi letto scoppiai a ridere come un’isterica, immaginando Luke che per poco non mandava a fanculo suo nonno che a quanto pare era sonnambulo. 
“Su, ammetti che ti manca svegliarti nella camera da letto del Signor Grey, misteriosamente in mutande” non potevo davvero credere di aver inviato un messaggio così osceno e inquietante. Complimenti Charlie, ora se sua madre prendesse casualmente il cellulare penserebbe che tu sia una vera rimbambita e tra l’altro troia. Ma brava, sei una grande.
«Dannazione» soffiai a voce talmente bassa che nemmeno io l’avevo sentito, con la testa fra le mani per evitare di farmela appositamente sbattere contro il tavolo. Non potevo semplicemente rispondere con una normalissima risata? Perché dovevo umiliarmi in questo modo? Strinsi gli occhi quando sentii la suoneria del mio iPhone per indicare l’arrivo di un messaggio. Dio, non volevo nemmeno leggerlo dall’imbarazzo e la vergogna. 
“Cazzo se mi manca vederti mezza nuda” okay, ora si che avevo voglia di urlare. Non sapevo se di gioia o di paura. 
“Luke! Sei osceno!” gli inviai io, imbarazzatissima come se fosse davanti a me in questo momento.
«Charlie! Ma che diavolo…» sfortunatamente per me non ero stata molto, come dire, discreta, nel mandare messaggi a Luke e nascondere il cellulare da Kate, che in quel momento aveva la faccia di una che aveva appena sbirciato la conversazione. Divenni tutta rossa in meno di un secondo e allontanai il cellulare dalla vista delle mie amiche.
«Kate!» strillai io, in preda al panico e oltraggiata per il fatto che avesse spiato i miei messaggi. Emily e Calum, probabilmente avendo intuito tutto, scoppiarono a ridere in maniera fragorosa. Rossissima in viso, posai l’aggeggio sulla tovaglia, a faccia in giù, e mi coprii gli occhi con le mani aspettando che il trio delle cicorie finisse di sbellicarsi dalle risate. Una volta conclusa la baraonda (tra l’altro Calum aveva furtivamente afferrato il mio telefono e letto quei maledettissimi messaggi, facendomi strillare), tutti meritarono un’occhiataccia da parte mia.
«Cavolo Lottie, non sapevo che foste già così intimi. Quell’imbecille di Luke non ci racconta mai niente» fece Calum tra una risata e l’altra. Si può dire che il colore del mio volto aveva assunto una tonalità ancora sconosciuta all’uomo quando alzai la testa per guardarlo negli occhi castani. Madonna che imbarazzo.
«Noi non siamo intimi» dissi, apparentemente indifferente sull’argomento. Fare sempre finta di niente, è questo il modo per sopravvivere. 
«Beh, a giudicare da questo - disse scuotendo il mio cellulare a destra e sinistra - non si direbbe proprio» 
«Sì, sì, come vi pare» nonostante la mia pacatezza, loro tre continuarono a ridere e sghignazzare. Ormai sapevano che io fingevo solamente l’apatia totale, per questo non si premuravano di smettere di prendermi in giro quando li assecondavo. C’era ancora un grande starnazzare quando si sentì la campanella della porta del locale, che indicava il momento in cui qualcuno entrava o usciva. Notammo infatti Laura rientrare, stavolta con i pugni stretti e un passo piuttosto accelerato. Subito dopo di lei, fecero la loro entrata trionfale Michael e Edith che ridevano e scherzavano come meglio potevano. Laura si sedette pesantemente sulla sedia verde e posò il cellulare a faccia in giù sulla tovaglia. 
«Allora?» le chiesi io sotto voce, sporgendomi un po’ verso di lei. Sembrò risvegliarsi da uno stato di trance, quindi scosse la testa.
«Cosa?»
«Che hanno detto i tuoi?» 
«Oh, hanno detto che va bene» rispose senza troppa convinzione nella voce, poi però fu interrotta da quei due che salutarono tutti come se si fossero allontanati solamente per cinque minuti per fumare una sigaretta. Si sedettero quindi al nostro tavolo sorridenti. Michael mi lanciò un’occhiata abbastanza tranquilla, ma lo incenerii seduta stante. Non era mai stato così scortese con una persona, tralasciando la sottoscritta. Cioè, era sempre stato un tipo piuttosto eccentrico, ma non aveva un atteggiamento sfrontato con chi non conosceva. Vidi Kate mollargli un calcio sotto il tavolo, sapeva ciò che pensavo e che aveva fatto la cosa migliore dal momento che era abbastanza lontano da me per potergli dare una sberla. Iniziarono a conversare tra di loro mormorando, la mia migliore amica sembrava parecchio sdegnata mentre mio fratello seccato. Edith invece stava parlottando con Calum, anche se lui non sembrava molto preso dall’argomento. La situazione al nostro tavolo non sembrava delle migliori, in effetti era a dir poco imbarazzante e strana. Fortunatamente arrivò il cameriere per le nostre ordinazioni, che spezzò quell’atmosfera. Non appena ebbe riportato il tutto sul taccuino schizzò via e fu allora che iniziammo a parlare del più e del meno, come se niente di strano fosse successo. Tanto avrei preso a palate Michael più tardi, sempre che non sparisca di nuovo con Edith verso chissà dove.

