Going Through Changes- Niente accade per caso

di Joy2000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Escape ***
Capitolo 2: *** New friends ***
Capitolo 3: *** La prima consegna ***
Capitolo 4: *** Lavoro, nonostante tutto ***
Capitolo 5: *** Discussioni ***
Capitolo 6: *** Giornata di shopping, e non solo... ***
Capitolo 7: *** Solo un bacio ***
Capitolo 8: *** Addio... ***
Capitolo 9: *** Brutte notizie... ***
Capitolo 10: *** Inizia la rehab ***
Capitolo 11: *** Pace? ***
Capitolo 12: *** Ricaduta ***
Capitolo 13: *** Jake (parte prima) ***
Capitolo 14: *** Jake (seconda parte) ***
Capitolo 15: *** La denuncia ***
Capitolo 16: *** Pestato ***
Capitolo 17: *** Rapita... ***
Capitolo 18: *** A un passo dalla libertà ***
Capitolo 19: *** Soccorsi ***
Capitolo 20: *** FINE ***



Capitolo 1
*** Escape ***


Prima di leggere...
Voglio avvertire i lettori dell'utilizzo da me voluto di un linguaggio a volte volgare, usato per l'unico fine di rendere meglio il carattere della protagonista. Ciò che ho descritto è puramente frutto della mia immaginazione.


Mi sentivo male. Mi mancava l'aria, non riuscivo a respirare. Continuavo a vomitare ormai da due giorni, anche se non mangiavo niente. Mi sembrava di morire. Ero in quel centro di disintossicazione solo da 48h e 30 minuti e già volevo scappare. Non facevo che pensare a quel fottuto giudice che mi aveva mandato qui. Avrei preferito cento volte essere nel carcere minorile, o in riformatorio. Almeno lì avrei potuto assumere ciò che volevo. Ecstasy, coca, o magari fumarmi un po' di erba. E invece dovevo stare qui, da sola in balia del vomito e dei dolori allo stomaco. Provai a stendermi un po' sul letto, col cestino dal cattivo odore vicino a me. Sentivo il cuore che mi batteva forte, la pancia contratta, dolorante, e la gola che mi bruciava. Provai a calmarmi, respirando piano, ma sentivo i battiti che non diminuivano, ma che anzi acceleravano. Decisi così di prendere il mio cellulare e di sentire un po' di musica agli auricolari. La mia playlist, interamente costituita da tutti gli album di Eminem, era quanto avessi di più prezioso al mondo. Quelle canzoni mi avevano aiutato a superare molti momenti difficili della mia vita e lo continuavano a fare ogni volta che le ascoltavo. Perciò misi gli auricolari nelle mie orecchie e sparai a tutto volume la canzone 'My Darling' che mi ricordava tanto la parte cattiva di me che aveva fatto penare mia madre, ogni volta che le disubbidivo. Ma ora non accade più, non perchè io sia cambiata, ma perchè lei è morta. Sparata dritto al cuore da un suo ex a cui lei doveva dei soldi. Ricordo ancora quel giorno di dieci anni fa. Ero solo una bambina allora, avevo sei anni ed era il mio compleanno: due ottobre del duemilasei. Ricordo che era una giornata piuttosto fredda a Detroit, ma la mamma volle comunque accontentarmi andandomi a comprare la torta al cioccolato che io tanto adoravo. Al suo ritorno, bussò alla porta della nostra roulotte dicendomi "Ashley aprimi tesoro, ho una sorpresa per te". Stavo per andare ad aprire quando sentii la sgommata di una macchina. Poi un colpo. Solo uno. Un rumore sordo, durato una frazione di secondo. E fu in quella frazione di secondo che persi mia madre. Vagai tra una casa famiglia e l'altra, tra collegi e scuole in cui non socializzavo mai con nessuno. Quindi avevo deciso di scappare, ma mi hanno beccato mentre mi facevo di coca ed ora sono qui. Però fra due settimane diventerò maggiorenne. Non ho dimora fissa, anche se di solito dormo in un vecchio palazzo abbandonato dove non gira mai nessuno. Vagabondando per i vicoli ho fatto amicizia con James, un ragazzo di colore che conosco da un mese che vende della roba buonissima. È uno apposto, simpatico, ma non molto bello di viso. Ascoltando la canzone di Eminem tornò su per la mia gola il rigurgito. Misi la testa nel cestino e sputai tutto ciò che premeva di uscire. Avevo bisogno di un po' di roba. E pensare che dovevo stare in quel posto ancora per due settimane! No, era impossibile, avrei dovuto scappare da lì, in un modo o nell'altro. Mentre ripetevo a mente le parole di 'My Darling' che ormai sapevo a memoria, l'infermiera dai capelli color nero pece, entrò dalla porta. Mi portò un'altra pillola di sonnifero o calmanti, non so bene, in ogni caso era la stessa che mi avevano dato quella stessa mattina. Serviva a farmi dormire. Ma io non avevo bisogno di dormire! Avevo bisogno di stare sveglia e di sentirmi libera e non reclusa come in quel momento!
«Ciao Ashley, è l'ora della pillola!» disse porgendomi un bicchiere d'acqua e la minuscola caramellina gialla che non avevo nessuna intenzione di assumere!
«Non la prendo.» mi imposi
«Devi prenderla, è per il tuo bene. Non fare i capricci, hai 15 anni!» mi esortò
«Non è per il mio bene. Se voi aveste voluto il mio bene mi avreste dato un po' d'erba arrotolata in una cartina e non questa stupida pillolina!» sbottai
«Devo chiamare i dottori?! Se vuoi lo faccio subito!» mi ricattò vigliaccamente lei. A quel punto non ebbi scelta. Dovevo ingoiare la medicina...
«Aaah...va bene, dammi...» sospirai rassegnata strappandole la pillola e il bicchiere dalle mani. Posi la pillola nella bocca e poi bevvi un po' d'acqua.
«Visto non ci voleva tanto!» Quante gliene volevo dire in quel momento non lo potete immaginare. Odio i dottori. Odio gli infermieri. Odio tutte quelle persone che mi vogliono far fare quello che dicono loro! Ma che cavolo, chi dice che quello che affermano è giusto?! Non sono mica onniscenti!
Non appena l'infermiera andò via, sogghignai tra me e me...l'avevo fregata ben benino. La pillolina gialla era sotto la mia lingua. La sputai subito e la compressi tra il pollice e l'indice facendone una polverina che mi ricordava la cocaina. Ma era roba ben diversa che spolverai dritto dritto nel cestino pieno di vomito. Avevo vinto io! Nessuno era in grado di fregarmi!
Presa dalla noia e dall'incapacità di alzarmi dal letto decisi di accendere la tv, al canale della ABC, dove trasmettevano notizie quasi sempre interessanti.
"...E ora parliamo d'altro. A quanto pare il celebre rapper bianco Eminem si è esibito un'altra volta a Detroit, sua terra natale, in condizioni a dir poco sconcertanti. Era euforico e sembrava aver assunto sostanze stupefacenti. Non è la prima volta che lo fa e credo anche che il pubblico ne fosse abituato. Noi tutti ci chiediamo quindi: ci sarà un giorno in cui il nostro Slim Shady dirà di no alla droga?" Queste le parole della giornalista al tg, che accompagnavano le immagini del mio idolo con gli occhi fuori dalle orbite e un po' arrossati tipici di chi aveva preso qualcosa. Non ne fui dispiaciuta, in verità. Ormai era risaputo che era il rapper più drogato dell'America! E poi sinceramente non ci trovavo niente di male. Mi chiedo perchè sia sbagliato assumere droga...è buona, fa star bene, perchè non si dovrebbe? Ma che ognuno si faccia i fatti propri! Pochi minuti dopo ascoltato il tg, sentii un'altra volta l'urto del vomito. Questa volta fu seriamente doloroso. Sentivo lo stomaco e l'intestino uscirmi fuori dalla bocca! Rimasi con la testa piegata sul secchio per almeno sette, otto minuti con gli occhi chiusi, per non vedere lo schifo che avevo rimesso. Quando mi fui calmata presi coraggio e osservai ciò che avevo tirato fuori. Non era un bello spettacolo, anzi era qualcosa di preoccupante! Avevo rimesso sangue. Il vomito nel secchio era a chiazze rosse!
Basta! Ero stanca di star male per la decisione di un giudice!! Dovevo andarmene via. Così iniziai a pensare un piano per uscire. Visto il mio grave bisogno di almeno una canna, dovevo scappare subito. Quindi pianificai che non appena fosse giunta la notte, avrei trovato un modo per andarmene. L'unico problema era che alla porta di uscita c'erano delle guardie, che si alternavano ogni tre ore. Quindi dovevo scoprire l'ultimo cambio, aspettare tre ore e sgattaiolare fuori. Semplice no!?
 
Guardai l'orologio che segnava le undici di sera. Fra un'ora ci sarebbe stato il cambio della guardia. Così mi preparai lo zaino con dentro le mie cose: vestiti e qualche soldo perlopiù. Poi mi misi nel letto. Di lì a poco un'infermiera sarebbe venuta a controllare se stessi dormendo. Nascosi lo zaino sotto il letto e mi coprii in silenzio, in attesa che la porta della mia stanza si aprisse.
Non dovetti aspettare parecchio, in realtà, ma l'attesa fu snervante e massacrante. Più aspettavo più il desiderio di un po' d'erba cresceva nella mia mente. Non appena sentii la maniglia della stanza aprirsi, chiusi gli occhi e finsi di dormire. Stavo pregando che l'infermiera non si accorgesse di niente o per me sarebbe stata la fine! Trattenni il respiro per qualche secondo, cercando di pensare positivo e di immaginarmi di lì a qualche istante libera, con uno spinello in bocca. All'improvviso sentii la porta chiudersi. Contai fino a trenta e aprii piano piano gli occhi, scrutando la stanza e accertandomi che l'infermiera non mi avesse teso una trappola. La camera era vuota e io ancora una volta avevo fregato chi voleva fregarmi. Diedi un ultimo sguardo all'orologio. Di lì a dieci minuti avrei avuto il via libera. Così iniziai ad uscire dalla stanza. La chiusi senza il minimo rumore e dopo aver guardato a destra e a sinistra del corridoio, mi diressi verso l'ascensore. Premetti il tasto e di lì a poco sentii il driin che mi segnava l'arrivo. Ma l'ascensore era pieno e io ebbi la fortuna di sfruttare la frazione di secondo regalatami dal destino per nascondermi giù per le scale. Non si erano accorti di me per fortuna e tirai un sospiro di sollievo quando mi accorsi che i medici che occupavano l'ascensore erano diretti dal lato opposto al mio! Per sicurezza presi le scale. Scesi un gradino alla volta in silenzio e quando fui finalmente al piano terra mi nascosi dietro una colonna. Guardai l'orologio appeso di fronte al bancone della reception: solo sessanta secondi mi dividevano dalla libertà. Sbirciai, senza farmi scoprire, anche la guardia che sorvegliava l'uscita. Era un omone alto e muscoloso, con un taglio corto alla militare. Non ne avevo paura, ovviamente, ma già mi immaginavo che cosa mi avrebbe fatto se mi avesse scoperto...non cose belle! Tirai la testa dietro alla colonna e riguardai l'orologio. Solo dieci stupidissimi secondi. Feci nella mia mente il conto alla rovescia. Nove. Otto. Sette. Sei. Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno. Sentii lo squillo brevissimo di una campanella che segnava la fine del turno. Mi sporsi dalla colonna e vidi la porta di uscita senza nessuno che la controllasse. Non ci pensai due volte. Corsi immediatamente verso quella dannata uscita. Sembrava non arrviassi mai. Sembrava che corressi all'infinito senza mai giungere al traguardo. Poi invece, ad un tratto, sentii l'aria fresca penetrarmi nel naso e purificarmi i polmoni. Ero libera, finalmente!
 
La prima cosa che feci non appena uscii da quella prigione fu correre verso il mio amico di fiducia James. Non era molto lontano dal centro di disintossicazione, e fui da lui in una ventina di minuti al massimo. Era in uno dei numerosi quartieri popolari di Detroit, pieno di neri che facevano rap e bianchi che giravano armati. Presto fui dal mio amico. Non appena lo vidi gli saltai letteralmente addosso e lui ricambiò abbracciandomi forte.
«James!!»
«Ashley!! Non eri nel centro per i dipendenti?»
«Esatto, ero. Mi ero stancata di stare male. Non facevo che vomitare e vomitare. In soli due giorni avrò perso almeno cinque o sei chili! Perciò me ne sono andata» gli raccontai con aria spavalda
«Sei scappata da lì? Ma come diamine hai fatto?»
«Ho i miei trucchetti...  Cambiando argomento, ce l'hai un po' di erba? Ho bisogno di fumare qualcosa immediatamente! Se hai già una canna pronta mi faresti un gran piacere!»
«Sei fortunata. Ne ho appena fatta una. In verità era per me, ma te la dò con piacere! Ne hai più nisogno» mi disse facendomi l'occhiolino e porgendomi quel rotolino bianco con dentro marjuana «Oh, questa la offro io!»
«Grazie James, ti adoro!» lo ringraziai scoccandogli un bacio sulla guancia. Misi la canna nella mia bocca e senza perdere tempo la accesi. Tirai un po' di fumo tenendolo in bocca e gustandomelo ben benino, con lentezza e placidità. Era più buono di quanto mi ricordassi. Ero in estasi. Immediatamente sentii tutta l'adrenalina di prima calmarsi facendo posto ad un senso di rilassamento assoluto, completo. Poi feci uscire il fumo dalla mia bocca, con calma, godendomi il sapore dell'erba.
«Com'è?» mi chiese James, probabilmente osservando la mia faccia più che soddisfatta
«Perfetta...» risposi semplicemente! «Se vendi roba così, gli affari ti andranno più che bene!»
«Puoi dirlo forte! Ho parecchi clienti che hanno promesso di presentarmi altri futuri compratori...devo solo avere pazienza. Di solito vengono verso le due...»
«Ah, posso rimanere? Magari ti dò una mano!» gli proposi continuando a tirare fumo
«Non mi sembra il caso...ci sono uomini pericolosi...armati...potresti averne paura!»
«Non ne avrò paura!! Non ho paura di niente, io!» ringhiai, finendo la canna
«Okay okay leonessa. Puoi rimanere, aiutami ad impacchettare questa!» mi ordinò mettendomi davanti una busta con almeno mezzo chilo di polvere bianchissima. Così iniziammo a fare delle confezioni da dieci grammi l'una, in attesa di clienti. Dopo quella fumata stetti molto meglio! Ero rilassata, senza problemi. Senza inutili mal di stomaco o mal di testa o vomito. Ero calma, ottimista ed ero certa che le cose sarebbero andate di bene in meglio!
 
Le due arrivarono in un battito di ciglia. Ero curiosa e anche un po' nervosa di scoprire chi venisse a comprare droga da noi. Mentre aspettavamo i nostri possibili acquirenti decisi di provare un po' di quella coca purissima che avevamo impacchettato. Questa però la pagai, due grammi a 50$ la roba buona si paga come l'oro! Andai dietro ad un vicolo, presi una banconota, la arrotolai stretta, poi misi la coca sul cofano di una macchina nera lucidissima, avvicinai la banconota alla polverina e la narice del mio naso alla banconota e respirai il primo grammo. La coca mi arrivò dritta al cervello! Cavolo come era buona!! Mi sentivo leggera, mi sembrava di volare, di fluttuare nell'aria come uno spirito senza peso. Ero senza pensieri, e vedevo tutto intorno a me con un ottica diversa, più calma, più spensierata.
Poi avvicinai l'altra narice e sniffai la restante metà. L'effetto di prima si raddoppiò: ero leggera come il vento, che soffiava in autunno. Gelido, ma che spazzava via ogni cosa! Sentivo la testa sballata e non riuscivo a ragionare. Non mi era mai capitato sino ad allora...forse ne avevo presa troppa tutta insieme. Mi sedetti un attimino a terra, sentendomi all'improvviso le gambe molli e flaccide come la gelatina. Sorrisi tra me e me, pensando che in quel momento avrei potuto essere ancora in quel centro di disontissicazione di cavolo, a vomitare la mia anima e ad impazzire. Spazzai via quei pensieri dalla mia testa e trovai la forza di alzarmi e rimanere in piedi, anche se con un po' di instabilità. Provai a fare un passo in avanti, ma le gambe cedettero di nuovo e mi ritrovai con la faccia spiaccicata sul cofano della macchina nera di prima. Risi ancora. Era una situazione esilarante! Stavo per cercare di rialzarmi, concentrando tutta la forza nelle mie braccia, quando sentii una sensazione di sonno, di stanchezza, farsi strada nel mio cervello. Però non mi lasciai sopraffare da questa sensazione, mi feci forza e cercai di alzarmi dal cofano della macchina. Ma cavolo, sembravo incollata! Non riuscivo a stare in piedi! Poi ad un tratto sentii una voce maschile dal suono a me gradito..
«Hei. Alzati. Sei sulla mia auto.» C'era un solo semplice comando in quella frase. Alzati. Eppure mi sembrava difficile da realizzare. Non ce la facevo neanche a sollevare la testa per vedere l'altro interlocutore, figuriamoci come avrei fatto a stare in piedi!
«Ehm...sì...un...un attimo...» biascicai distorcendo le parole, sentendo anche i muscoli della bocca addormentati. Provai a ridare al mio cervello il comando di alzarmi dalla macchina. Contai nella mente fino a tre. Poi mi sarei sollevata. Uno. Due. Tre. Misi forza nelle braccia e fui in piedi. Cavolo! Girava tutto! Mi ero sollevata troppo in fretta! Che brutta sensazione! Chiusi gli occhi sentendomi poco bene. Ero debole e spossata e sentii le forze abbandonarmi. Ma cercai di ripetere al mio cervello 'non cedere, non cedere' Purtroppo però le forze mi mancarono e mi sentii svenire. Mi lasciai andare, consolata dal pensiero che anche se fossi caduta non avrei sentito niente perchè ero sotto l'effetto della coca. Mi aspettai un tonfo a terra, il rumore del mio corpo che sbatteva contro l'asfalto, ma invece sentii solo delle braccia calde, strette intorno al mio corpo e la stessa voce di prima " Oh, ma che cosa hai combinato?!" E poi il mio cervello mi fece chiudere definitivamente gli occhi e ascoltare la canzone Lose Yourself del mio idolo.
Mentre la canzone mi faceva da colonna sonora, avevo delle immagini sfocate nella mia mente, come ad esempio quella del tizio vestito con felpa, pantaloni alla militare e scarpe da ginnastica firmate nike, del quale però non riconoscevo il viso, sia perchè vedevo poco bene, sia perchè portava un berretto sormontato da un cappuccio che gli copriva il volto. Avevo altre immagini, tra cui quella di lui che canticchiava una canzone a me familiare, o di lui che imprecava contro un tizio in moto sbucato dal nulla che gli aveva tagliato la strada. Un'altra immagine fu quella delle sue braccia di nuovo strette al mio corpo. Mi prese in braccio e mi portò non so dove. Mi depose su un letto e in quel momento cercai di vedergli la faccia, ma i miei dannatissimi occhi vedevano appannato come se ci fosse stata la nebbia. E poi mi ricordo una frase "Sshhh. Ora dormi. Andrà tutto bene" detta con una dolcezza infinita e con una tranquillità che mi fece rasserenare. Così chiusi gli occhi, lasciandomi andare al sonno.

Rieccomi. Beh, che ne pensate del capitolo?? Fatemi sapere con un commento, mi raccomando. Mi scuso inoltre se sono presenti degli errori strutturali o gramaticali, che durante la correzione sono sfuggiti al mio occhio. :)

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Capitolo 2
*** New friends ***


Stavo correndo almeno da un'ora sotto la pioggia battente e avevo i polmoni che mi bruciavano e un affanno da fare invidia solo ad un obeso che correva la maratona di New York. Stavo scappando da quei medici del centro di disintossicazione che continuavano a cercarmi e a cercarmi. Ma io non avevo nessuna intenzione di ritornare in quel centro! La pioggia continuava ad aumentare e a bagnarmi i capelli. L'asfalto tutto bagnato e scivoloso mi ostacolava e mi impediva di correre veloce. All'improvviso sentii le voci dei medici sempre più vicine, sempre più vicine, e allora aumentavo a correre, fino a sfiatarmi, a stancarmi del tutto. Ma le voci continuavano ad entrarmi nelle orecchie come piccoli insetti fastidiosi. Girai l'angolo, raggiungendo però un vicolo ceco, sbarrato da un cancello chiuso. Provai a prendere una rincorsa e a dargli una spallata, ma non si apriva. Così decisi di scavalcarlo. Feci un salto e mi aggrappai alla rete, cercando di salire. Ma il cancello si alzava sempre più e io non riuscivo a raggiungere la cima. Improvvisamente sentii una mano stringermi la caviglia e tirarmi giù a terra. Sentii la mia testa battere contro il suolo duro e bagnato. Un male! Stavo cercando di alzarmi, ma il dottore si avvicinò e si mise sopra di me, immobilizzandomi. A quel punto sentii all'improvviso, un colpo di vento, con la canzone The way I am di Eminem, che mi accarezzava il viso, la fronte, e che canticchiava piano. Ma io volevo cercare di scappare dal dottore sopra di me, che nel frattempo si era armato con una siringa con non so cosa dentro. E piano piano l'avvicinava al mio braccio, sempre di più sempre di più. E cercai di urlare, nella speranza che qualcuno mi sentisse. Aaaaaaaah!
Sobbalzai dal letto, ansimante e spaventata dall'incubo che si era appena concluso.
«Ehi...va tutto bene?» una voce dal tono rassicurante e molto familiare entrò nelle mie orecchie. Quella voce, quella cadenza, quel tono...li riconoscevo...era come se sapessi esattamente chi fosse la persona che aveva pronunciato quelle parole...girai immediatamente la testa verso la fonte della voce e riconobbi subito l'interlocutore: t-shirt nera a maniche corte firmata New York, pantaloni da tuta adidas, cappello con visiera dei Lakers e scarpe firmate nike. Era proprio lui!
«M-ma tu sei Eminem!!» gridai strabuzzando gli occhi. Non potevo crederci. La persona che mi aveva preso in braccio la sera precedente e che aveva evitato di farmi cadere nel vicolo era il mio idolo!
«Ehm, sì, preferirei che mi chiamassi Marshall. Come stai?» mi chiese in tono pacato, inginocchiandosi accanto al letto su cui ero seduta, come farebbe un papà con la figlia malata.
«B-bene...ho solo un po' di mal di testa...grazie di avermi aiutato, ieri sera...e scusami se ho sostato sulla tua auto...non era mia intenzione...» balbettai imbarazzata.
«Uhm...che cosa hai combinato ieri sera?» il suo tono si fece più sospettoso, più indagatorio, come se avesse voluto interrogarmi per scoprire una verità nascosta, e ciò mi diede non poco fastidio. Okay che era il mio idolo, ma ciò non implicava che dovesse sapere la storia della mia vita!
«Ieri...niente...avevo solo bevuto una birra di troppo...niente di che...comunque non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Ashley» dissi cambiando astutamente discorso
«Ashley, onestamente parlando io non credo alla tua storia. Perciò o mi dici che cosa hai combinato o sarò costretto a chiamare la polizia, visto che sei ancora minorenne!» mi minacciò severamente. Non gli volevo minimamente raccontare di essermi fatta un po' di coca, avrebbe potuto denunciarmi comunque e sinceramente, per quanto lo ammirassi come rapper, non lo conoscevo. Perciò cercai di pensare ad un piano, temporeggiando. Mi guardai intorno per vedere dove si trovasse la porta di uscita di quella stanzetta. Era alla mia sinistra, dietro Eminem. Quindi era impensabile
scappare... per adesso.
«Te lo già detto, ho solo alzato un po' il gomito. Ora se non ti dispiace devo andare in bagno, se saresti così gentile da indicarmelo te ne sarei grata!» gli feci ironica,
beccandomi un'occhiataccia dal rapper. Il bagno era di fronte al letto, e la mia speranza di uscire dalla stanza con la scusa della toilette andò a farsi benedire. Entrai nel bagno, e che bagno! Era grandissimo, con una vasca con l'idromassaggio, una doccia abbastanza grande da ospitare almeno tre persone, un lavandino con richiami al mondo marino e un water stilosissimo con la tavoletta in oro. Chiusi la porta a chiave e aprii la doccia per far credere a Marshall che mi stessi lavando, mentre invece stavo pensando ad un modo per scappare. Allora il piano era questo: avrei girato la chiave per far credere al rapper che avrei aperto la porta. In realtà mi sarei nascosta dietro e avrei lasciato la finestra del bagno aperta, in modo da fargli credere che fossi scappata da lì. E poi con grande sorpresa sarei uscita dalla porta principale, correndo e andando via. Un piano semplice e perfetto proveniente dalla mia piccola mente da grande stratega quale ero. Così attuai il piano: chiusi la doccia, girai la chiave e aprii la finestra, per poi mettermi dietro la porta. Attesi in silenzio. Dopo centocinquanta secondi sentii bussare alla porta «Ashley, posso entrare?» il piano stava procedendo correttamente. Rimasi in silenzio, senza rispondere. Dopo ancora venti secondi Eminem tornò a chiamarmi «Ashley, sto per entrare, se non sei presentabile copriti.» E dopo soli tre secondi il rapper aprì la porta. Io rimasi nascosta e in silenzio, mentre Marshall si guardava intorno cercandomi con lo sguardo. Poi vidi che piano piano avanzava, verso la finestra dove i suoi occhi si erano posati. Quello era il momento. Con uno scatto felino uscii dalla porta del bagno e poi mi fiondai sulla porta della stanza. Mi guardai velocemente intorno, e vidi alla mia sinistra delle scale e alla mia destra un'altra stanza. Presi le scale velocemente sentendo anche i passi di Eminem che mi seguiva e mi diceva «Aspetta! Non andartene!» Corsi più veloce che potevo e proprio quando la porta della libertà era a non più di un metro da me, Marshall mi si parò davanti.
«O mi dici che cavolo hai combinato ieri oppure chiamo la polizia e ti faccio sbattere dentro. Prova ancora a fregarmi e chiamo la polizia. Prova a dirmi cazzate e indovina cosa faccio?»
«Chiami la polizia?!» feci sarcastica
«Vedo che impari in fretta!»
 
Slim Shady mi fece sedere nel soggiorno di casa sua. Era molto intimo, accogliente, con una tv moderatamente grande appesa alla parete, di fronte alla quale c'era un tavolino circondato da tre divanetti molto comodi in pelle. Le pareti erano gremite di quadri con foto sue con vari grandi artisti, come Dr Dre, o Rihanna o Robbie Williams.
«Ti rifaccio la domanda: che cosa è successo ieri, in quel vicolo?»
«Te la faccio io una domanda Marsh: perchè vuoi così tanto saperlo?»
«Prima rispondi tu e poi io.»
«Come ti pare...se vuoi saperla tutta ieri, quando mi hai trovato in quelle condizioni sulla tua macchina, avevo appena assunto solo due grammi di coca, dopo essermi finita un'innocente canna.         » gli spiegai
«E perchè ti eri strafatta?» mi chiese
«Tocca a te rispondere alla domanda prima!» gli ricordai. Eminem mi guardò con uno sguardo furbo, come a volermi dire "Sei astuta ragazzina". Beh, da quel punto di vista non si sbagliava affatto!
«Non c'è un motivo per cui voglio saperlo, ma visto che mi sono preso la respondabilità
di portarti a casa mia ieri, mi dovevi delle spiegazioni. Adesso tu: perchè lo hai fatto?» mi chiese...che palle! Io non volevo raccontargli la mia storia. Era mia, perchè avrebbe dovuto saperla uno sconosciuto?
«Marshall, sono fatti miei. Non mi va di raccontarmi la mia storia.» gli dissi, questa volta con calma, sperando che capisse e che non insistesse.
«Capisco...va bene...»
«Beh, si è fatto tardi, io andrei...ho già dato disturbo oltre ogni limite» proferii alzandomi dal divanino, sperando che il rapper mi avesse lasciato andare senza storie.
«Non vuoi rimanere qui? E ora dove andrai?» mi chiese preoccupandosi per me, il che fu molto carino a dire la verità. Tuttavia non me la sentivo ancora di raccontargli i miei piani, non perchè non li avessi chiari in mente, bensì perchè non potevo ancora fidarmi del tutto di lui.
«Non so...in giro...senza meta. Non ho piani ben precisi, ma non preoccuparti: sono in grado di badare a me stessa.» lo tranquillizzai. Accennò un sorriso e si alzò dal divano, accompagnandomi alla porta di uscita.
«Allora ciao, Eminem!» lo salutai sorridendogli
«Allora ciao, Ashley!» ricambiò lui.
E così lasciai la casa del mio idolo. Era stata una cosa strana incontrarlo. Colui che con le sue canzoni mi aveva aiutato ad affrontare i momenti più difficili, dai quali pensavo di non risalire mai, mi aveva accolto in casa sua. Ed era proprio come me lo immaginavo. Dolce, premuroso, con un lato paterno apprensivo che ogni tanto veniva fuori e con una corazza che lo faceva sembrare duro e insensibile.
 
Era l'ora di pranzo e decisi di incamminarmi verso James. Era da almeno 10 ore che non toccavo droga, e ormai il mio cervello ne pretendeva almeno una minima dose. Così raggiunsi il mio amico afro nel posto della volta scorsa. Ma non lo trovai. Cominciai a preoccuparmi: era strano non trovarlo in quel vicolo, di solito passava gran parte delle sue giornate lì...
Quindi provai a chiamarlo, in fretta, visto che la mia voglia aumentava.
"Pronto?" rispose James, per fortuna. La voce sembrava agitata, ansiosa, ed ero sicura gli fosse successo qualcosa.
"James, che hai? Che ti è successo?" chiesi allarmata
"Ieri sera, quando sono venuti i miei clienti, erano infiltrati della polizia che mi hanno arrestato e mandato nel centro di disintossicazione. Sono nella merda!" James parlava veloce, e si vedeva che non assumeva coca da almeno 7-8 ore.
"Sta calmo, vedrai che andrà tutto bene! Ora vado, resisti!" Chiusi la chiamata. Questa non ci voleva, era l'unico spacciatore che conoscevo in zona e avevo bisogno di qualcosa da fumare, in quel preciso istante. Continuai, quindi, a camminare verso quei quartieri, sperando di trovare qualcuno che vendeva roba buona a basso prezzo. Ma era mattina e non c'era nessuno in vista. Stavo per perdere la calma e decisi, data l'ora di tranquillizzarmi con una birretta e con un panino in un bar isolato nel quartiere popolare di Ditroit. Il barista, se pure un po' scettico, mi diede la birra senza commenti, spinto dall'idea di guadagnare quel dollaro e quaranta in più. Finito di mangiare, andai nel bagno, per lavarmi le mani. Entrai in una stanzetta piccola, con una puzza tremenda, con del lavandini sporchi e con uno specchio grande, rotto e invecchiato che sembrava appartenere agli anni '60. Non ne rimasi stupita: che cosa potevo aspettarmi da un bar nella periferia di Detroit? Aprii il rubinetto per sciacquarmi le mani, ma sentii un odore strano, gradevole, che già avevo sentito prima. Era qualcosa di leggero, ma di particolarmente buono, proveniente da uno degli spazi che contenevano i water, precisamente da quello centrale. Così bussai, sentendo la voce di un ragazzo, sulla quarantina credo, che diceva chi è. Risposi «Ehm, questo è il bagno delle donne...» Attesi un cenno, una qualche risposta, o un commento alla mia affermazione. Ma l'uomo dall'altra parte della porta, fece molto di più: uscì direttamente, sbattendo la porta e lavandosi le mani con totale indifferenza, sotto il mio sguardo indagatorio.
«Bene, visto che non hai da dire niente parlo io. Profumi di spinello. Il che significa che sei uno spacciatore, o hai uno spacciatore. In entrambi i casi ho bisogno di roba, a quanto la vendi considerando che sono una ragazzina?» gli dissi tutto d'un fiato cercando di fargli capire che non poteva fregarmi, pur volendo.
«Uhm...sei sveglia ragazzina...ma non è così semplice...te la posso addirittura procurare gratis, ma voglio qualcosa in cambio»
«Per droga, accetto qualunque cosa...»
«Dovrai fare dei lavoretti...»
«Di che genere di lavoretti parli?» chiesi interessata
«Consegne...per amici...roba così...niente di che» fece lui descrivendo come cosucce da poco. Lì per lì non mi sembrava una cosa così pericolosa. Che sarebbero state due o tre consegne a settimana?
«Accetto. Comunque io sono Ashley»
«Jake, hai altro da chiedere?»
«Sì: ora hai della roba?» gli chiesi ansiosa
«Dipende. Cosa ti serve?»
«In questo momento avrei bisogno di una semplice canna. Puoi prepararmela?» chiesi, uscendo dalla tasca cinquanta dollari che sicuramente sarebbero bastati.
«Si può fare» affermò cominciando a mettere la marjuana dentro un pezzetto di carta. Attesi un paio di minuti e la mia canna fu finalmente pronta. Jake me la porse e con fretta mi disse che visto che ero dentro non avrei dovuto pagarla. Dopodichè mi informò che la sera stessa ci saremmo dovuti vedere davanti a quello stesso bar per la prima consegna. Quindi uscimmo entrambi dal bar, ovviamente in momenti diversi. All'aria aperta potei finalmente gustarmi la mia canna tanto attesa. Era davvero gradevole, forse era persino migliore di quella di James!

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Capitolo 3
*** La prima consegna ***


Era l'una e mezza di notte e io mi ero presentata al bar della periferia di Detroit come promesso. Fuori, ad aspettarmi c'era Jake, con altri due ragazzi, più grandi di me.
«Ashley, vedo che hai mantenuto la promessa!» si stupì lui
«Io mantengo sempre le promesse. Chi sono loro due?» domandai curiosa
«Drake e Louis, sono miei amici che mi aiutano anche loro nelle consegne.» Erano due ragazzi piuttosto carini. Drake, castano con occhi scuri e penetranti aveva l'aria da furbo, di uno che prevede tutto nei minimi dettagli, uno intelligente insomma. Louis,
invece biondino, con occhi verde acqua come il mare, si presentava come un secondo
capo, un leader, un comandante e sinceramente questo suo fare mi infastidiva un po'. I due ragazzi, sui diciotto, mi scrutavano da capo a piedi, osservandomi nei minimi particolari, per poi sorridermi entrambi in modo rassicurante.
«Qual è il compito di stasera?» chiesi distogliendo lo sguardo da loro.
«Devi consegnarmi un pacco ad un tizio, si chiama Robert Johnson e abita qui vicino, di fronte al supermercato 'Market & co...' Oggi sarai affiancata da Drake. Vediamo come te la cavi...» mi sfidò Jake, con uno sguardo accattivante.
«Posso andare anche da sola, non mi serve la guardia del corpo!» risposi spavalda, facendo sorridere ironicamente i due ragazzi.
«Infatti non è una guardia del corpo, serve solo a controllare che non ti pippi tutta la coca!» ribattè lui, mettendomi al mio posto e facendomi tacere. Mi aveva fatto fare una brutta figura davanti ai ragazzi, e stavo cercando il più velocemente possibile una risposta ad effetto, ma non sapevo che dirgli! «Bene, potete andare. Ci rivediamo qui non dopo le tre!» si raccomandò congedandoci. Finalmente potemmo andare. Io, con il pacco in mano, che pesava almeno un cento grammi e con il peso del lavoretto che gravava sulle mie spalle, camminavo a passo svelto, mentre Drake, tutto rilassato, se ne stava dietro con una camminata moscia e menefreghista.
«Puoi velocizzarti?! Dobbiamo arrivare dall'altra parte della periferia!» lo rimproverai io
«Hai sentito Jake, no?! È vicino!» mi fece lui
«Certo, se per voi vicino vuol dire farsi mezza città a piedi, è vicino!» ribattei, nervosa
«Sai, all'apparenza non sembri così acida!» mi disse, con sarcasmo.
«Se credi che io sia acida ora, non mi hai ancora vista quando sono arrabbiata! E poi non sono acida, sono solo preoccupata per questo mio primo incarico. Se sbaglio sono fuori!»
«Nah, tranquilla. Piaci molto a Jake, sei perspicace e acuta. Ti metterà in squadra, ne sono certo!» Mi disse calmandomi. Usò delle parole dolci che mi misero l'anima in pace e lo ringraziai mentalmente, perchè ne avevo proprio bisogno!
«Lo spero...»
«Allora?»
«Allora cosa?»
«Mi parli di te o no?» fece sicuro di sè
«Ehm...perchè dovrei?»
«Perchè sto cercando di socializzare con te e credimi tu non mi rendi le cose semplici!» rispose scherzando e facendomi ridere. Drake era un ragazzo davvero particolare, un po' egocentrico, ma anche molto sensibile, che nello stesso tempo era in grado di stupire le persone con le quali entrava in contatto.
«Okay. Ehm, che vuoi sapere?»
«L'esperienza che ti ha cambiato la vita!» Com'era profondo! Aveva 'quel non so che' che lo rendeva filosofico, affascinante e misterioso. E sinceramente mi incuriosiva quel suo essere...
«Eh...onestamente non ho ci ho mai riflettuto...però se dovessi ripercorrere la mia vita in un secondo credo che l'esperienza che mi ha cambiato la vita sia stata la prima canzone che ho ascoltato di Eminem...era Lose Yourself e mi aiutò a superare la morte
di mia madre...» gli raccontai nostalgicamente
«Oh, mi spiace» fece mortificato «E mi spiace anche che tu ascolti Eminem...è un fallito, non hai visto il suo ultimo concerto?! Era strafatto! Non avrebbe dovuto presentarsi così di fronte ai suoi fans!» Ma chi era lui per giudicare il mio idolo! Ma che gliene fregava a lui se si drogava?
«Non è vero! Non ti azzardare a ripeterlo! Non è un fallito, le sue canzoni esprimono ciò che ha passato, ciò che sente o semplicemente ciò che vuole far sapere agli altri. E io mi ci immedesimo perfettamente, perciò se non vuoi ritrovarti con un occhio nero, non insultare mai più Eminem in mia presenza!» lo ammonii
«Okok, calma dolcezza...come ci irritiamo facilmente!»
«Non sono io che mi irrito facilmente, sei tu che riesci a farmi arrabbiare con una semplicità impressionante!»
«Va bene, ti chiedo scusa, prometto di non insultare più il tuo idolo...»
«Bene, ora va meglio!»
 
Alle due e sette eravamo a casa Johnson, citofonammo e il tizio ci fece salire in un palazzo popolare che non mi ispirava neanche un po' di fiducia. Johnson abitava al quinto piano e il palazzo era senza ascensore. Perciò dovemmo sfortunatamente farcelo a piedi, con una puzza di muffa che aumentava man mano che si saliva. Quando finalmente fummo al quinto piano tutti sudati e con l'affanno, non ci restò che bussare alla porta 543. Ci aprii una donna vestita con una gonnellina supercorta e un top che non copriva granchè. In effetti il verbo vestita non è molto corretto, diciamo che era coperta a malapena. Nel minuscolo monolocale si sentiva puzza di sudore e altre cose che non riesco a descrivervi perchè altrimenti vi farei solo vomitare. Johnson era seduto su una poltrona e sopra di lui c'era un'altra donna colorita, seminuda. Feci lo scambio senza fiatare, cercando di respirare il meno possibile quell'aria rarefatta e consumata. Il tizio mi diede un pacco con dei soldi, che pesava un bel po'. Quindi ci dirigemmo verso la porta con fretta di respirare ossigeno. Ma avevo la sensazione di aver scordato qualcosa. Così feci mente locale e mi ricordai che cosa avevo dimenticato. Quindi mi diressi di nuovo verso Johnson e gli dissi con tono minaccioso ma calmo:« Se il mio capo trova qualche verdone in meno, gli dirò non solo di spezzarti le gambe, ma anche di colpire duro quel minuscolo gioiellino che ti ritrovi intesi?» il tizio, bianco come un cadavere, annuì spaventato. Poi mi diressi di nuovo verso la porta sotto lo sguardo colpito di Drake.
«Aspetta! Ho dimenticato 250 dollari. Ecco tieni!» mi porse il denaro alzandosi dalla sedia su cui era seduto e mettendo da parte la prostituta che stava sulle sue gambe un momento fa. Infine, finalmente, uscimmo dall'appartamento. Riscendemmo le scale di fretta, con la voglia di respirare un po' di ossigeno e magari anche un po' di coca come premio del nostro capo. Ora non ci restava che tornare...
 
