ChImErA.

di KH4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fear / Prologue. ***
Capitolo 2: *** Precious. ***
Capitolo 3: *** Cage of Fools. ***
Capitolo 4: *** Anime Nere. ***



Capitolo 1
*** Fear / Prologue. ***


Chimera. paura

ChImErA.

00 / FeAr.

                           

Controllo. Una minuscola parola celante una sicurezza di grandezza pari al desiderio della sua realizzazione. Confini di sicura malleabilità, invisibili e percepibili al tamburellare della parole sulla scia dell’ossessione. Controllo. Più volte, l'attenzione di Pierre si era soffermata sul suo potenziale, sviscerandone il significato sino ad arrivare alla conclusione che non poteva esserci argilla migliore per plasmare una freddezza consona alle scelte del suo carattere taciturno, un limite universale da rispettare ritrovatosi improvvisamente ad anelare nel cuore della notte nera. Raramente il sonno fluiva tranquillo come il lento scivolare dell’acqua su una superficie perfettamente piana, tuttalpiù se i fulmini frastagliavano il cielo stellato. La sensibilità di incubi mai ammansiti rispondeva al loro fragore soltanto quando più gli aggradava, a volte risalendogli in gola anche nella placidità soporifera dell'inverno, dove la guardia si abbassava incosciamente per la provata routine e il fisico si crogiolava fra le morbidezze del piumone. Non vi era debolezza più ignobile di quella parte di sé inestirpabile, il panico rabbioso che subentrava alla lucidità e il corrompersi di quel briciolo di integrità morale preziosamente custodito nell'angolo più recondito della propria personalità, mentre fulgide reminiscenze lo imprigionavano nel passato solo per il piacere di torturarlo. Scattava, esattamente come se dietro la nuca avesse avuto un interruttore e una volta premuto non si arrestava, cresceva, più di una marea che, lenta, si preparava a inghiottire la terra. Le mani fremevano, i polmoni si accartocciavano quasi a volerlo soffocare e al tendere le braccia verso la luce, la sua coscienza si annullava in un blackout automatico. Il dispiegarsi dell'intero meccanismo rasentava una precisione di tale finità che le sue memorie avrebbero dovuto quanto meno conservarne una minima generalità, ma nonostante non serbasse alcunchè di quei buchi che succedevano a tanta agonia, nulla gli aveva mai impedito di immaginarsi artefice di distruzioni insaziabili o di percepire fra i suoi palmi la sublime sensazione di potere, la più indescrivibile e inebriante fra le soddisfazioni esistenti a cui, ancora, non sapeva conferire un nome dissociato dal piacere. Solamente l'ultimo barlume di lucidità, una magra conquista dei suoi forsennati allenamenti, lo induceva ad andare lì sotto prima della definitiva rottura, a colpire la pietra irrobustita con le nocche sbucciate per scaricare il panico centuplicato da ricordi maligni.
“E’ merce preziosa.”
La durezza del sotterraneo ne assecondava l’assetato bisogno di espellere il marcio accumulato e ripristinare l’autonomia, concedendogli la libertà che ai piani superiori avrebbe stracciato le spesse mura come fosse carta scadente. La triste realtà era che a tanto veleno non poteva esserci antido migliore se non quel luogo umido e dal profumo ferroso, almeno fino a quando il pulsare delle cicatrici non avrebbe trovato nelle sofferenze inferte la forza per lenire la necrotica volubilità. La pietra irrobustita gemette scricchiolante, sotto le sue nocche insanguinate. Non doveva temere rischi inutili o conseguenze spiacevoli; lì, le dita rosee potevano abbandonarsi al panico centuplicato dai ricordi maligni, ma dietro all'esile apparenza Pierre rimaneva un combattente e soccombere all'offuscarsi dei sensi ne istigava l'istinto di sopravvivenza, l'ergersi con le sue sole energie prima che l’alba facesse capolino sui tetti della Rosa Nera.
“Ricordo ancora la tua amata sorella maggiore: contrariamente da quanto leggo nei tuoi occhi, lei era così delicata da far trasparire la totale mancanza di quelle qualità che invece tu possiedi in abbondanza. Immagino che sarei dovuto essere più comprensivo, allora, ma mi si è rotta fra le mani senza che me ne accorgessi.”
C’erano centinaia, forse migliaia, di quelle incrinature che si perdevano nella loro stessa numerosità senza che lui fosse consapevole della loro esistenza, stelle anonime sanate per puro caso, ma Giselle non era e mai sarebbe stata fra queste. Il vigore impresso dal suo nome, un dolore angosciante che colava rovente lungo le sue ossa, creava l'illusione che dalla pietra rafforzata dall’Alchimia potessero originarsi interi fiotti di venature nere. Un periodo infausto aveva benedetto la nascita della primogenita, segnata da una costituzione debole per la loro eredità e un carattere inadatto a prendere ferme decisioni per le intemperie della loro vita di fuggitivi. Tuttavia, il suo sorriso era stato il solo balsamo capace di sopire il grigiore delle giornate, prendendosi cura di lui con carezze profumate del loro legame di sangue, che, in lei, ricordava fiammeggiare teneramente nonostante la paura ne condizionasse il tono di voce e i gesti. Era stata quella, la paura, a farla rimanere indietro, quel giorno. Terrorizzata dalla sua stessa fragilità e al medesimo tempo consapevole nell’essere un peso alla loro sopravvivenza.
“So che con te sarà diverso, ci vorrà più tempo…Ma sarò paziente. Gentile.”
La figura magra e vitrea della sorella gli apparve adagiata fra le lenzuola di raso bianco che per lui avevano quasi significato l’esilio eterno dalla morte, se allora qualcosa fosse andato diversamente. Colpì a vuoto, un mano lanciata per schiaffeggiare l’aria risuonante di quella voce, la sua, entratagli nelle viscere accaldate dal respiro accelerato.
“Saprò come addomesticarti.”
Eccola, di nuovo, così vicina al suo orecchio da riempire la fredda umidità del sotterraneo con l’orrida immagine del suo sorriso, di sembianze disgustosamente realistiche, un corpo vivo delle sue più pure emozioni, tenute nascoste per l’essere troppo spaventose da affrontare.
“Lascia che conosca i tuoi segreti.”
La porta era chiusa, le catene fissate, le sbarre d’acciaio schiacciate contro i cardini e i sigilli di contenimento attivi. Le rudimentali fattezze dei piani inferiori nascondevano a qualunque comune occhio umano la sua essenza di scatola magica, impossibilitata a lasciar uscire il benché minimo alito rancoroso, tuttavia non bastava e mai sarebbe bastato d’innanzi all’impressione di Pierre, agitata e contaminata dal terrore che tutto, lì attorno, fosse incredibilmente fragile e facile da rompere. Il groviglio di simboli alchemici fiammeggiò sulla sua pelle inondando di luce purpurea l’intero sotterraneo e nel crepitare fra urla sciolte d’ogni inibizioni, gli incubi lo inghiottirono, la coscienza rapita contro la sua volontà da un passato che regolarmente tentava di mettere da parte mentre tutto attorno diveniva incolore e senza peso.



