Destino Effimero

di Alina Alboran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


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Q

 Capitolo Uno

 

uando sei morto, tutto il mio mondo e le mie certezze si sono sgretolate.    
Ci sono voluti mesi e tutta la pazienza di mamma per farmi capire che non ero morta con te, che dovevo continuare a vivere…          
Quel periodo è stato il più brutto di tutta la mia vita: avevo allontanato le persone a cui volevo bene e nel giro di poche settimane mi sono ritrovata sola; l’unica ad essermi rimasta accanto è stata Martina, sopportando capricci e momenti di disperazione.      
Ricordo con precisione cosa stessi facendo nel momento in cui annunciarono la tua morte, ma non ricordo le ultime parole che ti dissi.      
Come è strana e ingiusta la vita.       
Un attimo sei felice e spensierato, l’attimo dopo ti ritrovi nella totale desolazione.
Per mesi ti ho immaginato aprire lentamente la porta di camera mia e sussurrarmi il consueto “Buonanotte”.
Per mesi ho cercato di illudermi che stavo vivendo solo un brutto sogno, e che il mattino dopo mi sarei svegliata e ti avrei trovato in cucina a bere il tuo caffè amaro.     
Perderti è stato distruttivo e nemmeno ora, sei anni dopo, mi sono ripresa completamente.         
Ogni volta che ci ripenso sento gli occhi che si inumidiscono e il cuore che rallenta i battiti.        
Mamma si è rifatta una vita e, benché inizialmente non avessi visto di buon occhio l’arrivo di Sergio, ho imparato ad apprezzarlo e a volergli bene.           
Sergio la ama e non potrei desiderare compagno migliore di lui per mamma.

Il nostro primo incontro è stato un po’ burrascoso: io mi sentivo tradita e lui non sapeva come comportarsi con la figlia sedicenne della compagna.      
Con il tempo ho capito che non potevo permettermi di ostacolare la felicità di mamma e perciò ho fatto del mio meglio per andare d’accordo con lui.

Considero Sergio come un padre; ovviamente non potrà mai prendere il tuo posto, ma il nostro rapporto si è rafforzato moltissimo e se perdessi anche lui credo che stavolta non sarei più capace di riprendermi.     
Nei tre anni di relazione ho visto i figli poche volte: nessuno dei due ha preso bene il divorzio dei genitori e ritengono il padre responsabile per la separazione.     
Una volta mamma mi ha detto che l’hanno deciso insieme, che si erano resi conto di quanto continuare a stare insieme non facesse altro che danneggiare loro stessi e i figli.        
L’ultima volta che ho visto Davide e Giulia è stato al quindicesimo compleanno di quest’ultima.
Giulia è di due anni più piccola di me ed ha un carattere davvero particolare: è capricciosa, antipatica e crede che tutto il mondo giri intorno a lei.


Mi sembra quasi vedere il tuo sguardo contrariato e sentire la tua voce che mi dice di star giudicano senza conoscere.           
Credo che la madre, per non farle pesare troppo il divorzio, abbia esagerato nel darle attenzioni.
Immagino che affrontare la separazione dei genitori quando si è così piccoli  non sia facile, ma ciò non giustifica il suo egoismo e la sua indifferenza per Sergio.          
Davide non l’ho ancora inquadrato bene, ma credo che sia più razionale ed equilibrato della sorella.
Le poche conversazioni che abbiamo fatto sono state perlopiù di convenienza, ma forse il riusciremo a instaurare un rapporto civile.          
Non so perché ti stia scrivendo tutto questo, forse per sentirti più vicino in questa nuova fase della mia vita, forse per dirti che ti voglio bene e che mai ti dimenticherò.    
Mi manchi così tanto, papà.  
Darei tutto per averti accanto per almeno un altro giorno, per dirti quanto ti amo e quanto sei stato e sei importante per me.

 


Ti amo, papà.

Rievocare quel periodo buio le fece male, ma era l’unico modo di rimanere aggrappata al ricordo paterno e non ci avrebbe mai rinunciato.         
Per qualche minuto – come se tutto intorno a lei fosse sparito – Elisa fissò la piccola farfalla tatuata sul polso destro.           
Con l’indice ne tracciò i contorni, e solo quando una lacrima cadde sul suo polso sembrò risvegliarsi e ritornare alla normalità.       
Con un braccialetto di cuoio nero si coprì il tatuaggio e solo allora il dolore cominciò ad affievolirsi ma non a cessare completamente.         
Quel tatuaggio era un rito di passaggio: necessario e inevitabile per uscire dal baratro di solitudine e disperazione in cui era precipitata alla morte del padre.        
Dopo svariati lavori estivi e un prestito di Martina, finalmente aveva radunato i soldi per pagarsi la sua
libertà.
La madre, nonostante fossero passati tre anni, non l’aveva mai visto.        
Elisa sapeva quale sarebbe stata la sua reazione e nasconderglielo le era sembrato la soluzione più facile.
Nascose tra i libri di scuola il foglio protocollo su cui aveva scritto la lettera al padre e, al richiamo della madre, raggiunse Davide e Giulia in salotto.
Dal corridoio intravedeva Giulia che, seduta sul divano di pelle bianca, si guardava intorno disgustata.
Davide stava invece in piedi e parlava animatamente con suo padre, come se stessero litigando.
La porta si aprì con uno scricchiolio fastidioso e quattro paia di occhi si posarono sulla sua figura.
«Lo sapevo che non avrei dovuto accettare di vivere qui», borbottò Giulia mentre la fissava con un’aria di superiorità; cosa che infastidì all’inverosimile Rossella.      
Elisa però, intenta a regolarizzare il suo respiro, non ci aveva nemmeno fatto caso.          
«Ciao, Elisa», salutò Davide cercando di trattenere un sorrisino derisorio.           
«Siediti vicino a Giulia», le intimò Sergio con il sorriso sulle labbra.         
Non voleva assolutamente fraternizzare con il nemico, ma lo sguardo severo della madre la fece desistere da qualsiasi piano di ribellione.     
Anche Davide, che fino ad allora era stato in piedi, seguì il suo esempio e si sedette accanto a Elisa.
Ancora una volta il suo viso si colorò di rosso e nemmeno si accorse di Davide che, passandogli una mano davanti agli occhi, cercava di farsi notare.    
Giulia, indossava dei leggings a pois e una canottiera che le arrivava a metà coscia.
Aveva un viso molto dolce e, se non fosse stata tanto maleducata e capricciosa, Elisa avrebbe adorato guardarla mentre parlava per vedere quegli occhi, di un marrone tanto scuro da sembrare cioccolato fondente, illuminarsi ogni volta che l’argomento le interessava.
Le sarebbe piaciuto trovare in lei una confidente, quella sorella che la madre non aveva potuto darle.
«Elisa», la rimbeccò la madre quando la risata di Giulia divenne udibile.  
«Sì?», chiese dopo ulteriori attimi di silenzio.         
«Bene. Questa qua è pure sorda», disse la diciassettenne ostentando ancora una volta il suo rifiuto per quella stramba situazione.      
«Giulia», la rimproverò il fratello. Aveva sorriso alla battuta innocente della sorella, ma l’espressione poco rassicurante del viso di Rossella gli aveva fatto capire che, se volevano rimanere in quella casa, avrebbero fatto meglio a essere gentili con Elisa.      
Elisa si accorse che anche gli occhi di Davide, benché un po’ più grandi, erano dello stesso colore e riuscivano a trasmetterle la stessa sicurezza e allegria.     
Si accorse di starlo fissando solo quando lui, imbarazzato, le sorrise e puntò lo sguardo sul tappeto nero ai suoi piedi.            