«Sei stata grande lì dentro!» mi disse Drake
«Grazie, spero di essermi conquistata un posto nella banda...»
«Sicuramente, quando dirò al capo che cosa hai fatto, ne rimarrà colpito!»
Arrivammo da Jake con ben sette minuti di anticipo, dovuti al fatto che ci eravamo
messi a correre nell'ultimo tratto di strada, con la paura di non farcela con il tempo.
«Com'è andata la tua prima consegna Ash?» mi chiese Jake
«Credo bene! Questi sono i soldi...» risposi porgendogli la busta con i bigliettoni. Osservai Jake lanciare un'occhiata a Drake, come a chiedergli come fosse andata.
«Non preoccuparti capo, Ashley ha svolto il suo compito egregiamente. Sai che grazie a lei Johnson non ci ha fregato 250 dollari?!» mi vantò Drake
«Ma non mi dire...» esclamò il capo guardandomi negli occhi, mentre io guardavo i suoi. Erano freddi, fissi, senza espressività. Sembravano gli occhi di un supercattivo che pietrificava con lo sguardo chiunque guardasse.
«Allora? Sono dentro?» chiesi rompendo il silenzio inquietante formatosi. Feci la domanda sicura di me. In fondo non dovevo dare a vedere che ero insicura, dovevo mostrarmi forte e coraggiosa! Jake guardò i suoi uomini con uno sguardo complice per poi dirmi «Sì, ma al minimo errore sei fuori. In tutti i sensi. chiaro?»
«Chiarissimo. Sta' pur certo che di errori non ne farò!» risposi a tono
«Bene. Visto che il lavoretto era facile per te oggi non ci sarà una paga in soldi, ma in roba.» disse porgendomi due pacchettini di coca da due-tre grammi ciascuno e una bustina con dentro dell'erba dal profumo estasiante. «Ci teniamo in contatto. Saremo noi a venire da te. Non cercarci e non combinare guai » ordini semplici e chiari che ero certa poter rispettare. Quindi ci congedammo. Ognuno andò per la sua strada. Io non sapevo dove andare poichè non avevo un luogo fisso dove stare. Ma sicuramente avrei voluto provare quella roba. Ero curiosa di sapere se fosse migliore di quella di James e ne ero abbastanza certa onestamente. Avevo buoni propositi in verità: volevo divertirmi e festeggiare per il mio successo! Quindi mi diressi in un night bar, dove sparavano musica da discoteca. Appena etrata andai nel bagno immediatamente, mi chiusi a chiave e cominciai a sniffare la coca. Me la sparai tutta, lasciando da parte la bustina di marjuana. Attesi qualche minuto e iniziai già a sentirmi gasata, elettrizzata, con l'adrenalina addosso. Ero sballata e non vedevo l'ora di godermi la serata. Perciò tornai nella sala con la musica a palla dove tutti ballavano e avevano voglia di divertirsi. La musica era davvero favolosa e molto ritmata e non mi ci volle molto per essere coinvolta. Sentivo il cervello leggero, che pensava solo a farmi divertire. Mi sentivo bene, adrenalinica, attiva, insomma mi sentivo come non mai! Mentre cominciavo a svagarmi, mi guardavo intorno: c'erano un sacco di ragazzi carini quella sera! In particolare uno con occhi chiari e capelli neri rasati ai lati, aveva attirato la mia attenzione. Poteva avere diciotto o forse anche diciannove anni e non era davvero niente male. Vestito con una camicia nera con le maniche girate e con un disegno di una cravatta sopra, con sotto dei jeans strappati e con delle vans a scacchi nere e bianche, mostrava il suo tatuaggio di un lupo che ululava alla luna. Era situato sul suo avambraccio destro ed era davvero molto bello e artistico. Era curato nei minimi particolari, e all'occhio saltava subito lo sguardo fiero e potente del lupo. Continuavo ad osservarlo ostinatamente, senza fregarmene del fatto che avrei potuto dargli fastidio. Era bello e meritava di essere guardato. Anche il tizio in sè per sè non era
male...
All'improvviso la musica si zittì. Distolsi lo sguardo dal tatuaggio del lupo concentrandolo, così come tutte le altre persone, sul dj, un tizio molto alto con le cuffie che coprivano le sue orecchie. Con l'aria interrogativa ci guardammo attorno spaesati,
chiedendoci univocamente il motivo per il quale avesse tolto la musica.
Ad un tratto il dj cominciò a parlare «Posso avere la vostra attenzione? Grazie. Ho interrotto la musica perchè devo fare un annuncio a Katerine Mclarens. Katy, ti amo. Mi vuoi concedere l'onore e il privilegio di sposarmi?» confessò il dj che con il microfono si era avvicinato alla donzella fortunata. La ragazza di nome Katerine era in lacrime e gli si gettò al collo rispondendo di sì. Si sollevò un applpauso comune enfatizzato da delle frasi tipo 'Oh, ma che carini' e roba sdolcinata di questo genere. Non ci feci più di tanto caso, non perchè il gesto non mi piacesse, anzi era il contrario, ma perchè ero troppo impegnata a godermi l'iperattività della coca che mi faceva ragionare tre volte più velocemente di prima. Presto il dj rimise la musica e tornammo tutti a ballare. Io mi girai dalla parte dove prima c'era il ragazzo con il tatuaggio figo. Solo che questa volta non c'era. Mi guardai attorno cercandolo ostinatamente, ma non c'era nessuna traccia di lui, sfortunatamente. Poi, all'improvviso sentii una voce alle mie spalle che mi chiamava...mi girai di scatto: era lui!
«Hei! Ho visto che mi guardavi prima, ho qualcosa che non va?» mi chiese. Aveva un tono di voce molto grave per essere un ragazzo e credo che ciò lo dovesse al fumo.
«Ehm..non credo..in realtà mi ero persa ad osservare il tuo tatoo..è davvero forte!» risposi imbarazzata aggiustandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio
«Grazie. Sicura che era solo lui che ti interessava?» scherzò con egocentrismo e con troppa sicurezza di sè
«Sicurissima...» mi limitai a rispondere spegnendo il suo entusiasmo.
«Oh, mi hai fatto rimanere davvero male...speravo che fossi interessata a me!»
«Non sai quanto mi dispiace..cosa posso fare per farmi perdonare?» feci con una punta di ironia
«Ballare con me. Eddai, non sono così male!» scherzò lui. Onestamente c'era qualcosa in quel ragazzo che non mi ispirava, che non mi attirava. Ma probabilmente ero come al solito io che mi facevo mille problemi per niente. E poi perchè rovinare la serata!? «Andata...ma prima devo sapere il tuo nome!» feci tutta gasata
«Jo, mi chiamo Jo. E tu sei?»
«Ashley...bene, solo un ballo, non di più!» lo avvisai
La musica era davvero ritmata e mi venne la voglia di ballare! Jo si muoveva bene, sapeva il fatto suo. Poi però il dj cambiò la musica: mise un lento. Un lungo, e noiosissimo lento che avrei dovuto ballare con Jo. Che tempismo perfetto...
Il giovane si avvicinò a me, cingendomi la vita con le sue braccia forti e calde. Io invece gli misi le braccia intorno al collo. Ballavamo sulle note di 'The time of my life' ed eravamo l'uno di fronte all'altra. Io lo guardavo negli occhi, senza smettere di sorridere, pensando a mille cose diverse con una velocità incredibile. Stavo pensando al lavoro appena ottenuto, a James, alla mattinata passata con Eminem. E sinceramente mi mancava. Era stato davvero incredibile conoscerlo. Era una persona normale come tutte le altre e non una star al di sopra di tutto e tutti. Gli ero davvero grata: mi aveva aiutato a riprendermi, quella notte! Eppure, per il poco tempo che ero stata con lui, avevo intuito dal suo sgurado, che aveva qualcosa che non andava, qualcosa che non riusciva ad affrontare da solo e che magari io avrei potuto aiutarlo superare.
«Sai che sei davvero una bella ragazza!» mi disse Jo osservandomi e interrompendo i
miei pensieri. E in quel momento stesso, strinse di più le sue braccia intorno alla mia vita, come una cintura di sicurezza che però invece di rassicurarmi mi spaventava.
«Puoi allentare le braccia intorno alla vita? Mi stai facendo male!» gli chiesi. Ma lui invece di allentarle, le strinse ancora e fece scendere lentamente le sue mani giù, verso il mio didietro. Prima che stringesse le mie natiche lo spinsi con forza indietro e gli urlai:« Ma che ti è saltato in mente??! Se avevi queste intenzioni potevi andare a prendere una prostituta!»
«Ma a me piaci tu!» disse tornando alla carica, questa volta toccandomi il fondoschiena e stringendomi forte. Non riuscivo a liberarmi e cominciai ad urlargli di lasciarmi, di mollarmi, ma lui non ne aveva nessuna intenzione. Provai a chiamare aiuto ma la musica era troppo forte e nessuno mi sentiva. L'effetto della coca stava svanendo e stavo perdendo l'adrenalina, che fino a pochi secondi fa circolava nel mio corpo, e che stava facendo spazio ad un senso di debolezza e impotenza tipico di chi beve troppo. Tentai ancora di respingerlo, ma le forze erano poche e mi sentivo mancare l'aria, per la troppa confusione. Jo continuava a toccarmi e cominciò persino a baciarmi sul collo, con ostinazione. Urlai un' ultima volta di lasciarmi stare, ma Jo aveva le orecchie otturare, che non volevano sentirmi. Poi qualcuno dall'aria conosciuta e con un cappuccio che gli copriva il volto intervenne, spingendo lontano da me il ragazzo.
«Ha detto di lasciarla stare, cos'è sei sordo?» ringhiò
«Hei cappuccetto rosso, cerchi problemi?» fece Jo sarcastico
«A me sembri tu quello in cerca di problemi, e mi sa proprio che li hai trovati!»
I due uomini si avvicinarono e iniziarono a spintonarsi tra di loro, aumentando sempre la loro forza, fino a che non si presero a botte. Cercai di intravedere il tizio che mi aveva difeso e mi bastò guardare i suoi occhi per capire chi fosse: era Marshall, che nel frattempo stava vincendo la rissa. Jo era sotto di lui e le stava prendendo di santa ragione. Ma poi quando sembrava si fosse arreso, gli tirò un pugno dritto dritto sull'occhio destro. Io non sapevo che fare, ma una cosa la sapevo: volevo proteggerlo. Così in un ultimo atto di adrenalina, mi misi in mezzo, corsi contro Jo e gli tirai un calcio alle parti basse. Jo cadde a terra, crepando di dolore. A quel punto corsi da Eminem,che stava in ginocchio con la faccia coperta.
«Em tutto bene?» gli domandai preoccupata
«Ti ho detto di chiamarmi Marshall. Andiamo via di qui. Ora.» mi ordinò, alzandosi e dirigendosi verso l'uscita. Per la prima volta nella mia vita eseguii l'ordine senza ribattere, ma per un motivo: perchè era una cosa saggia da fare. Uscimmo in fretta dal bar.
«Fatti vedere!» dissi al rapper prendendogli il volto tra le mani. Cavolo, non era ridotto bene...aveva l'occhio nero e perdeva sangue dal sopracciglio destro.«Oh mio dio! Ti fa male?» chiesi impensierita per lui
«Tutto okay, ho subito di peggio. Ora però tu vieni con me a casa e mi spieghi che cosa è successo.» mi ordinò. Questa volta ciò che aveva detto non era affatto saggio, di conseguenza non dovevo eseguirlo.
«Ehm...fammici pensare. No. Non sei mio padre non devo seguire i tuoi comandi, e poi non stai così male, te la puoi cavare da solo...» gli risposi tornando alla persona sobria e tosta che ero.
«Ash, non mi sento bene...non ci vedo da quest'occhio! Aiutami...non ci vedo!» fece
all'improvviso Marshall
«Come non ci vedi? E ora? Come fai a guidare?» gli chiesi
«Ma che cavolo ne so?! Chiameremo un taxi..» rispose prendendo il suo cellulare dalla tasca «Ehm...potresti comporre tu il numero?» mi domandò porgendomi il telefono arcaico rigorosamente apri e chiudi e non touch screen come si usavano. Composi il numero che il rapper mi aveva detteto e, data l'ora, in una decina di minuti ci fu non un taxi, ma un suv nero con vetri scuri e con un tassista anch'esso scuro (non per essere razzista, s'intende). Era la guardia del corpo di Eminem che però lui non usava quasi mai, tranne in casi straordinari, compreso questo.
«Eminem, come butta bro?» gli fece con atteggiamento amichevole. Salimmo entrambi in macchina
«Rayan, tutto bene! Tu? Come ti gira la vita?»
«Alla grande. Dove ti porto amico?»
«Casa mia...»
«Uhm..abbiamo fatto serata oggi eh?! E la ragazzina chi è?»
«Sono Ashley, piacere di conoscerti!»
«Piacere mio tesoro. Hai visto com'è dolce Em?» fece al rapper
«Oeh...dovresti vederla quando le dai degli ordini! Gli esegue sempre senza fiatare! È davvero un amore!» disse Em con sarcasmo affilatissimo.
«Senti chi parla, MR Simpatia...»
 
Fummo a casa di Eminem in una decina di minuti, grazie alla velocità con cui guidava Ryan e al traffico nullo, causato dall'orario. Tanto per la cronaca: erano le 5 del
mattino...
«Hai dell'alcol e qualche cerotto?» chiesi subito al rapper, appena rincasati
«Si, ora vado a prenderteli...»
«Ma non avevi detto di non vederci?»
«Ehm...sì...ma in macchina è tornata la vista...» mentì spudoratamente, al fine di farmi andare a casa sua. Ma già che c'ero potevo rendermi utile...
«Sta' seduto, ora vado io!» gli imposi facendolo sedere sul divanetto nel salotto
«Sono in cucina, nel mobile di fronte al tavolo. Sono un po' nascosti, attenta ancora cadono!»
«Marshall, fra due settimane compio sedici anni, non ne ho cinque» lo ammonii
Presi senza difficoltà l'alcol, i cerotti, e anche l'ovatta. Più dal frigo un po' di ghiaccio e tornai di là. «Ora sta' fermo» Presi l'alcol e bagnai dell'ovatta. Quindi disinfettai il sopracciglio sanguinante.«Brucia?» gli chiesi vedendolo con gli occhi chiusi che ogni tanto strizzava.
«No. Va tutto bene. Grazie per esserti presa la responsibilità di curarmi, lo apprezzo.» che dolce, le sue parole mi arrivarono dritto al cuore, e se prima lo stavo medicando con noia e pesantezza, ora avevo il piacere di farlo!
«Figurati. Anzi scusami tu. È stato per colpa mia se ora sei ridotto così..» proferii applicando due cerottini sul sopracciglio.
«È stata mia la scelta di difenderti. Non era un obbligo. Non me l'hai ordinato tu. » ribattè prendendo il ghiaccio e tamponandosi l'occhio.
«È un po' gonfio ma credo che tornerà presto normale...» gli spiegai
«Posso sapere perchè stavi con quel bastardo prima?» mi chiese cambiando totalmente discorso.
«Ma perchè vuoi tanto saperlo!??»
«Perchè sì! Ti prego, voglio solo aiutarti! Credo che tu ne abbia avuto la conferma oggi!»
«Ma io non voglio il tuo aiuto!»
«Però ti serve, amettilo. Se non fossi intervenuto io, quel bastardo ti avrebbe stuprata!!» sbottò alzandosi dal divano. Mi ammutolii. Non mi ero mai immaginata il mio idolo incazzato, e faceva un certo effetto ritrovarselo così davanti all'improvviso...«Ascolta Ash, probabilmente già lo sai,ma quando ero piccolo anche io vivevo per strada, mi drogavo pesantemente. Ma adesso sto cercando di cambiare, perchè quella vita era pericolosa e non faceva per me! E non voglio che anche tu viva così. Meriti di meglio! Spiegami perchè eri lì. Puoi fidarti di me» sospirai. Era vero, potevo fidarmi di lui.

HEIII!! Che ne pensate di questo capitolo? Scusate per ipotetici errori grammaticali o strutturali...ma come ogni umano posso sbagliare! Ringrazio la mia "lettrice di fiducia" Shady_k delle recensioni, al prox capitolo!! ;P

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Capitolo 4
*** Lavoro, nonostante tutto ***


Era vero potevo fidarmi di lui, e fu per questa ragione che decisi di dirgli tutto. Non avrebbe potuto nè dirmi niente, nè farmi niente.
«Vedi Marsh, ti racconto la mia storia, ma prometti di non dirlo a nessuno. Sei il primo a cui rivelo la mia vita!»
«Certo, Ash non preoccuparti!»
«Allora, come tu sai ho quindici anni e divento maggiorenne tra un paio di settimane. Quello che non sai è il motivo per il quale io bazzico per strada. Anzittutto devi sapere che la mia famiglia era composta solo da mia mamma. Mio padre era un militare ed è morto in battaglia, purtroppo. Io e mia madre eravamo una bella coppia, stavamo bene insieme, solo che poi ha intrapreso una relazione con un tizio che non faceva che prestarle soldi. E il giorno del mio compleanno, dato che mia madre non gli aveva ancora ridato niente, il tizio decise di ucciderla. Sono saltata da un orfanotrofio all'altro, fino a che un giorno non sono scappata. Ho conosciuto James, che mi forniva droga. Così ho imparato a farmi. Solo che un giorno sono stata beccata dalla polizia e mi hanno rinchiuso in un centro di disintossicazione dal quale sono pure scappata, perchè stavo davvero male. Adesso in questo centro ci è finito il mio amico James e io per avere roba ho conosciuto degli amici a cui faccio favori. Ora tu vuoi sapere il motivo per cui ero in quel locale giusto!?» Eminem annuì; mi guardava interessato e forse anche un po' sbalordito da tutto ciò che gli stavo dicendo. «Bene, volevo festeggiare la riuscita di un favore a questi miei amici che per premiarmi mi hanno dato un po' di coca e un po' di erba. Quindi mi sono fatta di coca. Poi quel ragazzo aveva attirato la mia attenzione. Cioè non proprio quel ragazzo, ma il suo tatuaggio. Ho iniziato a fissarlo e lui ha frainteso che io volevo farlo con lui. Ha iniziato a toccarmi e il resto lo sai già. Vuoi dei chiarimenti? Hai capito tutto?» Il rapper aveva un po' lo sguardo perplesso, forse non si aspettava nascondessi tutto questo casino dietro le mie piccole spalle.
«È tutto chiaro. Mi spiace per tua mamma. Ma che 'favori' fai a questi tizi?» chiese con delle virgolette fluttuanti.
«Basta, ti ho detto tutto quello di cui hai bisogno di sapere. Basta con le domande e con tutto, intesi?»
«Sei difficile da capire ragazzina!» esclamò Eminem scherzoso, accarezzandomi con una dolcezza infinita la guancia.
«Lo so, lo so...ora mi parli un po' di te?» chiesi senza imbarazzo.
«Uhm, che cosa vuoi sapere?»
«Tipo perchè eri strafatto all'ultimo concerto qui a Detroit, quando prima mi hai detto che volevi smettere?» gli feci notare acuta. Em sospirò, colto con le mani nel sacco
«Avevo bisogno di un po' di roba per fare lo spettacolo...ero troppo stanco e poi avevo saputo che un mio amico era stato coinvolto in una faida tra clan e stava poco bene. Quindi avevo necessità di calmarmi ma allo stesso tempo di avere energia per rappare. Ma ora sto cercando di smettere. E mi impegnerò a stare lontano dalla droga, perchè voglio cambiare, voglio diventare una persona migliore!» si vedeva che credeva davvero in quello che diceva, ed era per questo che lo ammiravo.
«Capisco...ehm...si è fatto tardi Marsh, devo andare ora...»
«Posso farti un'ultima domanda?» mi fece come se non avesse sentito ciò che gli avevo detto prima
«Puoi farmela, ma resta a me se rispondere o meno!» risposi furbescamente
«Ti serve un posto dove stare?»
«Dipende, hai uno da offrirne?»
«Puoi stare qui se ti va...non c'è neanche da pagare l'affitto!» scherzò con la sua solita faccia seria
«L'idea mi va, ma a patto che non vuoi sapere dove vado, cosa faccio, quando torno...insomma nom devi fare il papà rompiballe, okay?»
«Okay. Ehm...allora...sono le sei e mezza, ci andiamo a fare una bella dormita?» mi propose alzandosi dal divano e andando a riporre il ghiaccio nel freezer e l'alcol dove stava prima.
«Sì, in effetti sono molto stanca...» concordai. Eminem mi accompagnò nella mia stanza, al piano di sopra, accanto alla sua. Era davvero molto grande, e luminosa, con un letto ad una piazza e mezzo di fronte ad una finestra abbastanza grande da illuminare completamente la camera. Anche i colori, giallo tenue e arancione, tendevano a rendere la stanza splendente. E come se questo non bastasse, nella mia stanzetta c'era anche uno strepitoso bagno elegante e pulito e attrezzatissimo, con una vasca da bagno immensa, con un lavandino con due rubinetti e con la tazza con il coperchio colorato di pesca.
«Bene se non serve altro io andrei...»
«Ehm...Marshall...avrei bisogno di un ricambio...non hai qualche cosa da farmi indossare per favore?» chiesi imbarazzatissima.
«Uhm...aspetta un attimo..» disse lasciandomi momentaneamente sola nella stanza. Tornò dopo un paio di minuti, con della roba in mano. «Dovrebbero andarti bene. Erano i vestiti di mia figlia. Ora è cresciuta e non le vanno più, ma io ho deciso di tenerli
per ricordo.» Che dolce!!
«Grazie mille, andranno benissimo! Buon riposo!» gli augurai mentre andava in camera sua. Io tornai in quello splendido bagno e mi feci un bel bagno caldo. Tolsi la marjuana e il cellulare dai pantaloni, poggiando entrambi sul lavandino, e mi svestii, entrando nella vasca. Si stava davvero bene, al caldo e in santa pace. Eminem era davvero una brava persona, altruista e paterna. Eppure si era parlato davvero male di lui. I giornali lo avevano descritto come un omofobo sessista e razzista che sparlava delle celebrità nei suoi testi solo per farsi notare. E invece quello descritto è solo racchiuso in una maschera che indossa quando diventa Eminem, quando reppa. Nella vita reale, Marshall è una persona d'oro! E quanto vorrei spiegare questo ai giornali, a coloro che se la sono presa con lui solo perchè andavano dietro ai media. E invece bisogna guardare oltre l'apparenza, scendere nel profondo, conoscerlo bene, per capire che è non è il bad boy che appare.
Uscii dalla vasca fresca e rilassata, ma con un desiderio di qualcosa da fumare. Non appena asciugata e vestita con la roba di Hailay che mi stava davvero bene, mi feci uno spinello e mi affacciai alla finestra, per fumarmelo in santa pace. Quella si che era roba buona. Era forte, davvero parecchio e mi arrivò subito al cervello facendomi venire sonnolenza e stanchezza. Non lo riuscii a reggere tutto, infatti metà lo spensi e lo buttai giù dalla finestra. Quindi decisi di sdraiarmi un po', per riposare e devo ammettere che non faticai affatto per addormentarmi.
 
Aprii gli occhi placidamente, con un mal di testa pazzesco. Sentivo dei tamburi che battevano sul mio povero cervello. Provai ad alzarmi, in cerca del mio cellulare che ricordai aver dimenticato in bagno, ma la testa girava come una trottola e ricaddi sul letto senza neanche compiere un passo. Riprovai e con un po' di fatica riuscii ad trovare stabilità. Quindi, a tentoni, raggiunsi il bagno recuperando il cellulare e vedendo l'orario. Non era eccessivamente tardi se si considera che ero nel letto intorno alle sette e mezza circa. In sostanza erano le dodici e mezza, pressapoco ora di pranzo. Andai nella stanza di Marshall, per vedere se stesse ancora riposando, ma invece trovai il letto vuoto. Quindi scesi piano le scale e mi diressi verso la cucina, in silenzio. Da dietro alla colonna sbirciai: il rapper era seduto a tavolino e stava scrivendo. Sembrava davvero concentrato: sguardo fisso sul foglio, mano sinistra armata di matita, mano destra che si muoveva per tenere il ritmo e bocca che si apriva e si chiudeva a seconda delle parole che sospirava. Decisi di uscire allo scoperto.
«Buongiorno!» mormorai sia per non disturbarlo, sia perchè non volevo che la mia voce rimbombasse nella mia testa facendomi aumentare il dolore.
«Ciao, ben svegliata!» esclamò distogliendo lo sguardo dal foglio su cui stava scrivendo per posarlo su di me. «Va tutto bene? Sembri stanca...»
«Mi sta scoppiando la testa! Hai qualcosa per calmare il dolore?» gli chiesi, sedendomi con le mani nei capelli.
«No, mi spiace, vuoi che ti prepari una camomilla?» propose alzandosi dalla sedia
«Sì grazie, mi faresti un grande favore!»
«No problem. Allora, cosa ti va per pranzo?» mi domandò mettendo l'acqua in una teiera elettrica che la riscaldò in un paio di minuti.
«In verità non ho molta fame, e comunque mi va bene tutto, scegli tu!» risposi «A che ora ti sei svegliato tu?» chiesi, giusto per parlare di qualcosa
«Nove e mezza. Non sono riuscito a dormire granchè...quindi mi sono alzato e ho cominciato a scrivere il prossimo pezzo...»
«Posso dare un'occhiata?»
«Ehm...okay...non è ancora finito..»
Scoprii il foglio gremito di parole, brevi e lunghe, scritte con una calligrafia molto artistica ma anche abbastanza incomprensibile, tuttavia il senso della canzone era percepibile. Parlava dell'infanzia di Eminem e delle difficoltà che aveva attraversato eccetera eccetera. Sinceramente lo trovavo un po' monotono. Non fraintendetemi, adoravo ogni singola sua canzone. Mi piaceva il modo in cui rappava, in cui scriveva le rime e in cui raccontava le sue storie. Ma onestamente il nuovo pezzo era abbastanza scontato e non mi faceva provare niente, rispetto alle altre canzoni.
«Beh, come lo trovi?» mi chiese porgendomi la camomilla e sedendosi di fronte a me. A quel punto decisi di mentire...non potevo di certo dirgli 'Ehi senti, il tuo pezzo fa schifo'
«Uhm...è....è carino..» purtroppo non risultai molto convincente, non tanto perchè non sapevo mentire, quanto perchè il mal di testa inibiva il mio cervello, dal quale partiva la capacità di dire bugie.
«Certo. Dal tuo tono di voce si capisce proprio che è un bel pezzo!» mi fece ironico
«No....urssss....è....ursss...ben fatto....» mentii cominciando a bere la camomilla con astuzia. Ma non credevo che se la fosse bevuta come bugia...
«Dai, cos'ha che non va?» mi disse con pazienza e con la voglia di scoprire i suoi errori.
«Senti, sinceramente è scontata. In altre tue canzoni hai affrontato il problema della tua infanzia disastrata e di quella roba lì, in Lose Yourself, My mom, Like Toy Soldiers...lo trovo un po' banale come topic...però considera che io non sono un'esperta e probabilmente il mio parere non conta nep-»
«Nonono, anzi, sono d'accordo. Cercherò di modificarlo! Grazie del consiglio!»
Trascorremmo la mattinata spaziando tra molti argomenti, tipo la scuola, che nè io nè lui avevamo frequentato con particolare assiduità; la passione per il rap; avevamo finanche parlato di droga! Con lui mi sentivo libera di parlare di ciò che volevo, non mi sentivo in imbarazzo, ero tranquilla e non dovevo neanche filtrare ciò che pensavo prima di esprimermi. E poi non mi giudicava. Voglio dire, sfido chiunque io confessi la mia storia a non dire "Non sei una brava ragazza. Sei da evitare". Ne sono consapevole, però Eminem aveva la capacità di farmi sentire bene, di apprezzarmi quando nessuno - se non mia madre- lo aveva fatto.
Arrivò presto la sera. Il mal di testa non mi era affatto passato, anzi mi era aumentato. Decisi quindi di provare la febbre.
«Allora quanto hai?» mi chiese il rapper preoccupato, toccandomi con le sue mani sottili la fronte, per vedere se fossi calda o meno. Tolsi il termometro elettronico da sotto il braccio e osservai lo schermetto. Segnava 38.3. Ma preferii non dirlo ad Eminem, punto uno per non farlo preoccupare ancora di più. Punto due perchè ero quasi certa che Jake mi avrebbe chiamato per una consegna, e non potevo dirgli di no perchè era il mio secondo giorno di "lavoro"
«37.2, non è febbre, sto bene, è solo un po' di mal di testa...» minimizzai io, spegnendo il termometro e restituendoglielo.
«Uhm...non mi convinci...vuoi che chiamiamo il dottore?» mi propose con una dolcezza da fare invidia allo zucchero filato o ad una crepe con la nutella.
«Marshall! Addirittura il medico! Sto bene, sta' tranquillo. Ora vado a farmi un bagno caldo e passa tutto.» lo calmai alzandomi dal divano per andare di sopra. Ma non appena fui in piedi mi vidi tutto girare, come se stessi su una giostra, quella con i cavallini che gira attorno...una sensazione orribile. Ma per non dare nell'occhio, affrettai il passo e salii le scale, andando nella mia stanza. Mi sedetti subito sul letto, chiusi gli occhi e respirai piano, cercando di riprendermi. Quando mi sentii meglio mi gettai nella vasca da bagno con l'acqua calda. Il bagno fu davvero rilassante, ma ahimè non riuscì a migliorare la situazione. In più si aggiunse una voglia matta di uno spinello, anche leggero, ma con la roba di Jake, e da sentirmi meglio, mi sentii peggio. Mentre mi stavo rivestendo mi squillò il cellulare. Era un numero sconosciuto, ma risposi comunque...
"Pronto?"
"Ash, sono Drake, oggi ci vediamo al bar dell'altra volta alle undici. Abbiamo un lavoro per te. Occhio alla puntualità."
"Ehm...okay, ci sarò. A stasera"
E come previsto dovevo fare una consegna. L'unica cosa che mi eccitava era l'idea di farmi un po' di roba non appena avessi finito!

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Capitolo 5
*** Discussioni ***


Alle dieci e mezza decisi di inizare ad incamminarmi. Il bar distava un bel po' da casa di Eminem e di sicuro mezz'ora mi sarebbe bastata! Quindi mi diressi verso la porta...
«Marshall io esco!» gridai in modo che ovunque si trovasse il rapper mi sentisse. Era nella sua camera e da lì mi urlò di aspettare. Scese velocemente le scale e si posizionò di fronte a me.
«Come ti senti? Sicura di voler uscire? A che ora torni?» mi chiese premuroso
«Bene, sì. Non tornerò tardi, non preoccuparti!» lo rassicurai fingendo un sorriso che celasse il dolore alla testa e la sensazione di debolezza che mi sentivo addosso. Aprii la porta e lo salutai
«Stai attenta!» mi raccomandò come un genitore apprensivo. Dopodichè chiuse la porta. Mi incamminai verso il bar a passo svelto. Arrivai in una ventina di minuti, in anticipo e rimasi ad aspettare, appoggiata al muretto, con le braccia incrociate. Faceva veramente freddo e io avevo addosso solo una felpetta. La testa mi stava scoppiando, era come se nel mio cervello stesse avvenendo la terza guerra mondiale, con carri armati e mitraglie dal rumore bombardante. E mi sentivo febbrile, bollente, e non vedevo l'ora di fumarmi qualcosa! Finalmente, dopo una noiosa se pur breve attesa, Jake si presentò con i suoi due amici, Drake e Louis. Drake mi salutò in modo affettuoso, tirandomi un pizzicotto sulla guancia sinistra.
«Allora, cosa mi aspetta oggi?» chiesi arrivando dritto al sodo
«Sei nervosa? Cos'hai? Mi sembri strana...»
«Niente, ho solo un po' di mal di testa...» minimizzai io
«Mah...se lo dici tu...oggi c'è un bel po' da fare...abbiamo due consegne, una vicinissima qui, di fronte alla fermata dell'autobus e l'altra al posto dell'altra volta. Drake verrà con te, non mi convince la tua salute. Questi sono i pacchi. Avete due ore e mezza. A l'una e mezza ci rincontriamo qui.» Senza spiaccicare parola, presi i pacchi di droga, non troppo pesanti, ma neanche leggerissimi, e affiancata da Drake, cominciammo il nostro percorso, dirigendoci al cliente di fronte alla fermata, che distava un settecento metri, credo, dal bar.
«Perchè te ne stai zitta zitta oggi?» mi domandò Drake, con un tono ironico
«Non ho niente da dire.» risposi seccata, tagliando lì il discorso.
«Okay...ehm, vuoi che porto io i pacchi?» mi propose dolcemente. Ero stanca, avevamo fatto si e no trecento metri e io già non ce la facevo più...
«Sì, grazie» risposi cedendogli i pacchi.
«Sai, ho sentito una canzone di quel tuo Eminem. Si intitolava 'My name is'...non è male, è divertente!» mi raccontò con il sorriso sulle labbra.
«Te l'avevo detto io! Sono felice che ti sia piaciuta!» gli dissi
«Infatti...ora però mi puoi dire cos'hai? Non mi piace quando stai zitta...» mi fece dopo qualche secondo, in maniera ottusa
«Te l'ho detto sto bene» e proprio in quel momento un carro armato, sparò un colpo nel mio cervello, che mi fece girare la testa. Era come quando da piccola giocavo con i bimbi dell'orfanotrofio ad attacca la coda all'asino. Mi bendavano, mi facevano girare e poi io barcollavo verso l'asinello sul muro. Solo che questa volta, invece di farmi girare solo per dieci secondi era come se mi avessero fatto girare per dieci minuti. L'effetto era amplificato e io dovetti fermarmi e chiudere gli occhi per cercare di non cadere e di non vomitare.
«Ash, tutto bene?» mi domandò Drake allarmato. Non risposi, non perchè non volessi, ma perchè avevo bisogno di un attimo di silenzio. Cercai di calmarmi, respirando piano e pensando all'abbraccio di mia madre, che da sempre mi rassicurava. Poi finalmente quel brutto istante passò. Riaprii gli occhi come se mi fossi svegliata da poco.
«E tu non hai niente?» insistette Drake alzando il tono della voce. Ero imbarazzatissima
«Non urlare, mi sta scoppiando la testa!» lo ammonii
«Se non eri in forma per svoglere il lavoro, avresti potuto dirmelo, avrei potuto inventare una balla col capo!» mi sgridò sussurrando, questa volta
«Ma io sono in forma...ho solo un po' di mal di testa..e qualche linietta di febbre...tutto qui!» sminuii io. Drake premette la sua mano contro la mia fronte, per sentire la temperatura.
«Qualche linietta?! Hai la fronte che va a fuoco! È talmente bollente che ci puoi arrostire i wurstel!» mi fece ironicamente facendomi sorridere
«Addirittura...comunque ora è tardi. Dobbiamo andare, quel che è fatto è fatto...» dissi riprendendo a camminare «E poi se dovessi sentirmi male, so che ci sarai tu ad aiutarmi!» Drake sorrise...
«Io non ne sarei tanto sicura, fossi in te!» sdrammatizzò.
Finalmente giungemmo all'appartamento del tizio vicino alla fermata. Era un monolocale al piano terra che non mi ispirava neanche un po' di fiducia. Tuttavia bussammo. La porta ci fu aperta da una donna di colore piuttosto appariscente -fisicamente- e con i capelli rosso fuoco. Appena ci vide ci disse di aspettare qualche secondo, e ci lasciò sull'uscio per poi tornare con la busta dei soldi in mano.
«Sono tutti?» chiesi in tono minaccioso
«Ehi, non sono tipa da fregare Jake!» esclamò offesa sbattendoci la porta in faccia. E uno era andato. Proseguimmo per la casa del pappone che distava da quella della rossa di un chilometro più o meno. Con Drake non parlammo molto, e ciò non mi dispiacque visto che ogni volta che sentivo un rumore lo sentivo amplificato nella mia testolina. Arrivammo dal pappone in una mezz'oretta, intorno a mezzanotte.
«Se non te la senti di salire vado io...non preoccuparti, non dirò niente a Jake.» mi propose.
«Ma lui lo ha affidato a me il lavoro. Spetta a me consegnare. Non preoccuparti ce la farò!» lo rassicurai. I cinque fottutissimi piani furono pesanti, e impiegai i tre quarti delle forze che mi rimanevano per salire quelle lunghe scalinate. Sembravano non finire mai, sembrava di scalare l'Everest. Ma alla fine ce la facemmo, e con un po' d'affanno bussammo alla porta dell'altra volta. Ci aprii questa volta direttamente il pappone, al quale consegnamo la merce. Ci diede i soldi in una busta, questa volta bianca e ci precisò «Sono tutti, lo giuro su mia madre!» Bene, quella volta non dovetti impormi...
Quindi potemmo incamminarci sulla strada del ritorno. Fummo da Jake dieci minuti in anticipo e fu davvero supito di vederci a l'una e venti spaccate davanti al bar. Gli consegnammo i soldi, che contò rapidamente, per accertarsi che fossero tutti.
«Ottimo lavoro! Ash, questa volta ho deciso che oltre alla paga di 370$, vale a dire il
15%, aggiungo anche una canna. Questa è fatta col tabbacco. Mi è arrivato dall'India, ed è davvero qualcosa di stratosferico! Devi provarlo, mi hanno detto che oltre al tabacco c'è una piccola dose di marjuana, la minima che serve per sballarti. Provala tornando a casa, magari!» mi propose porgendomi i soldi e la canna. Misi i soldi nella tasca interna della felpa mentre tenni tra le mani la canna. Feci accendere e aspirai. Jake aveva ragione da vendere, cavolo se era buona! Si sentiva l'aroma del tabacco, gradevole e forte, addolcito dall'erba. Lasciai i ragazzi augurando loro una buona notte, che mi fu ricambiata da Drake, e mi diressi verso casa, gustandomi la canna. La testa mi faceva ancora male e la febbre persisteva. Quando mancavano una cinquantina di metri per arrivare a casa di Eminem, iniziai a sentire qualcosa dentro di me. Avvertivo un'improvviso dolore agli arti, come se mi si stessero spezzando braccia e gambe. Poi sentivo gli occhi lucidi e freddo, tanto freddo, come lo sentirebbe un africano vestito con shorts e infradito al polo nord. La testa era pesante, con le orecchie che mi fischiavano, Non ce la facevo più, mi sentivo svenire, ma ripetei a me stessa di resistere: mancava poco!
Concentrai le ultime forze per raggiungere la porta. Suonai il campanello e basta. Mi lasciai andare esausta, cadendo a terra e vedendo tutto nero intorno a me.
EMINEM POV--Ero ancora sveglio a guardare un po' di tv. Non facevo che chiedermi dove fosse e come stesse Ash. Quella ragazzina era una forza! Era perspicace, intelligente, e forte, coraggiosa, e perseverante! Ma non mi piaceva la strada che stava prendendo. Aveva solo quindici anni e già si faceva di erba. Mi preoccupava, e non poco la sua situazione, e volevo farla smettere, in un modo o nell'altro. Finalmente sentii il campanello. Era sicuramente lei. Mi precipitai ad aprire la porta, ma quello che vidi mi fece impallidire. Ashley era dietro la porta, svenuta, priva di sensi. Immediatamente la presi in braccio, portandola dentro e cercando di farla rinvenire, dandole degli schiaffetti in viso...
«Ash, Ash! Sveglia! Ehii...mi sentiii?» continuavo a ripeterle. Ma i suoi occhi rimanevano chiusi. E aveva un espressione in volto stravolta, stanca. Ed era pallida, di un bianco neve davvero preoccupante. La portai di sopra nella sua stanza, la deposi delicatamente sul letto e la coprii ben benino. Poi passai la mia mano sulla sua fronte per vedere se la febbre fosse aumentata. La sua fronte era infuocata, incandescente. Aveva la febbre altissima. Presi rapidamente un borsa fredda con del ghiaccio, e degli asciugamani con cui farle degli impacchi. Le posizionai la borsa sulla testa, in modo da farle abbassare la temperatura, e cambiai gli impacchi ritmicamente ogni due tre minuti, il tempo che ci mettevano per infiammarsi. Mentre ero alle prese con il sesto o settimo impacco, la sentii lamentarsi...mugulava, e ansimava, e si voltava spasmoticamente, come in preda alle convulsioni. Cercai di tranquillizzarla, sussurandole che andava tutto okay, e accarezzandole dolcemente la testa. Parve calmarsi, ma la febbre non scendeva ancora. Quindi andai a prendere il termometro dalla mia camera. Speravo che la temperatura non fosse così alta come sembrava...---
 
Svegliata da tanti martelli pneumatici che scavavano nel mio cervello, e da un mal di stomaco davvero forte, aprii all'improvviso gli occhi, e mi guardai attorno spaesata e confusa. L'ultima cosa che ricordavo era il suono del campanello e poi boom, più niente. Avevo capito che ero nella stanza della casa di Eminem, e già questo era un passo avanti. Ero sola, quando all'improvviso nella mia stanza entrò il rapper, armato del termometro elettrico.
«Heii, come stai?» mi chiese sussurrando e venendomi vicino.
«Sono sveglia...» mi limitai a rispondergli, sforzandomi di sorridere
«Mi dici i tuoi sintomi, per favore?»
«Ma niente dottore, ho solo un po' di mal di testa!» sdrammatizzai io
«La tua fronte va a fuoco. Rischi di incendiarmi casa, perciò dimmi la verità, così evitiamo incidenti!» scherzò lui facendomi sorridere
«Okay, okay. La testa mi sta scoppiando. Ho un dolore fortissimo che non riesco a reggere. Da quello che hai potuto capire ho la febbre e in più si è aggiunto un mal di stomaco davvero tosto. Insomma sto bene, no?!» feci ironicamente
«Sì, certo, ora possiamo andare a correre la maratona di New York! Dai, provati la febbre...» mi esortò porgendomi il termometro. Misi l'aggeggio sotto il braccio e attendemmo il bip in silenzio, sperando entrambi -e questo si capiva dall'espressione di Marshall- che la febbre fosse meno di 38.5. Ma ahimè quando presi il termometro in mano e vidi il numeretto, spalancai la bocca..
«Quanto hai?» mi chiese Marshall. Decisi di dire la verità...più o meno..
«Ehm...39.2...» anche l'espressione del rapper fu scioccata. Mi strappò il termometro dalle mani e vide un numero ancora più grande...
«40 e 2?! Ash! Altro che 39.2 qui ti devo portare all'ospedale, hai un febbrone da cavallo!! » mi disse alzando la voce e facendo scoppiare due neuroni del mio cervello
«Ti spiacerebbe abbassare la voce?! I martelli qui dentro- dissi indicando la mia testa- non vogliono smettere di rompere!» gli feci, mettendomi più comodamente al calduccio nel mio letto.
«Okay, scusa. Ehm...credo che tu abbia capito che non sono molto pratico di queste cose...tua mamma quando stavi male ti faceva qualcosa per farti stare meglio?»
«Sì...quando ero piccola mi raccontava delle storie, che mi tranquillizzavano e mi facevano smettere di piangere. Ma ora sono grande...»
«E quindi? E tu mi leveresti l'opportunità di raccontarti una storiella? Nonono missis Ashley. Adesso mi ascolti!» scherzò lui.
«Se proprio ci tieni...»
«C'era una volta una stella nel cielo. Era bella, splendente, luccicante e tutti coloro che la guardavano si mettevano a sognare. Era la stella più vicina alla luna, era quella a cui essa voleva più bene. Ma arrivò un giorno in cui la stella diventò più buia, più cupa, a causa del fumo proveniente dalla terra che le si attaccava addosso. E divenne talmente scura che la Luna non la volle più e lei fu costretta ad allontanarsi. Nessuno più la vedeva e nessuno più la voleva. Si sentiva incompresa, sola, e decise di entrare nell'atmosfera terrestre in modo da schiantarsi al suolo e di suicidarsi. Arrivò a pochissimi millimetri dall'atmosfera, quando cambiò idea. Non valeva la pena schiantarsi solo perchè la Luna non la voleva più! La mandò quindi al diavolo e decise di spolverarsi tutta e di tornare a brillare nel cielo, con una luce superiore a quella della Luna! E tutte le persone che la osservavano erano felici, e si dimenticarono ben presto dei lei....beh, che te ne pare?» mi chiese Eminem alla fine. La favola fu davvero simpatica, ma io non mi sentivo meglio, anzi lo stomaco aveva cominciato a contorcersi e a farmi male. All'improvviso sentii l'urto del vomito...subito mi alzai dal letto e corsi in bagno con una mano sulla bocca. Mi chinai sul gabinetto e cominciai a rimettere. Eminem preoccupato, mi seguii di lì a poco e mi tenne per la fronte evitando che l'urto mi buttasse giù la testa.
«Hei tesoro, va tutto bene. Sta' tranquilla, adesso passa!» continuava a ripetermi cercando di tranquillizzarmi, ma io avevo il cuore che andava a mille. Non riuscivo a fermarmi! Non mi era mai piaciuto vomitare. Era schifoso, doloroso e consumava un sacco delle mie energie. Stetti chinata sul water per almeno dieci minuti abbondanti. Quando finalmente il getto si calmò, sentivo mancare le energie. Mi sedetti per terra, per riprendere fiato. Eminem mi porse un asciugamano bagnato, per pulirmi. Mi rinfrescai il volto, lavandomelo alla meno peggio.
«Ce la fai ad alzarti?» mi domandò Marshall, con premura. Non mi riuscì proprio di mentirgli questa vota, anche perchè c'era il rischio di prendere una caduta se gli avessi detto che ero in grado di stare in piedi con le mie forze.
«No...» mormorai, imbarazzata. Marshall mi sorrise, facendomi sentire subito un po' meglio
«Metti il braccio destro in torno al mio collo.» mi esortò, chinandosi vicino a me. Feci come mi disse e un momento dopo mi ritrovai tra le sue braccia, calde e sicure, a un metro e settanta circa da terra. Eminem mi pose sul letto, al calduccio, solo che ora io sentivo caldo, e non freddo...
«Come va ora?» mi domandò
«Bene, il dolore allo stomaco è passato, ma sto letteralmente evaporando» risposi scoprendomi della montagna di coperte che fino a qualche minuto fa mi tenevano calda
«Buon segno, vuol dire che la febbre sta scendendo!» affermò felice
«Già, ora se ne deve andare solo il mal di testa!»
«Ma per quello c'è bisogno di riposo. Dai si è fatto tardi, togli la giacca e le scarpe e mettiti a dormire!» mi propose. Feci come mi disse, sfilai le scarpe, lanciandole disordinamente sul pavimento e mi tolsi la giacca ponendola maldestramente ai piedi del letto. Ma la giacca cadde a terra.
«Lascia, te la prendo io!» disse il rapper chinandosi a prenderla. Mentre la stava raccogliendo,
 però caddero i soldi che avevo ricevuto dall'affare. Cavolo! Questa non ci voleva!
«E questi soldi? Come li hai avuti?» mi chiese, raccogliendoli da terra e alzando la voce. Cavolo, sembrava arrabbiato. Ero stata una stupida, avrei dovuto prevederlo!
«Ehm...sono miei...» risposi vaga, ma consapevole che quella sera la verità sarebbe ahimè venuta fuori.
«Fin qui c'ero arrivato, chi te li ha dati?» mi chiese insistentemente
«Senti Marsh, ho accettato la tua proposta di venire a vivere qui perchè tu non ti saresti fatto i fatti miei..» dissi cercando di tirare l'acqua al mio mulino
«Ashley, questi soldi stanno a casa mia, se sono illegali io ci vado di mezzo! O mi racconti la tua storia o ti butto fuori!» fu chiarissimo. Mi guardava con i suoi occhi color ghiaccio, minacciosi e...arrabbiati, severi...
«..Vengono da un paio di consegne.» mi limitai a rispondere
«Che genere di consegne?» mi domandò come se si rifiutasse di accettare la realtà. Sapeva esattamente di cosa stavo parlando, ma non voleva neanche ammetterlo
«Roba...droga...stasera sono uscita per quelle consegne.»
«Cioè fammi capire, tu hai messo in pericolo la tua salute per fare una stupida consegna?? Ma ti sei bevuta il cervello?? E scommetto che ti sei fumata anche
qualcosa tipo marjuana o tabacco...la febbre non può essere aumentata così, per miracolo!» mi sgridò con il tono della voce severo, tipico di un padre arrabbiato nero per una cazzata commessa dalla figlia adolescente. Rimasi in silenzio a testa bassa, subendo passivamente la ramanzina,
per ora.
«Hei, guardami in faccia quando ti parlo!» mi ordinò. Scattai in piedi arrabbiata
«Senti ma che vuoi tu? Non sei mio padre, sono libera di fare quello che voglio fuori da questa casa, non puoi dirmi niente!» sbottai io, stanca del comportamento da genitore rombiballe di Eminem.
«Ma come fai a non capirlo?! Ma hai visto come ti ha ridotto quella roba!? Ti porterà alla morte, ti uccidera!» si esasperò, perdendo definitivamente la pazienza. Fu davvero molto freddo, troppo esplicito, insensibile...mi ammutolii. Cavolo, avevo paura. Non volevo morire, ero ancora piccola, volevo fare un sacco di altre cose! Anche Eminem rimase in silenzio, con uno sguardo ora meno incazzato, ma con della pietà, forse anche del rammarico.
«Scusa...non volevo dire quelle cose...» si discolpò lui. Ma ormai il danno era fatto, e io mi sentivo male, oppressa dal pensiero che avrei potuto morire per una canna di troppo. E lui non poteva capirmi, mi sentivo arrabbiata e incompresa e sola
«Ashley..io...non volevo..» continuò a ripetermi avvicinandosi a me. Ma in quel momento non lo volevo vedere e corsi in bagno, chiudendomi a chiave e sedendomi per terra, accovacciandomi nelle mie gambe e venendo pervasa da un senso di depressione che mi rendeva impotente. Cercai di trattenere le lacrime, ma non stavo bene e le lasciai cadere, in silenzio lungo il mio volto, che poggiai sulle ginocchia rimanendo in silenzio.
 
 
VI capitolo
Dopo qualche secondo trascorso a piangere perchè pensavo a ciò che mi sarebbe potuto succedere, Eminem bussò alla porta.
«Mi fai entrare?» mi chiese con calma e dolcezza. Ma io ero ancora incavolata nera con lui, non tanto perchè si fosse trasformato in un papà rompi scatole, quanto per la freddezza del suo discorso, era stato tropo diretto!
«Vattene...» mi limitai a dirgli alzando la testa dalle ginocchia.
«Io rimango qui dietro. Se mi apri te ne sarò grato.» disse con fermezza ma con tranquillità. Ci furono degli attimi di silenzio, nei quali cercai di non far sentire i miei singhiozzi e di trattenerli, per non far capire a Marshall che stavo piangendo. Anche se credo che in realtà lo avesse già intuito.
«Sai, non sono mai stato bravo a parlare con i ragazzini. Anche con le mie figlie trovavo difficoltà, non tanto quando erano piccoline, quando potevo permettermi di sbagliare e di essere goffo, tanto loro non se ne accorgevano, ma quando avevano la tua stessa età. Visto che Kim non ha voluto fare loro da madre, io ho dovuto ricoprire il suo ruolo. Perciò è toccato a me spiegare loro come girava la vita, come nascevano i bambini e cosa succedeva al loro corpo durante quell’ età. Mi sono sempre trovato in imbarazzo, fuori luogo e la situazione, a quanto ho capito, non è cambiata. Prima, non volevo dirti quelle cose. Ero arrabbiato, ho detto cose che non pensavo! È come quando rappo, i miei testi parlano droghe e morti, ma non penso di farli avvenire realmente, capisci che intendo... Perciò scusa, mi dispiace. E capisco che tu ora voglia stare da sola, ma sappi che se vuoi una spalla su cui piangere io ci sono, quando vuoi e dove vuoi.» rimasi in silenzio ad ascoltare il suo amorevole discorso. Mi fece sorridere, e perciò decisi di aprire la porta. Era proprio lì dietro e non appena mi vide uscire notai che tirò un sospiro di sollievo, davvero impercettibile.
«Facciamo pace?» mi domandò porgendomi la mano. Corsi da lui e lo abbracciai. Avevo bisogno di un po' di affetto, di rassicurazione, in quel momento e lui era lì, pronto per darmeli, stringendomi tra le sue calde braccia e sussurrandomi «È tutto okay, ora va tutto bene» mentre io mi lasciavo andare ad un pianto per sfogarmi.
 
