L'Erede Legittimo

di PuccaChan_Traduce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I: La caduta della stirpe di Durin ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II: La questione della successione ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III: La sepoltura di Thorin Scudodiquercia ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV: Le strade si dividono ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO V: Di Elfi e Nani ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO VI: Fantasmi tra le mura di Erebor ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VII: Mantenere le promesse ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VIII: I legami che ci vincolano ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO IX: Promesse nell'oscurità ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO X: Scritto sui muri ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO XI: La lunga corsa ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO XII: Sangue nella neve ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO XIII: Torna da me ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV: Gli spazi nel mezzo ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV: Attraverso ombre cadenti ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO I: La caduta della stirpe di Durin ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

Oh, misty eye of the mountain below
Keep careful watch of my brothers’ souls
And should the sky be filled with fire and smoke
Keep watching over Durin’s sons.


I see fire, Ed Sheeran

~
 
23 novembre 2941, Terza Era

Tauriel non era estranea alla morte. I suoi duecento anni come capitano della Guardia Reale le avevano dimostrato in più occasioni che persino la vita di un Elfo era estremamente fragile, ma non era mai stata testimone di tanta e tale brutalità. L’aria stessa sembrava satura di angoscia e morte e i polmoni le bruciavano ad ogni respiro che traeva. Brandendo arco e pugnale si fece strada attraverso l’orda di goblin e orchi verso il piccolo gruppetto di Nani che a sua volta si era aperto un varco dalle porte di Erebor. Si stavano avvicinando all’altura su cui si erano asserragliati Azog e Bolg, i due capi orchi con il loro personale  e bene armato esercito, e la paura le diede una scossa al cuore: non li avrebbe raggiunti in tempo.
Il mondo divenne un vortice sfocato di volti grotteschi coperti di sangue nero, straziato da acute grida di dolore e morte. Combattè più duramente e più ferocemente di quanto non avesse mai fatto in tutta la sua vita, tanto che più tardi, dopo che la battaglia fu vinta, molti avrebbero parlato a lungo e con voci riverenti dell’Elfa e di come aveva abbattuto ogni orco che le si era parato davanti, lasciando una scia di morte dietro di sè; lei invece avrebbe ricordato molto poco, giusto il momento in cui aveva finalmente avuto visuale libera sul crinale e aveva visto Thorin cadere.
Il mondo intorno a lei iniziò a rallentare e scorse la figura familiare di un arciere dai capelli scuri che, al fianco del fratello maggiore, affrontava un nugolo di orchi e goblin. Continuò a guardare impietrita mentre i due si ergevano risoluti sul corpo del parente caduto, le spade levate in un’ostinata difesa.
Maledetta sia la caparbietà dei Nani, pensò innervosita scattando in avanti. Si portò una mano dietro la schiena per prendere una freccia, intenzionata a salvare i due fratelli se poteva, ma le sue dita strinsero solo aria. Il cuore le si fermò e i suoi passi divennero incerti; era troppo lontana per esser loro di qualsiasi utilità e guardò impotente mentre a Fìli veniva inferto un tremendo colpo al busto. Lo vide barcollare e, malgrado la lontananza, udì distintamente il grido disperato e terribile di Kìli, che subito dopo si lanciò selvaggiamente nella mischia facendo turbinare la sua spada.
Non l’ho salvato per vederlo morire.
Scandagliò rapidamente e con determinazione l’area in cui si trovava. Uomini, Elfi e Nani si battevano tutto intorno a lei ma senza prestarle alcuna attenzione, assorbiti com’erano dalle loro battaglie e dalle loro paure. Vide una freccia elfica, l’estremità dorata e di squisita fattura, sporgere dalle viscere di un orco riverso a pochi metri da lei, e la giudicò la sua migliore – se non unica – possibilità. Oltrepassando con un salto diversi cadaveri, alcuni dei quali suoi conoscenti, la strappò via dal corpo della vile bestia; poi, senza esitare, corse attraverso il terreno intriso di sangue per portarsi a tiro. Mise da parte incertezza, paura e il suo stesso cuore, lasciando che la freddezza prendesse il controllo. Kìli si batteva ancora strenuamente, ma non avrebbe resistito a lungo: era un guerriero abile e valoroso, anche più di quanto Tauriel avesse previsto, ma gli aiuti non lo avrebbero raggiunto in tempo. Lei era la sua sola speranza e aveva solo una freccia, solamente quell’unica, disperata possibilità.
Lo vide inciampare quando ancora non era arrivata a portata di tiro e allora comprese, mentre un enorme orco levava la spada al di sopra della propria testa bulbosa e Kìli tastava freneticamente il terreno alla ricerca della propria arma, che quella era la sua unica occasione. Saltando lontano dalle fauci di un Mannaro che la caricava, incurante della propria incolumità, si fermò e prese la mira. Trasse un respiro profondo, ne trasse un secondo e lasciò partire la freccia, e con essa tutte le sue speranze e i suoi desideri e i suoi sentimenti non ancora espressi; e, miracolosamente, la freccia si conficcò nell’occhio dell’orco: Kìli rotolò di lato per evitare che il pesante corpo lo schiacciasse nella caduta e balzò subito in piedi, la spada in pugno. Poi si voltò dalla sua parte, sbalordito, i loro occhi si incontrarono in mezzo a tutto quel caos e quel sangue, e Tauriel ebbe un istante di assoluta e pura chiarezza che la colpì più forte di qualsiasi rivelazione avesse mai sperimentato in tutta la sua vita e che la scosse fin nell’animo.
Lo amo e questa sarà la mia rovina.
Ma non erano ancora fuori pericolo ed era evidente che Kìli non avrebbe mai abbandonato il fratello e lo zio. Una folta schiera di nemici si ergeva tra lei e il giovane principe Nano e Tauriel sguainò i pugnali con mortale risolutezza. Era sola, senza nessuno che le coprisse le spalle ed era consapevole di essersi messa in una posizione pericolosa, forse addirittura fatale. Ma se non altro, ragionò, avrebbe fatto in modo di trascinare all’altro mondo quanti più nemici possibile; e inoltre, con la misericordia degli Eldar, era riuscita a salvare la vita di Kìli – ancora una volta.
All’improvviso, da qualche parte dietro di lei, si udì un boato così distinto e terribile che ella s’immobilizzò alla sua eco. L’orda cominciò a sfaldarsi, molti orchi intorno e davanti a lei si diedero alla fuga e Tauriel, con gli occhi sbarrati, vide un enorme orso che correva alla sua volta dilaniando quelle vili creature con le zanne e con gli artigli, i grossi occhi neri rilucenti di una mortale sete di sangue.
“Tauriel!” gridò in quel momento una voce fiera e familiare. “Spòstati!”
Con un urlo strozzato, ella si gettò lontano dalla traiettoria del tremendo animale appena in tempo. Quando si risollevò Legolas era al suo fianco, i capelli arruffati e la bella armatura di mithril macchiata di strie rosse e nere. In mano stringeva un lungo pugnale, la cui lama era nera di sangue.
“Stai bene?” le chiese con voce dura, il volto impassibile. Aveva in quel momento gli stessi occhi di suo padre, freddi e calcolatori, e un brivido le corse lungo la schiena. Tauriel annuì piano e accettò la sua mano tesa, rimettendosi lentamente in piedi. In quel breve attimo di tregua osservò il sentiero che il grande orso si era aperto davanti e che conduceva fino al punto in cui Thorin era caduto, e un vago malessere la incolse; era lo stesso punto in cui aveva scorto Kìli, che al momento non era più in vista.
“Il Re sotto la Montagna è caduto,” mormorò, lasciando la mano di Legolas.
“Allora ha trovato la fine che meritava,” rispose lui con voce aspra e priva di emozione. Tauriel non aveva la forza di mettersi a discutere e di nuovo guardò lungo il sentiero che l’orso aveva creato, nella speranza di trovare un qualche segno che Kìli fosse ancora vivo; ma Legolas la fermò mettendole una mano sulla spalla.
“Il principe Nano è morto, Tauriel. Inutile andare alla sua ricerca.”
Tutto intorno la battaglia, volta finalmente a loro favore, continuava ad infuriare; Tauriel si scrollò con forza la sua mano di dosso e lo fissò con occhi fiammeggianti d’ira. “Allora io piangerò la morte sua e dei suoi congiunti, poichè erano gente degna di essere ricordata con onore,” disse con fermezza, anche se in cuor suo non poteva accettare che Kìli fosse effettivamente morto. Legolas sembrò interdetto, ferito, forse anche tradito; ella gli voltò le spalle.
Mentre si dirigeva verso il punto in cui aveva visto Kìli l’ultima volta, dietro di lei Umani, Nani ed Elfi serravano le file desiderosi di passare a fil di spada i nemici in rotta fino all’ultimo orco; Tauriel non se ne curò affatto. Molte vite erano già andate perdute e lei non era impaziente di vedere altra morte. Risalì la collina e scoprì che il corpo di Thorin non c’era più; anche l’enorme orso non si vedeva da nessuna parte. Fìli, tuttavia, era rimasto lì dov’era caduto. A pochi metri da lui scorse un mantello blu dolorosamente familiare e una testa scura e immobile, e subito distolse lo sguardo. Osservò ancora, brevemente, il Nano steso a terra davanti a lei e si sentì irrigidire le membra da uno strano intorpidimento. Gli occhi di Fìli erano chiusi e il sangue aveva smesso di scorrere dalla ferita aperta nel suo ventre; il suo viso un tempo allegro era coperto di sangue e sporcizia, l’ampio petto immobile.
“Và in pace, giovane principe,” ella mormorò in Sindarin; poi si allontanò, i piedi di piombo, verso la figura prona del fratello minore di Fìli.
Cadde in ginocchio, come se le forze l’avessero abbandonata, accanto al corpo di Kìli, incurante del sangue e del fango e a malapena consapevole delle lacrime che avevano iniziato a scorrerle sul viso. Con mani tremanti lo fece girare dolcemente sulla schiena; il gemito che lui emise in risposta fu forse il suono più gioioso che avesse mai udito e il cuore le martellò in petto.
“Kìli...!” esalò, vedendo le palpebre di lui vibrare ed infine aprirsi. Il suo viso era pallido, i capelli incrostati di sporcizia; un filo di sangue gli usciva dal naso e i suoi occhi scuri erano un pò offuscati ma, miracolosamente, le sorrise. Tauriel respirava a fatica, il sollievo e la speranza tanto acuti in lei da farle male.
“Sapevo che mi avresti salvato, tu... mi salvi sempre.” Kìli stese una mano sudicia e le accarezzò una guancia con dolcezza; lei la coprì con la propria e restarono così per diversi momenti in cui parve quasi che il tempo si fosse fermato, prima che il dolore tornasse ad oscurare gli occhi di lui.
“Thorin... Fìli...”
Tauriel trasalì e con l’altra mano gli scostò i capelli dal viso. Parlò a bassa voce, scegliendo le parole con attenzione. “Thorin è scomparso; l’ha preso, sospetto, il Mutatore di Pelle. Potrebbe essere ancora vivo. F–Fìli...” Si interruppe, perchè non sapeva più cosa dire. L’angoscia s’impossessò di lui e si mise sgraziatamente in piedi; Tauriel, incapace di fermarlo, lo guardò barcollare verso il fratello. Kìli si gettò sul corpo e scoppiò in un pianto incontrollabile.
Un altro Nano della compagnia, quello che chiamavano Balin, la raggiunse in quel momento, imponente nell’armatura del suo popolo. Tauriel guardò il suo volto rugoso e lesse dolore e perdita negli occhi del vecchio Nano. Non dissero nulla mentre la battaglia si spegneva intorno a loro, poterono solo osservare in silenzio il cordoglio di Kìli e riflettere amaramente sul proprio.

~
 
Tauriel trovò Legolas al tramonto, quando il sole già incendiava i contorni delle montagne: sedeva solo e silenzioso accanto al fuoco che era stato acceso davanti alla grande tenda di suo padre. Una veemente discussione si stava svolgendo in quel momento all’interno, di cui Kìli, ella sospettava, era uno degli argomenti principali. Soffocando un gemito – ogni muscolo del suo corpo sembrava urlare dalla tremenda stanchezza – si sedette vicino a lui.
“Oggi hai combattuto con coraggio, Tauriel,” disse infine Legolas senza guardarla. Ella osservò per un momento le fiamme che si riflettevano nei suoi occhi blu e che accendevano riflessi dorati nei suoi capelli biondi. Era proprio vero che egli teneva a lei come le aveva detto Re Thranduil? Era sempre l’Elfo più bello su cui i suoi occhi si fossero mai posati, ed ebbe a quel pensiero una fitta di dolore. C’era stato un tempo, non molto prima, in cui lei stessa aveva creduto di amarlo, ma aveva sempre saputo che era una battaglia persa in partenza; e trovava ironico che la persona di cui era innamorata adesso fosse un Nano, ossia qualcuno molto più al di fuori della sua portata di quanto qualsiasi Elfo sarebbe mai stato.
“Anche tu, mio principe,” ella rispose, lanciandogli un’altra rapida occhiata. Un certo imbarazzo scese tra loro, imbarazzo che non era mai esistito fino al giorno fatidico in cui si erano imbattuti nella compagnia di Thorin Scudodiquercia, e Tauriel pianse internamente la scomparsa di quel che c’era stato tra loro fino a quel momento. Sentiva che stava perdendo qualcosa di molto importante, ma si sentiva anche del tutto incapace di fare alcunchè per impedirlo.
Si udì un fruscio di stoffa mentre i lembi della tenda venivano aperti ed entrambi si voltarono trovandosi di fronte la figura massiccia di Dàin Piediferro, signore dei Colli Ferrosi, che li squadrava con occhio critico. Tauriel aveva molto sentito parlare di lui e delle sue gesta, ma non l’aveva mai visto di persona. Sembrava duro e inflessibile come la pietra, i capelli rossicci scarmigliati e l’armatura ammaccata. Si scostò da un lato con un cipiglio seccato, senza degnarli di una seconda occhiata, e Balin uscì dietro di lui. L’anziano Nano non indossava più l’armatura ed era tornato ad essere l’umile diplomatico in abiti civili: il suo volto era una stoica maschera di dolore e sembrava invecchiato di molti anni dall’ultima volta che Tauriel l’aveva visto.
Egli incontrò lo sguardo di lei e mormorò: “Re Thorin è morto e così suo nipote ed erede, il principe Fìli.”
Poi Balin si fece da parte e un’altra figura, più alta degli altri due Nani, uscì lentamente alla luce del fuoco; Tauriel dovette resistere all’impulso di correrle incontro.
Il viso di Kìli era pallido, inespressivo, come senza vita; del giovane spensierato che lei aveva conosciuto, sempre pronto a ridere e scherzare con tutti, non era rimasta che una vaga ombra. Tauriel non aveva mai visto un tale dolore tutto in una volta, la sua anima stessa soffriva per lui. Avrebbe volentieri accolto tutta quella sofferenza dentro di sè purchè lui ne fosse liberato.
“Vi presento,” disse ancora Balin con voce tremante, “Kìli, figlio di Fìnor, Re... sotto la Montagna.”
 
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(Nota della traduttrice) Come vi avevo anticipato nell'altra fanfiction, "Spericolato" (che potete trovare QUI), eccomi tornata con un'altra opera di questa autrice! Spero che vi piaccia e che la seguirete come avete seguito l'altra; ne varrà la pena, ve l'assicuro! Non so dirvi con quale frequenza pubblicherò gli altri capitoli perchè la storia originale è ancora in corso e, anche se l'autrice la aggiorna abbastanza regolarmente, non vorrei arrivare al punto in cui non ho più niente da tradurre e farvi così aspettare fino a chissà quando per continuare a leggerla, per cui credo che me la prenderò con calma... ma non troppo, state tranquilli!
Nel frattempo voi fatemi sapere cosa ne pensate, ci conto. A presto! ;)

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Capitolo 2
*** CAPITOLO II: La questione della successione ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

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If this is to end in fire
Then we should all burn together
Watch the flames burn auburn on
The mountain side high.


I see fire, Ed Sheeran
 
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“Vi presento,” disse Balin con voce tremante, “Kìli, figlio di Fìnor, Re... sotto la Montagna.”
Dàin Piediferro sbuffò sonoramente facendo trasalire Tauriel e guadagnandosi un’occhiata di riprovazione da parte di Balin.
“Non abbiamo ancora finito di discutere la faccenda, Balin,” esclamò il signore dei Colli Ferrosi con voce dura e grave, allontanandosi poi senza più guardare nessuno. Tauriel, interdetta, fece scorrere lo sguardo da Balin a Legolas a Kìli, ma nessuno sembrava badare a lei. Nessuno sembrava nemmeno vederla, in effetti. Il silenzio si prolungò fino a quando non fu più capace di sopportarlo.
Allora si alzò in piedi e, stringendo i denti per ricacciare indietro la pena, s’inchinò brevemente davanti a Kìli; le sue sensibili orecchie di Elfo colsero il sibilo di disapprovazione di Legolas, ma non vi badò. “Le mie condoglianze, Re Kìli, per la tua immensa perdita. Possano i Valar arrecarti conforto e pace.” Detto ciò rialzò piano la testa, improvvisamente conscia del proprio gesto; incontrò lo sguardo di Kìli e, per un breve istante, colse in esso un barlume dell’antica tenerezza prima che egli chinasse il capo a sua volta.
“Ti ringrazio, Tauriel, per tutto ciò che hai fatto per me e per i miei congiunti.” Quando si risollevò, la tenerezza era scomparsa. Non la guardò più. Lei avrebbe voluto dirgli ancora qualcosa, qualsiasi cosa che alleviasse il suo dolore, rassicurarlo che aveva molte altre persone che tenevano a lui e credevano in lui, sebbene lei stessa non sapesse spiegare perchè ne fosse tanto sicura; in verità lo conosceva appena, ma fin dal fatidico giorno in cui lo aveva salvato dai ragni nel Bosco Atro si era sentita indissolubilmente attratta da lui. Proprio come le maree sono attratte dalla luna.
“Scusatemi, ora... devo andare da mio zio e da mio f–fratello...” egli riuscì a balbettare e subito dopo si allontanò senza più guardarsi indietro, svanendo in fretta nella notte incipiente, come un’ombra. Tauriel udì il clamore dei festeggiamenti salire nell’oscurità e quel suono assunse alle sue orecchie un significato profondamente offensivo e crudele. Cosa c’era mai da festeggiare quando in così tanti avevano perso la vita? Si mosse nella direzione in cui si era allontanato Kìli, seppur incerta sul da farsi, ma Balin la fermò toccandole gentilmente un braccio.
“Lascialo andare, ragazza, ha bisogno di stare da solo per un momento. È ancora sconvolto.”
Tauriel arrossì e si allontanò dal suo tocco, portandosi più vicina al fuoco. Dentro era tutta un guazzabuglio di emozioni distorte. Non era abituata a sentirsi tanto incerta. Lunghi anni erano trascorsi dall’ultima volta che era stata così in conflitto, così... smarrita.
Legolas scelse quel momento per parlare, attirando la sua attenzione. “Dàin dei Colli Ferrosi ha intenzione di reclamare il regno di Erebor, non è così?”
Balin aprì la bocca per rispondere ma un’altra voce, a lei molto familiare, lo precedette. “E’ così, Legolas, ed è un valido aspirante. Il nipote di Thorin è a malapena considerato un adulto tra la sua stessa gente e non sa nulla di come si governa un regno.”
“Padre,” disse Legolas inchinandosi profondamente a Re Thranduil che usciva dalla tenda, e Tauriel fece lo stesso. Era sia in accordo che in disaccordo con il suo Re, e la cosa la lacerava. Era vero che Kìli era molto giovane – non sapeva di preciso quanti anni avesse, ma di certo era il più giovane della sua compagnia; eppure non lo credeva affatto incapace di comprendere appieno le necessità del suo popolo. Mentre era loro prigioniero le aveva narrato storie meravigliose dei suoi anni in esilio, dei lavori che aveva svolto e delle esperienze che ne avevano forgiato il carattere, e le aveva raccontato con orgoglio di come la sua gente avesse superato con coraggio le molte difficoltà. Forse Kìli era giovane e spensierato, ma non era un bambino e di certo non era estraneo al significato del comando. Dopotutto era cresciuto all’ombra di suo zio, il quale, malgrado gli errori recenti, era indiscutibilmente stato un grande leader. Tauriel non riusciva a pensare a nessuno che fosse più adatto di Kìli per quel ruolo.
Guardò Balin, la cui indignazione lo aveva portato a farsi più alto di quel che era – tanto che le arrivava quasi al petto. “Non spetta agli Elfi decidere della questione, Re Thranduil, e Kìli è un diretto discendente della forte stirpe di Durin. Egli è l’ultimo erede della propria casata e l’unico che ha diritto di sedere sul trono di Erebor.”
Le labbra di Thranduil si arricciarono di sdegno, la rabbia gli attraversò i lineamenti angelici. “Una stirpe avvelenata da cupidigia e fame di ricchezza che ha portato solo morte e rovina sul vostro popolo. Una stirpe inquinata sin dai tempi di Bain di Durin e della caduta di Hadhodrond!”
Il viso di Balin si tinse di un’allarmante tonalità rossastra ma fu Tauriel che, con sorpresa di tutti – specie di sè stessa – parlò. “Io non credo che Kìli soffra dello stesso male che avvelenò le menti dei suoi antenati.”
Tre paia di occhi si volsero su di lei, le cui espressioni andavano dalla furia alla confusione fino a una viva disapprovazione. Ma ella sollevò il mento senza alcuna intenzione di ritrattare quanto aveva appena detto.
“E cosa ne puoi sapere tu, Tauriel?” chiese Thranduil, la voce venata di disprezzo.
C’era stato un tempo, non da lungo trascorso, in cui lei avrebbe chinato la testa e gli avrebbe dato ascolto, ma nel corso dell’ultimo decennio preoccupazioni e sospetto l’avevano portata a cambiare totalmente parere. Thranduil non era più il sovrano della sua giovinezza, non era più colui che l’aveva cresciuta con tutte le cure possibili. Di recente sembrava essere precipitato nella meschinità e nello sprezzo per gli altri, completamente disinteressato del mondo che si svolgeva al di là dei confini delle loro terre, che diventavano di giorno in giorno sempre più esigue. Tauriel, che aveva sempre sognato di vedere più che il solito muro di vecchi alberi e lo stesso identico mare di facce, si era scoperta, nel corso degli ultimi cento anni, sempre più insoddisfatta della vita che, come Elfo Silvano, conduceva sotto il dominio di un re Sindar. Desiderava qualcosa di diverso, qualcosa di più.
“Forse ben poco, mio Re, ma ho imparato a conoscere il Nano Kìli e presumo che chiunque possa facilmente vedere che egli è del tutto libero dall’oscurità che affliggeva suo zio,” affermò, ergendosi fiera davanti a lui. Sentiva lo sguardo di avvertimento di Legolas, affilato come un pugnale, su di sè.
Gli occhi di Thranduil si assottigliarono pericolosamente e si avvicinò a lei, il fuoco che gettava ombre inquietanti sul suo volto etereo. Tauriel resistette alla tentazione di fare un passo indietro e sollevò il mento in una sfida ostinata. Gli altri intorno a loro sembravano incapaci perfino di respirare. Ella si costrinse a riflettere sulla propria insubordinazione e si rese conto di aver varcato da tempo il confine della mera insolenza; che cosa le era saltato in mente?
“Tu presumi molte cose, Tauriel, ma non è nella tua natura mettere in discussione il giudizio di coloro che sono più saggi e migliori di te. Ti ho concesso molte libertà e responsabilità... forse troppe,” sibilò Thranduil nella loro lingua, e c’era qualcosa nel suo viso che le fece rapidamente perdere il coraggio.
Si affrettò a chinare la testa, il volto arrossato e il cuore che le batteva forte. “Ti chiedo perdono, mio Re, non intendevo mancarti di rispetto...”
“Padre, ti prego; è ancora stanca per la battaglia, non è del tutto in sè.” Legolas intervenne in suo favore ed ella gli lanciò un’occhiata: il viso di lui era supplichevole e la vergogna la travolse. Non avrebbe dovuto parlare con tanta leggerezza, ma ormai era fatta.
Thranduil rimase in silenzio per alcuni momenti carichi di tensione, prima di dire lentamente: “Alla luce degli ultimi eventi credo che un pò di... comprensione possa essere concessa. Lasciaci ora, Tauriel, e và a riposarti. Questo non è argomento per le tue orecchie.” Il Re elfico aveva parlato con tono tagliente e Tauriel si inchinò profondamente, non osando più guardarlo in faccia.
Se ne andò in fretta senza guardare nè Legolas nè il Nano e vagò tortuosamente tra le tende dell’accampamento. Che i Valar mi aiutino, si può sapere cosa mi prende? Non aveva fatto molta strada quando una voce burbera la bloccò.
“Ci hai reso un grande servizio con il tuo discorso, ragazza. Forse non tutti gli Elfi sono indegni di fiducia come pensavo...” Ella si voltò e vide la temibile figura di Dwalin che la scrutava nell’ombra, in attesa forse dei suoi parenti. Tra tutti i Nani che aveva conosciuto era quello che le sembrava più feroce.
Per qualche ragione però Tauriel si risentì alle sue parole: era come se l’avesse accusata di tradire la sua gente. La sua già fragile compostezza si sgretolò ulteriormente ed ella desiderò spasmodicamente un pò di solitudine. “Ho solo detto la verità, Nano, niente di più.”
Il Nano tatuato si limitò a rivolgerle un sorriso sghembo, la luna che brillava sulla sua testa pelata e che faceva scintillare in maniera minacciosa la lama della sua ascia. “Come ti pare, ragazza.”
Con un’ultima, gelida occhiata Tauriel proseguì per la sua strada, stanca dei Nani e dei loro modi bruschi e impudenti.
 
~
 
Sola nella sua piccola tenda, posta all’estremità dell’accampamento degli Elfi, Tauriel si spogliò lentamente. Si tolse l’armatura con gesti esperti e mise da parte ogni elemento con cura. Uno dei suoi subalterni avrebbe potuto aiutarla, ma non vedeva la necessità di disturbarli per quel compito: ciascun guerriero elfico aveva dovuto misurarsi quel giorno con ogni specie di orrore, e adesso meritavano una notte di riposo e solitudine. Lunghi anni erano trascorsi da che il suo popolo aveva sperimentato tante e tali perdite tra le sue file, addirittura da prima che lei stessa venisse al mondo.
Sentiva la mancanza del suo Principe e del cameratesco rapporto che avevano avuto, aveva nostalgia dei suoi consigli e delle sue parole di conforto. Una volta lo vedeva come una sorta di mentore e di fratello maggiore fino a che non era diventato un suo pari, un amico perfino; ora esisteva un vasto abisso tra loro che non poteva essere colmato. Tauriel si sentiva cambiata, diversa, e tutto a causa di un Nano dalla lingua impertinente e dal fascino conturbante...
O forse non è solo questo?, riflettè, pensando al disagio che negli ultimi anni l’aveva colta all’indifferenza del suo popolo davanti alla crescita indiscriminata di ragni giganti e altre creature immonde nella loro terra. Il suo cuore era turbato da molto prima dell’arrivo della compagnia di Thorin Scudodiquercia, dovette ammettere, anche se quell’incontro era stato di certo un potente catalizzatore; pian piano si era semplicemente lasciata trascinare dagli eventi senza riuscire a fare nulla per impedirlo.
Tauriel sospirò di sollievo quando fu spogliata di tutto tranne la leggera sottoveste di cotone, impregnata di sudore e di schizzi di sangue di orco. Non si era mai sentita tanto stanca o stravolta. Desiderava il sonno cui, in quanto Elfo, così raramente si abbandonava: invidiava gli Uomini e i Nani per il dono del riposo che a loro veniva concesso. Con i suoi seicento e più anni Tauriel non era considerata affatto vecchia tra la sua gente – non erano nulla al confronto delle migliaia di anni vissuti dal suo Re, ad esempio – ma quella notte, sotto il peso estraneo della guerra, si sentì vecchia.
Qualcuno, che i Valar lo benedicessero, le aveva preparato un recipiente di acqua riscaldata e teli per lavarsi nonchè degli abiti puliti per la notte. Immergendo un morbido panno in acqua, iniziò a tergere sangue e sporcizia dal proprio viso e dal corpo. Avrebbe preferito fare un vero bagno nelle tiepide acque delle sorgenti sotterranee del Bosco Atro, laddove sarebbe riuscita a togliersi completamente di dosso la stanchezza e l’orrore, ma era grata di avere almeno quelle piccole comodità, malgrado la situazione. Quando ebbe finito – tutti i panni erano ormai neri – si tolse anche la sottoveste e indossò un fresco abito di seta; quindi si sciolse con cura le trecce da battaglia e prese una spazzola.
Aveva appena iniziato a districare i grovigli che aveva nei capelli quando qualcuno la chiamò dall’esterno.
“Sì?” rispose, e vide un volto familiare che la scrutava da un lembo sollevato della tenda; Tauriel accennò un sorriso stanco.
“Salve, Lurìena,” la salutò nel modo più gentile permessole dalla stanchezza. La fanciulla elfica rispose al sorriso ed entrò silenziosamente nella tenda. Indossava un abito color prato e i lunghi capelli castani erano acconciati in una treccia fissata intorno al collo; soltanto il grembiule macchiato di sangue raccontava del lungo tempo che aveva trascorso nella tenda del guaritore.
“Sono venuta per assicurarmi che tu stessi bene,” disse Lurìena con la sua voce dolce, togliendole di mano la spazzola prima che lei potesse protestare. Era piuttosto esperta nel curare i capelli di Tauriel perchè l’aveva fatto tante volte quando erano bambine, con una delicatezza e una pazienza che lei non aveva mai posseduto. Lei non era mai stata dolce e delicata come Lurìena, era sempre stata dura e insofferente a tutte le imposizioni. Da piccole giocavano sempre insieme senza stancarsi mai: Lurìena impersonava la principessa in pericolo mentre Tauriel era il valoroso cavaliere senza macchia e senza paura che veniva a salvarla. Tanto la sua amica era dolce e piena di premure quanto lei era scapestrata e priva di tatto, sempre a cacciarsi nei guai e a spingere all’esasperazione quelli preposti alla sua custodia. Tauriel sembrava nata dalla violenza mentre Lurìena sembrava essere stata creata dai Valar apposta per arrecare pace e conforto ai sofferenti. Anche la guarigione che aveva operato sulla gamba ferita di Kìli non era che una delle tante cose insegnatele dalla sua amica, altrimenti non avrebbe potuto fare nulla per lui. La morte era l’unica cosa che pareva in grado di arrecare...
“Sei turbata, amica mia,” mormorò Luriena, le dita sottili e lenitive che le accarezzavano lo scalpo.
Tauriel chiuse gli occhi aggrottando un pò le sopracciglia. “C’è molto per cui essere turbati in questi giorni oscuri.”
“E’ vero,” concordò la sua amica, la voce melodiosa venata di dolore. “Molti dei nostri amici e congiunti sono morti e altri ancora soffrono, ma non è solo questo che ti turba, Tauriel. A me non puoi nasconderlo, lo sai. Non mi sembri te stessa.”
Tauriel tacque; l’unico suono che si udiva era il fruscio della spazzola tra la massa infuocata dei suoi capelli. Non sapeva cosa dire così come non riusciva a fermare il corso dei suoi pensieri, che si facevano sempre più ingarbugliati.
“Io...” Si fermò, esitante. “Mi sento... sperduta. Nulla mi è più chiaro...” La sua voce si spense in un sussurro. Di rado esternava le proprie emozioni in presenza di altri, l’aveva sempre ritenuta una dimostrazione di debolezza. Un capo doveva essere senza paura, doveva saper guidare con sicurezza i suoi soldati,  e non essere distratto e pieno di strani pensieri.
Le mani di Lurìena le si posarono delicatamente sulle spalle. “Hai sopportato molte dure prove in queste ultime settimane, più di quanto io possa immaginare. Forse... sei semplicemente stanca e hai bisogno di riposarti, nella pace della nostra casa.”
Tauriel sospirò, pensando alla loro patria con un misto di nostalgia e sdegno. Le mancavano le comodità cui era abituata, ma non il prezzo grazie al quale le venivano concesse. Adesso che aveva visto com’era il mondo esterno era restìa a fare ritorno alle antiche stanze e a starsene rintanata dietro porte ben chiuse; c’era così tanto da vedere, da fare, da imparare.
“Forse...” rispose piano, aprendo gli occhi e guardando la luce della lanterna che faceva danzare ombre sulle bianche tende.
Lurìena le diede una strizzatina prima di acconciarle i capelli nelle trecce che più le piacevano, e aggiunse: “Stai tranquilla, amica mia. L’oscurità è passata e il nemico è stato sconfitto; la pace tornerà su queste terre.”
Tauriel ebbe un senso di disagio alle sue parole e un brivido le corse lungo la schiena, come l’avanzare malefico di un ragno lungo la sua tela. “Tu credi? Credi davvero che sia passata?” domandò più a sè stessa che a Lurìena, che aveva posato la spazzola e le era venuta accanto, osservandola con i profondi occhi blu in cui si leggevano affetto e preoccupazione.
“O forse questa è stata solo la prima battaglia, il primo assaggio di una tempesta in arrivo; forse l’oscurità non ci ha ancora lasciati.”
 
~
 
Il giorno seguente Tauriel radunò un gruppo di Elfi e si recarono di nuovo sul campo di battaglia per recuperare i corpi dei loro caduti; con sua sorpresa, Legolas li accompagnò.
“Credevo fossi impegnato in qualche importante riunione strategica,” gli disse facendo cenno a uno dei loro compagni verso un mucchio di cadaveri di goblin. Legolas fece una smorfia. Non indossava l’armatura, ma una semplice tunica nei toni del verde e del grigio, i pugnali incrociati dietro la schiena e l’arco in spalla. Altri intorno a loro, Uomini e Nani, si muovevano tra i resti della carneficina con lo stesso triste scopo.
“E così avrebbe dovuto essere, ma mio padre ha avuto pietà di me e ha detto che venire a dare una mano qui mi avrebbe fatto stare meglio, aiutandomi a lenire il dolore o qualcosa del genere.” Il suo volto era cupo, lo sguardo impenetrabile.
Tauriel osservò quella grande distruzione, e poi la Montagna Solitaria che incombeva su di loro e le grandi Porte di Erebor, infrante come una ferita aperta nel fianco della montagna. Perfino lei, un Elfo, non poteva non provare reverenza davanti a quella magnificenza, non poteva non avere almeno un’idea del suo passato splendore e di tutto ciò che era andato perduto. Non aveva mai visto Erebor al massimo della sua gloria, nè in nessun’altra circostanza, e avvertì una fitta di dolore al pensiero che quella gloria avrebbe potuto non tornare mai più; il che, come spesso le accadeva negli ultimi tempi, la portò a pensare a Kìli. Sarebbe diventato Re di quel regno distrutto ed esecrato. Non riusciva ad immaginare il peso di un tale onere e se ne dolse terribilmente per lui.
Anche se non era affatto da lei, desiderava rivederlo. Desiderava vedere il suo viso e offrirgli tutte le parole di conforto di cui si sentiva capace.
“Capitano!” chiamò all’improvviso una delle guardie, attirando la sua attenzione. Voltandosi riconobbe in Estolion colui che l’aveva chiamata, e lei e Legolas si affrettarono a raggiungerlo. Egli stava presso un corpo orrendamente straziato ma dall’aria familiare, e Tauriel si lasciò sfuggire un gemito di dolore; Legolas le pose una mano confortante sulla spalla.
“Kalthèon,” ella disse piano, stendendo una mano per chiudere pietosamente gli occhi del caduto. Ricordava di averlo addestrato lei stessa; era stato uno dei suoi pupilli, in effetti. Era certa che non si era arreso alla morte tanto facilmente e quel pensiero le diede un pò di conforto.
“Non avrebbe dovuto morire in questo posto,” disse Estolion con voce tremante di rabbia e dolore. Era un giovane Elfo appena entrato nell’età adulta, dal viso pallido e dai lunghi capelli scuri.
La guerra era un peso opprimente da sopportare per coloro che non erano avvezzi nè ad essa nè a ciò che comportava.
“No,” rispose Legolas, “non avrebbe dovuto. Ma è morto per proteggere la nostra gente e la nostra terra: ha avuto una morte onorata. Non avrebbe voluto vederci così addolorati per il suo sacrificio.”
Trascorsero alcuni istanti in rispettoso silenzio, mentre una lieve brezza sollevava l’odore della morte tutt’intorno a loro come un malsano profumo; Tauriel non vedeva l’ora di venire via da quel posto.
“Preparate delle lettighe,” disse infine. “Stasera daremo il nostro addio a lui e a tutti gli altri caduti. Egli è in pace ora, Estolion, nelle terre dei nostri Padri al di là del mare. Coraggio, abbiamo ancora una lunga e triste giornata di lavoro davanti a noi.” Aveva parlato con voce severa, il che sembrò in qualche modo rianimare il giovane Elfo. Tauriel, insieme a Legolas, lo guardò allontanarsi per eseguire il suo ordine e si sentì fiera di lui.
“Vogliono seppellire Thorin e suo nipote domani sera,” le disse tranquillamente Legolas mentre riprendevano a rimuovere cadaveri di orchi. Tauriel fissò un pugnale di bella fattura che spuntava dalle fauci di un Mannaro senza riuscire a staccarne gli occhi. “Nel profondo delle caverne di Erebor, ci è stato detto,” continuò lui in tono neutrale. “Mio padre e Bard di Pontelagolungo hanno garantito la loro presenza.”
“E che ne è della questione di Kìli e Dàin Piediferro?” gli chiese lei, incapace di continuare a trattenersi e ansiosa di sapere.
Legolas strinse i denti e diede un calcio a una brutta spada, evidentemente appartenuta a qualche orco. “Non è stato ancora deciso nulla: Kìli si rifiuta di discuterne almeno finchè i suoi congiunti non saranno stati sepolti.” Il suo tono aspro indicava chiaramente che la considerava una dimostrazione di stoltezza da parte sua, e Tauriel si sentì punta sul vivo. Perchè deve sempre essere così severo nei loro confronti?, si domandò prima di ricordarsi che, fino a non molto tempo prima, anche lei si comportava praticamente allo stesso modo.
“Di certo la faccenda potrà aspettare fino ad allora. Erano la sua famiglia e lui avrà pure il diritto di piangerli come si confà al–” cominciò, accalorandosi mentre parlava; ma Legolas la interruppe.
“Se davvero desidera diventare Re dovrà mettere da parte le questioni personali. I popoli dei Colli Ferrosi e di Pontelagolungo diventano sempre più impazienti di avere la loro parte del Tesoro. Hanno subìto gravi perdite, come noi del resto, che avrebbero potuto essere evitate se Thorin Scudodiquercia non avesse–”
Stavolta fu Tauriel a interromperlo. “Non vorrai imputare a Thorin e alla sua compagnia la colpa di tutto questo, vero?” esclamò indignata. “Questo male era pianificato già da lungo tempo, Legolas, tutti hanno potuto vederlo. Forse la morte di Smaug gli ha reso le cose più facili, ma di certo non ne è stata la causa.”
Legolas scosse la testa, i suoi occhi buoni erano velati di rabbia. “Sei sempre così lesta a difenderli, Tauriel. Dimmi sinceramente, tutto questo sarebbe mai accaduto senza la cupidigia di Thorin Scudodiquercia e della sua gente? Cupidigia che, ti piaccia o no, suo nipote è destinato ad ereditare.”
Tauriel sollevò le braccia al cielo esasperata. “E chi può dire che non avrebbero preso la città degli Uomini e non avrebbero marciato fino ai confini del nostro regno anche senza il coinvolgimento dei Nani? Le nostre mura sono forti, Legolas, ma la nostra sorveglianza sulla foresta si indebolisce. Essa non è più la stessa della nostra–”
Improvvisamente Legolas le si avvicinò al punto che dovette alzare la testa per guardarlo in faccia; Tauriel trattenne il respiro. “Qualunque cosa ci sia tra te e quel Nano bambino, Tauriel, è una cosa impossibile,” sussurrò lui ferocemente. Ella sostenne lo sguardo dei suoi occhi appassionati che pian piano scesero sulla sua bocca in un modo che conosceva bene; si fece indietro di colpo, sconvolta.
Trasse dei respiri profondi, rimproverandosi aspramente per la propria condotta, e fece l’unica cosa possibile in quella situazione: negò tutto. “Io non provo niente per nessun Nano, bambino o chicchessia,” affermò volgendogli la schiena e cercando di ricomporsi. “Sono solo stanca di sentir dare la colpa agli altri come se noi non ne avessimo alcuna. Da lungo tempo avevamo colto segnali premonitori da Dol Guldur e abbiamo scelto di non fare nulla, per non parlare del giorno in cui Smaug conquistò queste terre e noi giungemmo qui solo per voltare le spalle davanti alle sofferenze di Erebor e Dale. Non siamo anche noi da biasimare per tutte queste atrocità, non è forse la ricompensa per la nostra indifferenza?”
Non si rese conto che stava piangendo fino a che non si voltò verso Legolas e lesse l’incredulità nei suoi occhi; si girò di nuovo. Non vide il desiderio senza speranza nel suo sguardo e non potè sentire le sue richieste di riconciliazione perchè in quel momento un altro Elfo li raggiunse, proprio mentre Legolas stava per aprire bocca.
“Re Thranduil richiede la tua presenza, mio Principe,” esordì l’Elfo inchinandosi profondamente. “E anche la tua, Capitano,” aggiunse, con un’espressione un pò tesa.
Tauriel e Legolas si scambiarono un’occhiata e lei ebbe la sensazione che l’abisso tra loro si approfondiva sempre più ad ogni secondo che passava.
“Certamente,” rispose al messaggero in tono neutro, asciugandosi le lacrime. “Tutto quel che il mio Re comanda.”
 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO III: La sepoltura di Thorin Scudodiquercia ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

And if the night is burning I will cover my eyes
For if the dark returns then my brothers will die
And as the sky is falling down
It crashed into this lonely town
And with that shadow upon the ground
I hear my people screaming out.


- I see fire, Ed Sheeran

~

I genitori di Tauriel stavano facendo ritorno da un soggiorno a Lorìen quando gli orchi li avevano attaccati. Il corpo di sua madre era stato il solo a venire recuperato, ma era talmente sfigurato che non le fu permesso vederlo. Ella era stata un’Elfa orgogliosa e intelligente, svelta di lingua ma di indole gentile nonchè una figura di spicco all’interno della loro società; suo padre invece era stato un abile guerriero, anche se la sua vera passione erano la letteratura e lo studio.
Tauriel era molto giovane quando era avvenuta la disgrazia, non ancora adulta secondo i canoni degli Elfi, e la loro morte l’aveva quasi uccisa. Quando i suoi genitori erano partiti per quel viaggio senza portarla con loro, lei, furibonda, si era rifiutata di lasciare la sua stanza per salutarli: un gesto che avrebbe rimpianto per il resto della sua vita e che avrebbe perseguitato i suoi pensieri per lunghi anni a venire.
Quando ormai si era quasi lasciata morire, Re Thranduil in persona era venuto al suo capezzale. L’aveva riportata in vita con il suo calore e il suo canto. Le aveva dato una ragione per continuare a vivere. Le aveva donato nuovi sogni e speranze di vendetta. Poi l’aveva affidata alle cure della Guardia Reale e, in parte, del Principe Legolas, consentendole di crescere accanto a lui quasi come fosse stata una di famiglia. Ma lei non aveva mai dimenticato la morte dei suoi genitori, nè le creature responsabili: aveva dedicato la sua esistenza ad affinare l’arte del combattimento, divenendo la migliore di tutte le Guardie – seconda, forse, solo a Legolas – fino a che non le era stato proposto di diventare Capitano; ma non era stato ancora abbastanza.
Prima della sua nomina ufficiale, era partita per una missione vendicativa col pretesto di una battuta di caccia. Solo Legolas si era insospettito e l’aveva seguita nelle foreste che sorgevano alla base delle Montagne Grigie, dove era giunta voce a Tauriel che si fosse accampato un drappello di orchi.
Mentre trascorreva la sua ultima notte nella foresta, concentrata unicamente sul proposito della vendetta, Legolas era uscito dall’ombra ed era venuto a sedersi accanto al suo fuoco. Tauriel non ne era rimasta sorpresa più di tanto. Sospettava che egli avesse potuto seguirla, giacchè conosceva il suo temperamento meglio di chiunque altro. Si era dunque limitata a porgergli una porzione del suo coniglio arrostito e un pò del suo vino.
“Non metterai fine a tutto questo così, Tauriel,” lui le aveva detto dopo una pausa. “Che tu riesca o meno ad annientare questo branco di orchi ne verrano altri, ne verranno sempre degli altri.”
Tauriel non aveva risposto nulla. Aveva fissato accigliata il fuoco, rifiutandosi di essere dissuasa. Come avrebbe potuto capire Legolas? Gli orchi le avevano portato via tutto, l’avevano lasciata senza una famiglia, le avevano rubato tutti i sogni e tutto ciò che le era più caro, e di lei non era rimasto che un involucro pieno di amarezza e dolore.
“Tauriel,” aveva detto ancora Legolas con un tono che comandava attenzione, che indicava che non le stava parlando più come amico, ma come suo Principe. “Se continui a seguire il sentiero della vendetta, alla fine ti perderai. Questa fame che hai dentro non può essere saziata: diventerai una creatura irriconoscibile perfino ai tuoi stessi occhi. Potrai anche scovare e uccidere ogni orco della Terra di Mezzo, ma non riavrai indietro i tuoi genitori.”
Furiosa, Tauriel era balzata in piedi lanciando il suo vino nel fuoco. “Che ne puoi sapere tu del mio dolore?” aveva urlato. “Ci nascondiamo nella nostra foresta mentre quelle vili creature vanno alla conquista di queste terre senza fare niente. Io ucciderò ogni singolo orco che incontrerò sul mio cammino. Mostrerò loro la stessa pietà che hanno avuto per mia madre!”
Poi aveva preso la spada e l’arco ed era corsa via nella notte senza aggiungere parola. La rabbia e la furia la rendevano temeraria, anni di pene represse aggiungevano velocità ad ogni suo passo.
Aveva trovato il drappello di orchi abbastanza facilmente, riuscendo a coglierli di sorpresa. Erano solo quindici in tutto ma lei non era sè stessa, non riusciva a ragionare con lucidità. Ne aveva abbattuti la metà quando un colpo di spada alla gamba l’aveva gettata a terra, facendola precipitare nell’incoscienza; solo l’intervento di Legolas l’aveva salvata da morte certa. Si era sbarazzato degli orchi restanti con poca fatica e ben presto era al suo fianco, prima ancora che lei si rendesse conto della sua presenza.
Circondata dai corpi sfigurati delle sue vittime, Tauriel era scoppiata in un pianto incontrollabile; Legolas l’aveva presa tra le sue braccia, tenendola stretta per tutta la notte e sussurrandole dolci parole di conforto, perdono e comprensione. Il giorno seguente erano tornati a casa e lui l’aveva giustificata con suo padre, il Re, raccontandogli che si era ferita durante una battuta di caccia.
Nessuno dei due aveva mai più parlato di orchi e Tauriel aveva a poco a poco lasciato spegnere il desiderio di vendetta nel suo cuore. Aveva finalmente permesso ai suoi genitori di riposare in pace, certa che l’avevano perdonata per la sua rabbia di quel giorno e che avrebbero voluto che vivesse una vita piena e felice, non colma d’ira e violenza. Da quel momento in poi aveva dedicato la sua esistenza a proteggere la pace in cui viveva il suo popolo.
Adesso, sotto il tramonto di un cielo la cui volta cominciava ad essere punteggiata dalle prime stelle, sentì di nuovo una punta di quell’antica amarezza. Si era presa un momento di solitudine tra le rocce della montagna, dopo aver assistito ai preparativi per i grandi funerali che avrebbero avuto luogo l’indomani, e non aveva potuto fare a meno di pensare ancora una volta alla vendetta. Così tanti del suo popolo erano morti, così tante vite che lei non aveva potuto salvare; proprio come i suoi genitori, centinaia d’anni prima. Sotto il peso di tutte quelle perdite, si sentì impotente come il giorno in cui le fu detto della loro morte.
“Non credevo che un Nano potesse cogliere di sorpresa un Elfo,” disse una voce bassa alle sue spalle che sembrava essere stata condotta lì dal destino; Tauriel si girò e vide l’unica persona che era effettivamente riuscita a salvare. L’autocommiserazione e il dubbio l’abbandonarono così in fretta da lasciarla per un attimo sbalordita.
Egli stava in piedi tra le rocce illuminate dagli ultimi raggi del sole morente, vestito con i toni del blu profondo e dell’argento. I suoi capelli erano stati intrecciati con perline e piccole gemme che scintillavano contro l’inchiostro del suo mantello, e Tauriel si domandò chi potesse aver avuto un tale onore ora che suo zio e suo fratello non c’erano più, poichè sapeva che acconciare i capelli a un altro era ritenuto un gesto di grande intimità tra i Nani, ma mise da parte quel futile pensiero.
Kìli sembrava più sè stesso oggi, anche se nel suo sguardo permaneva un senso di vuoto che non c’era la prima volta che si erano incontrati; ma il suo volto aveva riacquistato un pò di colorito e il sorriso che le rivolse, seppur lieve, era sincero. Le risollevò il morale e  lo ricambiò volentieri. Tra tutti coloro che aveva salvato, Tauriel avrebbe sempre ringraziato i Valar dal più profondo del suo cuore per la vita della persona che le stava di fronte.
“E chi dice che sono sorpresa?” gli rispose, anche se in verità non l’aveva sentito avvicinarsi.
Lui ridacchiò brevemente e le venne vicino, la mano che indugiava sull’elsa della spada che portava appesa al fianco; si accorse che lei la guardava e disse con voce dura: “Già, mi hanno dato la sua spada. Anche se ho protestato... vibratamente, ma a quanto pare ciò che voglio io conta ben poco.” Fece una pausa, fissando con amarezza l’oscurità che avanzava. “Dovrebbe essere sepolta con lui. Io non sono degno di portarla.”
In piedi le arrivava giusto al mento, ma c’era qualcosa in lui, soprattutto quella sera, che la faceva sentire stranamente piccola al suo confronto. Come la maggior parte dei Nani anche lui era robusto, pur non essendo tozzo come tanti del suo popolo, ma aveva spalle larghe, mani forti e piedi grandi. No, realizzò Tauriel, non c’era niente di piccolo in Kìli.
“Non credi che tuo zio avrebbe voluto che l’avessi tu?” gli chiese esitante, non del tutto sicura di cosa dirgli. Era vero che aveva desiderato rivederlo, ma non si era aspettata di riuscirci, soprattutto lì, e non sapeva bene come comportarsi.
Lui la guardò: fu come se fosse invecchiato di diversi anni dall’ultima volta che si erano visti, e Tauriel ne ebbe una stretta al cuore. “Non sono sicuro di cosa avrebbe voluto mio zio, non era più sè stesso... non fino all’ultimo. Anche se credo abbia recuperato gran parte del suo onore prima che... beh,” si interruppe, distogliendo gli occhi dai suoi.
“Kìli,” disse lei ponendogli una mano esitante sulla spalla. “Non possiamo portare il peso dei morti. Credimi quando ti dico che è uno sforzo inutile e dannoso.”
Lui si irrigidì e lei pensò che si sarebbe scrollato la sua mano di dosso, ma invece la sorprese ponendovi sopra la propria e stringendola con tenerezza. Tauriel non si era mai sentita particolarmente fragile o delicata tra quelli del suo popolo, ma vedendo ora la grande mano callosa di lui che copriva la sua si sentì stranamente... femminile.
Kìli tacque per un lungo momento, ma lei indovinò che stava riflettendo su qualcosa di importante e quando aprì di nuovo la bocca seppe già cosa stava per dirle.
“Non voglio essere Re, Tauriel,” le disse piano ma con una certa burbera asprezza che lei capì voleva coprire la sua reale vulnerabilità. “Non sono stato cresciuto per questo. Ho trascorso tutta la mia vita in esilio, lavorando sodo per sostenere mia madre, sempre alle calcagna di Fìli,” la sua voce tremò su quel nome e torse il viso da lei. “Per quanto avessi voluto prendere parte a questa impresa, non mi sono mai fermato a pensare a cosa sarebbe accaduto se avessimo avuto successo. So di essere un Principe ma, a differenza di mio zio, non mi sono mai sentito regale... non mi sono mai considerato uno importante, a dirla tutta. Nè ho mai pensato seriamente al mio futuro. Non volevo altro che supportare mio zio e mio fratello, essere d’aiuto per coloro che erano più grandi di me.”
Si voltò di nuovo dalla sua parte e lei vide lacrime brillare nei suoi occhi. “Tauriel, io non so nulla di come si governa un regno. Fosse per me affiderei Erebor a Dàin, lui è una leggenda tra i Nani e di certo governerebbe il mio popolo con dignità e rettitudine, ma a Balin e agli altri si spezzerebbe il cuore; dicono che non lo seguirebbero mai, che nessuno in tutta Ered Luin lo farebbe.”
Sembrava completamente smarrito, quasi sconfitto, gli occhi tristi e le spalle curve. Tauriel girò la mano nella sua, stringendogliela, e parlò senza riflettere davvero su quello che gli stava dicendo. “Molti di noi si ritrovano in situazioni per le quali non si sentono pronti, Kìli, ma questo non significa che non possiamo affrontarle adeguatamente. Tu hai sangue di Re nelle vene e la tua umiltà potrebbe salvaguardare te e la tua gente dagli errori del passato, dei tuoi antenati. Chi può dire che non sarai proprio tu a restituire al tuo popolo la sua antica gloria?” Gli sorrise senza rendersi ben conto di quanto le sue parole infondessero forza al giovane Nano. “Io vedo in te il potenziale per essere un grande Re, ma devi avere il coraggio di provarci. So che renderesti tuo zio... e anche tuo fratello, orgogliosi di te.”
Gli occhi di lui brillarono alle sue parole e intrecciò le dita alle sue. Tauriel sentiva il cuore rimbombarle fin nelle orecchie, tanto le batteva, e lo stomaco tutto in subbuglio mentre si fissavano intensamente negli occhi. Si rendeva vagamente conto di quel che le stava accadendo ma una parte di lei, quella più razionale, vi si ribellava con vigore: gli Elfi si legavano ad una sola persona una sola volta in tutta la loro vita, e quello era un legame senza alcun futuro.
La sua salvezza giunse sotto forma di un corno il cui suono attraversò tutta la valle; Tauriel guardò allarmata il cielo ormai completamente nero, e con dolcezza si liberò dalla sua stretta. “D–devo andare,” balbettò goffamente allontanandosi di un passo da lui: l’incantesimo era ormai infranto.
Lui le sorrise brevemente, abbassando piano la mano con cui aveva stretto la sua, e le rivolse un inchino. “Certo. Sono addolorato per la perdita di così tanti del tuo popolo, vorrei fare qualcosa per onorare la loro memoria.”
Commossa, ella rispose: “Puoi onorarli non lasciando che siano morti invano.” E vedendo che lui inclinava la testa da un lato, chiaramente confuso, aggiunse: “Reinstaura il tuo regno e mostra amicizia verso il mio popolo. Contribuisci a curare le ferite passate proteggendo la pace di queste terre.”
Kìli considerò le sue parole per un momento, poi si inchinò di nuovo, più profondamente, e vi era una certa aura di regalità su di lui. “Se Re sotto la Montagna sarò destinato ad essere ti do la mia parola d’onore, Tauriel del Reame Boscoso, che m’impegnerò al massimo delle mie possibilità per coltivare un’amicizia duratura tra i nostri popoli, e che onorerò sempre la memoria di coloro che qui sono caduti in difesa del mio regno.”
Lei gli rivolse un inchino che normalmente avrebbe riservato al suo Re, rifiutandosi di considerare ciò che un tale gesto implicava. Quando entrambi si risollevarono si scambiarono un’altra lunga e profonda occhiata, piena di sentimenti inespressi e desideri ancora non riconosciuti. Tauriel gli fece un ultimo sorriso esitante e poi se ne andò in fretta; nessuno dei due si accorse di un certo principe elfico celato nell’ombra, venuto fin lì in cerca del suo Capitano ribelle.