«Cosa? Mamma mi ha detto che devo sempre dire ciò che penso senza avere paura del giudizio altrui».
“Qui non si tratta di giudizio, ma di rispetto”, avrebbe voluto risponderle Rossella, ma per amore di Sergio si trattenne e sopportò la maleducazione della ragazza in silenzio.     
Tra le frecciatine di Giulia, le labbra torturate di Elisa che non faceva altro che mordersele, e Davide che cercava di alleggerire la tensione, arrivarono a ciò che Sergio più temeva: la disposizione delle camere.       
«Oltre la nostra ci sono altre due camere. Tu e mia figlia prenderete quella più grande, mentre Davide l’altra», annunciò Rossella spazientita.          
Si era stancata della paura di Sergio e della volontà di assecondare ogni richiesta di Giulia.        
«Credo che non abbiate capito bene», cominciò quest’ultima contrariata «o mi date una camera tutta mia o me ne vado».
Il viso di Rossella divenne paonazzo per la rabbia e Sergio, sapendo che qualsiasi reazione sarebbe stata sbagliata, non disse nulla.          
«Quella a non aver capito sei tu, ragazzina. Questo non è un motel e non decidi tu dove o con chi dormire», cominciò a dire Rosella alzando di qualche tono la voce.       

Anche Davide si alterò e pochi attimi dopo si accese una forte lite tra lui, la sorella e la compagna del padre.   
Gli unici due a non dire nulla erano proprio Sergio ed Elisa.          
Sergio, consapevole di trovarsi in una situazione scomoda, non sapeva decidere da che parte stare; Elisa, troppo riservata per impromettersi, preferì uscire e liberare la sua testa da tante urla e offese.


Il tempo non era certamente dei migliori, ma il giubbotto che aveva afferrato prima di uscire di casa la riparò dal freddo che preannunciava un temporale.     
Seduta su una panchina, con la testa che poggiava mollemente sulle ginocchia raccolte al petto, Elisa si ritrovò a pensare a Davide e Giulia.    
Davide – doveva ammetterlo – era davvero un bel ragazzo.           
I lineamenti del suo viso ricordavano molto quelli di Sergio, ma il taglio degli occhi e il labbro superiore, leggermente più sottile di quello inferiore, lo rendevano più interessante e attraente ai suoi occhi.
Elisa amava le piccole imperfezioni delle persone perché erano quelle a renderle uniche. 
Era consapevole che nemmeno loro accettavano quella improvvisa convivenza, ma non per questo sarebbe stata più favorevole o avrebbe accettato tutto senza battere ciglio.   
Parole.
Le sue erano solo parole.       
Pensieri che avrebbe condiviso solo con Martina davanti a una coppa di gelato.   
Si sentiva colpevole del brutto periodo che aveva fatto passare alla madre e da allora non faceva altro che compiacerla in tutto.  
La farfalla tatuata sul suo polso era l’ultimo atto di ribellione che aveva fatto.     
Se da una parte rappresentava la libertà di scegliere, dall’altra era anche l’obbligo morale che aveva nei confronti di sua madre, la stessa che avrebbe rinunciato a tutto – persino alla possibilità di rifarsi una vita ed essere felice – per lei.           
Non ne poteva più delle offese gratuite di Giulia perché, anche se faceva finta di non accorgersene, anche se passava per quella tonta, la ferivano. 
Uscendo di casa nessuno, neppure sua madre, si era girato per chiederle dove stesse andando: tutti troppo occupati ad urlarsi contro.       
Non li stava accusando, ma ciò che più temeva si stava realizzando: Davide e Giulia si stavano impadronendo del suo posto e lei sarebbe diventata ogni giorno più invisibile.

 

«Papà, le permetti veramente di trattarmi in questo modo? Sono tua figlia, maledizione», urlò Giulia infastidita.
Era suo padre, diamine. Era obbligato a darle ragione.       
«Tesoro…».
Il pensiero di essere rifiutata ancora una volta le fece male, ma non smise di litigare con Rossella.
Persino Davide, che le stava dando ragione, preferiva non impromettersi troppo. 
Giulia odiava dover dividere suo padre con Rossella e avrebbe fatto di tutto per rendere la convivenza odiosa per tutti.   
«Basta!», sbottò Sergio quando la situazione divenne insostenibile.          
«Non ne posso più di voi due. Siete una peggio dell’altra», continuò adirato.      
Giulia si zittì subito. Era pur sempre suo padre e si ricordava bene che Sergio – solitamente calmo e pacifico – le si rivolgeva in quel modo solo quando era deluso e arrabbiato per il suo comportamento.
Rossella, però, per niente intimidita dalla prepotenza di Sergio, continuò a dirle che se voleva avere un posto in quella casa, avrebbe dovuto sottostare alle sue regole.        
«Rosella, io ti capisco, dico davvero», cominciò Davide spazientito. «Ma tu non sei nostra madre – non sei nemmeno sposata con papà – e non ti permetterò di alzare un’altra volta il tono con mia sorella».

La donna, passandosi una mano tra i capelli, si sedette sul divano. La testa le doleva talmente tanto da farle desistere dal rispondere al moro.         
Il picchiettio continuo che gli stivali di Giulia producevano a contatto con il parquet aumentò il suo mal di testa.           
Si stava comportando come una completa idiota e si stava anche dimostrando molto più immatura della diciasettenne. 
«Giulia, prima ho esagerato», le costò fatica ammetterlo, ma il sorriso che Sergio le rivolse la ripagò appieno.   
«Avrò una camera tutta mia?».         
«Ci penseremo», acconsentì. Il dolore era diventato insopportabile e avrebbe fatto di tutto per pochi attimi di tranquillità.    
«Vado a vedere come sta mia figlia».          
           

Controllò in tutta la casa, ma Elisa sembrava sparita nel nulla.       
Il panico si impossessò di lei, impedendole di pensare lucidamente.          
«Sergio», urlò dalla camera della figlia.       
L’uomo la raggiunse in pochi secondi. I figli, incuriositi, gli andarono subito dietro.       
«È scappata. Mia figlia è scappata», disse con la voce impasta dal pianto.

Alla morte di suo marito, Elisa era cambiata tantissimo e un giorno, dopo l’ennesima lite, era scappata di casa. 
Per due giorni la figlia si nascose a casa di Martina, la sua amica del cuore.                      
Quei due giorni furono i peggiori di tutta la sua vita. Si sentiva svuotata e la paura le impediva addirittura di piangere e di esternare il suo dolore.   
Il terzo giorno Elisa era ritornata chiedendole scusa.          
La esaminò per diversi minuti, ma oltra il polso destro fasciato, sembrò non avere altro.  
Dopo qualche giorno, un braccialetto di cuoio nero prese il posto della fasciatura.           
Aveva sempre finto di ignorare cosa ci si nascondesse sotto, ma la verità è che l’aveva sempre saputo.
Inizialmente l’aveva presa molto male, ma grazie a Sergio che aveva appoggiata la decisione di sua figlia, Rossella aveva capito che Elisa aveva fatto una scelta; una scelta sulla quale non poteva discutere.
«La ritroveremo», sussurrò l’uomo tentando inutilmente di calmarla.        
Le prese il viso tra le mani e, dopo averle dato un tenero bacio a stampo, giurò che avrebbe smosso mari e monti per trovare la ragazza.     
Si frequentavano da più di tre anni e aveva imparato ad amare Elisa come fosse sua figlia. La conosceva, sapeva che non avrebbe fatto nessuna sciocchezza, ma un genitore si preoccupa sempre, anche quando non serve.  
Davide, vedendo le premure del padre nei confronti di Rossella e l’evidente preoccupazione di entrambi, capì quanto la ragazza contasse per loro due.      
«Vado a cercarla. Magari ho fortuna», sussurrò.     
Agli occhi di Davide, Rossella era quella che aveva impedito qualsiasi possibilità di riappacificazione tra i suoi genitori, ma ora – con il mascara colato a causa delle lacrime e nascosta tra le braccia di Sergio – la vedeva come una persona debole e fragile.       
Anche se non era più in piena fase adolescenziale come la sorella, anche lui aveva visto in quella donna una minaccia; una fiera pronta ad attaccare da un momento all’altro.       
Rossella voleva chiamare i carabinieri e denunciarne la scomparsa ma Sergio, molto più ragionevole, le disse che non avrebbero preso in considerazione la denuncia dopo così poche ore.         
Giulia, l’unica ad aver sentito le parole del fratello, provava sollievo per la sparizione di Elisa.   
Sapeva che in poche ore l’avrebbe rivista varcare la porta di casa, ma il desiderio di non essere più quella messa da parte le offuscò la mente talmente tanto da desiderare che non ritornasse più.      