«Pensi davvero che la droga porti alla morte?» chiesi ad un tratto al rapper, mentre eravamo accoccolati sul mio lettino. Io ero poggiata su di lui, con gli occhi chiusi, e lui, invece, con un braccio che mi circondava le spalle, era con gli occhi aperti.
«Tesoro, è così. È successo a tanti artisti, Withney Houston, Amy Winehouse, sono morte per overdose ad esempio...»
«Marsh?»
«Sì tesoro?»
«Io non voglio morire. Ho solo quindici anni...»
«Tesoro devi smettere di assumere droga, allora...» mi propose lui ovvio, ma non era così semplice.
«Non riesco. Sono stata solo due giorni nella clinica di disintossicazione. Quarantotto ore di merda passate a vomitare e a pensare a quando sarei uscita. Non ce la faccio, è difficile, impossibile. Non so stare senza droga...riesco a resistere per al massimo un notte» dissi con rassegnazione
«Non dire così...non è impossibile. Senti un po' cosa mi è venuto in mente, e se iniziassimo la disintossicazione insieme?» mi propose entusiasta «Io aiuterei te e tu aiuteresti me!»
«Non posso iniziare la disintossicazione da un giorno all'altro! E poi, tu non hai bisogno del mio aiuto!» gli feci notare
«Solo perchè sto cercando di smettere, non significa che io non abbia bisogno del tuo aiuto.
Perchè non ci proviamo?» insistette lui
«Non lo so...l'idea di non toccare droga non è che mi alletti molto. Dovrei persino smettere con le consegne.»
«Ashley, è per la tua salute. Ricorda che non sempre ciò che ti piace ti fa bene! Magari possiamo cominciare con il diminuire le dosi...di solito cosa assumi?»
«Erba nelle canne o coca da sniffare....ma ne assumo poca un paio di grammi...»
«Cerca di evitare la coca e fuma al massimo una canna al giorno per due giorni. Poi la toglieremo completamente» mi consigliò come se mi stesse prescrivendo una ricetta
«Ci proverò. Tu invece che cosa prendi?» gli chiesi curiosa di sapere cosa assumesse uno dei rapper più drogati d'America.
«Ehm...negli ultimi tempi niente di che...medicine...Vicodin...Valium...Ambien...mi aiutano a stare bene» sostenne imbarazzato, davvero imbarazzato. E lo si poteva capire dalle pause che faceva..
«Uhm...bene quante ne prendi?» chiesi
«Vuoi sapere il numero?» mi domandò a disagio
«No, voglio sapere i litri...certo, il numero!» gli feci ironicamente
«Dalle 30 alle 50 pasticche...» ammise, a voce bassa. Fui stupita, ma non glielo feci notare, per non farlo sentire ancora più a disagio.
«Ok, da domani massimo cinque al giorno per due giorni. Poi vedremo» feci come lui aveva fatto poco fa con me.
«Uhm...ci proverò...» concluse sbadigliando. «Beh tesoro, io ho sonno, vado a- un altro sbadiglio- dormire...»
«Se vuoi puoi rimanere qui!» gli proposi, visto che eravamo già sistemati
«Uhm...va bene...notte tesoro!» mi augurò chiudendo gli occhi
«Notte 'Slim Shady'» giocai facendolo sorridere. E così chiudemmo entrambi gli occhi, in attesa che la scia del sonno ci portasse con sè.
 
La mattina dopo mi svegliai in perfetta forma. Ormai ero guarita: non avevo nè febbre, nè mal di stomaco nè tantomeno giramenti di testa. Mi ritrovai da sola nel mio letto, senza Eminem, e cominciai a sospettare dove fosse. Scesi di sotto e lo trovai seduto sul divanetto davanti alla tv.
«Buongiorno!» gridai a gran voce, con la bocca ancora impastata di sonno
«Buongiorno! Ti senti meglio, vedo!» affermò girandosi verso di me, senza però alzarsi dal divano.
«Già, sto benone, ora!»
«Menomale. Cosa vuoi per colazione?» mi chiese dirigendosi verso la cucina
«Latte caldo e cereali!!» canticchiai come una bambinetta che si entusiasmava per poco. Eminem poggiò i cornflakes sul tavolo, assieme ad una tazza di latte fumante.
«Thanks!»
«Nothing, darling. Che vuoi fare stamattina?» mi domandò mentre versavo i cereali nella tazza col latte.
«Ehm...in verità una mezza idea ce l'avrei...» feci misteriosa
«Avanti spara!» mi esortò
«Va bene, avevo pensato di andare a fare un po' di shopping! Che ne pensi?» gli dissi con un sorriso sornione. Avevo bisogno di roba da metteri e sinceramente l'idea di andare a fare shopping con il mio rapper mi allettava parecchio, ma ero sicura che ad Eminem non entusiasmava granchè...era un maschio, e si sa che ai maschi non piace andare in giro per negozi!
«Penso che tu mi voglia vedere morto! Ma penso anche che se ci tieni, so io dove portarti!» mi rispose con dolcezza, come un padre che vuole accontantare sua figlia.
«Grazie!! E dove hai intenzione di portarmi?» gli chiesi divorando i cornflakes
«Pure Detroit. Vende roba alla moda! É carino come negozio!»
«Okay, va bene!»
 
Dopo aver finito la colazione ed essermi messa un altra volta i soliti miei vestiti, raggiungemmo il negozio. Dalla vetrina, adocchiai già qualcosa che mi ientusiasmava, come ad esempio un favoloso paio di jeans strappati e sbiaditi a bassa vita. Erano unici, modello slim, attilati con due strappi sulle ginocchia con quattro bottoncini, senza cerniera. E avevo anche localizzato una felpa da abbinarci sopra! Bellissima, anche quella, di colore nero con la stampa di un aquila bianca al centro! E poi avevo notato un giubbotto davvero fighissimo, con il cappuccio e le maniche in tessuto felpato grigio, e con il resto in jeans. Era straodrinario! E infine avevo visto una t-shirt blu sfumato, di quelle che vanno larghe, con il disegno di uno scacciapensieri indiano bianco, sfumato di grigio sulle piume. Doveva essere mia!
Entrammo in fretta nel negozio.
«Come posso esservi utile?» ci domandò cortesemente la signorina dai capelli rossi nel negozio. Non fui timida e iniziai ad elencarle ciò che avevo adocchiato, sotto lo sguardo, stupito, quasi scioccato di Marshall, che era davvero buffo da guardare! La signorina tornò di lì a poco con tutti i capi da me richiesti e mi indicò il camerino, dove corsi per provare i vestiti. Eminem mi seguì, aspettando fuori, con la faccia un po' annoiata. Cominciai dallo strepitoso paio di jeans strappati. Li provai ed erano davvero comodissimi. E poi mi stavano bene! Uscii dal camerino e chiesi un parere al rapper.
«Come mi stanno?»
«Bene, ma...non saranno troppo strappati?»mi chiese perplesso osservando i buchi sui jeans che li rendevano cool e alla moda
«Macchè...adesso si usano così!» gli spiegai. In verità in quel momento Marshall mi sembrò un padre che non vuole vedere la propria figlia che se ne va 'svestita' per la strada.
«Sarà...e il cavallo? Non è troppo sceso?»
«Marsh, anche tu li porti così! Dai, non cominciare a trovare i difetti! Di' semplicemente: stai bene Ash!»
«Okay okay. Stai bene Ash!» ripetè poco convinto come una macchinetta. Tornai dentro lo stanzino e passai alla felpa con l'aquila. Il rapper non ebbe nulla da obiettare, se non il colore: nero.
«Non sarà troppo scura?» mi fece cercando di farmi cambiare idea.
«Nono! Il nero va di moda! E poi vedi- dissi indicando l'aquila- c'è il bianco assieme!» e anche quella andò.
Passai alla t-shirt con lo scaccia pensieri. Non era niente male! Ma anche su questa il rapper trovò l'ennesimo difettuccio: era troppo larga, sembrava un pigiama. Testuali parole.
«Marsh, questa deve andare così. Si chiama maximaglia, ci sarà un motivo! E poi anche tu vesti largo e comodo...» gli feci notare
«Ma io sono un rapper, noi andiamo vestiti così!» cercò di giustificarsi lui. Lasciai correre, tanto era a me che doveva piacere! Infine provai il giubbotto. Era stiloso, davvero figo. Uscii dal camerino, sperando che almeno questa volta il capo dicesse che l'abito mi stava bene.
«Waow! Questo ti calza a pennello! È davvero bello, stai bene!» e certo che gli piaceva, si avvicinava davvero tanto allo stile da rapper da lui sempre usato. Ma almeno questa volta mi aveva fatto un complimento senza trovare il pelo nell'uovo! Ci dirigemmo quindi alla cassa. Avevo intenzione di pagare io, con i soldi ottenuti dalla consegna. Tanto mi sarebbe persino rimasto il resto!
«E il totale ammonta a 127,65$. Paga con bancomat o cash?» chiese la signora ad Eminem, ignara che a pagare ero io.
«Cash, grazie!» risposi velocemente prima che Marshall aprisse bocca.
«Oh, quindi sei tu a pagare..» disse stupita la signorina, che accettò i soldi un po' stranita. Avevo un po' dato nell' occhio...nessun ragazzino andava per le strade di Ditroit con così tanti soldi in mano...
«Ehm...sì...perchè...mio zio Eminem mi ha regalato i soldi per il mio compleanno...è stato molto generoso.» inventai una balla perfetta sul momento, beccandomi però un'occhiataccia dal rapper, che la cassiera, fortunatamente non potè vedere perchè troppo impegnata con lo scontrino.
«Ma che bravo zio che hai! Ed è anche molto bravo con le parole...» si complimentò dapprima seriamente e poi ironicamente, alludendo alle parole colorite che Eminem usava nelle sue canzoni.
«Chi ascolta le mie canzoni di solito va oltre le parole...» si difendè lui, prendendo frettolosamente le buste e dirigendosi verso l'uscita. Presi il resto, salutai la commessa e lo seguii fuori dal negozio. Stava increpando tra sè e sè a bassa voce, per non farsi sentire, ma alle mie orecchie alcune parole arrivarono comunque.
«Hei calmati. Non conta niente il parere di quell'ignorante!»
«Non aveva il diritto di giudicarmi! Che ne sa lei di me? Che ne sa della mia vita?» sbraitò giustamente lui.
«Infatti, ha sparato solo una grandissima cavolata perchè non ti conosce, quindi non ha senso prendersela tanto! Sta' calmo ora!» cercai di tranquillizzarlo io
«Non ci riesco, quella stronza mi ha rovinato la giornata! Ma come si è permessa!?»
«Marshall!» gli gridai attirando la sua attenzione. Eminem si girò verso di me «Non sono gli altri a doverti dire chi sei. Sei tu che lo devi sapere. Tu sai che sei una brava persona anche se dici certe parole?!» gli chiesi retorica. Annuì «Bene, allora la storia finisce qui. È questo quello che conta» gli spiegai con dolcezza. Marshall si fermò. Si girò verso di me e mi guardò negli occhi.
«Grazie!» mi disse poi con espressività.
«Oh figurati. Bene, allora ora andiamo a mangiare?» gli chiesi sdrammatizzando e cambiando discorso. Sorrise per poi annuire con l'animo più leggero.
 
Eminem mi portò a mangiare in un ristorante cinese. Il cibo non fu molto di mio gradimento, in quanto non mi piaceva il pesce crudo, tuttavia riuscii a riempire il mio stomaco. Dopodichè rincasammo. Io sistemai la roba comprata nell'armadio della mia stanza mentre Marshall si andava a fare una doccia.
La roba che avevamo acquistato era davvero bella. E pensai che l'avevo ottenuta grazie a quelle innocenti consegne. Ma perchè quindi avrei dovuto smettere? Avrei potuto continuare senza drogarmi, in modo da mettere comunque da parte dei soldi! E questa fu una buona idea: avrei fatto proprio così. Proprio quando stavo sistemando lo strepitoso paio di jeans, mi squillò il cellulare.
"Pronto?"
"Ehi Ash, sono Louis. Oggi c'è da fare un'altra consegna. Ci vediamo tra dieci minuti al solito posto."
"A fra poco" attaccai. Avevo dieci minuti per arrivare a quel bar?! Erano davvero pochi! Perciò scesi in fretta le scale, scrissi un biglietto a Marshall che lasciai sul tavolo e corsi fuori di casa. Alla velocità della luce fui al bar in dodici minuti, tempo record se consideriamo che i due luoghi erano lontani uno dall'altro! Jake e i ragazzi mi aspettavano fuori dal bar
«Scusate..il...ritardo.» mi giustificai con il fiatone
«Non fa niente, sono solo due minuti!» mi consolò Drake, beccandosi un'occhiataccia
da Jake che ci teneva alla puntualità.
«Tanto niente non fa...comunque sia, oggi ti aspetta una consegna breve. Devi raggiungere il ristorante cinese. Accanto, sullo stesso marciappiede, troverai un portone. Devi citofonare al nome 'Philip Rancy' e dare questo pacco a lui. Oggi verrà con te Louis, non vi siete ancora conosciuti...» mi fece Jake ironicamente
«Fra quanto dobbiamo stare qui?» domandai non facendo caso alla sua ironia
«Quaranta minuti. E questa volta sii puntuale!»
Ci incamminammo a passo svelto verso il ristorante cinese che stava a si e no mezzo miglio da noi. Louis se ne stava zitto zitto, senza proferire parola. Avrei voluto fare la consegna con Drake, con il quale avevo più confidenza, ma era giusto anche conoscere Louis.
«Ehm...non mi piace stare in silenzio.Dimmi qualcosa!» lo esortai un po' imbarazzata
«Non so che dirti» il tono della sua voce non era grave, ma anzi molto giovanile. Era la classica voce da ragazzino, e nonostante la sua età, aveva ancora tutti gli aspetti di un ragazzo della mia
età...
«Dimmi per esempio che musica ascolti!» era ormai quello l'argomento che mi piaceva affrontare con chiunque conoscessi
«Rock. Mi piacciono i Red Hot Chilly Peppers...tu?»
«Rap, Eminem, mai sentito parlarne?»
«Sì, non mi è nuovo il suo nome»
Sinceramente parlare con Louis era totalmente diverso da parlare con Drake. Il primo era timido, riflessivo, silenzioso...troppo silenzioso. Il secondo invece estroverso, scherzoso, e loquace...forse persino troppo...
Arrivammo al portone accanto al ristorante. Citofonammo al tizio di nome Philip, che abitava al terzo piano, e cominciammo a salire le scale. Il palazzo sembrava lussuoso, infatti sulle scale c'era un tappeto verde antiscivolo che mi faceva sentire importante. Giunti finalmente al terzo piano, suonammo il campanello.
«Ah, non ti spaventare non appena lo vedi!» mi raccomandò Louis un secondo prima che Phil aprisse la porta. Non ebbi neanche il tempo di chiedergli di cosa mi sarei dovuta spaventare, che il tizio spalancò la porta. Rimasi allibita: Phil aveva un'enorme cicatrice che andava dal suo occhio sinistro per poi curvare e predere anche metà labbro. Era spaventosa, e sollevata dalla pelle faceva davvero impressione! Phil era un uomo sulla mezza età, calvo, dagli occhi chiari e dal pizzetto bianco neve. Ci fece accomodare nella sua ricca dimora, con quadri dalle cornici d'oro, e divani in pelle e tende di un rosso reale.
«Questa è la sua consegna...» dissi porgendogli il pacco e guardandolo negli occhi del color dell'erba delle praterie.
«Questa è la tua parte» proferì lui passandomi la busta con i soldi.
«Spero per lei siano tutti e che non manchi ni-»
«Sono tutti. Ho già imparato la lezione!» mi interruppe Phil
«In che senso scusi?» chiesi
«Jake mi ha già fatto pagare per quella volta in cui diedi meno dollari del previsto. Ora ho capito che non bisogna mai mettersi contro di lui...» mi spiegò, facendomi venire un nodo alla gola. Questo era un motivo in più per non lasciare la banda...
«Mi dispiace...non ne sapevo nulla....» mi gustificai mortificata
«Non preoccuparti, non è colpa tua!» mi tranquillizzò infiammando Louis con lo sguardo. Uscimmo dopo poco dalla casa di Phill. Al ritorno continuavo a chiedermi il motivo per cui il vecchietto avesse guardato così male Louis...decisi di chiederglielo
«Perchè Phil ti ha guardato così?»
«Così come?»
«Ti ha fulminato con lo sguardo!»
«Non me ne sono accorto...»Aveva la bocca sigillata. Avevo capito che non voleva dirmelo...o forse non poteva...
 
Finalmente arrivammo al bar, dopo quaranta minuti spaccati: erano le quattordici menoventi. Jake fu soddisfatto del lavoro e mi consegnò la mia paga: 150$.
«Sai Ash...mi è avanzata un po' della roba della scorsa canna. Basta per farne due, la compri? Ti farei un buon prezzo!» mi invogliò. In effetti un voglia di fumare ce l'avevo. Ma avevo fatto un patto con Marshall, perciò presi la quantità per una.
«Perchè solo una?» mi domandò stranito il capo
«Perchè sì...» risposi io, porgendogli il bigliettone per pagare la bustina con marjuana, tabacco e una cartina.
«Mah...tu non me la conti giusta...» fece lui, perplesso.
«Allora vuol dire che devi imparare a contare!» gli dissi di rimando, andandomene via. E questa volta avevo vinto io. In fondo dovevo vendicarmi per quella volta in cui mi umiliò dicendomi che mi sarei pippata tutta la roba. Non fumai subito, in quanto non ero troppo desiderosa di droga, ma aspettai, conservando la bustina in tasca, in modo da far aumentare il desiderio.
Mi diressi verso casa, a passo svelto e arrivai in una ventina di minuti. Non suonai, per paura che Marshall stesse dormendo, e aprii la porta con le chiavi che mi ero portata. Fui travolta da un silenzio inquietante che non mi ispirava nulla di buono. Salii in fretta le scale e iniziai a sentire dei rumori che non mi tranquillizzarono per nulla, ma che anzi mi allarmarono. Provenivano dal bagno della stanza di Eminem, ed erano rumori che somigliavano molto a quelli di uno che sta vomitando. Corsi dalla fonte del rumore, vale a dire nel bagno e vidi Marshall piegato sul water a rimettere l'anima. Non aveva affatto una bella cera. Immediatamente mi inginocchiai vicino a lui, tenendogli la testa come lui l'altra volta fece a me.
«Hei, sta' tranquillo. Adesso passa!» continuavo a ripetergli probabilmente per rassicurare più me che lui, data la situazione.
Dopo venti minuti abbondanti, il rapper smise di vomitare, poggiandosi esausto alla parete color mare del bagno. Mi alzai, prendendogli un asciugamano bagnato che gli porsi. Non aveva neanche la forza di prenderlo: la mano gli tremava. Quindi toccò a me tamponargli la faccia e pulirgli la bocca, ancora un po'sporca di succhi gastrici e chissà quant'altro. Dopodichè andai di nuovo a sedermi accanto a lui. Rimasi per qualche istante in silenzio, ad osservarlo: aveva la testa poggiata alla parete, con gli occhi alti, ma lo sguardo rivolto in basso. Le mani, poggiavano ancora tremanti sulle ginocchia, che teneva alzate quasi al petto. Era fermo, immobile. E non immaginate neanche quanto fossi disposta a dare per sapere a che cosa stava pensando in quel momento.
«Come va?» gli mormorai, rompendo bruscamente il silenzio. Marshall annuì, cercando di tranquillizzarmi, ma invece mi preoccupò ancora di più. Non lo avevo mai visto in quello stato. Era pallido, davvero molto, sembrava un cadavere, con le labbra violacee e gli occhi color ghiaccio che risaltavano.
«Vado a prepararti una camomilla...o non so...una tisana...» feci cercando di alzarmi per affrettarmi a fargli qualcosa che lo potesse far sentire meglio. Ma qualcosa mi bloccò: la mano di Eminem mi strinse il polso impedendomi di alzarmi. Non era una presa aggressiva, arrabiata, ma anzi dolce, come quando un padre prende per mano sua figlia.
«Resta qui...» mi esortò. Le sue parole non suonarono alle mie orecchie come un comando, un ordine, sebbene lo potessero sembrare.
Aveva semplicemente bisogno di me, e io c'ero, così come lui c'era stato per me.

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Capitolo 6
*** Giornata di shopping, e non solo... ***


Dopo qualche secondo trascorso a piangere perchè pensavo a ciò che mi sarebbe potuto succedere, Eminem bussò alla porta.
«Mi fai entrare?» mi chiese con calma e dolcezza. Ma io ero ancora incavolata nera con lui, non tanto perchè si fosse trasformato in un papà rompi scatole, quanto per la freddezza del suo discorso, era stato tropo diretto!
«Vattene...» mi limitai a dirgli alzando la testa dalle ginocchia.
«Io rimango qui dietro. Se mi apri te ne sarò grato.» disse con fermezza ma con tranquillità. Ci furono degli attimi di silenzio, nei quali cercai di non far sentire i miei singhiozzi e di trattenerli, per non far capire a Marshall che stavo piangendo. Anche se credo che in realtà lo avesse già intuito.
«Sai, non sono mai stato bravo a parlare con i ragazzini. Anche con le mie figlie trovavo difficoltà, non tanto quando erano piccoline, quando potevo permettermi di sbagliare e di essere goffo, tanto loro non se ne accorgevano, ma quando avevano la tua stessa età. Visto che Kim non ha voluto fare loro da madre, io ho dovuto ricoprire il suo ruolo. Perciò è toccato a me spiegare loro come girava la vita, come nascevano i bambini e cosa succedeva al loro corpo durante quell’ età. Mi sono sempre trovato in imbarazzo, fuori luogo e la situazione, a quanto ho capito, non è cambiata. Prima, non volevo dirti quelle cose. Ero arrabbiato, ho detto cose che non pensavo! È come quando rappo, i miei testi parlano droghe e morti, ma non penso di farli avvenire realmente, capisci che intendo... Perciò scusa, mi dispiace. E capisco che tu ora voglia stare da sola, ma sappi che se vuoi una spalla su cui piangere io ci sono, quando vuoi e dove vuoi.» rimasi in silenzio ad ascoltare il suo amorevole discorso. Mi fece sorridere, e perciò decisi di aprire la porta. Era proprio lì dietro e non appena mi vide uscire notai che tirò un sospiro di sollievo, davvero impercettibile.
«Facciamo pace?» mi domandò porgendomi la mano. Corsi da lui e lo abbracciai. Avevo bisogno di un po' di affetto, di rassicurazione, in quel momento e lui era lì, pronto per darmeli, stringendomi tra le sue calde braccia e sussurrandomi «È tutto okay, ora va tutto bene» mentre io mi lasciavo andare ad un pianto per sfogarmi.
 
«Pensi davvero che la droga porti alla morte?» chiesi ad un tratto al rapper, mentre eravamo accoccolati sul mio lettino. Io ero poggiata su di lui, con gli occhi chiusi, e lui, invece, con un braccio che mi circondava le spalle, era con gli occhi aperti.
«Tesoro, è così. È successo a tanti artisti, Withney Houston, Amy Winehouse, sono morte per overdose ad esempio...»
«Marsh?»
«Sì tesoro?»
«Io non voglio morire. Ho solo quindici anni...»
«Tesoro devi smettere di assumere droga, allora...» mi propose lui ovvio, ma non era così semplice.
«Non riesco. Sono stata solo due giorni nella clinica di disintossicazione. Quarantotto ore di merda passate a vomitare e a pensare a quando sarei uscita. Non ce la faccio, è difficile, impossibile. Non so stare senza droga...riesco a resistere per al massimo un notte» dissi con rassegnazione
«Non dire così...non è impossibile. Senti un po' cosa mi è venuto in mente, e se iniziassimo la disintossicazione insieme?» mi propose entusiasta «Io aiuterei te e tu aiuteresti me!»
«Non posso iniziare la disintossicazione da un giorno all'altro! E poi, tu non hai bisogno del mio aiuto!» gli feci notare
«Solo perchè sto cercando di smettere, non significa che io non abbia bisogno del tuo aiuto.
Perchè non ci proviamo?» insistette lui
«Non lo so...l'idea di non toccare droga non è che mi alletti molto. Dovrei persino smettere con le consegne.»
«Ashley, è per la tua salute. Ricorda che non sempre ciò che ti piace ti fa bene! Magari possiamo cominciare con il diminuire le dosi...di solito cosa assumi?»
«Erba nelle canne o coca da sniffare....ma ne assumo poca un paio di grammi...»
«Cerca di evitare la coca e fuma al massimo una canna al giorno per due giorni. Poi la toglieremo completamente» mi consigliò come se mi stesse prescrivendo una ricetta
«Ci proverò. Tu invece che cosa prendi?» gli chiesi curiosa di sapere cosa assumesse uno dei rapper più drogati d'America.
«Ehm...negli ultimi tempi niente di che...medicine...Vicodin...Valium...Ambien...mi aiutano a stare bene» sostenne imbarazzato, davvero imbarazzato. E lo si poteva capire dalle pause che faceva..
«Uhm...bene quante ne prendi?» chiesi
«Vuoi sapere il numero?» mi domandò a disagio
«No, voglio sapere i litri...certo, il numero!» gli feci ironicamente
«Dalle 30 alle 50 pasticche...» ammise, a voce bassa. Fui stupita, ma non glielo feci notare, per non farlo sentire ancora più a disagio.
«Ok, da domani massimo cinque al giorno per due giorni. Poi vedremo» feci come lui aveva fatto poco fa con me.
«Uhm...ci proverò...» concluse sbadigliando. «Beh tesoro, io ho sonno, vado a- un altro sbadiglio- dormire...»
«Se vuoi puoi rimanere qui!» gli proposi, visto che eravamo già sistemati
«Uhm...va bene...notte tesoro!» mi augurò chiudendo gli occhi
«Notte 'Slim Shady'» giocai facendolo sorridere. E così chiudemmo entrambi gli occhi, in attesa che la scia del sonno ci portasse con sè.
 
La mattina dopo mi svegliai in perfetta forma. Ormai ero guarita: non avevo nè febbre, nè mal di stomaco nè tantomeno giramenti di testa. Mi ritrovai da sola nel mio letto, senza Eminem, e cominciai a sospettare dove fosse. Scesi di sotto e lo trovai seduto sul divanetto davanti alla tv.
«Buongiorno!» gridai a gran voce, con la bocca ancora impastata di sonno
«Buongiorno! Ti senti meglio, vedo!» affermò girandosi verso di me, senza però alzarsi dal divano.
«Già, sto benone, ora!»
«Menomale. Cosa vuoi per colazione?» mi chiese dirigendosi verso la cucina
«Latte caldo e cereali!!» canticchiai come una bambinetta che si entusiasmava per poco. Eminem poggiò i cornflakes sul tavolo, assieme ad una tazza di latte fumante.
«Thanks!»
«Nothing, darling. Che vuoi fare stamattina?» mi domandò mentre versavo i cereali nella tazza col latte.
«Ehm...in verità una mezza idea ce l'avrei...» feci misteriosa
«Avanti spara!» mi esortò
«Va bene, avevo pensato di andare a fare un po' di shopping! Che ne pensi?» gli dissi con un sorriso sornione. Avevo bisogno di roba da metteri e sinceramente l'idea di andare a fare shopping con il mio rapper mi allettava parecchio, ma ero sicura che ad Eminem non entusiasmava granchè...era un maschio, e si sa che ai maschi non piace andare in giro per negozi!
«Penso che tu mi voglia vedere morto! Ma penso anche che se ci tieni, so io dove portarti!» mi rispose con dolcezza, come un padre che vuole accontantare sua figlia.
«Grazie!! E dove hai intenzione di portarmi?» gli chiesi divorando i cornflakes
«Pure Detroit. Vende roba alla moda! É carino come negozio!»
«Okay, va bene!»
 
Dopo aver finito la colazione ed essermi messa un altra volta i soliti miei vestiti, raggiungemmo il negozio. Dalla vetrina, adocchiai già qualcosa che mi ientusiasmava, come ad esempio un favoloso paio di jeans strappati e sbiaditi a bassa vita. Erano unici, modello slim, attilati con due strappi sulle ginocchia con quattro bottoncini, senza cerniera. E avevo anche localizzato una felpa da abbinarci sopra! Bellissima, anche quella, di colore nero con la stampa di un aquila bianca al centro! E poi avevo notato un giubbotto davvero fighissimo, con il cappuccio e le maniche in tessuto felpato grigio, e con il resto in jeans. Era straodrinario! E infine avevo visto una t-shirt blu sfumato, di quelle che vanno larghe, con il disegno di uno scacciapensieri indiano bianco, sfumato di grigio sulle piume. Doveva essere mia!
Entrammo in fretta nel negozio.
«Come posso esservi utile?» ci domandò cortesemente la signorina dai capelli rossi nel negozio. Non fui timida e iniziai ad elencarle ciò che avevo adocchiato, sotto lo sguardo, stupito, quasi scioccato di Marshall, che era davvero buffo da guardare! La signorina tornò di lì a poco con tutti i capi da me richiesti e mi indicò il camerino, dove corsi per provare i vestiti. Eminem mi seguì, aspettando fuori, con la faccia un po' annoiata. Cominciai dallo strepitoso paio di jeans strappati. Li provai ed erano davvero comodissimi. E poi mi stavano bene! Uscii dal camerino e chiesi un parere al rapper.
«Come mi stanno?»
«Bene, ma...non saranno troppo strappati?»mi chiese perplesso osservando i buchi sui jeans che li rendevano cool e alla moda
«Macchè...adesso si usano così!» gli spiegai. In verità in quel momento Marshall mi sembrò un padre che non vuole vedere la propria figlia che se ne va 'svestita' per la strada.
«Sarà...e il cavallo? Non è troppo sceso?»
«Marsh, anche tu li porti così! Dai, non cominciare a trovare i difetti! Di' semplicemente: stai bene Ash!»
«Okay okay. Stai bene Ash!» ripetè poco convinto come una macchinetta. Tornai dentro lo stanzino e passai alla felpa con l'aquila. Il rapper non ebbe nulla da obiettare, se non il colore: nero.
«Non sarà troppo scura?» mi fece cercando di farmi cambiare idea.
«Nono! Il nero va di moda! E poi vedi- dissi indicando l'aquila- c'è il bianco assieme!» e anche quella andò.
Passai alla t-shirt con lo scaccia pensieri. Non era niente male! Ma anche su questa il rapper trovò l'ennesimo difettuccio: era troppo larga, sembrava un pigiama. Testuali parole.
«Marsh, questa deve andare così. Si chiama maximaglia, ci sarà un motivo! E poi anche tu vesti largo e comodo...» gli feci notare
«Ma io sono un rapper, noi andiamo vestiti così!» cercò di giustificarsi lui. Lasciai correre, tanto era a me che doveva piacere! Infine provai il giubbotto. Era stiloso, davvero figo. Uscii dal camerino, sperando che almeno questa volta il capo dicesse che l'abito mi stava bene.
«Waow! Questo ti calza a pennello! È davvero bello, stai bene!» e certo che gli piaceva, si avvicinava davvero tanto allo stile da rapper da lui sempre usato. Ma almeno questa volta mi aveva fatto un complimento senza trovare il pelo nell'uovo! Ci dirigemmo quindi alla cassa. Avevo intenzione di pagare io, con i soldi ottenuti dalla consegna. Tanto mi sarebbe persino rimasto il resto!
«E il totale ammonta a 127,65$. Paga con bancomat o cash?» chiese la signora ad Eminem, ignara che a pagare ero io.
«Cash, grazie!» risposi velocemente prima che Marshall aprisse bocca.
«Oh, quindi sei tu a pagare..» disse stupita la signorina, che accettò i soldi un po' stranita. Avevo un po' dato nell' occhio...nessun ragazzino andava per le strade di Ditroit con così tanti soldi in mano...
«Ehm...sì...perchè...mio zio Eminem mi ha regalato i soldi per il mio compleanno...è stato molto generoso.» inventai una balla perfetta sul momento, beccandomi però un'occhiataccia dal rapper, che la cassiera, fortunatamente non potè vedere perchè troppo impegnata con lo scontrino.
«Ma che bravo zio che hai! Ed è anche molto bravo con le parole...» si complimentò dapprima seriamente e poi ironicamente, alludendo alle parole colorite che Eminem usava nelle sue canzoni.
«Chi ascolta le mie canzoni di solito va oltre le parole...» si difendè lui, prendendo frettolosamente le buste e dirigendosi verso l'uscita. Presi il resto, salutai la commessa e lo seguii fuori dal negozio. Stava increpando tra sè e sè a bassa voce, per non farsi sentire, ma alle mie orecchie alcune parole arrivarono comunque.
«Hei calmati. Non conta niente il parere di quell'ignorante!»
«Non aveva il diritto di giudicarmi! Che ne sa lei di me? Che ne sa della mia vita?» sbraitò giustamente lui.
«Infatti, ha sparato solo una grandissima cavolata perchè non ti conosce, quindi non ha senso prendersela tanto! Sta' calmo ora!» cercai di tranquillizzarlo io
«Non ci riesco, quella stronza mi ha rovinato la giornata! Ma come si è permessa!?»
«Marshall!» gli gridai attirando la sua attenzione. Eminem si girò verso di me «Non sono gli altri a doverti dire chi sei. Sei tu che lo devi sapere. Tu sai che sei una brava persona anche se dici certe parole?!» gli chiesi retorica. Annuì «Bene, allora la storia finisce qui. È questo quello che conta» gli spiegai con dolcezza. Marshall si fermò. Si girò verso di me e mi guardò negli occhi.
«Grazie!» mi disse poi con espressività.
«Oh figurati. Bene, allora ora andiamo a mangiare?» gli chiesi sdrammatizzando e cambiando discorso. Sorrise per poi annuire con l'animo più leggero.
 
Eminem mi portò a mangiare in un ristorante cinese. Il cibo non fu molto di mio gradimento, in quanto non mi piaceva il pesce crudo, tuttavia riuscii a riempire il mio stomaco. Dopodichè rincasammo. Io sistemai la roba comprata nell'armadio della mia stanza mentre Marshall si andava a fare una doccia.
La roba che avevamo acquistato era davvero bella. E pensai che l'avevo ottenuta grazie a quelle innocenti consegne. Ma perchè quindi avrei dovuto smettere? Avrei potuto continuare senza drogarmi, in modo da mettere comunque da parte dei soldi! E questa fu una buona idea: avrei fatto proprio così. Proprio quando stavo sistemando lo strepitoso paio di jeans, mi squillò il cellulare.


attaccai. Avevo dieci minuti per arrivare a quel bar?! Erano davvero pochi! Perciò scesi in fretta le scale, scrissi un biglietto a Marshall che lasciai sul tavolo e corsi fuori di casa. Alla velocità della luce fui al bar in dodici minuti, tempo record se consideriamo che i due luoghi erano lontani uno dall'altro! Jake e i ragazzi mi aspettavano fuori dal bar
«Scusate..il...ritardo.» mi giustificai con il fiatone
«Non fa niente, sono solo due minuti!» mi consolò Drake, beccandosi un'occhiataccia
da Jake che ci teneva alla puntualità.
«Tanto niente non fa...comunque sia, oggi ti aspetta una consegna breve. Devi raggiungere il ristorante cinese. Accanto, sullo stesso marciappiede, troverai un portone. Devi citofonare al nome 'Philip Rancy' e dare questo pacco a lui. Oggi verrà con te Louis, non vi siete ancora conosciuti...» mi fece Jake ironicamente
«Fra quanto dobbiamo stare qui?» domandai non facendo caso alla sua ironia
«Quaranta minuti. E questa volta sii puntuale!»
Ci incamminammo a passo svelto verso il ristorante cinese che stava a si e no mezzo miglio da noi. Louis se ne stava zitto zitto, senza proferire parola. Avrei voluto fare la consegna con Drake, con il quale avevo più confidenza, ma era giusto anche conoscere Louis.
«Ehm...non mi piace stare in silenzio.Dimmi qualcosa!» lo esortai un po' imbarazzata
«Non so che dirti» il tono della sua voce non era grave, ma anzi molto giovanile. Era la classica voce da ragazzino, e nonostante la sua età, aveva ancora tutti gli aspetti di un ragazzo della mia
età...
«Dimmi per esempio che musica ascolti!» era ormai quello l'argomento che mi piaceva affrontare con chiunque conoscessi
«Rock. Mi piacciono i Red Hot Chilly Peppers...tu?»
«Rap, Eminem, mai sentito parlarne?»
«Sì, non mi è nuovo il suo nome»
Sinceramente parlare con Louis era totalmente diverso da parlare con Drake. Il primo era timido, riflessivo, silenzioso...troppo silenzioso. Il secondo invece estroverso, scherzoso, e loquace...forse persino troppo...
Arrivammo al portone accanto al ristorante. Citofonammo al tizio di nome Philip, che abitava al terzo piano, e cominciammo a salire le scale. Il palazzo sembrava lussuoso, infatti sulle scale c'era un tappeto verde antiscivolo che mi faceva sentire importante. Giunti finalmente al terzo piano, suonammo il campanello.
«Ah, non ti spaventare non appena lo vedi!» mi raccomandò Louis un secondo prima che Phil aprisse la porta. Non ebbi neanche il tempo di chiedergli di cosa mi sarei dovuta spaventare, che il tizio spalancò la porta. Rimasi allibita: Phil aveva un'enorme cicatrice che andava dal suo occhio sinistro per poi curvare e predere anche metà labbro. Era spaventosa, e sollevata dalla pelle faceva davvero impressione! Phil era un uomo sulla mezza età, calvo, dagli occhi chiari e dal pizzetto bianco neve. Ci fece accomodare nella sua ricca dimora, con quadri dalle cornici d'oro, e divani in pelle e tende di un rosso reale.
«Questa è la sua consegna...» dissi porgendogli il pacco e guardandolo negli occhi del color dell'erba delle praterie.
«Questa è la tua parte» proferì lui passandomi la busta con i soldi.
«Spero per lei siano tutti e che non manchi ni-»
«Sono tutti. Ho già imparato la lezione!» mi interruppe Phil
«In che senso scusi?» chiesi
«Jake mi ha già fatto pagare per quella volta in cui diedi meno dollari del previsto. Ora ho capito che non bisogna mai mettersi contro di lui...» mi spiegò, facendomi venire un nodo alla gola. Questo era un motivo in più per non lasciare la banda...
«Mi dispiace...non ne sapevo nulla....» mi gustificai mortificata
«Non preoccuparti, non è colpa tua!» mi tranquillizzò infiammando Louis con lo sguardo. Uscimmo dopo poco dalla casa di Phill. Al ritorno continuavo a chiedermi il motivo per cui il vecchietto avesse guardato così male Louis...decisi di chiederglielo
«Perchè Phil ti ha guardato così?»
«Così come?»
«Ti ha fulminato con lo sguardo!»
«Non me ne sono accorto...»Aveva la bocca sigillata. Avevo capito che non voleva dirmelo...o forse non poteva...
 
Finalmente arrivammo al bar, dopo quaranta minuti spaccati: erano le quattordici menoventi. Jake fu soddisfatto del lavoro e mi consegnò la mia paga: 150$.
«Sai Ash...mi è avanzata un po' della roba della scorsa canna. Basta per farne due, la compri? Ti farei un buon prezzo!» mi invogliò. In effetti un voglia di fumare ce l'avevo. Ma avevo fatto un patto con Marshall, perciò presi la quantità per una.
«Perchè solo una?» mi domandò stranito il capo
«Perchè sì...» risposi io, porgendogli il bigliettone per pagare la bustina con marjuana, tabacco e una cartina.
«Mah...tu non me la conti giusta...» fece lui, perplesso.
«Allora vuol dire che devi imparare a contare!» gli dissi di rimando, andandomene via. E questa volta avevo vinto io. In fondo dovevo vendicarmi per quella volta in cui mi umiliò dicendomi che mi sarei pippata tutta la roba. Non fumai subito, in quanto non ero troppo desiderosa di droga, ma aspettai, conservando la bustina in tasca, in modo da far aumentare il desiderio.
Mi diressi verso casa, a passo svelto e arrivai in una ventina di minuti. Non suonai, per paura che Marshall stesse dormendo, e aprii la porta con le chiavi che mi ero portata. Fui travolta da un silenzio inquietante che non mi ispirava nulla di buono. Salii in fretta le scale e iniziai a sentire dei rumori che non mi tranquillizzarono per nulla, ma che anzi mi allarmarono. Provenivano dal bagno della stanza di Eminem, ed erano rumori che somigliavano molto a quelli di uno che sta vomitando. Corsi dalla fonte del rumore, vale a dire nel bagno e vidi Marshall piegato sul water a rimettere l'anima. Non aveva affatto una bella cera. Immediatamente mi inginocchiai vicino a lui, tenendogli la testa come lui l'altra volta fece a me.
«Hei, sta' tranquillo. Adesso passa!» continuavo a ripetergli probabilmente per rassicurare più me che lui, data la situazione.
Dopo venti minuti abbondanti, il rapper smise di vomitare, poggiandosi esausto alla parete color mare del bagno. Mi alzai, prendendogli un asciugamano bagnato che gli porsi. Non aveva neanche la forza di prenderlo: la mano gli tremava. Quindi toccò a me tamponargli la faccia e pulirgli la bocca, ancora un po'sporca di succhi gastrici e chissà quant'altro. Dopodichè andai di nuovo a sedermi accanto a lui. Rimasi per qualche istante in silenzio, ad osservarlo: aveva la testa poggiata alla parete, con gli occhi alti, ma lo sguardo rivolto in basso. Le mani, poggiavano ancora tremanti sulle ginocchia, che teneva alzate quasi al petto. Era fermo, immobile. E non immaginate neanche quanto fossi disposta a dare per sapere a che cosa stava pensando in quel momento.
«Come va?» gli mormorai, rompendo bruscamente il silenzio. Marshall annuì, cercando di tranquillizzarmi, ma invece mi preoccupò ancora di più. Non lo avevo mai visto in quello stato. Era pallido, davvero molto, sembrava un cadavere, con le labbra violacee e gli occhi color ghiaccio che risaltavano.
«Vado a prepararti una camomilla...o non so...una tisana...» feci cercando di alzarmi per affrettarmi a fargli qualcosa che lo potesse far sentire meglio. Ma qualcosa mi bloccò: la mano di Eminem mi strinse il polso impedendomi di alzarmi. Non era una presa aggressiva, arrabiata, ma anzi dolce, come quando un padre prende per mano sua figlia.
«Resta qui...» mi esortò. Le sue parole non suonarono alle mie orecchie come un comando, un ordine, sebbene lo potessero sembrare.
Aveva semplicemente bisogno di me, e io c'ero, così come lui c'era stato per me.


Heiiii. E' da un po' che non pubblico, colpa delle feste...a proposito Auguriii!!. Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando!

