It aint' easy being me

di ReaRyuugu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Burst your own bubble ***
Capitolo 2: *** Shocking overdose of mental sticky notes ***
Capitolo 3: *** Re-evaluate your expectations ***
Capitolo 4: *** Can it get any worse than this? ***
Capitolo 5: *** I won’t mind my own damn business! ***
Capitolo 6: *** Please don’t get the wrong idea ***



Capitolo 1
*** Burst your own bubble ***


{ It aint’ easy being me }

 

 

» 1. Burst your own bubble

 

 

Certe volte, per Haizaki Shougo il mondo sembrava come avvolto in una bolla.

Ciotola di riso in una mano e bacchette in quell’altra, seguiva pigramente con gli occhi uno di quegli ennesimi, vocianti litigi che si sprecavano sempre più spesso, spostando prima lo sguardo da una parte, poi dall’altra, ma senza realmente ascoltare ciò che quelle parole pregne da una parte di biasimo e dall’altra di rimpianto cercavano disordinatamente di esprimere.

Era così normale, ormai, sentirli darsi contro in quella maniera. Le loro discussioni stavano iniziando a ripresentarsi giorno dopo pomeriggio dopo sera dopo notte dopo mattina, ed era stato a proprie spese che aveva imparato che la cosa migliore che poteva fare in quei momenti era starsene per conto suo, al difuori di quella bolla di grida che risuonava ovattatamente vicina, ma allo stesso tempo sufficientemente lontana da lui da farlo sentire completamente indifferente. D’altronde, che poteva fare? Si sarebbe solo infilato in un ginepraio di inutile spreco di energie, si sarebbe sentito dire le solite cose (cosa ne sai, non fai niente dalla mattina alla sera, pensa i fatti tuoi, e così via) e non avrebbe risolto assolutamente nulla.

Non era un po’ quello che faceva di continuo? Chiudere persone, questioni, difficoltà in metaforiche bolle e soffiarle lontano, aspettando che esplodessero lontano da lui? Era sempre stato il suo modo di risolvere i problemi, ben conscio che la pazienza e la forza di volontà di fare davvero qualcosa per cambiare non ce l’aveva mai avuta.

Non si face-

 

- È il tuo lavoro! Il tuo lavoro, cazzo, perché non riesci a stare attenta neanche in qualcosa che fai da anni?! Cosa pensi di fare, adesso, eh?! Ma come cazzo hai fatto poi a non accorgertene prima! -

 

Oh, wow, quello sì che era un urlo niente male. Persino i suoi pensieri furono interrotti dalla voce infuriata dell’uomo alla sua destra, la quale si sovrappose a tutto il resto con tale veemenza da far tremare pericolosamente le mura sottili di quella bolla.

Che aveva da sbraitare tanto, poi, questa volta? Non che avesse davvero seguito la conversazione, quindi tutte quelle accuse fecero sorgere una serie di domande. “Non se ne era accorta”, quella svampita di sua madre non si era accorta di qualcosa… le avevano rubato il portafogli?

Voltò lo sguardo verso di lei, impassibile. Teneva il viso nascosto tra le mani, e si domandò se stesse piangendo. In più, si ricordò anche che lei di soldi non ne teneva mai in tasca — tutto quello che riceveva erano regali costosi e gioielli più grandi di una noce. Difficile essere così disperati per un portafoglio vuoto.

Si strinse nelle spalle, cercando di ignorare tutte quelle domande. Dove era rimasto? Ah, sì — non si faceva neanche un po’ schifo, immerso in questo totale e infantile menefreghismo?

 

- È che non pensavo… ! Lo sai che ci faccio attenzione, per questo pensavo non potesse essere possibile! Mi dispiace, lo giuro, mi dispiace che tutto questo ti stia facendo arrabbiare così… -

 

Nah, in realtà di schifo non se ne faceva. Perché aggiungere peso inutile alla propria misera condizione ficcandoci pure del senso di colpa? Era la rappresentazione più lampante della feccia della società, il fanalino di coda dell’ultima ruota del carro, e quell’immagine di ragazzaccio gli calzava come un guanto. Era da anni che si comportava in quel modo, e per anni ancora era del tutto intenzionato a non dar retta alla propria coscienza. Troppa fatica, e soprattutto troppa poca voglia di mettersi a tu per tu col senso di colpa.

 

- Cosa pensi che ci faccia, io, col tuo dispiacere? Non lo metto in tavola la sera, il tuo cazzo di dispiacere! Finirà come con Shougo, ce l’avrò IO la responsabilità di crescerlo e di pagare le sue cazzate, tu tornerai a farti i fatti i tuoi! E chi è, intanto, che si spacca la schiena? Chi fa due lavori contemporaneamente?! IO! -

 

Responsabilità, ecco, l’aveva detto di nuovo. A suo fratello Shinya quella parola piaceva veramente tanto, non faceva che metterla in ogni frase che pronunciava. Sei un irresponsabile, ma chi me lo fare di tenerti sotto la mia responsabilità, se non ti responsabilizzi adesso diventerai un adulto di merda… tutti esempi della maggior parte delle discussioni che aveva con lui. E dire che non era neanche tanto più grande — correvano giusto quattro anni di differenza tra i due, eppure era da quando aveva memoria che si atteggiava come l’Adulto con la A maiuscola.

… un po’ ne aveva tutto il diritto. Era il suo perfetto opposto: odiava starsene con le mani in mano e, non appena aveva compreso appieno quale fosse l’aria che tirava in quella casa, aveva lasciato gli studi per mettersi a lavorare. Era il pilastro portante di quella famiglia, e forse, forse, aveva pure il diritto di incazzarsi quando lui batteva la fiacca e non lasciava fruttare i soldi che spendeva per la sua educazione, o quando la loro madre non metteva di tasca propria praticamente nulla.

 

- Perché mi urli contro in questo modo? Perché tratti così la tua mamma? Lo sai che se non sono stata presente come avrei voluto era solo perché dovevo stare dietro al mio lavoro! Perché mi fai sentire in colpa in questo modo?! -

- Perché del tuo ‘lavoro’ qua non è arrivato nessun frutto! Le collane, gli orologi, le pellicce, te li sei tutti tenuti per ammaliare i tuoi clienti! Quando mai hai venduto qualcosa per farci arrivare da mangiare?! -

- Li venderò adesso, va bene? Non trattarmi come se avessi fatto qualcosa di terribile! Mi stai facendo male! Mi ferisci! -

 

Ecco, appunto. Immersa nelle sue lacrime di coccodrillo, quella donna se ne stava esattamente al lato opposto rispetto al suo figlio maggiore. Sempre con la testa tra le nuvole, incapace di prendere le cose seriamente e con l’età mentale di un’adolescente, o forse pure meno.

“Sei uguale a lei”, ecco un’altra delle cose che Shinya gli diceva sempre. E di che si sorprendeva? Il sangue non è acqua - anche se riconosceva persino lui che, anche se era normale essere così simili, non era comunque giustificabile, né tantomeno giusto. Oh, andiamo - stava facendo davvero di questi pensieri, proprio un attimo dopo aver appurato che non gliene fregava nulla di risultare detestabile e immaturo? Era colpa del contesto in cui viveva, mica poteva farci nulla!

 

- Ti sto trattando male perché tu non sei una madre! Metti al mondo la tua prole, ci giochi per dieci minuti e poi te ne freghi, tornando a far moine ai tuoi clienti! Ecco cos’è che mi fa incazzare, il fatto che sfornerai un altro figlio che non ti degnerai nemmeno per un attimo di trattare come tale! -

- Aspetta, cosa?! -

 

Per poco non si strozzò col riso, mentre le urla cessarono e le due parti in gioco si voltarono, quasi sorprese, verso di lui. Erano passati secoli dall’ultima volta che Shougo aveva messo bocca in una discussione, facendone un avvenimento più unico che raro.

E altrettanto unico e raro era anche per lui, che spontaneamente aveva deciso di tendere una mano verso quella bolla per capire, sconcertato, cosa stesse succedendo. Aveva sentito bene, o era drogato il riso? E soprattutto, come aveva fatto a rendersi conto solo in quel momento che era quello il motivo di un litigio tanto acceso?

Protagonista di quell’improvviso silenzio, spostò la propria attenzione verso la madre ancora scossa dagli spasmi del pianto.

- … ma’, ma che, sei… -

- Sì, Shougo, è incinta, ora tornatene nel tuo oblio e non immischiarti. - eccolo lì, il solito tentativo di cacciarlo da certe situazioni. Si girò stizzito verso il fratello, le sopracciglia aggrottate e una mano che andò a sbattere minacciosa sul tavolino.

- Oh ma che cazzo vuoi? - sbottò, arcigno - Non è che potete dirmi ‘ste cose e pretendere che me ne dimentichi, cazzo, è una cosa importante! -

Non l’avesse mai detto: la manata che tirò Shinya al tavolo fu persino più violenta, mentre cupamente si tendeva verso di lui.

- È importante per me che pago, te non saresti nemmeno capace di assumerti la metà delle… -

- … delle fottute responsabilità di cui parli tutti i cazzo di giorni, lo so, per forza! Ma se non mi ci fai neanche interessare, a ‘ste responsabilità di merda, perché continui a lamentarti, allora?! Ti credi bravo solo te, eh?! -

Si sentì afferrare per il colletto, e strattonato con una veemenza tale che per poco non si ritrovò riverso sulla cena. A discapito di quel gesto, però, non fece a meno di ghignare: certo, Shinya era responsabile e maturo quanto vuoi — ma era da lui che aveva imparato a risolvere i problemi con le nocche.

Chiuse gli occhi quando vide il pugno già in dirittura d’arrivo, ma fortunatamente quel piagnisteo che avevano accanto si decise a fare qualcosa. Una mano spiaccicata sul viso di Shougo e l’altra aggrappata al polso del primogenito, e la sua voce rotta dai singhiozzi si fece strada alla svelta nelle loro orecchie.

- Adesso basta! Non c’è bisogno di aggiungere altri problemi, basta così! - urlò la donna, cercando di impregnare la voce di quell’autorità che non aveva mai avuto. Fortunatamente, però, bastò perché Shinya lasciasse la presa; e nell’esatto momento in cui lo fece uno schiaffo si impresse sonoro sulla sua guancia.

- Datti una calmata, hai capito?! Shougo è tuo fratello e merita di sapere tanto quanto te, merita di dire la sua tanto quanto te! -

Sogghignò, il minore, ma neanche il tempo di lasciar andare un commento velenoso che la stessa sorte si abbatté su di lui.

- E tu— tu devi portare rispetto per chi lavora! Shinya non ha mai chiesto niente in cambio, il minimo che puoi fare è parlargli come si deve! -

Si imbronciò come un bambino, portandosi la mano sulla guancia dolorante. Ugh… e si metteva pure a fare la voce della ragione? Ma che passava nella testa di quella tizia?

Vide con la coda dell’occhio il fratello più o meno nella stessa situazione, il palmo offeso spiaccicato sul viso e la fronte corrugata. Il sangue non è acqua, appunto, e nonostante le differenze rimanevano comunque entrambi degli stupidi permalosi.

- Beh, ora che si è inserito nella discussione, quale grande idea ha in mente? - lo sentì borbottare, il tono di voce finalmente un po’ più tranquillo - Non che le cose cambino più di tanto. Avremo un’aggiunta in famiglia e io probabilmente dovrò trovarmi pure un terzo lavoro. -

- Quanto cazzo la fai drammatica, mamma t’ha tirato su per cinque anni facendo quel che ha sempre fatto, pensi davvero che un moccioso possa mandarci in rovina? -

- Ah, ma guada che sei tu quello che mi preoccupa di più. -

 

Le pareti della bolla oscillarono pericolosamente.

 

- Che vuol dire. -

- Certo, crescere un ragazzino costa. Ma stai iniziando a costare più te, con i tuoi vizi e le tue stronzate, che altro. -

 

Altro tremore.

 

- … è un modo carino per dirmi che sono un peso, o cosa? -

- Beh, fino ad ora non è che tu ti sia reso tanto utile in questa casa. E poi sarà solo peggio. -

 

Boom. Insieme a quelle parole, era quasi sicuro di aver sentito anche il rumore della bolla che scoppiava, piovendo in tante piccole gocce di rimorso dritte sulla sua faccia sconvolta.

La sua presenza sarebbe stata un peso. Era la prima volta che lo realizzava: per gli altri lo era, chiaro (d’altronde, chi non lo odiava?), ma non pensava di esserlo addirittura nella propria famiglia. Cazzo, si vedevano un’ora e mezza al giorno e a volte nemmeno si dicevano buongiorno o buonasera, e nonostante tutto avrebbe comunque rappresentato un peso!?

In effetti, però, non lavorava, e non si poteva dire neppure che fosse un gran investimento per il futuro… Dio, perché tutte quelle realizzazioni arrivavano tutte insieme? Si massaggiò una tempia con le dita, poggiando sul tavolo tutto quello che aveva in mano.

Non sapeva neppure come prenderla. Non erano un nucleo familiare unito, non erano il modello perfetto del più puro legame parentale, ma per qualche motivo la consapevolezza di essere ancora meno d’aiuto di quanto lo fosse quella scellerata sfornafigli della madre lo mise più a disagio di quanto avrebbe pensato.

 

- Ma ti impegni ad essere così stronzo o ti viene naturale? -

- Shougo, Shinya voleva dire che… -

- L’ho capito, sì, quello che voleva dire. Vado a fare la doccia, non rompete. -

 

E forse, l’unico motivo per cui l’aveva presa così male era perché sapeva che Shinya aveva semplicemente detto la verità.

Era anche per quello che preferiva che quelle bolle non scoppiassero mai, che rimanessero lontane da lui senza tangerlo minimamente — perché quello che succedeva là dentro, le cose che venivano dette, erano tutte verità che non aveva voglia di sentirsi sbattere nel muso.

Non gli faceva onore, lo sapeva bene. Continuare a vivere ignorando le proprie lacune era esattamente ciò che l’aveva reso ciò che era in quel periodo della sua vita; ma era infinitamente più facile nascondersi dietro mille scuse (sono ancora giovane, è colpa della mia famiglia, è colpa delle persone che mi circondano…) piuttosto che darsi una mossa e cercare di smentire almeno in parte le etichette che gli avevano appioppato addosso per anni.

 

Che palle.

 

Nemmeno l’acqua che iniziò a scorrergli sulla pelle aiutò a schiarirgli le idee. Anzi - l’unica cosa che gli fu lampante era che aveva di nuovo un posto in meno in cui sentirsi vagamente a suo agio.

 

Che palle.

 

Prima la squadra di basket delle medie che l’aveva cacciato senza preavviso; poi quella delle superiori, piena di teste di cazzo. Per non parlare di tutti i negozi, locali e sale giochi in cui era stato costretto ad alzare i pugni per colpa di deficienti e da cui era stato prontamente bandito!

E ora ci si metteva pure la sua famiglia a mettere in chiaro che là dentro non era una presenza gradita?!

 

Che palle, che palle, che palle!

 

La volontà di sfracellarsi la mano contro il muro era forte, ma preferì evitare che lo considerassero un peso anche per aver incrinato le piastrelle del bagno. Allora cosa doveva fare? Andare a vivere per strada? O era troppo irresponsabile per vivere da solo, e in quanto preoccupazione sarebbe stato un peso anche maggiore?

Che poi, chi l’aveva deciso che non era una persona responsabile?! Poteva benissimo badare a se stesso, cazzo, avrebbe potuto dimostrarglielo quando voleva!

Quasi saltò fuori dalla doccia, afferrando il proprio telefono cellulare alla ricerca di qualche sito di annunci di lavoro part-time. Non era più una questione di responsabilizzarsi, di crescere, o di maturare: per quanto non si rendesse contro star facendo un incredibile passo avanti rispetto al solito Shougo Haizaki che era sempre stato, in quel momento tutto quello che voleva era dimostrare che non era un perdente, un peso buono a nulla come stavano cercando di dipingerlo. Si sarebbero ricreduti, fanculo, e in quel momento sarebbero dovuti scivolare ai suoi piedi per chiedergli scusa in ginocchio.

Avrebbe trovato qualcosa da fare e tutte le sue stronzate se le sarebbe pagato da solo, a costo di spaccarsi la schiena, a costo di dover trascurare lo sport, le donne e pure gli studi.

 

… anche se non si poteva certo dire che di quelli gliene fosse mai fregato veramente.

 

 

 

 

Hello there!

Dopo un lungo ponderare ho finalmente deciso di postare questo primo capitolo, gettandomi a capofitto nel tentativo di scrittura di una nuova longfic.
Chi mi segue da un po’ di tempo (ergo: nessuno) sa che il mio rapporto con le long è davvero, davvero, DAVVERO complicato, e sa anche come io abbia una certa abilità nel, ehm, perdere ispirazione o direttamente al primo capitolo o proprio quando si entra nel vivo della storia. Stavolta, però, voglio provare ad approcciarmi in modo diverso a quest’avventura, da una parte pianificando meglio il lavoro, dall’altra però cercando di non auto-assillarmi troppo.

Non so se sia davvero una buona mossa quella di cacciare fuori una long che non solo vede come protagonista qualcuno come Haizaki, non esattamente uno dei personaggi più popolari del fandom, ma che si prefissa anche di andare a parare nell’HaiKise (o HaiKi?), coppia che probabilmente shippo io insieme ad altre cinque persone. Ma alla fine mi permetto gentilmente di ignorare la cosa, e di provare comunque a seguire la mia strada (anche perché l’alternativa era un’ImaHana per la cui stesura non ho ancora la forza psicologica necessaria) nonché avere anche l’ambizione di proseguire laddove Fujimaki non abbia voluto approfondire, perché ormai mi sa che prendere i suoi antagonisti e cercare in un modo o nell’altro di farli ‘crescere’ sta diventando la mia vocazione.

Ma chi se ne importa di queste cose? Le info importanti (???) sono qua di seguito:

• L’Haizaki che voglio raffigurare, in questa storia ambientata un annetto dopo le vicende della serie, è un ragazzo normale (seppur con un pessimo carattere). Farò del mio meglio per renderlo da una parte IC, ma dall’altra nemmeno troppo statico, in quanto tentare di svilupparlo è il mio pretenzioso obiettivo.

• È canon che la famiglia di Haizaki consista in madre e fratello maggiore, il cui nome mi è venuto in mente provvisoriamente in via di stesura delle prime bozze, e poi è rimasto. Forgive me mother for being a weeaboo.

• Il titolo generale viene da una canzone che in un modo o nell’altro mi ricorda molto il pg di Haizaki, e visto che voglio farmi del male asseconderò la mia incapacità di trovare titoli dando un titolo ad ogni capitolo.

• Non so selezionare i generi, gli avvertimenti e quant’altro, quindi il tutto potrebbe cambiare.

Detto questo, spero che questo primo capitolo vi abbia in qualche modo incuriositi – e se sì, ma pure se no, ogni recensione è seeeempre ben accetta ~!
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Shocking overdose of mental sticky notes ***


» 2. Shocking overdose of mental sticky notes

 

 

- Ah, lascia pure qua, da qui in poi lo gestisco io! Finisci pure di scaricare il resto! -

Un rapido cenno d’assenso con la testa, il cappellino dell’uniforme che si alzava brevemente e un braccio che si sfregava sulla fronte imperlata di sudore e fatica, e senza fiatare oltre Haizaki tornò verso il furgoncino parcheggiato fuori dall’edificio.

Alla fine, non era stato difficile tanto trovare un lavoro part-time, quanto più convincere i suoi (e soprattutto quel rompicoglioni di suo fratello) che l’unico motivo per cui voleva lavorare era per pagarsi da solo i propri sfizi, e non per chissà quale oscuro, nascosto motivo.