 

***


Dopo aver pranzato come si deve, Laura ci aveva invitato a casa sua per offrirci qualcosa da bere, anche perché per le strade si moriva di caldo e io mi stavo completamente disidratando. Certo, avrei preferito che quella che stesse crepando fosse una certa nana dai capelli rossi. Bando alle ciance, avevamo scelto di andarci principalmente per Laura, che doveva preparare le sue cose per soggiornare da noi per qualche giorno. Non stavo più nella pelle: si prospettava una settimana di puro divertimento. In più tra non molto Luke sarebbe tornato a Miami, e meglio di così non poteva andare. Non avevamo avuto il problema dei posti in auto, comunque. La villetta della bionda era a qualche isolato dal ristorante, così Calum avrebbe dovuto semplicemente spostare la macchina di fronte all’abitazione. Stavamo ancora passeggiando per le strade affollate della città, c’erano moltissimi mercatini di frutta, di zucchero filato e persino un luna park. Ovviamente avevo fatto promettere a Kate che saremmo ritornati per fare un giro sulle montagne russe. In quel momento la scena era parecchio ordinaria e monotona: c’erano Laura e Kate che stavano parlando animatamente qualche metro più lontane, la mora con i pugni chiusi come al solito e la bionda che spostava continuamente i capelli con la mano, visibilmente nervosa; Michael ed Edith avvinghiati l’uno all’altra mentre giocavano a ‘chi starnazza di più vince un pony’, e io con un sacchetto di fragole in mano e un’espressione completamente apatica e neutra. Vi assicuro che stavo bruciando dentro, e non solo di caldo ma di rabbia. Meglio tenere nascosti questi miei stati d’animo, che avrebbero sicuramente compromesso tutta la giornata. Emily e Calum si erano risparmiati questo simpatico quadretto perché dovevano prendere l’auto per portarla a destinazione, quindi presumo che si trovino nella situazione migliore. Quando girammo l’angolo che si trovava di fronte ad un negozio di alimentari, piombammo in una strada più tranquilla dove correvano poche automobili. Continuando a camminare c’erano molti alberi disposti in fila ordinatamente. Ebbi l’impressione di trovarmi in uno dei tipici quartieri più in della Pennsylvania; come quello in cui viveva Melanie Miller, la ragazza più popolare della scuola solamente perché organizzava delle feste di Natale praticamente spettacolari. Sul serio, le migliori a cui io abbia mai partecipato, considerando che io amavo il Natale fino alla punta dei capelli. Comunque avevamo quasi raggiunto la fine della strada, quando ci trovammo davanti ad una villetta davvero carina. Era dipinta con dei colori tenui che andavano sul beige e sul panna. Esternamente erano dei colori simili a quelli della villa di Kate, tranne per le vetrate laterali. Dopo aver superato il viale che precedeva l’abitazione, raggiungemmo il portico separato dal terreno roccioso del viale attraverso tre scalini. Laura, senza dire niente, aprì la borsa per trovare le chiavi di casa e inserire quella giusta nella toppa per poi aprire la porta. Nel frattempo Calum ed Emily erano arrivati in auto e dopo aver parcheggiato ci avevano raggiunti. Una volta entrati, la prima cosa che notai fu il gigantesco salone, arioso e luminoso. C’erano varie poltrone tutte particolari invece del divano, un piccolo tavolino bianco posto al centro della sala, un televisore davvero grande posato su un mobile in legno scuro e una grande finestra che dava sul retro. Procedendo, c’era la cucina molto simile a quella di Kate, ma un po’ più piccola, con l’isolotto, un grande piano cottura e gli sgabelli alti di un bel color porpora che si abbinava con il resto dell’arredamento. Lì decidemmo di sostare prima di continuare la visita; così ognuno prese posto attorno all’isola mentre la padrona di casa prendeva dei bicchieri di vetro e ci versava della soda. 
«Questo posto è fantastico, Lau» affermai io, continuando a osservare i particolari della cucina. Le mie amiche mi appoggiarono, annuendo con un sorriso.
«Grazie mille, i miei genitori ci tengono molto a questa casa e la mantengono come se fosse una seconda figlia» rispose ridacchiando mentre prendeva un sorso dal suo bicchiere. 
«Ma come mai non ci avevi detto che saresti venuta qui?» chiese Kate, curiosa.
Laura ci pensò su. «Beh, è stata una scelta dell’ultimo minuto. Avevamo intenzione di andare in California, a Los Angeles; poi però mio fratello ha mostrato una fotografia di South Beach ai miei genitori e ha detto di aver trovato questa casa splendida ad un buon prezzo. Così abbiamo colto l’occasione e siamo arrivati qui qualche settimana fa» spiegò la bionda, gesticolando. 
«Tuo fratello? Aaron?» chiese Michael, alzando un sopracciglio con fare curioso. In quel momento sperai che non avesse nessun tipo di precedente con lui dal momento che gli piaceva prendere a sprangate ogni ragazzo che mi si avvicinava o che gli sfiorava la manica della camicia a quadri, salvo forse Luke. Vidi Laura strabuzzare gli occhi, probabilmente sorpresa dal fatto che le abbia rivolto la parola per la prima volta decentemente questa giornata. 
«Ehm… sì…» rispose, anche se somigliava più ad una domanda che ad una risposta. 
«Frequentate lo stesso corso di matematica a scuola, giusto?» domandò Kate a Michael che stava annuendo verso la biondina. 
«Quasi tutti i corsi» 
Non avevo mai conosciuto di persona Aaron, ma qualche volta lo incrociavo nei corridoi del liceo. Era davvero carino, con dei capelli castano chiaro e dei bellissimi occhi azzurri, come quelli di sua sorella. Mi salutava talvolta, soprattutto perché avevo adocchiato anche lui aggirarsi per casa nostra quando Michael organizzava le sue solite festicciole all’insegna dell’alcol. Comunque, l’atmosfera era senza motivo diventata più densa. Sarà per quell’odiosissimo silenzio imbarazzante, o per il fatto che Michael stesse continuamente fissando Laura e lei non sapesse dove posare a sua volta gli occhi. Poi il mio cellulare vibrò per l’arrivo di un messaggio, così lo controllai. 
“Tesoro, sei morta per caso?” 
“Quasi morta. Calum mi ha sfilato il cellulare e ha letto i tuoi messaggi ad alta voce” ero sicura che non l’avrebbe presa bene, anche perché era un tipo riservato su ciò che riguardava lui stesso.
“Quel figlio di…” ecco, era questo che intendevo.
“Hey calmati, come se non lo sapessero che abbiamo dormito insieme una volta”
“Beh, ora lo sanno per certo” scossi la testa sogghignando. A tal punto immaginai Luke che sgranava gli occhi alla vista del messaggio e che imprecava in aramaico. 
“Sei un idiota, Lukey”
“E tu sei bellissima, come la mettiamo?” 
Appena lessi il messaggio di Luke mi si strinse il cuore dalla gioia, avevo quasi le lacrime agli occhi. Era incredibile come una sola persona potesse farmi sentire alla perfezione. Mi sporsi verso Emily molto cautamente, mostrandole il cellulare con forse troppa enfasi. Sì, perché gliel’avevo praticamente spiaccicato sul naso. Emise un gridolino di felicità e mi abbracciò come se le avessi fatto il regalo che desiderava da anni. Comunque, una volta finite queste moine da ragazzina in piena crisi ormonale, tornai a concentrarmi su Michael e Laura che quasi non si erano accorti dell’urletto di Em perché si stavano ancora fissando. Ed ero abbastanza sicura che nessuno avrebbe voluto e dovuto interrompere quel momento - perché era la prima volta che Michael la prendeva sul serio -, a parte una stronza a caso. 
«Ehm…» Edith si schiarì la voce e poi lanciò un’occhiata ai due, che interruppero contemporaneamente il contatto visivo. 
«Okay, io credo che sia arrivata l’ora di andare» 
«Edith, sta’ zitta»