Note di fine capitolo:
E...Rieccomi qua! Sorpresi, vero? Ebbene, ho deciso, nel pieno della mia follia, di cominciare questa breve storia, collegata a un personaggio della mia fic Hell's Road (che prometto di aggiornare prima della fine dei miei giorni): chi è, il personaggio in questione, altri non è che Pierre, già comparso nei primi capitoli, ma essendo stato poco valorizzato (salvo il fatto che assomiglia una femmina e Amèlie, maniaca, si diverte ad addobbarlo con gonne e pizzi) ho voluto approdondire la sua personalità regalandogli uno spazietto tutto suo onde evitare che la storia principale mi si gonfi troppo e risulti ingombrante.La pubblicazione non sarà regolare, ci tengo ad avvisare fin da ora, ma farò del mio meglio per non lasciar passare troppo tempo (stessa cosa che dissi per Hell's Road e premetto che ci sto lavorando, quindi abbiate fiducia in me!) e, come avrete notato, la lunghezza non è eccessiva. Ciò non deriva da una mancanza di ispirazione; semplicemente il primo è venuto così e anche le bozze degli altri si aggirano intorno a questa misura, salvo poi imprevisti. Dei personaggi del manga non vi sarà presenza, voglio già dirvelo, ma a me farebbe ugualmente piacere se questo piccolo spin off venisse apprezzato; è un modo per conoscere un retroscena della mia storia principale, quindi sarei felicissima di ricevere le vostre opinioni al riguardo. Ammetto che avrei voluto inserire una frase d'effetto, ma dopo tanto lavorarci su ho deciso di lasciare così il capitolo. Sperando che non ci siano errori, auguro a tutti voi un buon Dicembre e tante belle feste! A presto e buona lettura! 

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Capitolo 2
*** Precious. ***


introduzione chimera

ChImErA.

01 / PrEcIoUs.

 

L’aria puzzava d’umidità chiusa. Odore di un luogo non esposto alla luce, riluttante alla freschezza dell’ossigeno, dove le ombre covavano putridume maleodorante. A un certo punto ci si abituava, più per rassegnazione che per accettazione: il buio diveniva parte integrante del proprio essere e si scordava quanto piacevole fosse il calore della pelle a contatto con il sole, per non parlare della brezza primaverile in mezzo ai capelli o del totale arbitrio che il corpo esercitava sui limiti nati per porvi freno; lo smarrimento diveniva lucidità priva di increspature e il tempo si elasticizzava per abbracciare tutte le consapevolezze annidatesi nell’animo con la cattura forzata. Se il suo attaccamento all’esterno avesse vantato tale intimità, forse Rasiel ne avrebbe pianto tutte le piccole forme di libertà di cui aveva inconsapevolmente goduto con più rammarico, ma accovacciato su un giaciglio di paglia dai fili asciutti, accatastati sopra quelli umidi e con le punte degli arti molli a sfiorare il metallo delle sbarre, pensò soltanto che sarebbe dovuto succedere prima o poi. Perpetrare una fuga senza conoscerne la ragione aumentava le possibilità di farla fallire e l’unica motivazione mai datagli era inerente agli sciocchi vanti che la sua famiglia troppo spesso aveva ricordato con il desiderio di riappropriarsene, carezzando i pochi ori salvati dai continui spostamenti, come se lo splendore dei loro avi, gli sfarzi e la gloria, fossero stati i loro. Era arrivato a odiarlo il suo nome, il passato che aveva segnato presente e quel presente che condannava il futuro senza che potesse remare contro la marea. L'unica cosa che gli fosse rimasta per non perdersi nella pazzia e la stessa che ce lo aveva gettato prima ancora di nascere.
In sottofondo si udì un cigolio e una strisciolina di aria fresca gli solleticò le narici. Aveva smesso di immaginarlo, l’esterno, di percepirlo o di provare, in generale, qualcosa che lo aiutasse a rimanere a galla mentre l’unto gli colava fra i capelli nodosi - ciocche di soffice luminosità castana destinate a ricrescere a velocità inaudita – e la testa penzolava in un vuoto di nuvole dall’odore dolciastro che ne aveva ammansito gli organi.
 
