Io non lo sposerò

di bellomia
(/viewuser.php?uid=804187)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Matilde ed Eva ***
Capitolo 2: *** Matilde, Eva e Luca ***
Capitolo 3: *** Parenti serpenti ***



Capitolo 1
*** Matilde ed Eva ***


Matilde ed Eva.

Quando quella mattina Matilde aveva aperto gli occhi e guardato fuori dal vetro dell’ampia portafinestra aveva intuito che non sarebbe stata una bellissima giornata, la conferma l’aveva avuta poco dopo nel mettere fuori la mano… La temperatura quel giorno di ottobre era talmente bassa che aveva dovuto cercare di fretta i giubbotti invernali nel soppalco dell’appartamento. Ovviamente ci aveva messo una vita a ricordarsi dove li aveva conservati la primavera prima, per non parlare poi di quanto aveva dovuto penare per  ritrovarli dentro gli scatoloni, il risultato fu un assurdo ritardo nella loro  già ristretta tabella di marcia mattutina.  
-Eva Svegliati, siamo già in ritardo!- Aprì la porta della cameretta e vide la bambina girarsi dall’altra parte, ignorando il suo richiamo.
-Tra cinque minuti devi essere in cucina, o come al solito troverai il latte freddo.- L’avvertimento sembrò avere qualche effetto, tanto che Eva si sollevò e si sedette sul letto. Aveva i capelli tutti scarmigliati e in disordine tanto che Matilde si chiese quanta fatica le sarebbe costato districarglieli.
Preparò di fretta il latte  mettendo di fianco alla tazza della figlia tre biscotti di nonna Fabiana, si catapultò poi  a preparare la borsa della bambina. Come al solito ci buttò dentro due succhi di frutta, una brioche e quel giorno anche il suo vecchio libro di fiabe di Hans Christian Andersen.  All’asilo stavano infatti leggendo le fiabe classiche e come compito a casa ognuno di loro aveva dovuto scegliere e portare due fiabe.
Eva come al solito aveva voluto fare l’alternativa e invece che scegliere la Sirenetta come tutte le altre bambine aveva scelto quelle più tristi: Il tenace soldatino di stagno e La regina delle nevi. La seconda l’aveva scelta grazie a Frozen, facendo un misto tra moderno e classico, mentre la scelta della prima era ancora un mistero.
La prima volta che aveva sentito la drammatica storia del soldatino con una sola gamba e della sua bella ballerina aveva pianto in silenzio facendo si che Matilde si desse della stupida quella sera per averle letto quella storia così triste, ma sorprendentemente la bambina si era talmente affezionata a quel dramma  da costringere la madre a rileggerla almeno una volta a settimana, la sapeva letteralmente a memoria.
-Eva hai finito la colazione?- Aspettò una risposta che non arrivò, al suo posto sentì i passi della bambina raggiungerla fino al bagno. Un piccolo tornado dai morbidi boccoli castani la raggiunse sorridendo.
-Si ho finito! Ho messo tutto nel lavandino.- Matilde la guardò e sorrise nel vederla così di buon umore. Sua figlia era capace di risollevarle l’umore con veramente poco.
- Bravissima, ora lavati i denti. Poi mettiamo il grembiule.- Prese il piccolo spazzolino colorato e lo riempì di dentifricio alla fragola, il solo odore di quella poltiglia rosa e dolciastra le faceva venire la nausea, ma evitò di commentare e si limitò a passare lo spazzolino alla figlia. Entrambi le erano stati regalati dal padre, perciò per nulla al mondo Eva ci avrebbe rinunciato, persino se il dentifricio avesse avuto il sapore delle gelatine tutti i gusti +1. Poco dopo l’aiutò a lavarsi la faccia  e pettinò quel pagliaio sulla sua testa, rendendo i boccoli di nuovo ordinati, le fece due codette e le allacciò il grembiulino rosa. Guardò critica il suo nome ricamato all’altezza del cuore.
Eva R.
Era stata la madre di Luca a insistere su quel dettaglio, aveva la fissa dei nomi ricamati su qualunque cosa, nemmeno fossero i Windsor. Per di più un angolo della R si stava anche scucendo, avrebbe dovuto tirar fuori il vecchio set da cucito di sua madre e cercare di aggiustare la situazione.
-Sei sicura che non vuoi portare la Sirenetta? Sei ancora in tempo per cambiare idea.- La bambina sospirò e la guardò in modo quasi critico, senza dire nulla  le passò una piccola forcina colorata per aiutarla ad appuntarla sulla testa.
-Magari una storia più felice…-
-Mamma quella è la storia più,  più e più bella di tutte. Tanto la maestra la conosce già…  e se piange non fa nulla.-
-E se piangono i tuoi amici?- La bambina si guardò allo specchio, toccò la forcina poi si girò veloce verso la mamma e le dedicò un sorriso un po’ sdentato.
-Mamma anche Ariel muore.-
-No… si trasforma in schiuma di mare.- Eva stavolta sbuffò sonoramente, e fece un gesto veloce con la mano.
-Bleah la schiuma di mare è brutta.- a quel punto la discussione non avrebbe portato a nulla, così Matilde si limitò a infilarle gli stivaletti in gomma e aiutarla con le maniche del giubbotto. Osservò critica le maniche troppo corte e si appuntò di andare a prenderne un altro.
Da quando cinque anni prima era nata Eva aveva rivoluzionato la sua disordinata e incasinata vita, era riuscita ad abituarsi all’ordine e si era presa l’abitudine di appuntare tutti gli impegni in un’agenda che portava praticamente sempre con se. Appuntò la parola Shopping nella pagina del sabato mattina.
-Hai visto quanto sei cresciuta? Non ti sta più, sabato andiamo con zia Emilia a prenderne un altro.- Eva guardò la manica blu e sorrise felice.
-Quando diventerò alta come te? O come papà?-
-Tra moltissimo tempo. Devi mangiare un sacco di verdure ancora!- Le fece una linguaccia provocandole il solito scoppio di infantili e cristalline risate.  
Quando il divertimento passò Eva guardò sua madre infilarsi le decolté e come al solito pensò che fosse bellissima. Aveva quei bei tacchi lucidi, i lunghi pantaloni neri e una camicia blu, ma nonostante il semplice abbigliamento le sembrava sempre una principessa in carriera. I suoi capelli erano più scuri dei suoi, lisci e lucidi, sapeva che invece lei i ricci castani li aveva presi dal padre, ma anche se avevano quello di diverso e lei era alta e grande tutti dicevano che era la sua fotocopia. Ogni volta che la nonna e le sue zie glielo dicevano Eva non poteva fare altro che sorridere ed arrossire. Era in assoluto la sua frase preferita.
 La osservò mettere il cappotto e cercare le chiavi della macchina nella borsa, era sempre di fretta, a volte la portava persino al fast food pur di non cucinare, eppure era la sua eroina.
-Eva come mai così taciturna?- La ragazza guardò il viso concentrato della piccola e si chiese cosa mai potesse passare nella mente di quella bambina.
-Niente! Non sapevo che dire. E le chiavi sono sul tavolo della cucina.
-Oddio Eva! Non potevi dirmelo prima… siamo già in ritardo. Poi chi lo sente Alfredo.-
-Zio Alfredo tanto ti vuole sposare!- Alfredo Banazzi era il suo capo, proprietario della galleria d’arte di cui lei era responsabile. In realtà più che un vero e proprio capo era un amico d’infanzia: la sua famiglia aveva sempre frequentato quella di Matilde e ancora prima di aver finito  la specializzazione l’aveva accolta a braccia aperte come sua aiutante per poi pian piano lasciarle sempre più responsabilità, in più si era sempre più affezionato a loro due, soprattutto ad Eva. Proprio per questo suo padre un giorno durante i pranzi domenicali aveva scherzato sul fatto che prima o poi l’avrebbe sposata, purtroppo Eva aveva sentito e si era convinto che il giovane ed elegante zio Alfredo volesse sposare davvero sua madre. Inutile dire che per lei ormai mancava solo la data delle nozze e a nulla erano serviti i rimproveri e le spiegazioni di Matilde.
Per fortuna almeno la pioggia si era interrotta, solo momentaneamente a giudicare dal colore plumbeo del cielo, così da permettere alle due di raggiungere la Lancia senza inzupparsi fino alle ossa.
Accompagnò la bambina fino alla porta della classe e si scusò un attimo con la maestra per il ritardo, la signora Annabella come al solito la tranquillizzò con un paio di gentili frasi e le ricordò della riunione quel giovedì.
-Ci sarà anche il papà?- La guardò scettica, nascose l’irritazione per quello sguardo e annuì convinta. In realtà non era sicura se Luca ce l’avrebbe fatta quella volta ma pur di liberarsi di quella pettegola avrebbe raccontato di tutto. C’erano alcuni genitori che non avevano mai fatto parte di nessuna riunione, ma siccome non avevano la loro età  ed erano “felicemente” sposati era tutto normale. Non era certo colpa loro se avevano entrambi appena 27 anni, e nemmeno il fatto che tutti e due avessero due lavori impegnativi. Si costrinse a non pensarci, in fondo ormai era abituata all’atteggiamento che molti avevano nei suoi confronti, o in generale nei confronti delle madri giovani-
Corse fino alla galleria e anche là si scusò con Alfredo, diede ovviamente la colpa di quel ritardo alla maestra di Eva e lui parve dimenticare l’accaduto.
Lavorava  in quella galleria da ormai quasi tre anni, senza contare il periodo di pratica che aveva fatto anche durante gli anni all’università. Era di casa, perciò anche il ritardo le era permesso, Alfredo le era stato vicino anche nel periodo della gravidanza, in assoluto il migliore e peggiore della sua vita allo stesso tempo, era stato un buon confidente e amico. In più le doveva mille favori… e ricordarglieli ogni tanto non guastava mai.
Attese metà mattinata l’arrivo di tre nuove tele dalla Germania e due dall’Olanda. Le guardò soddisfatta e si ripromise di venderle a tempo record, dopodichè decise con l’aiuto di Brigitte, la segretaria di Alfredo, dove sistemarle al meglio e cominciò a compilare i soliti moduli.
 La giornata fu  tranquilla e silenziosa. Spesso accadeva che ci fossero dei periodi di assestamento nella Galleria, il suo lavoro era come un ciclo: prima stancanti e caotici periodi di vendita, poi altri in cui l’unica cosa da fare era prepararsi al prossimo assalto dei compratori. Le ore quindi passarono velocemente, tanto che solo quando Brigitte le ricordò di andare a prendere  Eva si accorse dell’ora.
Le sei.
-No, oggi ci va mia madre. Mi ha accusato di non portarla da loro abbastanza e che se la vede troppo poco è colpa del mio lavoro.- La ragazza francese sorrise e annuì.
-Quindi indirettamente darà la colpa anche a quel poveraccio di Alfredo.-
-Ovviamente subirà una lavata di capo da parte di mia madre alla prossima cena.- L’altra ridacchiò soddisfatta, sembrava sempre godere un po’ delle sfortunate vicissitudini del loro capo.
-In più Eva questo week end è da Luca e dai nonni paterni. Se la potrà godere poco,  si prospetta una lavata di capo doppia!- Brigitte rimase pensosa per un po’, pinzava lentamente i plichi di fogli che poco prima Matilde aveva compilato ma era chiaro che avesse la testa da tutt’altra parte. Si schiarì poco dopo la voce, attirando di nuovo l’attenzione di Matilde.
-È così bello che abbiano questo rapporto, una mia amica ha un bambino di tre anni e il suo ex si fa vedere solo quando gli pare.- Lei annuì d’accordo, storie del genere ne aveva sentite a bizzeffe. Sapeva benissimo quanto era fortunata. Si, forse all’inizio non lo aveva realmente capito, ma col passare del tempo era riuscita a vedere la sua vita in una prospettiva completamente nuova e positiva, si era persino convinta che l’arrivo della bambina le avesse dato la spinta in più per crescere e maturare. Sapeva che aveva dovuto rinunciare a tante cose con la maternità, ma col senno si poi aveva capito che non avrebbe mai potuto affrontare le cose in quel modo se avesse avuto la sfortuna di avere a che fare con altri elementi maschili della sua età
-Beh diciamo che nonostante io e Luca abbiamo fatto una cavolata ho avuto la fortuna di farla con la persona giusta.- 
- E soprattutto hai Eva.- Brigitte sorrise dolcemente, anche lei sotto l’incantesimo di quella bambina.
 
