We are

di Lux_daisy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** We are...friends ***
Capitolo 2: *** We are...sad ***
Capitolo 3: *** We are...together again ***
Capitolo 4: *** We are...confused ***
Capitolo 5: *** We are...fixing it ***
Capitolo 6: *** We are...playing ***
Capitolo 7: *** We are...so close, yet so far ***
Capitolo 8: *** We are...remembering the past ***
Capitolo 9: *** We are...scared ***
Capitolo 10: *** We are...blind ***
Capitolo 11: *** We are...misunderstanding ***
Capitolo 12: *** We are...what we are ***
Capitolo 13: *** We are...you and me forever ***



Capitolo 1
*** We are...friends ***


We are...friends





Febbraio, il penultimo anno di liceo era ormai agli sgoccioli e, come ogni mattina, Kagami sbuffava e grugniva. Lo faceva perché era lunedì mattina e nessuno può essere allegro di lunedì mattina; ma lo faceva soprattutto perché quel dannato pantalone di quella dannata uniforme non ne voleva sapere di tirarsi su.

Imprecò e saltellò su un piede dato che l’altro era incastrato nella gamba del pantalone.
Quell’immagine sarebbe risultata buffa a chiunque e infatti un’improvvisa risata risuonò nella stanza di Kagami.

<< Ohi, Bakagami, alla tua età non sai ancora vestirti da solo? >>.
Il rosso si bloccò e si voltò verso il proprietario della voce –e della frecciatina: alto quanto lui, capelli scuri corti, pelle bronzea, penetranti occhi blu, le mani in tasca, la borsa sulla spalla e un ghigno da schiaffi.
Aomine Daiki.
Vicino di casa, migliore amico e fastidio giornaliero.
<< Ahomine, quante volte ti ho detto di non entrare dalla finestra? >> sbottò il rosso.

L’altro lo guardò e ridacchiò: Taiga era praticamente nudo per ¾, a coprirlo solo i boxer neri e una gamba di pantalone che gli arrivava al polpaccio. << Non saprei… >> disse, assumendo una finta aria pensierosa, << quanti giorni ci sono in nove anni? >>.

Il rosso storse la bocca e sbuffò. << Troppi… ma come ogni cosa che ti dico ti entra da un orecchio e ti esce dall’altro, no? >>.
<< Quanto la fai lunga, Bakagami! >> si lamentò il moro, fingendosi offeso, << i balconi delle nostre stanze sono praticamente attaccati: un saltello e sono da te >>.

Kagami si tirò su e si abbottonò i pantaloni –finalmente era riuscito a metterseli. << Tanto ormai lo sanno pure i muri che l’unica cosa che ti interessa è mangiare la cucina di mia madre >>.
Aomine fece un sorrisetto compiaciuto. << Non si dice che il cibo del vicino è sempre più buono? >>.
L’altro si infilò la camicia e gli lanciò un’occhiataccia. << Quella è l’erba, idiota >>.
<< E chi se ne frega dell’erba! Io mica mangio erba >> replicò il moro.
Al che Taiga si sbatté la mano sulla faccia, rassegnato. << Non so neanche perché perdo tempo a discutere con una testa vuota >>.
<< Fottiti! >>.
<< Anch’io ti voglio bene >> rispose Taiga con un ghigno.

Si scambiarono un’affettuosa alzata di dito medio e poi scoppiarono a ridere.

Anche questo faceva ormai parte della loro routine consolidata. Vicini di casa dalla nascita, Aomine e Kagami erano amici praticamente da che avevano memoria. Cresciuti insieme, sempre fianco a fianco, avevano frequentato le stesse scuole fin dall’asilo e non c’era stato giorno, gioco o scorribanda in cui uno non avesse voluto l’altro accanto.
Non c’era Aomine Daiki senza Kagami Taiga e non c’era Kagami Taiga senza Aomine Daiki.

A contraddistinguerli, il classico rapporto amore-odio: un momento prima li vedevi battibeccare e insultarsi e quello dopo scherzare e ridere di gusto.

Se uno aveva bisogno l’altro c’era, sempre e comunque; se uno finiva coinvolto in una rissa, l’altro non tardava un attimo ad unirsi; se uno finiva in punizione, l’altro entrava di nascosto nella sua stanza per fargli compagnia.
Anche se qualche volta si sarebbero volentieri presi a pugni.
 
<< Andiamo, Bakagami! Muoviti! Che sei lento a vestirti… Io sto morendo di fame! >> si lamentò Aomine aprendo la porta della stanza.
Il rosso afferrò il suo borsone e lo raggiunse. << Certo che quando si tratta di mangiare, quel tuo culo pigro e flaccido lo muovi! >>.
Prima di scendere le scale per il piano di sotto, il moro si bloccò e ghignò. << Ma quale culo flaccido! Il mio culo è sodo come il marmo! >> lo corresse, mettendosi subito a sculettare davanti all’altro, << avanti, tocca! >>.
<< Non voglio toccare il tuo stupido culo! >> esclamò Kagami con un tono a metà tra rimprovero e risata, << e ora muoviti >> aggiunse, dandogli un leggero calcio.
 
La cucina si riempì subito delle loro voci risate prima ancora che loro vi entrassero e la madre del rosso sorrise.
<< Buongiorno Daiki, Taiga >> li salutò la donna mentre poggiava i piatti carichi sul tavolo.
<< Buongiorno signora >>.
<< Ciao mamma >>.
Risposero all’unisono e si sedettero a tavola.
<< Ormai fai colazione da noi tutte le mattine, Daiki >>.
<< La fua fucina è la vigliore, fignora >> dichiarò Aomine con la bocca già piena di cibo.

La donna ridacchiò e bevve un sorso di caffè dalla tazza, mentre Kagami assestò un calcio all’amico da sotto il tavolo.
<< Grazie, Daiki: sei molto gentile >> rispose quella, posandogli la mano sulla spalla.

Il moro era ormai un secondo figlio per lei: né lui né Taiga avevano fratelli, ma loro stessi lo erano diventati l’uno per l’altro e questo la riempiva di gioia, soprattutto dalla morte del marito, avvenuta quando Kagami aveva solo cinque anni.
La presenza del moro nelle loro vite era fonte di felicità e la madre ringraziava sempre gli dei e gli spiriti che il figlio avesse qualcuno di così speciale su cui fare affidamento.

Dato che poi i genitori di Daiki erano spesso impegnati con il lavoro, il ragazzo trascorreva molto tempo a casa loro, specialmente negli orari dei pasti e la madre di Taiga orami cucinava quasi sempre per tre, spesso anche per quattro-cinque, dato che gli stomaci dei due sembravano essere senza fondo.

<< Anche oggi i tuoi genitori sono molto occupati, Daiki? >> gli chiese la donna, accomodandosi su una sedia.
Quello deglutì e annuì. << Per ora mio padre sembra incasinato in ufficio… >>.
<< Capisco >> disse la donna con un leggero sorriso, << beh, ormai lo sai che questa è casa tua, perciò non farti problemi >>.
<< Come se si fosse mai fatto problemi a scroccarci il cibo >> lo prese in giro Kagami, colpendolo col gomito.
<< Perché non sei gentile come tua madre, Bakagami? Lei apprezza la mia presenza! >>.
<< Solo perché non ti conosce bene come ti conosco io, altrimenti ti avrebbe già buttato fuori >>.
<< Ma falla finita! Tanto lo so che mi adori! Saresti perso senza di me >>.
<< Certo, come no! Tu saresti perso senza di me, Ahomine! >>.
 
 
Continuarono a punzecchiarsi fino a che non fu ora di andare a scuola. Quell’anno erano capitati in classi diversi, ma questo non impediva ovviamente loro di fare il tragitto di andata e ritorno insieme.
<< Allora, oggi al campetto alle sette? >> gli chiese Aomine, mentre erano fermi nel corridoio del liceo.
<< Perché alle sette? >>.
Il moro sbuffò e si passò una mano sulla nuca. << Oggi è il turno di pulizia in classe e un mio senpai mi ha costretto a dargli una mano col club di musica, quindi farò tardi >>.
Kagami non riuscì a trattenere un sorriso. << È stato quel tipo, Imayoshi? >>.
La bocca di Daiki si strinse in una linea sottile. << Già >> ringhiò, << quel fottuto viscido manipolatore! Ancora non ho capito come ha fatto ad incastrarmi >>.
L’altro ridacchiò e gli diede ripetute pacche sulle spalle, compiacendosi delle sue disgrazie come ogni miglior amico che si rispetti.
 
 
<< Ehi, Aomine, questo venerdì ti va di venire a un goukon? >>.
Il chiamato in causa sollevò la testa dal banco sul quale stava dormendo e sbavando e lo piazzò su Kojida, il suo compagno di classe sempre in fissa con le ragazze.
<< Un goukon? >> bofonchiò il moro, ancora rintronato dal sonno.

L’altro sorrise e poggiò le mani sul suo banco, avvicinando i loro volti. << Sì, sì. L’ha organizzato un mio amico ma ci manca ancora qualche ragazzo. Che fai, vieni? Ci saranno un sacco di pupe strafighe! >>.
Daiki sbadigliò e su stiracchiò come un grosso felino. << Questo venerdì, dici? Mi spiace, non posso: io e Kagami abbiamo comprato i biglietti per una partita di basket >>.

Kojida assunse un’espressione offesa come se fosse stato insultato. << Ma come?! Preferisci passare il tempo con un maschio invece che con un gruppo di belle ragazze? >>.
Il moro scrollò le spalle. << È il mio migliore amico >> disse semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia e scontata e bastasse a spigare tutto.
L’altro sbuffò e alzò gli occhi al cielo. << Contento tu… ma se continui così, non troverai mai una ragazza! >>.

Aomine fece spallucce e tornò a dormire. Non poteva certo portare una ragazza a una partita di basket né tantomeno giocarci nel campetto vicino le loro case.
Stare con Taiga era sicuramente più divertente.
 
 
Quanto tornò a casa, Aomine non si aspettava di trovarci i suoi genitori. Sapeva che sarebbero tornati tardi a causa del lavoro, ma a quanto pareva si erano sbrigati prima del previsto.
Li sentì parlare in cucina e si avvicinò.

<< Ora come facciamo a dirlo a Daiki? >> disse sua madre con voce preoccupata.
Il ragazzo, che stava per aprire la porta e salutarli, si fermò e rimase in ascolto, i muscoli d’un tratto tesi.
<< È una bella notizia, no? >> rispose il padre.
<< Sì, certo… ma sai quant’è legato a Kagami: sono come fratelli >>.
<< Lo so, cara, ma non possiamo fare altrimenti… dovrà dirgli addio, almeno per un po’ >>.

A quelle parole la mente di Daiki si spense e il cuore prese a ringhiargli nel petto. “Che cazzo di storia è questa? Dire addio a Taiga?!”
Spalancò la porta con violenza e fece irruzione nella cucina, lasciando i suoi genitori ad occhi sgranati.
<< Tesoro… >>.
<< Daiki! >>.
<< Di che cavolo state parlando? Che vuol dire che dovrò dire addio a Taiga? >> chiese con rabbia, quasi ringhiando, gli occhi affilati e taglienti.






Ciao a tutti! ^^ innanzitutto grazie per aver letto fin qua, spero che questo primo capitolo, anche se breve vi abbia scatenato un pizzico di curiosità u.u
è la prima volta che mi cimento in una long con Kuroko no Basket... e vi anticipo che i personaggi di kise e kuroko compariranno più avanti e si verranno a creare un bel pò di intrighi amorosi X) o almeno è questo il proposito... perciò si incastreranno e scontreranno le coppie aokaga, aokise e kagakuro...
mi piacerebbe molto se mi lasciaste qualche commento per farmi sapere cosa ne pensate ^^ fate felice una povera autrice in cerca di consensi >.<
detto questo vi saluto e al prossimo cap <3

 

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Capitolo 2
*** We are...sad ***


We are...sad




 
“Cavolo! Sono in ritardo!” pensò Kagami per l’ennesima volta mentre correva verso il campetto dove aveva appuntamento con Aomine.

Arrivato a casa, aveva iniziato a studiare, ma dopo un’ora circa si era addormentato sui libri e si era risvegliato che erano le sette passate.

Dopo essersi cambiato in fretta e furia, si era precipitato fuori casa, già pensando a tutte le frecciatine che gli avrebbe lanciato il moro e a come rispondere.
Un piccolo ghigno si aprì sul suo volto al solo pensiero.

Quando raggiunse il campo, vi trovò Aomine sotto canestro che provava i tiri liberi. Non ci sarebbe stato niente di strano se il moro ne avesse azzeccato uno.

Alla vista dell’amico che continuava a sbagliare, le sopracciglia di Kagami si aggrottarono. Aomine era davvero bravo nel basket, agile, veloce, potente: riusciva a tirare e a fare canestro da qualsiasi posizione.
Il fatto che stesse sbagliando dei semplici tiri liberi, poteva solo significare che c’era qualcosa che non andava.

<< Ohi, Ahomine, che cavolo stai combinando? Ti sei scordato come si gioca a basket? >> tentò il rosso con tono scherzoso avvicinandosi all’altro.

Daiki si voltò di scatto, mentre il pallone che non era entrato rotolava lontano da loro.
Il leggero sorriso che Taiga aveva messo su si spense del tutto non appena vide il volto dell’altro: aveva un’espressione sofferente…  e triste. Infinitamente triste.

“Ma che cavolo…”. Preoccupato, si avvicinò al moro e lo vide distogliere lo sguardo. Si fermò a meno di due metri e lo fissò per alcuni secondi. << Aomine, cos’è successo? >>.
L’altro strinse i pugni e deglutì a vuoto, ma non rispose.

Taiga attese altri secondi; poi con uno scatto fulmineo lo raggiunse e gli mise le mani sulle spalle. << Si può sapere che ti è preso? >> insistette con voce tesa e nervosa.

Quella situazione era dannatamente strana e lo stava preoccupando da matti, perché Aomine non si era mai comportato così. Non aveva neanche le palle per guardarlo negli occhi!

Il moro abbassò la testa, come a voler sfuggire allo sguardo del rosso, ma ciò non fece altro che aumentare la rabbia e l’angoscia dell’amico.
Kagami gli afferrò il mento e lo costrinse a guardarlo in faccia: fu allora che notò la ferita al labbro inferiore, ancora macchiato dal sangue che si era raggrumato.

A quella vista sentì la furia accecarlo e far sparire ogni altra sensazione. Chi aveva osato fargli questo?
Spostò la mano e gli strinse le guance, avvicinando il volto al suo, ma Aomine grugnì e gli colpì il braccio.
<< Fa male, idiota >> borbottò, senza però muoversi dalla sua posizione.
<< Chi cazzo è stato? >> chiese il rosso, la voce ridotta a un grugnito e Daiki capì che si stava controllando per non cedere ad uno scoppio d’ira.
“Dannato Bakagami, tieni davvero troppo a me…” pensò con tristezza. Come poteva dirglielo? Come poteva spiegargli la verità?

<< Per la miseria, Daiki! Perché cazzo te ne stai zitto? >> sbottò poco dopo Taiga, dato che l’altro restava in silenzio.
<< Giochiamo >> disse quello all’improvviso.
Kagami strabuzzò gli occhi, incredulo. << Con che diavolo te ne esci? >>.
<< Siamo qui per giocare, no? >>.
<< Daiki… >> iniziò il rosso, ma non lo fermò mentre andava a recuperare il pallone.
<< Giochiamo >> ripeté quando gli fu di nuovo davanti, << ti dirò tutto dopo >>.
 
 

Giocarono, ma nonostante l’impegno di entrambi la partita non fu come le altre. Non ci fu entusiasmo né risate o esclamazioni di gioia per il vincitore e frecciatine di derisione per il perdente.

Non aprirono bocca, neanche quando la partita finì e il vincitore fu Aomine, che di solito si sarebbe vantato per tutto il tragitto di ritorno, offrendo a Kagami una scusa per uno scappellotto ben assestato.

Fu il rosso a rompere quel silenzio forzato e pesante. << Ehi, Daiki… >> iniziò, ma il moro lo bloccò alzando un braccio.
<< Ora ho bisogno di una doccia, Bakagami. Parliamo dopo >>.
Taiga sentì una scarica di rabbia travolgerlo. Non gli importava un accidente se erano sudati e stanchi: lui voleva capire cosa stava diavolo stava succedendo.

Aomine recuperò le sue cose e s’incamminò verso casa. << Lascia la finestra aperta >>.
Kagami sbuffò e avvertì la rabbia scemare. << Non c’è bisogno che me lo dici… >> sussurrò e quasi sicuramente l’altro non lo sentì.
 
 
Neanche la lunga doccia che si concesse servì a Kagami a sciogliere i nervi e quella fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco che non smetteva di tormentarlo.

Aveva formulato le più disparate teorie per spiegare il comportamento dell’amico e nonostante avesse continuato a ripetersi che non poteva essere niente di grave, un brutto presentimento si era fatto strada in lui e radicato nel suo cuore.

Quando uscì dal bagno con solo i pantaloni della tuta addosso, rabbrividì di freddo: la finestra della sua stanza era ancora aperta e l’inverno continuava ad essere implacabile.

Aprì l’armadio e indossò rapido una felpa pesante. Nell’istante in cui richiuse le ante, sentì dei rumori provenire da fuori e quando si voltò, i suoi occhi incrociarono quelli di Aomine.

Si fissarono in silenzio per un po’, poi Kagami si affrettò a chiudere la finestra. << Fortuna che ti sei deciso a venire. Qua stavano per comparire i pinguini >> disse, andandosi a sedere sul bordo del letto.

Il moro abbozzò un sorriso e si accomodò a cavalcioni sulla sedia della scrivania, il petto poggiato alla spalliera. << Questo >> iniziò sfiorandosi la ferita al labbro, << me l’ha fatto mio padre >>.
Il rosso strabuzzò gli occhi e schiuse la bocca, confuso. << Tuo padre? Non ha mai alzato un dito su di te, neanche quella volta che ti hanno sospeso da scuola per una settimana! >>.

Le labbra dell’altro si curvarono in un sorriso amaro. << Beh, forse avergli dato del bastardo egoista l’ha fatto incazzare di più >>.
<< Hai litigato con tuo padre? Perché? >>.
Daiki prese un profondo respiro e Kagami capì che qualsiasi cosa dovesse dire gli stava costando uno sforzo non indifferente. E la cosa non gli piacque per niente.

<< Taiga, ti ricordi il viaggio che abbiamo deciso di fare durante la pausa estiva? >>.
<< Certo. Ce ne andremo ad Okinawa per una settimana, solo noi due. Ma che c’entra? >>.
Aomine incrociò le braccia sulla spalliera e vi appoggiò il mento. << Il viaggio è annullato >> disse soltanto. Al che Kagami scattò in piedi, irritato.

<< Hai intenzione di arrivare al dunque o devo strapparti le parole di bocca? Non ci sto capendo un cazzo, quindi falla finita e sputa il rospo! >>.
Daiki sollevò lo sguardo e inclinò leggermente la testa << Mio padre ha avuto una promozione a lavoro: si dovrà trasferire a Kagoshima e io e mia madre andremo con lui >>.

Il volto di Taiga fu attraversato da una serie di emozioni diverse man mano che il cervello elaborava la portata dell’informazione: shock, confusione, incredulità, rabbia, frustrazione e infine dolore.
<< T-te ne vai? >> farfugliò alla fine, lo sguardo vacuo.

<< Già… e quando mio padre mi ha dato la notizia, io non ci ho più visto dalla rabbia. Ho cominciato a urlare, lui ha cominciato a urlare, io l’ho insultato e lui mi ha colpito. Dopo sono praticamente scappato di casa e sono rimasto al campetto finché non sei arrivato tu >>.
Quando finì di parlare, calò di nuovo il silenzio. Un silenzio denso, pesante, pieno di cose non dette.
Kagami rabbrividì nonostante la felpa e capì che il freddo che sentiva non era dovuto alle basse temperature. << Quando? >> chiese all’improvviso, piantando gli occhi in quelli blu dell’altro.

Il moro si alzò in piedi e si passò una mano tra i capelli. << Mio padre comincerà a traferirsi dalla prossima settimana; io e mia madre lo raggiungeremo appena finirà la scuola. Del resto manca un mese alla fine… >>.

La fine…

Taiga si ritrovò ad annuire senza rendersene conto. Una parte di lui non stava neppure ascoltando. Cosa sarebbe successo adesso? Avrebbero davvero dovuto dirsi addio? Così, all’improvviso… non riusciva ad elaborare la semplice idea di non avere più Aomine al suo fianco, di non vederlo più entrare dalla finestra ogni giorno, di non giocare più a basket insieme, di non condividere le sue giornate con lui.

<< Tai >> lo chiamò d’un tratto il moro, distogliendolo dalle sue riflessioni, << posso dormire qui sta notte? Non mi va di rimanere di là: i miei stanno ancora discutendo >>.
Kagami lo osservò per qualche secondo e sorrise. << Come quando eravamo piccoli, eh? >>, poi lanciò un’occhiata al letto e sospirò, << ma adesso non credo proprio che ci entreremo tutti e due. Ti prendo un futon >>.
<< Okay >>.
 
 
 
<< Ehi, Tai, stai dormendo? >>.
La voce di Aomine ruppe il silenzio della stanza di Kagami, immersa nel buio della notte

Si sentì un fruscio di coperte smosse. << No >> rispose il rosso incrociando le braccia sotto la testa. Aprì gli occhi sul soffitto sopra di sé, ma data l’oscurità si ritrovò a fissare un punto indefinito.

Aomine si mise su un fianco e sollevò gli occhi verso il letto di Taiga accanto al quale era stato steso il suo futon.
Quand’erano piccoli avevano dormito insieme tante di quelle volte da perdere il conto: costruivano un fortino con cuscini e coperte e giocavano alla guerra oppure fingevano di essere in campeggio e si raccontavano le storie dell’orrore. Alla fine si addormentavano nelle posizioni più strane e felici come non mai.

Crescendo, i fortini erano scomparsi e le storie dell’orrore erano state sostituite dai film e videogiochi, ma adesso la situazione era decisamente strana.

<< Non riesci a dormire? >> continuò il moro dopo alcuni istanti di silenzio.
<< No >> ripeté il rosso, al che Daiki sbuffò sonoramente.
<< Hai intenzione di dire solo “no”? >>.
Anche l’altro sbuffò e si voltò verso l’amico: il buio consentiva loro di distinguere le rispettive sagome, ma non di guardarsi negli occhi e di questo il rosso fu segretamente grato.
<< Che cosa dovrei dire? >>.
<< Non lo so… qualcosa che non sia un monosillabo >>.

Il rosso ridacchiò. << Da quando Aomine Daiki conosce il significato di monosillabo? >>.
Il moro si ributtò di nuovo sul futon. << Fottiti, Bakagami >>.
Taiga rise; una risata breve e amara che l’altro riconobbe subito. Era il tipo di risata che faceva quando aveva qualche problema ma si sforzava di minimizzare facendo finta che andasse tutto bene.
<< Mi mancherà… sentirmi chiamare Bakagami, dico… >>.

Daiki si mise di nuovo sul fianco e sollevò la testa poggiandola sul gomito. << Non sarà per sempre. Ci sentiremo tutti i giorni e ti chiamerò Bakagami tutte le volte che vuoi >>, finì il tutto con un tono divertito che fece sorridere e imbarazzare Taiga allo stesso tempo.
<< Chiudi quella bocca: sei fottutamente inquietante! >>.
<< Dici così, ma in fondo mi adori, lo so >>.
<< Molto in fondo, Ahomine. Così in fondo che neanche si vede >>.
<< Beh, me ne farò una ragione >>.

Continuarono a punzecchiarsi in quel modo per un po’ finché le risate non si spensero a poco a poco e il silenzio tornò ad avvolgerli.
<< Vedi di non fare troppo il cazzone quando sarai a Kagoshima >> disse d’un tratto il rosso dopo essersi rimesso sotto le coperte.
Aomine si risistemò sul futon e sbuffò fingendosi offeso. << Per chi mi hai preso? E poi è la tua compagnia a tirare fuori il peggio di me >>.
<< Potrei dire lo stesso di te >> replicò Kagami con tono canzonatorio.

Il moro chiuse gli occhi e sussurrò un “fottiti” prima di rimettersi a dormire.
Che dalla reciproca vicinanza avevano sempre e solo tratto il meglio non se lo sarebbero mai detto ad alta voce, ma entrambi ne erano pienamente consapevoli.
 
 


Il mese che mancava alla partenza di Aomine trascorse più in fretta di quanto i due amici avrebbero immaginato e con la fine del penultimo anno di liceo arrivò anche l’ora di salutarsi.

La sera prima del fatidico giorno Taiga e Daiki dormirono nelle rispettive case, attendendo la mattina successiva quando tutto sarebbe stato vero, tangibile, ineluttabile.

Non ne avevano parlato, no. Non erano bravi con le parole o con i sentimenti e nessuno dei due voleva rendere la faccenda più triste di quanto non lo fosse già.
Per questo quel mese l’avevano trascorso come al solito, tra scuola, basket e serate insieme.

Poi Aomine aveva dovuto iniziare a impacchettare la sua roba e Kagami l’aveva aiutato, anche se l’altro non gliel’aveva chiesto. Erano rimasti in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri e ricordi.
Non che non avessero cose da dirsi, ma niente di tutto quello che veniva loro in mente sembrava adeguato, giusto.
Tutto troppo scontato, troppo melenso, troppo difficile.

Come riassumere le loro emozioni con delle banali frasi di saluto? Come racchiudere anni di amicizia, un’intera vita trascorsa insieme in una semplice esternazione di circostanza?
Non era possibile. Non era immaginabile.
 
Così, quando arrivò quel sabato di primavera, l’atmosfera continuò ad essere tesa e malinconica.

Il padre di Daiki, tornato apposta da Kagoshima per aiutare la famiglia nel trasloco, stava finendo di sistemare le ultime valigie in macchina, mentre la madre sua e di Taiga si salutavano.

A qualche metro da loro, i due ragazzi se ne stavano in piedi, uno di fronte all’altro, entrambi con le mani in tasca e le spalle basse.
Una marea infinita di pensieri e parole passò nelle loro menti, ma le bocche sembravano non voler collaborare in modo costruttivo.
 
<< E così ci siamo… >> disse d’un tratto il rosso, rompendo quel silenzio pesante.
Il moro piantò gli occhi nei suoi e schioccò la lingua. << Già… che palle >>.
Le labbra di Kagami si curvarono in un leggerissimo sorriso. << Credo che dovrei dire qualcosa di figo, non so… una frase ad effetto, ma sinceramente ho la testa vuota >>.
<< Questa non è certo una novità, Bakagami. Lo sanno tutti >> lo canzonò Aomine, ghignando.
L’altro gli lanciò un’occhiataccia, ma poi rispose al ghigno. << Vedo che fare il coglione è sempre quello che ti riesce meglio, Ahomine >>.
<< Dopo il basket, se non ti dispiace. In quello sono sempre stato il migliore >>.
<< Sì, a dare fiato alla bocca >>.
Si sorrisero divertiti ed entrambi ebbero lo stesso pensiero. “Mi mancherà tutto questo”.
Ma non lo dissero.

<< Daiki, dobbiamo andare! >> esclamò all’improvviso la madre dalla macchina, sventolando una mano in sua direzione.

I due ragazzi si avvicinarono, ma prima di raggiungere la macchina, il moro si fermò per salutare la madre di Kagami.
Del resto era stata un po’ come una seconda madre per lui: gli aveva preparato più pasti lei di quanto avesse mai fatto la sua di madre, aveva aiutato sia lui che Taiga con i compiti quando erano piccoli e fino ai suoi tredici anni gli aveva sempre fatto un regalo per il suo compleanno, come se fosse stato suo figlio.

Le voleva bene.
<< Grazie di tutto, signora >> le disse appena le fu di fronte. Vide i suoi occhi farsi lucidi e le sue labbra forzarsi in un sorriso.
<< Grazie a te, Daiki. Per esserti preso cura di mio figlio. Mi mancherai >>.
Aomine si portò una mano sulla nuca, imbarazzato. << Anche Lei… e la sua cucina >>.
La donna ridacchiò e si strinse nelle spalle. << Fa’ buon viaggio >>.

Lui annuì e spostò i suoi occhi su Taiga. Si guardarono per lunghi secondi, concentrando in quello sguardo tutte le parole e quei pensieri che non si erano detti per orgoglio o imbarazzo.
 
Vorrei non dover partire…
Vorrei che non partissi…
 
Mi mancherà prenderti in giro e stuzzicarti…
Mi mancherà giocare a basket insieme…
 
Mi mancherà entrare nella tua stanza dalla finestra…
Mi mancherà vederti entrare dalla finestra della mia stanza…
 
Vorrei restare…
Vorrei che restassi…
 
Mi mancherai, Bakagami…
Mi mancherai, Ahomine…
 
 
Quando Aomine aprì la portiera della macchina, fu tentato di voltarsi indietro, ma non lo fece. Così non vide che Taiga lo raggiunse in poche falcate e solo quando si sentì afferrato da dietro, si voltò sorpreso.
Prima che potesse anche solo dire o fare qualcosa si ritrovò stretto tra le braccia del rosso. Lo sentì nascondere il volto nell’incavo del suo collo e un sorriso gli nacque spontaneo.

Rispose all’abbraccio e gli accarezzò piano la schiena. Il suo piccolo Bakagami gli sembrò proprio un bambino in quel momento e senza sapere perché, si sentì piccolo anche lui.
Forse perché il loro rapporto non era poi cambiato così tanto da quando avevano dieci anni.

<< Fatti sentire quando arrivi >> gli disse il rosso appena si separò da lui. Aveva il volto arrossato e un’espressione imbarazzata.
<< Contaci >> rispose il moro con uno dei suoi soliti sorrisetti.
Si separarono del tutto e appena Aomine entrò in macchina, chiudendo lo sportello, il padre alla giuda partì rapido.
 
Solo quando le figure di Kagami e della madre sparirono dallo specchietto retrovisore, Daiki si lasciò scivolare sul sedile con un sospiro profondo.
 
Solo quando la macchina fu talmente lontana da sparire all’orizzonte, Taiga rientrò in casa. Si buttò sul letto e non si mosse per ore.
“Da domani sarà tutto diverso…”.





Ciao a tutti e ben ritrovati con questo secondo capitolo! ^^ posso dire che così si conclude questa sorta di prologo: dal prossimo cap inizierà la storia vera e propria e quindi compariranno i personaggi di Kise e Kuroko ;)
spero che i personaggi non vi siano sembrati OOC... ho considerato che nonostante le personalità, sono stati sempre insieme per 17 anni e che quindi neanche due come loro potevano restare indifferenti a una situazione del genere ^^ ho cercato di non andare troppo di fantasia e di mantenermi il più possibile vicina ai personaggi... anche se ovviamente non è semplicissimo... spero vi sia piaciuto <3
ringrazio tutti quelli che hanno recensito e messo tra la storia tra le seguite, preferite ecc *___* mi ha reso felice ricevere dei commenti. sinceramente ero convinta che questa storia sarebbe passata inosservata XD contenta di essermi sbagliata...
purtroppo sono impegnata con lo studio -dannata università! quindi non so quando potranno esserci gli aggiornamenti... cercherò di fare del mio meglio x non tardare troppo ^^
un bacio e alla prossima

 

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Capitolo 3
*** We are...together again ***


We are...together again




Ciao a tutti! Oddio, sono in un ritardo mostruoso lo so... perdonatemi... TWT spero che ci sia ancora qualcuno interessato a questa storia... purtroppo ho passato dei brutti mesi e non avevo alcuna voglia di scrivere nè ispirazione e dato che a questa fic ci tengo volevo portarla avanti come si deve... finalmente sono riuscita a terminare questo capitolo che ci farà entrare nella storia vera e propria ^^
per ora vi lascio alla lettura ;)


 





Un anno dopo.
 
Quella mattina, appena aprì gli occhi, Kagami si rese conto di star sorridendo.
“Finalmente oggi lo rivedrò” pensò ancor prima di posare i piedi a terra. Il giorno che aspettava da un anno era giunto, alla fine: Daiki stava per tornare a casa e Taiga era talmente emozionato da sentire dentro di sé l’energia di cento uomini.

Si preparò alla velocità della luce, per quanto lo schianto del suo piede contro lo stipite della porta del bagno e le conseguenti imprecazioni rallentarono la sua tabella di marcia.
Ma non gli importava. Quel giorno niente e nessuno avrebbero potuto rovinare il suo buon umore.

Si fiondò in cucina e divorò la colazione preparata dalla madre.
<< Per l’amor del cielo, Taiga! Non mangiare così veloce! Finirai per sentirti male >> lo rimproverò lei, già pronta per andare a lavoro.
<< Tranfulla, ‘to fene >> bofonchiò con la bocca strapiena, beccandosi un’occhiataccia dalla donna. Si batté con forza una mano sul petto e trangugiò la tazza di caffè, evitando per un pelo di morire soffocato dall’omurice.
<< So che sei felice che finalmente Daiki torna a casa, ma… >>.
<< Non è fantastico?! >> esclamò il ragazzo, interrompendola, << quest’anno è stato il più lungo della mia vita! >>.

La donna sospirò, rassegnata, e lo osservò finire la sua colazione. In effetti quell’anno appena trascorso era stato strano anche per lei e vedere il figlio sempre con un’espressione triste in volto e non poter fare niente per aiutarlo non era stato facile.

Sapeva quanto Aomine gli era mancato in tutto quel tempo: quei due avevano vissuto in simbiosi per quasi quindici anni e quella separazione così brusca e improvvisa era stata un duro colpo per  lui. Per fortuna il suo Tai era comunque riuscito a diplomarsi senza problemi e aveva anche deciso di iscriversi all’università.

Ovviamente la stessa di Daiki, tornato apposta a Tokyo proprio per diventare uno studente universitario.
Cosa che aveva sorpreso i genitori di entrambi, dato che nessuno dei due aveva mai dimostrato particolare attitudine allo studio, ma a quanto pareva, l’impegno e la forza di volontà sopperiscono ad altre mancanze.

<< Era tutto buonissimo, grazie ma’ >> dichiarò Kagami, alzandosi in piedi. Si avvicinò alla madre e le scoccò un piccolo bacio sulla fronte, per poi uscire di casa con un “ciao, io vado!” e un sorriso a trentadue denti sulle labbra.
La donna sorrise a sua volta, pensando che era da un anno che non vedeva il suo Tai così felice.
“Forse tornerà tutto come prima, finalmente…”.
 
 

Kagami guardò l’orologio per l’ennesima volta e sbuffò. Le 11:43.
“Com’è possibile che sono passati solo quaranta secondi dall’ultima volta?!”.

Si mise le mani nelle tasche del giubbotto e, senza accorgersene, prese a dondolarsi sui talloni, gli occhi che saettavano di qua e di là, osservando le numerose persone che si muovevano frenetiche per la stazione.
Il treno di Aomine sarebbe arrivato a minuti e Taiga non stava più nella pelle.

Sentiva uno strano nervosismo attraversarlo dalla testa ai piedi: le mani erano sudate e il suo cuore sembrava non riuscire a calmarsi, nonostante il suo continuo darsi dell’idiota per un simile comportamento.
“Neanche fossi una stupida ragazzina…” si disse, scuotendo la testa. Doveva decisamente darsi una calmata.
Aveva deciso di non dire niente a Daiki e di fargli una sorpresa, facendosi trovare ad aspettarlo alla stazione. Immaginò la faccia che l’amico avrebbe fatto non appena l’avesse visto e le sue labbra si curvarono in un sorriso al solo pensiero.
Lasciò vagare lo sguardo e lesse l’ora: le 11:45. “Finalmente!”.

Una voce dagli altoparlanti annunciò l’arrivo del treno da Kagoshima e Kagami quasi saltò sul posto.
I pochi minuti che trascorsero fino a quando il treno si fermò e i passeggeri iniziarono a scendere gli sembrarono così lenti da risultare insopportabili.
Non sapeva da quale carrozza Aomine sarebbe sceso e così iniziò a guardarsi intorno, nervoso. Gli occhi si spostarono veloci finché non scorsero quella figura che avrebbero riconosciuto tra mille.

Certo, il metro e novanta del moro in un paese in cui l’altezza media era un metro e settantacinque facilitava decisamente l’impresa, ma Taiga avrebbe potuto distinguere la figura dell’amico sempre e comunque.
Era sceso dalla carrozza a pochi metri da dove era lui e mentre il rosso lo osservava, ebbe l’impressione che il tempo rallentasse fino a fermarsi.

Poi Aomine si guardò intorno e l’aria indifferente che aveva sul volto sparì non appena il suo sguardo si posò su Kagami. Le persone attorno a loro svanirono, lasciando solo loro due in quel piazzale affollato e rumoroso.
Si fissarono negli occhi, i corpi immobili.
Nonostante si fossero sentiti ogni giorno non solo via telefono ma anche tramite web-chat, a entrambi sembrò essere passata una vita intera dall’ultima volta che si erano trovati faccia a faccia.

Diverse emozioni li colpirono tutte insieme e per lunghi secondi nessuno dei due si mosse.
Alla fine fu Taiga a fare la prima mossa. Avanzò verso l’altro a passo spedito e dovette impedire a se stesso di mettersi a correre e fiondarsi tra le sue braccia.
Quando gli fu davanti, gli sorrise. << Bentornato, Ahomine >>.

Il moro restò interdetto per qualche altro secondo: avere Taiga lì, davanti a sé, con quel sorriso felice e imbarazzato in faccia… cavolo! Non era pronto per quello! Era sicuro che avrebbe avuto il tempo per prepararsi all’idea di rivederlo lungo il tragitto fino a casa e invece lui gli aveva fatto una simile sorpresa.

Sbuffò, fintamente infastidito e ritrovò il suo prezioso ghigno. << Bakagami, che diavolo ci sei venuto a fare fin qua?! Eri così impaziente di rivedermi da non poter più aspettare? >>.
Il rosso aggrottò le sopracciglia. << Mi era quasi dimenticato di quanto fossi bastardo, Ahomine >> lo prese poi in giro, ghignando a sua volta.
<< E io mi ero quasi dimenticato di quanto tu fossi suscettibile, Bakagami >> rispose Daiki, dandogli un buffetto sulla guancia.

Taiga gli scostò il braccio e mise su un piccolo broncio. << Ora che ci penso, saresti potuto restare a Kagoshima ancora un po’ >>.
Al che il moro ridacchiò divertito. << Ma come?! Non sei venuto ad accogliermi alla stazione perché ti mancavo troppo? >>.
<< Sì, ti piacerebbe. Avevo la mattina libera e ho pensato di occupare il tempo in qualche modo…>> bluffò l’altro con finta indifferenza, anche se a stento tratteneva i sorrisi.
<< Sì, certo. A chi vuoi darla a bere, Bakagami? >> esclamò Daiki, afferrando Taiga per il collo e scompigliandogli i capelli con una mano.
I due scoppiarono a ridere, ignorando le occhiate di quelli che gli passavano accanto.

<< Ehm, Aominecchi… >>.
Una voce improvvisa li riscosse, facendoli separare.
“Oh, cavolo! Mi ero scordato di lui!”. Daiki si passò una mano sulla nuca, sul volto un’espressione tra l’infastidito e l’imbarazzato, mentre un ragazzo biondo e alto quanto lui lo fissava con un sorriso nervoso.

Confuso, Kagami fissò il nuovo arrivato: aveva corti capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte, occhi castani dal taglio allungato e un orecchino blu all’orecchio sinistro; indossava un jeans chiaro con diversi strappi, scarpe da ginnastica bianche e un giubbotto nero di pelle sotto al quale si intravedeva una maglia gialla.
“Chi diavolo è?”.
<< Tai, lui è Kise Ryota. Kise, lui è Kagami Taiga >>, Aomine fece le presentazioni, escludendo qualsiasi informazione minimamente utile.
<< Così, sei tu Kagamicchi! >> esclamò il biondo con un largo sorriso, << Aominecchi mi ha parlato così tanto di te. È un piacere conoscerti >>.

“Kagamicchi? Aominecchi? Ma che diavolo sta succedendo…”. Rispose al piccolo inchino del biondo, mentre la sua mente scavava alla ricerca di un qualsiasi ricordo non gli facesse fare la figura dell’idiota.
Fortuna volle che un’improvvisa reminiscenza colpisse il suo cervello al momento giusto. << Sei il compagno di classe di Daiki… >> disse, rivolto più a se stesso che agli altri due, ricordando le volte in cui il moro, parlandogli della nuova scuola, gli aveva accennato di aver fatto amicizia con il ragazzo che era seduto al banco di fronte al suo.
“Quindi è lui…” pensò e qualcosa, non sapeva bene cosa, gli diede subito fastidio.

