Do what you like..

di AlyTT
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO UNO: No regrets - they only hurt. ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO DUE: No Regrets ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO TRE: You know Me ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO QUATTRO: Back for Good ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO CINQUE: Come Undone ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO SEI: Let Me Entertain You ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO UNO: No regrets - they only hurt. ***


CAPITOLO UNO : No regrets - they only hurt.

Durante l’estate del 2007, dopo aver conseguito il diploma mi ero recata in quella stupenda città, ovviamente sto parlando di Londra, e vedendo un annuncio di lavoro avevo deciso di portare il mio curriculum.. Sinceramente non avrei mai immaginato che chiamassero proprio me.
Eppure era successo davvero.

Avevo preso la mia decisione.
Londra mi attendeva, anche se mollare tutto e ricominciare non era per niente facile.
Ma non aveva importanza. Avevo sempre sognato di trasferirmi lì e visto che avevo avuto la mia occasione, decisi fare i bagagli e partire.


Ero a Londra già da un paio di mesi ed amavo il mio lavoro, per non parlare dei titolari e dei colleghi che erano sempre molto gentili e disponibili, nonostante il nostro lavoro in molte occasioni ci portasse ad essere ingestibili a causa delle persone.
Lavoravo per un catering e spesso e volentieri dovevamo confrontarci con le mille sfaccettature delle persone, che sembravano incontentabili.. però sottosotto gli inglesi non erano poi così male.
Diciamo che l’apparenza ingannava, ma non sono qui per raccontarvi delle abitudini inglesi..

Eravamo stati chiamati per organizzare una serata di beneficienza al ‘’The Ritz’’ al 150 di Piccadilly; uno dei più belli e lussuosi locali di tutta l’Inghilterra. Si blaterava che senza invito non si potesse neanche varcare il porticato di quel club esclusivo, eppure a me era stata la possibilità, seppure per lavoro di entrare e di ammirare le sue bellezze. Quella sera sarebbero stati presenti molti volti noti inglesi e non solo.
E fu proprio qui che incontrai lui.
Si, Robbie Williams.

Avevo sempre avuto un debole per lui, e visto dal vivo beh.. sembrava ancora più bello.
Sperai di imbattermi in lui prima o poi, anche perché non ci era permesso importunare gli ospiti, se non per cause di forza maggiore e con la (s)fortuna che mi ritrovato, sicuramente non solo non lo avrei più rivisto, non saremmo riusciti nemmeno a scambiare mezza parola.
Ero intenta a servire uno dei tanti tavoli, quando sentii un rumore quasi assordante. Qualcosa era andato in mille pezzi.. Sembravano vetri. Mi voltai e notai Robbie raccogliere dei bicchieri da terra.
Stava facendo il cretino come al suo solito, ed era inciampato tirandosi addosso una pila di bicchieri.. Tipico di Robert. Scossi la testa e lasciando che sulle mie labbra comparisse un sorriso, ne approfittai per andargli incontro e per risolvere quel casino che aveva creato.
Quella era l’occasione giusta per conoscerlo, anche se avevo paura di ricevere come si suol dire un bel due di picche. Pensai che se avessi detto una cavolata, forse sarei riuscita a sentire almeno la sua voce, e così feci.

« Se il tuo intento era attirare l’attenzione, direi che ci sei riuscito alla grande »

« A dire la verità ho visto che eri senza far niente, ed ho deciso di farti fare qualcosa »

« Sei stato molto gentile, grazie molte! »

Scoppiai a ridere come un ebete, mentre lui cercava di rimanere serio, ma non lo era affatto. Si stava trattenendo dal dire qualche cavolata. Raccolsi in fretta i vetri ed abbozzando un sorriso nella direzione del cantante mi ritirai.. Anzi, non andò proprio così. Cercai di andarmene ma non ci riuscii. Portai i cocci al suo posto, per poi tornare da lui. Sapevo di non poterlo fare, ma era stato più forte di me. Picchiettai con la mano sulla sua spalla ed appena lui si voltò verso di me, iniziai a parlare a raffica, probabilmente a causa del nervoso e dell’imbarazzo che provavo nell’averlo davanti e soprattutto così vicino. Dissi la prima cosa che mi passò per la testa, e questo non fece che complicare la situazione, e lui si stava divertendo davvero tanto a mettermi in imbarazzo con quelle buffe espressioni ed occhiate da play-boy.

« Non credo di averti ringraziato abbastanza per aver rotto tutti quei bicchieri che erano davvero brutti.. Ehm ecco, io tra mezz’ora dovrei staccare, se magari ti andasse di accompagnarmi a ricomprare quei bicchieri te ne sarei davvero grata.. Sai sono nuova di qua.. »

Che figuraaaa! Non solo avevo sparlato lo avevo pure invitato ad uscire. Ma cosa diavolo mi era passato per la testa? Chissà quante proposte del genere riceveva ogni giorno. Doveva essere proprio stufo.
Le sue labbra si curvarono leggermente verso l’alto e poi qualche attimo dopo si avvicinò a me. Le sue labbra si avvicinarono così tanto al mio orecchio, che per poco non mi venne un capogiro. Sentivo il cuore battermi all’impazzata.

« Potrei fare una telefonata e far aprire Harrods per te, vista l’ora.. Se siamo fortunati ci becchiamo anche qualche parolaccia. Ti aspetto tra mezz’ora all’ingresso. Non fare tardi Straniera ».

Cosa? Avevo capito bene? Robbie aveva appena accettato il mio invito? No, c’era qualcosa che non quadrava. Stavo sognando. Ero certo che mi sarei svegliata tra 3.. 2.. 1.. Per fortuna la voce della mia collega mi riportò con i piedi per terra, e Robbie era ancora davanti a me. Tornai con i piedi per terra e scappando da quella bellissima vista raggiunsi Ellen per aiutarla, prima che il nostro turno terminasse.
Stavo contando i minuti, e detto tra noi nell’ultima mezz’ora non feci molto, ma era comprensibile no?
Direi di si. Chiunque al posto mio avrebbe fatto come me.
Terminato il turno ed aggiungerei PER FORTUNA, mi precipitai a cambiarmi, anche se ero un po’ scettica, per quanto ne sapevo avrebbe potuto benissimo prendersi gioco di me.
Comunque fosse andata quella serata, come diceva Robbie in una sua canzone:
.
..No regrets - they don't work.. 
..No regrets - they only hurt..
 
Quella sera fui molto fortunata, anzi a dirla tutta non avevo mai creduto a queste cose.. Di una cosa ero certa però, Robbie aveva mantenuto la sua promessa. Mi aveva aspettata, nonostante fossi in ritardo e facesse molto freddo, ma dopotutto era dicembre. 

Erano già trascorsi tre mesi dal mio arrivo a Londra e non avrei mai pensato di incontrare lui. O meglio era successo, ma solo nella mia fantasia, e quella non mancava mai o quasi!

E comunque quella sera le soprese non erano ancora terminate; alzai gli occhi al cielo, e guardando nella direzione di un lampione notai dei piccoli fiocchi di neve cadere.
Amavo la neve, ed ero certa che Londra sotto la neve fosse ancora più meravigliosa.

 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO DUE: No Regrets ***


Ciao a tutti, ci tengo a precisare che ogni riferimento ai personaggi è puramente causale e frutto della mia fantasia. Inoltre vorrei scusarmi per eventuali errori, ma è trascorso davvero tanto tempo dall’ultima volta che ho scritto qualcosa. 
Vi auguro una buona lettura :) 

 
 
CAPITOLO DUE: No Regrets

Io e Robbie continuammo a vederci ogni qualvolta ne avevamo la possibilità, soprattutto quando il mio ed il suo lavoro lo permettevano. Ad ogni modo trascorrevamo molto tempo insieme. Mi portò persino Stok-on-Trent ed io in tutta risposta, lo portai fino a Oulx, un piccolo paesino in Piemonte a circa settanta chilometri da Torino, dove abitava la mia famiglia. La visita di Robbie però non piacque per niente al mio fidanzato di allora, che si convinse di una possibile relazione tra me ed il cantante. Vi lascio solo immaginare quello che successe.. Volarono parolacce e per poco non arrivarono alle mani. Per fortuna arrivò il tempo di partire nuovamente, anche se ogni volta tornavo a casa era difficile ripartire e non sapere quando avrei rivisto parenti ed amici.

Per tutto il viaggio di ritorno io e Robbie cercammo di non pensare a quello che era successo. Volevo metterci una pietra sopra, perché non era così che volevo ricordare la mia casa, la mia vita prima di Londra. Era già difficile stare lontani, figurarsi essersi lasciati così male, ma ero troppo arrabbiata e delusa dal comportamento del mio ragazzo, Simone, per chiamarlo e chiarire. Avrei lasciato che il tempo facesse la sua parte.. Ma non sempre il tempo riesce a sistemare, questo è un dato di fatto.

Comunque liti a parte l’amicizia tra me e Robbie continuò a solidificarsi, tant’è che avevamo persino deciso di trascorrere le feste di Natale insieme, poiché entrambi eravamo a Londra da soli, lontani dalla famiglia, a causa dei soliti impegni lavorativi. 
E poi quello era il mio secondo Natale a Londra. Era già trascorso un anno da quando io e l’idolo delle teenager c’eravamo incontrati per la prima volta..
Era quasi tutto pronto, regali compresi ed a Natale mancava davvero poco, ma quel maledetto 13 dicembre credo avesse segnato per sempre la mia vita. Arcistufa del mio ragazzo decisi di mollarlo. Basta, non ne potevo più di lui e delle sue continue ramanzine. Aveva ragione Rob quando mi diceva ‘’No regrets’’. Nessuno doveva averne; ognuno di noi doveva essere libero di fare ciò che riteneva più consono, ma questo non toglieva il rispetto, perché io ne avevo molto per Simone o non sarei stata la sua fidanzata negli ultimi cinque anni. Era stata una storia bellissima, ma nell’ultimo anno mi stava facendo sentire una persona diversa. Era come se non fossimo più quelli di prima. Eravamo cresciuti, avevamo intrapreso strade diverse ma questo non significava niente per me, perché se c’è l’amore c’è tutto, ma evidentemente non è così. Comunque presi il telefono e dissi al mio ragazzo tutto ciò che mi ero tenuta dentro fino a quel momento, e quella fu l’ultima telefonata, almeno fino a quando entrambi non capimmo che quella era stata la decisione più giusta. In quella telefonata gli dissi tutto quello che probabilmente non pensavo nemmeno, ma ero arrivata al limite. Ma con il tempo, con il senno di poi, capii che era stata la scelta migliore da prendere. 
Dopo quella telefonata, che nonostante tutto, mi aveva distrutto corsi da Robbie, ma quando arrivai a casa sua trovai qualcosa che non mi piacque per niente. Robbie era disteso per terra, fatto di chissà che cosa. 
Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto ed ero spaventata da morire.