 

“Chissà se hanno notato che me ne sono andata”, pensò Elisa.      
Aveva abbandonato la sua fedele panchina già da una ventina di minuti, rifugiandosi nel bar sotto casa di Martina.           
Perché non andava direttamente dalla sua amica? Perché aveva bisogno di stare da sola e riflettere.
Martina, una ragazza tanto minuta quanto spavalda, teneva molto a lei, ma spesso cercava di imporle la sua opinione su qualsiasi argomento, come se sapesse cosa fosse meglio per lei e cosa invece l’avrebbe fatta soffrire.
La loro amicizia durava già da tredici anni e pur litigando spesso il loro legame non si era ma incrinato.
Era sempre stato così.

Una ragazza con i capelli talmente biondi da sembrarle bianchi le si era avvicinata e timida le aveva proposto di giocare insieme a lei. 
Con il tempo i capelli si erano scuriti fino a diventare un biondo cenere e la timidezza di tredici anni prima era stata sostituita da arroganza e spavalderia, ma la dolcezza che faceva sì che tutti l’amassero era sempre rimasta la stessa.

Delle piccole gocce di pioggia colpivano a ritmo regolare la grande vetrata del bar; si sentì fortunata di trovarsi al chiuso bevendo il cappuccino che ormai si era raffreddato.
«Ti porto altro, Elisa?», le domandò Fabio, il proprietario del locale.        
«Sto bene così. Aspetto che la pioggia finisca e poi vado da Martina», rispose sforzandosi di sorridere.
Fabio aveva una cinquantina d’anni, era vedovo e il suo unico figlio non si faceva vedere già da qualche anno.
Il suo bar, essendo frequentato maggiormente da ragazzi di età compresa fra i quattordici e in venticinque anni, proponeva ogni settimana attività come karaoke, bingo e anche qualche serata poker.
D’estate, insieme a Martina, gli dava una mano con l’impressionante mole di turisti che venivano a visitare la principale città d’arte dell’Italia.      
Abitare a Firenze certe volte era stancante, ma le bastava guardarsi attorno per capire quanto fosse fortunata a vivere circondata da tanta bellezza.

 

Quando quaranta minuti prima era uscito di casa, pur facendo freddo, non c’era alcun presagio di pioggia. E ora, mentre cercava di coprirsi meglio che poteva con il suo giubbotto di pelle nera, stava diluviando.
Appena vide il bar di Fabio tirò un sospiro di sollievo: avrebbe aspettato lì che terminasse di piovere.
Alla cassa c’era una ragazza che non aveva mai visto prima. Era carina e, se non fosse stato così incazzato per essersi bagnato, ci avrebbe provato sicuramente.    
«Ciao», disse avvicinandosi alla bionda.      
«Mi daresti un caffè?», chiese subito dopo. 
Pochi minuti dopo si stava passando disperatamente la mano tra i capelli per cercare di asciugarsi.
«Vai al bagno e tamponati i capelli con i fazzoletti di carta», le suggerì la bionda posando il caffè sul bancone di marmo.           
«Io sono Marta, piacere».     
«Davide».
«Io…». E ora perché diamine si sentiva in imbarazzo? Da quando bastava solo un gesto come quello per attirare la sua attenzione?          
«Vai pure».    
Il consiglio di Marta gli fu molto utile e, dopo aver finito la scorta di fazzoletti, finalmente i suoi ricci avevano riacquistato un aspetto decente.       

 

“Forse sarà meglio che chiami mamma, sarà preoccupata”. 
Dopo aver tranquillizzato la madre e averle detto che avrebbe passato la notte da Martina, finì di bere il cappuccino e si alzò per uscire.       
Non si era però accorta che qualcuno cercava di farsi spazio tra i tavoli e lei, spostando la sedia di lato, gliela aveva messa proprio difronte, provocando allo sconosciuto una rovinosa caduta.
«Oddio, mi scusi. Non volevo».       
«Elisa?». Lo sconosciuto non era più uno sconosciuto.       
«Ciao, Davide». Il finto sorriso che gli fece non convinse nessuno dei due, ma non ebbe nemmeno il tempo di provare a farne un altro che Davide le stava già urlando contro.    
«Ma sei scema? Tua madre è in pensiero per te. Come ti è saltato in mente di scappare di casa in questo modo? Chi credi di essere?». Il suo sopracciglio destro scattò in alto non appena aveva capito il senso delle parole del moro.           
Elisa era molto pacifica e non alzava mai la voce, ma non avrebbe permesso né a lui né a Giulia di prendersi gioco di lei e di urlarle contro a loro piacimento. Litigare non era nel suo carattere, ma in tredici anni di amicizia con Martina, aveva imparato a difendersi.

«Senti, fratellino», cominciò cercando di mantenere un tono di voce accettabile, «Chi ti credi tu di essere? Non sono Giulia. Ho diciannove anni e non mi faccio comandare da te. Alza un’altra volta la voce con me e ti giuro che convinco la mamma a buttarvi fuori di casa».          
Balle.
Non l’avrebbe mai fatto.       
Voleva troppo bene a Sergio per fargli prendere una decisione così dolorosa: i suoi figli o Rossella.
Davide non rispose, colpito dall’aggressività di Elisa.        
Mentre parlava aveva notato il tremolio nella sua voce e aveva capito che stava solo cercando di proteggersi.
«Scusa, ho esagerato», disse lui tentando di fare pace.
       
«Sai», continuò lui quando il silenzio divenne insostenibile, «mia sorella non è tanto male. Ha solo bisogno di accettare che papà si sia rifatto una vita».    
Elisa, benché desiderasse ardentemente ribattere, stette zitta.        
«Ha sofferto molto, devi capirla».    
Elisa ci provò a non dire nulla, si morse persino le labbra però, all’ennesima frase di compassione da parte di Davide, non riuscì a non dire la sua.   
«Ha sofferto molto? E perché mai? Ha una madre, un padre e un fratello. Dimmi: cosa le è mancato?».
Davide restò sorpreso e irritato dalla presa di posizione di Elisa, e questa volta non fece nulla per nasconderlo.
«Il divorzio dei genitori è doloroso: se non lo provi sulla tua pelle non puoi capire».        
I toni della discussione stavano diventando sempre più accesi, ma nessuno dei due aveva l’intenzione di lasciar perdere.          
«Non mi venire a parlare di sofferenza. Per quanto un divorzio possa fare male, non può nemmeno essere paragonato a quello che ho provato io». Gli occhi di Elisa si inumidirono, ma Davide era troppo immerso nell’imminente litigio per accorgersene.       
«Ti rendi conto che la stai facendo diventare una gara, sorellina?», cominciò alterato, stringendole con forza le spalle, «che ne sai tu di come è non poter contare sul proprio padre quando si ha un problema?».
«Hai ragione: che posso saperne io». Riuscì a liberarsi dalla presa del ragazzo e uscì dal bar diretta dall’unica persona che in quel momento le avrebbe potuto offrire un poco di confronto: Martina
.

Quando Davide rientrò in casa, la situazione non era cambiata di una virgola.      
La sorella era seduta imbronciata sul divano e suo padre con Rossella stavano litigando nell’angolo opposto.
Quando si accorsero di lui interruppero la discussione, pur non occultando la rabbia che stavano trattenendo a fatica.           
«Dove è Elisa? Nel messaggio mi avevi detto che l’avresti convinta a tornare a casa », disse Sergio preoccupato per l’assenza della ragazza.         
La domanda del padre lo infastidì e in un primo momento non volle rispondere: era Giulia sua figlia, non quella.