~
 
Il giorno seguente Tauriel sovrintendette allo smantellamento del loro accampamento. Gli Elfi, solitamente beneducati e organizzati, erano quella mattina irrequieti e chiassosi nonchè, secondo lei, incapaci di eseguire anche il più insignificante degli ordini.
“No, Vàrin, non puoi pretendere che gli Uomini ti diano un cavallo. Ne hanno già pochi per loro stessi e tu mi sembri perfettamente in grado di camminare,” rimproverò uno degli Elfi più indisciplinati, che si limitò ad allontanarsi borbottando sottovoce; Tauriel non riuscì a trattenere uno sbuffo esasperato.
Lurìena, che era al suo fianco ad istruire gli altri guaritori su dove riporre certe erbe medicinali, ridacchiò. “Pensa,” le disse, “presto saremo di nuovo a casa e potrai quantomeno sgridarli meglio nel conforto delle nostre stanze.”
Tauriel, le mani sui fianchi, sorrise. “Se si comportassero così a casa li farei incarcerare tutti. E toglierei loro spazzole e specchi.”
“Attenta, se i nostri compagni non riescono a darsi una sistematina di quando in quando potrebbero anche morire di crepacuore. Senza contare che non credo ci siano celle sufficienti per tutti.”
“Non ho mica detto che dovrebbero stare così comodi: li ammucchierei tutti insieme nella stessa cella fino a che non avrebbero imparato la lezione. In effetti, più ci penso e più mi sembra un’ottima idea.”
Stavolta la sua amica rise di cuore. “Mi pare che oggi tu stia meglio,” le disse stiracchiandosi. “Sembri di nuovo te stessa. Ne sono lieta.”
Tauriel arrossì un pò. “Sì, forse hai ragione. Dopotutto, con la prospettiva di essere presto a casa e nel proprio letto è difficile non sentirsi sollevati.”
Non era sicura che fosse proprio quello il motivo del suo buon umore, ma comunque Lurìena aveva ragione: quel giorno si sentiva di nuovo sè stessa. Rifiutò di prendere in considerazione la possibilità che la sua buona disposizione d’animo fosse dovuta al suo incontro della sera precedente con un certo Principe Nano.
La sua amica annuì, annusando un rametto di lavanda che poi ripose in una fessura della sua cintura. “Stasera prenderai parte insieme al Re alla sepoltura dei signori dei Nani, vero?”
Tauriel si adombrò; aveva cercato di non pensarci. “Sì, più tardi questo pomeriggio.”
“Sono un pò invidiosa,” disse Lurìena, e Tauriel si girò a guardarla stupita. “Non per i funerali, ma perchè avrai l’occasione di vedere Erebor dall’interno. Dicono sia una meraviglia per gli occhi.”
“Da quel che ho capito io, è praticamente una rovina,” intervenne Yurlìone, un altro dei guaritori, il viso pallido segnato dalla fatica.
“In ogni caso,” aggiunse Lurìena con un sospiro malinconico, “dovrai raccontarmi tutto, Tauriel.”
Tauriel non potè evitare di sorridere all’interesse mostrato dai suoi amici, e si accorse che in fondo anche lei era ansiosa di vedere con i suoi occhi la grande città dei Nani.
Lavorarono di buona lena per tutta la mattinata, fermandosi solo verso mezzogiorno per un breve pasto, e si assicurarono che tutti i carri fossero stati caricati e tutte le tende ripiegate a dovere – il che fu un’altra impresa da affrontare, in quanto la maggior parte degli Elfi era convinta che appallottolare tutto a casaccio fosse una soluzione più che accettabile.
Man mano che il pomeriggio avanzava, Tauriel diveniva sempre più nervosa. Desiderava in egual misura sia rivedere Kìli sia non rivederlo affatto: sapeva che i funerali sarebbero stati oltremodo penosi per lui e avrebbe preferito non vederlo in quelle condizioni, soprattutto perchè, con il suo Re e il suo Principe lì presenti, non avrebbe potuto offrirgli alcun conforto; ma anche perchè, ogni volta che lo vedeva, i suoi sentimenti e i suoi pensieri diventavano sempre più confusi e preoccupanti. Bramava il ritorno a casa anche solo per sfuggire al tumulto interiore che egli le provocava.
Prima che se ne accorgesse, però, il momento fatidico era giunto. Vestita con la sua armatura di acciaio leggero, che uno dei suoi subalterni aveva provveduto a lucidare, Tauriel aspettava il suo Re e il Principe all’esterno della loro tenda – la sola rimasta ancora in piedi. Parecchi altri Elfi le stavano intorno ma nessuno le badava, impegnati com’erano a discorrere tranquillamente tra loro. Una volta uscito il Re avrebbero imballato tutti i suoi beni, sarebbero andati a porgere i loro rispetti ai signori nanici e poi avrebbero preso parte al corteo principale per fare ritorno alla loro terra natìa.
Tauriel strinse l’elsa della sua spada cercando di tenere a bada i nervi. Pochi istanti dopo Thranduil e Legolas uscirono dalla tenda, vestiti anche loro di lucenti armature e, con tre guardie oltre lei al seguito, si diressero verso le Porte di Erebor.
Mentre camminavano Legolas si avvicinò a suo padre e gli sussurrò: “Credi che accetterà?”
Thranduil inclinò il capo verso di lui impedendole di leggere la sua espressione. “Io credo di sì, certamente.”
“E Dàin Piediferro ne è al corrente?”
“Al corrente sì, d’accordo no. Ritiene che il nostro piccolo test ci si ritorcerà contro, ma io ho un piano che ne garantirà la riuscita.”
La conversazione s’interruppe quando giunsero alle Porte in rovina e un gruppetto di Nani – una mezza dozzina – uscì dall’ombra per venire loro incontro. Erano coperti di armature corazzate e nessuno tentava di nascondere il disgusto per la loro presenza, parlavano solo tra loro e nella loro lingua dagli aspri suoni; ma Tauriel, da parte sua, non vi badò. Lo sconcerto per ciò che aveva udito la pietrificava quasi. Sapeva che il suo Re non voleva che Kìli salisse sul trono di Erebor, ma non avrebbe mai pensato che si spingesse al punto da ordire tranelli per impedirglielo.
Mise momentaneamente da parte le sue preoccupazioni quando entrarono negli antichi saloni di Erebor, che non potè fare a meno di ammirare con occhi colmi di meraviglia: colonne così alte che non se ne vedeva la fine s’innalzavano tutto intorno a loro, l’oro brillava in cerchi concentrici intorno ad esse e nei disegni geometrici di cui erano coperte, ponti e passerelle si estendevano fino a perdita d’occhio insieme a diverse altre porte.
“Tauriel,” disse laconicamente Legolas facendola tornare in sè; era rimasta indietro e, lanciando un’occhiata a uno dei loro accompagnatori nanici, si accorse che la stava osservando con un misto di orgoglio e rispetto. Arrossendo, gli rivolse un piccolo cenno del capo e si affrettò a recuperare la sua posizione. Attraversarono diversi saloni, tutti ugualmente magnifici, prima di giungere alla decaduta Sala del Trono.
Se Tauriel aveva pensato che le sale precedenti fossero impressionanti, non erano nulla in confronto a quella particolare Sala. Anche se vi erano detriti sparsi per tutto il sentiero e molte delle colonne erano state abbattute, si vedeva bene che l’ambiente era un grandioso capolavoro d’architettura. Il trono era stato ricavato da una vena d’oro massiccio che scorreva dal soffitto sopra le loro teste e modellato in una ricca seduta disseminata di molti gioielli, e anche dalla loro distanza potevano vedere l’alloggiamento dove una volta era posta la leggendaria Archengemma.
In piedi davanti al trono, alla base di una breve scalinata, un drappello di Nani li aspettava, alcuni dei quali Tauriel riconobbe – Kìli, Dàin, Dwalin e Balin, tra gli altri. Mentre si avvicinavano gli occhi di Kìli si spostarono immediatamente sui suoi, anche se lei si trovava ancora alle spalle del Re e del Principe. Il suo aspetto era quasi identico a quello che aveva avuto la sera prima, anche se adesso indossava un bell’abito di velluto bordato di pelliccia con una coroncina d’oro e d’argento – non era però la corona del Re – che gli cingeva la fronte. Era bellissimo e molto regale e Tauriel arrossì, distogliendo lo sguardo e sperando che nessuno l’avesse notata.
“Ti diamo il benvenuto, Re Thranduil del Reame Boscoso,” esordì Balin, inchinandosi in segno di saluto, “tra le riconquistate mura di Erebor.”
Ci fu un silenzio carico di tensione e poi Balin pungolò Kìli con il gomito. Il Principe Nano sussultò e s’inchinò con una certa riluttanza, mormorando a sua volta i suoi saluti; Dàin, accigliato e sgradevole come la prima volta che lei lo aveva visto, lo imitò subito dopo. Non sfuggì a Tauriel che, mentre lei rivolgeva a tutti un appropriato inchino, il suo Re e Legolas si limitavano a un cenno appena percettibile delle loro teste dorate, e dovette resistere all’impulso di levare gli occhi al soffitto. Maschi, pensò con una punta d’esasperazione.
Scambiati che furono i convenevoli, se tali potevano essere definiti, Balin li condusse lontano dal trono lungo una passerella parzialmente in rovina. Consapevole del proprio dovere, Tauriel tenne una mano sull’elsa della spada e gli occhi fissi sulle ombre intorno a loro. Camminarono per un pò in silenzio. Dei Nani, il solo Balin sembrava incline a parlare con loro e si rivolgeva gentilmente ora al Re ora al Principe, che però gli rispondevano a monosillabi. D’altra parte, gli altri Nani parlavano solo tra loro e a bassa voce nella loro lingua, e Tauriel si chiese se lo stesso Thranduil la conoscesse.
Intanto attraversavano grandiosi saloni uno dopo l’altro. Alcuni ambienti erano facilmente riconoscibili come fucine o sale da riunione, altri, come un’enorme stanza con uno strano macchinario in metallo e oro, erano un mistero. In poco tempo, però, Tauriel si ritrovò a fissare la nuca di Kìli che, insieme con Dwalin, guidava il gruppo nelle viscere della montagna. Si chiese cosa stesse provando, a cosa pensasse mentre camminavano nell’antica dimora dei suoi antenati, e avrebbe tanto voluto parlargli e offrirgli conforto; preferì invece tornare alle vecchie abitudini e lasciò che il suo lato tattico prendesse il controllo, considerando con forzata attenzione tutte le possibili vie di fuga in caso di attacco improvviso.
Finalmente raggiunsero le catacombe, che sorgevano dietro un grosso portone in argento, oro e ferro battuto su cui era scolpita un’iscrizione runica che ella non era in grado di leggere. Insieme, Kìli, Dwalin, Balin e altri due Nani si appoggiarono su di esso e spinsero fino ad aprirlo.
Sfilarono lungo un tunnel che si snodava davanti a loro, e Tauriel si portò con fare protettivo davanti al suo Re mentre le altre guardie prendevano posizione dietro; Legolas, gli occhi diffidenti, avanzava accanto a lei. Su entrambi i lati bare di pietra, oro, argento, marmo e ogni sorta di roccia o metallo sembravano fare ala al loro passaggio, ciascuna contrassegnata da una diversa iscrizione runica. Tauriel ammirò brevemente i dettagli di ognuna; gli Elfi bruciavano i loro morti e dunque il concetto della sepoltura le era del tutto estraneo.
Quando arrivarono alla fine del tunnel principale vennero accese delle torce e avanzarono ancora per un pò prima di raggiungere un’altra serie di porte; queste, fatte di un materiale che poteva essere solo mithril, brillavano come stelle illuminate dal gran falò che era stato acceso al loro interno.
“Questa, nella lingua corrente, è la Camera dei Re Decaduti,” disse Balin con una struggente riverenza.
Entrarono, e tutti i Nani tacquero. Si avvicinarono lentamente a una pedana al centro della stanza, appositamente sollevata, su cui erano stati posti due identici sarcofagi d’oro. Pedane simili s’innalzavano in tutto il salone, che era pieno di statue in metalli preziosi e armi di finissima fattura. Tauriel ritenne che l’unico motivo per cui Smaug non aveva preso possesso anche di quei tesori era che le catacombe erano troppo anguste per lui, e ne fu contenta; quello era un luogo sacro.
Il loro gruppo avanzò lungo i gradini di pietra fino a ritrovarsi al cospetto delle bare aperte: Tauriel si sentì stringere il cuore mentre guardava i visi di Thorin Scudodiquercia e del suo giovane nipote. Entrambi indossavano brillanti armature di mithril e corone di finissimo oro e gioielli; fiori blu e bianchi erano stati deposti intorno a loro e i loro capelli erano stati intrecciati con perline e altre gemme preziose. Fìli teneva tra le mani una malconcia spada che aveva chiaramente visto tempi migliori, mentre Thorin una grande ascia splendente.
“Qui giacciono Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna,” mormorò Balin con voce malferma, mentre Kìli stava risoluto al suo fianco malgrado le lacrime traditrici che gli scorrevano sul viso. “E Fìli, figlio di Fìnor, Principe di Erebor ed erede al trono. Possa Mahal guidarli entrambi nel regno dei loro padri e possano, finalmente, trovare pace.”
I Nani chinarono la testa in un’atmosfera colma di reverenza e dolore; Tauriel, colta dalle stesse emozioni, li imitò, anche se sospettò essere l’unica tra tutti gli Elfi a farlo.
Dopo un lungo momento di rispettoso silenzio, Thranduil fece un passo avanti. “Voglio offrire a te, Kìli figlio di Fìnor, che sarai Re sotto la Montagna, questa.” E così dicendo trasse di tasca una grossa gemma splendente: tutti i Nani trattennero rumorosamente il fiato e sgranarono gli occhi a quella vista. “Come segno di amicizia e rispetto per coloro che hai perduto.”
Il Re s’inchinò quindi profondamente, ma Tauriel colse l’accenno di un ghigno malevolo sul suo volto e il sangue le si gelò nelle vene. Finalmente comprese ciò di cui Thranduil e Legolas avevano discusso all’esterno delle Porte. Intendevano dimostrare che anche Kìli, come i suoi antenati, era schiavo della cupidigia, volevano far vedere a tutti che era indegno di essere Re. Fu scossa da un fremito di rabbia e dovette resistere all’impulso di strappar via la gemma dalle mani del suo Re.
Il cuore le balzò in gola quando vide che Kìli, gli occhi spalancati come quelli degli altri Nani, muoveva un passo verso Thranduil con una mano tesa; con minima esitazione prese la pietra, che gettava un bagliore quasi sinistro sui suoi bei lineamenti, e la tenne stretta, mormorando: “L’Archengemma...”
Tauriel avrebbe voluto gridargli di non prenderla, di ripensare agli errori di suo zio e a quelli di chi l’aveva preceduto; ma non potè fare nulla di tutto ciò, potè soltanto guardare disperata mentre Kìli cadeva dritto nella trappola ordita dal suo Re e dal suo Principe.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO IV: Le strade si dividono ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

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“Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi, ma non spetta a loro decidere. Possiamo solo decidere cosa fare del tempo che ci viene concesso.”

J. R. R. Tolkien – La Compagnia dell’Anello


 
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Le grandi catacombe erano immerse nel silenzio, i pochi occupanti vivi all’interno trattenevano il respiro mentre Kìli fissava la gemma scintillante con palese stupore. Le espressioni delle facce intorno a lui andavano dallo sbigottimento alla soddisfazione fino a condanna e sdegno. Tauriel si sentiva nauseata, lo stomaco le si rivoltava mentre si chiedeva se non si fosse fatta un giudizio totalmente sbagliato sul giovane Principe. Gli occhi di Kìli brillavano come zaffiri e avevano una profondità insondabile, il suo bel viso era inondato di una luce argentea simile a quella delle stelle; ma la sua era un’espressione di avidità e ansia di possesso che cozzava enormemente con la bellezza dei suoi lineamenti.
Il silenzio fu infranto da un eco di voci e passi che si avvicinavano. Allarmati, Tauriel e Legolas si girarono con le armi spianate, lui brandendo l’arco e lei la sua spada elfica, e i Nani li imitarono subito dopo. Ombre lunghe e all’apparenza profondamente minacciose sobbalzavano sulle pareti e Tauriel, convinta che si trattasse di un drappello di orchi, si preparò al peggio; ma in quel momento due figure giunsero in vista.
Uno portava un bastone nodoso, aveva un cappello grigio a punta ed era molto alto, la sua sciarpa argentea brillava alla luce delle torce; accanto a lui camminava una piccola creatura delle dimensioni di un bambino, con una chioma castana riccioluta e i piedi nudi che frusciavano sulle rocce polverose. Legolas emise un sospiro di sollievo e abbassò l’arco; Tauriel ne seguì l’esempio e rinfoderò la spada, cercando di calmare il battito impazzito del proprio cuore.
“Salute a tutti,” disse Gandalf il Grigio, conosciuto tra la sua gente come Mithrandir. “Sono profondamente dispiaciuto per il nostro ritardo. A quanto pare l’ora che ci è stata detta non era corretta.”
L’anziano stregone – nessuno sapeva quanti anni avesse di preciso – dalla lunga barba grigia si fermò alla base dei gradini e scoccò una dura occhiata in direzione di Dàin Piediferro, che sembrò a disagio.
Balin si fece avanti. “Ci chiedevamo dove fossi finito, Gandalf.”
Lo stregone iniziò a salire i gradini, con la veste del suo abito che strusciava alle sue spalle e il mezz’uomo accanto a lui. Tauriel aveva cominciato a nutrire un certo affetto per il piccolo essere dopo che era venuto a consegnare l’Archengemma al suo Re, nella speranza di appianare le divergenze tra il loro popolo e i Nani di Erebor: un semplice gesto dettato dalla gentilezza e dal coraggio ch’ella aveva molto apprezzato. I loro sguardi si incontrarono e gli rivolse il più amichevole dei suoi sorrisi, che contribuì a rilassare in qualche modo lo Hobbit e lo indusse a ricambiarlo.
“Non lontano, amico mio, non lontano,” rispose Gandalf posando una mano sulla spalla del Nano; si rivolse quindi a Thranduil parlandogli in Sindarin. “Salute a te, Re Thranduil. Sono lieto e sorpreso al tempo stesso di vederti qui.”
Il Re elfico inclinò la testa. “E io sono lieto che tu sia giunto in tempo, Mithrandir; pensavo che tu e lo Hobbit foste già in viaggio verso la sua terra natìa.”
Tauriel si chiese se fosse l’unica a cogliere il luccichio negli occhi del suo Re e il mezzo sorriso all’angolo della sua bocca. Guardò poi Dàin Piediferro, che si era spostato dietro due Nani come sperando che ci si dimenticasse di lui; qualunque fosse il piano che il Re e il signore nanico avessero architettato, esso non includeva la presenza dello stregone, questo sembrava chiaro.
“Non potevo andarmene senza prima aver detto addio a Thorin e a Fìli,” disse Gandalf nella lingua corrente. “In più stavo pensando che io e Bilbo potremmo accompagnarvi per un breve tratto sulla via del ritorno.”
Thranduil sorrise con grazia. “Ma naturalmente, tu e lo Hobbit sarete più che benvenuti.”
Gandalf annuì e gli Elfi si scostarono per permettere a lui e al mezz’uomo di avvicinarsi alle bare dei loro amici caduti.
“Ah, Kìli, vedo che hai l’Archengemma,” disse lo stregone con noncuranza, come se stesse parlando del tempo o di qualche altro fatto irrilevante.
Tauriel, ricordando gli eventi che avevano preceduto la comparsa di Mithrandir, si girò di nuovo verso il principe Nano con trepidazione. Kìli era stato il solo a non muoversi all’arrivo dello stregone: era rimasto eretto davanti a suo zio, la gemma ancora stretta in mano che gettava un bagliore luminoso sul volto senza vita di Thorin. Vi erano una pace e una grazia in lui che da vivo non aveva posseduto e Tauriel provò una fitta di pietà per l’ostinato Re e per tutto quel che aveva sofferto.
“Gandalf,” sussurrò Kìli, e c’era una sorta di disperata supplica nella sua voce. Tauriel notò la tensione sul suo viso e comprese la lotta che doveva infuriare nel suo cuore; sentì la speranza riaccendersi in lei.
Gandalf girò intorno alla bara dorata e venne a mettersi accanto a lui, posandogli una mano sulla spalla e osservando con dolore il viso di Thorin.
“Non voleva che tu e tuo fratello vi uniste a lui in questa impresa,” disse con voce lenta e tranquilla. “Ma io ho insistito affinchè vi prendesse con sè. Tu e Fìli gli rammentavate la giovinezza, i tempi migliori e le speranze per il futuro; ai suoi occhi, voi eravate il futuro. Ho sperato,” e il suo sguardo incontrò quello di Kìli mentre tutti li osservavano in silenzio, “che tu e tuo fratello lo riportaste indietro dall’orlo del baratro su cui si trovava, che poneste un freno alla sete di oro nel suo cuore, e così è stato, Kìli. Alla fine, il suo onore è stato ripristinato.”
Kìli distolse lo sguardo: nuove lacrime brillavano nei suoi occhi mentre guardava ora suo zio ora l’Archengemma. “Non lasciare che sia morto invano,” bisbigliò ancora lo stregone, così piano che Tauriel sospettò soltanto le orecchie elfiche lo avessero udito.
Il giovane Nano emise un lungo e tremante sospiro e, con mano ferma, pose la grande gemma sul petto immobile di Thorin, comprendola poi con le mani martoriate. Tauriel si sentì invadere da tanto sollievo e orgoglio che non riuscì ad impedirsi di sorridere, e fu a lei che Kìli si rivolse quando ebbe terminato quel compito; e, davanti al calore del suo sorriso, ogni incertezza in lui sembrò svanire.
“Ragazzo,” intervenne Dàin emergendo dal gruppo dei Nani. “Quello è l’emblema della tua stirpe, il più grande fra tutti i tesori di Erebor.”
“E’ vero, ragazzo,” concordò Dwalin, pur scoccando a Dàin una dura occhiata. “Thorin avrebbe voluto che l’avessi tu.”
“Ha ragione, Thorin avrebbe voluto così,” aggiunse un altro Nano con una gran barba rossa.
“E’ vero, è vero,” cominciarono a dire tutti insieme, e Tauriel dovette resistere all’impulso di afferrare quelle cocciute teste naniche e sbatterle tra loro.
Gandalf, che sembrava pensare la stessa identica cosa, aprì la bocca per rispondere ma un’altra voce lo precedette.
“Mio zio raccontava a me e Fìli storie meravigliose su questo posto,” disse piano Kìli, la voce intrisa di pena. “Ci riempiva la testa con racconti sul nostro popolo e sui nostri antenati e di come avevano edificato questo regno sotto la montagna. Ma quando parlava di suo nonno, del nostro bisnonno... lo faceva con dolore. Diceva che, quando Erebor era caduta, la più grande preoccupazione di Thror non era stata il suo popolo, ma il suo tesoro e soprattutto... l’Archengemma. Diceva che aveva corrotto il cuore e la mente di Thror fino a ridurlo l’ombra di sè stesso, e alla fine... ha corrotto anche lui.”
Tutti lo ascoltavano in un silenzio riverente e, quando Kìli alzò gli occhi su di loro, le lacrime si erano asciutte e in lui c’era una forza che già da tempo Tauriel aveva percepito; le scaldò il cuore come niente lo aveva mai fatto prima.
“Io non so se sono degno di essere Re sotto la Montagna, ma non condannerò me stesso nè la mia stirpe al medesimo fato. L’Archengemma resterà con mio zio e mio fratello nel ventre della montagna fino alla fine dei giorni, quando la Montagna Solitaria cadrà su di noi e le stelle dal cielo.” La sua voce echeggiò per tutto l’ambiente e c’era una tale profetica solennità in essa che Tauriel avvertì un brivido lungo la schiena.
I Nani sembravano sottomessi, tutti stavano a capo chino in segno di reverenza eccetto forse Dàin, il cui volto recava ancora uno sdegno mal dissimulato, ma che tuttavia restò in silenzio. Tauriel guardò prima Thranduil, che appariva sereno, e poi Legolas, che sembrava confuso e piuttosto sorpreso; cercò di non mostrarsi compiaciuta e non ci riuscì.
Dopodichè, con il cuore pesante, i Nani si predisposero al doloroso compito di chiudere i loro amici e congiunti nelle rispettive bare dorate. Ciascuno venne a porgere i suoi omaggi finali e molti scoppiarono a piangere senza alcun imbarazzo, anche se non pareva affatto una cosa da loro; Tauriel non poteva biasimarli. Anche lo Hobbit venne a dare il suo addio e le lacrime scorrevano copiose sul suo volto giovanile, e quando ebbe finito restò lì con un’espressione indicibilmente triste; Gandalf gli pose un braccio intorno alle spalle per confortarlo. Kìli fu l’ultimo: prima baciò la fronte di suo zio mormorando qualcosa nella sua lingua, poi rimase a fissare il volto di suo fratello, gli occhi colmi di un dolore insondabile. Il suo cordoglio e la sua pena erano così acuti che Tauriel non riuscì più a sopportarne la vista e si girò dall’altra parte, mentre le lacrime le velavano gli occhi. Tenne poi il capo chino fino a quando non udì il clangore metallico dei coperchi che venivano sigillati, il cui suono riecheggiò nel silenzio del salone come la nota finale di una tragica canzone.
“E così finiscono i giorni di Thorin, Re sotto la Montagna. Addio, amico mio,” disse Gandalf in un burbero sussurro colmo di amarezza e rimpianto.

~
 
Quando uscirono finalmente dalla montagna, Tauriel accolse il tocco dei raggi solari e il soffio del vento autunnale come dei balsami miracolosi. Mentre attraversavano la restante distruzione della grande battaglia, si sentì grata di non dover più contribuire alla sua rimozione. Dietro di loro seguiva la compagnia dei Nani, anche se alcuni erano rimasti indietro per spegnere il fuoco funebre e sigillare le antiche catacombe. Gandalf e lo Hobbit camminavano fianco a fianco, il viso del secondo ancora lugubre e triste. Tutti stavano in silenzio.
Vicino alle rovine di Dale, l’arciere Bard di Pontelagolungo li attendeva con un gruppo di altri Uomini. Tauriel si chiese perchè non avesse partecipato anche lui ai funerali, ma l’uomo sembrava grandemente a disagio vicino alla montagna e forse non era stato in grado di entrarvi; ella non se la sentì di biasimarlo.
Bard s’inchinò prima a Thranduil, poi a Kìli e a Dàin. “Vi offro le mie più sentite condoglianze per la vostra perdita.”
“Grazie, Bard,” rispose Kìli, impassibile. “Siamo dolenti per i danni arrecati alla tua città e per le perdite inflitte al tuo popolo, e vorrei ricompensarti offrendoti la metà dei tesori di Erebor.”
Questa risposta venne accolta prima con stupore e poi con indignazione, specialmente dagli altri Nani, ma Kìli li mise tutti a tacere con una severa occhiata che stupì la stessa Tauriel. Dovette riconoscere che l’adattabilità delle cosiddette ‘razze inferiori’ era davvero ammirevole: in lui non vi era più traccia dell’esitazione nè dell’incertezza che lo avevano colto fino a poco prima.
Quanto a Bard, sembrò dapprima sbalordito, poi profondamente colpito. “E’ molto generoso da parte tua... Re Kìli,” disse inchinandosi ancora, stavolta più a lungo e imitato dai suoi uomini. Tauriel sapeva che tutto quel tesoro sarebbe bastato a ricostruire non solo Pontelagolungo ma anche Dale, e forse ne sarebbe perfino avanzato. Approvò l’offerta con tutto il cuore e capì che avrebbe contribuito a rinsaldare i legami tra Uomini e Nani per lunghi anni a venire.
“E’ giunto per noi il momento di andare,” disse Thranduil con una certa falsa gaiezza, rivolgendo al condottiero umano niente più che un breve cenno del capo.
“Ho un dono per te, mio signore,” disse allora Kìli mentre Thranduil gli volgeva le spalle insieme a Legolas e alle altre guardie.
Il Re elfico si girò di nuovo e gli rivolse un sorriso sardonico, sollevando un sopracciglio. “Cosa, mastro Nano? Intendi forse offrirmi l’altra metà del tesoro? Non riparerà agli errori dei tuoi congiunti nè tantomeno farà tornare in vita coloro che sono morti.”
Kìli sollevò il mento e trasse da sotto al mantello una magnifica collana di smeraldi che catturava i raggi del sole rilucendo come un debole fuoco verde. Ci fu un coro di mormorii sommessi mentre tutti studiavano il gioiello, che poteva essere solamente la famosa collana di Girion. Gli occhi di Thranduil si assottigliarono e si avvicinò imperiosamente.
“Tu mi offri quel che i tuoi padri mi hanno a lungo negato, giovane Nano, ma a quale scopo? Cerchi di prevenire rappresaglie e parole dure con gioielli e regali?”
Kìli sorrise e un certo barlume malizioso apparve nei suoi occhi. “Voglio solo offrirti ciò che ti spetta per i servigi resi, da un Re... a un altro.”
Thranduil tacque per un breve momento e poi sogghignò. “Tuo zio ha lasciato che il male di cui soffrì suo nonno s’impossessasse anche di lui e per te non sarà diverso, Kìli figlio di Fìnor; meglio che lasci che altri governino il regno dei tuoi antenati prima di permettere che cada ancora una volta preda di avidità e inganni.”
A queste parole un sibilo furibondo si alzò dalla compagnia dei Nani e Tauriel, malgrado le sue perplessità, mosse un passo protettivo verso il suo Re con la mano sull’elsa della spada; ma Kìli, imperturbabile, continuò a tenere saldamente la collana tra le mani come un’incrollabile offerta di pace.
“Ho fatto una promessa, mio signore Elfo: quella di fare tutto ciò che è in mio potere per consolidare un’amicizia duratura tra i nostri due popoli ed è una promessa che, essendo un Nano, sono troppo testardo per prendere alla leggera.”
Tauriel, ricordando quanto era accaduto tra loro la sera precedente, sentì il viso avvamparle e il polso accelerare i battiti.
Thranduil, per la prima volta in tutto il giorno, parve sorpreso, anche se la sua espressione tornò rapidamente alla diffidenza e all’apprensione. “E a chi avresti fatto una promessa tanto nobile, mastro Nano?”
Gli occhi di Kìli non si spostarono da quelli del Re elfico nemmeno per un istante. “A qualcuno cui devo tutto, mio signore, non ultima la mia stessa vita,” rispose con fermezza.
Tauriel fece del suo meglio per dare l’impressione di essere totalmente disinteressata, ma nel suo cuore si svolgeva una vera e propria lotta tra gioia, imbarazzo e incertezza. Non osava guardare Legolas nè nessun altro per paura che le leggessero la verità in faccia; da parte sua, Thranduil sembrava ancora scettico.
“Bene, vedremo se la tua parola varrà più di quella dei tuoi antenati. Anche se, per conto mio, ho qualche dubbio in proposito,” disse volgendogli le spalle e rifiutandosi di prendere egli stesso la collana, lasciando il compito a una delle guardie. Legolas seguì suo padre senza dire una parola nè guardare nessuno, nemmeno lei.
Tauriel rabbrividì internamente alla vista dell’ira stampata sulle facce dei Nani e si mosse dietro al suo Re e al suo Principe. Se Kìli aveva veramente intenzione d’instaurare l’amicizia tra i loro due popoli, sarebbe stata una dura battaglia per lui. I Nani non erano noti per essere comprensivi o indulgenti, nè, a quanto pareva, lo erano gli Elfi – malgrado tutte le loro arie di superiorità.
“Mio signore Thranduil,” intervenne Gandalf quando già avevano posto una certa distanza tra loro e il gruppo di Uomini e Nani, “potrei avere una parola in privato?”
Il Re ebbe l’aria di voler rifiutare, come se non vedesse l’ora di trovarsi lontano dalla montagna e soprattutto dai suoi abitanti, ma poi rispose: “Certamente, Mithrandir. Parleremo all’ombra di quelle rocce laggiù.”
Si allontanarono, lasciandoli indietro, fino a quando non furono fuor di portata delle loro orecchie.
Tauriel si girò a guardare le rovine di Dale e improvvisamente realizzò che quella poteva essere l’ultima volta che vedeva i Nani, in particolare uno di loro. Si accorse che anche lui si era girato dalla sua parte, un pò distante dagli altri che apparentemente erano impegnati in una qualche discussione, e poteva quasi sentire i suoi occhi su di lei. Strinse i denti e raddrizzò le spalle, come per prepararsi ad uno scontro; poi, traendo un respiro profondo, si mosse verso la città.
“Tauriel,” la richiamò Legolas severamente, ma lei lo ignorò. Quali che fossero i suoi sentimenti, non si sarebbe separata da Kìli in quel modo: il suo cuore non glielo permetteva.
Si incontrarono a metà strada e ciascuno studiò l’altro per un lungo istante di silenzio.
“Mi dispia–”
“Fà buon via–”
Si misero a parlare nello stesso momento e si bloccarono, scambiandosi sorrisi incerti e occhiate imbarazzate; ancora una volta, Tauriel non sapeva cosa dirgli.
Kìli s’inchinò brevemente, con ancora un certo imbarazzo. “Mia signora,” concesse.
Ella fece un respiro profondo. “Io... volevo solo dirti che... che sono molto fiera di te. Per le tue parole e le tue azioni di oggi. Posso solo immaginare quanto sia stato doloroso per te, ma voglio che tu sappia che credo anche tuo zio e tuo fratello sarebbero fieri di come ti sei comportato oggi,” farfugliò, sentendosi decisamente poco rispettosa. C'era qualcosa in lui che la faceva sentire come fosse di nuovo una giovane Elfa allampanata, tutta gambe lunghe e maniere avventate.
Il dolore, appena nascosto sotto la superficie, si affacciò per un attimo negli occhi di Kìli; con un sospiro lo ricacciò indietro e le rivolse un piccolo sorriso. “Ti ringrazio di tutto, Tauriel. Ti devo la mia vita e molto altro ancora. Vorrei solo...” Esitò e si passò una mano sulla nuca, in un gesto che le risultò di una dolcezza disarmante. “...Vorrei solo che non ci fosse bisogno di dirci addio.”
Incontrò lo sguardo di lei e lo sostenne, e vi era in esso una domanda non ancora completata, non ancora formulata. Tauriel avvertì un fremito allo stomaco e una leggerezza nel cuore che non poteva più negare, subito accompagnati da un’acuta tristezza per tutto ciò che, lo sapeva bene, non avrebbe mai potuto essere.
“L–lo vorrei anch’io... Kìli.”
Gli occhi di lui si addolcirono e si riempirono di qualcosa di profondo, qualcosa che suscitò lo stesso sentimento in lei. Il suo popolo amava il canto e la luce e sentiva che entrambi quegli elementi sussistevano tra loro, forse incerti e vacillanti, eppure reali e luminosi.
“Ma... temo sia necessario,” si costrinse ad aggiungere, malgrado le costasse notevolmente farlo; l’espressione di Kili mutò all'istante e lo vide mettere da parte tutti i suoi desideri e le sue speranze nel modo forse più regale in cui lo aveva visto comportarsi quel giorno. Lei aveva il suo popolo e il suo Re, lui il suo regno e la sua gente.
“Ti auguro buon viaggio... Tauriel.” Le rivolse un inchino e lei fece lo stesso, anche se tutto in lei urlava di non farlo.
“Addio, Kìli... Possano i Valar donarti felicità e forza, e spero che non dimenticherai mai il coraggio che hai dimostrato oggi. Io... io so che non lo farò.”
I loro occhi si incontrarono di nuovo e ancora una volta il silenzio tra loro fu pregno di sentimenti che non potevano essere espressi a voce ed azioni che non potevano venire compiute. Tauriel ebbe il presentimento che se l’avesse lasciato adesso, all’ombra della Montagna Solitaria, se ne sarebbe pentita per il resto della sua vita; ma che altro poteva fare? Il suo Re, il suo Principe, il suo popolo non lo avrebbero mai accettato – nè tantomento quello di lui avrebbe accettato lei.
Quando non riuscì più a sopportare l’intensità del suo sguardo si girò e, sentendosi più vigliacca che mai, corse via da lui prima di fare qualcosa di terribilmente stupido come dichiarargli il proprio amore o, peggio, baciarlo davanti alla sua gente.
Non piangerò, si disse anche se gli occhi le si velavano pericolosamente, è meglio così. Non c’è futuro per noi. Torna a casa, dimentica, vivi la tua vita. Lui sposerà una del suo popolo e la sua stirpe perdurerà com’è giusto che sia. Non c’è niente per te qui, salvo che dolore e amarezza.
Raggiunse Legolas. Tutto in lui esprimeva disapprovazione e non la degnò di un’occhiata, cosa di cui, per una volta, ella gli fu grata nonostante l’oceano di lontananza che si ergeva tra loro. Sapeva che nessuno poteva consolarla, non in quell’occasione. Tenne gli occhi fissi sull’orizzonte, verso casa, fino a quando Thranduil e Gandalf si separarono. Lo stregone sembrava turbato e notò che non diceva una parola nè guardava dalla loro parte, ma si affrettò a raggiungere lo Hobbit e i Nani che lo aspettavano; inquieta, si girò verso il suo Re che era rimasto presso le rocce, i capelli e le vesti che brillavano al sole.
Mentre gli si avvicinavano, il Re catturò il suo sguardo con una tale portentosa intensità da farle venire i brividi lungo la schiena. “Tauriel,” disse forte quando furono davanti a lui.
Ella chinò il capo confusa. “Sì, mio Re?”
“Ho appena parlato con Mithrandir in merito ai nostri... rapporti con i Nani di Erebor. Egli insiste affinchè manteniamo con loro un saldo legame e che perdoniamo gli errori del passato, nonostante la loro enormità. A quanto pare, il vecchio stregone ritiene che avremo bisogno gli uni degli altri in futuro.”
Il suo discorso era infarcito di sottile disprezzo e condiscendenza; Tauriel, sempre più perplessa, si sforzava di capirci qualcosa.
“Ebbene?” egli insistette, sempre rivolto a lei.
“Non capisco...”
Il Re socchiuse gli occhi e le si avvicinò con soprendente rapidità; la bellezza del suo viso era quasi travolgente a una tale ravvicinata distanza. Luci e ombre proiettati da migliaia di anni passati danzavano sullo sfondo blu dei suoi occhi, al loro interno stavano celati molti dei segreti dai tempi in cui Thingol e Melian avevano vissuto nel Doriath, prima della Grande Guerra e di tutto ciò che egli aveva perduto. Se Tauriel si era sentita vecchia in precedenza, adesso si sentiva praticamente senza vita, una neonata al cospetto di quella antica maestosità. Ora vedeva che la sfiducia di lui nei confronti dei Nani, che le era sempre parsa dannosa, era alimentata da eventi terribili, la cui antichità non li rendeva certo più sopportabili.
“Tu credi che dovremmo instaurare un’amicizia con questo aspirante Re e il suo clan di esuli ribelli?” le chiese, così vicino che lei poteva sentire il suo respiro sul viso e praticamente assaggiare il suo disprezzo.
Davanti a quella grande sapienza e a quei tremendi ricordi, ella quasi negò la verità del suo cuore. Venne quasi catturata da quello sguardo senza tempo, da quegli eventi che non aveva personalmente vissuto ma che sentiva le appartenevano, come le grandi canzoni dei Valar che le erano state trasmesse in maniera innata prima ancora che venisse alla luce. Ma poi la sua mente richiamò il volto sorridente di un giovane Nano e la forte pressione di una mano calda sulla sua e allora Tauriel chiuse gli occhi, rassegnata.
“Sì, mio Re, io credo che dovremmo,” rispose riaprendoli, a malapena cosciente di aver parlato.
Ci fu una pausa e gli occhi di Thranduil scandagliarono i suoi con una tale intensità da farle credere che doveva aver scoperto ogni più piccolo segreto della sua anima, ogni suo più fuggevole pensiero fino a poter tenere tra le mani sia la sua mente che il suo cuore. Il Re si fece indietro all’improvviso e le volse le spalle, lasciandola vacillante e senza fiato. Legolas la osservava con la familiare espressione di dolore e tradimento e, quando lei si girò verso di lui, subito distolse lo sguardo.
Valar, urlò Tauriel internamente, dovrò dunque scegliere tra la verità del mio cuore e l’amore del mio popolo?
“E allora, Tauriel, tu resterai qui,” disse Thranduil minacciosamente; ella fissò incredula la sua schiena severa e immota. “Servirai come Ambasciatrice del nostro popolo a Erebor fino a quando io lo riterrò necessario.” Si girò a guardarla da sopra una spalla e i suoi occhi erano freddi, calcolatori, ostili. “Riferirai a me tutto ciò che imparerai e vedrai. Non mi fido di questo Re più di quanto mi fidassi dell’ultimo, e non offrirò la mia amicizia ad uno sciocco bambino incapace di condurre un gregge di pecore come un intero popolo.” Detto ciò, si allontanò da lei. Legolas si mosse per seguirlo, voltandosi per una breve occhiata colma di rammarico e dolore prima di lasciarla anche lui.
Se Tauriel si era sentita lacerata in precedenza, ora si sentiva letteralmente spaccata in due. Non c’erano parole per quel che provava a quel distacco. Si sentì abbandonata, messa da parte, e per la prima volta apprezzò sinceramente il fatto che Thranduil, oltre ad essere il suo Re, fosse la cosa più vicina a un padre che aveva mai avuto dopo la morte del genitore.
Valar, aiutatemi, pregò; ma anch’essi sembravano averla abbandonata.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO V: Di Elfi e Nani ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

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I remember tears streaming down your face
When I said, "I'll never let you go"
When all those shadows almost killed your light
I remember you said, "Don't leave me here alone"
But all that's dead and gone and passed tonight
Just close your eyes
The sun is going down
You'll be alright
No one can hurt you now
Come morning light
You and I'll be safe and sound


Safe and Sound, Taylor Swift & The Civil Wars
 
~
 
Era evidente che i Nani non avevano la più pallida idea di cosa farne di lei.
Uno dei più giovani – Dori, Glori, Mori o qualcosa del genere – la fissava con occhi sbarrati simili a quelli di un gufo; Dwalin, a dispetto della gratitudine che le aveva mostrato precedentemente, la squadrava accigliato con le braccia incrociate sull’ampio petto. Tauriel sospettò che quella fosse pressappoco l’unica espressione di cui egli fosse capace e decise di non prendersela troppo a cuore. Kìli, da parte sua, sembrava aver riacquistato l’antica giovialità e le rivolse un gran sorriso, chiaramente compiaciuto del fatto che lei fosse lì. Le facce degli altri andavano da una palese antipatia ad una cauta indulgenza che non era nemmeno vicina all’accettazione.
Tauriel si sentiva giudicata, indesiderata, e molto, molto alta.
“Beh, devo dire che non mi aspettavo che Thranduil accettasse il mio consiglio tanto... alla svelta, ma sono contento che tu sia qui, Tauriel,” disse Gandalf allegramente; il suo tentativo di spezzare la tensione era fin troppo ovvio.
Quanto a lei, non era ancora sicura di come si sentiva. Da un lato era ovviamente felice di avere la possibilità di trascorrere più tempo in compagnia di un certo principe Nano; dall’altro si trovava in territorio sconosciuto e tra gente sconosciuta, la maggior parte della quale le era apertamente ostile. Una grossa parte di lei era tentata di correre dietro al suo Re e scongiurarlo di lasciarla tornare a casa con loro; un’altra, più piccola ma insistente, fremeva elettrizzata alla prospettiva di quell’avventura. Il suo popolo non accettava i cambiamenti con facilità nè tantomeno gioia ma lei, nonostante tutto, si sentiva quietamente eccitata – oltre che, inutile negarlo, un pò spaventata.
“Sono lieta di essere utile... al mio Re e al mio popolo,” rispose gentilmente. Si concentrò sul sorriso incoraggiante di Kìli, il quale, nonostante il dolore ancora persistente sui suoi lineamenti, sembrava finalmente essere tornato il vecchio sè stesso, anche se Tauriel si rifiutò di credere che la cosa aveva in qualche modo a che fare con lei.
“Già. Bene, temo proprio che per me e Bilbo sia giunto il momento di andare,” disse Gandalf, e Tauriel dovette resistere all’impulso di gettarsi ai piedi dello stregone e supplicarlo di restare. Le sue parole tuttavia ebbero l’effetto di distrarre i Nani dalla sua presenza, e tutti si strinsero intorno allo Hobbit per salutarlo. Kìli cercò di ricompensarlo con una consistente parte del tesoro, ossia ben venti casse ricolme di oro e gioielli, ma Bilbo declinò dicendo che una sola sarebbe stata più che sufficiente, molte grazie. L’affetto di Tauriel per l’amichevole creatura crebbe e fu sinceramente dispiaciuta di vederlo andar via. Alla fine, Kìli e gli altri caricarono sul carretto dello stregone due casse strapiene e rimase commossa dalla loro gratitudine e generosità.
Si fece da parte mentre lo Hobbit porgeva ai Nani i suoi saluti finali e ascoltò Gandalf che parlava a ciò che restava della compagnia di Thorin Scudodiquercia mentre essi si ergevano vittoriosi all’ombra della loro casa nella montagna; e, malgrado fosse un Elfo, anche lei fu colpita dalla solennità dell’occasione, da tutto ciò che avevano sofferto e che erano riusciti a riconquistare.
“Bene, amici miei, ci salutiamo qui per il momento,” disse Gandalf con gentilezza appoggiandosi al suo bastone, con la punta del suo cappello che gettava una lunga ombra.
“Quale ricompensa possiamo offrire a uno stregone per tutti i suoi servigi?” gli chiese Kìli, la voce soffusa di gratitudine e anche da una sottile vena di timore; Tauriel realizzò che non era l’unica a paventare la partenza di Gandalf.
“Il drago Smaug è stato sconfitto e i Nani sono ancora una volta tornati tra le mura dei loro padri, non so pensare a un dono più grande di questo, Kìli.”
“Ci sarà pure qualcosa, Gandalf, insistiamo,” disse Balin squadrando le spalle nella maniera ostinata che Tauriel aveva imparato ad associare a tutti i Nani.
Lo stregone sorrise e lanciò una breve occhiata nella sua direzione. “Molto bene, mastro Balin: se davvero desiderate ricompensarmi, allora tratterete Tauriel come un’ospite e un’amica. Dopotutto ha salvato la vita del vostro Re in più di un’occasione.”
Tutti si girarono a guardarla e Tauriel arrossì, ma sollevò il mento per nascondere l’imbarazzo sotto un tranquillo orgoglio. I Nani non erano gli unici a sapersi mostrare ostinati, si disse.
Balin sembrò a disagio. “Beh, certo, sappiamo bene quanto dobbiamo a lei e al suo popolo, ma potrebbe essere difficile convincere gli altri... la sfiducia ha radici molto profonde.”
Dwalin sbuffò. “Noi Nani non dimentichiamo facilmente, Gandalf. La ragazza non avrà vita semplice qui, soprattutto quando torneranno i nostri parenti dal nord. Avrebbe fatto meglio a tornarsene a casa con i suoi.”
Il Nano più giovane – doveva assolutamente imparare i loro nomi – ammiccò. “Io la trovo carina.”
“In ogni caso,” intervenne Gandalf, “mi avete chiesto cosa desidero come ricompensa e l’accettazione di Tauriel è quel che vi chiedo.”
A quelle parole Kìli si fece avanti incontrando lo sguardo dello stregone. “Ed è ciò che avrai, Gandalf. Hai la mia parola che io e i miei compagni faremo tutto il possibile per far sentire Tauriel la benvenuta qui.”
Gandalf sorrise e pose una mano sulla spalla del giovane Nano. “Ti sei comportato bene oggi, Kìli, molto bene. Cercherò di tornare in tempo per la tua incoronazione, se posso. E non essere troppo duro con Dàin, le sue intenzioni sono buone.”
Uno dei Nani, che portava uno strano cappello ed era stato presente a Pontelagolungo quando lei aveva curato la gamba di Kìli, esclamò: “Quel vecchio bastardo, scommetto che ha delle mire sul trono.”
“Dovrà passare prima sul mio corpo!” gridò quello dalla lunga barba rossa che brandiva un’enorme ascia.
“Su, su,” intervenne Gandalf agitando le mani per aria come se stesse placando un gruppo di bambini indisciplinati. “Dàin vi ha dato un grosso aiuto nella battaglia e gli dovete molto. Sono sicuro che troverete un modo per appianare le vostre divergenze.”
Le sue parole furono accolte da grugniti di insoddisfazione e brontolii riluttanti, e Tauriel non potè fare a meno di sorridere: a volte erano proprio buffi.
“Addio, miei cari Nani. Vi rivedrò quando potrò," disse infine lo stregone con un sorriso e un inchino, che tutti i Nani ricambiarono; molti di loro avevano gli occhi lucidi.
Poi Gandalf si girò verso di lei e, con un cenno del capo, le fece intendere di avvicinarsi al suo carretto; Tauriel, sentendosi stranamente come colta in fallo, lo seguì con un sorrisino di scuse.
“Sapevo che Thranduil avrebbe scelto te,” egli le confidò in Sindarin, “se mai avesse scelto qualcuno, e mi dispiace se è stata per te una sgradita sorpresa. Non mi è sembrato esattamente contento mentre parlavamo.”
“Non del tutto sgradita, no,” lo rassicurò quietamente lei, “ma non posso dire di essere proprio elettrizzata alla prospettiva di vivere tra i Nani.”
“E io non ti biasimo, ma credo che tu possa fare molto bene qui,” insistette lo stregone. “Sono certamente una razza testarda e difficile con cui trattare, ma in fondo tu hai già conquistato alcuni di loro, non ultimo il loro nuovo Re.” E così dicendo le rivolse un sorriso fin troppo consapevole che la fece arrossire.
“Ti... incoraggerei a seguire il tuo istinto in merito a questa faccenda, Tauriel. So che Thranduil non è nè ansioso nè bendisposto ad instaurare un’amicizia con i Nani di Erebor, ma io ho la sensazione che l’alleanza tra i vostri due popoli sarà la chiave di volta per i giorni a venire.” E c’era qualcosa di tanto infausto nelle sue parole e nel modo in cui i suoi occhi evitavano i suoi che le fece accapponare la pelle.
“Sospetti che altri giorni oscuri ci attendono, non è così, Mithrandir?”
Lo stregone sospirò, apparendo improvvisamente più vecchio e più guardingo di quanto non fosse fino a pochi istanti prima. “Sospetto molte cose, nessuna delle quali confermata o certa. Spero nella pace, Tauriel, ma non me l’aspetto. Nè dovresti farlo tu.”
Ella trasse un respiro profondo e gli rivolse un mesto sorriso. “Farò del mio meglio, Mithrandir, ma non posso farti alcuna promessa.”
“Ed è il massimo che io o chiunque altro possiamo chiederti,” egli le rispose sorridendo a sua volta. “Addio, Tauriel, e possa la luce dei Valar essere sempre con te.”
“E con te,” ella rispose guardandolo salire sul carretto con il suo piccolo compagno; dopodichè, con un ultimo cenno di saluto, i due se ne andarono. Tauriel li seguì con lo sguardo e con il cuore gonfio fino a che non scomparvero oltre la linea degli alberi di Bosco Atro.
 