 

***


«Sei sicura di essere in grado di portare tutte quelle borse da sola?»
Laura alzò di scatto la testa verso di me, facendo ondeggiare i lunghi capelli lisci. Era praticamente seduta sul pavimento della stanza, con l’intenzione di sollevare tre borsoni giganteschi contemporaneamente. Ma dico, erano più grandi di quelli che usano i militari. 
«Oh, sì. Devo solo bilanciare il peso a destra e a sinistra con il beauty-case che è proprio ai tuoi piedi. Visto che ci sei, passamelo per favore» strabuzzai gli occhi.
«Ti rendi conto di ciò che dici oppure no?» scoppiai in una fragorosa risata che naturalmente coinvolse anche lei, che si riaccasciò sul pavimento dal quale aveva più volte tentato di alzarsi. 
«Avanti, ti aiuto io» mi offrii spontaneamente afferrando la borsa nera alla destra della bionda. Lanciai un’occhiata veloce agli altri.
«No, non preoccupatevi, non abbiamo bisogno di aiuto. State pure comodi» annunciai ironica. Michael e Calum mi fecero un segno sbrigativo con la mano, troppo concentrati a cimentarsi in un’appassionante partita a ping-pong, mentre Kate, Emily ed Edith stavano osservando con interesse il tavolo da carambola, non sapendo da dove iniziare a giocare. Circa un’ora e mezzo fa, Laura ci aveva mostrato il piano di sotto, dove si trovava la camera da letto di Aaron, che a quanto pare aveva assunto le sembianze di una sala giochi con tanto di x-box one, videogiochi di ogni genere, e persino hockey da tavolo. Ero rimasta stupita alla vista della camera di Aaron, mentre i ragazzi non avevano perso due secondi per fiondarsi sul biliardino, come se fossero in una specie di paradiso terrestre. Non avevano fatto altro che giocherellare come piccoli e carini nerd. 
«SI’!» urlò mio fratello, alzando la minuscola racchetta al cielo ed esultando come se avesse appena vinto alla lotteria. Al che, Calum cominciò a lanciare numerose imprecazioni contro Michael, incolpandolo del fatto che avesse barato. 
«Stai scherzando?!» diceva il moro. «La palla ha fatto ben quattro rimbalzi!»
«E con ciò? Ho vinto io, piccolo afgano dei miei stivali!»
«Brutto rincoglionito, pretendo la rivincita!» i miei timpani in quel momento avevano deciso di abbandonarmi a causa degli ultrasuoni che quei due dementi emettevano da quelle boccucce da cantanti. Lanciai un’occhiata disperata verso Kate, che si premurò subito di tirare al pony uno scappellotto sulla nuca, mentre Emily si limitò a guardare eloquentemente il suo ragazzo. Entrambi smisero di dare di matto immediatamente. 
«Vi ricordo che questa non è casa vostra, e nemmeno una sala giochi, cretinetti. Piuttosto, Michael. Va’ ad aiutare Charlie e Laura» ordinò Kate con una certa autorevolezza nella voce. 
«E chi saresti, mia madre?»
«Hai due secondi» 
Michael sbuffò pesantemente e si accostò a Laura, togliendole di mano la seconda borsa che trascinava con se. Lei gli rifilò un’occhiataccia per il gesto poco carino, ma non disse niente. Probabilmente per educazione. Oppure per non rischiare di farlo piangere con tutte le imprecazioni che aveva elaborato nel corso di questa lunga ed intensa giornata. Al suo posto avrei sicuramente dato di matto, o gli avrei rotto il setto nasale senza pronunciare parola.
«Forza, Cal. Andiamo in macchina» biascicò verso il moro, mettendo la borsa a tracolla su una spalla. Lui lo raggiunse ed insieme raggiunsero il piano di sopra per uscire di casa. Edith, tra l’altro, vedendoli salire le scale partì in quarta e sfrecciò per i gradini come un coyote. Lanciai un’occhiata a Kate, proprio nel momento in cui lei si voltò verso di me con una faccia pressoché disgustata. “Imbecilli” sembrava dire la sua espressione, e non potei essere più d’accordo con lei. Poi guardammo entrambe Laura, che stava ancora borbottando qualcosa di incomprensibile a se stessa. Notando che la stavamo osservando, si zittì immediatamente e ci fece un sorriso accennato. 
«Allora, sei pronta?» 
Sospirò prima di guardare senza troppa attenzione le scale che avevano percorso precedentemente i tre. 
«Certo, andiamo»