« Robbie, Robbie.. che diavolo hai combinato? Robbie, ti prego rispondimi.. Che cosa hai fatto?»

Robbie mi aveva raccontato della sua dipendenza ed avevo sperato non ricadesse più in quel limbo, ma era evidente che non era stato così. Posai le dita sul suo polso per assicurarmi che fosse ancora vivo e per fortuna lo era. Non mi restava che chiamare il pronto intervento, ma così avrei rovinato per sempre la sua vita.. ma me ne infischiai di paparazzi e tutto il resto. Io dovevo pensare al mio amico prima di tutto.
Mi ero inginocchiata al suo fianco, mentre cercavo di dargli da bere qualcosa, per farlo riprendere. Non avevo mai visto una persona rivolta in quello stato, e speravo non accadesse mai più, specialmente se si trattava di una persona a cui volevo bene. I soccorsi arrivarono una decina di minuti dopo, e Rob non si era ripreso del tutto. Il momento prima era lucido, quello successivo no. 

Robbie era un uomo, mentre io solo una ragazzina di vent’anni, ma in quel momento mi ero sentita anche troppo grande. Salii in ambulanza e rimasi in silenzio per tutto il tempo, perché troppo sconvolta e delusa dal mio amico che mi aveva promesso di esserne uscito. I medici mi chiesero di attendere nella sala di aspetto, e così feci, ma l’attesa mi avrebbe ucciso. Nel frattempo, come se tutto questo non fosse complicato ci si mise pure la radio. Presero a trasmettere una canzone di Robbie, Eternity, e quella canzone mi aveva sempre fatto uno strano effetto, anche perché sapevo come lui fosse finito per scrivere e cantare quelle parole.. Parole malinconiche e piene di dolore. Aveva scritto quella canzone qualche anno prima, durante un altro dei suoi periodi bui.

Ero seduta con le braccia conserte ed appoggiate sulle ginocchia, mentre mi tenevo la testa e cercavo di soffocare i singhiozzi; e poi improvvisamente una mano si appoggiò sulla mia spalla. Sollevai un poco la testa e notai un uomo vicino a me. Non lo avevo mai visto prima d’ora, ma quel sorriso seppure forzato dalla situazione mi illuminò. Doveva essere il padre di Robbie. Poco più in là una donna, che riconobbi come la madre. Io e lei c’eravamo incontrai qualche mese prima, quando Robbie mi aveva portato a Stoke. Era strano vedere quei due insieme, anche perché ero a conoscenza del loro divorzio e di quello che Bob stava ancora sopportando, ma per l’amore di un figlio le persone erano disposte a fare qualsiasi cosa, anche riappacificarsi.

« Sei Alessandra vero? Robbie parla sempre di te.. anche se ti chiama sempre con un nome diverso.. »

« Si sono io! E Robbie mi chiama sempre Aly, perché la prima volta che ci siamo incontrati non è riuscito a pronunciare il mio nome, così per evitare altre brutte figure ha deciso che chiamarmi con l’altro nome che è decisamente più semplice da pronunciare, comunque Aly va benissimo. 
Non so da quanto tempo Bob è la dentro.. Non è uscito nessuno. »

Avevo davvero paura, ma non volevo trasmetterla anche ai suoi famigliari, così cercai per quanto possibile di mostrarmi loro tranquilla e senza pensieri, ma era impossibile non notare quanto fossi in realtà agitata e nervosa. Socchiusi appena gli occhi e poi sospirai e pregai perché quella situazione migliorasse quanto prima. L’attesa ci stava uccidendo. Poco dopo anche la madre venne a sedersi al mio fianco; prese la mia mano e la strinse forte nella sua. Riuscì solo a dire una cosa, che però sperai le facesse piacere, anzi non solo a lei, ma anche al suo ex marito che nel frattempo aveva preso a camminare avanti ed indietro in quel lungo corridoio, che ci divideva da Robbie.

« Robbie è forte. Se la caverà.. 
Mi ha raccontato di quella volta, quando da piccolo era salito in cima ad un albero e poi mentre si comportava come al suo solito da pagliaccio è caduto violentemente per terra, rompendosi in braccio, ma questo non lo ha fermato. Il giorno dopo era salito di nuovo su quell’albero. »

« Si, questo è il mio Robbie. Il Robbie che non ha mai avuto regole o limiti, ma questo lo ha portato a questo punto.. Quando ci ha presentate ho pensato che tu potessi essere la sua boccata d’aria fresca, ma lui ha un brutto caratteraccio e si porta da sempre dietro le sue cattive abitudini, ma tu puoi fare la differenza. Non lo abbandonare, lui ha bisogno di te, nonostante l’età che vi divide. »

« Non lo farò. Mi prenderò cura di Robbie, anche se dovrebbe essere il contrario, già! Per me suo figlio è davvero importante.. Sa, qualche giorno fa, si era ripromesso di imparare persino l’italiano.. »

«.. Così forse quella testa di asino di mio figlio, riuscirà finalmente a pronunciare correttamente il tuo nome. »

Concluse il padre.
Sorrisi ai signori Williams, per poi notare il medico venire nella nostra direzione. Io e la mamma di Robbie balzammo in piedi come due molle, mentre il suo papà che era in piedi e leggermente più avanti di noi, raggiunse il medico, così che avessimo quanto prima la bella notizia, infatti Bob si era svegliato. Era ancora sotto farmaci, ma era cosciente e rispondeva bene ai vari esami a cui era stato sottoposto. Doveva solo mettere da parte l’orgoglio e ricominciare pulito. Niente di più. Non sarebbe stato facile, ma Robbie aveva la stoffa per fare un passo avanti. Il dottore aggiunse inoltre, prima di tornare al suo lavoro che se fossimo entrati uno alla volta, avremmo potuto stare un po’ con lui.
Tornai così a sedermi; volevo che fossero i suoi genitori a vederlo per primi, ma loro insistettero perché fossi io a farlo per prima, dopotutto ero rimasta fin troppo a lungo ad aspettarlo. Li ringraziai e senza farmelo ripetere due volte, volai nel vero senso della parola, fino alla stanza di Robbie. Lui era intento a leggere qualcosa sul suo cellulare, ma quando mi vide posò il cellulare ed allargò le braccia, perché potessi raggiungerlo e farmi abbracciare.

« Robert Peter Maximilian Williams sei davvero uno stupido, lasciatelo dire. E non venirmi a dire lo stress per il tour perché potrei farti perdere di nuovo i sensi. »

Questa volta però mi rivolsi a lui in italiano, tanto ero certa che avrebbe compreso più o meno il senso del discorso, e vedendolo ridere immaginai che lo avesse compreso almeno in parte. Lui in tutta risposta, prese il cellulare e dopo essere andato sul traduttore, lasciò che lui parlasse al suo posto. In poche parole mi disse – anche se ci voleva un interprete, per quell’italiano poco corretto –, che ero una donna tosta e che mai e poi mai avrebbe più osato contraddirmi. 

« Bobby Solo, io vado. Ci vediamo più tardi, così potrai vedere anche i tuoi genitori. Il dottore ha detto che possiamo entrare uno alla volta non di più. »

Lo stuzzicavo sempre con quel nomignolo, visto che lui me ne aveva dati altrettanti per farmi indispettire ed arrabbiare, ma quel soprannome non lo fece ridere come le altre volte. Lo sguardo di Robbie si era spento di nuovo. Probabilmente era solo stanco o dispiaciuto per tutto il casino, così gli sorrisi e mi strinsi ancora di più a lui, in quell’abbraccio che negli ultimi giorni mi era mancato davvero tanto.

« Più tardi non ci potremmo vedere Straniera, ho preso la mia decisione. Me ne andrò per un po’ da Londra. Torno a Stoke. »

In quell’istante mi crollò l’intero mondo addosso. E quindi lui se ne andava? Come avrei potuto fare senza di lui? Stavo pensando da vera egoista, ma praticamente da quando ero arrivata a Londra lui era stato al mio fianco e non riuscivo ad immaginarmi senza il mio migliore amico. Non ci riuscivo e non volevo nemmeno immaginarmi senza di lui. Rimasi comunque in silenzio. Inerme, davanti alla sua espressione triste. Sentivo gli occhi inumidirsi e le lacrime voler scendere repentine, e lottai fino all’ultimo perché non scendessero ma fu impossibile.