- Shougo, ti ci metti pure coi debiti di droga? - gli aveva subito domandato quell’idiota, arcigno. Lui aveva messo parecchio a ribattere a quell’affermazione che non stava né in cielo né in terra, sbattendo le palpebre più volte e tirandosi pure un pizzicotto per essere sicuro di non starsi sognando tutto quanto.

- … ma sei cretino? - era stata la sua risposta, con il boccone della cena ancora mezzo masticato in bocca. Pure del drogato, ora, doveva sentirsi dare? - Non… ma ti pare che mi drogo?! -

- Allora sono debiti di gioco, scommetto. -

Non poteva credere che solo perché era l’unico a lavorare, allora pensava di potersi permettere di sparare certe stronzate con così tanta noncuranza. La tentazione di far partire la rissa pure per quella serata fu decisamente forte, ma il tono cinguettante della madre aveva subito smorzato i toni severi di quella discussione nascente.

- Oh, andiamo! Il mio piccolo Shougo vuole solo dimostrarci che sa essere un ometto con la testa sulla spalle! - non solo doveva fare la sua scenata euforica da istrionica un po’ bipolare in buona, ma aveva anche sentito il bisogno di tentare di strappargli un pezzo di guancia tra pollice e indice. Ma le mani in tasca, per esempio, no?! - Ah, ma se è perché sei preoccupato per la mamma, allora ti dico subito di stare tranquillo. Posso comunque continuare a lavorare, anche in questi mesi. -

- Ma’, non me ne frega niente se puoi continuare a lavorare in questi mesi. Ho solo voglia di non dipendere da Shinya ed evitare che mi rinfacci qualsiasi cosa. -

Pausa.

- Ma tu non dovresti, tipo, stare a riposo? Non è pericoloso o roba del genere? Il… bambino non sente? -

- Oh, no, se il dottore mi conferma che è tutto a posto posso continuare tranquillamente, con le giuste precauzioni! - aveva riso, divertita - E poi ho già fatto così sia Shinya che con te, e credo proprio che nessuno di voi due abbia mai sentito nulla! -

 

Anche solo ripensare a quelle parole lo fece trasalire di un vago senso di disgusto, mentre tornava agli scatoloni del furgoncino e uno a uno li scaricava dentro allo studio. Fortunatamente, quel tira e molla era durato davvero poco, e tra una cosa e un’altra era stato ben libero di accettare una proposta di lavoro come assistente garzone di una compagnia che si occupava di affittare attrezzature e scenografie — in parole povere, insomma, il suo ruolo non era tanto diverso da quello di un mulo da soma. Con una stazza come la sua l’avevano preso subito e, anche se la paga non era troppo alta in proporzione alle ossa che si spaccava, arrivava alla fine troppo stanco per pensare anche solo lontanamente a lamentare coi suoi datori per uno stipendio così misero.

Sospirò, constatando che finalmente il furgoncino era vuoto, e aspettando un cenno del suo superiore prima di mettersi a sedere e rilassare i muscoli affaticati.

Alla fine, sebbene in quella routine ci si fosse infilato solo da poco più di una settimana, stava iniziando sempre di più a sentirla come propria. Era una cazzo di tortura ogni volta, e trattenersi dal rispondere male ai propri superiori ogni tanto era davvero difficile, viste le sue normali e discutibili abitudini — ma il richiamo dei soldi era più forte; e inoltre, stava imparando a tollerare quei ritmi, soprattutto considerando che i clienti erano sempre quelli, i compiti tutti uguali e i momenti di pausa, con la giusta organizzazione, neanche così sporadici. Tipo in quel momento, in cui quella staticità improvvisa gli divenne quasi… noiosa.

- Oi, capo - vociò dando sfoggio a tutta la poca cortesia che aveva imparato ad avere nei suoi confronti, stringendosi nelle spalle - Ma dobbiamo rimanere qui per tutto il tempo? -

Il suddetto capo, altresì conosciuto al resto del mondo come il signor Ishihara, era un tipo burbero e di poche parole. Era lampante come il sole estivo che fare il corriere non era mai stata la sua vocazione, e Haizaki ammise che più volte, seduto accanto a lui nei tragitti che li scarrozzavano a una parte all’altra della città, si era domandato come fosse arrivato a quel punto. Chissà se anche lui aveva cominciato con un lavoretto part-time, per poi ritrovarsi a salire di grado sempre di più fino ad essere troppo vecchio per licenziarsi e cambiare carriera? Ogni volta che ci pensava, si faceva immancabilmente l’appunto mentale di non lasciarsi prendere la mano, e di non permettere che la propria vita finisse chiusa in quel furgone alla larga da tutte le proprie (inesistenti) aspirazioni.

L’uomo si prese tutto il tempo di cui aveva bisogno per accendersi la sua sigaretta, appoggiato contro la portiera chiusa del veicolo. Ecco, erano quelli i momenti in cui Shougo avrebbe semplicemente voluto andare lì e dargli una sonora scrollata, perché i suoi tempi rallentati erano al di fuori di ogni umana sopportazione.

Calmo, doveva rimanere calmo.

- … sì, il tempo di tornare alla sede che tanto dovremmo ritornare indietro comunque. Perché? -

Alla buon’ora. Si strinse nelle spalle, mettendosi le mani nelle tasche dell’uniforme.

- Se li aiuto a montare e smontare cambia qualcosa? -

- In termini di paga, no. - Ecco, doveva aspettarselo. Aggrottò un po’ le sopracciglia, quasi infastidito che il suo miracoloso piano per portarsi in tasca qualcosa in più fosse andato così facilmente in mille pezzi

- … però prima iniziano, prima finiscono, prima ce ne torniamo tutti a casa. -

Eh, meglio di nulla. Non aggiunse altro mentre si infilava di nuovo nella porticina sul retro, tornando negli studi ancora in fermento per montare tutto il prima possibile. “Che se ne fanno di tutta questa roba?”, gli venne spontaneo chiedersi, mentre facendo leva più sul suo istinto mai sopito al flirt che sul suo altruismo si approcciava a una ragazza in difficoltà. E dire che quello era uno studio di fotografia, nemmeno il set di un film o roba del genere! Era così per tutti i professionisti del settore, o erano solo questi qua ad essere così inutilmente puntigliosi e pieni di sé?

- Non che me ne intenda più di tanto, ma com’è che vi servono tutte queste cose? - non resistette a domandare, serrando le palpebre sugli occhi velati di un certo dubbio e permeando la voce di quella che quasi sembrava un tono di provocazione. L’interlocutrice parve non farci caso, forse fuorviata dall’incapacità di vedere per bene la sua espressione – e, prendendo atto di questo vantaggio, Shougo si sistemò per bene la visiera del cappello cosicché almeno il suo viso non lasciasse trasparire la sua incapacità di sostenere adeguatamente determinate situazioni sociali.

- Ahah, posso capire lo stupore! Tu sei quello nuovo, no? - ridacchiò, e il ragazzo si imbronciò un poco per quell’appellativo così riduttivo  - È che siamo affiliati anche a un’agenzia di modeling, e certe volte ci vengono richiesti set un po’ più elaborati per evitare di far spostare i modelli e le modelle in altre città o persino in altre regioni. Così è molto più comodo! -

- Ah. - grugnì semplicemente, fissandola segretamente con sguardo disinteressato. Non che le avesse mai chiesto i dettagli: fosse stato per lui, avrebbe potuto ben fermarsi alla spiegazione base senza aggiungere tutti quei fronzoli. A malapena sapeva cosa fosse una dannata agenzia di modeling, tra l’altro!

E soprattutto, perché quella continuava a parlare?

- Non per vantarci, ma i nostri obiettivi hanno inquadrato alcuni tra i volti più in voga al momento. Non so se ti intendi di moda, uh… - dette una palese occhiata al cartellino appeso alla sua divisa, sforzandosi di essere discreta ma fallendo miseramente - … Haisaki-kun, ma sono sicura che se dovessi vederli li riconosceresti anche tu! -

- È Haizaki, e non-… -

- Ah! Eccolo lì, uno dei nostri protetti! Lo conosci per forza, ne sono convinta! -

Fece roteare gli occhi verso il cielo, Shougo, di nuovo costringendosi mentalmente a contare fino a dieci prima di rispondere male a quella tipa tanto carina ma pure tanto fastidiosamente petulante. Alla fine quanto gli sarebbe costato voltarsi, constatare che non aveva idea di chi cazzo avesse di fronte, mentire e poi tornare a lavorare? Si voltò con svogliatezza, adocchiando la figura in piedi vicino alla porta intenta a cinguettare chissà quale ruffianeria.

- Buonasera, buonasera! Grazie a tutti per il duro lavoro! - aveva infatti appena esclamato, poggiando per terra una cassa di chissà cosa: non era quella, adesso, a catturare la sua attenzione, mentre con le palpebre sgranate sugli occhi sconvolti metteva a fuoco quell’apparizione così improvvisa da sembrare irreale. Andiamo, non poteva davvero trattarsi di lui, no? Certo, questo era il suo campo, ma quante probabilità c’erano di incontrarlo proprio lì?!

- Ryouta… ? - aveva gracchiato senza pensaci, la voce che gli moriva drammaticamente in gola. Noncurante del suo disagio, la ragazza di prima gli pose amichevole una mano sulla spalla.

- Oh, allora anche tu sai chi è! - esclamò, perforandogli i timpani nel tentativo di sussurrargli, ma in realtà dimenticandosi di abbassare il tono di voce e trapanandogli direttamente nelle orecchie - Non solo è proprio bello, ma è anche tanto gentile! A volte arriva in anticipo solo per portare qualcosa di fresco a tutto lo staff! -

- Grandioso. - sibilò, la voglia di falsare un qualsiasi altro tipo di emozione che non fosse il vuoto assoluto che morì nel modo più tragico e immediato, spengendosi come un fiammifero davanti ad uno tsunami. Si sistemò nervosamente la visiera del cappellino davanti agli occhi, nascondendoli così tanto che a malapena riuscì a vedere il proprio tragitto.

- Devo usare la toilette. - borbottò, avviandosi di nuovo verso l’uscita sul retro. La ragazza sbatté, perplessa, le palpebre.

- … ma è dall’altra parte… -

- Ne troverò un’altra strada facendo, con permesso… -

Si precipitò così celermente via da quella scomoda situazione che persino per l’occhio più distratto sarebbe stato difficile non trovarlo sospetto. In quel momento, però, gliene importava poco e nulla: si chiuse frettolosamente la porta alle spalle, incontrando l’espressione incredibilmente ravvivata da un’ombra di sorpresa del suo superiore.

- … già fatto? -

- Capo, ho bisogno di una sigaretta. - boccheggiò, con la schiena ancora premuta su quell’uscita come per impedire l’uscita di chissà quale abominio. L’uomo sollevò un sopracciglio, evidentemente non troppo sicuro su cosa soffermarsi — se sulla richiesta, o sulla sua espressione stravolta.

- Ti mancano un po’ d’anni per arrivare all’età legale per fumare, ragazzino. - borbottò, ma nel mentre gli stava comunque passando pacchetto e accendino - … me ne devi due, poi. -

- Eh?! - alzò risentito lo sguardo verso di lui mentre parava la fiammella dal vento, aggrottando le sopracciglia - Perché due?! -

- Regola personale, o quello o mi intasco la paga di oggi. - fece spallucce, riprendendosi ciò che era suo - E vado a cercare un bar che ho sete, tieni d’occhio il furgone. -

Se ne stette in silenzio, Haizaki, costretto a guardarlo allontanarsi mentre si scostava dalla porta e il fumo aspirato si disperdeva dalle labbra socchiuse in una scia informe di nuvole grigiastre. Se non altro, visto che Ishihara non aveva fatto domande sul suo affanno, il brutto, improvviso e fulmineo incontro di poco fa stava iniziando ad occupare un peso sempre meno significante nella sua testa. Era lui, d’altronde, lo stupido che non aveva messo in conto una cosa del genere; sapeva che l’idiota faceva il modello, e le probabilità che frequentasse proprio quel medesimo studio c’erano eccome (per quanto infime).

Sarebbe stato meglio se avesse seguito la filosofia del suo capo, rimanendosene là fuori ad aspettare finché non sarebbe arrivato il momento di staccare, e scrollando la cenere dal cilindretto di tabacco tenuto tra le dita si fece l’appunto mentale di non essere mai più altruista (se di altruismo si poteva parlare, visto che voleva solo tornare a casa un po’ prima) in vita sua. Tirò indietro la testa per appoggiarla al muro dietro di sé, godendosi quell’attimo di calma provvidenzialmente ritrovata, e quasi non si accorse dello scricchiolare leggero della porta che proprio accanto a sé si aprì con un cigolio.

- Ah! Trovato! -

Naturalmente, non poteva fare in tempo a formulare un pensiero di calma che il destino si armava di tutto punto per dargli contro. Sobbalzò, quella voce ahimè tragicamente familiare che lo fece trasalire al punto che per poco la sigaretta non gli finì in gola, mentre la visiera del cappellino veniva di nuovo tirata in basso con una veemenza tale che per poco non gli rimase in mano.

E quello l’aveva raggiunto lì, esattamente, per quale motivo?! Lo guardò di sottecchi, solo per vedere un Kise Ryouta sorridente, allegro e del tutto ignaro. Davvero un cappellino poteva fare così tanta differenza? Nuovo appunto mentale nel bloc-notes immaginario che stava iniziando a riempire le sue pagine un po’ troppo rapidamente di cose sorprendentemente futili: mai più sottovalutare il potere del paio di occhiali che separavano Superman da Clark Kent, se questi erano i risultati con un accessorio d’abbigliamento tanto insignificante.

- Uh… ce l’hai con me? - bofonchiò, tentando di falsificare il più possibile la propria voce. Ryouta rise, divertito, chiudendo la porta e mettendoglisi davanti.

- Mi scusi, è che prima è scappato in modo così palese che non ho potuto fare a meno di notarla, eheh! - ah, pure del “lei”, ora, gli stava dando? Trattenne a fatica un sogghigno, consapevole che se solo l’altro avesse saputo chi aveva davanti avrebbe preferito inghiottire un rospo piuttosto che riservargli una simile cortesia - È uno nuovo, vero? Tenga. -

E, insieme a queste parole, gli porse anche una delle bottiglie di succo che aveva portato prima. Cosa stava cercando di fare, di ingraziarselo? Sollevò entrambe le mani e le pose, aperte, in avanti, tentando di troncare sul nascere quel tentativo di conversazione.

- Sono nel pieno del mio orario di lavoro, non posso accettare. - si rese conto un po’ troppo tardi di quanto poco fosse convincente quell’argomentazione, vista la sigaretta ancora serrata tra le sue labbra. Persino quello svampito si accorse di quanto fosse debole, ridacchiandogli dritto in faccia.

- Andiamo, non faccia storie! Non c’è nessuno a controllare, e se dovessero esserci problemi mi prendo tutta la responsabilità! - ma quanto insisteva? E soprattutto, che motivo c’era di essere così tanto melodrammatico? Con le palpebre a mezz’asta, sospirò di un’impercettibile seccatura.

- Seriamente, non importa. -

In quel momento, Shougo si domandò se Ryouta avesse mai ricevuto un rifiuto in vita sua, perché sebbene il suo viso fosse ancora sorridente, negli occhi non poteva non vedere un’ombra opaca oscurare la loro insopportabile e gioiosa brillantezza. Che si stesse davvero offendendo perché non aveva intenzione di accettare la sua gentilezza imposta?

… o c’era qualche altra ragione, dietro? Per un motivo che non riuscì ad individuare, Haizaki si sentì improvvisamente sotto pressione, una tesa gocciolina di sudore che gli scivolò dalla tempia lungo tutto il contorno del viso.

Sta’ a vedere che ‘sto svampito si sta rendendo conto della persona con cui sta parlando?” fu il primo pensiero che gli fulminò in capo, mentre il suo intero linguaggio corporeo comunicava disagio. Incrociò le braccia sul petto, incurvò la schiena, fece sprofondare la testa tra le spalle… come altro poteva fargli capire che non aveva voglia di parlare?

In quella posizione fece fatica a vedere i movimenti di Kise, che nel frattempo si era messo, sospirando, le mani sui fianchi.

- Andiamo, signor fattorino, non c’è bisogno di essere così timidi! - si sentì rimproverare, e dovette stringere le dita sulle proprie maniche per non farlo attorno al suo collo – Sappia però che con lei non mi arrendo! Signor… -

Cercò di sottrarsi alla sua presa quando lo vide allungare la mano alla sua uniforme, nel tentativo di tirare su il cartellino attaccato al suo petto e di leggerne il nome; ma quando reagì fu troppo tardi. Non poteva scappare da nessuna parte, in quel vicolo, complici le spalle incollate al muro e le troppo strette e troppo poche vie di fuga. Volse lo sguardo altrove quando intravide Kise sobbalzare all’indietro, liberandosi da quella mezza cecità e tirando su il cappello ormai diventato inutile.

 

- Allora avevo ragione… sei davvero tu, Shougo. –

 

 

 

 

Salve!
Finalmente posto anche questo secondo capitolo nella mia personale versione dell’odissea di Haizaki Shougo, colui che decise di guadagnarsi il pane per puro e semplice spirito di contraddizione.

Proprio perché sto cercando di non stressarmi coi ritmi, scrivere questa storia si sta rivelando infinitamente divertente (così come pure cercare i titoli per i singoli capitoli, cosa che mi riesce estremamente più facile dei disperati tentativi di trovare quello per la ff in generale).

Non so, penso che molti possano essere in disaccordo con la mia interpretazione di Haizaki, ma non riesco a vederlo troppo diverso da come lo raffiguro – anche se credo che l’avvertimento OOC magari ce lo caccerò comunque. O forse no? Ho sempre difficoltà a mettere gli avvertimenti, in questo caso perché non credo di star stravolgendo nessuno senza motivo specifico. Insomma, vedrò.

In ogni caso! Devo dire di aver ricevuto più attenzione di quel che immaginavo, e vi ringrazio qui dal profondo per le letture e i seguiti.  Al solito, se avete qualche commento da fare, accetto più che volentieri qualsiasi opinione!
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Re-evaluate your expectations ***


» 3. Re-evaluate your expectations

 

 

Cristo, che diavolo aveva da fissarlo a quella maniera?

Assottigliò le palpebre sullo sguardo di freddo metallo, disturbato dall’espressione sconvolta dello scemo che si trovava davanti. Ebbene, l’aveva scoperto! Che disdetta! Che tragedia!

Fece schioccare, scocciato, la lingua sul palato, lasciando cadere il mozzicone della sigaretta a terra e schiacciandolo rabbiosamente con il piede.

- Vuoi un applauso? - commentò, secco, imponendosi ostile su di lui. Persino minacciarlo lo faceva incazzare: generalmente non era raro che ad attaccare briga con lui fosse gente che per qualche motivo sottovalutava la sua altezza e il suo fisico, ma con Kise era praticamente alla pari. Lo fissò dritto negli occhi, adesso perfettamente allineati ai propri, non temendo di invadere i limiti del suo spazio vitale.

- Adesso che hai vinto quest’allegra scommessa con te stesso, ti dispiace levarti dal cazzo? - proseguì, soffiando tra i denti stretti.

- Perché? La mia presenza ti disturba? Sto forse interrompendo qualcosa? - oh, se si vedeva quanto poco riusciva ad intimorirlo. Ryouta era insopportabile e pure un cretino, e forse proprio per questo di timore, nei suoi confronti, proprio pareva non averne. Che palle, pensò; la tentazione di alzare le mani era più forte di quanto lo fosse mai stato nei precedenti giorni, ma sapeva che anche solo tenere un tono di voce del genere con lui poteva equivalere ad un pesante rischio per la sua nascente e affatto lusinghiera carriera di facchino tuttofare.

