Somebody that I used to love

di Lady Po
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Questa storia rielabora in maniera più precisa e organica tutto quello che avevo in mente da tempo per il continuo di Somebody that I used to know. Mi scuso con le lettrici che avevano letto e commentato la versione precedente, ma non riuscivo più a portarla avanti: non rispecchiava in pieno quello che volevo trasmettere ai lettori. Non garantisco sulla puntualità degli aggiornamenti perché purtroppo (o per fortuna) sono parecchio impegnata. Pur traendo ispirazione da contesti esistenti, i personaggi sono frutto della mia fantasia così come i fatti narrati. Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione. Ogni critica, purché mossa con cognizione di causa e in modo educato, è ben accolta.

Buona lettura!


 

I

I raggi del sole mattutino, immensi fasci di luce granulosa, si allungano sul cofano di un auto in fila. Sotto l’ombra dei pioppi, distribuiti come soldati in attesa di congedo, alcuni passanti si rinfrescano bevendo da una fontanella malconcia. La canicola estiva ha lasciato il posto ad una calura più mite, temperata. Settembre è il mese dei grandi rientri, delle aspettative altisonanti e dei pomposi inizi che, puntualmente, trovano il loro naturale oblio nei mesi successivi. Stringo voracemente tra le mani una busta affrancata dall’aspetto trasandato. Proviene dall’America, da New York ad essere precisi. La mia prima reazione è quella di strapparla senza conoscere il suo contenuto, poco importa se il mittente è Seth Douglas. La seconda è più razionale: prendo la busta, ringrazio il postino e salgo nuovamente su per le scale. E la mente ritorna a guardare momenti passati, scorci di vita che ancora non ho avuto il coraggio di dimenticare. E’ già passato un anno dalla festa nella residenza estiva dei nonni, eppure il ricordo è ancora vivido e inciso sulla pelle. Inevitabilmente lo sguardo cade sul piccolo tatuaggio raffigurante una farfalla. Il tatuatore, Roberto, ha voluto conoscere il significato prima di disegnarla sulla mia pelle.

«Ti amo Seth, inutile negarlo.»

«Non dovresti, Leila.Ti prego, dimenticami piccola… sarà più facile per entrambi. Sei libera adesso, libera di vivere la tua vita. Spicca il volo.»

Ed io l’ho spiccato il volo. Ho fatto tatuare quella farfalla per ricordarmi costantemente di non permettere più a nessuno di tapparmi le ali.

«Chi era Ley?» Barry, il mio coinquilino, sopraggiunge con passo mitigato. Ha una strana bandana in testa e una maglietta di due taglie più grandi.

«Il postino», rispondo atona. Nei suoi occhi leggo un’espressione vagamente curiosa. Potrei giurare di scorgervi anche tracce di gelosia per il segreto che continuo a tenermi stretto stretto vicino al cuore. Di rado condivido i miei trascorsi con gli altri inquilini. Spesso mi chiedo se questa discrezione non vada ad inficiare l’evolversi delle dinamiche di convivenza. L’aspetto più bello del ricominciare da capo è proprio quello di lasciarsi alle spalle gli errori, le persone, gli eventi; un po’ come un equilibrista che sul bordo del precipizio affronta il crollo delle sue certezze e continua a camminare fiero per la sua strada. Ma per quanto ci si provi non si può cancellare il passato, e la persistenza dei ricordi che annebbia adesso la mia mente ne è la prova.

«Ley, c’è qualcosa che non va? Da quando sei tornata con quella busta tra le mani non hai aperto bocca», insiste Barry.

«Nulla di importante» rispondo, ficcando poi nella borsa quella maledetta busta. Lui si gira a darmi un’occhiata irritata, per sottolineare che non è disposto a credere alle mie parole.

«D’accordo. E’ l’invito alle nozze di Seth Douglas, mio zio» ammetto, non curandomi del tono lugubre che ha assunto la mia voce. 

«Ah» mormora, simultaneamente al curvarsi di un sopracciglio. Sto per chiedergli il motivo di una tale smania di sapere, ma Tania, la terza inquilina della casa, calamita la mia attenzione. Tiene in braccio un cucciolo di cane, sembra spaventato e molto triste. Gli occhi di quella creatura indifesa mi ricordano che il mondo spesso non gira come dovrebbe.

«Qualche stronzo l’ha abbandonato in facoltà, pazzesco. Come si può rinunciare a questo esserino peloso?», esordisce la mora, carezzando il capo del trovatello.