 

SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Lo so. 
Lo so.
Lo so.
Lo so.
LO SO.
Sono una vera rincoglionita. Vi do il permesso di venire a casa mia e uccidermi a suon di sprangate nei denti. Vi do anche il permesso di mandarmi a fanculo in modo esplicito in una recensione. Anzi, fatelo. 
Naturalmente sono così pessima come scrittrice che mi vergogno anche a chiedervi un piccolo commentino. Mi vergogno davvero tanto. Vi ho fatto aspettare per tipo anni, secoli, decenni, millenni e chi più ne ha più ne metta. Dios. Comunque, il capitolo fa schifo, io faccio schifo, la mia vita fa schifo, e voi siete bellissime. Niente, non vi piace, okay. Sono così mortificata che vorrei gettarmi dalla finestra in questo momento, poi però la professoressa di latino non saprebbe più chi torturare. Mi tengo in vita per lei, e per salutare la mia piccola Lau. Che ne dite se io vi lascio una gif di Lucas qui sotto e voi mi perdonate? Shi dai. Va bene, vorrei ringraziare tutte le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e i precedenti, non so cosa farei senza di voi. Sarete felici di sapere che questo secolo che ho passato senza aggiornare, è stato utile per concludere quasi del tutto Just a second of summer, quindi jsdhfgjg preparatevi. Poi dopodomani è il mio compleanno, quindi forgive meeee. Mi dileguo, per la vostra felicità. 
Siete le migliori.
Adieu.

p.s. mi sono fissata con Daylight lolz.

Au.


 



 

 

 

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Capitolo 17
*** Seth and the changeable type of human evolution. ***






17° capitolo


Seth and the changeable type of human evolution.




