MY REASON TO GO ON

di Gaia_dc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** NIGHTMARE ***
Capitolo 2: *** REUNION ***
Capitolo 3: *** TELL ME WHY ***
Capitolo 4: *** NO ONE TRUSTS ME ***
Capitolo 5: *** I KNOW YOU ***
Capitolo 6: *** I'LL TRUST YOU ***
Capitolo 7: *** YOUR CASE, YOUR LEAD ***
Capitolo 8: *** WHAT'S A GOOD MOTHER ***
Capitolo 9: *** A NIGHT TO REMEMBER ***
Capitolo 10: *** MARCHIATA A VITA ***
Capitolo 11: *** SCARED ***
Capitolo 12: *** TELL ME THE TRUTH ***
Capitolo 13: *** PLEASE DON'T LEAVE ME ***
Capitolo 14: *** PAPÀ ***
Capitolo 15: *** IT CAN'T HAPPEN AGAIN ***
Capitolo 16: *** I'M TIRED OF PRETENDING ***
Capitolo 17: *** VI VOGLIO BENE ***
Capitolo 18: *** HARD TO SAY GOODBYE ***
Capitolo 19: *** UNA PROMESSA DA SUGGELLARE ***
Capitolo 20: *** TORNARE BAMBINA ***
Capitolo 21: *** FAMILY ***
Capitolo 22: *** ANGELI ***



Capitolo 1
*** NIGHTMARE ***


Si svegliò di colpo, sudata e con il respiro affannato. Era solo un sogno. Lo stesso che faceva da circa due anni, e che ogni notte la svegliava col magone, rendendole la vita impossibile. 
È solo un sogno continuava a ripetersi nella mente, eppure sapeva che presto quel sogno si sarebbe trasformato in realtà. Una realtà che per quanto lo negasse a se stessa, le faceva paura. Tanta. Perché non coinvolgeva solo lei. E quella notte, alle 2 di quella maledetta notte, quella realtà che tanto temeva le piombò addosso, e lei non poteva fare altro che accettarlo e adattarsi. Sopravvivere, come aveva sempre fatto.
 
Sentì dei rumori provenire dalla cucina, si alzò e senza pensarci estrasse la sua pistola da sotto il cuscino. Ma non fece in tempo a raggiungere la stanza che vide un uomo uscire dalla porta di casa, e lei non poteva sparare, o avrebbe svegliato la sua bambina.
 
Si chiamava Ariel, aveva quasi 2 anni e la caratterizzava una dolcezza estrema, la stessa che caratterizzava la sua mamma quando era piccola. La sua mamma era Ziva David, ma un papà, quello non ce l’aveva. O meglio, non l’aveva mai conosciuto. Ma stava bene così, Ziva le dava tutto quello che poteva offrirle, ed era una mamma perfetta.
 
Rimase immobile, paralizzata, ma sapeva che non poteva fare niente per il bene della sua bambina. In realtà era ancora un’agente federale, ed in qualsiasi momento avrebbe potuto richiedere il suo distintivo, questo, però comportava che tornasse a DC, in America. All’NCIS. E questo un po’ la spaventava. Da quando se n’era andata molte cose probabilmente erano cambiate, e tutti le avrebbero voltato le spalle, come lei aveva fatto con loro.
Per sua figlia, però, era disposta a tornare indietro sui suoi passi.
 
“Mamma!”
Ziva era ancora paralizzata davanti alla porta ormai chiusa con la pistola puntata davanti a sé, quando sentì la vocina di sua figlia chiamarla.
Doveva averla svegliata mentre stava andando in cucina, ed ora piangeva e la chiamava.
Corse in camera, era ancora sul lettone posto accanto al suo, e stringeva il suo peluche. Corse ad abbracciarla e cercò di calmarla, e quando si accorse che iniziava a piangere sempre di più, la prese in braccio e la cullò portandola in giro per casa.
“Va tutto bene amore, va tutto bene. Adesso ce ne andiamo, e tutto finirà, te lo prometto!” le ripeteva, mentre la bambina si stringeva sempre di più al suo petto.
 
Aveva deciso, sarebbe partita quella sera stessa, e avrebbe regalato un po’ di pace alla sa bambina. Non sopportava più di vederla così, in pericolo, e indifesa. Sapeva solo che le sarebbe rimasta accanto e l’avrebbe protetta finché avesse avuto vita.
 
La stese sul lettone una volta che si fu calmata, per iniziare a preparare le valige, ma quelle manine la trattennero, afferrandole il braccio.
“Ariel che succede? Hai fatto un brutto sogno?” chiese sedendosi sul letto e mettendosi la piccola in piedi sulle gambe. La bambina annuì con i lacrimoni.
 
Ziva la guardò per un attimo. Era estate, e a Tel-Aviv, quella stagione era molto calda, per questo l’aveva lasciata solo con il pannetto. Aveva i capelli lunghi per una bambina della sua età, erano castano-dorati e mossi. Aveva la carnagione olivastra, come la sua e degli occhi verde smeraldo. Ogni volta che li guardava vedeva quelli dell’unico ragazzo che le fece veramente battere il cuore, che l’aveva salvata ogni volta che era in pericolo, e che aveva baciato con tanta passione prima di vederlo salire su un aereo che li aveva separati per sempre.
Eppure non era lui il padre. Aveva preso gli occhi da Rivka, sua madre, infatti erano dello stesso colore di quelli di Tali. Il padre era un uomo che Ziva credeva amico, che credeva le fosse rimasto accanto quando tutto sembrava andare storto ed Eli era morto, che credeva la stesse confortando e le sarebbe rimasto accanto… Ma si sbagliava, perché quell’uomo era Adam Eshel. 
 
“Che hai sognato piccolina?”
“Sempre lo stesso uomo cattivo che mi porta via da te. Io volevo urlare ma non ci riuscivo e.. e…”
Ziva vide che si stava agitando e la strinse a sé, mettendole una mano sul pannetto e l’altra che le massaggiava la schiena nuda.
“È tutto finito amore. Sono qui, e non ti lascerò mai” la allontanò dal petto e la guardò negli occhi.
“Hai capito? Mai!” le sorrise, e tornò ad abbracciarla.
 
Andò a prendere una valigia dal ripostiglio, ma quando tornò in camera, il panico l’assalì. Nel letto non c’era più nessuno, e la porta finestra era aperta… Ariel, la sua bambina, era scomparsa. Pochi secondi prima le aveva promesso che sarebbe rimasta sempre con lei, ed ora era fuori dalla sua casa, con una pistola in mano a cercare lei e il suo rapitore. Le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi, ma nonostante questo, continuò a cercare per tutta la notte.
 
Si svegliò la mattina dopo, verso le 5, era accovacciata in un angolo della strada. Si rese conto che aveva appena perso sua figlia, l’unica ragione che la spingeva ad andare avanti. Da quando Tony se n’era andato, lei era rimasta sola, e la sua unica gioia era Ariel.
 
“Ariel! Ariel!” urlava a squarciagola, ma non otteneva risposta. Chissà come sarà spaventata, e cosa le avrà fatto quel mostro del suo rapitore che, anche se non aveva le prove per dimostrarlo, sapeva benissimo chi fosse.
 
Si fermò, in piedi sul ciglio della strada, prese un respiro. Scrutava l’orizzonte in cerca di risposte, di segni che le dicevano che sua figlia stava bene. Il vento le muoveva i capelli dalle striature dorate illuminati dalla flebile luce dell’alba, mentre portava con sé un sussurro.
“Ti troverò, ovunque tu sia!”
 
Continuò a cercare, finché non si rese conto che da sola non poteva fare molto, e se amava davvero sua figlia, doveva essere disposta a tornare nel suo passato per lei, a riaprire vecchie ferite mai rimarginate, vuoti colmati solo dall’assenza.
 
Voleva agire il più velocemente possibile, e per questo si recò subito alla sede del Mossad, dove senza crearsi scrupoli, entrò nell’ufficio del direttore mentre segretari e sottoufficiali tentavano di fermarla.
“Sarah perché non mi hai avvisato che…” disse il direttore Orli Elbaz rivolta alla sua segretaria, ma quando si trovo di fronte la ragazza, si bloccò di colpo.
“Ziva… A cosa devo questa visita?”
“Una bambina è stata rapita ieri notte…” Disse con voce piatta e un po’ allarmata.
“E questo cosa c’entra col Mossad?”
“Devo trovarla!” sbatté le mani sulla scrivania. Era furiosa. Il tempo stringeva e lei voleva poter riabbracciare sua figlia.
“Hai detto bene… Devi!”
“Non ha nemmeno 2 anni ed è sparita durante la notte! Sono un ex-agente del Mossad, e sto venendo qui a…” 
“A chiedere aiuto? Ziva, stai chiedendo aiuto a me?”
“È mia figlia!”
“Ma tu non sei la mia. E non infrangerò le regole per te. Non sei più un agente del Mossad. Sai già dove devi andare!”
Fece cenno a due ufficiali di scortarla fuori dalla sede e Ziva non oppose resistenza. Si rese conto di quanto insensibili fossero quegli agenti, e si chiese se quando lei ancora ne faceva parte, una donna fosse mai venuta a chiedere un aiuto che poi le è stato negato.
 
Era seduta sul suo letto, con una foto in mano scattata pochi giorni prima, che la ritraeva con Ariel. Continuò ad osservare il volto sorridente della bambina, che in pochi giorni avrebbe compiuto due anni. Non riusciva a trattenere le lacrime che lentamente si trasformarono in silenziosi singhiozzi. Era pentita di averle dato un padre come Adam, che ora, era certa, l’aveva rapita.
 
L’aveva concepita quando era andata a seppellire suo padre, ed in un momento di debolezza si era lasciata perdere dalla passione, finendo per farsi consolare da quell’uomo. Non c’era giorno in cui non se ne fosse pentita, finché non scoprì, diversi mesi dopo, quando era già tornata in Israele e Tony era su un aereo per andare a trovarla, di essere in dolce attesa. Il resto non fece in tempo a ricordarlo, che decise di prendere lei l’aereo, questa volta, e andare dove un aiuto non le era mai stato negato.
 
Era distrutta, aveva perso la sua bambina, non sapeva dove cercarla, e i servizi segreti israeliani le avevano precluso ogni possibilità di trovarla. Non le restava altra opportunità. Era spaventata, tesa per tutto quello che le stava accadendo. Ma d’altronde si sarebbe dovuta aspettare che tutto questo sarebbe successo, quando aveva deciso di tenere la bambina, ma nasconderla a tutti per sicurezza, tranne alla sua unica amica Monique.
 
L’orologio che portava al polso segnava le tre di notte, e lui era ancora in quella cantina, a levigare il legno davanti ad una bottiglia di Bourbon. Forse era ora di andare a dormire, ma tanto non sarebbe riuscito a prendere sonno. Aveva per la testa ancora lo strano caso di quella mattina, un caso come tanti, che aveva solo bisogno di un paio di ricerche per essere concluso. Infatti non era quello a tenerlo sveglio. Quello era un giorno importante, perché in quel giorno la sua bambina, Kelly se n’era andata insieme a sua moglie, Shannon. Non le aveva mai dimenticate, così come non aveva mai dimenticato il volto del loro assassino. Le mancavano da impazzire, e pensava che un simile dolore non lo avrebbe mai più provato. Si sbagliava. Quando Kate era stata uccisa da Ari, quello stesso malessere si rifece vivo in lui. Ed anche la stessa voglia di vendetta che lo spinse a volere il bastardo morto.
Ma non fu lui ad ammazzarlo. Fu una ragazzina di soli 23 anni, che già portava con sé il peso delle morti di tante persone, ed allora anche quella di suo fratello. Non si era mai fidato ciecamente di Ziva David, forse solo perché era la sorella del carnefice della sua agente. Poi però le cose cambiarono. Il loro legame divenne forte, indissolubile. Ci volle del tempo, ma alla fine, quando anche lei se ne andò, il dolore ed il senso di colpa si fecero enormi. Faceva più male di quanto ricordasse. Forse perché perdere una figlia era come perdere una parte di sé.
 
Stava per versarsi un ultimo bicchiere di Bourbon prima di andare a coricarsi che sentì dei passi. Sollevato dall’idea che non era l’unico sveglio e pensieroso a quell’ora, si chiese chi potesse essere. DiNozzo che non si era ancora deciso a parlare con Zoe e chiudere la loro relazione una volta per tutte? Non sarebbe andato da lui… Allora Bishop che aveva le solite discussioni con Jake… O Fornell che si sarà invaghito di un’altra sua ex moglie… Chissà perché tutti quelli che parlavano con lui in quel periodo, avevano sempre problemi di cuore. Lui invece li affogava in un bicchiere di quel liquore. Ma quella sera fu diverso. Tutto sarebbe cambiato da quel momento.
 
Chiunque fosse scendeva lentamente. Indossava pantaloni larghi pieni di tasche. Poi intravide una maglietta con uno smanicato beige anch’esso pieno di tasche. Era una donna, ma non era Ellie. L’ultima cosa che vide prima di riconoscerla e rimanere sbalordito convinto che il liquore gli stesse facendo uno strano effetto, furono dei ricci selvaggi che ondeggiavano ad ogni suo movimento.
Quando si voltò era pallida in volto, aveva gli occhi umidi come se da poco avesse smesso di piangere. Non ci furono parole. Non servirono. Le andò incontro e l’abbracciò come fa un padre. Non aveva idea di cosa fosse successo, ma avrebbero avuto modo di parlare. Gli salì un nodo alla gola. Si sentiva in colpa perché era andata via, era colpa sua. Avrebbe dovuto convincerla che lui era già fiero di lei, che non era arrabbiato per il fatto che avesse ucciso Bodnar… Che si fidava di lei, e che in fondo, anche se lo negava a tutti, compreso se stesso, lo ha sempre fatto dal momento in cui ha visto i suoi occhi inumidirsi davanti al corpo morto del fratello, e le aveva sfiorato la mano, in quel preciso punto di quella cantina.
 
In quell’abbraccio si sentì protetta, come non si sentiva da tanto tempo. Rivedere l’uomo che l’aveva cresciuta era stato come una pugnalata al cuore. Immaginava che nonostante l’orario l’avrebbe trovato lì a levigare il legno, e soprattutto immaginava la delusione che provava in quel momento. Certo, non l’aveva reso orgoglioso il fatto che fosse tornata sui suoi passi, e ancor di più il fatto che presentandoglisi davanti senza preavviso, gli avrebbe solo portato problemi. Perché lei era un assassina, e non era la prima volta che l’NCIS si trovava a dover coprire un suo omicidio anche se involontario. Eppure, nonostante tutto, nessuno dei due si allontanò da quell’abbraccio, forse per paura di perdersi ancora, o forse perché avrebbero voluto entrambi fermare il tempo e trasformare i loro problemi in sorrisi. 








-Nota: Ciao a tutti, eccomi con una nuova long che spero vi piaccia. Allora Ziva è di nuovo nei guai, e l'NCIS è la sua ultima speranza. Cosa faranno i suoi vecchi amici (e non solo XD)? La aiuteranno, o il rancore li spingerà ad abbandonarla proprio ora che ha bisogno di aiuto più che mai? Lo scoprirete solo leggendo!
Vi avviso che (ovviamente) sarà una storia TIVA!
Comunque... Che ne pensate per ora? La piccola Ariel che chiama la sua mamma nel cuore della notte, e poi viene rapita... Povera piccola... E Ziva che si ritrova ora completamente sola... Ovviamente c'era da aspettarselo che sarebbe andata da Gibbs... Troppo tenero l'abbraccio vero? So che magari non è così che vi aspettavate il suo ritorno all'NCIS, magari credevate in una ltigata... Ma sono 2 anni che non si vedono! L'abbraccio ci sta! Poi ziva aveva appena smesso di piangere e Gibbs se n'era accorto... Perché lui non ha bisogno di parole per la SUA bambina! E magari, visto che quando Ziva era stata tenuta prigioniera in Somalia, lui era spaventato come ogni padre lo sarebbe stato, e visto che quindi, ha provato quello che adesso sta passando Ziva, potrebbe aiutarla a superare anche questa, ma... Ehi! Non vi posso anticipare niente quindi... Ci vediamo al prossima capitolo!
Baci. Gaia.

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Capitolo 2
*** REUNION ***


Quella notte Gibbs si addormentò sul divano, lasciando il suo letto a Ziva che non aveva un posto dove andare. Gibbs non aveva accennato a fare domande, le aveva solo offerto casa sua come alloggio, ed augurato la buona notte.
 
Ziva era stesa sul letto e guardava il soffitto. Essendo tornata a DC aveva molte cose di cui preoccuparsi, a partire da quello che avrebbe raccontato il giorno dopo a Gibbs, come avrebbe potuto chiedere al direttore di poter rientrare in squadra, per poter collaborare nelle indagini, e poi… E poi c’era Tony. Quella sarebbe stata la parte più difficile. Ma in quel momento, riusciva a pensare solo alla sua piccolina. Sperava con tutto il cuore che stesse bene, e che Adam la stesse trattando con cura come un padre farebbe… Solo un’illusione, ovviamente, ma la speranza è l’ultima a morire. Si rese conto del vuoto che la bambina aveva lasciato. Voleva solo poterla riabbracciare, e dirle ancora una volta che ci sarebbe stata sempre, e nel suo cuore, iniziava a chiedersi se l’avrebbe mai rivista, se avrebbe mantenuto la promessa. Al solo pensiero una lacrima solitaria le rigò il volto. Non poteva immaginare una vita senza la sua Ariel. Aveva fatto davvero di tutto per poterla crescere, ed ora gliel’avevano portata via.
 
Doveva parlarne con Gibbs, il prima possibile.
Si alzò, e con cautela, senza fare rumore si avvicinò al divano del salotto.
Gibbs, che ancora non era riuscito a prendere sonno dopo quel tumulto di emozioni che aveva provato quella sera, si mise subito a sedere vedendo Ziva appoggiata allo stipite della porta che, con gli occhi bassi, aspettava di poter parlare con lui. In quel momento vide in lei la sua Kelly, quando aveva fatto un incubo e correva nella camera dei genitori per dormire con loro.
“Hai fatto un brutto sogno? Vieni qua” le disse a bassa voce.
Si avvicinò cauta, e quando si sedette ed incrociò lo sguardo del suo capo, che la osservava cercando di capire con gli occhi di un padre, questi non riuscì a trattenersi dallo stringerla forte a sé, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene, che ogni cosa si sarebbe risolta.  Era convinto che non sarebbe mai tornata da lui, che non sarebbe mai tornata sui suoi passi, e se ora la stava abbracciando e consolando, stava per accadere qualcosa di molto grave e pericoloso… O forse era già avvenuto.
 
Gibbs sentiva che tentava di parlare, ma le parole le si strozzavano in gola, fino a quando non sentì una sua lacrima bagnargli la maglietta. Tentava di trattenere dei singhiozzi, che divennero sempre più forti, fino a che non si trasformarono in un vero pianto disperato. Da quel che ricordava non l’aveva mai vista così.
 
Quando finalmente si calmò, capì che non serviva a niente restare a piangere, e riuscì a dire qualcosa.
“Gibbs… Non sarei dovuta tornare, lo so, ma non l’ho fatto per me… È che…” Le lacrime ripresero a scendere. Non era possibile che fosse così difficile esporre un problema. Ma forse era dovuto tutto al fatto che spiegandolo a qualcuno, sarebbe diventato più reale, e lei non voleva crederci. Gibbs la fermò.
“Tu non saresti dovuta partire, Ziva. È diverso!” Voleva dirle che la sua scelta aveva portato tanto dolore a tutti, e certamente anche a lei stessa, ma forse, dopo tutto quello che le era successo, non voleva rassegnarsi all’idea di essere l’unica David ancora in vita… E poi quello non era il momento più adatto, o si sarebbe potuta sentire disprezzata per il suo errore e sarebbe scappata ancora. L’ultima cosa che lui voleva, ora che l’aveva di nuovo con sé.
“Gibbs… Una bambina di quasi due anni è stata rapita la notte scorsa intorno alle due a Tel-Aviv” spiegò raccogliendo le sue forze. Vedendo Gibbs confuso, Ziva continuò “Ho parlato con il Mossad, ma poiché non ne faccio più parte, ed essendo un agente federale in congedo, dovevo parlarne con l’NCIS, che potrà contattare il Mossad ed iniziare le indagini”
“Ziva… Come si chiama la bambina?” osò chiedere, temendo il peggio.
Ziva esitò pochi attimi. Non avrebbe mai detto di avere una figlia, o almeno fino a quando non lo avesse ritenuto necessario.
“Ariel David” Non avendo un vero padre, Ziva le aveva dato il suo cognome.
“Ziva… C’è qualcosa che devi dirmi?” Chiese al limite dello stupore.
“È un semplice caso di omonimia. È la figlia di un’amica che ora è morta, e quando posso me ne prendo cura. Il padre ha rinunciato alla sua patria potestà… Abbandonandole!”
La guardò un po’ titubante per il suo atteggiamento molto coinvolto, finché non si convinse. Quello non era un interrogatorio.
“Vieni qua, la troveremo” disse abbracciandola prima di tornare a dormire. “Ziver… Ci sei mancata”
 
“Perché sei venuta fino a qui? Sai che potevi tranquillamente chiamare”
“Vorrei poter prendere parte alle indagini, e il Mossad non me lo consentirebbe”
“Ma anche qui, saresti emotivamente coinvolta, e non potresti”
“Direttore Vance, sa cosa si prova a perdere la persona più cara che ha. Non sarebbe la prima volta se facesse uno strappo alla regola…”
La mattina dopo Gibbs l’aveva portata all’NCIS quando non c’era ancora nessuno, se non il direttore. Le aveva fatto lasciare le sue cose alla scrivania di riserva, separata da un muro da quella di McGee e l’aveva portata da Vance per poterne parlare.
“Agente David, tornerà a far parte della squadra di Gibbs come membro aggiunto fino alla fine di questo caso. Poi prenderemo gli adatti provvedimenti, anche per un eventuale reintegro.” Le disse ridandole la sua pistola e il distintivo.
 
Anche a lui era mancata tanto, specialmente dopo gli ultimi fatti accaduti prima che lei se ne andasse che li legavano in modo particolare, e sapeva che riaverla nell’agenzia sarebbe stato difficile, ma davvero utile. Non solo per le indagini. Anche lui ci sperava.
 
In tutto questo Gibbs era rimasto da parte, senza dire una parola, convinto che Ziva avesse preferito recarsi lì di persona, e non con una chiamata, non solo per il motivo che aveva detto. Entrambi uscirono dopo aver ringraziato, e si diressero alle scrivanie. Mentre Ziva spiegava che non c’era nessun altro su cui indagare, se non Adam Eshel poiché la sua ipotetica amica era morta per cause naturarli. Gibbs rimase allibito a sentire quel nome. Quando li aveva aiutati nella caccia di Bodnar, gli era parso un bravo ragazzo. Poi la avvertì subito che probabilmente l’agente che aveva preso il suo posto sarebbe arrivata a momenti e lei gli chiese di non dire nulla sulla sua identità. Voleva essere pronta.
 
“Bishop, Ariel David, bambina affidata ad un agente in congedo, in stato di eventuale reintegro” lanciò un occhiata a Ziva facendole capire che avrebbe voluto che rimanesse “rapita l’altra notte” continuò.
“Gibbs” rispose la ragazza, iniziando a domandarsi chi fosse Ziva.
“Lei è un’agente in prova che sarà di supporto in questo caso”
“Agente Bishop” si presentò stringendole la mano.
“David”
 
Tornò a sedersi, ed iniziò a lavorare sul caso. D’un tratto sentì le porte dell’ascensore aprirsi. Il cuore iniziò a batterle all’impazzata, e Gibbs se ne accorse, lanciandole un’occhiata di sostegno.
Era McGee, e Ziva si rilassò, mentre il capo sorrise piegando la testa. Sapeva che c’era un legame particolare tra lei e Tony, e sapeva che era di vedere lui che aveva paura.
“Ciao Ellie. Capo”
Essendo nascosta dietro il muro, McGee non si accorse di Ziva, e iniziò a fare domande sul caso.
“Dov’è DiNozzo?” chiese Gibbs
“A fare la sua donazione di sangue…”
“Tony che la fa in tempo?” si meravigliò Bishop.
“Ma no… Quella del mese scorso” rise McGee pensando all’assurdità dell’affermazione della collega.
“Ho dovuto accompagnarlo, ma quando ha visto l’infermiera…”
Intanto sul volto di Ziva compare un lieve sorriso, mentre batteva al computer. Gibbs le lanciò un’occhiata di sottecchi, sorridendo a sua volta.
 
Il capo si era allontanato, ed intanto McGee aveva iniziato a fare qualche ricerca.
“Bishop, non risulta alcuna Ariel David nei registri. Non ha la cittadinanza Americana?”
“Doppia cittadinanza. Viveva a Tel-Aviv”
Il ragazzo non aveva collegato il cognome al luogo del rapimento, preso com’era dal caso.
“Quindi sarà ancora a Tel-Aviv. Chiamo il Mossad, e rintracceranno Adam Eshel”
Fu in quel momento che Ziva capì che doveva farsi avanti. Aveva appena trovato una pista, e in più rimanere nascosta dietro ad un muro non sarebbe servito a molto.
“No! Ho localizzato il GPS dell’auto. È qui a Georgetown, sulla 34esima!”
McGee si voltò di colpo, rimanendo a bocca aperta e riuscendo a pronunciare solo il suo nome
“Ziva?”
“David?” fece Bishop ripensando a quando si era presentata pochi minuti fa. Ecco dove l’aveva sentito! Aveva lavorato così silenziosamente dietro quel muro che se ne era completamente dimenticata, e non aveva avvisato il collega.
“Ziva David?” conclusero entrambi.
“Ciao McGee… Agente Bishop…”
 
Stava girando il  muro, per poter parlare con i colleghi, passando davanti alla scrivania di Gibbs, quando i suoi occhi si posarono su una figura che nel frattempo era comparsa alle loro spalle. Si fermò di colpo pietrificata, senza distogliere il suo sguardo dai suoi occhi. Non era così che immaginava di incontrare, dopo tanto tempo, il suo partner, che ora la stava fissando con un’espressione mista di sorpresa, felicità, e anche malinconia… Ma più di tutto, incredulità.
Sentiva i suoi occhi addosso, e avvertì un vuoto allo stomaco. Lentamente il loro sguardo si addolcì. Entrambe le loro menti erano tornate indietro a quel bacio, e a tutto quello che avevano trascorso insieme. Un lieve sorriso comparve sul volto dell’agente super speciale Anthony DiNozzo.
Vennero riportate alla realtà dalla simpatica biondina di cui Ziva ancora non conosceva il nome, ma che avrebbe voluto non si fosse messa in mezzo proprio in quel momento. McGee ormai era esperto, e sapeva che attimi del genere non vanno disturbati. Quante volte si era trovato in situazioni simili!
 
“McScienziato  hai qualche rimedio per il mal di testa, credo che i postumi del prelievo si stiano facendo sentire…” disse ad un tratto il ragazzo, senza toglierle lo sguardo di dosso. Per quanto gli sembrasse reale, non era ancora del tutto convinto che la ragazza che negli anni era stata per lui più di un’amica, più di una fidanzata, più di una sorella, qualcosa di indescrivibile, e che aveva lasciato in quell’aeroporto di Tel-Aviv, fosse ora davanti al lui.
Una parte di lui fremeva per poterla stringere a sé… Quanto gli era mancata! Ma un’altra, quella più in superficie, provava del rancore. Non aveva voluto seguirlo allora, e non sarebbe dovuta tornare adesso. Non quando finalmente era riuscito a ristabilizzare la sua vita. E ci aveva impiegato quasi due anni.
 
“David, raggiungilo sulla 34esima” Gibbs aveva assistito alla scena dall’alto delle scale senza farsi vedere, ed ora stava scendendo.
Ziva si incamminò velocemente verso l’ascensore, passando proprio di fianco a Tony che ancora non si era tolto il giubbotto, ed era fermo davanti alla sua scrivania.
“DiNozzo seguila. Vi raggiungo tra un attimo. McGee…”
“Tabulati telefonici e ultimi movimenti bancari” completò la frase il ragazzo, mettendosi subito al lavoro.
“Io mi faccio dare un mandato” concluse a sua volta Bishop.
“Capo non ho idea di quale sia il caso e…” iniziò Tony, cercando di convincere il capo a non mandarlo con Ziva. Non in quel momento. Avevano bisogno di tempo.
“Ti aggiornerà lei.”
“Ma io ho appena fatto il prelievo… Mi fa ancora male il braccio, e non ho mangiato…”
Gibbs aveva raggiunto le scrivanie e lanciò a Tony un sacchetto con dentro una brioche.
“Sbrigati!”
Sapeva che nessuno dei due si sentiva pronto per affrontare l’altro, ma in qualche modo si sarebbero dovuti riavvicinare, anche perché qualcosa gli diceva che Ziva non se ne sarebbe andata.
 
Le porte dell’ascensore si stavano per chiudere, e Ziva sperava con tutta se stessa che il suo ex-partner non facesse in tempo ad arrivare, quando una mano si infilò in mezzo.
Guardavano entrambi davanti a sé, pieni di imbarazzo. Poi Tony si schiarì la voce e ruppe il ghiaccio.
“Come… Come mai sei qui?”
“Una bambina è stata rapita a Tel-Aviv…” rispose senza alcun’intonazione.
“È perché è nostra giurisdizione?”
“Perché sono stata io a denunciarne la scomparsa. Al Mossad non l’hanno accettata dal momento che non ne faccio più parte e sono venuta qui. Collaborerò per le indagini…”
Si fermò un secondo. Non sapeva cosa avrebbe fatto dopo, se sarebbe tornata al lavoro, oppure no. Sapeva solo che quando avrebbe trovato la bambina, perché l’avrebbe trovata, se lo sentiva, sarebbe rimasta in America.
Riprese a parlare, ma Tony fece un’altra domanda.
“Come si chiamava la bambina?” chiese un po’ spaesato, ed avendo paura che in quegli anni avesse avuto una figlia.
“Si chiama!” enfatizzò lei, facendo capire che dovevano trovarla viva a tutti i costi.
“Si chiama Ariel David” disse a bassa voce.
L’agente bloccò immediatamente l’ascensore. Era ora di finirla con questa farsa. Entrambi stavano fingendo di essere calmi quando invece, erano appena stati investiti da un uragano di emozioni.
“Si tratta di un caso di omonimia!” si affrettò a spiegare, sentendosi chiamata in causa, in tono agitato.
Dallo sguardo del ragazzo si capiva che pretendeva ancora delle spiegazioni.
“La madre è morta per cause naturali, ed il padre le ha abbandonate. Io me ne prendevo cura insieme a Monique, prima che finisse in un orfanotrofio.” mentì.
“Chi è il senza cuore che le ha abbandonate?” chiese il ragazzo, non aspettandosi quale sarebbe stata la risposta.
“Adam… Adam Eshel” disse facendo ripartire l’ascensore.
Gli occhi di Tony facevano ben capire quale sorpresa stesse provando, e, pochi secondi dopo, vedendo lo sguardo assente del ragazzo, Ziva lo bloccò di nuovo. Si guardarono negli occhi in cerca di verità, e poi lo fece ripartire un’ultima volta. Non era ancora il momento di chiudere quella farsa.
 

Intanto Gibbs era andato a recuperare il berretto e la felpa dell’NCIS che prima appartenevano a Ziva. Quando le prese in mano un sorrisetto nacque sul suo volto, speranzoso, che non avrebbe mai più dovuto rimettere quei capi nel ripostiglio.







 

NOTA DELL'AUTRICE

Ciao a tutti. Ecco il secondo capitolo di questa nuova storia. Innanzitutto volevo farvi notare che, come potete vedere, ho cambiato il format delle note, con qualcosa di più colorato, essendo in periodo natalizio... Anche se vi ricordo che nella storia siamo ancora ai primi di settembre.
Ma passiamo al capitolo. Allora Ziva è tornata all'NCIS, e Vance le ha permesso di rientrare in squadra... Infondo è mancata a tutti... E come dargli torto! Ad ogni modo... Ha già conosciuto Ellie, anche se ancora non sa quale sia il suo nome. Ho preferito non parlare ancora della sua scrivania, perché mi sarei dilungata troppo, quindi aspettate di leggere il prossimo capitolo.
E poi è arrivato Tony... Vi ricordo che è una storia TIVA, anche se dai primi capitoli sembra molto ZIBBS (shippo anche loro come padre e figlia XD). Ho evitato di mettere subito un litigio o un abbraccio, perché mi sembrava troppo presto, ma nei prossimi capitoli...
Poi vi volevo dire una cosa importante. Per descrivere lo sguardo TIVA di quando Tony e Ziva si rivedono davanti alle scrivanie, mi sono basata su un episodio (che si chiama, come questo capitolo, Reunion), in cui Ziva è appena tornata dalla Somalia... E vedendo una foto (che se troverò, vi metterò a fine nota) ho pensato a quante volte il nostro povero McGee si sia trobato in situazioni strane... Ahahah... Povero GNU (Chi deve capire ha capito)! 
Intanto Ariel è ancora nelle mani di Adam e non sappiamo come si stia trovando. Nel prossimo capitolo vedremo una piccola svolta, e delle spiegazioni che ci aiuteranno a capire cosa sia successo realmente, e perché Ziva sia convinta che sia proprio il padre di Ariel ad averla rapita. Allora cosa ne pensate per ora? Aspetto vostri commenti. Baci. Gaia.




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Capitolo 3
*** TELL ME WHY ***


Nel camioncino, Gibbs aveva fatto indossare a Ziva la sua felpa ed il berretto dell’NCIS. Appena posò il cappello sulla testa, un sorriso sbocciò lieve sul suo volto, e Tony non mancò di notarlo, ma senza darlo a vedere.
Ziva gli era mancata davvero tanto, e tutte le notti sognava di arrivare e vederla seduta alla sua scrivania, che iniziassero a stuzzicarsi con le solite battutine e che si capissero al volo con i loro sguardi. Sognava solo quello che aveva perso. Non era mai riuscito ad andare oltre quella mancanza, ma aveva imparato a conviverci. Poi finalmente si era rifatto una vita, e proprio quando le cose sembrava andare per una volta per il verso giusto, eccola che gli compariva davanti, esattamente come lui aveva sognato.
 
Arrivarono sul luogo prestabilito, e subito fu chiaro a tutti perché l’auto di Adam fosse ferma lì… Un incidente frontale aveva ridotto i due veicoli in pessime condizioni. Si avvicinarono e con movimenti rapidi aprirono gli sportelli di entrambe, rivelando solo vetri sparsi ovunque.
 
Intanto Tony si era concentrato su un altro particolare.
Macchie di sangue fresco erano impresse sul marciapiede, e portavano dentro ad un buio magazzino distrutto per metà e logorato dal tempo.
“Capo…” fece indicando con un cenno della testa le macchie.
Ziva iniziò a preoccuparsi, ma era convinta che sua figlia stava bene, e quello non era il suo sangue. Mentre Gibbs prelevava un campione da poter consegnare ad Abby, gli altri due agenti, entrarono nell’edificio con circospezione, e la loro attenzione venne subito attratta da una figura per terra che non dava segni di vita.
 
Dopo aver constatato che il magazzino era vuoto, corsero a controllare chi fosse l’uomo. La luce era molto debole e ci volle un po’ a riconoscerlo, ma quando lo videro, le loro espressioni parlavano abbastanza da non fare domande.
L’ex superiore di Ziva nel Mossad, Malachi, era steso per terra, con del sangue che continuava ad uscire copiosamente. Segno che fosse ancora vivo.
 
Tony iniziò a cercare il bozzolo, ma non era facile senza luce. Si fermò quando vide la sua ex partner stringere qualcosa in mano. Era un peluche. Quello che aveva Ariel prima di essere rapita. Ed era ricoperto di sangue.
“Era di Ariel?”
Per tutta risposta, Ziva abbasso lievemente il capo, riuscendo così a trattenere l’agitazione.
 
Quando i soccorsi arrivarono a portare Malachi in ospedale, i tre agenti terminarono di raccogliere le prove e le testimonianze del tutto vaghe, e tornarono alla base. Sia Ducky che Abby erano stati avvisati del nuovo caso, ma non dell’arrivo di Ziva. Avevano mandato i campioni di sangue raccolti sul marciapiede e nel magazzino alla scienziata, mentre il peluche, era ancora nelle mani di Ziva. Da quando lo aveva trovato non se n’era separata nemmeno per un secondo. Era l’unica cosa che aveva di sua figlia. E ripensando a quel momento, si rese conto che quando era stata catturata, non aveva nulla addosso se non il pannolino… Sperava che almeno Adam l’avesse coperta con qualcosa.
 
“Ziva consegnalo ad Abby”
“Perché io, Gibbs?”
Ma questi non rispose, facendo roteare gli occhi della ragazza che si diresse così verso il laboratorio.
 
“Ciao Ellie… Ci sono novità! Ma non sono molto confortanti…” iniziò la scienziata forense senza voltarsi “Il sangue raccolto sul marciapiede appartiene a due persone distinte. Adam Eshel e Ariel David” si voltò, e vedendo Ziva al posto di Ellie, pronunciò le ultime parole quasi senza voce.
“Gibbs aveva ragione… Troppa caffeina!”
“Sulla scena del crimine c’era questo. Apparteneva a…” provo a far finta di nulla l’agente.
“ZIVAAAAAAAA” le corse incontro urlando a squarciagola, e stritolandola con uno dei suoi abbracci.
Ziva sorrise fra le braccia dell’amica, si rese conto di quanto le fosse mancato quel calore, e dopo una rigidità iniziale, si sciolse vedendo la sua bandierina nel laboratorio e ricambiò l’abbraccio, appoggiando l’orecchio alla spalla di Abby.
“Abby, mi sei mancata”
“Anche tu sei mancata a tutti…”
Sentendosi un po’ in colpa, tentò di giustificarsi.
“Abby io…”
Ma questa non la fece parlare, staccandosi dall’abbraccio.
“Allora si può sapere che diamine ti è saltato in mente?!” si scaldò.
“Non sarei tornata se non foss…” provò a spiegare, ma venendo nuovamente interrotta.
“No! No! No! Cosa ti è saltato in mente quando hai deciso di non tornare qui due anni fa?!”
“Non avevo scelta… Credimi!”
“Si può sempre scegliere…” disse Abby in tono di rammarico “E tu hai fatto la tua scelta!”
“Abby ti prego… Cerca di capire…”
“Non c’è niente da capire, se non che tu hai pensato a te stessa, senza pensare che magari qualcun altro ci sarebbe stato peggio. E non sto parlando solo di me, lo sai”
Ziva si morse il labbro. Sapeva che aveva sbagliato, ma davvero non sapeva come fare, ed ora si sentiva ripudiata dall’unica famiglia che l’avesse mai amata per davvero.
“Avrai avuto le tue ragioni, e lo capisco. E credo che anche per te questi non siano stati anni facili. Sappi che però anche qui non si respirava aria di allegria e spensieratezza.”
Iniziò a mordersi il labbro con più forza. Avrebbe dovuto parlarne con loro, ma non l’ha fatto. Tutta colpa della sua testardaggine.
“Certo, tu eri sola laggiù, mentre noi siamo rimasti qui insieme, eri lontana dai tuoi affetti, e nel posto in cui è vissuta la tua famiglia naturale, nella quale però sono morti tutti…” fece una pausa ripensando a quello che aveva detto “Okay forse sei stata più male di quanto pensassi… Ma il punto non è chi ha sofferto di più, è che…” fece una seconda pausa “Oh Ziva… Ci sei mancata così tanto!” disse tornando ad abbracciarla.
“Mi… Dispiace Abby… Non era questo che volevo” disse sentendo le lacrime salire lungo i condotti lacrimali, e cercando di fermarle lì.
Abby avrebbe voluto dirle tutto quello che era successo dopo di lei, che nessuno pronunciava il suo nome, o che tutti si erano legati ad oggetti che riportavano a lei. O ancora che Tony era andato dallo psicologo per poter convivere con la sua assenza… Ma sapeva che così avrebbe solo combinato altro scompiglio.
 
Quando si ristabilì la calma nel laboratorio, Ziva fece analizzare il peluche da Abby, la quale d’un tratto si bloccò.
“Ziva… David… Ti sei dimenticata di dirmi qualcosa?”
Era la terza persona che glielo chiedeva, e prima o poi avrebbe dovuto rivelare chi era la madre della bambina… Poi!
“Si…” la fissò per un attimo “Che sulla 34esima le macchie di sangue portavano dentro un magazzino. Queste sono le foto”
“Ziva…”
“No Abby, non c’è altro… E tu cosa stavi dicendo prima? Che hai scoperto?”
La scienziata la guardò con sospetto, mentre spiegava che le tracce di sangue appartenevano sia ad Adam che alla bambina.
“Per l’orsacchiotto ci vorranno circa 20 minuti… Ma credo che il risultato sia facilmente prevedibile…”
Ziva tentò di trattenere le lacrime, era spaventata per sua figlia, e non poteva fare niente. Abby si accorse dello strano atteggiamento dell’amica e colse l’occasione per prelevarle un campione di DNA.
“Ziva ma sei veramente tu?”
“Certo!”
“No… Non ti credo… Apri la bocca e controlliamo”
“Abby… Che stai dicendo?”
“Apri la bocca!”
Ziva eseguì, e la scienziata poté fare il suo lavoro.
“Okay sei tu…”
“Abby… Il padre è Adam Eshel…”
La ragazza sbarrò gli occhi incredula.
“Abbiamo lo stesso cognome per puro caso… La mamma è morta e il padre le ha abbandonate. Io me ne prendo cura quando posso. Ecco perché sono stata io a esporre denuncia… Mi credi?”
“Si…” sospirò.
Il cellulare di Ziva iniziò a squillare. Era Gibbs che la voleva giù.
“Ti crederò quando lo confermerò!” esclamò una volta rimasta sola.
 
“Gibbs”
“Ziva, Malachi si è svegliato”
la ragazza non sembrò molto felice della notizia.
“Ehi… È sempre una pista… Ora lo possiamo interrogare” provò a convincerla.
“Portalo qui. Bishop va’ con lei”
Le due ragazze si diressero nell’ascensore.
Chiusesi le porte, l’imbarazzo sembrò prendere posto.
“Così il tuo nome è Ellie”
“Eleanor. E tu sei Ziva… Tony mi ha parlato molto di te. Ma perché te ne sei andata”
Quella domanda, fatta senza alcun fine secondo, destabilizzò le già deboli certezze di Ziva.
“A volte sei costretta a prendere decisioni che non vorresti prendere. E devi fare una scelta.”
Ellie non capì granché ma preferì tacere capendo il disagio.
“Sai Tony non è stato bene per molto tempo…”
“Gli è tornata la peste?” chiese allarmata, bloccando l’ascensore.
“Peste? No! Tony ha avuto la peste?”
“Lascia stare…”
“È andato da uno psicologo per stare meglio, ma senza grandi risultati. Ed ora era quasi riuscito a rifarsi una vita. Ci ha messo un anno… Dovevi essere davvero importante per lui… Ma ora che sei qui, la sua normalità è stravolta di nuovo. Tony è mio amico, e non voglio vederlo soffrire ancora. E credo neanche tu”
Tony dallo psicologo? Per lei? Ziva capì che quello era l’errore peggiore che avesse mai fatto.
“Io non me ne andrò di nuovo, se è questo che stai cercando di dirmi”
“Ti capisco Ziva… Ti senti in colpa, sola, e tutti ti rifiutano per le tue azioni… Non mi è mai capitato. Quando sono arrivata qui sono stati tutti molto gentili con me, specialmente Gibbs, ma posso capirti.”
“Gibbs si è fidato subito di te?” chiese ripensando a quando lei si presentò per la prima volta all’NCIS.
“Si. È stato il primo…”
“Sono cambiate molte cose da quando me ne sono andata.” Disse facendo ripartire l’ascensore
“Ma non si è mai dimenticato di te. Eri entrata nel cuore di tutti, e quando te ne sei andata, il vuoto che hai lasciato era ben visibile dagli estranei come me”
Bishop capiva bene che sentirsi dire che farsi rimpiazzare era stato facile, non era rassicurante, e lei voleva solo instaurare una relazione di fiducia con Ziva.
“E…” esitò l’ex agente.
“Tony? Come ti ho detto… Andava dallo psicologo”
 
Sapere che Gibbs si era fidato fin da subito di quella ragazza, quando con lei 8 anni forse non erano bastati, le procurava una strana sensazione di nostalgia. Ma nel profondo sapeva che non era così. Sapeva che dal momento in cui aveva ammazzato suo fratello, Gibbs si fidava ciecamente di lei, ma non lo dava a vedere. Lo stava nascondendo a se stessa, forse solo per giustificare il suo errore.










NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Scusate l'assenza, ma questi sono stati giorni di fuoco per me. Ma passiamo subito al capitolo.
Lo so... Non c'è molto TIVA in questi capitoli, ma fidatevi dell'autrice... È una storia TIVA! Via avevo promesso che in questo capitolo avremmo capito qualcosa su quello che era successo in precedenza, ma mi sono accorta che sarebbe diventato troppo lungo... quindi ci tocca aspettare il capitolo 4 che credo potrò pubblicare solo domenica prossima. Scusatemi tanto.
Ad ogni modo... Che ne pensate delle ZELLIE? Come sarà il loro rapporto? Io non l'ho immaginato molto amichevole, specialmente perché quando Ziva è arruvata, non è stata subito accettata... Basti pensare ad Abby, e come lei tuttti gli altri. Mentre invece con Ellie sono stati tutti molto aperti. Ma chi lo sa... Tutto può cambiare (o forse no XD). Vedremo...
E poi ci sono le ZABBY... Io le adoro. So che forse avrei dovuto fare Abby un po' più arrabbiata, ma davvero non ci riuscivo... Potrete mai perdonarmi?
Comunque, passiamo alle novità sul caso. Malachi nel magazzino... Ve l'aspettavate? Secondo voi perché è lì? È un complice di Adam? vedremo anche questo. Poi l'orsacchiotto di Ariel insanguinato, e le tracce sul marciapiede... Probabilmente Adam è scappato con la bambina... Ma sarà viva o morta? Beh vi lascio con questa domanda! Solo un'ultima cosa... Vi faccio notare che nè Ziva nè Tony hanno pronunciato l'uno il nome dell'altra... Detto questo... Al prossimo capitolo!
Baci. Gaia.