~
 
Per il resto della giornata, Tauriel lavorò a fianco di Uomini e Nani alla pulizia del campo di battaglia. Ci sarebbero voluti ancora molti giorni prima che il terreno fosse stato sgombro dalle macerie e dai cadaveri, ed ella sospettò che avrebbe per sempre recato l’impronta di quella devastazione. Ricordò amaramente la sua contentezza nel non dover fare proprio quello che stava facendo in quel momento, ossia impilare gli orrendi corpi di Orchi e Mannari rimasti dall’ultimo turno di pulizia. Si scoprì tuttavia grata per quel lavoro, che le teneva la mente occupata e non la costringeva a fare conversazione. Non che nessuno dei presenti sembrasse in vena di parlarle, comunque, eccetto forse il solo Kìli, che però era dovuto andar via quasi subito per una riunione con i suoi scontrosi parenti giunti dal sud. Ella era riuscita appena a rivolgergli un sorriso incoraggiante prima che se ne andasse. Ad ogni modo aveva trovato una sorta di nuovo amico nel giovane Nano – il cui nome, aveva finalmente scoperto, era Ori – che non si allontanava mai dal suo fianco, evitando al contempo di dire una parola e limitandosi ad osservarla timidamente; però le era molto utile, visto che era in grado di sollevare corpi pesanti il doppio di lui.
Era un lavoro triste, ma necessario, specialmente quando venivano scoperti i cadaveri sfigurati di altri Elfi, Uomini o Nani, e Tauriel era lieta di essere almeno lei presente ogni volta che veniva rinvenuto il corpo di qualcuno del suo popolo. Presenziò personalmente alla preparazione delle pire funebri e in tal compito fu impegnata fino a sera inoltrata; quando fece ritorno al campo, montato appena fuori le rovine di Dale, fu sorpresa di trovare ad attenderla un viso del tutto inaspettato.
“Lurìena?!” esclamò sbalordita. La sua amica stava presso il fuoco, ben discosta dal diffidente gruppo dei Nani, cercando di apparire composta e distaccata; solo i suoi occhi parlavano del suo evidente disagio. Appena la vide le corse subito incontro.
“Tauriel! Il Principe Legolas mi ha mandata a portarti le tue cose,” le disse in Sindarin, accennando a un involto ordinatamente ammucchiato vicino a lei. “Mi ha anche detto che il Re ti ha ordinato di restare qui, ma io non potevo crederci.”
Tauriel si accorse che i Nani le stavano guardando accigliati; li fissò a sua volta severamente e condusse la sua amica più lontano, al riparo da orecchie indiscrete. “Grazie, Lurìena. Non sai quanto sono felice di vedere un volto amico.”
“Ma è vero? Che dovrai restare con questi... questi Nani?” chiese ancora Lurìena con un certo disgusto, che indusse Tauriel a sorridere.
“Temo di sì.”
“Ma perchè?”
Tauriel fece un lungo sospiro; tutti gli sconvolgimenti emotivi di quel giorno uniti al lavoro manuale l’avevano spossata. “Come una sorta di Ambasciatrice, a quanto pare. Per consolidare i rapporti tra il nostro popolo e il loro.”
Lurìena arricciò il naso, ancora incredula. “Mi riesce difficile credere che il nostro Re abbia insistito tanto per questo.”
“Non è stato lui, infatti, ma Mithrandir a insistere. Il Re non era... molto contento.”
“Beh, nemmeno Legolas lo era. Di fatto, credo di non averlo mai visto tanto infelice.”
Tauriel fece una smorfia e sospirò di nuovo. “Temo di essere un pò giù di corda. Lurìena... io...” Esitò, accorgendosi che stava per rivelarle tutta la confusione che aveva nel cuore. Guardò il viso preoccupato e innocente della sua amica e si rese conto di non riuscire a formulare le parole. “Io... sono felice che tu sia qui, davvero. È bello vedere un volto amico.”
La sua amica sorrise e aprì la bocca per risponderle, ma fu preceduta da una voce allegra. “Tauriel! Devi unirti a noi per cena, stiamo–oh, salve...”
Kìli, svestito di mantello e corona, fissava Lurìena in evidente sorpresa. Reggeva in mano due ciotole di stufato fumanti con due boccali di birra aggrappati alle dita. Sia i Nani che molti degli Uomini avevano deciso di accamparsi fuori da Erebor, tra le rovine di Dale: Tauriel si era chiesta il perchè di quella scelta ma, dato il suo amore per le stelle e il cielo, alla fine ne era stata contenta.
Gli sorrise e accennò all’altra Elfa. “Kìli, questa è la mia cara amica Lurìena. Lurìena, ti presento Kìli, il Re sotto la Montagna.”
Kìli sembrò profondamente imbarazzato da quel titolo e anche alla fioca luce del fuoco si vide che era arrossito; Lurìena gli fece una piccola riverenza e disse: “E’ un onore conoscerti, Re Kìli.”
Egli si schiarì la gola e scosse la testa. “Per favore, non sono ancora un Re; sono solo un umile Nano e di sicuro non uno davanti al quale ci si debba inchinare.”
“Oh?” intervenne Tauriel. “E io che pensavo fossi un grande Principe tra la tua gente... devo essermi sbagliata.”
Kìli la guardò e, cogliendo il suo tono ironico, sfoderò uno dei suoi famosi e lenti sorrisi. “Ah, beh, certo che sono un grande Principe tra i Nani; uno che però s’intimidisce facilmente se delle belle fanciulle gli fanno la riverenza.”
Tauriel non potè fare a meno di ridere e perfino Lurìena sorrise, sebbene sembrasse alquanto stupita dal loro scambio di battute.
“La tua amica è la benvenuta se vuole unirsi a noi,” disse ancora Kìli gentilmente, porgendo a Tauriel una ciotola e un boccale che lei accettò volentieri. Per un istante le loro dita si sfiorarono e un’ondata di calore, che non aveva niente a che fare con lo stufato, la invase. Kìli incontrò il suo sguardo e lo sostenne per un breve momento, prima di distogliere gli occhi arrossendo di nuovo significativamente. Tauriel si schiarì la gola e lo ringraziò; poi lanciò un’occhiata a Lurìena e si accorse che la sua amica non sembrava più confusa, ma piuttosto insospettita. Allora si affrettò a bere un sorso di birra, grata della sua dolcezza.
“Mi piacerebbe, Re Kìli, ma purtroppo non posso trattenermi,” rispose Lurìena, dolce e cortese come sempre. Le sue chiome castane sembravano brillare alla luce del fuoco, il suo bell’abito da viaggio verde scuro non aveva nemmeno una piegolina; al suo confronto Tauriel si sentiva quasi un troll.
Kìli sorrise. “Chiamami solo Kìli, per favore, ne ho avuto abbastanza di tutte le faccende ‘da Re’ per oggi.” Poi si girò e chiamò: “Bofur! Riempi un’altra ciotola prima di mangiarti tutto lo stufato, brutto ingordo!”
“Certo, certo, vostra maestà!” giunse la sarcastica ma allegra risposta, seguita da un fragoroso scroscio di risate causato presumibilmente dalla troppa birra.
“Visto?” disse ancora Kìli, voltandosi verso le due fanciulle con un ghigno divertito. “Nessuno mi tratta come un Re in ogni caso.”
Lurìena sorrise gentilmente e insieme si diressero verso il fuoco e la compagnia in attesa. Mentre sedevano, Tauriel incontrò lo sguardo di Kìli dall’altra parte del fuoco e lui le fece l’occhiolino; non riuscì a fare a meno di sorridere e tentò di nascondersi dietro la sua ciotola di stufato, ignorando le occhiate sorprese e le sopracciglia sollevate della sua amica.
Poche ore dopo, la luna era ormai alta nel cielo e Tauriel e Lurìena erano al loro ottavo – o forse decimo – boccale di birra nanica. Ridacchiavano allegramente mentre due dei Nani cercavano di mostrare loro una danza tradizionale del loro popolo, che, a quel che si vedeva, si componeva per lo più di spintoni, cadute e imprecazioni. Molti dei Nani e anche alcuni Uomini avevano tirato fuori flauti e violini e una melodia vivace riempiva l’aria.
Il Nano chiamato Bofur disse strascicando le parole: “No, brutto idiota! Tu giri a sinistra e io giro a destra.”
Il suo partner, Gloin, quello con la barba rossa e l’ascia sempre in mano, sbraitò: “Idiota a me?! E che ne sa un moccioso ritardato delle Montagne Blu di vera danza!” Dopodichè si mise a scalciare le sue corte e tozze gambe da tutte le parti e in una maniera tanto incoerente che Tauriel dubitava altamente potesse essere considerata una danza di qualsivoglia fatta. Suo fratello intanto, Oin, batteva entusiasticamente le mani come se stesse vedendo all’opera il più grande ballerino di tutta la Terra di Mezzo, la lunga barba imbrattata di birra e disseminata di pezzetti di stufato.
“Non sapevo che dei signori così importanti danzassero come polli decapitati!” sghignazzò Bofur, finendo quasi a gambe all’aria nella sua ilarità. La sua affermazione fu seguita da un coro di risate fragorose nonchè un’occhiataccia da parte di Gloin.
“Non mi aspetto che voi zotici riconosciate la vera arte quando la vedete,” ribattè prontamente l’altro Nano, emettendo poi un rutto così sonoro che persino Tauriel e Lurìena scoppiarono a ridere.
Mentre beveva un altro sorso di birra – sorprendentemente deliziosa – Tauriel lasciò correre lo sguardo intorno al fuoco e si accorse che mancava qualcuno tra i Nani. Battè le palpebre e aggrottò la fronte, scrutando poi nell’oscurità alla ricerca del Principe ribelle, ma non vi era traccia di lui.
“Mi concedi l’onore di questo ballo, mia signora?” chiese improvvisamente Ori a Lurìena con un sorriso timido; e, con gran sorpresa di Tauriel, la sua amica mise da parte il boccale e accettò la mano che le veniva offerta.
“L’onore è mio, mio signore,” rispose, lasciando chiaramente il giovane Nano di stucco. La sua piccola ombra sembrava quasi averne trovato una più grande da seguire, notò Tauriel con divertimento. L’improbabile coppia si avvicinò al fuoco tra grandi schiamazzi d’incitamento e subito gli strumenti intonarono un’allegra melodia. Tauriel battè le mani insieme agli altri mentre la sua amica volteggiava, graziosa come sempre, alla luce del fuoco e tutti, Nani e Uomini, la guardavano rapiti. Anche Ori comunque dimostrò di essere un gran bravo ballerino.
Intanto Kìli non era ancora tornato. Tauriel si chiese da quanto tempo fosse via e realizzò che forse, almeno per lui, era ancora troppo presto per i festeggiamenti. Esitò solo per un altro momento e, dopo un’ultima sorsata di birra, si alzò e si allontanò dall’allegra comitiva.
Silenziosa come un’ombra s’incamminò per le vie della città in rovina. Il calore del fuoco e delle bevande la lasciò così in fretta da farle pensare esserle stato rubato dalla città stessa. Era stato meraviglioso abbandonarsi al divertimento, dimenticare per un attimo la tragedia che si era abbattuta su tutti loro, ma lì, tra quelle rovine ancora intrise di morte e distruzione, la presenza lugubre del dolore era quasi palpabile. L’ombra di Smaug sarebbe rimasta sulla città ancora per molti anni a venire.
Tauriel scelse con attenzione il percorso tra i vetusti detriti, notando con tristezza i resti delle vite che erano state vissute tra quelle pietre ora silenti. Si fermò un momento per raccogliere da terra una bambola di porcellana ammaccata: raffigurava una donna Nana, con capelli lunghi e un accenno di barba, e sorrise mestamente. La poggiò con delicatezza su un parapetto caduto, come fosse un trono che sovrastava le rovine, e continuò per la sua strada.
Trovò Kìli ai margini della città, dal lato opposto all’accampamento, che guardava attraverso la valle le possenti Porte infrante di Erebor seduto sopra un grande masso piatto che un tempo aveva fatto parte delle mura della città; anche da quella distanza, Tauriel potè vedere le lacrime splendere sulle sue guance. In una mano teneva la sua pietra runica e la rigirava tra le dita proprio come aveva fatto durante la loro prima conversazione, quando era stato loro prigioniero, e il gesto le diede una stretta al cuore. Si fermò, ancora nascosta dall’ombra delle rovine, incerta sul disturbare o meno il suo dolore e tentare così ulteriormente i propri già caotici sentimenti. Ma sì, pensò, è meglio che lo lasci solo...
“Puoi venire fuori adesso, Balin,” disse Kìli proprio quando si era decisa ad andarsene. “Ho sentito i tuoi passi pesanti da un pezzo.”
Tauriel s’immobilizzò, poi sospirò; certo che per essere un Nano aveva proprio un udito fine. “Non sapevo di avere il passo di un vecchio Nano,” rispose venendo fuori dall’ombra mentre lui si girava dalla sua parte.
Kìli sussultò e si asciugò le lacrime con le maniche della tunica, schiarendosi poi la gola con aria mortificata. “Ah... scusami, Tauriel. E’ che ero sicuro che Balin venisse a cercarmi, prima o poi.”
Lei gli sorrise gentilmente e si avvicinò piano, appoggiandosi al freddo masso su cui egli stava. Da quella posizione era più alto di lei e a Tauriel sembrò strano, per una volta, dover essere lei ad alzare la testa per guardarlo. “Ho notato la tua assenza e ho pensato che potevi volere un pò di compagnia. Però posso andarmene se preferisci–”
“No,” disse lui in fretta. “Resta, per favore. Non desidero rimanere solo con i miei pensieri un secondo di più.” La sua voce si addolcì mentre parlava e il suo sguardo errò ancora una volta sulle rovine del suo regno appena riconquistato. Tauriel si chiese se stesse pensando se il sacrificio di suo zio e di suo fratello fosse valso quell’impresa, ma immaginava che avrebbe dato volentieri ogni moneta, ogni gioiello, persino la montagna stessa pur di riaverli con sè; perlomeno, lei avrebbe dato via tutto quel che possedeva se avesse saputo che così facendo avrebbe riavuto i suoi genitori.
Rimase in silenzio, sentendo che lui aveva bisogno della sua vicinanza molto più delle sue parole. Una brezza leggera portava in un soffio la musica dall’accampamento, indugiando tra i suoi capelli come una carezza gentile. In essa vi era una certa nota malinconica adesso e Tauriel si chiese se l’allegria di poco prima si fosse mutata, come sembrava, in triste rimpianto.
“Gli stavo sempre intorno, sai?” disse Kìli in quel momento con voce roca e distante. Tauriel alzò il viso verso di lui e vide che stava guardando la luna piena, gli occhi che scintillavano. “Non facevamo che ficcarci nei guai. L’ho fatto impazzire per anni, non facevo che stargli tra i piedi, cercando di essere come lui. Lo ammiravo, era il mio eroe, anche quando si comportava da scemo,” aggiunse ridacchiando, ma c’era un infinito senso di perdita in quella risata. “Io... continuo a cercarlo. A guardarmi intorno aspettandomi di vederlo da un momento all’altro. Mi sembra sempre di sentire il suono della sua voce. La mia mente sa che non c’è più, ma il mio cuore...” Le ultime parole si spensero in un sussurro.
Tauriel s’inumidì le labbra e fece un respiro profondo, guardando a sua volta il disco argenteo nel cielo. “Quando i miei genitori morirono, presi l’abitudine di parlare con le stelle di notte. Ero certa che fossero lassù, da qualche parte, che mi ascoltassero e vegliassero su di me.”
Sentì, più che vedere, gli occhi di lui su di lei. “Quanti anni avevi... quando li hai persi?”
“Ero molto giovane, almeno secondo i canoni degli Elfi. Praticamente ancora una bambina.”
“Anch’io ero molto giovane quando è morto mio padre... lo ricordo a malapena. Fìli... ha preso da lui.” Non sfuggì a Tauriel che egli si riferiva ancora al fratello parlandone al presente, e le si strinse il cuore. “Io invece ho preso più da nostra madre. Diceva sempre che ero l’immagine sputata di Thorin quando aveva la mia età. E tu... somigli a tua madre?”
Tauriel sorrise ricordando la madre con affetto. “Le somiglio molto, sì. Ho i suoi capelli e i suoi occhi, ma la forma del viso è quella di mio padre. Lei era più saggia di me, più fiera, il suo temperamento era un qualcosa di... ben noto, in un certo senso.”
Kìli sorrise a sua volta e i loro sguardi s’incontrarono. “Ci avrei scommesso che avevi ereditato il suo temperamento. Sei una guerriera piuttosto... feroce. Anche se non puoi competere con la ferocia di un Nano, ovviamente.”
Ovviamente,” gli fece eco lei roteando gli occhi.
“Ma non sei niente male,” concesse lui con un altro sorriso.
“Mio padre era un grande guerriero,” continuò Tauriel, sentendosi stranamente ansiosa di condividere parte della sua vita con lui come non le era mai accaduto con nessun altro. “Era nella Guardia Reale, e di certo sarebbe diventato Capitano un giorno. Amava anche molto leggere, una caratteristica che non ho ereditato. Mi leggeva storie da bambina, racconti meravigliosi che pescava dalla sua grande collezione di libri. Restavamo alzati fino a notte fonda, sotto la luce delle stelle, con la sua voce che a me sembrava creare mondi interi attraverso le sue storie.”
Il sorriso di Kìli si era fatto più dolce mentre lei parlava, i suoi occhi rilucevano di un’emozione che le diede una scossa al cuore; Tauriel distolse lo sguardo.
“Mia madre è una grande narratrice di storie,” disse lui. “Usava radunare intorno a lei tutti noi bambini, vicino al grande focolare nel Salone Blu, e ci narrava racconti fantastici su Erebor, Moria e Mahal. Anche Fìli se la cavava bene con le storie, anche se le usava più che altro per spaventarmi di notte...” E rabbrividì, come scosso da un dolore fisico.
“Voi due dovete averne combinate delle belle da bambini,” disse allora Tauriel, cercando di apparire spensierata. Sapeva, per esperienza diretta, che parlare di tempi più lieti era utile ad alleviare il dolore.
Kìli sospirò e le rivolse uno sguardo un pò incerto. “Cosa vuoi sapere?”
“Qualsiasi cosa, davvero. Parlami delle vostre avventure, dei pasticci che combinavate.”
“E che ne sai che combinavamo pasticci?” le chiese lui con una certa ironia.
“Ti prego, posso non avere molta esperienza con i Nani, ma so riconoscere un combinaguai quando ne vedo uno.”
Stavolta Kìli rise di vero gusto e improvvisamente si sporse su di lei con un luccichio malizioso negli occhi. Tauriel deglutì e si costrinse a sostenere il suo sguardo invece di lasciar vagare gli occhi sulle labbra di lui, piene e leggermente dischiuse. Il calore della sua risata s’irradiava in lente ondate verso di lei e Tauriel si ricordò che i Nani erano noti per essere di temperamento ardente rispetto alle altre razze; si chiese anche che sensazione la sua pelle nuda poteva trasmettere al tatto...
“Beh, ci sarebbe un certo episodio che mi viene in mente,” disse in quel momento lui, distogliendola da quei pensieri inappropriati.
“R–raccontami,” gli rispose, cercando di non dar peso al tremito della propria voce.
“E’ stata un’idea di Fìli, naturalmente, e tutto è cominciato quando Dwalin si è ficcato in quella sua zucca pelata di far la corte a nostra madre...”
Tauriel richiamò alla mente l’immagine del burbero Nano tatuato e rimase sconvolta da quella rivelazione. “Cosa?!”
“Oh sì, ma non temere, perchè io e Fìli gli abbiamo dato una bella lezione. Dunque, per prima cosa abbiamo dovuto requisire un buon numero di pecore...”

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Capitolo 6
*** CAPITOLO VI: Fantasmi tra le mura di Erebor ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

Happiness feels a lot like sorrow
Let it be, you can't make it come or go
But you are gone – not for good but for now
Gone for now feels a lot like gone for good
Happiness is a firecracker sitting on my headboard
Happiness was never mine to hold
Careful child, light the fuse and get away
'Cause happiness throws a shower of sparks
Happiness damn near destroys you
Breaks your faith to pieces on the floor
So you tell yourself, that's enough for now
Happiness has a violent roar
Happiness is like the old man told me
Look for it, but you'll never find it all
Let it go, live your life and leave it
Then one day, wake up and she'll be home
Home, home, home


 
~
 
Lurìena si preparò a ripartire al sorgere del sole. Caricò il suo cavallo delle sue poche cose con una certa riluttanza, come se desiderasse restare un pò di più. Tauriel l’abbracciò con affetto mentre il cuore le saltava dolorosamente in petto; quando si scostò da lei, gli occhi della sua amica scintillavano di lacrime non versate. Si strinsero le mani e molte cose passarono tra loro, cose che non c’era bisogno di esprimere a voce. Si conoscevano da tutta la loro lunga vita e quello di oggi sembrava a Tauriel un addio definitivo, per ragioni che non riusciva a comprendere.
“Se non altro, credo di non dovermi più preoccupare per te,” disse Lurìena con un piccolo sorriso.
La brezza del mattino portava con sè un assaggio dell’inverno imminente che giocava con i sensi di Tauriel, e il suo tocco le dava forza e coraggio. “E perchè, amica mia?”
Lurìena sospirò e si strinse nelle spalle. “Non so spiegarlo di preciso, ma ho come la sensazione che in qualche modo tu appartenga a questo posto. Lo trovi strano?”
Tauriel ebbe un sorriso un pò incerto, che la diceva lunga sulla marea di emozioni che provava in quel momento. “Non strano... no.” Io mi sento esattamente allo stesso modo; vorrei solo riuscire a capire perchè.
“Addio, mia cara amica; possa la luce dei Valar essere sempre su di te.”
“E su di te, amica mia.”
Lurìena le strinse le mani e le rivolse un ultimo sorriso illuminato dai primi raggi del sole che facevano capolino al di là delle montagne; dopodichè se ne andò, scomparendo verso quella foresta che Tauriel non riusciva più a chiamare casa.
Rimase lì a lungo, pensando a niente e a tutto, e sentendosi stranamente distaccata e come alla deriva. Quando finalmente si mosse, sentiva un freddo gelido sia sulla pelle che nel cuore.
 
~
 
I giorni seguenti trovarono Tauriel intenta a sgobbare duramente sotto il peso della Montagna Solitaria. La sua vita si era assestata in una sorta di singolare routine: lunghe giornate di duro lavoro e nottate trascorse tra bevute e risate insieme a coloro rimasti a combattere i fantasmi e le ombre che lì ancora indugiavano. Molti degli Uomini di Pontelagolungo erano ancora lì, incluso l'arciere Bard, la cui compagnia Tauriel trovava abbastanza piacevole per un umano.
“Penso che ricostruiremo la città qui, una volta che il tesoro sarà stato diviso,” egli aveva detto una sera a Balin, mentre erano intenti a osservare le rovine che li circondavano.
“Quindi non intendete tornare a Pontelagolungo?” aveva chiesto il vecchio Nano.
Bard aveva scosso rudemente il capo. “No, quella città appartiene al Signore di Esgaroth, e io desidero vedere la città dei miei padri riedificata e le relazioni tra Uomini e Nani ricostituite.”
A quelle parole Balin aveva tirato su col naso rumorosamente e in modo significativo e i due si erano appoggiati l’un l’altro per lunghi minuti, come alberi strapazzati da una tempesta.
“No ragazza, è così che si fa, vedi?” borbottò in quel momento Gloin strappandola ai suoi pensieri. Le prese la trave di mano e le mostrò come la spessa corda vi andava arrotolata; le sue grosse mani si muovevano rapide ma a lei bastò una sola occhiata per replicarne il movimento, con gran soddisfazione del Nano. “In questo modo la stretta è più forte, hai visto?”
Tauriel annuì e si asciugò brevemente il sudore dalla fronte prima di riprendere il suo lavoro. Negli ultimi tempi era diventata una specie di tuttofare, le sue competenze spaziavano dalla carpenteria alla lavorazione della pietra fino alla sempre impellente necessità di curare i feriti. Sotto la montagna l’aria era sempre stantìa e opprimente malgrado gli spazi aperti in superficie. Tauriel aveva perennemente la gola e il naso chiusi da polvere e sabbia, e si chiedeva se sarebbe mai riuscita ad abituarsi alla mancanza del sole e del cielo sopra di lei... Avrebbe dovuto?
“Attenti, ragazzi, attenti! Non vogliamo che questa parete ci caschi addosso, giusto?” gridò Dwalin dal fondo del budello roccioso mentre lui e altri sei Nani spingevano un grosso blocco di pietra per liberare una sezione del passaggio principale. La loro forza, come sempre, era impressionante – quasi come il loro colorito linguaggio, e colorito era dire poco. Tauriel si rimise al lavoro e rapidamente aiutò gli altri a sistemare i pali di sostegno in modo che i muratori potessero mettersi all’opera: i quattro, che appartenevano al popolo di Dàin, si avvicinarono stancamente. Da giorni e anche da notti intere erano al lavoro per ripristinare almeno le sale più importanti e le passerelle di comunicazione principali, cercando di restituire una parvenza di normalità all’ambiente; ma Tauriel sapeva, come di certo lo sapevano tutti gli altri, che sarebbero occorsi anni prima che Erebor fosse completamente ricostruita – se mai ci fossero riusciti del tutto.
Quando anche quel compito fu terminato, Bofur crollò drammaticamente a terra supino: ansava tanto che gli fischiava il naso e il ventre gli si gonfiava come una mezzaluna ad ogni respiro. “Ho sempre immaginato che mi sarei fatto una bella nuotata in tutto quell’oro, una volta riconquistata Erebor,” disse agitando malinconicamente una mano sopra la testa.
Tauriel si risollevò con le mani sui fianchi e la schiena le mandò una fitta di dolore come per protesta. Lunghi anni erano trascorsi da che aveva compiuto una simile fatica ed era dalla mattina presto che non si fermava un momento; non aveva però la minima intenzione di lasciarsi surclassare dai Nani.
Dwalin grugnì e diede un calcio a un pezzo di metallo ai suoi piedi. “Tirati su e piantala di lamentarti. Chi è stato a trascorrere tutta la notte a gozzovigliare quando sapeva benissimo che c’era del vero lavoro da fare?”
Bofur si passò il dorso della mano sudicia sulla fronte luccicante di sudore e sospirò indispettito. “Tu, signor Dwalin, sei un capomastro crudele e spietato, ma non riuscirai a schiacciare il mio spirito combattivo.” E sottolineò la sua affermazione con un rutto fragoroso che fece scoppiare tutti gli altri in una sonora risata.
Intanto si passavano un otre d’acqua l’un l’altro – o almeno sembrava un otre pieno d’acqua; quando arrivò tra le sue mani, Tauriel ne bevve una buona sorsata e per poco non sputò tutto il vino in faccia a Ori: deglutì a fatica e cercò invano di reprimere un attacco di tosse.
Gloin ridacchiò e le assestò delle pacche robuste sulla schiena per aiutarla a calmarsi. “Tranquilla ragazza, ci penseremo noialtri a non sprecare la tua razione, non è così Bombur?” Bombur ghignò e si produsse a sua volta in una serie di rutti che di nuovo fece ridere tutto il consesso. Nemmeno Tauriel sfuggì all’ilarità generale e si chiese perplessa dove fosse andata a finire la sua raffinata sensibilità elfica; Legolas l’avrebbe di certo schernita senza pietà.
Un dolore acuto la colse al pensiero del suo amico, inducendola ad allontanarsi dall’allegra combriccola.
Sentiva la sua mancanza. Anelava a sistemare le cose con lui, era come se il suo cuore non potesse darsi pace finchè non lo avrebbe rivisto. Entrò nel bagliore dorato di una pozza di luce e inclinò il viso verso l’alto, godendo del calore del lontano sole come della carezza di un amante.
Perchè ho la sensazione che Kìli e Legolas esistano sui versanti opposti di un immenso abisso? Perchè sento che se scelgo uno... dovrò abbandonare l’altro?
“Va tutto bene, mia signora?” le chiese piano Ori facendola tornare alla realtà. Gli altri Nani si erano già allontanati verso il loro prossimo incarico. C’era ancora molto lavoro da fare.
Avrebbe solo voluto sapere di essere realmente utile là, in mezzo a loro. Avrebbe dovuto trovarsi lì come ambasciatrice, ma ancora non aveva rivisto Kìli dopo quella serata tra le rovine. Non le pesava il lavoro nè dare una mano dove serviva, ma non riusciva a scuotersi di dosso la sensazione che lui la stesse in qualche modo evitando.
Sospirando, Tauriel s’incamminò con il suo giovane amico fuori dalla pozza di luce e di nuovo nel buio opprimente della montagna.

~
 
Il sole stava tramontando quando potè finalmente uscire all’aria aperta, e una volta fuori trasse un profondo e rinvigorente respiro di sollievo. La città nella montagna aveva un gran numero di balconate e aperture verso l’esterno, ma molte erano distrutte, inservibili o nascoste. Quella balconata in particolare sembrava far parte di un sontuoso insieme di saloni, forse destinati alla famiglia reale.
Dopo cena, Tauriel era sgusciata via dalla stanza in cui si trovavano – una di quelle in condizioni migliori – e si era avventurata su per le scale, stranamente desiderosa di restare sola; e quasi avvertendo il sentore dell’aria della sera e il cielo aperto, aveva trovato quella balconata ed era stata accolta dal vento invernale, che le era parso infondere nuova vita alle sue ossa stanche. I saloni erano per lo più intatti, anche se ingombri di polvere e ragnatele, e riccamente decorati. I fantasmi di coloro che là erano vissuti indugiavano tra le ombre e i beni dimenticati, e Tauriel si sentiva quasi un’intrusa. Il suo desiderio di stare un pò all’aperto aveva però avuto il sopravvento, anche se si era ripromessa di non trattenersi a lungo.
Il crepuscolo indugiava dolcemente intorno a lei, il cielo si colorava di un viola soffuso mentre le prime stelle facevano capolino. Appoggiò le mani sul parapetto fatiscente e chiuse gli occhi, godendosi la sensazione.
Nonostante tutto, cominciava ad apprezzare molto la compagnia dei Nani. Sembravano essere scesi a patti con la sua presenza, ridevano e scherzavano con lei malgrado le differenze culturali e razziali permanessero. Anche alcuni degli uomini di Dàin cominciavano a mescolarsi volentieri con i Nani delle Montagne Blu: erano quasi tutti imparentati tra loro o vecchi conoscenti, ma Tauriel avvertiva ancora una certa tensione in quelli, e non erano pochi, che continuavano a mangiare e dormire per conto loro. Si chiese se Dàin si sarebbe fatto da parte amichevolmente, se Kìli intendesse davvero salire al trono o se c’erano già vili piani in atto per spodestarlo, e che cosa avrebbe dovuto fare lei in tal caso. Sapeva che le ricchezze di Erebor dovevano rappresentare una grossa tentazione per i Nani dei Colli Ferrosi, e che una veemente contesa per esse era in corso ben da prima dell’arrivo degli orchi e della tremenda battaglia che ne era seguita – contesa che con ogni probabilità non si sarebbe risolta entro qualche giorno nè settimana.
Tauriel riflettè sulle vite di coloro che lì avevano vissuto, riso e amato prima che il fuoco e la rovina si abbattessero sulla città; di certo quelle sale dovevano essere state luminose e piene di vita, voci e musica. La loro eco sembrava indugiare appena fuori della sua coscienza, come pronta a tornare ancora una volta in vita sotto la giusta spinta. La città dava l’impressione di una creatura ansiosa di scrollarsi di dosso la coltre di disperazione e tristezza e i fantasmi che parevano in tranquilla attesa intorno a lei. Ricordava che c’era stato un tempo in cui Elfi e Nani erano stati intimi amici, in cui condividevano segreti e talenti per il bene di tutti. Aveva sentito storie sulle porte elfiche di Moria, sulla bellezza che il suo popolo aveva infuso nelle antiche stanze di pietra del regno perduto. Qui la loro presenza si sentiva di meno, l’architettura nanica era fatta di linee dure e spigolose, di una bellezza quasi violenta; ma Tauriel scoprì che apprezzava il netto contrasto con le curve morbide e aggraziate che la sua gente preferiva.
Rimase in piedi, lo sguardo perso nel buio crescente fino a che gli ultimi raggi del sole sbiadirono nel luccichio delle stelle, e poi rientrò. Le notti erano lunghe e solitarie senza nessuno del suo popolo a farle compagnia, e solo la sua discrezione unita a una certa trepidazione la trattenevano dal girovagare per gli ampi e misteriosi saloni. Quanto tempo era trascorso da che un Elfo era stato invitato tra quelle mura, quanto da che aveva potuto girare ed esplorare l’interno a suo piacimento? Forse non era più accaduto dai giorni di Thingol e dei Nani di Nogrod.
L’oscurità del salone era troppo fitta persino per i suoi occhi acuti di Elfo. Tauriel ripercorse i propri passi giù per le scale, i piedi cauti e leggeri lungo i gradini impolverati. Era ancora persa a tal punto nei suoi pensieri che non sentì i bisbigli irosi fino a che non ebbe sceso quasi tutta la scalinata, e sull’ultimo gradino si fermò ad ascoltare.
“Non puoi dire sul serio, ragazzo, andartene ora che Dàin ci sta col fiato sul collo!”
Una voce, quella di Gloin ella pensò, si udiva borbottare dal fondo del corridoio. Riuscì appena a distinguere due figure in lontananza, una più alta e snella, l’altra più robusta e tarchiata.
“Come potrei non farlo!” gridò l’altra voce, a lei ben familiare, che le trasmise una scossa lungo la spina dorsale. “Mia madre merita di sapere com’è andata da me e me soltanto.”
“Se te ne vai adesso, potresti non trovare più un trono al ritorno...”
“Non lo voglio quel trono maledetto! Non m’importa del trono, nè di Erebor o di Dàin. Cosa vuoi che importi tutto questo ora che Thorin e Fili non ci sono più?!” La voce di Kìli si ruppe miseramente e Tauriel si sentì stringere il cuore.
“Coraggio, ragazzo, non fare così,” rispose l’altro, e lei vide la figura più bassa abbracciare l’altra. “Non puoi lasciare che siano morti invano. Tua madre non ti ringrazierebbe di certo per questo. Calmati adesso, tutto andrà bene. È una donna forte, una vera Principessa, non ne ho mai visto l’uguale in vita mia. Vedrai che ti perdonerà.”
“Già, lei potrà anche perdonarmi, Gloin, ma io temo che non riuscirò mai a perdonare me stesso. Avrei dovuto morire io là fuori, non mio zio e mio fratello. Avrebbe dovuto essere la mia vita ad andare perduta, non la loro.”
“Non dirai più certe cose in mia presenza se ti preme la salute, giovanotto,” comandò Gloin con fare burbero. “Getti vergogna anche su tuo zio e tuo fratello parlando così.”
Kìli non rispose nulla, si limitò a chinare il capo nella fioca luce che penetrava dall’esterno. “Hai ragione, naturalmente... sia tu che Balin. Resterò, anche se credo che il rimorso mi perseguiterà per il resto della mia vita.”
“Ragazzo...” Gloin esitò prima di continuare. “Essere Re spesso vuol dire fare cose che preferiresti non fare per il benessere di tutti gli altri. Thorin lo aveva imparato bene, ma temo sarà una dura lezione per te. E io non sono per niente ansioso di vederti impararla, se devo dirla tutta.”
Kìli sospirò profondamente. “Domani m’incontrerò con Lord Dàin, Lord Bard e Lady Tauriel per discutere la divisione delle ricchezze. Potete, tu e Balin, organizzare la cosa per me, Gloin?”
“Ma certo, ragazzo, certo.”
“E immagino sarai tra coloro che faranno ritorno a Ered Luin quando sarà il tempo, per ricongiungerti con tua moglie e tuo figlio. Vorresti... vorresti dare una cosa a mia madre per conto mio?” La voce di Kìli era àtona, rassegnata.
“Qualsiasi cosa,” gracchiò Gloin.
“Dalle questa per me, così saprà che ho mantenuto la mia promessa.” E gli porse un piccolo oggetto che l’altro Nano prese con tutta la cura possibile.
Lacrime caddero silenziose e non viste dagli occhi di Tauriel nell’oscurità. Sapeva esattamente di cosa si trattava e quanto quell’oggetto significasse per lui. Un momento dopo i due Nani erano spariti, lasciandola sola a contemplare la fragilità delle vite intorno a lei e l’incommensurabile portata della perdita e del dolore.

~
 
Quando i Nani presero a russare sonoramente e tutte le sale furono immerse nel silenzio, Tauriel lasciò vagare la mente lontano, verso le altezze più remote della montagna. Là il suo spirito si attardò fino a trovare una sorta di pace, ma ben presto la pesantezza della roccia e del dolore prevalse e l’oscurità scese di nuovo tutto intorno. Spezzoni di immagini fluttuavano in lei come trasportate da una brezza, immagini che non riusciva a comprendere e che le indugiavano nel cuore e nella mente, svanendo prima che potesse afferrarne il significato. Erano immagini di tristezza e violenza, di morte, e di una guerra che doveva ancora venire: una guerra di gran lunga più cruenta di qualunque altra ella avesse mai conosciuto. Tremante e come febbricitante si raccolse in sè stessa e tornò alla realtà poco prima che l’alba trovasse la sua via verso la montagna, e lì giacque silenziosa e terrorizzata fino a che Ori non venne a chiamarla.
Il Re, egli disse, desiderava vederla.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VII: Mantenere le promesse ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

It started out as a feeling
Which then grew into a hope
Which then turned into a quiet thought
Which then turned into a quiet word
And then that word grew louder and louder
'til it was a battle cry
I'll come back when you call me
No need to say goodbye


The Call, Regina Spektor
 
~
 
La luce del sole, filtrando attraverso le gallerie in maniera quasi artistica, faceva risplendere la Sala del Trono come un grande gioiello. Kìli era in piedi in cima ai gradini ma, nonostante il trono coperto di seta e cuscini di colori vivaci, sembrava riluttante a sedersi. Balin stava al suo fianco, l’aria mesta come al solito, eppure sembrava un pò più su di morale rispetto alle ultime volte che Tauriel l’aveva visto. Il giovane Re era ben vestito e ben pettinato – anche la corta barba era perfettamente in ordine – e la sua regalità era sminuita solo dal sorriso sbarazzino che le rivolse non appena entrò nella Sala; Tauriel glielo restituì anche se il suo stomaco si metteva a fare le capriole e le guance le si arrossavano. L’arciere Bard, vestito a sua volta con molta cura, stava alla sua destra con accanto Dàin Piediferro. Tauriel si sentiva leggermente fuori posto nella sua semplice tunica verde e nei pantaloni di pelle, ma se non altro si era ricordata di acconciarsi i capelli. Kìli fece loro una riverenza piuttosto galante salutandoli con una certa misurata gentilezza e un sorriso studiato; i suoi occhi sembravano guardinghi ed ella non riusciva a scorgerne gli intenti.
“Grazie per avermi raggiunto qui, miei signori, mia signora,” esordì mentre essi ricambiavano il suo inchino – e se la riluttante riverenza di Dàin parve un pò rozza, Kìli non diede segno di essersene accorto.
“Vi ho convocati per discutere insieme a voi la questione del pagamento per i servigi resi.” Levò una mano e subito vennero portate tre sedie. Tauriel sapeva che sedersi davanti al trono di un Re era pratica niente affatto diffusa, ma sospettava che Kìli nutrisse scarso interesse per l’etichetta reale; e infatti, quasi a voler sottolineare tutto ciò, il giovane Re si sedette tranquillamente sui gradini, i gomiti poggiati sulle cosce e le mani allacciate tra loro. Alle sue spalle Balin roteò gli occhi e sbuffò; Bard sembrò alquanto a disagio per un simile atteggiamento e si sedette con cautela; da parte sua, Tauriel trovò la scena piuttosto divertente.
“Lord Bard, il tuo popolo ha riportato ingenti perdite nella battaglia, quasi pari a quelle subìte dal mio. Lord Balin mi dice che intendi donare una parte del tuo pagamento a Pontelagolungo e usare l’altra metà per ricostruire Dale. È esatto?”
Bard chinò il capo con un certo imbarazzo. “Ah–sì vostra, ehm... altezza.”
Kìli sorrise gentilmente. “Mio signore, sarebbero sufficienti cento casse d’oro per Pontelagolungo e cento per Dale?”
Tauriel sussultò, Dàin ringhiò in segno di protesta e Bard fece la faccia di uno che ha appena ricevuto un colpo in testa a tradimento; ma Kìli proseguì come se non avesse detto niente di così strabiliante. “So che avevamo parlato delle mie intenzioni riguardo la metà del tesoro, ma di recente sono stato informato che una parte di esso è già stata promessa altrove e così, non volendo fare torto a nessuno, ho sperato che questa somma – unita ovviamente alla promessa di procurarvi tutti i rifornimenti di cui avrete bisogno sia da qui che da Ered Luin – ripari a qualunque mancanza tu possa sentire in merito.”
“Ah–beh...” balbettò il pover’uomo impallidendo. Se cento casse d’oro non equivalevano alla metà delle ricchezze di Erebor, Tauriel rabbrividì al pensiero di quante lo fossero.
“Non ti pare che questa somma sia un pò... eccessiva?” intervenne Dàin, contenendo a malapena l’irritazione.
Il sorriso di Kìli assunse un che di malizioso e Tauriel sospettò che si stesse divertendo alquanto.
“Niente affatto, mio signore Dàin. Avresti qualcosa da ridire se ti accordassi la stessa identica quantità più altre cento casse, come ringraziamento per il tuo arrivo tempestivo e il tuo aiuto?”
Dàin aprì e chiuse la bocca parecchie volte come un pesce fuor d’acqua. Alle spalle di Kìli, Balin appariva più pallido man mano che i secondi passavano.
“Abbiamo un accordo, signori?” chiese Kìli sollevando un sopracciglio. Sì, concluse Tauriel, se la stava decisamente godendo un mondo.
“Ah–sì, certamente, vostra maestà. È più di quanto avessi osato sperare,” rispose Bard con voce roca, alzandosi e inginocchiandosi poi ai piedi dei gradini in segno di supplica.
Kìli si alzò immediatamente e aiutò l’arciere a rimettersi in piedi. “Un Re non dovrebbe mai inginocchiarsi davanti a un altro Re, amico mio.”
Bard aggrottò la fronte confuso e Kìli sorrise. “Quando Dale sarà ricostruita, avrà bisogno di un Re. I tuoi padri hanno onorato il loro regno e il mio nei giorni precedenti l’arrivo di Smaug, e grazie a te quell’onore è stato ancora una volta ripristinato. Non potremmo dunque ricostruire i nostri regni in pace e amicizia?”
Parlava proprio come un Re, si rese conto Tauriel mentre un brivido la scuoteva fin nel suo io più intimo. Qualunque cosa egli dicesse, provasse o credesse sembrava nato per quel momento, per ergersi tra le rovine del suo antico ma grande regno illuminate dai raggi del sole. Vi era una certa grazia sul suo volto, come una saggezza troppo a lungo trascurata, in parte per via della sua natura esuberante, ma forse anche perchè di recente aveva dovuto lottare contro ombre ben più oscure. Ma adesso era lì davanti a loro, autentico e luminoso, e lei si beava del suo splendore.
Quanto a Bard sembrava prossimo alle lacrime, il petto gonfio di felicità e riconoscenza. “Sì, Kìli, signore di Erebor e Re sotto la Montagna: hai la mia alleanza e la mia amicizia da oggi e per tutti i giorni che verranno.”
Si strinsero le mani, i visi illuminati da grandi e caldi sorrisi. “Nori ti aspetta nella seconda galleria per fissare i termini dell’accordo. E dovrebbe anche essere in grado di rispondere ad ogni tuo dubbio o domanda.”
“Certamente, maestà. Grazie ancora per la tua  grande generosità.”
Il sorriso di Kìli vacillò ed egli distolse lo sguardo. “Per favore, non ringraziarmi. L’oro non potrà mai sostituire tutte le vite andate perdute.”
Bard annuì comprensivo e un momento dopo se ne andò, lasciandolo faccia a faccia con Dàin. Tauriel fece correre lo sguardo ora sull’uno ora sull’altro trattenendo il respiro. Kìli era tornato a sorridere ma c’era un che di guardingo nel suo sorriso, e i suoi occhi erano ora freddi e calcolatori. Dàin stava eretto davanti a lui, le gambe massiccie allargate e le grosse braccia incrociate sul petto. Tauriel ebbe la sensazione che una battaglia silenziosa si stesse svolgendo tra i due Nani, si vedevano quasi volare le scintille tra loro. Dopo lunghi momenti di teso silenzio, però, Dàin li sorprese abbandonandosi a una forte risata che riecheggiò per tutto l’ambiente; poi battè una mano sulla spalla di Kìli e se lo tirò vicino per un rude abbraccio.
“Sono impressionato, ragazzo! Impressionato davvero! Tuo zio era un grande Nano, il migliore che abbia mai conosciuto, dovevo accertarmi che suo nipote fosse degno di lui.”
Kìli si districò da quell’abbraccio da orso e aggrottò la fronte, evidentemente confuso; ma Dàin si limitò a sghignazzare di nuovo con una mano sulla grossa pancia, come se se la stesse spassando un mondo. “Non essere così sospettoso, giovanotto, ti sei comportato bene. Molto bene, anzi. Tuo zio sarebbe fiero di te. Io lo sono di certo. Capiscimi, ho dovuto metterti alla prova, dopotutto qui c’è in ballo un intero regno...”
Un certo rossore fiorì sulle guance di Kìli, cosa che lo indusse ad accigliarsi ancora di più. Tauriel tossì delicatamente per cercare di nascondere il proprio divertimento ed egli le lanciò un’occhiata risentita. “Quindi stai dicendo che non vuoi il trono.”
“Mahal, no! Ho già abbastanza grattacapi con il mio regno senza che ce ne aggiunga un altro. Non nego però che ho sperato potessimo ripristinare la nostra vecchia alleanza. Ti servirà aiuto per riportare a galla questo posto.”
Kìli socchiuse gli occhi e strinse le labbra per un attimo, poi gli porse lentamente una mano, che Dàin strinse con entusiasmo. “Ho una proposta per te, se può interessarti. Beh, diverse in effetti, ma considerata la presente compagnia,” e così dicendo le lanciò una severa occhiata, “direi che le altre possono aspettare.”
Tauriel fece una smorfia ma Dàin la ignorò. Quanto a Kìli era tornato a sorridere, anche se i suoi occhi rimanevano guardinghi, per non dire sospettosi. “Che tipo di proposta?”
Dàin esitò per un attimo. “So che molti dei tuoi compagni intendono tornare sulle Montagne Blu per radunare il resto della vostra gente, e ho pensato che avresti voluto unirti a loro...”
Kìli ritirò subito la mano come se si fosse scottato e un lampo di rabbia e dolore gli attraversò il viso prima che fosse in grado di controllarsi.
“Non intendevo mica offenderti, ragazzo,” si affrettò a dire Dàin. “Volevo solo offrirti i miei servizi nel caso tu voglia andare con loro. Posso badare io al regno fino al tuo ritorno. So che non hai motivo di fidarti di me, ma ti giuro su tutto quello che vuoi che non ho nessuna intenzione di rubarti il tuo trono.”
Allora Balin si fece avanti, facendo frusciare la lunga veste sui gradini. “E’ molto generoso da parte tua, milord, ma non credo sia del tutto appropriato...”
“Tuo figlio viaggia con te, giusto?” chiese improvvisamente Kìli, interrompendolo.
Dàin esitò ancora prima di rispondere. “Ah–sì, sì, è qui con me.”
Kìli riflettè per un pò, passandosi una mano sulla corta barba e lanciando ogni tanto a Tauriel delle brevi occhiate. Ella si morse le labbra, domandandosi a cosa stesse pensando e disperatamente desiderosa di essergli d’aiuto; ma naturalmente non poteva fare nulla e si limitò a stringersi le mani l’una con l’altra, per impedir loro di vagare sulla sedia e sui suoi abiti.
“Molto bene, Dàin. Lascerò che sia tu a dirigere le cose in mia assenza... se tuo figlio si unirà a noi per il viaggio.”
Dàin si adombrò leggermente. “Vuoi portare mio figlio con te come una sorta di... incentivo?”
Kìli ghignò e si strinse nelle spalle. “Immagino sia anche questo un modo di vedere la faccenda.”
“Ce n’è forse un altro?” chiese Dàin, scettico.
Le mani dietro la schiena, Kìli risalì i gradini che conducevano al trono parlando da sopra una spalla. “Puoi vederla come un’opportunità per tuo figlio di conoscere meglio i suoi congiunti e il suo futuro Re. E poi sono certo che al giovane Thorin non dispiacerà un pò di avventura.”
Dàin si grattò la nuca a disagio. “Beh, non dico il contrario, ma non sono sicuro che–”
“E... sì,” lo interruppe Kìli, ora in piedi in cima alla scalinata. “In questo modo mi assicurerò che, al mio ritorno, ti farai da parte senza troppe storie.” E così dicendo gli rivolse un gran sorriso.
Dàin considerò il tutto per lunghi istanti, accigliato, prima di ridacchiare di nuovo. “E va bene, ragazzo, hai messo le cose in chiaro. Se tu ti fiderai di me, io mi fiderò di te. Inoltre si dà il caso che il giovane Thorin non veda l’ora di sgusciare via da sotto il tacco del mio stivale. Non è tanto più giovane di te, a dire il vero, ma sua madre lo tiene ancora bene al riparo delle sue gonne.” La voce del signore nanico si addolcì mentre parlava della moglie e Tauriel, allarmata, si accorse che cominciava a provare una certa simpatia per il burbero guerriero; dubitava però che il sentimento fosse reciproco.
Kìli si mise le mani sui fianchi, raggiante. “Splendido! Balin, vuoi essere così gentile da riaccompagnare Lord Dàin nei suoi alloggi? E poi raduna Dwalin, Gloin, Bofur e Bombur, vorrei che venissero a Ered Luin con noi.”
Balin fece scorrere lo sguardo da Kìli a Dàin per poi soffermarsi su Tauriel, e per un istante i suoi occhi si assottigliarono impercettibilmente; poi si voltò e s’inchinò, lasciandola con una formicolante sensazione di disagio tra le scapole. “Certo, ma non dimenticare che Nori ti aspetta nell’Ala degli Archivi per mostrarti le riparazioni già apportate.”
Kìli sbuffò. “Vado subito, Balin, ti preoccupi troppo.”
“E tu non abbastanza,” borbottò il vecchio mentre Dàin ridacchiava di nuovo; dopodichè i due Nani se ne andarono, lasciando Kìli e Tauriel da soli. Nonostante la magnificenza e la vastità della Sala, Tauriel sentì che l’atmosfera cambiava quasi istantaneamente da un’attenta politica ad una più intima amicizia. I modi di Kìli tornarono ad essere quelli familiari che più gli si confacevano, il sorriso lento e diabolico, gli atteggiamenti noncuranti e audaci.
“Speravo di poter discutere una certa questione con te, mia signora,” le disse calcando con ironia sull’ultima parola, come per uno scherzo che riguardava soltanto loro due. Tauriel gli stava sorridendo prima ancora di rendersene conto: quando era allegro, il suo umore era davvero contagioso.
“Sono al tuo servizio, mio signore,” gli rispose con ostentata raffinatezza.
“Inizialmente avevo richiesto la tua presenza qui come una sorta di mia consigliera, visto che Re Thranduil ti ha chiesto di servire come Ambasciatrice e non come tuttofare...”
“Il lavoro non mi pesa,” ella protestò, imbarazzata.
Egli le sorrise gentilmente e i suoi occhi non erano più distanti, ma caldi e rassicuranti. “Lo so, ma a me sì. Vorrei che tu ti sentissi a tuo agio qui, qualunque sarà il tempo che trascorrerai con noi.”
Ella chinò leggermente il capo. “È molto gentile da parte tua, ma io sono felice di rendermi utile.”
“E gli uomini... ti trattano bene?” Era tornato a scendere i gradini e si fermò a due sopra il pavimento: adesso gli occhi di lui erano allo stesso livello dei suoi. Tauriel trovò sconcertante quella poca differenza tra le rispettive stature; era difficile ignorare l’effetto che la sua presenza aveva su di lei quando il suo sguardo poteva incatenare il suo con tanta facilità.
Arrossì senza avere la minima idea del perchè e tornò a chinare la testa. “Sì, sono molto gentili. Gli uomini di Dàin sono un pò diffidenti, ma c’era da aspettarselo.”
“Io...” cominciò Kìli, interrompendosi poi con un sospiro e passandosi una mano sulla barba, in un gesto che Tauriel aveva imparato essere indice di nervosismo e che trovava davvero accattivante. Lui le rivolse una breve occhiata prima di tornare a fissarsi gli stivali. “So che probabilmente non vorresti trovarti qui, lontana dalla tua casa e dalla tua gente, però, ecco... io sono felice che tu sia qui. Io... cioè, sia io che gli altri... sentiamo che la tua presenza ci fa bene, in un certo senso, e per questo volevo dirti grazie. Di tutto.”
Senza pensarci, Tauriel si avvicinò e gli pose una mano su una spalla. Una certa tensione eruppe tra loro, scaturiva e ribolliva dal punto in cui lo stava toccando attraverso il tessuto ricamato della sua tunica. La luce, come un’innocente carezza, la scosse in tutto il corpo, terrorizzandola ed eccitandola al tempo stesso; e quando gli occhi di lui si fissarono nei suoi, ella vide riflesse in essi le sue stesse emozioni.
“Anch’io sono felice di essere qui, di vedere la tua città e conoscere la tua gente. È stata certamente un’avventura.” Gli sorrise e cercò di comportarsi nel modo più indifferente possibile mentre ritirava lentamente la mano. Toccarlo si era rivelata una pericolosa distrazione, ma stargli vicino le risultava altrettanto sconvolgente.
Kìli tornò a sorridere con entusiasmo e le sue prossime parole suonarono intrise di un’eccitazione a stento contenuta. “A proposito di avventura, che ne diresti di un’altra?”
Tauriel inarcò un sopracciglio, all’improvviso sospettosa. “Di che genere di avventura si tratta?”
“Beh, hai sentito Lord Dàin: lui resterà a dirigere le cose qui mentre noi torniamo a casa a radunare il resto della nostra gente. E così ho pensato che forse sarebbe meglio...” esitò per un attimo, con un certo imbarazzo. “Che sarebbe meglio se tu, ecco, venissi con noi. Se ti va, naturalmente,” aggiunse in fretta, con un luccichio di speranza negli occhi.
Tauriel considerò la proposta. Sembrava in effetti una buona idea: molti dei Nani che aveva iniziato a conoscere e stimare avrebbero accompagnato il loro giovane sovrano, e poi, con Kìli lontano, le sarebbero mancati il suo appoggio e il suo aiuto, qualora ne avesse avuto bisogno. Senza parlare del fatto che aveva una certa attitudine a farsi quasi uccidere ogni volta che se ne presentava l’occasione, e lei era diventata piuttosto abile nel salvargli la vita. Sì, a prima vista la proposta sembrava perfettamente logica; eppure ella esitava. All’interno delle imponenti mura di Erebor esisteva come una barriera invisibile tra loro, una sorta di ‘terra di nessuno’ che impediva a ciascuno dei due di compiere la sciocchezza di sconfinare, anche se il rischio era sempre concreto; se fosse partita insieme a lui, quella barriera non sarebbe esistita più. Il cuore le battè più forte in petto. Vedeva bene che egli era ansioso di svestire i panni regali e mettersi in viaggio per motivi ben più profondi che il semplice rivedere sua madre, e si chiese se non fosse lei una di quei motivi.
“Verrò,” rispose prima ancora di rendersene conto. “Qualcuno dovrà pur tenerti d’occhio.”
Kìli rise, ovviamente compiaciuto della sua decisione, e le strinse le mani con entusiasmo. “In effetti sembri piuttosto esperta nel tenermi fuori dai guai.”
Tauriel gli restituì il sorriso, cercando di ignorare il calore che la sua stretta le trasmetteva: si sentiva quasi girare la testa. “Sebbene neanche i Valar sappiano perchè.”
Loro magari no, ma io lo so benissimo, pensò, sentendosi sempre più a disagio.
Non potrà mai essere, Tauriel. Mai.

~
 
Alcuni giorni dopo Ori, seduto sulla sua branda, fissava con una certa perplessità un pezzo di sapone color rosa pallido: se lo portò vicino al naso, lo annusò e subito si mise a starnutire, poi lanciò l’oggetto incriminato nella sacca di Tauriel e si strofinò il naso. “Che cos’è quella robaccia? Sa terribilmente di giardino!”
Tauriel rise allegramente mentre piegava con cura due tuniche per ottimizzare lo spazio del suo bagaglio. “È sapone, mastro Ori, di certo ne avrai sentito parlare.”
Il Nano arricciò il naso con disgusto. “Sì, ma il nostro sapone non puzza di fiori e condimenti.” Poi prese la sua spazzola con il dorso d’argento, un tempo appartenuta a sua madre, e la osservò attento, facendo scorrere un dito sui denti che vibrarono dolcemente. Sembrò apprezzare in particolare la fine lavorazione del manico.
“Certo che gli Elfi ci tengono un sacco ai capelli,” proseguì reggendo un vasetto d’unguento tra due sole dita, come se contenesse chissà quale sostanza rivoltante.
“E i Nani no?” rispose lei sollevando un sopracciglio alle intricate trecce della sua chioma.
Il giovane Nano sbuffò. “È diverso. Noi ci acconciamo i capelli al massimo una volta al mese, di solito dopo aver fatto il bagno.”
Tauriel si bloccò, sicura di aver sentito male. “Mi stai dicendo che voi Nani fate il bagno solo una volta al mese?”
“Ma certo! Sarebbe un vero peccato sprecare tutti quei preziosi oli essenziali. Almeno è quello che dice sempre mia madre.”
Tauriel rabbrividì e strinse le labbra; se vivendo a Erebor avrebbe potuto fare il bagno una sola volta in tutto un dannato mese, che i Valar l’aiutassero. Decise di cambiare argomento. “Come sono le vostre donne? Non ne ho mai vista una.”
“Già, ma del resto lasciano le grotte raramente, e poi non ce ne sono tante quanti gli uomini,” rispose Ori giocherellando con un laccio di cuoio che di solito lei usava per legarsi i capelli. Gliel’aveva dato Legolas e il cuore le si strinse al ricordo.
“Ed è vero che anche loro hanno la barba?”
Ori annuì entusiasta. “Certo, anche se non lunga o folta come quella degli uomini.” E si tirò la propria barba, un pò più lunga di quella di Kìli ma sempre meno rispetto agli altri suoi compagni. Tauriel s’interrogò, non per la prima volta, sull’importanza della lunghezza della barba: sapeva solo che era un segno distintivo per i Nani, niente di più. Anche perchè essi erano molto gelosi riguardo i propri costumi e lei era grata a quelli che, come Ori, tolleravano la sua presenza e conversavano con lei.
“Balin dice che Mahal ci ha creati, uomini e donne intendo, per essere tutti uguali. Loro però sono un pò più basse e più snelle di noi; e poi, beh, ci sono altre caratteristiche che le rendono distinguibili.” Tauriel sorrise nel vederlo arrossire.
“E combattono bene come gli uomini?” gli chiese ancora, riponendo l’ordinata pila di tuniche nella sacca.
Ori s’illuminò visibilmente a quel complimento indiretto. “Oh sì, molte di loro sono ottime guerriere. Anche se non vanno in giro a vantarsene, almeno credo. È contro le nostre leggi uccidere una donna Nana in combattimento, almeno consapevolmente. Per noi è il crimine più grande di cui un Nano possa macchiarsi,” disse con voce solenne. “Anche se, sai... la leggenda dice che l’unico Nano veramente in grado di battere Thorin in duello fosse sua sorella Dìs.”
Tauriel drizzò le orecchie a quell’accenno alla misteriosa madre di Kìli. “E com’è lei... la Principessa?”
“Oh, è una veramente tosta, anche se credo sia inevitabile con dei figli come i suoi...” La voce del giovane Nano si spense in un sussurro, la tristezza gli attraversò i lineamenti.
Tauriel, intenerita, gli pose una mano sulla spalla. “Mi dispiace, Ori, non intendevo rattristarti.”
Lui sorrise fissandosi le mani. “Va tutto bene, solo non mi sono ancora abituato all’idea.”
Tauriel gli sedette accanto e, dopo un momento di silenzio, gli mise un braccio intorno alle spalle. “Sai, quando qualcuno del mio popolo muore noi cantiamo canzoni in suo onore e raccontiamo storie, storie felici sulla sua vita, perchè sappiamo che ha attraversato il grande mare ed è ormai libero da sofferenza e paura.”
Egli la guardò con occhi brillanti. “Sembra molto bello. Forse quando torneremo a casa potremo organizzare anche noi una celebrazione come si deve in onore di Thorin e Fìli.”
Tauriel gli diede una strizzatina affettuosa. “Sono certa che Kì–che tutti lo apprezzerebbero.” Arrossì alla propria svista, ma Ori non diede segno di averla notata e le poggiò la testa sulla spalla.
“Sembra sciocco andarsene ora che siamo appena arrivati,” borbottò poi, districandosi virilmente dal suo abbraccio. E pensare che aveva trascorso ore a tormentare Dwalin finchè il burbero Nano, esasperato, non gli aveva consentito di andare con loro, se non altro per farlo tacere.
Tauriel si alzò in piedi e di nuovo ricontrollò minuziosamente il proprio bagaglio. “Vedrai che saremo di ritorno prima ancora di accorgertene,” gli disse allegra.
Il giovane Nano si alzò a sua volta per aiutarla, di nuovo tutto sorrisi. Dopo un pò Tauriel lo vide perso nella contemplazione dei suoi pugnali, gli occhi colmi di ammirazione e invidia, e senza pensarci troppo gliene offrì uno in dono. Ori l’abbracciò entusiasta e poi corse fuori per farlo vedere a Bofur, e Tauriel si rese conto, non senza una certa sorpresa, che Kìli non era l’unico Nano a cui cominciava ad essere profondamente affezionata.

~
 
Partirono all’alba del giorno seguente. L’autunno iniziava lentamente a cedere il passo all’inverno e la piccola compagnia – Kìli, Dwalin, Gloin, Bofur, Bombur, Ori, il figlio di Dàin e Tauriel – era ben coperta con mantelli e pellicce. Dàin e Bard li accompagnarono fino alle porte di Dale: molti Uomini erano già al lavoro in città, rimuovendo detriti e sporcizia e cercando di renderla finalmente un posto ancora vivibile. Tauriel ripensò alla bambola di porcellana che vi aveva trovato e il cuore le si alleggerì al pensiero che presto altre bambine sarebbero giunte lì a giocare riportando la vita laddove per troppo tempo avevano indugiato morte e rovina.
“Vorrei solo poter venire con voi, amico mio,” disse Bard con sincero rammarico posando una mano sulla spalla di Kìli; egli gli strinse l’altra di rimando.
“C’è bisogno di te qui. E poi qualcuno dovrà pur tenere Dàin in riga,” gli rispose con un ghigno, mentre l’altro Nano brontolava amichevolmente da sotto la barba.
Il figlio di Dàin, Thorin III, stava immobile al fianco di Kìli mentre suo padre ricontrollava attentamente il suo equipaggiamento. Sembrava una madre ansiosa che si preoccupa di nasconderlo, e Tauriel trovava la scena molto divertente.
Thorin III era molto giovane e somigliava in tutto e per tutto a suo padre: stessi capelli rossicci fittamente intrecciati, stessa barba rossa – anche se la sua era molto più corta – e stesso petto ampio. Portava due asce dall’aspetto micidiale incrociate sulla schiena e diverse accette infilate nella cintura, sul davanti. Tauriel si domandò perchè mai tutti loro sentissero il bisogno di portarsi così tante armi appresso: doveva essere una cosa insita nella cultura dei Nani, anche perchè erano tutti combattenti abili e valorosi. Lo stesso Kìli, vestito di pelle e cuoio ben ingrassato, portava con sè la spada, l’arco e almeno quattro pugnali visibili. Comunque sembrava molto più felice adesso che con i suoi abiti formali. Un sentimento che Tauriel condivideva in pieno: anche lei si sentiva molto più a suo agio solo con la divisa di pelle, l’arco sulla schiena e la spada e il pugnale appesi ai fianchi.
“Mi raccomando, ragazzo, dà retta al Re e bada di non causare problemi inutili,” stava dicendo Dàin al suo evidentemente esasperato figliolo forse per la terza volta da che avevano lasciato la montagna; il giovane Thorin levò gli occhi al cielo.
“Sì, Pà, ma adesso piantala con tutte queste smancerie, sei peggio di Mà,” borbottò arrossendo e districandosi dall’abbraccio del padre.
Dàin lo acchiappò brevemente per un orecchio. “D’accordo, d’accordo. Fà buon viaggio e vedi di non rischiare il collo, altrimenti tua madre ce la farà pagare cara a tutti e due.”
“Niente paura, mio signore,” disse allegramente Bofur piazzando un braccio sulle spalle del giovane Nano, che parve sorpreso e piuttosto seccato dal gesto. “Ci pensiamo noi a tenere il tuo ragazzo fuori dai guai!” Vi era una sorta di giocosa minaccia negli occhi del Nano che il più giovane sembrò cogliere, perchè si scostò leggermente da lui. Tauriel ebbe la sensazione che con quel viaggio stesse per iniziare anche un certo cammino di iniziazione e si morse le labbra per nascondere il divertimento.
Dàin rivolse la sua attenzione a Kìli. “Tenete gli occhi aperti nella foresta, ragazzo. Anche se c’è l’Elfa con voi quel posto è infido, lo sai bene anche tu.” E le scoccò un’occhiata che la diceva lunga su quanto poco si fidasse di lei. Tauriel non se la prese più di tanto: neanche lei si fidava troppo di lui.
“Faremo attenzione, Dàin, non preoccuparti. Tauriel conosce molti sentieri attraverso la foresta, saremo di ritorno in men che non si dica.”
“Certo,” disse Dàin con un sorriso quasi paterno, e se lo tirò vicino per un rude abbraccio accompagnato da una pacca sulla schiena così forte che Tauriel rabbrividì di riflesso. “Che Mahal ti protegga, ragazzo.” Si fece indietro e i suoi occhi luccicarono sospettosamente; poi gli rivolse un profondo inchino. “Mio Re.”
Bard lo imitò subito, così come il resto della compagnia originale di Thorin e tutti coloro che si erano lì raccolti per salutarli. Tauriel, intenerita, notò che Kìli sembrava intimorito e imbarazzato; ma poi colse lo sguardo di lei e allora la sua espressione si tramutò in un sorriso luminoso che la scaldò dalla cima dei capelli alla punta dei piedi.
Si prepararono a partire tutti ben carichi di provviste, sia loro che i cavalli, quando all’ultimo momento Dàin richiamò l’attenzione di Kìli; le orecchie sensibili di Tauriel colsero le parole che egli bisbigliò all’orecchio del suo Re.
“Tieni a mente la mia proposta, ragazzo: unirebbe le nostre famiglie e i nostri regni, per il bene di tutti.”
Con la coda dell’occhio vide Kìli indurire la mascella e lanciarle un’occhiata furtiva, che durò giusto un istante. “Certo. Ne riparleremo quando tornerò, te lo prometto,” rassicurò il Nano più anziano prima di montare in sella.
Accigliata e stranamente turbata da quel misterioso scambio di battute, Tauriel lo imitò. Ori la raggiunse alla sua destra con un sorriso di raggiante felicità che ella non fu in grado di ricambiare con lo stesso entusiasmo; voltandosi poi a sinistra vide il figlio di Dàin che la fissava con occhi carichi di sorprendente ostilità.
Il giovane Thorin si sporse minaccioso verso di lei. “Ti tengo gli occhi addosso, Elfo” sibilò. “Il Re si fiderà di te, ma stà pur certa che io e mio padre no. Tu tenta solo il minimo scherzetto e te la vedrai con la parte sbagliata della mia ascia.”
Per essere un giovanottello irsuto il fegato non gli mancava, bisognava ammetterlo.
Tauriel gli rivolse un sorrisetto freddo e calcolatore. “Mi fa piacere vedere che ci capiamo, Nano” disse. Poi, senza attendere risposta, gli voltò le spalle e fece andare il suo cavallo al trotto mentre il resto della compagnia si dirigeva verso le rovine di Pontelagolungo, lasciandosi dietro la Montagna Solitaria.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO VIII: I legami che ci vincolano ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

I wanna feel your touch
It's burning me like an ember
Pretending is not enough
I wanna feel lost together
So I'm giving in
So I'm giving in
To the trouble I'm in.