Kise annuì continuando a sorridere, per poi dare una leggera gomitata al moro. << Aominecchi, non hai detto al tuo migliore amico che sarei venuto a Tokyo con te?! >>.
<< No, non mi ha detto niente >> rispose prontamente Taiga al posto dell’amico con un tono leggermente più acido di quanto avrebbe voluto.
Finalmente Daiki tornava a casa dopo un anno di lontananza e se ne spuntava con il suo ex compagno di classe?

Il moro grugnì, infastidito. Non poteva certo dire che era stato così felice all’idea di poter rivedere Tai da essersi dimenticato di parlargli di Kise. << Tsk! Non facciamone una questione di stato, ok? Mi è passato di mente >> tagliò corto lui. Riafferrò il proprio trolley e si incamminò verso l’uscita della stazione.
<< Aominecchi! >> si lamentò il biondo, correndogli dietro, << sei stato davvero insensibile prima! Come puoi dire che ti è passato di mente parlare di me? >>.

Kagami lo vide imbronciarsi, ma non poté non dargli ragione. Daiki avrebbe anche potuto dirgli una cosa del genere!
Sospirò, rassegnato. Del resto, Daiki non spiccava certo per buon senso né tantomeno per tatto verso gli altri.
Li raggiunse e i tre si avviarono l’uscita.

Durante il tragitto verso casa, Taiga scoprì l’arcano mistero dietro la presenza di Kise. A quanto pareva, il biondo aveva tutta l’intenzione di intraprendere la carriera di modello – cosa di cui il rosso non si sorprese considerando l’effetto che faceva su tutte le ragazze che incrociarono – e per realizzare questo suo sogno, aveva deciso di trasferirsi a Tokyo appena finito il liceo.

Dato che Aomine vi avrebbe fatto ritorno per l’università e che avrebbe avuto casa sua a disposizione, aveva accettato la proposta di Kise, ovvero ospitarlo finché lui non avesse iniziato a guadagnare abbastanza da potersi permettere un appartamento tutto suo.
<< È una fortuna che i tuoi genitori siano rimasti a Kagoshima e che tu abbia una casa tutta per te. Mi hai proprio salvato, Aominecchi >> disse il biondo mentre erano sulla metropolitana.
<< Già. E visto che sei in debito con me e che non ti faccio pagare nessun affitto, ti toccherà fare le faccende domestiche >> lo avvertì il moro con tono serio.

L’altro annuì tutto contento e si aggrappò al braccio di Daiki. << Non preoccuparti, Aominecchi, sarò il miglior coinquilino del mondo >>.
<< Lo spero bene >>.
Kagami li fissò in silenzio, senza sapere bene cosa dire. Non solo Aomine se n’era spuntato con un ragazzo, ma ci avrebbe anche condiviso casa.
La casa accanto la sua.
Kise sembrò avere lo stesso pensiero, perché si voltò verso il rosso. << Così io e Kagamicchi saremo vicini di casa! >> esclamò felice come una pasqua.

Taiga non capiva tutta quella felicità, ma immaginò che fosse naturale per il biondo essere elettrizzato all’idea di iniziare una nuova vita in nuova città. Sembrava davvero un tipo a posto e se Aomine aveva accettato tutto quello, di sicuro voleva dire che il loro legame si era rafforzato abbastanza durante l’ultimo anno.
Ciononostante, il suo braccio avvinghiato a quello di Daiki e il fatto che il moro non facesse niente per liberarsi dalla sua presa gli diedero fastidio per tutto il tempo.
 
 
 
<< L’hai lasciata aperta per me? >> domandò Aomine, entrando nella stanza di Kagami dalla finestra.
Steso sul letto a leggere un manga, il rosso sollevò la testa dal cuscino e fissò l’amico in piedi al centro della camera.
<< Sentivo caldo >> disse soltanto, riportando gli occhi sulle pagine.

Daiki schioccò la lingua, mentre una sensazione di disagio gli cresceva dentro. Da quando erano saliti sulla metro, il rosso aveva spiccicato sì e no cinque parole e appena erano arrivati a destinazione, si era rintanato in casa con la scusa di lasciare lui e Kise a sistemarsi e a disfare le valigie.
Ma dopo essersi cambiato, il moro aveva visto la finestra aperta e non aveva resistito a fare quel piccolo salto che lo avrebbe portato da Kagami.
“Le vecchie abitudini sono dure a morire, mi sa…”.

Anche un gesto apparentemente insignificante come quello gli era mancato così tanto da non riuscire a capacitarsene lui stesso.
Si sedette sul bordo e gli tolse il fumetto dalle mani, beccandosi un’occhiataccia.
<< Si può sapere che hai? >> gli chiese, fissando gli occhi nei suoi.
Taiga si puntellò sui gomiti e distolse lo sguardo. << Niente >>.
<< Sarò anche stato via per un anno, ma ti conosco ancora come le mie tasche, Tai. Che ti succede? >>.
<< Non so di che stai parlando. Sto benissimo >> replicò lui, mettendosi seduto, la schiena poggiata alla parete.

Il moro sbuffò, irritato. << È per la faccenda di Kise? Senti, mi dispiace di non averti detto niente, ok? Non l’ho fatto apposta, mi è solo… >>:
<< Sfuggito di mente. Sì, l’ho capito >>.
<< Non pensavo che ti avrebbe dato così fastidio. Sto solo facendo un favore ad un amico >>. Non riusciva davvero a capire perché Taiga si stesse comportando in quel modo.
<< Lo so >> rispose il rosso con tono mesto.
<< E allora perché hai la faccia di uno che è stato appena scaricato dalla ragazza? >>.

Kagami sollevò lo sguardo e lo fulminò con un’occhiataccia. << Non lo so, ok? >> sbottò all’improvviso, sorprendendo Aomine, << è solo che questo doveva essere il nostro giorno. Pensavo che finalmente sarebbe tornato tutto come prima e invece tu te ne spunti con quel biondino che adesso vivrà pure a casa tua, senza avermi detto niente, fra l’altro! Mi ha dato fastidio e lo so che è stupido e infantile, ma non ci posso fare niente >>.

Il moro lo guardò in silenzio per qualche istante e dentro di sé non poté non sorridere alla vista delle sue guance che si coloravano e dei suoi occhi che evitavano accuratamente di guardarlo.
Taiga era sempre stato possessivo nei suoi confronti, ma di solito era bravo a non darlo a vedere. A quanto sembrava, tutta quella storia di Kise lo aveva davvero irritato.

Allungò una mano e gli accarezzò i capelli. << Hai ragione, Tai. È colpa mia, sono una persona pessima e non merito un amico perfetto come il mio Bakagami >>.
Il rosso sollevò lo sguardo e accennò un sorriso. << Puoi dirlo forte, Ahomine >>.
Daiki rise e gli scompigliò i capelli con più forza. << Ecco qua il Bakagami che mi è mancato tanto! >>.
Taiga rise insieme a lui, per poi afferrare il cuscino dietro di sé e colpire l’amico in piena faccia.
Come tutto questo si trasformò in una feroce lotta di cuscini non è difficile immaginarselo.
 
 
 
<< Ehi, ragazzi, vi va di andare a fare due tiri al campetto? >> propose Aomine di getto, dopo che lui e Kise ebbero finito di disfare le valigie.
Aveva promesso al biondo che gli avrebbe mostrato le bellezze di Tokyo, ma ad essere sinceri non aveva tutta questa gran voglia di andarsene in giro.
Ciò che più di ogni altra cosa voleva fare era giocare a basket con Taiga.
Gli erano mancati così tanto i loro pomeriggi passati col pallone in mano, gli one on one senza esclusione di colpi finché erano entrambi talmente stanchi da non trovare neanche più la forza di punzecchiarsi.

Avrebbe voluto giocare solo con Taiga, ovviamente, ma non gli sembrava affatto corretto lasciare Kise da solo: era in una nuova città e non conosceva nessun’altro a parte lui e il rosso.
A quella proposta gli occhi di Kagami si illuminarono e Aomine poté ben comprenderne il motivo: di certo non era stato l’unico a sentire la mancanza delle loro partite a basket.
Dal canto suo, Kise accettò di buon grado, più che altro per la curiosità di veder giocare gli altri due, dopo tutte le volte in cui il moro gli aveva raccontato spesso della passione per il basket che condivideva con Kagami.
Voleva davvero vedere se erano bravi come aveva sempre sostenuto Daiki.
 
 
<< Buon pomeriggio, Kagami-kun >>.
Un’improvvisa voce alle sue spalle fece saltare Taiga sul posto, un grido spezzato ad accompagnare il movimento. Si voltò, ingoiando un’imprecazione, ben consapevole di chi si sarebbe trovato davanti.
<< Per la miseria, Kuroko! Quante volte ti ho detto di non comparire all’improvviso come un dannato fantasma! Un giorno di questi mi farai venire un infarto… >>.
<< Veramente sono qua da un paio di minuti >> replicò Kuroko con la sua voce monocorde, gli occhi azzurri fissi su Kagami.

Il rosso sbuffò e solo allora si accorse degli sguardi curiosi e confusi di Kise e Aomine posati su di loro. Erano appena arrivati al campetto e stavano cercando di decidere come giocare a basket in tre, quando il saluto di Kuroko aveva tolto al rosso dieci anni di vita.
“Lui e la sua inquietante capacità di passare inosservato!”.
<< Ragazzi, lui è Kuroko Tetsuya, siamo stati in classe insieme quest’ultimo anno. Loro sono Aomine Daiki e Kise Ryota >>.
<< Piacere di conoscervi >> rispose il nuovo arrivato, inchinandosi educatamente.

Finite le presentazioni, Kagami propose di far giocare Kuroko con loro, così avrebbero potuto scontrarsi due contro due.
Dopo una piccola discussione, riuscirono a decidere le squadre: Kise e Aomine contro Kagami e Kuroko e iniziata la partita, non mancarono le sorprese da parte di entrambe.

Kise era tanto bravo da riuscire a tenere il passo di Aomine senza problemi e i due dimostrarono una sintonia non indifferente: il biondo sembrava riuscire a leggere le sue mosse, anticipando ciò che il moro avrebbe voluto fare e aiutandolo in ogni modo. Dal canto suo il moro si fidava dell’intuizione e del sostegno dell’altro e, nonostante Daiki fosse il tipo che preferiva giocare da solo, concedeva al biondo di aiutarlo.
La cosa infastidì parecchio Kagami.
Ma la sorpresa più grande giunse proprio dal suo compagno di squadra, il cui modo a dir poco inusuale di giocare a basket stupì non poco i due avversari.

Anche Taiga era rimasto sconcertato la prima volta che aveva giocato insieme a Kuroko. Beh, forse sarebbe più corretto dire che tutto quello che riguardava Kuroko aveva sempre lasciato il rosso sconcertato, a cominciare proprio dal suo passare completamente inosservato.
Quante volte il cuore gli era schizzato in gola a causa sua! E nonostante il piccoletto insistesse nel dire che era Kagami a non accorgersi di lui, Taiga continuava a trovare la faccenda leggermente inquietante.

Eppure aveva legato molto con Kuroko durante l’ultimo anno di scuola e il basket aveva sicuramente fatto da collante.
Adesso però erano Kise e Aomine a dover fare i conti col suo modo di giocare fatto di assurdi passaggi, finte e sparizioni di cui i due non riuscivano a capacitarsi, senza contare il modo in cui Kagami riusciva a gestirlo ed esserne in perfetta sincronia e il modo in cui Kuroko sembrava sempre sapere come e quando il rosso avrebbe preso i suoi passaggi.
La cosa infastidì parecchio Aomine.
 
La partita si concluse 40 a 32 per Kagami e Kuroko.
<< Uffa, abbiamo perso! >> esclamò Kise, asciugandosi il sudore del volto col bordo della maglietta.
Il rosso allungò il pugno chiuso verso Tetsu e questi vi fece scontrare piano il suo, un sorriso di soddisfazione sulle labbra di entrambi. Al ché Aomine grugnì, irritato; raggiunse Kagami e gli mise un braccio sulle spalle.

<< Voglio la rivincita, ma questa volta mi prendo Tai >>, poi avvicinò la bocca al suo orecchio, << facciamogli vedere chi siamo >>, disse e Taiga sentì un piacevole e familiare brivido lungo la schiena.
Il risultato del secondo scontro fu decisamente prevedibile: Kise e Kuroko non si conoscevano e il biondo non riusciva ad adattarsi al suo modo di giocare e, nonostante gli sforzi, fu impossibile acquisire una sintonia sufficiente, mentre la potenza esplosiva di Aomine e Kagami unita alla loro perfetta armonia acquisita nel corso di anni distrusse gli avversari.

I due vincitori sorrisero ed esultarono, per poi far scontrare i loro petti in un impeto di gioia.
Si guardarono negli occhi e poterono leggere le proprie emozioni riflesse in quelli dell’altro, così come era sempre stato e come sarebbe stato anche in futuro.
Forse…








Ecco che finalmente entrano in scena Kise e Kuroko e ovviamente non poteva che concludersi tutto con una partita di basket ^^ anche se siamo in un AU, non riesco proprio a vedere i miei bei ragazzoni senza un pallone in mano u.u
bene, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che siate curiosi di leggere il seguito :3 farò del mio meglio per non ritardare di nuovo con gli aggiornamenti e ringrazio tutti voi che avete letto, recensito e messo la fic tra le seguite/ricordate/preferite <3
un abbraccio e a presto :*

 

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Capitolo 4
*** We are...confused ***


We are... confused



Hello everybody!! Vi devo nuovamente chiedere scusa per l'ennesimo ritardo TWT *gomen* ma spero che questo capitolo più lungo dei precedenti vi ripagherà per l'attesa ^^ buona lettura!




 

Caldo.
Caldo dappertutto. La stanza sembrava diventare più calda ad ogni bicchiere che mandavano giù e anche più sfocata… e meno stabile…
Un po’ come la loro vista e la loro capacità motoria.

Diverse bottiglie di vodka e lattine di Red Bull giacevano ormai vuote sul pavimento della camera di Aomine, mentre quest’ultimo se ne stava disteso sul letto in modalità “coma vegetativo”. Dal canto loro, Kise e Kagami non erano messi molto meglio: il biondo era seduto sulla poltroncina girevole della scrivania e il rosso era invece a terra, la schiena poggiata al lato del letto.

La musica e le risate che avevano dato il via alla serata erano scemate fino a scomparire, lasciando il posto a brevi lamenti, rutti e frasi senza senso buttate qua e là condite da inutili sghignazzamenti.

Molto probabilmente in quel momento i tre non erano neanche in grado di compiere semplici calcoli a mente tipo… beh, 2+2.
Forse potevano arrivare all’1+1, ma non c’era da starne certi.
Come si erano ridotti in quello stato? Semplice: Aomine aveva aperto la sua boccaccia a sproposito.

E da un “dobbiamo festeggiare il mio ritorno a casa e l’arrivo di Kise”, che aveva incontrato l’ingenuo entusiasmo di Taiga e del biondo, erano arrivati a proporre brindisi in onore di Michael Jordan, delle tette grosse, di Camelot e di Artù e dei film degli Avengers.

Ultimo brindisi, questo, che aveva anche scatenato un’accesa discussione su quale fosse il Vendicatore più forte: Kise tifava Thor, Aomine Iron Man e Kagami Hulk. La diatriba super-eroistica non aveva visto un vincitore e si era conclusa con la comune accettazione che Vedova Nera era un gran gnocca.
Un risultato che aveva calmato gli animi.

Poi le cose erano degenerate, i bicchieri e le bottiglie si erano svuotati e le chiacchiere si erano fatte sempre più assurde e prive di senso.

Quando, con uno degli ultimi sprazzi di lucidità, Kagami capì che stava per addormentarsi sul pavimento, decise che era meglio tornarsene a casa sua e ringraziò mentalmente il fatto di abitare a pochi metri da Aomine, perché sapeva che quei metri erano l’unica distanza che sarebbe riuscito a percorrere nelle sue condizioni.

Si alzò in piedi a fatica, sbuffando e grugnendo, passandosi poi una mano tra i capelli. << Okay ragazzi… io… io me ne vado a ca…uhm… a ca… vado … >>. Ogni parola gli costò uno sforzo non indifferente; anche il solo riuscire a pensare a una sequenza logica di parole gli sembrò difficilissimo e dannatamente faticoso.

Sospirò e lanciò un’occhiata al moro, il quale, sdraiato sul letto a gambe e braccia divaricate e gli occhi socchiusi, mosse pigramente una mano in segno di saluto, segno che almeno l’aveva ascoltato.

Barcollando, il rosso si avviò verso la porta e agitò una mano in direzione di Kise, la cui risposta fu un cenno con la testa e un sorriso stanco.

Una volta uscito il rosso, Ryota si disse che era arrivato anche per lui il momento di andarsene a letto. “Cavolo… abbiamo bevuto troppo…” pensò, osservando le bottiglie sparse sul pavimento e lo stato in cui versava Aomine.

Si alzò dalla sedia e si avvicinò al letto, giusto per controllare l’occupante. I pantaloni della tuta erano stato arrotolati fino alle ginocchia, probabilmente quando, a causa dell’alcol, aveva cominciato a sentire caldo; la maglietta a maniche corte si era sollevata un po’ e lasciava intravedere una striscia di pelle dell’addome, mentre le braccia lunghe e muscolose erano aperte fino a penzolare fuori dai bordi del letto.

Kise deglutì sonoramente. Sentiva caldo. Molto caldo.
Gli sembrava di riuscire a percepire l’alcol che continuava a riscaldarlo da dentro e la cosa era piacevole e fastidiosa allo stesso tempo. “O forse sono davvero sbronzo e sto cominciando a delirare…”.

Strinse gli occhi e li posò sul viso di Aomine.
Era bello.
Maledettamente bello, di quella bellezza affilata e pungente come i suoi lineamenti. Come i suoi occhi.

Cavolo, quegli occhi avevano fatto impazzire Kise dalla prima volta che avevano incrociato i suoi. Sembravano taglienti come lame ma allo stesso tempo sapevano essere profondi come l’oceano più oscuro e lontano.

Lui ci avrebbe volentieri lasciato l’anima in quell’oceano. Lo sapeva e saperlo continuava a spaventarlo.
Ancora oggi, a distanza di un anno da quando si erano conosciuti, si chiedeva come fosse riuscito a non far trapelare i suoi sentimenti, a nascondere come si sentiva ogni volta che guardava Daiki, che lui gli parlava o gli sorrideva, con il cuore che gli batteva all’impazzata e i pensieri che si aggrovigliavano e inciampavano su loro stessi.

“Potrei avere un talento eccezionale nella recitazione…” aveva più volte pensato amaramente, rendendosi comunque conto di quanto quel continuare a fingere prima o poi gli avrebbe fatto commettere qualche cazzata.

Si era sentito attratto da Aomine fin dal primo giorno e da allora ricordava ogni momento che avevano trascorso insieme.
Non sapeva perché il moro gli piacesse così tanto; del resto non aveva un carattere proprio semplicissimo: era un arrogante menefreghista dalla lingua lunga e la risposta sempre pronta, adorava prendere in giro gli altri e sapeva reagire bene alle provocazioni. Di sicuro non il classico tipo con cui faresti amicizia al primo colpo.

Eppure Kise ci era riuscito, grazie anche al suo essere appiccicoso – come l’aveva definito il moro - e al fatto che Daiki, nonostante l’atteggiamento, si fosse sentito solo e spaesato in una città e in una scuola in cui non conosceva nessuno.

E se c’era una cosa in cui il biondo era bravo era conquistare l’attenzione degli altri.
Il legame tra i due era cresciuto abbastanza velocemente e quando il biondo aveva capito quanto fossero reali e sinceri i suoi sentimenti nei confronti dell’altro, aveva avuto una fottuta paura, ma allo stesso tempo non era riuscito ad allontanarsi.

Sapeva che fingere, mentire, nascondersi sarebbe stato doloroso, ma non era pronto a dirgli addio.
Nonostante il tempo passato, continuava a sentirsi confuso, triste, felice e spaventato e l’unica cosa che riusciva a fare era restargli al fianco come amico.

E se per l’anno trascorso a Kagoshima erano stati solo loro due e questo gli era bastato, adesso era tutto diverso.
Il rapporto tra Aomine  e Kagami era qualcosa a cui Kise pensava di essere pronto, ma così non era stato.

Vederli insieme, vedere l’enorme alchimia che c’era tra loro, vedere il modo naturale in cui si parlavano, si punzecchiavano, si respiravano l’un l’altro, come se stare insieme facesse parte di loro stessi l’aveva reso geloso.
Geloso marcio.

Lo stesso modo in cui si era sentito tutte le volte che Daiki gli aveva parlato del rosso e i suoi occhi avevano brillato e la sua bocca aveva sorriso e lui era sembrato più bello e felice.
Faceva male. Un tipo di dolore a cui non era abituato e per il quale non poteva biasimare nessuno se non se stesso.

Non erano colpa di Aomine i suoi sentimenti nei suoi confronti. Non era colpa di Kagami se era la persona più importante nella vita del moro. E non era colpa di loro due se Kise li avrebbe voluti separare.
Ma faceva male comunque.
 
Sospirò profondamente e si stropicciò gli occhi con una mano per poi posarli ancora su Daiki, il cui respiro lento e regolare gli fece capire che stava già dormendo profondamente.

Si sedette sul bordo del letto e lo osservò, nonostante la vista fosse offuscata e instabile. Il viso del moro era leggermente voltato verso di lui e Kise si rese conto che lo stava accarezzando solo quando sentì la consistenza della pelle sotto i polpastrelli.
Sgranò gli occhi per un attimo ma non tolse la mano. Le sue dita passarono delicatamente dai capelli agli zigomi, dalle guance alla mascella per poi tornare verso le labbra.

La pelle di Aomine era davvero morbida.
Deglutì ancora una volta e sentì il cuore iniziare a battergli freneticamente nel petto. Daiki era lì, davanti a lui, così indifeso e vulnerabile e Kise non resistette.

Sapeva che era sbagliato, che non avrebbe mai dovuto fare una cosa del genere, ma c’era così tanto caldo e il moro era così bello e lui era così tanto innamorato…

Si chinò su di lui e posò dolcemente le labbra sulle sue. Fu un leggero sfiorarsi – non voleva rischiare di svegliarlo – ma fu sufficiente per fargli schizzare il cuore in gola e aggrovigliare le budella.

Quelle labbra… l’avevano tenuto sveglio la notte e l’avevano tormentato con sogni dove lui divorava loro e loro divoravano lui.
Sogni che l’avevano eccitato e fatto vergognare, ma che non aveva potuto fermare in alcun modo.

E adesso, come avrebbe potuto resistere dopo tutti i mesi in cui si era trattenuto?
Era ben consapevole della banalità delle sue scuse, ma l’alcol gli stava togliendo ogni paura e freno inibitore e lui non voleva fermarsi.
Spostò le labbra lungo la mascella e poi sul collo, continuando a lasciare baci piccoli e delicati e inebriandosi del profumo e della consistenza della pelle di Aomine.

Incapace di trattenersi, intrufolò una mano sotto la sua maglietta, stando sempre ben attento che il su tocco fosse il più leggero possibile. Seguì le linee dei muscoli con i polpastrelli, mentre la bocca continuava il suo lavoro sul collo del moro.

Lasciò vagare la mano sul petto e sull’addome, ringraziando mentalmente il fatto che l’alcol avesse messo Daiki k.o., ma sentendosi allo stesso tempo in colpa per il suo comportamento. Una vocina nella sua testa gli gridava di smetterla, ma la sua eccitazione cresceva sempre di più e gli procurava pensieri lascivi che si aggrovigliavano tra loro.

Desiderò poterlo toccare davvero ed essere toccato a sua volta e questo desiderio minacciava il suo equilibrio mentale. Senza che riuscisse a fermarla, la sua mano, come spinta da una volontà propria, scese ancora di più, superò l’elastico della tuta e accarezzò l’intimità di Aomine da sopra la stoffa dei boxer.

Doveva fermarsi, lo sapeva. Doveva farlo ora, prima che fosse troppo tardi.
Il moro emise un mugolio e mosse la testa.

Kise sentì il proprio corpo irrigidirsi e la paura prese il sopravvento sull’eccitazione. Si staccò di colpo, scattò in piedi e per poco non cadde a terra. Si portò le mani sul viso, spaventato e disgustato da ciò che stava facendo.

“Oh merda! Che cazzo mi è preso?!”. Si allontanò rapido dal letto e uscì fuori dalla stanza, la paura che gli pulsava nelle vene.
Raggiunse la sua stanza e, chiusa la porta a chiave, si lasciò scivolare per terra. Avvicinò le ginocchia al petto e si prese la testa fra le mani: mai come in quel momento si vergognò così tanto di se stesso e dei suoi sentimenti verso Aomine Daiki.
 
 
 
 
Diversi giorni dopo
 
<< Quindi più tardi ti vedi con Kuroko? >>. Aomine sollevò lo sguardo dal cellulare che teneva in mano e lo puntò su Kagami seduto di fronte a lui.
Il rosso bevve un sorso del suo caffè e annuì. << Mi ha chiesto di vederci alle cinque al parco vicino la stazione. A quanto pare deve dirmi qualcosa di importante >>.

Il moro lasciò vagare lo sguardo per la mensa dell’Università, gremita di studenti. Il vociare continuo e il suono delle sedie che si spostavano riempivano l’ampio e luminoso locale moderno, mentre Taiga e Daiki finivano di consumare il loro pranzo.
<< Che cavolo sarà mai che non può dirtelo per telefono? >> se ne uscì Aomine con quel suo tono che riusciva a risultare un perfetto incrocio tra l’annoiato e l’infastidito.

L’altro lo guardò e abbozzò un sorriso. << Lo saprò più tardi >>.
Il moro fece schioccare la lingua e poggiò il mento su una mano, inclinando leggermente la testa. << Quel Kuroko è un tipo… mhm particolare >>.
<< Abbastanza >> convenne il rosso ridacchiando, << ma è uno a posto >>.

Daiki assottigliò gli occhi e qualcosa, nel profondo della coscienza, lo irritò. << Di sicuro ha un modo assurdo di giocare a basket. Quei passaggi e la sua mancanza di presenza… non avevo ma visto niente del genere >>.
<< Nemmeno io. Ci ho impiegato mesi per abituarmi a lui sul campo, però devo ammettere che è pazzesco >>.

Qualcosa, di nuovo, irritò Aomine, ma lui fece ciò che gli riusciva meglio: ignorarlo. Schioccò di nuovo la lingua e si risollevò dal tavolo sul quale stava per scivolare senza controllo.

<< Finalmente hai deciso di sederti come una persona normale, Ahomine. Sembrava che ti si stessero sciogliendo le ossa. Prima o poi ti verrà la gobba >> lo rimproverò Taiga con tono materno, tanto che la risposta dell’amico fu: << Ti preoccupi troppo, mammina >>.
Il tutto accompagnato dal suo solito sorrisetto di sfida.

Sfida a cui Kagami rispose assestandogli un calcio da sotto il tavolo.
<< Ahia! Era proprio necessario, Bakagami?! >> sbottò Aomine, massaggiandosi la gamba dolorante.
Il rosso ghignò e si portò il bicchiere alle labbra, finendo il caffè in un sorso. << Pensandoci bene, avrei dovuto colpirti in testa. Forse te l’avrei messa a posto >>.

<< Fottiti >> replicò l’altro a denti stretti e provò a ripagarlo con la stessa moneta, ma Taiga bloccò il calcio in arrivo e, come sempre quando si trattava di loro due, la situazione degenerò in una lotta serrata sotto il tavolo.

Lotta alla vista della quale due ragazze che passavano là accanto ridacchiarono divertite.
Kagami e Aomine fermarono subito le ostilità, ma mentre il primo, in imbarazzo, si coprì il viso con una mano, il secondo seguì con lo sguardo le studentesse e sorrise in un modo che, secondo lui, voleva essere seducente.

Il rosso lo fulminò con un’occhiataccia che l’altro non vide perché troppo impegnato a fissare le gambe e i sederi delle due ragazze che si allontanavano.
<< Quando hai finito di sbavare, possiamo andarcene >> se ne uscì d’improvviso Taiga con un tono più acido di quanto avrebbe voluto.
Daiki si voltò vero di lui senza smettere di ghignare. << Che c’è, hai le tue cose, Tai? >>.

Se uno sguardo avesse potuto uccidere, l’occhiataccia di Taiga avrebbe appena mandato l’amico all’altro mondo. Si alzò in piedi e afferrò il vassoio per poi riporlo in uno degli appositi carrelli e dopo che anche Aomine fece altrettanto, si allontanarono dalla mensa.

D’improvviso però Kagami si ritrovò il braccio dell’altro sulla spalla e una mano che gli punzecchiava la guancia.
<< Oh, dai, Bakagami, non dirmi che ti sei offeso >> gli disse il moro con tono infantile e lamentoso, senza smettere di tormentargli la guancia e trattenendo a fatica le risate.

Godersi le reazioni di Taiga ai suoi dispetti era un piacere di cui non avrebbe mai fatto a meno e che nell’ultimo anno trascorso lontano da lui gli era mancato terribilmente.

Il modo in cui aggrottava le sopracciglia e metteva il broncio aveva come unico risultato quello di fargli aumentare la voglia di stuzzicarlo e Aomine difficilmente resisteva alle sue voglie.
<< Falla finita, Ahomine! >> sbottò allora il rosso, colpendogli la mano, << ci stanno fissando tutti! >>.

Al che Daiki si diede un’occhiata attorno, constatando che molti occhi dei passanti erano puntati su di loro; peccato che a lui non importasse niente.
<< E chi se ne frega! >> fu l’ovvia replica.

<< Sei arrabbiato con me, Tai? Dai, su, non arrabbiarti. Mi perdoni? >> continuò il moro con il tono ancora più infantile e lamentoso di prima.
Kagami lo guardò con la coda dell’occhio –e per quanto fosse consapevole dell’insita stronzaggine di Aomine-  non resistette a quell’espressione da cucciolo bisognoso d’affetto e attenzioni e senza volerlo le sue labbra si curvarono in un sorriso.

Quando si trattava di Daiki, quello era decisamente uno dei punti deboli di Taiga.
<< Se ti levi di dosso, ti perdono >> gli concesse alla fine e il broncio dell’amico si trasformò in quel sorrisetto di vittoria da “ah-ah, te l’ho fatta! La mia tecnica funziona sempre”.
Peccato che il moro non si rendesse conto che la sua “tecnica” funzionasse solo con Kagami.
 
 
 
 
 
<< Buon pomeriggio, Kagami-kun >>.
Per l’ennesima volta da quando l’aveva conosciuto, Taiga sussultò all’improvvisa comparsa dal nulla di Kuroko.

Era seduto sulla panchina del parco dove si erano dati appuntamento e distratto –o meglio dire impaurito- da due cani che giocavano tra loro a pochi metri da lui, non si era accorto della figura di Kuroko che si avvicinava.

Figura della quale molto probabilmente non si sarebbe accorto lo stesso, tanta era la sua convinzione che l’amico avesse la capacità di apparire e scomparire a proprio piacimento, infischiandosene di tutti gli infarti che poteva procurare.

Sollevò una mano nella sua direzione e lo salutò con un semplice “ciao”. Lo osservò mentre gli si sedeva accanto, l’aria impassibile come al solito: indossava un jeans chiaro, un paio di Nike bianche e una felpa nera con zip e cappuccio.
<< Allora, di cosa volevi parlarmi? >> buttò subito fuori Kagami, sforzandosi di non prestare attenzione ai rumorosi cani dietro di lui.

<< Dritto al punto, eh? >> replicò Kuroko e il rosso poté quasi giurare di cogliere una nota divertita nella sua voce, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
Quando si trattava di Kuroko, era sempre difficile cogliere le sue emozioni.

<< Beh, mi hai chiesto di vederci per parlarne di persona e ho pensato che fosse qualcosa di molto importante… >>.
<< In effetti lo è >>.
<< Bene. Di che si t… >>.
<< Ma non è facile da dire e potrebbe rovinare la nostra amicizia >>.

Kagami aggrottò le sopracciglia e si voltò verso l’altro per poterlo guardare meglio. Sembrava dannatamente serio, gli suoi occhi azzurri fissi su un punto davanti a lui e le mani l’una nell’altra.
<< È una cosa così brutta? >>. In realtà non sapeva bene cosa chiedergli o se avesse fatto meglio a restare in silenzio e aspettare che fosse Tetsuya a parlare, ma la curiosità stava avendo la meglio su di lui.

<< Potrebbe esserlo e per questo ho un po’ paura a dirtelo, perché sono felice di averti conosciuto e di essere tuo amico e non vorrei perderti >>.
Taiga si morse un labbro e rimase in silenzio. Da quando si erano conosciuti, Kuroko non era mai stato uno di molte parole ma, nonostante le sue peculiarità, sapeva esserci e per Kagami era stato un buon amico in quell’ultimo anno.

Era stato l’unico a ridargli il sorriso e la voglia di impegnarsi dopo la partenza di Aomine: se non ci fosse stato lui, forse non sarebbe neanche riuscito a diplomarsi. Era stato bello averlo affianco, ma adesso le sue parole stavano preoccupando anche lui.

Prese un respiro. << Okay, facciamo così: ti prometto che qualsiasi cosa sia, non lascerò che rovini la nostra amicizia. Ora sei più tranquillo? >>.
Kuroko sollevò lo sguardo su di lui e le sue labbra si curvarono in un leggero sorriso. << Questo è uno dei motivi per cui mi piaci, Kagami-kun >>.

<< Oh beh, anche tu mi piaci >> rispose il rosso con noncuranza, non rendendosi assolutamente conto dell’effetto che quella frase ebbe sull’altro.
<< Davvero? >>.
L’espressione di Taiga si fece un attimo perplessa. << Certo! Sei un buon amico, ma cosa c’entra questo col discorso di prima? Di cosa volevi parlarmi? >>.

Kuroko si sentì sgonfiare d’improvviso come un palloncino che viene bucato, ma fu bravo a non darlo a vedere. Del resto, conosceva bene Kagami: doveva aspettarselo che non avrebbe capito subito, ma la sua ingenuità era uno dei tratti che più gli era piaciuto di lui fin dall’inizio.

Si fece coraggio, nonostante l’ansia e il cuore che batteva veloce. Piantò gli occhi nei suoi e parlò di nuovo. << Kagami-kun, tu mi piaci >>.
<< L’ho capito, non c’è bisogno che lo ripeti. Non sono stupido >>.

Tetsuya ebbe voglia di ridergli in faccia e prenderlo a pugni allo stesso tempo; così chiuse gli occhi un momento e si decise ad essere il più chiaro possibile.
<< Kagami-kun, tu mi piaci e non come amico. Ti sto dichiarando i miei sentimenti per te. Ora hai capito? >>.

Il silenzio calò tra i due, mentre il rosso cercava di elaborare ciò che aveva appena sentito. Kuroko poteva quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello che si mettevano in moto e se la situazione fosse stata diversa, l’avrebbe anche trovata divertente.
<< A-aspetta… mi stai dicendo che io… ti piaccio? In quel senso? >> chiese ancora insicuro e confuso su ciò che stava succedendo.

Un ragazzo si stava dichiarando a lui? Il suo amico Kuroko si stava dichiarando a lui? Era forse uno scherzo di pessimo gusto?
<< Esatto, Kagami-kun >> confermò Tetsuya, la voce calma e l’espressione seria e imperscrutabile.

Il rosso sgranò gli occhi e per lunghi momenti non seppe assolutamente cosa fare o cosa dire.
<< Quindi sei… ecco, insomma, sei gay? >>. Okay, quella era di sicuro la domanda più stupida che avrebbe potuto fare.
<< Non lo so. Non mi erano mai piaciuti altri ragazzi: tu sei il primo. Non ti sto chiedendo di metterci insieme, Kagami-kun; vorrei solo che pensassi alla possibilità di provarci, magari >>. Okay, questa gli era uscita proprio male.

Il suo desiderio sarebbe ovviamente stato quello di diventare ragazzo e ragazzo, di essere una coppia vera e propria; avrebbe voluto sentirsi dire che i suoi sentimenti erano ricambiati e avrebbe voluto baciarlo lì, su quella panchina, ma sapeva che era impossibile. Almeno per ora.
<< Ah… ecco… io… io non so proprio cosa dire… >>. Taiga si accarezzò la nuca, imbarazzato.

Si sentiva decisamente spiazzato e incredulo. Non aveva neanche mai minimamente sospettato che Kuroko potesse avere simili sentimenti nei suoi confronti e davvero non sapeva cosa fare.
Come ci si comportava in questi momenti?

Vide l’altro distogliere lo sguardo, a disagio. << Ti faccio schifo adesso? >>.
Kagami sgranò gli occhi. << Cosa?! No, no, non è come pensi! >> si affrettò a rispondere, agitando le mani nervosamente, << non mi fai schifo! Non pensarlo neanche, okay? Sono solo… abbastanza scioccato, direi. Quando mi hai detto che volevi parlarmi di una cosa importante, non avrei mai immaginato si trattasse di questo… >>.

<< Sei davvero gentile, Kagami-kun >> rispose l’altro con tono affettuoso, abbozzando un sorriso.
Il rosso si accarezzò di nuovo la nuca. << Da quanto tempo… sì, insomma, da quanto ti piaccio? >>.
<< Mmh, l’ho capito quando siamo andati in gita a Kyoto >>.
<< Ma… è stato al ritorno dalle vacanze estive! >> esclamò Taiga sorpreso. Questo significava che piaceva a Kuroko da circa sei mesi.

“Cavolo… è un sacco di tempo… e io non mi sono accorto di nulla…”. In un certo senso, si sentiva anche in colpa per non averlo capito prima, per quanto gli sembrasse anche un po’ stupido colpevolizzarsi per una cosa del genere.
Forse aveva ragione Aomine quando gli diceva che era troppo buono e ingenuo.
Altri lunghi secondi di imbarazzante silenzio trascorsero prima che il rosso parlasse di nuovo. << Mi dispiace, Kuroko: non posso ricambiare i tuoi sentimenti >>.

Era meglio essere chiari fin dall’inizio. Non aveva nulla contro i gay e non pensava assolutamente che ci fosse qualcosa di sbagliato o disgustoso nei sentimenti che Tetsuya provava per lui, ma non riusciva neanche a concepire l’idea di poter essere il suo ragazzo o simili.

Ad essere precisi, non aveva neanche mai immaginato che un giorno avrebbe dovuto pensare a cose come stare con un altro ragazzo.
<< Io ci tengo a te, ma solo come amico. Mi… mi spiace >>.
Kuroko si alzò in piedi e quando si voltò verso di lui, la sua espressione era di nuovo impassibile e Taiga si chiese se la sua mancanza di mostrare emozioni fosse davvero insita e naturale per lui o se fosse il frutto di qualcos’altro.

<< Non hai niente per cui scusarti o sentirti in colpa, Kagami-kun. In realtà ero abbastanza sicuro che sarebbe finita così, ma questo non significa che abbia intenzione di arrendermi >>.
Taiga inarcò un sopracciglio, perplesso.
<< Anche se potrebbe volerci molto tempo, ho intenzione di farti innamorare di me, Kagami-kun >>.

Il rosso sbarrò gli occhi, incredulo. “I-innamorare? Di lui?”. << Ah… ecco, io non… non credo che… >>. Le parole gli morirono in gola ed ebbe l’impressione che il suo cervello avesse smesso di funzionare.

Non rispose quando l’altro lo salutò e anche se una parte della sua mente registrò che Kuroko se ne stava andando, lui rimase seduto su quella panchina, immobile, lo sguardo perso nel vuoto per un tempo che non seppe quantificare.
Solo quando un rumore insistente e acuto riuscì ad insinuarsi nella fitta nebbia che era la sua mente, si riscosse dal suo stato catatonico e afferrò il cellulare che squillava.
“Ahomine chiama”.
 
 
 
<< Sono a casa! >> annunciò Kise, chiudendosi la porta d’ingresso alle spalle. Si liberò di borsa e giubbotto e, una volta tolte le scarpe, si diresse verso la cucina, dove aveva intenzione di dissetarsi con una bella bibita fredda.

Peccato che, arrivato a pochi metri dal frigorifero, si paralizzò sul posto, il cuore in gola, lo stomaco attorcigliato su se stesso e il cervello in pappa. Il motivo? La dolorosamente deliziosa vista di un Aomine a torso nudo che afferrava una bottiglietta d’acqua.

