°°Loneliness°°

di keiko 93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rovine Di Un Amore ***
Capitolo 2: *** La Neve Del Sole, Il Fuoco Della Luna ***
Capitolo 3: *** Potresti Salvarmi? ***



Capitolo 1
*** Rovine Di Un Amore ***


°°LONELINESS°°

 

 

 

°°LONELINESS°°

 

CAPITOLO 1:  Rovine di un amore.

 

Frase di presentazione  _ perché amavano tutto di me _

 

 

La notte era tempestosa, e la luce dei lampi illuminava il buio a giorno.

La grande casa che sovrastava la collina sembrava morta, tanto era scura.

All’interno, invece, una vita c’era. Nell’immensa camera da letto dei genitori, una bambina stava accucciata alla parete, la testa tra le gambe piegate. Singhiozzava sonoramente, mentre le lacrime le bagnavano il vestito troppo corto per quella stagione.

 

 

Sono morti.

 

 

Forse l’unica cosa chiara in quella testolina di 7 anni era proprio quella. Sono morti.

E si chiedeva perché tremava anche se non aveva freddo, e perché piangeva anche se non si era fatta male.

Sorrise amara. Perché lo sapeva. Conosceva il motivo di quelle lacrime, lei comprendeva quei tremolii. Ma non voleva ammetterlo.

Perché dire “so perché piango, so perché tremo”, sarebbe stato come dire che si, mamma è morta e papà con lei.

Un tuono ruppe il silenzio della stanza e sovrastò l’urlo della piccola. Per un attimo lungo un eternità. Poi se ne andò cosi come era arrivato, senza tracce. La bambina cercò di ricordarsi di quel gioco che le aveva insegnato papà, quando era piccola e scappava nel loro lettone per paura del temporale.

1, 2, 3… perché bisognava contare? Non se lo ricordava.

 

E all’improvviso una cosa le fu certa.

Non ci sarebbe stato più nessuno a spiegarglielo. Di questo, Chibiko ne era sicura.

 

°°°

 

“…quando gli abitanti del villaggio di Waltz Hagen capirono che la strega, ormai adulta, non parlava più con nessuno… avendo paura di essere divorati, cominciarono a detestarla. Sul confine del villaggio la strega costruì un muro invisibile, e sebbene fosse permesso di entrare, non era invece permesso uscire. Dopo 3 giorni un bambino scomparso tornò tutto emaciato, e dopo aver chiamato tre volte il nome della strega, cadde in un sonno profondo. Gli abitanti del villaggio presero delle fiaccole, e andarono a incendiare la casa dove viveva La strega.

Ma in quel momento, una luce abbagliante illuminò il cielo e la principessa del tempo, scesa in terra, spense l’incendio in un istante. La principessa del tempo fece un cenno alla strega e, quando entrambe annuirono, il muro che circondava il villaggio sparì, lasciando il posto a una creatura enorme e mostruosa. La principessa e la strega dopo molto lottare riuscirono infine a soggiogare il mostro e a riportare la pace nel villaggio. Quando il bambino si svegliò, raccontò che quel muro era stato costruito dalla strega Per difendere il villaggio dal mostro, e che questa non poteva più parlare per non rompere l’incantesimo.

Gli abitanti del villaggio furono molto grati alla strega e mentre lei si incamminava verso il castello con la principessa, le chiesero di dire qualcosa. La strega non disse nulla…

Ma cantò una canzone.

Oggi nessuno ricorda più il nome di quella strega,

ma la sua canzone,

ancora adesso, viene cantata in qualche angolo di quel villaggio”.

La donna sorrise vedendo l’espressione estasiata della figlia.

Espressione che si tramutò presto in confusione.

“mamma, perché gli abitanti del villaggio odiavano la strega?”

“perché nessuno sapeva che se non parlava era per proteggere il villaggio. Prima di sapere la verità, hanno iniziato a pensare a cose non vere”.

La donna sospirò.

“ma almeno qualcuno poteva pensare che se faceva cosi, forse aveva i suoi buoni motivi”.

Chibiko sorrise, lodandosi delle carezze che la madre le faceva.

“fossi stata io l’avrei pensato”.

La madre la guardò stupita, senza capire il senso delle parole della figlia.

“come, scusa?”

La bambina chiuse gli occhi, avvicinandosi a sua madre per stare più al calduccio.

“io… avrei creduto in lei”.

 

 

Chibiko si svegliò di soprassalto. Leggermente confusa, osservò la stanza intorno a sè. La sua solita vecchia camera, nella sua solita vecchia casa. Si coprì il volto con le piccole mani, cercando di cacciare indietro quelle lacrime che, prepotenti, volevano assolutamente uscire. Ma lei se lo era giurata. Basta lacrime.

Si alzò pigramente dal letto, osservando distratta lo specchio. Una ragazzina di 7 anni, con i capelli castani e gli occhi scuri rispondeva al suo sguardo.

 

“tesoro, tu sei bella come il tuo papà. I tuoi capelli, uguali ai suoi, mi ricordano tanto le castagne,

che io amo alla follia!”

Chibiko rise, al pensiero di sembrare una castagna.

“ma no, amore, che dici? Chibiko è bella come te! ha i tuoi stupendi occhi scuri, con quella scintilla sempre viva. Come una stella che brilla in una notte buia”.

La donna baciò teneramente l’uomo, mentre la bambina li osservava, disgustata.

“ma prendetevi una stanza!!

“CHIBIKO!”

La ragazzina sorrise, perché tanto i suoi genitori non riuscivano a stare arrabbiati con lei.

“comunque una cosa è sicura…” continuò Chibiko “… che sono stupenda!”

La madre scosse la testa sorridente, per poi guardare il padre della piccola.

“il caratteraccio, invece, non so proprio da chi l’abbia preso!”

 

 

Chibiko prese la spazzola e la tirò rabbiosa addosso alla sua immagine, che si ruppe in mille altre se stesse. Corse all’armadio graffiandosi i piedi, e prese qualche vestito. Entrò in bagno e li, davanti all’ennesimo specchio, urlò.

Urlò perché ciò che vedeva rispecchiava ciò che aveva perso.