« E quindi, mi molli così? Dopotutto quello che ho fatto per te Robbie. Ti sono stata accanto nell’ultimo anno; ho cercato di darti il coraggio che ti mancava; sono stata al tuo fianco in uno dei periodi più bui della tua vita e tu mi ringrazi così? Sai questa non è amicizia. E qui non c’entra la differenza di età, c’entri tu, che sei un vero stronzo! Ma se è questo che vuoi, ti lascerò andare. Ti auguro il meglio. »

« Brava, mi hai tolto le parole di bocca. Non siamo mai stati amici e mai lo saremo. Ti ho usata solo perché mi sentivo solo. Io non ho bisogno di nessuno, ne tanto meno di una stupida ragazzina che mi faccia da balia. Altrettanto! »

Le lacrime rigarono copiose il mio volto, e Robbie non rimase indifferente, tanto che quelle stesse lacrime iniziarono ad imbrattare anche il suo viso, rimasto impassibile fino a quel momento. E così la nostra amicizia era giunta al termine, ma cosa dovevo aspettarmi? Lui era un uomo di successo; successo che aveva ottenuto con alti e bassi, mentre io non ero nessuno, se non una semplice cameriera arrivata da un paesino sperduto del Piemonte. 
Mi sbattei la porta alle spalle ed uscii di corsa dalla stanza e nel farlo, mi imbattei nella sorella di Robbie che era tornata dal suo viaggio di lavoro per vedere come stesse suo fratello. Mi chiese cosa avessi, ma non osai dire niente. Non volevo far preoccupare anche lei, ma lei che conosceva il fratello meglio di me e non ci mise molto a capire.

« Ti ha detto che molla Londra per tornare a Stoke vero? Ma presumo non ti abbia detto il resto; A Stoke c’è la più grande comunità per tossicodipendenti. Robbie ha bisogno di aiuto. Qualunque cosa ti abbia detto, lo ha fatto solo per tenerti lontana da questo mondo.. Lui ti vuole bene e se ti ha allontanata, credimi, è solo per non farti vedere tutto questo. »

« Credo di essere abbastanza grande per decidere da sola cosa voler vedere e cosa no. Ti ringrazio per avermelo detto, ma adesso è meglio che vada. Vorrei restare da sola.. »

« Non voltare le spalle a Robbie promettimelo. Qualunque cosa ti abbia detto non la pensava. »

Annuii alla sorella di Robbie accennando un lieve sorriso sulle labbra, per poi andarmene. Samantha era sempre stata carina con me dal primo momento che c’eravamo incontrate. Robbie diceva che solitamente non era così con le ragazze che portava a casa, ma io a differenza delle sue vecchie conquiste non lo ero. Ero.. si, era proprio la parola giusta, “ero” stata la migliore amica, niente di più e forse neppure quello. Mi aveva usata. Quelle parole continuavano a rimbalzare nella mia mente.

Fuori faceva molto freddo, ma era come se ciò che era successo in ospedale mi avesse impedito di rendermene conto. O che fossero quaranta gradi sotto il sole cuocente o sotto zero, come lo era appunto, io non me sarei accorta di tutto questo. Continuai a camminare a lungo, fino a ritrovarmi davanti al Big Ben, dove la grande e famosa torre dell’orologio scandiva le ore con il suo rintocco assordante. Mi strinsi nel cappotto e continuai a camminare ammirando – seppure non guardando attentamente –, ciò che Londra mi offriva.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO TRE: You know Me ***


CAPITOLO TRE: You know Me

Erano passati solo undici giorni da quando io e Robbie ci eravamo detti “addio”. In cuor mio sapevo che non era un vero addio, ma quelle parole se pure pronunciate in un momento di rabbia mi avevano ferito moltissimo. Certo, anche io non ero stata gentile, ma mi ero solo comportata di conseguenza. Guardai fuori della finestra del mio appartamento e notai un piccione appollaiato sul cornicione della finestra. Era solo ed infreddolito; in un certo senso quella scena rappresentava al meglio il mio stato d’animo. Samantha mi teneva costantemente su Robbie, ma non era la stessa cosa che essere lì con lui.
La caffettiera sul fuoco iniziò a soffiare, e proprio quel rumore mi riportò con i piedi per terra, allontanandomi almeno apparentemente dai pensieri. Mentre la toglievo dal fuoco, la mia attenzione venne catturata dal regalo che avrei dovuto consegnare a Robbie proprio quella notte, che era appunto la vigilia di Natale. Era ancora sotto all’albero. Non potevo rinunciare a Robbie. Afferrai il cappotto, il regalo e di corsa mi precipitai a prendere l’auto. Sarei andata a Stoke.
Non sapevo se sarei riuscita a vedere Robbie, perché sua sorella mi aveva detto più volte quando fosse difficile riuscire a strappare un permesso di visita per lui, ma non aveva importanza. Avevo promesso a Robbie che avremmo trascorso le vacanze di Natale insieme, e non avevo nessuna intenzione di infrangere il nostro accordo. La strada che mi attendeva era lunghissima, circa tre ore e mezza di auto.

Nello stesso momento a Stoke, Robbie stava chiedendo un permesso speciale per uscire dalla clinica, poiché aveva una promessa da mantenere e lui sapeva quanto fosse importante quella promessa fatta a quella amica, che non sapeva lo avrebbe raggiunto. Cercava di arruffianarsi i medici, ma loro non volevano saperne, perché era ancora troppo poco che era in terapia. Avrebbe dovuto attendere ancora un poco.
Arrabbiato come non mai, tornò in camera e prendendo il suo cellulare decise di inviare un messaggio ad Alessandra, ignaro ancora una volta che la ragazza avesse dimenticato il cellulare a casa per la fretta.

- Straniera manchi da morire. Scusami davvero tanto, ma non volevo immischiarti in tutto questo. Vorrei essere con te ad ingozzarmi di marshmallows e tante altre schifezze. Spero passerai un bel Natale. Un bacio grande quanto la distanza tra Oulx e Londra quella testa di asino del tuo migliore amico. -

Guidai senza mai fermarmi. Volevo arrivare il prima possibile e fare una sorpresa a Bob. Ero curiosa di vedere la sua faccia, quando mi avrebbe visto. Ma soprattutto non vedevo l’ora di vedere quella sua espressione da schiaffi, ma che allo stesso tempo mi faceva ridere a crepapelle ogni volta.
Una volta arrivata a Stoke decisi di fermarmi ed acquistare le nostre schifezze preferite, così da festeggiare al meglio il nostro Natale insieme, per poi filare come un fulmine al centro di cui avevo preso informazioni da Samatha. Quando arrivai però non trovai ciò che avevo immaginato, nel senso che la famiglia di Robbie aveva parlato con il medico che seguiva il loro figlio e sarebbe riuscito a darmi un permesso speciale, ma il medico non sembrava essere in clinica. Non volevano farmi entrare perché non ero un parente stretto. Corsi in macchina per recuperare il cellulare, e solo in quel momento mi resi conto di averlo dimenticato nel mio appartamento a Londra. Sospirai ed alzando gli occhi al cielo, cercai una soluzione alternativa a tutto questo. Mai arrendersi. Visto che non potevo entrare dall’entrata principale avrei usato quella secondaria, a patto che ve ne fosse una.. Scavalcai il cancello del giardino, sul retro della struttura, ed inizia a sbirciare per quanto possibile all’interno di ogni stanza, ma alcune finestre avevano le tende tirate e quindi era impossibile vedere chi vi fosse all’interno. Pensandoci bene però, per Robbie sarebbe stato faticoso anche solo tirare le tende. Era un po’ sfaticato per certe cose. Optai quindi per proseguire nella mia ricerca ed infatti tutto questo mi mostrò poco dopo quello che mi aveva spinto a fare quasi duecentosettanta chilometri. Robbie con le cuffie nelle orecchie se ne stava disteso sul letto ad ascoltare della musica, rigorosamente con le tende aperte. Picchiettai con un dito sul vetro, e rimasi in attesa di catturare la sua attenzione. Lui guardò nella mia direzione e poi togliendo le cuffie si diresse verso di me, ballando e cantando una canzone che non avevo mai sentito prima.. 
La canzone diceva:
 
Since you went away, my heart breaks everyday 
You don't know 'cos you're not there 
You simply found the words 
to make a lot of feelings fade away 
Only you know me

 
Una volta davanti a me, smise di cantare e ballare e gettò le sue braccia intorno al mio collo abbracciandomi. Il suo profumò mi inondò le narici e per la prima volta dopo tanto tempo, fu come riprendere a respirare. Lo strinsi a mia volta tra le mie braccia, mentre lui seppure preso dall’emozione cercava di chiedermi se fosse stato il suo messaggio a farmi guidare fino a Stoke. Mi distaccai da quel caloroso abbraccio, e storcendo il naso e la bocca in una smorfia, lo guardai con fare finto-serio.

« Pensi davvero che un messaggio avrebbe potuto farmi cambiare idea? La verità? Sono venuta fino qua, solo perché ero davvero curiosa di vedere il mio regalo, che spero tu abbia qui. Se invece non hai il mio regalo, tornerò immediatamente indietro.»

« Ora che ci penso, quel messaggio non era indirizzato a te, ma ad una ragazza che avevo conosciuto ad un mio concerto tanti anni fa, e purtroppo per te, dovrai ripercorrere quei tanti chilometri perché il regalo è rimasto a Londra. Non ho nessun effetto personale, pensa che queste stesse mutande che ho indosso oggi le sto indossando da.. undici giorni. »

Mostrai un sorriso malizioso verso il mio amico, e solo dopo essergli girata intorno ed aver appoggiato la mano sulla sua spalla, sussurrai testuali parole al suo orecchio.
In tutto questo, per essere il più precisa possibile, avevo dato anche un’occhiata fugace al mio orologio.. Mi sembrava essere trascorsa l’eternità da quando io avevo lasciato l’ospedale.
E se Robbie non mi avesse più perdonato? Ero stata davvero una stupida!
Era mezzanotte. Era ufficialmente Natale.

« Undici giorni, otto ore e ventisette minuti.. Auguri di Buon Natale Bob. Promettimi che questo sarà il primo ed ultimo litigio. »

« Te lo prometto Scheggia! Tu fa di conseguenza e tanti auguri a te. »

Altro nomignolo datomi da Robbie, solo per aver divorato in due minuti un muffin, ma solo perché era in atto una vera e propria sfida e quello che avrebbe terminato il dolce per ultimo sarebbe dovuto andare dalla vecchietta del chiosco davanti a casa mia e comprare quanto di più imbarazzante aveva. A perdere era stato Robbie, ma questo penso sia stato piuttosto chiaro.

