Iron Sky

di seapaws
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Act I: London is falling down, falling down, falling down ***
Capitolo 2: *** I. ***



Capitolo 1
*** Act I: London is falling down, falling down, falling down ***


City di Londra, 1868

Londra era fredda e grigia, quella mattina. Nubi scure che sembravano promettere soltanto pioggia oscuravano il sole e un vento fin troppo gelido per essere solo autunnale avvolgeva la città, spazzando via occasionalmente foglie cadute o detriti. Sebbene fosse ancora molto presto le fabbriche erano già operative, gli impiegati -soprattutto bambini e adolescenti- scorrazzavano per gli edifici con fare affaccendato.

Jordan si strinse ulteriormente nel cappotto, reprimendo a stento un brivido. Il vento le scompigliava i capelli soffiandole sul volto e lei cercava di scostare le ciocche dagli occhi con fare stizzito, rinunciando quasi subito e pentendosi di non averli legati in una treccia. Almeno avrebbe potuto cacciarla dentro il cappotto.

Scuotendo leggermente la testa, Jordan si guardò intorno. 

Tutto era esattamente come ricordava, nulla era cambiato di una virgola nonostante mancasse da Londra ormai da diversi mesi. A qualche metro da lei, un gruppo di Blighters sorvegliava l'operato dei vari impiegati, occasionalmente avvicinandosi minacciosamente a chi, evidentemente, non svolgeva il proprio lavoro in maniera adatta. 
Se non avesse avuto fretta, Jordan sarebbe intervenuta più che volentieri, ma doveva  cercare di tenere un profilo basso. Katherine risedieva a Whitechapel e Jordan era sicura che numerosi membri della banda l'avrebbero attesa comunque per le strade del quartiere; inoltre lei era stata marchiata come traditrice e confidava sul fatto che Crawford avesse dato istruzione a tutti i suoi sgherri di ucciderla, qualora avesse fatto ritorno nella capitale inglese. Nessuno lascia l'ordine se non con i piedi in avanti, peggio ancora se la traditrice in questione era a conoscenza di piani e dettagli di cui una semplice pedina non avrebbe dovuto essere.

La ragazza svoltò l'angolo e imboccò un vicolo a caso, aumentando sempre di più la velocità della sua corsa. Le armi che aveva appeso alla cintura e le pistole nelle fondine le battevano contro i fianchi, ma non per questo la sua andatura rallentò. Riconobbe Whitechapel nel momento esatto in cui mise piedi nel quartiere: gli edifici anneriti dal fumo erano inconfondibili, e Jordan si mise alla ricerca della casetta a nord del distretto, residenza degli Adkins da quando suo fratello era morto e Katherine aveva dato alla luce James. 

La cognata stessa l'aveva rassicurata sul fatto di non aver cambiato domicilio e Jordan adesso camminava con più sicurezza rispetto a prima. Notò, con sua grande sorpresa, che non vi erano Blighters per le strade ma un'altra banda riconoscibile dal diverso colore dalle divise rispetto ai primi: essi indossavano abiti di un verde indefinibile, così diverse dal rosso che caratterizzava i Blighters. Perplessa, Jordan camminò proprio davanti a uno di loro e sentì una leggera ansia stringerle lo stomaco, ansia che scomparì quando nessuno di loro reagì se non con sguardi disinteressati o vagamente incuriositi. La ragazza tolse la mano dal pugnale sotto la propria giacca, rassicurata, e decretò che l'unico problema che avrebbe mai potuto avere con quelle persone era il colore del loro vestiario. Quel verde era orribile, e si chiese chi fosse stato tanto idiota ad averlo scelto. 