- Trouble I'm In, Twinbed
 
~
 
“Mi raccomando Ori, vacci piano con Gimli quando torneremo a casa: sai quanto ci tenesse a venire anche lui,” ordinò Gloin severamente al giovane Nano, che si limitò a ghignare con una certa malizia. Il sole splendeva luminoso su di loro e Tauriel era di ottimo umore. Aveva sempre amato cavalcare, sentire i muscoli scattanti dell’animale sotto di lei e il vento tra i capelli. Troppo a lungo era rimasta imprigionata tra alberi oppressivi e doveri imperativi, troppo tempo era trascorso da che aveva visto il cielo azzurro su di lei. Certo, ritrovarsi dentro una montagna con un branco di Nani chiassosi e maleodoranti non l’aveva aiutata, ma se non altro aveva contribuito ad accrescere l’affetto che nutriva per loro.
“Sbaglio o ha cercato di intrufolarsi nella tua bisaccia?” domandò Kìli con un gran sorriso. Era più allegro di quanto Tauriel non lo vedeva da settimane, sedeva fiero ed eretto in sella al suo pony, vestito di broccato blu scuro bordato di pelliccia e dalla sua lucente armatura. Il suo sorriso spensierato faceva al suo cuore cose irripetibili e gli occhi di lui si spostavano sui suoi troppo spesso perchè fosse una coincidenza. Trovava sempre qualche scusa per cavalcare accanto a lei e si ritrovavano a conversare insieme per gran parte della giornata.
Cavalcavano ad un ritmo costante, ma senza fretta, e anche se la strada era lunga era chiaro che intendevano prendersela con calma, almeno fino a che Erebor fosse fuor di vista.
“Sai bene che non l’ha fatto,” brontolò Gloin contrariato.
“Sì che l’ha fatto, e ha tentato persino di ficcarsi nella pelliccia di Bombur! Dopotutto c’è spazio per almeno tre Nani là dentro,” intervenne Bofur, e tutti scoppiarono a ridere mentre Gloin si accigliava ancora di più e Bombur pareva vagamente offeso.
“Dimmi,” gli chiese Tauriel quando l’ilarità si fu calmata, “quanti anni ha tuo figlio?”
Il petto di Gloin si gonfiò d’orgoglio paterno. “Sessantatrè il mese prossimo. Non faccio per vantarmi, ma è in gamba il mio ragazzo.”
Tauriel aggrottò la fronte. “Temo di non saperne ancora abbastanza di Nani... è un’età molto giovane per voi?”
“No, affatto. Un Nano è considerato pienamente adulto quando raggiunge i quarant’anni, ma Thorin ritenne che fosse meglio non portarlo con noi, sebbene non sia tanto più giovane del nostro Re qui. Ed è anche più anziano del giovane Thorin.”
Kìli arrossì leggermente a quelle parole e Thorin si accigliò, mentre Tauriel si limitò a sorridere. “E quanti anni ha il Re, di preciso?” chiese scostandosi i capelli da una spalla, un pò per curiosità e un pò per scherzare. Kìli le lanciò un’occhiata a metà tra l’accusa e la supplica e lei gli rivolse un sorriso forse un pò troppo sfacciato.
“Beh, ne ha compiuti settantasette da poco, dico bene ragazzo?”
“E tu, mastro Gloin?”
Il Nano rise di cuore. “Ho centocinquantanove anni, mia signora.” E le fece un galante inchino accompagnato da un ampio gesto della mano.
“Quanti anni hai tu, Elfo? Una decade, forse?” sbottò il giovane Thorin in quel momento. Kìli gli lanciò un’occhiata di avvertimento, ma Tauriel non si scompose: ci voleva altro che un giovanotto sgarbato per guastarle l’umore.
“Suvvia, ragazzo,” disse Bofur, “non si chiede l’età a una signora. La tua mamma non ti ha insegnato niente?”
Il giovane Nano sbuffò sdegnato, ergendosi in tutta la sua altezza – poco più di quella di Ori – e scoccandole occhiate affilate come pugnali. “Io non vedo nessuna signora qui, vedo un Elfo.”
“Ora basta,” intervenne Kìli con durezza, l’ira che gli attraversava i lineamenti; ma Tauriel levò una mano con fare noncurante.
“Ho seicentosettantatrè anni, mastro Thorin.”
Tutti la guardarono sbalorditi e stavolta toccò a lei arrossire; Kìli in particolare sembrò quasi... offeso, perchè si affrettò a distogliere lo sguardo da lei.
“Non è considerata un’età molto avanzata tra la mia gente,” aggiunse nervosamente Tauriel, chiedendosi cosa pensasse lui adesso che aveva ricevuto quella notizia. La riteneva troppo vecchia? Perchè sembrava così turbato? E perchè le importava tanto? “Il mio signore Legolas, ad esempio, ha ben oltre duemila anni. Di fatto, io sono una dei pochi ad avere questa età. Il mio popolo non fa figli con la stessa regolarità delle altre razze.”
Ori sgranò gli occhi al punto che parvero quasi uscirgli dalle orbite e Bofur fischiò; ma Tauriel fu distratta dal familiare dolore che sempre la coglieva al pensiero del suo Principe, suo migliore amico e confidente, e girò il viso dall’altra parte per nascondere il turbamento. Kìli dovette averlo notato, però, perchè si sentiva i suoi occhi addosso. Strinse forte le redini. Lo sguardo di lui le faceva battere il cuore e cantare il sangue ma la faceva anche sentire diffidente, spaventata da sè stessa e dalle proprie reazioni. Le pareva di non essere mai del tutto in sè quando lo aveva vicino – o forse lo era troppo.
Proseguirono in silenzio per un pò mentre il sole cominciava ad abbassarsi nel cielo, e Tauriel scrutò l’orizzonte. Il terreno era brullo, salvo che per poche dolci colline, ma il Reame Boscoso era da qualche parte a nord-ovest e di là da esso vi era la loro destinazione.
“Cavalchiamo dritti fino a Ered Luin?” ella chiese a Kìli mentre gli altri erano impegnati in una conversazione sulla ricostruzione di Erebor.
“Nah,” rispose lui. “Abbiamo mandato dei messaggeri, la nostra gente ci incontrerà tra le Montagne Grigie.”
“Non sapevo che ci vivessero ancora dei Nani,” disse lei con curiosità.
Kìli sorrise. “Hai ragione, non ci vivono. Ma le città sono ancora lì e le usano come avamposti temporanei in caso di necessità.”
“Non è troppo pericoloso con Gundabad così vicina?”
“Abbiamo mandato degli esploratori in avanscoperta prima di partire: il Torrione è sempre vuoto, tranne che per qualche orco qua e là. Con un pò di fortuna raggiungeremo il luogo dell’incontro prima di loro e potremo assicurarci che sia libero. Comunque dovrebbe esserlo: molti dei guerrieri sono rimasti là quando la nostra compagnia è partita.”
Tauriel aggrottò le sopracciglia. “E perchè? Thorin non era anche il loro Re?”
Kìli si rabbuiò e sospirò. “Dopo la caduta di Erebor,”  iniziò scegliendo con cura le parole, “i nostri Clan si sono divisi ancora di più. Mio nonno era riuscito a sistemarci abbastanza dignitosamente sulle Montagne Blu e noi eravamo contenti di stare lì; pensavamo che col tempo ne avremmo fatto un regno grandioso almeno quanto lo erano stati Belegost e Nogrod. Ma mio nonno non era soddisfatto, non si rassegnava a lasciare Erebor al drago; così prese un drappello di soldati e marciarono alla sua riconquista...” Tacque per un momento, gli occhi oscurati dal dispiacere. “...Furono tutti uccisi, e lui catturato. Thorin aveva sempre creduto che fosse ancora vivo fino a quando Gandalf non gli disse che era morto nelle prigioni di Dol Guldur.”
Tauriel stese una mano sulla sua spalla. “Mi dispiace, Kìli.”
“Va tutto bene,” le rispose lui con un sorriso. “Non l’ho mai conosciuto, è morto una decina d’anni prima che io nascessi... ma so che mio zio non si riprese più dalla sua perdita. Però, ecco, fu questo fallimento che scoraggiò la mia gente dal riprovarci per così lungo tempo.”
“Cosa indusse Thorin a tentare?” chiese ancora lei con un pò d’incertezza, non sapendo se fosse giusto spingerlo a parlare ora che le ferite erano ancora così fresche; ma Kìli sembrava disposto a raccontare e lei era ansiosa di ascoltarlo.
“È stata opera di Gandalf,” le rispose con un ghigno divertito. “Gli disse che i tempi erano maturi, che le antiche profezie stavano per avverarsi; tipico discorso da stregone, in realtà, ma in più aveva una mappa... e una chiave.”
“Una chiave?”
“Già, una chiave per un passaggio segreto sotto la montagna. Thorin cercò di ottenere il supporto degli altri signori dei Nani, ma senza l’Archengemma e con il fallimento di suo padre... beh, diciamo che non erano entusiasti all’idea.”
“È per questo che...?” cominciò lei per poi interrompersi, incerta sul chiedergli o meno dell’ossessione di Thorin.
Ma Kìli le rivolse un sorriso comprensivo. “L’Archengemma era il simbolo della nostra stirpe, la stirpe dei figli di Durin, ma credo che fu soprattutto la mancanza del loro sostegno a... a turbarlo più di tutto.”
“Ma tuo zio non aveva un Anello del Potere? Mi sembrava che uno di essi fosse stato affidato a voi.”
Kìli si guardò torvamente le mani strette intorno alle redini. “Un altro tesoro perduto a causa degli orchi. Mio nonno lo indossava quando venne catturato, è nelle loro mani ora.”
“Kìli... mi dispiace.”
Egli sospirò e si passò una mano sul viso, con un sorriso incerto. “Non devi, non è certo colpa tua.” Dopo un momento di esitazione, stese un braccio e le prese una mano. “Sono felice che tu sia qui con noi, Tauriel. Il mio popolo è capace di serbare il rancore a lungo, ma... in te io vedo la speranza di superare gli antichi conflitti.”
La sua voce era morbida, quasi roca, i suoi occhi la scrutavano intenti; lei arrossì e chinò il capo. “Mi attribuisci troppa importanza, mio signore. Desidero solo servire il mio popolo al meglio delle mie possibilità.”
Lui sorrise ancora e le lasciò la mano, non senza prima aver passato delicatamente il pollice sulle nocche, gesto che le trasmise un piacevole fiotto di calore in tutto il corpo. Tauriel sentì il bisogno impellente di avere spazio, di respirare liberamente, di riprendere il controllo.
“Vado in ricognizione,” gli disse e lui annuì brevemente, gli occhi pensosi e ancora scrutatori mentre lei spronava il cavallo.
Cedendo a un impulso improvviso lo spinse fino al galoppo, il cuore che le batteva più velocemente. Lo faceva spesso anche da bambina, prima che le porte di Bosco Atro iniziassero a restare chiuse più di quanto non fossero aperte, quando i suoi genitori erano ancora vivi e il suo cuore ancora puro e leggero; ma stranamente, nonostante tutto, si sentiva leggera anche adesso e galoppò sempre più velocemente, come sotto la promessa di un futuro radioso.
Dopo un pò fece arrestare il cavallo e l’animale sbuffò la propria approvazione per quell’esercizio. Con il mondo che le si estendeva davanti, Tauriel si concesse un momento di egoismo e iniziò a pensare a cose che non avrebbe dovuto. Chiuse gli occhi mentre il vento le accarezzava il viso e pensò ad altri occhi, scuri e profondi, ad un viso bello e forte, a mani grandi e calde. Non c’era nessun altro lì, nessuno che studiasse la sua espressione, che cercasse di indovinare i segreti più reconditi del suo cuore.
Per quei brevi, esaltanti momenti permise a sè stessa di amarlo, ripromettendosi che le sarebbe bastato; doveva bastarle, perchè era tutto ciò che avrebbe mai avuto.

~
 
Tre giorni dopo si accamparono nella brughiera che sovrastava Pontelagolungo; la compagnia, allegra e spensierata durante tutto il giorno, era diventata più silenziosa e riflessiva man mano che si avvicinavano alle rovine della città. Ciascuno tirò su la tenda e nutrì il proprio cavallo senza dire molto, persi com’erano nei propri pensieri. Tauriel aveva l’impressione di avvertire ancora un debole odore di zolfo e di sentire il battito di grandi ali nel cielo limpido; rabbrividì suo malgrado e si strofinò le braccia, mentre il sapore della cenere le tornava in bocca e la mente le si affollava di immagini di lingue di fuoco e grida strazianti. Così tanta morte, e la grande oscurità che cresceva a est ne prometteva altra ancora.
Dopo cena, Kìli la sorprese estraendo un violino dalla propria sacca.
“Sì,” approvò gravemente Dwalin tentennando il capo e alzando un boccale di idromele. “Ci vuole una canzone in una serata come questa.”
Per un pò Kìli accordò il suo strumento in silenzio, stringendo ogni corda con la facilità e la cura che derivavano dalla lunga pratica; poi, con un respiro profondo, intonò una melodia lenta, evocativa e molto bella. Per un istante una nota solitaria echeggiò nella notte incipiente, e poi iniziò a cantare: il calore della sua voce forte, chiara e sicura affluì fino a lei come il basso rintocco di una campana.
 
Giovane era il mondo, e le montagne verdi
Ancora sulla Luna macchia non era da vedervi,
Nessuna parola su fiume o rupe eretta in aria,
Quando Durin destatosi camminò in terra solitaria.

 
Dwalin si unì alla strofa successiva, la voce profonda che sembrava vibrarle sotto i piedi. C’era reverenza e Storia nelle parole e improvvisamente il passato pendeva greve su di loro.
 
Diede nome ad anonimi colli e vallate,
Bevette da sorgive ancor mai assaggiate;
Egli si chinò per guardare nel Mirolago,
E di una corona di stelle vide il contorno vago;
Parean gemme incastonate in argento,
Sulle ombre del suo bel capo intento.

 
Anche gli altri si unirono al canto, guidati dalla voce dolce del violino. Kìli suonava e cantava ad occhi chiusi, i lineamenti del viso soffusi di passione e ricordo. Tauriel non riusciva a staccare gli occhi da lui, perchè era più bello di qualsiasi cosa avesse mai visto fino a quel momento. Improvvisamente, tutto ciò che esisteva tra loro non era che luce e canto.
 
Bello era il mondo, ed alti i monti ignoti,
Prima della caduta, nei Tempi Remoti,
Dei potenti re che son fuggiti via
Da Nargothrond o Gondolin che sia
Dai Mari Occidentali sull'altra sponda:
Ai tempi di Durin la terra era gioconda.
Era re su di un trono intarsiato
Fra saloni dal gran colonnato;
Sul capo i soffitti d'argento,
Su porte le rune del potere, e d'oro il pavimento.
Di sole, luna e stelle il bagliore infocato
Nei lampadari lucidi di cristallo molato,
Che sempre splendidi e imponenti brillavano,
E che mai nubi e ombre di notte offuscavano
.”
 
La melodia si spense lentamente lasciandola con uno strano senso di vuoto, come se qualcosa le fosse stato portato via senza che se ne accorgesse. Lo sguardo di Kìli incontrò il suo ma si accorse che non riusciva a sostenerlo, non con il cuore che le rimbombava così forte nelle orecchie.
Dopo un lungo istante di silenzio Ori si girò a guardarla, gli occhi scintillanti. “Vorresti cantarci una canzone del tuo popolo, Tauriel?”
Ella arrossì incerta alla richiesta e lanciò una rapida occhiata a Kìli al di là del focolare: gli occhi di lui erano intensi e profondi, le fiamme gettavano ombre taglienti sul suo viso. Nel suo sguardo vi era un ardore che la fece fremere come per una sorta di anticipazione: c’era determinazione in esso, come se fosse giunto a una qualche conclusione, come per la promessa di qualcosa che stava per arrivare.
“Sì, ragazza,” la incoraggiò Bofur. “Cosa canta il tuo popolo quando vuole ricordare?”
Il giovane Thorin – che era rimasto in silenzio per tutta la serata – le lanciò un’occhiataccia e si alzò, dirigendosi a passi pesanti verso la sua tenda e scomparendo all’interno; ma tutti gli altri gli prestarono ben poca attenzione. Guardavano lei, in un silenzio carico di aspettativa. Tauriel prese un respiro profondo e fissò il fuoco mentre il cuore le si gonfiava: iniziò a cantare prima ancora di rendersene conto, e la sua voce intonò la canzone preferita di sua madre. Tra il suo popolo non era nota per avere una voce straordinaria e aveva sempre lasciato il canto e le danze a coloro cui quelle arti si addicevano di più; lei preferiva un altro tipo di danza, e il suo pugnale sapeva cantare molto meglio di lei. Lasciò di nuovo vagare lo sguardo e di nuovo i suoi occhi incontrarono quello del giovane Re Nano: lo sostenne fino a che non cantò solo per lui e il mondo tutto intorno cadde via, nella luce delle stelle. Aveva l’impressione che il cuore le sfuggisse dal petto per prendere il volo nelle parole stesse della canzone. Si chiese se non si provasse lo stesso ad annegare, scivolare poco alla volta sempre più a fondo, incapaci di risalire in superficie.
Quando l’ultima nota s’innalzò nella notte, vide una singola lacrima scivolare lungo la guancia di Kìli; egli trasalì e se l’asciugò in fretta, interrompendo il contatto visivo e riportandola alla realtà. Tauriel si ritrovò senza fiato, il viso le scottava e lo stomaco le si contorceva; balzò in piedi, passandosi nervosamente le mani sugli abiti e incapace di guardare in faccia chiunque di loro.
“S–starò io di guardia stanotte,” disse uscendo fuori dal cerchio di luce; le serviva un momento per riprendersi. I Nani la lasciarono andare senza dire una parola ma lei si sentiva i loro occhi addosso: aveva commesso un terribile sbaglio, aveva rivelato troppo di sè stessa.
Dopo aver recuperato arco e frecce dalla sua piccola tenda, camminò fino a raggiungere una stretta curva che dava sull’orlo della valle sottostante, e lì si sistemò. Da quel punto la vista di Pontelagolungo era straziante, una macchia nera nell’oscurità che si faceva più lugubre man mano che avanzava. Le torri in rovina sembravano dita contorte e carbonizzate che si allungavano verso la notte incipiente, sottili colonne di fumo ancora s’innalzavano qua e là formando una nebbia spessa e torbida che sovrastava l’intera città. Quanto ancora sarebbe occorso prima che il fumo si diradasse completamente, ella si domandò, quanto prima che la morte di tutti coloro che erano lì caduti venisse dimenticata?
Ma non doveva lasciare che i suoi pensieri la distraessero, anche se lottava per tenerli a bada.
Aveva commesso un errore a partire con i Nani, a venire in mezzo a loro. In cuor suo aveva intuito il pericolo da lungo tempo, conosceva la fonte della sua confusione e i motivi che si celavano dietro i suoi sentimenti fuori luogo; eppure aveva indugiato, pensando scioccamente di poterli controllare. Era stata stupida a credere che quel che c’era tra loro avrebbe potuto crescere e prosperare.
Quale posto poteva trovare nel mondo un amore come il loro? Lui era il Re di quasi un intero popolo mentre lei era poco più che una serva bandita, le loro razze sarebbero sempre state in conflitto. Lui avrebbe sposato una donna della sua gente e quell’unione avrebbe riportato la pace tra i Clan da troppo tempo dispersi. Nel profondo del suo cuore ella sapeva che era questo che Lord Dàin aveva accennato a Kìli prima della partenza: un’unione tra le rispettive famiglie, un legame che avrebbe risanato eventuali ferite rimaste aperte, un’alleanza che era solamente saggio stringere. Aveva senso, era la cosa migliore da fare; e allora perchè le faceva così male? Amarla avrebbe significato per lui la rovina, li avrebbe rovinati tutti...
“Tauriel.”
Ella si morse le labbra per trattenere un gemito quando udì la voce bassa che la chiamava e il raschiare degli stivali sul terreno arido. Avrebbe dovuto sentirlo avvicinarsi, ma quando si trattava di lui i sensi le si obnubilavano; una ragione di più per fermarsi, per ritornare alla sua gente prima di peggiorare ulteriormente le cose e coprirsi di vergogna. Ma cosa pensava, in fin dei conti? Di poter restare per sempre con loro?
“Tauriel,” sussurrò ancora Kìli avvicinandosi a lei, la voce roca e carica di desiderio. Non poteva guardarlo e non doveva farlo; ma del resto non ce n’era bisogno. Sentiva lo stesso il rimbombare del proprio cuore, il calore di lui che emanava fino a lei, lo sguardo triste e tenero dei suoi occhi.
Dopo un lungo e teso istante di silenzio, egli le sedette accanto con un sospiro esitante; Tauriel si portò le ginocchia al petto e fissò lo sguardo sugli ultimi raggi del sole che svanivano dietro gli alberi della sua terra natìa, in lontananza. Una volta quegli alberi le avevano offerto un santuario, un luogo cui appartenere; a guardarli adesso, invece, le parevano una gabbia, un mezzo per difenderla e nasconderla perfino da sè stessa, e al solo pensiero di farvi ritorno il cuore le si ribellava.
“Non dovresti essere qui,” gli disse alla fine. Erano abbastanza vicini da potersi toccare e un’energia potente pareva scaturire tra loro come un filo invisibile ma indistruttibile. Come sarebbe stato facile prendergli una mano e intrecciare le dita alle sue, lasciar riposare la testa sulla sua spalla, annusare il profumo dei suoi capelli e della sua pelle – un misto di pelle e metallo e cavalli con una punta di qualcos’altro, qualcosa di più nitido e più muschiato. Le mani le si agitarono contro le gambe e si costrinse a tenerle a bada, con un fremito.
Kìli ridacchiò, una risata rude e priva di emozioni. “Forse no, ma non potevo restare in disparte, non quando–”
“Non dirlo,” lo interruppe in un soffio. “Non devi dirlo, non puoi.” Non avrebbe sopportato di sentirglielo dire. Stava perdendo quasi del tutto il controllo e se lui avesse pronunciato quelle parole lei non avrebbe avuto più nulla con cui difendersi e le sarebbero rimasti solo amari, dolorosi rimpianti.
Egli trasse un breve respiro e si alzò in piedi, camminando fino al bordo del crinale; gli ultimi sprazzi di luce proiettavano l’ombra del suo corpo fino a lei. Una volta l’aveva paragonata ad un sogno, a qualcosa di remoto e impenetrabile, ma in quel momento era lui ad apparire etereo, intoccabile, irraggiungibile.
Come se le avesse letto nel pensiero, Kìli parlò. “Ricordo quella notte a Pontelagolungo come fosse accaduta solo pochi istanti fa,” sussurrò, così piano che, non fosse stato per le sue sensibili orecchie elfiche, non l’avrebbe udito.
Tauriel sussultò a quell’ammissione. Aveva creduto che stesse delirando, che stesse troppo male per rendersi conto di ciò che diceva e del significato delle sue parole; ma, in cuor suo, aveva sempre saputo come stavano le cose. Le era bastata una sola occhiata per capire che lui ricordava e che era stato completamente sincero nel pronunciarle.
“Mi sentivo scivolare via,” continuò lui a bassa voce. “In qualche posto oscuro ma caldo, quasi... invitante. Ma poi la tua voce mi ha richiamato indietro, mi ha riportato dall’ombra alla luce. Allora ho capito cosa intendevi quando mi parlasti della memoria e delle stelle. Tu eri così lontana da me, Tauriel, eppure non ho potuto fare a meno di raggiungerti.”
Si voltò verso di lei con occhi pieni di disperazione e sincerità, occhi che dicevano tutte le parole che lei lo aveva pregato di non dire. Il cuore le balzò in gola, lacrime le punsero gli angoli degli occhi.
“Kìli, ti prego,” lo implorò, lasciando scivolare di nuovo le gambe a terra. Ma lui avanzò fino a trovarsi davanti a lei come un uomo che ha bisogno di una tregua, come un uomo tornato finalmente a casa dopo un lungo viaggio. Sentiva il calore delle sue gambe così vicine alle sue mentre alzava gli occhi su di lui. Come profondamente assorto, egli stese una mano esitante e le accarezzò dolcemente una guancia; e sotto il suo sguardo, in quella dimostrazione di affetto, lei si sentì viva. La scosse e la terrorizzò al tempo stesso, mentre il suo viso si animava alle sue carezze.
Kìli piegò un ginocchio a terra, avvicinandosi ulteriormente, e le prese il viso con entrambe le mani. “Noi... abbiamo perso così tanto, Tauriel, tutti e due,” mormorò. La teneva con dolcezza, come se temesse di poterla rompere se stringeva troppo. Le sue mani erano forti, ruvide e callose, ma anche gentili e delicate. “C’è stato troppo dolore nelle nostre vite.” La sua voce tremò per un attimo e lui deglutì, i suoi pollici le carezzavano le guance in lenti cerchi, deprivandola oramai di qualsiasi pensiero coerente. “Come posso ora negare quel che c’è tra noi, questa luce, questo calore? Come può qualcosa di tanto puro e sincero essere sbagliato, amrâlimê?”
Ella non conosceva la parola, sussurrata nella lingua gutturale del suo popolo, ma sapeva riconoscere un termine affettivo quando ne udiva uno. Il modo in cui lui la pronunciava le mozzava il fiato e le faceva tremare il cuore. Il respiro di Kìli si fece più rapido mentre lasciava vagare le dita sulle sue orecchie appuntite, sul suo collo, tra i suoi capelli. Le sembrò di tornare in vita alle sue carezze, ogni parte di lei cantava e benediceva quel momento. Mai nella sua lunga vita aveva provato un sentimento simile. La sua gente non era nota per essere particolarmente ‘fisica’, almeno fino a che non trovavano un compagno e quel legame non sarebbe mai cessato, era destinato a durare per l’eternità. Paura e passione lottavano ora in lei, ma gli occhi di Kìli la tenevano salda.
“I tuoi capelli sono come bronzo fuso e fuoco puro insieme,” mormorò lui facendo scorrere le dita nella sua chioma in una carezza adorante, prima di riportarle sul suo viso. Gli occhi di Tauriel si chiusero di loro iniziativa e Kìli si chinò in avanti, e lei sentì il suo respiro caldo e umido e dolce di idromele sulla bocca. Due lacrime le sfuggirono da sotto le ciglia; lui gliele asciugò con i pollici. Ci fu una pausa, come la quiete prima della tempesta, il momento ideale per farsi indietro e risparmiare ad entrambi ciò che non avrebbe mai potuto essere.
Ma non poteva, non poteva più tirarsi indietro...
Il tocco delle labbra di lui sulle sue fu esitante e insicuro, ma dolce, oh così dolce e terribile e perfetto al tempo stesso. E quando lei non resistette lui premette di nuovo la bocca sulla sua, più forte e con più insistenza, riempiendole i sensi. Non avrebbe dovuto, lo sapeva, ma i Valar le furono testimoni che lo baciò anche lei. Lo baciò con un singhiozzo che era quasi un gemito mentre le sue dita si allungavano sulla corta barba di lui; le pungeva un pò la pelle, ma era una sensazione piacevole più che strana. Le sue mani si spinsero più in là e sentì la morbidezza dei suoi capelli, la linea decisa della sua mandibola, la curva delle sue orecchie, il battito possente e caldo del suo collo. Non si era mai sentita più in pace e più vera, era come se le stelle si fossero improvvisamente allineate in lei.
Egli si staccò da lei un attimo dopo, e così facendo portò via per sempre un pezzo di lei con sè. Tauriel chiuse di nuovo gli occhi e posò la fronte sulla sua, respirando la sua stessa aria e chiedendosi se sarebbe mai riuscita a tornare indietro; avrebbe dovuto?
Lui le accarezzò ancora i capelli e la baciò sulla fronte, sussurrando dolci parole nella propria lingua e nella sua; e tutti i pensieri oscuri si allontanarono da lei. Per la prima volta in molti anni sentì di appartenere di nuovo a qualcuno, e per un istante senza tempo... fu sufficiente.
Nessuno dei due notò la figura accovacciata tra le ombre che li scrutava intensamente.

~
 
NOTE DELL’AUTRICE: la canzone è quella cantata da Gimli (nel libro, chiaramente) in riferimento a Moria, anche se l’ho ridotta un pò; a dire il vero ero tentata di far cantare a Kìli “I see fire” di Ed Sheeran, ma per fortuna o purtroppo? la logica ha prevalso. Stupida logica (lol).
Nel libro si dice che Fìli e Kìli suonano il violino e ho pensato fosse divertente riproporre la cosa nella mia storia... e poi, cosa c’è di meglio di un Nano affascinante che suona il violino?
Oh, e... si sono baciati! Spero che non vi sia sembrato troppo... affrettato, ma avevo la sensazione che o glielo facevo fare adesso o non lo avrebbero fatto mai, ahah. E poi, dopo tutto il meraviglioso sostegno che mi avete mostrato fin qui, ho pensato che vi meritavate un pò di fluff~ :3

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Capitolo 9
*** CAPITOLO IX: Promesse nell'oscurità ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

Oh, I'm a mess right now
Inside out
Searching for a sweet surrender
But this is not the end
I can't work it out
How going through the motions
Going through us
And, oh, I've known it for the longest time
And all of my hopes
All of my words
Are all over written on the signs
When you're on my road
Walking me home, home, home, home, home
And though I've only caused you pain,
You know but all of my words will always be low
Although all the lies we spoke
When you're on my road
Walking me home, home, home, home, home.


-  I'm a Mess, Ed Sheeran

~
 
Smontarono sul limitare frastagliato di Bosco Atro e lasciarono i cavalli a pascolare sotto un cielo pesantemente offuscato da grosse nubi. L’aria pungente prometteva neve e s’infiltrava sotto le pellicce e le armature facendoli rabbrividire, screpolando loro le labbra e arrossando nasi e orecchie. Tauriel si tirò indietro il cappuccio del mantello e scrutò tra le ombre degli alberi, chiedendosi da quando fossero diventati così inospitali e minacciosi.
“Mi ero ripromesso di non mettere più piede in questo bosco maledetto,” brontolò Dwalin, incrociando le braccia robuste sull’ampio petto. “Non c’è proprio modo di aggirarlo?”
“Questo non è più il bosco della mia infanzia,” mormorò Tauriel, più che altro a sè stessa. Lo conosceva come il palmo della sua mano, naturalmente, ma insieme alla lenta decadenza del mondo esterno lo aveva visto cambiare sempre più. “L’oscurità cresce ancora al suo interno, una contaminazione che non è ancora stata spazzata via.” Allungò una mano per toccare un ramo e si domandò che cosa, ammesso che qualcosa esistesse, poteva ormai guarire la sua patria.
“È sicuro viaggiare al suo interno?” domandò Kìli venendole vicino. Si vedeva bene che il ricordo della sua precedente visita era ancora fresco nella sua memoria, i suoi occhi guizzavano con una certa apprensione sulle ombre mutevoli e sui pallidi sprazzi di luce. La foresta era certamente pericolosa per coloro che non sapevano dove mettere i piedi, ma iniziava a diventarlo persino per chi vi era nato e cresciuto. Le rimase accanto, la sua spalla le sfiorava un braccio e il respiro si condensava in una densa nuvola davanti al suo viso; la sua vicinanza le faceva sentire meno il freddo, meno acuta la malinconia. Diminuiva il suo timore dell’ignoto, si rese conto Tauriel con improvvisa chiarezza: le dava coraggio, come fossero soltanto loro due, schiena contro schiena a fronteggiare le tenebre del mondo. La voglia di prendergli una mano e stringerla forte si fece all’improvviso travolgente e dovette lottare per ricacciarla indietro.
“Posso condurti lungo sentieri sicuri,” gli rispose e quelle parole acquisirono d’un tratto un certo peso, mentre lo sguardo che si scambiavano si riempiva della rivelazione di ciò che c’era tra loro. Kìli le sorrise dolcemente e lei ricambiò, non senza una certa timidezza.
Erano trascorsi tre giorni da quella notte nella brughiera di Pontelagolungo e da allora non avevano condiviso altri momenti in privato; ma era innegabile che ci fosse adesso una maggiore consapevolezza l’una dell’altro, un cambiamento sottile ma profondo nei loro atteggiamenti. Cose come il bisogno di augurarsi la buonanotte, l’aiutarsi a vicenda nel sistemare gli equipaggiamenti, uno sfioramento di dita, uno sguardo che indugiava un pò più del necessario, i sorrisi segreti e pieni di ardore. Dopo così tanta morte, buio e sofferenza, quel sentimento era come l’alba che spunta dopo una lunga notte; la speranza e la felicità alleggerivano il cuore di Tauriel e cominciava a credere che forse –  ma solo forse – c’era una possibilità per loro, un percorso che non era detto conducesse alla rovina. Un sentiero che nasceva dai sorrisi di lui, dal luccichio vivace dei suoi occhi e dal miracolo della sua vita che, contro qualunque previsione, era stata risparmiata.
“Non ne dubito,” le rispose Kìli in un basso sussurro pieno di significato. Le sfiorò le dita con le proprie, trasmettendole una scarica di calore malgrado il freddo, e lei ricambiò la carezza.
“Thranduil ci lascerà passare?” chiese Bofur alle loro spalle mentre i primi fiocchi di neve cominciavano a volteggiare intorno a loro. Kìli sussultò leggermente, come se avesse dimenticato che non erano soli, e ritirò la mano.
Tauriel arrossì e scosse la testa per schiarirsi le idee. Muovendo un passo sotto l’ombra gettata dai primi rami, considerò le loro opzioni. Il suo Re era stato certamente scontento di lei l’ultima volta che si erano visti; ma l’aveva davvero bandita o era stata semplicemente ricollocata, da Capitano ad Ambasciatrice? Era ancora la benvenuta tra la sua gente? Non aveva modo di saperlo con certezza. Era anche possibile che la sua presenza fosse più uno svantaggio che altro per i Nani.
Sospirò. “C’è una postazione di guardia qui vicino, andrò a parlare con i ricognitori di stanza. Forse è meglio informare Re Thranduil delle nostre intenzioni.”
Dwalin grugnì e la guardò in cagnesco. “Al diavolo il suo permesso–”
“Preferisci venire trafitto non appena ti scorgono, dunque?” scattò lei per tutta risposta. I Nani erano davvero le creature più ostinate di tutta l’Arda –  anche se, dati i recenti avvenimenti, gli Elfi non erano da meno.
Dwalin ringhiò ancora ma Kìli, in piedi tra lui e Tauriel, gli fece cenno di calmarsi. “Non dovresti andare sola,” le disse poi seriamente. Si vedeva che nemmeno lui gradiva l’idea di informare il Re della loro presenza ma, se non altro, sembrava disposto ad ascoltare le sue ragioni.
“Sarebbe meglio se parlassi con loro da sola. Io... non so cosa il Re abbia raccontato riguardo la mia assenza e non so come mi riceveranno.” Mentre lo diceva si sentì stringere lo stomaco: ora sì che comprendeva l’enormità di ciò che poteva aver perduto. Era vero che aveva desiderato a lungo vedere il mondo esterno, ma non aveva mai pensato che quel desiderio le sarebbe costato la sua gente e la sua stessa patria.
Gli occhi di Kìli si rabbuiarono ulteriormente. “Una ragione di più per non andare da sola.”
Tauriel sospirò e scosse la testa. “Meglio un’Elfa bandita che sette Nani irritabili.”
Bofur si mise le mani sui fianchi. “Irritabili?”
Il giovane Thorin sferrò calci rabbiosi all’erba gelata ai suoi piedi. “Secondo me dovremmo aggirare questo postaccio e restare vicini alle montagne.” Era la prima cosa che diceva in tutto il giorno.
Tauriel tornò a scuotere la testa. “I sentieri di montagna sono ugualmente pericolosi e con ogni probabilità coperti di neve. La foresta ci fornirà almeno copertura e riparo...”
“E ragni giganti,” intervenne Dwalin.
“Ed Elfi inclini a gettare gli stranieri in prigione,” aggiunse Ori.
“E non dimentichiamo l’acqua magica che non si può bere nè toccare,” s’intromise Bombur.
“E magari seguendo il fiume possiamo arrivare fino al Greylin,” terminò Tauriel con uno sbuffo, ignorandoli tutti.
Kìli aggrottò la fronte e si passò una mano sul viso, girandosi poi a guardare con un cipiglio seccato la foresta che si apriva davanti a loro, i pugni sui fianchi. Tutti fecero silenzio e attesero trepidanti la sua decisione; era un altro cambiamento significativo. I Nani potevano essere anche supponenti, ma quell’attesa deferente la diceva lunga sulla fiducia che avevano iniziato a nutrire per il loro giovane – anche se non ancora eletto –  sovrano.
“Va bene,” disse alla fine Kìli con molta riluttanza. “Tauriel andrà a parlare con i ricognitori perchè informino il Re della nostra presenza, e speriamo che ci lascerà passare. Potremmo aver bisogno della sua ospitalità se le cose si mettessero male, e poi... beh, ho promesso di fare tutto il possibile per rinsaldare i legami con loro, e questo mi sembra un primo passo ragionevole.”
Gli occhi di tutti i Nani corsero nella direzione di Tauriel, le cui espressioni andavano dalla vaga accusa (Dwalin) a un’evidente ostilità (Thorin).
Tauriel si schiarì la gola e annuì, sentendosi stranamente intimidita. “Non starò via a lungo. E mal che vada, anche se Thranduil non ci accordasse il suo permesso, conosco più di un sistema per passare non visti.”
Gloin grugnì e si sedette prontamente ai piedi di un albero, fissando in cagnesco i fiocchi di neve che continuavano a cadere, e Bombur si accomodò vicino a lui masticando come se niente fosse una lunga salsiccia. Tauriel fece un respiro profondo, preparandosi, e mosse un passo verso l’interno della foresta. In quel momento Kìli la prese rapidamente per un braccio: i suoi occhi erano penetranti e carichi di suprema riluttanza. “Hai tre ore, poi vengo a cercarti.” La sua voce non lasciava spazio a discussioni di sorta.
Tauriel non riuscì a frenare il sorriso che le spuntò sulle labbra e sentì che un pò della tensione in lei scivolava via. “D’accordo, mio signore.” Il suo tono era ironico e gli coprì brevemente la mano con la propria.
Egli le rivolse un mezzo sorriso che però non raggiunse gli occhi prima di lasciarla andare. “Tre ore,” la avvertì di nuovo. Tauriel annuì, poi si voltò e corse all’interno degli alberi, saltando agilmente tra le radici scoperte e ascoltando il canto degli uccelli e il suono del vento tra le foglie. Guardando indietro vide solo il contorno di lui, scuro e invitante sullo sfondo bianco di neve. Anche lui la guardava e questo le diede coraggio; con un respiro profondo Tauriel continuò a correre, concentrata sul suo obiettivo.

~
 
Trovò la torre di guardia abbastanza facilmente e, una volta che si fu identificata, venne accolta a braccia aperte e con sincera gioia. Poteva anche essere stata ‘ricollocata’, ma gli uomini e le donne della Guardia le erano ancora fedeli.
Li aveva addestrati quasi tutti lei e molti di loro erano diventati più una famiglia che dei subordinati; e, per un colpo supplementare di fortuna, vi era anche il Tenente Curial tra loro. Avevano fatto l’addestramento insieme ed erano sempre stati buoni amici. A quei tempi era difficile sfuggire al severo controllo del vecchio Capitano – per il quale era perfettamente ragionevole farli saltare tra gli alberi per giorni di fila senza cibo nè riposo. Il duro lavoro e le molte fatiche li avevano uniti, ma il rispetto e la benevolenza reciproci avevano fatto sì che quel legame perdurasse. Tauriel aveva sempre creduto che il posto di Capitano spettasse a Curial e lo aveva anche detto al Re quando lui aveva invece offerto l’incarico a lei; ma Thranduil aveva scambiato le sue parole per mera umiltà. Lei invece diceva sul serio e aveva sempre ritenuto che il Re avesse fatto la scelta sbagliata, sopravvalutando le sue capacità.
“È una gioia rivederti, Capitano,” le disse Curial mentre si salutavano stringendosi le braccia e appoggiando le fronti l’una con l’altra. Era un Elfo alto e grazioso, e la sua bellezza era sminuita solo da una grande cicatrice che dall’occhio sinistro scendeva sullo zigomo fino alla mandibola. Se l’era procurata durante un’imboscata di orchi e secondo Tauriel lo rendeva più affascinante e misterioso, il che era vero, ma anche crudele e poco amichevole. In realtà, era uno degli Elfi più gentili e compassionevoli ch’ella avesse mai conosciuto. Dietro di lui stavano Delveon e Gathelia, due delle guardie più giovani ma non per questo meno qualificate o abili. Gathelia aveva la stoffa di un vero Tenente, in lei c’era una determinazione che era sempre più raro trovare tra la sua gente. Entrambi chinarono la testa, accordandole così il loro appoggio senza dire nulla.
“Non sono più Capitano ormai, Curial,” gli rispose gentilmente, avvertendo una fitta di dolore alle sue stesse parole. Aveva lavorato a lungo e duramente per avere quell’incarico ed era l’Elfo più giovane ad averlo mai ottenuto, ma in fondo non era stata che una gabbia anche quella, un altro mezzo per tenerla lontana dal resto del mondo.
Curial si portò il pugno sul petto con fermezza. “Sarai sempre il mio Capitano, mia signora.”
Lei arrossì un pò. “Preferirei essere tua amica, Curial.”
Gli occhi di lui si addolcirono. “Un’amica lo sarai sempre, Tauriel.”
“Sono venuta a richiedere il permesso per un passaggio sicuro,” proseguì lei, scostandosi il mantello dalle spalle e sistemandosi l’arco più comodamente sulla schiena. Tra gli alberi faceva più caldo, il respiro dell’inverno era più debole lì, poco più che un sussurro persistente. La torre di guardia era molto antica, risaliva addirittura ai primi insediamenti elfici nel bosco, ma teneva ancora bene; non era che una semplice piattaforma di pietra, ma aveva sempre servito egregiamente ai loro scopi. Una volta il loro regno si estendeva in tutte le direzioni fino al limitare della foresta, per ogni radura e lungo ogni ruscello, ma oramai quella era una delle poche torri che ancora resistevano. Ad ogni decennio, i confini del loro regno si restringevano sempre di più.
Curial aggrottò la fronte confuso. “Tu non hai bisogno del permesso, mia signora, di certo lo saprai.”
Tauriel esitò. “Io sono... incerta su cosa abbia detto il Re riguardo la mia partenza.”
“Ben poco, temo, solo che sei stata assegnata a servire tra i Nani per un certo tempo. Come segno di buona volontà.” Il tono di lui era vagamente disapprovatorio e i suoi occhi la scrutavano con curiosità.
Tauriel sentì che la tensione si allentava un altro pò in lei; bandita o meno, se non altro la notizia non era stata ancora resa pubblica. “Chi è stato fatto Capitano in mia assenza?”
Si aspettava che lo stesso Curial fosse stato promosso, e rimase perciò scioccata quando lo sentì rispondere: “Il Tenente Welethen ha ricevuto questo onore.”
“Cosa?” domandò lei. “Perchè? Metà degli uomini lo detesta e l’altra metà lo ritiene un buono a nulla.”
Curial si strinse nelle spalle ma un lampo di rabbia, rivolto non a lei, gli attraversò per un istante il viso sfigurato. “Non sono nella posizione di poter giudicare le decisioni del Re,” cominciò, per poi aggiungere con una certa esitazione, “ma alcuni ritengono che sia stato promosso perchè... beh, non è certo un segreto che tra voi due non corra buon sangue, mia signora.”
“Ah,” si limitò a rispondere lei cominciando a capire. Il suo Re non era uno sciocco: sapeva che molti degli uomini della Guardia le sarebbero rimasti fedeli e, per mostrare quanto fosse grande la sua sfiducia nei suoi confronti, aveva scelto proprio la persona che lei disprezzava di più.
Il cuore le balzò dolorosamente in petto. Una volta pensava a Thranduil come a un padre, un protettore, il suo signore e sovrano, ma negli anni l’amarezza era calata su di lei e la sua diffidenza era cresciuta fino a degenerare. Cosa mai era adesso per lui, se non niente del tutto?
“È solo per te che richiedi il passaggio, mia signora?” le chiese ancora Curial.
“No, io...” Tauriel si bloccò e guardò Delveon e Gathelia, che li ascoltavano attenti. “Potremmo continuare a parlarne in privato?”
Curial annuì. “Certamente. Ricognitori, controllate il perimetro; voglio un resoconto completo.”
Delveon sembrò leggermente contrariato ma entrambi eseguirono l’ordine, saltando con grazia tra i rami degli alberi. Tauriel aspettò che lo scalpiccio dei loro piedi fosse svanito prima di riprendere a parlare. “Viaggio con una compagnia di Nani che intendono raggiungere i loro parenti sulle Montagne Blu.”
Curial sollevò le sopracciglia stupito e lei, dopo un momento di esitazione, aggiunse: “Uno di loro è il Re sotto la Montagna non ancora proclamato,” concluse con un piccolo sorriso incerto.
“Beh,” rispose lui schiarendosi la gola, “ora capisco perchè hai ritenuto di dover chiedere il permesso. Il nostro Re, come tu saprai, ha ben poca stima dei Nani, specialmente dopo l’ultima battaglia che si è svolta sotto le mura di Erebor.”
Tauriel fece una smorfia e Curial si appoggiò al bordo della torretta. “Dimmi, Tauriel, tu ti fidi di questi Nani?”
“Sì,” rispose subito lei con enfasi e senza esitazioni. “Mi fido di loro. Sono testardi e ostinati, ma anche gentili, leali e coraggiosi.”
Egli si girò a guardarla con blando stupore. “Ti sei affezionata a loro, non è così?”
“I–io...” Ella trasalì e arrossì al ricordo di labbra calde e decise sulle sue e di una corta barba che le pizzicava il mento. “Beh... sì, penso si possa dire così. Ma tutto ciò che desidero è appianare le divergenze tra i nostri due popoli.”
Non era proprio una bugia, ma nemmeno la completa verità.
Curial fece un sospiro profondo. “Dovrei informare il Capitano della vostra presenza.” Tauriel represse un gemito. “Ma...” aggiunse lui con un lieve sorriso, “forse il messaggio potrà aspettare qualche giorno, il tempo necessario perchè voi vi portiate al confine del nostro territorio.”
Tauriel sospirò sollevata e gli prese una mano tra le sue. “Grazie Curial, amico mio, hai la mia più sincera gratitudine.”
Lui arrossì un pò e le strinse la mano a sua volta. “Non dirò che capisco il tuo intento, Tauriel, nè l’ordine del Re di trattenerti a Erebor; ma so che hai sempre avuto a cuore gli interessi del nostro popolo e, se mi assicuri che è ancora così, mi fiderò di te.”
“Lo è, amico mio, te l’assicuro.” E lo sarebbe sempre stato. Il suo popolo cominciava a svanire dalla Terra di Mezzo, i loro poteri si affievolivano come le maree con la luna calante, ma non erano ancora finiti. C’era ancora tempo per combattere le tenebre, anche se dormivano proprio accanto a loro.
Curial annuì, poi le toccò la fronte con la sua. “Dovrete essere veloci, però. Prendete i sentieri nascosti, anche se non posso garantire per la loro sicurezza. La foresta è sempre oscura, ma ci sono pattuglie lungo il fiume e temo che potrebbero fermarvi. Ti direi di prendere il sentiero tra le montagne, ma bande di orchi ancora vagano da quelle parti e una grande tempesta si sta preparando dal nord.”
“Come tu hai detto, prometto che viaggeremo veloci.” E fece per ripartire, ansiosa di raggiungere Kìli prima che mettesse in pratica il suo proposito di venire a cercarla: non aveva dubbi che faceva sul serio e il tempo a sua disposizione stava per scadere.
“Tauriel,” la richiamò ancora Curial e lei si girò a guardare il suo viso ombreggiato dai capelli e dal perpetuo crepuscolo degli alberi. “Io non conosco la volontà nè il cuore del nostro Re, ma tu hai ancora degli amici qui. Se mai avessi bisogno di me – di noi – faremo tutto quel che possiamo.”
Tauriel, commossa, chinò il capo. “Grazie, Curial, la tua amicizia significa molto per me.”
“Possano i Valar vegliare su di te, mio Capitano.”
“E su di te, mio Tenente.”

~
 
Tauriel sbucò fuori dagli alberi quasi esattamente tre ore dopo e Kìli, che se ne stava appoggiato contro una quercia contorta con un muso lungo così, scattò sull’attenti. Il sollievo gli attraversò visibilmente il volto e si precipitò da lei: malgrado la resistenza naturale dei Nani alle temperature estreme, sembrava congelato.
“Mahal sia ringraziato,” disse Dwalin rabbrividendo da sotto la sua pelliccia. “Il ragazzo stava quasi per correrti appresso, pensavamo di doverlo legare al dannato albero.”
Kìli gli lanciò un’occhiataccia, ma Tauriel parlò prima che potesse rispondergli. “Dobbiamo muoverci, posso condurvi lungo sentieri nascosti ma abbiamo poco tempo.”
“Questo vuol dire che il tuo Re ci ha graziosamente accordato il suo permesso?” chiese Gloin sarcastico, la lunga barba coperta di neve. Ormai stava per scatenarsi una vera tempesta, il cielo si era oscurato e i candidi fiocchi cadevano sempre più fitti.
“Ho parlato con uno dei miei tenenti e abbiamo concordato sia meglio passare non visti. Il Capitano adesso è un Elfo che nutre ben poca simpatia nei miei confronti; credo che abbiamo da temere più da lui che dal Re.”
“E allora dovremmo prendere il sentiero tra le montagne!” sbraitò il giovane Thorin levando in aria le braccia, esasperato.
Ori guardò le nuvole minacciose e le montagne innevate con molto scetticismo, saltellando da un piede all’altro per scaldarsi.
Dwalin sospirò e la sorprese rispondendo: “No, ragazzo. Tra la tempesta e gli orchi che vagano per le montagne, il bosco è la nostra opzione migliore.”
“E come sapete di potervi fidare di lei?” chiese ostinatamente il giovane Thorin. “Come sappiamo che non ci porterà dritti dal suo Re una volta che saremo caduti nella sua trappola?”
“Ne abbiamo già parlato, cugino, e ti avverto che sto pensando seriamente di tenerti imbavagliato per il resto del viaggio. Io mi fido di Tauriel, non ci condurrà fuori strada.”
Il giovane Nano incontrò lo sguardo duro di Kìli e qualcosa nei suoi occhi raggelò Tauriel: era come se stesse dubitando della buonafede non soltanto sua, ma dello stesso Kìli. Forse Lord Dàin non era così bendisposto come aveva pensato, forse c’erano piani già in atto volti a spodestare il giovane Re. Avrebbe dovuto accorgersene prima, invece di pensare che l’antipatia del signore Nano fosse rivolta solo a lei.
Fissò severamente il giovane Thorin: avrebbe fatto meglio a non perderlo mai di vista.
“Dovremo lasciare i cavalli, non sono in grado di proseguire nel bosco,” disse poi a Kìli, che annuì cupamente.
“Radunate le vostre cose,” egli gridò per sovrastare il rumore del vento che le ficcava fiocchi di neve negli occhi e nella bocca. “Prendete solo lo stretto indispensabile e rimandate indietro i pony. Conoscono la strada.”
“Non puoi dire sul serio...” cominciò il giovane Thorin, ma in quel momento Bofur lo urtò piuttosto violentemente mandandolo a faccia in giù sulla neve.
“Oh, le mie scuse!” esclamò Bofur con marcato stupore.
Il giovane Nano si tirò su sputacchiando e tutto rosso in viso e Tauriel dovette mordersi le labbra per non ridere; Gloin invece non si fece problemi e si abbandonò a una risata fragorosa, tenendosi il pancione con entrambe le mani.
Bombur cominciò a riempirsi le tasche di pagnotte e formaggio mentre Dwalin riponeva con cura una dozzina tra coltelli e pugnali sulla propria persona. Nani, pensò Tauriel scuotendo la testa.
Kìli invece stava fissando la sua sacca come se contenesse tutti i segreti dell’Arda; era chiaro che era frustrato alla sua evidente mancanza di progressi nel sistemare più accortamente il suo bagaglio.
“Ecco,” disse Tauriel accovacciandosi vicino a lui e prendendo una delle sue tuniche. “Se la pieghi così, occupa meno spazio.”
Lui borbottò tra sè, evidentemente imbarazzato, ma copiò comunque i suoi gesti. “Beh, devo ammettere,” disse quando ebbe finito, accucciandosi sui talloni, “che la differenza è notevole.”
Lei sorrise. “Ho passato anni a perfezionare la misconosciuta arte di preparare una sacca ben organizzata.”
Lui ridacchiò. “M’inchino alla tua esperienza, mia signora; hai altri utili suggerimenti da darmi?”
“Hmm,” mormorò lei picchiettandosi il mento con un dito. “Beh, potresti legare questi alla tua cintura e gli altri due all’esterno della sacca, così avresti più spazio per la pelliccia.”
Egli seguì il consiglio e le rivolse un sorriso che Tauriel non aveva più visto dalla prima volta in cui si erano parlati, nelle segrete di Bosco Atro. Sembravano avvenimenti appartenenti ad una vita precedente. Così accovacciati i loro occhi erano praticamente allo stesso livello, e la neve che continuava a turbinare intorno a loro sfocava i contorni del mondo fino a ridurlo alle dimensioni di un sogno, di cui erano protagonisti soltanto loro due. Kìli stese una mano guantata e le tolse un fiocco di neve da una ciocca di capelli, e le sue dita indugiarono per un attimo sulla sua guancia. Altri fiocchi di neve gli si posavano tra le ciglia, soprendentemente lunghe, e Tauriel dovette resistere all’impulso di toglierglieli con un bacio e aprirsi poi la via dal suo naso fino alle sue labbra screpolate. Avrebbe voluto scaldargli le guance con le mani e la bocca con la propria fino a che entrambi non avrebbero dimenticato freddo, neve e tutto il resto; avrebbe fatto di tutto pur di continuare a vedere quel sorriso, così dolce e puro, sul volto di lui.
“Dovremmo sbrigarci,” lei disse senza muoversi.
“Sì, dovremmo,” concordò lui prendendo tra le sue le mani nude di lei e premendo le labbra sulle dita gelate; avvertendo ancora una volta il pizzicore della sua barba sulla pelle, Tauriel ebbe un brivido che non aveva nulla a che fare con il freddo.
La aiutò a rimettersi in piedi, stringendole le mani ancora per un istante prima di lasciarle e voltarsi verso gli altri.
“Tutto a posto là dietro, Dwalin?” esclamò sovrastando il rombo del vento, la sua figura che cominciava a farsi indistinta nella coltre gelida della neve che aleggiava intorno a loro. Tauriel provò una fitta di rimorso al vedere i pony andarsene da soli, ma sapeva che erano resistenti e che avevano già visto molti altri inverni.
“Sì! Leviamoci da questo squallido posto!”
“Da questa parte!” gridò lei raccogliendo la propria sacca e precedendoli all’interno degli alberi. Le sue mani, laddove le labbra di Kìli le avevano toccate, erano stranamente tiepide e si accorse di non sentire quasi più nemmeno il freddo.