Kise deglutì e si impose di far ripartire i propri neuroni: non poteva reagire in quel modo solo perché stava ammirando i muscoli definiti di Daiki, la sua pelle bronzea e glabra, i capelli ancora umidi e la sua schiena…
Oddio, quella schiena!

Distolse lo sguardo, imbarazzato. Le immagini di ciò che aveva fatto la sera in cui si erano ubriacati continuavano a dargli il tormento e fargli provare vergogna di se stesso. Anche se non erano perfettamente definite –e di ciò ringraziava i postumi della sbornia- lo erano abbastanza da farlo stare male.

“Devo decisamente smetterla di avere pensieri perversi su di lui…”. Certo, se Aomine non fosse stato… beh, Aomine di sicuro la sua impresa sarebbe stata più semplice.
<< Ohi, Kise! >> lo salutò il moro accortosi della sua presenza, << com’è andata l’audizione? >>. Ryota lo osservò avvicinarsi a lui; si morse un labbro e si impose di non lasciare che il proprio sguardo scendesse oltre il suo viso.

<< È andata bene. A quanto pare ho lo spot assicurato >> rispose allegro. Almeno la sua carriera di modello stava procedendo meglio di quanto si sarebbe aspettato e considerata la sua situazione sentimentale, era tutto ciò di cui poteva gioire.

Daiki lo raggiunse e gli diede una pacca sulla spalla, un leggero sorriso a curvargli le labbra. << Congratulazioni, signor Modello >>.
Il profumo del bagnoschiuma usato da Aomine inebriò Kise, il quale dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non abbracciarlo e affondare il viso nell’incavo del suo collo.

<< Grazie, Aominecchi! Quando sarò ricco e famoso ti comprerò tanti bei regali >> scherzò, un sorriso a trentadue denti a illuminargli il volto. “Mi sa che devo proprio iniziare la carriera d’attore: fingere mi riesce fin troppo bene”.

<< Perché invece non mi presenti qualche modella sexy? Una con un bel paio di tette, magari >> ribatté il moro ghignando.
Il biondo non poté evitare di sentirsi ferito a quelle parole, anche se consapevole di quanto fosse stupido e meschino. Era ovvio che Aomine fosse attratto dalle belle ragazze e lui lo sapeva, ma sentirglielo dire faceva comunque male.

Si sforzò di sorridergli in modo complice e gli fece pure l’occhiolino. << Vedrò cosa possa fare >>. Si sarebbe sparato a un ginocchio piuttosto che presentargli qualche modella.

Il fatto che avesse accettato che prima o poi Aomine sarebbe finito con una ragazza, non significava assolutamente che lui gli avrebbe fatto da Cupido.
Non era masochista fino a questo punto; e non aveva intenzione di diventarlo.

Deciso a mettere un po’ di distanza di sicurezza tra lui e il petto nudo di Daiki, Kise si fiondò sul frigo e, dopo aver frugato tra gli scaffali, afferrò una bottiglia di aranciata. Non volendo però bere direttamente da là, aprì la credenza per prendere un bicchiere.
<< Ehi, Aominecchi! Dove sono i bicchieri? >> chiese ad alta voce, non trovando ciò che cercava.
<< Nella credenza, no? >> rispose il moro col tono di chi non capisce il senso della domanda.

Il biondo continuò a controllare i vari scomparti. << Se li avessi trovati, non te l’avrei chiesto, no? >>. Sentì l’altro sbuffare e dopo pochi istanti se lo ritrovò praticamente attaccato. Il petto di Aomine poggiò sulla sua schiena, le teste così vicine che quasi si sfioravano, tanto da permettere a Kise di sentire il calore propagarsi nel suo corpo.

<< Eeeek! >> squittì Ryota senza riuscire a trattenersi. Quel contatto improvviso e troppo ravvicinato lo mandò del tutto in confusione.
Daiki, che aveva allungato un braccio per cercare i bicchieri, sfiorò anche il suo braccio e lo vide subito ritrarsi.
<< Che cavolo era quel verso? >> domandò sorpreso, spostando lo sguardo su di lui.

Kise fece subito un passo indietro e abbassò gli occhi; sapeva di essere arrossito e si diede ripetutamente dello stupido. << Ahahah niente, niente >> ridacchiò nervoso, << mi sono spaventato da solo >>.

Il moro inarcò un sopracciglio, perplesso. “Perché cavolo ha la faccia tutta rossa?”. Scrollò le spalle e decise di non indagare oltre. Si spostò e aperta un’altra credenza, afferrò un bicchiere e lo passò a Kise.
<< Problema risolto >>.

L’altro lo prese, ma non riuscì a nascondere il tremolio e l’imbarazzo, che non sfuggirono a Daiki. << Vado a vestirmi >> riprese subito dopo, << ah! Ti va di andare al cinema? >>.
Il biondo sgranò leggermente gli occhi e annuì. Aominecchi l’aveva appena invitato ad andare al cinema con lui?

<< Okay. Chiamo Tai e gli chiedo se ha finito con Kuroko, così possiamo andare per lo spettacolo delle sette >>.
Kise annuì di nuovo e lo osservò allontanarsi dalla cucina, le spalle basse e lo sguardo per terra. “Che ingenuo… per un momento ho davvero creduto che volesse passare del tempo solo con me… sono proprio stupido!”.
Si versò l’aranciata e bevve senza sentirne il sapore.

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Capitolo 5
*** We are...fixing it ***


We are...fixing it


Quante volte nella sua vita aveva compiuto quel piccolo salto dalla finestra della sua stanza per andare da Taiga?
Forse così tante che se gli avessero dato 135 Yen (1€ ndr) per ogni salto, a quest’ora sarebbe diventato ricco o almeno avrebbe avuto abbastanza soldi da comprarsi un’auto di lusso per ogni giorno della settimana.

Non che gli importasse davvero possedere automobili costose, ma spesso la sua mente aveva vagato su questi pensieri ed era arrivato alla conclusione che aveva trascorso più tempo a casa del rosso che in qualsiasi altro posto.

E adesso, nonostante fossero tornati dal cinema neanche un’ora prima, Aomine sentì la voglia, il desiderio, la necessità –non sapeva neanche lui come definirlo- di compiere ancora una volta quel saltello e raggiungere Taiga.
“Finestra aperta e luce accesa, quindi Tai sarà sveglio” si disse il moro subito prima di saltare agilmente dall’altro lato.

<< Ehi, Bakagami! Che combini? >> annunciò Daiki entrando nella stanza dell’amico. Si guardò attorno e lo trovò semisdraiato sul letto con lo sguardo perso nel vuoto. Gli si avvicinò e lo fissò aggrottando le sopracciglia.
<< Che è quella faccia? Ti senti male? >>.

Kagami sollevò gli occhi e sembrò accorgersi solo allora della presenza di Aomine. << Daiki, quando sei entrato? >>.
Il moro sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Allungò una mano e colpì la fronte del rosso con il dito indice.
<< Ahi! Che cazzo ti prende, Ahomine? >> esclamò Kagami fissandolo in cagnesco.

<< Che cazzo prende a te, Bakagami! È da prima che sei strano: hai un’espressione perenne da pesce lesso e la tua mente sembra essersi trasferita dall’altra parte del mondo. Non sono neanche sicuro che tu abbia seguito il film al cinema… è successo qualcosa? >>.

Taiga abbassò lo sguardo, imbarazzato. Dalla chiacchierata con Kuroko di quel pomeriggio sapeva di essere stato completamente assente, ma per quanto si sforzasse di non pensarci, la confessione improvvisa dell’amico lo aveva spiazzato più di quanto gli piacesse ammettere.

Sentì l’altro sedersi sul bordo del letto e seppe di avere i suoi occhi addosso. << Ti avverto, non me ne andrò di qua fino a quando non mi dirai che ti è successo >>.
<< Kuroko… lui… si è… beh, ecco, so che sembra assurdo ma… si è dichiarato. A me >> confessò Kagami, sentendosi più leggero, ma anche a disagio nel dirlo ad alta voce.

Ma Daiki era il suo migliore amico: se c’era qualcuno a cui poteva raccontare tutto, quel qualcuno era proprio lui.
<< Stai scherzando, vero? >> gli chiese il moro confuso.

Taiga arrossì e diede subito in escandescenza. << Ti sembra che potrei mai scherzare su una cosa del genere?! Come cavolo ti viene in mente?! >>.
<< Beh, scusa, ma non è una cosa che senti dire tutti i giorni >> si difese il moro. Difesa che però durò molto poco, ovvero fino a quando, pochi secondi dopo, scoppiò a ridere.

Mentre Taiga sentiva l’istinto omicida crescere esponenzialmente a quella vista, Aomine rise così tanto che si portò le braccia allo stomaco e gli occhi gli si inumidirono.
Infuriato, il rosso gli mollò un pugno al braccio. << Falla finita, deficiente! È una cosa seria >>.

Il dolore per quel colpo distolse Daiki dal proprio divertimento. << Okay, okay, hai ragione, scusa >> rispose alzando le mani in segno di resa, ma le labbra ancora curvate in un sorriso.

Non sapeva neanche lui perché aveva reagito in quel modo, ma l’idea di quel piccoletto di Kuroko che confessava i suoi sentimenti a Kagami gli era sembrata decisamente divertente.
Strana, ma divertente.

<< E cosa gli hai risposto? >>.
<< Di no, ovviamente! È un buon amico ma non è… io non sono… >>.
Aomine sorrise e per qualche motivo che non comprendeva, si sentì sollevato.

<< Ma lui ha detto… sì, insomma… >> riprese il rosso, ancora in imbarazzo << ha detto che non ha intenzione di arrendersi e che mi avrebbe fatto… innamorare di lui >>.
Il sorriso sulle labbra del moro svanì in un attimo, insieme al divertimento e alla leggerezza di prima. Che razza di storia era quella?

<< L’hai rifiutato categoricamente? >> volle sapere il moro, il tono d’un tratto inquisitorio.
Kagami lo fissò e si chiese come mai avesse d’un tratto cambiato atteggiamento, ma non indagò oltre. << Certo che l’ho rifiutato! >>.
<< Sicuro? Non è che per caso gli hai detto qualcosa che potrebbe avergli fatto avere qualche speranza? >>.
<< No! N-non… non credo… >>.

Daiki affilò lo sguardo e scattò in piedi. << Come non credi? Che cavolo vuol dire? Che gli hai detto di preciso? >> insistette sempre più infervorato.
<< Gli ho detto che ci tengo a lui ma solo come amico e che non posso ricambiare i suoi sentimenti! >> rispose il rosso, che si stava infervorando a sua volta.
<< Ma sei idiota! Non dovevi dirgli che ci tieni a lui! >>.
<< Ma come amico! >>.
<< È comunque una speranza a cui può aggrapparsi! >>.
<< Non è vero! >>.
<< Sì che è vero! >>.
<< No, non lo è! >>
<< Sì, invece! >>.
<< No, invece! E poi perché te la stai prendendo tanto?! Non si è mica dichiarato a te! >> sbottò Taiga a voce alta, infastidito per quella reazione esagerata. Quasi quasi lo preferiva quando rideva a sue spese, piuttosto che sentirlo urlare.

Aomine sgranò gli occhi e rimase in silenzio, mentre sentiva il nervosismo calare improvvisamente. Aveva ragione Kagami: perché aveva reagito in quel modo? Non era lui quello che aveva ricevuto una dichiarazione d’amore da un altro ragazzo, eppure la faccenda lo aveva fatto innervosire senza che lui se ne rendesse conto.

“Merda!”. Chiuse gli occhi e sospirò, recuperando la calma. << Hai ragione. Non so che m’è preso, scusa >>.
Taiga lo fissò per qualche secondo prima di annuire e calmarsi a sua volta. << Fa niente >>.

Rimasero in silenzio per un po’ finché Daiki prese di nuovo la parola. << E ora che hai intenzione di fare? >> gli chiese, ricevendo in risposta uno sguardo perso e confuso.
<< Non lo so. Prima che si dichiarasse, gli ho detto che qualsiasi cosa avesse voluto dirmi, non avrebbe rovinato la nostra amicizia, ma la verità è che adesso non saprei proprio come comportarmi con lui. Dovrei far finta di niente? Dovrei tenerlo a distanza? >>.

Aomine sbuffò e si passò una mano sulla nuca. << Beh, per adesso non pensarci. Tanto stare qua a scervellarti ti farà solo sentire peggio >>, allungò un braccio e gli scompigliò i capelli, << quindi non far lavorare troppo la tua testolina, prima che ti si fonda il cervello >>.
<< Fanculo, Ahomine! >> replicò Kagami con tono meno offeso di quanto avrebbe voluto e con le labbra leggermente piegate in un sorriso.
 
 
 
 
Aomine si buttò sull’unico posto a sedere libero nel vagone della metro e sbuffò, socchiudendo gli occhi. In piedi accanto a lui, Kagami lo fissò con una smorfia. << Non dirmi che sei stanco? >>.
<< Ci hai impiegato una vita per scegliere il regalo per tua madre! >> si lamentò il moro, alzando le braccia al cielo, mentre intanto il treno chiudeva le porte e riprendeva la sua corsa.

<< Ma che razza di concezione del tempo hai? Non siamo rimasti al centro commerciali neanche un’ora >> gli fece notare il rosso, le sopracciglia aggrottate.
Tra tre giorni sarebbe stato il compleanno di sua madre e Kagami aveva chiesto ad Aomine di aiutarlo a scegliere un regalo adatto; stranamente l’amico aveva accettato, ma non aveva fatto passare molto tempo prima di iniziare a lamentarsi.

<< Un’ora, Bakagami! Un’ora! Solo le femmine stanno così tanto in un centro commerciale >>.
Taiga alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. << Sei impossibile, Ahomine. Se ti scocciavi così tanto, potevi anche startene a casa. Non eri obbligato ad accompagnarmi >>.

Daiki si sistemò meglio sul sedile e lo fissò. D’improvviso sentì le labbra curvarsi in un sorriso: la vista del broncio di Kagami tirava sempre fuori la sua parte peggiore. O migliore, a seconda delle circostanze.

<< Come potevo dire di no al faccino adorabile del mio Bakagami mentre mi chiedeva di accompagnarlo? >> lo punzecchiò, il solito ghigno arrogante ad adornargli il volto.
Taiga sgranò gli occhi e arrossì. << C-come cavolo ti viene in mente di dire certe cose, Ahomine?! >>.

Per tutta risposta l’altro ridacchiò divertito, mentre il rosso provò l’impellente desiderio di sotterrarsi quando si accorse che due liceali sedute là vicino li stavano guardando con sorrisi e gli occhi che brillavano.

Si passò una mano sul volto e sospirò, sconsolato. Quelli erano i momenti in cui odiava Aomine e la sua assurda capacità di metterlo in imbarazzo con quelle cazzate pseudo sdolcinate che gli uscivano dalla bocca.
Perché gli facevano quell’effetto? Pur sapendo che erano dette apposta per provocarlo, erano davvero poche le volte in cui Taiga non sentiva il volto andare a fuoco e una voglia matta di prendere l’altro a pugni.

Perso nei suoi pensieri, si accorse che la metro aveva raggiunto una fermata quando una vecchietta passò loro davanti e Aomine si alzò per lasciarle il posto senza che la signora gli dicesse alcunché.
Kagami gli lanciò un’occhiata e sentì una strana sensazione di calore al petto. “Così Dai-chan è uno che fa caso a queste cose”.

<< Grazie mille, giovanotto >> gli disse la donna, alzando la testa verso di lui e sorridendogli con affetto, << magari ci fossero più persone gentili come te >>.
Il moro si passò una mano sulla nuca e sorrise imbarazzato.
“Non riesce proprio a fare l’indifferente quando qualcuno gli fa un complimento sincero” si disse Taiga divertito. Anche se Aomine sapeva essere spesso e volentieri un pigro stronzo menefreghista dalla lingua lunga, Kagami sapeva che in realtà il moro era molto più gentile e premuroso di quanto dava a vedere e lui era uno dei pochi, se non l’unico, a conoscere la sua vera natura.

Si sentì in qualche modo fiero di tutto ciò e non poté trattenere un sorriso.
Il moro gli lanciò un’occhiataccia. << Che hai da ridere, Bakagami? >>.
L’altro scrollò le spalle. << Hai fatto colpo poco fa, eh? >>. Una volta tanto era divertente essere lui quello che lo punzecchiava un po’.

<< Taci, Bakagami >> soffiò Daiki a denti stretti. Proprio in quell’istante il treno si fermò ad una delle stazioni e all’apertura delle porte un’improvvisa fiumana di gente si riversò dentro il vagone, costringendo i passeggeri a stringersi tra di loro.
Kagami emise un verso strozzato quando la sua schiena cozzò contro le altre porte e lui si ritrovò bloccato tra queste e il corpo di Aomine praticamente spalmato addosso a lui.

<< Scusa >> sussurrò il moro cercando invano di allontanarsi dal corpo dell’amico. Poggiò una mano accanto al volto di Taiga per guadagnare un po’ d’equilibrio e tutto ciò che poté fare in quella posizione fu guardare il volto dell’altro.

A causa delle folla che li aveva spinti entrambi con forza, erano finiti l’uno sull’altro, con le possibilità di movimento pari pressoché a zero.
I loro petti combaciavano, le gambe si toccavano e i visi erano talmente vicini da far sentire loro i rispettivi respiri. D’un tratto Taiga iniziò a sentire caldo. Si disse che era a causa di tutta quella gente compressa come in una scatola di sardine, ma ebbe quasi l’impressione che il calore che sentiva gli provenisse da dentro.

Fissò gli occhi in quelli di Aomine e se ne pentì subito. Lo sguardo del moro era… penetrante.

Non che Kagami non lo sapesse già; l’aveva già notato tante volte nel corso della sua vita, ma spesso tendeva a dimenticarlo. C’era qualcosa nei suoi occhi, nel taglio forse o nell’intensità dello sguardo, che aveva sempre avuto quell’assurda capacità di mettere in soggezione, nel bene o nel male. Sembrava quasi che fosse in grado di scavarti fin nel profondo dell’anima, anche se magari in quel momento il proprietario si stava solo chiedendo cosa mangiare per cena.

Conoscendo Aomine, non c’era da meravigliarsi.
Ma la potenza del suo sguardo non cambiava.

Taiga deglutì e distolse gli occhi, fissandoli su un punto indefinito oltre la spalla del moro, mentre il calore di prima non sembrava intenzionato a diminuire. Buttò fuori l’aria in un lungo sospiro e mosse una gamba.
<< Stai bene? >> gli chiese d’un tratto Daiki, << ti sto facendo male? >>.
“Ecco qua l’Aomine gentile che si preoccupa degli altri”. Kagami sollevò di nuovo lo sguardo e abbozzò un sorriso. << Tutto a posto, ma non vedo l’ora di scendere da questo treno >>.

L’altro sorrise a sua volta. << Beh, questa vicinanza non è poi così male >>.
Mentre Taiga arrossiva e sgranava gli occhi senza potersi controllare, nella sua mente passarono in rassegna tre momenti di shock in rapida sequenza:
  1. Che scherzo stupido!
  2. Sta scherzando, no?
  3. Non sta scherzando…?
Alla vista della sua espressione, il moro spostò la mano che aveva tenuto accanto alla testa di Kagami e gli scompigliò i capelli. << Non fare quella faccia sconvolta, Bakagami! >>.
Offeso, il rosso gli pestò il piede e mise su un broncio che, come sempre, Daiki trovò adorabile.
 
 
 
 
 
Una vibrazione nella tasca dei pantaloni avvertì Kagami dell’arrivo di un messaggio. Afferrò il cellulare e lo lesse.
Da: Ahomine
Oggetto: Mi annoioooooo
Tai!! Che fai? Dove sei? Stai mangiando?
 
Taiga sorrise e si fermò a un lato del corridoio per rispondere.
A: Ahomine
Oggetto: Non mi interessa
Ho appena finito la lezione e sto uscendo ora dall’uni.
E no, non sto mangiando. –
 
Rimise il telefono in tasca ma dovette tirarlo fuori pochi secondi dopo.
Da: Ahomine
Oggetto: sei cattivo
Come fai a dire che non ti interessa se mi annoio?? E poi perché tu sei già fuori e io invece sono bloccato con una lezione supersupersuper noiosa?! :’(
 
A: Ahomine
Oggetto: non sono cattivo
Perché tu hai scelto di seguire un corso diverso dal mio, AHOMINE :p
Cmq se ti annoi così tanto perché non te ne vai?
 
Da: Ahomine
Oggetto: sì che lo sei!
L’avrei già fatto se avessi potuto, Bakagami! Ma la prof è una troia che controlla le presenze anche alla fine della lezione… -.-’’’ non posso muovermi e sto per crollare dalla noia…
 
A: Ahomine
Oggetto: non fare il bambino
E quindi hai deciso di scocciare me?
 
Da: Ahomine
Oggetto: ti sto odiando
Il tuo migliore amico, il tuo fratello per la vita, la tua anima gemella ti chiede aiuto e conforto in un momento difficile e tu rispondi così?! O.O
 
Kagami arrossì e sorrise, scuotendo la testa.
A: Ahomine
Oggetto: non fare il melodrammatico
Adesso sono anche la tua anima gemella, Ahomine?! XD questa lezione ti sta proprio facendo male…
 
Da: Ahomine
Oggetto: melocosa?
Certo che 6 la mia anima gemella! Non potrei amare nessuno come amo Bakagami…
 
A quelle parole Kagami si bloccò in mezzo alla strada e provò una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Sensazione che però sparì l’istante dopo, quando lesse il resto del messaggio.
 
… tranne una modella con un bel paio di tette :p XD
 
“È proprio un coglione…” si disse il rosso e trasmise il suo pensiero per iscritto al legittimo destinatario. Rimise il telefono in tasca e si avviò, ma si fermò subito dopo quando una voce familiare lo raggiunse.

<< Buon pomeriggio, Kagami-kun >>.
Taiga si voltò e si ritrovò davanti Kuroko che lo fissava con quella sua solita espressione seria e controllata.
<< Ku-kuroko! Che sorpresa! >> esclamò il rosso, un sorriso nervoso sul volto, << c-che ci fai qua? >>.
<< Sono venuto per vedere te. Dato che ultimamente mi hai evitato, ho pensato fosse meglio parlarti di persona >>.

Taiga sussultò e abbassò lo sguardo, imbarazzato. Dopo la sua confessione, Kuroko lo aveva contattato diverse volte, chiedendogli anche di andare a giocare a basket insieme, ma lui aveva sempre utilizzato delle scuse per non incontrarlo, sentendosi in colpa ogni volta.
Ma non sapeva davvero come affrontarlo e per quanto non fosse il tipo di persona da fuggire davanti ai problemi, quella era una situazione in cui non sapeva proprio cosa fare.

<< Ah… ecco, io… mi spiace… >> si scusò con voce mesta.
<< Non sei tu a doverti scusare, Kagami-kun. Sono stato io a metterti in una situazione difficile >>.
Il rosso scosse la testa. << Tu non hai fatto niente di male. È solo che… >>.
<< Ti sentivi in imbarazzo e non sapevi come comportarmi. Lo capisco >>.

Taiga sgranò leggermente gli occhi e abbozzò un sorriso. Kuroko era proprio un ragazzo gentile e comprensivo.
Era stato uno dei tratti che più gli aveva fatto apprezzare la sua compagnia nell’ultimo anno: parlava poco, ma quando lo faceva sembrava sempre sapere quale fosse la cosa giusta da dire, era schietto ma mai offensivo e sempre disposto ad aiutare un amico.

<< Possiamo andare a parlare da qualche parte? >> gli chiese subito dopo Tetsuya.
<< O-okay. Stavo pensando di passare dal Meiji Burger per mangiare qualcosa. Mi fai compagnia? >>. Vide le sue labbra curvarsi in un piccolo sorriso ed ebbe l’impressione che il suo volto si illuminasse. Non era cosa di tutti i giorni vederlo con una simile espressione stampata in faccia.

Lo aveva davvero reso così felice con quella semplice proposta?
 
Raggiunsero il fast food e dopo aver preso le ordinazioni, si accomodarono a un tavolo lontano da quelli già occupati.
Come al solito, Kuroko scelse un milkshake, mentre Kagami si accontentò di due cheeseburger invece dei soliti quattro.
<< Volevo dirti che mi dispiace per l’altra volta >> iniziò d’un tratto il più piccolo, << ti ho messo in imbarazzo dichiarandoti i miei sentimenti; una parte di me si pente di averlo fatto perché sapevo che le cose tra di noi sarebbero diventate difficili >>.

Il rosso deglutì il sorso di coca che stava bevendo e ricambiò lo sguardo dell’altro. << Perché ti stai scusando? Non è mica colpa tua… >>.
<< Ma ti ho messo a disagio, no? >>.
<< Beh, ecco… sì, cioè no! Un po’, forse… >>. Concluse il tutto con una specie di grugnito e si prese la testa tra le mani.
La faccenda stava diventando davvero complicata.

Una leggera risata lo distrasse dall’autocommiserazione e gli fece puntare nuovamente lo sguardo sul suo interlocutore. Tetsuya lo stava fissando con la bibita in mano e un’espressione tra il divertito e l’imbarazzato.
<< Ti stai divertendo a vedermi annaspare? >> replicò Kagami, le sopracciglia aggrottate.
L’altro scrollò le spalle con nonchalance. << Giusto un po’. Sei buffo >>.

Il rosso sbuffò e afferrò l’hamburger; lo addentò, lanciando all’amico un’occhiataccia che durò però molto poco.
<< Comunque vorrei che dimenticassi quello che ti ho detto l’altra volta e che tornassimo come prima >>.
Per poco Taiga non si strozzò con il pezzo di carne. Strabuzzò gli occhi e ingoiò a fatica. Cos’era quella storia? Gli stava davvero chiedendo di far finta di niente?

<< Ah… io non… che vuoi dire? >>.
<< Vorrei che fossimo di nuovo amici. Non voglio più che mi eviti o che tu ti senta a disagio con me. Voglio tornare a giocare a basket insieme. Per questo ti sto chiedendo di dimenticare… anche tutta la faccenda del farti innamorare di me… è stata una cosa davvero stupida da dire >>.

Kagami lo fissò in silenzio per lunghi secondi: sembrava dannatamente serio.
Lo intendeva davvero o lo stava dicendo solo perché, in qualche modo, si sentiva in colpa? Lui non lo riteneva certo colpevole per avergli confessato i suoi sentimenti né voleva che si rimangiasse la sua confessione. Era solo confuso e imbarazzato perché non sapeva come stargli accanto e comportarsi normalmente quando Kuroko aveva una cotta per lui.

<< Kagami-kun, per me la nostra amicizia è molto importante e non voglio perderla >>.
Taiga lasciò vagare lo sguardo per il fast food e sospirò. Doveva ammettere che gli era dispiaciuto evitarlo, inventandosi delle scuse per non doverlo incontrare. Non aveva mai dovuto fare niente del genere in tutta la sua vita.

<< Anche per me è importante >> dichiarò serio alla fine. Lo vide sorridere in quel suo modo quasi impercettibile.
<< Allora è tutto a posto. Quando hai un po’ di tempo, giochiamo a basket insieme: ti va? >>.
Il rosso annuì e abbozzò un sorriso.
A quanto pareva, tutta quella faccenda si era appena risolta.
 
 
<< Ma sei idiota! Non dovevi dirgli che ci tieni a lui! >>.
<< Ma come amico! >>.
<< È comunque una speranza a cui può aggrapparsi! >>.
 
Non seppe perché, ma proprio in quell’istante gli tornò alla mente la discussione avuta con Aomine la settimana prima. Scosse la testa e la ignorò.
Adesso lui e Kuroko potevano di nuovo essere amici.








Scommetto che non credevate che avrei aggiornato così presto! XD e invece ecco qua il nuovo capitolo! spero che vi sia piaciuto e che le fan di Kise non ci siano rimaste troppo male per la sua assenza ^^ ma tranquilli, tornerò prestissimo!
mi sono divertita molto a scrivere la scena della metro e lo scambio di messaggi: questi due dolci idioti flirtano senza neanche rendersene conto u.u ma quanto sono tenerelli?! *__*
ne approfitto per ringraziare di cuore tutti voi che leggete, commentate e avete messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate <3 senza tutti voi non starei continuando ^^
un abbraccio e alla prossima!

 

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Capitolo 6
*** We are...playing ***


We are...playing



Buonsalve a tutti!! Eccomi qua col nuovo capitolo :) Sta volta ho proprio battuto ogni record, ho aggiornato dopo una sola settimana! ^^ yeah *lancia cuoricini* spero che siate felici di questa mia celerità u.u
voglio fare un ringraziamento speciale a una lettrice, gioppi JA che grazie alle sue idee mi ha dato l'ispirazione necessaria per andare avanti ^^ questo capitolo lo dedico a te ;)








 
Quando Kise aprì gli occhi e lesse l’ora sulla sveglia –le 8:35- sentì il panico invaderlo per alcuni momenti al pensiero di essere in ritardo per il lavoro.

“Sakuchi-san mi ammazza sul serio sta volta!” pensò mettendosi di scatto a sedere sul letto. La sua agente, quando voleva, sapeva essere più spaventosa di un mostro assetato di sangue, ma con le unghie smaltate di fresco.

Si alzò rapidamente, ma inciampò nel tentativo a causa di un piede rimasto incastrato tra le lenzuola e per poco non finì con la faccia sul pavimento. Questo piccolo incidente però gli diede la possibilità di recuperare parte della facoltà mentali, grazie alle quali si ricordò che quel sabato non aveva alcun impegno in agenda.
“Il primo giorno interamente libero!” si disse rincuorato e un leggero sorriso gli curvò le labbra.

Erano ormai trascorsi un paio di mesi da quando si era traferito a Tokyo e aveva iniziato a lavorare come modello; adesso erano già a fine Maggio e Kise aveva iniziato ad ottenere diverse offerte interessanti, per merito soprattutto della bravura della sua agente.

E nonostante gli piacesse molto il proprio lavoro, avere un’intera giornata del tutto priva di impegni era decisamente piacevole.
Te lo sei meritato, Ryota: hai lavorato sodo ultimamente. Riposati un po’.

Le parole di Sakuchi-san l’avevano inorgoglito e anche per questo aveva intenzione di godersi la breve vacanza.
“Oggi anche Aominecchi sarà libero, dato che è sabato. Posso passare più tempo con lui”.

Qualcuno avrebbe potuto fargli notare quanto il suo livello di masochismo tendesse pericolosamente al punto di non ritorno, ma a quanto pareva il suo amore era più forte del suo buon senso.

Si diresse in bagno con un’aria allegra, ma al suo ritorno in camera rischiò di lasciarci la pelle alla vista di un Aomine con indosso solo un paio di boxer neri che frugava nei suoi cassetti.
Se fosse stato il personaggio di un manga, in quell’istante l’avrebbero disegnato in preda a un attacco di epistassi violenta.

<< A-aominecchi… che stai facendo? >> gli chiese, sforzandosi di mantenere una voce neutra e di guardargli solo il volto.
Entrambe le azioni ebbero scarsi risultati.

A discolpa di Kise, il corpo di Aomine non lasciava assolutamente indifferenti: le gambe lunghe ma non troppo magre, i muscoli definiti, la pelle color caramello fuso, il sedere sodo e ben tornito…

Non era affatto semplice per Ryota mantenere il controllo e se il moro non avesse avuto il brutto vizio di girare per casa mezzo nudo quando più gli andava, lui avrebbe sicuramente abbassato il rischio di infarti prematuri.

Sentendosi interpellato, Daiki si voltò verso di lui e si grattò l’addome.
Gesto che Kise adorò e detestò allo stesso tempo. “Falla finita, stupido! Non guardare ! Solleva lo sguardo! Gli occhi! Guardalo negli occhi! Alla gente non piace che gli fissino le parti basse!”.

Aomine, che come si sa non era molto attento –per fortuna di Ryota- non si accorse delle sue strane facce e spiegò il motivo della sua presenza. << Ho bisogno che mi presti un paio di boxer. I miei sono tutti sporchi; mi è rimasto solo questo paio, ma devo farmi la doccia >>.

Kise dovette far ricorso a ogni granello della sua forza di volontà per mantenere un’espressione rilassata e indifferente e reprimere tutti i pensieri poco casti che la sua mente stava iniziando a produrre.
<< Oh certo, fai pure: sono nel penultimo cassetto >>. “Ce l’ho fatta! Sono riuscito a dirlo con voce normale!”.

Aomine controllò dove gli era stato detto e prese un paio di boxer grigi. << Grazie >> disse richiudendo il cassetto.
<< Nessun problema. Dato che oggi sono libero, faccio il bucato più tardi >>.

L’altro si limitò ad annuire e uscì per andare a farsi la doccia, lasciando Kise solo con la sua frustrazione.

Quando succedevano certe cose, il biondo tendeva a perdere fiducia nella propria capacità di sopportare la convivenza con Daiki e reprimere i propri sentimenti.
Ovviamente non era solo una questione di sesso. Lui era seriamente innamorato del moro e quando ami qualcuno, vuoi tutto di quella persona, il cuore ma anche il corpo. E così era Ryota.

Stare giornalmente accanto alla persona che amava e non poterla toccare, non poter liberarsi di quel peso che lo opprimeva costantemente lo rendeva frustrato sia emotivamente che fisicamente.
Soprattutto per questo ringraziava i ritmi di lavoro che rendevano le sue giornate piene e lo tenevano fuori casa e lontano da Aomine.
Se avesse dovuto affrontare momenti come quello ogni giorno, sarebbe impazzito del tutto.

In preda a un momento di depressione, afferrò il cellulare e telefonò all’unica persona con cui poteva confidarsi, Yukio Kasamatsu.
Era stato il senpai con cui più aveva legato ai tempi della scuola e l’unico a sapere della sua omosessualità. Anzi, essendo anche lui gay, era stato proprio Kasamatsu ad aiutarlo e stargli vicino quando Kise era entrato in crisi a causa della sua sessualità.

Avevano anche avuto una specie di storia, ma non erano mai andati fino in fondo e alla fine avevano capito che era meglio essere amici.
E così erano rimasti in contatto anche dopo il diploma di Yukio, avvenuto un anno prima rispetto a Kise: proprio per questo lui non aveva mai conosciuto Aomine di persona, ma il biondo gliene aveva parlato così tanto, confidandogli tutti i suoi sentimenti e le sue paure, che Kasamatsu aveva ormai l’impressione di conoscere bene il moro che faceva penare il suo biondo e allegro amico.

Quando rispose al telefono, sbottò e insultò Kise per averlo disturbato di sabato mattina, ma il kohai era ormai abituato al comportamento dell’altro e non ci fece caso più di tanto, iniziando subito a sfogarsi, consapevole che, nonostante il caratteraccio, Kasamatsu era l’unico vero amico su cui poteva contare in quel momento.
 
 
 
Di solito era sempre Aomine quello a saltare dalla sua finestra per entrare nella stanza di Kagami. Non che il rosso avesse qualche problema a farlo, ma Daiki aveva sempre preferito trascorrere il tempo nella stanza dell’amico –approfittando così della cucina della madre- e quindi Taiga raramente ricambiava il gesto.

Ma quella mattina sua madre gli aveva chiesto di invitare Aomine e Kise a colazione e Kagami aveva trovato più naturale passare dalla finestra piuttosto che suonare al campanello ed entrare dalla porta d’ingresso come chiunque altro.

Balzato dall’altro lato, trovò la camera del moro vuota. Uscì per cercarlo nel resto della casa e si ritrovò a passare davanti la stanza degli ospiti, ormai occupata da Kise.
La porta era socchiusa e Taiga sentì la voce del biondo provenire dall’interno. Pensando che forse stesse parlando con Aomine, si avvicinò e stava per aprire la porta, quando, dallo spiraglio, si accorse che il ragazzo era al telefono con qualcuno.

Non volendo origliare, si allontanò di un passo, ma si bloccò quando le sue orecchie ascoltarono una frase che, involontariamente, lo mise sull’attenti.
<< Ma tu lo sai che lo amo, senpai! Ed averlo tutti i giorni accanto è così difficile… >>.

Kagami non avrebbe mai detto di se stesso di essere una persona curiosa, ma quelle parole fecero nascere in lui dubbio e curiosità che prevalsero sul suo buon senso.
<< Lo so che non mi sarei mai dovuto innamorare di un etero, ma ormai è successo, no?! E ogni giorno me lo ritrovo davanti e devo fingere… forse non mi sarei mai dovuto trasferire a casa sua… >>.
“Di che cavolo sta parlando?!”. Il rosso tese un orecchio.

<< Sei pazzo?! Non posso dirglielo! Rovinerei tutto! Potrebbe anche buttarmi fuori di casa e non lo biasimerei… >>.
“Non può essere… sto capendo male di sicuro…”.

<< Come no! Quindi secondo te dovrei andare da lui e dirgli “Aomine, sono innamorato di te. Ora di sicuro mi troverai disgustoso e non vorrai più avere niente a che fare con me, ma non ce la facevo più a tenermi tutto dentro” >>.

Taiga sussultò sul posto e per poco non colpì la porta, rilevando così la sua presenza.
“Kise… è innamorato… di Aomine?!”. Avrebbe voluto convincersi di aver sentito male, di aver frainteso le parole del biondo, ma ciò era impossibile e lui lo sapeva.

Si allontanò rapido dalla porta e tornò nella stanza di Daiki, la testa vuota e i passi pesanti. Non seppe perché ma la notizia lo sconvolse più di quanto avrebbe immaginato.

Ritornò a casa sua passando sempre dalla finestra. Quando sua madre gli chiese se Kise e Aomine avevano accettato l’invito, lui, come un automa, mentì e rispose che i due avevano già mangiato e che Kise stava per uscire per un impegno di lavoro.
Non seppe neanche perché raccontò una bugia a sua madre, ma per qualche motivo la sola idea di trovarseli entrambi di fronte dopo quello che aveva scoperto gli fece passare l’appetito.
“Che cavolo mi prende…”.
 
 
 
Ad Aomine non piaceva la pioggia. Lo costringeva a restare chiuso a casa, impedendogli di andare al campetto a giocare a basket e questo non giovava al suo umore. Perciò odiava il mese di giugno e la stagione delle piogge che portava con sé.
Quel giorno di quasi metà giugno non faceva eccezione.

Lui e Kagami avevano deciso di andare a giocare a basket e dato che Kise aveva il pomeriggio libero, si era volentieri unito a loro. Peccato che proprio quando stavano per uscire di casa, si era scatenato un improvviso temporale che li aveva obbligati a rinunciare ai loro propositi.

Ora, questo sarebbe stato abbastanza per farlo imprecare diverse volte, ma a ciò bisognava aggiungere la presenza –da lui non molto desiderata- di Kuroko.

Dato che lui e Kagami si erano chiariti e avevano ripreso a vedersi, il rosso l’aveva invitato ad unirsi a loro per la partita. Poco prima che iniziasse a piovere, il piccoletto aveva raggiunto casa di Taiga, così che tutti e quattro potessero andare insieme al campetto.

Poi la pioggia aveva deciso di rovinargli i piani e si erano ritrovati a casa del rosso a giocare ai videogames, nella speranza che smettesse di piovere al più presto.
 
 
Ad Aomine non piaceva la pioggia; non piaceva non potersi divertire a basket e non piaceva Kuroko e quel pomeriggio il fato –o la sfiga che dir si voglia- lo stava mettendo davanti a tutto questo tutto insieme.
Degli sbuffi e delle imprecazioni a mezza voce che gli erano usciti dalle labbra aveva presto perso il conto.

La verità era che non si fidava di Kuroko. Da quando Kagami gli aveva raccontato del loro chiarimento e di come erano tornati ad essere amici, Aomine sentiva puzza di bruciato.
“Nessuno ti dichiara il tuo amore e ti viene a dire di dimenticare tutto dopo alcuni giorni” aveva più volte pensato, ma l’aveva tenuto per sé.

Per il moro Taiga era sempre stato troppo buono e ingenuo; tendeva a fidarsi di tutti e a non vedere mai il male nelle intenzioni altrui.

Aomine, dal canto suo, era decisamente meno fiducioso nei confronti delle altre persone. Non credeva assolutamente nella bontà delle persone ed era convinto che chiunque, per ottenere ciò che voleva, sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa.

Per questo era sicuro che quello di Kuroko fosse tutto un piano per avvicinarsi ancora di più a Kagami e cercare di conquistarlo. Se non l’avesse convinto a tornare ad essere amici, Taiga avrebbe continuato a tenerlo a distanza; in questo modo, invece, poteva stargli vicino, coglierlo con la guardia abbassata e fare la sua mossa.
Daiki ci avrebbe messo la mano sul fuoco.