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Capitolo 7
*** Solo un bacio ***


Rimanemmo in silenzio per almeno una trentina di minuti. Eminem pensava a chissà cosa, mentre io lo contemplavo, osservandolo nei minimi particolari, come se lo vedessi per la prima volta. E notai, o meglio ebbi la conferma, di un suo tick agli occhi dovuto, forse alla sua espressività. Ogni tanto lo vedevo mentre li chiudeva rapidamente per due volte, per poi strabuzzarli, come se le orbite uscissero fuori. Ed era davvero...unico.
«Per favore ora, mi puoi dire come stai?» gli chiesi dolcemente, sperando che almeno questa volta mi rispondesse con la voce e non con un cenno del capo.
«Bene.» si limitò a dirmi, con un filo di voce, senza muoversi neanche di un millimetro.
Ma perchè non mi diceva la verità? Perchè continuava a nascondersi dietro una maschera di orgoglio!?
«Allora se stai bene io posso andare di là...tanto sei in grado di fare tutto da solo..» gli feci mettendolo alla prova, mentre mi alzavo in piedi. Mi stavo dirigendo verso la porta, quando sentii la sua voce
«Aspetta. Vieni, qui. Ho bisogno di una mano per alzarmi» mi fece, guardandomi negli occhi con lo sguardo un po' imbarazzato. Sorrisi vittoriosa, ma senza presunzione e gli andai vicino. Gli afferrai la mano e gli dissi «Al tre ti alzi. Uno. Due. Tre» Eminem si diede la spinta a riuscì a stare in piedi. Poi lo esortai a mettere un suo braccio intorno al mio collo, in modo da raggiungere il letto. Il rapper, con un passo insicuro e traballante, camminava piano, con il peso che gravava sulle mie spalle, in senso letterale. Finalmente arrivammo al letto. Eminem vi si buttò esausto, come se avesse compiuto chissà quale fatica, e ciò mi preoccupò, in quanto Marshall era una persona forte e non debole come si stava mostrando. Mi sedetti sul letto accanto a lui.
«Hei...mi dici che cosa ti è capitato?» gli chiesi dolcemente, sperando che non facesse storie per dirmi la verità. Marshall si mise a sedere. Mi guardò con i suoi occhi chiari e penetranti, con un'espressione più che seria in volto. Poi cominciò a parlare
«Quando sono uscito dalla doccia, sono andato di sotto, poichè era squillato il telefono.  Ho risposto ed era l' ospedale in cui è ricoverato il mio amico, ricordi quello di cui ti parlai la prima volta che ci incontrammo? Quello che era stato coinvolto in una sparatoria?»
«Sì, mi accennasti qualcosa...»
«Bene, si chiama Proof, i medici mi hanno detto che è peggiorato. Ero incazzato nero, e allo stesso tempo affranto e preoccupato per lui. In quel momento avevo bisogno di te, ma poi ho letto il messaggio che mi avevi lasciato...e...»
«E? Continua!»
«Ho preso qualche pasticca di Vicodin..» ammise, con gli occhi bassi, vergognandosi di sè stesso. Mi sentii in colpa. Se avessi detto no alla chiamata di Louis, a quest'ora Marshall starebbe bene...
«Qualche? Quante con esattezza?» chiesi delusa
«Ma che ne so...saranno state una trentina...»
«Trenta pasticche?? Ma ti vuoi vedere morto? Abbiamo cominciato la riabilitazione, ti sei dimenticato? Il tuo limite era cinque maledette pasticche!!» urlai incavolata
«Erano poche, ormai non mi fanno più effetto...»
«Come sarebbe a dire?»
«Sarebbe a dire che cinque pasticche non mi fanno niente! Non sento niente quando le prendo!» Rimasi allibita...
«Marshall, hai vomitato per più di mezz'ora oggi! Guardati, sei pallido, non hai forze! Non puoi continuare così.» gli dissi con calma, questa volta.
«Non ce la faccio Ash. Io ho bisogno di quelle medicine!» mormorò
«Ce la devi fare. Da domani ti controllerò io. Domani, non devi toccare farmaci, nè droga, nè niente! Altrimenti ti lascio, tolgo le tende e me ne vado.» fui serissima. Sapevo che il ricatto andava perlopiù a mio svantaggio, visto che non sapevo dove andare a vivere, ma ero certa anche che sarei mancata molto a Marshall...
«No...rimani con me...sei l'unica che mi capisce davvero. Prometto che da domani mi impegnerò seriamente...» mi disse con una dolcezza che mi fece sciogliere il cuore. Gli andai vicino e lo abbracciai. Questa volta era come se fossi io la mamma e lui il figlio, e credo che anche lui stesse al gioco: gli piaceva ricevere affetto da me.
«Ash?»
«Sì?»
«Come mai sei uscita presto oggi pomeriggio?» mi chiese, tornando al ruolo di papà rompiscatole che a quanto potevo capire, non gli dispiaceva affatto
«Senti, ma perchè me lo chiedi ogni volta? Non ti fidi di me?» mostra strategica per non dirgli la verità....
«Mi fido di te, e te lo chiedo perchè sono taaaanto curioso!» mi fece ironico. A quanto pareva era tornato in ottima forma. Rimasi in silenzio, pensando se fosse il caso di dirglielo o no...decisi di svelargli la verità, anche perchè in fondo non ero fatta, e stavo rispettando il regolamento del nostro accordo.
«Se vuoi saperla tutta, sono andata a fare una consegna. Ma prima che tu ti arrabbi per nulla ti dico un paio di cosette: la prima è che non ho ancora fumato niente; la seconda è che ho comprato una canna, solo una.» gli precisai prima che potesse aggredirmi.
«Va bene» disse solamente. Lo guardai stranita...avevo capito bene?!
«Solo questo?»
«Sì, va bene. Sono felice che almeno tu riesca a non fare cazzate!» si complimentò con me.
Trascorremmo il pomeriggio a guardare alla tv gigante nella stanza del rapper la trilogia di "Una notte da leoni" ,che ci fece morire dal ridere. Arrivò l'ora di cena, e Marshall volle provare a scendere di sotto.
«Sicuro che te la senti?» gli chiesi
«Sì. Non posso passare la mia vita in questo letto...» rispose giocoso. Quindi, appoggiandosi a me, riuscimmo a raggiungere il salotto. "Depositai" Marshall sul divano, per poi andare a vedere nella dispensa e nel frigo se avessimo qualcosa da mangiare.
«Sai vero che va fatta la spesa?!» gli chiesi retorica, cercando anche qualche snack, data la fame
«Ehm...sì...rientra nella lista delle cose da fare...» balbettò lui imbarazzato. Non c'era ombra di cibo e noi stavamo morendo di fame
«Bene, non c'è niente da mangiare. Te la senti di rimanere da solo per un po' così vado a comprare la pizza da 'Luigi'?
«Sì, mamma. Prometto che farò il bravo!» fece lui scherzoso, facendomi ridere. «Ash, hai bisogno di soldi?» mi chiese mentre aprii la porta
«Ho i miei, non preoccuparti.» uscii di casa, dirigendomi a passo svelto da Luigi che era a tre isolati dalla casa del rapper. Arrivai in un battito di ciglia. Entrai nel calduccio della pizzeria, dall'atmosfera accogliente e italiana. La signorina dietro al bancone mi chiese cosa desiderassi, e io ordinai una pizza margherita con le patatine, che era la mia preferita sin da quando ero bambina. Attesi, sedendomi ad un tavolo. La pizzeria era vuota, non c'era ancora nessuno, probabilmente perchè erano solo le 20.30. All'improvviso nel locale entrò un ragazzo, con un cappuccio nero, che si levò dopo pochi istanti. Era Drake. Onestamente parlando provai una strana sensazione non appena capii che era lui. Mi sentii...non so...come...emozionata, felice di vederlo. Come se non ci incontrassimo da un secolo. Sentii un senso di agitazione provenire dallo stomaco, che ora era in subbuglio. Era davvero strano, non mi era mai capitato sino ad allora.
«Hei Ash!» mi salutò abbracciandomi
«Ciao Drake, come mai da queste parti?» ricambiai. Ma che domanda stupida! Cosa poteva farci in una pizzeria? E poi perchè gli feci una domanda del genere?
«Devo comprare una pizza!» rispose con un sorriso forzato. Che figura di....
«Giusto...oggi hai la serata libera?» gli domandai, non sapendo di che parlare
«Sì, il capo non aveva consegne! Me ne starò solo soletto a casa a vedere un film e a mangiarmi la pizza, che si può chiedere di più dalla vita?» fece scherzoso, facendomi sorridere. A quel punto mi venne finalmente una bella idea!
«Hei, che ne diresti di cenare insieme! Io sto a casa...ehm...di una brava persona, non gli dispiacerà se ti invito, ti va?»
«Non saprei...»
«Dai non farti pregare!» lo esortai
«Va bene, se insisti...» Tornammo a casa insieme. Io ero in uno strano stato di felicità misto ad agitazione ed eccitazione. E soprattutto speravo che a Eminem non dispiacessero degli ospiti...
Arrivammo a casa in pochissimo tempo. Prima di entrare raccomandai a Drake di non fare commenti, non appena avesse visto il mio coinquilino. Suonammo il campanello ed Eminem ci venne ad aprire.
«Ehi Marsh, abbiamo ospiti...» gli feci dolcemente, con uno sguardo da cerbiatto per comunicargli che mi dispiaceva se avevo invitato Drake senza chiederglielo.
«Oh, bene, accomodatevi...» fece con cortesia. Non pensavo esattamente a quella reazione da parte del mio idolo, ma fu meglio di quanto mi aspettassi! Drake rimase stupito del fatto che io vivevo con una celebrità, infatti fu intimidito, tanto da ritardare ad entrare. Preparai le pizze sul tavolo della sala da pranzo, con i piatti e i bicchieri. Iniziammo quindi a cenare, tutti e tre con una fame da lupi.
«Allora, Drake, come fai a conoscere Ash?» domandò Eminem al ragazzo che stava addentando la pizza. Non c'era domanda peggiore che potesse fargli, infatti lo guardai stortissimo e decisi di intervenire.
«Facciamo parte dello stesso gruppo di consegne.» risposi nel modo più semplice che conoscevo.
«Si, signor Mathers, il capo ci ha fatto svolgere la prima consegna proprio insieme» aggiunse lui, con scioltezza, perdendo a quanto capii l'imbarazzo iniziale. «E voi? Come vi siete conosciuti?» domandò tranquillo, sicuro di sè, com'era d'altronde il suo carattere. Tuttavia anche la sua domanda non fu una delle migliori. Che avrei dovuto dirgli?! Che Eminem mi aveva conosciuta strafatta mentre ero sdraiata sulla sua auto?
«Ehm...all'ultimo concerto qui a Detroit, è riuscita a raggiungermi al termine per chiedermi un autografo. Inizialmente le avevo detto di andarsene: era tardi, e io dovevo andare, ma lei fu talmente ottusa da strapparmi una dedica, e un...ehm...chiamiamolo appuntamento in un locale.» Marshall fu bravissimo a raccontare quella bugia, meglio persino di me, che di balle me ne intendevo modestamente.
«Sì, in effetti ne so qualcosa riguardo alla sua ottusagine. È una che quando si mette qualcosa in testa è difficile da levargliela. Ma è un bene che sia così...» continuò Drake, sorridendomi e guardandomi dolcemente negli occhi. Mi sentii andare a fuoco le guance. Probabilmente arrosii, dall'imbarazzo, visto che non sapevo come comportarmi. Pensai a mille cose in quel momento, ad esempio all'interesse che provavo per Drake. Era un bravo ragazzo e mi fidavo di lui, si vedeva che era un amico sincero. Ma io, continuando a pensare, non mi accorsi di continuare a guardarlo negli occhi! Distolsi subito lo sguardo. Chissà da quanto lo osservavo!
«Mlmlml che buona questa pizza!» esclamai ad un tratto in difficoltà. Ma cosa mi stava prendendo?! Stavo accumulando figure dopo figure in una sola serata, battendo il record!
«Sì, Luigi è il miglior pizzaiolo di tutta Ditroit!» confermò Drake, mettendomi a mio agio.
La serata trascorse veloce. Drake andò via intorno alle undici, dopo una lunga chiacchierata con me ed Eminem circa i tatuaggi. Scoprii persino che Drake ne aveva uno, piccolissimo, sul polso che raffigurava uno scorpione, animale per lui fortunato.
«Allora...ci sentiamo...» feci io sull'uscio della porta. In verità non volevo che se ne andasse...eravamo stati così bene insieme
«Sì...grazie della serata, mi sono divertito.»
«Ne sono felice...sai, anche io voglio farmi un tatuaggio» lo informai, per guadagnare qualche minuto con lui
«Ah sì? E in quale parte del corpo?»
«Mah non so...tu che mi consigli?»
«Io credo sul polso» disse prendendomi per mano «Oppure...qui dietro» mormorò mettendo una mano sulla mia nuca. «Basta Ash...non ce la faccio più...» mi sussurrò all'improvviso, avvicinandosi piano a me, mentre mi spingeva la nuca delicatamente con la sua mano. Fu un momento. Solo un breve, dolce momento perfetto. Le nostre labbra furono vicine, vicinissime e poi si toccarono, prima sfiorandosi, poi con un contatto sempre più sentito. In quel momento capii di volerlo, non più come semplice amico, ma come mio ragazzo. 


Buonasera!!! Se prima è toccato ad Ash ammalarsi ora toccherà a Marshall xD. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Ho voluto aggiungere un pizzico di amore per rendere la storia meno pesante, che ne dite?

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Capitolo 8
*** Addio... ***


Ci staccammo lentamente. Ci guardammo per qualche secondo con uno sguardo da innamorati.
«Ci vediamo domani!» gli feci io congedandolo con dolcezza. Mi diede un altro bacio sulla guancia e se ne andò. Chiusi la porta, poggiandomici sopra con le spalle. Assorta com'ero tra i miei pensieri zuccherosi, non mi accorso che Eminem, che aveva in parte assistito alla scena del bacio, mi guardava con uno sguardo malupino, ammiccando di tanto in tanto l'occhio destro, come a dirmi 'Eh, vi siete messi insieme!' Arrossii, anche se in reltà non aveva aperto bocca.
«Siamo solo amici...amici stretti!» mi giustificai io, cominciando a sparecchiare la cucina.
«Io non ho fiatato...» disse Marshall, alzando le mani in segno di innocenza. Ma con quello sguardo malizioso si intuiva tutto. «Ash, guarda che è un bravo ragazzo, è bello che vi siate messi insieme!» mi disse poi, seriamente. E in quel momento non fui al settimo cielo, ma al diciassetesimo cielo!! Ero contenta che Drake piacesse a Marshall, così lo avrei potuto invitare a casa più volte!
«Grazie di averlo invitato qui e di avermi coperto alla sua domanda...ti devo un
favore..» gli feci mielosa avvicinandomi a lui per abbracciarlo. Lo strinsi forte forte forte e lui ricambiò sussurandomi «Grazie a te per avermi fatto sentire meglio oggi!»
«Ma io non ho fatto niente. Sei tu che sei guarito...»
«Non è vero, e lo sai. E poi quando una persona ti fa un complimento devi rispondere semplicemente grazie!»
«Okok...grazie!»
Andammo a dormire dopo poco. Io ero adrenalinica, eccitatissima e non riuscivo a dormire. Avevo in testa Drake. Lui, il suo sorriso, il suo sguardo, il nostro appasionato bacio. Quel momento in particolare fu quello migliore della serata. Finalmente lui aveva trovato il coraggio di dichiararsi e io avevo capito di amarlo. Sin dal primo momento in cui lo vidi mi incuriosì la sua persona. C'era affinità tra noi due, nonostante il fatto che all'inizio, lui odiava Eminem. È vero, ci conoscevamo da poco, ma c'era qualcosa che ci faceva attrarre, come due calamite: la nostra differenza di carattere. Io ero tosta, ottusa, ma a volte anche scherzosa e dolce, e lui invece rilassato, astuto, con un animo gentile. Insomma eravamo diversi. Ma è ormai risaputo che le differenze arricchiscono una coppia. Sì perchè noi ormai eravamo questo: una coppia di ragazzi che si amavano. Ed io ero davvero emozionata all'idea di stare insieme ad un ragazzo sincero come Drake! Provai a chiudere gli occhi, ma il sonno non mi veniva a trovare. Ero stanca di pensare e mi venne in mente che io avevo ancora una canna da fumare. La voglia, in verità, era contenuta. Non desideravo ardentemente fumare, e sinceramente ne fui un po' stranita. Probabilmente non avevo così tanta voglia perchè non ero arrabbiata o nervosa. Tuttavia avevo bisogno di qualcosa che mi facesse prendere sonno, che mi facesse tranquillizzare, e cosa meglio dell'erba avrebbe potuto farmi questo effetto? Perciò accesi la luce del comodino e presi, in silenzio, la bustina con la marjuana il tabacco e la cartina. Preparai la canna, l'accesi, e mi affacciai alla finestra della mia stanza per fumarmela. La prima tirata fu meglio di quanto mi ricordassi. Si sentiva il sapore forte e penetrante del tabacco addolcito e accompagnato dall'erba. Era da parecchio che non toccavo droga, almeno da una trentina di ore, il che significava che stavo facendo progressi. Ma fumare quella canna dopo così tanto tempo fu un premio, una ricompensa più che adeguata. La finii in men che non si dica, ritrovandomi più calma e tranquilla, pronta per dormire. Ma proprio quando stavo per coricarmi nel mio lettino, sentii dei rumori provenienti dal piano di sotto. Insospettita dal pensiero che fosse un ladro, mi affacciai al piano di sotto, scendendo silenziosamente e cautamente le scale. Sentivo dei passi, provenienti dalla cucina. Andai verso la stanza e per fortuna notai che non era un ladro.
«Marhsall, sono le due e un quarto, non dovresti essere a letto?» feci con la voce impastata, a causa dello sballo provocatomi dalla canna.
«Anche tu dovresti dormire a quest'ora...ma cos'è questo odore?» fece annusando l'aria...e menomale che avevo fumato fuori dalla finestra....
«Non cambiare discorso. Come mai sei già in piedi?» domandai aggirando la sua domanda.
«Ho dormito un paio d'ore e mi è passato il sonno» mi rispose. Waow, erano già trascorse due ore da quando eravamo andati a coricarci!
«Come fai ad esserti riposato in sole due ore?» domandai scettica
«Non lo so.» rispose semplicemente, prendendo delle patatine dallo scaffale e andandosi a piazzare sul divano davanti alla tv, nel salotto. Lo seguii, mettendomi vicina a lui...c'era qualcosa che non andava...Marshall era diverso...
«Comunque non mi hai ancora risposto. Cos'è questo odore?» domandò insistente accendendo la tv.
«Ho fumato la mia canna giornaliera...» risposi dicendo la verità. Tanto non avevo fatto niente di male, quella canna mi spettava in fondo.
«Ah ok...» tutto qui? Ah Ok? Prima mi fa un caziatone sul fatto di non fumare droga perchè avrei potuto morire e ora mi diceva semplicemente Ok?
«Marshall, cos'hai che non va?» gli chiesi diretta, mentre lui noncurante zippava tra i canali.
«Niente, va tutto bene» rispose. Stava mentendo e lo si capiva benissimo dal suo tono di voce, troppo calmo e rilassato, e dai suoi occhi, preoccupati e forse persino un po' arrabbiati. Mentre continuava a cambiare canale, fu attirato da quello della musica, il canale MTV music. Stavano dando una canzone cantata dal suo amico Proof, Anywhere. Ci fu un momento di silenzio, in cui nessuno dei due proferì parola. Io perchè sapevo che non dovevo parlare in quell'istante, Marshall perchè probabilmente stava pensando al suo amico. La canzone terminò. Ciò che accadde un secondo dopo fu davvero impressionante. Marshall incazzatissimo lanciò il telecomando contro la tv, come se fosse una palla da baseball, urlando e imprecando con aggressività. Lo schermo del televisore si frantumò, facendo cadere a terra tanti pezzetti di vetro. E io, invece, osservavo la situazione con dispiacere e anche dolore, perchè non volevo vedere Marshall soffrire. Il rapper si sedette di nuovo sul divano, espirando ed inspirando rumorosamente, per cercare di calmarsi, con le mani incrociate, il busto sporto in avanti e con la testa bassa. Gli misi una mano sulla schiena, accarezzandogliela dolcemente, per dargli sicurezza. Inizialmente non sapevo se chiedergli qualcosa o meno, per paura di una sua reazione, ma poi decisi di fare quello che più mi sentivo. Infondo era un mio amico, ed era mio dovere chiedergli cosa fosse successo.
«Hei...mi stai facendo preoccupare. Cosa è successo?» gli mormorai con un filo di voce, titubante, ma ostinata a voler capire l'accaduto. Marshall alzò la testa e mi guardò negli occhi. I suoi erano lucidi, e mortificati. I miei pieni di compassione e voglia di aiutarlo.
«Ho sognato che Proof moriva. I dottori tentavano di rianimarlo con il defibrillatore elettrico, ma lui non si svegliava. Il suo corpo saltava ad ogni scarica, ma dopo ogni scossa rimaneva immobile e privo di vita» mi raccontò con la voce tremante. Mi alzai subito dal divano e lo abbracciai con quanto più calore avessi. E mentre lo stringevo le sentii piangere. Stava cercando di trattenersi, perchè troppo orgoglioso per cedere davanti a me. Ma alla fine non ce la fece più. E mi strinse, forte, come un bambino stringe il suo orsacchiotto quando ha paura del buio.
«Sta' tranquillo, era solo un sogno. Proof si riprenderà, vedrai..» cercai di rassicurarlo, io. Ci staccammo. Marshall strinse i denti, cercando di trattenere le lacrime che erano sul punto di scendere.
«Vado...un attimo in bagno..» mormorò schiarendosi la voce. Annuii. Marshall salì lento le scale, raggiungendo il bagno e chiudendo la porta. Lo seguii silenziosamente, piazzandomi dietro la porta poggiandomi con l'orecchio su di essa, per tentare di sentire che cosa stesse facendo il rapper. Sentii dei rumori dell'acqua che scorreva, perciò ipotizzai che si stesse lavando la faccia, o qualcosa di simile. Poi il rumore smise. Aveva chiuso il rubinetto. Sentii , succesivaente, dei rumori strani...simili a quando shekero la scatoletta dei tick tack. Ne fui sopresa. All'inizio rimasi confusa..poi ragionai in fretta e capii che quelli non erano tick tack, ma la sua droga. Intervenni subito, aprendo la porta all'improvviso e cogliendo Marshall con le mani nel sacco. Il rapper aveva nella mano destra un tubetto di Valium e nella sinistra mezza dozzina di pilloline.
«Non farlo. Ricordi l'accordo?» gli dissi avvicinandomi a lui. Marshall mi guardò stupito, e anche arrabbiato, perchè gli stavo impedendo di collassare.
«Ash, ti prego, vattene, ne ho bisogno.» mi disse severamente, facendolo risuonare come un ordine che mi diede un gran fastidio.
«Senti. Ricordi il patto? Prova ad ingoiare anche una sola di quelle pillole e preparo le mie valige. Non sto scherzando.» lo minacciai con serietà
«Ma fa un po' come cazzo vuoi....» mi rispose menefreghista, ingoiando tutte le pillole che aveva nella mano e facendo il medesimo gesto per altre due o tre volte. Ne fui davvero mortificata. Dopo tutto ciò che avevamo passato, dopo tutto ciò che ci eravmo detti, lui preferiva la droga a me. Senza proferire parola, andai nella mia stanza, svuotai l'armadio e misi tutta la mia roba nel mio zaino. Presi tutto frettolosamente e senza salutare uscii dalla porta di casa Mathers, sbattendo rumorosamente la porta. Il rapper non aveva neanche provato a fermarmi, e ciò mi fece rimanere male. L'amicizia che avevamo costruito era una grandissima fregatura! E io avevo il cuore spezzato. Non potevo crederci! Mi veniva da piangere, ma trattenni le lacrime: non era stata colpa mia, stavolta
 
Mi allontanai a passo svelto dalla casa del mio ex idolo. Erano le tre e mezza del mattino e io non sapevo dove andare. Chiamai Drake.
"Ehi, possiamo vederci?"
"Ash...sono le tre e mezza" rispose con la voce assonnata
"Scusami, ma è successo un casino..." gli dissi con la voce tremante che ahimè non riuscii a mutare
"Ash va tutto bene? "
"No, per niente" risposi incazzata, mentre cominciavo a lacrimare perchè ero stufa di tenere tutto dentro. Ed ero arrabbiata di non poter cambiare la situazione!
"Dove sei? Ti raggiungo..."
"Da Luigi..."risposi
"Rimani lì, due minuti e sono da te. Non muoverti> Agganciai, dando libero sfogo a tutte le mie lacrime che premevano di uscire. Non era possibile. Più continuavo a pensare alla situazione, più non riuscivo a crederci. Io volevo solo salvarlo, farlo guarire, che diritto aveva di trattarmi così? Volevo solo il suo bene. Che colpa avevo se volevo evitargli la sua morte? Drake arrivò dopo cinque minuti. Mi vide con la faccia arrossata e con le lacrime che continuavano a bagnarmi il viso e non ci pensò due volte ad abbracciarmi. Ma nel suo abbraccio non mi fece sentire meglio, purtroppo.
«Piccola, che è successo?» mi chiese, accarezzandomi la testa con amore. Ma io ero sconvolta e non riuscivo a parlare, e per di più continuavo a piangere a dirotto!
 
Drake mi portò a casa sua, un monolocale a due isolati da Luigi. Pur essendo piccolo come appartamento, aveva un bagno, una stanza da letto e persino una cucina. Le pareti erano arricchite da dei disegni, presumibilmente i suoi, che rendevano l'aria più accogliente.
«Ehm...scusa il disordine...vuoi qualcosa da bere?» mi domandò mentre io spaesata continuavo a guardarmi intorno.
«No, grazie...sto apposto così» risposi. Drake mi fece accomodare sul suo letto, lui di fronte a me.
«Ora mi racconti cosa ti è successo?» mi domandò preoccupato stringendomi la mano
«Me ne sono andata da casa di Marshall.» risposi con un tono di voce più neutrale possibile
«Cosa? E perchè?» mi chiese stupito
«Perchè ha fatto lo stronzo...»
«Sempre così...voi ragazze dite sempre che noi ragazzi siamo stronzi, è come se aveste pronta sempre la stessa parola per noi!» cercò di sdrammatizzare, ma questa non era la situazione adatta.
«Avevamo fatto un accordo. Dovevamo entrambi stare lontani dalla droga. Solo che lui nell'ultimo periodo stava abusando di Valium e Vicodin. Gli avevo detto che se me avesse preso ancora me ne sarei andata e lui se n'è altamente fregato. Ed ora eccomi qui.» dissi tutto d'un fiato, questa volta però con la rabbia addosso e non con le lacrime.
«Oh, scusa...non lo sapevo. Però adesso calmati.» cercò di tranquillizzarmi lui, con scarsi risultati.
«Come faccio a calmarmi?» esclamai scattando in piedi «Mi ha dimostrato che le medicine valgono più della nostra amicizia!»
«Ma che te ne frega!? Ormai è andata, se ti arrabbi non cambierai la situazione!» mi spiegò logicamente lui. «Dai, adesso basta parlare di Eminem...» mi disse alzandosi e venendomi vicino. «Parliamo di noi...» fece scoccandomi più baci a distanza di un secondo. In fondo eravamo una bella coppia. Drake riusciva a capirmi, a tirarmi su di morale. Era il ragazzo giusto per me!
 
Trascorremmo la mattinata a farci coccole e a parlare di come sarebbe stata la nostra perfetta storia d'amore. Nel pomeriggio inoltrato, intorno alle sette, Jake chiamò il mio ragazzo, dicendogli di chiamarmi e di dirmi che anche oggi ci sarebbe stata una consegna.
«Dal tono del capo, oggi c'è da lavorare duro...» ipotizzò Drake
«Meglio così. A che ora ci dobbiamo incontrare?» gli chiesi
«Mezzanotte, davanti al solito pub»
«Perfetto.. Amore, posso andare a farmi una doccia?» gli chiesi, avendo voglia di rinfrescarmi
«Sicuro, però non tardare: mi mancheresti troppo...» rispose lui zuccheroso. Una doccia era quello che mi serviva. Mi avrebbe aiutato a calmarmi e magari anche a dimenticarmi di Eminem.
DRAKE POV---Amavo davvero tanto Ashley, era la mia anima gemella. Mi capiva perfettamente, anche quando non parlavo. Sin dal primo momento in cui ci conoscemmo capii che c'era qualcosa tra di noi che andava ben oltre la nostra amicizia! Mentre rifacevo il letto, mi squillò il cellulare. Il numero era sconosciuto e risposi con aria un po' stranita
"Pronto?"
"Ciao Drake, ho bisogno di una consegna oggi. Ci vediamo a l'una puntuale davanti al supermercato "Superfood" a 8 mile. Ho bisono di un mix tra Valium, Vicodin. Parlane con il tuo capo, saprà cosa fare. Voglio 135 grammi non uno di più non uno di meno." quella voce, quella parlantina veloce...aveva un non so che di familiare...
"Scusi ma posso sapere con chi sto parlando?" gli chiesi spiazzato dall'ordine
"Non mi hai riconosciuto? Sono Marshall. Ti ripeto di essere puntuale. E non far sapere niente ad Ashley!"
chiesi, stupito
mi minacciò lui, agganciando senza neanche salutare. Ero sconvolto, il rapper aveva utilizzato un tono di voce chiaro, severo e minaccioso che mi fece accattonare la pelle. Chiamai subito Jake, in modo da informarlo dell'altra consegna e in modo da fargli preparare la roba per il rapper. Feci tutto di fretta, e in silenzio per non fare sentire niente ad Ashley. Avevo intenzione di non dirglielo, non tanto per le minacce di Eminem, quanto per il fatto che stava soffrendo, e non volevo peggiorare la situazione.---
 
Uscii dalla doccia più rilassata e più calma di prima. Ero stata un bel po', sinceramente, il tempo di smaltire la rabbia e il nervosismo che stavo trattenendo in me. Tornai da Drake, che se ne stava sul letto, ad osservare il suo cellulare con uno sguardo perso e poco attento.
«Hei, tesoro, tutto bene?» gli chiesi, un po' preoccupata. Drake parve incantato, e non mi rispose subitissimo.
«Ehm? Sì, sì...perchè?»
«No niente, mi sembravi sovrappensiero, c'è qualcosa che non va?»
«No, amore, tutto okay, tranquilla» mi rispose per rassicurarmi. Eppure nei sui occhi c'era qualcosa che non andava, qualcosa che non quadrava, qualcosa che probabilmente voleva nascondermi.
Finalmente arrivò l'orario da me tanto atteso. Io e Drake ci recammo al solito pub, dove ci incontrammo con Jake e Louis. Contrariamente a ciò che io e Drake avevamo pensato, Jake mi assegnò una sola consegna, al vecchietto simpatico dell'altra volta, Phil. Solo che questa volta avrei dovuto svolgere la consegna da sola, sia senza il mio ragazzo, sia senza Louis, a causa di un motivo a me sconosciuto. Iniziai ad incamminarmi a passo svelto: avevo solo un'oretta e sinceramente non sapevo se ce l' avrei fatta. Durante il tragitto non facevo che pensare ad Eminem, a come si fosse comportato con me. Era stato meschino e bugiardo, e mi aveva fregato alla grande. Mi ero fidata di lui, convinta del fatto che fosse una persona per bene, affidabile. Ma ancora una volta mi sbagliavo. Però, nonostante mi avesse fatto soffrire, mi mancava, ero stata bene con lui, mi aveva capito realmente per quella che ero, e lo aveva fatto con una semplicità indescrivibile. Non era una di quelle persone che esprimevano pregiudizi infondati basandosi semplicemente su una cosidetta 'occhiata', era un tipo che leggeva la vera persona che eri nei tuoi occhi. E questo era un dono, una capacità posseduta da pochi. Arrivai a casa di Phil prima di quanto mi aspettassi. Era un piacere tornare da quel ricco nonnino che l'altra volta mi fece una così bella impressione. Suonai il campanello e mi aprì, questa volta con una vestaglia rosso fuoco e un calice di vino rigorosamente rosso in mano.
«Ma prego, signorina Ashley, si accomodi!» mi accolse il cliente
«Buonasera Phil. Ho qui la sua consegna...» lo informai, agitando il pacco come al solito giallo che conteneva droga.
«Sì, in verità sei in anticipo, Jake mi aveva detto che saresti venuta intorno a l'una, ma fa niente, va bene comunque. Posso offrirti qualcosa o vai di fretta?» mi chiese con fare da gentlemen anni '30.
«Non vado di fretta, sono in anticipo sulla mia tabella di marcia...» precisai
«Benissimo, allora mi concedi il piacere di farti assaggiare un dolce di mia invenzione?» mi domandò sempre con quel suo fare elegante
«Ma certo, con piacere» Phil andò in una stanza, tornando dopo qualche minuto, con un piatto in vetro trasparente, con delle gocce esterne, che davano l'illusione che fosse bagnato. Dentro questo piatto vi era un triangolino marrone, di torta al cioccolato. Aveva la glassa rosso fuoco, poi uno strato sempre rosso di pandispagna posto tra due strati scuri al cioccolato. Il tutto era abbellito da della glassa bianca, credo al cioccolato al latte, spruzzata artisticamente sulla glassa. Phil mi porse il piatto, facendomi accomodare su una sedia comodissima che mi faceva sentire importante, visto il colore rosso e il tessuto di velluto. Il cuoco si sedette di fronte a me, osservandomi, in attesa che io assaggiassi la sua opera. Con la forchettina tagliai un pezzettino, lo portai alla bocca e assaporai. Cavolo, il gusto era sublime. La glassa rossa era alla fragola, da me amata, e lo strato rosso sapeva di whiskey...una vera delizia, per non parlare poi della leggerezza e del gusto vellutato degli strati al cioccolato. Ero in estasi, e senza neanche una minima dose!
«Phil! Ma è buonissima!» dissi ingoiando il boccone e prendendone subito un altro. Il vecchietto sorrise soddisfatto e orgoglioso del suo capolavoro.
«Sono felice che ti piaccia...»
«Puoi dirlo forte, ma dove hai imparato?»
«Tutto è iniziato grazie alla mia cara ma defunta moglie. Prima che morisse era lei che preparava sempre i pasti più buoni in assoluto. Mi viziava e mi amava, così come io amavo lei. Eravamo una bella coppia, e il nostro amore era destinato a durare per sempre se non fosse stato per un tumore maligno che lei faceva crescere dentro di sè. Io non ne sapevo niente perchè lei mi tenne all'oscuro di tutto all'inizio. Poi quando i segni del tumore iniziavano a manifestarsi me ne parlò. Iniziarono così i cicli interminabili di chemio e le sedute mediche settimanali. Fu un periodo davvero duro, e sebbene io cercassi di starle vicino, lei mi respingeva, mi teneva distante da lei. Una sera mi ricordo che ci fu una discussione, un litigio davvero serio, sulla decisione di continuare la chemio nella speranza che il tumore regredisse, o se interromperla definitivamente. Io naturalmente volevo il bene per lei, desideravo che guarisse, ma lei voleva farla finita. Io non la capivo, e per non peggiorare la situazione decisi di uscire per schiarirmi le idee. Ricordo che fuori faceva davvero freddo, era pieno inverno. Al mio ritorno, appena misi piede in casa, fui travolto da una strana e macabra sensazione di silenzio. Andai di sopra per cambiarmi e vidi mia moglie distesa sul letto, con un pacchetto di medicine vuoto che pendeva dalla sua mano. Si uccise il 17 gennaio del '97. Fu dura attraversare il lutto, soprattutto perchè io mi sentivo e mi sento tutt'ora colpevole. E poi sento ancora della rabbia in me! Non ebbi neanche l'occasione di dirle un'ultima volta 'Ti amo'. Ci lasciammo con un litigio! Qualche anno fa, mettendo ordine nei cassetti, trovai una lettera di mia moglie. C'era scritto che avrei dovuto andare avanti nonostante tutto e cominciare una nuova vita. Concludeva con un 'Ti amo'...» Phil era commosso. Il suo racconto si stava dimostrando davvero romantico... «Fui felicissimo di leggere le sue parole! E come se questo non potesse bastare, dietro il foglio c'era scritta la ricetta del tiramisù. Da quel giorno iniziai a dedicarmi alla cucina, e pian piano ho imparato a creare dei capolavori come quello che hai appena finito» concluse il nonnetto con il sorriso sulle labbra.
«Waow, è una storia bellissima! Ma se lei non ti avesse scritto quella lettera tu e lei sareste rimasti a lite?» domandai, pensando a ciò che era accaduto con Eminem.
«Sì, e credimi, non c'è cosa peggiore di non chiarirsi con una persona, soprattutto quando c'è di mezzo l'orgoglio. Porta solo a pentimenti...» mi spiegò sapientemente.
«Immagino...beh Phil, si è fatto tardi. È stato davvero un piacere trascorrere del tempo con lei! Adesso devo proprio andare...»
«Sì, capisco. Anche per me è stato un piacere. Qualche volta se ti va, passa a trovarmi, a noi vecchietti piace avere la compagnia dei giovani!» mi raccomandò ridendo simpaticamente. Uscii dal nobile appartamento, dirigendomi verso il pub. Grazie al discorso di Phil avevo capito: avrei dovuto fare pace con Marshall. Non potevo lasciarlo da solo, e al diavolo il nostro patto, lui aveva bisogno di me. Dovevo aiutarlo!
 
Buondì! Allora notizia importante: rileggendo tutti i capitoli ho trovato in quasi tutti una parte tra virgolette che mancava. Ho corretto a tutte, per fortuna. Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate! ;) Buon 2016!

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Capitolo 9
*** Brutte notizie... ***


Corsi di fretta verso il pub, facendo solo cinque minuti di ritardo. Salutai Louis e Jake, al quale diedi la busta con i soldi. Mi scusai per il ritardo, ma Jake non ci fece molto caso. Aveva lo sguardo soddisfatto, e desideroso di non so cosa.
«Perchè non sei arrabbiato?» domandai stranita
«Perchè oggi non ne ho il motivo. Sto per concludere uno degli affari più importanti della mia vita» mi raccontò arzillo e pimpante, dandomi la mia parte di soldi e offrendomi da fumare. Rifiutai, non ne avevo bisogno. Non ne avevo voglia...
«E quale sarebbe questo affare?» chiesi curiosa, riponendo i soldi in tasca
«Drake ha avuto la chiamata di un rapper famoso che gli ha chiesto un mix di medicine, in cambio di una cospiqua somma di denaro. Il mio socio ha accettato e io ho preparato il mix che Drake è andato a consegnare mezz'ora fa...adesso che ci penso dovrebbe già essere di ritorno...» Non mi risultava che Drake avesse ricevuto una chiamata...ma poi quale rapper? Cercai di ragionare e di collegare i fatti. Merda! Ecco cosa mi stava nascondendo Drake. E forse...quel rapper....era...Marshall!
Mentre giunsi alla fatale conclusione, Drake ci raggiunse con una busta piena di soldi in mano.
«Concluso l'affare?» chiese Jake entusiasta. Il mio ragazzo annuì, sconsolato e amareggiato. Si avvicinò a me e mi guardò negli occhi, come se avesse già intuito che io sapevo la verità.
«Era Marshall?» chiesi con la voce tremante e con la speranza che la risposta fosse negativa. Drake annuì di nuovo, mortificato, e mi ripetè più volte scusa, per avermi nascosto una bugia così grande.
«Perdonarti?! Come faccio a perdonarti!? Sapevi della sua dipendenza e cosa hai fatto?! Gli hai consegnato della droga, solo per soldi e non dicendomi per giunta niente!!? Ti giuro che se Marshall sta male...» in quel momento cominciai a piangere. Ero arrabbiata, preoccupata che il rapper avesse commesso qualche cazzata. E io me lo sentivo che aveva combinato qualcosa. Non riuscii a finire neanche la minaccia, che corsi verso casa di Marshall. Corsi veloce, fregandomene della stanchezza, del fiatone, e del freddo. Dovevo correre da lui.
MEZZ'ORA PRIMA
EMINEM POV-- Non vedevo l'ora che Drake arrivasse con la roba. Avevo una fottutissima rabbia addosso che provai solo quando Kim mi tradì. Proof, il mio migliore amico, il mio fratello minore era morto. Era andato. Caput. Fine. Non l'avrei più rivisto per l'eternità. E questa cosa mi faceva rabbia: perchè aveva deciso di lasciarmi? Perchè era stato coinvolto in quella sparatoria del cazzo?! E perchè non aveva lottato? Era un ragazzo forte, che non si arrendeva di fronte a nulla, che non aveva paura di nessuno. Eravamo amici da almeno vent'anni, da quando eravamo adolescenti. Lo avevo conosciuto in un locale, mentre conduceva una rap battle. Da subito avevo capito che avesse un carattere forte, di natura pacifica, ma che se fatto arrabbiare avrebbe mostrato i denti come un leone. Fu la prima persona che credette in me, non appena ci conoscemmo. Disse che ci sapevo fare con le rime e che avrei avuto successo. Fu anche quello che mi accettò nella band D12, e che litigò con i suoi amici pur di farmi entrare. Ricordo ancora che Tizio Caio e Sempronio non volevano un bianco nel loro gruppo. Mi giudicarono un "Frocio color latte che tantava di fare rap". Ma Proof invece, sapeva che con le mie rime saremmo potuti andare lontano. E minacciò la band di andarsene se non fossi entrato a farne parte. Solo allora feci parte dei D12. In preda ai ricordi che mi facevano il cuore a pezzi e mi incutevano rabbia e depressione, richiamai Drake, mettendogli fretta. A mezzanotte e due finalmente il ragazzo arrivò, porto un sacchetto, gli diedi i soldi e ci lasciammo. Salii immediatamente in macchina e iniziai a farmi. La polverina colorata di mille colori, tante quante erano le pillole che prendevo scendava giù per la gola che era una bellezza. E finalmente la sentii arrivare al cervello, e calmarmi un po'. Me la finii tutta, sententomi più tranquillo, meno agitato, insomma un tipo tutto scialla. Arrivai a casa in un secondo, poichè decisi di provare qualche brivido in più, accelerando. Ma mi accorsi che non riuscivo a tenere il manubrio fermo e che la macchina ogni tanto sbandava. Ma chi se ne frega, l'importante era che arrivai a casa sano e salvo no?! Scesi dal'auto e barcollando verso la porta, iniziai a sentirmi un malore interno, all'altezza dell'addome. E poi iniziai ad avere l'affanno e a sentire i battiti più accelerati, fino a che vidi intorno a me tutto appannato e poi il buio più totale, il nulla.---
Sebbene la casa sembrasse irraggiungibile, riuscii finalmente ad arrivare. La porta era socchiusa e ciò mi spaventò. Aprii piano pregando in tutte le lingue che Marshall stesse bene. Ma appena spalancata la porta vidi il suo corpo a terra, a faccia in giù, con una busta da più di cinquanta grammi vuota. Mi inginocchiai da lui, girandolo e cercando di rianimarlo con qualche schiafetto, ma sembrava non volersi svegliare. Controllai il respiro. Era flebile, un soffio appena accennato. E lui non si muoveva, rimaneva a terra con un colore pallidissimo in volto, con le labbra disidratate e con il cuore che pulsava irregolabilmente sempre in maniera più debole. Chiamai subito l'ambulanza, dicendo di muoversi, di fare in fretta. Ma l'ambulanza non arrivava e io ero in preda al panico e continuavo a piangere e ad accarezzare il volto di Marshall nella speranza che con un mio tocco si riprendesse e iniziasse a consolarmi, a rassicurarmi come lui sapeva fare. Ma non fu così. E quando l'abulanza arrivò mise il corpo del rapper su una barella, portandolo dentro il veicolo. Entrai anche io, spaventata e traumatizzata. Sull'ambulanza gli attaccarono una mascherina collegata ad una specie di pompa. I paramedici mi diedero il compito di pompare ossigeno, mentre loro frattanto strappavano la sua felpa per attaccare al suo cuore una macchina che gli misurava il battico cardiaco. Era lentissimo. Il rumore che di solito era normalmente veloce, veniva ripetuto ogni quattro o cinque secondi. I medici erano preoccupati e io ero disperata. Avevo paura di perderlo! Finalmente arrivammo in ospedale. Marhall fu trasportato su una barella in una sala a cui a me era vietato l'accesso. Suppongo fosse la sala operatoria, ma non ne ero certissima, non ero esperta di quelle cose...
I medici mi dissero di aspettare nella sala di attesa, gremita di persone che, avendo visto il rapper sulla barella, si erano accalcate intorno a me per capire la situazione. Non facevano che parlare, farmi domande. E io ero confusa, spaventata e volevo solo sapere che Marshall stesse bene! Uscii dalla folla, senza rispondere a nessuno e corsi verso l'ascensore. Lo bloccai e rimasi lì per un po' nel silenzio. Mi accasciai a terra, rannicchiandomi su me stessa e sfogandomi, piangendo come mai avevo fatto in vita mia, neanche alla morte di mia madre! Non mi sembrava vero di ritrovarmi in quella situazione,
Mi ci vollero più e più minuti per ricompormi. Non dico di aver smesso di piangere: mi era impossibile, ma almeno mi ero un po' calmata. Tornai nella sala d'attesa, le persone quando mi videro mi circondarono ponendomi le stesse domande di prima.
«Sentite, Eminem sta poco bene, se volete davvero essergli vicino, sperate per lui, chi è credente preghi, chi non lo è ascolti le sue canzoni, e chi non è suo fan da persona umana speri che non muoia!» dissi semplicemente, parlando una sola volta in modo chiaro. Gli altri si ammutolirono e tornarono ai loro posti. Io invece andai a sedermi in un luogo solitario, appartato, il più vicino possibile alla sala operazioni.
Il tempo non passava mai. Nella mia testa si affolavano vari pensieri, alcuni anche davvero macabri: e se non ce l'avesse fatta? Non riuscivo neanche a pensarci. Ero incapace di immaginare la mia vita senza il mio idolo, colui che mi era stato accanto in ogni singolo momento difficile della mia esistenza. Avevo finanche realizzato il sogno di conoscerlo, scoprendo quale meravigliosa persona lui fosse. E non potevo minimamente progettare la mia esistenza senza di lui. Tutte le cose negative che avevo detto su di lui quando ero arrabbiata non le pensavo in realtà. E giurai a me stessa che se si fosse svegliato, avrei dimenticato quello stupidissimo litigio.
 
Erano le cinque di mattina. Io non avevo chiuso occhio, e non mi ero mossa neanche di un millimetro dalla sedia su cui ero seduta dalla sera precedente. L'ospedale si era svuotato, ed era illuminato dalle prime luci dell'alba. Ero distrutta. Non dormivo da ore, e non facevo che piangere, lacrimare. Avevo il viso ormai tutto rovinato! Ma non riuscivo a farne a meno, in quel momento non riuscivo ad essere forte: la mia forza e il mio coraggio provenivano da Eminem e se la mia fonte stava male, io ero debole. Provai a chiudere gli occhi e a poggiarmi con la testa sul muro. Improvvisamente sentii una voce femminile...aprii piano piano gli occhi e vidi davanti a me una ragazza, giovane dall'aria simpatica, con capelli scuri raccolti in una coda, e con gli occhi chiari.
«Ciao, mi chiamo Tamara, ho visto che sei arrivata qui con l'ambulanza di Eminem. Come ti chiami? Sei qui da ieri sera, perchè non vai a casa a riposarti?» mi parlò dolcemente e con calma, in modo che io capissi. Ci misi un po' a rispondere, sia per cercare di formulare una frase sensata, sia perchè il mio cervello non riusciva a ragionare, aveva sonno, ma non voleva dormire...sì, il mio cervello era stupido...
«Sono Ashley. Non sono stanca. Hai saputo qualcosa di Eminem?» le chiesi diretta, andando subito al sodo. Mi guardò con una certa pena, misto ad un certo bagliore, identico a quello che io avevo per Marshall. Era ammirazione.
«Ti fa onore stare qui, a fianco al tuo idolo. Ma sei una ragazzina, e perdipiù hai bisogno di dormire.»
«Sto bene. Avete notizie di Marshall?» domandai imperterrita, stanca di non essere capita. La ragazza sospirò.
«I medici stanno facendo il possibile. Non si sa ancora niente.» finalmente rispose in modo esauriente alla mia domanda. Ma ciò non mi confortò affatto. Marshall stava in bilico tra la vita e la morte. E doveva lottare.
 