 

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Capitolo 4
*** NO ONE TRUSTS ME ***


Appena raggiunsero l’ospedale, Ziva volle immediatamente parlare col suo ex superiore nel Mossad, nonostante i medici sconsigliassero di farlo agitare data l’inaspettata rapidità di ripresa del paziente.
Ellie si sforzava di comprendere il suo atteggiamento, nonostante non lo supportasse del tutto. Lei aveva un carattere pacato, ben diverso da quello della nuova collega, e cercava di calmarla.
“Possiamo aspettare che si riprenda, e poi interrogarlo” propose.
“Una bambina è lì fuori senza nessuno che si prenda cura di lei, e Malachi è l’unico che abbiamo che può darci delle informazioni!” disse in tono molto adirato, scandendo ogni singola parola e quasi digrignando i denti.
 
Dopo diverse discussioni, finalmente ottenne il permesso di entrare nella stanza di Malachi, ma senza essere accompagnata da Bishop, per non affaticarlo troppo.
Intanto la ragazza rimasta fuori, rifletteva sul comportamento eccessivamente agitato di Ziva. Non era una ragazza sospettosa, ma dopo gli ultimi avvenimenti con suo marito Jake, dal quale si era presa una pausa, aveva imparato a diffidare delle prime apparenze. Era convinta che Ziva volesse solo fare il suo lavoro, ma decise di controllare, origliando il loro discorso da dietro la porta.
 
“Ziva, Adam è un latitante… Sta scappando in Messico per l’espatrio, e noi stiamo tentando di fermarlo da tempo! E tu quando ti deciderai a dire tutta la verità a Gibbs e tutta la squadra?”
“Solo quando sarà strettamente necessario. Non voglio rischiare che mi allontanino di nuovo, dopo che me ne sono andata senza lasciare spiegazioni!”
 
Queste furono le frasi che Bishop sentì. Solo due battute, ma che le bastarono a fraintendere tutto, a mettere in dubbio la lealtà di Ziva per l’ennesima volta… A metterla erroneamente nei guai. Ellie era convinta che Ziva fosse tornata ad essere un’agente del Mossad, venuta a DC solo per poter seguire meglio Adam, e passare tutte le informazioni alle forze israeliane.
 
“Gibbs, abbiamo un problema… Ziva non è qui per ciò che dice. Adam Eshel sta tentando di arrivare in Messico per l’espatrio, e Ziva è qui per seguirlo, e passare le informazioni al Mossad”
Ellie aveva chiamato subito la squadra, che nel frattempo si stava interrogando su come potesse Malachi conoscere la posizione di Adam e perché lo stesse seguendo se al Mossad avevano rifiutato la richiesta di Ziva. Ascoltando le parole della ragazza in chiamata, McGee cominciò subito le ricerche su Adam, scoprendo che era ricercato dalle forze israeliane per aver ucciso un agente del Mossad.
 
In realtà Ziva credeva che il padre di sua figlia fosse ricercato dal Mossad per rapimento, che Orli avesse capito che Adam fosse il padre di Ariel, ma non ebbe il tempo di capire, perché l’agente Bishop, subito dopo aver ricevuto ordini da Gibbs, entrò nella stanza e la portò via senza dare spiegazioni.
 
Raggiunta la base dell’NCIS, Bishop portò la ragazza in sala interrogatori, dicendole che avevano trovato qualcuno che poteva sapere qualcosa, e che Gibbs voleva che fosse lei ad interrogarlo, ma quando entrò, l’unica persona che vide, fu proprio il suo capo, in piedi davanti a lei con le mani appoggiate sul tavolo e la testa china.
 
“Che significa questo, Ellie?”
Ma la ragazza aveva già chiuso la porta.
“Ziva c’è qualcosa che mi devi dire?” chiese Gibbs in tono aggressivo. Ogni volta che si era fidato di lei, Ziva si mostrava, al contrario, fedele al Mossad. Ed ancora una volta, gli aveva nascosto la verità. Lui che l’aveva cresciuta come una figlia, lui che la credeva una figlia!
Ziva credeva che Gibbs avesse scoperto la sua vera parentela con Ariel, ma continuava a mentire, sperando di non cedere.
“Non c’è nulla da sapere, se non che una bambina è fuori casa, senza sua madre, con un uomo che potrebbe farle del male” rispose agitata.
“Hai finito di nasconderti? Adesso vuoi dirmi tutto quello che sai?”
“È questo tutto quello che so!”
“Non è vero!” urlò sbattendo la mano sul tavolo, e intimorendo anche Tony, McGee, Abby ed Ellie che guardavano tutti la scena da dietro il vetro.
“Siediti!” sbraitò.
“Mi tratti come una criminale?”
“Ho detto siediti!” continuò ad urlare, quasi perdendo il lume della ragione.
Ziva ubbidì, guardandolo esterrefatta.
“So perché sei qui!”
Un attimo di terrore. Davvero Gibbs sapeva che lei era la madre di Ariel?
“Dopo tutto quello che ti hanno fatto, dopo tutte le menzogne che ti hanno raccontato, dopo tutto ciò che non hanno fatto per te… Tu continui a fidarti di loro!” la guardò quasi incredulo.
“Ma di che stai parlando Gibbs?” chiese cercando di rimanere calma “Loro chi?”
“Il Mossad Ziva! Il Mossad!”
Ziva lo guardò con un senso di repulsione nei confronti delle sue certezze.
“Adam Eshel è ricercato per aver ucciso un vostro elemento, ed ora sta scappando in Messico per l’espatrio. L’agente Bishop ti ha sentita parlare con Malachi…”
La ragazza non avrebbe mai pensato che Adam potesse uccidere un membro del Mossad, e non se ne spiegava il motivo. Quindi era per questo che Malachi l’aveva definito latitante!
 
“Da quanto va avanti questa finta?” chiese Gibbs iniziando a pensare che la ragazza abbia sempre sentito il bisogno di tornare nel Mossad e che fosse per questo che se n’era andata due anni prima.
Ziva sentiva il sangue ribollirle nelle vene. Tutti le avevano voltato le spalle, senza eccezioni. Suo padre, il Mossad, suo fratello, ed ora anche l’NCIS. Di nuovo. Come quando tutte le prove dicevano chiaramente che lei era al corrente dei fatti riguardanti Michael Rivkin, e nessuno le credeva. E tutti erano convinti che lo stesse proteggendo, che stesse tradendo l’NCIS per lui. Tutti le avevano sempre voltato le spalle, e continuavano a farlo.
“Tu non ti sei mai fidato di me. Anche quando affermavi il contrario. Non è così? Da quando hai scoperto che io ero la sorella di Ari, la sorella del carnefice della tua agente Kate Todd, hai sempre pensato che io fossi come lui infondo. Anche se avevo ucciso mio fratello per te”
“Non lo hai fatto per me, ma perché tuo padre te lo ha imposto”
Quest’ultima frase fu come una pugnalata al cuore. Allora era vero che non si era mai fidato realmente di lei.
“Era… Era mio fratello! Ed io l’ho ucciso per salvare la vita all’uomo che sapevo mi avrebbe insegnato quello che mio padre non è mai stato in grado di dimostrarmi. Cos’è l’amore.”
 
Solo ora si rendeva conto di ciò che aveva detto. Era convinto che stesse eseguendo un ordine, solo perché era un’assassina. Non aveva mai pensato che anche lei provava sentimenti, e tanto dolore. Ma lui in realtà lo sapeva. In quel momento però, era preso dalla rabbia che non aveva pensato a ciò che aveva detto.
 
“Tu te ne sei andata per entrare nel Mossad di nuovo, non è così?”
“Io me ne sono andata da qui perché volevo ricominciare da capo e cancellare tutto il dolore che avevo causato, per renderti orgoglioso ed ora tu mi stai accusando per l’ennesima volta di tradimento!” Disse con le lacrime che le scendevano copiose dagli occhi, alzandosi in piedi. “Ed anche voi là dietro! Siete sempre stati convinti che io ero una traditrice, e che non provo sentimenti, solo perché vengo dal Mossad! McGee, Abby… Tony! Tu me l’hai detto in faccia. So che non vi siete mai fidati di me, come mai nessuno lo ha fatto!”
“Tu non saprai più nulla sul caso. Chiamerò il Mossad per rispedirti da dove sei venuta!”
“L’interrogatorio è finito!” Tony comparì improvvisamente aprendo la porta della sala interrogatori. Aveva sentito abbastanza. Sentiva che il rancore lo stava logorando. Nel profondo, però, non aveva mai smesso di sperare di poterla rivedere. Era per questo che vedendola piangere durante l’interrogatorio, non poté resistere. Doveva fermarlo. Vedendo quelle lacrime, e sentendola parlare di quando voleva rendere orgoglioso Gibbs, ripensò a quando questi era stato il primo a rinunciare a Ziva, ad arrendersi. E non se lo spiegava.
“DiNozzo!”
“Capo, se non c’è altro da dire, basta così!”
Ziva guardò prima Gibbs, poi Tony, e con le lacrime agli occhi, uscì di corsa dalla sala interrogatori.
 
Mentre correva nel corridoio, incrociò Ducky per la prima volta, ma continuò a correre via, senza fermarsi. Il dottore rimase sconcertato nel rivedere la ragazza, e si diresse in sala interrogatori per avere spiegazioni.
“Jethro si può sapere che cosa sta succedendo? Ho visto… Ziva… Correre fuori… Che piangeva. Che mi venga un colpo, ma che le hai fatto?”
“Cosa non ho fatto, Ducky! Non mi fido… Tony, Abby, Ellie, McGee, tornate al lavoro!”









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Ecco il quarto capitolo... Lo so, lo so. Vi avevo promesso una scena TIVA, e invece non ho messo nulla. Però vi giuro solennemente che nel prossimo capitolo ci sarà tanto tanto TIVA, e Ziva ci racconterà cosa è successo tanto tempo prima. 
Ma ora, passiamo a questo capitolo.
Allora Ziva tenta di parlare con Malachi che le dice che Adam è un latitante, e lei crede lo stia dicendo perché ha rapito sua figlia, ma non è così. È un latitante perché ha ucciso un membro del Mossad. Perché l'avrà fatto? Beh per questa domanda dovrete aspettare ancora un po'. Comunque, Gibbs e tutta la squadra la credono una traditrice, e Ziva sente che nessuno si sia mai fidato di lei. Ho fatto riferimento all'episodio 6x25 quando tutti credono che Ziva sappia della missione segreta di Rivkin a causa delle mail, ma in realtà non è così, e, per l'appunto, nessuno le crede.

Andando avanti, Tony interrompe l'interrogatorio, proprio come fece nell'episodio 10x23 con Parsons, e Ziva scappa via dopo che Gibbs la rimanda in Israele. Dove sarà andata? Beh, questo lo scopriremo nel prossimo capitolo. Baci. Gaia.

 

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Capitolo 5
*** I KNOW YOU ***


Erano tutti seduti alle loro scrivanie, e nello squadroom regnava un silenzio assordante, interrotto dal continuo rumore dei tasti del computer di DiNozzo. Ellie e McGee si lanciavano occhiate riferite a Tony che sembrava esausto, quando d’un tratto questi sbuffò, prendendo il cellulare.
“Ciao Zoe… Si, mi manchi anche tu… Allora è tutto pronto per stasera? Facciamo da te? Ottimo. A dopo. Ciao amore”
Era appoggiato alla finestra e guardava fuori. Era chiaro a tutti a cosa stesse pensando. Probabilmente gli mancava quella Ziva che aveva conosciuto tanti anni prima, la sua amica, ed ora che era diventata una traditrice, capiva che ciò che gli mancava era una menzogna, era un’illusione. E allora anche quel bacio era tutta finzione. Sentiva che la rabbia lo avvolgeva, e allo stesso tempo un senso di malinconia che tornava a farsi vivo.
 
“DiNozzo dobbiamo parlare!”
Gibbs arrivò in quel momento scendendo di corsa giù dalle scale.
“È una traditrice. È venuta qui per altri scopi. La ragazza che conoscevamo non esiste più!” disse il capo.
“La ragazza che conoscevamo non era ciò che lei sognava di essere!” sospirò il Tony ripensando a quello che successe due anni prima.
“E poi da quando sei tu a decidere se gli interrogatori sono finiti?!”
Ma non fece in tempo a finire la frase che uno scappellotto gli arrivò sonoro sulla nuca, lasciando tutti i presenti sbalorditi. Solo Mike gli tirava scappellotti, ma purtroppo lui era morto 4 anni prima. Gibbs si voltò lentamente vedendo Abby dietro di sé.
“Gibbs! Non voglio più sentirti dire una cosa simile! Ziva è sempre la nostra Ziva. Quella ragazza solare e sorridente che serba in sé tante disgrazie. Quello non era un interrogatorio. L’hai trattata come se fosse una criminale! E invece non lo è. Se ha fatto quello che ha fatto, è perché non si è sentita abbastanza protetta”
Ci fu un attimo di silenzio in cui tutti la guardavano. Aveva ragione.
“Ma comunque, non l’ha fatto!”
“Abby spiegati meglio” disse McGee
“Cioè si, l’ha fatto, ma non quello che credevamo avesse fatto, non ha fatto altro che ci faceva sembrare che l’avesse fatto anche se in realtà non l’ha fatto!”
“Abby L’ha fatto o non l’ha fatto?!” chiesero in coro Tony, e McGee.
“Gibbs questa volta ti sei sbagliato. Ziva non ha tradito nessuno. Il sangue sull’orsacchiotto è quello di Ariel, e c’è dell’altro… Ziva è la madre di Ariel!”
A Tony cadde il cellulare di mano, e McGee spalancò la bocca che il mento quasi toccò la tastiera, mentre Ellie impallidì.
“DiNozzo vai a cercarla. Fermala e non farla partire, McGee rintraccia il cellulare, Bishop ferma tutti i voli, ed Abby…”
“Gibbs mi perdoni per lo scappellotto? Ma era d’effetto!”
Il capo si avvicinò all’orecchio della ragazza e le sussurrò “Ottimo lavoro!”
 
Ziva era la madre di Ariel… E Tony non si capacitava di ciò. E per di più il padre era Adam… Poteva andare peggio? Continuava a chiedersi perché gli avesse nascosto tutto, perché non l’avesse detto, e soprattutto, se era stato prima o dopo quel bacio d’addio.
Doveva trovarla e chiederle spiegazioni.
Arrivò all’aeroporto, e corse alla scrivania dei check-in, chiedendo di ritardare il volo diretto a Tel-Aviv.
“Mi scusi signore, ma è già partito…”
“Allora lo faccia tornare indietro!” era molto agitato, forse perché si sentiva preoccupato per la bambina, o forse perché voleva parlare con Ziva, o ancora, perché continuava a celare dentro di sé un sentimento nascosto, sepolto dal tempo, che lentamente stava riemergendo, senza che lui lo volesse.
“Signore ma non possiamo far tornare un volo… Lei capisce che così tutti i voli a seguire…”
“Sono un agente federale” disse mostrando il distintivo “E su quell’aereo c’è una ragazza, Ziva David. Deve tornare qui!”
Pochi minuti dopo, la ragazza rispose “Mi scusi, ma qui non risulta alcuna Ziva David”
Allarmato, il ragazzo corse via, mentre ordinava di non far imbarcare alcuna ragazza con quel nome.
 
La cercò nell’intero aeroporto, ma non la trovava. Corse in macchina, e si diresse al molo, ma non era nemmeno lì. La cercò ovunque. Nella sinagoga in cui pregava per suo padre, nella sua vecchia casa, nella cantina di Gibbs, ma di lei non c’era alcuna traccia. Si era fatta tarda serata, e la stanchezza si faceva sentire. Tony era preoccupato per la sua amica, ma allo stesso tempo era furioso, che se l’avesse vista in quel momento le sarebbe saltato alla gola. Gli aveva mentito, gli aveva nascosto tutto. Si sentiva proprio come quando lei lo aveva tradito  quando era andata a seppellire suo padre. Quando e se l’avesse trovata, non avrebbe avuto il coraggio di guardarla negli occhi. Era combattuto tra la paura di perderla ancora, e la rabbia per tutto ciò che gli aveva fatto. Solo che il rancore prendeva il sopravvento.
 
Gibbs si sentiva in colpa per ciò che aveva detto. Non aveva prove certe, e l’aveva aggredita. Si sarà sentita ripudiata ed è scappata. Non si era mai comportato così. Forse perché non era mai riuscito a perdonarle quell’addio. Aveva serbato in sé il livore per tutti quegli anni, e continuava ad accumularsi, finché non è scoppiato. In lei vedeva sua figlia, e quando aveva deciso di andarsene, vedeva sparire anche l’ultima possibilità di poterla riavere.
 
“Gibbs…”
Ellie era comparsa lentamente alle sue spalle, mentre lui era appoggiato alla finestra con il caffè in mano.
“Ellie?”
“Gibbs, volevo scusarmi… È che sono stata troppo diffidente, e…”
“Sai come la penso sulle scuse”
“Sono un segno di debolezza, lo so… Ma se adesso Ziva non…”
“Ma non con gli amici!”
E così dicendo, Gibbs si allontanò. Non era a lui che doveva chiedere scusa, e non era nemmeno l’unica  a doverlo fare.
 
Era quasi notte fonda, e Tony l’aveva cercata ovunque. Ziva non si trovava. Non era la prima volta che succedeva, e probabilmente non sarebbe stata neanche l’ultima. Si rese conto che se voleva stare da sola, lui non poteva che accettare, ed attendere.
Le strade erano deserte, e le uniche luci provenivano da alcuni lampioni sulla strada. Poi d’un tratto gli venne in mente l’ultimo posto in cui poteva essere. Scese dall’auto e si diresse verso l’Opera, ma quando la vide spenta, si arrese. Se non stavano dando uno spettacolo, Ziva non poteva certo essere lì. Si ricredette però, quando da dietro l’angolo, la vide uscire dal retro dell’Opera, slegandosi quei ricci fluenti, con un borsone sulla spalla. La seguì senza farsi notare. Notò che era dimagrita davvero molto, forse anche troppo. Probabilmente la figlia le sottraeva energie, e quando la vide, così minuta, si rese conto che forse aveva mentito solo per paura, per proteggere la sua bambina. Tutta la rabbia sparì di colpo. Gli era mancata quella ragazza divertente, solare, scherzosa. Quella ragazzina era la loro piccolina. Piena di energie, e con tante sofferenze nel cuore. E niente poteva cambiare questo. Essere arrabbiati sarebbe stato inutile, specialmente ora che aveva bisogno di aiuto, di certezze.
 
Entrò in un bar, e lui l’attese fuori. Quando uscì, aveva due bicchieri di caffè in mano. Ed uno lo diede a Tony.
“Grazie” le disse in ebraico.
“Prego” gli rispose in italiano.
Ad entrambi tornò in mente la prima sera in cui si erano conosciuti. Lui l’aveva seguita, e lei se n’era accorta, proprio come ora.
“Com’è sentirsi chiamare mamma?” disse all’improvviso il ragazzo.
“È la sensazione più bella che una donna possa provare… Ariel è…” Si bloccò per un attimo.
“Perché non hai detto nulla?”
La ragazza non rispose, e continuava a chiedersi come avesse fatto il ragazzo a capirlo.
“Ho imparato a fidarmi del mio istinto… Okay va bene, anche di Abby!”
“Mi dispiace, ho sbagliato tutto!” disse d’un tratto la ragazza “Avrei dovuto dirtelo sin da subito… Ma come potevo?” disse sull’orlo della rottura.
“Non è la prima volta che mi nascondi qualcosa… Ormai ci ho fatto l’abitudine” disse ripensando ad Adam.
“Questa volta è diverso!”
“No! Non è diverso!” Non voleva urlarle contro. Desiderava solo poterla abbracciare, rassicurare, e dirle che sarebbe andato tutto bene, che avrebbero trovato Ariel, e che tutto sarebbe tornato come prima, ma non sarebbe stato così. Le cose erano cambiate, e lei non poteva farci nulla.
“Hai deciso di tagliarmi fuori dalla tua vita, ancora! Non ti era bastato andartene senza motivo? Adesso che sei tornata, dovevi anche nascondermi di avere una figlia!”
“Non me ne sono andata senza motivo! Tu non sai nulla di me, e mai lo saprai!” e così dicendo, si girò e fece per andarsene, ma una mano le afferrò il polso.
“No aspetta… Ho esagerato… Avrai avuto i tuoi motivi. Ma perché? Perché non me l’hai detto?” la guardò implorante, voleva delle spiegazioni.
“Quando… Quando sono andata a seppellire mio padre… Io… Ho avuto un momento di debolezza… E Adam era lì con me… Ed io mi sono lasciata consolare, trascinare dalle emozioni… Ho sbagliato lo so… Ma da quell’errore… Da quell’errore è nata Ariel…” lo guardava dritto negli occhi.
“Quando l’hai scoperto?” chiese esitante
“Poco dopo averti invitato a venire”
“È per questo che sei sparita per 4 mesi?”
“No… Appena l’ho saputo, ho avvisato Monique… E Adam… Doveva saperlo! Poi però lui mi ha detto di abortire immediatamente, perché il bambino avrebbe creato conflitti internazionali, e il Mossad avrebbe cercato me e il bambino… Ho deciso di non dargli ascolto e con Monique mi sono nascosta per quattro mesi, fino alla fine della gravidanza. Quando è nata Ariel, ho capito che tutti gli sforzi che avevo fatto non erano stati vani… E poi sei arrivato tu… E ho dato la bambina a Monique…”
“Era di questo che parlavi quando in Israele mi dicesti che mi avevi invitato, ma prima… vero?”
La ragazza abbasso la testa in segno di approvazione.
“Quando ti ho visto partire, solo nel momento in cui ho realizzato che non ti avrei più visto, ho capito di aver sbagliato tutto… Avrei dovuto dirtelo… Ma poi cosa avreste pensato di me? Tu, Gibbs… Tutti voi…” si fermò, poi aggiunse “Poco dopo, Adam ha scoperto che avevo partorito, e ha iniziato a spiarci, finché non… Finché non l’ha…. Non me l’ha portata via!” La voce le si ruppe, e sentiva l’agitazione aumentare.
“Tu sapevi che sarebbe successo… Perché non hai agito prima?”
“Sapevo che sarebbe finita così, ma io non potevo abortire… Io lo volevo quel bambino!”
“No! Tu non avresti mai permesso che una bambina nascesse senza avere un padre, non dopo tutto quello che ti è successo, non dopo averlo provato sulla tua pelle!”
“Invece si! Sono una donna, e volevo quel bambino!”
“Ti conosco, e so che avresti ragionato abbastanza da capire che…”
“Che non avrei dovuto far nascere Ariel? Beh ti sbagli, perché lei è l’unica cosa giusta che ho fatto in una vita di errori, è l’unica cosa che mi ha spinto a voler cambiare… Avevo bisogno di una nascita per cancellare il mio passato fatto di morte!”
“Guarda che lo so che c’è qualcosa che non mi dici!”
Ziva abbassò lo sguardo… Tony le prese il mento amorevolmente con un mano.
“Perché non mi vuoi parlare? Perché… Non ti fidi di me, Ziva?”
Era la prima volta che pronunciava il suo nome da quando era arrivata. Era una sensazione strana, ma sentiva di essersi liberato di un peso, di aver buttato giù una parte di quella barriera che li divideva.
Ziva non riuscì a reggere quello sguardo e crollò fra le braccia dell’unica persona che le era sempre stata vicino.
“Sono sterile, Tony!” disse iniziando a piangere, con le lacrime che immediatamente presero a scendere copiose. Tony rimase sbalordito. Non avrebbe mai immaginato una cosa simile…
“Non posso avere bambini, ma Ariel… Ariel è un miracolo!”
Tony strinse forte la testa di Ziva al suo petto. Capiva che aveva paura di fare la mossa sbagliata, e che per la bambina era disposta a tutto.
“Non posso perderla… La mia vita non avrebbe più senso… Nessuno ha fiducia in me, tutti conoscono l’assassina, non la vera me…”
“Io si! Io credo in te, e sarà sempre così… Anche se te ne andrai di nuovo, perché io conosco la vera Ziva… Conosco quella ragazza che quando entrava nello squadroom portava il sorriso, conosco quell’agente federale così testardo da andare avanti senza l’aiuto di nessuno, conosco quella figlia che ha perso i genitori, e quella sorella che ha perso i fratelli… Non devi cancellare il tuo passato, anche se è fatto di morte, lo devi serbare in te, e far vivere quelle persone nel tuo cuore. Non devi cancellare l’NCIS, la nostra squadra Gibbs, Abby, McGee, Ducky, persino Palmer… Me… Perché noi vediamo in te la nostra piccolina, che se ne stava andando dopo la morte di suo fratello, ma che venne fermata da uno scappellotto in ascensore dal suo nuovo capo… Io vedo in te Ziva David!”
Nessuno le aveva mai detto simili parole, e si rese conto del grande sbaglio che aveva fatto. Si rese conto che tutto quel dolore se l’era procurato da sola, ed ora c’era di nuovo Tony a tenderle la mano e porle un aiuto… Tony, e tutta la sua famiglia.
“Andiamo, ti porto a casa”









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti... Beh che dire se non... BOOOOM!!! Questo capitolo mi dà proprio l'impressione di essere una bomba a orologeria! Allora come promesso c'è tanto TIVA, e finalmente abbiamo capito cos'è successo, e perché Ziva non voleva dire di essere la madre di Ariel. Ma entriamo nel dettaglio, allora... Abby scopre la vera parentela tra Ziva e Ariel, e tira uno scappellotto a Gibbs... Beh, si era comportato proprio male, aveva agito d'istinto, e aveva aggredito Ziva. Poi Tony la cerca ovunque ma non la trova. Qui ho pensato molto a quando Ziva era scomparsa dopo la morte di Eli, e anche quando si era nascosta a Tel-Aviv. Poi Ellie si sente in colpa perché è stata lei ad avvertire il team di quello che aveva sentito, e se nessuno la trovava, la causa era lei... A proposito, mi devo scusare... Non conosco bene il carattere di Ellie, quindi probabilmente nella fanfiction non la rispecchierà, e potrebbe fare cose che magari nella realtà non farebbe... Stessa cosa vale per Zoe. E parlando di Zoe, vi ricordo che all'inizio, Tony e Zoe si erano organizati per quella sera, ma Tony si è messo a cercare Ziva... Le avrà quindi dato buca? Zoe sarà gelosa? Beh lo vedremo. Comunque, passando al succo del capitolo... Tony vede Ziva uscire dall'Opera (Anche se era spenta... Che cosa starà facendo?) e la segue... Un po' come in 3x02, anche la scena del caffè, quando Poi Tony le da un pezzo della sua pizza e lei dice grazie in ebraico e lui le risponde in italiano... Questa volta è il contrario, Tony ringrazia in Ebraico e Ziva risponde in Italiano. Poi finalmente lei si apre con lui... So che probabilmente vi sareste aspettati un litigio più clamoroso, ma ancora non sono pronta per scriverne uno... Vabbè... Ad ogni modo... Ziva era rimasta incinta quando è andata a seppellire suo padre, ma l'ha scoperto solo dopo essere tornata in Israele ed aver invitato Tony ad andare... Poi Adam lo sapeva, e le ha detto di abortire... Ma come poteva... Ziva è sterile!!!!!!! Poi però Tony la consola e la porta a casa... 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e detto questo, ci vediamo al prossimo. Baci. Gaia.

 

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Capitolo 6
*** I'LL TRUST YOU ***


“Andiamo a casa” e così dicendo la prese per mano, e la portò in macchina.
 
Non se la sentiva di andare a casa di Gibbs, dopo quello che era successo durante l’interrogatorio, e Tony non ebbe bisogno di parole per capirlo. Gli bastava il suo sguardo. Dopo tanto tempo, riusciva ancora a capire perfettamente le sue agitazioni, solo osservandola. Prima di avvisare il team, ancora alla sede, del ritrovamento di Ziva, passarono dalla cantina di Gibbs e presero la valigia della ragazza. Sarebbe rimasta da lui per il tempo necessario.
 
“Ehi… Tranquilla, la troveremo. Ora però, credo sia il caso che tu dorma”
Ziva era seduta sul divano a guardare delle sue vecchie foto con Ariel, e Tony era appena entrato nella stanza, sedendosi accanto.
“Qui era appena nata… Era così piccola e indifesa. Quando la vidi la prima volta è stato qualcosa di indescrivibile, ho pensato che lei era con me da sempre, anche quando uccisi Bodnar… E quando aprì gli occhi, fu come se mi stesse dicendo di stare tranquilla, che saremmo andate avanti insieme e avremmo superato anche questa…”
Tony guardò la foto e vide una bambina bellissima dai grandissimi occhioni verde smeraldo, che aveva lo stesso sguardo di Ziva.
“Occhioni belli…”
La ragazza si voltò di scatto, riconoscendo quel soprannome. Le era mancato in quegli anni, ma fece finta di niente e continuò.
“Qui, invece eravamo a casa di Monique pochi mesi fa. Lei ha un cane molto iperattivo, si chiama Gilda, però con Ariel si comportava quasi da... una seconda mamma!” disse scherzando, anche se  Tony poté notare un velo di tristezza nei suoi occhi.
 
Ziva continuava a parlare sfogliando le foto, ma il ragazzo non la seguiva più. Era preso da così tanti pensieri, che si dimenticò persino di avvisare Zoe che quella sera non sarebbero stati insieme. Continuava a guardare la neomamma accorgendosi di quanto quel ruolo l’avesse cambiata. Prima non si sarebbe aperta così facilmente, con lui, e tantomeno si avrebbe parlato così tanto della sua bambina. O forse lo faceva solo per autoconvincersi che non era ancora tutto perduto, e poteva ancora rivedere sua figlia, per non mostrarsi spaventata davanti a lui. Durante la tenera chiacchierata con Gibbs, infatti, aveva visto proprio quella guerriera che conosceva.
 
“Ziva adesso basta! Chi credi di prendere in giro? Non serve che fingi di scherzare solo perché non vuoi sembrare terrorizzata all’idea di aver perso la tua bambina!”
“Ho bisogno di sapere che la rivedrò, e che quel bastardo finirà per vedere il sole sorgere e tramontare da delle grate!” disse guardandolo in volto per la prima volta da quando le si era seduto vicino, rivelando i suoi occhi di quella lucidità tipica di chi ha appena smesso di piangere, ma continua a trattenere le lacrime.
 
Tony sapeva benissimo che Ziva non sopportava di crollare davanti a qualcuno, eppure, tra tutti, lei era la persona che aveva visto piangere più spesso.
“Devi dormire, o domani non riuscirai a concentrarti”
“Come faccio a dormire quando mia figlia è chissà dove nelle mani di Adam?”
“Non ci siamo!” disse sconsolato… “Aspetta, ho un’idea” aggiunse.
 
Tornò pochi minuti dopo con in mano una videocassetta di 007.
Iniziarono a vedere il film, e come previsto, Ziva si addormentò quasi immediatamente…
“Sono felice che ti stia interessando” disse sarcasticamente il ragazzo tra sé.
Tony continuò a vedere il film, quando sentì la testa della ragazza appoggiarsi involontariamente sulla sua spalla. Sorrise, e la sistemò sulle sue gambe, mentre le accarezzava il volto, sentendo ancora gli zigomi umidi.
D’un trattò la sentì irrigidirsi. Come se stesse facendo un incubo, e prima che si svegliasse, cercò di calmarla, accarezzandole dolcemente la schiena, e sussurrandole parole dolci.
Era una strana sensazione vederla così, e lui si sentiva in dovere di esserle vicino. Nonostante tutto, il livore che provava per essere stato rifiutato, a Tel-Aviv, era scomparso quando lei gli aveva raccontato quello che realmente successe in quei quattro mesi, ed ora capiva che aveva bisogno di una spalla su cui appoggiarsi, e lui era l’unico a conoscerla davvero, l’unico di cui lei si poteva fidare, anche se sapeva che non l’avrebbe mai ammesso.
 
 Era notte inoltrata quando il film terminò. Tony stava per andare a letto, ma per timore di svegliare Ziva, rimase sul divano tutta la notte, fino all’alba, quando la ragazza aprì gli occhi di soprassalto.
Ci vollero alcuni attimi prima che riconobbe la casa, e si ricordasse perché era lì. Si ritrovò sulle gambe di Tony, e si alzò notando la scomoda posizione del ragazzo. Dentro di sé lo ringraziò.
Si alzò lentamente evitando di destarlo dal suo sonno poco profondo, e si preparò per andare all’NCIS di corsa, quando il cellulare di Tony prese a squillare. Corse a spegnerlo, prima che lo svegliasse, leggendo il nome Zoe… Non ci fece caso.
Prima di uscire preparò la colazione per il ragazzo, ma il telefono squillò nuovamente. Ancora Zoe.
Poi arrivò un messaggio: “Ti ho aspettato tutta la notte!”… Iniziò a capire. Ecco cosa intendeva Ellie con “È riuscito a rifarsi una vita”!
 
Arrivò all’NCIS verso le 6:30. Aveva corso senza fermarsi. Sapeva che doveva allenarsi. Quando raggiunse il piano, e uscì dall’ascensore, si diresse istintivamente alla sua vecchia scrivania, poi si fermò quando non vide la sua bandierina, né la foto di Tony da giovane, che conservava sullo schermo del suo computer. Non volle farsi sopraffare dalle emozioni, e si diresse immediatamente all’altra scrivania, la stessa che le era stata assegnata il primo giorno in cui divenne ufficialmente un’agente di collegamento tra Mossad ed NCIS.
“Questa scrivania sembra quasi maledetta” disse una voce alle sue spalle. La riconobbe immediatamente, ma non si voltò.
“Quindi Gibbs ti ha parlato anche di Ari…” rispose sistemando delle cose nel suo borsone.
“Se è questo che credi, non ti reputo uguale a lui…” disse la ragazza cercando di introdurre un discorso.
“Lo so, agente Bishop! L’ho ucciso io. Stava per ammazzare Gibbs”
La ragazza rimase leggermente stupita, anche se ascoltando l’interrogatorio, aveva già intuito qualcosa. Sentirselo dire però, era davvero strano.
“Mi… Dispiace”
“Anche a me… Dopo la sua morte, molte persone hanno pianto per lui, ed io ne ero l’artefice…” Disse mentre continuava a guardare nel suo zaino in cerca di una scusa per non guardare negli occhi la ragazza che le aveva messo contro tutta la squadra.
“Non devi biasimarti! Era necessario, tu hai fatto il tuo dovere. Questo mestiere ci porta ad uccidere delle vite per il bene di altre” Ellie si addentrò inconsciamente in argomenti molto delicati per Ziva. Le riportavano alla mente vecchi ricordi, tutti insieme, che non facevano che agitarla.
“So bene cosa sono e cos’ho fatto… Credimi, lo so molto bene! E non c’è bisogno che tu mi giustifichi. Ora se permetti, devo trovare mia figlia” disse facendo terminare così la conversazione, e voltandosi.
Tony era arrivato proprio in quell’istante, e aveva ascoltato parte della conversazione. Eppure gli era bastato per riesumare gli stessi ricordi di Ziva. Si guardarono negli occhi per una frazione di secondo, finché la ragazza non sparì dietro quel muro che separava la sua scrivania da quella di McGee.
“Ziva, Abby ti vuole giù in seminterrato” disse McGee scendendo le scale e salutando i colleghi.
 
“Zivaaaa! Sapevo che non potevi aver fatto la spia!” urlò la ragazza, appena vide le porte dell’ascensore aprirsi.
“Era a questo che ti serviva il DNA, vero?”
“Oh no, certo che no… Non avevo mica bisogno di una prova per capire che era tua figlia… io!” sottolineò “Ma qualcun altro si!”
“Allora perché mi hai chiamata?”
“In realtà stavo per chiamare Gibbs, ma lui ha detto di chiamare te…”
“Me? Si è ricreduto?” disse sarcasticamente…
Le porte dell’ascensore si aprirono in quell’istante.
“Si, caso tuo, dirigi tu. Regola 38” Gibbs entrò nella stanza portando un bicchiere di Caf-Pow ad Abby.
“Allora che hai trovato?” chiese alla fine la ragazza fingendosi indifferente.
“Durante l’incidente, nell’impatto, le due auto sono praticamente finite in frantumi… Specialmente i vetri”
“Si, lo vedo”
“Ho trovato alcuni frammenti del conficcati nel sedile del guidatore… Ma non vi era traccia di sangue!”
“Nessuno stava guidando la macchina…” concluse Ziva un po’ sorpresa.
“Non esattamente… Gibbs puoi venire un attimo? Ho creato un modellino dell’auto prima dell’impatto… Siediti qui” disse la scienziata facendo sedere Gibbs sul sedile del guidatore del modellino “Da questa posizione ci vogliono esattamente 1.52 secondi per aprire lo sportello e scendere… Considerato che l’auto di Malachi ha girato l’angolo proprio nel momento dell’incidente, e lo dimostrano i segni delle sgommate… Direi che è troppo tempo per scendere dall’auto senza essere colpito.”
“Arriva al punto…” disse Gibbs da dentro il modellino.
“Gibbs sono stata qui da sola tutta la notte, a parlare con un modellino! Dicevo… Ho controllato i segni sulla cintura del passeggero, e vi erano delle lievi incisioni fresche… Significa che ha slacciato la cintura del passeggero, prima dell’impatto… Come se lo sapesse… Adesso Gibbs, spostati velocemente sull’altro sedile, e buttati fuori”
“Abby!”
“Gibbs… Devo mostrare a Ziva i minimi dettagli…”
“Capirò ugualmente” disse la ragazza volendo arrivare al succo.
“Ci vogliono in media 4.43 secondi… E le scie di sangue lasciate, appartengono per il 90% ad Adam… “
“Ariel è molto piccola…” rifletté Ziva
“Si… Ma sommando le probabilità, al fatto che nemmeno sul sedile del passeggero ci sono tracce di sangue, ci porta ad un’unica conclusione”
Ziva e Gibbs fecero cenno con gli occhi di spiegarla…
“Non ci arrivate? Uff… Adam sapeva che Malachi stava arrivando da dietro l’angolo, ed ha agito in tempo, da riuscire a slacciare la cintura ad Ariel, e buttarsi fuori stringendola tra braccia per salvaguardare la sua salute, impedendo che si ferisse”
“Adam voleva salvare Ariel?” chiese Ziva allibita.
“Non raggiungere conclusioni troppo affrettate… Potrebbe volere anche un riscatto. Ciò che è certo è che Adam farebbe di tutto pur di tenerla viva”
“Devo avvisare gli altri!” disse Ziva, entrando nell’ascensore, seguita da Gibbs.
 
Le porte si chiusero, e calò il silenzio.
Ziva guardava davanti a sé, cercando di nascondere l’imbarazzo, mentre Gibbs osservava i suoi movimenti, cercando di capirla.
A metà della salita, Gibbs fermò l’ascensore, e il cuore di Ziva iniziò a battere molto più veloce del normale, che riusciva a sentirselo in gola.
“Sai come la penso sulle scuse”
“Sono un segno di debolezza” rispose fredda, continuando a guardare davanti a sé “Ma non con gli amici” continuò perdendo ogni sicurezza, e guardandolo negli occhi.
“Tu non sei mia amica…”
Inizialmente la ragazza non capì quelle parole.
“Cosa sono io per te?” continuò il capo.
Ziva continuò a guardarlo negli occhi, e decise di dirgli la verità.
“Un padre… Eri… Un padre”
“E tu eri una figlia, per me…” Il cuore di Ziva si sciolse sentendo quelle parole. Capì subito dove voleva arrivare. In fondo lui era Gibbs, e Gibbs sa sempre tutto.
“Come facevo a fidarmi di te se tu non ti sei fidata di me abbastanza da dirmi che avevi una figlia?” disse con quel suo solito tono, alzando il sopracciglio.
“Come potevo dirti che avevo sbagliato tutto e che avevo avuto una figlia da quell’errore?” Quasi urlò, poi si calmò “Io volevo solo… renderti orgoglioso… se fossi tornata, cos’avresti pensato di me? Che ti ho deluso un’altra volta, che non potresti mai contare su di me…”
stava per continuare, sfogarsi e forse sarebbe finita anche con le lacrime agli occhi. Ma Gibbs la conosceva troppo bene, tanto da sapere che non le sarebbe stato utile, e fermò tutto con uno scappellotto “Ehi! Un padre sarà sempre fiero di sua figlia! E se hai deciso di dare alla luce una bambina, come posso non essere orgoglioso? Come posso non essere orgoglioso di quell’agente che preferiva rimanere in una baita di legno a proteggermi tanto da urlarmi conto di essere la sua famiglia? Come posso non essere orgoglioso di quella ragazza che ha ucciso suo fratello per me?”
Sentiva le lacrime salirle agli occhi, ma aveva pianto troppo in quei giorni, e non si sentiva più in forze per piangere ancora.
L’ascensore era fermo e lei si guardava le mani, trattenendo una domanda, ma alla fine uscì fuori come un’esplosione.
“Gibbs, ti fidi di me?”
“Ho imparato a fidarmi dell’istinto di Tony, dell’intelligenza di McGee, dell’accuratezza di Abby… Ho imparato a fidarmi di te, Ziver!”
Si scambiarono uno sguardo sincero, pieno di felicità, facendo ripartire l’ascensore.
 
Poco prima che le porte si riaprirono, Gibbs alzò la mano per tirarle uno scappellotto, proprio come la prima volta, ma invece, inaspettatamente, A Ziva arrivo un tenero bacio paterno sulla guancia.
Arrivarono al piano, ed uscirono pronti a ritrovare Ariel. Come una squadra. La loro squadra!









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Allora spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Dunque, Ziva è a capo del caso e finalmente si è riconciliata con Gibbs. Come già detto, vi chiedo scusa se i caratteri di Zoe ed Ellie non saranno coerenti con la realtà, ma purtroppo non sono personaggi che conosco... Comunque, vorrei dedicare questo capitolo a (mi prenderete per pazza) il mio cane. Si chiamava Gilda, ed oggi sono esattamente 10 anni che è morta. PEr questo tra le foto ho parlato di un cane di Monique, perchè il suo carattere era così. Poi mi sono accorta di non avervi mai mostrato come immaginavo la piccola, così, per rimanere in tema, in basso metterò una foto. Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Buona lettura. Baci. Gaia.




Questo è come immagino la piccola Ariel... Esatto... Sono io e quel cane è Gilda. Quando farò delle descrizioni della bambina di Ziva, mi baserò su questa foto, ma voi siete liberi di immaginarla come volete. 

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Capitolo 7
*** YOUR CASE, YOUR LEAD ***


Uscì dall’ascensore determinata a concludere il caso, il suo caso il prima possibile, e riavere indietro la sua bambina.
Sapeva già cosa fare, e appena entrò nello squadroom, aveva già ordini precisi.
“Bishop, vai a prelevare Malachi, e portalo qui. McGee, entra nel firewall del Mossad, e trova tutto quello che sanno su Adam” disse decisa.
“Stai scherzando Ziva? Il Mossad? Capisco la CIA, l’FBI, ma il Mossad…” disse impaurito.
“McGee, suo il caso, suo il comando! Trova tutto ciò che sanno!”
“Gibbs, dì a Ducky di chiedere il corpo dell’agente ucciso, poi interroga Malachi”
Non la fece finire, che aveva già preso l’ascensore per scendere nell’obitorio.
“DiNozzo… Prendi le tue cose… Si va in Messico!”
Il ragazzo rimase a bocca aperta… Il Messico?
“Starà andando lì con la mia bambina, per l’espatrio”
 
In meno di un’ora erano entrambi sull’aereo che li avrebbe portati in Messico.
“Come fai a sapere che non è già arrivato?”
“Ha lasciato il suo passaporto in auto… Non avrebbe passato il check-in”
Ziva era distratta, e guardava fuori dal finestrino, con la testa appoggiata allo schienale e le mani tese sulle gambe.
Tony appoggiò la sua mano su quella della collega, per infonderle coraggio. Non avrebbe mai immaginato che dopo tanto tempo sarebbe stato in grado di darle fiducia così presto, ma capiva che le ragioni per cui l’aveva lasciato andare, erano ben diverse da quelle che immaginava. Continuava a pensare a come il livore lo aveva abbandonato subito, nello stesso momento in cui lei gli aveva parlato di tutte le tragedie che avevano costellato la sua vita dopo quell’addio, e forse non erano nemmeno tutte.
Si guardarono negli occhi, lei in cerca di conforto, lui in cerca di certezze.
Poi tornò a guardare fuori dal finestrino. Rivedeva la nascita della sua bambina, il suo primo compleanno, e pensava che presto si sarebbe avvicinato anche il secondo.
 
Intanto all’NCIS…
“Capo sono entrato!”
“Che hai trovato, McGee?” chiese Gibbs impaziente.
“Lo seguivano già da prima che arrivasse qui, in America, e poco prima dell’incidente, erano riusciti a localizzare il GPS dell’auto. Quello che non mi torna è che il Mossad agisce segretamente... Come faceva Adam a sapere che dietro l’angolo stava per girare l’auto di Malachi?”
“Chiedilo a lui Tim!” disse Ellie entrando nella stanza con Malachi.
 