Mezz’ora dopo era finalmente a casa. La prima cosa che fece fu liberarsi di quelle terribili scarpe. Le gettò nervosamente vicino alla scarpiera e infilò le calze più grosse e lanose possedesse, seguite poi dalle sue babbucce arancioni.
Prese dal frigo una lattina di birra. Non amava bere sola, in realtà la faceva sentire un po’ Homer Simpson, ma capitava poche volte di essere sola a casa e ogni tanto le mancava sdraiarsi poco elegantemente e bere birra dalla lattina.
Appena accese il computer vide il telefono vibrare. Guardò lo schermo e vide il nome di Luca, sperò vivamente non rimandasse la cena con Eva il giorno dopo o avrebbe dovuto sopportare le lamentele di sua figlia.
-Pronto?-
-Hei ciao, come stai?- La sua voce come sempre era profonda e rauca, era sempre stata capace di calmarla in pochi secondi.
-Tutto bene, tu?- Non doveva evidentemente rimandare, o avrebbe già cominciato a chiedere scusa e maledire uno dei suoi pazienti in ritardo.
-Benone. Senti ti ho chiamato….-. fece una pausa e insultò come al solito  un povero pedone. Matilde non poté evitare di ridere nel sentirlo maledire il povero sfortunato.
-Sti coglioni! Io faccio di tutto per stare attento, metto pure i merda di auricolari e questi si buttano sulle strisce manco volessero finire sotto le ruote!- Anche il nervoso alla guida era una cosa che avrebbe sempre associato al ragazzo. La prima volta che era salita in macchina con lui le era quasi venuto un infarto.
-Fai più attenzione, Eva non ci metterebbe mai piede in carcere, nemmeno per venire a trovare te.- Lo sentì ridere e darle torto, per lui sarebbe andata pure in un carcere.
-Si forse hai ragione. Comunque che dovevi dirmi?-
-Ah si, vuoi venire a cena domani con me ed Eva? Ho scoperto una trattoria buonissima non lontano dalla città, fanno dei piatti strepitosi. La pasta è fresca, come piace a te…- Sapeva benissimo quali erano le sue debolezze, solo al sentire pasta fresca il suo stomaco prese a fare le capriole.
-Mi vuoi tentare col cibo?- Lui rise dall’altro capo. Le sembrò quasi di vederlo scuotere la testa mentre ridacchiava.
-Funziona sempre.- Lei non potè che dargli ragione. Ovviamente non rifiutò l’invito e si misero d’accordo per vedersi la sera dopo.
Appena chiuse il telefono il campanello suonò, non guardò nemmeno dal videocitofono sapendo con certezza che solo sua madre suonava il citofono così tante volte e in modo tanto molesto. Quando sentì la corsa veloce di Eva aprì la porta dell’appartamento, lasciando che sua figlia si lanciasse direttamente sul divano.-
-Ciao mamma! Sono stanchissima!- Sua madre entrò con calma dalla porta, la salutò con calma e le baciò leggermente le guance.
-Ciao mà, com’è andata?-
-Tutto bene, siamo andate al cinema e poi in libreria.- Si liberò della sciarpa e del cappotto, poggiandoli ordinatamente sull’attaccapanni. Le passò anche una busta bianca, al suo interno vi erano tre libri colorati. Evitò di dirle il solito “non dovevi”, tanto sua madre sembrava non recepire il messaggio.
-Eva si è comportata bene?- Fabiola non fece in tempo a rispondere che Eva lo fece al posto suo.
-Si benissimo.- Le due si sforzarono di non ridere del tono autorevole e convinto della bambina.
-Eva non ho chiesto a te.- Eva spalancò la bocca offesa per l’esclamazione della madre.
-Si, è stata un angelo.- Ovviamente nonna Fabiola, come tutte le nonne, tendeva a viziare e difendere  sua nipote senza limitazioni, il che rendeva Eva un vero angelo in sua compagnia. Al solo sentire il nome della nonna sembrava cambiare espressione e mettersi quella più angelica e sorridente del repertorio. Era un’attrice nata. Mise anche il giubbotto della bambina nell’attaccapanni.
-Ah quasi mi dimenticavo, ha chiamato papà prima.- Sorrise nel vedere il viso della bambina illuminarsi – ha detto che domani siamo invitate a mangiare insieme a lui in un nuovo ristorante che ha scoperto!-
-Vieni anche tu!?- Eva cominciò a saltare sul posto e esprimere la sua gioia con gridolini e esclamazioni confuse. In realtà se l’era immaginata quella reazione.
-Come se foste sposati!- Il sorriso sul volto di Matilde si congelò, strinse i pugni e cercò di non dare a vedere a nessuna delle due quanto quell’esclamazione potesse colpirla. Si perché non poteva dire che la frase di Eva le avesse dato fastidio, era una bambina e l’ingenuità con cui colorava le sue esclamazioni le garantivano sempre il perdono, più che altro le sembrava di sentire una voce dentro di sé accusarla di non fare abbastanza, di non darle abbastanza. Non darle una famiglia.  Quindi quella frase la colpiva, poi era la sua coscienza a darle fastidio e ferirla.
Scacciò quei pensieri e sorrise con più convinzione.
-No, come due amici amore. Io e papà non siamo sposati.- E mai lo saremo avrebbe voluto aggiungere, ma in realtà non aveva motivo di fare quell’uscita, quindi le tenne per se.
Vide negli occhi di sua madre una punta di tristezza, ne conosceva il motivo ma anche quella volta lo ignorò e decide di lasciarla perdere. In fondo non la biasimava, qualunque madre avrebbe voluto che sua figlia avesse una famiglia stabile, soprattutto per Eva.
La bambina annuì, poi sembrò lasciar perdere la cosa. Cominciò a raccontarle la sua giornata, le favole che la maestra aveva letto in classe e la gita con nonna Fabiana.
Sua madre se ne andò poco dopo, le baciò le guance e le fece i complimenti per i due nuovi mobili acquistati la settimana prima. Non le disse nient’altro, la guardò negli occhi e poi se ne andò velocemente. Era certa che una volta tornata a casa avrebbe raccontato dell’accaduto a suo padre, ne avrebbero parlato a cena, a letto prima di dormire e persino la mattina dopo. Era questo il loro modo di risolvere i problemi, comunicare, parlare e confessarsi l’un l’altro. Sperò solo che non la biasimassero troppo per come aveva scelto di vivere la sua vita.
Mangiarono in fretta, erano entrambe stanche, Eva più di Matilde, tanto che quando poggiò le testa sul cuscino non ci fu nemmeno bisogno di leggerle qualche pagina di un libro per farla addormentare.
Si preparò lentamente per la notte, riordinò la camera e mise i panni sporchi in lavatrice.
Poi nella solitudine della sua stanza non potè non aprire l’ultimo cassetto del comò. Sotto una pila di lettere la solita scatolina in velluto blu sembrava attenderla. Solitamente si limitava a guardarla, poi la ricopriva e andava a dormire. Quella notte invece se la rigirò tra le mani, poi la aprì.
Al suo interno il solitario brillò e sembrò salutarla in modo beffardo come a dire sono qui e anche se non mi accetti non  me ne vado.
Lo ammirò a lungo, apprezzandone il taglio e l’eleganza. Luca aveva sempre avuto buon gusto in tutto, aveva azzeccato persino la taglia.  Renderglielo le avrebbe tolto un peso, ma lui di questo ne era consapevole e non le avrebbe mai permesso di dimenticarsi. Matilde aveva sempre pensato che quel rifiuto lo avesse offeso più di quanto non desse a vedere, eppure tutt’oggi non si pentiva del suo secco  no. Si perché quando le aveva confessato di essersi offeso aveva capito di aver fatto la scelta giusta. Quando un uomo viene rifiutato dalla donna a cui chiede la mano non si sente offeso, si sente distrutto, sofferente, non offeso.
Avrebbe accettato solo un uomo in grado di amarla, non qualcuno che si sentiva in colpa per averla messa incinta.
 