Ma non aveva detto niente a Taiga. Innanzitutto perché non voleva litigarci e poi sapeva che il suo Bakagami non avrebbe mai sospettato di una persona che riteneva amica e quindi non avrebbe mai creduto alle sue accuse.
Ma Aomine sentiva di avere ragione e neanche per un momento aveva pensato di sbagliarsi.
Per tutti questi motivi la presenza di Kuroko non gli era assolutamente gradita.

Ma era abbastanza bravo da far credere che il suo cattivo umore derivasse esclusivamente dalla pioggia e dal non poter giocare a basket.
Fortuna che c’erano i videogiochi a distrarlo. Proprio mentre lui e Kise iniziavano il loro scontro a Tekken, Kagami si alzò in piedi annunciando che andava a prendere qualcosa da bere per tutti.

<< Ti aiuto io >> si offrì allora Kuroko, alzandosi a sua volta e ricevendo un grazie e un sorriso dal rosso.
Daiki lo seguì con lo sguardo mentre usciva dalla stanza con Taiga e una smorfia gli si dipinse sul volto.
<< Non distrarti, Aominecchi o rischi di perdere >> lo punzecchiò Kise, dato che il moro aveva già subito tre colpi di fila senza reagire.

Recuperata la concentrazione, Daiki provò a recuperare anche lo scontro, ma l’altro riuscì a batterlo con una combo micidiale e per il moro fu game over.
<< Ahahah te l’avevo detto di non distrarti! >> esultò il biondo sollevando il joystick in aria e agitando le gambe.
<< È stata solo fortuna >> replicò il moro scocciato. Ad Aomine non piaceva neanche perdere.
<< Certo, certo. Dicono tutti così >> continuò Kise dandogli un buffetto sulla guancia.

Daiki gli allontanò la mano e lo colpì alla gamba. << Non iniziare qualcosa che non puoi finire >>.
<< E chi ti dice che non posso? >> rispose Ryota con un sorrisetto malizioso. Gli bloccò un braccio e con l’altra mano iniziò a fargli il solletico sotto l’ascella.
Aomine provò a resistere ma si mise subito a ridere, seguito a ruota da Kise. Si ritrovarono per terra, uno sull’altro, a ridere ma allo stesso tempo a cercare di prevalere, soprattutto il moro che intervallava le risate a insulti e imprecazioni.

Proprio in quegli istanti Kagami e Kuroko tornarono con le bibite e si ritrovarono l’immagine di Aomine seduto a cavalcioni su Kise, che cercava di bloccargli le braccia e il biondo che a sua volta cercava di portare avanti la sua tortura solleticale.
I due si bloccarono e fissarono gli altri senza smettere di sorridere.

<< Che state facendo? >> domandò Kagami con tono serio, le mani occupate da due bicchieri pieni. Kuroko, con in mano gli altri due drink, lo guardò con la coda dell’occhio.
<< Stavo dimostrando a questo modello da strapazzo che non deve alzare la cresta >> rispose Aomine con divertita arroganza, stringendo un polso di Kise, come a dare forza alle sue parole.
<< Solo perché non vuole accettare di essere stato sconfitto da un modello da strapazzo >> ribatté Kise con lo stesso tono.

Senza commentare, Kagami posò le bibite sul tavolinetto basso, afferrò Aomine per un braccio e lo tirò su con forza, allontanandolo così da Ryota.
<< Dato che avete finito, ora è il turno mio e di Kuroko >> dichiarò il rosso con voce neutra.

Il moro fissò l’amico con la faccia di chi si chiedeva “ma che cazzo gli è preso?”, ma non disse niente.  Si spostò per prendere un bicchiere e si sedette per terra, seguito a ruota da Kise.

Kagami afferrò un joystick e mentre Tetsuya faceva altrettanto, si diede ripetutamente dello stupido. Non avrebbe dovuto reagire a quel modo e lo sapeva, ma alla vista di Aomine seduto sopra Kise in quella posizione equivocabile non era riuscito a fare altrimenti. Anche se era ben consapevole che la sua reazione derivasse dal fatto che lui sapeva.

Sapeva cosa Kise provava per Aomine e questa consapevolezza aveva del tutto cambiato il modo in cui guardava e notava le cose che riguardavano il biondo. Non che avesse qualcosa di personale contro di lui, ma non poteva fare a meno di chiedersi cosa il biondo pensasse in certe situazioni, cosa provasse quando guardava Aomine e tanti altri pensieri confusi e disordinati.

Non era sicuro di come dovesse sentirsi in questa situazione e continuava a sentirsi diviso tra il raccontare tutto ad Aomine e il rimanere in silenzio.
Da quando aveva origliato per caso quella conversazione al telefono circa due settimane prima, aveva portato avanti la seconda opzione.

Del resto, che diritto aveva lui di mettersi in mezzo e creare problemi a Kise? Fino a quel momento la convivenza tra lui e Aomine si era svolta senza problemi e non voleva essere Kagami quello a crearli.

Ma era anche vero che non gli sembrava corretto che Daiki fosse all’oscuro dei sentimenti di Ryota, dato che vivevano insieme. E se il biondo avesse fatto ubriacare Aomine per approfittare di lui? E se fosse un pervertito che lo spiava mentre si faceva la doccia o si masturbava usando la biancheria di Daiki?

Arrivato a questa fase estrema di pensiero, di solito Taiga si schiaffeggiava, ripetendosi quanto fosse assolutamente stupido e insensato dubitare di Kise fino a quel punto.
Era un bravo ragazzo, si vedeva e Kagami non voleva pensare male, ma allo stesso tempo voleva difendere il suo migliore amico. Era forse un pensiero stupido anche quello?

Aomine non era certo una ragazzina indifesa che aveva bisogno di protezione.
Eppure l’intera faccenda lo metteva decisamente a disagio.
Sbuffò frustrato e gli altri pensarono che la causa fosse l’aver appena perso contro Kuroko.
 
 
 
<< Finalmente ha smesso di piovere! >> annunciò Kise allegro alzando le braccia al cielo.
<< Per fortuna la pioggia non è durata a lungo >> convenne Kuroko col suo tipico tono monocorde, gli occhi azzurri rivolti verso il cielo.

Non appena il temporale era cessato, i quattro erano usciti di casa, ancora desiderosi di andare a giocare a basket. Si diressero verso il campetto; Kagami e Kuroko camminavano fianco a fianco, seguiti poco più dietro dagli altri due.
<< Kagami-kun, pensavo fossi più bravo ai videogiochi >>.
<< È stata solo una giornata no. Di solito non perdo… >>.
<< Tre partite di fila? >>.
<< Sei pregato di non infierire >>. Tetsutya sorrise e Taiga ridacchiò a sua volta.

Daiki, che stava ascoltando la conversazione, storse la bocca e assottigliò lo sguardo, mentre le dita si strinsero attorno al pallone da basket che stava portando.
<< Tutto a posto, Aominecchi? >> gli chiese Kise, notando la sua espressione infastidita.
Il moro schioccò la lingua, senza staccare gli occhi dai due davanti. << Sì, tranquillo >>.

<< Kagamicchi e Kurokocchi vanno molto d’accordo, eh? >> se ne uscì subito dopo il biondo, sicuro di aver indovinato la causa del suo malumore.
Le occhiate che Daiki aveva rivolto a Kuroko non erano certo state tra le più amichevoli e a Kise, che era un ottimo osservatore quando si trattava della sua cotta non corrisposta, non erano sfuggite.

“Chi l’avrebbe mai detto che Aominecchi fosse un tipo geloso pure del suo migliore amico”.
<< Mmh, buon per loro >> soffiò il moro a denti stretti.
Chiaramente non era favorevole alla cosa.
 
 

Arrivati al campetto, si divisero in squadre e iniziarono a giocare. Aomine avrebbe voluto far coppia con Kagami, ma la sua idea venne respinta in toto dagli altri tre.
<< Tu e Kagamicchi siete troppo forti quando giocate insieme. Io e Kurokocchi non avremmo alcuna speranza di battervi >> si era lamentato Kise, trovando appoggio in Kagami e Kuroko.
Il moro sbuffò ma fu costretto ad acconsentire di fare coppia di Ryota.
 
La partita andò avanti in modo abbastanza equilibrato.
Taiga e Tetsuya erano sotto di un solo canestro quando successe. Il secondo stava per fare uno dei soliti passaggi al compagno, quando Aomine, che si era abituato abbastanza a quel modo di giocare, riuscì per la prima volta ad anticipare le sue mosse e lo marcò stretto prima che lui riuscisse a passare la palla a Kagami.

Lo vide bloccarsi un momento e con la coda dell’occhio percepì il rosso avvicinarsi per dargli aiuto, ma Daiki non aveva intenzione di lasciargli fare il suo gioco.
Rapido com’era solito essere, si mosse in avanti e gli rubò il pallone con facilità, ma inconsciamente o no, mise troppa forza nello slancio e quando superò Kuroko, lo colpì con una spallata che lo mandò a terra.
Il gioco si paralizzò per alcuni istanti, mentre il viso del piccoletto si contraeva in un’espressione di dolore.

<< Kuroko! >> esclamò Kagami, correndo verso di lui. Si inginocchiò al suo fianco e lo prese delicatamente per una spalla, aiutandolo a mettersi seduto. << Stai bene? Ti sei fatto male? >>.
Anche Kise e Aomine si avvicinarono, osservando il silenzio la scena. Tetsuya sollevò il braccio dove sentiva dolore: il gomito era rosso per il sangue della ferita che si era procurato impattando contro l’asfalto del campo.

<< Fa un po’ male ma sto bene >> rispose Kuroko con voce calma, fissando il volto preoccupato di Kagami. Poteva nasconderlo agli altri ma non a se stesso: la preoccupazione del rosso per il suo stato di salute lo rendeva più felice di quanto avrebbe voluto.

Taiga allora sollevò lo sguardo verso il moro rimasto in silenzio. << Potresti almeno chiedergli scusa >>.
Daiki fece schioccare la lingua. << Sta bene: è solo un graffio; e poi non l’ho mica fatto apposta >>.

L’altro si alzò in piedi e lo fissò con aria arrabbiata. << Dovevi stare più attento. Sei il doppio di lui: potevi fargli male sul serio >>.
Gli occhi del moro si assottigliarono, mentre l’irritazione gli cresceva dentro. << Perché diavolo te la stai prendendo così tanto? È stato solo un piccolo incidente: sono cose che succedono giocando a basket >>.
Kagami strinse i pugni. << E tu perché diavolo stai urlando?! >>.
<< Hai iniziato tu! >>.

Temendo che la situazione potesse degenerare, Kuroko posò una mano sul braccio di Taiga e gli parlò con voce calma. << Kagami-kun, sto bene, non preoccuparti >>.
<< Visto?! Sta bene. Non è mica una ragazzina che ha bisogno della tua protezione >> replicò Aomine con tono scocciato.
Non capiva davvero come le cose fossero arrivate a quel punto.

<< Su, su, perché non ci calmiamo tutti >> intervenne Kise con un sorriso nervoso, cercando di fare da paciere. Non gli piaceva vedere litigare i suoi amici. << Aominecchi non l’ha fatto apposta e Kurokocchi sta bene. Direi di chiuderla qua >>.

Aomine e Kagami si lanciarono un’occhiataccia, ma non si dissero altro. Il rosso mise una mano sulla spalla di Kuroko. << Torniamo a casa mia così ti medico la ferita >>.
Il piccoletto annuì e si lasciò guidare dall’altro, il cuore che gli batteva veloce nel petto.
 
 
 
 
<< Siediti, intanto prendo il kit di pronto soccorso >>.
Kuroko fece come gli era stato detto e si sedette sul bordo del letto di Kagami, mentre questi andava in bagno a prendere ciò che gli serviva per la medicazione.

Sbuffò irritato per tutto il tempo, ripensando alla discussione con Aomine. Perché erano finiti ad urlarsi addosso in quel modo?
“È tutta colpa sua! Avrebbe potuto scusarsi per quel fallo…”. Non era la prima volta che il suo gioco si faceva aggressivo e se per Taiga non era mai stato un problema, per uno con la costituzione di Tetsuya poteva diventarlo.

Era la metà di loro in quanto a fisico e la forza non era di certo al loro livello e anche se non l’aveva fatto apposta, poteva almeno chiedere scusa invece di mettersi a gridare.

Ritornò da Kuroko e gli si sedette accanto. Gli fece sollevare il gomito per osservare la ferita e iniziò a disinfettarla. Lo vide sussultare leggermente al contatto e si scusò.
<< È tutto apposto. Brucia solo un po’ >> rispose lui con tono tranquillo. Anche se in realtà tranquillo non lo era poi molto.

Taiga teneva una mano sul suo avambraccio e Tetsuya adorava la sensazione delle dita dell’altro sulla sua pelle. Era un contatto piccolo e insignificante ma per lui era davvero piacevole e il suo cuore continuava a sussultare.

Si ritrovò a fissarlo mentre lo medicava con cura, l’espressione concentrata su ciò che stava facendo e in quel momento desiderò poterlo toccare a sua volta. Avrebbe voluto stringersi a lui e baciarlo, ignorando ogni cellula razionale del suo corpo.
<< Perché mi stai fissando? >> gli chiese d’un tratto Kagami, quando sollevò lo sguardo sul suo volto.

Solo allora Kuroko si rese conto che lo stava guardando con insistenza. Sbatté le palpebre e l’altro poté quasi leggere sorpresa e imbarazzo, ma se così fu durò solo un attimo.
<< Stavo solo pensando che sei bravo in queste cose >> rispose, lanciando un’occhiata alle mani di Taiga che gli stavano fasciando il braccio all’altezza del gomito.

Lui abbozzò un sorriso. << Fin da quando eravamo piccoli, io e Aomine tornavamo spesso a casa con lividi e ferite così abbiamo imparato a medicarci per conto nostro. Molte volte lo facevamo per non farci scoprire dai nostri genitori… eravamo decisamente scapestrati… >>.
Chiuse la fasciatura e si alzò in piedi. << Fatto >>.
<< Grazie mille, Kagami-kun >>.
<< Figurati, non dirlo neanche >>.

Kuroko si alzò in piedi a sua volta e lo fissò negli occhi. << Mi dispiace per prima… per il tuo litigio con Aomine-kun >>.
Il rosso scosse la testa. << Non è colpa tua. Credo che oggi Daiki fosse di cattivo umore: mi è sembrato strano per tutto il tempo. So che non è un giustificazione, ma tende a diventare davvero scontroso e irritabile >>.

<< È stato solo un’incidente, non prendertela con lui >> lo rassicurò Tetsuya, << e poi… beh, ecco, grazie anche per esserti preoccupato così tanto per me. Mi ha reso felice >>.
Kagami sgranò leggermente gli occhi e si accarezzò la nuca con aria imbarazzata. Non c’era un significato particolare dietro il suo comportamento, ma che Kuroko avesse frainteso? Del resto i sentimenti nei suoi confronti non potevano essere spariti così velocemente e nonostante Taiga fosse contento del fatto che potevano tornare a frequentarsi come amici, in cuor suo sapeva che lui era ancora innamorato.

Avrebbe dovuto smettere di essere gentile? Ma si era comportato in quel modo da quando l’aveva conosciuto e se adesso avesse smesso, le cose tra di loro non sarebbero state ancora più strane?
<< Non era niente di che >> si limitò a dire, sentendosi un po’ in colpa, << comunque l’importante è che non sia successo niente di grave. Ora sarà meglio tornare dagli altri >>.

<< Kagami-kun >> lo richiamò l’altro, dato che lui si era già voltato, << penso che per me sia meglio tornare a casa; con questo braccio non posso più giocare per oggi >>.
<< Ah, certo, che stupido. Scusa >>.

Scesero al piano di sotto dove trovarono Kise seduto sul divano a bere uno sport drink.
<< Dov’è Daiki? >> si informò Taiga, guardandosi attorno come se il moro potesse spuntare da un momento all’altro.
<< È rimasto al campetto. Penso che volesse sfogarsi un po’ >> rispose il biondo, alzandosi in piedi, << tu stai bene, Kurokocchi? >>.
<< Sì, grazie, Kise-kun >>.

Ryota sorrise e avvicinatosi gli diede una pacca sulla spalla. << Ottimo! Mi spiace però che la partita sia finita così: dobbiamo rifarci al più presto >>.
Tetsuya annuì e abbozzò un sorriso.
<< Vado di là a farmi una doccia. A presto Kurokocchi >>. Kise salutò con un sorriso e un cenno della mano e uscì da casa di Kagami.

<< Vado anch’io, Kagami-kun >> si congedò Tetsuya.
Il rosso annuì e lo accompagnò fino alla porta. << Ci vediamo >>.
L’altro annuì e si allontanò lungo il piccolo vialetto.








Se questo finale vi ha lasciati un po' straniti, beh è normale u.u il capitolo sarebbe dovuto andare avanti ma se avessi messo anche la parte che viene dopo, sarebbe diventato troppo lungo e così ho preferito interromperlo qua... e poi vi anticipo che dal prossimo cap gli animi si scalderanno ancora di più: guai all'orizzonte ^^ so stay tuned! *cerca di creare suspense*
ringrazio come sempre tutti voi che leggete, commentate e seguite la mia storia <3 un abbraccio a tutti e intanto buona estate ;)
alla prossima

 

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Capitolo 7
*** We are...so close, yet so far ***


We are... so close, yet so far





 
Kuroko si allontanò da casa di Kagami, diretto verso la più vicina stazione della metro, ma percorsi più o meno un paio di minuti di strada, venne fermato da una voce profonda alle sue spalle.
<< Ehi >>.

Il piccoletto si voltò e osservò Aomine venire verso di lui, l’espressione seria e gli occhi affilati fissi su di lui.
<< Dobbiamo parlare >> gli disse senza smettere di fissarlo.

Tetsuya annuì e si spostarono sul bordo della strada, anche se in quel quartiere residenziale era improbabile che venissero disturbati da qualcuno.
<< Di cosa vuoi parlare? >>. Per qualche secondo Kuroko aveva pure pensato che il moro volesse scusarsi per l’incidente di prima al campetto, ma l’aura che emanava il suo corpo sembrava decisamente ostile.
<< Te la farò breve: stai lontano da Taiga >>.

Se l’altro avesse avuto una maggiore espressività facciale, probabilmente i suoi occhi si sarebbero sgranati per la sorpresa; invece, Daiki colse soltanto un leggero guizzo, ma non ci avrebbe comunque scommesso su.
Quell’assoluta inespressività gli dava sui nervi.
<< Di che stai parlando? >> gli chiese Kuroko, la voce sempre monocorde.

Il moro affilò lo sguardo e fece un passo in avanti. << Non fare il finto tonto con me. Forse puoi ingannare Kagami, ma non pensare di poter fare lo stesso con me. Credi che non abbia capito il tuo piano per avvicinarti a lui? Prima gli dichiari il tuo amore, lui ti evita e tu all’improvviso decidi che ti va bene restare solo amici? Cazzate! So benissimo che stai solo usando la scusa dell’amicizia per potergli stare vicino e se Taiga non fosse così buono e ingenuo da rasentare la stupidità l’avrebbe capito anche lui; perciò te lo ripeto: stagli alla larga >>.

Tetsuya non mostrò alcuna reazione, ma dentro di sé imprecò. Avrebbe dovuto capirlo dalle occhiate infastidite che Aomine aveva continuato a lanciargli che lui sapeva. Non andava fiero di ciò che aveva deciso, ma si era reso conto che se non avesse fatto finta di mettere i suoi sentimenti da parte, Kagami avrebbe continuato ad evitarlo e lui non solo avrebbe perso qualsiasi possibilità per farlo innamorare, ma avrebbe anche perso la sua amicizia.
Non voleva che succedesse e anche se si sentiva in colpa per aver approfittato della bontà e della fiducia di Taiga, aveva fatto suo il detto “in amore e in guerra tutto è permesso”.
Non aveva però messo in conto che Aomine potesse arrivare a minacciarlo.

<< Perché te la stai prendendo così tanto, Aomine-kun? >> gli chiese allora, convinto che quella reazione avesse un che di sospetto. Okay che lui e Kagami erano come fratelli e che magari lui volesse proteggere l’amico, ma a Kuroko quella scenata sembrò tanto un attacco di pura e semplice gelosia.

Daiki aggrottò le sopracciglia. << Mi prendi per il culo? Mi dà fastidio perché Taiga è il mio migliore amico e tu ti stia approfittando della sua gentilezza. Gli stai mentendo >>.

<< E tu non stai facendo la stessa cosa? >>. Non seppe perché gli rispose in quel modo. Il suo era solo un sospetto che dietro il comportamento di Aomine ci fossero dei sentimenti più profondi, sentimenti di cui magari neanche lui si rendeva conto, ma Kuroko sapeva anche di essere un ottimo osservatore e di riuscire a capire le persone.
Gli altri potevano non notare lui, ma lui notava tutto e tutti.

<< Di che cazzo stai parlando? >> sbottò il moro, << io non sono mica innamorato di Kagami! >>.
“È caduto nella trappola. Mi sa che ho ragione io”. << Io mi riferivo al fatto che gli stai mentendo perché sei venuto qua a minacciarmi di stargli lontano. Insomma, immagino che Kagami-kun non lo sappia >>. Vide il volto di Aomine distorcersi per la rabbia e la vergogna e in un battito di ciglia se lo ritrovò a meno di un passo da sé.

Sollevò la testa per poterlo guardare negli occhi e come sempre dal suo volto non trasparì nulla.
<< Non lo sa, ma lo sto facendo per il suo bene. Quindi piantala con i tuoi stupidi giochetti e sparisci >>.
<< Non credo che questa storia sia affare tuo, Aomine-kun. Io e Kagami-kun abbiamo già chiarito tutto e se lui è d’accordo a rimanere amici, non vedo come la cosa possa riguardarti. Anche se siete cresciuti insieme e siete migliori amici, non hai certo l’esclusiva su di lui >>.

A quel punto Daiki non ci vide più dalla rabbia. Afferrò Kuroko per il bavero della giacca e trascinò i loro visi pericolosamente vicini, gli occhi due braci in fiamme. Sembrava una grossa pantera nera incazzata e desiderosa di fare a pezzi la sua preda. << Forse non mi sono spiegato prima. Stai-alla-larga-da-Kagami e prima che tu me lo chieda, sì, è una minaccia >>.

Kuroko stava per rispondergli che non aveva paura di lui, quando una presenza seguita da una voce si rivelò ad entrambi.
<< Che cazzo sta succedendo? >>.
“Taiga!”. Aomine mollò rapido Kuroko e si voltò verso l’amico. Lo vide avvicinarsi a passo spedito verso di loro, il volto una maschera di rabbia e confusione.

Rimasero a fissarsi in silenzio per lunghi istanti fino a che il rosso parlò di nuovo. << Allora? Avete intenzione di rispondermi o no? >>.
<< Kagami-kun, che ci fai qua? >> s’intromise Kuroko.

Taiga assottigliò lo sguardo e agitò l’oggetto che teneva in mano. << Quando te ne sei andato, ho notato che avevi dimenticato l’ombrello nella mia stanza e sono uscito di corsa nella speranza di raggiungerti prima che prendessi la metro >> si fermò e spostò lo sguardo su Aomine, << mentre passavo di qua, ho sentito le vostre voci e mi sono fermato. Ora mi spieghi che cazzo stavi facendo? >>.

Daiki distolse lo sguardo e infilò le mani in tasca. Non fece in tempo a pensare a qualcosa da dire che Kagami lo afferrò per il bordo della felpa e lo strattonò con forza. << Rispondi, Aomine! Perché stavi minacciando Kuroko? Perché gli hai detto di starmi lontano? >>.
<< È una faccenda tra me e lui >> rispose il moro, ma l’altro lo conosceva troppo bene per non notare l’incertezza nel suo sguardo e nella sua voce.

<< Tra te e lui?! Mi stai forse prendendo per il culo?! >> sbottò il rosso, stringendo ancora di più la sua presa sull’altro.
<< Kagami-kun, per favore, calmati… >> provò Kuroko, ma Kagami reagì subito.
<< Non mi calmo finché qualcuno non mi spiega cosa cazzo sta succedendo! >>.

<< Tai… >> iniziò Aomine, ma l’altro lo fulminò con un’occhiataccia. << Non chiamarmi Tai quando ho solo voglia di prenderti a pugni. Che diavolo stavi facendo prima? >>.
<< Lo stavo facendo per il tuo bene, credimi >>.
<< Per il mio bene?! Ma che caz… ti è dato di volta il cervello?! Dire a un mio amico di starmi lontano sarebbe per il mio bene? >>.
<< Kagami-kun, non è come pensi… è solo un equivoco >>.

Senza mollare la presa su Daiki, Taiga puntò il suo sguardo su Kuroko. << Ti ha minacciato, no? >>.
<< Beh, sì, ma… >>.
<< Voglio sapere il perché >>.
Approfittando del fatto che Kagami non lo stesse guardando, Aomine si liberò della sua presa e fece un passo indietro.
<< Hai intenzione di startene in silenzio? >> gli chiese allora il rosso, fissandolo con astio.
<< Non è successo niente di grave, Kagami-kun. Lasciamo perdere >> s’intromise nuovamente Kuroko, che dal canto suo non voleva che la situazione si aggravasse ancora di più.

Taiga alzò gli occhi al cielo ed emise un verso simile a un grugnito. << Niente di grave, eh… bene, fate come vi pare >>. Restituì l’ombrello a Kuroko con un gesto stizzito e si voltò incamminandosi verso casa.
<< Tai, aspetta >> lo fermò Aomine stringendolo per un braccio.
Il rosso lo fissò con rabbia. << Mollami o giuro che ti spacco la faccia >>.
Daiki lo lasciò andare e mentre fissava la sua schiena che si allontanava sempre di più, imprecò più volte dentro di sé. Questa volta aveva davvero fatto una cazzata.
 
 

Dalla cucina, Kise sentì la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi con un violento tonfo. << Bentornato Aominecchi! Hai fame? Sto preparando la cena >> esclamò a voce alta.
Non ricevendo risposta lo raggiunse e lo vide salire le scale, sul volto un’espressione sofferente.
<< Aominecchi, va tutto bene? >>.
Il moro non gli rispose ancora e sparì al piano di sopra. Kise riuscì a sentire la porta della sua stanza che sbatteva con forza, rimbombando per tutta la casa.
“Che cavolo è successo?”.
 
 
Ryota bussò alla porta di Daiki. << Aominecchi, dato che non hai mangiato, ti ho portato la cena >> lo avvertì, una mano impegnata a reggere il vassoio.
<< Non ho fame >> rispose il moro da dentro la sua stanza.
<< Sei sicuro? Ho preparato gli omurice >> insistette il biondo preoccupato. Non era da Aomine saltare un pasto.
<< Ti ho detto che non ho fame >> replicò l’altro a voce più alta.
Kise sospirò e decise di non insistere. << Okay, ma lascio il vassoio qua fuori se dopo cambiassi idea >>. Lo posò sul mobiletto del corridoio e se ne tornò triste in camera sua.
 
 
 

Aomine e Kagami non avevano mai litigato. O almeno non sul serio.
Non da ignorarsi, da non rivolgersi la parola.
I loro battibecchi, causati per lo più da stupidaggini, erano sempre finiti con una risata e senza alcun rancore.

Anche se avevano entrambi una personalità decisamente agguerrita e testarda che li portava a scontrarsi, le loro discussioni non avevano mai avuto niente di grave o violento e non si erano mai dovuti preoccupare di cose come il chiedere perdono e il perdonare.

Per questo la situazione in cui si vennero a trovare si trasformò e peggiorò prima che loro potessero fare alcunché. Iniziarono a trascorrere i giorni e i due continuarono a non parlarsi, entrambi chiusi nella loro confusione e nel loro orgoglio.

Kagami, in particolare, non riusciva a capacitarsi di come Aomine avesse potuto minacciare Kuroko in quel modo e di come lo stesso Kuroko non avesse voluto dargli spiegazioni, minimizzando la faccenda come un equivoco senza importanza.
Cosa diavolo gli era preso? Perché aveva fatto una cosa del genere, alle sue spalle per di più? Taiga non sapeva cosa pensare e più ci provava più sentiva la sua mente ingarbugliarsi, inciampare e attorcigliarsi sui suoi stessi pensieri.

Più di una volta aveva pensato di fiondarsi nella sua stanza e colpirlo fino a che non si fosse deciso a dargli una spiegazione, ma quando incrociava per caso i suoi occhi e vi leggeva dentro un’ostilità mista a qualcosa che non riusciva a decifrare, il suo cervello sembrava spegnersi e qualsiasi parola gli moriva in gola. Sentiva l’irritazione e la frustrazione montargli dentro, distoglieva lo sguardo e si allontanava in fretta.

Imprecava e si malediceva, perché tutta quella situazione gli sembrava così assurda da non poter essere vera. Aveva Daiki così vicino, eppure non l’aveva mai sentito così distante in tutta la sua vita.
 

Dal canto suo, Aomine era come spezzato a metà da due emozioni contrastanti: una parte di lui si sentiva in colpa per il suo comportamento e avrebbe voluto chiedere scusa a Kagami, ma l’altra, dominata per lo più dall’orgoglio, continuava a ripetergli che ciò che aveva fatto l’aveva fatto per il bene di Taiga e niente sembrava togliergli la convinzione di avere ragione.

Avrebbe dovuto raccontargli tutto, dirgli la verità su Kuroko, eppure non ci riusciva. Non l’avrebbe mai ammesso, ma aveva paura.
Paura che il suo migliore non credesse alle sue parole, che gli desse del paranoico, che lo accusasse di avercela con Tetsuya senza ragione; perché ciò avrebbe significato che il suo Taiga aveva più fiducia in Kuroko che in lui.

Che poi, da quando pensava a Kagami come suo?
Anche se siete cresciuti insieme e siete migliori amici, non hai certo l’esclusiva su di lui.
Contro la sua volontà, le parole di Kuroko gli riecheggiavano nella mente, instillando in lui continui dubbi.

Forse aveva ragione il piccoletto. Forse la sua era solo una stupida gelosia perché Taiga si era trovato un altro amico oltre a lui. Ma se così era, Daiki non aveva alcun diritto di prendersela: anche lui aveva legato molto con Kise, tanto da ospitarlo a casa sua; anche lui si era trovato un altro amico oltre a Kagami, però…

Non era la stessa cosa e Aomine lo sapeva.
Così come sapeva di odiare quella situazione.
Durante l’anno che aveva trascorso a Kagoshima, Kagami gli era mancato ogni giorno. Era stato conscio della distanza fisica che li separava, ma aveva trovato conforto anche solo leggendo un suo messaggio o ascoltando la sua voce al telefono.
Adesso, invece, vivevano di nuovo l’uno accanto all’altro, eppure gli sembrava che ci fosse un intero continente a separarli.
 
 
 
 
<< Aominecchi, sto uscendo! >> annunciò Kise a voce alta, mentre si infilava le scarpe all’ingresso.
Proprio in quell’istante il moro scese le scale. << Dove vai? >>.
<< Al supermercato. Manca un bel po’ di roba >>.
Aomine lo guardò per qualche istante. << Vengo con te >>.

<< Eh? Davvero? >>. Kise non poté trattenere un sorriso. Da quando si era traferito, quella era la prima volta che Daiki si offriva di accompagnarlo a fare la spesa; di solito si lamentava sempre o diceva che aveva altro da fare, cosa quasi mai vera.
“È solo perché non può vedersi con Kagamicchi che passa il tempo con te…” gli disse una vocina malvagia nella sua testa.

Da quando i due avevano litigato quasi una settimana prima, il moro aveva finito per trascorrere i suoi momenti liberi con Kise che, nonostante gli impegni, riusciva sempre a trovare del tempo per stare con lui. Anche solo stare seduti sul divano a guardare un film lo rendeva più felice di quanto avrebbe dovuto essere.
E lo sapeva.

Sapeva che non avrebbe dovuto sentirsi così. Sapeva che in realtà Daiki era di pessimo umore per tutta quella faccenda, così come sapeva che il moro cercava solo delle scuse per tenersi occupato e non pensare a Kagami.
Eppure neanche questa amara consapevolezza gli tolse la gioia di poter passare del tempo con Aomine.

Questi annuì e aprì la porta d’ingresso. << Ti aiuto a portare le buste >>.
Il biondo sorrise e gli mise un braccio sulle spalle. << Come siamo gentili oggi, Aominecchi! Non è da te >> lo prese in giro, sperando di farlo sorridere almeno un po’.

Lo amava e lo faceva soffrire vederlo sempre con un’espressione depressa stampata in faccia; voleva farlo ridere, voleva farlo sentire meglio, voleva risollevargli il morale.
Ma la solita vocina malvagia nella sua testa continuava a dirgli che finché non avesse sistemato le cose con Kagami, Aomine non avrebbe più sorriso.
 
 
 
 
<< Abbiamo finito? >> domandò d’un tratto Aomine, mentre lui e Kise percorrevano il corridoio del supermercato, il carrello mezzo pieno.
Il biondo si fermò un momento e diede una rapida occhiata alla lista della spesa. << Manca solo la carta igienica >>.

L’altro annuì e i due ripresero a camminare, ma svoltato un angolo per spostarsi nell’altro reparto, si scontrarono con un altro carrello.
<< Oh, mi scusi >> disse subito una voce femminile, il cui tono però cambiò appena la donna posò lo sguardo sui due giovani, << Daiki, Kise, che coincidenza incontrarvi qua! Non è vero, Taiga? >>.

Il mondo sembrò rallentare per lunghi momenti mentre Kagami e Aomine si fissavano negli occhi, pieni di sorpresa e imbarazzo. Non si erano più ritrovati così vicini da quando avevano litigato e adesso a malapena riuscivano a guardarsi in faccia.
<< Già, che coincidenza! >> intervenne rapido Kise prima che un silenzio imbarazzante calasse su tutti loro, << anche lei e Kagamicchi a fare la spesa, eh? >>.
La donna fece un piccolo sorriso. << Dovevo prendere un po’ di cose e così ho chiesto a Taiga di accompagnarmi. E voi due? È raro vedere dei ragazzi da soli al supermercato >>.
Kise sorrise a sua volta. << Ahah, ha ragione, signora. Ma non avevamo quasi più niente a casa e Aominecchi è stato tanto gentile da offrirsi di aiutarmi >>.

La madre di Kagami alternò lo sguardo tra il figlio e Daiki e la confusione si insinuò in lei. I due se ne stavano immobili, le spalle rigide ed evitavano accuratamente di guardarsi negli occhi.
Sembravano due sconosciuti.
“O due che non si parlano più… che sta succedendo? Taiga e Daiki non si erano mai comportati così finora…”.

<< Perché non venite a pranzo da noi domani? >> propose loro, << è sabato e voi siete liberi, no? E poi, Daiki, ultimamente non ti ho più visto… >>.
<< Non può >> dichiarò all’improvviso Kagami, anticipando qualsiasi altra risposta. Sollevò lo sguardo sul moro per un solo attimo, ma lo distolse rapidamente. << Aomine non può venire, ha da fare >>.

Gli occhi degli altri si puntarono sul diretto interessato che a sua volta puntò i suoi sul rosso. Si irrigidì ancora di più e sentì le labbra curvarsi in un ghigno freddo che non riuscì ad evitare.
<< Già, non posso venire, mi spiace. Mi devo vedere con una ragazza >>. Non era assolutamente vero, ma fu la prima scusa plausibile che gli venne in mente. Vide Taiga sollevare nuovamente lo sguardo e quando si fissarono, entrambi ferirono l’altro e si sentirono feriti a loro volta, ma non se ne resero conto.

<< Ooh, che peccato >> rispose la donna, non mancando di notare quello strano scambio tra Taiga e Daiki, << però beh, se hai un appuntamento non ci si può fare niente. E tu, Kise? >>.
<< Purtroppo non posso nemmeno io, signora. Ho un’audizione e un servizio fotografico >>.
<< Ti fanno lavorare anche di sabato? >>.
 Le labbra del biondo si curvarono leggermente verso l’alto. << Il mio lavoro non conosce orari, purtroppo >>.
La donna sospirò, un po’ delusa. << Allora mi sa che dovremo rimandare >>.

Sentendo l’atmosfera fattosi decisamente strana e pesante, Kise decise di intervenire: congedò lui e Aomine e i due si allontanarono lungo il corridoio.
Quando furono a diversi metri di distanza, Kagami voltò la testa e osservò la schiena di Aomine. Strinse i pugni lungo i fianchi e si odiò per il suo stupido comportamento, mentre allo stesso tempo desiderò che il moro lo guardasse e gli sorridesse come sempre.

Ma ebbe anche paura di rivedere quel ghigno freddo e incattivito di prima e distolse lo sguardo, raggiungendo poi la madre.
Non vide così Daiki che si fermava e si voltava verso di lui, lo sguardo ferito e perso.
 



<< Taiga, va tutto bene? >>.
Kagami chiuse lo sportello del frigorifero e si voltò verso la madre, intenta ad affettare le verdure per la cena e un sospirò gli sfuggì dalle labbra.
La donna posò il coltello e guardò il figlio. << So che ormai non sei più un ragazzino, ma se c’è qualcosa che non va, sai che puoi parlarne con me, vero? >>.
Kagami abbassò gli occhi e strinse le dita attorno alla lattina che aveva preso. “Invece sono peggio di un ragazzino, cazzo!”
<< Tu e Daiki avete litigato? >>.

Taiga si limitò ad annuire e la madre sospirò. << È una cosa così brutta? Non vi guardate neanche più in faccia… >>.
<< N-non lo so… forse… >> rispose lui a bassa voce e sentì una paura subdola e sottile insinuarsi dentro di sé e riempirgli le vene e le cellule. E se non avesse più parlato con Aomine? E se non avessero più giocato a basket insieme? E se lui non gli avesse più sorriso e non l’avesse più chiamato Bakagami?
La madre gli si avvicinò e gli posò una mano sul braccio. << Taiga, è normale litigare; capita a tutti, ma bisogna anche saper chiedere scusa e perdonare >>.
Il ragazzo abbassò gli occhi su di lei e abbozzò un sorriso triste. << Grazie, ma’. Torno a studiare >>.

Si allontanò dalla donna e andò in camera sua. Si buttò di peso sulla sedia della scrivania e lasciò vagare lo sguardo finché questo si posò sulla finestra, aperta per il caldo.
Normalmente Daiki l’avrebbe attraversata con un salto come al solito, ma adesso…
Kagami sbuffò, sconsolato e chiuse gli occhi per lunghi momenti. Li riaprì appena sentì squillare il cellulare. Lo afferrò e lesse il display: Kuroko lo stava chiamando.

Nonostante nella causa del litigio tra lui e Aomine c’entrasse anche Tetsuya, Taiga non aveva smesso di sentirsi con lui.
Kuroko gli aveva ripetuto che quello che era successo era solo una stupidaggine e che lui avrebbe dovuto fare pace con Aomine, ma Kagami non riusciva ad accettare il fatto che il moro avesse minacciato un suo amico e che non avesse neanche cercato di chiarire.

Cos’era successo? Perché nessuno gli voleva dare spiegazioni?
In teoria avrebbe dovuto avercela anche con Kuroko, eppure, forse anche per una forma inconscia di ripicca, non aveva tagliato i rapporti con lui e anche se sapeva che tutta quella situazione era decisamente strana, parlare con Tetsuya lo faceva stare meglio.
<< Ehilà >> rispose al telefono con un tono che gli uscì più allegro di quanto avrebbe immaginato.
<< Buonasera, Kagami-kun >>.
<< A che devo questa chiamata? >>.
<< Nessun motivo in particolare, avevo solo voglia di sentirti, ma se ti disturbo posso richiamarti in un altro momento >>.
Taiga ridacchiò. << No, tranquillo, nessun disturbo. Ti preoccupi sempre troppo >>.

Chiacchierarono sereni al telefono per un po’, mentre nella casa accanto, nella sua stanza, Daiki fissava la finestra di Taiga, chiedendosi se avrebbe o meno dovuto fare quel piccolo salto per tornare da lui.








Hello to everybody!! ;) come potete ben ammirare, sono riuscita in un altro aggiornamento a tempo (quasi) da record :3 *saltella in giro*
e adesso le cose tra i nostri non-ancora-piccioncini cominciano a farsi difficili.... un po' mi dispiace per loro *va ad abbracciarli* ma senza del sano(?) angst che storia sarebbe? X)
cosa succederà nei prossimi capitoli? riusciranno questi idiot... ehm, ingenui ragazzi a fare pace? :3
per scoprirlo, stay tuned ^^
ringrazio come sempre tutti voi che leggete, commentate e seguite la storia <3 un abbraccio e alla prossima
bye bye

 

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Capitolo 8
*** We are...remembering the past ***


We are... remembering the past






Quando Aomine aprì gli occhi e mise a fuoco l’ambiente circostante, vide la luce calda e vibrante della tarda mattinata illuminare la sua stanza. Si stropicciò le palpebre e diede un’occhiata alla sveglia sul comodino che a numeri rossi e luminosi segnava le 10:05. Si stiracchiò per bene e si alzò con un grugnito per poi dirigersi a passo lento e assonnato verso il bagno.