«Abbiamo litigato e non so dove sia andata», rispose seccato.       
Giulia, che aveva ascoltato tutta la conversazione, sorrise vittoriosa: Davide stava dalla sua parte, aveva un alleato.           
«A quanto pare non sono l’unica a fare i capricci». 
Rossella desiderò tanto rispondere per le rime a quella ragazzina, ma per l’amore che provava per Sergio, decise di passare nuovamente sopra la sua insolenza. 
«Giulia, potrei dormire io con te», propose Davide non appena Rossella lasciò la stanza.
Non voleva rinunciare a una camera tutta per sé, ma sapeva quanto poteva essere testarda la sorella.
«No!», proruppe Giulia.        
Sergio sospiro abbattuto.      
«Giulia, sei stata tu a scegliere di venire a vivere con me, perché ci rendi le cose così difficili?».
«Io vi rendo le cose difficili, papà?». Si alzò dal divano e con gli occhi pieni di lacrime si avvicinò al padre.     
«Sono io tua figlia, non Elisa. Però sembra che tu te ne sia dimenticato. Perché per una volta non sei dalla mia parte, perché non ti comporti da padre?».  
Sergio la strinse in un abbraccio, sussurrandole che avrebbe fatto qualsiasi cosa lei desiderasse.
Fu così che Rossella li ritrovò.          
«Siamo arrivati ad un accordo?», chiese speranzosa che il compagno le desse una risposta affermativa.
«Sì. Giulia avrà una stanza tutta per sé e Davide e Elisa divideranno la camera». 
«Cosa?», domandarono Davide e Rossella all’unisono.      
«Solo se Elisa sarà d’accordo», disse Sergio cercando di convincere la donna baciandole una guancia.
«Meglio parlarne domani, quando Elisa sarà presente».      
A Giulia quella manifestazione d’amore diede fastidio e bramosa di porgli fine il prima possibile, disse di voler andare nella sua nuova camera e cominciare a sistemare le sue cose.          
«Martina mi sta chiamando. Che Elisa non sia arrivata da lei?». Nuovamente sentì il cuore salirle in bocca e la paura impossessarsi di lei.   
Dopo una decina di minuti riattaccò. Il suo volto era distrutto dal dolore, ma i suoi occhi erano pieni di rabbia.            
«Mi ha detto che è arrivata da lei in condizioni pietose. Cosa le hai fatto, Davide?».       
Amava Sergio, ma non ci avrebbe pensato due volte a lasciarlo se di questo dipendeva la felicità della sua bambina.           
Davide non osò rispondere, dispiaciuto per la sua reazione esagerata.       
«Sua figlia ha offeso mia sorella e io l’ho difesa». Dispiaciuto, ma non pentito.   
«Conosco mia figlia, non l’avrebbe mai fatto. Ti conviene raccontarmi cosa le hai fatto, altrimenti il tuo alloggio in questa casa diverrà insopportabile». 
«Rossella», sbottò Sergio, sentendo riaffiorare la rabbia di prima. 
«Niente Rossella, Sergio. Mia figlia è in lacrime a casa della sua migliore amica e io devo saperne il perché».
«Le ho detto che non può permettersi di giudicare il comportamento di mia sorella perché Giulia ha sofferto molto durante il divorzio, e che lei non sa cosa significhi perdere il proprio padre».       
Gli occhi di Rossella, al sentire le parole del ragazzo, si riempirono di lacrime e in Davide sorse il dubbio di aver fatto una cavolata.  
«Io…». Si passò la mano sulla faccia, non sapendo bene cosa dire o fare. 
«Aiutami a rimediare», supplicò il padre quando un’arrabbiata Rossella uscì sbattendo la porta di casa.

Rilesse ancora e ancora quelle due pagine, scritte con una grafia abbastanza disordinata e frettolosa ma chiaramente femminile.

Ecco, ora si sentivo ancora più meschino, ma cosa poteva saperne lui della sua storia? Il padre, quelle poche volte che lo vedeva, non parlava mai della sua nuova famiglia, tantomeno dell’ex-marito della sua compagna.     
Ripose la lettera laddove l’aveva trovata, nascosta tra il libro di Chimica Organica e quello di Storia dell’Arte.
Davide era un tipo abbastanza curioso e, ora che avrebbe dovuto condividere la camera con lei, voleva saperne il più possibile, anche se per farlo doveva sbloccare un cassetto chiuso a chiave.

“Mi basterà chiedere scusa”, sussurrò al nulla. Disteso sul letto a una piazza e mezzo di Elisa, Davide strinse la morbida coperta, sperando che la ragazza decidesse di tornare il prima possibile, così da non sentire più il senso di colpa che lo tormentava.       

Mentre Davide curiosava tra le cose della ragazza, Elisa fissava intensamente la bellissima farfalla tatuata sul suo polso, un marchio indelebile che continuava a ricordarle il periodo di disperazione che aveva vissuto per anni. 
Le parole di Davide – anche se inconsapevoli e dettate dall’ira – l’avevano ferita e non sapeva se sarebbe riuscita a passarci sopra tanto facilmente.        
Avrebbe voluto avere la stessa natura impulsiva e polemica di Martina, ma non aveva saputo fare altro che asciugarsi frettolosamente le lacrime e scappare. Come una codarda. 
Si ritrovò a pensare a Nicola.
Il suo primo ragazzo, l’unico che avesse cercato di portare un po’ di vivacità e allegria nella sua vita.
Ma presto anche lui l’aveva abbandonata, stanco di non ricevere alcun segno di affetto, dopo pochi mesi aveva deciso di mettere fine a quella farsa.
Elisa non gliene faceva una colpa e, pur non vedendosi spesso, erano rimasti in buoni rapporti.  
Solo quando giunse ormai il tramonto, Elisa si rimise il braccialetto di cuoio nero e si avviò verso casa.

Uscita dal bar si era rifugiata tra le braccia dell’amica, ma le sue parole di conforto non bastavano più.
Elisa aveva bisogno di stare e decidere da sola, senza interferenze di alcun tipo.

Senza nemmeno accorgersi di star trattenendo il respiro, girò la chiave nella porta ed entrò in casa.
Nessuno si accorse di lei: Rossella sedeva scomposta sul divano e il compagno cercava inutilmente di tranquillizzarla, mentre Giulia era troppo presa dal telefono per accorgersi di quel che accadeva intorno a sé.      
Tuttavia le bastò schiarirsi di poco la voce, e tutti gli sguardi, improvvisamente, furono su di lei.
Giulia aveva posato il telefono sul mobile alla sua destra, sua madre aveva sciolto l’abbraccio e la testa di Davide sbucava dalla porta del bagno.         
In un altro momento forse avrebbe trovato la situazione divertente.          
«Scusa», sussurrò guardando i volti sconvolti  di Rossella e Sergio.          

§§§

«Perché? Perché dobbiamo fare solo come vuole lei, mamma? Né tu, Sergio, Davide e io siamo d’accordo con questa sistemazione, ma dobbiamo comunque farcela star bene solo per accontentare il capriccio di una ragazzina troppo viziata?», sussurrò Elisa.       
Chiuse in bagno da più di quindici minuti, Rossella e la figlia cercavano di arrivare a una soluzione che potesse stare essere adatta a tutti.  
«Ti prego, tesoro. Sai che se potessi la camera singola te la darei a te».     
«No, mamma!», cominciò Elisa esasperata. Il desiderio di alzare la voce e urlare tutto il suo scontento era grande, ma gridare non avrebbe di certo cambiato le cose.        
«Non si tratta di avere la camera. Giulia è solo una ragazzina che fa i capricci. Avete troppa paura delle sue minacce».       
«Provaci. Ti prego».  