- Allora? A che punto siamo? -
Un grugno avanzò a grandi falcate lungo il piccolo sotterraneo, mal illuminato dalla fiocca luce di una lampada a olio appesa al soffitto. La sua forma grossa e tonda ricordava quella di un'enorme botte per il vino.
- Abbiamo appena finito di allestire il palco e gli ultimi pezzi sono arrivati giusto dieci minuti fa. - Una seconda figura fece capolino dalla prima come se ve ne fosse appena staccata, più bassa e sottile - Lui? -
 
- Docile come un agnellino e tale rimarrà per tutta la durate dell’asta. L’ho imbottito di anestetici appositamente. -
Parlavano di lui, ovviamente, e chiunque fossero non escludeva la possibilità che si trattasse della stessa feccia inutile premuratasi di ingabbiarlo in quella scatola dalle pareti pietrose e con la nuca a bruciare per le continue punture fattegli. Gli esseri umani sono deboli, Rasiel. Non hanno che l'arroganza per fingersi grandi. L’avidità che scivolava sulle loro lingue sghignazzanti non ne nascondeva le disgustose fattezze; di quelle ombre sfocate, che si agitavano con compostezza davanti alla sua prigione, aveva sempre diffidato, riconoscendogli un’esistenza dalla spavalderia tutt’altro che stabile. Fantocci, e di quelli malriusciti, tuttalpiù; carne che si divertiva a fare la voce grossa, vite insignificanti che traevano soddisfazione nel dominare gli altri. Ma erano deboli, nel profondo, codardi, come gli era sempre stato insegnato; glielo aveva letto negli occhi sporchi quando aveva strappato gambe e braccia ai loro subalterni e fracassato il cranio del loro compagno contro una delle tante gabbie usate per contenerlo, prima che potesse soltanto calargli i pantaloncini. Le sue orbite lo aveva fissato con la materia celebrale a lacrimargli dalle iridi.
- Che diavolo hai per fare quella faccia? - Sbottò il carceriere corpulento.
- Lo sai come la penso, no? -
Un tremolio inervosito scivolò lungo la voce della più esile delle sagome, incespicante nei movimenti quanto nella parlantina - Sei sicuro che non possa muovere un solo muscolo? -
- Certo, sono io che mi occupo della somministrazione: l’ho raddoppiata proprio per scongiurare qualsiasi imprevisto -
, assicurò il primo, infervorato. Seppur privato della concezione del tempo, Rasiel riconobbe in quel tono gracchiante e profondo la stessa persona che si era sempre assicurata del suo continuo e regolare respirare. Al capo sarebbe dispiaciuto che il loro pezzo forte tirasse le quoia, sarebbero stati nei guai.
- Voglio ben sperare -
, si augurò il complice - Questo mostriciattolo ha fatto fuori nove dei nostri uomini ed era già parecchio anestetizzato. E Sergei…-
- Sergei ha avuto quello che si meritava -
, sentenziò stizzito l’altro - La sua morte e quella degli altri è cosa di poco conto, se pensiamo a cosa sarebbe potuto succederci se fosse riuscito a stuprarlo. Sua Signoria è stato molto chiaro: lo vuole vergine, non avrebbe senso sborsare tanto denaro per un articolo già testato. Questa... - E Rasiel sentì le dita ruvide di quell'essere carezzargli la testa con i denti cariati ben in mostra - Erk erk! Questa è merce preziosa. -
Lo lasciarono lì, portandosi via il circolare lumino; la vecchia serratura fu chiusa con un catenaccio ancor più consumato, ma sufficiente a bloccare la porta massiccia. Sì, era merce preziosa, lui, non un comune bambino con comuni fantasie o comuni ingenuità di un qualunque suo coetaneo; era prezioso come il gioiello più sfavillante che un nobile avesse per vantarsi, angelico per quei suoi tratti efebici che celavano l’istinto di spezzare altre ossa e dare sfogo a un’anima insofferente, in attesa di esplodere ancora. Tutta la sua famiglia era stata preziosa ed era alquanto ironico, se si teneva conto che il suo essere contraria a ogni genere di morale nemica della natura stessa, ne avrebbe dovuto pretendere la morte istantanea anziché l’indiscussa protezione. Sotto la pelle di porcellana sporca e gli occhi smeraldini si nascondevano proibite potenzialità a cui sapeva appena imporre la propria autorevolezza - benché ne avesse sempre attinto d’innanzi a bisogni primari -. Il genere di eredità che implica segreti arcani il cui recupero, tuttavia, è secondario perfino alla puzza della gabbia che ne ispirò la deduzione. I pensieri non hanno concentrato la poca lucidità racimolata sui doni divenuti un tutt'uno con il suo corpo
, ma sul disgusto provato nel sentirsi addosso quelle mani lerce ora sicuramente intente a sfregarsi i palmi e i menti incolti per i soldi in procinto di ottenere. Rasiel aveva sempre speso fin troppi minuti a osservare i suoi lineamenti piacenti e le forme acerbe del suo corpicino per non immaginare che, in quella gabbia, difficilmente vi sarebbe tornato. Se vi era certezza assoluta nella morte, altrettanta sicurezza l’aveva trovata nella recente consapevolezza che l’essere umano viveva per i suoi bassi istinti e amava affondarci.