Nel frattempo era arrivata nell'indirizzo che Katherine le aveva scritto, per sicurezza, nella lettera speditale tre mesi prima. Alcuni bambini scorrazzavano intorno, altri invece stavano fermi ad osservare ciò che accadeva nel quartiere. Una di loro, dalle trecce scure e dall'abito verde scuro la guardò incuriosita ma Jordan finse di non aver notato nulla, occupata nel cercare di riconoscere tra le varie casupole quella che stava cercando ed esitò davanti alla porta annerita, una volta riconosciuto l'edificio. 
Era così diverso. Sapeva che dopo la morte di Alexander Katherine non avesse a disposizione un patrimonio a cui attingere, soprattutto quando il figlio nacque, ma Jordan non avrebbe mai immaginato che sarebbe stata spettatrice di una cosa del genere. Inoltre, la cognata era stata piuttosto chiara, l'ultima volta che si erano riviste e la giovane si era rassegnata all'idea che non avrebbe rivisto più il nipote.        
Ma Katherine le aveva mandato una lettera dicendole che aveva un urgente bisogno di vederla di nuovo e parlarle. All'inizio, Jordan era sospettosa: negli ultimi tempi lei aveva girato tutta l'Inghilterra in lungo e largo, spostandosi di città in città senza mai lasciare traccia del suo passaggio e si era sopresa non poco di come la cognata fosse riuscita a rintracciarla.  Aveva evitato di proposito Bath -Crawford avrebbe potuto mandare chiunque a cercarla lì in quanto sua città natale-, e non possedeva un vero e proprio domicilio. Offriva i propri servigi a chi ne avesse avuto bisogno in cambio di vitto e alloggio, prendendo precauzioni come fornire nomi falsi, partire sempre dopo pochi giorni e non tornare mai due volte nello stesso posto. Ecco perché quando il portalettere aveva annunciato che c'era una lettera in più nella sua borsa, Jordan si era insospettita. Avrebbe voluto bruciare la lettera senza nemmeno scartarla e dimenticarsene, ma poi aveva riconosciuto la calligrafia sottile di Katherine e l'aveva scartata con mani leggermente tremanti.

Nella lettera, Katherine non accennava a nient'altro se non a quelle poche notizie che Jordan già conosceva e al desiderio di rivederla al più presto. Lei l'aveva riletta più volte, cercando di trovare indizi nascosti tra quelle poche righe scritte con un inchiostro di scarsa qualità ma con il solo risultato di sguarcirla ulteriormente.  
Non aveva trovato nulla e questo l'aveva spinta a partire, bruciando quel foglio stropicciato e confidando nelle proprie abilità qualora qualsisi cosa fosse andata storta. 

Respirando a fondo, Jordan bussò. 

Non era pronta a rivederla. Pensava di esserlo ed era convinta che il viaggio fosse stato abbastanza lungo per prepararla a un possibile confronto, ma capì che non era così. Jordan sapeva bene che Katherine la incolpava per la morte del marito. E, in fondo, lei non le dava tutti i torti; dopotutto Jordan era sopravvissuta e Alexander no. 
Il rumuore della porta che si apriva cigolando la destò, facendole sollevare la testa. Riconobbe immediatamente Katherine, anche se la donna che era davanti a lei era ben diversa da come ricordava: smorta e un po' spenta, ma tutto sommato ancora viva, che rifiutava di sottomettersi a tutto quello che la vita le aveva fatto subire e le aveva tolto. 
Katherine la cacciò immediatamente dentro casa e, controllando che non ci fosse nessuno a osservarle, girando il chiavistello per tre volte. Quando le parlò sembrò essere eccessivamente stanca, come chi non dorme da giorni.

"Qualcuno ti ha seguita?" 

Jordan alzò un sopracciglio. "Perché avrebbero dovuto?" 

"Sai bene quanto me cosa significa il tuo ritorno in città. E soprattutto con quei capelli... non avresti potuto indossare un copricapo?" 

"Perché a Londra non esistono altre persone con i capelli rossi, ovviamente. Sta' tranquilla" aggiunse, quando Katherine sembrò nuovamente sul punto di interromperla. "Nessuno mi ha seguita, né tantomeno denunciata. A quanto pare per Starrick non sono così importante come pensavo. Mi fa piacere sapere che ti preoccupi per me, comunque. Altrimenti non mi avresti mandato quella lettera." 