Lo fecero attendere quasi un’ora nella sala interrogatori, finché la porta non si aprì. Ma a dispetto di quanto indicato da Ziva, Gibbs non era solo.
“Gibbs… Mentirei se dicessi che è un piacere rivederti!” esclamò Malachi appena lo vide.
“Perché lo seguivate?”
“Chi?”
“Adam Eshel… Il Mossad lo seguiva, lui già lo sapeva!” fu sbrigativo Gibbs “Come faceva a saperlo?” continuò.
“Non c’erano cimici nel Mossad… Ho controllato, è il mio lavoro… È per questo che sono qui anch’io!” Un ragazzo alto, dalla carnagione chiara e gli occhi castani, prese a parlare. Sembrava molto giovane, per avere tutta quell’esperienza che dimostrava.
“Il Dipartimento della Difesa, crede che ci fosse una falla nel vostro piano… Una falla costituita da una spia che segretamente informava il fuggitivo”
“Lei è?” chiese Malachi tergiversando.
“Richard Parsons!” si rivelò il ragazzo.
“Un parassita che per tua sfortuna sa tutto di te!” puntualizzò il capo, ricordando i vecchi tempi.
Gibbs l’aveva chiamato perché conosceva il suo modo di investigare e si era reso conto che era ciò che serviva a far parlare un’agente del Mossad addestrato a tacere.
“Se sa tutto di me, a cosa serve la mia presenza?”
“Perché se parli, avrai qualche speranza di non avere contro la tua vecchia agenzia!”
Quelle parole colpirono Malachi, che alla fine, tra le minacce di Parsons, e i trabocchetti di Gibbs, cedette.
 
Tony e Ziva erano appena arrivati in Messico, e dopo quasi tre ore di viaggio, Tony aveva proprio bisogno di un cocktail del luogo.
“E per lei, guapa señorita?”
“Un bicchiere di tequila, muchas gracias
 Ziva non era un tipo che amava bere, ma quando aveva dei cattivi presentimenti, le sembrava l’unica via di scampo.
“Ci stai andando giù pesante… Gupita!” esclamò il ragazzo, al terzo bicchiere.
Guapita? Te lo sei inventato?” rise, poi continuò “Ho una strana sensazione allo stomaco, Tony” disse in tono lievemente preoccupato.
“Sarà mica la tequila?”
“Ho come il presentimento che ci sia qualcos’altro sotto che non so…” rispose ignorando la sua battuta.
“Andrà tutto bene… Perché ora non sei più sola… Ci siamo noi con te” rispose il ragazzo capendo che non era il momento di scherzare.
“Se si è azzardato a torcere un solo capello alla mia bambina, io… Io” sentiva la rabbia salire, ed in un solo sorso bevve il quarto bicchiere, per calmarsi.
“Ehi basta bere! Vuoi forse che quando tua figlia ti rivedrà, sarai brilla? Vuoi sembrare forse lo zombie di Nicholas Hoult nel film Warm Bodies?” tentò a tirarle su il morale.
“Smettila” sorrise lei “parla il ragazzo che ha ordinato un cuba-libre” aggiunse tirandogli un leggero pugno sul petto.
 
“Richard Parsons, piacere di conoscerla” disse stringendole la mano.
“Eleanor Bishop” sorrise.
“So chi è lei…”
“Ha investigato anche su di me?” chiese, a metà tra ironia e realtà.
“Non mi permetterei mai… Non ce n’è stato bisogno. L’agente Gibbs mi ha parlato di lei...”
La ragazza stava per rispondere, ma non ne ebbe il tempo.
“Finito con i convenevoli?” Gibbs, entrò nello squadroom con il solito bicchiere di Caf-Pow, dirigendosi alla sua scrivania.
“Dov’è McGee?”
“Sono qui capo… Ero andato ad aggiornare Ducky… Ziva l’aveva detto a lei, ma era impegnato a…” arrivò impacciato.
“Sala videoconferenze, ora!”
 
Tony e Ziva erano in albergo, ad aspettare la chiamata dell’agente alla dogana, nel momento in cui Adam sarebbe arrivato.
“Secondo te si sarà divertito Gibbs, in Messico con Franks, quando lasciò l’NCIS? Voglio dire il mare, i cocktail, le ragazze…”
Ziva provava, da fuori dell’inquadratura del computer, a fargli cenno che Gibbs era appena entrato in collegamento con loro via webcam…
“È dietro di me, vero?”
“DiNozzo!” la sua voce uscì sonora dal computer, come se non fosse a kilometri di distanza.
“Capo!” esclamò il ragazzo girandosi
“Dov’è Ziva?”
“Sono qui Gibbs” disse sedendosi sulla sedia davanti al computer, coprendo Tony che si stava cambiando i pantaloni sul letto.
“C’è stato un furto di auto, e dalle telecamere pare che il ladro sia Adam. Deve averla rubata per arrivare in Messico”
“Targa?”
“BEE-6610”
“Tony avvisa alla l’agente alla dogana” disse Ziva voltandosi.
“Non ce ne sarà bisogno” rispose il ragazzo mostrando il cellulare che squillava.
 
Uscirono di corsa, e raggiunsero la dogana in men che non si dica. In auto Ziva era agitata. Avrebbe finalmente riabbracciato la sua bambina, ma si sarebbe anche confrontata con l’uomo che gliel’aveva portata via.
Quando arrivarono, videro gli agenti sotto copertura, nelle vesti di doganieri, intrattenere Adam fino al loro arrivo. L’avevano fatto scendere e lo stavano perquisendo per chissà quale ragione.
I due scesero dall’auto, e mentre Tony metteva una mano sulla spalla di Adam, Ziva corse ad aprire l’auto.
“Che ci fate voi qui?” si meravigliò, senza più prestare attenzione ai controlli cui era sottoposto.
“Cosa ci fai tu qui, con Ariel… Oh no, non disturbarti a rispondere… Avrai tutto il tempo nella sala interrogatori” rispose Tony, mentre con la coda dell’occhio guardava Ziva che finalmente riabbracciava la sua bambina.
 
“Ariel, amore della mamma”
“Mamma” urlò la bambina appena la vide.
Ziva le slacciò le cinture del seggiolino e la prese in braccio. Ariel la stringeva come non aveva mai fatto, e Ziva fece altrettanto. Aveva davvero avuto paura di perderla. Ariel affondò la testa nei morbidi ricci della madre, e lei si fece sfuggire una lacrima che nessuno notò.
“Ziva posso spiegare… Mi dispiace, non era mia intenzione…”
“Ti consiglio di riservarti le scuse per più tardi. Ti serviranno!” lo fermò Tony, non volendo che Adam interrompesse quel tenero momento di ricongiungimento che Ziva aveva tanto aspettato.
 
“Amore ti fa molto male il braccino?” chiese Ziva, notando una ferita sul braccio di sua figlia, certamente provocata dall’incidente.
La piccola fece cenno di no con la testa, mentre con una manina si strofinava l’occhio e con l’altra si aggrappava al collo della mamma.
 
Gli agenti alla dogana rivelarono il distintivo, e ammanettarono il latitante. Lo portarono in ambasciata per gli ultimi controlli, e poi lo avrebbero imbarcato sullo stesso aereo di Tony e Ziva.
“Tony dobbiamo andare in ospedale… Ariel ha una ferita al braccio” disse Ziva andando verso l’agente che la osservava da lontano, prendersi cura di sua figlia.
“No mamma, no” si spaventò la bambina.
“Tesoro mio, ma così guarirai presto…” provò a convincerla.
“No” insistette.
“Facciamo così, adesso andiamo in hotel e la mamma ti mette un bel cerottino tutto colorato sul braccino, e lo tieni finché non torniamo a casa… Va bene?” si intromise Tony notando le difficoltà della ragazza.
Ariel fece cenno di si con la testa, mentre guardava l’agente con uno sguardo interrogativo.
“Io sono Tony… Un amico della mamma” si presentò.
“Allora sei il principe delle storie che mi racconta mia mamma prima di fare la nanna” si illuminò la piccola che credeva di avere davanti a sé un principe.
Ziva impallidì, e intervenne subito.
“Adesso dobbiamo andare, così ti mettiamo un cerottino e poi andiamo a casa…” si precipitò a dire, imbarazzata.
Tony non disse nulla, ma anche lui sembrava confuso, e allo stesso tempo divertito.
 
Arrivati in stanza, mentre Tony parlava con Gibbs al computer in modo un po’ misterioso, aggiornandolo, Ziva cambiava il pannetto alla sua piccola, notando che però qualcuno l’aveva già cambiata poc’anzi. Si rese conto, proprio in quel momento, che quello stesso qualcuno le aveva comprato dei vestitini, e anche il seggiolino per tenerla in auto. Voleva chiedere spiegazioni alla bambina, ma non aveva intenzione di metterle ansia, così non disse nulla.
Le mise il cerotto che avevano comprato, e poco dopo erano diretti all’aeroporto.
 
Ariel era molto più silenziosa del solito. Era una bambina adorabile, e non aveva avuto problemi a conoscere Tony, forse perché sua mamma gliene aveva già parlato.
Ziva la teneva in braccio. Non se ne era separata neanche per un secondo da quando l’aveva ritrovata. La osservava dormire beata fra le sue braccia, mentre con una mano le accarezzava delicatamente la guancia.
Il ragazzo alla guida, continuava a osservare la mamma che Ziva era diventata. Premurosa, attenta, e soprattutto felice, anche se poteva ancora notare un velo di preoccupazione nei suoi occhi.
“Va tutto bene?” chiese sottovoce senza svegliare Ariel.
“Adesso si” rispose senza smettere di guardarla.
“È una bambina meravigliosa” introdusse la conversazione il ragazzo, rimuginando su come quell’uomo le avesse procurato tanta felicità, e allo stesso tempo tanta tristezza.
“Generalmente è anche molto loquace…”
“Ehi… Ha appena ritrovato la sua mamma dopo ben 2 notti! È normale che sia un po’ giù… Ma vedrai che le passerà” la rassicurò “E per qualunque cosa… Puoi contare su di me” aggiunse.
I due si guardarono negli occhi. Una strana sensazione attraversò i cuori di entrambi. Un insieme di flashback si insinuò nelle loro menti. Ziva stava per dire qualcosa, quando il cellulare di Tony prese a squillare. Zoe… Si era dimenticato di avvisarla che non ci sarebbe stato nemmeno quella sera. Chiuse subito la chiamata, perché notò che Ariel si stava per svegliare. Ziva tornò alla realtà. Tony aveva una fidanzata, lei era mancata per molto tempo, e lui si era rifatto una vita. Era giusto così. Non si doveva intromettere.
 
Sull’aereo, Tony era seduto accanto ad Adam che guardava fuori dal finestrino. L’agente lo chiamò e lo distolse dai suoi pensieri.
“Non so perché tu l’abbia fatto…”
“Avevo delle valide ragioni, agente DiNozzo!” non lo fece finire.
“Non parlavo del rapimento” rispose il ragazzo ripensando a quello che Ziva aveva fatto quando era andata a seppellire suo padre “Non so se tu te ne fossi approfittato, o provassi davvero qualcosa per lei” continuò.
“Credi che io mi possa approfittare della persona che più ho amato?”
“Se l’avessi amata veramente, non le avresti creato tanto dolore! Lei ti aveva chiesto di comportarti da padre e tu le hai portato via la figlia, l’hai fatta vivere in un incubo.” Si scaldò, senza rendersi conto che Ziva era poco lontana da lui.
“Era necessario!” si giustificò.
“Se l’avessi amata veramente, non avresti pensato alle crisi internazionali che una bambina appena nata potesse creare! Avresti fatto ciò di cui lei aveva bisogno! E se ti avesse chiesto di andartene, di sparire dalla sua vita, perché voleva ricominciare da capo, l’avresti fatto… Se l’avessi amata veramente, avresti patito di tutto, arrivando forse anche ad odiarla, purché la rendesse felice… Ma solo se l’avessi amata veramente” aveva alzato la voce, ripensando a quello che aveva fatto per Ziva e poi l’aveva riabbassata, rendendosi conto che a poca distanza da lui c’era la ragazza di cui parlava, ed una bambina che dormiva.
“Tu l’amavi! E non ti è mai andata giù che lei avesse scelto me! E che ti avesse chiesto di andare via” lo stuzzicò Adam.
“Lei non ti ha scelto! E mai lo farà” e così dicendo, si alzò dal sedile, ma voltandosi incontrò lo sguardo di Ziva che lo guardava esterrefatta, con la bambina in braccio, che tornava dal bagno e aveva sentito cose che non doveva sapere.









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Scusate per l'attesa, ma ho avuto dei problemi. L'importante però è che ora sono di nuovo qui a postare il 7 capitolo di questa storia.
Allora devo dire che Ziva verione mamma è davvero tenera! E tranquilli che avremo modo di vederla così più spesso, d'ora in poi. Comunque, passiamo al capitolo.
Ziva dirige le indagini, ed è riuscita a riabbracciare la sua piccolina. E in più in questo capitolo ha fatto la sua comparsa... Parsonos! Vi dico già che per lui ho delle idee molto chiare, che spero apprezzerete... Anche se so già che all'inizio mi odierete... Vabbè... Ad ogni modo... Adam sapeva di essere seguito dal Mossad... Che Malachi facesse la spia? Lo scopriremo nel prossimo capitolo. E di cosa stava parlando tony così misteriosamente con Gibbs? Anche questo lo scopriremo nel prossimo capitlo... Ma domanda più importante... Che succederà tra Tony e Ziva, ora che lei ha sentito cose che non avrebbe dovuto senitre? Beh per scoprirlo... Avremo bisogno dell'intera storia... E non siamo nemmeno a metà XD.
Baci. Gaia.

 

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Capitolo 8
*** WHAT'S A GOOD MOTHER ***


Si era sfogato con Adam, accusandolo di non amare Ziva sul serio, e parlando di quello che lui aveva fatto per lei. Gli aveva detto che Ziva non aveva scelto lui quella volta in cui aveva concepito Ariel, e che era solo un momento di debolezza, ma quando si era voltato, Ziva era lì, pietrificata, con la bambina in braccio che tornava dal bagno sull’aereo.
 
Deglutì, temendo il peggio, poi, vedendo che Ziva lo guardava pietrificata, si diresse verso il bagno, facendo segno agli altri due agenti di controllare Adam.
Ziva si riprese e lo seguì nel bagno.
 
“10$ che tra quei due era nato qualcosa…” disse uno dei due agenti al collega.
“20$ che qualcuno prova ancora qualcosa…”
 
Tony si stava sciacquando il volto al lavandino.
“Allora il bagno degli uomini ti attrae proprio!” esclamò, rendendosi conto che Ziva era dietro di lui.
“Tu… Cosa sai di quello che io scelgo? Di quello che provo?” si alterò.
“Vuoi forse dire che lo amavi? Che l’avresti scelto?”
“Per lei… Si!” disse indicandola ed abbassando la voce.
“E per te?” domandò esitante, ripensando a quei sentimenti così forti che provava per lei.
“Questo non importa!” disse tornando al suo sedile.
“Invece si che importa! Importa a me!”
Ziva si fermò, strinse forte la sua bambina, e senza voltarsi continuò a camminare.
“Tu lo amavi!” quasi urlò.
A quel punto, Ziva non riusciva più a tacere, si voltò e gli andò incontro.
“Gli uomini come lui mi fanno schifo! E se ci tieni a saperlo, no! È stata una sola notte, ma io non lo amo, né lo amerò mai! E per quanto riguarda te… Come puoi solo pensare che sia stato tutta una finzione?” gli rispose abbassando la voce, con gli occhi che iniziavano a pruderle.
“Ziva…Io…” si sentì pervaso da una sensazione di completezza. Ed era sempre così quando era con lei. Le mise una mano tra i capelli, e con il pollice le sfiorò lo zigomo, la guancia, e infine le labbra. La ragazza chiuse gli occhi, ed una lacrima solitaria bagnò la mano di Tony. Poi riaprì quei suoi occhioni enormi e lucidi. Aveva sbagliato una volta, e aveva imparato. Nona avrebbe permesso che qualcun altro soffrisse come lei. Non si sarebbe lasciata andare.
“No Tony! Finiamola qui… Tu hai Zoe, ed io Ariel. Fai conto che non sia mai successo nulla”
e così dicendo se ne andò, mentre Tony si appoggiava allo stipite della porta non riuscendo più a capire cosa fosse meglio. Ogni volta che Ziva entrava nella sua vita, creava un uragano di emozioni e sconvolgeva tutti i suoi piani… Ma lui sentiva che non voleva lasciarla andare.
 
Ziva tronò a sedersi con la bambina in braccio, che nel frattempo iniziava svegliarsi.
I due agenti, vedendola si scambiarono un’occhiata maliziosa.
“30$ che quei due si amano!” esclamarono insieme.
 
Ziva aveva le lacrime agli occhi, mentre guardava la sua bambina svegliarsi.
“Ciao amore della mamma” le sussurrò sorridendo.
La piccola si sistemò fra le sue braccia, finché Tony non arrivò e si sedette accanto a Ziva.
“Ciao Ariel, dormito bene fra le braccia della mamma?”
“Tony… Che stai facendo?”
“Hai ragione… Ognuno ha la sua vita. Ma ho promesso che avresti sempre potuto contare su di me, e così sarà!” rispose guardandola seriamente negli occhi, e facendo sbocciare un sorriso sul suo volto.
“Vuoi venire imbraccio a me? La mamma non ti ha lasciata un secondo, e adesso è stanca. La facciamo riposare?” chiese alla bambina, mentre le accarezzava la manina.
Ariel annuì anche se poco convinta, e Ziva fu grata a Tony.
“Lo sai che il tuo nome è quello della principessa del mare?” la fece divertire
“Davvero?” chiese con la luce negli occhi mentre Ziva li guardava felice.
“Certo! A te piace il mare?”
“Si. Ci sono andata una volta con la mamma e Monique”
“La prossima volta ci andiamo insieme, che ne dici? Ti va?” chiese sollevandola dalle sue gambe e facendola ridere.
“Siii!” esultò felice.
Ziva continuava a guardarli giocare sereni, mentre Tony sollevava Ariel in aria, come a farle toccare il cielo, e lei rideva spensierata.
 
Quando finalmente arrivarono all’NCIS, Ziva teneva in braccio la bambina, che voleva conoscere tutti i membri della squadra.
Quando però giunsero nello squadroom, non c’era nessuno. Tony trovò un biglietto sulla tastiera del suo computer. Lo lesse di nascosto, e poi consigliò a Ziva di andare nel laboratorio di Abby, ma nemmeno lì c’era nessuno.
Così, tutti e tre scesero da Ducky, senza ancora risultati. Non sapendo cosa fare, andarono dal direttore a chiedere spiegazioni, ma non trovarono nessuno.
Ziva iniziò ad allarmarsi, mentre Ariel chiedeva dove fossero i loro amici.
“Saranno tornati a casa in anticipo, magari… Sono già le 22” disse Tony “Andiamo a casa anche noi?” aggiunse.
 
Entrarono in ascensore, ma Tony premette il pulsante sbagliato.
“Ops…”
L’ascensore si aprì, e si ritrovarono nel seminterrato dove Abby analizzava le prove che non entravano nel laboratorio.
Era tutto spento, ma poco prima che Ziva premette il pulsante giusto, si accesero tutte le luci.
Tutti i loro compagni di squadra erano lì a urlare “Sorpresa!” con un cartellone dietro con su scritto Bentornata Ziva e Benvenuta Ariel.
La piccola batteva le mani, e Ziva si guardò intorno sorpresa.
“Sorpresa” le disse Tony.
Abby si avvicinò di corsa.
“Non abbiamo avuto modo di dirti quanto ci sei mancata, e questa è una sorpresa per voi”
Ziva non sapeva cosa dire se non ringraziare di cuore i colleghi.
“Vediamo questa bambina meravigliosa… Ciao, io sono Abby”
“Ciao” disse la bambina un po’ timida.
“E io sono Tim. Loro sono Ducky, Jimmy, Ellie, il direttore Vance e lui è Gibbs” spiegò McGee.
 
Poco dopo, Ziva, Ariel e Tony tornarono a casa, dove le attendeva un’altra sorpresa, che Tony aveva chiesto a Gibbs, mentre era in Messico.
Entrarono in camera da letto, dove c’era una culla di legno, con inciso il nome della bambina. Ziva rimase stupita dalle tante sorprese, e non ne capiva ancora il motivo.
“Abbiamo pensato che ne avessi bisogno, come avresti avuto bisogno di sapere che noi saremo sempre dalla tua parte. Ti vogliamo bene, e qui, sarai sempre la benvenuta”
Ziva non lo fece finire che corse ad abbracciarlo, dopo aver steso la bambina addormentata nella sua nuova culla.
“Grazie Tony”
 
Quella sera, Ziva non riusciva a dormire, e continuava a guardare la sua piccolina nella culla. Verso le 4 del mattino, Tony si avvicinò a lei.
“Questa sera non le hai raccontato la favola della buona notte” disse.
Ziva sorrise, poi aprì la bocca per parlare, ma non sapeva cosa dire.
“Tony il principe azzurro… Suona bene!” scherzò lui.
“Non è facile inventare nomi ogni sera” si giustificò.
Il ragazzo la guardò con aria di sospetto.
“Sei una mamma meravigliosa”
“Amo mia figlia. Questo è tutto” disse stendendosi su un lato del letto.
“Lo so” rispose Tony stendendosi dall’altro lato e dandole le spalle.
“Tony…” esitò Ziva.
“Si?” si voltò il ragazzo.
“... Buona notte” disse solo.
 
La mattina dopo Ziva avrebbe interrogato Adam, e finalmente ci avrebbe visto più chiaro.
“Ziva, è qui” la avvisò Ellie.
“Vado a lasciare Ariel da Abby”
“Se vuoi la porto io” propose Bishop.
Ziva esitò. Non si fidava molto di quella ragazza.
“Ci penso io” rispose prendendo la bambina e portandola in laboratorio.
“Non te la prendere” la tranquillizzò McGee “Ci vorrà un po’, ma vedrai che riuscirai ad ottenere la sua fiducia”.
 
Quando entrò nella sala interrogatori, Adam era già seduto, ed era molto agitato.
“Ziva, credimi, l’ho fatto per il vostro bene” iniziò subito.
“Sbrigati a spiegarti, perché di là ho una bambina di cui prendermi cura”
“Ho ammazzato quell’agente, perché aveva saputo di te e Ariel”
“Di che stai parlando?”
“Sapeva che avevi fatto nascere la bambina, nostra figlia”
“Mia figlia!” sottolineò Ziva.
“Aveva intenzione di rivelare chi fosse il vero padre, e così era meglio che tacesse”
“Va’ avanti”
“Quando ho saputo che avevi partorito, ti pedinavo per controllare che nessuno sapesse, e quando ho scoperto che erano già in tanti a saperlo, ho capito che era il caso di portare in salvo la bambina… Volevo essere un buon padre”
“Un buon padre? E dov’eri tutte le volte che Ariel piangeva perché aveva paura? Dov’eri quando stava male perché le stava spuntando il primo dentino? Dov’eri quando ha detto la sua prima parola? Tu non c’eri! Non volevi farle da padre, e non lo diventerai certo ora!” si alzò in piedi.
“Ziva credimi… I servizi sociali te l’avrebbero portata via!”
“Non ce n’è stato bisogno, perché ci hai pensato tu!” ringhiò.
“Ho chiesto aiuto a Malachi, che mi ha aiutato a scappare, e mi dava tutte le informazioni su quello che il Mossad scopriva”
“Ti ha anche detto che Monique è stata uccisa, e che da quel momento sono stata completamente sola con mia figlia?” esplose.
Tony, Gibbs e McGee che stavano ascoltando da dietro il vetro, rimasero paralizzati. Qualcuno aveva ucciso la migliore amica di Ziva…
“Lo sapevo già…” disse in tono di rammarico.
“E come facevi… Aspetta… Tu… Sei stato tu!” realizzò sconvolta.
“Avevo paura che parlasse e ti mettesse in pericolo”
“E ammazzarla ti sembrava la soluzione migliore?” urlò girando la scrivania.
“Malachi mi ha promesso protezione fino a quando Ariel sarebbe stata al sicuro, ma quando sono arrivato qui, il Mossad mi aveva trovato. Nell’auricolare, Malachi mi diceva di scendere dall’auto e costituirmi, ma io non potevo… Dovevo salvarla. E così sapevo che avrebbe fatto di tutto per fermarmi. Poco prima mi sono buttato giù dall’auto con Ariel, ed è così che si è ferita. Mi dispiace”
“Non stava a te stabilire se Ariel era in pericolo o no!” Lo prese per il colletto e lo sbatté contro il muro “Ringrazia che io sia un’agente federale… O di te ora non ci sarebbe più nulla” e così dicendo lo lasciò andare, uscendo dalla sala.
 
“Ziva mi dispiace per Monique…”
“È tutto apposto, Tony… Sto bene” disse dirigendosi verso le macchinette e prendendo dell’acqua per calmarsi.
 
Poco dopo Tony la raggiunse con Ariel che camminava tenuta per le manine da Tony.
“Amore mio” esclamò la ragazza vedendo la bambina.
“Mamma” le corse incontro, incespicando, la bambina e lasciando le mani di Tony.
“Tra poco il giudice emanerà la sentenza, e Adam finirà dietro le sbarre”
“Non lo so Tony… Lui l’ha fatto per Ariel… Ma io non riesco a perdonarlo” si confidò, prendendo in braccio la bambina, che subito iniziò a giocare con i ricci della madre.
“Ti ha portato via tua figlia, e anche Monique… Nessuno lo perdonerebbe” la tranquillizzò
 
“Ciao Abby”
“Ehi McGee… Stavo risistemando i miei bambini… E tu come mai sei qui?” chiese senza distogliere lo sguardo dai suoi aggeggi stravaganti.
“Hai visto che bella bambina che è Ariel?” iniziò.
“Si… Oggi è stata con me per tutta la mattinata… Era così tenera, e poi ha degli occhi che parlano da soli” si eccitò subito.
“Già… Senti ma non ti sembra che assomigli molto più a Ziva che ad Adam?”
“Beh… È normale che alcuni bambini siano molto più simili ad uno solo dei genitori… Ma che ti frulla in quel cervellino?” iniziò a gesticolare.
“Okay… Probabilmente mi prenderai per pazzo, ma io pensavo che magari Ariel non sia proprio quello che sembra” provò a spiegarsi.
“McGee sii più chiaro”
“E se non fosse figlia di Adam, ma di…”
“Tony!” esclamò Abby.
“Si.. Esat… Oh ciao Tony… Ciao Ariel” si accorse che Tony era appena uscito dall’ascensore con la bambina sulle spalle.
“Ragazzi io e Ariel volevamo mostrarvi una cosa che abbiamo fatto” disse Tony facendo scendere Ariel che aveva in mano un disegno fatto da lei.
“Chi sono?” chiese Abby
“Siamo noi… Questa sei tu, e questo è Tim” spiegò la bambina indicando 2 ometti disegnati uno vicino all’altro “Questi sono Ducky e Jimmy, Vance e Ellie” continuò indicandone altri quattro dall’altro lato del foglio “E poi questo è Gibbs”
“E questi?” chiese McGee indicando altri tre ometti.
“Questi siamo io, la mamma e Tony”
“È bellissimo” esclamò la scienziata.
“E perché Tony è vestito da principe?”
“E te lo chiedi pivello?” scherzò Tony.
“Perché lui è il principe che salva la mia mamma nelle storie della buona notte” spiegò.
Proprio in quel momento Ziva, che era arrivata senza che nessuno se ne accorgesse, prese in braccio la sua bambina.
“È bellissimo amore, adesso lo appendo alla mia scrivania…” non pensando a  quello che aveva detto, si incupì. Lei non aveva più una scrivania.
 
Quella sera, Ziva stava addormentando Ariel fra le sue braccia, cullandola accanto alla finestra dello squadroom. Era ormai tardi, e alle scrivanie c’era solo Tony.
“Ormai dorme da un pezzo… Perché non ti siedi?”
“E dove? Isolata dietro quel muro?” chiese sarcastica, e con un velo di malinconia.
“Bishop non c’è” le fece notare.
Ziva lo guardò per un istante, prima di sedersi alla sua vecchia scrivania. Le era mancata, tornare a sedersi lì era una bella sensazione.
“Hai già pensato a cosa fare ora?” le chiese Tony, sperando che non avesse intenzione di tornare a Tel-Aviv.
“Israele è troppo pericoloso… Ed ho visto Ariel più serena oggi che in tutti gli altri giorni”
“Questo non significa che tu non sia una brava mamma… Vuol dire però che noi siamo una bella famiglia… Vera!”
“Devo trovare una casa il prima possibile… Ho intenzione di trasferirmi per sempre” quelle parole tranquillizzarono molto il ragazzo che tirò un sospiro di sollievo.
“Però devo trovare un uomo che sia disposto a farle da padrino… Un uomo di cui io e anche Ariel ci possiamo fidare… Non voglio che viva da sola, senza un padre… So cosa significa”
Tony ci rifletté un attimo, poi cambiò argomento.
“E con il lavoro come farai? Voglio dire…”
“Credo che accetterò la proposta del direttore, ma questo significa che probabilmente verrò spostata in un’altra squadra… Questo posto è già occupato” disse alzandosi, e tornando alla finestra.
 
Ellie, intanto, stava per andare a prendere le sue cose dalla scrivania per poi andare via, ma quelle parole la bloccarono. Si sentì in colpa, anche se di colpe non ne aveva. Voleva conquistare la fiducia di Ziva, e capiva che doveva fare qualcosa per lei. Si voltò, per andare nell’ufficio del direttore, ma trovò un ostacolo.
“Parsons”
“Non fare mosse troppo avventate… L’agente David è stata una brava agente, ma non credo farebbe lo stesso per te…”
“Infatti non deve… E non ho intenzione di fare azioni di cui potrei pentirmi…” gli rispose guardandolo negli occhi, alludendo chiaramente ad altro.
 
McGee intanto era in ascensore, diretto verso il laboratorio.
“Abby…”
“Ho un riscontro, McGee…”









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Ho aggiornato subito questa storia, perché devo dire che sta appassionando anche me! Allora, vi è piaciuta la scena TIVA nel nagno in aereo? A me tantissimo! Comunque, tra Tony ed Ariel si sta instaurando un rapporto speciale, e forse qualcuno ha dei dubbi... Ma non dico nulla! Riguardo il caso... Adam voleva comportarsi da èadre, ma non lo sa fare, e per di più ha ucciso Monique... Quanto mi odiate? Spero non troppo. Poi Ziva ha deciso di tornare ad essere un'agente ed Ellie ha intenzione di aiutarla... E poi cos'ha scoperto McGee? Beh, lo scopriremo nel prossimo capitolo.
Baci. Gaia.

 

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Capitolo 9
*** A NIGHT TO REMEMBER ***


“Ho un riscontro, McGee… Ariel è figlia di Tony!” esultò Abby al settimo cielo.
“Lo sapevo!” quasi urlò McGee correndo verso Abby e scoccandole un bacio sulla guancia.
“Grazie, scienza! Dovremmo dirlo a loro…” disse Abby.
“Abby… Ma secondo te…” iniziò McGee con uno sguardo malizioso.
“McGee io non fantastico sulle avventure dei miei amici!”
McGee rimase deluso.
“Io faccio dei calcoli! Allora Tel-Aviv non può essere… Dev’essere successo prima…” cominciò a ragionare la scienziata.
“Vorresti dire che magari mentre noi dormivamo comodi nei nostri letti, loro…”
“McGee, non ti facevo così… Curioso!” scherzò Abby.
“È che mi pare assurdo… Voglio dire… Ziva non l’avrebbe mai concesso a Tony… Specie quando voleva trovare Bodnar… Quando facevamo le ricerche di nascosto… A Berlino…”
“McGee! Berlino!” esclamò Abby.
“Berlino! Erano da soli… In un hotel…”
“E nello stesso letto!” puntualizzò Abby maliziosa.
 
Ellie era dietro la porta dell’ufficio del direttore. Fece un profondo respiro ed entrò. Dentro c’erano Vance e Gibbs che discutevano, e si bloccarono appena videro la ragazza.
“Agente Bishop?” chiese il direttore un po’ infastidito da quel comportamento.
“Direttore ho bisogno di parlarle…”
“Prego”
Ellie guardò Gibbs e iniziò a parlare.
“Riguarda l’agente David… Credo abbia intenzione di tornare in squadra, ma io sono… d’intralcio”
Gibbs osservava la scena da dietro, un po’ sorpreso da quelle parole.
“Agente Bishop, non avrà mica intenzione…” disse Vance.
“Questo è il distintivo” disse togliendoselo.
“Mi dispiace, ma non lo accetto!”
“Ma direttore… Per favore!”
“Assolutamente no!”
“Ma perché?”
“Perché non voglio che poi lei torni qui a pentirsi di ciò che ha fatto! Lei è molto utile alla squadra, e come l’agente David ha delle doti che lei non ha, così lei possiede delle capacità che l’agente David non possiede”
“Non lo voglio fare perché credo di non essere abbastanza, ma perché credo che Ziva ne abbia bisogno”
“Ne riparleremo, ma la risposta sarà certamente negativa… Ed ora la prego di uscire…”
Ellie ubbidì, e Gibbs la seguì.
“Bishop?”
“Gibbs… Voglio creare un rapporto di amicizia con Ziva, ma come può lei accettarmi se io le ho rubato il posto?”
“Tu non hai rubato il posto a nessuno… E non è così che conquisterai la sua fiducia!”
 
Quella sera, Tony aveva lasciato Ziva a casa, ed era passato da Zoe.
“Ma ti sembra normale che non so dove tu sia, non ti fai sentire, e non sapevo nemmeno che ospitassi una donna a casa tua?”
“Zoe, ascolta…”
“E magari dorme anche nel tuo stesso letto!”
Tony fece uno sguardo colpevole.
“Dorme nel tuo stesso letto?” urlò isterica Zoe.
“Zoe, prova a capire, lei è mia amica e non ha un posto dove andare…”
“Lei ti aveva lasciato nella disperazione, e sono stata io, io, a tirarti su, ad essere la spalla su cui piangevi per lei!”
“Zoe… Ha una bambina… Si chiama Ariel”
“Ci manca solo che tu le faccia da padre!” esclamò lei sarcastica e alterata.
“Ecco io…”
“No… Questo è troppo!”
“Ascolta Zoe… Ha bisogno di un padrino, e la piccola si è legata a me, e…”
“E tu sei un tenerone…” si calmò lei, prendendolo per la cravatta e baciandolo.
“Che posso farci…” rispose con un sorriso alla DiNozzo.
“Promettimi che però tra te e… Ziva… non ci sarà mai nulla”
Una strana sensazione trafisse il cuore di Tony… Come poteva prometterle una cosa del genere se la sera prima aveva provato a baciarla nel bagno dell’aereo?
“Tu sei la mia ragazza… Io ti amo!” disse baciandola a sua volta.
 
La mattina dopo Tony e Ziva arrivarono insieme all’NCIS, con la differenza che Ziva era partita mezz’ora prima ed era andata a piedi con la bambina un po’ in braccio, un po’ per mano. Tony la raggiunse in ascensore.
L’aveva seguita durante tutto il tragitto, notando che era molto più snella di come la ricordava, e più… Elegante.
“Buongiorno principesse”
“Ciao Tony” Esultò la bambina appena lo vide.
“Hey sirenetta” disse accarezzandole il pancino.
Entrarono nello squadroom, e McGee li attendeva con ansia per dare loro la grande notizia, anche se non sapeva ancora come l’avrebbero presa… Lui però era davvero contento. Nel suo inconscio, aveva sempre sperato che tra i suoi colleghi ci fosse qualcosa, ma ora Tony aveva un rapporto serio…
 
Erano passati pochi minuti, e sia Bishop che Gibbs non erano ancora arrivati.
Tony andò in bagno, e McGee decise di seguirlo.
“Tony… Non te l’ho mai chiesto… Ma come va con Ziva? Voglio dire, voi avevate un rapporto speciale” disse, immaginando dentro di se quanto fosse speciale, ma senza accennarci.
“McCuriosone, che ti prende?”
“È che da quando è arrivata Ziva, da quando avete fatto… Pace… Non hai più chiamato Zoe, né risposto a tutte le sue chiamate!”
“Cosa intendi dire? Credi forse che io non la ami più solo perché è tornata una mia… Amica?”
Entrambi sapevano benissimo che Ziva non era solo un’amica, ma lasciarono perdere.
McGee conosceva Tony, e sapeva che quando si arrabbiava in quel modo, era per nascondere la verità a se stesso… Era convinto che nel profondo provasse ancora qualcosa per Ziva.
“Lo sai che con me puoi parlare…”
“Non c’è nulla di cui parlare!” chiuse la conversazione il ragazzo, tornando nello squadroom.
 
Erano passate alcune ore senza che i tre agenti avessero un caso su cui lavorare. Gibbs ed Ellie non si erano fatti vedere e Ziva, non volendo isolarsi dietro quel muro, si sedette alla scrivania di Bishop. Vedeva Tony fremere, ma non ne capiva il motivo, e McGee aveva uno sguardo malizioso, con un sorrisetto che un po’ la incuriosiva.
“McGee… Ci devi dire qualcosa?” chiese prendendo in braccio la bambina che giocava con un sonaglio.
Oh si che aveva qualcosa da dire… Ma non era ancora il momento.
“Si tratta di Delilah?” chiese malizioso Tony.
“Tony, se alcuni giorni sono più allegro di altri, non vuol dire che…”
“E com’è questa Delilah?” chiese Ziva incuriosita.
“Oh, ti posso assicurare che McGee è un uomo davvero fortunato…” rispose Tony.
“E tu come… Come lo sai?” chiese gesticolando.
“Ho risposto ad una videochiamata a cui non avrei dovuto rispondere…” rispose pentito.
“Già… Non avresti dovuto!”
“Vogliamo ricominciare, pivello?” lo zittì. Poi aggiunse “Ziva ti devo parlare…”
E mentre McGee teste l’orecchio incuriosito, Tony si avvicinò alla scrivania della collega “Hai detto di aver bisogno di un padrino per Ariel… Un uomo di cui lei si possa fidare” iniziò, prendendo la manina della piccola che stringeva il suo dito. “E anche tu…” continuò.
“Tony sarebbe meraviglioso! Grazie… Sei la persona a cui Ariel si è legata di più, e credo sia la soluzione migliore… Ma con Zoe?” chiese Ziva.
McGee, contento del clima che si era creato, e non volendo che si incupisse per Zoe, fermò lì la conversazione.
“Em… Ragazzi… Io ed Abby dobbiamo mostrarvi una cosa…”
“Cosa McGee?” chiese Ziva.
“Vedrete…”
 
Erano davanti alla porta della sala videoconferenze, raggiunti da Abby.
“Ariel vieni qui” la chiamò la scienziata.
“Abby… Che sta succedendo?” chiese Ziva preoccupata.
Abby aveva un sorriso stampato in volto, ma non disse nulla.
McGee li fece entrare a sedere, e fece uscire tutti gli agenti presenti.
Volevano lasciare loro un momento di intimità… Ma la curiosità era troppa, e corsero nel laboratorio di Abby, seguendo tutto ciò che accadeva dal suo computer.
 
“Sembra di essere in un film… Ma sono così agitato che non mi viene il nome…” disse Tony molto ansioso.
“Allora c’è da preoccuparsi seriamente!” rise lei.
Un video partì sullo schermo, e subito il cuore dei due agenti prese a battere molto più veloce del normale.
Sullo schermo era comparsa una scritta su uno sfondo nero qualcuno a volte tralascia dei particolari… Ma noi vi conosciamo, siamo una famiglia, e sappiamo tutto di voi… TUTTO.
Tony e Ziva si guardarono, mai immaginando dove volevano arrivare i loro amici.
Comparì un video che avevano registrato tanti anni prima, dalle telecamere di sicurezza. Era il periodo in cui Ziva era appena arrivata, e forse era alla sua prima indagine. Ziva aveva dato un morso al panino di Tony e i due avevano iniziato a battibeccarsi. Poi ne comparve un altro, in cui Tony e Ziva stavano sbirciando dall’iPod di McGee, e avevano cambiato subito discorso quando Gibbs era arrivato. Una scritta comparve Questa me la segno, Tony!
Tanti video del genere comparivano sullo schermo, dal primo all’ultimo giorno in cui erano stati insieme. Trovarono momenti in cui Tony era creduto morto e Ziva era preoccupata, momenti in cui Ziva era tornata in Israele dopo la morte di Rivkin, e Tony non faceva che pensarci. Finché non arrivarono alla morte di Eli David.
I due agenti seduti a guardare, rapiti dai video e dalle scritte che comparivano, non si erano accorti di avere le loro mani una sopra l’altra, e di stringersele a vicenda. D’un tratto la musica cambiò. Un Tony davvero molto triste, che nessuno conosceva, entrava nello squadroom, senza saperne realmente il perché. Tanti video del genere si susseguirono, e Ziva guardò il ragazzo che intanto aveva appoggiato il gomito sul bracciolo della sedia e con una mano si strofinava gli occhi, mentre con l’altra continuava a stringere più forte quella di Ziva.
“Non me ne vado più… Ho sbagliato…” sussurrò Ziva, mentre Abby si commuoveva guardando la scena dal computer insieme a McGee.
 