«E’ bellissimo… guarda che musetto dolce» aggiungo, con tono smielato.

«Ehi, voi due. Siete forse cieche? Questo cagnolino ha un collare e un nome. Non è stato abbandonato, si è perso» s’intromette Barry, ponendosi di fronte al cucciolo.

Esaminando il collarino verde da una distanza più ravvicinata, una scritta color oro attira la nostra attenzione: Mister C-Laura 27/08.

«Sembri preoccupata», osserva Tania, poggiando delicatamente il nuovo arrivato per terra. «E’ per Mister C.?», chiede in tono scherzoso. Io e Barry ci scambiano uno sguardo eloquente, poi nego con un cenno del capo. “Adesso dovrò riprendere l’argomento”, penso affranta.

«No, non è successo niente di così importante. Mio zio Seth si sposa e mi ha gentilmente invitata».

Tania sembra valutare se quello che le ho appena detto è plausibile e se rientra nei criteri di accettabilità.

«Non dai l’impressione di essere entusiasta» dice, e continua a fissarmi come se volesse cavarmi chissà quale grande segreto con il solo ausilio degli occhi.

Da quando viviamo sotto lo stesso tetto, non è mai capitato di intavolare lunghe conversazioni sulla mia vita antecedente l’arrivo a Roma. Per lo più abbiamo discusso di università, progetti futuri e argomenti di dubbio spessore. All’occorrenza, tuttavia, ho anche lasciato che mi aiutassero ad ambientarmi e a conoscere nuove persone. Sotto questo punto di vista non avrei potuto avere guida migliore.

«Ci nascondi qualcosa?» chiede Barry, assumendo un atteggiamento da cameratismo, che si traduce in una gomitata d’intesa rivolta a Tania.

«No, ecco, io…», e addio riservatezza. «Io e Seth abbiamo avuto una storia».

«Hai fatto sesso con tuo zio?» domandano all’unisono, mentre le loro espressioni si vestono d’incredulità.

«Ma no! Cioè sì, siamo andati a letto insieme, ma Seth non è tecnicamente mio zio. Io e lui non abbiamo alcun legame di sangue. Seth è il migliore amico di mio padre. In pratica mi ha visto crescere, ecco perché lo chiamo zio». Svelato l’arcano, osservo i loro lineamenti distendersi e abbandonare quel velo di stupore che aleggiava qualche secondo prima. C’è un po’ di imbarazzo nell’aria: Barry azzarda un sorriso timido, ma rassicurante. In quella curva morbida trovo la certezza di potermi fidare nuovamente di qualcuno. Ho passato l’ultimo anno a schivare ogni rapporto che andasse al di là della più spicciola cordialità. Perseverare con un atteggiamento di chiusura ci intrappola in delle abitudini poco sane, si sa. Non è un segreto che, dopo l’abbandono di Seth, dimostrassi una certa ritrosia a instaurare rapporti di fiducia. Eppure adesso mi lascio cullare dall’abbraccio di questo ragazzone, che fino a poco tempo fa consideravo un semplice coinquilino, ma che giorno dopo giorno ha saputo, insieme a Tania, scalfire la mia corazza senza che me ne rendessi conto.

«Grazie» mormoro, e lo dico davvero. Lo dico con il cuore in mano e la voce incrinata dall’emozione. Lo dico con la speranza che il loro supporto possa guarire in parte il mio cuore ferito. Le cicatrici mi paiono un buon compromesso, d’altronde. E’ a partire da quelle ferite rimarginate che farò di questa storia un’occasione per riflettere sugli errori da non commettere più in futuro.  

«Hey, testa rossa, smettila di ringraziare. Quando un giorno vorrai raccontarci tutto, noi siamo pronti ad ascoltare questa storia stramba. Adesso occupiamoci di Mister C.» suggerisce Barry, indicando poi il cagnolino. Il punto nevralgico dei miei pensieri si sposta verso il cucciolo indifeso sdraiato nell’angolo. Diverse soluzioni si presentano ai miei occhi: potremmo affiggere dei volantini in facoltà o potremmo chiamare le forze dell’ordine e lasciare che se ne occupino loro. Sono i suoi occhi spauriti a farmi capitolare.

