Tales of the Golden Age- back to basics di _Cthylla_ (/viewuser.php?uid=204454)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. il primo conflitto ***
Capitolo 2: *** 2. Le cose che odio di te ***
Capitolo 3: *** 3. Soap opera -parte I ***
Capitolo 4: *** 4. Soap Opera- parte II ***
Capitolo 5: *** 5. Scontri e incontri ***
Capitolo 6: *** 6. Un matrimonio che non s'ha da fare - parte I ***
Capitolo 7: *** 7. Un matrimonio che non s'ha da fare- parte II ***
Capitolo 8: *** 8. Amandoti ***
Capitolo 9: *** 9. 00-Spear ***
Capitolo 10: *** 10. Sussurri striscianti ***
Capitolo 11: *** 11. Una promessa spezzata ***
Capitolo 12: *** 12. ''auguro a quest'uomo di vivere in eterno'' ***
Capitolo 13: *** 13. Due passi in più ***
Capitolo 14: *** 14. Vita da sassi ***
Capitolo 15: *** 15. Il veleno dello scorpione -parte I (si riceve solo su appuntamento) ***
Capitolo 16: *** 16. Il veleno dello scorpione- parte II (per non dimenticare) ***
Capitolo 17: *** 17. ''Dare fendenti alle montagne ***
Capitolo 18: *** 18. Matrimoni e allucinazioni, conigli e contrattazioni ***
Capitolo 1 *** 1. il primo conflitto ***
ToGA
Salve!
Qualche piccola nota prima che iniziate a leggere.
La prima:
questa raccolta AU è ambientata in piena Golden Age
-che chi conosce solo il film de "Le 5 Leggende", non possiede i libri
o non ha avuto modo di trovare qualche informazione in più,
non
ha idea di cosa sia- durante il periodo in cui regnava la famiglia
Lunanoff, ossia quella cui appartiene il nostro Manny. Precisamente,
durante gli anni in cui è ambientato il primo capitolo di
questa raccolta, a
regnare
erano i nonni di
Manny, mentre il principe Tsar Lunar Lunanoff XI che
apparirà nei capitoli successivi è
-canonicamente- il padre di Manny.
La seconda:
escluso Kozmotis Pitchiner -ossia Pitch prima che
diventasse Pitch, per chi non lo sapesse- e la breve citazione di cui
sopra, il resto dei personaggi che compaiono in questo primo capitolo
sono tutti miei OC.
La terza: vedrete dei bambini cresciuti forse troppo in fretta -non
proprio come nel Trono di Spade, ma quanto ad età per poter
iniziare, volendo, ad addestrarsi al combattimento o sposarsi
più o
meno siamo lì- con
capacità acquisite che di norma sarebbe difficile trovare.
Ma se
-canonicamente- la figlia di Kozmotis Pitchiner sapeva utilizzare bene
una piccola nave a sei anni, alla fine non c'è nulla di
strano
neppure in questi qua.
La
quarta: ...se l'introduzione che avete letto è strana,
bizzarra e confusa è perché non sapevo cosa
accidenti scriverci, sinceramente :'D
E
niente, buona lettura :)
=
Tales of the Golden Age =
Piccoli
nobili, piccoli supereroi, piccole battaglie.
Ma nemmeno tanto.
La
guardia cadde a
terra con un gemito e un tonfo sordo. Una volta svenuto, il
povero ghoul del deserto venne
trascinato in un punto nascosto, legato come un salame e imbavagliato.
Due figure, una più
piccola dell’altra, si mossero rapidamente in direzione delle
astronavi.
«presto,
presto!...ma vuoi muoverti, Aladohar?!»
«lo sto facendo!!!»
Anche
impegnandosi più
che poteva, un bambino di nove anni difficilmente avrebbe potuto
correre più
velocemente di una di undici, e poco contava che fosse ben
allenato, dal
momento che anche sua sorella lo era.
«e
allora fallo meglio!
Se ci scoprono per colpa tua è l’ultima volta che
ti porto dietro, quanto sono
veri gli Dei!»
Quella
non era certo la
prima volta che la piccola Lady Nahema fuggiva di nascosto dal palazzo
della
sua famiglia su Aldebaran I: aveva iniziato a farlo quando aveva sette
anni, a
volte finendo con l’essere scoperta e altre no, e le
punizioni ricevute le
volte in cui era andata male non erano servite a farla desistere, se
mai il
contrario. Nahema tendeva a dare retta a sua madre solo quando capiva
che
poteva risultarle conveniente, altrimenti faceva di testa propria.
«non
ci hanno mai
beccati per colpa mia. L’altra volta è stato
perché Nihil Ralonrin aveva fatto la
spia con nostra madre!» protestò Aladohar,
raggiungendo assieme alla sorella
una nave di piccole dimensioni.
«perché
tu, dopo esserti fatto sorprendere
in
corridoio, gli avevi detto quel che avremmo fatto» gli
ricordò la sorella con
un’occhiataccia, mentre apriva il portello della nave
«stavolta hai verificato
che dormisse come ti ho detto, vero?»
«lo
faceva, quando ho
guardato in camera sua» le stanze di Aladohar e Ralonrin, di
soli cinque anni,
erano una vicina all’altra, e Aladohar aveva dato una breve
occhiata
all’interno mentre passava, senza vedere nulla di strano.
«bene.
Sali, sbrigati!»
Il
piccolo arciduca,
non appena sua sorella si fu voltata, alzò gli occhi al
cielo: Nahema aveva
sempre la tendenza a dare ordini a tutti, e a volte era un
po’difficile sopportarla,
ma d’altra parte era un tratto che aveva in comune con la
loro madre.
Nonostante l’età, Aladohar sapeva benissimo che
era Nihil Iyra Aldebaran a
tenere le redini, mentre Kerasaas, il loro padre, giocava con intrugli
e
miscugli nel suo laboratorio da alchimista.
Quando
entrambi furono
saliti, acceso i motori ed ebbero allacciato le cinture, Nahema
decollò
rapidamente, e altrettanto rapidamente si lasciarono il pianeta
Aldebaran I
alle spalle.
«dove
andiamo stavolta?
Nei territori dei Taurus? Kitah mi è simpatico»
disse Aladohar, riferendosi al
figlio primogenito di quella Casa, coetaneo di Nahema «magari
lo incontriamo in
giro…»
«Kitah?
Pensavo
preferissi vedere Faeliria Orion» sogghignò Nahema
«avete già cominciato a
mandarvi fiori e pupazzi, se continuate così finiranno col
farvi fidanzare di già, per
davvero».
«perché,
mamma diceva
per scherzo?»
«no.
In effetti diceva
sul serio. Forse è meglio se lasciamo perdere questo
discorso».
Aladohar
non era
l’unico di cui Iyra Aldebaran stesse decidendo il futuro.
Nahema infatti era
stata già informata sul fatto che più avanti, se
tutto fosse andato bene -ma
perché dubitarne?- si sarebbe fidanzata nientemeno che col
principe Lunanoff, Tsar Lunar XI.
La sua famiglia puntava alla corona, lo sapeva, e così
facendo sarebbe stato
tutto più semplice, ma non aveva ancora deciso se la cosa le
piaceva o meno.
Bisognava vedere quanto sarebbe stato d’ostacolo alla sua
carriera militare.
L’obiettivo suo e della
sua famiglia era il regno, ma lei puntava anche a diventare Lady High
General
of the Galaxies, il massimo grado nell’esercito. Se ce
l’avesse fatta, sarebbe
stata la prima donna in assoluto ad ottenere quel titolo.
Aveva preso quella
decisione a sei anni, assistendo a una cerimonia in onore
dell’High General
attuale, e si era detta “un giorno io sarò
lì al suo posto”. Per tale motivo
aveva preteso e ottenuto di iniziare immediatamente
l’addestramento che serviva
-e lo stesso aveva fatto Aladohar, due anni dopo- e grazie a
ciò avrebbe potuto
entrare nell’accademia militare tra un anno, invece che due.
I suoi compagni di corso
sarebbero stati più
grandi di lei, ma ciò non le importava, e non la spaventava:
già adesso Nahema
andava a caccia del punto debole dell’avversario e colpiva
duro, senza mostrare
alcun accenno di pietà, e la cosa funzionava.
Non le importava
neppure che l’allenamento avesse impedito la formazione di
quei minimi accenni
di forme femminili che alcune sue coetanee iniziavano a mostrare. Forse
più
avanti le cose sarebbero cambiate, ma non avrebbe fatto un dramma se
così non
fosse stato: in considerazione di quel che voleva fare, braccia forti e
gambe
in grado di sostenere lunghe corse sarebbero state più utili
di un po’di seno e
un po’di fianchi.
«quindi
dove andiamo?»
«ma
sei demente? Ho
appena nominato Faeliria Orion, secondo te dove andiamo?»
«a
casa sua?»
Stavolta
toccò a Nahema
alzare gli occhi al soffitto. Di norma suo fratello non era un cretino,
nonostante la giovane età, ma in
certi momenti le faceva venire voglia di mettersi a dare testate contro
il
muro. «perché secondo te ha senso fuggire di
nascosto da casa nostra per andare
a imbucarci in casa di un altro nobile che ci rispedirebbe subito da
dove siamo
venuti, vero?! Tieni» gli appioppò in mano un
flacone «copriti la voglia,
altrimenti ci riconoscono subito».
«sì
infatti, giusto
volevo chiederti il correttore».
«ora
ce l’hai».
Specchiandosi
su una
superfice lucida, Nihil Aladohar coprì la strana voglia
color vinaccia a forma di stella a otto punte che aveva sulla guancia
destra, in basso. Era la caratteristica che rendeva gli Aldebaran
immediatamente identificabili, ben più del colore nero/blu
dei capelli o del verde dei loro occhi, benché anch'essi
fossero tratti largamente diffusi nella loro famiglia. «stavo
pensando: ma quando la guardia verrà liberata, non ci
beccheranno ugualmente?»
«non
ha visto chi è
stato, l’abbiamo nascosta bene, e quando la troveranno, se lo
faranno, saremo già tornati. Chi lo sa,
magari qualcuno è entrato in casa nostra di nascosto
chissà come e perché. Zero
prove per chiunque voglia accusarci, è questo che
conta».
Aladohar,
seppur
leggermente dubbioso, alla fine si limitò a scrollare le
spalle. Se lo diceva
lei, che era più grande di lui, magari aveva ragione per
davvero…
***
«quindi
tra quanto
cominci?»
«un
mese. Mi sa che non
ci vedremo per un po’, eh Aleha?» disse, non
riuscendo a mascherare un accenno di amarezza nella voce
all'idea.
L’accademia l’avrebbe
impegnato per dieci mesi all’anno, con uno solo di pausa tra
un quinquemestre e
l’altro. Stare lontano da casa non sarebbe stato facile, ne
era consapevole, ma
avrebbe tenuto duro. Doveva riuscirci. Voleva riuscirci.
«allora
sei sempre
convinto di voler fare, insomma, il militare?» gli chiese la
ragazzina dai
lunghi capelli scuri e gli occhi blu, sua dirimpettaia e sua amica
praticamente da
sempre, stringendosi nel vestito azzurro pallido e
accostandoglisi di più sulla panchina che
occupavano.
Da quando c'era una data precisa per la partenza, i due cercavano di
passare insieme più tempo possibile, consci che avrebbero
sentito vicendevolmente la mancanza l'uno dell'altra, e incuranti delle
chiacchiere originate da quella frequentazione più che mai
assidua. Erano amici, si volevano bene, e non contava nient'altro per
nessuno dei due.
Kozmotis
Pitchiner,
tredici anni e una settimana, annuì con decisione.
«sì. Ovvio. Seguirò le orme
di mio padre e farò la mia parte per aiutare il regno. Lo
volevo prima, e lo voglio
ancor di più adesso che…adesso, ecco»
concluse bruscamente, e strinse la mano dell'amica in una presa salda,
come cercando un contatto che gli desse conforto.
La
frase lasciata a
metà era “adesso che è
morto”, come Aleha ben sapeva. Tutti nel quartiere erano
stati al funerale del tenente colonnello Pitchiner, caduto in battaglia
appena
due mesi prima. Era stato un brav’uomo, benvoluto da chiunque
l’avesse conosciuto,
dunque non avrebbe potuto essere altrimenti.
Kozmotis,
da parte sua,
sembrava aver imboccato la strada giusta per finire con
l’essere altrettanto
amato dalla sua gente. Non era un ragazzino disposto a concedere
così
facilmente la propria lealtà e la propria fiducia al primo
che passasse, ma era
un tipo onesto, pronto a dare una mano a chi ne aveva bisogno, e
gentile…con
chi non rompeva le scatole a lui e agli altri, almeno. Detestava i
bulli
arroganti -se ne trovava sempre qualcuno in giro-, chi se la prendeva
con i più
deboli, la falsità, le ipocrisie e le ingiustizie in genere.
Diventando un guerriero
come suo padre avrebbe potuto combattere tutto ciò, o
così lui credeva
fermamente.
Poi
certo, c’era anche
il sogno di diventare Lord High General of the Galaxies, che cullava
sin da
bambino. Di solito a ottenere quel titolo era qualche nobile delle
Costellazioni -sempre per merito, per carità- ma se fosse
diventato molto,
molto, molto bravo non sarebbe
stato
un sogno impossibile, e suo padre, che sicuramente vegliava su di lui
dal regno
degli spiriti, ne sarebbe stato orgoglioso.
«ti
capisco. Io non
credo di avere le caratteristiche giuste per entrare
nell’esercito, ma mi piacerebbe
poter aiutare il regno come faceva tuo padre, e come faceva il
mio».
La
guerra contro Dream
Pirates, Fearlings e gli altri nemici del regno non si era portata via
solo il
padre di Kozmotis, ma anche quello di Aleha, ormai tre anni prima. Se
la madre
di Kozmotis non si era lasciata abbattere, la situazione in casa di
Aleha era
ben più complicata. Sua madre trascorreva tutto il giorno a
languire sotto le
coperte, e ormai era sua sorella maggiore, Spear, a fare di tutto per
tenere a
galla quel che restava della famiglia, dibattendosi tra gli studi e la
specializzazione in medicina, e lavori di ogni genere: il vitalizio
dato alle vedove di guerra
non
bastava per tre persone, specialmente non nei quartieri alti come
quello.
Avrebbero potuto vendere la casa e trasferirsi, ma Spear non ne aveva
la minima
intenzione, non la casa costruita dai loro bisnonni, e le aveva imposto
di non
dire nulla a nessuno della loro situazione. Aleha, incapace di
ribattere, si
era limitata a chinare la testa e obbedire. Che altro fare, se no?
«il
capitano
Sinetenebris era un grand’uomo, e sono sicuro che troverai il
modo di aiutare
anche senza entrare nell’esercito, vedrai!» sorrise
Kozmotis «il regno non ha
bisogno di soli soldati».
«lo
so. A dirtela tutta
lo sai, stavo pensando che forse potrei studiare da infermiera. Mia
sorella un
giorno diventerà un dottore, e io…»
«penso
che potresti
essere molto brava, ma non devi farti condizionare troppo da tua
sorella. Con
tutto il rispetto».
Aveva
avuto a che fare
con Spear solo indirettamente, in quanto sorella di Aleha, ma non
poteva dire
che gli piacesse molto. Troppo fredda, troppo dura, anche prima della
morte del
padre, per non parlare del modo in cui l’aveva sempre
guardato dall’alto in
basso -in virtù di cosa, poi?-.
«non
mi faccio
condizionare!» ribatté la ragazzina «ma
penso che potrebbe essere una buona
idea!»
«ma
sì, sì! Non
guardarmi in quel modo» borbottò Kozmotis
«quand’è che ti ho dato torto? Ti ho
anche detto che potresti essere molto brava…quanto sei
permalosa, certe volte…»
L’
attenzione di
entrambi venne attirata da un bambino con una busta della spesa in
mano, che
passò loro davanti con aria abbattuta, tirando su col naso.
Aleha, naturalmente
portata ad aiutare il prossimo -e forse anche un
po’ficcanaso- gli si fece
immediatamente vicina. «aspetta…tu sei il figlio
degli Starr, giusto? Cos’hai?»
Il
bambino sollevò gli
occhi azzurri arrossati su Aleha, indeciso se raccontarle o meno quel
che era
accaduto poco prima, ma alla fine si lasciò persuadere.
Conosceva quella
ragazzina, una volta lo aveva aiutato quando si era sbucciato un
ginocchio, e
anche la sua mamma la conosceva, e ne aveva sempre parlato bene.
«ero andato a
fare la spesa per la mamma. Mentre tornavo giocavo con la mia pallina
magica…quella
che diventa un pesciolino volante…»
«ne
ho una collezione,
di quelle» Kozmotis si avvicinò, facendogli un
breve sorriso. Anche lui e quel
bambino si conoscevano, abitava a tre case di distanza sulla stessa
via. «e
poi? Cos’è successo?»
«un
bambino più grande
di me mi ha detto che era bella, poi mi ha detto di dargliela, e quando
ho risposto
di no me l’ha presa, e non me l’ha
ridata».
Kozmotis
sbuffò,
irritato. «li detesto i tipi così. Senti, se vuoi
possiamo tornare indietro e
convincere quel bulletto a restituirti il maltolto».
Il
bambino sorrise
speranzoso, ma Aleha era tentennante. «Kozmotis, non vorrei
che finissi col
metterti nei guai…»
«si
tratta di
recuperare una pallina magica da un bambino, non vedo come potrei
mettermi nei
guai. Non finirà mica in rissa! Dai, andiamo, e vediamo se
il bulletto è ancora
lì».
Aleha
si passò una mano
sul volto e sistemò il vestito, rassegnandosi a seguirli.
Kozmotis doveva
sempre fare l’eroe della situazione, altrimenti non era
contento! Di solito era
un tratto di lui che amava e ammirava molto, ma era anche una
caratteristica
che purtroppo a volte l’aveva trascinato in qualche scontro,
e non conveniva,
non ora che mancava un mese alla sua entrata in accademia.
«eccolo,
è lui!»
Kozmotis
lo avrebbe
identificato anche se il figlio degli Starr non gliel’avesse
indicato: era quel
bambino con i capelli nero-blu, ben vestito, seduto su un vecchio tubo
all’interno del parco abbandonato, che giocava con aria
arrogante
e indolente con
la pallina rubata, lanciando ogni tanto qualche occhiata al negozio di
dolci lì
davanti. Aveva qualche anno meno di Kozmotis, si capiva dai tratti del
viso,
ma a
giudicare dalla lunghezza delle gambe non c’era tanta
differenza d’altezza tra
loro.
«ehi».
Aladohar,
intuendo che
stessero dicendo a lui, si voltò a osservare il gruppetto.
«ehi».
“il
bambinetto ha
portato i rinforzi” pensò. La ragazzina mora con
le meches ramate non
lo impensieriva affatto, ma
non poteva dire lo stesso del tizio con i capelli neri e quel naso che
probabilmente mamma Iyra avrebbe definito “notevole”.
Era alto quanto Nahema, e a guardargli braccia e gambe neppure lui
sembrava
nuovo a corse e allenamenti vari. Se le cose si fossero messe male
forse
avrebbe potuto sfruttare il fatto di essere un
po’più piccolo e quindi forse
più agile, ma nel dubbio sperava che sua sorella uscisse
presto dal negozio di
dolci in cui era -malvolentieri e dopo una tremenda sequela di
rimproveri-
entrata per
accontentarlo, quando le aveva detto di avere fame.
«quel
giocattolo non è
tuo, ma di questo bambino, e tu gliel’hai rubato.
Restituisciglielo subito» gli
ordinò seccamente Kozmotis.
«suo?
Macché. È mio.
Non devo restituire proprio niente a nessuno».
«bugiardo! È mio, lo sai che è
il mio! Ridammelo!!!» gridò il
bambino.
Kozmotis
non conosceva
il nome di quel tipo, ma già lo detestava. «quanto
si deve essere vigliacchi
per rubare un giocattolo a un bambino più piccolo, e poi
negare quello che hai
fatto in modo tanto sfacciato? I bulli non mi piacciono, e mi piace
ancora meno
che se la prendano con i bambini del mio quartiere, per cui-»
«bla,
bla, bla!» lo
interruppe Aladohar con una smorfia «che importa a me di
quello che non ti
piace?»
Quante
seccature per
una stupida pallina magica. Forse avrebbe potuto evitare di prenderla a
quel
bambino, ma gli era piaciuta, e lui in casa aveva diversi tipi di
giochi ma non
quello, per cui cosa c’era di strano nell’essersene
appropriato? Se quel bambino
gliel’avesse ceduta appena gliel’aveva chiesta, non
avrebbe dovuto
togliergliela di mano.
Aleha
lanciò
un’occhiata preoccupata a Kozmotis. Di quel passo avrebbe
dato in escandescenze
da un momento all’altro, e non era proprio il caso.
«Kozmotis, forse è meglio
se lasciamo perdere, lo ricompro io il giocattolo a-»
«ma nossignora! Non esiste proprio, Aleha!
Sentimi bene» si avvicinò
minacciosamente ad Aladohar «ora tu restituisci
immediatamente quel giocattolo,
sennò io-»
«“sennò”
che? Non mi
faccio minacciare da uno come te, anche se sei più grande
non mi fai paura, e
non mi faccio dire da te quello che devo fare. Se vuoi questa stupida
palla me
la dovrai strappare dalle mani, ma è meglio per te se ne vai
via: sei noioso».
Strappargli
la palla
dalle mani? Kozmotis non chiedeva di meglio, e ignorando le proteste di
Aleha agì
di conseguenza, avventandosi addosso a quel piccolo arrogante.
Appena
gli ebbe stretto
il polso, però, qualcuno lo afferrò da dietro
facendogli perdere l’equilibrio e
lo scaraventò a terra con forza. Kozmotis per fortuna
riuscì a cadere bene, e
appena toccata terra era già pronto a rialzarsi, con gli
occhi puntati sulla
sua nuova avversaria, una ragazzina alta quanto lui -e a giudicare
dalla mossa
che aveva appena fatto anche altrettanto forte- che lo stava fulminando
con lo
sguardo.
«non
so chi sei e cosa
vuoi, ma se tocchi mio fratello io poi “tocco”
te».
Se
il bambino bullo non
gli piaceva, quella ragazzina -la sorella, a quanto pareva- per qualche
motivo
gli piaceva ancora meno. Gli trasmetteva una brutta sensazione,
così a pelle,
al di là del fatto che l’avesse appena
scaraventato al suolo. Kozmotis era un
cavaliere, non aveva mai alzato un dito su una donna, eppure quella lì l’avrebbe
presa a pugni
volentieri. «tuo fratello è un vigliacco, un ladro
e un bugiardo che ha rubato
un giocattolo a un bambino più piccolo e ha pure la faccia
tosta di negare
l’evidenza!» esclamò, rialzandosi.
Nahema
lo squadrò da
capo a piedi. «cosa saresti, il supereroe del quartiere? Ma
per piacere! E tu»
rivolse lo sguardo ad Aladohar, che
parve rimpiccolire «che bisogno avevi di prendergli quel
giocattolo? Dammelo»
gli intimò bruscamente.
“chiunque
sia è
abituata a dare ordini, e si vede” pensò Aleha.
Pur avendo intuìto ciò, però,
non riusciva a capire quanti anni avesse quella ragazzina. La sua
curiosa
pettinatura -una moltitudine di treccine sottili, raccolte in una coda
di
cavallo- non l’aiutava.
«mi
piaceva…» borbottò
Aladohar, affrettandosi a consegnare il giocattolo alla sorella appena
questa
tese la mano.
«è
l’ultima volta che
ti porto con me, puoi starne sicuro. Ma guarda se devo discutere con
certa
gente per colpa di un cretino» con “certa
gente” ovviamente intendeva il
ragazzino che, se mai un giorno avesse voluto davvero diventare il
supereroe
del quartiere, non avrebbe potuto farsi conoscere in altro modo se non
“Super
Naso”. Non le era ancora del tutto antipatico, ma di sicuro
le dava l’idea di
un povero idiota. «eccoti la palla magica» disse al
bambino, porgendogliela con
una certa grazia «e con questo direi che il caso è
chiuso. Andiamo, Al».
«no
invece!» sbottò
Kozmotis, parandosi davanti a Nahema «non mi è
parso che tuo fratello si sia
scusato per quel che ha fatto, quindi il caso non è chiuso
per niente!»
D’accordo.
Aveva
capito. Super Naso cercava rogne. «sì che lo
è, ah…come ti chiami?»
«sono
Kozmotis
Pitchiner, figlio del tenente colonnello Pitchiner, e se dico che una
faccenda
non è chiusa, allora vuol dire che non è
chiusa!» disse il ragazzino, con
decisione.
“e
io sono
l’arciduchessa Nihil Nahema della Casa Aldebaran, per cui il
tuo essere figlio
di un tenente colonnello mi importa meno di zero, ma se non altro
adesso
conosco la vera identità di Super Naso”
pensò Nahema. «e se io dico che fai
meglio a toglierti di torno immediatamente, allora vuol dire che fai
meglio a
toglierti di torno immediatamente. Il bambino ha riavuto il suo
giocattolo, tu
ti sei divertito a fare il supereroe per farti sbavare dietro dalla tua
amica»
Aleha, nel sentirsi nominare in quel contesto, trasalì
«direi che basti».
«non
riferirti ad Aleha in quel modo» disse piano Kozmotis,
irrigidendo i pugni
«lasciala in pace».
Ormai si erano avvicinati talmente
tanto l'uno all'altra che i loro nasi quasi si sfioravano, e nessuno
dei due sembrava intenzionato ad abbassare lo sguardo.
«a
me non importa nulla
né di lei né di te»
disse freddamente Nahema
«togliti
di torno, Super
Naso».
Della
serie “la goccia
che fa traboccare il vaso”.
L’istante
dopo Nihil
Nahema e Kozmotis si saltarono addosso contemporaneamente, entrambi con
l’intento di spaccare la faccia all’avversario.
Finirono però col bloccarsi a vicenda le mani,
fronteggiandosi senza dire una parola in una
prova di
forza in cui nessuno dei due sembrava prevalere. Nahema fu la prima a
lasciare
la presa, e si abbassò velocemente per assestare a Kozmotis
un calcio dritto
allo stomaco che egli, tuttavia, riuscì a parare
efficacemente.
«Kozmotis! Me lo sentivo che sarebbe
finita male, me lo sentivo!...»
Aleha si mordicchiava le unghie, avrebbe voluto fermarli, ma come farlo
senza
finire a farsi colpire a sua volta?
Kozmotis
cercò di
assestare un pugno dritto in volto a Nahema, ma invece fu lei a
picchiarlo con
forza ad uno zigomo, facendogli vedere per un attimo un sacco di
scintille
bianche. Lui comunque incassò, non desistette, e mettendo da
parte il dolore
scattò, riuscendo a colpirla dritta all’addome. A
quel punto, vedendola
piegarsi in una posa semi accovacciata, ne approfittò per
darle un colpo in
testa, illudendosi di terminare così la lotta; per un
attimo, vedendo che aveva
ferito la sua avversaria, temette persino di aver esagerato.
Comprese
che sbagliava
appena Nahema strinse il suo avambraccio destro in una morsa e, dopo
averlo
tirato giù
in avanti, gli scagliò un pugno dritto sotto al mento che lo
fece cadere
all’indietro. Non contenta di ciò, la ragazzina si
lasciò cadere in ginocchio
sul suo ventre, iniziando a prendere a pugni ogni centimetro quadrato
del suo
corpo che riuscisse a raggiungere, e quando sentì il
“crack” del naso di
Kozmotis, che si incrinò, tutto pensò meno che di
aver esagerato. Le regole
erano sempre le stesse: colpire duro e colpire senza pietà.
«e
vai così!» esultò
Aladohar.
Aleha
a quel punto non
riuscì più a rimanere ferma a guardare, e
cercò di spingere via Nahema. «basta,
smettila!»
«ma
scansati!…» fu
Aladohar, invece, a spingere via Aleha, che riuscì a
reggersi in piedi solo per
miracolo. «è tutta colpa del tuo amico,
gliel’avevamo detto di farla finita!»
Vedere
la sua amica
bistrattata, tuttavia, diede a Kozmotis la forza necessaria a bloccare
le mani
di Nahema, e a colpirla in volto con una solenne testata. Stavolta fu
lei a
vedere le scintille bianche, prima di cadere all’indietro.
Aleha
prese tra le
braccia il figlio degli Starr, allontanandolo ulteriormente dallo
scontro.
«torna a casa. Corri dalla tua mamma. Sono stata stupida a
non avertelo detto
prima. Vai!»
«ma
il tuo amico-»
«Kozmotis
se la cava.
Vai!» ripeté Aleha, e dopo un’ultima
esitazione in bambino le obbedì.
«vi ho detto di lasciarla in pace!!!»
gridò Kozmotis, avvicinandosi
pericolosamente ad Aladohar.
«vi
avremmo lasciati in
pace tutti e due se vi foste fatti gli affari vostri. Non cercavamo
guai, noi!»
ribatté Aladohar, senza indietreggiare di un passo. Il
motivo era semplice:
Nahema si era appena rialzata, e fu lesta ad assalire
l’avversario alle spalle,
bloccandogli il collo in una morsa che se prolungata avrebbe potuto
tranquillamente farlo svenire.
«Aladohar…fai
una bella
cosa…stai zitto!»
sbottò Nahema, la
voce spezzata per lo sforzo. Quel tizio era forte quanto lei, non
sarebbe
riuscita a trattenerlo ancora per molto, e tantomeno a farlo svenire.
Urgeva
mollare la presa ed escogitare qualcos’altro.
«…Kozmotis!»
Una
voce poco distante,
femminile e decisamente adulta. Va’ a vedere che il bambino
della pallina
magica aveva chiamato i rinforzi di
nuovo. Poco male, forse così facendo le aveva
offerto una nuova scappatoia.
Kozmotis
non aveva
sentito la voce chiamarlo, ma sentì Nahema lasciare la presa
sul suo collo, e
non esitò ad approfittarne, volgendosi verso
l’avversaria, che aveva le braccia
lungo i fianchi e il mento sollevato. Il ragazzino la vide come
un’occasione
d’oro e, senza esitare, afferrò il collo della sua
sfidante, e la sollevò
persino da terra. «hai finito di giocare, eh?!» le
ringhiò contro con rabbia
«tu e tuo fratello non-»
Gli
aveva sorriso?...perché?
«Kozmotis Pitchiner, che diamine stai facendo?!!»
Le
dita del ragazzino
si aprirono di scatto, lasciando che Nahema ricadesse a terra.
Deglutì, e si
volse lentamente a guardare indietro. «ehm.
Mamma…è una lunga faccenda…»
Kozmotis
Pitchiner
temeva poche cose, ma sua madre era senz’altro tra queste,
più che altro per
tutti gli inseguimenti e le botte col battipanni sul sedere ogni volta
che
tornava a casa dopo aver fatto a botte. Sua madre non voleva che
andasse a
litigare in giro, non le importavano i perché e i percome, e
Kozmotis doveva
ancora capire per quale miracolo divino avesse più o meno
accettato l’idea che
lui volesse entrare in accademia.
Era
suo padre a
comprenderlo -seppure non approvasse la sua eccessiva
impulsività in certe
cose- e lui ormai non c’era più.
«non
devi andare a fare
a botte in giro, te l’ho detto miliardi di volte, e adesso il
discorso è ancora
più valido! Ti sei dimenticato dov’è
che andrai tra un mese?!» la signora
Pitchiner era molto più bassa del figlio e decisamente
paffuta, ma altrettanto
energica «se continui così finirai a metterti in
qualche guaio serio, e allora
potrai dimenticarti l’esercito, perché di
combinaguai nell’accademia militare non ne
vogliono!»
Il
figlio degli Starr,
sentendosi in colpa per la predica ricevuta da Kozmotis,
scappò via. Quando
Aleha gli aveva detto di andarsene, e aveva incontrato per caso la
mamma di
Kozmotis, aveva pensato fosse una buona idea dirle che stava succedendo
qualcosa di spiacevole, nella speranza che facesse finire tutto. Era
stato così
in effetti, ma l’umiliazione per quel rimprovero pubblico
si rifletteva
sulle gote rosso fuoco del povero Kozmotis, che trovava il tutto
alquanto
ingiusto.
«picchiare
una
ragazzina, poi! Si può sapere cosa ti è saltato
in testa?!»
«ma lo vedi come sono ridotto?!»
gridò Kozmotis, inascoltato.
«signora
Pitchiner,
Kozmotis ha solo-» provò a dire Aleha, ma venne
interrotta bruscamente dalla
signora con un gesto della mano.
«tu
non fai testo,
Aleha, sei una brava ragazza e so quanto vuoi bene a Kozmotis, per
cui so
anche quanto sei pronta a coprirgli le spalle» disse, e si
avvicinò a Nahema,
che era rimasta seduta a terra «qualunque cosa sia successa
con mio figlio mi
dispiace, è un bravo ragazzo ma è tremendamente
impulsivo, e il modo in cui si
è comportato è assolutamente-oh
miei Dei».
Per
un istante Nahema
la guardò perplessa, poi notò che la signora
stava fissando il lato in basso a
destra del suo volto, quello dov’era la voglia. Probabilmente
nella lotta il
trucco era andato via in qualche modo, rendendola visibile.
Aleha,
in
quell’atmosfera di sbigottimento generale, notò il
fratello della ragazzina
pulirsi la guancia in basso a destra, scoprendo una specie di voglia
che fino a
un attimo prima non si vedeva. Significava di certo qualcosa, ma al
momento non
riusciva a capire di preciso cosa.
«oh miei Dei» ripeté
la signora Pitchiner, pallida e incredibilmente
impaurita «milady, sono costernata, io non
avevo…non pensavo…»
balbettò,
prodigandosi nell’aiutare Nahema a rialzarsi
«Kozmotis, scusati immediatamente»
gli intimò la madre, sempre più allarmata
«lo sapevo che un giorno…te l’avevo
detto che non si va in giro a litigare, quante
volte te l’ho detto?!»
Kozmotis
ora era
decisamente confuso, e l’agitazione della madre iniziava a
contagiare anche
lui. Non l’aveva mai vista così preoccupata, e
l’aveva vista altrettanto
pallida solo due mesi prima, quando aveva ricevuto la notizia della
morte del
marito. «mamma, ma che succede? Io non
capisco…»
«signora,
non dovete
preoccuparvi» disse Nahema, con aria conciliante
«è stato solo un piccolo
equivoco. Mio fratello minore»
indicò Aladohar con un cenno del capo «non si
è comportato troppo bene, sia io
che vostro figlio a quanto pare siamo un po’impulsivi, una
cosa tira l’altra
e…» fece spallucce «sono i rischi che si
corrono quando si esce di casa senza
farsi riconoscere. In un certo senso siamo noi che ce la siamo
cercata».
Kozmotis
era allibito quanto profondamente indignato sia per quel cambio
d’atteggiamento della sua avversaria, sia per il
comportamento di sua madre,
sia per aver capito che quella lì si
era lasciata afferrare il collo di proposito, perché sua
madre vedesse lui in atteggiamenti
compromettenti!
«non “in un certo senso”, siete stati
proprio voi a-»
«milady,
no, non è
assolutamente colpa vostra e di vostro fratello, non ditelo neppure! E
tu,
Kozmotis, taci! Per gli Dei» si passò una mano sul
viso «sono mortificata,
credetemi…Kozmotis, inginocchiati e scusati come si conviene
per aver alzato le
mani su di lei».
«ma
mamma!...»
«adesso!»
Del
tutto controvoglia,
con lo sguardo ostile e pieno di rabbia per quella che reputava
un’ingiustizia
completa, Kozmotis obbedì alla madre, inchinandosi di fronte
a quella ragazzina
diabolica che detestava, di cui non conosceva neppure nome e titolo.
«chiedo
umilmente perdono per aver alzato le mani su di voi» disse,
col tono di voce
che però suggeriva tutt’altro «milady».
«lo
apprezzo,
ma non era
necessario, né io ne mio fratello siamo arrabbiati con
vostro figlio, quindi
che si rialzi pure» disse Nahema.
Aleha
notò che, in
tutta la gentilezza che mostrava al momento, non sembrava aver
calcolato
minimamente le scuse di Kozmotis, livido di rabbia e di vergogna.
Occhieggiò
anche il fratello, che osservava la scena con aria decisamente
soddisfatta. Di
sicuro anche la ragazzina provava la stessa cosa, ma era più
brava a
nasconderlo, e Aleha non sapeva dire se fosse meglio o peggio.
«permettetemi
di
invitare voi e vostro fratello nella mia umile dimora per offrirvi
assistenza,
milady, è il minimo che possa fare dopo quel che ha
combinato questo
scapestrato!»
Nahema
a quel punto
voleva solo togliersi di torno e riprendere la gita, ma quella povera
donna era
veramente spaventata e preoccupata, rifiutare il suo aiuto sarebbe
stato
scortese e, ultimo ma non per importanza, rimanere sarebbe stata
un’ulteriore
seccatura per Super Naso. «accetto la vostra generosa
offerta. Avete la
gratitudine di lady Nihil Nahema, primogenita della famiglia
Aldebaran…»
«…e
di Lord Nihil
Aladohar» aggiunse il bambino, affiancando la sorella
«secondogenito».
Aleha
impallidì. Lei e
Kozmotis si scambiarono un’occhiata.
L’atteggiamento della signora Pitchiner adesso era molto
più comprensibile: Aldebaran = arciduchi = nobili delle
Costellazioni molto molto in alto. C’era da chiedersi
perché fossero venuti lì, e proprio in
incognito, ma il problema
sicuramente non era quello.
La
madre di Kozmotis si
allontanò assieme ai due fratelli, mentre Kozmotis e Aleha
rimasero indietro.
«“nobile
sangue, nobile
cuore”?»
così recitava il proverbio riguardante i nobili della Golden
Age «quei
due sono l’eccezione che conferma la
regola» mormorò Kozmotis.
«adesso
che so chi sono, se
non ricordo male
sono entrambi più piccoli di noi...fare qualche stupidaggine
è normale, e forse
fai meglio a non dire altro» ribatté Aleha
«se mai spera che lascino perdere sul
serio quel che è successo».
«sentimi
bene, né
tu né io
quand’eravamo più piccoli abbiamo rubato un
giocattolo ad un altro bambino, non c'è età che
tenga, e
se sono veramente chi dicono di essere possono comprarsi tutte le
palline
magiche che vogliono!» sibilò il ragazzino
«quell’Aladohar è un piccolo
arrogante, e Nahema è…è cattiva!
L’hai vista come mi prendeva a pugni!»
«vi
siete saltati
addosso nello stesso momento, Kozmotis…»
«nemmeno
tu mi
sostieni, tu che c’eri?!»
s’infuriò lui, sentendosi tradito «che
razza di amica
sei?! Basta, non voglio vederti più!»
gridò, e si allontanò da lei zoppicando,
incurante dei lividi e di tutto il sangue che gli sporcava il volto e
gli
abiti. Era una reazione piuttosto infantile, ma in quel momento di
sentiva
abbandonato da tutto e tutti, e avrebbe solo voluto che suo padre fosse
lì. Lui
avrebbe capito, lui capiva sempre…
«Kozmotis, torna indietro! Kozmotis!»
Lei
gli voleva bene,
gli riconosceva tanti pregi, ma purtroppo Kozmotis sembrava incapace di
capire
che il mondo non era tutto in bianco o nero, e sperava per lui che
ciò,
crescendo, sarebbe cambiato. Con un sospiro lo seguì,
augurandosi di riuscire a
farlo ragionare.
***
Quando
tre ore più
tardi Kozmotis, dopo essersi rappacificato con Aleha, tornò
a casa, trovò sua
madre seduta accanto al tavolo, coi gomiti poggiati sul ripiano e il
volto
nascosto tra le mani. La donna, avendolo sentito rincasare,
le tolse, rivelando
un’aria
terribilmente stanca. «siediti» disse, piano.
«mamma…»
«per
piacere».
Dopo
una breve
esitazione Kozmotis si sedette mentre, curiosamente, sua madre si
alzò. Il
ragazzino, perplesso e
un po’preoccupato, la sentì aprire il rubinetto
dell’acqua, e qualche secondo
dopo la vide riavvicinarsi a lui.
«solleva
il viso, così
posso dargli una pulita e vedere in che condizioni
è».
Kozmotis
obbedì
nuovamente, stupito. Si era aspettato l’ennesima predica, e
invece no, mamma
gli stava pulendo delicatamente il volto con un fazzoletto bagnato, con
l'infinita premura che solo una madre poteva avere.
«le
nobili di oggi non
sono più quelle di una volta»
commentò la signora «quella
ragazzina ha solo
undici anni, così mi ha
detto, e a giudicare da quel che vedo picchia duro quanto un ragazzo di
sedici. Il
naso?...»
«se
lo tocco fa male,
ma non credo sia proprio rotto-rotto» mormorò
Kozmotis
«o almeno, non
credo».
«dopo
chiamo comunque
il medico».
Per
un po’nessuno dei
due disse nulla, anche se Kozmotis avrebbe avuto molto di cui parlare.
La
rabbia per l’ingiustizia subita bruciava ancora, ma diminuiva
un po’ad ogni
tocco delicato della madre.
«io
non voglio che tu
vada in giro a litigare. Lo sai» esordì
all’improvviso la suddetta «te l’ho
sempre detto. E anche tuo padre te lo diceva».
«ma-»
«fammi
finire.
Nonostante questo, non pensare che vederti così mi abbia
lasciata indifferente.
Tu sei il mio unico figlio, sei tutto quello che ti rimane, vederti
ferito fa
più male a me di quanto ne faccia a te. Ho agito come ho
fatto per cercare di
arginare i danni, e non compromettere il tuo prossimo futuro. Seguire
le orme
di tuo padre è sempre stato il tuo sogno, nonché
il suo, e anche se io non sono
d’accordo non posso che rispettarlo, e aiutarti ad andare
avanti. Se sono stata
così ossequiosa con quei due, se ho cercato di rabbonirli in
tutti i modi, è
perché la parola di un nobile delle Costellazioni
può distruggere questo sogno
come se nulla fosse. “Nobile sangue, nobile
cuore”…ma il cuore di chiunque
diventa meno nobile, se la sua primogenita torna a casa arrabbiata e
con dei
lividi».
«se
lo sarebbero
meritato tutti e due. Lui aveva rubato un giocattolo al figlio degli
Starr…poi
Nahema ha rimproverato suo fratello e glielo ha restituito, ma non
pensava che
fosse necessario scusarsi».
«hanno
nove e undici
anni, per cui hanno tempo di migliorare» disse la signora
Pitchiner «anche
perché non penso possano peggiorare oltre».
«quindi
tu non pensi
bene di loro!» esclamò Kozmotis, sorpreso.
«entrambi
si sono
comportati bene con me, non hanno sbagliato d’un picco, e
proprio per questo dico che non potrebbero essere peggio di
così. Nessun bambino di undici e nove anni, di
natura,
parla e si comporta in quel modo. Era tutta una finzione, e loro erano
veramente bravi» dichiarò
«altri forse non se ne sarebbero
resi conto e li avrebbero trovati deliziosi nella loro gentile
clemenza, ma io
sì. Lei
in particolare, fa quasi paura...Lady Nahema, dico. Spero che la
faccenda finisca qui per
davvero,
che non ci siano ripercussioni, e di non dover incontrare
più nessuno dei due. Io ho fatto tutto quel che
potevo» incluse le pubbliche scuse in ginocchio a cui aveva
costretto Kozmotis, e oh, dover fare una cosa del genere per evitare di
peggio l'aveva seccata eccome.
«me
lo auguro anch’io»
disse Kozmotis, con sincerità e rinnovato amore verso sua
madre «…che hai?»
«la
speranza vana che
Lady Nahema non riesca a entrare nell’accademia militare
prima che tu ne sia
uscito. Abbiamo fatto due chiacchiere, e sembra che potrebbe
entrare con un anno d’anticipo».
«che cosa?! Se finiamo nella stessa sede
potremmo ritrovarci insieme
due anni interi! Non che mi faccia paura, io posso batterla»
puntalizzò «credo. Ma
sarebbe…brutto».
“se
siete alla pari
adesso che lei ha due anni meno di te, che ne sai di come saranno le
cose in
futuro?” pensò la signora Pitchiner, senza
esprimersi. «voglio che tu mi
prometta che d’ora in poi starai attento, Kozmotis. Ma
attento per davvero, non
come al solito».
Si
guardarono negli
occhi, occhi identici, l’unico tratto che Kozmotis avesse
ereditato da lei.
«lo
farò, mamma. Te lo
prometto».
***
«…davvero
vuoi lasciare
che finisca così?»
«Aladohar,
sua madre
l’ha rimproverato in pubblico e obbligato a scusarsi in
ginocchio, se ci
accanissimo sarebbe stupido. È solo un tredicenne
disgraziato che si crede un
supereroe, non vale la pena perdere tempo con lui. Non mi importa
niente di
Kozmotis Pitchiner, e non dovrebbe importare nemmeno a te»
aggiunse «imparerai.
Quando avrai la mia età capirai».
Aveva
solo due anni più
di lui, undici, e parlava come una
donna vissuta. Avrebbe fatto quasi ridere, se non avesse avuto ragione.
Erano
Aldebaran, avevano degli obiettivi da raggiungere, e dovevano crescere
in
fretta, con tutto quel che comportava…
Oh.
Maledizione.
«Nahema…vedi
anche tu
mamma, Ralonrin e delle guardie vicino al punto dove noi dovremmo
atterrare?»
Certo
che Nahema li
vedeva, e vedeva anche che mamma Iyra, come al solito di una bellezza
quasi ultreterrena nel suo stretto abito dorato, era palesemente
irritata. «mi avevi detto
che Ralonrin dormiva!»
«ne
ero convinto! Avevo
controllato! Non dirmi che ha fatto finta…»
«a
questo punto direi
di sì. Ultima volta che ti porto dietro, è
deciso» disse, preparandosi ad
atterrare.
Aladohar
guardò a
terra, decisamente agitato. «ma se tornassimo indietro e
chiedessimo asilo
politico a Faeliria? A Kitah? A chiunque?»
«potremmo
chiedere
asilo politico solo se fossero in un regno diverso dal nostro, e
comunque pensi
davvero che servirebbe a qualcosa? Siamo Aldebaran. Possiamo
proteggerci da
tutto, ma non da noi stessi».
Pura
verità. Aladohar
sospirò. «se chiedono dei tuoi lividi diciamo che
sei caduta?»
«esatto».
Li
aspettava un brutto
quarto d’ora, ma in fin dei conti era giusto così:
come dice il proverbio, “a
ognuno il suo”.
Nobili
compresi.
Ci
tengo a ringraziare chiunque sia
stato così paziente da leggere fino alla fine :)
Prima
che me lo chiediate,
sì, Aleha nel mio immaginario è la futura moglie
di Kozmotis. Lady Pitchiner nel canon è una figura di cui
non si conosce neppure il nome, e tantomeno l'aspetto (ho provato a
cercare informazioni ufficiali a riguardo senza trovarne neanche mezza)
per cui ho potuto farla un po'come mi pareva.
Per il resto, chi segue la mia pagina su FB, o il mio profilo su
Manga.it, probabilmente già conosce Nahema, Aladohar e gli
altri Aldebaran, ormai adulti -e no, la madre di Kozmotis non ha
sbagliato di di loro, li ha inquadrati più che bene :'D-
.
Alla
prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 2 *** 2. Le cose che odio di te ***
= Le cose
che odio di te =
Kozmotis Pitchiner era un militare, e
felice di esserlo.
La vita nell’esercito era qualcosa che aveva sempre
perseguito, ed era
soddisfatto del proprio lavoro: se si dava tanto da fare per difendere
il
regno, in fin dei conti, era anche per la sua ragazza.
L’unico problema
risiedeva in tutti quel mesi lontani da casa e, quindi, da Aleha.
Nei momenti in cui era in congedo, trascorreva tutto il proprio tempo
con la
madre o, quando Aleha non era al lavoro, con lei: erano sempre troppo
brevi, e
teneva molto a far sì che almeno fossero intensi.
Per cui, quando lei gli aveva detto di essere riuscita a liberarsi per
quella
sera, e che avrebbero avuto casa libera perché sua sorella
sarebbe rimasta in
clinica fino al pomeriggio del giorno dopo, si era sentito il
diciassettenne
più felice della galassia.
Lui e Aleha avevano passato la serata insieme come da programma, e dopo
la cena
si erano goduti anche il dessert. Non era
stata certo la prima
occasione in cui avevano fatto l’amore, ma era stata la prima
volta che avevano
trascorso un’intera notte insieme. Era stato bello
addormentarsi accanto a lei,
e ancor di più svegliarsi e rendersi conto che non era stato
affatto un sogno.
Si era detto che un giorno, sperava non troppo lontano, avrebbero
passato
insieme tutti i giorni e tutte le notti che avrebbero potuto.
Come marito e moglie.
Kozmotis non aveva mai amato altri che Aleha Sinetenebris,
probabilmente da
tutta la vita, anche se si erano messi insieme per davvero
“solo” tre anni
prima. L’idea di stare con qualunque altra ragazza gli
risultava semplicemente
inconcepibile, e non poteva importargli meno di coloro che ridevano
dicendogli
“hai diciassette anni, vedrai quante volte cambierai
idea!”.
Loro non capivano, e se non capivano era
perché, evidentemente, non
avevano mai adorato qualcuno quanto lui adorava Aleha.
Il fatto che non le avesse ancora detto quel “ti
amo” era solo un dettaglio di
poco conto: Kozmotis non era un tipo da chiacchiere smielate, preferiva
dimostrare certe cose con i fatti…anche perché se
si trattava di esprimere i
propri sentimenti tendeva a essere un po’troppo introverso,
quindi non avrebbe
potuto fare altrimenti.
Proprio in virtù di ciò, quando alle nove del
mattino si era svegliato, aveva
deciso che sarebbe andato in cucina e avrebbe preparato la colazione
per lui e
Aleha -la quale dormiva ancora placidamente- e l’avrebbero
gustata insieme, a
letto.
Era uscito dalla stanza sereno, anzi, tanto allegro che per poco non si
era
messo a fischiettare. La vita era bella, niente poteva andare
storto…
Quando arrivò in cucina, tuttavia, per poco non gli venne un
colpo.
«dann…!»
Riuscì a stento a contenere quell’imprecazione, si
irrigidì, e quasi senza
rendersene conto indietreggiò oltre la soglia.
Se Kozmotis aveva avuto una simile reazione non era perché
lì dentro c’era un
gruppo di Dream Pirates, di Nightmare Men o di Fearlings:
ciò che aveva
davanti agli occhi era
peggio, molto peggio.
«non so proprio cosa trovi mia sorella in qualcuno che non
è neppure in grado
di dire “buongiorno” come si deve».
C’erano poche cose nella galassia che potessero far paura al
giovane Kozmotis:
era sempre stato un temerario, e il tempo trascorso al fronte non aveva
fatto
altro che confermarlo.
Peccato che tra le suddette “poche cose” fosse
compresa Spear, la sorella
maggiore della sua fidanzata, seduta accanto al tavolo a bere qualcosa
da una
tazza.
Prima, quando lui e Aleha non stavano insieme, Kozmotis la trovava
semplicemente fredda, antipatica e snob.
In seguito, quando aveva iniziato ad entrare più spesso in
casa Sinetenebris,
si era trovato ad avere a che fare di più con lei per forza
di cose: i momenti
liberi di Spear e Aleha spesso coincidevano, e la dottoressa non usciva
di casa
se non per il lavoro. Passava la maggior parte del suo tempo libero in
camera a
studiare, questo andava detto, ma secondo Kozmotis tale lasso di tempo
era
sempre troppo poco.
Ciò aveva fatto sì che la sua antipatia verso
quella donna -non riusciva a
definirla “ragazza”, sebbene avesse solo ventidue
anni- diventasse qualcosa di
diverso.
La sua vita nell’esercito e fuori non era stata tutta rose e
fiori e, nemici
del regno a parte, gli era capitato di avere a che fare con persone a
cui lui
non piaceva, e che non gli piacevano.
Spear però era in grado di risvegliare in lui
un’inquietudine strisciante, una
sorta di timore atavico: riusciva a dissimularlo in maniera
più o meno decente,
ma era solo una facciata. Era così magra che lui avrebbe
potuto tranquillamente
spezzarla in due, se avesse voluto, ma quella consapevolezza non
sembrava
influire minimamente.
C’era qualcosa negli occhi della dottoressa, simili a quelli
di Aleha in forma
e colore per quanto era diverso lo spirito che li animava, che gli
faceva
venire voglia di allontanarsi il prima possibile ogni volta che sentiva
il suo
sguardo di posarsi su di lui. Non capiva come Aleha riuscisse a
sopportarlo
così bene, quando per lui tentare di sostenerlo era come
fissare troppo a lungo
un abisso oscuro.
«tu non avresti dovuto lavorare fino a oggi
pomeriggio?» ribatté Kozmotis in un
modo che avrebbe voluto essere “seccato”. Spear per
prima aveva dato inizio
alle ostilità e lui, timore o meno, doveva trovare il modo
di ribattere e non
farsi mettere i piedi in testa.
«tu non avresti dovuto passare la notte a casa tua, invece di
copulare con mia
sorella?»
Il problema con Spear non era solo lo sguardo penetrante,
c’era anche quel suo
modo di parlare. Quelle affermazioni che faceva solo ed esclusivamente
con lo
scopo di metterlo a disagio -di questo era convinto- che dette da
un’altra
persona avrebbero potuto risultare quasi ironiche, ma non nel suo caso.
Kozmotis arrossì e, accorgendosene, si maledisse almeno
venti volte di fila.
«io e tua sorella siamo adulti, questa è anche
casa sua, mi ha invitato a
rimanere, e sono rimasto. Non c’è altro da
dire» aggiunse voltandosi verso i
fornelli, ma solo per tre quarti: non si sarebbe sentito tranquillo nel
darle
completamente le spalle. «e ora le preparerò la
colazione».
«vorresti farmi credere che sei in grado di fare qualcosa che
non sia picchiare
le persone o particolari tipi di
ginnastica?»
Certo, Kozmotis era in grado di fare anche altro, ma se fosse stato
davvero una
persona violenta, se Spear non fosse stata la sorella di Aleha e lui
fosse
stato meno in soggezione -“ma perché,
dannazione, perché?!”-
effettivamente l’avrebbe presa a schiaffi con gusto.
«sono in grado di fare
molte più cose di quanto tu creda!»
«eccetto finire di rivestirti e andartene,
purtroppo».
“ignorala- ignorala- ignorala!”
si intimò il ragazzo. Per fortuna,
avendo avuto modo di vedere dove erano arnesi da cucina e ingredienti
vari in
occasioni precedenti, poteva mettersi al lavoro e concentrarsi su
quello.
Farlo sentendo lo sguardo di Spear puntato addosso però era
a dir poco
complicato. Non invidiava proprio i colleghi della dottoressa, che
probabilmente si trovavano ogni giorno in una situazione come quella, a
dover
tollerare che il loro operato fosse fissato costantemente da lei, in
cerca di
un qualsiasi minimo errore.
Quando poi sentì le sue dita sottili iniziare a tamburellare
sul tavolo, perse
per un attimo la presa sul manico della padella, che sbatté
contro il ripiano.
«alla tua età io ero perfettamente in grado di
cucinare qualunque cosa, mentre
tu pretendi di farlo senza neppure saper tenere in mano una
padella».
«le cose mi riuscirebbero meglio, se non ci fosse qualcuno a
fissarmi di continuo» ribatté Kozmotis sempre
più irritato, avvertendo la
tensione crescente.
«allora devo presumere che tu chieda ai tuoi commilitoni di
non guardarti
mentre ti batti contro i nemici, se no correresti il rischio di perdere
la
presa sulla spada o spararti a un piede. Mi auguro proprio che Aleha
rinsavisca
presto».
Kozmotis Pitchiner era una persona equilibrata, e ora che aveva
superato la sua
“mania” giovanile di finire inevitabilmente col
pestare bulli e balordi si
poteva anche definire un tipo abbastanza tranquillo, ma era difficile
rimanere
tale con una persona che non solo lo maltrattava, non solo lo
provocava, ma che
cercava sempre di mettersi in mezzo tra lui e Aleha.
Fino a quel momento non c’era riuscita, ma Kozmotis sapeva
quanto Aleha tenesse
da conto Spear e le sue opinioni. Cosa sarebbe successo se un giorno la
totale
e costante disapprovazione di Spear nei suoi confronti fosse riuscita a
condizionare Aleha al punto di convincerla a lasciarlo?
«Aleha è perfettamente in sé, e sarebbe
ora che lo accettassi. Devo piacere a
lei, non a te. Non hai il diritto di metterti in mezzo!»
esclamò.
Momentaneamente di cucinare non se ne parlava, ma continuò a
tenere in mano la
padella: meglio avere a disposizione un’arma impropria che
non averne affatto.
«sono sua sorella maggiore, nonché tutto quel che
rimane della sua famiglia.
Non ho solo il diritto di proteggerla, io ne ho il dovere.
Si diventa
legalmente adulti a sedici anni, ma non sempre la maturità e
la capacità di
decidere per il meglio coincidono con l’età
anagrafica. Aleha è una ragazza
intelligente» ammise Spear «ma purtroppo
è vittima di una pesante cotta
adolescenziale…»
«non è una cotta! Noi
ci amiamo!» sbottò, portato
all’esasperazione
«e non hai né il diritto né il dovere
di proteggere chicchessia, Aleha è in
grado di farlo da sola, e se per qualche motivo un giorno non dovesse
riuscirci
ci sarò io a
farlo!»
Spear sollevò un sopracciglio. «in quel caso sono
certa che una tua telefonata
dal fronte sarà risolutiva».
Kozmotis strinse forte il manico della padella, e tornò a
volgersi verso il
ripiano. Nel tempo che impiegò per prendere gli ingredienti,
né lui né Spear
dissero più nulla.
«qualunque cosa io dica, per te sarà sempre
sbagliata» disse in seguito il
ragazzo, decidendosi a rompere il silenzio.
«a dire la verità hai appena fatto
un’affermazione del tutto corretta, per cui
hai sbagliato di nuovo».
Kozmotis fece un sospiro nervoso. «si può sapere
cosa ti ho fatto?!»
l’apostrofò, voltandosi a guardarla in faccia
«è da quando ero bambino che mi
tratti come se ti avessi ucciso il gatto! Io sono una brava persona,
con Aleha
mi sono sempre comportato bene, e mi do da fare per difendere il regno.
Qual è
il problema? Magari vorresti che Aleha si mettesse con qualcuno
più ricco, di
una classe sociale più alta? O cosa?»
Spear poggiò tranquillamente la tazza sul tavolo, senza
distogliere lo sguardo
da lui. «hai deciso di parlare chiaro, per cui
farò altrettanto. Aleha ha un
buon lavoro con cui potrebbe vivere bene anche abitando da sola, e non
ha
bisogno di trovare un uomo che la mantenga, quindi ricchezza e classe
sociale
sono l’ultimo dei miei pensieri. Poi, so che sei un ragazzo
di buona famiglia
-su questo non metto bocca, so chi sono i tuoi genitori- e so che la
cotta
adolescenziale di Aleha è ricambiata».
Kozmotis avrebbe voluto mettersi ad urlare che la loro non era una
stramaledetta cotta, ma era certo che sarebbe stato totalmente inutile,
per cui
si trattenne, volendo sentire dove Spear sarebbe andata a parare dal
momento
che “sapeva questo e quello” ma lo detestava
ugualmente.
«il problema…cerca di ascoltarmi e mettertelo bene
in testa, perché non amo
parlare con te e non lo ripeterò una seconda
volta…è che tu, fin da bambino,
hai sempre avuto la capacità di attirare i guai come il
miele attira le mosche»
dichiarò Spear «attualmente cerchi di astenerti
dal fare stupidaggini, e ho
sentito che la tua carriera militare procede tanto alla svelta che
c’è chi ti
immagina colonnello, o addirittura generale, entro pochi
anni…»
«e allora?!»
Spear si mise ad osservare la tazza vuota, con aria assente.
«la natura delle
persone non cambia. Tu rimani sempre miele, e i guai rimangono sempre
mosche.
Finora ti è andata bene, hai avuto fortuna… ma
arriverà il giorno in cui il tuo
modo di essere ti procurerà dei nemici, e i nemici delle
persone “in alto” come
tu potresti diventare tendono ad essere altrettanto in alto, o ancora
più su».
Per qualche istante calò di nuovo un pesante silenzio,
disturbato soltanto dal
ticchettio di un orologio a muro. «ma…queste sono
tutte tue fantasie!» inveì
Kozmotis dopo un po’ «sono soltanto-»
«hai ragione, invece di arrivare in alto potresti anche
finire col morire nel
corso della tua prossima missione, e dare un dolore non da poco ad
Aleha» disse
Spear, tornando a guardarlo. Questo lo mise temporaneamente a tacere, e
lei
poté continuare. «immagino che questo ti sembri
più realistico. Bada bene: io
ho stima di coloro che scelgono di dedicare la propria vita a difendere
il
regno, perché anche mio padre come sai era un militare, e lo
ricordo come un
brav’uomo, per quel poco che l’ho
visto. Quel che voglio dire è che
la strada che hai scelto non ti permette, né ti
permetterà mai, di stare vicino
ad Aleha come sarebbe giusto. Ora sei un
“innamorato” assente. Se uno dei due
non rinsavirà in tempo, diventerai un fidanzato assente, poi
un marito assente,
e forse anche un padre assente.
Non esiste alcun modo per
evitarlo, e tu lo sai benissimo: non puoi essere contemporaneamente al
fronte e
a casa con la tua famiglia. Inoltre, se per disgrazia le cose andranno
male,
lascerai mia sorella -o lei e degli eventuali figli-
nell’identica situazione
in cui i nostri padri hanno lasciato noi. Non è stato
piacevole, dovresti
ricordarlo. Ora ti domando: è davvero questo che vuoi per
Aleha?»
Era anche per questo che Kozmotis non amava avere a che fare con lei,
per il
modo in cui, le poche volte che avevano parlato -quella era stata la
conversazione più lunga avuta fino a quel momento- Spear non
gli aveva lasciato
molte opzioni per ribattere.
«non è…chi ti dice che andrà
così per forza?! Chi ti dice che non troverò il
modo di tornare a casa ogni volta che potrò e non essere
“assente”, chi ti dice
che morirò, o che mi farò chissà quali
nemici?! Le tue sono solo teorie, e
poi…e poi è un discorso assurdo da farsi, adesso.
Io ho solo diciassette anni…»
borbottò, passandosi una mano sul volto.
«mi hai detto di essere un adulto, io ti ho fatto un discorso
consono. Forse
non te l’hanno mai spiegato, ma non si può essere
adulti solo per quel che si
vuole» ribatté la dottoressa, con una certa
durezza. «ora fai una cosa sensata:
raccatta i tuoi vestiti, esci da quella porta e anche dalla vita di mia
sorella. La mia famiglia ha già avuto problemi sufficienti
per due o tre vite
intere».
«tu dici tutto questo solo perché mi
detesti!!!» gridò il ragazzo, ormai
incapace di trattenersi oltre «lo hai sempre fatto, e
continuerai a farlo
qualunque cosa io dica, qualunque cosa io faccia, solo
perché sono io!»
«il fatto che tu sia un ragazzino arrogante che si crede
molto più maturo di
quanto in realtà non è, di
sicuro non mi aiuta a trovarti simpatico».
«ecco, visto?! Visto?! Mi
odi a prescindere! Si capisce già
solo da come mi guardi, se tu non fossi un dottore probabilmente
avresti già
cercato di tagliarmi la gola!»
Detto ciò indietreggiò verso il bancone,
perché a quel punto la faccia della
sua -teoricamente- futura cognata gli fece capire che non lo aveva mai
guardato veramente con aria
assassina…fino a quel momento.
«se anche non ci fosse in ballo la deontologia professionale
non mi sporcherei
le mani in questo modo per ucciderti. Ci sono molti altri metodi
più rapidi,
più semplici e meno rischiosi».
L’attimo dopo sentirono i passi strasicati di Aleha, ancora
decisamente
insonnolita. «Kozmotis, perché
gridavi…» borbottò la ragazza,
sbadigliando.
Quando vide Spear però cambiò espressione,
improvvisamente sveglissima.
«aaah…Spear, tu non avresti dovuto essere al
lavoro?» le domandò, decisamente
imbarazzata. Lei e Kozmotis erano legati da un pezzo, e sua sorella
sapeva
benissimo che non passavano tutto il tempo a guardarsi negli occhi, ma
non
aveva preventivato di farle sapere di quella notte trascorsa insieme
proprio lì
in casa.
«tua sorella vuole uccidermi!»
esclamò Kozmotis, avvicinandosi alla
ragazza «mi odia e vuole uccidermi, lo ha detto
adesso!»
Normalmente non era il tipo di persona che andava a lagnarsi dalla
propria
ragazza o dalla madre per certe cose, ma aveva preso le parole di Spear
sin
troppo seriamente, e ci teneva che Aleha sapesse che una sua morte
improvvisa
dopo aver mangiato o bevuto qualcosa non sarebbe
stata casuale.
«perché lui, di tutto il discorso che ho fatto,
ovviamente ha recepito solo
questo. Aleha, il tuo ragazzo è un cretino»
sentenziò Spear, alzandosi in piedi
«e detto questo me ne vado a dormire».
«non pensare di sfuggire alla discussione così
facilmente, Spear, perché dopo
vorrò sapere cosa gli hai detto e come glielo hai
detto!» la avvertì Aleha,
lasciando che si allontanasse. «mi dispiace, io ero veramente convinta
che non sarebbe tornata prima di oggi pomeriggio» aggiunse,
ovviamente rivolta
a Kozmotis «immagino che non sia stato bello trovarla in
cucina».
«no, infatti» borbottò lui «e
dire che la giornata era cominciata così bene…io
volevo prepararti la colazione e farti una sorpresa, e invece
è lei che l’ha
fatta a me!»
«non badare troppo a quello che ti ha detto. Spear non ha un
carattere facile,
specialmente dopo il turno di notte, ma sono sicura che ucciderti
è l’ultimo
dei suoi pensieri. Non è mica un Dream Pirate!»
«hai ragione, non è un Dream Pirate, è
peggio» mugugnò lui.
«Kozmotis, non esagerare! Non è affatto un mostro,
e tantomeno ti odia. Vedrai
che un giorno inizierete ad andare d’accordo» lo
rassicurò, accarezzandogli il
viso.
«io non credo proprio. Lei mi detesta, e non vuole che stia
con te. Smetterebbe
di odiarmi solo se ti lasciassi, e questo può scordarselo
pure» sottolineò le
sue parole attirando a sé Aleha in uno stretto abbraccio.
«non vuole davvero che ci lasciamo. Lei è solo
molto protettiva nei miei
confronti, lo è sempre stata, e ancor di più da
quanto papà è morto…e poi
mamma…sì, insomma, tu cerca di non farci
caso» concluse Aleha «capirà che non
vuoi farmi del male, col tempo vi conoscerete meglio, e
inizierà a vedere in
te quel che vedo anche io».
«certo, poi magari le spunteranno delle ali da fata e
inizierà a svolazzare per
il quartiere spargendo coriandoli e arcobaleni»
borbottò Kozmotis «vorrei tanto
condividere il tuo ottimismo, ma abbiamo opinioni differenti su tua
sorella».
«io però la conosco meglio di te! Se sono
ottimista magari ho i miei buoni
motivi, e poi non preferiresti anche tu che io abbia ragione?»
In certi casi Kozmotis, da un lato, arrivava quasi ad invidiare Aleha,
con
tutto il suo candore e il suo ottimismo; dall’altro invece
gli dispiaceva per
lei perché, se avesse davvero continuato a credere in quel
che aveva appena
detto, un giorno avrebbe ricevuto una gran brutta batosta.
Non che lui potesse fare alcunché a riguardo: quella ragazza
era naturalmente
portata a pensare bene di tutti quanti e giustificarne il
comportamento,
eccetto in casi del tutto estremi, e se lui ne era tanto innamorato era
anche
per questo.
«certo, è ovvio che lo preferirei, renderebbe
tutto molto più semplice…ma mi sa
che resterà un sogno impossibile».
Sì, magari era proprio un sogno impossibile. Ma lui aveva
già una ragazza che
lo amava e una fulgida carriera militare davanti: non era forse
abbastanza?
“sì che lo è. Al diavolo Spear e le sue
illazioni. Un giorno vedrà
quanto si è sbagliata!” pensò.
Salve!
Vi avevo detto che probabilmente la
one shot si sarebbe evuoluta in una raccolta, ed eccomi qui.
Qui avete conosciuto l'adorabile (?)
Spear, una mia OC, che nel primo capitolo era stata soltanto citata.
Come potete vedere, è la futura cognata che tutti
vorrebbero...a molti, molti chilometri di distanza. Molto diversa da
Aleha, come potete notare, principalmente a causa del loro vissuto non
facile :)
Che dire? Mi auguro che apprezziate
anche questo lavoro, e alla prossima!
_Dracarys_
|
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Capitolo 3 *** 3. Soap opera -parte I ***
= Soap Opera -parte
I =
Spear sollevò gli occhi
stanchi dall’ordinato mazzo di
fogli, rendendosi conto solo in quel momento di essere rimasta di nuovo
in
ufficio fino a un orario indecente.
Un
medico, anche affermato, che prendesse seriamente il
proprio lavoro non finiva mai di studiare e aggiornarsi, e lei aveva
finito per
concentrarsi così tanto nell’esame approfondito di
dieci differenti casi di
Sindrome di Tera’shat da non rendersi conto di aver fatto le
due e mezza di
notte.
Il
suo turno sarebbe cominciato tra meno di sei ore: non
valeva neppure la pena tornare a casa. Fortunatamente per lei, in
quella
clinica gli uffici dei medici possedevano un bagno con doccia annesso,
e Spear
era stata tanto lungimirante da comprare un divano letto a una piazza e
mezza
proprio per simili evenienze, oltre ad avere sempre appresso dei cambi.
Stava
per alzarsi dalla scrivania, quando il suo
comunicatore personale iniziò a vibrare. Erano poche le
persone che sapevano
come raggiungerla su quello -le altre chiamate arrivavano sulla linea
diretta
dell’ufficio o le venivano passate dal centralino della
clinica- e Spear sapeva
di non poter ignorare nessuna di esse, orario indecente o meno.
Soprattutto in quel caso specifico.
«dimmi».
‒ credo
che stavolta ci siamo.
Spear
non credeva negli Dei, aveva smesso da quando aveva
quindici anni, ma se così non fosse stato probabilmente li
avrebbe ringraziati.
«perfetto, Elaja. Dimmi tutto».
Elaja
era la dottoressa nella piccola armata del giovane
capitano Kozmotis Pitchiner. Era un’ex specializzanda di
Spear, molto in gamba,
che in seguito lei ed Aleha avevano frequentato al di fuori del lavoro.
Quando era stata spedita al fronte, e proprio in
quell’armata, Spear le aveva chiesto di tenere
d’occhio Kozmotis -per quanto le
era possibile- e riferirle qualunque cosa potesse risultare utile al
raggiungimento del suo obiettivo: dividerlo da sua sorella.
Ovviamente
non le aveva chiesto di farlo gratis. Elaja
avrebbe lasciato il fronte volentieri, nella clinica dove Spear
lavorava al
momento c’erano un paio di posti vacanti, e lei era certa che
il direttore
avrebbe dato ad una qualunque sua proposta la massima considerazione
possibile:
questo non solo per la sua indubbia bravura di medico, ma anche
perché aveva
iniziato a lavorarselo a dovere appena arrivata nella struttura.
Coloro
che tendevano credere nell’importanza di certi valori
morali avrebbero potuto trovarlo riprovevole, ma gli Dei non erano la
sola cosa
in cui Spear, sempre a quindici anni, avesse smesso di credere.
Si era detta che anche se la loro madre si era lasciata
andare del tutto, abbandonando il lavoro e anche loro due a se stesse,
il tenore di vita di Aleha
non
avrebbe mai dovuto cambiare in peggio, neppure minimamente; per tale
motivo,
quando i soldi che era riuscita a raccogliere con ognuno dei lavori
part-time
che aveva trovato -oltre al vitalizio destinato alle vedove di guerra-
non
erano stati sufficienti, Spear
aveva
fatto in modo di trovarne con degli…extra
di tipo tristemente particolare.
Tuttora non sapeva se Aleha avesse intuito qualcosa, ma se
anche l’aveva fatto non aveva mai voluto parlarne, e tanto
meglio così.
Poi
la sua carriera era decollata, e attualmente stava
procedendo veloce quanto quella di Kozmotis in campo militare, ma quel
periodo
buio l’aveva plasmata irrimediabilmente in un certo modo;
indi, dove competenze
e professionalità non aumentavano la sua influenza, non si
faceva scrupoli a
utilizzare altri mezzi.
‒
stasera i soldati
avevano la libera uscita, e gli ufficiali avevano in programma di
andare in un
bordello travestito da locale notturno qualunque...
«ed
è andato lì anche
lui?»
Forse
Elaja aveva ragione, e quella era veramente la volta
buona. Però doveva ammettere di essere un
po’sorpresa perché, dopo tutta la
lealtà che Kozmotis professava ad Aleha, tutto avrebbe
pensato meno che finisse
col tradirla in modo così palese e grossolano.
‒
sì. Però è tornato
prima degli altri. A quanto diceva, a lui era sfuggita la parte del
“bordello
travestito”, probabilmente perché conoscendolo i
suoi commilitoni non
gliel’avevano detto e basta, e quando ha capito dove si
trovava realmente non
ha voluto saperne…ma lui è effettivamente andato
in quel posto, ci è rimasto a
sufficienza da avere il tempo materiale di intrattenersi con una
lavoratrice, e
causa solidarietà maschile le testimonianze dei suoi
colleghi non sono granché
attendibili. Personalmente gli credo senza dubbio alcuno, sapendo che
tipo di
persona è, ma non ho prove concrete che dimostrino la sua
innocenza.
«appunto.
Mi raccomando, quando Aleha ti contatterà per
chiederti conferma, perché ovviamente lo farà, tu
evita di dire che lo ritieni
innocente» disse, con un tono abbastanza neutro
«Elaja, ti ringrazio. Ci
vediamo qui in clinica tra una settimana, massimo due».
‒ sono io che
ringrazio te. Non vedo l’ora di andarmene di
qui…del resto stare al fronte non
è qualcosa che ho scelto io.
«posso
immaginarlo. A presto».
Si
alzò e interruppe la comunicazione, sentendosi
quasi sollevata per qualche breve
istante. Tuttavia, già
prima di andare sotto la
doccia, si rese conto che era ancora lontana dal poter cantare
vittoria. Non
sarebbe stato saggio farlo, almeno fino a quando non avesse sentito
Aleha dire
addio a quello stupido ragazzo, e magari l’avesse
rimpiazzato.
Per
folle che potesse sembrare, Spear aveva iniziato da
tempo a dare un’occhiata ad alcuni possibili candidati: tra questi c’era
un neurologo di un anno più
giovane di lei, che lavorava in quella stessa clinica, che ovviamente
già
conosceva entrambe, e che inizialmente aveva fatto una corte discreta
ad Aleha.
Non era un tipo appiccicoso ed insistente, e aveva desistito appena lei
gli
aveva detto di essere impegnata…ma a breve quello non
sarebbe più stato un
problema.
***
«sono
tornata!» annunciò Aleha entrando in casa. Era
un’abitudine che aveva preso anni addietro, e non
l’aveva ancora persa benché
spesso si trovasse ad annunciare il suo arrivo a una casa vuota.
«Spear, ci
sei?...»
La
sera prima sua sorella non era tornata a casa, ma la cosa
non l’aveva stupita più di tanto. Aveva intuito
come sarebbe andata da quando
le aveva domandato “oggi torni?” e lei, senza
sollevare lo sguardo da quel che
stava facendo, aveva risposto “mh”. Probabilmente
non l’aveva neppure sentita,
com’era successo altre volte.
«sì,
ci sono. Vieni in cucina, la cena è in tavola».
Tolti
cappotto e scarpe, Aleha raggiunse la sorella in
cucina. «ieri sera mi avevi detto che saresti tornata a
casa».
«ah
sì?» ecco, appunto: non l’aveva neppure
sentita!
«scusami, mi sono messa a esaminare alcuni report dei casi di
Sindrome di
Tera’shat, e sai com’è che vanno a
finire queste cose. Probabilmente avrei
continuato fino a chissà quanto, se non avessi ricevuto una
chiamata da
Elaja…ricordi Elaja, giusto?»
Ovvio
che la ricordava, ogni tanto si
sentivano tuttora.
Magari Aleha non aveva un comunicatore personale come quello di sua
sorella
-aveva solo un cercapersone- ma c’era sempre la linea fissa
di casa. «certo,
anche se non parlo con lei da un po’. Dovrei proprio
chiamarla appena
possibile! Come sta? Da quel che hai detto mi è parso di
capire che ti abbia
chiamata a un’ora piuttosto tarda…»
osservò la ragazza, leggermente allarmata.
«sì,
è così. Nulla di che, lei sta bene…per
bene che si
possa stare al fronte, ovviamente».
Qualcosa
non andava: mentre aveva
parlato, Spear non l’aveva
mai guardata in faccia, e ciò non prometteva nulla di buono.
«di Kozmotis ha
detto nulla?»
«mh».
Prima
non la guardava negli occhi,
ora esitava a
risponderle: cosa accidenti stava succedendo? «Spear, gli
è successo
qualcosa?!»
«Kozmotis
sta
benissimo e si diverte anche, da
quel
che mi ha detto. Non preoccuparti per lui. Mangiamo?»
La
risposta della sorella le diede
sollievo solo in parte,
perché aveva percepito la sottile venatura di disprezzo con
cui aveva
sottolineato quel “si diverte”. C’era
qualcosa riguardante il suo ragazzo che
lei non sembrava volerle dire, e questo stava iniziando a darle una
certa
ansia. «mangerò solo quando mi dirai quello che
non vuoi dirmi, qualunque cosa
sia!»
Spear
sollevò finalmente
gli occhi dal piatto. «io te lo
direi, ma trattandosi di quel ragazzo tu non mi crederesti a
prescindere.
Quindi a che pro?»
«tu
intanto parla, poi se
crederci o meno lo deciderò io»
ribatté Aleha «ma non puoi lanciare il sasso e
nascondere la mano».
«io
non ho lanciato sassi
né nascosto mani. Tu domandi, io
rispondo».
Iniziava
a temere il peggio, anche se
non era ancora in
grado di dargli una forma. Cos’aveva combinato Kozmotis
perché Spear, col
carattere che aveva, fosse così reticente? Se non parlava
poteva esserci un
solo motivo, ossia perché temeva di ferirla, e non poco.
«e allora rispondimi
anche adesso! Cosa ti ha detto Elaja?!»