Buongiorno!! Che dire, prima di tutto vorrei chiedere perdono per gli errori che sono certa ci saranno nella storia, non fatevi scrupolo a farmeli notare, in fondo è la mia prima storia, sarebbe strano non ce ne fossero!
Questo è un capitolo un po’ di presentazione, ho voluto descrivere parzialmente i personaggi principali, e delineare una trama iniziale.  Anticipo già che la storia si svilupperà su due binari paralleli: uno è il presente, uno è il passato, cioè quando cinque anni prima Matilde scopre di essere rimasta incinta.
Alla prossima! Bacioni!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Matilde, Eva e Luca ***


Dicembre del 2009
 
-Oh andiamo Matilde ti vuoi muovere?!- La voce squillante della coinquilina la raggiunse fino al piccolo bagno del loro appartamento dove lei si stava ancora truccando, nonostante l’appuntamento con gli altri al locale fosse stato fissato alle 11, cioè 20 minuti prima.
-Carla vieni un attimo!- Sentì i passi strascicati della sua coinquilina arrivare fino al bagno, spalancò la porta e incrociò le braccia. Carla era visibilmente infastidita, quella volta era veramente impossibile darle torto.
-Qual è il tuo cavolo di problema? Oltre a quello evidente al cervello…- Matilde sbuffò e si guardò allo specchio. Aveva fatto un discreto smokey agli occhi, ma aveva sempre la paura di esagerare e sembrare una delle ballerine della discoteca più che una normale ventenne.
-Troppo pesante?- L’altra fece cadere le magre braccia lungo i fianchi e la guardò sconvolta.
-Ma se si vede solo l’eyeliner!- L’altra si guardò di nuovo allo specchio. Dovette far tacere le sue paranoie e per una volta darle ragione , non aveva per nulla esagerato. Evitò di pensare al fatto di aver perso dieci minuti allo specchio con quell’indecisione idiota, mise il rossetto e uscì dal bagno, sentiva l’amica seguirla velocemente, probabilmente non l’avrebbe più persa di vista, l’avrebbe tampinata e  ad ogni pausa le avrebbe ricordato il già ampio ritardo.
-Sai almeno che metterti?- Lei annuì e indicò i vestiti sparsi sul letto.
-Ho queste tre possibilità.- L’altra sbuffò, aprì l’armadio e tirò fuori un tutina nera dal pantalone corto.
-Questa è spettacolare, ti sta benissimo e non la metti mai. Quindi bando alle ciance e mettitela.-
-Ma non era tra le possibilità!- Carla sembrò non sentirla, tolse l’indumento dalla gruccia e glielo tirò addosso. In effetti, pensò guardandola, non era per niente male.
-Vabbè stavolta posso ascoltare te…- si vestì in fretta e senza ulteriori pause uscirono dall’appartamento.
Nonostante i tacchi evitarono di prendere il taxi, il locale era molto vicino a casa loro, il che probabilmente lo avrebbe reso uno dei loro preferiti.
Era la serata d’apertura, e la fila era già infinita.
-Ok.- Carla sospirò, e prese il telefono –Non esiste che facciamo la fila. Abbiamo mollato cinquanta euro per il tavolo al privè.-
-Scrivi a Jo, quello ti ama. Viene a prenderci in tre secondi.- L’altra abbandonò subito l’espressione cazzuta e sorrise imbarazzata. Se si fossero trovate in casa o davanti a un tea Carla si sarebbe subito messa a negare la cosa, in quel momento però scosse solo la testa e arrossì leggermente. Scrisse comunque al ragazzo che poco dopo uscì dalla porta in metallo del locale e le chiamò a gran voce.
Fece  capire al buttafuori con un gesto cha stavano con lui e poterono  entrare dentro.
-Ciao bellezze!- Abbracciò le ragazze, ovviamente soffermandosi di più su Carla. Jo, o Jonathan, era un dei senior della loro compagnia o come si vantava sempre lui il vero creatore di quel gruppo di amici, si erano conosciuti ancora prima di entrare all’università, durante i corsi estivi di preparazione ai test di medicina. Lui era stato il solo dei tre a riuscire ad entrare, l’unico in realtà a tenerci realmente. Era un tipo più piacente che bello nel senso classico del termine, aveva in  più dei modi assurdamente affascinanti. Matilde si sorprendeva ogni giorno di come la sua amica potesse resistere alle sue avance.
-è già un delirio dentro!- Le due sorrisero nel vederlo così su di giri.
- E lui invece è già ubriaco da quest’ora…tutto tuo!- Carla scosse la testa e ignorò sia l’esclamazione dell’altra che la sua scherzosa gomitata.
Quando entrarono dentro al locale rimasero senza parole. Il Crazy Monkey era meglio di ciò che si erano aspettate: il piccolo teatro era stato ritirato a lucido e dal soffitto scendevano numerose altalene somiglianti a liane con pupazzi a forma di scimmie.
I due piani erano già stracolmi di persone, molte delle quali avevano già iniziato a scatenarsi. Avanzarono a fatica tra tutta quella gente fino alla zona dei tavolini, dove tutto il loro gruppo era riunito.
-Eccoleeee!- Martina le salutò con il solito calorosissimo abbraccio. Poi fu il turno dei ragazzi, che salutarono quasi tutti con due baci.
-Come mai così in ritardo?- Martina dovette urlare per superare il chiasso e la musica là intorno, in realtà la sua era più una domanda retorica, Carla era una specie di orologio svizzero, non sarebbe arrivata in ritardo nemmeno se pagata, quindi era ovvio chi avesse causato il ritardo.
-Colpa mia. Non mi decidevo col trucco.-
-Fammi indovinare, ti sentivi una battona?-  Matilde sbuffò scherzosamente –Comunque ho già trovato la tua nuova conquista cocca, e fidati mi ringrazierai. Lo vedi quel ragazzo vicino a Matteo?- Lo indicò con un discreto gesto del capo, seguendo il suo gesto Matilde vide un ragazzo a lei sconosciuto, dai capelli castani disordinati e un piacevole sorriso sbarazzino sul viso. Sembrava conoscere i ragazzi, ma per quanto si sforzasse non ricordava di averlo mai visto.
-Carino…-
-Carino un piffero mia cara. Se non stessi con Matteo adesso sarebbe già tutto mio, è un vero bocconcino. E guarda caso mi sembra proprio il tuo tipo.-
-Sai almeno il nome o me lo propini così senza nemmeno sapere chi è?- Lei fece un gesto con la mano come per scacciare una mosca fastidiosa dal viso dell’amica.
-Si da il caso che lo sappia. Luca Rocciani, rampollo della Milano bene e figlio di un chirurgo che sia Jo che Matte venerano, studente al terzo anno di Odontoiatria… purtroppo non so il gruppo sanguigno.- Matilde sollevò sorpresa le sopracciglia, si era informata la ragazza. Lo guardò un’altra volta, ora finalmente curiosa. Doveva ammettere che era veramente bello, aveva un viso elegante dall’aria un po’ aristocratica, non che poi si desse chissà quali arie, rideva e scherzava come gli altri, ma aveva un modo di fare più controllato. Proprio mentre decideva se valesse la pena buttarsi dopo tanto tempo di solitudine sicura lui sollevò di scatto lo sguardo trovandola a fissarlo pensierosa come una stupida. Arrossì di scatto e si sforzò di far finta di osservare la sala.
-Che figura di merda.- Carla le lesse nel pensiero –Ti ha trovato a fissarlo come una scema, e ora ti sta fissando lui.-  Le due ridacchiarono dell’amica, mentre Matilde le malediceva a voce bassa.
-Carla guarda com’è imbarazzata! Che carina…-
-È già amore!-
 
 
Dopo due drink piuttosto carichi aveva già dimenticato la figuraccia con quel ragazzo sconosciuto, la musica aveva iniziato a entrare nel vivo e sia lei che Carla ballavano al centro della pista sulle note dei Lmfao.
-Ehi!- Matilde guardò interrogativa l’altra, che le indicò i due drink ormai vuoti.
-Ne vado a prendere due, dammi il bicchiere!- Carla capì poco o nulla, ma le passò il bicchiere. Era già brilla da un po’, anzi diciamo che un altro drink non era proprio raccomandabile. Era anche vero che erano rimaste a casa per quasi un mese a studiare e abbruttirsi sui libri, un po’ di divertimento era quello per cui erano uscite. Decise così di arrivare ad un compromesso e caricarlo poco di vodka.
Prese il bicchiere dell’amica, le raccomandò di non muoversi  e si avvicinò al tavolino poco distante, prese la grande bottiglia di belvedere ormai agli sgoccioli e ne mise poca in entrambi i bicchieri, per poi rovesciarci dentro due lattine di redbull e due cubetti di ghiaccio.
Quando si girò vide che Carla non era più dove l’aveva lasciata.
-Oh cazzo. Merda…- lasciò i bicchieri sul tavolo e si guardò intorno confusa, della figura minuta dell’amica non c’era traccia. Si avviò veloce verso i bagni, scansando gli altri e guardandosi sempre attentamente intorno. Spalancò la porta di ogni cubicolo, pensò di entrare anche in quello degli uomini ma preferì prima tornare al tavolo, era meglio non fasciarsi la testa prima del necessario.
Quando però per la seconda volta non la trovò si fece davvero prendere dall’ansia.
-Mati!- Una mano sulla spalla la fece sussultare e girare di scatto. Se Jo si era sorpreso da quella sua reazione strana  non lo diede a vedere, mentre al suo fianco Luca Rocciani la guardò confuso, e forse un po’ sospettoso.
-Ti devo presentare un mio amico, guarda che…- fu Luca però a interromperlo prima che potesse continuare.
-È  successo qualcosa?- Lei annuì, lo ringraziò mentalmente per quella accortezza e spiegò ai due la situazione. Vide l’espressione di Jo cambiare e imbuirsi gradualmente.
-Ha bevuto un po’, ma non pensavo così tanto da allontanarsi.- Nel raccontare l’accaduto non potè non sentirsi una stupida, perché diavolo non le aveva detto di seguirla al tavolo e l’aveva lasciata sola?
-Sono passati comunque solo cinque minuti, non può essersi allontanata tanto- Jo la guardò scocciato.
-Lo spero!- Se fosse stata un’altra occasione gli avrebbe risposto a tono, ma in quel caso la sensazione di essere responsabile di quanto era accaduto la spinse a tacere.
-Discutere qui non ci servirà a nulla. Ci dividiamo e la cerchiamo dappertutto.- i due ragazzi lo guardarono sorpresi, sembrava aver preso in mano la situazione in pochi secondi, perciò annuirono d’accordo.
-Io vado al secondo piano, è più piccolo.- Jo indicò tutta la balconata superiore.
-Voi due invece controllate qui sotto.- Si divisero di fretta e cominciarono a cercarla.
-è la tua amica bassina, bionda con il vestito blu vero?- Lei annuì, in effetti non aveva pensato che lui non la conosceva. Evitò perciò di proporgli di dividersi a loro volta, avrebbe fermato ogni bionda.
-Quella?- Lui indicò un punto alla sua sinistra. Lei si alzò ancora di più sulle punte, ma non vide nulla.
-Non vedo…- Non finì la frase che Luca le mise le mani calde ai lati del suo viso e le girò leggermente la testa. Intravide una ragazza dai capelli biondo platino. Non era decisamente lei.
Continuarono per altri dieci minuti, poi il telefono del ragazzo vibrò.
-Aspetta è Jo…- Lesse velocemente il messaggio, poi le sorrise e lei capì..
-L’ha trovata?-
-Si, ci aspettano al tavolo.-  Quando arrivarono li videro seduti nei divanetti, Carla curva su stessa mentre Jo le accarezzava il braccio e le diceva qualcosa. La prima cosa che Matilde fece fu correre e abbracciarla, poi cominciò a farle la peggiore ramanzina nella storia della loro amicizia.
-Mi dispiace… mi sono allontanata e poi un idiota mi ha bloccata.- Carla la guardò affranta, così Matilde non se la sentì di continuare a rimproverarla, le disse semplicemente che era contenta di averla ritrovata.
-Vorrei tornare a casa…- Matilde annuì d’accordo, aveva veramente una brutta cera.
-Ti accompagno io…- Jo la guardò preoccupato, poi scambiò uno sguardo con Matilde che dal canto suo non aveva nulla in contrario a lasciargli l’amica in custodia. Carla gli sorrise riconoscente mentre lui le accarezzava una mano.
“Qui gatta ci cova…” un sorrisino fece capolino nel suo viso ma preferì non dire nulla, si girò e quando intravide Luca gli sorrise.  Lui si avvicinò e lei finalmente lo ringraziò dell’aiuto.
-Di nulla, aiutarti è stato un piacere.- il sorriso che le fece riuscì a farla arrossire tanto da sperare che le luci azzurre del locale mitigassero le sue guance rosse.
-Si ehm… ora Jo la riaccompagna a casa.-
-E tu con chi torni?- lei fece spallucce.
-Sono qui vicino…-
-Si, ma piove a dirotto fuori!- Matilde non riuscì a trattenere un grugnito arrabbiato, diavolo di previsioni del meteo, non ne azzeccavano una.
-Ti accompagno io, sono in macchina.-
 