Ogni volta che mi chiamava in quel modo mi tornava in mente la vecchia signora che lo offendeva per essere un pervertito e tante altre parolacce..
Pensandoci bene però, lui aveva comprato quelle cose, ma se c’era una pervertita era sicuramente lei che vedeva quelle cose. Robbie scoppiò a ridere, ricordasi a sua volta quella figuraccia.
Robbie si allontanò un attimo e da sotto il letto estrasse il mio regalo. Sapevo che lo aveva portato con se; forse in un certo senso sapeva che lo avrei raggiunto. Io e lui ci conoscevamo, come nessun altro al mondo.
Nel mio pacco per Robbie c’erano una foto che ci ritraeva entrambi davanti allo stadio a vedere il Port Vale Football Club, squadra tifata ed amata dal mio amico. La foto in se era una normalissima foto, ad eccezione delle nostre espressioni stupide. Le persone si fermavano per ridere o per fotografarci.. Insomma quel giorno avevamo intrattenuto mezzo stadio con le nostre assurdità.. E poi avevo regalato a Robbie un pigiama ridicolissimo ma pur sempre meglio di vederlo gironzolare per casa mezzo nudo anche in inverno ed un collare per un cane. Robbie aveva sempre desiderato un cane, ma non aveva mai avuto il tempo e la voglia di prendersene uno e ora mi era sembrato il momento migliore per lui. Doveva distrarsi e non pensare a niente e prendersi cura di un cucciolo era quello che ci voleva. Lui mi aveva regalato invece una sorta di karaoke, ed a questo aveva allegato un biglietto.
- Finalmente riuscirò a sentire la tua voce, non fraintendermi così parli già tanto.
Intendevo l’altra voce. Buon Natale scimmia! -

Scoppiai a ridere e nell’aprire la scatola gli tirai il microfono in testa, fingendomi offesa.

« Dubito mi sentirai cantare, ma potrei usare questo karaoke per molteplici scopi. Uno di questi è usarlo contro di te come arma, come ho fatto poco fa. »

Risi di nuovo ed afferrando il cuscino abbandonato sul quel povero letto disfatto, glielo tirai addosso per poi scappare da lui prima che mi prendesse. In quell’edificio c’era un silenzio che faceva paura, immaginatevi noi due nella stessa stanza a fare gli scemi. Secondo me, prima che la serata si fosse conclusa avrebbe internato anche me, mai più rilasciato lui e chissà cos’altro. Robbie raccolse il cuscino che era finito per terra e lo lanciò verso di me, ma io riuscii a spostarmi e questo andò a scontrarsi con la lampada sul comò che cadde in terra e si frantumò. Guardai Robbie per un lunghissimo istante e per quanto avessi cercato di trattenere le risate, alla fine scoppiai nuovamente a ridere.. Mi era mancato tutto questo. Mi era mancato lui. Mi era mancato il noi..
Bob si parò davanti a me, e per un attimo sentii una morsa stringermi il petto, così cercai di svignarmela. Per la prima volta in vita mia da quando le nostre vite si erano incontrate avevo sentito qualcosa che probabilmente andava oltre l’amicizia, ma non avevo intenzione di rovinare niente. Robbie in tutta risposta, mi afferrò per un braccio e mi attirò verso di se. Mi sentii di nuovo morire. Lui posò le sue labbra sulle mie, ma neanche il tempo di metabolizzare la cosa, ecco qualcuno spalancare la porta.

« Mr Williams cosa sta facendo? Sbaglio o per oggi avevano detto basta visite? Aveva già visto la sua famiglia per oggi. Ricorda una visita al giorno ed inoltre state facendo troppo caos, gli altri stanno dormendo tutti. »

In quel momento molto probabilmente un pomodoro messo a confronto con il mio viso, sarebbe sembrato meno rosso. Presa dall’imbarazzo più totale mi nascosi dietro Robbie, in attesa che lui se ne uscisse con una delle sue battute, che speravo non tardasse ad arrivare.

« Mr Ford mi ha colto di sorpresa ed anche lei, perché non sapevo che mi avrebbe raggiunto questa sera. Vede lei, cioè lei inteso come la ragazza è la mia ragazza e so che è vietato ricevere visite specialmente a quest’ora, però.. Cioè, lei, la ragazza oltre ad essere la mia ragazza è anche.. Si, lei è la mia infermiera. Il Dottor Parker ha detto di farmi dare una controllatina prima di Natale. »
« Uhm interessante, ed in cosa sarebbe specializzata lei? Lei inteso come signorina. Sono davvero curioso! »

« Innanzitutto salve e ci scusi davvero per il baccano, ma sa com’è Robbie non riesce a trattenere l’emozione soprattutto dopo un lungo periodo di astinenza.. Da play-station. Io mi occupo di calli ai piedi, comunque. Finisco di controllare i calli di Robbie, mentre si diletta nell’ultima sfida alla play e poi vado. Ci scusi davvero tanto. Le prometto che non capiterà mai più. »

L’uomo non aveva creduto a mezza parola, ma se la rideva sotto i lunghi baffi neri. Aveva capito sicuramente tutto, oddio forse non proprio tutto.. perché a dirla tutta, non stavo comprendendo nemmeno io. Guardai Robbie, mentre l’uomo dopo l’ennesima raccomandazione di fare in silenzio si chiudeva la porta alle spalle. Rob mi guardò e mentre sorrideva fece per dire qualcosa, ma lo ammonii prima che dicesse qualcosa e rovinasse quel momento. Poggiai un dito sulle sue labbra e mi rivolsi a lui.

« Non dire niente Robbie, ti prego. »

Baciò il mio dito, e prendendo la mia mano andammo entrambi a coricarci, sdraiandoci nel suo letto mentre lui mi abbracciava. Lasciai una serie di baci sulle sue mani, che erano strette nelle mie. E così piano piano, nel silenzio dei nostri respiri ci addormentammo entrambi. Ero felice di averlo ritrovato, anche se non avevo la minima idea di cosa sarebbe successo adesso. Non ne avevo proprio idea. Di una cosa ero certa, non avevo nessuna intenzione di perdere Robbie.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO QUATTRO: Back for Good ***


Saaalve di nuovo! Chiedo scusa a quei pochi che hanno letto la mia storia, a patto che qualcuno l'abbia letta :P, ma sono stata impegnatissima tra l'università ed i nipotini. Spero di postare a breve il prossimo capito. Buona lettura e per qualsiasi appunto, scrivete pure ;)
 
 
CAPITOLO QUATTRO: BACK FOR GOOD

Dalla notte di Natale le cose per me e Robbie erano andate in modo diverso, nel senso che lui stava rispondendo bene alle cure e sembrava davvero propenso a voltare pagina, una volta per tutte, mentre io.. Beh, per me le cose non ero andate poi così bene.
Le mie coinquiline erano diventate insopportabili e per quanto io amassi fare festa, per me era diventata una tortura. Ogni sera davano una festa e non riuscivo neppure a riposare. Stavo andando fuori di testa.
Dovevo trovare una soluzione. Iniziai quindi a guardarmi intorno, ma non c’era niente di conveniente e non potevo permettermi di spendere tutto lo stipendio guadagnato per l’affitto di una casa.
L’unica cosa che mi faceva distrarre, anche se non era del tutto esatto (poi capirete perché), era andare da Robbie fino a Stoke. Ogni volta che ne avevo il tempo mi precipitavo da lui.

Erano ormai trascorsi quasi due mesi, da quando Robbie era stato ricoverato nella clinica.
Robbie stava bene, e non era mia intenzione fargli sapere del mio appartamento, ma un giorno, dove probabilmente gli ero sembrata più schizzata del solito, lui mi chiese quale fosse il problema che evidentemente mi opprimeva da un po’, e così gli dissi tutto, e questo non fermò certo Robbie che mi propose di fare i bagagli e trasferirmi da lui. Quando me lo chiese sentii il cuore esplodermi in petto, ma era una situazione complicata ed avrei tanto voluto dire di no. Ma secondo voi, dissi di no?
Purtroppo no! Non che la cosa mi dispiacesse, ma dovete sapere che nei due mesi precedenti io e Robbie non c’eravamo visti come amici, ma come altro. Non sapevo nemmeno come poterci definire, so solo che il mio cuore ogni volta incontrava il suo sguardo, non la smetteva più di battere, così come il suo.
Avevamo fatto l’amore, e non era stata una cosa da nulla. Non mi ero mai sentita così prima d’ora e lui mi aveva confermato di aver provato la medesima sensazione. Era così bello che, ogni volta lo vedevo non solo il cuore batteva all’impazzata, ma sentivo le gambe cedermi e rischiavo di crollare da un momento all’altro.
La sua famiglia diceva che io avevo cambiato la vita di Robbie, ma era inesatto, perché anche lui aveva cambiato la mia.
Finalmente era arrivato il grande giorno. Rob sarebbe tornato a casa, ed io sarei andata a prenderlo e poi mi sarei trasferita definitivamente a casa sua. La cosa mi agitava e non poco, ma ormai avevamo preso la nostra decisione. Quando arrivai alla clinica di Stoke, Robbie mi aspettava fuori, seduto sul muretto. Aveva indosso un paio di occhiali da sole abbastanza grandi per la sua faccia. La sua espressione finta arrabbiata che avrebbe voluto dirmi qualcosa perché ero molto in ritardo, ma l’unica cosa che riuscì a dirmi fu solo una stupidaggine.

« Il dottore credeva che fossi impazzito, ha insistito perché rientrassi, ma gli ho detto che stavo aspettando la mia fidanzata, e lui mi ha riso in faccia, dicendo che Robbie Williams non ha fidanzate, poi ci ho pensato bene. Ha ragione! Io non ho fidanzate. Sono un uomo libero! Mi sei mancata donna dallo sguardo di ghiaccio. »

Lo fulminai con lo sguardo e togliendo i miei occhiali, lo guardai da sopra di questi per poi fargli cenno di salire in fretta, se non voleva rimanere davvero là fuori, ma in tutto questo non persi occasione di prendere la mia rivincita.