Alle cinque e ventotto precise, finalmente un medico uscì dalla sala operatoria. Mi precipitai da lui.
«Posso sapere come sta?» chiesi con gli occhi che lo scongiuravano
«Tu sei la ragazzina che ha chiamato l'ambulanza giusto?» mi domandò, ignorando momentaneamente la mia domanda
«Sì, sono io»
«Ti dico solo che se non fosse stato per te Eminen ora non starebbe qui! Gli hai salvato la vita!» mi disse il dottore. Ero incredula, e commossa e felice, tanto da stringere il dottore in un abbraccio stritolante. Marshall stava bene! Era salvo!!
«Bene, signorina, puoi andarlo a trovare, ma prima ti devo dire due cose: la prima è che ora è sotto anestetico, la seconda è che durante l'operazione ci siamo accorti che tutti i medicinali che ha preso gli hanno inibito una parte del sistema nervoso. Purtroppo supponiamo che si sveglierà senza l'uso della parola. Dovrà reimparare tutto daccapo...» mi spiegò il dottore mortificato
«Cosa?? Ma lui è un rapper, si nutre di parole!»
«Lo so benissimo, ma col tempo riacquisterà le sue vecchie competenze...è già un miracolo che sia vivo...» concluse il dottore congedandomi. Non fu una buona notizia quella che mi diede il dottore. Per Marshall sarebbe stato devastante accorgersene. Ma io gli sarei stata vicina, e lo avrei aiutato a reimparare a parlare.
Entrai piano nella sala operatoria, da cui gli ultimi medici stavano uscendo per concederci un po' di intimità. Marshall giaceva sul letto esanime, coperto da un lenzulo all'altezza dei pettorali, con le braccia tatuate da fuori. Aveva attaccata al cuore la macchina per misurare i battiti, che erano più regolari rispetto alla sera precedente. Alla bocca, invece, aveva un tubo, un respiratore che gli forniva ossigeno, in modo da non sforzarsi per respirare. Mi faceva male vederlo in quello stato di impotenza a cui certamente non era abituato. Mi sedetti accanto a lui, con le lacrime agli occhi, le quali, sebbene cercassi di trattenere, scendevano ostinatamente bagnandomi il viso. Accarezzai il volto del mio idolo. Era freddo, liscio, privo di imperfezioni, ma sembrava stanco, stremato, giustamente per la lotta da lui compiuta contro la morte. Alla fine lui era stato più forte. Aveva vinto lui!
 
Tornai ad aspettare nella sala di attesa, come mi avevano detto gli infermieri, che dovevano spostare Eminem nella stanza A666. Chiesi loro se potevo andarlo a trovare, ma mi dissero di aspettare almeno una mezz'oretta, il tempo che l'effetto dell'anestetico svanisse. In più mi consigliarono di mangiare qualcosa, visto che non mangiavo da quando avevo chiamato l'ambulanza. Seguii il loro suggerimento, dirigendomi alle macchinette e prendendo un caffè amaro e una bustina di cookies, che finii in una ventina di minuti, mentre continuavo a guardare smaniosamente l'orario affinchè il tempo passasse più velocemente. Finita la mia pseudo-colazione, mi diressi al secondo piano dell'ospedale, dove era collocata la camera. Per fortuna non ci misi molto a trovarla. La porta, con su scritto il codice alfanumerico in plastica dorata era chiusa. La aprii silenziosamente, pensando di trovare il rapper che riposava, ma invece lo trovai seduto sul letto a parlare con il dottore...parlare per modo di dire: il dottore parlava e lui cercava di capire.
«Buongiorno...sono qui per fargli visita...» dissi un po' imbarazzata, interrompendo il loro discorso. Il dottore aveva appena spiegato ad Eminem che avrebbe dovuto reimparare tutto, e lui lo guardava con uno sguardo torbido, infuriato, se non direttamente con lui, con la situazione in cui si trovava.
«Cerca di non stressarlo troppo» ci congedò il medico uscendo dalla porta e lasciandoci in un silenzio a dir poco imbarazzante. Rimasi immobile davanti a Marshall: ci stavamo osservando a vicenda, guardandoci a lungo l'uno negli occhi dell'altra, in silenzio senza proferire parola. Avanzai piano piano verso di lui, non distogliendo minimamente lo sguardo. Quando finalmente gli arrivai accanto, ebbi il desiderio, la voglia, lo stimolo, l'impulso di abbracciarlo. Ci stringemmo reciprocamente, io commuovendomi, e liberando tutta la tensione che avevo accumulato, e lui invece accarezzandomi la testa, continuando a sussurrarmi 'Ssshh' Ci vollero parecchi minuti per staccarci l'uno dall'altra, ma alla fine riuscimmo ad interrompere l'abbraccio. Mi sedetti sul letto di fronte a lui, asciugandomi le lacrime e sorridendogli per rassicurarlo.
«Ok...ehm...il dottore ti ha già spiegato che a causa della droga, devi reimparare a parlare, a scrivere a leggere...io ti darò una mano. Quindi non ti preoccupare, in pochissimo tempo tornerai meglio di prima! Ti ricordi per caso qualche parola?» gli domandai per cercare di capire da dove potessi partire.
«Sì. Fanculo!» scoppiammo a ridere. Possibile che tra tutte le parole di questo mondo si ricordasse per prima proprio quella?
«Ottimo, iniziamo bene...e poi?»
«Ciao. Ashley. Cibo. Acqua. Musica....» il rapper mi elencò molte parole che sinceramente non mi aspettavo si ricordasse. Ma tra tutte queste parole, mancavano molti verbi, e soprattutto mancava un ordine logico.
«Okay, non stai messo proprio male...» cercai di non demoralizzarlo io «Cambiando discorso... come stai?» gli chiesi tornando seria. Marshall sospirò.
«Non bene. Quando tu andata via, io solo. Proof non c'era più e io incazzato finito droga.» la frase di Eminem faceva invidia a quella di un bimbo di tre o quattro anni, o ad un indigeno che visita una città. Sebbene avesse un significato appena comprensibile, aveva bisogno della coniugazione dei verbi e di un lessico molto più ampio...
«Ok, allora, vediamo se ho capito bene, quando io me ne andai, tu rimanesti solo. Poi ricevesti la chiamata dall'ospedale che Proof non ce l'aveva fatta, e disperato e arrabbiato, hai chiamato Drake per il mix. Okay, questo però non ti giustifica. Drake non avrebbe dovuto accettare la consegna e tu non avresti dovuto ordinare. Quella roba ti stava per fare fuori lo capisci?! E se tu mi lasci io non so che fare! Ti prego, fallo per te, per me, sta' lontano da quella roba. Io ti prometto che ti starò vicino, che ti aiuterò, che non ti lascerò mai da solo, però tu aiutami ad aiutarti, ti prego!» gli parlai in tutta sincerità, sperando che lui ascoltasse le mie parole e che la smettesse una volta per tutte di assumere medicine.
«Vieni qui!» mi incoraggiò, aprendo le braccia per un secondo abbraccio che non rifiutai, ma che anzi accettai ben volentieri. «Aiutami. Voglio tutto come prima. Voglio tu vicino a me» proferì a bassa voce, continuando a stringermi nel suo caldo abbraccio.
«Non ti lascio. Questa volta no.»

Buonasera!! Questo capitolo è ricco di adrenalin. Confesso che mentre lo rileggevo ho pensato più volte di staccarlo in due parti per creare più suspance, ma poi sono stata buona e ho deciso di pubblicarlo tutto insieme. Fatemi sapere se vi piace o meno!

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Capitolo 10
*** Inizia la rehab ***


«Bene, Marsh, iniziamo con la prima lezione di riabilitazione.» annunciai, finito il discorso serio sulla sera prima. Erano le dieci e mezza, ed eravamo nel pieno della mattinata, il momento giusto per iniziare ad imparare.«Oggi ci concentreremo sull'apprendimento dei verbi e delle coniugazioni.» feci con aria da maestrina
«Perchè iniziare oggi?» mi chiese scocciato, ancor prima di cominciare, proprio come un bambino che non vuole andare a scuola
«Prima iniziamo, prima potrai tornare a rappare.» gli spiegai. «Allora, iniziamo col presente. Il presente si usa quando vuoi indicare un'azione che accade nel momento in cui tu stai parlando. Ad esempio tu ascolti la lezione. Oppure io sto spiegando. O ancora io sono Ashley. Tu sei Marshall. Capito? Ora prova tu a farmi degli esempi.» lo incitai
«Io ho fame.»
«Bravo, continua»
«Io ho fame.»
«Okay, prova a cambiare esempio»
«Io ho fame Ash! Ora» mi spiegò
«Ah...scusa non avevo capito. Adesso chiamo l'infermiera così le chiedo se posso andarti a comprare qualcosa alle macchinette» Uscii dalla porta e rintracciai l'infermiera di nome Tamara, a cui chiesi cosa poter dare al rapper.
«Sì, puoi prendergli qualcosa alle macchinette, ma mi raccomando: qualcosa di sano, siamo pur sempre in ospedale» rispose. Corsi di sotto alle macchinette e gli presi una bustina di biscotti Oreo. Tornai di sopra, facendo le scale a piedi, a due a due, e finalmente fui di nuovo nella stanza di Eminem, con lo snack e un po' di fiatone.
«La dottoressa...ha detto...che potevo...prenderti...qualcosina...» affannai porgendogli gli Oreo.
«Non serve che vai veloce!» mi disse Marshall, mettendo a frutto ciò che gli avevo appena insegnato: l'uso del presente.
«Bravo! Hai usato il presente! Facciamo progressi!»
«Si, so come usarlo. Ora basta. Prendiamo una...una...»
«Pausa?» gli suggerii io, vedendolo in difficoltà.
«Sì! Una pausa. Sei stanca?» mi chiese mentre apriva la bustina dei biscotti.
«Ehm, no, come mai me lo chiedi?»
«Gli occhi sono giù...quanto tempo fa non dormi?» 
«Si dice da quanto tempo. E comunque da più di quindici ore...» risposi sedendomi sul letto vicino a Marshall.
«Cavolo! Devi riposare! Ora, tu vieni qui, chiudi gli occhi e basta» mi ordinò facendomi cenno di sdraiarmi accanto a lui. Sbuffando e borbottando, feci come mi disse.
«Ma io ora non ho sonno. Ti va se metto un po' di musica?» gli proposi, uscendo già il cellulare dalla tasca. Senza neanche preoccuparmi della sua risposta, che sapevo già essere positiva, feci partire la mia playlist di canzoni rap di Eminem, che cominciavano con The Real Slim Shady. Dopodichè, mi posizionai più comodamente, poggiando la mia testa sul pettorale sinistro di Marshall, all'altezza del cuore. Chiusi gli occhi e cercai di riposarmi.
EMINEM POV--- Come previsto Ash si addormentò dopo poco. Aveva vissuto due giornate davvero stressanti e aveva bisogno di un po' di meritato riposo. Aveva il viso stanco, stressato, ed era tutta colpa mia. Mi ero davvero comportato male con lei, ero stato un vero stronzo, e avrei voluto prendermi a cazzotti per averla fatta soffrire, ma direi che di aver avuto la giusta punizione. Sapevo che mi aspettava una lunga salita per riconquistare la mia vita: dovevo reimparare a parlare, a rappare, e soprattutto dovevo imparare a stare lontano dal Valium. Sarebbe stato difficile e lo sapevo bene, ma ciò che più mi confortava era il fatto che non ero da solo: affianco a me c'era un angelo sceso dal cielo, a cui era stato dato il compito di occuparsi di uno sbandato come me. Ashley era quell'angelo. Mentre la mia musica continuava a riempire la stanza, vibrò il cellulare. Osservai lo schermo: era Drake, e decisi di rispondere io.
"Pronto?"
"Signor Mather è lei? Come sta? Ho saputo dell'incidente...è tutta colpa mia...posso parlare con Ashley?"
"Sto bene, non è colpa tua, ora no perchè sta riposa...è successo qualcosa?" gli chiesi sentendolo strano al telefono
"In verità abbiamo litigato perchè io le ho tenuto nascosto il segreto della sua consegna. Ha tutta la ragione di questo mondo a non volermi più come suo ragazzo, ma io le devo parlare..." disse il ragazzo veramente mortificato
"Uhm, capisco. Drake, facciamo così, oggi pomeriggio tu vieni qui all'ospedale, e vienici a trovare, così hai l'opportunità di chiarirvi.."gli suggerii io arrancando con le parole, che dal canto mio volevo che i due facessero pace, visto che erano davvero una bella coppia.
"Mi sembra un ottima idea, la ringrazio signor Mathers!"
"Oh, un'altra cosa, chiamami Marshall e dammi del tu"
"Okay, ti ringrazio ancora Marshall!" concluse Drake agganciando. Era davvero un bravo ragazzo e per colpa mia, il mio angelo e lui avevano litigato. Facendo mente locale, avevo combinato un bel po' di casini negli ultimi due giorni, perciò dovevo rimediare: avrei fatto ritornare i due innamorati insieme!
Mentre stavo per schiacciare un pisolino, il dottore irruppe nella mia stanza
«Signor Mathers, sono p-»
 «Sssssh! È a riposo!» bisbigliai ammunendolo e rimproverandolo per il tono troppo alto che aveva usato.
«Mi scusi. Va tutto bene?» mi domandò quasta volta a tono più basso
«Sì, imparo nuove cose, non si preoccupi. Dottore, so che fra poco Ash va via, perchè non c'è più tempo, ma può restare?» gli sussurrai arrancando con le parole, data la complessità del periodo.
«Può rimanere, perchè avete bisogno l'una dell'altro. Ma deve convincerla a mangiare. Da quando ha chiamato l'ambulanza ha mangiato solo un pacco di biscotti...»
«Non ha preoccupazioni. Penso io. Ehm, un'altra cosa, come è quando...ehm...ieri 
sera...» le parole non volevano uscirmi, mi mancavano proprio e mi dava un gran fastidio non riuscire ad esprimermi.
«Quando lei era in sala operatoria?» mi aiutò il dottore. Annuii, «È stata tutta la notte sveglia, in attesa di sue notizie. È grazie a lei che è salvo! Se lei fosse arrivato anche solo cinque minuti dopo, a quest'ora non sarebbe qui...» mi spiegò il dottore... «Adesso si riposi, fra un piao d'ore le portiamo il pranzo.» aggiunse uscendo dalla porta. Rimasi in silenzio, assieme ai miei pensieri. Io ero salvo grazie ad Ash. Le dovevo la vita. E questo mi fece sentire ancor più in colpa nei suoi confronti. Ma perchè ero così? Perchè avevo un carattere complicato? Volevo cambiare, e mi sarei davvero impegnato per farlo!---

Aprii gli occhi, svegliata da un sussurro che mi diceva che era ora di mangiare. Mugolai qualcosa che sinceramente non passò dal cervello e che quindi non riuscii neanche a capire.
«Dai Ash, si mangia..» mormorò Eminem, smuovendomi per buttarmi fuori dal bellissimo mondo dei sogni in cui fino a qualche secondo fa passeggiavo.
«Uhm...no...» continuai a biascicare con la bocca di sonno e voltandomi dall'altra parte del letto
«Okay, allora ora ti bagno...uno...due...» un attimo: che cosa intendeva per ti bagno? 
«...tre!» Mi ritrovai inzuppata d'acqua fredda, con la faccia tutta bagnata. Ero indecisa se bestemmiare o ridere, ma decisi la seconda. In fondo era solo un po' d'acqua ghiacciata non appena sveglia!
«Perchè diamine l'hai fatto!» domandai al rapper scattando in piedi e cercando di fare la ragazza seria e arrabbiata. Ma un sorriso mi tradì.
«Scherzo!» esclamò lui come un bambino. Stavo per dirgliene quattro, ma per sua fortuna l'infermiera bussò alla porta, con il carrello del pranzo.
«Buongiorno!» esclamò sorridente la signora dai capelli chiari e dalla corporatura grassoccia. Aveva un'aria simpatica e si vedeva che il lavoro che faceva non le pesava.
«Salve!» la salutammo entrambi, contemporaneamente, mentre osservavamo la signora che, fischiettando una canzoncina, posava due piatti e una banana sul tavolo della camera. Ci salutò di nuovo per poi uscire e passare ad un'altra camera. Marshall si alzò dal letto, con un po' di sforzo, visto che non metteva qualche passo da un po'. Io invece rimasi seduta sul letto a godermi lo spettacolare fisico del rapper che si mostrava in tutto il suo splendore. Anzittutto c'è da dire che Marshall era a petto nudo, 
perciò capite bene la mia goduria. I pettorali, lisci e sporgenti, erano saldi, di ferro, inossidabili. Più sotto, invece, avevamo una lunga griglia di addominali scolpiti, senza imperfezioni, perfetti, evidenti, magnifici. Inoltre il rapper non indossava i pantaloni. Aveva solo un paio di boxer blu scuri che -detto tra noi- esaltavano la sua dote e i suoi glutei scolpiti come nel marmo. Era una visione davvero molto attraente, tuttavia un po' imbarazzante, specialmente per una come me che mostra il suo imbarazzo a causa delle guancie che vanno in escandescenza. Eminem andò a sedersi al tavolo. Poi si girò verso di me...
«Vieni a farmi compagnia?» Più imbarazzata che mai lo raggiunsi al tavolo, sedendomi accanto a lui. Lo guardai mentre cercava di capire quali 'gustose' pietanze lo aspettassero. Io sul tavolo vedevo un piatto di pasta in bianco con una bustina di parmigiano accanto, e nell'altro piatto degli spinaci con pomodori e carote. Il tutto accompagnato da una sola fettina di pane sottilissima e concluso da una banana, almeno quella sana. Il rapper alzò lo sguardo verso di me
«Perchè sei rossa?» mi chiese senza troppi giri di parole. Decisi di dirgli la verità, in fondo ero io quella a disagio non lui.
«Mi sento un po' in imbarazzo...insomma...sei un po'...troppo scoperto...ecco...» farfugliai. Eminem parve confuso. Poi sembrò capire a cosa mi riferissi.
«Dà fastidio?» 
«Nono...fastidio no...se vogliamo dirla tutta hai un corpo perfetto, e mi stai facendo sbavare okay?! Ricordati che ho quindici anni e i miei ormoni stanno impazzendo...» gli spiegai cercando di superare il disagio. Eminem si mise a ridere, ridere di gusto. Ma che ci trovava di divertente?! «Perchè stai ridendo?» gli domandai infastidita
«Perchè non è perfetto! Ci sono persone con più muscoli...»
«Non è solo il corpo che per me è perfetto. Sei proprio tu. Tu sei il mio idolo! Il grande Eminem, il rapper bianco più famoso d'America. Quello che ha superato ostacoli e difficoltà alzando un dito medio. Quello che si è buttato tra le braccia di milioni e milioni fans ai concerti, quello che è in grado di inventare rime anche sul set di un film.* Per me tu sei questo...» gli dissi in totale sincerità, osservando il suo sguardo lusingato. Dopo qualche secondo, senza proferire parola, si alzò dalla sedia e mi venne ad abbracciare. Probabilmente, fu meglio di qualsiasi altra parola. Ci staccammo...troppo zucchero per pranzo!
«Beh, è arrivato o no il momento che tu mangi?» feci retorica.
«Ma fa schifo. Non mangio questo...» disse come un bambino capriccioso
«Dai, per un giorno puoi fare un sacrificio!» lo incoraggiai
«Perchè devo essere io? Facciamo insieme e basta.»
«Cioè secondo la tua mente io dovrei mangiare il tuo pasto?» 
«Non tutto. Dividiamo. Poi, tu hai fame, non mangi da tanto...»
«Numero uno, non ho fame, numero due, ho mangiato stamattina una busta di cookies, numero tre, i tuoi 'pasti' non mi ispirano molta fiducia. E poi sei tu quello che ha bisogno di energie...» gli spiegai
«Falso! Non vivi d'aria. Se mangi tu mangio io.» fu chiarissimo e irremovibile. Mi costrinse ad assaggiare la sua sbobba.
«La pasta te la lascio volentieri...magari mangio un po' di spinaci..»  borbottai. Mentre Eminem sorrideva soddisfatto, io aprivo i piatti, coperti dalla plastica che si usa per mettere sotto vuoto gli alimenti. L'odore proveniente dagli spinaci era pessimo, ma sicuramente l'aspetto era migliore di quello della pasta: era seduta, o meglio incollata al piatto!
«Buon appetito...spero..» augurai al rapper. Ci armammo di posate e iniziammo la battaglia contro quel pietoso cibo. Al primo boccone, a entrambi venne l'impulso di sputare la roba che avevano osato spacciarci per cibo. Ma mandammo giù. Gli spinaci con le carote e i pomodori non erano malaccio, perlomeno erano caldi, a differenza della pasta di Marshall.
«Com'è?» gli chiesi osservando la sua espressione. Era tra il ribrezzo, il vomito e lo schifo. Perciò evitò di rispondermi e si limitò a fulminarmi con lo sguardo come a dire 'Ti sei fregata il piatto migliore'...sorrisi divertita, riprendendo a mangiare gli spinaci.
Dopo cinque minuti abbondanti, entrambi terminammo di mangiare. Marshall aveva una faccia disgustata, io invece, ero apposto così. 
«Visto che non è stato così male?!» gli feci sfottendolo un po' con ironia. Lui mi guardò di nuovo con uno sguardo torbido, arrabbiato... scommetto che in quel momento avrebbe solo voluto mandarmi a quel paese...
«Dai, visto che sono buona ti lascio la banana!» gli concessi magnanima.
«Oh, grazie, sei un cuore d'oro...» mi fece sarcastico, sbucciando la banana e mordendola con aggressività. Mi vennero parecchi doppi sensi in mente, ma preferii non esplicitarli, per non fare innervosire il rapper ancora di più.
Intorno alle 14.20 la signorina di prima passò per ritirare i piatti. Non le dicemmo niente, sia per non rovinarle la giornata, sia perchè anche se le avessimo detto che il cibo faceva veramente vomitare, lei non avrebbe potuto cambiare la situazione, visto che non era la cuoca. 
Dopo pranzo decisi di riprendere la lezione con Marshall, che faceva progressi a vista d'occhio.
«Bene Marsh, stamattina abbiamo imparato il presente, ora impariamo il passato, che tu usi quando un'azione si è conclusa.» il rapper non sembrava molto interessato alla lezione, tuttavia mi degnò dell'attenzione necessaria affinchè apprendesse il giusto.«Per esempio, abbiamo finito il pranzo poco fa. Oppure, abbiamo dormito prima. O ancora, eravamo affamati prima del pasto. Ci sei? Prova a farmi tu un esempio ora...» Marshall sbruffò annoiato, riflettè per qualche minuto e poi disse «Io e Proof eravamo amici...» Pronunciò ogni singola parola con malinconia, tristezza, amarezza. Aveva esattamente centrato la regola del passato, facendo uscire fuori un argomento che continuava ostinatamente a tenersi dentro.
«Sì...giusto...» lo elogiai. «Ascolta Marshall, sai che se ti va puoi parlarne con me. Io ci sono, se vuoi sfogarti...» mormorai un po' titubante andandogli vicino. Marshall 
sospirò...
«Non è giusto. Non se lo meritava.» cominciò a dire, con lo sguardo fisso sul pavimento della stanza «È stato come un fratello. E ora è andato via...non c'è più capisci?»
«Se non puoi vederlo, non significa che non c'è. Lui è con te sempre, è nel tuo cuore, nella tua mente, e rimarrà sempre con te, anche se non fisicamente.» cercai di alimentare una visione per lui positiva, in modo che potesse andare avanti e non deprimersi.
«Sì, ma mi manca...mi manca tanto...» disse commosso, con gli occhi lucidi e i denti stretti per trattenere le lacrime.
«Lo so. Ma lui vorrebbe che tu andassi avanti, che ricominciassi una nuova vita...» 
«Ma come?! Non ce faccio. Ho bisogno del Valium. Ora ne ho voglia. Fra poco ne avrò ancora di più. Dopo ancora perderò la pazienza e io ho paura che qualcuno si fa male...che io ti faccio male...di nuovo!» mi confessò 
«Questa volta è diverso!» dissi stringendogli la mano «Io non me ne andrò. Vedrai che la supereremo insieme questa fase. Io sono pulita da 32 ore. Ed è tuo il merito. Tu mi hai incoraggiato a non toccare droga, e io voglio fare lo stesso con te!»
«Spero di non deluderti...»
«Non accadrà mai!»

*nota: ho letto in un intervista di non mi ricordo chi che Marshall, tra una ripresa e l'altra di 8mile scriveva rime, concentrandosi anche sulla musica. Il regista era arrivato finanche a sequestrargli carta e penna perchè lo distraevano dal suo ruolo!
Seraaaa! So che è da un po' che non mi faccio viva, ma i compiti e le partite hanno impiegato tempo. Questo capitolo è di passaggio, così come il prossimo. Non ci sono eventi particolarmente straordinari, ma descrivono quella che possiamo definire riabilitazione di Eminem. Fatemi sapere che ne pensateeee. RINGRAZIO SHADY K DELLE RECENSIONI!! ciauuuu

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Capitolo 11
*** Pace? ***


Dopo aver fatto ancora un po' di pratica con i due tempi verbali, il dottore venne a trovarci. Aveva l'aria stanca e stressata, a causa del turno notturno a cui aveva partecipato. Eppure, nonostante la stanchezza i suoi occhi erano soddisfatti, orgogliosi di qualcosa a me ignaro.
«Buon pomeriggio, allora come andiamo?» chiese a entrambi.
«Bene. Marshall sta facendo progressi. Ha già capito il presente e il passato! È un buon allievo...» feci scherzosa come se fossi la sua maestra. Il dottore sorrise compiaciuto.
«Menomale, ne sono felice. E lei, signor Mathers, che mi racconta? Abbiamo mangiato?» chiese facendo l'occhiolino
«Sisì, abbiamo mangiato, ma il cibo non era buono.» Disse schiettamente, un po' bruto, ma giustificato dal fatto che probabilmente non gli veniva in mente la parola sgradevole.
«Mi spiace...cercherò di comunicarlo...per quanto riguarda il suo fisico, come sta?»
«Va tutto bene, ora.» Mentre Eminem rispondeva alle domande, il dottore prendeva appunti.
«Perfetto, mi faccia chiamare se c'è qualcosa che non va.» Marshall annuì. Il dottore ci lasciò e chiuse la porta. Ma un secondo dopo la riaprì
«Oh, ho scordato di dirvi che di sotto ci sono delle persone che vorrebbero vedere Eminem...» ci comunicò. Io e Marshall ci guardammo straniti.«Se se la sente può scendere a salutarli...» Il rapper mi guardò in viso, come per chiedermi un parere. Annuii con un sorriso sornione e poi rispose«Me la sento. Ora scendo.»
Saltai giù dal letto euforica, esultando e gioendo per tutta la stanza sotto lo sguardo divertito del mio idolo. Marshall si alzò dal letto e si mise la sua felpa, i suoi pantaloni e le sue scarpe. Dopodichè uscimmo entrambi dalla stanza. Ci dirigemmo verso l'ascensore; lo prenotammo ed entrammo. Marshall sembrava nervoso, agitato.
«Vedrai, andrà tutto bene. La gente ti ama!» lo rassicurai io. Mi sorrise, accarezzandomi la testa. Finalmente l'ascensore giunse al piano terra. Non appena si aprì ci ritrovammo davanti una miriade di persone ammassate tra loro, con foto di eminem, macchine fotografiche, cellulari, e catenine da rapper al collo. Stavano correndo verso di noi, quando il dottore si mise in mezzo, salvandoci da un'assalto.
«AAALT! Che il signor Mathers sia sceso qui per voi, non vi autorizza ad assaltarlo! Siamo in un ospedale! Un po' di rispetto!» li ammunì il dottore. La folla parve calmarsi. Eminem prese la parola.
«Okay...ehm...prima di dire qualcosa, vi dico di scusarmi per le ripetizioni o per i verbi che forse sbaglio. Allora, grazie di stare qui, è molto per me. Sono stato male l'altra notte, ho rischiato di perdere la pelle, ma grazie al mio angelo custode» disse girandosi verso di me e facendomi cenno di avanzare, cosa che feci un po' timidamente«ora sono salvo!» applausi del pubblico, grida che acclamavano Eminem. Marshall li aveva conquistati, come previsto.«So che siete qui proprio per me, ma non mi sembra il luogo giusto per scrivere autografi. Però prometto di organizzare un concerto qui a Detroit non appena mi sentirò meglio!» e ora la folla, me compresa era in delirio. Erano tutti eccitati all'idea che Eminem avrebbe organizzato un altro concerto proprio a Detroit! «Shhh...calma...avete domande?! No?! Bene, allora posso andare a riposarmi. Fanculo tutti!» salutò alzando il dito medio e beccandosi gli ultimi, ma i più sentiti, applausi da parte della gente. E tornammo in stanza.
«Sei stato grandissimo con i fans! Erano tutti felici, hai visto come applaudivano?! Ti adorano, sei il loro re!»
«Addirittura?»
«Certo! Erano tutti euforici...gli hai resi felici!»
«E loro rendono felice me. Grazie a loro sono diventato famoso..» Gli sorrisi. Non era da tutte le star attribuire sinceramente il merito del proprio successo ai fan.
 
Intorno alle 16.30 iniziai a sentirmi stanca. Avevo un gran mal di testa, e le palpebre pesanti e in più non facevo che sbadigliare.
«Tesoro, perchè non vai a casa? Sei stanca...»
«Non sono stanca. Sto bene» affermai andandomi a sedere sul letto con le gambe incrociate, di fronte a Marshall. Osservai in silenzio il suo volto ricordando la prima volta in cui lo vidi in tv. Era cambiato parecchio. Dal primo esordio sul grande schermo con 8 mile era cresciuto, era diventato un uomo. Si era fatto biondo, aveva cambiato voce, e aveva cambiato i temi dei suoi testi.
«Perchè mi guardi?» mi domandò curioso..
«Hai dei bellissimi occhi...» risposi semplicemente continuando ad osservarlo
«Non hanno niente di che, sono solo celesti.»
«Gli occhi sono lo specchio dell'anima!» proferii saggiamente
«E che anima ho io?» mi chiese
«Una bellissima anima colorata di rosso e di celeste. Il rosso è il demone che hai in te, e che a volte viene fuori, e il celeste e la parte buona, quella comprensiva, scherzosa, e dolce. Hai un'anima piuttosto complessa..»
«Uhm...si...immagino...»
Mi alzai dal letto, per andare a prendere un po' d'acqua poichè avevo la gola secca. Mi alzai con stanchezza e soprattutto non appena fui in piedi ebbi un mezzo giramento di testa, che mi costrinse a ricadere di nuovo sul letto.
«Cos'hai?» mi chiese Marshall preoccupato scattando in piedi e posizionandosi di fornte a me.
«Niente...sta' tranquillo...ho avuto solo un giramento...» minimizzai io
«Rimani seduta, te la prendo io l'acqua. Tu sdraiati e riposati.» mi ordinò andando verso il tavolo e riempendomi il bicchiere. Feci come mi disse. Marshall mi porse il bicchiere d'acqua che bevvi avidamente per poi sdraiarmi e chiudere gli occhi.
«Prova a riposare...» mi incoraggiò lui. E iniziai a immaginare ciò che avrei potuto sognare.
 
EMINEM POV---Ash si addormentò in poco tempo. Era stanca, non si faceva una dormita decente da più di 48 ore, e si meritava un po' di riposo. Mancava da casa da un bel po', non faceva un pasto con la P maiuscola da altrettanto tempo. E tutto questo per stare affianco a me. Era davvero un tesoro, ma non si poteva continuare così, ecco perchè volevo che Drake si occupasse di lei! Erano le 17.30 e non poteva tardare ad arrivare. In verità avrei voluto che il ragazzo trovasse Ash sveglia, ma il mio angelo era troppo dolce quando dormiva, e non potevo svegliarlo...
Qualche minuto dopo un'infermiera dall'aspetto attraente bussò alla porta...
«Signor Mathers, giù c'è un ragazzo che chiede di lei. Si chiama Drake Florence, lo posso far salire da lei?» mi chiese con una vocina delicata, timida.
«Sì»  mi limitai a rispondere per non combinare danni con le parole. In pochissimo tempo Drake fu da me. Ci salutammo con una stretta di mano. Ero felice di rivederlo, mentre lui era più che altro preoccupato, un po' per me ma soprattutto per la sua ragazza.
«È bella anche quando dorme!» esclamò a voce bassa osservandola. L'amore che provava fuoriusciva da tutti i suoi pori. Annuii, mi avvicinai a lei e la scossi con dolcezza per svegliarla.
«Ash...c'è una qualcuno per te...» le mormorai
«Uhm...ma non sono io quella malata che deve essere visitata..» biascicò con la bocca impastata di sonno.
«Apri gli occhi e vedi!» Ashley fece come le dissi e non appena vide Drake saltò in piedi. Non era affatto felice, ma piuttosto sorpresa, stupita di trovarselo in stanza.
«Che cosa ci fai tu qui?!» domandò con lo sguardo arrabbiato. In quel momento ebbi il dubbio di non aver fatto la cosa giusta. Forse avevo sbagliato a chiamare Drake, forse non avrei dovuto mettermi in mezzo. Dopotutto era una loro questione. Ma visto che ormai la situaizone era quella e non si poteva cambiare, tanto valeva provarci.
«Ash, lo chiamo io...»
«Si dice l'ho chiamato io. E poi perchè?» mi corresse nervosamente
«Perchè lui si prende cura di te quando io sto qui!» arrancai io
«Ma è per colpa sua se tu sei qui.» Drake rimaneva in silenzio ad osservare la situazione e in quel momento fece bene. Però doveva trovare il modo di inserirsi nella conversazione, che stava peggiorando secondo dopo secondo.
«No! Io sto qua per colpa mia! Drake ha solo fatto le cose che gli dicevo.» esclamai, ammutolendola. «Sentite ragazzi, parlate. Andate giù e parlate...» invitai loro a fare. Ash annuì poco convinta e si diresse verso la porta, mentre Drake la seguiva mortificato, con lo sguardo basso. Io invece, ne approfittai per stare in silenzio, riflettere sulla mia vita e magari, con la dovuta ispirazione avrei potuto scrivere qualcosa.---
 
Decidemmo di scendere giù, nel piccolo cortile dell'ospedale. Ci dirigemmo verso l'ascensore e io premetti il tasto 'piano terra'. C'era un silenzio imbarazzante in quell'ascensore che faceva invidia solo ad una donnina colorita che va in chiesa. Ad un certo punto sentimmo uno scossone nella cabina e vedemmo la luce spegnersi. Mi preoccupai. Non amavo molto i luoghi chiusi e bui. Una voce registrata poi ci parlò :«Salve, la informiamo che l'ascensore è momentaneamente bloccato. La preghiamo infine di mantenere la calma.» concluse il robot con una canzoncina brevissima che credo servisse a calmarci, ma invece mi fece innervosire.
«Fantastico!» esclamai sarcastica. Ci fu qualche istante di totale silenzio, in cui pensai che Drake si fosse sentito poco bene. Ma ero insicura se chiederglielo o meno, perchè se lui fosse stato bene, avrebbe pensato che io ci tenessi ancora a lui. Tuttavia, mossa dalla mia preoccupazione, gli chiesi «Drake, ci sei?» con un tono neutrale, tendente alla nervosismo.
«Sì tutto okay. Tu?»
«Sono viva...» feci ironicamente.
«Senti Ash, probabilmente ora starai pensando "Questo rompiballe vuole farmi il solito discorso di scuse, ma questa volta non ha capito che non otterrà il mio perdono." Ma io voglio comunque provarci, voglio che tu ascolti il perchè l'ho fatto...Marshall mi chiamò mentre tu ti stavi facendo la doccia. Mi disse che gli serviva un mix e dovevo riferirlo a Jake che avrebbe capito. Mi ordinò di portarglielo intorno a l'una in 8 mile, e di non dirti niente perchè, così come aveva scoperto il mio numero, avrebbe trovato la mia abitazione...» Marshall aveva fatto questo...non me lo sarei mai aspettata... «Avevo un tono strano al telefono, arrabbiato, nervoso, assetato di droga, eppure c'era persino una nota di tristezza...ma andiamo avanti. Ho deciso di non dirti niente non perchè Marshall avrebbe potuto trovarmi, ma per non farti soffrire. Eri già abbastanza scossa dalla notte precedente, e non volevo aggiungerti altre ansie. Perchè se soffri tu soffro anche io. Ash io ti amo! Me ne sono finanche andato dalla banda, perchè mi vergognavo di ciò che avevo fatto. Potrai mai perdonarmi?» il suo lungo discorso mosse qualcosa nel mio cuore. Il fatto che lui non mi avesse raccontato niente per proteggermi dal dolore fu la parte più tenera e più dolce: io ero più importante della sua vita! E fu allora che decisi di fregarmene di tutto e di perdonarlo. Ma prima volli tenerlo un po' sulla corda.
«Drake, quanto mi ami da uno a dieci?» gli chiesi in tono neutrale, cercando di non fargli capire che in quel momento avrei solo voluto baciarlo.
«Ehm...non ti posso rispondere..»
«E perchè mai?»
«Perchè il mio valore è più alto di dieci...»
«Addirittura?! E quale sarebbe?»
«Il mio valore è astratto, altissimo, è l'infinito! Ti amo infinitamente!» scandì le parole in un modo davvero amorevole e romantico. Poi camminò a tentoni verso di me, mi toccò un po' la testa, scendendo giù per gli occhi, poi per il naso e infine riuscì finalmente a tastare la meta: la mia bocca.
«Mi perdoni?» mi chiese infine prima di procedere
«Ti amo!» e non riuscendo più a trattenermi, decisi di baciarlo io per prima. Mi ero scordata il sapore delle sue labbra morbide. Sapevano di buono, di cioccolato, di zucchero e di coccole e di carezze. Di tutto ciò che c'è di bello al mondo! Ed era bellissimo, un trionfo di delicatezza e tenerezza, che però fu interrotto dal ritorno della luce nell'ascensore, che ne segnava il rifunzionamento. Ci staccammo lentamente, ci guardammo negli occhi. Sorridemmo. Capimmo che ci eravamo chiariti e che ci amavamo più di prima!
Seraaa! Vi è piaciuta la pace tra i due piccioncini? ;) Spero non siano noiosi questi capitoli in ospedale...sotto con i commenti...

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Capitolo 12
*** Ricaduta ***


Mano nella mano tornammo nella camera di Marshall, chissà come sarebbe stato felice di trovarci insieme. Bussammo, ma nessuno ci rispose. Perciò entrammo senza il suo permesso.
«Marshall! Ho una buona notizia, dove sei?» chiesi osservando la stanza vuota. Ebbi il sospetto che fosse uscito, ma poi sia io che il mio ragazzo sentimmo dei rumori dal piccolo bagno della sua camera. Mi precipitai da lui: menomale che non si era chiuso a chiave!
Lo vidi piegato sul water, a vomitare.
«Oh no, di nuovo!» esclamai, correndogli vicino e tenendogli la testa. «Drake, va' a chiamare aiuto!» gli ordinai, premendo sulla fronte di Eminem in modo che l'urto del vomito non lo spingesse troppo avanti.
«Hei, sta' tranquillo, adesso passa, non è niente!» cercai di tranquillizzarlo a voce bassa. Ma ero preoccupata, davvero tanto: perchè aveva rimesso? Scartai l'idea che fosse il cibo perchè pur essendo appena passabile, era mangiabile. Ma allora cos'era ad avergli provocato il vomito?
Ci fu un attimo di calma, in cui Marshall smise temporaneamente di rimettere. Aveva l'affanno, e il volto pallido e sudato. Lo presi per mano.
«Come stai? Stringimi la mano!» gli ordinai per vedere in che condizioni si trovasse. La sua presa fu debole e tremante e ciò mi allarmò ancora di più. Lo feci poggiare alla parete del bagno, facendolo rimanere seduto. Aveva le labbra violacee e leggermente aperte. Lo sguardo pietrificato. Mi stava davvero spaventando.
«Marshall, che cos'hai?» gli chiesi preoccupata. Non mi rispose, continuava ad avere uno sguardo perso nel vuoto. Ma perchè i dottori non arrivavano?
«Mi dici che ti senti?» gli chiesi insistendo, ma continuando a tenere un tono basso
«Ho bisogno di Valium. Dammelo, ne ho bisogno!» ringhiò come se fosse impossessato. Ammetto che mi fece davvero paura vederlo così...
«No, non ne hai bisogno...»
«Si invece, senza muoio!»insistette lui, con gli occhi fuori dalle orbite. In quel momento somigliava tanto a goblin, quello del Signore degli anelli che dice sempre 'Il mio tesssoro'...sì, sembrava così...
«No! Con quello muori! Calmati ora, altrimenti rimetterai di nuovo. Respira piano!» gli ordinai. Ma lui continuava a pronunciare il nome di quelle maledette pasticche, e continuava ad ansimare, a respirare affannosamente, fino a quando, finalmente non arrivò il dottore.
«Che succede qui?» domandò osservando il suo paziente
«Dice che ha bisogno del Valium...la prego faccia qualcosa per fargli capire che non deve prenderlo!» Il dottore si abbassò, sedendosi accanto al rappar, che man mano che passavano i secondi diventava sempre più irrequieto, con i battiti che aumentavano e con il respiro che si affanava sempre di più.
«Marshall, guardami!» gli ordinò il dottore attirando la sua attenzione «Respira con
me...inspira...espira...piano! Inspira...espira» continuava a ripetergli, indicandogli di rallentare la respirazione. Se in un primo momento Eminem non ne voleva sapere di come respirare, in un secondo, invece parve calmarsi. Finalmente lo riconobbi: il suo sguardo tornò dolce, e anche un po' spaesato giustamente, a causa di ciò che aveva affrontato.
«Va meglio?» chiese il dottore. Eminem, tirando un ultimo sospiro, annuì.
«Che cosa è successo, dottore?» chiesi preoccupata, sperando che non gli fosse accaduto niente di grave
«Sono i primi sintomi della disinotssicazione. Il suo corpo, oramai abituato alle spropositate dosi di Vicodin, ora che non ne ha assunte affatto, non ce la fa e si ribella con il vomito. Non c'è da preoccuparsi, è un effetto normale, ma va tenuto sottocontrollo» mi spiegò accuratamente «La prosima volta che ricapita, fammi chiamare e se malauguratamente non posso, toccherà a te occuparti di lui. Dovrai fargli rallentare la respirazione e magari rassicurarlo con delle parole di conforto. Ora devo proprio andare, tenetemi aggiornato e non stressatelo troppo!» concluse con delle raccomandazioni. Non appena il dottore andò via, aiutammo Marshall a tornare sul letto. Aveva uno guardo un po' perso, confuso e stralunato.
«Va meglio?» gli chiesi sedendomi sul letto accanto a lui. Annuì, insicuro. Ci fu un istante di silenzio imbarazzante in cui ero certo che Marshall si stesse chiedendo se io e Drake ci eravamo riappacificati. Infatti dopo poco lanciò uno sguardo interrogatorio al mio ragazzo.
«Si, sta' tranquillo, siamo tornati insieme!» lo rasserenò Drake dandomi un bacino sulla guancia.
«Sono felicissimo! Siete una bella coppia!» disse sincero, con un filo di voce, ancora debole per prima.
«Beh ragazzi, è stato un piacere stare qui con voi, ma ora devo proprio lascia-» in quel momento squillò il mio cellulare. Il numero era sconosciuto. Risposi
"Pronto?"
"Oggi c'è una consegna da fare, alle 23.30 al pub. Puntuale." Era Jake
"Jake oggi non posso. Senti dobbiamo parlare. Sono stanca di fare consegne, voglio andarmene dalla banda."
"Cooooosa!?" urlò l'interlocutore dall'altro capo del telefono.
"Jake è così. Sta diventando troppo per me...voglio lasciarvi" gli spiegai sperando che capisse
"No! Non puoi andartene!" esclamò arrabbiato il mio ormai ex capo
"Sì, invece! Non comandi la mia vita!" ribattei innervosendomi e chiudendogli il telefono in faccia. I due uomini mi guardarono con aria interrogativa.
«Era chi penso io?» chiese il mio ragazzo. Annuii. «Ti ha minacciata? Perchè se l' ha fatto giuro che gli vado a spaccare la faccia.»
«No rilassati...non gli ho dato il tempo»
«Ragazzi, mi dite anche a me?»
«Si dice dite anche a me, senza il mi, è una ripetizione!» lo corressi. Eminem sbruffò. «Comunque sia, era Jake, oggi c'era una consegna da fare. Ma io non voglio farla, Voglio mollarli. Non mi piace più fare consegne. È pericoloso...» spiegai
«Come l'ha presa?»
«È diventato nervoso. Pretendeva di comandare sulla mia vita. Mi sono arrabbiata e gli ho chiuso il telefono in faccia!»
«Perchè lo hai fatto?»
«Perchè non avrei dovuto?»
«Per il semplice motivo che Jake è una persona molto violenta. Ricordi Philip? Prima lui faceva parte della banda. Era la guida mia e di Louis. Ma un bel giorno stanco come te dei numerosi rischi al quale era sottoposto, decise di parlare con Jake per mollare la banda. Jake si arrabbiò così tanto da lasciargli il segno: la cicatrice sull'occhio» Okay, in quel momento fui davvero spaventata.
«Ma perchè a te non ha detto niente?»
«Perchè io gli ho solo accennato che per un po' avrei voluto stare fuori dal giro. Ma devo parlargli anche io...nonostante un po' di paura..»
«Se si azzarda a sfiorare Ashley solo con un unghia del dito, giuro che è un uomo morto» disse Eminem in tono serio e minaccioso
«Tu devi stare calmo e non ti devi stressare. Fin quando la situazione non peggiora stiamo tutti bene. Se Jake inizia con le minacce mi troverò costretta ad andare dalla polizia.» proferii
«Io verrò con te. Qualunque cosa tu faccia io sarò dalla tua parte!» mi rassicurò il mio boyfriend scoccandomi un dolce bacio a stampo e uscendo dalla porta. Anche questa non ci voleva..
 