Davanti
alla sua testardaggine, dopo
un’ultima esitazione,
Spear parve rassegnarsi. «Aleha, premetto che nonostante quel
che ho saputo non
penso che lui sia cattivo. È un ragazzo di diciotto anni,
quindi ha i suoi
bisogni, i suoi istinti, voi due vi
vedete molto poco, per cui è ovvio che lui finisca
per…insomma, non so quanta
lealtà si possa pretendere da un militare diciottenne in
missione. Certo, lui
avrebbe potuto essere più onesto con te e ammettere di non
volere una relazione
che prevedesse reciproca fedeltà a livello fisico,
invece di professarti lealtà, rassicurarti di pensare e
volere solo te, mentre
poi…»
Aleha
iniziò a capire dove
Spear voleva andare a parare,
tanto che sentì il bisogno di sedersi. Non poteva
né voleva credere a quel che
stava sentendo. Doveva esserci uno sbaglio, non era possibile: lei e
Kozmotis
si erano sentiti solo tre giorni prima, e lui le aveva fatto proprio
tutte
quelle rassicurazioni di cui Spear aveva parlato. Non poteva essere
stato con
un’altra ragazza, o forse anche più di una. Non
era nella sua natura, e
comunque non vedeva dove avrebbe potuto trovarne una laggiù,
in missione.
A parte Elaja stessa.
E le infermiere.
E magari, nelle rare sere di libera
uscita, le lavoratrici
di qualche locale notturno, o di un…no!
Impossibile.
«non
mi ha
tradita».
Spear
poggiò una mano
fredda sopra la sua. «ti avevo detto
che non mi avresti creduta. Elaja mi ha detto che lui e gli altri
ufficiali
avevano la libera uscita, e sono andati tutti quanti in un bordello.
Lui è
tornato prima degli altri, ma ha avuto tutto il tempo di fare quel che
si va a
fare in certi posti».
«no!»
gridò la
ragazza, sbattendo un pugno sul tavolo «io non ci credo, non
è possibile, non
l’avrebbe mai fatto. Lui mi ama, e non andrebbe mai a letto
con un’altra!»
«anche
a me sembrava
assurdo, ma perché Elaja, che è amica
di entrambe, avrebbe dovuto dirmi una stupidaggine? Oltretutto non
c’è neppure
la possibilità che possa aver detto una cosa del genere
perché vuole Kozmotis
per sé: ha altri gusti» le ricordò
Spear.
«magari
ora le piacciono
gli uomini» borbottò Aleha.
«purtroppo
per te io temo
di no, al momento è ancora legata
a quell’infermiera. Se non credi alle mie parole puoi sempre
cercare di
contattarla» disse, porgendole il proprio comunicatore
«forse a quest’ora può
risponderti».
Aleha
lo prese senza esitare.
«la chiamo eccome! Non perché
non ti creda, ma magari puoi aver frainteso le sue parole».
«io
non credo proprio, ma
fai pure».
Elaja
rispose dopo tre squilli, e la
conversazione delle due
ragazze andò al sodo dopo brevissimi convenevoli. Purtroppo
per lei, Aleha non
sentì nulla che riuscisse a rincuorarla minimamente, o che
smentisse quel che
aveva detto sua sorella.
‒ ho saputo
dagli
altri ufficiali la destinazione, mentre lui l’ho incontrato
soltanto quando è
tornato. L’ho sentito borbottare qualcosa come “io
credevo fosse un locale
qualunque”, ma francamente non è molto credibile:
anch’io avrei cercato una
qualunque scusa, anche banale come questa, se a farmi domande fosse
stata
un’amica della mia ragazza.
«ma
potrebbe anche non aver
fatto niente per davvero»
obiettò debolmente Aleha «tu per caso hai fatto
qualche domanda a quelli che
erano con lui?»
‒ quel
che dicono loro non
vale granché: non
solo gli ufficiali qui vanno tutti d’accordo, ma gli uomini
tendono a coprirsi
senza esitazioni quando ci sono in ballo certe cose. Senti,
è stato fuori
diverso tempo insieme agli altri, e se vai in un bordello non
è per guardare le
pareti, Aleha. Io ti ho detto quel che so e come la penso, poi
ovviamente sta a
te decidere come regolarti.
Si
salutarono e conclusero la
chiamata. Aleha ormai non
sapeva cosa pensare. Avrebbe voluto credere che il suo ragazzo fosse
davvero
ignaro della vera natura di quel posto, che una volta compresa se ne
fosse
andato, e finirla lì, ma l’opinione di Elaja non
si fondava su elementi campati
per aria, e anche sua sorella non aveva tutti i torti.
Kozmotis la vedeva poco, lui aveva
diciotto anni, la vita da
militare non era semplice, e forse lui aveva davvero sentito il bisogno
di uno sfogo…però
anche lei era giovane, anche
lei lo vedeva poco, e neppure il lavoro di un’infermiera era
precisamente
semplice, ma non per questo andava a cercare un ragazzo qualunque con
cui fare
sesso!
«fare
buoni propositi
è semplice, mantenerli non lo è
altrettanto per tutti» disse Spear, che doveva aver intuito
cosa le passava per
la testa.
«se
sentiva che qualcosa
non andava, perché non me ne ha
parlato l’ultima volta che ci siamo sentiti?
Perché non mi ha confessato che la
nostra lontananza stava diventando difficile da gestire e mi ha detto
tutte
quelle cose, se non era vero? Non è da lui!»
esclamò, in un altro tentativo di
strenua difesa «non è in grado di essere
così meschino!»
«ti
stupirebbe sapere cosa
sono in grado di fare e dire le
persone pur di non perdere i propri “punti
fermi”» replicò sua sorella
«nello
specifico una ragazza con cui “sistemarsi", che sia in grado
di sostenere
una relazione con un militare…e sostenere anche la sua
estrema possessività,
nonché il suo essere così terribilmente eccessivo
e soffocante nei periodi in
cui torna a casa».
«non
è
“estremamente possessivo”, lo è solo
nella giusta
misura, e non è affatto eccessivo e soffocante, ma
premuroso!» protestò Aleha
«mi piace che si prenda cura di me, e non mi spiace che sia
un po’geloso…»
«un
po’, dici? Ti
devo ricordare cosa mi hai detto a riguardo, sorella? Hai dimenticato
che
“guarda storto qualunque ragazzo osi osservarti un
po’troppo a lungo”? O la
volta in cui “ha picchiato un ragazzo che ha osato farti un
apprezzamento”?»
«Spear,
questo è
successo quattro anni fa, ora non lo
rifarebbe!» protestò Aleha.
«o
ancora»
continuò l’altra, imperterrita «il
giorno in cui
hai preso una leggerissima storta alla caviglia sinistra e lui ti ha
portata in
braccio fino a qui…»
«quello
è stato
un gesto carino».
«…attraversando
tre
quartieri a piedi? Tu lo troverai carino, ma se io fossi
stata al tuo posto
mi sarei vergognata non poco. Anzi, non glielo avrei proprio permesso.
Ma
torniamo al discorso principale: cosa intendi fare adesso?
Ciò che ti ha
riferito Elaja non lascia molti dubbi su quel che è
successo».
Avevano
divagato per un
po’, ma ecco che il problema
principale si ripresentava in tutta la sua grandezza. Pensare a lui a
letto con
un’altra faceva molto male, e ancor di più che lui
non fosse stato sincero nel
dirle come si sentiva realmente. Se lo fosse stato avrebbero potuto
discuterne
e regolarsi di conseguenza: magari avrebbero finito lo stesso col
lasciarsi, e
non sarebbe stato piacevole, ma sarebbe stato meglio così
piuttosto che venire
a conoscenza di un tradimento.
Cos’avrebbe fatto?
Si sentiva più delusa e
ferita che arrabbiata, e continuava
ad amarlo lo stesso; più rifletteva, più
finiva col confondersi. Che
lasciarlo libero fosse meglio per entrambi? O no?
«prima
di prendere
qualsiasi decisione voglio parlare anche
con lui. Gli dirò quello che ho saputo, e se sarà
abbastanza onesto almeno da
ammettere di avermi tradita, se dirà che è stato
solo uno sbaglio di cui si è
pentito e prometterà di non rifarlo, io…potrei
anche provare a passarci sopra,
credo. Sì, sapevo che non avresti approvato»
aggiunse Aleha, vedendo Spear
passarsi una mano sul volto «oppure, se ammetterà
quel che ha fatto e di non
sentirsela di sostenere ancora una relazione a distanza, ci lasceremo
e…e
basta».
«e
se invece
negherà spudoratamente?»
Aleha
scrollò le spalle,
con aria afflitta. «non lo so.
Immagino che mi prenderò una pausa…»
«che
è come
lasciarlo, visto e considerato che Kozmotis non
tornerà prima di altri quattro mesi».
«hai
ragione anche su
questo» ammise «però sarebbe veramente
dura».
Spear
sollevò un
sopracciglio. «più dura di quando è
morto
nostro padre? Di quando abbiamo detto a tutti che mamma aveva trovato
lavoro
altrove e ci mandava i soldi, quando invece era qui a languire nel
letto come l’inutile
ameba che ha dimostrato di essere?
Sei più che in grado di sopportare la
fine di una relazione a
distanza».
«ho
passato momenti
peggiori, ma non è facile lo stesso. Non
è una relazione a distanza qualsiasi, io lo amo da sempre.
Lo amavo anche prima
di rendermene conto. Non ho mai avuto altri che lui, non ho mai pensato
ad
altri che lui. Ho sempre creduto che l’avrei sposato, un
giorno…e prima di
iniziare a dispiacermi per la fine della nostra relazione
aspetterò che questa
arrivi, se mai arriverà davvero».
***
«…io sto bene,
ma quattro mesi sono troppo lunghi. Per
fortuna possiamo almeno sentirci ogni tanto, altrimenti diventerei
pazzo, e
quell’ “ogni tanto” non è mai
abbastanza».
Kozmotis
aveva chiamato Aleha appena
aveva potuto, e se
pensava a cos’era accaduto solo due sere prima
s’innervosiva ancora. I suoi
colleghi ufficiali lo avevano trascinato fuori durante la libera
uscita,
promettendogli che “sarebbe stata una cosa tranquilla e
sarebbero tornati
presto”. Ebbene, non solo avevano passato buona
metà della serata andando da un
pub a un altro di quella cittadina di confine, ma avevano anche
concluso il
tutto in un locale notturno che poi si era rivelato essere nientemeno
che un
bordello!
Lui non ne aveva idea, ma gli altri
lo sapevano eccome, e
glielo avevano nascosto di proposito, oltretutto istigandolo a
“divertirsi un
po’con le signorine”. Lui ovviamente non
c’era stato, aveva salutato tutti ed
era tornato alla base, maledicendosi per aver accettato di andare con
loro:
avrebbe potuto sfruttare quel tempo per contattare Aleha, cosa che a
quel punto
non aveva potuto più fare, perché si era fatto
troppo tardi. Quindi era
semplicemente andato a letto, dopo aver scambiato due chiacchiere con
la
dottoressa della loro piccola armata, che aveva incontrato per caso.
‒ già,
non lo è mai.
Ora
però non gli importava
molto dei commilitoni cretini.
C’era qualcosa che non andava in Aleha, e l’aveva
percepito dall’inizio di
quella chiamata. Magari era colpa di una giornata lavorativa
particolarmente
pesante o qualcosa di simile, ma c’era uno strano e
immotivato campanello
d’allarme che aveva iniziato a risuonargli in
testa…
‒ senti…a
parte questo
c’è dell’altro
che vorresti dirmi?
E
non solo non voleva saperne di
smettere, ma al momento
suonava ancor più forte di prima.
«sì,
certo.
Abbiamo bloccato un gruppetto di Dream Pirates
ieri mattina. Per fortuna ce la siamo sbrigata in fretta, non ci sono
stati
feriti, e non abbiamo ucciso nessuno dei nemici: li abbiamo catturati
tutti e
spediti nella Prigione Maxima. Preferisco sempre questo ad
un’uccisione, e la
maggior parte dei miei colleghi ufficiali inizia a pensarla come
me».
‒ ne sono
felice, ma
non era quel che intendevo. Kozmotis…tu sei soddisfatto
della nostra relazione,
anche se adesso è più a distanza che altro? Non
ti pesa neanche a
livello…fisico?
Ecco.
Ecco il
perché del campanello d’allarme. Quella domanda
non gli piaceva per nulla, e
gli stava causando una certa agitazione: perché Aleha se
n’era uscita
improvvisamente con delle frasi del genere? Era a dir poco strano,
anzi,
preoccupante. «amo il mio lavoro, ma vivo per i momenti in
cui posso tornare a
casa e rivederti, e quei momenti valgono tutti quelli in cui siamo
lontani,
quindi direi di no, che non mi pesa. Tu invece…»
si fece coraggio, volendo
andare a fondo della questione «è tutto a
posto?»
Aleha
rimase in silenzio per qualche
istante di troppo, e
lui iniziò a sentirsi molto più che agitato e
preoccupato. Cosa stava
succedendo?! Fino a pochi giorni prima era tutto ok!
‒ no, non lo
è, perché
continui a dirmi che è tutto a posto, che stare lontani non
ti pesa, e poi vai
a divertirti in un bordello. E non provare a negarlo, lo so che ci sei
andato.
Kozmotis
si sentì
stringere in una morsa ghiacciata. Lui non
aveva niente di cui rimproverarsi, se non l’essere stato un
po’troppo ingenuo,
ma vai a sapere cos’avevano detto ad Aleha!
«tu…c-come l’hai saputo?! Aaah, ma
che dico! Aleha, ascoltami, non so cosa ti hanno detto ma ti giuro che
non ho
fatto niente che possa dispiacerti! Sì, sono andato in quel
posto» ammise «ma
non ho toccato nessuna di quelle ragazze, davvero!»
‒ forse
pensi che sia
stupida, ma si sa che chi va in certi posti non lo fa per i complementi
d’arredamento. Perché mi menti ancora? Abbi almeno
il coraggio di ammetterlo!
Io capisco che la nostra non è una situazione semplice, e se
hai avuto un…un
cedimento…è
comprensibile,
ma-
«non
posso ammettere di
aver fatto qualcosa, se non l’ho
fatto!» la interruppe, ormai preoccupato quanto innervosito
dalla mancanza di
fiducia della sua ragazza «non ti ho tradita, non ti avrei
mai mancato di
rispetto in questo modo, e non esistono “cedimenti
comprensibili”!...non sarà
forse che stai facendo tutto questo discorso perché ne hai
avuto uno tu?!»
‒…per
gli Dei, è
proprio come aveva previsto Spear, ti ho messo alle strette a stai
accusando me
di qualcosa che hai fatto tu!
Spear.
Avrebbe dovuto immaginare lei che
c’entrasse in qualche
modo, e se era così doveva necessariamente cercare di darsi
una calmata e
correre ai ripari, tentando di convincere Aleha della sua innocenza
senza
muoverle altre accuse cretine. In caso contrario avrebbe soltanto fatto
il
gioco di quella maledetta strega, che di certo aveva messo in testa ad
Aleha
chissà cosa! «scusa. Scusami. Mi sono innervosito
e ho detto un’idiozia. So che
mi sei fedele, e ti giuro su tutto quel che vuoi che lo sono anche
io!» esclamò
«io tengo troppo a noi due per rovinare tutto in questo modo,
davvero, se solo
adesso potessimo parlare faccia a faccia sono sicuro che tu-»
‒ ma non
possiamo.
Kozmotis, è difficile anche solo pensarlo, ma forse
dovremmo…tu sei un
militare, e sei…sei un ragazzo giovane, hai i tuoi
istinti…
«Aleha,
no. Non dire altro.
Non dire altro, per favore» la
pregò, con la voce che tremava leggermente. Sentirla
iniziare a piangere, poi,
fu un’ulteriore fonte di sofferenza.
‒ separarci
sarà
difficile per tutti e due, ma forse è meglio
così, e non lo dico perché ce l’ho
con te: ti amo, e continuerò a farlo sempre, ma è
giusto che io ti lasci libero
di fare quello in cui sei più bravo, ossia difendere il
regno, e di poterti
sfogare quanto e con chi vuoi senza pensieri. Ti auguro ogni bene.
«io
non voglio che ci
lasciamo, non ti voglio perdere. Non
so cosa ti hanno detto, io però non ho fatto
niente» ripeté il ragazzo «non ho
fatto niente…»
Ma
ormai ad ascoltarlo non
c’era altro che il ronzio che
accompagnava una chiamata conclusa.
Rimase lì per un pezzo,
immobile come una statua, a lasciare
che il mondo gli crollasse addosso e, contemporaneamente, la terra gli
svanisse
da sotto i piedi.
La sua storia con Aleha era finita e
lui, così distante
dalla sua amata, avrebbe potuto fare ben poco per riconquistarla. Non
avrebbe
potuto rivederla prima di altri quattro mesi, e quattro mesi erano
un’eternità,
ora più che mai.
***
«lui si ostina a dire che
è tutto a posto, ma non lo
è…sentite, qualcuno ha idea di
cosa gli stia succedendo?»
Gli
altri ufficiali, da una nove a
quella parte, avevano
notato nel loro commilitone Kozmotis uno strano cambio di
atteggiamento.
I primi cinque giorni
l’avevano visto a terra, anzi, molto
a terra -sebbene il modo in cui
combatteva non ne avesse risentito-: avevano cercato di indagare,
ognuno per
conto proprio, senza ottenere nulla di concreto.
In seguito, ecco che qualcosa era
cambiato di nuovo: nel
tempo libero lo vedevano alternarsi tra momenti in cui rimuginava
chissà cosa
senza sosta, ed altri in cui si metteva a fare domande di vario tipo,
spesso
riguardanti l’ultima libera uscita.
«non
ne sono sicuro, ma
inizio a pensare che abbia qualche
problema con la sua ragazza. Mi sa che ha saputo
dov’è che siamo stati l’ultima
volta…»
«e
allora come fa lui
ad avere problemi?! Se mai potrei averne io, se la mia ragazza venisse
a saperlo»
commentò un capitano «ma Pitch è
più fedele di un cagnolino, e se lei ha
qualche dubbio allora non lo conosce bene!»
Quell’affermazione
ebbe il
pieno consenso dell’intero
gruppo: non c’era persona più leale e onesta di
Kozmotis, ed era chiaro a
chiunque lo frequentasse.
«non
so cos’abbia
in mente…stamattina l’ho visto confabulare
persino con un’infermiera. Quella che stava con la
dottoressa, per capirci».
«ah,
non mi ci far
pensare» sospirò un tenente «lei
sarà
anche stata contenta di abbandonare il fronte e andare in una clinica,
ma noi
abbiamo perso una dottoressa valida, e dobbiamo solo sperare che il suo
sostituto sia all’altezza. Comunque sia, io volevo fare una
proposta: perché
non andiamo tutti dal capitano Pitch e gli offriamo il nostro aiuto?
Così
facendo forse sarà un po’più
tranquillo».
Anche
stavolta gli ufficiali furono
tutti d’accordo, e si
misero alla sua ricerca. Lo trovarono poco dopo nel cortiletto
interno,
immerso nei propri pensieri.
«capitano».
Kozmotis
impiegò qualche
secondo a riscuotersi e dare
un’occhiata a tutto il gruppetto. «siete qui tutti
riuniti…devo preoccuparmi?»
«a
dire il vero siamo noi
ad essere preoccupati» disse
l’altro capitano suo pari «ci siamo accorti tutti
che c’è qualcosa che non va,
ed è inutile che provi a negarlo. Se ci dici di cosa si
tratta possiamo provare
a darti una mano».
Oh
sì, era molto carino da
parte loro offrirgli un aiuto
dopo aver contribuito involontariamente a metterlo nei guai. Proprio
per quell’
“involontariamente”, tuttavia, non riusciva ad
avercela con loro neppure
provandoci. In quei giorni aveva rimuginato, raccolto informazioni, e
si era
fatto un’idea abbastanza precisa di come dovessero essere
andate le cose; se
aveva ragione, e non vedeva perché non dovesse essere
così, nessuno degli
uomini che gli stavano davanti era coinvolto nel complotto, e forse
potevano
aiutarlo…o comunque essergli di sostegno.
«sono
vittima di un
complotto, signori miei, e penso anche
di sapere i chi, il come e i perché. Qui strega
ci cova».
«strega,
signore?» allibì il tenente, un
po’perplesso.
Kozmotis
fece cenno di sedersi, e
loro obbedirono senza
storie, piuttosto incuriositi dalla vicenda.
«cercherò
di
tagliare corto per quanto posso. Voi dovete
sapere che Spear, la sorella della mia ragazza…anzi, ex ragazza» si corresse,
facendo violenza su se stesso «mi detesta
da quando ero un bambino, e da sempre non ha fatto altro che parlarle
male di
me…»
«dovrebbe
farsi un
po’di cazzi suoi» fu il commento triviale
dell’altro capitano.
«parole
sante»
concordò Kozmotis, per una volta senza fare commenti sul
linguaggio «finora si era limitata a
questo, e la cosa non ha toccato né me né Aleha,
ma stavolta si è spinta oltre.
Ho fatto un po’di indagini qui, le ho ricollegate ad alcuni
episodi, e mi sono
fatto un’idea abbastanza precisa. Credo che
Elaja…avete tutti presente il nome
della dottoressa che avevamo fino a tre giorni fa, no?…fosse
in combutta con
quella strega».
L’infermiera
con cui Elaja
aveva avuto una relazione l’aveva
sentita parlare con qualcuno al telefono quella stessa sera e, da quel
che gli
aveva riferito, Kozmotis aveva capito che la dottoressa parlava proprio
di lui,
sebbene non lo avesse nominato direttamente.
«in
combutta
come?»
«la
cara dottoressa Willow
avrebbe dovuto tenermi d’occhio e
riferirle ogni informazione utile, e Spear le avrebbe fatto avere un
posto
nella clinica dove lavora» disse Kozmotis
«pensateci bene: Aleha viene a sapere
da qualcuno della nostra libera uscita -in chissà quali
termini!- mi lascia, e
guarda caso Elaja viene trasferita in una clinica nel territorio degli
Orion
pochi giorni dopo!»
«non
vorrei contraddirti,
Pitch, ma mi sembra un
po’improbabile e macchinoso» obiettò il
capitano.
«diventa
meno improbabile e
macchinoso se consideri che
Elaja è stata una specializzanda di Spear, e che frequentava
sia lei che Aleha
al di fuori del lavoro».
«aspettate,
capitano…allora la Spear di cui parlate è la
dottoressa Sinetenebris?» domandò il tenente.
«sì,
la strega
di cui parlo è proprio lei. La conosci?»
indagò Kozmotis, un po’sorpreso.
«io
no, ma mia madre
è una capo infermiera proprio nella
clinica dove lavora lei. Ogni tanto la nomina. Non le ha mai dato della
strega,
ma non l’ha neppure definita amabile. Pare che il direttore
le permetta di fare
il bello e il cattivo tempo, là dentro».
«quindi
per farle avere
quel posto le sarebbe bastato
chiedere» concluse Kozmotis.
«signore,
se volete posso
chiedere a mamma se ora la
dottoressa Willow lavora lì per davvero. Come
conferma».
«è
un’ottima idea» annuì Pitchiner
«e ti ringrazio».
«una
cosa però
va detta: al tuo posto non so se mi darei
tanta pena per una ragazza che si fa manovrare in questo modo dalla
sorella»
disse l’altro capitano «non sembra molto
sveglia».
Kozmotis
gli diede
un’occhiataccia. Non importava che Aleha
lo avesse lasciato, non avrebbe mai tollerato che qualcuno ne parlasse
male. «è
una persona intelligente, ma quando c’è di mezzo
Spear abbassa la guardia.
Tutto qui».
Riusciva
a comprendere
l’attaccamento di Aleha a Spear: la
madre delle due sorelle, in seguito alla morte del marito, aveva
trovato lavoro
altrove, limitandosi a spedire alle figlie i soldi che servivano fino a
quando
si era ammalata ed era morta; dunque era stata Spear ad accudire Aleha
in tutti
quegli anni, e a farle realmente da madre. Così gli aveva
detto Aleha.
Tanto secondo lui quanto secondo sua
madre era stato
tremendo da parte della signora Sinetenebris
lasciare sole le figlie in un momento del genere, ma
l’aveva fatto per
poterle mantenere, e ciò le dava un minimo di
giustificazione.
«come
vuoi. Dopo? Cosa
intendi fare?»
«finché
sono qui
cercherò di contattarla come posso e più
che posso. Avrò più libertà di manovra
solo tra più di tre mesi e mezzo, lo
so…ma non voglio arrendermi».
Buonasera :)
Avendo già diversi
capitoli pronti conto di aggiornare questa raccolta a cadenza
settimanale, giorno più giorno meno, e se le pubblicazioni
saranno così "distanti" l'una dall'altra è
soltanto perché voglio cercare di dare a tutti quanti il
tempo per leggere. Di conseguenza, a chi è arrivato fin qui
-e soprattutto a chi interessa :'D- comunico che potrà
leggere il seguito di questa "soap opera" non più tardi
della prossima settimana!
Che dire...era ben intuibile
già dal precendente capitolo che i rapporti tra i due futuri
cognati -posso chiamarli così, tanto sapete tutti che Aleha
è la futura Lady Pitchiner- non fossero propriamente dei
migliori, ma credo che da qui si possa intuire ancora meglio che, per
tentare di proteggere sua sorella, Spear non si limita alle parole.
Non che questo sia il peggio che farà, non credete :'D
Ringrazio tutti coloro che danno
un'occhiata anche questa
raccolta, oltre al resto. In particolar modo i miei ringraziamenti
vanno a vermissen_stern per i suoi commenti, e a Ialeya per aver
inserito tra le storie seguite questo patetico
tentativo di creare una raccolta decente su
una Golden Age piena di gente che, alla faccia di quanto si diceva nel
canon,
complotta come non so cosa questo insieme di one
shot che è una sorta di prequel
di “La Luna Dorata” :)
Alla prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 4 *** 4. Soap Opera- parte II ***
= Soap Opera- parte
II =
Erano già passati due mesi
da quando aveva rotto con
Kozmotis, e ogni giorno continuava a farle male come il primo.
Aveva
cercato di convincersi che
lasciarlo libero fosse la
cosa migliore per tutti e due, e cercato di andare avanti
concentrandosi sul
lavoro, ma ciò non le aveva risparmiato notti e notti di
pianti. Era ancor più
difficile di quanto aveva creduto che sarebbe stato, ed era incredibile
come
l’assenza di Kozmotis la facesse sentire incompleta.
Prima
erano lontani fisicamente, ma
non con lo spirito, e
Aleha non aveva capito quanto significasse davvero fin quando questo
non era
venuto a mancare.
Quanto significasse per
lei, almeno: Kozmotis non l’aveva più
cercata, da dopo quell’ultima
chiamata.
Non
poteva lamentarsene, in fin dei
conti era stata lei a
voler troncare, ma per come lo conosceva -e dalla reazione che aveva
avuto- si
sarebbe aspettata altro. Si era preparata a declinare tristemente ogni
suo
tentativo di insistere, forse a lasciar nascere e mantenere un rapporto
d’amicizia o almeno cordiale, e invece no: non aveva ricevuto
una lettera, non
una chiamata, solo silenzio. Era la conferma che lui aspettava da tempo
di
essere liberato dai suoi “obblighi”, ma non aveva
avuto il coraggio di prendere
posizione.
Le risultava strano, e non in linea
col Kozmotis Pitchiner
che conosceva da una vita, ma cos’altro pensare?
«…Aleha,
mi stai
ascoltando?»
«eh?
No, sinceramente no.
Come mai siamo ancora qui?»
Il
loro turno in clinica era finito
ed erano uscite, ma per
qualche motivo erano ancora lì nel cortile. Sicuramente
Spear gliene aveva
parlato, ma non aveva ascoltato, causa pene d’amore e
distrazione.
«perché
questa
sera andiamo a cena fuori con il dottor
Shade. Cain Shade» aggiunse Spear, vedendola perplessa
«il neurologo, Aleha!»
«ah,
sì. Ho
capito».
Dopo
qualche istante di esitazione
Spear si avvicinò e
l’abbracciò. Aleha non si sarebbe opposta in ogni
caso, ma sapendo quanto
fossero rari gesti del genere da parte sua, specie in pubblico, accolse
il
gesto quasi con commozione.
«meglio
che sia accaduto
adesso, piuttosto che tardi.
Passerà, Aleha».
«sì…lo
spero».
«eccomi!
Ho fatto prima che
ho potuto» esclamò il dottor
Shade «scusatemi».
«sono
soltanto cinque
minuti di ritardo, non succede
niente…»
“davvero
ha detto
‘non succede niente’? Spear?
Che è capace di rimproverare qualcuno per un minuto di ritardo?!”
allibì Aleha.
Quella
cena doveva essere
più importante di quanto avesse
immaginato all’inizio e…ah.
Ma certo.
Cain Shade, il neurologo che
l’aveva corteggiata all’inizio,
quando lei e Spear avevano iniziato a lavorare lì.
Incredibile che fosse arrivata a
capire solo adesso che
Spear stava cercando per lei un nuovo ragazzo.
Peccato
che lei non
volesse un nuovo ragazzo. Non era pronta, forse non lo
sarebbe stata mai.
Nulla d’irrisolvibile,
comunque: con sua sorella avrebbe
parlato più tardi, e quanto al resto bastava lasciar
intendere con gentilezza
al dottor Shade di non desiderare una nuova relazione, se mai questi
avesse di
nuovo mostrato interesse.
«andiamo,
signore
mie?»
«andiamo!»
Fortunatamente
per lei, in seguito
Aleha comprese di poter
mettere da parte ogni sua preoccupazione a riguardo.
Cain Shade fu molto carino con lei
per tutta la sera, ma che
non mirasse più a lei era piuttosto chiaro: cercò
di conversare con Spear
quanto più possibile, concordò calorosamente con
ogni sua affermazione, e le
mostrò una particolare premura che, purtroppo per lui, venne
accolta con della
semplice cortesia. Era piuttosto evidente che fosse abbastanza preso da
Spear,
e lo divenne ancor di più una volta usciti.
«comprate
fiori per queste
bellissime ragazze?» domandò al
neurologo un venditore ambulante.
«ma
sì, dai:
dammi due di quelle rose».
Ne
comprò una bianca e una
dorata, e porse la prima ad Aleha
con un gesto gentile. A Spear, invece, regalò quella dorata
solo dopo averle
fatto un perfetto baciamano.
Al povero Shade sfuggì
l’espressione con cui Spear accolse
tale gesto -del tipo “perché diamine stai facendo
una cosa del genere, scemo?”-
ma non ad Aleha, che quasi si lasciò sfuggire una risatina.
Sua sorella aveva
dei piani per lei e quel medico, ma erano indubbiamente andati a rotoli.
«è
stata una bella
serata, ma temo che per me termini ora, dato che sono un
po’stanca. Voi due
però potete sempre rimanere qui a divertirvi».
Nonostante
tutto, Spear non sembrava
volersi arrendere, e
cercò di fare in modo che rimanessero da soli…
«a
dire il vero sono un
po’stanco anche io» disse il
dottore, appena prima che lo facesse Aleha «domani dobbiamo
lavorare tutti e
tre, e forse è meglio concludere».
Ma
poco importava, non
c’era proprio niente da fare.
Il
dottor Shade le
riaccompagnò a casa e, una volta
rientrate, Spear non si curò più di nascondere il
suo scontento. «credo proprio
che sia stata una pessima idea. Ho puntato sul candidato
sbagliato».
«“candidato”!
Non vorrai dirmi che ce ne sono altri? Che ci
saranno altre serate di questo genere? Non so se tu mi credi una
sciocca, ma ho
capito benissimo quel che vuoi fare!»
«e
io sapevo benissimo che
tu avevi capito, Aleha» ribatté
Spear «ma non mi piace vedere che ti struggi in questo modo
per qualcuno a cui
non importa nulla di te».
Erano
parole dure, ma
sentì un leggero rimorso per averle
pronunciate soltanto quando, appena prima di voltarsi e incamminarsi
verso la
sua stanza, la vide asciugarsi velocemente una lacrima.
«grazie mille per
avermelo ricordato, ne avevo proprio bisogno».
«mi
dispiace. Non avrei
dovuto dirlo».
Aleha
fece una breve risata nervosa.
«forse no, non avresti
dovuto, ma le cose stanno proprio così. Potrei prendermela
con te perché hai
detto la verità, ma a che scopo? Non cambierebbe la
realtà dei fatti, e
comunque l’ho voluto io. Mi consola soltanto sapere che lui,
ora che è libero,
è sicuramente felice».
Detto
ciò Aleha
andò a chiudersi nella propria stanza, e Spear
la lasciò andare senza fare ulteriori commenti. Non le
piaceva vederla
soffrire, ma era sicura che ciò che aveva fatto -e stava
facendo- le avrebbe
risparmiato cose ben peggiori.
Non
era perché Kozmotis
non le piaceva particolarmente, e
non era neppure a causa dei motivi oggettivi che aveva esposto a quel
ragazzo
circa un anno prima. Spear sapeva
che
sua sorella doveva tenersi ben lontana da lui, questo era quanto.
Era una consapevolezza dalle origini
indefinite, ma
chiarissima nella sua essenza e, per il bene di Aleha, la dottoressa
intendeva
assecondarla in ogni modo, anche deviando al suo comunicatore personale
ogni
chiamata che arrivasse a casa dal fronte, o facendosi consegnare
lettere non
destinate a lei.
Era
incredibile la
quantità di lettere che Kozmotis aveva
scritto a sua sorella in soli due mesi, e lo era ancor di
più il numero di
chiamate: era come se sfruttasse ogni minimo momento libero tra un
colpo di
pistola a un Dream Pirate e l’altro. La caparbietà
di quel ragazzo era a dir
poco eccezionale.
Peccato fosse anche del tutto
inutile, e che Spear stesse
iniziando a pensare di mandargli un messaggio più concreto rispetto al completo
silenzio…
***
«…»
Quando
Kozmotis aveva creduto di aver
finalmente ricevuto
una risposta da Aleha, dopo due lunghi mesi di silenzio che
l’avevano fatto
disperare, per un attimo era riuscito a sentirsi quasi contento.
Ormai aveva perso il conto di tutte
le chiamate fatte, delle
lettere che aveva scritto.
Aveva
dedicato a questi tentativi
ogni più piccolo momento
di libertà, senza mai darsi pace…e senza ottenere
nulla: non era riuscito a
raggiungerla con le sue chiamate, che venivano puntualmente trasferite
a un
altro numero, e le sue lettere erano tutte cadute nel vuoto.
Non
aveva desistito soltanto grazie
alla sua estrema
testardaggine, e ora eccolo lì, a osservare proprio
l’ultima lettera che le
aveva mandato.
Ridotta in
sottili
strisce di carta da un distruggi documenti e rispedita al mittente.
Aleha
ora lo odiava davvero
così tanto da compiere un gesto
del genere?
Era stata lei e non credergli, era
stata lei a lasciarlo, a
dirgli che l’avrebbe sempre amato e che gli augurava ogni
bene…perché allora
gli stava facendo questo?! Che si fosse stufata della sua insistenza, e
avesse
deciso di farsi intendere in modo più incisivo?
Si
passò una mano sul
viso. Maledetta quella sera di due
mesi prima, maledetta Elaja Willow e, soprattutto, maledetta quella
strega di
Spear. Aveva manovrato tanto che, alla fine, era riuscita ad ottenere
quel che
aveva sempre voluto…
No,
un momento. C’era
qualcosa che non andava.
Osservò
di nuovo i
frammenti della sua lettera, osservò
attentamente la calligrafia con cui era stato scritto il suo nome sulla
busta,
e un nuovo barlume di speranza si fece strada nell’abisso
oscuro di
disperazione in cui era sprofondata la sua situazione sentimentale.
La
scrittura di Aleha era stata
imitata in maniera più che
discreta, ma chiunque fosse stato non era riuscito a renderla ampia e
rotondeggiante quanto avrebbe dovuto, e le parole “Kozmotis
Pitchiner”
sembravano essere state vergate quasi di fretta, come se per lo
scrittore fosse
stato seccante anche soltanto pensarle.
Poi c’era la sua lettera.
Rispedita al mittente? Distrutta,
per giunta da una macchina, come se non valesse neppure lo sforzo di
farlo a
mano?
No. Non era da Aleha. Lo aveva
lasciato, ma non lo avrebbe
mai trattato in quel modo.
Chiuse
bruscamente la busta. Forse le
sue erano le
congetture di un ragazzo innamorato e disperato che non voleva
accettare la realtà,
ma iniziava a pensare che Aleha fosse all’oscuro di tutto
quanto.
Il numero cui venivano trasferite le
chiamate poteva essere
quello del comunicatore personale di Spear, se ne aveva uno, e
c’era la
possibilità che fosse sempre lei a prendersi le sue lettere
e a farle sparire.
Era stata capace di ordire quel complotto con l’aiuto di
Elaja -grazie alla
madre del tenente non c’erano più dubbi- quindi
nascondere lettere e deviare
chiamate non era nulla, a confronto.
Per un attimo pensò di
chiamare direttamente in clinica e
chiedere di Aleha, ma probabilmente sarebbe stato inutile: il
regolamento per
le chiamate durante l’orario di lavoro era di suo molto
rigido -solo emergenze,
per farla breve- e se Spear aveva sufficiente influenza da far assumere
chi voleva,
non avrebbe avuto problemi a parlare ai centralinisti di “un
ex fidanzato di
Aleha troppo insistente”, con le conseguenze del caso.
Ma
se era così, se Aleha
era all’oscuro di tutto…
“se
le cose stanno
così, allora ormai sarà convinta che a me
non importi nulla di lei!” pensò, trattenendosi a
stento dal tirare un pugno
contro il muro.
Era
una cosa che lo stava facendo
diventare matto, e l’unica
parte buona di tutto ciò era che potesse sfogare in
battaglia le proprie
frustrazioni -sempre con del raziocinio- finendo col brillare
più che mai come
guerriero.
“mancano
ancora quasi due
mesi, e io ho le mani legate”.
***
«lo so, ho capito. So che
è una buona offerta, Spear, te
l’ho già detto ieri, ma il territorio degli Hydra
è lontano…»
Spear
minimizzò con un
cenno. «non è poi così lontano,
è
compreso l’alloggio, sarebbe solo per tre mesi, e una volta
finito
raggiungeresti già i requisiti per diventare capo infermiera
qui. Sarebbe assolutamente
fantastico
per la tua carriera».
Aleha
incrociò le braccia
davanti al petto prosperoso, ben
poco convinta, accomodandosi meglio nella poltrona
dell’ufficio di Spear. «io
non ho tutta questa fretta, se anche ci volesse un po’di
più andrebbe bene lo
stesso. Ho passato la maggior parte della mia vita qui, nel territorio
degli
Orion, e le volte che ne sono uscita non ero mai da sola. Con me
c’eri tu».
«c’è
sempre una prima volta, poi ripeto, sono soltanto tre
mesi, e io verrei a trovarti ogni volta che posso. Per non parlare del
fatto
che, accettando, eviteresti incontri
indesiderati. Questo trasferimento temporaneo dura proprio
il giusto
periodo di tempo. Colui Che Non Deve Essere Nominato torna questa
sera» le
ricordò «e se rimani qui non potrai evitare di
tornare a casa per tre mesi, ti
pare?»
«non
chiamarlo in quel
modo, è bruttissimo» la rimproverò
Aleha «anche perché sei solo tu
che
non lo vuoi nominare. Mi è dispiaciuto che non mi abbia
più scritto, ma in
fondo l’ho lasciato io, quindi non posso né voglio
detestarlo, e non avrei
problemi a incontrarlo».
«quindi
se mi hai chiesto
il permesso di passare la notte
qui nel mio ufficio è perché non hai problemi a
incontrarlo?»
Aleha
decise di ignorare la domanda
retorica della sorella,
concentrandosi su un altro dettaglio.
«…però quel che mi ha detto sua madre
stamattina è strano».
«perché?
Cosa ti
ha detto?» indagò Spear.
«non
sapeva che abbiamo
rotto. È rimasta basita quando
gliel’ho detto. Mi domando perché Kozmotis non le
abbia raccontato nulla» fece
spallucce «non me lo spiego. Forse è stato per non
darle un
dispiacere?...Spear, smetti di mordicchiare la penna e di’
qualcosa!»
La
dottoressa aveva pensato che la
signora Pitchiner avesse
saputo della rottura di Aleha e
Kozmotis, ma che avesse evitato di intromettersi in qualcosa che non la
riguardava affatto. Invece no, ne era venuta a conoscenza solo quella
mattina…
“e
chi se ne importa, lo
vogliamo dire?”
«non
ho idea di come
funzionino le teste delle persone
quando sono vuote. Evidentemente non vuole raccontarle tutti i fatti
suoi, che
devo dirti? Se le avesse detto che l’hai lasciato avrebbe
anche dovuto
spiegarle perché, e magari non aveva voglia né di
inventarsi una qualche balla,
né di dirle che era andato a prostitute».
«smettila
di dirlo, va
bene? So benissimo che cos’ha fatto, e
sbagli se pensi che ricordarmelo farà sì che io
inizi a odiarlo. Non accadrà
mai».
«sei
davvero
incredibile» sospirò Spear «io penso
che, se
avessi saputo una cosa del genere, l’avrei odiato per cinque
lunghissimi minuti
e poi ne avrei dannato in perpetuo la memoria».
Che
poi il povero Kozmotis fosse del
tutto innocente era un
piccolo
dettaglio di nessunissimo conto.
Aleha
alzò gli occhi al
soffitto. «ovviamente. Ma dov’eri
quando gli Dei distribuivano la bontà
d’animo?»
«a
studiare medicina,
immagino».
[…]
«non restare qui fuori al
freddo, finirai per ammalarti».
«no,
mamma, tranquilla.
Sono stato in posti in cui era molto
più freddo di così, quindi…»
Si
era preso giusto il tempo di
salutarla, posare quei pochi
bagagli e cambiarsi, poi eccolo: si era messo a sedere lì
fuori, sulle scale
davanti alla porta, e non si era più mosso.
Non c’erano molti dubbi
sulla persona che suo figlio stava
aspettando, ma iniziava a temere che l’attesa sarebbe
risultata vana: le
sorelle Sinetenebris avevano sforato di molto l’orario di
rientro, ormai. «non
penso che stasera torneranno».
«turno
di notte?»
«teoricamente
no».
«allora
non mi
muoverò di qui. Se non ha il turno di notte,
non vedo alcun motivo per cui non dovrebbe tornare».
La
signora Pitchiner alzò
gli occhi al cielo. «davvero? Non
ne vedi neppure uno?...Kozmotis Pitchiner, tu pensavi davvero che non
sarei
venuta a saperlo?!»
Lui
abbassò gli occhi.
«speravo di risolvere la cosa prima
che ti arrivasse alle orecchie, ma avrei dovuto
immaginare…»
«non
solo
“avresti dovuto immaginare”, ma avresti dovuto
essere il primo a parlarmene. Dai, torniamo dentro» lo
esortò, e Kozmotis si
alzò con un sospiro «si può sapere
cos’è successo?»
«è
successo che
ci siamo lasciati» borbottò. Non aveva
voglia di parlarne, men che meno con lei: che razza di uomo -e di
soldato-
sarebbe stato, se no? Uno che andava a lamentarsi da sua madre per cose
come
quella?
Sarebbe stato vergognoso, dal suo
punto di vista.
«già,
e questo
è tutto quel che so».
Sia
lei che Aleha avevano i loro
impegni, e non erano pochi
-Aleha in particolare, proprio per quel che era successo, si era
gettata più
che mai nel lavoro- per cui in quei quattro mesi avevano avuto giusto
il tempo
di salutarsi; le volte in cui l’aveva vista le era sembrata
piuttosto giù, ma
aveva pensato che fosse proprio per via dell’eccessiva mole
di lavoro, e non si
era preoccupata granché.
Solo quella mattina aveva capito che
forse c’erano ben altri
motivi, e le era dispiaciuto non poco: quella ragazza le piaceva
moltissimo sia
come persona che come ragazza di suo figlio, nonostante la storia
familiare
delle Sinetenebris presentasse, a suo avviso, diversi punti
oscuri.
«te
ne ha parlato
Aleha?»
«sì».
«ti
è
sembrato…» avviò a dire, esitante
«ti è sembrato che
lei mi odiasse?»
«no.
Mi è
sembrata solo un po’triste».
Kozmotis
annuì,
decisamente abbattuto. Meglio questo
dell’odio, ma non sopportava di saperla triste.
«capito».
«mi
ha anche detto che
c’è la possibilità che vada tre mesi
in una clinica nel territorio degli Hydra, ovviamente per
lavoro».
Kozmotis
sgranò gli occhi,
con un’espressione di sofferenza
pura sul volto. Le possibilità di tornare con lei non erano
molte, ma se Aleha
fosse andata via adesso l’avrebbe persa per sempre, senza
possibilità di
scampo.
Sicuramente c’entrava Spear
anche stavolta, non poteva
essere un caso che il trasferimento temporaneo di Aleha durasse proprio
tre
mesi, l’arco di tempo in cui lui sarebbe stato a casa.
«ci mancava solo questo,
se adesso se ne va io…» si passò una
mano sul volto «mamma, davvero, non ho
voglia di discuterne».
«se
ne discutessimo forse
potrei aiutarti».
«no
che non
puoi!» sbottò lui, innervosito, senza guardarla
più in faccia «e adesso basta, non sono
dell’umore, ti ho detto che non ne
voglio parlare!»
“che
ragazzo
cocciuto!” pensò la signora, decisissima non
arrendersi. «ma si può sapere cos’hai
combinato di tanto grave da-»
«io
non ho fatto
niente!» gridò il ragazzo «io
non ho fatto…non ho fatto niente…»
La
signora Pitchiner
ammutolì.
Aveva visto da subito che Kozmotis
non stava bene, se ne
sarebbe resa conto anche senza sapere della sua rottura con Aleha, ma
solo
adesso capiva com’era messo realmente. Suo figlio non era il
tipo di persona
che piangeva facilmente, tantomeno a dirotto, ma era proprio
ciò che stava
facendo in quel momento.
«adesso
ti siedi, ti sfoghi
a dovere, e poi mi racconti
cos’è successo. Non accetto un
“no” come risposta».
Detto
ciò rimase in
silenzio per qualche minuto, limitandosi
ad abbracciare e coccolare il figlio. Poco che importava che fosse
adulto e
fosse un capitano dell’esercito, lei era sempre sua madre,
essergli di sostegno
era suo preciso dovere, e non c’erano età o grado
che tenessero; per non
parlare del fatto che le pene d’amore facevano male anche a
persone di oltre quarant’anni,
quindi figurarsi cos’erano per un diciottenne che, in tutta
la vita, aveva
avuto una sola e unica ragazza.
«è
stato tutto
un complotto, mamma» mormorò lui dopo un
po’
«ha fatto tutto sua sorella, che mi detesta».
«chi,
Spear? E da
quando?!» si stupì la signora.
«da
sempre. Lei
non vuole che io stia con Aleha, me l’ha detto più
volte…un anno fa mi ha detto
che se rimanessi con lei diventerei un fidanzato, marito e padre
assente, e che
questo non va bene per Aleha! Ma sono convinto che in realtà
siano solo scuse,
io non le piaccio e basta».
«perché
non mi
hai detto nulla neppure di questo?»
«non
posso venire a
lamentarmi da te per ogni piccolezza».
«è
vero, ma
queste non sono piccolezze, e tu hai parlato
addirittura di un complotto ai tuoi danni!»
«le
ho considerate
piccolezze perché fino a quattro mesi fa
si era limitata a parlare, ma poi…mamma, ascolta, io adesso
ti racconto tutto
quanto, ma tu devi essere disposta a credermi, va bene?»
«va
bene».
Kozmotis
tenne fede a quel che aveva
detto raccontandole
tutto quanto, dal difficile rapporto con Spear a quella libera uscita,
dall’ultima chiamata tra lui e Aleha alle prove che
coinvolgevano la dottoressa
Elaja Willow, dal silenzio completo alle lettere distrutte e rispedite
al
mittente, che aveva conservato e che le mostrò.
Più
andava avanti nel suo
racconto, più la signora Pitchiner
si stupiva. Le informazioni che aveva raccolto sembravano dare ragione
a suo
figlio, e non esitò minimamente a credere che avesse
lasciato immediatamente
quel bordello -pur comprendendo che Aleha, alla quale era stato
raccontato
tutto in chissà che modo, non ci fosse riuscita-.
«ecco
tutto. Mi
credi?»
«sì,
direi di
sì, anche se mancano prove che siano del tutto
inoppugnabili. È impressionante il modo in cui quella
ragazza sia riuscita a
smuovere mari e monti solo per questo!»
Ovviamente
le parole di Spear davano
da pensare. “Fidanzato,
marito e padre assente”…non era una prospettiva
campata per aria, e non serviva
essere dei geni per intuire i motivi celati dietro un discorso del
genere.
Poteva
capire che Spear volesse
proteggere Aleha: non era
facile affrontare rimanere vedove a causa della guerra, e solo il cielo
sapeva
cos’avevano passato quelle due ragazze.
La storia della madre andata via a
lavorare da un’altra
parte non l’aveva mai convinta molto, le sembrava strano che
le avesse lasciate
lì da sole così, e fino a qualche anno prima
aveva visto più volte Spear
rientrare a casa tardissimo e in condizioni niente affatto buone; una
volta,
tornando dal turno serale, l’aveva persino vista crollare a
terra ed era andata
a darle una mano, ma Spear aveva rifiutato, aveva dichiarato di stare
benissimo
e, facendosi forza, si era rialzata da sé.
Non
aveva potuto fare
nient’altro perché, quando lei si era
accorta di ciò, Spear aveva sedici anni -quindi era
un’adulta- e Aleha era, o
quantomeno sembrava, una ragazzina di undici anni sempre perfettamente
sana nel
corpo e nella mente.
Aveva potuto solo osservare in
silenzio, e chiedersi cosa ci
fosse davvero sotto, consapevole che probabilmente non
l’avrebbe mai saputo.
A
parte tutto, comunque, stava di
fatto che doveva essere
solo e soltanto Aleha a decidere se accettare o meno tutto
ciò che comportava
essere legata a un militare: sua sorella maggiore non aveva alcun
diritto di
intromettersi e procurare dolore a due ragazzi che si amavano.
«quindi
adesso cosa
facciamo? Aleha parte…»
«Aleha
parte…“forse”! Non è ancora
tutto perduto».
«adoro
il tuo ottimismo, ma
stavolta non so proprio da dove
lo tiri fuori» disse Kozmotis «io vado a dormire,
sono stanco. Proprio
stanco…’notte, mamma».
La
signora Pitchiner lo
osservò trascinarsi in camera e
pensò che, se per lui la giornata era finita, per lei la
notte sarebbe stata
ancora lunga.
Occhieggiò la massa di
lettere distrutte, ognuna ancora
nella busta con cui era stata rispedita indietro, e pensò:
"per fortuna
il nastro adesivo non mi manca”.
***
Erano quasi le otto del mattino, e il
suo turno era ancora
iniziato, per cui non le restava altro da fare che passare del tempo
nel
cortile della clinica.
Era un bel posto, molto ordinato e
ben curato, senza un filo
d’era fuori posto, con molte panchine bene in ombra e,
soprattutto, pieno di
cespugli di rose blu, il suo fiore preferito.
La cosa divertente era che, nel
periodo in cui lei e Spear
erano arrivate, quei cespugli non c’erano: erano stati
trapiantati nel cortile
tre mesi dopo, più o meno. Le sarebbero mancate, se avesse
davvero deciso di
andare nel territorio degli Hydra.
“certo
che Spear poteva
venire qui fuori con me, invece di
dedicarsi al lavoro ‘arretrato’ in ufficio. Lei non
ha lavoro arretrato! Ci
manca solo che si metta a curare i pazienti prima che si
ammalino!” pensò.
«Aleha?»
Quella
voce la fece trasalire,
perché sinceramente non si
sarebbe mai aspettata di vedere lì la signora Pitchiner nel
suo abito blu a
fiorellini gialli. Aveva l’aria di chi non aveva dormito
molto, notò Aleha,
tanto che per un attimo pensò addirittura che potesse essere
lì perché non
stava bene…o forse era Kozmotis che…
«Mira,
come mai
sei qui? È successo qualcosa a…?»
«no,
no, Kozmotis
è in salute. L’ho lasciato che dormiva, e
fatto quel che devo fare è bene che torni a casa e vada a
letto anche io. Sono
venuta qui per portarti una cosa» tirò fuori dalla
sua vecchia borsa marrone
diverse buste da lettera, e le porse alla ragazza «e per
dirtene un’altra».
Aleha,
esitante, prese le buste e le
sottopose a un rapido
esame. Erano tutte indirizzate a Kozmotis, tutte di un periodo compreso
in quei
quattro mesi di silenzio -a giudicare dal timbro postale- e,
benché mancasse il
mittente, la calligrafia delle scritte sulla busta le parve
praticamente
identica alla propria. «non le ho mandate io»
disse, perplessa «non le ho mai
viste prima. La scrittura sembra mia, ma non lo è».
«lo
avevamo
immaginato».
Aleha
aprì la prima busta,
e da essa tirò fuori…un’altra
busta.
Era una lettera di Kozmotis
indirizzata a lei, una lettera
che era stata ridotta a strisce sottili ma riattaccata in modo
estremamente
preciso con del nastro adesivo, e sulla quale il timbro postale era
ancora
perfettamente leggibile.
«non
ha smesso di pensarti
neppure per un secondo, e in
questi mesi non ha fatto altro che scriverti. Le lettere che hai in
mano non
sono neppure la metà di quelle che sono state distrutte e
rispedite a lui. Per
fortuna le ha conservate, altrimenti non avremmo avuto alcuna prova. Te
ne ha
scritte anche delle altre, ma sono state fatte sparire. Ha provato
anche con le
chiamate, certo» continuò, vedendo che Aleha aveva
alzato gli occhi su di lei
«ma venivano sempre trasferite altrove, precisamente a questo
numero» aggiunse,
porgendole un biglietto ripiegato più volte
«quanto al resto, io non so cosa ti
sia stato raccontato di preciso quattro mesi fa, non posso
né voglio
costringerti a credere all’una o l’altra versione,
e non ho prove concrete se
non la sua parola, ma non penso ti abbia tradita. Il Kozmotis Pitchiner
che ho
cresciuto non l’avrebbe mai fatto, e se fosse stato colpevole
non mi avrebbe
giurato e spergiurato di non esserlo come ha fatto ieri sera. Piangendo
a
dirotto, aggiungo».
«…Kozmotis
che piange
a dirotto?»
Era
qualcosa di inaudito, al punto
che la sola idea non le
sembrava concepibile.
Lo conosceva da una vita, ma non lo
aveva mai visto
piangere, mai: anche al funerale del padre era rimasto serio e composto
vicino
a sua madre, ad accettare con gran dignità le condoglianze
di tutti i
partecipanti. Aveva lasciato intendere quanto avesse bisogno del suo
sostegno
soltanto chiedendole di rimanere accanto a lui, e tenendola per mano
durante
tutta la cerimonia.
«ha
provato a tenere tutto
per sé, come puoi ben immaginare,
ma non ci è proprio riuscito. Non oso pensare alla sua
reazione se sapesse che
ti ho detto una cosa del genere, ma è così. Tu
hai diritto di fare quel che
vuoi, Aleha, ma mi sembrava giusto che fossi informata anche di tutto
questo».
Aveva
creduto che lui
l’avesse dimenticata, ma quelle
lettere erano una prova concreta del contrario, e c’era quel
numero, scritto
nel biglietto ancora ripiegato che stringeva in mano. «ma chi
avrebbe potuto
avere interesse a…insomma…»
«io
su questo non posso
dire niente, ma riflettendoci magari
ne verrai a capo. L’unica cosa certa è che
chiunque abbia fatto questo non
approvava la tua relazione con Kozmotis. Conosci qualcuno?»
Aleha
non rispose. Che lei sapesse
c’era una sola persona
che non approvava la sua relazione, ma non era possibile….
«io
ho fatto quello che
dovevo fare, e ora sta a te. Ci
vediamo».
«sì…ci
vediamo».
Lasciò
che la signora
Pitchiner si allontanasse e poi, dopo
diversi momenti di indugio, si decise ad aprire il biglietto che le
aveva
passato.
«…»
Inizialmente
volle pensare di aver
sbagliato a leggere.
Sua sorella non poteva averle davvero
nascosto tutto per
mesi sapendo quanto avrebbe sofferto. Non poteva davvero averle detto
“a lui
non importa nulla di te” guardandola tranquillamente negli
occhi, sapendo che
invece le cose erano molto diverse. Doveva esserci un’altra
spiegazione.
Kozmotis non le piaceva, d’accordo, ma non poteva essere
arrivata a tanto.
O
sì, invece?
Rientrò
nella clinica
quasi correndo, raggiunse l’ufficio di
Spear ed entrò senza neppure curarsi di bussare, sbattendosi
la porta alle
spalle. Gettò lettere e biglietto sulla scrivania della
sorella, ignorando che
questa fosse visibilmente in procinto di protestare per il suo
comportamento
incivile.
«spiegati».
Dopo
un attimo di silenzio tesissimo
in cui nessuna delle
due si mosse, Spear prese una delle lettere e la osservò con
aria indifferente.
«piombi nel mio ufficio come una furia, e a dovermi spiegare
sarei io?»
«smetti
di fare finta di
niente, e spiegami perché tutte le
chiamate che mi ha fatto Kozmotis in questo quattro mesi sono state
deviate a questo numero! Il tuo!» esclamò,
battendo un dito sul biglietto «e perché tutte
queste lettere gli sono state rispedite dopo essere passate in un
distruggi
documenti, presumibilmente quello!»
aggiunse Aleha, indicando l’oggetto in questione.
«sarebbe
interessante
scoprire chi ti ha detto e dato tutte
queste cose. Dubito sia stato Kozmotis, o probabilmente sarebbe
anch’egli qui a
sindacare sul nulla. Che ne dici di risparmiarmi lo sforzo di guardare
le
registrazioni delle telecamere di sicurezza e dirmi di chi si
tratta?»
«Mira
Pitchiner»
fu costretta a rispondere Aleha, sapendo
che Spear non parlava a vanvera «ma non è di lei
che dobbiamo parlare,
piuttosto-»
«certo,
è chiaro
che le parole della madre del tuo ex
fidanzato siano del tutto attendibili».
«non
si tratta solo di
parole! Ci dei sono timbri postali a provarlo!» e
per sottolineare il
concetto tirò fuori una delle lettere
“riattaccate” «e dubito che tu le abbia
dato il numero del tuo comunicatore personale, Spear!»
«può
averlo
ottenuto in un altro modo».
«come
no! E magari i
Pitchiner hanno anche degli amici alle
poste pronti a falsificare timbri, oltre a non avere niente di meglio
da fare
che distruggere lettere e riattaccarle col nastro adesivo!»
sbottò Aleha,
esasperata.
«che
abbiano amici alle
poste è plausibile, e che uno dei
due non avesse di meglio da fare che giocare col nastro adesivo
è sicuro, da
quello che vedo».
«piantala!!!»
gridò la ragazza «perché
l’hai fatto?! Sapevi quanto stavo male, perché mi
hai
nascosto tutto? Come hai potuto dirmi per quattro mesi interi che a lui
non
importava niente di me guardandomi in faccia, quando sapevi benissimo
che non
era vero?! Si può sapere cosa ti è passato per la
testa?! Rispondimi!»
Si
sentiva delusa e ferita
esattamente com’era successo
quattro mesi prima, ma stavolta era anche arrabbiata. Si era sempre
fidata
quasi ciecamente di sua sorella, ma dopo una cosa del genere come
avrebbe
potuto tornare a farlo?
«Aleha,
tu ora sei in grado
di difenderti da sola da tutto e
tutti, ma non da lui. Sei troppo innamorata, e questo ti rende cieca di
fronte
a tanti fattori oggettivi per cui
sarebbe meglio che restiate divisi come siete attualmente. Io ho agito
così
solo ed esclusivamente per proteggerti, e il fatto che ti abbia cercata
non
cambia le motivazioni per cui tu hai
volontariamente deciso di lasciarlo. Lui ha negato di averti tradita
anche quattro
mesi fa: cos’è, ora che sua madre lo ha difeso
è improvvisamente diventato un
santo?»
«lui
le ha giurato e
spergiurato di non averlo fatto. E
piangeva!»
Spear
le diede una lunga occhiata.
«oh.
Capisco. Se ha fatto
un bel pianto sulla spalla di mammina dev’essere innocente
per forza».
«tu
non capisci, e comunque
sia non avevi il diritto di
metterti in mezzo!»
«temo
che quella che non
capisce sia proprio tu. Prima lo
lasci, poi decidi all’improvviso che è
un’anima candida, tutto ciò a parità
d’informazioni! Ma per favore».
«rimangono
sempre fatti
miei, e resta il fatto che tu non
hai fatto che ingannarmi per tutto questo tempo. Per
“proteggermi”! Proteggermi
da cosa?! Tu mi hai parlato di
fattori oggettivi, ma credi che io non sappia a cosa si va incontro
quando si
ha una relazione con un militare? Certo che lo so!»
esclamò Aleha «so che ci
vedremo sempre poco, so che dovrò sempre essere pronta a
tutto, ma prima che
saltasse fuori tutta questa storia non è mai stato un
problema, e se lui è
innocente, se può sostenere a sua volta la distanza e tutto
il resto,
continuerà a non esserlo. Qui l’unico vero
problema è che a te lui non piace,
non ti è mai piaciuto!»
«è
vero, non mi
piace molto, ma d’altra parte non devo
essere io a starci insieme! Non mi importerebbe proprio niente, se non
fosse
che…»
Fu
costretta a interrompersi,
perché onestamente non sapeva
come continuare la frase. Come poteva spiegare ad Aleha in modo
convincente che
non doveva stare con quel ragazzo perché…per il
suo bene non
doveva starci? Detto così sembrava
assurdo anche a lei.
«“se
non fosse
che” cosa?!
Perché non ti va bene che stia con lui, tanto da arrivare a
fare quel che hai
fatto? Dimmelo!»
«non
penso di riuscire a
spiegartelo. Io so solo che se non
starai lontana da lui, tu…»
“tu” cosa? Di nuovo, non era in grado di concludere
la frase. «se non tornerai con lui soffrirai. Se invece lo
farai, per te sarà
peggio. Stare insieme vi porterà ben poco di buono. A te in
particolare».
Aleha
si allontanò dalla
scrivania, perplessa, ancora
innervosita e anche un po’in ansia. «non so da dove
hai tirato fuori tutte
queste convinzioni, ma sbagli, e a dirtela tutta mi inquieti anche un
po’. Il
mio turno comincia tra due minuti, è meglio che
vada».
«Aleha,
sono seria. Non
prendere alla leggera quel che ti ho
detto».
La
ragazza le diede
un’ultima occhiata e, dopo una scrollata
di spalle, uscì dall’ufficio.
Spear
chiuse gli occhi e, poggiati i
gomiti sulla scrivania,
prese a massaggiarsi le tempie. Aleha non intendeva darle retta, e il
suo
lavoro di quattro mesi probabilmente si sarebbe rivelato inutile: sua
sorella e
Kozmotis Pitchiner sarebbero tornati insieme in un tripudio di lacrime,
parole,
sole, cuore e amore, per sempre felici e contenti e finché
morte li avesse separati.
«non
se ne parla»
disse tra sé e sé «Mira Pitchiner ha
vinto
questa battaglia, ma non la guerra».
***
«Kozmotis,
anche stasera
qui sulle scale? Dai, non farmi
andare al lavoro stando in pensiero».
«fosse
per me adesso sarei
in quella clinica, ma tu mi hai
detto di no!»
«esatto,
e tu fa’
il bravo continuando a dare retta a tua
madre. Io credo che si sistemerà tutto quanto».
«non
vedo come possa
sistemarsi se non posso vederla»
borbottò lui, con gli occhi bassi «e
io
comincio a temere che non tornerà a casa neppure stasera, e
neppure domani, e
che partirà per quel viaggio di lavoro».
«io
invece penso che la
ragazza dall’altra parte della
strada sia proprio lei!»
Il
ragazzo, incredulo,
alzò lo sguardo. Sua madre aveva
ragione, era Aleha, ed era lì davanti a lui, dopo
così tanto tempo!
Si rizzò in piedi e scese
la scalinata con un solo balzo,
per poi attraversare di corsa quel breve tratto di strada che lo
separava da
lei. Desiderava la sua vicinanza, ma allo stesso tempo si sentiva teso
come
poche volte nella vita, al punto che pur avendo milioni di cose da
dirle non
riusciva a tirarne fuori neanche una.
Le
condizioni di Aleha non erano
molto diverse da quelle del
suo ex ragazzo: le era bastato guardarlo in faccia per far dissipare
gli ultimi
dubbi sulla sua innocenza e, ora che lo aveva davanti, si chiedeva come
avesse
potuto pensare anche solo per un momento che lui le avesse mancato di
rispetto
in quel modo. Se mai era stata lei a farlo, pensò, non
dandogli la fiducia che
meritava.
Cosa poteva dirgli, adesso?
“ciao”? “come va la vita”? Le
sembrava stupido, e forse era meglio andare al dunque.
«non
avrei dovuto dubitare
di te nemmeno per un secondo, e
tantomeno lasciarti. Se sei arrabbiato con me ti capisco. Mi
dispiace».
Dopo
alcuni istanti
d’immobilità, Kozmotis posò le mani
sulle sue spalle, serissimo in viso. « Ascoltami bene: non ti
ho mai mentito, e
non lo farò mai».
«lo
so. Probabilmente mi
sentirò in colpa a vita per
questa-»
Lui
la interruppe posandole
delicatamente un dito sulle
labbra. «Aleha, io mi impegno a non farti mai del male in
alcun modo, ma tu
devi impegnarti a credere alle mie parole. È
l’unico modo in cui possiamo far
funzionare tutto».
«lo
farò» affermò Aleha con sicurezza. Dopo
mesi di
tristezza, finalmente, iniziava a sentirsi di nuovo felice, e le
sembrava
incredibile che lui la volesse ancora. Indubbiamente l’amava
moltissimo, o non
sarebbe passato così facilmente sopra una cosa del genere.
«giuralo»
la
esortò Kozmotis, sempre serio.
«lo
giuro su tutto quel che
mi è caro».
Fece
giusto in tempo a finire la
frase, perché poi Kozmotis
la baciò, stringendola a sé con tutto
l’intento di non lasciarla più andare
via.
In seguito avrebbero dovuto parlare
di molte cose, e lo
avrebbero fatto, ma c’era un momento per ogni cosa, e adesso
tutto quello di
cui entrambi avevano voglia era baciarsi, stringersi, accarezzarsi, e
sentirsi
vicini quanto e più di prima.
Osservando
la ritrovata
felicità di quei due ragazzi, Mira
Pitchiner sorrise. Ora sì, poteva andare al lavoro
tranquilla.
“credo
che domani mattina
dovrò preparare la colazione per
tre persone”.
Come promesso ecco la seconda -e
ultima- parte di questo complotto finito male :) nella gara a
chi è più testarda la vincitrice è
stata Mira Pitchiner, stavolta. Forse sarebbe stato meglio che
così non fosse...ma non glielo diciamo.
Grazie a tutti coloro che hanno letto :) vi anticipo già che
nel prossimo capitolo non comparirà il nostro giovane
Pitchione, ma si vedrà il padre di Manny alle prese con una
nobile un po'fuori dai soliti schemi. Appena un pochino!
Alla prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 5 *** 5. Scontri e incontri ***
=Scontri
e Incontri=
La
prima domanda che sorse spontanea
a Tsar Lunar Lunanoff XI, re da circa un anno, fu: “è
una palestra, o la
sala d’attesa di un pronto soccorso?”
Era da tempo che nella sua famiglia si parlava di un suo fidanzamento
con la
primogenita degli Aldebaran, Lady Nahema. I suoi genitori non
intendevano
veramente costringerlo e la decisione finale stava soltanto a lui, ma
gli
avevano fatto capire chiaramente
che un simile legame sarebbe stato
conveniente
per tutti, su qualunque fronte: gli Aldebaran erano tanto ricchi che
quasi non
sapevano cosa fare di tutto il denaro che possedevano, molto bravi ad
amministrare i
territori di loro competenza, con una potenza militare non da poco, e
in
quanto arciduchi erano nobili piuttosto “in alto”
che, in un eventuale
matrimonio, si sarebbero “elevati” ancora di
più.
L’unica cosa bizzarra era che l’incontro ufficiale
tra lui e Nahema non fosse
ancora avvenuto, ma si sarebbe tenuto solo tra tre giorni: ricordava
solo
vagamente di averla vista quando erano entrambi molto piccoli, e non
contava
granché. Il tutto però era giustificato dal fatto
che Nahema fosse entrata
nell’Accademia Militare estremamente presto, e passasse
diverso tempo al fronte
a difendere il regno, oltretutto con grandi risultati.
Nel corso della storia non c’erano state molte donne che
potessero vantare
altrettanto: benché avessero la possibilità di
scegliere ogni carriera che le
aggradasse, infatti, le donne del regno tendevano a sceglierne di
più
“tranquille”. Le eccezioni, di solito, erano
rappresentate da esponenti del
pianeta di donne guerriere nel territorio degli Scorpio, le quali
però usavano
lavorare più di armi e muscoli che di testa. Nahema invece
usava bene anche
quella, o così si diceva.
Sembrava essere un tipino piuttosto particolare, motivo per cui, dopo
essersi
informato un po’sulle sue abitudini, Tsar aveva deciso di
andare su Aldebaran
I, ovviamente travestito -oltre ad aver cambiato colore di occhi e
capelli si
era anche lasciato crescere la barba per l’occasione- per
conoscerla al di
fuori del contesto “ufficiale”. Riteneva che
così si sarebbe fatto un’idea più
precisa su che tipo di persona fosse: nelle occasioni formali a volte
si
tendeva a “fingere” un po’, cosa che
invece nel proprio ambiente naturale non
accadeva.
Arrivato nella capitale del pianeta Aldebaran I, sfruttando le
informazioni
raccolte per non perdersi in quella calda e secca metropoli
stratificata, aveva
trovato la palestra in cui milady si teneva in esercizio quando non era
al
fronte. Una strana idea di “riposo”, aveva pensato.
«…andiamo, quante volte vi ho detto che non dovete
lasciarmi vincere? Dovete
picchiare duro! Con
cattiveria! Pensavo che ormai aveste capito che non
conviene andarci leggeri solo perché sono una ragazza, e
tantomeno conta il
titolo: non ci sono ripercussioni, chi qualche anno fa è
riuscito a battermi lo
sa».
Attorno al ring c’erano circa una quindicina di uomini -tutti
visibilmente
allenati- alquanto malridotti. Due di questi, messi un
po’meglio degli altri,
stavano trascinando via l’ultimo che la ragazza in piedi al
centro del tappeto
aveva mandato KO .
“è lei?...”
Lady Nahema era alta almeno un metro e novanta, e aveva muscoli che
avrebbero
fatto invidia a diversi suoi coetanei maschi. Questi però
non avevano intaccato
eccessivamente le forme femminili del suo fisico -anche se quel seno
prosperoso
era un po’inspiegabile- e, oltre a ciò, Nahema
aveva anche un bel viso, sebbene
attualmente fosse rovinato da un brutto livido all’altezza di
uno zigomo. Gli
occhi in particolare erano, senza alcun dubbio, quelli verdi della
madre: Tsar
aveva avuto modo di vederli bene, dal momento che la capofamiglia
Aldebaran
veniva a palazzo molto spesso.
«non siamo noi che vi facciamo vincere, ci riuscite benissimo
da sola!» disse
un uomo, gemendo quando, senza pensarci, mosse una delle due braccia
terribilmente malandate «sapete, se per un giorno evitaste di
dedicarvi alla
lotta non disimparereste a combattere».
«è vero, ma poi tu e gli altri vi
annoiereste!» ribatté lei, poggiandosi alle
corde «senza contare che il lavoro è
più che ben retribuito. Vuoi che aggiunga
un pupazzetto per il disturbo?» quando il suo sguardo cadde
verso l’ingresso,
la risposta perse importanza. Non aveva mai visto quel tipo in
precedenza, o
sicuramente se lo sarebbe ricordato, perché di persone con
capelli di un
arancio così acceso non se ne vedevano molte in giro.
«salve, straniero. Capiti
a proposito, sono rimasta senza avversari!»
Tsar, sulle prime, s’irrigidì leggermente:
trovarsi faccia a faccia con lei sul
ring non era minimamente nei suoi programmi, specialmente vedendo
com’erano
ridotti gli altri, o le macchie di sangue sulle fasciature che Nahema
aveva
avvolto attorno alle nocche. «vorrei rimediare, ma sono un
po’arrugginito, e
voi non sembrate andarci leggera».
«posso rassicurarti sul fatto che qui cerco di evitare di
rompere le ossa agli
sfidanti. So ancora distinguere il ring da un vero campo di
battaglia».
«sì… più o
meno» borbottò un uomo, premendosi una
borsa ghiacciata
sulla fronte.
Il re Lunanoff tentennò ancora, ma poi si tolse giacca e
cappotto, gettandoli
su una sedia. Uno strano impeto di curiosità, il suo, volto
a cercare di capire
quanto effettivamente fosse forte milady. C’era una certa
differenza tra lui,
che nella sua istruzione per diventare re aveva avuto anche degli
ottimi
maestri d’armi e combattimento, e quegli uomini, che
sembravano più dei comuni
atleti pompati. «accetto la sfida».
Nahema sorrise, e tornò al centro del ring.
«raggiungimi qui, allora».
Tsar raggiunse il tappeto, ed entrò nel ring con un salto
elegante. «mi auguro
che il combattimento si svolga in maniera leale».
Nahema fece una breve risata. «ovvio. Non ho bisogno di
battermi slealmente,
straniero. Già, qual è il tuo nome?»
«...Kizar» rispose Lunanoff, dopo una brevissima
esitazione «Kizar Lostcinder».
«bene, Kizar. Sicuro di non voler
togliere anche quella bella
camicia di seta prima di cominciare?»
Tsar non ribatté, limitandosi a seguire il consiglio: la
camicia non avrebbe
potuto proteggerlo, benché ne avesse a bizzeffe non valeva
la pena rovinarla, e
comunque non aveva motivo di vergognarsi a stare a petto nudo.
L’addetto suonò il gong, dando ufficialmente
inizio allo scontro. Tsar, che
viste le condizioni degli altri si era aspettato che Nahema lo
attaccasse
immediatamente, rimase un po’spiazzato dal fatto che lei non
sembrasse avere
intenzione di muoversi, nemmeno per assumere una qualsiasi posizione di
difesa,
rimanendo in piedi con le braccia lungo i fianchi.
Che le sue reazioni fossero più lente di come lui aveva
creduto? O forse lo
sottovalutava al punto di lasciare a lui la mossa di apertura?
Fosse come fosse, non era un’opportunità che
intendeva lasciarsi sfuggire, e
dunque partì all’attacco con dei pugni veloci e
potenti. Aveva sentito Nahema
dire a quegli uomini di non andarci piano, quindi, sebbene non fosse
intenzionato a farle del male, non ci sarebbe andato piano neanche lui.
“ma che?!...”
Nessuno dei colpi andò a segno, perché la sua
avversaria riuscì a pararli tutti
quanti senza particolare difficoltà. Stesso discorso valse
per i calci che
seguirono, deviati con estrema tranquillità; quando lui
interruppe l’attacco,
Nahema tornò alla posizione di partenza, senza dire una
singola parola.
Neppure gli uomini che osservavano la lotta sembravano avere
alcunché da
commentare, come se stessero osservando un film già visto,
rivisto e stravisto
di cui conoscevano a memoria svolgimento e conclusione, e probabilmente
era
proprio così.
“d’accordo, qui occorre tentare qualcosa di
diverso” pensò il re “devo trovare
il modo di infrangere la sua difesa!”
L’istante seguente si lanciò di nuovo
all’attacco, con un pugno sollevato in
aria, dando l’impressione di volerla colpire in quel modo ma,
quando Nahema
sollevò le braccia per difendersi, lui si abbassò
di scatto, bloccandola in una
presa all’altezza della vita, con la quale mirava a
sollevarla e farla
schiantare contro il tappeto.
“ci sono!” pensò, esultante.
Ma durò giusto un attimo, perché
all’improvviso un colpo violentissimo alla
testa lo stordì al punto di non fargli capire più
nulla, ed uno altrettanto
forte all’addome lo spedì contro le corde del
ring. Boccheggiò per qualche
attimo, col respiro mozzato dal dolore e la vista annebbiata.
D’accordo, si
disse, la sua sembrava non essere stata una buona idea: se voleva
concludere
qualcosa, doveva ricorrere ad attacchi semplici e,
soprattutto, veloci.
Si gettò contro l’avversaria senza perdere
ulteriore tempo, dando fondo a tutto
il suo arsenale di mosse. In alcuni casi riuscì a colpirla,
un paio di volte
persino a farla vacillare, ma Nahema incassò bene ogni
volta, e quando Tsar
terminò l’attacco si rese conto di essere molto
più stanco di lei. «siete
un’avversaria difficile» commentò,
sfruttando quella pausa per riprendere
fiato.
«tu invece hai studiato come si lotta»
ribatté lei «ma non sei un lottatore».
Prima che Tsar potesse replicare, il pugno di Nahema lo
picchiò dritto allo
stomaco. Quando si riprese, ebbe appena il tempo di capire che era
corsa dietro
di lui e lo aveva afferrato, perché poi si sentì
sollevare, vide il mondo
rovesciarsi e, infine, un grosso colpo a collo e schiena
oscurò tutto alla sua
vista.
Gli attimi che seguirono furono molto confusi. Gli parve di sentire, in
lontananza, il suono del gong, e di avvertire sul proprio corpo delle
mani che
lo toccavano. Non seppe dire quanto tempo passò di preciso.
«ci siete andata leggera».
«non avrebbe retto un attacco serio, era affaticato
nonostante tutte le pause
che gli ho concesso per riprendere fiato. Pause che il mio maestro non
avrebbe
approvato…ma d’altra parte non è
qui!»
Tsar gemette, e sbatté ripetutamente le palpebre. La vista
tornò a fuoco, e la
prima persona che vide fu proprio Nahema.
«le…ggera?...» disse come prima cosa,
alzandosi lentamente a sedere.
«non hai ossa rotte e ferite che sanguinano, quindi
sì, ci sono andata leggera.
Vuoi qualcosa da bere?» gli chiese lei, gentilmente.
«sì…acqua» riuscì
a dire Tsar, vedendosi consegnare prontamente una
bottiglietta «grazie».
«non c’è di che».
Solo a quel punto il re notò che Nahema era bella pulita e
con vestiti diversi;
ciò significava che doveva essere rimasto in quello stato
confusionale per
diverso tempo, o lei non avrebbe avuto certo modo di sistemarsi.
«mi sa che
avete ragione, non sono un lottatore. Me la cavo molto meglio con la
spada» aggiunse,
alzandosi in piedi con cautela «ma in fin dei conti sono
stato io a
cercarmela».
«la curiosità di per sé non
è un male, ma a volte è
controproducente».
«è vero. Sentite, vi sembrerei sfrontato se vi
invitassi a fare due passi?
Fuori di qui?» era andato su Aldebaran I per conoscerla, in
fin dei conti, e
non sapeva quanto valesse come “conoscenza” un
incontro di lotta perso appena
lei si era mossa per attaccare.
Nahema gli diede una brevissima occhiata indagatrice. «sta
bene, se mi prometti
di non crollare per strada all’improvviso»
aggiunse, con un sorrisetto.