«Dobbiamo scoprire chi è questa Laura. Non resta che affiggere dei volantini per le bacheche della facoltà» sentenzio accarezzando il capo di Mister C. Poco dopo stiamo già affiggendo la foto del cagnolino in ogni bacheca a nostra disposizione mentre qualche studente ci guarda incuriosito e il guardiano di turno ci tiene d’occhio con circospezione.

«E se lo tenessimo noi?» chiede Tania, stringendo Mister C al petto. «Il nostro palazzo ha un cortiletto interno, potrebbe giocare lì.»

«Tania, quel cagnolino appartiene a qualcun altro. Non possiamo semplicemente appropriarcene», la ammonisco. Improvvisamente sento la suoneria del mio cellulare: l’ultimo singolo dei Maroon 5 dilaga nell’aria. Dimostrando uno spiccato senso civico, mi allontano per rispondere al telefono.

«Ti avevo chiesto di non chiamare più. No, mi dispiace» e riattacco, imprecando contro la modalità silenziosa che dimentico sempre di attivare.

Cerco con lo sguardo Tania e Barry, ma sembrano spariti dalla mia vista. Prendo il telefono: ancora quel numero, ancora chiamate. Inizio a sentire il cuore in gola, le gambe perdono consistenza e la vista si annebbia. Sto per perdere l’equilibrio, ma una mano mi sorregge in tempo.

«Ley, che ti succede?». Nel sentire la voce familiare del mio coinquilino riprendo a respirare regolarmente e prendo coscienza di quanto accaduto.

«Niente, sto bene. Sarà stato un brusco calo di pressione», mento rimettendomi in piedi sulle mie gambe.

«Tania ci aspetta in macchina. Dobbiamo andare o farai tardi all’appuntamento con tuo padre», mi avverte. Nei suoi occhi brilla l’allarmismo tipico di chi è amico fidato delle lancette. La puntualità denota uno stile di vita preciso, armonico. Chi è puntuale si muove con grazia all’interno del tempo, ne conosce i limiti e non li travalica. Troppo spesso lo scoccare di un altro minuto può cambiare le carte in gioco. Eppure non manco mai di calpestare secondi, minuti o ore, con la stessa imprudenza di un bambino che si attarda a giocare laddove non gli è concesso farlo.

Indirizzo a Barry un’occhiata confusa: «Giusto, il pranzo con mio padre! Lo avevo completamente rimosso. Grazie per avermelo ricordato».

                                        

***

La trattoria “Da zio Mario” si trova sul litorale di Ostia ed è un locale molto vivace con le sue tendine di lino a quadri rossi e bianchi e le tovaglie in juta grezza. E’ il posto giusto per trascorrere una piacevole domenica in famiglia o per chi come me ha bisogno di ritrovare sprazzi di quel focolare domestico ormai divenuto un ricordo sbiadito. Oggi è una giornata parecchio affollata, e i camerieri si muovono tra i tavoli come tante cavallette impazzite. Presto la pressione della calca si riverserà altrove, e potremo nuovamente goderci la splendida vista del mare d’autunno attraverso le grandi vetrate della terrazza interna.

«Sei parecchio tesa oggi. Tesoro, che succede?».

Mio padre prende la forchetta e il coltello al lato del piatto e li punta sulla bistecca che gli hanno appena servito.

«Nulla, papà. Sono molto stanca a causa del ritmo frenetico delle mie giornate» commento, spiluccando la mia insalata.

Faccio un lungo sospiro e mi rilasso contro la spalliera della sedia, fingendo che niente mi turbi. Imbocco una generosa forchettata di lattuga e pomodoro ma non ho molto appetito, in realtà.

«Leila, io credo che dovresti staccare la spina per un po’. Perché non vieni a stare da me per una settimana?».

La domanda è accompagnata da un tono svigorito, come se si aspetti già la mia risposta negativa. Non ha tutti i torti, in fondo. Mantenere intatta la mia neonata indipendenza è una delle cose che mi sono ripromessa di fare tante volte.

Lo fisso cercando di trovare le parole giuste per declinare il suo invito, senza cadere nella trappola del più becero formalismo.

«Papà, sai come la penso. Non ho niente che non si possa curare con una bella dormita rigenerante».

Nella penombra della saletta mio padre tiene gli occhi bassi sul piatto, ma sono sicura che mi stia ascoltando.

«Ecco, vedi Ley, volevo farti una sorpresa, ma con il tuo ostinato spirito d’indipendenza non mi rendi le cose facili. Domani arriva zio Seth e volevo riunire tutta la famiglia!»