 

 

 

Note:

Ok, lo sto veramente facendo… Ormai l’ho già fatto! Ed è veramente strano pubblicare questa storia visto che ho cominciato a scriverla un anno e mezzo fa. Non ho mai avuto il coraggio di pubblicare perché io non porto mai a termine una long, mi abbatto molto prima e perdo… la passione (?). Non posso dire se succederà anche questa volta, ma ho già otto capitoli scritti e almeno per qualche mese dovrei essere apposto. Non so perché sia attaccata a questa fanfiction più che alle altre, ma so che è così. Non sono mai stata brava con le note, e non lo sono stata nemmeno questa volta.
Grazie di cuore a tutte le persone che sono arrivate fino in fondo e un grazie particolare a HilaryC per il meraviglioso banner (purtroppo non sono ancora riuscita a trovare il suo profilo per taggarla) e a _Stranger_ perché mi sopporta da anni e perché è grazie anche a lei se ho scritto ben otto capitoli prima di pubblicare il primo.  E anche, soprattutto, perché mi ha scritto l’introduzione. Con le introduzioni faccio ancora più pena che che non le note…
Un bacio,
Alina_95

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


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Capitolo due

A

veva ceduto. Ancora una volta aveva preferito mettere davanti i desideri degli altri, ancora una volta aveva calpestato se stessa e il suo orgoglio.
Per cosa poi? Il sorriso vittorioso sul volto di Giulia? Quello di gratitudine e riconoscenza di sua madre?          
Uscite dal bagno, Rossella comunicò la notizia al resto della famiglia ed Elisa poté osservare –quasi come se fosse uno spettatore esterno –l’effetto che la sua decisione aveva prodotto sugli altri.  
Guardò Davide, ma il dispiacere che lesse sul suo volto le fece abbassare immediatamente gli occhi, incapace di sostenere quello sguardo che sembrava volesse scavarle dentro.    
Si sentiva tremendamente in colpa per come aveva trattato quella che –volente o nolente –non sarebbe stata più solo la figlia della compagna del padre, ma la sua nuova sorella acquisita.                    
E quando intravide –anche se solo per qualche secondo –il dolore che, ponendola in quella penosa situazione, tutti loro le stavano provocando, giurò che avrebbe fatto di tutto per far sparire quella costante patina di sofferenza che caratterizzava la ragazza.      
«Ho fame», annunciò Giulia prima di voltare le spalle a tutti ed entrare in cucina.           
Rossella sospirò e si impose di calmarsi –il desiderio di prendere quella ragazzina a male parole era tanto che le ci volle più di qualche secondo –e disse che appena Elisa si sarebbe fatta la doccia avrebbero cenato.       
La porta che collegava il soggiorno alla cucina era aperta e perciò la sedicenne non ebbe alcun problema a sentirla.           
«Ma io ho fame ora», esclamò alzando il tono di voce di qualche ottava.  
Sergio era consapevole che quella nel torto era sua figlia, sapeva che la ragazza stava facendo di tutto per non far funzionare quella convivenza già complicata di suo, ma era debole e aveva paura di perdere l’amore di quella che lui, nel suo amore di padre, vedeva ancora come la bambina che anni prima, appena lui rincasava, si appostava dietro la porta per accoglierlo con un bacio.   
«Elisa, ti dispiacerebbe fare la doccia dopo?», propose cercando di ignorare lo sguardo di rimprovero della compagna e quello di sorpresa del figlio.           
«Non preoccupatevi, non ho fame», rispose con le lacrime che, impertinenti, cominciarono a scenderle sui  zigomi ossuti senza che lei potesse fare nulla per fermarle. 
«Io…», provò a parlare quando vide la reazione, sicuramente tanto esagerata quanto comprensibile, di Elisa.   
«Grazie, papà», sussurrò Giulia con gratitudine avvicinandosi e baciandogli la guancia ruvida.  
“Come quando era piccola”, pensò.  
Sergio era combattuto; voleva bene ad Elisa, ma l’altra era sua figlia e la amava. 
Rossella non aveva distolto lo sguardo dalla figlia nemmeno per un attimo; e quando quella lasciò la stanza per dirigersi nella propria camera da letto, continuò a fissare il vuoto per qualche altro secondo.
«Non mangerò nemmeno io», pronunciò dura, severa, delusa…    
Quella sera i presenti a tavola furono tre: Sergio, Giulia e Davide. L’unica ad aver avuto appetito fu Giulia.

Elisa piangeva tra le braccia della madre, stringeva con forza la camicetta di lei come se fosse l’ultimo appiglio che la teneva attaccata alla vita.      
«Una parola, un gesto e tutto finisce», sussurrò baciando tra le lacrime i lisci capelli della figlia.
Elisa negò con la testa e, trattenendo a stento i singhiozzi, chiese scusa alla madre.         
«Mi dispiace», cominciò, asciugandosi con il pugno chiuso gli occhi. Azione inutile perché le lacrime vennero subito sostituite da altre, ma che le servì per darsi un certo contegno.      
«Mi dispiace di essere così. Scusa se sono sbagliata e non faccio altro che causarti problemi».    
Alle parole della figlia, Rosella non poté più controllarsi e le lacrime che prima le solcavano il volto ad intervalli irregolari, adesso si susseguivano veloci l’una all’altra; quasi come se si rincorressero in una gara senza vincitori né vinti.              
«Ascoltami bene», disse prendendo tra le mani il viso umidiccio e arrossato di Elisa, «tu sei la cosa più bella della mia vita, l’unica ad avermi dato la forza per continuare ad andare avanti quando tuo padre è morto, la sola persona al mondo per la quale vivo e per la quale smetterei all’istante di respirare se solo sapessi che questo ti gioverebbe. Io vivo per te, Elisa; non per Sergio, non per me. Se ho superato la morte dell’uomo che amavo è stato solo perché tu avevi bisogno di me, bambina mia». 
Le lacrime dell’una e dell’altra si confusero nell’oscurità della notte e persino Davide, accostato dietro la porta semiaperta, non poté fermare una lacrima che, solitaria, si infranse sulle labbra piene.      
Davide non aveva sentito il discorso per intero, ma quelle poche frasi, sussurrate tra un abbraccio ed una carezza, lo avevano scosso.         
Non poteva spiegarsi cosa lo spingesse a preoccuparsi tanto per Elisa, forse era il senso di colpa, forse voleva rimediare un poco al male che sua sorella –consapevole o no –le causava. 
Sergio, al buio e disteso sul letto quasi intatto, aspettava di veder da un momento all’altro la figura della donna amata che oltrepassava la soglia della porta e che gli sorrideva amorevolmente.   
Quella notte Rossella non ritornò a dormire in camera con il compagno.   
Intorno a mezzanotte, quando l’uomo era crollato già da una ventina di minuti, Davide entrò nella stanza; guardò il padre per qualche secondo, si tolse i pantaloni e la camicia e poi, scostate le coperte e infilatosi sotto, si addormentò.           
Giulia, anche lei sul letto, ascoltava la musica e sorrideva. Un sorriso amaro e gli occhi rossi e umidi.    
Voleva piangere. Lei, che all’apparenza non ne aveva motivo.       
Giulia, che non era cattiva.   
Forse un po’egoista e viziata.
Gelosa, impaziente e sfacciata.         
Ma non cattiva.

Elisa quella notte si addormentò con le carezze della madre, finalmente tranquilla e rilassata.     
Rossella non dormì. Cuore di mamma non conosce mai pace e, ascoltando il respiro regolare della figlia, si chiese dove avesse sbagliato.           
Perché, rifletté, doveva pur aver sbagliato in qualche cosa per spingere Elisa ad elaborare simili pensieri.
La guardò e sorrise.   
Un ricordo di tanti anni fa –quando suo marito era ancora vivo e la ragazza che ora stringeva tra le braccia aveva solo sei anni –le attraversò, fulmineo, la mente.  
Una piccola peste, nel mezzo della notte, aveva abbassato con lentezza e in silenzio la maniglia della porta e con altrettanta lentezza era entrata nel letto della madre che, istintivamente e senza nemmeno svegliarsi, la accolse tra le sue braccia.    
Desiderò di poter ritornare indietro nel tempo, di cambiare quel maledetto destino che aveva strappato la vita dell’uomo amato.


