Better than words

di Em_
(/viewuser.php?uid=175526)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Thank you ***
Capitolo 3: *** Is he okay? ***
Capitolo 4: *** I trust you ***
Capitolo 5: *** Strange feelings ***
Capitolo 6: *** Are you doing this for me? ***
Capitolo 7: *** He kissed me ***
Capitolo 8: *** I thought I had lost you ***
Capitolo 9: *** It's just a little crush ***
Capitolo 10: *** First date ***
Capitolo 11: *** Stay ***
Capitolo 12: *** I look at you, you look at me ***
Capitolo 13: *** What is happening? ***
Capitolo 14: *** You have to die ***
Capitolo 15: *** I'm not going anywhere, Felicity ***
Capitolo 16: *** This is what I see, Oliver ***
Capitolo 17: *** I'm happy to be here ***
Capitolo 18: *** Together ***
Capitolo 19: *** You're the hero ***
Capitolo 20: *** Jealousy ***
Capitolo 21: *** Never felt like that before ***
Capitolo 22: *** Surprises ***
Capitolo 23: *** Where are we going? ***
Capitolo 24: *** The call ***
Capitolo 25: *** We have a whole life ahead ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo. 





Felicity
Mi ero alzata dal letto controvoglia, ieri sera la mia coinquilina ed io avevamo fatto le ore piccole per festeggiare una buona giornata di lavoro, ma non c’eravamo rese conto che alle tre di mattina eravamo ancora al locale a ridere come delle idiote. L’orologio segnava le 7.00 ma la sveglia aveva già suonato da un quarto d’ora, sicuramente avevo delle occhiaie spaventose, l’ultima volta che avevo dormito così poco probabilmente erano i tempi del college.
«Felicity! Sbrigati!» sentii Caitlin urlare dalla cucina. Lei era una persona mattiniera al contrario della sottoscritta.
A fatica mi trascinai di là e mi sedetti a tavola ancora con indosso il pigiama, dovevo bere il mio caffè quotidiano o non mi sarei mai più svegliata. Fortunatamente ci aveva già pensato Caitlin, mi porse il liquido caldo e già zuccherato ed io la ringraziai con un cenno del capo. Un giorno o l’altro l’avrei fatta santa, era un’amica eccezionale.
«Per fortuna che non usciamo a festeggiare spesso o dovresti andare in letargo per recuperare!» mi prese in giro notando che per poco non mi addormentavo sul tavolo.
«Cait, lo sai che non sono una ragazza festaiola, ho i miei ritmi.» risposi addentando un biscotto.
«Sì, i ritmi di una novantenne!» continuò ridacchiando.
«Ti odio.» ribattei sorridendo.
Mi ero divertita parecchio la sera precedente solo che facevo fatica a recuperare la mattina dopo e con il lavoro che facevo non potevo permettermi errori. Essere un medico, un chirurgo precisamente, ti dava grosse responsabilità e dovevo sempre essere preparata ad ogni tipo di emergenza. 
Nonostante tutto dopo la mia dose di caffeina mi sentivo meglio, speravo di arrivare in ospedale e trovare una situazione tranquilla ma essendo a New York non si poteva mai sapere cosa ti capitava sotto mano. Caitlin ed io uscimmo insieme dal nostro appartamento e decidemmo che per oggi era meglio se guidava lei, io dovevo ancora svegliarmi del tutto. Non appena misi piede all’interno dell’ospedale notai subito che c’era qualcosa di strano, c’erano degli agenti di polizia davanti a due stanze del pronto soccorso e il che non era di certo normale. Sia Caitlin che io fummo chiamate dal primario che ci assegnò i due pazienti in quelle stanze protette, non sapevo se fossero poliziotti o criminali, ma speravo vivamente la prima opzione. Annuimmo entrambe senza obiettare e giurammo di non diffondere alcuna notizia a meno che non fosse strettamente necessario.
Non ero tranquilla all’idea che lì dentro potesse esserci un assassino pericoloso o chissà che altro genere di persona, ma curare la gente era il mio lavoro e se il primario richiedeva la mia presenza certamente non potevo controbattere. Mostrai il cartellino ai due uomini di guardia e mi diedero il via libera ad entrare, aprii la porta e all’interno vidi un uomo, era chiaramente ferito e malconcio ma non in pericolo di vita. Mi avvicinai per esaminarlo notando una ferita d’arma da fuoco al torace, il proiettile era già stato estratto fortunatamente, aveva solamente bisogno di una buona medicazione e di antibiotici.
«Non mi avevano detto che le dottoresse a New York erano così belle.» disse l’uomo facendomi sussultare e le bende che avevo in mano mi caddero a terra facendolo ridere «Mi scusi, non volevo spaventarla.» aggiunse poi.
«Non… Non si preoccupi… Come si sente piuttosto?» chiesi ignorando la sua prima affermazione.
«Sono stato peggio.» rispose mentre iniziavo a pulirgli per bene la ferita.
«Deduco quindi che lei sia un poliziotto.» dissi, non sapendo esattamente perché.
«Cosa glielo fa credere? Potrei essere un serial killer.» ribatté lui.
«Istinto, non lo so.» affermai senza guardarlo.
«Mi chiamo Oliver comunque.» si presentò.
«Felicity.» risposi a mia volta.
«Sopporta bene il dolore, non ha battuto ciglio.» gli feci notare. Non lo avevo neanche sedato eppure non aveva mosso un dito mentre lo medicavo.
«Mi dia del tu, la prego.» esclamò facendomi arrossire, guardandolo bene era davvero un bell’uomo «È solo che ci sono abituato, tutto qua dottoressa.»
«Beh suppongo che prendersi un proiettile non sia piacevole, Oliver
«Non lo è.» ridacchiò «Ma con il lavoro che faccio è una cosa all’ordine del giorno.»
«Quindi avevo ragione, sei un poliziotto.» dissi soddisfatta «Ah, e puoi darmi del tu, lasciamo perdere le formalità.»
«Sai mantenere un segreto, Felicity?» mi domandò spiazzandomi. La mia mente cominciò a viaggiare senza capire quale fosse la meta e lo fissai con un misto di curiosità e paura.
«Certo.» confermai dopo qualche istante.
«Non sono un poliziotto, sono un agente speciale del FBI.» esclamò lasciandomi letteralmente a bocca aperta.
Rimasi imbambolata ad osservarlo mentre lui aggrottava le sopracciglia non capendo esattamente perché stessi reagendo così, infondo mica mi aveva confessato di essere un malvivente, anzi era esattamente l’opposto! O forse mentiva solamente per farsi figo…
«Se non mi credi c’è il mio tesserino tra i miei effetti personali laggiù.» aggiunse indicando il carrello infondo alla stanza con tutta la sua roba. Sembrava mi leggesse nel pensiero!
«No, no, ti credo!» mi difesi con un tono di voce fin troppo squillante «Comunque ho finito, ti terremo in osservazione almeno per una notte, vorrei evitare infezioni varie, sai com’è.»
«D’accordo, grazie. Ah, non è che potresti informarti su come stanno gli altri della mia squadra? Dopo che mi hanno sparato ho perso i sensi e non ho idea di come stiano.» 
«Sì, non c’è problema. Tornerò ad aggiornarti non appena so qualcosa, rimettiti presto Oliver.» gli sorrisi.
«Spero non così presto, mi piace averti intorno.» lo sentii sussurrare mentre uscivo. Mio dio, stavo arrossendo come una ragazzina senza rendermene conto!
Stavo chiudendo la porta quando qualcuno mi venne a sbattere addosso facendomi cadere tutti i fogli con le analisi del sangue di Oliver. Mi abbassai subito a raccogliere, non era il caso che altri vedessero cosa c’era all’interno visto che il primario si era raccomandato di tenere la cosa privata.
«Mi dispiace tantissimo! È tutto okay?» mi chiese una voce femminile.
«Oh, sì. Ero distratta, non è colpa sua.» risposi alzando la testa per vedere chi fosse. Era una ragazza alta circa quanto me, bionda, con un fisico pazzesco e per giunta bellissima.
«Sono Sara Lance, agente speciale Sara Lance a dirla tutta, stavo cercando Oliver Queen… Lui è un mio amico e collega, gli hanno sparato ma nessuno sa nulla, può aiutarmi?»
Ecco chi era, una della squadra di Oliver, era nel FBI pure lei? Non l’avrei mai detto vedendola così su due piedi, anzi credevo fosse una qualche sorta di amica o fidanzata. Questa giornata si stava facendo sempre più strana ed intrigante, era la prima volta che avevo in cura degli agenti così importanti e per fortuna potevo dare buone notizie riguardo Oliver.
«L’ho appena visitato e medicato, sta bene, si rimetterà presto. Lo terremo una notte in osservazione ma domani potrà uscire tranquillamente, se vuole può entrare e salutarlo.» le spiegai.
«Grazie al cielo, quell’idiota deve sempre fare di testa sua, prima o poi si farà ammazzare! La ringrazio dottoressa…?»
«Smoak, Felicity Smoak, piacere.» risposi porgendole la mano.
«Piacere mio!» disse stringendo anche lei la mia mano «Non è che per caso ha notizie dell’agente Merlyn? È anche lui nella nostra squadra ed è rimasto ferito.»
«Oli… Il signor Queen mi ha chiesto le stesse cose, mi informerò con la mia collega e tornerò prima che posso.»
«Grazie ancora, davvero!» esclamò riconoscente.
Mi incamminai lungo il corridoio in cerca di Caitlin, ero più che sicura che avessero affidato a lei l’altro collega di Oliver e Sara. Mi ci volle poco per individuare l’altra porta sorvegliata e mentre raggiungevo la stanza vidi la mia amica uscire, le corsi incontro e la presi sotto braccio così che potessimo parlare in privato. Ci chiudemmo in una delle stanzette dove tenevano bende, camici, cerotti e cose del genere, era meglio mantenere le distanze dagli altri medici o saremmo finite nei guai (probabilmente non solo con il nostro capo).
«Oh mio dio Felicity! Agenti federali! Ti rendi conto?» iniziò Cait tutta eccitata.
«Sono persone normali, non gasarti troppo.» le risposi cercando di mantenere una certa professionalità.
«Oh avanti, non lo pensi nemmeno tu! Com’è messo il tuo paziente?»
«Uhm, sta bene, credo gli abbiano estratto il proiettile mentre era chissà dove, l’ho medicato e basta.» affermai alzando le spalle.
«Ti è andata piuttosto bene, strano che abbiano voluto proprio un chirurgo… Ah, il mio ha una commozione cerebrale e qualche costola rotta, devo fare una TAC di controllo ma penso si rimetterà.»
«Oliver… Cioè, il mio paziente mi ha chiesto di riferirgli come stavano quelli della sua squadra, quindi posso dirgli che guarirà?» chiesi pregando che Caitlin non si accorgesse che l’avevo chiamato per nome.
«Avete fatto amicizia eh…» disse maliziosamente.
«Smettila Cait, si è solo presentato.» alzai gli occhi al cielo.
«Sì, sì come no! Va’ pure ad aggiornarlo, almeno hai una scusa per vederlo.» continuò ricevendo da parte mia un’occhiata fulminante.
Tutto sommato però aveva ragione, avevo voglia di rivederlo.






Angolo autrice
Sono tornata in questa sezione con questo grosso esperimento che non so ancora dove finirà ahah xD ho notato che non ci sono molte AU quindi perchè non aggiungerne una? La mia è proprio fuori dal mondo di Arrow, ho preso solo i personaggi (perchè come vedete Oliver è un agente e Fel un medico). 
Beh, intanto ho pubblicato il prologo e in base ai vostri commenti vedrò se continuare o meno, spero vi piaccia l'idea perchè io ne ho un sacco in mente e mi piacerebbe portarla a termine :)
Ultima cosa, qui ci saranno quasi tutti i personaggi, come avete visto ci sono Tommy, Sara, Dig e persino Caitlin Snow (di The Flash per chi non lo sapesse), poi ovviamente verranno fuori anche Thea, Laurel ed altri. (Mi mancavano troppo Tommy e Sara T.T). E come avrete notato la storia è ambientata a New York!
Il rating potrebbe variare, non so ancora, intanto ho messo quello arancione perchè più avanti ci saranno delle tematiche un po' "forti".

Okay, ho finito o i miei commenti vengono più lunghi del capitolo :') mi raccomando lasciatemi una recensione così capisco se la mia folle idea è piaciuta a qualcuno!

Un bacio e spero a presto!
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Thank you ***


Chapter one - Thank you





Oliver
Mi ero fatto sparare come un coglione, perché diamine non avevo indossato il giubbotto antiproiettile? Mi sarei beccato una ramanzina bella e buona dal mio capo e non sarebbe stato per nulla piacevole, nonostante avessimo un ottimo rapporto d’amicizia quando si trattava di regole e sicurezza John Diggle non ammetteva errori. Non avevo pianificato di farmi sparare ovviamente, avevo solamente agito d’istinto per salvare due giovani donne. Prima di perdere i sensi le avevo viste correre fuori da quella casa e qualche istante dopo era arrivata Sara a soccorrermi mentre con la coda dell’occhio avevo notato Tommy inseguire il killer, poi il buio. Mi ero risvegliato in ospedale, sanguinavo ma il proiettile non c’era più, sicuramente John me lo aveva estratto sul campo, era l’unico con delle competenze mediche e probabilmente aveva ritenuto opportuno tirare fuori dal mio corpo quel dannato proiettile.
«Dio, Oliver! Pensavo fossi morto!» sentii una voce decisamente familiare urlarmi contro.
«Sto bene, Sara. Ci vuole più di così per togliermi di mezzo.» le risposi.
«Idiota.» disse sedendosi accanto a me sul letto.
«Risparmiati la predica, ci penserà Dig a farmela.» ribattei.
«Per poco non facevi ammazzare anche Tommy! Possibile che non potevi aspettare i rinforzi?» 
«Aspetta, cosa? Tommy è qui? Sta bene?» chiesi in preda ad un attacco isterico. Non avevo idea che quell’uomo avesse ferito anche lui, credevo l’avessero arrestato.
«Non so niente, ho chiesto alla tua dottoressa di informarsi, dovrebbe tornare a breve.» rispose Sara sospirando.
«Ora mi sento veramente un cretino, dio, spero stia bene.» affermai passandomi una mano tra i capelli.
«È un osso duro, proprio come te. Andrà tutto bene.» mi disse abbracciandomi.
Sara era ormai da anni la migliore amica che avessi mai avuto, era una delle poche con cui non c’era mai stato niente e mai ci sarebbe stato. Ci eravamo conosciuti all’accademia del FBI due anni fa, lei mi aveva sempre dato del filo da torcere, era brava in tutto, intelligente, simpatica e la maggior parte dei ragazzi le morivano dietro, ma tra noi c’era solo una grande amicizia nonostante mi fossi preso una bella cotta per lei durante i primi mesi. Da quando la conoscevo non aveva mai avuto storie, era abbastanza riservata riguardo se stessa, insomma tutto il contrario di me che le raccontavo ogni volta tutti i particolari delle mie avventure sessuali.
«Oliver, ho notizie del tuo collega… Oh mio dio, scusate! Avrei dovuto bussare… Pensavo fossi solo, mi dispiace!» balbettò Felicity vedendo me e Sara abbracciati. Era così tenera, non sapevo perché mi attirasse tanto, forse per il suo modo impacciato di fare, o forse per i due bellissimi occhi che nascondeva sotto gli occhiali.
«Non preoccuparti, Sara è solo passata ad assicurarsi che non fossi morto.» le risposi sorridendo.
«Stavi dicendo che avevi notizie di Tommy?» chiese poi Sara.
«Oh, sì. Deve fare una TAC di controllo ma non è niente di grave, ha un paio di costole rotte però tutto sommato sta bene.» ci rassicurò lei.
«Per fortuna! Devo sempre salvare il culo ad entrambi.» mi rimproverò Sara «Ora se non ti dispiace vado ad urlare contro pure a lui.» mi dissi salutandomi con un bacio sulla guancia.
Rimasi da solo con Felicity che ancora sembrava scossa ad aver visto me e Sara abbracciati, chissà a che cosa stava pensando, avrei davvero voluto sapere cosa le passava per la testa. Lei alzò lo sguardo e lo puntò dritto sui miei occhi, mi sentivo un ragazzino del liceo alle prime armi, lei era un medico ed io non sapevo che dirle, volevo solo che rimanesse.
«Passerò più tardi a controllarti, d’accordo?» esclamò portando lo sguardo sulla cartella clinica che aveva in mano.
«No, aspetta!» la chiamai prima che potesse uscire.
«Va tutto bene?» domandò avvicinandosi.
«Sì, volevo solo… Chiacchierare.» risposi non trovando una scusa migliore. Da quando ero così imbranato con le donne? Solitamente cadevano tutte ai miei piedi senza problemi.
«Oliver, non credo sia il caso.» affermò rattristandomi.
«E perché?» chiesi osservandola.
«Io sto lavorando e tu sei un paziente.» 
«Ma sono un paziente speciale.» 
«Davvero, non posso. Ho un intervento tra mezz’ora, devo prepararmi.» continuò.
«Ed io che credevo di averti già inquadrata, non pensavo fossi addirittura un chirurgo.» replicai. Le mie doti di profiler con lei non servivano a molto ed ero ancora più attratto da tutto questo mistero. Ero abituato a persone che decifravo in cinque minuti e mi andava bene così, non volevo storie serie visto il lavoro che facevo, ma Felicity era diversa. L’avevo conosciuta da qualche ora eppure non volevo che se ne andasse da questa stanza.
«Sì, ho da poco superato l’esame dell’ultimo anno.» aggiunse arrossendo lievemente.
«Beh, congratulazioni. Spero verrai a visitarmi di nuovo i punti tirano parecchio, avrò bisogno di un monitoraggio costante.» dissi maliziosamente. Ero curioso di vedere come avrebbe reagito a delle potenziali avance.
«Sono cose che un’infermiera potrebbe benissimo fare da sola, sai, sono molto brave anche loro.» rispose ignorandomi.
«E se la mia fosse solo una scusa per vederti, accetteresti?» le domandai esponendomi un po’ di più.
Lei rimase a bocca aperta, poi si voltò e uscì dalla stanza senza dire assolutamente nulla. Avrei dovuto starmene zitto, ecco.

Felicity
Ero corsa fuori dalla stanza come una bambina di cinque anni, cosa mi prendeva? Non potevo semplicemente rispondere ad Oliver? Non era di certo la prima volta che un paziente ci provava con me eppure non mi era mai capitato di sentirmi così. Mi sentivo una sciocca, avrei dovuto dirgli che desideravo solo un normale rapporto medico/paziente, ma non l’avevo fatto. Passai velocemente in mensa per mangiare qualcosa prima dell’intervento, speravo di non combinare casini perché ero distratta o me ne sarei pentita per sempre. Mentre addentavo il mio muffin al cioccolato vidi arrivare Caitlin, volevo evitarla o mi avrebbe tempestata di domande a cui non volevo rispondere. Mi incamminai verso il reparto operatorio quando qualcuno mi bloccò per un braccio.
«Dove credi di scappare?» mi domandò la mia amica prima che potessi seminarla.
«Ho un intervento, Cait.»
«Sì, lo so. Ma nel frattempo puoi raccontarmi cos’è successo con il tuo amico agente federale.»
«Niente, l’ho solo informato sulle condizioni del suo collega.»
«Ed eravate soli?» ammiccò lei.
«No, c’era una sua amica.» risposi ripensando alla scena imbarazzante in cui mi ero trovata.
«Peccato, avresti potuto approfittarne! È sexy? Biondo? Moro? Occhi chiari o scuri? È gentile? Simpatico?» mi chiese a raffica facendomi inevitabilmente ridere.
«E poi? Vuoi anche l’indirizzo di casa, il codice fiscale e il conto bancario?» ribattei.
«Beh, non mi dispiacerebbe sai?» ridacchiò lei.
«Comunque, se ti dico due cose smetterai di tormentarmi?»
«Tre.»
«Okay, affare fatto. Mmm, vediamo… È biondo, occhi azzurri ed è un donnaiolo.»
«E da cosa l’hai capito?»
«Chiamalo sesto senso.» risposi alzando le spalle.
«È sexy almeno?»
«Ah, ah. Tre cose.» le ricordai.
«Non finisce qui, Smoak.» mi minacciò lasciandomi finalmente entrare in sala.
Sapevo bene che Caitlin non avrebbe mollato finché non le avessi raccontato ogni minimo particolare, anche se in realtà non c’era molto da dire. Sì, Oliver era un bel ragazzo, era simpatico e… Sexy, ma ciò non toglieva che ci conoscevamo da meno di dodici ore e di lui non sapevo niente. Cercai di distogliere i miei pensieri da lui per concentrarmi sul mio lavoro, fortunatamente era un intervento semplice, un’appendicectomia che al massimo in due ore l’avrei terminata. Avevo il pomeriggio libero dopo questa operazione e quasi mi sembrava un sogno, gli orari rispetto a quand’ero specializzanda s’erano dimezzati e questo significava che forse avrei potuto avere una qualche sorta di vita sociale. Conoscevo sì e no dieci persone al di fuori dell’ambito ospedaliero ed il che, mi rendevo conto, era molto triste.
Riuscii a terminare l’operazione in tempo da record, era andato tutto benissimo ed ero appena passata a controllare come stava la ragazza. Erano circa le tredici ed il mio turno era terminato, nonostante tutto ero reperibile e se si fosse verificata un’emergenza avrei dovuto correre in ospedale nuovamente. Passai in spogliatoio per cambiarmi e per riporre il camice quando il pensiero di Oliver mi invase ancora una volta la mente, ma perché continuavo ad avercelo in testa? Forse potevo andare a salutarlo prima di uscire, in fondo non avrei fatto male a nessuno. Mi infilai velocemente i jeans e il maglioncino color pesca e mi avviai verso la sua stanza. Questa volta decisi di bussare, non avevo intenzione di ritrovarmi di nuovo lui e la sua amica avvinghiati.
«Ciao, come ti senti? Sono passata a salutarti.» dissi avvicinandomi al suo letto.
«Wow, non ti avevo nemmeno riconosciuta! Stai molto bene così.» mi sorrise.
«Ti ringrazio.» arrossii per l’ennesima volta.
«Te ne vai?» mi domandò con un’aria delusa.
«Sì, ho finito per oggi. Ma se capita qualche disgrazia mi rivedrai in giro, sono reperibile.»
«Peccato, speravo di vederti ogni tanto durante la giornata.» rispose.
«Ci sarò domani mattina quando ti dimetteranno, promesso.» lo rassicurai.
«Non mi concedevo un giorno di vacanza da più di un anno.» 
«Stare in ospedale per te è essere in vacanza?» domandai aggrottando le sopracciglia.
«Sono sempre in giro per il Paese, vedo pochissimo la mia famiglia, non ci fermiamo quasi mai e starmene tranquillo per una giornata intera è strano ormai. Mi è andata bene tutto sommato no?»
«Sei stato fortunato, Oliver. Quel proiettile avrebbe potuto perforarti un polmone, il fegato o qualche altro organo essenziale.» gli feci notare.
«Ma non è successo, ed in più ho avuto la fortuna di trovare una dottoressa fantastica.»
«Non esagerare.» gli dissi sentendomi comunque lusingata.
Lo salutai con un sorriso e mi voltai per uscire «Felicity?» mi chiamò qualche istante dopo.
«Sì?» esclamai voltandomi.
«Grazie.» rispose.
«Per che cosa?» chiesi sorpresa.
«Per esserti presa cura di me.» affermò rivolgendomi un enorme sorriso.
Mamma mia, mi sentivo così impacciata con lui, con un semplice grazie mi aveva mandato il cuore in fibrillazione, mi tremavano le gambe e per fortuna che il turno era finito o avrei seriamente ucciso qualcuno oggi.
Tornai nel mio appartamento con un taxi e dopo una breve chiacchierata con mia madre decisi di mettermi finalmente in pari con le mie serie tv. Forse era anche per questo che avevo veramente poca vita sociale, a ventinove anni passavo ancora le serate davanti alla tv. Finora non avevo mai trovato nessuno per cui valesse la pena rinunciare a tutto, quindi non m’importava più di tanto. Ovviamente il mio pomeriggio da nerd non durò a lungo, circa due ore dopo il mio cerca persone squillò, mi alzai con calma e guardai cosa fosse, era un codice rosso che mi aveva mandato il primario in persona, si trattava di… Oliver.







Angolo autrice
A grande richiesta eccovi il primo vero capitolo! Sono davvero felicissima che il prologo sia piaciuto a così tante persone! *-*
Comunque, qui vediamo anche un POV Oliver dove scopriamo che lui e Sara sono migliori amici, ma niente di più! Quella che pensa male è Felicity quando entra nella stanza e li trova abbracciati ahahah :')
Diciamo che sia Oliver che Fel sono molto attratti l'uno dall'altra ma soprattutto Felicity cerca di mantenere le distanze visto che lui è suo paziente. Però mentre è a casa tranquilla viene richiamata dall'ospedale proprio perchè c'è un problema con... Oliver. Starà bene? Come si comporterà Felicity di fronte ad un'emergenza?

Vi ringrazio davvero per tutti gli inserimenti nelle seguite/preferite/ricordate e per le 16 recensioni, spero di vedere altrettanti pareri anche in questo capitolo! Mi raccomando ahah :)

Vi auguro buon natale in anticipo e mi raccomando non mangiate troppo... Scherzo xD

A presto!
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Is he okay? ***


Chapter two - Is he okay?





Felicity
Rimasi immobile con il cerca persone in mano, ero come pietrificata e non ne capivo il motivo, era una cosa pressoché normale ricevere una chiamata d’emergenza mentre ero reperibile e allora perché ero tanto sconvolta ed agitata? Conoscevo Oliver solamente da stamattina eppure era riuscito a farmi salire un’ansia assurda. Ero preoccupata per lui e la cosa non era affatto da me, io non mi facevo prendere dal panico di fronte ad un’emergenza, io reagivo e l’affrontavo al meglio, ma nonostante tutto quando avevo visto il suo nome nel display mi ero bloccata.
Scossi la testa e presi un respiro profondo, dovevo muovermi e tornare in ospedale al più presto perché Oliver aveva bisogno del mio aiuto. Fermai un taxi fuori dal mio appartamento e chiesi gentilmente al tassista di fare in fretta vista l’emergenza. L’ospedale fortunatamente distava pochissimo da casa mia e in quel momento ringraziai Caitlin per avermi convinta a prendere quell’appartamento alcuni mesi prima. Mi cambiai in fretta e furia legandomi i capelli in una coda mal fatta e corsi fino al quarto piano, non avevo tempo di aspettare l’ascensore. Quando entrai nella stanza mi si gelò il sangue, il ragazzo che avevo conosciuto qualche ora prima era steso sul letto pallido come un cadavere e con una maschera per l’ossigeno sulla bocca. 
«Che diavolo è successo?» chiesi agli specializzandi mentre mi avvicinavo ad Oliver per visitarlo.
«S-Stava bene… Ha iniziato a vomitare sangue… Non sapevamo che fare e l’abbiamo chiamata… N-Noi…» balbettò uno.
«Va bene, va bene. Ci penso io d’ora in poi, andate. Se ho bisogno vi chiamo.» tagliai corto mandandoli fuori tutti e due.
Iniziai a visitarlo accuratamente per capire dove fosse il problema, quando l’avevo lasciato stava benissimo quindi dovevo capire che cosa fosse successo in un paio d’ore. Lo auscultai con lo stetoscopio e il cuore sembrava apposto, il battito era debole ma non c’erano anomalie e anche i polmoni erano normali. Spostandogli la vestaglia da petto mi resi conto di come stavano realmente le cose, come diamine avevano fatto a non accorgersene quegli idioti dei miei specializzandi? C’era una massiccia emorragia che ruotava attorno al foro del proiettile. Avrebbe avuto bisogno di un intervento o sarebbe morto dissanguato nel giro di un’ora. Presi immediatamente il telefono che c’era nella stanza e chiamai per prenotare una sala operatoria, poi ritornai da lui notando che aveva aperto gli occhi.
Fece per togliersi la mascherina ma lo bloccai subito «No, questa devi tenerla. Hai una brutta emorragia e dovrò operarti il prima possibile, vedrai che dopo starai bene.» provai a dire per tranquillizzarlo.
Lui mi prese la mano e la strinse, rimasi sorpresa da quel gesto ma decisi di assecondarlo per farlo stare un po’ meglio «Non ti farò morire Oliver, sono brava nel mio lavoro e ti posso promettere che farò del mio meglio.»
Si portò nuovamente la mano alla bocca per togliersi la maschera e questa volta lo lasciai fare «Grazie… Di essere… Qui…» mi disse piano.
«E dove dovrei essere?» domandai sorridendo.
«Felicity… Se… Se mi succedesse… Qualcosa…»
«No.» lo interruppi «Tu non morirai, non dirlo, mi hai capita?» 
«Vorrei solo che… Che chiamassi i miei genitori.» 
«Lo farai tu dopo l’intervento. Ora dobbiamo proprio andare, penserò io a te.»
Oliver annuì e si rimise la maschera, a quel punto chiamai le infermiere che mi aiutarono a portarlo in sala operatoria. L’anestesista lo addormentò facendogli contare fino a dieci, anche se dopo qualche secondo era già nel mondo dei sogni. Mi passarono il bisturi ed iniziai il mio intervento con tutta la calma possibile, ero nervosa e non potevo negarlo ma non dovevo lasciare che le emozioni prendessero il sopravvento o avrei potuto uccidere Oliver sul serio. Trovai quasi subito l’origine dell’emorragia, ma non riuscivo in nessun modo a fermarla, c’era un sacco di sangue e non andava per niente bene. Feci cenno di portare un’altra sacca di sangue, non volevo rischiare eventuali danni cardiaci o cerebrali e continuai a cercare dentro il suo corpo. Solo dopo quindici minuti di tamponamenti e ricerca mi accorsi che vicino al fegato c’era una massa piuttosto dura, che cosa poteva essere di così solito all’interno del corpo di un uomo? Sembrava qualcosa di… Metallico. Improvvisamente ebbi l’illuminazione della giornata: era un pezzo del proiettile. Si era sicuramente mosso ed aveva causato un’intensa perdita di sangue! Mi feci passare velocemente le pinze e tirai fuori quel piccolissimo pezzetto di proiettile, dopo averlo deposto nell’apposita bacinella mi impegnai per interrompere una volta per tutte la fuoriuscita di sangue. Dopo circa quattro ore d’intervento potevo annunciare che Oliver era fuori pericolo, non gli sarebbe andato a genio rimanere in ospedale per almeno un’altra settimana ma l’avrei legato al letto se fosse stato necessario.
Mentre uscivo dal reparto operatorio mi ritrovai davanti l’amica di Oliver, Sara, in preda ad una crisi isterica, appena si accorse di me mi venne incontro con le lacrime agli occhi. Di sicuro era molto in pensiero per Oliver, un’operazione non è mai uno scherzo alla fine.
«Dottoressa… Lui sta bene, vero?» mi chiese torturandosi le mani.
«Ti prego, chiamami Felicity. Comunque sì, è andato tutto molto bene, lo stanno riportando in camera e tra un po’ potrai vederlo.» risposi accennando un sorriso.
«Ti ringrazio, ti ringrazio davvero tanto! Giuro che un giorno o l’altro mi farà prendere un colpo quell’idiota!»
«Dovrà stare almeno una settimana ricoverato, avrai tempo di fargli una bella ramanzina.» affermai facendola ridacchiare.
«Gli servirebbe! A volte si comporta come un ragazzino e questi sono i risultati.» disse sospirando «Ma è un ottimo agente, forse uno dei migliori, quindi dobbiamo tenercelo.» continuò rivolgendomi un’occhiata divertita.
«Da come parla sembra piacergli molto il suo lavoro.» esclamai.
«È così. Oliver si comporta da scemo, soprattutto con le donne, ma è una brava persona e un ottimo amico.»
«Sono contenta di essere stata in grado di aiutarlo visto quanto siete legati.» dissi.
«Grazie ancora, Felicity. E se non dovessimo vederci più ti auguro il meglio, sei un medico eccezionale.»
«In bocca al lupo anche a te Sara.» risposi ricambiando un breve abbraccio.

Oliver
Mi risvegliai dopo non so quanto tempo, ero vivo? Ero morto? Stavo ancora sognando? Guardai ciò che c’era intorno a me e vidi una stanza bianca con dei macchinari tutt’intorno, ero solo, avevo vari tubi che mi uscivano dal corpo e due piccole cannule nel caso che facevano uscire dell’aria. Provai a sollevarmi ma una fitta di dolore al ventre me lo impedì così decisi di rimare buono e tranquillo dov’ero. L’unico problema è che mi annoiavo e volevo sapere che cos’era successo, speravo di rivedere Felicity e chiederle più informazioni.
Dopo aver giocherellato un po’ con il telecomando della televisione iniziai davvero a stufarmi di stare lì da solo, ero un agente del FBI addestrato e capace, perché non mi degnavano almeno di un po’ di compagnia? Non avevo nemmeno il telefono per poter chiamare qualcuno! In quell’istante fu come se le mie preghiere venissero esaudite, la porta si aprì e comparvero Tommy e Sara.
«In meno di ventiquattro ore è già la seconda volta che rischi di morire, non ti pare di esagerare?» mi chiese Sara con le mani sui fianchi.
«Ha ragione, amico. Mi hai spaventato e mi sono alzato dal letto contro il parere di tutti, volevano sedarmi, ho dovuto tirare fuori il distintivo!» continuò Tommy facendomi sorridere.
«Come ti senti? Felicity mi ha detto che è andato tutto bene.» esclamò Sara che ricevette un’occhiata interrogativa da parte di Tommy… Giusto, lui non sapeva nulla della “confidenza” con la mia dottoressa.
«Sono un po’ stordito, ma sto bene.» risposi tranquillo.
«Frena, chi è Felicity?» domandò lui. Ecco, non gli era sfuggito.
«La dottoressa di Oliver, hanno fatto amicizia.» ridacchiò Sara.
«Oliver, non ci avevi mai provato con un medico! Una nuova aggiunta alla lista delle tue conquiste.» disse il mio amico ricevendo da parte mia uno sguardo del tutto contrariato.
«Non ci ho provato, Tommy. Abbiamo solamente chiacchierato, è simpatica e gentile.»
«Dici così di tutte e poi te le porti a letto!» continuò lui.
«È solo divertimento, lei non mi sembra per niente il tipo da una botta e via.» replicai. Felicity di certo non era come le ragazze con cui ero stato, non le interessava entrare nelle mie mutande solamente perché le raccontavo di essere un agente speciale. Ero sicuro al cento per cento che ci tenesse parecchio alla sua dignità e questo mi piaceva, non avevo mai conosciuto nessuno così, tranne Sara ovviamente, ma con lei non avrei mai avuto una storia questo era certo.
«Non è che ti sei preso una cotta, Ollie?» mi chiese Sara improvvisamente.
«Ma cosa stai dicendo! La conosco da stamattina e sì ammetto che mi piace come persona, ma da qui a dire che ho una cotta mi sembra un tantino esagerato non trovi?»
«Beh ti ha salvato il culo poche ore fa, io un pensierino me lo farei.» commentò Tommy.
«Voglio ricordarti che sei fidanzato con mia sorella, Merlyn. Attento a come parli.» lo ammonì la mia amica.
«Era solo un esempio, sai che non tradirei mai Laurel.» rispose lui.
Non potevo negare che fin da subito ero rimasto molto colpito da Felicity ma Sara esagerava come sempre e poi non volevo di certo una storia con qualcuno. Avevo scelto di entrare nel FBI per un motivo e sapevo bene che era praticamente impossibile vivere una vita normale e tranquilla perciò avere una ragazza era l’ultimo dei miei pensieri. Solo Tommy riusciva a mantenere il rapporto con Laurel integro e un po’ lo invidiavo, ma non credevo di farcela a mantenere una relazione a distanza come facevano loro.
«Siete tutti qui, ottimo!» disse la voce del nostro capo entrando nella mia stanza.
«John, ciao. Sei qui per la predica?» chiesi.
«No, quella può aspettare. Vedo che siete abbastanza lucidi per ascoltarmi, quindi aprite bene le orecchie.» fece un momento di pausa e poi riprese «Il proiettile che ti ho estratto, Oliver, apparteneva ad una calibro 45, la stessa di altre scene del crimine che abbiamo visto, siamo riusciti a recuperare l’arma grazie a Tommy e, dopo aver letto gli esami del DNA e della balistica, posso dirvi con certezza che si tratta del nostro killer.»
«Stai parlando dell’uomo che cerchiamo da più di un anno?» domandò Sara.
«Sì. È lui. Il modus operandi, l’arma, il DNA combaciano con tutti i dati raccolti. Abbiamo finalmente un volto che possiamo diffondere.» rispose Diggle.
«Prenderemo quel bastardo, allora.» finì Tommy.








Angolo autrice
Siccome sono riuscita a portarmi un po' avanti con i capitoli ho deciso di pubblicare oggi il secondo :)
Molte di voi avano ipotizzato che Oliver fingesse... e invece no! È stato male sul serio e per poco non ci lasciava le penne ahah! Alla fine è andato tutto per il meglio grazie alla bravura di Felicity!
Nell'ultimo pezzo viene fuori qualcosina sul caso che la squadra di Oliver stava seguendo a New York, il colpevole è scappato ma sembrano esserci prove che lo collegano ad uno dei killer che cervano da più di un anno. Ce la faranno a trovarlo? 
Come avrete capito qui Tommy e Laurel sono fidanzati e John è il loro capo, mentre Sara già la conoscevate :)

Vi ringrazio tantissimo per gli inserimenti nelle varie categorie e per le bellissime recensioni. Sapete che ci tengo ad un vostro parere, quindi non siate timidi e recensite xD

A presto,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** I trust you ***


Chapter three - I trust you




 
Oliver
Era ormai notte fonda, fuori era buio pesto e l’ospedale era parecchio silenzioso. Come mi capitava spesso ormai da tempo facevo fatica a dormire, il problema certamente non era l’operazione subita ma i mille pensieri che mi attraversavano la mente. Quando ieri avevo salvato quelle due donne non immaginavo fossero anche loro vittime di quell’uomo, non sospettavamo minimamente che fosse lui l’artefice di quel rapimento. Avevamo agito troppo in fretta, specialmente io, avrei dovuto soffermarmi sui dettagli e sarei dovuto essere in grado di collegare il tutto. Non ci avevamo fatto caso soprattutto perché eravamo a New York e non più a Las Vegas, nell’anno passato a raccogliere prove ed interrogare testimoni non avevamo mai dedotto che il killer avrebbe potuto cambiare città e luogo di caccia. Aveva sempre agito in quella città, sempre, tutte le vittime, tutte le segnalazioni venivano ogni volta da lì. La domanda che sorgeva spontanea era una sola: perché era venuto fino a New York? Le donne di Las Vegas non gli bastavano più? Voleva una più ampia varietà di persone? Il comportamento di questo individuo non aveva senso e la cosa non andava affatto bene, se non l’avessimo preso avrebbe ucciso chissà quante altre giovani. Avevamo pochissime prove in mano, il DNA non era schedato e lui sembrava non avere un’identità. Sì, conoscevamo più o meno il suo viso, avevamo vari identikit che combaciavano ma quest’uomo non si trovava in nessun archivio, né federale né di polizia.
Mi innervosiva l’idea di dovermene stare a letto per altri sei giorni, adesso che avevamo almeno una misera pista avrei voluto seguirla ed indagare seriamente. Continuavo a sospirare a fissare il soffitto della stanza senza sapere che cosa fare, era inutile provare a dormire perché tanto sapevo che non avrei preso sonno neanche tra cent’anni. Mi sarebbe piaciuto chiacchierare con qualcuno ma alle quattro di mattina non potevo di certo chiamare Sara e tantomeno Tommy visto che doveva assolutamente passare la notte in totale riposo o l’avrebbero sedato sul serio. 
Il mio secondo pensiero durante la nottata andò a Felicity. Non sapevo perché, ma quella ragazza mi aveva colpito molto ed in più mi aveva salvato la vita, avrei voluto passare del tempo a conoscerla di più, avrei voluto sapere tanti piccoli dettagli della sua vita, avrei voluto apprezzare quella poca timidezza che la distingueva dalle altre persone. In poche parole, mi sarebbe piaciuto trascorrere del tempo insieme. Nessuna donna mi aveva mai attratto in quel modo, tranne forse Sara alcuni anni fa anche se poi eravamo rimasti solo amici, Felicity aveva quel qualcosa che mi faceva sentire bene.
Mi svegliai di soprassalto sentendo un rumore e mi voltai di scatto verso la porta maledicendomi visto il dolore all’addome, per poi rendermi conto che era solamente il carrello della colazione. Alla fine ero riuscito a chiudere occhio qualche ora e mi sentivo un po’ meglio rispetto a ieri, dovevo assolutamente chiamare i miei genitori perché se avessero saputo da John o Sara che mi avevano sparato mi avrebbero ucciso loro per davvero, soprattutto mia madre.
«Buongiorno, Oliver. Come ti senti oggi?» mi chiese una voce ormai familiare che subito mi migliorò l’umore.
«Felicity! Ora che sei qui, sto molto meglio.» risposi rivolgendole uno sguardo contento.
«Non dire sciocchezze.» ribatté lei mentre le sue guance si coloravano di rosso.
«Ero serissimo. Mi hai salvato la vita e non ho nemmeno avuto l’occasione di ringraziarti.» le dissi.
«Non devi ringraziarmi, è il mio lavoro. Sono felice che tu stia bene, mi hai spaventata ieri.» ammise avvicinandosi ancora di più a me.
«È successo tutto molto in fretta, non ricordo granché se devo essere sincero. Volevano chiamare un altro medico per visitarmi ma ho esplicitamente chiesto di te, volevo che ti chiamassero. Sapevo che eri reperibile così ne ho approfittato… Non so come spiegarlo, ma eri l’unica di cui mi fidavo davvero in quel momento.» le spiegai guardandola dritta negli occhi.
«Lo capisco, anzi sono contenta che mi abbiano chiamato.» rispose.
«Dici sul serio?» chiesi senza staccare gli occhi dai suoi.
«Sì… Cioè, ci sono altri bravi medici ma… Tu sei mio paziente quindi… Ero felice, insomma… Okay sto zitta.» balbettò scuotendo la testa.
«Felicity, ho capito, tranquilla.» esclamai ridacchiando.
«Non dovrei nemmeno essere qui tra l’altro…» disse cambiando discorso.
«Come mai?» domandai curioso.
«Non spetta a me cambiarti le fasciature, controllarti o aiutarti ad alzarti… Però mi piacerebbe.» confessò con un mezzo sorriso.
«Piacerebbe anche a me. Oltre al fatto che sei brava nel tuo lavoro, mi piace stare in tua compagnia… Sei una bella persona, Felicity.»
«Grazie, Oliver.» mi sorrise arrossendo di nuovo.
«Non è che per caso potrei avere un computer? Avrei del lavoro da fare.» chiesi provando a smorzare un po’ l’imbarazzo.
«Uhm, sì, ma dovresti riposarti in realtà.»
«Lo so, lo so. È solo che ci sono stati degli sviluppi nel caso che stavamo seguendo qui a New York e non vorrei perdere tempo.»
«So che non dovrei chiedertelo e so che non puoi rispondermi ma… Sta succedendo qualcosa di grave?»
«Felicity… Io non credo di poterne parlare, lo vorrei perché mi fido di te ma…» provai a dire.
«No, lo so, hai ragione. È stato fuori luogo.» si scusò.
«Ehi, non preoccuparti, a te non capiterà nulla.» cercai di rassicurarla.
«E come lo sai? È una città pericolosa in fondo no?»
«È vero. Ma ci sono io a proteggerti.» le dissi sorridendo mentre la mia mano finiva accidentalmente sulla sua. Era appoggiata al mio letto e senza rendermene conto l’avevo quasi accarezzata, sembrava davvero fatto apposta e speravo non si spaventasse. Appena si accorse di quel piccolo contatto tirò subito via la mano con aria piuttosto imbarazzata, probabilmente con i suoi pazienti non manteneva mai un rapporto così personale e capivo il suo volersi allontanare.
«Scusami, non l’ho fatto apposta. Lo giuro.» mi affrettai a dire alzando entrambe le mani.
«Non fa niente, è solo che non sono abituata a stare così tanto tempo con uno dei miei pazienti, anche se abbiamo appurato ormai tutti che tu hai un trattamento di favore.» rispose buttando il tutto sul ridere.
«Solo perché sono nel FBI?» chiesi facendo il finto offeso.
«Probabilmente.» replicò con un sorrisetto che mi attirò ancora di più «Ora devo proprio andare, se ho un momento libero passo a trovarti e vedrò di procurarti un pc.»
«Ci vediamo in giro, Felicity.»
«Ci vediamo in giro, Oliver.»