«E quando avevi intenzione di dirmelo? Ti sembra che io abbia ancora l’età per questi giochini?» sbraito senza contegno. C’è qualcosa di surreale nell’immaginare di rivedere qualcuno e provare le stesse identiche sensazioni dell’ultima volta. Come se il tempo si fosse fermato a quel momento e tutto quello che hai vissuto nel mentre fosse solamente una parentesi nebulosa. Serbo ancora intatto il suo profumo nelle narici, una sorta di leit motiv che è riapparso prepotentemente e si è riappropriato dello spazio vitale che era solito avere. Allora mi ritrovo nel cuore un’emozione forte, tempestosa, che mi annichilisce e proietta le mie paure sullo sguardo sparuto di mio padre.

La tristezza che leggo nei suoi occhi mi dà la forza necessaria di ammettere l’imperdonabile mancanza di rispetto nei suoi confronti.   

«Scusa, papà. Non volevo essere scortese. Sono solamente sorpresa che zio Seth si faccia vivo dopo tutto questo tempo».

Dall’altra parte mi accoglie un silenzio abbastanza lungo da costringermi ad alzare il capo e verificare che non mi abbia piantata lì, da sola, come merito.

«Leila, zio Seth mi ha sempre chiesto di te. Se non è venuto a trovarci prima è perché non ne ha avuto le possibilità.»

«Capisco. Beh, suppongo voglia parlarci del suo matrimonio. Oggi mi è arrivata la partecipazione». La mia affermazione è volutamente provocatoria: spero che mio padre possa esaurire la mia morbosa curiosità. Spio con la coda dell’occhio la sua espressione: la fronte contratta riprende la linea dura della mascella. Il suo poco entusiasmo ha qualcosa di sgradevole.

«Io e zio Seth ne abbiamo parlato molto, e il modo migliore per comunicartelo era tramite un avviso scritto.»

L’idea che mio padre abbia fatto combutta con Seth in merito a questa storia mi fa ribollire il sangue nelle vene. Con questo stato d’animo addosso mi alzo, tentando un’uscita di scena meno teatrale possibile.

«Aspetta Leila. Non andare: c’è dell’altro.»  

Mi fermo sulla soglia della sala giusto un attimo prima di imboccare l’uscita.

Ogni tipo di indulgenza nell’esercizio dei rapporti umani manifesta un difetto presente in chi la pratica. Quando non si tratti di un’innata bontà d’animo, essa denota senz’altro un interesse particolare nei confronti di ciò che è oggetto della nostra attenzione. In quel caso, l’oggetto delle mie attenzioni era quell’altro di cui mio padre aveva fatto parola. Cosa può esserci di ancora peggio dei loro squallidi accordi alle mie spalle?

«Sono tutta orecchie» blatero, tornando sui miei passi.  

«Tua madre ha chiesto a zio Seth di poter presenziare alla cerimonia. Naturalmente lui ha rifiutato, ma quella donna è parecchio insistente e non sembra volersi arrendere.»

«Cosa??? Non è possibile: è un incubo! Papà, non credo di voler partecipare a questa buffonata. Ringrazia zio Seth per l’invito, ma ho degli impegni che mi trattengono qui a Roma.»

Gli schiocco un bacio fugace e a grandi falcate mi guadagno l’uscita. Mentre riaccendo il telefono, un berlina scura mi si para di fronte.

«Merda», esclamo tra me e me.


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Capitolo 2
*** II ***


II

L’odore della pelle dei sedili ha un odore pungente e a tratti nauseante. A dispetto delle mie più rosee previsioni riesco a contenere a stento i conati di vomito, mentre osservo il mondo scorrere al di là del finestrino.

«Dove mi stai portando?» chiedo, atona.

«A casa mia. Devo assolutamente parlarti di una questione delicata», risponde.

«Ti avevo detto di non voler sapere più niente di te. Mi stai trattenendo contro la mia volontà: è un reato bello e buono.»

La piega delle sue labbra tradisce un sorriso soffocato di cui chiaramente ignoro le motivazioni.

«Leila, se non avessi voluto vedermi sul serio, avresti agito in maniera tale da impedirlo.»