La mia concezione dell’origine del mondo era completamente coerente e concordante con le spiegazioni forniteci a scuola: con il Big Bang, con i dinosauri, fino all’evoluzione dell’uomo, dall’australopiteco sin all’homo sapiens sapiens. Non avevo quest’idea solo grazie al fatto che mio padre era un antropologo mentre mia madre un’archeologa, anzi. Loro non mi avevano mai costretta a credere in qualcosa impensabile per me. Lo credevo e basta. Ergo, le mie teorie, come ho già detto, sono d’accordo con quelle che ci hanno insegnato a scuola. L’unica cosa che non coincideva con il nostro piano di studi riguardante la storia dell’universo e della terra era semplice. Secondo la sottoscritta, dev’essere necessariamente esistita una specie quasi completamente diversa dal genere umano, seppure di uguale forma e aspetto. 
Una specie di genere femminile che, ai tempi dell’homo habilis, molto probabilmente, camminava in modo eretto, flippava i capelli davvero troppo spesso ed emetteva versi striduli che volevano somigliare a delle risatine in presenza di un individuo di sesso maschile. 
E quale migliore esempio di questa differente specie generatasi nell’epoca preistorica poteva essere preso in considerazione se non quello della figura di Katherine Grey? Stava ridendo davvero in modo eccessivo davanti al bagnino che conosceva sin da bambina, mentre aveva in mano un bicchiere di limonata congelata. Potrà esservi sembrato sciocco il mio ragionamento contorto, ma non trovavo nessun’altra ipotesi plausibile circa il comportamento deviato che adottava Kate con la fauna maschile presente in spiaggia, nei locali, o da qualche altra parte. 
Comunque, era una calda mattina di luglio e avevamo deciso di fare un salto in spiaggia perché la nostra mangia uomini voleva salutare quel tizio che stava stritolando tra le braccia, un certo Brian. Aveva i capelli biondo cenere alla Justin Bieber undicenne, e ciò bastava per tenermi a debita distanza da lui. Non per qualcosa contro Justin - anzi, quando ero più piccola saltellavo per casa sulle note di Baby mentre mio fratello mi puntava contro un bazooka giocattolo - ma quei capelli proprio li detestavo. Mi ero presentata con un semplice e svogliato “Charlie”, in stile Hemmings. Ero sdraiata sul lettino al sole per cercare di arrostire quella maledetta mozzarella che comunemente veniva chiamata pelle. Poteva anche sembrare da maleducati il fatto che io ero l’unica completamente disinteressata a ciò che si stava dicendo nel gruppo formato da mio fratello, Laura, Calum - teneva per mano Emily, che a sua volta sembrava non reggersi in piedi -, Kate, quel tizio biondo e Ashton, molto scocciato dalla situazione. Tant’era che, sentendo il tessuto della sdraio abbassarsi leggermente sotto di me, alzai gli occhiali da sole dal naso e vidi il biondino barra castano con i denti stretti, seduto al mio fianco. Intuendo intelligentemente che qualcosa non andava, sollevai il busto e mi lasciai andare contro lo schienale. 
«Qualcosa non va, Ashy?» chiesi mentre tentavo di legare i capelli in una coda di cavallo. Mamma diceva sempre che quando andavo al mare, puntualmente dietro la schiena avevo la dannata forma dei capelli, con il risultato di una specie di triangolo bianco che faceva contrasto con il resto dell’abbronzatura. Era una cosa che odiavo da morire; ecco perché la mia mente brillante aveva deciso di metterli un po’ in ordine.
«A chi? A me? Non c’è niente che non va!» rispose stridulo, gesticolando vivacemente. Rimasi allibita dal modo in cui la sua faccia aveva assunto almeno trecento espressioni diverse nell’arco di un secondo e mezzo. Ebbi l’istinto di rifilargli uno dei miei “uo, keep calm bro”, ma non mi sembrava il caso dato che era parecchio agitato.
«Su, piccolo Irwin. Di’ alla zia Charlie cosa ti passa per la testolina» feci io, dandogli una gomitata scherzosa sul braccio. Mi guardò risentito, ma si sistemò sulla sdraio su cui avevo avuto intenzione di prendere il sole come una persona normale.
«Odio i capelli alla Justin Bieber» sentenziò fulminando con lo sguardo Brian a pochi metri da noi, che in quel momento stava scompigliando i capelli della mora. 
Irwin, sto iniziando sul serio a pensare che tu abbia poteri telepatici.
«Ma dai! Anche io!» e ci battemmo il cinque, cambiando completamente discorso in un modo alquanto assurdo. Almeno aveva riso un po’. Ma stava di fatto che c’era ancora quella cosa che non andava.
«Ma a parte questo, sembra che tu non odi i capelli alla Bieber solo perché non vanno più di moda, orsacchiotto» 
‘Charlie, te lo dico da tua amica e confidente in quanto scrittrice di questa storia: basta soprannomi.’ Okay, va bene, la smetto.
Mi lanciò un’occhiata per poi grattarsi la nuca. Oddio, non avevo mai visto Ashton così imbarazzato. 
«Lo odio quel tizio» borbottò riferendosi a Troy Bolton in versione High School Musical 1. Beh, in effetti un po’ gli somigliava, con la differenza che crescendo Zac Efron è diventato uno gnocco mentre lui non credo avrà mai qualcosa di simile ad una faccia presentabile e senza brufoli.
Gli diedi una piccola pacca sulla spalla. «Andiamo Ash, non te la prendere»
«Hai detto non te la prendere? Ma l’hai visto? Cosa crede di fare quell’abbozzo di una brutta copia di uno sputo di Zac Efron?» brontolò cercando di mantenere un tono basso. Aggrottai le sopracciglia. «Sei sicuro che non siamo fratelli siamesi separati dalla nascita?»
«Se fossimo siamesi non saremmo separati, genio» che palle, doveva sempre mettere i puntini sulle i.
«Era per dire che pensiamo le stesse cos-»
«Se è per questo potremmo essere dei gemelli diversi, anche se non capisco da quale pensiero ha avuto origine questa teoria» gli mollai uno schiaffo sul braccio.
«Chiudi la bocca. Dicevo, quali percentuali di probabilità possiede uno sgorbio come quello con Kate? Per favore Ash, un po’ di contegno»
Lo pensavo sul serio. Era semplicemente un suo amico di infanzia, Kate non provava attrazione per nessuno se non per lui. Irwin, intendo. 
«Lo pensi davvero?»
«Ashton. Devo ricordarti la scenata della scomparsa di Kate? Credi che potrebbe mandare a monte tutto ciò che avete passato in anni e anni di amicizia?» continuai petulante. Mi concesse un sorriso smagliante, in realtà il broncio non gli si addiceva molto. Gli tirai un pizzicotto alla guancia.