Felicity
Avevo trascorso una giornata tranquilla in ospedale, era rarissimo non vedere incidenti automobilistici o sul lavoro per un’intero giorno ma ogni tanto un po’ di relax faceva bene. Ero di turno giù al pronto soccorso e il paziente più grave di oggi era stato un uomo anziano sui sessant’anni con un problema neurologico, non essendo il mio campo di esercizio l’avevo mandato in neurologia dopo avergli prescritto una TAC cerebrale. Avevo ricucito il polso ad un ragazzino caduto da un albero e avevo visitato un’altra decina di pazienti in ambulatorio. L’unico intervento della giornata era stato la rimozione di un’ernia, una cosa pressoché da nulla infatti me l’ero sbrigata in circa due ore. Il mio turno era finito da circa dieci minuti così dopo essermi cambiata, esattamente come il giorno precedente, passai a salutare Oliver. 
La porta era aperta a metà e quando feci il mio ingresso nella stanza neanche si accorse di me. Stava leggendo qualcosa sullo schermo del computer e sembrava parecchio concentrato, sicuramente riguardava il caso a cui stava lavorando con la sua squadra. Non ero certa se palesare la mia presenza o andarmene silenziosamente, così rimasi lì qualche istante nel dubbio. Feci per muovere un passo verso l’uscita quando lo vidi voltarsi con un’aria stupita, non si era davvero accorto di me fino a quel momento.
«Felicity, ciao! Non mi ero accorto fossi qui, perdonami.» si scusò facendomi cenno di avvicinarmi.
«No, scusami tu, non volevo disturbarti.» dissi lievemente imbarazzata mentre lui chiudeva il portatile.
«Stavo solo facendo qualche ricerca, giusto per non stare con le mani in mano. Mi fa davvero piacere rivederti.» rispose con un tono che mi fece perdere un battito, la mia mente mi stava giocando brutti scherzi. Ma perché mi sentivo così quando Oliver mi parlava?
«Ero… Ero passata a salutarti. A proposito, come stai?» chiesi cercando di sembrare normale.
«Abbastanza bene. Faccio un po’ di fatica a muovermi ma le infermiere mi hanno detto che mi sto riprendendo molto rapidamente, quindi spero di potermi alzare da questo letto al più presto.»
«Tra qualche giorno sarai di nuovo in piedi, ne sono certa.» esclamai accennando un sorriso.
«Lo spero, anche perché Sara, Tommy e il nostro capo sono tornati a Quantico per indagare al meglio su questo caso ed io vorrei raggiungerli al più presto.» mi spiegò.
«Dev’essere qualcosa di particolarmente serio…» affermai preoccupata.
«Ci siamo dentro da più di un anno… E non abbiamo neanche molte prove o indizi, volevano persino archiviare il caso ma Tommy, Sara ed io ci siamo opposti.»
«Sei un ottimo agente, Oliver. Non conosco le dinamiche dell’FBI, ma sono convinta che ce la farete.»
«Sei ottimista, somigli molto a Thea.» mi disse passandosi una mano tra i capelli corti.
Chi era questa Thea? Prima Sara, adesso lei. Ma quante donne gli giravano attorno? Lo sapevo che era un donnaiolo, che stupida! Tra l’altro non avrebbe dovuto nemmeno interessarmi visto che conoscevo Oliver a malapena e allora perché c’era questa punta di gelosia nei miei pensieri?
«Ti lascio lavorare, è meglio che vada a casa o la mia coinquilina mi darà per dispersa.» affermai.
«Sì, certo. A domani allora.» mi salutò con un altro dei suoi magnifici sorrisi.
Rientrai a casa e gettai le chiavi sul tavolo in cucina, nonostante tutto ero stanca e avevo bisogno di una bella doccia rigenerante. Caitlin stranamente non era ancora rientrata, di sicuro si era fermata a chiacchierare con il suo spasimante, come se non avessi capito che c’era qualcuno che le interessava. Non sapevo ancora chi fosse ma l’avrei scoperto di sicuro! Provai a rilassarmi sotto il getto dell’acqua ma non riuscivo a togliermi dalla mente quella Thea, magari era la sua fidanzata o un’amante, chi lo sa.
«Felicity! Sono a casa!» sentii gridare Cait.
Mi asciugai distrattamente i capelli con il phon e li lascia cadere sulle spalle così com’erano, non avevo voglia di passarci la piastra o l’arricciacapelli tanto non dovevo uscire. Mi infilai una tuta che era tutto fuorché bella, ma non mi importava, sia Caitlin che io giravamo spesso in pigiama o in tuta nell’appartamento e ormai avevamo visto il peggio l’una dell’altra.
«Ehi, che cosa fai?» chiesi buttandomi sul divano in parte a lei.
«Niente, sto ascoltando il telegiornale. Che vorresti per cena?» mi chiese continuando a fissare lo schermo.
«Che ne dici se ordinassimo sushi? È una vita che non lo mangiamo! Caitlin? Ma mi stai ascoltando?» dissi notando che la mia amica era completamente distratta.
«Fel, guarda. Stanno parlando del caso dell’FBI, quelle sono le due donne che hanno salvato… Assomigliano un sacco a… Te.» esclamò Caitlin voltandosi verso di me.






Angolo autrice
Ditemi che sono brava visto che ho già pubblicato... No scherzo, è solo perchè mi sono tirata un po' avanti con i capitoli xD
Cooomunque, all'inizio c'è una lunga e importante riflessione di Oliver sul serial killer che stanno cercando, ci sono dei piccoli dettagli qua e là, non vi dico quali ma tenete tutto a mente ahah :)
Oliver e Felicity sembrano sempre più uniti e attratti l'uno dall'altra... Succederà mai qualcosa? Vedremo xD
Ho voluto mettervi un po' di ansia con la battuta finale di Caitlin, ma non vi dico assolutamente nulla di più. Pian piano scoprirete tutto ;)
Ps: Oliver non era super adorabile a volere che fosse Fel a visitarlo quando stava male? *-*

Per concludere vi ringrazio tantissimo per tutte le splendide recensioni, siete fantastici ** 
Mi raccomando, non siate timidi e lasciatemi un parere!

A presto,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Strange feelings ***


Chapter four - Strange feelings





Felicity
«Cait, ma cosa ti sei fumata?» le domandai scoppiando a ridere.
«Sono seria Felicity! Guarda quelle due donne! Non saranno bionde, okay, ma la corporatura, il viso, l’altezza… Non si può non notare la somiglianza.» continuò lei non volendo accettare una versione contraria.
«Certo, perché tu da una foto in televisione capisci quanto sono alte.» ribattei scuotendo la testa.
«Magari questo psicopatico ha un “tipo” e siccome sta girando qui a New York mi preoccupo per te.»
«Cait, davvero, stai esagerando. Quante stagioni di Criminal Minds ti sei guardata nell’ultimo periodo?» chiesi ridacchiando. Caitlin aveva una predilezione per le serie tv poliziesche e forse ne aveva viste talmente tante che stava andando fuori di testa.
«Dieci… O forse undici… Ma cosa centra? Non sto fantasticando.» disse seria.
«D’accordo, come vuoi.» mi arresi.
«Perché non ne parli al tuo amico?» mi chiese.
«Ad Oliver? E cosa dovrei dirgli? “Scusa ma la mia amica crede che le vittime di un serial killer mi somiglino, fai qualcosa.”?»
«Felicity, non c’è da scherzare su queste cose.» mi ammonì.
«Lo so! Solo che mi sembra esagerato pensare che quel killer verrebbe proprio a prendere me.»
«Tutti la pensano così, eppure succede! Quelle due donne erano persone normali come noi.»
«Se ti prometto che starò lontana dai vicoli e che non farò tardi la sera starai più tranquilla?» le domandai guardandola.
«Sì. Grazie.» mi rispose per poi rivolgermi un sorriso e abbracciarmi forte «Sei la mia migliore amica e non sopporterei l’idea di perderti.»
«Caitlin! Non dire così, non vado da nessuna parte!» la rassicurai. Era così dolce a volte che non mi sembrava di meritarla, c’era sempre stata per me nonostante io non fossi un’amica esemplare all’inizio.
«Comunque ti ho sentita prima e sì mi va bene il sushi per stasera.» replicò cambiando discorso.
«Perfetto, prendo il cellulare e ordino.»
Ordinammo una porzione a testa dal ristorante giapponese migliore della città, ci eravamo ripromesse di uscire una sera e andare di persona ma il più delle volte avevamo turni completamente diversi e quand’ero libera io lei aveva la notte o viceversa. Il ragazzo delle consegne arrivò puntuale dopo circa dieci minuti e gli lasciai una buona mancia come ero solita fare, ormai ci conosceva da un sacco di tempo.
«Allora, Caitlin, mi vuoi dire con chi ti vedi di nascosto?» le chiesi con nonchalance durante la cena.
Lei per poco non si soffocò con un chicco di riso «C-Cosa? Io? Con… Con nessuno.» balbettò in sua difesa.
«Non me la bevo mica! Dai, dimmi, lavora in ospedale? È un medico?» domandai con un sorrisetto malizioso.
«Felicity! E poi sono io quella che insiste! Te l’ho detto… Non è nessuno.» mi rispose distogliendo lo sguardo. Ecco, l’avevo beccata!
«Prometto che non lo dirò a nessuno!» la pregai mostrandole la mia faccia da cucciolo.
«Sei incredibile!» disse lei ridacchiando «È Barry Allen, il medico legale.»
«Oh mio dio! Veramente? Caitlin è fantastico! Vi frequentate?» esclamai tutta eccitata.
«No! Assolutamente no! Lui… Beh, diciamo che mi ha chiesto di prendere un caffè insieme, ma io sono letteralmente scappata via… Ci parliamo adesso, solo che… Ho fatto un casino e ho rovinato tutto.» sospirò.
«Perché non hai accettato?» le domandai.
«Sai… Dopo la storia con Ronnie non… Non voglio soffrire ancora.» rispose con aria triste.
«Cait, so che hai paura, ma magari uscire un po’ ti farebbe bene. Puoi farlo anche solo per vedere come va e come ti senti tu, non è detto che debba per forza nascere qualcosa, no?» 
«Hai ragione, Fel. Credo… Credo che ci penserò.» affermò tornando a sorridere.
Per Caitlin era stato un inferno quando Ronnie era morto, ero stata male anch’io nonostante fossimo solo amici, lei invece era quasi impazzita. Letteralmente. Eravamo al secondo anno di specializzazione quando l’avevano chiamata i vigili del fuoco per dirle che il suo fidanzato purtroppo non ce l’aveva fatta. Era morto pochi secondi dopo essere stato estratto dalla sua auto, un camion gli era finito contro e logicamente aveva vinto. Caitlin mi aveva raccontato piangendo che le sue ultime parole erano state “dite a Cait che mi dispiace e che la amo”, ancora facevo fatica a capire come avesse fatto a reagire. L’avevano persino dovuta ricoverare in psichiatria per qualche giorno, poi pian piano si era ripresa ma dopo più di tre anni ancora non aveva avuto nessun ragazzo.

Oliver
Erano trascorsi un paio di giorni dal mio intervento e dalla sera dopo non avevo più visto Felicity, avevo provato ad estorcere qualche informazione alle infermiere ma non volevano dirmi assolutamente nulla. Era frustrante dover rimanere a letto la maggior parte del tempo senza nessuno con cui parlare, non avevo ancora chiamato i miei genitori e sapevo bene che più aspettavo più si sarebbero arrabbiati, ma non volevo farli correre fino a qui dal New Jersey, non che fosse lontano, certo, ma volevo evitare che mia madre diventasse isterica per niente.
Oggi era il primo giorno in cui avrei potuto camminare sul serio e non solo per andare in bagno, la ferita stava guarendo bene a detta della mia infermiera e il che non poteva che rallegrarmi visto che ero stufo di poltrire.
«Buongiorno, signor Queen. Come si sente?» chiese cortesemente Judith, la mia infermiera.
«Mi sento bene, ho voglia di alzarmi.» risposi.
«Ottimo allora, torno tra qualche minuto.» replicò lei uscendo dalla stanza.
Non che mi dispiacesse Judith, ma c’era solo una persona che avrei voluto in questo momento e non era lei. Non sapevo se avevo detto qualcosa di sbagliato che l’aveva offesa o se solamente aveva altro da fare, un po’ mi mancava parlare con lei, era il tipo di persona di cui difficilmente ti stanchi.
La porta della mia stanza si aprì nuovamente mentre qualcuno faceva il suo ingresso «Ciao.» sentii dire da una voce che avevo oramai imparato a conoscere.
Mi voltai subito «Ehi, ciao.» la salutai.
«Scusami se non sono passata in questi due giorni, ma non ho avuto un momento libero.» dichiarò.
«Non preoccuparti, so che sei molto impegnata.» risposi sorridendole. Avrei voluto dirle che mi era mancata ma non mi sembrava il caso.
«Ho detto a Judith che penserò io a te stamattina, ti va una camminata?» mi chiese speranzosa.
Cercai di non darlo a vedere ma non potei non illuminarmi di fronte a quella richiesta «Certo che mi va!» risposi.
Con calma mi aiutò ad alzarmi e mi sistemò la flebo in modo che non ci inciampassi sopra, non l’avrei mai ammesso davanti a lei ma i punti mi tiravano parecchio e non sapevo esattamente quanta strada sarei riuscito a fare. Pian piano uscimmo dalla stanza e cominciammo a camminare lungo il corridoio.
«Allora, che mi racconti?» mi chiese.
«Mah, niente di nuovo, sto a letto tutto il giorno. Ho scoperto programmi in televisione di cui non sapevo l’esistenza.»
Lei ridacchiò «Io appena ho un attimo libero guardo un sacco di telefilm.»
«Sul serio? Non ti facevo una nerd.»
«E invece…» mi disse arrossendo.
«Tu che hai fatto in questi giorni?» domandai.
«Il chirurgo e la consulente matrimoniale.» rispose ridendo. Mi persi per un momento a guardarla sorridere, era così bella e innocente, come potevano le persone non adorarla? Sapevo che stavo sconfinando fuori dal rapporto medico/paziente ma non riuscivo a togliermi Felicity dalla testa, era più forte di me.
«La mia migliore amica ha bisogno di consigli.» continuò.
«Nuova fiamma?» chiesi avvicinandomi molto poco casualmente a lei.
«Penso di sì. Vedremo come va.» disse alzando le spalle «A proposito, hai chiamato i tuoi genitori?»
«No.» risposi colpevole.
«Oliver!» mi ammonì lei senza però perdere il sorriso.
«Giuro che dopo lo faccio!» alzai le mani in segno di resa.
Tornammo indietro verso la mia camera ed io pensavo solamente al fatto di non volerla vedere andar via. Era così facile, così piacevole stare insieme a lei, mi bastava una sua affermazione per farmi tornare il buon umore e questa era certamente una novità per me. L’unico problema era che non potevo farmi troppo avanti con lei o sarebbe finita nei guai ed era l’ultima cosa che volevo. Oltretutto tra qualche giorno sarei dovuto tornare a Quantico quindi che senso aveva illuderla?
Feci per rimettermi a letto quando inciampai su qualcosa per terra e se non fosse stato per Felicity sarei finito a terra come un sacco di patate. Un po’ mi sentivo idiota, ma sentire le sue braccia avvolte attorno al mio corpo e i suoi capelli appena sotto il mio naso di certo non mi infastidiva. Profumava di lampone, o forse era fragola. Mi concessi per un millisecondo di chiudere gli occhi e assaporare quel momento.
«Tutto bene? Ce la fai?» mi domandò.
«Sì, scusa. E grazie.» risposi sedendomi.
«Non devi scusarti, Oliver. Hai da poco subito un intervento ed è normale essere un pochino… Traballanti.» mi disse posandomi una mano sul braccio.
Avevo l’irrefrenabile impulso di baciarla, volevo baciarla. Pensai di farlo realmente perché ne sentivo il bisogno, ma poi mi resi conto di non poterlo fare. Dovevo starle lontano per il suo bene. Cosa mai avrei potuto offrirle? Una relazione a distanza? Non faceva per me e sicuramente neanche per lei. Il mio lavoro veniva prima, da sempre, e Felicity essendo un medico credo capisse bene questa mia filosofia. Forse dovevo solo prendere le distanze e dimenticarmi di lei…
«Sai, al telegiornale ho visto quelle due donne che avete salvato e… Mi somigliavano moltissimo. Non ho voluto ascoltare la mia amica ieri perché mi sembrava assurdo ma… Aveva ragione. C’è un motivo per il quale siano così simili a me?» mi chiese distraendomi dai miei pensieri.
«Felicity, cosa stai dicendo?» le domandai a mia volta non capendo se fosse seria o meno.








Angolo autrice
Come promesso, sono riuscita a pubblicare! 
Inizialmente Fel da a Caitlin della matta, non vuole credere a ciò che sta dicendo e finiscono per cambiare discorso ricadendo sul nuovo spasimante di Cait... Ovviamente da SnowBarry shipper non potevo non far sì che fosse Barry! :D 
Come avrete capito prima lei aveva una storia con Ronnie che però è morto in un incidente qualche anno prima... 
Per quanto riguarda Felicity e Oliver... Beh avrete visto quanto si stanno avvicinando e quanto Oliver desideri baciarla xD nonostante tutto ha paura di ferirla e illuderla, si rende conto di non poterle offrire molto... Cederà alla fine?
E come conclusione è proprio Fel a tirare fuori il discorso del killer ma Oliver non sembra saperne nulla del fatto che le somiglino...

Sono felicissima dell'andamento di questa storia, non pensavo vi sarebbe piaciuta così tanto! **
Attendo i pareri anche per questo capitolo!

Visto che sicuramente non pubblicherò prima del nuovo anno... Buon capodanno a tutti, divertiteti e mangiate tanto xD Ci risentiamo a gennaio!

Un abbraccio,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Are you doing this for me? ***


Chapter five - Are you doing this for me?





Oliver
Me ne stavo lì a fissare Felicity nella speranza che mi spiegasse, che mi parlasse o che perlomeno dicesse qualcosa. Dopo che le avevo domandato di che cosa stesse parlando aveva abbassato lo sguardo e non aveva spiaccicato parola. Non sapevo come prenderla né cosa dirle, non avevo ben capito cosa avesse sentito in tv e avrei voluto rassicurarla visto che sicuramente aveva sentito delle stronzate, i giornalisti esageravano sempre e non volevo che si spaventasse.
«Ehi, va tutto bene. Dimmi quello che hai visto, magari posso aiutarti.» provai a dirle.
La sentii sospirare ma non si era ancora decisa a spiegarmi la situazione, ero stato troppo brusco forse? Avevo reagito male? Decisi di lasciar perdere i convenevoli e le presi la mano per avvicinarla al mio letto in modo che potesse sedersi. Felicity non oppose resistenza e si sedette in parte a me, non riuscivo a capire se fosse impaurita o se non volesse più confidarsi con me. Le strinsi la mano accarezzandone il dorso, speravo di sbloccare la situazione così facendo e di non andare troppo oltre.
«Dimmi solamente perché quelle due donne somigliavano a me.» esclamò, questa volta guardandomi negli occhi.
«Non lo so, Felicity. Non ci ho mai fatto caso in realtà. So che quest’uomo ha un tipo, nel senso che le vittime sono praticamente uguali tra loro, ma non avevo idea che anche tu assomigliassi a loro.» risposi sincero.
«Dovrei avere paura?» mi chiese.
Che cosa potevo risponderle ora? Dirle di stare tranquilla sarebbe stata una bugia e non mi andava di mentirle. C’erano poche probabilità che l’uomo venisse a cercarla ma non erano assolutamente da escludere, poteva trovarsi qui in zona come dall’altra parte della città. Il fatto era che non avevamo idea di dove fosse o di chi realmente fosse. Era un fantasma. Nel corso delle indagini Sara spesso lo chiamava “Il Fantasma” e non c’era nomignolo più azzeccato.
«Ascoltami, sarò sincero.» dissi senza mai distogliere lo sguardo dal suo «Questo è un uomo molto pericoloso, è meticoloso, intelligente, furbo e sa come muoversi. Scova facilmente i punti deboli delle sue vittime e le attrae per poi rapirle. Le tortura per giorni e poi le uccide. Non sappiamo perché lo faccia, non abbiamo mai capito quale fosse la connessione tra lui e queste giovani donne. L’altro problema è che sembra non esistere: all’anagrafe non ci sono tracce di lui, nei rapporti di polizia nemmeno. L’unico indizio che abbiamo è un identikit visto che il suo DNA non c’è stato per niente d’aiuto. Non potrei dirti niente di tutto questo, ma non voglio che tu viva ogni giorno con la paura di essere sotto il mirino di questo serial killer. Mi fido di te Felicity e so che non riveleresti nulla, quindi questo è tutto ciò che io e la mia squadra sappiamo.»
«Apprezzo che tu mi dica tutte queste cose, ma non hai risposto alla mia domanda. Dovrei avere paura?» mi domandò.
«Non lo so. Ma se può rassicurarti un po’ posso dirti che rimarrò qui a New York finché non lo troveremo.»
Lei aggrottò le sopracciglia confusa «Non devi tornare a Quantico?»
«Non è strettamente necessario, posso lavorare anche da qui. In più i miei genitori vivono a solo un’ora di distanza quindi non è un problema.» risposi.
«Oliver… Lo stai facendo per me?» mi chiese improvvisamente.
Solitamente avevo sempre la battuta pronta ma con lei il più delle volte non sapevo cosa dire. Mi stava chiedendo se lo stessi facendo per lei… Beh, sì. Cavolo sì. Dovevo sapere che era al sicuro, volevo che si sentisse a suo agio a tornare a casa da sola e non che avesse il terrore di uscire. Avrei dovuto confessarle che volevo rimanere anche per lei? O sarebbe stato meglio mentire?
«In parte.» dissi solamente. Era una mezza verità se non altro.
«Mi conosci appena.» replicò lei.
«È comunque mio dovere proteggere le persone, non c’è niente di strano in questo.» risposi alzando le spalle.
«No, è vero, ma sapere che io sono uno dei motivi per cui resti è… Strano.» confessò abbassando lo sguardo. Aveva la coda di cavallo e non poteva nascondere con i capelli il rossore nelle sue guance.
«Spero che tutto questo non ti metta in imbarazzo, è l’ultima cosa che voglio.» affermai.
«No! Sì… Forse un po’… Non lo so. È solo strano.» balbettò com’era solita fare quand’era nervosa.
«Facciamo come se nulla fosse, okay?» 
«Okay.» mi sorrise.
Dopo la fine della nostra chiacchierata seguirono alcuni interminabili secondi in cui ci fissammo intensamente, sembrava quasi che potessimo penetrare la pelle l’uno dell’altra con il solo sguardo. Non era solo una mia impressione, i nostri volti si stavano avvicinando pericolosamente l’uno all’altro e se prima mi ero ripromesso di non provare neanche a toccarla adesso la mia mente stava mandando a quel paese tutte quelle seghe mentali che mi ero fatto. Sentivo il bisogno di assaggiare le sue labbra, sentivo il bisogno di portare la mia mano dietro al suo collo e accarezzarla, sentivo il bisogno di stringerla e non lasciarla mai più. Mancavano così pochi millimetri per realizzare i miei desideri quando la porta della mia camera si spalancò e vidi entrare tutta la mia famiglia. Avrei ucciso volentieri chiunque li avesse chiamati e avvertiti che ero qui, seriamente.
«Oliver!» mi chiamò mia madre.
«Mamma, papà, Thea. Che ci fate voi qui?» chiesi con un tono che era tutto fuorché entusiasta.
«Ti hanno sparato e nemmeno ti degni di avvertire! Vergognati!» mi urlò mia madre. 
«Mamma respira, sono vivo e vegeto come vedi.» risposi sbuffando.
«Moira, calmati. Come vedi sta bene.» la tranquillizzò mio padre.
«Lei è la mia dottoressa, Felicity Smoak. Dovete ringraziare lei se sono qui ora.» dissi presentando Felicity alla mia famiglia.
«Piacere, sono Robert Queen, lei è mia moglie Moira e questa è nostra figlia Thea.» rispose cordialmente mio padre.
«È un piacere signori Queen.» esclamò lei porgendo la mano a tutti.
«Grazie per aver salvato mio fratello.» le sorrise Thea.
«Ho solo fatto il mio lavoro.» le sorrise Felicity.
«È stato un bravo paziente mio figlio almeno?» domandò mio padre mentre io alzavo gli occhi al cielo.
«Certamente. Ha seguito tutte le cure alla lettera, magari fossero tutti così.» rispose lei. Qualche istante dopo le squillò il cerca persone «Scusatemi, c’è stata un’emergenza, devo proprio andare. È stato un piacere conoscervi.»
Non appena Felicity uscì ricevetti un’occhiata divertita dai miei genitori e Thea corse ad abbracciarmi «Piano, piano. Ho ancora i punti.» le dissi.
«Scusa… È solo che mi hai spaventato.» rispose mia sorella.
«Stavo per chiamarvi…» mi giustificai.
«Tua madre stava dando di matto.» ridacchiò mio padre.
«Robert! Ero solo preoccupata per la vita di mio figlio.» lo ammonì.
«Non è successo niente, sto bene. Mi dimetteranno tra qualche giorno e sarò in zona per un po’ probabilmente.» dissi.
«Un altro caso?» chiese mio padre.
«Sì, più o meno.» tagliai corto.
Non potevo specificare dettagli del caso, non avrei nemmeno dovuto dire quelle cose a Felicity ma con lei ho dovuto, avevo un motivo e non mi andava di tenerla all’oscuro. Oltretutto non volevo che mia sorella venisse a conoscenza di determinati particolari macabri visto che aveva solo diciannove anni. Speravo proprio non guardasse la televisione in questi giorni.

Trascorsi quasi l’intera giornata con la mia famiglia, nonostante avessero interrotto un momento tra me e Felicity ero felice che fossero venuti fino a qui. Fortunatamente non mi avevano fatto ulteriori domande sul perché fossi a New York e gliene ero grato, avevamo parlato più che altro di Thea e dei suoi progressi al college. Al contrario di me era sempre stata una ragazza responsabile con la testa sulle spalle, io alla sua età pensavo solo a fare il cretino insieme a Tommy. Quando avevo comunicato ai miei genitori di volermi iscrivere all’accademia dell’FBI neanche mi avevano creduto e in effetti non avevano tutti i torti, ero un irresponsabile all’epoca e avevo preso la cosa come un gioco, solo dopo mi ero accorto quanto in realtà fosse dura. Ma avevo trovato la mia strada, una settimana dopo ero completamente cambiato e quello che ritenevo un gioco, una prova, era diventata la mia vita. Mi ero trasferito a Quantico da più di due anni anche se il più delle volte passavamo le settimane in giro per gli Stati Uniti, non era mai semplice, non avere un posto stabile, una quotidianità… Una famiglia. Avevo Thea, mamma e papà, ovvio, ma a trent’anni sognavo di potermi costruire qualcosa in più. Nonostante tutto però, rimaneva solamente un sogno. E questo strano attaccamento che provavo nei confronti di Felicity mi spaventava perché con nessuna donna mi ero mai sentito così. Lei era genuina, dolce, innocente, tutte cose che io avrei certamente rovinato se l’avessi trascinata nel mio mondo e mi piaceva troppo per permetterlo. Le avevo promesso che sarei rimasto in città fino alla risoluzione del caso e intendevo mantenere la promessa, speravo solo di non combinare guai.
«Ehi, sei ancora sveglio?» sussurrò una vocina facendo capolino nella stanza.
«Sono solo le nove e mezza, certo che sono sveglio.» ribattei ridacchiando.
Vidi Felicity entrare con una borsa in una mano e un sacchetto nell’altra, appoggiò la roba sul tavolino e si sedette tranquillamente sul letto. Non aveva più il solito camice da medico, era vestita normalmente con una camicetta bianca e un paio di pantaloni neri che dovevo ammettere la fasciavano alla perfezione.
«Che ci fai qui?» chiesi incuriosito. Non era mai venuta da me la sera tardi.
«Ti ho portato una cosa, anzi due.» disse afferrando il sacchetto «Aprilo.»
«Non ci posso credere! Sei fantastica!» risposi non appena mi resi conto che mi aveva portato una grossa coppa di gelato al cioccolato.
«Non sapevo che gusto preferissi quindi sono andata sul classico. Immagino che il cibo dell’ospedale non sia questo granché.»
«No, infatti. Grazie, davvero!» 
«Poi ho portato queste…» aggiunse aprendo la piccola borsa e tirò fuori vari mazzi di carte «Mi hai detto che ti annoiavi e visto che non puoi uscire sono venuta io da te.»
«Felicity… Non voglio fare il guasta feste, ma… Sei sicura di poterlo fare?» le domandai.
«Sì, tranquillo. Ho chiesto a Judith di coprirmi in caso facessero domande.» rispose porgendomi il cucchiaio per il gelato.
«Oh, okay.» annuii alzando le spalle «E tu non mangi nulla?»
«Certo! Ho preso la stracciatella per me. Quindi… A cosa vuoi giocare?» mi chiese.
«Scala 40, sai giocare no?» 
«Ovvio, per chi mi hai presa?» disse sorridendo.
«Bene. Facciamo un patto, chi perde la partita confessa un segreto.» aggiunsi. 
«Sei scaltro, signor Queen. Comunque va bene, ci sto… Ma niente cose sconce!» esclamò lanciandomi un’occhiata.
«Ma così non è divertente!» borbottai con la bocca piena di gelato.
«Sei incredibile! D’accordo, potrai chiedere anche cose di quel genere, anche se la vedo dura visto che non mi batterai mai.» si vantò lei mescolando le carte.
«Staremo a vedere dottoressa.» replicai a mia volta.
Non ci volle molto a capire che la prima partita certamente l’avrei persa, avevo delle carte orribile e vedevo Felicity ridacchiare sotto i baffi segno che lei aveva una buona mano. Non che avessi qualcosa da nascondere, non sarei neanche mai entrato all’FBI se avessi avuto strani segreti. Però ero curioso di sapere su che genere di domande si sarebbe spinta Felicity.
«Mi dispiace deluderti ma… Ho vinto!» esultò.
«Hai truccato le carte!» mi lamentai.
«Ah, ah non vorrai mica tirarti indietro?» mi domandò.
«No. Okay, fammi pensare… Quand’ero all’accademia, mentre ci allenavamo in palestra in coppia le ho letteralmente prese da Sara, mi ha fatto un occhio nero.»
«Oh mio dio, scherzi?» disse scoppiando a ridere.
«No, purtroppo no. Ed è meglio non ricordarglielo o non lo finirà più di prendermi in giro.» ammisi. 
«Mi inizia a piacere questo gioco. Vai, tocca a te, mescola.» affermò passandomi le carte.
La seconda volta sembrò andarmi meglio, la partita si stava facendo abbastanza lunga e nessuno dei due pareva spuntarla. Ogni tanto mi perdevo a fissare Felicity senza che se ne accorgesse, portava i capelli sciolti e leggermente mossi, era la prima volta che la vedevo senza la coda e mi piaceva forse fin troppo. Per mia fortuna pescai un jolly e le spiattellai tutte le carte sul tavolo.
«Dottoressa, tocca a te confessarti.» esclamai divertito.
«Okay d’accordo… Ma non prendermi in giro!» mi avvisò puntandomi un dito contro «Ero all’ultimo anno di college, Caitlin ed io eravamo alla festa per i laureandi, mi hanno offerto un tortino al cioccolato e qualche ora dopo ero completamente fatta. Sono andata in giro per il campus in reggiseno e mutande gridando cose a caso, la conclusione è stata un richiamo dal preside e una sospensione. Fortunatamente sono comunque riuscita a laurearmi col massimo dei voti.»
«Non ti facevo una da festini e allucinogeni.» la presi in giro.
«Sta’ zitto! Non è stata colpa mia!»
«Avrei pagato per essere lì e guardarti!»
«Maniaco!» mi rispose facendo la finta sconvolta.
Passammo la serata a ridere dopo esserci raccontati quei due episodi imbarazzanti e ne vennero fuori altrettanti, le raccontai di essermi ubriacato ad una festa e di essere per sbaglio andato a casa dei vicini invece che nella mia, Felicity invece mi disse che una volta in sala operatoria aveva fatto cadere un organo per il trapianto per terra, che però fortunatamente erano riusciti a salvare. Erano anni che non passavo una serata così piacevole in compagnia di qualcuno che non fosse Tommy o Sara. 
«Mio dio, è mezzanotte! È meglio che vada o domani non mi alzerò dal letto.» esclamò Felicity alzandosi.
«Aspetta, non te ne andare. Domani è domenica.» le feci notare.
«Oh, giusto.» rispose sistemandosi i capelli.
«Felicity…» iniziai a dire senza sapere perché.
«Dimmi.» rispose lei avvicinandosi.
Le afferrai la mano e la tirai verso di me, mi sollevai con il busto dal letto e la baciai, così senza pensarci. Avevo bisogno di farlo, ne sentivo la necessità e se la prima volta ci avevano interrotti i miei genitori questa eravamo soli ed io ne avevo approfittato. Portai l’altra mano tra i suoi capelli mentre sentivo che anche lei stava rispondendo al mio bacio, si sedette sul letto ed io continuai ad assaporare le sue labbra morbide. Avrei tanto voluto restare lì per sempre ma all’improvviso lei si staccò da me portandosi una mano alla bocca.
«Oliver… Io… Non posso, scusa.» disse alzandosi e lasciandomi lì da solo. Probabilmente avevo rovinato ogni cosa, anzi ne ero certo.







Angolo autrice
Rieccomi qua! Dopo non aver dormito per tipo 36 ore sono ancora viva lol.
Ma veniamo alle cose importanti: Oliver parla a Felicity del caso e lei sembra molto spaventata a riguardo tanto che lui decide di rimanere a New York per lei. In un primo momento stanno persino per baciarsi quando l'intera famiglia Queen piomba nella stanza ahahah!
Ma Felicity decide di ritornare la sera portando ad Oliver un gelato e diversi mazzi di carte. Diciamo che la serata procede alla grande e i due si divertono parecchio finché lui non laa bacia... Fel non si è certamente tirata indietro ma... Sembra essersi pentita. Che accadrà adesso? Il legame tra i due si spezzerà?

Spero abbiate passato un buon capodanno e non vedo l'ora di sapere che ne pensate del capitolo! Gli Olicity si sono spinti oltre all'amicizia a quanto pare ahah :)
Fatemi sapere mi raccomando!

A presto,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** He kissed me ***


Chapter six - He kissed me





Felicity
Mi aveva baciata. Oliver Queen mi aveva baciata. Sul serio. Per davvero. 
Ero talmente scioccata e sconvolta che non riuscivo neanche a respirare, ero scappata da quella stanza, o meglio, da quella situazione perché non sapevo affrontarla. Mi ero lasciata andare troppo con lui e non avrei dovuto farlo. Diamine, se l’avessero scoperto mi avrebbero licenziata, o peggio, radiata dall’albo! Ed era colpa mia infondo, ero stata io a lanciare troppi segnali ed Oliver semplicemente ne aveva approfittato, non potevo incolpare lui. Ma il problema più grande era che il bacio mi era piaciuto e che non mi ero tirata indietro, anzi avevo risposto quasi subito. Per un istante il mondo intorno a me era svanito e c’eravamo solo noi, quel bacio era stato la cosa migliore e peggiore che mi fosse mai capitata in questo periodo. Perché io volevo rifarlo, volevo che mi baciasse ancora, volevo che scherzassimo ancora insieme, volevo raccontargli altro della mia vita, volevo ancora sapere dettagli della sua, volevo cose che non potevo avere. Era chiaro che ci fosse stata attrazione fin dal primo momento tra noi, ma pensavo sarebbe rimasto tutto puramente platonico. Invece mi sbagliavo, e molto anche. In quel bacio c’era stata troppa passione per qualcosa di platonico. Solo non potevo cedere, non del tutto almeno. Era un mio paziente ed io rischiavo la carriera per quel bacio, dovevo stargli lontana per salvaguardare me stessa. Tra due giorni se ne sarebbe andato e tutto sarebbe tornato alla normalità. O quasi.
Rientrai nel mio appartamento a mezzanotte e mezza, lasciai il mio giubbotto sul divano e le scarpe vicino alla porta senza neanche metterle in ordine, era come fossi in un’altra dimensione, mi muovevo e sistemavo le cose ma la mia testa era da tutt’altra parte. Mi accorsi persino di essermi messa il pigiama al contrario, solo non avevo voglia di girarlo, non avevo proprio voglia di fare nulla se non stendermi a letto e provare a dormire. Oliver mi aveva incasinata in un modo che nessuno mai aveva fatto e lo conoscevo da meno di una settimana, che cosa doveva significare una cosa del genere? Io dovevo stare lontana da lui, me l’ero ripetuto almeno una dozzina di volte, ma era davvero quello che volevo
«Posso?» chiese sottovoce Caitlin facendo capolino.
«Certo, vieni.» risposi piano senza alzare la testa dal cuscino.
Si buttò sul letto di fianco a me infilandosi sotto le coperte come era solita fare quando dovevamo parlare di qualcosa. Le avevo accennato che sarei andata a trovare Oliver e stranamente non aveva detto niente, forse già immaginava che sarebbe finita male la cosa.
«Cos’è successo?» mi domandò.
«Perché dovrebbe essere successo qualcosa?» chiesi a mia volta.
«Perché stai quasi per piangere e tu non piangi facilmente, Felicity.» esclamò facendo sì che mi voltassi a guardarla.
«Cait, non ne voglio parlare.» risposi sospirando.
«Non voglio vederti soffrire per colpa di qualcuno.» 
«Sto bene… Credo.» affermai alzando le spalle.
«Se hai bisogno di qualcosa io ci sono, lo sai vero?»
«Mi ha baciata.» dissi tutto d’un fiato.
«Lui cosa?!» urlò la mia amica con una faccia sconcertata.
«Hai sentito.» replicai.
«Avevo capito che ti piaceva, ma non pensavo ti saresti spinta così oltre.»
«È stato lui a baciarmi!» commentai.
«Sì, e scommetto che ti sei tirata indietro.» mi ammonì con uno sguardo accusatorio.
«No.» sussurrai abbassando lo sguardo.
«Ecco appunto.» affermò scuotendo la testa «Fel, io non voglio farti la predica, anzi sono felice che ci sia una persona a cui sei interessata, ma non potevi almeno aspettare che fosse fuori dall’ospedale?»
«So di aver sbagliato, Caitlin! Ma in quel momento era l’ultimo dei miei pensieri… Io… Non lo so, mi sentivo bene… Ero felice.» confessai.
«Ti sei presa una bella sbandata a quanto sembra.»
«Ma no… Lui mi… Attrae… Però niente di più.» balbettai.
«Sì, certo! Ti credo proprio!» mi disse colpendomi con un cuscino.
«Ehi! Come ti permetti!» replicai colpendola a mia volta.
«Dovresti parlargli.» aggiunse.
«E dirgli cosa? “Se vengono a sapere che ci siamo baciati mi licenziano”?»
«Beh, sì. Non credo se la prenderà se gli dici la verità, Felicity.»
«Non posso tornare da lui dopo stasera, mi vergogno troppo.» ammisi.
«Se non torni penserà che a te non importa nulla, e a quanto vedo non è affatto così. Datti una possibilità per una volta, è una brava persona, che male può farti provare?» mi chiese retoricamente.
«Non lo so, Caitlin. Mi sento frastornata, da un lato vorrei tornare da Oliver e dirgli che sono una stupida e dall’altro vorrei scappare il più lontano possibile.»
«Ti capisco. È lo stesso per me quando sto con Barry. Lui è così dolce e gentile che non mi sembra neanche reale, poi penso alla storia con Ronnie e, come te, vorrei scappare. Però ho deciso di provarci e non dimenticare che me l’hai consigliato tu, quindi ora ti ripropongo il tuo stesso suggerimento.»
«Dici che dovrei andare da lui e scusarmi?» chiesi mordendomi il labbro.
«Non serve che ti scusi, semplicemente digli cosa senti.»
«Ci proverò. E… Grazie.» le sorrisi.
«Voglio solo vederti felice! E se ti farà soffrire lo prenderò a calci, non m’importa se ha la pistola.»
«Cait!» dissi ridendo, ero troppo fortunata ad avere un’amica così speciale «Dormi qui?»
«Mh, sì va bene.» rispose prendendosi praticamente tutte le coperte.