“Va tutto bene… Davvero” mentì Tony, mentre si martoriava le labbra con i denti, e trattenendo le lacrime al pensiero di quanto era successo.
Ziva rimase a guardarlo ma non disse nulla. Sapeva che quella era ancora una ferita aperta, e ci sarebbe voluto qualcosa di quasi impossibile per rimarginarla.
Il video continuava con momenti come questi, finché una musica più leggera incalzò. Nel video era presente di nuovo Ziva, ed il momento in cui rivide Tony. Poi l’arrivo di Ariel, ed il bellissimo rapporto che si era creato, quasi come Tony ne fosse il padre.
Poi una frase E se vi dicessimo che le coincidenze non esistono?
Tony e Ziva si guardarono negli occhi. Un flash balzò nelle loro menti, e li colpì al cuore. No… Non era possibile… E poi loro come avrebbero fatto a scoprire di…
BERLINO
Quella parola che comparve sullo schermo, li fece sussultare entrambi. Nessuno dei due pensò all’incidente, e nemmeno al ballo o a Bodnar…
Rimase fissa sullo schermo per diversi minuti. Idea di Abby… Voleva che le loro menti tornassero a quella notte che lei aveva già immaginato.
Ed infatti così fu. Si guardarono negli occhi. Per tutto il tempo. Entrambi rivivevano ogni singolo istante di quella sera…
 
Berlino, 2012, 19:30
“Davvero stai appendendo i miei vestiti, occhioni belli?”
“Questo è davvero divertente”
“Cosa?”
“Tu non pensi che ricordi come mi hai chiamato, mon petit pois?”
“Ah… Guardati… Questo lo prova… Ho sempre pensato che tu fossi quel tipo…”
“Sono molte cose… Che intendi?”
“Sei il tipo a cui piace appendere i vestiti del suo uomo, per la notte…”
“Quando io ho un uomo, i favori che offro hanno poco a che fare con i vestiti”
Tony la guardò con sospetto “Buono a sapersi. Dai vieni qui, dovresti dormire un po’”
Ziva si stese accanto a Tony nel letto, iniziando a guardarlo.
“L’altra sera sull’aereo, stavi pensando a tuo padre… A che cosa?”
“Tante cose…”
Lui la guardò negli occhi.
“Stanotte prenderemo Bodnar…”
“Lo so!”
Tony continuò a guardarla con un sguardo penetrante, come non aveva mai fatto. Entrambi si resero conto che c’era qualcosa di diverso nell’aria.
Si misero seduti sul letto, e Tony le prese una mano.
“Andrà tutto bene”
Ecco le parole di cui Ziva aveva bisogno. Sentirsi dire che non era sola, e che qualunque cosa fosse accaduta, avrebbe sempre avuto una spalla.
La sua mano salì lungo il braccio della ragazza, lentamente, fino a posarsi sulle sue guance.
Ziva chiuse gli occhi lasciandosi andare a quella carezza che celava in sé un significato così grande che non riuscivano nemmeno a descrivere.
D’un tratto Ziva aprì gli occhi, il respiro divenne irregolare, e il battito aumentò.
Tony era molto più vicino, e quella sensazione che qualcosa che avrebbe cambiato la sua vita stava per succedere, divenne più limpida.
Tony non riusciva più a ragionare, sentiva che doveva liberarsi di qualcosa che teneva dentro da tempo. La mente gli diceva di aspettare ancora, ma il suo cuore aveva ormai preso il sopravvento. Si guardarono negli occhi. Occhi tremanti, colmi di desiderio e nel contempo di insicurezza.
I loro volti erano sempre più vicini, e dopo un momento di esitazione, anche Ziva sembrava avvicinarsi a lui.
Continuavano ad accorciare la distanza tra loro, infinitesimale, ormai, ma che sembrava enorme.
Finalmente Tony appoggiò le sue labbra su quelle di Ziva, ed iniziò a baciarla con passione. Un bacio che aveva sognato da sempre, forse anche da prima di conoscerla, e che vedeva realizzarsi solo ora.
Con il cuore che agiva al posto del cervello si trovò a spogliarlo della sua maglietta, con un impeto mai provato prima.
Appoggiò le mani sul suo petto nudo, un tocco leggero e delicato, che fece rabbrividire Tony. Lui fece la stessa cosa con lei, senza mai smettere di baciarla. Era inverno, faceva freddo, ma le loro emozioni erano più forti della temperatura, e non avevano intenzione di fermarsi lì.
Dopo averlo guardato profondamente negli occhi, Ziva fece scendere le mani sul corpo del ragazzo con ardore, fino ad arrivare alla cintura.
Tony, preso da un impeto di desiderio, fu più veloce di lei, e la liberò dei pantaloni, lasciando scoperte le sue gambe toniche che sognava da tempo.
Si alzò in piedi prendendola in braccio, e lasciando che le sue gambe gli cingessero la vita.
Col cuore che le martellava nel petto, si mise le mani sul bordo della maglietta, e se la sfilò da sopra la testa.
Tony iniziò a baciarle la spalla, risalendo lentamente verso il collo. Ziva piegò la testa di lato, e poi all’indietro, lasciando che il ragazzo le baciasse la gola, arrivando poi, finalmente alle labbra.
Si stesero sul letto, e Ziva, rapida, gli sbottonò i pantaloni, tirandoli via. Gli si stese sopra lentamente, facendo già vagare la mente del ragazzo, che da quel momento, iniziò a toccarla in modo febbrile tra i capelli e sul corpo. Mentre le loro pelli nude scivolavano l’una sull’altra, Ziva si rese davvero conto che tra di loro non c’era nient’altro che l’intimo a separarli. Una piccola parte di lei si chiedeva quanto in là volevano spingersi, ma il resto gridava a quest’ultima di stare zitta. Voleva continuare a toccarlo e baciarlo, voleva che lui la stringesse a sé, e che finalmente potessero diventare una cosa sola.
Le dita di Tony trovarono il gancetto del reggiseno, e lei si irrigidì. Gli occhi di Tony erano grandi e luminosi, che la tranquillizzavano con un sorriso adorante, ma vedendo la tensione della ragazza si fermò. La desiderava con tutto se stesso, ma non voleva coglierla in un momento di debolezza, voleva che lei lo volesse veramente.
“Ziva… Sei sicura?” le sussurrò all’orecchio.
Si, per una volta era convinta di lasciarsi andare ai sentimenti, di non dover essere sempre quel robot che la separava dalla sua vera fiamma, e senza rispondere, annuì e tornò a baciarlo con furore. Respirava sempre più in fretta. Non era certo la prima volta per lei, forse però era la prima volta che si sentiva sopraffatta da desiderio, passione e soprattutto amore vero.
Si rivoltarono nel letto, togliendosi anche gli ultimi indumenti che li separavano. Tony iniziò a baciarle il basso ventre, risalendo piano, e scoprendo, con stupore, per la prima volta un paio di cicatrici su tutto il corpo della ragazza. Sembravano vecchie, e probabilmente, capiva, erano il risultato di 4 mesi in Somalia. Ziva non le aveva mai mostrate, se ne vergognava, ormai erano segni che marchiavano il suo passato, e che se anche fosse riuscita a dimenticarlo, l’avrebbero sempre riportata in quell’inferno. Tony vide il suo sguardo spegnersi. Una sembrava molto profonda, posizionata esattamente dove la stava per baciare, sulla parte più bassa del ventre. Non volle pensare a quello che evidentemente le avevano fatto, alle mani di quel lurido maiale che la toccavano in posti intimi. Vi appoggiò delicatamente le labbra sopra, ma un gemito sfuggì alla ragazza, seguito da contrazioni dell’addome e respiri irregolari, che il ricordo di quel dolore le provocava. Tony capì che nonostante fossero passati anni, la Somalia era ancora un vivido ricordo ella sua mente, e decise di tornare al suo viso. Non era convinto dei desideri di Ziva, e chiese ancora una volta “Ziva…”
“Va tutto bene, Tony” lo tranquillizzò lei. Così, fra sguardi fugaci, parole sommesse, baci appassionati, gridolini acuti, e unghie che si aggrappavano con forza, i loro desideri vennero soddisfatti, con grande piacere.
Fecero l’amore per ore, e alla fine si ritrovarono abbracciati sul letto, felici di quello che avevano fatto. Una serata che non avrebbero mai dimenticato.
Ziva era stesa a pancia in giù sul letto, con la schiena nuda coperta per metà da un lenzuolo bianco. Tony era steso accanto, appoggiato su un gomito, che le accarezzava la spalla, sussurrandole tenere parole. Ziva si girò, e gli diede un bacio, questa volta più con amore che con desiderio. L’uomo che aveva sempre sognato, ora era lì, pronto a non lasciarla mai sola, e rimanerle accanto in eterno, per proteggerla.
Si stese sul suo petto, iniziando a disegnare cerchi immaginari con le dita, sulla sua pelle, mentre Tony continuava a guardarla con gli occhi colmi d’amore, accarezzandole il capo.
“Tony…” lo guardò negli occhi.
“Ti amo, Ziva” la fermò, con i suoi occhi penetranti.
“Anche io…”
 
 WASHINGTON, 2015, 11:00
Continuarono a guardarsi negli occhi, proprio come quella sera, con sguardi sagaci.
“Visto Tim? Te l’ho detto che avevano bisogno di quei minuti per… Ricordare...” fece notare maliziosa Abby.
Le loro mani si stringevano sempre più forte, come a ripercorrere ogni attimo di quella serata, finché sullo schermo comparve una nuova scritta Tanti auguri, genitori di Ariel.
Ecco che quello che Ziva temeva fosse lo scopo di quel video, divenne reale, tangibile. Ariel non era frutto di una notte di errori e debolezze, al contrario era il fiore di quell’unica notte della quale Ziva non si sarebbe mai pentita. Una ragione in più per non farlo mai.
 
Tony divenne pallido, ed in un attimo realizzò che la sua vita aveva appena preso una svolta. Era diventato padre, un padre vero e proprio.
Era questo il momento che McGee ed Abby temevano di più. Il rifiuto.
“DiNozzo!!” un urlo riecheggiò per tutto il laboratorio della scienziata. Gibbs ed Ellie avevano assistito a tutto, ed ora erano ancora più spaventati. Forse non avrebbero dovuto dire nulla. Ma perché privarli di una simile gioia? Infondo Ariel era tutto tranne che qualcosa di cui pentirsi.
Ariel iniziò a ridere senza motivo, e tutti e quattro si ricordarono che era ancora lì con loro.
“Ehi Ariel… Mamma ti deve dire una cosa importante… aspettiamo un po’ e andiamo, va bene?”
“Si! Voglio la mamma” esultò.
 
Sconvolti da quella notizia, continuavano a fissarsi, senza riuscire a parlarsi.
“Tony io…” provò a giustificarsi Ziva.
“Il pivello ci ha visto lungo…” la fermò lui sarcastico. Provava una strana sensazione dentro di sé. Proprio ora che i rapporti tra lui e Ziva si erano chiariti, si presentava una nuova sorpresa. Non l’aveva presa male, ma ad ogni modo era sconvolto. Non ci aveva mai pensato.
“Scusami…” Disse allontanandosi e lasciandola sola nella sala conferenze, diretto verso il bagno.
Si sentiva in colpa per non aver mai pensato a quella possibilità, ma d’ altronde i calcoli erano quelli. Non poteva certo partorire al settimo mese, e il test di gravidanza parlava chiaro. A differenza, a quanto pare, del test del DNA, che certamente avrà fatto Abby.
Non riusciva più a respirare, presa dall’agitazione. Doveva calmarsi, ma sentiva le lacrime scendere a fiotti dal suo viso, e non riusciva a fermarle.
Abby, Gibbs, McGee ed Ellie volevano poter fare qualcosa, ma quella era una questione personale, intima, e capivano, che nonostante l’indole del loro capo, dovevano tenersi fuori.
D’un tratto videro Ziva correre via, salirono immediatamente nello squadroom, facendo in tempo a vederla correre giù verso l’obitorio tra le lacrime.
 
 Aveva un sospetto, e l’unico che potesse decretarne la veridicità era Ducky.









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti... Sinceramente non so proprio cosa pensare di questo capitolo... E soprattutto non so cosa ne pensiate voi... Ho sempre cercato di evitare scene del genere... Ma questa volta... Per scriverlo, insieme ad una mia amica, abbiamo cercato in vari libri, e qesto è il risultato... Spero che però, vi sia piaciuto lo stesso... E soprattutto, spero che l'idea di Ariel figlia di Tony, vi interessi. COmunque, nel prossimo capitolo, vedremo quali sono i sosptetti di Ziva, come la prenderà Tony, e soprattutto Ariel! E vedremo anche la reazione dei colleghi e di Zoe.
Volevo farvi notare un particolare, e mettervi della curiosità... Ziva e dimagrita, e sembra più elegante... Che vi sia qualcosa sotto? Okay, non dico più nulla! A presto...
Baci. Gaia.

 

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Capitolo 10
*** MARCHIATA A VITA ***


Abby aveva già dato la notizia che Tony era un padre, a Ducky, e lui era davvero contento di saperlo. Tutti lo erano. Ciò significava che Ariel aveva finalmente una figura paterna, ma soprattutto che Tony e Ziva, in passato, avevano aperto i loro cuori.
Aveva appena mandato Palmer in pausa, quando le porte dell’obitorio si spalancarono, e Ziva comparve in lacrime e tremante.
“Mia cara, che succede?” le chiese preoccupato, prendendola per le spalle e facendola sedere su uno dei tavoli da lavoro di Ducky.
Ziva non riusciva a parlare, e sopprimeva singhiozzi.
“Ziva… Perché piangi?” continuò a domandarle.
Ziva sentiva un dolore allo stomaco, causato dalla troppa agitazione, e ringraziava di non aver fatto colazione quella mattina, o avrebbe rimesso tutto.
 
Gibbs, insieme al resto della squadra, aveva visto Ziva correre verso la sala autopsie, e stava per correrle dietro, quando capì che probabilmente era il caso di aspettare.
Mandò McGee nel bagno degli uomini, per parlare con Tony.
“Pivello non si fanno di questi scherzi!” disse appena lo vide entrare dallo specchio.
“Non è uno scherzo, Tony. Ariel è tua figlia, ed ora devi assumerti le tue responsabilità” gli rispose serio.
“Credi che non lo sappia? E poi avevo già deciso di farle da padrino. È la stessa cosa no?” rispose.
“No che non lo è! Perché quella bambina, è sangue del tuo sangue, e so bene che è già diventata quanto di più importante tu abbia al mondo”
Tony tornò a guardare nello specchio.
“Non c’è motivo di agitarsi o arrabbiarsi per questo” continuò McGee.
“Sapevo cosa facevo quella sera, ma non avrei mai immaginato… Questo!”
“Ma è accaduto, e non puoi farci niente, se non prenderne atto, e affrontare tutto alla DiNozzo maniera” provò a rassicurarlo.
“Ma perché non me l’ha detto? Perché non mi ha detto che stava aspettando un bambino? Anche se non credeva fosse mio, me l’avrebbe dovuto dire”
“E come avrebbe fatto a dirti che stava per avere un bambino da un altro uomo, dopo che voi due… Vabbè hai capito… Se ti ha mandato via, se ti ha respinto, è stato per non farti soffrire di più”
Lo sguardo di Tony cambiò di punto in bianco, diventando più cupo, e quasi spaventando McGee.
“Lei lo sapeva!” sbraitò “L’ha sempre saputo!”
“No non lo sapeva!” lo fermò subito McGee.
“E tu cosa ne sai?”
“Perché quando sei salito qui, facendo il bambino, senza dirle che avreste superato insieme la cosa, come fa un uomo, Ziva è corsa giù, da Ducky tra le lacrime. È terrorizzata, e là fuori si sta scatenando il panico perché nessuno sa cosa le sia preso!” gli urlò in faccia, mentre Tony spalancava gli occhi e correva fuori.
 
Appena uscì fuori, vide tutti i suoi colleghi in ansia, non sapendo cosa stesse succedendo nell’obitorio. Avevano richiamato anche Palmer, per lasciarle un momento da sola con Ducky per sfogarsi. Anche se non era ben chiaro, ancora, di che cosa. Tony iniziò a correre verso l’obitorio, sentendo un bisogno naturale, l’emergenza di aiutare Ziva, ma venne fermato da Gibbs, che nonostante avrebbe voluto fargli vedere le stelline con uno dei suoi scappellotti per quanto accaduto a Berlino, capiva che probabilmente c’erano problemi più gravi.
“DiNozzo fermati! Ha bisogno di intimità con un medico, e  di là c’è tua figlia che piange per tutta questa tensione. Inizia a fare il padre!”
Tony intravide Ariel che piangeva fra le braccia di Abby, e dopo uno sguardo confortante da parte del suo capo, andò a prenderla.
“Vieni qui sirenetta”
Ariel gli saltò subito al collo, stringendo forte, con quelle manine, la sua camicia. Era una strana sensazione quella che provava. Si sentiva finalmente l’ancora di qualcuno, e quel qualcuno era sua figlia, la sua bambina.
“Perché la mamma stava piangendo? Voglio andare dalla mamma” continuava a piangere.
“Va tutto bene, sirenetta. È andata a parlare con Ducky, e quando finirà, tornerà ad abbracciarti” provò a tranquillizzarla.
L’intera squadra che si era quindi radunata nello squadroom, spostò l’attenzione da Ziva a Tony che per la prima volta si comportava da padre.
 
In obitorio, intanto, Ducky era riuscito a calmare Ziva, anche se con grandi difficoltà. Era la prima volta che la vedeva così, non l’aveva mai vista piangere in quel modo. Non era nel suo carattere. Iniziò a pensare che sotto ci fosse qualcosa di più del non aver capito subito che Ariel fosse figlia di Tony.
Erano entrambi seduti su una sedia, e si guardavano negli occhi.
“Ziva, mia cara… Ora vuoi dirmi cos’hai?” chiese il medico in tono dolce, quasi da nonno.
In realtà, non era corsa da Ducky solo per avere delle conferme di quanto sospettava, ma anche e soprattutto perché lui è sempre stato il nonno della situazione per lei, e ogni volta lui riusciva a capire le sue emozioni, e ad aiutarla come meglio poteva. Avevano un rapporto speciale, che nonostante gli anni trascorsi, era rimasto lo stesso.
“Ducky… Io… Ariel, non può essere figlia di Tony…” provo a dire fra varie pause.
“Perché no, mia cara?” la incoraggiò a parlare lui.
“Perché se così fosse, il test di gravidanza, avrebbe sbagliato il numero di settimane, e io avrei partorito al settimo mese”
Ducky rimase molto perplesso. I bambini potevano nascere prematuri, ma non di due mesi. Ma, ad ogni modo, non capiva tutta quell’agitazione.
“Hai qualche idea di come possa essere possibile?”
Fu quella domanda a scioglierla. Oh, si che aveva delle idee… Ne era quasi certa. E solo a pensarci le si gelava il sangue, e iniziava a tremare.
“Cosa c’è che non va, Ziva… Con me puoi parlare, lo sai” le infuse coraggio.
Alzò lo sguardo lentamente, e quasi con aria colpevole, disse in un sussurro
“Si tratta… Della Somalia”
Quelle parole furono un colpo dritto al cuore per Ducky. Sapeva che Ziva non aveva mai parlato di quello che era successo,  e non l’aveva mai forzata a farlo. Ma non avrebbe mai immaginato che i demoni di quella prigionia avessero continuato a tormentarla in tutti questi anni.
Le prese le mani.
“Ziva, non so cosa sia successo laggiù, e non pretendo che tu me lo racconti, ma devi dirmi perché credi che c’entri la Somalia, o io non potrò aiutarti” disse con il tono più dolce che potesse avere.
“Quando ero lì, mi fecero subire tante torture, ma ogni volta, non volevo cedere… Poi però sono arrivati a quel cosiddetto punto di non ritorno… Mi hanno svuotata della mia essenza, e so che gli anni passano, ma io non sarò più la stessa, mai più” disse mentre cercava di scacciare le immagini di quel periodo che con voracità si insinuavano nella sua mente.
“Ziva… Ma stai dicendo che…” il dottore quasi non poté credere alle sue parole. Aveva immaginato quello che poteva essere successo, ma no fino a quel punto “Ziva ma… Tu sei stata violentata?” chiese con il cuore in pezzi pensando a quello che aveva subito. La sua piccola Ziva… Ora la vedeva così fragile e indifesa. Stringeva gli occhi, ed una lacrima cadde sul pavimento, mentre lei cercava di reprimere quei ricordi, e quel dolore che celava dentro di sé.
“Mia Ziva…” si alzò dalla sedia e le abbracciò il capo, mentre lei stringeva forte la camicia del medico.
Stava per chiedere perché non ne avesse mai parlato, ma capiva che era inutile.
Passò molto tempo a consolarla, farla piangere e sfogare, perché sapeva che le avrebbe fatto bene.
 
Erano trascorse quasi due ore da quando Ziva era corsa nell’obitorio. Tony aveva addormentato Ariel, e Gibbs preoccupato, non volendo interrompere un momento in cui magari Ziva si stava finalmente aprendo, provò a chiamare al telefono, ma la chiamata venne rifiutata.
Erano ancora tutti nello squadroom, e Bishop non sapeva cosa fare per essere utile. Non conosceva Ziva, ma si sentiva in dovere di aiutarla… Solo, non sapeva come.
“Capo, io scendo a vedere che succede!”
“Fermo DiNozzo!” lo fulminò con lo sguardo “Salirà appena sarà pronta, o Ducky ci chiamerà”.
Mentre Gibbs parlava con Tony, Ellie si alzò.
“Dove vai Bishop?”
“Devo parlare col direttore…” rispose senza ascoltare quello che le venne detto, e dirigendosi verso l’ufficio.
Abby e McGee, intanto, iniziavano a  sentirsi in colpa. Qualunque cosa fosse successa, era dovuta al loro video.
“McGee, Abby… Non vi preoccupate…” mentre tentava di rassicurarli, le porte dell’ascensore si aprirono. Tutti si alzarono, per vedere finalmente cosa fosse successo, ma dall’ascensore uscì solo Parsons.
“Da dove stai vendendo?” chiese Gibbs.
“Dall’obitorio…”
Tutti rimasero spiazzati.
“Ma era chiuso per delle analisi a rischio contaminazione, e sono tornato su” rispose tranquillo.
“Palmer perché non sei con il dottor Mallard?” chiese.
“L’obitorio è chiuso per delle analisi a rischio di contaminazione?” chiese Tony stupito e preoccupato, e cercando subito lo sguardo di McGee, che aveva capito di cosa stesse parlando.
“Gibbs e se…” Abby era terrorizzata per lo stesso motivo.
“No Abby… C’è Ziva lì dentro. Avrebbe trovato il modo di avvisarci…” Gibbs provò a tranquillizzare sia i suoi agenti, che se stesso.
“Ma che sta succedendo?” chiese Parsons confuso.
“L’agente David è lì dentro da due ore!” rispose Tony alterato e nervoso.
“E l’ultima volta che Ducky ha blindato la sala delle autopsie senza avvisare… Un terrorista era lì dentro!” concluse McGee.
“Se non ci avvisano entro un’ora, andremo a vedere cosa succede” disse alla fine Gibbs.
 
 
Era trascorso diverso tempo in cui Ducky aveva ottenuto delle informazioni su quello che era successo in Somalia circa 6 anni prima e sulla brutalità di come quelle bestie avevano abusato del corpo martoriato di Ziva. Si stava finalmente aprendo con lui, e Ducky sapeva che se qualcuno o qualcosa li avesse interrotti, non ne avrebbe parlato mai più. Così decise di blindare l’obitorio per il tempo necessario, anche se già immaginava la reazione che avrebbero avuto i colleghi. Non poté però avvisarli, perché certamente a Ziva nona avrebbe fatto piacere sapere quello che tanti anni prima era accaduto per mano di suo fratello, e certamente anche quello l’avrebbe frenata nell’aprirsi su quegli argomenti.
Poi un lampo gli attraversò la mente, e giunse ad una conclusione che collegava quella vicenda con il precoce parto della ragazza.
“Ziva… Forse hai ragione… Ma devo farti un prelievo. Hai mangiato nulla?” Ziva fece cenno di no con la testa e Ducky procedette.
Dovettero aspettare un po’ di tempo prima che le analisi furono pronte, e Ziva continuava a trattenere le lacrime e i singhiozzi. Ripensare a quei mesi la distruggeva letteralmente. Ogni volta.
Quando le analisi furono pronte, come Ducky immaginava, la presenza di enzimi nel suo sangue era molto superiore alla media.
Per confermare la sua teoria, però, aveva bisogno di controllare un ultimo particolare.
“Ziva, ascolta. So che non ti sentiresti a tuo agio, ma devo controllare tutte le ferite più profonde ad opera di Saleem… Perché se è quello che temo, potrebbero esserci dei… Pericoli” Non voleva spaventarla, non in quel momento, ma era necessario che lei mettesse da parte la vergogna di mostrare il suo corpo ancora marchiato di quella prigionia, per poter procedere con la diagnosi.
 
Solo tre uomini avevano visto il risultato di quel periodo: Ray, Adam e Tony. Due su tre l’avevano in qualche modo tradita. Eppure solo Tony si era veramente accorto di quelle ferite, ma non aveva mai fatto domande.
Non voleva che Ducky potesse vedere, non voleva che potesse sembrargli debole, ma ormai lui la conosceva bene, ed era l’unico al quale aveva raccontato quasi tutto della Somalia.
Così Ducky ebbe modo di analizzarle, ma non trovò quello che cercava.
“Ziva, sei sicura che non ce ne siano più?”
la ragazza aveva nascosto una ferita, della quale si vergognava più di tutte, e che non voleva dover vedere nemmeno lei. Quella ferita era il segno di tutta la violenza che le era stata inflitta, e non voleva che qualcuno la toccasse. Poi però vide la preoccupazione negli occhi del medico e si decise a mostrarla.
Era proprio quello che stava cercando. Una profonda ferita sulla parte più bassa del ventre, frutto di un insieme di coltellate sullo stesso punto. Non osò immaginare il dolore che provava la ragazza ogni volta che una nuova stilettata le riapriva quella ferita.
Poi con delicatezza le fece una domanda.
“Mia cara, devo farti una domanda molto personale… Tu sei sterile… Vero?” Ziva annuì, e stava per rispondere, quando udirono dei forti colpi alla porta.
 Ducky chiese a Ziva di rimanere dov’era, e andò a controllare. Tony cercava di entrare con forza, ma ancora non era il momento.
“Anthony, ascolta… Va tutto bene… Dì agli altri di stare tranquilli, ma adesso ho bisogno di tempo…”
Tony era davvero preoccupato, ma capì che doveva andare via, per il bene di Ziva, e tornò dal resto della squadra a tranquillizzarli.
Ziva intanto, non si era resa conto del tempo che era passato, e sentendo il nome di Tony, volle subito tornare dalla sua bambina.
“Ziva aspetta… Se te ne vai ora, non tornerai più qui per parlarne, lo so, ti conosco”
“Ducky sono passate già tre ore, gli altri saranno in pensiero”
“No, Tony li sta avvisando. Adesso tu mi devi ascoltare bene. È una cosa che non ti piacerà, ma la devi sapere”
Fece sedere Ziva, e provò a spiegarle nel più dolce dei modi, quello che doveva sapere.
“Vedi Ziva, quando un terrorista ha a disposizione il corpo di una donna, uno degli scopi principali, è il piacere carnale… Spesso, però, così facendo, si va incontro ad una gravidanza…”
La ragazza si sentì improvvisamente priva di forze, e sentire quelle parole le faceva male allo stomaco. Ducky le stava confermando quello che lei temeva.
“Per questo, mia cara, sono convinto che ogni volta che Saleem… O chi per lui… Abusava di te, ti infliggeva delle profonde coltellate sempre nello stesso punto. Proprio dove mi hai mostrato la cicatrice”
Ed effettivamente era così, ma Ziva non disse nulla.
“Questo, procura la perdita degli ovuli, e rallenta sempre di più la meiosi dei gameti. In realtà, Ziva, tu non sei sterile, ma… Molto difficilmente andrai incontro a gravidanze, e Ariel, si può definire quasi un miracolo” le spiegò il dottore.
La ragazza non sapeva come reagire. Da un lato non poteva credere di non essere sterile, e di poter avere bambini, ma dall’altro si rendeva conto di quanto la Somalia avesse inciso sulla sua vita, e capiva che non si sarebbe mai sbarazzata di quei ricordi.
“Ducky… Ma…”
“So che però, c’è anche un’altra cosa che vorresti sapere… Ecco vedi, temo che i tuoi sospetti siano corretti… Tutti quei tagli, non sono una garanzia, nonostante diminuiscano di moltissimo le probabilità di una maternità, e agli uomini come Saleem… Non piace molto l’attesa…”
“Ducky, quindi ho ragione a credere che…” chiese spaventata.
“Purtroppo si mia cara Ziva… È un siero che ti fornivano probabilmente con l’acqua, che serve a velocizzare la gravidanza, e che se assunto in grandi quantità, può avere conseguenze… Permanenti…”
Il dottore era addolorato nel dover dare certe delusioni a Ziva, ma non avrebbe potuto aiutarla in altri modi.
“Ma perché nelle analisi che Gibbs mi ha fatto fare, non è uscito nulla?” chiese la ragazza con gli occhi gonfi e la voce tremante quando riprese lucidità.
“Ecco, quella sostanza, classificabile come un veleno, ha delle proprietà particolari. Si presenta sotto forma di enzima, e si confonde con l’emoglobina presente nel sangue. Pochi sono a conoscenza di questo veleno, ed è per questo che nelle tue analisi svolte al ritorno dalla Somalia, l’aumento delle proteine nel tuo sangue, non aveva preoccupato nessuno… Comunque, Abby potrebbe aiutarti maggiormente, in questo ambito…” suggerì, prima di venire bloccato.
“No!” Scatto in piedi Ziva. “Nessuno deve sapere nulla di tutto ciò… Né Abby, né Gibbs… Né Tony”
Ducky non capiva questo rifiuto così determinato, anche se con il suo carattere, era prevedibile che non volesse.
“Non è qualcosa che si può curare… Ormai fa parte di me… Hai detto che è permanente… È inutile che gli altri sappiano e provino…Pena… Per me!”
Il dottore era riuscito a entrare nella mente della ragazza, e tutto quello che vedeva era la paura del giudizio degli altri. Capiva che è sempre stato così. Ogni volta che qualcosa la frenava, era quel timore. Ma doveva ancora dirle la parte peggiore, quella che realmente spaventava sia Ziva che Ducky, perché non era un ricordo, non riguardava il passato, ma il futuro.
“Ziva, c’è un altro problema che mi preoccupa…”
“Lo so Ducky… Ma…” sentiva che la tristezza la attanagliava, e il medico non sapeva come aiutarla.
“Ariel ha ereditato quell’enzima, e ora scorre nel suo sangue… Ma si vive bene ugualmente…”
Ziva lo guardò con occhi imploranti e colmi di rabbia per quanto era accaduto in Somalia.
“Lei vivrà bene, perché non ha vissuto quello che hai vissuto tu. Per lei sarà solo… Un difetto. Per te, mia cara Ziva… È un marchio. Tutto ciò che ti raccomando, è che Ariel è molto piccola e le sue difese immunitarie sono basse. Non si deve ammalare. Tutto qui…”
Ducky vedeva lo spaesamento nei suoi occhi, e capì che la sua mente era tornata a quello che aveva vissuto. Quattro mesi non sono niente nell’arco di una vita, ma possono essere un inferno per il resto dei giorni. D’un tratto la vide agitarsi e iniziare a piangere.
“Ziva, Ziva sono qui…” corse a calmarla, ma lei sembrava non sentirlo. Fece per metterle una mano sul volto e farle una carezza, ma la vide sussultare e arretrare spaventata. L’abbracciò con tutte le sue forze. Ziva lanciò un urlo, e lo respingeva, poi però lentamente tornò alla realtà e strinse il suo Ducky che le era sempre vicino. Continuò a piangere per diverso tempo, e il dottore riusciva a consolarla di tanto in tanto.
 
Ormai erano passate quasi cinque ore. Nessuno dei due aveva pranzato, e fuori iniziava già a fare buio. Quando riuscì a calmarsi, Ziva ringraziò il dottore, per quanto la voce rotta e tremante le permetteva, e fece per uscire, ma Ducky la fermò ancora una volta. Voleva che pensasse ad altro, e certamente tornare dai colleghi che avrebbero fatto domande, vedendola con gli occhi gonfi, non era il migliore dei modi.
“Mia cara. Stavo per iniziare l’autopsia del corpo dell’agente assassinato da Adam. È arrivato stamattina. Ti dispiacerebbe darmi una mano?” disse con sorriso rassicurante, vedendo Ziva sollevata da quella richiesta.









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti.Che ne pensate di questo capitolo? Molto triste lo so... E spero mi perdonerete. Comunque, ora Tony ha iniziato a comportarsi da padre... Ma come la prenderà la piccola che ancora non sa nulla?
Ad ogni modo... Devo dire che Ducky e Ziva sono davvero molto teneri, e il loro rapporto mi sembra un po' quello di nonno e nipote, e questo sin dall'inizio, sin da quando Ziva lo salva nell'episodio 3x04 "Una bara di ferro". E poi Ducky la conosce così bene che sapeva che Ziva non sarebbe stata a suo agio a tornare sopra dai colleghi con gli occhi gonfi e ancora un po' sconvolta. Quindi la invita a rimanere con lui finché non sis entirà meglio.
Ora però, vi lascio con una domanda... E se non fosse finita qui?
Che intendo? Beh... Leggete il prossimo capitolo XD.
Baci. Gaia.

 

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Capitolo 11
*** SCARED ***


Poche ore prima, Tony era sceso a controllare che non fosse successo nulla in obitorio, e Ducky l’aveva mandato a tranquillizzare tutti. Era finalmente riuscito a parlare con Ziva della Somalia dopo 6 anni, ed ora la sua nipotina aveva gli occhi gonfi, ed un cuore spezzato nel petto. Aveva avuto la possibilità di controllare ogni sua ferita, e si era reso conto di quanto fosse dimagrita in quel periodo.
L’aveva poi invitata a rimanere finché non si fosse sentita pronta a tornare dai colleghi, e insieme stavano aprendo la salma spedita loro dal Mossad.
 
Ellie intanto, era andata a parlare con il direttore, per provare a convincerlo a dimetterla, ma senza risultati. Quando tornò nello squadroom, Tony stava facendo divertire la sua bambina, anche se ancora non le aveva rivelato nulla.
“Ellie che succede?” Chiese vedendola arrivare molto innervosita.
“Niente che non vada, Tony!” rispose alterata.
“Okay… Come vuoi…” Poi gli venne un’idea “Ehi sirenetta… Ti va di fare una carezza ad Ellie?” si alzò, e si avvicinò alla sua scrivania. La piccola assonnata, si sporse leggermente per toccare il viso della ragazza, che subito sorrise intenerita.
“Ehi Ariel… Facciamo un disegno insieme ad Abby mentre aspettiamo la mamma?” la piccola annuì felice, e per la prima volta, Bishop la prese in braccio.
Tony era visibilmente stanco, e la sua amica voleva aiutarlo.
 
Ziva era stata da Ducky per quasi tutto il giorno, e Tony si era occupato della sua sirenetta. Erano trascorse solo 5 ore, ed il ragazzo si chiedeva come avesse fatto Ziva in quei quasi due anni a fare la mamma a tempo pieno, giorno e notte.
Aveva la testa immersa fra i suoi pensieri, quando Gibbs lo chiamò.
“Tony… Cosa c’è che non va?”
“Capo… Ora sono un papà!” rispose ridendo e aprendo le braccia.
“Tony non stai prendendo in giro nessuno! Ora siamo solo io e Gibbs… Puoi dirci cosa ti turba” lo incoraggiò McGee.
“Come andrà a finire con Zoe?” chiese  ad un tratto.
“È una ragazza intelligente… Se ti ama veramente, capirà…”
“E se fossi io a non amarla per davvero?” disse alzandosi.
“Ehi… Prima di fare qualsiasi cosa, pensaci bene!” lo fermò Gibbs.
“Non c’è tempo capo…”
“Ma di che stai parlando Tony?” chiese McGee, alzandosi anche lui.
“Io e Zoe… Ci sposiamo” disse in tono quasi preoccupato vedendo lo sguardo del suo capo.
 
Era chiuso in bagno, e McGee era entrato con lui.
“Pivello, ti ho detto che non ne voglio parlare…”
“No! Tony, smettiamola con questa finta! L’avete deciso il mese scorso. Poi è arrivata Ziva, tua figlia… Come pretendi che i tuoi piani non cambino?” gli parlò McGee “Tony ti conosco meglio di chiunque altro, a parte Gibbs… E Ziva! E so bene cosa provi! Perché non lo vuoi ammettere? Perché non vuoi dire una volta per tutte la verità?”
“Stai esagerando, pivello!”
“No, non sto esagerando.”
“E quale sarebbe la verità?”
“Che tu ami Ziva! Che ogni notte sogni Berlino! Che ogni mattina vorresti svegliarti con lei accanto, e tua figlia in mezzo. E sai cosa succederà se non la smetti? Che quando ti ritroverai davanti all’altare, e alzerai quel velo, la donna che troverai, non sarà quella che ami!”
A quel punto Tony era rabbioso. Afferrò il suo amico per il colletto e lo portò al muro.
“Non provare mai più a dire una cosa simile! Io la amo, e tra poco la sposerò!” e così dicendo, uscì dal bagno.
 
“Ziva, mia cara, puoi aprire la cerniera mentre io sterilizzo il bisturi?”
Ziva iniziò ad aprire la cerniera, ma quando era sul punto di cacciare il corpo, questo cadde a terra, mentre dal sacco che lo conteneva, uscì un uomo vivo, in carne e ossa, con una pistola puntata davanti a sé.
La ragazza istintivamente prese la sua pistola, ma si sentì cedere le gambe, quando vide il volto dell’uomo. Stava per lanciare un urlo, ma la voce non le uscì dalla bocca. Le sembrava di vivere l’incubo che molte notti sognava.
“Ci rincontriamo Ziva” una voce agghiacciante le parlò, e Ducky si voltò di scatto notando anche lui l’uomo.
Sembrava di origini arabe, la carnagione olivastra, molto scura, degli occhi castani, ed un fisico allenato.
Rivide in un attimo quello che era accaduto tanti anni prima con Ari, ma iniziò a preoccuparsi ancora di più, quando si accorse dello sguardo disorientato di Ziva. Vedeva le gambe che le tremavano, e la carnagione diventare sempre più pallida.
“Quello è tuo nonno?” chiese l’uomo andando verso il dottore.
Ziva fece per saltargli addosso, ma venne subito bloccata.
“No, no, no…  Non è così che funziona! Adesso sono io a dettare le regole” le disse in tono troppo pacato, a pochi millimetri dal suo viso, mentre le stringeva il polso.
“Ziva… Lo conosci?” chiese Ducky vedendo la scena terrorizzato.
“Lui è Jamaal…” disse solo. Ma questo bastò al dottore per capire.
Gliene aveva parlato da poco, perché l’uomo che ora stava stringendo Ziva a sé in modo animalesco, senza lasciarle vie d’uscita, era stato il primo, tra gli uomini di Saleem, che abusò di lei.
“Ziva, sono qui per un accordo” iniziò guardandola negli occhi, mentre continuava a stringerla a sé.
“E cosa ti fa pensare che io abbia intenzione di scendere a patti con… Te?” rispose squadrandolo e cercando di divincolarsi.
La stretta di Jamaal, era però troppo forte, e non ottenne molto.
“Cosa vuoi?” Domandò Ducky.
Ziva si voltò di scatto a guardarlo. Non aveva la minima intenzione di contrattare con quell’animale.
“Ziva, io ho intenzione di farla pagare a certe persone… Il Mossad… Tuo padre!”
I due ostaggi rimasero turbati da quell’affermazione. Eli era morto, ma lui, pareva non saperne nulla.
“E cosa vuoi da me?”
“Vedi Ziva… Tu ti sei unita all’assassino di mio fratello: Gibbs, si chiama così, vero? Ecco io dovrei far fuori anche te, ma tu potresti essermi utile. Devo arrivare a tuo padre, quell’uomo che non ha avuto un minimo di compassione quando tu eri nostra… Ospite! E loro…” disse indicando Ducky “Hanno iniziato a preoccuparsi di te solo dopo quattro mesi! Siamo stati noi, invece, ad offrirti compagnia, pane e acqua, in quel periodo. Siamo stati noi ad offrirti un tetto… E diciamolo…” Fece una pausa osservandola negli occhi e stringendola più forte, tanto da farle perdere il respiro “Anche i piaceri della vita” concluse con un sorriso malizioso.
Ziva non poté resistere, e gli sputò in faccia, liberandosi e correndo a proteggere Ducky.
“Sei un… Un lurido maiale. Io… Io…” disse Ducky furioso.
“Calma, calma dottore. Va tutto bene! Vero, Ziva?”
Istintivamente si portò una mano sulla ferita al basso ventre, facendo così sorridere Jamaal, e stava per ribattere, quando si bloccò di colpo.
L’uomo stava sollevando il cadavere che era caduto a terra, ma non era un agente del Mossad, o meglio. Non era quello che aspettavano. Era Monique!
“Monique… Tu! Sei stato tu! Non Adam…”
“Perspicace… Ebbene si! Non voleva collaborare. Un po’ come state facendo voi ora. Quindi fate attenzione!”
Ziva ripensò all’interrogatorio di Adam. Aveva detto di averla ammazzata per timore che parlasse. Ma allora cosa sapeva Jamaal? Cosa gli aveva rivelato Monique?
 
Vederla in quello stato le faceva male, la ricordava vivace, poi un giorno era sparita, e nessuno ne aveva avuto più notizie, finché una mattina due agenti del Mossad bussarono alla sua porta per avvisarla del ritrovamento del corpo della sua amica. Era stato devastante sentire quelle parole, ma doveva essere forte per sua figlia.
 
Nello squadroom si respirava un’aria a dir poco angosciante, per via del fatto che Tony aveva intenzione di sposarsi, ma non era più convinto dei suoi sentimenti.
Un silenzio assordante riecheggiava sella stanza.
 
“Ho detto,  come sono i vostri rapporti col Mossad?” Jamaal scandì ogni singola parola.
Aveva legato Ducky ad una sedia, mentre Ziva era attaccata al muro, e tenuta ferma dalle sue manacce . Aveva provato più volte a divincolarsi, ma racimolando solo percosse.
Aveva iniziato con quella domanda, ma nessuno dei due osò rispondere, e fu costretto a ripeterla più volte. Quando si rese conto che non riusciva a estrapolare informazioni, pose la stessa domanda per l’ultima volta, e al silenzio di entrambi, si scaraventò su Ziva, proprio come aveva fatto in Somalia.
La ragazza sgranò gli occhi e si irrigidì, e l’unica cosa che la consolava, era il fatto di non essere sola. Con lei c’era Ducky. CON LEI C’ERA DUCKY! Si ripeté questa frase nella mente. Non era sola, e aveva una vita da proteggere. Non poteva lasciare che finisse come in quei quattro mesi. Questa volta, la forza di combattere non le mancava.
Gli sferrò un calcio, riuscendo a liberarsi dalla sua presa, e prima che potesse reagire, lo buttò a terra, rubandogli la pistola, e puntandogliela al petto.
“Cosa sai di me?”
Jamaal iniziò a ridere, e mentre le rispondeva con un “Tutto” pronunciato in modo agghiacciante, tirò fuori dalla tasca uno stiletto, facendolo volteggiare con tale forza da ferire Ziva proprio sulla sua cicatrice.
Ziva lanciò un urlo, che era dato non solo dal dolore fisico, ma dal gesto che l’aveva riportata alla Somalia e a tutto quello che ogni volta accadeva dopo quel gesto.
 
“Ziva…” La incoraggiò Ducky. Non riusciva a vederla così, e piegò il capo. Jamaal si rialzò, si avvicinò al dottore, e all’orecchio gli sussurrò “Guarda vecchietto!” lo prese per capelli e lo costrinse a guardare l’agonia di Ziva.
Era seduta per terra, che stringeva forte id enti e gli occhi. Voleva trattenere le lacrime per non darla vinta a Jamaal, ma il ricordo di quello che le faceva era ancora vivido nella sua mente, e quel taglio, era una corda che la legava a quel ricordo.
 
Le si avvicinò, e Ziva si ritrasse subito indietro, proprio come accadeva in Somalia. Ma adesso non era più lì. Doveva reagire. Doveva farlo per Ducky, e per tutte le persone che amava e che erano in pericolo.
La sollevò per un braccio e la scaraventò ai piedi della sedia del dottore.
La maglietta squarciata, il sangue che colava da quella maledetta ferita… Ma pensarci era inutile. Doveva reagire.
Allungò una gamba e da seduta roteò su se stessa, colpendo le caviglie del suo aggressore e facendogli perdere l’equilibrio.
Steso per terra, Jamaal sparò un colpo, ma la ragazza riuscì a schivarlo con molta destrezza. Stava per finirlo quando sentì un urlo da Ducky. Si voltò e lo vide ferito. Il proiettile lo aveva colpito.
“Ducky!” urlò correndo in suo soccorso.
“Ziva…” tentò di avvisarla lui, vedendo Jamaal sparare. Ziva fece in tempo a scansarsi, rotolando su un lato e sfiorando il secondo proiettile.
Raccolse lo stiletto di Jamaal da terra, gli saltò addosso.
Lo stava per uccidere, quando questi guardò fuori dalla porta dell’obitorio e sorrise.
Tony era lì, con la bambina in braccio avvolta in una copertina azzurra, che provava ad entrare, e a urlare per farsi sentire, ma senza risultato. Aveva visto tutta la scena, ed era seriamente preoccupato. Aveva chiamato Gibbs che con una squadra di soccorso stava arrivando.
“Non riuscirai a salvarlo” furono le sue ultime parole, pronunciate in un ghigno. Ziva non avrebbe mai permesso che lui toccasse Tony o la sua bambina, e in un gesto rapido, gli conficcò il sottile pugnale nel petto, vedendolo esalare l’ultimo respiro.
 
Dopo essere stata certa della sua morte, si stese su un lato, portandosi una mano al ventre, e chiudendo gli occhi con forza. Aveva appena ucciso l’uomo che ogni notte sognava, l’uomo del quale non aveva mai dimenticato la brutalità, insieme a quella del fratello Saleem.
“Ziva, stai bene?” chiese Ducky preoccupato, nonostante la ferita alla spalla, ma Ziva non rispose.
 








NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Ho deciso di pubblicare ora questo capitolo, perché da domani inizia la scuola, e non avrò più molto tempo per scrivere, se non il finesettimana. Spero mi perdonerete... Ma passiamo al capitolo.
Tony ha intenzione di sposare Zoe, ma non è più convinto di amarla... E McGee sa bene il perché...
Ziva, intanto è rimasta da Ducky, eaprendo la salma, esce fuori Jamaal... (Nome che ho dato io ad un ipotetico fratello di Saleem) Ziva lo conosce molto bene, infatti fu lui il primo a violentarla.
Ma cosa intendeva dire con "Non riuscirai a salvarlo"?
E cosa succederà a Ducky, ferito?
E a Ziva?
Vi lascio con queste domande... Buona Notte.
Baci. Gaia.

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Capitolo 12
*** TELL ME THE TRUTH ***


Era distesa sul freddo pavimento dell’obitorio, vicino al cadavere dell’uomo che aveva appena ucciso. Non si muoveva, aveva la maglia e la parte alta dei pantaloni, impregnati di sangue, sembrava morta ma non lo era. Aveva appena vinto una battaglia, la sua battaglia. Stringeva gli occhi e rivedeva le scene di quanto successo pochi secondi prima. Ducky ferito, il cadavere di Monique, il suo taglio nel ventre e Tony e sua figlia fuori dalla porta dell’obitorio.
 
Tony aveva chiamato subito Gibbs, che con il resto della squadra era corso giù, per la prima volta dalle scale. Vance arrivò subito dopo, e aprì le porte dell’obitorio. Il capo corse da Ziva, vedendola a terra, mentre ordinava agli altri di portare Ducky in ospedale.
“Ziva…” si inginocchiò affianco e le prese la mano dal ventre.
“Ariel… ho visto Tony e Ariel fuori… Dove sono?” chiese subito allarmata aprendo gli occhi. “Sono sopra, con McGee…”
“E Ducky? Si è preso un proiettile al posto mio…” chiese mettendosi a sedere per terra.
“Sta bene… Bishop e Palmer lo stanno portando in ospedale” la rassicurò, mettendole una mano sul volto e fissandola negli occhi, come a chiedere come stesse.
“Sto bene Gibbs, è solo un taglio!” rispose alla sua implicita domanda alzandosi.
Non aveva osato domandare a chi appartenesse quel cadavere, ma dai tratti somatici, intuiva che doveva avere qualcosa a che fare con Saleem.
 
Tony l’aveva accompagnata di corsa in ospedale, lasciando la bambina ad Abby. Vederla dipinta di rosso per metà, gli metteva uno strano senso di angoscia, che non capiva a cosa fosse dovuto. Appena arrivati, i medici si resero conto della gravità della situazione, e le misero dei punti urgentemente. Avrebbero preferito svolgere qualche altro controllo, ma Ziva non li lasciò fare. Era preoccupata per Ducky, e doveva sapere come stesse.
Rimase appoggiata al muro del corridoio in attesa di notizie, ma dopo diverse ore in sala operatoria, ancora nessun’infermiera le aveva spiegato nulla.
Aveva gli occhi lucidi, nascosti dai suoi ricci.
“Vedrai che andrà tutto bene…” Provò a consolarla Tony.
“Come fai a dire una cosa simile?” chiese rivelando la sua preoccupazione e le lacrime che le si stavano per formare. Continuava a ripensare a quella frase non lo salverai… Perché le aveva detto una cosa simile sapendo che l’avrebbe ucciso? Non riusciva a spiegarselo, e provò a non pensarci.
“Monique è morta, Ducky è ferito, e…” stava per dire di aver scoperto che la Somalia l’aveva resa una donna diversa dal normale, ma si bloccò. Non voleva che lo sapesse, e tantomeno che qualcuno provasse pena per lei.
“E ho appena scoperto che tu… Che noi…” aggiunse.
Tony le afferrò una mano, capendo subito dove volesse arrivare.
“Ascolta Ziva, non so perché ho avuto quella reazione, non so perché sono corso in bagno, ma Ariel è mia figlia, ed è una bambina strepitosa. Non ho intenzione di abbandonarvi…” le disse in tono rassicurante, avvicinandosi pericolosamente al suo viso, e dando un piccolo bacio sulla sua mano, mentre Ziva lo osservava quasi meravigliata, ma felice delle sue parole.
Tony venne colto da un’emozione improvvisa, e prese a carezzarle il viso dolcemente. Ziva non riuscì ad opporre resistenza. Entrambi si sentivano diversi quando erano l’uno con l’altro, ed una sensazione che non riuscivano a decifrare, li inebriava ogni volta.
“Ziva ti devo parlare…” disse poi tornando in sé “Io e Zoe… Ci sposiamo”.
Avrebbe voluto essere felice per lui, per loro, ma non fu così, e ripensò a quello che era appena successo, e alla scena nel bagno sull’aereo. Colta da un impeto di rabbia, non riusciva a parlare.
“Scusami… Adesso sono io ad avere una reazione che non capisco” disse andando verso il bagno e sciacquandosi il volto. Tony rimase fermo lì, si appoggiò al muro e si lasciò cadere a terra.
 