Note di fine capitolo:
Secondo capitolo giunto in porto. So bene che la faccenda, in alcuni punti, possa non essere del tutto chiara; quello che posso subito dirvi è che Rasiel è Pierre e il perchè di questi due nomi, verrà alla luce più avanti, conto di scrivere ancora tre o quattro capitoli, tutti già più o meno abozzati. So che gli aggiornamenti sono lenti, ma spero abbiate molta pazienza al riguardo. Prima di lasciarvi, magari qualcuno lo sa, ma sto cercando di creare un'intestazione decente di questa storia, ovvero che i caratteri siano corsivi e in grassetto come quando li preparo su word, soltanto che quanto faccio la trasposizione non compie la formattazione. La stessa cosa per le immagini; spero di poter risolvere la questione, ma se qualcuno ha dei suggerimenti li avanzi pure: io sto attualmente usando come programma Nvu. Un ringraziamento a tutti i lettori, aspetto di conoscere i vostri pareri. Alla prossima ^^ (e come sempre, spero non ci siano errori!)!

 

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Capitolo 3
*** Cage of Fools. ***


Cage of fools.

ChImErA.

02 / CaGe Of FoOlS.

 

Aveva sette anni quando conobbe il sapore del metallo. Cinque e tre quarti quando un uomo ne fissò languido il basso ventre leccandosi le labbra. Tre quando imparò a scandire il suo nome: Chimera. Già allora, il suono di quel semplice appellativo era in grado di disagiarlo da capo a collo per le miriadi di cattive allusioni epiteti che sbocciavano. Abominio, eretico, mostro, diverso. Da essi aveva trovato il materiale adatto per forgiare la sua prima maschera di risolutezza, con il solo fine di respingere ogni altro attaccamento che potesse comprometterlo. La freddezza degli sguardi altrui pronunciava più giudizi di quanto un discorso riuscisse a esprimere e ai suoi occhi il loro peso doveva essere rigorosamente inesistente.
L’odio e l’invidia degli umani nascono dal loro essere avviluppati dalla paura. Ci temono perché sanno di non poter nulla contro di noi.
Suo padre non era stato capace di impartirgli null’altro di vagamente costruttivo e nel glorificare un ardore discinto dal loro presente, si era convinto di fare solo il bene per tutti quelli che erano rimasti. Non aveva mai potuto dirsi amore, ciò che Rasiel aveva nutrito per lui: il compatimento era la forma che più si avvicinava a tale sentimento, fuso a una nota di imperterrito risentimento che delineava ogni vigliaccata e la intrecciava perfetto all’assiduo annaspare in acque torbide. La continua e insensata ricerca di una qualche miracolosa resurrezione.
Se sono loro ad avere paura, perché siamo noi a fuggire?
I suoni gutturali che fluirono fuori dalle labbra pallide spiegarono un’indicibile matassa di orgoglio armato dell’intenzione di perseverare nella cruenta lotta contro quella parte di se stesso sovraccaricata dalle incertezza di tutta una vita, i difetti, i timori e le emozioni scombinate della loro naturale logica.
Dover salvaguardare la propria incolumità ed essere pronto all’eventualità di continuare a sopravvivere nella più totale delle solitudini ora non lo spaventava quanto l’incapacità di reagire che grattava sotto i muscoli man mano che l’evolversi della serata si avvicinava al suo punto critico. L’incenso gli stava dando alla testa, ne ammucchiava i ricordi miscelandone l’ordine con sensazioni altrettanto deliranti. Il dondolio sui talloni era tenuto a freno da due mani che ne artigliavano le spalle, mentre l’eco di una voce poco più lontana rimbombava con parole incomprensibili. Distinse appena il morbido fruscio del sipario rosso in mezzo a tutta quella confusione di sibili amplificati e l’unica nota positiva era il non sentirsi più addosso la puzza della paglia bagnata. La sua pelle profumava d’acqua bollente e oli profumati dentro cui era stato immerso per ore, la seta dei vestiti la scopriva in punti strategici, carezzandolo blandamente come i capelli acconciati in perline e soffici boccoli. Il vapore scaturito dalla tinozza gli si era conficcato a viva forza nelle vie polmonari, una fragranza dolciastra dai bianchi riccioli che gli svolazzavano sotto il naso anche in quel momento. Droga. Un lampo di lucidità gli aveva suggerito quell’unica soluzione al continuo scombussolamento del suo respiro. Dovevano essere sicuri che non reagisse ai tocchi lascivi che lo avrebbero mosso come una bambola da esibire agli spettatori, ma nel suo sguardo fisso, dalla bocca fragile e di innocente voluttuosità, seppe che a nessuno dei presenti sarebbe toccato l’onore di prendersi cura di lui. Al suo padrone non piaceva condividere i propri piaceri.