Vorrei avere argomenti sensati con cui controbattere, ma non riesco a formulare un pensiero articolato in questo momento. Qualunque motivazione io adduca, adesso non ha più importanza: niente può far cambiare idea a Liam Cooper. E’ abbastanza scaltro e intelligente da sapere quali tasti premere per arrivare alle mie insicurezze e sfruttarle a suo piacimento. Lo guardo con maggiore attenzione, ignorando per qualche secondo le buone maniere, e mi accorgo che non è cambiato per nulla. Il naso appuntito, i capelli folti e le labbra leggermente pronunciate sono come li ricordavo. L’ultimo anno non ha scalfito minimamente la sua bellezza eterea e il suo portamento composto. E’ come se il suo corpo, o le sfumature calde della sua voce, riescano ad inghiottire lo spazio intorno fino a ridurlo ad una dimensione microscopica. L’aria comincia a rarefarsi e il cuore sale violentemente in gola. I ricordi allora riemergono con prepotenza dai meandri della mia mente. Come qualche settimana fa, quando ho udito per la prima volta la sua voce al telefono dopo più di un anno.

«Leila, stai bene? Mi sembri parecchio pallida!» afferma, visibilmente preoccupato. «Mi fermo immediatamente.»

«No! Prima mi avrai parlato, prima potrò tornarmene a casa» ribatto, cocciuta. Quale che sia lo scopo che l’ha spinto a chiamarmi per settimane deve trovare il suo epilogo adesso, cosicché possa archiviare quest’esperienza nel più breve tempo possibile.

Anche Liam è impaziente di parlarmi, lo leggo nei suoi occhi quando mi prende la mano in silenzio. Mi guarda in un modo del tutto nuovo a cui non sono abituata. Mi guarda come si guardano le cose fragili; quelle cose che temi possano frantumarsi da un istante all’altro.

Il viaggio giunge al suo termine di fronte ad un palazzo di nuova costruzione alla periferia di Roma. L’appartamento di Liam è essenziale, arredato con gusto ma poco caratterizzato, e il denominatore comune sembra essere il bianco che infesta l’intera abitazione.  

«Il mio agente immobiliare non ha trovato di meglio. In fondo è una sistemazione temporanea» afferma, come se mi avesse letto nel pensiero. «Accomodati, ti preparo uno spuntino.»

«Non ho fame, grazie. Vai al dunque.»

Annuisce suo malgrado e si accomoda sul divano di fianco a me. La repentinità della sua resa mi lascia interdetta quanto la pazienza che mi serba. Non deve essere facile per lui trovarsi di fronte ad un muro di cemento armato.

«Tua madre ha tentato il suicidio. Un mese fa, nella sua abitazione. I dottori mi hanno chiamato immediatamente perché il mio numero compare tra le sue chiamate d’emergenza. Ha lasciato un biglietto con scritto quanto le facesse male non poter avere alcun tipo di rapporto con te. In queste settimane ho cercato in tutti i modi di risollevarle il morale e le ho fatto capire che vi sareste potute vedere al matrimonio di Seth. Peccato che lui non ha avuto la mia stessa clemenza nei suoi confronti e ha deliberatamente mandato al diavolo la proposta.»  

D’improvviso capisco. Il rifiuto di Seth, l’invito scritto, le parole concilianti di mio padre. Tutto quel corredo è stato organizzato perché io mi sentissi obbligata a partecipare a quelle stupide nozze. “Abbiamo reso ogni cosa più facile per te piccola Leila” mi avrebbero detto, e io mi sarei sentita in debito nei loro confronti per la cortesia che mi avevano usato.

«Mi dispiace per Jamie-Lynn, dico davvero. Non riesco a considerarla che al pari di un’estranea, ma provo compassione per quel genere di dolore. Parlerò personalmente con Seth e vedrò di fargli cambiare idea.»

Il suo volto pare rianimarsi e una luce calda si appropria dei suoi occhi colore del ghiaccio.

«Posso sapere come hai preso la notizia di questo matrimonio?».

Con un gesto nervoso allontano le sue dita che s’impossessano del mio viso e sposto la direzione del mio sguardo altrove. Ma lui insiste, torna a scavare dentro ai miei occhi come una bestia affamata. Nel chiarore del sole pomeridiano che illumina la stanza il suo volto si tinge di un rosso acceso, quasi abbagliante.

«Non vale la pena soffrire per qualcuno che non ti merita.»