-------Ottobre 2014 

Quel venerdì per la prima volta da un po’ di tempo sia Eva che Matilde riuscirono ad arrivare in tempo rispettivamente all’asilo e a lavoro, nonostante la piccola avesse fatto di tutto quella mattina per ostacolare sua madre nel preparala. Era talmente emozionata per la cena di quella sera da agitarsi e dimenticarsi ogni cosa le chiedesse la madre.
Entrambe passarono la giornata pensando quasi ininterrottamente alla serata che le aspettava, Eva raccontando a tutti di come sua mamma e papà si amassero, mentre Matilde ci rimuginava un po’ preoccupata. Dal giorno prima, quando sua figlia aveva fatto quell’osservazione, i pensieri malinconici sembravano non volerla lasciare. Alfredo arrivò alle 12 spaccate e vedendola così malinconica  le ordinò di alzare il culo e accompagnarlo alla Rinascente a scegliere una borsa, secondo lui lo shopping poteva risolvere qualunque problema femminile.
-Per tua madre?- Dovette trattenere una risata nel vedere il viso dell’amico incupirsi offeso.
-Scusa vorresti dire che ho solo una donna a cui fare regali… e questa è mia madre?!-
-Nooo. Mai detto o pensato.-
-Beh detto da te guarda… ultimamente non sei proprio una latin lover.- Lei gli dedicò la sua linguaccia più brutta mentre si vestiva per affrontare il freddo di quell’autunno.
-Dai per chi sarebbe la borsa?- Lui fece un gesto vago.
-Un’amica.- Lei sollevò le sopracciglia e lo guardò scocciata. Sapeva che lui non aveva amiche, se non se stessa e il motivo era proprio l’essere una mamma, non era nel suo radar. Se avessero cominciato a illustrare lo Zanichelli di fianco al termine sciupafemmine Alfredo si sarebbe di certo guadagnato il posto d’onore. Lo aveva visto accompagnato da donne di tutti i tipi, nazionalità ed età. Donne eleganti e colte, ragazzette urlanti, musiciste rock, bisessuali alternative e persino qualche sportiva piuttosto famosa.
-Si certo…- Preferì comunque non insistere, sapeva che non avrebbe mantenuto per tanto il segreto, doveva solo aspettare e il nome lo avrebbe scoperto da lui.
-Avevi qualcosa in mente?-
-Si, dai 400 euro in su. Devo farmi perdonare.- Lei lo guardò a bocca aperta.
-Le hai ucciso il gatto?- Lui ridacchiò, ma dallo sguardo cupo nei suoi occhi verdi capì che se anche non le aveva ucciso il gatto aveva combinato qualcosa di grave.
-No, le ho solo ucciso l’orgoglio. Il che per alcune donne è peggio.-
 Rimasero fino alle tre dentro al primo piano del negozio a valutare i pro e i contro di stupende borse insieme ad Alfredo. La commessa all’inizio aveva ronzato attorno al ragazzo come un’ape sul miele, poi dopo la sua seconda ora di atroci dubbi era fuggita a gambe levate ignorando la somiglianza a Jude Law e il portafoglio evidentemente pieno.
-Alfri, ora davvero mi sto irritando… o la nera o la grigia, non c’è tanto da scervellarsi.- Guardò le due borse e sembrò ancora più confuso di prima. Si sedette su una delle poltroncine e sospirò stanca. Poco prima aveva preso un’aspirina, ma sembrava essere servita a poco contro quei fastidiosi sintomi. Lui la guardò interrogativo, probabilmente doveva aver notato il suo stato.
-Tutto bene?-
-Insomma, ieri ho preso un po’ di freddo. Niente che un buon tea caldo non possa risolvere.-
-Te ne offro uno io appena finiamo qui.- Lei scosse la testa, per quanto bere te e mangiare biscotti in qualche bel localino non le dispiacesse ne aveva piene le tasche di Alfredo, almeno per quel giorno.
-Oh basta. Io devo andare, ti arrangi! Sai com’è ho la tua galleria da mandare avanti.- Lo sentì lagnarsi, ma evitò di ascoltarlo e senza guardarlo attraverso le porte scorrevoli lasciandolo alla mercè di Gucci e Michael Kors.
 
 
Quando alle sei andò a prendere Eva all’asilo evitò di aspettare fuori con le altre mamme. Quel giorno non aveva voglia di ascoltare le solite frasi fatte, le vanterie false sui loro figli fenomeni e le inutili lamentele sulle maestre. Afferrò una bottiglia d’acqua e mandò giù una moment.
Uscì solo al suono della campanella e fece un gesto appena vide Eva. La bambina la raggiunse subito, forse aveva capito l’antifona o più probabilmente aveva fretta di tornare a casa in vista della cena.
-Ciao tesoro. Com’è andata?-
-Ciao ma! Da oggi mi dovrete chiamare principessa o ballerina! È andata bene, la maestra però mi ha messo in punizione per cinque minuti.- Nel sentire quelle parole non seppe se arrabbiarsi o ridere. Prima di tutto c’era da investigare su cos’aveva combinato per meritare una punizione, ma soprattutto sul motivo di quei due ridicoli soprannomi.
-Prima di tutto le principesse e le ballerine non finiscono in punizione, quindi al massimo ti chiamerò disgrazia, e quando racconterò a papà cos’hai fatto sarà d’accordo con me.- Vide sua figlia agitarsi sul posto, ma con un gesto secco bloccò il suo solito scoppiò di spiegazioni e scuse campate in aria.
-Cos’hai fatto? E stavolta non inventarti storie sui fantasmi perché lo sai benissimo che non ci credo.- Eva ci pensò su per qualche secondo, il che significava che stava inventando qualche balla colossale.
-Se menti ti chiamerò Pinocchia davanti a tutti.- Si fermò al rosso e la guardò mentre si toccava il naso preoccupata. Era incredibile quanto fossero creduloni i bambini.
-Ho tirato i capelli a Noemi.-
-Oh, e ci voleva tanto a confessarlo? Perché le hai tirato i capelli?- La bambina cominciò a raccontarle una confusa vicenda in cui centravano ruoli da protagoniste in giochi, bambole e padelle giocattolo. Inutile dire che lei si perse dopo poco, ma annuì comunque e alla fine le fece una ramanzina coi fiocchi. In realtà, per quanto la violenza non fosse il mezzo giusto, era contenta che sua figlia si sapesse difendere. Anche lei alla sua età ne aveva combinate, perciò da un certo punto di vista poteva persino capirla.
Quando arrivarono a casa si prepararono, più che altro Eva si mise particolarmente in ghingheri: mise il nuovo vestitino in velluto rosso scuro e un paio di scarpette nere e lucide, scelse di lasciare i capelli sciolti e mettere solo  due forcine argentate. Matilde sorrideva e la guardava specchiarsi, se le marachelle le aveva ereditate da lei  era certa invece che la vanità era un lascito dell’altro ramo della famiglia.
Ci mise talmente tanto a preparare Eva che quando Luca suonò il citofono lei non aveva nemmeno iniziato a vestirsi.
-Eva guarda dal videocitofono se è papà. Se è lui apri.- Qualche secondo dopo sentì la bambina urlacchiare felice e la voce di Luca riempire il salotto.
Si infilò velocemente un paio di jeans, il meraviglioso maglione bordeaux che le aveva regalato sua madre pochi giorni prima (sperò vivamente non ci fosse puzza di cibo nella trattoria, nemmeno sapeva come si lavava quella meraviglia) e le converse. In due minuti ritoccò il trucco e finalmente si unì ai due in salotto.
-Ciao.- Luca sollevò lo sguardo dal viso di Eva e le sorrise.
-Mamma papà ha la barba che pizzica!- L’esclamazione la fece ridere. Si avvicinò e lo salutò come al solito con due baci sulle guance, quando sentì lo sfregare piacevole della barba sul viso guardò  sorpresa la bambina.
-Hai pizzicato anche mamma!- Li guardò ridere e non potè che sorridere anche lei di quella scena. Notò, con una materna nota apprensiva, che Luca aveva iniziato a fare il gioco preferito di Eva: sollevarla e farla girare un paio di volte in aria. 
Anche lui aveva scelto un abbigliamento casual quella sera. Doveva aver finito come al solito le lenti a giudicare dagli occhiali, insieme al maglioncino e alla barbetta da uomo vissuto sembrava un professorino di Matematica pronto da prendere in giro. Si ripromise di ricordarglielo durante la serata e farlo un po’ arrabbiare. In realtà stava bene anche così, se fosse stato davvero un professore avrebbe infranto abbastanza cuori nelle sue classi da giustificare un suo licenziamento.
Appena si stancò di lanciare in aria la bambina si scambiarono le solite frasi di circostanza, poi finalmente partirono.
Durante il tragitto in auto fu soprattutto Eva a parlare, raccontò a Luca di tutto, mentre lui rideva o faceva qualche domanda idiota come suo solito, in più le diede anche corda sulla storia dei soprannomi chiamandola Principessa ballerina ogni volta che poteva.
Il locale era strapieno, per fortuna Luca aveva chiamato prima per prenotare un tavolo, perciò quando il cameriere sentì il cognome li accompagnò fino ad un tavolino un po’ in disparte.
Luca scelse subito, mentre Matilde aiutò Eva e poi andò sul sicuro prendendo dei ravioli ai funghi e lo spezzatino della casa.
-È un bel posto, molto rustico, ma comunque elegantissimo.- Lui annuì.
-Non posso prendermi il merito di averlo scoperto. Ci ha portato qui uno dei professori che dirigevano il congresso della settimana scorsa.- Lei annuì, ricordava di avergli sentito parlare di qualche nuova riunione.
-È andato bene?- Lui annuì, in generale parlava poco del suo lavoro,  le confessato un giorno di avere sempre paura di annoiare.
-Si va tutto bene, anche il lavoro va a gonfie vele, ogni tanto anche troppo.-
-Perché non prendi un aiuto, fare tutto da soli non è sempre una buona idea.- Lui annuì.
-Si, ma lo ha detto mille volte anche papà, e stavolta dovrò ascoltarlo. Anzi stavo già pensando di chiedere a un paio di persone di venire un paio di volte alle settimana nello studio, fare le cose più semplici e liberarmi così da un po’ di lavoro.- Lei lo ascoltò attenta.
-Ah mi stavo dimenticando, la prossima settimana accompagno una collega nella tua galleria. Stava cercando un dipinto, suo padre le ha chiesto qualcosa per una villa fuori città.- Doveva essere una della sua comitiva di ricconi se cercava un quadro d’autore per una casa in campagna.
- Ho subito pensato alla vostra galleria. Per quanto Alfredo mi stia sulle balle mi fido del tuo giudizio.- La guardò con un sorriso dolce in viso, ma questa volta lei non gli rispose con altrettanto calore. Non aveva mai digerito tanto la confidenza che Alfredo aveva con lei ed Eva, ma non aveva mai espresso la cosa tanto chiaramente prima.  Sapeva che non ne aveva diritto, in più Alfredo per lungo tempo aveva tappato il vuoto che lui aveva lasciato e nonostante fossero passati anni i sensi di colpa erano difficili da far tacere. Invece quel giorno era scoppiato con quell’esclamazione senza senso. Matilde evitò di farglielo notare, non voleva rovinare quella serata a causa delle vecchie gelosie di Luca.
-Certo, tanto gli orari li conosci. Sono arrivate nuove tele molto interessanti. E comunque anche Alfredo ti odia sempre, in modo estremamente elegante sia chiaro- Gli sorrise educatamente, lui la guardò pensieroso ma sembrò trattenersi dal dire qualcos’altro. Guardò semplicemente l’anatra sul suo piatto e ne infilzò un pezzo nervosamente. Per fortuna poco dopo Eva ricominciò a raccontare di qualche sua avventura strampalata e l’aria sembrò alleggerirsi, nonostante per tutta la sera i due genitori si scambiarono si e no altre quattro parole
 