- Sì, mi stai disturbando durante il mio orario di lavoro. -

- Ah? - sul suo viso si dipinse un sogghigno leggero, a metà tra l’incredulo e il beffardo. Cosa avrebbero detto tutte le sue amate fan, vedendolo con un’espressione tanto stridente con quella del Kise Ryouta che conoscevano loro? Almeno lui era coerente con il proprio essere feccia; quello, invece, non era neanche la metà del bravo ragazzo che ostentava di essere.

- Sentirti associato alla parola lavoro mi sembra un po’ paradossale. Non è una coincidenza un po’ strana che tu sia proprio qui? -

- Oi, credi seriamente che io ce l’abbia con te per qualche motivo? – lo interruppe, prima di qualsiasi altro giro di parole, saltando alle più ovvie conclusioni. Beh, in realtà non avrebbe avuto torto: di motivi per cui poteva avercela con lui ce n’erano, e nemmeno pochi. Ma nessuno di quelli era la causa per cui si trovava lì, e non poteva credere che la sua mente avesse concepito anche solo lontanamente un’ipotesi del genere.

- Non pensi di star sopravvalutando la considerazione che ho di te? Non sei così importante, Ryouta. E fidati che preferirei anche io che questa coincidenza non esistesse. -

Il modello lo squadrò dall’alto in basso, una mano in tasca e l’altra ancora stretta intorno alla bibita fresca che, piuttosto palesemente, non sembrava più tanto intenzionato a consegnargli. La tensione, o meglio il nervosismo, per Shougo stava iniziando a diventare insopportabile.

Non solo doveva spaccarsi la schiena, doveva pure farsi giudicare a quel modo da quella mezzasega?

Certo, poteva capire che fosse strano coniugare il suo nome e l’idea di un onesto impiego; e forse forse poteva anche capire che qualcuno dubitasse delle sue rare ‘buone’ intenzioni. Ma non accettava quelle occhiate di disprezzo, e soprattutto quell’atteggiamento di velata ma papabile superiorità che gli stava adesso rivolgendo. I soldi erano una necessità di chiunque, ma non è che tutti erano così fortunati da poterne guadagnare facendo l’imbecille davanti a una telecamera!

Era per questo che, tanto, finiva per demotivarsi subito nonappena cercava di fare qualcosa che non fosse niente di strettamente deviante. C’erano sempre teste di cazzo del genere a dubitare che per una volta si stesse comportando da persona normale, e per quanto fosse consapevole che quello stigmate se lo fosse impresso da solo, allo stesso tempo stava solo cercando di essere preso sul serio.

Ma non poteva cadere nella tentazione delle solite abitudini, non anche quella volta. Le mani sprofondarono nelle tasche per impedirgli qualsiasi gesto inopportuno, e inspirando ed espirando profondamente cercò di mettere insieme quella poca calma che gli era rimasta.

- Chiedi a chi ti pare, là dentro, oppure se preferisci anche al mio superiore, che tra cinque minuti torna. - borbottò - Ti sembrerà strano, ma te lo confermeranno tutti. Sono un cazzo di onesto cittadino, ora, contento? -

- Hm. - no, evidentemente non era contento. Perché non gli aveva ancora strappato la testa dal collo? Gusto, perché altrimenti si sarebbe visto strappare il contratto davanti agli occhi - E com’è che ad un tratto hai deciso di fare “l’onesto”? -

- Per i soldi, Ryouta. Il mondo gira intorno ai soldi. -

- E a cosa ti servono, così all’improvviso? -

- Cristo, ma cosa sei, mia madre?! - no, nemmeno sua madre gli faceva tutte quelle domande, figurarsi. Rise, incredulo, passandosi una mano sul viso - Se lo chiedessi io a te mi risponderesti? No, certo che no, cazzo! Non ho sinceramente voglia di stare a discuterne qui e ora, voglio solo fare il mio dovere. Possiamo, per favore, tenere qualsiasi questione da parte e ignorarci? Tu non rompi le palle a me e io non le rompo a te. -

Sapeva che, nonostante tutto, Kise ancora non era convinto, ma lo ringraziò interiormente per non aver cercato di calcare oltre la mano. Piuttosto, lo vide lanciargli l’ennesima occhiata ambigua, mentre arrendendosi si stringeva nelle spalle.

- Non c’è quasi bisogno che lo dica: non mi fido di te, Shougo. - gli disse freddamente, avviandosi di nuovo verso la porta - Ti terrò d’occhio. -

- Allora magari facciamo un test oculistico veloce veloce, eh? - ringhiò, alzando il dito medio - Quanti sono questi? -

Nessuna risposta, grazie al cielo: Ryouta roteò gli occhi al cielo, e l’attimo dopo era già sparito dentro l’edificio. Finalmente.

- E vaffanculo… - si lasciò finalmente sfuggire, massaggiandosi le tempie. Almeno, sperava, avere a che fare con lui sarebbe dovuta essere solo un’occasione sporadica.

- Ce l’hai con me? -

Sobbalzò, Shougo, voltandosi di scatto. il signor Ishihara si era come rimaterializzato davanti ai suoi occhi, lo sguardo disinteressato e la schiena contro la porterà del furgone.

- No, no, certo che no! - si affrettò a replicare, agitando le mani. Da quanto diavolo era lì, quanto aveva visto?! E soprattutto, perché non si era accorto del suo ritorno? Aveva già avuto a che fare con persone del genere, dalla presenza così sottile da essere quasi impalpabile, e non poteva dire che avesse una particolare simpatia per questa spaventosa caratteristica.

L’uomo sollevò le sopracciglia sullo sguardo annoiato, come intuendo una parte dei pensieri di Haizaki. Scrollò le spalle, noncurante.

- Non sono affari miei, ma se hai litigato con quello vedi di chiarire le cose alla svelta. - borbottò - È il cocco dello studio, ti prenderanno in antipatia se si venisse a sapere. -

- Ma figurati se c’ho litigato, è stato lui a venire da me… - mugugnò, quasi remissivo. Per una volta che era quasi nel giusto, cazzo! - … era un mio compagno delle medie, un cretino. -

- E come mai l’ostilità? -

- Perché gli ho fregato la ragazza. - pausa. - … e perché per colpa sua sono stato cacciato dalla squadra. -

Omise sapientemente tutte le vicende legate a quella Winter Cup che li vide schierati uno contro all’altro, a come l’avesse volontariamente infortunato e come, dopo la partita, l’avesse aspettato con l’intenzione di mettergli le mani addosso — ma non erano cose che, in quel momento, valeva la pena raccontare. L’aveva detto, non gli interessava minimamente di Ryouta in quel momento della sua esistenza! Voleva solo lavorare in pace!

Ishihara gli tirò una lunga e pensosa occhiata, come valutando se lasciarsi persuadere o meno da quelle parole. Ecco, ci mancava anche che un simile confronto lo facesse pure licenziare! Il più giovane lo vide sospirare, per poi accendersi l’ennesima sigaretta.

- Haizaki. - lo richiamò, semplicemente, senza neppure guardarlo in faccia - Mi garantisci che non sei qua per menare le mani? -

- Andiamo, potrei farlo quando mi pare e senza dover indossare una salopette arancione e spaccarmi la schiena a smontare scatoloni! - gracchiò, annoiato - Voglio solo lavorare senza rotture, chissenefrega di quello là?! -

Altro sospiro, altra scrollata di spalle. Era come se quell’uomo avesse giusto giusto due o tre movimenti di base, e che li alternasse a seconda della necessità, rendendo però del tutto impossibile leggere con precisione cosa stesse per dire. Per Shougo, ormai, stargli attorno era come stare perennemente in bilico sul filo del rasoio.

- Sicuramente mi fido più di te, che ormai ti conosco, che di quello lì. - concluse l’altro, tranquillo. Haizaki si sentì come liberare da un macigno, e una soddisfazione di fondo gli incurvò le labbra nel più stupido dei sorrisi. “Mi fido di te” — non era neanche sicuro che qualcuno gli avesse mai davvero rivolto quelle parole; e finalmente, dopo tanta gente che gli dava contro a prescindere, qualcuno che gli dava un po’ di credito era come una boccata d’aria fresca.

 - Oi, non farmene pentire, eh. -

- Ah- c-certo che no, capo! -

 

 

- Sono a casa… -

Alla fine, quella giornata si era conclusa senza troppi fastidiosi intoppi. Kise, grazie al cielo, non era più venuto a scassare le balle, e dopo aver deciso di rimanere ad aspettare fuori per tutto il tempo, quando era rientrato a recuperare gli allestimenti non aveva incontrato nessuno a cui quello stronzetto avrebbe potuto aver raccontato perché fosse di così cattivo umore. Ennesimo appunto mentale: preferibilmente, decise, da lì in poi in quello studio ci sarebbe entrato solo se strettamente necessario e per il minor tempo possibile.

Si chiuse la porta alle spalle con un sospiro, non aspettandosi che qualcuno rispondesse davvero a quel saluto. Fuori casa la macchina di Shinya non c’era, e visto l’orario era più che probabile che quella casa fosse completamente vuota.

Fu per questo che, una volta messo piede nella sala principale, per poco non si prese un accidente quando vide una donna riversa sul tavolo. Cazzo, sembrava quasi morta!

- Ma’? - si inginocchiò accanto a lei, leggermente preoccupato, avvicinando una mano al suo viso. Ovviamente, respirava ancora: quella era solo crollata come una deficiente, tra l’altro proprio mentre finiva di truccarsi. Dunque avrebbe lavorato pure quella sera? Shougo appoggiò il mento ad una mano, scrutandola in silenzio senza ancora svegliarla.

Non gliel’aveva mai detto, fermamente convinto che farsi i cazzi propri in certi casi fosse la cosa migliore — ma non aveva dubbi che, in fondo, tutto questo bisogno di truccarsi così tanto ogni volta non ne aveva. Sua madre era davvero una bella donna, dai tratti eternamente giovanili e un fisico innegabilmente attraente, e poteva ben capire perché dopo tanti anni di servizio, ancora, la sua agenda fosse sempre così piena. Inarcò le sopracciglia, facendo sporgere il labbro superiore nella manifestazione più ovvia e inconscia di un’abitudine che aveva ‘rubato’ a qualcuno diverso tempo fa: per lui era normale parlare di sua madre in quei termini, ormai abituato a considerare come niente di così scandaloso il lavoro che si era scelta; a volte, però, non poteva fare a meno di fermarsi a riflettere che per il resto del mondo quella era solo una donnaccia debosciata.

Come avrebbe reagito, però, se si fosse trovato davanti agli occhi qualcuno intento ad apostrofarla così? Ne pensava di tutti i colori su di lei, soprattutto soffermandosi sul suo umore instabile e sulla sua lancinante incapacità di prendersi responsabilità, ma a differenza di quanto palesava Shinya lui, sua madre, non l’aveva mai odiata davvero. La considerazione che aveva nei suoi confronti non era delle più alte, certo, e forse non la considerava neanche esattamente una genitrice; complici quei relativamente pochi anni di differenza che correvano tra di loro e la sua età mentale da eterna diciassettenne, forse la sentiva quasi più affine ad una specie di sorella maggiore, risparmiandogli così anche una marea di seghe mentali sul come non avesse mai avuto dei “genitori presenti e amorevoli” e cazzate simili. Era sempre stato molto più facile, per lui, accettare le sue lacune e comportarsi di conseguenza, mantenendo contemporaneamente intatto quel legame un po’ insolito che probabilmente l’avrebbe portato a saltare al collo di chiunque avrebbe provato a dire qualcosa su di lei (o almeno, al di fuori di quella famiglia).

A tal proposito, un moto di sottile inquietudine gli sorse nel mezzo del petto, e una smorfia spontanea si dipinse sul suo viso. Fino a quel momento non gliel’aveva ancora chiesto, ma come avevano reagito i suoi clienti alla notizia? Perché-… doveva per forza dirglielo, no?

Controllò l’ora sullo schermo del cellulare, appurando l’orario e concludendo che, forse, era il caso di riportarla in questa dimensione della realtà. Allungò una mano verso di lei, scrollandola appena, e quelle palpebre truccate solo per metà si aprirono poco dopo.

La donna si guardò intorno spaesata, sussultando appena prima di mettere correttamente a fuoco la figura del ragazzo accanto a sé.

- Shougo… sei già a casa? - mugugnò, portandosi le mani agli occhi per stropicciarseli ed emettere un urletto stridulo un attimo dopo.

- Oh no, il trucco per stasera! - si lagnò, lamentosa, alzandosi di scatto e correndo chissà dove. Ecco, anche per questo Shougo faceva fin troppo fatica a starle dietro: non capiva mai cosa le passasse per la testa, quali sarebbero state le sue reazioni e cosa figurasse in cima alla lista delle sue priorità.

Sospirò, seccato, aspettando di vederla concludere tutte quelle accortezze a lui incomprensibili, e lanciando uno sguardo sul tavolo pieno di trucchi sparsi in giro adocchiò una busta che tirò su senza troppe domande. Al suo interno, quasi con disappunto, tutto ciò che trovò furono un paio di foglietti neri con macchie più chiare del tutto incomprensibili. Che era quella merda?

- Che è ‘sta roba? - domandò senza grazia, non appena la madre tornò a sedere al tavolo per sistemarsi il trucco. Ella sorrise brevemente, gli occhi fissi sullo specchietto portatile mentre si impiastricciava gli occhi di colori che Haizaki non credeva potessero davvero stare bene in faccia a una persona.

- È il tuo fratellino, Shougo. Sono andata a fare la prima ecografia, oggi, non te l’avevo detto? Mi hanno confermato che sono di otto settimane. - replicò, con gentile naturalezza. L’altro si pentì di ogni pensiero avuto nell’arco degli ultimi dieci secondi, tornando con le pupille incollate a quelle foto identiche ma per lui completamente incomprensibili. Quella— macchietta grigia ed informe dentro quella macchia nera era suo fratello? Come si faceva a capire?

La donna parve accorgersi del suo dubbio, ridacchiando divertita e prendendogliele di mano.

- Vedi? Qua c’è la testolina. - cinguettò, iniziando ad indicare forme che Shougo si sforzava, davvero, a cercare di comprendere, ma era tutto talmente arduo che si domandò se per caso la donna non si stesse inventando tutto - Mentre qua c’è l’abbozzo delle gambe e delle braccia, e… -

- Ed è tutto lì? Nella-… tua pancia? -

Ella rise, e Haizaki si sentì avvampare. Non è che lo stava prendendo per il culo per una domanda simile, vero?! C’era qualcosa di sbagliato ad essere curiosi, una volta nella vita?

La vide appiattirsi la maglietta sul ventre, ma contrariandosi per l’ennesima volta in quella serata Shougo non vide praticamente nulla. Nessun palese rigonfiamento, niente che potesse lasciargli presupporre che là dentro potesse davvero esserci qualcosa. Di nuovo, la donna gli rise praticamente in faccia.

- Forse in effetti non si nota, ma io sto già iniziando a faticare a chiudere il bottone dei miei pantaloni attillati preferiti! - commentò, con quell’indiscutibile ingenuità che caratterizzava ogni sua frase -… però è un bravo bimbo. Per adesso sta crescendo bene, e non mi ha fatto svegliare con la bocca piena di vomito neanche una volta! -

- Non c’è bisogno di essere così espliciti, mamma, cazzo! - si lamentò immediatamente Haizaki, provocando in lei l’ennesima risata. Almeno uno dei due era contento, ma che schifo…

Cercò di tenere lontano ogni pensiero su nausee mattutine (si chiamavano così?) e quant’altro, recuperando il motivo iniziale per cui aveva cercato di iniziare quella conversazione. Riprese in mano quelle immagini indecifrabili, dunque, scrutando oltre a esse la donna che con noncuranza era tornata a truccarsi.

- … ma’. -

- Sì? Dimmi. -

- I tuoi clienti, uhm… lo sanno? Come l’hanno presa? -

Non seppe neanche perché era così teso mentre poneva quella domanda, scivolando così tanto fuori dal proprio usuale personaggio da non riconoscersi. Che poi, perché si preoccupava tanto? Quell’altra non aveva smesso di sorridere come una scema neppure per un secondo!

- Oh, i regolari li ho avvisati praticamente tutti, ormai! - esclamò infatti, per nulla turbata - … anche se alcuni preferiscono aspettare che io entri nel periodo più stabile prima di rivederci. Non mi aspettavo niente di diverso, d’altronde molti li conosco già da quando aspettavo te, Shougo… - sorrise, quasi nostalgica - … mi hanno fatto tutti i complimenti, comunque. E molti si sono offerti di aiutarmi, per qualsiasi necessità io possa avere. -

Fu in quel momento che, al moto di preoccupazione che gli aveva annodato lo stomaco fino a quel momento, si sovrappose preponderantemente un’intensa sensazione di rabbia. Certo, sapeva bene quale fosse il loro atteggiamento nei confronti di sua madre, tutti presi a coccolarla e viziarla come fosse una bambola; ma quando si trattava di assumersi vere responsabilità?

- Scommetto che nessuno si è offerto di provare il test del DNA o queste stronzate qua. - borbottò, volgendo lo sguardo altrove. Ciò che raggiunse le sue orecchie non fu più una risata, ma un palese sospiro.

- E perché dovrebbero? - si sentì rispondere, con una voce gentile ma impregnata di rassegnazione - … sono tutti uomini ricchi, sposati, e alcuni con figli più grandi persino di Shinya. Che interesse ci sarebbe, per loro, riconoscere un figlio al di fuori dal loro santissimo matrimonio? -

- Ok, ma non è giusto. -

- Volente o nolente sono in quest’ambiente da vent’anni, Shougo, e anche prima credo di non aver mai incontrato un uomo ‘giusto’. - quella frase carica di fredda e spietata lucidità lo riscosse, non aspettandosi di sentirla uscire da una bocca che di solito sparava solo frivolezze. Era raro sentirla parlare in quel modo — e proprio in quei momenti, Shougo capiva che sua madre non era l’oca superficiale che tante volte ostentava di essere, forse solo per appagare quei compagni che erano rimasti infatuati di lei per così tanto tempo ma che avevano sempre preferito considerarla solo come un eccitante, segreto divertimento.

Doveva aver fatto una faccia davvero idiota, perché poco dopo si sentì tirare fastidiosamente una guancia. Aggrottò le sopracciglia, ma prima di ogni protesta fu di nuovo lei a prendere la parola.

- Però almeno Shinya sembrerebbe starsi impegnando a dimostrarmi il contrario, anche se ultimamente è sempre terribilmente nervoso - stavolta, la sua voce era tornata allegra e tranquilla - … e anche tu sei sulla buona strada, me lo sento. -

Fermi tutti, l’aveva appena definito un uomo giusto? Haizaki sgranò gli occhi, ogni risposta sfottente che gli scivolò via dalla bocca senza nemmeno una possibilità di essere sfruttata. Prima il capo che aveva deciso di fidarsi di lui, poi sua madre che gli diceva una cosa del genere? iniziò a domandarsi se per caso non stesse vivendo una delle tipiche giornate di Haizaki Shougo, ma che quella mattina si fosse svegliato nel corpo di qualcun altro.

Un altro buffetto, stavolta all’altra guancia, lo riportò coi piedi per terra. La donna si era alzata, sistemandosi i vestiti addosso e recuperando i propri trucchi e quasi tutte le ecografie sparse in giro per il tavolo.

- Adesso devo andare, se hai fame ti ho lasciato la cena da scaldare nel frigo. Vedi di lasciare qualcosa per tuo fratello, che stasera torna tardi! - gli sorrise, serena - E non stare tutta la sera al pc, che domani hai scuola. -

- In diciassett’anni me le fai ora queste raccomandazioni, ma’? - borbottò, ma senza davvero protestare. Udì vagamente il suo saluto divertito e la porta che si chiudeva, e solo allora si rese conto che sulla tavola era rimasta un’ultima copia dell’ecografia.