Arrivarono le undici di sera. Un'ora e mezza prima dovemmo sorbirci il secondo 'pasto' della mattinata: non fu neanche quello un granchè, ma fu sicuramente meglio del pranzo, visto che prevedeva un brodo di pollo niente male accompagnato da un po' di insalata con del pane con il pomodoro. Avevamo trascorso entrambi una giornata stressante, e pesante, ma se non altro l'avevamo passata insieme! E così prima che la stanchezza ci portasse nel mondo dei sogni, cominciammo a parlare. Io ero di fronte al rapper, seduta comodamente sul lettino, ad osservarlo attentamente. Aveva lo sguardo spento, sovrappensiero e credo anche preoccupato. Da quando lo conoscevo sapevo riconoscere quando c'era qualcosa in lui che non andava...
«Che c'è?» gli chiesi dolcemente
«Niente...» rispose cercando di camuffare la preoccupazione con un mezzo sorriso.
«Avanti, so che c'è qualcosa che ti turba...parliamone, sono qui per te!»
«Non lo so...sento che succedono cose brutte nel futuro...»
«Perchè dovrebbero succedere cose brutte?»
«Io ho paura per te...giuro che se Jake ti combina qualcosa smette di vivere!»
«Sta' tranquillo, me la caverò...ma non è solo questo che ti preoccupa, giusto?» Eminem annuì «E scommetto che so cos'è. Hai paura di non tornare a rappare, vero?» Annuì di nuovo
«Oggi quando tu e Drake siete stati giù, io volevo scrivere, ma non ci riuscivo. Mancavano parole, rime, ritmo...»
«Sta' tranquillo, dai il tempo al tempo. Vedrai che in poco più di una settimana ti riprenderai!»
«Tu sei il mio angelo. Non ti merito. Io sono egoista. Tu sei troppo buona.»
«Naaah, così mi fai arrossire! Io non sono un angelo, magari lo fossi, almeno ora sarei insieme a mia mamma...» proferii con una nota stonata di malinconia
«Ti manca?» domandò Marshall, titubante, probabilmente incerto se toccare o meno quel tasto dolente della mia vita.
«Sì, tanto. Ricordo che quando avevo quattro anni mi ero presa la febbre a trentanove per essere uscita a fare il pupazzo di neve fuori dalla roulotte. Mi divertii tanto quel giorno, ma con la conseguenza del febbrone. Ero triste perchè mi sentivo debole, allora lei per tirarmi su di morale cominciò a cantarmi le canzoni del cartone animato di Dora l'Esploratrice, suonando dolcemente la chitarra e facendomi sentire subito meglio...» ricordai nostalgica. Eminem sorrise
«È stata una buona mamma, se tu ora sei così...» diciamo che la traduzione di quel pensiero un po' ingarbugliato era: Doveva essere proprio una buona mamma visto che tu sei come lei...
«Sì, lo era eccome..» affermai, concludendo la frase con un rumoroso sbadiglio. La stanchezza si faceva sentire...
«Meglio andare a dormire, prima che ti vedo crollare sul letto con gli occhi chiusi e con il naso che russa!» scherzò lui facendomi posto nel letto
«Hei! Io non russo, e domani dobbiamo imparare il congiuntivo...» gli riferii mettendomi al calduccio sotto le coperte.
«Buonanotte Angel!»
«Buonanotte Evil!»

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Capitolo 13
*** Jake (parte prima) ***


Aprii gli occhi, svegliata da un rumore sgradevole e preoccupante che riconobbi subito. Marshall stava vomitando, di nuovo. Mi precipitai in bagno e gli tenni come al solito la fronte, che era perlata di sudore. Gli sussurrai le solite parole per confortarlo, in attesa che terminasse. Finì dopo dieci minuti abbondanti e si poggiò alla parete del bagno, con l'affanno e con i battiti velocizzati. Aveva gli occhi fuori dalle orbite e continuava a ripetermi che voleva qualcosa da prendere. Quel qualcosa chiaramente stava per le sue medicine. Decisi di non andare a chiamare il dottore per non lasciarlo solo, e mi posizionai di fronte a lui. Gli presi la mano, gliela strinsi e iniziai a parlargli.
«Calmati! Inspira, espira. Va tutto bene, tu sei forte e non hai bisogno di quello schifo. Ce la fai da solo. Respira piano, bravo, così...piano. Piano...» e dette queste parole il reppar rallentò la respirazione, tranquillizzandosi e ritornando come prima.
«Va meglio ora?» gli chiesi vedendolo in condizioni migliori
«Sì...grazie...» fece lui, con un filo di voce. Lo aiutai a tornare nel letto e poi vidi che ore erano: le cinque in punto.
«Dai, torna a dormire...» lo esortai, coprendolo ben benino, come una madre con il figlio malato.
«Tu dove vai?»
«Vado a vedere se c'è il dottore...gli devo parlare..» il rappar annuì, per poi chiuedere gli occhi e sistemarsi meglio nel letto. Misi la felpa e scesi di sotto, alla reception. Chiesi del dottore che aveva curato Eminem, di cui non sapevo ancora il nome ma di cui ricordavo la corporatura consistente, l'altezza elevata, e dei baffetti bianchi alla Albert Einstain. Ma l'infermiera mi rispose che era a casa e che sarebbe tornato intorno alle sette. Mi allontanai sconsolata e decisi di prendere una boccata d'aria fuori. Mi recai verso il cortile e mi sedetti su una panchina, al silenzio, da sola. Avevo bisogno di un attimo di pausa, gli ultimi due giorni mi avevano portato solo stress e preoccupazioni, e avevo la necessità di staccare un attimo. Chiusi gli occhi ed espirai con forza, scacciando la stanchezza che mi portavo dietro da diverse ore. E in quel momento mi si affollarono tante domande in mente, una tra queste rimase indelebile: perchè stava succedendo tutto questo? Avrei tanto voluto tornare indietro nel tempo per impedire ciò che era accaduto, per continuare a vivere serenamente senza problemi con Marshall. O per lo meno avrei voluto trovare una risposta alla mia domanda, che probabilmente di risposte non ne aveva. Pensai che chiunque stesse al di sopra di tutto, un dio, il destino o il kharma, ce l'avesse con me. La mia vita era interamente ricoperta di eventi tristi in mezzo ai quali si intravedevano solo alcuni momenti dipinti di felicità. Ma per ottenere quella macchia di felicità avevo sofferto, ero caduta, avevo lottato per poi alzarmi e guardare in alto al fine di poter dire "Ce l'ho fatta". Ma questa volta era diverso: era Marshall che stava soffrendo. E io non potevo fare niente per farlo stare meglio se non stargli vicina. Ma capite bene che la vita è ben diversa dai film: una persona che stava per morire e che ha perso la parola, non sta meglio se c'è un'altra persona che gli sta vicino. Sta meglio se ritorna a parlare, o nel caso di Eminem a rappare. E per giunta, non era sicuro che sarebbe tornato a rappare così bene quanto prima. C'era il rischio che diventasse comune e commerciale come gli altri rappar che facevano rime scontate e magari senza senso. E io non volevo questo. E poi desideravo che superasse la sua dipendenza. Non poteva andare avanti a rigurgiti e debolezza. Il sul corpo avrebbe potuto non farcela...la sua mente avrebbe potuto non farcela. Sarebbe potuto cadere in depressione. Espirai di nuovo energicamente, cercando di cancellare quei pensieri. Sentii la vibrazione del mio cellulare,che tirai immediatamente fuori dalla tasca. Era un promemoria, diceva "Risolvere la questione con Jake " Avevo momentaneamente accantonato la discussione con Jake. Dopo quello che mia aveva detto il mio ragazzo ero preoccupata su ciò che avrei dovuto fare, ma ero sicura di voler lasciare il gruppo. Ormai avevo chiuso con la droga e poi Marshall aveva bisogno di me, e io non potevo lasciarlo solo. Ero determinata a chiarirmi con Jake. Avevo intenzione di parlargli quella mattina stessa, e se avessi capito che le cose si sarebbero messe male, avrei chiamato la polizia. Era un giusto piano, e decisi in quel momento stesso, alle luci dell'alba di attuarlo. Chiamai Jake.
"Ecco chi torna a farsi sentire!" rispose sarcastico. Tralasciai il sul tono e andai avanti
"Ti devo parlare. Ti va bene se ci vediamo al solito bar alle dieci di questa mattina?" gli proposi sperando che accettasse
"Come ti pare...non so se verrò..." rispose vago e menefreghista, irritandomi parecchio e chiudendo il telefono. Agganciai anche io facendo partire una bestemmia causata dalla rabbia...ma chi me l'aveva fatto fare a chiamarlo...
Decisi anche di chiamare Drake, visto che anche lui era intenzionato a lasciare la banda. Avremmo potuto andare insieme da Jake...
"Pronto" rispose con la voce un po' assonnata
"Drake sono Ash, ti ho svegliato?"
"Mi hai fatto da sveglia, una dolce sveglia" rispose tenero. Sorrisi tra me e me pensando a quanto fossi fortunata ad averlo come ragazzo
"Sai che ti amo tanto..."
"Sai che anche io ti amo tanto..." tralasciando le smancerie ci accordammo che mi sarebbe passato a prendere all'ospedale alle 9.30. Mossa dal freddo che iniziavo solo ora a sentire, rientrai dentro all'ospedale, chiesi nuovamente del dottore, e l'infermiera mi rispose che, contrariamente a ciò che mi avesse detto prima, il dottore era arrivato e si stava concedendo un attimo di relax alle macchinette prima di cominciare una nuova e pesante giornata lavorativa. Lo raggiunsi a passo svelto, e lo vidi mentre si gustava un buon caffè, mentre mangiava una ciambella confezionata...
«Dottore, non la pensavo un tipo da ciambelle confezionate...» sdrammatizzai facendolo sorridere
«Infatti di solito preferisco quelle comprate del bar sotto casa mia. Ma oggi non ho fatto in tempo a fare colazione...»
«Oh mi spiace...detesto fare la guastafeste, ma posso rubarle solo un momento? Ho bisogno di parlarle» gli feci mortificata
«Sono tutto orecchie...» rispose disponibile sorseggiando il caffè
«Vede, stamattina, intorno alle cinque Marshall si è di nuovo sentito poco bene. Ho fatto come mi ha detto e si è calmato dopo poco. Però io mi stavo chiedendo se ci fosse un modo per non farlo vomitare, o per controllare queste sue reazioni...»
«Capisco. Non c'è un modo per farlo smettere. È il suo corpo che piano piano deve imparare a fare a meno delle medicine. » mi spiegò
«Sì, ma la mia unica paura è che in questo modo il suo corpo non regga...o peggio che la sua mente non regga»
«È per questo motivo che ci sei tu. Tu hai il compito di stargli vicino, di tirarlo su, di renderlo felice. Ed è questa la ragione per la quale non ti dò orari delle visite. Lui ha bisogno di te...» mi disse con espressività
«Capisco, ma non è così semplice...»
«Ashley, sei una ragazzina matura, sei in gamba. Ce la puoi fare. Ho capito benissimo che questa responsabilità è troppo grande per te, ma tu sei forte, hai tutte le capacità per farcela. Vedrai che questo momento passerà!» mi consolò lui con ottimismo, proprio ciò di cui avevo bisogno
«La ringrazio dottor...McLarence» dissi leggendo velocemente la targhetta sul suo camice «E mi scuso ancora se l'ho disturbata»
«Non ti preoccupare, quando vuoi per te sono disponibile!» concluse con un occhiolino.
Intorno alle sette tornai finalmente nella stanza del rapper. Beato lui: dormiva ancora! E aveva il volto rilassato, probabilmente stava sognando cose belle...
Mi sedetti stanca sulla sedia, incrociando le braccia sul tavolo e poggiandovici la testa. Chiusi momentaneamente gli occhi, con l'intento di recuperare qualche minuto di sonno, ma il destino non volle concedermelo: dalla porta entrò la signorina dai capelli biondi che portava i vassoi con la colazione. Ci salutammo e poggiò sul tavolo due fette biscottate con due marmellatine e con una tazza di camomilla calda. La ringraziai e lei tornò a finire il suo lavoro, portandoi vassoi in giro per tutto l'ospedale. A quel punto decisi di svegliare Marshall per tre buoni motivi: se si fosse alzato tardi avrebbe trovato la camomilla fredda, non avremmo potuto fare le lezioni e non mi avrebbe trovata nella stanza poichè io dovevo andare da Jake. Perciò mi avvicinai al letto e sussurrai nell'orecchio di Eminem "Sveglia, è ora di fare colazione". Come se fosse stato infastidito da un insetto, mugolò qualcosa, scacciando con la mano la mia voce dal suo orecchio. Gli ribadii il concetto una seconda volta, scuotendolo energicamente e alzando il tono della voce e finalmente il rappar decise di alzarsi! Sbadigliò rumorosamente, andò in bagno a sciacquarsi la faccia, mi diede un bacino sulla guancia e prese finalmente posto al tavolo della colazione.
«Vieni con me!» mi esortò. Feci come mi disse «Mangia...ce ne sono due!» mi invitò passandomi una marmellatina e una fetta biscottata. Feci di nuovo come disse lui e sgranocchiai il pane tostato con la marmellata alla fragola che aveva un sapore gradevole. Bevvi anche un po' di camomilla, sperando che mi aiutasse a stare calma durante tutta la mattinata. A colazione finita decisi di parlare con Eminem del mio programma
«Allora, Marsh, fra un paio d'ore, Drake verrà a prendermi. Abbiamo deciso di parlare con Jake, di chiarirci. Se si arrabbierà e ci minaccerà pensiamo di andare dalla polizia, come ti avevo già accennato. Hai qualche consiglio da darmi?»
«Posso venire con te?» mi domandò preoccupandosi dolcemente per me
«No. Tu devi stare buono buono qui, e pensare a rimetterti. Ti lascerò qualche esercizio da fare, così ti tieni occupato...»
«Se succede qualcosa dimmelo.»
«Non preoccuparti, ti chiamo non appena finisco!» ed espressogli tutto ciò che avevo da dirgli, iniziai a spiegargli il futuro. Gli feci qualche esempio e lui parve capire al volo.
 
Alle nove e trenta puntuale Drake si presentò alla porta della stanza del rappar. Lasciai ad Eminem degli esercizi che consistevano alcuni nel coniugare i verbi, e alcuni nel trovare la rima alla parola da me scritta. Dopodichè io e il mio ragazzo ci incamminammo alla volta del pub. Confesso che io ero agitata, nervosa, preoccupata. Non sapevo nè cosa avrei dovuto dirgli, nè in che modo avrei dovuto esprimermi. Non sapevo se avessi dovuto essere la me stessa, quella me che si arrabbia con facilità e che non si spaventa di fronte a niente, o se avessi dovuto far uscire l'altra me, quella un po' più calma, più docile, che cerca un compromesso pur di non infuocare una conversazione.
«Hei, tutto okay?» mi domandò Drake, probabilmente sentendomi particolarmente silenziosa
«Uhm? Sisi...tutto okay...» risposi cadendo dalle nuvole sulle quali ero sospesa
«Sembri agitata...» aveva fatto centro
«Infatti lo sono» gli confessai sospirando «Non so dove andrà a finire questa dannata situazione...»
«Andrà a finire nel migliore nei modi, perchè comunque andrà io e te rimarremo insieme!» disse dolce come il miele, parandosi di fronte a me, prendendo il mio volto freddo tra le sue mani ardenti di passione e cercando le mie labbra, al fine di accarezzarle per poi assaggiarle baciandomi con amore. Quel suo gesto mi diede una carica inimagginabile. In quel momento potevo affrontare tutto. Jake non mi faceva più paura!

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Capitolo 14
*** Jake (seconda parte) ***


Raggiungemmo il bar con un quarto d'ora di anticipo, entrammo e ordinammo qualcosa: un caffè e un cornetto per Drake e un'altra camomilla per me. L'agitazione era tornata a far parte del mio corpo, ed era anche più di prima. Non facevo che pensare a come sarebbe andata la discussione. Come avrei dovuto reagire se Jake avesse perso la pazienza. Se io o Drake avessimo perso la pazienza. In fondo noi volevamo solo uscire dal gruppo, mica rubarci tutta la sua droga per fregarlo! La cameriera ci servì la nostra colazione. Drake se la gustò con calma e tranquillità, mentre io bevvi la camomilla in fretta per averne subito l'effetto calmante. In realtà il sapore non era un granchè..sapeva più che altro di acqua calda, probabilmente perchè eravamo in un pub di periferia e non in un bar del centro...
Alle dieci e quarantacinque Jake doveva ancora presentarsi. Noi lo stavamo aspettando ormai da una buona mezz'ora e ci stavamo annoiando. Io non facevo che guardarmi attorno per cercare di distrarmi. Osservai tanti difetti in quel locale: la muffa sul soffitto, le ragnatele e della polvere negli angoli della vetrina con gli alcolici, della muffa anche sui panini esposti...mi stava venendo il voltastomaco! Drake invece continuava a leggere le battutine squallide scritte sulla parte posteriore delle bustine di zucchero, ovviamente senza ridere, e probabilmente pensando a quanto fossero stupide e infantili.
 
Alle undici e un quarto Jake non era ancora arrivato. La noia si faceva sempre più sentire insieme alla stanchezza. Avevo un gran sonno, e avevo necessità di dormire! Mi poggiai cln le braccia conserte sul tavolo a mo' di cuscino e poggiai la testa sopra. Provai a chiudere gli occhi e cercare di rilassarmi. Ma avevo i nervi a fior di pelle, e il cervello pieno di pensieri e domande a cui non riuscivo ancora a rispondere. Di conseguenza era meglio se restavo sveglia ad occhi aperti.
«Dai Ash, non stare così, vedrai che andrà tutto bene!» mi disse Drake, accarezzandomi la testolina con affetto.
«Questa volta non credo. E se ci minaccia? Che facciamo? E se viene armato? Comincio a pensare sia stata la cosa sbagliata chiamarlo.»
«Sssh! Troppi problemi! Spegni un attimo il cervello! Vedrai che non verrà armato, e anche se avesse la mezza intenzione di minacciarci, noi gli faremo cambiare idea dicendogli che abbiamo intenzione di chiamare la polizia. Vedrail filerà tutto liscio come l'olio!» le parole del mio ragazzo furono davvero rassicuranti e gli fui veramente grata per ciò che aveva detto!
 
Alle dodici in punto,finalmente, dopo due ore snervanti di attesa, Jake entrò dalla porta sgangherata di quel bar. Il mio cuore riprese a battere velocemente, provocandomi l'agitazione che poco fa avevo perso. Ci individuò e ci raggiunse al tavolo, sedendosi di fronte a noi.
«Alla buon ora!» esclamai io sarcastica, che ormai avevo deciso di voler utilizzare la mia 'me arrabbiata'
«Mi sembrava avessi capito al telefono che io avrei anche potuto non presentarmi, perciò ringraziami se adesso sono qua...» puntualizzò lui, con aria da sbruffone
«Io non ringrazio proprio nessuno...»
«La vogliamo finire?! Vi ricordo che siamo qui per parlare, non per perdere tempo!» ci interruppe giustamente Drake, proferendo sagge parole. Io e Drake ci zittimmo. Poi il mio ragazzo proseguì il suo discorso «Bene. Jake, io e Ash siamo qui perchè vogliamo uscire dalla banda. Io personalmente mi sono stancato di rischiare ogni sera di essere beccato dalla polizia o di essere sbattuto dentro. Basta, non voglio più farne parte...»
«Sono d'accordo con Drake. In più mi sono resa conto che la droga fa male alla salute. Ne voglio stare lontana. Ormai sono pulita da un bel po' e non voglio rovinare tutto...» aggiunsi io, mentre Jake ci guardava in silenzio senza commentare.
«Avete finito?!» ci domandò con un tono sarcastico. «Se avete finito, ora posso parlare io. Quando vi ho proposto di entrare nella banda, io intendevo per sempre. Era un compito serio, e non una cazzatina, fatta tanto per farla. E voi in questo modo avete tradito la mia fiducia. Chi mi garantisce che oggi, domani o magari fra un mese voi non andiate a fare le spie alla polizia?» ci disse con tono minaccioso.
«Non abbiamo intenzione di farlo...» precisò Drake.
«Per ora...aspettatevi qualcosa che vi cambierà la vita. Sappiate che avrà la mia firma...» concluse infine, con un tono inquietante avvolto di mistero, per poi alzarsi dal tavolo e lasciarci lì. Che cosa voleva dire con quella frase? Il significato era molto ambigiuo. Probabilmente voleva farci vivere in un clima di paura, per poi colpirci quando meno ce lo saremo aspettato. E se era questo il messaggio di quella frase, eravamo nella merda.
«Che cosa voleva dire?!» chiesi preoccupata a Drake
«Non lo so tesoro, ma sta' tranquilla, ora abbiamo il pretesto per denunciarlo.» rimasi in silenzio, senza acconsentire. Sì, perchè l'idea di andare dalla polizia dopo ciò che aveva detto non mi allettava molto. E questa volta avevo paura, tanta paura delle ritorsioni di Jake. Non era più un gioco, le sue minacce erano serie, non erano un bluff, e me ne accorsi solo dal suo sguardo, carico di odio e desiderio di vendetta. «Ash, mi stao ascoltando?!»
«Uhm? Sisi...ascolta Drake, e se denunciandolo lui attuasse ciò che ci ha detto? Non sarà troppo rischioso? Ti confesso che ho paura...»
«No piccola, può solo andare meglio. Vedrai che la polizia ci proteggerà!» mi rassicurò lui abbracciandomi. Tornammo in ospedale. Io più stanca che viva, e Drake invece apparentemente indifferente, ma con un aria pensierosa che solo io percepii. Appena aperta la porta Marshall fu felice di vederci. La prima cosa che feci fu dargli un bacino per poi gettarmi sul letto, mentre Drake spiegava al rappar la discussione.
«...E quindi la nostra intenzione è di denunciarlo alla polizia...»
«Capito...la cosa va risolta velocemente» rispose Marshall
«Non ti preoccupare, abbiamo già il piano...ora però devo scappare a casa» disse avvicinandosi a me«Ci sentiamo piccola. Sta' tranquilla e riposati un po'. Ti amo!» concluse scoccandomi un bacino sulla guancia per poi uscire dalla stanza. Finalmente era andato via. Non fraintendetemi, amavo Drake, era un ragazzo dolce, sensibile, sincero, maturo e divertente. Il ragazzo perfetto, ma in quella determinata situazione non si stava comportando come mi aspettavo. Tendeva sempre a sottovalutare le mie paure e a non prenderle sul serio, forse perchè pensava che esagerassi, e ciò mi dava fastidio. Perciò fui sollevata non appena andò via, ma anche in uno stato di ansia, di angoscia, che continuava a persistere in me. Volevo scacciarla tutta, volevo urlare, sfogarmi, e misi la faccia sul cuscino e urlai con quanta più forza avevo. Ne uscì un suono pacato, come da me previsto, che però Eminem sentì. Non si preoccupò molto, a giudicare dalla sua faccia. Mi venne solo vicino, e si sedette accanto a me.
«Che cosa c'è che non va?»
«Marshall, ho paura. E questa volta sono seria. Jake ci ha lanciato una vera e propria minaccia e io ho il timore che la possa attuare. Ha tutto il potere per farlo. La polizia non farebbe niente, lo so come vanno queste cose! E io e Drake rischieremmo solo la vita...» mi sfogai, esplicitandogli tutte le mie preoccupazioni. Marshall fece una sospirò, consapevole del fatto che stavo attraversando una situazione difficile. Sapevo che lui aveva le mani legate: non poteva fare granchè, soprattutto nelle sue condizioni.
«Non permetterò che ti toccherà con un dito. Stasera chiamerò a mia guardia del corpo. Ti proteggerà da qualsiasi pericolo.» mi rassicurò usando per giunta il futuro, e ciò voleva dire che stava migliorando a vista d'occhio. «Invece per la storia della denuncia. Non posso consigliarti. La desicione è tua. Però pensa che con la polizia Jake va...volevo dire andrà in galera, prima o poi.»
«È quel prima o poi che mi preoccupa...»
«Tesoro, non vivere con la paura. Ti rovini la vita...»
«Hai ragione, ma è più forte di me. E mi sto pentendo di essere entrata in quella maledettissima banda!» esclamai esasperata. Marshall mi prese la mano e me la strinse.
«Che stai facendo?» gli chiesi curiosa, cercando di calmarmi
«Ti sto mandando coraggio. A me non serve ora!» E mi fece sorridere. In un momento così triste, così buio, fece splendere dentro di me un raggio di sole. E fu in quell'istante che capii di non dovere abbattermi, dovevo trovare la forza di andare avanti. Marshall aveva bisogno di me, Drake aveva bisogno di me. Non potevo cedere. Dovevo essere ottimista. Le cose prima o poi sarebbero dovute girare nel verso giusto no?!
 
Dopo aver corretto gli esercizi di Marshall, in particolare quelli sulle rime, giunsi alla conclusione che la riabilitazione stava funzionando. Anche dal punto di vista della salute, il rappar stava migliorando: era dalla mattinata che non rimetteva, e inoltre lo vedevo più rilassato e meno teso. Mi domandai quindi se non fosse il caso di chiedere al dottore di farlo tornare a casa. In seguito alla cena, perciò lo feci chiamare. Il dottore ci raggiunse nella stanca di Eminem il prima possibile.
«Come mai mi avete fatto chiamare?» ci chiese con l'aria un po' stanca, in seguito alla mattinata lavorativa.
«Dottore, visto che sto meglio, potrò tornare a casa domattina?» domandò Eminem, che aveva ormai imparato ad usare gran parte dei verbi nel modo corretto.
«Sinceramente sono un po' scettico. Tu come ti senti? Ti sono più ricapitati gli attacchi di vomito?» lo interrogò
«Io sto bene. Ho imparato a parlare. E sento che fra poco ricomincerò a rappare...» rispose lui con la voce piena di speranza.
«Te lo auguro davvero. Facciamo così, se fino a domani mattina non ti capitano più attacchi di vomito o altro, potrai tornare a casa. Altrimenti dovrai rimanere qui e procederemo con le analisi. Okay?»
«È perfetto!» sorrise lui.
Pochi minuti dopo che il dottore se andò, ad Eminem fu portata la cena. Facemmo come la sera precedente e ce la dividemmo. Poi ci accoccolammo sul letto teneramente. Le mie palpebre si chiudevano e si aprivano. Avevo un gran sonno ed una grande stanchezza addosso, ma con tutti i pensieri che avevo il mio cervello si riufiutava di andare in stand-by.
«Marshall?»
«Sì, tesoro?»
«Verrai con me in commissariato?» gli chiesi sperando in una risposta affermativa.
«Non ti lascio sola. Verrò con te.»
«Sai, in tutti questi anni che ho conosciuto persone, mi sono resa conto che tutto ciò che dicevano sul mio conto proveniva dal fatto che non mi conoscessero realmente. Dicevano sempre che ero una persona irascibile, difficile da prendere. Poi sei arrivato tu.» Eminem sorrise
«E poi?»
«Tu hai capito la vera Ashley. Hai capito che la rabbia era solo una delle mie tante maschere e che con le persone di cui mi fido io non sono difficile da prendere, ma anzi dolce e amichevole...ed è per questo che devo ringraziare il destino che ha voluto farci conoscere. E soprattutto devo ringraziare te, che hai saputo guardare oltre la mia maschera per capire che non sono come appaio. Ti voglio bene, sei la persona più importante che io abbia mai conosciuto.» conclusi con il tono mieloso
«Anche tu lo sei. Inutile ripetere che senza di te ora ero già sotto terra...ti voglio bene anche io!» ricambiò scoccandomi un bacino sulla fronte «Beh, troppo zucchero fa venire il diabete. Tu hai bisogno di dormire! Buona notte, piccola!»
«Notte...Eminem»

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Capitolo 15
*** La denuncia ***


Aprii gli occhi con calma, svegliata da una melodia davvero invitante. Faceva tipo cosî 'I'm not afraid...to take..a stand...everybody nananana come take my hand..nanananana' E capii subito che la voce era quella di Eminem. Mi sedetti su letto in silenzio e lo vidi passeggiare per la stanzetta, con la matita in mano che sventolava per portare il tempo, e con la testa bassa sul foglio per leggere ciò che aveva scritto. Sorrisi tra me e me, compiaciuta del fatto che finalmente Marshall, stava pian pianino tornando Eminem!
«Heii...» farfugliai sbadigliando e attirando la sua attenzione.
«Buongiorno! Ti ho svegliata?» mi chiese interrompendo la gradevole melodia
«É stato un fantastico risveglio! Stai lavorando su una canzone, vero?»
«Sì...che te ne pare?»
«Dalle prime note si capisce già che sarà bellissima...» mi complimentai con lui
«Lo spero davvero..»
«È difficile che mi sbaglio!»
«Che mi sbagli, si dice che mi sbagli!» mi corresse lui
«Ah, l'allievo che supera la maestra!» scherzai io, facendolo sorridere. A giudicare dall'ottimo umore con cui entrambi ci eravamo svegliati, si preannunciava una straordinaria giornata!
«Come va? Hai avuto più nausea?» gli chiesi, tornando seria.
«Nossignora, tutto appostissimo. Sono pronto per tornare a casa!» rispose contento, poggiando il foglio e la matita sul tavolo. «Anzi, ora vado a chiamare il dottore!»
Il dottore ci diede il permesso di tornare a casa e noi, in men che non si dica, preparammo le nostre cose e lasciammo l'ospedale. Chiamammo un taxi e presto fummo seduti sul divano in pelle del soggiorno a goderci un po' di tv!
«Non mi sembra vero di essere di nuovo a casa!» esclamò il rappar con il sorriso sulle labbra. Gli sorrisi, dandogli una pacca sulla spalla.
«E invece è tutto vero! Senti un po', ti va se invito Drake a casa? Così vediamo come organizzarci per la denuncia...» gli proposi
«Sono d'accordo!»
Un'ora prima dell'ora di pranzo, Drake fu a casa nostra. Lo accolsi con un bacio appassionato sulle labbra: mi era mancato, e poi ero felice, quel giorno! Lo feci accomodare al tavolo della cucina, dove già eraseduto Marshall con aria rilassata. I due si salutarono e finalmente potemmo cominciare il discorso.
«Bene, la domanda a cui dovete rispondermi è una: come ci organizziamo per la denuncia?»
«Dobbiamo andare dalla polizia il prima possibile, in modo che prendano Jake al più presto e che non possa farti del male.» prese la parola il mio ragazzo, che con la solita dolcezza, si preoccupava per me.
«Sono d'accordo con quello che ha detto Drake, ma prima di fare questa cosa» arrancò un po' Marshall con i verbi «Dobbiamo essere tutti sicuri di quello che faremo.» Con quelle sue parole, accompagnate da uno sguardo che alludeva al discorso che gli avevo fatto la sera prima, Marshall si riferiva a me, che avevo da sempre ammesso il mio scetticismo per quanto riguardava la denuncia.
«Se in un primo momento ho mostrato incertezza dubbio sul fatto di interpellare la polizia, ora come ora, sono fermamente convinta che dobbiamo procedere. Devono farlo marcire in galera!» affermai determinata
«Ecco,questa è la Ash che conosco!» esclamò Drake soddisfatto «Assodato questo che si fa?»
«Oggi pomeriggio io e Ashley andiamo...uhm...andremo al dipartimento di polizia. Se ti va puoi venire con noi...» gli propose il rappar
«Grazie dell'offerta, ma oggi mi è davvero impossibile. Proprio stamattina mi ha chiamato il meccanico che lavora all'angolo del mio appartamento, dicendomi che potevo lavorare da lui, ma a tempo determinato. Era un po' che mi ero mobilitato per cercare lavoro, e finalmente orane ho trovato uno senza rischi e soprattutto in regola!»
«Bravo amore! Vorrà dire che andremo solo io Marshall»
«Ottimo, non appena finisci fammi uno squillo...spero di poterti rispondere!» mi disse accarezzandomi dolcemente la guancia.
«Se non potrai vedrò di passare da te!» conclusi stampandogli un bacio su quelle sue labbra che mi invitavano ad assaggiarle.
 
Quando andò via Drake, facemmo un pranzo al volo per poi stenderci sul letto. Io personalmente avevo bisogno di un po' di riposo in un vero e proprio letto, mentre a Marshall non avrebbero potuto che fargli bene un paio d'ore di sonno. E così mi appisolai cercando di non pensare a niente, se non a cose positive.
Aprii gli occhi, ma non vidi niente. Intorno a me era tutto buio e scuro. Era inquietante e io cominciavo a domandarmi dove fossi e perchè fosse tutto nero. All'improvviso sentii una voce, familiare. Era beffarda e gradassa e sapevo esattamente a chi appartenesse. Era Jake e sebbene non riuscissi a vederlo, avrei messo la mano sul fuoco che fosse lui. Lo sentii sorridere accompagnato da un eco che faceva sembrare la sua voce sicura e imponente. Tentai di parlargli...
«Dove sono!?» gli chiesi con tono di chi pretendeva una risposta. Ma lui continuava a ridere di gusto. Gli ribadii la domanda. Ma lui si limitò ad accarezzarmi la faccia con un qualcosa di freddo e liscio. Tentavo di muovermi, di cercare con la mano di prendere quel qualcosa, ma ero legata e impossibilitata ad ogni singolo movimento. All'improvviso sentii una mano sui miei occhi e vidi la luce. Ne fui abbagliata, tanto che non distinsi perfettamente il corpo di Jake, ma tanto sapevo che era lui. Strizzai gli occhi e misi a fuoco. Finalmente lo riconobbi, ma aveva un aspetto diverso: si era fatto crescere la barba e i baffi. Indossava uno smoking elegante nero e impugnava...un coltello? Ecco cos'era quel qualcosa di freddo e liscio...
«Ben svegliata!» mi fece in modo davvero inquietante, avvicinandosi a me e facendo ad ogni passo risuonare il tacchetto delle sue scarpe sul pavimento.
«Perchè sono qua?» domandai dimenandomi, e cercando di liberarmi da quelle corde che ahime erano davvero strette.
«Non c'è un esatto motivo, secondo te perchè sei qua?» mi rigirò lui la domanda, camminandomi intorno. Abbassai lo sguardo, colpevole di averlo denunciato alla polizia. In quel momento ebbi paura. Paura vera di morire. Eravamo solo io e lui, e per di più io ero legata e lui impugnava un coltello ben affilato. Sapevamo entrambi chi avrebbe vinto. Ma ero così stufa di essere impaurita da un uomo per cui non valeva la pena neanche provare tutta quell'angoscia, che decisi di farmi forza e di cercare di fargli capire che io ero la più forte.
«Sai cosa c'è?» gli feci retorica «Non me ne frega un cazzo di quello che pensi, di quello che vuoi farmi o di quello che pensi. Ormai quel che è fatto è fatto. È vero, ti ho denunciata. Cosa vuoi farmi ora? Vuoi uccidermi? Accomodati. Sappi due cose: la prima è che io sono legata, perciò tu sei un codardo a prendrtela con una ragazzina più picola di te e perdipiù impossibilitata nei movimenti, la seconda cosa è che non mi pentirò mai di tutto quello che ho fatto nella mia vita...a differenza tua...» e conclusi guardandolo fisso negli occhi, ora che era di fronte a me. Jake sorrise, un ghigno malefico, menefreghista che mi fece comprendere che lo spacciatore a me di fronte non era un uomo, ma il diavolo in persona, incapace persino di provare emozioni.
«Bene, adesso che hai finito possiamo cominciare...» mi informò sempre con quel tono inquietante che mi stava facendo accaponare la pelle. Per un istante mi ero illusa che le mie parole potessero in qualche modo convincerlo a liberarmi. Ma come sempre mi sbagliavo. Jake si avvicinò a me, impugnò saldamente il coltello. Il mio cuore andava più veloce di un treno. La paura salì a livelli inimaginabili così come la mia ansia. Era arrivato il mio momento. In un lampo fulmineo Jake avvicinò il coltello verso di me, diretto al cuore.
Urlai....aaaaah!
Aprii gli occhi urlando spaventata. Mi guardai attorno confusa e con l'affanno. Che sollievo fu capire che ero a casa di Marshall e non da quello psicopatico spacciatore! Sentii dei passo frettolosi e poi vidi Marshall entrare a passo svelto nella mia camera.
«Cosa è successo?» mi chiese accorendo da me
«Ho avuto un incubo. Scusa se ti ho svegliato.» gli spiegai ancora un po' turbata.
«Mi hai fatto spaventare...cosa hai sognato?» mi chiese, sedendosi accanto a me.
«Ero in una stanza con Jake. Ero legata ad una sedia e lui, impugnando un coltello stava per trafiggermi il cuore.» gli raccontai esigendo in quel momento un abbraccio. Ma in quel momento fui troppo orgogliosa per chiederglielo...tuttavia, come se mi avesse letto nel pensiero, allargò le sue braccia e mi strinse calorosamente a lui.
«Ora sta tranquilla. È finito tutto. Era semplicemente un brutto sogno» mi sussurrò rassicurandomi. Rimanemmo per un po' stretti così, giusto il tempo che mi serviva per tranquillizzatmi. Quindi ci staccammo.
«Marshall, e se fosse un messaggio del destino?» gli chiesi riflettendoci su
«Non lo so Ash, potrebbe essere. Ma nessuno sa come interpretare il destino, e neanche i sogni. C'è chi dice che si leggano al contrario, chi afferma che se sogni di morire ti si allunga la vita. Sono tutte cavolate. È stato solo uno stupido incubo, da cui non ti devi far suggestionare. E poi ci sono io affianco a te. Non permetterei mai che Jake possa farti qualcosa!» Sebbene le sue parole furono una conferma per me, sospirai. Sfido chiunque a non avere paura dopo che uno spacciatore minaccia di perseguitarti se denunciato.
«Tesoro, so che hai paura, ma insieme ce la faremo!» Queste furono finalmente le parole che mi diedero un po' di coraggio e che mi fecero sentire subito meglio. Regalai un altro abbraccio a Marshall, che in realtà serviva più a me che a lui e poi ci sbrigammo entrambi per andare alla polizia.
 
Marshall parcheggiò proprio di fronte al commissariato. Guardai fuori dal finestrino. L'insegna 'Polizia' regnava impotente sulla caserma, ma invece di trasmettermi sicurezza, come avrebbe dovuto, provai una sensazione di irrequietezza, di malessere generale. Ero agitata. Avevo le mani fredde, il cuore che pulsava a mille e migliaia di pensieri nella mia testa. E credetemi, non erano bei pensieri.
«Ce la fai?» mi domandò Marshall con il tono della voce soffice, stringendomi la mano. La sua era bollente, calda, sicura. La mia l'esatto contrario. Annuii. Mi feci forza e scesi dalla macchina. Attraversammo insieme e mano nella mano varcammo la soglia del commissariato. Intidimidita dall'atmosfera silenziosa e rigida, mi diressi verso un ragazzo in uniforme, giovane, biondino, che mi ricordava Louis.
«Buongiorno» mormorai a bassa voce «Dovrei fare una denuncia...» e immediatamente il ragazzo ci accompagnò in una stanza non molto grande, ma ben arredata. Ci congedò dicendoci che il commissario ci avrebbe raggiunto dopo qualche minuto. Nella stanza c'era una scrivania con una sedia girevole in pelle nera e due altre sedie sempre in pelle, di fronte, su cui ci accomodammo. Il pavimento era in parquet, mentre le pareti erano dipinte di un giallo arancio che mi trasmetteva speranza e coraggio. Sulla scrivania regnava un pc portatile, un blocco di libri e una foto di una donna bellissima, dai capelli scuri e ricci e dagli occhi verdi che le accendevano il viso. Sul lato destro della scrivania c'era una finestra, non troppo grande, che però illuminava la stanza. La mia gamba tremava sul parquet, facendo un rumore costante e fastidioso. Ma non riuscivo a fermarla, poichè non riuscivo a controllare la mia agitazione. Marshall se ne accorse e decise di prendermi la mano. Sospirai, guardando i suoi occhi chiari, dove sapevo di poter trovare tutta la sicurezza di cui avevo bisogno.
«Buongiorno!» esclamò a gran voce il commissario, irrompendo nella silenziosa stanzetta. Ci alzammo e ricambiammo il saluto, per poi accomodarci dopo un suo cenno della mano. Il commissario, un uomo sulla cinquantina dal bell'aspetto, dai capelli brizzolati e da un pizzetto che gli calzava a pennello, ci domanò il motivo per cui fossimo lì. Presi coraggio e decisi di parlare.
«Dovremmo fare una denuncia...»
«Ah...contro chi?» ci chiese, interessato e stupito probabilmente dal fatto che a soli quindici anni avrei già fatto una denuncia.
«Jake Donut» risposi secca
«Il motivo?»
«Beh il motivo preciso è che ha minacciato me e il mio ragazzo di ritorsioni se fossimo venuti dalla polizia per denunciarlo. Ma l'antefatto è che il e il mio ragazzo abbiamo deciso di uscire dalla sua banda che spacciava droga, Jake non l'ha mandato giù e ci ha minacciato. » fu abbastanza dura tirare fuori tutti i miei ricordi e sintetizzarli banalmente in un periodo...ma credo che comunque il commissario avesse capito che fosse una questione seria e pericolosa.
«Capisco...» fece il commissario in un sospiro mentre si accarezzava il suo pizzetto «Hai davvero fegato a perseguire nella denuncia. Come membro della polizia ti garantisco che cercheremo di fare tutto il possibile per prenderlo in tempi brevi..» mi promise
«Dovete fare più di tutto il possibile...la vita di Ash è costantemente in pericolo fin quando quel bastardo gira a piede libero per Detroit...» precisò Marshall con tono duro e severo. Il commissario lo guardò, cercando di riconoscere il suo viso. Come se gli si fosse accesa una lampadina nel cervello, capì che Marshall era Eminem, e poi disse «Signor Mathers, faremo tutto ciò che rientra nelle nostre competenze, e anche di più se ce ne sarà bisogno. Non vi dovete preoccupare di nulla, se non stare attenti e fornirmi una descrizione di questo Jake.» Dopo che gli descrissi nei minimi particolari il denunciato, e dopo aver lasciato il numero di cellulare di Marshall, potemmo andare via. Mi sentii un filino più leggera, perchè ero riuscita a superare la mia paura e a denunciare lo spacciatore. Ma ero preoccupata circa i tempi previsti dalla polizia. È vero, mi avevano detto di fare di tutto per accorciare i tempi, ma non era una certezza. Salimmo in macchina. Mandai un messaggio a Drake e tornammo a casa. Il mio ragazzo mi rispose di stare tranquilla e di non stressarmi troppo. Ma capite bene, che era alquanto difficile 'eseguire gli ordini'. Non appena tornati a casa, decisi di guardarmi la tv. Stavano trasmettendo dei cartoni animati, che mi intrattenerono per al massimo una mezzoretta. Annoiata, decisi di raggiungere Marshall, che se ne stava zitto zitto nella sua stanza a scrivere le sue rime. Bussai.
«Disturbo?»
«No, anzi, vieni a sentire se ti piace!» mi accolse Marshall facendomi accomodare sul suo letto.
«L'hai finita?» chiesi riferendomi alla canzone, prima che cominciasse a rappare.
«Quasi...mi manca poco...» mi rispose alzandosi in piedi «Sei pronta?»
«Certo!» risposi annuendo
«testo canzone» più ascoltavo ogni singola parola della canzone, più mi convincevo che era un autentico capolavoro. Il senso della canzone era quello di farsi coraggio e di andare avanti, di lottare nonostante tutto. E mi diede una carica non indifferente. Non appena concluse di cantare, gli feci i miei migliori complimenti. Sarebbe stata sicuramente un grande successo!
«Finalmente Eminem è tornato!» scherzai io, alzando il pugno, in attesa che battesse il suo al mio, cosa che accadde di lì a pochi secondi.
«Grazie tesoro. Sono felice che ti piaccia!»
E decidemmo di trascorrere la serata a casa, e di guardarci un film, cercando di dimenticare, o per lo meno di non pensare alla denuncia.