Di nuovo in corridoio, udì distintamente le note di una canzone; non la riconobbe, ma dalla melodia gli sembrò una ballata romantica e proveniva dalla stanza di Kise.

Aprì la porta e vide il biondo seduto alla scrivania con lo sguardo fisso sul monitor del PC dal quale proveniva la musica.
Sentendo dei rumori, Kise si voltò e vedendo il moro gli sorrise. << Buongiorno, Aominecchi >>.

Questi fece schioccare la lingua e grugnì un “buongiorno” in risposta; gli si avvicinò e buttò uno sguardo al computer. << Che fai? >>.
Il biondo mise in pausa la canzone. << Stavo scegliendo un pezzo per esercitarmi nel canto >>.
<< Ma non dovresti essere a lavoro? >>.
<< Sto aspettando Sakuchi-san: dovrebbe essere qui a momenti >>.
<< E nel frattempo ti ascolti canzoni melense? >>.

Kise roteò gli occhi e fece un sorriso di superiorità. << Innanzitutto una canzone, per essere bella, non deve essere per forza hip-pop o rock come quelle che ascolti tu e questa è una bella canzone e non è melensa e secondo, me ne serve una per i miei esercizi di canto >>.

Daiki storse la bocca. << Ma è in inglese >> commentò e lo fece con una tale nota di disprezzo nella parola “inglese” che Ryota non poté impedirsi di ridacchiare.
<< Aominecchi, solo perché per te l’inglese è alla stregua di una lingua aliena indecifrabile, non significa che sia così per tutti >>.

Il moro fece un verso a metà tra un sospiro e un grugnito, ma non replicò. Dopotutto, Kise aveva ragione: lui e l’inglese non era mai andati d’accordo, anzi, se Aomine avesse potuto, avrebbe abolito quell’assurda lingua dalla faccia della Terra.

A scuola si era sempre salvato per il rotto della cuffia e spesso e volentieri grazie all’aiuto di Kagami che in inglese se l’era sempre cavata meglio di lui.
All’improvviso pensiero di Taiga, una fitta di dolore lo punse alla bocca dello stomaco. Scosse la testa e sbuffò: non doveva pensarci.

Per sua fortuna lo squillo del cellulare di Kise interruppe la sua linea di pensiero. Il biondo lo afferrò e scattò in piedi. << Sakuchi-san è arrivata >>, corse verso la porta e lanciò un’occhiata a Daiki, << Aominecchi, puoi spegnere tu il computer? >>.

Il moro annuì e Ryota si fiondò fuori dalla stanza mentre la sua voce risuonava per la casa fino a spegnersi, quando raggiunse la porta d’ingresso. << Tornerò per cena! Buona giornata, Aominecchi! >>.

Daiki emise un lungo sospiro e si sedette alla scrivania; stava per spegnere il PC quando la curiosità prese il sopravvento e lo spinse ad avviare la canzone che stava ascoltando Kise. Già dai primi secondi capì che non era proprio il suo genere di musica: le canzoni dai ritmi lenti e melodici non facevano proprio per lui e, anche se non capì una sola parola, si convinse che fosse un pezzo romantico che parlava di chissà quali sdolcinatezze da carie ai denti.

Osservando meglio le schede del browser aperte si accorse che Kise aveva anche cercato la traduzione: i suoi occhi scorsero le parole, mentre il cuore accelerò leggermente i battiti.


https://www.youtube.com/watch?v=xThF51HXDAw

 
 
Se ti sei perso
e hai bisogno di fuggire
o di rasserenare la mente,
chiama il mio nome
quando hai bisogno di un amico
io ci sarò, sarò lì
 
 
Senza che lui potesse controllarlo, il suo cervello decise di ricollegare quelle parole a Taiga e d’improvviso Aomine provò una strana e spiacevole sensazione alla gola.
 
 
Se i tuoi sogni sono inzuppati di sudore,
 non riesci a dormire, c'è troppo nella tua testa
chiama il mio nome ogni momento della giornata
io ci sarò, sarò lì
 
 
La sua mente gli stava forse giocando un brutto scherzo? Lui, Aomine Daiki, stava davvero diventando sentimentale? La semplice parola era solita provocargli un senso di ribrezzo lungo tutta la spina dorsale, ma ciò non toglieva che, ascoltando quella canzone, stava pensando al suo rapporto con Kagami e la cosa non poté non ferirlo.
 
 
Quando non riesci a continuare, quando la strada è troppo lunga
sappi che non sei solo, posso portarti a casa
se resisti questa sera ci sarò
 
 
Non riuscendo più a sopportare quelle emozioni che si accavallavano dentro di lui, facendo a gara per farlo sentire uno schifo totale, chiuse tutti i programmi e spense il computer, il tutto con gesti rapidi e rabbiosi, quasi che, così facendo, potesse sfogarsi almeno un po’.
Sbuffò e si passò una mano sulla faccia.

“Merda! Merda! Merda!”. Tutta quella situazione era così assurda… lui e Taiga erano sempre stati insieme.
Sempre. Escludendo l’anno trascorso a Kagoshima, non ricordava un momento della sua vita in cui non fosse stato insieme a lui, in cui non avessero riso, battibeccato, giocato, in cui non si fossero presi a insulti e qualche volta anche a pugni, in cui non avessero trovato aiuto l’uno nell’altro.

La loro amicizia era sempre stata più forte di qualsiasi altra cosa e adesso invece a malapena si guardavano negli occhi.
“È tutta colpa tua…” gli disse una vocina bastarda nella sua testa, “hai fatto una cazzata e ora non hai neanche le palle per chiedergli scusa”.
Si alzò di scatto dalla sedia e andò a fare colazione.
Più tardi sarebbe andato a correre fino a sfiancarsi talmente tanto da non riuscire neanche a pensare.
 
 
 
Quando Daiki tornò dalla sua corsa, stanco, spossato e sudato fradicio, pensò che magari avrebbe potuto correre ancora per qualche chilometro se ciò avesse significato evitarsi la vista di Kuroko che entrava in casa di Kagami, accolto proprio dal rosso.

Dato che non era stupido al 100%, capì il significato dietro ciò che stava vedendo: Taiga aveva invitato a pranzo Kuroko.
Lo stesso invito che la madre di Taiga aveva rivolto a lui e Kise il giorno prima era stato rigirato a Kuroko.
Aomine strinse i pugni talmente forte da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani e sentì ogni muscolo del corpo irrigidirsi.
“Cazzo!”.
 
 
 
 
Quando Kagami tornò in soggiorno dalla cucina, comprese due cose: la prima, che sua madre sapeva bene come metterlo in imbarazzo, la seconda, che Kuroko era un gran bastardo nascosto dietro un viso da cosiddetto “bravo ragazzo”.

<< Guarda com’era carino il mio Taiga! Un tesoro, vero? >> esclamò la donna con voce entusiasta, indicando a Kuroko una foto.
<< Avrei dovuto nasconderti quel dannato album! >> grugnì il rosso, avvicinandosi al divano sul quale era seduti vicini Tetsuya e sua madre, con l’intento di strapparle dalle mani lo spesso volume.

Madre che, a quel commento, mise su un broncio degno di una bambina piccola e protesse l’album circondandolo con le braccia. << Perché te la prendi tanto? Sto solo mostrando al tuo amico quanto il mio tigrotto era adorabile da piccolo >>.

Taiga arrossì, imbarazzato: fino ai suoi otto anni, la madre lo aveva spesso chiamato “tigrotto”, anche di fronte agli altri bambini, facendoli scoppiare a ridere e provocando in lui il desiderio di sotterrarsi vivo. Aveva smesso solo quando lui aveva accettato un patto: se avesse tenuto pulita la sua stanza per un mese intero, lei non avrebbe più usato quel nomignolo.

<< Non ricominciare, ti prego… >> si lamentò Kagami, passandosi una mano sul volto, << e poi a lui non importa di vedere le mie foto da piccolo >>.
<< Veramente, Kagami-kun, mi sto divertendo >> replicò l’altro con un piccolo sorriso che fece la gioia della donna ma l’infelicità del figlio.
<< Bell’amico che sei >> sbottò il rosso incrociando le braccia sul petto.

La donna sorrise e sfogliò una pagina dell’album. << Eri così piccolo e tenero, come un cucciolo di tigre: veniva voglia di mangiarti di coccole >> insistette, lo sguardo pieno di amore e nostalgia mentre guardava una foto che ritraeva Taiga a quattro anni, seduto per terra, con gli occhioni spalancati mentre stringeva al petto il peluche di un orsetto.

<< Mamma! >> esclamò il rosso con un tono tra il disperato e il supplichevole.
<< Mi chiedo come hai fatto a diventare così grande e grosso… >> continuò la madre, ignorando completamente i lamenti e l’imbarazzo del figlio. Sfogliò un’altra pagina e alla vista delle immagini presenti Kagami sentì un guizzo al cuore.

<< Awww, avevo dimenticato questa foto! >> cinguettò la donna con entusiasmo, << tu e Daiki eravate semplicemente adorabili con queste felpine >>.
Taiga non poté impedirsi di gettare un’occhiata alla foto. Ritraeva lui e Aomine all’età di sei anni: indossavano delle felpe rappresentanti due animali, una tigre per Taiga e una pantera nera per Daiki con tanto di cappucci pelosi muniti di orecchie. ( https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/736x/c8/8a/5d/c88a5decaf255ed407a257f65cd051de.jpg )

<< Se non ricordo male, ve le aveva regalate la madre di Daiki per il vostro primo giorno di scuola >> commentò la donna senza smettere di sorridere.

Nelle foto che seguirono, dovunque si vedesse Taiga c’era Daiki accanto. In una si tenevano per mano durante la prima gita scolastica di classe alle elementari – Kagami la ricordava ancora, l’insegnante aveva detto loro di tenersi per mano con il compagno per non perdersi e Aomine non gliel’aveva lasciata per tutto il tempo – in un’altra erano insieme al campo giochi con un pallone di basket sotto braccio e in un’altra ancora, scattata il loro primo giorno al liceo, indossavano le uniformi e avevano l’uno il braccio sulla spalla dell’altro.

( https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/236x/5d/1f/b8/5d1fb8b8d6bb042a977749a4a3f573d5.jpg )
( http://media-cache-ec0.pinimg.com/236x/70/69/3f/70693f8eb2f63f62a921f7fa62949e1c.jpg )
( http://cdn.i.ntere.st/p/7296618/image )

<< Tu e Aomine-kun siete insieme in tutte le foto >> disse infatti Kuroko osservando le varie pagine dell’album.
<< L’hai notato, eh? >> rispose la donna, sempre con un sorriso, << lui e Daiki sono sempre stati inseparabili fin da quando si sono conosciuti. La sua famiglia si è trasferita nella casa accanto quando avevano tre anni e da quel momento non si sono mai lasciati >>.

Kagami si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo. Dovevano ricordargli di tutti gli anni passati con Aomine proprio ora che loro due avevano litigato e non si parlavano più?
Non gli sembrava affatto giusto.
Sentì una stretta al cuore e uno strano dolore alla bocca dello stomaco.

<< Kagami-kun, va tutto bene? >> gli domandò allora Kuroko, notando il viso contratto in un’espressione sofferente.
<< Eh? Ah, sì, sì, tutto okay >> rispose lui frettolosamente, abbozzando un sorriso forzato.
La madre sollevò gli occhi e richiuse l’album di foto con un sospiro. << Che non si dica che tua madre si diverte a metterti in imbarazzo >>, si alzò in piedi stringendo il volume tra le braccia, << direi che possiamo fermarci qua per oggi >>.

Si allontanò per andare a rimettere a posto l’album, non prima di aver posato per un attimo la mano sulla spalla del figlio.
Taiga la ringraziò mentalmente, ancora sorpreso di come sua madre riuscisse a capirlo così bene. Solo un’altra persona al mondo era in grado di farlo e in quel momento gli mancava da morire.
 
 
 
 
 
Non vuole piangere, Taiga. I maschi non piangono, gli ha detto una volta Daiki, è una cosa da femmine.
E lui non vuole comportarsi come una femmina, così tira su col naso e si guarda le mani: sono sporche di terra e sangue e gli fanno male.

Gli occhi gli pizzicano mentre le lacrime cercano di uscire fuori e lui cerca di trattenerle con tutto se stesso, ma sente dolore in tutti i punti dove quei bulli l’hanno appena picchiato. È riuscito a dare un pugno in faccia a uno di loro, ma quelli erano in cinque e lui era da solo e alla fine non ha potuto fare altro che aspettare che si stufassero di colpirlo e se ne andassero.

Non vuole piangere, Taiga. Perché ha dieci anni ormai e come gli ha detto sua madre con un sorriso, lui ormai è un ometto e deve essere coraggioso anche se non ha più il papà.
E lui vorrebbe essere coraggioso ma quei ragazzini della sua stessa scuola l’hanno preso in giro perché non ha potuto partecipare alla corsa campestre padre-figlio. Ma cosa ci poteva fare se il suo papà è morto quando lui aveva solo cinque anni?

Ha risposto, Taiga e non gli importava di litigare con quegli idioti, ma poi loro hanno cominciato a spintonarlo e quando lui ha reagito, colpendo il loro capo, quelli gli sono andati addosso e l’hanno preso a calci e pugni, lasciandolo poi a terra ferito e dolorante.

Si è rialzato, Taiga, anche se a fatica, ma non si è mosso da quel piccolo parco vicino la scuola. Vorrebbe tornare a casa, ma sa che appena sua madre vedrà com’è ridotto, si preoccuperà e lui non vuole far preoccupare la sua mamma, che è già tanto triste e tanto impegnata con il lavoro.

Distratto dal dolore e da questi pensieri, non si accorge di Aomine finché non sente una mano posarsi sulla spalla.
<< Ehi, Taiga! Che ci fai qua da solo? >> lo saluta, ma il suo tono allegro svanisce non appena Kagami si volta verso di lui.
<< Che ti è successo? Chi è stato? >> esclama fissandolo ad occhi spalancati, la voce arrabbiata.

Si sforza di sorridere, Taiga, perché non vuol far preoccupare il suo migliore amico e soprattutto non vuole che Daiki cerchi di vendicarlo, ma sente dolore alla faccia e alla fine il sorriso non è altro che una smorfia.
Daiki gli stringe le spalle e lo guarda fisso negli occhi. << Taiga, rispondi. Chi è stato? >>.

<< Non è successo niente, non preoccuparti. Sto bene >> gli risponde cercando di liberarsi dalla sua presa, ma il moro non glielo lascia fare.
<< Come puoi dire di stare bene?! Dimmi chi è stato o io e te non siamo più amici >>.

Sgrana gli occhi, Taiga e per un momento ha paura: Daiki è il suo migliore amico, è come un fratello, non vuole perderlo e alla fine la forza del suo sguardo lo convince a parlare.

Gli racconta tutto quanto e lo vede stringere i pugni: è chiaramente arrabbiato, ma non dice niente. Gli accarezza i capelli e lo riaccompagna a casa tenendolo per mano.
 
 
Quando, il giorno dopo, Kagami vede il volto di Aomine macchiato da una ferita sul mento e alcuni lividi violacei, non ha bisogno di chiederglielo per sapere cos’ha fatto.
<< Ecco perché non volevo dirti niente ieri! Non dovevi farlo >> lo rimprovera, stringendo le spalliere dello zainetto.
<< Ho solo dato una lezione a dei cretini. Ora non ti toccheranno più neanche con un dito >> risponde, sfoggiando un sorriso di superiorità.
<< Perché l’hai fatto? Non ce n’era bisogno >>.

<< Hanno fatto del male al mio migliore amico: non potevo far finta di nulla >>.
Stringe le labbra, Taiga e sente gli occhi pizzicargli. << Ma ti sei ferito >>.
<< Non fa poi così tanto male. Dovresti vedere quegli idioti piuttosto >>.

<< Sei tu l’idiota! E se ti succedeva qualcosa? E se io rimanevo di nuovo solo? >>. Sa che sembra uno stupido, Taiga, perché Daiki non sparirà all’improvviso come il suo papà, ma lui è sempre pronto a litigare con tutti e anche a fare a botte e ogni volta Taiga non riesce a non spaventarsi al pensiero che si faccia male davvero.

Sente Aomine sospirare mentre una piccola lacrima gli scivola sulla guancia e subito dopo la mano di lui gli scompiglia piano i capelli. << Non mi frega di qualche ferita. Tu sei il mio migliore amico: è compito mio proteggerti. E non metterti in testa strane idee: io non andrò da nessuna parte. Non penserai di liberarti di me tanto facilmente, vero? >>, sorride e gli dà un colpetto sul braccio, << quindi non piangere più. Capito, Bakagami? >>.

Sbarra gli occhi, Taiga, per poi ricambiare il colpo al braccio. << Ora non fare lo spaccone, Ahomine >>.
Scoppiano entrambi a ridere, consapevoli di quanto la loro amicizia sia diventata più forte.
 
 
 
 
Quando Kagami aprì gli occhi di scatto, gli ci volle qualche secondo per capire dove si trovasse e cosa fosse successo. Si passò una mano sulla faccia e sospirò.
Non credeva avrebbe rivissuto un ricordo della sua infanzia in un sogno e per di più quel ricordo.

Non aveva dimenticato il gesto di Aomine: a quei tempi era ancora un marmocchio spaventato all’idea di perdere il suo migliore amico per qualcosa come una rissa, ma il fatto che il moro l’avesse vendicato e che gli avesse promesso di restare sempre al suo fianco gli aveva fatto segretamente piacere.
A ben pensarci, era un’idea decisamente sdolcinata, eppure le cose stavano così.

Sospirò ancora una volta e lesse l’ora sulla sveglia. Le 04:18 del mattino.
Richiuse gli occhi e si sforzò di riprendere sonno, ma gli echi della sua memoria continuarono a risuonargli nella mente.

Tu sei il mio migliore amico: è compito mio proteggerti. E non metterti in testa strane idee: io non andrò da nessuna parte.

Che fine aveva fatto quella promessa di tanti anni fa?
 
 
 
 
 
Le mani occupate da due bibite, Kise raggiunse il soggiorno. << Aominecchi. La gamba >> gli disse fissando il moro stravaccato sul divano, la cui gamba, appunto, occupava tre quarti della seduta.

Aomine inarcò un sopracciglio. << Per forza? >> gli chiese in tono scocciato, come se muovere il proprio arto gli costasse una fatica abnorme e lui dovesse ponderare se poteva o meno evitarla.
L’altro roteò gli occhi e sbuffò. << Sbaglio o la tua pigrizia è decisamente peggiorata nelle ultime settimane? >>.

Daiki scrollò le spalle e sospirò per poi spostare la gamba con un grugnito, permettendo così a Kise di sedersi. Il biondo gli allungò la lattina e fece partire il film scelto per la serata, Rurouni Kenshin.
Serata che prevedeva, infatti, fondersi con il divano e guardare un film in tutta tranquillità.

Cosa di cui il biondo avrebbe avuto bisogno, considerando lo stress causatogli dal lavoro, ma come sempre, stare accanto ad Aomine lo rendeva inquieto ed emozionato e nonostante una parte di lui si fosse in un certo senso abituata alla presenza del moro, l’altra, quella innamorata, doveva continuare a fingere.

Così tutti i suoi sforzi si focalizzarono sul mantenere l’attenzione concentrata sulle avventure del giovane samurai e per sua fortuna, il film era tanto avvincente da semplificargli il lavoro.

<< Quest’attore è troppo bello, è irritante >> se ne uscì d’un tratto Daiki, senza staccare gli occhi dal televisore.
Kise sgranò gli occhi e voltò leggermente la testa nella sua direzione. << Come, scusa? >> gli chiese trattenendo a stento una risata.
<< Oh, insomma, guardalo! Sono sicuro che i samurai non fossero così attraenti. Hanno scelto l’attore solo per il suo bel faccino >> insistette il moro, lo sguardo sempre fisso sullo schermo.

Il biondo sospirò e abbozzò un sorriso. << Guarda che Takeru Satou non è solo bello, è anche un bravo attore, Aominecchi. Forse un giorno anch’io diventerò famoso come lui >>.
<< Beh, non so come reciti, ma di sicuro il tuo aspetto non ha niente da invidiargli >> rispose il moro con tono serio, senza poter neanche immaginare cosa le sue parole provocassero nel cuore e nella mente di Ryota.

Aomine era sempre stato consapevole della bellezza di Kise, nel modo in cui si può esserlo di un’opera d’arte, naturalmente, senza secondi pensieri. Del resto, fin dal suo arrivo nella nuova scuola a Kagoshima, aveva notato quanto il biondo fosse popolare tra le ragazze, tanto che molte di loro avevano dato vita ad un fan club: lo ammiravano e veneravano come se fosse stato un idol famoso e dato che Kise era sempre gentile e sorridente con tutti, loro non facevano altro che sbavargli dietro ancora di più.

Per questo le sue parole non avevano alcun significato nascosto: erano schiette e dirette come lui, ma se il razionale Ryota ne era consapevole, l’innamorato Ryota sentì il cuore schizzargli in gola e le budella attorcigliarsi in un doloroso e piacevole groviglio.

Le guance gli andarono a fuoco e si affrettò a voltare nuovamente la testa e puntarla sul televisore, lasciando che i ciuffi dorati gli nascondessero l’imbarazzo, ma per sua fortuna Daiki era troppo concentrato sul film per prestare attenzione al suo scombussolamento emotivo.










Hello to everybody!! Eccomi qua col nuovo capitolo! Spero di non avervi fatto aspettare troppo, ma sono stata per quasi 2 settimane fuori casa e senza pc, perciò ho potuto pubblicare solo oggi... ^^
come avrete di sicuro visto durante la lettura, ci sono dei link a un video e ad alcune immagini: quando li ho visti non ho potuto che lasciarmi ispirare ed ecco com'è nato questo capitolo che in effetti è un po' di passaggio, diciamo... insomma, non succede niente di speciale X) però ci tenevo tanto a mettere una scena del loro passato, perchè, ammettiamolo, da piccoli me li immagino troppotroppotroppo adorabili u.u e la scena sogno-ricordo di Kagami l'ho ritenuta importante per dimostrare l'intensità del loro rapporto.... <3
 la canzone iniziale poi direi che parla da sola u.u
spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio come sempre tutti voi che leggete, commentate e seguite la storia *___* <3 il vostro sostegno è fondamentale ;D
al prossimo capitolo, dove ci sarà decisamente più azione, prometto ^^
PS: se non avete visto il film Rurouni Kenshin, ve lo consiglio assolutamente! E' davvero avvincente e Takeru Sato è un gran figo della Madonna, cosa chiedere di più? XD

 

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Capitolo 9
*** We are...scared ***


We are... scared




 



Aomine sfogliò pigramente le pagine del libro, gli occhi che vagavano sulle parole senza riuscire a soffermarsi su nessuna di esse. Un profondo sbadiglio lo colse all’improvviso e una piccola lacrima si creò all’angolo dell’occhio destro.

Allungò le braccia verso l’alto e buttò la testa all’indietro, poggiandola sulla spalliera della sedia. Il soffitto della biblioteca universitaria, liscio, chiaro e asettico, gli sembrò d’un tratto più interessante del libro che stava cercando di studiare.

Mancavano meno di due settimane all’esame e lui non era affatto sicuro di come sarebbe riuscito a prepararsi in tempo. Aveva creduto che la biblioteca sarebbe stata un ottimo posto per concentrarsi. I libri, il silenzio, tutti gli altri studenti nelle sue stesse condizioni, con le teste chine sui tavoli: pensava che gli sarebbero stati d’ispirazione, ma la sua mente non sembrava voler collaborare a sufficienza.

Sbuffò e imprecò a mezza voce, beccandosi una breve occhiata dal ragazzo seduto di fronte a lui. Si stropicciò gli occhi e provò a tornare sul suo libro, quando lo squillo del cellulare ruppe la quiete della biblioteca.

Aveva dimenticato di metterlo in modalità silenzioso.
Molti sguardi si sollevarono su di lui, alcuni non molto amichevoli, ma lui li ignorò senza problemi e lesse il messaggio che aveva ricevuto.

Pochi istanti dopo scattò in piedi con tale impeto da rovesciare la sedia. Il tonfo rimbombò per tutte le pareti della sala, sostituito subito dopo dal suono dei suoi piedi che correvano a gran velocità sul pavimento.

Urtò diverse persone prima di uscire dall’edificio, ma non si scusò e non si fermò nemmeno per un secondo.
Non poteva.
Non dopo quello che aveva letto.
“Cazzo! Ti prego, dimmi che non è vero!”.
 
 
 
<< Pronto? Il signor Kagami Taiga? >>.
<< Sì, sono io. Chi è? >>.
<< La signora Mashida Ryoko è sua madre? >>.
<< … s-sì… perché? >>.
<< Sua madre ha avuto un incidente: in questo momento è ricoverata in ospedale >>.
 
 
 
Daiki corse fuori dalla facoltà e, una volta in strada, fermò il primo taxi che vide. Si precipitò dentro e disse all’autista di correre.
Doveva raggiungere l’ospedale al più presto.
 
 
 
Seduto accanto a lui, Kuroko osservò Taiga con la coda dell’occhio: teneva il cellulare stretto tra le mani e se lo rigirava nervosamente, come se non sapesse cosa farci.

Quando Kagami era stato avvisato dell’incidente, Tetsuya era insieme a lui: avevano deciso di vedersi per giocare a basket e andare poi in piscina, ma finita la partita, era arrivata quella telefonata.

Taiga era sbiancato e le mani avevano iniziato a tremare, ma era riuscito a mantenere abbastanza calma da andare di corsa all’ospedale e Kuroko l’aveva seguito. Non avrebbe mai potuto lasciarlo solo in un momento del genere.

Ora erano seduti nella sala d’attesa del reparto e Tetsuya non riusciva a non sentire un dolore acuto al petto alla vista del volto dell’altro: sembrava un cucciolo terribilmente perso e spaventato. Avrebbe tanto voluto fare qualcosa, qualunque cosa, per farlo stare meglio, ma tutto ciò che era riuscito a fare era stato stringergli la mano per lunghi momenti e dirgli che sarebbe andato tutto bene.
Lui aveva abbozzato un sorriso spento e Kuroko si era sentito dolorosamente impotente.

Il cellulare continuava a spostarsi rapido tra le grandi mani del rosso, mentre questi continuava a sospirare e a fissare lo schermo. Ogni tanto lo sbloccava e apriva la rubrica; scorreva i nomi e si fermava su uno in particolare, ma solo per pochi istanti prima di chiudere e bloccare di nuovo lo schermo.

Kuroko sapeva chi Kagami avrebbe voluto chiamare, chi avrebbe voluto accanto a sé in quel momento e si sentì un verme quando si rese conto di essere geloso.
 
 
 
<< Cazzo! >> imprecò Aomine per l’ennesima volta, fissando con odio la fila di macchine immobili davanti a sé. Lesse nuovamente l’ora e fece schioccare la lingua: era bloccato nel traffico da ben cinque minuti e il taxi sul quale era seduto si era mosso sì e no di un paio di metri.
<< Non può fare niente? >> chiese con rabbia, pur sapendo che non fosse colpa dell’autista.

Il tassista, un uomo sulla cinquantina con i capelli tagliati a spazzola, scrollò le spalle e mosse una mano in direzione delle auto bloccate. << Purtroppo non c’è niente da fare. Credo che la cosa andrà per le lunghe >>.

Daiki grugnì e gettò un’occhiata al tassametro; prese i soldi dalla tasca e li lanciò sul sedile del passeggero.
<< Ehi, ma cosa… >> esclamò l’autista, vedendo il cliente aprire con foga lo sportello e precipitarsi fuori.
<< Tenga il resto! >> gli gridò il ragazzo.

<< Ma da qui all’ospedale ci sono quasi cinque chilometri! >> gridò di rimando l’uomo, sorpreso e confuso. Quel ragazzo aveva davvero intenzione di farsela a piedi?
<< Vorrà dire che farò un po’ di allenamento >> rispose il moro, abbozzando un piccolo ghigno. Non poteva restare bloccato in un taxi aspettando e sperando che la situazione si risolvesse da sola. Taiga aveva bisogno di lui.

Prese un bel respiro e iniziò a correre in direzione dell’ospedale.
“Aspettami! Sto arrivando”.
 
 
 
 
Quando Daiki raggiunse l’ospedale, pensò che avrebbe davvero avuto bisogno di un medico.
“Sto per vomitare” si disse mentre rallentava nei pressi dell’entrata. Sentiva i polmoni scoppiare, il cuore battere all’impazzata e i muscoli implorare pietà.

Una volta superato l’ingresso, fu costretto a fermarsi e a riprendere fiato: poggiò le mani sulle ginocchia, chiuse gli occhi e si concentrò sulla respirazione.
Fu il pensiero di Taiga a dargli la forza per non stramazzare su quel pavimento bianco e lucido. “Devo trovarlo”.

L’infermiera alla quale chiese informazioni gli chiese più volte se stesse bene e se avesse bisogno di aiuto, ma lui insistette e riuscì a farsi dire quale reparto doveva raggiungere.

Una volta lì, si guardò attorno e dopo alcuni secondi di frenetica ricerca, lo vide.

Era in piedi a una ventina di metri da lui e aveva appena finito di parlare con un medico.

In quell’istante Aomine non ci capì più niente: tra i dolori fisici che si sforzava di ignorare e la paura e la preoccupazione che gli avevano messo le ali ai piedi da quando era sceso dal taxi si sentì come un tizio sperduto nel deserto davanti a un’oasi.

Miraggio o no, Taiga gli sembrò la sua oasi nel deserto.

Accelerò il passo e mentre si avvicinava ebbe l’impressione che il mondo attorno a lui si sfocasse e che l’unica figura a restare nitida fosse proprio Kagami.
A pochi metri da lui, il rosso mosse la testa e il suo sguardo si posò sul moro che gli veniva incontro.

Daiki lo vide sgranare gli occhi e schiudere la bocca.
<< Aomi… >> iniziò Taiga, ma il moro non gli diede il tempo di dire altro. Lo strinse in un abbraccio e lo sentì irrigidirsi per un momento.

Daiki chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Sentiva ancora il cuore battere più forte del normale, solo che non sapeva se fosse ancora per la corsa e quando Taiga ricambiò l’abbraccio, cingendogli i fianchi con le braccia, gli sembrò di essere tornato a casa dopo un lungo viaggio.

Non gli importava che avessero litigato. Non gli importava che non si parlassero da quasi due settimane.
Non gli importava di nient’altro, solo loro due contavano.
 
<< Aomine, sei tutto sudato >> gli disse d’un tratto Kagami, la voce tra il divertito e il confuso, e il moro si staccò da lui.
Solo allora la realtà tornò ad essere completamente a fuoco e lui si rese conto di ciò che lo circondava. Sbatté le palpebre e fissò Taiga negli occhi, quegli occhi che sembravano volergli porre un mucchio di domande e lui, stupidamente, si rese conto di quanto gli erano mancati.

Sì, era stato davvero uno stupido.
Uno stupido coglione che aveva rischiato di perdere la persona più importante della sua vita.

<< Che hai combinato? Che ci fai qui e perché sei sudato fradicio? >> gli chiese Taiga, osservandolo come se potesse ottenere una risposta dal suo aspetto.
Il moro scosse la testa. << Non è importante adesso. Come sta tua madre? >>.

Kagami sgranò leggermente gli occhi e solo allora sembrò ricordarsi di tutto ciò che era successo. L’improvviso arrivo di Aomine l’aveva lasciato completamente frastornato. << Sta bene >> disse e non poté trattenere un sorriso, << ho appena parlato con il medico. Si è sentita male mentre era al lavoro: a quanto pare ha avuto un mancamento proprio mentre scendeva le scale; ha sbattuto la testa ma per fortuna non era niente di grave. Adesso sta riposando. Il dottore ha detto che la terranno in osservazione per questa notte e domani mattina potrà tornare a casa >>.

Daiki sorrise, sollevato e tutta l’adrenalina, la paura e l’ansia che aveva accumulato svanirono di colpo, come una bolla che viene scoppiata. Sentì le gambe cedergli d’improvviso e si appoggiò a Kagami.
<< Ehi! Che ti prende? >> si preoccupò il rosso, mentre lo aiutava a sedersi.

Aomine chiuse gli occhi un momento e prese un profondo respiro. << Sto bene. Ho solo fatto una piccola corsetta >>.
L’altro aggrottò un sopracciglio. << Una corsetta? >>.

Il moro sollevò lo sguardo e un angolo della bocca si curvò verso l’alto. << Avevo preso un taxi per arrivare qua al più presto, ma sono rimasto bloccato nel traffico più o meno all’altezza del Maji Burger dove andiamo di solito e così me la sono fatta di corsa >>.
<< Cosa?! >> esclamò il rosso incredulo, << ma ci saranno almeno… >>.

<< Cinque chilometri, sì. Non ho mai corso così tanto e così veloce in tutta la mia vita. Per un momento ho creduto di morire >> raccontò Daiki, concludendo il tutto con una piccola risata. Non poteva negare di essere orgoglioso di se stesso per la sua impresa.

Kagami lo fissò ad occhi sgranati. Aomine si era fatto tutta quella strada di corsa solo perché era preoccupato per lui?
L’aveva fatto per lui? Era forse impazzito?

<< Avresti potuto chiamarmi invece di provare a ucciderti >> lo rimproverò Taiga, ma il tono di voce risultò più divertito che arrabbiato.
L’altro lo fissò con aria interrogativa. << Non ci avevo pensato >> disse, rendendosi conto solo in quel momento che sarebbe stata la scelta più logica.
A quella risposta Kagami scoppiò a ridere. << Sei proprio Ahomine! >>.

Daiki rise a sua volta e si sentì d’un tratto più leggero. Infinitamente più leggero, come se si fosse tolto tonnellate di peso dal petto e dalla testa.
Quelle ultime settimane lontane da lui gli sembrarono solo un brutto sogno, un incubo del quale voleva dimenticarsi al più presto.

<< Aspetta un momento! >> esclamò d’un tratto Taiga, << come facevi a sapere di mia madre? >>. Era stato così sorpreso e confuso dalla sua comparsa che stava per dimenticare un dettaglio fondamentale.

All’unisono, come se entrambi avessero trovato risposta, si voltarono verso la persona che era rimasta in silenzio per tutto il tempo, osservando i due amici che si ritrovavano.
Kuroko si trovò gli sguardi degli altri due addosso e tutto ciò che fece fu una leggera, quasi impercettibile, scrollata di spalle.

Kagami stava per chiedergli se fosse stato lui ad avvertire Aomine, quando si sentì chiamare da una voce alle sue spalle. Si voltò e vide il medico che gli sorrideva. << Sua madre si è svegliata. Adesso può entrare in stanza >>.
Il rosso annuì e fece un piccolo inchino. << Sì, grazie >>.
<< Vai, Taiga, noi aspettiamo qua >> gli disse Daiki, << salutacela >>.
Kagami sorrise e andò da sua madre.
 

Appena il rosso fu fuori dal campo visivo, Aomine si voltò verso Kuroko. Era stato così preso da Taiga che non aveva neanche fatto caso alla sua presenza.
Non che fosse una novità comunque, conoscendolo. La sua capacità di passare inosservato rasentava i limiti del paranormale.

Ma adesso erano rimasti soli e Daiki non voleva più rimandare la discussione.
<< Perché l’hai fatto? >> gli chiese e non ci fu bisogno di altre spiegazioni per sapere che si stava riferendo al messaggio che Kuroko gli aveva mandato per avvertirlo della madre di Kagami. Vide l’altro distogliere lo sguardo per un momento e sospirare.

<< Perché Kagami-kun guardava sempre il telefono: sembrava volesse chiamarti ma non ne avesse il coraggio, così l’ho fatto io per lui. Mi secca molto ammetterlo, ma desiderava vedere te più di chiunque altro. Aveva bisogno di te, Aomine-kun >>.

Il moro lo fissò a lungo e si rese conto di non conoscere affatto quel ragazzo. “Forse l’ho giudicato male…” si disse e non poté non sentirsi un po’ in colpa.
<< Grazie >> rispose soltanto.

<< Non l’ho fatto per te >> replicò l’altro col suo tono monocorde, << l’ho fatto per Kagami-kun >>. E dietro quelle parole Daiki vide molto più di quanto potesse apparire.

Vide quanto Kuroko tenesse a Taiga, quanto volesse stargli vicino ed essergli d’aiuto e per un momento si chiese se lui sarebbe stato capace di fare altrettanto: di mettere da parte l’orgoglio e i propri sentimenti per il bene di qualcun altro, di accettare una condizione a metà come quella, di accontentarsi dell’amicizia pur desiderando l’amore, di restare in disparte.

“Per Taiga potrei anche farlo…” si disse e si sconvolse di se stesso. Da quando i suoi pensieri per Kagami erano diventati di quel tipo?

Scosse la testa come se volesse scacciarli via e si concentrò sul presente. << Beh non importa per chi l’hai fatto: ti devo un favore >>, si grattò la nuca e schiccò la lingua, distogliendo lo sguardo. Non era bravo in certe cose. << E sì, insomma, credo di doverti anche delle scuse… per, beh, lo sai >>.
<< Quindi non mi dirai più di stare lontano da Kagami-kun? >>.

Daiki risollevò gli occhi e li assottigliò. << Non servirebbe a niente, ma questo non significa che abbia cambiato del tutto idea su di te. Vedi di non creare problemi a Taiga, altrimenti sarò costretto a mettere in atto la mia minaccia >>.
Tetsuya non si scompose davanti a quello sguardo, ma capì che Aomine era dannatamente serio e che, come lui, avrebbe fatto qualsiasi cosa per Kagami.
 
 
 
 
 
<< Daiki, per favore, riporta Taiga a casa. Adesso >> esclamò Kyoko Mashida, sorridendo a entrambi.
<< Ma, mamma, posso rimanere >> replicò il ragazzo, seduto su una sedia accanto al letto della madre.

Aomine, vicino a lui, sorrise e scosse la testa. << Bakagami, siamo qua da quasi tre ore e stai stressando tua madre. Ha bisogno di riposare >>, gli mise una mano sulla spalla, << e anche tu >>.

<< Ma non voglio lasciarti sola >> insistette il figlio, mettendo su il broncio. Da quando sua madre si era svegliata, lui e Aomine erano rimasti a farle compagnia e anche se intanto si era fatta ora di cena, Kagami non voleva andar via.

Kyoko allungò un braccio e afferrò la mano del figlio, stringendola forte. << Mi dispiace di averti fatto preoccupare, Taiga, ma sto bene, davvero: non c’è bisogno che rimani qua. Ora voglio che tu torni a casa, mangi qualcosa e ti riposi come si deve, okay? Lo fai per me? >>.

Il rosso osservò il volto sorridente della madre e sospirò. Rispose alla stretta e annuì. << Okay, però se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiamami. E riposati, mi raccomando >>.
<< Oh cielo, Bakagami! Adesso sembri tu una madre iperprotettiva >> lo prese in giro Aomine, scatenando una risata nella donna.
Taiga gli lanciò un’occhiataccia. << Taci, Ahomine >>.
 
 
 
 
Una volta fuori dall’ospedale, tornarono verso casa, fermandosi prima a mangiare al Maji Burger. Rimasero in silenzio per la maggior parte del tempo e quando si separarono davanti ai rispettivi vialetti, Aomine provò una strana sensazione alla bocca dello stomaco.

Si sentiva a disagio e non sapeva cosa dire. Non era da lui.
Avevano fatto pace, giusto? Sarebbe tornato tutto come prima, giusto?
“E allora perché mi sento così?”.
 

Alla fine si lasciarono con un semplice cenno del capo e, rientrato, Aomine raccontò tutto a Kise.
<< Per fortuna è andato tutto bene >> commentò il biondo, prendendo una bottiglietta d’acqua dal frigo.
Daiki si sedette su uno degli sgabelli e sospirò. << Già… >>.
<< Quindi tu e Kagamicchi avete finalmente fatto pace? >>.

Il moro sollevò lo sguardo e scrollò le spalle. << Non lo so… credevo di sì, ma non ne sono più così sicuro… >>.
Ryota bevve un sorso e gli sorrise. << Perché non vai a parlargli e basta? Questa storia è andata avanti fin troppo, non ti pare? >>.
 