« Avevo dimenticato che tu fossi un uomo libero, quindi visto che lo sei e ci tieni tanto ad esserlo, muovi quel culo, sali in macchina e fatti venire in mente qualcosa per la cena, perché caro mio, io non cucino..
Sei mancato anche tu orso! »

Le sue labbra sfiorarono le mie, ed il suo profumo mi inondò le narici. Avevamo tanto da imparare l’uno dall’altra, ma anche tante cose da condividere. Non sarebbe stato facile, ma ero certa che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Per tutto il tempo io e Bob evitammo di parlare di ciò che era successo qualche settimana prima. Era come se entrambi volessimo evitare l’argomento. In parte perché c’eravamo ripromessi di non far cambiare le cose tra di noi, ma quella sera tutto era cambiato. Certe cose però non si programmano, accadono e basta. Anzi a dirla proprio tutta, Robbie avrebbe anche voluto parlarne, ma io cercavo sempre di cambiare discorso. Probabilmente avevo paura. Lui mi guardava sorridendo e continuava a raccontarmi degli ultimi giorni trascorsi in clinica. Erano stati i più duri, ma era felice di essere lì con me ed era palese che volesse parlare. Socchiusi gli occhi e mi feci coraggio. Decisi di non interromperlo e rimasi in silenzio ad ascoltare ciò che aveva da dire.

« So che l’argomento è tabù, ma quello che cerco di dirti è di non avere paura. Non ho nessuna intenzione di andarmene. Ho fatto tante cazzate in vita mia, ma tu non lo sei. Quello che c’è stato quella notte è stato bellissimo e se tu volessi io lo rifarei ancora ed ancora. Io.. Io.. Non sono bravo con le parole, mi esprimo meglio con le canzoni, quando sono sobrio si intende. Non ho nessuna intenzione di lasciarti andare. Te lo ripeterò fino alla fine! Sei l’italiana più bizzarra e strana che io abbia mai conosciuto, ed è risaputo del mio non-feeling con gli italiani, ma tu sei un’eccezione e quello che sto cercando di dirti è che ti amo. Ti amo Alessandra. »

A quelle parole sentii il cuore fermarsi ed insieme a lui tutti gli altri organi vitali. Fu come essere investita da un uragano, solo che non sapevo quali effetti provocasse essere sommersi da tale forza della natura. Potevo solo immaginare quando fosse disastroso e per quanto questo portasse problemi, ma per me non era stato affatto così. Avrei voluto dire a Robbie tante di quelle cose, che alla fine, non riuscì a dire niente, se non una stupidaggine, che sicuramente lo ferì. Aveva imparato a dire “ti amo” ed il mio nome in italiano, senza sbagliare.

 « Ohhh sei riuscito a dire il mio nome ed hai imparato finalmente l’italiano. Grazie per le belle parole, nessuno mi ha mai parlato così Robert. »

Non ebbi il coraggio di rispondere alle sue parole, cosa che invece lui si aspettava, ma era stato più forte di me. Negare l’evidenza, mi era sembrata la soluzione migliore al momento. Non so neppure perché lo feci. Avevo solo paura. Quella maledetta paura. Robbie non aprì più bocca, per fortuna eravamo quasi arrivati a casa. Volevo chiedergli scusa e dirgli quanto anche io lo amassi, ma non ci riuscivo. Io avevo sistemato già le mie cose, quindi non ci restava che portare su la borsa di Robbie. Salimmo le scale, rimanendo ancora in zitti, ma poi voltandomi di scatto, posai la mano sulla sua. Lo guardai a lungo rimanendo in silenzio, e poi dopo una manciata di minuti mi feci coraggio e gli parlai.

« Ho una fottuta paura di sbagliare tutto Robbie. Ho paura di perderti. Tu sei famoso e ti basta scoccare un dito per avere tutte le donne che vuoi, io non sono nessuno. Sono solo una ragazza che fa la cameriera ed a stento parla la tua lingua. »

Lui scosse la testa e lasciando cadere il borsone per terra, scosse la testa per poi gettare le braccia verso di me ed abbracciarmi, mentre mi sussurrava all’orecchio parole confortanti. Mi disse che fare la cameriera era si un lavoro umile, ma lui apprezzava davvero quello che facevo perché non era da tutti sopportare le persone, specie se come lui e si divertivano a rompere bicchieri – qui alluse al nostro primo incontro – e poi concluse che per sua fortuna non conoscevo la lingua o lo avrei offeso a manetta, chiamando con i nomi più assurdi. Lui mi prese in braccio, e poi con una mano afferrò di nuovo la borsa e poi entrammo in quella che sarebbe diventata casa nostra.

« Lasciatelo dire, sei proprio un caprone! »
« Sei così romantica che se Shakespeare ti avesse conosciuta, avrebbe riscritto quella roba che scriveva lui ed avrebbe fatto suicidare Romeo, mentre Giulietta.. Beh non oso immaginare cosa avrebbe potuto scrivere a riguardo di quella giovane donna.. »
« Che stai cercando di dire Robbie? Che sono..? Insomma che sono una cattiva ragazza? A proposito di cattive ragazze, io ho conosciuto dei cattivi ragazzi nei giorni scorsi, Mark e Howard. Mark è carinissimo, mentre Howie sembra un po’ strano, ma dal resto è amico tuo. »

« Si, sapevo che li avevi conosciuti. Li ho mandati a controllarti.. Pensavi davvero fossero venuti qui per aiutarti con il trasloco? Sei proprio ingenua. Ma dimmi, Gary non c’era? Non lo hai ancora conosciuto? Vero?  »

I ragazzi mi avevano raccontato un sacco di avventure e disavventure riguardo a loro cinque. Mi avevano anche rivelato un particolare che Robbie per tutto questo tempo mi aveva tenuto nascosto. Lui e Gary erano molto amici, ma entrambi tendevano a nasconderlo, perché entrambi volevamo dimostrare all’altro di essere il migliore. Tipico dei maschi.. Tra loro due era una continua rivalità.
Il telefono di Robbie squillò e dall’altra parte sentii una serie di voci maschili, ed immaginai che si trattasse dei ragazzi. Ed avevo immaginato bene. Erano loro, che non vedevano l’ora di venirlo a trovare, mentre Gary e Jason erano anche impazienti di conoscermi.

« Ok vi do il permesso di autoinvitarvi nella mia umile dimora, anche se per stasera avevo programmi ben diversi per me e la mia fidanzata, ma per gli amici rompi-scatole questo ed altro, ma badate bene, giù le mani da Aly o ve le stacco, soprattutto tu Gary STALLE ALLA LARGA e tu Jason non portare quello schifoso thé al ginseng, non vorrei ritrovarmi di nuovo il divano che puzzava di pipì. »

Riaggancio subito dopo e con una buffissima espressione si avvicinò a me e mi baciò. Alle volte era così sorprendente che mi lasciava a bocca aperta anche per le piccole cose. I suoi erano tutti gesti inaspettati.

« Puoi resistere fino a domani? Pensandoci bene l’attesa sa essere una buona amica delle donne. Non fare la difficile, so che avevi preparato una seratina piccante! »

« Piccantissima Robbie. Peccato, gli spaghetti con aglio, olio e peperoncino dovranno attendere fino a domani. Piuttosto, credi di farcela tu? Io non ho problemi. Sono una donna, lo hai forse dimenticato? Per di più sono pure italiana. »

Continuammo a punzecchiarci, mentre apparecchiavamo la tavola e preparavamo qualcosa per i ragazzi. Avevano detto di avere un paio di novità da raccontarci. Ero curiosa di sapere, ma soprattutto di conoscerli meglio, perché il mio “ragazzo”, -mi faceva davvero uno strano effetto chiamarlo così-, mi aveva parlato tanto di loro e sapevo quanto fossero legati tutti e cinque, nonostante gli alti ed i bassi.
Suonarono alla porta e Robert si precipitò ad aprire. Aveva stampato sul volto la sua espressione da “sono il più figo del mondo, me la suono e me la canto da solo”.. ma questo era Robbie. Scoppiai a ridere, mentre finivo di sistemare la tavola e poi mi spostai verso il salotto per salutare e presentarmi con gli ultimi due Take That.
Mark indossava una camicia rosa scuro, un paio di pantaloni neri ed una giacca del medesimo colore. Era molto elegante, a differenza di Howard che sicuramente aveva indossato la prima cosa trovata nell’armadio. Quest’ultimo indossava i pantaloni di una tuta di colore grigio ed una maglia a maniche corte bianca con uno stano disegno stampato sopra. Jason un golfino grigio ed un paio di pantaloni piuttosto larghi. E poi ecco Gary, il più elegante ed impeccabile. Sembrava uscito da una sartoria di alta moda. Aveva indosso un abito molto elegante grigio scuro e controluce di intravedevano degli scacchi di colore viola lungo tutta la stoffa, e poi una camicia bianca con tanto di cravatta intonata al completo. Mentre io e Robbie sembravamo usciti appena da una lavanderia. Io avevo indosso un paio di leggings ed una felpa enorme di Robbie ed i capelli legati i uno chignon tutto arruffato; lui indossava una maglia nera ed un paio di boxer a quadretti bianchi e blu. Eravamo entrambi da ricovero, e le espressioni dei suoi amici ce lo confermarono poco dopo.