Stava quasi per alzarsi e rincorrerla per restituirgliela, quando l’attenzione gli cadde su una scritta veloce lasciata sul retro dell’immagine stampata.

 

x Shougo

 

Sbatté le palpebre, colto un po’ di sorpresa. Aveva fatto una copia specifica solo per lui? Quasi sicuramente ne aveva fatta una per Shinya, pure, e magari anche per tutti i suoi clienti più fidati, ma per un motivo o per l’altro quella singola accortezza lo fece sentire parte di qualcosa di speciale — senza contare il sottile pentimento che, per qualche motivo, provava per non essere stato lì nel momento in cui quelle immagini venivano catturate per la prima volta. Che poi, perché così all’improvviso gli importava così tanto di quel fagiolo?

 

… anche se, magari, alla visita successiva avrebbe potuto pure pensare di accompagnarla.

 

 

 

 

Salve! Dovrei smetterla di sproloquiare dopo i capitoli, argh.
Questo è uno dei miei capitoli preferiti fino ad ora, principalmente per questa misteriosa sensazione d’affetto che ho sviluppato nei confronti della madre di Haizaki. Fino ad ora è stata un po’ una svampita squilibrata con la testa tra le nuvole, ma la verità è che non ho mai avuto l’intenzione di dipingere un personaggio del tutto monodimensionale – e nella seconda metà di questo capitolo ho cercato di evidenziarlo al massimo.

In generale, non è l’unico pg che appare in questo capitolo di cui ho mostrato “l’altra faccia della medaglia”. Kise, ad esempio – ricordo vividamente una dichiarazione di Fujimaki e di come, secondo la sua concezione, il nostro biondino adorato non fosse un personaggio buono per natura, ma un soggetto sprezzante e disinteressato, intenzionato a comportarsi ‘da bravo’ solo davanti alle persone che gli interessano. Cercherò di ricalcare il più possibile questa visuale, non incattivendolo eccessivamente ma di sicuro neppure rendendolo immediatamente disposto al perdono!

Btw, alla fine ho deciso di non mettere l’avvertimento OOC, ma forse dovrei mettere quello di ‘tematiche delicate’. Nella testa di Shougo, la condizone della sua famiglia è affrontata con leggerezza ma solo perché ormai ne è pienamente abituato, ma è chiaro che il tutto sia definitivamente fuori dalle righe.

Ancora, vi ringrazio per le letture e i seguiti che mi sono arrivati; al solito, qualsiasi commento è sempre più che ben accetto!

 

… e da qui in poi spero di pubblicare regolarmente, perché questo era l’ultimo capitolo che avevo pronto già scritto già da prima di pubblicare la storia. Se non altro i successivi sono in via di stesura!

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Capitolo 4
*** Can it get any worse than this? ***


» 4. Can it get any worse than this?

 

 

Alla fine, era stato solo qualche giorno dopo quella tacita e segreta decisione che Shougo aveva trovato il coraggio di chiedere espressamente a sua madre se, la prossima volta, sarebbe potuto venire a vedere quella radiografia o ecografia o qualsiasi nome avesse quella cosa che serviva per ottenere quelle fotografie incomprensibili in bianco e nero, dirigendosi addosso una serie di battutine divertite da parte della donna e di sguardi incuriositi da parte di un fratello che, una volta tanto, aveva ben pensato di starsene in silenzio, tenendosi per sé qualsiasi eventuale, stupido commento potesse essere sbucato in quella testa di legno.

Non che sarebbe così strano, se si fosse stupito di tutto quell’interesse: lui per primo si capacitava a fatica di quella curiosità così stupidamente infantile, di quel bisogno di conoscere il funzionamento di certe cose. Non era riuscito a prendersela a male come era successo con Shinya, che dopo la sfuriata di quella sera si era limitato a commentare solo raramente il fattaccio, come lo chiamava a volte, con fredda impersonalità; ma d’altra parte neanche vedeva perché impuntarsi così tanto e reagire in modo così negativo: ormai il danno era fatto, perché continuare ad arrovellarsi su qualcosa che comunque non aveva rimedio? O meglio, uno ce n’era — l’argomento aleggiava continuamente senza mai essere affrontato, ma in un paese come il Giappone, dove quella soluzione era proibita se non per motivi urgenti, per una famiglia instabile come la loro era troppo rischioso cercare di perseguire una strada del genere. E poi, figurarsi se quella avrebbe acconsentito! Sapevano tutti che una proposta così rischiosa sarebbe sfociata nell’ennesima, violenta lite che tutto le avrebbe fatto meno che bene, soprattutto contando che forse, in fondo, si sarebbe opposto anche lui.

Sapeva ormai che il suo giudizio in quella casa valeva come un pezzo di carta igienica usata, soprattutto agli occhi dell’autodichiarato capofamiglia, ma Shougo non voleva sinceramente che succedesse qualcosa di male a quel coso strano che vedeva su quel rettangolino di carta ogni volta che ci posava l’occhio. E questo succedeva ben più spesso del previsto, visto che quella foto risiedeva ora al sicuro nel suo portafoglio: era da tanto che non si attaccava così tanto a qualcosa, a livello materiale o spirituale, che non riguardasse una vendetta o qualche discutibile bisogno di far male a qualcuno per il puro gusto di sentirsi superiore. Era come sorta in lui una specie di infantile curiosità che non sentiva da tanto, un bisogno insistente ma non morboso di capire. Che fosse anche, in parte, perché in effetti era una delle poche esperienze in assoluto che non avrebbe mai potuto (e voluto, onestamente) copiare? Che persino quella rinnovata bramosia di sapere fosse semplicemente un desiderio egoistico, che si sarebbe estinto non appena si sarebbe stancato di continuare a star dietro a quella ridicola storia? Forse era quello di Shinya l’atteggiamento giusto, forse avrebbe davvero indignarsene più che conservare quello stupido, celato entusiasmo, ma ogni volta si rendeva conto di quanto per lui fosse pressoché impossibile riuscirci seriamente. Una volta tanto che non era indisponente nei confronti di una certa cosa, diamine, perché doveva necessariamente perdere d’interesse? Stavolta il bloc-notes mentale servì solo per tirarsi una serie di metaforici sganassoni sulla fronte, mentre si chiudeva alle spalle il portellone del furgoncino per immettersi ufficialmente in un’altra giornata del suo lavoro part-time.

Fortunatamente, in quella manciata di giorni non si era più trovato davanti nessun incontro sgradevole quando era tornato lì per lavoro: il signor Ishihara, una volta tanto, era uscito dalla sua personale bolla per fare qualche domanda qua e là, informandosi sui giorni in cui era più probabile che Ryouta sarebbe sbucato dal nulla, magari ancora convinto di essere il centro unico di chissà quale complotto nei suoi confronti. Purtroppo, quel pomeriggio non era tra i più fortunati — ma se non altro Shougo aveva presto imparato a seguire l’esempio del proprio capo nel farsi i fatti propri, limitandosi a scaricare quel che doveva scaricare e caricare di nuovo sul furgone quello che aveva da caricare, cosicché, se anche Kise fosse stato diviso da lui da una singola porta scricchiolante, in nessun modo i due avrebbero avuto occasione di rendersi conto della presenza l’uno dell’altro. Per colpa di quel confronto di cui avrebbe fatto più che volentieri a meno la sua volontà già precaria stava iniziando a vacillare, ma se le cose fossero rimaste stabili così come con ottimistica testardaggine cercava di convincersi, allora non avrebbe avuto più nulla di cui lamentarsi.

Seguì il proprio superiore senza dire una parola, come fermissimamente deciso a perpetrare in quel voto di assoluto silenzio (e menefreghismo), un grosso scatolone in mano e la visiera del cappellino immancabilmente calata sul viso per rendersi il più anonimo possibile mentre attraversava quei corridoi che ormai conosceva a memoria. Stava finalmente iniziando a prendere familiarità un po’ con tutti i luoghi che frequentava per via di quell’impiego, e naturalmente lo studio di fotografia non ne era esente: per quanto ne avesse vista per bene solo una sezione, ormai poteva comunque dire di conoscerla non come casa sua ma quasi, riconoscendo a colpo d’occhio tutte quelle facce che ormai sapeva essere le presenze immancabili. C’era la bella tipa timida che ogni tanto lo salutava con gli occhi da sopra le lenti degli occhiali, l’addetto alle luci che aveva la stessa vitalità di un’anguilla morta, un paio di truccatori e di addetti ai costumi e

- Haisaki? -

Raggelò, stringendo così forte le dita sullo scatolone che fu piuttosto sicuro che le proprie impronte digitali rimasero chiaramente visibili sul cartone ondulato. Purtroppo, ormai anche quella voce fastidiosa gli era orribilmente familiare: aveva scoperto solo di recente che quella tipa, nonostante i soli due neuroni che si inseguivano disperatamente nella sua testa, da quelle parti era un po’ un pezzo grosso, anche se ignorava quale fosse la sua posizione. Non truccava, non vestiva, non assisteva e non fotografava; era lì per ciarlare e basta?

Alzò gli occhi a lei, Shougo, incontrando un viso stranamente severo e corrucciato. Era la prima volta che la vedeva in quello stato, che era successo? E soprattutto, Haisaki? Ancora? Quante volte l’aveva corretta?!

- Haizaki. - perseverò, mugugnando - … serve qualcosa? -

- Voglio parlare col tuo superiore, adesso. -

Scandì, probabilmente credendosi minacciosa, piantandosi le mani chiuse a pugno sui fianchi. L’altro inarcò un sopracciglio, cercando di farsi meno domande possibili.

Indicò con un cenno del capo l’uomo davanti a lui — chiaramente più anziano, chiaramente vestito come lui e chiaramente occupato nella stessa mansione, e probabilmente facentesi vedere da quelle parti da anni. Era un ometto anonimo e un po’ invisibile, ok, ma pure lei ce ne stava mettendo del suo a risultare sempre più stupida.

La seguì con lo sguardo nel suo sussultare, come effettivamente notando l’uomo solo in quel momento, vedendola zompettare su quei tacchi vertiginosi fino ad avanzare davanti al signor Ishihara.

- Mi spiace dover arrivare a questo - esclamò, come colpita dalla peggior offesa e portandosi, drammaticamente, una mano sul petto - … ma il suo impiegato qui non è il benvenuto. -

E in quel momento, a Shougo avrebbero potuto fare di tutto.

Avrebbero potuto prenderlo a bastonate, pestargli i piedi, tirargli un calcio in mezzo alle gambe — niente l’avrebbe risvegliato da quell’improvviso e immediato stato semicatatonico in cui quelle parole l’avevano buttato, come trattandosi di un’antica e segreta formula misteriosa per annullare completamente la voglia di vivere di chiunque ci si trovasse davanti.

“Non è il benvenuto” — non era la prima volta che glielo dicevano; nel corso della sua breve vita era stato coinvolto più di solo qualche volta in incidenti del tutto indipendenti dalla sua volontà che l’avevano costretto ad allontanarsi da luoghi che frequentava abitualmente, ma quella volta furono parole che arrivarono come un fulmine a ciel sereno. Ripercorse con la mente tutti i momenti in cui aveva messo piede tra quelle mura, cercando di ricordare se avesse combinato qualcosa che avrebbe potuto meritarsi un qualsiasi tipo di marchio a fuoco sulla coscienza, ma niente gli riaffiorò alla memoria. Che cosa aveva fatto?

- Anzi, vorrei che svuotasse le tasche qui, davanti a tutti. E che ci faccia vedere il contenuto del suo portafoglio. -

Ancora sotto l’incantesimo di quella strega stridula posò lo scatolone a terra, avvicinandosi meccanicamente a lei e rovesciando il contenuto delle proprie tasche sul pavimento: l’unica cosa che ne scivolò fu un pacchetto di sigarette mezzo consumato e qualche scontrino, e neppure l’esame del portafoglio fu troppo soddisfacente. Quattro banconote di bassa taglia tutte spiegazzate e una manciata di monetine non potevano incriminarlo di niente, no?

- … posso sapere cosa ho fatto? - biascicò, sempre più immerso in quella dimensione così surreale. Aveva praticamente sempre avuto la coscienza sporca, non lo negava, quindi si trovava perfettamente incapace di replicare ad un’accusa infondata per l’unica volta che non aveva davvero fatto nulla. Anche se, ora che ci pensava, una singola macchia c’era effettivamente stata da quando frequentava anche quelle zone. Ma non poteva essere stato davvero quello il motivo di un simile attacco, no? Non poteva essere stata la litigata con quell’imbecille, giusto?

Strizzò gli occhi quando sentì quella vocetta tartassargli i timpani, e un dito minacciosamente unghiato punzecchiarlo odiosamente nel mezzo del petto.

- Non ti azzardare a rispondermi così e a fare finta di nulla, sai? Non ti azzardare neppure, non farai che peggiorare la tua situazione, ladro! -

LADRO?!

- Mi scusi. - la mano del signor Ishihara lo scostò da una parte, impedendogli di ribattere prima di compiere l’irreparabile - Ma è scomparso qualcosa? Posso capire che i sospetti ricadano sul nuovo arrivato, ma… -

Occhieggiò la tizia esitare, incrociando le braccia e raddrizzandosi sulla schiena. Bene, ora voleva proprio sapere che cosa doveva aver rubato in un fottuto studio di fotografia che, quando arrivava lì, era privo di qualsiasi attrezzatura. Nemmeno una lampadina sarebbe stato in grado di nascondersi nella salopette!

- … niente. -

- Mi scusi? -

- Non è stato rubato niente. - continuò quella, e Shougo poté sentire chiaramente cascargli le braccia e non solo. Riprese la parola, scavalcando l’altro uomo e tornando faccia a faccia con la patetica donna.

- Si può sapere allora su che diavolo di base mi state accusando di aver rubato qualcosa?! - ringhiò, sentendosi lentamente risvegliare dall’ipnosi profonda che l’aveva asfissiantemente avvolto fino a quel momento, palesando completamente l’indole aggressiva che si era ripromesso di tenere quanto più possibile nascosta almeno davanti a coloro che avevano tutto il potere di cacciarlo da lì da un momento all’altro - Se non c’è il furto come fa ad esserci il ladro?! -

- Haizaki, per favore, ci penso io a chiarire. - il signor Ishihara tentò di intervenire, ma fu subito coperto dalla risposta dell’isterica lì davanti.

- Per quel che ne sappiamo potrebbe essere stato rubato qualcosa e non ce ne siamo ancora accorti! -  gracchiò, sempre più fuori di sé dalla rabbia, le rughe d’espressione che scavalcavano gli otto strati di make-up e iniziavano a far venire dubbi su quale fosse la sua reale età anagrafica - E poi, abbiamo fonti certe che ci hanno assicurato che il tuo curriculum non è esattamente pulito. -

Fonti certe”.

Shougo non aveva mai provato una sensazione simile. Per lui, la rabbia era sempre stato un processo lento, un crescendo progressivo che prima o poi sfociava nei suoi soliti atti irragionevolmente violenti; dovendo fare un paragone stupido era un po’ come un marshmallow lasciato troppo fuoco, lì per lì reso solo un po’ amaro dalle bruciature, poi diventando ingestibile e fastidioso quando iniziava a colare e appiccicarsi dappertutto.

In quel momento, però, l’astio che provava era tutto diverso. Si sentiva più simile ad un vulcano, che dal niente si era svegliato e aveva deciso che tutto quello che lo circondava gli aveva rotto così tanto il cazzo che non vedeva l’ora di affogarlo sotto la propria ira.

C’era solo una persona che avrebbe potuto rappresentare una fonte certa, un unico stronzo che avrebbe potuto lasciar trapelare queste cose; e se i propri pugni dolorosamente stretti erano come lava, si promise che ce lo avrebbe sommerso dai piedi fino alla punta di quei capelli fintissimi. Non c’era più ragione nelle sue azioni, neppure la certezza che qualsiasi incidente sarebbe stato pressoché fatale bastava a dissuaderlo: sentì vagamente il signor Ishihara richiamarlo, alle sue spalle, ma senza fare nulla per fermarlo; e senza aggiungere altro fece dietrofront da quel dannato covo di matti.

Il suo obiettivo non era rimanersene fuori e aspettare che sbollisse — chi se ne fregava, ormai, di farla sbollire? Quella pazza avrebbe fatto il lavaggio il cervello al suo capo, che per evitare casini l’avrebbe licenziato anche se quello studio non rappresentava la loro unica clientela. Tanto valeva avvantaggiarsi, e dimenticare ogni timore di sporcarsi le mani.

Dal vicolo in cui erano soliti appostarsi non ci mise molto, scuro in viso, a raggiungere la facciata principale dell’edificio. Li aveva sentiti spesso vantarsi di quanto fossero professionisti e di come pochi altri riuscissero ad eguagliare la qualità dei loro scatti, come se il loro lavoro fosse una specie di dono del Signore caduto per rischiarare la sorte dell’umana stirpe, ma come tutte le altre volte che aveva vagamente occhieggiato il marciapiede davanti allo studio neanche stavolta ci trovò una calca di persone ansiose di farsi inquadrare dai loro preziosissimi obiettivi.

A dire la verità, l’intera zona era sempre un po’ deserta. Proprio come lui non aveva mai sentito il desiderio di lasciarsi immortalare in un book fotografico e quelle menate là, evidentemente anche il resto della gente era della medesima opinione, relegando automaticamente quel genere di sfizi come qualcosa per occasioni estremamente speciali o, tuttalpiù, uno sfizio dispendioso dedicato solo alla fetta più facoltosa e annoiata della popolazione. Ma non era ciò che in quel momento lo stuzzicava, mentre una smorfia crudele gli increspava brevemente le labbra: l’importante era la conseguenza basilare di tutto questo; ovvero che di testimoni, lì intorno, praticamente non ce n’erano. D’altronde sarebbe stato un problema se qualcuno avesse provato ad accorrere, no? Rimase in disparte, attento a non dare nell’occhio ma pronto a svelarsi non appena sarebbe arrivato il momento, le dita che nelle tasche fremevano per fare quello che, a regola, riuscivano a fare meglio. E quando a poca distanza adocchiò quel deficiente tutto solo, col cellulare in una mano e un sorrisino stupido stampato sulla faccia, la sua mente si svuotò di ogni altro pensiero se non quello di avventarsi su di lui, trascinarlo in un vicolo e preferibilmente gonfiarlo di botte.

Lo colse di sorpresa afferrandolo per la maglietta mentre era distratto, strattonandolo con una veemenza tale che fu piuttosto sicuro di sentire la stoffa tendersi fin quasi al punto di strapparsi. Godette del verso lamentoso che uscì dalle sue labbra mentre come un sacco di patate lo sbatteva con la schiena contro al muro, irremovibile davanti a quegli occhi dapprima confusi, e poi infinitamente, quasi spaventosamente risentiti.

- Lasciami immediatamente, o chiamo la polizia. - gli sibilò Ryouta, ancorando le proprie mani al suo polso. Shougo lasciò a malapena che quelle parole turbassero le sue orecchie, mentre alzava minacciosamente il pugno.

In quel momento non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello che, di fatto, tutto quello che stava facendo giocava solo a favore dell’idea di lui che stava iniziando a diffondersi anche da quelle parti. Se tanto lo faceva incazzare, se odiava essere considerato solo un teppista buono solo a scatenare risse senza motivo, perché in quel momento se la stava prendendo in quel modo con la presunta causa di quelle voci? Erano tutte domande che si sarebbe dovuto porre prima di abbattere le nocche chiuse contro di lui, prima di sentire quel dolore lancinante partirgli dalla mano e ripercuotersi lungo tutto il braccio.