 
 
La finestra di Kagami era aperta, ma la luce spenta. Aomine si avvicinò e cercò di capire se l’altro si fosse addormentato, ma c’era troppo buio per riuscire a distinguere qualcosa.
<< Ah e va bene. Facciamolo >> disse in sussurro, preparandosi al salto.

Una volta dall’altro lato, gli ci volle qualche secondo per distinguere la sagoma di Taiga: era seduto sul bordo del letto, la testa tra le mani e gli dava le spalle.
“Ma che…”. Lo raggiunse e gli si sedette accanto.

Il materasso si piegò sotto il suo peso e il leggero cigolio delle molle riempì il silenzio della stanza. Vide l’altro sussultare e spostare poi lo sguardo su di lui. Nonostante il buio, la luce lunare che entrava dalla finestra fu sufficiente per illuminare il volto triste di Kagami.
<< Tai, stai bene? >> gli chiese il moro, la voce bassa e preoccupata.

Il rosso prese un respiro e raddrizzò la schiena. << Sto bene. Sono solo un po’ stanco… >>.
<< Sei un pessimo bugiardo, Bakagami. Lo sei sempre stato >>.
L’altro annuì, ma non rispose.

<< Tua madre sta bene, Tai >> disse Aomine con il tono più rassicurante di cui fosse capace, << sta bene. E domani sarà di nuovo a casa >>. Lo vide annuire di nuovo, ma non gli sfuggirono le mani strette a pugno e le spalle rigide.
Poteva quasi vedere i suoi pensieri prendere forma: sapeva cosa Taiga stesse pensando e come si sentisse in quel momento.

La paura di perdere un altro genitore, di restare solo, il sentirsi perso e spaventato. Kagami aveva spesso sofferto da piccolo a causa della morte del padre e se è vero che crescendo l’aveva in parte superata, era anche vero che quella era la prima volta che la madre finiva in ospedale e che lui si trovava ad affrontare una situazione del genere.

<< Lo so >> rispose in un sussurro, << lo so, è solo che… quando ho ricevuto quella chiamata dall’ospedale, quella voce che mi diceva che mia madre aveva avuto un incidente ed era stata ricoverata… per un momento mi sono fatto prendere dal panico… è da stupidi, vero? >>.

<< Non è da stupidi. È una reazione normale: chiunque si spaventerebbe se all’improvviso gli dicessero che un genitore è stato ricoverato in ospedale, quindi smettila di angosciarti per queste cose, capito? >>, si fermò e rimase in silenzio alcuni secondi, tormentandosi le mani, << ehm, Taiga, mi spiace >>.
<< Per cosa? >>.

<< Per non esserti stato vicino. Sarei dovuto essere là con te e invece… se Kuroko non mi avesse mandato quel messaggio… >>.
Taiga fece un piccolo sorriso, ma l’altro non lo vide. << Ti sei fatto cinque chilometri di corsa per raggiungere l’ospedale: nessun’altro l’avrebbe fatto >>.
“L’hai fatto per me…”.

Aomine ridacchiò. << Per il mio Tai questo e altro >>.
<< Ma sono ancora arrabbiato con te, Ahomine >> lo rimproverò il rosso, spostando il busto verso di lui.

Il moro abbassò la testa e incassò il colpo. << Lo capisco >> rispose e si alzò in piedi con l’intenzione di andarsene, pensando di aver frainteso, che Kagami non l’aveva ancora perdonato, che non volesse averlo vicino.

Lo pensò, ma si sbagliava. Prima che potesse fare anche solo un passo, si sentì afferrare per il polso. << Non voglio più litigare con te >> gli disse Taiga, gli occhi che cercavano i suoi nonostante il buio, << queste due settimane sono state orribili e mi sono sembrate infinite. Noi due siamo sempre stati insieme; anche mentre eri a Kagoshima ci sentivamo ogni giorno >>, si fermò un attimo e si morse il labbro, << non mi piace non parlare con te >>.

Daiki sorrise e provò di nuovo una strana sensazione alla bocca dello stomaco, ma questa volta fu piacevole, come un calore che si irradiava dal petto e lo faceva sentire al sicuro, a casa.

Si risedette e allungò una mano, la posò sulla nuca di Taiga e lo attirò a sé, facendogli poggiare la testa sulla sua spalla.
<< Non piace neanche a me. Facciamo pace? >>.

Sentì l’altro ridacchiare e il suo respiro che gli solleticava la pelle scoperta del collo. << Detta così, ci fa sembrare dei bambini di cinque anni >>.
<< Tu lo sei di sicuro >> lo prese in giro il moro senza muoversi dalla sua posizione. Avere Taiga così vicino, di nuovo, poter sentire il suo calore, la sua risata, poterlo punzecchiare: quanto gli era mancato tutto questo!

Ma era normale avere questi pensieri nei confronti del proprio migliore amico?
Una sottile ma persistente inquietudine gli attraversò la schiena, ma lui decise di ignorarla e di concentrarsi sul momento.

<< Se c’è un bambino di cinque anni qua, quello sei tu, Ahomine! >>.
<< Va bene, allora siamo due stupidi mocciosi di cinque anni, okay? >>.

<< Parla per te! >> rispose Kagami, continuando a sorridere. Non si sentiva così leggero e in pace da quello che gli era sembrato un tempo troppo lungo e, nonostante tutto quello che era successo, avere di nuovo Daiki accanto a sé lo faceva sentire completo, come se avesse riacquistato una parte di se stesso.

Era forse sbagliato pensare così del proprio migliore amico?
Non voleva saperlo, Taiga e non gli importava nemmeno. Kuroko ci aveva visto giusto all’ospedale: lui aveva bisogno di Aomine e questo era tutto ciò che importava.

<< Mi spiace di essermi comportato come un coglione >>, se ne uscì poco dopo il moro, << mi sei mancato, Tai >>.
“Oddio, sto davvero diventando sdolcinato?! Qualcuno mi spari, per favore!”.

L’ultima frase gli era uscita come un sussurro e per un attimo Kagami pensò di aver sentito male, ma le sue labbra si curvarono subito verso l’alto. << Anche tu mi sei mancato >> rispose a voce bassa, quasi come non volesse farsi sentire, ma il silenzio assoluto della stanza e il fatto che la sua bocca fosse vicina l’orecchio di Daiki non lo aiutarono.

Il moro udì forte chiaro le parole dell’altro e Taiga sentì la presa su di sé farsi più stretta.
“Okay, questo è davvero strano e imbarazzante…”, ma non lo era forse ancora di più il fatto che nessuno dei due volesse allontanarsi dall’altro?

Il contatto fisico tra loro non era mai mancato. Abbracciarsi, dormire nello stesso letto, stare seduti sul divano e accoccolarsi tra loro: per loro era sempre stata una cosa normale. Gesti che facevano con naturalezza, senza pensarci e senza curarsi di come sarebbero potuti apparire visti dall’esterno. Non ci avevano mai visto niente di sbagliato o imbarazzante o ambiguo: erano semplicemente loro due e basta.

Ma adesso quella situazione sembrava diversa. Taiga la sentiva diversa. Avrebbe voluto sapere se Aomine si sentisse allo stesso modo, ma aveva paura di rovinare quel momento. Di rompere il contatto.
E in quel momento era l’ultima cosa che voleva fare.
Gli piaceva.
Sentire il braccio di Daiki che lo stringeva, il calore del suo corpo, il respiro regolare, il battito del suo cuore.
Un momento!
Era… accelerato?

Seppur controvoglia, si spostò leggermente dall’altro, quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi. << Stai bene? >>.
Aomine aggrottò le sopracciglia e inclinò la testa. << Perché me lo chiedi? >>.

Kagami allungò un braccio e posò la mano sul suo petto, senza staccare lo sguardo da lui. << Il tuo cuore sta battendo veloce >>.
Daiki sgranò gli occhi e schiuse la bocca, ma le parole gli morirono in gola. “Oddio, perché mi sento così?”. Deglutì a vuoto e sbatté le palpebre, ma non riuscì a distogliere gli occhi da quelli di Taiga.

L’espressione sul volto, così curiosa, addolcita e preoccupata allo stesso tempo, lo stava completamente paralizzando. “Che diavolo mi sta succedendo?”. Sentì una vocina nella sua testa urlargli qualcosa, ma qualsiasi cosa fosse non raggiunse la sua parte senziente e razionale.

Sollevò un braccio e posò la mano su quella di Taiga, ancora poggiata sul suo petto. << Non credo di stare bene >> disse, la voce bassa e insicura. Vide il volto di Kagami farsi sorpreso e confuso, ma nessuno dei si mosse di un solo centimetro.

<< Daiki, che significa tutto questo? >> gli chiese e avrebbe davvero voluto avere una risposta logica, perché l’intera situazione stava degenerando in qualcosa di assolutamente incomprensibile e lo stava facendo sentire fuori dalla realtà.
<< Non lo so >> rispose il moro e alle orecchie di Taiga la sua voce sembrò in qualche modo ferita, come se non sapesse darsi una spiegazione nemmeno lui e la cosa lo facesse star male.

Kagami vide gli occhi di Aomine abbassarsi sulle sue labbra e il cuore gli schizzò in gola, per poi sprofondare verso il suo stomaco quando il volto di Daiki si avvicinò lentamente al suo.
Il tempo sembrò rallentare e i confini della realtà sfocarsi.
“Perché non riesco a muovermi?”.

Daiki fissò la bocca di Taiga e si chinò in avanti, il corpo che agiva per conto suo. Non riusciva a controllarsi, a pensare, a fermarsi. Aveva perso ogni contatto con la sua parte razionale, la mente ormai spenta.

Fu l’istinto a guidarlo. A dirgli che voleva quelle labbra, che le voleva più di ogni altra cosa in quel momento, che desiderava scoprire che sapore avessero.
Perché erano giunti a quel punto? Perché si sentiva attratto come una calamita al ferro? Perché Kagami lo fissava con quegli occhi grandi e pieni di domande, ma rimaneva immobile, come fosse in attesa?
Perché non si spostava? Perché non lo respingeva?
Perché adesso baciarlo gli sembrava la cosa più giusta da fare e la sola idea gli stava mandando cuore e cervello in pappa?

Chiuse gli occhi e si avvicinò ancora: ormai le loro labbra erano a pochissimi centimetri di distanza. Se Taiga voleva allontanarsi, quella era l’ultima occasione.
<< Daiki… >> fu tutto ciò che disse, in un sussurro, prima che il moro gli chiudesse la bocca con la sua.








SBAM!!! XD finale a sorpresa!! Ammetto di essere stata un po' indecisa se farlo finire così o continuare, ma alla fine ho preferito una bella conclusione a effetto che vi lascerà l'ansia fino al prossimo capitolo X)
seriamente, si entra nel vivo della storia ^^ "era ora" direte voi e c'avete ragione u.u devo dire che mi è piaciuto scrivere questo capitolo: la corsa di Aomine per andare da Kagami, il loro ricongiungimento e la fine *___* di solito non sono una grande amante del fluff ma mi sono lasciata ispirare dalla loro tenerezza u.u <3 spero che il capitolo vi sia piaciuto e che i personaggi non vi siano sembrati OOC *incubo*
premetto che non so quando ci sarà il prossimo aggiornamento... dopodomani parto e al ritorno sarò piuttosto incasinata... :'(
spero che continuiate ad attendermi ^^
ringrazio come sempre tutti voi che leggete, commentate e seguite la mia storia e ricordate che anche un piccolo commento fa sempre felice noi poveri autori ;D
un saluto e alla prossima!

 

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Capitolo 10
*** We are...blind ***


We are... blind






Sono in un ritardo mostruoso, lo so... vi chiedo scusa, ma sono state delle settimane incasinatissime e tra una cosa e l'altra mi era anche venuto un blocco dello scrittore... ma eccomi di nuovo qua! :D
Godetevi il capitolo e ci rivediamo alla fine ^^






 
 
Chiuse gli occhi e si avvicinò ancora: ormai le loro labbra erano a pochissimi centimetri di distanza. Se Taiga voleva allontanarsi, quella era l’ultima occasione.
<< Daiki… >> fu tutto ciò che disse, in un sussurro, prima che il moro gli chiudesse la bocca con la sua.
 
 
L’istante prima di posare le labbra su quelle di Taiga, Aomine chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dal buio totale. Voleva godersi quel contatto ma allo stesso tempo aveva paura della reazione del rosso, così, semplicemente lo baciò.
Dolcemente.

E dire che il moro non era di sicuro il tipo di persona che apprezzava le cose dolci, ma quel momento era diverso.
Quella situazione, loro due, Kagami: era speciale. Era importante. Era fottutamente spaventoso.

Non voleva rovinare tutto col suo modo di fare aggressivo e prepotente, per quanto, appena le loro labbra entrarono in contatto e lui poté saggiare la consistenza e il sapore di quelle di Taiga, dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non spingerlo sul letto senza tante cerimonie e infilargli la lingua in bocca.

La parte razionale della sua mente lo aveva già abbandonato quando Kagami gli aveva poggiato la mano sul petto e gli aveva fatto notare il battito accelerato del suo cuore. Adesso, mentre lui assaporava quelle labbra morbide e carnose, era altamente improbabile che riuscisse a recuperarla.
Voleva quel bacio più di ogni altra cosa ed era tutto ciò a cui riusciva a pensare.

Per lunghi secondi sentì Kagami rimanere rigido, completamente paralizzato e per altrettanti lunghi secondi, nella parte più profonda del suo subconscio, ebbe paura di aver combinato la più grossa cazzata della sua vita.
E se Taiga l’avesse odiato? E se l’avesse trovato disgustoso e non avesse più voluto avere a che fare con lui?

Continuando a muovere piano le labbra sulle sue, Daiki spostò il braccio per cercare la mano di Taiga e appena la trovò la strinse nella sua, intrecciando le dita.
Non seppe se fu per questo gesto, ma subito dopo sentì Taiga rispondere al bacio ed ebbe la sensazione che le sue budella si attorcigliassero in un modo piacevole e doloroso allo stesso tempo.
Le loro labbra si mossero, cercandosi e assaggiandosi, incerte ma vogliose.

Non ci volle molto perché in Aomine esplodesse il desiderio di un contatto ancora più profondo: sollevò la mano libera e la posò sulla nuca di Kagami, poi gli succhiò piano il labbro inferiore e lo accarezzò con la lingua, ponendo all’altro una muta domanda.

E muta fu anche la risposta di Taiga: schiuse la bocca e lasciò che la sua lingua incontrasse quella di Daiki, dando così vita a un bacio che di casto non aveva più niente.
Il moro si spinse di più contro di lui, affogando in quel sapore intenso, mentre il rosso gli circondò un fianco col braccio libero, stringendo la stoffa della sua t-shirt tra le dita.

Appena Aomine si accorse di aver bisogno d’ossigeno, provò a respirare dal naso pur di non interrompere quel contatto paradisiaco e il profumo della pelle di Kagami quasi lo stordì.
Era sempre stato così buono? Non lo sapeva, ma di una cosa era certo: non lo avrebbe mai dimenticato.
 
 
 
 
<< Uffa! Dove cavolo è andato a ficcarsi? >> si chiese per la sesta volta Kise dopo aver messo a soqquadro la stanza alla ricerca del carica-batteria del cellulare. Sbuffò sonoramente e si passò una mano tra i capelli biondi. << Non dirmi che l’ho perso da qualche parte chissà dove? >>.

Rifletté per qualche secondo e alla fine optò per l’unica possibilità rimastagli. << Oh beh prenderò in prestito quello di Aominecchi e domani andrò a comprarmene un altro >> dichiarò deciso e si diresse verso la camera del moro. Anche se il modello di cellulare non era lo stesso, i caricatori erano compatibili e questo fatto apparentemente insignificante sembrò a Kise l’unica botta di fattore C della giornata.

Una volta dentro, accese la luce e si diresse verso il cassetto della scrivania dal quale recuperò l’oggetto del desiderio e stava per andarsene in tutta tranquillità quando gli occhi gli caddero sulla finestra aperta e di conseguenza sulla finestra della stanza di Kagami.

Ora, Ryota non voleva spiare. Lui detestava gli spioni e gli impiccioni e non desiderava assolutamente essere tra questi, ma il suo corpo si mosse prima che la sua testa gli dicesse di smetterla e quando fu davanti al davanzale, si pentì subito di non essere tornato nella sua stanza.

Nonostante le luci spente nella camera del rosso, quella accesa poco prima dal biondo e quella della luna piena furono sufficienti a Kise per vedere le sagome di Aomine e Kagami, seduti sul letto, che si baciavano.
Aomine. Kagami. Bacio.

Il suo cervello impiegò diversi secondi per rendersi conto di cosa i suoi occhi stavano guardando e quando ciò avvenne, Ryota si sentì come se il mondo gli si stesse sgretolando e crollando addosso. Una parte della sua mente registrò il tonfo del carica-batteria che cadeva sul pavimento, ma ogni cosa attorno a lui era diventata distante, spenta, ovattata, come se la bolla di shock che stava provando in quel momento lo stesse isolando dall’ambiente circostante.

Se il cuore avesse davvero potuto distruggersi in migliaia di pezzi per il dolore, Kise avrebbe appena smesso di vivere.

Non riusciva a credere ai suoi occhi.
Non riusciva a pensare.
Gli sembrava di non riuscire neanche a respirare.

Inconsciamente si portò una mano all’altezza del cuore e strinse la stoffa della maglietta tra le dita. Sentì gli occhi pizzicargli e la gola stringersi, ma trattenne le lacrime.
 
 
 
Quanto tempo era passato da quando avevano iniziato a baciarsi? Né Kagami né Aomine avrebbero saputo rispondere.
Le uniche sensazioni percepite erano le mani intrecciate, i cuori che ringhiavano nei loro petti, le lingue che non smettevano di cercarsi e assaggiarsi e il calore che continuava ad aumentare, invadendo ogni fibra del loro essere.

D’un tratto, avendo di nuovo bisogno di prendere fiato, Daiki si staccò a malincuore dalla bocca di Taiga e lasciò scorrere le labbra sulla sua mascella, depositando piccoli baci fino a raggiungere il lobo dell’orecchio.

Lo mordicchiò e lo leccò, provocando in Kagami un brivido e un sospiro pesante, mentre la mano che non era intrecciata a quella dell’altro strinse la spalla del rosso e lo spinse sul letto, accompagnando il movimento con il suo corpo.
 
 
 
Quando Kise vide Aomine spingere Kagami sul letto, si convinse che essere crivellato di proiettili sarebbe stato meno doloroso che assistere a quello.
Com’era possibile una cosa del genere? Era forse un maledetto incubo?

Da che lo conosceva, Daiki non aveva fatto altro che mostrare interesse per le ragazze prosperose: l’argomento “tette grosse” era sempre stato uno dei suoi preferiti, subito dopo il basket.
E invece adesso stava baciando Taiga…

“Non ho nessuna speranza con Aominecchi: è etero al 100%. Potrebbe persino trovarmi disgustoso se conoscesse i miei sentimenti per lui…” era ciò che Kise si era ripetuto fino alla nausea, convincendo se stesso che il suo amore era e sarebbe sempre rimasto un sogno irrealizzabile.
E invece adesso stava baciando Taiga, venendo pure ricambiato…

Era sempre stato lui a non capire o loro due erano stati davvero bravi a nascondere la loro relazione?
Non poteva negare che il loro rapporto lo avesse fatto sentire geloso, ma era convinto che fossero come fratelli e non… amanti…

Strinse gli occhi e ricacciò indietro le lacrime. Non poteva più rimanere là, a guardare i suoi sentimenti che venivano distrutti senza pietà. Si voltò e uscì rapido dalla stanza.
 
 
 
<< D-daiki… aspe…tta… >> sussurrò Taiga, allontanando leggermente il volto da quello del moro. << La luce da te… è accesa >>.
Il moro girò la testa e una vocina dentro di lui gli fece presente che lui non aveva acceso la luce, ma la cosa lo lasciò indifferente.

<< Forse Kise è entrato per cercare qualcosa >> rispose Aomine con voce bassa per poi fiondarsi di nuovo sulle labbra di Kagami.
Gesto che però venne bloccato dalla mano del rosso che si piazzò tra le loro bocche. Taiga spostò lo sguardo per un momento, imbarazzato e quando lo riportò su Daiki, notò il suo sopracciglio inarcato.

<< Che succede? >> gli chiese il moro.
<< Buffo, stavo per farti la stessa domanda >> rispose Kagami, che riusciva a tirare fuori il sarcasmo solo quando non era emotivamente stabile.
E in quel momento non lo era di certo.
<< C-che significa tutto questo? Che ci sta succedendo? >> continuò.

Aomine sospirò ma non si mosse dalla sua posizione, ovvero disteso sopra Taiga con le braccia ai lati della sua testa e un ginocchio premuto sul materasso. << Non ti piace? >>.
Vide Kagami sgranare gli occhi e schiudere la bocca e, nonostante il buio, da quella distanza gli sembrò che le sue guance si tingessero di rosso.
<< N-non è questo… è solo che… >> provò Taiga ma finì per mordersi un labbro e sospirare. In realtà il punto era proprio quello: gli stava piacendo ed era assurdo. E spaventoso.
Fottutamente spaventoso.
Loro due erano cresciuti insieme, erano come fratelli e i fratelli non si baciano tra loro.

<< Hai paura? >> gli chiese d’un tratto Daiki, immaginando i pensieri che gli si stavano affollando in testa.
<< Tu no? >> replicò il rosso, << insomma… ti rendi conto di cosa stavamo facendo? >>.
<< Ti sembra così sbagliato? >>.

Kagami sbuffò e usò i gomiti per sollevarsi e mettersi seduto, costringendo l’altro a spostarsi e a sedersi a sua volta sul letto. << Hai intenzione di continuare a rispondere ad ogni domanda con un’altra domanda? È fastidioso >>.

Aomine si passò una mano tra i capelli e sospirò. << Cosa vuoi che ti dica, Tai? Non ho una risposta alle tue domande. Non lo so che significa tutto questo, cosa ci è preso o perché e qualsiasi altra domanda ti viene in mente. So solo che volevo baciarti e lo voglio ancora >>.

Taiga abbassò gli occhi, imbarazzato; certe volte detestava la sua schiettezza. Come faceva a essere così tranquillo e rilassato? Lui si sentiva come sull’orlo di un precipizio, mentre Aomine si comportava come se non ci fosse niente di strano nel fatto che si stavano baciando.
<< È meglio se torni nella tua stanza >> gli disse, sentendo l’improvviso bisogno di rimanere da solo.
<< Cosa? >>.

<< Daiki, sono stanco e voglio dormire. Va’ via, per favore >> insistette, evitando però di guardarlo negli occhi. Non voleva incontrare il suo sguardo o vedere l’espressione del suo volto.
Ferito da quel comportamento, Aomine si alzò e senza dire una parola ritornò in camera, ricompiendo quel piccolo salto che mai gli era sembrato così difficile.
 
 
 
Appena Daiki fu dall’altra parte, Taiga si passò una mano sul viso e si ributtò sul letto. Sospirò e chiuse gli occhi.
“Kagami Taiga, sei un idiota” disse a se stesso, solo che non sapeva se per aver baciato Aomine o per averlo cacciato via.
 
 
Quando Aomine fu nella sua stanza, il suo piede pestò un oggetto sotto il davanzale della finestra. << Mmmh? >>, si abbassò e lo raccolse, << il mio carica-batterie? Che cavolo ci fa qua? >>.
Si guardò attorno e andò a riporlo al suo posto. << Non sarà che Kise… >>. Scosse la testa e scelse di ignorare il suo sospetto: in quel momento non era in grado di pensare razionalmente e non aveva alcuna intenzione di sforzarsi.

Spense la luce e si buttò a peso morto sul letto. Affondo il viso nel cuscino e strinse forte tra le dita la stoffa della federa.
“Aomine Daiki, sei un coglione” si disse e sentì la paura strisciargli in corpo: forse questa volta aveva davvero fatto la più grande cazzata della sua vita.

Eppure, non riusciva a pentirsi: aveva voluto baciare Taiga e l’aveva voluto con un’intensità e una forza che non credeva di possedere.
E quel bacio era stato così bello da fargli perdere il contatto con la realtà e fargli desiderare che non finisse mai.
 
 
 
 
Un rumore acuto e penetrante distrusse il sonno di Aomine. Svegliatosi bruscamente, il moro ringhiò e nella sua testa maledisse chiunque lo stesse chiamando a quell’ora.
Era vero che non sapeva che ore fossero, ma chiunque lo aveva trascinato a forza fuori dal mondo dei sogni meritava un paio di anatemi.

Sbuffando allungò un braccio, afferrò il cellulare dal comodino e senza neanche leggere il nome sul display, rispose alla chiamata.
<< Chiunque tu sia, spero per te che sia una questione di vita o di morte >> rispose con la voce roca e impastata dal sonno.
<< Daaaaai-chan! Non starai ancora dormendo, vero? >>.

Quella fastidiosa voce squillante… non poteva che appartenere a lei. << Satsuki? >> domandò, non avendo la più pallida idea del perché la sua collega d’università lo stesse disturbando nella sacra pace del sonno.

<< Dai-chan! Perché non sei in facoltà? Ti sei forse scordato del seminario? Se Tsukishima non ti vede, non ti ammetterà all’esame, lo sai: hai fatto troppe assenze durante il suo corso e questa è la tua ultima possibilità >>.

<< Cazzo! >> esclamò Aomine, scattando a sedere, << l’avevo completamente dimenticato… >>
<< Dai-chan, sei sempre il solito >> lo rimproverò la ragazza e Daiki se la immaginò mentre scuoteva la testa con quell’aria di superiorità da signorina-so-tutto-io.

<< Ieri è stata una giornata assurda e mi è completamente caduto di testa >> si giustificò lui alzandosi dal letto.
<< Okay, dai, tranquillo. Ti tengo un posto e dirò a Tsukishima che stai per arrivare. Il seminario inizia tra quindici minuti: ti conviene volare >>.
<< Grazie, Momoi. Ti devo un favore >> rispose e chiuse la chiamata, fiondandosi poi a cambiarsi i vestiti. Raggiunse di corsa l’ingresso e per poco non cadde giù dalle scale. In soggiorno si scontrò con Kise che stava per uscire a sua volta.

<< Aominecchi! Che succede? >> gli domandò perplesso. Aomine non era mai così energico di mattina. Ad essere onesti, non era energico in nessun momento della giornata, ma le ore subito dopo la sveglia e l’alzata dal letto erano decisamente le peggiori per lui.
Il moro si infilò in fretta e furia le scarpe. << Devo essere all’università e sono in un fottuto ritardo! >>.
<< Se vuoi ti do un passaggio >>.

La mano già sulla porta, Daiki si voltò verso il biondo. << Davvero? >>.
<< Beh, Sakuchi-san mi sta aspettando in macchina, ma c’è ancora un po’ di tempo prima del servizio fotografico: non dovrebbe essere un problema fare una piccola deviazione >>.
Aomine ebbe l’impulso di abbracciarlo, ma si limitò a sorridere. << Grazie, amico, mi stai salvando il culo >>.
Kise sorrise e scosse la testa. << Nessun problema. Allora, andiamo? >>.
 
 
 
Le proteste della manager di Ryota si spensero molto in fretta davanti alle doti di seduttore del suo cliente e alla fine Kise e Aomine sedevano sul sedile posteriore, mentre Sakuchi alla guida si dirigeva verso l’università del moro.

Il tragitto iniziò nel più assoluto silenzio da parte dei due ragazzi; solo la voce della donna che aggiornava il biondo sul programma della giornata riempiva l’abitacolo.
Ryota ascoltava distrattamente: la sua attenzione, seppur celata, era rivolta ad Aomine. Se ne stava con il mento poggiato sulla mano e gli occhi rivolti verso l’esterno, ma al biondo bastò un’occhiata per capire che la sua mente era altrove.

Sembrava triste e completamente perso nei suoi pensieri e Kise, nonostante ciò che aveva visto la sera prima, non poté evitare di preoccuparsi e di chiedersi cosa gli fosse successo.
<< Ryota! Mi stai ascoltando? >>.

L’improvviso tono autoritario della donna lo riportò alla realtà. << Scusa, Sakuchi-san, ero un po’ sovrappensiero. Stavi dicendo? >>.
La manager lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore e strinse gli occhi. << Stai bene? >>.
<< Certo >> rispose lui con un sorriso, sperando di risultare convincente.
Speranza che si infranse subito.

<< Non mentirmi, Ryota >> lo rimproverò la donna, << ti conosco abbastanza bene da saper distinguere il tuo falso sorriso di circostanza che usi quando vuoi far credere che sia tutto a posto. In più hai delle occhiaie così evidenti che la truccatrice dovrà fare un miracolo per renderti presentabile. Per caso hai dormito male? >>.

Un po’ imbarazzato, Kise abbassò lo sguardo un momento e si strinse nelle spalle. << Scusa, Sakuchi-san. In effetti questa notte ho sofferto un po’ d’insonnia >>.

A quel punto anche Daiki riemerse dal suo stato di estraneazione e si accorse che in effetti il biondo aveva proprio una brutta cera. Prima, preso dalla fretta, dal panico e dal rincoglionimento post-sonno, non ci aveva fatto caso ma il volto di Ryota era decisamente spento.
“Chissà che gli prende? L’ultima volta che abbiamo parlato ieri sera stava bene…”.
Ieri sera.

Quel piccolo e apparentemente insignificante pensiero gli provocò un’improvvisa valanga di ricordi, sensazione ed emozioni che per un momento Aomine si sentì stordito, come se l’avessero colpito in testa.
Lui e Kagami che si baciavano. Taiga che lo cacciava via e che forse adesso l’odiava. E Kise che molto probabilmente li aveva visti.

Già, era proprio quello il sospetto che lui aveva deciso di ignorare. Ciò avrebbe spiegato perché la luce della sua stanza era accesa quando lui era sicuro al 100% di averla lasciata spenta e soprattutto la presenza del suo carica-batteria sul pavimento.

L’ipotesi più plausibile era che Kise, per qualche motivo, aveva preso il caricatore dal cassetto della sua scrivania e poi per puro caso era riuscito a vedere lui e Taiga dalla finestra; nella sorpresa aveva fatto cadere il carica-batteria ed era uscito dalla sua stanza senza spegnere la luce.

“Forse ora si sente in imbarazzo per avermi visto baciare Tai e non sa come comportarsi…”. Non che la cosa lo preoccupasse particolarmente comunque: Kise era un ospite a casa sua e Aomine sapeva di non avere chissà quali obblighi o doveri nei suoi confronti e quello che lui faceva o non faceva con Kagami non era certo affare suo, però gli dispiaceva un po’ il fatto che la cosa potesse farlo sentire a disagio.

Ryota era pur sempre un amico a cui teneva e un ottimo coinquilino. Non voleva che le cose tra loro diventassero strane, ma, ed era un grosso “ma”, quel problema non era di sicuro il primo della sua lista.
Ciò di cui più gli importava era la situazione con Taiga e quella l’avrebbe risolta a qualsiasi costo.
 
 
 
 
<< Tesoro, stai bene? Sei stato silenzioso per tutto il viaggio >>.
Kagami lanciò un’occhiata alla madre seduta sul divano e forzò un piccolo sorriso. << Tutto a posto, ma’. Ho solo dormito poco sta notte >>.
Il che, in fin dei conti, non era una bugia. O almeno, una mezza verità: aveva dormito poco e male, ma non era tutto a posto.

Anche l’aver riportato la madre a casa dall’ospedale e il vederla stare bene aveva solo in parte migliorato il suo umore. Quello che era successo con Daiki la sera prima non faceva che renderlo confuso, distratto e imbarazzato e lui non sapeva proprio cosa fare.
<< Sicuro? >> insistette la donna, per niente convinta delle risposta del figlio, << non è che hai litigato di nuovo con Daiki? >>.

Taiga si irrigidì involontariamente e sperò che sua madre non lo notasse. << No, ma’, tranquilla. Abbiamo fatto pace >>.
“Anche troppa, visto che ci siamo baciati sul mio letto” concluse nella sua mente. Certi dettagli era meglio lasciarli segreti. Che poi, cosa avrebbe dovuto dire? Ehi, ma’, sai, ieri sera io e Daiki abbiamo pomiciato ma poi mi sono fatto prendere dal panico e l’ho cacciato via e adesso non ho la più pallida idea di come comportarmi… a parte questo, va tutto bene.

Era una cosa troppo imbarazzante da dire a sua madre o a chiunque altro.
Era troppo imbarazzante persino pensarci!
<< Tu, piuttosto, come ti senti? >> le chiese subito dopo, desideroso di cambiare argomento.
<< Sto bene, non preoccuparti >> lo rassicurò lei con un sorriso.

Lui le si sedette accanto e le prese una mano. << Non chiedermi l’impossibile. Al posto mio tu saresti preoccupata >>.
A quelle parole la madre ridacchiò contenta. << Come ho fatto a crescere un figlio così perfetto? >>.
Taiga arrossì, imbarazzato, scosse la testa e si rialzò. << Vado in camera a studiare. Se hai bisogno di qualcosa chiamami >>.
<< Me la caverò benissimo. Tu pensa a fare il tuo dovere >> rispose lei e assestò una leggera pacca al sedere del figlio.
 
 
 
<< Dai-chan, stai bene? >> gli domandò Momoi, prendendolo a braccetto, << hai la faccia di uno zombie >>.
Aomine le lanciò un’occhiataccia che lei ignorò come sempre. << Mi sono dovuto sorbire un pallosissimo seminario di due ore e mezza a stomaco vuoto. Secondo te posso stare bene? >>.

Erano da poco usciti dalla facoltà e si erano incamminati verso un Café là vicino, dietro insistenza della ragazza che voleva regalarsi un gustoso dolcetto.
<< Se ti fossi svegliato in orario, avresti avuto tutto il tempo di fare colazione >> gli fece giustamente notare lei senza mollare la presa sul suo braccio.
Il ragazzo sbuffò e schioccò la lingua. << Già, grazie dell’informazione. Magari la prossima volta >>.
 << Ci crederò quando lo vedrò >> rispose lei ridacchiando e scuotendo i lunghi capelli rosa.

Daiki aveva conosciuto Momoi Satsuki al corso del professor Tsukishima; anzi, a voler essere precisi, la ragazza gli era finita addosso il primo giorno di lezione, quando, distratta dal correre per non arrivare in ritardo, si era scontrata con Aomine proprio di fronte la porta dell’aula.

Da lì, per qualche arcano motivo che lui non era ancora riuscito a capire, lei si era autoproclamata sua amica e non l’aveva più mollato.
All’inizio Daiki si era convinto che Momoi volesse provarci con lui: gli si sedeva sempre accanto a lezione, si offriva di aiutarlo con gli appunti, era gentile con lui anche se lui non lo era sempre con lei, ma quando le aveva chiesto se fosse vero, lei era scoppiata a ridergli in faccia.

“Non ti offendere, Dai-chan, ma non sei proprio il mio tipo. A me piacciono i ragazzi più bassi e sottomessi” e il tono con cui l’aveva detto e il ghigno sulla sua faccia avevano fatto provare ad Aomine sollievo per essersi sbagliato.
“Provo già pena per chiunque sarà il suo ragazzo. Beh, forse schiavo è il termine più adatto”.

Chiarito l’equivoco, i due avevano continuato ad essere amici, anche se spesso e volentieri Daiki avrebbe voluto mettere a tacere quella bocca petulante che lo riempiva di chiacchiere. Doveva però ammettere che il modo in cui Momoi si prendeva cura di lui senza volere- quasi mai- niente in cambio gli faceva piacere e alimentava il suo animo viziato.

<< Perché mi stai trascinando a mangiare dolci? >> se ne uscì lui all’improvviso, interrompendo il chiacchiericcio dell’amica. Non che a lui dispiacesse l’idea di mettere qualcosa sotto i denti, ma il Cafè dove Satsuki lo stava portando sarebbe stato pieno di altri esemplari femminili come la sua amica e l’idea non lo allettava molto. Aveva però anche imparato che cercare di distogliere Momoi dai suoi propositi era più difficile che scalare il monte Everest.

<< Perché ho voglia di una bella fetta torta! >> esclamò lei elettrizzata, << e ovviamente offri tu >>.
<< Cosa? >>.
<< Dai-chan >> iniziò lei con voce melliflua, ancora attaccata al suo braccio, << sbaglio o prima ho salvato il tuo bel culetto dal farti beccare da Tsukishima? E sei stato proprio tu a dirmi per telefono che mi devi un favore >>.
Aomine affilò gli occhi e schioccò la lingua, ma non poté replicare in alcun modo. “Maledetto me e la mia gentilezza inconscia!”.
 
 
 
 
<< Dai-chan, mi stai ascoltando? >>.
Aomine sollevò gli occhi dalla sua banana split e lo puntò su Momoi, le cui sopracciglia aggrottate gli stavano comunicando fastidio per essere stata ignorata.
<< Scusa, ero distratto >> rispose, sapendo che era inutile mentirle.

La ragazza si portò alla bocca un altro pezzo della sua seconda fetta di torta e capì che qualcosa non andava. Non che Daiki l’ascoltasse sempre, ma di solito fingeva un minimo di interesse e se lei lo beccava distratto, lui le chiedeva di ripetere e lei lo accontentava, pur sapendo che l’avrebbe ascoltata solo per i primi dieci secondi.

Adesso, invece, sembrava teso e turbato per qualcosa e conoscendolo, non si trattava di certo dello studio o dell’università in genere.
Rimanevano due possibilità: o problemi in famiglia o problemi di cuore.
<< Dai-chan, sei innamorato? >> buttò lì lei, attenta ad osservare le sue reazioni.

Il moro, che stava ingoiando il boccone di banana e gelato, per poco non si strozzò. Iniziò a tossire e si fiondò sul suo caffè, trangugiandolo quasi tutto.
<< Satsuki! >> esclamò una volta recuperata la respirazione, << con cosa diavolo te ne esci all’improvviso? >>.

Lei fece spallucce e sorrise a labbra chiuse. “L’intuito femminile non sbaglia mai” pensò con soddisfazione. << Oh, così, nessun motivo in particolare. È solo che oggi mi sembri stranamente triste e preoccupato e ho pensato che magari potessi avere qualche problema di cuore. Puoi parlamene, se ti va >>.

Aomine sgranò gli occhi per un attimo, sorpreso. “Cosa cavolo mangiano le ragazze per essere così perspicaci?”.
Mah, rorse, tanto valeva provarci. Del resto, si sentiva abbastanza disperato e magari parlarne con qualcuno l’avrebbe aiutato. “Odio questa situazione”.
 << Mettiamo, per ipotesi, che due si baciano e sono entrambi coinvolti, ma poi all’improvviso uno caccia via l’altro senza una spiegazione. Secondo te che significa? Sempre per ipotesi, ovviamente… >>.

“Ovviamente” fu il pensiero sarcastico di Momoi. “Oh cielo, i ragazzi sono davvero così ingenui e carini. Fortuna che ci siamo noi ragazze”.
<< Beh, per ipotesi >> iniziò lei, decisa di stare al gioco. Per Daiki doveva essere già stato abbastanza imbarazzante chiederle consiglio in quel modo e se l’aveva fatto, poteva solo significare che si trattava di un serio problema di cuore. << io direi che la persona che ha cacciato via l’altra molto probabilmente si è fatta prendere dal panico. Certo, non ho elementi sufficienti per esserne sicura, ma la persona era coinvolta nel bacio, giusto? >>.

Nonostante l’imbarazzo, Aomine annuì. << Sì, insomma, ha risposto al bacio. Per ipotesi… >>.
<< Allora penso che il panico sia la teoria più plausibile. Forse quella persona è rimasta talmente sorpresa da non sapere cosa fare e in un momento di confusione ha agito d’istinto. L’imbarazzo, il panico, l’ansia possono giocare brutti scherzi e magari dopo, quella persona si è pentita per ciò che ha fatto >>.

<< Quindi secondo te dovrei ins… ehm, cioè, la persona che è stata cacciata via dovrebbe insistere? >>.
Satsuki si trattenne dal sorridere troppo apertamente della dolcezza dell’amico. << Sai, Dai-chan, l’amore non è semplice: spesso bisogna combattere per ottenerlo, ma se ne vale la pena, se la persona è quella giusta, allora non ci si può tirare indietro. Anche a costo di provare paura e imbarazzo >>.

Aomine schiuse le labbra ma non disse niente.
Tutta quella situazione sarebbe stata meno incasinata se l’altra persona non fosse stato un ragazzo e il suo migliore amico da sedici anni.
 