L’indomani mi svegliai con l’odore di waffle e marmellata proveniente dalla mia cucina, mi lasciai trasportare dal profumo e trovai Caitlin intenta a preparare cibo per un reggimento. Aggrottai le sopracciglia confusa, abitavamo solo noi due qui, per chi stava cucinando tutta quella roba? Non che mi dispiacesse, era una cuoca eccellente in fin dei conti.
«Abbiamo invitato qualcuno?» chiesi stropicciandomi gli occhi.
«No… Beh, più o meno… Forse… Accidenti, ho messo troppa poca farina!» imprecò senza neanche voltarsi.
«Caitlin, vuoi fermarti un secondo!» dissi togliendole il mestolo di mano.
«Ridammelo! Felicity!» provò a rubarmelo di mano ma non riuscendoci si arrese «Ho appuntamento con Barry per pranzo…» confessò.
«E non me l’hai detto?!» sbraitai.
«Non eri dell’umore ieri.»
«Giusto… Beh, puoi dirmelo ora.»
«È solo un pranzo… Mi aveva chiesto di andare da lui ma ho preferito che fosse lui a venire qui… So che dovevo chiedertelo…»
«Frena!» la interruppi «Non serviva che me lo chiedessi! Sono davvero molto felice per te Cait e spero vada tutto bene.»
«Lo spero anch’io, sono nervosa… Ah, questi sono per te, potresti portarli ad Oliver.» mi disse porgendomi degli waffle appena sfornati.
«Ti amo! Grazie! Vado a cambiarmi e corro in ospedale!» esclamai tutta eccitata.
Caitlin mi aveva aperto gli occhi e come sempre aveva ragione su tutto. Volevo avere la possibilità di provare a vedere che cosa saltava fuori, quel bacio aveva significato qualcosa, non era stato un semplice bacio dato a caso a qualcuno che t’interessa. Potevo dire quasi con sicurezza che anche da parte di Oliver c’era interesse, con me non si comportava più come all’inizio, non faceva più lo sfacciato o lo spaccone solo per farsi vedere e non credevo mi vedesse come una delle tante da portarsi a letto. Magari sbagliavo, ma tanto valeva tentare.
Mi vestii con una gonna nera a vita alta e ci infilai sopra una camicetta color panna, lasciai i capelli sciolti e lisci cadermi sulle spalle e ai piedi misi un paio di stivaletti bassi semplici. Volevo essere carina, non potevo negarlo.
«Sei bellissima! Ti mangerà con gli occhi!» esclamò Cait mentre prendevo la borsa.
«Non esagerare, dici che vado bene?»
«Dai, lo sai che stai benissimo con un sacco della spazzatura addosso!»
«D’accordo, allora vado…»
«In bocca al lupo tesoro.» disse mandandomi un bacio dalla cucina.
Uscii di casa velocemente e decisi di camminare fino in ospedale visto che distava solo quindici minuti a piedi. Di sicuro li avrei sfruttati per calmarmi e riflette sul da farsi, volevo che capisse perché ero scappata ieri e volevo sapere se questa attrazione tra noi potesse diventare qualcosa in più. C’era qualcosa in Oliver che mi aveva attratto fin dal primo momento, oltre al fatto che era proprio bello esteticamente, aveva un modo di fare che mi spingeva a stare insieme a lui anche solo per pochi minuti. 
Arrivai sulla soglia della sua camera e bussai nervosamente ma non ricevetti risposta. Entrai comunque senza aspettare e notai che la stanza era completamente vuota… Forse era sceso al piano inferiore per fare un po’ di esercizio. Presi le scale e andai giù nella palestra ospedaliera ma neanche lì lo trovai. Iniziavo a sospettare che fosse successo qualcosa e che non mi avessero chiamata così cercai Judith, la sua infermiera, per chiederle dove fosse finito.
«Dottoressa Smoak, salve! Mi dica.» disse appena mi vide comparire.
«Ciao, cercavo Oliver Queen. Sai per caso dove lo hanno portato?» chiesi senza mascherare l’agitazione.
«Mi dispiace… L’hanno dimesso poche ore fa.» rispose tristemente.
«Come? Doveva essere dimesso martedì!» sbottai decisamente sorpresa e scocciata.
«Lo so… Ordini del primario… Non ha dato spiegazioni. Mi spiace molto.»
«Tranquilla, non è colpa tua. Grazie comunque.» esclamai gentilmente.
Non potevo credere alle mie orecchie, Oliver se n’era andato, se n’era andato senza dire una parola, senza una benché minima spiegazione. Non meritavo di essere trattata così, non dopo che era stato lui a baciarmi per primo! Uscendo dall’ospedale gettai gli waffle in un bidone, non meritava per niente la mia gentilezza, non dopo il suo comportamento. Diavolo, gli avevo salvato la vita e lui se l’era svignata senza neanche degnarmi di un “ciao”. Ero triste e ci ero rimasta di merda, giusto per usare una parola adatta, ma più di tutto mi sentivo arrabbiata. Arrabbiata per come mi aveva trattata, per come mi aveva lasciata dopo il momento intimo della sera precedente.
Me ne tornai a casa senza guardarmi indietro, forse mi ero sbagliata sul suo conto, forse non era per niente la persona adatta a me, forse dovevo solo lasciar perdere. Aprii la porta dell’appartamento e trovai Caitlin intenta a prepararsi per il pranzo con Barry, quando mi vide mi fissò sorpresa non capendo perché fossi già rientrata.
«Felicity, che ci fai qui?» mi chiese asciugandosi i capelli con l’asciugamano.
«Se n’è andato.» risposi solamente.
«Che vuol dire?»
«Vuol dire che non gli importava più di tanto di me.»
«Mi dispiace tanto… Vieni qui.» mi disse abbracciandomi. Trattenni le lacrime a stento ma non mi andava di piangere per lui, non meritava nemmeno questo.
«Non volevo disturbarti, soprattutto oggi.» affermai sconsolata.
«Ehi, non dire così. Barry sa benissimo che vivo con te e che probabilmente ci saresti stata, non è un problema Felicity!»
«No, voglio che almeno tu passi una bella giornata. Non ho intenzione di intromettermi.» le dissi convinta. Desideravo che almeno Caitlin avesse un buon appuntamento perché se lo meritava.
«Forse non è stata una gran trovata invitarlo qui…»
«Caitlin. Sta’ zitta e guardarmi. Tu adesso ti prepari e sarai una ragazza normale che pranza con un ragazzo, okay? Io non esisto.» le feci il gesto di scomparire.
«Va bene, va bene! Come vuoi.» ridacchiò lei.
La aiutai a sistemare la cucina e la sala da pranzo in modo che fosse accogliente, io avevo mangiucchiato qualcosa ma in realtà nemmeno avevo fame. Li avrei lasciati soli e probabilmente sarei andata a fare un po’ di jogging al Central Park per rilassarmi. Caitlin era isterica, sapeva che Barry sarebbe arrivato a momenti e continuava a fare su e giù per la stanza.
«Oh mio dio, è qui.» disse non appena suonarono al citofono.
«Vai, muoviti!» la incitai.
La mia amica si sistemò il vestito e i capelli per poi andare ad aprire la porta «Felicity!» mi chiamò.
Forse voleva presentarmi ufficialmente il suo pseudo ragazzo. Andai tranquillamente sulla soglia e quando mi accorsi che quello che avevo davanti non era Barry Allen sbiancai completamente. Non potevo crederci, nel giro di una mattinata avevo preso più colpi al cuore che in un intero anno.
«Che… Che ci fai qui?» chiesi mentre Cait rientrava in casa lasciandomi lì da sola.
«Felicity, mi dispiace tanto. Volevo chiamarti, ma pensavo non volessi parlarmi dopo ieri sera. Ho sbagliato… Poi c’è stato uno sviluppo con il caso e mi sono fatto dimettere in anticipo. E so che non è una scusa, quindi sono qui e ti chiedo di perdonarmi.» mi disse Oliver tutto d’un fiato senza che potessi ribattere.
E adesso che cosa dovevo fare esattamente?








Angolo autrice
Come avevo detto, eccomi qui col sesto capitolo! Caspita, siamo già a 6 più il prologo, non mi sembra vero!
Il capitolo riprende esattamente dal bacio tra Oliver e Fel. Lei è parecchio sconvolta e spaventata perchè potrebbe perdere il lavoro e oltreutto sa che le è piaciuto. Dovrebbe stare lontana da lui ma non è sicura di volerlo realmente!
Grazie a Caitlin decide di darsi un'occasione e provare a vedere come andrà con Oliver così va in ospedale, ma... Lui non c'è più. Solo dopo si presenta a casa sua chiedendole perdono e che si è fatto dimettere per via del caso... Ci saranno finalmente sviluppi con il killer? E Felicity lo perdonerà? Ovviamente scoprirete tutto nel prossimo! xD

Sarà ripetitiva, ma GRAZIE per le bellissime recensioni che mi lasciate ad ogni capitolo! ;)
Spero vi sia piaciuto anche questo e... Attendo i vostri commenti!

Un abbraccio a tutti,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** I thought I had lost you ***


Chapter seven - I thought I had lost you





Felicity
Me ne stavo lì imbambolata davanti a lui senza riuscire a dire niente, perché effettivamente non c’era niente da dire. Volevo solo mostrargli quanto fossi arrabbiata per il suo comportamento, ma non riuscivo a fare neanche quello. Per qualche strano motivo ero contenta che fosse qui, che fosse tornato per darmi una spiegazione, per scusarsi.
«Felicity, ti prego. Possiamo almeno parlare?» mi pregò con uno sguardo visibilmente triste.
«I-Io… Come… Come sai dove abito?» chiesi ignorando la sua prima domanda. Non che non l’avessi sentito, ma stavo cercando di prendere tempo.
«Lavoro all’FBI, mi ci è voluto poco per rintracciare il tuo indirizzo.» rispose lui tranquillo.
«Oh… Okay.» replicai cercando di non guardarlo negli occhi. Avevo paura del confronto, ecco cos’era.
«Avrei dovuto avvertirti, lo so, ma c’erano questioni importanti in ballo e il tuo capo mi ha dato il via libera. So di aver rovinato tutto baciandoti e mi dispiace da morire… Però, per favore, possiamo parlare?» 
«Sì… Ma non qui. Cait ha un appuntamento e non voglio disturbarla.» dissi gesticolando.
«Certo, come preferisci. Usciamo?» mi domandò dolcemente. Come faceva ad essere così gentile?
«Va bene. Prendo la giacca.» esclamai salutando frettolosamente la mia amica e chiudendo la porta dietro di me.
Uscimmo dal mio palazzo in silenzio, io non sapevo che dire, ero ancora scioccata nell’essermelo trovato davanti casa e in più si era fatto dimettere senza neanche degnarmi di una spiegazione. D’altro canto però ero felice che fosse tornato indietro solo per scusarsi, forse mi sbagliavo nel dire che non gli importava di me, anzi ci speravo. Mi fece entrare in un piccolo café a pochi minuti da casa e ci sedemmo in un tavolino abbastanza appartato, ero decisamente nervosa ad essere qui con un uomo che a malapena conoscevo e che avevo baciato la sera precedente.
«È un bel posto.» commentai.
«Sì, è carino. E soprattutto tranquillo.» rispose lui accennando un sorriso.
«Perché ti hanno dimesso?» chiesi senza peli sulla lingua.
«Dovevo aiutare la squadra con il caso, era questione di vita o di morte e non potevo lavorare dall’ospedale.» affermò sospirando.
«Ma stai bene? Hai dolori?» domandai per accertarmi che stesse davvero bene.
«No, sto bene, davvero. Sei gentile a preoccuparti.» esclamò guardandomi negli occhi in un modo al quale non potevo resistere.
«È il mio lavoro, Oliver.» replicai deviando leggermente il discorso.
«Tu piuttosto, come stai?»
Come stavo? Come diavolo dovevo stare? Mi aveva baciata e poi era sparito nel nulla, come pensava che stessi? Dio, probabilmente stavo esagerando ma ero furiosa con lui. Pensavo si fidasse abbastanza da dirmi perché se ne era andato.
«Alla grande.» risposi sarcastica.
«Felicity, non mentirmi.»
«Cristo Oliver, come vuoi che stia? Mi hai baciata e poi sei scomparso! Sono stata io a scappare, è vero, ma stamattina ero tornata per scusarmi e parlare con te e invece chi trovo nella tua stanza? Nessuno!» sbottai.
«Eri venuta da me?» mi chiese.
«Sì. Mi rendo conto di aver esagerato ieri sera, solo che non trovandoti ho iniziato a pensare che te ne fossi andato per colpa mia… E se poi ti fosse successo qualcosa mi sarei sentita colpevole per sempre.» risposi provando ad essere il più sincera possibile.
«Volevo chiamarti stamattina presto e avvisarti, ma credevo non volessi vedermi… Credevo di averti persa per sempre dandoti quel bacio.»
«Anch’io credevo di averti perso per come mi sono comportata… È solo che se si venisse a sapere potrei perdere il lavoro ed ero spaventata.» confessai.
«L’avevo immaginato e per questo ti chiedo scusa, non vorrei mai che ti licenziassero per colpa mia.»
«Diciamo che se avessimo aspettato sarebbe stato meglio.» disse infine cercando di far tornare il buon umore ad entrambi.
«Già!» esclamò con un tono che sembrava tutto tranne che entusiasta.
«Oliver, cosa c’è che non va? Sei strano.» affermai scrutandolo.
«Si tratta del caso… Alcuni poliziotti ci hanno mandato delle segnalazioni dicendo di aver visto quell’uomo aggirarsi nei pressi dell’ospedale in cui lavori. Ora non so se siano prove fondate, in fondo non abbiamo neanche una vera foto del killer ma non posso negare che la cosa mi metta in agitazione. Sono rimasto tutta la mattina a visionare filmati delle telecamere e non ho trovato assolutamente niente così ho deciso di venire da te e parlarti.»
«Oh dio… E adesso che… Che dovrei fare?» balbettai mentre il mio cuore iniziava a martellarmi nel petto.
«Stai attenta a dove vai e con chi, non restare mai sola e se ti sembra di essere seguita o spiata chiama immediatamente qualcuno.» mi spiegò.
«Oliver…»
«Ehi.» mi interruppe prendendomi la mano che avevo appoggiata sul tavolo «Andrà tutto bene, la mia squadra sta venendo qui e ti prometto che lo prenderemo.»
«Perché vuole una come me? Non sono nessuno, non sono ricca, non sono una modella, che cosa vuole?»
«Ancora non siamo riusciti a capirlo, ma un collegamento da qualche parte c’è, di questo sono sicuro. Nel frattempo voglio che tu stia al sicuro, okay?»
«Okay…» dissi annuendo. Era palese che non mi sentissi sicura, anzi ero proprio terrorizzata all’idea di finire nelle mani di quell’uomo «Resta con me.» aggiunsi poi senza neanche pensarci, l’avevo detto ad alta voce anche se non volevo.
Oliver aggrottò le sopracciglia sorpreso, non si aspettava una dichiarazione del genere da parte mia «Se è quello che vuoi, lo farò volentieri.» esclamò poi.
«Mi sento al sicuro con te… Nonostante sia ancora arrabbiata.» aggiunsi sorridendo lievemente.
«Mi perdoni per non averti avvertito?» mi chiese stando al gioco.
«Forse. Ti avevo portato degli waffle buonissimi!»
«Ora mi sento davvero uno stronzo.» disse ridacchiando.
«Pace?» domandai.
«Pace.» confermò accarezzandomi il dorso della mano che non aveva mai lasciato.

Oliver
Era trascorso un giorno da quando mi avevano dimesso e da quando avevo ufficialmente chiarito con Felicity. Mi dispiaceva averla fatta arrabbiare e capivo bene perché se la fosse presa, era venuta da me per farmi una sorpresa e parlare ed io ero sparito nel nulla. Probabilmente avrei avuto i suoi stessi dubbi se fosse capitato a me. Ci eravamo perdonati a vicenda per il comportamento troppo avventato che avevamo avuto, quel bacio non era stato un errore ed ora sapevo che anche per lei aveva significato qualcosa. Avrei tanto desiderato portare Felicity fuori a cena o al cinema, volevo chiederle un appuntamento come si deve adesso che non ero più suo paziente, ma l’inconveniente del serial killer purtroppo me lo impediva. Sara, Tommy e Diggle erano arrivati ieri notte direttamente da Quantico per indagare, era ormai chiaro che dovessimo restare nella sede qui a New York finché quell’uomo non fosse finito dietro le sbarre. 
«Ehi, già in piedi?» chiese una Sara assonnata stropicciandosi gli occhi.
«Sì, stavo guardando i filmati per l’ennesima volta.» risposi smettendo in pausa il video.
«Ancora niente?» domandò porgendomi una tazza fumante di espresso.
«No, dannazione!» imprecai.
«Oliver, sta’ tranquillo, innervosirti non serve a niente. Hai almeno dormito?»
«Non ho tempo di dormire, Sara.» le risposi scontrosamente.
«Hai paura che prenda di mira Felicity, vero?» mi chiese centrando il punto perfettamente.
«Sì.» confermai sospirando «Quando mi sono arrivate quelle segnalazioni non ci ho pensato due volte a farmi dimettere per verificare.»
«So che sei preoccupato per lei, credi che non mi sia accorta di come la guardavi? Sei il mio migliore amico e ti conosco meglio di quanto tu conosca te stesso, però fare così non la aiuterà, hai bisogno di riposare.»
«Lo so, ma non adesso. Ci dev’essere un nesso tra lui e quelle donne ed io devo trovarlo.» dissi premendo play nel computer.
«D’accordo, come vuoi. Ti aiuto.» esclamò sedendosi in parte a me.
Certamente un paio di occhi in più non mi avrebbero guastato, avere una foto del killer significava tanto e anche se cercavamo un ago in un pagliaio da qualche parte doveva essere. Se realmente girava intorno all’ospedale l’unico motivo plausibile era che stesse seguendo Felicity. New York era enorme e sicuramente c’erano altre donne che le somigliavano, ma non poteva essere una coincidenza che lui fosse lì. Con questo killer non c’erano coincidenze, mai.
«Fermo, fermo, fermo!» mi urlò Sara alzandosi dalla sedia «Torna indietro! Circa dodici secondi.»
«Ecco, che hai visto?» le chiesi fissandola. Avevo guardato quel filmato almeno sei volte e non avevo notato niente di insolito.
«Lì, riflesso sul vetro della porta principale, guarda bene.» mi indicò con il dito.
«Non vedo niente, Sara…»
«Oliver, dio, ma sei cieco? È lui! Dobbiamo fare un ingrandimento.» esclamò indicandomi ancora la figura sul computer.
In effetti osservando bene qualcosa si notava, non era un’immagine molto nitida, ma si vedeva un uomo in carne ed ossa che somigliava incredibilmente a quello dell’identikit. Forse era davvero lui, forse no, sicuramente con una revisione da parte degli esperti avremmo avuto le idee più chiare. Passai il dvd a Sara che lo portò nell’ufficio dei nostri tecnici informatici, presto avremmo avuto un volto e con un volto avevamo molte più speranze di identificarlo. Se capivamo chi fosse potevamo risalire al suo passato e capire con che criterio sceglieva le sue vittime e soprattutto perché faceva ciò che faceva. C’era sempre una spiegazione, o quasi, erano rarissimi i casi in cui qualcuno uccideva solo per il gusto di farlo, una storia dietro la trovavamo sempre.
«Oliver! Vieni, presto!» mi chiamò Sara e non esitai a correre da lei.
«Che c’è?» domandai.
«Abbiamo la foto. Dopo più di un anno abbiamo la foto!» esultò la mia amica.
«Sei un fottuto genio, Sara! Dobbiamo avvertire Tommy e John.» dissi abbracciandola.
«Li vado a chiamare io, tu perché non lo dici a Felicity? Almeno hai una scusa per telefonarle.» esclamò con un tono malizioso.
«Quanto sei simpatica!» risposi alzando gli occhi al cielo.
«Dai, Ollie, sto scherzando. Perché non le chiedi di uscire? È la prima volta che ti vedo così preso da una donna.»
«Non… Non lo so. Non voglio… Illuderla.» dissi.
«Sei un’idiota. Prendi quel dannato cellulare e chiedile un appuntamento. E se non lo fai tu lo faccio io!» mi minacciò.
A quanto pare avrei chiesto a Felicity Smoak di uscire con me…









Angolo autrice
Ciao! Sono quasi finite le vacanze ed io domani ho un esame... Voglio suicidarmi xD
Cooomunque, alla fine Oliver e Felicity si sono chiariti, entrambi hanno ammesso di aver sbagliato e avevano paura di perdersi per questo. Fortunatamente così non è stato :)
Nella seconda parte del capitolo vediamo Oliver e Sara continuare ad indagare sul killer, lui è stato sveglio tutta la notte ma non ha trovato nulla così la sua amica lo aiuta e... Finalmente lo vedono!! Con l'aiuto dei tecnici riescono a ricavarne una foto e dopo un anno e passa hanno fatto dei grossi passi avanti! Chi mai sarà quindi quest'uomo? Lo arresteranno? Ma soprattutto... Oliver chiederà a Felicity di uscire? :) 

Sono contentissima dell'andamento di questa fan fiction :D spero come sempre di ricevere i vostri pareri! 

A prestissimo,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** It's just a little crush ***


Chapter eight - It’s just a little crush





Felicity
Era notte fonda, probabilmente saranno state le quattro o forse addirittura le tre del mattino. Disgraziatamente avevo il turno di notte e con il diluvio universale che c’era fuori avevo avuto un intervento dietro l’altro, certamente non era finita visto che dovevo rimanere qua fino alle sette. Ero uscita dalla sala operatoria da circa venti minuti quando il mio cerca persone iniziò a suonare nuovamente, neanche il tempo di finire il mio succo! Corsi giù in pronto soccorso sperando di non dover fare un’ulteriore intervento, ma non appena vidi il paziente mi resi conto che non era possibile evitare l’operazione.
«Cos’è successo?» chiesi ai miei specializzandi.
«Perforazione della milza, dev’essere asportata.» rispose una.
«Giusto. Bene, ti laverai con me. Voi altri preparatelo, veloci!» esclamai vedendo che se ne stavano lì impalati.
Non ero mai stata cattiva ma un po’ di autorità dovevo averla altrimenti mi avrebbero preso in giro e la gente sarebbe morta. Grazie al cielo non era un’intervento complesso perché a quest’ora della notte non si era mai completamente lucidi, oltretutto ero parecchio nervosa, Oliver non mi aveva più chiamato da ieri mattina, ci eravamo chiariti e nonostante sapessi bene che poteva rintracciarmi gli avevo lasciato comunque il mio numero di cellulare. E mi aspettavo una chiamata, sinceramente. Sapevo che era impegnato con il caso e che c’erano stati degli sviluppi importanti ma almeno un messaggio poteva mandarmelo. 
Due ore dopo avevo terminato il terzo intervento della nottata e dire che avevo mal di schiena era estremamente riduttivo, fortunatamente erano le cinque e mezza e non mancava molto alla fine di questo turno. Solitamente le notti erano tranquille ma stamattina aveva iniziato a piovere a dirotto e ancora non aveva smesso, quindi c’erano stati il triplo degli incidenti. In un momento di pausa ricontrollai il cellulare e ancora niente messaggi o chiamate, “Felicity, sei una scema, chi vuoi che sia sveglio alle cinque e trenta del mattino?” mi dissi poi mentalmente. Oliver sicuramente stava dormendo come tutte le persone normali.
Per mia fortuna le sette arrivarono in fretta e potei andarmene finalmente a casa. Nonostante il violento acquazzone avevo deciso di venire a piedi per non rischiare di finire contro un albero con la macchina, non era il caso. Aprii la porta dell’appartamento bagnata fradicia, perdevo più acqua io che il cielo a momenti. Lasciai tutta la roba bagnata all’entrata e solo con la biancheria addosso corsi in bagno ad aprire l’acqua calda della doccia trovandomi Caitlin in pigiama che si lavava i denti.
«Bentornata.» disse con il dentifricio tra i denti.
«Sto morendo di freddo!» borbottai infilandomi sotto il getto dell’acqua per poi togliermi gli slip e il reggiseno, tanto erano piombi pure quelli.
«Potevi almeno prendere un taxi!» mi rimproverò la mia amica.
«Non volevo schiantarmi Cait! Sono io il chirurgo, spetta a me ricucire la gente, te lo sei dimenticata?» le chiesi passandomi lo shampoo al lampone sui capelli.
«Scommettiamo che domani avrai l’influenza?»
«Ma cosa dici! Guarda che sei tu quella che si ammala spesso e volentieri.» replicai.
«Vedremo, Smoak.» esclamò lasciandomi sola in bagno.
Continuai a stare al calduccio sotto la doccia per circa mezz’ora, mi aiutava a riflettere e in più mi serviva per scaldarmi, dopodiché sarei sicuramente andata a letto, ero un cadavere. Speravo di ricevere una chiamata da parte di Oliver e da un lato neanche volevo andare a dormire proprio per stare lì e aspettare. Sembravo una liceale quindicenne alla prima cotta e non una donna adulta, ma che importava quando poteva esserci qualcosa d’importante con una persona come Oliver? Dopotutto forse Caitlin aveva ragione… Mi ero presa una piccola cotta per lui.
Uscii dalla doccia avvolgendomi nel mio accappatoio e la prima cosa che feci fu ricontrollare il telefono. Ancora niente. Ma erano solo le otto, chi chiamerebbe qualcuno alle otto del mattino? Dovevo smettere di farmi viaggi mentali e andare seriamente a dormire qualche ora. Mi infilai il pigiama e mi misi sotto le coperte, lasciai il telefono in modalità silenziosa in modo che non mi svegliasse. Se per caso Oliver avesse chiamato in quel lasso di tempo lo avrei richiamato io dopo. Forse.

Mi risvegliai sentendo dei rumori provenire dal salotto, mi stiracchiai e guardai l’ora sulla mia sveglia: le 13.15. Merda! Era tardissimo! Di solito mi svegliavo molto prima e riuscivo a preparare il pranzo a Caitlin, stavolta invece avevo dormito come un ghiro. Mi tirai su ed andai in soggiorno con il pigiama e le pantofole e trovai la mia coinquilina intenta a preparare il pranzo.
«Scusami, non mi ero resa conto dell’ora…» affermai.
«Felicity, stai tranquilla! Hai tutto il diritto di dormire. Ci penso io qui… Ah, preferisci pomodoro o ragù?» mi chiese aprendo il frigorifero.
«Mmm, pomodoro.» risposi tornando in camera mia.
Presi il cellulare dal comodino e lo impostai di nuovo con il volume, quando notai una chiamata persa il mio cuore cominciò a battere all’impazzata, ero in tachicardia. Era lui? Mi aveva chiamata? Non avevo nemmeno il coraggio di guardare. Aprii solo dopo qualche minuto la schermata delle chiamate senza risposta e con mio disappunto mi resi conto che era solamente mia madre. Sempre nei momenti meno opportuni, ovviamente. Nonostante la piccola delusione richiamai la richiamai per chiederle che cosa volesse, infondo era un po’ che non la sentivo.
«Pronto? Felicity, sei tu?» chiese dall’altro capo.
«Sì, mamma. Dimmi, cosa c’è?» domandai a mia volta.
«Tesoro, ho visto il telegiornale! Non sei spaventata a morte? C’è un serial killer che gira a New York!» mi disse urlandomi nell’orecchio.
«Rilassati, mamma. Sai quanti psicopatici girano qui? Se dovessi spaventarmi per ognuno non uscirei nemmeno di casa!» risposi quasi ridendo.
«Credi che non mi sia accorta della somiglianza con quelle due donne? Felicity, non sono mica stupida!» mi rimproverò.
«Non ho mai detto questo! E sì, me ne sono accorta anch’io, ma tranquilla è tutto sotto controllo.» provai a calmarla.
«Ma come fai a dirlo? Non sei mica in contatto con l’FBI o quella gente lì!» 
Io rimasi in silenzio per qualche istante, che dovevo dirle? Che avevo una grossa cotta per un agente speciale dell’FBI? Non era il caso o sarebbe corsa fin qui da Las Vegas solo per indagare. Naturalmente il mio silenzio non restò inosservato, mi sembrava di vedere mia madre già che si faceva film mentali nonostante gli innumerevoli chilometri di distanza.
«Felicity Megan Smoak. Dimmi cosa sta succedendo.» mi stava persino chiamando con il mio nome intero, era grave la situazione.
«Niente, mamma.» mentii anche sapendo che non mi avrebbe creduto.
«Hai finalmente trovato un uomo?» mi chiese tutta eccitata.
«No!» urlai nella cornetta rendendomi conto dopo di aver alzato la voce.
«Amore, io ti voglio bene, ma non sai mentire. Uh, non vedo l’ora di conoscerlo! È una cosa seria? Che cosa avete combinato?»
Mio dio, la cosa stava degenerando «Mamma, no, non è una cosa seria. Non ci frequentiamo nemmeno… Ci siamo solo… Baciati una volta. Contenta?»
«Sono così felice! E scommetto che sei così tranquilla perché lui lavora nelle forze dell’ordine.» 
«Non ti dirò niente! Accontentati.» risposi ridacchiando.
«Va bene, va bene! Sono felice per te piccola. Ci sentiamo presto, okay?»
«Sì, certo! A presto, mamma.» la salutai.

Oliver
Facevo avanti e indietro da almeno un’ora, avevo provato a chiamare Felicity all’ora di pranzo ma il suo cellulare mi dava “occupato”. Avevo seguito il consiglio di Sara ma quando non mi aveva risposto mi ero agitato parecchio, non solo per il fatto che magari aveva cambiato idea su di noi ma per via dell’uomo che cercavamo. Ormai era palese che cercasse in qualche modo di avvicinarsi a Felicity e i pochi progressi che avevamo fatto erano pressoché inutili. Se l’avesse presa non ero certo che saremmo riusciti a salvarla.
«Oliver, la smetti di camminare! Finirai per bucare il pavimento!» mi ammonì Tommy seduto alla sua scrivania.
«Non ti ci mettere anche tu.» replicai infastidito.
«Non ti ha risposto una volta, sarà impegnata!» constatò il mio amico.
«E se quell’uomo l’avesse rapita?» chiesi con le mani sui fianchi.
«Da quando sei così paranoico, amico? » ridacchiò lui.
«Chiudi il becco.» esclamai ricominciando a girare per la stanza.
«Sei proprio cotto.» continuò Tommy prendendomi in giro.
«Mi preoccupo solo per lei, va bene?»
«Certamente! Se ne sei convinto.» disse alzando le mani in segno di resa.
«Invece di blaterare sulla mia vita sentimentale perché non mi dici se ci sono novità.» affermai cambiando discorso.
«Ho mandato la foto a tutte le stazioni di polizia di Las Vegas e dintorni, hanno detto che si sarebbero messi subito al lavoro ma non ho ricevuto aggiornamenti ancora.» mi spiegò.
«Dannazione! Quanto ci vuole a diffondere una fotografia?» sbraitai nervoso.
«Ti vuoi calmare? È la prima vera pista dopo più di un anno, un giorno in più che differenza fa?»
«Scusa, è che mi innervosisce non sapere se lei è al sicuro.» dissi con un tono di voce più tranquillo.
«Starà bene, Oliver. Prova a richiamarla, no?»
«Non sembro uno stalker scusa?» chiesi grattandomi il capo.
«Si vede che hai avuto solo storie di una notte… Se ad una ragazza piaci, pensi che non le faccia piacere essere cercata?» mi domandò retoricamente.
«Tu e la tua psicologia… Adesso la richiamo, sei felice?»
«Assolutamente.» ridacchiò Tommy.
Mi allontanai leggermente dal mio amico per chiamare, tra lui e Sara non sapevo chi s’intrometteva di più nella mia vita privata. Feci partire la chiamata nella speranza che questa volta mi rispondesse, non tanto per l’appuntamento, volevo solo sapere se era viva e vegeta. Ci furono circa tre o quattro squilli prima che rispondesse effettivamente.
«Pronto?» disse.
«Felicity, ciao. Sono Oliver… Avevo provato a chiamati ma probabilmente eri al telefono in quel momento.»
«Oh, sì… Ha chiamato mia madre… Scusami.»
«Non preoccupati, volevo solo sapere se stai bene.» risposi dicendo solamente mezza verità.
«Certo, è tutto apposto.» esclamò lei.
«Mi chiedevo se… Sì, insomma… Se ti andrebbe di uscire… Magari per cena, o per pranzo se preferisci…» balbettai. Mi sentivo veramente un cretino, quando avevo quindici anni sapevo parlare alle ragazze molto meglio.
Felicity rimase in silenzio per qualche secondo, poi rispose «Volentieri. Facciamo stasera? Domani ho il turno di pomeriggio così non avrò problemi di orari… Sempre se per te va bene.»
«Sì, sì. È perfetto. Passo a prenderti alle sette e trenta.» dissi senza mascherare l’entusiasmo.
«D’accordo. Allora… A stasera.» mi salutò.
«Sì, a stasera.» risposi chiudendo la telefonata.







Angolo autrice
Rieccomi qui! Dovevo pubblicare ieri ma sono tornata a casa tardi e non avevo voglia xD
Il capitolo comincia con Felicity durante un turno di notte che aspetta solamente una chiamata da parte di Oliver, prima non voleva neanche vederlo e adesso aspetta con ansia che si faccia sentire ahahah :')
Compare anche mamma Smoak per la prima volta che ha subito capito cosa nasconde Felicity xD probabilmente più avanti la farò venire a New York in carne ed ossa e non solamente per telefono!
E poi c'è Oliver che ancora non si era deciso a chiamare Fel, per fortuna che ci sono Tommy e Sara a dargli una svegliata! Alla fine le chiede il tanto atteso appuntamento che... Leggerete nel prossimo capitolo! ;)

Ringrazio come sempre tutti per i complimenti e le recensioni! Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando!