«no, no, non c’è pericolo! Mi ci
è voluto un po’ per riprendermi, ma ora sono a
posto…» mosse il collo, e gemette
«dolori a parte».
«allora andiamo».
Una volta che Tsar si fu sistemato, uscirono dall’edificio
con la dovuta calma.
Il re non poté fare a meno di tornare ad osservare la
città. Era curioso il
modo in cui edifici e varie opere architettoniche estremamente moderne
si
mescolassero a strutture, monumenti e palazzi che, invece, sembravano
essere
estremamente antichi e piuttosto “alieni”. Tra le
materie che erano state
oggetto di studio di Tsar c’era anche storia
dell’arte, ma non era proprio in
grado di dire da dove fosse stata presa l’ispirazione per
quegli enormi e
grandiosi edifici in pietra -che aveva visto nel raggiungere la
palestra-
sorretti da grosse colonne, o per quelle strane costruzioni piramidali
a poca
distanza dalla città. «è una
città particolare, molto antica e molto moderna
allo stesso tempo» disse, imbastendo un primo -e patetico-
tentativo di
conversazione.
«è vero. Le parti “vecchie”
che vedi lo sono ben più della mia stessa famiglia,
e gli Aldebaran esistono da molto, molto tempo. Tuttora non sappiamo
precisamente chi li abbia costruiti, probabilmente sono frutto di
un’unione tra
un popolo antenato del nostro con uno proveniente da
tutt’altra parte, che per
qualche motivo è arrivato qui».
«non è da escludere» ammise Tsar.
«ora però parliamo d’altro. È
da quando sei entrato nella palestra che mi
domando chi sei. Cosa fai per vivere, Kizar Lostcinder?»
«non il lottatore!» rispose lui, e Nahema fece una
breve risata
il cui suono non dispiacque
al re «ma penso che l’abbiate capito».
«ammetto che ci ero arrivata. Allora?»
«sono un bibliotecario, milady» “bibliotecario! Di
tutti i mestieri
che potevo dire, ‘bibliotecario’!”
pensò, trattenendosi dal fare un facepalm.
Non che avesse qualcosa contro i bibliotecari, ma dopo quel che era
successo in
palestra non era sicuro che suonasse ancora sensato. «niente
di che. Di sicuro
la vostra vita è più interessante della
mia».
«non saprei. Casa, esercito, qualche uscita ogni
tanto…l’unica
“novità” è che
questa mattina il mio maestro di combattimento ha preso
congedo» disse Nahema,
e a Tsar parve di sentire una leggera nota di malinconia. «ha
detto di non
avere più niente da insegnarmi».
«vi sarete dispiaciuta un po’, immagino».
«credo sia inevitabile, era con me da tredici anni e nove
mesi precisi, ormai.
Ho iniziato presto» aggiunse Nahema, notando lo sguardo
sorpreso dell’altro.
«direi molto presto!
Allora è ovvio che siate un’avversaria
temibile, se vi allenate da tutto questo tempo. Solo che certo, se
oltre agli
studi vi siete concentrata su questo…insomma, avete passato
un’infanzia
piuttosto impegnata».
«mi sono divertita lo stesso, credimi. Ho perso il conto
delle volte in cui
sono fuggita dal palazzo in cerca di avventura, da sola o con qualcuno
dei miei
fratelli».
«immagino che ora abbiate tutta l’avventura che
volete, e che per essere una
ventenne abbiate visto molte cose».
«è vero, ho visto molte cose, inclusi perfetti
sconosciuti che sanno
perfettamente quanti anni ho, che hanno modo di sapere qualcosa delle
mie
abitudini nei momenti in cui sono in città, e danno per
scontato che la mia
vita sia più interessante della loro, come se sapessero
più o meno com’è. Di
solito è qualcosa che non mi piacerebbe affatto, ma in
questo caso lo trovo
divertente».
Non ci era cascata neppure per un momento, comprese Tsar. Forse Nahema
non
sapeva chi aveva davanti, ma di sicuro aveva capito che non era chi
diceva di
essere. «ed è meglio per me che sia
così, immagino, se lo trovate divertente e
mi avete mandato KO…»
Nahema rise ancora. «magari posso regalare un pupazzetto
anche a te per farmi
perdonare. Vediamo» aprì una tasca del borsone
«ho un orso spaziale, un gatto
siderale, un pesce…»
«ma allora eravate seria, prima!»
esclamò il re, sorpreso e anche divertito nel
vederla tirare fuori dalla tasca dei pupazzetti in
patchwork.
«ovvio che ero seria, che c’è di strano?
Certo, mi ci vuole diverso tempo per
completarne anche solo uno perché gli impegni sono quelli
che sono…»
«li avete fatti voi?!» Tsar sollevò
entrambe le sopracciglia, ancor più
stupito, «davvero? D’accordo, lo devo ammettere,
non avrei mai pensato che una
ragazza come voi…ecco…»
«ho avuto una formazione molto completa, per cui sono una
combattente, ma
conosco bene la storia, la geografia, sono competente di economia e,
ovviamente, anche di strategia militare. Se si parla di vita in
società
conosco bene tutte le regole, e so applicarle: il fatto che solitamente
faccia
quel che mi pare e funzioni lo stesso è un’altra
storia. Infine, ebbene sì,
faccio pupazzetti in patchwork semi decenti. Tutto questo per dire che
le
persone non sono mai una “cosa” sola, e fermarsi ad
osservarne giusto la
superficie è un grosso errore» disse Nahema
«a proposito, quanti anni è durato
il tuo addestramento con il maestro Alexandria?»
buttò lì, con un altro
sorriso.
Per qualche attimo Tsar non riuscì a dire una parola, tanto
era basito. «come
fate a?…»
«è stato il mio primo maestro, anche se solo per
tre mesi: non eravamo giusti
l’uno per l’altra. Ricordo le sue tecniche,
però, e tu prima ne hai usate
alcune. Sarebbe interessante sapere come un bibliotecario possa
permettersi di
studiare con lui e di indossare certe camicie di seta pregiata, ma in
fin dei conti va bene così. Se hai
voluto presentarti
come “Kizar Lostcinder” un motivo ci
sarà, e oggi per me continuerai ad
esserlo. Come dicevo prima, lo trovo divertente».
Aveva capito chi era in realtà, oppure no? Probabilmente la
risposta era “sì”,
ma sembrava che Nahema volesse lasciarlo nel dubbio.
Una cosa però l’aveva afferrata: le voci sul fatto
che milady fosse in grado di
usare bene la testa erano del tutto fondate, per non parlare del fatto
che se
la sua formazione era completa come diceva -e chissà
perché non faticava a
crederle- avrebbe avuto tutte le capacità per mandare avanti
il regno insieme a
lui…o anche da sola, a dire il vero. «quindi ora
cosa facciamo, milady?»
«possiamo passare la serata insieme, poi salutarci e
chissà, magari rivederci a
breve».
“ha capito, altroché”.
Le donne che nel tempo aveva avuto modo di conoscere erano per la
maggior parte
sveglie e gradevoli, ma Nahema era qualcosa di diverso,
“particolare” proprio
come aveva pensato fosse, se non di più e, se anche la sua
schiena forse la
pensava diversamente, secondo lui non era affatto un male.
***
Finalmente
era arrivato il gran giorno: Tsar Lunar Lunanoff XI e Nahema
si
sarebbero conosciuti dopo anni di procrastinazioni -da parte
di lei-.
Era proprio dal re che si stavano recando, camminando spedite lungo i
corridoi
del palazzo. Se tutto fosse andato come da piano, si sarebbero
fidanzati a breve, e
dopo
quel passo ne sarebbe mancato solo un altro, quello del
matrimonio.
Nihil Iyra Aldebaran lavorava a quel progetto, di cui Nahema era parte
fondamentale, da oltre vent’anni…
«dovevi scegliere proprio questo lasso di tempo per tagliarti
i capelli in
questa maniera? Sembri un’esponente di qualche
tribù selvaggia ai margini dei
territori del regno!»
«brava, è proprio da lì che il
parrucchiere ha preso l’idea!»
Ed erano più o meno quattordici anni che era costretta a
sopportare
provocazioni da parte della sua primogenita, come quel taglio di
capelli. Le
treccine non erano cosa nuova, ma prima i capelli non
erano rasati
ai lati della testa, per gli Dei.
«prega che al re Lunanoff piacciano. Non possiamo permetterci
di far andare
male il tuo primo incontro con lui per colpa di una delle tue maledette
idee
balzane!»
«calmati, ma’. Se dovesse andare male troveremo un
altro sistema».
“calmati ma’ ”!
Se non le fosse esplosa una vena in quel momento,
non lo avrebbe fatto mai più. Era semplicemente assurdo il
modo in cui Nahema
fosse per lei -e fosse stata praticamente da sempre- tanto fonte di
orgoglio
quanto di arrabbiature che le causavano emicranie a dir poco
terrificanti.
Iyra si rendeva conto di aver cresciuto una figlia dalla forte
personalità,
brillante, cui non mancavano le capacità per fare qualunque
cosa avesse
desiderato, e abbastanza ambiziosa da tentare in ogni modo di
raggiungere i
suoi obiettivi. Le ricordava molto se stessa, a dire il vero.
Peccato che fosse anche cocciuta e, benché perseguisse gli
obiettivi della
famiglia, secondo Iyra tendeva a farlo fin troppo a modo suo. Nahema
aveva
sempre avuto un’indole ribelle, sin da quando era bambina, e
nulla di quel che
aveva fatto per tentare di domarla era stato abbastanza.
A
volte Iyra si chiedeva da chi avesse preso ma, nei momenti in cui
riusciva a
essere più onesta con se stessa, non poteva far altro che
ammettere la pura
verità con due semplici parole: “da me”.
Anche lei, a suo tempo, aveva preso decisioni contrarie al volere dei
suoi
genitori, e non se n’era ancora pentita. Suo marito non era
solo un alchimista,
era anche un medico -incredibile a sentirsi, considerato il rapporto
tra gli
alchimisti e i medici!- ed “estremamente valido”
non rendeva l’idea di come
fosse davvero: Kerasaas era un vero e proprio genio in entrambi i
campi. Se
c’era qualcuno che unendo entrambe le scienze poteva trovare
una cura alla tara
genetica che gli Aldebaran si portavano dietro, quel male antico che
indipendentemente da tutto poteva privarli della ragione in qualsiasi
momento
della loro vita o non farlo mai, era lui. Purtroppo non aveva ancora
raggiunto
l’obiettivo, ma lei era sicura che un giorno ce
l’avrebbe fatta.
«nessun momento è buono per le tue insulse
provocazioni, Nahema, ma questo è il
peggiore di tutti, e ti sei già avvicinata al limite.
Rivolgiti a me come si
conviene o, meglio ancora, non parlare più fino a quando
porgerai al re tutti i
convenevoli previsti dal protocollo».
Nihil Iyra Aldebaran era una donna che i più avrebbero
trovato difficile da
capire, se mai ci avessero provato.
Era tra le donne più belle che si fossero mai viste nel
regno -più volte, a
dirla tutta, aveva vinto il titolo della più bella in
assoluto- e questo, unito
al sangue blu, a una ricchezza smisurata, alla consapevolezza di essere
una
donna in gamba, e a un orgoglio e un’ambizione sconfinati,
l’avevano convinta
di essere superiore a chiunque sotto ogni aspetto; in fin dei conti
negli anni
non era mai accaduto qualcosa che le avesse dimostrato il contrario.
Tuttavia
era anche una
persona capace di provare reale stima per le altre persone, e persino
qualcosa
di simile al rispetto, laddove ce n’era
motivo.
Il suo stesso matrimonio non era stato solo finalizzato alla ricerca di
una
cura, non si sarebbe sposata con un uomo di cui non avesse avuto
un’alta
opinione, e non le importava che Kerasaas non fosse minimamente
d’aiuto nella
gestione delle “faccende di famiglia”: lei ci
riusciva benissimo da sola e, se
mai per disgrazia fosse successo qualcosa che le avesse impedito di
continuare,
sapeva che i suoi figli l’avrebbero fatto al suo posto.
«teoricamente il re dovrebbe diventare il mio fidanzato,
con
tutto quel che comporta, ma sei più agitata tu di quanto lo
sia io…e io potrei
avere buoni motivi per esserlo. La mia carriera militare rischia, se
non di
interrompersi, quantomeno di rallentare».
«è una carriera che non avresti dovuto neppure
cominciare, se l’ho accettato è
soltanto perché i tuoi successi sono stati innegabili.
Imparare i rudimenti della lotta è utile, ma sarebbe stato
sufficiente, invece
no, hai voluto deformare il tuo fisico per forza».
Parole apparentemente crudeli, ma in realtà non
c’era vera cattiveria in esse,
quanto piuttosto un sincero dispiacere. Era convinta che la sua
primogenita
avrebbe potuto essere bella come lei, se non avesse avuto tutti quei
muscoli, e
lo considerava veramente un peccato.
«non so se in tempo di guerra sia più importante
sapersi muovere in battaglia o
poter vincere il titolo di donna più bella del
regno» ribatté Nahema, con una
certa tranquillità «non ho mai sentito di qualcuno
che abbia sconfitto orde di
Dream Pirates facendo fluttuare nel vento i suoi chilometrici capelli
nero blu,
ma magari mi è sfuggito».
«Nahema».
«sì, ho capito. Ho afferrato il
concetto».
“me lo auguro” pensò Iyra, ma non
poté dirlo ad alta voce: erano arrivate
finalmente a destinazione, alla presenza del re Tsar Lunar Lunanoff XI.
Questi
era abbigliato nella sua uniforme ufficiale verde scurissimo, che non
stonava
col mantello rosso sangue e le decorazioni dorate all’altezza
delle spalle, e aveva
un’aria serena sul viso.
Non sembrava che l’idea di conoscere la sua futura fidanzata
lo preoccupasse o
per qualche motivo lo irritasse, e visto il taglio “da
selvaggia” di Nahema era
già qualcosa, pensò Iyra, che si
inchinò immediatamente. Essere superiore o no,
purtroppo occorreva rispettare certe regole sociali.
«siete la benvenuta, milady, così come la vostra
incantevole figlia» le salutò
il re.
«maestà, essere qui in un’occasione come
questa è un grande onore» disse Iyra.
“ora da brava” pensò “saluta
come si conviene, Nahema. Ne sei capace. Lo sai
come si fa”.
«maestà. Come va il tuo mal di
schiena?»
Iyra si voltò ad osservare la figlia con una lentezza
assassina e il principio
della più brutta emicrania mai avuta pronto ad esplodere
nella sua testa.
Si rifiutava di credere a quel che aveva appena sentito.
Doveva aver capito male, per forza.
Nahema non poteva aver detto davvero “come va il TUO
mal di schiena”,
che non solo era una domanda completamente priva di senso in quel
contesto, ma
nella quale si era anche azzardata a dare del “tu”
al re la primissima volta
che lo aveva visto!
Tutti quei combattimenti le avevano danneggiato il cervello, non
c’era altra
spiegazione, e ora aveva mandato in fumo anche tutti i progetti a cui
aveva
lavorato per-un momento.
Tsar Lunar Lunanoff XI stava…ridendo?
“forse non è Nahema ad essere impazzita, forse
sono io che sto avendo un
delirio allucinogeno” pensò.
«ancora non è del tutto a posto, magari domani se
ne riparla. Sono felice di
vedere che alla fine hai seguito il mio
consiglio…» Tsar si indicò la testa con
un cenno «i capelli».
“d’accordo, questo È un delirio
allucinogeno!” concluse Iyra “dev’essere
la
malattia. Alla fine mi ha presa prima che Kerasaas trovasse una cura, e
proprio
nel momento più
cruciale…”
«ho capito che potevano starmi bene, quindi perché
no? Mamma, ti presento il
mio buon amico Kizar Lostcinder! Per
fortuna sei nato principe
e non figlio di spie, altrimenti ti sarebbe stato difficile seguire le
orme dei
genitori».
«sì, lo ammetto, sono un dilettante, ma se il
travestimento non ha funzionato è
per la maggior parte colpa tua. Lady Iyra, non so se lo sapete, ma
avete una
figlia con un’intelligenza da non sottovalutare!...Lady Iyra?
Vi sentite bene?»
le chiese il re, un po’allarmato.
«credo sia solo stupita. Sciaguratamente mi sono dimenticata di
raccontarle il nostro incontro di tre giorni fa!»
No, la malattia non c’entrava nulla, a meno di considerare
“malattia” l’avere
una figlia idiota che si
divertiva a farla disperare, come se lei non avesse avuto
già tante altre cose
a cui pensare. «non vi allarmate per me, maestà.
Nahema ha ragione, la mia
reazione è dovuta unicamente alla sorpresa. Non sono stata
debitamente
ragguagliata sul vostro incontro, spero che non sia accaduto niente di
disdicevole» disse, seppure quell’allusione alla
schiena del re non le
lasciasse molte speranze «nei nostri precedenti incontri,
avevo anticipato a
voi e ai vostri genitori che Nahema è un
po’…come dire…eccentrica».
“aggiungerei altresì che un re che si traveste per
conoscere una persona prima
di un incontro ufficiale prefissato
è altrettanto
eccentrico. In questo caso è
tornato utile che fosse così, ma c’è da
domandarsi quanto un giovane re che fa
cose così bizzarre possa far bene al regno!...ecco cosa
succede quando la
corona finisce in mano a famiglie nobili da meno di tredici
generazioni”.
I Lunanoff erano brava gente ma, rispetto ad altre famiglie, la loro
era una
nobiltà piuttosto "recente", acquisita quando
l’High
General of the Galaxies
Polaris Lunanoff, estremamente
amato dalla popolazione, aveva occupato
il posto
del re Tsar Rocheborn Lynx, un pazzo psicotico come se
n’erano visti pochi.
Un pazzo con degli Aldebaran tra i suoi ascendenti,
tra gli
altri.
Ma era un dettaglio cui nessuno aveva fatto caso, essendo
all’oscuro della
“tara genetica”.
«un po’eccentrica, forse. Eccezionale, sicuramente.
Se ora i miei genitori…oh,
ecco mia madre».
La madre di Tsar era una donna alta e florida, con gli occhi grigi e
lunghi
capelli ramati. Era solo qualche somiglianza nell’espressione
ad accomunarla al
figlio, che per il resto era tale e quale al padre. «salute a
tutti! Iyra, è
proprio una gioia per me vedere tua figlia finalmente qui a
palazzo» disse,
senza neppure dare ad alcuno il tempo di rispondere al saluto,
avvicinandosi
rapidamente alle due. «Nahema cara, lasciati
guardare…sì, hai indubbiamente lo
stesso bel viso di Iyra. Che dire, benvenuta».
«vi ringra-»
«no, no cara, non darmi del “voi”: per
te, come per tua madre, io sono
semplicemente Elvashak» quando lei e il marito avevano
abdicato in favore del
figlio, avevano perso i titoli di “Tsar” e
“Tsarina”, che spettavano solo a
sovrano e consorte, ma Elvashak non pretendeva neppure che le si desse
del
“voi”, non da persone come Iyra con cui aveva
rapporti più “stretti”. «Tsar,
perché non porti Nahema a visitare il palazzo, e magari
anche tutti i terreni
limitrofi?...Iyra e io abbiamo molte cose da amiche intime di cui
conversare»
disse l’ex regina, lanciando una breve occhiata
d’intesa ad Iyra. Non c’era
dubbio che il desiderio che i loro due figli si fidanzassero era forte
da
entrambi i lati, probabilmente anche perché il denaro degli
Aldebaran giocava
la sua parte.
Tsar, obbediente, annuì e si avvicinò a Nahema.
«di sicuro la città non è
affascinante come la capitale di Aldebaran I, ma ti assicuro che ci
difendiamo
bene».
«non ne dubito. Allora,
Elvashak…mamma…ci vediamo dopo».
I ragazzi lasciarono la stanza, attentamente osservati da entrambe le
donne,
che non distolsero lo sguardo fino a quando la porta si chiuse dietro
di loro.
«mio figlio ha parlato di Nahema in termini che non lasciano
dubbi sul fatto
che l’ammiri molto» esordì Elvashak
«spero solo che lei trovi Tsar altrettanto
degno di stima».
«non vedo come potrebbe accadere il contrario».
«Nahema a te non ha parlato di lui?»
indagò la donna.
«Nahema non mi ha neppure raccontato del loro
incontro» fu costretta ad
ammettere Iyra «ma non me ne stupisco, dal momento che sembra
godere
nell’attentare ai miei poveri nervi!» si
lasciò sfuggire, nell’esasperazione.
«andiamo, sicuramente esageri. Forse le sarà
passato di mente dato che lei,
come del resto anche tu, ha diversi impegni anche nei momenti in cui
torna a
casa. Per fortuna, quando saranno
fidanzati,
le cose per lei si
faranno molto più “rilassate”. Non
intendo far
sì che l’esercito rinunci a un
elemento così valido, ci mancherebbe altro, ma rallentare il
ritmo le farà
bene».
«sono pienamente d’accordo» disse Iyra,
senza mentire. Nahema non lo sarebbe stata altrettanto ma, per
il bene di tutti, se ne
sarebbe
fatta una ragione.
Gli
Aldebaran sarebbero arrivati alla corona, ormai era solo questione
di
tempo…
Rieccomi, come vi avevo anticipato :)
Potete notare che l'undicenne che ha
lottato con il nostro giovane Pitchione è cresciuta, e non
è certo diventata meno pericolosa...anzi :'D ma lo capirete
meglio anche in seguito!
Vi raccomando di fare caso al
precedente storico -frutto di una
mia invenzione- secondo cui i Lunanoff sono discendenti di
un High General of the Galaxies molto
amato dal popolo che proprio per tale motivo è
salito al potere appena c'è stato un "vuoto". È
uno dei motivi per cui in futuro...no, niente, lo vedrete :'D
Da ultimo ci tengo a chiarire una
cosa, tante volte qualcuno lo avesse pensato: Nahema non è la
futura madre di Manny. NO. Assolutamente
no :'D
Alla prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 6 *** 6. Un matrimonio che non s'ha da fare - parte I ***
=
Un matrimonio che non s'ha da fare - parte I =
Aleha era raggiante: il giorno tanto
atteso era arrivato, e
finalmente avrebbe finalmente sposato il suo Kozmotis. Avevano
rimandato per
diverso tempo, lui aveva voluto arrivare a un grado più alto
nell’esercito in
modo da garantire a se stesso -e a lei, una volta sposati- un certo
tenore di
vita…e ci era riuscito più che bene, dal momento
che l’anno prima era diventato
High General of the Galaxies.
Era diverso tempo che un generale di estrazione plebea non raggiungeva
il
massimo grado militare: l’ultimo, se non ricordava male, era
stato un antenato
dei Lunanoff quando non erano ancora saliti al trono, motivo per cui
quell’elezione era stata particolarmente
“sentita” dalla gente comune di ogni
parte del regno -meno da Lord Renin della Casa Altair,
l’ultra favorito
per il titolo, che
si era congratulato calorosamente
con Kozmotis solo per poi
stritolargli la
mano- ed era un altro motivo per essere fiera di lui, nonché
ancora più felice
di sposarlo.
«sicura di non aver bisogno di aiuto?»
La cosa migliore però era che Spear sembrava aver accettato
l’idea di avere
Kozmotis come cognato. Dopo tutti i terribili litigi con Kozmotis, dopo
tutte
le discussioni con lei -l’ultima dieci giorni prima- sua
sorella maggiore aveva
finalmente iniziato a comportarsi come avrebbe sempre dovuto fare,
ossia
smettendo di cercare di denigrare la sua relazione, evitando di
inquietarla con
oscuri presagi privi di una qualsiasi valida ragione, e sostenendola e
in quel
momento così speciale per lei.
«no, Spear, non entrare, faccio da sola…ma grazie
lo stesso!»
Doveva solo indossare il suo vestito da sposa, cosa
che
avrebbe fatto in meno di un minuto, perché non
c’era più altro da fare: aveva
deciso di lasciare i capelli sciolti al naturale, e il trucco
consisteva
semplicemente in un velo di rossetto, un po’di matita nera e
del mascara. Di
solito non usava neppure quelle poche cose, fortunatamente per lei non
ne aveva
un gran bisogno.
«quindi oggi è proprio il gran giorno»
disse Spear da dietro la porta «“Aleha
Sinetenebris” diventerà “Aleha
Pitchiner”».
Aleha Pitchiner…suonava così
bene!, pensò la ragazza. «sì, e non
vedo
l’ora».
«sono le tre del pomeriggio».
«ah-ah-ah. Divertente» commentò Aleha,
avvicinandosi al letto «guarda che qui
ho l’orologio».
«quindi niente panico pre-nuziale? Ripensamenti
dell’ultimo minuto? Un minimo
dubbio?»
«no, neppure mezzo. Non vorrai ricominciare a tentare di
convincermi a non
sposarlo proprio adesso, spero!…dove ho messo le
scarpe?» borbottò, chinandosi
a sbirciare sotto il letto.
«no. Arrivata a questo punto temo di dover passare dalle
parole ai
fatti».
Aleha ebbe giusto il tempo di provare una sensazione
d’allarme causata dalle
parole della sorella, perché quando si voltò e
corse verso la porta era già
troppo tardi: aveva sentito distintamente gli scatti della serratura.
L’aveva chiusa a chiave nella sua camera.
«Spear, apri» le intimò Aleha, con la
voce che tremava leggermente.
Sua sorella l’aveva chiusa a chiave nella sua camera a
mezz’ora dal
matrimonio.
«no».
«apri la porta. Lasciami
uscire» iniziò a sbattere furiosamente la
maniglia, pur sapendo che era inutile «Spear, io mi
devo sposare tra
mezz’ora! APRI LA PORTA, MALEDIZIONE!!!»
«solo quando inizierai a ragionare».
«questo è un vero e proprio sequestro di persona,
e secondo te sono io che non
ragiono?! Perché mi stai facendo una cosa del
genere?! Perché vuoi
rovinare il giorno più bello della mia vita?!!»
«lo faccio perché ti voglio bene. So che al
momento mi stai odiando, ma credimi
se ti dico che non potrei farti favore più grande di
questo» disse Spear, del
tutto convinta delle proprie parole.
«se mi volessi bene non mi avresti chiusa qui dentro, e non
avresti cercato di
separarmi da lui in quel modo squallido, anni fa! » non
avendo la sorella
davanti, Aleha sfogò la frustrazione scagliando un pugno
contro la porta. Le aveva fatto male, ma non le importava. «non
è
vero che mi vuoi bene!!!»
«te ne voglio molto più di quanto te ne voglia
quello che dovrebbe diventare
tuo marito. Andiamo, tu credi veramente che la morte di Mira Pitchiner,
avvenuta guarda caso meno di un mese dopo che Kozmotis ha ottenuto il
titolo di
High General, sia stata accidentale come dicono?»
Aleha si stupì. Non capiva proprio cosa c’entrasse
adesso quel triste fatto,
avvenuto ormai quasi un anno prima. «perché tiri
in ballo sua madre, adesso?!»
«mi hai detto tu stessa che Renin Altair non era molto
contento che fosse stato
eletto Kozmotis e non lui. Mira Pitchiner e un gruppo di sue colleghe
sono
state chiamate per gli addobbi della festa del quattordicesimo
compleanno
della nipote del suddetto
Altair...»
«non c’è niente di strano,
quell’azienda riceve richieste da ogni parte del
regno, non-»
«le sue colleghe sono tornate a casa sane e salve. Lei
no» continuò
imperterrita Spear «caso strano è stata
l’unica a cadere e rompersi il collo».
«qualunque cosa sembra un “caso strano” a
una persona che vede complotti
dappertutto! È stata una disgrazia, e quello che dici
è semplicemente assurdo.
Ammettiamo che Lord Altair si sia risentito per l’elezione di
Kozmotis, e allora?!
Secondo te si sarebbe sprecato a far uccidere Mira per
ripicca?!»
«è esattamente quello che penso»
confermò Spear «anche se non ci sono
prove».
Aleha diede un altro colpo alla porta. «questo
è folle!»
«e io non ho mai detto il contrario, ma gli Altair sono state
tra le famiglie
nobili più sanguinarie fino a quando, secoli fa, i Lynx
hanno preso il potere e
gli hanno fatto abbassare la cresta. Il loro motto non è
tuttora "Blood Will Have
Blood"?
C'è il proverbio sul nobile sangue e
il nobile
cuore, sì, ma è abbastanza
“recente”»
Spear rigirò la chiave tra le dita, poggiandosi
contro una parete. «non sono mai stata felice della tua
relazione con Kozmotis
Pitchiner, ma diventare High General of the Galaxies è stato
come disegnarsi un
bersaglio sulla schiena, e disegnarne uno anche a te di conseguenza. Io
glielo
ho detto. Ho sperato che mi avrebbe dato retta, e invece ha addirittura
anticipato le nozze… quando quel che successo a sua madre
è stato un messaggio
estremamente chiaro, per qualcuno che è in grado di vedere».
«falla finita con queste idiozie!»
gridò Aleha «è tutto nella tua testa,
come sempre del resto! Tu chiacchieri, ma intanto non sai darmi un
motivo valido che
sia uno, se non che tu non vuoi! Dici che è per il mio bene,
ma io ormai sono
adulta, non ho bisogno di qualcuno che decida le cose al posto mio, e
soprattutto che decida cos’è “il mio
bene”!»
«…sì, e intanto il tuo ragazzo ha
deciso quando vi sareste
sposati, dove, e anche chi invitare! Non mi risulta che ne abbiate
parlato,
piuttosto che te l’abbia comunicato».
«questo è perché è stato
fatto tutto molto in fretta, se no oltre alla maggior
parte dei suoi ufficiali avremmo invitato anche molti altri!»
ribatté Aleha
«Spear, per favore, mancano venticinque minuti, non puoi
veramente voler
rovinare tutto!»
«preferisco rovinarti una giornata che permetterti di
rovinare la tua intera
vita. Sono tua sorella maggiore, proteggerti è il mio
dovere, è quello che ho
sempre fatto e che sempre continuerò a fare. Sarò
cattiva, sarò una strega,
sarò quello che ti pare, ma con questo posso convivere. Con
la consapevolezza
di non aver almeno cercato di aiutarti, no».
Niente da fare, non c’era modo di persuaderla ad aprire, e
Aleha ormai lo aveva
capito: Spear era convintissima di stare facendo del bene, e niente
avrebbe
potuto farle cambiare idea.
Si allontanò dalla porta, trattenendo lacrime di puro
nervosismo. Come aveva
potuto essere tanto ingenua da credere veramente che
sua
sorella potesse aver accettato quel matrimonio? Forse Kozmotis aveva
ragione
quando le diceva che tendeva a pensare troppo bene delle persone, di
Spear in
particolare.
“la finestra!...”
Forse c’era ancora speranza: la sua camera da letto era al
primo piano, e
sarebbe stato un bel salto, ma sotto c’era un cespuglio che
avrebbe potuto
attutire la caduta. Tutto quel che doveva fare era stare attenta.
Ripiegò con cura il suo abito da sposa, poi trovò
le scarpe, le infilò in una
busta e mise tutto in uno zaino che si caricò sulla
schiena.
Si avvicinò alla finestra pensando che fosse fatta, ma
quando provò ad aprirla
non ottenne alcun risultato.
Aleha non apriva quella finestra molto spesso, specialmente in quella
stagione,
ma di sicuro non la ricordava inchiodata.
«no!…non ci credo».
Altro che rassegnazione o approvazione, Spear era andata fuori di
testa, e il
peggio era che lei non fosse riuscita ad accorgersene nella maniera
più
assoluta. Anzi, no: il peggio era non essersi procurata un comunicatore
portatile, perché avendo quello avrebbe potuto chiamare
aiuto.
Per un attimo pensò di provare a ingannare sua sorella
fingendo di cedere, così
che Spear aprisse la porta e lei potesse provare a fuggire, ma dubitava
seriamente che sarebbe cascata in un trucchetto così
stupido…e intanto
mancavano solo venti minuti all’inizio della
cerimonia.
Venti.
Minuti.
Non aveva fatto male a dire a Kozmotis di non mandare nessuno a
prenderla,
aveva fatto malissimo.
«dovevi scegliere proprio oggi per
dare di matto?!»
«tu chiami questo “dare di matto” solo
perché non conosci le altre
opzioni, credimi».
«non le so e non le voglio neanche sapere, ma pretendo che tu
adesso apra
quella maledetta porta, altrimenti giuro su quello che vuoi che la
sfonderò,
uscirò, e ti prenderò pugni!»
gridò la ragazza, che dal proprio punto di vista
avrebbe anche avuto tutte le ragioni per fare una cosa del genere.
«non riuscirai a sfondarla, ho fatto dei calcoli».
“sfondare…”
“la porta forse no” pensò Aleha mentre
con aria febbrile si alzava dal letto,
sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle, e andava ad afferrare la
sedia
accanto alla scrivania, sollevandola. “ma la finestra
sì, quella sì”.
Era una brutta cosa sfondare la finestra? Sì.
Era pericoloso, per una niente affatto abituata a certe cose, tentare
un simile
salto rischiando l’osso del collo? Eccome.
Aveva tenuto conto dei frammenti di vetro che avrebbero potuto ferirla,
oltre
al resto? Certo.
Le importava qualcosa?
No.
Vide le sue braccia muoversi, sentì il rumore della finestra
che andava in
frantumi e, prima che avesse tempo di rifletterci sopra, si
ritrovò sul
davanzale pronta a saltare, senza provare nessunissima paura.
Lei, a cui faceva impressione salire su una sedia
per cambiare una
lampadina fulminata.
Saltò giù senza che alcun pensiero riuscisse ad
attraversarle la mente, come se
si fosse trovata in uno stato di alterazione indotto da
chissà quale sostanza.
Uno stato quasi di grazia, brutalmente spezzato dapprima da un dolore
lancinante partito dal piede sinistro, poi da quello alla spalla
corrispondente: il piede aveva ceduto, di conseguenza lei era crollata
a terra
e dei frammenti di vetro si erano profondamente conficcati
nell’articolazione.
“ci penserò poi, io devo
alzarmi!!!”
Riuscì a tirarsi su abbastanza rapidamente e a raggiungere
il marciapiede, col
respiro corto, le lacrime agli occhi e il dolore che si rinnovava ad
ogni
falcata: doveva per forza appoggiare il piede anche solo un
po’ per cercare di
essere più veloce possibile, e soprattutto doveva trovare un
nascondiglio
temporaneo, perché Spear non ci avrebbe messo a scendere le
scale e uscire di
casa, e lei non doveva assolutamente farsi prendere, o avrebbe potuto
dire
addio al suo matrimonio.
“se almeno avessi avuto il tempo di prendere la
moto!...” pensò, con grande
rimpianto.
Trattenne un grido di dolore mentre imboccava una stradina secondaria
che
portava…non ricordava bene dove.
“ora che faccio?!” pensò, appoggiandosi
contro uno steccato per evitare di
cadere a terra: il piede non voleva proprio collaborare, e se non fosse
stato
per quel minimo di prontezza di riflessi che le restava sarebbe
crollata giù.
Se solo avesse incontrato qualcuno a cui poter chiedere aiuto,
chiunque!...e
invece niente, le strade erano deserte. Maledizione, ma
dov’era la gente quando
poteva servire?!
Ah, già, che domande: a quell’ora le persone erano
al lavoro.
“dovevamo proprio sposarci in questo giorno del cazzo?! A
quest’ora del cazzo?!
Ma soprattutto dovevo proprio avere…”
«…una sorella del cazzo!!!»
ringhiò, continuando a trascinarsi lungo la
strada.
Kozmotis avrebbe disapprovato il suo linguaggio, ma tanto non era
presente…e se
anche ci fosse stato probabilmente si sarebbe trovato un
po’troppo disorientato
per farlo: Aleha con la forza di procedere avanti nonostante quelle
ferite,
infuriata e anche sboccata era qualcosa di assolutamente inedito.
Il rumore di una moto che conosceva fin troppo bene la fece impietrire
per un
breve istante. Era chiaro -ovvio- che Spear non
intendesse assolutamente
demordere, e non l’avrebbe stupita se avesse deciso di
imboccare proprio quella
strada, immaginando che lei avesse abbandonato la via principale.
Sarebbe stata
lì a minuti, anzi, probabilmente a secondi, e col piede in
quelle condizioni
non c’era tempo materiale per allontanarsi oltre: doveva
tentare un altro
sistema.
Con la forza della disperazione, la ragazza si aggrappò allo
steccato e,
aiutandosi col piede sano, cercò di tirarsi su. Maledisse
più volte quel seno
enorme che solitamente le piaceva tanto, ma che ora le stava solo
impicciando
-quasi quanto lo zaino che aveva ancora sulla schiena- e che la
sbilanciò non
poco facendola cadere in avanti come un sacco di
patate…all’interno del
giardino, se non altro.
Intontita, borbottando biascicanti improperi contro sua sorella, la sua
sfortuna con le parentele e l’universo intero, si
trascinò verso la porta sul
retro strisciando come un verme. Essere riuscita a entrare nel giardino
era un
passo avanti, ma non era certo finita. Sua sorella avrebbe guardato con
attenzione nei cortili, e se per disgrazia avesse
visto
qualcosa di sospetto…!
Però c’era un problema: come riuscire a entrare in
casa dall’ingresso sul
retro, dato che la famiglia che l’abitava non c’era?
Si aggrappò agli stipiti della porta per aiutarsi ad
alzarsi, osservandone la
parte superiore -in vetro-. A mali estremi, estremi rimedi: avrebbe
compiuto
un’effrazione come se fosse stata una volgare delinquente
qualsiasi. Avrebbe
pagato i danni in seguito, ma quella era un’emergenza!
“…è aperta!”
La fortuna in quel caso l’assistette, e Aleha poté
entrare in casa senza fare
danni, chiudendosi la porta alle spalle con un sospiro di sollievo. Si
guardò
attorno: ora che si era tranquillizzata un po’riconosceva
quella casa, era dei
Neramani, una coppia di coniugi di mezza età che aveva una
figlia un paio
d’anni più giovane di lei.
«c’è qualcuno? Dorathea?...»
No, non c’era nessuno. Quella era, appunto, un’ora
in cui la maggioranza della
gente era al lavoro, e i Neramani non facevano eccezione: avevano
semplicemente
dimenticato di chiudere la porta.
Peccato, perché l’aiuto di almeno una persona
amica le avrebbe fatto comodo,
Spear ormai era in una condizione in cui lei non poteva proprio
affrontarla da
sola e, no, non importava che Aleha pesasse diciannove/venti chili
più di lei,
soprattutto se si era portata dietro la pistola a tranquillanti per i
pazienti
poco “pazienti”.
Cosa che aveva fatto quasi di sicuro.
“devo sfruttare questo momento di calma per controllare i
danni, curarmi come
posso, e soprattutto chiamare qualcuno che mi venga a
prendere. Fa’ che
i Neramani abbiano ancora la linea fissa!”
Avrebbe voluto controllare immediatamente, ma il suo piede e la sua
spalla non
erano affatto d’accordo, e fu costretta a ripiegare verso il
bagno più vicino.
Una volta entrata diede una rapida occhiata attorno a sé, in
cerca di un
armadietto dei medicinali che trovò immediatamente.
Disinfettante, cerotto
liquido, garza per fare fasciature e antidolorifici: per fortuna non
mancava
niente.
Per prima cosa si tolse di dosso le schegge di vetro, avendo cura di
disinfettare bene tutte le ferite. In futuro avrebbe dovuto procurarsi
uno di
quei preparati alchemici maledettamente costosi, o le sarebbero rimaste
delle
cicatrici a perpetua testimonianza della -sperava momentanea- follia di
sua
sorella. Quanto al piede, dopo un breve esame diagnosticò
una brutta contusione
al malleolo. Poteva andarle meglio, ma anche decisamente peggio.
Si diresse in salotto, e un nuovo colpo di fortuna volle che i Neramani
non
avessero ancora abbandonato la linea fissa.
«e ora devo chiamare…»
Chiamare chi? Kozmotis? Per farlo venire lì, farlo litigare
ferocemente con
Spear -perché pur avendo una cerimonia in programma lui non
avrebbe mai
lasciato correre, non dopo fatti del genere- e rovinare anche
a lui la
giornata?
Non aveva intenzione di fare niente di simile. Almeno uno dei due
doveva
rimanere sereno per quanto possibile.
In quel frangente le venne in mente il numero di una persona soltanto
da poter
chiamare, e ringraziò gli Dei di avere una buona memoria per
le sequenze di
cifre.
– colonnello Grimmers.
«Rich, sono
Aleha…non dire niente. Ho
bisogno di aiuto, ma non
voglio che Kozmotis si preoccupi. Se sei vicino a lui trova una scusa
per
allontanarti, d’accordo?»
Rich Grimmers non era uno degli ufficiali dell’Armata Dorata,
comandava lui
stesso un’armata che solitamente si occupava di mantenere la
tranquillità ai
confini del territorio dei Vega, ma era comunque il testimone di nozze
del suo
fidanzato.
I due si erano conosciuti durante il primo anno di Accademia
Militare,
si erano trovati ben presto d’accordo, e alla fine Kozmotis
aveva deciso di
portarlo a casa propria e permettergli di
conoscere la sua ragazza,
il che era tutto dire, perché ai tempi era doppiamente
geloso di lei rispetto a
quanto fosse ora. Per fortuna le cose erano filate lisce come
l’olio anche con
lei, e tuttora capitava che si sentissero, di solito più per
lettera che per
altre vie.
– sì, mamma, sì, che ne
abbiamo in casa, ti ho detto…! Scusate un attimo
ragazzi, è mia madre che cerca il suo pacco di
zuccherepevattelapesca…ecco, ora
possiamo parlare.
«ho bisogno che qualcuno venga a prendermi prima possibile.
Hai presente la
stradina secondaria vicino casa mia? Sono nella terza casa che trovi.
Parte
sinistra. Dai Neramani. Capito dove?»
– mi ricordo bene sia Dorathea Neramani che
dove abita, stai sicura. Ma
cos’è successo?
«Spear ha dato di matto».
– …ah.
Grimmers non aveva avuto il dubbio piacere di conoscere Spear, ma ne
aveva
sentito parlare a sufficienza da Kozmotis in termini
come “strega”,
“demone degli Abissi dei morti senza
pace” e “per
carità degli
Dei, meno la vedo meglio sto”, cosa di cui Aleha
era consapevole. Fino a
quel giorno non aveva affatto gradito che si sparlasse così
di sua sorella, ma
in quell’occasione Spear stava dimostrando che certe
definizioni non erano
troppo lontane dalla verità.
«forse ha anche una pistola a dardi tranquillanti, e nessuna
remora a usarla.
Per adesso sono al sicuro, ma per favore, fai presto!...»
– verrò io stesso, più altri
quattro uomini, tempo sette minuti e saremo lì.
Lui interruppe la comunicazione prima che Aleha potesse dire anche solo
“grazie”. Sette minuti…metà
del tempo che ci sarebbe voluto andando a una
velocità ragionevole. Un po’rischioso, ma per lei
era meglio così.
“mentre aspetto che arrivi, tanto vale che torni in bagno a
mettere il vestito
e darmi una sistemata” pensò.
[…]
Non poteva essere andata troppo lontano. Aveva trovato tracce di sangue
per
terra, e l’aveva vista andare via zoppicando, anche se
l’adrenalina le aveva
permesso di tenersi in piedi e procedere abbastanza velocemente.
Aleha era lì da qualche parte, ferita, il che le dava un
ulteriore motivo per
recuperarla al più presto: quel matrimonio non si doveva
fare, ma l’ultima cosa
che Spear avrebbe voluto era farle del male, o lasciare che finisse col
farsi
male.
Aveva sfondato la finestra con una sedia ed era saltata
giù. Aleha! …aveva
perso la testa, non c’era altra spiegazione. Doveva ammettere
di averla
sottovalutata, non l’avrebbe mai giudicata capace di un gesto
così inconsulto.
Tutto per cosa? Per andare a sposarsi con Kozmotis Pitchiner!
Follia pura, e sicuramente Aleha era anche convinta di essere nel
giusto.
Perché, perché si
rifiutava di aprire gli occhi? Per quale
assurdo motivo sembravano tutti quanti ciechi di fronte a cose che per
lei
erano così chiare?! Possibile che non riuscissero a vedere
il modo in cui l’oscuro
destino di Kozmotis Pitchiner aveva già iniziato a stringere
le spire
attorno a
lui, e ad Aleha di conseguenza?
Mira Pitchiner era stata solo l’inizio, e non se ne rendevano
minimamente
conto.
Lui non lo faceva.
Aleha non lo faceva.
A Spear non importava che Kozmotis potesse fare una brutta fine, non le
sarebbe
importato nemmeno se l’intera popolazione del regno fosse
morta, purché Aleha
si salvasse, e questo sarebbe stato possibile solo se
quell’idiota di Pitchiner
avesse dato ascolto ai suoi avvertimenti: Aleha non lo avrebbe mai
fatto, era
troppo persa dietro a lui, troppo pronta a pendere dalle sue labbra.
“sono congetture, solo maledette congetture della
tua mente
malata, razza di strega!!!”
Questo era stato tutto ciò che era riuscita a ottenere da
lui, che avrebbe
voluto prove concrete che Spear non poteva dargli. Non poteva neppure
dargli
spiegazioni chiare su ciò che li minacciava. Da un lato
poteva anche riuscire a
capirlo ma, maledizione, perché non si limitava a darle
retta e basta?! Pensava
forse che lei si divertisse a rendersi conto ogni giorno di
più quanto sua
sorella si stesse avvicinando all’abisso?
Controllando un giardino dopo l’altro Spear pensò
che, se per disgrazia fossero
riusciti a sposarsi e fosse successo qualcosa ad Aleha, non avrebbe mai
perdonato Kozmotis Pitchiner. Lo avrebbe sempre ritenuto il solo ed
unico
colpevole. Non c’era nulla che lui potesse fare per cambiare
il proprio
destino, ormai, ma aveva ancora potere su quello di Aleha. Poteva
ancora salvarla,
se lui l’avesse lasciata e loro due fossero andate via in
tutt’altra parte
della galassia.
“ma dove sei?!...”
Ormai erano oltre cinque minuti che stava perlustrando la zona in cerca
di
Aleha senza trovarne traccia. Non intendeva arrendersi, ma le seccava
perdere
tempo in quella maniera, e c’era qualcosa…un
dettaglio che il suo
sguardo doveva aver catturato da qualche parte, mentre guardava i
giardini, ma
che continuava a sfuggirle. Un dettaglio importante.
Accostò a lato della strada, con la grossa moto nera e oro
scuro ancora accesa
che borbottava sotto il suo corpo esile. «…le cose
sono due, testa: o ti decidi
a fare il tuo dovere o inizierò a sbatterti contro una
parete, e bada che non
sto scherzando».
Non era la prima volta che minacciava così il suo cervello,
e solitamente
funzionava.
Rivide alcuni giardini, poi i suoi ricordi si fissarono su quello dei
Neramani…ma non c’era niente che non andasse, nel
giardino dei
Neramani…cos’aveva visto allora? Qual era il
dettaglio che le sfuggiva?
Lo steccato bianco…
Cosa c’era sullo steccato bianco?
Macchie rosse.
Poche, ma erano macchie rosse…rosse come il sangue fresco.
Era un medico, sapeva riconoscere le macchie di sangue, quando le
notava.
Aleha doveva essere entrata in casa dei Neramani.
Ripartì, fece fare una bruca inversione a U alla moto, e
procedette a tutta
velocità verso casa dei Neramani. Aleha si era di certo
nascosta all’interno
dell’abitazione: c’era da chiedersi come avesse
fatto a entrare, dal momento
che i Neramani a quell’ora erano al lavoro, ma arrivate a
quel punto non
l’avrebbe sorpresa se sua sorella avesse compiuto
un’effrazione.
“oh no. Assolutamente no”.
Quella era senza dubbio un’automobile semiblindata
dell’esercito, e si stava
fermando “casualmente” proprio davanti al giardino
dei Neramani.
Aleha doveva aver chiamato rinforzi, e con
“rinforzi” si intendevano alcuni
degli ufficiali dell’armata più grande e potente
del regno, High General
incluso, forse.
Militari addestrati.
Persone che combattevano tutti i giorni, più che pronte a
fronteggiare un
attacco.
Uomini alti, forti e forse anche armati.
In tutto ciò, lei era una donna di un metro e settantacinque
che pesava più
o meno quarantotto chili…
“che provino a fare quello che vogliono, Aleha non
andrà da nessuna parte!”
…a cui non sembrava importare alcunché
dell’evidente disparità di forze.
Spear diede gas e, appena due ufficiali scesero dall’auto, li
colpì con tre
dardi tranquillanti in tutto: il quarto purtroppo andò a
vuoto.
Superò l’auto, maledicendosi per aver sprecato un
colpo in quel modo
considerando che ora le restavano solo due dardi e che, come vide
quando fece
inversione, c’erano ancora tre ufficiali da abbattere.
«ha una pistola a dardi!!!...»
“ma no. Davvero. Non se n’erano accorti”
pensò Spear, riuscendo a colpire alla
gola il militare che aveva urlato l’inutile avvertimento. Ora
ne restavano solo
due, e a lei solo un colpo. «andatevene immediatamente. Non
ve lo dirò un’altra
volta!»
«puoi dimenticartelo» dichiarò uno dei
due rimasti in piedi, che Spear riconobbe
come l’amico di Aleha e del suo fidanzato,
tal…Grimm? Grimmer? Chi se
ne importava. «…entra e portala fuori,
Finch!» ordinò l’uomo «portala
fuori!»
Mentre Finch correva verso la casa, il colonnello Grimmers
andò velocemente
incontro a Spear con uno storditore elettrico in mano.
In quelle poche frazioni di secondo che aveva, Spear decise di scendere
dalla
moto e colpire Finch con l’ultimo dardo, cosa che le
riuscì, ma in breve tempo
il colonnello le fu addosso.
«porteremo Aleha alla cerimonia, che ti piaccia o
no!» affermò Grimmers,
cercando di colpirla con lo storditore senza riuscirci. Quella donna
era esile,
ma sfuggente come una maledetta anguilla dei territori degli
Aquarius!
Riuscì ad afferrarla solo dopo un paio di minuti di
tentativi andati a vuoto.
«mi spiace» disse, mentre Spear si strattonava per
liberarsi «ma devo renderti
inoffensi-»
Non riuscì a finire la frase, perché tre colpi
all’inguine dati con una forza
spaventosa lo privarono momentaneamente delle sue facoltà
vocali. I dardi erano
finiti, ma Spear aveva usato con acume il calcio della pistola, e
nonostante i
propri sforzi il colonnello non riuscì a impedirle di
liberarsi e strappargli
lo storditore elettrico dalle mani.
«per portarla in municipio dovrete passare sul mio
cadavere!» sibilò
Spear, avvicinando lo storditore al collo di Grimmers.
Qualcosa -o meglio, qualcuno- la spinse via proprio
all’ultimo, facendola
sbilanciare, e le tolse lo storditore dalle mani.
Spear fece solo in tempo a volgere lo sguardo al suo aggressore per
capire che
si trattava di Aleha -spaventata quanto risoluta- prima di avvertire un
forte
dolore ad una spalla e vedere il mondo diventare vuoto e buio.
«alzati Rich,
ALZATI!!!»
Non era un’allucinazione: Aleha era vestita da sposa, aveva
lo storditore
elettrico in mano, e aveva appena messo fuori gioco sua sorella. Per
tutti gli
Dei degli Alti Cancelli, adesso sì che aveva capito
perché Kozmotis amava
quella ragazza! «s-sali in macchina, Aleha!»
esclamò.
«no, prima ti aiuto ad alzarti, e non voglio
discussioni» disse, perentoria,
mentre dava una mano al colonnello «presto, prima che si
riprenda!»
«ha preso una scarica che la terrà buona almeno
per altri tre min-maledizione,
ma CHE COSA È?!» gridò, nel
rendersi conto che alla faccia di ogni possibile
pronostico Spear si era già ripresa, e si stava lentamente
rialzando.
Per
fortuna erano già arrivati alla macchina, e lui
salì al posto di guida più svelto che poteva.
«è cocciuta!» anche
Aleha era salita, sul sedile accanto a quello di
Grimmers «PARTI!!! Parti, muoviti!»
Il colonnello non se lo fece ripetere due volte, e partì in
quarta premendo
l’acceleratore a tavoletta, pensando quanto, a volte, stare
seduto fosse
dannatamente doloroso. Quando poi curvò per entrare in una
strada secondaria, a
suo parere più sicura ma tenuta meno bene della principale,
fu persino peggio,
ma non era proprio il momento adatto per lamentarsi. «per gli
Dei…ma tua
sorella non era un medico?!»
«te l’ho detto che è cocciuta. Molto cocciuta».
«cocciuta, dici! Ha steso due
maggiori e un tenente, ha colpito un
tenente colonnello mentre io le andavo addosso, mi ha atterrato, e si
è
rialzata pochi secondi dopo aver preso una scarica
elettrica!» elencò, con uno
sguardo ancora incredulo negli occhi nocciola «o è
un demone degli Abissi come
dice Kozmotis, o è stata sottoposta ad uno strano
esperimento
scientifico/magico/alchemico per creare strani superesseri di
non-so-cosa…altro
che “cocciuta”!» sbottò
Grimmers «Pitch avrebbe dovuto mandarla in prima linea,
quando l’hanno spedita al fronte a fare il medico nella sua
armata!»
«adesso non far sembrare che abbia fatto chissà
cosa, anch’io avrei potuto
stendere i tuoi colleghi, se avessi avuto dei dardi
tranquillanti» minimizzò
Aleha, che per il momento non vedeva niente di troppo improbabile in
tutto questo
«e non darle del
demone, per piacere. Prende solo delle grosse cantonate...con
conseguenze
estremamente spiacevoli e folli, lo
ammetto» infatti era ancora
arrabbiata, sebbene aver stordito Spear avesse già attenuato
il tutto a causa
di -assurdi?- sensi di colpa «ma da qui a
“demone” ce ne corre!»
«se lo dici tu! Comunque sia, si può sapere
com’è che sei finita in casa dei
Neramani? Per di più ferita?» aggiunse, dopo aver
dato un’occhiata alla spalla
sinistra di Aleha.
«ho dovuto rompere la finestra di camera mia e saltare
giù...ma scusami, al
momento non mi sento proprio di parlarne. Voglio solo pensare che sto
andando a
sposarmi e fingere che questa sia una bella giornata!»
Speranza vana: appena ebbe finito di parlare, un colpo di cui non
riconobbe la
natura raggiunse la parte posteriore dell’automobile, seguito
da un altro in
rapida successione…
«porca puttana, tua sorella sta cercando di colpire
le gomme!!!»
«sta facendo COSA?!!»
Grimmers ovviamente aveva riconosciuto eccome i colpi che aveva
sentito,
classificandoli come degli spari, e guardando lo specchietto
retrovisore aveva
visto niente meno Spear, dritta in sella alla propria moto come
se non fosse
stata stordita da una scossa poco prima, con in mano la pistola
d’ordinanza che
doveva aver rubato a lui stesso.
Era stato il solo a portarsela dietro in quell’occasione, e
probabilmente Spear
gliel’aveva sottratta quando si era liberata dalla sua presa.
Ringraziando gli Dei l’aveva caricata con quei due soli
colpi, e in ogni caso
le gomme erano fatte per resistere a ben altro, quindi erano al
sicuro…ma il
solo fatto che li stesse inseguendo era così assurdo!
“c’è anche da chiedersi come sia
riuscita a intuire la strada che avremmo
imboccato!” aggiunse mentalmente.
«ha cercato di sparare alle gomme…con la mia pistola!
Ma tanto
i proiettili sono finiti, e non avrebbe funzionato lo
stesso».
«non so se stupirmi di più che ci stia alle
costole o per gli spari,
sinceramente!» ammise Aleha, dando veloci occhiate allo
specchietto
retrovisore.
Proprio in quel momento il comunicatore del colonnello
iniziò a vibrare e lui,
alla faccia di tutte le regole della strada, rispose prontamente.
«Grimmers».
‒ ma dove accidenti sei?! ‒ era
Kozmotis che,
prevedibilmente, era piuttosto agitato ‒ la cerimonia
avrebbe dovuto
essere già iniziata, ma Aleha non si è ancora
fatta viva, e tu sei scomparso
con altri quattro-
«sto portando io Aleha al municipio, se gli Dei lo vogliono,
ma tu devi mettere
in sicurezza l’edificio. Servono almeno dieci
uomini…ma se fossero quindici
sarebbe anche meglio!»
‒ quindici ufficiali?! E
stai portando Aleha…ma si può
sapere che sta succedendo?! Stanno arrivando dei Dream
Pirates
o
cosa?!
«tu metti in sicurezza il municipio. Ci vediamo»
concluse Grimmers, e troncò la
comunicazione senza lasciargli tempo di replicare «spero che
il tuo fidanzato
mi dia retta».
«quindici ufficiali non sarà un
po’esagerato?» si azzardò a domandare
Aleha
«c’è sempre la security del municipio, e
se anche non avesse finito i
proiettili non la vedrei bene a sparare a sangue freddo contro delle
persone…è
sempre un medico».
«…e questo è
esattamente il motivo per cui non sono stato più
specifico!» disse il colonnello «se perfino tu che
eri presente tendi a
sottovalutare la cosa, figurarsi lui».
Un aspetto positivo di quella vicenda c’era: quel giorno, il
colonnello Rich
Grimmers aveva imparato a non sottovalutare mai, mai e poi mai una
donna molto cocciuta.
«mi dispiace di averti coinvolto in tutto questo. Avrebbe
dovuto essere un
giorno di festa, ma lei!…»
«non è colpa tua, Aleha…e faremo tutti
in modo che tu e Kozmotis riusciate a
sposarvi al più presto, dovessimo mettere in campo tutti gli
ufficiali che sono
stati invitati alla cerimonia!»
Stavolta ho buone motivazioni per il
ritardo nell'aggiornare: prima si è rotto il portatile -che
ha NVU installato, e per pubblicare qui quello è vitale, secondo me-
e poi...mi sono rotta anche io. Non nel senso che questa raccolta mi ha
stufata, mi sono "rotta" letteralmente
:'D per fortuna non le mani, ma potete capire che ho avuto
altro per la testa.
Ad ogni modo, eccomi qui con la prima parte di questo matrimonio che
non s'ha da fare.
Presumo che diversi di voi detestino Spear perché tenta, con
mezzi ancor più estremi dell'altra volta, di mandare a monte
la cerimonia tra i nostri due colombi (o piccioni?) innamorati...ma
tenete a mente la fine della moglie di Pitch nel canon, e ricordate
sempre una cosa: le
motivazioni di Spear sono perfettamente valide.
Oh, e quel che ha detto riguardo la defunta madre di Kozmotis e il
fatto che c'entrino gli Altair
potrebbe *ironic*
anche non essere una teoria campata per aria :'D
Sono a conoscenza di quel poco che ha detto Joyce sulla Golden Age, ma
da che mondo è mondo dove ci sono troni, Case nobiliari e
terreni vari, la tranquillità è solo una bella
facciata, e da tale convinzione ho tirato fuori questa AU.
Vero, la maggioranza dei pochi sopravvissuti la ricorda come il periodo
migliore che quella porzione di galassia abbia mai avuto, ma quando la
Golden Age è finita Manny era piccolo, Emily Jane
Pitchiner/Madre Natura non ha capito granché di quel che
stava succedendo perché aveva i suoi problemi (lo vedrete in
uno dei futuri capitoli) Sandy era un pilota qualunque (quindi cosa
poteva sapere di quel che combinavano i nobili?), i Pooka erano una
comunità chiusa (quindi non solo non sapevano, ma panso che
neppure volessero sapere!), e a Pitch nessuno dà retta,
anche se lui...niente, lo vedrete da voi :'D
Alla prossima,
_Dracarys_
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Capitolo 7 *** 7. Un matrimonio che non s'ha da fare- parte II ***
= Un matrimonio che
non s'ha da fare- parte II =
Parcheggiò la grossa moto
vicino all’entrata e corse
nell’edificio, in una dura battaglia contro il tempo. La
testa che pulsava,
strascico di quanto era successo in precedenza con quello storditore
elettrico,
era un fastidio che la faceva soltanto arrabbiare di più.
Non poteva credere che Aleha l’avesse fatto davvero, che
fosse tanto determinata a volersi rovinare l’esistenza da
arrivare ad
attaccarla.
Attaccare lei, che
le aveva fatto da madre oltre che da sorella, lei,
che aveva fatto di tutto perché non le mancasse niente, lei, che le aveva agevolato la carriera
e aveva fatto in modo che in clinica non avesse mai alcun problema!
Aleha non era solo cieca di fronte alla realtà delle cose,
era anche un’ingrata incapace di adempiere alla
più importante richiesta che le
faceva ormai da anni -la sola che riguardasse la sua sfera
più privata-
pensando che fosse una pazza tirannica invece di una persona che
voleva, e
aveva sempre voluto, solo ed esclusivamente il suo bene.
Sua sorella era arrivata a farle del male fisico pur di
sposarsi con quello là!
Altro che la testa pulsante, era questo che
la faceva infuriare più di ogni altra cosa, tanto con
Kozmotis Pitchiner, secondo lei il colpevole di tutto ciò,
quanto con Aleha
stessa. Stupida, stupida e maledetta ingrata!
Il problema era che lei le voleva troppo bene per lasciarla
cuocere nel suo brodo e permetterle di gettarsi direttamente
nell’abisso
abbracciando il destino infausto del suo adorato fidanzato. Strano come
amore e
rabbia pura potessero fondersi in un’unica cosa.
Per questo motivo si era rialzata, per questo motivo aveva
inseguito l’auto col suo veicolo cercando di tenersi dritta e
non fare danni,
per questo motivo aveva cercato di forare le gomme con la pistola
d’ordinanza
rubata a quel cretino d’un ufficiale, degno amico del suo
amico Pitchiner.
«altolà! Ci
dispiace, dottoressa» disse uno dei due ufficiali, alti e
robusti entrambi, che
le si pararono davanti appena ebbe superato l’ingresso del
municipio «ma
abbiamo l’ordine di non farvi passare per nessun motivo.
Andiamo, siate
ragionevole e non costringeteci a portarvi fuori di peso, non fareste
una bella
figura».
Non si dovevano sposare, non importava quale prezzo Spear
avrebbe dovuto pagare, ne andava del destino di sua
sorella…anche se non sapeva
bene perché.
Dettagli.
Con la coda dell’occhio intravide una possibile arma alla
propria sinistra e, prima che i due militari potessero fermarla,
agguantò e
sollevò un pesante candelabro a piantana, di lucido e
pesante acciaio.
«fermatemi, allora».
Dettò ciò usò l’arma
improvvisata contro l’ufficiale più
vicino, abbattendolo -ovviamente senza ucciderlo- con un colpo secco.
Allibito
per quel che era appena accaduto, anche l’altro ufficiale
subì la stessa sorte,
e ricadde a terra poco lontano.
Sempre più arrabbiata, ma anche in ansia per il tempo ormai
agli sgoccioli, Spear corse in direzione delle scale che
l’avrebbero portata al
primo piano. Non poteva permettersi di rallentare oltre, era imperativo
raggiungere il quarto piano e interrompere la cerimonia prima che quei
due
deficienti si sposassero.
Cinque ufficiali poco lontani, che fino ad allora
sottovalutando il pericolo non avevano ritenuto necessario avvicinarsi,
vista
quella scena si precipitarono addosso alla dottoressa con
l’intenzione di
bloccarla. Erano ufficiali dell’Armata Dorata, tempo prima
avevano avuto Spear
come medico per qualche mese e dunque la conoscevano, ma erano comunque
basiti,
perché sembrava assurdo che fosse riuscita ad atterrare due
di loro!
Vedendoli avvicinarsi, Spear strinse forte il candelabro.
Dir loro di togliersi di mezzo non sarebbe servito.
Come era accaduto con sua sorella, sarebbe stata di nuovo costretta
a passare dalle parole ai fatti.
[...]
“non è questa l’atmosfera
che avevo immaginato per il mio
matrimonio”.
Tensione e agitazione, ecco gli stati d’animo che permeavano
la sala del municipio in cui si stava svolgendo il matrimonio tra Aleha
Sinetenebris e Kozmotis Pitchiner, il quale continuava a gettare
occhiate
inquiete alle sedie che si stavano svuotando man mano.
Aleha resistette alla tentazione di mordicchiarsi il labbro
inferiore soltanto perché non intendeva rovinare il
rossetto, e a quella di
mettersi a urlare solo perché sarebbe stato ben poco
dignitoso. Neppure il
fatto che Kozmotis la tenesse per mano, accarezzandone il dorso col
pollice,
riusciva a tranquillizzarla minimamente: quel movimento continuo
equivaleva
all’ondeggiare della coda di un gatto stellare nervoso, e lei
se ne rendeva
conto fin troppo bene.
Videro la porta aprirsi nuovamente, un ufficiale entrare
trafelato e altri cinque ufficiali alzarsi per correre fuori, e a quel
punto
Kozmotis non resse più. «ma stiamo scherzando?!
Com’è possibile una cosa del
genere?! Spiegatemi!»
«è peggio di un’orda di Dream Pirates e
Nightmare Men,
signore!» esclamò, concitato,
l’ufficiale che era entrato «abbatte tutti quelli
che trova sulla sua strada con quel dannato candelabro, è
inarrestabile! È già
arrivata al terzo piano! Richiedo
l’autorizzazione all’uso di forza letale!»
Kozmotis guardò Aleha con aria interrogativa. «tu
che ne
dici?»
«assolutamente no!»
rifiutò lei, categorica «che razza di domanda
è?!»
«…sicura?»
«SÌ!»
esclamò
Aleha «cerchiamo di andare avanti con la cerimonia e basta,
così da essere
sposati prima che riesca a farsi strada fin qui!»
«niente forza letale, maggiore, siete militari addestrati e
altamente qualificati, siete abituati a combattere al fronte, dovete per forza riuscire a
contenerla!» disse
Kozmotis «è un scheletro da neppure cinquanta
chili, per gli Dei!»
«sarà uno scheletro da neppure cinquanta chili ma
è anche un demone in forma di
donna, signore!»
In quel caso Kozmotis non si sentì di contraddire il suo
maggiore, lasciando che uscisse dalla stanza in fretta e furia. Che
Spear
Sinetenebris in realtà fosse un demone in forma di donna,
con l’unico pregio di
avere per sorella una meravigliosa creatura, era qualcosa che aveva
sempre
pensato. «mi sa che devo rivedere la scelta del personale, se
si fanno
abbattere così facilmente da una donna candelabromunita»
disse piano ad Aleha, cercando vanamente di alleggerire un
po’la tensione.
Vedeva quanto il comportamento di Spear la stesse mettendo in ansia,
oltre a
rattristarla e farla arrabbiare allo stesso tempo, ed era qualcosa che
gli
faceva ribollire il sangue.
Possibile che Spear non riuscisse a mettere da parte l’odio
-ingiustificato secondo lui- nei suoi confronti neppure quel giorno,
neppure
per il bene di sua sorella, che dichiarava di amare tanto?!
Era assurdo, semplicemente assurdo…ma da quel giorno in poi
sarebbe
finita. Spear non avrebbe più potuto mettere bocca su nulla,
i giochi sarebbero
stati fatti, e non sarebbe stata più un problema
né per lui, né per Aleha.
Sì, d’accordo, c’era da sistemare quel
piccolo dettaglio del
fatto che le loro case fossero una dirimpetto all’altra,
intendeva iniziare
presto a lavorarci su. Avrebbe cercato un posto che fosse quanto
più nascosto
possibile per costruire la sua -anzi, la loro-
nuova dimora, per poi trasferirsi lì con Aleha senza
rivelare a nessuno
l’ubicazione. Aleha avrebbe dovuto lasciare il lavoro, ma era
certo che avrebbe
capito: era per una questione di sicurezza, per il suo bene.
Certi discorsi di Spear, sebbene folli, gli avevano messo in
testa brutti pensieri molto difficili da mandare via. Folli,
sì, perché lui non
aveva nemici “in alto”, gli Altair non
ce l’avevano affatto con lui, e
l’incidente mortale che aveva coinvolto sua madre era stato,
appunto, un
incidente.
O così sembrava.
No: ERA.
Non doveva permettere che la follia iniziasse a corrodere anche
il suo cervello.
«non è colpa loro, è che quando Spear
si convince di
qualcosa neppure l’assalto di un’intera armata
può indurla a desistere» mormorò
Aleha, con una smorfia dovuta al piede sinistro ancora dolorante
«e lei è
convinta che non ti debba sposare. Lo sai che è
cocciuta».
«ha preso una scarica
elettrica, maledizione!» sbottò
Grimmers, il quale al momento faceva da
“stampella” alla sposa «sta abbattendo
tutti nonostante questo, e tu mi vieni a
dire che è cocciuta?!»
«può essere cocciuta quanto le pare, ma se si
azzarderà a
fare veramente irruzione qui dentro stavolta la faccenda
finirà male, e non
m’importa se sta per diventare mia cognata!»
affermò il generale.
«che finirà male non c’è
quasi dubbio, il dubbio è per chi»
commentò il colonnello Grimmers.
«Rich, io
sono l’High General of the Galaxies! Il giorno
in cui mi farò fermare da
Spear Sinetenebris darò le dimissioni!»
esclamò Kozmotis.
«non per allarmarti, Koz, ma intanto la sala continua a
svuotarsi» disse il colonnello «quindi basta
chiacchiere e sbrighiamoci, prima
che-»
«è al quarto piano!!!»
urlò un ufficiale, entrando di colpo nella stanza
«è al quarto piano, porca
puttana! Aiutateci!!!»
Quella faccenda era talmente incredibile che Kozmotis non
pensò neppure di fare a quel poveretto un appunto per il
linguaggio. Forse
doveva seriamente pensare di
cercare
nuovi ufficiali, sebbene quella che aveva fatto prima ad Aleha fosse
stata solo
una battuta…
“No”, si disse
poi. Non era colpa loro. Conosceva gli ufficiali presenti, e sapeva
quanto
valessero, ormai. Ma come poteva essere
possibile?! Capitani, maggiori, colonnelli, tutti falciati
con un
candelabro!
“ho deciso, io da oggi odio i candelabri”.
«tagliamo corto, sindaco, per favore! Passiamo direttamente
alla fine, visto che è già al quarto
piano!» concluse Kozmotis, vedendo gli
ultimi sette militari -eccetto Grimmers- lasciare la stanza per
gettarsi
nell’indubbio casino che,
a giudicare
da quel che sentiva, si era creato fuori.
«sì, sì, direi che sia
meglio» il sindaco, con una flemma
assurda in quel contesto, aggrottò le sopracciglia candide
come i capelli
«l’assalto di un vero demone degli abissi non
è cosa che si veda tutti i
giorni».
«mia sorella non è!...ah,
ma che lo ripeto a fare» borbottò Aleha.
«bene. Vuoi tu Kozmotis Pitchiner-»
«sì, lo voglio,
e
lo vuole anche lei! Ci dichiari marito e moglie, buon cielo!»
sbottò il
generale.
«Kozmotis Pitchiner! Hai scelto giorno e ora della
cerimonia, e va bene, hai invitato soltanto chi ti pareva, e va bene,
ma ora
non vuoi darmi neppure modo di dire “lo
voglio”?!» lo rimproverò Aleha, con
un’espressione che al generale ricordò
terribilmente quella di sua madre, la
defunta Mira Pitchiner. «è il nostro matrimonio o il tuo?! No perché mi sta
venendo qualche dubbio!»
«sì, hai ragione» borbottò
lui, in una mezza resa «ma
prenditela con tua sorella, non con me, d’accordo?!
È lei il problema!»
Il sindaco si schiarì la voce. «vuoi tu Aleha
Sinetenebris
prendere il qui presente Kozmotis Pitchiner come tuo sposo, amarlo,
onorarlo e
rispettarlo finché gli Dei vi accoglieranno nella loro
casa?»
«lo voglio» disse la ragazza, senza alcuna
esitazione
nonostante il rimprovero di poco prima.
«bene» continuò il sindaco
«siete ufficialmente dichiarati marito e moglie. Potete
baciarv-»
La porta di legno della stanza venne spalancata con tanta
forza che uscì per metà dai cardini, e il rumore
fu tale che il colonnello Grimmers
si lasciò sfuggire una smorfia infastidita.
Ma il rumore era l’ultimo dei problemi.
«questo matrimonio non
si deve fare! Né ora, né domani,
né MAI!»
Spear era ancora sulla soglia, con i capelli in condizioni
disastrose e il vestito viola strappato, e brandiva ancora il
candelabro
d’acciaio visibilmente sporco di sangue in diversi punti.
Alle sue spalle c’era
un numero indefinito di ufficiali che aveva steso lungo la via, che si
lamentavano e cercavano di strisciare gli uni vicini agli altri;
un’ecatombe
che Kozmotis a volte aveva visto quando era ancora un soldato
qualsiasi, ad
opera di orde di nemici del regno.
Orde, appunto.
«sei arrivata tardi, razza di demone che non sei
altro!» la
apostrofò Kozmotis, trovando persino il coraggio di
avvicinarsi «hai steso i
miei ufficiali, ma ormai è fatta: tua sorella è
Aleha Pitchiner, e lo sarà
finché morte non ci separi, che ti piaccia oppure
no!»
«“finché morte
non ci
separi”» ripeté la donna, con
un terrificante sguardo freddo e una voce
bassa che sembrava realmente provenire da qualche parte
nell’oltretomba, mentre
stringeva il candelabro «vorrà dire che la
renderò vedova».
«non ti azzardare!!!»
strillò Aleha, andando con fatica a mettersi in mezzo tra
suo marito e Spear
«hai rovinato il giorno più bello della mia vita,
sei andata fuori di testa
perché per una volta non ho fatto quel che TU
volevi, come se potessi essere tu a
decidere il mio destino, con chi devo o non devo stare! Ficcati in
testa che le
mie scelte non ti riguardano! Fatti! Gli!
Affari! TUOI!» gridò ancora la ragazza,
con lacrime di rabbia ad offuscarle
la vista «vai agli Abissi una volta
per
tutte, insieme ai demoni tuoi pari!!!»
Il sindaco non sapeva che pesci prendere, e tanto Kozmotis
quanto Grimmers erano ammutoliti: non avevano mai visto Aleha
così furiosa, né
le avevano mai sentito rivolgere parole simili alla sua tanto amata
sorella.
Evidentemente era arrivata al punto di rottura.
Spear lasciò cadere il candelabro, osservando Aleha con la
stessa aria gelida con cui aveva guardato Kozmotis. Per un attimo
quest’ultimo
si illuse che fosse finita…
«ingrata».
Ma ovviamente non era così.
«credi che abbia fatto tutto questo per divertirmi? Credi
che mi sia piaciuto? No! Non mi sono divertita, e non mi è
piaciuto per nulla.
L’ho fatto per tentare di salvarti un’ultima volta
da quel che ti aspetta. L’ho
fatto per il tuo bene, lo ho fatto per te, come tutto
il resto! Ho passato una vita intera a proteggerti,
disinteressandomi di quel che succedeva a me
perché tu venivi
prima di tutto…e
oggi mi ripaghi con questo!»
La sfuriata di Aleha si era già trasformata in un pianto di
puro nervosismo, rendendola momentaneamente incapace di rispondere alla
sorella, e per questo motivo Kozmotis si decise a intervenire.
«Aleha è libera
di fare quello che vuole, e non è in debito con qualcuno che
ha soltanto fatto
il proprio dovere di sorella! Sei riuscita a rovinare la cerimonia e
picchiare
dei militari, brava, complimenti, tanti applausi!» disse,
sarcastico «desideri
dell’altro?!»
Calò il silenzio per
qualche istante, in cui Kozmotis
strinse al petto la moglie con fare protettivo. Avrebbe fatto di tutto
perché
non accadesse più qualcosa del genere ad Aleha, in futuro.
«sì. A dire il vero sì» disse
Spear «desidero annunciarvi
che oggi avete abbracciato il peggiore dei destini!»
esclamò «desidero
annunciarvi che rimpiangerete questo giorno, perché non vi
si prospetta altro
che un avvenire oscuro, e pieno di
dolore» continuò, senza avvicinarsi né
allontanarsi di un solo passo «con
quest’unione non otterrete nient’altro che lacrime
e sangue! Nient’altro!
Vi è
chiaro?! Che siate maledetti!»
aggiunse, quasi in un ringhio «che siate maledetti voi due e
la vostra
stupidità!»
Ci fu un brevissimo momento di tensione e poi, neppure
avesse veramente visto un demone degli abissi, Spear corse via con un
breve
svolazzo del vestito rotto. Raggiunse le scale e le scese alla
velocità del
vento, non perfettamente consapevole di quel che faceva, con in testa
soltanto
l’eco delle parole che le aveva rivolto sua sorella e delle
proprie,
soprattutto queste ultime.
Aveva lottato tanto per cercare di impedire quel matrimonio,
e maledire sua sorella -maledirla!-
era la sola cosa che fosse riuscita a fare! Perché non era
andata via subito?
Perché era rimasta e aveva lasciato che la rabbia la
portasse a rispondere alla
provocazione di quello che ormai, purtroppo, era diventato suo cognato?!
Si era resa conto della gravità di quello che aveva detto
appena aveva finito di parlare, ossia troppo tardi. Era una fortuna che
fosse
tipo da lasciarsi accecare dalla rabbia soltanto di rado, e che di
norma
riuscisse a gestire situazioni molto spiacevoli con completa freddezza
e
lucidità, altrimenti solo gli Dei sapevano che fine avrebbe
fatto.
Aveva minacciato di morte l’High General of the Galaxies.
Anche questo non era meno grave, perché in quel momento
aveva pensato seriamente di rendere
vedova Aleha…e
Spear non si era mai reputata una persona in grado di uccidere qualcuno
a
sangue freddo, tanto più essendo un medico.
“Aleha non vorrà più sapere nulla di
me” pensò, mentre
lasciava l’edificio “e avrà soltanto
ragione”.
Nessuno cercò di fermarla, nessuno la inseguì, ma
se le cose
andarono così fu soltanto perché Kozmotis era
troppo impegnato a occuparsi di
Aleha, ormai passata da un pianto di nervosismo a uno dirotto: le erano
successe troppe cose brutte e/o assurde in quella giornata, e la
felicità di
essere sposata, nonché quella per la luna di miele di dieci
giorni che le si
prospettava, non era sufficiente a far sì che le mettesse da
parte.
«Aleha, non la devi stare a sentire… capito?
Andrà tutto
bene» mormorò il generale, stringendola a
sé «andrà tutto bene, saremo felici e
non ci accadrà nulla di male. Lei è solo una
strega maligna, e oggi si è
rivelata anche a te per quello che è. Non la devi
assolutamente ascoltare».
“non era certo così che avevo immaginato la
cerimonia…che
Spear sia maledetta dieci volte!” pensò, dando
alla moglie un bacio sul capo.
«dannazione, credevo che ormai potesse spaventarmi giusto
l’idea di combattere da solo un esercito di Nightmare
Men» borbottò Grimmers,
andando in direzione della porta per cercare di dare una mano agli
uomini che
si stavano lentamente rialzando «ma dopo questo!...ai ragazzi
ci penso io, tu
occupati di tua moglie, Pitch».