Mi sfiora i capelli con una tale leggerezza da farmi dubitare di avere effettivamente a che fare con una persona in carne e ossa. “Magari sono i fantasmi del passato che mi perseguitano” penso tra me e me. Ma quel tocco si fa sempre più insistente e mi ritrovo ad un centimetro dalle sue labbra. Reali, vere, invitanti. Il solito campanello d’allarme mi avvisa che se c’è un momento giusto per andare via è di certo questo.

«Non è affar tuo, non lo è mai stato» affermo, scostandomi bruscamente da lui.

«Lo ami ancora, non è così?», incalza.

L’insistenza delle sue domande mi fa pensare che in lui sia saldamente cementata l’idea della piccola e ingenua Leila. D’altronde non posso biasimarlo: per troppo tempo ho lasciato che lo credesse.

«Mi godo un equilibrio faticosamente conquistato e non ho nessuna intenzione di rivangare il passato. Questo te lo posso assicurare.»

Liam assorbe il senso della frase stringendo le labbra in una smorfia divertita, e in quel ghigno c’è tutto il suo scetticismo.

«Hai accettato di vedere tua madre al suo matrimonio per fargliela pagare. In realtà non te ne frega niente di Jamie Lynn. Vuoi solamente mettere in imbarazzo Seth nel giorno più importante della sua vita.»

«Adesso stai esagerando. Non è com..»

«Balle!» m’interrompe. «Stammi ad ascoltare ragazzina: se vuoi una vendetta nei confronti del tuo ex, allora lascia fuori tua madre da questi sporchi giochetti. E’ indispensabile che tu sia realmente motivata a concederle una seconda chance. Il suo equilibrio mentale è molto fragile al momento; non può subire altri danni.»

Qualunque diritto avanzi per parlarmi in quel modo non è giustificabile da alcun titolo biologico: Liam non è mio padre e non può di certo giudicarmi.    

«Mi dispiace se non sono stata la figlia perfetta, sai? Ma non ho mai avuto la possibilità di esserlo: ecco la verità. Non puoi irrompere nella mia vita tutto ad un tratto e pretendere che io dimentichi gli ultimi 19 anni.»

Alle mie parole ride nervosamente e si alza dal divano con un cipiglio scuro sul volto.

«Non essere ingiusta Leila. Non ho mai avuto quella pretesa.»

Oltre al cellulare, ha in mano un mazzo di chiavi che riconosco essere quelle della berlina.

«Forse è meglio che ti riaccompagni a casa.»

«Già, è meglio», farfuglio.

 

***

Al mio rientro a casa, colta da un’improvvisa malinconia, tiro fuori dal cassettino della biancheria un piccolo album di foto. Una, due, tre. Il ritmo si fa sempre più accelerato e in un baleno mi ritrovo davanti ai momenti più significativi della mia vita. Estraggo fuori dalla custodia una foto in particolare. Raffigura me e Seth ad un concerto, il mio primo concerto. Avevo dieci anni e un fervore invidiabile. Ricordo di averne dette di peste e corna a mio padre per avermi dato buca all’ultimo momento; alla fine il povero Seth era stato costretto a rimpiazzarlo volente o nolente. Credo fu proprio questo ad alimentare in me il suo mito. Quando si è bimbi si tende a dare un significato particolare ai gesti altrui. E così la felicità assunse i toni cadenzati delle ricorrenze che trascorrevo con lui. Allora non ero al corrente di quanto pericolosa potesse essere quella sorta di ammirazione, ne dove mi avrebbe condotta. Mi bastava dividere i miei spazi con lui e lasciare che si prendesse cura di me insieme a mio padre. Nell’insieme mi sembrava una famiglia funzionale; un po’ strana, certo, ma l’unica che avessi mai desiderato. Quello che non avrei mai immaginato era che, molti anni dopo, quell’integrità familiare che tanto millantavo sarebbe stata completamente spazzata via dal corso degli eventi. Richiudo l’album di getto e lo conservo nuovamente, sperando che a nessuno venga mai l’idea di aprirlo. Sono abbastanza gelosa della mia infanzia e ne custodisco il ricordo come fosse un tesoro di valore inestimabile. In realtà serbo segretamente la speranza di non vedere mai contaminati quei momenti dalle menzogne che potrebbero celarvisi dietro. Per tale motivo non riesco a creare un qualsiasi tipo di rapporto con mia madre. Al di là delle motivazioni che l’hanno spinta ad abbandonarmi, so per certo che ascoltare la sua versione dei fatti equivalga a distorcere quello che ho vissuto, e non posso permetterlo. Non adesso, perlomeno.