Urlò perché quella casa era troppo silenziosa.

Urlò perché odiava se stessa.

Voleva morire.

Si legò i lunghi capelli che le arrivavano fino al sedere, scoprendo il collo. Nera dalla rabbia, prese le forbici da un cassetto e fissò di nuovo la sua immagine. Poi,con sicurezza, scattò con la mano e si tagliò la coda. Mentre i capelli le ricadevano disordinati sulla testa, per un attimo chiese scusa a sua madre.

 

“Chibiko, oggi posso farti le treccioline? O vuoi i codini?”

“mmm…due trecce ai lati. Va bene, mamma?”

 

 

 

°°°

 

“quindi se mettete una mela con un’altra mela, quante mele avrete?” domandò la maestra, sorridente. Molti bambini alzarono la mano, agitandosi sulla sedia come se scottasse. Sophia guardò i bambini, per poi accorgersi che solo uno alunno non era attento.

O meglio, un’alunna.

“Chibiko, tu sai la risposta?” domandò con fare cortese, senza però riuscire a trattenere una nota di nostalgia. Guardava quella bambina cosi seria che fissava fuori dalla finestra e quasi non la riconobbe. Lo sguardo spento vagava senza meta oltre il cancello della scuola elementare, mentre i capelli erano scomposti sulla testa, come a non sapere bene come dovessero stare. Si ricordò di quella bambina seduta in quello stesso posto, sempre sorridente, attenta. Quella bambina che portava i capelli lunghissimi e sempre con acconciature strane. E se le chiedevi il perché, ti rispondeva sempre…

“due” la voce annoiata della bambina riportò Sophia alla realtà.

 

“perché alla mia mamma le piace tanto acconciarmi i capelli. Dice che è divertente e quando lo fa ride sempre! E se lei ride, rido anche io!”.

 

“ehm...si… si è giusto Chibiko. Brava!” esclamò la maestra, sconvolta da quel ricordo. Chibiko tornò a fissare il vuoto.

Non le importava del brava e non le importava della scuola.

Non le importava più niente.

 

La campanella dell’ultima ora suonò. La bambina raccolse le sue cose e uscì, ignorando Sophia che la chiamava. Altre parole di conforto? Un altro tentativo di consolazione? Non ne aveva bisogno.

La scolaresca si riversò nel grande giardino della scuola. Tutti i bambini correvano dai genitori, che li aspettavano a braccia aperte, pronti a sapere della giornata dei figli. Chibiko osservò con sguardo vuoto quelle famiglie felici, quei sorrisi, quegli abbracci, quelle carezze. Quelle cose che fino a un mese prima erano anche sue.

“tesoro, come è andata oggi?”.

Chibiko si voltò, scorgendo una madre che aggiustava teneramente il giubbottino alla figlia, mentre questa sventolava le braccia raccontando della lezione di storia e di geografia.

 

“mamma, a me non piace la matematica!”

 

“però la matematica è brutta… non mi piace!”

 

“perché, Chibiko?”

“perché, amore?”

 

“è troppo… fredda! Ha delle regole precise e non la puoi cambiare! È brutto”

 

“perché non trovi che sia… vuota? Insomma, o è cosi o è cosi! È ingiusto… non mi piace!”

 

“ahahaha! Sei proprio come me alla tua età! Uno spirito libero!”

 

Chibiko scappò via prima ancora di sentire la risposta. Le sembrava che tutta la sua vita fosse diventata di dominio pubblico. Ogni cosa che vedeva le ricordava un tempo passato che le mancava da morire.

Avrebbe tanto voluto sfogarsi con qualcuno. Ma non aveva nessuno. Nessun parente, nessun amico. Era sola.

Chibiko sospirò.

“fa niente” si disse “ mi ci abituerò”.

Proprio come si era ripromessa il giorno dei funerali, quando fissava le lapidi dei suoi genitori, tanto vicine da potersi toccare, e la voce del prete sembrava soltanto un suono ovattato.

 

D’ora in poi, mi rialzerò sempre sulle mie gambe. Da sola. Senza più accettare la mano di nessuno.

 

 

La bambina sembrò tornare alla realtà all’improvviso. Aveva camminato per ore da sola, in giro per la città. Stava imbrunendo e molte persone tornavano a casa. Lei invece non se ne fece problema.

Tanto non c’era nessuno ad aspettarla. Perché sarebbe dovuta andare in quell’immensa casa? Per stare da sola, nel silenzio più totale, a ricordare ogni singolo attimo della sua ex vita perfetta? Non ci teneva proprio.

Si fermò in una pizzeria al taglio e prese due pezzi di margherita. Passò per il parco, sedendosi sulla prima panchina libera. Addentò la pizza, sdraiandosi. La sensazione del ferro gelido sul collo scoperto la fece rabbrividire. Ma sorrise. Osservò l’infinito cielo stellato sopra di lei e per un attimo ebbe voglia di perdercisi dentro. Da piccola puntava spesso il dito e tentava di contarle. Però poi perdeva in conto e rincominciava.

“papà quante stelle ci sono in cielo?”

“eheh Chibiko nessuno lo saprà mai”

“perché?”

“bhe, perché…perché...

L’uomo sembrava in difficoltà, forse nemmeno lui conosceva la risposta alla domanda. Poi però sorrise.

“perché nessuno si è mai fermato a contarle”

La bambina sorrise.

“allora lo farò io!!

“ma… Chibiko che dici? Nessuno c’è mai riuscito. È impossibile!”

Chibiko lo guardò.

“io ci riuscirò. Sai, mi piace la parola impossibile. Perché si può sempre screditare!!

E mentre la bambina correva a contare le stelle, il padre riuscì solo a pensare una cosa.

“…fantastico, stasera Emiko mi ammazza. E io che le avevo giurato che non avrei più messo sogni assurdi in testa a nostra figlia!”

 

Chibiko riaprì gli occhi, seria. Con indecisione alzò il braccio, puntando il dito verso il cielo. Inclinò leggermente la testa, mentre iniziava a contare.

1…2…3…4…5…6…7…

Si tirò su di scatto. Ma che diavolo…???