Le ricche feste celebrate per appagare la lussuria di un’elite oberata di vizi e torpida morale erano solite nascondere i loro capricciosi divertimenti fra mura private e mani piene di sonante moneta. Una qualunque asta clandestina poteva ben poco nel suo prodigarsi a ottenere la medesima magnificenza con articoli di un valore vicino all’accettabile e non era costume di Sua Signoria il Vescovo Herman Erkenwald esporre la propria persona alla vista di un pubblico dagli scialbi gusti. Il nome di quell’uomo era stato sussurrato una sola volta, un errore pronunciato di sfuggita che aveva letteralmente catapultato la coscienza di Rasiel agli anni trascorsi a difendersi dal solo essere che fosse riuscito a ossessionarne le notti. La fredda luce dei riflettori lo accecò al punto da indurlo a credere che le iridi gli si fossero bruciate; il buio aveva assopito i suoi sensi cullandoli con ombre prive di sfaccettature, appena scolorite da fasci umidi che scoprivano il galleggiare della polvere in mezzo all’aria. Capì di essere finito al centro del palco soltanto quando realizzò di esserne totalmente circondato, con la platea colorata di maschere e abiti variopinti a fissarlo insistentemente, teste brizzolate e guance rugose che incorniciavano occhietti luccicanti d’ogni genere di intento.  Il vomito gli si raggrumò in fondo allo stomaco spontaneamente, qualsiasi palliativo impiegato per non perdersi negli effetti chimici stava cedendo il passo a un connubio di emozioni crescenti, al desiderio di poter anche solo muovere le braccia per togliersi di dosso le mani che ne scoprirono il corpicino. Un’ondata di brusii ne agitò il cuore galoppante di vergogna e rabbia per quelle chiostre di denti nascoste dalle labbra raggrinzite che immaginò stendersi con soddisfazione, ma il disequilibrio fra le due emozioni dava su un abisso che vedeva trionfare la prima. 
- Ammirate, signori! Ammirate queste deliziosa perlina…!  -
Avrebbe anche emesso un gemito di dolore nel venire strattonato per il cuoio capelluto, così da permettere a tutti quanti di constatare se valesse la pena lo sfilare il portafoglio dalla giacca, ma la previdenza degli aguzzini non aveva lasciato nulla al caso. Udiva a tal punto che perfino lo scricchiolare delle assi di legno si piegava in uno strazio d’insopportabilità inferiore soltanto alle mani scure che ne accarezzavano la pelle contorcendone lo stomaco di disgusto. Fu quando i prezzi iniziarono a salire senza troppi indugi che la pazzia incalzò con la stessa velocità per trarlo a sé, alternando un boccone della sua carne con uno della sua anima. Lo stava guardando. Anche se non poteva mettere a fuoco il profilo del vescovo, era lì, per lui. Quell’uomo allineato dall’oro e dalla corruzione, la cui perseveranza gli aveva concesso di insinuare nel suo animo un continuo disequilibrio di ira e paura ascendenti l’impotenza.
- Quattrocento! Il prezzo sale a quattrocento!- 
La voce stridula dello speaker fluì in un crescendo pari al vorticare che lo sballottava a destra e a sinistra senza che potesse porvi freno.

L’odio e l’invidia degli umani nascono dal loro essere avviluppati dalla paura. Ci temono perché sanno di non poter nulla contro di noi. Tu sei il più forte, il più potente; se qualcuno vuole fronteggiarti, tu calpestalo prima ancora che pensi di poterlo fare.
Sta zitto…
Immaginò di prendere quelle assurde parole e di strapparle. Il loro senso si beava di un egocentrismo  che non aveva voce nella vera realtà. Era finzione, un fluttuo ancor più astratto del miasma dolciastro che gli danzava attorno in tanti cerchi fumanti. Si stava svolgendo tutto in fretta, troppo per fargli sopportare il peso di certi ricordi, ma non abbastanza da evitargli la sensazione di assoluta sottomissione a quella morsa di irrazionale smarrimento che fluiva in un crescendo pari al vociare dello speaker. Non c’era alcun germoglio di odio e di invidia nell’animo che voleva rivolgergli attenzioni indesiderate, solo un lato oscuro e malsano che scopriva con dolce crudeltà imperfezioni mai ritenute reali, scartandone le difese per lasciare scoperte le impercettibili pulsazioni nascoste la sua maschera di risolutezza.
- Quattrocento, signore e signori! Nessuno offre di più per questo giovane fanciullo? - Incalzò il presentatore.
Calò un tenue brusio e, trepidante, l’annunciatore fece scorrere gli occhi lungo tutta la platea, cogliendo con grande gioia un numero elevato di sospiri rassegnati al fatto di non poter avanzare una cifra maggiore di quella attuale. Tutto come previsto.