A presto!
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** First date ***


Chapter nine - First date





Felicity
Ancora non mi sembrava vero che tra qualche ora sarei uscita a cena con Oliver. Mi aveva chiesto un appuntamento. Appena chiusa la chiamata avevo iniziato a saltellare come una matta, Caitlin mi stava guardando malissimo credendo che fossi diventata ufficialmente pazza, ma quando le avevo spiegato cosa fosse accaduto si era messa ad urlare pure lei e mi aveva abbracciato così forte da stritolarmi. Erano anni che non uscivo ufficialmente con qualcuno, c’era stato qualche flirt e delle notti di sesso da una botta e via, ma era capitato solamente due volte. Non ero il tipo da avventure, volevo una storia seria e nel corso degli anni nessuno aveva mai soddisfatto questo mio desiderio. Finché non era arrivato Oliver. Lui aveva completamente stravolto la mia vita nel giro di una settimana. Non m’importava neanche essere nel mirino di un serial killer, volevo solo godermi la serata il più normalmente possibile.
Andai a farmi un bel bagno caldo rilassante così che mi aiutasse a sciogliere un po’ il nervosismo, ero fuori allenamento con cene e appuntamenti ma non per questo volevo rovinare tutto. Cercai di sistemarmi i capelli meglio che potei, per fortuna Cait venne in mio aiuto o avrei fatto un disastro con l’arricciacapelli.
«Che ne dici di tirarli sopra e fare dei boccoli sulle punte?» propose.
«Sarebbe perfetto. Sai che se mai cambiassi idea sul fare il chirurgo potresti fare l’hair stylist?» le dissi mentre trafficava con i miei capelli.
«Avrei certamente meno responsabilità.» rispose lei sorridendo.
«Cait, sono in ansia. Da morire.» commentai sospirando.
«Cerca di stare tranquilla, andrà alla grande.» provò a tranquillizzarmi.
«Oh mio dio! E se si aspetta di fare sesso dopo cena?» chiesi voltandomi con un’aria terrorizzata «Non sono neanche andata dall’estetista!»
Caitlin scoppiò a ridere di gusto «Rilassati! Non ti chiederà di fare sesso dopo il primo appuntamento. Gli piaci troppo.»
«E tu che ne sai? Neanche lo conosci.» borbottai.
«Se avesse voluto portarti a letto e basta l’avrebbe già fatto, fidati di me.»
«Sì, probabilmente hai ragione…»
«Io ho sempre ragione, Felicity.»
Lasciai che terminasse la mia acconciatura per la serata e non appena mi vidi allo specchio a stento mi riconobbi. Sembravo quasi una principessa! Caitlin aveva fatto un lavoro meraviglioso, sul serio. La abbracciai forte e corsi in camera mia per scegliere un vestito da mettere, sarebbe stata una decisione ardua visto che raramente avevo appuntamenti importanti. Tirai fuori praticamente tutto dall’armadio ma non mi convinceva niente, sbuffai sedendomi sul letto continuando a fissare gli abiti, di questo passo sarei andata nuda.
«Quello blu, Fel.» mi disse la voce di Cait.
«Non lo so, non mi convince.» risposi affranta.
«Provalo.» mi invitò.
Annuii e presi il vestito blu dal mucchio sul letto, era lungo fin sopra il ginocchio, con dei ricami in pizzo sulla scollatura e verso la fine dell’abito. Mi sistemai i capelli e mi guardai di nuovo allo specchio, sì, era decisamente quello giusto. Qualche secondo dopo Caitlin tornò con le scarpe che avrei dovuto mettere, un paio di décolleté sempre sulle tonalità del blu che avevo messo solo una volta.
«Stai benissimo!» esclamò la mia amica.
«Grazie, Cait. È merito tuo.» replicai sorridendole.
«Sono quasi le sette e mezza, io sparisco. In bocca al lupo e… Voglio i dettagli domani!»
«Caitlin!» le dissi ridendo.
Ero davvero agitata adesso, non sapevo cosa aspettarmi da questa uscita e il non sapere mi innervosiva ancora di più. Controllai di aver preso tutto almeno quattro volte e cercai di calmarmi, erano appena scoccate le sette e trenta quindi Oliver sarebbe arrivato a momenti. Un minuto dopo il campanello trillò facendomi sussultare, era qui, era davvero qui. Mi alzai dal divano traballando sui tacchi e aprii la porta, mi trovai davanti un uomo che stentavo a riconoscere. Indossava un completo grigio con una camicia bianca sotto e la cravatta scura, continuavo a pensare “è troppo bello per essere vero” eppure era qui davanti a me e mi sorrideva. 
«C-Ciao.» balbettai senza smettere di fissarlo.
«Ciao. Questi sono per te.» rispose porgendomi uno splendido mazzo di fiori.
«Oliver! Grazie, ma non serviva!»
«È il primo appuntamento, è d’obbligo.» mi disse lui.
«Grazie, veramente. Li metto in un vaso, mi dai due minuti? Ah, e vuoi entrare?» chiesi rendendomi conto solo dopo che avevo fatto mille domande tutte in una volta.
«Sì, d’accordo. Ti do una mano.» mi sorrise lui.
Mi aiutò a mettere i fiori in un vaso con dell’acqua e li sistemai sul tavolo della cucina, erano davvero belli e mi ero sentita veramente importante nel momento in cui me li aveva regalati. Avevo cercato di non darlo a vedere ma stavo sorridendo come una stupida da quand’era arrivato, mi sentivo una bambina. Dopo aver sistemato il vaso presi il cappotto dall’appendiabiti e uscimmo entrambi da casa mia. Ero curiosa di sapere dove mi avrebbe portata, cosa avremmo mangiato e soprattutto di cosa avremmo parlato.
«Sei splendida comunque.» disse mentre scendevamo le scale.
«Cosa?» chiesi non avendo capito quello che mi aveva detto, ero un po’ distratta a fantasticare.
«Ho detto che sei splendida stasera.» ripeté.
«Ti ringrazio…» risposi arrossendo vistosamente «Stai bene anche tu.»
«Merito di Sara. A detta sua se non mi avesse consigliato qualcosa da mettere sarei venuto in tuta.» ridacchiò.
«Diciamo che anch’io non ho tutto il merito, Caitlin mi ha aiutata.» confessai.
«Ha fatto un ottimo lavoro.» replicò Oliver guardandomi.
Appena arrivammo giù mi aprì la portiera dell’auto come un vero gentiluomo ed io non potei che esserne lusingata, dove lo trovavo un altro così gentile e galante? Aveva un suv nero con i vetri oscurati, se non fosse stato suo mi avrebbe messo decisamente ansia. Però era comodissimo, spazioso e profumava di arancia. Mi legai con la cintura e partimmo qualche istante dopo, adesso ero davvero impaziente di arrivare.
«Quest’auto non è il massimo, è quella dell’FBI, la mia purtroppo è a Quantico.» affermò accendendo la radio.
«A me piace, è grande.» risposi alzando le spalle.
«Un giorno ti farò vedere la mia Mercedes e poi ti ricrederai.» mi disse sorridendo. Quindi partiva già col fatto che voleva rivedermi…
«Oh dio, amo questa canzone!» esclamai con un tono di voce fin troppo alto «Non posso crederci, ascolti i Queen?»
«Certamente! Si sono ispirati a me per il nome.» scherzò.
«Ma se non eri nemmeno nato nel 1970!» risposi ridendo.
«Magari porto bene i miei anni.» commentò lui.
«Non ti crederei neanche tra un secolo!»
Dopo circa venti minuti di viaggio Oliver fermò l’auto nei pressi di un bel ristorante, non ci ero mai stata e la novità mi attraeva senza dubbio. Grazie al cielo aveva smesso di piovere e nonostante fosse ancora tutto bagnato non ci si poteva lamentare. Il posto all’interno era stupendo ed elegante, un ristorante italiano probabilmente, avevo sempre amato da morire la cucina italiana. Uno dei camerieri ci fece accomodare al tavolo che era arredato con una candela profumata e delle rose rosse, il che rendeva tutto molto più romantico. L’agitazione mi era persino passata, mi sentivo stranamente a mio agio con lui ed anche il viaggio in macchina era stato divertente e piacevole.
«Spero non ti dispiaccia se ho chiesto allo chef di portarci i suoi migliori piatti.» mi disse.
«No, assolutamente!» replicai.
«Allora, dimmi qualcosa di te che non so.» affermò poi sorseggiando un po’ di vino bianco offertoci dal cameriere.
«Mmm, non saprei… Beh, innanzitutto parlando della mia famiglia posso dirti che sono figlia unica e vivo qui a New York solo da sei anni.»
«Io invece come avrai notato una sorella.» mi sorrise.
«Sì, ti somiglia molto. Siete tanto legati?» chiesi.
«Sì, un sacco. Nonostante i dieci anni di differenza siamo molto uniti.»
«Ho sempre desiderato una sorella, ma mia madre mi diceva sempre che uno basta e avanza.» risposi ridacchiando.
«Non ha tutti i torti.» affermò «Il college invece dove l’hai frequentato?»
«A Baltimora, alla Hopkins. Era il mio sogno fin da quando avevo sedici anni e sono riuscita ad entrarci grazie ad una borsa di studio.»
«Complimenti! Dicono sia una delle università più prestigiose! Anche i miei genitori speravano che andassi al college, ma… Ero un po’ sciocco all’epoca.»
«Davvero? Credevo fossi uno tutto studio e lavoro.» gli dissi.
«No, anzi. Prima di iscrivermi all’accademia dell’FBI ero il classico ragazzino viziato.» mi spiegò.
«Quante cose scopro di lei, signor Queen.»
«Sono un libro aperto, signorina Smoak.» rispose mentre il cameriere ci serviva uno dei primi piatti.
«Ora ti confesso una cosa, ma giura di non prendermi in giro.» lo avvertii.
«Okay, promesso.» giurò Oliver.
«Quando ancora eri in ospedale e mi ha parlato di Thea ho subito pensato che avessi una fidanzata, quando poi sono arrivati i tuoi genitori e tu l’hai chiamata per nome ho realizzato quanto stupida fossi stata.» raccontai.
Oliver scoppiò a ridere ed io misi il broncio fingendomi offesa «È bello sapere che sei gelosa.» commentò poi.
«Io non sono gelosa!» replicai.
Oliver stava per dire qualcosa quando improvvisamente il suo cellulare cominciò a squillare incessantemente «Scusami, ora lo spengo.» disse.
«No, rispondi, magari è importante.» affermai.
Accettò la chiamata alla fine anche se non ne sembrava entusiasta «Sara, lo sai dove sono… No… Va bene… Sì, capisco… Okay, ciao.»
«Tutto bene?» chiesi notando che aveva completamente cambiato espressione.
«No, per niente. Hanno trovato l’identità del serial killer e devo andare da loro.» sospirò.
«È una buona notizia!» esclamai non capendo come mai fosse una brutta cosa per lui.
«Significa che non possiamo concludere l’appuntamento…»
«Oliver, non sono quel tipo di persona e di certo non me la prenderò.» lo rassicurai.
«Sei fantastica, fin troppo.» mi sorrise.
«Andiamo? Ti accompagno.» gli dissi alzandomi e porgendogli la mano.
«Andiamo.» rispose afferrandomi la mano.










Angolo autrice
Eccovi qui il nono capitolo :)
Il tanto atteso appuntamento è arrivato! Felicity ovviamente si fa mille paranoie pensando che Oliver voglia solo portarsela a letto xD fortuna che c'è Caitlin ahah!
Lui è un gentiluomo e le porta persino dei bellissimi fiori prima di cena. Ho scelto la cucina italiana per ricordare il primo appuntamento Olicity anche se questo non è stato un disastro come nel telefilm no? :') e Fel gli ha pure raccontato cos'ha pensato di Thea la prima volta ahaha!
Però non hanno potuto concludere la cena perchè... Hanno trovato l'identità del killer!! Lo beccheranno finalmente?

Grazie come sempre per le aggiunte nelle categorie e per le recensioni! Aspetto i vostri commenti, fatemi sapere eh :*

Un abbraccio,
Anna
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Stay ***


Chapter ten - Stay





Felicity
Non ci volle molto a raggiungere la base operativa dell’FBI, seguivano le indagini da un hotel decisamente lussuoso dove erano soliti alloggiare quando svolgevano attività nella Grande Mela. Avevano un gran bell’ufficio con strumenti moderni e sofisticati, avrebbero fatto comodo a me in ospedale delle apparecchiature così all’avanguardia. Un po’ mi era dispiaciuto interrompere la cena solo dopo la prima portata, ma mi rendevo conto che c’erano cose più importanti a cui Oliver doveva pensare e siccome la questione riguardava anche me di certo non potevo lamentarmi. Avevo deciso di accompagnarlo perché ne volevo sapere di più su quest’uomo e soprattutto perché volevo restare insieme a lui il più a lungo possibile, se non potevamo cenare come due persone normali almeno avremmo passato la serata in compagnia. 
«Ehi, ragazzi.» ci salutò Sara non appena ci vide varcare la soglia dell’ufficio. Sembrava si sentisse in colpa perché mimò un “mi dispiace” rivolto a Oliver.
«Ciao Sara.» la salutai con un breve abbraccio.
«Com’è che tutti qui conoscono la fidanzata di Oliver tranne me?» si lamentò quello che doveva essere Tommy, l’altro collega.
«Non è la mia fidanzata.» precisò Oliver «Comunque, Tommy Felicity, Felicity Tommy.» ci presentò.
«È un piacere conoscerti, ci dispiace avervi interrotto stasera, ci faremo perdonare.» mi disse il ragazzo porgendomi la mano.
«Non fa niente, so cosa vuol dire quando il lavoro chiama.» affermai con un sorriso.
«Avete davvero scoperto chi è?» chiese poi Oliver con le braccia incrociate al petto.
«Così sembra. Abbiamo avuto un riscontro da una delle stazioni di polizia a Las Vegas, ci hanno mandato un’email con allegata la fotocopia della sua patente di guida più recente, pare che non la rinnovi da almeno vent’anni. Non è molto ma almeno abbiamo un nome e un volto.» ci spiegò Sara.
«Aspettate un attimo. Non voglio intromettermi in cose che non mi riguardano, ma… Io sono originaria di Las Vegas.» dissi non ignorando la provenienza delle informazioni.
«Cosa?!» esclamò Oliver sconvolto mentre Tommy e Sara erano semplicemente rimasti a bocca aperta.
«Sono nata là, ci ho vissuto fino ai diciotto anni poi mi sono trasferita a Baltimora per frequentare il college come ti ho già detto. Una volta laureata sono venuta a lavorare qui a New York.» risposi.
«Felicity, non può essere una coincidenza che lui ora sia qui.» mi fece notare Sara.
«Infatti, di sicuro non lo è. Prova a guardare la foto, magari lo conosci.» mi invitò Oliver con un tono più tranquillo.
Osservai attentamente le immagini proiettate sullo schermo, una ritraeva un uomo giovane ed era quella della patente mentre l’altra, quella ricavata dalle telecamere dell’ospedale, ritraeva un uomo più anziano ma non troppo. Si vedeva chiaramente che si trattava della stessa persona.
«Mi dispiace, io non ho idea di chi sia. Non l’ho mai visto, né da giovane né com’è adesso.» dissi sospirando. Contavano su di me, ma non conoscevo quell’uomo.
«Ne sei certa?» mi domandò Oliver.
«Sì.» affermai annuendo.
«Possiamo quasi dire con certezza che è te che cerca. Non può essere una coincidenza che abbia rapito e ucciso donne uguali a te a Las Vegas per poi passare a New York così dal nulla.» esclamò Tommy.
Un brivido mi percorse il corpo partendo dalla testa ed arrivando fino ai piedi, quel serial killer cercava me… Non potevo certamente negare di essere spaventata, il collegamento tra tutto ero io anche se non avevo idea del perché. Io non lo conoscevo eppure lui sapeva chi ero io e a quanto pare mi voleva morta. Come poteva un uomo volermi morta senza neanche sapere chi fossi di persona? Cosa mai avevo fatto di sbagliato per meritare di morire?
«Scusami, non volevo spaventarti. Sono stato un po’ troppo diretto.» aggiunse il ragazzo con aria colpevole.
«No, va bene. Preferisco sapere la verità.» dissi alzando le spalle.
«Faremo delle ricerche su di lui e lo troveremo. Sappiamo che ha circa sessant’anni, che viveva a Las Vegas e che il suo nome è James Ford. È un ottimo punto di partenza.» provò a rassicurarmi Sara.
«Voglio che tu stia qui finché non l’avremmo preso.» affermò Oliver improvvisamente.
«C-Cioè?» balbettai.
«Voglio che resti qui dove posso proteggerti.» ripeté mentre Tommy e Sara facevano finta di lavorare al computer per lasciarci un po’ di privacy.
«Oliver, mi fa piacere ma ho una vita, un lavoro, una casa e soprattutto non voglio lasciare Caitlin da sola.» spiegai.
«Felicity, ti prego, cerca di capire. Quell’uomo ha ucciso sei donne e sarebbe arrivato a otto se non le avessimo salvate, non hai idea di quello che potrebbe farti.» rispose lui.
«So bene che è pericoloso, ma dovrei mettere in pausa tutto per chissà quanto tempo? Non credo di farcela.»
«Okay, d’accordo. Almeno per stasera puoi rimanere, per favore? Ha ricominciato anche a piovere.» 
«Va bene. Ma promettimi che domani pomeriggio mi lascerai andare al lavoro.» esclamai non accettando obiezioni.
«Vedremo.» mi disse accennando un sorriso.
«Oliver.» lo chiamai con un tono tutt’altro che amichevole.
«Ti accompagno di sopra e ti faccio vedere la tua stanza.» disse cambiando completamente discorso.
Alzai gli occhi al cielo infastidita, da quando un uomo con cui ero uscita una volta poteva dirmi cosa fare? Certo, Oliver lo faceva per proteggermi e vedevo quant’era preoccupato, ma restare segregata in un hotel avrebbe risolto qualcosa? Se proprio voleva poteva assegnarmi una scorta o un agente sotto copertura! Salutammo Sara e Tommy dirigendoci verso l’ascensore, li sentii ridacchiare non appena Oliver si avvicinò a me e mi sembrava di rivedere Cait in loro, sempre pronti ad impicciarsi (in senso buono, però). Il tragitto fu breve, la mia stanza a quanto pare era solo al quinto piano nonostante nel palazzo ce ne fossero trentacinque. Oliver passò la card magnetica e la porta si aprì lasciando che i miei occhi s’incantassero di fronte alla bellezza di quella camera d’albergo.
«È… È… Incredibile.» commentai girandomi intorno.
«La mia prima reazione quando sono venuto qui è stata identica.» mi rispose.
«Aspetta… Non ho niente da mettermi, le mie cose sono tutte a casa.» 
«Di sotto c’è un negozio di abiti, ti ho fatto portare su qualcosa da uno degli inservienti.»
«Cosa? Frena, non capisco. Sapevi già che sarei venuta qui?» chiesi sconcertata.
«No, beh, non proprio. Non era in programma che scovassimo l’identità del killer proprio stasera, ma visto che così è stato ho avvertito Sara di far preparare una stanza. Avrei dovuto dirtelo, lo so, solo non volevo rischiare.»
«E quando l’avresti fatto?» domandai.
«Durante il viaggio di ritorno. Non te ne sei accorta perché so come fare le cose di nascosto.» rispose come niente fosse, anzi sorrideva pure.
«Non mi piace essere presa in giro.» esclamai voltandomi.
«Hai ragione, però Felicity se questo serve a proteggerti mi sta bene. Preferisco che tu sia arrabbiata con me piuttosto che nelle mani di quell’uomo.» mi disse.
Fu quella frase a farmi sciogliere completamente, era disposto a rinunciare a quel qualcosa che c’era tra noi pur di tenermi al sicuro ed io mi ero arrabbiata per niente. Non mi avrebbe di certo stravolto la vita passare una notte in una stanza d’albergo eppure mi aveva infastidito che non me l’avesse detto subito. Nonostante questo però mi ero resa conto di quanto fosse stupido il mio atteggiamento, se me lo avesse detto, conoscendomi, gli avrei risposto di no e mi sarei messa da sola nel mirino del killer.
Ero ancora girata di spalle, sapevo che Oliver era lì e che non se ne sarebbe andato, mi morsi il labbro talmente forte da farlo quasi sanguinare, lasciai la pochette sul letto e mi levai le scarpe senza mai voltarmi. Poi mi girai a guardarlo e con passo spedito mi lanciai sulle sue labbra, non ebbe neanche il tempo di rendersene conto ma qualche istante dopo mi strinse a sé rispondendo al mio bacio. Mi era mancato tutto questo, mi erano mancate le sue labbra, mi era mancata la sua lingua che s’intrecciava perfettamente con la mia, mi era mancata la sua mano tra i capelli. Lo desideravo da impazzire, c’era quella chimica che non avevo mai trovato con nessun altro.
Mi staccai da lui con il fiato corto, ma senza allontanare il mio viso dal suo. Sentivo il suo profumo invadermi le narici e da un lato avrei davvero voluto usufruire di questa stanza da letto. Però sapevo bene che il sesso avrebbe rovinato ogni cosa, non era il momento giusto per noi.
«Wow… Non me l’aspettavo.» sussurrò sulle mie labbra.
«Lo so.» risposi stampandogli un piccolo bacio a stampo.
«Non posso lamentarmi della serata.» mi disse sorridendo.
«Neanch’io.» risposi lasciando che mi abbracciasse «E, Oliver, grazie. Ammetto che stando qui mi sento più sicura.»
«Ti prometto che non gli permetterò mai di farti del male.» affermò accarezzandomi i capelli.
«Resta.» esclamai nell’istante in cui sciolse l’abbraccio.
«Vuoi che dorma qui… Con te?» mi chiese aggrottando le sopracciglia.
«Sì.» risposi annuendo. Avevo bisogno di lui ora più che mai e non m’importava se gli altri si fossero fatti un’idea sbagliata.
«Sei sicura di volerlo?» mi domandò guardandomi negli occhi.
Gli risposi baciandolo di nuovo sperando capisse che ero totalmente seria. Non volevo fare sesso anche se ce n’era l’occasione, volevo solo che Oliver mi stesse accanto e un abbraccio mi sarebbe bastato. La verità era che mi sentivo in pericolo, sentivo di non potermi più muovere in libertà, era ovvio che cercassi di nasconderlo e che non volessi rinunciare alla mia vita di tutti i giorni ma sotto sotto la realtà era che avevo paura.
«Allora resto. Recupero qualcosa da mettermi nella mia camera e torno.» esclamò dandomi un bacio sulla fronte.
«Non metterci troppo.» dissi lasciandolo uscire, sapendo però che sarebbe tornato.









Angolo autrice
Eccomi. Scusate il ritardo ma sono strapiena di esami e il tempo libero che ho è pochissimo purtroppo :(
Comunque, finalmente sappiamo il nome del serial killer! *applausi* 
Ovviamente non sanno ancora come mai faccia tutto ciò però sono a buon punto. Felicity essendo di Las Vegas però non lo riconosce, non l'ha mai visto in vita sua, quindi... Come mai la sta cercando?
Oliver vuolw proteggerla a tutti i costi, vuole che rimanga con lui e anche se Fel all'inizio non è d'accordo poi è proprio lei a dirgli "resta". Sembra che si stiano avvicinando sempre di più ed è lei stavolta a prendere l'iniziativa e saltargli addosso xD

Spero vi sia piaciuto e aspetto ovviamente i vostri commenti! :) non siate timidi mi raccomando ahah

A presto,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** I look at you, you look at me ***


Chapter eleven - I look at you, you look at me





Oliver
Avevo recuperato dalla mia stanza il pigiama e le ciabatte ed ero ritornato subito da Felicity. Non mi aspettavo minimamente che mi avrebbe invitato a passare la notte con lei, la cosa mi aveva sorpreso parecchio anche se in modo piacevole. Avevo aperto la porta della sua camera trovandola con un pigiamino striminzito che lasciava intravedere fin troppo, non era di certo il massimo dormire appiccicati con lei mezza nuda accanto a me. Non che non apprezzassi il tutto, anzi, ma la mia mente stava fantasticando troppo sulle sue belle gambe e non volevo che se ne accorgesse. Nel momento in cui andò in bagno per togliersi il trucco mi cambiai anche io e mi sedetti sul grande divano ad aspettarla, mi sembrava eccessivo mettermi già a letto e non volevo che pensasse male. Stavo troppo bene con lei e non volevo rovinare ogni cosa, non ora.
«Carino il pigiama.» mi disse uscendo dal bagno.
«Anche il tuo non è male.» risposi rivolgendole un sorriso.
«Ti va un film?» propose buttandosi sul letto.
«Certo. Che genere?» chiesi alzandomi.
«Qualsiasi, basta che non sia horror.» 
«Qui ci sono varie commedie, ne scelgo una a caso.» affermai rovistando tra i dvd forniti dall’albergo.
Feci partire il film e mi sistemai sull’altro lato del letto in parte a Felicity, pensavo ci sarebbe stato imbarazzo tra noi essendo la prima volta che stavamo così vicini in un contesto del genere ma mi sbagliavo. Lei era tranquilla ed io lo stesso, di tanto in tanto la osservavo facendo attenzione a non farmi beccare, era bellissima, non riuscivo a pensare ad altro. Grazie al cielo c’erano le lenzuola e il copriletto a nascondere quello che stava accadendo nei miei pantaloni! 
«Scommetto che alla fine si metteranno insieme!» esclamò distraendomi da pensieri davvero poco casti.
«Sì, un classico.» le risposi, anche se non avevo proprio seguito il film, fortuna che Thea me lo aveva già fatto vedere l’anno scorso al cinema o Felicity si sarebbe accorta che ero parecchio distratto.
«Prima lei lo odia e poi finiscono insieme, magari fosse così facile.» commentò.
«Lo penso anch’io, di questo passo sarei già sposato con tre figli.» replicai ridendo.
«Vuoi sposarti e avere dei bambini?» mi chiese lasciandomi senza parole. Dovevo dire di sì o di no?
«Non lo so, forse.» risposi rimanendo sul vago.
«Io sì, ho sempre sognato il mio matrimonio e poi i bambini… Oh dio, quello che sto dicendo è talmente fuori luogo che ora scapperai, giusto?» mi disse nascondendo la testa in mezzo al cuscino.
«Non vado da nessuna parte, Felicity. Puoi parlare di quello che vuoi con me, sono ben altre le cose che mi spaventano.» la rassicurai spostandole una ciocca di capelli dal viso.
«Non volevo correre troppo, ecco.» esclamò con una faccia buffa.
«Se fossimo in quel film adesso io dovrei farti la proposta e tu accetteresti senza pensarci.» risposi buttando l’argomento sul ridere.
«E vivremmo felici e contenti con i nostri cinque figli, tre cani e due gatti.» affermò ridendo per poi appoggiare la testa sulla mia spalla.
«Mi piacciono i gatti, Thea ne ha due a casa.»
«Anch’io ne vorrei tanto uno, di quelli tutti pelosi e grassi, però non ho tempo.» disse sospirando.
«Già, capisco. Non facciamo un lavoro semplice.»
«Per niente…»
Trascorse un’altra ora in cui non feci altro che pensare a quanto fossi felice di avere una persona come Felicity addormentata accanto a me. Sì, era almeno mezz’ora che dormiva beata sulla mia spalla e non volevo per nulla al mondo disturbare il suo sonno. Cercai di fare attenzione quando la sistemai bene sul letto così da non svegliarla, poi spensi la televisione mi rimisi sotto le coperte. C’era una luce fioca che penetrava attraverso la vetrata della camera e illuminava quel poco il suo viso, mi persi a guardarla per non so quanto tempo, non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Avrei voluto stringerla tra le mie braccia e sentire il suo profumo tra le narici ma non sapevo esattamente come avrebbe reagito se si fosse svegliata con le mie mani addosso.
Sarebbe stato tutto perfetto se di mezzo non ci fosse stato un serial killer che a quanto pare stava cercando proprio lei. Il solo pensiero che Felicity finisse nelle mani di quell’uomo mi faceva rivoltare lo stomaco perché sapevo cosa faceva alle sue vittime anche se avrei preferito restarne all’oscuro. Non avevamo mai capito il motivo per il quale uccidesse quelle donne, ma soprattutto non avevamo mai capito perché le torturasse. Voleva informazioni? O lo faceva per il gusto di farlo? Perché sceglieva donne simili a Felicity? Che legame poteva esserci con lei visto che non l’aveva nemmeno mai visto? C’erano troppe domande senza una risposta ed io non ero tranquillo a lasciarla girare da sola in una città enorme come New York. 
Mi stavo rendendo conto, poco a poco, che tenevo davvero tanto a Felicity, nonostante la conoscessi da poco tempo io sentivo di essere estremamente legato a lei. In vita mia l’unica con cui mi ero sentito così era Thea, da quand’era nata era stata il mio mondo e senza di lei la mia vita adesso non avrebbe avuto un senso. Ma Thea era la mia sorellina ed era normale provare sentimenti del genere quindi mi chiedevo cosa significasse sentire tutto ciò per Felicity. Era destino che c’incontrassimo? Forse.

Felicity
Mi risvegliai sentendo un incredibile caldo dappertutto, possibile che il lenzuolo si fosse improvvisamente scaldato così tanto? Aprii prima un occhio e poi l’altro, assonnata com’ero non mi accorsi della situazione in cui mi ritrovavo… Ero quasi completamente stesa sopra Oliver. Come diavolo ci ero finita lì? Okay, non mi dispiaceva per niente ma non potevo farmi trovare sopra di lui o chissà cosa avrebbe pensato! Mossi pianissimo un braccio cercando di fare leva sul letto e non sul suo corpo (splendido corpo, tra l’altro), poi sollevai la gamba e la testa in modo da potermi togliere senza svegliarlo. Non sapevo come ma c’ero riuscita, Oliver dormiva tranquillo o almeno speravo stesse dormendo e non facendo finta… 
Mi concessi qualche minuto per osservarlo, sembrava così sereno e dovevo ammettere che mi sarei persa a guardarlo dormire per ore, un po’ come si fa con i neonati. Mi morsi il labbro e sorrisi allo stesso tempo, avevamo dormito insieme ed anche senza andare oltre mi sentivo così appagata come non lo ero da tempo. Saltellai fino al bagno e mi sistemai leggermente i capelli, mi aveva vista spettinata e senza trucco, oramai potevamo considerarci in completa confidenza.
«Buongiorno.» sentii dirmi dalla voce di Oliver alle mie spalle.
«Ehi, buongiorno. Pensavo dormissi ancora.» risposi avvicinandomi alla soglia della porta dov’era lui.
«Mi sono svegliato poco fa e non ti ho trovata così sono venuto a vedere dove fossi.» esclamò.
«Pensavi fossi scappata?» chiesi trattenendo una risatina.
«No… Visto com’eri messa prima di alzarti…» rispose ridacchiando, lasciandomi intendere che si era accorto di tutto. “Una figura di merda peggiore non potevi farla, Felicity.” mi dissi.
«I-Io… Posso spiegarti…» balbettai sentendo le guance andarmi a fuoco.
«Non serve, tranquilla. La cosa non mi dispiaceva affatto.» esclamò prendendomi un po’ in giro.
«Da quanto eri sveglio? Ti prego dimmi la verità… Dio, voglio sotterrarmi dalla vergogna.» mi lamentai.
«Da poco, forse dieci minuti. È stato divertente sentire come cercavi di svignartela.» mi fece notare ridendo.
«Sei un idiota! Ed io che pensavo di risultare una maniaca ai tuoi occhi quando invece il maniaco sei tu!» affermai tirandogli un pugno sul braccio, che ovviamente non gli fece male.
«Sei adorabile quando ti arrabbi.» disse.
«E tu sei antipatico quando mi prendi per il culo.» ribattei facendogli la linguaccia.
«Per farmi perdonare ti offro la colazione.» propose.
«Siamo in albergo, la colazione mica si paga a parte.»
«Ed è per questo che voglio portarti nella migliore caffetteria di tutta New York.» replicò.
«Addirittura? Okay, ci sto. Ma prima devo passare a casa per prendere dei vestiti.»
«Ti ho preso anche quelli, dovrebbero starti.» disse con nonchalance.
«Oliver, posso accettare il pigiama ma non anche i vestiti…»
«Solo per oggi, poi se proprio vuoi li puoi restituire.» mi pregò.
«Solo. Per. Oggi.» risposi lanciandogli un’occhiataccia.
Mi cambiai velocemente indossando un paio di leggins neri, una maxi maglia, che dovevo ammettere mi piaceva parecchio, e un paio di stivaletti. Non avrei potuto affrontare il traffico mattutino newyorchese con il tacco dodici della sera precedente. Anche Oliver era piuttosto casual, ma questo non lo rendeva meno sexy… Ecco, stavo già fantasticando troppo. Aveva addosso un maglione blu e un paio di jeans e probabilmente sarei rimasta imbambolata a fissarlo per tutto il giorno se non mi avesse invitata ad uscire.
Non potei negare che fu la colazione migliore della mia vita, il proprietario del locale era un amico di famiglia di Oliver a quanto avevo capito e ci aveva offerto waffle, pancake, croissant più mille tipi di marmellate e cioccolate. Insomma, tutto ciò che si possa desiderare nella vita.
«Mi trasferisco qui d’ora in avanti.» commentai con la bocca ancora piena.
«Te l’avevo detto che era il posto migliore di tutta New York.» disse vantandosi un pochino.
«Sto esplodendo, sul serio.» ridacchiai.
«Sono felice ti sia piaciuto tutto.» rispose.
«Mi stai viziando un po’ troppo, signor Queen.»
«Farei questo e altro per una come te, Felicity.» esclamò facendomi arrossire.
«Grazie… Non… So che dire… Sai sempre come spiazzarmi.» balbettai diventando ancora più rossa in viso.
«Tu non sei da meno. Ieri sera non mi aspettavo minimamente che mi chiedessi di dormire con te.»
«Non so da dove mi sia uscito sinceramente.» dissi sorridendo «È che non mi andava di stare sola e in più non avevamo concluso la serata… Quindi…»
«Sono stato davvero bene comunque.» mi sorrise.
«Anche io, moltissimo.» affermai mordendomi il labbro. Fu in quel momento che mi cadde l’occhio sull’orologio, era mezzogiorno passato e il mio turno iniziava tra quindici minuti «Oh dio! No, no, no!» esclamai allarmata.
«Felicity? Che succede?» mi chiese Oliver confuso.
«Devo correre in ospedale! Non pensavo avessimo fatto così tardi! Scusami, davvero, ma se faccio tardi il mio capo mi uccide.» dissi ad una velocità supersonica.
«O-Okay, tranquilla, ti do un passaggio.»
«Non serve, da qui ci metto due minuti. Ti chiamo stasera, promesso.» risposi dandogli un bacio sulla guancia.
«Aspetta.» mi afferrò per un braccio «Ti saluto come si deve.» aggiunse. Poi mi baciò intensamente davanti a tutto il locale, ero un po’ imbarazzata, ma mi lasciai andare poco dopo senza troppi problemi. Mi sembrava quasi di vivere un sogno.

James Ford aveva già pianificato ogni singola mossa, sapeva finalmente tutto di lei. Dopo anni di ricerche fallite ora ce l’aveva in pugno. Gliel’avrebbe fatta pagare. Gliel’avrebbe fatta pagare molto duramente. Lei non doveva più esistere. Non sarebbe mai dovuta esistere. 
Felicity Smoak sarebbe morta per mano sua una volta per tutte.









Angolo autrice
Eccomi qui. Buon fine settimana innanzitutto :)
Alla fine Fel ed Oliver non hanno fatto niente ma hanno comunque dormito insieme! Felicity si è pure ritrovata sopra di lui la mattina dopo xD e Oliver si era accorto di ogni cosa ahahah!
Tra i due c'è parecchia attrazione e sembrano essersene resi conto pure loro, finalmente no?
La frase finale serve solo ad introdurre un po' ciò che accadrà prossimamente. Presto capirete perchè quest'uomo la vuole morta!

Grazie per tutte le recensioni come al solito, a chi legge silenziosamente e a chia aggiunge nelle preferite/seguite/ricordate. Vi adoro :)

Ps: ho in cantiere un'altra storia Olicity, per ora c'è solamente il prologo e se volete conclusa questa posso postarla! :) mi piacerebbe postare sia questa che quella nuova ma non credo di farcela (Date la colpa all'univeristà xD).
Pss: Tra poco torna Arrow ed io non sto più nella pelle *____*

A prestissimo,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** What is happening? ***


Chapter twelve - What is happening?





Oliver
Avevo lasciato Felicity al lavoro qualche ora fa e quand’ero rientrato alla sede dell’FBI mi ero trovato davanti mia sorella. Thea era venuta direttamente dall’università per stare un po’ con me e visto che frequentava la Columbia qui a New York non ci aveva messo granché. Non potevo negare di essermi sorpreso nel vederla, pensavo stesse studiando o seguendo dei corsi ma mi aveva spiegato di essersi presa due giorni di pausa, uno l’avrebbe passato con me e l’altro con il suo ragazzo, Roy. Non ero certo se abbandonare per mezza giornata il lavoro fosse una buona idea ma Tommy, Sara e perfino John mi avevano obbligato ad uscire con Thea e che se ci fossero state novità importanti mi avrebbero contattato.
«Allora, Ollie, come sta andando con Felicity?» mi chiese tranquillamente sorseggiando il suo caffè.
«Come scusa?» replicai scioccato, come faceva a sapere di me e Felicity? L’aveva conosciuta appena.
«So che siete usciti ieri.» continuò.
«E tu come lo sai?» domandai scrutandola.
«Me l’ha detto Laurel che l’ha saputo da Sara.» rispose alzando le spalle. Sara l’avrei ammazzata prima o poi.
«Ah.» dissi solamente.
«Avanti, raccontami! È la prima volta che esci ufficialmente con una ragazza, a parte Isabel, ma lei non conta, eravate solo scopamici.» esclama Thea con nonchalance.
Io per poco non mi strozzai con il caffè, aveva solo nove anni quando “uscivo” con Isabel, che ne sapeva lei di sesso? «Thea, non eri un po’ piccola per sapere cosa facevamo Isabel ed io?»
«Ho scoperto solo tre anni fa cosa facevate. E non cambiare discorso! Voglio sapere di te e Felicity.»
«Non c’è niente… Da sapere. Siamo usciti a cena e non l’abbiamo neanche conclusa.» sospirai.
«Che cos’hai combinato?» mi chiese rivolgendomi la classica occhiata da “so come ti comporti”.
«Niente, non è stata colpa mia. Sono dovuto andare al lavoro.» risposi.
«E lei come l’ha presa?»
«Beh… Bene? Si può dire in questi casi? Mi ha accompagnato e ha detto di non preoccuparmi, tutto qui.»
«Sei proprio un cretino.» ridacchiò.
«Ehi!» la ammonii.
«Oliver, ma ti rendi conto che una donna così non la trovi facilmente? Ammetto di essere ancora piccola per sapere cos’è il vero amore e cose del genere, però lei ti capisce e sa cosa significa il tuo lavoro per te. È disposta a rinunciare ad un appuntamento per fare quello che è giusto. Ti prego non lasciartela scappare.» 
«Da quando sei così saggia?»
«Lo sono sempre stata.» esclamò «E voglio vederti felice.»
«Lo sono molto quando sto con lei…» confessai.
«Te l’avevo detto che prima o poi la persona giusta sarebbe arrivata!» mi disse sorridendo.
Non potevo assolutamente darle torto. Mia sorella diciannovenne mi capiva meglio di chiunque altro e spesso riusciva a farmi vedere le cose come stavano senza tutte le paranoie inutili che mi facevo io. Purtroppo col lavoro che svolgevo era dura per me affezionarmi o fidarmi, credevo di dover costantemente indagare sulla persona in questione. Era sempre stato così… Finché non era arrivata Felicity. Non sapevo perché ma dal primo istante in cui l’avevo vista in ospedale avevo capito che donna meravigliosa fosse, era istinto probabilmente o qualcos’altro di simile, non ero in grado di spiegarlo. Thea aveva perfettamente ragione: una come Felicity non l’avrei trovata facilmente.
Eravamo da poco usciti da bar quando iniziò a squillarmi il cellulare, in un primo momento pensai fosse Sara o Tommy ma vidi sullo schermo un numero che non avevo salvato nella mia rubrica.
«Agente speciale Oliver Queen, chi parla?» chiesi com’ero solito fare quando non sapevo chi mi stesse telefonando.
«Oliver… Sono Caitlin, l’amica di Felicity, ricordi?» disse la ragazza dall’altro capo.
«Certo. Che succede?» domandai capendo all’istante che c’era qualcosa di strano.
«Felicity è con te?» esclamò con un tono di voce che non mi piaceva per niente.
«No… Siamo stati insieme fino a circa tre ore fa…» risposi sentendo l’ansia salire alle stelle.
«Oh… È che non si è presentata al lavoro e il primario mi ha chiesto di rintracciarla in qualsiasi modo, mi ha dato lui il tuo numero di telefono. Sai per caso dove sia andata? Devo preoccuparmi?» 
«No, non so dove sia. Ma ti prometto che la troverò.» affermai cercando di mantenere l’autocontrollo.
«Non è da lei comportarsi così… Credi che stia bene?» mi chiese.
«Non lo so, ma lo spero. Appena so qualcosa ti richiamo.» risposi sperando in qualche modo di tranquillizzare almeno lei visto che io oramai ero in preda al panico.
«Ti ringrazio… Credi che dovrei chiamare sua madre o la polizia? Non so che cosa fare.»
«È meglio se avverti sua madre, sì. Ma lascia perdere la polizia, ci pensiamo io e la mia squadra.»
«Okay, grazie, di nuovo.»
«La troverò, lo prometto.» 
«Lo spero davvero…» esclamò prima che chiudessimo la chiamata.
Thea mi guardava perplessa non capendo il motivo del mio repentino cambiamento d’umore. Io mi limitai a dirle che dovevamo correre dalla mia squadra e sembrò capire che qualcosa di grave era appena accaduto. Non volevo che lei stesse qui, non volevo che sapesse o vedesse le atrocità a cui spesso assistevo, ma non potevo neanche lasciarla sola. Arrivammo in ufficio dieci minuti dopo e dalla mia espressione capirono tutti subito cosa fosse successo.
«È stato lui. L’ha presa.» esordii davanti a Sara, John e Tommy.
«Oliver, ne sei certo? Magari è solo andata da qualche parte ed ha il telefono spento.» rispose Sara.
«Ti prego, neanche tu credi a quello che stai dicendo!» dissi con tono amaro.
«Dove l’hai vista l’ultima volta? E dove doveva andare?» chiese Dig.
«Eravamo usciti per colazione, l’ho portata da Tony e ci siamo rimasti fino alle 12.45, poi l’ho lasciata andare al lavoro. L’ospedale è a circa due minuti da lì. Dio, quanto sono stupido, avrei dovuto costringerla a rimanere qui!» affermai poggiando entrambe le mani su una delle scrivanie.
«Ollie, ma cosa sta succedendo?» domandò poi Thea.
«È complicato, e non voglio che tu sappia.» le risposi, forse un po’ troppo malamente.
«Okay, ho capito. È meglio se torno al campus, non voglio disturbarti.» mi disse lei.
«Thea, ascoltami, lo faccio solo per proteggerti. Potrebbe essere accaduto qualcosa di brutto a Felicity e devo fare il possibile per trovarla, ma non voglio che tu stia qui ad ascoltare determinati particolari. Non perché non mi fido di te, solo non mi va che tu sappia cosa può fare la gente psicopatica.» le spiegai.
«Va bene. Promettimi che starai attento… E che la salverai.»
«Farò del mio meglio tesoro.» la abbracciai forte prima di lasciarla andare. Le ero grato per aver capito e, come lei, speravo di poter salvare Felicity.
«Tornando a noi… Che si fa ora?» chiese Tommy.
«Può aver preso Felicity solo in quel lasso di tempo e spazio. Mi ha chiamato la sua amica dicendo che al lavoro non è mai arrivata.» risposi.
«Perfetto, mi metto subito a visionare i filmati delle telecamere.» aggiunse il mio amico.
«Se l’ha presa lui, sicuramente la porterà in un luogo appartato che conosce bene, bisogna capire quale.» esclamò Sara.
«Sì, certo! Un ago in un pagliaio! Sarà facilissimo.» dissi ironicamente.
«Oliver, smettila. Riusciremo a trovarla.» replicò Dig.
«Abbiamo trovato sempre e solo cadaveri, quelle due donne le abbiamo salvate per miracolo e non so neanch’io come! Le ha torturate tutte per giorni e ci mancava poco che ammazzasse anche loro due. Non posso sopportare che le faccia questo.» commentai esasperato.
«È inutile stare qui e lamentarsi, ci mettiamo all’opera e qualcosa salterà fuori.» provò a dire Sara.
Annuii senza aggiungere altro, da un lato aveva ragione perché piangersi addosso non serviva a nulla ma dall’altro non aveva idea di quanto mi sentissi responsabile dell’accaduto. Mi ero lasciato trasportare dalla bella serata che avevamo passato e dalla colazione insieme, invece non avrei mai e poi mai dovuto abbassare la guardia. Nel momento in cui Caitlin aveva chiesto di Felicity sapevo già che lui l’aveva presa. Il solo pensiero che potesse farle anche solo la metà delle cose che avevamo riscontrato sui cadaveri delle altre donne mi faceva mancare il respiro. Nemmeno i barbari trattavano le persone così come lui faceva. Ed io non avevo idea di come rintracciarlo, dove l’aveva portata? Come aveva rapito una ragazza in pieno giorno? L’aveva costretta a seguirlo? Non sopportavo l’idea che la toccasse, era solo colpa mia se l’avesse fatta soffrire, solo mia. 
«Ehi ragazzi! Forse ho trovato qualcosa.» ci chiamò Tommy risvegliandomi dai miei pensieri.
«Fa vedere.» lo invitò John.
«Ecco, guardate qui. É lui no? Sì, è di spalle ma indossa la stessa giacca. Sta parlando con quest’uomo, probabilmente si conoscono. Con il riconoscimento facciale l’ho identificato, si chiama Ian Rodgers, ha un negozio di ferramenta a Brooklyn.» concluse il mio amico.
«Andiamo ad interrogarlo e vediamo cosa sa, potrebbe essere coinvolto o addirittura essere un complice.» aggiunse Sara.
«Dubito che James Ford abbia complici, è più probabile che sia indirettamente coinvolto.» replicai.
«Sarebbe un’ottima cosa, non avrebbe problemi a dirci dov’è.» mi fece notare Diggle.
«Muoviamoci.» esclamai prendendo la pistola dal mio cassetto.
Non sapevo ancora se quella pista sarebbe stata utile, ma tanto valeva tentare visto che gli indizi che avevamo erano ben pochi. Felicity era sparita da circa quattro ore, forse qualcosina in più e ogni minuto che passava il mio cuore aumentava i battiti. Avevo bisogno di trovarla, di tenerla tra le braccia e non lasciarla andare mai più, questa volta per davvero. Odiavo il fatto che fosse chissà dove con un serial killer, non era giusto! Non meritava tutto questo. La mia piccola, dolce, innocente Felicity. 