La cena finì presto, erano tutti e tre piuttosto stanchi, perciò appena terminarono il dessert ritornarono alla macchina. Eva si coricò nei sedili posteriori, addormentandosi in poco tempo.  
-Stai bene?- La domanda di Luca la colse un po’ di sorpresa, pensava non si fosse accorto della stanchezza e di quei brividi di freddo che ogni tanto l’avevano fatta tremare durante la cena, e soprattutto credeva fosse ancora troppo offeso per rivolgerle la parola.
-Insomma… ieri ho preso freddo.- Lui la guardò leggermente corrucciato.
-E perché non me lo hai detto prima? Avremo potuto rimandare…-
-Se avessi visto come era felice Eva non diresti così, è da ieri sera che non fa altro che parlare di te.- Lui sorrise e guardò la piccola dallo specchietto retrovisore. Nei suoi occhi vi era un affetto talmente forte da lasciare quasi incantata Matilde, poi però si rigirò verso di lei e qualcosa inevitabilmente cambiò. C’era stato un tempo nel quale anche a lei venivano dedicati sguardi di nascosto e carezze leggere, ma era bastato un no per distruggere quell’equilibrio un po’ sbagliato che si erano costruiti.
Non aggiunse nulla, semplicemente allacciò la cintura e accese la radio. Luca sembrò capire  e senza dire altro infilò le chiavi nella toppa e partì.
Era proprio per quel motivo che preferiva non unirsi alle cene insieme a loro due, i problemi tra lei e Luca erano ancora irrisolti e ogni volta finivano per discutere. Non era un bene  per nessuno, perciò si ripromise di non accettare altri inviti, per quanto le dispiacesse era meglio allontanarsi da Luca.
Appoggiò la testa sul finestrino e guardò le luci fuori dalla macchina scorrere veloci, sospirò piano e sperò solo che quella decisione non ferisse nessun’altro oltre a se stessa, o almeno non così tanto. Lei ormai aveva imparato a relegare i suoi sentimenti in un cassetto insieme a quell’anello maledetto. 

Ciao gente!!! Eccomi con il secondo capitolo, dove come vi avevo promesso ho inserito anche un frammento del Flashback della prima parte della serata ell'incontro tra Matilde e Luca. La seconda parte della serata sarà inserita nel prossimo capitolo (che sarà dal punto di vista del nostro infallibile Luca). 
Che dire, questo capitolo mi ha lasciato un pò con l'amaro in bocca... non ne sono molto soddisfatta... Spero che Luca non vi sia piaciuto, perchè in questo momento non piace molto nemmeno a me, ma non preoccupatevi si rifarà in futuro!!! 
Fatemi sapere cosa ne pensate ragazze!! Ah e ringrazio tutte coloro hanno commentato, e inserito la storia tra seguite, preferite ecc... Grazie mille! A presto gente!!
P.S: Io non amo molto quando gli altri autori mettono delle immagini di attori ecc.. a cui i personaggi possono assomigliare o a cui si sono iscirate, ma se qualcuna di voi volesse sapere quali sono i miei me lo faccia sapere!!! 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Parenti serpenti ***