- Cazzo—!! - agonizzò, dal profondo della sua gola. Quello stronzo era riuscito a spostare sufficientemente il viso all’ultimo momento, e l’obiettivo della rabbia di Haizaki era diventato il muro di mattoni alle sue spalle. Non che bastasse questo a scoraggiarlo: raccogliendosi in un attimo di dolore tornò presto a puntare, furioso, gli occhi contro i suoi, stizziti sì ma quasi… indifferenti.

- Certo che hai proprio un bel coraggio, tu. - gli ringhiò addosso, stringendo così forte la presa sulla sua maglietta da farsi sbiancare le nocche, che esauste iniziarono a tremare. Lo vide tendersi un pochino, spaziare con lo sguardo verso il pugno ancora premuto contro il muro, ma gli bastò uno scossone per riportare la sua stupida attenzione verso di sé.

- È questo il gioco a cui vuoi giocare? Quello del perfetto pezzo di merda? - lo incalzò ancora, leggendo nei suoi occhi solo uno sguardo quasi interrogativo - Ti senti tanto meglio di me, ora che m’hai messo in cattiva luce? Ti diverte così tanto l’idea di farmi perdere il lavoro, eh? -

Lo vide sgranare stupidamente le palpebre, come colpito da quelle parole.

- Io non sto cercando di fare proprio niente, e ora lasciami. -

- Ah sì? E chi l’ha messa in giro la voce che non sono affidabile, Cristo? - replicò, immediatamente. L’altro si strinse nelle spalle, ma stavolta sembrò quasi, quasi, colpevole.

- Non ho messo in giro voci. - mugugnò, guardando basso, ma subito dopo tornando a fissarlo negli occhi - Mi hanno chiesto perché evitassi continuamente, che dovevo fare, inventarmi una stronzata? Dire che non ti avevo notato? Io ho solo detto la verità, se qualcuno ha frainteso la responsabilità non è mia! -

Ma si ascoltava mentre parlava?

Gliene avrebbe volute vomitare addosso di tutti i colori; avrebbe voluto dirgli a chiare lettere quanto trovasse stupido quel ragionamento e quanto le responsabilità (stava sinceramente iniziando ad odiare quella parola) gliele avrebbe infilate in anfratti remoti e oscuri, ma era ormai palese che non era mai stato bravo a tessere discorsi.

Tirò di nuovo su il pugno dolorante, stavolta quanto mai intenzionato a colpirlo sul serio — ma non appena tentò di pendere slancio, una mano si pose con fermezza sul suo avambraccio.

- Basta, Haizaki. Ora lascialo. -

Sussultò appena quando la voce del signor Ishihara raggiunse le sue orecchie, voltandosi quasi spaventato verso di lui. Di tutti i testimoni che aveva evitato, naturalmente l’unico che sotto sotto preferiva non vedesse nulla era stato anche il solo a vedere quello spettacolo consumarsi sotto il suo sguardo.

Kise approfittò di quell’attimo di stupore per liberarsi finalmente dalla sua presa, spingendo via Shougo e allontanandosi di qualche passo. Non disse niente, ma bastava la sua espressione a comunicare tutto il risentimento e la rabbia per un’aggressione, a suo parere, del tutto immotivata.

… e in fondo, in effetti, lo era. Shougo sapeva che Ryouta non era la causa diretta di quell’impilarsi di problemi, per quanto la sua influenza fosse comunque innegabile; solo allora si rese conto di quanto le sue azioni avessero peggiorato le cose, e di come si fosse praticamente scavato la fossa da solo.

- Capo, io… - non seppe nemmeno come proseguire, mentre l’uomo gli lasciava il braccio e a malapena lo degnava d’attenzione. Si diresse verso Kise, serio, levandosi il cappello e abbozzando un inchino col capo.

- Sono affranto che un mio dipendente le abbia causato qualsiasi tipo di disagio, in quanto suo responsabile le chiedo infinitamente perdono. - fece, prima di rimettersi dritto con la schiena e sospirare, risistemandosi in testa il berretto dell’uniforme e scrollando le spalle. Sembrò dimenticare ogni formalità mentre tornava a guardarlo negli occhi, se possibile ancora più serio di prima.

- … anche se, ragazzo, sai quanto stravedono per te là dentro, e quanto tengono in considerazione tutto quello che dici. Magari non è stata colpa tua e non volevi succedesse, ma ‘sta testa calda qua dietro vuole solo lavorare in pace. Adesso avresti tutto il diritto di dire quello che vuoi, per carità…. ma penso che non sia stato carino metterlo così in cattiva luce in primo luogo. Proviamo a chiudere un occhio, hm? D’ora in poi ci faccio più attenzione pure io. -

Con gli occhi completamente sgranati, Shougo non sapeva per cosa essere più sorpreso. Per il fatto che Ishihara fosse in grado di parlare per più di dieci secondi di fila, forse, o per la sua sorprendente e del tutto inaspettata capacità di argomentare così bene una posizione sfavorevole per farla diventare a proprio favore?

… o forse anche solo per il fatto che stava prendendo le sue difese?

L’altro gli si avvicinò con al solita, rinnovata flemma, appoggiandogli pesantemente una mano sulla spalla. Tacque, lungamente, abbassando la mano e sfilandogli di tasca l’altro pacchetto di sigarette, quello appena acquistato e nemmeno ancora sbustato che nascondeva per emergenza.

- Ma ehi… -

- È il minimo. Dopo quei due, non voglio più parlare con nessuno per una settimana. - borbottò, accendendosi una sigaretta. I suoi movimenti erano sempre lenti, mortalmente lenti, ma c’era una nota sottile d’irritazione che a Shougo era tutta nuova.

- Non so chi è più cretino; lei che ascolta solo se stessa, lui che non guarda più in là del proprio naso, o tu che te ne esci a pugni serrati a fare a botte mentre cerco di pararti le chiappe. - continuò, in quello che sembrava una specie di nervoso, mugugnante monologo, minaccioso abbastanza da rassomigliare il borbottio dei tuoni di un temporale in lontananza, ma comunque sufficientemente remoto per non rappresentare davvero un rischio immediato - Ho sistemato le cose, là dentro, abbiamo ribaltato persino il magazzino per assicurarci che non mancasse nulla, e se tutto va bene il biondino non ci metterà più bocca. Ma fatti beccare un’altra volta a fare a cazzotti e ti licenzio, eh. -

Non pensava che un tono di voce così torpido potesse anche incutergli così tanto timore, ma il ragazzo non riuscì a trattenere il brivido sfacciato che corse lungo la schiena. Niente più sgarri, l’aveva capito — e anche se continuava a credere che non fosse colpa sua, persino lui comprendeva che non era il caso di insistere ancora.

Sospirò, passandosi una mano dietro la testa. Il vulcano si era finalmente placato e alla furia dell’eruzione si stava, lentamente, sostituendo la calma che ne conseguiva; ma a che prezzo? Nonostante le cose si fossero concluse in suo favore aveva comunque ricevuto il suo primo ammonimento, e anche se il signor Ishihara aveva parlato con chi di dovere per sistemare la situazione, era ovvio che là dentro avrebbero comunque continuato a guardarlo a lungo con una punta di sospetto. Che palle.

- … mi dispiace. - borbottò, concludendo che forse quella era l’unica cosa intelligente da poter dire. Non guardò nemmeno il proprio capo negli occhi, anche se ne sentì lo sguardo addosso.

- Te l’ho detto, l’importante è che non succeda di nuovo. - lo sentì replicare, e nella sua voce era fortunatamente tornata la solita, piatta indifferenza. Annuì, quasi distrattamente, affondando la mano nelle tasche e recuperando il portafoglio.

Era a malapena passata l’ora di pranzo, e già quella era riuscita ad avere tutti i presupposti per una giornata di merda. Non che non fosse abituato a menare le mani, a mettersi nei casini e quant’altro — ma più ingiustamente gli succedeva, meno aveva voglia di perseverare nel suo dovere. Ma mollare proprio adesso sarebbe stata una doppia sconfitta, no? Sarebbe stato come provare a tutti che allora, davvero, l’unica cosa che era bravo a fare era essere un incompetente buono a nulla, e l’implicita scommessa che aveva fatto con se stesso e con chiunque dubitasse del contrario si sarebbe disintegrata dopo troppo poco tempo per essere anche solo lontanamente valida.

… anche se, in tutta sincerità, non era sicuro che fosse unicamente quell’immaturo e ostinato orgoglio a farlo perseverare. Scorse tra le dita tra i comparti del portafoglio pieni di cartacce risalenti al paleolitico, fiducioso, ma quando l’unica cosa che sarebbe dovuta trovarsi lì non gli saltò all’occhio per poco non gli cascò tutto di mano.

Ishihara notò quasi subito la sua espressione sconvolta e demotivata, accostandoglisi con una preoccupazione sottile furbamente celata sotto la solita maschera.

- … oi, tutto bene? - gli fece, ma quasi Shougo non lo sentì. Quanto diavolo poteva essere deficiente?! Di sicuro non era niente di grave, ma in quel momento provava solo il desiderio di scavare una fossa e nasconderci dentro la testa per tutta l’eternità.

 

- … ho perso l’ecografia. -

 

 

 

 

Buonasera!

Per me “l’incubo del quarto capitolo” è qualcosa che si ripresenta ogni volta che cerco di scrivere una long, e ammetto che averlo superato mi fa tirare un sospiro di sollievo. La storia sta per scivolare verso uno dei primi punti di svolta, e mi sento un tripudio di fiducia e di buoni propositi.

Questo doveva essere un capitolo transitorio, ma alla fine ho scritto più di quanto credessi. Sarà che da quando ho smesso di usare word se non per i ritocchi finali, scrivendo piuttosto su un programma che non mi conta le parole, la mia vita è notevolmente migliorata… (?)

Spero davvero tantissimo di riuscire a mantenere un buon ritmo, anche se causa Romics già questa settimana dovrò rallentare <\3 ma in ogni caso, ancora mille grazie a chiunque stia seguendo questa mia storiella ~

Alla prossima!

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Capitolo 5
*** I won’t mind my own damn business! ***


» 5. I won’t mind my own damn business!

 

 

L’aveva cercata ovunque. Era persino rimasto più tempo del previsto, sotto la guardia del signor Ishihara che si occupava di controllare per lui gli spostamenti della pazza sclerotica (che, altrimenti, vedendolo chinato a terra a perlustrare ogni angolo avrebbe di nuovo iniziato ad urlargli addosso) — ma l’ecografia era sparita, volatilizzatasi nel nulla, come se non fosse nemmeno mai esistita.

Era rimasto col broncio fino alla sera, persino quando il capo, probabilmente intuendo quanto avesse le palle girate in quel momento, si era offerto di dargli uno strappo fino a casa una volta terminato il turno. Seduto in silenzio nel posto del passeggero, Shougo guardava distrattamente le strade iniziare a tingersi delle sfumature del tramonto e le macchine iniziare ad ingorgare le strade, piene di persone che dopo essersi spaccate la schiena o essersi fatte il culo quadrato su una seggiola da ufficio se ne tornavano a casa con il pane che si erano guadagnati. E dire che pure lui se l’era guadagnato, il pane, per oggi; e dire che pure lui s’era spaccato la schiena, seppur quel giorno in particolare avesse rischiato di spaccarla anche a qualcun altro… però, nonostante questo, non riusciva a non sentirsi un completo fallimento.

Una, una cosa doveva fare bene. Un singolo foglietto doveva stare attento a non perdere, quando era più volte stato capace di tenere nella tasca posteriore dei pantaloni lo stesso scontrino per dieci mesi di fila; ma naturalmente, era stato capace anche di fallire in un compito così banalmente semplice. Non importava quanto si ripetesse che non fosse la fine del mondo, o che sua madre ci avrebbe riso su e gli avrebbe detto di aspettare la prossima volta: se possibile, anzi, tutto ciò lo faceva arrabbiare ancora di più, perché riconosceva pure lui di starsi infervorando per una cosa tanto idiota. Cazzo, neanche col signor Ishihara era stato troppo chiaro a riguardo, temendo che magari lo prendesse per il culo!

Quella giornata gli stava dando sempre più presupposti per incazzarsi come una iena. Prima la tizia che gli sbraitava contro, poi Ryouta, infine la dannata radiografia… forse era meglio se, una volta tornato a casa, si fosse limitato a chiudersi nello sgabuzzino che era camera sua e avesse evitato qualsiasi altro contatto fino al mattino dopo.

- Grazie per lo strappo, eh. - borbottò, quando il furgoncino si fermò davanti al complesso d’appartamenti tutt’altro che lusinghiero dove viveva con la sua famiglia. L’altro uomo non disse nulla, o forse si limitò ad augurargli buona serata con il suo tono ad infrasuoni che non arrivò neanche a sfiorargli i timpani; Shougo si chiuse il portellone alle spalle, e con le mani affondate nelle tasche della divisa si avviò silenziosamente verso l’appartamento. Chissà se avrebbe potuto permettersi di fare una doccia senza che, chissà, gli si sgretolasse il pavimento sotto i piedi, o gli cadesse il cesso dell’inquilino del piano di sopra sulla testa? Il fatto che tutte queste sfighe gratuite sarebbero state più che plausibili non fece che accigliarlo ancora di più, e schioccando la lingua sul palato recuperò le chiavi di casa nel momento in cui mise piede sul corridoio del suo piano.

Non gli servì neppure avvicinarsi, che subito sentì una certa commozione di voci alterate provenire da dietro quella lastra spesa meno di mezzo centimetro che si spacciava per ‘porta’. Fece roteare gli occhi, arricciando il naso: non aveva fatto caso alla sua macchina fuori, ma a quanto pare Shinya era già tornato — e, per giunta, solo per mettere zizzania. Ma non si stufava mai di litigare, quello? Certo, era l’ultimo che poteva parlare, testa calda e guerrafondaio qual era, ma persino lui arrivato ad un certo punto preferiva evitare discussioni e starsene per conto proprio.

Indietreggiò di un passo, aggrottando le sopracciglia. Non era la prima volta che si trovava in una situazione del genere, in cui quelle urla lo sconfortavano al punto da dissuaderlo dal tornarsene finalmente a casa propria. L’aveva già detto, no? Il suo contributo a quelle discussioni era sempre praticamente nullo, Shinya non lo reputava responsabile abbastanza da poter infilarsi in determinate questioni, di conseguenza fare dietrofront e fregarsene era diventata, per lui, la prassi.

Ma quella sera non sembrava aver voglia di dar retta alle consuetudini. Si mordicchiò l’interno della bocca, e si riguadagnò quel passo che si era perso poco prima: le voci erano confuse, agitate, ma con un po’ di attenzione riuscì comunque a capire cosa si stavano dicendo.

- Non me ne può fregare niente se non vuoi, l’hai capito?! Io non lo campo un altro moccioso, o fai come ti dico io o fai come ti dico io! -

Shougo sentì la madre cercare di replicare, ma la sua voce era così rotta dalle lacrime che neppure capì cosa stesse dicendo. Un qualcosa gli si attorcigliò in mezzo alla gola, così repentinamente da farlo faticare a respirare.

- È perché so cosa sei! Sei un’incapace, una deviata, una maledetta egoista! - Shinya, intanto, non sembrava neppure sul punto di smettere. Come cazzo riusciva a prendersela così tanto con lei, a non lasciarle tregua nemmeno nello stato in cui si trovava?

- Tirati su o ti ci porto di peso, non me ne frega niente. -

- No-… no, Shinya, per favore… -

- Ho detto di tirarti su, cazzo, muoviti!  -

Haizaki non fu sicuro di quale fosse stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, se quell’urlo, se la voce della donna che continuava a ripetere “No, no, no” come in una disperata cantilena, o se fosse colpa del rumore che seguì subito dopo, come se quello stesse davvero cercando di trascinarla via. Non poteva ancora sapere quale fosse il preciso problema, perché fosse scoppiato quel litigio e chi fosse nella ragione o nel torto, ma cazzo, non se ne sarebbe di nuovo stato con le mani in mano. Anche se fosse stato suo fratello maggiore ad avere ragione, in quel momento si stava prendendo un po’ troppe libertà.

Si susseguì tutto con una velocità tale che quasi gli sembrò di star vivendo quella manciata di secondi in terza persona, come spettatore. La chiave si infilò al primo colpo nella toppa della porta che si aprì senza sforzo, e fu senza nemmeno chiuderla che Shougo corse verso i due. Li vide esattamente come aveva immaginato — lei a terra, con le guance rigate di lacrime, e lui che cerava di tirarla su per un braccio — ma non si fermò a contemplare la scena: si avventò immediatamente contro Shinya, cercando di tirarlo via.

- Stai esagerando, porca puttana, smettila! -

- E tu da dove cazzo esci?! Fatti gli affari tuoi, fanculo! -

Non si aspettava che avrebbe reagito nell’istante in cui aveva appoggiato le mani sulle sue spalle; non si aspettava che pur essendo immerso così tanto nello sbraitare come uno psicopatico avrebbe comunque avuto i riflessi abbastanza pronti da rigirarsi come una biscia verso di lui e caricargli in faccia il pugno più forte che avesse ricevuto negli ultimi cinque o sei anni.

Fu piuttosto sicuro che il cervello gli si spense per una manciata di secondi mentre, per colpa del contraccolpo, andava a sbattere pesantemente sul muro dietro di loro e contro di esso si accasciava a terra, la mano che d’istinto aveva lasciato la presa per difendere inutilmente la parte già colpita. Non aveva idea di cosa fosse successo in quel lasso di tempo in cui tutte le sue percezioni erano andate completamente in blackout, ma a quanto pare quando riprese conoscenza al 100% la lite era già sfumata.

Aprì gli occhi, o meglio, aprì l’occhio su cui non si era abbattuta l’inspiegabile furia di Shinya, soffiando per il dolore acuto che sentiva diramarsi in tutta la parte destra del viso. Stava cercando di ammazzarmi?, pensò, facendo vagare lo sguardo: suo fratello non sembrava essere rimasto lì, ma la donna era ancora a terra, seduta sulle proprie ginocchia e col capo chino, mentre con una mano cercava di coprire i singhiozzi che ancora la scuotevano.

… che razza di scena patetica. Era chiaro come il sole quanto, tra i due, non corresse buon sangue, quanto rancore scorresse nelle vene di Shinya e quanto ogni pretesto fosse buono per urlarle addosso, ma davvero si sentiva fiero di se stesso quando riusciva a ridurla in quello stato? Davvero non provava neanche una punta di rimorso nell’arrivare a litigi così estremi?

Staccò le spalle dal muro, avvicinandolesi in silenzio. Cos’avrebbe dovuto fare? Consolarla, fare finta di niente, andare alla ricerca di quell’altro? Confuso da tutte quelle opportunità allungò una mano verso di lei, sfiorandole una spalla, ma non si aspettava certo di vederla sussultare e voltarsi spaventata in sua direzione. Alzò le mani, sgranando gli occhi.

- Tranquilla, ma’, sono io. - la rassicurò senza nemmeno pensarci, accostandosi a lei. Quella reazione da dove diavolo arrivava? Aggrottò le sopracciglia, inquieto: magari non le aveva messo le mani addosso, ma sicuramente doveva essere sembrato del tutto intenzionato a farlo. Che cazzo gli passava per la testa? La scarsa pazienza era qualcosa che era plausibile venisse ereditata di figlio maschio in figlio maschio, in quella genia, ma a quel punto nessuno dei due ci era mai arrivato — o almeno, per quanto a volte fosse proprio una deficiente, mai nemmeno una volta Shougo aveva pensato di picchiare sua madre!

