Cronache di una disfatta

di kety100
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sei regole da seguire - ed un avvertimento gratuito, perchè non si sa mai ***
Capitolo 2: *** L'equilibrio si rompe, la storia inizia! Contenti? ***
Capitolo 3: *** Di stanze vuote e calze assurde ***



Capitolo 1
*** Sei regole da seguire - ed un avvertimento gratuito, perchè non si sa mai ***


Credo che il titolo dica tutto, no? Voglio raccontarvi una disfatta - tipo, la mia, ecco -. Perché noi abbiamo perso: ci abbiamo provato, abbiamo combattuto, ma abbiamo perso. Non che ci si possa fare gran che, a questo punto, e raccontarlo a voi non cambierà niente questo è chiaro e lampante ... ma se fossi in voi vorrei sapere cos'è successo. Almeno sapete con chi prendervela, quando le cose inizieranno ad andar male, giusto? Dunque ci sono sei regole semplici semplici che ho imparato nella mia carriera: se le avessi seguite all'inizio, forse ora non saremmo qui. Ah, e poi c'e la Numero Sette, che è quello che non dovete mai fare - e che io ho fatto, ovviamente -. Insomma, a fare questa cosa siamo stati un po' costretti, non è che ne avessimo tanta voglia, ecco. Vi racconteremo la storia in modo oggettivo, giuro, a partire dall'inizio ... è la parte più importante, quella. Che alla fine abbiamo perso lo sapete già, ma magari quello che è successo nel frattempo v'interessa.
Dunque, se vuoi una storia eroiche, che finisce bene ed in cui i buoni vincono – non lo so se eravamo noi i buoni, ma che importa? Tanto abbiamo perso, ed ora siamo a malapena degli scribacchini –, ho un solo consiglio: chiudi questa storia. Qui, a vincere sono i cattivi. Insomma, quelli che erano contro di noi e che noi riteniamo cattivi, e considerato che la storia la scriviamo temo che anche tu arriverai ad essere di parte. Mi dispiace, sul serio: cercheremo di mettere meno opinioni personali possibili. Non so cosa accadrà d’ora in poi, ma se hai questa storia tra le mani – si fa per dire: lo so che siamo su un sito in cui c’e di tutto e di più, cosa credete? –, allora forse un motivo c’e. Magari sei come noi, ed in quel caso … beh, lo scoprirai da solo. Nel frattempo, cerca solo di non morire. Se non sei come noi, invece, chiudi questa storia: ti porterà solo problemi. Seriamente, se io fossi in te – e lo sono stata, per un po’ – e potessi decidere al posto tuo farei un bel sorriso, chiuderei la finestra, mi alzerei ed andrei a fare un giro. Pare che se si esca di casa, o anche solo dalla stanza, si incontri gente strana … dicono di essere parenti, amici, conoscenti e chi più ne ha più ne metta. Persone, poco amanti dei libri ed incapaci di capire l’amore per personaggi immaginari … cose scomode e noiose, decisamente. Ma fidati di me: fai un respiro profondo, sorridi e fingi di omologarti al resto del mondo. Magari se parlerai di Harry Potter a queste persone loro ti guarderanno in modo strano ed affermeranno che è un libro per bambini, ed a quel punto … beh, a quel punto dovrai essere tu ad andargli incontro e a parare di politica, di calcio, del riscaldamento globale e degli immigrati che rubano lavoro ai poveri italiani innocenti. Digli questo, assecondalo: gli toglierai un peso dalla coscienza, e lui potrà andare a casa felice di aver incontrato un giovane tanto serio e pieno di idee interessanti.
Tu però … si, tu sei sicuro di voler iniziare, te lo leggo negli occhi. Non ce la faccio proprio a dissuaderti, non è vero? Non la vuoi una bella vita normale, noiosa, in cui lavorerai ogni giorni per raggiungere una pensione? Potresti essere felice, andiamo! Lascia perdere i mondi immaginari, entra nella vita vera e … no. No, no, non mi ascolti, non ci pensi neanche! E va bene, allora prova almeno a prestarmi un po’ di attenzione qui: dunque, se sei uno di noi – prega di non esserlo! –fra poco ti arriverà un oggetto. Non so cosa sia, ma sarà un oggetto speciale … nel mio caso faceva un po’ schifo, ma ci sono persone a cui capitano anelli, collane, orecchini e quant’altro. Se invece non lo sei, continua pure a leggere: la vita normale sarà tua comunque, e questo resterà un racconto.
Dunque, le regole principali sono semplici, seguile ed avrai buone chance di arrivare più o meno illeso alla fine di quest’avventura:
1 – Stai calmo. Io ho ricevuto Mr. P a dieci anni, ma qualcosa ha iniziato a smuoversi solo verso i tredici, quindi niente fretta. La fretta è cattiva. La fretta ti fa fare a pezzi, e farsi fare a pezzi non è piacevole, quindi stai calmo. Tipica frase per farti arrabbiare, lo so.
2 – Impara più cose possibili. Non necessariamente di sopravvivenza o altro, e nemmeno per forza quella roba noiosa che ti insegnano a scuola ma … impara e basta, okay? Impara tutto quello che puoi, perfino una cosa stupida come fare puzzette con le ascelle o ruttare l’alfabeto – lo so, lo so: bleah – potrebbe salvarti un braccio o una gamba o altro, te lo dico per esperienza quasi-personale. Diciamo che ho visto un ragazzo fuggire spernacchiando da un covo di … oh beh, non importa. Per quanto sia stato disgustoso, ha salvato le chiappe – magari non il naso, eh – a tutti, quindi noi ringraziamo e fingiamo di non esserne disgustati, di solito.
3 – Avrai dei poteri. Non saranno necessariamente fighi o spettacolari, ma li avrai e ti toccherà imparare ad usarli in fretta. Molto in fretta: grazie a … si, uhm, grazie a me e ad alcuni miei amici in effetti, altri sanno di noi. E questi altri non sono gentili, okay? Se qualcuno ti chiede dei tuoi poteri menti e basta, non fare l’eroe. Lascia perdere i film, gli eroi tendono a fare fini orrende e dolorose – ed anche quelli che finiscono bene nel mezzo hanno fin troppe sofferenze per i miei gusti.
4 – I poteri non funzionano sugli esseri viventi ma solo sugli oggetti. Questo potrebbe salvarti la vita, quindi credimi: non perdere tempo a provarci, l’unica cosa viva su cui i tuoi poteri agiscono sei tu. Ora, se tu fossi il tanto declamato Progetto12 te ne sarei molto grata, ma visto che pare diventerà un pazzo assassino … ma non affrettiamo le cose, va bene? Continuiamo con le regole principali per non morire, mi sembra un buon inizio.
5 – Nel dubbio, scappa. Soprattutto se vedi un ragazzo con la barba rossa ed un bel sorriso: è il momento di fuggire. Non mi interessa dove, ma fallo: lui è il Cattivo Più Cattivo. Voldemort a confronto è un tenero orsacchiotto, Sauron un benevolo nonnino e Hitler un bimbo innocente. È uno stronzo, un bastardo e … è un mio vecchio amico. No, aspetta, ritratto: è il ragazzo di una mia vecchia amica, che amico mio non è mai stato. Anzi, mi sa che gli stavo sulle scatole.
6 – Pensa. È l’unico consiglio che posso darti, a questo punto, e non sono sicura che potrei essere più chiara di così. È la morale di tutta questa assurda storia, di questo bel teatrino: pensa. Possibilmente con la tua testa, senza farti influenzare da nessuno. Pensa e sii libero. Io ci ho messo un po’ ad imparare questa lezione, spero che tu saprai fare di meglio.
 