«Ora va’ e fagli vedere chi è il ragazzo di Kate» lo sospinsi per invogliarlo ad andare. In realtà, uno volevo che si alzasse dalla mia sdraio, e due volevo assistere ad una bella scazzottata. Scherzavo, ovviamente.
‘Io invece vorrei sapere perché continuo a scrivere. Sto pensando seriamente di mollare tutto e andare a coltivare patate, barbabietole da zucchero e melanzane.’ Ignorai il bellissimo e per niente offensivo commento e sistemai il telo sotto di me. Stetti per riabbassare gli occhiali da sole e godermi quella bella giornata, ma la voce di Kate mi distrasse nuovamente. Quando mi voltai verso il gruppo a qualche metro da me, vidi Kate sorridere e salutare con la mano per poi correre in direzione della passerella. La seguii con lo sguardo, fino a che non notai che stava raggiungendo un ragazzo alto in lontananza. Assottigliai gli occhi. Lo vidi sorridere e abbracciare la mia amica sollevandola leggermente da terra. Wow, era davvero carino. Aveva un ciuffo moro all’insù, un fisico muscoloso al punto giusto e un’espressione solare in volto. Era ormai mia opinione che Kate conoscesse decisamente troppe persone in quella città. In men che non si dica li ritrovai di fronte a me. 
«Lei è la mia migliore amica, Charlie» spiegò la mora al ragazzo di prima. Mi alzai goffamente dalla sdraio cercando di non battere la testa contro il para-sole. Che Dio me la mandi buona, non volevo fare figure di merda alle undici di mattina, soprattutto con un figone a petto nudo e un sorriso smagliante.
«Piacere» strinsi la mano che lui mi aveva allungato e ricambiai il sorriso.
«Seth» disse invece lui, sorridendo con la lingua fra i denti. Beh, era veramente bello mentre lo faceva, ma senza dubbio a Luke riusciva meglio. Tossicchiai. La solita tosse finta che si emette quando non si sa cosa dire o fare. Quando ebbe fatto anche la conoscenza di Emily e Laura, riportò lo sguardo su di me. 
«Allora… Char…lie, giusto?» fece lui, arricciando il naso con un sorriso divertito, come se non avesse mai sentito il mio nome in via sua.
«Ehm, esatto» risposi con calma, cercando di sedermi come una persona normale sul lettino. 
«Credevo che Charlie fosse un nome maschile» fece lui, sempre ridacchiando. Non sembrava una risata di scherno o derisoria; semplicemente curiosa.
«Sì, in realtà sì, ma Charlie è l’abbreviazione di Charlotte e preferisco farmi chiamare così» spiegai con nonchalance.
«Non ti piace il tuo nome?»
«Oh andiamo, Charlotte è ridicolo. Sembra il nome di una bambola di porcellana»
«Okay, se lo dici in questo modo rischi anche di convincermi» rispose inarcando le sopracciglia, probabilmente colpito dalla mia schiettezza. Scoppiai a ridere, condizionando anche il ragazzo che stava già sorridendo. La cosa strana di quella situazione, era quanto facilmente avessimo preso a scherzare come se fossimo amici da tempo, mettendomi straordinariamente a mio agio. 
«Ti limiterai a chiamarmi Charlie, c’est la vie»
«D’accordo, anche se Charlotte non mi dispiacerebbe» patteggiammo mentre lui prendeva posto liberamente sul mio lettino, accanto a me. Lo trovai un gesto un po’ avventato, ma sembrava che l’avesse fatto senza pensarci quindi non dissi niente. 
Mi rivolse un sorriso ancora più largo. «Allora, vivi qui?» chiese prendendo un sorso da un misterioso bicchiere che prima non avevo visto. Come facevo ad essere così cieca a volte? Ero peggio di una talpa. Pensate che quando ricevetti il mio primo bacio, a tredici anni, non mi ero nemmeno accorta che lui mi si stava avvicinando e aveva chiuso gli occhi. Mi traumatizzai talmente tanto che non lo rividi più per almeno tre mesi, e forse era meglio così dato che quando Michael scoprì dell’accaduto quasi lo ammazzò di botte. Aspettate, ma mi aveva fatto una domanda. 
«A dire il vero abito in Pennsylvania, ad Erie. Kate ospita me, Emily e mio fratello per tre mesi a casa sua» spiegai con un’alzata di spalle. Strano, non avevo iniziato un monologo interiore con me medesima, cominciando a parlare completamente a vanvera e di cose che non c’entravano assolutamente niente. Anche il modo di esprimermi faceva schifo ai pesci quando ero nervosa. Ma questo non era il mio caso. Mi ricordo che quando Luke mi chiese, qualche giorno dopo la ‘famosa’ festa, come stavo, avevo iniziato a parlare degli unicorni e di quanto Michael somigliasse a uno di loro. Ma perché continuavo a divagare?
«In Pennsylvania? Ma dai, mia sorella studia a Pittsburgh!» esclamò sorridente, allargando il braccio libero. 
«Davvero? Non dista molto da Erie, io ci vado quasi ogni Natale» risposi sincera. Stavamo intrattenendo una piacevole conversazione sulla geografia della Pennsylvania, fantastico. Fece una risatina divertita e si passò una mano fra i capelli. 
«E tu come conosci Kate?» la domanda mi sembrò abbastanza stupida, mi maledissi mentalmente per averla proposta. Kate faceva amicizia anche con i sassi, era improbabile che non lo avesse conosciuto in un pub, in spiaggia o da qualche altra parte fica che frequentava lei.
«Beh, frequenta questo lido da anni. Mio padre è il proprietario quindi abbiamo subito fatto conoscenza» disse indicando la mia amica dietro di lui col pollice. Suo padre aveva un lido e lui era bianco come un cadavere? Non li capisco questi matti. Annuii con il capo, concedendogli un sorriso senza scoprire i denti. 
Non mostravo mai i denti a nessuno; non per timore che fossero storti, (anzi, anni e anni di dentista avevano dato i loro frutti) assolutamente, ma sarebbe dovuta essere una cosa davvero esilarante per farmi sorridere sul serio. Il genere di sorriso che concedevo solo ad una persona.
«Giusto» confermai nuovamente. Lui si alzò lentamente dalla mia sdraio e prese un altro sorso dal bicchiere trasparente. 
«Ora dovrei proprio andar via. Mio padre mi ha chiesto di aiutarlo per tutto il giorno» spiegò lisciandosi i pantaloncini prima spiegazzati. Stavo per rispondere “non ti avevo chiesto cosa farai per il resto della giornata, moretto” ma mi bloccai. 
«Ehm, va bene Seth»
Il ragazzo mi si avvicinò per poi piegarsi e lasciarmi un bacio sulla guancia, non lasciandomi nemmeno il tempo di scostarmi. «Ci si vede» disse, e poi, dopo aver salutato tutti gli altri, prese a camminare verso il bar. 
Dovrei decisamente far attenzione agli amici di Kate.  