Quando Ziva tornò nel corridoio, trovò solo le chiavi della Mustang di Tony. Probabilmente era tornato a casa. Rimase ad aspettare Ducky tutta la notte, finché, verso le 4 del mattino, crollò seduta per terra, appoggiata al muro.
 
Appena tornò dall’ospedale, Tony passò da Abby a prendere la bambina, e tornò a casa.
“Ariel non hai proprio sonno?” chiese ormai arreso all’iperattività della bambina.
“Ma la mamma dov’è?”
“Arriva presto, sirenetta. Te lo prometto. Ma tu ora devi dormire…” la rassicurò “O altrimenti se la prende con tutti e due!” aggiunse facendola ridere.
Vedendo che la piccola non cedeva, la perse in braccio, la portò in cucina e la fece sedere sul tavolo.
Quando erano tornati dal Messico, Tony aveva trovato un biglietto sulla sua scrivania, ma non lo aveva ancora letto. C’era una scritta in ebraico che non riusciva a decifrare, e credeva fosse un’idea di Abby per il bentornata di Ziva… Non capiva però perché l’avesse messo sulla tastiera del suo computer.
“Tu non sai leggere, vero?” tentò.
“No” rispose la bambina ridendo.
“Secondo te che c’è scritto qua?”
“Non lo so” continuò a ridere “Perché non lo apri?”
Tony non si era accorto che effettivamente, quello che aveva fra le mani, non era un post-it, bensì una busta delle lettere molto diversa dal solito.
Prima di aprirla osservò sua figlia. Era proprio come la madre, aveva lo stesso profilo, lo stesso sguardo, gli stessi atteggiamenti… Ed anche lo stesso acume.
“Lo sai che sei una bambina speciale?” le disse avvicinandosi e appoggiando i gomiti sul tavolo, mettendosi alla sa stessa altezza.
D’un tratto si sentì abbracciare da delle piccole manine ed una vocina che gli sussurrava “Ti viglio bene” Era la sensazione più bella che avesse mai provato… Era sua figlia, la conosceva da meno di tre giorni, ed era già quanto di più importante potesse mai avere.
“Allora… Apriamo questa busta!” disse sfilando da una fessura nella busta un foglietto. Un’altra scritta in ebraico che lui non capiva. L’inchiostro però era diverso, era più denso, e sembrava ancora fresco. Emanava uno strano profumo, e quando lo annusò, un odore pungente penetrò nelle sue narici facendolo starnutire.
Ariel rise di gusto, cercando di scansare le goccioline di saliva.
“Blah Tony” si mise una manina sull’occhio pulendoselo.
“Ehi… Ti schifi dei geni del tuo pa… pa… pappagallo?” Non voleva rivelare in quel modo alla figlia di essere suo padre, e preferiva farlo con Ziva. Aveva rischiato davvero grosso!
“Pappagallo?” rise Ariel.
“Certo! Non lo sai che i pappagalli sputano?” disse prendendola in braccio e portandola nella culla.
 
Verso le 3:30 del mattino, Ziva tornò finalmente a casa. Ducky era finalmente uscito dalla sala operatoria, dove c’erano state diverse complicazioni, e si era rivelato necessario svolgere un’altra operazione di posizionamento di un pacemaker sull’aorta per poter continuare. Ziva aveva aspettato che si svegliasse, perché non si trovasse solo, ma si rese conto che quel giorno non era stata proprio con la sua bambina, e probabilmente ora aveva difficoltà a dormire. Continuava a pensare alle parole di Tony, e allo sguardo colpevole che aveva quando le aveva detto che a breve si sarebbe sposato. Non era arrabbiata, ma sentiva una strana sensazione logorarla dentro.
Quando arrivò a casa di Tony, lo trovò ancora sveglio, a bere un boccale di Bourbon.
“Tua figlia voleva aspettarti prima di dormire… Mi ha fatto passare le pene dell’inferno prima di addormentarsi!” disse appena la vide entrare, sperando che la tensione delle ore precedenti si fosse smorzata.
“Nostra figlia!” precisò. Non sapeva perché ma sentiva il bisogno di renderlo chiaro.
Andò in camera e la vide stesa nella sua culla, mentre dormiva come un angioletto. Le accarezzò la fronte, scostandole un riccio che le cadeva sullo zigomo, e le diede un piccolo bacio, prima di tornare da Tony.
“Quando… Quando ti sposerai?”
“Il 23 Settembre…”
“Il giorno dopo il compleanno di Ariel…”
“Ascolta… Io ero andato avanti. L’avevamo deciso prima del tuo arrivo, e non posso permettere che le cose cambino”
“Ma le cose sono già cambiate! Ora sei un padre! Cosa farai? Andrai via con lei e tornerai a salutarla una volta l’anno?” disse in un impeto di rabbia, cercando di mantenere la voce bassa per non svegliare la figlia.
“Ziva ma cosa ti salta in mente? Lei è anche mia figlia, e non la abbandonerò!” le rispose a tono.
“So cosa vuol dire vivere con dei genitori separati, e ti assicuro, che anche se non è raro che accada, fa molto male!” gli avrebbe urlato contro, ma il pensiero di svegliare Ariel nel cuore della notte la fermò.
“Noi non siamo separati! Noi non siamo mai stati insieme!” lo disse con una tale foga, che sembrava volesse convincere più se stesso che Ziva.
Quelle parole furono delle pugnalate. Dopo tutto quello che era successo quel giorno, questo era troppo.
Tony si era alzato per andare a dormire, quando sentì Ziva parlargli con un altro tono di voce più disperato.
“Tu sei come loro!”
Tony non capiva a chi si riferisse.
“Tu sei come loro!” urlò, ormai non curante del tono di voce, portandosi una mano sullo stomaco, e trattenendo le lacrime.
“Ma loro chi?” chiese. Continuò a rimanere nella sua corazza di acciaio, anche se avrebbe voluto abbracciarla, e dirle che qualunque cosa stesse pensando, non era così. Ma forse l’orgoglio, o la paura di essere rifiutato, lo spingeva a fare il contrario… Peggiorando solo le cose.
“Jamaal! È tornato! Ed io l’ho ammazzato! Ma un terrorista ha la capacità di continuare ad uccidere anche da morto!”
Si rese conto in quel momento che non sarebbe mai riuscita a liberarsi di quei ricordi, di quelle immagini e di quel dolore, anche se lui era morto.
“Jamaal? Tornato? Parli del terrorista di oggi? Tu… Tu lo conoscevi?” chiese confuso, iniziando a cedere.
“Era il fratello di Saleem Ulman!”
Tony rimase spiazzato per un attimo, poi si riprese.
“E lo ricordi ancora?”
Un attimo dopo si rese conto della stupidità della sua domanda. Certo che ricordava il volto del suo attentatore, ma non capiva perché l’avesse paragonato a lui.
“Ed io sarei come loro?”
“È impossibile dimenticare quando sei stata violentata… E ogni cosa mi riporta alla Somalia! La gravidanza di Ariel è durata solo 7 mesi per un siero che mi fornivano, ed è per questo che non ho mai pensato fosse tua figlia!” disse in tono più serio e controllato, sollevata dal fatto che non era scesa neanche una lacrima dai suoi occhi.
“Ti somministravano un siero per la gravida…” Stava per domandare, quando fece mente locale. Si ricordò della ferita che aveva visto a Berlino, di quello che aveva visto fuori dall’obitorio, il sangue che usciva dallo stesso punto, ed ora un siero per la gravidanza…
“Ziva…” Aveva capito. Non sapeva cosa dire. Si rese conto del perché Ziva l’avesse paragonato a loro, ma non era quello che intendeva. Aveva lasciato credere a Ziva che anche lui, quella sera, come Adam, e come ognuno di quei terroristi, si fosse solo servito di lei e delle sue debolezze. Ma non era così. Ed ora non sapeva come farglielo capire.
Si sedette accanto a lei.
“Ma perché in tutto questo tempo non hai mai detto nulla?” disse sfiorandole il braccio con una mano. Ziva si ritrasse, quasi spaventata da quel gesto. Si alzò, e andò a stendersi sul suo letto.
Tony aveva bisogno di spiegazioni, di parlare, ma capiva che quella giornata doveva essere stata tremenda per Ziva, e preferì aspettare l’indomani.
Ziva si stese su un lato e chiuse gli occhi. Il ragazzo la raggiunse poco dopo, notando le pieghe sul cuscino, formate dalla stretta presa della ragazza. Era ancora sveglia, ma non disse nulla.
Si stese dall’altro lato del letto.
“Vattene” sussurrò Ziva, ma con voce troppo flebile perché la sentisse… Pensò.









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Allora cosa ne pensate? Lo so... Questo capitolo è molto breve, ma prometto che con il prossimo mi farò perdonare. Tony e Ziva litigano, e Ziva ha paura di un matrimonio tra Tonye Zoe... La nostra ninja sarà gelosa? E l'indomani, continueranno a litigare o si riconcilieranno? Voi vosa sperate? Vi do un consiglio... Non aspettatevi nulla... 
E poi cosa ci sarà scritto su quel biglietto? E se veramente l'ha scritto Abby, perché l'ha messo sulla scrivania di Tony? Troppe domande? Beh... Leggete il prossimo capitolo!
Baci. Gaia.

 

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Capitolo 13
*** PLEASE DON'T LEAVE ME ***


Ziva non aveva chiuso occhio quella notte, e Tony le era rimasto affianco nonostante avesse sentito quel sussurro che gli intimava di andarsene. Voleva rimanere vicino alla sua… Amica. E questa volta non avrebbe accettato un no, a differenza di quello che era successo a Tel-Aviv quasi due anni prima.
Erano le 4:30 del mattino, e ormai era inutile tentare di prendere sonno. Ziva si alzò e andò in cucina. Prese una bottiglia di Tequila, e se ne versò un po’ in un bicchiere. Si sedette al tavolo, e mentre il liquore le scendeva lentamente in gola mandandola quasi a fuoco, si soffermò su un foglietto di carta che usciva da una piccola busta.
C’era una scritta in ebraico “Per Ziva…”.
Lesse il foglio, e si alzò in piedi di scatto, lasciando cadere a terra il bicchiere di vetro che si ruppe, esattamente come fece il suo cuore dopo aver perso probabilmente svariati battiti.
“Non lo salverai!”
Erano le parole di Jamaal, e si accorse all’improvviso di uno strano odore che aleggiava per la casa. Proveniva dall’inchiostro. Estrasse il coltello che portava sempre con sé, e fece passare la lama sulla scritta. L’inchiostro era così denso che macchiò il coltello. Prese la sottile busta e guardò nella fessura, dove trovò una polvere bianca. In quel momento ogni cosa le fu chiara. E forse Jamal aveva ragione. Non sarebbe riuscito a salvarlo…
“Tony” urlò. In quel momento, il ragazzo si era appena svegliato, e aveva iniziato a tossire. Prima come una normale tosse, poi sempre più forte.
Ziva corse da lui. Era seduto sul letto, che cercava di prendere aria tra un colpo di tosse e l’altro.
“Tony!” Molto preoccupata si sedette vicino a lui e gli porto una mano sulla schiena.
“Cosa mi sta succedendo?” riuscì a dire a stenti.
“Il biglietto… Era contaminato! Tony… La peste polmonare!”
Da quando era venuta a sapere di quello che era successo al suo partner di lavoro, la peste polmonare è sempre stata un tasto che la preoccupava molto, ed ora non riusciva a immaginare che si fosse ripresentata.
 
Tony spalancò gli occhi. Quello era forse il ricordo peggiore che avesse da quando era entrato nell’NCIS… Dopo quello in cui Ziva era andata via, e la morte di Kate.
Era seriamente spaventato, e aveva davvero paura!
 
“Tony sta tranquillo! Questa volta ci sono io!”
Strano ma vero, Tony si sentiva più sereno sapendo che Ziva era con lui, ma capiva bene che se gli fosse rimasta vicino a lungo, l’avrebbe contagiata.
Prese il cellulare di Tony e chiamò immediatamente Zoe. Non pensava che l’avrebbe mai fatto, ma era quasi sua moglie, ed aveva il diritto di sapere.
“Salve, sono Ziva David. C’è stato un attacco biologico, e Tony ha di nuovo la peste polmonare”
“La peste polmonare? Arrivo subito!”
“No… Tony non vuole che venga… Sarebbe troppo in ansia per la sua salute” E così dicendo chiuse la telefonata.
 
Pochi minuti dopo, Abby arrivò per prendersi cura della piccola, e Ziva poté portare Tony nella clinica dov’era stato ricoverato tanti anni prima.
“Ziva ora vomito… Rallenta!” la supplicò.
“Meglio se vomiti! Magari riesci ad espellere qualche germe”
Tony le lanciò un’occhiataccia. La tosse si era calmata, ma non per molto. Lo sapeva. Vedeva Ziva veramente preoccupata per lui e concentrata sulla guida. Gli provocò un sentimento di tenerezza misto a gratitudine, che non sapeva descrivere.
Le mise una mano sulla gamba, e nel momento in cui Ziva si girò per poterlo guardare negli occhi ed infondergli una sicurezza che mancava anche a lei, Tony la ritrasse immediatamente, portandola alla bocca, preso da un altro attacco irruento di tosse.
Ziva accelerò, e finalmente arrivarono alla clinica.
 
Portarono immediatamente Tony in una sala anti-contaminazione e Ziva dovette minacciare i medici di farli fuori, dando anche loro una piccola dimostrazione, per poter entrare con lui. Aveva promesso che questa volta ci sarebbe stata lei, e così doveva essere… A tutti i costi.
Era trascorsa circa un ora, e pur di far rimanere Ziva nella stanza, la fecero sedere su un lettino completamente dall’altro lato.
Erano trascorse un paio d’ore, e mentre tutto il team si era già mobilitato, Ziva crollò in quel lettino. Si svegliò di soprassalto, quando sentì Tony tossire molto violentemente.
“Ziva… Ziva…” urlava il suo nome.
“Sono qui Tony!” gli corse incontro, senza mascherina sul volto. Stava sudando, era bollente, e si contorceva nel letto. Era completamente pallido, con delle occhiaie profonde sotto gli occhi. Entrambi si dimenticarono del litigio di quella sera, l’una per la preoccupazione, l’altro perché ormai non ragionava più, e stava delirando.
“Ziva… Ziva…” continuava ad urlare, anche se lei gli si era seduta accanto, e gli stava stringendo la mano.
“Tony sono io… Sono qui, non me ne vado!” strinse più forte la sua mano, e la tosse si calmò.
“Va tutto bene Tony, va tutto bene!” gli sussurrò accarezzandogli la fronte con la mano, e liberandola dal ciuffo di capelli che la copriva.
 
“Gibbs è lo stesso batterio dell’altra volta! La stessa costituzione. Non si può curare, ma ha una membrana che autodistruggerà lo stesso batterio. Solo che è molto più spessa, e dovrebbe impiegarci meno tempo… Ma comunque… Non so se basterà… Gibbs non so se i polmoni di Tony riusciranno a reggere anche questo!”
“Non lo dire nemmeno Abby! Piuttosto, scopri in quanto tempo finirà!” disse uscendo dal laboratorio, e dirigendosi verso Bishop e McGee che si prendevano cura di Ariel.
 
Ormai i medici non avevano più l’autorità per allontanare Ziva da Tony, non si era allontanata da lui nemmeno per un secondo e mai l’avrebbe fatto. Erano entrambi molto stanchi. Tony si era riaddormentato più volte sotto quel lenzuolo, e svegliato per dei colpi di tosse, e Ziva era sempre lì, stesa sul letto sopra il lenzuolo.
Tony stava dormendo per un breve periodo, e Ziva iniziò ad accarezzargli il volto, lo prese con le mani, e lo avvicino al suo. Chiuse gli occhi, sentì una lacrima bagnarle il contorno delle labbra. Si avvicinò ancora di più. Ormai le loro labbra si sfioravano.
“Ti prego Tony… Resisti. Non diventare anche tu un marchio della Somalia. Ti prego…”
Si allontanò quando si accorse che Tony si stava per svegliare di nuovo per un attacco di tosse.
Prontamente gli sollevò il capo. Tony portò una mano davanti alla bocca e iniziò a tossire in modo molto più irruento.
“Tony… Tony…”
Quando si calmò,  si stese lentamente, ma Ziva si accorse di qualcosa di insolito. Gli afferrò la mano. Era sporca di sangue… Spalancò gli occhi e lo guardò.
“Che vuoi farci… C’est la vie!” le disse. Era stata lei a insegnarle quella frase in francese, e Ziva quasi si commosse ripensando a tutti i momenti trascorsi insieme a lui, e si rese conto di una cosa che non voleva ammettere ma era la verità.
“No Tony… Tu puoi continuare a combattere… Ti prego non te ne andare… Fallo per me”
Tony chiuse gli occhi, ripensando a quello che successe circa due anni prima.
Le aveva detto che stava combattendo per lei. Ed era ancora così. Non poteva smettere di farlo ora, ma sentiva la morte avvicinarsi sempre di più.
“Ziva… Non sopravvivrò per altre 30 ore… Ziva io sto morendo”
“No! Ti prego non dire così… Non è così. Ti prego non mi lasciare… Io… Io non posso vivere senza di te”
 
“Gibbs ci sono! Mancano solo 2 ore! Tony ce la può fare…”
“Avvisa Ziva! McGee tu che hai trovato?”
“Capo, il batterio proviene da una polvere presente nella busta di un messaggio per Ziva, e trattenuta da un inchiostro molto denso. Tony deve aver inalato il batterio annusando quell’inchiostro…”
“Sulla busta, Gibbs c’erano delle impronte che appartengono a…” disse Abby digitando sul computer “Jamaal Ulman? Gibbs ma Ulman era il cognome di Saleem…”
“Mettimi in videochiamata con Palmer… Palmer! Hai trovato di chi è il cadavere in obitorio?”
“Capo… Em… Certo… Senza il professore è stato difficile, ma…”
“Palmer!”
“Il suo nome è Jamaal Ulman!”
“Capo ce l’ho!” intervenne McGee.
“Terrorista, fratello di Saleem Ulman, che prese parte alla missione del fratello riguardante il Caf-Pow… Capo… È stato uno degli uomini che trattenevano Ziva”
“E non solo la trattenevano!” disse uscendo.
 
Andò a trovare Ducky. Che finalmente si era svegliato.
“Ciao Ducky… Come stai?”
“Ciao Jethro… Ah… Va tutto bene… Ma tu hai un colorito cadaverico… Lasciatelo dire”
“Tony… Ha avuto un attacco si peste questa notte, ma ora è tutto finito.”
“Per tutte le viscere umane… Il nostro Anthony aveva i polmoni messi molto male… Dimmi che è ancora vivo!”
“È Tony! Certo che lo è!”
Ducky lo fissò per un minuto.
“Mi fa molto piacere questa visita, Jethro… Ma credo ci sia qualcos’altro, vero?”
“Ducky… L’attacco biologico è stata opera di un terrorista… Jamaal Ulman… È di lui che ti ha parlato Ziva ieri, vero?”
“Gibbs… Quella ragazza serba in sé fin troppi demoni! Devi comprendere che non sarebbe mai riuscita a dirti cosa veramente le è stato fatto laggiù in Africa!” lo rassicurò.
“E c’è ancora qualcos’altro che non ha ancora avuto il coraggio di dire a nessuno… Ma credo di aver capito, e quando sarà pronta, lo farà!”
 
“Signorina David…” I medici la chiamarono, e la avvisarono di quello che era stato riferito loro da Abby. Sul volto di Ziva comparve un sorriso enorme. Tony era salvo! L’aveva salvato! Jamaal aveva torto… Ora aveva vinto quella sua famosa battaglia.
“Tony sei salvo! Tony è finito tutto!”
Il ragazzo sorrise debolmente. Non riusciva a credere di essere sopravvissuto a 2 attacchi di peste, ma era così. Aveva però ancora la febbre, e continuava a sudare e delirare.
Ziva era seduta sul lettino di Tony, e gli stava stringendo la mano.
“Ziva… Ho bisogno di acqua”
L’acqua era sul comodino dal lato opposto del lettino, fece per alzarsi, ma la mano di Tony strinse la sua, come se avesse paura a lasciarla andare. Fu costretta a stendersi su di lui per raggiungere il comodino. Erano soli. D’un tratto vennero assaliti da uno strano vuoto allo stomaco. Erano L’una sopra l’altro. Si stavano guardando negli occhi, felici e anche un po’ scossi. I loro visi erano a pochi millimetri di distanza. Ziva fece per prendere l’acqua ma Tony la fermò, e delirando, iniziò a parlare.
“Ziva quella notte a Berlino è stata la notte più bella della mia vita… Quello è stato amore vero! Quando te ne sei andata, mi hai fatto impazzire di dolore, è stato peggio che sapere di essere vicini alla morte, perché tutti prima o poi moriranno, ma io non avrei potuto farlo con te… A Settembre mi sposo… Ma io non la amo…” Ziva rimase stupita da tutto quello che le stava dicendo, e pensò che probabilmente fosse tutto dovuto alla febbre alta, ma lui continuò “Ziva io ti amo da diventare matto! Come Demi Moore e Patrick Swayze nel film Ghost…”
Chiuse gli occhi. Ziva rimase immobile, paralizzata dalle sue parole. Parole che avevano sempre voluto uscire dalla sua bocca, ma lei aveva sempre represso. In quel momento capì perché le aveva procurato tanto fastidio il matrimonio tra Tony e Zoe… Lei lo amava! Lo amava più della sua stessa vita, tanto da rimanergli affianco rischiando di morire di peste per lui. Lentamente accorciarono la distanza tra loro, come Tony aveva provato a fare già due volte da quando era tornata. E finalmente ci riuscì.
Fu un bacio lungo e appassionato. Nato dall’amore, non dal desiderio. Ziva sentì qualcosa che lentamente entrava nella fessura delle sue labbra, e in quel groviglio di lingue, Tony le prese il collo, riuscì a trovare la forza di mettersi a sedere, e baciare la sua vera amata con ancora più passione. Perché lui l’amava, anche se stava delirando. E forze era proprio per quello che era riuscito ad ammetterlo. Forse quella peste, quelle ore di terrore, erano servite a farlo riflettere su quello che veramente aveva intenzione di fare.
“Ziva tu sei la mia vita…” sussurrò “E questa posizione mi fa davvero molto piacere… Anche se ti preferirei vestita come a Berlino!” Era chiaro che stava delirando, ma quando una persona delira, dice sempre quello che pensa per davvero… Ziva rise, prima di tornare ad accarezzargli la fronte. Lo amava. Ed ora stava ancora peggio. Perché sapeva che anche lui l’amava, che Berlino non era stata una notte qualsiasi, ma che lui non sarebbe mai potuto essere suo, perché si sarebbe sposato. E lei non poteva farci niente. 









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Allora cosa ne pensate di questo capitolo? Credo che qualcuno mi starà odiando per lo spavento, qualcun altro per il fatto che Tony si deve sposare sbaglio? Però pensante a quel meraviglioso bacio TIVA... Si amano e finalmente l'hanno capito! Tony sta bene, e anche Ducky... Ora devono solo impedire il matrimonio... Sempre se rimrrà l'ultimo problema... Cos'avrà capito Ducky che ancora Ziva non ha detto?
Baci. Gaia.

 

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Capitolo 14
*** PAPÀ ***


Per i cittadini di Washington, una nuova giornata stava iniziando, per tutti tranne Tony e Ziva, che si erano finalmente addormentati sereni.
L’attacco di peste era durato poco più di 6 ore, ma bastò a Tony per svegliarlo di soprassalto nel cuore del suo sonno. Un incubo, un pessimo incubo, che rischiava di diventare realtà. Tutto quello che era successo la sera precedente ritornava a galla. Nel suo sogno aveva visto Ducky morire per un colpo di pistola che proprio lui aveva sparato per sbaglio, Ziva che veniva violentata davanti ai suoi occhi in Somalia dai fratelli Ulman e lui non poteva fermare quei mostri, e poi ancora la vedeva tossire sangue perché era stata contagiata dalla sua peste. Solo un sogno. Continuava a ripeterselo, ma non riusciva a scacciare via quelle immagini dalla sua mente.
Solo in un secondo momento si accorse che la ragazza si era addormentata sulla sua stessa brandina. Tornò a stendersi sul cuscino, mentre le prendeva una mano. Gli era rimasta vicino pur sapendo il rischio che stava correndo, e lui non poté che esserle grato. Chiuse gli occhi, e d’un tratto vide una cosa che gli era mancata tanto in tutti quegli anni, e che ora tornava vivida nei suoi pensieri: Kate. La sua Kate. L’ultima volta che era successo dopo la sua morte, era stato in una piscina coperta, mentre pedinava Ziva, e la sua voce gli sussurrò che quella misteriosa ragazza che stava seguendo, la intimidiva tanto. Eppure lui, come suo solito, volendo fare il gradasso, continuava a negarlo.
 
Prima ti intimidiva, ma ora ti fonde proprio il cervello, Tony…
Il ragazzo la guardò negli occhi, sorpreso da quella visione, e meravigliandosi di avere un ricordo ancora così vivido della sua voce.
Non continuare a fare lo stupido. Le aspettative possono cambiare. Fa’ qualcosa prima che sia troppo tardi.
 
Quando Ziva si svegliò, chiese immediatamente ai medici di dimettere il suo collega. Quel posto metteva i brividi, e rimanere isolati per tanto tempo senza più alcuna ragione, non avrebbe certo aiutato l’aspetto emotivo di Tony.
Appena i medici lo consentirono, lo mise in macchina e lo portò a casa, dove con sua grande sorpresa, tutti i colleghi erano lì ad aspettarli. Si prendevano cura di Ariel, che intanto aveva iniziato a piangere disperatamente quando si era svegliata ma al posto della madre, era andato Gibbs a prenderla con sé. Fu proprio lei la prima ad accorgersi del loro arrivo, lanciando un urlo col quale chiamava Ziva che immediatamente le corse incontro, appena si accorse delle lacrime sul suo visino.
“Tesoro mio, la mamma è qui!” disse aggiustandole una ciocca di capelli.
“Non te ne andare più via”
“No amore, te lo prometto”
 
Tony, nel frattempo, era andato a darsi una sistemata nel bagno con McGee. Non voleva che Ariel lo vedesse in quello stato.
“Tony ci hai fatto prendere uno spavento!”
“Si… Pivello mi passi il fondotinta?”
McGee lo guardò confuso…
“Il fondotinta? Tony mi sa che devi provare a mandare più aria al cervello!”
“McTonto, è solo che non voglio sembrare un cadavere davanti a mia figlia!” lo guardò di sottecchi “Allora me lo passi o no?”
“Em… Certo… Certo”
Terminata la fase make-up, si sedette sul bordo della vasca.
“Che c’è? Vuoi anche il mascara?” Disse McGee in tono amorevole, sedendoglisi accanto e intuendo che qualcosa stava turbando l’amico.
“Tim… Stamattina ho visto Kate…”
“Aspetta Kate… Dopo che sei tornato da Tel-Aviv, era la biondona dagli occhi azzurri?” chiese ricordando il periodo in cui Tony era tornato il farfallone di un tempo.
“No Pivello… Kate… Kate Todd!”
Il ragazzo iniziò seriamente a preoccuparsi per la sua salute.
“Ti riporto in ospedale” concluse alzandosi.
Tony lo afferrò per un braccio.
“L’ho… Sognata… O una cosa del genere. Ma il punto è che mi ha detto di non aspettare prima che sia troppo tardi. Di smetterla di essere il solito spaccone… Ma io non so veramente cosa fare, Tim!”
“Ma troppo tardi per cosa?”
“Zoe!”
“Ah si… Ha detto che sarebbe voluta venire, ma stamattina non si è sentita bene…”
“Io… Io non so più cosa provo. Sarà stato il fatto di essere un padre, ma… Io non lo so più… Ah ma perché sto qui a parlare con te, pivello? Come se tu ne sapessi più di me in questo campo!”
si rispose da solo, uscendo dal bagno.
 
McGee si sentiva veramente un egoista. Il suo migliore amico era in crisi sul da farsi del suo matrimonio, e lui ne era felice. D’un tratto si ritrovò a sorridere da solo, ripensando al suo romanzo, a Lisa e Tommy… L’aveva sempre negato, ma lui era davvero convinto che ciò che aveva scritto rispecchiasse la realtà.
Fece per uscire ma si accorse di un'altra cosa… Chissà perché ma i bagni, degli uomini, ormai, per i membri dell’NCIS, erano diventati davvero un confessionale…
 
Ziva stava cullando la sua bambina, quando Gibbs la chiamò in disparte, prima di andare via.
“Ziva...” Voleva parlarle di tantissime cose. Della Somalia, di Jamaal, Tony, ma si limitò ad una sola frase.
“Ariel ha una mamma straordinaria” poi mentre diceva quelle parole, si ricordò di quello che aveva visto due giorni prima nel laboratorio di Abby insieme ad Ellie, e si diresse verso Tony, mollandogli immediatamente uno scappellotto.
“Ahi capo… Che ho fatto?”
“La prossima volta, a Berlino, ci mando McGee” disse uscendo dalla porta.
Gibbs sapeva di Berlino? Abby… Non l’avrebbe passata liscia questa volta!
 
Tony provò a chiamare Zoe tutto il giorno, ma il telefono risultava sempre staccato.
“Quando si sentirà meglio ti chiamerà…” lo tranquillizzò Ziva “Magari ora sta dormendo”
“Già… Allora… Sbaglio o abbiamo ancora una cosa molto importante da fare?”
Si guardarono negli occhi con aria complice, e andarono nella camera di Ariel.
“Ciao amore della mamma” la svegliò Ziva prendendola in braccio mentre si strofinava gli occhietti.
“Ascolta, io e Tony ti dobbiamo dire una cosa molto importante…”
L’agitazione era salita. Come l’avrebbe presa una bambina di due anni scoprendo che la persona che ha sempre creduto un amico fidato… È il suo vero papà?!
“A te Tony piace?”
“Si! È divertente, e mi chiama sirenetta” esultò la bambina guardando il ragazzo.
“E cosa penseresti se ti dicessi che io non sono solo un amico?” provò.
Ariel lo guardò confusa, e Ziva gli diede uno scappellotto.
“Ahi! Ehi sono appena guarito ed è già il secondo scappellotto in una giornata!”
Ariel rise di gusto. La sua tenera risata serena allentò molto la pressione.
“Cosa credi che capisca così?” disse faticando a non ridere anche lei.
Erano tutti e tre seduti sul letto, vicini, come non era mai successo prima. Una vera famiglia. Tony non volle rovinare quel momento, e preferì aspettare.
“Stai forse insinuando che io non sia bravo con i bambini?!” fece finta di indispettirsi…
“No Tony… Lo sanno tutti!”  la piccola aveva iniziato a ridere e non riusciva più a smettere.
“Ora ti faccio rimangiare tutto quello che hai detto, Mossad!”
E così dicendo, la sollevò all’improvviso dalle gambe, facendo appoggiare lo stomaco della ragazza alla sua spalla.
“Mettimi giù Tony!”
“Chiedi scusa…”
“Mettimi giù o ti pentirai di essere nato…”
Tony la buttò sul letto davanti ad Ariel appena sentì quelle parole, cadendo su di lei.
Si ritrovarono a pochi millimetri di distanza, intrappolati l’uno negli occhi dell’altra e non riuscivano ad allontanarsi.
“Tony… Hai intenzione di alzarti da solo o ci penso io?”
In tutto questo Ariel si era messa in ginocchio sul letto ridendo e battendo le manine.
Tony si soffermò a guardare quegli occhi color cioccolato per alcuni secondi altri, prima di alzarsi e prendere la piccola.
“Beh… Ne vuoi un po’ anche tu?” disse prendendola in braccio in tutti i modi più strani e contorti. La fece volare per tutta la casa, mentre Ziva ripensava a quello che era successo la sera prima… Quel bacio… Le parole di Tony… Delirava, lo sapeva, aveva la febbre alta… Ma quando una persona non ragiona più, la verità esce dalla bocca senza freni… E iniziava a sperare che fosse così anche per lui. Si lasciò cadere all’indietro sul letto e chiuse gli occhi, prima di sentire le risate di Tony e Ariel avvicinarsi sempre più.
“Terra chiama Ziva. Terra chiama Ziva… Sei con noi? Qualcuno vuole sapere la notizia del giorno!” disse Tony stendendosi pesantemente sul letto e facendo salire la bambina in piedi sulla sua pancia, mentre la teneva per le manine.
“Sirenetta, hai presente quando la cicogna porta i bambini, per rendere felici due persone che si vogliono tanto bene?” iniziò il ragazzo.
“No Tony… Questo è quello che si racconta ai bambini! Ma Ariel è speciale… Lei sa qual è la verità!” lo fermò Ziva.
“Si! Io so la verità!”
Tony la guardo con gli occhi sbarrati.
“E… Potresti raccontarla anche a me questa verità? Si vede che da piccolo non ero un bimbo speciale…”
“Che il papà mette dei semini nella pancia della mamma e dentro crescono i bambini” spiegò Ziva.
“Ah…” Tony ancora scosso dall’affermazione precedente, come un bambino chiese “E come escono poi i bambini dalla pancia?”
“Già mamma… Poi come escono? Non me lo hai mai detto!” disse la piccola.
Ziva fulminò con lo sguardo Tony che si era appena reso conto dell’errore commesso.
“Poi te lo spiego un’altra volta tesoro… Adesso dobbiamo dirti una cosa importante!”
“Bella o brutta?”
“Quanto bene mi vuoi, sirenetta?”
“Tanto così!” disse la bambina aprendo le braccine e portandosele fin dietro la schiena.
“Allora molto bella” rispose Ziva.
“Sirenetta…”
In quel momento il cellulare di Tony prese a squillare. Zoe. Finalmente l’aveva chiamato ed ora poteva chiederle perché non aveva risposto a tutte le sue chiamate, come si sentisse… Ma sua figlia veniva prima di tutto. Spense la telefonata, facendo sorridere Ziva e lasciandola anche meravigliata.
“Ti dicevo, sirenetta…”
Ariel lo interruppe.
“Chi era, papa?”
“Nessuno di importante…” si fermò un attimo ripetendo dentro di sé le parole della bambina, poi guardò Ziva, che, si accorse, era rimasta ancora più allibita di lui e stava guardando Ariel come se fosse un alieno.
“Che hai detto tesoro?” chiese Tony, vedendo che la ragazza aveva difficoltà a far uscire la voce dalla sua bocca.
“Chi era al telefono?”
“Dopo…”
“Papa?”
“Amore e tu come sai che Tony è il tuo papà?” chiese Ziva ritrovando le forze.
“Perché nelle storie che mi racconta la mamma, lui era il principe e lei la principessa…” guardò entrambi i genitori e poi aggiunse “E perché ieri ho vi ho visto di nascosto con McGee, Gibbs, Ellie e…”
“Abby!!” esclamarono entrambi i genitori in un misto di rabbia e risata.
“Si! Però shhh!” disse mettendosi il ditino sulla bocca.
“E tu sei contenta di questo?” chiese Tony temendo il suo giudizio.
“Siiiii! Perché così la mamma non è più da sola e io ho un papà… Ti voglio bene, papà!”
Sentirsi chiamare così era forse la sensazione più bella che Tony avesse mai provato. Ora sentiva di essere diventato importante per qualcuno, qualcuno che lo amava sul serio, a prescindere dal suo carattere, dalle sue azioni, dal suo passato… La sua famiglia… Ariel! Il bene più grande che potesse mai avere.
Ziva diede un bacio sulla fronte alla sua piccola principessa, incantata dalla sua tenerezza e dolcezza.
 
Erano tutti e tre stesi nel lettone, abbracciati, come una vera famiglia. La piccola in mezzo, beata fra i suoi mamma e papà, finalmente insieme.
“Mamma, papà…”
“Dicci amore” disse Ziva, mentre Tony le accarezzava il pancino.
“Voglio che rimaniamo insieme per sempre…”
Ziva guardò Tony negli occhi. Spettava a lui la scelta finale… Con o senza? A prescindere da tutto il resto.
“E noi ti promettiamo che rimarremo insieme per sempre” disse Tony con un sorriso in volto, nascondendo in quelle parole la malinconia di un matrimonio di cui non era più certo.
“Davvero?”
“Certo amore… Per sempre” confermò Ziva.
“Perché io voglio stare con voi pure quando divento grande… Sempr…” ma prima di terminare la parola, un colpo di tosse improvviso, la fermò.









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Ecco il nuovo capitolo (Finalmente) di questa storia. Un capitlo molto fluff, lo so... È per così dire un capitolo di transizione... Ma anche qui c'è da dire qualcosa.
Allora Finalmente Tony e Ziva hanno rivelato ad Ariel che Tony è il suo papà... Ma lei lo sapeva già... Abby! XD
Poi Zoe non si è sentita bene e non risponde alle telefonate... Ha chiamato una volta, ma per Tony viene prima la figlia (Non è tenerissimoooo?)... Che le sia successo qualcosa?
Ultima cosa importante, Ariel vuole rimanere con i suoi genitori per sempre sempre sempre... Anche se, povera piccola... Un colpo di tosse le ha impedito di dirlo... XD.
Devo dire che adoro questo capitolo per due motivi
  1. I TIVA family sono la cosa più bella del mondo... quando sono stesi sul letto tutti abbracciati, quando giocano, ridono, parlano o si divertono insieme.
  2. Ragzzi credo che dopo questo capitolo, mi farete il muso lungo per tutto il resto della storia! Quindi un consiglio: Se vi siete legati molto ad uno dei personaggi di questa storia... Rileggete questo capitolo tante volte! XD
​Quindi si, avete capito bene... Godetevi questo stralcio di allegria perché credetemi... Mi odierete! E poi non ditemi che non vi avevo avvisato. 
Baci. Gaia.

 

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Capitolo 15
*** IT CAN'T HAPPEN AGAIN ***


Un violento colpo di tosse aveva bruscamente fermato la piccola prima che sugellasse il suo desiderio di rimanere per sempre con i genitori, e la sua promessa di desiderarlo finché le fosse stato possibile.
Tony guardò istintivamente Ziva. Dopo le ore che aveva trascorso in sala anti-contaminazione ogni colpo di tosse lo preoccupava, e dal momento che proveniva da sua figlia, lo era ancora di più.
Ziva provò a tranquillizzarlo con lo sguardo, mentre con una mano accarezzava la schiena di sua figlia, ma anche lei dovette nascondere un velo di terrore.
 
Quella notte nessuno riusciva a dormire. Ziva si rivoltava nel letto, in preda a degli incubi, Tony era preoccupato per Ariel, e la piccola di tanto in tanto tossiva violentemente.
Il ragazzo era steso con le braccia dietro la nuca a fissare il soffitto, come fosse un cielo stellato, quando si accorse che Ziva continuava a muoversi incessantemente nel letto. Provò a calmarla senza svegliarla, e quando le mise una mano in fronte, era completamente sudata. Pochi secondi dopo si alzò di scatto, ansimando e con gli occhi che le uscivano quasi fuori dalle orbite.
“Era solo un sogno, Zee…”
“Si, era solo un…” stava ripetendo lei, ma Ariel riprese a tossire ancora più forte di prima.
“No, non lo era!” si corresse subito, terrorizzandosi.
 
L’estate stava finendo, ormai. Le giornate avevano preso ad accorciarsi, e di sera, la casa era molto più fredda. Il pavimento di marmo era ghiacciato sotto i piedi nudi di Ziva, che angosciata camminava da un lato all’altro della stanza, con sua figlia in braccio, cercando di calmare ogni suo attacco di tosse.
Tony era andato a chiamare Ducky, ma poiché non rispondeva, e la situazione sembrava essere molto grave, non esitò a mettersi in macchina ed andare a prenderlo.
Quando arrivarono trovarono Ziva intenta a tranquillizzare Ariel che aveva iniziato a piangere per la pesante atmosfera che si avvertiva in quella casa.
 
“Sirenetta, va tutto bene… Adesso vedrai che Ducky risolve tutto…” provò a calmarla ma senza grandi risultati, il padre. Poi rivolto al medico aggiunse, quasi in tono di supplica “Vero?”
Senza rispondere, Ducky prese la bambina sulle sue gambe, e con lo stetoscopio iniziò a controllare i suoi battiti ed i suoi respiri. Tutto sembrava regolare, quando avvertì uno strano movimento del torace. Istintivamente guardò la ragazza che con gli occhi sgranati non aveva detto una sola parola. Se fosse stata una malattia, ci sarebbero state altre complicazioni, dovute al siero che fornivano a Ziva in Somalia e che di conseguenza era entrato nel sangue di Ariel. Questo, però, Tony ancora non lo sapeva.
 
“Mamma… Voglio la mamma!” continuava a piangere la bambina sempre più agitata.
“Sono qui amore mio…” le rispondeva ogni volta con gli occhi spaventati.
L’avevano stesa nel lettone e Ziva non si era allontanata un solo secondo da lei.
Ogni tanto la piccola fissava sua madre quasi senza riconoscerla, poi le stringeva forte la mano e alla fine riprendeva a tossire.
Ducky e Tony stavano analizzando la situazione. Il medico, in realtà, stava cercando di estrapolare informazioni dai ricordi di Tony, per poi arrivare ad una conclusione molto, anzi troppo eloquente.
“Ho aperto la busta, e subito ho sentito le narici bruciare. Era la polvere che io non avevo visto, e stupidamente ho annusato l’inchiostro. Poi ho stranutito, e...” si fermò per un secondo. “Oh mio Dio Ducky! Ho starnutito e Ariel mi ha detto che aveva sentito goccioline della mia saliva arrivarle negli occhi!”
Il dottor Mallard sbiancò di colpo. Questa poteva davvero essere le fine.
“Dobbiamo effettuare immediatamente delle analisi del sangue” affermò il medico alzandosi e aprendo la valigetta che aveva portato con sé.
 
Tony, intanto entrò in camera, trovando la sua piccolina aggrappata alla madre che la stringeva con quell’amore che solo una madre può provare. Aveva il mento appoggiato sulla testa della bambina, e silenziosamente, per non spaventarla ulteriormente, piangeva lacrime di terrore misto a qualcos’altro che non riusciva a decifrare.
“Principesse…” sussurrò silenziosamente, sedendosi delicatamente sul letto.
“Ziva, potresti venire un attimo di là? È urgente”
La ragazza lo guardò confusa, poi si allontanò dalla figlia.
“Torno subito amore”
 
“Mia cara, abbiamo un problema… Quando l’altra sera Anthony ha aperto il biglietto, ecco… Ariel era con lui…” iniziò a spiegare Ducky.
“E quando ho annusato l’inchiostro con la polvere, ho starnutito… E lei era molto… molto vicina a me” concluse Tony.
“Vuoi dirmi che l’hai infettata?” chiese scoprendo tutte le sue paure. Il sogno che quella notte la faceva rivoltare nel letto stava lentamente diventando realtà.
“Io stavo cercando di farla divertire… Non ti ha vista per tutto il giorno e lei voleva… Te”
Ziva non era arrabbiata. Tony si stava solo prendendo cura della loro bambina, stava cercando di ridarle il sorriso perché proprio lei, sua madre, glielo aveva strappato via per un giorno intero.
Si sedette sul divano cercando sostegno nello sguardo di Ducky, trovando però solo disperazione. Entrambi pensavano alla stessa cosa. Il medico le aveva detto che quel difetto non avrebbe costituito un problema per sua figlia… Tranne nel caso in cui si fosse ammalata. Ed ecco che quelle parole le avevano segnato il destino.
 
Ducky preparò la siringa ed il laccio emostatico per il prelievo. Dovevano agire in fretta.
“Amore della mamma, tu sei una bambina coraggiosa, lo sai, vero?”
La bambina annuì confusa.
“Adesso dobbiamo controllare una cosa, ma non devi avere paura”
Mentre le diceva quelle parole, stava incatenando quei piccoli occhioni verdi ai suoi, e Ducky le legava il braccino.
“Anthony abbiamo un problema… Io non posso fare analisi. Il braccio trema, a causa della ferita, devi infilare tu l’ago”
“Io?”
Ziva gli lanciò un’occhiata per dire loro di fare presto.
Tony aveva una vera e proprio fobia per gli aghi, ma si trattava di Ariel, sua figlia, il suo tutto. L’unica cosa per cui valeva la pena perdere tutto, aveva bisogno del suo aiuto. Prese la siringa.
“Guardami amore… Continua a guardarmi, e vedrai che andrà tutto bene” disse Ziva per distrarre la bambina, mentre Tony le infilava l’ago.
“Mamma…” disse sgranando gli occhi sentendo il ferro penetrarle nella pelle.
“Va tutto bene piccola mia va tutto bene…”
Appena Tony terminò e Ducky le mise un cerotto, Ziva strinse la testa della sua bambina tra le braccia.
 