7 – Sii ottimista! Questa … questa in effetti è una cosa da non fare. Insomma, non fare pronostici, non pensare “oh, wow, sono salvo!”, perché l’universo si farà una grande risata e deciderà di contraddirti mettendoti in un pericolo ancora più mortale, quindi … non ci provare, non tirare un sospiro di sollievo! E non rilassarti: l’universo odia quando ti rilassi. Lo so, lo so, l’universo è un gran bastardo. Leggi il resto della storia e scoprirai quanto: passare da aspiranti personaggi Marvel a scribacchini sottopagati non è proprio il massimo.
 
Il tuo Congegno non è ancora arrivato? Guardati bene attorno, dev’essere li da qualche parte, e se non c’e … beh, congratulazioni: la tua vita sarà relativamente sicura!
 
 
P.S.
Quasi dimenticavo: la protagonista di questa storia non sono io. Io sono quella con il nome idiota e l’aspetto mediocre, e se hai un nome idiota ed un aspetto mediocre stai pur certo che finirai per essere l’amico idiota del protagonista figo e potentissimo. Che è più o meno quello che è successo a me, in effetti. Inizialmente potrei sembrarlo, lo ammetto, ma con il tempo vi accorgerete che non lo sono.
 
Angolo Me:
Ho delle storie da aggiornare? Ma certo! Domani ho un esame importante? Ancora si! Ed ovviamente ... io inizio una nuova long!
Ammetto che è un tipo di progetto nuovo però, almeno per me: in questa storia, ho già le idee molto chiare, ed il primo capitolo è già praticamente scritto. Di solito inizio le cose molto alla ceca, ma chissà che non cambi qualcosa? Come si suo dire "chi vivrà - *coff* e recensirà, che non fa mai schifo *coff* - vedrà!"