Katherine la guardò. "Ci hai messo parecchio per arrivare. Te l'ho spedita tre mesi fa"  

"Ringrazia piuttosto che sia arrivata. Mi vuoi dire che cosa sta succedendo? Dalla lettera non ho ricevuto notizie eclatanti. Dovrai fare meglio di così, dato quello che sto rischiando." Disse lei, vagamente infastidita. La cognata aveva dato per scontato il suo ritorno, qualora avesse ricevuto quella dannata missiva, e in quel preciso istante si stava odiando per quanto prevedibile fosse stata.
 
Katherine si strinse le mani in grembo. "Sì, io... lo so. Jordan, non so da dove cominciare, non so nemmeno come ho fatto a resistere in questi anni. Tutto sta cambiando e incomincio a temere per la mia incolumità, e soprattutto per quella di James.
Ecco perché ho bisogno del tuo aiuto. Ora più che mai."














Note dell'autrice: Ma salve! Scommetto che vi eravate dimenticati di me. Eh, non vi do tutti i torti. Ma comunque sono tornata! Sempre in Assassin's Creed, ma con una storia diversa che mi sono decisa a scrivere e pubblicare dopo qualche ripensamenti. Ho adorato Syndicate, ma soprattutto ho adorato i gemelli Frye e Jacob è diventato tra i miei personaggi preferiti in assoluto. Questo spiega la mia presenza qui ma vabbè
Comunque, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. Se Jordan sembra una figura ancora enigmatica è perché non la conoscete molto bene. Il suo passato sarà ancora da svelare, perché ha effettivamente lasciato i templari e soprattutto come le sue vicende si intrecceranno con quelle degli Assassini. Le recensioni, che siano positive o negative sono sempre apprezzate! ;)
Alla prossima! :D
-Amethyst (che ben presto cambierà nickname, si spera per l'ultima volta eheheheheeh :D)

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Capitolo 2
*** I. ***


Era ormai da due giorni che il vento non cessava di soffiare sulla città e sui suoi abitanti, come se non trovasse pace. Fischiava e gemeva, spostando da una parte all'altra le persone senza alcuna pietà, non facendo alcuna distinzione tra ricchi - che si chiudevano di più nei costosi cappotti con gesti annoiati e infastiditi-, e poveri -i quali cercavano di ignorare il freddo che, inevitabilmente, si faceva largo nei loro corpi vestiti da abiti non abbastanza caldi ed entrava fin dentro le loro ossa.- 

Tra tutti, quelli che sembravano soffrire di più erano i bambini sparsi nelle strade. Forme gracili chiusi in abiti non abbastanza adatti al freddo, resi ancor più esili dalla malnutrizione e dalle malattie, correvano da una capo all'altro di Londra e molto spesso stringendo tra le mani atrezzi di lavoro che svelavano la loro condizione di impiegati nelle fabbriche. 

Jacob si tirò su il cappuccio. Soltanto poche ore prima aveva sgombrato un'altra fabbrica dalla presenza di quei bambini, ma il lavoro era tanto e non si poteva ancora definirlo concluso. Nonostante fosse arrivato a Londra soltanto da poche settimane aveva liberato già un distretto di Londra e aiutato diverse persone, per non parlare della caccia ai templari, la quale stava già dando i suoi frutti.
Tuttavia -anche se non lo avrebbe ammesso mai, nemmeno sotto tortura- era più difficile di quanto avesse mai pensato. I templari erano bersagli difficili da trovare e affrontare, e Jacob non era tanto sprovveduto da non rendersene conto.  Non era  solo nella sua battaglia, certo, ma Evie aveva preferito concentrarsi sulla ricerca del Frutto dell'Eden piuttosto che eliminare la presenza nemica nella City.