Kozmotis annuì, lo ringraziò e, dopo aver preso
in braccio
Aleha, uscì dalla stanza senza dire altro.
[…]
«…una
nuova casa: è soltanto una questione di tempo, poi ci
trasferiremo, potrai lasciare il lavoro e non vederla mai
più, finalmente!»
Quando Kozmotis aveva scelto la meta della loro luna di
miele si era immaginato di fare tutt’altro una volta giunto
nella suite di quel
bell’albergo, ma con tutto quel che era successo nessuno dei
due aveva voglia
di festeggiare alcunché e, causa infortunio, anche il
progetto di fare una
passeggiata lungo le vie del centro era stato rimandato. Peccato,
perché la
capitale dell’ex
territorio degli
Eagle, verdeggiante e piena di canali che l’attraversavano da
ogni parte, meritava
davvero: nonostante tutti i commenti ironici che erano stati fatti
quando il
governo era cambiato, i Taurus non avevano portato con loro il gelo
delle
proprie terre.
«trasferirci?!»
esclamò Aleha «tu quando pensavi di dirmelo, di
preciso? Il giorno in cui mi
avresti fatto trovare le valigie pronte vicine alla porta?!»
«allontanarci dal posto dove siamo cresciuti è la
cosa
migliore per tutti e due, e anche per i figli che avremo. Vuoi davvero
che
conoscano una zia del genere?» Kozmotis sollevò le
sopracciglia, un
po’perplesso «e non capisco perché te la
stai prendendo così per questo
progetto».
«non so, magari perché non abbiamo mai parlato di
una cosa
del genere?» ribatté Aleha.
«ne stiamo parlando adesso» insistette il generale,
che non
riusciva proprio a capire cosa avesse fatto di male.
«non me ne hai parlato, tu me lo hai comunicato!»
sbottò la ragazza, innervosita nel rendersi conto di
essere costretta a usare le esatte parole pronunciate da Spear quello
stesso
giorno «è diverso. Ma poi, chi ti ha detto che
intendo lasciare il mio lavoro?
Non abbiamo mai discusso neppure di questo!»
«Aleha, sono l’High General of the Galaxies, il mio
stipendio basta per entrambi. Anzi, a dirla tutta avanza, e di molto. A
volte
non so neppure cosa fare di quello che prendo, io non sono abituato a
spendere
tanto» aggiunse «ecco perché ti dico che
non dobbiamo per forza lavorare
entrambi!»
«non posso lasciare il mio lavoro, anche se il tuo stipendio
ce le permetterebbe! Sei un militare, se per
disgrazia…»
Non concluse la frase.
Erano passate solo poche ore dal matrimonio, ma
improvvisamente tutto ciò di cui Spear l’aveva
avvertita per anni stava venendo
a galla per davvero…e dire che fino a poco prima le erano
sembrate tutte cose
di ben poco conto, rispetto all’idea di diventare la signora
Pitchiner!
“questo non sarebbe successo, se lui non se ne fosse uscito
di botto con queste idee balzane!” pensò.
«“se per disgrazia” cosa?
Morissi? Non accadrà, puoi star sicura che non ti libererai
di me tanto
facilmente» disse Kozmotis, palesemente irritato
«ma se dovesse succedermi
qualcosa di brutto sarai felice di sapere che il sussidio per la vedova
dell’High General è sostanzioso. Ah, e sei anche
la mia erede universale.
Questo ti basta? Sei tranquilla, adesso?!»
«io non ti ho chiesto di lasciarmi alcunché, quel
che ho detto
è che vorrei poter continuare a lavorare, non mi sembra
chissà quale eresia»
insistette Aleha «e non capisco perché
all’improvviso per te costituisce un
problema!»
«“perché”?! Perché lavori dove lavora
tua
sorella! Ecco perché! I suoi auguri
ti sono già usciti di mente, per caso?! Bene, a me no! E tu con lei non dovrai
più avere rapporti» le intimò
«anche
solo per quello che ha fatto oggi, se proprio non vuoi contare il
resto».
Altro che la giornata più bella della sua vita, se mai era
la giornata in cui tutti cercavano di farla innervosire, in particolare
le due
persone che per lei contavano di più. «devo
prenderlo come un ordine, generale Pitchiner?»
«puoi prenderlo come vuoi, purché tu mi dia
retta» replicò
lui, altrettanto nervoso.
«ti ricordo che non sei in un campo di battaglia, ma in una
suite da luna di miele, e che io sono tua moglie, non uno dei tuoi
ufficiali,
motivo per cui non puoi ordinarmi proprio un accidenti! Hai
capito?!»
«lo so, maledizione, lo so! Avrei volentieri fatto a meno di
parlarti in quel modo, ma tu a volte sei così cocciuta!...»
utilizzare quell’aggettivo lo indusse a dare una
rapida occhiata attorno a loro due, sincerandosi che non ci fossero
candelabri
in giro: mai accostare a un candelabro la cocciutaggine di una
Sinetenebris! «e
sempre pronta a dimenticare quel che fa tua sorella».
«io non dimentico proprio niente, ma lei è
mia sorella!» ribatté Aleha, con fare
ostinato.
«cosa vorresti dire con questo? Che continuerai a vederla? A
parlarle? Che le perdonerai anche questo
dopo averle detto che deve farsi gli affari suoi e averla insultata,
anzi, descritta?!» disse
Kozmotis mentre,
esterrefatto, si avvicinava alla moglie «continui a dire
“è mia sorella” anche
dopo che ha maledetto noi e la nostra unione! Sei uscita di senno o
cosa?!»
«deve farsi gli affari suoi, ma non avrei dovuto darle del
demone, lì ho sbagliato io, e dopo ha detto quelle cose
soltanto perché-»
«BASTA!»
gridò il
generale, facendola sobbalzare spaventata «possibile che tu
debba essere
succube Spear fino a questo punto?! Tutto quel che ha sempre fatto è stato tentare di
decidere ogni aspetto della
tua vita e riuscirci, quasi! Tutta questa devozione nei suoi confronti
non ha
senso, Spear non ha mai fatto niente per
te da-»
«stai zitto, non
parlare di cose di cui non sai niente!!!»
strillò Aleha «io devo tutto a
mia sorella! TUTTO! Se non fosse
stato per lei, se lei non avesse fatto…io
sarei…» si morse il labbro inferiore
e, con uno sguardo molto più cupo del solito, si chiuse in
un silenzio
ostinato.
In quella faccenda c’era decisamente qualcosa che non
andava, Aleha non si era mai comportata in quel modo, e Kozmotis non
sapeva
spiegarsi nulla di tutto ciò, soprattutto quel silenzio.
Sapeva che per un
certo periodo di tempo, dopo la morte del padre, la vita delle due
Sinetenebris
si era un po’complicata perché la madre aveva
trovato lavoro in un territorio
lontano, ma nulla di più.
Nulla che potesse giustificare una reazione simile.
«Aleha».
«no».
«niente “no”, tu e io dobbiamo parlare.
Siamo marito e
moglie, tra noi non deve esserci alcun segreto. A dire il vero non
avrebbero
dovuto esserci nemmeno prima» aggiunse, con una certa
amarezza «quindi tu mi
dirai una volta per tutte cos’è successo tra te e
tua sorella, e lo farai adesso».
«e se non volessi?»
Un silenzio tesissimo si propagò tra i due.
Che meraviglioso inizio di luna di miele!
«uscirò da quella porta e non mi vedrai
più, anche se ci
siamo sposati poche ore fa, perché non posso stare con una
persona che si
ostina a nascondermi qualcosa che, evidentemente, è
così importante. Io ti do e
ti ho sempre dato la mia completa lealtà, ma ne pretendo
altrettanta, e tu
questo lo sai» disse il ragazzo «se ci tieni
veramente a me, inizia a parlare».
«mi stai veramente ricattando? Siamo arrivati a questo
punto?»
Parole che erano come coltellate, soprattutto perché vere, e
quella avrebbe dovuto essere la prima sera da sposati. La-
prima- sera- da- sposati. «non vorrei niente di
tutto questo!
Non vorrei litigare con te in nessun caso, tantomeno adesso, ma ho
bisogno di
sapere cosa succede…anche per evitare litigi futuri. Una
volta che saprò certe
cose, saprò anche come muovermi. È per il bene
del nostro matrimonio, immagino
che tu lo capisca».
Aleha sollevò lo sguardo su di lui. «non sono
sicura che
possa essere un bene».
«più andiamo avanti più questa storia
mi preoccupa.
Cos’avete fatto, avete ucciso qualcuno e seppellito il
cadavere in giardino?...Aleha? Guarda
che non lo penso sul
serio!»
«potremmo averlo fatto» disse Aleha, in un tono
secco che di
norma non le apparteneva «in un certo senso».
Kozmotis la guardò, più che mai sconvolto. Aveva
sempre
visto Aleha come una creatura dalla totale bontà e purezza
d’animo, e ora se ne
usciva con questo! No, doveva esserci una spiegazione: qualunque cosa
fosse
successa, sicuramente era tutta colpa di Spear, e lei si stava dando la
colpa
inutilmente. Per forza.
«spiegati».
Aleha fece un sospiro nervoso. «tu ricordi quando
morì mio
padre, immagino».
«certo che ricordo. Quindi?»
La ragazza si mise a fissare con sguardo vacuo un
soprammobile di vetro. «e ricordi anche che mia madre non si
è più vista in
giro».
«sì, dal momento che aveva trovato lavoro
altrove» disse
lui, prontamente «perché lei aveva
effettivamente trovato lavoro
altrove…giusto?» vide Aleha scuotere piano la
testa «come sarebbe a dire
“no”?!»
«non ha mai lasciato
casa nostra» disse piano Aleha « dal
funerale di mio padre in poi, lei è
finita in una sorta di catatonia. Si nutriva e andava in bagno, ma non
faceva
altro, non parlava neppure» mormorò
«ricordo che all’inizio io andavo nella sua
stanza tutti i giorni sia per farla mangiare, sia per tentare di
scuoterla da
quello stato. Le parlavo, la muovevo, ma non c’era niente da
fare. Un mese dopo
mi arrabbiai, le gridai contro, arrivai a schiaffeggiarla. Avevo dieci
anni!»
esclamò, dopo una specie di singhiozzo «ho
schiaffeggiato mia madre, e lei non
ha minimamente reagito!»
Kozmotis avrebbe voluto dire qualcosa di sensato, o almeno
di pertinente, ma non riusciva proprio a proferire parola. Non sapeva
se
dispiacersi per lei, o se arrabbiarsi perché Aleha non gli
aveva mai detto
nulla. Non sapeva cosa pensare in genere, e tutto quel che poteva fare
era solo
lasciarla finire.
«poi sono iniziati i problemi con i soldi. Il sussidio per
le vedove di guerra non ci bastava, dal momento che viviamo nei
quartieri alti,
ma non potevamo neppure chiedere aiuto a nessuno. Non avevamo altri
parenti, io
ero una bambina, e a Spear mancava un anno per diventare maggiorenne,
se lo
avessimo fatto ci avrebbero prese, messe in qualche istituto e
probabilmente
anche separate. Spear ha fatto di tutto perché non
succedesse: mi ha imposto di
non dire nulla a nessuno e si è messa a cercare qualsiasi
lavoro che le
permettesse di portare dei soldi a casa».
«per quale genere di lavori può essere assunta una
quindicenne?» fu tutto quel che riuscì a dire il
generale, temendo la risposta.
«secondo te quale genere di persone, e in quali quartieri,
assumerebbe una quindicenne con un gran bisogno di soldi, una madre
incapace e
una sorella piccola a carico?» ribatté Aleha, con
la voce leggermente incrinata
«diceva “cameriera part-time”, e io
all’inizio facevo finta di crederci, ma poi
non più. Lei non voleva, ma io la aspettavo alzata tutte le
volte!» esclamò
all’improvviso, guardandolo con un’aria quasi
spiritata «tutte! Ho perso il
conto delle volte che l’ho vista tornare con i lividi, quando
andava bene. L’ho vista
tornare camminando male, e non perché si era storta una
caviglia. L'ho vista tornare sporca di sangue su...» non
riuscì a concludere «lo
sai cosa significa».
Sì, Kozmotis lo sapeva, ma non riusciva a crederci. Non
riusciva a immaginare Spear coinvolta
in certe cose, né a credere che nessuno, incluso lui stesso,
si fosse accorto
che qualcosa non andava.
Iniziava a capire diverse cose su entrambe le sorelle,
pensando che era proprio vero il detto secondo cui non si finisce mai
di
conoscere veramente le persone.
«lei però non si lamentava mai. Mai.
Non mi ha fatto mai mancare nulla» continuò Aleha
«tanto che a
volte mi sembrava di avere persino troppo. Si preoccupava solo per me,
si
occupava sempre e solo di me. Non mi sono mai trovata sola
all’uscita di
scuola, finché ne ho avuto bisogno, non ha mai mancato un
colloquio con gli
insegnanti, o una qualunque di quelle stupide recite che ci facevano
fare a
metà anno e alla fine, te le ricordi? C’era
sempre».
«sì, ricordo».
«intanto continuava a studiare medicina. Tutto questo
è
andato avanti per tre anni, in tutto…poi, se gli Dei
vogliono, a diciotto anni
ha cominciato a lavorare in ospedale. Non l’ho più
vista malridotta, e io non
sentivo più il bisogno di aspettarla alzata, pregando che
tornasse a casa».
Aleha non aveva voglia di proseguire oltre, ricordare quel
periodo sembrava quasi farle male a livello fisico, ma nonostante la
gravità di
quel che sua moglie gli aveva raccontato c’era una domanda
che aveva continuato
a ronzare nella testa di Kozmotis frase dopo frase, e lui, alla fine,
non
riuscì ad astenersi dal farla. «e tua madre? Il
primo anno non avete parlato a
nessuno della sua condizione per i motivi che mi hai detto,
e…e posso capirlo»
“più o meno” aggiunse mentalmente
«eravate minorenni entrambe, ma poi? Perché
non avete chiesto aiuto? Avreste potuto far ricoverare vostra
madre…non so, in
qualche posto…»
«con quali soldi,
Kozmotis? Spear si è tenuta quel "lavoro",
nonostante
tutto, proprio perché oltre ai lividi riusciva a portare a
casa soldi extra che
un qualsiasi sedicenne al suo primo impiego non avrebbe potuto
ottenere. E
anche in seguito per nostra madre “era troppo
tardi”, così diceva mia sorella»
aggiunse, stavolta in tono perfettamente neutro. «quando
abbiamo iniziato ad
avere più mezzi ho provato a dirle che forse era il caso di
provare a fare
qualcosa, ma lei diceva che qualunque tentativo di curarla, anche da
parte di
veri esperti, sarebbe stato solo uno spreco di tempo e risorse!»
disse, quasi stridula sull’ultima sillaba
«l’ultimo anno
mamma non mangiava e si muoveva più. L’abbiamo
tenuta in vita “nutrendola” via
endovena, con cose che Spear riusciva a prendere in ospedale dopo che
l’ho convinta a farlo, e
poi è morta, e io
continuo a pensare che se ci avessimo almeno provato, se di noi due
almeno io
non avessi iniziato a vederla alla stregua di un soprammobile, forse avremmo potuto…»
Non concluse il discorso, incapace di farlo, e si
raggomitolò su se stessa
scossa da singhiozzi silenziosi. Era la prima volta in assoluto che
parlava con
qualcuno di quegli argomenti, e non era stato affatto semplice,
soprattutto
perché aveva detto tutto ciò all’ultima
persona cui avrebbe voluto dirlo.
«non mi hai mai detto nulla…» disse
Kozmotis, tanto in pena
per lei quanto arrabbiato e del tutto smarrito «io pensavo
che tu fossi
un’anima troppo candida per riuscire a mantenere anche un
piccolo segreto, se
non con difficoltà, e ora scopro che sei stata capace di
tacere per anni su
cose così gravi, e chissà
cos’altro-»
Si interruppe quando la vide sollevare il viso e guardarlo.
«ho sempre fatto del mio meglio per cercare di essere una
brava persona»
mormorò Aleha «e credo di esserci più o
meno riuscita, ma mi spiace, non sono
la “santa donna” che tu credevi che fossi, e che da
un certo momento della mia
vita in poi iniziato io stessa a credere di essere. Spear ha i suoi
difetti, ma
almeno lei non ha mai voluto dimenticare ciò che
è davvero, o illudersi di
essere migliore di com’è, o illudere
altri» disse, alzandosi in piedi con una
certa fatica e muovendo qualche passo verso la porta.
«non so dov’è che vorresti
andare» Kozmotis, dopo qualche momento,
l’affiancò e la
prese in braccio «ma tu non ti muoverai da questa
suite».
Aleha gli diede un'occhiata esitante. «anche se non sono una
santa donna?»
«in questa galassia nessuno è santo»
borbottò lui,
raggiungendo il divano e sedendovisi sopra «e dubito che
malediresti tua
sorella se sposasse qualcuno che non ti piace, per cui resti una
persona
migliore di lei sempre e comunque, e anche di tante altre che conosco.
Non ti
nascondo che quel che mi hai detto mi ha sconvolto abbastanza, o anche
un po’di
più» ammise «...o molto di più. Mi
dispiace che tutto questo sia venuto fuori soltanto adesso, e
in questo modo» aggiunse «e devo abituarmi
all’idea che anche tu, come tutti
noi comuni mortali, hai un lato oscuro, cosa per cui magari mi
servirà un po’di
tempo, ma non per questo ti reputo una cattiva persona. O colpevole
per…tua
madre. Non avresti potuto fare nulla più di quel che hai
fatto, eri una
bambina».
“se mai la colpa è di sua sorella, che non
l’ha aiutata
neppure quando avrebbe potuto iniziare a farlo!”
pensò il generale.
Quel che Aleha gli aveva rivelato non gli aveva certo fatto
smettere di odiare sua cognata, anche se ora la capiva un
po’di più, ma iniziò
a pensare che se Aleha teneva tanto al proprio lavoro poteva anche
evitare di
lasciarlo…o di lasciarlo subito.
«tu dici?»
«sì, “io dico”.
Però ascoltami: d’ora in poi non dovrai
tacermi nulla, Aleha. Non dovrai avere più segreti per me,
come io non ne ho
per te! Ci siamo intesi?»
Sollevata che suo marito non avesse iniziato a odiarla per
quel che gli aveva nascosto, la ragazza annuì.
«sì. Ma per favore…da oggi in
poi non voglio più parlare o sentir parlare di questo, va
bene? Sono ricordi
troppo…sono…»
«troppo dolorosi. Ho capito. Per me va bene».
«è bello sapere che non mi detesti»
aggiunse Aleha candidamente
«anche dopo questo».
«per quello dovresti atterrare svariati ufficiali con un
candelabro, ma forse non riuscirei a detestarti neanche
così! A proposito, tu
non riusciresti a fare qualcosa del
genere, vero?» le domandò Kozmotis.
«in teoria no, ma forse è solo questione di
riuscire a
trovare l’arma impropria giusta» rispose Aleha,
sforzandosi di scherzarci su.
«già, quando la cosa si saprà in
giro…»
«cercheremo di contenere la fuga di notizie per quel che
possiamo, sperando che nessuno ci creda. I primi due mesi dopo la mia
nomina
c’erano persone che non mi prendevano ancora molto sul serio,
e mi seccherebbe
se questa cosa arrivasse alle loro orecchie!»
«immagino che ti riferisca a persone come Nihil Aladohar
Aldebaran».
L’armata dell’arciduca aveva supportato
l’Armata Dorata in
un’occasione quasi un anno prima, in una missione. Dal punto
di vista militare
era andata molto bene, ma a Kozmotis quel ragazzo non piaceva e non
sarebbe mai
piaciuto, per ovvie ragioni: non aveva dimenticato cos'era successo tra
loro quando erano piccoli, e mai l'avrebbe fatto.
«precisamente. Chiedo scusa in anticipo per il linguaggio,
ma da piccolo era uno stronzo, e non sembra cambiato. Cerca solo di
renderlo
meno evidente…ma te l’avevo già detto,
e forse è tempo di smetterla con gli
argomenti sgradevoli. Sono un po’stanco, tu no?»
«fin troppo».
Kozmotis la portò in camera da letto, ed entrambi si
addormentarono poco dopo essersi stesi sul materasso.
Ci sarebbe stato tempo in abbondanza per consumare il loro
matrimonio: per quella sera preferirono andare a dormire, sognare un
inizio
migliore per la loro unione, e sperare che in futuro andasse meglio
rispetto a
com’era iniziata.
Non potevo fare in modo che matrimonio e luna di miele -almeno l'inizio
:'D- filassero lisci, ovviamente!
Ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere fin qui,
soprattutto la seconda parte: sarà risultata un po'noiosa,
magari, ma volevo spiegare cos'era successo in casa delle Sinetenebris
con qualcosa più dell'accenno che c'è nel primo
capitolo.
Alla prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 8 *** 8. Amandoti ***
= Amandoti =
«il motto della tua Casa
avrebbe dovuto essere “qui si muore
di freddo”, altro che».
Lord Taurus alzò gli occhi al soffitto, anche se non provava
reale fastidio: era una vita che si sentiva rivolgere frasi di quel
genere
almeno una volta ad ogni visita.
Di solito la prendeva leggermente in giro per questo, ma in
verità poteva capirla: la temperatura nei territori della
sua famiglia era
oggettivamente fredda sino all’estremo, tanto che nei secoli
-anzi, millenni-
era stata tra le loro principali armi di difesa contro invasori i
quali, non
abituati a un simile gelo, avevano sempre finito per morire come
mosche.
«invece quello della tua Casa avrebbe dovuto essere
“arrostiti fino alla
morte”. Comunque sia è sempre meglio il freddo del
caldo, ci sono più soluzioni
per ovviare al problema…prima tra tutte evitare di stare in terrazza lasciando il padrone di
casa a letto da solo come
un deficiente».
Avrebbe preferito evitare di dire qualcosa che avrebbe
potuto dare inizio a un’altra
possibile
discussione, ma non era proprio riuscito a farne a meno.
Parte dell’Armata Dorata era temporaneamente a riposo, e
Nahema dunque aveva lasciato il fronte dopo aver trascorso
più di un anno
-escluso un altro momento di congedo- a far finta di essere
un’altra persona,
tale “Silk”.
L’aveva fatto per entrare nell’armata
dell’High General of
the Galaxies senza essere riconosciuta, e tutto perché
suddetto High General avrebbe
dovuto essere coinvolto -come vittima, immaginava lui- in piani degli
Aldebaran
di cui lui non sapeva ancora proprio tutti-tutti i dettagli.
Ma sembrava che le cose non stessero andando come dovevano,
o comunque non alla velocità cui Nahema avrebbe gradito
andassero.
Lei aveva accettato il suo invito di trascorrere quel
periodo di riposo con lui nel suo palazzo, e Kitah ne era stato felice,
ma le
cose non stavano andando esattamente come aveva sperato: il corpo di
Nahema era
lì con lui, ad Atlantia, ma la sua mente era da
tutt’altra parte…persino più di
quanto lo fosse di solito.
«abbiamo già passato due giorni a letto, quasi,
quindi non
vedo il problema. Soprattutto…»
«non dirlo».
«visto che sono
“ un
po’distante”».
Era accaduto circa un quarto d’ora prima, quando alla fine
dei giochi -e per tale motivo
ancora non
del tutto lucido- si era lasciato sfuggire che la trovava un
po’distante.
Si era sentito rispondere che “le sembrava che fossero
piuttosto vicini, anzi lui le era ancora letteralmente dentro, quindi
dove
cazzo di altro voleva andare”.
Bonjour finesse.
«magari l’ho detto nel momento sbagliato, ma
vorresti negare
di avere la testa altrove?» forse avrebbe fatto meglio a
stare zitto, ma in
effetti non vedeva perché mai avrebbe, o avrebbero, dovuto
chiudere gli occhi
di fronte a un problema. «ho capito che hai delle cose da
fare, tanto per
cambiare, ma non per questo devono diventare
un’ossessione».
«se il fatto che io abbia degli obiettivi da raggiungere e
pensi a come farlo ti disturba così tanto potevi fare a meno
di dirmi di venire
ad Atlantia».
Se amare qualcuno era una maledizione, Kitah Taurus era il
più dannato tra tutti i dannati. Amava
Nahema, aveva quasi ventiquattro anni e non ricordava di aver trascorso
un
periodo della propria vita senza farlo.
L’amava anche se a volte era veramente dura,
perché Nahema
non era una persona semplice: Kitah aveva l’incrollabile
convinzione che lei
ricambiasse i suoi sentimenti, ma lo faceva molto a modo suo, e solo
una volta
l’aveva sentita confessarglielo, ormai undici
anni prima.
«se non ti rendessi conto che ho ragione non te la
prenderesti. Lo dico per il tuo bene, non per il mio»
insistette «pensare ora a
cosa fare al nostro High General
non può aiutarti in alcun modo, perché tu sei qui
e lui è dove è! Cerca di
rilassarti, o ne andrà della tua
salute….mentale» resosi conto della pessima
scelta di termini cercò di far sfumare la frase in un
borbottio confuso, ma era
troppo tardi.
«e io a parer tuo farò la fine di mia madre?
È questo che
volevi dire?»
Nihil Iyra Aldebaran era da poco caduta in uno stadio che
Aladohar aveva definito “una specie di precoce e gravissima
demenza senile”,
motivo per il quale quest’ultimo, con un certo rammarico,
aveva dovuto
rinunciare alla carriera militare e prenderne il posto.
«ovviamente no, e mi spiace per l’infelice scelta
di
termini, ma ciò non toglie che potresti darti tregua, o
almeno provarci».
Teoricamente tale onore ed onere sarebbe toccato a Nahema,
in quanto primogenita e dunque capofamiglia, ma lei “aveva la
sua missione” -verissimo,
per carità- e comunque, da quel che lui sapeva, non era
tornata a casa propria nemmeno
per sbaglio, onde evitare seccature.
La cosa non era piaciuta molto ad Aladohar, come Kitah aveva
potuto intuire dalle sue parole, ma lui aveva tentato di difendere
Nahema,
ricordando ad Aladohar che era via su ordine di Iyra stessa.
La risposta di Aladohar? “È vero, ma trattandosi
di mia
sorella tu non fai testo”.
Ed era vero anche
quello.
«ci ho provato» ammise lei dopo un po’
«ma tra le mie
faccende che vanno a rilento e quel che sta succedendo a casa non ci
sono
riuscita».
Capita l’antifona Kitah spinse via le coperte,
sistemò alla
meglio i lunghi capelli neri in una coda bassa, infilò una
vestaglia che era lì
vicino e andò anch’egli in terrazza a congelarsi.
La cosa buffa era che quello
era il periodo “caldo”
dell’anno ad
Atlantia, durante il quale c’era un po’meno gelo
del solito, e lui era abituato
a ben altro. «avremmo potuto parlarne fin da
subito».
«mi sembrava che avessi in mente altro».
«ossia quel che, all’inizio, mi sembrava che avessi
in mente
anche tu. Ci conosciamo da molto tempo, ma da questo a leggerti nel
pensiero ce
ne corre» pose una mano sopra quella della sua coetanea, che
non l’allontanò.
«vuoi parlare?»
Seguì un momento di silenzio piuttosto lungo, ma il giovane
duca non intendeva metterle fretta: proprio perché la
conosceva da una vita
sapeva quanto per lei fosse difficile “sciogliersi”
su determinati argomenti. “Vincit
qui se vincit” era il motto della
famiglia Taurus, ma Nahema sapeva metterlo in pratica meglio di lui.
«non pensavo che una cosa del genere potesse succedere a
lei»
disse Nahema «non per davvero. Iyra Aldebaran ridotta a una
sorta di vegetale!…ci pensi? A te che l’hai
conosciuta non sembra impossibile?
Sai che il mio rapporto con lei non era dei migliori, questione di
caratteri
incompatibili, ma il modo in cui riusciva a mandare avanti tutto quanto
era
degno di rispetto».
«assolutamente» confermò lui, in totale
onestà «credo che quel
che le è accaduto sembri impossibile a tutti coloro che
hanno avuto modo di
conoscerla, Nahema. Il nome di Nihil Iyra Aldebaran non lasciava
indifferente
nessuno».
«è vero».
«e così il tuo. Non perderà di valore
per nessuno, indipendentemente
dalla durata della tua missione».
Nahema fece un leggero sorriso. «buono a sapersi».
«e soprattutto non lo perderà per me».
Il sorriso scomparve. «sarebbe disdicevole se succedesse con
uno dei miei maggiori alleati».
A volte amarla non era soltanto dura, era peggio.
Eppure lui persisteva, anche se sapeva che per lei non
sarebbe mai stato al primo posto,
perché prima venivano lei stessa, la sua famiglia e i suoi
obiettivi, come
sempre.
Persisteva anche se i bei momenti trascorsi sia tra quelle
mura che tra altre non avevano mai portato a qualcosa di concreto,
perché tra loro due non c’era alcunché
di ufficiale
neppure ora che erano liberi da vincoli.
«“alleato”, dici»
ripeté Kitah, con un leggero accenno di
amarezza.
“Liberi da vincoli”…e nel suo caso tale
libertà aveva
richiesto un prezzo alto, molto alto.
Fin da piccolo era stato promesso a Lady Asyin della Casa
Eagle, di quattro anni più grande di lui.
Asyin era una bellissima ragazza, ma non era quella di cui
lui voleva diventare il marito.
Nahema stessa, insieme ad Aladohar, il giorno delle nozze
aveva dovuto convincerlo ad andare all’altare, ignorando la
sua rinnovata
proposta -quasi una supplica- di fuggire insieme.
Per tale motivo a quindici anni era diventato Lord Kitah
Taurus, Governatore di Atlantia, residente in quella che era la dimora
principale della sua famiglia, che per tradizione veniva lasciata ai
figli
primogeniti quando questi convolavano a nozze….e sempre per
tale motivo, dopo
essersi premurato di mettere incinta Asyin, a quindici anni aveva
iniziato a
progettare lo sterminio di quel che rimaneva di una famiglia un tempo
numerosa.
Una figlia e un padre.
Una moglie e un
suocero.
Al settimo mese di gravidanza di Asyin, suo padre era
precipitato dalla montagna sulla quale sorgeva il palazzo principale
degli
Eagle. Un tragico incidente. Una fatalità.
Un ghoul del ghiaccio
pronto a spingerlo giù al momento giusto.
Due mesi dopo, Asyin era morta a causa di un’emorragia
inarrestabile durante il parto dei suoi due figli gemelli; era accaduto
durante
una passeggiata ai confini del territorio attorno al loro palazzo, e
non c’era
stato nessuno che avesse potuto soccorrerla. Una disgrazia. Una
tragedia.
Una somministrazione continuativa -stando ben attento al
dosaggio- di un anticoagulante per
tutti i nove mesi della gravidanza.
La vita della madre dei suoi figli, quello era stato il
prezzo da pagare per tornare libero sperando, un giorno, di poter
sposare chi
desiderava.
Non lo aveva fatto a cuor leggero. La differenza
d’età non
aveva impedito ad Asyin di provare affetto per lui e forse anche
qualcosa di
più, perché Kitah si era comportato da marito
esemplare -pianificazione della sua morte a
parte- ma lui aveva altri
progetti.
«non lo sei?»
«sempre. Ma a
volte mi chiedo a cosa serva realmente tutto
questo…»
Nahema si voltò a guardarlo. «tutto questo cosa?»
«la tua famiglia ha il controllo su tutto l’oro, le
pietre e
i metalli più preziosi in circolazione, la mia famiglia
possiede la stragrande
maggioranza dei giacimenti di petroleum e delle materie prime con cui
costruire
ogni tipo di nave» le ricordò «qualche
anno fa ti ho detto che tu sei fatta per
governare, e lo penso tuttora, ma le nostre famiglie insieme hanno già
più potere di quanto ne abbia la famiglia
reale…»
«presumo che la conclusione di questo discorso sia che
dovrei lasciar perdere tutti i miei obiettivi e convolare a nozze con
te» disse
la ragazza, con aria del tutto neutra «speravo che questa non
diventasse una di
quelle conversazioni, e
invece!...»
«non ti chiedo di rinunciare proprio a niente, cercavo solo
di farti riflettere. Sarei orgoglioso di essere il marito della prima
donna a
diventare High General of the Galaxies, ma a cosa serve la corona, se
hai già
il potere? Comunque, se proprio-»
«hai perfettamente ragione» lo interruppe Nahema
«se il
fulcro della questione fosse il potere, quella corona non mi
cambierebbe molto
la vita. Nondimeno, il fulcro della questione non
è il potere. Voglio quella corona
perché sono la più adatta a
portarne il peso. Sono nata per questo, sono stata cresciuta per
questo, e così
sarà. Tutto il resto viene dopo. Matrimoni
inclusi».
«se mi avessi fatto finire di parlare ti avrei ricordato che
se davvero desideri la corona potresti ottenerla anche se le nostre
famiglie si
unissero, col tempo» insistette lui «una cosa non
esclude l’altra, anzi,
potrebbe addirittura facilitare il tutto».
«perché? Le nostre famiglie sono già
unite, alleate praticamente dalle loro origini. Devo forse
pensare che tu non mi stia supportando al massimo delle tue
possibilità, o che
in generale in tutti questi secoli voi Taurus non abbiate messo in
tavola tutte
le vostre carte?»
«la lealtà reciproca delle nostre famiglie
è indiscussa, e
parole del genere potrebbero anche offendermi, se fossi un tipo di
persona più
tendente ad arrabbiarsi! Soprattutto sentendole da te!»
ribatté il ragazzo,
alquanto innervosito «noi due ci conosciamo da sempre. Dai,
ricordami una volta
in cui ti sono stato d’intralcio o non ti ho
“supportato al massimo delle mie
possibilità”! Se me ne ricorderai anche una
soltanto mi inginocchierò e mi cospargerò
il capo di cenere!»
Non c’erano occasioni simili di cui discutere, e Kitah lo
sapeva bene, conscio com’era di aver fatto sempre tutto quel
che era in suo
potere per appoggiarla in qualsiasi cosa…
«messa così allora mi chiedo a cosa servirebbe
sposarci, se
entrambi facciamo già quel che faremmo dopo il matrimonio.
Politicamente
parlando siamo già alleati, con tutto quel che comporta, io
non rinuncerei ai
miei obiettivi, anche qui con tutto quel che comportano, siamo amici,
cosa che
non cambierebbe dopo sposati, e abbiamo iniziato ad andare a letto
insieme già undici
anni fa. Quindi dimmi: nella nostra situazione, quale sarebbe
l’utilità di un
matrimonio?»
…eppure lei aveva trovato ugualmente il modo di fregarlo.
Forse avrebbe dovuto puntare a fare l’avvocatessa, invece
che alla carriera militare o alla corona.
«mi piacerebbe potermi definire tuo marito, e poter definire
te mia moglie. Non sarebbe un matrimonio utile, è
vero» ammise «ma un’unione di
convenienza non è quel che voglio, me ne è
bastata una. Voglio sposarmi con una
persona che mi renderebbe felice di fare questo passo, e da circa
ventiquattro
anni penso che una cosa del genere sarebbe possibile soltanto se quella
persona
fossi tu. Anche se riesci a spuntarla in ogni discussione!»
Concluso il discorso si preparò spiritualmente ad incassare la risposta, sapendo che le
alternative possibili sarebbero state qualcosa di simile a:
“non dire
sciocchezze”, “la prossima volta me ne vado da
[inserire nome di un Lord delle
Costellazioni a caso], che quantomeno è già
sposato”, “lo apprezzo molto ma non
è il momento giusto”, “prima finisco di
fare tutte le mie cose e poi se ne
riparla”.
Ormai le conosceva a memoria, erano le stesse da anni.
«la convenienza è la base di ogni matrimonio
duraturo. Sai
che fine fa un castello costruito su una duna di sabbia come
fondamenta?»
Ah, giusto, c’era anche quella risposta. L’aveva
dimenticata. «mi sembra che il tuo si regga ancora in piedi
dopo svariati
millenni» ribatté.
«e difatti non ha le fondamenta di sabbia, genio!
Andiamo bene! Mi raccomando, che
non ti venga mai l’idea di decidere dove far costruire un
castello, o come
minimo lo troverai in fondo a un lago ghiacciato».
Nahema aveva potuto cambiare argomento, finalmente, ed era
una fortuna: certi discorsi di Kitah a volte le rendevano difficile
avere a che
fare con lui. Parlare del più e del meno, di complotti vari
o di sesso non era
un problema, ma i sentimenti erano un’altra faccenda.
«mi credi veramente così cretino?»
«non so, pensavi che il mio palazzo avesse fondamenta di
sabbia, dimmi tu!» disse, e si voltò per rientrare
nella stanza.
Parlava così, ma scherzava, ma non lo riteneva affatto un
cretino. Sarebbe
stato un imperdonabile errore di valutazione, visto il modo in cui
aveva ucciso
gli ultimi Eagle e si era preso tutti i loro terreni, che ora gli
appartenevano
di diritto.
Sì, Nahema era a conoscenza di quel che Kitah aveva fatto,
anche se non per bocca di quest’ultimo.
Quando sua madre era stata colpita dalla follia,
Nahema aveva ricevuto una
comunicazione nientemeno che da suo padre Kerasaas, che la invitava a
raggiungerlo nel suo laboratorio appena avesse potuto.
Già solo per il fatto che suo padre avesse fatto qualcosa di
così incredibile -sospendere le sue sperimentazioni per chiamarla!- Nahema aveva deciso di dargli
retta, e aveva
sfruttato il primissimo giorno di
congedo proprio per questo.
Non era la prima volta che entrava di soppiatto nel suo
stesso palazzo, memore delle fughe di quand’era bambina, ma
le sensazioni che
aveva provato in quell’occasione erano state molto diverse:
nessuno eccetto suo
padre, cui aveva chiesto di mantenere il silenzio su quel suo breve
ritorno,
doveva sapere che era stata lì.
Arrivata nel laboratorio, Kerasaas l’aveva accompagnata di
fronte a una porta blindata che lei aveva sempre visto chiusa, e una
volta
entrata si era trovata davanti un autentico tesoro: se un qualsiasi
nobile o
persona di potere in genere aveva uno scheletro nell’armadio,
le informazioni e
le prove -soprattutto quelle- su di
esso erano lì.
Kerasaas le aveva detto che nei meandri del palazzo c’erano
più e più archivi simili, anche se lui non sapeva
dove, ma che tutto il
materiale che vedeva era stato messo lì dentro proprio da
Iyra, e la suddetta
aveva voluto che passasse a Nahema nel caso a lei fosse successo
qualcosa di
brutto.
“ora è tutto tuo. Ah,
una cosa: so che era suo desiderio
che tu prestassi attenzione al fascicolo che ha lasciato lì,
sopra quella
scrivania, prima che a tutti gli altri” aveva
aggiunto suo padre “no, Nahema, non
ho idea del perché, come
non ho idea di cosa contenga: non mi permetterei di fare altro se non
custodirlo, anche adesso”.
Il fascicolo era su Kitah, ed era stato così che Nahema
aveva trovato la conferma a sospetti che aveva sempre avuto. Non era
una
stupida, e aveva immaginato che la morte degli Eagle non fosse stata
propriamente dovuta a tragici scherzi del destino, anche se lei avrebbe
preferito che fosse andata così.
All’interno c’era anche una nota che Iyra aveva
scritto di
proprio pugno: “ricordalo sempre,
ora che
non posso farlo io per te”.
Lapidaria, ma Nahema aveva capito quel che doveva capire, ed
era sufficiente.
Aveva dato un’occhiata veloce a diversi altri fascicoli, poi
era uscita, e quando aveva detto a suo padre di mostrare quella miniera
d’informazioni ad Aladohar questi non si era opposto; del
resto, come le aveva
detto, ora quel materiale le apparteneva, e poteva disporne come voleva.
In seguito si era comunque recata da Kitah come aveva deciso
di fare in precedenza, ma era diventata ancor più restia a
sposarsi.
Era vero che aveva delle cose da fare ed erano più
importanti di un matrimonio, quello sempre, ma c’era anche
quest’altro motivo:
come riuscire a fidarsi completamente di un ragazzo che aveva ucciso la
sua
prima moglie, per giunta in maniera così subdola? Un conto
era sospettarlo, un
altro saperlo per certo.
«il mio castello
in ogni caso non ha fondamenta di sabbia» ribatté
Taurus, da fuori «e la grande
sala sotto il livello del mare, quella con le pareti di cristallo,
sarebbe
perfetta per un matrimonio».
«tralasciando il fatto che una eventuale cerimonia si
svolgerebbe
a Thanoushiradryas e non ad Atlantia, perché non avrei
voglia di congelarmi
anche durante le nozze, direi di chiudere qui un discorso che si
è protratto
anche troppo e che adesso è inutile, perché al
momento non voglio sposarmi con
nessuno».
Probabilmente era vero che Kitah l’avrebbe amata anche se
anni prima fossero fuggiti via insieme sul serio e avessero vissuto
lontani da
lì, come plebei e con pochi soldi…ed era quel
“probabilmente” che la fregava.
Anche Nahema a modo suo amava quel ragazzo, ma era troppo
prudente, o troppo diffidente. Non era in grado di fidarsi al punto di
sposarlo, e come darle torto? Eppure non riusciva a dire quel
“no” assoluto.
«eh già…al momento!»
ripeté Kitah, decidendosi a rientrare
«ma un domani chissà!»
Un “no” che comunque non sarebbe servito,
conoscendo il
soggetto: Kitah non si sarebbe arreso lo stesso, e allora a che pro
andare a
infastidire un alleato? Se l’idea di rimanere lì a
sperare in una loro unione
ufficiale gli piaceva tanto, che continuasse pure. «Lord
Kitah della Casa
Taurus, tu sei la persona più testarda e ostinata che abbia
mai conosciuto».
«sì, e pensa un po’: non sono testardo
neppure la metà di
quanto lo sei tu» si avvicinò e le
baciò la fronte «pensi di aver preso
abbastanza freddo, per oggi? Perché se così non
fosse avrei un’idea».
«ossia?»
Lui sorrise. «quant’è che non torniamo
nelle Terrae Albae?»
Le Terrae Albae si trovavano ai confini di Atlantia, erano
piene di boschi ed erano chiamate così per le
peculiarità della flora che vi
cresceva: non soltanto l’erba e i fiori erano bianchi, ma
anche le chiome degli
alberi avevano di natura lo stesso colore della neve.
Era un paesaggio di una bellezza quasi surreale ma,
soprattutto, in quel luogo c’era la grande casa in cui si
erano appartati per
un’intera settimana nei mesi di vacanza
dall’Accademia Militare, quando avevano
appena tredici anni e si curavano un po’meno dei loro doveri.
Sette giorni
decisamente speciali per entrambi, che Nahema ricordava di aver vissuto
quasi
come se si fosse trovata in una dimensione di sogno, complice anche la
particolarità del luogo. «non ci torniamo dalla
prima e ultima volta che ci
siamo stati, undici anni fa».
«allora dovremmo rimediare».
«sì, forse dovremmo».
C’erano già delle cose complicate nella sua
esistenza, e non
voleva mettersi a pensare troppo anche al suo contraddittorio rapporto
con quel
ragazzo.
Magari poteva davvero permettersi di essere soltanto una
qualsiasi ragazza di quasi ventiquattro anni, anche se solo per qualche
momento: lasciarsi ossessionare da certe cose non avrebbe giovato a
nessuno,
lei stessa per prima, e Kitah non aveva torto nel dire che i suoi
complotti, la
sua missione e tutto il resto tra qualche giorno sarebbero stati ancora
lì.
Purtroppo per le future vittime.
Buonasera!
Lo so che è stato un capitolo più pieno di
chiacchiere che
di altro, ma volevo farvi conoscere qualche altro lato di un
personaggio
(Nahema) che nei capitoli successivi…diciamo che
tirerà fuori il suo peggio,
ecco. Ho pensato che potesse servire per farvi capire che anche lei ha
delle “mancanze”,chiamiamole così -vedi
quel che è successo col fratello Aladohar, o meglio, che non è successo- e insicurezze
varie, e
quindi non è solo “cattiva” come nei
prossimi capitoli potrebbe sembrare, e
tantomeno è immune a pippe mentali piuttosto umane
:’D e nel prossimo capitolo
-o quello dopo ancora- un personaggio che chi ha letto LLD già conosce entrerà
di colpo nella sua vita (e se mai qualcuno
volesse qualche informazione in più sul suo background,
c’è sempre questa one shot).
Già che ci sono vi lascio
le immagini del palazzo dei Taurus
ad Atlantia e delle Terrae Albae, trovate entrambe su google :) Alla prossima!
|
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Capitolo 9 *** 9. 00-Spear ***
Premessa: i fatti raccontati qui si
svolgono più o meno
nello stesso periodo in cui si sono svolti quelli del capitolo
precedente.
=
00- Spear =
«mai più! Mai più in
tutta la vita! MAI!
PIÙ!!!»
Kozmotis Pitchiner non aveva commesso
molti peccati in vita
sua, e in quei soli quattro minuti di viaggio aveva avuto modo di
pentirsi di
ognuno di essi almeno dieci volte.
«e tu saresti
l’High General of the Galaxies, il marito di
mia sorella, e tra poco il padre di mia nipote…andiamo
proprio bene».
Stava per diventare padre, ma sua
figlia aveva scelto un
gran brutto periodo per venire al mondo, se si trattava di traffico e
servizi
in genere: era la stagione in cui la stragrande maggioranza della gente
era
ancora in vacanza, o era in strada di ritorno da essa, il che
significava
vie intasate e persone assenti al momento del bisogno.
Tornato a casa più in
fretta che aveva potuto, Kozmotis si
era trovato davanti la prospettiva di affrontare una
quantità indefinita di ore
di coda sulle strade. Inaccettabile, considerando che sua moglie doveva
partorire quel giorno e lui voleva assolutamente essere presente,
motivo per
cui aveva sfruttato la sua posizione per richiedere un elicottero che
lo
portasse all’ospedale.
Peccato che tra ferie, assenze e
disservizi vari, fosse
risultato impossibile trovarne uno, anche per l’High General
of the Galaxies.
Si era arreso all’idea di
chiamare Aleha in ospedale per
avvisarla che avrebbe ritardato di chissà quante ore, ma era
stata Spear a rispondere.
Era stata la prima volta in cui lui e
sua cognata si erano
parlati dopo il matrimonio: contrariamente ad Aleha, che nonostante la
sua
completa disapprovazione aveva prevedibilmente finito con riallacciare
i
rapporti con Spear, lui non aveva proprio voluto saperne.
Comunque sia, la sua
“cara” cognata lo aveva informato del
fatto che ad Aleha si erano rotte le acque circa tre minuti prima. Una
notizia
che lo aveva messo in forte agitazione, sia per la sua stessa natura
sia perché
lui non era lì e
probabilmente non
sarebbe nemmeno arrivato in tempo per veder nascere sua figlia
Poi però aveva sentito
distintamente Aleha urlare a sua
sorella “vallo a prendere”.
E non solo.
“vallo a
prendere!”
“c’è
troppo traffico,
non farei in tempo”.
“non
era una
richiesta, e tu puoi! Sto per avere
una bambina e non voglio scuse! Va
bene?!”
Sì, sembrava che andasse
bene, perché Spear -dopo un sospiro
seccatissimo perfettamente udibile- gli aveva detto
“aspettami lì, arrivo tra più
o meno un quarto d’ora”, per poi chiudere senza
aspettare una risposta.
Ma la cosa più incredibile
era stata vederla arrivare lì da
lui veramente dopo circa quindici minuti, saldamente in sella alla
vecchia moto
di Aleha -che quest’ultima non usava più da un
pezzo- e le
prime parole che gli aveva
rivolto erano state “Aleha vuole che ti porti da lei, quindi
muoviti”.
Kozmotis non era sicuro che fidarsi
di Spear fosse una buona
idea, non gli piaceva dover avere a che fare con lei e temeva che
sfruttasse
quell’occasione per cercare di ucciderlo in qualche modo o
cose simili, ma la
sola risposta di sua cognata -felice quanto lui della situazione- era
stata
ripetere la frase precedente come un disco rotto.
Più lentamente, come se
avesse avuto a che fare con un
cretino.
Dopo un’ultima esitazione,
e non riuscendo a trovare
alternative, si era deciso a salire dietro Spear, la quale non era
affatto
intenzionata a cedergli la guida della moto. Era stato a quel punto che
le
aveva rivolto la domanda.
“come
diamine hai
fatto ad arrivare qui in dieci minuti, col caos che
c’è per le strade?!”
“tu
pensa a reggerti,
capirai il resto da solo, per una volta”.
Doveva ammettere che in effetti era
andata proprio così:
aveva iniziato a intuire qualcosa fin da subito, quando Spear era
schizzata via
a cento all’ora su quella moto evidentemente truccata,
apparentemente
infilandosi nel primo vicolo che aveva trovato.
Che dopo una serie di slalom -a volte
contromano- e curve
fin troppo brusche li aveva portati in un cantiere edile abbandonato.
Nel quale c’era un palazzo
in costruzione, o forse
restauro?, attorniato da impalcature di legno sulle quali Spear era
salita,
incurante dei suoi “ma
perché?!”.
«ovvio,
stai andando a ottanta all’ora su
delle
impalcature di legno!!!» gridò il
ragazzo, avvinghiandosi a Spear come
un’alga mentre sentiva la moto sobbalzare continuamente sotto
di sé.
«e quindi?»
«hai
anche il coraggio
di domandarlo?!!» urlò «si può sapere
che ti sei messa in testa?!»
«non deconcentrarmi, le
cose stanno per complicarsi» fu la
risposta della donna, che con sommo terrore del generale
accelerò
ulteriormente.
«cosa vuoi- »
un’occhiata al percorso davanti a loro però lo
fece ammutolire e diventare ancor più pallido di quanto
già fosse, anche se
grazie al casco nessuno poteva vederlo «Spear,
l’impalcatura sta per finire!»
«ma no, davvero?»
l’interpellata incurvò leggermente la
schiena in avanti, per nulla interessata a quel che era stato appena
detto.
«Spear
fermati!!!»
strillò Kozmotis, con un tono di almeno un’ottava
più alto del solito «Spear
FERMATI O FINIREMO AMMAZZATIIIIIIII!...»
Durante le sue missioni aveva volato
sulle navi di legno
stregate dai maghi, aveva volato sulle astronavi più moderne
e sì, a volte era
anche stato costretto a utilizzare dei paracadute per raggiungere
determinati
luoghi; quello era normale, ci poteva stare.
Saltare da un palazzo in costruzione,
in due su una moto, era
un’esperienza che non solo avrebbe voluto
evitare, ma che giustamente non aveva mai immaginato di dover vivere.
Come non aveva immaginato che sarebbe
morto così, e proprio
in quel giorno.
Serrò gli occhi, incapace
di tenerli aperti, e mentre
percepiva la moto precipitare con loro due sopra si mise a recitare
ogni tipo
di preghiera che conoscesse, miste a svariate maledizioni tutte rivolte
alla
cognata e a un numero indefinito di “perdonami
Aleha”/“perdonami Emily
Jane”, che era il nome scelto per
la figlia in arrivo.
Poi toccarono terra, e rimasero
fermi, ma lo schianto
violento che aveva immaginato non arrivò mai.
«quando hai finito di
maledirmi fammelo sapere, così
possiamo ripartire» disse Spear «ah, nel caso
dovessi rigettare sei pregato di
non farlo addosso a me».
La moto, ancora accesa, continuava a
borbottare sotto di
lui, e Kozmotis aprì lentamente le palpebre.
«ma-ma cosa, dove?...un tetto?!!»
Proprio così, quella pazza
furiosa aveva sfruttato l’altezza
delle impalcature per saltare da esse al tetto di un palazzo vicino,
decisamente più basso. Facendosi coraggio diede
un’occhiata alla strada vicina
a loro, strabordante di veicoli vari. Lassù c’era
molta più pace, ma lui
avrebbe preferito di gran lunga rimanere con i piedi ben piantati a
terra.
«sì,
è un tetto, e noi abbiamo diversa altra strada da
fare»
lo avvisò la donna.
Il generale non riusciva ancora a
capire l’utilità di quel
salto, e gli sembrava soltanto un tentativo di omicidio-suicidio, tanto
che
pensò di scendere; peccato che le gambe, ancora serrate
attorno alla moto per
la gran tensione e il grande spavento, non avessero alcuna intenzione
di
rispondere ai suoi comandi.
«ma come facciamo a
scendere in strada?!»
«non scenderemo.
Reggiti».
«EH?!»
Kozmotis fece giusto in tempo ad
aggrapparsi di nuovo a
Spear, la quale ripartì, diretta -con suo orrore- verso il
ciglio del tetto.
Stavolta quantomeno il salto durò pochissimo, e andarono a
finire sul tetto
vicino, ma il momento di sollievo durò poco: dopo quel salto
ne venne un altro,
poi un altro, e dopo un altro ancora!
«tu stai cercando di farmi
venire un infarto, io lo so!!!»
gridò il ragazzo.
«quante scene, e
sì che dovresti essere un uomo d’azione».
«uomo
d’azione, non
pazzo scriteriato!!!»
Spear non rispose, ma Kozmotis fece
uno strillo quasi
femmineo quando l’ultimo salto durò più
del previsto e, aperti gli occhi, vide
che erano tornati in strada.
Già meglio di
prima…
«ma
cosa-»
«DOVE
CAZZO VAI?!!!»
«EHI!!!»
Peccato che stessero viaggiando a
tutta velocità lungo lo
spazio tra le due corsie piene di automobili.
Ormai Kozmotis aveva perso il conto
di tutte le infrazioni
commesse in quei…quanto era passato? Tra uno spavento e un
altro aveva perso
completamente il senso del tempo.
All’anima del
“migliorata”, come l’aveva descritta
Aleha:
Spear era e sempre sarebbe rimasta la donna che aveva decimato i suoi
ufficiali
con un candelabro. «tutto
questo è
folle!»
«guarda che se fosse stato
per me non sarei certo venuta a
prenderti» replicò Spear.
«sarebbe
stato meglio
arrivare in ritardo ma con tutte le parti del corpo al loro posto!»
«se cerchi i tuoi testicoli
temo sia una causa persa»
replicò la dottoressa.
«sì,
perché tu negli anni me li hai disintegrati man
mano!»
ribatté Kozmotis.
L’amabile scambio di
battute finì giusto in tempo perché
alle orecchie di entrambi arrivasse distintamente il suono delle sirene
della
Gendarmeria.
«mi viene da dire
“alla buon ora”, dopo tutti quei salti sui
tetti» commentò Spear, osservando le -assai poche-
motociclette delle Forze
dell’Ordine «si vede proprio che questo
è il periodo in cui la gente svogliata
va in vacanza, Gendarmeria inclusa».
«la Gendarmeria ci insegue
e tu!...“migliorata”
un corno, fuori di testa eri e fuori di testa
resti, e adesso fermati!» le intimò Kozmotis
«sono l’High General of the
Galaxies, se ora collaboriamo e dico loro che si tratta di
un’emergenza forse
possiamo cavarcela!»
«no, perderemmo
tempo» disse Spear, lapidaria, non
accennando a rallentare.
«ma-»
«stai zitto e aggrappati
bene, se vuoi arrivare da lei
intero!»
Spear accelerò bruscamente
senza aspettare una risposta
affermativa o negativa, lanciandosi in un pericolosissimo slalom tra i
veicoli,
con la Gendarmeria cercava di star loro dietro.
Non era solo una cosa folle, era
peggio. Lui era la massima
carica militare del regno -eccetto il re stesso- ed era coinvolto in un
inseguimento come il peggiore dei fuorilegge.
Con sua
cognata.
La “rispettabile”
dottoressa Spear Sinetenebris.
Pazzesco.
Assurdo.
Probabilmente prima o poi si sarebbe
risvegliato nel proprio
letto, e avrebbe scoperto che si trattava soltanto di uno stranissimo
sogno,
anzi, incubo.
Il generale urlò quando
Spear fece una curva talmente brusca
che quasi lo sbilanciò, imboccando la strada che portava a
un cavalcavia sotto
il quale si trovavano i binari su cui di solito transitavano i treni
merci.
E la Gendarmeria sempre dietro, a
sirene spiegate.
«stavo
per cadere,
MALEDIZIONE!!! Ci farai ammazzare entrambi, razza
di-»
Se da parte di Spear ci fu una
risposta lui non la sentì,
coperta dal fischio del treno che stava per passare sotto di loro.
Proprio in quel momento, tuttavia,
Kozmotis vide arrivare
davanti a loro un nuovo problema. «ne
arrivano altri! Davanti a noi!»
Vista la difficoltà
dell’inseguimento, quei pochi gendarmi che
c’erano avevano deciso di dividersi e di intrappolarli
proprio sopra quel
cavalcavia: metà stavano arrivando davanti a loro, andando
contromano, e
l’altra metà era alle loro spalle.
Kozmotis non vedeva altra via
d’uscita da quella situazione
se non usa resa immediata, prima di peggiorare le cose, ma Spear non
stava
rallentando affatto, se mai il contrario.
Male.
Molto male.
«dobbiamo fermarci e
arrenderci, non te lo ripeterò un’altra
volta! Non solo ci inseguono, tra poco arriveranno anche qui davanti a
bloccarci, non possiamo fare altrimenti, e poi solo gli Dei sanno
quante
leggi-»
«mia sorella sta per
partorire e noi dobbiamo andare da
lei» lo interruppe Spear «il resto non ha
importanza!»
Arrivata quasi a metà del
cavalcavia, quando le tenaglie
della Gendarmeria stavano per stringersi su di loro, Spear diede
ulteriormente
gas, e prima che Kozmotis potesse anche solo vagamente intuire le sue
intenzioni
saltò il basso guard rail che
delimitava
la strada, precipitando di sotto, dritta sul terzultimo
vagone del treno
merci.
“morirò.
Morirò male. Morirò malissimo” fu il
solo pensiero che
Kozmotis riuscì a formulare, mentre occhi e bocca si
spalancavano in un urlo
silenzioso.
Poi sentì le gambe
abbandonare la presa attorno alla moto,
si sentì strattonare e, per finire in bellezza, diede una
bella testata contro
il tettuccio del vagone sul quale era atterrato. Gli parve di sentire
un’esplosione, presumibilmente quella della moto, ma non
poteva esserne sicuro: tutto quello a
cui pensava era
aggrapparsi a quel vagone con tutte le proprie forze, ancora stupito di
essere
vivo.
«muoviti, High
General!» si sentì apostrofare «dobbiamo
raggiungere il bordo e calarci giù tra un vagone e
l’altro!»
«COSA?!!»
gridò
lui, sollevando appena la testa «non puoi chiedermi anche
questo!»
«vuoi restare qui sopra per
tutta la vita? Ti ricordo che
Aleha-»
«sì,
sta per
partorire, LO SO, ho capito!» aveva creduto che con
un candelabro in mano
fosse pericolosa al massimo, ma sembrava proprio che si fosse
sbagliato: su una
moto era peggio, tragicamente peggio. «a
momenti è un parto più difficile per me che per
lei» borbottò tra sé e sé.
«appunto. Quindi datti una
mossa» concluse Spear, avviandosi
verso il bordo del vagone.
Kozmotis, dal canto suo, non
poté far altro che fare appello
a tutta la forza d’animo che gli restava e trascinarsi fino
alla fine del
vagone assieme a quella svitata, alla quale -se fosse sopravvissuto-
avrebbe
dovuto chiedere un paio di spiegazioni.
«ci siamo, ora caliamoci.
Sei in grado di fare almeno questo
senza lamentarti?»
«e tu sei in grado di
fingerti sopportabile per almeno cinque
secondi?»
Lei non lo degnò neppure
di una risposta, eseguendo una
complicata manovra per calarsi giù tra i due vagoni.
Kozmotis la imitò, anche
più agilmente: un conto erano pericolose corse e salti
assurdi in moto, un
altro situazioni che richiedevano una prestanza fisica che lui,
ovviamente,
possedeva.
«tra poco dovremo saltare
giù» lo avvisò Spear «mentre
venivo da te ho visto che qui, vicino alla clinica, c’erano
alcuni isolati
senza troppo traffico».
«siamo già
vicini alla clinica?!» allibì il ragazzo.
«non ho corso su tutti quei
tetti per sport. Preparati a saltare»
lo esortò «ora!»
Riuscirono a saltare quasi in
perfetta sincronia e a
“cadere” bene, senza rompersi alcun osso: ancora
una volta l’addestramento
militare fu decisamente d’aiuto a Kozmotis, il quale
provò una certa
soddisfazione quando riuscì a rialzarsi prima di Spear.
«muoviti, dottoressa!
Aleha sta per partorire!» disse addirittura, in una palese
presa in giro.
«non ho bisogno che me lo
ricordi, la mia mente funziona a
meraviglia, contrariamente ad altre» replicò la
donna «allontaniamoci dai binari,
liberiamoci dei caschi e raggiungiamo la strada: potremmo percorrere a
piedi il
tragitto che rimane, ma penso che nessuno si sognerebbe di rifiutare un
passaggio all’High General of the Galaxies. L’unica
cosa in cui la tua carica
possa tornare utile, oserei dire».
Detto questo Spear raggiunse a passi
veloci la breve salita
che li avrebbe portati più lontani dai binari, e ancora una
volta Kozmotis non
poté far altro che seguirla; osservò la sua
esilissima figura e, per l’ennesima
volta, si disse che sua cognata era una strega fatta e finita. O un
demone. Che
un mucchietto d’ossa come lei potesse fare certe cose era
inspiegabile.
Oppure…
«Spear!»
Lei si voltò e tolse il
casco, mostrando uno sguardo che
appariva solo leggermente seccato. «cosa?»
«non è che sei
un agente segreto al servizio di Sua Maestà,
o di qualche famiglia delle Costellazioni?» le
domandò Kozmotis, togliendosi il
casco a sua volta «parli poco, sei tetra, fai
cose!…tutto tornerebbe».
«“torna”
solo nel tuo cervello evidentemente danneggiato
dal colpo di prima. Non sei neanche
degno di una risposta, davvero» disse la dottoressa, tornando
camminare.
«oppure magari qualcuno ha
fatto qualche esperimento su di
te ma non lo ricordi!» insistette Kozmotis «e
“Aleha sta per partorire” è la
frase di innesco per-»
«non per far tacere i rompicoglioni, a quanto pare».
«non usare quel tono con
me, strega psicopatica, altrimenti
io…»
«se stai per dire “ti
sparo” ti fermo subito».
Kozmotis ammutolì: Spear
gli stava puntando contro una
pistola, la sua, che gli aveva
rubato
chissà quando. Quando lei gli restituì
l’arma tenendola per la canna la sua
agitazione diminuì, ma soltanto di poco. «allora
niente, rimane valida la mia
teoria sul fatto che sei un demone degli abissi».
«puoi teorizzare quel che
vuoi, purché tu lo faccia in
silenzio e camminando. Cerca di non sembrare più agitato del
dovuto».
La voglia di dare inizio a un bel
litigio con lei, anche
solo per sfogare tutta la tensione accumulata, era veramente tanta, ma
Kozmotis
fu abbastanza intelligente da intuire che quello non era il momento,
né il
luogo…e che comunque litigare con un demone degli abissi,
anche se privo di
candelabro, moto e pistole, non era una grande idea.
Dopo aver alzato gli occhi al cielo,
dunque, si limitò a
seguirla procedendo a passi veloci, tornando a stupirsi di quanto
sembrasse
calma, nemmeno facesse cose simili tutti i giorni. «e tu
cerca di sembrare
agitata come una persona che si rende conto di essere saltata sopra un
treno in
corsa. Di’, ma l’avevi già
fatto?»
«il salto sul treno
no».
«perché, il
resto invece sì?!»
Spear non gli rispose, ma vedendo
un’automobile a trecento
metri di distanza fece uno scatto da centometrista e corse avanti, per
poi far cenno
di fermarsi alla donna che la guidava.
Kozmotis non la raggiunse in tempo da
capire cosa le avesse detto,
ma vide distintamente Spear indicarlo, e la donna -che evidentemente lo
aveva
riconosciuto- guardarlo stupita.
«sì…sì,
certo signori, non c’è problema! Non è
una
deviazione così lunga rispetto alla strada per casa
mia!...non che mi sarebbe
importato, in caso contrario» aggiunse, visibilmente
emozionata «voi,
dottoressa, avete curato con successo mia zia tempo fa, ed è
ancora in buona
salute!»
«me ne rallegro,
signora».
«e
l’High
General of the Galaxies! Nientemeno!...la massima carica
militare del
regno sta per diventare padre e IO
lo
sto accompagnando da sua moglie! Io!»
squittì, mentre Kozmotis e Spear salivano
sull’automobile «quale onore!»
«non avete idea di quanto
sia grande il favore che mi state
facendo, signora. È incredibile la condizione delle strade e
anche dei servizi
in questa stagione, davvero!» commentò il generale
«sappiate che sono in debito
con voi».
«non parlatene nemmeno,
Lord Pitchiner, non parlatene
nemmeno, non mi dovete nulla!» ribatté la donna,
mettendo in moto «solo…sarà un
maschio o una femmina?»
«sarà una
femmina!» rispose Kozmotis, e lo fece volentieri
«e si chiamerà Emily Jane, come mia
nonna».
«che nome
grazioso!» trillò la donna.
«oppure
Seraphina» aggiunse Spear «come la trisnonna mia e
di mia sorella. Aleha ha sempre detto di voler chiamare così
un’eventuale
figlia femmina».
Se la donna che guidava avesse visto
lo sguardo di Kozmotis
in quell’occasione, probabilmente si sarebbe spaventata
temendo che volesse
commettere un omicidio. Ma per fortuna non poteva vederlo, dal momento
che lui
era seduto sul sedile posteriore.
«però alla fine
ha deciso di chiamarla Emily Jane, e chi più
della madre ha il diritto di scegliere il nome della creatura che mette
al
mondo?» disse, con un tono allegro completamente fasullo: che
quella si permettesse di sindacare
anche
sulla scelta del nome di sua figlia era
veramente il colmo.
«hai ragione» disse Spear «nessuno
più della madre ha
diritto di scegliere il
nome di sua figlia».
“io
prima o poi la
strangolo” pensò il generale, sperando
che il viaggio e anche la successiva
permanenza in clinica durassero il meno possibile.
***
Tutto quel che Kozmotis avrebbe
desiderato era che il parto
di sua moglie fosse miracolosamente indolore, ma era chiaro che fosse
chiedere
troppo, e sentirla gridare in quel modo, vederla
soffrire in quel modo, gli stava causando un’ansia
indicibile. Sapere qualcosa
sul parto era un conto, assistervi era tutt’altro paio di
maniche, e lui non
riusciva a far altro se non tenerla per mano e farfugliare un
“tranquilla andrà
tutto bene” ogni tanto.
«dai Aleha, spingi!
Ci
sei quasi, la testa è quasi fuori!...Coraggio!»
Per Spear non valeva lo stesso
discorso. Non era
imperturbabile o tetra come suo solito, anzi, in
quell’occasione -contrariamente
a prima con tutte quelle cose folli- gli sembrava viva,
piena di premure verso sua sorella e,
incredibile ma vero, umana.
Non un demone degli abissi, ma una
persona che assisteva degnamente
una sorella a cui
voleva molto bene.
«s-siamo sicuri che sia
tutto norma-»
«sì,
Kozmotis, ti
assicuro che sta andando tutto come deve andare» lo
interruppe Spear «quindi
non stare in ansia. E soprattutto non
mettere in ansia Aleha» aggiunse, in un sibilo al
suo orecchio «provaci e
ti butto fuori dalla stanza a calci».
Come non detto, quella di
umanità era solo mera apparenza. Almeno
con lui. «la sento urlare così, che dovrei dire
secondo te?» sibilò di rimando
«non sono esperto di parti!»
«e allora muto!»
«DOVETE
PROPRIO
DISCUTERE ANCHE ADESSO?!!» urlò Aleha,
stringendo tanto forte la mano di
Kozmotis che questi impallidì dal dolore, senza
però osare lamentarsi: con quel
che stava passando Aleha, il minimo era che un po’di dolore
toccasse anche a
lui.
«no che non dobbiamo, noi
siamo qui per te» disse Spear, con
una strana dolcezza «e ora tu devi dare due ultime spinte,
due soltanto!...vai così!»
Il grido di Aleha si
mescolò con quello spaccatimpani della
bambina appena venuta al mondo, prontamente recuperata
dall’ostetrica, e tutti
quanti poterono fare un sospiro di sollievo.
«la mia bambina»
fu la prima cosa che disse Aleha, con lo
sguardo reso un po’spento dalla stanchezza
«lei…»
«sta benissimo»
disse Spear, mentre metteva la neonata a
contatto della madre «e anche in questo momento riesce a
essere bellissima…è evidente
che ha preso molto da te».
La frecciatina non venne minimamente
presa in considerazione
da Kozmotis, troppo preso a contemplare la sua bambina. Non gli
importava
quanto potesse essere sporca, o che lo sforzo fatto per venire al mondo
non
giovasse al suo aspetto: per lui sua figlia, con quelle sue manine
minuscole e
quei pochi capelli corvini sul capo, era già
l’essere più bello, fantastico e meraviglioso
di tutta la galassia. «la nostra Emily Jane è
bellissima».
«…o
Seraphina».
Ancora?! Era
incredibile che anche in quel momento Spear si ostinasse a battere su
quel
chiodo. «non te lo ripeterò un’altra
volta: si chiama Emily Jane! Ti
serve uno spelling, per caso?!»
«non sei in grado di fare
uno spelling» replicò Spear «Seraphina
le starebbe molto meglio, perché-»
«non tirare di nuovo fuori
la storia che la vostra antenata Seraphina
era la figlia ribelle del barone Saiph!» la interruppe
Kozmotis «non me ne
potrebbe importare meno, Emily Jane è un nome molto
più bello».
«Seraphina è
più elegante».
«Emily Jane è
più moderno!»
«Emily
Jane Seraphina
Pitchiner!» intervenne Aleha, mentre coccolava la
suddetta Emily Jane «e detto
questo vedete di farla finita! Insieme siete la piaga di partorienti e
puerpere,
davvero».
«ehm…è
ora che la bambina venga lavata e visitata»
intervenne timidamente l’ostetrica «il padre
dovrebbe venire con me, e portare
i vestitini…»
«i…cosa?»
disse
Kozmotis, colto alla sprovvista e improvvisamente nel panico. I
vestitini, le cose
per la bambina! Come aveva potuto dimenticarsene?! Eppure sapeva che
avrebbe
dovuto portarli!
«il
cervello, ecco
cosa» disse Spear, appioppandogli in mano un grosso borsone
«qui c’è tutto. Vai».
Anche quando Spear faceva del bene
gli rendeva veramente
impossibile trovare la voglia di dirle “grazie”.
Dopo aver dato un bacio ad Aleha, e
averle detto che lui ed
Emily Jane sarebbero tornati presto, seguì
l’ostetrica fuori dalla sala parto. Non
c’era niente da fare, pensò, lui e sua cognata si
sarebbero sempre odiati, tanto
da non riuscire a comportarsi civilmente neppure in
quell’occasione.
“alla fine però
non è colpa mia se oltre a fare
cose ha un carattere orribile! Ho
capito che ha avuto una vita difficile, ma non per questo è
autorizzata a
trattare ME come se fossi un
escremento di gatto stellare o peggio…e comunque
è sempre la persona che ha
maledetto me e sua sorella al matrimonio, cosa che non
dimenticherò finché avrò
vita!”
Per fortuna che la nuova casa in cui
sarebbero andati a
vivere sarebbe stata completata a breve, e che sua moglie aveva
rispettato la
sua richiesta di non dire nulla a Spear del loro eventuale -in
realtà sicuro-
trasferimento.
Aleha non era ancora del tutto
convinta, in quel caso, perché
le piaceva il suo lavoro, le piaceva il suo quartiere e la gente che lo
abitava, e in più si era riappacificata con sua sorella, ma
alla fine avrebbe
ceduto: tempo pochi mesi e sarebbero andati via, nascosti da tutto e
tutti. Se
si voleva vivere tranquilli era la cosa migliore, e se ne sarebbe fatta
una
ragione.
Guardò Emily Jane in
braccio all’ostetrica.
“è anche per
difendere te da pessime influenze esterne che lo
faccio. Proteggerò te e tua madre da tutto quel che
può minacciarvi, qualunque
siano i pericoli. È una promessa!”
Buonasera! Anzi, ormai buona notte
:’D
La prima cosa
che ho da dirvi
è questa: è tutta colpa
di Skyfall. Ho commesso l’errore di rivedere quel
film, soprattutto l’inizio, ed ecco che un viaggio in moto
già turbolento di
suo si è trasformato in quello che avete letto, e Spear in 00- Spear.
Non che sia un agente segreto, ma il
fatto è che-
Kozmotis:
se dici
“sua sorella stava per partorire” ti sparo.
Sì quella cosa
lì, e avete già visto che, se si tratta di
Aleha, lei "fa cose", per citare
Kozmotis.
Già che c’ero ho
sfruttato questo capitolo per inserire la
questione Emily Jane/Seraphina: nel fandom italiano e straniero, in
particolare
quest’ultimo, è nota tanto con un nome quanto con
l’altro, nonostante la wiki
ufficiale dica “Emily Jane”. Qui se non altro Aleha
ha tagliato la testa al
toro :’D
Nel prossimo capitolo ci
sarà un salto in avanti di diversi
anni, verranno spiegate alcune cose che nel capitolo precedente hanno
sollevato
qualche domanda, e si vedrà quel personaggio di cui avevo
parlato la scorsa
volta.
No, non cambierò idea in
corsa, il capitolo è già pronto :D
Alla
prossima,
_Dracarys_
Ah, un'ultima cosa: immaginate automobili, elicotteri e veicoli vari in
versione un po'steampunk. A giudicare dalle immagini del Moon Clipper
che ho trovato, direi che i veicoli un po'più "articolati"
avevano quello stile.
|
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Capitolo 10 *** 10. Sussurri striscianti ***
= Sussurri striscianti
=
La successione ininterrotta di rumori
acuti che da circa
mezz’ora si udiva in un luogo isolato appena fuori da
quell’avamposto militare
ai confini della parte est del regno dei Lunanoff avrebbe potuto
risultare
estremamente fastidiosa, alle orecchie di alcuni, ma non per la donna
intenta
ad affilare le lame dei due coltelli che si portava sempre appresso,
assieme
alla pistola laser in dotazione, ovviamente.
“caporale Silk”.
Recitava così la medaglietta che penzolava dal suo collo
robusto, ma mentiva,
esattamente come lei mentiva sul proprio nome ogni giorno da sette anni
a
quella parte, come mentiva il colore dei suoi occhi -modificato da una
banale
pastiglia reperibile da qualunque alchimista nel regno dei Lunanoff- e
quello
dei suoi capelli.
Come mentivano gli innesti in finta pelle su tutto il suo corpo, in
particolare
quello sul lato destro del volto, rendendolo orrendamente sfigurato per
nascondere una voglia color vinaccia che, altrimenti, avrebbe reso
immediata la
sua identificazione.
All’arciduchessa Nihil Nahema della Casa Aldebaran non aveva
mai pesato
fingersi una qualunque plebea dal passato nebuloso e, per quel poco che
aveva
inventato a beneficio di chi aveva il coraggio di farle domande, tetro:
a dire
il vero aveva trovato anche piuttosto divertente immaginare una nuova
identità
partendo da zero.
Quel che l’aveva seccata un
po’era stato degradarsi a
caporale, anche se solo per finta, dopo essersi fatta per anni un mazzo
tanto
arrivando al grado di maggiore, e avrebbe potuto arrivare ben
più in alto,
perché non le mancava proprio nulla.
Dava importanza al proprio titolo solamente quando ciò le
tornava comodo,
riteneva sciocco “gonfiarsi” tanto
perché il caso aveva voluto che fosse nobile
di nascita, ma ciò che aveva guadagnato per puro e semplice
merito era
tutt’altro paio di maniche, ed ora eccola
lì…a prendere ordini dall’Eroe degli
Eroi.
Al pensiero fece un sospiro, alzando
gli occhi al cielo.
Riconosceva a Lord Kozmotis Pitchiner di essere abile esattamente
quanto
dicevano tutti, e che quindi c’erano stati validi motivi
dietro alla sua nomina
a Lord High General of the Galaxies.
Riconosceva anche la sua indiscussa
lealtà alla corona, e
quella verso i propri uomini: il generale era il tipo d’uomo
che non avrebbe
mai abbandonato i suoi soldati per salvarsi, ritenendo -scioccamente?-
che la
vita di ogni soldato semplice valesse tanto quanto la sua. Era
compassionevole
fino all’ultimo anche verso i suoi nemici, e quando poteva
farlo evitava di
ucciderli, preferendo catturarli ed imprigionarli nella Prigione
Maxima,
insistendo altresì che venissero trattati umanamente.
Nahema aveva compreso presto che
Kozmotis Pitchiner,
o Lord Pitch come lo chiamavano, era onesto e integerrimo come pochi
nella
galassia. Fin troppo.
Una vera “anima candida”, insomma, che gli orrori
della
guerra non erano riusciti ad insozzare in alcun modo…ed era
proprio quello che
l’aveva indotta ad alzare gli occhi al cielo.
Nihil Nahema non riteneva che la guerra fosse il posto giusto per le
anime
candide, e pensava che l’atteggiamento di Pitchiner con i
nemici fosse davvero
sciocco. Perché catturare i Dream Pirates, imprigionarli e
mantenerli a spese
della corona -che, a sentire sua sorella Nihil Rerazara, non aveva di
che
scialacquare- oltretutto col rischio che riuscissero a evadere, quando
invece
avrebbero potuto ucciderli e liberarsi del problema con tutta la
semplicità del
mondo? Sarebbe stata anche la soluzione più
divertente.
Ricordava con nostalgia le "battute
di caccia al Nightmare Man" cui, un
tempo, dava inizio dopo aver sbaragliato le armate nemiche.
Di norma non era
una persona sadica, non uccideva se non era strettamente necessario
né amava
vedere altre persone provare dolore, ma quei
“mostriciattoli” -così li chiamava
lei- non erano delle persone vere e proprie, erano dei mangia anime
aborti
della natura, e portavano a galla un lato di lei che tendeva a rimanere
ben
sepolto.
Lei e i suoi soldati li inseguivano, li prendevano e li
uccidevano tutti quanti, tranne uno scelto a caso, il quale veniva
torturato
-spesso da lei personalmente- e rispedito dai suoi compatrioti,
così da
trasmettere il messaggio.
Gran bei tempi, quelli!
Poi c’era stata la realizzazione della “brillante”
idea di sua madre di farla fidanzare col principe Tsar Lunar XI,
più grande di
lei soltanto di tre anni. Un progetto a cui Nihil Iyra Aldebaran
lavorava
probabilmente da quando Nahema non era ancora venuta al mondo, e su cui
l'aveva
edotta da quando aveva raggiunto l'età per capire qualche
altra parola oltre a
“mamma” e “oro”.
Dopo diversi temporeggiamenti -e infinite arrabbiature da parte di sua
madre-
principalmente dovuti alla convinzione che un simile legame ufficiale avrebbe ridotto di molto la
libertà che aveva ai tempi, a vent'anni suonati Nahema le
aveva dato finalmente
retta.