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Capitolo 2
*** L'equilibrio si rompe, la storia inizia! Contenti? ***


Si prega di leggere i commenti dell'autrice  
« Siamo qui oggi per porgere i nostri saluti alla scomparsa Natalina De Luca, nata il 25 dicembre 1898 e scomparsa il 23 dicembre 1998 »
 
Il motivo per cui si trovava nella chiesa di Sant’Antonio Abate in quella triste vigilia di Natale poteva essere riassunta più o meno così: La sua omonima bisnonna – Natalina … e poi la gente si stupiva se si faceva chiamare Nat. Nessuna persona importante si chiama Natalina – era spirata pochi giorni prima, rovinando il giorno più bello dell’anno a tutta la famiglia e facendo sprofondare i nipoti in una sorta di triste rassegnazione. I genitori non l’avevano nemmeno fatta avvicinare alla bara, sostenendo che la vista dell’amata nonna scomparsa l’avrebbe sconvolta. Nat li aveva fissati per qualche istante, prima di scrollare le spalle e voltarsi, perché infondo a lei non importava molto. Gli aveva comunque fatto notare che si era vista tutte le stagioni di Game of Thrones, di The Walking Dead e di un’altra ventina di serie TV molto violente, quindi non poteva sul serio sconvolgersi davanti ad una vecchia morta. Si era beccata una sberla ed un’occhiataccia, assieme al muto ordine di stare in silenzio e restare ferma alla panca della chiesa, assieme ad un’anziana signora addolorata che affermava di essere la migliore amica della defunta Natalina De Luca.
Nat sospirò, accasciandosi sulla panca e tirando fuori nono manga di Assassination Classroom, fresco di fumetteria e pronto per essere sfogliato. Insomma, l’aveva già letto su internet, però avere il manga fra le mani, cartaceo e reale … era tutta un’altra sensazione, diciamocelo. Le dava l’idea di godersi davvero la storia, di immergersi in quel mondo di assassini e risate che era Assassination Classroom: respirava l’aria della 3E ed escogitava piani per uccidere Korosensei. Nat non avrebbe saputo spiegarlo, ma sentiva come se le storie si facessero più reali, quando le leggeva su un libro stampato. Ma del resto non avrebbe saputo spiegare nemmeno il motivo per cui le piaceva tato leggere, quindi forse la sua opinione non contava.
« Se il mondo vero fosse più interessante, io non leggerei tanto » bofonchiò, a bassa voce e di pessimo umore, sprofondando di più nella scomoda panca ed iniziando a leggiucchiare il manga.
Come sua abitudine, iniziò a giocherellare con il portachiavi appeso alla borsa: un oggetto vecchio e spelacchiato – un animale, probabilmente –, stinto dai numerosi lavaggi. Un relitto dell’infanzia, scherzosamente nominato Mr. P da tutti i membri della famiglia e cui lei era molto affezionata. Non aveva mai avuto nulla di speciale, e Nat si era spesso chiesta perché continuasse a tenerlo. Forse perché l’aveva ricevuto da piccola e ci era abituata, non ne aveva idea. Sotto le sue dita, la morbida stoffa iniziò a pulsare.
 