Si passò una mano tra i capelli corti, mentre imprecava contro se stessa e la sua stupida voglia di ricordare mamma e papà.

“ehi, ragazzino!”

La bambina osservò il gruppetto di ragazzini che le si era fermato davanti. Inconsciamente, si voltò indietro.

“parliamo con te, stupido moccioso!”

Chibiko si indicò con l’indice, mentre pensava che si, in effetti sembrava un maschio. I capelli corti e scombinati sulla testa, i jeans larghi e scuri, con una catena al fianco destro. La maglia di 3 taglie più grande la copriva fino a quasi metà coscia. Niente collanine, niente orecchini, niente che potesse ricondurre la sua immagine ad una ragazza. Sorrise, mentre alzava lo sguardo su quei bambini di al massimo 2/3 anni più grandi di lei, e una strana rabbia le montava dentro.

“che volete?”

“che ti levi dalla nostra panchina!”

La bambina li guardò strafottente, sentendo l’ira che cresceva sempre di più dentro di lei.

“non mi pare ci sia scritto il vostro nome!”

I ragazzini spalancarono gli occhi, stupiti.

Moccioso impertinente.

“ma se vi credete alla mia altezza…”

Chibiko scattò avanti con il pugno carico. Iniziarono una rissa tremenda, bambini di 8, 9, e 10 anni contro una furia di soli 7.

Il cielo nuvoloso si trasformò in pioggia proprio durante quello scontro. La rabbia cieca di Chibiko si riversò su quei ragazzini.

Voglio sporcarmi.

La bambina, mentre malmenava i suoi avversari, riusciva ad aver chiaro solo quello.

Voglio sporcarmi.

“ti… ti prego… lasciami andare…”

Il giovane che Chibiko teneva per il collo la supplicava. E a lei dava fastidio. Tremendamente fastidio. Gli diede uno schiaffo cosi potente che l’eco, in quel parco vuoto, riecheggiò per alcuni secondi.

“non sono mica Dio… quindi smettila di pregarmi”.

Alzò la testa verso il cielo, permettendo alle gocce di bagnarle il viso sporco di sangue. Intorno a se, giacevano svenuti tutti gli appartenenti a quel gruppetto che aveva osato sfidarla. Il sangue per terra si mischiava all’acqua, come a voler pulire quel luogo.

E Chibiko si ritrovò a considerare la pioggia sua nemica.

“non c’è nessuno… che voglia battersi con me?”

Sussurrò, forse più a se stessa che a qualcun altro.

Mi fa male il cuore. Vorrei essere picchiata fino a dimenticare tutto.

La bambina si allontanò verso casa, con lo sguardo vuoto di chi non ha più niente da perdere.

 

“Oh, Chibiko! Sei cosi bella che mi sembri un angelo!”

 

No mamma, ti sbagli. Io non sono un angelo. Piuttosto, un diavolo.

 

°°°

 

“l’hai fatto di nuovo, vero?! Ma quando imparerai???

Chibiko alzò gli occhi al cielo, scocciata. Oramai Otoha le faceva una predica al giorno. Non ne poteva più.

“scusami, non succederà più!”

Disse senza troppa convinzione quella frase che oramai aveva imparato a memoria, con lo stesso tono di sempre. Un dispiaciuto che tutto era tranne che dispiaciuto.

La dottoressa iniziò a pulirle il visino.

“tesoro, guardati! Sei tutta sporca! Dai vieni qua”

La bambina cercò di ritrarsi dalla mano che, leggera, le puliva le ferite.

“di nuovo… mi spieghi perché non vuoi mai farti pulire?”

Chibiko non rispose, fissando interessata alcuni oggetti strani che non sapeva minimamente a cosa potessero servire.

Perché era la mia mamma a pulirmi il viso.

Alzò gli occhi sulla dottoressa. Andava spesso a trovarla. Dopo quella notte, una delle tante, in cui un poliziotto l’aveva presa e portata li, ci aveva preso l’abitudine.

Non che le volesse bene.

Oramai, Chibiko non conosceva più il significato della parola “affetto”.

Semplicemente, era una persona che se lei parlava l’ascoltava.

“bhe, come va la tua love story con Toma?”

Chiese, maliziosa. La dottoressa arrossi di botto. Ma poi sbuffò.

Toma era un aitante uomo di 30 anni, con i capelli bianchi e gli occhi viola. Dolce, simpatico, gentile. Il classico “principe azzurro” che sognano tutte. Aveva solo un insignificante difetto.

“come vuoi che vada? L’unica idiota al mondo che va ad innamorarsi di un gay sono proprio io!”

Commentò, acida.

Otoha conosceva Toma da una vita, erano cresciuti insieme. E mentre la cara dottoressa sentiva nascere in lei un sentimento verso l’imprenditore, lui sentiva che i suoi sentimenti correvano verso “l’altra sponda”.

Chibiko rise. Otoha era sempre stata sfortunata con gli uomini.

“vabbè, tienimi aggiornata! Adesso scappo! Arrivederci doc!”

Salutò Chibiko, la mano già abbassata sulla maniglia.

 

Le piaceva perdersi tra i corridoi. Quei muri bianchi e immacolati le ricordavano le lenzuola della mamma stese al sole. Per un attimo la facevano sentire meno sporca di quello che era.

Nel suo perdersi, però, non si accorse della sezione in cui era arrivata. Vide solo il numero sulla porta, prima che i ricordi iniziassero a scorrere. 504.

 

Chibiko scese le scale con dolcezza, sapendo a memoria quali saltare per evitare di farsi sentire.

 “tesoro, quando pensi di dirglielo?”

Dallo spiraglio della porta, Chibiko vide la madre sorridere, amara.

“non vorrei coinvolgerla… è cosi piccola…”

L’uomo le si avvicinò, carezzandole la testa.

“lo so. Ma tu ce la farai!”

La madre alzò la testa.

“ovvio amore mio che ce la farò! Non ho più 15 anni, quando ero cosi stupida da dire –se mi verrà un tumore non voglio farmi curare, perché la gente mi deve ricordare com’ero prima di morire-. Sono adulta, adesso. E ho la ragione più fantastica del mondo per vivere: Chibiko”.