 
 
 
Kagami sbuffò e alzò gli occhi al cielo per poi lasciar cadere la testa sul libro che stava cercando di studiare. La consistenza liscia della carta sotto la sua guancia lo distrasse per qualche secondo prima che la sua sadica mente decidesse di fargli ricordare, per l’ennesima volta, l’incidente della sera prima.

Arrossì inconsciamente ed emise un sonoro lamento. Se fosse andato avanti così, sarebbe impazzito prima del tempo.
“Che dovrei fare?”. Allungò una mano e afferrò il cellulare. L’orologio segnava le 15:07.

L’ora di pranzo era passata da un pezzo e lui non aveva ancora parlato con Aomine, anzi, non l’aveva proprio visto. Casa sua era vuota e silenziosa da quando lui era tornato dall’ospedale con sua madre.
“Chissà dov’è…”.

Proprio mentre era immerso in quei pensieri agrodolci, il cellulare che teneva in mano prese a squillare: “Kuroko chiama”.
Per quanto non si sentisse molto in vena di chiacchiere, rispose alla chiamata. Passati i convenevoli, Tetsuya gli propose di vedersi più tardi al campetto per giocare a basket.
<< Aomine-kun ci sarà? >>.

Al sentir pronunciare il suo nome, Taiga sussultò e si diede dell’idiota. << Ah, beh, veramente non lo so. È fuori da sta mattina e non so quando tornerà >>. Non aggiunse che avrebbe volentieri evitato di chiamarlo per informarsi.
<< Forse è ancora fuori con quella ragazza >> rispose Kuroko e Kagami aggrottò le sopracciglia.
<< Ragazza? Quale ragazza? >> chiese, cercando di non risultare preoccupato o geloso. Perché lui, ovviamente, non era nessuna delle due cose.

<< Circa un’ora fa stavo passando davanti al Kiseki no Café e dalla vetrina ho riconosciuto Aomine-kun seduto al tavolo con una ragazza dai capelli rosa. Stavano mangiando dei dolci e sembravano molto intimi. Ho pensato che fossero ad un appuntamento. Kagami-kun, tu non sapevi che usciva con qualcuna? >>.
Taiga ebbe l’impressione che la voce di Kuroko si facesse sempre più distante mentre il suo cervello cercava di elaborare e razionalizzare quelle informazioni.

Aomine in un Café a mangiare dolci? Lui non amava né l’uno né l’altro e se si era ritrovato là, la causa era stata di sicuro la ragazza.
Una ragazza che riusciva a convincere Aomine a fare qualcosa contro la sua volontà? Finora solo lui aveva avuto successo in una tale impresa e non era sempre stato facile. Quanto doveva essere importante questa ragazza per avere la meglio sulla testardaggine di Daiki?

E poi…
Baciava lui quando il giorno dopo aveva un appuntamento con una ragazza!
Oddio, cos’era quella sensazione che si stava facendo strada in lui con la forza di un uragano?!
“No, non può essere… non sono geloso! No, no, assolutamente no! Sono solo sorpreso, tutto qua. Non c’è niente di cui essere gelosi!”.

<< Kagami-kun, ci sei? >>.
La voce di Kuroko lo riportò alla realtà. << Ah… s-sì, ci sono, scusa… >>.
<< Tutto a posto? >>.
<< Sì, tranquillo. Allora ci vediamo al campetto tra un’ora. Va bene? >> cambiò subito argomento, desideroso di terminare quella conversazione al più presto.
<< Certo. A dopo, Kagami-kun >>.
<< A dopo >> lo salutò il rosso e chiuse la chiamata. << Cazzo! >> fu tutto ciò che uscì dalla sua bocca prima che la sua testa finisse nuovamente sul libro.
Se prima studiare era stato difficile, adesso era di certo fuori discussione.





Poveri i miei cuccioli... mi sa che mi piace proprio farli penare XD <3 oh-oh-oh insomma, si sono baciati ma non poteva certo andare tutto bene u.u diciamo che questa situazione è l'inizio della fine... eh già, prevedo di finire la storia in altri 2 capitoli, quindi ci aspetta il climax finale ^^
spero che il capitolo vi sia piaciuto <3 all'inizio non volevo inserire un personaggio femminile (insomma, le ragazze negli yaoi vanno bene solo se sono fujoshi XD) però ho pensato che una come Momoi poteva essere una buona amica per Aomine e si sa, nelle questione d'amore, è meglio chiedere alle ragazze u.u
cosa succederà adesso? riusciranno i nostri dolci idioti a capire quanto sono scem... ehm, innamorati? e Kise e Kuroko? lo scopriremo nei prossimi capitoli u.u
ringrazio come sempre tutti voi che continuate a seguirmi e a lasciarmi le recensioni <3 vi abbraccio e mi scuso di nuovo per il ritardo
bye bye

 
 



 

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Capitolo 11
*** We are...misunderstanding ***


We are... misunderstanding





Eccomi tornata, carissimi! ^^ lo so, sono di nuovo in ritardo... perdonatemi!!! Questo mese è stato decisamente incasinato e sono pure stata male, ma come avevo già detto, non lascerò incompiuta questa storia ;D vi faccio aspettare molto e mi scuso, ma come sempre spero che il nuovo capitolo vi piaccia e un grazie enorme a tutti voi che leggete, commentate e continuate a seguirmi nonostante tutto ^^ un abbraccio




 

“Ah dannata Satsuki! Non voleva più lasciarmi andare” pensò Aomine con fastidio. Sbuffò e fece schioccare la lingua, nella mente ancora la voce dell’amica e le sue chiacchiere infinite. Dopo aver finito di mangiare al Café, lei lo aveva trascinato in giro per i negozi della zona, causando occhiatine e risate da parte degli estranei alle sue lamentele non trattenute.

Fortuna che Aomine Daiki non era certo il tipo di persona che si curava di certi dettagli.

Quando finalmente era riuscito a svignarsela, si era diretto verso casa con tutta l’intenzione di parlare con Taiga, ma, una volta passato dal campetto di basket, fu costretto a fermarsi alla vista di Kagami e Kuroko che giocavano insieme.

Vide il rosso andare a canestro con una schiacciata e poco dopo lui e Kuroko far scontrare i pugni chiusi con i sorrisi sulle labbra.
Sentì un’ondata di rabbia attraversarlo dalla testa ai piedi e al contempo un fastidioso e persistente dolore alla bocca dello stomaco. “Dopo tutto quello che è successo, lui gioca tranquillamente a basket con Kuroko?”.

Era talmente preso dai suoi pensieri pieni di gelosia e istinti omicidi che non si accorse subito che intanto gli altri due lo stavano fissando e quando lo fece, fu troppo tardi: Kuroko e Kagami gli si erano avvicinati, anche se quest’ultimo teneva accuratamente lo sguardo fisso per terra.

<< Buon pomeriggio Aomine-kun >> lo salutò il piccoletto, << stavi tornando a casa? >>.
Daiki strinse gli occhi e dovette reprimere l’impulso di mandarlo al diavolo. << Sì >> fu la sua unica risposta. Temeva che se avesse parlato di più, avrebbe dato in escandescenza.

<< Vuoi unirti a noi? >> gli chiese allora Kuroko e non gli sfuggì il piccolo sussulto di Kagami.
Il moro alternò lo sguardo tra i due e strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi. << No, grazie, non mi va. Me ne torno a casa >> e detto questo, diede loro le spalle e si allontanò dal campo.

Solo allora Taiga risollevò lo sguardo da terra e osservò la schiena di Aomine: ebbe l’impulso di corrergli dietro, afferrarlo per la maglietta e fermarlo, ma sentì le gambe rigide e pesanti e non riuscì a muovere un solo passo.
<< Kagami-kun, va tutto bene? >>.

La voce di Kuroko e le sue dita che gli sfioravano il polso lo riscossero dalla trance. Afferrò con entrambe le mani il pallone che teneva sotto braccio e forzò un sorriso. << Tutto okay. Continuiamo? >>.
Tetsuya sospirò e scosse piano la testa. “Cosa cavolo è successo sta volta?”.
 
 
 
 

“Aaaah, finalmente ho finito!” pensò Kise con grande sollievo mentre usciva dallo studio fotografico che lo aveva visto impegnato per quasi cinque ore. Si passò una mano tra i capelli e sospirò sonoramente, i piedi che lo portavano verso la macchina dall’altro lato della strada senza che lui ci facesse davvero caso.

Quel lavoro era stato più stancante e stressante del solito: non solo la modella con cui doveva fare il servizio era arrivata con un ritardo di quasi tre quarti d’ora, ma a un certo punto due delle luci erano andate in corto circuito e c’era voluta mezz’ora per sostituirle e riprendere a lavorare. Inoltre la modella ritardataria ci aveva pure provato con lui, dimostrandosi una persona assolutamente non professionale.

Per tutti questi motivi Kise non si era mai sentito così sollevato dal potersene tornare finalmente a casa. Salì in macchina, ma giunti a metà strada convinse Sakuchi-san a lasciarlo continuare a piedi: escluse le volte in cui si allenava in palestra, non faceva molto altro movimento e si disse che fare una bella passeggiata avrebbe fatto bene sia al suo corpo che alla sua mente.

E quella decisione sembrò essere quasi un segno del destino quando s’imbatté in Kuroko lungo la strada.
<< Buon pomeriggio, Kise-kun >> lo salutò lui con il suo solito tono educato.

<< Buon pomeriggio a te, Kurokocchi. Fatto compere? >> s’informò il biondo notando la busta di plastica che Tetsuya teneva in mano.
<< Ho dovuto comprare alcune cose per mia madre. E tu, come mai in giro? >>.
<< Ho finito da poco un servizio fotografico e ho deciso di tornare a casa a piedi >>.

Tetsuya inclinò leggermente la testa e lo fissò. << Sembri piuttosto stanco: non hai una bella cera >>.
Ryota ridacchiò: la schiettezza di Kuroko non finiva mai di meravigliarlo. << In effetti lo sono >>.
<< Problemi a lavoro? >> gli chiese curioso il piccoletto.
Kise scosse la testa e abbozzò un sorriso. << No, il lavoro va bene. Stancante, ma è okay >>.

<< Allora è un problema di cuore? >>.
Il biondo sgranò gli occhi: adesso Kuroko sapeva pure leggere il pensiero o aveva solo tirato ad indovinare?
<< Beh in un certo senso… >> disse vago. Non che avesse davvero intenzione di confidarsi con Tetsuya, ma c’era qualcosa in quel suo sguardo impassibile che gli rendeva difficile mentire.

<< Come sta Aomine-kun? >> se ne uscì dopo Kuroko, cambiando completamente argomento e lasciando Kise spiazzato per alcuni secondi.
<< Aominecchi? >> ripeté Ryota confuso, << come mai mi chiedi di lui? >>.

Tetsuya fece spallucce. << L’ho incontrato ieri mentre ero al campetto con Kagami-kun e sembrava… strano >>.
“Oh, se sapessi quante cose strane stanno succedendo!” pensò Kise, ma se lo tenne per sé. Non erano passate neanche quarantotto ore da quando aveva visto Aomine e Kagami baciarsi ma, in effetti, il giorno prima Daiki era rimasto a casa ad oscillare tra lo studio e la pigrizia, privilegiando quest’ultima.

Era sembrato decisamente giù di morale.
<< Beh, non saprei… >> iniziò Ryota e non sapeva davvero cosa dire o pensare.
<< E dire che ieri era ad un appuntamento con la sua ragazza >>.

“Eeeeeeh?”. Per lunghi secondi Kise credette di aver sentito male. Kuroko non poteva davvero aver detto che Aomine aveva una ragazza.
<< C-come, scusa? >> farfugliò incredulo.
<< A quanto pare nessuno lo sapeva >> commentò Kuroko, << Kagami-kun era sorpreso quanto te >> e raccontò ciò che aveva detto anche a Taiga il giorno prima.

Alla fine Kise rimase in silenzio, la mente che cercava di elaborare tutta quella situazione incasinata. Possibile che Aomine avesse baciato Kagami anche se aveva una ragazza? Che poi era veramente la sua ragazza? E se quella sera lui avesse visto male? Forse non si erano davvero baciati…

Quei continui shock stavano cominciando a farlo dubitare di tutto, persino di se stesso: non sapeva proprio più a chi o cosa credere.
Eppure, dentro di sé, non poté evitare di sentirsi sollevato all’idea. Se Aomine aveva davvero una ragazza… beh, Kise era pronto ad accettarlo. Era quello a cui si era sempre preparato, la consapevolezza che il ragazzo che amava avrebbe trovato la felicità con una ragazza.

Forse era un pensiero meschino, ma se Daiki doveva stare con qualcuno, quel qualcuno doveva essere una ragazza, perché solo in quel caso il cuore di Kise avrebbe potuto sopportare il dolore.
 
 
 
 
Evitare Aomine fu più strano di quanto Kagami avrebbe mai pensato. Non che lui volesse davvero evitarlo, ma non riusciva davvero a rimanere calmo in sua presenza.

Tutta quella situazione lo stava mandando fuori di testa: prima il bacio, poi la notizia che Daiki aveva una ragazza e infine il suo strano comportamento al campetto.

“Dovrei essere io quello arrabbiato, non lui…” aveva pensato più volte, dandosi poi dello stupido. Perché continuava a sentirsi così? Perché non riusciva a smettere di pensare a tutto quel casino? Avrebbe dovuto far finta di niente e lasciarsi tutto alle spalle, lo sapeva, ma la sua mente era ormai fittamente ingarbugliata, come una matassa di cui non si può più venire a capo.

I suoi pensieri si aggrovigliavano su loro stessi e più provava a tirarsene fuori, più quelli lo avvolgevano e lo seppellivano.
Così, pur odiando il suo comportamento codardo, si tenne a debita distanza da Aomine; cosa che, considerando l’essere vicini di casa, lo costrinse a passare molto tempo fuori.

Al secondo giorno di “allontanamento sistematico”, mentre stava per rientrare a casa, si imbatté in Kise che invece stava uscendo.
<< Oh, guarda un po’ chi si vede: Kagamicchi! >> lo salutò il biondo con un sorriso.

Il rosso si bloccò davanti al cancello del vialetto e si voltò verso l’altro ragazzo. << Ehilà, Kise. Stai andando a lavoro? >>.
Ryota gli si avvicinò e annuì. << Ho un incontro con alcuni tizi che vorrebbero farmi fare una pubblicità. E tu? >>.
<< Ah niente di che… ero all’università >>.
<< Capisco >> disse, poi gli si fece ancora più vicino, come se volesse dirgli qualcosa di confidenziale, << hai saputo di Aominecchi? >>.

Taiga sgranò gli occhi per un attimo ma si impose di mantenersi impassibile. << Riguardo cosa? >>.
<< Come cosa? Che Aominecchi si è finalmente trovato una ragazza! >> rispose Kise con un’allegria del tutto finta che il suo talento recitativo riuscì a far sembrare sincera.

<< L-lo sai anche tu? >> gli chiese Kagami sorpreso. Possibile che lo sapessero tutti?
Il biondo fece spallucce. << Oh beh, a dir la verità, l’ho saputo per caso: quel cattivo di Aominecchi non mi ha detto niente. Immagino volesse tenerlo segreto, ma tu lo sapevi, giusto? >>.

Taiga annuì ma il suo fu più che altro un gesto istintivo: la sua mente era da tutt’altra parte.
<< Ma certo! Tu e Aominecchi siete come fratelli: a te non l’avrebbe mai nascosto >> continuò Ryota apposta, conscio di quanto quel comportamento fosse meschino, ma incapace comunque di fermarsi.

<< Già… >> rispose il rosso in un sussurro, mentre il desiderio di prendere Daiki a pugni si faceva strada in lui.
<< Beh è fantastico, no? Adesso non dovrai più prenderti cura di lui >>.

Kagami riportò lo sguardo sul biondo e aggrottò le sopracciglia. << Che vuoi dire? >>.
<< Oh niente, niente, Kagamicchi. È solo che voi due vi siete sempre presi cura l’uno dell’altro da quando eravate piccoli, ma adesso le cose cambieranno. La sua ragazza si prenderà cura di lui al posto tuo: non avrà più bisogno di te >>.

A quelle parole Taiga ebbe l’impressione che il respiro gli si bloccasse in gola e non riuscì a rispondere in alcun modo.
Kise gettò un’occhiata all’orologio. << Oh, cavolo, se rimango qua a parlare, arriverò in ritardo all’incontro. Scusa se scappo così all’improvviso, ma devo proprio andare >> gli posò una mano sulla spalla e sorrise, << ci si vede, Kagamicchi >>.

Si allontanò rapido, ma Taiga non gli prestò attenzione.
Probabilmente in quel momento non avrebbe fatto caso neanche se un alieno fosse atterrato con la sua astronave davanti a lui.
 
La sua ragazza si prenderà cura di lui al posto tuo: non avrà più bisogno di te.
 
 
 
 
<< Dai-chaaaaaaan! >>.
Una voce acuta e penetrante invase i canali uditivi di Aomine, seguita da due braccia che si avvinghiavano al suo. Il moro sbuffò e guardò Momoi in cagnesco.

<< Che fortuna incontrarti! >> esclamò la ragazza con un sorriso, ignorando come sempre le reazioni di Daiki, << come mai sei in facoltà? >>.
Aomine alzò gli occhi al cielo e sbuffò una seconda volta. << Dovevo sbrigare una questione burocratica e tu? >>. Non aggiunse che stava anche cercando una scusa per tenersi lontano da casa.

<< Dovevo parlare con Tsukushima >>.
Daiki emise un verso di disgusto che fece ridacchiare Satsuki. << Quanto sei esagerato, Dai-chan! >>.
<< Sai che detesto quel tipo… Non vedo l’ora di passare l’esame e togliermi Tsukushima dai piedi >>.

La ragazza rise di nuovo e strinse ancora di più il braccio di Aomine.
Stavano camminando per i corridoi della facoltà, quando, svoltato un angolo, furono costretti a fermarsi di colpo.

<< Taiga… >> disse Daiki, fissando il ragazzo davanti a lui che lo guardava con la stessa espressione sorpresa stampata sulla sua faccia.
Dopo alcuni secondi di stallo Kagami si impose di rilassarsi e mostrarsi indifferente. << Daiki, anche tu qui… >> rispose banalmente e si diede subito dello stupido. “Cazzo!”.

<< Già… che coincidenza… >> convenne il moro altrettanto banalmente. Schioccò la lingua e imprecò nelle sua mente diverse volte.
In tutto questo Momoi alternava lo sguardo tra i due ragazzi, mentre gli ingranaggi del suo cervello si mettevano in moto e d’improvviso i pezzi del puzzle cominciarono ad andare ai loro posti.
 
Mettiamo, per ipotesi, che due si baciano e sono entrambi coinvolti, ma poi all’improvviso uno caccia via l’altro senza una spiegazione. Secondo te che significa? Sempre per ipotesi, ovviamente…
 
“Non ci posso credere! Possibile che Dai-chan…”. Un sorrisetto che non prometteva niente di buono curvò le labbra della ragazza. “Il mio intuito femminile non sbaglia mai”.

Si allontanò da Aomine e, cogliendo i due di sorpresa, si avvinghiò rapida al braccio di Kagami. << Dai-chan! Perché non mi hai mai detto di avere un amico così carino?! >> esclamò con fare civettuolo, sorridendo e sbattendo le ciglia.

Normalmente non si sarebbe mai comportata in modo così sfacciato, ma aveva bisogno di confermare i suoi sospetti e se questi erano corretti, di far sbloccare la situazione tra quei due. Vide le facce di entrambi contrarsi in un’espressione sorpresa, ma se quella del rosso era anche imbarazzata, quella di Daiki si trasformò in una decisamente irritata.

<< Che cavolo stai facendo, Satsuki? >> esclamò il moro, gli occhi affilati e i pugni stretti.
Ignorando apposta l’amico, Momoi si rivolse a Taiga. << Quindi sei tu il famoso Kagami… Dai-chan mi ha parlato tanto di te: ero proprio curiosa di conoscerti >>.

Il rosso sgranò gli occhi e schiuse le labbra, ma non gli uscì alcun suono. Come poteva comportarsi in quel modo davanti al suo ragazzo? Sollevò lo sguardo e lo puntò su Aomine: sembrava sul punto di dare in escandescenza.
“Beh, è ovvio che sia geloso se la sua ragazza fa così con un altro…”. Provò ad allontanarsi, ma le braccia di lei si dimostrarono più forti di quanto avrebbe pensato.

<< Satsuki, falla finita >> sibilò Aomine con fare minaccioso.
“Come volevasi dimostrare, avevo ragione” pensò Momoi e non poté trattenere un sorriso di soddisfazione. << Oooh, Dai-chan, non avrei mai detto che tu fossi un tipo geloso e possessivo >>.

La sua intenzione era solo quella di stuzzicarlo un po’, ma dovette ammettere con se stessa che la reazione dell’amico la sorprese non poco.
Gli occhi che sembravano pronti a sputare fiamme, Daiki afferrò la ragazza per la spalla e la allontanò di peso da Kagami. La velocità del gesto fu tale che Satsuki ebbe quasi l’impressione che i suoi piedi si sollevassero dal pavimento per un attimo e un verso di sconcerto le uscì dalla gola senza che potesse controllarlo.

<< Sta’ lontana da lui! >> le disse il moro e per la prima volta Momoi fu costretta a dare ragione a quelli che dicevano che Aomine Daiki aveva uno sguardo spaventoso.
“Forse ho esagerato…” pensò la ragazza, ma si sentiva abbastanza compiaciuta con se stessa per aver avuto ragione che non si scusò.

Dal canto suo Taiga, rimasto in silenzio ad assistere a tutta la scena, sentì l’urgente bisogno di allontanarsi il possibile da là. Tutti i suoi sforzi degli ultimi giorni per evitare Daiki e ora se lo beccava mentre si ingelosiva a causa della sua ragazza.

Si era detto che non doveva pensarci, che doveva lasciarsi tutta quella storia alle spalle, che non doveva dare importanza a un incidente in un momento di debolezza, ma si sentì comunque come se l’avessero preso a pugni.
<< Devo proprio andare >> fu tutto ciò che disse prima di allontanarsi rapido per il corridoio e sparire dietro un angolo.
<< Tai, aspet… >> provò a chiamarlo Daiki, ma non fece in tempo. Sospirò e lanciò un’occhiataccia a Momoi.

La ragazza fece spallucce. << Che c’è? >> domandò con nonchalance, abbozzando un sorriso.
<< Cosa cavolo ti è saltato in mente prima? Avvinghiarti a Taiga in quel modo… >>.

Satsuki incrociò le braccia sulla schiena. << Volevo solo confermare una mia teoria >>.
Aomine inarcò un sopracciglio. << Teoria? Quale teoria? >>.
<< Ricordi quello che ti ho detto l’ultima volta, quando mi hai chiesto un consiglio d’amore? Che bisogna combattere per ottenerlo, anche a costo di provare vergogna e imbarazzo? Beh, ecco, diciamo che adesso mi è tutto molto più chiaro >>, concluse il tutto con un occhiolino e un sorriso furbetto.

Il ragazzo sgranò gli occhi, ma rimase in silenzio, mentre Momoi poté giurare di aver visto le sue guance tingersi di rosso.
“Come pensavo, il mio intuito femminile non sbaglia mai” si compiacque con se stessa per le sue capacità deduttive, “forse dovrei fare il detective, come Sherlock Holmes”.
 
 
 
 
<< ‘Giorno, Momoi-chan >>.
Satsuki sollevò gli occhi dallo schermo del suo cellulare e li puntò sul ragazzo che l’aveva appena salutata, Shoichi Imayoshi, un senpai che aveva conosciuto qualche mese prima. Se ne stava in piedi davanti a lei, bibita in mano e sorrisetto infido sul volto, le ciocche dei capelli che gli coprivano la fronte.

<< ‘Giorno, Imayoshi-san >> rispose lei con una gentilezza forzata. Quel tipo non le era mai piaciuto particolarmente: sembrava il cattivo di un film che sta sempre a macchinare qualcosa di perfido per mettere nei guai il protagonista.
<< Posso sedermi? >> chiese lui educatamente, indicando con la mano il posto libero accanto a lei sulla panchina.

Lei annuì e lo osservò mentre si sedeva, chiedendosi cosa mai potesse volere. A parte i convenevoli e alcune chiacchiere frivole, non avevano mai parlato molto.
<< Belle giornata oggi, non trovi? >> iniziò lui, osservando l’ambiente circostante.

<< Un po’ caldo >> replicò lei, ringraziando mentalmente di aver trovato libera quella panchina all’ombra. Per essere un pomeriggio di luglio, la temperatura era più bassa del solito, ma Satsuki poteva sentire l’umidità estiva che cercava di impregnarsi alla sua pelle.
Imayoshi bevve un sorso del suo caffè freddo e sospirò piano. << Dove hai lasciato Aomine? >>.

Momoi aggrottò le sopracciglia e lo guardò con la coda dell’occhio. << Come mai mi chiedi di Aomine? >>.
Lui fece spallucce. << Nessun motivo in particolare; solo mi aspettavo di vedervi fare i piccioncini. Beh, comunque, congratulazioni >>.
Lei sgranò gli occhi e incrociò le braccia al petto. << Di che diavolo stai parlando? >>.

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia per un attimo per poi tornare a ghignare. << Oh, non c’è più bisogno che tu la nasconda >>.
<< Nascondere cosa? >>.
<< Di te e Aomine >> rispose lui e l’espressione inferocita di Satsuki gli fece venire dei seri dubbi.
<< Io e Aomine cosa? >> sibilò lei, confusa e nervosa.
<< Che state insieme, ormai lo sanno tutti >>.

A quelle parole la ragazza scattò in piedi così velocemente che la gonna ondeggiò, offrendo a Imayoshi una breve ma piacevole visione delle sue cosce.
<< Che razza di storia è questa? Da chi l’hai sentito? >> lo incalzò lei con voce alterata.
<< Da Wakamatsu che a sua volta l’ha saputo da Sakurai, ma non chiedermi da chi è partita la voce perché non lo so >>.

<< È… è ridicolo! Assurdo! Io e Dai-chan non stiamo insieme! >> esclamò lei furiosa, << siamo solo amici! >>.
<< Beh, a quanto pare qualcuno ha messo in giro un falso pettegolezzo >> commentò lui con tono pacato, << in effetti, mi sembrava strano che voi due foste una coppia >>.
Momoi lo guardò in cagnesco ma non rispose. “Devo scoprire chi è stato e fargliela pagare”.
 
 
 
 
Aomine sospirò e si rigirò sul letto per l’ennesima volta. Avrebbe dovuto studiare per l’esame imminente, ma la sua mente non riusciva a concentrarsi su nulla.
Tutto ciò a cui riusciva a pensare era Kagami, ma le sue emozioni erano talmente confuse che non riusciva a mettere ordine né alla sua testa né al suo cuore.

Lui non era bravo con le cose da femmine, tipo i sentimenti e in quel momento si sentiva peggio di una stupida ragazzina in preda agli ormoni.
Era felice se ripensava al bacio di quattro sere prima, arrabbiato e ferito se ripensava al comportamento di Kagami ai sorrisi che si scambiavano lui e Kuroko mentre giocavano a basket, geloso marcio se ricordava Satsuki avvinghiata al braccio di Taiga e triste quando si rendeva conto che il suo Tai lo stava evitando da giorni.

Non era più sicuro di niente e non sapeva cosa fosse meglio fare.
E detestava sentirsi in quel modo.
Era tutto più semplice prima, quando erano solo loro due, amici e fratelli.
“Perché cavolo mi sono innamorato di lui?!”.

A quel suo stesso pensiero scattò a sedere sul letto, gli occhi sbarrati e il cuore che batteva veloce.
“I… innamorato? Di… Taiga?”. In preda a un attacco di panico, si prese la testa tra le mani, ma non ebbe altro tempo per deprimersi perché la porta della sua stanza si spalancò di colpo, rivelando la figura di…

<< Satsuki?! >> esclamò sorpreso, gli occhi fissi sull’amica, << che diavolo ci fai qua? >>.
Lei si avvicinò rapida al letto. << Mi ha aperto Kise, ma non è questo il punto >> tagliò corto lei, chiaramente di fretta, << sei per caso andato in giro a dire a tutti che io e te stiamo insieme? >>.
Daiki aggrottò le sopracciglia. << Eh… c-cosa? >>.

Momoi si sedette sul letto accanto a lui e lo fissò negli occhi. << Per caso hai detto a qualcuno che io e te stiamo insieme? >> ripeté lei con tono serio. Non credeva davvero che fosse lui il colpevole, ma non era riuscita a sapere nulla di utile da Kasamatsu e Sakurai, quindi si era precipitata da Aomine nella speranza che lui sapesse qualcosa.

<< Ti sei forse bevuta il cervello? >> sbottò lui, << perché mai avrei dovuto fare qualcosa del genere? >>.
Lei sospirò, delusa e raccontò ad Aomine tutto ciò che sapeva, anche se non era un granché.
<< Ehi, io non c’entro niente >> precisò lui alla fine.

La ragazza sbuffò e mise su il broncio. << Vorrei proprio sapere chi ha messo in giro una simile scemenza… ora tutti quanti credono che noi due siamo una coppia >>.
<< Mi raccomando, non mostrarti così entusiasta della cosa… >> replicò Daiki con sarcasmo, punto nell’orgoglio. Okay che era tutta una bugia, ma non c’era bisogno di essere tanto delusi e arrabbiati.

Momoi fece una breve risata. << Non è per te, Dai-chan, è solo che mi dà fastidio che la gente metta in giro false voci su di me >>.
Lui annuì e lei continuò: << A te non dà fastidio? Insomma, tu hai pure Kagami… >>.
Le parole dell’amica lo colpirono come un pugno allo stomaco. << Aspetta… dici che anche Taiga… >>.

Possibile che anche Tai pensasse che lui e Satsuki stessero insieme?
<< Merda! >>. Scattò in piedi e si precipitò fuori casa. Doveva assolutamente chiarire con Taiga!

E che cavolo, lui era Aomine Daiki! Non era una stupida femminuccia senza palle! Non poteva rimanere a crogiolarsi in quel limbo di dubbi e confusione: doveva agire, prima che fosse troppo tardi.

Si fiondò a casa di Kagami e scampanellò finché la madre non venne ad aprire.
<< Daiki, che sorpresa >> lo salutò lei sorridente, << di solito non passi mai dalla porta d’ingresso. Come mai qua? >>.

Si diede mentalmente dello stupido per non essere passato dalla finestra come sempre. << Devo parlare con Taiga >> disse soltanto.
<< Oh mi spiace, tesoro, Taiga non c’è: è andato a casa di Kuroko >>.
Aomine sgranò gli occhi e schiuse la bocca. << Ku-kuroko? >>.
<< Sì, è stato invitato per cena. Non lo sapevi? >>.

Il ragazzo abbassò lo sguardo e abbozzò un sorriso sconsolato. << Ah, già, l’avevo dimenticato… Scusi il disturbo >>. Si allontanò lungo il vialetto sotto lo sguardo preoccupato della madre di Kagami e appena rientrò a casa, fu accolto dal sorriso dolce e triste allo stesso tempo di Momoi.



 

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Capitolo 12
*** We are...what we are ***


We are... what we are






 

<< Oh, Kagami, mi dispiace tanto per Nigou. Non so davvero come abbia fatto ad aprire la porta: l’avevamo lasciato nella stanza degli ospiti, ma… e dire che Tetsuya ci aveva avvertito della tua paura dei cani >>, la madre di Kuroko si scusò ancora, accompagnando le parole con diversi inchini.

Kagami, imbarazzato per non essere riuscito a trattenere le sue reazioni davanti all’improvvisa comparsa del cane dell’amico, scosse la testa ripetutamente e si sforzò di sorridere nel modo più convincente possibile. << È tutto a posto, signora, davvero. Mi sono solo sorpreso >>.

Beh, forse, gridare all’improvviso alla vista di Nigou che gli annusava i piedi non rientrava esattamente nella definizione di “sorpresa”, ma il rosso si sentiva come se volesse sprofondare in una buca nel terreno e desiderava soltanto porre fine a quel momento imbarazzante.

La cena a casa di Kuroko si era svolta in modo tranquillo e sereno: i genitori del ragazzo erano simpatici e gentili, per quanto Kagami si rese conto che l’amico aveva preso decisamente tutto dal padre; ma appena Nigou aveva –non si sa come- aperto la porta della stanza degli ospiti e raggiunto il soggiorno dove loro avevano appena finito di cenare, il rosso si era fatto prendere dalla sua paura dei cani e Tetsuya aveva dovuto prendere in braccio Nigou e riportarlo nell’altra stanza.

<< Tetsu, perché non andate nella tua stanza? >> suggerì la madre con un sorriso, notando il disagio del rosso. Vedere un ragazzo grande e grosso come lui spaventarsi per un cucciolo come Nigou l’aveva fatta sorridere internamente: era stata una scena buffa e adorabile, nonostante tutto.
Il figlio annuì e Kagami lo seguì in camera sua.
<< Ti va un film? >> propose il piccoletto una volta dentro.

<< Mh certo >> rispose l’ospite, sedendosi sul bordo del letto. Era la prima volta che metteva piede nella stanza di Kuroko e dovette convenire che quel luogo sapeva di lui: pulito, semplice e ordinato. Libri e manga perfettamente allineati sulle mensole, scrivania senza una penna fuori posto, lenzuola azzurro cielo e solo qualche poster di famosi giocatori di basket a decorare una parete bianca.

<< Mi dispiace per Nigou >> se ne uscì Tetsuya mentre si sedeva accanto all’altro e faceva partire il film.
<< Non fa niente, non è colpa di nessuno >>.
<< Sono contento che hai accettato il mio invito, Kagami-kun >>.
Taiga si voltò verso di lui e si ritrovò gli occhi di Kuroko piantati nei suoi. << Ah beh, mi ha fatto piacere. Grazie per avermi invitato >>. Lo vide sorridere in quel suo modo quasi impercettibile e si sentì d’un tratto strano.

Quando l’aveva invitato a cena a casa sua, Taiga non era stato sicuro fin da subito, ma poi aveva ripensato a tutta la situazione con Aomine e il desiderio di allontanarsi si era fatto strada in lui e così aveva accettato, ma si era in parte sentito in colpa per l’egoismo che l’aveva spinto a scegliere.

Per di più quella era la prima volta che loro due si trovavano da soli in una stanza e appena Kagami ne divenne consapevole provò un diverso tipo d’imbarazzo. Nonostante cercasse di non pensarci, non aveva dimenticato la confessione di Kuroko e adesso gli sembrò tutto troppo reale e concreto: seduti sul letto, seduti vicini, nella sua stanza.

Si impose di concentrarsi sul film scelto dall’amico, Crows Explode, durante il quale entrambi scivolarono sempre di più nella loro seduta fino a poggiare le schiene alla parete.

D’un tratto Tetsuya posò la testa sulla spalla di Taiga e questi sgranò gli occhi, irrigidendosi di colpo.
“… okay, questo è imbarazzante…”. Kagami deglutì a vuoto e sentì il volto surriscaldarsi; guardò l’altro con la coda dell’occhio e notò il suo sguardo fisso sullo schermo del televisore. “Forse mi sto solo suggestionando da solo…”.
<< Tutto bene, Kagami-kun? >>.

Giusto il tempo di sbattere le ciglia e Taiga si ritrovò gli occhi azzurri di Kuroko addosso. “Quando cazzo si è mosso?”.
<< Ah… s-sì, sì >> farfugliò il rosso, << tutto okay… >>.
L’altro afferrò il telecomando e mise il film in pausa. << Sicuro? >> continuò, per niente convinto di quella risposta.
Taiga lo fissò con aria perplessa. << Sì, perché? >>.

Kuroko rimase qualche secondo in silenzio a riflettere. Aveva notato lo strano comportamento di Kagami, ma aveva inizialmente deciso di non parlarne. Per quanto desiderasse conoscere ogni cosa che lo riguardava, non si sentiva neanche in diritto di immischiarsi nei suoi affari, se lui non voleva confidarsi. Ma siccome c’era l’amore di mezzo, il piccoletto mandò all’aria i suoi propositi.

<< Non lo so… mi sei sembrato strano in questi ultimi giorni: distante, con la testa tra le nuvole, con la faccia di uno tormentato da qualcosa… per caso hai di nuovo litigato con Aomine-kun? >>.

Colpito sul vivo, Kagami non poté trattenere un sussulto; si morse il labbro inferiore e a malincuore Tetsuya capì di aver indovinato. << Quindi non hai fatto altro che pensare ad Aomine-kun per tutto il tempo? >>.

Il rosso schiuse la bocca, ma non riuscì a dire niente. Sentendosi improvvisamente imbarazzato, abbassò lo sguardo e sospirò. Come faceva Kuroko ad essere così dannatamente perspicace?

<< Allora stanno così le cose… >> disse l’altro in un sussurro e Taiga alzò gli occhi, confuso. Non fece in tempo a dire niente che Tetsuya gli prese il viso tra le mani e lo baciò senza preavviso.

Taiga sgranò gli occhi mentre le labbra dell’altro, soffici e tiepide, si poggiavano con dolcezza sulle sue; sentì i muscoli irrigidirsi e la mente annaspare in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi.

Quando, pochi secondi dopo, Kuroko spostò le mani dal suo volto al petto e le usò per spingerlo sul letto, Kagami era troppo scioccato per resistere o fare qualsiasi altra cosa e nonostante la differenza di stazza e forza fisica, si lasciò spingere come un oggetto inanimato, senza però rispondere al bacio.

Dal canto suo, Kuroko sapeva di star facendo la più grossa stupidaggine della sua vita, di star mettendo in pericolo il suo rapporto con Taiga, che se ne sarebbe pentito di sicuro, ma qualcosa dentro di lui si era rotta all’improvviso, come una diga che crolla sotto la troppa pressione dell’acqua.

I suoi sentimenti per Taiga erano stati l’acqua che aveva distrutto la diga che lui stesso aveva costruito nel suo cuore; il desiderio di baciarlo era stato così intenso che lui non aveva potuto far altro che assecondarlo e lasciarsi andare, pur nella consapevolezza di un tale sbaglio.

Dopo averlo spinto sul letto, staccò per un attimo le labbra dalle sue, rimaste immobili tutto il tempo, ma non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Provò a baciarlo di nuovo, ma questa volta Kagami reagì: gli mise le mani sulle spalle e con delicatezza lo spinse via, facendolo rialzare.

Entrambi imbarazzati e con le guance arrossate, rimasero in silenzio per quasi un minuto finché Tetsuya trovò il coraggio di prendere la parola.
<< Mi dispiace, Kagami-kun… non so cosa mi è preso… >>.
Il rosso si accarezzò la nuca e sospirò. << Anch’io devo chiederti scusa >> disse, lasciando l’altro spiazzato e con gli occhi sbarrati.
<< Sono stato uno stupido e un egoista >> riprese, lo sguardo fisso sulla parete davanti a sé e le mani intrecciate tra loro, << ho voluto esserti amico anche se sapevo dei tuoi sentimenti per me: li ho ignorati e ti ho fatto soffrire >>.

<< Ma sono stato io a chiederti di restare amici: non volevo perderti >>.
<< Ma sei comunque innamorato di me, no? >> replicò Taiga, l’imbarazzo che cresceva nel dire certe parole, ma consapevole che quella conversazione non poteva più essere rimandata, << mi sei rimasto accanto come amico anche se volevi di più e io ne ho approfittato perché non sapevo come comportarmi. Mi dicevo che se andava bene a te, allora era tutto apposto, ma era una cazzata >>.

Kuroko fece un sorriso amaro e si decise a confessare l’ultimo segreto. << Sei davvero troppo gentile, Kagami-kun >>.
Il rosso voltò la testa e lo fissò scettico. << Che vuoi dire? >>.

<< Sono felice che hai sempre pensato bene di me, ma non sono stato così innocente e onesto come credi. C’è un motivo se ti ho chiesto di rimanere amici dopo essermi confessato: sapevo che se avessi lasciato le cose come stavano, ci saremmo soltanto allontanati e basta, così ho pensato che se fossi rimasto tuo amico, avrei avuto modo di conquistarti. È un’idea stupida, me ne rendo conto ma per un po’ ci ho sperato… che magari, prima o poi, col tempo, anche tu avresti ricambiato i miei sentimenti… >>, un altro breve sorriso amaro gli increspò le labbra e Taiga non seppe cosa rispondere.
<< Ricordi quando Aomine-kun mi ha minacciato? >> continuò il piccoletto.

