Come il dolore la cambiò

di Serena Weasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come passarono gli anni. ***
Capitolo 2: *** Come era la vita adesso ***



Capitolo 1
*** Come passarono gli anni. ***


10 ANNI.

 

Ero appena tornato da scuola e l'unica cosa che avrei desiderato, era guardare un po' di tele in pace. Mi sentivo sereno e calmo. Non era stata una giornata molto movimentata, sono uscito presto per andare a scuola e all'uscita mi ero attardato con Elisabetta e Leo, . L'avevamo riaccompagnata casa insieme a Leo, sul portone lei aveva salutato entrambi con un abbraccio e un bacio sulla guancia. Mi aveva tenuto stretto un po' di più e io riuscivo a pensare soltanto a quanto fosse bello quel suo profumo alla fragola. Non ricordo neanche il momento in cui l'ho deciso ma ad un certo punto mi sono ritrovato con le mie labbra sulle sue, le sue mani sul mio viso e quel profumo che improvvisamente era anche mio, quel profumo mi stava sul serio, causando danni celebrali e a 16 anni non era il massimo.

«Perché sorridi come un beota?» la voce di mia sorella Chiara, che non avevo neanche visto arrivare, mi sorprese. Ogni giorno ne inventava una diversa «Pippi e questa dove l'hai presa?»

«Beota? Me l'ha insegnata Emma, ma tu a cosa pensavi? La tua fidanzata, è quella bionda di ieri? O la marrone di quell'altro giorno? » la guardai torvo e poi scoppiai a ridere, per avere dieci anni era davvero sveglia. «Cretina, al massimo si dice castana e comunque non mi sembrano fatti tuoi» la vidi ridurre gli occhi a due fessure e stringere le labbra, faceva così quando voleva sembrare minacciosa «Bene» rispose andando via, uscii dalla mia camera e io restai a osservare divertito le due trecce rosse di mia sorella.

 

 

 

 

 

 

12 ANNI

«CHIARAAAA» avere una sorella come Chiara, era ovviamente una maledizione. Insomma immaginate di vivere una vita normale da 18enne che sta per partire, per andare a studiare a Londra. E la vostra amata sorellina di dodici, vi tartassa di domande da circa 3 ore, chiunque, anche Gandhi l'avrebbe mandata a fare bene, invece io, a detta di mia madre dovevo avere “un po' di pazienza,Ste'”, ma davvero ero ,c'era da uscire fuori di testa.. «Stefano, non ti serviranno le mutande, lo sanno tutti che i londinari non le portano. Eleonora, me lo ha detto. . Mamma dice che per il mio compleanno ti verremo a trovare, se prende le ferie. E dice anche che tu tornerai a trovarci spesso, a me non mancherai,chiariamo questo, ma io a te mancherò tantissimo e allora se me lo chiedi, e se non sarò impegnata potremo parlare quanto vuoi al telefono, tanto paga papà.» La guardai con occhi diversi, adesso capivo cosa stava succedendo per mia sorella, non lo avrebbe ammesso forse. Non voleva che partissi. Ma io sapevo che in fondo non era niente di che, ci saremmo visti presto e avrei recuperato tutto il tempo. Per adesso avevo bisogno di lavorare e studiare, di andare via. Roma mi stava stretta. Da quando Leo si era trasferito a Milano e da quando era finita con la mia storica ragazza, Elisabetta, Roma non aveva più neanche gli stessi colori, gli stessi suoni, era tutto in bianco e nero. Non lo facevo certo perchè soffrivo, anzi lo facevo perché non c'era più niente che mi vincolasse lì, la mia famiglia avrebbe capito quello ero il mio sogno, dopotutto. Abbracciai forte Chiara, lei mi sarebbe mancata sul serio tantissimo, mi dispiaceva lasciarla ora che avrebbe affrontato l'adolescenza, promisi a me stesso che anche da lontano ci sarei stato, sempre e comunque.

 

 

 

14 ANNI

 

16 marzo.
Quella mattina mi aveva svegliato il suono del computer, non ebbi bisogno neanche di guardare per sapere chi fosse, era il mio compleanno e quindi la mia famiglia mi stava chiamando...

 

«TANTI AUGURIII A TE, TANTI AUGURI A TEEEE, TANTI AUGURI STEFANOOOO»