La quale, per altro, non aveva smesso per un attimo di essere scossa dai singhiozzi. Non poteva vederne il viso, coperto dalle lunghe ciocche di capelli che quasi la proteggevano da qualsiasi sguardo, ma bastò il suono sommesso di quel pianto a farlo sentire fortemente a disagio. Ancora, cosa diavolo avrebbe dovuto fare, quale sarebbe stata la giusta reazione? Sollevò una mano, un po’ titubante, provando a sfregarla sulla schiena della donna.

… e quella situazione rimase statica per quelle che a lui parvero ore. Non sapendo cosa dire, era rimasto così fino a che non era stata l’altra a riprendere la parola, facendosi uscire a fatica la voce impastata dal pianto.

- … perché fa così? -

- Eh? - naturalmente, colto totalmente di sorpresa in mezzo a quel silenzio, Shougo mancò completamente di recepire quella frase. Bravo cretino, pensò, malmenandosi mentalmente; quello era proprio l’ultimo momento in cui doveva non prestare attenzione!

- Non capisco… perché la sta prendendo così male? Perché mi deve trattare così? - purtroppo o per fortuna neanche sua madre sembrava troppo recettiva nei confronti del mondo che la circondava, trasformando quella che ormai si poteva ben catalogare come domanda retorica in desolato monologo - Lo so che non sono mai stata una buona madre, lo so… ma davvero fino ad ora tutto quello che ha provato nei miei confronti è stato odio? Io non capisco, Shougo… -

E, in tutta onestà, neanche lui capiva. L’aveva detto e l’aveva ripetuto, un buon carattere era l’ultima cosa che scorreva nel sangue degli Haizaki, ma quell’escalation di isteria era l’ultima cosa che si aspettava da parte sua. Non era lui quello perennemente responsabile, l’unico portatore della fiamma della morale in una casa di sciagurati? Possibile che fosse così stressato dal lavoro, dalla frenesia della sua routine, che alla fine era totalmente esploso?

- … è diventato un po' testa di cazzo, magari gli passa. -

L'aveva pensata un tantino diversa da così, ma il succo era comunque quello. Lei, d'altronde, evitò nuovamente di soppesare quell'affermazione, passandosi invano le mani sul viso nel tentativo irrazionale di restituirsi una parvenza di dignità. 

- E se fosse lui ad avere ragione? - guaì, con un filo di voce. Le mani erano lentamente scivolate verso il basso, premendosi sul ventre in un moto inconsciamente protettivo, e al ragazzo quel gesto non passò inosservato. Si corresse: il nodo che sentiva prima alla gola, a confronto, non era niente rispetto a quel che sentiva adesso, appesantito da un presentimento a dir poco insopportabile

- In effetti, perché avete discusso così forte? – si dovette sforzare per tirare fuori quella domanda, quasi temendo di star andando a gettare manciate di sale su una ferita che vedeva come palesemente scoperta. Era tutto così strano, per lui — tutti quei sentimenti di preoccupazione, di incertezza e pure di rabbia non gli erano mai appartenuti con quell'intensità, e ogni passo che faceva per assecondarli era come avanzare in un bosco buio del quale non vedeva l'uscita. Era davvero sempre stato così difficile avere a che fare col resto degli esseri umani? Per quante emozioni, fino a quel momento, aveva provato solo un surrogato, un’imitazione? E soprattutto, doveva servire una situazione così all’estremo per fargliene rendere conto? 

Ma non era oggettivamente il momento di soffermarsi sulle proprie seghe mentali. Finalmente l’altra si era voltata verso di lui, insistendo per cercare il suo sguardo: ora più che mai, doveva sforzarsi di ostentare sicurezza.

- … racconto tutto-tutto? -

- Racconti quel che ti senti di raccontare, ma’. Tranquilla che il revolver alla tempia non te lo punto. -

Si sentì segretamente fiero di riuscire a strapparle un sorriso, tacendo nel lasciarle il tempo di radunare le idee e finalmente prendere parola.

- In realtà era tranquillo quando è tornato a casa. Non pensavo neppure ci fosse il tempo di litigare, contando che tra poco attacca con l'altro lavoro… - non era per niente facile seguire le sue parole. Si sistemava i capelli, gesticolava, si passava le dita sul vestito per dipanarne le pieghe… forse non se ne rendeva conto, ma che stesse provando di sviare l’attenzione dal suo discorso? Fu la prima idea che gli balenò in testa, e Shougo fece appello a tutta la sua poca costanza per non perdersi neanche una parola. 

- … e? -

- E quindi ne ho approfittato anche per parlargli di una cosa un po' spiacevole. Magari in mezzo alla fretta ci si sarebbe soffermato meno… -

- Alt. Quanto spiacevole. -

- U-un po’… -

- Ok, ma un po' quanto. -

Finalmente smise di gesticolare, facendo riposare le dita sulle gambe. Allora stava cercando davvero di deviare la sua attenzione? Cosa diavolo aveva combinato, stavolta? Haizaki sollevò il sopracciglio sinistro, per il quale aveva ancora un minimo di sensibilità, ma non commentò.

- … in realtà piuttosto grave, perché non me la spiego. Ti ricordi che ho promesso di vendere alcune delle mie cose, no? Avevo… preparato una pelliccia che non avevo mai indossato, completamente nuova, e col ricavato avrei tolto dalle spalle di Shinya un bel po' di peso. - sospirò - … ma è sparita. Ho completamente rovesciato l’armadio, guardato ovunque… e non è uscita da nessuna parte. Quando gli ho detto che non la stavo più trovando si è fatto tutto scuro in viso, ma non ha detto niente, quindi pensavo che andasse bene così. Il… il peggio è arrivato dopo. -

Se mentre ricostruiva quel breve racconto sembrava essersi calmata, fu a quel punto che si irrigidì di nuovo, stringendosi nelle proprie braccia come alla ricerca di una qualsiasi protezione. Non sembrava una donna di trentacinque anni e poco più, sembrava più che altro una ragazzina indifesa, nel disperato tentativo di negare a se stessa qualcosa di tanto spiacevole e impensabile da non voler neppure riconoscerne l’esistenza.

- Ha detto che sarebbe entrato a lavoro più tardi perché aveva un appuntamento importante a cui dovevo venire anche io. - mormorò, abbassando di nuovo la testa. La mano di Shougo era rimasta poggiata sulla sua schiena, e non mancò di sentirla tornare a fremere sotto di essa.

Deglutì, sentendo la tensione tornare di nuovo tagliente e insostenibile: purtroppo, stava già iniziando ad intuire dove quel discorso stesse per andare a parare.

- Che poi, dopotutto è positivo che ci sia la possibilità di ricorrere a certe procedure in modo sicuro, no? Anche se sono tutte cliniche private e costose che lo fanno di nascosto… - proseguì, stringendosi ancora di più su se stessa: le dita, ancorate alle proprie braccia, tremavano disperate, tentando di appigliarsi sulla stoffa di un vestito che sembrava essere diventato il suo unico scudo - … ma non volevo sentirlo parlare di come avesse trovato qualcuno disposto a stare dietro al mio caso, di come sarebbe stata un’operazione brevissima, di come finanziare uno sbaglio gli sarebbe costato mille volte in più che pagare sotto banco un dottore per un ab… -

Fu in quel momento che la sua voce, sempre più barcollante, si ruppe di nuovo, spezzata da un singulto incontenibile. Non poteva vederla con chiarezza, visto che i capelli le coprivano il viso, ma non gli ci volle molto a Shougo a capire che sua madre avesse ricominciato a piangere.

E poteva in qualche modo biasimarla? Non importava che aggiungesse altro a quella storia: da una parte poteva essere plausibile che Shinya mettesse le mani avanti, ma non aveva nessun diritto di imporle in quel modo una simile decisione. Aveva potere su tante cose, là dentro; l’aveva sempre visto anche dal difuori delle bolle in cui soleva chiudere i loro abituali litigi, ma non era sul corpo di sua madre che poteva permettersi di mettere bocca. Persino lui arrivava ad un concetto tanto elementare!

- Razza di stronzo… - soffiò tra i denti stretti, coperto da quel pianto sommesso che si era intanto sovrapposto nuovamente a qualsiasi altro rumore. Tanto il nodo alla gola quanto il dolore all’occhio colpito prima stavano svanendo, lasciando tutto lo spazio rimasto ad una rabbia rampante che non vedeva l’ora di sfogare su quel deficiente. Magari se gli avesse fatto sbattere la testa abbastanza forte sarebbe tornato coi piedi per terra! Tanto, se aveva un permesso per entrare più tardi a lavoro, magari era ancora nei dintorni.

Fece per alzarsi, ma una mano tremolante interruppe il suo impeto. Guardò verso il basso, verso quelle dita esili aggrappate ai propri pantaloni, e per qualche motivo sentì una punta di senso di colpa condannarlo di nuovo a scivolare silenziosamente sul pavimento: qualsiasi cosa si meritasse suo fratello, adesso non era lui la priorità. Se se ne fosse andato senza calmare la donna al suo fianco, alla fine, se ne sarebbe pentito e basta.

- … che c’è? -

- Io non voglio che tu te la prenda con lui per quello che ti ho raccontato. - sussurrò lei, lasciando la presa. Si passò le mani sugli occhi, tirando su col naso - … ha tutto il diritto di odiarmi, di trovarmi una persona degenere. Ha tutto il diritto anche di… credermi un’irresponsabile, perché chiaramente se non riesco a tenere di conto ad una pelliccia, allora pure un bambino per me dovrebbe essere fuori discussione.

ma è vero che ora voglio fare di meglio, ok? Quando ho avuto lui, e poco dopo ho avuto te, ero tanto più giovane e tanto più stupida. - sorrise, passandosi una mano tra i capelli, mentre l’altra tornava a riposare gentile sul basso ventre - … ma posso, almeno, provare a riscattarmi senza farci rimettere chi di colpe non ne ha? -

Per ovvi motivi, Shougo non aveva idea di quale fosse stata, in passato, l’attitudine di sua madre nei confronti delle proprie gravidanze. Non sapeva se quelle promesse fossero già uscite dalla sua bocca, o se valesse davvero la pena di fidarsi quando, in tutta sincerità, non conosceva nei dettagli il suo impegno al mantenimento di quella casa e di quella famiglia, avendo sempre solo ascoltato la versione dei fatti data da Shinya senza che questi permettesse a sua madre di ribattere in alcun modo.

E se, fino a quel momento, la visione che aveva avuto di lei fosse stata dettata da parametri totalmente sballati? Se davvero, in fondo, lei avesse sempre cercato di riscattarsi per la sua innegabile assenza durante gli anni più giovani della loro esistenza, ma ilpadrone di casa’ l’avesse sempre e solo giudicata secondo i propri standard?

- Ma’, posso chiederti una cosa? - avanzò, quasi senza pensarci. Sentiva bisogno di chiarimenti, ma non aveva una vera e propria domanda da formularle, motivo per cui si maledisse interiormente quando quella si limitò ad annuire col capo senza lasciargli neanche un secondo per pensare. Si morse l’interno della bocca, facendo mente locale.

- … è vero quando Shinya dice che non fai niente per mandare avanti la famiglia, o è solo un drammatico cazzone? -

In tutta risposta l’altra, finalmente, rise sommessamente, evitando ancora di ammonirlo per quelle parole.

- È vero che fino ad ora ho fatto troppo affidamento su di lui, soprattutto per quel che riguarda te; ed è vero anche che spendo molti soldi per mantenermi. - replicò con sincerità, dopo un breve attimo di pausa - Ma sai, l’affitto non si paga da solo, e le bollette nemmeno. Faccio quello che posso. -

Quand’è che le cose avrebbero smesso di ribaltarglisi in modo tanto rocambolesco davanti agli occhi?

Shougo sgranò sorpreso le palpebre, rendendosi definitivamente conto che tutto ciò che aveva creduto fino a quel momento — la completa inutilità di sua madre, la fondamentale e unica importanza di Shinya per tutti gli aspetti di quella casa — erano, in effetti, distorsioni dettate dal suo perpetuo e caratteristico disinteresse. A maggior ragione, adesso, quell’idiota di suo fratello doveva rendersi conto di aver superato linee che non doveva nemmeno permettersi di sfiorare.

- Vado a vedere se quell’imbecille è ancora qui intorno. - dichiarò, alzandosi nuovamente in piedi. Sentiva l’occhio dolere al solo pensiero di una nuova rissa, rendendosi conto quasi solo in quel momento che la palpebra si stava gonfiando al punto da sbarrargli la visuale, ma mai nella vita Haizaki Shougo si era lasciato fermare da un paio di lividi.

Occhieggiò sua madre fare altrettanto, sistemandosi il vestito sulle gambe mentre si liberava da quella posizione rassegnata e sottomessa. Le era passata? Probabilmente no, ma era chiaro che stesse infinitamente meglio rispetto a prima, e che non avesse intenzione di lasciarsi abbattere oltre.

Era forte, quella donna. E si pentiva amaramente di starlo notando solo adesso.

- E io devo prepararmi, che anche stasera si lavora. - commentò, guardando verso di lui - … prometti che almeno proverai a non alzare le mani? -

- Io ci provo pure, ma non garantisco né per me né per lui. -

 

 

Non sapeva se fosse fortuna o sfortuna, la sua, mentre individuava la sagoma del fratello maggiore appoggiata contro lo scooter che usava per le consegne del suo secondo lavoro. Era rimasto a fissarlo in silenzio mentre l’oscura penombra gli conferiva la giusta protezione, contando e ricontando molte, troppe volte fino a dieci prima di trovare il coraggio di avvicinarglisi. La cosa non gli faceva onore, soprattutto considerando quel che aveva appena giurato — ma più stava là fuori, più il tempo passava, più il dolore della botta tornava a farsi sentire implacabile sulla sua faccia.

Deglutì, decidendo finalmente di uscire allo scoperto: non badò troppo alla sua fretta di nascondere in tasca il cellulare su cui stava tenendo così fissi gli occhi da accorgersi a malapena del suo arrivo, affrontandolo sfacciatamente e a muso duro così come era tanto bravo a fare.

- Mi fa piacere che una volta tanto non abbia dato la colpa a me per qualcosa che in casa sparisce, ma cazzo, se deve essere questo lo step successivo tanto vale che ci spari direttamente un colpo in testa e festa finta. - ringhiò, Shougo, le dita già dolorosamente strette in una coppia di pugni pronti a colpire. Era più che giustificato a tenersi pronto: l’occhiataccia di Shinya fu tutto meno che rassicurante, mentre lento incombeva su di lui con aria minacciosa.

- E a te da quando in qua frega qualcosa? - replicò quello, aggrottando le sopracciglia - Ci mancava altro che ci mettessi il naso pure tu. Levati dai piedi ora, o l’occhio nero sarà l’ultimo dei tuoi problemi. -

Altra deglutizione a vuoto. Sapeva quanto quell’idiota fosse capace di essere inutilmente prolisso, ma c’era una lezione che aveva imparato molto presto: le sue minacce non erano mai del tutto infondate. La tensione nell’aria stava diventando sempre più insopportabile, e in tutta onestà il più giovane non aveva la più pallida idea di come uscire incolume da quella situazione. Che poi, cosa pensava di risolvere? Perché gettarsi nella gola del lupo proprio dopo averlo visto inseguire e quasi sbranare un’altra preda? In quel breve lasso di tempo iniziò a pentirsi e maledirsi per ogni singola scelta di vita, quasi dimenticandosi di dover elaborare una risposta.

Se non altro, non aveva distolto lo sguardo nemmeno per un secondo, rifiutandosi di regalargli anche questo vantaggio.

- Ti lamenti di continuo che non mi interesso di niente, e ora mi dici di fregarmene? Ma vaffanculo! - non fu un’esclamazione eccessivamente elaborata, ma fu senz’altro liberatoria. Shinya non pareva aspettarsela, ma il suo stupore durò un momento — il tempo necessario a slanciare la mano e stringerla attorno al colletto della t-shirt del fratello.

- Cosa pensi che possa portare il tuo interesse? A cosa pensi che serva, adesso?! - sibilò, e Shougo sentì ogni lettera venirgli pressoché sputata sul viso - Non credere che col tuo lavoretto da tre soldi tu possa portare un cambiamento, la responsabilità di tutto continuerà ad essere sulle mie spalle. -

Dio, quella parola.

Quella fottutissima, insopportabile parola. Non aveva intenzione di urlare o di ribellarsi troppo, di far affacciare la gente alle finestre e di dare spettacolo, ma se così doveva essere non si sarebbe trattenuto. Non attese neanche di sentirlo finire, spalancando la bocca e riempiendosi i polmoni d’aria.

- Ma cacciatele nel culo le responsabilità! - sbraitò, divincolandosi dalla sua presa - Parli, parli, ti senti tanto più importante di me, di lei, e fai il martire manco ‘sto bambino dovessi partorirlo tu! Ma ti dai una calmata?! -

- Non è qualcosa che puoi capire, fatti gli affari tuoi. -

- E allora se sei tanto bravo fammi capire, cazzo! - le parole scivolavano dalla sua bocca una dopo l’altra, ormai senza controllo. Erano i momenti più pericolosi, quelli in cui cose che forse non avrebbe dovuto dire sarebbero state dette comunque; ma ora come ora non aveva intenzione di prestare così tanta attenzione ai formalismi - Non mi farò gli affari miei finché non smetterà di sentirti così dannatamente indispensabile! -

E questo era esattamente ciò che avrebbe dovuto evitare. Si morse la lingua nel momento esattamente successivo, ma ormai era troppo tardi: era fortemente, profondamente convinto che Shinya stesse sopravvalutando eccessivamente il suo ruolo in quella famiglia, ma questo non voleva dire che fosse comunque necessario. Vide distintamente il sogghigno beffardo stamparsi sulla sua faccia, mentre si chinava, minaccioso, verso di lui.

- Ma allora mi sembra che sia tu, qui, quello tanto bravo. - commentò, sbuffando divertito. Era raro, terribilmente raro che Shougo si sentisse così prepotentemente con le spalle al muro, ma sebbene Shinya gli stesse solamente parlando era come se ogni parola fosse una lama.

- Vai, prova ad occuparti tu di mamma e di nostro fratello, vogliamo scommettere che te ne tornerai strisciando a chiedere scusa? -

- Dovrai passare sul mio cadavere, prima di vedermi strisciare… - soffiò Shougo, ma nella realtà avrebbe voluto prendere tutti gli appunti mentali con su scritto pensa prima di parlare, idiota e cacciarseli in gola. Aveva fatto una sonora cazzata, ma era troppo stupidamente orgoglioso per tirarsi indietro proprio adesso.

Non aggiunse altro prima di troncare bruscamente quella discussione, voltandogli le spalle e ritornando verso casa: lo sentì vagamente borbottare qualcosa dietro di sé, schioccando la lingua con fare scocciato, ma se non altro riuscì a non dargli corda.

 

Anche volendo, era troppo occupato a pensare alle conseguenze di quella scommessa per mettersi di nuovo a litigare.

 

 

 

 

Buonasera!
Penso si sia messo DI TUTTO tra me e la stesura di questo capitolo: prima Romics, poi l’uni, poi i test a sorpresa, poi i preparativi per Lucca… it ain’t easy being Rea ;__;

Comunque, in un modo o nell’altro adesso il periodo è più stabile, e spero di non cedere alla tentazione di pubblicare un capitolo al mese. Tengo troppo a quest storia per lasciarla morire!

Purtroppo in mezzo a tutto questo le mie mani hanno fatto in tempo ad arrugginirsi, quindi tante cose, soprattutto nella parte centrale, non sono uscite come volevo. Spero vi piaccia lo stesso… !
In ogni caso, al solito grazie per le letture e le recensioni, siete tutti gentilissimi e spero di potervi intrattenere ancora per molto m(_ _)m alla prossima!