Kagami annuì e si disse che non avrebbe mai potuto scordare un simile litigio.
<< L’ha fatto perché lui aveva capito le mie intenzione e mi aveva avvertito di starti lontano e di non farti soffrire con il mio inganno. Diceva che eri troppo buono e che io me ne stavo approfittando. Voleva proteggerti, a modo suo… non so perché poi non ti ha mai detto niente. Di sicuro non l’ha fatto per me, anche se gli sono stato grato: avevo troppa paura di dirti la verità e poi averti visto prendere le mie difese in quel modo mi aveva reso davvero felice e così sono rimasto zitto. Mi dispiace, Kagami-kun. Ti ho mentito anche se tu sei stato il miglior amico che abbia mai avuto >>.

Taiga rimase in silenzio per un po’: aveva bisogno di qualche momento per assimilare tutto quanto. “Quindi le cose stavano così…”. Sospirò e si passò una mano tra i capelli. << Direi che abbiamo entrambi le nostre colpe >> dichiarò alla fine con voce calma
<< Allora non ce l’hai con me? >> gli chiese Tetsuya sorpreso.

L’altro abbozzò un piccolo sorriso. << Certo che no. Capisco perché l’hai fatto e sinceramente non credo di avere il diritto di prendermela. Io sapevo che non era giusto far finta di niente, fingere che fosse tutto come prima, quindi direi di metterci una pietra sopra >>.
<< E con Aomine-kun? Perché avete litigato sta volta? >>.
Fu il turno di Kagami di fare un sorriso triste. << È un po’ complicato… >>.

<< Sai, Kagami-kun, ti confesso che ho sempre invidiato il rapporto che c’è tra voi. Non avevo mai conosciuto due persone con un legame così profondo come il vostro: credo che sia più speciale di quanto voi stessi vi rendiate conto. Dovresti averlo caro >>, sollevò gli occhi al cielo e sorrise per un momento, << voi due siete… beh, siete voi. Non penso che si possa dare una definizione a questo >>.

Il rosso sgranò gli occhi e per l’ennesima volta si chiese come Kuroko riuscisse ad essere… beh, Kuroko, in grado di capire le persone e di dire la cosa giusta al momento giusto. Di sicuro la mancanza di presenza non era la sua unica caratteristica unica.
“Mi sa che ha un dono… e anche ragione”.

Scappare da Aomine e dai propri sentimenti non era la risposta giusta.
<< Io… >> iniziò Taiga ma venne anticipato da Tetsuya.
<< Devi andare, lo so >>.

Kagami si alzò in piedi e lo fissò. << Mi dispiace. Per tutto >> gli disse e dispiaciuto lo era davvero, anche per non aver potuto ricambiare i suoi sentimenti. Kuroko era un ragazzo più straordinario di quanto potesse sembrare all’apparenza e Taiga era sempre stato felice di averlo conosciuto e di averlo come amico.
Ma non poteva essere più di quello.

Il piccoletto gli sorrise e Kagami sentì stringersi il cuore, ma uscì comunque dalla stanza e non vide gli occhi di Kuroko farsi subito lucidi e due lacrime silenziose bagnargli il volto.
 
 
 
 





Per quanto Momoi avesse desiderato rimanere ancora con Aomine, era dovuta andar via, con la promessa però di chiamarlo il giorno dopo. Il ragazzo aveva sbuffato, lamentandosi di non essere un bambino e di non aver bisogno delle sue attenzioni.

Lei aveva sorriso e se n’era andata, lasciando l’amico alle cure di Kise. Questi l’aveva tranquillizzata, ma gli bastò il tempo di una doccia per pentirsi del suo ottimismo, dato che, una volta finito, trovò il moro seduto in soggiorno a bere birra.

<< Aominecchi… >> sussurrò il biondo e si sentì male per più di un motivo: perché non sopportava di vedere il ragazzo che amava con quell’aria disperata, perché era geloso che soffrisse per un altro ragazzo e perché si sentiva in colpa per aver alimentato la bugia sulla ragazza di Daiki.
Avendo fra l’altro conosciuto proprio Momoi, il senso di colpa era pure aumentato.

Gli si sedette accanto e gli poggiò una mano sulla spalla. << Aominecchi, non ti sembra di aver tirato fuori un po’ troppe birre? >>.
Il moro bevve un lungo sorso dalla lattina e sospirò. << Voglio scoprire quante ne dovrò bere prima di dimenticare tutto e addormentarmi >>.
Kise scosse la testa e si prese una lattina; la aprì e bevve. << Perché non lo scopriamo insieme? >>.
Aomine gli lanciò un’occhiata e fece spallucce. << Fa’ come vuoi >>.
Non che il biondo avesse davvero intenzione di lasciare che l’altro si ubriacasse fino a perdere i sensi: proprio per questo non poteva lasciarlo bere da solo.
“È meglio tenerlo d’occhio”.

Peccato che i suoi buoni propositi iniziali si trasformarono molto presto in una bevuta intrisa di autocommiserazione e pentimento al pari di quella di Daiki.
Entrambi con i loro spettri da affogare nell’alcol, finirono per scolarsi tutte le birre presenti in casa e quando il moro propose di aprire una bottiglia di sakè –che chissà come era rimasta intoccata fino a quel momento- il biondo non lo fermò in alcun modo, anzi, accolse la proposta con un sorrisetto da ebete e un “evviva” strascicato.

Al terzo bicchierino di sakè si ritrovarono tutti e due molto vicini all’ubriacatura completa.
<< Perché… >> iniziò Daiki con voce triste, gli occhi fissi sulla sua mano, << perché… >>.
Kise risollevò la testa che giaceva sul tavolinetto. << Perché cosa? >>.
<< Taiga… perché… è… da Kuroko >> sbiascicò lentamente, << mi manca >>.

Ryota fece un profondo sospiro e si versò un altro bicchiere di sakè che scolò in un solo sorso. Sentì il suo sapore forte e deciso scendergli giù per la gola e riscaldargli lo stomaco. << Dovresti… dirglielo… >>.
“Ma che sto dicendo?”.
Aomine scosse la testa. << Lui mi… mi evita… non vuole più avere a che fare… con me… >>.
Il biondo strinse le dita attorno alla bottiglia e sentì il senso di colpa e la gelosia invaderlo allo stesso tempo. << E allora lascialo perdere… se non ti vuole, non ti merita… >>.

Nonostante l’alcol Daiki fu preso dalla voglia di picchiarlo e se non lo fece, fu solo perché sentiva i suoi arti incredibilmente mollicci e flaccidi. << Cazzate! Taiga è… >>.
Cosa? Tutto il suo mondo? La sua àncora? La sua oasi nel deserto? L’amico di una vita? Molto di più? Neanche lui era in grado di dare una definizione a tutto quel casino che c’era tra loro due e nella sua testa.
<< Forse sono io a non meritarlo… >> disse alla fine, un sorriso amaro sulle labbra.

<< Non è vero… tu sei eccezionale, Aominecchi >> replicò Kise, gli occhi lucidi fissi sul volto del moro, << sei il ragazzo migliore… il migliore che abbia mai conosciuto. Sembri strafottente e arrogante, ma io so che… che in realtà tu hai un cuore d’oro. Sei gentile, ma non ti piace darlo a vedere perché vuoi sempre avere quest’aria da figo e da duro >>, le lacrime iniziarono a colare sulle sue guance e la voce si incrinò, mentre le parole continuarono a venir fuori senza che lui riuscisse a bloccarle, << sei sempre disposto ad aiutare gli amici, anche se lo fai sembrare come una gigantesca seccatura; ti piace stuzzicare gli altri ma non lo fai mai con cattiveria e… e sei bellissimo. Semplicemente perfetto >>.

Con il volto bagnato e il corpo che tremava Ryota si allungò verso Daiki, gli prese il volto tra le mani e lo baciò con trasporto e disperazione.
Il moro si paralizzò completamente, gli occhi sbarrati fissi sulle palpebre chiuse dell’altro a pochissimi centimetri da lui e la mente che cercava di sconfiggere l’alcol per provare a recuperare lucidità e spiegare cosa cavolo stesse succedendo.

Dopo alcuni secondi Kise si separò da Aomine ma lasciò le mani sulle sue guance e appoggiò la fronte alla sua. << Perché non posso essere io? >> gli chiese tra i singhiozzi, << perché non posso essere io quello che occupa i tuoi pensieri? >>.
<< Kise, di che diavolo… >> provò il moro ma si bloccò nell’udire le parole dell’altro.

<< Io ti amo, Aominecchi. Da quando ci siamo conosciuti non ho fatto altro che amarti in silenzio. Avevo troppa paura che se l’avessi scoperto, mi avresti odiato, così sono rimasto zitto, ma ora, a vederti così, mentre ti disperi per Kagamicchi… >>.

Non terminò la frase, ma fece combaciare nuovamente le labbra con quelle di Daiki e questi per la seconda volta rimase immobile e non rispose al bacio. Poteva sentire quanto fossero morbide e calde quelle labbra, ma non provò niente se non sorpresa e incredulità.

Quando Kise si separò per la seconda volta, gli lasciò andare il viso e lo guardò dritto negli occhi. << Se al mio posto ci fosse stato Kagamicchi, avresti risposto al bacio, non è così? >>.
Aomine rimase in silenzio, incapace di rispondere in alcun modo, ma dentro di sé, attraverso l’annebbiamento causato dall’alcol, si fece strada la risposta a quella domanda con tutte le conseguenze che ne derivavano.

Dopo un po’ Ryota si passò un braccio sul volto per asciugarsi il viso alla bell’e meglio e con uno sbuffo di fatica si alzò in piedi. << Per favore, dimentica tutto quello che è successo >>, si allontanò sulle sue gambe traballanti e incerte, deciso a rintanarsi sotto le coperte, ma si fermò per un attimo prima di salire le scale, << è meglio se vai a dormire anche tu, Aominecchi >>.
Poi tutto ciò che il moro udì furono il suono dei suoi passi e il rumore di una porta che si chiudeva.
 
 
 
 




Quando Kagami arrivò davanti casa di Aomine, suonò il campanello ripetutamente ma nessuno venne ad aprire. Provò a chiamare il moro al cellulare, ma gli rispose il servizio di segreteria telefonica. Si fiondò nella sua stanza e una volta spalancata la finestra, si preparò al salto, ringraziando mentalmente il caldo estivo che spingeva Daiki a lasciare sempre la sua finestra aperta.

Saltò dall’altro lato e prima di poter fare qualsiasi cosa, vide la porta della camera aprirsi: Aomine entrò, accese la luce e sbarrò gli occhi alla vista di Kagami nella sua stanza.

<< Taiga… >> sussurrò il moro, mentre una parte di lui si chiedeva se non fosse un’allucinazione derivante dall’alcol. Eppure si era fatto una lunga doccia e si sentiva leggermente meglio rispetto a prima: dedusse perciò che non poteva essere l’alcol. << Sei davvero tu? >> chiese e si sentì un perfetto stupido.

<< Beh… direi proprio di sì… >> rispose il rosso sentendosi altrettanto stupido. E si sentì pure uno stupido imbarazzato quando si accorse che l’altro indossava solo un paio di pantaloncini neri e un asciugamano attorno al collo.

Daiki chiuse la porta dietro di sé e fece qualche passo verso il rosso. << Che ci fai qua? Non eri da Kuroko? >>.
<< Ah, sì, ma ecco… me ne sono andato… >> rispose Kagami e all’improvviso si rese conto di aver perso tutto il coraggio di parlare. Era corso fin là con l’intenzione di chiarire definitivamente tutta quella situazione, ma ora che si ritrovava davanti a lui, gli sembrava di avere la gola chiusa e la bocca impastata.

Aomine gli lanciò una lunga occhiata, le mani strette attorno ai lembi dell’asciugamano. << Come mai? >>.
<< Ehm, ecco, io… io volevo… beh, stavo pensando di… >> iniziò a farfugliare il rosso, la mente inceppata.
L’altro sospirò e andò a sedersi sul bordo del letto. << È successo qualcosa con Kuroko? >> gli domandò, pur temendo profondamente la risposta.

Il cervello di Kagami gli ricordò subito il bacio e lui si imbarazzò al ricordo, ma Daiki interpretò male quel rossore sul suo viso e si rabbuiò. << Se sei venuto qua per raccontarmelo, fallo domani, ora sono stanco. Anzi, non farlo proprio: non mi interessano le tue avventure con Kuroko >>.
Taiga aggrottò le sopracciglia. << Di che stai parlando? >>.
<< Niente. Lascia stare >> replicò lapidario.

<< Perché diavolo fai così?! >> esclamò Kagami, il nervosismo che cresceva, << sono io quello che dovrebbe essere arrabbiato >>.
A quelle parole Aomine scattò in piedi e si liberò dell’asciugamano con un gesto scazzato, facendola finire sul letto. << Tu? Tu sei quello arrabbiato? Mi prendi forse per il culo? Prima mi cacci via mentre ci baciamo, poi mi eviti, te la fai con Kuroko e ti incazzi pure? >>.

<< Io me la faccio con… cosa?! Ma di che cazzo parlando? Ti è dato di volta il cervello?! Numero uno, non me la faccio proprio con nessuno e numero due, con che coraggio mi fai la predica? Proprio tu tra tutti mi accusi… >>.
Gli occhi del moro si assottigliarono pericolosamente. << Proprio io?! Sì, proprio io ti sto accusando. Qualche problema? >>.

Taiga fece scocciare la lingua e lo fissò in cagnesco. << Sì che ce l’ho un problema. Il problema è che non solo tu mi hai baciato, ma l’hai pure fatto quando avevi già una ragazza! Che cazzo ti è saltato in testa? >>.
Daiki sgranò gli occhi e schiuse la bocca, mentre la sua parte razionale cercava di elaborare quelle parole per lui assurde. << Ragazza? Quale ragazza? >>.
<< Non fare il finto tonto. Sto parlando di Momoi >>.
D’improvviso i pezzi mancanti del puzzle andarono al loro posto e Aomine capì che i suoi sospetti erano veri: Kagami era convinto che lui e Satsuki fossero una coppia.

Non seppe se scoppiare a ridere, incazzarsi ancora di più o mollare un calcio all’altro. Si passò una mano sul volto e prese un bel respiro.
Non poteva permettersi passi falsi. << Non so chi te l’ha detto, ma io non ho nessuna ragazza e anche se ce l’avessi non sarebbe Satsuki. Io e lei siamo solo amici. Sì, è vero, è appiccicosa e si avvinghia al mio braccio come un koala ma è tutto qui. Non c’è niente tra di noi, credimi >>.

Questa volta fu il turno di Taiga di sgranare gli occhi e schiudere la bocca. << M-ma… l’altro giorno, all’università… quando lei mi ha preso a braccetto… tu ti sei incavolato… >>.

Le labbra di Daiki si curvarono all’insù. << Ero geloso di te, Bakagami. Non di lei. E per tua informazione, Satsuki si è comportata in quel modo solo per provocarmi e vedere la mia reazione. Sembra una ragazza tanto dolce e angelica, ma in realtà è una subdola manipolatrice >>.
Il rosso rimase in silenzio, mentre sentiva tutto il nervosismo di prima scemare fino a spegnersi del tutto.

<< E tu e Kuroko? >> riprese subito dopo il moro, << c’è qualcosa tra di voi? >>. Si avvicinò di alcuni passi e osservò il volto dell’altro.
<< Cosa?! No, no, non c’è niente. Cioè, lo sai, lui è ancora innamorato di me, ma io… >> si fermò e si morse un labbro. Abbassò lo sguardo, imbarazzato: quel tipo di discussioni non facevano proprio per lui.

Aomine fece qualche altro passo fino a trovarsi vicinissimo a Kagami, così tanto che gli sarebbe bastato chinarsi un po’ in avanti per baciarlo. Sorrise all’idea e sentì il cuore battere più rapidamente.
<< Perché mi hai evitato in questi giorni? >> gli chiese il moro con una voce che Taiga trovò sensuale e dolce allo stesso tempo e che gli provocò una fitta allo stomaco.
<< Non lo so… ero… ero confuso e spaventato, lo ammetto. Non sapevo cosa fare e non riuscivo a capire… era tutto… >>.
<< Un gran casino >> completò per lui Daiki, abbozzando un sorriso.

L’altro annuì e si passò una mano tra i capelli; gesto che provocò nel moro il desiderio di saltargli immediatamente addosso.
“Merda, sono proprio cotto…” pensò con imbarazzo, paura e felicità allo stesso tempo.
<< Per un po’ ho continuato a ripetermi che era stato uno sbaglio >> riprese Taiga, << solo… solo uno stupido momento di debolezza senza significato… >>.
<< E lo pensi ancora? >>.

Il rosso lo guardò e sospirò. << Non lo so… davvero… >>. Era così difficile mettere ordine nei suoi stessi pensieri e dare loro forma di parole.
Loro due erano sempre stati insieme, uniti come e più di due fratelli: poteva quell’amicizia di tutta una vita trasformarsi in amore romantico? Senza contare il fatto che erano due ragazzi: che futuro avrebbero mai potuto avere?

Vedendo l’espressione di Taiga farsi sempre più preoccupata, Daiki fece un ultimo passo in avanti e gli prese il volto tra le mani. << Sto per baciarti, Tai, perché è quello che voglio e perché sento che è la cosa giusta da fare, ma se tu non vuoi, ti darò il tempo di respingermi. Basta solo che ti tiri indietro e io capirò… >>.

Anche se dentro di sé pregò con tutto il cuore che l’altro non lo respingesse, si disse che non voleva forzarlo in alcun modo e che avrebbe accettato qualsiasi sua scelta, per quanto dolorosa.

Nel frattempo Kagami sbarrò gli occhi e sentì il panico invaderlo e annebbiargli la mente. Pensare divenne troppo complesso e tutto quello che lui riuscì a fare fu fissare Daiki negli occhi, quegli occhi così familiari che aveva guardato per tutta la vita, ma che adesso erano anche così diversi, intensi e che sembravano vedere solo lui e nient’altro.

Come se non esistesse nessun’altro in tutto il pianeta e Taiga non poté fare a meno di pensare che sarebbe stato bello essere guardati in quel modo per il resto della propria vita.

Deglutì a vuoto e seppe di essere arrossito: gli sembrava di avere le guance in fiamme e il cuore batteva come impazzito, quasi fino a fargli male, ma era un dolore piacevole.
Aomine si avvicinò lentamente, socchiudendo gli occhi, senza togliere le mani dal viso di Kagami: la sua pelle era morbida e incredibilmente calda sotto i polpastrelli e lui sperò che quel calore fosse un buon segno.

L’istante prima di baciarlo aprì gli occhi per un attimo e vide che Taiga aveva chiuso i suoi. Sorrise e fece combaciare le loro labbra.
All’inizio fu un lento e casto assaggiarsi e assaporarsi, come se entrambi volessero godersi ogni singolo istante e sensazione, ma non ci volle molto perché quel desiderio da dolce e sensuale diventasse famelico e smanioso e il bacio si trasformò così in un intreccio di lingue, saliva e gemiti soffocati nel contatto delle loro bocche.

I corpi si strinsero come se volessero fondersi: Daiki strinse le ciocche rosse tra le dita di una mano mentre l’altra scese a circondare la schiena di Taiga e il rosso gli cinse il collo con un braccio, l’altro stretto sul fianco nudo del moro.

Non seppero per quanti minuti andarono avanti in quel modo; del resto non riuscivano a pensare a nulla se non alle sensazioni che stavano provando in quel momento. Sensazioni che portarono Aomine ad afferrare l’altro per i polsi e spingerlo verso il letto: lo fece sedere e usò il peso del proprio corpo per farlo distendere sul materasso.

Vi si stese sopra, i gomiti ai lati del volto arrossato di Kagami; si staccò da quelle labbra morbide e invitanti e fece scorrere le sue sul collo dell’altro, lasciando baci e succhiotti.
<< …Daiki… >> sospirò il rosso e strinse ancora di più le braccia attorno al busto del moro.

Aomine sorrise a pochi millimetri dalla pelle di Taiga e spostò una mano per sollevargli la maglietta, scoprendo l’addome muscoloso e trovandolo incredibilmente sexy. Fino a pochissimo tempo prima non avrebbe mai creduto possibile eccitarsi guardando il corpo di un altro ragazzo, eppure, proprio in quel momento, sentiva il desiderio crescere con potenza e la consapevolezza di non volersi fermare per nessun motivo al mondo.

Intanto Taiga si sollevò quanto bastava per togliersi la maglietta e dopo essersi allungato verso l’altro, lo cinse in un abbraccio e fece nuovamente unire le loro labbra. Senza smettere di baciarsi con frenesia, si ritrovarono seduti sul letto, le gambe le une sulle altre e i bacini sempre più vicini.

Mentre le mani accarezzavano il petto e le braccia e le lingue si cercavano senza sosta, entrambi si resero conto di avere un’erezione pulsante nei pantaloni.

Quando Daiki si staccò dalla sua bocca per dedicare attenzioni al suo orecchio, Taiga ebbe un fremito lungo tutta la schiena al sentire la lingua dell’altro scorrere con studiata lentezza.

Non volendo rimanere fermo a subire, il rosso si allontanò leggermente da Aomine solo per ringraziarlo con lo stesso trattamento: fece scorrere le labbra sul suo collo e prese a baciare e succhiarne la pelle tenera.

Il moro piegò la testa all’indietro per godersi meglio il momento, ma sentì la sua erezione fremere, come in una muta richiesta di essere soddisfatta. Appena, riaperti gli occhi, si accorse che anche Kagami era nelle sue stesse condizioni, un ghignò gli affiorò spontaneo.
Non volendo più rimandare oltre, trafficò con i pantaloni del rosso e infilò una mano nei suoi boxer. A quell’intrusione Taiga sussultò e interruppe ciò che stava facendo.

<< Dai… aspetta, la luce… >> gli disse, sottintendendo la richiesta di spegnerla. Era troppo imbarazzante fare certe cose con la luce accesa.
Aomine sollevò lo sguardo e ghignò in un modo che Taiga trovò odioso e sensuale allo stesso tempo. << Spiacente, Tai, ma voglio guardarti mentre vieni >>.
Kagami sgranò gli occhi e arrossì fino alle orecchie. << Dannato Ahomine… >> sbottò a bassa voce, ma decise che non gli avrebbe lasciato condurre il gioco a modo suo. Nonostante il profondo imbarazzo, infilò una mano nei pantaloncini neri dell’altro solo per accorgersi che il moro non indossava l’intimo.
Lo fissò con un sopracciglio inarcato. << Non hai i boxer… >>.
Daiki fece spallucce e continuò a ghignare. << Ti facilito il compito, no? >>.

Il rosso gli riservò un’occhiataccia ma non replicò. Si fiondò sulle sue labbra e il moro sentì togliersi il respiro da quel bacio. Kagami, quando ci si metteva, sapeva essere una tigre affamata.
E lui non aveva certo intenzione di essere da meno.

Rispose al bacio con altrettanta fame e passione, mentre le mani di entrambi si dedicavano alle opposte erezioni. Il sudore prese a formare una patina sulla loro pelle e la stanza si riempì dei loro gemiti mal trattenuti e delle imprecazioni strascicate che venivano fuori appena le loro labbra non erano più in contatto.

Le mani si fecero poco a poco più rapide, mentre i corpi tremavano di quel piacere sempre più intenso che attraversava ogni loro cellula, mandava scariche elettriche ad ogni nervo e offuscava la realtà circostante.

Esistevano solo loro due in quel momento. C’era spazio solo per Daiki e Taiga e per quei sentimenti nuovi e spaventosi che, dopo averli separati, li avevano fatti riunire e avevano dato loro qualcosa di più intenso e profondo dell’amicizia.

Ad un certo punto Aomine decise di cambiare posizione e spinse Kagami sul letto, distendendosi sopra di lui quanto bastava per avvicinare i loro membri: li avvolse in parte con una mano e prese a toccarli entrambi. Dopo pochi secondi fu raggiunto dal rosso e mentre le loro mani continuavano ad accarezzarsi con desiderio e impazienza, i movimenti dei bacini aumentavano lo sfregamento delle loro erezioni, raddoppiando il piacere.

Non ci volle molto perché tutto quello li portasse al limite e quando Daiki sentì di esserci vicinissimo, riaprì gli occhi e si beò dell’espressione di Taiga in preda all’orgasmo. Il moro venne quasi in contemporanea ed entrambi sussurrarono il nome dell’altro, mentre sentivano i confini della realtà sgretolarsi.

Una volta finito lo sconvolgimento iniziale, il moro si lasciò cadere sul letto accanto all’altro e per un po’ i due rimasero in silenzio a riprendere fiato.
<< Sai, Bakagami >> iniziò all’improvviso Aomine, << non avrei mai immaginato che la tua voce fosse così sexy e carina mentre gemi >>.

Taiga dovette venir fuori dall’annebbiamento mentale post-orgasmo per capire quello che l’altro aveva detto e quando lo fece, la sua faccia si fece imbarazzata e furiosa allo stesso tempo.
<< Ahomine, bastardo! >> sbottò, scattando a sedere.

L’altro si sollevò su un gomito e lo guardò sfoggiando un ghigno pienamente soddisfatto.
<< Non fare il timido adesso. Sbaglio o prima eri molto preso anche tu? >> continuò a punzecchiarlo, troppo divertito dalle sue reazioni per fermarsi.
Lo vide infatti arrossire fino alle orecchie, gli occhi che probabilmente cercavano di fargli esplodere il cervello con la forza del pensiero e alla fine si beccò anche una gomitata sulla spalla.

<< Falla finita, cazzone! >> aggiunse Taiga, giusto per rimarcare il concetto. Era già tutto fottutamente imbarazzante senza che Daiki si mettesse pure a fare le sue stupide battutine.
Per tutta risposta il moro gli fece l’occhiolino e dopo aver allungato una mano verso il comodino, ne tirò fuori una scatola di fazzoletti.
Si ripulirono alla bell’è meglio e dopo essersi rivestiti, Aomine propose che andassero a dormire nella stanza del rosso.

<< Perché da me? >>.
<< Non so tu, ma io preferirei dormire su lenzuola che non fossero sporche di sperma >>.
Taiga lanciò una breve occhiata al corpo del reato e fu costretto ad annuire. Il moro sorrise e si alzò in piedi, afferrò l’altro per un polso e lo portò verso la finestra. Saltarono nella stanza di Kagami uno dietro l’altro e una volta dentro, Aomine si gettò sul letto.

<< Ah, mi è mancata questa stanza >> esclamò con tono allegro.
Taiga gli si sedette vicino, gli lanciò una breve occhiataccia e si distese su un fianco, dandogli le spalle. << Il futon è nell’armadio: prenditelo tu >>.
Daiki si sollevò un gomito e lo guardò, mentre un ghigno compiaciuto gli curvava le labbra.

“È così carino quando fa l’offeso”. Allungò un braccio e gli cinse il fianco, avvicinandosi tanto che il suo petto aderì alla schiena del rosso; fece intrecciare una gamba con la sua e gli diede un leggero morso sulla nuca.
<< Che cazzo fai? >> sbottò Taiga, ma non si mosse e non fece nulla per allontanarlo.
<< La stanza non è l’unica cosa che mi è mancata >> gli sussurrò con tono suadente, le labbra vicino il suo orecchio. Un lungo brivido attraversò il corpo di Kagami e lui sentì il cuore schizzargli in gola.

<< Anche la cucina di tua madre mi è mancata >> scherzò il moro dopo diversi secondi di programmato silenzio. Rise di gusto, ma si beccò un’altra gomitata da Taiga, questa volta al fianco. Soffocò un gemito di dolore sotto le risate e provò a dare un bacio sul collo del rosso, ma questi si voltò di scatto e invece del collo, le labbra di Aomine incontrarono la bocca di Kagami.

Dopo un breve attimo di sorpresa, presero a baciarsi con passione, annullando se stessi in quel contatto umido e delizioso. Quando si ritrovarono a corto di fiato e si staccarono, avevano entrambi i volti arrossati e gli occhi lucidi e si ritrovarono a pensare a quanto l’altro fosse sexy.
Si fissarono in silenzio per alcuni secondi, i volti vicinissimi finché Daiki parlò di nuovo, un sorrisetto sul volto. << Che mi prepari domani per colazione? >>.

Taiga sgranò occhi e bocca per poi aggrottare le sopracciglia. << Fanculo >> sibilò a denti stretti, girandosi poi dall’altro lato.
Il moro ridacchiò, conscio di non riuscire a trattenersi. << Sai, Bakagami, se tu non reagissi in modo così carino alle mie provocazioni, io non mi divertirei così tanto a punzecchiarti >>.
Il rosso sbuffò, rimanendo fisso nella sua posizione. << Ti diverti tanto perché sei un bastardo, Ahomine >>.

Senza smettere di sorridere, Daiki lo abbracciò nuovamente da dietro e poggiò la testa sulla sua spalla. << Ma ti piaccio lo stesso, anche se sono un bastardo >>.
<< Non hai sempre detto che sono troppo buono e ingenuo? Mi sono lasciato ingannare >>.
Il moro allungò un braccio e trovata la mano di Taiga, intrecciò le dita alle sue e strinse forte.

Non avrebbe mai più lasciato andare quella mano. Non importa cosa sarebbe accaduto nel loro futuro, cosa avrebbero dovuto affrontare, perché sarebbero stati insieme: non avrebbe permesso a niente e nessuno di separarli.
<< Quello che vuoi >> disse d’un tratto Kagami, rompendo il silenzio.
<< Eh? >>.
<< Domani, per colazione. Ti preparo quello che vuoi >>.
Il moro sorrise con dolcezza. << Voglio i pancake >>.
<< Mmh okay >>.
<< Sei il migliore, Bakagami >>.
Il rosso ridacchiò. << Perché ti preparo i pancake? >>.
<< Perché sei tu, Tai >> disse Daiki con voce seria, << perché sei rimasto accanto a un’idiota come me. Fin dall’inizio, per me, ci sei sempre e stato solo tu >>.
Kagami seppe di avere il volto in fiamme e ringraziò che l’altro non poteva vederlo. << Come cavolo fai a dire cose così imbarazzanti? >>.
<< Beh, imprimetele in testa perché non le dirò mai più >> replicò il moro con un tono tra l’imbarazzato e il finto offeso.

L’altro ridacchiò e pensò che, nonostante l’imbarazzo, non si era mai sentito così felice in tutta la sua vita.
Non riusciva ancora a credere che le cose tra di loro fossero cambiate così tanto e ad essere sincero, non sapeva come sarebbe andato avanti il loro rapporto d’ora in avanti, ma sentiva che finché sarebbero stati insieme, avrebbero potuto affrontare qualsiasi cosa il futuro avesse avuto in serbo per loro.

Erano loro due, senza più segreti, erano insieme ed erano felici.
 



There’s no place for me in a world without you.







Uuuuh, rieccomi qua e questa volta prima del solito ^^ sperando che a qualcuno ancora interessi questa storia, siamo arrivati alla fine... cavolo, ho iniziato questa storia a novembre 2014, ne è passato davvero tanto di tempo X) resta soltanto un capitoletto, un epilogo per mettere davvero il punto definivo a questa long... epilogo che al 99% vedrete entro la fine dell'anno...
spero che questa conclusione vi sia piaciuta -e finalmente il rating arancione spiega qualcosa XD mi dicevo sempre di toglierlo, ma poi lo scordavo ogni volta...
ringrazio tutti quelli che nonostante tutto hanno letto, seguito e commentato la storia <3 e come sempre vi ricordo che un piccolo commento, anche solo due righe, fa tanto piacere a noi poveri scrittori u.u a Natale siamo tutti più buoni, no?
baci e a presto

 

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Capitolo 13
*** We are...you and me forever ***


We are...you and me forever




 



Una leggenda dice che ogni persona, sin dalla nascita, porta un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra: esso la lega in modo indissolubile alla propria anima gemella. Il filo è lunghissimo, indistruttibile e invisibile e tiene unite due persone destinate prima o poi ad incontrarsi e a stare insieme per sempre.
 
 
 
 
10 anni dopo
 
 
L’uomo dai corti capelli scuri sospirò stanco e frugò nelle tasche alla ricerca delle chiavi, desideroso di buttarsi sul divano e fondercisi fino a diventare un tutt’uno.

Quel giorno il lavoro era stato davvero estenuante e la ciliegina sulla torta erano stati due ragazzini che aveva arrestato per taccheggio: non solo avevano fatto i finti tonti anche se erano stati colti con le mani nel sacco, ma avevano pure mostrato una tale arroganza da fargli desiderare di prenderli a pugni fino a far scordare loro pure i propri nomi.

In quei momenti si chiedeva che razza di mondo fosse quello e soprattutto perché avesse deciso di fare il poliziotto.
Poi apriva la porta di casa, rivedeva il suo sorriso e tutti i problemi e le cose brutte svanivano nel nulla.
 
<< Sono a casa >> annunciò richiudendo la porta. Si tolse il giubbotto e le scarpe e si diresse in soggiorno, da dove gli giunsero alle orecchie diverse risate.
<< Oh, bentornato, Daiki >> lo salutò Kagami con un sorriso appena il moro entrò nella stanza.
<< Bentornato, Aominecchi >>.
<< Buonasera, Aomine-kun >>.

Aomine guardò il suo ragazzo seduto sul divano e poi i due ospiti.
Poi di nuovo il suo ragazzo e di nuovo gli ospiti.
“Mi sfugge qualcosa”.

Kise si alzò in piedi, gli si avvicinò e sorridendo gli posò una mano sulla spalla. << Ti sei scordato che io e Kurokocchi saremmo venuti a cena da voi stasera, vero? >>.
Aomine sgranò gli occhi e poi annuì, mentre gli altri ridacchiarono.
<< Sei sempre il solito, Ahomine >> lo prese in giro Kagami.

Il moro si sedette sul divano accanto al rosso e sospirò, socchiudendo gli occhi. << Non infierite. Oggi è stata una lunga giornata a lavoro >>.
Taiga gli prese la mano e si allungò per dargli un bacio sulla guancia. << Sei stanco? >> gli chiese con quel sorriso che faceva sempre sentire Daiki a casa.
<< E affamato >> aggiunse lui prima di baciarlo sulle labbra.

<< Ehi, ehi, se voi due cominciate a dare spettacolo, io e Kurokocchi ci sentiremo in dovere di fare altrettanto >> scherzò Kise, beccandosi però un’occhiataccia e un pugno sulla spalla da parte del suo ragazzo, che causò uno scoppio di ilarità nel gruppo.
<< Vado a controllare la cena >> annunciò subito dopo il rosso, alzandosi in piedi.

<< Ce l’ho il tempo di una doccia? >> volle sapere il moro. Aveva una fame da lupi ma sentiva davvero il bisogno di ficcarsi sotto il getto d’acqua calda e lavar via la stanchezza. L’altro annuì e il moro si ritirò in bagno.
 
Una volta dentro la cabina, chiuse gli occhi e lasciò che l’acqua gli scivolasse sulla pelle, mentre la mente iniziò a vagare tra i ricordi.

In quegli ultimi dieci anni erano successe davvero tante cose e le vite di tutti loro erano molto cambiate. Se qualcuno dieci anni prima gli avesse detto che si sarebbero ritrovati tutti e quattro a cenare insieme, e per di più dopo tutto quello che era successo tra loro, Aomine sarebbe scoppiato a ridere e avrebbe dato a quel qualcuno dell’idiota.
E invece… la vita spesso riserva più sorprese di quanto uno si aspetti.
 
Dopo che lui e Taiga avevano chiarito le cose tra loro e si erano messi insieme, Kise se n’era andato via di casa e si era trasferito in un altro appartamento. Daiki non aveva provato a fermarlo: del resto, lo sapevano entrambi, sarebbe stato troppo imbarazzante continuare a vivere sotto lo stesso tetto.

<< Per quanto possa valere, io non ti odio, Kise >> gli aveva detto sulla soglia di casa, prima che il biondo se ne andasse via definitivamente.
Ryota aveva sorriso. << Grazie, Aominecchi >>. Poi si era allontanato lungo il vialetto e Aomine non l’avrebbe rivisto di persona prima di altri sei anni.
 
Per guarire il suo cuore spezzato, Kise si era gettato anima e corpo nella carriera e adesso era un famoso attore amato anche oltre i confini del Giappone: aveva presto dimostrato un grande talento per la recitazione ed era diventato il beniamino di diversi registi oltre che il ragazzo dei sogni di buona parte della popolazione femminile. Il suo volto campeggiava sulle riviste, in televisione e sui cartelloni pubblicitari ed erano davvero pochi quelli che non avevano sentito parlare di lui.
 
Dopo molto tempo, quasi sette anni da quella fatidica estate, i quattro ragazzi si erano ritrovati per caso, in varie e diverse circostanze che sembravano anch’esse decise dal destino: avevano recuperato la loro amicizia e ormai capitava almeno una volta al mese che si vedessero per mangiare insieme, di solito a casa di Daiki e Taiga per gustare la cucina di quest’ultimo, come quella sera.

Un anno e mezzo prima Kise si era messo insieme a Kuroko, lasciando basiti Aomine e Kagami, ma comunque felici per loro.

Kuroko, finita l’università, aveva iniziato a lavorare come maestro d’asilo e adesso, a detta di Kise, era il preferito dei bambini. I due avevano deciso di tenere nascosta la loro relazione temendo ripercussioni sulla carriera di Ryota, anche se non era sempre facile vivere in quel modo, ma sembrava che il loro amore –e la pazienza di Tetsuya- fossero forti abbastanza.
 

Per quanto riguardava Aomine e Kagami, avevano entrambi preso strade diverse da quelle scelte inizialmente. Nello stesso anno in cui si erano messi insieme, avevano deciso di lasciare l’università e intraprendere altre carriere: il moro era entrato nell’Accademia di Polizia e adesso era Sergente del suo dipartimento, mentre il rosso era diventato Vigile del Fuoco.

Entrambi i lavori era stancanti e con un certo grado di rischio, ma nessuno dei due se n’era mai preoccupato troppo.

Mentre all’inizio i genitori di Daiki non erano stati molto contenti dei cambiamenti nella vita del figlio, la madre di Taiga aveva accettato tutto con calma e serenità, soprattutto la relazione tra i due ragazzi.

Nei primi tempi era stato un tasto abbastanza dolente a causa della famiglia del moro che non aveva nascosto una certa contrarietà alla cosa, ma col tempo e con l’aiuto della signora Kagami, il loro nuovo status di coppia era stato accettato.

Dato che dopo la pensione, i genitori di Aomine erano rimasti a vivere a Kagoshima, il figlio aveva preso definitivamente possesso della casa e aveva continuato a viverci con Taiga, con vicina la madre del rosso, anch’ella ormai pensionata.
Da questo punto di vista le cose non erano cambiate poi molto: in quelle case ci erano cresciuti e adesso ci sarebbero invecchiati.

E a loro andava bene così, perché erano insieme.
Certo, non era sempre stato tutto rose e fiori: più di una volta erano stati vicinissimi a lasciarsi, ma alla fine erano sempre tornati l’uno tra le braccia dell’altro.

Le loro vite erano cambiate, la loro quotidianità era cambiata, le persone vicine erano cambiate, ma loro due, in fondo, erano rimasti gli stessi.

Aomine Daiki e Kagami Taiga. Gli stessi ragazzi che si erano innamorati senza quasi accorgersene, come un temporale che si scatena all’improvviso e ti inzuppa dalla testa ai piedi. Gli stessi che ancora oggi trovavano il tempo per giocare a basket insieme, che si punzecchiavano un giorno sì e l’altro pure e che si amavano ancora come quella prima estate insieme.

Fratelli. Amici. Amanti. Anime gemelle. Erano tutto questo e anche di più, ma le definizioni di quello che erano e di quello che sono stati non erano mai state importanti.
Erano semplicemente loro due, insieme e così sarebbe sempre stato.
 






From the time I was born, you were there.
I don’t know the world in which you don’t exist.
Because you were already there, waiting for me.








Ed eccoci arrivati alla fine-fine ^^ spero che questo epilogo vi sia piaciuto. Ci tenevo a mostrare i personaggi nel futuro e non ho resistito all'idea di Kagami vigile del fuoco e Aomine poliziotto :3 prima o poi devo scriverci qualcosa a riguardo...
beh, che dire, finalmente sono riuscita a chiudere questa long *___* vi ho fatto aspettare tanto, lo so... gomen... spero di aver ripagato la vostra attesa in qualche modo u.u
voglio quindi ringraziare dal profondo del cuore tutti voi che avete letto, seguito e commentato la storia <3 (e che mi avete aspettato con tanta pazienza u.u), senza di voi non avrei portato avanti questa fic, quindi arigatou gozaimasu minna-san X)
per il momento vi saluto e vi auguro buone feste <3
un abbraccio
bye ;)

 

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