 

 

La donna si asciugò velocemente la lacrima, smettendo di guardare fuori dalla finestra.

Chibiko entrò, sorridente e con un mazzo di fiori.

“mamma, questi sono per te!”

“oh, amore mio! Grazie!”

La bambina si sedette vicino alla madre, raccontandole tutte le ultime novità. Ma ben presto arrivò l’ora dei saluti.

“ci vediamo domani, mamma!”

La donna fece un sorriso spento, prima di carezzarle la testa con dolcezza.

“certo amore mio. Ma tu ricordati sempre che sei il mio angelo, la mia vita, il mio sorriso e la mia gioia. Ti amo e ti amerò per sempre bambina mia!”

La madre abbracciò Chibiko, che rispose all’abbraccio senza sforzarsi troppo di leggere tra le righe delle parole di mamma.

“io per te ci sarò sempre, tesoro. Non ti lascerò mai sola

Le sussurrò all’orecchio, mentre le bagnava i capelli con lacrime silenziose.

 

Chibiko sbuffò, mentre usciva dall’ospedale. Quella fu l’ultima volta che vide sua madre.

 

°°°

To be continue…

 

Ed ecco il primo capitolo di questa strana storia.

Due paroline credo siano d’obbligo.

Amo il personaggio di Chibiko. È particolare, è complicata. È soltanto una comparsa ma mi attira proprio per questo. Perché è con il contorno che riesci ad apprezzare la portata principale.

Ho provato a immaginare come si sarebbe sentita una bambina di 7 anni a essere lasciata sola. Una bambina come Chibiko, che io immagino forte fuori, ma fragile dentro.

È come… un insieme di situazioni che portano Chibiko a ricordare il suo passato.

 

Bè, che dire… io scrivo per il piacere di farlo. Però, mi farebbe molto felice che commentaste, per dirmi cosa ne pensate, se vi piace o meno questa strana storia.

E fatemi sapere se è passabile o se è proprio da buttare via!!

Alla prossima. Bacioni, keiko!

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** La Neve Del Sole, Il Fuoco Della Luna ***


Loneliness

 

 

 

°°Loneliness°°

 

CAPITOLO 2: La neve del sole, il fuoco della luna.

 

Frase di presentazione  _il mio cuore di bambina non si smuove neanche con la magia

                                                                                              delle stelle_

 

 

Osservò stralunata la lavagna.

I numeri si muovevano, ne era sicura! Il 6 faceva su e giù, mentre girava vorticosamente. C’era il 5 che prendeva il 3 in giro perché più piccolo, mentre il 9 coccolava teneramente il 2, dicendogli che anche se non è un suo multiplo gli vuole bene come se lo fosse.

Chibiko chiuse gli occhi, chiedendosi se ultimamente avesse fatto uso di qualche strana droga. Era sicura di no, almeno che non gliel’avessero iniettata mentre dormiva.

Cosa assai improbabile, visto che viveva da sola.

La campanella suonò, e finalmente i numeri si rimisero al loro posto, fingendo indifferenza. La bambina raccattò le sue cose, per poi avvicinarsi alla lavagna con lo sguardo truce.

“non fingete, io vi ho visti!” sussurrò, accusatoria.

“Chibiko, che stai facendo?”

Si voltò, spaventata dalla voce alle sue spalle. Sophia, una bella donna di appena 35 anni, la osservava preoccupata. I suoi occhi verdi erano fissi in quelli scuri della piccola, mentre i corti capelli rosso-biondicci erano scossi dalla leggera brezza che veniva dalla finestra aperta. In mano un blocchetto di fogli, le loro verifiche.

Chibiko si morse il labbro, insicura se dire o no quello che era successo.

“ i numeri… ecco… loro… si insomma… il 9 cullava il 2 e il 3... piangeva…” balbettò con un filo di voce. Lanciò un’occhiata a quei traditori, che adesso se ne stavano fermi sulla superficie nera.

“piccola…” iniziò la maestra, con voce dolce “ non devi tenerti tutto dentro, se hai bisogno io sono qui”

 

“amore, perché piangi?”

Chibiko si asciugò l’ennesima lacrima.

“mamma, perché è cosi difficile trovare la felicità?”

La donna la guardò, capendo perfettamente cosa volesse dire.

Sorrise.

“perché se ti fosse donata subito e senza la minima fatica, dove sarebbe il piacere di gustarla,

quando finalmente sei riuscita a raggiungerla?”

“è cosi dura…”

Emiko l’abbracciò di slancio, stringendola forte a se.

“lo so, tesoro mio, lo so. Ma ricordati che ci sarà sempre qualcuno pronto a porgerti la mano

Per aiutarti”.

 

 

D’ora in poi, mi rialzerò sempre sulle mie gambe. Da sola. Senza più accettare la mano di nessuno.

 

Chibiko scappò via, tappandosi le orecchie per non sentire la maestra che la pregava di tornare, e tentando invano di zittire quelle voci cosi opposte dentro di lei.

Era stanca, troppo. Fermò la sua corsa affannosa davanti al cancello della scuola, indecisa sulla direzione da prendere.

 

Alla fine, decise di dirigersi verso l’unico posto in cui il suo cuore smetteva di urlare alla morte.

 

 

 

°°°

 

“Ahahahahahah!! Oddio, no, ti prego, dimmelo ancora!”

Chibiko strinse il pugno, giurando di fustigarsi appena tornata a casa. Chi glielo aveva fatto fare di andare proprio dalla dottoressa?!

La guardò.

Otoha stava letteralmente morendo dal ridere, rotolandosi sul lettino vuoto del suo studio. Una scena non da tutti i giorni: la risata, infatti, contrastava nettamente con il camice bianco, da sempre interpretato come serietà, e con il viso severo e austero della donna.

La bambina sbuffò, nervosa.

“smettila, dai!”

Disse, scuotendola forte, sperando vivamente di farle mordere la lingua. La dottoressa si fermò, alzandosi su un gomito mentre si asciugava una lacrima.

“va bene, va bene… ma raccontamela di nuovo!”