Angolo autrice
Eccomi qua!
Come alcune avevano immaginato non è stata un'ottima idea che Fel andasse a lavorare da sola, a quanto pare è sparita... Appena Caitlin ha chiamato Oliver ha capito all'istante che fosse nei guai... Ce la faranno a trovarla in tempo?
Persino Thea ha capito che suo fratello è cotto di Felicity xD e quando finalmente anche lui se ne rende conto lei sparisce... Lo so, sono una da #mainagioia :')
Posso darvi un piccolissimo spoiler (che poi tanto spoiler non è lol): nel prossimo finalmente capirete chi è il serial killer e soprattutto capirete come mai cercasse Fel.

Aspetto con ansia le vostre recensioni, se avete dubbi, ipotesi, insulti ditemi pure ahahah xD
Ps: MANCA POCO AD ARROW ED IO STO SCLERANDO *-*

A presto,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** You have to die ***


Chapter thirteen - You have to die





Felicity
Non ricordavo esattamente cosa fosse successo, ma sapevo di non essere più al sicuro. Mi sentivo strana, intontita era la parola adatta, e intorno a me era tutto completamente buio. Ricordavo perfettamente cosa avevo fatto durate la mattinata, mi ero svegliata accanto ad Oliver, eravamo usciti per colazione e poi io dovevo andare a lavorare. Qui qualcosa non tornava… C’ero mai arrivata in ospedale? Che ore erano? E soprattutto dove cavolo mi trovavo? Avevo vari flash, ma niente di concreto. Provai ad alzarmi in piedi ed ebbi un fortissimo giramento di testa, non ricordavo affatto di aver bevuto la sera prima, quindi perché avevo un gran mal di testa? Provai a stare seduta e ci riuscii senza ricadere nella branda in cui ero stesa fino a poco fa, o almeno credevo fosse una branda, era morbida e rialzata da terra, a mio avviso poteva essere solamente quello. Poco a poco mi abituai alla luce praticamente inesistente che c’era all’interno di questo stanzino, c’era una mini finestra in alto sulla parete, ma era piccolissima, come quella di uno scantinato. Mi guardai intorno e non vidi nulla a parte una sedia… Anzi no, c’erano anche delle scale. Erano strane, non come quelle di una normale cantina, sembravano più simili a quelle di un rifugio anti tornado. Ma da quando a New York c’erano i tornado? Di solito non accadevano in zone come la California? Scossi la testa per cancellare dalla mia mente quei pensieri inutili, c’erano cose più importanti a cui pensare, ovvero come uscire da qui. Mi appoggiai al muro perché da sola non ce la facevo a stare in piedi e pian piano raggiunsi le scale, logicamente la porta d’uscita era chiusa dall’esterno e non l’avrei aperta neanche tra cent’anni. Sbuffai frustrata, chi mi aveva portata qui? Che cosa voleva da me? E poi capii… Mi diedi della stupida per non esserci arrivata prima, era palese che fosse stato il serial killer che cercava l’FBI. Non ricordavo nemmeno il suo nome, forse era John, no Jimmy, no Jason… Poco importava, tanto aveva ottenuto ciò che voleva. Me
Fu in quel momento avvertii dei passi sopra di me, si avvicinavano sempre di più alla porta così mi allontanai il più in fretta possibile. Speravo di vedere il viso di Oliver, speravo mi avesse trovata, ma come al solito ero stata troppo ottimista. Quando l’anta della porta si spalancò mi bruciarono gli occhi per la troppa luce e mi rintanai in un angolino per ripararmi. Comparve un uomo, alto, capelli grigio chiaro, vestito come un boscaiolo… Decisamente non era Oliver. Forse era lui il killer che cercavano, anzi quasi sicuramente era lui. Me lo aspettavo più giovane in realtà, non credevo che alla sua età fosse tanto facile uccidere persone.
«Vedo che la principessina si è svegliata.» esordì richiudendo la porta dietro di sé, poi accese una lampadina di cui non mi ero nemmeno resa conto.
«Chi sei?» chiesi restandomene appiccicata al muro come se potesse proteggermi.
«Lo sai chi sono. Credi che non sappia del tuo amichetto che lavora nell’FBI?» continuò lui con un tono glaciale.
«Che cosa centra Oliver?» domandai.
«Ah è così che si chiama? Buon per me, potrei fare una visita pure a lui quando avrò finito con te.»
«Lascialo in pace.» risposi rivolgendogli un’occhiataccia.
«Oh, cara, non dovresti preoccuparti per lui, ma per te stessa.» esclamò con un sorrisetto che non prometteva niente di buono.
«Cosa vuoi da me? Neanche mi conosci!»
«È qui che ti sbagli, Felicity. So perfettamente chi sei. Ammetto che ci è voluto un po’ per trovarti e rintracciarti ma ce l’ho fatta come vedi.»
«Quindi, se sai chi sono, puoi dirmi cosa vuoi.» replicai.
«È semplicissimo, ti voglio morta.» disse alzando le spalle.
«Per… perché?» balbettai. Non potevo più negare di essere spaventata a morte.
«Perché sei stata solo un errore, perché non dovresti nemmeno essere qui, perché io non ti voglio qui!»
«Non capisco…» risposi cercando di mantenere tutto l’autocontrollo che avevo nel corpo.
«Felicity, Felicity… Se solo tua madre mi avesse a ascoltato quella volta.»
«Mia madre? Come la conosci?» chiesi trattenendo il fiato.
«Ancora non capisci, tesoro? Sono tuo padre
No. Stava mentendo. Non gli credevo. «Mio padre è morto prima che nascessi.» replicai.
«Non è così. Questo è ciò che quella troia di tua madre ti ha raccontato.»
«Non osare chiamarla così.» dissi stringendo i pungi fino a farmi diventare bianche le nocche.
«Mi aveva detto di aver abortito, me lo aveva giurato! Ed io come un idiota le ho creduto! Avrei dovuto sapere che erano tutte balle! L’avventura di una notte che ti rovina la vita, ironico, non trovi?»
«Io non ti credo.» risposi con gli occhi ormai lucidi. Fortunatamente non c’era moltissima luce e non poteva notarlo.
«Non me ne importa un bel niente. Conta ciò che so io. Ed io so che sfortunatamente ho una figlia, quando avevo specificato di non volere figli tra i piedi.»
«Non mi hai avuta tra i piedi per ventinove anni, come mai adesso hai tanta voglia di uccidermi? Non ti ho mai fatto niente, non ti ho mai chiesto niente, cosa vuoi dalla mia vita?»
«Questo perché ho scoperto che esistevi solo un anno e mezzo fa. Credevo fossi a Las Vegas in qualche locale a fare la prostituta e invece no, sei addirittura un medico. Non sei così inutile come avevo pensato, la cosa mi lusinga in un certo senso visto che metà dei tuoi geni sono miei.»
«Tutto ciò che ho fatto di certo non è per merito tuo, tantomeno essere un medico.»
«Sarà divertente lavorare con te, saprai esattamente che parte del tuo corpo trafiggerò, è interessante.» esclamò tirando fuori un coltello dalla tasca posteriore dei pantaloni.
«Perché vuoi farmi questo?» domandai disperata. 
«Devo farla pagare in qualche modo alla tua cara mammina, e cosa c’è di meglio che torturare la figlia e poi ucciderla?» ribatté con una calma spaventosa.
«Sei solo un pazzo omicida! Mia madre non ha fatto niente di sbagliato, ha preferito portarsi un peso enorme per metà della sua vita piuttosto che uccidermi prima che nascessi! Avrebbe potuto dirmi che bastardo era mio padre invece non l’ha fatto perché mi vuole bene, dovresti solo imparare da una persona come lei. Ti credi un grande uomo solo perché hai torturato otto donne, ma qui sei tu a sbagliarti, tutto ciò ti rende solo un debole e patetico ometto di campagna. Mia madre ha fatto due lavori per mandarmi a scuola, si è fatta il culo per me, tu neanche sai cosa significa amare qualcuno. Sei vuoi uccidermi fallo, non m’importa, ma non ti pregherò mai e poi mai, scordati la mia pietà.» dissi tutto d’un fiato lasciando il via libera ad ogni pensiero che mi frullava in testa.
«Sei proprio brava, meriteresti un applauso per questa dichiarazione. Peccato che non me ne freghi nulla di te e di quello che hai da dire.»
«Sei uno psicopatico! E quando Oliver ti troverà ti sbatterà in galera e ci resterai fino alla fine dei tuoi giorni. Non sarò un avvocato, ma tortura, rapimento, omicidio, mi sembrano dei buoni capi d’accusa non trovi?»
«Non mi hanno preso neanche l’ultima volta che ne hanno avuto l’occasione, come credi che mi troveranno qui?» domandò ridendo. La sua sicurezza metteva i brividi.
«Non lo so come, non sono un agente. So solo che ti troveranno e non vorrei essere al tuo posto.» risposi pensando a quanto Oliver gliel’avrebbe fatta pagare.
«Credi di spaventarmi, eh?» chiese lui a sua volta avvicinandosi a me «Tu non hai idea di ciò che ti aspetta mia cara.»
Mi sfiorò la pelle del viso con un dito ed io rabbrividii a quel contatto, provai a spostarmi ma me lo impedì, era chiaro che, salvo un miracolo, non sarei uscita viva di qui. La mia vita mi corse davanti in un istante con una miriade di flashback, mia madre che mi insegnava ad andare in bici, il mio primo giorno di scuola, il primo giorno al college, Caitlin ed io che ci laureavamo, la specializzazione in chirurgia, Oliver e gli splendidi momenti passati insieme. Sarebbe tutto finito. Morto, come me. Mi sentivo in colpa verso le persone a cui volevo bene, avrebbero sofferto tantissimo a causa mia e non era giusto. Non volevo che mia madre si sentisse in colpa per avermi tenuto all’oscuro, non volevo che Caitlin pensasse di non avermi tenuto d’occhio abbastanza e in particolare non volevo che Oliver si sentisse responsabile del rapimento. Era solo mia la colpa. Ero io a pensare che non sarebbe mai potuto accadermi niente e non potevo essere più in torto. Adesso ero qui, nelle mani dell’uomo che affermava di essere mio padre e che mi voleva morta per il semplice fatto di essere nata. Dovevo sentirmi in colpa persino per essere venuta al mondo? Avevo già troppe cose di cui incolparmi, ma questa mi sembrava un po’ esagerata. Era stato lui il coglione che non si era infilato un preservativo, io che potevo farci? Voleva incolpare mia madre per aver deciso di farmi nascere? Da quando era un crimine partorire? Lei non gli aveva mai chiesto niente, quindi non poteva lasciarmi in pace e far finta che non esistessi?
«Siediti.» mi ordinò.
Rassegnata, feci come mi disse e mi sedetti sulla sedia di legno in mezzo allo scantinato. Sapevo di aver le ore contate ormai ma stranamente non avevo paura, era come se mi fosse completamente passata. Di sicuro era merito dell’adrenalina che mi scorreva nelle vene ed era meglio così, la paura avrebbe solo amplificato tutto.
«Sai una cosa, Felicity? Un pochino mi dispiace dover rovinare il tuo corpo. Devo ammettere che sei davvero bella, più bella di com’era tua madre anni fa.» sospirò «Però i patti devono essere rispettati, non posso mica cambiare quello che sono solamente perché sei mia figlia e sei bella, giusto?» chiese più a se stesso che a me.
«Fa’ quello che devi, come ti ho già detto non ti implorerò di lasciarmi andare così da amplificare ancora il tuo ego.» esclamai.
Come risposta mi arrivò in piena faccia uno schiaffo così forte da farmi quasi cadere per terra. Non dissi nulla, non gli avrei mai dato la soddisfazione di vedermi crollare, non si meritava niente da me. Mi legò le mani con delle fascette in silicone, erano così strette quasi da impedire la circolazione agli arti, ma come la prima volta me me stetti buona e zitta.
«Aspettavo questo momento da oltre un anno, sapere che sei tu quella che cercavo mi da ancora più piacere. Le altre donne, quelle che ti somigliavano, in un certo senso sapevo che non erano quelle che cercavo, però perché togliermi tutto il divertimento? Diciamo che mi sono esercitato un po’, ma non temere il meglio l’ho tenuto tutto per te Felicity.»
Non mi resi neanche conto di come accadde, sentii solo un dolore lancinante alla gamba. Guardai in basso e vidi il coltello conficcato nella carne della mia coscia. Il sangue iniziava pian piano a fuoriuscire ma l’emorragia non era abbastanza forte da farmi perdere i sensi, sembrava sapesse bene come farmi rimanere cosciente. Fu anche peggio quando la lama venne estratta dal mio corpo, era come se la pelle fosse in fiamme e faceva male da morire. Strinsi i denti e soffrii silenziosamente, non incrociai mai il suo sguardo perché sapevo che lo avrebbe solo divertito di più vedermi dolorante. Non sapevo quanto avrei resistito, sapevo solo che prima o poi sarebbe finito e oramai attendevo solo quel momento…











Angolo autrice
Eccomi qui come avevo detto :)
Non è un capitolo molto allegro, ma è stato necessario per capire tutto finalmente. Come alcune avevano ipotizzato l'uomo è il padre di Felicity... Ho anche cercato di spiegare al meglio perchè fa quello che fa, probabilmente non ha senso come spiegazione ma ho provato a vedere la cosa dal punto di vista di un uomo psicopatico (non so se ha senso quello che dico ahahah xD). In poche parole lui vuole farla pagare alla mamma di Fel e crede che torturando e poi uccidendo la figlia sia una buona soluzione.
Lei ovviamente non gli crede all'inizio, ma poi capisce che sa troppe cose per non dire la verità...
Oliver la troverà in tempo prima che le faccia danni irreparabili?

Ovviamente voglio sapere che ne pansate! :) spero di avervi soddisfatto con il racconto e tutto il resto!

A prestissimo,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** I'm not going anywhere, Felicity ***


Chapter fourteen - I’m not going anywhere, Felicity



 


Oliver
Oramai non riuscivo più a mascherare la grande agitazione che avevo in corpo, non riuscivo a perdonarmi per averla lasciata andare via da sola, riuscivo solamente a pensare al peggio. Non avrei sopportato di perderla, non adesso, non così. Per la prima volta in tutta la mia vita mi sentivo appagato e felice e non potevo permettere che mi fosse strappato tutto in quel modo. Non mancava molto a raggiungere il negozio dell’uomo che dovevamo interrogare, speravo vivamente ci desse informazioni sostanziose o avrei potuto seriamente sparare a qualcuno. Scesi dall’auto e mi precipitai all’interno, fortunatamente non c’erano clienti così mostrai subito il tesserino federale all’uomo e lui mi guardò perplesso.
«Siamo dell’FBI, la mia squadra ed io abbiamo bisogno d’informazioni.» dichiarai senza troppe spiegazioni.
«Ho fatto qualcosa di male?» chiese il signore visibilmente sorpreso.
«No, signore. Perdoni l’irruenza del mio collega, ma una ragazza è stata rapita e forse lei può aiutarci a trovarla.» intervenne John.
«Una ragazza? Oh, mi dispiace. Che posso fare?» domandò lui. Pareva disposto a collaborare se non altro.
«L’ha mai vista per caso?» chiese Dig mostrando una foto di Felicity sul cellulare.
«No, non mi sembra. New York è grande, passa un sacco di gente…» rispose lui.
«Guardi bene, per favore.» lo pregai io con tono distaccato.
«Mi spiace, non l’ho mai vista.» disse nuovamente.
«Invece quest’uomo lo conosce?» esclamò John facendogli vedere una foto di James Ford.
«Lui? Ma si certamente! È Elliott Fisher! Siamo amici da qualche anno, ci siamo conosciuti in Arizona ad un raduno per gli amanti del campeggio.»
«Sa dove possiamo trovarlo?» domandai subito speranzoso.
«Credo sia nel New Jersey. Gli ho lasciato la mia vecchia casa per qualche giorno. Ma perché vi interessa? Gli è capitato qualcosa?»
«No, signore. Ma quest’uomo non è chi lei pensa, è coinvolto nel rapimento di otto donne, più questa ragazza, e nell’omicidio di sei.» spiegò John.
«Impossibile. Elliott è una brava persona, forse è un po’ solitario ma non è un assassino.» ribatté l’uomo.
«Ci dispiace per la sua amicizia, però purtroppo è così. Il suo vero nome è James Ford.» aggiunse Sara.
Lasciammo il negozio dopo aver ottenuto tutte le informazioni necessarie come ad esempio l’indirizzo della casa nel Jersey. Ford aveva abbindolato anche il signor Rodgers, gli aveva fatto credere di essere suo amico solo per ottenere ciò che voleva ed ero certo che non si sarebbe fatto problemi a togliere di mezzo pure lui se si fosse intromesso. La strada era piuttosto lunga e la cosa mi faceva ribollire il sangue nelle vene, non che un’ora e mezza fosse un tempo lungo, ma Felicity non aveva tanto tempo. Da ciò che sapevamo grazie all’analisi dei corpi delle precedenti vittime era che Ford le torturava per una giornata intera, poi le lasciava un’altro giorno senza cibo né acqua e solitamente il terzo giorno le uccideva con un colpo di pistola. Molto spesso risultavano già spacciate anche senza ricevere un proiettile in testa, dopo le turare subite e la carenza di cure era quasi inevitabile che non sopravvivessero. 
«Ehi, vedrai che la salveremo.» mi rassicurò Sara seduta accanto a me in auto.
«Non è giusto. Niente di tutto questo è giusto.» replicai.
«Lo so, Ollie. Ma devi essere fiducioso, so che sembra una cosa stupida da dire in questi casi però fallo per lei.»
«Ci proverò, anche se non so come reagirò alla vista di quell’uomo.» dissi stringendo forte i pugni.
«Tu pensa a Felicity, a lui pensiamo noi.»
«Al solo pensiero che l’abbia sfiorata mi viene voglia di tirare fuori la pistola e sparargli.» confessai.
«Posso capirti, credimi, ma devi mantenere la calma così potremmo arrestarlo e dargli il massimo della pena.»
«Non si meriterebbe neanche la prigione, ma direttamente la morte.»
«Oliver, non sta a te decidere chi vive e chi muore. So che ti senti in colpa, insomma si vede chiaro e tondo, però ora come ora devi solo pensare al fatto che riavrai Felicity indietro.»
«Non voglio trovarla morta, Sara…» dissi passandomi una mano tra i capelli.
«Andrà tutto bene.» rispose lei prendendomi la mano.
Non sapevo se credere o meno alle parole della mia migliore amica, insomma, quante possibilità avevamo di trovare Felicity sana e salva? Una su un milione? L’aveva rapita ormai da ore e sapevamo tutti quanti qual era il suo modus operandi. Ed era colpa mia se lei era in una situazione del genere perché non avrei dovuto lasciarmi distrarre da niente, invece l’avevo fatto, mi ero comportato da novellino ed ecco le conseguenze.
Arrivammo nel New Jersey un’ora e venti più tardi, Tommy aveva infranto tutti i limiti possibili e immaginabili per fare in fretta e di questo lo avrei ringraziato all’infinito. Era realmente una questione di vita o di morte. Grazie al navigatore trovammo quasi subito l’abitazione del signor Rodgers, da dov’era situata potevamo capire che era uno dei luoghi ideali per Ford, quindi probabilmente avremmo avuto la fortuna di beccarlo una volta per tutte. Fui il primo a scendere dall’auto e correndo mi diressi all’entrata della casa, bussai più volte, ma nessuno aprì. Era palese che non avrebbe mai accolto quattro agenti federali, però non avrei rinunciato così facilmente, con un calcio ben mirato sfondai la porta e presi la pistola immediatamente tra le mani. L’abitazione pareva deserta, non c’erano luci accese nonostante il sole fosse tramontato, il frigorifero era vuoto, le padelle tutte perfettamente pulite ed in ordine. Non ci viveva nessuno da parecchio tempo qui dentro e per un attimo mi scoraggiai, se non erano qui, dove mai potevano essere? Poi vidi tornare Diggle, che ne nel frattempo aveva controllato il retro, e ci fece segno di seguirlo lì fuori. Aveva finalmente trovato qualche serio indizio?
«C’è un rifugio sotterraneo, è chiuso con un grosso lucchetto e una catena di ferro. Tommy, va’ in macchina e prendi gli attrezzi necessari, sbrigati.» disse John al mio compagno.
«D’accordo, arrivo subito!» rispose lui.
«John, pensi che la tenga lì dentro?» chiesi ormai sempre più impaziente.
«Non lo so, Oliver, ma dobbiamo certamente controllare.» affermò il mio capo.
«Eccomi, qui c’è tutto.» intervenne Tommy portandoci il necessario.
Fortunatamente ci volle poco a spaccare il lucchetto e la catena venne via in un attimo, entrai io per primo senza mai abbassare la pistola, se mi fossi trovato davanti James Ford non avrei esitato a piantargli un proiettile da qualche parte. Non mi importava di finire in carcere se questo fosse servito a salvare Felicity. Uno alla volta scesi gli innumerevoli scalini fino ad arrivare infondo, era buio pesto così accesi la piccola torcia che tutti noi ci portavamo sempre dietro e fu allora che notai il sangue per terra. Deglutii a fatica, era uno spettacolo raccapricciante, soprattutto perché sapevo benissimo a chi poteva appartenere quel sangue. Mi guardai un po’ intorno sempre grazie alla luce della torcia e mi cadde l’occhio verso la fine dello scantinato, mi avvicinai piano facendo il meno rumore possibile e mi resi conto che quell’ombra che avevo intravisto era Felicity. Senza pensarci gettai a terra la pistola e posai due dita sul suo collo per sentire se c’era battito cardiaco. Sì, era ancora viva. 
«Felicity, riesci a sentirmi? Sono Oliver, sono qui, è tutto finito.» le dissi spostandole i capelli dal viso. Erano sporchi di sangue così come la sua fronte.
«Voglio andare a casa…» mormorò con un filo di voce prima di perdere completamente i sensi.
Facendo il più attenzione possibile la presi il braccio e la portai fuori da quel buco mentre il resto della mia squadra analizzava il posto e cercava quell’uomo. Ora come ora tutta la rabbia mi era completamente passata, non me ne fregava più niente di Ford, volevo solo che Felicity stesse bene. Era lei la mia priorità. La feci stendere sui sedili posteriori dell’auto e chiamai immediatamente un’ambulanza, per mia fortuna c’era un ospedale vicino a questa zona e i soccorsi sarebbero arrivati in pochissimi minuti. Non smisi per un secondo di vegliare su Felicity, non osavo neanche immaginare che cosa le avesse fatto per ridurla in quel modo. Aveva ferite ovunque, i vestiti e i capelli sporchi di sangue e probabilmente anche qualche osso rotto. Ringraziavo tutti i santi del paradiso che fosse svenuta o non ce l’avrei fatta a vederla soffrire.
Arrivammo in ospedale con l’ambulanza e Felicity ancora non aveva ripreso conoscenza, i medici mi avevano assicurato che nonostante le innumerevoli ferite e la copiosa perdita di sangue fisicamente si sarebbe ripresa. Ciò che mi spaventava, però, era ben altro: come avrebbe reagito sul piano psicologico? 
Trascorse circa un’ora in cui non feci altro che fare su e giù per il corridoio in attesa di notizie e quando il medico finalmente uscì dalla stanza dove tenevano Felicity gli corsi incontro.
«Come sta?» domandai subito.
«Abbastanza bene, fisicamente parlando. Ha un polso rotto e due costole incrinate, le abbiamo suturato diverse ferite da taglio, una alla gamba in particolare era piuttosto profonda, ma col tempo guariranno tutte.» rispose il dottore.
«Posso vederla?» chiesi un po’ incerto.
«Sì, ma ha bisogno di riposare. È sotto antidolorifici.» spiegò.
Ringrazia il medico ed entrai subito nella stanza che le avevano riservato, era strano vederla in un letto, piena di fasciature, con la mano bucata per far passare la flebo e l’altra ingessata. Quel figlio di puttana l’aveva torturata e non l’avevo salvata in tempo. Era viva, certo, ma si sarebbe mai ripresa da una cosa del genere? Mi sedetti accanto a lei sulla sedia e le accarezzai la mano libera dal gesso facendo sempre attenzione a non farle male. Fu in quel momento che si girò a guardarmi, aveva gli occhi velati di lacrime e uno sguardo che non riuscivo ad interpretare.
«Ciao.» mi disse lasciandomi sorpreso.
«Ciao.» le risposi con un lieve sorriso.
«Mi fa male dappertutto.» esclamò sempre co un filo di voce.
«Tra poco starai meglio, ti hanno dato degli antidolorifici.»
«Oliver, c’è una cosa che devi sapere…»
«Certo, puoi dirmi qualsiasi cosa.»
«Lui… Lui… È mio… Mio padre.» balbettò iniziando a singhiozzare.
«Felicity, non devi credere a niente di ciò che ha detto. Ehi, guardami.» provai a dirle ma lei continuava a piangere e non sapevo che cosa fare.
Mi venne spontaneo solo fare una cosa. Mi alzai dalla sedia e mi stesi accanto a lei sul letto, la presi tra le braccia così che potesse sfogarsi. Si aggrappò alla mia maglia e posò la testa sul mio petto, io la avvolsi in un abbraccio meglio che potei e un po’ alla volta sembrò calmarsi. Il suo respirò tornò normale ed io le accarezzai i capelli sperando che in qualche modo si sentisse un pochino più al sicuro.
«Dovete fare un test del DNA.» esclamò.
«Ora devi solo pensare a guarire, okay?» risposi tenendola stretta contro il mio corpo.
«Oliver, conosce mia madre e non voglio che faccia del male anche a lei.» ribatté.
«Va bene, lo faremo, te lo prometto. Ma ne sei proprio certa?» le chiesi.
«Sì. È a causa mia se ha fatto tutto questo, voleva solo vendicarsi.» mi spiegò non riuscendo a trattenere nuovamente le lacrime.
«Non è colpa tua, non dirlo mai più, mi hai capito? È lui ad averti fatto del male, è lui quello che deve pagare. Tu non hai nessuna colpa.»
«Okay, ma non andartene. Ti prego, non voglio restare sola.» mi disse incrociando il mio sguardo.
«Non vado da nessuna parte, Felicity.» promisi.









Angolo autrice
Buonasera! Perdonate il ritardo, ma non ho avuto un attimo libero oggi.
Allora, il capitolo parte con la squadra di Oliver che va ad interrogare l'uomo con cui James Ford parlava, lui pare non sapere nulla, anzi è proprio stato raggirato. Fortunatamente gli svela dove potrebbe trovarsi l'uomo e non esitano a seguire la pista.
Oliver alla fine trova Felicity, ma non sta bene... È riuscito a farle parecchio male, ha un polso rotto, ferite da taglio e due costole incrinate... Nonostante tutto Oliver è preoccupato per come reagirà sul piano psicologico... Starà bene? 
Fel gli ha anche detto del padre, Oliver non sembra convinto ma ha accettato comunque di fare un test.

Grazie veramente per tutti i bellissimi commenti, alcune di voi ci avevano azzeccatto dicendo che era il padre di Felicity! :) fatemi sapere che ne pensate anche di questo eh!
Ps: avete visto Arrow? Io dopo due minuti ero già una fontana di lacrime xD
Pss: Oggi ho visto Legends Of Tomorrow e... LO AMO! *-*

Basta, non mi dilungo più ahah!
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** This is what I see, Oliver ***


Chapter fifteen - This is what I see, Oliver





Felicity
Era trascorso un giorno da quando Oliver mi aveva salvata. Un giorno in cui non avevo fatto altro che avere incubi continui non appena chiudevo gli occhi. Non ero mai rimasta sola e almeno questo un po’ mi aveva aiutato, Caitlin era venuta fino a qui insieme a mia madre e dopo averle viste piangere per almeno un’ora avevo chiesto loro di distrarmi e parlarmi di qualcosa che non fosse il mio rapimento. Cait aveva subito capito, semplicemente osservando le mie ferite, che era meglio non forzarmi a parlare e gliene ero davvero grata. Non me la sentivo ancora di tirare fuori l’argomento, anzi non avevo neanche detto a mia madre che l’uomo in questione era mio padre. C’ero già io a soffrire abbastanza, non vedevo la necessità di far star male anche lei per una cosa di cui, tra l’altro, non aveva colpa. Avevo promesso a Caitlin di chiamarla ogni giorno, purtroppo doveva tornare al lavoro domani e non poteva più restare qui in New Jersey. Mia madre invece aveva prenotato una camera in un hotel in zona così da potermi venire a trovare ogni mattina, mi faceva molto piacere averla qui, in un certo senso mi sentivo ancora più legata a lei sapendo quanto aveva faticato per crescermi. Lui non l’aveva solo abbandonata, l’aveva costretta ad abortire e probabilmente l’aveva pure minacciata, quindi capivo bene che raccontarmi che mio padre fosse morto era stato più semplice per lei. Se mai avessi un figlio vorrei essere forte la metà di lei.
Per mia fortuna nemmeno la notte scorsa l’avevo passata da sola, Oliver era rimasto accanto a me fino al mattino seguente e non aveva mai smesso di tenermi tra le sue braccia. Era l’unico momento in cui ero riuscita a riposare un po’, con lui accanto sapevo di essere al sicuro e non volevo mi lasciasse neanche per un secondo, ma quando mia madre e Caitlin erano piombate nella stanza avevo capito che non era il caso di farci trovare a letto insieme… Non in quel senso ovviamente.
«Ehi, ti ho portato qualcosa da mangiare.» mi disse Oliver rientrando nella mia stanza.
«Grazie, ma non ho molta fame.» risposi.
«Felicity, ti prego, devi mangiare qualcosa. L’ha detto anche il tuo medico.» ribatté.
«Sono io il medico qui dentro, e ti ripeto che sto bene.» affermai alzando gli occhi al cielo.
«Non stai bene. Credi che non mi sia accorto che per tutta la notte hai avuto gli incubi? Credi che non mi sia accorto che non appena chiudi gli occhi inizi a tremare come una foglia?» mi rinfacciò.
Abbassai lo sguardo colpevole, non gli avevo detto niente, ma evidentemente l’aveva capito da solo che faticavo a dormire. Era tutto ancora troppo vivido nella mia mente. Se chiudevo gli occhi sentivo la lama del coltello lacerarmi la pelle, poi i muscoli, a volte mi sembrava che addirittura mi spezzasse le ossa. Oliver si accorse subito che mi aveva riportato alla mente determinate cose che stavo cercando di seppellire e si stese accanto a me abbracciandomi. Sentire le sue braccia avvolgermi fu una cosa che riuscì a calmarmi in pochi istanti, stava poco a poco diventando la mia medicina.
«Scusami.» esclamò lasciando che appoggiassi la testa sul suo petto.
«Non fa niente. Se tu sei qui, io sto bene.» risposi beandomi di quel contatto tra noi.
«Mi dispiace tanto…» aggiunse baciandomi tra i capelli.
«Per cosa?» chiesi alzando la testa e lo sguardo verso di lui.
«Per non averti protetta come ti avevo giurato.» mi disse sospirando.
Mi sollevai leggermente per guardarlo negli occhi «Oliver, avrebbe trovato comunque un modo per fare tutto quello che ha fatto, non è colpa tua, questo è poco ma sicuro. E poi tu mi hai salvata, non sarei qui se non fosse per te, quindi…»
«Sei troppo buona, Felicity.» sorrise amaramente.
«No, non è così. Ti ho solo detto la verità.»
«Cosa vedi in me se neanche riesco a mantenere una promessa?» mi domandò.
«Vedo un uomo fantastico, gentile, buono, un uomo che mette gli altri al primo posto anche se significa sacrificare se stesso, vedo un uomo che si sente responsabile di una cosa che non ha commesso, vedo un uomo che ho imparato a conoscere giorno per giorno, vedo un uomo per il quale ho capito di provare qualcosa di molto forte. Ecco cosa vedo, Oliver.» risposi dicendogli qual era la verità.
«Aspetta, che cos’hai detto?» mi chiese stupito e confuso.
«Devo ripetere davvero tutto?» domandai a mia volta.
«No, solo l’ultima cosa.» affermò.
«Oh, quella… Beh, ho detto che provo qualcosa di molto forte… Che c’è di difficile da capire?» dissi arrossendo.
«Niente, insomma… Ho capito, ma…» balbettò facendomi sorridere per la prima volta dopo quello che avevo passato.
«Avanti, sputa il rospo.» lo invitai.
«È solo che non credevo tu provassi questo per me…»
«Allora sei proprio pessimo come profiler, come fai ad interrogare gli assassini se non capisci neanche me?» chiesi prendendolo un po’ in giro.
«Tu sei difficile da decifrare, credimi.» rispose giustificandosi.
«Solo perché ho detto che mi sto innamorando di te non significa che voglia andare all’altare domani e fare un bambino il giorno dopo.»
«Non è che ti hanno imbottita un po’ troppo di antidolorifici?» mi domandò scrutandomi.
«So quello che sto dicendo, Oliver.» dissi seria.
Lui fece una pausa, non disse nulla per qualche secondo «Credevo che quello che provo per te non fosse ricambiato.» confessò.
«Ed io che pensavo di averti dato anche troppi segnali.»
«Forse, non lo so. Non sono molto pratico in questo campo, ecco.»
«Ed io neanche, ma che importa?»
Senza dire niente mi prese la mano libera dal gesso e mi attirò verso di sé per baciarmi. Non mi aveva mai baciata sulle labbra da quand’ero in ospedale, forse per paura di spaventarmi o che non fossi pronta, ma la realtà era che più lui mi stava accanto meglio mi sentivo. Erano i momenti da sola che mi mettevano in crisi ed ero contenta che Oliver finora non mi avesse mai lasciato. Non mi sarei mai stancata di lui, era tutto una continua novità e questo essere coraggioso e timido allo stesso tempo faceva solamente crescere il sentimento che provavo per lui. Continuavamo a baciarci, era qualcosa di dolce, romantico ed eccitante allo stesso tempo, avrei davvero voluto essere a casa mia in questo momento così da poter passare una notte intera insieme. Fu quando Oliver iniziò a baciarmi il collo che entrò di colpo mia madre, dio, erano le dieci di sera, che cavolo ci faceva qui?!
«Oh! Scusatemi! Tesoro, mi dispiace! Torno più tardi.» disse coprendosi gli occhi con una mano.
Oliver si staccò da me leggermente imbarazzato, mentre io avrei voluto tirare qualcosa in testa a mia madre. Per una volta che le cose stavano andando nella giusta direzione arrivava lei ad interrompere ogni cosa. Aveva sempre avuto un pessimo tempismo ed ora mi rendevo inesorabilmente conto di aver preso da lei questo tratto.
«Vado a richiamare tua madre, vorrà delle spiegazioni immagino.» mi disse Oliver con un sorriso colpevole.
«Spiegazioni?» domandai aggrottando le sopracciglia.
«Sul perché un uomo stava animatamente sbaciucchiando sua figlia.» rispose divertito.
«Scemo!» esclamai provando a colpirlo con la mano ingessata, gli avrebbe fatto più male questo era certo.
Oliver uscì dalla stanza e poco dopo rientrò mia madre con un’espressione che andava dal preoccupato al “oh mio dio”, giusto per capirci. Le feci spazio così che potesse sedersi accanto a me, ero già pronta all’interrogatorio da parte sua e pregavo non mi chiedesse niente sul sesso.
«Felicity, sicura di star bene?» mi chiese come prima cosa.
«S-Sì, abbastanza…. P-Perché?»
«Beh, ti ho appena trovata avvinghiata ad un uomo.»
«Non ero avvinghiata ad un uomo, mamma.» mi difesi.
«Oh… Oh!» esclamò illuminandosi «È lui? È quello di cui mi hai parlato?»
«Sì.» confessai sapendo che anche se le avessi mentito mi avrebbe scoperta comunque.
«È davvero… Wow! Hai visto che corpo?»
«Okay, okay, mamma. Ti prego.» la fermai prima che potesse diventare volgare.
«Tesoro, a parte gli scherzi… Mi fa piacere che ci sia qualcuno che ti fa stare bene, non dev’essere facile affrontare tutto da sola. Sai, io non ti ho chiesto niente perché immagino tu non ne voglia parlare, ma speravo davvero ci fosse qualcuno di speciale che ti aiutasse.» mi disse sincera.
«Mamma, così mi fai piangere!» risposi abbracciandola.
«Sei felice quando stai con lui, nonostante quello che hai passato riesci a sorridere solamente guardandolo. Una madre certe cose le nota.» 
«Oliver… Mi sta aiutando molto.» confermai «Ma come mai sei qui a quest’ora?»
«Non volevo che passassi la notte da sola, ma… Vedo che sei in buona compagnia.» rispose con un sorrisetto.
«Mamma!» le dissi ridacchiando.
«Vi lascio soli piccioncini. Buonanotte, ci vediamo domani.» esclamò dandomi un bacio sulla guancia.
«Notte, e grazie.» replicai salutandola.
Poco dopo vidi rientrare Oliver che sorrideva sotto i baffi, non osavo immaginare che cosa gli avesse detto mia madre, da lei potevo aspettarmi di tutto. Si sedette tranquillamente accanto a me senza perdere quello strano sorrisetto, okay, avevo seriamente paura di chiedergli se mia madre gli avesse parlato di me.
«Oliver?» lo chiamai.
«Tua madre è proprio simpatica, sai?» mi disse facendomi venire i sudori freddi.
«Oh dio, che ti ha detto?» chiesi coprendomi il viso con le mani.
«Niente di che.» rispose alzando le spalle.
«Dimmi la verità.» lo minacciai.
«Va bene, va bene!» replicò alzando le mani «Ha detto che se dovessimo andare oltre i baci di ascoltarti e usare precauzioni.» 
«Non posso crederci, io la uccido, sul serio. Oliver, mi dispiace… Lei… Beh, è così e…»
Mi interruppe con un bacio facendo subito scivolare la lingua dentro la mia bocca, come al solito aveva un ottimo sapore e non mi sarei mai abituata ad avere un uomo che bacia così bene. Lo feci stendere sul mio letto d’ospedale e mi appoggiai con una mano sul suo petto senza mai staccare le mie labbra dalle sue, stava diventando tutto così naturale e piacevole tra noi che non sapevo esattamente quando avrei sopportato stargli lontana.
«Sai di buono.» gli dissi staccandomi solo un po’ da lui.
«Anche tu.» mi rispose lasciando che mi accoccolassi addosso a lui.
«Resti anche stanotte?» gli domandai speranzosa.
«Te l’ho detto, non vado da nessuna parte, Felicity.» 
«Domani pomeriggio mi faranno uscire…» sospirai. 
«Lo so… Stai bene?» mi chiese dolcemente.
«Io… Non lo so…» risposi sincera.
«Che ne dici di stare per qualche giorno a casa mia? I miei genitori sono partiti ieri per un viaggio di lavoro in Germania, Thea invece è all’università, quindi non ci sarà nessuno.»
«Stai per caso cercando di portami a letto, signor Queen?» domandai ridacchiando.
«Ehi! No, ero serio. Immagino che per te non sia facile tornare a New York…» 
«Accetto l’invito, sempre se non è un problema, non voglio essere un peso.» sorrisi.
«Tu non sarai mai un peso.» dichiarò coccolandomi.
Stavo quasi per addormentarmi quando sentii la vibrazione di un cellulare provenire dal mio comodino, Oliver si mosse piano e lesse quello che doveva essere un messaggio. Lo sentii sospirare pesantemente e non potei evitare di aprire gli occhi.
«Scusa, non volevo svegliarti.» affermò.
«Cosa succede?»
«Era Tommy, stanno ancora aspettando che Ford si faccia vivo, da ieri non è più tornato…»
«Quindi è ancora libero?» chiesi iniziando a tremare.
«Felicity, guardami.» mi obbligò a guardarlo negli occhi «Ti giuro che in un modo o nell’altro lo prenderemo ed io non ti lascerò sola neanche per un secondo.»
«Okay.» dissi solamente.
Avere Oliver accanto riusciva a tenere la paura sotto controllo, ma non potevo negare di essere ancora terrorizzata. Lui poteva riprendermi in qualunque momento e rifare tutto daccapo, il solo pensiero mi faceva mancare l’aria e speravo solo che fosse la buona volta che lo prendessero.










Angolo autrice
Buona domenica! :)
Devo dire che questo è uno dei miei capitoli preferiti, non so perchè, forse perchè finalmente sia Fel che Oliver ammettono di provare qualcosa di serio l'uno per l'altra... Si stanno innamorando! :) nonostante tutto riescono a parlarsi chiaramente e ad affrontare al meglio la situazione.
Mamma Smoak ha fatto la conoscenza di Oliver e gli ha detto di usare precauzioni xD da lei ce lo potevamo aspettare no?
E poi il caro Oliver ha invitato Felicity a casa sua (in New Jersey) per qualche giorno e saranno soli... Eheheh, capiterà qualcosa? Lo scoprirete presto ahah.