« Scusatemi, Robbie mi aveva detto che voi non saresti stati così eleganti, comunque prego entrante e fate come se foste a casa di Robbie. »

Il mio ragazzo mi guardò in modo provocante e poi mi palpò il sedere davanti a tutti i suoi amici, così da marchiare il territorio. Ci teneva in modo particolare a farsi vedere come il gallo del pollaio. Ed era terribilmente bello quando lo faceva. I ragazzi però non sembravano turbati da niente di tutto ciò, anzi sembravano molto a suo agio. Howard, chiese addirittura a Robbie se poteva toccare anche lui il mio fondoschiena, perché convinto che fosse un modo come un altro per entrare in confidenza. Nel frattempo Robbie iniziò a prendere in giro Jason che, aveva in mano il suo bicchiere di cartone con il suo schifoso thé con il latte; Mark e Gary stavano ridendo invece come due pazzi.
La mia famiglia mi mancava da morire, ogni giorno, ma adesso non solo avevo Robbie, ma anche i ragazzi. Da lì a poco mi avrebbero accolta come una di loro, facendomi sentire meno sola e soprattutto meno italiana. Saremmo diventati i Take That, Robbie ed Alessandra. Non male come combinazione.
I ragazzi e Robbie erano di nuovo tornati insieme. Era bello vederli così felici e spensierati, specialmente il mio ragazzo. Non lo vedevo così da tempo. La permanenza nella clinica lo aveva cambiato e di certo adesso vedeva la vita da un'altra prospettiva, non solo per me..

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Capitolo 5
*** CAPITOLO CINQUE: Come Undone ***



Eccomi di nuovo qui, con due nuovi capitoli, spero vi piaceranno.
Vi ricordo che ciò che leggerete nei miei capitoli è frutto della mia immaginazione e non sempre corrisponde alla realtà dei fatti. Spero di riuscire a pubblicare a breve i capitoli successivi..

Buona lettura! ;)

 

CAPITOLO CINQUE: Come Undone
 
Il 2009 era cominciato solo da qualche mese e le cose stavano andando alla grande sia tra me e Robbie, sia tra lui ed i Take That e anche tra me e loro andava bene. In un certo senso mi sentivo parte del gruppo, nonostante non avessi mai preso in mano un microfono, se non quello che mi aveva regalato Rob per Natale, ma quello non lo usavo certo per cantare, ma per tirarglielo addosso nei momenti in cui si comportava male.. E lasciatemi dire, che quei momenti in una giornata erano davvero tanti.

I ragazzi avevano in programma un nuovo tour e anche un nuovo cd, ma le cose da fare erano molteplici.
Per quanto mi riguardava cercavo di aiutarli, ma non sempre ci riuscivo dato il mio lavoro che ultimamente mi richiedeva più tempo a causa della bella stagione, perché con l’arrivo di questo le persone tendevano ad uscire di più all’aria aperta e questo implicava catering e quant’altro. Non che il mio aiuto fosse indispensabile, ma quando ero con loro, dicevano quando Robbie fosse diverso. Era più spensierato e rilassato.
Una sera avevamo anche avuto una discussione al riguardo; Robbie mi aveva chiesto di mollare il mio lavoro e di seguirlo ovunque, ma non ero il tipo che si faceva mantenere. Non mi piaceva, i miei mi avevano sempre insegnato a cavarmela con le proprie gambe e così avrei fatto. Avrei fatto il possibile, infatti ogni volta che potevo correvo alle prove o in sala registrazione per stare con lui e dargli il mio supporto.
Qualche pomeriggio dopo quella fatidica litigata, li avrei dovuti raggiungere fino ad Abbey Road ed ascoltare finalmente il loro nuovo singolo, ma un imprevisto mi portò ad essere molto in ritardo. Non sapevo come fare per raggiungerli perché era tardissimo e prendere un taxi a quell’ora della notte non mi sembrava proprio il caso. Mi ricordai però che Gary avesse un appuntamento con Dawn, poiché i due stavano affrontano un momento di crisi e si vedevano solo per i bambini; infatti Gary si era trasferito da circa una settimana a casa di Robbie e ..mia. Presi il telefono e composi il numero del biondino dei Take That e gli chiesi se per favore fosse passato a prendermi, prima che Robbie desse di matto, se mai non mi avesse visto arrivare. Quando arrivammo non solo era tardi e nello studio non c’era quasi più nessuno, se non noi sei e qualche tecnico e regista, Robbie era furioso. Non lo avevo mai visto in quelle condizioni, eccetto quando faceva uso di droghe, ma non era possibile che ci fosse caduto di nuovo. Me lo aveva promesso. Cercai di non badare a quel suo “muso” e lo andai a salutare, ma dopo essersi allontanato e messo su un’espressione arrogante, mi disse qualcosa che non mi piacque per niente e soprattutto, per la prima volta dopo tanto tempo mi lasciò intendere di non fidarsi di me.

« Non solo resti a lavoro fino a tardi, ma ti presenti qui con Gary! Chiedi al signorino perché è in crisi con sua moglie. »
« Robbie dove vuoi andare a parare? »
Chiese Gary spazientito e pure fuori di testa.
Gli altri tre, proprio come me, erano rimasti in silenzio. Solo Mark dopo un po’ cercò di farli ragionare entrambi, ma sapevamo tutti quanto fosse inutile, anzi avrebbe solo peggiorato le cose. Robert si arrabbiò ancora di più e per poco non arrivarono alle mani. Volavano insulti e persino una bottiglietta d’acqua, che invece di Gary, prese in pieno Jason. Rimanemmo tutti allibiti, tranne Howard che scoppiò a ridere, ma vista la situazione tesa come una corda di violino, si ricompose subito.

« Robbie ma come diavolo ti vengono in mente certi pensieri? Ti ricordo che sono stata al tuo fianco, sempre, anche durante il tuo periodo buio e se davvero avessi voluto stare con Gary o con qualsiasi altra persona lo avrei fatto senza farmi troppi problemi, non credi? Ho fatto tardi a lavoro, ti ho avvisato anche un messaggio sul cellulare. Ho pensato che venire qui con Gary non sarebbe stata una cattiva idea, anzi avrei risparmiato del tempo, ma se ciò ti ha dato fastidio non solo vedrò di non farlo più, ma questa sarà anche l’ultima volta che io metterò piede qui, se pensi ciò che hai appena detto.. »

Durante la discussione Robbie aveva alluso un paio di volte che io e Gary avessimo fatto tardi per ovvie ragioni, che lui definiva di letto. Era davvero uno stupido se pensava questo di me. Significava che tutto ciò che avevo fatto per lui erano stato vano, così come Gary. Quei due si erano avvicinati molto nell’ultimo periodo, perché erano riusciti a superare la rottura dei Take That, eppure tra loro due era una continua sfida e le sorprese non tardarono ad arrivare. Gary che per quanto fosse un tipo più pacato e tranquillo, rispetto al mio ragazzo, non perdeva occasione di punzecchiarlo.

« Robbie non mi permetterei mai di rubarti la donna, e poi pensi che sia così idiota da farmi beccare? E soprattutto pensi davvero che mi serva un passaggio in auto per portarmi a letto una donna. Hai forse dimenticato chi eravamo? »

« Si, una massa di stronzi. Due ragazzini odiosi e sputa sentenza, ma non siamo cambiati di una virgola Mr Barlow. Facevi schifo all’epoca come amico e come uomo, e lo fai adesso. »

Accadde tutto così in fretta, che prese a girarmi anche la testa. Robbie si avventò su Gary e gli tirò un pugno e l’altro fece di conseguenza. Jason e Howie bloccarono Robbie mentre Mark si occupò di Gary. A quel punto intervenni io, mettendomi tra i due uomini. Robbie rispetto a me sembrava un gigante, così come gli altri due che lo sorreggevano. Mi misi nel mezzo, ma non ebbi ne la forza ne il coraggio di dire niente. Mi avevano deluso, come non mi era mai successo in quasi ventuno anni. Li fulminai con lo sguardo, ed in quel momento una lacrima rigò il mio volto, e notai la stessa espressione triste sul volto di Robbie. Mi aveva deluso profondamente. Non si fidava di me. Credeva davvero che avrei potuto tradirlo così?

Fuori il nostro minivan ci attendeva per riportarci  casa. Solitamente sembrava che le nostre case fossero dietro l’angolo, ma quella notte mi sembrò un viaggio interminabile. Per tutto il tragitto non volò una mosca; persino Morgan, che solitamente era alla guida, domandò più volte cosa ci turbasse, ma nessuno aprì bocca; solo Markie sussurrò – e dubito lo avesse sentito – che nessuno di noi aveva voglia di scherzare. Per mia fortuna o forse no, io e Robbie fummo i primi a scendere. Gary per quella sera aveva deciso di passare il divano di casa nostra. Sarebbe andato da uno dei ragazzi.
Non osai guardare Robbie neanche per un secondo, e quando avevo la sensazione che i nostri sguardi stessero per incontrarsi, abbassavo lo sguardo o lo voltavo altrove. Ma questo non lo avrebbe fermato.

« Dobbiamo parlare Alessandra. Mi sono comportato a stronzo, perdonami, ma dammi la possibilità di spiegare prima che sia troppo tardi. »

« Troppo tardi per cosa Robbie? Hai tirato tu le somme e sei arrivato tu, senza l’aiuto di nessuno, a conclusioni assurde. Io lo so come fai tu, prima lanci il sasso e poi ritiri la mano. Questa è la seconda volta che lo fai Robbie. La prima è stata quando in ospedale mi hai detto di andarmene. Vuoi che succeda di nuovo? »
« Quindi cosa stai cercando di dirmi? Sei tu a volermi dare un ultimatum, adesso? Dimmi Aly, è questo che vuoi? Beh visto che tu non hai il coraggio di dire ciò che pensi, lo farò io per entrambi. Mi hanno offerto un lavoro a Los Angeles. C’è una casa discografica che vorrebbe produrre qualche canzone con me. Fino ad oggi, non sapevo cosa fare. No, lo sapevo fin troppo bene. Avrei rinunciato a tutto per te. Avrei rinunciato al sogno americano. »

« Adesso è tutto chiaro! Cercavi una scusa per andartene, ma non sapevi come liberarti di me. Sei uno stronzo Robert. Adesso mi è tutto chiaro. Finalmente ho capito perché non sei riuscito a tenerti una donna per troppo tempo al tuo fianco. Hai detto che Gary fa schifo come uomo e come amico, sai che ti dico, tu fai schifo anche come compagno. Vattene in America se è quello che vuoi, ma questa volta non verrò a cercarti. Ma ti prego di essere sincero per una volta in vita tua. Dimmi perché non mi hai detto prima di Los Angeles? Davvero pensavi che non sarei venuta con te? Magari non mi sarei trasferita definitivamente, anche perché casa mia non è proprio dietro l’angolo, ma non ti avrei detto addio. Non hai capito niente di me e questo mi manda in pezzi. Mi hai distrutto stasera Robbie. »

« Se è ciò che vuoi, allora parti con me. Dimentichiamo tutto e tutti e ricominciamo. Solo tu ed io. »
« Non questa volta, non dopo tutto quello che mi hai detto. Non siamo fatti per stare insieme. Le nostre strade devono dividersi qui. Apparteniamo a due mondi completamente diversi. »

L’orgoglio aveva parlato al posto mio e questo mi distruggeva, come sempre, ma non ero certo il tipo che si lasciava abbindolare da due paroline, seppure sincere, perché sapevo quando Robbie lo fosse. Sapevo che se aveva detto ciò che aveva detto era stato solo perché sotto pressione, ma non capivo perché non me ne avesse parlato. Certo però, giudicare era sempre più semplice. Eravamo di nuovo a quel punto. Solo che questa volta avrebbe fatto malissimo. Mi sarebbe sanguinato il cuore, nel vero senso della parola, perché era come se avessi ricevuto una moltitudine di pugnalate, e non sarebbe bastato un cerotto, non questa volta. Avrei voluto dirgli che lo amavo e che lo avrei amato per sempre, ma non ci riuscì.