***


Mi rigirai nel lenzuolo azzurro che mi avvolgeva. Ero convinta del fatto che non riuscissi a dormire per via della quantità abnorme di pizza che avevo ingurgitato poche ore fa, ma poi realizzai che a non permettermi di dormire erano dei rumori provenienti dal piano di sotto. Così, infastidita e parecchio scazzata, infilai le ciabatte da mare che avevo trovato ai piedi del letto e mi alzai. Giuro che se è Kate che fruga nel frigo per fottersi il gelato alla fragola di nascosto la uccido. Però, la mia ipotesi fu subito stroncata da un profondo russare che proveniva dal letto della mora, il che mi permise di intuire che lei era in camera e dormiva alla grande. Decisi di uscire dalla nostra stanza per scendere di sotto e vedere cosa aveva deciso di turbare il mio sonno profondo. Mentre cominciavo a scendere la rampa di scale, un dubbio mi colpì: e se fosse un ladro? Mi pietrificai sul posto, con le unghie conficcate nel corrimano e gli occhi sgranati. Sarei potuta salire - fuggire - di nuovo su e afferrare una qualunque cosa lunga e affilata da utilizzare contro il malvivente, ma ormai ero già a metà strada, e per quanto ne sapevo chiunque avrebbe già potuto vedermi da lì. Bene; anzi, benissimo. Mi guardai un po’ intorno nella speranza di veder comparire dal nulla una sciabola, ma non c’era niente di vagamente simile ad un’arma nei dintorni a parte il santissimo vaso della nonna, reduce di una sfrenata festa all’oscuro del signor Grey. Feci un respiro profondo e poggiai il piede sinistro sullo scalino successivo. Casa di Kate aveva sì le mura laterali fatte in vetro trasparente, ma era dotata di un sistema di sicurezza eccellente e davvero non potevo credere che un ladro potesse aver fatto irruzione. Mi diedi mentalmente dell’idiota e proseguii più tranquilla per le scale. Mi affacciai nella hall, dove c’era la porta d’ingresso principale, e rimasi sconvolta. Quel brutto rincoglionito, tossico dipendente, fattone, squilibrato mentale e imbecille di mio fratello era in piedi davanti alla porta e teneva in mano il vaso di fiori che solitamente era vicino la finestra. Era lui allora ad aver fatto tutti quei rumori assurdi. Non appena notò la mia presenza, rimise il vaso al suo posto. Vidi che aveva in mano le sue scarpe e la maglietta. Okay, ora procediamo con calma. Michael torna a casa per le quattro di mattina, ha le scarpe in mano per non fare rumore, non ha la maglietta al posto giusto, ha gli occhi rossi come due enormi ciliegie e la sua faccia post-sesso. Perché ha la sua faccia post-sesso? Strabuzzai gli occhi più volte. Ora ditemi cosa dovrebbe pensare una sorella quasi gemella nel vedere il proprio fratello conciato così, come se fosse appena tornato da un rave. 
«Charlie, ma che cazz…»
«Allora» lo bloccai subito, alzando due dita in modo da zittirlo. «Io non mi chiamo Allison Clifford, non mi bevo tutte le minchiate che spari. Quindi ti conviene spiegare questo» dissi indicandolo. Si guardò un po’ intorno e fece un sorrisetto.
«Non so di cosa stai parlando»
Alzai gli occhi al cielo, infastidita dal fatto che anche in piena notte avesse voglia di giocare a ‘indovina tra quanti secondi ti spacco la faccia’. Brutto demente di un fratello. 
«Andiamo, Michael, sono le quattro di mattina, non hai la maglietta e hai la tua faccia post-sesso!» quasi urlai. Poi immaginai Kate con la sua maschera al kiwi spalmata in faccia scendere le scale e strangolarmi, e abbassai il tono. Lui sgranò gli occhi e mise le braccia avanti come per difendersi. Prese a scuoterle leggermente.
«Non è vero! Io non ho la mia faccia post-sesso!»
«Oh, si che ce l’hai brutto depravato!» lo rimbeccai reprimendo l’istinto di prenderlo per le orecchie e di trascinarlo per tutta la casa fino a quando non si fosse staccato il lobo. Fece un sorrisetto sghembo ma non rispose alla mia provocazione, se così vogliamo chiamarla. Perché avevo un brutto, bruttissimo presentimento a riguardo? Non era ubriaco, poco ma sicuro. Non puzzava di fumo, la sua solita acqua di colonia già era arrivata dritta nelle mie narici. Ora, odiavo essere la mammina di turno, quella responsabile e fin troppo rompicoglioni (c’era già Emily), però credevo che a tutto bisognasse porre un limite. E sicuramente i limiti di Michael non erano limiti. Per lui il limite aveva la forma di un cartello segnaletico giallo con la scritta ‘NON SUPERARE. OPPURE SUPERA, SONO SOLO UN CARTELLO IO.’ Credo di aver esordito troppe volte la parola “limite”, la smetto. Comunque, quello che più mi preoccupava del suo complesso era la faccia. La sua espressione era troppo sognante. 