Scusate il ritardo..fatemi sapereeee! ciaoo

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Capitolo 16
*** Pestato ***


DRAKE POV- Non appena ebbi ricevuto il messaggio di Ash, tirai un sospiro di sollievo. A breve Jake sarebbe finito in galera e io e Ash avremmo potuto goderci il nostro amore senza preoccuparci di niente e di nessuno. Amavo quella ragazzina più della mia stessa vita. Era dolce, matura, e brillante. Sapeva come tirarti su di morale, e anche se stava male cercava di nasconderlo e di tirare avanti nonostante tutto. Era in grado di farti riflettere sulle cose più stupide al fine di fartele apprezzare. E soprattutto non si vergognava mai di ciò che era. Ed era proprio questo l'aspetto che più mi colpiva di lei, la sua capacità di valorizzarsi. Sapevo che sarebbe stata la mia anima gemella. E sapevo anche che fra poco sarebbe stato il suo compleanno, perciò avevo decisi di raccimolare qualche soldo per portarla a cena fuori e per farle un regalo con i fiocchi. Avevo intenzione di comprarle una collanina con un ciondolo dell'infinito in argento, abbastanza grande da poterci incidere l'iniziale dei nostri nomi con un cuoricino. Speravo le piacesse, e soprattutto che riuscissi a mettere da parte i soldi in tempo per l'occasione: mancavano solo quattro giorni e io avevo solo 30$ mentre la collanina ne costava 123.90$ Ma avrei fatto di tutto per renderla felice, e di certo un po' di lavoro in più non mi scoraggiava.
Finii il turno dal meccanico intorno alle dieci e mezza di sera. Ero davvero stanco, ma quella giornata mi aveva fruttato ben 45$! Mi diressi quindi verso casa mia, avvisando Ash con un messaggio che non ce la facevo a passare da lei e promettendole che la mattina seguente sarei passata da lei con la colazione, in modo da poterci vedere. Se pure un po' dispiaciuta, non fece storie e capì perfettamente la situazione, augurandomi una buona notte. Per le strade di Detroit non c'era anima viva poichè faceva freddo. La maggior parte dei locali era chiusa, e l'atmosfera che si respirava era un po' inquietante a dire la verità. Quando mancavano solo due isolati per arrivare a casa mia, sentii il rombo di un motore, farsi sempre più vicino a me. Allungai il passo, cercando di non mostrare la paura che in quel momento provavo, ma il motore mi raggiunse. C'erano due persone sopra, coperte da un casco nero e vestite con giubbotti di pelle, anch'essi neri e con un paio di jeans scuri. Uno di loro era armato di una mazza da baseball. Cercai di mantenere la calma e di pensare chi potessero essere quei due spilungoni.
«Chi siete!?» domandai in tono apparentemente sicuro e severo. I due rimasero zitti, e cominciarono ad avvicinarsi a me. In quel momento realizzai che ero veramente nei guai e quei due avevano intenzione di piacchiarmi. Pensai che se avessero dovuto farlo, almeno io avrei cercato di difendermi, ma i miei piani andarono a farsi benedire, quando il tizio disarmato in un paio di mosse mi bloccò le braccia, mettendomi di fronte al suo amico con la mazza. Contai nella mia mente, uno, due, tre, quattro secondi. Ciò che accadde dopo fu veramente doloroso. L'uomo con la mazza da baseball cominciò a picchiarmi con quella, all'addome, all'altezza dello stomaco, dell'intestino, e mi fece accasciare a terra. Avevo il fiato corto e sentivo un gran male. Potei sentire la risata sarcastica dei due tizi, che mi stavano deridendo. Feci forza e cercai di rialzarmi, ma i due non mi diedero neanche il tempo per farlo, che cominciarono a darmi pugni e cazzotti in faccia e sul mio busto. Stavo crepando e non riuscivo a difendermi perchè i bastardi erano in due. E mi accorsi di perdere sangue non so da dove. Stavo pregando che quel momento finisse il prima possibile e soprattutto che ne uscissi vivo da quella situazione. Finalmente i due bastardi se ne andarono, quello armato mi lasciò dolorante a terra, finendomi con un calcio nello stomaco che mi fece mancare il respiro. Tossì, rimanendo a terra e cercando di non perdere i sensi. Sentii il motore che si allontanava da me e finalmente potei considerarmi salvo. Rimasi immobile sul marciappiede per sette minuti contati secondo per secondo. Durante quei sette minuti ripresi a respirare, se pur con molta fatica, poichè ad ogni mio respiro mi faceva male l'addome. Decisi quindi di raggiungere casa mia. Raccimolando le mie ultime energie mi misi in piedi e barcollando raggiunsi la porta di casa, che aprii con difficoltà. Cercai di raggiungere il bagno e di guardarmi allo specchio. Non fu un bello spettacolo. Avevo l'occhio sinistro completamente nero, un livido gonfio sullo zigomo destro e il labbro spaccato da cui usciva sangue a fiotte. Con cautela mi tolsi la maglia. Il mio busto era pieno zeppo di lividi e in più avevo un graffio piuttosto superficiale sul pettorale destro, da cui, anche da lì, fuoriusciva sangue. Presi quindi un asciugamano e mi tamponai le parti da cui perdevo sanguinavo. Poi raggiunsi il letto e mi ci buttai pesantemente cercando di riposarmi. Ero distrutto e sebbene in quel momento avessi voluto solo chiudere gli occhi e dormire, il mio cervello mi fece ricordare di Ashley. Avrei voluto farla stare tranquilla, perciò decisi di non dirle niente. Le mandai frettolosamente un messaggio in cui le dicevo di non poter passare da casa sua e chiusi gli occhi, abbandonandomi alla stanchezza.---
 
Mi svegliai, sentendo un gradevole odorino proveniente dalla cucina. Scesi in fretta le scale seguendo la scia. Trovai Marshall alle prese con i fornelli.
«Buongiorno! Che stai preparando di buono?» domandai dandogli un bacino sulla guancia
«Ben alzata! Sto cucinando uova strapazzate e pankakes» rispose lui. Feci un faccia tra il felice e il dispiaciuto. «Perchè fai così? Non dirmi che non ti piacciono i pancakes!»
«No, non è quello...è che Drake deve portarmi la colazione stamattina!» gli spiegai mortificata «Anzi è strano che non sia già arrivato, ora lo chiamo» dissi prendendo il cellulare. Accendendo lo schermo, notai di aver ricevuto un messaggio proprio del mio ragazzo. Lo lessi e rimasi con una faccia dispiaciuta «Come non detto, mangio qui...» lo informai prendendo posto a tavola sconsolata e dispiaciuta.
«Che è successo?» mi chiese lo chef servendomi un piatto pieno zeppo di cibo
«Ha scritto che era stanco e preferiva stare a casa...»
«Ah...capisco...» disse schiarendosi la voce, con uno sguardo che avrebbe voluto dire di più di quello che in relatà aveva detto.
«Cosa? Perchè fai così?» gli chiesi, in attesa di un'illuminazione
«Perchè ad esserti sincero, non ci vuole un genio per capire che è una bugia!» mi rispose con tono saccente. Drake, una bugia? E perchè mai avrebbe dovuto?! Secondo me Marshall si sbagliava...anche se...era strano che mi avesse dato buca. E in effetti la sua risposta era stata fredda...e improvvisa. Che il rappar avesse ragione?! Rimasi in silenzio, ignara di ciò che avrei dovuto dire a Marshall. «Tesoro, non è per cattiveria che te lo dico, ma per aprirti gli occhi...»
«Sisi, lo so, lo so. È che mi sembra strano...non mi racconterebbe mai una bugia. Magari fra poco passo da lui e gli faccio una sopresa...» decisi a voce alta
«Passiamo da lui. Ti accompagno io» mi informò.
Finita la buonissima colazione preparata dal rappar, che mi diede energia a sufficenza per svegliarmi del tutto, ci preparammo per uscire.
Raggiungemmo casa di Drake. Non gli scrissi niente, perchè il mio intento era quello di fargli una sorpresa, per tirarlo un po' su, dopo la stanchezza della sera precedente.
Bussai alla porta. Rimanemmo ad aspettare in silenzio, in attesa che il mio ragazzo mi venisse ad aprire. Passarono diversi minuti e niente. Riprovai a bussare, questa volta più convinta e accompagnando il gesto con la voce «Drake, apri, sono io!» Dopo qualche minuto finalmente sentii dei passi e la sua voce «Ash, ora non posso aprirti...» farfugliò confuso. «Vattene..» mi ordinò. Capii che qualcosa non andava e cominciai a preoccuparmi. Decisi quindi di passare alle maniere forti, per così dire, lo ricattai. «Ti giuro che se non apri immediatamente questa porta rompo con te!!» dissi in tono severo. Marshall che stava assistendo a quella scena, aveva lo sguardo concentrato, probabilmente perchè stava riflettendo anche lui su cosa potesse essere successo al mio ragazzo.
«Aspetta, non sta bene...» mi sussurò poi, frenando la mia mano che syava continuando a bussare ostinatamente. Mi paralizzai
«Come lo sai?» gli chiesi. Ma non ebbi neanche il tempo di ricevere una risposta che Drake aprì la porta...in realtà non la spalancò, in segno di ospitalità, ma lasciò uno spiraglio.
«Prima che entri, non spaventarti quando mi vedrai!» mi avvisò, un momento orima che mettessi piede nel suo appartamento. Quella frase mi spaventò...
Aprii la porta e mi ritrovai il mio ragazzo in condizioni orribili davanti a me. Trattenni il respiro e mi portai una mano alla bocca, incredula che tutti quei lividi potessero aloggiare sulla sua faccia. Anche Marshall quando entrò ebbe una reazione simile alla mia, solo che lui fu più pronto di me nel chiedergli:«Che ti è successo?» Io tremavo. Il mio ragazzo aveva il labbro spaccato e numerosi lividi sulla faccia...e chissà quanti altri sul corpo...
«Ieri due uomini mi hanno fermato e me le hanno date di santa ragione. Uno aveva una jazza da baseball ed entrambi erano coperti da una casco nero.» si limitò a rispondere, sedendosi sul letto. Mi feci forza e presi posto accanto a lui. Strinsi i denti e lo abbracciai, per dargli supporto e per fargli sapere che c'ero per lui. Anche lui mi strinse a sè, probabilmente compiaciuto all'idea che gli fossi vicino.
«Sei tutto rotto! Dove ti fa male?» gli chiesi preoccupata, andando a prendere un'asciugamano bagnato e del ghiaccio.
«Tesoro, non preoccuparti, sto bene!» mi rassicurò, in un tono che di rassicurante non aveva niente.
«Drake, è impossibile che non senti dolore, perciò fatti aiutare ok?!» lo interruppe Marshall, anche lui agitato dalla situazione. Lo ringraziai con lo sguardo. Poi andai vicino al ragazzo e gli tamponai delicatamente il labbro con l'asciugamano. Strizzò gli occhi ma resistette al dolore come un vero uomo.
«Togli la maglietta!» gli ordinai mettendo i cubbetti di ghiaccio in varie bustine di plastica in modo da ricoprire tutti i suoi innumerevoli lividi.
«Che c'è vuoi vedere il mio fisico dolcezza?!» mi fece con un tono alla 'Gigolò' davvero buffo che mi fece ridere. Ecco com'era il mio ragazzo: forte e coraggioso, tanto da affrontare un momento doloroso con una risata.
«Quanto sei scemo!» scherzai dandogli un pugnetto scherzoso sul braccio destro.
«Hei, non uccidermi anche tu, ti prego!»mi scongiurò. Quando Drake si tolse la maglia rimasi a bocca aperta, non tanto per il suo fisico perfetto -aveva addominali scolpiti e pettorali lisci ben in mostra- quanto per i numerosi aloni viola sparsi su tutto il suo corpo. Ne aveva uno bello grosso sul braccio sinistro, un paio sui pettorali e troppi sulla pancia. In pratica aveva gli addominali viola! Iniziai a posizionare gli impacchi di ghiaccio sui suoi innumerevoli lividi, dicendogli di tenere premuto. Un po' dolorante fece come gli dissi. Poi cominciammo a parlare della sera prima. Dopo avermi raccontato tutto nei minimi dettagli io e Marshall giungemmo alla scontata conclusione che quei due tizi erano amici di Jake, e che ciò che gli avevano fatto, era un avvertimento.
«Il prima possibile dobbiamo tornare dalla polizia. Non voglio che accada qualcosa anche te!» mi disse Eminem, preoccupandosi per la sottoscritta, il che fu veramente dolce da parte sua.
«Non è giusto! Quel bastardo...ti giuro che se mi capita tra le mani...io...io...» iniziai a straparlare, con la rabbia che mi saliva, tanto da farmi alzare frettolosamente dal letto e farmi andare su e giù per l'appartamento di Drake
«Tu non gli farai niente, perchè con la vendetta non si risolve nulla» mi ammonì il mio ragazzo, saggio e maturo a differenza mia.
«Drake ha ragione, dobbiamo solo aspettare che la polizia faccia qualcosa! Dobbiamo mantenere la calma e cercare di non correre rischi inutili, tipo uscire tardi la sera o amdare in zone dove non va nessuno.» si raccomandò Marshall. Io dentro avevo la rabbia che mi ribolliva e dovevo sentirmi dire di stare calma e di non fare nulla! Mi sembrava una pazzia! Avrei potuto in qualunque momento andare a scovare quel bastardo per gonfiarlo con una mazza da baseball, così come lui aveva fatto con il mio ragazzo. Gli avrei rotto tutti i denti che aveva in bocca, tutte le ossa del suo corpo finchè non mi avrebbe implorato di smettere, in ginocchio sui miei piedi...
«Ash? Ci sei? Sei tra noi?» mi risvegliò Marshall, scuotendomi un po'. Stavo già immaginando la scena di Drake inchinato ai miei piedi...
«Uhm...sì...sì...sono qui, non preoccupatevi!» sorrisi rassicurandoli.
Dopo esserci assicurati che Drake stesse bene e che potesse rimanere da solo nel suo appartamento, tornammo a casa. Ero abbastanza scossa dall'accaduto e abbastanza arrabbiata da sentire il bisogno di fumarmi qualcosa, ma cercai di essere forte e di resistere alla tentazione anche perchè era quasi una settimana che non toccavo nulla di nulla. E inoltre Marshall era uscito da poco dall'ospedale, non era il caso di tentarlo con la droga! In casa piombò il silenzio. Io perchè non sapevo nè che fare nè che dire, Marshall perchè stava sicuramente pensando al da farsi. Mi andai a sedere sul divano, rannicchiandomi in un angolino, con un paio di auricolari e con la musica alle orecchie. Stavo ascoltando qualche canzone di Eminem per tirarmi su, in particolare The Real Slim Shady, che, così come My name Is, mi facevano sorridere nei momenti più tristi. E così fu anche in quell'occasione: sorrisi tra me e me come un ebete, attirando l'attenzione di Marshall, che mi raggiunse sul divano. Mi guardò stranito, probabilmente pensando che fossi matta, visto che un momento prima mi aveva visto depressa e preoccupata, mentre un momento dopo ridere di gusto. Abbassai ulteriolmente il volume.
«Che c'é?» gli chiesi con un sorriso
«Perchè ridi?»
«Ti sto ascoltando...e mi fai ridere in questa canzone!» gli spiegai, mettendogli una cuffia nel suo orecchio. Non appena sentii le note della sua canzone inizio a muovere le labbra ad ogni parola che sentiva, senza però far uscire la voce. Era davvero divertente, e mi fece di nuovo ridere, risollevando il mio morale che fino a poco tempo fa era a terra...o meglio sotto terra!
«Vedo che va un po' meglio...» dedusse togliendosi la cuffia e accarezzandomi dolcemente la guancia.
«Sì. Ora sì. Confido nel potere della polizia!»
«Vero, vedrai che lo prenderanno prima del tuo compleanno. A proposito, che cosa vorresti?» È vero, il mio compleanno si stava avvicinando! Che stupida, me n'ero finanche scordata! Fra tre giorni sarei diventata maggiorenne! Sedici anni, che bello, un sogno che diventa realtà!
«Niente, hai già fatto troppo per me. Al massimo sono io che dovrei chiederti cosa vorresti!» gli dissi.
«Tesoro tu hai fatto più di quanto tu pensi. Mi hai salvato la vita, e non potrò mai ripagarti abbastanza per questo!» mi mormorò venendomi vicino e abbracciandosi calorosamente. E fu in quel momento che sentii svanire tutti i miei problemi!

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Capitolo 17
*** Rapita... ***


Nel tardo pomeriggio, come avevamo già prestabilito, ci recammo di nuovo in commissariato. Questa volta fui meno agitata, al contrario di Marshall, che invece era davvero nervoso. Non so cosa aveva, ma leggevo nei suoi occhi nervosismo e rabbia e ansia...  Lo presi per mano, un momento prima che varcassimo la soglia.
«Sta' tranquillo. Vedrai che andrà tutto bene. Cerca di mantenere la calma...» gli mormorai. Lui mi ringraziò con un bacetto. Dopo pochi minuti ci ritrovammo nella stanza dell'altra volta del commissario.
«Come mai siete qui?» ci domandò
«Il ragazzo di Ashley è stato aggredito la scorsa notte da due uomini. Hanno sicuramente a che fare con Jake. E io sono preoccupata per la mia ragazzina» disse dapprima con un tono neutrale, passando poi ad uno carico di preoccupazione.
«Signor Mathers, io capisco perfettamente la sua agitazione, ma mi creda, noi stiamo facendo tutto il possibile.»
«No! Si sbaglia! Se lo stesse facendo, Drake non sarebbe tornato a casa tutto rotto!» lo ammonì il rapper, in tono severo. Gli presi di nuovo la mano, sussurrandogli di calmarsi.
Ma nei suoi occhi continuavo a vedere il fuoco della rabbia che inceneriva tutta la sua dolcezza. Decisi di lasciarli soli: non mi piaceva vedere Marshall arrabbiato, mi incuteva in qualche modo, paura...
Uscì dalla stanza, poggiando però l'orecchio sulla porta. Sentii la sedia cadere a terra: scattò in piedi e disse in tono davvero arrabbiato:« Le giuro che se dovesse accadere qualcosa ad Ashley, la porterò in tribunale, e mi creda, la causa la vincerò io!» Fu chiarissimo. Non si sentì più un fiato. Sentii dei passi avvicinarsi alla porta e staccai l'orecchio, poggiandomi immediatamente al muro, con indifferenza. Marshall uscì di lì a qualche secondo. Era scosso, infuriato, e lo si capiva solo dai suoi bellissimi occhi che come uno specchio mi facevano capire come stava. Tornammo in macchina. Preferii rimanere in silenzio e non dire niente, anche perchè in fondo non sapevo proprio che dirgli. E poi avevo paura che si arrabbiasse di più. Arrivati a casa, sempre in un silenzio tombale, si trascinò su per le scale e andò nella sua camera. Fantastico! E io cosa avrei dovuto fare lì, da sola? Ritornare a pensare all'accaduto. Perciò mi ritornò la tristezza delle precedenti ore. Non facevo che ricordarmi di quel giorno in cui Jake ci minacciò, con quel suo ghigno beffardo e gradasso che aveva anche nel mio sogno. Ma come avevo fatto ad essere così stupida? Come avevo potuto di fidarmi di lui?! Solo al pensiero mi sento stupida. Se quel giorno in qurl bar avessi detto no, ora non mi troverei in questa dannata situazione. È anche vero pero che se avessi risposto di no, non avrei conosciuto Drake, e a quest'ora non staremo insieme...Stanca di tormentarmi con i miei stupidi pensieri decisi di uscire. Andai nella stanza di Eminem, aprii piano la porta per avvisarlo, ma lo trovai sdraiato sul letto, con gli occhi chiusi, mentre si agitava e mugolava qualcosa. Gli accarezzai il volto, sussurrandogli che andava tutto bene e si calmò. Stava certamente facendo un incubo. Decisi di non svegliarlo: dopotutto aveva anche lui bisogno di riposo! Gli scrissi un post-it che attaccai sul tavolo. Dopodichè uscii. Faceva un gran freddo fuori, ma l'odore di fresco e di libertà era per me qualcosa di impagabile. Iniziai a camminare verso il centro della città, ma pensai che dopotutto era inutile andare verso il centro, data l'ora: avrei trovato tutti i negozi chiusi. Perciò decisi di andare a fare compagnia ad una persona che si sentiva sola, e che mi aveva fatto ragionare in un momento di rabbia: Phil. Raggiunsi casa sua piuttosto in fretta e fu davvero felice di vedermi.
«Ashley, da quanto tempo!» mi disse abbracciandomi
«Ciao Phil, mi sei mancato!»
«Anche tu tesoro. Accomodati, ho appena fatto una torta al cioccolato!»
«Grazie, l'accetto volentieri, è proprio quello di cui ho bisogno in questo momento!» risposi con una nota di amarezza
«Che è successo piccola? Ti va di parlarmene?»
Gustandomi la buonissima e ipermegacalorica torta di Phil, gli raccontai tutto ciò che era successo da quella fatale sera in cui Marshall rischiò la vita, fino all'aggressione del mio ragazzo. Il nonnino ascoltava con attenzione, commentando di tanto in tanto la cattiveria di Jake.
«...e quindi ora ho paura che succeda qualcosa anche a me..» conclusi
«Capisco perfettamente tesoro. Però posso darti un consiglio?» mi chiese dolcemente
«Certo, sono tutta orecchie» risposi finendo definitivamente la torta.
«Credo che Jake non meriti la tua paura. È solo un verme che usa la violenza perchè non sopporta l'idea che voi due lo abbiate abbandonato. Inoltre è terrorizzato dall'idea di poter andare in prigione. Non ci è mai stato, ma sa che non durerebbe neanche una settimana! Perciò il mio consiglio è di non avere paura di lui. Devi essere coraggiosa e devi fargli capire che tu sei più forte di lui, intesi?»
«Intesi, ma Phil, è impensabile. Io ho solo quindici anni e sinceramente ho paura eccome delle sue ritorsioni. Non è un film: se lui mi trova, mi può uccidere!» gli spiegai, esprimendomi sinceramente, buttando fuori tutto ciò che avevo pensato e che non avevo del tutto detto nè a Marshall nè a Drake.
«Lo so, lo so. Anche io avevo paura di Jake, quando me ne andai dalla gang. Avevo paura che potesse far male a mia moglie, o che potesse incendiarmi casa. Ma un giorno mi stancai di vivere con la paura e decisi che quando e se fosse arrivato il fatidico giorno, io non gli avrei dato la soddisfazione di fargli sentire la mia paura!» Phil disse  qualcosa che mi rimase veramente impresso. Aveva ragione lui, non serviva la mia paura. Dovevo dimostrare a Jake che io ero più forte di lui. Io ce l'avrei fatta. Avrei vinto io! Dopo una piacevole oretta passata a conversare con l'anziano soggetto, Marshall mi chiamò al cellulare, chiedendomi dove fossi e se mi fossi resa conto dell'orario. C'è da specificare che lo fece con un tono arrabbiato, apprensivo, da papà, che mi diede veramente sui nervi. Risposi in fretta che fra poco sarei tornata e gli chiusi il telefono in faccia. Chiusa la chiamata mi resi conto dell'orario: erano le 23.15. Salutai in fretta e furia Phill, scusandomi dell'inconveniente e mi diressi verso casa. Appena scesa da casa del nonnino fui travolta da un vento freddo che mi fece accapponare la pelle. Si era notevolmente abbassata la temperatura da quando ero uscita da casa. E forse Marshall non aveva avuto tutti i torti a parlarmi da padre. Infodo si era solo preoccupato per me. Mi sentii un attimo in colpa per avergli chiuso il telefono in faccia. D'altronde lui aveva usato un tono troppo severo con me. Infondo gli avevo scritto che sarei uscita! Ma d'altra parte erano le 23.15 e io non ero ancora rincasata, con una temperatura gelida lì fuori, e senza nessuno che mi accompagnasse. Giunsi alla conclusione che mi ero comportata male e non appena fossi tornata a casa avrei chiesto scusa al rapper. Il vento non faceva che aumentare, e io stavo per morire di freddo. Allungai quindi il passo, quando mancavano solo quattro isolati. Nella mia mente cercavo già di organizzare un discorso da fare ad Eminem, che potesse calmarlo e che ci facesse far pace. Non avevo minimamente voglia di litigare con lui, anche perchè fra due giorni sarebbe stato il mio compleanno e volevo trascorrerlo in tutta tranquillità...ovviamente si fa per dire! Immersa com'ero nei miei pensieri mi accorsi solo dopo alcuni isolati che una macchina nera stava facendo la mia stessa strada già da un po'. Essendo ignorante in auto non so che macchina fosse, so solo che era grande, lunga, con i vetri scuri e con i fanali spenti nonostante fosse notte. Iniziai a preoccuparmi perchè ebbi il timore che mi stesse seguendo. Decisi quindi di affrettare il passo. Anche l'auto accellerò. Mentre stavo attraversando la strada l'auto mi si parò davanti, impedendomi di procedere. Non ebbi neanche il tempo di fare il giro che si abbassò il finestrino. Ne uscì una faccia a me già nota. Era Jake.
«Ciao Ashley!» scandì lui. Mi ricordo solo quelle parole. E poi fui immersa nel buio più totale senza sentire nè vedere nulla di nulla.
EMINEM POV: Ma perchè era uscita!? Perchè poi così tardi?! Ma dove diamine era andata?! E poi, come mai non era ancora tornata, dopo la mia chiamata? Stavo perdendo la testa a cercare di trovare almeno una risposta alle mie numerose domande. Passeggiavo freneticamente lungo l'ingresso, dando continuamente un occhio all'orologio. Le avevo raccomandato di non uscire...era pericoloso, con Jake in giro! Anche lei mi aveva detto che aveva paura! Ma allora perchè era uscita!? Stavo diventando pazzo a furia di farmi le stesse domande. Erano mezzanotte meno un quarto e io l'avevo chiamata esattamente mezz'ora fa. Forse era a casa di Drake...magari era proprio dal suo ragazzo! Decisi quindi di chiamarlo...
"Pronto?" rispose il ragazzo affannato
"Hei Drake sono Marshall, disturbo?"
"Marshall, nono, dimmi pure, sto finendo il turno dal meccanico" rispose lui, dandomi implicitamente la risposta alla domanda che stavo per porgli. Visto che non ne sapeva niente decisi di non allarmarlo. Dopo tutto anche lui aveva avuto una giornata stressante!
"Ehm...no niente...volevo sapere...come stavi? Ti sei ripreso?" balbettai trovando per fortuna una scusa plausibile
"Sì, sto meglio. Ho solo qualche livido grazie!"
"Bene, menomale...ora vado...ti saluto!" conclusi
"Ciao, Marshall, salutami Ash!" si raccomandò agganciando. Non appena chiusi la chiamata i miei occhi si posarono di nuovo sull'orario: mezzanotte meno dieci. Ma dove cavolo si era cacciata Ashley!? Provai a richiamarla, ma il telefono segnalava la segreteria. La preoccupazione aumentò. Ma poi perchè non mi aveva scritto dove sarebbe andata? L'orologio segnava mezzanotte. Era decisamente troppo tardi e sentivo che le era accaduto qualcosa...di brutto.---
DRAKE POV- nonostante i lividi e i dolori, decisi di fare un turno dal meccanico che mi permise di racimolare la somme da me attesa. Mi diressi subito dal gioielliere e dopo essermi accertato che in vetrina c'era ancora la collana che volevo regalare ad Ash, entrai. Comprai la collanina, tenuta al sicuro in una scatoletta di velluto blu. I soldi non bastavano anche per l'incisione, ma mi accontentai lo stesso, immaginandomi già la reazione della mia ragazza. Tornai quindi a casa, con un passo svelto, prendendo la strada più breve per evitare i pericoli. Mentre stavo aprendo il portone, sentii una mano che si poggiò sulla mia spalla. Sussultai e mi girai di scatto, preparando un cazzotto.
«Hei fratello, calmo, sono io,!» disse il ragazzo dietro di me coperto da un cappuccio. Aveva una voce familiare che riconobbi subito. Era Louis.
«Lou, che ci fai qui? Mi hai fatto prendere un colpo!» domandai abbassando il pugno
«Ho bisogno di parlarti, posso salire un secondo da te?» E fu così che ci ritrovammo faccia a faccia a parlare di nuovo di Jake. Anche Louis era andato via dalla banda, e anche lui era stato minacciato dal capo. In pratica aveva ricevuto lo stesso nostro trattamento, solo che a differenza mia, non era stato ancora preso a botte, per sua fortuna.
«Quindi quale sarebbe la tua idea?» gli chiesi una volta finito il suo racconto
«Dobbiamo restare uniti. Il tu e Ash dobbiamo cercare di vederci spesso, in modo che s succede qualcosa a uno di noi, gli altri possano intervenire, che ne pensi?»
«Sì, è un'ottima idea. Noi abbiamo già proceduto con la denuncia, perciò dobbiamo stare insieme finchè Jake non sarà arrestato...» gli spiegai
«Ottimo...cambiando argomento, come sta Ash?» mi domandò sinceramente preoccupato.
«Cerca di essere forte, ma so che ha paura. Cerco di esserle vicino più che posso, ma dopotutto a quindici anni!»
«Sì, lo so...è troppo piccola...»
«È la mia piccola...» mormorai teneramente pensando a lei, al suo sorriso, e al suo sguardo dolce...
«Oh, quindi state insieme?»
«Sì...e stiamo benissimo...anzi adesso sai che faccio?! La chiamo e le dico la tua idea. Sicuramente le farà piacere!» Trovai nella rubrica il numero di Ash e la chiamai. Ma il suo cellulare era spento e non raggiungibile...---
ASHLEY POV--
Finalmente raggiungevo casa. Aprivo in fretta e furia la porta: non vedevo l'ora di rivedere Marshall. Entravo e lui era di fronte a me, con le braccia spalancate per ricevere un abbraccio e con un mezzo sorriso dolce in volto che mi fece gioire. Corsi verso di lui, ma il rapper continuava ad allontanarsi sempre di più. Io acceleravo, cercavo di correre più veloce per raggiungerlo, ma non arrivavo mai. E ad un certo punto fu talmente lontano da non vederlo più. Salii le scale dirigendomi nella sua stanza, per vedere se fosse lì. Lo chiamai, cercandolo in ogni angolo della casa, ma lui non c'era. Scesi di sotto, andando in cucina, dove notai appeso al frigo un post-it con la sua scrittura. C'era scritto: 'Dove sei? Ti voglio bene.' Non aveva senso, era lui che doveva dirmi dove si trovava, io ero a casa sua! E quel ti voglio bene mi fece commuovere. Davvero, perchè voleva dire che non era arrabbiato con me. Voleva dire che avrebbe voluto solo vedermi, così come io avrei solo voluto vedere lui per chiedergli scusa se lo avevo fatto preoccupare. Ma Marshall non c'era. Di lui mi restava solo il suo post-it appeso al frigo. Mi rannicchiavo sul divano, con il post-it stretto tra le mani. Dove poteva essere? All'improvviso squillò il cellulare: il numero era sconosciuto. Rispondevo e sentivo un suono strano...inquietante...era una voce strozzata...che ripeteva il mio nome..."Ash...Ashley!" continuava a dire con il tono sempre un po' più forte sempre un po' di più, fino a che non divenne un urlo straziante che mi fece rabbrividire.Urlai....
Aprii gli occhi, respirando a fondo. La prima cosa che vidi furono le mie scarpe sporche e un po' rotte. Di scatto tirai su la testa, provocandomi un dolore lancinante alla cervicale, che mi fece lamentare. A testa alta, diedi uno sguardo al luogo in cui ero, mentre facevo mente locale a ciò che mi era successo. Mi ricordai quasi tutto in un battito di ciglia e contemporaneamente mi rendevo conto che ero in una specie di tana, di covo segreto, tutto sporco e ammuffito. Era un monolocale con un divano piuttosto piccolo e con le molle da fuori, una porta chiusa che supponevo fosse il bagno, e una finestra di fronte a me con la tapparella abbassata, con sotto un piccolo termosifone arrugginito e infine alla mia destra c'era un tavolino in legno. Questa era la mia situazione: ero seduta su una sedia al centro della stanza, con le mani legate dietro lo schienale, proprio come nel sogno di qualche giorno fa. Sentii il rumore di uno sciacquone proveniente dalla porta ed ebbi la conferma che si trattava di un bagno. Sentii dei passi e poi vidi una persona uscire dalla porta. Non era una persona qualunque. Era Jake.
«Oh, ben svegliata dolcezza!» mi fece con il suo atteggiamento da chi si sente superiore rispetto agli altri. Non risposi, sia perchè avevo un mal di testa inimmaginabile -ho scordato di descrivere tutto il sangue che perdevo dalla testa per il colpo alla nuca della scorsa notte- sia perchè non volevo abbassarmi ai livelli di un verme schifoso. «Cosa c'è? Hai perso la voce?» continuò lui, provocandomi, e avvicinandosi sempre di più a me, fino ad accarezzarmi una guancia. Quel tocco mi fece sentire così sporca, così unta, che avrei voluto subito lavarmi se non fossi stata legata a quella dannata sedia. Scostai la testa dalla sua mano, disgustata dal suo gesto. In realtà pregavo il cielo che si fosse lavato le mani prima di uscire dal bagno! «Non hai da dirmi niente tesoro?»
«Se proprio vuoi sentirmi parlare ti accontento. Innanzitutto non chiamarmi tesoro, non siamo amici io e tu. Inoltre sì, ce l'ho una cosa da dirti: come mai vivi in questa topaia con tutti i soldi che guadagni? E ancora perchè mi hai portato qui?» stanca di sentire la sua voce, decisi di farmi forza e di cercare di spiaccicare qualcosa che non dovesse smentire il mio atteggiamento.
«Secondo te perchè sono in questa topaia?» mi chiese rigirandomi la domanda. Riflettei per qualche secondo, poi la risposta mi fu subito chiara
«A seguito della mia denuncia, i poliziotti ti stanno alle calcagna e tu hai bisogno di nasconderti come un topo, giusto?» lo provocai. Mi guardò con uno sguardo carico di disprezzo e odio, e fu in quel momento che mi sentii forte e soddisfatta di ciò che avevo appena detto.
«Giusto...» ringhiò tra i denti « Vediamo se sai rispondere anche alla seconda
domanda...» mi incoraggiò lui, questa volta con un tono più convinto. E fu proprio la seconda domanda a farmi accapponare la pelle. Perchè ero lì?! Sicuramente perchè lui voleva vendicarsi della denuncia e del fatto che me ne ero andata dal gruppo. E quasi certamente avrebbe potuto torturarmi, picchiarmi, stuprarmi, uccidermi per poi sbarazzarsi del mio cadavere, magari nascondendolo in un sacco dell'immondizia per poi lanciarlo nella discarica..ero fottuta. E mi mancava Marshall...

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Capitolo 18
*** A un passo dalla libertà ***


Mattina presto
EMINEM POV-- Ashley non era ancora rincasata ed erano le cinque di mattina. Avevo paura che le fosse accaduto qualcosa, ed ero certo che avesse bisogno di me. Quindi decisi di andare al commissariato, che però trovai chiuso. Con l'ansia che mi saliva ogni secondo che passava provai a chiamare il commissario. Fortunatamente mi rispose e mi raggiunse alla caserma nel giro di una ventina di minuti. Entrati dentro, g li comunicai della sparizione di Ash, e ne fu stupito.
«Non ci vuole di certo un genio per capire che c'è un'alta probabilità che sia proprio Jake il sequestratore..» mi disse lui
«Infatti anche io ho pensato subito a lui. Ma avete scoperto dove si nasconde?» chiesi agitato
«Non esattamente, abbiamo piazzato un'automobile nei posti da lui più frequentati,  con dei poliziotti pronti ad intervenire se vedono qualcosa che non va...ma fino ad ora non hanno scoperto niente di che...e non hanno neanche visto questo Jake»
«Merda..deve aver capito della denuncia e deve essersi nascosto in un buco, senza uscire per niente..»
«Se è così, signor Mathers siamo nei guai...»
«Non noi, Ashley è nei guai. Dobbiamo darci una mossa. Stanotte andrò a dare un'occhiata in 8 mile, e ho bisogno del suo aiuto, perciò si tenga pronto ad una mia chiamata.» affermai convinto di ciò che stavo dicendo. Lo congedai così, uscendo dalla porta e lasciandolo pensare nel suo studio, nel silenzio del commissariato ancora privo di poliziotti. Tornai in macchina. Era una mattinata dal freddo pungente, c'era vento e il cielo era nuvoloso. Non preannunciava niente di buono. E Ashley mi mancava. Come il sole nel cielo. E stavo pensando a dove si trovasse e soprattutto stavo pregando che stesse bene, e che non le fosse accaduto niente di grave. Mi sentivo in colpa, se non mi fossi messo a dormire e se le fossi rimasto vicino, lei non sarebbe uscita e Jake non l'avrebbe rapita. E a quest'ora saremmo accoccolati sul divano a goderci un po' di cioccolata calda...più pensavo a ciò più mi saliva la rabbia, e più mi saliva la rabbia e più mi agitavo. Mandai a fanculo i miei pensieri, ingranai la marcia e mi diressi a velocità da Drake. Dovevo aggiornarlo della situazione, avrebbe potuto darmi una mano.
DRAKE POV--Mi alzai presto quella mattina, nonostante io e Louis avessimo tardato ad andare a letto. Avevo preso la decisione che per un po' sarebbe stato da me, così saremmo rimasti uniti. Mentre lui dormiva comodamente sul divano, russando come un cinghiale -scusate il paragone- io mi feci una doccia e provai subito a richiamare la mia ragazza. Era da un po' che non ci vedevamo. E volevo augurarle buon pre-compleanno. Mancava un giorno affinchè raggiungesse i 16! Chissà com'era emozionata! Ma anche quella volta Ash non mi rispose. Pensai che stesse riposando, d’altronde erano le 7.20! Mentre mi asciugavo i capelli, cercando di fare silenzio per non svegliare Louis, qualcuno suonò la porta. Il mio amico si spaventò e si alzò di scatto, biascicando chi fosse a rompere le palle di prima mattina. Io invece mi diressi alla porta e dopo essermi accertato dall'occhio magico che era Eminem, aprii.
«Marshall, che succede? Come mai qui?» domandai stranito. A primo impatto mi sembrò strano agitato, ansioso. Aveva gli occhi che si muovevano velocemente in vari punti passando dalla porta ai miei occhi al pavimento.
«È successo un casino!» Feci subito accomodare il rapper dentro e dopo averlo presentato a Louis, lo incoraggiai a parlare.
«Si tratta di Ashley...» non appena sentii il nome di Ash una pietra pesantissima cadde sul mio cuore «ieri sera, dopo essere uscita, non è più tornata…non so dove cazzo sia, ma so che si tratta di quel fottuto spacciatore di merda...e ho paura che le sia successo qualcosa. Ho già parlato con la polizia e stasera perlustreremo 8 mile» balbettò il rapper, preso dal panico. Non potevo crederci. Jake, era stato lui. Chissà che le aveva fatto!
«Merda...no...la mia Ash. MA PERCHÈ È USCITA, NON AVRESTI DOVUTO PERMETTERGLIELO!» Il pensiero che la mia ragazza era da sola con Jake mi fece salire una rabbia che mi pervase il cervello. Urlai contro il rapper, anche se probabilmente non avrei dovuto.
«NON È STATA COLPA MIA, STAVO RIPOSANDO QUANDO È USCITA!» rispose lui di rimando a voce alta. Stavamo per cominciare uno stupido litigio se non fosse stato per Louis che, mettendosi in mezzo a noi, ci fece ragionare.
«Non serve a nulla urlarci contro. Pensiamo dove possa essere andata quando è uscita...»
«Forse è andata da Luigi.» ipotizzai io
«No, aveva lo stomaco chiuso, non voleva mangiare..» mi demolì Marshall
«Forse è stata al bar dove ci incontravamo sempre..» tentai di nuovo
«No Dray, credo che avesse bisogno di qualcuno con cui parlare, non di una bottiglia di birra.» mi spiegò Louis «Ragazzi, credo di sapere dove si trovasse» ci disse poi, con un sorriso timido
«Dove? Avanti!»
«Sarà andata da Philip, è un nonnetto a cui portammo una dose qualche tempo fa...credo che i due si siano conosciuti perchè una volta Jake le affidò una consegna a casa sua...»
«Non ci resta che tentare, sbrigatevi, e venite con me!» ci esortò Marshall. Non era sicuro che avremo trovato in casa Phil. In realtà non era sicuro neppure che fossimo sulla pista giusta, ma una cisa era certa: dovevamo sbrigarci.---
 
ASH POV--- Non sapevo nè se fosse giorno, nè se fosse notte. La tapparella abbassata di quell'unica finestra mi impediva di capirlo. Sapevo solo che avevo un dolore alla testa che aumentava ogni secondo che passava. Sapevo che avevo un coglione di fronte a me, che ora non faceva che girarmi intorno e osservarmi senza proferire parola. E infine sapevo che non mangiavo da almeno sei ore, e iniziavo ad avere i crampi allo stomaco.
«Si può sapere che hai da guardare?» gli chiesi stufa dei suoi occhi sul mio corpo
«Niente, perchè ti dà fastidio che una persona ti guardi?» mi chiese ostinato
«No, affatto. Mi dà fastidio che tu mi guardi.» precisai cercando di fargli capire che non poteva prendersi gioco di me, perchè io ero ancora più astuta di lui. Sorrise tra i denti, un sorriso compiaciuto, come se fosse stato soddisfatto della mia risposta. Più lo osservavo per cercare di capire cosa gli frullasse in testa, più capivo che in Jake c'era un lato perverso difficile da comprendere. E a dir la verità quel suo lato mi metteva i brividi.
«Senti, puoi slegarmi per favore? Mi si stanno per staccare le mani!» gli chiesi con un tono neutrale, nè che lo supplicasse, nè che lo facesse incazzare.
«No.» rispose secco, senza un seguito. Rimasi interdetta all'inizio, ma poi capii...stava aspettando qualcosa...o qualcuno...
«Chi stai aspettando, Jake?» chiesi sicura di me
«Niente...una consegna...mi è arrivata roba dalla Colombia e volevo fartela provare. Mi hanno detto che è coca purissima. Ti fa sballare in una maniera assurda...» mi riferì entusiasta, a differenza mia che in verità ero preoccupata.
«Grazie dell'offerta ma non ci tengo. Ormai sono in astinenza, e questo lo sai!» gli ricordai.
«Non ti fa bene questa astinenza, ti vedo più paranoica, più sarcastica...ti preferivo prima, quando ti facevi le canne ed eri rilassata!»
«Non mi interessa se prima ti piacevo e ora non ti piaccio più, voglio solo che tu la faccia finita con questa storia!!» lo sgridai usando questa volta un tono arrabbiato, severo. Indubbiamente sbagliai, commisi un passo falso. Infondo non sapevo cosa avrebbe potuto farmi. Ma non ce la feci più, la situazione mi stava mettendo ansia e la testa stava per scoppiarmi...alla fine sbottai. In una frazione di secondo e con uno scatto felino mi posizionò il coltello alla gola. La lama fredda che toccava la pelle mi fece rabbrividire..
«Senti tesoro. Non so se hai capito che io posso farti fuori da un momento all'altro...perciò bada a come parli, intesi?» Annuii, trattenendo il respiro. Poi con lentezza mi allontanò la lama dalla gola per tornare a girarmi intorno. Ripresi a respirare. Metabolizzai il fatto che me l'ero vista brutta, ma che ero ancora viva. Internamente in quel momento avrei solo voluto piangere. Perchè avevo rischiato di brutto, perchè non vedevo Marshall e Drake da troppo, perchè non sapevo se ne sarei uscita viva da quella situazione. Ma dall'esterno volli mostrarmi forte, e strinsi i denti per cercare di sembrare coraggiosa e per nulla impaurita. Perciò mi misi più comoda - si fa per dire- sulla sedia e chiusi gli occhi, cercando di isolarmi dalla situazione e cercando di immaginarmi un cosiddetto 'luogo felice'. Iniziai a pensare ad una foresta innevata, con pini verdi e un cielo pulito, con il sole che splendeva e con le nuvole che si facevano da parte per agevolarlo. Io correvo spensierata nella neve, inseguita da Marshall e da Drake, che coalizzandosi contro di me, volevano sotterrarmi nella neve. E cercavo di accelerare, ridendo e guardando i loro visi felici alle mie spalle, ma la neve mi impediva di correre più veloce, e anzi mi fece cadere. Risi ancora e raggiunta dai miei due uomini, scherzavo lanciando loro contro delle palline bianche e soffici. E loro fingendosi arrabbiati con me si gettavano nella distesa bianca, coprendomi di neve e tempestandomi di solletico. E io ridevo spensierata, mentre loro ridevano a crepapelle. Poi ci stendevamo nella neve, a fare gli angeli e, riscaldati dal sole, sospiravamo all'unisono rincuorati dal nostro amore che si propagava nell'aria. Infine, ci stringevamo tutti insieme in un caldo abbraccio. In quel momento aprii gli occhi, più calma e meno preoccupata. Ora Jake era di fronte a me, che parlava al telefono...diceva
parole confuse e non faceva che annuire. Poi concluse la chiamata con un "Scendo subito" che mi fece ben sperare di rimanere da sola per qualche tempo. E avrei dovuto indubbiamente approfittarne per scappare, o per lo meno per liberarmi. Jake chiuse la chiamata e io distolsi immediatamente lo sguardo da lui, fingendo di non aver sentito niente.
«Tesoro, mi dispiace ma dovrò lasciarti per qualche minuto da sola...non fare cazzate, o te ne pentirai!» mi disse con tono dolce, come se mi stesse dicendo le cose più naturali del mondo. Poi si diresse verso la porta, la aprì, uscì e la sbattè con violenza. A quel punto attesi che si allontanasse per capire se fossimo ad un piano alto, quindi se c'erano le scale, o invece no. Non sentii scale e ringraziai il cielo che non ci fossero, Quindi attuai il mio piano. Mi alzai in piedi, con la sedia sulle mie spalle. Individuai una parete libera da quadri e roba simile, vale a dire il muro che mi stava dietro e corsi con forza per rompere la sedia. Quando il legno tocco il muro, la sedia cadde a pezzi e io mi ritrovai finalmente con le mani libere. Avevo l'adrenalina a mille e avevo paura che Jake tornasse. Comunque sia, alzai in fretta la tapparella e aprii la finestra, guardando
giù. Non era altissimo, era come un piano rialzato: avrei potuto farcela! Cominciai a sporgermi fuori, e quando fui in piedi sul cornicione, Jake entrò dalla porta. Mi girai verso di lui, con il cuore che voleva uscirmi dal petto. Gli dissi «Ci vediamo, babbeo!» con tono vittorioso e poi...saltai! In quell'istante, tra il vento e l'altezza che mi separavano dall'asfalto della strada su cui avrei dovuto ricadere, mi sentii libera. Toccai terra...o meglio, caddi per terra, non facendomi niente se non qualche graffio fortunatamente. E iniziai a correre verso la libertà. Migliaia di pensieri mi vennero in mente. Marshall. Drake. Non so perchè ma anche Louis, la polizia. Ah! Dovevo correre dalla polizia! Ormai ero libera! ---
 