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Maya era bionda. Era probabilmente la prima cosa degna di nota, in lei: quella lunga, morbida cascata di capelli di un biondo miele, caldo ed intenso come poche altre cose. Certo, poi si sarebbe potuta registrare la pelle color biscotto, di quella sfumatura particolare ed invitante che molti pensano non esista nella vita reale, oppure il fisico morbido e ben fatto, o ancora gli occhi verde-azzurro … insomma, fra tratti cesellati e sguardi intensi, Maya era esteticamente perfetta. Per compensare e somigliare ad un essere umano, avrebbe dovuto avere almeno un difetto, se non altro caratteriale: l’intelligenza di un cactus, ad esempio, oppure la profondità di una pozzanghera. O magari la vita sociale di un criceto, tanto per restare in tema metafore. Invece no: Maya sembrava racchiudere in se tutte le qualità immaginabili. Era bella ma modesta, gentile ma grintosa, innocente ma non ingenua … e si potrebbe continuare, suppongo. Apparteneva pure ad una buona famiglia, con il padre medico e la madre avvocato – e la sorella violinista di fama, certo –, rinomati in tutto il mondo per la loro bravura ed intelligenza.
Fino a pochi mesi prima, Maya Nyberg era stata una felice adolescente svedese, che viveva nel centro di Stoccolma e studiava in una delle università più importanti del paese. Certo, la Svezia era un paese gelido, ma lei vi era nata e cresciuta: amava quel luogo, ed amava la vita che conduceva. Due mesi prima la signora Nyberg, nata Vogel, era entrata nella grande camera della figlia e, accarezzandole i capelli, le aveva detto che la famiglia si sarebbe trasferita in Spagna: a nulla erano valse le proteste di Maya. Prevalentemente perché la ragazza si era limitata a chiedere se fosse proprio necessario, aggiungendo che lei avrebbe preferito restare in Svezia. Non aveva strepitato né sbattuto i piedi, non aveva gridato né si era arrabbiata: si era limitata a restare ferma al centro del salotto, mordendosi il labbro inferiore ed osservando i genitori quasi rassegnata. Ricevuta la spiegazione che sua madre aveva bisogno di caldo per qualche anno, si era limitata a ritirarsi nella sua stanza: Maya era una ragazza ubbidiente e generosa, nel momento in cui si svolsero i fatti, e non si sarebbe mai nemmeno sognata di protestare troppo alle decisioni dei genitori. Se all’epoca avesse insistito di più, forse le cose sarebbero andate diversamente, ma tant’è. Andare in giro a dare la colpa ad altri non servirebbe a nessuno.
In ogni caso, fu in quel modo che la bionda si ritrovò ad impacchettare la propria roba e a salutare i propri amici, prendendo lezioni di spagnolo accelerato e ritrovandosi, meno di due mesi dopo, in un paese del tutto sconosciuto di cui conosceva a malapena la lingua. Le erano bastati pochi giorni per arrivare a non sopportare la Spagna: era troppo calda e colorata, e la gente continuava a parlare in quell’assurda lingua piena di vocali e suoni morbidi, gesticolando come se non ci fosse un domani. Nonostante tutto però, pareva che i sorrisi e le gentilezze non mancassero, anche se li … beh, era pieno di cibo piccante. Maya odiava il cibo piccante, che la faceva sudare e puzzare e le dava l’impressione di essere sporca, e promise a se stessa che alla prima occasione sarebbe tornata in Svezia. Le avevano detto, poi, che il caldo sarebbe addirittura aumentato in estate, e la bionda non aveva potuto trattenere un gemito: già quello era un Natale orrendo, perché rovinarlo ancora di più? Si era ritirata in camera sua – in effetti, era più grande e luminosa di quella vecchia, doveva ammetterlo – con un sospiro, sfilandosi la collana di cristallo che aveva al collo e giocherellandoci distrattamente. Era stato il regalo di un suo ex, qualche anno prima, ma le era piaciuta tanto che non aveva fatto la fine di tutti gli altri regali – nello specifico: nel bidone della spazzatura – e l’aveva tenuta. In quel momento però desiderò buttare anche quella, spezzare ogni legame con la sua vecchia vita: la scagliò fuori dalla finestra con un gesto rabbioso, dando sfogo con quel semplice movimento ai mesi di solitudine che l’aspettavano. Rialzato lo sguardo, non poté trattenere un grido.
 
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Bisognava ammettere che chiamare due gemelli in modo simile era comodo: per far arrivare di corsa Samantha e Samuel, infatti, alla signora Wilkes bastava un unico grido, una parola di tre lettere strillata fuori dalla finestra. Era un ottimo metodo per richiamarli all’ordine quando andavano a bighellonare in giro, stuzzicando serpenti velenosi e divertendosi a stuzzicare le pecore. I due Sam erano, in tutta sincerità, dei veri e propri teppisti. E come tutti i teppisti, erano amatissimi dalla madre e bellamente snobbati dal resto della famiglia. Il loro passatempo preferito era andare in giro a fare danni, ridendo del mondo intero e divertendosi assieme agli amici. Avevano sedici anni, quindi perché preoccuparsi?
I due non avevano, in realtà, poi così tanti amici con cui giocare: nel cuore del deserto australiano c’erano più pecore che persone. Eppure ad entrambi andava bene così. Perché non avrebbe dovuto, infondo? Avevano tutto quello che due ragazzi potessero desiderare: spazio in quantità, una lunga serie di essere viventi da tormentare … ed erano assieme. Facevano tutto assieme, letteralmente: dormivano nello stesso letto, si facevano la doccia in contemporanea non c’era verso di separarli per giocare. La madre sosteneva che era già un miracolo che i due mangiassero in due piatti distinti e non si sedessero nello stesso posto a tavola. I vicini – se di vicini si può parlare, visto che abitavano a svariati km di distanza – li chiamavano sempre “i due Sam”, e sapevano che dove andava Samantha c’era anche Samuel, e dove c’era Samuel … beh, Samantha non sarebbe di certo stata lontana.
Erano chiaramente la luce degli occhi della madre, che aveva avuto loro due dopo tre aborti spontanei e che era stata informata che non avrebbe più potuto avere figli: da li a diventare una donna apprensiva ed iperprotettiva, pronta a scusare i gemelli ed a difenderli per ogni malefatta, il passo era stato breve. Era arrivata a regalargli due portachiavi identici, rossi come i loro capelli: due semplici palline da bowling minuscole e brillanti, che anche dopo tutti quegli anni non erano scolorite affatto. La signora Wilkes affermava di non averglieli regalati nel vero senso della parola, ma che semplicemente un giorno li aveva trovati davanti alla porta ed aveva deciso che era un segno: doni di un angelo per i suoi bellissimi bambini. La signora Wilkes era molto religiosa, e credeva sia nell’occulto che in tutta una serie di fenomeni paranormali che la gente comune avrebbe definito “coincidenze” … inutile dire che i due gemelli erano venuti su più che scettici e praticamente atei. Era stato il signor Wilkes, fra una tosatura di pecore e l’altra, a convincere la moglie a far vaccinare i bambini ed a portarli non solo in chiesa ma anche all’ospedale ogni tanto: la donna diffidava di medici, ospedali e qualunque cosa non riuscisse a comprendere. Fosse stato per lei, gli aborigeni australiani avrebbero dovuto convertirsi all’istante, e l’Inquisizione avrebbe avuto il diritto di girare liberamente nel mondo portando il suo messaggio di pace e gioia cristiana.
Quel giorno tuttavia non ci furono strilli che tennero: Amelia Wilkes fu costretta ad uscire di casa, lasciando la cena incustodita, solo per scoprire che i suoi adorati bambini erano spariti dalla faccia della Terra. Inutile dire che non sarebbero bastati i servizi segreti per ritrovarli, vero?
 