osservai sorridente la mia famiglia ballare e cantare gli auguri per i miei 20 anni.
«Grazie, siete veramente uno spasso» gli dissi ridendo. Soffermai i miei sguardi su di loro. Mia mamma aveva un nuovo paio di occhiali da vista, neri, che le incornciavano i bellissimi occhi scuri , aveva legato i capelli in una coda alta e indossava una maglia azzurro cielo. Mio padre invece indossava un maglioncino blu notte e sorrideva sinceramente, puntando gli occhi verdi in un punto indefinito perché non capiva dove guardare. Chiara invece era davvero bellissima. Portava i capelli rossi lunghi sulle spalle e gli occhi verdi erano pieni di gioia. «Sorpresa per te indovina» mi chiese Chiara «Occhei, visto che non indovini. Te lo dico io: A giugno appena finita la scuola finalmente verrò da te. Mamma è riuscita ad ottenere quindici giorni di ferie. Staremo finalmente più di un weekend, e io pensavo di farti una proposta. Che ne dici se restassi con te fino all'inizio della scuola e poi a settembre torniamo insieme qui????» vidi mia mamma e mio padre guardarsi sconvolti e capii che era tutto un piano di mia sorella, e vidi la sua espressione speranzosa, non avrei mai potuto rifiutare una simile richiesta, senza parlare semplicemente le mostrai dalla videocamera il letto in più che avevo in camera, le dissi soltanto «E' gia li per te, Pippi.» Non fini neanche di parlare che la vidi saltare gioiosa dalla sedia, mi guardò con occhi lucidi di
commozione e sorrise. Non c'era bisogno di dire altro.

 

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Capitolo 2
*** Come era la vita adesso ***