- Quattrocento e uno, quattrocento e due... -
- Cinquecento! -

Note di fine capitolo.
Nuovo aggiornamento! Devo dire che scrivere questo piccolo spin-off mi sta eccitando, nonostante impieghi molto per completarli a dovere; forse è per il fatto che i capitoli non sono lunghi come quelli di Hell’s Road oppure perché sto cimentandomi in una scrittura più elaborata di quella che sono solita produrre, comunque la cosa mi soddisfa abbastanza. L’unico piccolissimo spoiler che posso darvi è che nel prossimo capitolo entrerà in scena finalmente la bella Amèlie (anche se, in realtà, fa già qui la sua comparsa ^^). Un saluto a tutti quanti!

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Capitolo 4
*** Anime Nere. ***


anime nere

ChImErA.

03 / AnImE nErE.

 

Sua Signoria il Vescovo Herman Erkenwald non era il genere di persona a cui piacessero gli imprevisti. 
La tolleranza al riguardo non concedeva molte possibilità di recupero e, ammesso e concesso che queste venissero elargite con mano gentile, nulla poteva cancellare la disapprovazione che ne accartocciava il viso rugoso.
La postazione riservatagli era un classico esempio di quanto poco sopportasse la vicinanza con i ceti inferiori: il profumo di essenze floreali spiccava nauseabondo nel piccolo riquadro di stoffa dentro cui sedeva comodamente e nonostante fossero stati fatti dei precisi accorgimenti sull’aspetto estetico in generale, la fatiscenza di quel posto faceva capolino dagli angoli più insignificanti. Gli occhi chiari – un curioso oro pezzato da pallide macchie lattiginose - avevano osservato cose e persone troppo a lungo per tralasciare volontariamente particolarità divenute dettagli fondamentali per i suoi giudizi; alla fine tutto il meccanismo si era fuso in un unico gesto inconscio che dava voce alle sue decisioni attraverso la mano. I grandi imperatori non avevano mai scomodato la propria voce nel decidere il fato di un guerriero; il gesto in sé, fluido e silente, era la migliore dimostrazione di potere che potesse esistere, perché da norma nessuno poteva metterla in discussione.
Vedere la propria autorità sfidata senza alcun tipo di rimorso ne fece alzare le palpebre pesanti come non capitava da tempo. Intorpidito dall’avere ciò che gli aggradava senza contrarre stupide incombenze, grattò la fodera della poltrona mentre un profondo sospiro accompagnava il pensiero che non doveva scomporsi per una tale quisquiglia – seppur indesiderata. –

- Alec -, chiamò successivamente. Il valletto, suo fido accompagnatore, si accostò alla tenda senza scostarla, rigido e con le nocche sbiancate per il troppo affondare le unghie nei palmi.
Non dovette far altro che attingere ai suoi precedenti per immaginare il disappunto nascosto dietro il suo nome, velato di calma strategica. Anticipare il volere di una persona con il potere e i mezzi per rendere la sua vita un Inferno in terra chiedeva di camminare costantemente su un tappeto di chiodi e sebbene Alec vantasse una certa esperienza, non avrebbe mai lasciato che il rapporto di lavoro creato gli lasciasse intendere che poteva allentare la presa. Era stata messa in discussione l’autorità del suo superiore, questo contava. Rapide, le dita afferrarono la lista dei presenti – un piccolo omaggio degli organizzatori -, lasciando che gli occhi scorressero i nomi inseriti e i numeri assegnati.

- Si chiama Charlotte Forcalquier, Contessa di Abbeville, Francia. - Le informazioni costruirono un quadro semplice, senza note interessanti, salvo per il fatto che la donna in questione era un’amante delle aste e vi partecipava quando aveva il sentore di trovare qualcosa di allettante. L’anziano clericale volse la testa sulla sinistra, dove un piccolo riquadro di seta fungeva da finestra sulla platea circostante. La sola nota positiva di quella disposizione sciatta era la sua collocazione: in centro e con tutti i presenti abilmente fatti sedere davanti a lui o sulla medesima fila, affinché potesse osservarli senza che questi riuscissero a intuire chi si nascondesse dietro l’insolito copricapo veneziano adornato di piume.  L’anonimato non conosceva misure e, nel suo caso, la stravaganza poteva benissimo condurre eventuali sospetti su strade sbagliate.
La sua avversaria – se, buon Dio, tale poteva definirsi – sedeva esattamente sulla sua stessa fila, a una decina di metri sulla sinistra. Per tutti i secondi che gli occorsero a voltarsi, si era quasi aspettato di doversi confrontare con una mente altezzosa, chiusa in un corpo ingrassato da feste e pettegolezzi. Quell’innaturale flessuosità conquistò immediatamente il suo interesse. L’abbigliamento ricercato – uno stupendo abito di candido pizzo finemente intarsiato di ricami dorati, dal collo alto e la gonna a sirena - e i gioielli che ne illuminavano i lobi e i polsi, indicavano un’agiatezza che solo gli aristocratici altolocati si potevano permettere – e forse ciò spiegava la presenza della mascherina a coprirne il volto, dai colori identici al vestito -. I vaporosi boccoli ramati ricadevano morbidi sulla spalla sinistra, acconciati in elegante treccia alla cui sommità faceva capolino un minuscolo cilindro bianco, un pizzico di mondanità che le giovani non perdevano occasione di ricercare.