Robbie mi guardava in silenzio. I suoi occhi avevano perso quella luce. Sembravano aver cambiato coloro improvvisamente. Quel bellissimo verde, si era spento. Lui mi si buttò al collo e mi abbracciò. Lo sentii piangere veramente, forse come non lo avevo mai visto fare. Mi chiese più volte di ripensarci e di perdonarlo. Lui non sarebbe partito, se solo io gli avessi chiesto di rimanere con me, ma non potevo. Doveva essere lui a prendere una decisione. Rimanere e lottare, oppure andare e perdere tutto. Si distaccò da me ed accarezzò il mio viso, ripetendomi quanto davvero mi amasse. Mi disse anche che era davvero dispiaciuto. Io rimasi impassibile. Ero diventata un pezzo di giacchio. Mi stavo odiando come non mai in quel momento, perché stavo perdendo una delle parti più importanti della mia vita. In quel momento tutto mi fu chiaro. Adesso avevo capito perché aveva riprovato con i ragazzi. Voleva dimostrare di essere cambiato. Voleva dimostrare a tutti noi che non era più quel Robbie. Avrebbe anche rinunciato all’America.. per quello stava lavorando così duramente, ma non volevo essere io il motivo della rinuncia. Era giusto che intraprendesse una nuova strada e capisse cosa veramente voleva, perché non lo sapeva ancora. Doveva ancora capire chi fosse Robbie Williams. Lui spesso si mostrava come quello che non era. Con me c’era riuscito finalmente, ma ce n’era stata di strada.
Lasciai un bacio sulla sua mano e me ne andai in camera da letto. Quella fu l’ultima volta che vidi Robbie. Robbie partì la mattina successiva dall’aeroporto di Heathrow ed ad accompagnarlo fu lo stesso con cui fino a poche ore prima si sarebbero uccisi, Gary.

Dicono che non si muore per amore, ma si muore da morire. Era ciò che era successo a me quella sera, quando lasciai andare Robbie. Era trascorsa una settimana da quando lui si era trasferito dall’altra parte del mondo. Quando lui per lui cominciava la giornata, per me era quasi giunta al termine, ma da un punto di vista esterno forse questo non era che un piccolo dettaglio, perché io e lui avevamo sempre vissuto due vite completamente diverse. Mi ero convinta che il nostro allontanamento fosse dovuto a questo. I ragazzi mi erano stati molto vicino, come le mie due colleghe, nonché amiche Margareth ed Elisabeth. Non c’era giorno in cui qualcuno di loro non mi facesse compagnia, ma anche il solo vivere in quella casa mi opprimeva. Era troppo grande per me e troppo piena di ricordi. Ogni cosa, ogni angolo, mi ricordava di noi, di me e Robbie. Nelle due settimane successive tornai persino a casa. Decisi di prendermi una pausa dal lavoro, ma anche questo non servì. Fu l’ennesimo buco nell’acqua, ma vedere i miei genitori felici ancora dopo tanti anni di matrimonio, riaccesero in me un barlume di speranza. 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO SEI: Let Me Entertain You ***


CAPITOLO SEI: Let Me Entertain You

Erano trascorsi ormai cinque mesi da quando Robbie si era trasferito a Los Angeles. In quei mesi lui aveva provato a riallacciare i rapporti, chiamandomi, oppure mandandomi sms o e-mail, ma io mi ero sempre mantenuta distaccata, perché non volevo soffrire di nuovo.. come se non soffrissi già abbastanza. Questo però a mio avviso, non faceva che peggiorare la situazione.
Nel frattempo avevo anche lasciato l’appartamento di Robbie e mi ero trasferita con J, Howie e Gaz, che avevano preso un nuovo appartamento vicino a Piccadilly. La proposta di andare a vivere con loro mi aveva allettato e non solo, mi era sembrata un’ottima idea, almeno sarei riuscita a venire meno ai miei pensieri.

Era il 2 agosto, il giorno del mio compleanno, quando quel maledetto telefonò squillò ed io come ogni volta andai a rispondere, visto che i ragazzi non volevano saperne, perché troppo presi a sfidarsi alla playstation, tranne Jason che era invece sempre intento a preparare infusi o robe simili. Risposi inconscia che dall’altra parte del telefono non avrei mai potuto sentire quella voce. Eppure era proprio lui. Chiamava proprio per farmi gli auguri. Non riuscii a dire niente, se non un timido grazie. Robbie non si era dimenticato di me, e le sue parole lo confermarono poco dopo, ma non volevo e non potevo ricaderci di nuovo, non dopotutto quello che avevamo passato entrambi. Avevamo detto basta e così doveva essere.

« Mi manchi da morire. Ho bisogno di vederti! »
Robbie fece una pausa, ed in quel preciso istante capii che non avrei potuto mettere una pietra sopra a ciò che c’era stato. Non avrei potuto nemmeno tra vent’anni. Capii forse dopo tanto tempo e per la prima volta, quando davvero quel ragazzo inglese dagli occhi verdi era importante per me.
Intanto i tre “moschettieri”, - come mi ero divertita a chiamarli, negli ultimi mesi, in cui avevamo convissuto insieme – avevano smesso di fare ciò che facevano, e si erano avvicinati a me per origliare.
« I ragazzi partiranno dopodomani per raggiungermi, speravo di riuscire a convincerti. Ero sincero prima Alessandra. Una parte di me è rimasta lì con te. »

« Sai Robbie, una parte non basta. Ti ringrazio per l’invito e la telefonata, ma non verrò a Los Angeles. »

Passai il telefono a Jason che impacciato com’era riuscì a stento a salutare Rob, mentre gli altri due mi seguirono in cucina, cercando di farmi capire che forse avevo sbagliato a rispondere a Robbie in quel modo, ma io lo sapevo, solo che non volevo ammetterlo, ma soprattutto non volevo ricaderci con tutte le scarpe e stare male di nuovo.

« Dovresti pensarci. Los Angeles è molto bella, e poi se non vuoi vedere Robbie, puoi sempre uscire con me e Howard. Ti portiamo ovunque tu voglia andare. Hai bisogno di una vacanza e poi oggi è anche il tuo compleanno. »


« Ha ragione Gaz, vieni a Los Angeles con noi! Non te ne pentirai e poi, come ha detto lui puoi sempre contare su di noi, sappiamo essere delle ottime amiche.
Vai a fare quella maledetta valigia su, perché più tardi dobbiamo portarti in un posto..
J sei ancora vivo? Oppure stai emettendo ancora monosillabi al telefono con Robbie? »

« Ottime amiche? Parla per te Donald. »

Scoppiai a ridere e Gaz alzò la cornetta del telefono e poi spostandola anche verso di noi, così che riuscissimo a sentire ci mettemmo ad ascoltare la conversazione, anche se era più un monologo di Rob. Jason rispondeva si o no, a seconda delle domanda che l’amico gli poneva. Robbie era sempre stato il clown del gruppo; era quello che aveva sempre la battuta pronta o quello che non si tirava mai indietro davanti ad uno scherzo, specialmente se questo era rivolto al povero Jason. Infatti anche in quell’occasione non aveva tardato a prendersi gioco di lui.
Posai un bacio sulle guance di Gaz e Howie e mi precipitai a preparare quella valigia; infondo avevano ragione, anche se sarebbe stato impossibile non voler stare con Robbie. Erano cinque mesi che non lo vedevo e che non avevamo avuto una conversazione decente e priva di insulti o frecciatine.
Non ero mai stata negli States e non sapevo come fosse il clima, tranne per sentito dire. Immaginavo che in agosto facesse molto caldo, specialmente a Los Angeles. Buttai in valigia qualcosa, poi nel caso avrei fatto shopping là come promesso dalle mie “amiche”. In tutto questo però feci promettere ai ragazzi che non avrebbero fatto parola della mia decisione con Robbie. Volevo fargli una sorpresa.

Qualche ora più tardi i ragazzi compreso Mark, che ci aveva raggiunti, si erano messi in testa di volermi portare fuori per poter festeggiare il mio compleanno, nonostante io avessi insistito per voler rimanere in casa. Non mi andava di uscire a fare chissà cosa, che poi le serate in compagnia di loro sapevo sempre come finivano. Tutti sbronzi a dormire sui divanetti e questa era la migliore delle ipotesi. L’unico su cui avrei potuto contare era Gaz che essendo leggermente tirchio, se avesse scoperto quanto avremmo speso per quella sera ci avrebbe sicuramente ripensato, ma non questa volta.