«Senti Mikey, a me puoi dire se vai a scop-, a fare quelle cose con ragazze depravate quanto te. Sai che non mi piace quando ci mentiamo» cercai di dire con calma, sperando che mi spiegasse cosa diavolo stava succedendo, perché non ne avevo la più pallida idea. D’altra parte non era la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere, o che lo beccavo tornare a casa di notte fonda. Il mio cervello elaborò per un motivo a me ignoto l’immagine di Luke, e il pensiero che lui e mio fratello fossero così uguali che quasi avevo paura. Immaginai allora Luke mentre tornava a casa di notte fonda, con un’espressione assonnata ma soddisfatta, esattamente come quella di mio fratello. Mi salì un senso di nausea e disgusto al pensiero. 
«Ascolta sorellina, non voglio raccontarti tutti i particolari delle ultime ore, rimarresti scandalizzata» tentò così di filarsela ma io gli sbarrai il percorso mettendomi in stile stella marina tra i due divani bianchi nel salotto, in modo che non potesse passare. Fece una risata divertita, con una punta di derisione. Come al solito.
«Michael. Sono tua sorella quasi gemella, ho il diritto di sapere con chi te la spassi» 
La mia affermazione gli fece sbarrare gli occhi in un momento. 
«Voglio che tu sappia che non farei fatica a sollevarti di peso e a chiuderti in camera» mi avvertì allungando le mani verso la mia vita, per prendermi e levarmi di torno. Dio, somigliava a Luke più di quanto credessi. 
«Oh andiamo Michael. Non vuoi dirmi nemmeno come si chiama? Cioè, potrebbe averti attaccato qualcosa. Esistono tante malattie sessualmente trasmissibili: la clamidia, la sifilide, l’epatite, l’herpes, insomm-» non finii la frase perché mi tappò la bocca con una delle sue enormi mani, mettendomi a tacere. Oh Dio, chissà cosa diavolo ci aveva combinato con quelle manacce! Le scostai subito dalle mie labbra e sputacchiai un po’, come se stessi per rimettere la cena. Ottenni un’altra risata da lui.
«Perché dovrei dirti come si chiama?» 
«Perché si
«Mi uccideresti»
«Cosa te lo fa credere?»
«Lo so e basta!»
«Giuro che ora ti do una sberla talmente forte che ti faccio ingoiare tutti i dent-»
«Edith»
La mia reazione fu tipo una persona che viene schiacciata da un pianoforte che cade dal cielo. Completamente stordita e a dir poco incredula, ci misi qualche secondo per connettere tutto ciò che era successo. 
«Charlie?»
Mio fratello Michael, quello che quando era piccolo usciva dalla camera in mutande, con la cintura da cowboy che gli cascava, e fingeva di sparare ripetutamente al nostro gatto, aveva fatto sesso con Edith. Edith. Quella vecchia baldracca con i capelli color paglia secca e una sirena dell’ambulanza al posto della bocca.
«Cos’è che hai fatto, Michael?!» sbottai tutto d’un fiato.
«Senti Lottie, è stata una scopata. Solamente una gran scopat-»
La sua voce venne interrotta da un forte fracasso, a pochi metri da noi. Quando mi voltai, vidi in piedi, con un’espressione quasi terrorizzata, Laura. Strabuzzai gli occhi, per poi guardare sul pavimento. C’erano schegge di vetro praticamente ovunque, ai suoi piedi. Era evidentemente scesa per un bicchiere d’acqua, dedussi riconoscendo il colori del vetro che ora era a pezzi. Nessuno di noi aveva sentito i suoi passi, però. 
«I-io… Mi dispiace» balbettò lei per poi fuggire di sopra, come se qualcosa la stesse inseguendo. 
«Laura!» la chiamai io a gran voce, ma lei non si fermò. Non avevo capito esattamente perché fosse fuggita senza dire una parola, ma stava di fatto che probabilmente qualcosa l’aveva turbata. E non avevo alcun dubbio, guardando severamente mio fratello, che quel qualcosa fosse lui. 

 

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