La mattina dopo gli unici ad essersi svegliati furono –ironia della sorte –soltanto i tre ragazzi.    
Seduti intorno al tavolo rotondo consumavano la colazione con lo sguardo rivolto verso la tazza di latte e cereali, ognuno con il timore di incontrare lo sguardo dell’altro.     
Elisa si vergognava per la scenata della sera prima, Davide non sapeva come comportarsi dopo aver sentito il commovente discorso madre-figlia, e Giulia avvertiva ancora i sensi di colpa che non le avevano dato pace per tutta la notte.          
Era domenica e nel tardo pomeriggio Davide sarebbe ritornato nell’appartamento che condivideva con alcuni amici, se così poteva definirli, dell’università.        
E se il giorno prima non vedeva l’ora che il fine settimana passasse il più velocemente possibile, adesso aveva paura di cosa sarebbe successo in sua assenza.                  
«Vedete di non ammazzarvi mentre non ci sono», cercò di smorzare la tensione.
Peccato che nessuna delle due ragazze avesse capito la sua intenzione, e quello che ricevette furono un “fanculo” sussurrato dalla sorella e un’occhiata infastidita da Elisa.   
Quando Sergio e Rossella entrarono in cucina niente era cambiato anzi, dopo la battuta incompresa di Davide, il silenzio era diventato ancora più tombale.   

Appena si fu svegliato, Sergio ebbe come primo pensiero Rossella e, immaginando che la donna fosse rimasta a dormire nella camera della figliastra, bussò con cautela alla porta di questa e, non udendo alcuna risposta, la aprì cercando di non fare alcun rumore.  
Elisa non era in camera e Rossella dormiva tranquilla abbracciata al cuscino.        
Passò qualche minuto a guardarla dormire, incapace di elaborare delle scuse capaci di convincere l’amata.
«Mi dispiace», cominciò sicuro di non essere sentito e scostandole una ciocca di capelli dagli occhi, « non è facile neppure per me e non so come agire».          
«Ci amiamo, e la faremo funzionare».          
Sergio, che non si aspettava risposta, trattenne a stento un sussulto di paura e sorrise pieno di gratitudine.


«Mamma, alle undici vado da Martina»       
«Esco anche io, papà, sono a pranzo dai genitori di Lorenzo», disse Giulia alzandosi di scatto dalla sedia appena si rese conto dell’ora: era la volta buona che il fidanzato si decidesse a lasciarla se arrivava in ritardo per l’ennesima volta.  
«Io mi sono portato dei libri dietro e vado a studiare in biblioteca. Non aspettatemi a pranzo», mugugnò Davide con la bocca piena di merendine al cioccolato.   
«Ma…».
«Che ne è stata della domenica in famiglia?», mormorò Sergio deluso; ma ormai in cucina non erano rimasti che lui e la compagna.  

Elisa si stava cambiando quando Davide bussò, chiedendo il permesso di entrare.           
«Aspetta due secondi», urlò la ragazza allacciandosi in fretta il laccetto del reggiseno e infilandosi veloce la maglietta che aveva appoggiato sul letto.     
«Entra».
Davide oltrepassò l’uscio con circospezione, quasi come se temesse che da un momento all’altro la sorellastra lo cacciasse.       
Il giorno prima ci aveva passato qualche ora in quella stanza ma adesso, con Elisa che si rassettava i capelli davanti allo specchio, non gli sembrava più la stessa.           
«Ieri ho lasciato il libro sulla scrivania».       
«Non devi giustificarti, questa è anche camera tua».          
Dal suo tono il riccio capì che la lite del giorno precedente non gli era ancora stata perdonata, non completamente.
«Già… Più tardi porterò la mia roba: l’ho lasciata nel garage».      
Non gli piaceva il silenzio, non che lo mettesse a disagio o altro, ma la sentiva come una mancanza di rispetto nei confronti del suo interlocutore e perciò, vedendo l’ostinazione dell’altra che non voleva parlargli, riempì il vuoto con osservazioni senza né capo né coda. 
Osservazioni che, tuttavia, strapparono un sorriso alla giovane che, nel frattempo, cercava una scusa plausibile per potere uscire dalla stanza senza risultare troppo maleducata o fredda.       
«Ieri ho detto un mucchio di sciocchezze, ma giuro che ti solito non sono così. Scusa».  
Ed Elisa lo perdonò, incapace di tenere il broncio a qualcuno tanto allegro e espansivo come Davide.   
«Non ti darò fastidio», ricominciò raggiungendo in un solo passo la porta e impedendo alla ragazza di uscire.  
«Allora spostati».      
«No! Mi devi ascoltare».      
«Sentiamo», si arrese incrociando le braccia al petto e fissandolo di traverso.       
«Dicevo: non ti darò fastidio, mi avrai tra i piedi solo il fine settimana e –a condizione che anche tu mi permetta di fare lo stesso –ti prometto che nel caso la notte russassi, sei autorizzata a svegliarmi con calci, pugni e schiaffi».           
«Hai finito?», chiese l’altra alzando gli occhi al cielo più divertita che infastidita.
«No».
Abbassandosi all’altezza di lei e lasciandole un bacio umido sulla guancia disse: «Ora ho finito».
E la lasciò lì, imbambolata e con il volto rosso per l’imbarazzo e la rabbia; l’aveva presa per i fondelli e lei non se ne era nemmeno accorta.

 

Diretto verso la biblioteca, Davide pensò alla conversazione avuta con Elisa e al bacio che l’aveva fatta infuriare tanto.  
Era un tipo molto allegro e vivace –contrariamente alla ragazza che sembrava avesse dimenticato come fosse ridere di cuore –e vedendola di fronte a lui, spazientita e con le guance gonfie per la stizza, non ci pensò più di due secondi prima di lasciare un bacio su quelle stesse guance che gli ispiravano tanta tenerezza.       
Il viaggio in moto era alquanto lungo e, quando le prime gocce di pioggia gli bagnarono il giubbotto, Davide capì che avrebbe fatto meglio a fermarsi; la sua ambita destinazione era ancora lontana, contrariamente alla pioggia che invece era sempre più imminente.    
Si fermò nello stesso bar in che il giorno prima fu testimone della sua lite con Elisa.        
Seduto ad uno dei tavolini all’interno, Davide ritornò con la memoria a quel freddo giorno di dicembre quando sua madre e suo padre gli annunciarono il loro divorzio.           
Marta, la cameriera che il giorno prima gli aveva consigliato di andare ad asciugarsi i capelli al bagno, interruppe il suo flusso di pensieri chiedendogli se volesse ordinare qualcosa.   
«Un caffè». Lo sguardo che le lanciò, seppure non se ne fosse nemmeno accorto, fece arrossire la ragazza che annuì imbarazzata.   
La osservò ritirarsi e quando la perse di vista rivolse lo sguardo al di là della grande vetrata del bar.
Firenze era piena di turisti e neppure la pioggia sembrava fermare la loro voglia di vedere le architetture gotiche che abbellivano la città.   
Il sole spuntava tra le nuvole grigie e cariche di acqua, cosa che non incoraggiò affatto Davide, il quale non aveva intenzione di bagnarsi ancora di più.
Si guardò intorno alla ricerca di un luogo tranquillo e appartato in cui poter studiare ma, non trovandolo, decise che avrebbe fatto meglio a ritornare a casa sua e provare  a studiare là.
Anche se, pensò non riuscendo a trattenere un sorriso divertito, quasi sicuramente anche il suo appartamento sarebbe stato inagibile. Essendo domenica mattina i suoi coinquilini stavano smaltendo i postumi della sbornia e di certo non si erano preoccupati di rimettere in ordine la casa.  
Questa volta con un sorriso pieno di amarezza, Davide realizzò che quella che lui chiamava casa non era altro che un piccolo appartamento nel centro di Firenze che condivideva con due compagni di facoltà che, a dire il vero, non gli stavano nemmeno tanto simpatici.    
«Ecco qui il tuo caffè», disse Marta posando la tazza sul tavolino. Le mani, così come la voce, le tremavano e le gambe sembravano non riuscire a sostenerne il peso.          
«Grazie». Ed ecco di nuovo quel sorriso, pensò.     
Marta non conosceva Davide di persona, ma l’aveva spesso visto al bar in compagnia dei suoi amici e aveva attirato la sua attenzione.       
Il giorno prima, quando l’aveva visto litigare con quella ragazza, pensò che i due stessero insieme e un senso di sconforto e amarezza la travolse.      
Se fosse stata più coraggiosa e meno imbranata probabilmente gli avrebbe chiesto il numero di telefono, oppure gli avrebbe scritto il suo sullo scontrino.
Vincendo la sua timidezza, Marta gli chiese se avesse chiarito le cose con la sua ragazza.
«La mia ragazza?». Davide non capiva di cosa stesse parlando ma invece di ignorarla –in fondo non era altro che una sconosciuta –la curiosità ebbe la meglio e le chiese spiegazioni.     
«Scusami… Io… Non volevo farmi gli affari tuoi». Si girò di scatto, troppo imbarazzata per sostenere lo sguardo ammaliante del suo interlocutore –si chiese se fosse consapevole del fascino che aveva –ma sfortunatamente andò a colpire il vassoio che un suo collega stava tenendo in equilibrio su una mano sola. Il vassoio cadde per terra riempiendo di cocci di vetro e liquido dal dubbio colore il pavimento.      
«Scusa». Gli occhi le si inumidirono. Voleva piangere, ma tutti gli occhi del locale erano puntati su di lei e non voleva rendersi ancora più ridicola.  
Davide sorrise con tenerezza e si piegò per aiutare i due a raccogliere i pezzi di vetro più grandi.
Le loro mani si toccarono ma, mentre la ragazza venne attraversata da un brivido quando la sua pelle venne a contatto con quella ambrata di lui, Davide non senti assolutamente niente.          