~
 
“Sembra inquietante,” commentò seccamente Gloin: si trovavano all’imboccatura di un lungo e buio passaggio che conduceva sotto terra. La foresta era più tranquilla lì, sempre vecchia e minacciosa, ma Tauriel conosceva quella zona come il palmo della sua mano. Da bambina veniva sempre a giocarci, si divertiva ad esplorare le antiche rovine e ad inseguire i suoi amici tra i fantasmi del passato. Al giorno d’oggi ben pochi si recavano lì, e ancor meno lasciavano le dimore del loro sempre più esiguo regno.
“Non sapevo che i Nani temessero le grotte, mastro Gloin,” lo prese in giro, e il Nano la guardò in cagnesco mentre Bofur se la rideva.
La notte strisciava verso di loro e ben presto nel bosco sarebbe stato buio pesto; dovevano trovare un riparo prima di non riuscire a vedere più nulla a un palmo dal loro naso e lei conosceva il posto giusto. Quelle grotte erano state sapientemente progettate nei tempi lontani per servire come rapidi passaggi segreti, ed erano dotate di prese d’aria che avrebbero condotto il fumo di un eventuale focolare lontano dalla loro vera posizione.
“Andiamo, Gloin,” disse Bofur. “Ti terrò io per mano.”
Gloin diede uno spintone al compagno più giovane prima di incamminarsi risolutamente giù per le scale. Tauriel roteò gli occhi e, con un ramo e alcuni pezzi di stoffa, preparò rapidamente una torcia; Ori l’aiutò ad accenderla e si affrettarono a raggiungere l’altro Nano, il quale, resosi conto che non poteva proseguire alla cieca, si era già fermato e parve grandemente sollevato quando li vide.
“Che posto è questo?” le chiese Kìli raggiungendola e accendendo un’altra torcia dalla sua.
“Nella lingua corrente suppongo lo chiamerebbero ‘le Vie Sotteranee’,” gli rispose lei piano, la voce soffusa di ricordi. “Antichi passaggi segreti sotto la foresta scavati da coloro che, prima ancora degli Elfi o di chiunque altro, vivevano tra questi alberi. Al giorno d’oggi vengono usati raramente e non sempre sono sicuri.”
“Fantastico,” brontolò Bofur, togliendosi il cappello per spazzarne via il terriccio e sussultando quando una radice contorta gli sfiorò la testa. “Ma credo che finchè non si tratta di ragni giganti possiamo farcela.”
“Ci sono cose peggiori dei ragni in questa foresta, mastro Bofur,” disse Tauriel, pensando alle strane e oscure ombre che si muovevano rapide contro la luce. I ragni giganti potevano anche essere la maggiore delle preoccupazioni per il suo popolo, ma forze più oscure e più potenti indugiavano nel profondo della foresta.
“Ma che bella cosa da dire mentre siamo circondati dal buio da tutte le parti,” sottolineò seccamente il giovane Thorin, e Bofur sbuffò.
“Ci sono strani simboli qui, come non ne ho mai visti,” disse Kìli guardando incuriosito le pareti ricurve. Il passaggio era cilindrico e perfettamente liscio, ma vi era un che di inquietante in quella misteriosa perfezione. “Non riesco a leggerli...”
“Nessuno tra i mortali ci riesce,” gli rispose lei, “aiutano a contrassegnare la via.” Gli si avvicinò e lesse le rune. Erano incise accanto a una serie di piccole grotte che avrebbero servito egregiamente come riparo per la notte, e con spazio a sufficienza per stare comodi e al caldo.
“Svelti, c’è un posto qui vicino,” sussurrò, tornando a condurli e chinandosi per evitare radici sporgenti e ragnatele, fortunatamente di dimensioni normali.
“Non credevo che agli Elfi piacesse stare sotto terra,” disse Bombur dopo un certo silenzio, la sua voce che riecheggiava sulle pareti.
Una zolla di terra umidiccia le colò su una guancia e Tauriel se la tolse di dosso con una smorfia di disgusto. “Non ci piace, ma questi passaggi si sono dimostrati utili in passato. Sono pericolosi per chi non sa dove andare, ma per fortuna qualcosa in essi tiene a bada altre creature più immonde.”
“Speriamo,” mormorò Kìli, dandole un colpetto lieve con la spalla. Lei sorrise cogliendo il luccichio giocoso nei suoi occhi e il mezzo sorriso divertito a un angolo della bocca. Era facile vedere che là, lontano da Erebor e da tutto ciò che ivi lo attendeva – e non lo attendeva – egli era diverso, più sè stesso, così spensierato e allegro. Tauriel capiva che stava scappando via dal proprio destino, ma in fin dei conti... non era lo stesso per lei? Non lo era per tutti loro? Anche lei fuggiva dalle proprie azioni, e lo sapeva, ma non poteva evitarlo. Era troppo tardi per tornare indietro e forse lo era sempre stato. Il mondo esterno la teneva stretta tra le sue braccia e c’era ormai ben poco che potesse fare per liberarsi.
Camminarono per circa un’altra ora, parlando poco, le lisce pareti sempre incombenti su di loro. Le Vie Sotterranee erano sgradevoli per parecchi motivi, ma la sensazione di pura vecchiaia che vi aleggiava era il peggiore. Era come se epoche intere trascorressero tra un respiro e l’altro, il tempo si spostava stranamente nell’aria stantìa fino a che non se ne perdeva ogni senso.
Finalmente li condusse attraverso una via laterale in una serie di grotte dove tutti trassero un sospiro di sollievo; Tauriel gemette e si stiracchiò con voluttà, togliendosi la sacca dalla schiena.
 “Visto? Essere bassi ha i suoi vantaggi,” ridacchiò Ori, e lei calciò una pietra nella sua direzione per scherzo.
Il giovane Thorin venne incaricato di accendere un fuoco e si diede da fare a radunare i pezzi di legno e le foglie secche che Bombur era stato tanto saggio da portare – anche se Tauriel sospettava lo fosse sempre quando si trattava di riempire la pancia. Presto le fiamme divamparono vivacemente nel mezzo e la compagnia srotolò le stuoie, preparandosi per la notte.
Dopo un umile pasto, Tauriel si offrì per il turno di guardia. Lo faceva tutte le volte che glielo concedevano, ma quella sera nessuno dei Nani la contraddisse, provati com’erano dalla diffidenza verso le grotte e dalla stanchezza. Lei pensava che fosse sciocco da parte loro protestare, ma probabilmente era colpa soprattutto della tre volte maledetta testardaggine dei Nani. Essi avevano bisogno di riposo, lei no: tutto qui.
Quella sera però la lunga solitudine della notte sembrava filtrare nella terra fino ad arrivare al suo cuore. La notte, sotto l’attenta vigilanza delle stelle, era stata per il suo popolo un tempo di musica e conversazione; adesso era un tempo di riflessioni.
Sbirciando da oltre la spalla scorse il viso addormentato di Kìli, tra Bombur che russava sonoramente e Dwalin che brontolava nel sonno. Valar, come sembrava giovane, il volto rasserenato dalle fatiche della giornata nella quiete del sonno. Le rammentava di innocenza perduta, di fede e di onore, di ciò che lei stessa avrebbe potuto essere se i suoi genitori non fossero stati così brutalmente assassinati. Aveva detto di vedere in lei la speranza per un futuro nuovo, ma in realtà era in lui che stava quel futuro. Ben pochi Elfi si soffermavano a considerare che grande dono l’immortalità rappresentasse, troppi di loro si perdevano dietro i lunghi anni della loro vita; gli Uomini e i Nani apprezzavano invece ogni giorno per quel che era – un bene prezioso che potevano perdere in qualunque momento. Dava alla loro vita significato e scopo, e solo dopo aver incontrato un giovane Nano idealista Tauriel si era resa conto che da lungo tempo aveva perso i suoi. Qualunque cosa sarebbe accaduta tra loro, qualunque destino il fato avrebbe loro riservato, ella gli sarebbe sempre stata grata per questo.

~
 
Venne da lei ore dopo, quando le fiamme del fuoco si erano abbassate e la notte era calata su di loro, così come lei si aspettava.
Tauriel sedeva nel lungo corridoio esterno con l’arco accanto, scrutando nel buio con occhi assenti, la mente lontana finchè non lo udì avvicinarsi.
“Dovresti riposare,” gli disse mentre le sedeva vicino. Da seduti le loro altezze erano quasi appaiate, la lunghezza del busto di lui compensava la brevità delle gambe.
Senza dire una parola Kìli le prese una mano e intrecciò le dita alle sue, come fosse la cosa più naturale del mondo. “A cosa pensi mentre noi dormiamo?” le chiese dopo un pò.
Tauriel sospirò e poggiò la schiena contro la fredda parete di pietra, godendosi il calore della sua mano che la riportava alla realtà. “Lascio spesso vagare la mente e lo spirito...”
“A camminare tra le stelle?” terminò lui con ironia, accarezzandole le nocche con il pollice.
Lei sorrise. “A volte, ma qui è più difficile. Stanotte riesco a pensare solo a cosa ci porterà il domani.”
“Oh? E cosa credi che ci porterà?”
“Beh, ho imparato che dove ci sei tu c’è anche il pericolo. Per lo meno sembra viaggiare di pari passo con te.”
Kìli rise, la risata profonda che sembrava riservare solo a lei e che la fece fremere internamente. “E’ una fortuna che ci sia tu a badare a me, allora.”
“Già,” concordò lei; subito dopo però il suo sorriso si spense. “Anche se c’è mancato poco sotto quelle mura. Io... io...” Non trovava le parole, l’emozione le serrava la gola; gli strinse più forte la mano. “Mi dispiace non aver potuto salvare anche Fì–”
“Shhh,” la interruppe lui piano ma con fermezza, prendendole il mento con la mano libera e facendola voltare verso di lui; i suoi occhi erano così caldi e luminosi nell’oscurità che lei dimenticò tutte le preoccupazioni e il disagio. “Non colpevolizzarti. Una volta mi hai detto che non possiamo portare il peso dei morti: beh, non lascerò che lo porti tu in vece mia. Mio fratello è morto per proteggere il nostro zio e sovrano, così come avrei fatto io se Mahal non ti avesse condotta da me.”
Tauriel arrossì e gli coprì la mano con la propria: spinta poi da un impulso irresistibile girò il viso e baciò il palmo calloso. Kìli trattenne brevemente il respiro e passò il pollice sulle sue labbra, immergendo poi le dita tra i suoi capelli.
“Io non so per quali vie del destino tu sia giunta sino a me, amrâlimê, ma non fuggirò da esso, nè da te.” La voce di lui era piena di promesse ma, pur se le sue parole arrecavano una immensa gioia al suo cuore, pesavano anche come macigni su di lei. Le loro vite non appartenevano loro, ella lo sapeva, ma sotto la carezza delle sue mani null’altro sembrava importare.
“Che significa quella parola?” gli chiese rocamente mentre lui poggiava la fronte alla sua, gli occhi scuri e ridenti che correvano rapidi tra i suoi e la sua bocca.
 “Credo che tu lo sappia,” mormorò Kìli sistemandole una ciocca di capelli dietro un orecchio e inclinando intenzionalmente il viso verso di lei. In lui c’era odore di fumo e cuoio e qualcos’altro di dolce e puro che le fece girare la testa.
“Forse sì,” sussurrò lei un istante prima che le loro labbra si unissero, forgiando una segreta promessa nell’oscurità tutt’intorno a loro.
Quel secondo bacio iniziò come il primo, delicato ed esitante, ma Tauriel sentiva crescere in lei una fame del tutto simile a quella che avvertiva in lui. Gli si strinse contro mentre lui lasciava scivolare una mano sulla sua vita e l’attirava a sè, e lei sentì i suoi capelli arruffati sotto le dita e la sua barba che le graffiava il mento, perfetto contrasto con la morbidezza delle sue labbra. Si separarono per respirare, fissandosi brevemente negli occhi, e si baciarono di nuovo. Tauriel pensò vagamente, come fosse avvolta in una nebbia fitta ma gradevole, che non le sarebbe spiaciuto trascorrere molte altre notti in quel modo.
Alla fine le loro strade li avrebbero ricondotti a Erebor e a tutto ciò che là li attendeva, ma qui, adesso, c’erano solo loro due e il sussurro dei loro respiri e il tocco lieve delle loro mani sotto il sommesso crepitio del fuoco.

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Capitolo 10
*** CAPITOLO X: Scritto sui muri ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

And all this too shall pass
This loneliness won't last for long
I wasn't there to take his place
I was ten thousand miles away
So when you hear my voice
When you say my name
May it never give you pain


Gale Song, The Lumineers
 
~
 
Dopo due giorni sotto terra, Tauriel era ridotta in condizioni pietose. La schiena le doleva per il troppo stare china, era ricoperta di ogni sozzura immaginabile e avrebbe dato l’anima per poter sentire il tocco dei raggi del sole e prendere una boccata d’aria fresca. Solo le parole di avvertimento di Curial la trattenevano dal fuggire all’esterno attraverso una delle numerose gallerie per inspirare anche solo per un attimo dell’aria che non sapesse di stantìo e decadenza; e perfino i Nani, a dispetto della loro naturale inclinazione a vivere sotto terra, sembravano in difficoltà. Tauriel si chiedeva se quei passaggi fossero sempre stati così minacciosi o se fosse solo un altro effetto dell’oscurità che dilagava nella foresta.
Per la loro ultima notte nel sottosuolo li condusse nella grotta più grande che aveva trovato durante le sue scorribande infantili. Una volta lei e Lurìena vi avevano trascorso un’intera notte, spaventando orribilmente le loro tate e passando il tempo a raccontarsi storie su ere lontane e antichi eroi. Il soffitto s’innalzava nell’oscurità a tal punto che all’interno si sarebbe potuto costruire un palazzo, il terreno sgombro era l’ideale per stendervi le stuoie e una limpida sorgente ne attraversava l’estremità.
Bombur sbirciò l’acqua con un certo scetticismo. “Siamo sicuri che si può berla?”
Tauriel roteò gli occhi e riempì la sua borraccia, vuotandone quasi la metà con un’unica sorsata prima di riempirla di nuovo. Finalmente i Nani, con comica diffidenza, si decisero a seguire il suo esempio. Ella raccolse un pò d’acqua e se la spruzzò sul viso, usando poi un pezzo di stoffa per tergersi le guance, il collo e le mani. Sentirsi in qualche modo ripulita da fango e muffa era una sensazione tanto piacevole da farla quasi gemere ad alta voce; si morse il labbro inferiore per trattenersi e chiuse gli occhi. Quando li riaprì un momento dopo si accorse che Kìli la stava guardando: era rimasto con la borraccia a mezz’aria e i suoi occhi, ardenti e profondi, la fissavano. Arrossendo, chinò il capo per raccogliere una goccia d’acqua che le stava scivolando lungo il petto; poteva quasi sentire lo sguardo di lui indugiare sulla sua mano che si faceva lentamente strada vicino ai lacci della tunica, e qualcosa di caldo e persistente le si assestò nel basso ventre.
“Accendi il fuoco, Gloin!” esclamò Bofur facendola trasalire: il momento era rovinato. Kìli la fissò ancora per un lungo istante, sempre con la stessa espressione, prima di alzarsi per dare una mano con la cena. Tauriel si sentì svuotata, ansiosa e febbricitante.
Si asciugò la bocca con la manica e vide che Ori si era portato vicino a una delle pareti della grotta, apparentemente intento a studiare le misteriose rune che vi erano incise; incuriosita, ella gli si avvicinò.
“Trovato qualcosa di interessante?” gli chiese ironicamente. Il Nano sussultò e ridacchiò nervosamente chinandosi a raccogliere il pezzo di carbone che gli era caduto. A quanto pareva stava cercando di disegnare e contemporaneamente farsi luce con la torcia, e nessuna delle due cose gli stava riuscendo molto bene.
Tauriel gli prese la torcia di mano. “Ecco, lascia che te la regga io.”
Ori arrossì e tornò ai suoi schizzi mentre lei avvicinava la luce alle pareti, studiando le rune a sua volta. Da bambina le aveva tracciate con il dito tante volte, rimuginando sul loro significato e su chi le avesse incise, e per quale scopo, ma da lungo tempo non ci aveva più pensato. Erano piccoli simboli davvero curiosi, e non solo per la loro stranezza. Avevano un che di misterioso e sembravano quasi scivolare contro la luce, come le increspature dell’acqua.
“Sono simili al Khuzdûl, riesco a leggerne un paio,” stava dicendo intanto Ori, continuando a copiarle con foga. “Però c’è anche una notevole somiglianza con un’antica forma di elfico, anche se, ad essere onesti, le due scritture sono molto più simili di quanto qualsiasi Nano ammetterebbe mai.”
Tauriel riflettè su quelle informazioni, meravigliata alla conoscenza e sicurezza di lui. Era chiaro che Ori era molto a suo agio con i libri e lo studio, il che, pur con la sua limitata esperienza, le parve una ben strana occupazione per un Nano. “Allora tu credi che questi passaggi possano essere stati creati dal tuo popolo?”
Ori alzò la testa e aggrottò le sopracciglia, pensieroso. “Non ne sono sicuro, di certo sono diversi da qualsiasi scrittura io abbia mai visto, però vedi questa runa qui?” E premette un dito sudicio su uno dei simboli. “Somiglia molto alla nostra runa per ‘protezione’, e quest’altra qui,” e spostò la mano sulla pietra verso un altro gruppo di simboli, “è simile a una vecchia runa elfica per ‘velocità’.”
Tauriel lo guardò stupita. “Come fai a sapere tutte queste cose?”
Egli si strinse timidamente nelle spalle. “Mia madre è una letterata piuttosto nota tra noi Nani e, mentre i miei fratelli Dori e Nori non facevano che azzuffarsi e cacciarsi nei guai, io preferivo studiare e leggere libri. Ci sono diversi tomi antichi che il nostro popolo è riuscito a salvare da Khazad-dûm e da Erebor, e così ho imparato a leggere svariati tipi di scrittura elfica... anche se temo di non saperla parlare altrettanto bene.”
“Lo trovo davvero impressionante, mastro Ori. E cosa ti ha portato tra la compagnia di Thorin Scudodiquercia, se preferivi restare tra i libri?”
Gli occhi di Ori brillarono eloquenti. “Un conto è leggere di grandi avventure, mia signora, un altro è farne parte. Volevo vedere il mondo, essere presente quando avremmo reclamato il nostro antico regno...” S’interruppe, imbarazzato. “Mi dispiace, sto divagando.”
Lei gli sorrise. “No, affatto. Capisco perfettamente il desiderio di vedere di più, di essere di più.”
Egli ricambiò il suo sorriso  con entusiasmo. “Quanto sono profondi questi tunnel?” le chiese dopo un pò.
“Parecchio, si spingono più lontano di quanto io abbia mai viaggiato in essi, ma c’è una porta, da qualche parte, con centinaia di queste rune incise su entrambi i lati. E si dice che a volte s’illuminino e brillino,” aggiunse, osservando divertita Ori sgranare gli occhi.
“Mi piacerebbe tanto vederla,” sospirò il giovane Nano.
Tauriel sentì un’ondata di affetto, non cercato nè aspettato, fluire in lei. “Forse potrei accompagnarti, uno di questi giorni,” gli rispose, sorpresa alle sue stesse parole.
Ori arrossì tutto felice e lei, sentendosi stranamente imbarazzata, chinò gli occhi sul blocco di fogli che teneva in mano. “Che bel disegno,” mormorò ammirata, spostandosi per vedere meglio. Da un lato del foglio egli aveva raffigurato in maniera pressochè perfetta un fungo dalla strana forma che avevano trovato il giorno precedente.
“Oh... non è niente, solo un modo per passare il tempo.”
“Ne hai degli altri?” continuò lei, vivamente interessata; schiarendosi la gola, lui le porse il resto dei fogli.
C’era Dwalin che si chinava sul focolare per esaminare la cottura di un coniglio allo spiedo, il solito cipiglio stampato in faccia e l’ascia a tracolla sulla schiena; c’era Gloin che sonnecchiava appoggiato a un masso, le mani abbandonate sul grosso ventre e una farfalla colta sull’atto di posarglisi sul naso; poche pagine ed ecco Bombur che sembrava quasi saltar fuori dal pezzo di carta, la bocca spalancata nell’atto di addentare una grossa salsiccia. Nella pagina successiva era raffigurato il giovane Thorin, una mano a sorreggersi il mento mentre, cercando di nascondere un sorriso, rattizzava il fuoco. Ori voltò l’altra pagina ed ecco Kìli ritratto accanto al fuoco, i gomiti poggiati sulle ginocchia mentre sorrideva dolcemente rivolto alla sua sinistra. Tauriel sentì il cuore balzarle in gola: conosceva quel sorriso, era il sorriso che egli riservava soltanto a lei. Un’altra pagina e realizzò che la loro relazione era forse più evidente di quanto non avesse considerato: Ori l’aveva ritratta mentre guardava qualcosa – o qualcuno – da oltre una spalla con un’espressione malinconica e desiderosa al tempo stesso, ed era un manifesto fin troppo ovvio delle emozioni che la coglievano tanto spesso da che aveva conosciuto lo spericolato principe nanico.
Fu come una secchiata d’acqua gelida rovesciatale lungo la schiena. Era stata così presa da lui, dal modo in cui la faceva sentire, da non considerare adeguatamente la portata delle proprie azioni. O forse aveva solo cercato di nasconderle e all’improvviso capiva di non riuscirci più, non quando la verità le veniva così prepotentemente sbattuta in faccia tramite uno schizzo abbozzato da una mano precisa. Sbirciò intimorita il viso di Ori, chiedendosi quanto sapesse, quanto avesse indovinato, ma il giovane Nano sembrava del tutto inconsapevole.
“E questo è il corridoio che passa sotto la Sala del Trono. Mi piaceva il modo in cui la luce, cadendo dall’altro, inondava il pavimento,” egli concluse girando l’ultima pagina, con un piccolo sorriso.
Tauriel trasse un respiro profondo e, in un tentativo di cambiare argomento, gli chiese: “Cosa significano queste rune?”
Ori seguì il suo dito lungo il foglio, sotto al disegno che aveva fatto a Erebor, e le rivolse un’occhiata incerta. “Beh, ci sono scritti l’anno, il giorno e la locazione, ma... ecco, non possiamo proprio condividere certe informazioni con chi non appartiene al nostro popolo.” Dicendo questo aveva un’aria terribilmente dispiaciuta e i suoi occhi la sbirciavano colpevoli, ma per Tauriel non era che l’ennesima prova di quanto lei e Kìli fossero realmente lontani l’uno dall’altra, e il cuore le diede un’altra stretta in petto.
“Te ne parlerei in ogni caso, ma...” sussurrò ancora Ori, lanciando una rapida occhiata ai compagni intenti a preparare la cena e conversare tra loro. “Dwalin è parecchio... suscettibile riguardo a certe cose.”
Tauriel delgutì nel vano tentativo di sciogliere il groppo che sentiva in gola e si costrinse a sorridere. “E io che pensavo che mastro Dwalin fosse suscettibile praticamente su tutto.”
Ridacchiarono complici prima di raggiungere gli altri e Tauriel si sforzò di assumere un’espressione di calma indifferenza, anche se dentro si sentiva ridotta a brandelli. Si sedette vicino al fuoco, su cui era stato messo a cuocere uno stufato che gorgogliava allegramente; Kìli cercò di cogliere il suo sguardo ma lei lo evitò, mentre una certa nausea le strisciava lungo lo stomaco.
Era stato facile, fin troppo facile, dimenticare la gravità della loro situazione. A quanto pareva non riusciva a smettere di amarlo e desiderarlo, ma poteva controllarsi. Doveva controllarsi. La loro relazione poteva indebolire ulteriormente la sua già tenue presa sul trono e lei non aveva nessuna intenzione di essere la leva che qualcuno privo di scrupoli avrebbe potuto usare contro di lui per scalzarvelo. Dovevano fare più attenzione.
Kìli le passò una ciotola di stufato che lei prese in fretta, ritraendosi subito dopo, mentre gli altri Nani ridevano per una storia che apparentemente riguardava Bofur e una capra. Non ascoltava con attenzione, le parole fluttuavano indistinte mentre lei, persa nei propri pensieri, rigirava il cibo nella ciotola. Sentiva il bisogno di ricomporsi, di schiarirsi le idee, di riacquistare il controllo.
La risata di Kìli eruppe in quel momento chiara e luminosa, echeggiando fino a lei e facendole alzare gli occhi suo malgrado. Non rideva spesso da che suo zio e suo fratello erano morti, e quel suono le diede una scossa al cuore. Dwalin scoppiò a ridere a sua volta, una risata profonda scaturita direttamente dal suo ventre, e Kìli gli si appoggiò contro giocosamente. Si girò un attimo dopo, colse il suo sguardo e tornò serio all’istante: vi erano ansia e preoccupazione latenti nei suoi occhi, come se le stesse leggendo nel pensiero.
Tauriel tornò ad abbassare la testa e non la rialzò più finchè gli altri non ebbero terminato il pasto e si furono ritirati per la notte. Il giovane Thorin le rivolse un sorrisetto stranamente compiaciuto, come se la sua alienazione fosse esattamente ciò che aveva voluto; o forse godeva semplicemente nel vederla infelice. Ad ogni buon conto Tauriel gli fece un gestaccio non appena le voltò la schiena, causando a Bofur un attacco di tosse che le fece spuntare un sorriso suo malgrado. Sospettava che i Nani cominciassero ad esercitare un pessimo effetto su di lei.

~
 
Quella notte si sistemò vicino al fuoco in un calcolato sforzo di scoraggiare un eventuale avvicinamento di Kìli, cosa che egli aveva fatto ogni notte da che si trovavano nel sottosuolo. Aveva tergiversato più degli altri prima di infilarsi nel sacco a pelo con un sospiro riluttante, augurandole la buonanotte con fare burbero, e si era girato dall’altra parte dandole la schiena. Per ore Tauriel aveva fissato le fiamme immobile, la mente accuratamente sgombra, fino a che non era stata certa che egli si fosse addormentato; allora aveva preso il suo arco e aveva lasciato la grotta, incamminandosi lungo il corridoio verso un’altra caverna più piccola e quasi perfettamente circolare. In alto c’era una piccola apertura che lasciava passare brevi refoli di aria fresca, e larga abbastanza da lasciarle scorgere una manciata di stelle. Aveva bisogno di un istante di solitudine, un momento per schiarirsi le idee.
Passandosi una mano sul viso, si rese conto che sentiva la mancanza di Legolas con un’intensità improvvisa e feroce. Egli era stato il suo più caro amico, il suo confidente, l’unico a cui sempre si rivolgeva quando aveva bisogno di un consiglio. E mai ne aveva sentito il bisogno come in quel momento: lui le avrebbe detto la verità, quantunque lei non avrebbe voluto ascoltarla.
Non lo udì avvicinarsi finchè non sentì il fruscio degli stivali sulla pietra. Si girò di scatto sulla difensiva, con il pugnale spianato: Kìli alzò lentamente le mani vuote con un sorriso divertito a un angolo della bocca. Tauriel sbuffò esasperata, levandosi in piedi e rinfoderando il pugnale; alla vista di lui il polso le accelerò a tradimento facendole aggrottare la fronte.
“Ma tu non dormi mai?” gli chiese bruscamente, imbarazzata per il fatto che era riuscito ancora una volta a coglierla di sorpresa. Stava diventando un’infelice abitudine ed ella odiava l’idea di perdere tanto spesso il controllo. Era tutta colpa sua, non c’era il minimo dubbio.
Kìli sollevò un sopracciglio. I capelli gli si arruffavano ai lati del viso in un modo che Tauriel trovò straordinariamente affascinante. Ebbe voglia di passarci in mezzo le dita; invece incrociò le braccia sul petto con risolutezza.
“Domanda interessante da qualcuno che davvero non dorme mai,” le rispose avvicinandosi con noncuranza, come se quell’incontro fosse una pura casualità e non un piano appositamente ideato da lui. O aveva il sonno eccezionalmente leggero o era un grande attore; Tauriel sospettava la seconda ipotesi.
“Io non ho bisogno di dormire,” replicò, spostandosi inconsapevolmente lontano da lui. Gli occhi di Kìli avevano assunto un che di predatorio che le trasmise una scarica di calore al basso ventre. “Tu sì, però.”
“È tutto il giorno che mi eviti,” disse lui per tutta risposta, cambiando argomento e proseguendo nella sua lenta avanzata. Si era tolto la cotta di maglia e la tunica per la notte e indossava solo i pantaloni e la blusa, i cui lembi erano aperti sul petto quel tanto che bastava perchè lei potesse scorgere la pelle abbronzata al di sotto.
“N–non so di cosa tu stia parlando,” farfugliò Tauriel con un tono poco convincente perfino alle sue stesse orecchie, cercando disperatamente di riprendere il controllo anche se lui l’aveva già costretta in un angolo. Brividi di anticipazione la scuotevano nel profondo e il calore nel suo ventre si era tramutato in un desiderio crescente che non era in grado di capire.
Kìli sollevò di nuovo il sopracciglio con aria di sfida. “Non mi hai degnato di un’occhiata per tutta la sera e riuscivo praticamente a leggerti nel pensiero.”
Con un improvviso lampo di irritazione lei gli rivolse un’occhiata fulminante e lo scostò da un lato, liberandosi così dal suo angolo. “Ma davvero? E a cosa stavo pensando? Ti prego illuminami, o saggio e impetuoso Re,” sbottò con frustrato sarcasmo; ma non era che un ultimo, disperato tentativo di respingerlo.
Ci fu un breve silenzio e poi un lungo sospiro. “Stavi pensando che ciò che è accaduto tra noi – che ancora sta accadendo – è sbagliato. Che non c’è futuro per noi e mai ci sarà,” disse Kìli lentamente, e ogni parola le lacerava il cuore.
Tauriel chiuse brevemente gli occhi, sforzandosi di tenere a bada il dolore prima di parlare. “Sappiamo entrambi che tutto questo è vero, Kìli. Tutto ciò che avremo non saranno altro che incontri segreti nella notte, destinati a non vedere mai la luce...”
Kìli la afferrò per un braccio, costringendola a girarsi e a guardarlo negli occhi. “Tauriel, nel mio cuore ormai ci sei solo tu. Questo non è un capriccio nè un diversivo per me. I miei sentimenti non sono deboli, nè possono essere messi da parte tanto facilmente.”
“Se qualcuno ci scoprisse, Kìli, potresti perdere tutto. La tua casa, la tua famiglia, il tuo trono...”
“Non m’importa di quel dannato trono,” egli ringhiò con veemenza tra i denti.
Tauriel scosse la testa e si girò completamente verso di lui, poggiandogli le mani sulle spalle. “L’hai detto molte volte, ma io non ti credo. Ti ho visto, Kìli, ho visto quanto il tuo popolo e il tuo regno significhino per te. E sarai un buon Re, ma non se veniamo scoperti. La tua gente non lo accetterà mai...”
Kìli stese le braccia e le prese il viso tra le mani in una carezza delicata ma ferma, scrutandola intensamente. La profondità dei suoi sentimenti per lei si rifletteva nei suoi occhi, puri e sinceri come specchi. “Cambierò tutto questo, Tauriel, lo faremo insieme. Gli altri già cominciano a fidarsi di te e a volerti bene, so che conquisterai i loro cuori con la stessa facilità con cui hai già il mio.”
Ella si liberò dalla sua stretta: voleva disperatamente credergli, abbandonarsi al comodo calore della sua adorazione, ma sapeva troppo bene come stavano le cose. La sfiducia tra i loro due popoli aveva radici troppo profonde e i Nani si tenevano ben stretti i loro segreti. Si premette un pugno sulle labbra, serrando le palpebre.
“Tauriel, non sto dicendo che sarà facile o che non ci vorrà del tempo. Ma io credo... anzi, so che qualunque cosa accadrà... ne varrà la pena. Noi ne varremo la pena.”
“Kìli...” cominciò di nuovo a protestare lei, seppur con più esitazione.
E allora lui la prese per la vita e se la tirò più vicina, il calore delle sue mani filtrò attraverso la stoffa della tunica fino al suo corpo e il cuore le battè più forte in petto. “Dimmi che non mi ami. Dimmi che non mi vuoi, e io metterò fine a tutto questo. Giuro che lo farò. Ma... se tu provi per me ciò che io provo per te, allora sappi che non mi arrenderò. Non mi arrenderò mai.”
Era pazzesco, era un folle se pensava davvero che il loro amore, la loro felicità, valeva il prezzo del suo regno; ma in tal caso... lo era anche lei.
Rendendosi conto che ormai non aveva più alcun controllo, Tauriel cedette all’impulso che l’aveva colta poco prima e fece scorrere le dita tra i capelli di lui. Erano morbidi e un pò arruffati, ma la sensazione sulla sua pelle era semplicemente meravigliosa. C’erano piccole trecce nascoste strategicamente nella massa ed ebbe voglia di chiedergli cosa significassero, che cosa rappresentassero. Voleva comprendere lui, la sua gente, il mondo in cui era cresciuto, ma più di ogni altra cosa lo desiderava; desiderava tutto di lui, ogni sua sfumatura e versione.
Kìli trattenne brevemente il respiro sotto le sue carezze e chiuse per un istante gli occhi; quando li riaprì si fissarono, profondi e luminosi, nei suoi. Ora in essi c’era lo stesso ardore che avevano avuto durante la cena e Tauriel si sentì tremare le ginocchia.
“Voglio tutto questo, Kìli,” mormorò. “Voglio te. Ma temo che vivremo per pentircene...”
Lui le sorrise, un sorriso struggente e pieno di sentimento. “Pentirmi di te? Mai.”
Le mani di lui la spinsero all’indietro fino a che non si trovò appoggiata alla dura pietra, e il suo respiro si fece più rapido mentre lo guardava. Il viso di lui era inclinato verso il suo e poteva sentire il suo respiro sulle labbra, le sue dita che strisciavano lungo la sua vita lente ma inesorabili; Tauriel si morse le labbra per trattenere un gemito.
Fece scorrere le dita tra i suoi capelli e poi giù fino alla sua barba, godendo del contrasto dei duri peli contro i suoi polpastrelli. Leccandosi le labbra, osservò le sue mani proseguire il loro viaggio lungo la gola di lui fino ad arrivare alle clavicole; il calore della sua pelle sembrava bruciare attraverso di lei e penetrarle fin nel sangue. Kìli deglutì rumorosamente e si allungò in avanti per baciarla proprio sotto la mandibola, in un bacio rovente e appassionato. Tauriel sospirò piano, con l’impressione che il mondo intorno a lei cominciasse a sfaldarsi, e reclinò la testa all’indietro per facilitargli l’accesso. Le labbra di lui seguirono il contorno del suo mento e scesero lungo il collo, trovandone il battito che mordicchiò delicatamente; stavolta ella non riuscì a trattenere un gemito di piacere. Kìli ringhiò quasi in risposta e le mani di Tauriel si mossero di loro iniziativa penetrando sotto la sua blusa fino ad aggrapparsi alla sua schiena.
Il calore nel suo ventre sembrava essersi condensato e creava ora una pressione bruciante che chiedeva di essere liberata. Non aveva mai provato niente del genere in vita sua. Voleva sentirlo vicino, pelle contro pelle, ma aveva l’impressione che non avrebbe mai potuto esserlo abbastanza, anche se in quel momento le si stringeva addosso ottenebrandole i sensi con il suo calore, il suo odore, le sue carezze. La schiena di lui era ampia e forte, i muscoli si muovevano armoniosi come onde e Tauriel, sentendosi più spavalda, passò le unghie lungo la spina dorsale fino alle spalle per poi arrivare al petto. Kìli gemette più forte, la sua voce echeggiò piano in tutto l’ambiente e, affondando le dita tra i suoi capelli, la tirò verso di sè per baciarla sulla bocca. Non c’era più niente di lento nè delicato nel modo in cui la sua lingua s’intrecciava con la sua, nel modo in cui la sua mano libera si avvinghiava al suo fianco e alla sua coscia in una carezza gentile ma insistente.
Si separarono brevemente, entrambi senza fiato, stretti l’uno contro l’altra con il freddo muro di roccia a far ancora da supporto alla schiena di Tauriel. Lei cercò di recuperare un pò di autocontrollo ma lui tornò a baciarla sul collo, assaporandone la pelle con la lingua. Tauriel si sentiva febbricitante e ansiosa, un incomprensibile calore le si irradiava tra le gambe terrorizzandola ed eccitandola al tempo stesso. Kìli iniziò a scioglierle i lacci della tunica, gli occhi ardenti di desiderio fissi nei suoi, quando all’improvviso il terreno sotto ai loro piedi vibrò violentemente.
Si bloccarono all’istante. La realtà tornò a schiantarsi su Tauriel, lasciandola tremante; nessuno dei due osò emettere un fiato. Un attimo dopo la terra vibrò di nuovo, facendo quasi perder loro l’equilibrio, cui seguì un verso disumano e terrificante.
“Troll di caverna,” bisbigliò lei incredula, e si fissarono per un attimo prima di lanciarsi entrambi di corsa lungo il corridoio.

~
 
“Muovetevi!” gridò Dwalin mentre la compagnia si precipitava giù per il tunnel, cercando al tempo stesso di rimpacchettare i rispettivi bagagli e prendere le armi. Kìli lottava per sistemarsi la tunica, che gli si era arrotolata sul petto, e Tauriel stese una mano aiutandolo e passandogli l’arco; egli le rivolse un breve sorriso prima di appenderselo a tracolla.
Ci fu un altro schianto e il soffitto sulle loro teste iniziò a sgretolarsi; una tremenda fitta di paura le serrò le viscere al pensiero di restare sepolti vivi. La sola idea bastò a farle venire la pelle d’oca e un vago senso di nausea.
“Quanto manca all’uscita?” esclamò Bofur un attimo prima che il verso della creatura risuonasse di nuovo, stavolta più forte e più vicino; doveva averli fiutati.
Tauriel lasciò che il freddo calcolo e i molti anni di addestramento prendessero il sopravvento sulla sua ragione scombussolata. “Non molto, continuate a correre e al bivio prendete a sinistra!” gridò correndo in avanti mentre il pavimento minacciava di franarle sotto ai piedi.
I Nani la seguirono e in quel momento grossi pezzi di soffitto cominciarono a crollare, al punto che furono costretti a schivarli; Tauriel tossì mentre polvere e roccia le offuscavano la visuale. Aguzzando la vista scorse però il bivio, giusto davanti a loro, e poco più oltre la salvezza. Si guardò alle spalle e vide Ori che inciampava proprio nell’istante in cui la parete dietro di lui esplodeva in una pioggia di pietre e fango.
“Ori!” gridò, ma Gloin era già accorso in suo aiuto rimettendolo in piedi.
Un ruggito tonante lacerò loro le orecchie e l’orrenda creatura balzò fuori dalla breccia che si era aperto. Era enorme, anche troppo per entrare nella caverna, e roteava i pugni da tutte le parti nell’intento di farsi spazio. Tauriel e Kìli si scambiarono un’occhiata inorridita.
“Andate, presto! Lo terrò a bada io!” ella esclamò agitando un braccio.
Lui scosse con veemenza il capo. “No! Ce ne andiamo tutti insieme,” urlò stendendo una mano sul suo braccio, ma in quel momento Dwalin lo afferrò per le spalle costringendolo ad entrare nel tunnel. Tauriel si divincolò dalla sua presa e si inginocchiò, arco e freccia già spianati. I Nani la oltrepassarono in preda al panico, ma per lei il mondo aveva già cominciato a rallentare: come in lontananza sentì Kìli gridare il suo nome mentre il troll rivolgeva la sua ira omicida verso di lei, e si concentrò solo sulla sua arma e sul suo respiro tendendo la corda al massimo. La creatura si precipitò in avanti facendo crollare definitivamente il tunnel alle sue spalle e Tauriel, con un ultimo respiro profondo, lasciò partire la freccia che si conficcò in uno degli occhi bulbosi.
Il troll ruggì di dolore e furia ed ella balzò in piedi, evitando per un pelo di venire schiacciata dai detriti. Scattò alla cieca lungo il corridoio, il cuore che le rimbombava nelle orecchie in maniera assordante. In quel momento qualcosa la colpì violentemente a una spalla, gettandola a terra e mozzandole il respiro; riuscì a rimettersi in piedi anche se il dolore la investì con intensità sorprendente. Tossendo convulsamente, vide davanti a lei il tunnel che conduceva all’uscita e lo imboccò, bramando un pò d’aria fresca. Si sentiva già in salvo, ce l’aveva quasi fatta, ma all’improvviso il terreno cedette sotto i suoi piedi e crollò ancora una volta a terra: girandosi lentamente vide il troll, l’orrida faccia nera del sangue che gli sgorgava dall’occhio ferito, incombere su di lei. Il suo arco era fuori portata e tastò freneticamente il terreno alla ricerca dei suoi pugnali, lottando per tenere a bada la paura.
In quel momento una freccia scura e corta colpì il mostro al petto, seguita da un’altra che lo centrò nell’occhio sano e un’altra ancora che gli si conficcò nella gola: la creatura ruggì ancora una volta e s’inginocchiò a terra, schiantandosi poi al suolo di faccia con un ultimo colpo fragoroso. Il tunnel cominciò a crollare sul serio: Tauriel sentì che la speranza l’abbandonava e che il buio strisciava più vicino nella sua visuale. Un attimo dopo mani forti la afferrarono saldamente, sollevandola tra braccia robuste. Tauriel alzò gli occhi stupita: Kìli, la mascella contratta tra freddezza e paura, la stringeva al petto e correva lungo il tunnel che crollava da tutte le parti. La luce esterna era come un faro davanti a loro.
“Non... ce la... faremo,” riuscì a bisbigliare mentre un’altra fitta di dolore alla spalla le faceva rivoltare lo stomaco.
“Ce la faremo eccome” ringhiò Kìli, e in qualche modo riuscì a correre ancora più velocemente mentre le rocce cadevano tutt’intorno a loro, lacerando abiti e pelle come artigli affilati. Sanguinava da un taglio alla tempia e da un altro vicino alle labbra, e una roccia più grande delle altre lo colpì alla schiena mozzandogli il respiro; ma non vacillò.
Tauriel cominciava a sentire il calore del sole e la sua spalla, premuta contro il petto di Kìli, era umida e scivolosa per quello che sapeva bene essere sangue. Un attimo prima che il passaggio collassasse definitivamente su di loro, Kìli emise un rauco grido e si lanciò all’esterno, sotto il sole mattutino. Rotolarono sul tappeto erboso e Tauriel venne sbalzata via dalle sue braccia; il mondo girava all’impazzata intorno a lei e, quando riuscì a fermarsi, rimase immobile a gemere di dolore.
Poi, con un tremendo rombo finale, l’ingresso del tunnel crollò seppellendo per sempre il troll di caverna.

~
 
Il viso di Ori fu il primo che inquadrò nella visuale quando si girò sulla schiena. La polvere si assestava in una nebbia tutt'intorno a loro e il sole splendeva sulle montagne lontane; sporadici fiocchi di neve scendevano su di lei ed erano come gelidi baci sulla sua pelle surriscaldata. Il giovane Nano le si accovacciò accanto, le guance bianche di polvere e gli occhi sbarrati per la paura.
“Sta perdendo molto sangue,” egli bisbigliò a Gloin che le era a sua volta venuto vicino: il Nano era talmente coperto di polvere da far pensare che fosse invecchiato almeno di un centinaio d’anni.
Tauriel deglutì e girò la testa per guardarsi il braccio sinistro: un taglio profondo, che andava dalla spalla al gomito, si era fatto strada dagli abiti alla carne fino a raggiungere l’osso, che brillava a tratti di un bianco giallastro tra il rosso del sangue. Serrò le palpebre e si girò dall’altra parte, colta da vertigini che minacciavano di farle perdere i sensi da un momento all’altro.
Un istante dopo Kìli era al suo fianco, prendendole la mano illesa tra le sue. Il sangue gli colava dalla ferita alla tempia, che per fortuna non sembrava profonda, e aveva polvere e sporcizia sul viso e tra i capelli. Sbiancò quando si chinò ad esaminare la sua ferita e i suoi occhi, quando li riportò su di lei, erano spalancati e colmi di paura.
Tauriel riteneva che, se fossero riusciti a fermare il sanguinamento e a ripulire lo squarcio, la ferita non sarebbe stata mortale – o almeno lo sperava.
“Bombur!” egli si voltò a chiamare, e il grosso Nano trottò verso di loro seguito a ruota da Dwalin, Bofur e dal giovane Thorin: ciascuno aveva un aspetto terribilmente identico a quello degli altri. Bombur guardò il suo braccio ferito e deglutì pesantemente, togliendosi poi la sacca dalle spalle e iniziando a rovistare con frenesia all’interno.
“Athelas,” riuscì a gracchiare Tauriel, “per fermare l’infezione.”
Ori annuì e corse via con Bofur alle calcagna, visto che egli aveva già familiarità con l’erba medicinale dopo i fatti di Pontelagolungo. Kìli le mise il proprio mantello arrotolato sotto la testa a mò di cuscino e le avvicinò una borraccia alla bocca, che lei vuotò in lunghe sorsate. Cercò di rivolgergli un sorriso rassicurante, ma le morì sulle labbra: il lato sinistro del suo corpo cominciava ad essere insensibile e intorpidito e sentì che stava scivolando pericolosamente verso l’inconscienza.
“Dovremo pulirla e ricucirla,” disse Bombur a Kìli tornando da lei con una tunica abbastanza pulita che premette sulla ferita per fermare l’emorragia; Tauriel strinse i denti ed espirò forte dal naso.
“Potrebbe non essere sicuro qui,” disse poi piano a Kìli. Sapeva che la radura in cui erano si trovava nella zona nord–ovest della foresta: mancava solo un giorno, massimo due prima di raggiungere il limitare degli alberi, ma l’area non era sempre sicura. Ben poche al di fuori delle mura del loro regno lo erano, in effetti.
“Dobbiamo fermare l'emorragia, hai già perso troppo sangue,” insistette lui con un tono che indicava chiaramente che non avrebbe mai cambiato idea.
“Sto io di guardia,” si offrì il giovane Thorin, prendendo un’ascia e avviandosi senza più voltarsi indietro. Ma i suoi occhi indugiarono curiosamente su di lei mentre parlava, come se la vedesse per la prima volta e non sapesse bene cosa pensare.
In quel momento Dwalin, con un gridolino strozzato, afferrò Kìli per le spalle. “Sei ferito!” esclamò con orrore.
Kìli si guardò il pettorale e la tunica imbrattati e deglutì a vuoto, lanciando un’occhiata a Tauriel. “È il suo sangue, non il mio.”
Dwalin serrò la mascella e lo lasciò andare, e si rivolse a Tauriel con le sopracciglia aggrottate. “Uhm, ecco... è stato molto coraggioso quello che hai fatto là dentro, ragazza,” borbottò imbarazzato, incapace di guardarla negli occhi.
“Non è niente,” rispose lei con un sorriso sofferente mentre Gloin, dietro ordine di Bombur, accendeva il fuoco. Dwalin grugnì e le guance gli si arrossarono mentre si allontanava, borbottando qualcosa sul recuperare le loro provviste.
Kìli le scostò delicatamente i capelli dal viso mentre Bombur le esaminava di nuovo la ferita, mormorando qualcosa in approvazione e ricollocando il panno insanguinato al suo posto. A quanto pareva l’emorragia si stava arrestando e Tauriel provò un’ondata di sollievo. Kìli invece aveva un’espressione molto particolare e, anche se cercava di nasconderlo, lei capì che era ancora profondamente sconvolto, anche perchè la mano di lui tremava leggermente nella sua.
“Ti sarei molto grato se non facessi mai più una cosa del genere,” osservò seccamente.
Lei ridacchiò piano. “Quale parte? Quella in cui un troll stava per schiacciarmi o quella in cui l’ha quasi fatto il tunnel?”
“Quella in cui sei rimasta indietro e hai rischiato la tua vita inutilmente,” egli disse con improvvisa serietà, l’ira e la preoccupazione che gli brillavano negli occhi.
Tauriel smise di ridere e gli strinse la mano. “Non è stato inutile, Kìli. Ci serviva del tempo per scappare e io ho fatto in modo di procurarcelo.”
Lui fece una smorfia. “Ma sei quasi morta; se non fossi tornato indietro io...”
“Beh,” ragionò lei, “era tempo che mi restituissi il favore.”
Kìli ridacchiò e un pò dell’ansia abbandonò il suo viso, sebbene le sue spalle rimanessero tese e i suoi occhi preoccupati. “Preferirei che nessuno dei due avesse più bisogno di essere salvato.”
Tauriel resistette all’impulso improvviso di baciarlo, o per lo meno di accarezzargli la guancia con una mano, ma si limitò a passargli il pollice sulle nocche, gesto che lui ricambiò. Immagini del loro ultimo incontro, prima che il troll li attaccasse, le fluttuarono alla mente e dovette sforzarsi di tenerli a bada. Sentiva ancora le labbra di lui sulla pelle e la sensazione della sua schiena sotto le dita e deglutì, chinando la testa per nascondere il rossore che sentiva affiorarle sul petto e sulle guance.
Questo non è il momento per dei futili ricordi, si rimproverò, mortificata all’idea che la sua mente si distraesse tanto facilmente malgrado la gravità della situazione. In fondo erano quasi morti; eppure la sensazione permaneva, rafforzata dalla presenza di lui e dall’adrenalina ancora in circolo nel suo organismo. Provò un desiderio prepotente di proseguire laddove si erano interrotti, di confermare a sè stessa che erano ancora vivi entrambi.
Ori e Bofur tornarono un momento dopo, ansanti e sbuffanti ma con l’erba dai bianchi fiori stretta in mano; Bombur le tolse il panno dal braccio mentre Gloin gli si avvicinava con un grande recipiente di acqua calda.
“Bagna l’erba con un pò d’acqua e spezzettala. Dopo averla... dopo averla pulita,” Tauriel esitò, conscia che l’operazione sarebbe stata oltremodo dolorosa, “ponicela sopra e lasciacela per un pò prima di ricucire.”
Bombur annuì e lui ed Ori ricavarono delle strisce di stoffa da un’altra tunica, immergendole poi in acqua; quindi Bombur le prese il braccio con un’occhiata dispiaciuta. “Questo farà male.”
Kìli si sistemò dietro di lei e la aiutò a mettersi seduta, lasciando che poggiasse la schiena sul suo petto. Tauriel girò il viso verso il suo collo e inspirò il suo odore di metallo, cuoio, sudore, sangue e qualcos’altro di unicamente suo, speziato e muschiato. Non avrebbe dovuto tenerla così, lo sapeva, ma la debolezza e il dolore le offuscavano la mente, e poi di certo il suo gesto poteva essere interpretato come mera preoccupazione per il suo benessere e non come un trattamento speciale riservato solo a lei. Perfino nella sua mente alterata si rendeva conto che era una ben vana speranza, ma oramai si stava abituando ad aggrapparsi alle speranze vane.
“Se posso sopportare la cucina di Dwalin per tre giorni di fila, posso sopportare anche questo,” ella rispose; Bofur scoppiò a ridere e Ori sorrise, mentre Kìli ridacchiò brevemente massaggiandole nel contempo la schiena con dolcezza. Anche Bombur sembrò sollevato e così, senza perdere altro tempo, si mise al lavoro.

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Parecchie ore dopo, allorchè la ferita fu pulita, ricucita, bendata e il braccio le venne fissato al petto, raccolsero le loro poche cose e s’incamminarono verso nord. Tauriel si sentiva ancora intontita e dolorante, ma dovevano trovare un posto sicuro in cui accamparsi. Sapeva che le possibilità che la sua gente non avesse notato il crollo della galleria erano molto scarse e con ogni probabilità sarebbero giunti sul posto ad indagare. La compagnia doveva allontanarsi da lì prima che arrivassero poichè non si fidava neanche un pò del fatto che il Re li avrebbe lasciati proseguire senza cercare di trattenere i Nani. Naturalmente Kìli aveva protestato, rammentandole il suo incidente e l’ingente perdita di sangue, ma non avevano molta scelta e lei si era limitata a rassicurarlo dicendogli che gli Elfi guariscono in fretta, anche più dei Nani. L’Athelas le aveva effettivamente restituito un pò di forze e Bombur aveva fatto un ottimo lavoro, anche se Tauriel sapeva che probabilmente le sarebbe rimasta un’orrenda cicatrice; ma sarebbe stata solo l’ultima di una lunga serie, un altro ricordo per i lunghi anni a venire.
Kìli le girava cautamente intorno, sempre pronto a offrirle una mano se la vedeva vacillare o anche solo per aiutarla a oltrepassare una radice scoperta; era un atteggiamento terribilmente dolce, per non dire oltremodo rivelatore.
La foresta era meno opprimente lì anche se non meno selvaggia, più simile a come era stato il loro regno un tempo. La compagnia avanzava in silenzio, tutti si sentivano esausti e malconci. Da parte sua Tauriel rimpiangeva la perdita del suo arco, un dono di Legolas, rimasto sepolto nella galleria insieme al troll. Sapeva che era una sciocca a dispiacersi per una cosa del genere quando avevano rischiato di perdere qualcosa di ben più prezioso, ma era più forte di lei. Sentiva che il principe elfico si allontanava da lei sempre più, che la loro amicizia svaniva poco alla volta man mano che la sua vecchia vita veniva rimpiazzata dal terribile ignoto che le stava davanti.
Il sole cominciava a tramontare quando Tauriel si rese finalmente conto che non erano soli; non fosse stata così debole e stravolta, se ne sarebbe accorta molto prima. Con un basso sibilo alzò un braccio e fece fermare tutta la compagnia.
“Tauriel,” disse Kìli avvicinandosi subito con aria preoccupata, “cosa–?”
“Shhh,” ribattè duramente lei. “Fate silenzio e mettete giù le armi, adesso.”
Il giovane Thorin grugnì. “L’Elfa deve aver perso la testa...”
Una freccia gli passò sibilando a pochi centimentri dal capo e Tauriel si lasciò sfuggire un gridolino sconvolto; un istante dopo un gruppo di Elfi balzò giù dagli alberi con gli archi spianati, circondandoli in un lampo. Erano otto in totale e puntavano le frecce non contro di lei, ma contro i Nani. Li conosceva tutti ed essi la osservarono con interesse e perplessità, sbirciando il suo braccio ferito e traendo le loro conclusioni.
“Non di nuovo,” ringhiò Dwalin frustrato mentre gli altri alzavano le mani, riluttanti e furiosi.
“Bene, bene,” disse in quel momento una voce familiare mentre gli Elfi si facevano da parte per lasciarne passare un altro. “Guarda chi si rivede – Tauriel, l’ex Capitano della Guardia.” L’Elfo in questione era basso, più ancora di Tauriel, la quale era considerata piuttosto piccola tra la sua gente, con lunghi capelli scuri e un volto affilato. Aveva stampata in faccia un’espressione di supremo godimento e Tauriel sentì tutte le loro speranze di raggiungere le montagne senza altri ostacoli crollare come le grotte da cui erano appena sfuggiti. Kìli fremette con rabbia accanto a lei e si scambiarono un’occhiata: dovette avvertire il disagio in lei perchè strinse i denti, e Tauriel potè quasi sentire la sua mente che si metteva al febbrile lavoro di trovare una via d’uscita alla loro situazione. Sperava proprio che escogitasse qualcosa alla svelta, perchè aveva il presentimento che non ne sarebbero usciti tanto facilmente nè senza danno.
Il cuore le batteva tanto forte da rimbombarle nelle orecchie. “Tenente Welethen. A cosa dobbiamo l’onore?”
L’Elfo venne da lei lentamente, con noncuranza, come se stesse facendo una semplice passeggiata nella foresta. “Sono il Capitano Welethen adesso,” le rispose, e il ghigno di soddisfazione con cui accompagnò quelle parole le fece venire la pelle d’oca.