« Gary sai come andrà a finire? Loro rimarranno senza soldi e tu dovrai pagare come sempre per tutti. Sei davvero sicuro di volerlo fare? Io lo dico per te.. E se Dawn lo venisse a sapere? Oh no Gary, non puoi metterti questo. Pensa se lo venissero a sapere dei bambini che ti sei ubriacato in un pub con i tuoi amici. Non ci rimarrebbero per niente bene. »

« Questa volta non mi incanti. Abbiamo detto di andare ed andremo. Non fare storie Miss Italia.

Comunque devo farti i complimenti, la storia dei figli regge sempre.. Sai quali tasti toccare per far impietosire un uomo, ma questa volta non ha funzionato. Vatti a preparare, Mark sarà qui tra poco! »

Nello stesso momento in uno studio di Los Angeles, Robbie provava ad incidere una canzone. Aveva deciso di andare lì, subito dopo la telefonata, ma nemmeno la musica quel giorno lo avrebbe distratto dai suoi pensieri. Non sapeva se Alessandra lo avrebbe raggiunto o meno, anzi a dirla tutta aveva proprio perso la speranza. Credeva di non rivederla più, almeno che non si fosse deciso a mettere da parte quello stupido orgoglio e fosse tornato a Londra, da lei. Aveva chiesto più volte ai ragazzi se si vedesse con qualcuno e loro avevano sempre negato, ma lui i cuor suo, aveva davvero paura di perderla. Aveva paura che qualche sconosciuto o anche uno dei suoi amici, potesse rubargliela per sempre. Robbie aveva preso la sua decisione, se lei non fosse andata lì per le vacanze, lui sarebbe tornato a casa.

Ero assorta nei miei pensieri, quando il suono del campanello mi riportò con i piedi per terra. Mi detti un’ultima sistemata veloce e poi uscì dal bagno. Alla fine avevo optato per un paio di stivaletti borchiati che arrivano sopra la caviglia ed il tacco piuttosto basso ed un abito semplice nero. Non ero solita indossare abiti provocanti e scarpe vertiginosi, anche perché in caso contrario – specialmente con i tacchi – avrei trascorso l’intera serata al pronto soccorso con un qualche trauma. I quattro mi attendevano in salotto, l’uno di fianco all’altro. Sembrano dei soldatini, per quanto erano impettiti e perfetti in quei loro abiti. Mi scappò da ridere, ma loro seri mi dissero che c’era una sorpresa che mi attendeva. Non stavo più nella pelle, anche se le sorprese non mi entusiasmavano molto, perché non riuscivo a resistere alla tentazione di attendere il fatidico momento in cui avrei scartato finalmente il regalo. Qualche attimo dopo Mark sparì e quando tornò stava spingendo una bellissima bicicletta. Ero solita andare a lavoro con quella, ma da quando me l’avevano rubata me ne andavo a piedi, poiché odiavo i mezzi pubblici. E loro avevano avuto la bellissima idea di comprarmene una nuova. Andai a ringraziarli uno ad uno, ma Jason – che stranamente se ne rimaneva sempre in silenzio – disse che non era quella la vera sorpresa. Mi bendarono e mi portarono in auto. Non ci capivo più niente, so solo che stavano facendo un casino assurdo per farmi confondere.

« Non mi starete portando in quelle strane confraternite, vero? Non so come dirvelo, ma io.. cioè ecco, il mio segno zodiacale.. Ragazzi, non sono del segno della vergine.. volete parlare! Voglio sapere dove mi state portando. »

Loro scoppiarono a ridere all’unisono e poi dissero che tra non molto avrei capito. Qualcuno disse anche che avrei dovuto avvisare i miei che per diverse ore non avrei potuto usare il cellulare. Che stavano combinando? Mi stavano davvero portando con un giorno in anticipo in America? Strabuzzai gli occhi, anche se con quella benda era impossibile anche se solo vedermi. Uno di loro mi prese la mano e mi aiutò a scendere.
Non so quanto tempo trascorse ancora, so solo che dopo un bel po’ e solo quando fummo saliti sull’aereo privato dei Take That mi tolsero la benda e mi fu possibile a quel punto avvisare la mia famiglia dell’improvvisa famiglia. Improvvisamente però mi venne in mente il lavoro, ma Gary mi tranquillizzò dicendo che aveva pensato lui a quello e che non mi sarei dovuta preoccupare. Lo guardai in modo severo, come per voler capire se stesse dicendo la verità, ma quella sua espressione mi fece ridere.
Ero davvero grata ai ragazzi per quello che stavano facendo per me, e non solo, per quello che avevano fatto in quei lunghissimi cinque mesi. Il viaggio fu lungo, ma il tempo sembrò volare.
Quando arrivammo mi fecero indossare quella maledetta benda nera, ma ero riuscita a scorgere una limousine. Provai a chiedere ancora una volta la nostra destinazione, ma venni subito ammonita. Volevo sapere dove fossimo diretti, ma non sembravano volermelo dire.
Dopo una mezz’ora circa il taxi si arrestò e noi scendemmo, e solo quando fummo all’interno del palazzo – almeno credo fosse stata una cosa del genere -, mi tolsero la benda.

« Tu rimani in silenzio e fin quando non te lo diciamo noi non uscire dall’ascensore, ok? »
Queste furono le parole di Howie, e poi schiacciò il pulsante dell’ascensore, che nemmeno in un paio di minuti ci portò fino all’ultimo piano di quel gigantesco edificio.


Nello stesso frammento di tempo Robbie se ne stava sull’Empire State Building a bestemmiare contro il suo manager che lo stava facendo impazzire per la realizzazione del suo nuovo video. Sia Robbie che io eravamo ignari che da li a poco ci saremmo rivisti. Nessuno dei due sapeva ciò che ci attendeva.
Le porte dell’ascensore si spalancarono ed i ragazzi uscirono. Sentii le loro voci allontanarsi, ma erano ancora abbastanza nitide.. E poi quella voce. Quella voce inconfondibile.
 

« Voi che ci fate qui? Lei dov’è? E’ qui con voi vero? »

« No Rob, purtroppo non è voluta partire, e quindi abbiamo deciso di anticipare di qualche giorno la vacanza. Abbiamo saputo che eri qui a New York. »

Intervenne Gary. Ci fu una lunga discussione tra i ragazzi e Robbie, dove lui chiedeva i motivi della mia mancata partenza. Mi sentii morire.. Se non fossi salita su quell’aereo, lo avrei davvero ferito. Allo stesso tempo però non vedevo l’ora di balzare fuori e di vedere la sua adorabile faccia da schiaffi. E poi ero a New York. Avevo sempre sognato di vederla. Socchiusi gli occhi e provai ad immaginarmela in tutta la sua bellezza, ma la cosa più bella era che ero lì con Robbie. Mark pronunciò la frase “ragazze uscite”.. Era il mio momento. Avevano fatto credere a Robbie che per compensare la mia assenza, avessero portato delle ballerine, e la risposta di Robbie mi confermò ancora una volta quanto davvero mi volesse lì. Disse che non se ne faceva niente delle ballerine.

« Beh Londra non è proprio dietro l’angolo, ma posso sempre tornare indietro, se proprio non vuoi neanche vedere una delle ballerine. »

Robbie rimase talmente sorpreso della mia presenza, che inizialmente non ci aveva capito granché. Poi improvvisamente si bloccò e si voltò verso di me. Io ero immobile sulla porta che portava all’esterno, sulla terrazzina sotto alla punta dell’Empire. Quello che trascorse tra di noi sembrò essere un minuto interminabile.

« Non ti azzardare a tornare a Londra per le prossime 72 ore o.. »
Robbie non riuscì neppure a terminare la frase. Era emozionato e quando mi raggiunse mi abbracciò. Non mi aveva mai abbracciato in quel modo, e nemmeno io. Nemmeno quando c’eravamo detti addio. In tutto questo però non persi la mia voglia di scherzare e lo stuzzicai. Sinceramente? Beh era l’unica soluzione per non piangere. Se avessi stoppato la mia mente per far si che metabolizzasse la cosa, sarei scoppiata in lacrime, seppure per la felicità. Non mi sembrava possibile che fossimo di nuovo insieme.

« Credi che 72 ore basteranno per recuperare questi cinque mesi lontani? Sei molto ottimista Williams. »

Gli altri iniziarono a fischiare ed a battere le mani, quando Robbie posò dolcemente le sue labbra sulle mie. Avete presente quei film smielati dove alla fine i due protagonisti si ritrovano e si baciano? Ecco, era andata più o meno in quel modo. Robbie fece cenno a tutti di allontanarsi per lasciare che vivessimo tranquillamente la nostra privacy, e per quanto loro avessero ubbidito, non persero occasione per prenderci in giro, ma non mi meravigliai neanche un po’. Era proprio questo il bello dei Take That.

« Non credevo saresti venuta fino a New York. No, ne ero certo. Mi ero già rassegnato all’idea di averti perso. Sono stato un cretino, non ho lottato per riprenderti, perché ho pensato che se tu mi fossi stata lontana saresti stata felice. Io non sono in grado di badare a me stesso. Sono egoista, viziato, ma ti amo come non ho mai amato nessuna. Mi sei mancata da morire Scheggia! »
« Io non credevo di venire fin qua Robbie. E’ tutto merito dei ragazzi. Avevo paura di stare male di nuovo, e quindi pensavo che starti lontano sarebbe stata la soluzione migliore, ma credimi non lo è. Questi cinque mesi, sono stati i cinque mesi più lunghi della mia vita. Ti amo anche io brutto orso! »

« Sbaglio, o è ancora il 2 agosto qui a New York?
Ci pensi io e te a New York.. e beh quella massa di rompiscatole che ci sta aspettando giù.. Chi l’avrebbe mai detto?! »

Lo guardai e poi mettendomi in punta di piedi, poggiai le nostre fronti l’una contro l’altra e poi baciai le sue labbra, che erano mancate da morire. Mi era mancato tutto di Robbie, anche la cosa più piccola ed insignificante, ma ora avevamo tutto il tempo per recuperare il tempo perduto.
 

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