Jacob si rabbuiò quando ripensò alla sorella. Da quando erano arrivati a Londra il loro rapporto si era leggermente incrinato; era vero che la città aveva eguagliato i loro scopi ma aveva anche evidenziato ulteriormente le differenze tra loro, facendoli dapprima scontrare su fondare o non fondare una banda criminale (e su questo punto Jacon non intransigeva, i Rooks si dovevano formare e basta), poi su cosa fare e infine sul come. Jacob era sempre stato per un approccio più diretto e brutale preferendo da sempre una buona rissa alla discrezione, ecco perché si era immediatamente posto l'obiettivo di uccidere tutti i templari. Evie, d'altro canto, era sempre stata un'ottima assassina: silenziosa e letale come la sua lama, aveva fatto della furtività il suo credo e si rendeva invisibile ogni singola volta in cui un templare doveva morire per mano sua. Ogni volta che tornava al treno la trovava intenta a studiare i suoi appunti e libri che spiegavano il funzionamento della Sindone, talvolta trovandola addormentata e ancora china su quelle pagine polverose. Jacob afferrava la coperta più vicina e gliela posizionava sopra la sua figura addormentata scrollando le spalle, ma onestamente questa situazione incominciava a dargli peso. Lui ed Evie avevano da sempre avuto un rapporto molto stretto e ragion per cui le loro discussioni erano sempre all'ordine del giorno, ma non si erano mai ritrovati in disaccordo per così a lungo. 

Sbuffando, si alzò dalla tegola su cui si era appoggiato in precedenza e si posizionò per eseguire un salto della fede, atterrando con estrema grazia nel cumulo di fieno pochi secondi dopo. Si sarebbe preoccupato più tardi di quella situazione, adesso doveva concentrarsi sul suo prossimo obiettivo, ovvero fermare la produzione dell'Elisir Lenitivo di Starrick e, possibilmente, scoprire chi fosse a produrlo.

Il sorrisetto diabolico tornò a formarsi sul suo volto. La prospettiva di divertirsi non lo annoiava mai e a Londra c'era molto da fare ancora.
Ah, non vedeva l'ora.
______________________
 

Il silenzio era sceso nella stanza, gelido come una notte d'inverno. Talmente pesante, quasi da poterlo tagliare con un coltello, gli unici rumori che si sentivano nella stanza erano i respiri delle due donne, corti e accelerati quelli di Jordan, profondi e lunghi quelli di Katherine. Da quando aveva iniziato a parlare, Katherine non aveva distolto gli occhi grigi dal focolare; la sua voce era lenta e strascicata, come se raccontare il motivo per cui Katherine l'aveva richiamata a Londra le recasse un grandissimo dolore. 

Jordan non aveva fatto nulla, nè tantomento aveva proferito parola.

 O meglio, l'unica cosa che era riuscita a imporsi era la calma perché sentiva che sarebbe scoppiata da un momento all'altro, tale era la rabbia che provava di fronte alle parole di Katherine. Quindi, si era promessa di avere pazienza e ascoltare la cognata fino alla fine. 
Tanto, non sarebbe potuto andare peggio di così, giusto?

Si sbagliava. 

Avevano preso James. Tutti i suoi sforzi, tutte gli accorgimenti che suo fratello stesso aveva preso, quando aveva scoperto che Katherine era incinta, di un colpo sono diventati vani. I templari sono riusciti comunque a catturarlo, a tenerlo segregato da chissà quale parte o peggio. 

La ragazza trasalì, chiudendo di scatto gli occhi. Scenari che conosceva bene le incominciarono ad affollare la mente e lei si impose di nuovo la calma. L'ultima cosa di cui aveva bisogno in quelo momento era un altro ricordo orribile del suo passato, per il momento doveva mantenersi lucida abbastanza a lungo per incominciare a pensare a qualcosa. E ad agire, possibilmente in fretta. 