Chibiko sospirò. A volte quella donna sapeva davvero essere infantile.

Fece un mezzo sorriso, rincominciando, per la trentesima volta quel giorno, a riportare della sua disavventura con i numeri. Contò i secondi che mancavano alla parte del 9 e delle sue sensazioni verso il 2, perché tanto sapeva che era li che iniziava a ridere.

E infatti questa volta non fu da meno. Appena finì di dire “…ti voglio bene come se lo fossi”, la risata della dottoressa riempì la stanza.

Appoggiò i gomiti sul bordo del lettino, in parte contenta di aver reso, per un po’, migliore la vita di quella donna cosi sola. La guardò piegarsi in due, accusando i dolori allo stomaco per il troppo riso.

Un leggero bussare alla porta distrasse Chibiko, che si voltò quel poco che bastava a vedere chi fosse entrato.

Una bella ragazza, 16 anni al massimo. Sorrideva contenta, mentre guardava quella strana scena, con in mano una cartellina blu.

La bambina la fissò, studiandola.

I lunghi capelli biondi erano legati in una coda alta, e gli occhi azzurri erano… splendenti. Come lei, d’altronde.

Emanava voglia di vivere da tutto il corpo.

“scusate il disturbo, questa dove la metto?”

Chiese, con voce dolce.

Troppo dolce.

Questa qui, pensò Chibiko, non deve aver mai sofferto in vita sua.

Si voltò giusto in tempo per vedere la dottoressa cercare di darsi un contegno. Era davvero buffa. Leggermente rossa in viso, con tutti i bottoni slacciati e il camice completamente stropicciato.

Si avvicinò alla ragazza, prendendo la cartella clinica e studiandola attentamente. La giovane si voltò verso Chibiko, e le sorrise, tenera.

La bambina spalancò gli occhi.

“Chibiko, vieni a vedere!”

La piccola corse, impacciata nei suoi 5 anni.

“che c’è, mamma?”

La donna sorrise, indicando un punto davanti a lei.

Un piccolo bozzolo si agitava, mentre lentamente una giovane farfalla variopinta ne usciva.

Chibiko osservò, estasiata.

“non è bellissimo, il miracolo della vita?”

La bambina si voltò, guardando dritto negli occhi sua madre.

“si, è stupendo. Ma non lo sarà mai come il tuo sorriso”.

 

“scusate, io… io devo andare!” bisbigliò, uscendo a passo svelto dalla porta, senza che nessuno riuscisse a fermarla.

 

Quel sorriso, era identico a quello di sua madre.

 

 

°°°

 

Si lasciò accarezzare dai tiepidi raggi del sole, beandosi di quel momento. Osservò disinteressata i suoi coetanei rincorrersi, gli innamorati baciarsi, gli amici mangiare un gelato, ridendo.

Il parco le piaceva. Perdersi tra le voci di mille persone la faceva stare bene.

Per un attimo, riusciva ad illudersi di essere come loro.

Per un decimo di secondo poteva di nuovo sentire i suoi 7 anni scorrerle dentro, la voglia di giocare e di vivere la sua meritata ingenuità le pulsava nel sangue con forza.

Ma durava un battito di ciglia, quel sogno irrealizzabile di un infanzia se ne tornava al suo posto, silenzioso.

E lei tornava ad essere la fredda bambina che ha perso i genitori.

 

La bambina abbassò lo sguardo, nascondendo le lacrime.

Avrebbe tanto voluto guardare le bare dei suoi genitori calare nel sottoterra,

ma farlo avrebbe significato sapere che non li avrebbe rivisti mai più.

E questo non le andava a genio.

“guardate, quella è Chibiko, la figlia!”

Una voce sconosciuta la fece sussultare.

Chi diavolo era quella donna?

“poverina, cosi piccola e già senza genitori!”

“sapete, si dice che il padre…”

Chibiko tremò.

Non dirlo, ti prego.

“shh! Sta zitta, potrebbe sentirti!”

La bambina sorrise, amara.

Ma certo che vi sento, schiocche.

 

“ciao, ti va di giocare con me?”

Chibiko, spaventata, si voltò. Un ragazzo le sorrideva allegro, indicandosi con l’indice. Sospirò, scocciata.

“scordatelo!”

“eddai, non fare la timida!”

La bambina alzò un sopracciglio.

“e chi ti dice che sto facendo la timida?”

Il ragazzo sembrò rifletterci su. Poi sorrise, senza rispondere. Chibiko appoggiò un braccio sullo schienale di legno, osservandolo.

Capelli scompigliati, di un accesso rosso. Occhi ribelli, di un assurdo color oro. In più, una vistosa cicatrice ad X che spiccava sulla guancia destra. La divisa scolastica tutta sbottonata, la camicia bianca fuori dai pantaloni e la zip abbassata.

Un teppista?

La bambina impallidì.

E se fosse stato un… un pedofilo?

Quando aveva sentito quel termine al telegiornale per la prima volta, aveva chiesto a sua mamma cosa fosse un pedofilo. Lei gli aveva risposto che erano persone tanto cattive, che facevano del male ai bambini. Le aveva detto anche di stare attenta, di non accettare caramelle dagli sconosciuti e di non fidarsi degli estranei.

Chibiko si sporse leggermente all’indietro, pronta a scattare in qualunque evenienza.

“come ti chiami?”

La piccola si morse il labbro, indecisa. Cosa doveva fare? Aveva paura.

Il papà aveva aggiunto, alle parole di mamma, che i pedofili sporcavano l’innocenza dei bimbi.

Chibiko a quel ricordo si sentì più sicura. Infondo, non poteva sporcarsi più di quello che non era già.

Decise di mantenere il suo solito atteggiamento.

“e a te che importa?”

Rispose, con fare arrogante.

“dai non essere cosi dura… la vuoi una caramella?”

 

°°°

 

To be continue…

 

…che capitolo completamente inutile! Non succede praticamente niente, è corto e per di più noioso. Chiedo venia!

Che dire? Avevo bisogno di questo pezzo, una specie di collante per la storia. Dal prossimo capitolo la situazione inizierà a sciogliersi (non durerà molto questo coso che sto scrivendo ^^’’’’).