La mattina dopo, all’NCIS, quando Ellie arrivò, trovò solo McGee.
“Buongiorno Tim…”
“Ciao Ellie. Hai visto Tony o Ziva?”
“No… Perché?”
“Stamattina ho provato a chiamarli per sapere come stesse Tony, ma non hanno risposto”
“Staranno recuperando il sonno perso, McGee” disse Gibbs entrando nello squadroom.
“Capo che abbiamo?”
“Marin morto a…”
“Gibbs!” dissero in coro, quasi urlando Abby e Palmer, entrando anch’essi nella stanza.
Gibbs si voltò a guardarli con aria di rimprovero.
“Ducky… Non risponde al telefono” disse Abby preoccupata.
“E non è a casa” terminò la frase Palmer.
“E dov’è?” chiese il capo alterandosi.
“Non lo sappiamo”
 
Tony, Ziva e Ducky erano in ospedale, a controllare gli esiti delle analisi, mentre i medici tenevano la piccola sotto sedativi, per prevenire ferite ai polmoni.
Stava dormendo, e Ziva era seduta sulla sua brandina, esattamente come due sere prima con Tony. Le teneva la mano, nascondendo un turbinio di emozioni.
A Tony e Ducky non fu consentito l’accesso nella sala anti-contaminazione, per sicurezza.
“Perché la Somalia continua a tormentare tutte le nostre vite?” si lasciò sfuggire involontariamente il ragazzo.
“Vedi, mio caro Anthony… Ci sono concetti che nemmeno la mente più ingegnosa può concepire se non li ha vissuti. Uno di questi è…”
“La prigionia” sospirò il ragazzo.
“No… La mancanza di libertà!” disse il dottore allontanandosi.
Ma non è la stessa cosa? Iniziò a chiedersi Tony. E invece no! Perché se sei prigioniero, vuol dire che non sei libero, ma se non sei libero, non vuol dire necessariamente che tu sia prigioniero. Ed era proprio quell’assurdo concetto a tormentare l’animo di Ziva, e a portarla al silenzio più totale. Non si è mai sentita libera, né da piccola, né da assassina, né da prigioniera. Solo da mamma! Solo quando infrangeva le regole della sua routine.
 
“Bishop, trovato niente?”
“No, Gibbs…”
“Gibbs” lo chiamò il direttore da sopra la scalinata con aria quasi sconcertata.
“Leon?”
“Nel mio ufficio”
 
“Cosa c’è?” chiese Gibbs entrando ed eludendo la segreteria.
“L’agente David mi ha telefonato”
“Dove diamine sono?”
“In ospedale!”
Gibbs inclinò leggermente il capo verso sinistra, assottigliando lo sguardo, in attesa di spiegazioni.
“Stanotte… Ariel ha avuto un attacco improvviso di tosse. Stanno facendo degli esami per accertarsi che non sia…”
“Peste polmonare…” disse Gibbs sgranando gli occhi.
Per un attimo il grande capo, difficile da far traballare, si sentì mancare. Gli sembrava di rivivere la morte di sua figlia Kelly e di Shannon. Non poteva essere vero. Doveva fermare tutto questo dolore. Non poteva permettere che la sua bambina, la sua Ziva, subisse lo stesso trattamento che tanti anni prima era stato riservato a lui.
 
Scese nello squadroom come un fulmine, e con uno sguardo glaciale, ordino ai suoi agenti di muoversi con lui.
“Che succede Gibbs?” chiese Ellie.
“Torniamo in ospedale”
“Tony non sta di nuovo bene? E chi la sente Abby ora?!”
“No McGee… Ariel” chiuse la conversazione il capo, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano tra gli sguardi persi dei due agenti.
Quando l’ascensore si riaprì, davanti a loro, si presentò Parsons.
“Buongiorno” disse in tono fermo e deciso.
Gibbs lo fissò per un attimo con sospetto.
“Il direttore Vance non l’ha avvisata, Gibbs?” chiese senza il suo solito fare da saputello.
“Vuoi un invito scritto per continuare?” chiese scontrosa Ellie, precedendo il capo.
“Sono qui a sostituire DiNozzo per il tempo necessario” si fermò. Non sapeva se era il caso di avvisare la squadra, ma lo fece ugualmente. Gibbs, McGee e Bishop si stavano dirigendo verso il furgoncino, quando Parsons li fermò.
“Gibbs… Credo che tu debba sapere anche che l’agente David… Ha dato le dimissioni”
Eccolo lì. Il colpo di grazia. Era già la quarta volta che succedeva. E pensare che lui le aveva giurato che la seconda sarebbe stata l’ultima, quando il primo anno, era sospettata di omicidio nell’ascensore dell’NCIS.
Non l’avrebbe lasciata andare ancora. Si era arreso due anni prima, non l’avrebbe fatto adesso.
 
Quando arrivarono, Tony e Ducky stavano parlando lontani da orecchie indiscrete, mentre Ziva era nella sala anticontaminazione a guardare sua figlia dormire. Stava dicendo qualcosa, ma non si capiva bene cosa.
“Capo, vado ad avvisare Abby… Potrebbe velocizzare le analisi” disse ad un tratto McGee.
 
Tony, intanto, chiedeva spiegazioni a Ducky sul comportamento di Ziva, e mentre il dottore spiegava che quella ragazza celava in sé tanti segreti, che avrebbe rivelato solo quando sarebbe stata pronta, e che c’erano cose di lei, delle quali nemmeno lui, il suo confessore sapeva, rimuginava sul loro rapporto. Ormai per Tony, Zoe sembrava un ricordo lontano. Non ne parlava mai, né la telefonava. Eppure in meno di una settimana, avrebbe detto quel fatidico si.
 
Gibbs entrò nella stanza, osservando in silenzio Ziva. Si rese conto di quanto fosse cresciuta. Ricordava quando lei era ancora una pivella, che in campo da combattimento, faceva le scarpe a tutti i suoi agenti.
Si rese conto che quella piccola pivella, era già un’adulta dentro, ma continuava ad avere un lato bambino. Ora però, tutto questo dolore, lo stava cancellando con una gomma troppo grande anche per lui.
Si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. Quel gesto sembrava esprimere più di mille parole, parole inutili, dette al vento, che in quei momenti servono a ben poco.
 
Circa mezz’ora dopo, Abby e Palmer arrivarono di corsa.
“McGee! Dov’è?” chiese la scienziata.
Tutti i componenti della squadra erano lì. Persino Parsons. Erano una famiglia. E il calore di una famiglia è l’unico che può sciogliere un destino di ghiaccio.
Tutti stavano guardando dal vetro Ziva e Ariel. Tony era isolato. Avrebbe voluto essere lì dentro, ad accarezzare sua figlia, e supportare Ziva. Ma non poteva.
 
“Abby hai i risultati?”
“Chiese Bishop”
“Ho spedito gli ultimi controlli al server della clinica… Dovrebbero arrivare più o meno…”
“Signor DiNozzo?” chiese il capo reparto.
Tony si girò, rivelando occhi colmi di lacrime che attendevano solo il via per poter scendere. Un via che poteva dare solo il risultato delle analisi.
“Volevamo comunicarle che…”
Il tempo sembrava essersi fermato. Si poteva percepire il battito cardiaco di ogni membro della squadra, battere all’unisono.
“Sua figlia…”









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Ecco il nuovo capitolo. La nostra piccola Ariel non sta bene... Cosa credete che abbia? Un normale raffreddore o peste polmonare?
Spero che non mi stiate odiando, ma ancora non è detta l'ultima parola XD

Volevo poi dirvi che nel capitolo ho fatto dei riferimenti ad alcuni episodi, per quanto riguarda le dimissioni di Ziva.
La prima volta è stato nell'episodio 3x22 "Jeopardy" quando Ziva era sospettata di omicidio poiché prima di entrare nell'ascensore aveva tirato un pugno alla giugolare ad un sospettato. Vuole dare le dimissioni, ma Gibbs le risponde che la prossima volta sarebbe stata l'ultima, restituendole pistola e distintivo.
La seconda volta è stata nell'episodio 5x19-6x01 "Judgment Day - Part 2" e "Last Man Standing", anche se non di sua spontanea volontà, quando il direttore Vance, la rimanda in Israele.
La terza è stata nell'episodio 6x25 "Aliyah" quando Ziva chiede a Gibbs di scegliere tra lei e Tony, rimanendo così in Israele dopo la morte di Rivkin.
L'ultima volta... Come purtroppo tutti sappiamo... 11x02... "Past, Present and Future"... E non aggiungo altro.

Baci. Gaia.

 

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Capitolo 16
*** I'M TIRED OF PRETENDING ***


“… Non ha contratto la peste polmonare” concluse finalmente il medico accennando un sorriso confortante. Quelle parole suonavano come delle campane in festa. Finalmente tutto sembrava andare per il verso giusto.
Tutti coloro che avevano sentito erano esplosi in un sorriso comune. “Ora, se desidera, può…Entrare” disse l’ultima parola quando Tony era già dentro la sala.
Ziva si voltò immediatamente.
Se il ragazzo era entrato, Ariel stava bene!
Sorrise ampiamente senza che nessuno avesse parlato.
La bambina dormiva, ed evitarono di svegliarla, uscendo silenziosamente dalla stanza. I loro colleghi erano tutti fuori ad attenderli. Pretendevano delle spiegazioni, e sentivano il bisogno di sapere cosa fosse realmente successo la sera prima, quando Ducky, improvvisamente, con sguardo serio, prese Abby per mano, e le chiese di accompagnarlo appena fuori la clinica.
 
“Sono contento che ora vada tutto bene agente David…”
“Parsons?” sgranò gli occhi.
Era trascorsa quasi una settimana da quando era arrivata da Tel-Aviv con l’unico intento di rivedere la sua bambina, ma ancora non aveva avuto l’occasione di rincontrare quell’uomo che circa tre anni prima aveva svelato uno dei suoi maggiori segreti, che l’aveva messa a nudo nei suoi errori davanti all’uomo che amava sul serio, e che forse aveva segnato parte del suo dolore.
“È tutto apposto Ziva… Lui è dei nostri!” la tranquillizzò McGee.
“Questa canaglia due anni fa mi ha salvato la vita!” aggiunse Gibbs con fare beffardo, appoggiando con troppa forza la mano sulla spalla del ragazzo, distogliendolo dal suo sguardo verso Bishop… Fece un mezzo sorriso al pensiero che tra quei due potesse essere nato del tenero… In fondo non erano colleghi. Non avrebbero infranto alcuna regola… Loro!
 
“Ducky va tutto bene?” chiese la scienziata, appena mise piede fuori dall’edificio.
“Cara… Tu avevi controllato gli esodi delle analisi prima di mandarli alla clinica?” chiese immediatamente il dottore.
La scienziata abbassò il capo.
“No… Non volevo avere cattive notizie da sola… E ho preferito aspettare di saperlo con voi!” ammise.
“Non ti preoccupare, mia cara, è normale. La solitudine fa male a tutti. Ma permettimi di domandarti… Con  cosa hai confrontato il campione di sangue che ti ho mandato?”
“Con quello di Tony, ovviamente! Se Tony avesse contagiato la piccola, Ariel avrebbe avuto i suoi stessi batteri!” rispose con tranquillità la ragazza, rimanendo un po’ sorpresa dalla domanda con un’ovvia risposta di Ducky.
“Abby, ascolta…” iniziò il dottore, entrando nell’ala riservata al personale della clinica “Devi fare delle altre analisi su quel campione… Tra 20 minuti all’NCIS” concluse il medico, chiudendosi la porta alle spalle, lasciando fuori la povera Abby completamente disorientata.
 
Mentre Ziva firmava le ultime carte per poter riportare la loro bambina a casa, una mano si appoggiò sulla spalla della ragazza, che irritata si voltò di scatto.
“Che c’è?” chiese senza alcuna intonazione.
“Ziva… Credo che abbiamo iniziato col piede sbagliato…”
“Ti sbagli, Bishop! Noi non abbiamo mai iniziato!” disse dura la ragazza, ancora ferita dall’atteggiamento della donna che aveva dinanzi, che aveva sin da subito provato a metterla fuori gioco da quando era tornata all’NCIS, ponendole contro la sua famiglia.
“Non è come credi… Non mi fido facilmente della gente… E ancor meno delle perone che fanno soffrire i miei… Amici!”
Quella ragazzina era davvero perspicace. Sapeva dove colpire e quali parole usare. E così, Ziva dovette cedere, ma prima che potesse rispondere, la ragazza continuò.
“Ma… Hai avuto tanti motivi per andartene, ed altrettanti per tornare… E beh… Mi dispiace di aver dubitato di te e di aver aizzato l’intera squadra contro di te” disse infine.
Ziva, stupita da quella confessione, e trovandosi in difficoltà, cercò subito di divincolarsi.
“Mai chiedere scusa…” disse allontanandosi.
“È un segno di debolezza, lo so… Ma non con gli amici” la fermò Ellie, afferrandola per un braccio.
“Infatti… Noi non siamo amiche” rispose dura Ziva, liberandosi dalla presa.
Aveva troppi pensieri per la testa, e doversi fidare di qualcun’altro, era l’ultima delle sue preoccupazioni.
 
Uscì fuori all’aria aperta, aspettando di veder uscire Tony e Ariel per poi tornare a casa.
Iniziò a pensare, appoggiandosi ad una ringhiera e fissando un orizzonte immaginario, al di là di tutti quei grattacieli.
Cos’avrebbe fatto ora? Doveva trovare una sistemazione propria, certo, non poteva restare a casa di Tony per sempre. Già… Tony… Presto si sarebbe sposato. Mancavano pochissimi giorni al matrimonio, eppure poteva leggere la sua insicurezza negli occhi. E lei, ne era la causa. Le riaffiorò in mente quel momento in cui la sera prima, erano in ospedale, da soli, e avevano scoperto che Tony era scampato alla peste… Quelle parole le rimbombarono nella mente. Ti amo da diventare matto, sei la mia vita, ma più di tutte, quella che la tormentava ma io non la amo… Se non fosse stato per lei, ora vivrebbe una vita serena, e questo senso di colpa, la spinse ad ipotizzare di poter andare via, sparire nel nulla, senza che nessuno sapesse nulla… Ma Ariel… Lei aveva bisogno di entrambi i genitori, e non avrebbe potuto perderla ancora. Così come, non avrebbe potuto perdere Tony ancora una volta. Le restava solo una cosa da fare… Confermare le sue dimissioni.
 
“Eccomi Abby… Ho preso il campione di sangue…”
Ducky entrò nel laboratorio della scienziata e volle subito mettersi all’opera.
“Cosa dobbiamo fare Ducky?”
“Scoprire gli effetti di questo siero che mi sono procurato, su un batterio geneticamente modificato, come quello della peste polmonare di Tony”
“Che siero è?” chiese subito la scienziata curiosa.
“Un giorno lo scoprirai, ma ora, mettiamoci all’opera!”
 
Arrivarono a casa molto presto, ed Ariel dormiva ancora tra le braccia della madre. Prima di scendere, però, Tony guardò Ziva negli occhi, ancora gonfi per l’angoscia di quelle ore, la paura di perdere la sua bambina, per la quale aveva fatto di tutto.
“Allora… È vero che te ne andrai ora?” chiese Tony malinconico.
Ziva, in risposta, abbassò il capo, sentendosi ancora colpevole per quello che era successo e che stava per accadere.
“Ellie sa fare bene il suo lavoro” disse alla fine, alzando leggermente lo sguardo, ed incrociando quello deluso del ragazzo.
“Non c’è bisogno di me all’NCIS”
“Non parlavo dell’NCIS…”
Ed ora cosa gli avrebbe detto? Che si, voleva scappare da quella assurda realtà, in cui qualunque cosa facesse era uno sbaglio. Che voleva lasciarlo libero di vivere la sua vita, lasciarlo indisturbato e andare via, ma non poteva, perché prima di tutto, veniva il bene di sua figlia Ariel, che non poteva perdere una madre, ora che aveva riacquistato un padre.
“Troverò un lavoro…” rispose senza alcuna tonalità “E anche una nuova sistemazione” concluse, scendendo dall’auto con la bambina in braccio.
 
“Ducky ci sono!” esultò finalmente la scienziata.
“Ho i risultati… Dunque… È un siero che serve a dimezzare il periodo di gravidanza, modificando lo stato della placenta” iniziò.
“Il germe modificato di Tony, aveva una membrana sul capo che ne causava la morte in seguito a 36h per quello di 11 anni fa, e solo 10h per quello dell’ultima volta. Questa membrana, è fatta della stessa sostanza della placenta umana, e quando il siero viene a contato con quel batterio modificato, lentamente la… disintegra” disse Abby analizzando i risultati.
“Questo significa che rende il batterio modificato alla sua forma originaria… Quindi… Peste vera!” disse ad un tratto il dottore molto preoccupato.
“Abby fai un riscontro tra il sangue della bambina e la presenza dell’antica peste del ‘600…” continuò.
“Perché? Pensi che qualcuno abbia iniettato il siero ad Ariel?”
“Non lo penso… Lo so!”
“E chi?” chiese Abby meravigliata.
“Saleem Ulman!” e così dicendo, uscì di corsa dal laboratorio.
“Saleem? Ducky ma che dici?”
La scienziata ancora confusa sbuffò, prima di procedere con le sue analisi.
 
Ducky corse giù per le scale, incrociando Gibbs.
“Jethro, Ariel non è ancora fuori pericolo! La peste… Il siero… Potrebbe trattarsi di peste a tutti gli effetti!”
“Ducky di che stai parlando? Quale siero?”
“In Somalia… Ah… Maledizione! Potrebbe essere troppo tardi!”
Gibbs gli fece cenno con la mano di seguirlo in ascensore, per andare immediatamente dai due giovani. Sentiva di non poter controllare quello che stava accadendo, e non sapeva come proteggere la sua squadra.
 
Raggiunsero la casa di Tony in brevissimo tempo, senza essersi scambiati alcuna parola durante tutta la corsa. Scesero dall’auto, e citofonarono insistentemente al campanello.
In quel momento il cellulare di Ducky squillò, ed il medico non esitò a rispondere.
“Ducky ho i risultati…”
“Ebbene?”
Ziva aprì la porta, e si trovò davanti Gibbs con un espressione seria, che pretendeva di sapere cosa stesse succedendo, e perché lui non ne fosse al corrente, e Ducky, con un’espressione attonita per quello che le stava dicendo Abby al telefono.
Non sapeva cosa aspettarsi, e quella situazione le stava provocando molta ansia. Tony raggiunse subito l’uscio della porta con la bambina in braccio che si era appena svegliata, e aveva ripreso a tossire.
“Che sta succedendo?” chiese allarmato.
Ducky fece cadere la telefonata, ed in un soffio riuscì solo a pronunciare il suo nome “Ariel…”
 
Ziva comprese immediatamente. Qualcosa doveva aver compromesso le analisi, e l’unica supposizione che era in grado di fare, era quel maledetto siero.
“No! Ducky, no, ti prego!” lo supplicò sentendo le lacrime salirle agli occhi e reprimendole.
Fecero entrare i due uomini, e immediatamente misero a letto Ariel, ignara di tutto quello che le stava accadendo.
“Papà che succede?” chiese avvertendo la tensione raggiungere il culmine.
“Niente sirenetta… Va tutto bene… Andrà tutto bene” provò a tranquillizzare più se stesso che la figlia.
Tony provò a farla riaddormentare, pur consapevole che la piccola si era appena svegliata, mentre Ziva parlava con Ducky e Gibbs.
 
“Ziva… Ascolta Ariel ha contratto la peste polmonare, ma quel siero, ha trasformato il batterio modificato creandone uno che ha le stesse caratteristiche di quello modificato, ma la stessa longevità dello Yersinia Pestis…” provò a spiegare il medico.
“Ducky… Stai dicendo che non si può curare?” chiese sconvolta e sul punto di crollare.
“Ma si può sapere di cosa state parlando? Volete un invito scritto per rendermi partecipe?!”
“Jethro, la situazione è molto più complessa di quello che pensiamo…” iniziò a calmarlo il dottore.
“No Ducky!” sbottò alla fine Ziva. “Non è per nulla complesso. Mia figlia ha contratto un batterio che la ucciderà lentamente, ed io non posso fare niente per salvarla!” urlò, scattando in piedi, senza tenere conto che poche stanze più avanti, Tony stava provando a calmare Ariel.
 
Quando il ragazzo sentì Ziva urlare in quel modo, non capiva bene quello che stesse dicendo, ma sapeva che la situazione era grave, e lui stava per perdere la sua ancora di salvezza, sua figlia.
“Papà perché la mamma urla?” chiese la piccola spaventata.
“Non è niente tesoro, ma adesso dormi…”
La piccola provò a ribattere, ma venne bloccata da violenti attacchi di tosse, e Tony la strinse a sé.
 
“Ziva… Calmati e spiega” la chiamò Gibbs, per farla tornare in sé.
“Gibbs…” si lasciò cadere sfinita all’indietro sul divano, con il volto fra le mani.
“Ziva… Parlami” la incoraggiò.
“Avanti mia cara… È inutile tenerselo per se… Siamo la tua famiglia, tutti… E devi permettere a tutti noi di entrare nella tua vita ed aiutarti sempre” si aggiunse il dottore.
Alla fine, tra vari sforzi per non mostrarsi debole e trattenere le lacrime, gli incoraggiamenti di Gibbs, e gli aiuti di Ducky che già sapeva, riuscì a spiegare a Gibbs quello che era successo, e permise loro di mettere anche Abby e McGee a conoscenza dei fatti… E alla fine concordò anche per Bishop, ma solo lo stretto necessario.
 
Poco dopo, vennero raggiunti da Tony, che a fatica era riuscito ad addormentare Ariel.
Vedendo Ziva distrutta, il capo sconvolto e Ducky rassegnato, non ebbe bisogno di fare domande, perché tutto quello che c’era da sapere, era chiaramente visibile.
Si sedette accanto a Ziva, e si lasciò andare, appoggiando la testa indietro e la mano sulla fronte.
 
Gibbs, che non riusciva a starsene con le mani in mano, alla fine chiamò Abby, intimandole di trovare una soluzione.
“Ma Gibbs… Non esiste niente che la possa fermare!” aveva detto fra le lacrime, una volta a conoscenza dei fatti, insieme a McGee.
“Provate! Riprovate! Trovate!” disse di rimando il capo furioso per come stavano andando avanti i fatti, mentre chiuse la telefonata.
 
Era tarda serata, e Tony e Ziva, erano ormai rimasti soli a casa, sul letto di Ariel.
Le erano accanto come due angeli custodi, e la accarezzavano con estrema delicatezza.
“La nostra bambina…” si lasciò sfuggire Ziva, mentre i suoi occhi gonfi e rossi, accentuavano la tristezza nel cuore dell’uomo.
Tony la guardò con apprensione, e Ziva sentendo il suo sguardo addosso, si alzò e uscì dalla camera. Tony restò con la piccola per pochi minuti, prima di decidere di seguirla.
Uscì fuori casa, aspettandosi di trovarla lì fuori, ma non c’era. La chiamò, ma sembrava sparita. Capì che probabilmente era uscita a prendere aria, e si incamminò, ma non sapeva dove andare, così decise di tornare in casa, a bere un sorso di Brandy, e affogare tutte le sue frustrazioni in quel liquore.
 
Quando Ziva rientrò, era sudata fradicia, lasciò cadere il borsone sull’uscio della porta, si sciolse i capelli e si avviò verso il bagno, fermandosi a guardare per un attimo Tony che dormiva. Il suo Tony… L’uomo che non avrebbe mai avuto, eppure l’unico che amava sul serio. Si accostò sull’uscio della porta della camera da letto apparentemente vuota, per poi notare un lieve rigonfiamento nel centro… La sua piccolina.
A vederli, l’uno sul divano, l’altra sul letto, sembravano dormire beatamente, come se nessun problema stesse torturando i loro sogni… Ed infatti era così… Perché era un sogno… Quello di poter essere felici, sereni, era solo un sogno… Un maledetto sogno.
 
Andò in bagno, per farsi una doccia, ma prima di aprire l’acqua, si osservò allo specchio, e si rese conto di quanto effettivamente fosse dimagrita. Quel giorno, presa dalla disperazione, non aveva toccato cibo, e se anche sapeva che le faceva male, non volle mangiare nulla. Le si era chiuso lo stomaco nel momento in cui aveva visto solo pura disperazione negli occhi persi di Ducky.
Si decise ad aprire l’acqua della doccia, e lasciò che il sapone potesse portare via lo sporco dalla sua pelle, e dalla sua anima. L’acqua era gelida, ma Ziva non ebbe neanche un brivido. Sapeva cosa stava per accadere. Se avesse perso sua figlia, sarebbe tornata ad essere un essere insensibile, incapace di provare emozioni… O meglio… Che si rifiuta di provare emozioni. Fredda, come non mai, perché ancora una volta, la morte avrebbe preso il posto di regina nel suo cuore, e lei non avrebbe potuto più salvare nessuno dal suo destino. In quel momento le tornarono in mente le parole di Jamaal… Non lo salverai… Le immagini di quel giorno presero a scorrere nella sua mente, e rivide Tony che con tutte le forze cercava di entrare in obitorio, con in braccio sua figlia… Avvolta da una copertina… Una copertina azzurra.
Il suo cuore perse un battito.
Non lo salverai… Non era riferito a Tony… Ma a sua figlia… Ecco cosa gli aveva detto Monique! Che Ziva aveva un figlio… E Jamaal, vedendo la copertina blu, avrà pensato che fosse un maschio. L’obiettivo allora non era Tony… Era di nuovo Ziva! Ancora! I fratelli Ulman le stavano lentamente strappando ogni cosa che la rendesse felice.









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Ecco finalmente il nuovo capitolo... Okay quanto mi odiate da uno a dieci? Vi vedo già comparire con i forconi in mano sotto casa... Comunque... Ariel ha la peste polmonare, ed i nostri 'eroi' non sanno come poterla curare. Ci sarà un modo? Ariel si salverà? E cosa succederà tra Tony e Ziva? Ziva ha dato le dimissioni all'NCIS... E Zoe? Come reagirà a tutto ciò? Spero di aver acuito la vostra curiosità... Ma mi dispiace dirvi che purtroppo dovrete aspettare Domenica prossima per avere (alcune) risposte... Detto questo vi saluto e ci vediamo al prossimo capitolo.
Baci. Gaia.

 

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Capitolo 17
*** VI VOGLIO BENE ***


Erano trascorsi pochi giorni da quella notizia che aveva sconvolto le vite di tutti, e all’NCIS si respirava un clima di ansia e paura per quale sarebbe stato l’esodo di quel calvario.
 
Ziva aveva confermato le sue dimissioni, e Tony si era preso un periodo di ferie per poter rimanere accanto alla sua bambina.
Tutte le sere, poi, la stessa storia. Ariel si svegliava e iniziava a tossire. I genitori la aiutavano prontamente con tisane, antibiotici e calmanti per la tosse, e quando finalmente riusciva a prendere sonno, Ziva iniziava a sentirsi male, le lasciava un bacio leggero e delicato sulla fronte, e usciva di casa. Tony, preso più volte dall’istinto di seguirla e tranquillizzarla, ed affrontare il problema come una famiglia, provava a seguirla, ma quando usciva e non la trovava, capiva che probabilmente non sarebbero mai riusciti ad avere un famiglia… Al pensiero di quella parola il panico lo assaliva, perché presto avrebbe formato una sua famiglia con una persona che probabilmente non amava… Allora affogava i suoi timori nell’alcool e alla fine si addormentava sul divano.
Quando Ziva tornava a casa, stanca e sudata, con tutti i muscoli indolenziti, lasciava le sue cose davanti alla porta e si richiudeva in bagno. Sotto lo scorrere dell’acqua ghiacciata, le sue lacrime si confondevano con le gocce che le lavavano il viso, e la sua mente vagava lontano.
 
Quella sera, però, qualcosa andò diversamente.
Tony entrando in camera aveva trovato Ziva ed Ariel abbracciate nel lettone che sembrava dormissero beatamente, e quando anche quella sera, la bambina si svegliò sgranando gli occhi per i violenti colpi di tosse, Tony si accorse che Ziva, senza alzare la testa, strizzò gli occhi e strinse la piccola a sé, che dopo pochi secondi si calmò. A quel punto la ragazza alzò lo sguardo per calmare Ariel, ed il ragazzo poté scorgere la paura nei suoi occhi che scendeva lungo tutto il suo viso sotto forma di lacrime.
 
Poco dopo si alzò dal letto, e con un movimento quasi impercettibile si asciugò gli occhi. Tony rimase a guardarla con la schiena appoggiata alla porta, mentre dava un bacio sulla fronte ad Ariel. Alla fine aprì la porta di casa, ed uscì. Questa volta, però, Tony doveva sapere, doveva capire cosa stesse succedendo, e prima che fosse troppo tardi, uscì anche lui. Le afferrò il polso e la avvicinò a sé.
Si guardarono negli occhi, come se stessero discutendo animatamente con parole che solo loro potevano sentire, poi lui ruppe il silenzio.
“Non possiamo affrontare tutto questo da soli…”
“Ho trascorso due anni sola con una figlia. E domani è il suo compleanno!” lo guardò fisso negli occhi. Poi tentò di divincolarsi, ma senza risultati, e Tony riuscì ad attrarla a sé, e a cingerle la vita con le sue braccia.
Erano ad una vicinanza pericolosa, e nessuno sapeva quanto avrebbero retto, prima di abbattere quei pochi centimetri che li separavano.
“Lasciami andare, ti prego. Non potrei sopportare di…” Le sue parole, però furono fermate da quello che lei temeva. Tony l’aveva stretta ancora di più a sé, e alla fine, senza riuscire a resistere, aveva appoggiato le sue morbidi labbra su quelle di Ziva, baciandola con passione e desiderio.
Ziva, colta impreparata da quella reazione, si ritrasse immediatamente.
“Cosa credi di risolvere così?” gli urlò contro, mentre già pregustava l’amaro sapore delle lacrime che di lì a poco sarebbero scese dal suo viso.
Scappò via, lasciando Tony immobile, pietrificato dalla sua reazione, e da tutto quello che stava accadendo.
 
Amava Tony, e questa era l’unica cosa certa sulla quale Ziva si potesse aggrappare per non cadere. Ma come poteva lasciarsi andare a quel sentimento, se così avrebbe rovinato il suo matrimonio? Se lo amava così tanto, non poteva permetterselo.
Quel bacio era tutto quello che desiderava, ma aveva preferito allontanarsi da lui per il suo bene. Scappò via, e si rifugiò dietro un muro lontano.  Si appoggiò con la schiena e iniziò a prendere aria. Il suo petto si muoveva incessantemente, riempiendo e vuotando la cassa toracica incessantemente. Chiuse gli occhi, e prima che una lacrime potesse rigarle il viso, iniziò a correre con tutte le forze che aveva in corpo, prima di trovarsi ancora per una notte davanti a quell’edificio in cui si respirava il sapore della magia, dei desideri che si avverano, si ascoltava la dolce musica della serenità… Il luogo in cui lei si sentiva a casa.
 
Tony ancora sconvolto, si lasciò cadere all’indietro sul gradino di casa. La testa fra le mani, gli occhi lucidi, la mente che pensava solo a lei, e nelle orecchie la sua voce Cosa credi di risolvere così?
Niente, ma sentiva che aveva bisogno di lei, solo lei, che da quando l’aveva lasciata a Tel-Aviv, l’aveva persa, lo sentiva, e che se anche fosse tornata da lui, la percepiva lontana dal suo cuore. Come era possibile che due anime così tormentate potessero trovare la pace l’una nell’altra? Non sapeva neanche questo, perché riusciva a pensare solo a lei, nient’altro. Ogni volta che era con lei, tutto spariva, si isolava dal mondo, e niente aveva più senso. Se questo è l’amore vero, l’amore puro, che ti allontana dal resto del mondo, solo per un determinato scopo, un punto fisso in un universo instabile, allora il suo unico vero amore era Ziva David.
 
Un lampo illumino quella notte tanto cupa, e rischiarò il cielo per una frazione di secondo, un tempo minimo ma che bastò a Tony per sentirsi morire dentro. Come aveva potuto baciarla se in due giorni si sarebbe sposato con Zoe? Lui l’amava, e proprio per questo non poteva metterla in mezzo, farle passare un altro inferno che non meritava.
Subito seguì un tuono che rimbombò in tutto il vicinato. Dov’era adesso Ziva? Magari stava correndo sotto la pioggia, quel fenomeno che da piccola non aveva mai visto. Ricordò quando per la prima volta la vide osservare le gocce d’acqua che cadevano dal cielo. Probabilmente le era capitato poche altre volte, ed ogni volta rappresentava una… Magia. Un giorno le avrebbe mostrato la neve, per la prima volta, e lui sarebbe stato con lei a stringerle la mano, e a riscaldarla da quel freddo glaciale. Ma ora, era da sola, munita solo di un borsone, ed un cuore confuso, che vagava per le strade di Washington, senza meta, sotto la pioggia scrosciante.
Vide cadere le prime gocce d’acqua e bagnarli le scarpe. La strada si riempii di ticchettii di ogni singola goccia che cadendo lasciava la sua impronta.
 
D’un tratto sentì un rumore diverso da quello che stava invadendo la sua mente. Un rumore diverso dalla quiete di quella tempesta. Un passo nervoso, veloce, sicuro. La testa ancora fra le mani, e le lacrime che scivolando per terra, si confondevano con la pioggia. Vide delle scarpe fermarsi davanti a  lui, e saltò in piedi.
“Ziva!”
Poi però, vide l’ultima cosa che avrebbe voluto gli capitasse.
“Zoe… Scusami, è che…”
Ma questa non gli diede il tempo di finire la frase, che gli rifilò un sonoro schiaffo.
Sulle prime Tony rimase basito da quel gesto, poi capì. Doveva aver visto l’intera scena, e ora anche il suo matrimonio si stava sgretolando.
“Ti stai comportando come un bambino! Il vecchio Anthony DiNozzo che conoscevo, non esiste più! L’uomo di cui mi sono innamorata, era solo il riflesso di un amore che aveva perso…”
Tony riusciva a vedere la rabbia nei suoi occhi. E nella voce, solo odio. Sapeva di averla ferita, ed ora si riteneva responsabile.
“Ascolta Zoe… Lo so che non ti chiamo mai, che probabilmente tu vuoi finirla qui, ma… Probabilmente non sarò mai un buon marito, ma io voglio ancora sposarti… Perché io… Io…”
Non sapeva da dove gli fossero uscite le parole, ma non riusciva più a completare la frase…
“Tony… Io ti amo… Ma non ha più alcun senso continuare così! Lo vedo nei tuoi occhi, che per te ero solo una specie di valvola di sfogo, perché ti mancava qualcosa.. O qualcuno!”
Il tono di voce era cambiato, diventando più malinconico e nostalgico.
“No, non è così! Ti sbagli!”
“E allora dimmelo che mi ami!” gli urlò, quasi con le lacrime agli occhi.
Ma Tony, rimase paralizzato.
“Smettila di fare il bambino, e comportarti così!”
“Zoe io ti…”
“Ti ho detto di smetterla! Fai l’uomo!”
“E che dovrei fare?” le chiese più dolcemente, capendo che Zoe desiderava un suo bacio.
“Fai l’uomo, e corri da lei! Non lasciartela scappare!”
Quella frase lo immobilizzò. La guardò negli occhi con uno sguardo intenso, e finalmente capì che Zoe era stata per lui una grande amica. Lo aveva aiutato quando la persona che amava non c’era, ma nonostante tutto, quello che provava per Ziva, era tutta un’altra cosa.
La voglia di baciarla, e saltarle addosso ogni volta che la vedeva, anche da lontano, la strana sensazione che sentiva nello stomaco quando udiva la sua voce, solo lei riusciva a stordirlo in quel modo.
Fissò Zoe pera altri pochi secondi, forse in segno di ringraziamento, prima di girarsi, e iniziare a correre senza sapere dove andare. Conoscendo solo l’istinto di Ziva.
 
La cercò ovunque, in tutte le sinagoghe, all’NCIS, al bar dove l’aveva invitato circa 10 anni prima ma lui non si era presentato… Ovunque. Ma di lei nessuna traccia. D’un tratto il sangue gli si gelò nelle vene. Probabilmente aveva preso un volo per Tel-Aviv, ed era andata via per sempre.
Decise di tornare a casa, ad affogare la sua paura nell’alcool, e sperare di dimenticare. Il punto era cosa dimenticare? 10 anni della sua vita? Dimenticare l’amore della sua vita? Dimenticare che aveva appena distrutto un matrimonio? Impossibile.
Quando però mise piede in casa, qualcosa lo fece ravvivare. Sentiva un odore diverso da quello che era fuori. Odore di casa, di piccolo, di tenero… Odore di Ariel.
Andò in camera, e la vide ancora sveglia, che provava a prendere sonno tra un colpo di tosse e l’altro.
Quando si avvicinò, la vide bianca come mai, e la punta del naso bordò. Le labbra viola si mossero lentamente, e dalla gola usci una flebile voce.
“Ciao papà…”
Tony le mise una mano sulla fronte. Poi le diede un bacio.
“Dov’è la mamma?”
Quella domanda fu per lui una risposta. Ziva era ancora a Washington. Non avrebbe mai abbandonato sua figlia, men che meno in quelle condizioni.
“Tornerà tra poco” le sussurrò. Poi, vedendola in difficoltà a parlare, aggiunse “Vuoi che ti racconti una storia?”
Ariel fece cenno di si con la testa.
“Allora c’era una volta una principessa, di nome… Ariel. Ed era una sirenetta, lo sai?”
“Papà ma io voglio quella che ci raccontavamo io e la mamma!”
“E che storia è?” chiese curioso, vedendo che la figlia stava già prendendo un colorito diverso.
“Cera una principessa che si chiamava Ziva. L’ho scelto io questo nome!”
“Beh… Direi che è bellissimo!”
la piccola rise per quello che riusciva, poi andò avanti.
“Tutta la sua famiglia era in cielo, e lei viveva con una matrigna e delle sorellastre…”
A quel punto Tony, grande esperto di cinema, capì subito a quale storia avesse fatto riferimento Ziva quando doveva raccontarla ad Ariel: Cenerentola.
“Mhhh… Fammi pensare… Cen… No… Ziva… Lavorava per quella sua nuova famiglia cattiva, dove tutti la trattavano male” le disse piano, accarezzandole il pancino.
“Siii!” esultò la bambina.
“Poi un giorno, la famiglia reale decise di organizzare un gran ballo con tutte le fanciulle del regno” iniziò a raccontare.
“E quando finalmente, con la carrozza che le aveva regalato la fata madrina, anche Ziva riuscì ad arrivare al ballo, il principe azzurro, ballò con lei tutta la notte”
“Papà ma hai dimenticato di dire il nome del principe… Tony! Questo invece, l’ha scelto la mamma”
Tony sorrise, e andò avanti.
“Arrivò però la mezzanotte, e Ziva dovette scappare a casa, prima che l’incantesimo si spezzasse. Ma nel correre via, perse la scarpetta di cristallo lungo le scale, ed il principe Tony…”
“Papà ma non la sai proprio la storia?” lo fermò ad un tratto la bambina. “Non è vero che perde la scarpetta… Però lascia nella tasca del principe una collana con una stella particolare…”
A quelle parole, Tony sussultò. Sapeva che quella parte doveva averla modificata Ziva.
Ed infatti era così. In quei due anni, Ziva non aveva mai smesso di pensare a Tony, e a quanto lo amasse, e avrebbe voluto non dover fare quella scelta così dolorosa, che le era costata tanto.
“E poi come va a finire la storia tra Ziva e il principe Tony?” chiese il ragazzo spaventato, con l’intenzione di capire cosa aveva intenzione di fare Ziva.
“Non lo so… La mamma mi ha detto che non sa cosa decise di fare il principe… Non sa se il principe Tony decide di non fare niente e continuare a credere che Ziva è scappata senza un motivo, oppure cercarla, svelare il suo segreto, e vivere per sempre felici e contenti…”
 
Tony non ebbe il tempo di riflettere su quello che Ariel gli aveva detto, che sentì la porta di casa aprirsi.
“È tornata la mamma!” disse in un sorriso alla figlia, sentendo il suo animo tranquillizzato.
 
Quando Ziva arrivò, come suo solito, si slegò i capelli, e si affacciò a controllare la figlia. Con sua grande sorpresa, però la trovò ancora sveglia, con Tony che la coccolava. La flebo nella vena del suo piccolo braccino, tubi che la collegavano ad un elettrocardiogramma, ed in tutto quell’orrore spuntava il suo tenero sorriso. Nonostante quello che era successo poche ore prima, non poté fare a meno di sorridere, e raggiungerli.
“Ciao amore…”
“Ciao mamma”
Ziva aveva i capelli mossi che le ricadevano sul volto. Era bellissima, con la mano appoggiata sul pancino della figlia, e Tony vi appoggiò sopra la sua. Ziva lo guardò per un attimo, notando qualcosa di diverso nei suoi occhi. Abbassò lo sguardo sulle loro mani, e notò che il dito di Tony, non aveva più la fedina che gli era stata regalata da Zoe, segno del loro amore
Lentamente alzò la testa, posando i suoi occhi in quel mare verde, trovando quell’amore che solo lui riusciva a donarle.
Capì quello che poteva essere successo poche ore prima, e che il destino le stava offrendo un’altra possibilità di vivere con l’amore della sua vita, di essere finalmente felice.
 
Lentamente avvicinò il volto a quello di Tony. Aveva bisogno di lui, della sua presenza, della sua sicurezza, aveva bisogno di quella certezza che avrebbe sempre avuto un angelo custode a cui poter affidare la propria completa esistenza.
La distanza tra loro divenne minima. Entrambi si desideravano, e non riuscivano a pensare ad altro.
Le loro labbra quasi si sfioravano, e dalle loro bocce stava per uscire un flebile ti amo, quando quel momento tanto atteso venne interrotto da una forte tosse secca.
 
Si voltarono entrambi di scatto. Ariel stava annaspando, alla ricerca di ossigeno. Un altro violento colpo di tosse, e le lenzuola si sporcarono di un rosso profondo.
Tony poté leggere il terrore negli occhi di Ziva, che in tutti i modi cercava di placare quella tempesta.
Corse a prendere dei fazzoletti in cucina e dell’acqua. Servirono a ben poco.
Entrambi erano seduti sul letto, stringendo a sé la piccola, che nel frattempo, cercava di dire qualcosa.
“Mamma… Papà…”
Tony iniziava a capire cosa stesse succedendo, ma non voleva crederci, non poteva. L’aria era diventata satura di ansia e preoccupazione. Entrambi erano consci di quello a cui stavano andando incontro, e del fatto che non potevano più fare nulla per impedirlo.
“Amore prova a respirare… Ce la puoi fare!” disse Ziva in un momento di lucidità, ma capendo subito quanta fatica le costasse, anche solo provarci.
“Vi voglio bene…” riuscì a dire alla fine, prima di tornare a tossire ancora più violentemente di prima, coprendosi la bocca con un fazzoletto.
Quando Ziva glielo tolse di mano, per dargliene un altro, lo trovò intriso di sangue, e sentì un brivido percorrerle tutta la spina dorsale.
Non mancò di notare la paura vera e propria negli occhi di Tony, e gli strinse la mano.
Quel gesto significò troppe cose per loro. Una conferma della sua presenza, una richiesta di aiuto, ed un modo per dire che sarebbero andati avanti insieme, qualunque cosa fosse successa.
 
D’un tratto i colpì di tosse cessarono di colpo, ma prima che Tony e Ziva potessero tirare un respiro di sollievo, il rumore di altri colpi di tosse molto flebili, si fece largo nella stanza. Troppo flebili dopo quello che era appena successo.
“Mamma ho paura”
“Non devi avere paura… Ci siamo noi!” affermò immediatamente Tony.
“Ci saremo sempre, ricordi?” confermò Ziva.
La piccola sorrise. Era diventata completamente banca in volto, come se la neve si fosse depositata sul suo viso.
Fece per allungare le braccia, chiedendo un abbraccio da parte di entrambi i genitori, ma nel momento in cui furono tutti e tre vicini, a contatto l’uno con l’altro, sentirono le sue braccine cedere… Ed un rumore simile ad un fischio, decretò la fine delle loro vite, uccidendoli da dentro.









NOTA DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti... Eh... Eh... Emmm si ecco... Che dire... Vi voglio bene? XD
No eh? Allora... Si... direi proprio di si... È il caso di andarsi a nascondere da qualche parte in attesa di un eventuale attentato!
Coooooomunque...
Il lato positivo è che Tony e Zoe si sono lasciati... No? Ancora non funziona eh?
Però non dite che non vi avevo avvertito! E poi il momento tra Tony ed Ariel è così tenero... No?
A proposito... Cosa ne pensate della storia che raccontava Ziva a sua fglia? E quale dovrebbe essere per voi il finale?
(Prima che me lo chiediate... Non sto certamente focalizzando la vostra attensione su un altro punto del capitolo solo per paura di quello che potrei trovarmi nel letto stanotte eh!)
In ogni caso spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vorrei dedicare la storia di cenerentola versione TIVA ad una persona speciale che si chiama come me... u.u Gaiaaaa!
Detto questo...
Baci e al prossimo capitolo.
Gaia.

 

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Capitolo 18
*** HARD TO SAY GOODBYE ***


Fu una notte di distruzione, disperazione, di lacrime amare che scendevano imperscrutabili. Una notte di urla disperate, di suppliche e di preghiere. Una notte che pochi sanno cosa significhi vivere, una notte che cambia la vita in modo irreversibile, durante la quale, inizia quel lento e logorante processo di sgretolamento dell’anima.
 