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Capitolo 11
*** CAPITOLO XI: La lunga corsa ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

When my blood runs warm with the warm red wine
I miss the life that I left behind
But when I hear the sound of the blackbirds cry
I know I left in the nick of time
Well this road I'm on's gonna turn to sand
And leave me lost in a far off land
So let me ride the wind til I don't look back
Forget the life that I almost had
If I wander ‘til I die
May I know who's hand I'm in
If my home I'll never find
And let me live again


- The Longer I Run, Peter Bradley Adams

~
 
La notte incombeva sulla cima degli alberi quando raggiunsero l’accampamento elfico.
Tutta l’energia che Tauriel aveva recuperato dopo il suo incontro ravvicinato con la morte sembrava essere scemata in presenza del Capitano Welethen: l’Elfo era ancor più insopportabile di quanto ella ricordasse, il che era tutto dire.
Era il figlio secondogenito di una casata nobiliare minore e Tauriel aveva trascorso quasi tutto il suo tempo da Capitano a tentare di farlo rimuovere dalla Guardia, implorando il Re di essere ragionevole e di dare ascolto al suo giudizio; ma invece era stata costretta a promuoverlo ancora e ancora in favore di una qualche mossa strategica che non era mai riuscita a comprendere. Dopotutto la politica non era mai stata il suo forte, il che rendeva il suo ruolo come Ambasciatrice a Erebor ancor più ridicolo.
All’epoca aveva pensato che forse Thranduil era riuscito a scorgere qualcosa in quell’Elfo indolente che a lei invece sfuggiva, ma adesso riteneva che il suo Re avesse già iniziato a perdere la ragione. Come aveva potuto affidare la protezione del suo intero regno a uno come Welethen, un essere viscido come una serpe?
“Tratterremo i Nani per un interrogatorio,” egli le aveva detto in Sindarin al momento della cattura, sempre con quel ghigno compiaciuto stampato in volto.
C’era voluto tutto l’autocontrollo di cui Tauriel era capace per impedirsi di cancellare quell’espressione irrispettosa a suon di schiaffi. I Nani intanto, alle sue spalle, brontolavano e ringhiavano come un gruppo di orsi scorbutici. “Temo che non abbiamo tempo. Dobbiamo raggiungere le Montagne Grigie il prima possibile,” gli aveva risposto nella lingua corrente, rifiutandosi di sottostare al suo gioco.
A quel punto Welethen aveva assunto un’espressione ancor più soddisfatta, come se ella fosse finita dritta in una qualche trappola da lui appositamente preparata. “Il nostro accampamento è qui vicino e non posso proprio lasciare che un branco di Nani se ne vada tranquillamente a spasso nel nostro territorio.”
“Sono sotto la mia protezione,” era sbottata lei, controllandosi a fatica e passando al Sindarin nella frustrazione. Sapeva che almeno Kìli avrebbe capito.
“O vengono di loro spontanea volontà,” aveva continuato Welethen mascherando a stento il compiacimento, “o verranno legati e imbavagliati. A te la scelta, Tauriel.”
Ambasciatrice Tauriel,” lo aveva corretto seccamente uno dei ricognitori, senza cercare di nascondere il proprio malcontento. Ma Welethen si era abbandonato ad una sgradevole risata, il cui suono si era propagato tra gli alberi e che aveva urtato grandemente i già abbastanza provati nervi di Tauriel.
“Ah, sì” aveva detto alla fine, piegando le labbra in un ghigno malevolo. “Ambasciatrice. Come dimenticarlo? Ma ciò non cambia la sostanza dei fatti: o vengono con noi volontariamente o li farò legare e trascinare urlanti dai miei uomini.”
Dopo parecchi minuti di intensi conciliaboli era finalmente riuscita convincere i Nani a cedere le armi e seguire gli Elfi nel bosco. Kìli, sebbene apparisse furioso, aveva supportato la sua tesi e la sua decisione aveva fatto sì che la maggior parte dei suoi compagni mettesse da parte i propositi ribelli; il giovane Thorin però l’aveva fissata con grande astio, come se ella fosse esattamente l’orribile personaggio che si era aspettato ed era chiaro che tutti i progressi che aveva fatto con lui, se mai ce ne fossero stati, erano andati perduti.
Mentre i Nani, sempre brontolando e imprecando, cedevano le armi, Tauriel aveva scambiato un’occhiata con Kìli, silenziosa ma piena di un avvertimento che sperava egli riuscisse a cogliere: non potevano rivelare la sua vera identità. Ella non voleva credere che il Re avrebbe cercato di fargli del male se avesse saputo che si trovava lì, ma i recenti avvenimenti l’avevano portata a diffidare di qualunque faccenda Thranduil fosse coinvolto. Kìli le aveva rivolto un cenno impercettibile col capo e si era voltato a parlare brevemente con i suoi compagni nella loro lingua, e quando essi ebbero annuito a loro volta Tauriel si era sentita un pò meno in ansia.
Ora, ai bordi di una piccola vallata che dava sull’accampamento sottostante, ella si sentì di nuovo cogliere dalle vertigini. Era stanca. Tanto, tanto stanca. Uno dei ricognitori se ne accorse e la prese delicatamente per il braccio sano, sostenendola. “Va tutto bene, mia signora?” bisbigliò in Sindarin, osservandola preoccupato. Siluthen era il suo nome, se ben ricordava, un Elfo silenzioso ma capace.
Raccogliendo quella poca forza che le restava, Tauriel gli rivolse un leggero sorriso. “Starò bene. Ci siamo imbattuti in un troll di caverna nelle Vie Sotterranee.”
“Un troll di caverna?” egli ripetè un pò più forte di quanto non avesse voluto, attirando l’attenzione degli altri. “Ma non si sono mai spinti così lontani dalle montagne.”
Ella fece una smorfia. “L’oscurità sulla nostra foresta attrae molte laide creature.”
“Sbrigatevi, voialtri!” gridò Welethen da più avanti mentre gli Elfi mormoravano tra loro. C’era una strana espressione nei suoi occhi e Tauriel ebbe il presentimento che qualcosa fosse accaduto in sua assenza, qualcosa d’importante che rendeva inquieta tutta la Guardia.
Mentre scendevano il pendio Kìli le venne vicino e, accortosi che vacillava, la prese fermamente per un gomito; i suoi occhi lampeggiavano di rabbia e preoccupazione.
“Sto bene,” cercò di rassicurarlo, ma egli scosse il capo stringendola a tal punto da farle quasi male prima di allentare la presa.
“No che non stai bene,” ringhiò. “Sembri un cadavere che cammina e non mi fido neanche un pò di questo supposto Capitano.”
“Nemmeno io, ma per il momento non possiamo fare altro che aspettare. C’è qualcos’altro all’opera qui, nascosto sotto la superficie.”
La loro conversazione s’interruppe quando raggiunsero il piccolo ma ben organizzato accampamento, le cui tende erano state disposte in senso circolare attorno ad un gran fuoco. Un sospetto le si affacciò ad un angolo della mente: era ovvio che si trovavano lì già da parecchi giorni e in una zona che normalmente il suo popolo non presidiava. Era possibile che la stessero aspettando? Oppure vi era qualcosa di più nefasto all’opera, qualcosa che continuava a sfuggirle?
“Capitano!” gridò qualcuno dall’ombra e una figura familiare venne verso di lei, ignorando del tutto lo sguardo scandalizzato di Welethen. Si trattava di Belùne, un altro dei suoi tenenti, e un altro pò di tensione svanì in lei: finalmente un Elfo di cui poteva fidarsi, un altro tra coloro che nella Guardia condividevano le sue stesse impressioni riguardo Welethen.
“Sei ferita!” egli esclamò conducendola subito vicino al fuoco, mentre Welethen continuava a protestare febbrilmente. I Nani li seguirono a ruota, lanciando occhiatacce agli altri Elfi nel caso avessero voluto fermarli.
Tauriel si sedette con gratitudine, poichè le gambe non la reggevano più tanto era esausta. Un Elfo le portò una borraccia d’acqua e un altro una ciotola di brodo caldo, ed entrambi sembravano sinceramente preoccupati e turbati per le sue condizioni. Ella accettò il tutto e bevve sentendosi incommensurabilmente meglio. Kìli rimase al suo fianco squadrando gli Elfi con ostilità: sembrava una piccola nube tempestosa.
“Abbiamo a tal punto dimenticato i princìpi basilari dell’accoglienza,” Tauriel disse a Belùne nella lingua corrente, “da non offrire anche ai nostri ospiti cibo e bevande?”
L’Elfo parve a disagio. “Ah–sì, ma si tratta di Nani...”
“Sono miei amici. E sono anche sotto la mia protezione, o questo non conta più nulla?” Il suo tono di voce era gentile ma fermo ed ella vide la sorpresa negli occhi degli altri Elfi, che però si affrettarono ad obbedire, con rispetto e anche un pò di vergogna.
Belùne fece un cenno ad uno dei suoi compagni e subito i Nani vennero rifocillati a loro volta. Kìli fu il primo ad accettare il piatto e il boccale che gli venivano offerti e fissò severamente gli altri, che esitarono un pò prima di accettare a loro volta. Ma il ristoro durò poco perchè subito riapparve Welethen, gli occhi pieni di rabbia.
“Parleremo in privato nella mia tenda, mia signora Ambasciatrice.”
Tauriel sospirò e fece una smorfia, desiderando disperatamente essere più preparata. Il dolore al suo braccio cresceva con la stessa rapidità con cui avanzava la notte, risucchiandole quella poca energia rimastale.
Belùne, seppure in chiaro disaccordo con il trattamento di Welethen, la aiutò a rimettersi in piedi; Kìli si fece subito avanti. “Dove va lei vado io,” disse con fermezza, gli occhi scuri che brillavano pericolosamente. Dwalin cercò di dissuaderlo con alcune parole nella loro lingua, ma Kìli lo ridusse al silenzio indirizzando un’occhiataccia anche a lui.
Tauriel guardò Welethen e rimase stupita nel vederlo di nuovo compiaciuto. “Ma certo, porta pure con te il tuo piccolo amico, Tauriel. Più ce n’è, meglio è.”
Sentendosi decisamente a disagio, ella seguì l’Elfo e gli altri suoi compatrioti lungo il labirinto di tende fino a che raggiunsero la più grande di tutte, che sorgeva nell’epicentro dell’accampamento. La sua grandezza era a dir poco ridicola e Tauriel storse il naso in disapprovazione. Una delle doti principali di un Capitano era ricordare a coloro che lo seguivano che, anche se eri tu ad avere il comando, non per questo eri più in gamba o più importante di loro; ma evidentemente Welethen non si sforzava neanche di conquistarsi la stima dei suoi uomini.
La tenda era ancor più esagerata all’interno, rifornita com’era di pellicce lussuose, stoffe pregiate e mobili. Welethen si girò verso di loro con un’aria più compiaciuta che mai, le labbra contorte in un ghigno e gli occhi che scintillavano di pura malizia. Si era sempre lamentato, e ad alta voce, di come essere di pattuglia con lei fosse roba da barbari, ed era per questo che Tauriel faceva sempre in modo di mandarlo di stanza nel più folto della foresta e il più lontano possibile da lei.
“Ora puoi lasciarci, tenente,” egli disse freddamente a Belùne, il quale si accigliò ed ebbe l’aria di voler protestare, ma Tauriel gli pose una mano rassicurante sull’avambraccio. Belùne la fissò, chiaramente comunicandole con lo sguardo che sarebbe rimasto fuori dalla tenda in caso avesse avuto bisogno del suo aiuto, prima di inchinarsi leggermente e andarsene. Kìli restò un pò dietro di lei, le gambe allargate e i pugni che si aprivano e si chiudevano convulsamente come se si aspettasse una lotta da un momento all’altro. Aveva un aspetto terribilmente feroce, con il sangue della ferita alla tempia che si era seccato lungo lo zigomo: Welethen poteva anche essersi fatto beffe della sua taglia, ma il modo in cui distolse rapidamente lo sguardo da lui la diceva lunga sul suo non indifferente livello di ansietà.
“Suppongo ti credessi molto furba a viaggiare nelle Vie Sotterranee,” egli esordì in Sindarin con tono leggero, muovendo alcuni passi lontano da loro. Due Elfi, i cui nomi Tauriel non ricordava, si posizionarono a bloccare l’unica uscita visibile della tenda ed ella avvertì allo stomaco una sensazione molto spiacevole.
“Volevo solo condurre i Nani lungo una strada sicura,” rispose con voce incolore.
“Mi chiedo però perchè tu abbia pensato di portarli a spasso nel nostro Regno senza il permesso del Re,” egli ribattè, giocherellando con qualcosa che prese dalla sua scrivania.
“Ho informato delle nostre intenzioni la più vicina postazione di guardia,” ella insistè, domandandosi a che gioco stesse giocando.
“Ma avete proseguito senza attendere il suo permesso, non è così?”
“Presumevo che il Re sarebbe stato collaborativo in ogni caso...”
“Esatto: lo presumevi!” sibilò all’improvviso Welethen voltandosi a guardarla con  un tale odio che Tauriel rimase per un istante senza fiato: mai aveva visto tanta malvagità sul viso di uno del suo popolo.
In quel momento uno degli altri Elfi la afferrò e la costrinse ad inginocchiarsi con un forte strattone, coprendole poi la bocca con una mano come per impedirle di mordere. Alle sue spalle Kìli emise dei versi inarticolati e, voltandosi a mezzo, Tauriel incontrò i suoi occhi disperatamente infuriati mentre l’altro Elfo riservava anche a lui il suo stesso trattamento, puntandogli in più un coltello alla gola; un attimo dopo però fu forzata a girarsi dall’altra parte. Il braccio ferito le venne dolorosamente torto dietro la schiena e sentì i punti tirarle la pelle come per protesta.
Welethen avanzò verso di lei: l’odio gli stravolgeva il viso a tal punto che appariva distorto e maligno alla luce danzante nelle torce. “Se solo ti azzardi a muovere un dito o ad emettere un fiato, gli faccio tagliare la gola. Hai capito?” sbraitò, chinandosi in avanti tanto da sfiorarle il naso con il proprio e spruzzandole sulle guance una disgustosa pioggerellina di saliva.
Annuendo lentamente, Tauriel si sentì travolgere da una rabbia feroce. Lo avrebbe ucciso per questo. Lo avrebbe ucciso per aver semplicemente pensato di potergli torcere anche un solo capello.
Welethen fece un cenno all’Elfo che la bloccava e la mano le venne rimossa dalla bocca: l’aveva premuta con tanta forza da farle graffiare le labbra contro i denti. Tauriel esaminò rapidamente la situazione. Il suo carceriere aveva una spada e un pugnale appesi alla cintura, più un altro infilato nello stivale sinistro; era più alto e più forte ma lei era più svelta e intelligente, di questo era certa. Tutto ciò che le serviva era un’occasione.
“Che cosa facevate tu e i Nani nelle Vie Sotterranee?” le chiese Welethen, gli occhi accesi da uno strano fervore.
“Viaggiavamo per raggiungere i confini della foresta, come ti ho già dett–”
Lo schiaffo giunse all’improvviso, lasciandola stordita. Francamente non lo aveva creduto capace di tanto. Il dolore le scoppiò lungo la guancia e sentì il sapore del suo stesso sangue, caldo e metallico, in bocca; alle sue spalle Kìli continuava disperatamente a mugolare.
“Non te lo chiederò di nuovo. Che cosa stavate cercando nelle Vie Sotterranee?” sibilò ancora Welethen, afferrandola per il mento e avvicinandole il viso al suo.
Ma lei ghignò. “Solo un sistema per evitare la tua compagnia, Capitano.”
Welethen emise un verso rabbioso e le afferrò il braccio ferito, affondandovi le dita: stavolta Tauriel urlò di pura agonia prima che una mano scendesse di nuovo a coprirle la bocca. Il dolore le si trasmise in ondate dal braccio in tutto il corpo e la sua visuale passò in maniera allarmante dal rosso acceso al buio fitto.
“Mi dirai cosa cercavate in quei tunnel, Tauriel, dovessi strapparti le informazioni a forza. E non nego che lo farei con piacere.” La voce di lui suonava alle sue orecchie vile e scivolosa come la serpe che era, la sua mano le artigliava i capelli senza alcun riguardo. Affondò ancora di più le dita nel suo braccio e Tauriel dovette combattere contro l’incoscienza che l’avvolgeva; finalmente, dopo un lungo momento, la lasciò andare. Si afflosciò nella stretta del suo carceriere, cercando disperatamente di non perdere i sensi.
“Rinchiudeteli da qualche parte e assicuratevi che rimangano in silenzio. Se gli altri la scoprono potrebbe verificarsi un ammutinamento, e questa giornata è stata già abbastanza lunga.”
Il tempo sembrò stranamente distorcersi mentre le mani le venivano legate dietro la schiena e una benda le veniva calata sugli occhi. Venne sollevata senza alcun garbo, la ferita al braccio pulsava come un sole caldo e terribile e la sua visuale continuava ad oscurarsi. Spezzoni di immagini fluttuavano a tratti in lei – il volto inespressivo del suo carceriere, il ghigno spietato di Welethen, il viso bianco di Kìli e i suoi occhi colmi di rabbia, paura e tremenda preoccupazione.
Li portarono in una piccola grotta appena fuori l’accampamento, niente più che una rientranza nel fianco delle colline, con diverse gabbie di ferro sistemate all’interno. Qualcuno doveva aver riferito del loro passaggio, pensò vagamente Tauriel mentre veniva gettata di mala grazia in una delle gabbie. Registrò a malapena il fatto di trovarsi distesa sulla nuda terra, tutto il corpo le doleva e si sentiva come distaccata dalla realtà. Il suo carceriere le legò le caviglie mentre anche Kìli le veniva deposto vicino: subito fissò disperatamente lo sguardo nel suo anche se lo tenevano ancora fermo.
Gli avvenimenti successivi si fecero più sfocati, come frammenti di un sogno in dissolvenza. Alla fine anche gli altri Nani si unirono a loro, legati anch’essi e più che mai furibondi. Non appena vennero lasciati soli Kìli accorse al suo fianco e la sostenne contro il suo petto come meglio poteva, gli occhi lucidi di lacrime di paura. Tauriel avrebbe voluto rassicurarlo, ma non riusciva ad imbastire nemmeno l’ombra di un sorriso; inoltre, con ogni probabilità stavolta egli non le avrebbe creduto.
L’ultima cosa che vide prima di precipitare nell’incoscienza fu Bombur che si chinava ad esaminare la sua ferita, quantunque avesse anche lui le mani legate; e, a giudicare dalla velocità con cui il colorito svanì dalle sue guance tonde, la sua situazione non era affatto buona.

~
 
Tauriel aveva l’impressione di fluttuare in assenza di gravità, circondata da un caldo grigiore. Non aveva idea di dove si trovasse nè di cosa ci facesse in quel luogo ma c’era qualcosa che la pungolava, che la spingeva verso un posto appena al di fuori della sua portata. Quanto tempo fosse rimasta lì, indifferente e inconsapevole, non lo sapeva con certezza; in quel luogo il tempo non aveva significato nè potere. Ma infine una voce, forte e sicura, la riportò indietro poco alla volta.
La luce bucò la cortina dell’ombra che le oscurava la vista e con essa venne anche il dolore, intenso, bruciante e reale. Gemette debolmente mentre la voce - anzi no, era un canto - echeggiava fino a lei in lente ondate. Tauriel battè piano le palpebre tornando in sè stessa e rimase sbalordita nel vedere un volto familiare chino su di lei.
“Legolas?” gracchiò, sicura di stare sognando.
L’Elfo sorrise dolcemente e le scostò i capelli dalla fronte sudata. A quanto pareva si trovava in una tenda, distesa su di una comoda pelliccia e sotto calde coperte. Tauriel provò a flettere le dita del braccio ferito: le doleva ancora, ma si sentiva decisamente meglio. Il viso ansioso di Kìli si affacciò nella sua visuale: la ferita alla sua tempia era stata ripulita e fasciata e gli occhi scuri si riempirono di sollievo quando incontrò il suo sguardo. Gli rivolse un debole sorriso, con le guance che le si arrossavano, e molte cose passarono tra loro in quello sguardo. Tauriel si ricordò che non erano soli, anche se desiderò ardentemente che potessero esserlo anche solo per qualche momento, e interruppe il contatto visivo.
“C–cos’è successo?” chiese allora. Legolas le avvicinò alle labbra una ciotola d’acqua che lei bevve avidamente, tornando a riempirla altre due volte prima che si abbandonasse di nuovo tra i cuscini, sentendosi finalmente sè stessa.
“Siamo arrivati il giorno dopo la vostra cattura. Dopo averti incontrata ai margini del bosco, il tenente Curial temeva che poteste essere in pericolo ed è venuto a chiedere il mio consiglio; a quanto pare aveva ragione. Sei rimasta inconsciente per due giorni, ma ora sei sulla via della guarigione,” le rispose Legolas con voce controllata, scuro in volto.
“Non capisco come facesse a sapere dove trovarci,” ella disse riferendosi a Welethen. “Sembrava che ci stesse aspettando, Legolas, e non ho idea del perchè.”
Legolas strinse i denti e i suoi occhi lampeggiarono di rabbia a malapena contenuta. Indossava la sua uniforme da ricognizione che aveva un’aria sorprendentemente consunta, come se fosse stato lontano da casa per diversi giorni, se non settimane. Thranduil odiava vederlo vestito così, si rammentò vagamente Tauriel, gli dava l’impressione che suo figlio fosse un Elfo comune – anche se lei aveva sempre sospettato che intendesse Silvano. Personalmente a lei piaceva qualunque cosa scegliesse di indossare, ma lo preferiva quando sembrava uno di loro. Era come la sua concezione dell’essere Capitano: egli era il loro Principe, sì, ma la sua vera forza stava nella comprensione del suo popolo.
“Nemmeno io, ma giuro che pagherà caro l’averti trattata in questo modo.”
“Non è qui?” ribattè lei, sorpresa.
Legolas si accigliò e scosse il capo; alle sue spalle Kìli, le braccia conserte, aveva un’aria altrettanto scontenta. “Lui e i suoi uomini sono spariti nel momento del nostro arrivo.”
Tauriel aggrottò la fronte e si sollevò sui cuscini, sistemandosi meglio. Aveva l’impressione che qualcosa di oscuro e pesante continuasse a tenerla bloccata. “Mi ha interrogata in merito alle Vie Sotterranee. Credevo volesse catturare i Nani, ma sembrava molto più interessato a capire perchè ci trovassimo in quei tunnel; era convinto che stessimo cercando qualcosa.”
Legolas la guardò confuso. “Non so per quale scopo fosse stato assegnato lì, da che è stato eletto Capitano mio padre lo ha inviato in molte misteriose missioni.” La sua voce era soffusa di sdegno e Tauriel si sentì stringere il cuore. A quanto pareva egli era giunto alle sue stesse conclusioni in merito al comportamento di suo padre – anche se questo non significava granchè.
“Ma ne parleremo più tardi; ora devi riposare,” le disse con dolcezza, rimboccandole le coperte in un gesto goffamente materno. Qualcuno le aveva tolto l’armatura e gli abiti e l’aveva vestita con una semplice tunica – ella però non si soffermò troppo su chi potesse aver svolto un tale compito. Non era affatto abituata ad essere trattata come una creatura fragile e delicata, e non era sicura che la cosa le piacesse. Ad ogni modo era molto felice di rivedere il suo Principe e cercò di non ripensare al loro ultimo incontro, quando non si erano scambiati neppure una parola di saluto. Desiderava parlargli, curare qualsiasi ferita il suo animo potesse ancora avere, ma non sapeva da che parte cominciare; in ogni caso lui adesso era lì e a quanto pareva le aveva salvato la vita. Forse non la odiava tanto quanto aveva creduto lei.
“Non possiamo trattenerci, i Nani...” cominciò a dire flebilmente.
“Possiamo aspettare ancora un paio di giorni,” la interruppe con fermezza Kìli, e solo allora Tauriel notò che sembrava molto stanco. Ombre scure gli cerchiavano gli occhi e sospettò che non si fosse mai allontanato dal suo capezzale. Quel pensiero le scaldò il cuore: avrebbe voluto fare qualcosa per scacciare la stanchezza e l’ansia dal suo viso.
“Dormi ora, Tauriel, hai bisogno di riposo,” disse Legolas alzandosi e scambiando con Kìli una lunga occhiata significativa. Tauriel ebbe l’impressione che qualcosa fosse cambiato tra loro, anche se non sapeva bene cosa. Per lo meno Legolas sembrava meno contrariato di quanto lei ricordava e, proprio mentre stava per uscire dalla tenda, si girò verso di lei e le rivolse un piccolo sorriso, come se capisse. Come se le accordasse il suo permesso. Tauriel si morse un labbro, con il cuore in tumulto e certa di aver frainteso tutto.
Non appena egli fu uscito, Kìli accorse al suo fianco e le prese delicatamente una mano tra le sue. “Mahal, che paura mi hai fatto,” borbottò con fare accusatorio, e lei sorrise.
“Potrei essermi spaventata anch’io per un momento o due,” ammise. “Come stanno gli altri?”
Kìli sospirò e s’inginocchiò vicino al suo giaciglio, puntando i gomiti sulla pelliccia e stringendole le dita, e ancora una volta Tauriel fu colpita dalla grandezza delle sue mani, dal loro calore, dalle sensazioni che le trasmettevano. A dispetto delle sue attuali condizioni, o forse proprio a causa di esse, sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale; ricordava ancora distintamente la sensazione di quelle mani  che le scivolavano sui fianchi, sulle gambe, sulla vita e tra i capelli. Valar, era diventato una vera e propria distrazione.
“Abbastanza bene, ansiosi di rimettersi in marcia e preoccupati per te.”
Tauriel sbuffò scettica, mettendo da parte quei pensieri inappropriati. “Dubito fortemente che il giovane Thorin o Dwalin siano qui fuori in trepida attesa di ricevere notizie sulla mia salute.”
Kìli le fece un mezzo sorriso. “D’accordo, forse non tutti, ma Ori e Bombur di sicuro. A proposito, sembra che il nostro giovane letterato si sia affezionato molto a te,” disse con tono giocosamente accusatorio e lei ridacchiò, anche se le costò uno sforzo notevole. Si sentiva stanchissima. Era una strana sensazione. Molte decadi erano trascorse da che aveva dormito per tutta una notte, per non parlare di più notti di fila.
“Beh, in fondo è parecchio alto per essere un Nano,” ironizzò.
Kìli rise e le baciò il palmo della mano, con un lungo sospiro che parve quasi spazzar via anni interi di tensione. Sembrava davvero esausto e lei strinse le dita intorno alle sue, dispiaciuta di averlo fatto preoccupare.
“Sto bene,” momorò con un leggero sorriso che egli ricambiò con uno dei suoi.
“Mi pareva di averti chiesto di non farti più quasi uccidere.”
Tauriel rise di nuovo, anche se cominciava a sentirsi le palpebre pesanti. “Non sono mai stata brava ad obbedire agli ordini”, bisbigliò con voce impastata; Kìli le rivolse un sorriso caldo e indulgente e lei pensò, non per la prima volta, che con lui si sentiva al sicuro, desiderata, protetta. Era un’altra sensazione cui non era abituata, ma riteneva che col tempo avrebbe potuto abituarvisi.
“Dormi, amrâlimê, dormi,” sussurrò Kìli baciandola sulla fronte e sfiorandole la pelle con la sua corta barba; e Tauriel, che non ricordava di aver mai sognato in vita sua, sognò di lui.

~
 
Si destò che la notte era già scesa da un pezzo: era sola alla fioca luce della lanterna e si sentì rinfrancata, di nuovo sè stessa. Si vestì lentamente e con cura degli abiti che qualcuno era stato così gentile da tirarle fuori dalla sacca, e si guardò il braccio ferito: rimosse con cautela le bende e quasi sussultò a vederlo, tanto era grottesco. I punti erano stati accuratamente riapposti e la ferita ripulita, la pelle era ancora un pò arrossata ma libera finalmente dall’infezione. Ella non era considerata particolarmente bella tra la sua gente – i suoi capelli erano troppo rossi, il suo viso troppo fiero e affilato – ma la sua vanità femminile era forte abbastanza da farla soffrire per un simile sfregio: non era ovviamente la prima cicatrice che si procurava in vita sua, ma di certo era la più orrenda. Ricacciando indietro alcune lacrime vanesie, Tauriel tornò a bendarsi il braccio con una fasciatura pulita e si tirò giù la manica, quietamente rimproverandosi per la propria superficialità. Era una guerriera, dopotutto, non una fragile dama sprovveduta.
I Nani dormivano intorno al fuoco che cominciava a spegnersi, e molti di loro russavano sonoramente. Il grande accampamento elfico era stato quasi del tutto dismesso, salvo che per poche tende, e nessuno degli Elfi era in vista. Tauriel si dispiacque di non aver potuto vedere almeno Belùne, e si domandò inquieta dove la sua gente potesse essere sparita con tanta fretta.
Si mise in cerca di Legolas, avvertendo la sua presenza nelle vicinanze, ma prima si fermò brevemente presso la figura prona di Kìli: anche se era chiaramente addormentato, vi era un certo cipiglio sul suo giovane volto e digrignava i denti come se stesse facendo un brutto sogno. Mordendosi un labbro e guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno la vedesse, Tauriel si chinò e gli accarezzò la fronte e le guance, deponendo poi un bacio leggero sui suoi capelli: il giovane Re sospirò e la tensione cominciò gradualmente a scemare dal suo viso fino a che apparve rilassato e tranquillo. Ella sorrise e si rialzò a malincuore, cercando di non pensare ad altri momenti simili da poter trascorrere insieme ed in cui lei avrebbe potuto tenerlo stretto tra le sue braccia, durante le lunghe notti solitarie.

~
 
Trovò Legolas in piedi su un’altura che dominava la vallata sottostante, dove il fiume ruggiva facendosi strada attraverso gli alberi. Si rese conto che ce l’avevano quasi fatta, mancava al più un giorno di cammino per uscire dalla foresta, e si scoprì ansiosa di lasciarsi alle spalle quegli alberi e tutto ciò che rappresentavano. Forse voleva dire scappare, evitare i suoi problemi, ma all’improvviso il contorno della Montagna Solitaria, piccolo e grigio in lontananza, le sembrò più accogliente della sua terra natìa.
“Sembri a disagio,” disse Legolas non appena lei gli fu accanto. Sembrava immoto e imperscrutabile come le rocce sotto i loro piedi, i suoi occhi erano distanti e impossibili da decifrare. Le parve tanto remoto e lontano da lei che le si strinse il cuore. Tutto ciò che un tempo le era stato vitale, come il respiro, sembrava scivolare fuori dalla sua portata ad ogni secondo di più.
“Molte cose sono accadute dall’ultima volta che ci siamo visti,” gli rispose cautamente, deglutendo per cercare invano di sciogliere il groppo che aveva in gola.
“Ho trascorso molto tempo a riflettere dopo il nostro ultimo incontro, Tauriel,” disse piano Legolas: non guardava lei ma il cielo nuvoloso, dove la luna era poco più che un’ombra fugace. “Poichè il mio cuore era dolorosamente turbato.”
“E così il mio, caro, caro amico,” disse lei con foga, incapace di trattenersi: l’emozione le serrava la gola al punto che non riusciva quasi a respirare. Ma lui la fece tacere scuotendo piano la testa e rivolgendole un breve, triste sorriso accompagnato da una rapida occhiata.
“Mentre riflettevo ho iniziato a pensare al nostro posto in questo mondo,” egli continuò, “al nostro scopo tra le razze mortali. Molti di noi credono che il nostro tempo qui stia svanendo, che dovremo infine fare tutti ritorno alle sponde di Valinor. Forse hanno ragione. Forse è vero che il nostro tempo sta per terminare, ma il dubbio ancora assilla il mio cuore. Potremo anche vivere tutte le ere di questo mondo, Tauriel, ma a che serve se tutto ciò che facciamo non è altro che esistere per tutti i lunghi anni della nostra vita?” A quel punto si girò a guardarla e il suo viso era appassionato, luminoso e sincero. “Troppo spesso la nostra gente guarda alle altre razze con sussiego, credendosi migliore di loro e ritenendole indegne solo perchè le loro vite sembrano così brevi e prive di significato, ma dimentichiamo che grande dono la mortalità rappresenta. Essi nascono sapendo che un giorno la loro vita finirà, che la morte per loro è inevitabile come il sorgere e il tramontare del sole. Viene loro concesso così poco tempo per trovare uno scopo, per fare la differenza, ma nonostante questo lottano ogni giorno. Noi saremo forse più anziani, ma non sempre siamo più saggi. Molti di noi hanno perso di vista ciò che è buono e giusto in questo mondo.”
Improvvisamente stese una mano e le accarezzò una guancia con una tenerezza che lasciò Tauriel senza fiato. Vide negli occhi di lui ciò che altri avevano da lungo tempo notato e soffrì al vedere il suo tormento, al sapere di esserne la causa.
“Ma non tu, mia cara, dolce Tauriel. Tu riesci sempre a scorgere l’oscurità e ti batti per rischiararla con la tua luce. Non sei stata creata per restare nascosta tra antiche mura mentre il mondo intorno a te cade nell’ombra. Ho osservato i tuoi sentimenti per il Re Nano: inizialmente mi suscitavano sdegno, ma adesso... adesso credo di capire.”
Tauriel arrossì e avrebbe chinato il capo se non fosse stata così rapita dallo sguardo penetrante di Legolas.
“Anche se un giorno la sua vita passerà e i tuoi anni continueranno, che significato ha l’esistenza se non facciamo tesoro di tali momenti finchè li abbiamo? È meglio dunque non amare affatto piuttosto che piangere la perdita dell’amore? Io non vorrei mai vederti soffrire, Tauriel, ma nemmeno voglio vederti esitante di paura davanti a ciò che è puro e luminoso. Potrò anche non approvare il compagno che ti sei scelta, ma resterò per sempre tuo amico.”
Non c’erano parole, non c’era pensiero coerente che Tauriel riuscisse ad imbastire e perciò si limitò a farsi avanti e stringerlo forte, sperando di mettere in quell’abbraccio tutto l’amore, la gratitudine e la devozione che sentiva per lui. Legolas la tenne stretta a sua volta, a lungo.
“Mi dispiace, mi dispiace tanto,” ella bisbigliò, perchè sapeva cosa si celava nel cuore di lui e sapeva di non poterlo ricambiare come meritava. Voleva chiedergli scusa per qualunque ferita, qualunque dolore egli fosse stato costretto a soffrire: Legolas, tra tutti, meritava solo pace e felicità.
Dopo un pò, lo sentì sorridere quietamente tra i suoi capelli. “Io vado a nord, tra il popolo dei Dunedain. Questa non sarà l’ultima volta che ci vediamo, amica mia, te lo giuro.”
Tauriel tirò su col naso e si scostò lentamente. “E tuo padre? Temo per lui.”
Legolas si rabbuiò in volto. “Anch’io temo per lui. Un’ombra gli oscura la mente e il cuore. Temo a lasciarlo solo, ma non posso restare mentre l’oscurità continua ad estendersi sulla nostra foresta. Guardati da lui, Tauriel, perchè temo vi siano piani già in atto che vanno oltre la mia comprensione. Non so a quale scopo Welethen sia stato chiamato a servire, ma non sono convinto che sia stato per volere di mio padre. E non credo che abbia fatto ritorno a palazzo, anche se non immagino dove altro possa essere andato.”
“Si aspetterà un rapporto da me, prima o poi,” ella disse. “Cosa devo fare? Egli è ancora il mio Re...”
Legolas le prese le mani tra le sue, un tenero sorriso gli rischiarava i bei lineamenti. “Ed anche il mio, ma non può dettare legge sui nostri cuori, Tauriel. Credo che, forse, dovresti andare da lui quando viaggerai di nuovo verso est con i Nani. So che ultimamente è difficile notarlo, ma ha sempre tenuto molto a te.”
Quelle parole riportarono allo scoperto l’antica tenerezza in lei. “Non ne sono più così certa, mio Principe,” rispose chinando il capo.
Ma Legolas le fece alzare il viso premendole un dito sotto il mento fino a che i loro sguardi s’incontrarono. “Io ne sono certo,” disse in un burbero sussurro. “Torna da lui, ma non fidarti nè di lui nè di quelli che gli stanno accanto. Ricorda chi è e chi è stato, se puoi.”
Tauriel annuì e trasse un respiro profondo. “Grazie, mio Principe, di tutto.”
Legolas le sorrise di nuovo e vi era una certa tristezza nei suoi occhi che sembrava valicare tutte le epoche, lasciandola senza fiato. “Non ringraziarmi,” egli disse. “Sono io che dovrei ringraziare te. Mi hai mostrato la via, non mi rimane altro che seguirla.” Le sue parole echeggiarono in lei come trasportate dalla provvidenza e tutta la distanza che aveva percepito tra loro svanì così in fretta che ebbe l’impressione non fosse esistita affatto.
Chinandosi in avanti, egli la baciò dolcemente sulla fronte; poi si fece indietro di colpo e torse il viso da lei, ma Tauriel riuscì lo stesso a scorgere la linea decisa della sua mandibola. Desiderò poter alleggerire la tensione in lui come aveva fatto con Kìli, ma una tale azione avrebbe portato con sè un peso più gravoso che mai e così restò là dove si trovava, immobile ed impotente.
Legolas raccolse da terra la sacca e l’arco prima di voltarsi un’ultima volta verso di lei, i lineamenti del viso accuratamente composti. Le nubi in cielo si diradarono per un attimo e i raggi della luna scesero sui suoi capelli e sul suo volto inondandoli di una luce argentea. “Ci rivedremo, amica mia, e ricorda ciò che ho detto. Non temere quel che è puro e luminoso a questo mondo. Abbi coraggio.”
Tauriel s’inchinò profondamente, il cuore gonfio e le lacrime che le pungevano gli angoli degli occhi. “Addio... Legolas,” sussurrò, quasi incapace di formulare le parole; quando si rialzò, lui non c’era più.

~
 
Tauriel osservò il sorgere del sole dietro la cresta delle montagne con il cuore pesante; i primi pallidi raggi fluttuavano sulle cime degli alberi e le carezzavano le guance come dita lenitive. Ma vi era ora una certezza in lei, una certezza che le cresceva dentro ad ogni battito del suo cuore. Proprio come per Legolas, anche la sua via le si estendeva davanti: forse vi era sempre stata, ed era giunto il momento di percorrerla. Non sapeva cosa il futuro le avrebbe portato, ma era pronta ad affrontarlo con coraggio e risolutezza.
Come fosse stato evocato dai suoi stessi pensieri, Kìli apparve al suo fianco. Gli altri Nani erano impegnati a smontare l’accampamento e, anche se i loro volti erano per lo più rassegnati e tesi, Ori la salutò agitando una mano con entusiasmo e anche Bombur parve sollevato. L’espressione sul viso di Kìli, invece, era di profonda preoccupazione.
Tauriel aggrottò la fronte, preoccupata a sua volta, e non appena le fu vicino si allontanarono di un’altra dozzina di passi, così da poter parlare senza essere uditi dagli altri. “Cosa –?”
“Avresti potuto andare con lui, sai,” egli disse con fare burbero e senza preamboli. Teneva gli occhi bassi e pareva occupatissimo a scalciare alcuni sassolini con la punta dello stivale. Si era tolto la fasciatura alla tempia e lei vide che il taglio stava guarendo bene, e anche gli altri graffi sugli zigomi erano quasi spariti. Sembrava più un bandito di strada che un Re, ma Tauriel lo preferiva così: egli era come lei, non si curava troppo delle apparenze.
“Con Legolas, vuoi dire?” L’aveva colta un pò di sorpresa con quella frase, ma più gli stava vicino, più diventava sicura. Legolas aveva ragione, anche se non si sarebbe mai aspettata di sentire certe parole proprio da lui. Pensava che sarebbe sbottato con rabbia contro di lei, che l’avrebbe rimproverata di essere una sciocca, e invece le aveva semplicemente detto quel che già da lungo tempo sapeva: il sentimento tra lei e Kìli era composto unicamente di luce e bellezza.
Nel frattempo Kìli borbottava tra i denti e aveva l’aria di uno che sta combattendo una dura battaglia interiore. “So che la sua partenza ti ha rattristata e io non voglio che resti con noi a meno che non lo voglia anche tu,” disse, e si vedeva che ogni parola gli costava uno sforzo enorme.
Tauriel sollevò un sopracciglio. “Stai dicendo che devo andarmene? Non desideri più che resti con voi?”
“Cosa?!” esclamò Kìli, alzando finalmente la testa. “No, certo che no...” Colse la piega dura delle labbra di lei e arrossì, accigliandosi. “Voglio solo che tu sappia che non sei costretta a restare con noi, se preferisci andare con il tuo Principe.”
Tauriel lottò per non mettersi a ridere; la pesantezza nel suo cuore era ormai del tutto evaporata. Troppo a lungo aveva combattuto contro l’inevitabile e in quel momento provava solo l’indicibile gioia della libertà, una sensazione che era certa di non aver mai sperimentato prima. “E se io desiderassi invece restare con il mio Re?” rispose come se niente fosse, cercando di nascondere il divertimento.
Kìli sussultò e assunse un’espressione ferita prima di distogliere rapidamente lo sguardo da lei, chiaramente tentando di contenersi. “Ti capirei se volessi rimanere a casa tua, qui, tra la tua gente. Sono certo che non hai mai chiesto di restare incastrata con un gruppo di Nani testardi e –”
Tauriel si morse un labbro e stese una mano per scostargli una ciocca ribelle di capelli dalla fronte, sistemandogliela con affetto dietro un orecchio e riuscendo così a farlo tacere. “Non era Thranduil il Re al quale mi riferivo,” rispose piano.
 Kìli aggrottò la fronte confuso, ma subito dopo la consapevolezza gli illuminò tutto il viso e gli accese gli occhi. Si sorrisero a vicenda fino a che il sorriso di Tauriel non si trasformò in una vera e propria risatina, cui fece subito eco la risata gioiosa di lui.
“Sei proprio sicura che non preferiresti...?” insistette ancora Kìli, apparentemente determinato a non farla sentire in debito con lui in alcun modo, anche se il suo largo sorriso smentiva le sue parole.
Sentendosi audace, Tauriel si chinò in avanti e lo baciò sulle labbra, facendolo tacere. Il mondo intorno a loro parve fermarsi mentre lui le posava una mano sulla guancia con tenerezza e adorazione, e quando lei si scostò gli occhi di lui erano colmi d’amore.
“Resterò con te finchè tu lo vorrai.”
Kìli sorrise e le prese le mani, baciandogliele con uno schiocco rumoroso. “E allora spero tu sia pronta a restare con me per sempre perchè, adesso che ti ho trovata, non ho nessuna intenzione di lasciarti andare.”

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(Angolo della traduttrice)
Devo darvi un Avviso Importante: sono arrivata a tradurre tutti i capitoli disponibili di questa storia, per cui la traduzione rallenterà per un pò. Ma non disperate: dopo un lungo silenzio, l'autrice è tornata a farsi viva su Tumblr. Ha avuto problemi di salute e questo ovviamente ha fatto passare in secondo piano tutto il resto, ma è tornata a scrivere! Il prossimo capitolo dovrebbe essere pubblicato a breve e vi prometto di tradurlo il prima possibile. Sono ansiosa quanto voi di continuare a leggere questa bellissima storia! 
Spero continuerete a seguirla assieme a me e a lasciare le vostre impressioni sia per me che per l'autrice, che ci tiene molto. Arrivederci a presto! ^^

p.s. Dimenticavo! Nell'attesa, potrei iniziare a tradurre qualcos'altro~ stay tuned! ;)

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Capitolo 12
*** CAPITOLO XII: Sangue nella neve ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

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(nota della traduttrice) Per la serie "A volte ritornano", eccomi di nuovo qui con questa bellissima storia! Non ve ne siete dimenticati, vero? Ma qualora fosse così... via, a ripassare! ^^


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I'll never forget that feeling
When I watched you disappear
When you made me stop believing
I could fight away the fear
Now the smoke has cleared
And the end is near
It was my illusion
Like a broken dream I was incomplete
But your love was never missing


Under Control, Ellie Goulding

~
 
“Non per spargere sale su una ferita,” disse Dwalin in tono petulante, “ma qualcuno sarebbe così gentile da spiegarmi cos’è successo là dentro, in nome di Mahal?” E puntò un pollice oltre la spalla, ad indicare la linea degli alberi che si erano lasciati dietro già da un giorno e mezzo.
Tauriel s’immobilizzò presso il fuoco dell’accampamento, col cucchiaio di legno sospeso a mezz’aria sullo stufato gorgogliante. Il sole stava iniziando a tramontare a ovest, gettando bagliori rosa e arancio sulla neve, anche se il terreno su cui si erano accampati era per lo più sgombro grazie alla conformazione rocciosa. Sopra di loro incombevano le montagne grigie come denti seghettati in una bocca marcia, pieni di mistero e di promesse.
Tauriel si raddrizzò con un brivido. Scambiò una lunga occhiata con Kìli, il quale aveva interrotto a sua volta il proprio lavoro – stava passando un pezzo di straccio lungo la lama della sua spada per ripulirla. La Compagnia non aveva detto molto durante il passaggio tra gli alberi: i Nani erano rimasti tesi e bellicosi finchè non erano sbucati all’aperto e quasi nessuno di loro – eccettuati Ori e lo stesso Kìli – le aveva rivolto la parola. Non che lei potesse biasimarli. La sua gente non era stata molto accogliente in nessuna delle due occasioni in cui i Nani si erano ritrovati ad attraversare la foresta. Anche Tauriel si sentiva più leggera ora che ne erano usciti, anche se permaneva in lei un senso di vergogna; non era solita scappar via così dai suoi problemi.
Kìli rinfoderò la spada e la guardò, come a chiederle il permesso: lei annuì.
“A quanto pare il nuovo Capitano degli Elfi pensava che ci trovassimo nei tunnel sotterranei per cercare qualcosa,” cominciò cautamente, attirando l’attenzione degli altri.
Gloin sbuffò sardonico e srotolò la stuoia per la notte. “Certo, una dannata via d’uscita. Quel postaccio non è naturale.”
Bombur annuì con veemenza alle sue parole.
Kìli proseguì come se non avesse udito la replica del Nano dai capelli rossi. “Non abbiamo avuto modo di discuterne molto prima che ci gettassero in cella,” e i suoi occhi si oscurarono visibilmente al ricordo; allo stesso modo Tauriel avvertì un brivido lungo la schiena rammentando dita spietate che le si conficcavano nel braccio ferito. “Ma credo che Tauriel concorderà con me se dico che stavano aspettando che emergessimo da qualche parte.”
Il brivido freddo fu seguito da un lampo di rabbia al ricordo doloroso del pugnale affilato che era stato puntato contro la pelle olivastra di Kìli. Tauriel era una guerriera efficiente e spietata quando necessario, ma non era incline ad arrecare morte o violenza in modo superfluo; Welethen però avrebbe pagato per le sue azioni spregevoli. In un modo o nell’altro, lei avrebbe avuto giustizia.
I Nani la fissarono e Tauriel strinse i denti. Era d’accordo, completamente d’accordo, anche se ancora rifiutava di riconoscere la più ovvia delle spiegazioni; Bofur tuttavia non aveva di questi scrupoli.
Tirò una boccata dalla pipa e soffiò fuori una gran nuvola di fumo, aggrottando la fronte. “Immagino questo significhi che i tuoi amici alla postazione di guardia ci hanno traditi.”
Tauriel trasalì e chinò il capo. Dopo la sua conversazione con Legolas le sembrava improbabile che il colpevole fosse Curial; il pensiero però che potesse essere stata una delle altre guardie non alleggerì la fitta che sentiva in cuore.
Il giovane Thorin si agitò dal suo posto, all’altro lato del focolare. “Sempre che l’Elfo femmina non ci abbia pensato da sè.”
Tauriel rialzò la testa con aria esasperata mentre Kìli si girava di scatto verso il suo parente, con occhi furibondi. Aprì la bocca con il chiaro intento di rimproverarlo, ma lei lo prevenne.
“Temo che qualcosa di oscuro sia all’opera tra la mia gente,” ammise, sedendosi vicino a Kìli e incrociando le mani per nascondere il loro tremore. “Temo l’influenza che Welethen sembra avere presso il mio Re. Non mi è mai piaciuto, questo non è un segreto tra le guardie, ma ora è diverso... è cambiato. C’è qualcosa di oscuro in lui che mi preoccupa grandemente.”
Il giovane Thorin la fissò con occhi lampeggianti e balzò irosamente in piedi. “Ve lo dicevo che non saremmo dovuti entrare nella foresta. Che non avremmo dovuto fidarci degli Elfi!” Le ultime parole le urlò rivolto direttamente a Kìli, con fare di sfida, al che Dwalin ringhiò.
“Dovresti mostrare un po’ di rispetto per il tuo Re, ragazzo.” La voce del Nano calvo era tranquilla come lo scintillio di una lama appena affilata. Le ansie e le incertezze delle scorse settimane sembravano essersi condensate e riunite in quel momento, mettendo tutti i Nani sul chi vive.
Il giovane Thorin sbuffò e levò le mani in aria. “Il rispetto bisogna guadagnarselo e io non ho visto nient’altro in questo aspirante Re che scarso giudizio e un’insana attrazione verso quell’Elfa traditrice,” sbraitò con voce velenosa. “Sarebbe stato meglio se fosse morto insieme a suo zio e a suo fratello e avesse lasciato Erebor in mano a mio pa–”
La sua tirata venne troncata a mezzo dalla lama affilata di Tauriel puntata alla gola. Il corpo dell’Elfa vibrava di rabbia e frustrazione repressa. Delle opinioni del giovane Nano su di lei non le importava nulla, ma non gli avrebbe permesso di infamare Kìli in quel modo. Lui aveva già sofferto abbastanza e sopportato più di quanto non si meritasse da parte di un ignorante ragazzetto dalla testa calda.
Il giovane Thorin la guardò fisso, con gli occhi sbarrati dallo shock. “Tieni a freno la lingua o dovrò pensarci io,” sibilò Tauriel premendo brevemente la lama contro il rigonfiamento della gola di lui, prima di scostarla e rinfoderarla.
Un silenzio mortale scese sull’accampamento, ad eccezione del crepitare del fuoco e del lieve gorgoglìo dello stufato; la realtà si fece di nuovo strada in Tauriel. Tutta la sua ira e la sua voglia di lottare svanirono di colpo, lasciandola stranamente indebolita e tremante.
Non avrebbe dovuto reagire con tanto veemenza, lo sapeva, ma fin da quando erano sfuggiti alla prigionia nella foresta la corda della tensione si andava stringendo sempre più in lei, minacciando di spezzarsi da un momento all’altro. E poi era davvero stanca del comportamento e del risentimento del giovane Thorin perchè, in un certo senso, vedeva in essi una rappresentazione di ciò che avrebbe dovuto fronteggiare sempre più spesso in futuro. Aveva preso la sua decisione riguardo a Kìli, durante quei brevi e tranquilli momenti nella foresta: aveva deciso di restare e scoprire cosa c’era in serbo per loro, ma ora, osservando la paura e l’odio che annebbiavano lo sguardo del giovane Thorin, iniziava a capire quanto grandi realmente fossero gli ostacoli che si ergevano tra loro due.
Senza un’altra parola, il giovane Nano girò sui tacchi e si allontanò dalla luce flebile del focolare. Tauriel emise un profondo sospiro, timorosa di guardare in faccia gli altri, e tentò di ricomporsi; dopo un po’ Gloin le venne vicino e le poggiò una mano esitante sul braccio.
“Hai agito bene, ragazza, non ti crucciare,” borbottò mentre lei lo guardava stupita. C’era una certa gentilezza negli occhi del Nano, mitigata però da un senso di rispetto, lo stesso che si leggeva negli occhi di Bofur e Bombur.
“Vado io a parlare con il ragazzo,” disse alla fine Dwalin, scalciando con rabbia il terreno gelato.
Tauriel guardò Kìli: i suoi occhi erano preoccupati, ma si ammorbidirono quando lessero il tormento in quelli di lei.
“Mi dispiace tanto,” disse Tauriel automaticamente; ed era la verità. Le dispiaceva perchè le parole del giovane Thorin, che avevano portato allo scoperto la loro vicinanza e tutto ciò che avevano tentato di nascondere, adesso si sarebbero fissate nella mente degli altri. Era una tormentosa verità quella che vedeva mettere radici negli occhi di Bombur, di Ori, di Bofur, e non riusciva a pensare a nulla che potesse scacciarla.

~
 
Fu Ori, non Kìli, a venire da lei quella notte.
Il suo amico le sedette accanto sulla sporgenza a strapiombo della roccia, con i piedi che puntavano dritti davanti a lui mentre i suoi spenzolavano al di là del bordo. Il fuoco crepitava sotto di loro, il russare di Bombur risuonava distinto e la notte era fredda, ma sorprendentemente chiara, con solo pochi stralci di nuvole ad oscurare a tratti la luce della luna.
Tauriel scorse la sagoma di Kìli raggomitolata nel sonno presso il fuoco, con la spada ben stretta in mano. Egli non aveva fatto alcun tentativo di parlarle dopo la scenata occorsa a cena, e lei sospettava che le stesse concedendo spazio e tempo per rimettere in ordine i propri pensieri.
“Sai, ci sono storie tra il mio popolo,” cominciò Ori dopo qualche istante di silenzio, “su uomini Nani che si sono innamorati di donne umane.”
Tauriel si tese, il cuore le battè più rapidamente dal timore, ma non disse nulla. Lanciò un’occhiata al viso del suo compagno, rivolto verso la luna. Davvero aveva creduto che quel momento non sarebbe mai arrivato? No, no... sapeva che i Nani erano sospettosi ben da prima della scenata del giovane Thorin. Solo che aveva sperato – desiderato – che loro due potessero continuare a vivere nel loro piccolo mondo ancora per un altro po’.
“Una volta mi hai chiesto delle nostre donne e io ti ho detto che non ce ne sono molte, il che è vero. Solo i Nani più coraggiosi e di più nobile lignaggio possono sperare di trovare moglie, e anche in quel caso non sempre è garantito.” Ori fece una pausa, sistemandosi meglio. Alla flebile luce lunare sembrava più anziano, rughe che prima lei non aveva notato si scorgevano all’angolo dei suoi occhi.
“Per questo forse non c’è da stupirsi se molti guerrieri cercano... affetto altrove,” egli continuò con calma, come se stesse parlando di qualcosa di assolutamente ordinario come i tentativi culinari di Tauriel – molto scarsi, a dire il vero.
“Ori, per favore...” cominciò lei implorante, non sapendo se sarebbe riuscita a sopportare ciò che voleva dirle.
Ma lui la sorprese prendendole una mano: le sue dita tozze erano calde e rassicuranti, il suo sorriso era sereno e triste al tempo stesso.
“Uno dei miei zii s’innamorò di una ragazza umana. Era molto carina, dolce, cortese, e saggia più di quanto la sua età lasciasse presagire. Lo salvò da un branco di lupi, una sera. Con una torcia e nient’altro, bada bene, gliela agitò contro finchè quelli non scapparono. Lui lasciò praticamente tutto per lei, e lei per lui. Le loro famiglie aborrivano quell’unione, naturalmente; gli abitanti del villaggio di lei li scacciarono, ma...”
Ori s’interruppe di nuovo; Tauriel sentì le lacrime pungerle gli angoli degli occhi. Valar, non poteva sopportare di sentire altro.
Il Nano le strinse la mano, i suoi occhi brillarono affettuosi.
“...Ma non ho mai visto un uomo più felice.”
Poi sospirò e distolse lo sguardo. Tauriel capì, dal modo in cui serrò i denti e dalla pressione del palmo di lui sul dorso della sua mano, che non sapeva bene come proseguire. Che ciò che stava per dirle era difficile da trasformare in parole.
“Conosco Kìli da tutta la vita. Siamo cresciuti insieme, abbiamo giocato insieme, ci siamo cacciati nei guai insieme.” Sorrise un pò a quei ricordi, i fantasmi di quel passato gli si riflettevano nello sguardo. “È sempre stato spericolato e incosciente; in un combattimento non vedeva altro che gloria e sfida. Fìli invece è cresciuto sapendo di essere l’erede di Thorin, anche se all’epoca non capiva ancora cosa questo volesse dire. E Thorin era duro con Fìli, molto duro. Si aspettava parecchio da lui. Oh, naturalmente si cacciava nei guai insieme a noi,” aggiunse con una risatina. “Ma, se ci scoprivano, era sempre con Fìli che Thorin se la prendeva di più. E lui cercava ogni volta di tenere suo fratello fuori dai pasticci e di assumersi la colpa delle sue birbonate. Con Kìli, invece, Thorin era diverso... più paziente, più indulgente persino. Kìli non si è mai aspettato di diventare un Principe, non ha mai avuto la più pallida idea di cosa ci fosse al di là della sua cieca adorazione per Thorin e Fìli. Credo che non abbia mai nemmeno considerato di poter essere un giorno costretto a guidare il nostro popolo, e... il ragazzo che conoscevo un tempo non avrebbe mai potuto farlo, se devo essere onesto.”
Ori la guardò di nuovo: i suoi occhi sinceri rilucevano di un’emozione cui Tauriel non seppe dare un nome. “Ho capito fin dal primo istante quanto Kìli fosse preso da te – no, non serve negare, va tutto bene. Ho visto il modo in cui ti guardava e ho visto... qualcosa cambiare in lui. La nostra impresa non era più un gioco. Erebor non era più una remota probabilità. Dopo il vostro incontro, dopo che tu gli hai salvato la vita, è diventato un altro Nano. Io non credo che si sarebbe mai ripreso dalla morte di Thorin e di Fìli senza di te, che sarebbe stato in grado di resistere al richiamo dell’Archengemma o di fare la pace con Thranduil. Forse gli altri non l’hanno capito, ma io sì: ho capito che lui ha fatto tutto questo per te.”
Tauriel stava piangendo. Valar, in quei giorni aveva l’impressione di non fare altro che piangere. Silenziose lacrime di vergogna e senso di colpa, e uno strano senso di vuoto sollievo che echeggiava alle parole di lui; la sensazione di essere stata liberata da un pesante fardello. Non c’era niente che potesse dire, niente che esprimesse la propria gratitudine, ma sentiva che Ori non ne aveva bisogno, sentiva che capiva lo stesso. Il Nano stese un braccio, sempre con quello stesso sorriso triste, e le pose la mano sulla spalla. Tauriel avvertì il suo calore attraverso la tunica.
“Qualsiasi cosa accadrà adesso, avete il mio sostegno. Sia tu che lui. Non posso dire che sarà facile o che il mio popolo ti accetterà sicuramente... ma ho visto il Re che è diventato grazie a te. Ha bisogno di te, Tauriel, come ne abbiamo tutti noi.”
Restarono seduti lì, in un confortevole silenzio, finchè lui non la lasciò per andare a dormire. Tauriel si asciugò le guance bagnate e sorrise alla luce delle stelle.

~
 
Il giorno dopo i Nani si destarono di buon’ora. Tauriel svegliò Bofur, che tendeva a dormire sempre più degli altri, e guardò verso nord, dove nubi scure e minacciose presagivano l’arrivo di una tempesta.
Dwalin arrotolò la propria stuoia borbottando e la fissò allo zaino. “Si avvicina rapidamente, dobbiamo muoverci se vogliamo superare il passo in tempo.”
Kìli spense il fuoco a pedate, le mani occupate ad allacciarsi la tunica, e le rivolse un breve ma caldo sorriso, un sorriso che sembrava dire molte cose, ma soprattutto un ‘non preoccuparti, andrà tutto bene’; alleggerì un pò della tensione rimasta in lei.
Il giovane Thorin però irruppe sulla scena un istante dopo, e l’occhiata infausta che le scoccò fu sufficiente a rammentarle che non andava bene proprio niente. C’era uno sguardo omicida sul volto del giovane Nano e il cuore di Tauriel saltò un battito. Era evidente che aveva fatto più male che bene. L’urgenza di scusarsi era lì, di cercare in qualche modo di spiegare le proprie azioni, ma il suo famoso orgoglio la tratteneva dal cedere a quell’impulso.
“Quanto è lontano il passo?” domandò quindi, ignorando le occhiate del giovane Thorin e guardando le ombre delle montagne. Non avevano un aspetto molto invitante.
Bofur si rabbuiò. “Potremmo riuscire a raggiungerlo al calare della notte, se ci muoviamo. La neve ci rallenterà, come pure quella tempesta, se non ci riusciamo prima che sia sopra di noi.”
“Allora non ci resta che riuscirci, no?” disse Tauriel, recuperando lo zaino e portandosi i capelli su una spalla. Si sentiva vulnerabile senza il suo arco, le mancava il suo peso familiare sulla schiena, ma almeno aveva ancora i suoi lunghi pugnali. “Vado in avanscoperta, per assicurarmi che la via non sia sbarrata dalla neve.”
Kìli ebbe l’aria di voler protestare, ma dopo un attimo di riflessione riuscì ad annuire. “Stà attenta: nonostante tutti i resoconti, potrebbero esserci ancora gruppi di Orchi in giro.”
“Non starò via a lungo,” rispose lei con un sorriso defilato, consapevole dello sguardo interessato di lui. Aveva intenzione di esplorare la zona per qualche ora, spianare loro il percorso e  fare ritorno prima che il sole fosse troppo alto in cielo.
“Dirigiti a nord, tra quel crinale e quello opposto,” disse Dwalin indicando con un dito. “Il vecchio cancello è proprio al di sotto di quel terzo picco.” Tauriel si sentì lusingata da quella dimostrazione di fiducia, ma subito dopo si chiese se il Nano non la volesse semplicemente lontana da loro per un paio d’ore.
Vedeva benissimo, dal modo in cui gli occhi di Bombur evitavano i suoi e da come Gloin fosse stranamente interessato alle proprie calzature, che erano a disagio per l’incidente del giorno prima. La distanza tra loro aumentava e lei non sapeva proprio come accorciarla di nuovo. Con un sospiro, Tauriel s’incamminò agilmente su per il pendio della montagna. Si sentiva addosso, pesanti e intenzionali, gli sguardi dei Nani, e non tutti erano amichevoli.