Ho notato che nell'ultimo capitolo le recensioni sono calate un pochino, quindi spero che questo vi sia piaciuto :) 
Ps: sto andando avanti a scrivere piano piano anche l'altra storia di cui vi accenavo, e verso la fine di questa se volete vi pubblico il prologo così mi sapete dire cosa ne pensate ;)

Ultima cosa, se questa settimana ci metto magari qualche giorno in più a postare è perchè ho università fino a tardi, ma don't worry, non vi abbandono.

Alla prossima,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** I'm happy to be here ***


Chapter sixteen - I’m happy to be here





Oliver
Dopo aver passato anche la notte scorsa insieme a Felicity purtroppo ero dovuto correre in ufficio, erano praticamente due giorni che non m’informavo sull’andamento del caso e finora tutti avevano chiuso un occhio, ma era chiaro che dovessi almeno partecipare mentalmente. Da quando avevamo salvato Felicity, Ford non si era più fatto vivo, non sapevamo esattamente dove fosse né se avesse intuito che l’avevamo praticamente colto sul fatto. Non era da escludere che, furbo com’era, avesse capito che c’era qualcosa che non andava e se l’era svignata, ma anche se così fosse stato l’avremmo beccato prima o poi perché sapevamo finalmente tutto su di lui. Non avevo accennato niente a Felicity, avevo solo scritto un messaggio a Sara chiedendole di analizzare il DNA facendo un test di paternità. Mi aveva richiamato chiedendomi spiegazioni logicamente e le avevo spiegato quello che Felicity mi aveva detto, ovvero che James Ford fosse suo padre. Ero rimasto scioccato quando me l’aveva detto, ma in quel momento dovevo solo pensare a tranquillizzarla, farle domande, interrogarla, forzarla a parlare non sarebbe servito a nulla se non a traumatizzarla ancora di più. Nonostante ciò, lo shock più grande erano stati gli esiti del test: era realmente il padre di Felicity. Io non glielo avevo ancora confessato, lei infondo già lo sapeva, però averne la conferma certamente non le avrebbe fatto piacere.
«Ehi, Oliver! Bentornato.» mi salutò Tommy con una tazza di caffè in mano.
«Ehi, amico. Grazie.» replicai sedendomi alla scrivania di fianco alla sua.
«Felicity come sta?» mi chiese gentilmente.
«Meglio, ma sapere che lui è ancora libero non la fa stare tranquilla.» risposi sospirando.
«Ci credo, dopo quello che ha passato è già tanto che stia in piedi.»
«È davvero tenace e coraggiosa, mi meraviglio anch’io.»
«Un uccellino mi ha detto che verrà a stare da te per qualche giorno…» mi prese in giro.
«Un uccellino di nome Sara Lance immagino.» constatai.
«Sai com’è fatta, basta chiederle una cosa e confessa subito.»
«Dovrei imparare a non dirle niente.» affermai sorridendo «Comunque sì, la ospiterò per un po’ così che possa riprendersi.»
«La ospiterai, certo!» rispose Tommy ridendo «Sono sicuro che dormirete in camere separate.»
«Cretino.» gli dissi colpendolo sul braccio.
«So che magari non è il momento giusto per dirtelo, ma… Avrei bisogno di confessarti una cosa.» affermò incuriosendomi. Da quando era così serio quando dovevamo parlare?
«Dimmi pure. Non è successa qualche tragedia, vero?» mi assicurai.
«No, affatto, anzi, è proprio l’opposto… Insomma, ieri pomeriggio è venuta Laurel a trovarmi, le avevo detto che stavo lavorando, ma ha insistito e mi sono preso un’ora libera… Non era una cosa programmata, cioè sì, ma…»
«Va’ al punto.» lo incoraggiai.
«Le ho chiesto di sposarmi.» disse facendomi rimanere di sasso.
«Thomas Merlyn, non ci posso credere! Che ha detto?» domandai.
«Ha detto sì!» rispose entusiasta.
«Non so che cosa dire se non che sono davvero molto felice per entrambi, è fantastico!» dissi abbracciandolo. Non ero il tipo che abbracciava gli amici generalmente, ma questa volta fare un’eccezione ne valeva la pena.
«Aspetta, non è finita.»
«Che c’è ancora? Laurel è incinta?» chiesi ridacchiando.
«Macché! Volevo chiederti di essere il mio testimone.» rispose serio.
«Sul serio? Beh, certo che sarò il tuo testimone!» esclamai.
Mi sembrava surreale che il mio amico si stesse per sposare, era passato da festaiolo a bravo ragazzo nel giro di un mese, ovvero da quando aveva conosciuto Laurel, da quella volta erano passati circa due anni e qualche mese. L’aveva conosciuta grazie a Sara e da allora non aveva mai smesso di farle la corte, era incredibile come lei l’avesse reso una persona migliore, un po’ com’era successo a me quando avevo incontrato Felicity.
«Ci sono novità sul caso?» chiesi poi.
«Niente di veramente concreto, insomma, stanno ancora pattugliando la zona e tenendo d’occhio Ian Rodgers, ma di Ford non c’è traccia. È come se avesse sempre saputo che saremmo arrivati per salvare Felicity.» rispose Tommy.
«Voglio quel figlio di puttana in prigione.» esclamai.
«Lo so, Oliver. Credimi se ti dico che voglio esattamente la stessa cosa. È vero che non conosco molto bene Felicity, ma vedo quanto ci tieni a lei, oserei dire che ti stai persino innamorando, quindi sì, anche io voglio vedere Ford in galera.»
«Pensi che lo prenderemo?»
«Sì. Ormai non ha scampo, prima aveva un vantaggio perché non sapevamo niente su di lui, ora invece sappiamo tutto, abbiamo le sue foto, il suo DNA, una delle scene del crimine. Ed oltretutto è su tutti i notiziari, anche se scappasse dal New Jersey o da New York qualcuno comunque lo riconoscerebbe.»
«Hai ragione. Beh, c’è altro che posso fare? John ha lasciato istruzioni?»
«No, lui e Sara sono rimasti nel Jersey a sorvegliare la casa, io sono venuto qui a tenere d’occhio Rodgers. Secondo me puoi tranquillamente tornare da Felicity e stare con lei, di certo ha più bisogno lei di te che noi.»
«Dici che posso prendermi dei giorni di ferie? Non lo so, Tommy… Voglio esserci quando prenderemo quel bastardo.»
«Se ci saranno novità ti chiamerò, lo sai. Ora vai da lei, è la cosa giusta.» mi disse dandomi una pacca sulla spalla.
«Farò come dici allora.» risposi con un sorriso «Ah, e ancora congratulazioni, amico.»

Felicity
Stavo firmando le carte della dimissione mentre aspettavo che Oliver passasse a prendermi, era stato tutta la mattina a New York insieme a Tommy per aggiornarsi sull’andamento delle indagini, poi però mi aveva telefonato dicendomi che si era preso qualche giorno di ferie per stare insieme a me. Non potevo negare che la cosa mi avesse fatta felice, insomma, stava facendo tutto questo per me e non era poco. Lasciamo perdere poi la reazione di mia madre quando le avevo spiegato che Oliver mi aveva invitata da lui… Aveva iniziato a saltellare per tutta la stanza, era come se le avessi detto che stavo per sposarmi, era davvero euforica all’idea che avessi un fidanzato, o una specie, non sapevo esattamente come definire quello che c’era tra Oliver e me. Io ero arrossita come un pomodoro quando si era messa a fare battutine sconce su come avremmo passato le giornate soli a casa, neanche avessi avuto quindici anni! Ovviamente non le avevo confessato che anch’io avevo pensato la stessa cosa, ovvero a cosa avremmo fatto, perché altrimenti non l’avrebbe più smessa di tartassarmi di domande. Mia madre era così, era aperta, solare e anche un po’ senza pudore ogni tanto, ma era un lato di lei che mi aveva sempre divertito oltre che irritato.
«Ehi, straniera.» sentii dire da una voce che ormai conoscevo a memoria.
«Ciao! Sei tornato.» dissi consegnando gli ultimi fogli all’infermiera.
«Sì, ho fatto più in fretta del previsto. Ora sono completamente tuo.» rispose schioccandomi un bacio sulla fronte.
«Ottimo, perché io ho voglia di una coppa gigante di gelato.» replicai facendolo ridere.
«Gelato? Ma siamo in dicembre! Sono ancora convinto che abbiano sbagliato la dose degli antidolorifici e che tu ora sia leggermente sballata.»
«Come ti permetti, Queen? Ho sempre mangiato il gelato in inverno e sono due giorni che non tocco qualcosa di decente! Non eri tu a volere che mangiassi?» mi lamentai fingendomi offesa.
«Touché. Che gelato sia allora.» si arrese alla fine. 
«Ah, Caitlin mi ha spedito qualche vestito, potresti aiutarmi con la valigia? Io non ce la faccio…» dissi abbassando lo sguardo. Per via delle ferite e del polso ingessato facevo fatica a portare pesi, soprattutto perché la ferita alla gamba era piuttosto profonda e ci sarebbe voluto parecchio perché guarisse.
«Certo, non lascerei mai una donzella in difficoltà.» rispose facendomi tornare il sorriso all’istante.
Cercavo sempre di mascherare la paura e l’ansia che sentivo, ma sapevo che Oliver si era accorto ogni singola volta cosa provavo e apprezzavo ancora di più il fatto che provasse sempre a distrarmi e a farmi ridere. Certo, non mi sentivo al sicuro, non finché il mio presunto padre non fosse stato dietro le sbarre, però avere Oliver al mio fianco, passare del tempo con lui erano tutte cose che mi aiutavano a non pensarci.
Prima di uscire dall’ospedale mi voltai un’ultima volta sperando di non tornarci mai più, era vero che lavoravo io stessa in un ospedale, ma esserci dentro come paziente era una cosa totalmente diversa. Durante il viaggio in auto, che durò circa una ventina di minuti, Oliver si fermò in una gelateria come mi aveva promesso e uscì dal negozio con una coppa davvero enorme, c’era il cioccolato, la vaniglia, le fragole sopra e la granella di nocciole. Una gioia per il palato.
«Credo di amare ogni dolce sulla faccia della terra.» dissi finendo il mio gustosissimo gelato.
«L’ho notato!» rispose prendendomi in giro.
«A proposito, dov’è casa tua?» chiesi curiosa.
«È quella laggiù.» affermò indicandomi una villa simile ad un castello.
«Sì, come no.» 
«Non sto scherzando, Felicity.» replicò ridendo.
Mi resi conto che stava dicendo la verità solo quando entrò nel vialetto di quell’enorme edificio che pareva più una reggia che una casa. Okay, quanto erano ricchi i genitori di Oliver? Per potersi permettere un’abitazione del genere direi parecchio… Solo il garage era grande quanto l’appartamento mio e di Caitlin, se lei avesse visto una casa del genere si sarebbe insediata all’interno senza più volersene andare, amava da morire le grandi ville in stile antico e forse avrei potuto farla rosicare un po’ mandandole delle foto. Entrammo poi dalla porta principale ed io dovetti girarmi intorno per riuscire a vedere il tutto, era un qualcosa di stupendo ed elegante allo stesso tempo.
«Mio dio.» commentai ad alta voce.
«Ti piace?» mi domandò Oliver prendendomi la mano.
«Se mi piace? Scherzi? È una casa a dir poco meravigliosa.» risposi ancora a bocca aperta.
«Su, vieni, ti faccio vedere la mia stanza. Quella che era la mia stanza, in realtà.» aggiunse trascinandomi su per le scale.
«Oliver, aspetta, e i bagagli?»
«Tranquilla, ci penserà Raisa.» affermò.
«Chi?» chiesi aggrottando le sopracciglia.
«Sei per caso gelosa, Felicity?» ribatté lui sorridendo sotto i baffi.
«Ma che centra? Non sono gelosa.»
«È solo la nostra domestica di famiglia, è una donna fantastica e ha badato a me e a Thea un milione di volte. Ed ha l’età dei miei genitori, tranquilla.» esclamò ridacchiando.
«Comunque, ripeto che non sono gelosa.» misi in chiaro sapendo che ormai il danno l’avevo fatto.
Al piano di sopra, Oliver mi mostrò quella che era sempre stata la sua camera fino a pochi anni prima. Era enorme, come il resto della casa, ma in qualche strano modo sapevo che era la sua, aveva un che di familiare e profumava ancora di lui. Ormai era chiaro che volesse dormire con me ed io di certo non avrei rifiutato, anzi, mi sentivo molto meglio con lui vicino.
«Mi piace.» esclamai poi.
«È rimasta così da quando me ne sono andato.»
«Sono contenta di essere qui insieme a te.» gli dissi baciandolo dolcemente sulle labbra.
«Anche io.» rispose accarezzandomi il viso.
«Non è che potrei farmi una doccia?» chiesi mordendomi il labbro.
«Certo che puoi, il bagno è collegato alla camera, c’è la doccia o la vasca, usa pure quello che preferisci.» mi rispose con un sorriso che mi fece sciogliere come un ghiacciolo in estate.
«Grazie.» affermai.
«Ti aspetto qui, se hai bisogno di qualunque cosa chiamami, d’accordo?»
Annuii lasciandolo nella stanza mentre io mi recavo tranquillamente in bagno, avevo davvero bisogno di sciacquarmi un po’ e soprattutto rilassarmi. Optai per la doccia visto che sapevo di non poter bagnare la ferita alla gamba e il gesso, così avrei potuto controllare meglio l’acqua. Non sapevo esattamente quant’ero stata sotto la doccia, ma quando uscii mi resi conto che non avevo i vestiti di ricambio… Maledette valigie! Mi avvolsi con un asciugamano il corpo, riusciva giusto a coprirmi il seno e le parti più intime, il resto però era in bella vista. Non potevo di certo uscire e andare in giro così, l’alternativa era una soltanto: dovevo chiamare Oliver e farmi portare della biancheria e dei vestiti.










Angolo autrice
Rieccomi! Perdonate il ritardo ma sono stra impegnata ultimamente!
Il capitolo comincia con Oliver e Tommy, mentre chiacchierano tranquillamente Tommy sgancia la bomba... Ha chiesto a Laurel di sposarlo e ad Oliver di fargli da testimone! Mi manca moltissimo nel telefilm la loro amicizia... Sul padre di Fel però ancora non ci sono novità...
Poi nella seconda parte finalemente i nostri due protagonisti arrivano a casa di Oliver (immaginatevela come quella del telefilm) e Felicity non crede nemmeno sia la sua xD in più sembra essere gelosa di Raisa ahahah.
Ho voluto lasciarvi una fine divertente stavolta, con Fel che si è dimenticata i vestiti e adesso non sa che cosa fare visto che è mezza nuda xD cosa sceglierà di fare? Lo scoprirete ahah.

Vi dico che questa storia è ufficialmente entrata tra le più popolari ed io boh posso solo dire che vi adoro tutti, grazie davvero!
Fatemi sapere che ne pensate anche di questo capitolo :)

A presto!
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Together ***


Chapter seventeen - Together 





Oliver
Avevo lasciato Felicity in bagno da circa una quindicina di minuti, nel frattempo avevo chiesto a Sara e Dig se ci fossero novità, ma mi avevano risposto che là c’era calma piatta, nessuna traccia di Ford purtroppo. Avevo appena chiuso la chiamata quando sentii la voce di Felicity chiamarmi, lanciai il cellulare sul letto e bussai alla porta.
«Puoi entrare.» mi disse alzando la voce.
«Tutto be…» iniziai a dire, ma le parole mi morirono in bocca.
Era avvolta in un piccolo asciugamano azzurro, davvero troppo piccolo, che lasciava intravedere praticamente ogni parte del suo corpo. Cercai di sembrare il più normale possibile, ma mi risultava parecchio difficile visto chi avevo davanti. Non l’avevo mai vista così scoperta e di certo la situazione non aiutava a calmare i bollori che sentivo dentro, continuavo a fissarla come un idiota e notai subito che era arrossita. L’ultima cosa che volevo era che si sentisse in imbarazzo, però cavolo era veramente una sfida distogliere lo sguardo dalle sue gambe o dal suo seno semi coperto.
«I-Io… Ho dimenticato i vestiti…» balbettò.
«Sì… Scusa… Non… Non ci ho pensato.» risposi scuotendo la testa per svegliarmi un po’.
«Non è che potresti recuperare la mia valigia?» mi domandò tenendosi stretta l’asciugamano.
«Certo, sì… Vado.» dissi deglutendo.
Uscii provando a non inciampare e richiusi la porta dietro di me, non osavo immaginare cosa avesse pensato, neanche fosse stata la prima donna che vedevo! Non sapevo che cosa mi fosse preso, semplicemente ero rimasto ammaliato da lei. Era bellissima, davvero bellissima, nonostante le ferite che aveva nella gran parte del corpo non riuscivo a non vedere una donna splendida, sia fuori che dentro.
Ritornai di sotto e recuperai le sue cose dicendo a Raisa che ci avrei pensato io ormai che ero lì. Oltretutto adesso non sapevo se dovevo ritornare in bagno a portarle i vestiti o se sarebbe venuta lei a prenderseli. Di sicuro frugare tra la sua biancheria avrebbe solo peggiorato il mio stato d’animo, mi sentivo quasi accaldato e pregavo affinché Felicity non se ne fosse accorta.
«Sono qui.» le dissi bussando.
Lei aprì la porta e si mise a cercare dentro la valigia «Grazie comunque.» aggiunse mentre estraeva un paio di mutandine striminzite, un reggiseno e una maglia.
«Di niente.» le sorrisi, sempre provando ad essere il più normale possibile.
Potevo ufficialmente confermare che questi giorni sarebbero stati particolarmente ardui da affrontare per me, insomma, avevo visto Felicity mezza nuda, aveva tranquillamente tirato fuori la sua biancheria di fronte a me ed in più il suo profumo aleggiava per tutta la stanza… Come avrei sopportato di starle così vicino dopo tutto questo? Certo, non l’avrei mai costretta a fare niente che non volesse, anche perché non era facile lasciarsi andare dopo il trauma che aveva subito, però non potevo fare a meno di pensare a quanto la desiderassi ora come ora.
«Oliver? Tutto okay?» mi chiese Felicity.
«Sì, benissimo.» risposi voltandomi verso di lei, chissà da quant’era lì, ero completamente assorto nei miei pensieri.
«So che non è non è un bello spettacolo vedermi piena di fasciature e con questo bellissimo gesso.» affermò sospirando.
«Che cosa stai dicendo?» domandai.
«Prima, beh, stavi lì a fissarmi e…»
«Felicity, fidati, non ti fissavo per il gesso o le fasciature.» risposi subito interrompendola prima che dicesse sciocchezze.
«Oh…» replicò lei mordendosi il labbro inferiore.
«Eri mezza nuda ed ammetto che mi sia caduto l’occhio… Un po’ dappertutto.» ammisi tirandola verso di me.
«Maniaco.» ribatté lei ridendo.
«Non pensare neanche per un istante di piacermi meno per via di quello che ti è successo, okay?» le dissi serio.
«Lo ha fatto apposta sai? Rovinarmi un po’ ovunque intendo… Ha detto pure “mi dispiace dover rovinare il tuo bel corpo”, ironico non trovi? Non che mi vedessi bella quanto una top model, ma adesso è ancora peggio.»
Restai per un momento senza parole, era la prima volta che mi raccontava una piccola parte di ciò che James Ford le aveva fatto e sapere che era una cosa premeditata e fatta apposta per farle del male, me lo faceva odiare ancora di più. Lei si sentiva insicura, pensava addirittura di non piacermi più, ed era solamente colpa di quel mostro. Come si poteva arrivare a tanto? Come si poteva torturare la propria figlia?
«È orribile quello che ti ha fatto, me ne rendo conto, ma tu sei splendida anche adesso e non devi dargli la soddisfazione, neanche il pensiero, di averti fatta crollare.» esclamai cercando di aiutarla come potevo.
«Ho solo paura di non riuscire più a guardarmi allo specchio.» mi confessò lasciando che l’abbracciassi.
«Invece ti dico che guarirai e che ti renderai pian piano conto che questa cosa ti ha resa solo più forte. Non dico che sarà facile, ma tu ce la farai, Felicity.»
«Lo spero davvero. Vorrei vedermi come mi vedi tu, ma credo che in questo momento sia impossibile.»
«Io sarò accanto a te, sempre. Di qualunque cosa tu abbia bisogno sappi che puoi contare su di me.»
«Sei veramente reale, Oliver Queen? Perché se è un sogno non voglio svegliarmi.» mi disse stringendosi ancora di più su di me.
«Posso assicurarti che è tutto vero, Felicity Smoak.» risposi catturando le sue labbra in un bacio.

Felicity
Il resto della giornata trascorse tranquillo, Oliver mi portò a fare un breve giro del suo enorme giardino mentre Raisa ci cucinava un’ottima cenetta. Era stato davvero bello passare del tempo assieme, da soli e lontani dagli ospedali, tra noi sembrava esserci sempre più confidenza tanto che mi ero perfino spinta a raccontargli qualcosa di quel giorno. Non che mi fosse piaciuto rivivere determinate cose, ma sapevo bene che di Oliver potevo fidarmi e che potevo sempre raccontargli ogni cosa. Era riuscito anche a farmi accettare di più il fatto di avere numerosi tagli e fasciature in giro per il corpo, quando mi ero vista per la prima volta avevo pianto e nonostante non l’avessi detto mai a nessuno sapere che a lui non importava e che mi vedeva bella mi rendeva sicura di me e di sicuro più rilassata. Quando mi aveva vista mezza nuda avevo subito pensato di non piacergli, invece era stato l’esatto opposto, si era praticamente imbambolato a fissarmi semplicemente per il fatto che avevo indosso solo un asciugamano.
«Come ti senti oggi?» mi chiese Oliver distraendomi dai miei pensieri.
«Direi bene, mi stai piuttosto viziando aggiungerei.» gli risposi poggiando la testa sul suo petto.
«È quello che volevo.» affermò coprendomi con il piumone.
«Caitlin mi sta tartassando di messaggi, scusa.» dissi poi sentendo il mio cellulare vibrare per l’ennesima volta.
«Vorrà sapere se sei ancora viva.» esclamò alzando le spalle.
«No, fidati.» replicai ridacchiando. Dopo aver letto l’ultimo sms della mia migliore amica potevo dire con sicurezza che non si stava chiedendo se fossi viva.
«Perché ridi?» mi domandò bloccandomi entrambe le mani sul cuscino.
«Niente, lascia stare, cose da donne.» risposi mordendomi il labbro per trattenere una risata.
«Mmm, okay, mi arrendo.» disse con aria delusa.
«Quanto sei curioso, signor Queen. Mi ha solamente chiesto se l’abbiamo fatto.» ribattei.
Stava per dire qualcosa, ma quando si rese conto di ciò che avevo detto mi squadrò con una faccia indecifrabile. Che c’era da stupirsi? Lo osservai a mia volta non capendo dove volesse andare a parare, poi mi trascinò di nuovo contro il suo corpo.
«È di questo che parli con le tue amiche?» domandò intrecciando le sue dita con le mie.
«Solo con Cait. Comunque sì, che c’è di strano? Sono convinta che anche tu ne parli con Tommy o addirittura con Sara.»
«Solo quando si trattava di una botta e via.» disse con nonchalance, forse non rendendosi conto di ciò che effettivamente aveva confessato.
«Quindi di me non parli?»
«Non è come pensi, Felicity. Da quando ti ho conosciuta sono cambiato, non mi interessa più una scopata di una notte e basta, voglio qualcosa di serio. E sì, ho pensato non potesse funzionare per via del mio lavoro, ma mi sbagliavo, guardandoci adesso capisco di aver usato l’FBI solo come scusa…»
«Vuoi davvero che ci sia qualcosa di serio tra noi?» chiesi.
«Sì, voglio almeno provarci.» rispose stringendomi a sé.
«Quindi con Tommy e Sara non parlerai di quando faremo sesso?» domandai ridacchiando.
«Tu scommetto che lo dirai a Caitlin cinque minuti dopo.» ribatté lui ignorando la domanda.
«Non proprio cinque, prima vorrei che mi coccolassi un po’.» risposi facendo la ruffiana.
«Non è male come idea…» esclamò facendomi scivolare sul materasso per baciarmi.
Fui io la prima a rendere quel bacio più intenso, Oliver lasciò che la mia lingua si facesse strada nella sua bocca e non esitò a fare lo stesso. La mia mano libera dal gesso finì subito tra i suoi capelli e la sua ad accarezzarmi il viso, mi presi un attimo per guardarlo negli occhi, senza fare nulla, solo osservarci a vicenda. Le parole non erano necessarie a descrivere quel momento, eravamo semplicemente uniti più che mai. Sorrisi e gli accarezzai piano la schiena coperta solo da una maglietta, avrei voluto rimanere qui per sempre, mi sarebbe bastato per il resto della vita. Feci per baciarlo nuovamente, ma lui si scostò come fosse distratto da qualcosa, si guardò intorno e si alzò improvvisamente dal letto.
«Oliver? Va tutto bene?» gli chiesi sottovoce.
«Resta qui e non muoverti, okay?» rispose avviandosi verso la porta.
«Aspetta, dove vai? Che cosa succede?» domandai alzandomi anche io.
«No, Felicity, resta qui e chiuditi dentro.» 
«Oliver, mi stai spaventando…» gli dissi prendendogli la mano.
«Non sarà nulla di grave, ma voglio che tu stia al sicuro per qualunque evenienza.»
«Va bene…» annuii lasciandolo.
«Ehi, non preoccuparti. Torno tra qualche minuto.» affermò baciandomi a fior di labbra.
Dopodiché lo vidi uscire e chiusi la porta a chiave come mi aveva detto, il mio cuore cominciò a battere talmente forte che pensavo mi sarebbe uscito dal petto. Cercai di mantenere la calma e mi sedetti sul letto, ma la paura stava cominciando a prendere il sopravvento. Continuavo a pensare che fosse lui, che ci avesse trovato e che fosse qui per finire ciò che aveva iniziato qualche giorno prima. Oliver mi aveva detto che probabilmente non era nulla e volevo davvero credergli, forse non era nemmeno razionale pensare che Ford si fosse spinto a tanto.
Mi dovetti ricredere su ogni cosa nel momento in cui sentii uno sparo provenire dal piano di sotto…










Angolo autrice
Sono imperdonabile, lo so. Scusatemi davvero ma ero in vacanza in montagna e non avevo dietro il computer...
Tornando a noi, Oliver è rimasto decisamente senza parole vedendo Fel con solo un mini asciugamano... E lei che pensava la fissasse per via delle ferite, seee Felicity credici xD
Caitlin invece sta indagando chiedendo all'amica se finalmente si sono dati da fare... Dovrà attendere ancora molto? Mmm... Direi di no ;)
Questa volta ho scelto un finale meno divertente, ma... È necessario. Poi capirete perché! 
Oliver starà bene? Sarà stato lui a sparare? E Felicity come si comporterà?

Grazie sempre a tutti per le recensioni e le aggiunte nelle categorie, io sono sempre super felice! :D

Un abbraccio!
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** You're the hero ***


Chapter eighteen - You’re the hero 





Felicity
Quel suono stava rimbombando nella mia testa da troppo tempo, ero rimasta immobile e non sapevo quanto fosse passato… Un secondo? Un minuto? Un’ora? Avevo la mano sulla serratura della porta, ma non avevo il benché minimo coraggio di aprire. Era un colpo di pistola, ne ero certa, era un rumore troppo inconfondibile per sbagliarsi. Volevo sapere se Oliver stava bene, dovevo saperlo, e allora perché non riuscivo a girare quella maledetta chiave? Ero spaventata a morte, ecco cos’era. L’essere stata rapita mi aveva resa debole ed io odiavo essere così, la Felicity che conoscevo sarebbe corsa di sotto ad accertarsi che Oliver stesse bene. Ero un medico per l’amor del cielo, era mio dovere aiutare le persone! Non potevo permettere che gli accadesse di nuovo qualcosa, non avrei sopportato di vederlo sofferente in un letto d’ospedale, non ora che ero così legata a lui. Respirai a fondo almeno quattro volte e girai la chiave per aprire la porta, uscii nell’enorme corridoio e mi guardai intorno per mettere a fuoco la situazione… Non c’era nessuno. Nessuna traccia di Oliver, né di chi avesse sparato. Scesi piano le scale, l’adrenalina mi scorreva nelle vene al posto del sangue, ero concentrata al massimo. Vicino all’ingresso principale notai del sangue sul pavimento, poco, solamente qualche goccia, ma pur sempre sangue. Presi un’ulteriore respiro profondo e proseguii verso la cucina, avevo con me il cellulare di Oliver ed ero pronta a chiamare la sua squadra se fosse stato necessario. Il pensiero che fosse ferito era l’unica cosa che mi dava la forza di aggirarmi per la villa completamente sola, se lui avesse avuto bisogno di me io ci sarei stata, a qualunque costo. Fu quando arrivai in cucina che mi accorsi della porta aperta sul retro, forse era sbagliato uscire senza niente con cui difendermi, ma non potevo aspettare.
«No! Scappa!» sentii gridare la voce di Oliver da un punto imprecisato del giardino.
Ovviamente non lo feci, rimasi lì dov’ero e non smisi per un attimo di guardarmi intorno, stava succedendo qualcosa e dovevo sapere che cosa. Feci tre passi nel viale piastrellato e solo dopo avvertii una strana presenza attorno a me. Mi voltai di colpo e me lo ritrovai davanti… E no, non era Oliver.
«Ciao Felicity.» esclamò nella penombra del giardino di casa Queen.
«Dov’è Oliver?» fu l’unica cosa che uscì dalla mia bocca, per il resto ero completamente paralizzata.
«Non preoccuparti, è vivo.» rispose Ford alzando le spalle «Ferire lui era solamente un modo per far sì che tu uscissi da quella stanza.»
«Dimostrami che sta bene.» continuai.
«E perché mai? È te che voglio.» affermò facendo un passo verso di me.
«Farò quello che vuoi, ma prima voglio vederlo.» dissi sapendo che probabilmente avrebbe accettato, infondo era me che voleva, come aveva detto.
«Bene. Mi sembra corretto lasciarti un ultimo desiderio.» aggiunse trascinandomi vicino ad un albero «Hai un minuto. Se non vieni di tua spontanea volontà gli pianto un proiettile in testa, chiaro?»
Annuii senza pensarci, volevo solo andare da Oliver. Quando mi lasciò il braccio corsi da lui, era seduto con la schiena contro un pino, gli aveva legato le mani e i piedi, ma sembrava star bene tutto sommato.
«Ehi, dio, stai bene?» gli chiesi prendendogli il viso tra le mani. Sanguinava dal polpaccio ma non era una cosa grave fortunatamente.
«Perché sei uscita, Felicity? Ti avevo detto di restare chiusa nella mia stanza.» mi disse guardandomi con uno sguardo veramente disperato.
«Ho sentito uno sparo, pensavo fossi ferito… Io… Non ci ho pensato.» balbettai.
«Non posso permettere che ti faccia del male di nuovo.» 
«Non è colpa tua, ehi, non fare così. Oliver, guardami.» lo costrinsi a guardarmi dritta negli occhi «Se provo a fare qualcosa lui ti ucciderà ed io non posso vivere neanche un minuto sapendo che ne sono stata la causa, okay?»
«Felicity, no, non ti consegnerai a quel pazzo. Liberami per l’amor di dio, possiamo farcela.» mi pregò.
«Non posso perderti. Non posso, Oliver.» affermai ormai con le lacrime agli occhi.
«Ed io nemmeno! Ti prego, non farlo.» mi supplicò ancora.
«Andrà tutto bene, te lo prometto.» gli dissi sperando che rimanesse fermo lì dov’era.
«Tempo scaduto, principessa.» annunciò mio padre.
«Non provare a toccarla brutto psicopatico, giuro che se le fai ancora qualcosa te la farò pagare!» urlò Oliver contro Ford.
«Non farai proprio niente visto che ti ho sparato e sei legato ad un albero. Spero tu le abbia detto addio.» continuò l’uomo.
«Felicity, non farlo, ti prego.» disse rivolgendosi a me. Era la prima volta che lo vedevo con le lacrime e questo mi fece capire ancora di più che stavo facendo la cosa giusta, ovvero salvare la vita all’uomo che ormai sapevo di amare.
«Fidati di me.» fu l’ultima cosa che riuscii a dirgli prima che lui mi trascinasse via.
Questa volta in un certo senso sapevo cosa stavo facendo, avevo paura e non lo negavo, ma una piccola parte di me era cosciente del fatto che anch’io avevo controllo su ciò che stava accadendo. Mi aveva spezzato il cuore lasciare lì Oliver, soprattutto visto che si era esposto così tanto solo per me ed era pure ferito, però era stato necessario, non avrei permesso a quel mostro di mio padre di fare del male anche a lui. 
Mi sbatté contro il muro senza pietà e trattenni un gemito di dolore quando la mia schiena urtò con forza il muro della cucina, sembrava davvero arrabbiato, molto, molto più dell’altra volta. 
«Sei davvero una ragazza fortunata, se il tuo amico non fosse arrivato in tempo saresti già in una bara.» constatò passando una delle sue viscide mani sui miei capelli.
Avrei voluto reagire in qualche modo, ma non sapevo come, non ero una combattente, nel senso, avevo preso qualche lezione di autodifesa insieme a Caitlin, però non erano nulla di che. Oltretutto avevo i punti di statura sulla gamba e anche alcuni sul braccio, cosa potevo fare per difendermi? Speravo solo che il mio piccolo piano andasse in porto o non ne sarei uscita viva, e questa volta per davvero.
«Che ne dici se riprendiamo da dove eravamo rimasti?» mi chiese buttandomi a terra con uno strattone.
«Preferirei di no.» risposi quasi sarcastica, tanto che avevo da perdere?
«Oh avanti Felicity, non ti va di trascorrere un po’ di tempo con il tuo papà?»
«Tu non sei mio padre, figuriamoci il mio papà. Non sei nessuno, non lo sei mai stato e mai lo sarai. Convinciti di questo perché da me non avrai niente.»
«Taci.» mi urlò puntandomi la pistola contro «Non ti conviene fare l’impertinente, mia cara, o potrei non essere più così lucido e razionale.»
Razionale? Seriamente? Si definiva addirittura lucido e razionale! Era davvero un pazzo maniaco e psicopatico. Mi prese di nuovo per un braccio facendomi alzare, fece sì che camminassi davanti a lui e mi riportò di nuovo fuori in giardino. Non avevo idea di cosa avesse in mente, ma certamente non era nulla di buono. Dovevo resistere ancora un po’, dovevo assolutamente farlo. Notai che Oliver era sparito, le corde erano tutte accanto all’albero ma lui non c’era, speravo si fosse liberato in qualche modo.
«Sapevo che avrei dovuto uccidere quel bastardo.» commentò Ford.
Poi accadde tutto in pochi secondi, qualcosa mi fece cadere a terra e trascinò con sé anche l’uomo che mi era accanto. Non capii cosa fosse successo finché non riuscii a mettermi in ginocchio e voltarmi. Era Oliver, stava prendendo a pugni James Ford in modo che mi togliesse le mani di dosso, ma mi resi subito conto che la situazione stava degenerando quando l’uomo non rispose più alla lotta con Oliver.
«Basta! Fermati! Così lo uccidi!» gridai.
Ma lui non mi ascoltò, provai a fermarlo e neanche questo funzionò. Ero terrorizzata all’idea che finisse in prigione per omicidio perché non se lo meritava. Solamente quando sentii le sirene della polizia e dell’FBI mi tranquillizzai, in un batter d’occhio la casa si era riempita di agenti e Tommy era intervenuto con la forza per staccare Oliver da mio padre. Il mio piano era riuscito. Prima di uscire dalla cucina avevo mandato un s.o.s. a Sara dal cellulare di Oliver e a quanto pare erano arrivati in tempo.
«Smettila! È finita!» disse Tommy all’amico con un tono di voce molto alto.
Oliver sembrò riprendersi e spostò subito lo sguardo su di me, era vuoto e pieno di sensi di colpa, nonostante il buio e l’adrenalina era impossibile non notarlo. Camminai verso di lui e Tommy ci lasciò soli, gli presi la mano e sorrisi, era tutto finito.
«Lo hanno arrestato.» affermai poggiandomi contro il suo petto, mentre con la cosa dell’occhio vedevo Sara e John Diggle portare via Ford. Era tutto intero, ed era meglio così.
«Felicity, io…» provò a dire.
«No, niente Felicity.» lo interruppi «Io sto bene, questa volta sul serio, ed è grazie a te. Scusami se ti ho lasciato qui da solo, ma dovevo far sì che rimanessi “buono” finché non fossero arrivati i rinforzi. Sapevo che in qualche modo ce l’avremmo fatta.»
«Non volevo mi vedessi così… Non… Non stavo ragionando.» si scusò.
«Non importa, è acqua passata. Siamo liberi di vivere la nostra vita adesso.»
«Sei tu l’eroina della situazione, non io.» mi disse amareggiato.
«Sei stato tu a darmi la forza di reagire in qualche modo. Ammetto di aver avuto paura, ma sapevo di potercela fare stavolta.» risposi incrociando le braccia dietro il suo collo.
«Ehi voi due, non voglio interrompere il vostro momento da innamorati, ma c’è una cosa che non vorreste perdervi.» intervenne Sara invitandoci a seguirla.
C’era una schiera di poliziotti ed agenti speciali intorno a noi, Tommy e Diggle trattenevano Ford, ma lasciarono ad Oliver l’onore di ufficializzare l’arresto. Lui lo ammanettò dietro la schiena con una faccia piuttosto compiaciuta, e da un lato potevo anche concederglielo.
«James Ford, sei in arresto per l’omicidio delle sei donne di Las Vegas, per la tortura delle due ragazze newyorkesi e per il tentato omicidio della qui presente Felicity Smoak. Hai il diritto di rimanere in silenzio, qualsiasi cosa sarà usata contro di te in tribunale, hai diritto ad un avvocato, se non puoi permettertelo te ne sarà assegnato uno d’ufficio.» concluse con una scena quasi da film, mentre Ford veniva sbattuto in un’auto federale.
«Eri molto sexy, agente Queen.» ammiccai.
«E tu sei fuori di testa.» ridacchiò lui «Come stai?» mi chiese poi serio.
«Bene, tutto sommato bene. Tu?»
«Molto meglio sapendo che sei al sicuro.» rispose dandomi un bacio.
«È finita…» aggiunsi.
«Sì, è finita.»










Angolo autrice
Eccomi qua con il diciottesimo capitolo! Non pensavo ce ne sarebbero stati così tanti (e non è ancora finita eheh).
Beh, come avevate intuito era stato Ford a sparare... Per fortuna non ha ferito Oliver in modo grave, ma lo sparo ha fatto uscire Felicity allo scoperto e lui ha ottenuto ciò che voleva...
Oliver era preoccupatissimo per l'incolumità di Fel, ma lei sembrava sapere ciò che faceva e infatti alla fine è stata proprio lei a "salvare" la situazione :D
Il capitolo "serial killer" si è concluso al meglio, sia Oliver che Felicity sono sani e salvi (e a quanto pare sempre più uniti **).