Dicembre 2009
Il rosso scattò all’improvviso costringendolo a spostare il piede con forza nel freno. La berlina tedesca inchiodò ubbidiente e docile. In realtà Luca non avrebbe nemmeno dovuto guidare, aveva perso una lente a contatto e aveva bevuto abbondantemente, eppure era talmente su di giri da sentirsi capace persino di correre su una pista di formula1. Gli occhi caddero come calamitati sulla ragazza di fianco a lui e d’istinto aumentò la stretta delle sue mani sul volante.
Guardò la  nuca scoperta di Matilde,  lei guardava fuori e ogni tanto beveva dalla bottiglia di vodka che era riuscita a sgraffignare dal locale. Il contrasto tra capelli neri e pelle diafana, il collo magro ed elegante, la leggera gobba sul naso, la piccola sbavatura di mascara nell’angolo e il pizzo leggero del vestito sulle spalle magre. Persino i dettagli di quella quasi sconosciuta lo facevano eccitare, era incredibile come lo avesse colpito all’improvviso; forse era stato il fascino da Biancaneve in nero, forse il fatto che a differenza di altre non aveva fatto l’alcolizzata cubista in discoteca… L’aveva notata guardarsi attorno all’inizio della serata e non aveva potuto non rimanerne affascinato. Si sentiva un po’ idiota a descrivere la cosa in quel modo, insomma sembrava di sentire sua cugina di quindici anni parlare al telefono con la sua migliore amica, diede di nuovo la colpa all’alcol.  Dopo averci pensato su arrivò alla conclusione che il motivo di quell’attrazione non era poi così importante, non era sua abitudine porsi tutte quelle domande, l’importante era che in quel momento Matilde era seduta sul sedile del passeggero, e lui avrebbe tirato fuori tutti gli assi nella manica per poter riaccompagnarla fino a casa sua.
-Ne vuoi?- Quasi sobbalzò nel sentire la sua voce bassa dopo tutto quel silenzio.
-No... o finiremo davvero contro un palo.- Lei sorrise e guardò la strada di fronte a sé. Si chiese se forse si fosse persa in qualche pensiero o semplicemente le piacesse guardare la strada, le luci o chissà cosa.
-Guidi sempre così?- Ruppe di nuovo il silenzio con quella domanda divertita e lui si chiese cosa intendesse, aveva sempre guidato in quel modo. Forse trovava la sua guida era un po’ troppo sportiva.
-Si, perché vado troppo veloce?-
-Diciamo che sto bevendo anche per quello.- Lui alzò il piede dall’acceleratore,  scalò la marcia e sentì il motore della Bmw acquietarsi docilmente.
-Io rallento e tu smetti di bere?- Luca sentì gli occhi scuri della ragazza puntati su di sé, si girò e vide nel suo sguardo una sfida e una scintilla che sembrava cozzare con la sua apparenza tranquilla. Non ci volle tanto prima che lei poggiasse di nuovo la bocca sulla bottiglia e  facesse un piccolo sorso di alcol. Luca scosse sconsolato la testa, probabilmente se non le avesse detto nulla Matilde non avrebbe bevuto un'altra volta, invece con quella domanda aveva fatto nascere in lei la scintilla della ribellione.
La cosa si faceva interessante.
-Sei cocciuta.- La vide ridacchiare.
-Non così tanto… a volte mi diverte però.- Rimase un attimo in silenzio, poi a voce più bassa riprese.
-Diverte anche te.- A quel punto Luca davvero dovette sforzarsi di non bloccare la macchina e placare almeno in parte quel bisogno che aveva di sentirla più vicina. Le mani formicolavano fastidiosamente e sembrava che la strada non finisse mai. Diamine erano passati cinque minuti e gli sembrava  di aver percorso mezza città.
Guardò con intensità la luce verde del semaforo sperando diventasse rossa e gli permettesse di fermarsi almeno tre minuti, il tempo di slacciare la cintura e baciarla come si deve, era certo che poi quella strana tensione sarebbe diminuita.
Diavolo diventa rossa, dai… diventi sempre rossa possibile che ora mi lasci via libera così.  
-Gira a sinistra.- Svoltò all’improvviso senza nemmeno mettere la freccia e Matilde rischio di finirgli addosso a causa della forza della manovra.
-Scusa.- Lei si sistemò una ciocca di capelli e lo guardò con un’espressione divertita e preoccupata insieme.
-Ricordami di non accettare più tuoi passaggi. O almeno di fare prima il testamento.- Mentre parlava gli indicò un palazzo bordeaux dall’elegante porta d’ingresso nera. Parcheggiò di fretta e male dietro un’utilitaria grigia e appena spense il motore la tensione sembrò colpire anche Matilde.
-Eccoci…- Le sorrise cercando di interpretare la sua espressione. Era bastato girare la chiave della macchina per farla ammutolire.
- Eccoci… grazie del passaggio Luca.- Lui alzò le spalle, minimizzò la cosa, che in effetti non era nulla. Lo avrebbe fatto anche senza quel doppio fine che aveva in mente.
-Di nulla.- Sospirò e le fece la domanda da un milione di euro. Quando le chiese se poteva salire su con lei la vide arrossire e distogliere lo sguardo.
Non era la reazione che si era aspettato, di solito riceveva un si, un bacio o almeno una conferma (oddio ad essere del tutto sinceri era successo anche che lo rifiutassero malamente, nessuno era perfetto). Eppure era certo di interessare a Matilde, lo aveva visto nel suo modo di arrossire, di abbassare lo sguardo e di osservarlo a lungo.
-Sapevo che me lo avresti chiesto, stavo pensando a questo prima.- Lui annuì impaziente.
-Ma per quanto tu mi piaccia la risposa è no. Anzi assolutamente no.- Una cosa che aveva sempre notato era che le donne adoravano fare dei discorsi di quel genere, mettere insieme cose e concetti che insieme stonavano terribilmente e auto contraddirsi. Per quanto tu mi piaccia significava una cosa, ma quel rifiuto aveva tutto un altro significato… o almeno quello era ciò che la logica dettava.
Annuì sconfitto, preferì non insistere.
“Ho perso la battaglia, non ho ancora perso la guerra”
Era meglio non fare troppo il disperato, anzi in certe occasioni era persino consigliabile una buona e sana dose di orgoglio. Perciò annuì e le chiese di poterla almeno accompagnare al palazzo.
Lei gli sorrise e annuì.
Alla fine la seguì fino all’ascensore, lei si bloccò a cercare le chiavi mentre Luca alle sue spalle si allungò per schiacciare il tasto.
Le porte scorrevoli si aprirono all’improvviso sorprendendoli e lo specchiò dell’ascensore li immortalò in quel momento di vicinanza e quasi intimità. Lui era ancora chinato, il viso pericolosamente vicino al suo collo cosi invitante, l’espressione del suo viso poi era talmente desiderosa che quando Matilde lo vide attraverso il riflesso perse di nuovo le chiavi nella pochette. Sarebbe stato normale vedere quella scena di una coppia, perché sembravano così belli e veri, fatti quasi l’una per l’altro. In realtà non si conoscevano nemmeno, nemmeno sapevano i rispettivi cognomi. Così quel riflesso così strano, raro e inaspettato li bloccò sul posto, Luca trattenne il respiro mentre uno strano bisogno gli attraversò il petto fino ai lombi.  
Appoggiò le mani sulla sua vita e la spinse leggermente indietro facendola aderire contro di se e lasciando che le porte si chiudessero di fronte. Matilde si girò velocemente e guardò gli occhi scuri di quel ragazzo così silenzioso, poi il suo sguardò non potè non scendere fino alle sue labbra dischiuse e una voce chiara nel suo cervello si chiese quanto tempo ancora avrebbe voluto aspettare e farla impazzire
-All’inizio ho avuto paura che fossi tu la famosa Carla di cui parlava sempre Jo, quando poi ho scoperto che non eri lei non sono riuscito a staccarti gli occhi di dosso.- Lei sospirò e distolse lo sguardo, doveva averla imbarazzata parecchio con quella frase, ma era meglio sfruttare quell’onda di coraggio (un po’ alcolico) e fare breccia dentro di lei in quel momento. D’altronde si diceva sempre che il cuore delle donne fosse mutevole, farla emozionare così gli avrebbe permesso di non essere dimenticato così in fretta.
-A quante lo hai già detto?- Lui ridacchiò, nonostante fosse così imbarazzata non perdeva occasione di punzecchiarlo. Sempre più eccitante.
Le prese il mento tra le dita e la costrinse a guardarlo di nuovo.
-Solo alla peggiore.- Passò un dito sul suo labbro inferiore, poi la mano si spostò nella nuca e l’attirò verso di se.
Quando sentì la morbidezza di quel bacio dovette davvero trattenersi dallo stringerla come le sue braccia avrebbero voluto. La sentì gemere piano e con la lingua prese a carezzare quella della ragazza. Poi avvicinò il corpo di Matilde al suo, abbastanza da sentirla contro ma così tanto da farla fuggire via in quell’ascensore.
Si staccarono dopo alcuni secondi, lei aveva il respiro talmente affannato da farlo sorridere. Decise di dare una tregua alle sue labbra e dopo averle fatto un sorriso divertito prese a baciarle dolcemente la pelle del collo, spostando la sciarpa mano a mano che scendeva. 
Era evidente che la cosa le piacesse particolarmente, e anche il fanciullo nei piani bassi sembrava apprezzare la morbidezza della sua pelle, ma appena tentò di riappropriarsi di quelle labbra una voce li fece sobbalzare e voltare.
Un uomo di mezza età li guardava scocciato e con le braccia incrociate.
Nessuno dei due si era accorto della sua presenza, anche se sicuramente doveva essere entrato dalla porta d’ingresso. La divisa che aveva addosso lasciava poco spazio all’immaginazione, il portiere del palazzo era appena tornato a lavoro.
-Ragazzi vedete di calmare i bollenti spiriti, sono le sette e l’ingresso non è una camera da letto!- Se si fosse trovato a casa sua avrebbe probabilmente riso a crepapelle, ma vedendo l’espressione imbarazzata di Matilde decise di evitare altre figure di merda.
-Io… ecco, devo proprio andare.- la guardò sistemarsi meglio la sciarpa e cercare di nuovo le chiavi nella borsa.
-Ci sentiamo presto Matilde.- Lei lo guardò con una strana espressione ironica, come se in realtà non credesse alle sue parole. Le avrebbe voluto dire che ancora non sapeva in cosa si era cacciata affascinandolo in quel modo. In realtà nemmeno lui sapeva davvero in che cosa si era cacciato… e col senno di poi avrebbe ricordato quegli istanti per tutta la vita.
Le rubò un ultimo bacio a stampo e poi corse via da là prima che il portiere lo linciasse.
Appena entrò in macchina la prima cosa che fece fu prendere il telefono e chiedere il  numero di Matilde a Jo.
 

 
 
 
 