Quando suonò la porta, guardai interdetta l'orologio da parete della mia camera, chi mai poteva essere alle 3 del pomeriggio? Di sabato poi?. Aprii la porta e mi trovai di fronte un ragazzo. La mia mente lavorava cercando di associare quel viso a un nome, inutilmente. « No, sei davvero tu???Chiara??» Beh lui conosceva il mio nome quindi se avessi scavato avrei capito chi diamine fosse. Invece niente. «Sì.., ma tu chi sei? » risposi sempre più confusa « Non mi dire che non ti ricordi di me, Pippi». Pippi? Ma era fuso questo?...«Il tuo sguardo mi dice decisamente di no, calzelunghe » continuò in tono serio e con un espressione divertita, stavo sul serio per dare di matto, quando mi si accese una lampadina lontana nel cervello...c'era solo una persona al mondo che mi chiamava Pippi Calzelunghe e non succedeva, per inciso, da quando avevo 12 anni. « Cosa ne sai tu di Pippi?» la mia voce risultò più tesa di quanto volessi. «Sono io, Leonardo» a quel nome, mi illuminai e finalmente riuscii ad associarlo a un viso, ma era il viso di un ragazzino di 16 anni e non aveva niente in comune con quello di quell'uomo fuori la porta che aveva, secondo i calcoli, circa 24 anni. « Oh mio Diooo, sei davvero tu?? Sono sconvolta, insomma io ricordavo un moccioso e invece...». Non riuscivo a trattenere lo stupore, erano almeno 8 anni che non lo vedevo. Cavolo, quanto mi sentivo vecchia mi riscossi dai miei pensieri: «Quindi cosa ci fai qui?». «Ho deciso di tornare, mi sono laureato e Roma mi mancava, e poi sembrava il posto perfetto dove stabilirmi, Milano è triste, non ho niente di felice da condividere con quella città, Qui invece...» lasciò sospeso il resto della frase ma capii benissimo cosa intendeva, anche se era andato via quando io avevo appena 10 anni, quello che intendeva mi fu chiaro subito. «Sì, capisco cosa intendi. Ti va di entrare? Così mi racconti qualcosa che non so circa 8 anni di vita di uno che era il mio migliore amico da bambina e adesso è un perfetto sconosciuto, Mamma sarà felice di vederti lo sai? ». anche lui sarebbe felice pensai ma lo tenni per me, evidentemente non gli sfuggì quel particolare omesso. «Chiara » non mi voltai verso di lui intuendo cosa volesse dirmi «Mi dispiace non averti cercato quando è successo, ma non sapevo davvero cosa dirti, soffrivo anche io, ma il tuo dolore doveva essere più grande. Per me era un fratello e questa non è una frase di circostanza, tu losai. Non ti vedevo da una vita neanche al funerale ho avuto il coraggio di cercarti, ma devi sapere che l'ho fatto solo perchè sapevo quanto amore c'era in gioco tra te e lui, era la persona più importante della sua vita, non potevo affrontare il tuo dolore, siete stati la mia famiglia e più di ogni cosa avrei voluto esserti accanto anche se neanche ci sentivamo più, ma sono stato un codardo ed egoista, e non ho mai fatto niente, volevo solo non soffrire più » Quando mi voltai verso lui aveva gli occhi lucidi e le mani gli tremavano, io semplicemente sorrisi di comprensione e gli dissi semplicemente« Non preoccuparti, Leo. So quanto bene gli volevi, e ti capisco, dopotutto neanche io ti ho mai cercato ». La voce di mia mamma interruppe il nostro dialogo «Tesoro, si può sapere chi è? Mi rispondi o no?» disse sporgendosi dalla porta della cucina, risposi soltanto «Leo» come se fosse normale averlo in casa, li osservai salutarsi dopo tanti anni, e scambiarsi convenevoli. Ero sempre stata una persona sensibile, ma per quanto riguardavo l'argomento avevo imparato a gestire la sensibilità, era una cosa che non mi piaceva condividere con nessuno. Da quando avevo perso mio fratello, le lacrime erano l'unico momento reale che ci apparteneva e per questo ne ero gelosa, non avrei condiviso quel momento mai con nessuno. Qualcuno mi aveva etichettato come un insensibile, ma solo chi mi conosceva sul serio poteva sapere quello che succedeva in me in quei momenti. Al contrario degli altri non mi dispiaceva essere sola ad affrontare il dolore, anzi. Ero felice che nessuno mi potesse consolare perchè nessuno poteva capire che cosa si prova, il senso di vuoto incolmabile, la sensazione di dimenticare che non ci fosse più. Ogni anno quel giorno, quella mattina come quella di quattro anni fa...aspettavo di risentire il telefono e di riascoltare le voci dei miei genitori, confusi, spaventati. Li rivedevo stringersi sbarrando gli occhi, terrorizati dalla voce dall'altro capo del telefono. Rivedevo me stessa che cercava di capire che cosa stava succedendo e ricordavo la tremenda sensazione di dolore, consapevolezza, paura immediamente successiva a quei momenti. Sentivo il cuore, ogni volte come se fosse la prima, frantumarsi in mille pezzi. Mi rivedevo entrare in camera sua e sfiorare ogni cosa come se fosse di un fragilissimo cristallo come solo al tocco potesse scomparire, mi rivedevo disperata nei giorni seguenti svegliarmi e sperare di scoprire che era incubo, avanzare speranzosa verso la cucina e immaginarlo di trovarlo lì a sorridermi, avrei desiderato con tutta me stessa trovarlo lì, anche arrabbiato, nervoso, triste ma avrei voluto trovarlo... quello che in cambio avevo trovato era stato soltanto i fantasmi di mia mamma e mio padre, che combattevano per non farmi sentire il peso della loro delusione nel vedere svegliarsi uno solo dei loro figli, nel sentire il campanello suonare e non avere nessun dubbio su quale dei loro ragazzi avesse suonato la porta. Ricordo quegli anni come i più fragili, non tristi o dolorosi, semplicemente fragili, ricordo come sembrava che ogni cosa potesse cadere rovinosamente, spezzarsi, rompersi in un attimo. Bastava una parola sbagliata, uno sguardo troppo assente, troppo distratto, troppo deluso per scatenare l'impossibile. Ricordo in modo netto di aver associato la mia faglia a una bomba e l'innesco ero quasi sempre io. Credevo di essere quella che soffriva di più ma non avevo mai messo sul piatto della bilancia il loro dolore. Ricordo di averli odiati perchè non avevano protetto il loro figlio, di averli amati quando non mi facevano pesare il dolore. Era come essere su un altalena, un continuo mutare di sentimenti, umori. Adesso, certo, le cose erano diverse. Il dolore non era più un fiume in piena probabilmente solo un mare calmo, scosso da mareggiate. Non era mai successo che avessimo smesso di soffrire, semplicemente era diventata una nostra costante. Mi ero concessa quei pensieri perchè rivedere Leonardo aveva scatenato tutta una serie di ricordi che solitamente cercavo di non tirare fuori da quello scatolone nella mia mente chiamato "Stefano" fu proprio Leo, infatti, a riscuotermi dai miei pensieri, spuntando in camera mia, tra le mani una brioche per lui e una per me. «Scusa per prima, devo averti turbato...» «Assolutamente....si. Però parliamo d'altro....in cosa ti sei laureato?» chiesi addentando la mia brioche, trovato un argomento per sviare il discorso, vidi passare nei suoi occhi la consapevolezza che probabilmente avrei potuto fare a meno di quell'informazione ma in quel momento pareva vitale saperlo. «Giurisprudenza» rispose soltanto. «Tu invece cosa fai?» mi chiese e per lui quella sembrava sincera curiosità «L'ultimo anno di Liceo, scientifico». Parlammo per un pò della scuola, l'università, il lavoro, cosa volessi fare una volta finito il liceo, Leo mi raccontò che in realtà un lavoro l'aveva già trovato, avrebbe fatto da segretario, per il momento, nello studio legale di un suo cugino. Persi totalmente la cognizione del tempo, mi resi conto del fatto che fossero passate quasi 3 ore quando Leo mi disse che andava a casa a fare una doccia e fare un giro di telefonate importanti. Quando Leo andò via mi gettai sul letto, per non ricadere nel vortice dei ricordi, presi il cellulare e composi il numero di Eleonora. «Amooo' nun me pare il caso de chiama' mentre sto a dormì» la voce assonnata e esasperatadella mia amica mi mise inevitabilmente di buon umore «Lele sei la solita coatta, che ne dici di andare a prepararti invece di dormire?» «Per andare dove, di preciso?» «No, ti prego Eleonora, non te lo concedo. Te lo sei dimenticata!» «Ma de che? Potresti spiegarmi?» «E' il compleanno di Laura, e non possiamo non andare» per circa un minuto sentii soltanto mugolii di disperazione da parte di Ele. «Chia', sei una rottura, ci vediamo da te alle 8». sbuffò la mia amica, troncando la telefonata così di punto in bianco. Non me la presi, la conoscevo abbastanza per dire che non era per niente arrabiata.

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