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Pedro De Rosa non era nulla di speciale. Era un ragazzino smilzo, pelato, con gomiti e ginocchia appuntite e mani nervose, che agitava continuamente in tic irrefrenabili. Non aveva nulla di particolare, almeno a prima vista … ne ad una seconda, terza o quarta. Non era intelligente, sveglio o anche solo vagamente interessante sotto qualunque punto di vista. Sorrideva raramente, ed ancor più raramente si lasciava andare a risate vere e proprie. Non era capace di essere divertente, e tutto ciò che desiderava era essere lasciato in pace. In questo era effettivamente un ragazzo speciale: riusciva a passare inosservato ovunque, a casa ed a scuola, ed anche se era nel primo banco, proprio di fronte alla cattedra, capitava che gli insegnanti lo considerassero assente anche se si trovava in classe. L’unico suo conforto era un vecchio calzino sdrucito, a misura di un bambino dell’asilo – nonostante i suoi tredici anni, Pedro sembrava ancor un moccioso in età elementare –, che era finito fra le sue mani scure senza una ragione precisa. O meglio, una ragione c’era: l’aveva rubato. Molti ladri non ricordano quando hanno iniziato a far sparire le cose, ma Pedro era fra i fortunati che sapeva esattamente com’era iniziata. Si era trattato quasi di un incidente: aveva visto il calzino di Robert Bobfit, il bambino più grosso e cattivo che avesse mai visto, abbandonato in un angolo durante l’ora del pisolino, e non era riuscito a trattenersi. Aveva semplicemente allungato una mano e l’aveva preso, senza che nessuno facesse caso a lui, come al solito. Neppure i genitori si erano accorti che qualcosa non andava, e Pedro aveva scoperto la soddisfazione che gli dava allungare una mano e prendere cose che non gli appartenevano. Dai calzini era passato agli elastici, alle mollette e poi addirittura a soldi ed orologi. Oggettivamente, Pedro un po’ sveglio lo era … insomma, aveva un’intelligenza un filo più alta nella media, quando bastava per farlo andare piuttosto bene a scuola. Se avesse continuato con la sua vita, sarebbe potuto diventare un buon ladro, capace com’era di intrufolarsi nelle vite altrui non visto, abilissimo nel muovere svelto le mani. Ovviamente però, Pedro non continuò con la sua vita, sebbene in un certo senso sia diventato un ladro, di questo bisogna dargliene atto.
Quel giorno era stato particolarmente umiliante per lui: Caroline, la bionda dell’ultima fila, si era fatta beccare mentre chiacchierava con Elena e Bonnie, sue compagne di banco. Non che questo di per se fosse una novità, ma era stato Pedro a denunciarle quella volta, stufo del loro continuo chiacchiericcio e desideroso di fargliela pagare almeno un po’. Le tre si erano beccate una strigliata in silenzio, ma poi a ricreazione Pedro aveva visto Klaus, Damon e Kol, i fidanzati delle tre ochette, guardarlo da lontano con rabbia. Era quasi sicuro che l’unico motivo per cui non lo avevano pestato fossero state le ragazze, che li avevano trattenuti dopo la scuola … eppure gli altri avevano già iniziato ad etichettarlo come spione, oltre ad una serie piuttosto lunga di epiteti non particolarmente carini.
Per fortuna quel giorno la sua classe usciva prima, ed il ragazzo si era affrettato a tornare a casa e chiudersi dentro prima che a qualcuno venisse in mente di fargli qualcosa o di inseguirlo per il semplice gusto di tormentarlo. Mentre si affrettava ad accendere il computer, qualcosa lo colpì in testa, facendogli perdere i sensi.
 