 
La campanella della scuola lo fece sobbalzare leggermente, aveva la testa immersa in vecchi ricordi e l’incontro del giorno prima con Matilde ne era probabilmente la causa. Sapeva benissimo che dopo ogni loro incontro i problemi irrisolti sembravano non solo accumularsi ma tornare anche pericolosamente a galla. Se tempo prima erano quasi tutti problemi di sopravvivenza (come dividere l’affidamento della bambina, poi era sopraggiunto il fatto che lei non volesse il suo denaro, per non parlare poi delle pressioni delle loro famiglie) ora invece che le cose erano più organizzate vecchi attriti sembravano tornare in superficie.
Quel sabato, come quasi tutte le settimane, era il  suo turno con Eva. La tabella di marcia era sempre la stessa da ormai più di un anno: Matilde accompagnava la bambina a scuola, lui poi andava a prendere nell’appartamento (di cui aveva le chiavi) il piccolo trolley con i vestiti e alle due andava a prenderla all’asilo, per poi riportarla a casa sua la domenica sera.
Uscì dall’abitacolo della macchina e camminò verso il cancello rosso dell’asilo, dove un importante numero di mamme, nonne e zie entravano in fila disordinata. C’era anche qualche altro uomo, ma loro erano perennemente in minoranza e la cosa lo metteva sempre alquanto a disagio. Non che qualcuna di loro fosse mai maleducata nei suoi confronti, ma le donne tendevano a guardarlo in modo un po’ troppo curioso, a spettegolare poco delicatamente di fronte a lui e a fare domande trabocchetto. In realtà sapeva già quali risposte dare alle ripetitive domande, la più gettonata era sempre dove fosse la bella Matilde… come se lui dovesse sempre essere al corrente dei suoi spostamenti. Lui rispondeva con un sorriso tirato  e qualche monosillabo, per tutto il tempo non faceva altro che sperare che Eva uscisse in fretta dalla classe. Di solito poi ci si metteva anche la maestra che lo salutava, anche lei lo riempiva di domande e lo invitava sempre a qualche incontro, colloquio, e chi più ne ha più ne metta. Era quasi certo che sua madre lo avesse cresciuto decentemente anche senza andare ogni settimana a qualche colloquio. La cosa che lo faceva sempre sorridere era che la sua insegnante dell’asilo per due anni aveva pensato che sua madre fosse Carmela, la loro governante argentina.
Comunque anche quel giorno dovette spiegare a una nonna che lui non era ne il fratello più grande di Eva ne suo zio, e che ancora non aveva sposato la mamma della bambina. Per fortuna prima che lei cominciasse a rimproverarlo per la sua vita sregolata sentì la voce di Eva chiamarlo e in un attimo se la ritrovò allacciata alle ginocchia.
-Ecco la principessa!- Lei sorrise, gli prese la mano e senza smettere un secondo di parlare si avviò con lui in macchina riuscendo a salvarlo dalle grinfie rachitiche della nonnina tutt’altro che gentile. Appena si allontanarono dalla folla lei cominciò a parlare a raffica.
-Poi Ramona ha detto che lei era la fidanzata di Matteo, e che io dovevo cercarmene un altro!- La guardò dubbioso, facendo quasi fatica a seguire le sue elucubrazioni infantili.
-Matteo? Ma non eri fidanzata con Giuseppe?- Lei sollevò gli occhi al cielo per poi guardarlo quasi penosamente.
-Papà sei proprio smemorato! Tanto tempo fa stavo con lui, almeno 10 giorni fa. Non lo volevo più e Matteo ha gli occhi azzurri azzurri. Così è diventato il mio nuovo ragazzo, ma mi ha lasciato.- Lui sospirò affranto. Se a 5 anni doveva sentire parlare di ragazzi non voleva nemmeno immaginare che discorsi avrebbe dovuto affrontare nel giro di 10 anni.
-Amore i bambini sono così. Ricordati sempre che i maschi sono cattivi, e puzzano…- Lei arricciò il naso.
-Sono dei traditori, non ti devi fidare mai di loro. Anzi diciamo che fino ai 25 anni non devi fidarti di nessuno ok?- Lei ci pensò su.
-Ma tutti i maschi sono così?-
-No, io no, e nemmeno nonno è così. Ma perché noi siamo grandi.-
-Alfredo?- Lui si sforzò di non grugnire al sentire il nome di quell’idiota dell’amico di sua madre.
-Alfredo puzza amore, si sente lontano un miglio.- Avrebbe voluto aggiungere qualche altra descrizione, ma se quelle parole fossero arrivate alle orecchie di Matilde poi avrebbe passato dei minuti poco piacevoli. Si sforzò quindi di trattenersi.
Eva invece spalancò la bocca, sembrava le avessero appena mostrato la sacra sindone. Lo ascoltava con un’attenzione assoluta, come se dalla sua bocca potessero uscire solo verità e teorie meritevoli del Nobel, chissà fino a che età avrei avuto tutto quell’ascendente… sperò che durasse il più possibile.
-È vero! Puzzano !- Dovette trattenere a stento le risate per l’esclamazione della bambina. La guardò mentre ridacchiava e osservò le due codette laterali e i dentini da latte che spuntavano dal sorriso. Nonostante fosse ancora cosi piccola a volte ci vedeva talmente tanta Matilde da fargli impressione.
Parcheggiò di fronte al villino dei suoi e aiutò la bambina con la cintura. Come al solito volle suonare lei il citofono e rispondere alla voce di sua nonna Carola.
Luca anche nelle piccole cose vedeva quanto i suoi genitori amassero quello scricciolo di bambina. Quando andava a trovarli lui sua madre ci metteva una vita ad aprire e il benvenuto gli era spesso data da Carmen, la loro governante.  Sospettava invece che per Eva sua madre  restasse appostata alla finestra in attesa di vedere la sua macchina arrivare dall’angolo. Per non parlare di suo padre.
-EVA!!- Si parlava del diavolo… suo padre, il famoso chirurgo Rocciani li salutava dal giardino di destra brandendo con la mano un paio di cesoie e qualche fiore nell’altra.
-Nonno!- Eva si staccò dalla mano del padre e corse verso il secondo uomo che non trovava inutile e puzzolente, il suo adorato nonno, che per lei metteva da parte quel suo fare freddo e autoritario  per che tutti gli ricordavano e temevano. In realtà entrambi i suoi genitori sembravano essere altre persone in compagnia di Eva.
Vide suo padre baciarle la manina e regalarle una margherita, poi la bambina corse verso l’ingresso, senza fare ovviamente attenzione a dove metteva i piedi e raggiunse la nonna negli scalini d’ingresso.
Luca si avvicinò a suo padre  che intanto aveva ripreso a tagliare alcuni fiori e potare distrattamente qualche cespuglio.
I due si assomigliavano abbastanza, anche se suo padre aveva i capelli ingrigiti e una figura un po’ più massiccia di lui. Era comunque un bell’uomo e si portava piuttosto dignitosamente i suoi 60 anni.
-Ciao pà.- suo padre fece una pausa per rispondergli con un gesto della mano e un sorriso,  poi riprese il suo lavoro. Ormai sapeva che i suoi saluti silenziosi erano la normalità. Ultimamente sembrava essere al risparmio di parole.
-Sto pensando di piantare un salice qui. Mi sono stufato di questi merda di fiori.- Luca si sforzò di non ridacchiare. Era quasi convinto che suo padre non avrebbe mai rinunciato a quelle aiuole rigogliose, nonostante volesse fare il duro era più che orgoglioso delle sue doti, in più erano anni che sbandierava a tutti i venti quanto le sue rose fossero nettamente superiori di quelle del notaio Moscherini, suo vicino di casa ed eterno rivale. Decise però di dargli come al solito corda.
-Si, se ti sei stufato credo sia una buona idea. Il salice renderebbe in giardino più accogliente.- Il padre annuì convinto.
-Magari ci facciamo un’altalena per Eva. Tu intanto reggimi i fiori, li porto dentro da tua madre così non si lamenta.-  Guardò il punto del giardino che aveva indicato per il salice, ci pensò su, poi parve scacciare l’idea.
-Come va il lavoro allo studio, si tira avanti?- Si alzò velocemente in piedi e si pulì i pantaloni dall’erba incastrata nel tessuto.
-Si, alla grande. Anche troppo per uno solo.- Suo padre annuì. Anche lui ai suoi tempi aveva fatto troppi straordinari e sapeva quanto all’inizio fosse dura gestire il tutto, soprattutto all’inizio quando ci si prefiggono degli obbiettivi che fisicamente sono praticamente irraggiungibili.
-Non esagerare te l’ho detto, sai quanto giovi poco voler fare tutto da soli. Se hai bisogno di una mano non farti problemi e cercala.- Anche in questo caso parlava per esperienza.
-Si, sai che già ci stavo pensando, credo che già dalla prossima settimana comincerò a guardare qualche curriculum.- Suo padre annuì d’accordo. Si girò di nuovo verso l’aiuola e osservò il risultato del suo lavoro.  A giudicare dalla sua espressione corrucciata non era molto contento… guardava scettico la piccola siepe che era talmente quadrata da risultare troppo innaturale, o almeno così pensava Luca, ma lo sguardo insoddisfatto di suo padre gli fece capire che in fatto di botanica, come in mille altre cose, la pensavano in modo molto diverso.
- Questa pianta se non si riassesta la faccio fuori!- Ecco…
-Papà lascia stare la povera fauna del giardino. Entriamo, ho una fame che divorerei un vitello.- il vecchio dottore annuì e gli prese i fiori dalle mani.
-Tua madre ha preparato di tutto oggi, non credo patirai la fame.-
 
E in effetti sua madre si era davvero superata: in primo luogo aveva cucinato lei, e non aveva lasciato tutto alla loro governante, in più aveva cucinato i piatti preferiti della nipote.
Eva divorò quanto più potè, finendo per aver  difficoltà ad alzarsi dalla sedia. Ovviamente di addormentò subito dopo pranzo sul divano dell’altro salotto con addosso il loro vecchio gatto Bengala.
Carmen sparecchiò velocemente mentre sua madre portò il caffè.
-Ci mancava Eva, era quasi due settimane che non la vedevamo.- Una nota di rimprovero nella voce della padrona di casa gli fece quasi sollevare gli occhi al cielo, fu abbastanza forte da riuscire a trattenersi e spiegare che la settimana prima era dovuto andare al congresso, cosa che tra l’altro le aveva detto e ricordato mille volte.
-Eh lo so del congresso, ma sarebbe potuta venire insieme a Matilde a pranzo la domenica, o il sabato…- E in quel momento nonostante ci avesse davvero provato gli occhi andarono a finire nel soffitto, perché aveva già capito dove sua madre sarebbe arrivata.
-Insomma lo sai che a me Matilde  piace moltissimo. È sempre bello averla in casa… è così fine, educata, ha una cultura artistica veramente incredibile!- La donna ormai aveva gli occhi che brillavano, era talmente immersa nella sua lode che aveva persino unito le mani in preghiera. Chi stesse poi pregando era un mistero, forse lui, o forse una statuina dalle sembianze di Matilde messa come nuovo soprammobile, in fondo non si sarebbe sorpreso nemmeno di quello.
C’era da dire che quando era riuscito a confessare ai suoi genitori che nel giro di sei mesi sarebbe diventato padre gli insulti erano stati equamente divisi a entrambi. Matilde era stata definita da sua madre: arrivista, donnaccia, arrampicatrice sociale, puttana, donna di facili costumi e ricordava qualcosa come “sarà la vergogna della nostra famiglia” (o forse quello era stato dedicato a lui). Poi l’incantesimo era avvenuto quando l’aveva incontrata. Per sua madre era stata come la figlia che non aveva mai avuto, anzi meglio… non l’aveva dovuta partorire e allevare, era arrivata già perfetta con una nipotina al seguito.
E da allora in quella casa il nome Matilde era secondo solo a quello di Eva. Poi in ordine arrivavano Benagala e lui.
-Ma se la adori così tanto perché non la inviti? Hai tanto di telefono…- Lei fece una smorfia buffa che probabilmente in un'altra occasione l’avrebbe fatto ridere.
-Ho paura di sembrare indiscreta…o insistente.- Girò il caffè pensierosa,  poi d’improvviso lo guardò in cerca di aiuto. Preso dalla pena decise di tranquillizzarla.
-Mamma ma figurati… non è la tipa da pensare queste cose.- vide la donna sorridere e annuire d’accordo con lui.  Erano bastate tre mezze parole a convincerla.
-Hai ragione… le scriverò subito su Whatsapp! Ho visto che ha cambiato anche immagine di profilo, è proprio bella!- Si costrinse a non annuire o darle corda. Perché anche solo il farle pensare che trovasse Matilde bella o annuire innocentemente  sarebbe stata la sua fine. Che poi probabilmente quella ormai era già molto vicina a giudicare dalla foga con sui cua madre spiaccicava le dita sul touch del telefono.
Suo padre, più furbo e fortunato di lui poggiò la tazzina sul vassoio, prese il giornale e si avviò nella veranda, mentre Luca si trovò letteralmente in balia di sua madre (con uno smartphone in mano oltre tutto).
-Ecco… l’ho invitata a cena il prossimo sabato, e se non può anche a pranzo la domenica!- Luca si sforzò di non farle notare quanto l’invito sembrasse disperato, infondo ormai ci aveva fatto il callo.
-Vedrai che verrà.-
-Oh si, è così educata che non rifiuterebbe mai! Lei ci tiene così tanto a questa famiglia…hai visto che ha rammendato il ricamo sul grembiule di Eva?- Come al solito sua madre si attaccò ai soliti dettagli insignificanti, e forse persino inesistenti. Matilde odiava quelle piccole cose che sua madre invece insisteva ad avere, anzi ottenere. Come i nomi ricamati, le scuole private, le vacanze  alle Maldive sempre uguali a cui lui era stato abituato… insomma per quanto amasse le cose belle non sopportava l’ostentazione.
-No, ma poi chi cavolo se ne frega del ricamo. Secondo te a lei davvero importano queste cose?- Non riuscì, ne tentò, di nascondere il tono sarcastico e probabilmente quell’errore fu la goccia che fece letteralmente traboccare sua madre, tanto che sbattè la tazzina sul tavolo e lo fulminò con un’occhiata al vetriolo.
-È inutile che fai il sarcastico bello mio.- Il cambiamento da donna posata a banshee era stato talmente improvviso da farlo persino allontanare.
- Lo sappiamo entrambi che ti sei fatto sfuggire la donna della tua vita! Sai quante se ne trovano come lei? ZERO! Le vedo le figlie delle mie amiche cosa combinano a trent’anni, sono a casa a bere della mattina alla sera, cambiano uomo come i fazzoletti e hanno figli a quarant’anni!- LA guardò agitarsi sempre di più sulla sedia e sforzarsi di non urlare per non svegliare Eva.  L’unico a guardare la scena era Bengala che li osservava attento, doveva essere stato attirato là dalla voce della padrona.
-Mamma vuoi calmarti?-
-No Luca, non mi calmo! Non ci hai nemmeno provato con lei… e non è giusto che Eva cresca con due genitori separati.-
- Le ho persino chiesto di sposarmi, le ho pure comprato l’anello… Dio che dovevo fare di più: rapirla e chiuderla nello scantinato sperando che cambiasse idea?-Stavolta fu sua madre ad alzare gli occhi al cielo.
-Ovvio che non intendevo questo… ma conoscendoti chissà come le hai fatto la proposta. Come minimo le avrai fatto persino capire che non era totalmente una tua idea.- Quello fu troppo, con uno scatto si alzò, il gatto scappò e sua madre finalmente si zittì. La guardò con lo stesso sguardo che lei gli aveva dedicato poco prima e finalmente riuscì ad ottenere il silenzio. Evidentemente qualcosa da lei aveva ereditato.
-Ma mamma devo ricordarti che non è stata una mia idea? Ti ricordi che tu mi hai letteralmente ricattato?!- Lei boccheggiò in difficoltà. In quella casa vi erano alcuni discorsi tabù, e quello della proposta di matrimonio di Luca era il primo della lista nera.
-Se tu non avessi rotto così tanto i coglioni adesso Matilde non scapperebbe ogni volta che cerco di avvicinarmi.
-Non vorrai farmene una colpa spero?!-
-E di chi sarebbe la colpa?  Hai sfruttato il momento per manipolarmi come al solito.- Lei digrignò i denti e parve sul punto di alzarsi. Poi con un sospiro decise di arrendersi. La vide abbassare le spalle e guardare a terra sconfitta e forse anche un po’ in colpa.
-Pensala come vuoi. Ho fatto ciò che credevo giusto.-
-Oh su questo non ho dubbi. Comunque non venire a ricordarmi ogni tre minuti cosa ho perso, perché già lo so da solo. Ricordati solo che a volte chi si fa i cazzi propri campa cent’anni.-
 