Non era andata male, Tsar Lunar Lunanoff XI era una delle
persone
migliori che avesse mai conosciuto -e lui, ignorante dei dettagli
riguardanti
il suo atteggiamento coi “mostriciattoli”, pensava
lo stesso di lei- e quelli
passati come sua fidanzata erano stati due begli anni per entrambi, ma
la vita
di “moglie del re” non faceva per lei.
Era stata cresciuta per governare in
prima persona, ne
sarebbe stata perfettamente capace ed era qualcosa che il re stesso
aveva
riconosciuto, ma era una posizione che le tradizioni gli impedivano di
darle, e
sotto sotto -forse- lui aveva temuto
che,
se fosse andato contro le tradizioni, la sua figura sarebbe stata
schiacciata da
quella di Nahema, più
carismatica .
Poi Tsar si era innamorato della
figlia di un mercante di stoffe
preziose, tal Beileag Stone, e a quel punto, di comune accordo e senza
rancori,
avevano rotto il fidanzamento. Quella di regina consorte non era una
posizione
cui Nahema ambiva particolarmente, checché ne dicesse sua
madre, e in ogni caso
lei aveva sempre un legame antecedente con
un altro uomo da poter riprendere dopo due anni di pausa, anche se
“questo era
un dettaglio marginale” -così si ripeteva.
A quel punto Nahema era andata via,
lasciando a Tsar una
lettera in cui gli comunicava che sarebbe tornata al fronte, senza dare
altri
dettagli.
Tsar aveva atteso un anno e mezzo per
legarsi ufficialmente alla
sua amata -così da “salvaguardare
l’onore” di una ex fidanzata a cui voleva
sempre bene- e poi, con buona pace di tutti o
quasi, lui e Beileag si erano sposati.
Nihil Nahema era del tutto libera da vincoli, e ne era felice, ma
ciò per gli
Aldebaran aveva significato dover trovare una strada alternativa per
raggiungere il loro obiettivo: il cambio di dinastia regnante.
La grande macchina delle alleanze aveva dunque iniziato a muoversi
ancor più
alla svelta, spinta dalle immense risorse della sua famiglia,
rinforzando
legami preesistenti e intrecciandone di nuovi, e in virtù di
questo i suoi
fratelli e sorelle avevano iniziato a fidanzarsi, guarda caso, con i
rampolli
delle Case più importanti -a livello strategico- tra le
varie Costellazioni.
Oltre a ciò, sua sorella
Nihil Rerazara, come “risarcimento”
ma anche per merito, all’età giusta era stata
presa dal Re come Ministro
Supremo dell’economia, posizione eccellente per raccogliere
prove della…non eccelsa…gestione
delle risorse
finanziare da parte della coppia reale, troppo portata alle opere di
bene,
mentre Nihil Ralonrin era stato scelto come medico di corte, avendo
così modo
di venire a sapere tutto ciò che accadeva all'interno del
palazzo.
Tutto era sempre proceduto bene, anche se la follia
aveva colpito sua madre Iyra portando qualche complicazione
sullo stabilire “chi avesse l’obbligo di fare
cosa” e creando un velo di
acredine nel rapporto tra Nahema e Aladohar.
Nulla di irrisolvibile, minimizzava
Nahema, ma intanto era
contenta di non essere su Aldebaran I o i pianeti limitrofi.
C’era solo un piccolo, minuscolo, insignificante particolare:
la sua missione,
quella che la stava tenendo lontana da casa, non stava andando come
doveva.
Oltre a trattare segretamente con i Dream Pirates, coi quali grazie a
certi mezzi aveva stipulato un
accordo -se
“fate quel che voglio o vi schiavizzerò tutti
privandovi delle vostre coscienze, perché posso”
si poteva definire
così- da diverso tempo a quella parte aveva capito di dover
trovare qualsiasi
appiglio per distruggere Kozmotis
Pitchiner.
Con la prima di questa due cose non aveva avuto problemi, ma
la seconda si era rivelata difficile.
Ucciderlo non era mai stato nei suoi intenti, la sua famiglia avrebbe
preferito
averlo dalla propria parte che vederlo morto, ma in quei sette anni in
cui
aveva imparato a conoscerlo Nahema si era resa conto che la sua
lealtà ai
Lunanoff era troppo grande perché lui potesse essere
corrotto, motivo per cui era
bene che qualcun altro subentrasse a lui nel comandare
l’armata più grande e
potente del regno.
O meglio, qualcun’altra.
Non sarebbe stato male diventare prima
High General of the Galaxies e poi
regina.
Escludere l’omicidio
però aveva reso tutto più complicato.
Non si poteva distruggere la
reputazione del generale,
perché quell’uomo era qualcosa di più
che irreprensibile, amato e rispettato da
tutti, purtroppo per lei.
Aveva pensato di disseminare false
prove che portassero le
persone ad accusarlo di chissà cosa, ma aveva dovuto lasciar
perdere: non le
era venuto in mente niente che potesse risultare credibile, e quella di
High
General of the Galaxies era una posizione elevata, abbastanza da poter
insabbiare facilmente certe cosucce.
A livello mentale, poi, Nahema non
aveva mai visto psiche
più sana di quella di Lord Pitch e anche lì non
aveva trovato appigli a cui
agganciarsi per iniziare a corroderla.
L’unica cosa positiva era
che in quei sette anni avesse
imparato a conoscerlo bene, al punto di poterne prevedere facilmente le
mosse,
e che avesse capito quali erano i suoi unici punti deboli: sua moglie
Aleha e
sua figlia Emily Jane, le persone che il generale amava più
di ogni altra
cosa.
Avendole nelle proprie mani avrebbe
potuto chiedere a Pitchiner
di fare qualunque cosa volesse, e lui l’avrebbe accontentata.
Peccato che, nonostante tutto lo spiegamento di forze degli Aldebaran,
l’ubicazione della sua dimora risultasse sconosciuta.
Sapevano soltanto che si
trovava da qualche parte nei territori degli Orion, il che non era
troppo
d’aiuto, vista la loro vastità.
Cercare informazioni dalla sorella
maggiore di Lady
Pitchiner, Spear, sarebbe stato inutile: non aveva idea di dove si
trovassero,
e si mormorava di un terribile litigio tra lei e i due sposini appena
prima che
partissero, circa sei anni prima, avvenuto proprio per quel motivo.
Non che a Spear Sinetenebris fosse mai piaciuto il cognato: Nahema
ricordava
perfettamente la conversazione avuta con lei qualche giorno dopo la
nomina di
Pitchiner ad High General, periodo durante il quale la dottoressa aveva
fatto parte
del personale medico dell’armata in cui si trovavano lei e
Kitah.
“ho sentito che vostra sorella ha un fidanzato
illustre, dottoressa. L’High
General of the Galaxies, nientemeno! Sbaglio?”
“purtroppo no, ma spero sempre che mia sorella rinsavisca
presto”.
“si direbbe che Lord Kozmotis Pitchiner vi piaccia
poco”.
“non poco, per niente”.
In seguito non avevano avuto altri grandi scambi d’opinioni,
e lo considerava
un peccato perché la dottoressa non le dispiaceva come
persona e sarebbero
stati sicuramente interessanti, ma la schiettezza di Spear, in
quell’occasione,
l’aveva divertita.
Ora che la sua missione andava a rilento, però, Nahema non
si stava divertendo
affatto.
Non era servito neppure che Lady
Faeliria, primogenita della
Casa Orion, fosse sposata con suo fratello Aladohar: Pitchiner, prima
di finire
nel “mirino” della sua famiglia, aveva chiesto ed
ottenuto dal capofamiglia
Orion l’autorizzazione a costruire casa sua da quelle parti
senza essere
costretto a specificare dove.
Si diceva che avesse costruito tutto
quanto da solo, proprio
per evitare fughe d’informazioni, e Nahema aveva finito col
crederci: o quello,
o aveva ucciso tutti coloro che avevano collaborato. A nulla era valso
anche
farlo seguire discretamente da alcune spie le volte in cui tornava a
casa,
perché Lord Pitch sempre a depistare tutti appena prima di
entrare nel
territorio degli Orion.
A volte
l’Alto Generale Perfezione era quasi detestabile,
davvero.
«in sette anni non ho ottenuto nulla. Sto fallendo
miseramente…» si trattenne
dal prendere a pugni il terreno in un moto di pura stizza
«maledizione. Se solo
sapessi dove sono moglie e figlia potrei anche costringerlo a vestirsi
come un
topo lunare e farsi scopare allegramente da tutti i suoi soldati, e
invece!...»
Appoggiò la schiena contro il muro, sospirando. “E
invece” niente, per sua
sfortuna!
«fingerti plebea ti ha spinta ad adottare un linguaggio
adeguato, da quel che
sento».
Nahema si era rizzata in piedi di scatto, coltelli in mano e pronta ad
uccidere, appena il suono di una voce femminile sconosciuta aveva
raggiunto le
sue sensibili orecchie, ma per quanto si guardasse attorno non riusciva
a
scorgere nulla che rivelasse la posizione della sua interlocutrice.
Chiunque fosse sembrava essere a
conoscenza della sua vera
identità, e dunque andava eliminata.
Rimase in silenzio, cercando di
captare qualunque cosa
potesse tornarle utile allo scopo, invano.
«perché non metti giù quegli spilli?
Sono inutili con me. Non solo posso
diventare invisibile, ma anche intangibile, per cui poco importa che tu
sia una
macchina per uccidere: non sono alla tua portata, e vengo in pace.
Anzi…a dirla
tutta sono qui per darti un aiutino».
Davanti a Nihil Nahema, all’improvviso, comparve una tra le
creature più
inquietanti che le fosse mai capitato di vedere.
La parte superiore era quella di una donna dalla pelle viola, dai
capelli
corvini, e un viso a modo suo quasi bello, con quegli occhi dalle iridi
gialle
circondati da una sorta di tatuaggio nero; dai fianchi in
giù, invece, le sue
fattezze erano quelle di un serpente dalla coda nera, spessa e lunga
oltre
dieci metri.
L’arciduchessa ormai ventinovenne aveva viaggiato molto, ne
aveva viste di
cose, ma mai nulla del genere. «ottimo. Però dimmi
chi sei, cosa sei, come mi fai
a sapere chi sono, in cosa consiste questo “aiutino”
e perché vuoi
darmelo».
La donna serpente, per nulla piccata dalle parole di Nahema, distese le
labbra
nere e piene in un sorriso. «auspicare un “per
favore” dalla capofamiglia
Aldebaran è troppo, mh? D’accordo, credo sia
meglio andare subito al sodo»
disse, strisciando verso Nahema «so dove si trova la dimora
del caro generale
Pitchiner. È ben nascosta in una luna minuscola tra tre
pianeti, circondata da
una cintura di asteroidi nella quale è presente solo un
passaggio sicuro per
raggiungerla, ma quello lo troverete da soli. Le coordinate di casa
Pitchiner
sono OR-W-17-35C-4528. So che non avrai difficoltà a
ricordarle. Puoi ordinare
un controllo se, come penso, non ti fidi».
D’accordo, la faccenda si stava facendo decisamente strana e
allarmante. Se
quel che diceva la donna serpente era vero, e non si sentiva di
escludere a
priori che lo fosse, quell’informazione poteva essere
risolutiva per la sua
missione, ma cosa poteva volere in cambio di
quell’indicazione e del suo
silenzio? Perché voleva vedere Pitchiner distrutto? Che
accidenti di
creatura era?! urgeva indagare.
«verificherò. Chi sei?» le
domandò di
nuovo «cosa vuoi in cambio? Da che mondo è mondo
nulla è gratis».
Quando la creatura le si avvicinò ancora, Nihil Nahema si
allontanò
bruscamente. Non ne aveva paura, ma non intendeva finire avvolta dalle
sue
spire.
«hai mai sentito parlare delle Ephemerides,
arciduchessa?» le domandò la donna
serpente, quasi sottovoce «magari in qualche racconto, o hai
letto in qualche
libro le poche notizie che riguardano la mia specie».
“Ephemerides”. Non le era nuovo,
aveva sentito parlare di questa
fantomatica razza ancestrale durante i propri viaggi ma, come tutti, le
aveva
sempre considerate una leggenda metropolitana o poco più.
«Ephemerides. Ho
presente. Donne serpenti nomadi, vivete in piccoli gruppi e vi spartite
la
galassia, o le galassie, in zone…»
«hai fatto i compiti, allora. Che brava!»
l’Ephemeride aveva un tono di voce
tanto dolce e accondiscendente che ci mancava solo che si mettesse a
fare le
fusa. Ignorò l’indurirsi
dell’espressione di Nahema a quel suo atteggiamento:
non era qualcosa che potesse importarle. «dunque, ora hai
capito cosa sono?»
I muscoli di Nahema, in tutto ciò, erano ancora tesi e
pronti allo scatto, per
quel poco che avrebbe potuto servirle. «ovviamente».
«sai di cosa mi nutro?»
Oh, sì. Delle poche leggende sulle Ephemerides, quello era
l’aspetto più
conosciuto. «ti nutri di dolore. Devo farti notare che, in
tutta questa
digressione, non mi hai ancora detto cosa vuoi in cambio».
L’Ephemeride fece una risatina. «avevo pensato che
fossi più sveglia. Ti ho
dato modo di trovare la famiglia del generale Pitchiner. Un uomo molto
famoso,
un eroe che ormai da troppi anni sembra praticamente invulnerabile a
qualunque
sentimento negativo, in special modo il dolore. È qualcosa
che fa storcere un
po’il naso alle altre Ephemerides con le quali condivido il
regno dei Lunanoff,
ma l’unica che intende fare qualcosa a riguardo è
la sottoscritta, per cui
eccomi qui a fare il lavoro sporco» sospirò
«non c’è più rispetto per gli
anziani, è una cosa
così
irritante!...comunque, cosa credi che voglia in cambio?»
puntò lo sguardo in
quello dell’arciduchessa sotto mentite spoglie «fai
sì che i Dream Pirates tuoi
alleati sterminino la sua famiglia. Spezza quell’uomo.
Fa’ in modo che provi un
dolore tale da impazzire. Ci guadagneremo tutti quanti. Lord Pitch
soffre»
indicò le pareti dell’edificio con un gesto
distratto «Nahema vince» indicò lei
«Tanith mangia»
concluse, indicando
se stessa «mangia molto,
mi auguro».
Dunque si chiamava Tanith. Nihil Nahema avrebbe ricordato a vita il suo
nome,
con eterna gratitudine se quelle informazioni fossero state veritiere e
l’avessero portata al successo, con sentimenti ben diversi se
quelle fossero
state menzogne. Ma in fin dei conti, perché Tanith avrebbe
dovuto mentirle, se
dicendo il vero avrebbe ricavato qualcosa da tutto ciò?
«avresti potuto dirlo
direttamente ai Dream Pirates, per ottenere quel che vuoi sarebbe stata
una
mossa ugualmente efficace. Perché a me?»
Tanith sorrise. Nahema aveva già notato il suo sguardo
“affamato”, ma pareva
che pensare ai pasti futuri lo accentuasse, rendendolo ancor
più evidente. «il
tuo modo di fare non mi dispiace, e sei una di quelle che, da quando
sono
presente in questa zona, mi ha fornito molti lauti pasti con le sue
azioni. Ho
voluto ricambiare il favore…per averne altri ancora. Fai
buon uso di quanto ti
ho rivelato. Presto, magari».
Nahema avrebbe voluto rispondere adeguatamente, ma non fece in tempo:
com’era
comparsa, l’Ephemeride era sparita lasciandola sola, immersa
nel silenzio. Dopo
circa un minuto passato a ispezionare il territorio circostante con lo
sguardo,
si sedette di nuovo a terra.
Avrebbe informato Nihil Aladohar appena avesse potuto: un controllo non
costava
nulla, e se Tanith avesse avuto ragione…tombola.
Non aveva ancora di che
festeggiare, eppure sorrise, soddisfatta.
«caporale Silk».
Non diede il minimo segno di stupore, ma di certo non si aspettava che
proprio
Kozmotis Pitchiner, futura vittima delle sue azioni, le comparisse
dietro senza
che lei se ne accorgesse. Sia come sia, si alzò e fece un
perfetto saluto
militare. «generale Pitchiner».
«presumo che tu abbia sentito i miei passi, come
sempre».
No, affatto, era troppo assorta nei propri pensieri.
«sissignore. Se mi
permettete, è curioso vedervi qui fuori. Avete ordini per
me?»
Il giudizio di Kozmotis Pitchiner su quella donna era ancora in
sospeso,
nonostante fosse con lui da diverso tempo. A Kozmotis non piaceva la
sua totale
spietatezza coi nemici durante le azioni di guerra, che cozzava con i
propri
ideali, e non amava molto neppure il suo atteggiamento enigmatico: Silk
non
sembrava avere problemi a trovarsi in sua compagnia, aveva sempre un
atteggiamento educato con lui e non gli aveva mai mancato di rispetto
in alcun
modo ma, allo stesso tempo, sembrava voler mantenere le distanze, come
testimoniava il fatto che, contrariamente agli altri, non
l’avesse mai chiamato
“Lord Pitch”.
Certo, in battaglia si era sempre dimostrata più che
efficiente -colpire un
Dream Pirate alla testa da mezzo miglio di distanza non era da tutti!-
e
perfettamente affidabile, per cui non riteneva un errore tenerla nella
propria
armata, però…
Bah. Forse non era colpa di Silk,
quanto piuttosto sua, che si faceva troppi
problemi. Ognuno aveva il proprio vissuto e il proprio carattere, il
caporale
non faceva eccezione, ed era assurdo giudicarla per questo! Non tutti
erano
come lui, che dalla vita aveva avuto tutto: talento in battaglia, un
cervello niente
male -secondo lui- un aspetto a parer suo non da buttar via, una salute
di
ferro, soldi, fama, gloria e, soprattutto, aveva accanto praticamente
da sempre
la sua anima gemella, dalla quale aveva avuto una meravigliosa bambina.
Aveva
perso entrambi in genitori in giovane età, e sua cognata era
una strega
maligna, ma quando faceva un bilancio della propria vita si riteneva
ugualmente
un uomo molto fortunato, anche perché ormai vedeva Spear
soltanto una volta al
mille. «no, caporale, ma gli uomini mi hanno riferito di
averti vista uscire, e
ho ritenuto opportuno verificare che fosse tutto a posto,
nonché invitarti a
rientrare. Il territorio che circonda l’avamposto dovrebbe
essere libero da
pericoli di qualunque sorta ma, pur sapendo che sai difenderti
più che bene,
ritengo anche che la prudenza non sia mai troppa. Non si sa mai chi si
potrebbe
finire a incontrare».
“non sai quanto hai ragione, 'Lord' Pitch”.
«rientro immediatamente, generale. Avevo soltanto cercato un
po’di tranquillità
qui all’esterno, ma vi do la mia parola che
eviterò di ripetere una simile
azione, se voi non siete d’accordo».
«non era un ammonimento ufficiale, non essere così
rigida, caporale: ormai
dovresti sapere bene che non mordo» le sorrise perfino,
tentando una debole
battuta.
«ne sono consapevole, signore» replicò
la donna. Immaginando che il generale
avrebbe apprezzato un sorriso di ricambio, gliene rivolse uno.
«bene. Rientriamo».
Si diressero all’ingresso dell’avamposto. Pitchiner
rientrò per primo, un po’
più disteso, ripetendosi che non c’erano motivi
per inquietarsi del carattere
chiuso di certe persone.
Nahema, invece, si
avvicinò al portone con la speranza di
poter finalmente dare una svolta alla sua missione.
Si girò a guardare alle proprie spalle un’ultima
volta, prima di rientrare.
Tanith, prima di sparire definitivamente, le sorrise.
Vi avevo detto che in questo capitolo sarebbe comparso un personaggio
che già conoscevate, ed eccola qui: ebbene sì,
Tanith era in giro già da allora.
Ed era vecchia.
Ho altresì cercato di dare alcune
delle spiegazioni promesse a chi era rimasto perplesso su alcuni
dettagli temporali, e spero che siano state comprensibili.
Ora la domanda è "come hanno fatto gli Aldebaran a
convincere i Nightmare Men e compagnia ad 'allearsi', se vogliamo
definire così la cosa?"
La risposta nel prossimo capitolo :) ...che dovrei intitolare "il patatracchete",
se volessi sintetizzare la situazione in modo terra terra, ma credo che
gli darò un titolo che si confà un po' di
più al dramma della situazione :'D
Alla prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 11 *** 11. Una promessa spezzata ***
Questa volta tengo particolarmente a
ringraziare KausBorealis
per tutte le recensioni che ha lasciato a questa storia, e alla sua
pazienza
nel ripostarle tutte quante!
I server di EFP purtroppo ci sono
contro, ma questo non
cambia nulla, e prima o poi i tuoi commenti, e anche quelli
più recenti degli
altri, torneranno sicuramente visibili J
Detto questo, buona lettura.
=
Una
promessa
spezzata
=
«…quindi non
vedo quale alternativa sia possibile rispetto a
ciò che penso io sulla questione, ma ho voluto comunque
chiederti
spiegazioni, caporale. Ti sei sempre rivelata affidabile in battaglia,
sei
nella mia armata da anni. Preferirei che non fossi la traditrice che
sembri
essere, e di aver frainteso i tuoi atteggiamenti».
Kozmotis Pitchiner era tornato a casa propria da neppure una settimana,
ed ecco
che gli era giunta la notizia di un attacco in massa dei Dream Pirates
proprio
ai confini del territorio degli Orion.
La piccola luna dove aveva nascosto
la propria dimora era
piuttosto lontana da quel punto specifico, ma non aveva potuto esimersi
dal
salutare moglie e figlia e ripartire, facendo il proprio dovere di High
General
of the Galaxies, come sempre.
Peccato che la notizia dell’attacco in massa fosse fasulla: i
nemici erano
soltanto un gruppo non troppo numeroso di cui lui e la sua armata si
erano
occupati in meno di un quarto d’ora ma, contrariamente ai
suoi commilitoni,
Pitchiner aveva notato un dettaglio che agli altri era sfuggito: una
conversazione per nulla ostile, seppur non troppo lunga, tra il
caporale Silk
ed il capo di quel gruppetto, appena prima che questi riuscisse a
scappare. Gli
era parso di vedere Silk consegnargli qualcosa, ma non era sicurissimo,
e non
sapeva cosa fosse di preciso.
Non se l’era sentita di far diventare quel fatto un caso di
Stato, almeno non
immediatamente: il tradimento del caporale sarebbe stato uno scotto
principalmente per lui stesso -nessuno nella sua Armata Dorata aveva
mai anche
solo pensato di tradire, per quanto ne sapeva- perché
avrebbe fatto crollare
miseramente la sua ferma convinzione di saper valutare bene le persone.
Quindi aveva deciso di fare due
chiacchiere con Silk, prima
di prendere provvedimenti.
«traditrice, dite? No, Lord Pitch, a diventare traditrice
della patria non sarò
io. Ma magari voi! Sapete, se ci fossero più malpensanti in
circolazione, la
vostra ferma volontà a prendere vivo ogni Nightmare Man,
Dream Pirate e Fearling
possibile e metterli tutti nello stesso luogo potrebbe essere scambiata
col
voler, man mano, radunare un esercito con cui dare l’assalto
al reame».
Lord Pitch era indignato per quel che Silk aveva appena insinuato
-“insinuato”…tanto per utilizzare un
eufemismo- ma era anche allibito: non solo
l’atteggiamento della donna aveva improvvisamente
subìto un mutamento radicale
da rigidissimo e serio a rilassato e quasi sfacciato, ma la nota fredda
che di
solito era udibile nella sua voce era scomparsa, sostituita da una
divertita e,
incredibilmente, sorrideva. L’espressione era quella di un
cacciatore che,
catturata la sua preda, si apprestava a decidere cosa farne di
preciso…e
Pitchiner avrebbe mentito, se avesse asserito di capirne la ragione.
«tu
vaneggi, caporale, tutto questo tempo al fronte deve averti resa
pazza».
«sono ben lungi dall’essere folle: estremamente
ambiziosa magari, ma folle
proprio no. Mi avete chiesto spiegazioni, Lord Pitch» Silk
poggiò i gomiti sul
tavolo, intrecciando le dita delle mani «e io intendo
darvene, o almeno, darvi
alcune di esse. La prima: sapevo benissimo che mi stavate osservando,
quando ho
consegnato il gemello di questo»
da una tasca tirò fuori un
minuscolo comunicatore ad alta tecnologia «al mostriciattolo.
La seconda:
volevo che mi vedeste. La terza: avete agito come avevo previsto, e
state
parlando con me da solo, probabilmente sperando di aver frainteso
quello che
avete visto e di non aver sbagliato a pensare che fossi una brava
persona».
Pitchiner, perplesso ma altrettanto inquieto per
quell’analisi accurata, la
osservò con sguardo penetrante. «non capisco dove
vuoi andare a parare, e la
mia teoria sulla tua pazzia resta valida. Perché hai messo
in piedi questo
teatrino, caporale Silk?»
«perché ci sono due modi in cui questa
conversazione può finire, e ci sono
delle strade che devo spianare nel caso mi costringiate a seguire il
piano
originale».
Conosceva la pericolosità del caporale, per cui,
istintivamente, Lord Pitch si
preparò a rispondere all’eventuale assalto,
apprestandosi ad impugnare una
qualsiasi delle armi che aveva con sé. «spiegati»
le ordinò, gelido
«evita di parlare per enigmi. Quali sarebbero questi due
modi?»
Silk si stiracchiò. «uno è che voi, al
termine della nostra chiacchierata,
usciate di qui senza colpo ferire, vi autodenunciate per alto
tradimento alla
corona ammettendo…beh, quel che vi ho detto prima, che in
realtà siete in
combutta con i nemici del regno e quella di catturarli vivi
è una strana scusa
per radunare un esercito. Ma la vostra coscienza non ce la fa
più a sostenere
un simile peso, siete pentito, per cui avete deciso di confessare, e
rinunciare
al vostro titolo, comprendendo di non esserne minimamente degno. La
vostra
reputazione ne uscirebbe distrutta, è vero, ma siete un eroe
del regno, e la
pena capitale ormai è in disuso: ve la cavereste con diverso
tempo in una
prigione, presumo».
«che cosa?» Pitchiner,
incredulo, fece una breve risata senza allegria
«asserisci di non esserlo, ma sei folle veramente!
Perché mai dovrei fare una
cosa del genere? Non ci penso nean-ma che
accidenti…?!»
Era osceno a vedersi, ma pareva che Silk avesse infilato le falangi di
pollice
e indice sotto la pelle della guancia destra, all’altezza di
quella cicatrice
che le deturpava il volto in modo a dir poco orribile.
«dovreste farlo sia
perché vi conviene, che perché ve lo ordino io.
Il mio nome non è Silk. Non
sono un caporale, e non provengo dal pianeta di donne guerriere nel
territorio
degli Scorpio».
Davanti agli occhi attoniti del generale, Silk sollevò buona
parte di quello
che si stava rivelando null’altro che un innesto di pelle
finta, mostrandogli
una voglia color vinaccia la cui forma ricordava moltissimo quella di
una
stretta e sottile stella a otto punte.
Un segno che Lord Pitch già conosceva, che chiunque fosse
minimamente pratico
delle nobili famiglie della Golden Age, le Costellazioni, conosceva, e
che lui
aveva visto molto bene sul volto dell’ex colonnello Nihil
Aladohar della Casa
Aldebaran, sia in gioventù -un pessimo incontro, in cui lui
era un tredicenne e
Aladohar un novenne- sia qualche anno prima, quando l’armata
di quest’ultimo
aveva supportato la sua.
La donna che gli stava davanti non
sembrava più giovane
dell’arciduca, se mai il contrario, per cui, escludendo a
priori le varie
sorelle minori, restava un’unica possibilità.
L'undicenne che aveva incontrato diciotto anni prima era decisamente
cresciuta,
e non era diminuita in pericolosità, se mai il contrario.
«non so cos’abbiate
in mente, arciduchessa Nihil Nahema, ma sappiate che non intendo
assolutamente
obbedirvi, anzi, sapendo che siete in combutta con i nostri nemici
farò di
tutto per fermarvi! A cosa puntate? Al regno, forse?!»
Nahema sospirò, risistemando l’innesto di pelle
finta. «forse. Sicuro di
non voler prendere in considerazione l’idea di
obbedire, generale?» diede un’occhiata
all’orologio in dotazione, mentre la
lancetta dei secondi avanzava veloce «siete proprio
convinto al cento per cento?»
«assolutamente! Non avreste dovuto neppure osare
chiedermelo!»
Qualche secondo dopo Nahema sbuffò una breve risata e ruppe
il comunicatore,
disintegrandolo nel pugno sinistro. «allora questo non serve
più. Niente ordini
contrari, ma quando al dunque è meglio così,
dopotutto avevo un debito da
saldare. Molto bene, Lord Pitch» si alzò
tranquillamente in piedi «vostra la
decisione, vostra la responsabilità per le conseguenze.
Tenetelo a mente».
Inspiegabilmente il generale avvertì un’improvvisa
morsa gelida all’altezza
dello stomaco. Aveva un brutto presentimento, anzi orribile, e
un’inquietudine
serpeggiante stava inesorabilmente montando dentro di lui.
«cosa…» si schiarì
la voce, ignorando i battiti del cuore, che aveva iniziato ad
accelerare «cosa
volete dire? Quali ordini contrari e debiti intendete?! Parlate!»
fece per afferrarla, ma Nahema gli sfuggì facilmente dalle
mani.
«lo scoprirete tra qualche istante».
La porta si spalancò all’improvviso, ed un
maggiore dell’Armata Dorata entrò
trafelato; un segno che doveva esserci una reale emergenza,
o
non si sarebbe mai permesso di agire in quella maniera! «sign-caporale
Silk,
guarda dove vai!» sbraitò quando Nahema,
nel correre via dalla stanza, lo
urtò accidentalmente «generale, abbiamo ricevuto
altre notizie-»
«non è il momento, adesso! Bisogna
catturare il caporale Si…Nahema!»
si corresse, inseguendo quest’ultima.
«i Dream Pirates stanno attaccando in massa per
davvero!!!» esclamò il
maggiore, confuso su quel che Lord Pitch aveva appena detto, ma
concentrato sul
resto «stanno oltrepassando una cintura di asteroidi,
convergono tutti alle
coordinate OR-W-17-35C-4528, e non si capisce per-»
Sentendo quelle coordinate, il generale interruppe la propria corsa,
impietrito.
Guardava davanti a sé con gli occhi sbarrati, ma non vedeva
nulla. Per qualche
attimo dimenticò persino di respirare, mentre nella sua
testa martellavano sia
quelle coordinate, quelle di casa sua, che le
penultime frasi di Nahema:
“vostra la decisione, vostra la responsabilità per
le conseguenze”…le
conseguenze…”tenetelo a mente”.
Ma Silk/Nahema non contava più per lui, ormai, non contava
più catturarla, non
contava più fermarla.
Fu solo vagamente consapevole di stare impartendo l’ordine di
dirigersi tutti
sul posto immediatamente, si rese conto solo a
stento di come le sue
gambe si mossero facendolo correre nella sala comandi della nave
ammiraglia, di
stare urlando a tutti quelli che capitavano di sbrigarsi, che non
c’era tempo
da perdere, e poco gli importava se quel modo di agire poteva sembrare
ineducato, o non da lui: aveva in testa solo i volti di moglie e
figlia, la
voce di Emily Jane che gli aveva fatto promettere di tornare a
casa… .-
“tornerò presto”.
Sentì nel pugno sinistro il gelo del medaglione argentato
donatogli da sua
figlia, quello con dentro il ritratto di quest’ultima.
“lo prometti?”
Sì, lui l’aveva promesso, l’aveva
promesso sulla sua stessa anima. Ma
erano loro due la sua anima, Aleha
e la sua adorata Emily
Jane, meravigliosa, cara Emily, che aveva i suoi stessi occhi, e
ora…
E ora…
“vostra la decisione”.
Ora avrebbe potuto perderle entrambe, poteva averle già
perse, per quanto ne
sapeva.
“vostra la responsabilità per le
conseguenze”.
Le conseguenze per non aver obbedito, per aver detto di
“no” ad una nobile di
sangue che non lo era altrettanto d’animo -alla faccia del
proverbio!- per aver
rifiutato di perdere la propria rettitudine agli occhi di tutti, di
farsi devastare
la reputazione.
“tenetelo a mente”.
Ma a cosa serviva avere una reputazione integra, se il prezzo da pagare
per
mantenerla era la distruzione dell’unica cosa che contasse
davvero?!
“non le perderò. Non le perderò. Io le
salverò. Io sono Kozmotis Pitchiner,
Lord High General of the Galaxies. Mi batto tutti i giorni per
proteggere un
intero regno, e lo faccio bene. Salverò la mia famiglia. Non
fallirò. Non devo
fallire. Non posso fallire”.
Per gli Dei, perché quel maledetto viaggio sembrava durare
così tanto, perché
era tutto così dannatamente lento, proprio adesso?!...
***
Fuggire dalla nave ammiraglia di Pitchiner era stato semplice come
previsto:
per il generale, sapendo che la sua famiglia era in pericolo, catturare
lei era
passato in secondo piano.
Nihil Nahema si era appropriata con
tranquillità assoluta di
una navicella d’emergenza, e aveva impostato le coordinate
per un piccolo
satellite disabitato appena al di fuori del territorio Orion -non
distante dal
luogo del finto attacco di massa- in cui, come da piani, suo fratello
Nuro
l’avrebbe recuperata.
Non poteva dire di conoscere bene tutti i propri fratelli: era entrata
presto
nell’ambiente militare, per sua stessa volontà,
giusto pochi anni prima di suo
fratello Aladohar, e impegni su impegni le avevano portato via
moltissimo
tempo.
Altri suoi fratelli avevano fatto la
stessa cosa, e/o si
erano sposati molto presto, e poi c’erano quegli ultimi sette
anni d’assenza…
Conosceva il ventunenne Nihil Nuro un po’di più,
ma sua sorella Nihil Kehazilia
e suo fratello Nihil Iruhu -rispettivamente quindici e quattordici
anni- le
erano soltanto vagamente presenti, mentre aveva visto solo
due volte i piccoli di casa, Nihil Taha e Nihil Texu,
entrambi
di otto anni.
Lei e i suoi fratelli erano molto uniti nell’intento di
raggiungere i propri
obiettivi, e alla fine era quel che contava davvero, ma non
c’era la sensazione
di calore che invece, da quel che ricordava, trasmettevano Tsar Lunar
Lunanoff
e i suoi genitori, pur essendo tutte persone adulte.
Un tempo c’era stato qualcosa di simile solo tra lei, Nihil
Aladohar e anche
con Nihil Rerazara -seppur un po’meno- ma il tempo trascorso
si era portato via
anche questo, in special modo da quando la loro madre aveva perso la
ragione
sei anni prima, ed Aladohar aveva rinunciato al suo ruolo di colonnello
per
occuparsi delle “faccende da Lord della Casa
Aldebaran”.
Certo, forse per un uomo sposato -e innamorato della moglie, con la
quale stava
da quattro anni- era meglio così, ma Nahema sapeva che per
lui era stata dura
rinunciare a tutto.
Aveva notato l’amarezza nella voce di Aladohar ogni volta che
l’argomento
veniva sfiorato: lui a casa, lei al fronte, e poi a puntare al titolo
di Lady
High General of the Galaxies, il massimo grado militare.
Stava vivendo il sogno di suo
fratello, e poco importava che
fosse anche parte del suo. Quella di Lady High General, per lei,
sarebbe stata
solo una tappa prima di sottrarre il trono ai Lunanoff, mentre per suo
fratello
sarebbe stato il punto d’arrivo.
A volte pensava che, in nome dell’ambizione, la sua famiglia
avesse perso,
stesse perdendo, ed avrebbe continuato a perdere tante cose.
«qui Gold Star. Missione compiuta. Mi dirigo alle coordinate
stabilite. Mi
aspetto che tu sia già sul posto. Passo».
Staccò dal volto i vari innesti di pelle finta, e
passò una mano tra i capelli,
con un leggero sospiro. Non vedeva l’ora che tornassero
lunghi, e del solito
blu scuro. A volte era una fortuna avere un padre alchimista, i cui
preparati
potevano risolvere facilmente certe cosucce…
– qui Red Star. Ti aspetto. Passo e chiudo.
Quella voce la fece trasalire. Non era di Nuro, non era quella che si
aspettava. A dirla tutta la possibilità di poterla sentire
in quel frangente
non le era passata neppure per l’anticamera del cervello.
Una sensazione di perplessità con una punta
d’agitazione che non avrebbe mai
ammesso né mostrato l’accompagnò per
quel che restava del viaggio. Raggiunse il
satellite, atterrò alle coordinate
stabilite…e lui non
solo
era già sul posto come aveva detto, ma era anche sceso dalla
sua navicella.
“non cambia nulla” si disse Nahema, aprendo il
portello per poi scendere a sua
volta “avrei dovuto comunque parlargli di persona una volta
tornata su
Aldebaran I”. «Aladohar. Vederti qui
è…inaspettato».
Capelli blu scuro, occhi verdi brillanti, un po’ di barba,
alto almeno un metro
e novanta, come lei. Da ventenne a ventisettenne non era cambiato quasi
per
nulla, forse perché sette anni prima sembrava già
più “adulto” di quanto fosse.
«ho le cariche esplosive» disse lui, mostrandole
una valigetta «mettiamole a
posto».
Nahema non ribatté, limitandosi a procedere come da piano.
Aperta la valigetta,
lei e Aladohar posizionarono le cariche sulla navicella
d’emergenza che aveva
utilizzato per fuggire, senza dire una parola. L’atmosfera
non era piacevolissima,
ma d’altra parte Nahema se l’era aspettato.
«fatto» disse Aladohar, un paio di minuti dopo.
«bene» disse l’arciduchessa, e si
avviò verso la navicella del fratello,
impassibile.
«sette anni…»
Nahema si voltò a guardarlo. Aladohar stava venendo verso di
lei a passo lento,
guardandola dritta in volto.
«sette maledetti anni che non ci vediamo, in cui non ci siamo
mai parlati
faccia a faccia, e tu hai davvero creduto che avrei lasciato che fosse
Nuro a
venirti a prendere?» le chiese Aladohar, con voce quasi
incrinata «dopo tutto
questo tempo?»
Nahema non era tipo da abbracci, così come non lo era
Aladohar, eppure eccoli
lì, abbracciati stretti come se avessero avuto
l’intenzione di non staccarsi
più.
«cos’è tutto questo
sentimentalismo?» gli chiese Nahema, sollevando un
sopracciglio «hai preso qualche strano preparato
alchemico?»
«pfff. Macché» borbottò
l’arciduca «è che ci sono delle cose che
mi hanno fatto
riflettere» disse, entrando nella navicella assieme a Nahema
«e ho pensato che
non si sa mai quel che può accadere, per cui meglio
abbracciare una volta in
più quando si può, che pentirsi in seguito di non
averlo fatto abbastanza. Sai
che il generale Pitchiner non mi è in simpatia,
ma…diciamo che in questo
momento non lo invidio affatto».
Presero entrambi posto, chiusero il portello e si prepararono al
decollo.
«io gli ho dato la chance di limitare i danni, ma non
è stato in grado di
coglierla. Renin Altair, Kitah e Lord Vega sono stati
avvisati?»
«sono pronti a testimoniare che hai passato questi sette anni
di “esilio” a
combattere ai confini più estremi dei loro territori, con
bei risultati e
qualche momento particolarmente epico. Nessuno crederà a
Kozmotis Pitchiner
quando griderà al complotto. Sarà un
pover’uomo sotto shock e dalla psiche in
pessime condizioni che lancia accuse impossibili contro degli arciduchi
notoriamente nemici dei mostriciattoli, va’ a capire come
mai» disse Aladohar,
decollando.
«accusare me solo perché ho un fisico simile a
quello delle donne di un lontano
pianeta nel territorio degli Scorpio è da pazzi»
annuì Nahema, premendo un
pulsante. Sentirono vagamente il rumore della navicella
d’emergenza che
esplodeva.
«non è molto sicuro lasciare la massima carica
militare ad uno così» asserì
Aladohar «dovrebbero darla a qualcuno di più
assennato. Come te, per esempio».
Passò qualche secondo. «Aladohar, voglio essere
diretta» esordì Nahema «la
massima carica militare è parte del mio
sogno, ma era anche il tuo
obiettivo
finale, e-»
«lo era. Ma nostra madre non è più in
grado di intendere e volere da sei anni,
nostro padre è sempre rinchiuso nel suo laboratorio, e tra
poco avrò un figlio.
Rinunciare a quel sogno inizialmente mi è costato, e ammetto
di aver provato un
po’ d’acredine nei tuoi confronti,
Nahema…ma le responsabilità che ho sono
quelle che sono, e tutto sommato essere “solo” un
arciduca straricco con una
moglie che ama moltissimo, e che lo ama altrettanto, non è
poi così male. Se
qualcuno deve avere quella carica, voglio che sia tu»
affermò, con estrema
sincerità.
«ottimo» inspiegabilmente, Nahema si
sentì come se qualcuno le avesse tolto di
dosso un peso che non si era neppure resa conto di portare.
«oltre a questo mi sono
resto conto che, tutto sommato,
nostra madre non aveva previsto che fossi veramente tu ad occuparti a
tempo
pieno dell’amministrazione delle nostre terre»
disse Aladohar «se anche ti
fossi sposata con il re avresti dovuto pensare al regno, non alle
nostre
faccende. Doveva per forza toccare a me o a qualcuno degli
altri».
«non avevo mai considerato
questo punto di vista» ammise
Nahema «ma penso proprio che tu abbia ragione,
Aladohar…e ora, finalmente,
possiamo dare inizio alla nostra vera missione».
“Finalmente”,
davvero: Nahema era in grado di portare
pazienza come un ragno in attesa delle sue prede, ma era normale che
fosse
felice di poter andare avanti dopo aver passato sette anni senza aver
concluso
molto.
Anche se questo significava la morte
di una donna che in
quei giochi di potere non c’entrava proprio nulla, e
strappare una bambina di
sei anni alla sua famiglia per utilizzarla in qualche modo in seguito,
cose che
non la rendevano altrettanto contenta.
Non andava fiera di quel che aveva
fatto, distruggere la
famiglia di un uomo perché questi avrebbe potuto
rappresentare un problema era
atroce, e Nahema lo sapeva benissimo; tuttavia la piena consapevolezza
di quel
che stava facendo non aveva fermato la sua mano, perché non
aveva trovato un
altro modo per raggiungere lo stesso risultato.
“cosa
credi che voglia
in cambio? Fai sì che i Dream Pirates tuoi alleati
sterminino la sua famiglia.
Spezza quell’uomo. Fa’ in modo che provi un dolore
tale da impazzire. Ci
guadagneremo tutti quanti”.
Ma pensandoci bene, dopo la
conversazione con Tanith -essere
che si era dimostrata altamente pericolosa- Nahema aveva veramente
mantenuto la possibilità di scegliere?
Forse era meglio non arrovellarsi
troppo su quella
questione: a quel punto i giochi erano fatti, il suo debito era stato
pagato, e
ci avevano guadagnato per davvero.
«è una bella fortuna che papà abbia
trovato quel manufatto, come l’ha chiamato?»
tornò a parlare Aladohar.
«Barra del Comando, per comodità»
rispose pronta Nahema «detta altresì
“Schiavizza Mostriciattoli”».
Era accaduto sei anni fa, il giorno in cui era tornata a casa in
segreto
proprio su richiesta di Kerasaas. Oltre a mostrarle quel che Iyra gli
aveva
chiesto di mostrarle, le aveva fatto vedere anche un oggetto
decisamente
interessante, arrivato da poco nel suo laboratorio: un manufatto
costruito da
una razza ancestrale - “dalla quale
credo
discendesse quel Kraken Divoratore che avevi portato qui in casa anni
fa*,
nientemeno!” aveva detto- che, da quel che era
riuscito a capire, dava al
possessore il dominio sugli antenati di quelli che oggi erano nemici
del regno:
Dream Pirates, Nightmare Men e compagnia bella.
Era una specie di cilindro di uno
sconosciuto metallo scuro
striato di rosso, senza decorazioni e abbastanza piccolo da poterlo
portare
sempre con sé senza che impicciasse. Da com’era
fatto sembrava che fosse possibile
aprirlo, o comunque dividerlo, ma nonostante i tentativi di Kerasaas le
due
estremità della verga non avevano voluto saperne di
staccarsi.
Poi Nahema lo aveva preso in mano, ed
era successa una cosa
imprevista: il cilindro si era diviso, e tra le due
estremità di era formata
una sfera di luce piccola, ma tanto luminosa che li aveva quasi
accecati.
Appena lei lo aveva lasciato cadere
sul tavolo si era
richiuso, e non c’erano state conseguenze, ma quella reazione
era stata a dir
poco curiosa; per questo suo padre, dicendo di non avere ulteriore
tempo da
dedicare allo studio di quell’artefatto, glielo aveva
affibbiato con un’alzata
di spalle.
«peccato che non sappiamo
come si usa! Hai detto che si
accende quando lo tocchi, ma non sai neppure
perché».
«poco importa,
finché i mostriciattoli non sanno che non lo
sappiamo. Faranno quel che diciamo loro di fare, ed è
l’unica cosa che conti».
Quel cilindro era stato il mezzo per ottenere l’
“alleanza” con i Nightmare Men
-e tutti i loro sottoposti di conseguenza.
Ne aveva attirato di proposito un
gruppo in un luogo in cui
non potesse essere vista dai suoi commilitoni, e aveva provato a tirare
fuori
la Barra per vedere cosa sarebbe accaduto.
Ricordava bene la paura nei loro
occhi giallastri privi di pupille
quando avevano visto quell’artefatto, e si erano spaventati
ancor di più
vedendolo attivarsi.
Lì Nahema aveva giocato un
po’ d’azzardo, facendo credere
loro di saper usare quello strumento e di poterli ridurre in stupidi
esseri
privi di volontà; poi aveva aggiunto che in nome del
rispetto verso di loro in
quanto essersi intelligenti -rispetto che in realtà non provava affatto- preferiva cercare
un’alleanza piuttosto che
schiavizzarli, e che dunque la scelta stava soltanto a loro.
La fortuna aiuta gli audaci, e
infatti Nahema aveva ottenuto
quel che voleva: sufficiente
obbedienza da parte di quei mostri.
«solo una cosa: devi
spiegarmi come hai fatto a trovare casa
di Pitchiner!» esclamò Aladohar, guardandola
incuriosito «all’improvviso, dopo
sette anni, te ne esci con le coordinate precise…non
è che per caso tu e
lui?…»
«ah no, non è proprio il mio tipo! Meglio
un’orgia con quindici mostriciattoli,
davvero».
Aladohar rise. «e allora come hai fatto?»
«una donna serpente lunga più di dieci metri mi ha
fatto una soffiata perché
voleva mangiare».
«va bene, va bene, ho capito, non vuoi dirmelo! Proprio come
da piccoli»
borbottò Aladohar «quando ti rifiutavi di dirmi
come facessi a rubare le cose
dal laboratorio di nostro padre».
«io ti ho detto quel che dovevo, poi se non mi credi
è affar tuo».
***
«mia moglie e mia figlia. Dove sono?»
Lo sguardo era spiritato, le mani gli tremavano leggermente, e il volto
pallido
era costretto in un’espressione che avrebbe voluto essere
dura e impassibile ma
che in realtà tradiva solo la speranza disperata di non
essere arrivato veramente troppo
tardi, l’angoscia di non sapere che fine avesse fatto la sua
vita -perché
questo erano moglie e figlia per lui, la sua vita- e la terribile paura
che
forse…forse…NO!
Non doveva pensare al peggio. Non
doveva.
Le avrebbe recuperate. Le avrebbe
salvate.
Sarebbe finito tutto bene…
«beh, non qui, Pitchiner. Tu le vedi?» disse il
capo di quel folto gruppo di
Dream Pirates, con fare tranquillo e arrogante, come se fosse convinto
di non
andare incontro alla morte per quel che lui e gli altri avevano fatto
o,
piuttosto, come se non gli fosse importato.
I soldati dell’Armata Dorata osservavano la scena con una
certa preoccupazione.
Non avevano mai visto il loro comandante ridotto in quel modo, con
quell’aria
tanto scioccata da sembrare quasi folle, e la maggior parte di loro
aveva un
gran brutto presentimento a riguardo, oltre ad essere terribilmente
dispiaciuti
per quel che era successo. Amavano e rispettavano Kozmotis Pitchiner, e
mai gli
avrebbero augurato del male.
Poi c’era anche la faccenda della sparizione del caporale
Silk. Pareva che in
tutto il bailamme che si era creato avesse disertato con una navicella
d’emergenza, chissà come mai! …ma non
era quel che contava, al momento.
«è perché sono state
catturate? Le avete catturate?!»
Si sentiva come se dentro di lui ci fosse stato un mostro ad
artigliargli e
dilaniargli lo stomaco con un’intensità spietata
che aumentava secondo dopo
secondo. Sentiva il battito del proprio cuore risuonargli nelle
orecchie con
forza, come fosse stato un tamburo di guerra…o quello che in
altre civiltà
precedeva una condanna a morte.
«catturarle? A che pro?»
Al generale Pitchiner iniziò a mancare il fiato. Sentiva la
propria mente…strana.
Come se iniziasse a distaccarsi da lui, dalla realtà che lo
circondava.
Il mostro nel suo corpo affondò di nuovo gli artigli nel suo
povero cuore già
straziato da un’angoscia sempre più
insopportabile. «avete…» a stento
riusciva
a pensarlo, figurarsi a dirlo, ma doveva farlo per forza
«avete fatto loro del
male?»
Il Dream Pirate scoprì i denti neri appuntiti in un orribile
sogghigno. «no,
generale! Le abbiamo soltanto uccise».
Per un attimo, Kozmotis Pitchiner si “disconnesse”
completamente dalla realtà.
Riuscì a vedere solo gli occhi fiammeggianti del Dream
Pirate, mentre l’eco
delle due parole gli rimbombava in testa di continuo, sempre
più forte, sempre
più intensamente.
“le abbiamo soltanto uccise”.
“soltanto uccise”.
Aleha, la sua adorata moglie, la donna della sua vita, la sua
metà…la sua
bambina, la sua Emily Jane, la sua piccola, dolce, innocente Emily
Jane…
La sua bambina di soli sei anni…
“tornerò presto”.
“lo
prometti?”
Lo prometti?
Sì, lo aveva promesso, ed era tornato presto.
Ma non abbastanza.
«è la verità?» si
sentì chiedere. La sua lingua ormai andava da sola.
«assolutamente sì. Trovi il cadavere di tua moglie
fuori dalla finestra della
vostra camera da letto, in fondo allo strapiombo: si è
uccisa, quella sciocca!
Ma lascia perdere quello della bambina. Ho provveduto personalmente a
far sì
che non ne restasse nulla».
Qualcosa dentro Kozmotis Pitchiner si ruppe irrimediabilmente.
L’uomo tutto
d’un pezzo che era sempre stato non esisteva più,
si era appena disintegrato in
mille frammenti, come la convinzione che le sue donne fossero al sicuro
e che
lo sarebbero sempre state, come la speranza di poterle accarezzare,
baciare,
abbracciare di nuovo.
Non avrebbe potuto farlo più…mai
più…
Il mostro che aveva in corpo ruggì, bramando solo di essere
liberato. Il volto
del generale divenne freddo come ghiaccio, con l’eccezione
degli occhi, animati
da uno scintillio pericoloso. «metteteli in fila»
ordinò seccamente ai suoi
uomini, senza distogliere lo sguardo da quello del Dream Pirate.
«generale…» azzardò
timidamente un maggiore, ma si zittì immediatamente dopo
avergli dato una seconda occhiata. Sia lui sia gli altri, sempre
più allarmati,
obbedirono senza esitare ulteriormente, finendo meno di un minuto dopo.
Pitchiner si avvicinò ulteriormente al capo di quel gruppo
di mostri, di
assassini spietati. «se è così, se le
avete uccise, allora guardami. I miei
occhi saranno l’ultima cosa che tutti voi vedrete».
Il Dream Pirate sogghignò un’ultima volta.
Nello shock di tutti, la spada del generale Pitchiner calò
velocemente a
mozzargli il capo.
Così come al Dream Pirate dopo di lui, e quello dopo ancora,
e ancora.
Nessuno dei soldati riuscì a proferire parola, completamente
allibiti per quel
che stavano vedendo. Il generale Pitchiner che conoscevano non avrebbe
mai
agito così…ma quello non era l’uomo che
conoscevano, non più: era evidente in
ogni suo gesto, in quell’espressione di pietra, in quei suoi
occhi da pazzo,
anche solo da modo in cui calava la spada, come se farlo gli fosse
vitale, come
se così facendo avesse potuto riportare indietro le sue
donne.
Fendente dopo fendente, nella testa di Lord Pitch le parole del Dream
Pirate
iniziarono a sovrapporsi a quelle del caporale Sil…no: di Nahema, l’arciduchessa Nihil
Nahema Aldebaran, che voleva il regno,
che aveva ordinato quell’attacco, che voleva distruggerlo
perché non le aveva
obbedito, e c’era riuscita, eccome se c’era
riuscita…ma lui, lui
l’avrebbe distrutta a sua volta!
Non l’avrebbe passata liscia, sangue nobile o meno, non
avrebbe lasciato che
facesse quel che voleva, non avrebbe lasciato che lei e la sua
maledetta
famiglia si prendessero il regno, se quello era il loro scopo: li
avrebbe
accusati, avrebbe lottato contro di loro con tutte le forze che gli
rimanevano,
e li avrebbe fermati, sia loro sia i Dream Pirates loro alleati.
L’avrebbero pagata cara, giurò a se stesso, cara
come non avrebbero mai potuto
neppure immaginare, e non si sarebbe mai arreso finché sua
moglie e sua figlia
non avessero ottenuto la giusta vendetta.
Non si
sarebbe mai
arreso, mai!
Improvvisamente non trovò
più teste da mozzare. Erano
finite.
Peccato.
«Lord Pitch…»
«cercherò il cadavere di mia moglie»
disse, con voce quasi meccanica «in
seguito vi annuncio che accuserò formalmente davanti al re
l’arciduchessa Nihil
Nahema della Casa Aldebaran per questo assassinio».
«eh?!» un luogotenente lo guardò
allibito «ma generale, cosa c’entra
l’arciduchessa Aldebaran?! Non se ne hanno notizie da anni,
piuttosto il
caporale Silk-»
«Silk è Nahema!!!»
sbraitò Pitchiner «sono la stessa maledetta
persona!»
«ma…il caporale Silk viene dal pianeta di donne
guerriere nel lontano
territorio degli Scorpio…» disse timidamente il
luogotenente.
«menzogne! Gli
Aldebaran
vogliono il regno, e quella era Nahema, io lo so!»
«signore, a me è capitato di vedere
l’arciduchessa qualche anno or sono, e vi
assicuro che non ha proprio nulla a che vedere con il
caporal-»
«non osare contraddirmi, maggiore. Non osare»
sibilò Pitchiner «so
quello che dico! Non mi credi, forse? Non credete al
vostro
comandante?!» urlò, nello sconcerto di
tutti «hanno fatto uccidere la mia
famiglia!»
«generale-»
Kozmotis si allontanò bruscamente, in direzione del cadavere
dello strapiombo.
Guardò in basso. Il cadavere di Aleha, da
quell’altezza, non si vedeva, ma non
importava. Sarebbe sceso immediatamente giù a cercarla, e da
solo.
Come solo, d’altra parte, era rimasto.
“hai dato più importanza alla tua
integrità che alla tua famiglia, ed ora non
ti è rimasto niente. Ma è colpa tua. Tua e tua
soltanto. Ricordalo sempre,
povero generale Pitchiner, sciocco uomo che non ha voluto chinare la
testa”.
Solo col sussurro del suo profondo
rimorso, e con quella promessa spezzata, com’era spezzato lui.
E con una soddisfatta e sorridente Ephemeride di dodici metri di nome
Tanith
avvolta attorno al corpo, che lui non poteva vedere.
Ecco il patatracchete! Per la gioia
di Tanith, alla quale
vogliamo tutti tanto bene (?)
Voglio precisare una cosa: il dialogo
da “mia moglie e mia
figlia dove sono” al punto in cui Pitch taglia la testa ai
Dream Pirates è
quello originale (almeno le parti di Kozmotis, quelle dei
mostriciattoli le ho dovute inventare andando a intuito) tradotto dalla
sottoscritta e
dal mio inglese livello “the dog cataplum in the
water” , così come “lo
prometti?, Sulla mia anima” è stato detto
veramente. Esiste veramente anche il
medaglione che Emily Jane ha dato a suo padre.
A voi i
commenti, sempre che ce ne siano: EFP non si mangerà
anche questi nuovi.
Alla prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 12 *** 12. ''auguro a quest'uomo di vivere in eterno'' ***
=
“Auguro a quest'uomo di vivere in
eterno” =
“è per vostra sorella, lei e vostra
nipote…vedete, i Dream Pirates hanno
trovato la loro casa e…”
Non c’era stato bisogno che il direttore della struttura
medica dove lavorava
proseguisse oltre. Spear Sinetenebris aveva già capito tutto
quel che c’era da
capire soltanto guardando l’espressione del suo superiore
quando le aveva dato
la notizia. Lo aveva lasciato continuare a parlare semplicemente
perché era
giusto così: per lei non era stato facile ascoltare quelle
parole, e per lui
non era stato facile dirle. Quando mai è facile dire a
qualcuno “tua sorella e
tua nipote sono state uccise dai Dream Pirates ieri, ma la notizia
è arrivata
qui solo adesso, e il funerale si terrà
dopodomani”?
Tutte le parole dette da Spear in quel frangente erano state
“ho capito”, e
“bene” quando il suo superiore le aveva dato una
settimana di congedo. In
condizioni normali non l’avrebbe accettato, era una
stacanovista, ma in
quell’occasione era tutto diverso.
La sua ultima azione prima di andare
a casa era stata quella
di richiedere alle autorità competenti un rapporto scritto
quanto più possibile
dettagliato su cos’era accaduto, sulle condizioni dei corpi e
della casa. Altri
non avrebbero potuto chiedere nulla di tutto ciò, ma il
lavoro e la posizione
di Spear le avevano procurato qualche contatto e dei favori da
riscuotere.
Aveva passato il resto di quella giornata chiusa in casa, al buio,
rifiutandosi
di parlare con chiunque, o qualsiasi contatto da parte della gente del
quartiere.
Casa…tra quelle pareti era
stata più infelice che altro,
eppure quanto aveva fatto, in gioventù, per tenersela
stretta!
Ora era l’unico conforto che le restava. Una casa piena di
ricordi e di un
silenzio assordante che avrebbe portato chiunque altro a
impazzire.
Ma Spear non era “chiunque altro”. Aveva
familiarità col dolore e la tristezza,
erano antichi compagni di giochi, così come ben conosceva la
morte, intima
“amica” da molto tempo. Si era presa suo padre, si
era presa sua madre -la vita
non era stata clemente con i Sinetenebris, bisognava ammetterlo- e ora
anche
Aleha, la sua dolce e testarda sorella, nonché Emily Jane,
la nipote che aveva
potuto tenere tra le braccia solo durante i suoi primi quattro mesi di
vita.
Per ore aveva vagato da una stanza all’altra come
l’anima in pena che era,
lasciandosi assalire dalle memorie che ogni singolo oggetto le
riportava alla
mente.
Aveva sfiorato lo stipite della porta
su cui, anno dopo
anno, era stata segnata l’altezza di Aleha dal momento in cui
era riuscita a
stare in piedi in poi.
Aveva sfogliato e risfogliato i
disegni che sua sorella
aveva fatto da piccola, conservati con cura in un cassetto, e guardato
fotografie finché il sonno non l’aveva vinta e
fatta crollare lì, sul letto che
era stato di Aleha.
Poi, circa a metà della seconda giornata, aveva trovato i
suoi diari segreti,
quelli che Aleha aveva scritto dai dieci fino ai sedici anni.
Inizialmente
aveva esitato ad aprirlo, ma pensare che era tutto quel che rimaneva di
sua
sorella, e che lei sarebbe stata seppellita il giorno seguente,
l’aveva spinta
a tuffarsi in quelle pagine. Leggendo quelle righe le era sembrato di
sentire
la voce di Aleha, dapprima infantile e poi, mutando assieme alla
calligrafia,
un po’più adulta.
Aveva pianto. Dopo quasi ventiquattro ore in cui non era riuscita a
farlo,
lacrime silenziose avevano iniziato a scivolarle sulle guance.
L’amore, la
gratitudine e l’ammirazione che Aleha aveva provato per lei
erano espressi
tutti lì, nero su bianco.
Per un attimo aveva pensato che una
reazione simile alla sua
età -trentasei anni, per inciso- fosse sciocca, ma quella
considerazione aveva
perso importanza già l’istante successivo. Non
c’era età troppo avanzata per
provare dolore e tristezza, ma non c’era età
neppure per l’amore fraterno, né
si era mai troppo vecchi per commuoversi nel leggere parole piene
d’affetto.
Poi aveva voltato l’ennesima pagina.
“Io
lo amo
tantissimo, e anche lui mi ama.
È così bello
stare insieme a lui, per quel poco
che possiamo, ed è così naturale per me essere la
sua ragazza che ho capito che
era soltanto questione di tempo. Credo che fossimo destinati a stare
insieme.
Io e Kozmotis siamo una cosa sola, e sono sicura che lo saremo per
sempre”.
Tipiche parole di una tipica adolescente innamorata persa.
Le lacrime avevano immediatamente smesso di scorrere, tutto
ciò che aveva
provato fino a quel momento era scomparso, sostituito da un dolore
ancor più
grande del precedente e una profondissima collera.
Aveva passato la vita a spaccarsi la schiena per se stessa e per Aleha,
facendo
di tutto -ma proprio di tutto-
purché mantenesse un tenore di vita
più che soddisfacente…a che pro? Ormai era tutto
perso, tutto distrutto, e di
chi era la colpa?
Chi era stato la causa principale, se non l’unica,
dei litigi tra lei e sua sorella?
Chi l’aveva allontanata da lei, e idem sua nipote, facendole
trasferire in quel
posto dimenticato dagli Dei, decisione per cui lei e Aleha avevano
avuto uno
scontro così terribile da non aver avuto contatti per
quattro anni?
Kozmotis
“Pitch” Pitchiner,
Lord High General of the Galaxies. Il grande eroe del
regno. Dov’era
quell’imbecille,
mentre Aleha ed Emily Jane morivano?
Il primo istinto era stato di fare in mille pezzi le pagine di quel
diario, ma
era riuscita a trattenersi, e lo aveva scagliato contro una parete,
soffocando
per metà un ringhio rabbioso.
Quante volte aveva detto a sua sorella che, pur non essendo una cattiva
persona, Kozmotis Pitchiner aveva un talento innato per attirare guai,
e che la
loro famiglia ne aveva già passati abbastanza? Innumerevoli,
come le volte in
cui aveva espresso la sua completa disapprovazione per quel legame.
Aveva fatto
di tutto per spezzarlo -a volte con atti che sfociavano “leggermente”
nell’illegalità- ma non c’era proprio
stato verso.
In quante occasioni aveva detto a Kozmotis di stare lontano da Aleha,
perché
con i nemici che si era fatto -forse non solo tra i Dream Pirates-
stava
disegnando un bersaglio anche sulla sua schiena? Altrettante.
L’avevano ascoltata? No, ovvio che no, avevano voluto fare di
testa propria.
Anzi, no:
avevano voluto fare come diceva lui.
Lei sapeva che sarebbe andata a finire male, lo aveva previsto.
Quanto aveva maledetto la
stupidità di entrambi, il loro
stesso legame. “questa decisione e quest’uomo
saranno la rovina tua e di mia
nipote!” aveva gridato ad Aleha il giorno in cui se
n’era andata.
Nel ricordarlo Spear si era accasciata sul letto della sorella, scossa
da una
risata isterica e accecata da nuove lacrime. Era una di quelle persone
che,
quando dicevano una cosa, tendevano ad avere ragione in oltre il
novantacinque
per cento dei casi, ma mentre rideva fino a sentir dolere la gola aveva
pensato
che avrebbe volentieri barattato quella sua peculiarità pur
di far rivivere Aleha
ed Emily Jane.
Poi era tornata a pensare a suo cognato Kozmotis, piccolo,
stronzo e inutile vigliacco.
Non aveva neppure avuto il coraggio
di informarla di
persona, aveva lasciato che lo venisse a sapere da terzi, e solo il
giorno
dopo.
Era un affronto. Uno scandalo. Se lo
avesse avuto lì lo
avrebbe aperto in due col bisturi nemmeno fosse stato un pesce, e chi
se ne
importava se era un medico che aveva giurato di non attentare mai alla
vita di
alcuno.
La svolta era arrivata in tarda serata, con l’arrivo del
rapporto scritto che
aveva richiesto, dettagliato come l’aveva voluto. Su Kozmotis
c’erano scritte
frasi come “riscontrata una perdita di lucidità la
cui entità effettiva è
ancora da definire”, che era come dire
“è pazzo di dolore”, ma di lui non
avrebbe potuto importarle meno.
Quel che contava era altro.
Piuttosto che lasciarsi divorare l’anima -e non solo- dai
Dream Pirates, della
cui attività non era stata trovata traccia sul corpo, Aleha
si era suicidata
gettandosi dalla finestra della stanza da letto, che dava su uno
strapiombo
estremamente profondo. Fin lì nulla di anormale, e quella di
sua sorella era
stata una scelta estrema e coraggiosa: meglio morire in quel modo che
per mano
di quei mostri.
Ma c’era un dettaglio
alquanto strano: perché saltare giù
stringendo tra le braccia una bambola di grandi dimensioni?
Chi aveva stilato il rapporto non
aveva trovato un senso a
tale azione, perché all’apparenza sembrava non
averne.
Però iniziava ad acquistarne se a ciò si
aggiungeva che del corpo di Emily Jane
non era stata trovata traccia, e che la piccola nave con cui la bambina
faceva
le sue gitarelle tra gli asteroidi -così le aveva raccontato
Aleha in qualche
lettera: era una cosa che la faceva impazzire, ma che quel demente di
suo
marito invece approvava!- era segnalata tra gli oggetti mancanti.
C’era la
possibilità che fosse stata distrutta, ma non ne erano stati
trovati i pezzi.
Spear aveva fissato a lungo quella parte del rapporto, e non era
riuscita a
soffocare in alcun modo la speranza nascente che forse non era davvero
tutto
perduto.
Aleha era morta, ciò non
poteva essere cambiato, ma forse,
al momento dell’attacco, Emily Jane stava facendo una delle
sue gitarelle. Forse
si era allontanata e si era salvata.
I Dream Pirates avevano detto che di
lei non era rimasto
niente, ma potevano aver mentito per distruggere ancor più
il loro nemico, con
completo successo.
C’era una possibilità che Emily Jane fosse viva, e
che parte di Aleha dunque esistesse
ancora.
Se le cose stavano così, Spear non avrebbe lasciato che
tutto sfumasse. Dopo il
funerale avrebbe iniziato a indagare e, se necessario, avrebbe
abbandonato il
suo lavoro per seguire qualunque pista avesse trovato. Ormai aveva
guadagnato a
sufficienza da potersi comprare addirittura una piccola nave personale,
di
quelle volanti in legno, e investimenti fruttuosi fatti qualche anno
prima le permettevano di vivere con una rendita dignitosa.
Se avesse avuto successo, una volta
trovata Emily Jane
l’avrebbe tenuta con sé, e avrebbero iniziato una
nuova vita altrove.
Non intendeva rendere suo cognato partecipe della cosa. Riteneva che
non
meritasse di condividere con lei quella speranza, e tantomeno di avere
rapporti
con la bambina, se mai fosse riuscita a trovarla: aveva fatto danni a
sufficienza già così.
Sperare non aveva affievolito la rabbia e l’odio
-sì, ormai poteva
tranquillamente definirlo tale- che la dottoressa Sinetenebris provava
verso il
cognato.
Un odio tale da renderla fredda come ghiaccio anche ora, durante il
funerale di
Aleha, mentre guardava la bara chiusa della sorella attraverso la
veletta, nera
come il vestito che indossava.
La cerimonia era molto sentita, e il tempio era pieno, ma era normale:
coloro
che avevano conosciuto Aleha le avevano anche voluto bene. Peccato che
la loro
presenza e le loro condoglianze non avessero toccato minimamente Spear.
Oltre
alla freddezza che l’aveva invasa, provava anche una strana
sensazione di
“irrealtà”, come se non si trovasse
lì per davvero, e fosse tutto uno strano
sogno, o un mondo parallelo.
I suoi pensieri erano proiettati su
Emily Jane e su come
avrebbe potuto ritrovarla, e nulla finora aveva avuto il potere di
riscuoterla,
neppure la presenza della piccola bara vuota accanto a quella di Aleha.
Aveva a malapena notato che Kozmotis
non le si era ancora
avvicinato. C’era, poi? Se era così, non aveva
fatto caso a dove fosse.
Il suddetto Kozmotis invece l’aveva avvistata immediatamente.
Benché fosse
devastato dal dolore, dal senso di colpa e dalla rabbia,
benché l’accusa
formale che intendeva presentare contro Lady Nahema fosse fissata per
il giorno
dopo, e avesse quelle due bare sotto gli occhi, la figura ammantata di
nero di
Spear gli era saltata subito all’occhio.
Loro due erano tutto quel che rimaneva della famiglia, e forse se
fossero
riusciti a sostenersi l’un l’altra sarebbe stato
più facile ottenere giustizia
per quell’assassinio crudele, altro motivo per cui
avvicinarsi a lei sarebbe
stato corretto.
Alla fine però non
l’aveva fatto. Ognuno esprimeva il dolore
a modo proprio, d’accordo, ma Spear sembrava essere quella di
sempre, come se
quel che era accaduto, e la cerimonia cui stava assistendo, non la
toccassero
affatto.
In virtù
dell’amore che professava verso la sorella, Spear
avrebbe dovuto essere distrutta quanto lui, ma quel che aveva visto
Kozmotis
era tutt’altro. Ciò lo aveva disorientato, e
gettato nell’insicurezza al punto
da aver deciso di rimandare la conversazione a dopo la cerimonia.
Parlare con lei non gli era mai
risultato semplice, tanto
per utilizzare un eufemismo, e in quell’occasione ancor meno.
La guardò ancora. Vederla così dritta e composta
nella sua solita alterigia era
l’unica cosa che, fino a quel momento, era riuscita a
distrarlo leggermente dal
pensiero ossessivo che non avrebbe più visto il sorriso di
Emily Jane, che non
avrebbe più abbracciato sua moglie, e dal desiderio di
vendetta verso gli
Aldebaran.
Cercò sulla sua figura
esile un qualsiasi segno di
cedimento, una qualsiasi emozione sul volto parzialmente coperto, ma
non trovò
nulla.
Per un attimo la odiò. Se Lady Nahema era
malvagità pura, cos’era allora una
donna che restava indifferente dinanzi alla morte di sorella e nipote?
Guardare nuovamente le due bare, però, lo riportò
alla realtà. Che Spear fosse
o meno un mostro era l’ultima cosa che contasse e, se non
avesse voluto
sostenerlo nella sua lotta per ottenere giustizia, che fosse! Avrebbe
lottato
da solo.
La cerimonia andò avanti, e il momento in cui i familiari
dei cari estinti
erano chiamati a dire qualche parola arrivò prima del
previsto.
Kozmotis si avvicinò al
pulpito, cercando di non far cedere
le ginocchia. Guardò il feretro della moglie. Davvero Aleha
era lì dentro? Ogni
passo in avanti era una pugnalata al cuore, e non osava pensare a come
sarebbe
stato quando l’avrebbero portata via e sotterrata. Per non
fare come la madre
di Aleha quando ad essere seppellito era stato suo marito avrebbe
dovuto
sforzarsi.
Le immagini di quella donna che si
aggrappava alla bara del
marito gridando e piangendo irruppero nei suoi pensieri. Era certo che
quello
sarebbe stato anche il suo primo istinto.
Chissà se Spear avrebbe ripetuto le azioni di allora anche
in quel frangente.
Il modo in cui aveva allontanato la madre, e la durezza di quel
“mamma, basta.
È morto. Fare così non cambierà nulla.
Niente sceneggiate!” gli erano sempre
rimaste impresse.
Raggiunse il pulpito, prese il microfono con le mani che gli tremavano
leggermente, rivolse lo sguardo ai presenti e, dopo una breve
esitazione,
iniziò a parlare. «voi tutti conoscevate Aleha, e
sapete quale persona
meravigliosa fosse. Era mia moglie, la mia anima gemella, la mia
metà. Mi è
stata accanto sin da quando eravamo bambini di tre anni, e
probabilmente
l’amavo già allora. Ora non
c’è più»
s’interruppe un attimo per riacquistare un
po’di compostezza, rendendosi conto che la sua voce era
terribilmente prossima
a spezzarsi «così come non
c’è più mia figlia, la mia dolce Emily
Jane. Hanno
portato con loro la parte migliore di me. La mia vita non
sarà più quella di
prima, io stesso non sono più l’uomo di prima,
né potrò mai tornare ad essere
qualcosa che gli somigli, soprattutto perché ho la
consapevolezza che tutto ciò
non è accaduto per una disgrazia voluta dal destino. I
nemici del regno non
hanno trovato la mia famiglia per caso» alzò
leggermente la voce, sentendo che
la gente iniziava a mormorare «e se hanno ucciso tutti coloro
che hanno trovato
in casa mia, tentando di distruggermi per facilitarsi la conquista del
regno, è
stato perché era stato loro ordinato da una tra le
più nobili famiglie del
nostro regno: gli Aldebaran!»
Diversi uomini della sua armata sospirarono, e alcuni arrivarono
addirittura a
fare facepalm. Si erano augurati che il loro comandante avrebbe evitato
di
tirare fuori quelle strampalate teorie complottistiche anche in
quell’occasione, ma evidentemente avevano sperato troppo, e
ormai la gente
faceva ben più che mormorare, chiedendosi se il povero
Pitchiner fosse
impazzito completamente.
«non si sono sporcati le mani personalmente, ma sono loro i
colpevoli di questa
tragedia. Io intendo dimostrarlo affinché venga fatta
giustizia, e mia moglie e
mia figlia possano riposare in pac-»
Non riuscì a finire la frase, perché qualcuno gli
tolse il microfono dalle
mani, avvicinandolo poi all’apparecchio elettronico
più vicino. Il fischio che
emise fu tanto acuto e fastidioso che molti gemettero e si tapparono le
orecchie, Kozmotis incluso.
«ora che la giusta atmosfera è stata ripristinata,
credo di dover dire qualche
parola anch’io».
Sembrava proprio che Spear avesse finalmente abbandonato la sua
composta
immobilità, ma a Kozmotis, una volta riscossosi
dall’accaduto, non vi volle
molto per intuire che per come si erano messe le cose era
più un male che un
bene. La Spear Sinetenebris che conosceva lui, poteva essere in due
soli modi.
Il primo: dura e fredda come la parete di una salda e gigantesca diga.
Il
secondo: come l’acqua che, ceduta suddetta diga, travolgeva e
distruggeva tutto
quel che aveva la sventura di trovarsi sulla sua strada, senza
distinzioni e
senza pietà alcuna.
«mia sorella era la creatura più buona, gentile e
altruista che abbia mai
conosciuto» iniziò Spear «e non lo dico
perché sono di parte. È semplice
verità, come lo è dire che era una donna
splendida, e intelligente».
“allora sbagliavo?” pensò Kozmotis, un
po’sorpreso. Si era aspettato il peggio,
invece fino ad ora sua cognata non aveva detto nulla che non pensasse
lui
stesso.
«il problema è che anche le persone intelligenti
non sono esenti dal commettere
piccoli e grandi errori. Aleha ha commesso uno solo di questi ultimi,
che
purtroppo le è costato la vita: affidarsi all’uomo
sbagliato».
Se le parole del generale Pitchiner avevano causato subbuglio e
mormorii,
quelle di Spear stavano sconcertando altrettanto, ma
all’interno del tempio non
volava una mosca.
«in tutta la vita, io ho chiesto a Kozmotis Pitchiner due
sole cose. Gli ho
chiesto di stare lontano da mia sorella, vista la sua posizione, e lui
non l’ha
fatto. Gli ho chiesto di non far spostare Aleha ed Emily Jane in un
luogo
isolato in cui nessuno avrebbe potuto aiutarle, e non solo sono rimasta
inascoltata, ma sono stata insultata, trattata come una strega
maligna, e a
causa di questo ho perso i contatti con mia sorella per quattro
anni».
Kozmotis si era aspettato il peggio, ma non credeva alle proprie
orecchie.
Quella donna traboccava tanto d’odio da arrivare a fare quel
discorso in un
momento del genere, e ciò lo stava sconcertando al punto
che, per il momento,
non riusciva neppure a reagire.
«se avesse esaudito la seconda di queste due richieste, forse
mia sorella
sarebbe ancora tra noi. Se avesse esaudito la prima, lo sarebbe stata
sicuramente. Non c’è bisogno di scomodare i nemici
del regno o qualunque
famiglia delle Costellazioni. Se Kozmotis Pitchiner vuole che il
colpevole di
questa tragedia paghi, non ha altro da fare che impiccarsi. Io,
però, spero che
decida di non farlo e che continui a vivere con la consapevolezza che
la colpa
di tutto questo è sua. Auguro a
quest’uomo di vivere in eterno, fin quando
diventerà l’ombra di se stesso, e
anche oltre. Grazie a tutti».
Concluso così il suo discorso posò il microfono
sul pulpito e procedette verso
l’uscita del tempio a grandi passi, guardando dritto davanti
a sé. Tutti la
osservarono allontanarsi, ma nessuno la ostacolò…
«no, generale, no, per favore, non
è il
caso!...»
O meglio, nessuno riuscì a farlo.
Il povero Lord Pitch, ripresosi dal
colpo, stava cercando di
raggiungerla, col solo desiderio di spezzare quel suo collo sottile. Se
non ci
stava riuscendo era soltanto perché diversi uomini della sua
armata lo avevano
raggiunto, e lo stavano trattenendo a viva forza.
Quanto al sacerdote, ormai aveva
perso definitivamente il
controllo della situazione.
«sputi
veleno perfino
al funerale di tua sorella e tua nipote, non hai un minimo di ritegno!»
gridò il generale.
Le parole di quella donna l’avevano fatto sentire ancor
peggio di prima, e non
credeva fosse possibile. Non aveva bisogno di qualcuno che gli
ricordasse il
suo fallimento nel proteggere ciò che amava di
più, tantomeno con una sorta di
“te l’avevo detto” non troppo nascosto.
Se Spear fosse stata un’altra avrebbe
potuto giustificarla dicendo che aveva parlato mossa dal dolore, che
non sapeva
cosa diceva, ma una cosa del genere non poteva valere per lei. Non per
qualcuno
che non aveva aspettato altro che un’occasione qualsiasi per
gettare pubblicamente
fango su di lui, come se la scenata che aveva fatto al matrimonio anni
orsono
non fosse stata abbastanza.