- Signore, come desidera procedere? - Alec si fece avanti, attento a non utilizzare aggettivi che ne svelassero la posizione sociale. La schiena dell’anziano tornò a sprofondare nel cuscino della poltrona. L’anello con l’effige della Santa Chiesa che mirò incosciamente vestiva il suo indice rugoso da così tanto tempo da aver maturato – con una forma artificiale di coscienza -, l’assoluta certezza che la vocazione di Sua Signoria il Vescovo Herman Erkenwald ruotasse attorno a un’eredità di cospicua sostanza, tramandata da padre in figlio. Considerati i benefici e il prestigio di cui le vesti talari lo investivano, avrebbe anche potuto evitare di lasciarsi coinvolgere dai risvolti della Guerra Santa, ma neppure tutta l’influenza di cui godeva poteva fornirgli un qualche tipo di assicurazione per ciò che sarebbe venuto dopo. Fare parte dell’alta casta sacerdotale chiedeva compassione per l’imperfezione umana e i peccati di cui si bagnava, ma gestire un commercio umano imponeva qualità come la flessibilità, l’arguzia, assenza di scrupoli e decisioni rapide, condite dal sangue freddo e dalla sapienza di tenerlo ben arginato dietro poche attività diversificate.
Il Conte del Millennio vantava il potere di giostrare le carte in gioco a suo libero piacimento e la sua vita non valeva il prezzo dell’ipotetico successo che tutta l’umanità – o un minuscolo manipolo di essa – rincorreva disperatamente – soprattutto se si teneva in conto l’estrema improbabilità che la parte da lui rappresentata riuscisse a scrollarsi dal muro contro cui era attaccata da anni -. Contavano solo i fatti, a quel mondo, pratici e concreti.

- Lasciamo che madmoiselle partecipi pure. Sono sicuro che un piccolo extra aggiuntivo ai gentili signori organizzatori saprà indirizzarli sulla giusta scelta da prendere. -