MARSHALL POV--- Parlammo con questo Phil. Era una gran bella persona e ci disse che era stato con Ash. Eravamo sulla strada giusta, ma dopo essere andata da Phil, dove si era fermata? Era quel tassello del puzzle a mancarci, e non riuscivamo proprio a capire in che posto potesse essere...
«Avete idee?» chiese Louis rompendo il silenzio tombale che si creò.
«No.» si limitò a rispondere Jake, con lo sguardo fisso sulla strada. Uno sguardo spento, arrabbiato, impensierito..
Io sospirai, non sapendo che dire. Riaccompagnai i ragazzi a casa e tornai al commissariato per informare il commissario del colloquio con Phil. Dopodichè andai a casa per cercare di riposarmi. Per prima cosa decisi di farmi una doccia fredda per distendere i nervi. Il rumore dell'acqua che scorreva era ideale per pensare. E l'unico pensiero nella mia mente era ovviamente Ashley. Era passato un giorno intero senza vederla e io non sapevo minimamente dove fosse. Stava bene? Aveva bisogno del mio aiuto? Non potevo saperlo, e fu questa la cosa che più mi fece incazzare. Chissà come si sarebbe sentita...chissà cosa le stava facendo quel bastardo...era tutta colpa mia! Aveva ragione Drake, se non l'avessi lasciata da sola a pensare sull'accaduto non avrebbe sentito il bisogno di uscire e a quest'ora sarebbe ancora qui, tra le mie braccia, ad ispirarmi con la mia musica e a darmi la forza di andare avanti.
Uscii dalla doccia, venendo pervaso da un brivido freddo. Mi asciugai in fretta coprendomi velocemente e mettendomi una delle mie tute firmate nike, quella grigia, che misi al concerto di New York un bel po' di anni fa. Ormai quello stile lo usavo solo a casa...ero maturato, non ero più lo Slim Shady fumato e egocentrico. Ero semplicemente Marshall. Un Marshall che aveva imparato a vestirsi un po' più normalmente. Un Marshall che aveva imparato a controllare la rabbia grazie all'incontro con una ragazzina che gli aveva cambiato la vita! Scendendo di sotto per guardare lo schermo del mio cellulare, sperando che ci fossero novità dalla polizia, fui deviato dallo squillo del campanello. Mi precipitai alla porta: era Drake, con gli occhi arrossati e con la mascella serrata.
«Ciao...» mormorò a testa bassa
«Drake...accomodati..» dissi accogliendolo in casa. Entrò timidamente osservando l'ambiente che sicuramente gli ricordava la sua ragazza. Stava male e si vedeva. Mi dispiaceva tanto vederlo così ed ero stato stronzo prima, ad urlargli contro. Ma era stata la rabbia di questa situazione a farci parlare. Drake era al centro della casa, tra la cucina e il salotto, con le mani nelle tasche dei jeans. Lo sguardo era rivolto al pavimento, e lui tremava, come un cucciolo impaurito. Mi parai di fronte a lui, senza proferire parola: non volevo pressarlo con inutili domande. Posò lo sguardo sulle mie scarpe, senza alzarlo e poi aprì la bocca. Sospirò, una, due volte.
«M-mi...mi manca tanto!» balbettò a bassa voce per poi scoppiare a piangere sempre in silenzio, in un modo da grande, da adulto. E quella frase...risuonò come una liberazione, come se si fosse tolto un peso che gravava sulle sue spalle. Mi avvicinai a lui titubante, ma poi con più sicurezza lo abbracciai, facendogli poggiare la testa sulla mia spalla e accarezzandogli la nuca, immaginando di essere suo padre. Rimanemmo così per un po' fin quando Drake non si calmò definitivamente. Ci sedemmo sul divano. Non tremava più. Ma aveva sempre uno sguardo spento, grigio. Ad un certo punto tirò fuori dalla tasca una collanina, con un ciondolo a forma di cuore
«Avrei dovuto farle una sorpresa, domani che è il suo compleanno...e invece...»
«La troveremo. Fidati, stasera la troveremo!» Affermai deciso. Basta, ero, anzi eravamo stufi della situazione. Quella sera, in un modo o nell'altro, l'avremmo trovata!----

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Capitolo 19
*** Soccorsi ***


ASH POV-- Distavo solo una decina di metri dal punto in cui ero atterrata. Sentii all'improvviso la voce di Jake che urlava «Torna indietro!» e «Tony prendila!» Mi voltai e vidi un suv metallizzato corrermi dietro. Accelerai, ma ovviamente l'auto era più veloce di me. Quel certo Tony scese dall'auto e mi raggiunse, afferrandomi per un braccio.
«Lasciami, brutto stronzo!» gli urlai dimenandomi e cercando di tirargli dei pugni, ma lui era più grande di me e i miei pugni non lo scalfirono. Vidi in lontananza Jake che correva verso di noi e provai a dimenarmi con più forza, pregando Tony di lasciarmi libera. Ma ormai era tardi Jake mi raggiunse. Non facevo che muovermi con forza e agitarmi come un cavallo imbizzarrito, nonostante le voci dei due uomini che mi continuavano a ripetere di calmarmi e di stare ferma. Ma non me ne fregava niente di quello che loro esigevano da me, io volevo essere libera! Ad un certo punto, mentre cercavo di colpire i due uomini senti un dolorino al braccio, simile ad una puntura di zanzara. Mi voltai e vidi Jake con una siringa conficcata nel mio braccio e un sorriso in volto.
«Stai calma, questo ti farà bene!» mi sussurrò. Mi sentii strana. Non riuscivo a respirare. Sentivo il cuore che batteva all'impazzata con l'adrenalina in corpo. Era velocissimo, sembrava che volesse bucarmi il petto e io avevo paura. Ero agitata, come se avessi bevuto dieci caffè. Ma quell'effetto durò 115 secondi contati. Poi mi sentii subito affaticata, con le gambe molli, che non riuscivano a sostenermi. Cedettero, e sarei caduta a terra se non fosse stato per i due uomini che mi tenevano. Sentii un gran sonno e piano piano vidi intorno a me tutto offuscato sempre più appannato, fino a non vedere più niente.
Sentii il mio nome in un sussurro, e aprii piano gli occhi. Vidi sfocato e mi sentivo frastornata, la testa che mi scoppiava e i polmoni che faticavano a respirare. Non so come spiegarvi, era come se avessi corso una maratona di 20 km a stomaco vuoto, senza acqua nè cibo.
«Ash, ben svegliata, tesoro, come va?» Jake era in ginocchio accanto a me e continuava ad usare quel tono dolce ma che in realtà di dolce non aveva nulla. Provai ad alzarmi, ma ero bloccata: ero ammanettata al termosifone sotto la finestra da cui ero scappata. Ero scomodissima e in più il calorifero era freddo, perchè spento da chissà quanti anni, e polveroso. Ma quello fu il minore dei miei mali...
«Che cazzo mi hai fatto?» biascicai sentendo i muscoli della faccia addormentati. Ero ridotta davvero male. Ricordavo solo che Jake mi aveva fatto una puntura di non so che cosa...a giudicare dagli effetti sembrava eroina!
«Come, vuoi dirmi che non ti è piaciuta? Prova a indovinare cos'è...» mi fece con un sarcasmo davvero irritante.
«Eroina. Non mi è piaciuta.» mi limitai a rispondergli, appoggiandomi al muro su cui era fissato il termosifone, cercando di trovare una posizione un po' più comoda.
«Hai abbassato i tuoi livelli. Pensavo ne rimanessi entusiasta...ma evidentemente mi sbagliavo!» proferì lui. Sospirai, avvertendo l'aria che mi mancava. Chiusi gli occhi. Era come se i miei polmoni si fossero compressi e accartocciati come una vecchia busta del supermercato. E fu una sensazione veramente orribile. Poggiai la testa al muro, stringendo gli occhi, e aprendo leggermente la bocca, da cui cercavo di prendere ossigeno
«OOh, visto che succede a non rispettare i patti?!» quella sua intonazione mi stava veramente facendo saltare i nervi. Non lo degnai neanche della mia attenzione, e continuai a respirare con la bocca per un po', fino a che finalmente i polmoni non ripresero la loro regolare attività.
«Cosa hai intenzione di fare con me?!» chiesi diretta, tanto ormai peggio di così non sarebbe potuta andare...almeno credevo
«Ancora non lo so...sono indeciso tra farti morire di fame o per overdose, in modo da uscirne pulito, capisci cosa intendo?»
«Allora perchè non lo fai subito? Cosa stai aspettando?» Jake non mi rispose. Si diresse verso il tavolino, su cui erano accatastati numerosi pacchi gialli con droga. Uscì un pacchetto bianco, da quattro o cinque grammi e lo aprì. Sparse la coca sul tavolo e poi, arrotolando stretta una banconota da cinquanta, tirò su la polverina magica, prima da una narice, poi dall'altra. Non seppi come interpretare quel suo silenzio. Capii solo che Jake era un tipo strano. O meglio, ne ebbi la conferma.---
EMINEM POV--- Alle cinque del pomeriggio io e Drake uscimmo di casa e ci dirigemmo di nuovo da Phil. Non citofonammo. E in realtà non salimmo neanche a casa sua poichè il nostro obiettivo era quello di ripercorrere la strada compiuta da Ash, per scoprire in che posto avrebbe potuto trovarsi. Perciò arrivati da Phil, ripartimmo al contrario. Non c'erano molti negozi lì in periferia, tuttavia ci saltò all'occhio un piccolo negozietto di roba usata. Provammo ad entrare. L'interno era veramente strano. Le pareti erano ricoperte di quadri dei beatles e di personaggi d'epoca in pop art. C'erano numerosi scaffali, con roba hippie, lanterne fluorescenti, parrucche e pattini anni '80, ma anche costumi, cappelli, maschere e roba di questo genere. Ricordava vagamente il negozio dell'uomo dei fumetti dei Simpson.
«Posso esservi utile?» ci domandò cortesemente la signorina al bancone. Aveva i capelli lunghi rosso fuoco, gli occhi chiari contornati da una matita nera, un rossetto bordeux scuro e un piercing al naso. In più era vestita in nero, in stile gotico...era davvero inquietante.
«Sì...ehm...ieri sera è passata da voi una ragazzina sui quindici, con capelli chiari e lunghi, non molto alta e dall'aria sorridente?» chiese Drake, mentre io ero concentrato nell'osservazione.
«Uhm..no, mi spiace...non è un posto frequentato da ragazzine.» rispose cortesemente la signorina, rompendo le nostre speranze. Dopo aver salutato uscimmo dal negozio e continuammo la nostra strada. Quando mancavano solo un paio di isolati da casa mia, però, notammo qualcosa di strano sul marciapiede. C'era una macchiolina rossa, piccola quanto un'unghia. Era asciutta, ma sembrava...sangue!
«Pensi che possa essere il suo?» mi chiese Drake.
«Non posso esserne certo, ma potrebbe essere il suo. Cosa può essere successo?»
«E se mentre tornava a casa Jake l'avesse rintracciata? Magari è stata colpita alla nuca e una volta svenuta il bastardo l'ha portata via con sè!» ipotizzò il ragazzo. Certo che se era andata così Ash era ferita. L'unica cosa che bisognava sapere a questo punto era dove Jake si fosse nascosto. La macchia di sangue era nella parte più esterna del marciapiede e ciò mi fece capire che Ash stava per scendere e attraversare. Di fronte al marciapiede c'era una traversa: portava ad 8 mile.
«Drake, ho il presentimento che Jake abiti in 8 mile. Stanotte dobbiamo perlustrarla tutta con attenzione. Sento che siamo vicini» ---
ASH POV-- Ma perchè mi aveva lasciato senza risposta? Perchè aveva avuto così tanta fretta di farsi? Dopo essersi finito la coca andò a sedersi sul divano, avanti a me. Vedevo le sue spalle mosse da un sospiro dapprima calmo e rilassato, che pian piano diventava agitato ed euforico e anche un po' nervoso. I tipici effetti della coca...
Osservavo il cambiamento con attenzione. Aveva solo preso cinque grammi e  in poco più di cinque minuti aveva già avuto l'effetto! Quella roba doveva essere davvero forte. Questa frase non va fraintesa: non avevo nè voglia nè desiderio di provarla. Era una semplice considerazione. Da quando avevo chiuso con la droga la mia vita era diventata migliore. All'ottavo minuto (precisamente dopo otto minuti e trenta secondi; non sapevo che fare non mi rimaneva che contare) Jake si alzò dal divano, posizionandosi in piedi di fronte a me. Aveva le pupille dilatate e sembrava nervoso, iperattivo a giudicare dal suo sguardo ballerino che non faceva che posarsi sempre su oggetti diversi. Iniziavo ad essere spaventata: non sapevo cosa aspettarmi da lui. Al nono minuto aveva iniziato a respirare più affannosamente, quindi gli era aumentato il battito cardiaco. Inoltre continuava a guardarmi con le sopracciglia interrogative e con la testa ruotata verso destra, come se non gli fosse chiaro qualcosa, come se vedesse qualcosa che non andava. E in quel momento capii che stava avendo delle allucinazioni! Merda, era potente quella polverina!
«Jake, cosa vedi?» a quelle mie parole Jake socchiuse gli occhi, come per mettermi a fuoco. Subito dopo la sua espressione si mutò in una arrabbiata, incazzata.
«Che cazzo hai detto??» mi urlò infuriato.
«Non ho detto niente, che cosa vedi?» gli ribadii intimidita, ma cercando di mantenere un tono fermo
«Adesso ti faccio vedere io!» e detto questo si scaraventò su di me. Cominciò a picchiarmi. Mi diede dei pugni in viso, uno sul labbro, uno sull'occhio destro che mi fece andare a sbattere contro il termosifone e che mi fece vedere le stelle. Cercai di proteggermi la testa con il braccio sinistro libero dalle manette e mi rannicchiai con le ginocchia al petto, in modo da attutire altri ulteriori colpi. E credetemi ce ne furono altri. Mi riempì la schiena di bugni, di schiaffi, iniziò a tirarmi i capelli per farmi alzare la testa e per poi colpirmi allo stomaco. E fu allora che sentii più dolore. L'impatto del pugno fu tale che mi mancò il respiro. Tossi più volte, con la paura di vomitare sangue come nel centro di disintossicazione, ma per fortuna il mio stomaco era forte e sul pavimento c'era solo saliva, senza sangue. Dopo quel cazzotto ripresi velocemente fiato e cercai di parare i successivi pugni, mentre Jake per picchiarmi meglio si era inginocchiato vicino a me. All'improvviso non ci vidi più dalla rabbia e quando meno se lo aspettava gli diedi un pugno dritto sul naso, che cominciò a sanguinare.
«Basta! Fermati!» gli urlai mentre gli sferrai il gancio sinistro. Parve capire e alzandosi in fretta, corse in bagno a pulirsi. Io invece cercai di riprendermi. Ero tutta rotta. Occhio destro nero, gonfio, che sentivo pulsare come il mio cuore. Stomaco indolenzito. Schiena dolorante e sicuramente ricoperta di lividi. Mano arrossata, con dita pietrificate a causa del pugno. Capelli...beh almeno quelli tutti interi! Avevo il fiatone e il cuore batteva a mille. Avevo ancora la paura addosso e sinceramente in quel momento mi venne voglia di piangere. Mi rannicchiai di nuovo, come una tartaruga che si rifugia nel suo guscio e poggiai la testa sulle mie gambe. Chiusi gli occhi nel minuscolo spazietto buio e iniziai a dare libero sfogo alla mia angoscia. Soffrivo in silenzio, sia fisicamente dato che l'occhio colpito faceva fatica persino a piangere, sia psicologicamente. E avevo bisogno di un conforto, di qualcuno che mi garantisse che sarebbe andato tutto bene, anche se ero certa che niente sarebbe andato bene.
 
Sentii la porta del bagno aprirsi. Non feci nulla, rimasi immobile e in silenzio nella stessa posizione di prima. Sentii i passi di Jake che si avvicinavano a me. Ormai l'effetto della droga era sparito, ma avevo comunque paura di lui. Quando lo sentii vicino a me cominciai a tremare. Si, avevo paura e non riuscivo a controllarla. Se avessi avuto l'opportunità avrei fatto di tutto fuorchè piangere e tremare.
«Sta' calma!» mi sussurrò Jake, poggiando una mano sui miei capelli. Rabbrividii e tremai ancora di più, con le lacrime che continuavano a rigarmi il volto. Ma cercai di essere forte e scrollando la testa, feci capire a Jake di non toccarmi. Infatti tolse subito la mano dai miei capelli. E andò a sedersi sul divano, lasciandomi in pace. La fase post-droga consisteva in depressione e sonnolenza, quindi avrei certamente avuto un paio d'ore (in realtà speravo di più) di "tranquillità". E in quel tempo dovevo assolutamente trovare il modo di avvisare Marshall. Ero stata troppo avventata la mattina. Invece di saltare dalla finestra avrei potuto chiamare Marshall e dirgli dov'ero, in modo da farlo arrivare con la polizia. Ma come al solito il mio essere precipitosa, mi aveva fregato.
 
Sentii Jake russare rumorosamente, e a quel punto capii che potevo organizzarmi. In realtà non avevo un piano in mente. L'unica cosa sensata da fare era quella di chiamare Marshall. Quindi presi con fatica il cellulare dalla mia tasca e cercai di digitare il numero. Ma lo schermo scuro e l'assenza di rumorini mi suggerirono che l'apparecchio era morto, scarico, a zero. Bestemmiai in turco e rimisi il cellulare a posto, anche se in quel momento avrei solo voluto lanciarlo fuori dalla finestra! E così ero in gabbia, come una tigre allo zoo. Pensai ad un modo di liberarmi dalle manette, ma l'unico era quello di trovare la chiave, e sicuramente Jake era il possessore. In conclusione dovevo rimanere lì buona buona zitta zitta per non svegliare Jake, mentre io non mangiavo da almeno dieci ore e non andavo in bagno dallo stesso tempo. Mi appoggiai con la testa al muro e chiusi gli occhi, cercando di riposarmi e di risparmiare energie.
 
EMINEM POV--- Non appena fatto buio, io e Jake ci incontrammo per perlustrare la 8 mile. Con noi venne anche il commissario, con due suoi poliziotti. Cominciammo da un bar malfamato, popolato di neri, dove si svolgevano ogni sera numerose rap battle. Appena entrati tutti ci guardarono storto, sia perchè eravamo bianchi, sia perchè con noi c'era un poliziotto, di cui sicuramente avevano fiutato l'odore come cani da tartufo, nonostante il fatto fosse in borghese. Drake si propose di parlare con loro, ma decisi di farlo io, che sin da bambino ero cresciuto in 8 mile e sapevo come relazionarmi con gente di colore.
«Yo bro, come butta?» feci avvicinandomi al bancone, tenendo ben coperto il volto con un cappuccio
«Non sono tuo fratello, cappuccetto» disse lui con un tono da chi voleva sfottere, mentre asciugava un boccale di vetro. Cappuccetto...se avesse saputo chi ero in realtà col cavolo che mi avrebbe chiamato cappuccetto!
«Come ti pare...ho bisogno di un'informazione, me la puoi dare?» chiesi
«Perchè dovrei Biancaneve?» mi fece con lo stesso tono di prima. Questo fu ancora più fastidioso e sebbene il mio cervello mi stesse ripetendo di stare calmo, le mani mi prudevano e in quel momento avrei voluto solo spaccargli la faccia.
«Non lo so...opera buona!?» tentai senza perdere il controllo. Mi rise in faccia, una risata di scherna, di chi non se ne fregava niente.
«Corri fuori dal mio locale, prima che io ti faccia male. Bianchi qui non ne vogliamo, non c'è spazio per voi froci del cazzo» mi rimò a tono, attirando l'attenzione di tutte le persone all'interno del locale. Il nervoso mi salì al cervello. Strinsi i pugni, preparandomi mentalmente ad uno scontro, ma decisi di non usare la violenza fisica. Decisi di sfidarlo nel mio campo: il rap.
«Se io sono frocio tu cosa sei? Odi le fiche, ti credi gay? Non sei solo gay, te lo diciamo noi, ami i cazzi neri, ne vuoi? Ti senti figo per quattro parole messe in fila? Pensa un po' a mala pena fanno rima. Fammi un favore, resta zitto. Pensa a lavorare per pagarti l'affitto!» e il barista mi guardò male, mentre i suoi clienti non facevano che battere le mani e ululare come lupi, soddisfatti dal mio freestyle.
«Contento ora?!»
«Ma chi cazzo sei tu?» A quel punto mi tolsi il cappuccio. Tutti rimasero stupidi di vedermi lì nel loro locale. Il barista non poteva credere ai suoi occhi e sono sicuro si stesse maledicendo da solo per aver insultato Eminem.
«Eminem...m-mi dispiace...n-non credevo fossi tu...» balbettò imbarazzato.
«Vuoi rispondere alla mia domanda?» ribadii non facendo caso alle sue scuse del cazzo.
«Sì...ragazzine non ne sono passate, ma ieri è venuto un vostro fratello bianco. Aveva i capelli lunghetti e un pizzetto orribile. Mi ha chiesto di vendere qui un po' di roba e io gli ho detto di sì...diceva di chiamarsi...John...Jack...»
«Jake?»
«Ecco sì! Jake!»
«Ti ha detto dove alloggia?» chiesi, speranzoso che mi rispondesse di sì.
«Uhm...no...ma fossi in voi proverei alla fine di 8 mile road, vicino alla metro di Detroit. È lì che vivono alcuni spacciatori...» ci consigliò. Ringraziato il barista e salutati tutti con una rima per farli felici ci dirigemmo vicino alla metro. L'ansia non faceva che salirmi. Nel mio cuore sentivo che quella sera avremmo ritrovato il mio angelo.---
 
ASHLEY POV-- Fui svegliata di soprassalto da uno schiaffetto in volto e da una voce che ripeteva il mio nome a voce moderatamente alta. Jake era di fronte a me, con una bustina piena di polvere bianca. Era abbastanza grande e sicuramente conteneva almeno da 7-8 grammi, vale a dire una decina scarsa di dosi. Lo osservavo senza proferire parola, cercando di capire se era già fatto o se stava per farsi. A giudicare dal modo in cui mi aveva chiamato aveva già assunto un paio di grammi, ma non ne ero certissima.
«È per te questa!» mi disse passandomela nella mano libera mentre si guardava intorno. Sì, era fatto. Senza parlare, la lanciai sul divano. Come un cane da riporto Jake andò a prenderla e me la ridiede.
«Devi prenderla» mi ordinò. Sebbene la tentazione fosse tanta, io ero in astinenza e non volevo toccare quello schifo. Stavo bene così.
«No» gli risposi
«La devi prendere, altrimenti...»
«Altrimenti?» chiesi con gli occhi lucidi, ma guardandolo nei suoi di occhi. Ero arrabbiata e quelle lacrime ne erano la dimostrazione. Non gli bastavano tutte le botte che mi aveva dato?!
«Altrimenti puoi dire ciao ciao al mondo» rispose prontamente.
«Tanto mi uccideresti comunque, che cambia da ora a poi?» gli feci notare tristemente.
«Sì ma se la prendi ti prometto che non ti farà male. E poi, se devi morire, tanto vale farsi per un ultima volta no?!» mi disse giustamente. Per una volta aveva ragione lui Il suo ragionamento non faceva una piega, e in quel momento riflettei su ciò che avrei dovuto fare. In fondo sarei morta, e non avrei più rivisto per tutta la mia vita la droga. Quindi ripresi il pacchetto, lo aprii e annusai il profumo che ne fuoriusciva. Devo ammettere che mi piacque e che mi fece ricordare di tutti i momenti passati con il mio amico Jim. Mi ricordai di come mi faceva stare bene quella polverina simile allo zucchero a velo e fui convinta di ciò che stetti per fare. Quindi me ne misi un po' sul dito (saranno stati un paio di grammi) e aspirai da una narice e dall'altra. Dopo dieci secondi ero euforica, adrenalinica e avrei voluto rimbalzare come una pallina per tutta la stanza. Ma dopo sessanta secondi ero in un altro mondo. Fame e sete erano scomparse e io fluttuavo su una nuvola nel cielo, mentre Jake, che aveva un paio di occhiali strafighi e il viso tutto nero -allucinazioni...- mi ordinava di finirmela tutta. La busta fu svuotata e Jake andò al tavolo volante per prenderne dell'altra. Prese un'altra bustina e ne assunse un po' lui, e un po' l'assunsi io con il suo aiuto. Non riuscivo a ragionare. Sapevo solo che mi sentivo bene. Ero tranquilla, rilassata, i dolori dei lividi erano spariti e vedevo tutto ruotarmi dolcemente attorno, accompagnato da una musichetta che si sentiva appena, ma che rendeva l'atmosfera più piacevole.
«Come stai tesoro?» mi chiese Jake dalla faccia scura. Annuii e sospirai più volte, leccandomi le labbra, come se avessi voluto pulire la mia bocca dalla coca, anche se in realtà non c'era niente. Era come se fossi in un sogno, dove tante sensazioni si mischiavano tra loro. Ad un certo punto Jake mi accarezzò la testa, e io godevo come se fossi un gattino. Si avvicinò ancora e iniziò a sfiorarmi il viso, poi il collo e io godevo ad ogni suo tocco. Ero in paradiso e fluttuavo su una nuvola, accompagnata dalle sue carezze che non facevano che allietarmi ancora di più. Ma perchè mi faceva piacere riceverle dall'uomo che poco tempo prima mi aveva massacrato? Vi sembrerà strano ma non lo so. Ero certa che si trattasse dell'effetto della coca. Non era la solita quella che avevo provato più e più volte, era diversa. Era come se mi avesse trasformato in un'altra persona, che non si faceva problemi nè paranoie qualunque cosa accadesse.
Jake si alzò e decise miracolosamente di togliermi le manette. Avevo la mano libera, e avevo la possibilità di alzarmi, ma preferii rimanere seduta, perchè le mie gambe di gelatina non riuscivano a reggermi. E poi il pavimento era soffice come una nuvola!
«Vuoi venire con me tesoro?» mi sussurrò nell'orecchio spostandomi delicatamente una ciocca di capelli e facendomi venire i brividi. Sorrisi, ma non risposi. Ero confusa, la testa mi girava con tutte le allucinazioni che stavo avendo. Eppure continuavo a sentirmi bene!
«Dai, alzati, vieni con me...» mi esortò lui, prendendomi per mano e conducendomi sul divano. Mi fece sedere, e lui si posizionò vicino a me, con lo sguardo posato nei miei occhi. Con la mano cominciò a massaggiarmi le cosce, all'inizio timidamente, per poi proseguire sempre più sicuro. Con l'altra mano invece continuava a toccarmi il viso, le guance, il collo, i capelli, cercando di spingersi sul petto. Non riuscivo a muovermi sembravo come incatenata a lui. A causa della droga capii solo vagamente a cosa voleva arrivare, e purtroppo invece di inorridire e dirgli qualcosa, me ne stavo imbambolata a fissare il muro di fronte a me. All'improvviso non so per quale ragione, forse il destino o semplicemente l'effetto che svaniva, ritornai in me. Come se mi fossi svegliata da un sogno, ripresi coscienza e spostai immediatamente la mano di Jake che passeggiava indisturbata sul mio petto. Mi allontanai da lui, facendo cadere l'altra sua mano sul divano. Lo guardai sconvolta e prima che potesse fare qualcosa corsi in bagno. Jake era ancora fatto e probabilmente con tutte le allucinazioni che stava avendo, non aveva neanche capito che lo avessi lasciato lì sul divano.
Chiusami in bagno, con un gancio arrugginito che mi avrebbe dato autonomia e sicurezza solo per poco, cercai di riprendermi definitivamente. Mi sciacquai la faccia con dell'acqua fredda e poi mi vidi allo specchio. L'occhio si era gonfiato, ma per fortuna non avevo avuto problemi con la vista. Sul collo, in particolare alla nuca avevo ancora i lividi della botta con la mazza da baseball. Ero tutta rotta. Dentro e fuori. Ancora una volta non fui in grado di stringere i denti e di trattenere le lacrime e mi lasciai andare senza neanche preoccuparmi di non farmi sentire. Era un pianto straziante, simile a quello di un bimbo che ha bisogno di un abbraccio della mamma. E io era così che mi sentivo: bisognosa di affetto. Bisognosa di rivedere Marshall. Di abbracciarlo. Di baciare il mio ragazzo. Di ritornare a casa. Con tutti questi pensieri la testa mi stava scoppiando. Mi guardai di nuovo allo specchio, vedendo questa volta il mio viso rosso, segnato dalle lacrime. Tirai su col naso e mi sciacquai di nuovo il volto.
«Esci! SUBITO!» mi gridò all'improvviso Jake, bussando violentemente alla porta. L'effetto della coca era svanito. Merda, ero nei guai. E avevo una fottuta paura di essere nuovamente pestata.
«NO!» urlai, mettendomi con le spalle sulla porta, in modo da renderne difficile l'apertura, dato che il gancetto era instabile.
«Hai tre secondi. Ti giuro che poi butto giù la porta» non risposi, sentendo il battito del mio cuore che aumentavano a causa della paura. Non avevo nessuna intenzione di uscire. Avrebbe dovuto tirarmi da lì fuori con la forza...
«Uno» stavo pregando in un qualche miracolo che mi liberasse da quell'inferno.
«Due» chiusi gli occhi in attesa del tre. La paura che aumentava
«TRE!» urlò infine dando una forte spallata alla porta che mi spazzò via e che mi fece inciampare a terra. Il gancetto arrugginito saltò in aria, lasciando che la porta si aprisse. Jake entrò e si precipitò su di me. Mi tirò per mano, fregandosene e facendo finta di non sentire tutte le mie urla che gli chiedevano di lasciarmi. Mi scaraventò per terra, rimettendomi attaccata al termosifone. Per fortuna non mi feci niente perchè caddi di sedere. Ero di nuovo bloccata. Provai a tirare più volte la manetta con forza e con rabbia, ma era impossibile romperla.
«Non mi piace quando sei agitata, hai bisogno di calmarti un po'» mi disse con voce tranquilla, mentre prendeva dal tavolo un'altra siringa. No, di nuovo eroina no. In una giornata avevo assunto troppa droga tutta insieme e già la testa mi scoppiava...
Jake si avvicinò a me e cercò di bloccarmi il braccio, ma fallì molte volte poichè non facevo che muovermi e tirargli schiaffi e pugni che però non lo scalfirono più di tanto. Al quarto o quinto tentativo sentii l'ago della siringa penetrare nella mia pelle. Mi immobilizzai per qualche secondo metabolizzando il fatto che alla fine ce l'aveva fatta. Estrasse l'ago andando a posare lo strumento sul tavolo. Il cuore partì come una Ferrari. Avevo le palpitazioni e il respiro si fece affannoso come la volta precedente. Stavo sudando di brutto e sentivo caldo, tanto caldo, come se fossi già stata spedita nel fuoco dell'inferno. Mi sentii il sangue scorrere veloce nel mio corpo e vedevo tutto intorno che girava rapidamente come nel gioco del flip. Contai fino a sessantadue secondi, il tempo che Jake posasse la siringa e che mettesse in ordine il tavolo. Poi mi sentii mancare e vidi tutto intorno appannato. Chiusi gli occhi e respirai piano, lentamente. Cercai di pensare a cose belle, ma l'unico pensiero che mi veniva in mente era la paura. Quindi spensi il cervello e immaginai il vuoto. Il nulla più totale. Mi calmai e finalmente ripresi a respirare normalmente. Solo che mi sentivo veramente frastornata, debole, confusa. Non riuscivo a ragionare e avevo bisogno di riposare. Jake tornò da me, e vedendomi con gli occhi chiusi mi disse:«Ancora non hai imparato a non fare di testa tua?» ma non gli risposi. A malapena avevo fatto caso alla sua voce. E mi sentivo male, non riuscivo più a stare con gli occhi aperti. Mi accasciai al suolo, sdraiandomi sul pavimento freddo e polveroso, coprendomi gli occhi con il braccio.
«Nonono! Tu devi venire con me sul divano...» mi disse con lo sguardo malizioso. Anche questa volta sentii solo una voce confusa, non percepii il vero significato della frase, il mio cervello era spento. Ad un certo punto mi sentii in alto, sollevata da terra. Jake mi prese in braccio e mi porse sul divano. Si allontanò per una manciata di secondi, il tempo di un'altra dose di coca e poi fu subito da me. Era esagitato come le altre volte e cominciò a toccarmi tutto, petto, seno, gambe. Non accontentandosi di questo, cominciò a sbottonarmi i pantaloni. Io sdraiata sul letto lo guardavo, con gli occhi socchiusi. Ero debole e stavo tremando. Anche se il mio cervello era spento avevo capito dove volesse arrivare e ne ebbi paura. Ma non potevo ribellarmi, non ne avevo le forze. Vedevo tutto offuscato in torno a me, come se ci fosse stata la nebbia. Ma Jake era l'unico soggetto ad essere chiaro e ben definito davanti ai miei occhi. Aveva ricominciato a massaggiarmi le gambe, ora nude e senza protezione. Era letteralmente sopra di me e puntava il suo sguardo al mio seno. Con fretta e con poca delicatezza mi sfilò anche la felpa, lasciandomi in bichini. Avevo freddo, tremavo tutta, avevo i brividi anche a causa della paura. E iniziai di nuovo ad avere gli occhi lucidi. Il mio corpo era toccato da una persona schifosa. Avrei perso la verginità nel modo più squallido, con una persona che mi avrebbe usata solo per fini sessuali, ma che in realtà non mi avrebbe amata. La mia visione di fare l'amore non erà come quella di Jake. Avrei voluto perdere la verginità con Drake, tra baci appassionati e carezze delicate, e invece mi ritrovavo su un divano, a mala pena cosciente mentre uno spacciatore toccava come più voleva il mio corpo. E riflettei sul fatto che di lì a poco sarei potuta anche morire, viste le precedenti considerazioni di Jake. E in quel momento crollai, le lacrime che mi inondarono il viso. Non avrei più rivisto Drake, Marshall, non avrei più baciato nessuno dei due, non li avrei più abbracciati. Sarei morta. E allora, se sarei dovuta morire, pensai che avrei voluto addormentarmi con un'immagine piacevole in mente. E così chiusi gli occhi, immaginando Marshall che mi stringeva tra le sue braccia e che mi ripeteva che sarebbe andato tutto bene.

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Capitolo 20
*** FINE ***


MARSHALL POV-- eravamo arrivati alla fine di 8 mile. Vicino alla metro c'era un condominio piuttosto malandato con tutte le finestre spente eccetto una, al primo piano. Sentii il presentimento che Ash fosse lì, e che avremmo dovuto muoverci perchè ero certo che stesse succedendo qualcosa. Forzammo quindi il portone e bussammo alla prima porta che c'era. Ero agitato, e pensavo che se non avessi trovato lì il mio angelo, non avrei saputo dove cercarlo. Si sentii silenzio, poi una voce maschile che urlò "Chi è?" Senza rispondere il commissario, con la pistola in mano sfondò la porta con una spallata ben piazzata. Ci ritrovammo all'interno dell'appartamento. Ashley era lì, sdraiata sul divano con un uomo sopra di lei.
«Alza le mani e non ti muovere!» ordinò il commissario all'uomo. «È Jake?» chiese poi a Drake, mentre io mi precipitavo da Ashley. Il ragazzo annuì, mentre il commissario metteva le manette al bastardo.
«Ash, ci sei?» mormorai, accarezzandole il volto. Era seminuda, con numerosi lividi sparsi lungo tutto il suo corpo snello e tremante. Era bollente e aveva gli occhi chiusi e il respiro affaticato. Era pallida, con delle occhiaie solcate, con la fronte infuocata e con un occhio nero che mi fece pensare che quell'essere meschino la avesse picchiata.
Non mi rispondeva. Temevo il peggio.
«Che cazzo le hai fatto!!?» urlai contro Jake, avvicinandomi furiosamente a lui e regalandogli un cazzotto ben assestato in pieno viso che gli fece sanguinare il naso. Jake mi rise in faccia, una risata beffarda, inquietante, da pazzo. Volevo vederlo morto, ma la preoccupazione per Ashley era tale e tanta che mi dimenticai di Jake. Chiamai immediatamente un'ambulanza, mentre Drake cercava di capire cosa Ash avesse. Il commissario portò nella sua macchina lo spacciatore e lo accompagnò in commissariato. Io invece mi avvicinai a Drake, e cercammo di rivestire Ash. Ma anche vestita tremava ancora, così mi tolsi la felpa che indossavo e gliela misi addosso, rimanendo solo con una t-shirt, in una solita nottata fredda. Ma quella sera non sentivo freddo. Sentivo solo un'angoscia e una preoccupazione per di Ashley.
L'ambulanza arrivò e deposi Ash sulla barella. Mi raccomandai di tenerla d'occhio e feci andare Drake insieme, mentre io li seguii con la macchina
Giunti all'ospedale Ashley fu subito ricoverata. Non avevo idea di cosa avesse, ma mi ha raccontato Drake che nell'ambulanza i battiti stavano rallentando e la respirazione si stava affaticando sempre di più. Ma Ashleu era stata talmente forte da aprire piano gli occhi e sussurrargli 'Ti amo' per poi richiuderli di nuovo. Drake aveva gli occhi lucidi. Entrambi eravamo preoccupati. Entrambi non volevamo perderla. Solo al pensiero mi assaliva il panico. Non ce l'avrei mai e poi mai fatta a vivere senza di lei, era impossibile. La sua dolcezza, il suo umorismo, i suoi pensieri, la sua saggezza.
Ci andammo a sedere vicino alla sala operatoria. Più il tempo passava più l'ansia saliva.
 
Erano già due ore che era in quella sala e non si sapeva ancora niente. Drake poggiato al muro aveva chiuso gli occhi e si era addormentato. Io invece, troppo agitato per dormire non facevo che andare su e giù per il corridoio chiedendo di tanto in tanto se ci fossero novità. E puntualmente ogni volta l'infermiera scuoteva la testa e mi rispondeva di no.
Alle quattro e trenta del mattino, dalla sala uscì lo stesso medico che mi aiutò nella riabilitazione.. credo facesse Lawerence di cognome o qualcosa di simile.
«Allora dottore, come sta?» chiesi allarmato.
«La ragazzina ha rischiato la morte. C'è stato un momento in cui il cuore le si era fermato. Dopo numerosi tentativi di rianimazione per fortuna si è salvata. Le abbiamo fatto una lavanda gastrica. Il suo corpo aveva assunto una quantità di eroina pari a quattro dosi, e ben 35 grammi di cocaina. I suoi organi avevano smesso di funzionare. È un miracolo che sia viva, dico davvero. Per quanto riguarda le botte che ha evidentemente ricevuto, per fortuna non le hanno causato fratture ma solo colorati ematomi. Adesso è sotto anestesia e la stiamo portando nella stanza 117. Sono certo che le farà piacere trovarla accanto a lei, signor Mathers.» mi disse il dottore. Annuii stringendogli grato la mano. Poi mi precipitai nella stanza 117. Lasciai Drake riposare, raccomandando all'infermiera di avvisarlo che io ero al piano di sopra. Aprii la porta della stanza, vedendo il mio angioletto con gli occhi chiusi riposare. Mi sedetti sul letto accanto a lei, senza fare rumore e le spostai una ciocca di capelli dagli occhi, immaginando che potessero darle fastidio. Alla vista del suo volto sorrisi. Era bellissima, anche meglio di come me la ricordassi, nonostante quell'occhio nero. Chissà come si era sentita. Il dolore che aveva provato. La rabbia. La paura. Avrei dato qualunque cosa esserle stato vicino. Le diedi un bacio sulla fronte e come per magia si svegliò.---
ASH POV-- Aprii con molta lentezza gli occhi, vedendo inizialmente una figura sfocata davanti a me che sussurrava il mio nome. Sbattei di nuovo le palpebre e l'immagine fu chiara, nitida. Era Marshall. Gli saltai al collo stringendolo più che potevo. Lo toccavo, lo tastavo per avere conferma del fatto che non fosse un'allucinazione, ma che fosse reale, vero. Ed era così. Marshall mi strinse tra le sue forti braccia, accarezzandomi la testa e continuando a ripetermi che ormai ero salva. Non potevo crederci. Finalmente ero libera. Mi scappò una lacrimuccia dalla felicità, mentre continuavo a godermi l'abbraccio che durò un bel po'!
«Come stai tesoro?» mi chiese poi staccandosi. Aveva anche lui gli occhi lucidi...gli dovevo essere mancata tanto.
«Bene, ho solo un po' di dolorini, ma niente di grave. Non posso crederci di averti di fronte a me! Non puoi neanche immaginare quante volte ho desiderato di abbracciarti e di rivederti!» esclamai stringendogli la mano
«Tesoro, non puoi immaginare quante volte avrei voluto esserti vicina...ma l'importante ora è che sei qui accanto a me! A proposito, sbaglio o oggi è il compleanno di qualcuno?!» chiese retorico, alludendo al mio compleanno. Sorrisi, arrossendo un po'.
«Finalmente oggi divento maggiorenne!» dissi soddisfatta, felice, quasi incredula.
«Oggi entri a far parte nel mondo degli adulti...e io non ho neppure un regalo per te...mi spiace tesoro...»
«Mi hai salvato la vita, credi che non sia già abbastanza?» gli feci notare
«Guarda che il regalo lo hai fatto tu a me, non io. Finalmente sei qui.» ribattè lui...arrossii di nuovo.
«E Drake?» chiesi dopo qualche secondo ricevendo come un'illuminazione.
«È di sotto, stava riposando e ho preferito non svegliarlo...sono stati giorni stressanti per lui..» mi spiegò
«Capisco...come sta?» chiesi preoccupata
«Aveva paura di perderti, come me del resto. Ma quel tuo 'ti amo' gli ha dato la forza di sperare! Se vuoi te lo vado a chiamare subito.» mi propose, mentre già era pronto per alzarsi dal letto. Ma io lo frenai, prendendogli il suo braccio scoperto e freddo.
«Non ce n' è bisogno. Non lasciarmi sola...» mormorai. Eminem mi accarezzò la testa e si mise più vicino. Avevo ancora la paura addosso e un misto di sensazioni per tutto il corpo.
«Quando sarai pronta sappi che puoi parlarne con me, quando vuoi.» si riferì a ciò che era successo con Jake. Non avevamo ancora tirato fuori l'argomento. Io perchè non volevo ricordare la sera precedente. Marshall perchè sapeva di non dover spingere il dito nella piaga. Annuii sorridendogli per rassicurarlo.
«E la tua canzone? l'hai finita?» chiesi cambiando argomento
«Ehm...in realtà sì, e non solo quella!» mi confessò sorridendo
«Ma guarda un po' Slim Shady! Io manco per qualche giorno e lui ha già pronto un nuovo album!» lo sfottei io, scherzando
«Un nuovo album non ancora...però sicuramente un bel concerto sì...non appena ti riprendi cerchiamo di organizzarlo proprio qui a Detroit, che ne pensi?» Un concerto?! Di Eminem?! A Detroit?! Non ero più nella pelle! E io sarei andata a quel concerto, magari stanco anche in prima fila o a dirittura nel back stage!! Ero già talmente emozionata che schizzai fuori dal letto e mi misi a saltare per tutta la stanza come una pallina da ping pong!
«Hei hei, calmati! Torna nel letto che se ti vede il dottore ci caccia entrambi!» scherzò lui, facendomi tornare alla postazione. Ma rimasi comunque troppo felice, tanto che gli saltai di nuovo al collo stritolandolo! Ma il momento fu interrotto dal bussare della porta. Ci ricomponemmo entrambi e pronunciai "Avanti" in modo scandito. La porta si spalancò mostrando il ragazzo più bello sulla faccia della Terra: Drake. Vedendolo il cuore accelerò, il mio cervello pensò al mio primo bacio con lui, e i miei occhi divennero nuovamente lucidi. Euforica di vederlo gli corsi in contro, saltandogli in braccio e attaccandomi a lui stile koala. Fu una sensazione bellissima stringerlo e toccarlo e sentirlo vicino a me. Fu bellissimo accarezzargli i capelli. Fu bellissimo assaporare di nuovo le sue labbra dolci e carnose che mi erano mancate come i suoi occhi profondi e scuri. E anche io gli ero mancata, a giudicare con quanta forza mi strinse e con quanto amore mi baciò.
«Mi sei mancata amore!» mi sussurrò a fior di labbra con una dolcezza infinita che mi fece arrossire. Distolsi il suo sguardo dai suoi meravigliosi occhi, imbarazzata. Poi gli presi il viso tra le mani e glielo accarezzai, mormorandogli nell'orecchio quanto fosse stato brutto stare senza di lui per tutto quel tempo. Ad interrompere quel momento da favola della buona notte ci pensò Marshall
«Eheeem» si schiarì la voce «Direi che è arrivato il momento che io vi lasci soli...torno fra una decina di minuti. Trattamela bene!» si raccomandò con Drake, mentre usciva dalla porta, sul cui l'uscio c'eravamo ancora noi. Drake mi posò sul letto con delicatezza, piazzandosi accanto a me. Eravamo l'uno di fronte all'altra, osservandoci nei minimi particolari.
«In questo giorno importante per te ho pensato ad un piccolo pensiero per te. Sarà il promemoria del mio amore infinito che provo per te. » mi disse rompendo in silenzio e alzandosi in piedi. Inserì la mano nella tasca dei suoi jeans per cercare non so cosa. Ne estrasse una scatolina di velluto nero che guardai stupita. «Chiudi gli occhi» mi ordinò poi. Sentii le sue dita sul mio collo e poi un corpo freddo, estraneo, che al tatto sembrava...un ciondolo! Aprii gli occhi e abbassai lo sguardo. Era una catenina con appeso il ciondolo dell'infinito. Drake me la agganciò con amore e io fui emozionata dal suo regalo.
«Amore è bellissima! Non dovevi!»
«Ti sta di incanto, dolcezza!» mi disse poi, tenendomi la mano e passando alle mie labbra. Fu uno dei momenti più teneri della mia vita. Finalmente avevo ritrovato la pace, con due bellissimi uomini al mio fianco che nessuno e ripeto nessuno, mi avrebbe più tolto!
 
 
Un mese dopo, a Detroit, sul palcoscenico.
Non lo avrei mai creduto possibile, e invece ero lì sul palco, nel back a guardare Eminem che si esibiva in tutta la sua bravura. Aveva da poco finito il suo ultimo album Recovery e la canzone "Not Afraid" che già gli avevo sentito canticchiare qualche volta era spettacolare, come tutte le altre del resto. E vederlo rappare sul palco, di fronte a centinaia e centinaia di persone, durante un concerto gratuito era veramente qualcosa di straordinario! Lo osservavo con ammirazione, mentre le luci colorate lo attraversavano rendendolo più importante di quanto già fosse. La folla era in delirio, e dopo aver cantato le canzoni dei suoi precedenti album, si stava godendo le nuove opere. Nell'ultimo mese ce ne erano successe tante, ma entrambi avevamo avuto la forza di combattere e di andare avanti, forza che attingevamo l'uno dall'altra. Io ero la sua fonte, lui la mia. E quella canzone rappresentava la nostra lotta, contro la droga, contro il mondo. E rappresentava la lotta di tutti coloro che ogni giorno combattevano per il lavoro, per la malattia o semplicemente per piccoli grandi problemi. Perchè in fondo la vita è una, non è come un nintendo, bisogna lottare per godersela.
FINE

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