 
Angolo me:
Dunque, ho deciso che cercherò di aggiornare circa ogni due settimane, in modo da avere il tempo sia per scrivere il capitolo che rileggerlo e correggerlo. Mi sono divertita da morire a descrivere la signora Wilkes – liberamente ispirata alla mia vecchia aguzzin … ehm, catechista –, e mi scuso con chiunque sia di religione cristiana. Vorrei inoltre ricordare che l’Inquisizione è taaaaaaaaanto cattiva ed il suo messaggio non era proprio pacifico e gioioso.
Inoltre, un giochino divertente da fare nell’attesa del nuovo capitolo: i personaggi cambieranno tutti nome, senza eccezione – non so nemmeno perché mi sono sprecata ad inventarmeli a questo punto, ma vabbeh –, e vorrei far decidere a voi cosa fargli scegliere. Dopo un capitolo è un po’ troppo poco, me ne rendo conto, ma magari qualcuno di voi ha già qualche idea per loro – le mie fanno un filo spoiler, temo … oooooops ^^ –. Dunque, vi chiederei di darmi i nomi nelle recensioni o come MP, come preferite, e nel prossimo capitolo li metterò nel commento: i più votati verranno inseriti. Dunque, ricapitolando:
- Si manda (MP o recensione poco importa) un altro nome per ogni personaggio – può essere anche solo un diminutivo, perché no? –. Non dovete per forza darmi un nome per ognuno di questi cinque: che ne so, magari l’utente PincoPanco ha ventordici soprannomi per Maya e mi manda solo quelli, mentre il rispettabile signor PancoPinco ne ha uno per ciascuno. Vi chiedo di non mandarmi sul serio ventordici nomi a PG però, non ce la potrei fare XD diciamo che accetto massimo tre nomi a personaggio, massimo quattro.
- In seguito, io lo aggiungo nel prossimo capitolo e saranno gli altri a dirmi quali appioppare in maniera permanente. Credo che metterò una semplice scaletta, tipo: PancoPinco propone: … blablabla, tutti felici e contenti, evviva gli sposi! Dunque, avete capito.
- Piccola nota: non provate a votarvi da soli. È inelegante, scontato e si rischierebbe di finire come nel terzo di Pirati dei Caraibi, in cui ogni pirata Nobile vota per se stesso. Se non sapete di che parlo, andate a vedere quei meravigliosi film e rifatevi gli occhi con Johnny Depp
 
P.S.
Per chi se lo stesse chiedendo, si: con Pedro ho sul serio nominato TVD, e non ho potuto fare a meno di citare le mie coppie preferite. Sto ancora aspettando che Caroline si svegli, mandi a quel paese Stefan e corra verso New Orleans più in fretta possibile per staccare la testa di quella brutta idiota di Camille. E magari per riportare un po’ di buonsenso in testa a Klaus perché no, nonostante quello che crede lui una stupida barista di NO non è il nuovo Freud. Molla la guerra e corri dalla tua vera bionda, stupido ibrido!



Ovviamente spero anche che Elagna si svegli, certo. Come potete dubitarne?

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Capitolo 3
*** Di stanze vuote e calze assurde ***


Svegliarsi era sempre un trauma. Da che mondo è mondo, nessuno è mai felice di doversi alzare alle 6 del mattino, prendere un autobus stracolmo di gente e doversi fare spazio a spintoni in un autobus pieno zeppo di zombie addormentati quanto te. Eppure, straordinariamente, quel giorno fu più traumatico del solito per Nat … beh, c’e da dire che tutta la settimana sarebbe stata più traumatica del solito in realtà. Il giorno iniziò con delle voci soffocate – un idioma stranamente conosciuto, che la ragazza non riuscì a comprendere bene – e la consapevolezza di essere sdraiata su una superficie ben più fredda e dura del suo letto. Sfido chiunque a svegliarsi con calma ed a realizzare che non si trova in un luogo conosciuto: probabilmente farete come Nat, aprendo gli occhi di scatto ed alzandovi con lentezza, guardandovi attorno con circospezione. Se poi scopriste anche di essere nudi, beh … ma lasciate pure che Nat affronti questa situazione, vi va?
 