Charlotte Forcalquier si era appena guadagnata l’attenzione dei presenti e il brusio formicolante delle bocche nascoste dietro le quinte con la peggior decisione che potesse passare per la mente di un acquirente: compromettere l’acquisto sicuro di un lotto già aggiudicato. La cifra di partenza del numero 13 si aggirava attorno a un’esorbità studiata per far desistere sin dalle prime offerte almeno tre quarti dei partecipanti. Raramente le aste imbandite dalla plebaglia riuscivano a presentare articoli di degna attenzione, ma quando le occasioni capitavano, subentravano regole che davano la priorità alle influenze pubbliche; l’imbastire quello scenario occorreva soltanto per salvaguardare le apparenze e donare allo spettacolo il giusto tocco di falsa sincerità. Quando la mascella del valletto si irrigidì per il panico dipintosi sulle guance, la donna immaginò il volto del Vescovo sfigurarsi per lo sgomento e le dita infossare nei braccioli della poltrona. Per un uomo abituato a non avere ostacoli sul proprio cammino e, soprattutto, votato a una scrupolosità maniacale, una così minuscola incrinatura non poteva nè doveva rappresentare una minaccia ai suoi progetti, tuttalpiù per ottenere la sua ultima gioia prima del permanente ritiro. Non dovette attendere molto prima che la paletta di Sua Grazia venisse nuovamente alzata, circuendo la sfida a pochi eletti. Ben nascosto nello spalto assegnatogli, la sua ombra si rifletteva appena sul tessuto della tenda decorata per rispettarne la privacy, ma la fretta di aggiudicarsi quel lotto in particolare stava già lavorando sulla sua proverbiale fermezza. La donna sorseggiò giusto qualche goccia del pregiato Borgogna versatosi, prima di avanzare nuovamente un’offerta senza che la sua follia passasse inosservata agli occhi degli allestitori.
Quanto avrebbe resistito prima di cedere definitivamente? Non molto, poteva contare i minuti sulle dita. Chi si ammalava di potere era solito marcare il territorio segnando una linea spessa quanto la propria presunzione e non era nei costumi di Herman Erkenwald gettare la spugna per qualcosa che reclamava suo semplicemente puntandogli il dito contro. Charlotte Forcalquier lo aveva imparato frequentando assiduamente l’alta società e le bizzarrie che si inventavano per smussare la noia, ecco perché si era presa la briga di indagare su che tipo di articoli l’ecclesiastico amasse mettere le mani. Ciò che invece l’anziano ignorava, era che Amèlie Chevalier gli fosse arrivata tanto vicino da aver raccolto prove a sufficienza sui suoi loschi traffici, in attesa del suo tocco mortale per essere definitivamente smantellati, e che adesso fosse lì, intenta a godere del suo riflesso nel minuscolo specchietto, sebbene quel volto creato con l'Alchimia non la aggradasse quanto la bellezza originaria. L’unica ragione che l’aveva indotta ad assumere un aspetto così visibilmente contrastante alla sua natura era perché non aveva mai avuto modo di appurare l’efficacia della nivea innocenza che certe giovani esibivano a dosi squilibrate, ma una cosa era certa: nessun incantesimo poteva occultare l’affilata sfrontatezza del suo sguardo, nemmeno con due chiarissimi pezzi di cielo al posto delle sue ammalianti onici. Il nero era il colore della sua essenza, sia dentro che fuori.
Deliziò il proprio palato con un altro po’ di vino prima di inclinare la testa verso la spalla destra e ammirare il lotto con apparente inespressività. Due settimane non potevano comportare il crollo del suo piccolo impero, ma da brava fatalista aveva ritenuto quel corto lasso di tempo più che sufficiente perché qualsiasi disgrazia potesse accadere e Dio non voleva certo che la Maitresse della Rosa Nera sfondasse le porte del Paradiso – o anche soltanto quelle dell’Ufficio Centrale – per mettere in chiaro quanto l’Universo intero avrebbe rimpianto la sua dipartita. Amèlie Chevalier non faceva mai minacce a vuoto, mai, e l’unica motivazione che l’aveva spinta ad investigare era ricollegabile a vicissitudini implicanti traffici di minima grandezza e morti apparentemente casuali di Finder periti nella loro ricerca di Innocence; materiali insignificanti, nella loro singolarità, ma sospetti se intersecate in una rete che poteva nascondere qualcosa di profondamente redditizio. Una casualità, quella, che non intendeva vedere trasformarsi in un rischio per la sua organizzazione. Fortunatamente, Sua Signoria non era nella posizione per conoscere il suo nome e mai si era interessato agli appoggi che la Chiesa riceveva: la verità, era che l’unica priorità premente alla sua avidità consisteva nell’adornare l’ingente ricchezza in suo possesso con un ultimo capriccio, giuntogli dal cielo per coronarne la pensione con un inizio idilliaco.
Il bambino che la donna ammirò con le lenti del binocolo meritò un suo sospiro, addolcito dalla minuta tenerezza scartata impazientemente sotto gli occhi dei presenti. Dondolava sui talloni, incapace di reggersi in piedi senza l’aiuto delle mani che ne artigliavano le spalle. Le guance rosee apparivano vellutate e morbide, appena accaldate. Un peccato che i suoi occhi fossero annacquati dalla droga; quello smeraldo solcato di screziature marine doveva essere sicuramente un meraviglioso mare di stelle, alla luce del sole.
Che quella mummia imbalsamata fosse un pedofilo particolarmente esigente lo aveva scoperto da mesi, ma improvvisamente quel suo divertirsi sembrò trovare una ragione più che fondata all’insensato esistere: quello scricciolo, piccolo e vulnerabile, rasentava una nivea fragilità che faceva venire il fiato corto semplicemente guardandolo. Non poteva esserci giocattolo migliore da sfruttare per i propri scopi. Accavallate le gambe, Amèlie ne sondò gelidamente la delicata bellezza, irreale quanto la perfezione dei boccoli castani che ne incorniciavano i lineamenti efebici, sinuosi come i contorni delle labbra pallide appena socchiuse. Una bambola, sì. Una bambola dolce, perfetta; da carezzare, toccare, baciare. Rompere.

“Una potenziale Chimera…”  
Nel mentre lo speaker sollecitava il rilancio di nuove offerte, la Maitresse umettò le sue labbra con un pennellino lucido e trasparente. C’era quella possibilità, remota più della voce a cui l’aveva strappata: le Chimere rasentavano una leggenda immersa nell’eresia di corpi imbevuti di un potere che la comune mente umana non poteva concepire neppure con la forza della creatività e pensare sul serio che quella sfortunata stellina appartenesse a un clan antico e impronunciabile come quello dei Gremory chiedeva di credere nell’impossibile –anche se ciò non cambiava nulla -: il bimbetto le serviva esclusivamente per sondare l’impazienza del Vescovo, il suo destino non era affare che la riguardasse.

- Settecento! -
La paletta contrassegnata con il numero 5 si levò imperiosa, conquistandosi qualche occhiata della platea, ridotta a semplice spettatrice. Il valletto, messosi di fianco alla tenda di velluto, inspirò con la schiena dritta e le nocche bianche per il troppo stringere; aveva quasi ceduto alla tentazione di appurare la sua reazione, ma era corso nella sua tana per evitare spiacevoli conseguenze. Quando lei gli sorrise, lo vide irrigidirsi, nonostante stesse impiegando tutto se stesso per ostentare la massima indifferenza.

Note di fine capitolo.
E anche questo capitolo è stato postato. Corto, lo so bene, ma necessario per introdurre le due figure che ruotano attorno al piccolo Pierre. La parte più movimentata sarà nel prossimo capitolo, scritto a bozze, e oltre a questo, penso di introdurre il finale, perciò rimangono soltanto due capitoli. Auguro una buona settimana a tutti quanti voi!

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