«ad Aleha non sarebbe piaciuto» disse Spear,
voltandosi lentamente indietro «ma
grazie a te non avrà modo di lamentarsene».
«sei contenta che le tue maledizioni si siano avverate! Che tu sia dannata! STREGA!!!»
La donna rimase impassibile, almeno all’apparenza.
«urli, strepiti, accusi
chicchessia di qualcosa per cui hai colpa soltanto tu, e quella senza
ritegno
secondo te sono io? Hai una strana
concezione della realtà, Kozmotis. Addio».
Oltrepassò la soglia del tempio, incurante di qualsiasi
cosa. La diga era stata
distrutta, l’acqua aveva inondato tutto, e ora non restava
che lasciarla
defluire.
Tutto quel che c’era da dire era stato detto, e ora non
doveva far altro che
iniziare le sue indagini, sperando di trovare qualcosa, e iniziare col
dare
un’altra letta al rapporto non avrebbe fatto danno.
Certo, l’accusa agli Aldebaran dava da pensare. Kozmotis
aveva tutti i difetti
della galassia, ma che casualmente fosse andato ad accusare proprio
quella
famiglia le suonava strano.
Ricordava bene quant’era
“contenta” Lady Nahema quando
Kozmotis era stato nominato High General of the Galaxies, ed era
indubbio che
Kozmotis e la sua lealtà ai Lunanoff le sarebbero stati
d’ostacolo, se davvero
lei e la sua famiglia volevano prendersi il regno: l’Armata
Dorata era la più
grande e potente del reame, e unite alle famiglie
“lealiste” dei Lunanoff
avrebbe potuto costituire un problema non da poco.
Ma la cosa non la riguardava. Non
intendeva supportare
minimamente suo cognato in quella faccenda. Se anche Kozmotis avesse
avuto
ragione, la colpa sarebbe stata sempre sua: se le avesse dato retta e
si fosse
allontanato da Aleha anni prima, gli Aldebaran o chicchessia non
avrebbero
avuto motivo di ucciderla.
Inoltre, se voleva indagare su Emily
Jane, era bene non
inimicarsi persone che avrebbero potuto metterle i bastoni tra le
ruote, e
degli arciduchi molto ricchi avrebbero potuto farlo.
Sua nipote era tutto quel che -forse- le restava, e tutto quel che
contava al momento.
Se era viva, giurò a se stessa, un giorno
l’avrebbe trovata.
[…]
«hai voglia di darti pesantemente all’alcol,
Nahema?»
«mi preparo spiritualmente per l’udienza di domani.
Quella in cui Pitchiner
accuserà me e Aladohar, hai presente? E comunque
è solo un bicchiere».
Altri sarebbero stati decisamente preoccupati all’idea di
dover affrontare
l’accusa formale del Lord High General of the Galaxies, ma
non gli Aldebaran,
che ritenevano di aver studiato tutto sufficientemente bene da non
correre
rischi. L’ “ansia” di Nahema e Aladohar
era tale da starsene tranquillamente a
mollo in una grande vasca a idromassaggio insieme a Kitah.
«è un momento cruciale. Da qui in avanti, se
vogliamo che Pitchiner venga
screditato del tutto, il margine d’errore che abbiamo a
disposizione è
inferiore allo zero» continuò Nahema
«meglio restare lucidi, e rimandare i
festeggiamenti a quando avremo raggiunto i nostri
obiettivi»
«a proposito, tra stasera e domani mattina dovremo informarci
sul funerale
categoricamente vietato ai nobili» l’arciduca
alzò gli occhi al soffitto, per
poi rivolgere lo sguardo a Lord Taurus «si direbbe che
Pitchiner non abbia
preso bene che tu, Renin Altair e gli altri abbiate già
parlato a favore di
Nahema. Poi certo, torna utile ugualmente, perché tutto
questo suo gridare al
complotto e certe scelte azzardate non faranno che alimentare le voci
sul fatto
che perdere moglie e figlia gli abbia fatto perdere anche la
ragione».
«a raccogliere informazioni ho già pensato
io» disse Kitah, con la sua classica
tranquillità, mentre legava in una coda i lunghi capelli
neri. «pare che da un
certo punto in poi sia stata una cerimonia piuttosto
movimentata».
«ah sì?» Nahema si stiracchiò
«specifica».
«andiamo, come se non lo sapeste già! Siete stati
bravi a fingere di non essere
a conoscenza di nulla, è un buon allenamento per il futuro,
ma con me non
serve. Riuscire a convincere la cognata di Pitchiner a fare quella
sceneggiata
è stato un gran bel colpo» sollevò
entrambi i pollici in segno di approvazione,
scrutando entrambi i fratelli con gli occhi azzurro cupo
«anche se mi chiedo
come abbiate fatto» Nahema e Aladohar si scambiarono
un’occhiata perplessa, e
Lord Taurus sollevò le sopracciglia, sorpreso.
«aspettate…Pitchiner vi ha
accusati, quella donna lo ha interrotto, gli ha dato la colpa di tutto
e detto
che doveva impiccarsi, e mi state dicendo che non c’entrate?
Seriamente?
Pensavo fosse una vostra strategia per far arrivare Pitchiner
all’udienza nel
peggior stato psicologico possibile!»
«no, non abbiamo proprio niente a che fare con la sorella
della fu Lady
Pitchiner, ma se davvero ha fatto una cosa del genere ci ha facilitato
le cose»
Aladohar fece spallucce «il buon Lord Pitch sarà
ancor più fuori di testa di
quanto fosse già. O beh, pare che l’ora della tua
prima ubriacatura si
avvicini, Nahema! Non potrai più sbattermi in faccia la tua
verginità dalle
sbronze».
«vergine giusto dalle sbronze, perché per
il resto!...» aggiunse Kitah con un sorrisetto
divertito.
«ho la vaga impressione che stasera una
certa persona, contrariamente ai programmi, se ne
andrà a letto a casa
propria» disse Nahema «e ora vi consiglio di uscire
entrambi dall’acqua e
togliervi di torno per un po’. Non vorrei che finiste per
essere annegati da
qualcuno!»
Ovviamente Nahema non se l’era presa per davvero, e forse non
avrebbe neppure
rispedito Kitah a casa come aveva minacciato di fare -gli Dei sapevano
quanto
avesse bisogno di un po’di sesso decente!- ma le era presa
voglia di rimanere
sola coi propri pensieri, senza fratello minore e alleato/amico/amante
attorno.
La minaccia dell’annegamento funzionò, ed entrambi
uscirono dall’acqua, un
po’borbottando, un po’protestando. Sapevano che
probabilmente non li avrebbe
annegati davvero, ma era stato proprio quel
“probabilmente” a far loro
concludere che era meglio darle retta.
Rimasta sola, Nihil Nahema chiuse gli occhi. Si stava avvicinando
all’obiettivo
passo dopo passo, e nulla che si fosse messo sulla sua strada avrebbe
potuto
impedirle di raggiungerlo, com’era giusto che fosse: il motto
degli Aldebaran
non era forse “Nihil
Obstat”?
“certo” pensò, schiudendo svogliatamente
le palpebre “ma temo che sarei ancora
a un punto morto, se non fosse stato per-”
Quando vide quel che aveva davanti, sobbalzò e trattenne a
stento
un’esclamazione sorpresa, ma c’era da capirla:
mandare via fratello e
amico/alleato/amante per ritrovarsi nella vasca una donna serpente sui
dodici
metri che sorseggiava beatamente liquore da un bicchiere non rientrava
esattamente nei suoi programmi.
«le vostre vasche con l’acqua calda non sono
affatto male, e nemmeno le vostre
bevande, a dirla tutta!»
Era inquietante per l’arciduchessa osservare il proprio corpo
sparire per metà
tra le nere spire intangibili, ma perfettamente visibili, di quella
creatura.
Era una cosa che la faceva sentire in trappola, oltretutto in casa
propria, e
non le piaceva. «Tanith.
Come hai
fatto a entrare in…no, niente. Ephemeride. Diventi
invisibile e incorporea
quando vuoi. È ovvio che tu possa entrare praticamente
ovunque quando vuoi».
«confermo e sottoscrivo. Sono venuta a complimentarmi per il
celere e corretto
utilizzo delle informazioni che ti ho passato. Io e le altre
Ephemerides siamo
molto soddisfatte. Non che la soddisfazione delle altre
m’importi,
naturalmente» aggiunse, con un sorriso «oh, mi
raccomando: domani, all’udienza,
ricordati di porgere al povero Kozmotis le tue più sentite
condoglianze».
“va bene, ma ora esci dalla mia vasca. Esci. Esci”.
«puoi stare sicura che lo avrei fatto anche se non me
l’avessi detto» disse Nahema «ormai ho
imparato a conoscerlo, e credo che una
cosa del genere lo farà dare fuori di matto, specialmente
dopo oggi» commentò
«se sei andata al funerale dovresti aver mangiato
bene».
«è stato un buon banchetto per tutte quante. Il
dolore di un uomo come Kozmotis
Pitchiner, specie così profondo, è assolutamente
delizioso, forse addirittura
il migliore di cui mi sia nutrita fino ad ora, e la cosa migliore
è che potrò
continuare a farlo a lungo!» esclamò, sembrando
veramente felice «anche il
dolore della cognata però non era affatto male, devo
ammetterlo».
«puoi nutrirti anche di quello della figlia di Pitchiner, se
ti va. Abbiamo
fatto sì che fosse “trovata per caso”
dal titano Typhan e mia sorella Nihil
Kehazilia, quindi ora è nei loro territori. Se le tue
colleghe non lo sanno
già, è una fonte di dolore tutta per
te».
Il sorriso dell’Ephemeride si allargò leggermente.
«prima o poi l’avrei trovata
da sola, ma mi hai reso il compito più semplice.
Però sappilo: non solo mi
nutro di dolore ma se posso, coi miei sussurri, lo alimento per averne
ancora.
Che lo faccia con una bambina di sei anni non dovrebbe essere
socialmente
inaccettabile, per la tua gente?»
«tu mi hai fatto un favore, e io lo ricambio. Gli Aldebaran
pagano sempre i
propri debiti» replicò Nahema «a patto
che non le venga fatto del male fisico, di
Emily Jane Pitchiner non mi importa proprio niente. Se ho lasciato che
vivesse
è solo perché magari un giorno potrà
essere utilizzata in qualche modo.».
Tanith si appoggiò contro il bordo della vasca, e la
fissò silenziosamente per
diversi istanti, con la testa leggermente inclinata di lato.
«per essere un
Ephemeride ti manca soltanto una cosa: la razza. Ma in fin dei conti
è meglio
così, se fossi stata una mia simile sarei stata quasi
sicuramente costretta a
ucciderti. Arrivederci, arciduchessa».
Così com’era apparsa, Tanith sparì di
colpo, esattamente com’era accaduto
l’altra volta.
«…arrivederci».
Era un po’irritante chiedersi se fosse andata via per davvero
o se fosse lì da
qualche parte in forma invisibile, ma Nahema si disse che era meglio
lasciar
perdere, perché in ogni caso non avrebbe potuto farci
niente.
Sembrava che anche per lei e la sua
famiglia ci fossero
creature impossibili da contrastare, dopotutto.
“fortunatamente sembro piacerle, quindi se ogni tanto ha
voglia di farmi una
visitina farò bene ad accettarlo”.
Meglio che Tanith continuasse a essere utile, piuttosto che pericolosa.
Non voleva certo finire come Pitchiner.
Buon pomeriggio a tutti!
La prima cosa che tengo a puntualizzare è che quella
faccenda della bambola di grandi dimensioni non è faina del
mio sacco, ma canonica. Solo che nel canon è stata utile (ha
fatto pensare ai Dream Pirates che la moglie di Pitch si fosse gettata
nel vuoto insieme a Emily Jane, quando in realtà non era
così) qui invece Aleha avrebbe anche potuto fare a meno di
prendere la bambola, dal momento che uccidere Emily Jane non era nei
piani.
Nello scorso capitolo mi sono dimenticata di specificare un paio di
cose: il Kraken Divoratore cui Kerasaas ha fatto accenno
è quello della one
shot, come giustamente detto da KausBorealis, e nel concepire
l'idea della Barra (prima avevo in mente altro, in effetti) sono stata molto aiutata da
vermissen_stern :)
Alla prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 13 *** 13. Due passi in più ***
=
Due passi in più =
«questa storia non mi piace
affatto».
Tsar Lunar Lunanoff XI si lasciò sfuggire un sospiro.
«ti capisco. A chi piace
sentire di una donna ed una bambina innocente morte a causa dei Dream
Pirates?»
La notizia della morte di moglie e figlia del generale Pitchiner era
corsa
rapidamente in tutto il regno, ma il re era stato tra i primi a
riceverla. Il
motivo era molto semplice: l’High General of the Galaxies gli
aveva fatto
pervenire una richiesta che in quei giorni era stata causa di varie
indagini e
discussioni non da poco.
Tsarina sciolse i lunghi capelli neri, solitamente raccolti in una
strana
acconciatura. «non era ciò a cui mi
riferivo».
«no? Perdonami per averti fraintesa, cara. Dimmi, allora: a
cosa ti riferivi?»
faceva lo gnorri, in realtà temeva di sapere benissimo quale
sarebbe stato
l’argomento di conversazione, visto quel che li aspettava il
giorno dopo.
La regina s’infilò sotto le candide lenzuola del
letto matrimoniale, senza
distogliere lo sguardo dal marito e senza esitare minimamente nel dire
quel che
seguì. «mi riferisco all’accusa formale
che il generale Pitchiner intende
sporgere contro Lady Nihil Nahema domani mattina».
“ecco, per l’appunto” pensò
Tsar. «ah. Quello» mormorò.
Raggiunse la
moglie ma, invece di ricambiare il suo sguardo,
sembrava preferisse fissare con aria assente un punto indistinto nel
vuoto.
Kozmotis Pitchiner intendeva accusare Nahema di alto tradimento e
omicidio
premeditato. A parere del generale, Nahema e la sua famiglia si erano
alleati chissà
come con i Dream Pirates, ai quali avevano ordinato di distruggere la
sua casa
e uccidere la sua famiglia, e stavano complottando da anni insieme ad
altre
famiglie delle Costellazioni per prendersi il regno.
Un capo d’accusa più assurdo dell’altro,
secondo lui. Se c’era una famiglia che
si era distinta nella lotta contro Dream Pirates, Nightmare Men e
quant’altro
era proprio quella degli Aldebaran, e Nahema in particolare era tra i
più
strenui difensori della patria.
Quei complotti di cui incolpava lei e
gli altri nobili, poi,
non avevano il minimo senso. Se Nahema avesse voluto avrebbe potuto
avere il
regno in un modo molto più semplice, e già da
qualche anno.
«esatto, proprio quello!» incalzò
Tsarina, costringendolo a voltarsi verso di
lei «cosa intendi fare a riguardo?»
Non le piaceva affatto l’atteggiamento che suo marito stava
assumendo in quel
frangente.
A dir la verità non le
piaceva, in genere, il suo
atteggiamento se si trattava di avere a che fare con gli Aldebaran:
tendeva a
prendere molto sul serio quel che loro gli dicevano e/o consigliavano,
forse
persino troppo.
Aldebaran, Aldebaran, Aldebaran!
Da quando lei e suo marito si erano conosciuti c’erano sempre
stati loro di
mezzo.
Prima lui e Lady Nahema stavano
insieme, e passi, non c’era
molto che la figlia di un mercante di stoffe preziose potesse fare a
riguardo;
poi, quando si erano lasciati e Lunar aveva iniziato a frequentarla
più
assiduamente, lo aveva fatto di nascosto per un anno intero, cosa che
lei aveva
accettato anche se lui lo stava facendo per “salvaguardare
l’onore” della sua
ex fidanzata; in seguito l’aveva presentata alla sua
famiglia, sempre molto in
sordina e senza cerimonie ufficiali, e Beileag aveva avuto il dubbio
“piacere”
di conoscere la quintessenza dell’aggressività
passiva.
Alla anima del pacifismo, la tolleranza e l’apertura
mentale, Elvashak Lunanoff Albali non aveva preso affatto bene
l’idea che suo
figlio sposasse una ragazza benestante, ma priva di sangue nobile, al
posto di
un’arciduchessa che nuotava nell’oro.
Beileag aveva smesso di contare le frecciate che aveva
dovuto sopportare ogni volta che Elvashak le rivolgeva la parola, anche
dopo la
presentazione ufficiale e il matrimonio, e la sola cosa buona era che
alla fine
Lunar si fosse reso conto dell’atteggiamento di sua madre, e
avesse agito di
conseguenza mettendo un freno a quel comportamento inaccettabile.
«Beileag…»
Lunar esitò, non sapendo bene cosa risponderle
«cosa vuoi che faccia?»
«“cosa vuoi che
faccia”? Cosa pensi che voglia che tu faccia, se non luce
sulla
questione? Non puoi accantonare una cosa del genere come se nulla fosse
solo
perché è coinvolta…»
“la tua ex fidanzata” pensò «quella
famiglia».
«non comprendo la punta di asprezza che sento nella tua voce.
Quando mai gli
Aldebaran ci hanno dato ragione di voler loro male? Nihil Ralonrin,
come medico
di corte, non ha sempre fatto un ottimo lavoro? E non è
Nihil Rerazara ad
averci fatto notare i problemi che c’erano nel modo in cui
gestivamo le
risorse? Senza di lei ora non avremmo più fondi per
fare…qualunque cosa per il
regno!» pura verità. Erano buoni regnanti, ma non
degli economisti, e avevano
spesso ecceduto nelle opere di bene per tutto il popolo, in particolare
verso i
bambini. Tutto in buona fede, insomma, ma in certi casi la buona fede
non
faceva bene alle casse del regno! «gli Aldebaran ci hanno
persino fatto un
prestito, non ricordi?» una somma da capogiro che comunque,
man mano, si
stavano impegnando a restituire «come re e regina non ce la
caviamo male, ma i
fondi sono un’altra storia. Poi c’è
anche Nihil Aladohar…ormai lo conosciamo
piuttosto bene, è venuto qui diverse volte, pensavo ti
piacesse».
Tsarina incrociò le braccia davanti al petto, poggiando la
schiena contro i
cuscini. «mentirei se dicessi che si è mai
comportato in modo inappropriato o
che è una persona sgradevole» ammise «ma
stiamo divagando! Il punto principale
del discorso è quell’accusa. Il generale Pitchiner
è un eroe del regno e ormai
sappiamo piuttosto bene che tipo di uomo è, anche se non
abbiamo mai preso un
tè con lui. Non vedo perché dovrebbe uscirsene
all’improvviso con un’accusa
così pesante senza che ci sia almeno una minuscola
ragione per cui-»
«Beileag, amore mio, capisco le tue ragioni, ma ti prego di
attenerti ai fatti.
Lord Vega, Lord Taurus e Lord Altair, appena venuti a conoscenza della
questione, hanno dato la loro parola che in questi sette anni Nahema
è stata
sempre in missione ai confini più estremi dei loro
territori, combattendo per
difendere il regno…e per quanto sia una donna incredibile,
non possiede il dono
dell’ubiquità».
«magari la donna incredibile ha
fatto qualche inghippo
altrettanto incredibile» ribatté Tsarina, un
po’piccata.
Lady Nahema era stata fidanzata
ufficialmente con suo marito
per due anni, prima che rompessero il legame di comune accordo. Dalle
parole di
Tsar, era successo perché entrambi avevano capito di volere
altro dalla vita, e
quindi la separazione era avvenuta senza alcun rancore, anche
perché tra loro
non c’era mai stato veramente amore. Erano amici e si
volevano molto bene -o
almeno, Tsar ne voleva a Nahema- ma l’amore era una cosa
diversa.
«ti prego di non lasciare che la gelosia annebbi il tuo
giudizio, anche perché
non c’è motivo. Nel mio cuore non ho altri che te,
dovresti saperlo» cercò di
rassicurarla Tsar «quanto al resto conosci il proverbio,
“nobile sangue, nobile
cuore”. Se Lord Vega, Lord Taurus, Lord Altair e altri hanno
detto così, io
credo alle loro parole» si accasciò a sua volta
sui cuscini «però devo essere
franco: anche senza testimonianza, difficilmente avrei dato credito a
certe
accuse. Conosco bene Nahema, una sua alleanza con i nemici del regno
non
avrebbe senso, e l’avrebbe ancor meno danneggiare Lord
Pitch».
«l’avrebbe se puntasse a prendersi il regno come
dice il generale Pitchiner!» ribatté
la regina «l’Armata Dorata è la
principale difesa del reame, una volta presa in
mano quella-»
«questo avrebbe ancor meno senso di tutto il resto»
la interruppe Lunar, e fece
una debole risata «se avesse voluto il regno, le sarebbe
bastato sposarmi».
Tsarina socchiuse le palpebre, l’espressione del volto
indurita. «già, immagino».
«non fraintendere» disse subito il re «mi
sono innamorato di te appena ti ho
vista e non posso dire che tra me e Nahema ci sia mai stato quel che
c’è noi
due».
«ma se non ci fossimo incontrati, o se lei non avesse
desiderato qualcosa di
diverso rispetto alla vita da regina consorte, non avresti spezzato
l’accordo.
Tu l’avresti sposata».
«ricordo con piacere i due anni in cui siamo stati insieme,
ma lei non era te e
non sarà mai te» ribatté lui
«tienilo sempre presente».
Tranquillizzata, ma solo in parte, Beileag si mordicchiò il
labbro inferiore.
«non intendi proprio dare il minimo credito a quel che dice
Pitchiner?»
Il re le baciò tranquillamente la fronte. «non
avvelenarti la mente con certi
brutti pensieri. Concentrati su ciò che ti rasserena, o il
tuo sonno verrà
turbato, e non voglio questo. Ci penserò sopra,
d’accordo? In fin dei conti si
dice che la notte porta consiglio».
Tsarina non fece ulteriori commenti eccetto un “bene, come ti
pare”, e si voltò
dall’altra parte, rannicchiata sotto le coperte. Tsar,
invece, si mise a
fissare quel poco che si distingueva dei delicati decori color oro del
soffitto.
Non sapeva dire se e quanto avrebbe dormito, quella notte.
***
«Lord Pitch, so che per voi è un periodo
complicato, ma siate ragionevole:
ritirate queste assurde accuse e prendetevi del tempo per metabolizzare
il
dolore. L’arciduchessa Nahema non poteva certo essere in due
posti
contemporaneamente» disse Lord Altair. I suoi occhi dorati
-sfumatura tutto
sommato piuttosto comune tra il popolo della Golden Age- fissavano
quelli di
Pitchiner con decisione, come se facendolo potesse entragli in testa e
convincerlo a cambiare idea.
«gli Aldebaran sono ricchi oltre ogni misura, e se non
sbaglio una delle vostre
figlie è in procinto di sposarsi con uno di loro, Lord
Altair» la voce del
generale era aspra, arrocchita, cupa come la follia nel suo sguardo,
somigliante a quello di un animale selvaggio inferocito che riusciva a
trattenersi a stento «sareste in grado di affermare che in
questi sette anni
quella donna si è messa a capo di un branco di orsi
spaziali, se ve lo
chiedesse».
Il generale Pitchiner aveva il volto tanto smunto, pallido e tirato che
sembrava essere invecchiato di quindici anni in quattro giorni; tanti
ne erano
passati dall’attacco dei Dream Pirates alla sua famiglia, e
non era riuscito a
riposare neppure un istante, tanto da presentare delle profonde
occhiaie viola
scuro.
Rabbia e dolore non gli avevano dato
-né gli davano ancora-
tregua: se non era stata la furia assassina verso chi gli aveva
distrutto la
vita a tenerlo sveglio, ci avevano pensato i volti di moglie e figlia.
Lo
tormentavano senza sosta. Al primo sguardo ogni donna gli sembrava
l’anima
gemella perduta, e ogni bambina era uguale alla sua Emily Jane, ma
nessuna di
loro era Emily Jane, e nessuna donna era sua moglie: loro erano morte,
non
camminavano per strada, erano morte, non le
avrebbe riviste mai
più.
Quel che era accaduto al funerale, poi, non lo aveva aiutato affatto.
Aveva
solamente peggiorato una situazione di per sé tragica,
impedendogli di dare
l’ultimo saluto alle sue donne con la dignità che
un gesto simile avrebbe
meritato.
Se i suoi uomini non
l’avessero trattenuto, probabilmente
avrebbe davvero cercato di spezzare il collo alla sua cara cognata, e
il fatto
che per forza di cose fosse tornato a stare nella casa dove aveva
vissuto da
giovane, dirimpetto a quella di Spear, di certo non aiutava.
«davvero state mettendo in dubbio
l’onestà non di una nobile delle
Costellazioni, ma addirittura di due?»
s’intromise Lord Vega,
sollevando un sopracciglio rosso rubino «suvvia, generale,
già prima
esageravate, ma ora…»
«esagero, dite? Allora devo presumere che il matrimonio tra
vostra figlia
Meleria e Nihil Ralonrin Aldebaran proceda molto bene!»
disse, pieno di un
disprezzo che non aveva intenzione di celare «“nobile
sangue, nobile cuore”! Mi disgustate quanto gli
schifosi
assassini che state coprendo!»
Pitchiner e un gruppetto dei suoi soldati più fedeli erano
già in sala, così
come i tre Lord che avevano testimoniato a favore di Nahema,
più altri di Case
minori legate loro da vassallaggio -a loro volta coinvolti nella
testimonianza-; anche la suddetta arciduchessa avrebbe dovuto essere
presente
già da tre minuti, ma era deliziosamente
in ritardo, così come la
coppia reale.
«generale Pitchiner, voi siete un eroe del regno, il lutto
che avete subìto è
gravissimo e siete indubbiamente sotto shock» intervenne Lady
Akanexi della
Casa Virgo, vassalla degli Altair, con uno svolazzo dei lunghissimi
capelli
argentati «ma c’è un limite a tutto,
incluse le vostre ingiurie».
«gli Aldebaran hanno distrutto la mia famiglia per
colpire me. Solo
il primo di una serie di passi per la conquista del regno, che io non
intendo
permettere loro di ottenere. Di cosa tutti voi esseri meschini,
corrotti, o
semplicemente ignoranti, pensate delle mie ingiurie m’importa
meno di zero».
«Lord Pitch, la situazione è già
abbastanza tesa!...» lo supplicò un colonnello
«attaccare i nobili delle Costellazioni non vi
porterà a nulla!»
«siate saggio e ascoltate il vostro colonnello, Lord
Pitch» lo esortò Lord
Altair, con una certa durezza «ci avete offesi abbastanza, e
qui nessuno vuole
che una situazione tesa si trasformi in una difficile».
«mi state minacciando? Voi a
me?! Con tutte le volte che io,
questi uomini» indicò il piccolo drappello di
soldati «e altri ancora vi
abbiamo protetti?! Ve lo siete forse dimenticato?!»
«nessuno vi minaccia» disse piano Kitah Taurus,
scostando dal volto una ciocca
dei lunghi capelli neri «stiamo semplicemente cercando di
evitarvi di essere
trascinato via dalle guardie in maniera alquanto ignominiosa per un
uomo del
vostro calibro, Lord Pitch».
Era vero, un simile atteggiamento non lo avrebbe aiutato a sostenere le
sue
tesi di complotto, sarebbe passato per un semplice pazzo
svitato…
Doveva smetterla assolutamente.
S’irrigidì, col respiro irregolare e i pugni
contratti, e si costrinse a
sedersi al posto che gli era stato assegnato, senza dire
un’altra parola,
pallido di rabbia più che mai. Sia i nobili delle
Costellazioni sia i suoi
uomini lo imitarono, i primi continuando a parlottare tra loro, i
secondi
scambiandosi fuggevoli occhiate allarmate, rendendosi conto sempre
meglio di quanto
il povero Lord Pitch fosse cambiato. C’era da chiedersi
cos’avrebbe combinato
in futuro, una volta tornato in battaglia.
Proprio in quel momento entrò la regina, preceduta da una
dozzina di guardie,
curiosamente non accompagnata dal marito e apparentemente un
po’ a disagio.
«signori. Signore. L’occasione non è
delle più liete, ma siate i benvenuti».
«salute a voi, maestà» fu la risposta
corale.
«vostra maestà, perdonate
l’indiscrezione, ma il vostro consorte?...» Lord
Altair, in un riflesso condizionato, passò una mano tra i
corti capelli bianchi
tagliati a spazzola. Si mormorava che la bellezza della regina non gli
fosse
del tutto indifferente, benché fosse sposato da tempo con
una marchesa della
ricca Casa Aquarius.
«ha avuto una leggera indisposizione, ma non è
nulla di cui preoccuparsi, e
arriverà di certo a momenti. Spero possiate
perdonarlo…»
«figurarsi, da quando un re deve chiedere perdono per quello
che fa?» minimizzò
Lord Vega «ci mancherebbe altro».
Tsarina gli rivolse un leggerissimo sorriso con un cenno del capo,
mentre
faceva scorrere lo sguardo sui presenti. Ebbe un colpo al cuore quando
arrivò
al generale Pitchiner, ancor più stravolto di quanto avesse
immaginato di
trovarlo. «generale, so che probabilmente non ne potrete
più di sentirvelo
dire, ma voglio che sappiate che vi sono vicino in questa disgrazia, e
vi
faccio le mie più sentite condoglianze».
Per un attimo parve che il generale fosse stato
“svuotato”, tanto che si
strinse nelle spalle accasciandosi sulla sedia, ma l’istante
dopo sollevò il
viso, fissando Tsarina dritta negli occhi. «le vostre almeno
sono sincere, per
cui vi ringrazio, maestà. Spero facciate anche giustizia,
perché non è stata
una fatalità, ma un assassinio»
affermò, evitando di aggiungere “e io devo
starmene qui ad aspettare perché il re è
‘indisposto’, pensa!”
La regina non commentò, pur avendo il cuore gonfio di
compassione per quel
povero disgraziato. Fosse dipeso da lei avrebbe dato un minimo di
fiducia alle
sue parole cercando almeno d’indagare più a fondo
nonostante le parole di
qualunque nobile, ma sciaguratamente non dipendeva
da lei.
Era una regina, ma una regina
consorte, e ciò significava
che ad avere l’ultima parola in certe decisioni sarebbe
sempre stato suo
marito. «e l’arciduchessa? Il motivo per cui questa
mattina siamo qui riguarda
lei più di tutti» disse, con una nota di
rimprovero ben udibile.
Stava iniziando ad
allarmarsi un po’. Già quel pochissimo
tempo in più che suo marito aveva impiegato rispetto al
solito per dichiararsi
“pronto” -e che aveva fatto slittare
l’incontro di cinque minuti- l’aveva
inquietata, ma aveva lasciato stare perché in fin dei conti
capiva che quella
situazione non era semplice per nessuno, e necessitava ogni riflessione
e
ponderazione possibile…ma che a un certo punto, mentre
camminavano per
raggiungere la sala, avesse mandato avanti lei dicendole di avere
un’indisposizione. L’aveva tranquillizzata sul
fatto che non fosse nulla di
grave, e le aveva detto che si sarebbe ripreso subito, ma forse le
aveva detto
una bugia, forse quella donna lo aveva convinto ad incontrarsi con lei
prima in
segreto…
“sto diventando paranoica, perché avrebbe dovuto
mentire? E Nahema starà
temporeggiando! La sua fama d’impavida forse è
eccessiva” pensò.
***
«forse tu avresti dovuto indossare un vestito».
«Aladohar, mi sembri nostra madre anni fa, e non è
un complimento» replicò
Nahema, che si stava dirigendo verso l’ingresso principale
del palazzo dei
Lunanoff con passo deciso «sto andando ad affrontare
un’accusa per omicidio, non
a un ballo, le armature sono più appropriate».
Erano armature parziali di metallo dorato, decorate in alcuni punti con
fini
motivi color viola, lo stesso viola della sottile linea cristalli che
contornava la stella a otto punte degli Aldebaran, la quale campeggiava
fieramente sul petto; le armature, infatti, proteggevano busto, addome,
parte
dei fianchi, spalle, braccia e dal ginocchio in
giù.
Ciò che non era celato da queste, in ogni caso, era stato
debitamente coperto
da una spessa calzamaglia, nera come il mantello che avevano voluto
indossare
“in segno di rispetto per il tragico lutto del Lord High
General of Galaxies”.
L’arciduca alzò gli occhi al cielo, mentre
camminava a fianco di sua sorella.
«non l’ho detto per una questione estetica, ma
semplicemente perché forse un
vestito avrebbe dato uno “stacco” più
netto da quel che sai tu».
Ossia dall’identità del caporale Silk, ovviamente:
donna molto mascolina, dura,
dalla dura voce, dura espressione del volto e ancor più
dure, enigmatiche e
gelide maniere. Diversa dalla Nahema “pubblica”,
insomma -mentre la vera Nahema
era un misto tra le due cose-.
Nahema gettò dietro le spalle con un gesto fluido i capelli,
raccolti in una
lunga coda composta da innumerevoli treccine. I preparati alchemici di
suo
padre avevano fatto un miracolo, come aveva immaginato. «non
hai torto, ma non
lo ritengo necessario» disse, appena prima di raggiungere
l’ultimo tratto di
strada, con guardie allineate ad entrambi i lati
«inoltre» le sentinelle, al
loro passaggio, s’inchinarono fin quasi a toccare terra
«non solo mi trovo
meglio così, ma desumo che verrò presa
più sul serio. Ancor più di quanto lo
sia abitualmente, s’intende».
«se volevi questo avresti potuto fare come Lord Antares, che
porta un seguito
di almeno quaranta persone anche quando viene invitato a prendere un
tè».
«e da quando non troviamo
ridicolo
Lord Antares, fratello?»
Aladohar sogghignò. «da mai. Infatti scherzavo,
non abbiamo bisogno di un seguito».
«non avevo bisogno neppure di te, se è per
questo» concluse lei, entrando
finalmente nel palazzo.
Aladohar aveva dovuto insistere parecchio per poterla accompagnare,
perché
inizialmente Nahema non aveva avuto la minima intenzione di
lasciarglielo fare…
“ho detto di no, Aladohar. Ricordi
com’è finita quand’eravamo
bambini?”
“la volta in cui hai decapitato il mio pupazzo preferito
perché non smettevo
d’insistere? Ora non ho più pupazzi, mi
spiace”.
“hai una moglie”.
Ma alla fine, dopo aver ricevuto minacce di morte varie che Nahema non
avrebbe
messo in pratica, -o almeno, non senza una ragione valida- era riuscito
a
spuntarla. «non per questo devi fare tutto da sola».
Lei non replicò, troppo impegnata a ricambiare i saluti
della gente presente
nell’atrio, poi nei corridoi. Aveva gentilmente rifiutato di
essere accompagnata
da guardie e paggi.
“ti ringrazio, ma non è necessario:
raggiungeremo da soli il caro Lunar, in
fin dei conti conosco questo palazzo come il palmo della mia mano
destra”.
Lei era l’arciduchessa Nihil Nahema Aldebaran: non aveva
bisogno di un seguito,
non aveva bisogno di essere scortata da alcuna parte, conosceva il
palazzo a
menadito, dava del tu al re chiamandolo per nome, e si permetteva di
arrivare
in ritardo solo per far vedere che poteva.
***
Trascorsero altri due minuti. La tensione stava iniziando ad aumentare
in
maniera esponenziale, almeno per la regina, il generale e i soldati; i
nobili
erano tutti piuttosto tranquilli, eccetto un paio che tradivano una
leggerissima impazienza.
Improvvisamente la massiccia porta di legno dorato intarsiato si
aprì…
«signori, signore, domando scusa per il ritardo»
esordì Tsar Lunar. Non aveva
mentito a Tsarina, la tensione per tutta quella brutta faccenda gli
aveva
giocato per davvero un brutto scherzo -povero
caro!- ma al momento era tutto a posto. «do a tutti
voi il benvenuto. Avrei
voluto che un simile incontro avvenisse per motivazioni ben diverse, ma
purtroppo…generale-»
«“condoglianze”, sì
maestà, grazie mille» lo interruppe Pitchiner,
cupo «vostra
moglie si è già espressa bene in questo
senso…»
«generale, forse è il caso-» uno dei
suoi uomini cercò di interromperlo, senza
successo.
«ed io sono più interessato che facciate giustizia
piuttosto che le
condoglianze, se permettete» continuò infatti
Kozmotis «ascoltate le mie
parole! Di tutti i nobili che vedete lì seduti non ce
n’è uno che non sia una
carogna corrotta!»
«va avanti così da prima, maestà, e
temo non intenda smettere» sospirò Lord
Vega, allargando le grosse braccia paffute «accuse su accuse,
una più
strampalata dell’altra, ahimè! Che vogliamo farci?
Spero siate in grado di far
ragionare questo pover’uomo distrutto. In vostra assenza ha
accusato anche noi,
oltre all’arciduchessa, ignorando tra le altre cose il colore
dei nostri
mantelli» perché ovviamente gli Aldebaran non
erano stati i soli ad avere
l’idea del mantello nero «per
cui…»
Pitchiner fissò con rabbia Lord Vega, col solo desiderio di
stringere le mani
attorno a quel suo collo grassoccio. «mantelli neri come le
vostre anime! Siete
nemici miei e del regno quanto lo sono i Dream Pirates, ma se non
altro loro evitano
di nascondersi dietro atteggiamenti ipocriti!»
«Lord Pitch, v’invito a moderare i toni»
intervenne Lunanoff «inoltre l’udienza
non può certo iniziare senza che l’altra parte in
causa sia presente!»
«a tal proposito» avviò a dire Tsarina
«trovo che il ritardo di lady Nahema sia
veramente-»
La porta dorata si aprì di nuovo.
«salute a entrambe le maestà» fu la
prima cosa che disse Nahema con la massima
disinvoltura e un breve inchino, entrando a testa alta seguita dal
fratello «e
anche a voi, signore e signori!» aggiunse, rivolta ai nobili
«vi prego di perdonare il
mio ritardo».
Più che una preghiera o una richiesta sembrava una sorta di
ordine, cui l’unica
risposta prevista era un “ma certo, figuratevi
milady”!
Entrambi i fratelli facevano la loro figura, in fondo le armature della
Casa
Aldebaran per le occasioni ufficiali erano piuttosto rinomate per la
loro
bellezza, ma a fare la differenza tra i due era
l’atteggiamento: Aladohar era
tranquillo e sicuro come sempre, però Nahema aveva quel
tocco di carisma in
più, e l’aria di una persona a cui
l’idea di uscire male da quell’udienza non
era mai passata neppure per l’anticamera del cervello.
Lunanoff, agendo istintivamente, si avvicinò a Nahema per
salutarla con un
abbraccio; riuscì a riscuotersi solo nel momento in cui
stava per stringerla,
fermandosi, e limitandosi a posarle le mani sugli avambracci
-ricambiato- con
fare piuttosto “intimo”.
Non la vedeva da sette anni, e
l’ultima volta che aveva
avuto sue notizie in via diretta risaliva sempre a sette anni prima
grazie a
una lettera che lei stessa gli aveva inviato, ed era sia estremamente
affezionato a lei che molto felice di rivederla, anche in un contesto
come
quello, e del tutto incurante del ritardo. «Nahema. Da quanto
tempo!»
Lei sorrise. «troppo, Lunar, troppo».
Pitchiner sobbalzò visibilmente, per poi iniziare a
stringere i braccioli della
sedia con tanta forza che questi si ruppero con un sonoro
“crack”. Lo stesso
rumore che avevano fatto le sue speranze di ottenere giustizia,
infrangendosi
davanti a quell’abbraccio a stento contenuto.
Occhieggiò la regina. Neppure lei sembrava molto contenta di
quella scena,
tanto da essersi visibilmente incupita, ma nessuno eccetto lui sembrava
averlo
notato, o aver voglia d’interessarsene.
«Nihil Aladohar».
«maestà» l’arciduca
chinò brevemente il capo «sono circostanze
spiacevoli,
senza dubbio…»
«molto, molto spiacevoli» concordò il re
«direi che a questo punto possiamo
iniziare davvero...»
«un attimo soltanto, per favore».
Kozmotis impietrì quando vide Nahema voltarsi verso di lui,
fargli un piccolo
inchino assieme al fratello.
«sentite condoglianze, generale Pitchiner. So che mi credete
responsabile di
quant’è accaduto, ma vi assicuro che
così non è, e che io e la mia famiglia vi
siamo vicini».
L’intero gruppetto di soldati dovette trattenerlo per
impedirgli di saltarle
addosso e staccarle la testa, mentre le guardie si strinsero in parte
attorno
alla regina, ora piuttosto spaventata. Altre si avvicinarono a Nahema e
al re, ma
questa le allontanò con un cenno. «io non
necessito protezione, signori,
occupatevi dei nostri sovrani» disse tranquillamente.
«messa così, vado a sedermi» disse
Aladohar, raggiungendo Lord Altair.
«abbi almeno un mimino di buongusto e TACI,
bastarda assassina!!!!!»
urlò Lord Pitch, più che fuori di sé
«non crediate che va la farò passare
liscia! Avete ucciso mia moglie!
Avete ucciso una bambina innocente, luridi
cani schi-»
«generale, per gli Dei! Basta!»
tuonò il re, mentre prendeva posto
accanto alla moglie «capisco che siate sconvolto, lo siamo
tutti quanti per
quant’è accaduto, ma vi prego di mantenere un
po’di contegno».
«”contegno”! Parlate
così perché non avete dovuto raccogliere e
seppellire il cadavere di vostra moglie per colpa sua!»
indicò
Nahema «si è finta un’altra persona per
sette anni, ha cercato il modo per
distruggermi…»
«generale, voglio essere diretta: essere in due posti
contemporaneamente non è
nelle mie possibilità, anche se indubbiamente tornerebbe
molto comodo. Non
pensate sia più probabile che quella donna, il caporale Silk
se non ricordo
male il documento che mi è pervenuto, fosse
un’impostora dei territori Scorpio che
si è fatta passare per la sottoscritta?»
«non vedo che motivo avrebbe avuto per fingersi voi,
milady» obiettò Tsarina,
ignorando completamente l’espressione del marito. Le aveva
detto che ci avrebbe
riflettuto sopra, e pareva averlo fatto, ma non sembrava aver cambiato
minimamente idea rispetto alla sera prima, per cui toccava a lei
tentare di
andare più a fondo.
«come io non vedo che motivo avrei avuto per fare
ciò di cui mi si accusa,
maestà» replicò prontamente Nahema
«non ne avrei tratto alcun vantaggio».
Tsar non sarebbe stato un problema,
ma era bene che anche
Tsarina si astenesse dal tentare di creargliene. Nahema non aveva mai
dato
granché importanza a quella donna, figlia di un mercante di
stoffe preziose che
aveva felicemente accettato il ruolo di regina consorte cui lei aveva
scelto di
non sottostare, e per il suo stesso bene Tsarina avrebbe fatto meglio a
rimanere fuori dalla “linea di tiro”.
«quel che asserisce il Lord High General implica che la mia
famiglia debba
essere alleata in qualche modo con i Dream Pirates» aggiunse
Aladohar «ora: pur
volendo ignorare il fatto che tanto io quanto mia sorella e nostro
fratello
Nihil Nuro siamo -o siamo stati- a combatterli al fronte in diverse
occasioni,
resta il fatto che stringere un’alleanza con esseri che,
senza scrupolo alcuno,
tentano di divorarti l’anima appena ti vedono sia alquanto complicato».
«eppure lei l’ha fatto! L’ho
vista parlarci!»
«Lord Pitch, voi avete visto il caporale Silk» gli
ricordò pazientemente Nahema
«non me. Non siamo assolutamente la stessa persona. Sapete,
non è mia abitudine
lasciare a dei Dream Pirates il tempo di parlarmi. Soldati!»
alcuni degli
uomini di Pitchiner sobbalzarono leggermente nel sentirsi interpellare
«conoscete la donna di cui si sta discutendo, giusto? Vi
sembra che possa avere
a che fare con me? Rispondete sinceramente».
«ecco…» esordì un tenente
«in effetti sembrate possedere un fisico simile,
milady, ma il pianeta da cui proveniva Silk è pieno di donne
guerriere alte e
molto atletiche, per cui…e quanto al resto, beh»
si fece piccolo piccolo
sentendo su di sé lo sguardo del proprio comandante
«se devo essere proprio del
tutto sincero…con tutto il rispetto per Lord Pitch,
ma…non vedo molto di Silk
in voi».
Coloro che avevano presente solo -o prevalentemente-
l’aspetto del caporale
Silk, o che non l’avevano mai vista con un atteggiamento
diverso da quello che
aveva mostrato fino all’ultimo, difficilmente sarebbero
riusciti a conciliarne
la figura con quella di Nahema: le cicatrici orrende erano scomparse, i
capelli
erano diversi, il colore degli occhi era differente, per non parlare
dell’aria
che aveva -Silk non aveva mai sorriso, soprattutto non in quel modo- e
della
maniera di comportarsi. Pitchiner si sentiva tradito dai suoi stessi
uomini,
però non poteva dire di non capirli.
Loro non l’avevano vista minacciarlo, non avevano visto sotto
la maschera, ma
lui sì, a lui si era mostrata. Nahema avrebbe potuto
indossare qualunque
travestimento, ma lui l’avrebbe riconosciuta sempre.
«perché non lo era, soldato: come detto e ripetuto
più volte, nonché riferito
al re nei dettagli, Lady Nahema ha combattuto nei nostri territori per
tutto il
tempo» affermò Lord Taurus.
«proprio tutto-tutto? Ne siete assolutamente
convinto?»
«lo ha ribadito molte volte, Tsarina, io credo che lo sia, e
francamente lo
sono anche io» dichiarò Tsar Lunar alzandosi in
piedi «Lord Pitch, vi prometto
che io, e ogni nobile presente in questa stanza, ci impegneremo
perché il
caporale Silk venga catturato e paghi le sue
malefatte…»
«il! Caporale! È! Nahema!!!»
gridò il generale, indicandola con entrambe
le mani «è tutto un complotto per rubarvi il
trono, i nobili presenti sono
tutti d’accordo e chissà quanti altri sono
coinvolti, perché non volete
ascoltarmi?!»
«perché siete palesemente fuori di voi, generale,
e credo che dobbiate
prendervi del tempo per elaborare il lutto subìto. Sono
sicuro che in seguito
vi renderete conto dell’assurdità di tutto
ciò che avete detto. Davvero, quel
che vi serve è solo del tempo…»
«e a voi servirebbe svegliarvi, sire!»
sbottò Pitchiner «perché non vi rendete
conto di una congiura neppure se questa viene sbattuta sotto il vostro
regale
naso».
«intollerabile, davvero intollerabile»
commentò Lady Virgo, facendosi aria col
ventaglio verde scuro abbinato all’abito «quanta
maleducazione volete farci
ancora sopportare quest’oggi?! Persino verso il re!»
«Lord Pitch, basta-»
«taci, maggiore! Anche voi avete deciso di voltarmi le spalle
e lasciarmi solo
in tutto questo, voi, i miei uomini più fedeli!»
«ecco, io ci rifletterei sopra, Pitchiner» disse
Aladohar «perché magari se
l’hanno fatto un motivo c’è».
Stavolta i soldati non riuscirono a trattenerlo, non fecero in tempo:
il
generale partì all’attacco, preso dalla furia
più cieca per tutta
quell’ingiustizia e incapace di contenerla oltre.
Gli parve di udire vagamente il re
gridare un “guardie!”, ma
non avrebbe potuto importargli meno. Dei corpi gli vennero addosso,
cercando di
fermarlo, ma se ne sbarazzò con pochi colpi. Nulla
l’avrebbe tenuto lontano dai
suoi bersagli, nulla!
Fu allora che Nahema decise di aver visto abbastanza: corse incontro al
generale, gli artigliò il braccio sinistro e,
torcendoglielo, atterrò Kozmotis
con una violenta doppia ginocchiata alla schiena. Fatto ciò
afferrò la testa
dell’uomo e la sbatté con forza contro il
pavimento, e l’impatto fu talmente
duro che Lord Pitch perse i sensi.
In condizioni normali Nahema non avrebbe potuto batterlo con altrettanta
facilità, Kozmotis
Pitchiner non era diventato High General of the Galaxies senza motivo,
ma
quelle decisamente non erano
condizioni
normali.
I soldati di Pitchiner, tuttavia, non
parvero capirlo, e si
convinsero che l’arciduchessa era ben più forte
del caporale Silk, nonostante
le tecniche che usava fossero abbastanza simili!
«corri a chiamare il medico» ordinò
Lunanoff a una guardia, dopo aver
tranquillizzato la moglie «subito!»
«sì, maestà».
«per gli Dei, fortuna che c’eravate voi,
milady» Lord Vega si asciugò la
fronte, e i suoi baffi fremevano ancora per la paura che si era preso.
«ho fatto né più né meno del
mio dovere, ma rimpiango di aver dovuto essere
così drastica» disse la donna, rialzandosi
rapidamente. «signori, teniamo a
mente che l’anima di questo pover’uomo è
spezzata, non è padrone di tutto ciò
che dice e fa, quindi perdoniamolo, e in futuro cerchiamo di sostenerlo
con
ogni mezzo in nostro possesso in modo che possa rimettersi in sesto.
Kozmotis
Pitchiner è un fiero protettore del reame, e lo merita
pienamente».
«brava! Concordo!» esclamò Aladohar,
dando il via ad un applauso.
«sì, io stesso sono perfettamente
d’accordo» affermò il re
«sarebbe stato
meglio evitare tutto questo, ma il povero Pitchiner era fuori di
sé a tal punto
che non c’era altra soluzione, e ci rifaremo in
futuro».
La regina s’incupì ancora di più. Non
solo Nahema aveva vinto a prescindere, ma
ora veniva persino applaudita per aver causato un trauma cranico a un
uomo! Certo,
qualcuno doveva pur bloccare il povero Pitchiner, ma non in quel modo.
“avrà
vinto il processo, ma io non intendo chiudere la cosa qui, a costo di
dover
tentare di avviare personalmente qualche indagine tra i
nobili!” pensò Tsarina.
«eccomi! Dov’è il ferito?! Uh, ciao
ragazzi!» esclamò Nihil Ralonrin Aldebaran,
con un cenno di saluto infantile ai suoi fratelli, per poi chinarsi
immediatamente sul ferito «procedura da trauma cranico.
Bloccategli la testa,
giratelo…bene, così. Caricatelo sulla
barella» ordinò ai suoi quattro
assistenti «non fai in tempo a tornare che già ti
rimetti a picchiare la
gente?» disse a Nahema.
Si pentì di aver parlato appena vide l’espressione
dei suoi fratelli.
«a volte si è costretti, Ralonrin»
rispose Aladohar, piatto.
Il ragazzo, saggiamente, spostò la sua attenzione altrove.
«salute a voi,
suocero, è sempre un piacere vedervi» disse, e
sorrise a Lord Vega «vorrei
poter restare di più ma ho un paziente di cui
occuparmi».
«figurati, ragazzo, figurati…»
«il paziente è pronto, signore!»
«ottimo. Andiamo!» esclamò Ralonrin,
abbandonando la stanza dopo un ultimo
cenno di saluto a tutti.
«a questo punto credo che non ci sia più nulla da
dire…una delle parti in causa
è ricoverata» commentò Tsarina.
«a dire il vero qualcosa c’è
ancora» la contraddisse il re «arciduchessa Nihil
Nahema della Casa Aldebaran, in quanto Capo Supremo delle Forze Armate
ti
promuovo da maggiore a generale con effetto immediato».
«cosa?!» allibì la
regina.
«in questi anni non sei stata certo con le mani in mano, e
comunque sia l’
Armata Dorata ha bisogno di qualcuno che la guidi, almeno fino a quando
Lord
Pitch sarà tornato in sé e potrà
riprendere il suo posto. Concorderete tutti che
l’armata più valente del regno debba essere
comandata da qualcuno di più
stabile» disse il re, senza sapere di aver usato esattamente
le parole usate
dai due fratelli Aldebaran quattro giorni prima.
I soldati di Pitchiner ammutolirono completamente. Il re non aveva
tutti i
torti, però sarebbe stato strano essere guidati da
un’altra persona dopo tutto
quel tempo.
«accetto con gioia questo compito. Solo una cosa: quando il
generale Pitchiner
si sarà ripreso e sarà tornato al comando, come
dimostrazione di buona volontà
da parte della mia famiglia, vorrei potergli essere di supporto con
le mie armate.
Credo che aiutandolo, e facendo sì che ci conosciamo meglio,
il generale capirà
che non ho nulla a che vedere con l’altra donna. Certo, spero
che perdoni il
brusco modo in cui l’ho atterrato…»
«sei stata costretta, e ovviamente la tua proposta
è accolta».
Nahema
sorrise.
Aveva fatto due passi in più.
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Capitolo 14 *** 14. Vita da sassi ***
=
Vita da sassi =
La prima cosa che
Kozmotis avvertì quando si svegliò fu una
spaventosa fitta alla testa. Richiuse
le palpebre con un mugugno, e si rigirò nelle morbide
lenzuola dorate che lo
avvolgevano.
Un momento. Lenzuola
dorate?
Quel particolare
riuscì a dissipare quasi completamente la sonnolenza
residua, e lo indusse a
rizzarsi a sedere. La velocità del movimento gli
causò un’altra fitta al capo,
attorno alla quale il generale avvertì ancora la delicata
pressione della
fasciatura che gli era stata applicata dopo il processo -conseguenza
del fatto
che Nahema lo avesse atterrato e “mandato a
dormire” con un colpo alla testa-
ma al momento era l’ultimo dei suoi pensieri.
Non riusciva a
capire dove si trovava, non aveva mai visto quel posto prima
d’ora, e tantomeno
rammentava il modo in cui ci era arrivato. Si sforzò di fare
mente locale: qual
era l’ultimo posto che ricordava?...ma certo:
l’infermeria del palazzo reale,
si era risvegliato lì.
Poi però cos’era
successo?
Mentre cercava di
ricordare, decise di iniziare a guardarsi attorno con la massima
circospezione.
Quella camera da
letto era più grande dell’intero piano terra di
casa sua, munita di ampie
finestre e una terrazza aperta sul panorama di una metropoli dalla
curiosa
architettura che lui non ricordava di aver mai visto.
Cercò indizi
concentrandosi sugli elementi presenti nella stanza, e la prima cosa
che
saltava all’occhio era l’opulenza
smodata che regnava in tutto l’ambiente.
Già solo il letto
era un baldacchino molto rialzato ed estremamente ampio, con fini
tendaggi
viola dai ricami lucenti, e non ci avrebbe voluto giurare, ma il
comodino e la
lampada sopra di esso sembravano in tutto e per tutto d’oro
zecchino. Stesso
discorso valeva per il resto del mobilio, anche se da lontano non
poteva
esserne totalmente sicuro, e per le pareti: se quelle decorazioni non
erano
composte da foglie d’oro e scaglie di quelli che sembravano
in tutto e per
tutto diamanti viola, lui non si chiamava Kozmotis Pitchiner. Decori
simili
erano presenti anche sulle grosse colonne rigate presenti nella stanza,
marmoree come il pavimento.
Chi poteva
permettersi di sprecare in quel modo risorse come oro, marmo e
soprattutto
rarissimi diamanti viola?!
“l’infermeria…”
Perché il lusso
smaccato -quasi pacchiano, a suo parere- di quel posto gliela stava
facendo
venire in mente? Doveva cercare di risolvere il mistero.
Cos’era successo
nell’infermeria, e cosa c’entrava con quel posto?
Fece un respiro
profondo, e lasciò che i ricordi fluissero.
*** In
precedenza… ***
Si svegliò confuso
e con la testa che pulsava. Mentre sbatteva le palpebre, gli parve di
vedere la
sagoma di qualcuno alla sua sinistra. «dove
sono…?»
«siete in
infermeria, generale. Cercate di stare tranquillo, siete reduce da un
colpo al
cranio non indifferente!»
Con un sibilo di dolore,
il generale voltò il capo in direzione del suo
interlocutore. Era un ragazzo
alto, poco più che ventenne, con una barbetta incolta e una
zazzera di capelli
neri che, fosse stata meno disordinata, avrebbe potuto fare invidia
alla sua.
L’aria leggermente trasandata del giovane medico -questo era,
a giudicare dal
suo camice bianco- era qualcosa su cui riusciva comunque a soprassedere
senza
sforzo dal momento che la sua persona, o almeno il suo profilo
sinistro,
trasmetteva uno strano senso di tranquillità.
«sì»
borbottò
Kozmotis «ora ho presente. Avrei solo voluto dare a quei
bastardi ciò che
meritavano, invece no…tutto quel che sono riuscito a
ottenere è un trauma
cranico».
«posso immaginare
quanto fosse difficile, ma forse avreste dovuto cercare di rimanere
più calmo,
generale» disse il dottore, con la calma più
assoluta, mentre appuntava «non
credo che quel che è successo abbia giovato alla vostra
causa».
Già. Provava ancora
una rabbia profonda, ma il colpo preso stava riuscendo a farlo
ragionare un
po’. Nahema, suo fratello e i nobili loro alleati avevano
cercato di farlo
passare per un uomo dalla psiche straziata della perdita, e
c’erano riusciti
alla perfezione anche grazie al suo contributo.
Vero, gli erano
successe troppe cose orribili in pochi giorni, ma lui avrebbe dovuto
cercare di
mettere da parte il suo dolore per ottenere giustizia, o almeno per tentare
di
far venire al re qualche dubbio in più e far sì
che stesse in guardia. «non
avete tutti i torti, dottore, ma ne sono successe troppe
perché riuscissi a
trattenermi» ammise, con una semplicità che
solitamente non gli apparteneva
«prima la mia famiglia, poi quella strega di mia cognata, e
ora anche questo…»
«sembra quasi una
richiesta d’aiuto, Lord Pitch. Pensate di aver bisogno di un
sostegno
psicologico? Guardate che non sarebbe indice di debolezza»
specificò il
dottore, sollevando finalmente lo sguardo dai suoi appunti.
Una cosa che saltò
subito all’occhio di Kozmotis era il colore
dell’iride: era come osservare una
fiamma viva posta tra tizzoni di brace nera. La gente della Golden Age
non era
nuova a fantasiose sfumature di occhi e capelli, ma era la prima volta
che gli
capitava di vedere quella combinazione di colori. «se lo dite
voi».
«dico, dico! Anzi,
considerando la vostra situazione e la posizione che occupate credo che
sarebbe
un gesto di grande accortezza da parte vostra. Come High General of the
Galaxies siete responsabile della vita di molte persone, il che
significa dover
essere sempre perfettamente lucido e stabile. Voi cosa
pensate?»
«che mi piacerebbe
che le vostre parole fossero un po’meno sensate».
«allora non avete
perso la capacità di comportarvi in modo
ragionevole» si voltò e si allontanò
di poco, rovistando nel cassetto di un piccolo mobile bianco
«immaginandolo, mi
sono permesso di mettere sul comodino vicino a voi sia il modulo da
firmare che
la penna. Vi accorgerete che è tutto scritto in modo chiaro
e conciso, se ora
lo leggete con calma».
Il documento era
breve, giusto una pagina, e il generale non notò
alcunché di strano leggendolo.
Non conosceva il nome dello psicologo, ma dal nome sembrava essere
originario
del territorio degli Orion, come lui. Un residuo di orgoglio e
testardaggine lo
fece esitare nell’apporre la firma, ma le parole del dottore
riguardo la
responsabilità avevano colpito nel segno.
“per non parlare
del fatto che se voglio contrastare persone come Nahema e la sua
dannata
famiglia devo necessariamente essere quanto
più stabile possibile. I
soldi e il potere degli Aldebaran possono essere contrastati solo
cercando di
essere più furbo di loro” si disse mentre firmava
“e io al momento non sono in
condizioni di riuscire nell’impresa. Forse non
potrò fare giustizia
nell’immediato, ma in futuro le cose saranno
diverse”. «ho firmato, dottore».
«spero che vi
troverete bene con lo specialista che ho scelto per voi»
disse il ragazzo «è un
collega che conosco molto bene, e che mi informerà
prontamente di ogni vostro
progresso».
D’accordo, il
discorso stava prendendo una piega strana. «a voi?...ho
già un medico di
base, io credevo aveste interpellato lui per la scelta e, con tutto il
rispetto, da come avete parlato sembra che dobbiate essere voi ad avere
l’ultima parola sulla durata della mia terapia».
«non solo
“sembra”,
ma è naturale che sia così. Sarete dichiarato
idoneo a svolgere il vostro
compito quando, esaminati i resoconti che il mio collega
farà sulle vostre
condizioni psichiche, io stabilirò che sia il momento
opportuno. Non
aspettatevi che passino meno di sei mesi, riprendersi anche solo un
po’da un
trauma del genere è molto dura, ma non preoccupatevi
né per il regno né per la
vostra armata» lo “rassicurò”
il dottore, voltandosi verso di lui con grande
calma «il
re ha dato a mia sorella
l’onore e l’onere di sostituirvi, e vi garantisco
che non c’è persona più
preparata di Nahema».
All’inizio il
generale Pitchiner non riuscì a proferire parola, troppo
impegnato a fissare la
voglia a forma di stella a otto punte in bella mostra sul lato destro
del volto
del dottore, a lui celato fino a quel momento. «a-anche tu
sei…?»
In difesa di
Kozmotis va detto che sapeva che Nihil Ralonrin Aldebaran era il medico
di
corte ufficiale dei Lunanoff, ma sapeva anche che non era il solo
dottore
presente: i Lunanoff offrivano nel loro palazzo prestazioni mediche
ambulatoriali gratuite a coloro che, per un motivo o per un altro, non
avrebbero potuto permettersele, e un unico dottore non avrebbe potuto
gestire
tutto da solo. Tra questo, il non aver mai visto prima Ralonrin,
nonché il
fatto che questi non somigliasse per nulla agli Aldebaran che lui aveva
conosciuto, era comprensibile che non avesse intuito subito la
verità.
«generale, già non
vi piaccio più? Solo per un segno sul viso? Potrei
offendermi» disse il
ragazzo, imbronciandosi per un attimo «...ma in effetti anche
no» aggiunse
subito dopo, prendendo con uno scatto felino il foglio che Pitchiner
aveva
riappoggiato sul comodino «l’importante
è che continuiate a collaborare».
Tanti saluti al
“cercare di essere più furbo di loro”,
pensò Kozmotis; erano riusciti ad
anticiparlo prima ancora che potesse iniziare a studiare qualcosa.
«quel foglio
non vale niente, mi hai strappato il consenso con un inganno, se
io-»
«con l’inganno,
dite? A me non risulta, avete fatto tutto da solo»
ribatté Ralonrin «mi avete
praticamente detto che avete bisogno di sostegno, io vi ho suggerito di
ricorrere a uno psicologo, e voi avete letto e firmato tranquillamente
un
conciso documento scritto in chiare lettere. Non vedo inganni di sorta,
generale, tutto quel che posso constatare è che soffrite di
un disturbo
paranoide non solo verso chi ha questo segno sul volto, ma
anche verso
persone come il mio stimato suocero, Lord Advif Vega. È
passato di qui a
raccontarmi qualcosina».
Kozmotis aveva in
mente solo una cosa, ossia prendere quel foglio e farlo a pezzi:
sarebbe stato
un modo come un altro per iniziare, e se avesse voluto avrebbe sempre
potuto
andare da uno psicologo di sua scelta,
possibilmente che non avesse
niente a che fare con quella famiglia di bastardi. La fitta di dolore
provata
quando si alzò bruscamente in piedi lo fece quasi vacillare,
ma non intendeva
lasciar perdere. «dammi quel foglio, o me lo
prenderò da solo».
Ralonrin, come già
detto, era un ragazzo alto -come del resto la stragrande maggioranza
dei suoi
parenti- ma non troppo robusto, ed era completamente a digiuno di cose
come
tecniche di lotta e simili. Come tutti i suoi fratelli lui era stato
istruito
fin da piccolo su come amministrare e governare vasti territori, ed era
un
dottore con buone conoscenze di alchimia -grazie a suo padre- ma
null’altro, e
trauma cranico o meno Kozmotis Pitchiner non era diventato High General
per
niente. «dovreste tornare a letto, non siete ancora nelle
condizioni di fare
movimenti bruschi».
«non me ne
serviranno molti!»
«vi conviene
rimanere calmo» dal camice Ralonrin tirò fuori
quella che sembrava una specie
di piccola pistola, caricata a dardi tranquillanti «noi
medici abbiamo i nostri
metodi, quando abbiamo a che fare con pazienti
poco…sì, beh, pazienti».
,
«prima devi riuscire
a colpirmi» gli ricordò il generale, man mano che
si avvicinava. La testa gli
pulsava, ma si sforzò di ignorarlo. «devi aver
mandato via gli infermieri
perché rimanessimo soli, ma scommetto che ora te ne stai
pentendo, vero?...mancato!»
esclamò quando Ralonrin, indietreggiando di molto,
fallì il primo colpo «non
hai la mira dei tuoi fratelli».
«…siamo passati a
darci del tu e non me ne sono nemmeno accorto, pensa un
po’» disse Ralonrin
quasi tra sé e sé, sparando altri due dardi.
Anche stavolta non andarono a
segno, perché nonostante il trauma cranico il generale ebbe
sufficiente
prontezza di riflessi da afferrare un vassoio vuoto che si trovava su
un
mobiletto vicino e deviare con esso i due dardi. «senti, ma
non potresti stare
fermo e lasciarti colpire? Sul serio! Tanto non hai modo di uscire di
qui con
questo foglio, quindi che ti batti a fare?» sbuffò
l’arciduca, con
l’espressione di un bimbo capriccioso «andiamo, suuuu!»
Proprio in quel
momento una terza persona fece il suo ingresso nella stanza.
«Ralonrin, mi
serve-»
Kozmotis, senza
pensarci troppo, afferrò suddetta persona e la strinse a
sé come uno scudo
umano, per poi afferrare un paio di lunghe forbici, che Ralonrin aveva
usato
per tagliare le bende con cui gli aveva fasciato il capo.
«distruggi quel
foglio e dimmi come uscire rapidamente dal palazzo, o giuro sugli Dei
che
ucciderò tua sorella come voi avete ucciso le mie
donne!»
Kozmotis aveva
riconosciuto Nihil Rerazara Aldebaran perché, tanto per
continuare la
tradizione di Iyra Aldebaran, aveva vinto il titolo di “donna
più bella del
regno” già due volte -forse immeritatamente o
forse no- ed era comparsa spesso
nelle riviste di moda che lui aveva comprato per sua moglie, cui certi
frivoli
giornaletti erano sempre piaciuti.
Ricordò le occasioni
in cui aveva sentito Aleha dire che le sarebbe piaciuto avere gambe
chilometriche come quelle di Rerazara, e in cui lui l’aveva
rassicurata
dicendole di non avere proprio nulla da invidiarle, anzi.
Ecco: non avrebbe
più potuto fare neppure questo, ed era sempre colpa degli
Aldebaran, sempre
loro, solo loro.
Rerazara,
terzogenita della sua famiglia, alzò gli occhi al soffitto
con aria decisamente
seccata. Era andata da Ralonrin per farsi dare qualcosa che diminuisse
il
nervosismo -gestire le finanze di un re e una regina che tendevano a
spendere
troppo in opere di bene non era sempre facile, e quella sera aveva
anche una
sfilata- e cos’aveva trovato? Di certo non quel che cercava!
Che giornataccia.
«ecco, ci mancava solo il cretino che non
ha niente di meglio da fare
che puntarmi un paio di forbici in faccia».
«taci!»
le
intimò il generale, dopo un breve attimo di smarrimento per
quella sua
non-reazione «e tu non pensare di chiamare rinforzi e
sbrigati ad obbedire,
perché faccio sul serio!»
Non c’era il minimo
dubbio su ciò, e Ralonrin non era sicuro di riuscire a
sparare abbastanza
velocemente da evitare ogni rischio a sua sorella.
«ehm…Rera, digli qualcosa».
«“Rera digli
qualcosa”? Ma sei serio? Secondo te
dovrei anche parlarci?»
«beh, sì…»
«ma stiamo facendo
le comiche o cosa?!» sibilò il povero Pitchiner,
che si trovava sempre più
spiazzato. Confrontati a quei due -un bambinetto nel corpo di un
ventitreenne e
una donna che pareva un pezzo di ghiaccio, persino peggio di sua
cognata-
Nahema e Aladohar erano l’apoteosi della normalità.
«un High General of
the Galaxies ferito alla testa che pensa di poter attentare alla vita
di
un’arciduchessa credendo di riuscire a ottenere quello che
vuole in effetti è
abbastanza comico» osservò Rerazara, senza neppure
provare a divincolarsi.
«sentite, perché non interrompiamo questa
pantomima e mi lasciate? Sareste
veramente disposto a uccidere una civile innocente?»
«sei una civile, ma
in quanto Aldebaran di certo non sei innocente»
replicò.
Rerazara alzò gli
occhi al cielo. «Ralonrin, si può sapere cosa
c’è in quel foglio?»
«ha ammesso lui di
aver bisogno di un sostegno psicologico e a firmare, non è
colpa mia se poi ha
cambiato idea!» si lagnò il ragazzo.
«ho firmato solo
perché prima non sapevo chi sei! Non vi
permetterò di tenermi lontano dalla
mia armata a vostra discrezione, potete pure scordarvelo!»
«forse voi non
avete ben chiara la vostra posizione» disse Rerazara
«per ora siete fuori dai
giochi, dal momento che è stato il re in persona a dare a
mia sorella
l’incarico di sostituirvi “finché non
starete meglio”. Potete notare che è un
lasso di tempo del tutto indefinito, e da quel che vedo minaccia di
durare
anni. Avendo firmato quel foglio, datovi da Ralonrin,
apparirete davanti
al re già più ragionevole di quanto siate in
realtà. Vi garantirà un ritorno
più rapido. Se è questo ciò che
volete, tecnicamente vi agevola».
«agevolarmi?!
Perché diamine dovreste volere che torni al mio incarico prima?!»
allibì
il generale «non ha senso! Cos’ha in mente di fare
tua sorella?!»
Nello stupore
commise l’errore madornale di abbassare la mano, e Rerazara
approfittò della
momentanea distrazione per colpirlo allo stomaco più forte
che poteva col suo
gomito appuntito. Quando sentì la presa allentarsi
riuscì a sgusciare via,
afferrò con mano sicura la pistola a dardi che Ralonrin le
lanciò, e sparò a
Kozmotis un paio di volte, centrandolo in pieno.
«penso che tentare
di spiegarvelo ora sia inutile» disse Rerazara, impassibile
come se avesse
avuto indosso una maschera «siete imbottito di
tranquillanti».
Mentre Kozmotis
cercava di resistere all’effetto dei tranquillanti e non
cadere a terra,
inutilmente perché questo fu proprio ciò che
accadde l’attimo dopo, sentì
rimbombare nelle orecchie l’applauso che Nihil Ralonrin fece
alla sorella.
«brava Rera!...»
«“brava Rera”
è
tutto quel che sai dire? Anche munito dei tranquillanti non sai gestire
un uomo
reduce da un trauma cranico…se tu non fossi la copia precisa
di papà avrei dei
dubbi sul fatto che siamo imparentati. Seriamente».
«sì, anche io Ti
Voglio Tanto- Tanto- Tanto- Tanto- Tanto…»
«taglia».
«...Tanto- Tanto-
Tanto- Tanto- Tanto- Tanto Bene».
«direi di rimettere
a letto il paziente».
I suoni stavano
diventando sempre più ovattati e il mondo sempre
più buio, ma Kozmotis riuscì a
vedere Nihil Ralonrin guardarlo con una smorfia infantile sul volto.
«io invece ho
un’altra idea. Ha chiesto cosa vuol fare Nahema, giusto? Io
direi di mandarlo a
farle domande personalmente!»
«perché?»
Ralonrin rise. Il
generale stava per addormentarsi, ma sentì ugualmente la
risposta.
“tanto per
romperle le ovaie! Passami un po’quelle siringhe,
già che ci sei”.
*** Ora
***
“chi può
permettersi di sprecare in questo modo risorse come oro, marmo e
soprattutto
diamanti viola”, si era chiesto?
Che domande.
Le stesse persone
che avevano sotto il loro controllo un numero incalcolabile di ricche
miniere
di vario genere, ovviamente.
Si catapultò
letteralmente giù dal letto, all’improvviso non
gli importava più di quanto mal
di testa avrebbero potuto causargli dei movimenti bruschi: la sola cosa
che
doveva fare era andarsene di lì prima possibile, a costo di
saltare giù dalla
terrazza e lanciarsi giù nel largo fiume che si vedeva
scorrere sotto.
«un simile salto
nelle vostre condizioni è sconsigliabile, generale. Tanto
vale che vi mettiate
comodo».
Kozmotis si voltò
di scatto, e capì che poteva tranquillamente dire addio alle
sue speranze di
fuga. Non era in condizioni di scontrarsi contro Nahema e Aladohar
insieme, non
sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte neppure battendosi con la
forza
della disperazione, per cui tanto valeva rimanere fermo e sentire
cos’avevano
da dire quegli schifosi assassini. «avete distrutto la mia
casa e la mia
famiglia, cosa volete ancora da me? Perché mi avete portato
qui?!»
«“portato”?
Guardate che non vi abbiamo portato da nessuna parte. Avete fatto
irruzione nel
palazzo ieri sera. Non avrei portato voi in casa
mia» affermò Aladohar
«potete starne sicuro. Sapete di non essermi molto
simpatico».
«Aladohar, per
cortesia, evita. Come stavamo dicendo, generale,
siete stato voi a
venire qui» disse Nahema.
«è mai possibile
che voi Aldebaran non riusciate a dire la verità nemmeno in
casa vostra?! È
stato il vostro caro fratello Ralonrin ad addormentarmi, e poi
evidentemente mi
ha spedito qui!»
Nahema inarcò le
sopracciglia, con aria lievemente seccata.
«Ralonrin?...capisco» commentò, per
poi rivolgersi al fratello «īlva muña
tresy ēdas naejot emagon mēre
doru-borto».
Per un attimo
Kozmotis pensò che il cervello gli stesse giocando un brutto
tiro, perché non
aveva capito una parola che fosse una.
«vestragon
sīr…kostagon īlon zirȳla ossēnagon?»
«qilōni? Ziry iā
īlva lēkia?»
Poi però realizzò
che forse non si trattava di un’allucinazione uditiva, quanto
piuttosto di una
conversazione -che evidentemente non doveva essere compresa da terzi-
in quella
che doveva essere la vecchia lingua degli Aldebaran. Il reame aveva una
lingua
comune, ma non significava che i vari nobili delle Costellazioni
avessero
rinunciato alle proprie, soprattutto le famiglie più antiche.
«…sȳrkīta
naejot
pendagon tolī olvie daor» borbottò
Aladohar «iā ziry kostagon rhaenagon
naejot vestragon iā sȳz dēīa».
«sì, credo che tu
abbia ragione» concluse Nahema «sentite, generale,
mandarvi qui è stata un’idea
di Ralonrin, non nostra».
Kozmotis avrebbe
dato chissà cosa per poter capire quel che avevano detto,
perché conoscendoli
c’era da aspettarsi di tutto; magari avevano discusso su come
farlo fuori, se
gettarlo in mezzo al deserto o semplicemente farlo a pezzi e
seppellirli chissà
dove. «smettetela di parlare in quella vostra strana lingua
barbara e ditemi
cosa volete! Volete torturarmi? Uccidermi?! Cosa?!»
«non vogliamo
torturarvi, non vogliamo uccidervi, né farvi proprio
niente» ribatté Nahema,
sorvolando sullo “strana lingua barbara”
«vi invito a riflettere: che senso
avrebbe fare una mossa simile dopo ciò che è
stato detto durante il processo?»
La voglia di
staccarle la testa dal collo rimaneva sempre alta in Kozmotis, ma era
costretto
ad ammettere che il discorso di Nahema era sensato. Solo che continuava
a non
capire come fosse arrivato lì. «come sono arrivato
in questa stanza?»
«se vi ha davvero
mandato Ralonrin desumo che dopo avervi addormentato debba essere stato
lui a
mettervi nella navetta d’emergenza con cui siete arrivato, e
abbia attivato il
pilota automatico per farvi finire qui» disse Aladohar
«quando siete arrivato
però vi siete svegliato, e siete entrato in questo palazzo
agitando un badile,
rubato non so dove, minacciando
di
uccidere tutti…sì, d’accordo, ammetto
che vi abbiamo lasciato entrare per
vedere dove volevate andare a parare, sembrava divertente»
confessò l’arciduca
«infine i nostri fratelli Nihil Taha e Nihil Texu si sono
stufati, si sa che i
bambini di otto anni si annoiano facilmente, quindi vi hanno strappato
il
badile e vi hanno atterrato con un colpo in testa. Tutto qui».
Kozmotis non sapeva
quale parte della storia fosse peggiore, se la scena col badile o il
fatto di
essere stato atterrato da due bambini Aldebaran di otto anni.
«non ho prove del
fatto che stiate dicendo sul serio».
«però purtroppo
è
vero. Sarebbe bello se il regno avesse un High General of the Galaxies
che non
si lasci coinvolgere in fatti così ridicoli, ma purtroppo
questo passa in
convento, per ora» sospirò Aladohar «e
in fondo non è tutta colpa vostra,
sappiamo tutti che per voi è un brutto periodo».
«chissà per
colpa di chi!» ringhiò il generale
«erano una donna e una bambina
innocenti, cosa vi avevano fatto? Che bisogno
c’era?!»
«vi è stato detto
di costituirvi come traditore della patria, ma voi non avete voluto
obbedire»
ribatté Aladohar «avete fatto una scelta, Lord
Pitch, e ogni scelta ha le sue
conseguenze. Siete voi che avete scelto di sacrificare le vostre donne
per il
vostro grado e-lanciarmi candelabri non vi
aiuterà!» concluse, evitando
per un pelo il pesante suppellettile.
«ti pare che se
io avessi veramente saputo cosa c’era in gioco avrei
sacrificato mia moglie e
mia figlia?!!» gridò «se non
avessi trovato un altro modo per salvarle mi
sarei richiuso da solo nella Prigione Maxima e avrei gettato via la
chiave, ma
questo mostro che tu chiami
“sorella” si è dimenticata di darmi
qualche DETTAGLIO!»
Aladohar diede a
Nahema un’occhiata sinceramente sorpresa. Sua sorella era
sadica soltanto con
quelli che lei chiamava “mostriciattoli” ossia
Nightmare Men, Dream Pirates e
Fearlings: quanto al resto, non era -né era mai stata- per
le uccisioni
inutili.
Aladohar credeva
che avesse dato ordine di uccidere Aleha Pitchiner solo al fallimento
di ogni
trattativa, magari perché il generale non aveva preso sul
serio i suoi
avvertimenti su cosa sarebbe capitato se non le avesse dato retta, o
simili.
L’uccisione di una civile “perché
sì” non era da lei. «se ha agito
così
significa che era necessario».
«sì»
confermò
Nahema.
Con Pitchiner
presente era bene troncare lì la questione, ma Aladohar si
ripromise di
indagare più a fondo in seguito.