La ragazza aprì gli occhi lentamente, sollevandosi prima sulle braccia ed iniziando a guardarsi attorno sorpres … no, in realtà non era particolarmente sorpresa. Stranita, questo si, molto confusa ed un filo arrabbiata, ma non sorpresa. Nat non si prese nemmeno la briga di spaventarsi, quando si rese conto che attorno a lei non c’era proprio nessuno: eppure, il mormorio era comunque presente, ed oramai era chiaro che non se l’era immaginato. Si sentiva piuttosto confusa, come se avesse preso una bella dose di sonniferi prima di andare a dormire, ma in ogni caso stava bene.
La stanza in cui si trovava era essenziale e pallida: pareti bianche e pavimento ocra chiaro, non vi era un solo granello di polvere né tantomeno una finestra. La stanza era a stento abbastanza grande per contenere lo strano letto in pietra su cui si era svegliata, quindi non era molto più lunga di un paio di metri e larga a stento uno e mezzo … si vedeva una nicchia laterale, ma Nat non riusciva ad intuire cosa ci fosse dentro. La luce proveniva più o meno dalla zona del soffitto, più bianca e fredda di quella di qualunque lampadina. Se da qualche parte c’era una porta, non era visibile.
Inizialmente non si accorse di essere nuda: se ne rese conto solo dopo qualche minuto passato a guardarsi attorno spaesata, quando finalmente realizzò che i piedi nudi che le stavano davanti erano i suoi, che erano collegati ad un paio di gambe nude e … beh, immagino che tutti abbiate ben presente una ragazza nuda.
Assurdamente, la consapevolezza di essere priva di vestiti in una stanza sconosciuta la rese più lucida: finalmente si decise a scendere dal letto in pietra – qualunque persona intelligente l’avrebbe fatto all’inizio, ma le reazioni di Nat erano sempre piuttosto tranquille ed inadatte al contesto. Era una fangirl lei, mica una di quelle ragazzine scattanti ed atletiche che si vedevano in giro! Le sarebbe piaciuto, perché perfino lei ammetteva che avere un corpo simile sarebbe stato un sogno, ma non lo era assolutamente –, poggiando i piedi scalzi sul pavimento gelido e rabbrividendo. Che fosse stata rapita, drogata e spogliata dagli alieni o da un qualche maniaco, quella sensazione era sempre orrenda. Ma era stata sul serio rapita, poi? E nel caso da chi? E perché? La famiglia De Luca non viveva di stenti, ma non era neanche ricca: avevano di che mangiare si, ma mai troppo. Ed il bis c’era solo ed esclusivamente se era il tuo compleanno o stavi particolarmente male. Pensierosa, Nat andò verso la nicchia laterale, scoprendovi dei vestiti della sua taglia: pantaloni di tela, una canottiera azzurra ed un paio di …cos’erano quelli? Stivali? In ogni caso, qualcuno aveva pensato di riservarle anche un paio di plasticose calze lunghe fino al ginocchio, che le avvolgevano la caviglia e la gamba come una seconda pelle. Guardandosi, Nat pensò con amarezza che addosso ad una ragazza più magra quegli abiti sarebbero stati benissimo: lei aveva sempre avuto un po’ di pancetta, messa bene in risalto dalla canottiera. Inoltre nonostante fosse di media altezza aveva le cosce evidentemente grosse e le gambe leggermente ad X … per non parlare delle braccia o delle spalle, prive di muscoli. Se non altro, pensò, aveva fatto lo sforzo di depilarsi qualche giorno prima. In ogni caso, non era mai stata una ragazza particolarmente pelosa … grazie al cielo, madre Natura le aveva fatto almeno quel dono. Forse in fondo non si era del tutto dimenticata di lei, nel distribuire agli altri grazia e bellezza a piene mani.
Terminata la vestizione, Nat si ritrovò con le mani in mano, decisamente ad un punto morto, cercando di capire cosa diavolo fosse il materiale opaco che aveva al posto delle scarpe. Le sembravano quasi calze di plastica, ma erano troppo spesse e morbide: inoltre, se fosse stata davvero plastica a quel punto Nat si sarebbe trovata i piedi già belli e cotti, pur stando ferma. Al tatto erano morbidi, ma un po’ appiccicosi e … beh, in realtà portarli era da una parte piacevole e dall’altra terribilmente scomoda. Insomma, Nat non sapeva bene cosa ci si aspettasse da lei in quel momento. Volevano che urlasse? Che chiedesse di uscire? Oppure stare li, zitta e ferma, seduta sul tavolo con le spalle ingobbite, andava bene? Dopo qualche minuto di silenzio, però, la ragazza non ce la fece proprio più: iniziava ad essere stanca, affamata e decisamente seccata. Chi erano quei tizi per rapirla così? Non era mai stata una ragazza intraprendente, tuttavia supponeva che un’eccezione fosse d’obbligo in quel caso: si alzò in piedi, scoprendo con sorpresa che quelle buffe calzature non erano affatto scomode, ma anzi le rendevano la camminata più facile e sicura, permettendole di aderire meglio al terreno senza intralciarla affatto. Chiunque le avesse inventate era senza ombra di dubbio in genio.
Iniziò ad ispezionare la stanza palmo a palmo, anche se non c’era molto da vedere: niente pulsanti segreti, nemmeno un graffio ad indicarle che quella stanza aveva una via d’uscita – o di entrata –. Pareva quasi che le fosse stata costruita attorno mentre ancora dormiva, e la cosa sarebbe parsa stranamente inquietante a chiunque. Non che le fosse chiunque: in ogni caso però, non si sentiva esattamente la persona più tranquilla del mondo a rimanere così in balia degli eventi.
« Dunque: di uscite segrete non se ne trovano, a quanto pare non c’e nessuno strano meccanismo … o mi do alle parole magiche o resto chiusa qui. No, non ci penso neanche a rimanere in questo postaccio. EHI, QUALCUNO PUÒ FARMI USCIRE?! » Nat tossicchiò un momento, passandosi la lingua sulle labbra screpolate. Iniziava ad avere sete, e di certo urlare non aiutava la sua condizione. Nonostante tutto però, nulla si mosse né qualcuno diede segno di averla sentita. « Per favore » aggiunse dopo un momento, senza sapere bene quale processo mentale l’avesse portata a chiede ai suoi aguzzini se potevano lasciarla andare in santa pace, per piacere. Intimamente certa che quelle due paroline non avrebbero cambiato niente, Nat fece per risedersi con uno sbuffo sconfitto, lasciando che l’idea che sarebbe morta li come l’idiota che era le penetrasse ben bene nel cervello e mettesse radici. Click. La ragazza rialzò la testa di scatto, osservando a bocca aperta il muro di fronte a lei che scivolava di lato, aprendosi su una stanza più grande di quella in cui era stata fino a quel momento, esagonale e con due ragazzi più o meno della sua età nel mezzo. Erano loro ad aver prodotto i mormorii, evidentemente, parlando evidentemente due lingue diverse. Una ad orecchio le sembrava più o meno spagnolo o qualcosa di simile, mentre per l’altra non ne aveva proprio idea … in ogni caso, due non avrebbero potuto essere più diversi: lui era piccolo, magro, pelato e con due occhi enormi, da scarafaggio. Nonostante i vestiti gli stessero aderenti, c’era qualcosa nel suo modo di muoversi che li faceva sembrare troppo grandi, quasi rattrappirsi fosse la sua attività preferita; l’altra però … beh, l’altra ragazza era semplicemente un sogno ad occhi aperti. Alta, magra, bionda e con due immensi occhi chiari, il volto esprimeva dolcezza e forza in egual misura. Nat storse istintivamente le labbra nel vederla riempire pantaloni e canottiera nei punti giusti … con il tempo, la fitta d’invidia che le trafiggeva il petto alla vista dell’altra ragazza sarebbe diventata un’abitudine talmente radicata da essere accolta quasi con dolcezza. Ma per il momento, lei e la bionda erano ancora delle perfette sconosciute. Il ragazzino disse qualcosa nella sua assurda lingua con un sogghigno, mentre la ragazza gli diede una spinta e cercò di indicare a Nat qualcosa, che si rivelò essere un’altra nicchia nella parete, contenente uno strano liquido color vomito – avrei potuto descriverlo come ambrato, certo, ma non rende l’idea vi pare? –. Non che l’italiana volesse bere niente di simile, per carità, ma immaginava di non avere altra scelta: prese un profondo respiro, si tappò il naso e mandò giù la sbobba. Il cicaleccio simile a spagnolo non si interruppe, ma improvvisamente Nat seppe il significato delle parole. Non avrebbe mai potuto dare una traduzione precisa, ma sapeva perfettamente chi stava dicendo cosa. Peccato che ci fosse solo silenzio: all’improvviso le due pareti ai lati della sua stanza si alzarono, facendo uscire due ragazzi talmente simili da poter essere fratelli, sempre con il solito abbigliamento fornito a tutti – e ad alcuni, doveva ammetterlo, stava meglio che ad altri –. Il tempo di varcare le loro soglie che tutte le porte delle stanze, fino a quel momento aperte, si chiusero con uno scricchiolio ed un tonfo sordo. E se ne aprì un’altra, proprio davanti ai ragazzi, con un lungo corridoio all’apparenza buio. Per un lungo istante, tutti rimasero in un silenzio quasi relgioso.
 