I ricordi si allontanano cosi come sono arrivati, e nel tepore della mia camera decido di richiamare mio padre per tranquillizzarlo e scusarmi nuovamente del mio comportamento. Al terzo squillo la sua voce asciutta risponde:

«Leila?».   

«Papà, mi dispiace tanto per come mi sono comportata. Sono stata un’ingrata testarda e cocciuta. Accetto la tua proposta: mi trasferisco per qualche giorno da te», blatero. Sono un fiume in piena.

Mio padre si prende qualche secondo prima di parlare, poi manifesta tutta la sua gioia nel sentirmi redimere.

«Sapevo che dentro quella bellissima ragazza ostinata c’è ancora la mia bambina. Prepara un borsone e raggiungimi.»

Benché non rientrasse nei miei piani trasferirmi per qualche giorno, sono certa che questa sia la cosa giusta da fare. E quando mi precipito all’appartamento di mio padre, il suo sorriso me lo conferma.

«Cos’è questo buon profumino che sento?» domando, abbracciandolo. «Mi sono persa qualcosa?»

«Vedrai che sorpresa ho in serbo per te, amore» risponde, trascinandomi in cucina.

Non appena varco la soglia della stanza, intravedo un uomo vicino alla finestra. E’ di spalle, ma lo riconoscerei persino al buio.

Si gira nel medesimo istante in cui istintivamente faccio un passo indietro.

«Se…zio Seth» balbetto, colta in fallo.

Non mi permette di aggiungere altro, viene ad abbracciarmi come il “manuale dello zio perfetto” comanda. Peccato che lui non sia affatto mio zio, né tantomeno si avvina al concetto di perfezione. Non lo vedo da un anno, da quella fatidica festa settembrina che ha sancito la chiusura definitiva di quella che, ingenuamente, credevo essere una relazione.

Ritrovarlo in Italia, con un giorno di anticipo, è stato un vero colpo al cuore.

«Piaciuta la sorpresa? Figurati che fino all’ultimo momento pensavo arrivasse domani!»

La voce di mio padre contiene a stento l’emozione. Seth è parte della sua famiglia e rivederlo dopo così tanto tempo l’ha reso sicuramente felice.

«Sì, direi di sì» farfuglio, ancora confusa.

«Bene. Andiamo a cenare, allora. Abbiamo tante cose da raccontarci», esclama in visibilio.

Non ho voglia di parlare. Cosa abbiamo da condividere io e Seth?

Gli lancio un’occhiata furtiva. Indossa una camicia a quadri, che regge a stento una corporatura ancora più robusta di quanto mi è dato ricordare, e un paio di jeans scuri.

Sembra diverso. I capelli che rimembro essere corti e spettinati, sono ora di una lunghezza media, tenuti perfettamente in ordine. La barbetta è l’unica cosa che quest’uomo ha in comune con il vecchio Seth.

«Allora Seth. Al telefono mi parlavi di altre novità. Ci è dato saperle?» chiede mio padre, mentre porta a tavola una ciotola di insalata.

«Prendo gli hamburger» dico, gesticolando in fretta. Mi rendo conto in quel momento di non volere sapere quali siano le altre novità che Seth è venuto a portare.

Purtroppo, mentre torno con la carne fumante, origlio involontariamente qualche sprazzo di conversazione.

«Sono felice per voi, amico mio. Anche se si vede chiaramente che non hai ancora dimenticato la donna misteriosa»

«Ryan, non c’è nessuna donna misteriosa. Amo Victoria, e questo bambino è un dono del cielo.»

Perdo un battito del cuore e per poco non perdo anche l’equilibrio, rischiando di mandare in frantumi i piatti e la cena.

Rientro nel più mesto dei silenzi, adagiando le portate sul tavolo. Fingere di essere impassibile è un’impresa ardua, ma ci provo. Spilucco la carne di malavoglia e bevo un sorso di vino rosso che subito mi va di traverso.

«Leila, tesoro, stai bene? Quante volte ti ho detto di non bere vino?» chiede allarmato mio padre.

«Sto bene papà. E non sono più una bambina a cui dire cosa deve o non deve fare» rispondo, scocciata.

«Ho saputo che abiti da sola» s’intromette Seth, rivolgendosi per la prima volta direttamente a me.