~
 
Tauriel giunse in cima al crinale proprio mentre il vento iniziava ad ululare, tirandole indietro il cappuccio del mantello e lasciandola momentaneamente senza respiro.
La tempesta era vicina, più di quanto lei avesse sperato e alcuni fiocchi di neve già le volteggiavano intorno, un avvertimento di ciò che stava per arrivare. Il passo davanti a lei era interamente coperto dalla neve ma ancora percorribile, o almeno così Tauriel sperava. Vicino alla base del picco più vicino vide l’ombra di qualcosa di scuro, che si stagliava contro il biancore apparentemente infinito della neve: pregò che si trattasse del cancello menzionato da Dwalin.
Si girò a guardare indietro, giù lungo la vallata, e scorse facilmente il gruppetto di Nani che si faceva strada su per il fianco della montagna. Il loro incedere era molto più lento, la loro struttura fisica faceva sì che si ritrovassero immersi nella neve fino alle ginocchia e perciò avanzavano ad una piccolissima frazione del suo ritmo; in quel momento si trovavano ad almeno un’ora di cammino da lei. Il cielo tuonò sopra la sua testa, come ad avvertirla che con ogni probabilità non l’avrebbero raggiunta in tempo. La neve sul passo era più profonda e li avrebbe rallentati considerevolmente. Tauriel agitò un braccio per aria fino a che uno di loro – Kìli, forse, ma non poteva esserne certa – non ricambiò il saluto.
Le serviva un piano, un sistema per velocizzare il loro viaggio, o perlomeno un posto in cui potessero ripararsi finchè la tempesta non fosse cessata. Forse se lei–
Qualcosa baluginò in lontananza, come il lampo di una lama che cattura un raggio di sole. Tauriel si tirò indietro il cappuccio e si accucciò con le mani sull’elsa dei pugnali. Aguzzò la vista attraverso la sempre più fitta cortina di neve: c’erano delle figure in movimento, alcune piccole e marroni, altre nere ed incombenti. Trasse un respiro profondo e colse un lieve odore di sudiciume nella brezza.
“Orchi,” mormorò, sguainando i pugnali.
Rapida e silenziosa attraversò la coltre nevosa, pregando che non fossero in troppi. Quando si avvicinò, si accorse che le forme piccole e brune non erano Orchi, ma Nani – Nani che correvano per salvarsi la vita. Colse il lieve suono delle loro voci nella tempesta, disperate e piene di paura. Erano tre in tutto, inseguiti da sei – no, otto Orchi, che guadagnavano rapidamente terreno. Le probabilità non erano a loro favore, riflettè Tauriel, ma in fondo si era ritrovata in situazioni peggiori.
Corse seguendo una linea ad arco, con l’intento di attaccarli di fianco e sperando di coglierli di sorpresa, ma dubitava che sarebbe stata così fortunata. Gli Orchi avevano un ottimo olfatto, che i Valar li maledicessero. Uno dei Nani inciampò, svanendo in una folata di neve, e lei desiderò disperatamente avere il suo arco. Si erse in tutta la sua altezza e allungò il passo, abbandonando del tutto i suoi piani mentre l’Orco più veloce si precipitava sulla figura prona.
Con un grido balzò davanti all’orrenda creatura, così concentrata sul suo premio che Tauriel riuscì effettivamente a coglierla alla sprovvista, e gli piantò entrambi i pugnali nel petto e nella gola. L’Orco morì all’istante, cadendo all’indietro con la bocca spalancata, e Tauriel recuperò le armi appena in tempo per parare il colpo menato da un’ascia. Il fendente le strappò quasi il pugnale di mano, vibrando dolorosamente su per il suo braccio ferito, ma riuscì almeno in parte a deviarlo di lato.
Sentiva i Nani vociare dietro di lei nella loro lingua dura e gutturale, e pregò che intendessero aiutarla. Un altro Orco la caricò con uno stridulo grido di guerra e lei girò su sè stessa, trafiggendolo allo stomaco e avvertendo il laido suono delle carni che si laceravano come pergamena e il caldo fiotto del sangue.
Con la coda dell’occhio colse il lampo di una lama, e si avvide con sollievo che uno dei Nani, che indossava una pesante e bell’armatura, era accorso in suo aiuto. Un altro stringeva in mano una grande spada sguainata ma era chiaramente ferito, perchè vacillava e non sembrava in grado di restare in piedi. Quello che era caduto era più basso degli altri due e non portava armatura, ma stringeva tra le mani una spada dall’aspetto letale: con un sussulto Tauriel si rese conto che, nonostante la barba, si trattava di una donna.
I loro sguardi s’incontrarono per un attimo prima che la donna urlasse nella lingua corrente: “Dietro di te!”
Tauriel rotolò di lato, schivando per un pelo la spada che le strappò il mantello, poi rotolò di nuovo mentre l’Orco si preparava a menare un altro fendente; sollevò troppo le braccia, però, al punto da sbilanciarsi e lei gli piantò il pugnale tra le costole, con tanta veemenza da perdere a sua volta l’equilibrio.
Ora c’era solo odore di morte e una scia di sangue nero e Tauriel cercò di recuperare i pugnali per respingere il prossimo assalitore, ma era troppo tardi e lo sapeva. L’infrangersi dell’acciaio contro l’acciaio risuonò violentemente per tutta la valle, pungente nelle sue orecchie come il rintocco di una campana mentre una spada incombeva a pochi millimetri dal suo viso, lasciando giusto lo spazio di un filo di seta. Tauriel si accucciò e conficcò i pugnali in profondità nel petto dell’Orco e poi... era finita. Uno strano e profondo silenzio scese sul passo.
Tauriel si accasciò con le ginocchia nella neve, sprofondando di diversi centimetri. Il braccio recentemente ferito le bruciava per lo sforzo, rendendola acutamente consapevole del fatto che ancora non si era ripresa del tutto dal suo calvario nella foresta. Si sentiva piuttosto debole e aveva il respiro accelerato, più di quanto non richiedesse lo sforzo compiuto.
Una lama le scivolò sotto il mento, facendole alzare il viso; Tauriel s’immobilizzò mentre la donna Nana, gli occhi socchiusi, le si avvicinava. Lasciò scivolare i pugnali a conficcarsi nella neve e sollevò le mani vuote, in segno di resa.
“Che ci fa un Elfo femmina in queste terre?” ringhiò la donna. Aveva i capelli scuri e una corta barba intrecciata, stranamente femminile. Portava dei begli abiti, anche se erano evidentemente da viaggio: una morbida tunica di lana e dei pantaloni di pelle fermati da una cintura larga. I suoi lineamenti erano aristocratici e familiari, anche se, sul momento, Tauriel non seppe riconoscerli.
“Sto accompagnando un gruppo di Nani sulle montagne,” rispose cauta. “Mi hanno mandata in avanscoperta, ed è così che ho visto che eravate inseguiti da questi Orchi.” E gesticolò verso il cadavere davanti a loro, un esemplare davvero disgustoso dalla pelle nera e sfigurata e la faccia bitorzoluta.
Tauriel sentì che la lama sotto al suo mento allentava un pò la pressione e fece un respiro profondo. Gli altri Nani raggiunsero la compagna e presero a borbottare freneticamente nella propria lingua, accennando verso di lei: era chiaro che erano in ansia o – più probabilmente – arrabbiati per la sua presenza. La donna li mise a tacere sollevando una mano con espressione imperiosa, e fu allora che la verità si affacciò luminosa ed innegabile nella mente di Tauriel: stava guardando Thorin, ma anche Kìli, solo con un viso diverso, leggermente più bello. Era disarmante il modo in cui il suo figlio più giovane le assomigliava, e Tauriel sentì il sangue affluirle di colpo al viso.
“Tu chi sei?” chiese la donna.
L'Elfa s’inumidì le labbra. “Sono il Ca– Tauriel, del Reame Boscoso, recentemente fatta ambasciatrice presso la riconquistata città di Erebor,” rispose. “E tu sei la Principessa Dìs. Ho viaggiato fin qui con tuo figlio per cercarti."
La spada si allontanò del tutto, poi cadde nella neve mentre speranza e dolore affluivano in parti uguali nei familiari occhi azzurri.

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Capitolo 13
*** CAPITOLO XIII: Torna da me ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

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‘Cause they say home is where your heart is set in stone
Is where you go when you're alone
Is where you go to rest your bones
It's not just where you lay your head
It's not just where you make your bed
As long as we're together, does it matter where we go?


Home, Gabrielle Aplin

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Tauriel sorseggiò delicatamente il suo stufato e si domandò per quante volte si era ritrovata seduta intorno a un fuoco all’ombra di una montagna, in un imbarazzante silenzio e circondata da Nani diffidenti. Molte più di quante riuscisse a contarne, pensò contrariata.
Il silenzio sarebbe stato molto meno imbarazzante, non fosse stato per la presenza degli ultimi Nani arrivati e, naturalmente, del giovane Thorin, che sedeva giusto di fronte a lei e non cessava di fissarla con quegli occhi oscurati e profondamente ostili; a Tauriel si strinse il cuore, pensando a parole non dette e momenti difficili da fronteggiare. Avrebbero dovuto parlare prima o poi, loro due soli, e Kìli doveva decidersi a prendere le sue parole molto più sul serio, visto che si trattava di parole che potevano danneggiare il suo regno prima ancora che riuscisse a cominciarlo. Persino il Nano ferito, malgrado la benda insanguinata che gli copriva la spalla e il petto e nonostante se ne stesse reclinato sul mucchio dei loro bagagli, le lanciava sguardi ostili.
Tauriel bevve un altro sorso di stufato ad occhi bassi, con una certa esitazione e sentendosi come uno strano animale chiuso in gabbia.
“Come va il braccio?” bisbigliò Ori con voce soffusa di preoccupazione sincera.
Tauriel fece una smorfia, poi si costrinse a sorridere. Si sentiva molto stanca, i suoi muscoli urlavano in protesta ad ogni movimento. “Duole un pò, ma non c’è da preoccuparsi.”
Ori aggrottò la fronte, chiaramente non convinto, ma non insistette oltre. L’umore generale era cupo, molto più che nelle ultime settimane, i fantasmi dei caduti di recente indugiavano ancora tra loro. Ella si lanciò un’occhiata alle spalle, verso le sagome di Kìli e di sua madre che si erano portati in disparte, all’ombra di una colonna sbreccata. Udiva chiaramente il tono della loro conversazione, anche se non ne capiva il senso: tristezza, tormento, rabbia, e di nuovo tristezza. Desiderava stargli accanto, offrirgli tutto il conforto che poteva ma capiva che quel momento era privato, che era fatto solo per madre e figlio.
Tauriel non avrebbe mai dimenticato il momento in cui Dìs aveva scorto suo figlio che si faceva strada nella neve. La Principessa sapeva già della morte di Thorin e di Fìli, questo era evidente – la verità era come una spada nei suoi occhi, affilata, fredda e tagliente; la voce si era sparsa molto più in fretta di quanto chiunque di loro avesse previsto. Era stato come se fosse rinata in quel momento, come se stesse vedendo un’illusione che tanto disperatamente aveva voluto fosse reale. Kìli invece si era immobilizzato, con uno sguardo pieno di paura ed apprensione, subito sostituito da shock e da un’espressione terribile, terribile di colpevolezza. Le sue prime parole erano state balbettanti e spezzate. “Madre... madre, mi dispiace, mi dispiace tanto...”
Parole che subito erano state soffocate dal forte abbraccio di sua madre e dalla cadenza delle sue parole nella lingua del loro popolo. Erano crollati in ginocchio sulla neve, come massi scuri in un mare tempestoso, immersi nel silenzio reverente di chi stava a guardare; in quel momento era stato come se tutto quel che avevano sofferto, ogni battuta d’arresto e ogni tragedia che avevano dovuto sopportare, ne fosse valsa la pena.
Alla fine i due si erano districati dall’abbraccio, gli occhi umidi e i sorrisi luminosi ancora venati di incredulità, e tutti si erano affrettati verso il vicino rifugio; una volta lì, madre e figlio si erano allontanati mentre il resto del gruppo aveva approntato l’accampamento.
La stanza in cui si erano sistemati correva lungo l’ingresso della vecchia fortezza nanica ed era piccola, ma confortevole, sicuramente preferibile alla tempesta che infuriava all’esterno. In più c’era una decisa penuria di scheletri nanici, cosa che Tauriel aveva molto apprezzato.
Ori le aveva spiegato che un tempo sorgevano molti più luoghi come quello, piccole città e avamposti tra i grandi regni dei Nani; quello in particolare, chiamato la Vedetta Grigia nella lingua corrente, era uno dei pochi ancora in uso. In tempi migliori c’era stato anche un avamposto di guardia al suo interno, ma era stato abbandonato dopo la caduta di Erebor e ormai non era che un ambiente pervaso da un silenzio sepolcrale, pieno di ragnatele e polvere.
“Dicono che hai salvato la Principessa,” disse Gloin all’improvviso, in un chiaro tentativo di spezzare la tensione. “È vero?”
Tauriel ebbe l’impressione che i loro nuovi compagni acquisiti non l’avrebbero messa proprio così, ma si sforzò di sorridere – un sorriso che sentì stanco e tirato.
“Ah... sì, suppongo di sì,” rispose cautamente, ingoiando l’ultima cucchiaiata di stufato e mettendo da parte la ciotola. “Anche lei però ha salvato me.”
Bofur alzò le sopracciglia, impressionato, ma non fece commenti in proposito e si limitò ad aggiungere: “A quanto pare la Principessa e le sue guardie si sono staccati dal gruppo principale durante un attacco di Orchi.”
Tauriel si accigliò, con una fitta di trepidazione. “In quanti erano? Che ne è stato degli altri Nani?”
“Gli Orchi erano relativamente pochi,” rispose il Nano ferito con voce burbera, fissando il fuoco piuttosto che lei. “Sembravano concentrati soprattutto sulla Principessa. Parecchi hanno lasciato perdere gli altri per inseguire noi tre.”
“Sospettate un tradimento?” chiese Dwalin; alla luce del focolare il suo volto appariva duro e inflessibile come l’acciaio.
“Già,” rispose la guardia con un cenno amaro del capo.
“Ne sono successe di cose simili di recente,” borbottò Bofur bevendo un sorso di birra, e Tauriel arrossì, sperando che non intendesse insinuare che lei aveva qualcosa a che fare con il disastro accaduto nella foresta. Ma lui colse il suo sguardo e le rivolse un breve sorriso, come se avesse capito cosa le passava per la testa e volesse fare ammenda; lei lo prese come un segno positivo – pur se molto piccolo – del fatto che forse non tutti i Nani erano contro di lei.
“Mia moglie e mio figlio?” incalzò Gloin con voce leggermente strozzata.
La guardia ghignò, ma durò poco. “Stanno bene, non temere. Se la sono presa soprattutto con Rune e me, ma hanno evitato la Principessa e tutti quelli che fuggivano lontano da noi. È chiaro che quei bastardi intendevano catturarla piuttosto che ucciderla.”
Tauriel disse la prima cosa che le venne in mente. “Volevano catturare la madre del Re... per chiedere un riscatto?”
Gli occhi della guardia incontrarono i suoi, ancora diffidenti, ancora incerti, ma si vedeva che stava cercando di essere rispettoso. O perlomeno tollerante, cosa per cui ella gli era grata. “È raro che gli Orchi prendano dei prigionieri, salvo che per farseli schiavi. Non sono esattamente dei geni in materia di politica.”
“A meno che non ci sia qualcuno che li manovra nell’ombra. Qualcuno con un piano,” disse Dwalin.
“Già,” concordò rudemente la guardia.
“Sembra che ultimamente ci siano parecchie mani all’opera dietro le quinte,” disse Ori imbronciato, incontrando lo sguardo di Tauriel.
Il suo amico aveva ragione, naturalmente. I misteri si sommavano ai misteri, facendo nascere sempre più domande con sempre meno risposte. Tauriel aveva creduto che le cose si sarebbero sistemate dopo la guerra, una volta riconquistata Erebor; a quanto pareva era stata una credenza folle, perchè fin dall’inizio, quando il fumo si era diradato e i morti erano stati sepolti, era parso evidente che le cose si erano fatte ancor più complesse.
Tauriel non era un politico – un altro dei motivi per cui la sua presenza ad Erebor in veste di ‘Ambasciatrice’ era ridicola – ed era abituata a risolvere i problemi quando erano facilmente individuabili e la soluzione era a portata della sua mano. I suoi avversari erano normalmente armati o muniti di zanne, non si nascondevano sullo sfondo degli eventi in attesa del momento migliore per colpire. No, non sarebbe stata in grado di trovare una via d’uscita da quella situazione e si sentiva a dir poco impotente: non era una sensazione cui era abituata e avrebbe dato qualsiasi cosa per liberarsene.
“Domattina manderemo qualcuno in avanscoperta ad assicurarsi che gli altri ce l’abbiano fatta,” disse Dwalin dopo un teso silenzio. Tauriel aprì la bocca per offrirsi volontaria, ma la richiuse subito, decidendo di aspettare fino al giorno dopo per vedere come si sarebbe sentita.
La guardia ferita annuì, tirandosi un pò su con una smorfia. “Grazie. Speriamo che la tempesta passi in fretta, è stato un viaggio difficoltoso.” Le bende che gli coprivano la spalla erano tutte macchiate di rosso e il sangue era affiorato anche sulla sua tunica. Il suo colorito sembrava migliorato, però, quindi forse Tauriel poteva evitare di offrirsi di darvi un’occhiata. Dubitava che egli avrebbe acconsentito, in ogni caso.
Il silenzio scese ancora una volta tra loro e i suoi pensieri presero a percorrere una via oscura.
Le sembrava impossibile che il tentativo degli Orchi di catturare la Principessa fosse in alcun modo collegato alla loro disavventura nella foresta... ma qualcosa continuava a disturbarla, come se un filo collegasse strettamente i due eventi contro ogni logica. Aveva la netta sensazione che qualcosa di oscuro stesse emergendo dall’ombra, a complottare, a tramare, e al centro di tutto stava Erebor... e il suo nuovo Re. Un complotto era già stato sventato alle porte della città dei Nani e Tauriel credeva, così come Gandalf, che prima o poi ne avrebbero pagato il prezzo.
Era solo questione di quando, non di se.
Desiderava solo riuscire a capire quale fosse il suo ruolo in quegli eventi, se avesse potuto fare la differenza in quel caos. Cosa poteva fare, se qualcosa davvero c’era, per proteggere Kìli? Non aveva bisogno di chiedersi se fosse disposta a sacrificare la propria vita per la sua – aveva già risposto molte altre volte a quella domanda. No, la vera questione era se un tale sacrificio sarebbe stato sufficiente oppure no.
All’improvviso la montagna le sembrò vicina, troppo vicina, come se il peso delle rocce e delle loro ombre la soffocasse inesorabilmente. Il sentimento di impotenza che aveva iniziato a opprimerla quando Kìli era uscito dalla tenda di Thranduil, tante settimane prima che a volte le sembravano anni, minacciava di schiacciarla.
Tauriel si mise in piedi di scatto e si passò una mano sul viso: il braccio ferito pulsava.
“Stai bene?” le chiese Ori accigliandosi; lei, che già si era incamminata verso l’uscita, gli rivolse un sorriso incerto da sopra la spalla. Come poteva dirglielo? Come poteva spiegargli che a volte si sentiva talmente smarrita da non sapere più dove finisse il cielo e iniziasse la terra ferma?
Perciò si limitò a rispondere: “Sì; voglio solo vedere come procede la tempesta.”
Dwalin sbuffò con fare sardonico ma lei non disse più nulla e scivolò via silenziosamente, resistento all’impulso di mettersi a correre.

~
 
La tempesta infuriava, implacabile ed insensibile, mentre il sole cadeva rapidamente nella gelida notte. Tauriel osservò il panorama e pensò che al mattino sarebbe stata fortunata se fosse riuscita a scorgere qualcosa oltre la spessa cortina di neve fresca. Respirò profondamente l’aria ghiacciata: fu una sensazione rigenerante che la fece sentire di nuovo sulla terra, di nuovo presente a sè stessa, in un certo senso. Sperava che i Nani delle Montagne Blu fossero riusciti a trovare un riparo a loro volta, perchè la notte si preannunciava straordinariamente fredda.
“Mio figlio dice che gli hai salvato la vita.”
Tauriel si girò di scatto con un piccolo sussulto. A quanto pareva l’innaturale abilità di Kìli nel riuscire sempre a coglierla di sorpresa era ereditaria.
“Vostra Altezza,” rispose piano, chinando il capo in un piccolo inchino. La Principessa Nana era intimidatoria quasi quanto suo fratello maggiore: forte, regale, con gli stessi lunghi capelli neri appena striati di grigio, che portava legati in una lunga coda. Kìli aveva ereditato da lei il taglio degli occhi, il naso e l’altezza, ma le labbra di lei erano più piene e il mento più rotondo. Suo figlio maggiore invece non le assomigliava quasi per niente; doveva aver preso dal padre. Tauriel aveva sempre pensato a loro, a Fìli e a Kìli, come al giorno e alla notte, luce e buio, luminosità e ombra.
E cos’è mai la notte senza il giorno?
La Principessa Dìs levò una mano con espressione severa, un’espressione paurosamente simile a quella che aveva sempre suo fratello nelle poche volte in cui Tauriel lo aveva incontrato – e che, a onor del vero, non erano mai avvenute nelle migliori delle circostanze.
“Lasciamo perdere queste sciocchezze, se non ti dispiace. Ho trascorso troppa parte della mia esistenza a vivere solo di ciò che le mie mani potevano fornirmi perchè meriti che ci si inchini al mio cospetto o mi si chiami con appellativi altisonanti.”
Tauriel dovette reprimere un sorriso. Le tremavano un pò le mani ed era terrorizzata all’idea che i suoi sentimenti potessero dipingersi con troppa chiarezza sul suo viso, e si domandava cosa avrebbe pensato di lei quella creatura così intimidatoria. “Certamente, mia signora.”
La Principessa la squadrò assottigliando gli occhi prima di rivolgere la propria attenzione alla tempesta all’esterno. “Kìli mi ha raccontato che eri là, ai Cancelli di Erebor, e che gli hai salvato la vita. È vero?”
Tauriel si morse un labbro: i ricordi di quel giorno terribile le affiorarono alla mente con un’intensità che non aveva previsto. Ricordava distintamente le grida, sentiva ancora l’odore della morte, del fumo e della paura e poteva vedere il viso di Kìli al di là di un mare di corpi massacrati e lame insanguinate – è troppo lontano, troppo lontano, non può farcela, non riuscirò mai a salvarlo...
Trasse un sospiro tremante, avvertendo un sapore di bile sul fondo della gola. “Sì, anche se non sono riuscita a salvare suo fratello e suo zio.” Tuo figlio e tuo fratello, aggiunse la sua mente tormentosa, e deglutì pesantemente per ricacciare quei fantasmi nei recessi più bui della sua anima.
Si domandò se sarebbe mai riuscita a liberarsene, a liberarsi da quel fardello; era proprio vero che nessuno lasciava mai il campo di battaglia. Thranduil certamente non l’aveva mai fatto: sua moglie era morta in guerra ed era stato un Elfo completamente diverso quello che aveva fatto ritorno, anche se si trattava di eventi occorsi molto tempo prima della nascita di Tauriel. Il ricordo ancora causava molto dolore a Legolas, un dolore che andava al di là delle sue capacità di esprimerlo e che tornava spesso a tormentarlo quando guardava suo padre, come se cercasse qualcuno che non esisteva più.
No, lei sapeva che un pezzo di sè sarebbe sempre rimasto con i caduti, perso oramai a tutto quel sangue e a quella violenza insensata.
Il silenzio si dilatava e Tauriel aveva paura di guardare in faccia l’altra donna, paura di leggere nei suoi occhi l’odio che sicuramente vi ribolliva, la conferma a tutti i suoi fallimenti...
Quasi saltò per aria quando una morbida e grande mano le si poggiò sulla guancia, premendo teneramente. L’espressione negli occhi della Principessa si era ammorbidita e i suoi occhi brillavano di lacrime non versate e di un sentimento che poteva quasi essere gratitudine. Un sentimento che lei non meritava.
“Ho dovuto vivere per vedere tutta la mia famiglia scomparire, uno dopo l’altro. Ho perso la mia casa e il mio diritto di nascita e ho visto mio nonno e mio padre soccombere alla follia, e sono dovuta restare in disparte mentre mio fratello combatteva quella stessa follia assistito unicamente dai miei figli.” Una lacrima scivolò giù dalle ciglia scure, catturando per un istante la luce morente. “Ho dovuto subire più perdite di quante temo sia in grado di sopportarne... ma tu mi hai fatto un grande dono, che penso riuscirai ad immaginare.” La Principessa esalò un lungo sospiro, i suoi occhi erano pozze ineluttabili che tenevano Tauriel come imprigionata. “L’odio tra i nostri due popoli è stato lungo e spesso sanguinoso, e i pregiudizi hanno radici profonde; ma da questo giorno in avanti io ti nomino Khuzd Umral, Amica dei Nani, e ti sarò debitrice per il resto della mia vita.”
Sbalordita, Tauriel rimase immobile mentre la Nana le prendeva il viso con entrambe le mani e la tirava giù per deporre un bacio umido di lacrime sulla sua fronte. La profondità del dolore e della perdita che si leggeva negli occhi della Principessa le aveva quasi spaccato il cuore in due, tanto greve era il peso dei suoi morti. L’Elfa era certa di non aver mai incontrato una creatura più forte in vita sua ed era commossa oltre ogni dire dalla sua gentilezza e gratitudine.
Dìs si scostò da lei con un sorriso esitante e rapidamente si asciugò il viso bagnato di lacrime, riacquistando la propria compostezza. Era come se si fosse avvolta in un regale sudario, ridiventando ancora una volta la Principessa indurita dalla vita e lasciandosi alle spalle la donna emotiva che aveva visto troppo dolore. Quante volte era stato chiesto a questa donna di guardare in faccia la morte e il cordoglio per poi voltarsi indietro, solo per raccogliere ancora una volta i cocci della propria vita?
Tauriel, che pure era di centinaia d’anni più anziana, si sentiva un’infante al cospetto di un tale, inimmaginabile dolore.
“Ora dimmi, Ambasciatrice Tauriel,” riprese Dìs con voce ferma. “Cosa ti porta al costante soccorso dei reali dei Nani?”
Tauriel fu tanto sorpresa da quella domanda che non potè fare a meno di ridere, una risata indelicata che alleviò un pò dell’oppressione che sentiva in petto e che strappò un mesto sorriso anche a Dìs. Prendeva sul serio la sua promessa, era chiarissima ai suoi occhi: Tauriel aveva sempre temuto quel momento, incosciamente consapevole che la buona opinione della Principessa sarebbe stata d’inestimabile valore per lei. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così facile... anche se in verità non lo era stato affatto. Non era stato un percorso facile, non per Tauriel e sicuramente non per la Principessa. Entrambe avevano perduto molto, tanto, quasi tutto, prima di ritrovarsi su un terreno comune. Si chiese con stupore quale fosse la volontà dei Valar, se avessero previsto quel percorso per lei fin dall’inizio, se fosse stata predestinata a condividere quel momento con quella donna sotto una montagna ghiacciata.
Le implicazioni di quel pensiero le davano quasi le vertigini. Non sapeva cosa fosse più terrificante, se l’idea che il suo destino fosse già predefinito o se venisse lasciato tutto al caso.
“In effetti mi sembra sia diventata un’abitudine per me,” rispose quietamente, pensando alla propensione di Kìli a gettarsi selvaggiamente nel pericolo.
“A meno che mio figlio non sia cambiato del tutto, immagino sia un compito a dir poco ingrato.”
Tauriel ripensò all’impetuosa pressione delle labbra di lui sulle sue, al calore delle sue mani che le filtrava sotto agli abiti, e pregò i Valar che la Principessa non si accorgesse del suo rossore nella penombra.
“È certamente stancante a volte, mia signora,” riuscì a rispondere.
Una pausa, poi Dìs domandò: “Perchè credi che il tuo Re ti abbia resa ambasciatrice presso il mio popolo? Ammetterai che è un fatto... direi senza precedenti.”
Tauriel riusciva a malapena a vederla nella notte incipiente; fuori la tempesta continuava a sussurrare il suo lamento, la luna e le stelle erano completamente nascoste alla vista. Scorgeva appena un accenno della mandibola della Principessa e il luccichio delle perline d’oro e d’argento che portava nei capelli. Tauriel sospirò e si appoggiò al telaio della porta: il suo braccio era ancora dolorante, ma la sua mente era sgombra.
“Non ne sono del tutto certa,” ammise infine, anche se sapeva che Thranduil le aveva dato quell’ordine con contrizione e malizia. “Vi è stato spinto da Mithr– da Gandalf, il quale sperava che così facendo, e alla luce della guerra, le cose avrebbero potuto... facilitarsi tra i nostri due popoli, e che io avrei potuto rappresentare...” Si sforzò di trovare la parola giusta. “...Una leva per smuovere la montagna. Ah, non so se capisci cosa intendo.” E Tauriel arrossì, sentendosi molto sciocca.
Ma la Principessa ridacchiò piano, alleggerendo in qualche modo il suo disagio. “È nella natura degli stregoni immischiarsi nelle faccende altrui. Ci sono notti in cui maledico il momento che è apparso da Thorin e lo ha indotto a partire, e altre che... beh, diciamo solo che sono grata per la sua lungimiranza.” Tauriel si sentiva addosso gli occhi della Nana, anche se non poteva vederli con chiarezza. “Se ritiene che tu possa fare bene qui, tra la mia gente, allora deve aver avuto un sentore delle sfide che dovremo fronteggiare.”
Un’altra pausa, pregna di domande ancora taciute. Alla fine, la Principessa le chiese: “Almeno questo devo saperlo: sei leale a mio figlio? Ci sono intrighi lungo il nostro percorso che vanno oltre la mia comprensione e Kìli avrà bisogno di amici che lo spalleggino, quanti più riesca a radunarne.”
Darei la vita, l'anima stessa per lui. Offrirei ogni ora, ogni minuto della mia lunga esistenza per proteggerlo e dargli consiglio.
“Il fato mi ha condotta al suo fianco,” rispose infine Tauriel, “e lì intendo restare.”
“Bene, ne sono lieta,” disse la Principessa, e le parve sincera; poi aggiunse: “Devo dire però che è tipico di mio figlio gettare alle ortiche secoli di tradizioni per andare a stringere amicizia proprio con un Elfo femmina.”
“Thorin non era esattamente entusiasta della cosa,” ammise Tauriel, senza nascondere un altro sorriso.
“Beh, c’era da aspettarselo. E questo potrebbe avere qualcosa a che fare con l’interesse di Kìli per te. Si è sempre divertito a mettere alla prova la famosa tempra di suo zio.”
Tauriel cercò di nascondere il fremito che la colse alla parola interesse e si concentrò sul tono grave e dolente che le parole della Principessa avevano assunto quando aveva nominato suo fratello. C’era in esse la flebile eco di un’altra persona amata e perduta.
Non aveva bisogno di chiedersi come avrebbe reagito Dìs se avesse saputo del legame tra lei e suo figlio; non sapeva nemmeno se i suoi propositi di pace sarebbero ancora stati accettati quando quelli della sua cerchia avessero scoperto quanto era profondo quel legame (e personalmente ne dubitava); ma sentiva la necessità di assicurarsi che quella donna intimidatoria capisse, che credesse a ciò che stava per dirle.
“Veglierò su di lui. Lo proteggerò.”
Il sospiro che seguì risuonò pesante e sconsolato, subito soffocato dal mugghiare della tempesta; poi: “Non dubito che lo farai, signora Ambasciatrice. Spero solo che sarà sufficiente.”
Le sue parole rispecchiavano i precedenti timori di Tauriel e la sua ansia per il futuro che si estendeva greve davanti a loro, e l’Elfa comprese che, nei giorni a venire – qualunque perplessità o rabbia giustificata Dìs avrebbe potuto provare quando certe verità fossero venute alla luce – la Principessa sarebbe probabilmente diventata o la sua più grande alleata o la fautrice della sua rovina.

~
 
Kìli era là quando tornarono presso il fuoco, seduto accanto a Dwalin con un’aria stanca e svogliata. Le sue sopracciglia scattarono all’insù in un gesto di sorpresa – e forse anche di allarme – quando prima sua madre, poi Tauriel rientrarono nella stanza; ma nascose rapidamente lo shock e richiuse la bocca, indirizzando a Tauriel una breve occhiata interrogativa.
Dwalin balzò in piedi e, le guance soffuse di un’allarmante sfumatura rosa, prese tra le sue una mano della Principessa e le rivolse un profondo inchino. “Altezza, è un, ehm... piacere vederti così. Voglio dire, sana e salva.”
Bofur sbuffò divertito da dietro la pipa mentre Gloin ghignò apertamente. Tauriel vide che Dìs cercava di nascondere un sorriso divertito mentre Kìli, dall’altro lato del fuoco, si accigliava profondamente.
“E a me fa piacere vedere che sei uscito sano e salvo dalle tue avventure e tribolazioni, mastro Dwalin.”
Dwalin chinò il capo ancora di più, con un’aria abbattuta. “Mia signora, ho fallito nei tuoi confronti–”
“No,” lo interruppe Dìs con una voce che non lasciava spazio ad argomentazioni. “Non voglio che ti assumi colpe che non hai. Il tuo coraggio, la tua dedizione e la tua lealtà ci hanno restituito la nostra casa.” La Principessa alzò lo sguardo e si rivolse a tutto il gruppo. “Avete servito mio fratello nelle nostre ore più buie; ora vi chiedo, servirete mio figlio quando spunterà l’alba?”
Tauriel aveva fissato la Principessa mentre parlava; si volse ora verso gli altri e vide che tutti si erano alzati in piedi. Persino il Nano ferito – Rune, se non aveva capito male – si sorreggeva al braccio dell’altra guardia. L’atmosfera era improvvisamente piena di formalità e cerimoniosità; era come se la montagna stessa trattenesse il fiato e ascoltasse attentamente ogni parola.
Dwalin lasciò andare la mano della Principessa e si girò per inginocchiarsi davanti a Kìli, il quale deglutì pesantemente; la sua espressione era difficile da decifrare. Poi il Nano tatuato si portò un pugno sul petto e disse, con voce profonda e roca dall’emozione: “Mimnu Durîn.”
Gli altri Nani, compresa Dìs, seguirono il suo esempio. Il giovane Thorin si accigliò ed ebbe l’aria di opporsi, ma Ori gli assestò una gomitata piuttosto violenta e gli rivolse un sorriso a dir poco perfido; il giovane Nano tossicchiò e si decise ad inginocchiarsi. Anche la guardia ferita s'inginocchiò, non senza qualche gemito, ma i suoi occhi brillavano di determinazione e lealtà, uno sguardo che si rispecchiava sul volto di tutti gli altri – salvo forse del giovane Thorin, che aveva abbassato il capo. Tauriel lo ignorò e si godette il momento. Bombur aveva già iniziato a singhiozzare e Gloin lo fissava con un certo malcontento, lanciando nel contempo occhiatacce a Bofur che sghignazzava. Dopodichè, tutti chinarono la testa e ripeterono la frase: “Mimnu Durîn!”
Kìli inspirò profondamente: aveva i pugni stretti lungo i fianchi, le gambe divaricate, e aveva l’aria di uno che si aspetta una catastrofe da un momento all’altro. Incontrò lo sguardo di Tauriel e lo sostenne mentre lei s’inginocchiava a sua volta: notando che sembrava prossimo allo svenimento, l’Elfa nascose il suo sorriso.
Anthon velethen anden, aran vell,” disse, chinando brevemente il capo e rialzandolo in tempo per vedere che lui aveva capito le sue parole – se il rossore che gli risaliva dal collo era di una qualunque indicazione. Le dita di lui si rilassarono e le rivolse un breve sorriso, come se quelle parole fossero state per il suo spirito un balsamo lenitivo.
“Adesso non puoi più scappare, ragazzo,” disse Gloin con un tono leggermente divertito.
“Eh già, ormai sei fregato,” incalzò Bofur con aria falsamente solenne, ma divertito come gli altri.
“E niente più scherzi con le pecore,” lo avvertì Dwalin con voce seria. “Non è degno di un Re tormentare i membri del suo consiglio.”
Kìli roteò gli occhi e incrociò le braccia sul petto. “Non lo so, Dwalin, ti sei mai chiesto chi fu a suggerirci l’idea, in primo luogo?”
Il Nano tatuato scosse il capo. “Thorin non avrebbe mai–”
Kìli fece un gran sorriso mentre Bofur e Gloin si abbandonavano ad una vera risata; la testa pelata di Dwalin si tinse di un’allarmante tonalità rossastra. “Certe cose, a quanto pare, non cambiano mai,” sospirò Dìs rialzandosi e premendosi le dita sulle tempie.
Anche Tauriel rise con gli altri. Bofur le diede di gomito come se fosse la cosa più naturale del mondo e Ori venne a mettersi al suo fianco. Si rese conto che aspettavano da tanto quel momento, che lei confermasse la sua lealtà e che loro si accorgessero che in realtà apprezzavano la sua compagnia. Era scritto sui loro volti, chiaro come il sole, e Tauriel pensò che forse ultimamente i suoi giudizi e le sue ansie l’avevano resa cieca. Le due guardie apparivano ancora un pò incerte, ma quando l’ilarità si fu placata una di esse venne a presentarsi come si doveva – "Orte figlio di Dwert, mia signora" – e la ringraziò per l’aiuto prestato loro nel salvataggio della Principessa. Tauriel ne fu quasi commossa; da parte sua, Kìli scoppiava praticamente di gioia e la luce di tutte le stelle pareva riflettersi nei suoi begli occhi.
Uno dei volti, tuttavia, restava diffidente e ostile e lei si rammentò che c’era ancora molta strada da fare, ancora parecchi ostacoli da superare; ma, mentre Dwalin le passava un boccale di idromele e Ori si sedeva vicino a lei con Kìli accanto, Tauriel decise, almeno per il momento, di mettere da parte le sue preoccupazioni.

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(glossario)
Mimnu Durîn –> Nel nome di Durin
Anthon velethen anden, aran vell –> Io ti do il mio cuore, mio Re
 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV: Gli spazi nel mezzo ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

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Oh, all of these minutes passing, sick of feeling used
If you wanna break these walls down, you're gonna get bruised
Now my neck is open wide, begging for a fist around it
Already choking on my pride, so there's no use crying about it

I'm headed straight for the castle
They wanna make me their queen
And there's an old man sitting on the throne that's saying that I probably shouldn't be so mean
I'm headed straight for the castle
They've got the kingdom locked up
And there's an old man sitting on the throne that's saying I should probably keep my pretty mouth shut.


Castle, Hasley

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“Quanto ci vorrà per scavare un passaggio fuori di qui?” chiese Kìli, fissando la parete di ghiaccio scintillante che fino a poco prima era stata l’ingresso della fortezza. Si scorgeva un accenno di luce solare nella parte superiore, un lampo ingannevole di calore e cielo terso che riusciva a rischiarare il corridoio interno.
Gloin, le maniche arrotolate fino ai gomiti nonostante il freddo, si appoggiò alla pala che avevano trovato in uno stipo del salone principale, e grugnì. “Almeno mezza giornata. Dev’essere stata una slavina precipitata giù dal fianco della montagna.”
Kìli si passò una mano sul viso, accigliandosi. Sembrava stanco e preoccupato e Tauriel dovette reprimere l’urgenza di stendere una mano verso di lui. Sembravano trascorsi secoli dall’ultima volta che si erano toccati o avevano avuto un momento da soli. Persino un’occhiata al suo viso bastava a farle cantare il sangue, girare la testa, offuscarle il giudizio.
Invece guardò Bofur, che stava punzecchiando la neve con interesse mentre con l’altra mano si grattava il posteriore, e fece una smorfia, anche se era certamente una direzione più sicura verso cui guardare.
“La Principessa dice che gli altri devono essere vicini, forse ci troveranno prima,” disse Dwalin, con un piccone in spalla.
Come in risposta, la parete ghiacciata rumoreggiò minacciosamente e una pioggia di neve si rovesciò su di loro; Tauriel riuscì abilmente a scansarsi dalla traiettoria, ma gli altri non furono altrettanto fortunati. Bofur restò mezzo sepolto mentre Kìli barcollò all’indietro, scrollandosi la neve dai capelli. Tutti stavano imprecando.
“Oi!” giunse una voce dall’alto e la sagoma di una testa si affacciò su di loro; dovettero schermarsi gli occhi per proteggerli dal riverbero del sole che la contornava.
“Per le palle di Mahal! Durth, sei proprio tu?” chiamò Dwalin, mentre un gran sorriso si dipingeva sul suo volto e la sua testa pelata scintillava di neve sciolta.
“Sì, almeno lo ero l’ultima volta che ho controllato,” rispose allegramente il Nano appena arrivato. “È da tutta la dannata notte che vi cerchiamo. La Principessa è laggiù con voi?”
“Proprio così, gran pezzo di sterco di goblin, sana e salva grazie a noialtri!” esclamò Kìli, altrettanto sorridente e facendo sorridere anche Tauriel. Volse rapidamente lo sguardo su Bombur, che si stava pulendo il naso strofinandolo sulla manica della tunica, e rabbrividì disgustata, domandandosi se sarebbe mai riuscita ad abituarsi alle abitudine igieniche dei Nani.
“Mahal benedetto, era il giovane Kìli?” mormorò Durth con voce colma di meraviglia.
Ora che i suoi occhi si erano abituati alla luce Tauriel potè vedere il Nano più chiaramente: aveva una gran massa di capelli rossi scarmigliati e una lunga barba altrettanto rossa, seminascosta tra il petto e la neve. In viso aveva dei tatuaggi che gli marcavano la fronte e le tempie in disegni decisi e spigolosi che, stranamente, risultavano feroci e decorativi tutto in una volta. Stava fissando Kìli come se non riuscisse a credere che fosse proprio lui.
“Certo che sono io,” replicò Kìli in tono giocoso. “Ora, vuoi aiutarci a uscire o vuoi semplicemente restare lì a rimirarci?”
“Giusto, giusto, fatemi solo... per la barba di Mahal, quello è un Elfo?”
Tauriel avvertì un leggero pizzicore alla base del collo.
“Già, è una lunga storia,” intervenne Bofur, dopo esser finalmente riuscito a districarsi dalla neve e levando in aria il suo buffo cappello in segno di saluto. “Tranquillo però, non morde,” aggiunse facendole l’occhiolino, cui Tauriel non potè fare a meno di rispondere con un sorriso.
“Non troppo forte, perlomeno,” borbottò Gloin con un ghigno, e Bombur gli diede di gomito.
“Concentrati, Durth,” lo ammonì Dwalin. “Gli altri sono con te?”
“Oh, sì, non sono tanto lontani. Alcuni di noi sono stati mandati in ricognizione. Vi faremo uscire in un battibaleno.” Il Nano cominciò a indietreggiare dal cancello innevato della fortezza. “Aspettate lì!” esclamò prima di accomiatarsi, e Tauriel nascose una risatina dietro un colpo di tosse. Nani, pensò con un pizzico di affettuosa esasperazione.
“Avrei dovuto chiedergli com’è andata con gli Orchi,” disse Gloin, accigliandosi all’improvviso. Chiaramente era ancora preoccupato per suo figlio, e non si poteva biasimarlo.
“Ci sarà tempo per questo, una volta che saremo fuori,” disse Dwalin; quindi si voltò, già distratto. “Vado a dirlo alla Principessa.”
Gli altri ghignarono mentre il loro amico si allontanava, e Kìli aggrottò la fronte. Tauriel pensò che quel suo voler essere a tutti i costi protettivo con la madre – che era chiaramente in grado di badare a sè stessa – fosse adorabile.
“Avanti, Bombur,” disse in quel momento Bofur, battendo una manata sulla schiena dell’altro Nano. “Mi sa che è arrivata l’ora di una vera colazione.”

~
 
Dopo aver impacchettato le sue cose, ed essersi sentita genericamente inutile, Tauriel iniziò a vagabondare in giro.
Gli altri rimasero vicini all’ingresso o in prossimità del fuoco, parlando e mangiando mentre i loro aspiranti soccorritori cercavano di scavare una via per liberarli. Nulla si muoveva all’interno della fortezza, l’aria era viziata e pregna di decadenza ma, come nelle sale di Erebor, si avvertiva il peso della storia. Era dappertutto nei saloni, appesa lungo i corridoi, i resti di un popolo ormai scomparso impigliati tra gli arazzi e le sculture, tra i giocattoli rotti e i brandelli di abiti. Provava tristezza a quella vista, ma anche speranza. Un giorno, forse, quelle sale sarebbero state ripulite e ristrutturate e altri Nani sarebbero tornati ad abitarle.
Udì i suoi passi molto prima che lui la sorprendesse. Lo lasciò avvicinarsi, lasciò che continuasse a strisciare tra le ombre mentre il cuore le rimbombava nelle orecchie. La mano di lui trovò il suo corpo, scivolando sui fianchi fino a prendere la sua, e intrecciò le dita con le sue. Era buio pesto, la luce dell’ingresso si perdeva nei meandri della vecchia fortezza.
“Non è sicuro qui,” mormorò lei, fremendo al contempo di un caldo desiderio. Era impossibile controllare le proprie reazioni in sua presenza, ormai non ci provava neanche più.
Gli occhi di lui brillarono nell’oscurità, le pupille dilatate e quasi predatorie. “Faremo molta attenzione,” disse con voce profonda, spingendola in una rientranza vicina nella parete.
Era così buio che perfino lei distingueva a malapena i lievi contorni del suo viso e la curva delle sue spalle. Però lo sentiva – il suo calore, il suo bisogno, il suo amore. Trattenne il respiro, la pelle che le formicolava di anticipazione. Voleva toccarlo, e voleva che lui la toccasse. Il desiderio le offuscava la ragione e i pensieri e istintivamente si aggrappò a Kìli, mentre lui le prendeva delicatamente il viso tra le mani e lo abbassava verso il suo.
Il bacio fu insistente ed esigente – una domanda, una sfida – e il corpo di lei fremeva dalla voglia di affrontarlo su quel campo di battaglia fatto di lingue vogliose e mani frenetiche. In ogni momento che trascorrevano insieme una parte di lei, la più spaventata, sussurrava che quello poteva essere l’ultimo. Che ogni bacio, ogni carezza era un istante rubato al tempo e alla realtà. Sembrava tutto terribilmente fragile e prezioso e lei sentiva di non poter mai essergli abbastanza vicina, di non poterlo stringere abbastanza forte.
Come fosse colto dallo stesso incantesimo, Kìli avvicinò fermamente il suo corpo al proprio, strappandole un gemito che catturò con le labbra e che gli vibrò in petto a sua volta. Tauriel piegò le ginocchia, già indebolite, e si sedette a mezzo su una sporgenza che correva lungo tutta la parete; lui si spinse tra le sue gambe e si ritrovarono petto contro petto, respiro contro respiro, cuore contro cuore. Si sentiva consumata, come se si stesse tramutando in qualcuno o qualcosa di completamente diverso.
Lui si scostò leggermente, accarezzandole le spalle e le clavicole. “A volte,” sussurrò, le labbra solo a pochi millimetri dalle sue cosicchè lei potesse assaggiare ogni sua parola. “A volte ho la sensazione che potrei impazzire se non ti tocco.”
Le sue parole le fecero stringere lo stomaco e fiaccare le gambe e si aggrappò alle spalle di lui, immergendo le dita sotto la tunica fino a trovare la sua pelle. Il suo corpo era così perfidamente allettante, i muscoli si muovevano armoniosi mentre si chinava su di lei e si abbandonava alle sue carezze, e Tauriel smaniava di poterlo esplorare tutto in un posto luminoso e sicuro dove avrebbero potuto stare da soli per ore, possibilmente per giorni.
“Dovremmo fermarci, questo... questo non è il luogo...” ansimò, anche se il corpo continuava a tradirla arcuandosi sotto le sue mani che le tratteggiavano deliziosamente la spina dorsale.
“Hai ragione,” mormorò lui, facendo scorrere le labbra lungo i muscoli del suo collo. Tauriel dovette mordersi le labbra per frenare il gemito che sentiva nascerle in gola; niente le era mai parso più meraviglioso, più perfetto. “Ma volevo toccarti, anche solo per un momento. Ne avevo bisogno.”
Valar, la sua voce e le sue parole stavano spazzando via quel poco autocontrollo che le restava. La gente del suo popolo era riservata ed esitante quando si trattava di rapporti fisici e desiderio sessuale. Una coppia si univa per la vita e quel legame correva abbastanza in profondità da poter durare eoni, e tutto ciò che accadeva nelle camere da letto non era fatto per essere udito nè visto da estranei. Ma Tauriel ne sapeva abbastanza per comprendere il meccanismo. Ne sapeva abbastanza da capire cosa fosse quell’umidore che sentiva tra le gambe e la calda pressione in fondo allo stomaco che implorava di più. Che implorava lui.
Sapeva anche che stavano percorrendo una strada molto, molto pericolosa.
Come se stesse percependo tutti i suoi pensieri, le carezze di Kìli rallentarono la loro corsa e il suo corpo si scostò un po’ da quello di lei, finchè non le appoggiò la testa su una spalla e la circondò con le braccia, piano, come se temesse di farle del male.
Dopo un momento, disse: “Mi dispiace, è stato indecoroso da parte mia. Non dovrei trattarti così.”
Il senso di colpa nella sua voce era così evidente che anche lei lo abbracciò e appoggiò la testa sulla sua spalla, rannicchiandosi insieme a lui contro ciò che si trovava al di là di quel loro attimo rubato.
“Smettila,” gli rispose. “Non hai fatto niente che io non volessi.” Il che l’avrebbe fatta vergognare di sè stessa se non fosse stato vero e non si fosse trattato di lui. Lui la faceva sentire protetta, accolta, desiderata.
Kìli si fece indietro e la aiutò a rialzarsi, e lei sentì gli occhi di lui cercare i suoi nell’oscurità. “Ti desidero così tanto che mi fa male, Tauriel. E so che è vergognoso e sbagliato da parte mia, ma ci sono giorni in cui mi sento morire letteralmente dal desiderio di toccarti, di baciarti... di stringerti tra le mie braccia.”
Tauriel, sentendosi completamente smarrita e senza parole, stese le mani sul suo viso, facendo scorrere le dita lungo la sua mandibola, dove la barba pungeva. Valar, quanto teneva a lui, quanto desiderava tutte le cose che voleva lui; ma le sentiva giusto al di fuori della loro portata.
“I–io non so cosa fare,” confessò.
Lui le prese una mano e depose un bacio fermo sul palmo, come un dono, una promessa; come una pietra runica fatta apposta per lei. “Troverò un modo perchè possiamo stare insieme, lo giuro,” disse, e lei si sentì lacerare il cuore.
“Kìli...” cominciò, ma venne interrotta da un suono di voci che chiamavano dall’ingresso. Si separarono di scatto, e lei rabbrividì alla mancanza di calore del corpo di lui.
“Ti amo,” disse Kìli con fermezza, con ferocia quasi, prima di incamminarsi lungo il corridoio.
Tauriel si strinse le braccia intorno al corpo e sedette nell’oscurità per un certo tempo, cercando di conservare dentro di sè la sensazione e il ricordo delle sue carezze un po’ più a lungo.

~
 
Dopo ore di attesa, che Tauriel trascorse chiacchierando con Ori e Bofur e cercando con tutte le sue forze di non guardare in direzione di Kìli, i Nani delle Montagne Blu riuscirono finalmente a liberarli.
La venerazione che i quattro, emersi dal tunnel gelato tremanti e bianchi di neve, mostrarono per Kìli le scaldò il cuore, così come il suo imbarazzo mentre i soccorritori s’inchinavano profondamente davanti a lui e a sua madre. Egli era la prova vivente di un sogno a lungo sospirato e divenuto realtà contro ogni previsione. In lui essi vedevano l’alba del loro futuro, e lei dovette respingere con forza un qualcosa di egoistico e triste che sentì torcerle le viscere.
Dopodichè, le cose procedettero in fretta. Tutti raccolsero le proprie cose e si fecero strada con attenzione attraverso il tunnel, uno alla volta. Tauriel dovette strisciare sullo stomaco e fu l’ultima a uscire dalla montagna, ben conscia degli sguardi curiosi e alquanto ostili che i Nani raccolti all’esterno le lanciavano.
“Principessa,” disse un Nano vestito di una pesante armatura, facendo un passo avanti e cadendo in ginocchio. “Abbiamo temuto il peggio...” gracchiò, chinando il capo.
Dìs avanzò verso di lui, trascinando Kìli con sè. Tauriel avvertiva la sua riluttanza e il suo disagio, ma cionondimeno si lasciò doverosamente condurre.
“Stiamo bene, te lo assicuro. La compagna di mio figlio, la donna Elfo, è arrivata in tempo per salvarci,” rispose lei, accennando verso Tauriel.
Sentendosi più che mai a disagio a sua volta, ella si accostò alla Principessa sotto lo sguardo fisso di diverse paia d’occhi. Con la coda dell’occhio, vide che il giovane Thorin sogghignava.
“Ma da dov’è venuta l’Elfa?” domandò uno dei Nani – lei non riuscì a capire quale.
“Viaggia con noi,” rispose subito Kìli. “Ci ha guidati attraverso la foresta. Il suo Re l’ha nominata Ambasciatrice dopo la battaglia ed è stata accolta tra le mura di Erebor, con la mia benedizione.” C’era come una punta di acciaio nelle sue parole. Un che di duro e inflessibile che sfidava chiunque a contraddirlo.
Tauriel sollevò il mento e strinse i denti, fronteggiando lo sguardo fisso degli altri Nani.
“Come tu desideri,” disse un Nano ben vestito dalla barba grigia, “mio Re.” Permaneva tuttavia un’atmosfera incerta e ostile; Ori, che i Valar lo benedicessero, venne a mettersi protettivamente al suo fianco in un chiaro gesto di solidarietà.
“Dove sono gli altri?” chiese la Principessa, attirando l’attenzione di tutti.
“Su per il passo, mia signora,” rispose il Nano che aveva parlato per primo, rimettendosi in piedi.
“Qualcun altro è rimasto ferito, a parte Rune?” domandò Kìli. Il Nano in questione si appoggiava a Dwalin e aveva un aspetto molto migliore del giorno prima, ma era chiaro che non poteva fare molta strada.
L'altro Nano scosse il capo. “No, mio signore. Stavamo tutti cercando la Principessa.”
“Quanto è impraticabile il passo?” intervenne Dwalin.
Il Nano tornò a scuotere il capo e parecchi altri borbottarono cupamente tra loro. “Quello principale è praticamente impenetrabile, ma quello più piccolo potrebbe essere abbastanza sgombro. Abbiamo mandato dei ricognitori stamattina, a quest’ora si saranno già ricongiunti con il gruppo principale.”
“Dovremmo muoverci,” disse Kìli. “È già passato mezzogiorno, e le ultime settimane di viaggio sono state difficoltose.”
“Problemi lungo la strada?” chiese il Nano dalla barba bianca. Il suo sguardo era acuto e scaltro, ed era più alto e snello rispetto ai suoi compagni. A Tauriel rammentava Balin; i suoi occhi però non erano altrettanto gentili.
“Qualcuno,” ammise Kìli. “È che non abbiamo avuto molte occasioni di riposo dopo la battaglia.”
“Certamente,” rispose il Nano, spostando brevemente gli occhi sottili e intelligenti in direzione di Tauriel; turbata, ella distolse lo sguardo.
Venne approntata una lettiga per la guardia ferita e la compagnia dei Nani girò intorno alle mura della fortezza, iniziando prontamente la scalata; Tauriel rimase indietro mentre Kìli e sua madre passavano in testa. Si sentiva stranamente svogliata e come legata, con una dozzina di quelli del suo popolo frapposti tra loro due, e immaginava che in futuro ce ne sarebbero stati sempre di più.
Lui non si girò a guardarla, e lei tentò di aggrapparsi alle parole che le aveva sussurrato nell’oscurità; ma lì, nella luce abbacinante del giorno, parevano già evaporarle tra le dita.