 

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Capitolo 6
*** Please don’t get the wrong idea ***


» 6. Please don’t get the wrong idea

 

 

- Pronto… ? -

Era stato una specie di riflesso incondizionato dettato dal dormiveglia quello di allungare la mano verso il telefono squillante e avvicinarselo all’orecchio, scorrendo pigramente il dito sullo schermo luminoso.

Che diavolo di ore erano? Non era sicuro di aver già sentito la sveglia che prontamente ignorava mattina dopo mattina, ma era decisamente troppo pigro per aprire gli occhi e controllare. Tch… era persino troppo pigro per insultare il misterioso interlocutore, figurarsi se avrebbe avuto lo sbatti di girarsi dall’altra parte e guardare l’orario!

- Ehi, Haizaki. Sono Ishihara. -

Il sangue gli si gelò nelle vene, mentre di scatto sollevava la schiena e spalancava gli occhi — o almeno, ne spalancava uno solo, l’altro ancora decisamente turbato dal pugno che Shinya gli aveva riservato la sera prima. Il sonno svanì così rapidamente che gli sarebbe sembrato d’essere l’uomo più riposato del mondo, se solo l’ansia che quella voce gli aveva indotto non fosse stata così asfissiantemente pressante.

- D-dica. - balbettò, stilando una lista mentale di tutti i motivi per cui poteva averlo chiamato la mattina così presto in un giorno in cui, per altro, non avrebbe dovuto lavorare: sarebbe potuta essere una chiamata innocente, magari per uno spostamento orario o per un promemoria, ma tutto ciò che Shougo sentiva era la puzza affumicata della propria immane coda di paglia che bruciava come un caminetto in pieno inverno. Cosa aveva fatto, stavolta? Gli aveva forse fatto qualche sgarro che adesso non ricordava; aveva preso in prestito qualcosa senza più restituirlo? O forse dopo una nottata di riposo aveva cambiato idea riguardo agli avvenimenti del pomeriggio precedente? Iniziò a tormentare con la mano libera la coperta spiegazzata, maledicendo la solita flemma che rendeva l’attesa ancor più insopportabile.

- Sei impegnato oggi? Dico, da… tra un’ora e mezzo in poi. L’altro ragazzo che faceva il part time si è licenziato ieri sera e per oggi non ho altri a cui chiedere. Ovvio che te la pagherei come giornata full time. -

Incredulo si stropicciò gli occhi per comprendere se stesse ancora sognando o meno, maledicendosi l’attimo immediatamente successivo per il dolore acuto che gli perforò l’orbita destra. Imbecille.

… d’altronde, bastò quello stimolo a convincerlo che era più sveglio che mai, e che quella proposta aveva davvero raggiunto le sue orecchie: un rush di esaltazione improvvisa lo riempì di un entusiasmo inspiegabile e quasi fuori luogo, che riversò interamente nella cornetta che teneva attaccata all’orecchio.

- Nessun impegno, capo, mi vesto e arrivo! -

- … e la scuola? -

Attimo di gelo. Si morse l’interno della bocca, spiaccicando la mano verso la sveglia che stava puntualmente per iniziare a ricordargli che sì, effettivamente c’erano altri impegni a cui avrebbe dovuto rendere di conto; impegni che purtroppo non si era scelto per conto proprio, ma che se avesse saltato avrebbero plausibilmente avuto conseguenze catastrofiche (prima tra tutte, pure l’altro occhio nero e una serie di fratture varie sparse per il corpo). Ma era anche vero che di questi impegni, così come di queste previsioni, gliene importava relativamente: sentiva di non potersi lasciar sfuggire un’occasione del genere, e ogni dubbio svanì temporaneamente come neve al sole.

- … oggi non ce l’ho. -

- Hm. - non parve particolarmente convinto, ma neppure provò a domandare oltre. Si limitò a congedarsi rapidamente, ricordandogli l’orario, e nell’esatto momento in cui Shougo poggiò il cellulare si liberò dal bozzolo di coperte per correre verso il bagno.

La carezza che l’acqua gelida rivolse al suo viso ancora intorpidito dal sonno non fu certo delle più gentili — alzò lo sguardo verso lo specchio, quasi vergognandosi che la sua stessa immagine riflessa lo stesse guardando mentre in mezzo alla frenesia di quei momenti si dimenticava persino di far scaldare il getto d’acqua, controllando le effettive condizioni del proprio volto.

Se la sera prima ricordava solo un gonfiore un po’ preoccupante, dopo averci dormito su non solo a partire dall’occhio si era espansa una tonalità violacea non esattamente sana, ma la palpebra tumefatta faticava pure ad aprirsi correttamente, lasciandolo con l’occhio a mezz’asta come un perfetto imbecille. Un grazie, Shinya, e fanculo risuonò nella sua testa, mentre tentava con approssimata cautela di spalancare le palpebre con le dita: faceva un male allucinante, ma se non altro l’occhio sotto sembrava ancora vigile e funzionale: “Se ancora vedi, senti e riesci a muoverti non c’è bisogno di allarmarti e nemmeno di far perdere tempo ad un dottore”, questo era finito per insegnargli suo fratello maggiore al termine di ogni (purtroppo frequente) litigio, e — naturalmente — una dritta del genere era arrivata ad incollarsi indelebilmente sopra ogni altra nota destinata a se stesso. Era un motto spartano a dire poco, ma vista la frequenza delle loro risse era anche una specie di filosofia a cui non era mai riuscito a sottrarsi in ogni ambito della propria vita: finché riusciva a reggersi sulle proprie gambe, Shougo non si sarebbe mai fatto “aiutare” da qualcun altro in quelle questioni che mettevano di mezzo il proprio orgoglio. Le rare volte in cui era successo si erano create in lui scalfitture più profonde e fastidiose di quanto mai avrebbe creduto, motivo per cui anche stavolta era più che mai determinato a dimostrargli con insistente arroganza di poter essere in grado di muoversi da solo, senza il bisogno del suo aiuto, senza che le sue sfide lo mettessero a disagio.

Era per quello che era stato così entusiasta di accettare il lavoro di Ishihara, per quanto sapesse bene di che razza di rottura si trattasse. Se non c’era nessun altro a fare il part-time poteva solo significare che quel posto era libero, e se quel posto era libero avrebbe potuto tentare di calcare la mano per farsi assumere secondo un contratto che ricordasse anche solo lontanamente un impiego serio: avrebbe fatto vedere a quell’idiota che non avrebbe avuto bisogno delle sue lamentele per aiutare a trascinare avanti quella catapecchia, e che in un modo o nell’altro persino Haizaki Shougo era capace di organizzarsi per giungere a un qualsivoglia obiettivo. Se l’era dimostrato nei giorni passati, compiendo come unico errore quello di scendere quasi alle mani con quel maledetto biondino, ma per il resto attenendosi ai suoi doveri e alla sua scaletta senza lasciare che nessuno lo distraesse, nemmeno la scuola… !

Un sobbalzo lieve lo scosse, facendolo sudare freddo. Già, la scuola: se da una parte era vero che la sua routine ben poco emozionante se non per qualche picco di adrenalina disperso qua e là tra un’uscita serata e l’altra rappresentava uno scarso ostacolo per la sua carriera, dall’altra l’obbligo scolastico era quella stupida costante che ancora lo ancorava non solo all’incapacità di fare davvero quel che voleva, ma più in generale lo ancorava a Shinya stesso. Quante volte gli aveva sbattuto in faccia la propria responsabilità nel dovergli pagare le spese scolastiche e tutto quanto? Se avesse mollato tutto senza dire nulla, se quello si fosse reso conto che i soldi che spendeva per la sua istruzione era più o meno come se se ne andassero nel tritarifiuti, quante mazzate gli avrebbe dedicato?

Schioccò la lingua sul palato, aggrottando le sopracciglia e recuperando la propria uniforme da lavoro. Ci avrebbe pensato a tempo debito, adesso tanto la scuola quanto Shinya figuravano all’ultimo posto delle cose su cui avrebbe voluto ragionare.

- Che poi, perché dovrebbe arrabbiarsi? - soffiò tra sé e sé, irritato - … non sarebbe altro che una spesa in meno, per lui. -

 

- Buongiorno e scusa ancora per il breve preavvis-… santo cielo, Haizaki, che diavolo è successo? -

Doveva ammettere che la prima parte del discorso era arrivata con un po’ di difficoltà alle sue orecchie, ma quell’esclamazione di sorpresa fu forse una delle cose che gli sentì dire più chiaramente da quando lo conosceva. In un breve attimo di confusione si guardò intorno, perplesso, come a cercare la causa di quel clamore, solo per rendersi conto che in effetti lui non aveva ancora fatto conoscenza con i risultati più evidenti di una delle attività che molto prima di qualche tempo a quella parte occupava praticamente tutte le sue serate: tornare a casa col viso tumefatto e conseguentemente andarci pure a scuola, beccandosi occhiatacce di professori e compagni, ormai per lui era la routine — tanto che quello sguardo palesemente preoccupato lo confondeva, se non addirittura metteva vagamente a disagio.

- Niente, sono andato a sbattere contro una porta, stanotte… - borbottò, calandosi sugli occhi il cappello della divisa. Perché aveva sentito il bisogno di mentire, poi? Per una volta tanto non ce ne sarebbe stato neanche bisogno: non che si fosse menato con qualcuno di cui nemmeno ricordava la faccia e per motivi totalmente futili… o meglio, il motivo di quel maledetto cazzotto ancora non l’aveva capito, ma era comunque di suo fratello che stava parlando!

Tirò un’occhiata vaga all’espressione tutt’altro che convinta che l’altro gli rivolse, distogliendo immediatamente lo sguardo. Già si stava pentendo di aver celato la verità: perché gli risultava così difficile raccontare stronzate davanti a lui?

- … una porta. - lo sentì inquisire semplicemente, con quel suo tono palesemente poco convinto.

- … una porta molto solida, che le devo dire. - borbottò in imbronciata risposta, cacciandosi le mani in tasca e incurvandosi un po’ in avanti. Voglia di approfondire il discorso, di certo, non ne aveva — ma la cosa non parve fermare l’altro uomo, che dopo un lungo sospiro gli fece un cenno con la mano.

- Fattelo almeno sistemare, che se ti vedono con quel livido si prendono uno spavento. - mugugnò col solito tono vago e solo leggermente comprensibile, dapprima aspettandosi che Shougo lo raggiungesse, per poi subito dopo afferrarlo per il braccio e costringerlo a sedere sull’unica sedia di quel minuscolo ufficio: era chiaramente più esile, più basso e molto meno forte di lui, ma preso alla sprovvista Haizaki non poté che obbedire in silenzio, guardandolo da quella nuova prospettiva con una punta di curiosità mista a sorpresa. Lo vide indaffararsi per recuperare chissà cosa in una cassettiera, per poi spostarsi in quella immediatamente accanto e tornare, infine, a quella di prima, estraendone una cassetta del pronto soccorso con un sorriso infantilmente vittorioso che non durò più di una frazione di secondo. Gli venne spontaneo ritrarsi col capo quando lo vide avvicinarsi con le dita impregnate di qualcosa di estraneo, ma la mano che si piazzò sulla sua testa con la stessa delicatezza con cui un rapace stringe un topolino prima di spappolarlo su una roccia gli imperò in modo tanto implicito quanto mortalmente chiaro di non muoversi.

- Ahia-… - si concesse comunque di lamentarsi, mentre il dito di prima spalmava una pomata gelida su tutta l’area del livido. Se non altro, Ishihara mollò presto la presa, lasciando per qualche secondo Shougo del tutto incustodito: lo sguardo monoculare del ragazzo vagò per qualche secondo, posandosi distrattamente sulla cassetta traboccante di qualsiasi mezzo di basilare e prima medicazione. Com’è che un’attività come quella del signor Ishihara poteva vantare un’attrezzatura simile, mentre in casa sua non aveva praticamente mai visto nulla del genere? Dubitava fortemente, d’altronde, che in quel contesto la gente fosse prona a scendere alle mani come unico mezzo di confronto reciproco!

- … dovrebbe servire a me, quella. - borbottò di soprappensiero, aggrottando le sopracciglia.

- Eh? -

- Dico, una cosa del genere dovrei tenerla in casa io. A cosa serve tenere tutta ‘sta roba in questo buco? -

L’uomo lo guardò con una punta di perplessità, tornando verso di lui con un paio di occhiali da sole in mano. Glieli inforcò con calma, prima di rispondergli, sistemandogli bene sul viso cosicché l’alone violaceo che gli decorava la faccia non fosse, almeno a colpo d’occhio, più di tanto visibile — e solo allora si decise ad aprir bocca.

- Direttive aziendali, uno. - Shougo tentò di sistemarsi autonomamente gli occhiali, ma un lieve colpo sulla mano dato col tubetto di crema lo dissuase da quell’obiettivo - Due, qui può capitare di andare a sbattere contro porte vere. -

Lo sentì porre l’accento con tutta la sua (poca) forza vocale su quell’ultima parola, e una specie di fastidioso senso di colpa si fece strada in lui. Era così facile sgamare le sue bugie? Fingersi persona responsabile lo stava rammollendo così tanto?

Si imbronciò, sentendo Ishihara sospirare.

- Non è che io voglia ficcare a tutti i costi il naso nei tuoi affari. - gli fece, scuotendo il capo - Ma se c’è qualcuno, in casa o anche fuori, che tende a metterti le mani addosso… -

- Che, si sta davvero preoccupando per me? - gli venne spontaneo interromperlo in quel modo, con un tono beffardo ma anche divertito che permeò immediatamente la sua voce. Che razza di idee si stava facendo venire in testa? Per lui era normale scivolare pure troppo frequentemente in risse anche violente, se suo fratello di tanto in tanto alzava i pugni contro di lui poteva solo essere normale, no?

… perché un po’ tutti i fratelli maschi tendevano a litigare in quella maniera, vero?

Un dubbio che non aveva mai soppesato si instillò nella sua mente, mentre il sogghigno di poco fa svaniva nel nulla. Era davvero normale avere così spesso interazioni di quel tipo? Senza contare che, di fatto, le volte in cui era stato lui il primo ad attaccare Shinya erano notevolmente inferiori rispetto a quelle in cui i suoi pugni erano stati unicamente per difendersi dalle manifestazioni di irritazione del più grande. Era come aveva sempre vissuto, perché diavolo il suo datore di lavoro si permetteva di mescolare in quel modo le carte in tavola? Si morse l’interno della bocca, sempre più accigliato.

- È stata solo una discussione un po’ violenta, una cosa tra fratelli, che vuole che sia? - replicò, ma non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Doveva muoversi a cambiare discorso, prima che quella situazione inaspettata lo schiacciasse più del previsto.

- È che abbiamo una situazione un po’ tesa a casa, e… - “e” cosa? Non stava arrivando da nessuna parte in quel modo!

Si tormentò le dita di una mano, quasi nevroticamente, annaspando con difficoltà alla ricerca di una scusa (o di qualsiasi altra cosa, davvero) per continuare quel discorso. A cos’altro poteva collegarsi? Eppure sapeva che c’era qualcosa di importante di cui doveva discutere, proprio relativo a questo!

- Ah-… a proposito! – esclamò all’improvviso, sollevando finalmente la testa - … io, uh, ho bisogno di questo lavoro. -

- … prego? - Ishihara alzò un sopracciglio, non troppo sicuro di cosa Haizaki stesse cercando di dirgli. Quest’ultimo, con una certa esagitazione, si alzò in piedi, solo per accennare un impacciato inchino col busto.

- Se l’altro si è licenziato adesso c’è un posto libero, no? Ho bisogno di occuparlo io. Voglio lavorare a tempo pieno. -

Non era certo la più formale delle richieste, ma l’assenza di ‘no’ secchi e immediati o di qualsiasi altra cosa fu, per lui, un vago segnale positivo. L’unica cosa che sentì fu il lungo, ennesimo sospiro che uscì dalla bocca di Ishihara, che l’attimo successivo gli mise le mani sulle spalle per invitarlo a tirarsi su.

- Haizaki, ascolta. - se poco fa non era preoccupato, quell’incipit bastò a cacciarlo di nuovo nell’abisso dell’incertezza. Deglutì a vuoto, sperando almeno che gli insulti da parte sua non sarebbero stati troppo pesanti, e temendo persino il peggiore scenario in cui anche il suo occhio buono sarebbe diventato viola rimase in attesa.

- … tralasciando l’incidente di ieri, non avrei motivi per non assumerti a tempo pieno. - pausa - … se tu non fossi uno studente delle superiori. Già oggi ti sto sottraendo ai tuoi obblighi, non sarei a posto con la coscienza se la cosa dovesse ripetersi ancora e ancora. -

Già oggi?! Com’era possibile che non si fosse bevuto nemmeno quella scusa?!

Shougo aprì la bocca per protestare, richiudendola poi subito dopo. Non sapeva davvero come replicare a quel discorso: Ishihara non gli aveva lasciato possibilità di risposta, e lui se ne era rimasto come uno scemo corrucciato a fissarlo, sconfitto.

Era una sensazione così… fastidiosa. Era ovvio provare fastidio per l’incapacità di poter ottenere qualcosa di voluto, ma il fatto di conoscere un solo modo per strapparglielo via non era certo d’aiuto. Strinse a pugno le mani, nascondendole entrambe nelle tasche della divisa.

Non poteva ricorrere a quello, cazzo. Non con lui.

- Ho davvero bisogno di lavorare, capo. - si sforzò di dire, tentando di articolare un’argomentazione un po’ più convincente - Tanto a scuola non mi ci impegno comunque, tanto vale che almeno io usi tutto ‘sto tempo per fare qualcosa di utile, no?! -

Ancora, era stato tutto fuorché formale e gentile — anzi, nemmeno si rese conto di aver alzato la voce, risultando più aggressivo di quanto avrebbe voluto. Ishihara, tuttavia, non si scompose minimamente: Shougo fu quasi spaventato, no, terrorizzato dalla ferrea serietà dello sguardo che gli rivolse, ma che dopo qualche lungo, istante di silenzio lasciò posto al solito, rassegnato sospiro.

- Allora dovresti provare a prendere la scuola più seriamente, e non trovare un passatempo alternativo. Finirai per pentirtene, Haizaki. - gli disse semplicemente, tirandogli un colpetto leggero sulla spalla - … facciamo che ci penso, hm. E ora andiamo. -

Il ragazzo sollevò una mano, poggiandola sul punto colpito da quel contatto quasi amichevole. Per un attimo aveva davvero temuto che sarebbe tutto finto come finiva ognuna delle sue discussioni, e l’esito così pacifico di quel confronto lo lasciò in uno stupito, quasi idiotico silenzio, mentre senza proferir parola lo seguì fuori dall’ufficio fino al magazzino.

- È strano. - gli scappò di dire, mentre obbediente caricava i soliti scatoloni sul furgoncino. Ishihara, poco lontano da lui, gli tirò un’occhiata interrogativa.

- Voglio dire, per me tutto questo è strano. - proseguì, in quella specie di improvvisato monologo - Praticamente tutti quelli che hanno mai cercato di infilarmi qualcosa in testa hanno sempre accompagnato il loro punto di vista con sonore mazzate, e non solo a casa. -

- Se mi autorizzi a farlo posso cominciare anche io, eh, non è un problema - ribatté prontamente quell’altro, scrollando le spalle. Haizaki si pietrificò sul posto, con sommo divertimento di Ishihara che si concesse persino uno sbuffo beffardo.