Mmm… volevo anche aggiungere una specie di “capitolo extra” che ho scritto ieri per puro caso (ispirazione improvvisa, mi fa molto male fare giardinaggio -.-).

Comunque…

Spero sinceramente che commenterete, nonostante l’orrore sopra citato.

 

L’angolo dei ringraziamenti.

 

La Sognatrice: oddio, oddio, oddio! Sensei! Che piacere ricevere un tuo commento ^^. Sono emozionatissima… come sai leggo tutte le tue storie (sono paragonabili alla Bibbia per me…! Le tengo sempre sotto il cuscino per paura di perderle!), e non immagini la felicità di sapere che ti piace la mia! O almeno che la trovi leggibile ^^’’’!

Hai proprio ragione, Chibiko è sempre lasciata ai margini delle storie! Qui ha il ruolo da protagonista, anche se è una protagonista un po’ strana, come si capirà molto presto!

…E come al solito parlo a vanvera -_-‘!

Beh, che dire… spero davvero che questo capitolo ti sia sembrato “decente” (non oso allargarmi troppo, non c’è confronto con le tue fanfic!) e che mi dirai cosa ne pensi! Grazie davvero!

 

MiCin: ciao! Conosco un sacco di tue fic, che felicità il tuo commento!

Wow, davvero ti piace questa storia? A me sembra solo una brodaglia di parole senza senso -.-… si, è vero, Chibiko è “il centro” della vicenda! Ovviamente non mancheranno gli immancabili, ovvero Silvia e Apollo! Ma diciamo che saranno ragazzi un po’ complessati… ihhhh ma perché non sto mai zitta?? Vabbè, è stato un piacere leggere il tuo commento, mi ha fatto davvero felice (ho l’ego gonfiato da quei 2 “bellissima”, scusami)!

Spero commenterai anche questo capitolo! Grazie ancora!

 

Himi87: o dei, un'altra Regina della sezione di Aquarion! Mi tremano un po’ le ginocchia, devo essere sincera ^^’’’… mi piacciono un sacco le tue storie, mi ci perdo dentro! “I Hate You!” oramai la conosco a memoria! XD

Ti do ragione, Chibiko ha un carattere con innumerevoli sfacciature e su di lei si può lavorare un bel po’! Mi piace l’idea che sia un po’ “quella che fa capitare le cose”, come si noterà in seguito! Ehm… ecco ho parlato di nuovo troppo! -.- ‘’’ ma perché non mi mordo mai la lingua?

Comunque spero vivamente di sapere il tuo giudizio su questo capitolo! Grazie mille!

 

Grazie anche a chi ha solo letto questa storia!

Spero commenterete!

Aspetto un vostro parere!

Bacioni, keiko! 

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Capitolo 3
*** Potresti Salvarmi? ***


Chibiko osservò la caramella

 

 

 

°°°Loneliness°°°

 

 

 

CAPITOLO3: Potresti salvarmi?

 

Frase di presentazione _non posso fare a meno di essere sincera_

 

Chibiko osservò la caramella.

Poi il ragazzo davanti a lei.

E di nuovo la caramella.

Era in una cartina rosa confetto, e sopra disegnato aveva una fragola sorridente che ti faceva l’ok con il dito. La bambina strinse il pugno, indecisa.

Le caramelle alla fragola erano le sue preferite.

Guardò il rosso che ancora le sorrideva, con la mano sporta in avanti per darle il dolce. Era sereno, si vedeva che, se avesse dovuto, sarebbe stato in quella posizione anche per tutto il giorno.

E lei voleva quella stupida caramella.

Dio, quanto la desiderava!

Storse la bocca, decidendo.

“se mi dai la caramella, cosa vuoi in cambio?”

Il ragazzo aprì gli occhi, vittorioso. Chibiko sbuffò. Uomini! Credono sempre di averla vinta.

“ voglio che fai una piccola cosa per me…”

Lui si appoggiò candidamente sulla spalliera della panchina con i gomiti. Chibiko si sporse all’indietro, mentre uno strano tic nervoso le torturava l’occhio destro.

“senti un po’… tu…! L’educazione non te l’hanno insegnata?? Chi diavolo sei?!”

Scoppiò la bambina. Ma chi si credeva di essere? Un Re?!

“hai ragione, scusa! Mi chiamo Apollo, sono figlio di Gen Fudo, un magnate di successo, e sono l’unico erede della dinastia Fudo! E tu?”

Il tic nervoso aumentò.

“complimenti per l’etichetta!” sbuffò scocciata, abbassando la testa e sistemandosi con la mano la frangetta. Aprì un occhio, fissandolo.

“io sono Chibiko” disse, senza troppe cerimonie.

“bene Chibiko, ora non è che mi faresti quella cosa di cui parlavamo prima?”

Lo guardò, sospettosa.

“spiega un po’…”

Apollo alzò la testa, accennando con il capo un punto in mezzo al parco.

“vai là e fatti male!”

La bambina quasi cadde dalla panchina per lo stupore. Insomma, si era aspettata qualcosa di un po’ più… diciamo… spinto, ecco.

Ci pensò. Magari gli piaceva violento…

–sei troppo maliziosa, sicura di avere solo 7 anni?- Otoha lo dice sempre, ed ha maledettamente ragione.

“perché dovrei farmi male?”

Il ragazzo cambiò direzione di sguardo, accennando a un gruppetto di studentesse più in la.

“perché quelle correranno ad aiutarti, e io le conoscerò. Ah, giusto, fingi di essere mia sorella!”

Chibiko alzò un sopracciglio, osservando il viso sorridente del ragazzo.

 

Questo dice stronzate, e lo fa pure convinto!

 

La bambina diede un leggero schiaffo alla mano di Apollo, da sotto. La caramella volò in alto e lei la prese al volo.

“e va bene!” disse, avvicinandosi la caramella al viso, sorridente.

Scese dalla panchina con un salto, per poi correre ridendo come se stesse giocando. Cadde all’improvviso, tanto bene da far credere anche ad Apollo che non fosse uno scherzo.