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Tauriel si accorse che Ori, Bofur e Bombur non si allontanavano mai troppo da lei; Gloin invece, dopo essersi ricongiunto con sua moglie e suo figlio, era più assente.
Conversarono con lei quando, più tardi quel giorno, il gruppo si riunì alla compagnia più numerosa e iniziò a predisporre l’accampamento per la notte. Condivisero il fuoco con lei, ridendo e scherzando, e invitando chiunque si trovasse a passare a unirsi a loro; la maggior parte, non senza lanciarle occhiate diffidenti, accettò comunque di stabilirsi vicino a lei. Ogni conversazione sembrava richiedere la sua attenzione o un suo parere e Tauriel pensava che fosse terribilmente gentile da parte loro, anche se le loro intenzioni erano fin troppo ovvie. Sapeva bene che, senza di loro, la presenza di diverse centinaia di Nani diffidenti e guardinghi l’avrebbe sopraffatta, specialmente adesso che non riusciva più a vedere Kìli se non di sfuggita, e sempre attorniato da altri Nani.
“Prima o poi si abitueranno,” disse con calma Bofur; Tauriel credette di cogliere un lampo di malizia nei suoi occhi, come se egli non si stesse del tutto riferendo al fatto che lei era un Elfo.
“Lo spero, visto che sono appena riuscita a far smettere voi di fissarmi e imprecarmi contro,” rispose con blando umorismo scaldandosi le mani vicino al fuoco, mentre il sole tramontava del tutto e le stelle cominciavano a brillare in cielo.
“Beh, a parte il giovane Thorin, direi,” disse Bombur dall’altro lato del focolare, masticando allegramente un pezzo di carne secca.
Tauriel trasalì e arrossì. “Non ho mai avuto la possibilità di scusarmi per il mio comportamento. So che è un vostro parente...”
“È solo un moccioso viziato,” ribattè Bofur accendendosi la pipa, con il fumo che gli oscurava il viso. “Quel marmocchio si meritava una bella lezione. Anzi, sono stato tentato di dargliene una io stesso.”
“Ma non spettava a me,” bofonchiò lei, pungolando le braci con un bastoncino. Gli altri Nani si preparavano a coricarsi e Tauriel sapeva che sarebbe stata una notte molto lunga e solitaria; era buffo, pensò, come uno potesse essere circondato da tante persone e sentirsi comunque terribilmente solo.
“Forse no,” rispose sbrigativamente Bofur. “Ma Kìli dovrà prendere provvedimenti prima o poi, e non mi fido neanche un po’ di Dàin.”
“No?” indagò Tauriel, osservandolo in viso.
Bofur aveva aggrottato la fronte, il che gli conferiva una serietà che non gli si addiceva. “Oh, mi fido del fatto che si farà da parte quando lui tornerà. Non rischierà una guerra civile, non con metà del popolo fedele alla linea di Kìli, ma non per questo renderà le cose facili.”
“O non approfitterà delle sue debolezze, potendo,” mormorò Tauriel. Bofur alzò gli occhi nei suoi e lei non dovette più chiedersi cosa sapesse; era chiaro come il sole.
“Già,” affermò il Nano, prima di distogliere lo sguardo.
Tauriel, sentendosi completamente avvolta dal senso di colpa, non rispose nulla.

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La mattina seguente spuntò chiara e luminosa e Tauriel si rese utile aiutando a smontare il campo e a riavvolgere i sacchi a pelo. La maggior parte dei Nani continuava a fissarla con diffidenza; alcuni però erano semplicemente curiosi, soprattutto i bambini.
Mentre lei si chinava per aiutare a caricare alcuni bagagli su di un pony, un piccolo infante corse in avanti e senza preamboli le toccò il viso, sbalordendo sia Tauriel sia tutti i presenti.
“È morbido,” proclamò l’esserino con un cipiglio semplicemente adorabile. Tauriel non era certa se si trattasse di un maschietto o di una femminuccia, poichè il visino angelico già recava ciuffi di una barbetta rossiccia.
“Valria!” esclamò una giovane donna Nana correndo alla sua volta, ma Tauriel era già conquistata. Raramente gli Elfi mettevano al mondo figli propri e molti anni erano trascorsi da che si era trovata in presenza di un bambino.
“Va tutto bene,” disse sorridendo al faccino curioso. Le piccole mani si mossero sul suo volto, sugli zigomi alti e su fino alle orecchie, che premettero delicatamente.
“Sono a punta,” disse la bimba, Valria, con una certa meraviglia. Tauriel poteva sentire la tensione degli altri Nani radunatisi, quasi come se temessero di vederla scattare od offendersi a tali parole; ma invece lei stese un dito e lo poggiò sul nasino, sempre sorridendo. “E tu sei carina,” disse alla bambina – ormai era certa che fosse una femmina anche per il nastro rosa che le legava i capelli in una lunga treccia – che rispose con una risatina. Dopodichè le rivolse un sorrisone, mostrando che non aveva ancora tutti i denti, e si precipitò dalla madre con uno squittio di eccitazione.
“È molto dolce,” disse Tauriel alla donna, cogliendo l’occasione per una parola gentile.
La Nana, robusta, dai capelli rossi e con indosso un abito di lana grezza, la guardò da sotto in su per un attimo prima di rivolgerle un sorriso incerto. “Grazie. Ha preso da suo padre, è troppo curiosa perchè sia un bene... spero non ti abbia offesa.”
“No, affatto,” rispose Tauriel, guardando la piccola che strofinava il visetto contro la mano e il braccio della mamma. “Molti anni sono trascorsi dall’ultima volta che ho visto un bambino.”
La donna aggrottò la fronte, perplessa. “La tua... gente non fa figli?”
Tauriel sentì il sorriso spegnersi sul suo volto, e le sue parole suonarono intrise di rammarico persino a lei. “Non più da lungo tempo, temo. Grazie per avermi permesso di conoscere la tua, Lady...?”
La donna scosse il capo, arrossendo leggermente. “Oh, non sono una Lady. Mi chiamo Felenis, e servo Lady Thria.”
“Piacere di fare la tua conoscenza, Felenis. Io mi chiamo Tauriel.”
“Davvero provieni da Bosco Atro?” chiese la Nana, chinandosi per prendere in braccio sua figlia e appoggiarsela a un fianco.
“Sì. Sono rimasta dopo la battaglia per servire come ambasciatrice,” rispose Tauriel; le sue stesse parole le parvero stranamente vacue, ma la donna sembrò non farci caso.
“Allora l’hai vista? Hai visto Erebor?”
Tauriel sorrise alla sua ovvia ansia di sapere e meraviglia. “Sì, anche se non ho avuto molto tempo per visitarla. I saloni sono splendidi e Kì– il Re ha già cominciato le ristrutturazioni.”
La donna scosse il capo, come frastornata. “Mia madre ci raccontava sempre storie sui suoi grandi saloni, anche se lei stessa era poco più che una bambina quando la montagna fu perduta... se solo fosse qui per rivederla.”
“Ebbene, adesso potrai mostrarla a tua figlia, raccontare a lei le tue storie,” disse Tauriel.
La Nana s’illuminò e uno sguardo dolce, quasi grato, le attraversò il viso. “Sì, lo farò.”
“C’è... forse qualcosa che posso fare per aiutarti? Confesso che mi sento alquanto inutile,” disse ancora Tauriel, speranzosa.
Felenis esitò per un momento prima di rispondere: “Beh, a me e alle altre donne potrebbe fare comodo un aiuto per raccogliere la nostra roba. Molte di noi hanno figli piccoli sempre tra i piedi...”
“Sarei lieta di aiutarvi, se non vi dispiace.”
“Alcune potrebbero essere un po’ nervose, sai com’è, non siamo abituate ad avere Elfi intorno; ma gli passerà presto. Specialmente se le aiuterai con i carichi più pesanti. Non vorrei approfittare troppo, però...”
“Vi aiuterò con gioia, te l’assicuro,” insistette Tauriel; e con un altro sorriso, Felenis le fece strada.

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Durante il viaggio i Nani rimasero di ottimo umore.
Il passo principale si rivelò effettivamente troppo pericoloso da attraversare ma il secondo, meno usato, era percorribile, e fu da lì che essi procedettero. Stando a quanto le disse Ori, in cinquecento avevano intrapreso quel viaggio iniziale mentre diverse altre migliaia progettavano di trasferirsi negli anni a venire, una volta sistemati i propri affari e dopo che Erebor sarebbe stata resa di nuovo abitabile. Per il primo viaggio si era deciso di mandare i Nani con le abilità lavorative più utili insieme alle loro famiglie.
Nonostante la palese diffidenza che molti ancora le mostravano, Tauriel iniziava a divertirsi. Le giornate erano chiare e soleggiate e i bambini giocavano allegramente a rincorrersi in mezzo agli adulti, le loro risate che risuonavano tra le montagne. Le donne chiacchieravano e gli uomini scherzavano, mentre Ori restava fisso al suo fianco, narrando storie e invitando parecchi suoi amici a unirsi alla conversazione. Era sorprendentemente piacevole, anche se lei diceva molto poco. Si accontentava di ascoltare, osservare e imparare, prendendo nota di tutte le diverse dinamiche culturali.
Le donne venivano accudite in maniera straordinaria. Tutti gli uomini mostravano loro una deferenza – per non dire adorazione – evidente, persino quelli delle caste inferiori. Era un comportamento affascinante, per quanto un po’ difficile da comprendere. Tauriel avrebbe odiato essere trattata come un fragile oggetto, ma donne come la Principessa, o Lady Thria, sembravano riuscire ad aggirare la questione abbastanza bene. Felenis l’aveva introdotta nella cerchia dell’imponente nobildonna, la quale le aveva rivolto una rapida occhiata e l’aveva messa subito al lavoro; una situazione cui l’Elfa si era adattata senza alcun problema.
L’apparente noncuranza di Lady Thria per tutte le persistenti differenze razziali sembrava avere effetto anche sulle altre donne fino a che, lentamente ma inesorabilmente, si abituarono alla sua presenza e iniziarono a rivolgerle le prime, timide domande e a parlare con lei. Onestamente, andava meglio di quanto Tauriel avesse osato sperare.
Nei giorni successivi vide molto poco Kìli. Lui colse il suo sguardo un paio di volte, di sfuggita, e lei vi lesse dentro tutto il suo desiderio e il suo rammarico, ma non c’erano spazi per le parole nè per altri istanti rubati. Gli rispondeva sempre con un sorriso perchè capiva, anche se le mancavano la sua presenza gioviale e il suo caldo sorriso, che quello non era il momento per abbandonarsi a vuote ciance. Le cose sarebbero state diverse adesso, naturalmente, e lei avrebbe solo voluto sapere a cosa lui pensava, e se sapeva quale avrebbe potuto essere il suo posto in quel mondo così straniero in cui era stata spinta a forza.
Fu solo nel quinto giorno del loro viaggio di ritorno che Tauriel iniziò a sentirsi a disagio. Il passo li stava conducendo giù in una piccola valle stretta tra due crinali, con molte sporgenze a strapiombo che gettavano ombre nell’ambiente sottostante. Mentre vi passavano sotto sentì le spalle tendersi e la pelle accapponarsi.
Quella sensazione di minaccia non fece che aumentare mentre proseguivano attraverso il passo e Tauriel prese a scrutare con attenzione le bianche creste sopra le loro teste. Appoggiò la mano sull’impugnatura del coltello, lasciando che il freddo metallo contro il palmo le arrecasse un po’ di conforto.
“Cosa c’è?” Bofur le chiese accigliato, affiancandosi improvvisamente. Gli altri continuavano a ridere e scherzare, ancora presi dalla gioia di aver ritrovato parenti e amici. L’atmosfera era simile a quando si rilascia un gran sospiro dopo un forte spavento.
“Solo una sensazione...” rispose lei, silenziosamente rimproverandosi per essere tanto paranoica e costringendosi a rilassarsi un po’. Trascorreva troppo tempo a trasalire davanti alla più piccola ombra, riflettè.
Ma Bofur, dal canto suo, sembrava condividere la sua preoccupazione. Aggrottò la fronte, scrutando i picchi sporgenti con gli occhi socchiusi. “Hai ragione,” disse dopo un momento. “Qualcosa non va. Gli esploratori avrebbero dovuto essere già di ritorno.”
Si girò per dire qualcosa a Dwalin, che stava ridendo a una battuta di Bombur, e proprio in quel momento una freccia passò sibilando sopra la sua testa e centrò un altro Nano in mezzo agli occhi. Ci fu un alto spruzzo di sangue e un gemito strozzato mentre il Nano cadeva in ginocchio, e poi scoppiò il caos.
“Un’imboscata!” ruggì Dwalin togliendosi l’ascia di dosso sotto una pioggia di frecce, che colpirono parecchi altri Nani.
La paura le artigliò la gola mentre Tauriel sguainava i pugnali e scandagliava la folla in cerca di una testa scura a lei ben nota; quella situazione le era disgustosamente familiare. Valar, quanto avrebbe voluto avere con sè il suo arco. Si lanciò in avanti, combattendo l’urgenza di urlare il nome di lui mentre i Nani correvano da tutte le parti per sfuggire alle frecce, le guardie e i guerrieri che tentavano di proteggere donne e bambini nel miglior modo possibile. Mentre il panico montava in lei finalmente lo scorse, con l’arco in mano, la madre accanto e l'aria feroce.
Kìli colse il suo sguardo. “Dobbiamo liberare il passo!” urlò.
Tauriel annuì e si accucciò mentre una freccia le fischiava vicino alle orecchie; quando guardò di nuovo, Kìli era circondato da guardie.
“Con il Re!” gridò Dwalin mentre lei aiutava una madre terrorizzata a prendere il suo bambino e sosteneva un’altra donna che aveva inciampato.
“Presto!” esclamò. “Dobbiamo sgombrare la valle!”
“Tauriel!” gridò qualcuno, e lei si girò in tempo per vedere Ori lanciarle un involto: conteneva un arco e delle frecce. Rapidamente rinfoderò i pugnali e liberò l’arco dall’involto.
Incoccò una freccia, si fece avanti e saltò su un masso. Scelse un obiettivo, ma vide diversi altri Orchi. Tendendo l’arco, che era più pesante di quanto si aspettasse, riuscì a scoccarne tre in rapida successione che andarono tutte a segno, spostandosi poi con un salto dalla traiettoria di una pioggia di frecce nemiche.
“Ne ho contati trenta,” esclamò in direzione di Dwalin, che stava facendo da scudo a una donna. Il Nano annuì cupamente.
“Intendono bloccarci nel passo; dobbiamo liberarcene,” disse quando lei lo ebbe raggiunto di corsa.
“C’è un altra via d’uscita dalla valle?”
“Un piccolo sentiero che taglia per quelle rocce più avanti,” intervenne Bofur. “Non riusciremo a farci passare tutti, ma dovremmo essere in grado di radunare abbastanza uomini per combatterli.”
Dwalin annuì. “Alcuni di noi dovranno restare con Kìli, ma gli altri possono–”
“Ehm, a proposito di questo, mio signore,” lo interruppe un Nano con fare chiaramente esitante. “Il Re si è già diretto verso il passo, ma ha preso la maggior parte delle guardie con sè...”
Dwalin imprecò con veemenza in Khuzdul e si fece largo tra la massa di Nani. “Tauriel, Bofur, voi venite con me. Lasceremo gli altri a proteggere il resto del gruppo. Accidenti a quel ragazzo, tale e quale a suo zio.”
Tauriel si affrettò dietro di lui, ma si fermò istantaneamente quando scorse un nastro rosa dall’aria familiare che fluttuava nel vento, insieme a una ciocca di capelli rossi. Valria era china sulla sagoma immobile di sua madre: una freccia spuntava dal petto macchiato di rosso di Felenis. Tauriel si sentì stringere lo stomaco e scattò di corsa verso la bambina, che correva il serio pericolo di essere trafitta a sua volta. La mente la incalzava, ricordandole che anche Kìli si trovava in grave pericolo, ma non poteva assolutamente abbandonare la figlia della donna che era stata così gentile con lei.
Prese Valria in braccio e la bambina, il visetto pallido e striato di lacrime, si rannicchiò contro il collo di Tauriel. “Mamma! Mamma!” piangeva disperata.
L’Elfa stese una mano tremante e prese il polso della donna, alla ricerca del battito... ma sentì solo carne fredda.
Aa' menealle nauva calen ar' malta,” sussurrò con un filo di voce prima di voltarsi e riprendere a correre, stringendo il corpicino tremante.
Scorse Ori e si affrettò da lui, per consegnargli la bambina. Valria gemette e stese le braccine verso Tauriel ma lei doveva andare ad aiutare Kìli, anche se il pensiero di lasciarla le spezzava il cuore.
“Bada a lei, Ori. Sua madre...” Ma non fu in grado di terminare la frase.
Ori però comprese e si strinse al petto la bimba piangente. “La proteggerò a costo della vita, lo giuro.”
Tauriel gli rivolse solo un breve cenno prima di correre da Dwalin e dagli altri.
Erano nel pieno dell’azione quando li raggiunse. Gli Orchi avevano serrato i ranghi e stavano cercando di circondare la decina di Nani in mezzo ai quali stava Kìli. Fu sorpresa di vedere tra loro anche il giovane Thorin, che si dava parecchio da fare con l’ascia e con la spada.
Tauriel s’inginocchiò nella neve e prese a scoccare sistematicamente frecce nell’orda di Orchi, riuscendo a scoraggiarli dalla manovra di accerchiamento. Ce n’erano almeno altri quindici che riusciva a contare, ma ormai conosceva i Nani abbastanza da sapere che le probabilità avevano poca importanza. Essi combattevano con quel tipo di ferocia che si doveva ammirare quanto temere.
Quando terminò le frecce si unì alla mischia, in un turbinio mortale di lame e capelli fiammeggianti.
“Ce ne hai messo di tempo, ragazza,” disse Dwalin ansimando, con un taglio superficiale alla tempia e il sudore che gli faceva scintillare la testa.
“Ho pensato di dover concedere a voi Nani un po’ di vantaggio,” ringhiò lei trafiggendo un’armatura scadente dopo l’altra, mentre sangue nero le macchiava le mani.
“Ah!” fece Bofur abbattendo allegramente un Orco. “Questa è una sfida, se mai ne ho udita una!”
Tutto l’umorismo si perse, però, quando quattro Mannari montati da altrettanti Orchi spuntarono sulla china e si lanciarono su di loro con le zanne luccicanti di morte.
“Riformate la linea!” gridò Kìli accorrendo al suo fianco con un sorriso malizioso, che le fece venir voglia di strangolarlo e baciarlo al tempo stesso. Doveva proprio essere così dannatamente spericolato?
“Giuro che, se ne usciamo vivi, ti strozzo con le mie mani,” disse Dwalin, ricalcando i suoi stessi pensieri. Beh, almeno in parte; Kìli comunque non sembrò turbato.
Ripensando al corpo freddo e senza vita di Felenis, Tauriel schivò una lama di Orco, spiccò un salto e affrontò il primo degli Orchi cavalieri. L’orrida creatura sputò, sibilò e si dibattè, ma lei si limitò a fissarlo negli occhi mentre la sua lama gli affondava in petto.
Mereth en draugrim,” sussurrò cupamente, osservando la vita abbandonare i suoi occhi. Una parte di lei era turbata da quel comportamento insolitamente brutale, ma il resto della sua persona pensava alla bambina che avrebbe dovuto crescere senza una madre. La sua lama rappresentava il dolore di Valria e la perdita di Felenis, e non sarebbe mai stato abbastanza.
Dopodichè finì tutto rapidamente, anche se parecchie cose accaddero al contempo: l’ultimo dei Mannari cadde, trafitto da una freccia di Kìli a un occhio e dall’ascia di Dwalin alla gola, e il giovane Thorin riuscì ad uccidere l’Orco che restava; l’ultimo colpo della sua spada però lo sbilanciò e i suoi piedi scivolarono fino a che, all’improvviso, stava praticamente per cadere giù dal dirupo. Nessuno se ne accorse tranne Tauriel, la quale, tremante, si rimise in piedi, ripulì la lama nella neve e, con un grido che si perse tra le esclamazioni di vittoria degli altri, si lanciò in soccorso del giovane Nano.
“Tauriel!” urlò allarmata una voce a lei familiare, ma era troppo tardi.
Osservò con terrore crescente i piedi di Thorin scivolare verso l’abisso sottostante, subito seguiti da gambe e busto. I loro occhi s’incrociarono in quella distanza e lei vi lesse dentro la paura e la disperazione, mentre le sue dita insanguinate artigliavano freneticamente pietra e ghiaccio. Un attimo prima che tutto fosse perduto, lui stese una mano e lei piantò il pugnale nella roccia, afferrandola.
Il dolore si propagò in entrambe le sue braccia, la sua spalla recentemente ferita protestò a gran voce, ma Tauriel mise tutto da parte in favore della sopravvivenza quando entrambi scivolarono oltre il bordo con solo il suo pugnale a tenerli ancorati alla parete rocciosa. Penzolavano pericolosamente e il coltello si sfilò leggermente, strappandole un gemito. Per un momento interminabile rimasero lì appesi, troppo storditi per parlare.
“Pe – penso di poter raggiungere il bordo se mi fai oscillare,” gracchiò Thorin alla fine, mortalmente pallido in viso. Adesso non c’era traccia di cattiveria nei suoi occhi.
“Tieniti forte", rispose lei cominciando la manovra, ben consapevole che la lama poteva sfilarsi in qualunque momento e spedirli entrambi alla morte centinaia di metri più in basso, dove il fiume era poco più che un serpente argentato.
La stretta del Nano era calda e liscia sul suo avambraccio, mentre lei lo guardava oscillare al di sotto e cercava di non fare caso all’altezza nè al lontano mormorio dell’acqua. Improvvisamente la lama si allentò, scivolando di parecchi centimetri, e Tauriel si lasciò sfuggire un grido di dolore e di paura; la schiena e le spalle le bruciavano per lo sforzo, la mano che stringeva l’impugnatura tremava pericolosamente.
“Non riesco più a tenerti!” gridò sentendo le dita indebolirsi intorno al manico, ma lui era così vicino, così vicino al bordo del dirupo.
“Ancora un poco!” urlò il giovane Thorin in risposta, guardando non lei ma la roccia sempre più vicina alle sue dita tese.
Facendo appello a tutta la sua forza lo fece oscillare un’ultima volta, con un grido strappato dal fondo dei suoi polmoni. Le dita di lui mancarono la presa per un terribile momento, poi la recuperarono, i suoi stivali si aggrapparono alla roccia e, per un qualche miracolo, egli restò là. Un’ondata di sollievo travolse Tauriel poco prima che il pugnale si sfilasse del tutto e lei si ritrovasse senza più sostegno; non riuscì nemmeno a respirare, il mondo rimase stranamente immobile per un breve, dolorosissimo istante.
Il giovane Thorin stese una mano verso di lei con un sussulto terrorizzato, quasi cadendo di nuovo, ma lei era già troppo lontana. Cadeva e cadeva, il tempo che sembrava riavvolgersi all’indietro e il vento che le ululava nelle orecchie come un lupo. Troppo sbalordita per urlare, Tauriel alzò gli occhi su di un volto pietrificato che la fissava, mentre l’urlo che era il suo nome si perdeva negli echi della valle.

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Capitolo 15
*** Capitolo XV: Attraverso ombre cadenti ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

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May it be the shadows call
Will fly away
May it be you journey on
To light the day
When the night is overcome
You may rise to find the sun
 Morniл utъliл
Believe and you will find your way
Morniл alantiл
A promise lives within you now


May it Be,  Enya

~
 
Freddo e dolore. Il mondo di Tauriel si condensò attorno a questi elementi, divenne essi.
Stava soffocando nell’oscurità opprimente, i polmoni le bruciavano per il bisogno di aria ma si era spinta troppo oltre, sentiva di non poter vincere quella battaglia.  Però c’era qualcosa... qualcosa al di là di tutto che valeva la pena rammentare. Valeva la pena che tentasse, se solo fosse riuscita a ricordare, che si aggrappasse a essa. Ma non sembrava rammentare neanche il suo stesso nome, per quanto si sforzasse, perciò mise semplicemente da parte quel pensiero. Si abbandonò del tutto, quando in lontananza scorse l’accenno di un calmo oceano e di verdi sponde che la chiamavano, la invitavano promettendole il riposo.
Un lampo di luce apparve dal nulla e lei si ritrasse, spaventata e confusa. Ma la luce la raggiunse, la avvolse completamente e il dolore fu meno intenso.
Stai morendo, disse una voce dolce, ed era come il caldo vento d’estate tra l’erba o il lieve sussurro delle foglie degli alberi in una notte serena. Oh, quanto hai sofferto bambina mia, e me ne dolgo, ma c’è ancora dell’altro che devi fare. Non puoi arrenderti, egli avrà bisogno di te... prima della fine.
Poi avvertì una sensazione insistente nel petto, come se un laccio legato al suo cuore la tirasse su, via da quelle sponde indistinte fino a che non furono scomparse del tutto.
Devi combattere, bambina mia. Non devi arrenderti! Egli avrà bisogno della tua forza, poiché non potrà percorrere questo sentiero da solo.
La sensazione s’intensificò e la luce iniziò a svanire. Il dolore tornò, insistente, avido, e lei si sentì di nuovo quasi deprivata di sè stessa.
Devi combattere!

~
 
Tauriel infranse la superficie dell’acqua ansimando debolmente, mentre una marea leggera la spingeva su di una riva rocciosa. Giacque distesa sulla schiena, con le onde che sciaguattavano su fino alla sua vita e poi si ritraevano, per quelli che poterono essere ore o giorni, cercando di capire cosa le fosse accaduto attraverso i pensieri frammentati e i brandelli di ricordi.
Una bambina che piangeva; sangue nero sulle sue mani, caldo e disgustoso; lei che scivolava sul ghiaccio, raggiungeva, afferrava, tratteneva. E poi... la caduta; freddo... tanto freddo. Ben poco di tutto ciò aveva senso per lei.
Aprì lentamente gli occhi, sentendo le palpebre pesanti e brucianti, e sibilò, sollevando una mano per ripararsi dal riverbero del sole. Era troppo luminoso, il dolore era troppo intenso e il buio si rifece avanti, promettendole sollievo.
Una voce le echeggiò nella mente, come il suono di una campana in lontananza. Non devi arrenderti, figlia delle stelle. Sotto pietra e cielo, egli avrà bisogno di te. Non devi arrenderti!
Il volto di Kìli si fece strada nella sua mente come un faro che infrange l’oscurità, un dolce sorriso sulle labbra e un lampo birichino che gli danzava negli occhi. Fu sufficiente a restituirle la piena consapevolezza e Tauriel si destò con un sussulto, ansimando e tremando mentre tutti i ricordi tornavano al proprio posto e rammentava la tremenda caduta e tutto quel che l’aveva preceduta.
Cercò di spostarsi, e urlò: le costole del fianco sinistro le trasmettevano un dolore lancinante, il polso sinistro era come un carbone ardente sottopelle, e la gamba sinistra una cosa sofferente e contorta che non riusciva nemmeno a concepire. Stordita e dolorante, per poco non collassò di nuovo e costrinse la mente in un luogo remoto e calcolatore, lasciando che centinaia di anni di formazione facessero il punto della sua situazione.
Si era certamente fratturata parecchie costole, riusciva a trarre solo respiri brevi, lenti e dolorosi. Anche il polso e la gamba erano gravemente danneggiati: una rapida occhiata verso la parte bassa del corpo le rivelò che parte del suo femore aveva perforato la pelle e sporgeva dai pantaloni come una macabra appendice, facendole rivoltare lo stomaco. Non riuscì a indursi a guardare il polso, temendo di trovarlo in condizioni ben peggiori e che questo la facesse di nuovo precipitare oltre il precario equilibrio mentale su cui si trovava.
Deglutendo pesantemente, continuò l’esame e concluse che doveva aver sofferto anche di un qualche trauma cranico, anche se la gravità era difficile da individuare e valutare. Quasi ogni parte del suo corpo era preda di dolori di varia intensità e inoltre pativa terribilmente, terribilmente il freddo. L’esperienza le aveva insegnato che gli elementi della natura potevano uccidere come qualsiasi ferita, e di certo lei aveva in abbondanza di entrambi.
Eppure, nonostante l’assoluta impossibilità della situazione, era ancora viva.
Sapeva tuttavia, così come si sa che il sole sorge e la luna brilla, che non sarebbe dovuta sopravvivere a una simile caduta. La distanza era troppo grande e il fiume troppo turbolento. Ciononostante era là, più o meno tutta intera. Ma non sarebbe rimasta in vita ancora per molto, se non trovava riparo e aiuto al più presto. Il sole stava già scendendo oltre la cima degli alberi e la temperatura sarebbe calata rapidamente.
Usando il braccio buono si mise a sedere; subito il dolore alle costole raddoppiò e dovette trarre respiri brevi e rapidi per combattere l’ondata di incoscienza che sentì di nuovo avvolgerla. Lentamente poi si trascinò fuori dal fiume fino a che si ritrovò con la schiena contro un albero. Rimase là immobile per lungo tempo, cercando di recuperare le forze e di ideare una strategia di sopravvivenza.
L’area circostante non le era familiare. Non c’era più traccia delle montagne al di là delle cime torreggianti degli alberi, da nessun lato del fiume, che in quella zona scorreva più tranquillo. Senza sapere per quanto fosse andata alla deriva, era incerta su quanto tempo sarebbe occorso ai suoi compagni per trovarla; poi un pensiero la raggelò.
Forse essi non l’avrebbero cercata affatto.
Kìli, lo sapeva, avrebbe voluto cercarla, avrebbe voluto accertarsi della sua sorte, ma probabilmente gli altri sarebbero stati la voce della ragione. Era impossibile che fosse sopravvissuta a una caduta simile, e anche se fossero effettivamente venuti a cercarla, ci sarebbero voluti giorni per scendere dal passo al fiume e lei si era allontanata troppo. No, riflettè col cuore pesante, i soccorsi non sarebbero arrivati, almeno non in tempi brevi.
Era sola.
Improvvisamente furibonda, Tauriel reclinò la testa contro il tronco dell’albero e strinse i denti, incurante della mandibola che le doleva e cercando di ricacciare indietro lacrime di frustrazione e impotenza. Non voleva morire in quel modo, infreddolita e spersa chissà dove. Una nuova determinazione fiorì in lei, rimproverandola per quei pensieri lugubri e vigliacchi. Era un Elfo del Reame Boscoso e non si sarebbe arresa così facilmente.
E poi Kìli non avrebbe di certo voluto che si arrendesse, avrebbe voluto che lottasse per la propria vita, per lui e per tutto quel che avevano condiviso. Se i loro ruoli fossero stati invertiti lei lo avrebbe cercato finchè non l’avesse trovato, anche se avesse dovuto spingersi fino ai confini di Arda, ma... lui non era lei. A lei non importava più granchè del senso del dovere, tagliata fuori com’era ormai dalla sua gente e dal suo mondo, ma lui aveva un regno da ricostruire e governare. Non poteva abbandonare il suo popolo per cercarla. Toccava a lei ritrovarlo.
Facendosi forza, Tauriel usò un ramo per tirarsi su e urlò di nuovo mentre ogni singola parte del suo corpo le trasmetteva dolori lancinanti, come per protesta, ma si costrinse a restare in piedi. Aveva bisogno di trovare un terreno più elevato, di determinare dove si trovasse e di cercare aiuto. Le sue probabilità di trovare qualcuno in quel deserto erano scarse, ma in fondo la sua intera vita era dovuta alle scarse probabilità e a parecchia fortuna. Sperava solo che questa non l’abbandonasse proprio ora.
Riuscì a trovare il nord, regolandosi con il muschio cresciuto su una roccia vicina, e s’incamminò verso sud. Una specie di fuoco le ardeva nel cuore, relegando il dolore del corpo a proporzioni più accettabili. Non poteva arrendersi, qualcosa nei recessi della sua anima le diceva che Kìli aveva bisogno di lei e che non poteva deluderlo.
Rinvigorita da una nuova determinazione, mosse un passo tremante dopo l’altro fino a che riuscì a muoversi a un’andatura decente, seppur scoordinata. Alla fine, in preda alle vertigini e senza fiato, raggiunse un affioramento roccioso che credeva di riuscire a scalare, se si muoveva piano e con cautela. Il sole iniziava a tramontare, incendiando il cielo e ghiacciando l’aria, e ricordandole che doveva accendere un fuoco non soltanto per il calore, ma per il fumo che poteva condurre qualcuno da lei.
Con grande difficoltà, riuscì a raccogliere alcuni piccoli pezzi di legno ed esche, che mise momentaneamente da parte per strisciare sul dosso roccioso prima che il sole tramontasse del tutto. Le ci volle un bel po’ per scalarlo, tremante com’era di freddo e di spossatezza, e quando crollò con gratitudine sul masso, a occidente era rimasto solo un minuscolo spicchio di sole ancora visibile. Dopo che ebbe ripreso fiato, si rialzò sulla gamba buona e guardò attraverso la coltre di alberi. Le montagne erano alla sua sinistra e il bosco alla sua destra. Si trovava nell’estensione più esterna della foresta, in una zona raramente percorsa e troppo a nord per essere pattugliata con frequenza dalla sua gente.
“Valar, salvatemi,” ansimò Tauriel con disperato stupore, quasi incapace di credere ai suoi occhi.
Aveva viaggiato attraverso il fiume per chilometri e chilometri. Era lontanissima dal passo, troppo per poterlo riattraversare rapidamente; la corrente doveva averla trascinata a valle per almeno un giorno intero, se non di più.
Sentendosi nauseata si lasciò cadere di nuovo sulla cresta, la mente che rincorreva freneticamente un pensiero dopo l’altro. Come aveva potuto sopravvivere a un viaggio simile? Era inconcepibile, e la sensazione di essere completamente sola s’intensificò. L’idea di ritrovare Kìli e gli altri passò dall’improbabile all’impossibile; si guardò alle spalle, sapendo che ormai le sue migliori chance di salvezza erano riposte in coloro che aveva lasciato.
La sua disavventura con Welethen era abbastanza recente da rendere l’idea a dir poco spiacevole, ma sapeva di non avere altra scelta tra una possibile incarcerazione... e la morte. Perfino adesso si sentiva nuovamente vicina all’incoscienza e occorsero tutte le poche forze rimastele per recuperare la legna.
Era quasi completamente buio prima che riuscisse a sprigionare una scintilla abbastanza viva da accendere un piccolo fuoco; vi si raggomitolò vicino, infreddolita e sfinita, e cadde quasi istantaneamente in un sonno inquieto.

~
 
Si svegliò al sorgere dell’alba, sentendosi peggio del giorno prima. La testa le pulsava in un dolore sordo e il polso e la gamba feriti erano terribilmente rigidi, al punto da non poterli quasi muovere. Non senza difficoltà, si mise a sedere.
Il fuoco si era spento, a un certo punto durante la notte, e lei si sentiva nuovalmente infreddolita; anche la fame iniziava a diventare una preoccupazione incalzante mentre si alzava per liberarsi la vescica. Incespicando con i lacci dei pantaloni e usando la mano buona, per poco non svenne di nuovo, ma in qualche modo riuscì a non coprirsi del tutto d’imbarazzo.
Fortunatamente si era tenuta vicino al fiume; dopo aver arrancato verso gli alberi sulla riva, bevve a sazietà nonostante la temperatura gelida dell’acqua e desiderò avere tutte le facoltà intatte per poterne scaldare un po’, in modo da ripulirsi le ferite e bere qualcosa di caldo, ma ogni movimento era una sfida, ogni passo era lungo un chilometro.
Tuttavia si prese del tempo per fare ciò che potè per le sue ferite, anche se dovette sforzarsi di non piangere per le condizioni in cui versavano la mano e la gamba. Il polso era molto indebolito e aveva una strana angolazione, mentre il femore restava sporgente sulla gamba anche se per fortuna aveva cessato di sanguinare. Sentendosi più debole che mai, Tauriel girò la testa dall’altra parte e cercò goffamente di ripulire le ferite, e infine si lavò le mani e il viso; il freddo intenso l’aiutò a restare sveglia e cosciente. Fatto ciò, comprese che doveva rimettersi in cammino se voleva avere qualche speranza di trovare soccorso. Un’altra notte al freddo e senza cibo avrebbe con ogni probabilità significato la fine per lei.
Tenendo nota della posizione di sole e fiume proseguì verso sud, maledicendo la sua scarsa conoscenza della regione; l’ambiente diventava sempre più ombreggiato, la cortina verde sopra la sua testa s’infittiva negli alberi secolari di quello che un tempo era stato Boscoverde il Grande. A lungo la sua terra aveva versato nell’oscurità e nel pericolo, tanto a lungo che lei non riusciva a ricordare un tempo in cui non fosse stato così. Che i Valar l’aiutassero se si fosse imbattuta in ragni o troll, con un solo pugnale a disposizione e praticamente priva di forze. Sarebbe stata un bersaglio facile davvero, specialmente per qualcuno come Welethen, le cui intenzioni restavano inquietanti e misteriose.
Osservò gli alberi e ascoltò il vento, pregando di scorgere anche una lieve indicazione del fatto che qualcuno, chiunque, fosse nei paraggi, ma udiva solo il rovistare delle bestie nel sottobosco e i richiami timidi di un uccello. Sempre più debole in quella zona sconosciuta, stava correndo il rischio concreto di perdersi in quel groviglio di radici e sentieri bui, e trovò ironico il fatto che stesse per trovare la sua fine proprio nel bosco che l’aveva vista nascere.
Ironico, e terribilmente patetico.
Le sue forze scemavano ed era costretta a riposarsi sempre più spesso, a malapena in grado di percorrere un centinaio di passi senza appoggiarsi da qualche parte, per tirare il fiato e cercare disperatamente di restare in piedi. Pensò a Kìli, alle sue mani, al suo sorriso, al suo volto, e usò queste immagini come sprone per andare avanti, per non arrendersi, ma il suo coraggio vacillava come il sole che iniziava a tramontare.
Egli avrà bisogno di te prima della fine, sussurrò una voce, seppur fioca e molto lontana. Non arrenderti... non... arrenderti...

~
 
Ore dopo, calata la notte, Tauriel ancora avanzava.
Null’altro c’era nella sua mente se non l’impulso cieco che la spingeva ad arrancare da un albero all’altro, ma in cuor suo conosceva la verità. Si stava solo trascinando verso la morte, ogni terribile passo la portava più vicina alla fine. E questa consapevolezza le spezzava il cuore, soffocava la sua tempra, strangolava quel poco che restava della sua determinazione.
Non poteva finire così, continuava a gridare una voce sempre più flebile dentro di lei; non poteva aver affrontato tante prove, superato tanti ostacoli per niente! Non riusciva ad accettarlo, ma... aveva tanto, tanto freddo, a tal punto che aveva dimenticato il calore e la luce del sole e cosa significasse non provare dolore nè disagio. Aveva perso ogni scopo oltre al senso dell’orientamento, solo l’urgenza di andare avanti la alimentava ormai, come un sasso che rotola giù da una collina e non può fermarsi finchè non ha raggiunto il fondo.
Il mondo aveva assunto sfumature nebulose ed irreali e cominciò a sentire voci e a vedere facce nel buio, in agguato dietro le rocce e gli alberi. La sbeffeggiavano e ghignavano, sussurrando che era meglio per lui che lei fosse caduta, che se ne fosse andata, e che non era mai stata altro che un’impossibile distrazione.
Ori apparve al suo fianco, fissandola con un’espressione colma di odio. “Saresti stata la sua disgrazia, il suo fallimento. Il tuo egoismo ci avrebbe condannati tutti all’oscurità. Sarebbe stato meglio se l’avessi lasciato morire sul campo di battaglia invece di trascinarlo per un sentiero impossibile.”
Era come essere schiaffeggiata, tanto che barcollò sotto quel colpo emotivo, e cercò di liberarsi dalla visione con un debole movimento del braccio.
Legolas comparve sul sentiero innanzi a lei, il volto e gli occhi oscurati. “Avrei dato l’anima, la vita stessa per te, e tu mi hai respinto per un Nano che ti ha privata di tutto e ti ha lasciata sola. Hai tradito il tuo popolo, hai tradito me...”
“No,” gracchiò Tauriel, stendendo una mano verso il suo viso solo per vederlo svanire. “No, vi prego... io non ho mai, mai voluto far del male a nessuno. Io volevo solo salvarlo...”
Salvarlo?” sogghignò Thranduil dal sentiero vicino, il bel viso illuminato ma l’espressione tumultuosa. “Lo avresti condannato a un destino peggiore di qualsiasi morte.”
 Lei scosse il capo, quasi crollando addosso a un albero, e si aggrappò al tronco come un marinaio in un mare in tempesta. Serrò le palpebre, desiderando che le voci e le visioni sparissero. “No, vi prego, vi prego, lasciatemi in pace. Io volevo solo aiutare, solo salvarlo. I–io lo amo...”
“Che ne sai tu dell’amore?” sbraitò Thranduil alle sue orecchie e lei strizzò gli occhi ancora più forte, barcollando in avanti, cercando di sfuggirgli; ma lui la inseguiva, la braccava. “Ciò che provi per quel Nano aspirante re non è che un’illusione, una falsa infatuazione che ti ha portato a tradire il tuo popolo, a tradire me. Sii grata che i tuoi genitori non sono vissuti per vederti cadere così in basso!”
“NO!” urlò lei aprendo gli occhi e spiccando in una corsa zoppicante. “Lasciatemi in pace! Lasciatemi in pace!”
Improvvisamente la sua gamba rotta inciampò in qualcosa facendola cadere, e strappandole un grido di miseria e delirio quando atterrò sul fianco ferito. Scivolò giù lungo una chinetta e il dolore era così terribile che, quando raggiunse il fondo melmoso, si raggomitolò su sè stessa tremando e singhiozzando.
L’oscurità non si fece attendere oltre, piombò su di lei inesorabile, e Tauriel capì che stavolta non l’avrebbe più lasciata andare. L’accolse a braccia aperte, ansiosa di rivedere quelle verdi sponde e dimenticare il suo dolore.

~
 
Lampi di luce nella notte, simili a stelle che implodono, e voci smorzate, come se si fosse trovata a parecchi metri sott’acqua.
“Cosa può esserle accaduto?” stava dicendo qualcuno; credette di avvertire mani su di sè, anche se forse era più un ricordo che una sensazione tangibile.
“È molto vicina alla morte... non c’è niente che possiamo fare,” ragionava un’altra voce.
“Il suo spirito è sempre stato battagliero, forse se riusciamo a portarla indietro...”
“Siamo a parecchi giorni di viaggio ed è molto probabile che non superi la notte; si sta già spegnendo. Non c’è nulla che possiamo fare, amico mio, mi dispiace.”
“No, no! Io non lo accetto! Dobbiamo tentare. Lei ci riporterebbe indietro di peso se ci trovasse in un simile stato! Non si sarebbe arresa, e non lo farò nemmeno io. Aiutami con questo, potremo coprire una distanza maggiore se–”
Le voci s’infransero come schegge di vetro affilato e scintillante; sprofondò negli abissi, stendendo le mani ma senza trovare nessun appiglio.

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Tauriel galleggiava da qualche parte sopra il mondo, in un posto morbido e senza gravità, e vide quel che avrebbe potuto essere.
Un volto pallido, mani senza vita, occhi che non si sarebbero più riaperti. Una terza tomba eretta in una sala silenziosa e buia, dove solo i morti potevano stare, e un grido lamentoso seguito da un dolore più intenso di quanto lei avesse mai provato, e con esso la certezza che tutta la luce era svanita dal suo mondo, lasciando indietro solo un pallido riflesso. Le stelle non brillavano più per lei, e vagava tra nere ombre. Sola, per sempre.
Vide il mondo cadere nell’oscurità mentre un vasto mare nero si stendeva verso di lei, e udì il suo popolo gemere di nostalgia e paura. Vide i suoi amici – Ori, Gloin, Bofur, Bombur e Dwalin – soccombere a lame crudeli e sconfinata malvagità, il tutto restando da parte, sola e impotente. Da una grande distanza scorse Legolas, circondato da tutti i lati da zanne e artigli, gli occhi imploranti e accusatori fissi nei suoi, mentre tutta quella laida carne lo inglobava.
Devi combattere!
Il mondo si spostò in avanti, come inclinandosi, e lei scivolò verso una luce calda e improvvisa. Voci chiamavano e si sovrapponevano e Tauriel si mosse verso di loro, fino a visionare una scena cara alla parte più fragile e segreta del suo cuore. Così cara e preziosa era per lei che non aveva osato soffermarvisi mai.
In una stanza cavernosa c’era Kìli, splendente con una corona sul capo e assorto in una conversazione con altri Nani. Annuiva, la fronte corrugata mentre ascoltava con attenzione qualcosa che Balin gli stava dicendo, quando all’improvviso la porta si spalancò e una bimbetta dai fiammeggianti capelli rossi irruppe nella stanza, seguita a ruota da una bambinaia trafelata.
Kìli si girò con gli altri udendo il rumore e un ampio sorriso, colmo di amore e tenerezza, si diffuse sul suo volto, così come Tauriel non aveva mai visto, mentre s’inginocchiava per prendere in braccio la bambina. La piccola scoppiò in allegre risatine quando suo padre – poichè la somiglianza tra loro non poteva essere una coincidenza – la fece volteggiare in aria, mentre gli altri osservavano la scena sorridendo con indulgenza. Tauriel si sentì sommergere da un’ondata di bramosia tale che quasi credette di impazzire, mentre Kìli chinava il capo per deporre un tenero bacio sulla fronte della loro figlia.
Era crudele, troppo crudele; non poteva più sopportarlo!
Non devi arrenderti!

~
 
Tauriel si destò sulle ultime note di un canto dalla melodia dolce e triste, che l’attirava verso la realtà con gentile insistenza, spazzando via le sue paure come la nebbiolina in una giornata calda.
Battè le palpebre, poichè il mondo circostante era ancora nebuloso, e finalmente mise a fuoco un volto che conosceva, chino sopra di lei. Rughe di preoccupazione svanirono dalla bella fronte e Thranduil sporse le labbra.
“Siamo già stati qui prima,” osservò seccamente. “Speravo di non dovervi più fare ritorno.”
Ancora disorientata e debole, ella cercò di mettersi a sedere ma una mano gentile la trattenne. Era coperta da morbide lenzuola e distesa su di un materasso di piume, in una stanza semplice ma calda; nulla di tutto ciò aveva senso per lei. I suoi ultimi ricordi erano fatti di oscurità impenetrabile e condanna.
“Non muoverti. Le tue ferite non sono ancora completamente guarite e troppo tempo è stato speso su di esse per permetterti di rovinare un buon lavoro,” disse il Re elfico prima di allontanarsi per versare dell’acqua in un calice d’argento. Con sorprendente tenerezza poi le sollevò il capo e glielo avvicinò alle labbra, sorreggendolo finchè lei non l’ebbe vuotato e ripetendo il procedimento altre due volte.
“Dove mi trovo?” gracchiò Tauriel, sentendosi marginalmente meglio.
“Sei nelle sale del mio regno. Hai dimenticato così in fretta il luogo che un tempo chiamavi casa?”
Lei aggrottò la fronte, la mente che correva alla rinfusa tra un guazzabuglio di pensieri distorti. Conservava frammenti di ricordi e immagini, ma niente di abbastanza concreto da spiegare la sua attuale situazione; ricordava vagamente delle voci, e un sogno... dolce e terribile al tempo stesso... ormai svanito, ma non ancora del tutto fuori portata.
Scosse il capo. “Ma... come?”
“Alcuni esploratori ti hanno trovata e portata qui. E appena in tempo, oserei aggiungere. Eri vicinissima alla morte e in tutta onestà ti ho creduta spacciata, ma non mi sarei mai perdonato se non avessi almeno tentato. E nemmeno, ritengo, l’avrebbe fatto mio figlio, anche se oramai ha lasciato queste sale,” disse il sovrano senza guardarla, fissando invece la notte all’esterno e le morbide luci adornanti gli alberi che costituivano la struttura del palazzo. C’era un’insondabile tristezza nei suoi occhi. “Nel secondo giorno ti è venuta la febbre e ho faticato per quasi altri tre per farla andar via; e dunque... eccoti qui.” Si voltò verso di lei quasi sorridendo, ma la sua espressione restava guardinga. “Il che mi spinge a chiederti... cosa ti è accaduto?”
Non sapeva se fosse perchè si sentiva ancora tanto esausta o per compiacere quell’uomo che un tempo le era stato caro come e più delle stelle, ma Tauriel gli narrò la sua storia. Iniziò dal viaggio attraverso le montagne durante il quale si era imbattuta nella Principessa Dìs: ritenne che fosse meglio non fare menzione della sua disavventura precedente nella foresta. Se ciò che il Re diceva era vero, significava che era trascorsa più di una settimana dalla sua caduta nel fiume. E, con ogni probabilità, ormai i Nani la ritenevano morta.
“Un simile incidente avrebbe dovuto ucciderti,” disse Thranduil gravemente, ricalcando le sue riflessioni; Tauriel desiderò poter sapere a cosa stesse pensando.
“Sì, mio signore, avrebbe dovuto,” concordò.
“Eppure sei qui,” egli continuò, “grazie a un qualche miracolo.” Il suo tono le disse che non credeva del tutto alla sua storia, e sentì una fitta al cuore. Un tempo egli si fidava del suo giudizio senza mai metterlo in discussione.
“Grazie alla tua abilità e gentilezza,” gli rispose a capo chino, sentendosi triste e vergognosa. Da tempo rifletteva su cosa avrebbe detto al suo Re quando lo avrebbe rivisto, ma adesso si accorgeva di non trovare parole in grado di ricucire lo strappo creatosi tra loro.
Forse tali parole nemmeno esistevano.
Il Re sbuffò leggermente. “Può darsi, ma tu hai sempre avuto uno spirito forte; è stato sia la tua benedizione che la tua condanna. Non credere che non abbia saputo del tuo passaggio per le Vie Sotterranee, Tauriel, anche se tu stai chiaramente evitando di menzionarlo.”
Lei rabbrividì al ricordo del viso di Welethen, stravolto e spietato, e delle dita che le si conficcavano nel braccio ferito. “Ti prego, mio signore, posso spiegare. Il Capitano Welethen–”
“È scomparso,” la interruppe lui sbrigativamente, “ed è considerato un fuggitivo dal mio regno.”
Tauriel lo guardò sbalordita e vide la furia ribollente negli occhi di Thranduil, che si alzò e si allontanò da lei. “Quanto il Tenente Curial è venuto a riferirmi del tuo passaggio insieme ai Nani, ho chiesto al Capitano Welethen di condurti da me. Senza i Nani, naturalmente, ho già avuto a che fare con essi a sufficienza da bastarmi per una vita intera, ma volevo parlarti.”
“A proposito di cosa... mio signore?”
Egli si girò di scatto verso di lei. “A proposito della tua lealtà, Tauriel! Oppure hai dimenticato quelli del tuo stesso sangue, hai dimenticato il tuo popolo!”
Ella si ritrasse con un sussulto, ancora debole e disorientata. Voci ostili le spuntarono agli angoli della mente, ricordi del viso del sovrano, infuriato e crudele.
Una mano delicata le si posò sul capo e Tauriel aprì gli occhi, pur non ricordando di averli chiusi. L’ira negli occhi del Re era stata sostituita dalla compassione, anche se ancora aleggiava in essi come un lupo nell’ombra.
“Mi dispiace. Ora non è il momento per questa conversazione. Devi riposare, e io ho altre faccende di cui occuparmi.”
Ella ripensò a Kìli. “I miei compagni... i Nani, di certo mi crederanno morta. Bisogna informarli.”
Thranduil si accigliò brevemente. “Non preoccupartene adesso. Posso mandare qualcuno a informarli, ma per il momento bevi questo e riposa.” E le porse un bicchiere contenente un liquido tinto di verde, che lei prese con riluttanza. Fu tentata di rifiutarsi, ma lo sguardo di lui non lasciava spazio ad argomentazioni e così bevve docilmente: la bevanda aveva un sapore orrendo e Tauriel fece una smorfia.
“Proprio come quando eri bambina,” sospirò Thranduil, di nuovo senza guardarla. “Sei sempre stata terribile nel fare quel che ti veniva detto.”
“Non sempre, mio signore. Ho protetto questo regno, e ti ho servito,” si ritrovò a dire lei, incapace di mettere a tacere il proprio senso di giustizia. “Non ho mai voluto altro che compiacerti.”
Il sovrano si girò a  guardarla: i suoi occhi erano freddi e indecifrabili come il suo viso. “Basta parlare adesso. Riposa; presto parleremo ancora.”
Si voltò e lasciò la stanza senza dire un’altra parola, lasciando Tauriel ai suoi pensieri tumultuosi mentre un’innegabile stanchezza calava su di lei.
Una volta rimasta sola, però, si costrinse a esaminare le sue ferite.
Il polso, strettamente fasciato in molte bende, doleva ancora, anche se non come prima. Si domandò se sarebbe più riuscita a impugnare un arco, a reggere una spada o a salire agilmente sugli alberi, come una volta, e si affrettò a scacciare quel pensiero prima che la sopraffacesse. Ci sarebbe stato tempo per scoprirlo, tempo per guarire. Stringendo i denti mentre i muscoli tiravano e dolevano, tastò altre bende sotto il semplice abito di cotone che indossava, che le fasciavano strettamente il busto per limitare al minimo i suoi movimenti e consentire così alle costole di rinsaldarsi. Era stata fortunata che nessuna avesse perforato i polmoni, o sarebbe morta in poche ore.
Scostando le lenzuola, vide che anche la sua gamba era stata avvolta in spesse bende e bloccata tra diverse assi di legno, e fu sorpresa di scoprire che riusciva a muovere le dita del piede. Sorrise leggermente e poi, forse per la prima volta in vita sua, sbadigliò.
Qualunque sostanza Thranduil l’avesse obbligata a bere la stava inesorabilmente conducendo al sonno, perciò Tauriel si ricoprì alla meglio e si ridistese, sentendosi stranamente languida e come sconnessa. Era però ancora molto preoccupata per quel che il Re aveva detto, e ancor più per Kìli.
Battè le palpebre una volta sola e non aprì più gli occhi fino al mattino seguente.

~
 
Thranduil non tornò il giorno successivo, nè quello dopo, nè quello dopo ancora.
Tauriel vide solo alcuni guaritori e ancelle, pochi dei quali conosceva. Quando chiese di Lurìena, forse una dei più abili tra tutti i guaritori del palazzo, le fu risposto che la sua cara amica era occupata in altre faccende e che non poteva farle visita; e quando chiese del Re, fu praticamente ignorata. Si limitavano a nutrirla, lavarla e accudirla in tutte le sue necessità, quietamente ma con insistenza. Ogni sera la costringevano a bere la disgustosa bevanda che la faceva precipitare in un sonno senza sogni, consentendo al suo corpo di guarire.
Dopo altre due settimane nel palazzo, con la luna che splendeva alta e piena nel cielo, Tauriel era quasi fuori di sè dalla preoccupazione per Kìli e gli altri. Una delle ancelle, una volta provato che riusciva a stare in piedi da sola, le aveva portato una stampella per consentirle di muoversi dalla stanza; l’afferrò con rabbia improvvisa e balzò dal letto. Guardò fuori dall’unica finestra verso le figure che si muovevano lungo i sentieri sottostanti, e capì di essere vicina ai quartieri reali.
Rovistando nel piccolo armadio, trovò un abito di seta blu profondo bordato di pelliccia bianca – di gran lunga il più bello che avesse mai posseduto – e lo indossò, aiutandosi goffamente con la mano buona. Chiamando poi a raccolta tutta la propria dignità, si diresse alla porta e la spalancò, trovandosi faccia a faccia con una guardia armata di tutto punto.
“Sono spiacente, mia signora,” disse l’Elfo; aveva un viso familiare, ma Tauriel non riuscì a ricordare il suo nome. “Ma ti è stato proibito di lasciare questo alloggio.”
Lei si accigliò, un brivido di fredda consapevolezza che le attraversava la spina dorsale. “Proibito? Da chi?”
Conosceva già la risposta, ma essa giunse ugualmente dolorosa. “Dal Re, naturalmente.”
“Ha detto perchè o per quanto tempo?” indagò, mentre la rabbia prendeva il posto della sensazione di tradimento.
La guardia scosse il capo, l’espressione ferma e risoluta. Chiaramente Thranduil aveva scelto apposta qualcuno che lei non conosceva, supponendo non a torto che ella avrebbe cercato di ragionare e uscire. “No, mia signora. Ha solo detto che ti è proibito andartene e che, se avessi bisogno di qualcosa, debbo mandare qualcuno a provvedere.”
“Ho bisogno di parlare con il Re,” sbottò lei, ben conscia che la sua petulanza non avrebbe prodotto alcun risultato, ma dopo giorni di prigionia in quella piccola stanza sentiva i nervi a pezzi.
“Temo che sua maestà non sia disponibile, ma inoltrerò la tua richiesta.” Il tono della guardia le fece intendere che non avrebbe fatto proprio nulla, che non faceva altro che ripetere una tiritera che gli era stata inculcata, e si sentì ribollire il sangue.
“Lo vedrò per conto mio, allora! Non ha alcun diritto di tenermi qui prigioniera,” rispose lei pur sapendo che non era del tutto vero: Thranduil era il Re e come tale aveva ogni diritto. Fece per oltrepassare l’Elfo, ma egli la bloccò prendendola fermamente per un braccio.
“Non desidero farti del male, mia signora, ma sono autorizzato a trattenerti anche con la forza, se necessario,” le disse con voce d’acciaio.
Brevemente, Tauriel passò in rassegna tutti i modi con cui avrebbe potuto neutralizzarlo prima che l’evidenza la inducesse alla ragione: era disarmata e indebolita, e inoltre si trovavano in un’ala molto trafficata del palazzo, in cui parecchie altre guardie avrebbero potuto accorrere in caso di baccano.
La mano dell’Elfo le strinse il braccio con tanta forza da farla contorcere. “Ti prego di tornare dentro, mia signora. Non rendere le cose più difficili di quanto non sia necessario.” Il suo sguardo era intenso e glaciale; non avrebbe trovato comprensione alcuna in lui. Si districò dalla sua stretta e gli permise di riaccompagnarla in camera.
“Non può tenermi qui per sempre,” disse ancora Tauriel, ma la guardia non rispose nulla e chiuse la porta, il cui suono riecheggiò terribilmente forte nel silenzio.

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(Nota della traduttrice): pare che la nostra  Chasing sia tornata a scrivere quasi a tempo pieno, yeee!
Mamma mia però, che colpo questi ultimi capitoli, vero? Ve lo immaginate quanto dev'essere disperato Kìli in questo momento? Non ci posso pensare... T____T speriamo che l'autrice aggiorni presto, e quando lo farà vi prometto che mi precipiterò a tradurre il seguito!

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