Entrambi erano ancora abbracciati al piccolo corpo freddo che ormai aveva perso tutto il suo calore. Non riuscivano a realizzare che quella che stavano abbracciando, non era più una bambina, ma un maledetto cadavere.
Ariel. Non avrebbero mai dimenticato quel nome, il nome di un angelo sceso in terra solo per compiere il destino, arrivato per miracolo, scomparso per sciagura.
Eppure, avrebbero preferito entrambi la solitudine a quel disastro. Ma non erano loro a poter scegliere, e qualcun altro ha scandito il ritmo della loro vita, qualcuno che può uccidere anche da morto, qualcuno che continua ad esistere nella mente di chi lo ha visto in tutta la sua crudeltà ed ha provato ad andare avanti. Saleem e suo fratello.
 
Tony, Tony che nella vita aveva pianto davanti a qualcuno solo una volta, non per paura, non per la morte, ma per un addio… Adesso versava le sue lacrime amare, come fossero acqua traboccante da un vaso. Non riusciva a ragionare, ma capiva che quella situazione si sarebbe rivelata ancora più catastrofica di quello che poteva immaginare. Adesso non aveva più nulla per cui lottare, nulla che amasse a tal punto da perdonare e capire ogni errore, nulla che lo legasse alla persona che amava. Non aveva più nulla, era solo.
 
Quando alzò la testa dal cuscino ormai completamente zuppo delle sue lacrime, si accorse di stringere ancora il corpo inerme di sua figlia, e la stessa cosa stava facendo Ziva dall’altro lato del letto.
Non aveva avuto modo di dimostrare a sua figlia tutto l’amore che provava per lei, eppure sembrava che la piccola l’avesse sempre saputo. Come se il destino avesse voluto tendergli una trappola. Legarsi ancora a una persona con tutte le forze, per vederla poi andare via. Per sempre.
Quando si accorse di Ziva, ed i suoi occhi tornarono a vedere quello che realmente aveva davanti, vide una ragazza diversa da quella che aveva imparato a conoscere in 10 anni e in quelle settimane.
Piangeva senza tregua, un pianto silenzioso, intervallato da singhiozzi. Solo disperazione. Quella notte era solo pura disperazione.
 
Stringeva gli occhi, forte, come a non lasciar andare l’immagine di sua figlia ancora viva. Ma doveva accettare la sua assenza. Ora non c’era più. Aveva lottato per farla nascere, aveva lottato contro tutto e tutti, completamente sola, ma ci era riuscita. Aveva permesso a sua figlia di aprire gli occhi e vedere la vastità del mondo, vedere i colori, i fiori, il cielo, le nuvole, il sole. Erano ormai indivisibili. Ziva e Ariel, mamma e figlia, il demone e l’angelo, una coppia improbabile con un legame indissolubile, oltre i confini dello spazio, del tempo, dell’universo.
Ed ora Ziva si ritrovava da sola, completamene sola, a combattere la sua guerra, una battaglia senza uno scopo preciso, perché ormai la sua vita non aveva più senso. Non aveva più uno scopo.
 
Stringeva la piccola così forte, che poteva anche sgretolarla, non riusciva più a immaginare una vita senza di lei. I singhiozzi divennero più insistenti, tanto da destare Tony dai suoi pensieri. Il ragazzo a fatica si alzò dal letto, per passare dall’altro lato, ed abbracciare quell’unico appiglio di speranza che gli rimaneva, per la quale Ziva non se ne sarebbe andata ancora, e lui avrebbe potuto proteggerla. Loro, sarebbero potuti rimanere insieme, farsi forza l’uno con l’altro.
 
Quando Ziva senti le mani di Tony accarezzarle la schiena curvata verso la figlia, non riuscì più a trattenersi, affondò il viso nel suo petto, il suo rifugio sicuro, iniziò a piangere senza più riuscire a fermarsi. Un urlo disperato uscì dalla sua bocca, un urlo che chiedeva di tornare indietro e di cancellare quello che era stato. Tony la strinse più forte a sé, mentre le lacrime gli rigavano tutte le guance.
 
I minuti passavano, senza che loro se ne accorgessero. Il loro pianti e la loro disperazione non accennava a placarsi. Ed entrambi iniziavano ad attribuirsi colpe non proprie, a giudicarsi per l’assenza o per la distrazione, quando invece, gli unici colpevoli erano i fratelli Ulman.
 
Quando dopo 10 minuti, forse 20… forse un’ora, riuscirono a calmarsi, Ziva alzò lentamente il capo, rivelando i suoi occhi rossi e gonfi, colmi di tristezza e senso di colpa, incrociando quelli di Tony, altrettanto gonfi, ma che le infondevano tranquillità, nonostante la situazione.
“Mi dispiace… Sarei dovuto essere più attento…” si liberò Tony, del suo rimpianto.
“Non è colpa tua…” rispose immediatamente, divenendo improvvisamente gelida. Si voltò verso la figlia, e crollando nuovamente in quel momento di fragilità, si lasciò scappare un sospiro, mentre le lacrime riprendevano a scendere copiose dal suo viso.
“Sembra che dorma serena come un angelo…”
“Quello che desiderava era una famiglia… E se n’è andata tra le nostre braccia…” disse Tony di rimando.
 
In quel momento si sentì morire dentro. Non che fino ad allora si fosse sentita bene, ma adesso sentiva il peso della morte di sua figlia aggiungersi a quello di tutte le altre morti che lei stessa aveva causato.
Non riuscendo più a trattenersi, si sentì così stupida, ma aveva bisogno di affetto, di qualcuno che la comprendesse, e se anche Tony non potesse nemmeno immaginare il legame che in due anni si era creato tra mamma e figlia, era l’unico al quale potesse chiedere aiuto, e cercò ancora con le braccia, il suo petto, come una bambina che si allunga per un abbraccio… Forse l’ultimo, prima di cadere nelle spire della morte, prima di cadere nell’oscurità più totale, la disperazione di aver perso la propria vita: Ariel.
 
Tony istintivamente tornò ad abbracciarla, e a sussurrarle che l’avrebbero superata insieme, benché sapesse perfettamente che una cosa del genere non si supera, ma si impara a convivere con la sua perdita, si impara a convivere con quel dolore, si impara a vivere con l’ombra di un fantasma, finché nel proprio cuore quel fantasma, non ritorna ad essere l’angelo che era quando era in vita, la luce, la brillantezza, l’angelo che ha permesso la riunione di due anime gemelle, e che se n’è andato, abbandonando una terra così arida di amore, con la consapevolezza di essere riuscito nel suo intento, e che forse tanto arida non è, perché un amore come quello che legava, e che lega tutt’ora Tony e Ziva, è qualcosa di ultraterreno.
 
La allontanò da sé, solo per un attimo, il tempo di guardarla negli occhi e continuare a infondere la serenità che si prova quando ci si trova in una prato verde smeraldo, come i suoi occhi.
“Dobbiamo avvisare gli altri…”
Ziva fece cenno di si con la testa, poi andò in bagno a sciacquarsi il volto, mentre Tony parlava al telefono.
Erano quasi le 5 di mattina, e Gibbs era in una fase di dormiveglia, quando sentì il cellulare squillare insistentemente.
Non fece caso al nome che comparve sullo schermo e rispose.
“Capo…”
“DiNozzo…”
Silenzio dall’altro capo del telefono.
“DiNozzo vuoi un invito scritto? Che succede?” Gibbs si svegliò completamente, e mentre attendeva una risposta da Tony, si catapultò in macchina.
“Capo… Si tratta di…”
Gibbs sentì la voce di Tony rompersi
“Sto arrivando!” concluse prima di chiudere la telefonata.
 
Ziva era ancora in bagno. Si era sciacquata il viso più di una volta per cancellare ogni traccia del suo pianto, ma senza ottimi risultati. Ripensava a tutto quello che erano riuscite e superare insieme, da sole, a quello che Ariel aveva significato per lei, e che non avrebbe mai più avuto.
Quando uscì dal bagno, Gibbs parlava con Tony sul divano. Sapeva cosa significasse per un padre perdere una figlia… Ma non per una madre… Non per una madre che ha lottato da sola per quella figlia, non per una madre che ha visto l’unica voglia di vivere in quella figlia, non per una madre he per nove mesi ha tenuto in grembo quella figlia, col terrore che qualcuno gliela potesse strappare.
Questi pensieri le facevano male, più di un colpo di pistola, più di una pugnalata.
Si appoggiò allo stipite della porta, annaspando aria che non riusciva a mandare nei polmoni.
Scivolò a terra, con le mani che le coprivano il volto, che le coprivano quegli occhi tumefatti dal dolore.
In un momento di rabbia, sbatté un pugno per terra, e fu allora che Gibbs la vide, e si alzò dal divano per confortarla.
 
Tony si sentiva impotente. Non poteva fare nulla per rendere felice Ziva, e ancora meno per riportare in vita la sua sirenetta.
Gibbs si era seduto per terra accanto a Ziva e la stava abbracciando come farebbe un padre, mentre le sussurrava parole dolci.
 
Erano circa le 8:30. La sveglia di McGee suonava all’impazzata da ore, ma lui non riusciva svegliarsi.
D’un tratto si rese conto del tempo che era passato, ed in fretta e furia, si era messo la giacca per correre all’NCIS.
Con sua grande sorpresa, però, quando arrivò, non trovò nessuno nello squadroom, ma prima che avesse il tempo di togliersi la giacca, una mano lo afferrò da dietro e lo trascinò nel bagno degli uomini.
Quando la testa smise di vorticare, e McGee riprese a vedere con razionalità, si accorse che in bagno erano presenti Abby, Ellie e Jimmy.
“Cosa sai?” chiesero in coro.
“So che il capo sarà molto arrabbiato quando entrando non troverà nessuno della squadra alla sua scrivania!”
“Potrò metterci una buona parola io!”
Una voce da dietro lo fece sussultare.
“Direttore… Ma che sta succedendo?” chiese confuso.
“Tony e Ziva non rispondono al cellulare, e Gibbs è in ritardo… E Gibbs non è mai in ritardo!” spiegò Abby frettolosamente.
“Io vi giuro che non so niente…”
Non ebbe il tempo di finire la frase, che la porta del bagno si aprì nuovamente, facendo entrare Ducky.
“Dimmi tutto signor Palmer… Oh… Una riunione… Di gabinetto?” chiese ironico, notando l’affollamento nella stanza, e la presenza di donne in spazi riservati agli uomini.
“Che sta succedendo a Tony, Ziva e Gibbs?” chiese Ellie impaziente e preoccupata.
“Nulla che io sappia…” e mentre Ducky stava per concludere la frase, il suo telefono prese a trillare.
“Pronto Jethro… Dove ti sei cacciato?... Ma che stai dicendo” il suo voltò cambiò colorito in pochi secondi “Ed io che dovrei fare?... D’accordo Jethro… Di’ a Tony e Ziva che stiamo arrivando!” chiuse la telefonata e si voltò a guardare i suoi compagni, uno per uno. Vance, Abby, Ellie, Palmer, McGee, persino Parsons che davvero non capiva cosa ci facesse ancora all’NCIS…
Si era trovato solo un’altra volta in una situazione simile, e si era sentito così male a procurare tanta sofferenza ai suoi colleghi!
“Dottor Mallard…” lo rassicurò Jimmy.
“Ariel…” rispose in un soffio all’implicita domanda.
Abby si portò istintivamente le mani alla bocca, Vance ebbe un cambiamento quasi impercettibile nel suo sguardo, Jimmy rimase a bocca aperta, mentre Parsons abbracciò Ellie.
McGee non riuscì a reggere tutto questo. Si trattava dei suoi compagni di squadra, della loro bambina.
Uscì da quel bagno come una furia, prese le sue cose e si avviò verso l’ascensore, quando il direttore lo prese per il braccio.
“Tu non andrai da nessuna parte, McGee…”
“Ma direttore…” provò a obiettare il ragazzo.
“Non senza il resto della famiglia!” specificò Abby.
 
Arrivarono a casa di Tony in pochi minuti. 7 persone in una mini… O meglio… La mini! Quella che Ziva aveva regalato a McGee in seguito alla morte di Bodnar.
Citofonarono al campanello, e quando Tony aprì, capirono subito quanta tristezza aleggiava nell’aria. Il Tony che conoscevano, avrebbe fatto una battuta per tutta la gente che gli si era presentata alla porta, o magari avrebbe citato un film… Ma neanche una parola.
Quando entrarono, trovarono Ziva ancora a terra fra le braccia di Gibbs, ed un velo bianco steso sul letto.
McGee guardò istintivamente Tony, quasi a domandargli come stesse
“È morta! E io non ho potuto fare niente!” rispose in modo alterato, uscendo di casa, ma venendo seguito dall’agente.
“Pivello… Non ho potuto fare niente! Niente per proteggere la mia famiglia! Non ho fatto niente per proteggere Ariel e non sto facendo niente ora per aiutare Ziva!” disse sedendosi sui gradini della notte prima.
“Puoi rimediare ora, se vuoi!”
“Oh scusami se non ci ho pensato! Ora vado da David Copperfield a chiedergli di far resuscitare mia figlia!”
“Puoi aiutare Ziva ora! Stupido!” stava pe tirargli uno scappellotto, ma venne fulminato dallo sguardo dell’agente e  preferì rimettere la mano a posto.
“Assicura6le che ci sarai sempre per lei, e che Ariel non è stato solo un periodo da dimenticare, ma quello che vi ha spinti a riunirvi”
“McPoeta, a volte mi chiedo se non hai ripreso a scrivere quel tuo libro…”
 
Rientrando, notarono che Ducky e Palmer stavano facendo gli ultimi controlli al corpo esanime della bambina, mentre Abby e Gibbs cercavano di tranquillizzare Ziva… Per quanto possibile.
 
Intanto, Ellie stava parlando con Vance, sostenuta da Parsons. Quello che si era creato tra loro era uno strano rapporto di amore e odio, che non riuscivano a decifrare. Più volte il ragazzo aveva provato ad entrare nel cuore di Ellie, ma aveva sempre trovato la strada semichiusa… Doveva solo trovare il modo di schiuderla definitivamente.
“Direttore, credo che dopo tutto questo, Ziva abbia bisogno di tranquillità, di certezze… E so bene che adesso è sola se non fosse per l’NCIS, ragion per cui…”
“Agente Bishop… So bene quanto lei ci tenga al suo lavoro, e so anche quanto sta faticando per ottenere la fiducia di Ziva… Ma mi creda, non è questo il modo… E poi… L’agente David ha dato conferma delle sue dimissioni! E dubito che vorrà tornare sui suoi passi per una seconda volta. Se l’ha fatto in precedenza, è stato solo per… Per Ariel!” spiegò il direttore nel più pacato dei modi.
“Non riguarda solo questo! Direttore, io mi sento di troppo, ma non vorrei essere riassegnata in un’altra base o in un’altra squadra. Con Gibbs mi sono trovata bene, e credo che non riuscirei a trovare colleghi migliori… Ma vedo l’affiatamento della vecchia squadra di Gibbs, e per quanto ci possa provare, non potrei mai prendere il posto di Ziva! Le sto chiedendo di ricevere altre mansioni, e di lavorare per la sezione dell’MTAC relativa al terrorismo. In fondo è per questo che ho studiato, è per il terrorismo che combatto!”
Vance era stato davvero colpito dalle sue parole, ma già una volta aveva sottratto degli agenti a Gibbs, ed la sua reazione non fu propriamente controllata, così prese la sua decisione.
“Avrà una settimana di tempo per decidere se questo è veramente quello che vuole e per parlarne col resto della squadra” poi aggiunse “E per quanto riguarda lei…” Spostò lo sguardo su Parsons “Perché è ancora qui?”
 
Il tempo sembrava essere volato, in casa erano rimasti solo Tony, Ziva e Gibbs, che comprendeva la necessità dei suoi ragazzi di avere qualcuno accanto.
Tony e Ziva sentivano ancora la vocina della loro bambina nelle orecchie. Il silenzio aleggiava in quella casa durante la cena, quel silenzio che si crea quando il mondo è appena crollato, ma tutti continuano nella loro ipocrisia a voler far credere che non sia successo nulla. Quel silenzio che si crea quando tutti vorrebbero urlare la stessa frustrazione, ma tacciono, credendo di essere gli unici a sentirsi così.
Ziva odiava quei momenti, eppure nella sua vita, quante volte le era capitato. Quante volte aveva dovuto adeguarsi alla volontà di suo padre e tacere.
 
Suo padre… Le mancava… L’aveva cresciuta come un’assassina, l’aveva sempre considerata uno dei suoi scagnozzi, eppure non lo biasimava per questo. L’unico motivo per cui non riusciva a tollerarlo, era che nona aveva fatto nulla quando era rimasta prigioniera in Somalia, e quella sua inefficienza, le era costata la vita di sua figlia. Per questo, solo per questo, non l’avrebbe mai perdonato.
 
Tony la osservava immersa nei suoi pensieri, e lentamente le appoggiò una mano sul polso. Gibbs notò quel tenero gesto, e rimase quasi di sasso, notando la mano di Tony. Aveva un segno sull’anulare, il segno di un anello che ci era rimasto troppo a lungo, e che finalmente aveva trovato il coraggio di togliersi.
Regola 12… Continuava a pensare… Nessuno aveva mai capito a fondo quella regola. Tutti erano convinti che il capo proibisse gli amori che sbocciano, anche i più sinceri, solo perché si lavora insieme. Ma non era così! E lui lo sapeva bene, perché se così fosse, allora anche lui aveva fatto uno strappo alla regola… Tanti… Tanti anni prima.
Ma ad ogni modo, non era quello il significato della regola 12. Gibbs non proibiva gli amori veri, proibiva di frequentare qualcuno di cui ci si innamora solo per il tempo trascorso assieme. Proibiva gli amori nati dalla disperazione della solitudine… Ma non si sarebbe mai permesso di intralciare il corso del destino della vita dei suoi ragazzi. E lui sapeva bene che per quel che riguardava i due ragazzi che ora si facevano forza a vicenda, i loro destini erano l’uno nell’altro.
 
Capì in quel momento che probabilmente avrebbero preferito un momento di privacy, per potersi confidare, da genitori che hanno perso il loro tesoro.
Senza dire nulla, mentre i due continuavano a scrutarsi silenziosamente negli occhi, si alzò ed uscì da quella gelida casa, in cui tutto l’amore che aleggiava solo il giorno prima era completamente svanito. Nel nulla.









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti... Allora volevo chiedere scusa se non ho potuto aggiornare ieri, e probabilmente vi avrò fatto sudare sette camice per la povera Ariel... Volevo anche scusarmi per non aver risposto alle vostre dolcissime recensioni, ma credetemi non ho avuto proprio il tempo. in più domani è il mio compleanno (Yeee XD) e sinceramente non so nemmeno chi dei miei compagni se lo ricorderà... Ma sorvoliamo XD 
Ad ogni modo, diciamo che l'inizio di questo capitlo mette molta ansia... Lo so... È inquietante... Ma andiamo avanti. Questo era più un capitolo intermediario, nato fondamentalmente per far emergere le emozioni di tutti nei confronti della morte della bambina... Ma il prossimo sarà più incisivo... E potrei anche lasciarvi a bocca aperta... (E giusto per non far crescere false speranze... Non sperate in una resurrezione)
Baci. Gaia.

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Capitolo 19
*** UNA PROMESSA DA SUGGELLARE ***


Gibbs aveva lasciato la casa, e Tony lo guardò negli occhi poco prima che la porta si chiudesse, ringraziandolo tacitamente per essere rimasto sempre al suo fianco, e per non aver mai permesso che crollasse.
 
“Scusa, non ho fame” disse Ziva ad un tratto, allontanando il piatto che aveva davanti, e dirigendosi in camera da letto.
Tony la seguì con lo sguardo. Gli faceva male vederla soffrire così tanto ancora una volta. Ancora doveva realizzare che non avrebbe mai più rivisto i suoi stessi occhi senza doversi guardare allo specchio, che non avrebbe più riascoltato quella tenera vocina, se non nei suoi pensieri… Si rese conto che era trascorso solo un giorno, eppure gli mancava la sua sirenetta, l’unica persona che, dopo solo poche settimane, amava sopra ogni cosa.
Si versò nel bicchiere del Bourbon, e lentamente lo mandò in gola, assaporandone l’amaro retrogusto di sconfitta.
 
Si appoggiò allo stipite della porta, le braccia che si stringevano il ventre e la testa piegata in basso. Ziva non aveva il coraggio di guardare la sua bambina in quel corpo ormai freddo e privo del solito calore umano, che giaceva immobile nella culla. Presto sarebbe stata in una bara… No! Non l’avrebbe permesso! Ariel era uno spirito libero, che non può trascorrere il resto dell’eternità in una bara… Lei era una sirenetta, apparteneva all’immensità dell’oceano, mista alla profondità del cielo.
Sentì una lacrima tornare a rigarle il volto. Non aveva mai protratto tanto a lungo il dolore di una perdita, ma quando si trattava di Ariel, Ziva non era più la spietata assassina del Mossad, ma una madre che ha perso la figlia per la quale era stata pronta a rinunciare alla felicità!
Un’altra lacrima scese lungo le sue gote, ma prima che potesse attecchire sulle sue labbra, una mano sicura, prontamente la asciugò.
Alzò lo sguardo e vide davanti a sé il suo Tony, che era sempre al suo fianco per sostenerla. Solo con lui riusciva ad aprirsi e sfogarsi, solo lui aveva visto tutte le sue lacrime, e solo lui poteva capire il dolore che provava.
Si guardarono negli occhi per tanto tempo, parlando più di quanto non avessero fatto a parole in quei giorni.
Troppe emozioni contrastanti la travolgevano. Non sapeva come comportarsi con lui, l’uomo che aveva segretamente amato per tutta la sua vita, perché la vita di Ziva iniziava nel momento  in cui per la prima volta aveva visto quegli occhi verdi e profondi.
Ma ora, non riusciva più a rimanere lucida, perché nella mente aveva solo quella sensazione di distruzione che aveva provato nel momento in cui aveva sentito le braccia di sua figlia cedere e tutte le macchine attaccate a lei, suonare come impazzite.
 
Si scrutarono per altri pochi secondi, finché Ziva non cedette. Affondò il volto nel petto di Tony, lasciando andare tutte le sue frustrazioni e le sue tristezze in un pianto disperato, che inondava la casa.
Il ragazzo la strinse forte a sé, accarezzandole il capo, e senza riuscire ad impedire ad una lacrima di rigargli il volto.
“Tony…” era l’unica parola che riusciva a dire, e dopo la quale seguivano interminati discorsi, che non avevano bisogno di essere detti.
“Lo so, Ziva… Lo so!”
 
Nessuno riusciva più ad immaginare una vita senza Ariel, eppure avrebbero dovuto abituarsi. Tony comprese in fretta che rimanere a piangere non sarebbe servito a molto, e voleva aiutare Ziva. Sapeva di amarla, e Zoe, ormai, era solo un ricordo lontano.
 
Ancora avvinghiata alla giacca di Tony, Ziva si avvicinò alla culla della bambina, nonché il suo letto di morte.
Non riuscì a reggere la vista di Ariel priva di vita, e strinse forte gli occhi, nascondendo il volto ancora una volta nel petto del ragazzo, stringendo un lembo della sua maglia con ancora più vigore.
Tony continuava ad accarezzarla delicatamente, passando dalla testa alla schiena, nel vano tentativo di calmarla.
Quando Ziva tornò a guardare nella culla, le sembrava di vedere la sua bambina che muoveva gli occhi, per poi aprirli, ma era solo la sua immaginazione.
Le mise una mano sulla fronte, mentre Tony continuava a stringerla a sé.
“Oggi avrebbe compiuto 2 anni!” riuscì a dire, prima di chinarsi su di lei e lasciarle un ultimo bacio sulla fronte, salutandola per l’ultima volta.
“Auguri angelo mio…” le sussurrò.
“Tanti auguri sirenetta…”
 
Ziva non resse un secondo di più, e di corsa uscì da quella casa.
Tony rimase con la bambina, osservandola, e cercando di ricordarla per quella che realmente era: una bambina solare, felice… La sua principessa degli oceani.
Uscì di casa, per prendere una boccata d’aria, aspettando, questa volta da sobrio, che Ziva tornasse. Ma quando uscì, la trovò seduta sui gradini della casa, mentre scrutava quel cielo coperto dalle nubi.
Si sedette vicino a lei.
“Ora, probabilmente, sarà una di quelle magnifiche stelle!”
Ziva non rispose, ma si lasciò andare in un tenero abbraccio.
 
I minuti passavano senza che nessuno se ne accorgesse, ma quando iniziò a piovere di nuovo, Ziva non esitò ad alzarsi, e rientrare.
“Ricordavo che ti piacesse la pioggia” la fermò lui.
Dopo averlo fissato negli occhi, Ziva rispose “L’acqua purifica dal peccato. Io non merito consolazione… E tanto meno potrò mai liberarmi di questo peso”
Gli occhi ancora colmi di lacrime, rossi, gonfi, pesanti.
“Non è colpa tua…” si affrettò a dire il ragazzo, alzandosi in piedi e andandole incontro.
Questo però Ziva lo sapeva… Ma non era di quello che pensava Tony, che si stava incolpando.
 
Tony era steso sul letto, osservando il soffitto, quando Ziva, dopo essersi fatta una doccia rigenerante, si distese accanto a lui, osservandolo.
Quando anche lui voltò la testa per osservarla, vide la tristezza, il rammarico, ed il rimorso nei suoi occhi. Ma non riusciva a capire perché… Perché si incolpava tanto, se era lui che l’aveva infettata? Perché non parlava con lui? E perché continuava ad escluderlo dalla sua vita, nonostante tutto?
Ziva si girò dall’altro lato, e chiuse gli occhi, lasciando che le lacrime riprendessero a scendere, senza che nessuno le potesse vedere.
Era trascorsa circa un’ora, ed il logorante pianto di Ziva, non accennava a smettere. Il leggero tremolio, si era trasformato in un insieme di singhiozzi sommessi, che riuscirono a destare Tony dal suo dormiveglia.
Da quando era arrivata, Tony e Ziva, avevano sempre dormito nello stesso letto, ma senza mai sfiorarsi, anche solo con un dito. Per timidezza forse… Oppure qualcos’altro.
Quella notte, però, Tony la vide così fragile, che poteva spezzarla stringendola un po’, ma con la forza di un aeroplano, cercare di andare avanti. Non poté permettersi di rimanere immobile, e senza farsi sentire, le si avvicinò leggermente, trovandosi a pochi centimetri dalla sua schiena scossa da quei continui singhiozzi, per poi abbracciarla.
Ziva si irrigidì immediatamente, e sentì un brivido salirle lungo la schiena. Poi però si lasciò andare ancora una volta, e i singhiozzi divennero più amplificati. Tony dovette stringerla con tanta forza, ma soprattutto tanto amore, prima che potesse prendere realmente sonno.
 
Erano le 4 del mattino. Ziva era ancora fra le possenti braccia di Tony, ma si svegliò all’improvviso. Il cuore le batteva velocemente, era completamente sudata, e aveva l’affanno.
Ingoiò un po’ di saliva, poi senza svegliare il ragazzo si alzò dal letto, appoggiandosi alla culla. Poche ore dopo ci sarebbe stato il funerale, organizzato come meglio potevano, solo con le persone che avevano conosciuto Ariel: l’NCIS.
Quel giorno, non aveva fatto altro che piangere. Il cuore era pervaso di dolore, un dolore del quale non riusciva a spogliarsi, l’unico che non riusciva a dimenticare. Ma d’altronde era la giusta punizione per quello che aveva fatto.
 
Lei infondo, aveva sempre sospettato che le avessero fatto qualcosa del genere in Somalia, e proprio per questo, non si sarebbe dovuta lasciar andare alle emozioni. Se fosse riuscita a controllarsi, a dire di no a Tony, se fosse riuscita ad allontanarsi da lui, quella sera, a Berlino, le cose sarebbero andate diversamente. Probabilmente non avrebbe mai abbandonato l’NCIS, non avrebbe mai dovuto subire tutto questo, e non avrebbe mai avuto Ariel… E Tony, ora, non starebbe soffrendo, tentando però di non farlo vedere, per sembrare forte, per lei. Di questo si incolpava. Di essersi lasciata andare… Ariel non avrebbe sofferto, perché non sarebbe mai nata… Ed ora si riteneva la sua carnefice.
“Scusami Ariel…”
Non era la prima volta che si lasciava prendere dall’uragano di emozioni, ed ogni volta, sistematicamente, la situazione era precipitata. Il problema però, era che lei non sapeva resistere a Tony, all’uomo che amava. Si sentiva così debole… Una buona a nulla che non riesce a trattenersi, che non riesce a bloccare un semplice sentimento… Perché nonostante tutto, se Tony, in quel momento, l’avesse accarezzata come solo lui sa fare, le avesse passato il pollice sul contorno della bocca, sussurrato parole dolci, e sfiorato la pelle con le sue labbra, non sarebbe riuscita a resistergli. Lo amava alla follia… Ma doveva fermarsi, prima di combinare altri guai. Ogni volta che amava, qualcuno andava via. Non sarebbe riuscita a sopportare di vedere qualcun altro morire per causa sua, qualcuno che amasse.
Ora era diventata una promessa che non faceva più solo al Mossad, a suo pare, o a lei stessa, come in passato. Era una promessa che faceva al  suo angelo, Ariel, al suo destino.
Non avrebbe più permesso a nessuno di entrare in quella muraglia che aveva appena innalzato.
Non avrebbe più pianto per nessuno. Sarebbe tornata ad essere la spietata assassina del Mossad… Perché in fondo era quella la sua indole. Non avrebbe più represso nessuno, se non i suoi sentimenti, anche quelli più teneri ed intimi.
 
E così fu. Quando quella mattina arrivarono a casa, tutti i membri dell’NCIS, Ziva era diventata di ghiaccio. Sin da quando si era svegliato, Tony aveva notato quel cambiamento repentino. Non riusciva più a guardarla nel profondo, negli occhi. Sembrava avesse una patina addosso, una patina impenetrabile.
 
Ellie, intanto, continuava a rimuginare su quello che avrebbe fatto, quello che era giusto. Sapeva che Ziva aveva dato le dimissioni, ma era convinta, che prima o poi, avrebbe avuto bisogno che tutto tornasse come prima… Avrebbe avuto bisogno della sua scrivania.
In tutto questo, Gibbs guardava la sua agente riflettere, e non sapeva se la sua decisione sarebbe stata un bene o un male…
 
Quello che però lasciò tutti sbigottiti, fu il momento della funzione.
Erano al cimitero, la giornata era una delle migliori di quel periodo, ma nonostante ciò, nessuno riusciva a pensare che quella fosse una bella giornata.
L’intera funzione fu devastante per tutti.
Abby piangeva, ancora incredula per una morte così prematura, abbracciata a McGee, anche lui in lacrime.
Bishop e Parsons si confortavano a vicenda, con gli occhi gonfi. Ducky, con le lacrime agli occhi, provava a consolare un po’ tutti, principalmente Palmer e Vance.
Anche Tony stava piangendo. Era in piedi di fianco a Ziva, ma non si stavano nemmeno sfiorando.
Gibbs gli mise una mano sulla spalla. Comprendeva il dolore che stava provando il suo ragazzo. E quando Tony si voltò, rimase abbastanza meravigliato, nel vedere le lacrime scendere dagli occhi di ghiaccio del suo capo.
Ariel gli ricordava Kelly… E non riusciva più a trattenersi da quei ricordi.
Ma quello che lasciò tutti, indistintamente, di sasso, fu il comportamento di Ziva.
Non aveva versato una sola lacrima, non un segno di cedimento, non una parola, niente. Dura, come una pietra. Fredda, come il ghiaccio. Distaccata.
Non si faceva consolare da nessuno, e quando qualcuno provava ad avvicinarsi, lo allontanava.
Al termine della funzione, mentre tutti si stavano dirigendo verso le auto, Ziva rimase lì, immobile, in piedi davanti alla tomba di sua figlia.
 
Il resto della squadra rimase ad aspettare. Probabilmente doveva ancora riprendersi, avrebbe dato un bacio a quella tomba, e poi li avrebbe raggiunti. Ma invece no. Rimase completamente immobile, con uno sguardo gelido, che mirava dritto davanti a sé. Pareva un soldato in attesa di ordini. Nessuno riusciva più a capire.
Si alzò una folata di vento, che le fece ondeggiare la coda, ma ancora rimase lì, imperterrita.
Gibbs la stava scrutando, cercando di capirla.
Ziva voltò leggermente il viso, lanciando uno sguardo al suo vecchio capo, all’uomo che più riteneva un padre. Non cercava conforto, non cercava nulla, ma Gibbs capì.
Fece salire tutti in auto, lasciandola sola.
“Capo…”
“In macchina, DiNozzo!”
 
Non sapeva cosa stesse aspettando, ma aveva bisogno di rimanere ancora lì, davanti a quella tomba.
Stava ripensando a tutto quello che avrebbe voluto dire alla sua bambina, a quanto l’amasse, ma non aveva mai avuto il coraggio di fare.
Ripensava a quello che avevano trascorso insieme, ed al futuro che aveva immaginato per lei.
Aveva già progettato di portarla in America, prima ancora che Adam la rapisse, ma ancora non sapeva con che coraggio si sarebbe ripresentata davanti ai suoi ex-colleghi con una figlia. Poi era accaduto tutto all’improvviso… Aveva scoperto chi era il vero padre di Ariel, Poi è arrivato Jamaal, la peste di Tony per finire con la morte di sua figlia. Cosa si aspettava quando aveva deciso di partorire? Che sarebbe filato tutto liscio? Si aspettava che magari avrebbero avuto una vita felice, che anche lei, la killer del Mossad, avrebbe potuto rifarsi una vita? Illusioni.
 
Le ore passavano, senza che lei se ne accorgesse, rimanendo immobile in quella posizione. Calò il buio, e Ziva non riusciva ad allontanarsi da quella tomba. Non si sarebbe mai perdonata tutti gli errori che aveva commesso e che avevano portato alla morte di sua figlia.
 
I giorni trascorsero senza uno scopo preciso. Era una situazione di transizione, che si stava protraendo per troppo a lungo.
Ed ogni sera, Ziva rientrava a casa tardi, troppo tardi. Questo spaventava Tony. Dal giorno del funerale era diventata una persona quasi priva di emozioni, ed il ragazzo non riusciva a comprendere quel suo strano comportamento. Poi una sera decise di aspettarla.
Ne aveva abbastanza dei suoi segreti, e la preoccupazione per quello che potesse aver fatto in quelle notti, lo attanagliava.
Quando Ziva entrò in casa, cercando di non fare rumore, esattamente come faceva nelle sere che precedettero la morte di Ariel, lasciò il borsone per terra e si slegò i capelli. Fece per dirigersi in bagno, ma la luce del salotto si accese, spiazzandola.
“Dobbiamo parlare!”
“Non abbiamo niente da dirci!” disse entrando nel bagno, e chiudendo la porta dietro di sé.
“Niente? Ma se ogni notte torni alle 3 del mattino, sudata fradicia e completamente stanca, senza che io sappia nulla di quello che fai!” iniziò ad alzare la voce, battendo la mano sulla porta.
“Perché tu, infatti, non devi sapere nulla di quello che faccio!”
“Non devo? E perché? Perché magari hai preso cattive abitudini, e sei diventata un’altra me, che va a letto col primo che incontra per disperazione?!” Non era così che avrebbe voluto andassero le cose, ma la paura che fosse vero, la paura che Ziva non fosse sua, come lo era due anni prima, non lo faceva ragionare.
 
A quelle parole, però, Ziva sentì una fitta al petto. Il cuore bruciava.
“Come osi parlarmi così? Come puoi anche solo pensare che io possa fare una cosa del genere dopo aver perso una persona che amo?! Io non sono come te!” aprì la porta urlandogli contro.
“Invece si! L’hai già fatto in passato…” era più un sibilo che altro. Ma Ziva intuì subito dove volesse arrivare.
“Ne abbiamo già parlato… Ma è diverso! Adam era un mio amico sin da quando eravamo bambini! Io mi fidavo di lui… E mi è stato vicino…”
“Già… Peccato che poi ti ha abbandonata non appena ha saputo che tu eri incinta… Perché? Dovevi essere solo il suo giocattolo? Il suo divertimento? Beh allora continua a farti usare!” urlò, ferendola nel profondo.
“Tu non sai niente! Non sai niente di me! Io non sono quello che credi! Non vado a letto come fosse un bicchiere di tequila… Non io!” rispose, rimanendo stupita dalle parole che le aveva rivolto Tony.
Entrò in bagno, sbattendo la porta.
 
Pochi minuti dopo, Tony riaprì timidamente quella porta, pentito di quello che aveva fatto.
Ziva era ancora sotto la doccia. Aveva finito di lavarsi tempo prima, ma il rumore dell’acqua la calmava.
“Non volevo dire quelle cose Ziva… Mi dispiace…”
La doccia era chiusa da un vetro offuscato, dal quale, però, Tony poté scorgere l’ombra della figura di Ziva. Era così perfetta, ma ancora era convinto fosse dimagrita troppo… Effettivamente in quel periodo aveva mangiato poco e niente, e la notte ancora non capiva cosa facesse.
“Davvero?”
“Ho sbagliato…”
“Hai sbagliato a fare cosa? A darmi della poco di buono? A insinuare che io potessi affogare la mia tristezza così?” urlò, uscendo con solo un accappatoio addosso.
“Mi preoccupo per te, okay? E non vorrei mai scoprire che ti circondi di altri uomini che non siano me, per sentirti meglio!”
“Ti preoccupi per me? Allora rimani fuori!”
“Ma non posso…”
“Perché?” doveva sapere!
“Perché io ti amo Ziva! Ti amo maledettamente troppo!” gli urlò, alla fine liberandosi di tutto quel peso.
Poi le si avvicinò… Molto… Troppo.
Si mise dietro di lei, ed entrambi si guardavano allo specchio.
“Perché per te farei qualsiasi cosa…” le sussurrò, in maniera quasi impercettibile, mentre le labbra si posavano delicatamente subito sotto il lobo dell’orecchio. Iniziavano a scendere lungo il lato del collo.
Un brivido assalì Ziva. Era terrorizzata. Non doveva lasciarsi andare. Non poteva. Eppure era incapace di sfuggirgli.
Quando però, la mano del ragazzo, si posò sulla sua spalla, scostando l’accappatoio, per farlo cadere, Ziva dovette fare appello a tutta la sua volontà per allontanarsi da lui.
Si riaggiustò l’accappatoio, e con voce tremante gli disse “Allora sta’ lontano da me”.
 
Tony si sedette sul bordo della vasca. Non sapeva più cosa fare, l’amava pazzamente, ma più la cercava, più lei scappava. Sembravano due poli uguali, che si cercano, ma si respingono. 









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Chiedo venia... Vi avevo promesso un capitolo emozionante, ed invece mi sono lasciata prendere dalle emozioni e... Da un piccolo litigio TIVA... Vi prometto, però, che nel prossimo rimarrete stupiti...
Ma passiamo al capitolo.
Innanzitutto volevo dirvi delle cose riguardo al nome di Ariel.
È un nome sia maschile che femminile, di origine ebraica, ma discretamente diffuso anche in America e nel Regno Unito. 
Letteralmente significa "Leone di Dio", oppure "Angelo"... È proprio per questo che Ziva dice ad Ariel "Auguri angelo mio"... E poi, una bambina grazie alla quale tony e ZIva si riuniscono, non può che essere un agelo mandato dal cielo.. No?
Comunque... Per il resto spero vi sia piaciuto, e spero che Ziva capisca presto che non è colpa sua se Ariel è morta... Infondo è grazie a lei che ha potuto aprire gli occhi per la prima volta... 
Detto questo vi saluto.
Baci. Gaia.


 

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Capitolo 20
*** TORNARE BAMBINA ***


Non sapeva come, ma era riuscita a fuggire da Tony. Non ne era felice, non lo era per niente. Avrebbe voluto potersi voltare, dire che anche lei lo amava, e poter riassaporare quelle sue labbra. Ma non era tutto così semplice… Aveva fatto una promessa. L’aveva fatta a se stessa ed al suo angelo. Non poteva permettersi di rifare lo stesso errore di Berlino solo per dei sentimenti. Sarebbe andato di nuovo tutto storto, e avrebbe fatto soffrire ancora una volta Tony.
Ciò di cui non si stava rendendo conto, però, era che adesso il ragazzo stava ancora peggio. E non era il solo…
10 anni prima, quando faceva ancora parte del Mossad, celare tutti i suoi sentimenti le riusciva così facile… Ma dal primo momento in cui era entrata all’NCIS, quella destrezza era scomparsa.
Perché?!
Perché prima di allora, Ziva non si era mai sentita amata per davvero, né aveva mai amato a sua volta. Erano sentimenti del tutto nuovi, impossibili da nascondere, perché veri. E questo le faceva ancora più male.
 
La mattina dopo, Tony sarebbe tornato al lavoro, ma una sorpresa lo attendeva.
Quando arrivò, con i suoi occhiali neri alla James Bond, il lungo cappotto scamosciato, e le sue scarpe italiane, con la sua immancabile aria da Sherlock Holmes, rimase quasi stupito, vedendo quel radicale cambiamento.
Si sedette, alla sua scrivania, ancora incredulo, sotto lo sguardo divertito ma al contempo un po’ nostalgico di McGee.
“Pivello… Manca qualcuno?”
“Sta al piano di sopra…”
“Non parlo di Gibbs…”
“Nemmeno io! Dobbiamo salire all’MTAC” concluse Tim.
Tony lo fissò confuso, lasciò tutta la sua roba, e salì per le scale accompagnato dal ragazzo.
La porta era aperta, e quando Tony entrò, aveva più o meno capito quello che era successo nel periodo in cui era andato in congedo.
 
“Le coordinate della nave, Bishop” esordì il capo in tono quasi più glaciale del colore dei suoi occhi.
“Capitano, ci serve il consenso ad attaccare fuoco. Se la nave raggiunge il porto, i terroristi prenderanno d’assalto la sede dei vostri soldati!” aggiunse, rivolgendosi poi alla Marine sullo schermo.
“No signore. Su quella nave ci sono anche i miei uomini! Non possiamo rischiare”
“Li perderebbe a terra. E poi stanno scendendo dalla nave con le scialuppe… Tempo restante, McGee” Gibbs era agitato, e Tony stava cercando di capire cosa stesse succedendo.
“58 secondi all’impatto capo”
 
Era una strana sensazione. Non capiva cosa stesse succedendo, e non sapeva cosa fare. Gli sembrava di essere al cinema, ad assistere passivamente.
Il capitano stava per dare conferma, quando Ellie saltò in piedi.
Mancavano 15 secondi all’impatto, ma un uomo era ancora sulla nave.
“Annulla tutto, annulla tutto Gibbs!”
Conosceva quell’uomo. Era stato mandato sulla nave nelle vesti di Marine, per poter aggiornare l’NCIS e la difesa nazionale. Era Parsons.
“Bishop!” la guardò sconvolto.
“Parsons è ancora sulla nave Gibbs”
“8 secondi”
“Fermate la missione! Gibbs prendi i tuoi uomini. Andate al porto e attendete il loro arrivo.” Fu il direttore a prendere le redini della situazione.
Gibbs lo guardò contrariato, ma alla fine dovette cedere.
“DiNozzo. Con me.”
“17 minuti allo sbarco capo” lo avvertì McGee.
“Prendi David, e raggiungetemi al porto”
“Capo… Ziva…” Tony lo guardò confuso.
Gibbs sapeva che Ziva aveva dato le dimissioni, ma ora era una questione di vita o di morte. Non poteva permettersi di finire in mano ad una cellula di Al Qaeda.
Prima però che i due potessero chiarirsi, qualcosa di inaspettato. La nave esplose.
Tuti saltarono in piedi. Pochi secondi prima avevano visto Parsons che si stava ancora calando giù…
Poi una chiamata.
“Tranquillo Gibbs… Non ti libererai così facilmente di me!”
“Il parassita è vivo… L’esplosione è opera sua”
“Il parassita?” chiese McGee.
“Parsons!” spiegarono in coro Gibbs e Tony.
Poi il capo guardò il suo primo negli occhi, e gli fece cenno di seguirlo in ascensore.
Le porte si chiusero, e bloccò l’ascensore.
 
“Dove sta ora Ziva?”
“Attualmente, si è stabilita a casa mia. Quando si stancherà, troverà una casa…”
Gibbs gli mollò uno scappellotto.
“Scusa capo… L’ho lasciata che dormiva”
Gibbs lo guardò serio.
“E va bene, non lo so. Stamattina era già uscita come tutte le mattine Penso vada a correre”
“C’è niente che devi dirmi, Tony?”
Quel tono non gli piaceva.
“Si! Sei un ottimo capo, Gibbs, ma ti arrendi troppo facilmente quando si tratta dei tuoi agenti. Perché la scrivania di Bishop è vuota?”
“È stata una sua decisone! Lei preferisce lavorare nella sezione terrorismo. È un’analista, non un’agente!”
“Non lo avresti mai detto se non fosse che speri che Ziva possa rientrare in squadra. Ma ti do un’informazione. Non lo farà.”
Tony ripensava ancora alla sera prima. Le aveva urlato contro cose che non pensava, ma poi, senza accorgersene, le aveva detto di amarla. Perché con lei risultava tanto facile, mentre con gli altri mai?! Perché era in grado di rovinare tutto?
 
Tony aveva ragione. Gibbs sapeva che Ellie era una valida agente, ma doveva sostenerla nella sua scelta. Era testarda, e si era messo in testa di lasciare il posto alla persona che secondo lei più lo meritasse: Ziva.
Ellie capiva bene il disagio che la ragazza provava nel rivedere la sua scrivania occupata da qualcun altro, e sapeva che loro due avevano iniziato col piede sbagliato. Ma avrebbe fatto di tutto per farla ricredere, e voleva aiutarla.
Ziva stava passando da un dolore all’altro, che lentamente la stavano distruggendo, e l’NCIS era il suo unico appiglio.
 