«Stai scherzando?», chiese stupita la bionda.          
Elisa non rispose.       
«Mi stai dicendo che tua madre ha accettato di farti condividere la stanza con un totale sconosciuto?». Non che la ragazza disapprovasse, aveva visto Davide e, seppur non fosse il suo tipo o le stesse particolarmente simpatico, non si sarebbe lamentata di condividere la stanza con lui: era piuttosto attraente.
«Sì…», sussurrò.       
«Oddio!», esclamò Martina saltellando per la stanza.         
«Calmati, Marti». I suoi tentativi erano inutili: l’altra la ignorava volutamente e non dava segno di volersi calmare.           
«Già che ci siamo, mi faresti copiare qualche versione di quelle che ci hanno dato per le vacanze?», domandò Elisa con un sorriso a trentadue denti.      
Martina smise di agitarsi e un poco imbronciata disse: «Tu sì che sai come smorzare il mio entusiasmo».
Elisa alzò gli occhi al cielo, si sedette alla scrivania e frugando tra i vari quaderni trovò finalmente quello che cercava.           
«Mentre tu copi, vado a chiedere a mamma se ci lascia i soldi».    
Come risposta ricevette solo uno sguardo interrogativo.     
«A pranzo siamo solo io e te, quindi dovremo uscire a comprarci qualcosa».        
«Che ne dici se vieni a mangiare da me? Mamma ne sarebbe contenta», domandò mentre continuava a copiare la prima versione.          
«E va bene».  
Si buttò sul letto e, a occhi chiusi, pensò all’anno scolastico che stava per cominciare.     
«Dici che quest’anno ci cambia qualche prof?», domandò aprendo gli occhi e puntandoli in quelli castani della sua migliore amica e osservandola furtivamente dopo che questa –avendole risposto con uno sbrigativo “Non lo so” –ritornò a copiare la versione. 
Elisa aveva la pelle leggermente abbronzata –contrariamente a lei che quando stava al sole più del dovuto la potevano tranquillamente scambiare per un’aragosta –i capelli castani, seppure leggermente schiariti per la lunga esposizione al sole, e gli occhi dello stesso colore.   
Fisicamente erano completamente diverse, caratterialmente invece –seppure all’apparenza non sembrava a causa dell’esuberanza di una e la timidezza dell’altra –erano abbastanza simili.  
«Ma tu le hai veramente fatte tutte?», chiese Elisa come se avesse ricevuto un’improvvisa illuminazione.
«Ma ti pare? Le ho copiate da internet».      
Elisa si alzò dalla scrivania e scostò le tende che le oscuravano la vista.


Sbuffò.
Stava continuando a piovere e non aveva intenzione di andare a casa con la pioggia.      
«Piove».
«E allora?».    
«Ci bagneremo», rispose con fare ovvio alzando gli occhi al cielo.
«Possiamo andare in macchina. Mamma mi ha lasciato le chiavi». 
«Io con te non ci salgo in macchina», replicò facendo finta di essere terrorizzata.
«Ma vaff…». 
«Scusami?». Sorrise all’espressione imbronciata di Martina.          
«Sappi che sono un’ottima guidatrice», affermò alzando il tono di qualche ottava.          
Elisa raggiunse l’amica sul letto e, mentre quella ancora ad occhi chiusi continuava a fingere di essere arrabbiata, si distese sulla schiena, osservando le pareti spoglie.  
La camera di Martina, contrariamente al suo carattere solare, era molto semplice ed essenziale.
Una scrivania all’angolo, proprio accanto alla finestra, era coperta di svariati libri, quaderni, evidenziatori e cose simili.
La parete adiacente era decorata da un unico grande comò bianco. Comò che Elisa odiava particolarmente –per quanto si possano odiare i mobili –e che aveva varie volte cercato di convincere l’amica per farlo cambiare; la sua attenzione si focalizzò sulle foto poste sopra a questo, rendendolo meno sgradito.          
Martina a due anni in braccio al padre che la cullava amorevolmente.       
Alla vista della foto successiva, Elisa non riuscì a trattenere una risata che, per quanto spontanea a assolutamente priva di malizia, sapeva avrebbe infastidito l’amica. Questa però non sembrò nemmeno accorgersene e l’altra –dopo aver tirato un sospiro di sollievo –riportò la propria attenzione su una piccola bambina bionda che sorrideva timida all’obbiettivo. Niente di strano senonché il sorriso della bambina era compromesso dalla mancanza di qualche dentino che la rendeva tanto buffa quando adorabile.        
Elisa adorava la fotografia: piccoli pezzi di vita racchiusi in qualcosa di tanto piccolo quanto duraturo come una foto.           
Ogni tanto, quanto la sua mancanza si faceva sentire più del solito, Elisa tirava fuori la scatola che teneva nascosta tra quelle delle scarpe nell’armadio, e guardava –talvolta anche per ore –le foto del padre.
Si somigliavano tanto: capelli, occhi, zigomi, portamento e anche alcuni gesti spontanei che non si accorgeva nemmeno di fare.      
“Chissà se anche Giulia e Davide hanno così tante cose in comune con il padre”, pensò quando il flusso dei pensieri aveva cominciato a vagare liberamente e casualmente.       
Fisicamente parlando si somigliavano molto, e se Giulia ad un’occhiata un po’ più apparente e superficiale aveva poco in comune con Sergio, Davide ne era la sua copia.     
Persa nelle sue riflessioni, quando il telefono squillò sobbalzò impaurita.  
Martina continuava a rimanere immobile –probabilmente si era addormentata –e non sembrava che il fastidioso bip la infastidisse.    
«Sì?», rispose.
«Volevo sapere se tornavi a casa, tesoro». La voce di sua madre era un poco strana, ma la figlia sembrò non accorgersene. 
«Sì, appena smette di piovere vengo con Marti. Donatella non è a casa e rimane con noi a pranzo».
Stanca per aver passato la notte insonne, Elisa si stese accanto a Martina e fu svegliata solo qualche ora dopo dall’insistente suono del telefono.    
«Pronto», rispose senza nemmeno aver controllato chi la stesse chiamando.         
«Dove siete? Ci stavamo preoccupando». Le servì qualche minuto prima di rendersi conto con chi stesse parlando e cosa le stavano dicendo.       
«Ci siamo addormentate, Sergio. Arriviamo subito».          
Tentò in tutti i modi di svegliare Martina. La chiamò. La scrollò. Le fece il solletico.      
Solo quando ormai spazientita rinunciò nell’impresa, Martina si guardò intorno confusa e –senza trattenere lo sbadiglio o almeno mettere la mano davanti alla bocca –le chiese perché stesse facendo così tanto chiasso.       
«Perché sono quasi le due e mamma ci aspetta», rispose mentre si passava le mani su vestiti per cercare di renderli il meno possibile spiegazzati.   
Martina annuì e, indossate le scarpe e prese le chiavi, disse di essere pronta.        
«Passiamo prima da Fabio? Devo lasciargli un biglietto da parte di mamma».      
«Certo».