Le studentesse, spaventante, andarono subito da lei per accertarsi delle sue condizioni.

Il ragazzo sorrise.

Però, che attrice! Pensò, mentre si avvicinava alla piccola. Assunse un aria preoccupata.

“Chibi, tutto bene?”

Chiese, con fare apprensivo. Chibiko spostò lievemente le mani che le coprivano gli occhi asciutti.

“fratellone, mi fa tanto male la caviglia”

Le ragazze osservavano la scena, intenerite. Quanto era dolce quel ragazzo!

Apollo voltò lo sguardo sulle giovani, presentandosi. Prese la piccola sulla schiena, mentre questa gli allacciava le manine intorno al collo.

“sei sicuro che starà bene?”

Domandò una di queste, con i capelli marroni e i codini. Lui sorrise.

“beh, se siete preoccupate per lei, lasciatemi i vostri numeri di cellulare, cosi poi vi chiamo per informarvi”

 

 

“sei stata grande!”

Esclamò, assicurandosi che non ci fossero macchine prima di passare. Chibiko sorrise, vanitosa.

“è ovvio!” disse, spostando con un gesto del capo una ciocca di capelli fastidiosa “ ma sei sicuro che poi te la danno?”

Apollo quasi inciampò.

“e tu sei sicura di essere una bambina?!”

Chibiko sorrise.

“al 100%! 7 anni fatti e sputati!”

Lui sorrise, scuotendo la testa.

Era proprio strana quella mocciosa.

L’aveva vista su quella panchina, da sola, a fissare il resto della gente con uno sguardo indecifrabile. Gli era parsa forte, ma nello stesso tempo fragile.

Certo, non si aspettava che lo avrebbe davvero aiutato.

Era troppo… matura. Sembrava conoscere perfettamente come gira il mondo.

“e la mamma non ti dice niente quando te ne esci con queste frasi?”

 

Io non ce l’ho una mamma.

 

Chibiko strinse di più le mani intorno al collo di Apollo.

 

“mamma, perché papà ti ha picchiato?”

La madre sgranò gli occhi, mentre serviva la colazione alla figlia.

“guarda che papà non mi ha fatto niente!”

Chibiko la fissò.

“allora quando fate le porcate puoi evitare di urlare cosi forte? Stanotte non ho chiuso occhio!”

Emiko arrossì vistosamente, mentre dava un lieve coppetto alla bambina.

“Chibiko, non si dicono queste cose!”

 

“si, mi sgrida. Ma tanto io non l’ascolto…”

Sussurrò, cercando di non svelargli la verità.

 

Apollo, io non ho la mamma. E toccherei il cielo con un dito, se potesse davvero impedirmi di dire certe cose.

 

“allora, Chibiko, dove ti porto? Ehi, Chibiko?!”

Il ragazzo voltò leggermente la testa, guardando la bambina dormire appoggiata alla sua spalla, con la guancia bagnata.

Apollo scosse la testa.

 

Per fortuna, almeno nel sonno piange.

 

°°°

 

Si svegliò di soprassalto, alzandosi a sedere. La prima cosa che vide furono le lenzuola di raso rosso, che la coprivano fino al ginocchio. Osservò la stanza intorno a sé, scoprendo che era l’esatto opposto della sua. 

Le girava leggermente la testa, sicuramente a causa della brusca svegliata.

Ributtò la testa sul cuscino, ricordandosi tutti gli avvenimenti della giornata. Che diavolo ci faceva li?

“ben sveglia, lady”

Chibiko si voltò di scatto, sentendo quella voce sconosciuta.

Lady?!

La ragazza, non doveva avere più di 20 anni, le si avvicinò veloce. Non sorrideva, e lo sguardo era di ghiaccio.

Come una di quelle bambole che papà le portava dopo i suoi viaggi.

Fredda e perfetta.

“lady…”

“lord!”

Per la prima volta la donna sembrò cambiare espressione. Era stupita. La bambina le fece un mezzo sorrisetto.

“voglio che mi chiami lord, se proprio devi usare questi epiteti…”

Abbassò lo sguardo per nascondere gli occhi lucidi e il viso fattosi più rosso.

Non poteva assolutamente piangere.

Non doveva!

“mmm… no, secondo me ti sta meglio quello giallo!”

Chibiko sbuffò.

Erano ore che provava vestiti su vestiti… e solo per una stupida festa!

“mammaaaa… io ho fame!”

La madre la guardò, scocciata.

“uffa Chibiko! Un po’ di pazienza!”

La bambina sbuffò.

“ma io mi annoio!”

“questa è una cerimonia importante, piccola! Devi essere al massimo dello splendore…

Una vera lady!”

Chibiko alzò un sopracciglio.

“uffa… e va bene…”

Si arrese.

Emiko sorrise, intenerita.

“ma che brava, la mia piccola e adorabile lady”

 

“ehm… lord, il signorino Apollo ha detto di raggiungerlo nella sua stanza padronale appena sveglia”

Fredda, fredda, fredda. Chibiko aveva i brividi. Sbuffò.

“va bene, portami da lui”

 

°°°

 

Apollo appoggiò i gomiti sul tavolo di acero, annoiato. Odiava quei compiti dannati, la chimica proprio non gli entrava in testa!

Chiuse il quaderno con forza, rinunciandoci.

Tanto lui il futuro assicurato già ce lo aveva. Alzò gli occhi verso il soffitto.

Anche se, infondo, era proprio perché aveva già una strada delineata che si impegnava tanto a scuola.

Un lieve bussare alla porta lo colse impreparato. Si voltò di scatto, trovandosi una bambina letteralmente incazzata sullo stipite della porta.

La cameriera se ne andò, lasciandoli soli.

Apollo, fece un mezzo sorrisetto preoccupato, pensando che incazzata non esprimeva neanche un mezzo di quello che Chibiko era in quel momento.

Indossava un vestitino nero, in velluto e pizzo, pieno di fronzoli. I capelli corti legati in due codine dietro la testa, con dei fiocchetti dello stesso colore.

Ma quello che fece più paura al ragazzo erano le scarpette in vernice nera, che sbattevano prepotenti sul pavimento in marmo, quasi a volerlo rompere.