 
Angolo me:
Innanzitutto mi scuso per questo enorme ritardo … ma grazie alla scuola e, soprattutto, ai gentilissimi e super-efficienti signori della Telecom – che mi hanno staccato internet per quasi un mese. Grazie Telecom, davvero. Anche io ti amo – la mia possibilità di scrivere e pubblicare qualcosa di nuovo è stata davvero esigua. Pertanto, chiedo scusa a tutto e vi ricordo che c’e il divieto di lanciare cose all’autrice di questa storia *indica il cartello*
Nel prossimo capitolo capiremo, finalmente, quali poteri tarocchi hanno i nostri protagonisti … visto che inoltre il “giochino” dei soprannomi non è piaciuto molto ho deciso di lasciar perdere XD M’inventerò qualcosa, o almeno ci proverò. In ogni caso, ci sono parecchi personaggi secondari che faranno da “contorno” alle vicende: se qualcuno desidera essere nominato nella storia gli basterà mandarmi nome e un abbozzo di aspetto e carattere. Non garantisco che vengano nominati tutti assiduamente, ma avranno una piccola parte.
Detto questo vi saluto e mi metto a scrivere il prossimo capitolo, che devo recuperare parecchie cose XD Alla prossima – che, salvo scherzi della Telecom, sarà davvero fra due settimane.

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