Per quel giorno Davide aveva rinunciato a studiare e, sentendosi in colpa per il disastro combinato da Marta per colpa sua, decise di rimanere a farle compagnia.     
Marta non era quel tipo di ragazza che attirava la sua attenzione, ma in quelle poche ore aveva acquistato un qualche fascino che la rendeva interessante ai suoi occhi.    
Continuando a parlare con lei di architettura, aveva scoperto che la ragazza aveva abbandonato gli studi per un anno a causa di motivi economici ma che era pronta a ricominciarli ad ottobre, non si accorse nemmeno di Elisa e Martina che erano appena entrate nel bar.      
Elisa invece lo notò subito. Appena posò gli occhi su di lui sentì il viso prenderle fuoco a causa del ricordo del bacio che le aveva dato quella mattina.      
“Sulla guancia”, continuava a ripetersi mentalmente.          
Guancia o non guancia, non si sentiva ancora pronta ad affrontarlo e non desiderava altro che ritornare al sicuro nel abitacolo della macchina.      
Martina non era però del suo stesso avviso – va anche detto che lei non sapeva ancora niente dell’innocente bacetto – e appena vide Davide gli andò in contro.     
«Ciao, fratellastro della mia migliore amica».          
Davide alzò gli occhi, interrompendo il contatto visivo con Marta, verso quella strana ragazza che gli parlava. In un primo momento non la riconobbe, ma quando vide Elisa che le si accostò, il suo viso cominciò ad essere associato ad un nome e quel nome a una grande antipatia.          
«Ciao, migliore amica della mia sorellastra».           
L’antipatia ovviamente era ricambiata.         
«Che stai facendo, Marti?», le sussurrò all’orecchio dopo aver pronunciato un quasi impercettibile “Ciao” che sia Marta che Davide fecero fatica a sentire.     
«Niente. Volevo solo salutare».        
“E dirgli che non osi prendersi gioco di te”. Ma questo non lo disse a voce alta. Davide non le era mai piaciuto tantissimo, e Giulia ancora meno. Non riusciva a spiegarsi perché ma qualcosa le diceva che non poteva fidarsi di lui.           
«Che ci fai qui?», domandò il moro alla sorellastra, ignorando volutamente Martina.      
«Marti doveva lasciare un biglietto a Fabio. Ora ce ne andiamo. Scusate se vi abbiamo interrotti. Io non volevo nemmeno venire a salutarvi. Non per essere maleducata! E che… insomma. Avete capito, no?». Davide voleva rispondere che no, non aveva capito assolutamente niente; ma Marta lo precedette e le disse che non doveva affatto preoccuparsi.  
Il ragazzo le aveva spiegato che Elisa era sua sorella – più o meno – e questo era bastato a far sparire qualsiasi sentimento di gelosia avesse precedentemente provato nei suoi confronti.
«Aspetta», disse prendendola per il polso quando si girò per andarsene.   
Il gesto non passò inosservato a né a Martina né a Marta, e tantomeno ad Elisa che si sentì le guance andare a fuoco.           
«Vengo con voi. Sono in moto e», guardò oltre la parete di vetro, «non penso abbia intenzione di smettere».
Guardò Martina chiedendole, con quel gioco di sguardi che solo a persone che conoscono tutto l’una dell’altra può essere comprensibile, come rispondere.        
«Va bene». Martina fissò Marta mentre lo diceva.  
Quella ragazza non le piaceva. E non le piaceva il modo in cui guardava la mano di Davide che ancora stringeva il polso della sorella.     
“Sorellastra”, si corresse mentalmente.         
«Ciao, Marti, ci si sente». Le strizzò l’occhio e la ragazza avvampò, incapace di fare nulla per poterlo nascondere.           

Quella era la sua casa. Quella era la sua famiglia. E allora perché si sentiva comunque un estraneo? Perché Martina sapeva esattamente dove si trovavano le posate mentre lui ancora faticava a ricordare dietro a quale porta si trovasse il bagno?        
Suo padre amava Rossella. Lo poteva vedere nei suoi occhi quando, pensando di non essere osservato, la guardava con ammirazione; quando le sue dita toccavano quelle di lei in un gesto involontario eppure necessario.            
Si chiese se per sua madre aveva provato lo stesso tipo di amore.  
Probabilmente no, altrimenti non l’avrebbe lasciata.
Si chiese se anche lui un giorno avrebbe provato lo stesso amore che legava i due.           
Seduti introno alla tavola rotonda – Giulia era l’unica assente ma il suo posto fu occupato da Martina – si domandò come una persona timida come Elisa potesse essere amica di una tanto sfacciata quanto la bionda.        
Mentre Davide era perso nei suoi pensieri, tanto che nemmeno sentì Rossella che gli chiese se volesse il secondo, Martina lo osservava di sfuggita.      
Oggettivamente era un bel ragazzo – questo non lo rendeva meno detestabile ma forse più facile da sopportare – e sembrava non accorgersene nemmeno.         
Ma era veramente così ingenuo? Veramente non aveva visto lo sguardo anelante della cameriera? E l’imbarazzo di Elisa? 
Lo odiava perché era stupido e non si accorgeva di quanto le sue parole taglienti del giorno prima avevano ferito la sua amica.      
Elisa si era fatta di corsa i pochi metri che separavano il bar di Fabio da casa sua e, arrivata alla porta d’ingresso, la investì in uno stretto abbraccio, desiderosa di conforto.     
E lei non ci aveva pensato nemmeno un secondo prima di stringerla a sua volta e sussurrarle che tutto sarebbe andato per il meglio.  
Era un po’protettiva con la sua migliore amica, ma aveva paura che quella ritornasse nello stesso stato di apatia – da cui ancora tentava di uscirne e forse non ci sarebbe mai riuscita del tutto – che la travolse alla morte del padre.
Lo odiava ma al tempo stesso avrebbe voluto ringraziarlo perché era stato grazie a lui che Elisa aveva fatto trapelare un poco della ragazza che era sei anni fa: coraggiosa, con la replica sempre pronta e sfacciata.    
Quando Elisa aveva cominciato a cambiare lo stesso fece anche lei. Aveva smesso di essere la ragazza un po’egoista che richiedeva l’attenzione incondizionata dell’altra. Era diventa più forte, capace di sopportare il silenzio della sua migliore amica e la sua indifferenza. Rispondeva a tono a tutti quelli che guardavano con diffidenza la nuova Elisa.            
Gli occhi scuri di Davide le fecero venire in mente quelli verdi, da felino, di Nicola. Un sorriso divertito le  illuminò il volto ritornandole alla memoria quando, con dei miseri pantaloncini corti e una canottiera, era uscita di casa in piena notte per chiedergli spiegazioni. A mente fredda non dava la colpa a Nicola per quello che era successo, in fondo un peso tale è troppo difficile da sopportare per un ragazzo di soli quindici anni, ma quando la sua amica la chiamò in lacrime per dirle che questi l’aveva lasciata, non ci aveva pensato. 
“Forse”, rifletté “ è stato meglio così”.

 

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