Le sue iridi blu cobalto agganciano le mie. Ci guardiamo intensamente per qualche secondo, poi asserisco: «Sì, divido un appartamento con due persone.»

«Tra cui un ragazzo», aggiunge istantaneamente mio padre.

Il suo malcontento è risaputo. Non disdegna certo di farmelo sapere ogni qual volta si presenti l’occasione. Non tollera l’idea che la sua bambina divida casa con un uomo che non sia lui o il suo amico più fidato. Se sapesse quanto si sbaglia!

«Papà, ne abbiamo già parlato. Stanne fuori», lo ammonisco.

Con perspicacia Seth capisce che è il caso di alleggerire il clima e stemperare la tensione. Allora prende a raccontare aneddoti divertenti inerenti al suo lavoro. Narra di come alcuni colleghi gli facciano il verso poiché sente costantemente la mancanza del suo migliore amico.

«Ti rendi conto? Razza di idioti! Hanno pure simulato il nostro incontro qui in Italia.»

«Mi mancano quegli imbecilli» commenta a sua volta mio padre, dopo una grassa risata.

«Lee ha avuto un altro figlio e Spike cambia fidanzata ogni settimana, in seguito alla rottura con Christie» aggiunge Seth, completando il resoconto di quel lungo anno.

Papà riempie il terzo bicchiere di vino e lo beve tutto d’un fiato.

«Quanto ti fermi Seth?»

«Tutta la settimana.»

Il sapore aspro e diretto di quella risposta mi fa andare di traverso persino l’acqua. Con un sospiro guardo la mia cena quasi intatta. L’hamburger si è freddato e dal piatto non si leva più alcun odore invitante. Mi pare al contempo inerte e viscido, come me. Sono ferma nella mia posizione da più di un’ora; l’unico pensiero che riesco a formulare è che vorrei andarmene subito. Nel mio appartamento, al sicuro.

«Non hai fame?», chiede mio padre. Lo dice con sincera costernazione, la stessa di chi è seriamente preoccupato di avere sbagliato qualcosa.

Scuoto la testa energicamente e allontano il piatto. «Non proprio.»

Lo guardo. L’entusiasmo febbrile che l’ha accompagnato per tutto il corso della cena scema via via dal suo viso fino a lasciarlo spoglio.

«La cena non è stato di tua gradimento?», s’intromette nuovamente Seth. Evidentemente ora sta prendendo le difese di mio padre.

«E’ tutto squisito, ma io non ho molta fame. Anzi, se volete scusarmi devo assentarmi un attimo.»

Quando esco in balcone per fumare una sigaretta Seth mi segue. Si appoggia alla ringhiera con entrambe le braccia e osserva il paesaggio di fronte a sé. Schiere di palazzoni moderni squarciano il cielo con le loro sagome imponenti e i loro profili eleganti.    

«Perché lo fai?» chiede, interponendosi tra il frastuono delle macchine in corsa e l’ululato di qualche cane randagio.

«Cosa?»

«Fumare», risponde prontamente.

«Ho iniziato da poco, tranquillo. Posso gestire la cosa.»

Con un gesto lento aspiro una boccata di fumo e la riverso per aria.

«Diventerai padre?»

Pongo quella domanda in modo pacato e naturale, senza alcuna traccia di accusa.

«Sì, Leila. A tal proposito…». La linea della mandibola si fa più rigida, il timbro della voce più basso.

«Shhh, non importa. Non più.» Getto il mozzicone nella pattumiera e rientro: «Buona notte zio Seth».

 

Angolo autrice:

Salve miei cari lettori! Protagonista della prima parte del capitolo è stato Liam Cooper con la sua proposta. Cosa pensate che debba fare Leila? Accettare di rivedere la madre, lo abbiamo visto, creerebbe in lei non pochi traumi. D’altra parte, fuggire l’aiuterà a mantenere l’equilibrio che tanto decanta?

Nella seconda parte del capitolo viene finalmente introdotto Seth. Anche lui porta importanti rivelazioni. L’arrivo di un bambino, si sa, è una gioia immensa. Lo sarà anche per Leila? Cosa pensate succederà in questi giorni di convivenza tra i due? Lo scenario è quello che li ha fatti avvicinare l’anno precedente, le circostanze sono diverse. Nel prossimo capitolo svilupperò in particolare questo punto.

Non mi resta che salutarvi e invitarvi a lasciare la vostra opinione. Un bacio virtuale!

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