«necessario!»
il generale fece una breve risata quasi isterica «sicuro, far
ammazzare due
persone che non erano in grado di difendersi, che vivevano isolate a
svariati
chilometri di distanza e che non potevano minimamente influire sui tuoi
piani
di conquista era imprescindibile! Non nasconderti dietro a
queste dannate
scuse!» sbraitò «almeno qui,
almeno adesso, abbi il coraggio di ammettere
che lo hai fatto perché sei una sadica bastarda che ha
goduto nel dare
quell’ordine, che probabilmente ha riso mentre
quei mostri uccidevano le
mie donne, che sin da quando eravamo bambini tu mi odi, e adesso mi
temi anche!
Mi odi perché vorresti essere arrivata dove sono
arrivato io, perché oltre
alla corona tu vorresti il mio grado, e mi temi…o
non ti saresti data tanta
pena per cercare di distruggermi!!!»
urlò.
Rimase lì a tremare
di rabbia per un lungo momento, durante il quale entrambi gli Aldebaran
non
dissero alcunché, e lui rimase col cuore in gola ad
aspettare una qualsiasi
risposta.
«noto che sei
passato al “tu” » osservò
Nahema «d’accordo, mi adeguerò. Il tuo
è un punto di
vista interessante, ma errato. Cercherò di spiegarti come
stanno le cose
attraverso una storiella. Diversi anni fa, mia madre passeggiava su uno
dei
sentieri qui in giardino, e a un certo punto vide un sasso a circa tre
metri di
distanza da lei. Era un sasso abbastanza largo e piatto, ma
c’era la remota
possibilità che la facesse inciampare ugualmente,
così lo fece rimuovere, con
buona pace di tutti» concluse «ecco, Kozmotis, tu
sei quel sasso. Eri in mezzo
al sentiero, e se il nostro motto è “Nihil
Obstat” c’è un motivo. La tua
piccola persona, la tua piccola casa e la tua piccola vita non hanno
importanza
per noi Aldebaran, e non l’aveva neppure la tua piccola
famiglia».
“La sua piccola
casa”, “la sua piccola
famiglia”…la sua vita in otto parole, e lei si
permetteva di minimizzare tutto in quel modo. Intollerabile.
«immagino che non
ti faccia piacere sentirlo dire, ma è
così» continuò Nahema «e mi
dovresti
spiegare quel “da quando eravamo
bambini”» aggiunse «perché io
non ricordo di
averti mai incontrato!»
Quella frase,
nonostante l’ira che stava montando dentro Kozmotis,
riuscì a stupirlo. «come
sarebbe a dire “non mi hai mai incontrato”?! Menti
anche ora, è impossibile che
ve lo siate dimenticato!»
«“ve lo
siate”? Ero
presente anch’io?» Aladohar lo guardò
dritto in viso, perplesso «ma sei sicuro?
Non vorrei che sia la botta in testa che hai preso
a…» s’interruppe, preda di
un’illuminazione improvvisa «Nahema! Rōva Pungos iksis!
Īlon zirȳla rhēdan isse Orion tegun, jēnqa ampā jēdri gō!»
«Rōva
Pungos! Kessa, drēje
iksis!» esclamò Nahema
«chiedo
venia, generale, avevo completamente rimosso il nostro primo incontro.
Un’
ulteriore dimostrazione che le mie precedenti parole sono
vere».
«la parola “scontro” sarebbe
più esatta. Uno scontro in cui
il qui presente Nihil Aladohar si è nascosto dietro le gonne
della sorella, da
buon piccolo bulletto vigliacco quale era» Kozmotis, animato
da una rabbia che
in quel caso si traduceva in un atteggiamento
“coraggioso” forse inappropriato,
fece un passo avanti «e che è finito con me
a prenderti per il collo, se ben ricordo. Rimpiango solo di
non aver
stretto di più».
Aladohar si era incupito e fece per rispondere qualcosa, ma
Nahema lo precedette. «a me sembra che quello scontro sia
finito con te in
ginocchio a scusarti appena tua madre ti ha ordinato di farlo. Ma forse
sbaglio, del resto fino a poco fa non ricordavo neppure che fosse
avvenuto,
tanto era importante».
«tu e tuo fratello potete anche divertirvi a ricordarmi
quanto sia piccolo e insignificante, se ne avete voglia»
ribatté il generale «
pensi di essere chissà chi e di essere chissà
quanto in gamba, ma in realtà
tutto quello che hai sono molti soldi e l’ambizione smodata
di ottenere il
potere che hanno i Lunanoff, cosa in cui non riuscirai mai. Non ne sei capace!»
affermò «per sette
anni sei stata alle calcagna di questo piccolo uomo con la sua piccola
vita,
non sei stata in grado di “rimuovermi”…e
non lo sei neppure adesso!»
Aladohar evitò di fare commenti, ma occhieggiò la
sorella,
leggermente inquieto: Nahema non era una persona impulsiva, se mai
tutto il
contrario, e qualsiasi frecciatina le scivolava addosso, ma tra le cose
che
conveniva non dirle c’era sia “non riuscirai
mai” che “non ne sei capace”.
Si trattenne a stento dal sobbalzare, quando la sentì
ridere.
«credo che tu sia uno di quelli che fanno davvero fatica a
capire certe cose» sospirò Nahema «ma
forse io posso aiutarti. Mēntyr!»
A quell’esclamazione circa una ventina di ghoul armati
irruppe nella stanza, nello sconcerto dei due uomini presenti che non
si
aspettavano nulla del genere.
«zirȳla gūrotīs!»
Il drappello di creature agguantò il generale e lo
bloccò,
nonostante tutti i suoi sforzi di divincolarsi: era ancora troppo
debole per
vedersela con tutti loro. Forse in una situazione come quella avrebbe
fatto
molto meglio a stare zitto, ma non ci era proprio riuscito. «LASCIATEMI SUBITO!!!»
«skoros issi gaomā?!»
Aladohar si avvicinò alla sorella, ora decisamente allarmato.
«ivestragī nyke
gaomagon» replicò la donna, per poi
rivolgersi a Kozmotis «come dicevo,
generale, forse posso aiutarti a capire alcune cose. In questi anni non
ti ho
tolto di mezzo perché, contrariamente a quanto pensi, se si
tratta di
compatrioti non sono per le morti inutili, e riconoscevo il tuo valore
come
guerriero, che è indubbio» concesse Nahema
«ti avrei preferito dalla mia parte
piuttosto che sotto terra, ma in questi anni ti ho conosciuto, e ho
capito che
trattare con te non era possibile: sei troppo idealista, troppo
corretto, prima
che trovassimo la tua famiglia non c’erano altri appigli
abbastanza forti, e io
ho finito per concepire altri piani» gli si
avvicinò, molto tranquillamente «ma
se sei vivo è perché io voglio che tu sia
vivo».
«balle!»
sbottò
lui «non mi hai ucciso
solo perché
non potevi farlo, sapendo che la tua famiglia non l’avrebbe
passata liscia, e
ora meno che mai! Indagherebbero, se mi accadesse qualcosa sareste i
primi
sospettati, dopo il processo che c’è stato, e il
re non potrà chiudere entrambi
gli occhi di nuovo!»
«Kozmotis Pitchiner, tu sei il secondo
uomo più cocciuto che conosca, davvero»
sospirò, sollevando
il mento e passandosi il pollice sulla gola in un gesto universalmente
compreso. «zirȳla ossēnatas».
Il generale gridò quando i ghoul gli sollevarono la testa e
sentì distintamente il freddo bacio dell’acciaio
sulla pelle, mentre capiva che
gli Aldebaran potevano ucciderlo eccome, che stavano per farlo proprio
in quel
momento e che non avrebbe mai ottenuto la giustizia che voleva,
perché aveva
dato troppa aria alla bocca.
Sarebbe morto senza vendicare Aleha ed Emily Jane.
Si sarebbe ricongiunto
ad Aleha ed Emily Jane.
Forse non era del tutto un male…
«keligon».
La lama rimase ferma dov’era ma non incise la sua carne,
fermandosi proprio quando quel pensiero che faceva sembrare la morte
un’alternativa attraente, ormai svanito com’era
arrivato, gli aveva
attraversato la mente.
«non avremmo problemi a far sì che
l’ultima notizia su di te
sia “è scappato dall’infermeria del
palazzo reale per andare chissà dove”»
disse Nahema, calmissima «ora potrei ordinare nuovamente ai
ghoul di tagliarti
la gola, stavolta senza fermarli prima che lo facciano, e seppellirti
in una
qualsiasi parte del deserto che circonda la città. Una tua
sparizione potrebbe
apparire sospetta agli occhi di qualcuno, te lo concedo, ma sospetti e
prove
sono due cose molto diverse, e pochi luoghi sono adatti quando il
deserto, se
si tratta di nascondere cadaveri».
Se la morte non era più un’alternativa attraente,
tuttavia,
avrebbe dovuto continuare a vedersela con quelle persone.
Ma l’avrebbe fatto, eccome se l’avrebbe fatto, e
non si
sarebbe arreso, nemmeno dopo essersi quasi fatto sgozzare da un ghoul
del
deserto. «il re e la regina-» avviò a
protestare Kozmotis, venendo però
interrotto.
«non sono onnipotenti» intervenne finalmente
Aladohar, che
col procedere del discorso si era tranquillizzato «hanno una
corona in testa,
sì, ma anche molto oro meno di noi, e molti meno amici di
quanto credano, tra
le Costellazioni».
«penso che con questo abbiamo finito» concluse
Nahema « ivestragī zirȳla jikagon »
ordinò, e i
ghoul lasciarono immediatamente libero Kozmotis «ebbene, dopo
che ti abbiamo
accolto in casa nostra e debitamente curato, ti aiuteremo a tornare a
casa…perché siamo brave persone pronte ad aiutare
anche un High General che
ieri era palesemente ubriaco! Questo nonostante le terribili accuse che
ci ha
rivolto al processo, nonché le minacce di morte urlate in
questo stesso
palazzo».
«ubriaco?!»
allibì
Pitchiner «io non ero affatto ubriaco!»
«lo so, ma non conta. Se io dico che eri ubriaco, significa
che eri ubriaco, e per coloro che lo verranno a sapere sarai stato
ubriaco. Non
c’è molto da aggiungere, e
c’è già una nave che ti aspetta qui
fuori.
Arrivederci, generale! Cercherò di essere una tua degna
sostituta fino a quando
ti sarai ripreso, e chissà, magari sarò talmente
brava che il re renderà la
sostituzione definitiva».
«puoi scordartelo!»
ringhiò Kozmotis «non ti permetterò di
sottrarmi anche questo. Per colpa vostra
sono padre di una figlia assassinata e marito di una moglie uccisa, non
diventerò un High General caduto in rovina. E vi giuro che
avrò la giustizia
che mi spetta…in questa vita o in
un’altra!»
Nahema fece spallucce. «allora ne riparleremo in
un’altra
vita. Mēntyr!» i ghoul
scattarono
sull’attenti «Āeksio
Pitchīner hen
sombāzmion traenatas».
I ghoul affiancarono Kozmotis, e uno di essi gli diede una
leggera spinta in direzione della porta. Il generale lanciò
un’occhiata ostile
sia al ghoul che ai due fratelli Aldebaran, per poi rizzare la schiena
e
dirigersi verso la porta con passi decisi, seguito dalle guardie.
Quando l’ebbe attraversata e Nahema giudicò che
ormai fosse
abbastanza lontano, fece un leggero sospiro. «utilizzare i
ghoul per certe
stupide “dimostrazioni di forza” è
qualcosa che m’innervosisce abbastanza. Non
avrebbe dovuto neppure essere necessario, non dopo quanto è
accaduto al
processo, ma Kozmotis Pitchiner è un gran
testardo».
«Super Naso è Super Naso, era testardo da piccolo,
e ora che
è un uomo fatto non poteva essere diverso»
Aladohar si lasciò cadere su un
divanetto vicino, stiracchiandosi «ma non penso che sia tanto
stupido da non
prenderci sul serio, chiacchiere a parte. Ha parlato in quel modo per
semplice
rabbia. Però penso
che quella lezioncina
gli sia servita lo stesso, sebbene inizialmente tu mi abbia fatto
inquietare:
per un po’ho pensato che volessi veramente sporcare il
tappeto».
Nahema non rispose.
L’arciduca guardò a lungo la figura in controluce
della
sorella, che non sembrava avere intenzione di sedersi quanto piuttosto
di
continuare ad osservare il panorama persa in chissà quali
pensieri. Qualunque
essi fossero, tuttavia, lui si sentiva in dovere di interromperli:
c’era una
questione da approfondire. «hai fatto uccidere sua moglie
senza neppure provare
a trattare con lui. Di solito non agisci così.
Perché, dunque?».
«perché gli Aldebaran pagano sempre i propri
debiti, e io ne
avevo uno piuttosto grande da saldare».
«Kozmotis Pitchiner ti ha fatto qualcosa di grave di cui non
sono a conoscenza?» indagò l’uomo
«mi parrebbe molto strano».
«e infatti non ero “in debito” con
lui».
«allora con chi? C’entra qualcosa il modo in cui
hai trovato
la posizione di casa sua, faccenda su cui non mi hai ancora dato
delucidazioni?»
Nahema si voltò verso di lui, con uno svolazzo della lunga
gonna dorata aperta su un lato. «io ti ho detto subito
com’è andata, il fatto
che tu pensi sia uno scherzo è qualcosa di cui non ho
colpa».
«dovrei credere che una donna serpente lunga più
di dieci
metri abbia fatto la spia perché voleva mangiare non so
cosa? È ridicolo, sii
sincera e ammetti che non vuoi proprio dirmelo, no?»
Di nuovo Nahema non gli rispose, incamminandosi verso la porta.
«se dovessi avere bisogno di me nelle prossime due
ore…beh, cerca di non
averlo, perché non sarò in città, ma
in una delle oasi vicine» furono le sue
sole parole. Poi lasciò la stanza senza aggiungere altro.
Aladohar non era sicuro del modo in cui prendere quella
faccenda, ma d’altra parte non c’era molto che
potesse fare: non sarebbe
riuscito a strappare a sua sorella una parola di più. Si
chiedeva soltanto
perché Nahema si ostinasse con quella storia assurda della
donna serpente
spiona, ma forse lo faceva perché si divertiva a prenderlo
in giro.
Fece spallucce, pensando che c’erano alcune cose di sua
sorella che non sarebbe mai riuscito a capire.
Buonasera! Credo che dopo questo qualcuno abbia capito
perché Ralonrin non era poi un così bel soggetto
:’D ma lascio a voi tutti i
commenti.
Intanto ecco le
traduzioni delle parti in hallallallala in vecchio
aldebariano.
Simile al valyriano, dite? Lo so!
Nahema: «nostra madre doveva avere per forza almeno un
figlio cretino».
Aladohar: «così pare. Non potremmo farlo
fuori?»
Nahema: «chi? Lui [Kozmotis] o nostro fratello?»
style="border-style: none none solid; border-color: -moz-use-text-color
-moz-use-text-color windowtext; border-width: medium medium 1pt;
padding: 0cm 0cm 1pt;">Aladohar:
«…meglio non pensarci
troppo, o potrebbe iniziare a sembrarci una buona idea».
…
…
A:«Nahema! È Super Naso!
L’abbiamo incontrato nel territorio degli Orion, diciotto
anni fa!»
N: «Super Naso!...sì, è vero!»
…
…
N: «soldati!» […]
«prendetelo!»
…
…
A:«cosa stai facendo?!»
N:«lasciami fare».
…
…
N:«uccidetelo».
N:«fermi» […] «lasciatelo
andare».
…
…
N: «scortate Lord Pitchiner
fuori dal palazzo».
|
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Capitolo 15 *** 15. Il veleno dello scorpione -parte I (si riceve solo su appuntamento) ***
=
Il veleno dello scorpione - parte I =
(si
riceve solo su appuntamento)
«posticino adorabile» disse Kitah tra sé
e sé, mentre
percorreva lo stretto ponte che oscillava su quel lago ricolmo di una
sostanza
verde luminescente nel quale nessuno, nemmeno il gruppetto di ghoul del
ghiaccio che si era portato appresso, si sarebbe mai augurato di cadere
dentro.
Quel posto non aveva nulla a che vedere con la sua splendida
Atlantia, o con le città soleggiate di Aldebaran I o,
ancora, con le città dei
Vega, bizzarre quanto i Vega stessi ma affascinanti.
I tre pianeti del territorio degli Scorpio, e in particolare
quello dove sorgeva Duskfell, la capitale storica, erano tra gli ultimi
luoghi
in cui chiunque avrebbe voluto vivere, e quelli che nel corso della
storia
avevano subito meno invasioni; tanto
la
popolazione indigena ben poco invitante, quanto l’enorme
presenza di un metallo
chiamato uranium -dagli effetti
devastanti sulla salute- erano
sempre
state dei gran dissuasori.
Ma c’era un fatto: nel tempo, gli Scorpio avevano sia
trovato il modo di proteggersi dagli effetti dell’uranium, sia il modo di utilizzare lo
stesso come fonte di energia
primaria, sia il modo di bonificare e decontaminare determinate aree,
costruendovi sopra delle grandi città.
Ci erano riusciti così bene che al momento erano
autosufficienti in tutto e per tutto, cibo incluso -che proveniva
interamente
da allevamenti e coltivazioni sotterranee- ed erano stati i primi a
creare
delle terrificanti armi, chimiche e non, di devastante potenza, delle
quali in
certi casi le “ricette” erano ancora un loro
segreto.
Per fortuna quella degli Scorpio era sempre stata una
famiglia di persone tranquille, per non dire ignave, che tendevano a
farsi i
fatti propri e non entrare troppo al dentro delle dinamiche del regno;
tuttavia
facevano sempre parte delle Grandi Case, e le loro risorse avevano
portato lui e
le altre famiglie a cercare -e ottenere- un’alleanza col compianto Lord Brandon Scorpio.
Compianto, sì, perché era morto tragicamente
cadendo da
cavallo due mesi prima, lasciando tutto nelle mani della sua misteriosa
moglie
plebea.
Congetture su un possibile uxoricidio a parte, il non aver
mai visto Lady Vliegen di persona era una bella stranezza: di solito
quando un
nobile delle Costellazioni si sposava faceva le cose in grande,
presentando la
sua sposa a tutti i propri pari -non importava se lei fosse o meno di
nobili
origini- e partecipando ad almeno quattro o cinque eventi mondani
immediatamente successivi con lei al proprio fianco.
Lord Scorpio invece si era sposato sei mesi prima quasi in
sordina -per volere della moglie, si diceva- senza altri attorno se non
la sua
famiglia, e non aveva mai portato la sua signora ad alcun evento
mondano,
perché “le ho chiesto di venire in dieci lingue,
ma mia moglie detesta queste
cose! È fatta un po’ a modo suo”. Molto
ironico, pensando che diverse donne del
popolo sognavano di sposare un Lord proprio per partecipare a simili
eventi.
“ma non m’interessa se evita di farsi vedere alle
feste, a
patto che si dimostri lungimirante
quanto suo marito, e nonostante la curiosità e le richieste
di Tsarina Lunanoff mantenga viva
l’alleanza che io e le altre Case avevamo stipulato con
lui” pensò Taurus,
sollevato che il ponte fosse finalmente finito.
Ora doveva soltanto superare le guardie che sorvegliavano
l’ingresso principale del grande palazzo in pietra nera.
«alt» gli
intimò
una delle suddette, con voce gutturale «diteci chi siete e
cosa volete».
Quelle bestie erano
dieci demoni alti come minimo due metri e mezzo, muniti di ali, di
corna
ricurve e di zoccoli, coperti da un’armatura leggera e armati
ognuno con due
grossi pugnali ricurvi avvolti da una verde luminescenza inquietante,
la stessa
dei loro occhi; nonostante tutto ciò, Kitah non si fece
impressionare. Era il
duca della Casa Taurus, serviva ben altro. «sono Lord Kitah
della Casa Taurus»
“che pezzi d’idioti, come se non avessero visto i
vessilli!” aggiunse
mentalmente «sono qui per incontrare Lady Scorp-».
«impossibile» lo
interruppe il demone «Lady Scorpio non è
disponibile. Non posso lasciarvi
proseguire».
“non è disponibile”. Inaudito. Quella
creatura forse era
anche peggio che idiota, se rifiutava di accontentarlo.
«forse non ci siamo
intesi bene: io voglio incontrare
la
tua signora adesso. È
una questione
importante» aggiunse «non sarei venuto fin qui se
così non fosse, mi sembra
piuttosto logico».
«Lady Scorpio è disponibile dalle 15.00 alle
16.15, dalle
17.30 alle 18.45, e dalle 20.30 alle 22.10» disse
un’altra guardia «questi sono
gli orari. Non sindacabili».
«sono certo che per me, che ero un amico di Lord Brandon
Scorpio -gli Dei l’abbiano in gloria- milady possa fare
un’eccezione»
insistette, innervosito anche se non lo dava a vedere «fate
un tentativo».
Dopo alcuni momenti d’attesa lunghi in maniera snervante,
uno dei demoni volò in alto, diretto chissà dove.
«è andato a sentire l’attendente della
signora» spiegò una
guardia al duca «passerete se egli deciderà che
è il caso che passiate».
“ma questi sanno chi sono io?
‘L’attendente’! Ma per
favore!” pensò Kitah “quando
c’era Brandon Scorpio non mi avrebbero mai
lasciato attendere fuori dalla porta. Se l’attendente
è sempre Mindshread però
non ci saranno altri problemi: è un demone, ma quantomeno sa come comportarsi in presenza di
nobili”.
La guardia che prima era volata via tornò, e
atterrò poco
lontano, sollevando una grossa quantità di pulviscolo
nerastro. «ha detto che
potete passare, tempo di tirare giù dal letto milady e
verrete ricevuto».
“Tirare giù dal letto”? Alle
dieci e mezza del mattino? E quand’era che Lady
Vliegen gestiva i suoi
affari?! Un’altra stranezza, ma Kitah si disse che anche
quelli alla fine erano
fatti suoi, ed entrò nel palazzo, con i ghoul che si
apprestavano a seguirlo.
«loro no» li
fermarono le guardie «non entrano».
«come sarebbe? Sono la mia scorta!»
protestò Taurus.
«all’interno del palazzo non avete bisogno di altra
scorta,
oltre a me» disse una voce profonda in avvicinamento
«non ci ritenete in grado
di garantire la vostra sicurezza, Lord Taurus?»
L’attendente non era cambiato affatto dall’ultima
volta che
lo aveva visto: era sempre lo stesso demone dal viso vagamente
umanoide,
segnato dal tempo e dalle lotte passate, e rimaneva sempre una spanna
più alto
di quelle giovani guardie. Aveva mantenuto anche la sua aria fiera, e
l’armatura ricca di dettagli che indossava tutto sommato non
stonava su di lui.
«non è questo il punto, è che non posso
certo lasciare che i
miei uomini attendano qui fuori» ribatté Kitah.
«se le nostre
guardie attendono fuori possono farlo anche loro, milord. Ci sono
ordini ai
quali non posso transigere, immagino che possiate capire, quindi vi
prego di
seguirmi… se proprio ci tenete a incontrare la belv-ehm, Lady Vliegen».
Non era per nulla soddisfatto di come stavano procedendo le
cose, ma alla fine il duca acconsentì a seguire Mindshread
senza discutere
oltre: non intendeva rimanere in quel posto un minuto di più
del necessario.
Arrivato in quella che era la sala del trono, tuttavia, quel
che vide lo lasciò a dir poco perplesso.
E non per i venti demoni -dieci per lato- che erano a
guardia di quel luogo.
«…ma per tutte le divinità degli
Abissi, vi avevo detto di
rendervi presentabile!!!»
ruggì
Mindshread, muovendo grandi passi in avanti «vi pare questo
il modo di
presentarvi a un ospite importante?!»
«o senti, non è colpa mia se l’
“ospite importante” si è
presentato a un’ora assurda della mattina, e io dopo intendo
tornarmene a
letto, quindi non rompere! La signora di questa casa sono io, quindi tu
muuuuto».
La prima cosa di Lady Vliegen Scorpio che saltava all’occhio
erano senz’altro i capelli: molti,
molto lunghi, molto ricci e con sfumature che andavano dal rosso
all’oro, e al
castano. Peccato che fossero tutti disordinati, e che in tutta la sua
piccola
persona, perché certo non si poteva definire una stangona,
fossero la sola cosa
degna di nota.
Oltre alla taglia
molto “comoda” del pigiama e la
vestaglia neri che indossava, ovviamente.
Il p-i-g-i-a-m-a.
E all’espressione da “se avessi un pugnale te lo
ficcherei
dritto tra gli occhi per avermi svegliata”.
“d’accordo, non è assolutamente
così che me l’ero figurata”
pensò Kitah, ancora allibito “ma
tant’è, cerchiamo di fare buon viso a cattivo
gioco”. «Lady Scorpio, sono-»
«uno a cui piace disturbare a orari improbabili le persone
che dormono, va bene, ma facciamola breve: cosa ci fate qua?»
Interrotto. Da una
tizia sbucata fuori dal nulla che aveva avuto la fortuna di sposare un
marchese
e restare vedova. Gli venne il dubbio che milady potesse non sapere a
chi si
stava rivolgendo, ma avrebbe fatto in modo di chiarirlo nel corso della
conversazione. «sono qui perché ero curioso di
conoscervi. In questi sei mesi
siete stata quantomeno misteriosa, con gli amici di vostro
marito».
«magari perché negli ultimi tempi, nello specifico
appena
prima che mio marito cadesse accidentalmente
da cavallo -così dicono- non eravate così tanto
amici» ribatté Vliegen,
lasciandosi cadere sul trono e sedendovisi a gambe incrociate
«se non sbaglio».
«temo che invece vi sbagliate, vi assicuro che avevamo
ottimi rapporti» disse Kitah, più perplesso di
prima: non gli risultava affatto
che Brandon lo avesse in antipatia, o che meditasse di tirarsi fuori
dal
complotto contro i Lunanoff. Del resto però quella ragazza
non gli sembrava
troppo a posto, e probabilmente tendeva a parlare a vanvera.
«ma davvero!...a beh! Se lo dite voi sono tenuta a credervi
per forza» disse, con una leggerissima punta di ironia. «bene, ora mi avete
conosciuta, quindi andate verso la porta.
Quella».
Lo stava congedando?! Inammissibile. Doveva necessariamente
tagliare corto e arrivare al punto della questione. «a dire
la verità sono qui
anche per un altro motivo. Ho saputo che la regina vi ha incaricato di
indagare
sulla colpevole della disgrazia accaduta a Kozmotis Pitchiner, e mi
domandavo
come procedessero le cose» disse «vedete,
è una questione che a me e altri
nostri pari sta molto a cuore».
A quelle parole Lady Scorpio se ne uscì con una risata
palesemente finta, e alzò gli occhi al soffitto. «ma non mi dite!
Vi sta
molto a cuore!...perché non vi limitate a dire che
temete che possa saltare
fuori chissà quale intrallazzo che
a
voi e altri nostri pari “sta a molto a cuore”?
Sareste un pelino più credibile»
commentò la ragazza «soprattutto visto che le
indagini sono a buon punto, e
caso strano non ho ancora trovato nemmeno mezza Silk indigena di quel
pianeta
là. Lord Taurus, io sono assonnata e alquanto seccata,
non deficiente».
No, si disse Kitah, era anche deficiente se credeva di
potergli parlare così. Voleva che fosse più
chiaro? Benissimo.
«potreste risparmiarvi la fatica di fare ulteriori
indagini, e trovare qui a palazzo dei documenti che provino
l’esistenza del
caporale Silk. Sono certo che se vostro marito fosse stato ancora in
vita li
avrebbe già in qualche cassetto» disse «vi
assicuro che vi saremmo tutti molto grati se riusciste a sveltire certe
pratiche, milady, mentre in caso contrario potreste incorrere nel disappunto di alcune persone»
aggiunse,
in tono condiscendente «ovviamente parlo per il vostro bene,
siete una ragazza
molto giovane, è bene chiarire determinati-»
«quel che mi è chiaro è che mi avete
fatta svegliare a
un’ora indecente per minacciarmi velatamente in casa
mia» lo interruppe di
nuovo Vliegen, alzandosi in piedi «però le
minacce velate le so fare anche
io!» disse con uno strano
sorriso,
avvolgendo parte di un drappo a lei vicino attorno alla testa, a
mo’ di velo «tipo
questa, state a sentire: TAGLIATEGLI LA
TESTA!!!» gridò,
indicandolo.
«cosa?!»
esclamò
Kitah, allibito.
Fu l’ultima cosa che riuscì a fare prima che,
almeno dal suo
punto di vista, scoppiasse il caos.
Diciannove su venti dei demoni presenti, Mindshread escluso,
gli andarono addosso tutti insieme, togliendogli in pochi istanti ogni
possibilità di fare resistenza; lo fecero inginocchiare, gli
bloccarono le
braccia e, incuranti delle sue grida di protesta, lo trascinarono verso
un
grosso ceppo di legno messo lì dal demone rimasto.
«mi è venuta bene, eh? Io sarei perfetta per la
parte della
regina mezza matta in una qualche commedia, l’ho sempre
pensato» dichiarò Vliegen,
perfettamente tranquilla «inizialmente mi era venuto il
dubbio se dirla in modo
molto signoVile o strillarlo come
un’isterica, ma direi che sia meglio la seconda».
Lord Taurus era incredulo per quella situazione
assolutamente surreale -non era così che agivano i nobili,
tantomeno di quei
tempi e tantomeno con i duchi della sua Casa- e spaventato a morte, ma
si
rifiutava ancora di credere che quella pazza facesse sul serio,
soprattutto
sentendo quel che aveva appena detto. «non è
affatto uno scherzo divertente, ci saranno
delle conseguenze!» gridò
l’uomo, divincolandosi inutilmente.
«sicuro, prima tra tutte una testa che rotolerà
per
questo…La tua!»
esclamò la ragazza,
per poi fare una risatina «no, davvero, starei benissimo in
una parte simile. Mindshread,
sai giocare a croquet?»
«piantatela milady, le cose sono già tragiche
così!» sbottò
il demone.
Stava per morire, stava per succedere davvero, e in un modo
che Kitah non avrebbe mai immaginato.
Cosa avrebbero pensato i suoi genitori? Come l’avrebbe presa
sua sorella Isabeli, che era sempre stata così terribilmente
fragile? Come
l’avrebbero presa Shaun e Shauna, i suoi figli?!
E Nahema, lei avrebbe pianto al suo funerale? lo avrebbe vendicato?
Sperava di sì, dopo una cosa
del genere il minimo che potesse fare era sterminare tutti gli abitanti
di quel
dannatissimo castello.
Sentì la lama della spada del demone sulla nuca e
poi…
«ahahahahiiiih!... che
faccia che hai fatto!!!»
La risata di Lady Scorpio, che rimbombò in tutta la stanza.
Venne tirato su in piedi a viva forza dai demoni, mentre
Vliegen, ancora scossa dalle risa, si asciugava una lacrima.
«questo mi ripaga
quasi dell’alzataccia. Quasi!
Sentite, Lord Taurus, ve lo dico una volta sola e vedete di capirlo
bene: non
fatevi vedere mai più in questo palazzo, o la prossima volta
finirò il lavoro,
ma invece di tagliarvi la testa vi ucciderò immergendovi
allegramente nel lago
qui fuori, un po’per volta. A mai più!»
concluse, salutandolo con un cenno
infantile della mano «e buttatelo fuori come
sapete!»
Il duca venne sollevato e trascinato via prima di poter
rispondere, ma non disse alcunché durante il tragitto:
meditava già la sua
rappresaglia.
«ve l’avevamo detto che la signora non andava
disturbata.
Non diamo mica aria alla bocca noi, eh!» disse la guardia
dell’ingresso appena
lo rivide.
«la vostra signora imparerà presto
com’è che ci si deve
comportare» ribatté Taurus, per poi fare
un’esclamazione soffocata quando una
di quelle bestie lo spinse fuori con una zoccolata sul sedere.
I demoni risero, incuranti tanto del suo sguardo duro quanto
dell’aria assassina dei ghoul del ghiaccio, giunti subito in
soccorso del loro
signore. «speriamo di no, prendere a zoccolate nobili chiappe
come le vostre è
un piacere!»
“non per molto” pensò Kitah “non per molto”.
[…]
Ripensando alla scena dei demoni che portavano via di peso
il duca, Lady Scorpio si stiracchiò sogghignando, e fece
scricchiolare tutti i
muscoli, soddisfatta che anche quella sera la cuoca avesse fatto un
buon lavoro
con la pizza. «che giornatina, eh?»
«voi sapete che quel che avete fatto vi
costerà» disse
Mindshread, con la sua voce profonda.
La ragazza si voltò verso di lui, tornando nuovamente seria.
«ci puoi scommettere che lo so. Ma non ho potuto farne a
meno: lui è quello che
ha fatto uccidere mio marito…vedi un
po’tu».
«non è detto che-»
«Brandon meditava di uscire dal complotto contro la famiglia
reale e oh, ma
tu guarda,
è morto!» esclamò Vliegen «e
ora, dopo che la regina mi ha chiesto di fare delle indagini, caso strano arriva Lord Taurus -che non
s’era mai fatto vedere prima- a minacciarmi in
casa mia di disappunti e conseguenze! Ma dai! Anche un
cretino capirebbe
che è tutto collegato».
Mindshread aveva dei sospetti analoghi, ma evitò di dirlo a
Lady Scorpio, che sembrava essere già abbastanza su di giri.
«non c’è molto che
possiamo fare a riguardo, se anche fosse, e siamo già
abbastanza nei guai per
quella vostra sceneggiata della decapitazione!»
«“non c’è molto che possiamo
fare”? Stai scherzando?! Abbiamo
pianeti pieni di uranium, posso far
saltare in aria Atlantia e tutte le capitali del regno, se mi
gira!» dichiarò
Vliegen.
«fermate le rotative, milady: l’uranium
è la nostra principale fonte di energia, quindi non
potremmo affatto distruggere tutte le capitali del regno! E una guerra
contro
tutte le altre Case, che si scatenerebbe anche se ci limitassimo alla
sola
Atlantia, finirebbe per ucciderci» le fece notare il demone,
vagamente
allarmato: c’era la possibilità che milady desse
veramente l’ordine di far
saltare tutto in aria, e quindi era meglio stroncare la cosa sul
nascere.
«chiudete qui la faccenda, avete fatto già fin
troppo».
«se anche io volessi chiuderla dubito che Taurus sia della
stessa idea, ormai. Però non hai torto» ammise la
ragazza «magari è eccessivo
far saltare in aria una città intera piena di persone che
non hanno colpa se il
loro duca è un grande fidiputt».
«parole sante» borbottò
l’attendente.
«motivo per cui voglio tutte le informazioni che riesci a
trovare
sui Taurus» disse Vliegen, con estrema
tranquillità.
«sul duca?» domandò Mindshread.
«su tutta la famiglia. Un’innocua raccolta di
informazioni,
Mindshread, non chiedo altro» si guardò attorno
«quando ho sposato Brandon non
pensavo che mi sarei trovata a dover mandare avanti la baracca e avere
a che
fare con le persone, non mi interessa niente di tutto ciò,
potrei mollare tutto
anche domani! Io volevo solo vivere con mio marito tranquilla e senza
rotture, e invece…»
«e difatti ci vivete: dormite, mangiate, leggete, disegnate,
e qui faccio tutto io!» le fece notare il demone, pur sapendo
che in effetti
tanto tranquilla non era. Non aveva beghe amministrative di cui
occuparsi, ma
da quando Lord Brandon era morto le pressioni che stava ricevendo
quella
ragazza erano diverse, e quella di Lord Taurus era solo
l’ultima della serie.
«mi hai rotto le scatole, me ne vado in camera mia»
fu la
sola risposta di milady, che abbandonò la sala a passo
“veloce” -per quanto lei
potesse esserlo. «e guai a te se vieni a bussare!»
Mindhsread alzò gli occhi al soffitto con uno sbuffo. Dopo
sei mesi non era ancora sicuro se la detestava, e dunque le obbedisse o
lasciasse fare solo perché era la signora, o se le volesse
almeno un po’di bene
nonostante fosse fatta molto, molto
a
modo suo, e dunque le desse retta anche per quello.
Uno strillo seguito da un tonfo interruppe il flusso di
pensieri dell’attendente, che si voltò di scatto
verso il corridoio in cui era
sparita milady. «Lady Vliegen!»
gridò, correndo velocemente nell’androne e
pestando tanto forte con gli zoccoli
da far tremare il pavimento. «signora!...»
Lady Scorpio era distesa a terra, ai piedi di una scalinata
di soli quattro gradini che portava in una stanza attigua, e sul viso
già
pallidissimo in condizioni normali aveva un’espressione tanto
dolorante quanto
spaventata. Mindshread fece un salto, arrivandole immediatamente
vicino.
«signora, come-»
«non riesco…le
caviglie…» farfugliò la
ragazza, visibilmente sconvolta.
«le caviglie, d’accordo, fa male anche
dell’altro? Avete
battuto la testa? ...no? Meglio così» con molta
cautela riuscì a tirarla su,
senza neanche sforzarsi troppo «ma come è
successo?!»
«mi hanno spinta! Mi
hanno spinta giù!» esclamò
Lady Scorpio «forse erano in più, o almeno
credo, io sono riuscita a vederne uno ma non so, non
so, porca miseria quanto fa
male!…» sibilò.
«avete visto chi vi ha spinta?! Com’era
fatto?» indagò
Mindshread «ditemelo, intanto che vi porto dal
medico».
«grande come un uomo normale. Pelle bianca o azzurro chiaro,
non ricordo, ma non era liscia come quella di un uomo, e occhi azzurri,
molto
azzurri, sono la cosa che ho visto meglio, e poi…e poi aveva
un tocco
freddissimo, l’ho sentito sulla schiena».
«ghoul del ghiaccio, dal nord est del regno» disse
subito il
demone, senza riflettere.
«il nord est del regno è dei Taurus!»
sibilò Vliegen.
Giusto, e ricordando la loro precedente conversazione
Mindshread si maledisse per non essere stato zitto. «non
è detto-»
«un corno, Mindshread!»
lo interruppe la ragazza «quello ha mandato i suoi ghoul ad
ammazzarmi!»
«sapevate che ci sarebbero state delle rappresaglie, ma non
credo che volesse farvi uccidere: in quel caso i ghoul vi avrebbero
sgozzata,
invece di spingervi giù da una piccola scalinata. Questo
è stato un
avvertimento».
«Kitah Taurus può
prendere il suo stracazzo di avvertimento e infilarselo nel suo
stracazzo di
culo fino a farlo uscire dalla sua stracazzo di bocca!!!»
gridò Vliegen in
tutta la sua “finezza”, ma era giustificata, al
punto che Mindshread evitò di
rimproverarla per il linguaggio. «ridurrò
Atlantia in un’informe poltiglia di ghiaccio, pietra e
cadaveri!!!»
«non è una buona idea, stesse ragioni di prima:
capisco la
rabbia e il dolore, e vi giuro che avrete le informazioni che mi avete
chiesto
già quando vi sveglierete domattina, ma vi consiglio di
lasciar perdere. O al
limite di pensare a qualcosa che non comprenda l’uso di uranium».
Lady Scorpio non disse altro, ma lo sguardo nei suoi occhi
dall’iride verdastro non prometteva nulla di buono, e ancor
meno l’accenno di
sorriso che riuscì a scorgere sul suo volto livido, oltre
alla smorfia di
evidente dolore.
Mindshread iniziava a temere che presto sarebbe stato
l’attendente di qualcun altro: conoscendo milady, sapeva che
non le pesava
perdere terreni di cui non le importava nulla -poteva sempre tornare a
casa
propria, ovunque essa fosse- pur di avere la vendetta che credeva di
meritare.
“e di certo, uranium o
meno, se la lascerò fare sarà qualcosa di
devastante” pensò.
***
«quindi sarà domani, ho capito bene,
sì?»
«perfettamente, milady, ma siete proprio sicura di quello
che volete fare?»
«sì Mindshread,
ne
sono perfettamente sicura, e non chiedermelo un’altra volta
perché non sono
proprio dell’umore».
Il demone dalle grandi corna ricurve non fece altri
commenti se non “sissignora”. Il malumore di Lady
Vliegen gli era apparso
evidente già prima che lei lo facesse notare, e guardandola
muovere
nervosamente la caviglia destra bloccata da un tutore non era difficile
intuirne il motivo: la sinistra aveva preso solo un brutto colpo, ma la
destra
si era proprio spezzata la sera dell’
“incidente”, avvenuto ormai una settimana
prima.
«perché stai ancora qui fermo come una statua? Che
altro
succede?»
Il demone alato indicò fuori con un cenno del capo.
«una
visita della regina, milady».
«e chi se ne frega».
«milady…» avviò a dire
Mindshread con una certa nota di
rimprovero, venendo bruscamente interrotto.
«ho detto di no!
È
quasi ora di cena, e io quando è ora di cena non voglio
rotture» sbottò Vliegen
«non poteva venire prima? O dopo? O non
venire proprio, visto quel che sta per succedere?! E ma porca
miseria,
proprio di martedì!»
Il demone alzò gli occhi al cielo: da quando Lord Scorpio
aveva sposato quella ragazza, il menù del martedì
e del venerdì sera era stata
pizza, fisso. Cambiarlo era fuori
discussione, ed era ancor più fuori discussione che milady
potesse essere
disturbata durante o poco prima dei pasti. «so che
è seccante, ma non potete
rifiutare di ricevere la regina».
«sì che posso, è casa mia, quindi entra
solo chi pare a me».
«e invece no che non potete!» ribatté
Mindshread, battendo
nervosamente un piede -o meglio uno zoccolo- a terra «dopo
quel che è successo
una settimana fa io eviterei di cercare altri guai, che vogliate
portare a
compimento il vostro folle progetto o meno! … sono qui da
tre secoli e giuro,
non ho mai visto una persona più zuccona e scostante di
voi».
«ok, allora dopo aver sistemato quella piccola faccenda
personale sfrutterò il fatto di essere la signora di questi
luoghi per farti
staccare la testa dal collo e tanti saluti» disse la ragazza,
con fare teatrale
«almeno ci sarà uno in meno a scassarmi
l’anima. Da quando quelli hanno avuto
la bella idea di far cadere mio marito da cavallo e rompergli il collo
sono fin
troppi a ronzarmi attorno».
Il demone la guardò severamente con gli occhi verdi
brillanti privi di pupilla. «rischiate più voi di
me, direi, se fatto il lavoro
non abbandonerete in tempo il palazzo».
Capendo quel che intendeva, Vliegen non replicò. Dopo uno
sbuffo indicò la porta. «falla entrare,
cercherò di togliermela dalle scatole
presto».
Alleluja, se non altro non avrebbe dovuto inventarsi scuse
per congedare la visitatrice. «non volete darvi una
sistemata? E riceverla
altrove?» le chiese, alludendo ai capelli della ragazza,
raccolti in un grosso
e folto ciuffo scomposto, alla completa mancanza di trucco, ai vestiti
neri
veramente troppo larghi e troppo informi e al fatto che quella fosse la
camera da letto.
«ti avverto, sto per cambiare di nuovo idea».
Sentito ciò, Mindshread uscì dalla stanza senza
ulteriore
indugio, pensando di aver ottenuto già tanto e che fosse
meglio non tirare troppo
la corda: meglio prendere quel che veniva e non insistere troppo.
«Lady Vliegen
vi riceverà nella sua stanza da letto» disse,
atono, alla regina una volta che
l’ebbe raggiunta «sapete che ultimamente ha
difficoltà a muoversi per colpa
della caviglia» aggiunse, a mo’ di spiegazione.
Seppur messa a disagio da quella bizzarria, Tsarina
acconsentì a seguire quel demone tanto educato.
Non era felice di essere lì. Non le piacevano i territori
Scorpio, la capitale le faceva quasi paura già solo per la
perenne cappa di
nuvole scure che avvolgeva tutto il pianeta condannandolo a una
penombra
eterna, e gli autoctoni, come quel demone, gliene facevano ancora di
più.
Comprensibile, essendosi abituata alla luce di Paradhiso -la
città dove sorgeva
il palazzo reale- e ai suoi abitanti indigeni tranquilli e tanto carini.
Si domandava come accidenti si potesse vivere tranquilli in
un posto del genere, soprattutto se, come Lady Vliegen, non si era
originari di
quei luoghi.
In ogni caso, una volta arrivati a destinazione ed entrati
nella stanza, quel che vide la sorprese un po’: non aveva mai
incontrato Lady
Scorpio prima di allora, ma non se l’era immaginata come la
sciattissima
ragazza -intenta a leggere un libro- che le stava davanti, di
un’età apparente
tra i quindici e i ventiquattro
anni e che oltretutto non
la stava calcolando minimamente.
«ah-ehm» tossicchiò il demone, con una
nota di
disapprovazione che la regina sentì perfettamente.
Vliegen alzò gli occhi. «ah, siete già
qui?» disse, con “grande”
entusiasmo.
«ssssssì,
milady.
Io e la regina, la quale per inciso
aspetta ancora un saluto decente, siamo
qui».
«farei volentieri un inchino se sapessi come si fa, e
soprattutto se potessi alzarmi in piedi facilmente, ma considerato
tutto questo
mi sa che passo» commentò «se non vi
spiace eh, vostra grazia».
«aaah…no, no, state comoda» concesse la
regina, vagamente
imbarazzata da quella situazione fin troppo simile a una sottospecie di
commedia fatta male. «non è necessario, a questo
punto…»
«ecco, grazie. Sentite, passiamo subito al dunque senza fare
tante chiacchiere: cosa vi porta qui? Alle sette e dieci di sera? Di martedì?»
Non visto dalla regina, Mindshread si coprì il volto con le
mani: in tutta la sua vita non aveva mai visto un caso più
disperato di quello,
a cui neppure la lezione ricevuta era servita a qualcosa.
Non era la prima plebea a diventare una Lady Scorpio, in un
certo senso sembrava quasi che a quella famiglia piacesse mescolarsi
con “forte
sangue del popolo”, parole loro; ma Vliegen, munita di un
livello di diplomazia
pari a zero -anche quando provava
seriamente a esserlo- non sapeva proprio stare in mezzo alla gente, e
peggio
ancora in mezzo ai nobili.
Il compianto Lord Scorpio comunque l’aveva presa proprio per quello, “quando
sono a casa
mia voglio avere vicino una persona che dica pane al pane e vino al
vino”,
diceva, e al fratello ancora celibe
di suddetto Lord non importava molto del carattere della cognata,
purché ella
acconsentisse a sposarlo il più presto possibile.
Cosa che milady, per inciso, non era intenzionata a fare, ed
era un ulteriore motivo per portare a compimento l’idea che
la caviglia
spezzata e le informazioni che lui le aveva fornito le avevano fatto
balenare
nel cervello.
«è per il risultato di quelle indagini che vi ho
chiesto
gentilmente di fare, dal momento che la colpevole del massacro della
famiglia
dell’High General sembra provenire da un pianeta del vostro
territorio. Avrei
potuto farmi inviare tutto, ma ho preferito passare e sentirvi dire di
persona
se avete scoperto qualcosa».
Lo aveva detto e lo aveva fatto: indipendentemente dal
parere del marito, Tsarina aveva avviato una sua personale indagine,
nei limiti
delle proprie possibilità. Non era persuasa da quel che era
venuto fuori al
processo, né dall’atteggiamento dei nobili delle
Costellazioni che erano
presenti in quel momento, e dunque si era detta che forse era il caso
di tentare -almeno quello!- di
scavare un
po’più a fondo, e il primo passo l’aveva
fatto proprio con Lady Vliegen,
chiedendole di raccogliere informazioni per una ragione che anche Tsar
aveva
trovato tutto sommato sensata.
«sì, però potevate pure avvertire
prima, o almeno arrivare
un altro-»
«ah-ehm, fatela-finita,
eh-ehm» tossì il demone.
Non ci credeva granché, ma sperava ancora che la sua signora
imboccasse la via più facile, anche se questa comprendeva un
matrimonio, e
desse retta all’ “avvertimento”, viste le
conseguenze che c’erano già
state e
l’incapacità che lui stesso
aveva dimostrato nel proteggerla.
Non si era più staccato da Vliegen da dopo l’incidente,
se così lo si voleva
chiamare, ma ciò non significava che lei fosse al sicuro in
quel palazzo,
perché con i Taurus non c’era da scherzare.
«vabbè, comunque siaaaa…sì,
i risultati delle indagini»
riprese la ragazza «ve la dico stringata-stringata: in questi
sette anni c’è
stata una certa Silk che ogni tanto ha soggiornato in un albergo su
quel
pianeta di donne guerriere, mai lo stesso tra l’altro -e
sì che ce ne sono
pochi- ma non è nata là, nossignora. Se poi fosse
o meno Lady Nahema non ve lo
so dire…può darsi di no, ma può darsi
anche di sì».
Alla fine lo aveva fatto veramente, aveva detto la verità a
Tsarina mandando al diavolo l’
“avvertimento” ricevuto, il che significava che
intendeva andare fino in fondo, per quanto folle potesse essere.
«quindi tutto quel che potete dirmi è che il
caporale Silk
non era originaria di queste parti. Non c’è
altro?»
Vliegen scosse la testa. Non aveva prove concrete sulla vera
identità di Silk da mostrare ad altri. Volendo avrebbe
potuto fare alla regina
un lungo racconto di quel che era successo una settimana prima, ma non
sarebbe
servito a molto: sarebbe stata la parola di un duca contro la sua, la
plebea
sposata da un nobile, e aveva una vendetta
da compiere, per sé e per la memoria di suo marito, quindi
non voleva intralci.
«nah. Mindshread vi
darà la
documentazione relativa alle indagini…»
«se mi diceste dove l’avete messa,
magari» borbottò
l’attendente.
«primo cassetto della scrivania. Quella» la
indicò «dicevo,
Mindshread vi darà i documenti mentre voi vi dirigete verso
la porta. Quella. Non è
difficile da trovare,
siete entrata da lì».
«mi state per caso congedando,
Lady Scorpio?» disse, con una certa durezza. Un po’
di stravaganza e brutto
carattere si potevano sopportare, ma quand’era troppo era
troppo, e lei era
sempre la regina.
«non “per caso”, sto proprio dicendo che
è ora che ve ne
andiate, perché la pizza-»
«perdonatela, Vostra
Grazia, è che gli antidolorifici che prende per la caviglia
le fanno pessimi
scherzi al cervello!» intervenne Mindshread, con i fogli in
mano «permettete
che vi accompagni all’uscita».
«sì. Grazie» disse Tsarina, neutra
«vi faccio i miei auguri
di pronta guarigione, Lady Vliegen. Cercherò di non venire
più a farvi visita
all’ora di cena» aggiunse, con una punta di
sarcasmo.
«no problem, visto che non ci rivedremo»
ribatté Vliegen.
«cosa volete di-» avviò a dire la
regina, ma venne
interrotta.
«e se
fossi al posto vostro»
continuò la ragazza «e io fossi sposata con vostro
marito, prima di riferirgli
tutto cercherei di avere in mano qualcosina di più di quanto
voi avete ora. Se
fosse stato un po’ meno pendente dalle labbra della sua ex
fidanzata vi avrei
consigliata diversamente, ma visto come si è svolto il
processo-»
«Lady Scorpio, ricordate che state parlando a
me del vostro re!»
sottolineò la regina, punta sul vivo «e non so
come voi
possiate sapere del processo, dal momento che non eravate
presente».
«io invece non so come voi possiate non
capire che praticamente tutti
i nobili lo sanno, ormai, perfino quelli che non escono mai
di casa come
me» commentò Vliegen, con una risata del tutto
fuori luogo «e vi dirò di più,
vista la vostra situazione direi che sarebbe il caso di tirare fuori
uno
straccio di erede al trono, a costo di farsi aiutare dai maghi: con le
ex
fidanzate non si sa mai!»
«questo è veramente
troppo!» esclamò la regina -di nuovo
punta sul vivo- a ragione.
«antidolorifici!
È
colpa degli antidolorifici, non ragiona bene e non sa quello che dice,
quindi
sì, forse è meglio che vi accompagni
all’uscita, vostra grazia… di situazioni
imbarazzanti ce ne sono state già troppe» concluse
con un borbottio che Tsarina
riuscì a udire perfettamente.
Uscì accompagnata dal demone, senza dire un’altra
parola.
«di norma Lady Scorpio non è così,
davvero: è tutta colpa
delle pastiglie troppo forti. Non sapete quanto sia
mortificato» si scusò
Mindshread, cercando di recuperare l’irrecuperabile. A
Vliegen per ovvie ragioni
non importava di mantenere buoni rapporti con la famiglia reale, ma a
lui, che
a suo rischio e pericolo aveva deciso di restare lì
dov’era nato e cresciuto,
invece sì.
«non sei tu che devi scusarti, non sei responsabile di quel
che dice la tua signora» fu tutto quel che disse Tsarina, e
non aggiunse una
parola di più neppure quando uscirono dal castello.
Accompagnata fuori la regina, dopo averla guardata
allontanarsi, Mindshread volò direttamente sulla terrazza
davanti alla stanza
da letto di Vliegen. «perché diamine avete detto
alla regina certe cose?!»
sbottò, chinandosi per entrare in camera dal finestrone.
«perché sono vere» replicò la
ragazza «e perché tanto da
domani l’irritazione di sua maestà non
sarà più un problema, per me. I patti
che ho stretto con l’Uomo
sono
estremamente chiari e precisi, anche per cautelarmi da qualsiasi
eventuale
futuro problema da parte sua».
«non mi fiderei di uno che ha sterminato tutti i suoi simili
perché voleva essere l’unico della sua razza.
Parole vostre!» le ricordò il
demone.
«una volta che lui accetta un lavoro si può stare
sicuri che
lo poterà a termine a qualunque costo, e non
c’è da temere un voltafaccia: ha
tanti difetti, ma non si è mai rimangiato la parola in vita
sua. Ucciderà chi
deve uccidere senza esitazioni, mi verrà a prendere e io,
una volta arrivata illesa dove devo
arrivare, gli darò la
somma che abbiamo stabilito. Aaah, porca miseria, ci pensi che questa
è la mia
ultima notte da Lady Scorpio?»
«potete ancora tornare indietro. Anche se avete parlato con
la regina ce la possiamo cavare con…beh, insomma, in qualche
modo» borbottò
l’attendente.
«non hai sentito quello che ho detto? “Una volta
che l’Uomo
ha accettato un lavoro”…non potrei tornare
indietro nemmeno volendo, e non voglio: mi
ha tolto il marito e
rotto un osso, quindi io gli toglierò il
futuro» fece un gesto
teatrale «questo
è un addio, ma credo proprio che
lascerò ad alcuni un ricordo indelebile».
Come potete notare questa è soltanto la prima parte, quindi
potete stare tranquilli: la mazzata vera e propria non è
quel che avete visto
qui, è solo il preludio, ma arriverà :)
Poi, anche se non resterà per molto mi spiaceva
l’idea di
privarvi della presenza di quell’adorabile e socievole (?!!!) persona che è Lady
Scorpio senza mostrarla giusto un pochino anche
nel prossimo capitolo (anche se sarà incentrato su altre
persone) quindi la
ritroverete :’D
Ultima cosa: l’Uomo di cui si parla a fine capitolo, anche
se non viene detto direttamente, non è altri che Lobo, personaggio della DC Comics. Se
potete cercatene i fumetti,
ha picchi di violenza/demenzialità/epicità che ne
valgono la pena :’D
Alla prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 16 *** 16. Il veleno dello scorpione- parte II (per non dimenticare) ***
=Il
veleno dello scorpione - parte II=
(per
non dimenticare)
Duskfell era avvolta da una penombra perenne, come del resto
tutto il pianeta, eppure Lady Vliegen Scorpio, seduta su
un’ampia sedia
imbottita, riusciva a distinguere un vaghissimo chiarore rosato che
scivolava
progressivamente su tutta la coltre di nubi nere.
«and so he spoke, and so he spoke, that Lord
of Atlantia…» canticchiò
sommessamente.
In quella stagione cominciava ad albeggiare soltanto verso
le sette del mattino, ed era l’unica occasione, in tutti i
suoi ventidue anni
di vita, in cui non le era dispiaciuto troppo alzarsi presto. Questione
di
poche ore e sarebbe partita, la sua vita sarebbe ricominciata da capo
nuovamente e, soprattutto, la sua vendetta si sarebbe compiuta.
«milady, volete davvero bere quella roba amara e schiumosa,
e a quest’ora del mattino?»
«abbiamo di che festeggiare, ma non avremo altra occasione
per farlo se non questa, Mindshread».
«avrete di che festeggiare soltanto se tutto andrà
come
deve» ribatté l’attendente «in
caso contrario…»
«andrà tutto come deve, non ti preoccupare. In
caso
contrario, quantomeno avrò bevuto la mia ultima cervesia. Su, smetti di rompere, prendi
un bicchiere e unisciti a
me» lo esortò la ragazza «chi non beve
in compagnia è un ladro o una spia».
«a me quella roba non piace granché» il
demone prese un bicchiere
da sopra il tavolino lì accanto, e lo riempì per
un quarto «ma essendo l’ultimo
giorno che vi vedo, vi voglio accontentare. Per caso avete anche voglia
di un
brindisi?» le chiese, tra il serio e il faceto.
Vliegen appoggiò le braccia sul basso muretto che delimitava
la terrazza, continuando a osservare il cielo. «in effetti
sì. In alto i
boccali, Mindshread!» esclamò
all’improvviso, sollevando in aria il bicchiere
mezzo vuoto «brindiamo al futuro della nobile Casa
Taurus…visto che tra poche
ore non ne avrà più uno. Salute».
Detto ciò, Vliegen portò alle labbra il boccale e
finì di
vuotarlo pigri sorsi, mentre Mindshread a si sforzò di
ingollare quella roba in
un’unica volta.
«and so he spoke, and so he spoke, that Lord
of Atlantia…»
Era da quando si era alzata che Vliegen continuava a
canticchiare quelle parole, sempre le stesse, in una melodia che non
sembrava
voler trovare conclusione.
«and now the rains weep o’er his
hall… and
not a son to hear!»
Fino a quel momento.
***
«…ho pensato di aspettare che tornassi e
ragguagliarti su
tutto faccia a faccia, per certe cose credo sia il modo migliore di
agire,
avendone la possibilità».
Nahema annuì alle parole di Kitah, seduta su una poltrona
bianca come tutto il resto del mobilio. Del resto erano tre i colori
che
imperavano nel palazzo dei Taurus ad Atlantia: bianco e azzurro
ghiaccio,
spesso ghiaccio vero.
«hai fatto
bene, così potrò sfruttare in modo produttivo
questi tre giorni in cui l’Armata
Dorata è a riposo. Allora? Com’è questa
Lady Scorpio che in sei mesi di
matrimonio non si è mai fatta vedere assieme al compianto
Lord suo marito?»
Kitah ebbe una leggera esitazione nel risponderle. «Vliegen
Scorpio è matta come cavallo idrofobo»
sentenziò «e probabilmente pesa
altrettanto, visto che definirla “in carne”
è un grosso e grasso eufemismo».
«Brandon Scorpio ha sempre avuto gusti un
po’strani»
commentò Nahema «ma a me non importa nulla se
Vliegen è un fuscello o un
elefantino: definisci “matta come un cavallo
idrofobo”, per cortesia, e quanto
potrebbe essere problematica in una scala da uno a dieci».
«in una scala da uno a dieci ormai direi meno
venti» replicò Kitah «certe
persone
vanno rimesse al posto che le compete appena alzano un
po’troppo la testa, ed è
quello che ho fatto. Vliegen Scorpio si comporterà come si
sarebbe comportato
il suo defunto marito, ossia confermando a una regina un
po’troppo curiosa
l’esistenza di una Silk nata sul pianeta di donne guerriere
nelle sue terre. Ho
fatto in modo di farle capire molto chiaramente che in casi come questo
conviene essere collaborativi. L’incidente che le
è capitato ha portato una
caviglia rotta, ma la prossima volta potrebbe anche andare
peggio».
«hai addirittura mandato i tuoi ghoul del ghiaccio a darle
una spintarella?» Nahema sollevò leggermente le
sopracciglia «cos’è successo
quando l’hai incontrata, perché arrivassi a
tanto?»
Taurus dovette ammettere a se stesso di non avere molta
voglia di parlare a Nahema di quella sua disfatta, perché
tale era stato
l’esito di quell’incontro. Motivo per cui, prima
ancora di lasciare il pianeta
Scorpio I, aveva messo in moto i ghoul: un simile affronto non si
poteva
lasciar passare come se nulla fosse, ed era già tanto che
non avesse ordinato
loro di farla fuori direttamente. «mi ha trattato in un
modo…inaccettabile».
«“inaccettabile”»
ripeté Nahema.
«del tutto. Senti, non voglio parlare oltre
dell’incontro
con quella pazzoide, va bene? Quel che c’era da dire
è stato detto» tagliò
corto Kitah «pensiamo a cose più allegre,
adesso…come i miei figli in viaggio
verso l’Accademia degli Alchimisti!»
«immagino che non avere più dei tredicenni in giro
per il
castello sia un ottimo motivo per festeggiare»
scherzò Nahema.
«ah, questo non c’entra nulla! Fosse stato per me
avrebbero
potuto rimanere ad Atlantia quanto volevano» disse il duca
«sono semplicemente
contento che siano riusciti a entrare, visto che entrambi avevano
sempre avuto
quest’idea».
Nahema non dubitava che Kitah volesse bene ai suoi figli;
certo, aver tolto loro la madre era come minimo discutibile,
ma con quel che lei e la sua famiglia avevano
fatto negli anni
non poteva certo
mettersi a giudicare.
Sapeva che sotto sotto in Kitah c’era una tendenza “protettiva”, diciamo così, almeno verso le
persone a cui per un motivo o per l’altro teneva
seriamente: bastava pensare alle nottate che -le avevano detto- aveva
passato
al suo capezzale quando lei a diciotto anni aveva avuto
quell’incidente in
battaglia.
Oppure al suo atteggiamento verso la sorella minore: se
Isabeli non viveva assieme a lui era soltanto perché i loro
genitori non
avevano ascoltato le sue richieste di lasciarla rimanere ad Atlantia,
così che
fosse lui a prendersene cura, e in seguito quelle di lasciare che
tornasse a
stare lì. Forse speravano ancora di riuscire ad accasare
quella ventisettenne
così fragile fisicamente da non poter sostenere una
gravidanza -dicevano- e
così “delicata” da avere delle crisi di
nervi con annessi pianti e fughe per
delle sciocchezze. Un’impresa disperata, in breve.
«sì, ne sono felice anche io. So che
l’esame di ammissione
non è affatto semplice, quindi c’è di
che esserne orgogliosi. Mi spiace solo di
essere arrivata troppo tardi per riuscire a salutarli».
«non fa niente» minimizzò Kitah
«loro però salutano te, e
Shaun in particolare ha detto che quando tornerà ti
farà vedere tutto quello
che avrà imparato. Sa che sei figlia di un
alchimista».
«è un pensiero carino da parte sua».
«ho fatto in modo che i miei figli ti volessero bene, nel caso…»
Ah no! Sostenere una di quelle
conversazioni era tra le ultime cose di cui Nahema avesse
voglia al
momento, quello non era proprio il periodo giusto per parlare di
eventuali
futuri fidanzamenti e matrimoni. A dirla tutta non c’era mai
stato, un periodo
giusto. «almeno questa volta hai lasciato che andassero da
soli?» gli chiese,
interrompendolo.
«no. Il viaggio verso l’Accademia degli Alchimisti
è lungo,
e io da padre non voglio che corrano rischi»
affermò Kitah.
«quanti anni avevamo tu e io quando fuggivamo da palazzo per
infilarci nei boschi sacri del territorio degli Hydra, che è
esattamente al
lato opposto del regno? Otto?»
gli
ricordò Nahema.
«noi due eravamo degli incoscienti, ma certe cose non si
possono capire appieno finché non diventi genitore. Non
perché tu sia stupida,
ma è proprio un’esperienza che ti fa cambiare
punto di vista in alcune cose.
Prima o poi anche tu capirai».
Il trillo del comunicatore fisso ruppe l’attimo di silenzio
che era seguito a quell’ultima frase. Sapendo che quelle che
riceveva su quella
linea erano solo chiamate importanti, Taurus dovette interrompere la
conversazione con la sua adorata
ospite per rispondere. «Lord Taurus
all’apparecchio».
‒ sono il capo della
Gendarmeria di Atlantia. Lord Taurus, signore, è
successo…ho ricevuto una
comunicazione da… per gli Dei, io non so come dirvelo,
è così orribile…
«ci sono problemi in città?» gli
domandò Kitah, perplesso e
vagamente inquieto.
‒ no Lord Taurus,
magari fosse così ‒ prese rumorosamente fiato ‒ ho ricevuto una comunicazione dalle pattuglie della
rotta spaziale da qui
all’Accademia degli Alchimisti. Le navi che trasportavano i
vostri soldati sono
state distrutte, tutti gli uomini sono stati uccisi e…
«i miei figli.
Cosa ne è stato di loro? Dove
sono?!»
Con la coda dell’occhio vide Nahema alzarsi e avvicinarsi a
lui, ma al momento non gli interessava: non ricordava di aver mai
provato
un’angoscia simile in tutta la sua vita, non avrebbe mai
pensato che fosse
umanamente possibile poterne provare tanta,
o comunque che lui potesse
provarne.
Lui, che aveva ucciso la sua stessa moglie, lui, che era
invischiato in una ragnatela infinita di complotti e alleanze, lui, che
non si
era fatto problemi a sostenere chi aveva da poco distrutto una
famiglia, e si
era persino un po’ divertito vedendo
Kozmotis Pitchiner dare di matto a quella farsa definita
“processo”.
Poco importava che il motto della sua famiglia fosse “Vincit qui se vincit”, alla
faccia di
quelle parole sembrava che tutto quel che c’era di importante
nella sua
esistenza si fosse improvvisamente concentrato in quel comunicatore, e
nella
frase “loro stanno bene”.
‒ li hanno uccisi,
milord. Mi dispiace veramente
moltissimo. I loro corpi sono stati appena riportati qui in
città,
all’obitorio.
Per prima giunse l’incredulità più
assoluta. Non era
possibile, probabilmente era ancora a letto e stava avendo un incubo, o
forse
si trattava di uno scherzo molto più che di pessimo gusto.
Lui era un Taurus, i suoi figli erano due Taurus, e i Taurus
erano intoccabili. Nessuna persona
sana di mente avrebbe mai osato fare una cosa del genere alla sua
famiglia.
Poi venne la consapevolezza, come un colpo di fucile nel
ventre: lui era sveglissimo, e il capo della Gendarmeria di Atlantia
non si
sarebbe mai azzardato a riferirgli certe cose, se non ne fosse stato
assolutamente certo.
Il che significava che Shaun e Shauna erano morti sul serio.
Non sarebbero mai diventati alchimisti, non sarebbero mai
tornati a casa per mostrargli quel che avevano appreso, non li avrebbe
più visti
pattinare sulle distese ghiacciate attorno al palazzo, né li
avrebbe più
sentiti ridere, e non avrebbe assistito ai loro futuri matrimoni.
Improvvisamente il futuro della sua Casa non c’era
più.
«chi e come.
Non tralasciate nulla» si sentì
dire, senza capacitarsi di essere riuscito a parlare.
‒ alcuni testimoni
hanno visto da una certa distanza un uomo, o qualcosa di simile,
allontanarsi
con una sottospecie di strana motocicletta
spaziale. Pare che cantasse a squarciagola “ho
ucciso la mia gente, non è stato un incidente”.
Non abbiamo
altro sull’assassino, ma una cosa che sappiamo con sicurezza
è che per
distruggere le navi dei vostri soldati sono state usate delle armi
all’uranium.
«“uranium” significa Scorpio!»
esclamò, incredulo. Per gli Dei, era tutto così
irreale.
‒ per i vostri figli
le cose sono diverse, ma non so se-
«sì, maledizione!»
alla consapevolezza ora si era aggiunta un’ira profonda,
tanto profonda da non
avere fine. Il colpevole, o i colpevoli, avrebbero pagato con la vita
quel che
avevano fatto. «ditemi come quel
bastardo
ha ucciso i miei figli!» voleva saperlo subito, per
quanto dura potesse
essere.
‒ un colpo al cuore
per uno. Non ci sono dubbi sulle cause, e non ci sarebbero altre
ferite, a
parte…è una stranezza, ma l’assassino
ha spezzato a entrambi una caviglia,
precisamente la destra.
Post mortem, o così risulta da-
Mise giù il comunicatore con tanta violenza da romperlo, ma
al momento non avrebbe potuto curarsene di meno. Sollevò lo
sguardo e trovò il
volto teso di Nahema, ferma lì accanto a lui, ma non aveva
proprio voglia di
dire qualsiasi cosa a nessuno, inclusa lei.
«Kitah-»
La interruppe spingendola via con delicatezza e lasciò la
stanza quasi di corsa, poi percorse il corridoio, e l’atrio
principale, e
infine l’ingresso. Quando uscì dal palazzo e
iniziò a camminare in avanti senza
una destinazione precisa venne investito dalla bufera di neve che
giusto un
paio di minuti prima, vista la stagione, si era sollevata.
Però il gelo e la
neve erano le ennesime cose che avevano perso importanza.
Un comportamento poco ragionevole, ma del resto lui non
aveva la minima dannata voglia di essere ragionevole.
“Quanto è problematica Vliegen Scorpio da uno a
dieci?”,
“meno venti!” …meno
venti! Aveva
proprio capito tutto!
Che dei Taurus fossero “toccati” era impensabile,
aveva
sempre creduto questo, ma l’impensabile era accaduto, nel
peggior modo
possibile e per mano di qualcuno che lui aveva
sottovalutato. Vliegen Scorpio era molto più pazza di quanto
avesse immaginato,
e i suoi figli erano morti a causa del suo errore di valutazione:
avrebbe
dovuto farla sgozzare dai ghoul, o farla gettare nel lago, invece di
limitarsi
a un avvertimento.
Ovviamente quell’assassina non l’avrebbe fatta
franca, ma
intanto Shaun e Shauna erano morti.
“è così che si è sentito
Kozmotis Pitchiner?” fu il pensiero
che gli balenò in mente. Ma durò poco.
“ma chi se ne importa di Kozmotis
Pitchiner, chi cazzo se ne
importa…
se le cercava da una vita, e la sua,
di figlia, è viva e perfettamente in
salute…”
Solo a quel punto si rese conto che non stava più
camminando, ma era in ginocchio nella neve. Si voltò a
guardare indietro, e
notò che il castello non si vedeva più, ma poteva
essere dovuto tanto alla
distanza quanto alla bufera. Una cosa di cui era sicuro invece era che
i cumuli
di neve fossero posti molto comodi sui quali stare inginocchiati, anche
se si
era vestiti leggeri come lui. Era comodo anche starci sdraiati a
guardar bene,
e iniziava a essere preda di una stanchezza che gli faceva proprio
venire
voglia di rimanere lì a riposarsi un po’.
“giusto un po’, chiudo gli occhi un attimo ma poi
mi rialzo,
davvero…”
[…]
«ahi!... ma perché?!»
«perché sei un deficiente, ecco perché!
Cosa ti è saltato in
testa?! Uscire fuori con quei vestiti, in questa stagione e durante una
bufera
di neve!»
Ricevere una sberla in faccia poco dopo il risveglio non era
precisamente tra i desideri di Kitah, ma avendo ricominciato a
“connettere” si
rendeva conto che tutto sommato se l’era meritata.
«non mi è saltato in testa
proprio niente, Aladohar, ero a malapena cosciente di essere uscito
fuori dal
palazzo. Avevo in testa solo il fatto che i
ragazzi…» sollevò lo sguardo «ma è successo davvero?»
Mai in tutta la vita Nihil Aladohar aveva pensato che un
giorno avrebbe visto Kitah in condizioni simili, o anche solo che
questi si
sarebbe comportato in modo tanto irrazionale. Non immaginava neppure
che una
persona come lui potesse tenere tanto ai suoi figli. Sapeva che voleva
loro
bene, non era un mostro, ma non credeva che la loro morte potesse
portarlo a
reagire in quel modo. Pensava che si sarebbe
“contenuto” molto di più, e che per
prima cosa avrebbe dato ordine di rintracciare i responsabili
dell’omicidio e
occuparsene.
Era proprio vero, non si finiva mai di conoscere una
persona, nemmeno stando a contatto con essa una vita intera.
«purtroppo è
successo davvero, e tu stavi per raggiungerli…pezzo
di scemo!»
«avevo appena saputo che i miei figli sono morti».
«e in questo dov’era l’utilità
di gettarti in una bufera?!
Ti rendi conto di quel che hai fatto?!» insistette Aladohar.
«ne riparleremo se per disgrazia tra tredici anni
morirà il
figlio tuo e di Faeliria!» ribatté il duca
«solo allora potresti capire!»
«se non ti infilo dove non batte il sole tutti i
soprammobili di questa stanza, candelabri
inclusi, è solo
perché sei il mio
migliore amico, sei sconvolto e stai parlando a vanvera! Vedi di
ricominciare a
usare il cervello!» gli intimò Aladohar
«quello che è successo è terribile, ed
è umano che tu sia
sconvolto, lo
siamo tutti, nessuno se lo aspettava, ma ti chiedo per
favore di cercare di tornare in te almeno quel tanto che
serve.
Non è detto che Nahema riuscirà di nuovo a
trovarti in tempo, se andrai di
nuovo a passeggio nella bufera».
Ed ecco risolto il mistero su chi fosse stato a riportarlo
nel palazzo, e Kitah riusciva a ragionare abbastanza lucidamente da
capire che
anche lei aveva rischiato grosso: il terreno attorno al palazzo era
esteso, e
le tempeste di neve erano tanto impetuose quanto impietose, tanto che
persino i
ghoul del ghiaccio cercavano riparo quando iniziavano a infuriare.
«dov’è ora?
Cosa sta facendo?» sottinteso: “perché
non è qui?”.
«nulla di che, Kitah! In quattro ore e mezzo è soltanto andata all’obitorio
per avere
tutte in informazioni sul caso. Non è stato complicato far
ricollegare tutto a
Lady Scorpio, che ha agito in modo piuttosto
“sfacciato”» tra le armi all’uranium, che solo gli Scorpio
possedevano, e le caviglie rotte «e scoprendo che milady
è fuggita. A quel
punto Nahema ha messo in moto gli uomini di cui dispone la nostra
famiglia,
quelli di cui dispone la tua, nonché quelli dei nostri
alleati, per quanto
possono contribuire; ha messo a conoscenza dell’accaduto
anche il re, com’è
ovvio, facendo
sì che anch’egli mettesse
dei gruppi di persone a disposizione, e già che
c’era ha anche posto una
sostanziosa taglia sulla testa di Lady Vliegen, da consegnare
rigorosamente
viva. Ah, ha anche cercato volontari tra i soldati
dell’Armata Dorata a riposo,
oltretutto riuscendo a trovarli. Poi ha avvertito i tuoi familiari
dell’accaduto, naturalmente, premurandosi di avvisarli che
almeno per oggi non
intendevi ricevere nessuno. Al momento sta iniziando a organizzare il
funerale,
e penso che a breve avrà finito. Tutto perché tu
oggi non dovessi pensare a
questioni pratiche che, da come hai reagito, pensava che tu non fossi
in
condizioni di gestire».
«contemporaneamente a tutto questo si è anche
messa a
spalare via la neve da tutto il palazzo?» disse Kitah,
riuscendo a trovare
chissà dove la forza di provare a fare quella debole battuta.
«no» rispose Aladohar, apprezzando il tentativo
«però ha
dato ordini perché lo facciano il giorno del funerale. A
parte gli scherzi,
puoi essere certo che troveremo quella donna a breve, se non
è magicamente
evaporata. Abbiamo risorse sufficienti per riuscirci».
«ho risorse per riuscire a trovare l’assassina dei
miei
figli, ma non ne avevo abbastanza per proteggerli…
bell’affare» si lasciò
ricadere contro i cuscini «proprio un
bell’affare».
«ci si può proteggere solo da quello che si riesce
a
prevedere, Kitah, non dalle schegge impazzite. Nessuno di noi avrebbe
mai
potuto anche solo pensare che la
moglie plebea di uno Scorpio potesse essere problematica»
disse Aladohar «gli
Scorpio sono degli ignavi, li conosci! Basti pensare a Lord Jon, che
per forza
di cose ora è il capofamiglia» ed era totalmente
estraneo a quel che aveva
fatto sua cognata «o a com’era Lord
Brandon».
«già, e io ho dato per scontato che Vliegen fosse
soltanto
un cane che abbaiava e non mordeva. La dimostrazione che un errore di
calcolo
può distruggere il futuro di una Casa».
Il futuro. Oddio.
Non aveva più figli, quindi non aveva più eredi,
il che
significava…
«non se ne parla
nemmeno!» sbottò Taurus, cogliendo
Aladohar di sorpresa.
«non se ne parla di cosa?» gli domandò
questi, perplesso.
«i miei genitori penseranno soltanto che questo fatto lascia
la Casa Taurus priva di eredi! Sai cosa significa questo?!»
esclamò, con una
punta di disperazione nella voce dovuta non solo al lutto
subìto «Shaun e
Shauna non ci sono più, Isabeli non ha un marito, chi pensi
che dovrà trovare di nuovo una
moglie?!»
«trovare un marito per tua sorella non dovrebbe essere tanto
complicato, fosse anche di una Casa minore. In fin dei conti Isabeli
è sempre
una Taurus» gli ricordò Aladohar.
«Isabeli non è in condizioni di sposarsi, e
tantomeno di
fare figli» affermò Kitah «lei
è troppo fragile per queste cose».
“sì, perché i tuoi genitori
l’hanno cresciuta male e non
l’hanno portata da uno psichiatra bravo”
pensò Aladohar. «guarda che il
capofamiglia sei tu, se i tuoi genitori insistono ti basta dir loro di
smetterla».
«hai ragione» riconobbe Kitah «ma ci sono
già abbastanza
problemi senza aggiungere degli attriti con loro, io…Aladohar!» si alzò
di scatto, e afferrò gli avambracci dell’amico
«mi devi aiutare».
«se si tratta di trovare una donna, tra quelle delle nostre
Case vassalle ce ne sono di-»
«non voglio quelle delle vostre Case vassalle! Tu devi
aiutarmi a convincere tua sorella a
sposarmi!»
«ascolta, per un aiuto io ci sono, ma i miracoli sono
un’altra cosa» si schermì
l’arciduca.
«“miracoli”?!
Ricordami da quanto tempo è che io e Nahema ci frequentiamo,
o da quanto tempo
è che parliamo di sposarci, o meglio che io
le parli di sposarci» specificò, per
amor di onestà «e la risposta è sempre
stata “non è il momento”, ma appunto per
questo!... se finora ha rifiutato non è
perché non mi voglia, o non mi
ami».
«ha sfidato una tempesta di neve per salvarti la pelle,
quindi direi che su questo non ci sia da discutere, ma di fatto non è il momento»
disse Aladohar «Nahema ha
più cose da fare che da
dire, un matrimonio non sarebbe opportun-»
«comincio a chiedermi se il momento opportuno
arriverà mai,
per tua sorella. Seriamente» si rimise a sedere sul letto
«perché non si decide
ad accettare la proposta? Il nostro matrimonio sarebbe conveniente per
tutti, e
poi…e poi cosa vado a pensare ai
matrimoni, che i miei figli sono morti poco più
di quattro ore e mezzo
fa?!» fece un sospiro nervoso, nascondendo il volto tra le
mani «è ufficiale,
non sto capendo più un cazzo. Ringrazia da parte mia Nahema
per aver già smosso
mari e monti».