"Ecco perché mi hai chiamata. Avevi bisogno di aiuto." Le mani di Jordan tremavano, ma la sua voce era limpida e chiara, risoluta. 
Katherine non la guardava nemmeno, i suoi occhi persi ancora tra le fiamme. Le mani strette in grembo, Jordan riusciva ancora a vedere la fede nuziale all'anulare sinistro della donna, le dita talmente intricate tra loro che ne era sicura, la cognata ci avrebbe messo davvero molto tempo prima che riuscisse a scioglierle. Katherine parlò di nuovo, la voce talmente flebile che Jordan si dovette chinare verso di lei per ascoltarla meglio.

"C'è un altro motivo." 

"Ti ascolto."

Katherine esitò. "Hanno detto che ti cercavano, volevano solo te. Se avessi detto dove fossi, avrebbero lasciato in pace me e il bambino."

Jordan riuscì a non mostrare al di fuori  nessuna emozione ma la paura e la rabbia riaffiorarono, ribollendo feroci nel suo stomaco e per un breve istante si pentì di non aver dato retta al suo buonsenso e non aver bruciato immediatamemte la lettera ricevuta. Ma poi il buonsenso ebbe la meglio. "E tu? Che cosa gli hai detto?"

Per la prima volta da quando Katherine aveva inziato a raccontare, la guardò in viso. Per un breve istante la cognata sembrava essere tornata nella vecchia sé; l'occhiata che le aveva lanciato era talmente tagliente che la ragazza si sorprese di non star sanguinando.

"La verità, che non sapevo dove fossi. Loro... loro non mi hanno creduta e hanno... h-hanno rapito il m-mio bambino."

Katherine singhiozzò leggermente e Jordan si gurdò intorno, a disagio. Non sapeva che cosa avrebbe fatto se fosse scoppiata in lacrime, quindi fissò gli occhi marroni in un punto imprecisato dritto avanti a sé. "Quando mi hai spedito la lettera?"

"Subito dopo quella maledetta notte. Ho ancora una protezione, si ricordava di Alec e mi ha aiutata."

"Chi?" 

Katherine distolse lo sguardo. "Non posso dirtelo."

Jordan aggrottò la fronte, confusa. "Perchè non hai chiesto aiuto anche a  questa persona? Era a Londra, avrebbe potuto fare già qualcosa."

"Non poteva sbilanciarsi più di tanto, anche lui rischia tanto. Ascolta" Katherine poggiò le mani sulle sue, un contatto che irrigidì Jordan. Sembrava passata una vita, da quando il loro rapporto era più simile a quello di due amiche che due estranee. "Ho bisogno del tuo aiuto, Jordan. Sei l'unica che mi possa davvero aiutare, sei l'unica di cui io mi fidi ciecamente. Ho già perso mio marito, non voglio... perdere anche mio figlio."

Delle lacrime scivolarono lungo le guance della donna, ma Katherine non se ne curò. Le mani ancora strette attorno a quelle di Jordan, continuava a parlare noncurante del pianto che si poteva avvertire dalla sua voce. "Hai detto che mi avresti sempre aiutata a proteggerlo e ho bisogno di te adesso. Ha solo due anni, Jordan, e io..." 

Scoppiò in un pianto convulso e si coprì il viso con le mani. Esitando, Jordan le passò un braccio sulle spalle e le poggiò la testa sulla sua spalla, proprio come si consola un bambino. Nonostante sussurrasse, la voce di Jordan era decisa.

"Ti aiuterò. Non permetterò che accada nulla a James, non più. Hai la mia parola."














Note dell'autrice: Sono esattamente in ritardo di due mesi e un giorno. Chiedo venia, non riuscivo a scrivere decentemente. L'idee c'erano, la voglia anche, ma il tempo e soprattutto la forma no... Comunque sia, spero che vi sia piaciuto. Scopriamo perché Katherine ha richiamato Jordan e c'è anche Jacob! Mi sa che alcuni punti della storia saranno visti da più personaggi, però ancora non so come sarà strutturato. 
Recensioni e commenti, positivi e negativi che siano, sono sempre accetti! Mi fa sempre piacere leggere pareri e opinioni su questa storiella :D
Adesso vado a nanna dato che sono le 1.52...
A presto,
~seapaws

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