Che altro dire? Spero davvero vi sia piaciuto questo scontro finale! Nei prossimi ci sarà tanto Olicity, ma non posso promettere che saranno felici e contenti sempre e comunque xD
Mi raccomando fatemi sapere :)

Grazie anche per le belle recensioni che avete lasciato all'altra mia storia, e per chi non l'avesse ancora letta magari dateci un'occhiatina veloce ;)

A prestissimo,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Jealousy ***


Chapter nineteen - Jealousy 





Oliver
Era trascorsa una settimana dall’arresto del serial killer James Ford, una settimana in cui Felicity ed io ci eravamo divertiti moltissimo insieme. Era rimasta da me fino alla domenica, poi lunedì mattina l’avevo riaccompagnata a New York perché doveva parlare con il suo capo. Non poteva ancora tornare ad operare visto che le avevano tolto il gesso ieri pomeriggio, avrebbe dovuto fare un sacco di fisioterapia, ma tutto sommato le era andata piuttosto bene, solitamente era difficile tenere un gesso per meno di un mese, ma lei se l’era cavata con circa due settimane. La sua amica, Caitlin, era stata davvero entusiasta di riaverla a casa ed ero certo che quelle due avrebbero parlato senza sosta per almeno tre ore filate. Felicity mi aveva invitato a restare per l’intera giornata ed io avevo accettato con piacere, voleva presentarmi alla sua migliore amica in modo decente, parole sue, visto che non ce n’era mai stata l’occasione e a quanto pareva Caitlin avrebbe invitato anche il suo ragazzo, un certo Barry Allen da quel che avevo capito. Un’uscita a quattro un po’ mi spaventava, ma ero contento di conoscere gli amici della mia ragazza
«Okay, come sto?» mi chiese la bionda uscendo dal bagno.
Indossava un paio di jeans blu scuro, una camicetta bianca e una giacca scura sopra, dovevo ammettere che anche con degli abiti semplici era sempre splendida e adoravo quando lasciava i suoi lunghi capelli sciolti sulle spalle.
«Sei bellissima, Felicity.» le risposi sorridendole.
«Non sono troppo “normale”?» domandò mimando con le dita le virgolette.
«Non è mica un pranzo di gala, dobbiamo uscire con i tuoi amici a mangiare un boccone.»
«Tecnicamente Barry non lo conosco neanch’io.» disse alzando le spalle «Spero non faccia soffrire Cait, ne ha già passate troppe.»
«Come sei pessimista, sono sicuro che sarà una brava persona. Guarda me.» affermai facendo finta di tirarmela.
«Siamo poco vanitosi oggi eh, signor Queen?» ridacchiò Felicity sedendosi in braccio a me.
«Stai zitta e dammi un bacio.» risposi prendendole il viso tra le mani per poi baciarla.
Poco dopo ci alzammo dal suo letto e incontrammo Caitlin in salotto, era più nervosa di me e lo si notava da un miglio di distanza. Se non altro non ero l’unico a trovare tutto questo leggermente imbarazzante, ma non avremmo mai potuto dire di no a Felicity. Se si metteva una cosa in testa nessuno le faceva cambiare idea ed era uno dei tratti che mi piacevano di più della sua personalità.
«Che dite, andiamo?» ci chiese Caitlin prendendo la borsa.
«Sì. Barry ci raggiunge al locale?» domandò a sua volta Felicity.
L’amica annuì «Dovrebbe essere là a momenti.»
Decisi di guidare io e accompagnare le ragazze fino al locale che avevano scelto, era vicino a Central Park e dall’interno si poteva scorgere molto bene il parco. Il posto era carino, una mezza via tra il rustico e il moderno, ben illuminato e confortevole. Caitlin salutò subito il suo ragazzo con un abbraccio mentre Felicity ed io ci avviavamo per raggiungerli.
«Ragazzi, lui è Barry. Barry, loro sono Felicity, la mia migliore amica, e Oliver.» ci presentò la mora.
«È un piacere! Felicity, Caitlin non fa altro che parlare di te, mi sembra già di conoscerti.» ripose il ragazzo porgendoci la mano.
«Spero abbia parlato bene di me.» gli sorrise Felicity. Mmm, non mi andava a genio che sorridesse in quel modo ad altri uomini…
«Sì, non preoccuparti, se avessi dovuto raccontare tutte le tue cose imbarazzanti non avrei più finito.» s’intromise Caitlin.
Felicity le fece la linguaccia, mentre Barry ed io incominciammo a ridere vedendo le nostre ragazze prendersi in giro come due bambine. Nonostante tutto mi piacevano entrambi, sia Caitlin sia Barry, ero certo che avremmo potuto essere tutti molto amici e magari avrei potuto combinare Sara con qualche loro collega di lavoro.
«Allora, Oliver, come si è comportata Felicity quand’era lontana da casa?» chiese Caitlin rivolgendo all’amica uno sguardo malizioso.
«Cait!» la ammonì.
«È stata bravissima, una ragazza modello.» risposi io ridendo.
«E sentiamo, tu cos’hai combinato a casa da sola?» la punzecchiò Felicity.
La mora arrossì vistosamente diventando rossa come il ketchup delle patatine che la cameriera c’aveva servito. Era palese che quei due avessero fatto qualcosa, ma non sapevo se Felicity avrebbe indagato proprio adesso.
«Ecco, appunto.» si limitò a dire sorridendo.
«Ho sentito che sei un agente federale, Oliver. Dev’essere fortissimo!» intervenne Barry per smorzare la tensione.
«La maggior parte delle volte lo è, ma non è mai tutto rose e fiori.» risposi io.
«Io lavoro spesso con la polizia, ma l’FBI sarebbe un sogno.» aggiunse.
«Sul serio ti piacerebbe?» chiese Caitlin fissando il suo ragazzo.
«Beh, ovviamente.» affermò il ragazzo.
«Se sei interessato potrei parlare con un mio amico alla scientifica, non garantisco nulla, ma provare non mi costa niente.» gli proposi.
«Sul serio lo faresti? No, dai, non posso accettare un trattamento di favore…»
«Lo faccio volentieri, Barry.»
«Vedi che l’idea di un’uscita a quattro non è stata così male.» mi disse Felicity sull’orecchio guardando l’entusiasmo sugli occhi di Barry.
«Lo ammetto, dottoressa Smoak, ci stiamo divertendo parecchio.» replicai facendola ridacchiare.

Felicity
Avevamo trascorso una giornata stupenda insieme a Cait e Barry, nonostante né lei né Oliver fossero convinti della mia idea di uscita a quattro si erano dovuti ricredere alla grande ed io non avevo potuto non vantarmi della cosa. 
L’unico piccolo problema sorgeva ora…
L’altro giorno quand’ero andata in ospedale a parlare col primario mi aveva chiesto gentilmente di andare insieme a lui ad una cena con dei soci, in un primo momento ero rimasta spaesata, mi chiedevo come mai lo stesse chiedendo proprio a me e ci ero arrivata solo dopo un’imbarazzante minuto di silenzio. Voleva che ci andassi perché da sempre aveva un debole per me e credeva fossi ancora single, ma come una cretina non gli avevo fatto notare che frequentavo già un’altra persona, così avevo dovuto accettare fingendomi pure interessata alla cosa. Me ne ero stata zitta per quasi tre giorni, non avevo accennato niente ad Oliver e non sapevo come l’avrebbe presa. Caitlin mi aveva consigliato più e più volte di dirglielo, ma io me la stavo facendo sotto all’idea di vederlo arrabbiato. Non che mi spaventasse, ovvio, però gli avevo mentito per dei giorni interi facendo finta che fosse tutto okay e sarebbe stata comprensibile una “brutta” reazione da parte sua. Erano già le sei e quarantacinque, avrei dovuto incontrare Ray Palmer tra mezz’ora esatta e invece me ne stavo seduta sul letto a rimuginare.
«Toc-toc.» mi disse una voce maschile.
«Oliver! Che ci fai qui? Pensavo fossi dai tuoi genitori.» replicai stupita e in preda ad un attacco di panico.
«Sì, ero con loro fino a poco fa, li ho accompagnati in centro così che potessero uscire a cena, mentre Thea è con il suo ragazzo… Credo sia il loro anniversario o qualcosa del genere… E così ho pensato di passare a vedere come stavi.» rispose sorridente. Oh mio dio, ero nella merda.
«Ehm, grazie! Mi fa piacere, ma… Ho un impegno molto importante stasera… Di lavoro ovviamente.» balbettai correndo velocemente in bagno.
«Oh… Non lo sapevo. Dove vai?» mi chiese con una calma e una gentilezza che mi facevano sudare freddo.
«In un posto… Molto affollato, sì, con molta gente… A cena.» dissi senza neanche rendermi conto che stavo blaterando cose a caso.
«Felicity? Sei sicura di star bene?» mi domandò vedendomi in difficoltà con la spazzola per i capelli e il trucco.
«Benissimo, alla grande!» esclamai.
«Ehi.» mi bloccò mentre cercavo di ritornare in camera mia «Mi vuoi dire cosa succede?»
«Niente. Non succede niente…» mentii alzando le spalle.
«Non sei capace di dire le bugie.» ridacchiò lui scuotendo la testa.
Sospirai, ormai rassegnata all’idea di dirgli la verità «Devo uscire a cena con il mio capo.» affermai tutto d’un fiato.
«Cosa?» mi chiese sgranando gli occhi.
«Mi dispiace, mi ha colta di sorpresa, non ho potuto dirgli di no… I-Io…»
«Perché non me l’hai detto? Non ti avrei di certo chiesto di non andarci.»
«Perché sono una stupida, avrei dovuto mettere in chiaro le cose con lui e con te fin da subito, scusami.»
«Va bene.» affermò guardandomi.
«Davvero ti sta bene?» domandai cautamente.
«No, certo che non mi sta bene, Felicity. Me l’hai tenuto nascosto per giorni credendo che avrei fatto una scenata? Non capisco.»
«Avevo solo paura che ti arrabbiassi.» confessai.
«E perché mai? Anche io e Sara usciamo a cena da soli e di sicuro non c’è niente di male.»
«Sì, ma Sara non ha una cotta per te.» dissi talmente piano che speravo non mi avesse sentito.
«È per questo che non me lo hai detto? Perché lui prova qualcosa per te?»
Annuii colpevole «So di aver sbagliato, Oliver.»
«È vero. Ma sei la mia ragazza e dovresti fidarti di me, dovresti sentirti a tuo agio dicendomi qualunque cosa.»
«Quindi stai dicendo che ora stiamo ufficialmente insieme?» gli chiesi dopo che le mie orecchie avevano captato la parola “ragazza”.
«Beh, perché non era già così da un po’?» 
«Non lo so, forse.» risposi mordendomi il labbro inferiore.
«Ora va’ a prepararti. Sarò qui quando tornerai, se mi vorrai logicamente.» disse facendo il finto offeso.
«Scherzi vero? Aspetterò per tutta la cena solo di tornare a casa.» affermai dandogli un piccolo bacio sul collo.
«Attenderò con ansia il tuo ritorno…» replicò con uno sguardo che mi fece andare il corpo letteralmente in fiamme. 
E se avessi saltato la cena? E se fossi rimasta qui insieme al mio uomo? Potevo davvero dare buca a Ray e rimanere insieme ad Oliver? Sì, potevo. Fanculo il lavoro per una volta, fanculo il mio capo. Presi il cellulare dal tavolo della cucina e digitai un messaggio velocissimo con la scusa più banale del mondo, ovvero che avevo la febbre, e tornai in camera mia.
«Che fai ancora qui?» domandò lui confuso.
«È con te che voglio passare la serata, non con il mio capo.» riposi gettandomi sulle sue labbra senza che avesse il tempo di ribattere…










Angolo autrice
Buona domenica a tutti! Vi pubblico oggi il capitolo visto che ho già scritto anche quello successivo! :) domani ho pure un esame ed è meglio che dopo mi metta a ripassare lol.
Comunque, il capitolo comincia con una bella uscita a 4 proposta da Felicity così da poter conoscere Barry e presentare Oliver a Caitlin. Ovviamente quelle due non hanno fatto altro che punzecchiarsi e a quanto pare i nostri cari SnowBarry si sono dati da fare ;)
Nella seconda parte vediamo Fel presa dal panico perchè non sa come dire ad Oliver che deve uscire col suo capo, lui non se la prende più di tanto ma non gli va a genio che lei non glielo abbia detto... 
Inizialmente il capitolo non doveva finire così, ma... Mi è piaciuta l'idea che Felicity mandasse tutto al diavolo per una volta e così è stato... eheheh.
Spero che il prossimo capitolo sia all'altezza delle aspettative, perchè con la fine di questo avrete capito dove finiranno i nostri Olicity no? ;)

Grazie ancora per l'affetto che state dando a questa storia, a chi legge in silenzio e a chi mi lascia delle splendide recensioni! :)
Ps: Ho l'ansia per gli episodi di Arrow in una maniera assurda xD il ritorno di Roy mi ha scombussolata T.T

Un abbraccio,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Never felt like that before ***


Chapter twenty - Never felt like that before





Felicity
Oliver dopo aver risposto al mio bacio si staccò dalle mie labbra e mi guardò con aria stupita, volevo dirgli che aveva capito bene, che volevo stare qui con lui e basta. Non mi importava di nulla in questo momento.
«Felicity, cosa stai facendo?» mi chiese dolcemente.
«Non è abbastanza chiaro?» replicai a mia volta poggiandogli le mani sui fianchi.
«Beh, direi di sì. Quello che voglio dire è… Non ti metterai nei guai col tuo capo?» disse deglutendo a scatti quando la mia mano risalì piano sul suo petto.
«Non mi interessa…» risposi a livello del suo orecchio, quasi con un sussurrò.
«Non osare darmi la colpa se ti licenziano…» mi avvertì, bloccandomi poi contro il muro della mia stanza.
«Non lo farò, promesso.» sospirai mentre il mio corpo lentamente bruciava come un legno nel caminetto.
Oliver mi baciò il collo, piano, talmente piano che mi sembrava di morire, prima da una parte, poi dall’altra. La sua lingua danzava sulla mia pelle ed io stavo letteralmente per prendere fuoco, ero immobile, mi lasciavo cullare dal suo corpo che premeva sempre più contro il mio. Cavolo se avevo fatto bene a mollare la cena di lavoro!
Sollevai il mento di Oliver così che dal mio collo passasse alle mie labbra e allacciai le braccia dietro la sua nuca in modo che potessi approfondire quel bacio che era tutto tranne che casto. Lui non perse tempo e mi slacciò la zip del vestito ed io non ci pensai due volte a farlo finire sul pavimento, era la seconda volta che rimanevo mezza nuda davanti a lui, ma questa volta mi sentivo molto più sicura di me stessa. Le ferite non erano scomparse, erano lì, ben evidenti, solo non ci facevo più caso come prima. Oliver mi osservò e sorrise, sorrise in un modo che fece sorridere anche me e prima che se ne rendesse conto gli avevo sfilato il maglioncino color blu notte che indossava.
«Pure una maglietta intima, signor Queen? Vuole farmi lavorare stasera?» gli domandai maliziosa.
«Oh, non hai idea di quanto, signorina Smoak.» rispose lui togliendosi anche quello strato di indumenti.
Rimase a petto nudo di fronte a me e con quella poca luce che c’era riuscivo comunque a distinguere ogni singolo muscolo, iniziai ad accarezzarlo dalle spalle, poi scesi giù fino al suo stomaco e infine, con un sorrisetto, giunsi alla cintura dei suo pantaloni. Oliver nel frattempo non aveva mai smesso di guardarmi, il suo sguardo era un misto di amore ed eccitazione allo stesso tempo, si era lasciato sbottonare i pantaloni senza alcun problema e in pochissimo tempo anch’essi erano finiti sul pavimento, a far compagnia al mio vestito.
Mi presi un attimo per osservare il meraviglioso uomo che mi trovavo davanti, e non parlavo solamente del suo aspetto esteriore (anche se quello faceva la sua buona parte nel mandarmi fuori di testa), ma anche di quanto mi facesse sentire bene e a mio agio dopo l’inferno che avevo passato. Era troppo tempo che non mi sentivo così con un uomo ed ora potevo affermare con certezza che ne era valsa totalmente la pena.
Lo baciai di nuovo attirandolo verso di me così da finire schiacciata tra lui e il muro, Oliver poi passò una mano appena sotto il mio sedere e mi prese in braccio con una facilità stupefacente. Le mie mani viaggiavano tra i suoi capelli e la mia lingua nella sua bocca, dio, non mi sarei mai stancata di baciarlo! Mi adagiò piano sul mio letto e si stese accanto a me, era davvero tutto perfetto. Quando mi accarezzò la schiena, su e giù, venni travolta da una sensazione che non avevo mai provato prima, nessuno mi aveva fatta sentire così, neanche il mio primo ragazzo al college. Si fermò sul gancetto del reggiseno che un secondo dopo finì chissà dove nella mia camera, ero completamente esposta eppure mi sentivo fin troppo bene. Gli feci spazio così che potesse posizionarsi sopra di me e lui non perse tempo a lasciarmi piccoli baci un po’ ovunque, dal collo, alle labbra, ad entrambi i seni, fino giù vicino all’orlo dei miei slip. Non riuscii a trattenere un gemito di piacere quando avvertii la sua lingua così vicina alla mia intimità e me ne sfuggì un secondo quando mi resi conto che anche le mie mutandine erano volate via. Non ce l’avrei fatta a resistere ancora, tutta questa situazione era fin troppo eccitante e piacevole. Presi l’iniziativa e gli sfilai i boxer con un rapido movimento, Oliver rimase piacevolmente incantato da tale gesto e cominciò a baciarmi delicatamente, mentre con il suo corpo, e non solo, si strusciava su di me. 
«Ti… Prego…» dissi in un sospiro. Era veramente una tortura non sentirlo ancora dentro di me.
«Shhh…» mi rispose lui mordendomi il lobo dell’orecchio.
Non ebbi nemmeno il tempo di prendere fiato che mi penetrò con due dita senza preavviso. Istintivamente inarcai la schiena così da poter provare ancora più piacere ed il mio corpo cominciò a muoversi seguendo il ritmo delle dita di Oliver. La stanza si riempì dei miei sospiri che poco a poco si facevano sempre più intensi, e quando al tutto aggiunse anche dei caldi baci sul mio seno non riuscii più a trattenermi e lasciai che l’eccitazione prendesse il sopravvento.
«Non ho ancora finito con te, lo sai, vero?» mi sussurrò Oliver mentre cercavo di riprendere fiato. 
Il mio corpo aveva appena raggiunto l’apice del piacere, ma con quella frase era riuscito a scombussolarmi le budella tanto da farmi eccitare nuovamente, come non fosse successo nulla pochi secondi prima.
«Non vedo l’ora di continuare, allora.» affermai sicura di me, prendendo con entrambe le mani i suoi glutei così da avvicinarlo a me.
Oliver ridacchiò con un sorriso ammiccate in volto, posò un’ulteriore volta le labbra sulle mie e con una spinta decisa mi penetrò nuovamente, ma questa volta non usò le dita. Mi ci volle qualche istante ad abituarmi alle sue dimensioni, però sentirlo finalmente così vicino a me, così in sintonia, mi faceva provare emozioni molto più profonde che non si provavano di certo con una scopata e via.
«Tutto bene?» mi domandò spostandomi una ciocca di capelli dalla fronte.
«Sì, anzi, fin troppo.» replicai io con il fiato corto.
Poco a poco Oliver iniziò a muoversi dentro di me ed io con lui, stavo provando cose di cui non sapevo neppure l’esistenza, oltre al fatto che ci sapesse davvero fare, mi faceva sentire bella e amata. Non era solo sesso, di questo ne ero certa. Stavamo facendo l’amore per la prima volta. Le spinte diventavano a mano a mano più veloci e intense tanto da farmi perdere la cognizione del tempo, afferrai il lenzuolo con forza quando mi resi conto che ero arrivata al limite per la seconda volta. Oliver mi seguì a ruota riversando il suo seme dentro di me.
Ciò che seguì furono sospiri e risatine di sottofondo, Oliver mi coprì con il lenzuolo fino a sopra il seno, mentre lui si limitò a coprirsi l’amico. Nessuno aveva parlato ancora, non che ci fosse molto da dire, per me era stata una serata a dir poco meravigliosa e ne era valsa veramente la pena saltare l’appuntamento di lavoro. Mi avvicinai a lui un momento dopo e lasciai che mi accogliesse tra le sue braccia, era caldo e appiccicoso come me, ma il tutto lo rendeva ancora più bello.
«Restiamo qui per sempre?» chiesi con uno sbadiglio.
«Volentieri.» rispose lui accarezzandomi la schiena nuda.
Il magico momento tra noi fu interrotto dal brontolio del mio stomaco che reclamava un po’ di cibo. Io sbuffai ed Oliver si mise a ridere, sì, avevo fame ma non volevo alzarmi dal letto, stavo troppo bene tra le sue braccia.
«Ti preparo qualcosa.» affermò lui tirandosi su per mettersi seduto.
«Mmm, no, resta qui.» mi lamentai facendo la classica faccia da cucciolo.
«Devi mangiare, tutta questa attività ti avrà messo fame.» rispose facendomi l’occhiolino.
«Ah, ah, simpatico.» esclamai colpendolo con un cuscino.
«Su, vestiti, o niente cena.» mi minacciò lanciandomi il reggiseno.
«Potremmo cenare in un altro modo…» ammiccai.
«Sei proprio insaziabile, Felicity.» mi disse facendomi ricadere sul materasso con il suo corpo steso sopra il mio.
«Che volgare sei, Oliver.» ribattei facendo la finta offesa.
«Vorrà dire che non assaggerai la mia famosa pasta alla carbonara.»
«Tu sai fare la carbonara?» domandai con gli occhi a forma di cuore.
«Logicamente.» si vantò lui.
«Okay, vada per la pasta. Il resto può venire dopo. Possiamo fare qualcosa del tipo: sesso, cena, sesso per smaltire la cena. Che dici?»
«Non smetti mai di stupirmi.» affermò lui sorridendo.
Il resto della serata trascorse tranquillo, guardai Oliver cucinare per tutto il tempo, gli avevo prestato un grembiule (probabilmente era di mia nonna) e non potevo negare che fosse davvero super sexy ai fornelli. Aveva preparato la pasta più buona che avessi mai mangiato, dove lo trovavo un altro uomo che sapesse cucinare in questo modo? Avevo sempre avuto Caitlin come cuoca personale, ma non mi dispiaceva di certo averne uno in più in giro per casa.
«Ti piace?» mi chiese.
«È la cosa più buona che abbia mai mangiato! Ma come fai?» esclamai con gli spaghetti ancora in bocca.
«Raisa mi ha insegnato a prepararla quando avevo circa diciassette anni, volevo fare una sorpresa a mio padre per il suo compleanno e siccome non mi andava di comprargli un regalo banale, avevo deciso di imparare a cucinare il suo piatto preferito.»
«È una cosa adorabile, a tuo padre è piaciuta?» 
«Più o meno… Mi ero scordato di mettere il sale e la pancetta era troppo cruda, ma tutto sommato l’ha apprezzata.» mi spiegò facendomi ridere.
«Saprai cosa regalarmi al compleanno.» dissi io.
«Non mi hai mai detto quand’è…» mi fece notare.
«20 novembre.» risposi.
«È stato poco prima che ci conoscessimo.»
«Sì, è vero. Il tuo?»
«16 maggio.»
«Che bello, è quasi in estate! Io odio dover festeggiare il compleanno d’inverno.»
«Vorrà dire che per il tuo post-compleanno ti porterò in un posto speciale così sarai più felice di festeggiare nella stagione invernale, okay?»
«Intendi… Una specie di… Vacanza?» balbettai.
«Sì.» mi rispose Oliver alzando le spalle.
«Da soli?»
«Sì, da soli.» annuì con un sorriso divertito.
Stavo per rispondergli quando il mio cellulare cominciò a suonare all’impazzata con la suoneria che avevo impostato per le chiamate di mia madre. Oliver mi fece cenno di rispondere e così avviai la chiamata.
«Mamma?» 
«Perché non mi hai detto che era tuo padre, Felicity? Perché?»
Oh merda, sapeva tutto. Mia madre sapeva tutto. Non glielo avevo detto per il semplice fatto che non volevo si addossasse la colpa dell’accaduto, sapevo di doverlo fare prima o poi ma non ci avevo mai pensato seriamente. Chi diavolo glielo aveva detto? I media? Qualcuno del bar in cui lavorava?
«I-Io… Mi dispiace…»
«Come hai potuto mentirmi così? Dio, sei mia figlia!»
«Volevo solo… Proteggerti…»
«Lasciamo stare, ne parleremo di persona. Prendo l’aereo domani.» affermò chiudendo la chiamata.










Angolo autrice
Eccoci qui col fatidico ventesimo capitolo!
È finalmente successo... Spero di non aver fatto un disastro e che vi sia piaciuto il capitolo ahah, ci ho messo un sacco a trovare le parole giuste e beh... Ecco quello che ne è uscito! :)
Non so che altro aggiungere se non che dopo venti capitoli era ora che capitasse no? xD Oliver le ha pure cucinato la cena poi e Fel ha apprezzato in tutti i sensi ahahah.
Logicamente a fine capitolo è arrivata la parte ansia... Mica vi eravate dimenticati che Felicity non aveva detto nulla a sua madre? Ora come reagirà nel trovarsi faccia a faccia con Donna? Litigheranno?
Ps: il compleanno di Felicity l'ho inventato, non ho idea di quando sia...

Grazie come sempre per le splendide recensioni! Fatemi sapere che ne pensate del capitolo, ci tengo particolarmente :)
Pss: ho appena finito la puntata di The Flash e sono ancora scombussolata u.u

Un abbraccio,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Surprises ***


Chapter twenty-one - Surprises 





Felicity
Ero arrivata all’aeroporto JFK da circa un’ora, mi ero seduta in uno dei tavolini del bar con un’enorme tazza di the tra le mani. Speravo riuscisse a tranquillizzarmi, ma evidentemente non ci era riuscito visto che tremavo come una foglia. Avevo prontamente evitato la caffeina, solo che ora come ora ero convinta del fatto che non avrebbe minimamente cambiato le cose. Non avevo mai avuto paura di un confronto con mia madre, mai, eravamo sempre state unite, sapevo bene di poterle raccontare ogni cosa e lei mi aveva sempre appoggiata e sostenuta. Indubbiamente eravamo molto diverse, ma questo non ci aveva mai ostacolato, almeno finora…
Ciò che era accaduto con mio padre meno di un mese fa avrebbe potuto portarmi via l’unico membro della famiglia che mi era rimasto. Mia madre era importantissima per me, nonostante le diversità e le divergenze non le avevo mai mentito su una cosa così seria e sapevo che non mi avrebbe perdonata facilmente. Non che l’avessi fatto intenzionalmente, insomma, era vero che volevo proteggerla da tutto quello schifo, però anche lei non aveva tutti i torti ad essersi arrabbiata così. Avrei dovuto dirle la verità fin da subito, probabilmente mi avrebbe aiutata e invece avevo scelto di tenermi tutto dentro com’ero solita fare. Mi ero messa in questo casino da sola e da sola dovevo rimediare, senza trovare alcuna giustificazione, magari un “mi dispiace” sarebbe stato un buon punto di partenza.
Annunciarono finalmente l’arrivo del volo proveniente da Las Vegas così mi avviai verso il gate. Non avevo idea di come avrebbe reagito mia madre vedendomi lì, credeva l’avrei aspettata nel mio appartamento, ma preferivo un luogo neutrale per parlare. La intravidi in lontananza con una piccola valigia verde e non appena si accorse che la stavo fissando mi salutò con un cenno della mano.
«Ciao. Com’è andato il viaggio?» chiesi incerta.
«Tutto bene, grazie. Non ti aspettavo qui…» rispose lei guardandomi in un modo che mi agitò parecchio.
«Lo so, pensavo potessimo andare a mangiare qualcosa insieme…»
«Certo, va bene.» affermò provando ad accennare un sorriso.
Uscimmo dall’aeroporto in completo silenzio, cosa che non era mai accaduta tra noi. Era davvero strano averla accanto a me e non poterle parlare come facevo di solito, questa cosa mi avrebbe tormentato per molto tempo. Ci fermammo a mangiare in una tavola calda poco lontano da casa mia, per tutto il tempo nessuna delle due aveva avuto il coraggio di spiaccicare parola, io non sapevo che dirle, non sapevo che cosa lei volesse sentire da me e lei probabilmente non sapeva come aprire il discorso.
«Felicity, ascolta… Non so esattamente che cosa dire se non che sono delusa… Delusa per come hai gestito questa storia, delusa perché hai scelto di non fidarti di me, delusa perché non hai accettato il mio aiuto… I-Io… Credevo fossimo unite noi due…» mi disse mia madre, le sue parole mi colpirono dritte al cuore come un proiettile.
«Hai ragione, mamma. Ho sbagliato a non parlartene, ma… La verità è che non volevo ti sentissi in colpa per quello che mi è successo. Volevo solo lasciarmi tutto alle spalle e non ritornare mai più sull’argomento.» risposi sincera.
«Lo capisco, tesoro. Non voglio nemmeno sapere che cosa ti ha fatto quel mostro perché altrimenti andrei in prigione io stessa per ucciderlo, però avrei voluto saperlo… Insomma, ora le cose mi sono molto più chiare, prima non capivo perché quell’uomo ti avesse presa di mira, adesso invece lo so e non puoi dirmi di non sentirmi responsabile.»
«Non devi, infatti. Non è minimamente colpa tua se lui improvvisamente ha deciso di volere sua figlia morta. Non sei stata tu a torturarmi per una giornata intera, non sei stata tu a pedinarmi, non sei stata tu a ferire Oliver per arrivare a me, okay? Non sei stata tu.» affermai prendendole dolcemente la mano.
«Non posso credere che ti abbia torturata… La mia bambina…» esclamò con le lacrime agli occhi.
«Mamma, guardami.» le dissi sicura di me «Io sto bene, sono qui e sono viva, conta solamente questo. Supererò questa cosa un po’ alla volta, ma per favore promettimi che non ti sentirai responsabile.»
«Non è così semplice, Felicity. Ti ho sempre mentito su di lui perché sapevo che non era una brava persona, solo che non mi sarei mai aspettata che arrivasse a tanto. Come puoi dire che non è, in parte, anche colpa mia? Se ti avessi detto subito la verità probabilmente non sarebbe successo tutto questo.»
«Sai una cosa? Se vuoi metterla così posso dirti anch’io una cosa. Se lui non mi avesse cercata, se lui non fosse venuto fino a New York, io non avrei mai conosciuto Oliver.» replicai, sperando capisse il mio esempio.
«Sei proprio innamorata di quel ragazzo se parli così.» mi rispose con un mezzo sorriso.
«Forse.» affermai alzando le spalle.
«Comunque, sono contenta che in tutto questo schifo tu abbia trovato una brava persona come Oliver che ti stia accanto. Lo dovrò ringraziare un giorno.»
«Magari più avanti…» dissi aggrottando le sopracciglia. Non era il caso di fare presentazioni troppo ufficiali, anche se si erano già incontrati, immaginavo che mia madre stesse progettando qualcosa più “in grande”.
«Guarda che ci conto.» mi minacciò bonariamente.
«Quindi, tra noi è tutto apposto?» domandai mordendomi il labbro.
«Ci vorrà un po’ di tempo, Felicity. Pian piano le cose si sistemeranno.» rispose lei.
«Lo spero…»
«In ogni caso, sappi che su di me puoi contare. Sei pur sempre mia figlia, no?»
«Certo, mamma.» annuii.
Ero contenta di aver in qualche modo chiarito la questione, ci sarebbe voluto un po’ per rimettere insieme i pezzi, ma ero convinta che ce l’avremmo fatta. Capivo da un lato che si sentisse in colpa e speravo di essere riuscita a farle capire che mi dispiaceva averle mentito, ma l’avevo fatto per il suo bene. Non era servito a molto a quanto pareva, però ci avevo provato. 

Oliver
La madre di Felicity era rimasta da lei per due giorni, due giorni in cui mi aveva costretto a restare dai miei genitori dicendomi di non venire a New York finché non se ne fosse andata. Non avevo capito esattamente perché mi tenesse a distanza, infondo avevo già conosciuto sua madre ancora quando lei era in ospedale. Oggi finalmente mi aveva dato l’okay per vederci e dentro di me avevo esultato, mi era davvero mancata in questi giorni. Nonostante le cose tra noi fossero accadute abbastanza in fretta, mi rendevo conto sempre di più di essere completamente preso da lei, forse non potevo dire di amarla già, ma i sentimenti che provavo ci andavano molto vicini.
Bussai alla porta del suo appartamento sapendo che si aspettava di trovarmi davanti casa sua di lì a poco, mi aprì e subito sorrise, pareva felice di vedermi anche lei. Indossava un paio di leggins scuri e una felpa, ed era bellissima in ogni caso. Questa ragazza mi stava facendo perdere la testa, mio padre aveva ragione.
«Sono felice di vederti.» mi disse lasciandomi un leggero bacio sulle labbra «Mi dispiace averti tenuto lontano per due giorni.»
«Mi mancavano i tuoi baci.» risposi assaporando di più quelle splendide labbra.
«Oh, anche a me. E non solo.» aggiunse maliziosa.
«Quello dovrà aspettare, mia cara. Ho due cose da dirti.» la bloccai.
Lei mi guardò confusa «Okay, dimmi.»
«Ho chiesto il trasferimento qui a New York.» affermai tutto d’un fiato.
«Tu hai fatto cosa?» domandò Felicity sconvolta.
«D’ora in poi lavorerò qui e non più a Quantico.» risposi alzando le spalle.
«Oh mio dio, Oliver! Ma sei pazzo? Che penseranno i tuoi amici? E i tuoi genitori?»
«Tommy, Sara e John già lo sanno, per quanto riguarda i miei genitori non vedo dove sia il problema…»
«È che… Mi hai colta di sorpresa…» balbettò.
«L’ho notato, però pensavo ti avrebbe fatto piacere.» replicai.
«No! Cioè sì! Ovvio che mi fa piacere… Ma…»
«Ma?» chiesi intuendo dove volesse andare a parare, solo volevo sentirlo dire da lei.
«Non ti sembra affrettato?»
«Mmm, no. È solamente un cambio di sede, non ho mica mollato l’FBI. Ma non è questo il punto, vero?»
«Non lo so…» rispose abbassando lo sguardo.
«Sì che lo sai, Felicity.» ribattei convinto.
«E va bene! Ho paura che la nostra storia vada a rotoli se corriamo troppo, tutto qui.» confessò facendomi ridacchiare «Ora spiegami perché stai ridendo?!» domandò poi con aria infastidita.
«Perché ti stai facendo mille problemi inutili. Non ti ho mica chiesto di sposarmi, ho solo cambiato sede operativa così da poter trascorrere del tempo assieme, se vivessi a Quantico non sarebbe tutto molto più complicato? Non pensi che la nostra relazione ne risentirebbe il doppio?»
«Sì, credo di sì… È che questa cosa rende tutto così… Reale.»
«Credo sia stato tutto reale dal momento in cui ci siamo conosciuti.» affermai.
«Scusami se ogni tanto darò di matto.» esclamò accennando un sorriso divertito.
«È uno dei tanti motivi per cui mi piaci.»
«Beh, una cosa è andata, l’altra?» mi chiese prendendo un respiro.
«Giusto. In poche parole, l’altro giorno mi hai detto che non ti piace festeggiare il compleanno d’inverno e visto che immagino tu non abbia fatto granché quel giorno, ho deciso di rimediare.» dissi, bloccandola prima che potesse commentare «Andremo un paio di giorni in un posto speciale, noi due, da soli, e festeggeremo il tuo compleanno. Anche se con un mese di ritardo. Accetti?»
«Oliver, sei serio?» mi domandò con gli occhi sgranati.
«Sì, certo. Perché?»
«Perché… Non posso… Non posso accettare che mi paghi un’intera vacanza.»
«Sono solamente tre giorni, e hai bisogno di staccare un po’ la spina.» 
«Non so che cosa dire… Mi… Mi piacerebbe molto.» disse arrossendo. Dio, era così adorabile che l’avrei riempita di baci.
«Prepara le valigie, partiamo domani.» aggiunsi.
«Domani?!» sbraitò lei.
«Shhh.» la zittii premendo le mie labbra sulle sue.









Angolo autrice
Buona domenica! Eccomi qui con il nuovo capitolo.
Beh, che dire? Donna non ha preso molto bene tutta questa faccenda, ma ha comunque ascoltato Felicity e ha capito perchè l'avesse fatto. Le cose tra loro non vanno alla grande, ma sono già migliorate quando entrambe hanno detto la verità :)
Oliver invece aveva due belle novità e Fel ne è rimasta parecchio sorpresa ahahah, ha leggermente dato di matto, però infondo era contenta sia del trasferimento, sia dell'imminente vacanza insieme.

Grazie come sempre per le recensione e le aggiunte nelle preferite/seguite/ricordate, siete sempre in tantissimi e lo apprezzo un sacco :D
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e... Fatemi sapere ovviamente xD

A domani con l'altra storia,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Where are we going? ***


Chapter twenty-two - Where are we going?





Felicity
Avevo preparato le valigie in fretta e furia ieri sera, Oliver mi aveva dato un solo indizio: “nel posto in cui stiamo andando fa molto freddo”. Stop. Io avevo buttato dentro i bagagli tutte le cose più pesanti che avevo, ma non avevo rinunciato a portare un paio di abiti carini per un’eventuale serata fuori. Erano le quattro e mezza del mattino e il mio adorato ragazzo mi aveva praticamente buttata giù dal letto dicendomi che ci aspettava un lungo viaggio. L’avevo guardato così male che se avessi avuto qualche sorta di super potere l’avrei incenerito, chi diavolo si svegliava così presto in un giorno festivo? 
D’altra parte però ero veramente curiosa di sapere dove mi avrebbe portata, ero certa che aveva già organizzato tutto almeno una settimana fa senza curarsi del fatto che avrei potuto dirgli di no. In questo momento eravamo in macchina e stavamo viaggiando in direzione di… Non sapevo nemmeno dove. Forse ero troppo addormentata per far lavorare il cervello, mentre Oliver pareva più sveglio che mai. Ed era particolarmente sexy stamattina.
«Ehi, non starai mica dormendo?» mi chiese ad un certo punto facendomi sussultare.
«Chi, io? No! No, assolutamente!» risposi con un tono impastato dal sonno.
«Ti tengo d’occhio.» mi disse divertito.
«Manca molto?» domandai mettendomi più dritta sul sedile dell’auto.
«No, due o tre minuti al massimo.» affermò sempre concentrato sulla strada.
«Ma siamo ancora a New York, come fanno a mancare due o tre minuti?» chiesi ancora aggrottando le sopracciglia «Oh mio dio, aspetta, ma questa è la strada per l’aeroporto! Oliver! Che stai facendo?»
«Shhh, non urlare! Rilassati, Felicity, ti ho detto che è una sorpresa.» esclamò lui sempre più sveglio e sorridente.
«Odio le sorprese.» replicai imbronciata.
Stavamo andando in aeroporto. Quindi avremmo preso un aereo. Sì, ovviamente, che altro si poteva fare in un aeroporto? Saremmo andati in un posto abbastanza lontano da dover salire su un aereo. Cominciavo a sentirmi nervosa, non sapevo esattamente perché, forse il motivo era che tutto questo, questa vacanza, noi due soli, mi metteva sotto pressione. Quello che c’era tra noi era accaduto velocemente, c’era stata una gran chimica fin dal primo giorno e nonostante io volessi stargli lontano visto che era mio paziente non ce l’avevo fatta. Avevo accettato di uscire insieme e poi di farmi proteggere, il resto era venuto da sé ed ero felice, felice come non lo ero da moltissimo tempo. E allora perché più la cosa si faceva seria più io avevo paura che mi scivolasse ogni cosa dalle mani?
«Siamo arrivati.» mi disse Oliver risvegliandomi, questa volta, dai miei pensieri.
«Siamo al JFK.» affermai nonostante fosse ovvio dove fossimo.
«Sì, esatto. Ora però alza il sedere da quel sedile o perderemo il volo.» dichiarò passandomi il giubbotto.
Presi la mia valigia e la borsa dal baule dell’auto ed insieme entrammo in aeroporto. Non avevo idea di quando Oliver avesse fatto le valigie, probabilmente già da tempo visto che aveva passato la notte (o meglio, quelle poche ore che avevamo dormito) da me. Provai a capire quale sarebbe stato il nostro volo, ma ce ne erano talmente tanti che avrei potuto stare lì anche ventiquattro ore e non ci sarei arrivata comunque. Oliver diede uno sguardo molto veloce al tabellone e con un cenno del capo mi invitò a seguirlo, ero così curiosa che mi volevo strappare i capelli.
«Possiamo imbarcare le valigie, il volo parte tra venti minuti.» mi disse mentre tirava fuori i documenti.
«Cosa?! Oliver, ma non lo sai che bisogna arrivare qui almeno con due ore d’anticipo?» chiesi quasi urlando facendo voltare una signora.
«Felicity, per la seconda volta, rilassati. Ho già fatto il check-in online, è tutto apposto.»
«Oh… Scusa. Sono… Sono un po’ nervosa.» balbettai provando a non sembrare una completa idiota.
«L’avevo capito. Vedrai che quando atterreremo ti passerà.» 
Annuii rivolgendogli un piccolo sorriso, stavo dando di matto più del necessario ed Oliver aveva ragione a dirmi di rilassarmi. Posai la valigia nel rullo e la ragazza dietro il piccolo banco ci infilò la carta d’imbarco, i biglietti li aveva Oliver, non voleva vedessi dove stavamo andando e la ragazza pareva avergli dato corda. Dopo aver passato tutti i controlli possibili, un piccolo autobus ci accompagnò, insieme ad altre persone, al nostro aereo. Non avevo dubbi che avesse prenotato la prima classe, quest’uomo non si faceva mancare mai nulla. I sedili erano così comodi che avrei persino potuto dormire per tutto il viaggio, ed io ero una che non chiudeva occhio quando viaggiava ad alta quota.
«Okay, ora mi dirai dove andiamo?» chiesi voltandomi verso di lui.
«Mmm, no.» rispose lui provando a baciarmi, ma io mi scostai apposta.
«Signore e signori, benvenuti a bordo, il volo per Sun Valley è in partenza, vi preghiamo di allacciare le cinture di sicurezza per l’imminente salita…» iniziò a dire l’hostess, che poi non ascoltai più.
«Oliver! Sun Valley? Sei serio?» domandai incredula.
«Così pare.» affermò con uno sguardo colpevole.
«Oh dio, oh dio! Tu sei pazzo!» esclamai tutta eccitata portandomi le mani alla bocca.
«Perché, che c’è?» mi chiese ridendo della mia reazione.
«È una delle località più gettonate e belle di tutti gli Stati Uniti, è dove vanno a sciare i vip!»
«Si dal il caso che io abbia una casa proprio là.» disse con nonchalance.
«Tu hai che cosa?!»
«Una casa?» aggiunse ironico.
«Non posso credere che sto per andare a Sun Valley, questo è il miglior post-compleanno di sempre.» esclamai prendendogli il viso tra le mani per baciarlo.
Chiacchierammo un po’ sul quello che avremmo fatto in questa breve vacanza, ma essendo le cinque e mezza del mattino crollai sul sedile dell’aereo per non so quante ore. Mi risvegliai notando che il sole era già molto alto, quante ore avevo dormito con esattezza? Tre? Quattro?
«Buongiorno.» mi disse Oliver.
«Ma che ore sono?» chiesi sbadigliando.
«Quasi le undici, manca un’ora all’atterraggio.»
«Mi dispiace non essere stata per niente di compagnia.» affermai sorridendo.
«Tranquilla, ho dormito anche io per un bel po’. Ah, ti ho preso qualcosa da mangiare.» rispose porgendomi quelli che sembravano degli ottimi pancake.
«Grazie, sono ottimi.» replicai mangiandone un boccone.