 
Tornare dai suoi il fine settimana era un vero toccasana. Le bastava riempire una borsa di vestiti e guidare fino al loro appartamento per tornare letteralmente indietro nel tempo.
Di solito si rifugiava là quando Eva era da Luca o dai nonni. In quei due giorni poteva permettersi finalmente di smetterla di pensare a tutto. Cucinare non era un suo problema, la sveglia non esisteva e l’unico fastidio era quella spina nel fianco di sua sorella Monia, ma anche quest’ultima il fine settimana sembrava più che propensa a stare in versione ghiro.
Così anche quel sabato mattina aveva suonato a casa sua e il primo che aveva abbracciato era stato proprio il suo mitico e immutabile letto.
Sua madre era rimasta a bocca aperta dalla sua velocità nell’infilarsi il pigiama, i pit stop della Ferrari in confronto erano fatti con calma…Aveva afferrato un vecchio romanzo e si era poi gettata a capofitto sotto il piumone.  L’aveva sentita borbottare qualcosa a proposito di crescere o di aiutarla in cucina, ma come al solito tirò fuori la scusa di essere un’ospite e riuscì a evitarsi le faccende. Passò nella lettura almeno due ore prima che qualcuno interrompesse quell’idillio.
-Hei.- La voce di sua sorella la fece letteralmente sobbalzare, era talmente intenta a guardare una del libro da non essersi accorta della sua presenza.
-Ciao Monnie.- chiamava così Monia  da quando era piccola, era sempre stata fissata con il personaggio di Minnie, così le aveva affibbiato una fusione tra i due nomi e il soprannome era stato così azzeccato da essere rimasto utilizzato in famiglia anche dopo 18 anni. Di fronte a lei però la ragazza che la osservava appoggiata alla porta era molto differente dalla Monnie che aveva lasciato prima di andare a vivere con Carla e iniziare l’università.
-Come stai?- La ragazza sollevò le spalle. Aveva ancora addosso il pigiama in pail ma nonostante il look casalingo sembrava comunque uscita da una rivista. A guardarla attentamente notò però le occhiaie scure sotto gli occhi chiari e il colorito troppo pallido
-Il solito. Stanca di studiare…-
-La facoltà deve essere dura… non hai mai avuto difficoltà con lo studio.-
-È pur sempre medicina… in più Microbiologia mi distrugge letteralmente. Tu come te la passi?- Si sedette sul bordo del letto e le sorrise leggermente. Finalmente sotto quell’apparente strato di stress e tristezza riapparì la vecchia Monia insieme alle sue simpatiche fossette.
-Bene, questa settimana è volata.- Si stiracchiò e mise da parte il libro. Per una volta che sua sorella voleva intavolare una conversazione era meglio concentrarsi su quello. Non parlavano da tempo, di lei sapeva solo le cose che le raccontava sua madre, notizie che comunque erano strettamente legate all’università. Era sempre stata molto più riservata di lei, perciò sospettava che in casa nessuno sapesse realmente nulla di più.
-Si anche la mia. Sono stata alla galleria qualche giorno fa, non ti ho trovata.-
-Davvero? Come mai sei passata?-
-Volevo vedere un quadro di Carrendè, quel vecchio francese che aveva fatto parlare di sé per la storia con la Bardot.- Matilde annuì, avevano portato una sua tela all’inizio della settimana, era in assoluto il dipinto più costoso di tutta la Galleria, e quello che avrebbe attirato la maggior parte del pubblico. Era un meraviglioso dipinto dai toni rosso cupo, ma più che per la bellezza era conosciuto per l’autore.
-Bellissimo vero?-
-Meraviglioso. Scusa se non ti ho aspettato.- Lei fece un gesto veloce con la mano e le sorrise.
-Non fa nulla. Quando vuoi passare non farti problemi. Puoi anche rubare qualche tela tanto paga Alfredo.- Lei ridacchio e si sistemò una ciocca scura e liscia dietro l’orecchio. Le due si somigliavano molto, anche se Monia era più alta e ultimamente aveva quel fascino da ragazza triste che Matilde aveva spesso visto in alcune tele. Doveva essere popolare fra i ragazzi, una ventenne come lei non passava certo inosservata, le sarebbe piaciuto chiederglielo  come tutte le normali sorelle avrebbero fatto, ma aveva paura di spezzare quello strano equilibrio creatosi.
-A proposito, ho finito quel libro che mi hai prestato.- Andò fino alla stanza e tornò con una borsa grigia. Frugò per un po’ dentro.
-Non lo trovi?- Monnie sbuffò e si alzò  di nuovo.
-No, deve essere in quella vecchia… questa ce l’ho da poco.- Ritornò nella sua stanza, la sentì frugare e buttare qualcosa a terra. Era sempre stata disordinata, almeno un difetto lo aveva.
Poi un lampo passò nella mente di Matilde e lo sguardò cadde come attirato da una calamita sulla borsa grigia poggiata sulla sua coperta. L’odore di pelle nuova le stava inondando le narici ma solo in quel momento si ricordò dove aveva già visto una borsa identica a quella.
La girò per guardarla meglio e proprio in quel momento entrò Monnie.
-L’ho trovato, lo poggio nella scrivania.- Matilde la guardò sedersi di nuovo nel letto dopo aver messo via il piccolo libro.
-Questa borsa è molto bella… stavo pensando di prenderne una anche io.- Monnie annuì  e accarezzò distrattamente la pelle dura dei manici..
-Ma quando ho visto il prezzo ho deciso di aspettare. Magari per Natale.- Vide Monia sorridere.
-Fai bene, io ho aspettato per i saldi, altrimenti non me la sarei mai potuta permettere.- Era ovvio che non se la potesse permettere, quella borsa costava più di seicento euro e i suoi genitori non erano mai stata i tipi che avrebbero dato tutto quel denaro alle loro figlie per una borsa.
-Però mi sono pentita di aver speso così tanto. L’ho vista su troppe persone.- Matilde avrebbe voluto avere tra le mani il veritaserum in quel momento, o anche una bacchetta magica non avrebbe fatto male. Il solo sospetto che tra Alfredo e Monia ci fosse qualcosa le faceva ribollire di rabbia il sangue. Alfredo non era raccomandabile per nessuna donna avesse un cervello funzionante e un po di amor proprio, figuriamoci per una ragazza di vent’anni. Per quanto ne sapeva l’ultimo ragazzo serio di sua sorella risaliva al liceo, non era proprio il caso di rovinarsi gli anni migliori dietro uno come lui.
-È costata così tanto?- Negli occhi della sorella non vide nemmeno un lampo di incertezza mentre le diceva il prezzo esatto della borsa. Decise di tranquillizzarsi, le coincidenze esistevano e in fondo quella era semplicemente una bella borsa, chissà quante altre donne in quella città l’avevano identica, mica tutte potevano avere a che fare con Alfredo...
 
 
Allora… prima di tutto mi dispiace tantissimo per il ritardo, ma questa università mi distrugge e anche se davvero può sembrare una semplice scusa sappiate che per colpa sua non sono riuscita in tutto questo tempo ad aggiungere l’ultima parte del flashback, tutto il resto lo avevo già scritto da un po’. Perciò care lettrici vogliate perdonare una povera studentessa stressata e dalle occhiaie infinite!!!
Bando alle ciance, parliamo di cose serie. Questo flashback è stato un parto… all’inizio nella mia testa lei lo avrebbe dovuto far salire a casa, ma non so… alla fine nello scriverlo mi è sembrato più carino aspettare. Qui conosciamo un po’ meglio Luca, la sua famiglia, il suo modo di essere e grazie a lui anche Matilde. I genitori di Luca mi fanno morire, questo capitolo è stato un po’ drammatico per la loro famiglia (soprattutto con sua madre, ma ne vedrete delle comiche). Monnie (o Monia, è uguale) la adoro, è un personaggio molto introverso, io l’adoro.
I sospetti di Matilde saranno fondati?
Perché nessuno mi regala mai borse costose, e nemmeno poco costose?
Riuscirò a scrivere del pranzo domenicale del prossimo capitolo senza morire nel tentativo o farvi diventare vecchia prima?
La risposta è ovviamente top secret… ringrazio tutti per le recensioni, chi ha inserito la storia nelle preferite, da ricordare ecc… grazie ragazze, vi mando un bacio virtuale, anzi ve lo manda quel bono di Luca che è meglio! O se preferite vi faccio mandare una borsa Gucci da Alfredo… basta chiedere eh!!!!
Alla prossima, che arriverà quando meno ve lo aspettate…
 
 
 
P.S: capperi che super commentone, dovrei limitarmi a scrivere quelli e non capitoli di ff

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3313741