La giornata era trascorsa in quello strano clima di ansia. Tony e McGee, seduti alle loro scrivanie, che fissavano quella vuota.
“Dai Pivello… Quando la vorrai rivedere, starà all’MTAC”
“Una… E l’altra?”
Tony ripensò per un attimo a Ziva, e poi decise di fare quello che era giusto. Aprì il cassetto della scrivania, e riprese con sé, qualcosa che aveva volutamente dimenticato in quegli anni. Rientrò a casa. Era tardi. Ma in casa non c’era nessuno.
Si sedette sul suo letto, e rivide la culletta accanto a sé.
 
“E poi come va a finire la storia tra Ziva e il principe Tony?”
“Non lo so… La mamma mi ha detto che non sa cosa decise di fare il principe… Non sa se il principe Tony decide di non fare niente e continuare a credere che Ziva è scappata senza un motivo, oppure cercarla, svelare il suo segreto, e vivere per sempre felici e contenti…”
 
Si era già arreso una volta all’evidenza. Non sarebbe accaduto ancora.
“Tranquilla mia sirenetta… Vedrai che il principe e la principessa, si ritroveranno!”
 Aveva parlato ad alta voce, come se ad ascoltarlo ci fosse ancora quella bambina. Ma ormai poco gli importava. Doveva trovarla. A qualunque costo.
 
Uscì di casa, e la cercò ovunque fosse possibile. Sinagoghe, palestre, hotel, in tutti i bar nelle vicinanze. Sembrava sparita.
Ma non si sarebbe fermato lì. Aveva deciso di trovarla, e così sarebbe stato.
D’un tratto, rivide un flash.
Era così chiaro… Perché non ci aveva pensato prima?
Fece ripartire l’auto a tutta velocità.
Destinazione: L’Opera!
 
Quando arrivò, era completamente spenta, esattamente come successe la sera in cui Ziva era scomparsa, perché nessuno le credeva.
Non sapeva bene cosa fare, ma decise di addentrarsi.
La porta sembrava chiusa, infatti l’ultima volta, l’aveva vista uscire dal retro… Non ne era convinto, ma aveva una strana sensazione… Forse aveva capito cosa stesse succedendo.
La porta del retro era socchiusa… Entrò senza fare rumore, e si incamminò, incerto, nella sala prove.
Fu in quel momento che ogni suo dubbio divenne una certezza. Ora si spiegava tutto. Era stato uno stupido a dubitare di lei.
La guardava ammaliato…
Ziva David, stava perseguendo il sogno di tutta la sua infanzia: diventare una ballerina.
 
Si muoveva leggiadra come una farfalla in quella sala vuota e illuminata da un’unica flebile luce.
Quando danzava, sembrava circondata da un’aurea di purezza, qualcosa di sublime. Rimase incantato a guardarla, mentre sfogava ogni sua rabbia con quell’estrema delicatezza.
E chi l’avrebbe mai detto che Ziva, proprio Ziva, la killer, la ragazza attratta dai coltelli, era ora lì, che si muoveva sinuosamente ascoltando una musica così dolce?!
 
Come ogni sera, era uscita, aveva preso il borsone, e si era diretta all’Opera. Danzare calmava il suo animo. Quando ballava, le sembrava di tornare nel passato, di ridare vita a quella bambina che aveva cessato di esistere nel momento in cui era stata assoldata nel Mossad.
Danzava per quella bambina, ma anche per Tali, la persona che più aveva amato durante la sua infanzia, danzava per tutte le persone che aveva ucciso. Ora danzava per Ariel.
 
Ogni volta questi pensieri la assalivano.
Prese a volteggiare in una piroette di innumerevoli giri.
Tali era morta per causa sua. Aveva ucciso suo fratello Ari. Volteggiò più velocemente. Suo padre era morto dopo che lei le aveva detto di odiarlo. Sua madre era morta perché lei non era stata una brava figlia. Ancora più velocemente. Tanta gente era morta per mano sua. Kate era morta perché lei non era riuscita a fermare il suo fratellastro. Tanti altri giri, senza mai fermarsi. La bambina che sognava di diventare ballerina era morta perché lei aveva avuto paura di fronteggiare suo padre. Ancora più velocemente. Ma quello che le faceva più male… Un altro giro. Era che Ariel era morta perché si era lasciata sopraffare dai sentimenti. Un ultimo giro, prima di cadere a terra, in ginocchio.
 
Rimase ferma in quella posizione, con la testa bassa, e le mani per terra. Iniziò a singhiozzare. Da quando aveva assunto la sua aria gelida, quello era l’unico luogo in cui si sfogava, l’unico luogo in cui si sentiva al sicuro da sguardi indiscreti. Al sicuro dai suoi stessi sentimenti.
 
Tony era appoggiato allo stipite della porta, che la osservava ammaliato. Quando però la vide cadere, e non rialzarsi, ma rimanere ferma in ginocchio, a piangere, senza preoccuparsi delle conseguenze, corse dentro.
Silenziosamente si sedette accanto a lei, e con delicatezza le passò una mano sulla schiena.
Ziva si voltò di scatto, fissandolo negli occhi, quasi terrorizzata.
“Va tutto bene, occhioni belli”
 
La strinse a sé, ed insieme si sedettero per terra con la schiena appoggiata al muro, mentre Ziva si toglieva le punte dai piedi.
Uno strano silenzio calò tra loro.
“Diventare una ballerina… Stai perseguendo il tuo sogno?”
“Quello di una bambina costretta ad un destino che non voleva!”
“Se hai ucciso delle persone, è perché non avevi scelta”
Ci fu una breve pausa, poi Ziva riprese a parlare.
“Quando Ariel era piccola, spesso la prendevo in braccio e ballavo con lei… E lei rideva, e batteva le manine”
 
Tony si rendeva conto di quanto fosse stata forte Ziva a crescere una bambina da sola.
“Tali mi diceva che un giorno avrebbe voluto vedere me sul palco dell’opera… È per questo che… Ho dato le dimissioni dall’NCIS… Perché voglio fare le audizioni di domani per entrare a far parte della Compagnia Americana di danza”
Tony rimase quasi esterrefatto, ma comprese bene il vero significato che aveva la danza per Ziva… E decise che l’avrebbe appoggiata a qualunque costo.
“Passerai l’audizione… Ma… in questi anni, credo ti sia mancato uno scudo, il tuo scudo. Quello che ti proteggeva da tutto e tutti”
E così dicendo, le mise al collo la sua collana con la stella di David. Ziva si portò una mano al petto e al solo contatto con il suo ciondolo, venne pervasa da un’infinità di ricordi che le riportavano alla mente, la su bambina.
Tony vide che era sul punto di crollare, la strinse a sé, e Ziva appoggiò la testa al suo petto Rimasero così per ore, finché Tony non si accorse che si era fatto davvero molto tardi, e Ziva si era addormentata su di lui.
 
Senza svegliarla la prese in braccio. Le sembrava così fragile, e in quel body attillato, anche tanto sexy! Ecco perché era dimagrita tanto, ed ecco da dove veniva quella sua eleganza. Ducky non si sbagliava… Forse, lui aveva imparato a conoscerla più di tutti.










NOTA DELL'AUTRICE
Sorpresaaaaa! Allora? Che ne pensate? Ziva ballerina... Ok, lo so che sembra un accostamento del tutto improbabile, ma in fondo Ziva ha un carattere davvero dolce, e quello era il suo sogno... E allora ho deciso di accontentarla!
Per quanto riguarda Ellie... Qualcuno di voi saràa arrabbiato, ma non sapevo in che altro modo poter lasciare la scrivania di Ziva libera, e tenuto conto che Ellie ha cominciato tutto per combattere il terrorismo, trasferirla alla sezione dell'MTAC mi sembrava il modo migliore...
non so cos'altro aggiungere quindi... mi scuso se il capitolo è abbastanza corto. Ci vediamo al prossimo capitolo.
Baci. Gaia.

 

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Capitolo 21
*** FAMILY ***


Ziva David, una ballerina… Tony trascorse tutta la notte a rimuginarci sopra.
Continuava a ripensare a come fosse incantevole quando danzava. Sembrava una piuma che volava nel cielo.
E l’indomani, avrebbe fatto l’audizione… Ziva David… La sua ninja… Ancora non riusciva a crederci.
 
Il sole sorse ben presto, e Ziva non poteva nascondere una certa ansia per quello che avrebbe fatto di lì a poco. Ma  lo faceva per Tali, per Ariel e per la bambina che era tanti anni fa.
Quella notte, però aveva dormito bene. Come non dormiva da tanto tempo. E ne sapeva anche il motivo. Finalmente aveva con sé il suo scudo. Il ciondolo con la sua stella. La stella di David.
 
Fu svegliata da una tenera mano che la accarezzava. Aprì lentamente gli occhi, ancora un po’ assonnata, e si rese conto che la figura che aveva davanti, era Tony, con un dolce sorriso sul volto.
 
Avrebbe voluto saltargli addosso, inondarlo di baci, perché quel giorno era stranamente felice, ma non poteva.
Così, con un freddo “Buongiorno” si alzò dal letto e andò a lavarsi.
 
Tony ci rimase male, ma si aspettava una reazione del genere. Aveva però capito che per starle veramente vicino, per dimostrarle il suo amore, doveva lasciarle spazio. E comportarsi da amico.
 
Quella mattina, Ziva stava per uscire con il solito borsone, ma il ragazzo la fermò.
“Oggi ti accompagno io”
“Non dovresti andare all’NCIS?”
“Prima ti lascio alla tua audizione, poi andrò al lavoro”
“Tony…”
“Lo so Ziva… Ma voglio solo comportarmi da amico! Niente di più, niente di meno”
Ziva lo fissò per un attimo con il suo solito sguardo distaccato, ma alla fine acconsentì.
 
Salì nella Mustang di Tony, e per tutto il viaggio guardò fuori dal finestrino, rimanendo in silenzio, mentre con la mano stringeva il suo ciondolo. Gesto che aveva ripreso a fare dal primo momento in cui l’aveva riavuto al collo.
 
Tony poté scorgere la tensione nei suoi occhi, ma preferì non dire nulla. C’era una strana atmosfera. Più calorosa, come se si fosse sciolta la tensione fra loro due… Eppure Ziva continuava ad essere gelida. Forse perché dopo la sera precedente, aveva un po’ di timore, ora che conosceva il suo segreto…
Arrivati all’Opera, Ziva scese e con un freddo saluto si allontanò.
 
Appena Tony uscì dall’ascensore dell’NCIS, Gibbs lo attendeva alquanto alterato.
“Tutto bene capo?”
“Dimmelo tu DiNozzo! Sono le 10:30!”
Tony stava per replicare quando il cellulare del capo squillò.
Conclusa la telefonata, avvisò con la solita calma il resto del team.
“Donna morta pochi minuti fa davanti agli occhi di un’amica”
“E perché sarebbe nostra giurisdizione?” chiese McGee.
“Ha lavorato per la marina”
“Quindi dove siamo diretti, capo?”
“All’Opera, DiNozzo”


Il cuore gli si fermò per un secondo.  Gli bastò fare due più due, perché venisse assalito dal terrore più totale. Aveva appena perso una figlia… Adesso anche la donna che amava era veramente troppo. Il destino ce l’aveva proprio con lui.
 
Tornato all’Opera, Tony fu l’ultimo a scendere dal pullmino. Fece una telefonata a Ziva per accertarsi che stesse bene, ed avvisarla che la squadra era lì… Magari voleva tenere la storia dell’audizione solo per sé.
 
“Con chi abbiamo a che fare?”
Ad attenderli c’era l’amica della vittima che aveva telefonato.
“Era un ex soldato della marina, Emily Clark” la ragazza informò Gibbs e McGee.
“Eravamo nel bar di fronte all’Opera, ed a un certo punto ha iniziato a non respirare…”
“Come mai eravate qui?” domandò McGee.
“Eravamo qui perché mia cugina deve fare le audizioni qui all’Opera… Ed Emily aveva voluto accompagnarci. Mia cugina lavora qui, al bar, e abbiamo pensato di venire a prendere un caffè” spiegò la ragazza.
 
 
Tony scese dal pullmino ancora più agitato di prima, non avendo ricevuto risposta da Ziva.
Senza fare domande corse dentro l’edificio, non vedendo i suoi colleghi, che però erano in realtà nel bar a controllare la scena del crimine.
 
Ziva intanto, dietro le quinte attendeva il suo turno.
Iniziava a non sentirsi bene, ed aveva anche un certo presentimento del perché. Lentamente si stava rendendo conto che quella che stava per fare era una follia. Stava cercando di rivendicare la sua infanzia, quando desiderava ballare, ma il padre le impose di entrare nel Mossad. E quando ballava, era come se riportasse in vita le persone che amava di più. Tali e Ariel.
Ma stava capendo che col tempo le cose erano cambiate. Non era più convinta di quello che stava per fare, e non era più sicura di volerlo.
Sentì l’angoscia salire. Si appoggiò al muro, e provò a inspirare con respiri profondi.
 
Tony aveva subito chiesto di lei, e quando la vide, la trovò seduta per terra, con le spalle al muro ed un body che metteva in evidenza la perfezione del suo corpo. Le si avvicinò lentamente, per non spaventarla.
Aveva gli occhi chiusi e respirava profondamente.
Le appoggiò una mano sulla spalla e lei aprì gli occhi di colpo.
“Tranquilla, Mossad… Andrà tutto bene… Se è quello che davvero desideri, io sarò qui per te”
“Tony che ci fai qui?”
Il ragazzo rimase un po’ spiazzato dalla domanda. Era appena morta una donna lì… E Ziva sembrava non saperne nulla.
 
“McGee, dov’è DiNozzo?”
“Non lo so capo… L’avevo lasciato al furgoncino”
“Jethro” li interruppe Ducky “Da quel che posso stabilire per ora, credo che la ragazza sia morta di asfissia. La diagnosi di morte asfittica può essere posta unicamente al termine di un’indagine che tenga conto degli elementi circostanziali… Potrebbe aver ingerito qualcosa che le ha ostruito le vie respiratorie, ma dal colore delle vene nel cranio, sembra più che si tratti di avvelenamento”
 
Arrivò il momento della sua esibizione, e Tony era seduto in platea a guardarla. Non si era nemmeno reso conto che doveva tornare sulla scena del crimine… Anche se prima doveva capire dove fosse precisamente… A quanto pare non era all’Opera, ma nei dintorni.
 
Quando vide Ziva comparire sul palco, divenne forse anche più agitato di lei. Vederla danzare, conoscendo la sua storia, gli metteva i brividi. Era qualcosa di emozionante. Ma poté giurare di vedere una luce diversa nei suoi occhi. Erano più… Spenti.
Non si era accorto del tempo che passava, ed alla fine Gibbs e McGee lo raggiunsero.
Quando gli si sedettero di fianco, senza rendersi cono di chi fosse la ragazza sul palco, Gibbs gli diede uno scappellotto.
“DiNozzo… Ti sei incantato a guardare lo spettacolo?”
“Si capo… Perché… Quella è…”
“Ziva…” disse McGee sbalordito.
“Ziva?!” ripeté Gibbs.
 
Mentre danzava, Ziva era assente con la mente. Ripensava alle parole di Tony.
Se è quello che davvero desideri
Ma era davvero quello che desiderava? O stava solo cercando di rivendicare la sua infanzia, in cui il balletto era tutto ciò che desiderava, ma il padre glielo aveva proibito?
Lo stava facendo solo perché le riportava alla memoria Ariel e Tali?
 
Ad un tratto si accorse degli ospiti, ed il suo cuore perse un battito, ma non si fermò.
Fece mente locale, e si ricordò quello che Tony le aveva detto. Una donna era morta a pochi metri da lì…
La sua mente iniziò subito a varare piste per risolvere il caso, ridestandosi dai suoi pensieri, solo quando si accorse che era ancora sul palco a danzare. Già… Perché ormai non era più compito suo trovare delle piste… Non era più un’agente federale…
Un tuffo al cuore. All’istante si sentì completamente sola. Quella era la sua famiglia, l’NCIS, e solo lì riusciva a sentirsi a casa, protetta, sicura.
Tra un volteggio e l’altro, si voltò a guardare dietro le quinte. Che strano… Ricordava che dopo di lei ci fosse una ragazza con la quale aveva parlato quella mattina. Ma non era dietro le quinte. La loro breve chiacchierata era stata abbastanza fuori dagli schemi. Quella mattina l’aveva vista singhiozzare in un angolo guardando una foto di un ragazzo. Non la conosceva ma aveva provato a consolarla… E ne era uscito che quel ragazzo era stato ucciso a causa della pena di morte, ma ingiustamente… Era suo fratello e non aveva ucciso nessuno. Ma un poliziotto lo aveva condannato. Ed ora cercava vendetta.
 
Tutto le fu più chiaro, quando la vide davanti a sé, dietro l’immensa platea quasi completamente vuota, che con la pistola, stava mirando Gibbs… Non esitò un attimo.
Senza più pensare alla sua audizione, scese dal palco con un salto, e con tutte le punte, si buttò sul suo capo e sui suoi colleghi per proteggerli da un proiettile che era stato appena sparato, e che per poco non li avrebbe uccisi.
 
Gibbs e McGee, si rialzarono immediatamente, puntando la loro pistola contro la ragazza, che però era già fuggita.
 
Ziva , si ritrovò esattamente sul corpo di Tony, che ancora doveva mettere a fuoco quanto era appena successo.
Non sapeva perché, ma in quel momento, sentì una fitta allo stomaco… Era diversa da solito dolore che aveva imparato a sopportare. Era più… Gioiosa.
 
In meno di due minuti, davanti alle facce ancora sconvolte della giuria delle audizioni, la vita di qualcuno, aveva finalmente preso una svolta positiva… Grazie ad un colpo di pistola.
 
Tony che lentamente si stava destando dai suoi sogni mentre abbracciava Ziva che gli si era lanciata sopra, le sussurrò all’orecchio alcune semplici parole.
“Bentornata nel tuo vero mondo, Agente Speciale Ziva David”
 
Il suo cuore perse un battito. Era da tanto che qualcuno non la chiamava in quel modo… Gli sorrise, ma quel momento tanto atteso di riconciliazione, venne bruscamente interrotto dalla voce del capo che ordinava ai suoi agenti di trovare quella ragazza.
 
Ziva si alzò immediatamente, allontanandosi a fatica dalle confortevoli braccia di Tony, e fece per seguire i suoi vecchi colleghi, quando però Gibbs la prese per un braccio.
“Dove credi di andare?”
Le chiese con il suo solito viso corrucciato.
“Gibbs… Io… Ho sbagliato, lo so… Ma…” provò a spiegarsi lei.
 
Aveva appena capito che l’NCIS era la sua casa, l’unico posto in cui si sentisse veramente accolta, e se fino a pochi minuti fa, stava facendo un’audizione, era solo per poter tornare indietro nel tempo e cambiare i fatti… Ma non si può.
Quando era una bambina, Ziva conosceva solo il Mossad e la danza. Ora conosceva il vero significato di famiglia, e comprese che era quello il suo desiderio più grande. Avere una famiglia che l’amasse per quello che è.
Ora, avrebbe fatto di tutto per poter rientrare in squadra… Eppure Gibbs, a quanto pareva, glielo stava impedendo… Ma lei non gli avrebbe permesso di ostacolarla dalla sua famiglia.
 
“Agente David, dove credi di andare vestita così e con quelle scarpette?” riprese la frase il capo… E in meno di un attimo, un sorriso complice spuntò sul volto di entrambi… Ora erano di nuovo una squadra.
“Il tuo cambio sta nel furgoncino...”
Poi le si avvicinò all’orecchio
“Ora so perché DiNozzo si era incantato a guardarti ballare…” le fece un occhiolino, e la abbracciò col suo braccio, avvolgendola nella sua ala protettrice.
 
Mentre Ziva usciva dall’edificio, Gibbs si fermò sulla soglia, e si voltò di scatto, ritrovandosi addosso gli sguardi ancora  increduli della giuria…
“Missione sotto copertura” mentì, voltandosi e sorridendo ripensando alla sua agente.









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Okay ecco il nuovo capitolo... Mi sono fatta perdonare? Spero di si, perchè beh... Ci stiamoa vviando alla conclusione.. E questo temo che sarà il penultimo capitolo...
Allora, Ziva ha finalmente capito qual è il suo posto nel mondo... L'NCIS!!! Ma come andrà a finire tra i TIVA? tornerà tutto come prima, o ci sarà un piccolo cambiamento? Beh lo scopriremo presto.
Baci. Gaia.

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Capitolo 22
*** ANGELI ***


“McGee, entro dalla porta sul retro” Avvertì Tony, con una punta di timore per ciò che gli sarebbe potuto succedere.
 
Avevano seguito la ragazza che aveva tentato di ucciderli fino ad un accampamento non molto lontano dall’Opera. Era entrata dentro, probabilmente per prendere l’occorrente per un nuovo attentato a Gibbs e la sua squadra…
 
Tony aveva il compito di fermarla, e sarebbe entrato in quella casa di legno seppur con tanta paura, se qualcuno non lo avesse afferrato per un braccio.
 
“Tu non vai da nessuna parte senza di me!”
 
Ziva aveva seguito i suoi colleghi, e per buona parte del percorso aveva tentato di chiamarli, ma forse per l’adrenalina, nessuno l’aveva sentita… Così aveva scelto di continuare a correre per risparmiare il fiato.
 
“Ziva? Ho le allucinazioni o fino a pochi minuti fa eri all’Opera, davanti ad una giuria a fare le audizioni?” domandò perplesso “E decisamente con altri vestiti!” aggiunse sornione.
 
“Non hai le allucinazioni DiNozzo… E adesso chiudi il becco ed entriamo” gli intimò la ragazza.
“McGee, Ziva è con me!” Tony avvertì l’amico, via auricolari.
 
Quando Tony e Ziva entrarono nell’appartamento, assisterono ad una scena alquanto triste.
Una ragazzina, la stessa di prima,  era seduta per terra con una foto in mano, mentre sussurrava qualcosa.
 
“Ti vendicherò fratellone. Te lo prometto”
“Allison…” chiamò Ziva, l’unica che conoscesse il suo nome.
 
“Ziva che ci fai qui?”
“Ti voglio aiutare… So cosa significa perdere un fratello, e credimi… Conosco anche la sensazione che si prova quando uccidi qualcuno! Non ti farà sentire meglio!”
Provò, avvicinandosi alla ragazza che poche ore prima le aveva parlato del fratello.
 
“Non è vero! Tu menti!”
“È Gibbs l’agente che ha mandato in prigione tuo fratello, vero?” chiese con tono dolce.
 
Tony, intanto aveva assunto uno strano colorito. Ziva non colse immediatamente il problema, e si limitò a pensare che non si stesse sentendo bene. Ma la risposta arrivò ben presto.

“No, sono stato io! Allison Tolman… Un caso di Baltimora…”
“Agente Anthony DiNozzo… Mio fratello era innocente” ringhiò la ragazza.
“No, non lo era… Lui ha ucciso delle gente… Era un membro della banda dei Mala Noche…  Mafia sudamericana” provò a spiegare l’agente, lasciando la ragazza sbigottita.
 
“Se non vuoi fare la sua stessa fine, Allison, lascia stare tutto…” provò a convincerla Ziva.
la giovane spostò lo sguardo prima su Ziva, poi su Tony e infine nuovamente su Ziva… Poi con uno scatto alzò la pistola contro l’israeliana.
“Lui mi ha portato via la persona che amavo… Io la porterò via a lui!”
 
Tony e Ziva puntarono immediatamente le loro pistole…
“Ragiona Allison… Quante possibilità hai?”
La ragazza si guardò intorno, prima di arrendersi e posare la pistola per terra. Con cautela i due agenti le si avvicinarono, ammanettandola.
 
 
“Per curiosità… Per credi che io ami Ziva?” chiese Tony a bassa voce mentre la portava all’NCIS nel furgoncino insieme a Ziva e McGee.
“Vuoi forse dire che non è così?!” lo prese in giro la ragazza.
“Sembrate saltati fuori da un film della Disney… Solo che il principe azzurro che ti ha protetto dallo sparo è lei!” continuò a punzecchiarlo.
 
“Non ti conviene far arrabbiare un’agente federale che può sbatterti in galera!”
Ringhiò Tony in un sussurro, aumentando la stretta delle manette.
 
“Ti stavo per sparare… Non credo che potrei aggravare la situazione più di così!”
rise sommessamente Allison, mentre Tony bofonchiava qualcosa.
 
 
Erano trascorse alcune settimane da quel caso, che presto si concluse.
Il rapporto tra Tony e Ziva era tornato esattamente come una volta. Le stesse battutine sarcastiche, gli stessi sguardi, gli stessi gesti.
 
“Tony… Devo trovare un posto dove andare a vivere… Non potrò vivere per sempre da te!”
“Cioè fammi capire… Stai per salire su un aereo, che ti porterà lontano da qui, per un tempo indefinito… E tu mi parli di un posto in cui alloggiare al tuo ritorno?!” domandò il ragazzo stranito. Poi aggiunse con sguardo malinconico e allo stesso tempo divertito “Sempre se tornerai!”
 
Ziva ora era tornata ad essere un agente operativo dell’NCIS, ma era stata mandata in una missione di ricognizione a Tel-Aviv, per abbindolare un commerciante d’armi e vivere con lui il tempo necessario per trovare tutte le prove poterlo sbattere in prigione.
 
Poteva avere contatti solo con Vance, il direttore, e su questo, Gibbs non era pienamente d’accordo.
Sapeva che Tel-Aviv era una zona calda per la sua agente, e non avrebbe mai voluto perderla di nuovo. Non se ne preoccupava, però, più di tanto. Aveva ignorato infiniti ordini del direttore, e in questo caso, non avrebbe fatto un’eccezione.
 
“Ci si vede ragazzi…” il suo saluto era un po’ esitante.
Era consapevole che non sarebbe riuscita a tornare da Tel-Aviv, senza averci riflettuto abbastanza. Ma non poteva tradire i suoi amici, la sua famiglia… Ora non aveva più scusanti… Ora!
 
L’unica cosa che la rendeva più tranquilla era il fatto che McGee sarebbe andato con lei. Un esperto di computer per comunicare da due lati opposti del mondo, era decisamente necessario.
 
“Ciao ragazzi… Ci vediamo alla fine della missione!” McGee era abbastanza euforico, a differenza di Ziva. Per lui sarebbe andato tutto liscio. Avrebbe continuato a fare quello che faceva sempre, solo dall’altro lato del mondo…
 
 
“Ed ora dove andiamo, Aron?”
“Dove desideri, bambola” le disse l’uomo, avvicinando la ragazza al suo corpo.
 
Erano trascorse diverse settimane, forse un mese o poco più. Ziva era riuscita perfettamente nel suo intento, anche se evitare rapporti con quell’uomo stava diventando un’impresa ardua.
 
La ragazza poté sentire la puzza di alcool provenire dalla bocca del commerciante d’armi, e poté sentire il suo stomaco aggrovigliarsi per il disgusto.
 
“Ascoltami… adesso dobbiamo andare a casa di amici… C’è ancora un lato di me che non conosci… Ma presto lo scoprirai”
Se solo Aron sapesse con chi aveva a che fare…
 
“Quindi tu sei un trafficante d’armi… E il padre di questa famiglia è un tuo cliente?” chiese con una finta voce stupita.
“Ziva, ricordami di mandarti a qualche lezione di teatro” le sussurrò McGee dall’auricolare.
“Esatto, bambola… Ma non farne parola con il resto della famiglia… Ha una moglie ed una figlia… Non vorrei che si immischiasse i guai seri, e che mi tirasse dentro”
“Tutto chiaro…” gli rispose con voce suadente.
 
“Però la gattamorta la sai fare!” continuò McGee dall’auricolare, mentre Aron scendeva.
“Ti manca Tony e lo stai imitando, McGee?”
“Può darsi…” Ziva sorrise lievemente, poi scese dall’auto anche lei.
“Forza Sharon… Non vedo l’ora di presentarti i miei amici” Aron la attorcigliò a sé per l’ennesima volta, e Ziva dovette trattenere il disgusto.
“Sharon? Davvero Ziva? Sei pessima nello scegliere nomi…”
 
McGee non fece in tempo a terminare la frase, che Ziva era dentro ed Aron le stava presentando uno scricciolo di circa 8 anni che aveva aperto loro la porta.
“Ciao piccolina… Questa è Sharon… Sharon, lei è Ariel
 
Ziva impallidì all’istante…
“Allora, Ariel… Dov’è papà?”
“Ti sta aspettando in cucina”


“Ziva… Va tutto bene… Hanno solo lo stesso nome” provò a tranquillizzarla McGee dall’auricolare.
“Ciao Sharon… Io sono Ariel… Tu sei un’amica dello zio?”
“Diciamo di sì… Aron è tuo zio?” chiese Ziva piegandosi sulle ginocchia, davanti alla bambina, cercando di nascondere il suo malessere, una volta rimasta sola con la piccola.
“Non esattamente… Ma è come se lo fosse”
 
In quel momento a Ziva si strinse il cuore… Una bambina così piccola, tanto legata affettivamente ad un uomo come Aron…
“Dai forza… Andiamo di là, ci staranno aspettando…”
 
Per tutta la cena, Ariel era rimasta incantata da Ziva, pur non conoscendone il vero nome. Spesso la vedeva pensierosa, e aveva deciso di sedersi accanto a lei. Ogni tanto Ziva le regalava delle carezze, anche se la piccola non capiva da dove nascessero… L’avrebbe capito a breve. Si trattava di compassione… E non solo!
 
“Perdonatemi…” Ziva interruppe la conversazione verso la fine della cena “Avrei necessità di una toilette…”
“Oh, prego Sharon… Infondo sulla destra…” le indicò la donna.
“Grazie mille”
 
“Ok McGee, ascolta… Il padre di Ariel è americano, Jake Stone. La moglie, Yael Cohen di origine ebrea. Non sa nulla riguardo i traffici del marito, e tantomeno… Ariel…”
“Okay… allora Ariel è stata adottata da poco tempo… 3 mesi circa. Poi ho trovato qualcosa su Jake. Ha frequentato la Morgan State University. Ha dei precedenti per spaccio e detenzione di armi illegal…” McGee non fece in tempo a finire la frase che si sentirono due rumori sordi, e poi un terzo a distanza di attimi, seguito da un quarto subito dopo.
 
Ziva corse fuori dal bagno, trovandosi in una pozza di sangue.
“Ariel!” urlò il suo nome, forse per la prima volta in tutta la serata.
“Ziva che sta succedendo?” chiese spaventato McGee dall’auricolare.
“Vieni a casa degli Stone… Una sparatoria”
“Ziva stai bene tu?”
“Corri!” le urlò la ragazza, mentre si piegava a prendere la bambina e controllare che non fosse stata ferita mortalmente.
 
“Sharon, vieni con me… Ti spiegherò tutto in auto!”
Aron le si parò davanti, con una ferita al braccio. Doveva essere stato sparato anche lui.
“Troppo tardi, Aron… O dovrei dire Levi Mizrachi…” scavalcò il corpo della bambina alzando la pistola che fino a quel momento aveva custodito.
“Agente federale! Ti dichiaro in arr…” stava per mostrare il distintivo quando lo vide correre via. Iniziò a correre anche lei, ma una flebile voce la fermò.
 
“Sharon…”
Non poteva abbandonarla lì. Il sangue continuava a scorrere… E quella bambina le ricordava immensamente sua figlia… Non poteva abbandonarla…
Tornò indietro.
 
“Ariel ascolta…”
“Sharon, la mia mamma e il mio papà…” disse la bambina seduta per terra con una ferita alla spalla, e gli occhi lucidi.
 
“Ariel… Va tutto bene… Il mio vero nome è Ziva… Lavoro come agente segreto ed ora sono qui per proteggerti e mandare in prigione quell’uomo che ha fatto male ai tuoi genitori” si fermò a guardarla negli occhi. “Però ti devi fidare di me…” aggiunse.
 
La bambina la scrutò per un secondo. La ferita le faceva male, ma era abbastanza lucida da poter ragionare… Non aveva altra scelta. Doveva fidarsi di quella donna che le sembrava tanto dolce. Annuì.
 
“Okay… Allora adesso sta arrivando un mio amico, si chiama Tim, e ti porterà al sicuro, mentre io cerco di prendere Lev… Aron”
“Ziva sono qui”
McGee entrò nell’appartamento tutto trafelato. La prima cosa che vide fu il sangue che inondava la casa. Poi riuscì a mettere a fuoco le immagini e si diresse verso Ziva e Ariel.
 
“Ciao Ariel… Io sono Tim…”
“Ma io che devo fare?” chiese spaesata.
“Niente tesoro… Quando ti sentirai meglio…” le rispose Ziva, indicando con gli occhi la ferita a McGee perché la portasse in ospedale “Ci racconterai cosa è successo”
 
McGee la prese per mano mentre continuava a domandare dei suoi genitori, e la portò fuori.
“Mi fa male il braccio” disse ad un tratto.
“Lo so, piccolina. Adesso però ti porto in un posto dove ti faranno stare meglio…”
“I miei genitori sono morti, vero?” domandò. Non aveva più gli occhi lucidi. Voleva solo sapere.
 
Il ragazzo si fermò a guardarla. Le ricordava incredibilmente Ziva… Quella ragazza bellissima, il cui viso era stato deturpato dal dolore della perdita di sua figlia, e che al funerale, era rimasta a fissare la tomba, immobile. Con i capelli mossi solo dal vento, e lo sguardo freddo. Gelido… Ora Ariel aveva lo stesso sguardo… Poi gli venne un lampo di genio.
 
“Ti farò conoscere una persona davvero simpatica” disse alla fine.
 
 
Ziva aveva avvisato McGee che si sarebbe assentata per alcuni giorni. Sapeva dove fosse diretto il trafficante e sapeva anche come prenderlo.
 
Poche settimane dopo, Ziva raggiunse McGee ed Ariel nella camera di ospedale, e con sua grande sorpresa, non erano soli… Non del tutto.
 
“Chi c’è in video chat?” chiese divertita, senza pensare a quello che aveva fatto poco prima.
 
Aveva fermato Aron e con sua sorpresa, pedinandolo aveva trovato anche alcuni dei suoi complici… Prima pensò di usare le maniere dolci insegnatele dal Krav Maga… Poi ci rinunciò,, e quando ebbe le prove necessarie, ed un mandato da Vance, li fece fuori in poco tempo.
 
“Nessuno!” risposero in coro Tim ed Ariel chiudendo il computer.
“Ciao Ziva! Mi sei mancata”
“Anche tu piccolina” le disse abbracciandola.
Non si conoscevano da molto, eppure sembravano quasi madre e figlia.
 
“Ziva ci sono novità?” chiese ad un tratto McGee avvicinandosi al suo orecchio.
La ragazza sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori, per poi annunciare “Ragazzi… Fate le valige… Si torna a Washington… E tu, piccolina, verrai con noi!”
 
Ziva non si era mai accorta di quel particolare. Non era mai salita su un aereo che la portasse dall’Israele in America, con qualcuno. Quel paese in cui era nata, le aveva provocato sempre e solo dolore. Il dolore di aver perso un’intera famiglia, di essersi sentita tradita da Tony con la morte di Rivkin, il dolore che provò quando la sua squadra dubitava della sua lealtà, a causa della malefatte di Rivkin, il dolore di dover vedere andare via su un aereo l’amore della sua vita.
Questa volta non si sarebbe tirata indietro. Sarebbe salita su quell’aereo, abbandonando quel paese che le aveva complicato in quel modo la vita.
 
 
All’alba uscirono dall’aeroporto di Washington e Ziva aveva tutte le intenzioni di andare a fare prima una nutriente colazione che non faceva da quasi due mesi, per poi andare al quartier generale dell’NCIS… Avrebbe fatto a tutti una splendida sorpresa.
 
Sfortunatamente, però, le cose non andarono come previsto, e McGee volle dirigersi immediatamente all’edificio. La stessa fretta sembrava avercela Ariel… Quei due si stavano legando molto.
 
Di questo Ziva ne era felice, ma allo stesso tempo ci rimase male. Ariel le ricordava tantissimo sua figlia, e aveva davvero sperato che si legasse a lei… Aveva addirittura abbozzato l’assurda idea di adottarla… Dopo nemmeno un mese che la conosceva… Ma l’amore di una madre è cosi!
 
Era seduta ad un tavolino mentre beveva una spremuta d’arancia per ingranare la giornata nel migliore dei modi… E rifletteva, ripensando alla sua bambina… Alzò gli occhi al cielo, e vide volare proprio sopra il suo naso un piumino d’oca… Quelli che nel gergo si chiamano angeli… Il suo Angelo… La sua Ariel… La sua Tali.
 
“Mi manchi bambina mia”
Chiuse gli occhi… Riusciva ancora a sentire la sua voce… Quando chiamava Tony il principe azzurro… La sua risata… Ricordava ogni singolo aspetto di sua figlia.
 Poi prese a pensare a Tony… Lo amava per davvero? Si! Alla follia! Ora più che mai! E non vedeva l’ora di poterlo riabbracciare.
Ma aveva fatto una promessa alla sua bambina, una promessa a se stessa…
Mai più mettere in gioco i sentimenti.
 
“Che dovrei fare, angelo mio? Dammi un segno”
Questa volta, a differenza di tre anni prima, non arrivò Tony da dietro… No… Semplicemente… L’angelo si posò sulla sua Stella di David… Sul suo cuore... Doveva seguire il suo cuore.
 
 
“Allora è tutto pronto?” chiese Abby a Tony.
“Ovviamente! Ma solo se Ariel è d’accordo!” rispose il ragazzo.
“La bambina annuì felice… Avrebbe fatto di tutto pur di non ritornare in un orfanotrofio… E con quei ragazzi si trovava davvero bene.
 
Quando Ziva arrivò all’NCIS, si aspettava di trovare un caloroso benvenuto… Certamente diverso da quando era arrivata a Washington per la scomparsa di sua figlia… Ma non fu così.
Nello squadroom non c’era nessuno. Solo un foglietto sulla sua scrivania. Lo aprì.
Era un disegno, fatto probabilmente da Ariel.
C’erano disegnate loro due, e un altro ragazzo.
Certamente era Tim… Peccato che Tim non avesse così tanti capelli.
Solo dopo si accorse di una frase…
Mi prometti che non tornerò in un orfanotrofio?
Ziva rimase a bocca aperta, quando tutti i suoi colleghi sbucarono da dietro le scale, facendola sobbalzare, ridestandola dai suoi pensieri.
Sapevano tutti cosa stava per accadere, persino la bambina… Tutti tranne Ziva.
 
In mezzo alla massa di persone davanti a lei, che la abbracciavano, scorse lo sguardo di Tony, che teneva per mano la piccola Ariel… Le tornò in mente il ricordo vivido di Tony e la sua sirenetta insieme… Nulla di più tenero.
 
La piccola le si avvicinò, di fronte alla scrivania.
“Vuoi essere la mia nuova mamma?” chiese con la sua tenerezza.
Ziva sentiva gli occhi pungerle, voleva dirle di sì, sì a priori… Ma chi sarebbe stato il padre?
E come se le stesse leggendo nei pensieri, Ariel aggiunse “Tony ha detto che vuole farmi da papà… Quando tu eri andata a mettere in prigione Aron… Levi… Parlavo sempre con Tony in video chiamata”
 
La ragazza si guardò intorno spaesata, in cerca di Tony. Non lo trovava da nessuna parte.
“Sono qui, Occhioni Belli” le comparve da dietro, le cinse i fianchi e la fece voltare. Erano a pochi millimetri di distanza…
 
La sorpresa che tutti avevano progettato per Ziva, si fermava lì… E per quanto l’avessero sperato, nessuno avrebbe mai immaginato quello che stava per succedere. Solo Ariel… Entrambe le Ariel! E qualcun altro.
 
Si guardavano negli occhi. Ziva voleva capire quali fossero le intenzioni di Tony, che presto le furono chiarite.
Tony non poteva aspettare oltre. La avvicinò a sé ancora di più, e a fior di labbra le sussurrò “Ti amo, Ziva” lasciandola quasi stordita da tutto l’amore che provava e che riceveva. Poi, come per magia, Tony le si avvicinò fino ad eludere completamente la distanza tra loro. La baciò con tutto l’amore che aveva provato in 10 anni. La baciò col cuore che gli batteva forte nel petto, e riusciva a sentire anche quello di Ziva, che scalpitava, come a voler uscire dal petto. Sorrise, pensando a quanto fosse tenera, a come si fosse emozionata per quel bacio, e continuò, sotto lo sguardo di tutti.
Ziva aveva desiderato questo momento da tutta la vita, forse.
 
“Oh Tim… Non sono carinissimi?” disse Abby stringendosi all’amico, con gli occhi a forma d cuore.
Ducky intanto, colto alla sprovvista, avvicinò a sé la bambina, e le chiuse gli occhi con le mani… Ariel però, non poteva perdersi un momento del genere, e le spostò… Con l’aiuto di Abby, che lanciò un’occhiataccia al povero Dottor Mallard.
 
In tutto questo, Gibbs non era ancora arrivato… Ma si presentò in quel momento, con un caffè, un sorriso soddisfatto stampato in volto… Ed una calma, che data la situazione, era abbastanza fuori luogo.
 
“DiNozzo, regola 12” disse con calma, sedendosi alla sua scrivania.
“Mi sarei aspettato che lo uccidesse a suon di scappellotti!” sussurrò sorpreso McGee ad Abby.
 
Tony sobbalzò. Non aveva ancora allontanato le labbra da quelle di Ziva, e la baciava con un amore che andava aumentando… Al suono della voce di Gibbs, però, fece qualcosa che commosse tutti in quel momento.
Si allontanò di pochi millimetri dal volto di Ziva, che gli sussurrò “Ti amo anche io, Tony”… E fu quello il via.
 
“No capo…” Iniziò, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza.
“Io non voglio frequentare Ziva… io voglio…” si schiarì la voce, si piegò su un ginocchio, e prese una scatoletta dalla tasca.
 
Ed ecco, che tutte le lacrime che tratteneva da quando aveva letto il foglio, presero a scendere, sotto lo sguardo sbalordito e incantato di tutti.
“Tony… Ti amo…” continuava a ripetere mentre le lacrime le stavano quasi inzuppando la maglietta.
Aprì la scatolina.
 
“Ziva David, mi vuoi sposare?”
 
 
“Alleluia! Finalmente si è deciso!”
“E dai Ariel… Sai com’è fatto tuo padre… Io lo sto osservando da prima che incontrasse Ziva… Ero proprio curiosa di sapere quanto tempo ci avrebbe messo… 10 lunghi anni!”
“Lo so Tali… Ancora devo capire di cosa si sia innamorata, esattamente tua sorella!”
 
Tali guardò l’amica di sbieco… Erano stese su una nuvola a guardare, dall’alto del Cielo quello che stava accadendo sulla Terra in quel momento.
 
“Oooooh, Andiamo! Sono perfetti! Sono l’esempio dell’amore litigarello…”
“Okay, va bene… All’amor non si comanda… E insieme sono bellissimi! Non per niente sono i miei genitori!”
Risero insieme, poi Tali domandò “Secondo te cos’ha risposto?”
“A giudicare da come si stanno baciando, e stanno abbracciando la loro nuova bambina… Direi proprio di sì!”
Esultarono entrambe, piene di gioia.
 
 
“Ti amo Tony…”
“Per l’ennesima volta… Ti amo anche io, Ziva!”









NOTA DELL'AUTRICE
Ciao a tutti. Piango... Abbiamo concluso anche questa storia, che spero vi sia piaciuta... Allora che ne dite della piccola Ariel di 8 anni? COme si troverà con due genitori come Tony e Ziva? Che domande...
E poi... Tony stupisce tutti! Chiede a Ziva di sposarlo... Troppo tenero!!!
E che mi dite di Ariel e tali come angioletti? Loro sapvano già tutto... Tali aspettava addirittura da 10 anni!
E voi mi direte "Ma Tali aveva 16 anni! Come fa ad essere una bambina come Ariel?" Beh sono angeli! E gli angioletti sono tutti puri, sono tutti bambini, no?!

Spero che vi sia piaciuto sia il capitolo, che la storia... Mi mancherà! Decisamente mi mancherà!
un Bacio a tutti colo ro che l'hanno seguita, che hanno recensito tutti i capitoli e che mi hanno incoraggiato, dandomi consigli e tanto altro. Un bacio a chi ha aggiunto la storia tra i preferiti, e anche a quei lettori silenziosi, ma che sono sempre onnipresenti. Un bacio a tutti. Gaia.

AVVISO IMPORTANTE!!!
ALLORA... È VERO... QUESTA STORIA È TERMINATA... MA PRESTO NE INIZIERò UNA NUOVA. AVEVO PENSATO AD UNA NOVITÀ, UN PO' DIVERSA DAL SOLITO, MA SPERO VI PIACERÀ UGUALMENTE. HO INIZIATO A LEGGERE ALCUNE FANFICTIONS SU QUESTO GENERE E NE SONO RIMASTA LETTERALMENTE AMMALIATA. NON SO QUANDO POSTERÒ IL PRIMO CAPITOLO DELLA NUOVA STORIA, MA SAPPIATE CHE CI RIVEDREMO PRESTO... MOLTO PRESTO... E DOVRETE SORBIRVI DI NUOVO TUTOT IL MIO ANGST... CON UN AGGIUNTA NON INDIFFERENTE DI FLUFF, CHE CARATTERIZZERÀ LA STORIA. CURIOSI? NON VI RESTA CHE LEGGERLA.
BACIO A TUTTI. ALLA PROSSIMA.

Gaia



 

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