“ti do 5 secondi per spiegarmi il motivo di questo… coso! Se no ti riempio di botte!”

Minacciò Chibiko, indicando l’abito, con un fare che per nulla sia adattava a quell’abbigliamento da brava signorina.

“ecco…vedi…”

“uno!”

Apollo iniziò a sudare freddo.

“due!”

“si, insomma, è perché…”

“tre!”

“il vestito è per…”

“quattro!”

“il vestito è per un fatto mio personale!”

La bambina alzò un sopracciglio, mentre il ragazzo abbassava la testa, come a chiedere scusa.

 

Sempre a raccogliere randagi, eh?

 

All’improvviso, nella sua testa, tornò prepotente da voce di suo padre.

Si morse il labbro, nascondendo la rabbia dietro un espressione gentile.

“ti sta bene, il nero ti dona”

Chibiko notò la voce fattasi più bassa e la testa che non accennava ad alzarsi. C’era qualcosa che non andava e questo lei lo sapeva bene.

Aveva visto troppe volte sorrisi come quello che adesso le porgeva lui per non capire.

Stava fingendo.

E pure spudoratamente!

 

Chibiko strinse a se l’orsacchiotto.

“papà, dov’è la mamma?”

L’uomo alzò lo sguardo su la piccola, con le lacrime che non si vergognava a nascondere.

“amore, la mamma è andata… in un posto migliore!”

Disse, cercando di convincersi delle sue stesse parole.

Le fece un sorriso, che tutto riuscì tranne che rincuorare la bambina.

“SEI UN BUGIARDO!”

Scoppiò lei, stringendo il piccolo pugno sinistro sulla vestaglia da notte.

Il padre la fissò, stravolto.

“la mamma ha detto che il posto più bello del mondo è dove ci sono io e dove ci sei tu!”

 

Chibiko sorrise triste, alzando lo sguardo.

“smettila con quei sorrisi falsi, non mi inganni”

Apollo spalancò gli occhi, sorpreso.

“piuttosto… vorrei conoscere i tuoi”

“perché?”

La bambina inclinò la testa.

“perché ci sono due motivi per far vestire cosi una bambina, senza un occasione particolare: o sei un maniaco, o vuoi fare bella figura con qualcuno”

Apollo sorrise, pensando a come fosse intelligente.

 

Ma allora sei proprio stupido! Cos’è, vuoi umiliarmi?! Neanche uno smoking cosi ti rende decente! Animale! Selvaggio!

 

Il ragazzo strizzò gli occhi.

Basta, basta!

Papà, leva la tua inutile voce dalla mia testa.

 

“senti, Chibiko… il tuo papà ti voleva bene?”

 

Io non ti riconosco come mio figlio. Avrai i miei soldi, il mio nome, la mia casa. Ma non sarai mai mio figlio! Inutile demonio!

 

°°°

To be continue…

 

Si, lo so. Esattamente come l’altro: inconcludente. E poi incasinato, non si capisce niente. Anche io che l’ho scritto non riesco a seguire il filo del discorso! Ma vabbè, spero avrete pietà di questa povera scrittrice incompetente.

Comunque tra un po’ ogni cosa dovrebbe sciogliersi.

Tutti i nodi vengono al pettine.

 

Volevo anche dire che alla fine inserirò 4 (eureka…) capitoli extra, che serviranno a rendere tutto un pochetto più chiaro!

Beh, non so se l’idea vi piace o meno, è che mi sono accorta che se non si fa “un passo indietro”, diventa un rimasuglio di parole senza senso -.-!

 

L’angolo dei ringraziamenti.

 

 

La Sognatrice: ehm… avrei voglia di nascondermi per l’orrore che ho scritto stavolta -.-”!

Comunque Chibiko l’ha accettata la caramella alla fine!^^

Bimba maliziosa, io lo dico sempre…

Grazie per “altro grande capitolo” (l’ho riletto 27 volte prima di capacitarmi che si, c’è proprio scritto cosi), sono molto imbarazzata perché è veramente un onore per me!

Le tue storie sono davvero la Bibbia dal mio punto di vista, infondo sono cresciuta a pane e storie de La Sognatrice! (al tempo Dreamer21).

Spero commenterai anche questo capitolo anche se veramente brutto.

 

Himi87: è vero... Chibiko fa venire molta tenerezza. Somiglia tanto a quei peluche tutti pelosi e morbidosi, che vorresti tenere sempre tra le braccia. Vuole fare la dura, ma troverà pane per i suoi denti! ^^

Non immaginate neanche in che casino la sto andando a mettere!

Ti ringrazio per i tuoi complimenti, è sempre un piacere leggerli. Come le tue storie, che sono davvero meravigliose!

Lo so che è orribile come capitolo, ma spero che lo commenterai!

 

MiCin: ihih non sai quanto ho riso quando ho letto il tuo commento!

Si, le conosco tutte le tue storie! Complimenti, una più bella dell’altra!

Beh… Apollo un pedofilo non potevo proprio farlo, va contro tutti i miei ideali su di lui!!

Ehm… mi inginocchio chiedendo venia per la mostruosità che mi è uscita stavolta, ma covo la speranza che mi dirai cosa ne pensi anche di questo…come chiamarlo… coso!

 

Laicachan: oh, my god! (si scrive cosi?)

Un altro pilastro della sezione di Aquarion…!

Se sentite un ticchettio, sono i miei denti che tremano!

Beh, comunque non ti preoccupare per l’altro capitolo, anzi! Ti ringrazio infinitamente per le tue parole. È vero, Chibiko è ignorata dai più! E allora perché non sfruttarla? ^^

No, vabbè, tanto tutte le strade portano a Roma (si capisce quello che intendo?)

Spero commenterai anche questo chappy, pure se scritto con i piedi.

e…continua cosi, che fai delle storie stupende!

 

Ringrazio anche chi ha semplicemente letto!

Ditemi cosa ne pensate di questo capitolo, please!

 

Per averla messa tra i preferiti, grazie a:

La Sognatrice

MiCin

 

Al prossimo capitolo,

bacioni, keik0!

 

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