- Sarà che penso che tu sia un ragazzo intelligente, e che tu possa capire qualcosa pure senza lividi. - un sorriso leggero gli piegò le labbra, ma Shougo neppure fece in tempo a vederlo con chiarezza prima che quello si defilasse poco lontano - … te l’ho detto, mi fido di te, e spero di non dovermene pentire. -

 

E io dovrei continuare a fidarmi di lui?! E ch cazzo…”

Non poteva credere che la sigaretta che teneva tra le dita, pur essendo stata sua dal principio, gliene fosse costate altre tre. Se possibile, Ishihara era un ladro anche peggiore di quanto lo fosse lui: di appunti mentali non ne teneva, anzi, scriveva tutto sul suo taccuino con una precisione quasi maniacale, motivo per cui Haizaki sapeva che non sarebbe mai potuto sfuggire a quel debito. Era come una specie di strozzino mascherato da ometto di mezz’età dall’aspetto troppo mite per non nascondere qualcosa, che dopo averlo depennato dei suoi averi l’avrebbe pure costretto a pagare per riaverli indietro.

Sospirò, una nuvola di fumo che si gonfiò alla svelta fuori dalle sue labbra, mentre la schiena si appoggiava contro la ruvida parete alle sue spalle. Promemoria: mai, mai più scordarsi a casa le sigarette, specie se Ishihara l’avesse davvero preso a lavorare a tempo pieno. Non che la giornata fino a quel momento fosse andata male, ma lo stress di lavorare per così tanto tempo di fila era qualcosa che mai aveva provato sulla propria pelle. Non era abituato a faticare così tanto, lui, aveva sempre scelto la strada meno difficile e soprattutto meno nobile! Più volte la convinzione che il mondo del lavoro onesto fosse un concetto che con lui non poteva andare d’accordo, specie quando il suo sistema ormai abituato alla consuetudinaria “mezza giornata” si era ritrovato davanti tutta un’altra metà da affrontare, ma in un modo o nell’altro la chiusura di quel turno era finalmente alle porte.

Anche se, se possibile, quell’ultimo luogo era il più stressante di tutti. Aveva avuto occasione di espandere ancora di più gli orizzonti delle proprie conoscenze e visitare altri ambienti affiliati a quel furgoncino pieno di oggetti di scenografia, ma infilarsi in quei nuovi ambiti non era stato neanche solo lontanamente gravoso sulla propria anima quanto lo fosse tornare ogni volta nei pressi del maledettissimo studio di fotografia.

Che poi, perché diavolo finivano lì quasi tutti i giorni? Era definitivamente sicuro che non fosse normale che richiedessero sempre, categoricamente i loro servizi, ma d’altro canto non poteva neppure lamentarsene eccessivamente. Per quante vibrazioni negative quel posto gli regalasse, poteva solo obbedire agli ordini, e stare il più lontano possibile dalla gentaglia che frequentava quel medesimo perimetro di spazio.

Seduto su un paio di scatoloni vuoti direttamente fuori dal solito inimitabile ingresso secondario, Shougo cercò di sgomberare la mente da quei pensieri. Alla fine, nonostante le pessime vicissitudini dell’ultima volta, almeno quel giorno sembrava essere andato tutto bene: la responsabile o qualsiasi posizione ella ricoprisse si era limitata a squadrarlo spocchiosamente dall’alto in basso, chiaramente insospettita da quegli occhiali da sole, ma il resto dello staff non aveva fatto una piega — segno che, forse, non tutti erano poi così tanto marci nel cervello quanto lo era lei. Sospirò, il mozzicone di sigaretta che andò gettato per terra e subito dopo calpestato dalle suole delle sue scarpe: bastava solo che non si facesse vedere quell’ultima piaga, pensò, sfilandosi gli occhiali e agganciandoli al colletto della t-shirt, e questa sarebbe stata la perfetta giornata di consolazione dopo i cataclismatici avvenimenti della serata precedente.

Ma, naturalmente, Haizaki Shougo non poteva neanche lontanamente permettersi di fare una scommessa del genere col destino: il tempo di finire di formulare quel pensiero, e la scricchiolante porta alla sua sinistra si aprì lentamente, lasciando uscire, naturalmente, la persona che al momento occupava trionfante il secondo posto nella lista delle persone che non avrebbe voluto più incontrare da lì ai successivi venticinque anni.

Ryouta era lì che lo guardava con uno sguardo fastidiosamente severo, ma per qualche motivo non disgustato o supponente come le ultime volte: si affettò a calarsi la visiera del cappello a coprirsi almeno l’occhio tumefatto, prima di alzare il capo e preferibilmente di cacciarlo, ma il dannato biondino reagì prima di lui.

- Toh. -

“Toh” cosa?! Infastidito da quel modo di porsi a lui sollevò finalmente la testa, ma quel tempismo gli fu crudelmente fatale: qualcosa gli si avvicinò rapidamente, troppo rapidamente al viso, e laddove avrebbe dovuto vedere Ryouta sentì solo dolore.

- Cazzo! - il suo grido si librò nell’aria mentre l’oggetto duro e freddo che aveva colpito il suo occhio rotolava, altrettanto sconfitto, a terra. Non sapeva cosa fosse peggio, in quel vortice di acuto malessere; se la coltre di lacrime che aveva istintivamente coperto l’occhio sano, impedendogli tanto di vedere correttamente persino la bottiglia che sbatteva, mesta, contro la propria scarpa, quanto di alzare la testa verso quel cazzone, oppure il suddetto cazzone che nel mentre cercava — invano — di nascondere il proprio divertimento.

- Scusa. -  biascicò con tono tutt’altro che pentito tra uno sbuffo e l’altro, e pure senza guardarlo Haizaki poteva figurarsi perfettamente la sua espressione da stronzetto.

- Scusa un cazzo! - sbraitò quindi dal fondo dei propri polmoni, voltando gli occhi a lui - Ma quanto puoi essere coglione per mirare alla faccia?! Fanculo! -

Fu allora che vide (o almeno, presunse di aver visto) Kise sbiancare completamente, mentre alzava tremante una mano per indicare verso di lui.

- Oddio, sono stato io? -

Certo che sei stato tu, cretino, avrebbe voluto replicare, ma fortunatamente si tappò la bocca appena in tempo per realizzare che il terrore di Ryouta fosse dovuto all’alone nero che gli circondava, coincidentalmente, l’occhio colpito. Ghignò, divertito dalla sua reazione.

- Oh no, è sicuramente colpa tua, mi hai sicuramente sfigurato tu! - esclamò con scherno, afferrando la bottiglietta - Cos’avresti fatto se avessi detto di sì? Idiota… -

Era proprio vero che continuava a non pensare alle conseguenze, hm? Più quel dannato biondino respirava accanto a lui, più si rendeva conto di quanto la sua esistenza si basasse su un principio di puro egocentrismo. Stizzito, non disse neanche ‘grazie’ prima di svitare, borbottando, il tappo, nemmeno chiedendosi cos’avesse fatto per meritarsi una cosa del genere. Un gesto di carità improvvisa, forse, per far sì che quello si mettesse l’animo in pace dopo l’exploit di ieri? Meglio se non ci pensava.

- … fai poco lo spaccone che sei tu, qua, quello con una guancia rigata dalle lacrime. -

- Che cazzo hai detto?! - Haizaki alzò di nuovo la testa, furente. Lo vide indietreggiare, e fu ad un passo dall’alzarsi in piedi e grattugiargli il viso contro il muro.

- Ho detto che almeno potresti dirmi grazie! Non ti chiedi perché sono qui adesso? - no, non è quel che aveva detto, cazzo, ma misteriosamente la voglia di litigare gli passò del tutto. Ok, in fondo doveva ammettere che un po’ di curiosità c’era: che senso avrebbe avuto, per lui, farsi vedere già il giorno dopo aver rischiato il pestaggio?

… non che potesse palesare il proprio interesse, comunque: ancora seduto a terra si limitò ad un’occhiata di sottecchi, sbattendo le palpebre con aria indifferente.

- Stai cercando di pulirti la coscienza? -

- No! - pausa - … forse! È che in tutti i nostri passati confronti ti sei sempre comportato un po’ da stronzo, quindi non pensavo davvero di star andando ad interferire in… qualcosa di così serio. -

Interferire in qualcosa di serio? Shougo alzò un sopracciglio, talmente confuso da non sapere cosa dire. Ryouta guardò altrove, prima di porgergli un rettangolino di carta che l’altro riconobbe solo dopo qualche secondo di paradossale, anzi, direttamente irreale silenzio.

… che cazzo ci faceva l’ecografia in mano sua?! Gliela strappò immediatamente dalle dita, sconvolto quanto sollevato, al punto che a malapena sentì lo sproloquio di quell’altro riprendere, indisturbato, a riempire l’aria di quel vicoletto.

- È tua, no? Dietro c’è scritto che è per te. È palese che io ti abbia giudicato male. Certo… visti i precedenti non potevo pensare che tu fossi davvero qui armato di buone intenzioni, ma poi ho visto quella e ho capito tutto. Non mi aspettavo tu fossi in grado di assumerti così grandi responsabilità, Shougo… a prescindere da ciò che altri potrebbero pensare, io trovo che sia davvero, davvero ammirevole. All’inizio ero quasi preoccupato, ma… forse, tutto sommato, finirai pure per fare un buon lavoro. -

Silenzio.

Dalla prospettiva di Shougo, quel monologo non aveva il minimo senso. Di cosa diavolo stava parlando? Perché fare quei discorsi per una situazione che non meritava certo un’orazione così solenne?

L’illuminazione lo colse all’improvviso, e trattenersi dal ridergli in faccia fu davvero difficile. Oh, no, non poteva starlo pensando sul serio.

- Fammi capire. - cercò di rispondergli, soffocando a fatica le risa - La tua conclusione è che io abbia ingravidato una, che questa sia l’ecografia di quel salto della quaglia venuto male, e che io stia lavorando qui per fare il padre di famiglia? È questo a cui sei arrivato? Correggimi se sbaglio. -

Kise, disorientato, sgranò le palpebre, cadendo rovinosamente dalle nuvole.

- … perché, non è così? -

L’altro poté quasi sentire il fragore di quel castello per aria che andava rovinosamente distruggendosi, e quell’espressione da deficiente fu la goccia che fece traboccare il vaso. Rise, rise nel modo più sfacciato e odioso possibile, esilarato dall’idea che quello si fosse fatto un viaggio mentale così intricato. Lui, Haizaki Shougo, feccia della feccia, che cercava di fare il padre?! Da dove diavolo gli era uscita?!

Nel mentre, il biondino faticava a non avvampare per l’imbarazzo.

- Cosa c’è di così divertente?! - lo sentì gracchiare, coprendo a malapena il clamore delle sue risate - Cos’altro avrei dovuto pensare?! C’era scritto il tuo nome dietro e… e poi quel nome in bella grafia lì all’angolo, “Cindy”, non è la tua ragazza? -

Dio, probabilmente sarebbe morto a forza di ridere. L’avrebbero trovato lì, ancora scosso dalle convulsioni, se avesse continuato così.

- No, scemo, è il soprannome di mia madre! - boccheggiò, tenendosi la pancia. Quella svampita di sua madre non era mai stata molto contenta del proprio, a detta sua, banale e tristissimo nome, motivo per cui “Saeko Haizaki” era diventato, per clienti e amici, “Cindy”, diminutivo di “Cinderella”, per via del kanji di ‘cenere’ nel cognome. Naturalmente l’aveva sempre trovata una cosa ridicola, ma che era comunque rimasta tra tutti i dettagli che avrebbe potuto sì criticarle, ma ai quali non aveva né la forza, né il tempo, né soprattutto la voglia di dedicarsi.

ma da lì a scambiarlo per il nome della fidanzata, comunque, ce ne correva. Si asciugò le lacrime che copiose gli avevano allagato la faccia, mentre Ryouta sembrava ancora più confuso che mai.

- Quindi quello è tuo fratello? - gli sentì dire, sempre più confuso. Aveva ancora dubbi? Cosa glielo chiedeva a fare?

- Che, te lo devo mettere per iscritto? Certo che è mio fratello! Se porto qualche soldo a casa è per ‘sta caccola, mica per un figlio mio, ma ti pare?! -

E in quel momento, sentì che il karma aveva colpito, facendogli rivelare un po’ più di quello che avrebbe preferito ammettere davanti a quella dannata piaga.

Naturalmente, Kise non poté che prendere la palla al balzo: socchiuse gli occhi, pensoso, portandosi le mani sui fianchi.

- Quindi stai comunque lavorando per aiutare qualcuno, no? -

- N-non è quello che ho detto. -

- che è quello che hai detto! - lo incalzò, senza nemmeno farlo finire di parlare. Un sorrisino odiosamente vittorioso gli piegava le labbra in una faccia che implorava calci e pugni, con una tale veemenza che trattenersi fu davvero difficile - Ho sbagliato un po’ la storia, ma il succo è sempre quello! Sei preoccupato per la tua famiglia e quindi ti stai rimboccando le maniche, non è ammirevole anche questo? -

- Ma scusa, com’è che stai cercando di convincermi che io sia una persona ammirevole? - lo interruppe, scocciato dalla piega che stava prendendo quella conversazione - Fino a ieri ti andava bene trattarmi a pesci in faccia, e ora all’improvviso sono diventato l’angelo del focolare da rispettare e lodare? Ma un po’ di coerenza in quella cazzo di testa no, Ryouta? -

Sbottando in quel modo, lo lasciò nuovamente senza parole. Lo sbirciò con la coda dell’occhio mentre lasciava cadere le braccia parallele al corpo, come arreso, prima di corrucciare le sopracciglia e incupirsi.

- L’hai detto tu che ora sei unonesto’ lavoratore, e sai benissimo quanta fatica faccia a crederci. - era sparita ogni traccia di qualsiasi altro sentimento, nella sua voce, se non una fredda severità. Oh, dopo tutti quegli inutili fronzoli eccolo il vero Ryouta, quasi gli era mancato! Sospirò, annoiato, lasciando sprofondare il viso nel palmo della mano, mentre quello continuava - Sto solo cercando un qualsiasi punto di contatto per potermi fidare di quello che dici. -

- Ma quanto pensi che me ne possa fregare della tua fiducia? - ringhiò, minaccioso, ma decidendo che non valesse nemmeno la pena di alzarsi - Mi ci pulisco il culo con la considerazione che hai nei miei confronti, buona o cattiva che sia. Io ignoro te e tu ignori me, perché non può essere così facile?! -

- Perché non capisco cosa tu stia cercando di ottenere, con questa attitudine. Perché vuoi per forza farti detestare, mantenere dei rapporti così astiosi pure dopo anni? Cosa pensi di guadagnarci, con questa facciata? -

- Porca miseria, Ryouta, ma sei sordo? - stava davvero iniziando a stufarsi. Si alzò in piedi, profondamente irritato, ringraziando che Ishihara non fosse lì a testimoniare la strage che avrebbe volentieri compiuto se quello si fosse azzardato a rompergli ancora le palle - Voglio solo che mi lasci in pace, non c’entra nessuna cazzo di ‘facciata’… -

“… se non quella del palazzo contro cui ti spaccherò il muso”, avrebbe voluto aggiungere, ma quello che Ryouta gli rivolse non fu uno sguardo teso, o un’espressione di rabbia.

No, quel bastardo si limitò ad un singolo, sfacciato sorriso di sfida, per niente intimorito dalla sua vicinanza. Quella reazione, del tutto inaspettata, gli impedì persino di reagire come avrebbe voluto.

- Credo non esistano parole per descrivere quanto sei infantile e testardo, lo sai? - disse semplicemente, prima di indietreggiare e dirigersi di nuovo verso la porta. Shougo sbuffò, mettendosi le mani in tasca. Quel paradossale siparietto stava durando già abbastanza, e se davvero voleva troncare la conversazione di certo non gliel’avrebbe impedito.

- Farò finta di non aver sentito. -

- Che paura! - aveva dieci secondi di tempo per sparire dalla sua vista, o l’avrebbe picchiato così forte che nemmeno sua madre l’avrebbe più riconosciuto - Va bene, va bene, ti lascio da solo col tuo voler essere per forza cattivo, buon divertimento, Shougocchi! -

E grazie al cielo dopo quell’uscita sparì davvero, perché era già più pronto che mai a cazzottarlo. Grugnì, nel silenzio e nella solitudine di quella stradina, abbandonandosi sulla stessa scatola di prima.

Tralasciando lo “Shougocchi”, che già da solo aveva tutti i presupposti per fruttare tante di quelle bastonate da battere il record mondiale — per il resto, cosa diavolo si era messo in testa?

Non era mai stata tra le sue priorità l’idea di chiarire, in qualche modo, le vicende del passato con quella testa ossigenata. Era chiaro che tra di loro non potevano esserci basi per una pacifica convivenza, né tanto meno argomenti su cui non litigare: persino lui si rendeva conto che tentare di rianimare qualcosa di già morto era solo una perdita di tempo!

Non era lui a mettere su una facciata; non era lui ad essere testardo: era Ryouta che, forse infastidito dall’idea che ci fosse qualcuno a non accettare le sue attenzioni, si era per forza messo in testa che doveva esserci dell’altro. Cos’avrebbe fatto, si chiedeva? Avrebbe continuato a tormentarlo ancora, nella vana speranza di tirare fuori “il buono” che c’era in lui? Perché sembrava davvero questo che voleva fare, probabilmente del tutto incapace di convincersi senza prove tangibili e concrete che le persone potevano cambiare, o comunque avere attitudini diverse nei confronti di cose diverse pur magicamente rimanendo lo stesso individuo.

Tenendo ancora tra le mani la bibita energetica che gli aveva portato quello, arrivò persino a domandarsi se per caso non fosse geloso o chissà cosa dell’attitudine tutto sommato positiva che portava verso tutto quel che riguardava il suo lavoro, meno che con lui. E in quel caso, chi era veramente l’infantile? Ma soprattutto, come si permetteva di infilargli in testa tutti quei pensieri e quelle elucubrazioni, dopo una predica che non aveva né capo né coda, partita da una conversazione mai cercata e i quali motivi gli sembravano più offuscati che mai?!

Si domandò quanto ancora sarebbe durata quella linea ininterrotta di sfiga, iniziando a meditare l’ipotesi di farsi monaco e liberarsi dal male della vita, quando un rumore scricchiolante attirò immediatamente la sua attenzione.

- Ryouta, giuro su me stesso che se non te ne vai ti disintegro. -

- Allora è proprio vero che tra di voi non scorre buon sangue, hm? -

A meno che il dannato non avesse cambiato sesso nel giro di quei pochi minuti, dubitava fortemente che quella voce appartenesse a lui. Deglutì, alzando gli occhi: era l’ultima cosa che poteva immaginarsi, ma in piedi a breve distanza da lui la stessa tipa timida con gli occhiali che spesso lo salutava con un riservato sorriso lo guardava adesso con la sua solita, caratteristica espressione gentile, mentre dalla bocca di Shougo non uscì niente se non una specie di breve, impercettibile sibilare strozzato.

 

… perché cazzo non aveva subito rimesso gli occhiali da sole, prima?!

 

 

 

 

Buonasera!

Dio, non posso crederci di averci messo più di un mese a tirare fuori questo capitolo ;___; e dire che avevo promesso che avrei cercato di fare più veloce… sob.

Comunque, in un modo o nell’altro eccomi qui! Il capitolo è un po’ più lungo del solito, e anche denso di… cose che nella mia testa avevano un certo spessore, ma che a rileggere mi sembrano un po’ molto ‘normali’. Sigh.

Ad ogni modo, nuovo personaggio in arrivo! L’avevo già citata, rapidamente, un paio di capitoli fa, ricordate?

… probabilmente no, che sono tipo passati tre mesi da quell’aggiornamento.

In ogni caso, grazie già da ora a chi si ostinerà a seguire ancora questa storia ;__; e perdonate una persona come me, del tutto incapace di aggiornare in modo costante *sigh

Alla prossima!

 

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