Atterrammo a Sun Valley intorno a mezzogiorno, era una giornata bellissima, il sole splendeva e si vedevano tutte le montagne bianche in lontananza. Faceva decisamente freddo, ma vivendo a New York da anni oramai ci avevo fatto l’abitudine. Oliver noleggiò un’auto che avremmo sfruttato per tutti e tre i giorni, non ci volle molto ad arrivare a casa sua fortunatamente, era piuttosto vicino all’aeroporto. Parcheggiò nel viale di questa classica abitazione di montagna, già da fuori sembrava stupenda, non osavo immaginare all’interno.
«Prego.» mi invitò Oliver aprendo la porta principale.
«Grazie, signor Queen.» risposi mettendo piede in casa.
Come avevo previsto, rimasi completamente a bocca aperta. Un salone enorme, divani in pelle nera e un caminetto spettacolare. C’era la classica atmosfera calda e accogliente delle ville di montagna, le travi in legno, il camino, la neve all’esterno. Nonostante fosse in stile rustico notai che ci avevano inserito alla perfezione anche uno stampo moderno, bastava guardare il televisore da almeno cinquanta pollici appeso alla parete. Oliver mi trascinò anche in cucina per mostrarmi dove avrei potuto trovare tutto ciò che mi sarebbe potuto servire. Anche questa stanza non era da meno, elettrodomestici all’avanguardia, isola in marmo e una sala da pranzo da far invidia a quelle dei castelli.
«È… Wow.» riuscii a dire soltanto.
«Era di un vecchio amico di famiglia, ce l’ha venduta quando si è trasferito in Svezia.» mi spiegò Oliver.
«Beh, che fortuna!» ridacchiai.
«Non hai ancora visto la parte migliore.» ammiccò lui accarezzandomi i fianchi.
«Sarebbe?» chiesi stando al suo gioco.
«La nostra camera.» rispose baciandomi il collo delicatamente.
«Così mi incuriosisce, signor Queen.»
«Oh, non immagina quanto mi piaccia tenerla sulle spine, dottoressa Smoak.» affermò prendendomi in braccio.
Mi sollevò con una facilità a cui difficilmente mi sarei abituata, incrociai le gambe intorno alla sua vita e lasciai che mi accompagnasse di sopra. Avevamo addosso ancora i giubbotti e le scarpe, ma ad Oliver non sembrava importare. Pensare di trascorrere tre giorni in mezzo al nulla a fare l’amore come due ragazzini non mi dispiaceva affatto come idea.
Arrivammo di sopra ed Oliver aprì una delle porte, poi mi mise giù per darmi la possibilità di entrare. L’aveva persino definita la nostra camera, non mi ero certamente scordata di quell’affermazione. C’era un letto matrimoniale davvero grande, con cuscini e piumone già sistemati per bene, c’era un piccolo divano con un tavolino e un’altra porta adiacente, probabilmente il bagno.
«Allora?» mi domandò attendendo il mio verdetto.
«È stupenda e… Accogliente.» risposi.
«Che ne dici di cambiarci, disfare i disfare i bagagli e uscire? Ho un’altra sorpresa per te.»
«Come un’altra sorpresa? Ma da quanto tempo progetti questo weekend?»
«Non molto, mi è bastato fare qualche telefonata. Ho degli amici qui e in più non dovevo prenotare nessun albergo.»
«Giusto.» confermai.
Aveva organizzato ogni cosa nei minimi particolari, se l’avessi fatto io mi ci sarebbe minimo voluto un mese. Dopo esserci cambiati e aver sistemato i vestiti nell’armadio uscimmo di casa diretti verso il centro città. Il paesaggio era indescrivibile, New York aveva il suo fascino d’inverno, ma qui era tutta un’altra cosa. Le piste da sci erano vicinissime, potevo vedere nitidamente le persone scendere dalla montagna e sarei potuta rimanere qua ad osservare per ore, non sentivo nemmeno il freddo. Oliver però mi costrinse ad entrare in un negozio, non avevo nemmeno fatto caso a che tipo fosse.
«Oliver Queen!» lo salutò un uomo venendoci incontro.
«Joseph Grant!» ricambiò Oliver stringendogli la mano.
«Quanto tempo è passato? Un anno e mezzo? Sempre in giro a rincorrere i criminali, eh?»
«Sono stato impegnato, sì. Vorrei presentarti la mia fidanzata, Felicity Smoak.»
«Piacere.» gli dissi.
«Il piacere è mio, è la prima volta che Oliver porta qui una ragazza, a parte la sua amica Sara.»
«Okay, Joseph, ti prego, non mettermi in imbarazzo.» esclamò Oliver.
«Era ora che ti impegnassi, Queen!» replicò l’altro scuotendo la testa «Comunque, quello che mi hai chiesto è tutto pronto.»
«Ti ringrazio, sei il migliore.»
«Da sempre, mio caro.» dichiarò l’uomo andando poi sul retro.
«Che cosa è pronto?» chiesi curiosa.
«La tua attrezzatura per lo sci.» rispose tranquillo.
«Scusa, come? Io non so sciare.»
«Lo so, ecco perché ci sono io ad insegnarti, Felicity.»
«Vuoi per caso vedermi con una gamba rotta? Ho già sopportato il gesso al braccio, direi che basta per quest’anno, no?»
«Sta’ zitta.» mi disse chiudendomi la bocca con un bacio.
Non potevo crederci, aveva fatto tutto di nascosto per portarmi a sciare! Questo sport mi era sempre piaciuto moltissimo, ma non avevo mai avuto l’occasione di provare, tra il college e la specializzazione non avevo avuto un minuto libero. Ero certa che domani mi sarei rotta qualcosa su quelle piste, me lo sentivo, Oliver sembrava sicuro ed io mi fidavo, ma non volevo concludere la nostra piccola fuga con qualche osso rotto. Nonostante tutto apprezzavo molto ciò che aveva fatto, era stato dolce da parte sua fare questo per me, avrei dovuto ricambiare in qualche modo e sicuramente stanotte gliene avrei dato un assaggio.









Angolo autrice
Ciaoo! Scusate per l'imperdonabile ritardo!
Finalmente avete scoperto dove Oliver ha portato Felicity, a Sun Valley per sciare! :) è un capitolo tranquillo, dedicato più che altro a rafforzare il rapporto che c'è tra loro. Fel era leggermente isterica all'inizio, ma si è data una calmata poi xD
Nel prossimo la vedrete all'opera nelle piste ed Oliver come maestro.. In più sembra che Fel voglia ricambiare la sorpresa di Oliver... Cosa si inventerà? ;)

Spero vi sia piaciuto nonostante non sia successo nulla di particolare! Non manca molto alla fine, ma devo ancora decidere come concludere questa storia ahah. 
Mi raccomando lasciatemi un parere se vi va :)

A presto!
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** The call ***


Chapter twenty-three - The call





Oliver
Avevo trascinato Felicity giù dal letto alle sette e trenta stamattina, lei in cambio mi aveva tenuto il muso per un’ora, ma quando l’avevo portata sulle piste da sci quasi completamente vuote si era illuminata. La montagna al mattino aveva un fascino particolare, un po’ come New York la sera, era tutto così calmo e rilassante che persino la stanchezza era completamente passata. Felicity si era infilata a fatica gli sci che le avevo noleggiato, ma alla fine con un po’ d’aiuto ce l’aveva fatta e di nascosto le avevo scattato una splendida foto che certamente mi sarei tenuto come ricordo.
Ieri sera avevamo pianificato di riposarci e guardare un film in tranquillità, anche se ovviamente tutti i piani erano saltati quando mi aveva trascinato nella vasca idromassaggio per una sana sessione di sesso notturno. Eravamo crollati come due sacchi di patate verso le tre di notte, non ricordavo nemmeno se ci fossimo messi il pigiama. Nonostante le occhiaie di stamattina ne era valsa decisamente la pena.
«Oliver, dopo due discese in cui sono quasi morta seriamente vuoi che prenda la seggiovia?» mi domandò Felicity in preda al panico.
«Ma che dici, sei stata bravissima! Non preoccuparti, ci sono io.» risposi dandole un piccolo bacio sulle labbra.
«Non riesco a baciarti con questo casco.» si lamentò.
«È per la tua sicurezza, quello che c’è lì dentro è più importante.» le dissi indicando il suo prezioso cervello.
«E perché tu non lo metti?» mi domandò incrociando le braccia al petto come una bambina.
«Perché io sono uno sciatore esperto.» mi vantai prendendola un po’ in giro.
«Sì, certo, ma questo non t’impedisce di sfracellarti la testa. E sappi che non sono un neurochirurgo quindi potrei fare poco e niente.» mi rimbeccò.
«Mi hai salvato la vita una volta, sono certo che saresti in grado di rifarlo.» esclamai facendole l’occhiolino.
«Non sperarci troppo, con tutta questa attrezzatura addosso ci metterei un mese solo per raggiungerti.»
«Avanti, smetti di lamentarti e andiamo su.» la incoraggiai.
Dopo mezz’ora ce l’avevo fatta a convincerla, non sembrava convinta per niente, ma ero serio quando dicevo che era molto brava sugli sci. Già dalla prima discesa, nonostante fosse quasi piano il terreno, si era dimostrata decisamente capace. Era portata, anche se questo ancora non glielo avevo detto. Non appena arrivammo in cima le prese il panico, e l’avevo previsto. Guardava di sotto con gli occhi sbarrati e non potevo non pensare a quanto tenera e bella fosse, non sapevo esattamente come avessi trovato una donna tanto speciale. Era trascorso sì e no un mese e mezzo dal nostro primo incontro, ma qualcosa dentro di me mi diceva che probabilmente Felicity era quella giusta per me.
«Te lo scordi che io scenda da qui.» dichiarò.
«Non è così ripida, guarda, ci sono persino i bambini.» le dissi provando a convincerla.
«Oliver, ti prego, non voglio morire. Ho solo ventinove anni.»
«Ti fidi di me?» le chiesi mettendole le mani sulle spalle.
«Sì.» annuì lei sicura.
«Ti starò sempre accanto e se avrai troppa paura ti porterò giù in braccio.»
«Mica male come idea, il cavaliere che salva la donzella in pericolo.»
Scoppiai a ridere dopo la sua affermazione e la presi per mano mettendomi di fronte a lei. Iniziammo a scendere piano piano e curva dopo curva sembrava sempre più convinta di farcela. Io riuscivo tranquillamente a sciare al contrario così da aiutarla e infonderle sicurezza, ma notavo benissimo che se la cavava alla grande.
«Okay, piegati un po’ di più in avanti, avrai un controllo migliore sullo sci e ti sarà più facile frenare.» le raccomandai.
«Così va bene?» mi domandò.
«Perfetta! Vedi che non è poi così tragico?»
«No, è vero. Ma solo perché ci sei tu.»
«E se ti lasciassi andare?»
«Oliver, non osare!» mi minacciò. Troppo tardi. Le avevo lasciato entrambe le mani ed ero andato poco più giù seguendo la pista.
«Coraggio! Sono solo pochi metri!» le urlai.
«Giuro che quando arrivo giù te la faccio pagare!» mi gridò lei.
Ridacchiai tra me e me sentendola, ma sapevo che non si sarebbe data per vinta e che mi avrebbe raggiunto in qualche modo. Era una combattente, in tutti i modi in cui una persona può esserlo. A fatica scese piano fino ad arrivare da me, non ci credeva nemmeno lei, si mise a gridare come una pazza e poi mi saltò addosso (per quanto fosse possibile con sci e racchette).
«Ce l’ho fatta! Oh mio dio!» esultò.
«Io te l’avevo detto. Vuoi provare a venire fino giù da sola? Il pezzo più difficile l’abbiamo passato.»
«Sì, ci provo. È stato fantastico, ero terrorizzata a morte, ma sapere che stavo andando da sola mi rendeva allo stesso tempo euforica.» affermò.
«Conosco la sensazione! Dopo natale se vuoi possiamo tornare, sempre se non avremmo troppi impegni di lavoro.»
«Sarebbe bello sì.» mi disse rivolgendomi uno dei suoi magnifici sorrisi.

Felicity
Avevamo trascorso l’intera giornata sulle piste, a pranzo un panino al volo e poi di nuovo altre tre ore di sci. Ero talmente gasata e contenta che la stanchezza non sapevo nemmeno dove fosse. Oliver mi aveva insegnato tanti piccoli trucchetti e discesa dopo discesa mi sentivo sempre più sicura. Logicamente non sciavo bene neanche un ottantesimo di come sciava Oliver, ma un po’ alla volta sentivo che stavo imparando.
Oltretutto mi aveva portata a cena fuori questa sera e grazie al cielo che mi ero portata un vestitino adatto. Avevamo mangiato una semplice pizza in un ristorante non lontano da casa e non eravamo rincasati tardi, eravamo distrutti e neanche il trucco aveva mascherato le mie splendide occhiaie.
«È bellissimo questo posto.» gli dissi mentre lo abbracciavo sotto le coperte.
«Lo so, e tu lo rendi ancora meglio.»
«Stai cercando di portarmi a letto con queste frasi?» gli chiesi ridendo.
«Mmm, forse.» rispose lui.
«Hai davvero la forza per… Sì, insomma hai capito.»
«C’è sempre la forza per quello, Felicity.» mi disse baciandomi il collo.
«Sai che sono un medico e potrei elencarti mille situazioni in cui il tuo amichetto potrebbe non funzionare?»
«Oh, lo so bene. E mi piace che tu conosca così bene l’anatomia.»
«Oliver!» esclamai sconvolta.
«Che ho detto?» mi domandò lui alzandosi leggermente dal materasso.
«Niente, scherzavo.» replicai ridacchiando.
«Ti stai prendendo gioco di me, Smoak?» mi minacciò sfilandomi le mutandine con un solo gesto.
«No, affatto.» risposi con voce roca.
«Bene… Perché altrimenti potrei fartela pagare.»
«Beh, in questo caso…»
Non feci in tempo a finire la frase che sentii le sue dita dentro di me. Inarcai la schiena per sentire meglio e un lungo sospiro mi sfuggì dalla bocca. Oliver iniziò a muovere le dita toccando punti che nemmeno sapevo esistessero, non mi sarei mai abituata a tutto questo, poco ma sicuro. Non ci volle molto a raggiungere l’apice del piacere, Oliver ci sapeva fare fin troppo. Mi rilassai sotto al suo tocco delicato mentre mi lasciava qualche bacio qua e là, mi piaceva quando capitava senza aver programmato niente, era così dannatamente eccitante.
«Che ne dici di un’ultimo round prima di dormire?» proposi accarezzandogli una natica.
«Mi stai tentando un po’ troppo.» mi rispose baciandomi con passione.
Sembrava andare tutto alla grande finché il mio cellulare non iniziò a squillare. Sbuffai e mi chiesi chi fosse l’idiota che chiamava alle nove di sera! Lo ignorai, ma questo continuava a suonare come non ci fosse un domani.
«Rispondi.» mi disse Oliver.
«Non voglio.» affermai.
«Felicity, potrebbe essere importante.»
«E va bene.» lo accontentai prendendo l’oggetto tra le mani.
Numero privato, quindi non era mia madre o Caitlin. Chi poteva essere a quest’ora? Guardai Oliver e lui mi invitò a rispondere, chiunque fosse le avrebbe sentite! Ero in vacanza, e che cavolo.
«Pronto?»
«Penitenziario federale di Quantico, Virginia. C’è una chiamata per la dottoressa Felicity Smoak proveniente da James Ford. Prema il tasto 1 per accettare la chiamata o il 2 per rifiutarla.» disse la voce automatica del call center.
Mi si dipinse uno sguardo da cadavere in faccia tanto che persino Oliver si spaventò. Potevo sentire il mio cuore battere fortissimo, quasi stesse per esplodere. Non poteva essere davvero lui, con che cazzo di coraggio mi chiamava dopo tutto quello che aveva fatto?
«Felicity, chi è?» mi chiese Oliver in ansia.
«È lui.» risposi iniziando a tremare.
«Vuoi rispondere? Io sono qui con te, okay?» disse provando a rassicurarmi. 
Che avrei dovuto fare? Accettare la chiamata? Buttare giù e cambiare telefono?









Angolo autrice
Sono tornataa :)
La vacanza tra i due sta procendendo alla grande, Felicity non si è rotta nessun osso per il momento ed Oliver pare un ottimo insegnante, e non solo... Eheheh ;)
Ovviamente quei due poveretti mica possono essere sempre felici e contenti xD a Felicity arriva una chiamata da un numero sconosciuto, ovvero il penitenziario federale di Quantico... È proprio suo padre a chiamarla... Dite che accetterà? O che rifiuterà e lascerà perdere tutto?

Allora, il prossimo è l'ultimo capitolo e poi ci sarà l'epilogo :) spero davvero che la conclusione vi piacerà, ho un paio di idee in mente!
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni come semrpe, sono i vostri consigli e giudizi che mi spingono a fare sempre meglio!

A prestissimo,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** We have a whole life ahead ***


Chapter twenty-four - We have a whole life ahead 





Felicity
Me ne stavo lì col cellulare tra le mani, incapace di prendere una qualsiasi decisione, ero sconvolta. Perché mi cercava? Che voleva ancora da me? Oliver mi stringeva forte la mano e almeno questo un po’ mi rassicurava, lui era accanto a me, sempre e comunque, non dovevo temere nulla.
«Oliver, che devo fare?» chiesi guardandolo.
«Solo quello che ti senti di fare. Non devi niente a quel bastardo.» rispose lui dandomi un bacio sulla fronte.
«Penso… Penso di voler rispondere…» balbettai.
«Allora fallo. Potrai interrompere la telefonata in qualsiasi momento.» mi disse rimanendomi accanto.
Premetti il tasto numero 1 del mio cellulare e la voce automatica del penitenziario scomparve lasciando il posto ad un’altra voce: la sua. Ci fu un momento di iniziale silenzio, io di certo non avrei cominciato il discorso, era già tanto che avessi accettato.
«Ciao, Felicity.» disse dall’altra parte della cornetta.
«Che cosa vuoi?» chiesi io freddamente.
«Vederti. Un’ultima volta.» rispose l’uomo.
Vedere me? Era serio? Con che coraggio mi stava chiedendo di incontrarci? Sapevo bene che era un pazzo, psicopatico, sociopatico e chi più ne ha più ne metta, ma mai mi sarei aspettata che volesse vedermi ancora. Oliver ed io l’avevamo fatto arrestare e rinchiudere in una prigione federale di massima sicurezza, era davvero tanto entusiasta di rivedere chi l’aveva intrappolato?
«Come scusa?» domandai cercando di capire se fosse serio.
«Voglio incontrarti. Mi hanno condannato alla pena di morte, non ho molto tempo ormai.»
«E pensi che me ne importi qualcosa di quello che ha deciso la giuria? Beh, ti sbagli.» affermai.
«Lo so che non ti importa, ma tanto morirò, quindi non hai nulla da perdere.»
«Forse semplicemente non voglio rivedere la tua brutta faccia.» dichiarai sicura di me.
«D’accordo allora, come vuoi. Nonostante tutto so che ti presenterai, sei una cosiddetta brava persona e sei curiosa, lo sento.»
«Sì, magari hai ragione, ma sappi che se mi presenterò sarà solo per mandarti a fanculo.» risposi e poi chiusi la chiamata.
Lanciai il telefono sul letto, ero innervosita in una maniera incredibile, quell’uomo era stato in grado di farmi incavolare nel giro di pochi minuti. Avrei tanto voluto prenderlo a calci in questo momento, la paura mi era completamente passata nell’istante in cui avevo capito quanto sfacciato fosse. 
«Che voleva?» mi domandò Oliver.
«Incontrarmi.» risposi stendendomi a letto.
«Cosa?!» urlò lui sfracellandomi un timpano.
«Mi chiedo con che faccia tosta me l’abbia chiesto.»
«Non ci andrai, vero?»
Non risposi. Infondo non avevo mai detto né sì né no. Okay, l’idea di rivedere mio padre, colui che mi aveva torturata e quasi uccisa, non era nella mia lista di cose da fare, ma tanto l’avrebbero ucciso quindi non avevo niente da perdere effettivamente. Non avrei mai dovuto vivere con l’idea che sarebbe potuto scappare, sarei stata al sicuro. Non ero mai stata d’accordo con la pena di morte, non la vedevo come una cosa “adatta”, solo che in questo caso semplicemente non mi interessava. Forse suonava egoista e cattivo, soprattutto visto che ero un medico, ma la cosa mi faceva assoluta indifferenza. Magari più avanti mi sarei pentita di questa presa di posizione, però ora come ora non mi toccava minimamente.
«Felicity, dimmi che non stai pensando di andare là.» esclamò Oliver fissandomi.
«Non lo so.» dissi sincera.
«Quell’uomo ti ha torturata! Come puoi solo pensarlo?» mi domandò sconvolto.
«Perché di lui non mi interessa niente, Oliver. Non andrei là perché è mio padre o perché provo compassione, ma solamente per una mia curiosità.»
«Non puoi parlare sul serio.»
«Che c’è di sbagliato? È in un carcere federale, in isolamento, è condannato a morire, che vuoi che mi faccia che non mi abbia già fatto?» 
«Non voglio vederti soffrire ancora.» affermò abbassando lo sguardo.
«Non soffrirò, Oliver. Ho accettato quello che mi è capitato, ho capito che non è stata colpa mia, che non ho fatto niente di male e lui non può più ferirmi. Qualsiasi cosa dirà o farà non potrà più colpirmi, capisci?»
«Sinceramente no.» esclamò stupendomi.
«Che vuol dire “sinceramente no”?» chiesi aggrottando le sopracciglia.
«Non capisco perché tu voglia dare la soddisfazione di vederti ad un uomo del genere.»
«Non centra niente il fatto di soddisfare lui, qui si tratta di me! Si tratta di chiudere definitivamente un capitolo della mia vita!»
«Okay, va bene.» disse infine.
«Perché ti comporti così? Ti prego, non permettergli di allontanarci.»
«Io non ho fatto niente, Felicity. Sei tu quella che sta scendendo a compromessi con un serial killer.»
«Compromessi? Ma quali compromessi? Mica gli ho promesso che sarei andata! È una mia scelta! E non ti sto chiedendo di accettarla.» gli dissi voltandomi dall’altra parte del letto.
«Infatti, perché non la accetto.» rispose lui con tono distaccato.
Non ribattei, decisi che il silenzio sarebbe stata la soluzione migliore a questa stupida discussione. Da un lato capivo che si stesse preoccupando per me e lo apprezzavo, ma dall’altro odiavo il fatto che non mi lasciasse prendere le mie decisioni. Magari la mia idea e il mio ragionamento erano completamente folli e sbagliati, però la scelta era comunque mia e se avessi voluto andare a Quantico ci sarei andata, con o senza Oliver.

Oliver
Passai la notte praticamente in bianco, continuavo a ripensare alle parole di Felicity e non ne capivo il senso. Non le importava, va bene, ma vedere l’uomo che le aveva fatto così male non era una cosa da niente. Era forse la prima vera discussione che avevamo avuto e non mi piaceva per niente litigare con lei, non per un pazzo maniaco. Era una donna forte e sicura di sé, aveva certamente il coraggio di affrontare una discussione con Ford, ma in cuor mio non volevo che andasse al penitenziario.
Mi alzai dal letto verso le sei e trenta del mattino e coprii con il lenzuolo le spalle a Felicity, nonostante tutto non volevo si ammalasse. Scesi in cucina e iniziai a cucinare dei pancake e dei waffle, magari così mi sarei distratto. Circa mezz’ora dopo avvertii dei passi avvicinarsi, mi voltai e vidi Felicity ancora con il pigiama addosso. Era assonnata e non portava gli occhiali, ed anche se avevamo litigato non potevo non pensare a quanto fosse bella stamattina.
«Mi dispiace.» la sentii dire.
Posai la padella e spensi il gas «Dispiace anche a me.» risposi.
Lei fece il giro dell’isola e mi raggiunse vicino ai fornelli «È stato orribile addormentarsi senza aver risolto niente.»
«Lo so, non ho dormito quasi nulla.» affermai.
«Forse è stupida l’idea di andare laggiù e vederlo, non so neanche perché ne fossi attirata.»
«È comunque una tua scelta, e hai ragione a dire che io non devo approvarla. Quindi, qualunque cosa vorrai fare, sappi che ti sosterrò.»
«Grazie davvero, ma… Ci ho riflettuto tantissimo stanotte e ho deciso di lasciar perdere.»
«Felicity, non devi farlo solo per accontentarmi.»
«No, no, non lo faccio per te, bensì per me. Infondo il capitolo “papà” è già chiuso da tutta una vita, quindi lascerò stare. E tu hai ragione a dire che non gli devo niente.»
«Ne sei davvero certa?» le domandai prendendole il viso tra le mani.
«Sì. Di lui non m’importa e nonostante sia curiosa di sapere che cavolo vuole, tu vieni prima e se devo litigare con te per lui, allora non mi sta bene.»
«Anche se verrà giustiziato?»
«Sì. Non dico di essere a favore, ma se l’è cercata, Oliver. Se solo avesse lasciato perdere tutto ora sarebbe libero, ha scelto lui di uccidere. Ed io ora scelgo di non incontrarlo.»
«Ti amo, Felicity Smoak.» le dissi con un sorriso.
«Tu… Tu cosa?» balbettò lei incredula.
«Ti amo. Ti amo come non ho mai amato nessun’altra donna. Ti amo perché sei forte, determinata e non ti lasci abbattere da niente. Ti amo perché sei simpatica, divertente e anche un po’ fuori di testa. Ti amo perché mi hai salvato in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. Ti amo perché con te riesco sempre ad essere me stesso…»
«Okay, ti prego, basta. Sto per piangere e… Non voglio piangere. Dio, Oliver… Ecco, mi stai facendo piangere.»
«Sei adorabile.» le dissi spostandole una ciocca di capelli.
«Anch’io ti amo. Avevo paura a dirtelo, avevo paura di essere affrettata e di farti scappare, ma… Ti amo. Hai aperto il mio cuore in un modo che non credevo neanche possibile.» rispose lei con le lacrime che le rigavano le guance.
Le rivolsi un grosso sorriso e la baciai tenendole il viso tra le mani. Ero convinto di aver trovato la donna della mia vita, ero convinto che avremmo potuto superare tutto, ero convinto che nessuno sarebbe stato in grado di separarci.
«Tutta questa roba è anche per me?» mi domandò poi osservando il cibo sui fornelli e sull’isola.
«Puoi mangiare tutto quello che vuoi.» le risposi ridacchiando.
«Mi vorrai anche se sarò grassa?»
«Ti vorrò sempre, Felicity. Grassa, magra, obesa, incinta, non mi interessa.»
«Che?» mi chiese con una faccia da cadavere. Oh dio, che avevo detto adesso? Giusto… Incinta.
«Niente, non spaventarti. Ne parleremo a tempo debito, mi è solo scappato.» la rassicurai.
«Grazie al cielo.» si rilassò «Sai che ti amo, te l’ho detto, ma… Non sono pronta per i bambini.»
«Felicity, respira. Nemmeno io sono pronto.» affermai riempiendole la bocca con un pezzo di pancake alla marmellata.
Non ero pronto, era vero, per ora. Avevo sempre sognato una famiglia e mia madre erano ormai anni che mi stressava per avere un nipotino. Thea era troppo piccola, e avrei ucciso chiunque avesse osato toccarla prima dei trent’anni, ma io ero abbastanza cresciuto. Ero sicuro che anche Felicity la pensasse come me, l’aveva persino detto in un momento di follia. Ci avremmo pensato, magari tra sei mesi, o tra un anno, che fretta c’era? Avevamo tutta la vita davanti.










Angolo autrice
Avevo detto (nell'altra storia) che avrei pubblicato domani ma.. Sono a casa annoiata, piena di tosse e raffreddore quindi mi consolo così xD
Inizio subito dicendo: spero di non aver offeso nessuno trattando la tematica della pena di morte, insomma non vorrei scatenare polemiche ecco :) oltretutto nelle note della FF c'è l'avvertenza: tematiche delicate quindi io mi sento apposto. Tutto qua.
Tornando al capitolo, Oliver e Felicity hanno la prima vera discussione da quando stanno insieme e diciamo che nessuno dei due ha ragione o torto, infatti la mattina seguente si scusano.
Ed è arrivato il tanto atteso "ti amo" :D spero vi sia piciuto il modo in cui l'hanno detto e... Sì, c'è la frase della 3x20 di Arrow nel discorso di Fel.
Cos'altro posso dire? È ufficialmente l'ultimo capitolo! .-. Ho iniziato stamattina a scrivere l'epilogo e spero di concluderlo a breve :)

I ringraziamenti ufficiali li farò nel prossimo, ma ormai sapete che vi adoro tutti quanti!
Mi sono appena accorta di aver scritto un papiro, quindi la smetto lol.

A presto cari,
Anna

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Epilogo ***


Epilogo





Cinque anni dopo

Felicity
Erano trascorsi ormai cinque anni dal momento in cui Oliver ed io ci eravamo conosciuti e nel corso di questi anni erano accadute un’infinità di cose, perlopiù belle. Come prima cosa potevo dire che avevo organizzato il matrimonio dei miei sogni. Ci eravamo sposati un anno e mezzo dopo esserci incontrati, rigorosamente perché Thea, la sorellina di Oliver, e Caitlin volevano che ci sposassimo con il bel tempo e quindi avevamo optato per una splendida giornata di primavera. Era stato uno dei giorni più belli della mia vita, era tutto come l’avevo sognato da piccola. Mia madre ed io avevamo risolto ogni problema ed eravamo più unite che mai, dopo l’esecuzione di James Ford avevamo parlato per ore ed ogni tassello del puzzle era andato al proprio posto. E quando aveva scoperto che mi sarei sposata aveva cominciato a piangere e gridare come una matta, così come era accaduto nel giorno in cui avevo detto il fatidico “sì”.
Come al solito continuavo a fare il mio lavoro ed Oliver il suo, nonostante avessi ridotto parecchio gli orari per via della nuova gravidanza, di certo non avrei smesso di operare solo per colpa del pancione. La cosa divertente era che sia io che Cait aspettavamo un bambino, sembrava una cosa fatta apposta, l’unica differenza era che io aspettavo il secondo figlio, mentre lei il primo. Barry e Caitlin stavano insieme più o meno dallo stesso periodo mio e di Oliver, ma avevano fatto tutto con molta calma visto che entrambi uscivano da una relazione piuttosto complicata. Io, al contrario, ero rimasta incinta circa due mesi dopo il matrimonio. Non l’avevamo proprio programmato, ne avevamo parlato, questo sì, ma la scoperta della prima gravidanza aveva scioccato parecchio entrambi. Poi, però, quando era nato Matthew tutta la nostra vita era stata completamente stravolta. Nostro figlio ci aveva uniti ancora di più e nonostante fosse stata molto dura gestirlo i primi tempi, eravamo riusciti a crescerlo al meglio.
«Ehi, Felicity? Dormi?» mi richiamò Caitlin vedendomi assente.
«No, stavo ripensando a tutto quello che è successo negli ultimi anni.» risposi alzandomi dal tavolo.
«Avresti mai immaginato una cosa del genere?» mi chiese ridacchiando indicando le rispettive pance.
«Sinceramente? No, mai!» le dissi ridendo «Sei la mia migliore amica da secoli, ma che rimanessimo incinte quasi nello stesso momento non l’avrei mai detto.»
«Quando mi hai detto che pensavi di essere incinta ho riso per mezz’ora.» affermò attaccando l’ennesimo addobbo natalizio alla parete.
«Solo perché tu stavi tenendo nascosta la tua gravidanza, quando in realtà lo sapevi già da un mese!» replicai lanciandole una stella filante.
«Volevo essere sicura che fosse tutto okay, lo sai.»
«Sì, sì, certo. Non te l’ho ancora perdonata, sappilo.» dissi facendo la finta offesa.
«Sì che mi hai perdonata.» esclamò Cait.
«Forse.» aggiunsi «A proposito, Barry dov’è?» le domandai.
«Ci sono stati tre omicidi nel Queens, Oliver non ti ha detto niente?»
«No… O forse sì, non me lo ricordo. Tra Matthew e la piccola qui dentro mi dimentico di fare un sacco di cose.»
«È normale, passerà. In ogni caso, credo arriveranno tra qualche ora.»
Alla fine Barry aveva accettato il posto all’FBI, lavorava sempre come medico legale solo che ora aiutava i federali. Lui ed Oliver erano diventati molto amici e con la scusa che sia io che Caitlin aspettavamo un bambino non perdevano tempo per uscire insieme e scambiarsi consigli di chissà che tipo.
Era la vigilia di Natale ed avevamo invitato i nostri amici per un cenone con i fiocchi, c’erano Barry, Caitlin, Sara con la sua nuova fidanzata, Laurel, Tommy e il piccolo Clark, che forse tanto piccolo non era visto che avrebbe compiuto quattro anni a breve. Era ormai tradizione per noi trovarci il giorno prima di Natale e festeggiare tutti insieme. Non potevo chiedere niente di meglio, avevo la mia famiglia e i miei amici, tutto quello che una persona poteva desiderare.
«Buonasera signore!» esclamò Barry entrando in casa.
«Ciao!» lo salutai abbracciandolo «Oliver?» chiesi.
«Arriva, sta scaricando i regali dall’auto.» ridacchiò lui.
«Non ti vergogni a fargli fare tutto il lavoro sporco?» intervenne Cait uscendo dal bagno.
«Dovevo venire a controllare mia moglie e mia figlia.» ribatté lui facendomi ridere.
«Vorrei ricordarti che anche la sottoscritta è incinta.» gli feci notare.
«Per te ci sono io, non temere.» aggiunse Oliver varcando la soglia di casa con due borsoni pieni di roba.
«Il mio eroe.» esclamai dandogli un bacio.
«Come sta la principessa?» mi chiese posando una mano sulla mia pancia.
«Si muove.» risposi con un sorriso.
«Non vedo l’ora che nasca, sono troppo impaziente di conoscerla.» mi disse facendomi inevitabilmente sorridere.
«A chi lo dici, l’attesa però è ancora lunga visto che sono solo di quattro mesi e mezzo.»
«Non è che potremmo farla nascere prima?»
«Oliver!» lo ammonii ridacchiando.
«Stavo scherzando, sai che morirei se succedesse qualcosa a te, a Matthew o alla bambina.»
«Lo so, è lo stesso per me.»
«Ti amo.» esclamò baciandomi sulla fronte.
«Anch’io ti amo.» risposi continuando a sorridere.
Poco dopo Caitlin ed io iniziammo a cucinare, mentre Barry ed Oliver preparavano la tavolata come gli avevamo spiegato. Tommy, Laurel e Sara erano in viaggio e sarebbero arrivati nel giro di un’ora probabilmente. La strada fino a New York non era di certo breve ed eravamo già molto felici che avessero accettato di venire fino a qui. Teoricamente questo Natale avremmo dovuto andare noi a Quantico, ma dopo aver comunicato la mia gravidanza e quella di Cait avevamo preferito rimanere qui a casa.
La cena era quasi pronta oramai, nulla di troppo complesso, avevamo un antipasto freddo, un primo, un secondo e logicamente il dolce. Senza dolce non si andava da nessuna parte viste le mie continue voglie di zuccheri. Con Matt non era stato così, vomitavo di continuo e non mangiavo quasi nulla tanto che la ginecologa mi aveva prescritto degli integratori, mentre con questa gravidanza stavo benissimo, anzi dovevo star attenta a non prendere troppi chili.
«Oh, sono arrivati!» annunciò Oliver sentendo il campanello.
«Buonasera signori!» ci salutò Tommy con il solito entusiasmo.
«Ciao ragazzi, che bello vedervi.» disse Laurel venendomi incontro «Come stanno le nostre mammine preferite?» chiese riferendosi a me e Caitlin.
«Siamo bene. Sempre affamate, ma bene.» risposi io con un sorriso «Ehi! Ciao, Clark! Come stai?» domandai al figlio di Tommy e Laurel.
«Bene! Dov’è Matt?» mi chiese lui cercando mio figlio.
«È in camera sua a giocare, vai pure.» affermai lasciandolo correre dal suo amico.
«Allora Sara, non ci presenti la tua nuova fiamma?» la prese in giro Oliver beccandosi un pugno sul braccio dall’amica.
«Idiota! Felicity, non so ancora come tu possa sopportarlo!» esclamò «In ogni caso, lei è Nyssa. Nyssa, loro sono Oliver, Felicity, Caitlin e Barry, Tommy e mia sorella già li conosci.»
«È un piacere ragazzi, e grazie dell’invito.» aggiunse la donna.
«Beh, ora direi che possiamo sederci e mangiare. I bambini possiamo chiamarli tra circa mezz’ora per il risotto, non credo gli interessi il vino.» annunciai io.
Oliver, Barry e Tommy cominciarono a versare del vino bianco nei rispettivi bicchieri, per me e Cait solo un misero goccio, giusto per brindare. Un po’ mi mancava fare un serio aperitivo con i miei amici, ma sapevo bene che mia figlia era molto più importante.
«A che cosa brindiamo quest’anno?» domandò Barry.
«Io direi di brindare al nostro futuro. Ne abbiamo passate tante insieme, cose brutte e belle, eppure siamo ancora tutti qui, sempre più legati. Abbiamo formato una grande famiglia allargata e penso non ci sia cosa più bella. Quindi, ad altri cento di questi giorni.» dissi io facendo tintinnare i bicchieri con i miei amici.
«Al futuro allora.» aggiunse Oliver avvicinandosi a me.
«Al futuro.» confermai io.
La serata trascorse tranquilla, il cibo fu apprezzato da tutti quanti, compresi Matthew e Clark. Dopo cena i ragazzi si erano organizzati per una partita a carte insieme ai bambini, ora che erano più grandicelli si divertivano un sacco a fare cose da “uomini”. Noi ragazze invece avevamo invece avevamo cominciato a chiacchierare del più e del meno, anche se le domande essenzialmente si soffermavano sulla gravidanza. Laurel mi aveva persino confessato che anche lei e Tommy stavano pensando ad un secondo bambino e Sara aveva cominciato ad urlare come una pazza attirando l’attenzione di tutti i maschietti. Quando scoccò la mezzanotte ci fu uno scambio reciproco di auguri e regali, nonostante ogni singolo anno dicessimo che non erano necessari regali, puntualmente tutti ne prendevamo almeno uno. Ed era bello così infondo, si vedeva chiaramente quanto tenessimo l’uno all’altro. I nostri ospiti iniziarono ad andarsene verso l’una di notte, eravamo molto stanchi un po’ tutti, chi più chi meno, ma ci eravamo divertiti tantissimo.
«Matt dorme?» chiesi ad Oliver.
«Sì, è crollato subito. Come ti senti?»
«Bene, non serve che me lo chiedi sempre.»
«È il mio lavoro prendermi cura della mia famiglia, l’ho promesso davanti a duecento invitati, ricordi?»
«Come potrei dimenticarlo?» domandai retorica, ripensando al matrimonio.
«Lo sai che dobbiamo ancora scegliere il nome per la bambina?»
«A proposito di questo, l’altro giorno Matt ed io stavamo vedendo “A Christmas Carol” e da quel momento non ho mai smesso di pensare al nome Carol. Sì, so che non centra nulla col film, ma… Che ne diresti di Caroline
«È… È splendido. Perfetto.» mi disse Oliver stupendomi.
«Davvero ti piace?»
«Sì, tantissimo. Caroline Queen, suona bene.»
«Credi che a Caroline darebbe fastidio se mamma e papà festeggiassero il Natale come si deve?»
«Mmm, no, non credo si arrabbierà.» esclamò lui baciandomi il collo.
«Buon Natale, Oliver.» affermai dandogli un bacio sulle labbra.
«Buon Natale, Felicity.» mi rispose abbracciandomi forte.









Angolo autrice
Ragazzi, è finita... Non ci credo. Mi sembra ieri che l'ho cominciata! Mi mancherà certamente scriverla!
L'epilogo è ambientato 5 anni dopo, Fel ed Oliver si sono sposati e hanno un bambino, più una bambina in arrivo :) anche Caitlin e Barry sono rimasti insieme e pure loro aspettano una bambina. E lo stesso vale per Laurel e Tommy!
Ho voluto dedicare un po' di spazio alla loro grande famiglia, dopo tutte le cose passate sono finalemente felici e se lo meritano.
Spero vi sia piaciuta questa fine un po' spensierata e romantica :)

Mi prendo un secondo per ringraziare tutti quanti, non credevo avrebbe avuto così successo questa storia e ne sono stra felice credetemi. Grazie soprattutto a chi ha speso un po' del suo tempo per lasciarmi una recensione e farmi capire se la storia era bella, ma grazie anche a chi ha seguito in silenzio (spero abbiate aprezzato anche voi).
Nel frattempo continuerò l'altra mia storia e ne ho in mente un'altra eheh xD

Ancora grazie a tutti, fatemi sapere se vi è piaciuto.
Anna

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3339888