«puoi farlo tu dopo, tempo di finire di dare disposizioni e
verrà qui».
«credo sia meglio di no, vedendomi così sarebbe
capace di
tirarmi un ceffone, e forse non avrebbe torto: di Taurus fragili, in
famiglia,
ne basta uno...oh no…Isabeli!
Non oso
immaginare come abbia reagito quando ha saputo, Shaun e Shauna erano i
soli con
i quali non avesse mai avuto uno dei suoi
“momentacci”!»
«a tua sorella penserai domani. È anche per lei
che oggi devi
cercare di rimetterti in piedi. Io purtroppo devo tornare a casa,
adesso» fu
costretto a dire Aladohar, realmente a malincuore «e se sei
proprio convinto di
non volere che Nahema venga da te…»
«ora come ora non sono convinto di niente, se non di voler
ammazzare
quella psicopatica con le mie stesse mani».
«è già qualcosa su cui lavorare, Kitah.
Ci vediamo domani».
Aladohar uscì dalla stanza, e dopo aver fatto un bel
po’di
strada incrociò Nahema. «si è
svegliato» la informò, a bassa voce «ma,
citando
lui stesso, “non sta capendo più un
cazzo”: prima è a terra per i figli, poi si
preoccupa degli eventuali futuri matrimoni, poi torna a pensare ai
figli e poi
“non oso immaginare come abbia reagito
Isabeli”…»
«sua sorella non fa testo, basta che le cada un cucchiaino
dalle mani perché le venga una crisi nervosa»
“e si appiccichi a me
come un’alga” aggiunse mentalmente.
«non è finita! Prima ha chiesto dove fossi, poi ha
detto che
è meglio che tu non vada da lui, e infine che non sa se lo
vuole o no. È più confuso
di quella volta che aveva bevuto troppo è si è
tuffato nello Shira» il grande
fiume che scorreva accanto al loro palazzo «scambiandolo per
una delle piscine.
Nahema…»
«cosa?»
«stavo pensando che forse…»
esitò Aladohar «ecco, sappiamo
come sono i suoi genitori, ricordi le pressioni che ha
subìto anni fa. Ora gli
eredi non ci sono più, lui non ha una moglie, e
ricominceranno a insistere
perché ne trovi u-»
«vai via» lo
interruppe Nahema.
Aladohar non si mosse. «sai che non ti sarebbe
d’intralcio,
avete la possibilità di far coincidere i sentimenti con gli
interessi, cosa c’è
di male?»
«ma tu e io siamo davvero stati cresciuti dalla stessa
madre? Mi fai venire voglia di tornarmene al fronte immediatamente,
giuro».
«guarda me e Faeliria» insistette l’uomo
«la nostra
situazione era uguale alla vostra, ci siamo sposati e siamo entrambi
felici».
Nahema gli diede un’occhiata cupa. «Faeliria
non ha ucciso un suo precedente marito» disse,
molto piano
«i sentimenti qui non contano».
«lui lo ha fatto per te» ribatté
Aladohar.
«io non gliel’ho mai chiesto»
affermò Nahema «lascia
Faeliria e sposalo tu, se hai tanta voglia di matrimoni».
«quindi lascerai che si risposi con chissà
chi?»
«se Kitah non vuole un’altra moglie
ricorderà ai suoi
genitori che non ha più quindici anni, che adesso il
capofamiglia è lui, e che
loro non devono intromettersi.
Ha preso i figli, non gli attributi,
quindi che li tiri fuori. Chiuso il discorso».
Non aspettò un’eventuale replica del fratello, e
preparandosi spiritualmente ad affrontare l’ennesima proposta
di matrimonio
raggiunse la stanza del suo eterno alleato/amico/amante. Non si
curò di
bussare, qualunque possibile scenario sarebbe stato già
visto, ed entrò.
Le bastò un’occhiata per capire che Aladohar aveva
perfettamente ragione: che Kitah non fosse del tutto in sé
era evidente già
dallo sguardo. «eri indeciso se volermi qui o meno, dunque ho
scelto io per
te».
«non è il giorno giusto per badare a quello che
dico, e devi
averlo capito, visto che hai fatto tutto quel che avrei dovuto fare
io» la
guardò «non devi per forza restare vicina alla
porta, a meno che tu voglia
prendermi a sberle».
«la tentazione c’è, ma immagino che
Aladohar abbia già
provveduto. Mi hai fatta preoccupare» aggiunse e, detto da
Nahema, era una
specie di dichiarazione d’amore. «e non
poco».
«entro domani mi riprenderò» disse lui
«e spero che Vliegen
Scorpio venga trovata altrettanto presto».
«le stiamo dando tutti quanti la caccia, a lei e anche al
mercenario che ha assoldato. Vero, non siamo riusciti ad avere
informazioni
utili dal demone suo attendente nonostante i tentativi»
ed era facile immaginare quali tipi, di tentativi «e il
fatto che io stessa abbia fatto un salto laggiù, dato che
Vliegen si è attenuta
al principio “meno sa, meglio è”, ma non
le servirà: la troveremo e le faremo
fare la fine che merita».
Kitah annuì e fece per rispondere qualcosa, ma la porta si
aprì di scatto, e a quel rumore ne seguì uno
molto simile all’uggiolio di un
cane; l’attimo dopo Nahema si sentì stringere in
una presa degna di uno dei
serpenti giganti nei boschi sacri degli Hydra, ma decisamente
più umida.
«Isabeli, cosa ci
fai qui?!» Kitah si alzò rapidamente dal letto e
raggiunse la sorella.
«me la sono trovata davanti…» fu la
debole giustificazione
di Aladohar, tornato indietro e ora fermo sulla soglia, indeciso se
ridere
o…mah, non lo sapeva neppure lui.
Sapeva soltanto che dietro l’espressione completamente
neutra di Nahema e la sua totale immobilità probabilmente si
nascondevano
splendidi sogni in cui sollevava tra le braccia la sorella di
Kitah… per poi buttarla
giù dal balcone.
«vieni qui, Isa, dai» la esortò Kitah
con gentilezza,
staccandola da Nahema nel modo più delicato possibile
«vieni da me, da brava,
lascia andare Nahema e vieni qui…bravissima»
mormorò «tranquilla ora, tranquilla, va tutto
bene, ci sono qui io».
Isabeli era alta un metro e ottanta ma esile come un giunco,
e con quella specie di tunica bianca con perline nere che indossava
-decisamente troppo leggera per la stagione- nonché il suo
comportamento,
poteva tranquillamente sembrare una paziente fuggita dal reparto
psichiatrico
di una ricca clinica privata; esattamente il posto dove, secondo la
modesta
opinione di Nahema, avrebbero dovuto mandarla già molti anni
prima.
«vogliono farmi mettere
dentro un figlio, ma io non posso!...»
I suoi nipoti erano morti, e lei con cosa esordiva? Non “mi
dispiace”, non “è orribile” o
tutto quel che ci si poteva aspettare in un
simile contesto, ma “vogliono farmi mettere dentro un
figlio”. Fantastico.
«anche se Shaun e Shauna sono morti nessuno ti
costringerà
farlo» cercò di tranquillizzarla il fratello.
Sapeva che Isabeli viveva nella
sua “piccola bolla”, e pensava che non ci fosse
altro da fare se non prenderla
com’era.
«erano bambini così
b-b-belli!» farfugliò, con tono quasi
stridulo «volevo loro tanto
bene…mamma e papà invece sono cattivi.
Loro
pensano solo alla Casa, pensano solo a quello, io sono scappata, non
potevo
rimanere lì con loro, non volevo, aiutami…»
«come volevasi dimostrare» disse freddamente Kitah,
guardando Aladohar «che ti avevo detto? A loro importa solo
questo. Stai
tranquilla Isabeli, fin quando rimarrai ad Atlantia impedirò
che i nostri
genitori e la loro fissa dell’erede
possano farti del male».
“uno di voi due però dovrà provvedere,
prima o poi: una Casa
non può restare senza eredi!” pensò
Nahema, che non essendo più fidanzata con
il re e avendo altri otto fratelli
che potevano impegnarsi - o si erano già impegnati!- in tal
senso aveva la
fortuna di non dover fare figli per forza.
«non ne saranno felici» disse piano Isabeli,
lasciandosi
accarezzare i lunghi capelli corvini.
«che si arrangino. Il capofamiglia sono io, quindi che si
mettano l’anima in pace» disse. Aladohar aveva
ragione, aveva ventinove anni,
Atlantia era sua da quando ne aveva quindici, e i tempi in cui i suoi
genitori
potevano dirgli cosa fare o chi sposare erano finiti.
A quel punto la lunga crisi nervosa di Isabeli, che l’aveva
portata fin lì, finì di colpo, esattamente come
era iniziata. «mi dispiace tanto
per quello che è successo, è una cosa
bruttissima. Ma perché l’hanno fatto?»
domandò, con uno sguardo tristissimo negli occhi azzurro
cupo come quelli del
fratello.
La presenza di Isabeli poteva essere una seccatura ma, se il
suo arrivo sembrava essere riuscito a riscuotere Kitah abbastanza da
fargli
prendere una decisione come quella, allora forse non era del tutto un
male.
Doversi occupare di qualcun altro se non altro lo costringeva a tenere
in
ordine le idee e a non correre in mezzo alle tempeste di neve.
«non si sa mai quali pensieri passino nella testa dei
pazzi»
disse Aladohar.
«tu però la troverai, vero Nahema?»
Isabeli si allontanò da
Kitah per aggrapparsi nuovamente a lei «è vero che
troverai Lady Scorpio? Dimmi
di sì, per favore! Tu puoi!»
“sì, e posso anche
fare questo!”
Nel completo sconcerto
dei presenti Nahema afferrò l’esile donna, la
sollevò e, una volta corsa sul
balcone, la lanciò di sotto. Il tonfo che sentì
Nahema quando Isabeli cadde a
terra fu tra i suoni più splendidi che avesse mai sentito in
vita propria, e
sorrise…
«…Nahema? Non mi ascolti?» le chiese
Isabeli, perplessa.
«perdonami, ero assorta nei miei pensieri. Certo che la
troverò, stai tranquilla».
«oh, tu sei così brava!»
esclamò la donna, poggiando
la testa su
una spalla di Nahema «non dovevo chiederlo nemmeno. Sei come
quegli eroi delle
fiabe che arrivano e risolvono tutto, adesso hai anche
l’armatura d’oro, la
sola differenza da loro è che tu sei una donna»
disse con un sospiro e le gote
colorate da un lieve rosa pesca «ma è di poco
conto, no?»
«sei molto gentile, ora però io e Aladohar
purtroppo dobbiamo proprio tornare
a casa nostra,
abbiamo molte cose di cui occuparci, in primis di quanto è
accaduto oggi…se a
Kitah non serviamo qui, ovviamente».
«no. C’è mia sorella» disse
questi, lapidario.
Sapeva che Nahema non amava troppo quelle scene quasi
imbarazzanti che si venivano a creare quando c’era Isabeli,
la quale provava
per lei una certa ammirazione che però, in tutta
onestà, era espressa in modo
tale da poter dare un’idea diversa.
Se Isabeli fosse davvero rimasta ad Atlantia permanentemente
avrebbe dovuto cercare il modo di “contenerla”, ma
quello non era il giorno
giusto.
«sì, ci sono io» ribadì
Isabeli, un po’mesta «ci sono io…se proprio devi andare,
Nahema…»
«io devo tornare a casa per forza, ma tu puoi
tranquillamente restare qui» disse Aladohar, sforzandosi di
restare serio. «non
vorrai privare i nostri amici della tua compagnia in un momento come
questo?»
“ALADOHAR, TI UCCIDO”.
«non vorrei, ma temo proprio che non
potrò farne a meno. Anche io ho molte
responsabilità, purtroppo, e se Kitah è
sicuro…»
«lo sono. Prendere Vliegen ha la
priorità» disse il duca
«andate pure, e tenetemi informato».
Dopo un breve saluto, i fratelli Aldebaran uscirono in
fretta dalla stanza e, mentre Nahema attendeva il momento opportuno per
tirare
un ceffone alla nuca scoperta del fratello, rifletteva sulla sola
traccia di sé
che Vliegen Scorpio avesse lasciato a Duskfell: un biglietto chiuso in
una
busta sigillata i cui destinatari, scritti a chiare
lettere…per quanto la
calligrafia di Lady Scorpio potesse essere definita “chiara”… erano
“Taurus & Compagnia”.
Non aveva ancora riferito a Kitah o ad Aladohar ciò che era
scritto su quel biglietto -che tra l’altro aveva con
sé anche in quel momento-
ma lo aveva imparato a memoria in modo quasi istantaneo.
“Perché la ricchezza
non è sempre impunità, perché il
potere non è immortalità, perché
tramare non
vuol dire riuscire, perché di un errore si può
anche morire. Per non
dimenticare”.
Non avrebbe dimenticato, né lei né gli altri lo
avrebbero
mai fatto, così si disse Nahema.
Se poi tra il dire e il fare fosse davvero presente il mare,
sarebbe stato dimostrato solo più avanti.
Avevo anticipato la citazione di inizio capitolo :’D mi era
“salito”
il Rains of Castamere, e tutto
sommato è già tanto che l’uso di
uranium sia stato fortemente limitato a Lobo
che usa i fatman per uccidere
soldati e distruggere navi e uccidere soldati e-
Ehm, sì, comunque credo che farò meglio a
lasciare a voi
eventuali commenti, se ne avete,
perché qui il PC si sta scaricando :’D
Alla prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 17 *** 17. ''Dare fendenti alle montagne ***
=
“Dare fendenti alle montagne” =
«quindi a breve
rientrerai come High General».
L’aspetto di
Kozmotis era molto migliorato: le occhiaie erano scomparse, non aveva
più
alcuna ferita ed anche l’aria folle era scomparsa. Se una
persona qualunque lo
avesse guardato lo avrebbe giudicato perfettamente in sé, ma
per Grimmers, che
lo conosceva bene da anni, era piuttosto evidente che le cose non
stessero
così…
«sì. Anche se quel demonio
di certo avrà provveduto a mettermi contro tutti i miei
uomini».
E quel che aveva
appena detto lo dimostrava.
Era ovvio
che tutta la psicoterapia del mondo non avrebbe fatto tornare Kozmotis
l’uomo
che era, perché la perdita subìta era troppo
devastante, lo sarebbe stata per chiunque.
Aveva superato la
fase peggiore, ritrovando un po’di equilibrio -al momento non
lo vedeva in
condizioni da mettersi a picchiare le guardie del re Lunanoff pur di
raggiungere gli Aldebaran e tentare di fare lo stesso a loro- ma non
stava
bene, e se il dottore aveva veramente detto che a breve sarebbe potuto
tornare
operativo le opzioni erano due: o Kozmotis sapeva fingere molto bene, o
il
dottore era un incompetente.
Lui però non aveva
voce in capitolo e, nonostante quel che stava dicendo, Grimmers sapeva
che
Kozmotis non desiderava altro che poter tornare a fare il suo lavoro.
«magari
non sarà tragico come pensi».
«hai ragione» disse
Kozmotis «sarà molto peggio, soprattutto
perché, anche se il comando verrà
restituito a me, il generale Nahema mi
“supporterà”» mimò
le virgolette
con le dita «con le proprie armate, e devo farmene una
ragione, perché quel tonto
di re che ci ritroviamo pensa sia proprio una grande idea!»
Grimmers
giocherellò con un sigaro per qualche istante, prima di
accenderlo. «forse non
ha torto» disse, senza crederci particolarmente: non tanto
per Nahema, quanto
per l’atteggiamento dello stesso Kozmotis. «magari
conoscendo Lady Nahema-»
«scoprirò che
è più
orribile di quanto già io pensi? Sì, è
estremamente probabile» Kozmotis
incrociò le braccia davanti al petto «non tirare
nuovamente fuori l’idea che
possa essermi sbagliato, Rich, o anche solo che esista veramente una
Silk: tu
non c’eri quando ha sollevato quella cicatrice finta che le
deturpava la
guancia e ha scoperto la voglia, io invece sì, e sono certo
di quello che ho visto
e sentito».
«Koz…»
Grimmers
sbuffò una piccola nuvola di fumo «posso farti una
domanda senza che tu te la
prenda?»
«sono circa sette
mesi che mi stai ospitando qui, in casa tua, prima per evitarmi di
dover vivere
dirimpetto alla strega» ossia Spear
«e in seguito per…beh, perché temevi
che in quella casa piena di ricordi di persone morte mi suicidassi,
immagino.
Quindi sì» disse «direi che tu possa
farmi domande, e che io non abbia il
diritto di prendermela».
«la domanda
è…se
temevi che Silk-»
«Nahema»
lo
corresse il generale.
«quello che è. Se
temevi che fosse una traditrice, perché l’hai
interrogata senza testimoni?!»
Dopo qualche
istante di immobilità, Kozmotis
fece
cenno di passargli il sigaro. Seppur perplesso, Grimmers gli diede
retta, non capendo
bene cosa volesse farci, considerando che non fumava.
Almeno fino a quel
momento, in cui Kozmotis fece un tiro e divenne preda di una tosse tale
che
sembrava piuttosto un principio di soffocamento.
«ma che diamine
fai?!» sbottò il colonnello,
riprendendosi il sigaro «preferisci soffocarti
che rispondermi?!»
Kozmotis tossì
ancora. «n-no, mi era solo venuta voglia di capire che
avessero di speciale
quei cosi, per piacerti tanto. Per la cronaca, non l’ho
capito nemmeno adesso».
«non hai ancora
risposto alla domanda».
«che vuoi che ti
dica, Rich?!» all’anima del
“non prendersela”, il generale si alzò
di
scatto dal gradino sul quale era seduto «la mia
capacità di valutare le persone
fa schifo, e a quanto pare è da idioti
pensare che i miei soldati, tutte
persone che conosco -o pensavo di conoscere- siano innocenti fino a
prova
contraria e meritino una chance. Sono stato un coglione di prima
categoria! “il
secondo High General più amato della storia”!
“il Generale Dorato”! Mi sono
sentito chiamare persino “l’Eroe degli
Eroi”!» esclamò, con una risata amara
«da tutti amato, da tutti rispettato! Io ho
cominciato a crederci. Sono
stato così stupido da iniziare a pensare che le cose
stessero così per davvero.
La carriera andava a gonfie vele, il mio esercito mi amava, il popolo
mi amava,
la mia famiglia mi amava, Spear ormai era diventata
poco più di un
minuscolo fastidio, e credevo che il fronte -e la mia stessa persona-
fossero
sufficientemente lontani e al di fuori da
chissà quali complotti dei
nostri cari nobili delle Costellazioni. Credevo di
aver vissuto da
ragazzino abbastanza guai e sofferenze per tutta la vita»
disse «sono stato
così ingenuo da pensare che ormai la strada fosse tutta in
discesa. Ovviamente
sbagliavo, ed è stata la mia famiglia a farne le spese.
Questo è quanto».
Dopo un paio di
ultime boccate, il colonnello spense il sigaro contro il gradino.
«sono stati i
Dream Pirates a fare quel che hanno fatto, Pitch, la colpa è
loro».
«gli esecutori
materiali sono loro, sì, ma i mandanti sono da questa
parte della
barricata, anche se perfino tu stenti a darmi ascolto» disse
Kozmotis, in tono
d’accusa.
«non c’è
cosa nella
galassia che desidererei di più che poterti dare
completamente ragione e
combattere al tuo fianco a spada tratta, Pitch, tu questo lo
sai!» ribatté
l’uomo, con gli occhi nocciola pieni di compassione
«ma se davvero è tutto un
complotto, finora hanno agito in modo da legare le mani a chiunque:
è la tua
parola contro la loro e purtroppo, per quanto io possa crederti, non
possiamo dimostrare
niente».
«puoi dimostrare
che Nahema non era nel territorio dei Vega nel periodo in cui diceva di
esserlo, perché tu invece
c’eri davvero! E non l’hai vista!»
Grimmers sospirò.
«ne abbiamo già parlato: il territorio dei Vega
è esteso, e il fatto che non
fosse dov’ero io non significa che non fosse lì
affatto. Per non parlare del
fatto che io sono un tuo amico, è risaputo, vivi con me da
mesi, è risaputo
pure questo…»
«e tu vuoi
lavartene le mani. Anche questo inizia ad essere risaputo»
aggiunse
freddamente Kozmotis.
«non voglio lavarmi
le mani di nulla, perché non
c’è nulla di cui siano
sporche»
replicò Rich, quasi con lo stesso tono «io ti ho
aiutato per quanto ho potuto e
non me ne pento affatto, ma non posso fare altro. Di noi due basti tu,
a dare
fendenti alle montagne!»
«“dare
fendenti
alle montagne”!» ripeté
Kozmotis, incredulo «quindi lo ammetti!»
«cosa, Kozmotis, cosa?!»
il colonnello si alzò e lo raggiunse «che la tua
è una battaglia inutile contro
il niente? O che se anche tu avessi ragione, e in
realtà questo “niente”
fossero i nobili delle Costellazioni, avresti comunque perso in
partenza perché
non li si può colpire in alcun modo?!»
«ah no? Non li si
può colpire in alcun modo, dici?! Vallo a ripetere ai figli
di Lord Taurus,
allora!» sbottò Kozmotis «vallo a dire a
loro, no?! Ah, già! Non puoi, perché
nonostante tutto il potere di Taurus i suoi figli sono
morti come la
mia! O magari puoi andarlo a dire a Lady Vliegen
Scorpio… se,
contrariamente a tutta la nobiltà del regno, tu sai
dov’è!»
«aspetta un attimo:
tu vorresti prendere come esempio un’assassina di
bambini?!!» trasecolò
Grimmers «ti rendi conto di quello che stai
dicendo?!»
«Vliegen Scorpio
è un mostro» affermò Kozmotis
con sicurezza «e sarebbe folle appoggiarla o
dire il contrario. Se l’è presa con dei ragazzini
di tredici anni per qualcosa,
chissà cosa, che il loro padre le
ha sicuramente fatto» perché
non metteva in dubbio che Taurus, degno amico di Nahema, avesse fatto
qualcosa
per provocare quella -smoderata- reazione «è
stato un atto
imperdonabile, in particolare dal mio punto di vista, come puoi
intuire. Però
ha dato una dimostrazione molto forte e molto chiara del fatto che non
sono
invulnerabili come si pensa che siano, che è possibile
contrastarli, che è
possibile colpirli duramente E farla franca: dopo
quasi sette mesi in
cui tutti le stanno dando la caccia non sono stati
ancora in grado di
trovarla, nonostante le loro risorse».
«primo, è ancora
possibile che riescano a trovarla» iniziò a
elencare Rich, sollevando l’indice
affusolato «secondo, tutto quel che ha fatto è
dimostrare che i nobili possono
colpirsi solo tra loro e solo se possiedono soldi a sufficienza e armi all’uranium»
disse, e sollevò il medio «terzo, Vliegen Scorpio
ha mollato tutto quello che
aveva per fuggire rapidamente, cosa che non mi risulta tu voglia fare,
sbaglio?
Non è il modo migliore per ricominciare, Pitch»
Grimmers scosse la testa «non è
proprio il modo migliore. Oppure, visto questo… forse
dovresti… insomma, se
anche Spear se n’è andata…»
«ma ceeerto,
solo perché quel demone ha abbandonato la sua tana io dovrei
fare lo stesso!
Sì, forse potrei prendere in considerazione l’idea
di andarmene a mia volta… per
cercarla e spezzarle l’osso del collo con le mie stesse mani!»
esclamò
«casa mia viene trovata, e lei guarda caso
ottiene denaro sufficiente
per compare una nave, potersi permettere di lasciare il lavoro e
andarsene
chissà dove. Questo dopo aver fatto quella scenata al
funerale, guarda caso proprio
prima di quel dannato processo. Se a questo aggiungiamo il fatto che ha
conosciuto tanto Taurus quanto Nahema anni fa, quando l’hanno
mandata a fare il
medico nella loro armata, mi sembra piuttosto ovvio che fosse in
combutta con
loro».
Ormai se n’era
convinto e poco importava che in realtà, se Spear
l’avesse sentito dire certe
cose, avrebbe preso un candelabro e glielo avrebbe fatto ingoiare.
«mi hai già parlato
di questa teoria, e mi spiace, ma non ci credo nemmeno un
po’. Demone degli
Abissi sì, ma fino a un certo punto!»
«lei sapeva, te
lo dico io!» esclamò il generale «spiega
tutti gli “avvertimenti” che mi ha
dato negli anni. Ha fatto di tutto per tenermi lontano da Aleha
asserendo di
volerla “proteggere”, la sola spiegazione
plausibile per le sue azioni è
questa. Ma non è riuscita nel suo intento, e mi odiava non
solo al punto da non
fare nulla di concreto per aiutare me, ma
addirittura da scegliere di
sacrificare Aleha ed Emily Jane per aiutare Nahema a
distruggermi!»
«magari sapeva cosa
stava per succedere, ma aveva in mano le stesse prove che tu hai ora, e
di
sicuro se ti avesse detto di più non le avresti creduto lo
stesso. Quanto al
resto, continuo a essere scettico…soprattutto per il fatto
che lei non
sapeva dove fosse casa tua».
«Aleha potrebbe
averglielo detto in una delle lettere, mi fidavo e non leggevo quel che
scriveva a sua sorella, e tu sei uno scettico cronico, quindi non fai
testo. Le
cose stanno sicuramente così, è talmente chiaro!
Ma arriverà il giorno in cui
anche lei avrà quel che si merita»
dichiarò «e quanto a Nahema, se ha tanta
voglia di distruggermi e prendere stabilmente il mio posto
dovrà passare sul
mio cadavere. Non intendo cedere, non gliela darò vinta
così facilmente: sarò
pure un banale sasso sul suo cammino, per lei, ma prima o poi
imparerà che certi
sassi sono troppo difficili da rimuovere, e che inciampando su quello
sbagliato
si può anche cadere».
***
I
progetti di Nahema per
il primo giorno di “riposo” dopo sette mesi passati
a capo dell’Armata Dorata,
inizialmente, erano diversi.
Aveva pensato di tornare su Aldebaran I, così da vedere di
persona il figlio di
Nihil Aladohar e Faeliria Orion, il piccolo Haverail, il quale aveva
appena un
mese di vita.
Non
era il suo primo
nipote, i suoi fratelli Ralonrin e Nuro si erano dati molto da fare in
quel
senso, ma sarebbe stato il primo che avrebbe visto in un momento
abbastanza
vicino alla nascita.
Oltre
a questo c’era
anche il fatto che Haverail fosse frutto di quasi quattro anni di
tentativi
andati a vuoto, tanto che i due coniugi avevano iniziato a temere che
dalla
loro unione non sarebbe mai nato nulla, motivo per il quale il suo
arrivo era
fonte di gioia ancora maggiore, tanto per loro quanto per Nahema
stessa.
Pensare
che in principio
aveva approvato solo parzialmente quel matrimonio, a suo dire un
po’ “insicuro”
perché Aladohar era realmente innamorato
di Faeliria da una
vita!
Per il popolo e per alcune delle altre famiglie nobili delle
Costellazioni, il
matrimonio era qualcosa che si basava principalmente
sull’amore, ma non per gli
Aldebaran. Bastava pensare al matrimonio ormai prossimo di suo fratello
Nihil
Iruhu Aldebaran, appena quattordicenne, con la sedicenne Vaendiliel
della Casa
Altair. Erano stati fatti conoscere e frequentare sin da piccolissimi,
in
attesa che Iruhu raggiungesse l’età minima
consentita per sposarla, ed era
arrivato il momento.
Probabilmente quel periodo della Golden Age sarebbe passato alla storia
come
prospero e pacifico -almeno all’interno del regno- in cui
regnavano giustizia
e buoni sentimenti…a parte
alcune eccezioni. Oh, quant’erano
ossessionati i Lunanoff da questa manfrina dei “buoni
sentimenti”!
Ma
quando si era al
dunque ognuno in casa propria faceva quello che voleva, e per quel che
concerneva tutto il resto Nahema si chiedeva ancora se tutti coloro che
erano
coinvolti nel loro complotto per prendersi il regno erano realmente
tanto bravi
da non farsi scoprire, o se semplicemente i Lunanoff -e le nobili
famiglie che
per vari motivi non lo erano- si
rifiutavano di aprire gli
occhi.
Una
nascita e un matrimonio
di convenienza comunque erano due buone notizie, e tutti loro sentivano
di
averne un gran bisogno, dopo quel che era accaduto mesi prima.
Nonostante
tutti quanti
si fossero impegnati al massimo, l’omicidio di Shaun e Shauna
era tuttora
impunito: non erano riusciti a trovare né Vliegen,
né l’assassino a cui era
stato assegnato il lavoro.
Spariti.
Volatilizzati.
Non
c’era traccia di
nessuno dei due, come nessuno dei due sembrava avere altri
“collegamenti” da
sfruttare per trovarli, o per costringerli a uscire allo scoperto.
Un
alone di mistero
attorno a un assassino era abbastanza normale, ci poteva anche stare,
ma che
non si riuscissero a trovare informazioni su una plebea qualunque era
semplicemente assurdo. Era come se Vliegen avesse utilizzato
un’identità
fittizia, come lei aveva fatto con “Silk”: non
risultava avere parenti, né
essere stata vista in altri luoghi se non la dimora degli Scorpio a
Duskfell. Sembrava
che fosse stata creata appositamente per sposare un nobile, fare quel
che aveva
fatto e poi scomparire nel nulla, come se tutta quella situazione, o
tutta la
realtà stessa, non fosse altro che una sottospecie di
tragicommedia malfatta
scritta da un autore alle prime armi che si dilettava a tirare fuori
personaggi
improbabili come quella.
Ad ogni modo, tornando al discorso principale, Nahema aveva finito per
accantonare temporaneamente l’idea di tornare a
Thanoushiradryas, e aveva
deciso di posticipare di qualche ora il rientro a palazzo per compiere
una
deviazione di non poco conto.
Sua sorella Nihil Kehazilia, appena quindicenne, si era accompagnata al
titano
Typhan circa otto mesi prima. Era accaduto tanto per una questione di
convenienza -avrebbero pur dovuto mettere la figlia di Pitchiner da
qualche
parte!- quanto per volontà di Kehazilia stessa.
Nonostante la considerazione che gli Aldebaran avevano del matrimonio,
Nahema
doveva ammettere che la decisione di Kehazilia -giovane quanto bella-
di
sposarsi con un titano vecchissimo e cieco l’aveva
leggermente sorpresa…ma
probabilmente, agli occhi di sua sorella, il fatto che Typhan fosse
anche una
specie di semidio estremamente potente metteva in ombra tutto il resto.
Stando
a quanto diceva Aladohar, Kehazilia si reputava “troppo, per
un nobile
qualunque”.
Nahema riconosceva che la sua era una famiglia di persone superbe, chi
più chi
meno: erano stati abituati sin da piccoli ad avere sempre tutto e
subito, a
dare ordini e vederli eseguiti, e a vedere gli altri inchinarsi nel
salutarli.
Un po’di superbia dunque era inevitabile, ma Kehazilia
sembrava esserlo sin
troppo.
Forse era stato un bene che fosse diventata la signora di quei
territori
piuttosto lontani dal regno dei Lunanoff: la sua non era una tracotanza
che
potesse essere dissimulata come, in tutto quel contesto, richiedeva il
buonsenso.
Atterrò direttamente nel cortile interno del palazzo. Fino a
otto mesi fa,
quella costruzione non eccessivamente imponente non c’era
neppure: una creatura
come Typhan non necessitava di strutture simili, e considerava
“casa” tutti i
terreni di sua proprietà. Aveva costruito quel posto
appositamente per la sua
nuova famiglia, cui invece tutto ciò era necessario, almeno
per il momento.
Già…una
cosa ancor più
sorprendente della decisione di Kehazilia, era che un vecchio semidio
potesse
provare solitudine, tanto da lasciarsi corrompere dalla promessa di una
moglie
e una “figlia”. Meglio così, rendeva
tutto più semplice, ma la cosa faceva
quasi ridere.
Una volta scesa dalla nave venne accolta da grossi esseri antropomorfi
senza
volto, semitrasparenti e brillanti come se avessero avuto delle stelle
al
proprio interno. Così come aveva fatto per il palazzo,
Typhan aveva creato per
Kehazilia dei servi senz’anima -ma per fortuna con una specie
di cervello- che
le obbedissero in tutto e per tutto e l’assistessero in
qualunque cosa avesse
bisogno.
«voglio vedere mia sorella. Portatemi da lei».
Gli
esseri rimasero
immobili solo per un istante, poi, senza opporre alcuna resistenza, la
scortarono da Kehazilia. Nahema si chiese se le avessero obbedito
perché sapevano
chi era, o se semplicemente erano stati fatti per dare ascolto a
qualunque
Aldebaran, o qualcosa di simile. Non che avesse importanza, a dire il
vero.
«…farai meglio a metterti in testa che il tuo
santo padre non verrà mai a
prenderti. Mai. Non
c’è proprio
ragione per cui dovrebbe farlo, hai un carattere terribile, e come se
non
bastasse sei anche bruttina: troppo pallida, con delle occhiaie
terribili e i
capelli troppo spenti. Nelle condizioni attuali, anche se fossi stata
di sangue
nobile -o se un matrimonio fosse stato nei progetti- sarebbe stata dura
farti
fidanzare con chicchessia. Non hai stile, non hai eleganza,
né un minimo di
alterigia: i tuoi genitori hanno fatto proprio un pessimo lavoro,
persino per
dei plebei».
Benché fosse solo una voce femminile proveniente da dietro
una porta chiusa non
c’erano molti dubbi su chi fosse a parlare, né
sulla persona cui tutte
quelle dolci considerazioni erano
rivolte.
A Nahema sembrava di essere vittima di qualcosa simile a un
dejà vu, con
protagonista una versione doppiamente stronza -come altro definirla?-
di mamma
Nihil Iyra.
Più
volte Aladohar le
aveva detto che Kehazilia somigliava alla loro madre, ma solo ora
capiva
veramente quanto.
Spalancò la porta con una spinta decisa. «salve,
sorella» esordì «ti trovo in
perfetta forma».
Kehazilia sollevò un sottile sopracciglio, nero/blu come la
folta chioma
setosa, rivolgendo lo sguardo alla sorella maggiore. «salve a
te, Nahema.
Altrettanto. Non mi aspettavo una tua visita» disse, senza
particolare calore.
La differenza d’età e gli impegni avevano fatto
sì che le due sorelle non si
frequentassero quasi per nulla; quindi, nonostante Kehazilia seguisse i
piani
della famiglia, non si poteva dire che tra loro due fosse presente un
grande
attaccamento. «e tu saluta come si conviene,
bestiola che noi sei altro.
Non hai neppure un briciolo d’educazione, sei proprio un caso
disperato!»
Se Kozmotis Pitchiner avesse avuto una vaga idea di come veniva
trattata sua
figlia, avrebbe dato di matto ancor più di quanto avesse
già fatto. Emily Jane
Seraphina Pitchiner era smunta e sciupata, con un misto tra astio e
abbattimento negli occhi arrossati.
Nahema
pensò che
probabilmente passasse ancora molto tempo a piangere, tanto per la
disperazione
quanto per la rabbia, e come darle torto?
La bambina si avvicinò a Nahema, ma non ci furono inchini,
né saluti in genere.
«questa è l’armatura dorata di
papà, e quello è il suo mantello. Mi ha detto
che solo lui può metterli, perché sono
dell’High General of the Galaxies.
Perché ce li hai tu?»
«non sei una bestiola, sei peggio»
commentò Kehazilia «loro possiedono un
briciolo di buone maniere in più. Ma ci penserò
io a te, dammi solo un altro
po’di tempo e vedrai!» dichiarò
«perdonala, sorella, è ancora una
selvaggia».
Nahema minimizzò la cosa con un cenno, e si
accovacciò all’altezza della
bambina. Non era affatto bruttina come diceva Kehazilia: fortunatamente
per lei
aveva preso dalla madre, anzi, a dirla tutta la sua magrezza la faceva
somigliare di più alla zia. Gli occhi dorati però
erano indubbiamente del
padre, e c’era anche un “qualcosa” nella
sua espressione che ricordava molto il
caro generale. «ce li ho io perché al momento
sostituisco il tuo papà. Per lui
questo non è un bel periodo, e qualcuno deve pur proteggere
il regno, come
penso tu capisca».
Sì, era qualcosa che Emily Jane poteva capire, ma non la
faceva stare più
tranquilla.
Da
quando i Dream Pirates
avevano distrutto casa sua, dal giorno in cui aveva visto sua madre
precipitare
fuori da quella finestra, svegliarsi ogni mattina era diventata una
condanna.
Emily Jane non faceva che aggrapparsi alla speranza che suo padre
sarebbe
venuto a prenderla presto.
Typhan
la chiamava
“figlia” e la trattava piuttosto bene, ma lei aveva
già un padre, e Nihil
Kehazilia -da lei rinominata “la strega maligna”-
col suo comportamento
vanificava tutto quel che di buono Typhan, quando c’era,
faceva per lei.
Sembrava
che le velleità
familiari del titano fossero solo part-time, motivo per il quale Emily
Jane era
sotto l’attacco di Kehazilia in maniera quasi costante. Le
parole orribili che
le rivolgeva facevano sembrare quasi un sollievo i momenti di completa
solitudine in cui, a volte, la lasciava.
E ora era arrivata anche quella lì, con l’armatura
di suo padre. Che lo
sostituiva! Come se qualcuno ne fosse in grado!
Già,
ma se lui al momento
non era a combattere, cosa stava facendo? Perché non era
ancora arrivato? Forse
la strega maligna aveva ragione, e non la stava neppure cercando.
«se non fa il
generale allora cosa fa?» domandò
«perché non mi viene a prendere?»
Cercava di fare la dura, ma la nota disperata nelle sue parole era
perfettamente udibile.
“cosa fa tuo padre? Cerca di convincere gli psicologi che lo
seguono che è
pronto a riprendere il suo posto, e purtroppo per lui sta per essere
accontentato. Ho dato ottima prova di me come High General.
È tempo che lui dia
la sua…pessima, ovvio, perché è ben
lontano dall’essere pronto. Tutto andrà
come deve andare” pensò Nahema.
Era una situazione “strana” persino per una persona
come lei.
Solitamente
lo sconforto
altrui non le faceva né caldo né freddo, anzi,
nel caso di Pitchiner poteva
dire persino di rallegrarsene in quanto vantaggioso per i suoi piani;
trovarsi
faccia a faccia con una bambina di neppure sette anni distrutta, che
aveva
perso tutto in un attimo soltanto perché figlia
dell’uomo sbagliato, era un
po’diverso.
Accantonò presto la cosa, però: quella di Emily
Jane non era la prima vita
devastata in nome dell’ambizione degli Aldebaran, e tantomeno
sarebbe stata
l’ultima. «tuo padre non sa che sei qui.
D’altra parte non è che si sia dato da
fare per cercarti, posso assicurartelo».
Emily Jane strinse i pugni, decisa a trattenere le lacrime.
«non è vero».
«purtroppo è così. Tu, per vari motivi,
al momento sei l’ultimo dei suoi
pensieri. A volte mi viene quasi da pensare che ti creda morta o
qualcosa del
genere, per come si comp-»
All’improvviso Nahema sentì qualcosa colpirla
dritto su una guancia.
Nulla
che potesse farla
vacillare, ma la botta era quasi riuscita a farle voltare la faccia.
Schiaffeggiata…da una bambina?
Sul momento le parve un affronto inaccettabile, ma
l’istante dopo cambiò
idea. Quel che aveva fatto a Emily Jane Pitchiner avrebbe meritato
molto più di
uno schiaffo, e Nahema era troppo onesta con se stessa per non
rendersene
conto. «hm. L’ho quasi sentito»
commentò, rialzandosi.
«NON È VERO!!!»
gridò Emily Jane «mio padre mi troverà,
lui mi sta
cercando, e quando saprà come sono trattata vi
punirà t-»
La bambina non riuscì a finire la frase, perché
due dei servi senza volto la
sollevarono senza alcun garbo.
«in questi mesi mi sono sforzata di
sopportare sia te, sia la
tua completa inciviltà…gli Dei sanno se
l’ho fatto!» esclamò Kehazilia, con
un’espressione quanto mai dura sul suo giovane viso
«ma che tu abbia osato
alzare le mani su mia sorella, la primogenita di una famiglia di
arciduchi, è
intollerabile».
«lasciatemi!» gridò
Emily Jane, divincolandosi inutilmente.
Nahema aveva una bruttissima sensazione. «cos’hai
in mente?»
«mio marito mi ha fatto promettere che avrei trattato questa
selvaggia come
fosse stata mia figlia. Ciò significa crescerla come se
fosse un’Aldebaran, con
tutto quel che comporta. Dovresti conoscere le conseguenze di azioni
come
quella che ha compiuto questa bestiola».
A quel punto Nahema capì dove voleva andare a parare, e si
stupì quando vide la
sorella modellare senza particolare difficoltà qualcosa di
terribilmente
somigliante ad una frusta, fatta di una strana materia luminosa.
Sembrava che
Typhan, oltre a munirla di palazzo e servitù,
l’avesse dotata di alcuni poteri
e le stesse insegnando anche qualche trucchetto. «Kehazilia,
è una bambina».
«anche tu e Aladohar lo eravate, eppure la giusta dose non vi
è stata
risparmiata, se non sbaglio» ribatté la ragazza.
«non è un’Aldebaran e, promessa o non
promessa, non puoi trattarla come se lo
fosse. Come tua sorella maggiore e parte lesa, voglio che tu sorvoli su
quanto
è accaduto».
Kehazilia si avvicinò a Emily Jane, dando quasi
l’impressione di fluttuare nel
suo lungo abito dorato. «come tutrice di questa piccola
bestia e signora di
queste terre, io non intendo assolutamente ascoltarti».
Il primo schiocco della frusta risuonò sonoro nella stanza,
e ancor di più il
grido di dolore straziante di quella povera bambina.
Il secondo fu ancora peggiore. Contrariamente ad Iyra, brava a
infliggere
frustate che causavano dolore ma non lasciavano altro se non brutti
segni rossi
che sparivano dopo un paio di giorni, Kehazilia aveva tutta
l’intenzione di
imprimere in modo profondo e indelebile la sua lezione sulla pelle di
Emily
Jane, lacerando vestiti, pelle e psiche.
Il rumore del terzo colpo fu quasi del tutto soffocato da quello degli
strilli
e i pianti. Nahema non sapeva dire se fosse peggio questo, o
l’aria
imperturbabile con cui Kehazilia inferse il quarto.
Superando lo sbigottimento la sua mano destra a quel punto
scattò da sola,
bloccando a metà strada il polso sottile di sua sorella.
«è sufficiente, anzi»
allontanò bruscamente Kehazilia dalla sua vittima
«è anche troppo. Non può
reggerne altri, non di questo genere!»
«la punizione prevista è di dieci frustate, e tu
non hai l’autorità di
impedirmi di continuare!» protestò Kehazilia, che
in seguito gemette,
sentendosi quasi stritolare il polso.
«se avessi voluto la morte della bambina, a
quest’ora sarebbe stata sottoterra
con la madre. Lei deve rimanere in vita, e quanto più
possibile illesa.
Per il resto ricorda: avrai sposato una specie di semidio, ma sei
un’Aldebaran,
e io sono a capo della nostra famiglia. Ho tutta
l’autorità che serve» affermò
Nahema «e l’avrò sempre, che ti piaccia
oppure no. Il sangue non è acqua, e per
vari motivi preferirei che mantenessimo un buon rapporto, Nihil
Kehazilia»
concluse, lasciandola andare «ora di’ ai tuoi servi
che lascino andare la bambina,
e falla medicare».
«una punizione è una punizione, non vedo che
valore possa avere se poi le sue
ferite vengono curate immediatamente!» ribatté la
ragazza, mentre i due servi
lasciavano cadere a terra la povera Emily Jane.
«non dubito che per una persona che non ha mai preso colpi di
frusta, o così mi
dicono, sia facile parlare. Benissimo, se tu non vuoi farla medicare lo
farò io
stessa nella mia nave. Uno dei tuoi servi verrà con me,
così che in seguito
possa accompagnarla nella sua stanza. Per oggi eviterai la sua
compagnia e,
quanto al modo in cui la tratterai in futuro, mi sono spiegata poco fa.
Tu» si
rivolse a un servo «solleva la bambina e seguimi».
«è vergognoso che un’arciduchessa si
faccia colpire da una piccola plebea senza
protestare!» esclamò Kehazilia «credevo
fossi diversa, Nahema. Più autorevole».
«infatti lo sono, quando e con chi serve. La
crudeltà inutile è una cosa
diversa, e lei ne ha già passate abbastanza. Ti saluto Nihil
Kehazilia, e spero
che i nostri incontri futuri, perché ce
ne
saranno, siano migliori di questo».
Uscì senza degnare Kehazilia di un’ulteriore
occhiata, e senza aspettare una
risposta, seguita dalla creatura senza volto che, come lei aveva
ordinato,
trasportava Emily Jane.
Quest’ultima
al momento
quasi del tutto immobile e silenziosa, tanto da somigliare a una
bambola di pezza
con la schiena martoriata.
Anche nella nave le cose non cambiarono, ed Emily si lasciò
manipolare senza
proteste, anche quando Nahema le scoprì la schiena.
L’unica cosa che faceva
capire che era viva era il respiro corto e spezzato.
«ho mentito a mia sorella. Probabilmente avresti potuto
reggerle tutte e dieci,
fisicamente parlando. Il fatto che tu sia piccola e magra non deve
ingannare:
credo che tu abbia il nerbo di Kozmotis, e non è un
male» da una valigetta
d’acciaio, Nahema tirò fuori una fiala che
conteneva uno strano liquido blu
luminescente, con cui imbevve del cotone. «questo
farà sparire immediatamente
il dolore, e renderà la guarigione un
po’più rapida. Gli intrugli di mio padre
a volte hanno quasi del miracoloso. Quasi.
Credo che dovrò anche
metterti dei punti, ma neppure questo ti farà male. Poi ti
fascerò. Servo»
Nahema guardò l’essere senza volto «nei
prossimi giorni cambierai le sue
fasciature fino a quando le ferite saranno scomparse».
Anche in seguito la bambina non disse nulla, però man mano
che il liquido
veniva applicato sulle sue ferite riprese a respirare in modo
più regolare, e
iniziò a tremare leggermente.
«ora metto i punti. Cerca di restare ferma,
d’accordo?»
«portami da papà» disse Emily Jane, in
un mormorio quasi inudibile «portami
via. Non lasciarmi qui. Portami da lui…portami da
papà, ti supplico…»
Furono le ultime parole che disse prima che la sua voce si spezzasse, e
crollasse in un pianto dirotto.
Qualcosa portò Nahema -Nahema!- a
sollevare una mano per fare
addirittura una carezza a quella povera creatura ma, com’era
accaduto prima con
l’indignazione per lo schiaffo ricevuto, cambiò
subito idea. Sarebbe stato un
gesto inutile, nonché -conscia del proprio ruolo in quella
vicenda- ben poco
coerente. «io non posso proprio portarti via, quindi
resterai dove sei.
Tranquilla, Kehazilia non ti frusterà
più» disse, auspicando di avere ragione
«però una cosa posso farla. Posso dire a tuo padre
che sei qui».
«davvero lo farai?» le chiese Emily Jane, con una
flebile luce di speranza
negli occhi.
«sì. Hai la mia parola che, quando
verrà il momento, gli dirò dove sei. A quel
punto deciderà lui cosa fare».
Tanith, invisibile e intangibile, rise silenziosamente.
“Quando verrà il
momento” significava “quando avrò preso
il posto di tuo padre e forse anche il
regno”, quindi molto probabilmente ci sarebbero voluti anni
prima che il povero
generale avesse notizie di sua figlia.
Non
dubitava che Nahema
avrebbe mantenuto la parola, prima o poi,
ma intanto lei avrebbe
potuto pasteggiare tranquillamente col dolore dei Pitchiner
rimasti.
“non mi sorprenderei se quel che ha detto Nahema causasse
ulteriore tormento
alla piccolina. Finirà col pensare che suo padre sia stato
informato, ma abbia
deciso coscientemente di abbandonarla. Certe persone sono
così brave a
distruggere le famiglie altrui!”
Così pensò Tanith, nel suo allegro
compiacimento…e non aveva idea di quanto
avesse ragione.
Ed ecco spiegato perché Emily Jane ha qualche problema a
lasciare che le persone guardino la sua schiena nuda. In LLD2 ne avevo
dato un
accenno, qui è spiegato un po’meglio.
Per quel che concerne il titano Typhan -al quale in un mio
head canon ho dato la possibilità di assumere forme
più “comode” quando ha a
che fare con le persone- io mi sono sempre chiesta perché,
pur sapendo
benissimo chi fosse Emily Jane, non l’abbia mai restituita al
padre e l’abbia
tenuta con sé chiamandola “figlia”:
egoismo, immagino. Viene fatto intendere
che desiderasse una famiglia, quindi in questa AU già che
c’ero gli ho
affibbiato anche un’adorabile
moglie.
A voi i commenti, e alla prossima,
_Dracarys_
|
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Capitolo 18 *** 18. Matrimoni e allucinazioni, conigli e contrattazioni ***
=
Matrimoni e allucinazioni, conigli e contrattazioni =
«sì, ho visto il
vestito che hai disegnato per la tua futura
moglie».
«lo so, non è
qualcosa che metteresti tu»
disse il quattordicenne, indicando sua sorella con la matita
che aveva in mano «ma Lili lo metterà volentieri.
Comunque…come lo trovi?»
La prerogativa dei nobili di sposarsi
già dai quattordici
anni aveva permesso ad Aldebaran e Altair di combinare un matrimonio
tra
Vaendiliel, la sola figlia di Lord Renin Altair, e Nihil Iruhu, il settimo dei nove eredi che Iyra
Aldebaran aveva dato alla luce.
Poteva sembrare un matrimonio poco
vantaggioso per l’erede
di Casa Altair, ma la verità era che le altre famiglie delle
Costellazioni
avrebbero accettato di combinare un matrimonio con chiunque portasse il
cognome
della Casa più ricca del regno.
Bastava pensare al fatto che gli
Albali e i Virgo avessero
già messo gli occhi sui figli -di
un’età che andava dai sei anni in giù-
di suo
fratello Nihil Ralonrin, come altre famiglie lo avevano fatto coi figli
di Nuro.
Era così da sempre: essere
un Aldebaran significava avere
tanti pretendenti quante tonnellate d’oro. Ai più
superficiali poteva sembrare
bello essere circondati da persone pronte a lusinghe e matrimoni, ma
bisognava
sempre tenere presenti i motivi dietro tutto ciò.
“sarebbero disposti a
sposare persino una capra, se questa
avesse la voglia sul muso” pensò Nahema.
«è bello, su questo non ho nulla da
dire. Stoffa oro, decori d’oro…molto
Aldebaran» disse «ma “Lili”
è un’Altair».
«per questo insieme al
vestito c’è un luuuuungo mantello blu
scuro molto Altair» obiettò Iruhu «con
piccole applicazioni in oro sul fondo
che ricordano un po’le stelle del cielo: non è
bellissimo?»
«è una buona
idea, Iruhu».
Iruhu non era precisamente uno dei
fratelli che Nahema
conosceva meglio, a causa degli impegni e della differenza
d’età, ma nel tempo
in cui si erano frequentati aveva dimostrato di avere un carattere
amabile, ereditato
da loro padre Kerasaas…
«certo che lo è!
È una mia
idea!»
… Nonostante la completa
mancanza di falsa modestia -un
altro tratto che condividevano, oltre al colore degli occhi e dei
capelli. «ottimo
atteggiamento, se non si è i primi a essere sicuri delle
proprie idee non si
può pretendere di arrivare da nessuna parte. In ogni singolo
aspetto della vita!»
«e soprattutto nel mondo
della moda» aggiunse Iruhu «che è
strapieno di squali astrali».
Alcuni avrebbero potuto stupirsi del
fatto che a un
Aldebaran, per di più maschio, fosse stato permesso di
vivere in un mondo che
sembrava fatto unicamente di bozzetti, aghi, stoffe e decori, ma in
tutto ciò
la parola chiave era proprio quel “sembrava”.
Iruhu aveva ricevuto la stessa
formazione che avevano avuto
lei e gli altri loro fratelli -e questo già diceva tutto;
per il resto, i
componenti della famiglia potevano scegliere di dedicarsi a qualunque
tipo di
attività, a patto che questa fosse utile e/o servisse a
influenzare le masse in
loro favore. Tutti motivi per cui quando Iruhu, circa un anno e mezzo
prima,
aveva iniziato a mostrare interesse e talento per
l’attività di stilista di
moda, non era stato affatto scoraggiato: al
contrario!
«mai sentite parole
più vere, il mondo della moda è quasi
peggio di quello della politica. Hai progettato anche il tuo abito da
cerimonia?»
Iruhu annuì.
«sì… ma mi piacerebbe che restasse una
sorpresa
anche per te e nostri fratelli».
Nahema, per nulla contrariata,
alzò le mani. «come desideri»
disse, per poi sedersi su una sedia lì vicina. «si
prospetta un bel
matrimonio».
Iruhu a quel punto si decise a posare
la matita, e a dare
alla sorella la sua totale attenzione. «di sicuro
sarà tranquillo, e non chiedo
di meglio».
«la cerimonia e il
ricevimento si svolgeranno senza intoppi»
lo rassicurò Nahema.
«non mi riferivo a
quello» disse il ragazzino, per poi face
spallucce «ma va bene lo stesso».
Nahema non fece commenti, pensando
che tutto sommato Iruhu
avesse preso anche l’intelligenza di Kerasaas, oltre alla
corporatura. Le
tradizioni degli Altair li volevano tanto forti caratterialmente quanto
abili
con le armi da taglio, ma Vaendiliel -complice
l’atteggiamento “morbido” del
padre nei suoi confronti- non sembrava spiccare né per
l’una né per l’altra
cosa.
Quella di Renin Altair era una figlia
di bell’aspetto e tranquilla,
adatta a un matrimonio tranquillo,
ed era precisamente questo
ciò a cui Iruhu si riferiva.
«io comunque sono contento,
e lei anche» continuò Iruhu «per
quello che conta».
“Per quello che
conta”. Evidentemente la realtà penetrava
nei mondi fatti di stoffe e decori più profondamente di
quanto si potesse
pensare, e ricordando com’era anche lei a quattordici anni
non riusciva a
ritenerlo un male.
Non era forse l’interesse
la base più solida sulla quale si
fondasse un matrimonio ben riuscito? Certo. Non era stata a sua volta
promessa
a qualcuno? Naturalmente sì, come del resto tutti i suoi
fratelli. Non si era
forse fidanzata col suo promesso, com’era suo dovere? Il
dovere era sacro, gli
obiettivi della famiglia venivano prima di tutto, quindi la risposta
era che
ovviamente sì, lo aveva fatto.
Dopo anni di procrastinazione nei
quali invece aveva fatto
tutt’altro, in altri luoghi e con
altre
persone, per poi dare a Tsar il permesso di chiudere il loro
legame nel più
sincero affetto, almeno da parte di questi, nella prima occasione in
cui c’era
stata un’occasione valida per farlo.
Il dovere e gli obiettivi di famiglia
erano sacri, ma le
modalità e i tempi con cui svolgere l’uno e
raggiungere gli altri erano sempre
stati molto variabili… almeno per lei.
«meglio
così» rispose Nahema, giusto per interrompere
riflessioni un po’ “scomode”.
«quantomeno avrete l’occasione di indossare dei
vestiti perfino più belli di quanto siano di
solito».
«i vestiti nuziali devono
esserlo» replicò il fratello,
quieto «ma comincio a credere che non ti vedrò mai
addosso il tuo».
«…prego?»
Passi Kitah, che era il principale
pretendente, passi
Aladohar, che era il migliore amico di suddetto pretendente, ma che
perfino il
suo fratellino quasi quindicenne incominciasse a romperle le scatole
con quella
faccenda del matrimonio non era ammissibile. Cosa ne sapeva Iruhu, poi?!
«ho progettato i vestiti
nuziali per tutti quelli della
famiglia che non si sono ancora sposati» le spiegò
«ma se a ventinove anni, e
con tutti i pretendenti che presumo ci siano, non ti si sente mai
neppure
accennare ad un plausibile matrimonio…mi sa tanto che il
bozzetto rimarrà nel
cassetto».
«potrei liquidare la
questione con un “fatti gli affari
tuoi”, sarebbe nei miei diritti» disse Nahema
«ma sei mio fratello e non sei
uno stupido, per cui ti parlerò di conseguenza. Al di
là del fatto che i miei
impegni al momento non lascino spazio a delle nozze, la mia attuale
posizione
di capofamiglia renderebbe ancor più difficile trovare,
eventualmente, un
marito adeguato. Mi
segui?»
«non deve essere soltanto
l’altra famiglia a guadagnarci, dobbiamo
avere un tornaconto anche noi, perché se così non
fosse il matrimonio sarebbe completamente
inutile» disse Iruhu, atono come se stesse recitando frasi a
memoria, e in un
certo senso era proprio così. «e forse perfino
dannoso».
«direi che ci siamo intesi.
Cos’altro aggiungere? Ah, sì:
voglio vedere il progetto per il mio vestito».
Iruhu fece spallucce, aprì
un cassetto della scrivania lì
vicino e, dopo aver cercato un po’, tirò fuori un
foglio. «già che ci sei te lo
lascio proprio, così non rimane lì a prendere
polvere».
Una piacevole sorpresa
arrivò vedendo che Iruhu non aveva progettato
un vero e proprio vestito: la parte superiore era somigliante a
un’armatura da cerimonia
intarsiata, ovviamente dorata, mentre la parte inferiore era composta
da una
lunga gonna viola con un lungo spacco sulla parte destra, non dissimile
dal
tipo che lei portava abitualmente -quando le portava. Stivali, cintura,
e
accessori vari sempre dorati completavano il tutto…e quel
“tutto” le piaceva molto.
«hai previsto che io mi porti
dietro una spada?»
«non si sa mai!»
Trascorse quale istante di silenzio,
poi Nahema guardò
nuovamente il disegno, e si alzò. «se mai un
giorno mi sposerò, rifiuterò di
indossare qualsiasi altra cosa».
«promesso?»
Aveva deciso che quel foglio sarebbe
finito nell’archivio
dei documenti più importanti, nonostante non
c’entrasse nulla col resto. Se
Iyra fosse stata ancora in grado di intendere e di volere non avrebbe
approvato
quel gesto, né ne avrebbe compreso il motivo, ma Iyra non
era in grado di dire
la propria, e comunque neppure Nahema sapeva perché avesse
preso una simile
decisione. «promesso».
Iruhu sorrise. «sono
contento che ti piaccia. E magari quel
giorno arriverà presto! Ricordi cosa succede oggi
pomeriggio, prima delle mie
nozze?»
Certo che ricordava, era impossibile
dimenticarlo. «un ambasciatore
dei Pooka in arrivo a
Paradhiso… proprio un evento. Ma non capisco cosa
c’entri con le mie eventuali
nozze» aggiunse, vagamente perplessa.
«beh,
anche con il
re dei Pooka andrà pure stretta una qualche alleanza. In
questa unione
dinastica il tornaconto ci sarebbe!» esclamò
Iruhu, con un sorrisetto.
«tu
a volte sei fin
troppo somigliante a Ralonrin!» ribatté Nahema
«e no, non è un complimento».
Iruhu,
per
l’ennesima volta, fece spallucce, e tornò a
chiudere il cassetto. «“…rise
il
toro, rise il toro, la zampa sollevò…ma lo
scorpion più lesto fu, perciò, sul
muso gli saltò!”…»
canticchiò «l’hai sentita questa
canzone? Gira
tantissimo».
Nahema si
irrigidì.
«evitiamo di cantarla, dal momento che il toro e lo scorpione
in questione non
sono stupidi animali parlanti, come tu sai benissimo» disse
seccamente.
“e
tra tutti quanti
non stiamo facendo precisamente una bella figura, dal momento che Lady
Vliegen
tuttora non si trova e la situazione nei territori degli Scorpio
è tesa, tanto per
utilizzare un eufemismo” aggiunse mentalmente Nahema
“alla maggior parte della
popolazione di quella specie di fogna, che è purtroppo
piena di uranium,
non interessa che Lady Vliegen abbia fatto uccidere due bambini Taurus,
e vorrebbe
perfino che tornasse a gestire il tutto al posto di
quell’ignavo di Jon Scorpio!”
o meglio, che lo facesse l’ex attendente demone,
perché milady in realtà aveva
gestito proprio niente, da quel che si era capito
“… tensioni dagli Scorpio,
Kozmotis Pitchiner che rientra come High General tra meno di una
settimana,
l’incontro con il Pooka, il matrimonio di un fratello che
canta le canzoni
sbagliate… se fossi mia madre avrei già
l’emicrania, e a me preoccupano un po’anche
i Taurus, al momento”.
Kitah
diceva di
stare bene, per quanto “bene” potesse stare un uomo
che aveva perso entrambi i
figli da pochi mesi, ma da quel che lei sapeva la sua presenza ai vari
eventi
mondani era fortemente diminuita, e lo si vedeva più spesso
rinchiuso nel suo
palazzo che in qualunque altro luogo. Rinchiuso insieme a sua
sorella
Isabeli, una piagnona appiccicosa come colla e chiusa nella
sua piccola
bolla.
Motivo
per cui aveva
detto ad Aladohar di stargli vicino e tenerlo d’occhio
più di quanto facesse
già; lo avrebbe fatto lei stessa, ma già ora
aveva più cose da fare che tempo
per farne… tra le quali sondare il terreno con un vecchio
amico di suo padre,
ancora scapolo, per capire se fosse interessato ad accasarsi con una
duchessa
Taurus giovane e molto
“delicata”. Con
profitto!
Kitah
inizialmente
non sarebbe stato felice, ma col tempo l’avrebbe ringraziata:
Isabeli non era
il tipo di compagnia che gli servisse al momento, né mai.
“anzi,
è la
peggiore possibile. Liberarsene gli farà bene”.
No, in
realtà quella
di Isabeli non era la peggiore compagnia di cui Kitah
“godesse” al momento.
Peccato
solo che
non potesse saperlo.
***
«i
conigli cominciano a uscire dalla tana, visto?»
Non
giunse risposta
dall’uomo con lo sguardo cupo e la mascella irrigidita che,
guardandosi in un
grande specchio, indossava una parte dell’armatura candida
che aveva appoggiato
a terra.
«evidentemente
hanno superato la paura di essere fatti arrosto o essere
braccati!» aggiunse
ridendo la figura, che con i suoi
larghi vestiti neri spiccava sulle coperte candide del letto sul quale
era
seduta a gambe incrociate. «non
che con noi corrano
questo rischio, il coniglio arrosto non ci piace…e per il
resto è molto meglio
andare a braccare ragazzini tredicenni».
«TACI!!!»
gridò l’uomo, lanciando con forza la parte di
armatura che stava per indossare
verso la sua interlocutrice, senza ottenere risultati concreti: il
pezzo ne
attraversò il corpo come se fosse stata fatta
d’aria, e con un forte suono
metallico andò a finire contro il muro di pietra.
«e
per fortuna che “Vincit qui se vincit”!
Io sarò pure una plebea, ma ho
rispettato il motto degli Scorpio molto più di quanto tu
faccia col tuo: “Venom
in our veins”» recitò, con
un gesto teatrale «e
ora anche nelle tue».
Kitah
raggiuse la
sedia più vicina e crollò a sedere lì,
passandosi le mani sul volto e sperando
che quell’azione la facesse scomparire una volta per tutte
dalla sua vista.
Peccato che fossero speranze vane e che lui, ormai, lo sapesse fin
troppo bene.
«sì, l’ho notato. Proprio una
meraviglia».
«vorresti
prendertela con me perché a te è
partita una rotella? Questo è il colmo!
Di’, credi che a me piaccia trascorrere il mio tempo libero a
fare la tua
allucinazione?! Come se tu fossi una persona sopportabile,
guarda un po’!»
«e
allora
vattene e smettila di rendermi la vita impossibile, maledizione!»
Stava
parlando al
vuoto, ne era conscio, ma non poteva farci nulla: tutto era cominciato
una
settimana dopo la morte dei suoi figli, e da quel momento in poi nulla
era
cambiato.
La prima
volta che
aveva trovato Vliegen beatamente appollaiata sul
suo letto non aveva
esitato un secondo a tirare fuori la spada per tagliarla in due, ma non
aveva
trovato altro che aria, e tutto quel che aveva ottenuto era stato
mutilare uno
dei suoi cuscini.
Ricordava
l’incredulità
che aveva provato quel giorno, e soprattutto la paura. Non
sapeva dire
se ne avesse provata di più quando non era riuscito a
colpirla e aveva pensato
che lei avesse acquisito qualche strano potere, o piuttosto quando
Vliegen gli
aveva detto di essere una sua allucinazione e lui aveva capito che non
mentiva.
No, non
era vero:
in realtà sapeva benissimo di aver provato più
paura quando aveva capito di
essere diventato un pazzo. Un pazzo che si rendeva conto di esserlo, e
che
oltre a quel “piccolo” problema non ne aveva altri
- si rendeva perfettamente
conto di cosa gli succedeva attorno e non pensava di essere il padre di
sua
madre - ma sempre un pazzo.
«lo
vuoi capire sì o no che appaio ogni volta che mi pensi?! Se
fosse per me col
cavolo che sarei qui, avrei di meglio da fare che stare dietro a un
malato di
mente»
ribatté Vliegen,
stratandosi sul letto «sei
tu che mi rompi l’anima anche
alle nove di mattina, quando a quell’ora
antelucana potresti benissimo
lasciarmi dormire in pace! Prova a immaginare di fare cose
con Nahema,
piuttosto».
«le
“cose” con lei
sono affar mio, tu non ti intromettere!»
«difatti
mi hai mai visto intorno a voi mentre le fate?... che hai da guardare
in quel
modo?» Vliegen
aggrottò la
fronte «è
successo solo una volta!»
«una
volta di
troppo, e per colpa tua in quell’occasione non sono
riuscito a…ah, ma anche
io perché mi
metto a discutere con
un’allucinazione?!» sbottò, andando a
prendere la parte di armatura che aveva
lanciato «con tutto quel che c’è in
ballo oggi! L’incontro con il Pooka tra tre
ore, il matrimonio di Nihil Iruhu Aldebaran con Vaendiliel
Altair…»
«e
anche il tuo matrimonio con Nahema...ah,
già, quello no!»
fece spallucce «perché
lei non ti sposerà mai!»
Kitah
Taurus lasciò
cadere le braccia lungo i fianchi e strinse i pugni, sentendosi a sua
volta
“stretto” in una morsa fatta tanto di rabbia quanto
di impotenza. «non lo fa per
ora. Solo per ora…e giuro su quel vuoi che
troverò il modo di liberarmi di
te prima di sposarmi!»
La
ragazza allargò
le braccia. «allora
guarda, hai tuuuuutto il
tempo del mondo! Anche se in effetti un modo rapido ed efficace per
togliermi
di torno ci sarebbe» indicò il
balcone «al
momento siamo molto in alto, giusto?»
Non era
la prima
volta che succedeva. Non era la prima volta che
l’allucinazione lo tormentava e
arrivava al punto di cercare di istigarlo al suicidio, e in
un’occasione era
quasi riuscita nel proprio intento.
Era
successo il
mattino del terzo giorno, dopo aver passato quarantotto ore da incubo
senza
riuscire a chiudere occhio. Come avrebbe potuto farlo, con
l’assassina dei suoi
figli sempre presente, sempre a osservarlo, sempre a prenderlo in giro,
indipendentemente da dove fosse e con chi?!
Si era
accasciato
su un divano con le mani tra i capelli e le aveva urlato di andarsene,
l’aveva
quasi supplicata.
Era stato
allora
che lei gli aveva porto il tagliacarte sul tavolo vicino -o meglio, che
lui
aveva preso il tagliacarte sul tavolo vicino credendo fosse lei a
darglielo-
dicendogli di finire il lavoro che lei aveva iniziato a Duskfell: o
quello, o
trovare la vera Vliegen e ucciderla, non c’era altro modo.
Per un
attimo aveva
pensato di farlo davvero, e aveva avvicinato l’oggetto alla
propria gola. Non
si sapeva dove fosse Lady Scorpio, e lui non poteva andare avanti in
quel modo
un giorno di più, o così credeva.
“Kitah? Sei
qui?...cosa stai facendo?”
Poi
però era
entrata Isabeli, e la sua mano si era mossa da sola, gettando il
tagliacarte
fuori dalla finestra. Si era giustificato con la sua delicata sorella
dicendo
che lo aveva fatto perché non gli piaceva più, e
lei, la sua ingenua salvatrice,
gli aveva persino creduto.
A quel
tentativo di
Vliegen erano seguiti altri, inizialmente piuttosto fitti, ma lui non
era più
arrivato al punto di assecondare l’incarnazione delle proprie
turbe psichiche,
e alla fine le istigazioni al suicidio si erano diradate e avevano
perso di
efficacia, lui aveva ripreso a dormire, e di solito cercava di ignorare
la sua
presenza: quando era da solo non aveva molto successo, ma era sempre un
miglioramento rispetto all’inizio.
Si poteva
dire che
avesse più o meno incominciato ad abituarsi,
e questo, a pensarci bene,
faceva più paura di tutto il resto. «puoi sempre
saltare giù e verificarlo di
persona».
«nah,
senza di te non ci sarebbe gusto. In alternativa, perché non
provi ad andare da
uno psichiatra molto bravo?»
gli chiese, con uno strano sorriso «alla lunga
rischierai di perdere la testa per colpa mia… in un modo o
nell’altro!»
«andarci
è
esattamente quello che farò. Un giorno».
Vliegen
scosse la
testa. «incredibile,
sei così cretino da provare a
mentire al tuo stesso cervello. Non ci andrai mai, e lo sai
perché? Perché se
lo facessi gli Aldebaran verrebbero a saperlo, se venissero a saperlo
riuscirebbero anche a scoprire il motivo, e se scoprissero il
motivo-»
«Aladohar
è il mio
migliore amico e Nahema mi ama!» la interruppe
l’uomo «loro mi aiuterebbero!»
«sicuro
che ti aiuterebbero!... a crepare più in fretta!» esclamò Vliegen «al
posto loro non vorrei intorno una potenziale mina vagante,
né vorrei un malato
di mente come amico, e tantomeno nel mio letto. Gli Aldebaran sono
così… loro
pretendono aiuto nel momento del bisogno, ma tu non solo non puoi
parlare del
tuo problema al Grande
Ammmore Della Tua Vita, ma
devi sentirti felice
del fatto che lei non abbia notato che hai qualcosa di serio che
non
va!...o magari lo ha notato, ma non ritiene sia il caso di dargli
importanza. A
proposito, tu e Nahema avete un gran bel rapporto»
disse, e applaudì «complimenti».
«smettila
di dire
stronzate, o IO-»
«…
‘o
io mi metterò a gridarti di non dire stronzate’?
Perché più di questo non puoi
fare, Lord Taurus! Ahahahahiiiih!»
rise sguaiatamente «non
puoi fare molto, contro il
tuo cervellino. Come non puoi fare molto per evitare la diffusione
delle belle
canzoni».
L’uomo emise un verso che
sembrava quasi un ringhio feroce.
«non provare a-»
«“togliti di mezzo!, disse il grosso toro, o ti
calpesterò. Mi basta uno
zoccolo, e io ti ucciderò!”»
cominciò a
canticchiare
l’allucinazione, ignorandolo «“prova
dai, vediamo un po’!, disse lo scorpion, sei grosso ma non
servirà, se ti pungerò!”»
Kitah raccattò gli ultimi
componenti dell’armatura e,
incapace di rimanere in quella stanza un minuto di più, ne
uscì di corsa,
sbattendo violentemente la porta dietro di sé.
«“rise
il toro, rise il toro, la zampa sollevò, ma lo scorpion
più lesto
fu, perciò, sul muso gli saltò! La coda egli
lì drizzò, e il toro
avvelenò…”»
Se ne andò, pur sapendo
che non sarebbe servito proprio a
nulla: non poteva fuggire da Vliegen, dalla sua voce, da quella
maledetta
canzone.
Non poteva fuggire da se stesso.
«“e
ora le ossa del grosso toro si seccano qui al sol! Sì ora le
ossa si
seccano e ride, ride lo scorpion!”»
***
“non
capisco, cosa
se ne fanno di un palazzo così grande? Non sarebbe molto
meglio riunire i capi
delle varie tribù attorno a un fuoco, come facciamo noi? Ci
sono aspetti di
questo tipo di società che mi lasciano un
po’perplesso. Sono edifici grandiosi,
non dico di no, ma servirebbero delle indicazioni
al loro interno!”
pensò, muovendo ripetutamente le lunghe orecchie pelose
“no, su: devo cercare
di rilassarmi. È un momento importante, non posso lasciare
che venga rovinato
dalle mie ansie, soprattutto perché sono tra quelli che ha
votato a favore di
un’apertura verso il regno dei Lunanoff!”
Pura
verità ma,
nonostante le sue auto- rassicurazioni e l’autocontrollo che
ai Pooka veniva
insegnato fin dalla tenera età, se E. Aster Bunnymund avesse
detto di non
essere agitato avrebbe mentito.
Non che
fosse una
cosa anormale, tutt’altro: dopo millenni di isolamento, in
cui poche cose
riguardo i Pooka erano trapelate all’esterno, la sua
comunità aveva deciso di
aprirsi a un regno che era sempre stato loro vicino, ma del quale non
si erano
mai curati di entrare a far parte.
Se
avevano preso
quella decisione era tutto merito dell’eccelsa gestione del
regno da parte del
re e i nobili delle Costellazioni, i quali, da ciò che loro
erano riusciti a
sapere, sembravano essere proprio delle brave persone
- beata ignoranza!
- e dunque meritevoli tanto di una chance, quanto dei doni che Aster si
era
portato dietro.
Solo che
c’era un
problema: per dare loro i suoi regali, doveva prima trovare la stanza
giusta.
«accidenti
a me e
alle mie idee!» borbottò.
Era un
tipo
curioso, motivo per cui aveva deciso di arrivare un po’prima
con la sua
navicella a Paradhiso e visitarne parte da solo, per poi aprire una
galleria
che lo portasse davanti all’ingresso del palazzo reale.
Non era
abituato a
quel genere di edifici, di veicoli e a tutto quel tran-tran, ma
nonostante
tutto aveva trovato Paradhiso era una città bella quanto
tranquilla, e la prima
parte del suo “piano” era filata liscia come
l’olio - eccetto per i comprensibili
sguardi stupiti di alcune persone - la seconda invece…un
po’meno.
Non aveva
regolato
bene le varie distanze, e invece che all’ingresso era
rispuntato in chissà
quale ala del palazzo, finendo col perdersi.
Stava
facendo una
figura da scemo, sì, e non per le sue ansie.
Ansie che
quei
pensieri stavano facendo gonfiare a dismisura.
«…dico
solo che proprio
oggi forse non era il caso. Ecco. Il matrimonio di
mia figlia con tuo
fratello inizia subito dopo, avrebbe anche potuto dirgli di rimandare a
un’altra occasione».
Una voce.
Una voce
maschile. Qualcuno a cui chiedere indicazioni! Miracolo!
«non
vedo perché,
Renin. Al contrario, io penso che non potesse scegliere un giorno
migliore di
questo!»
Oh.
C’era anche una
femmina. C’era solo da sperare che non si fossero appartati
per accoppiarsi,
visto che quella razza -da quel che sapeva lui- tendeva a farlo molto
spesso.
Del resto non tutti erano creature immortali che, per impedire la
sovrappopolazione, si riproducevano una volta ogni mille anni. Letteralmente.
Il Pooka
arrivò
all’angolo, e non avendo sentito rumori inopportuni
si azzardò a dare
un’occhiata.
L’uomo
era alto,
vestito di blu scuro e con capelli di un brillante bianco argenteo,
mentre la
donna… diciamo che non avrebbe fatto volentieri a botte con
lei, e non per
l’armatura dorata dalla quale era protetta.
“che
faccio, chiedo
indicazioni a loro due? Ma poi chi sono, loro due? Non è che
sono il re e la
regina? E se sono loro due che figura ci faccio?!... oh
senti” si passò una
mano sul volto “meglio darci un taglio, chi se ne importa di
chi sono e chi non
sono, io devo trovare il benedetto corridoio giusto!”.
«ehm… salve?» esordì,
dopo essersi lisciato sia il pelo che il lungo soprabito verde smeraldo
ricamato «sono E. Aster Bunnymund, ambasciatore per conto del
popolo dei Pooka…
e credo di essermi… ecco… un pochino
perso».
I due si
erano
immediatamente voltati verso di lui con un’aria un
po’sorpresa, comprensibile
vista l’interruzione improvvisa e da chi questa era stata
fatta, ma la donna si
riebbe subito, gli si avvicinò, e lo salutò -con
suo stupore- con il tipico
saluto dei Pooka, facendo un leggero inchino con la parte superiore del
corpo.
«karere Nui Bunnymund, kia tonu
koutou whenua i roto i te pua».
«kia
tonu koutou
whenua i roto i te pua» rispose lui quasi
meccanicamente, dopo
un’esitazione dovuta all’ulteriore sorpresa
«conoscete la lingua dei Pooka,
Lady…?»
«Lady
Nihil Nahema,
arciduchessa della Casa Aldebaran e, momentaneamente, High General of
the
Galaxies» si presentò la donna «della
vostra lingua e del vostro popolo conosco
solo quel che avete permesso che trapelasse al di fuori della vostra
comunità,
che purtroppo non è molto».
«speriamo
che dopo
l’incontro di oggi le cose cambino. Lord Renin, marchese
della Casa Altair» si
presentò l’uomo con i capelli bianchi «e
deplorevolmente ignorante sui
saluti di rito dei Pooka».
Aster non
conosceva
il loro aspetto e aveva delle lacune su usi, costumi e geografia, ma
era
consapevole che Aldebaran e Altair fossero due delle grandi Case delle
costellazioni, e che quindi doveva comportarsi di conseguenza -e
superare
l’imbarazzo per la figura da sciocco fatta perdendosi.
«non ve ne faccio una
colpa, Lord Altair. Comunque, nella lingua comune, significa
“possa la vostra
terra essere sempre in fiore”» tradusse il Pooka
«la terra è fonte di vita, è
colei che ci sostenta, e per il mio popolo è molto
importante, tanto da fare in
modo che ogni angolo del nostro pianeta sia verde e
rigoglioso!»
«deve
essere un
posto meraviglioso» disse educatamente Altair.
«se
vedeste
Aldebaran I, Aldebaran II, Aldebaran III allora vi spaventereste: fatta
eccezione per le oasi, le rive dei fiumi e alcune coste è
tutto un deserto.
Giusto su Aldebaran IV e V le cose sono diverse»
commentò Nahema «intanto
venite con noi, vi portiamo dal nostro sovrano».
«grazie!...
ehm…scusate l’ignoranza, ma cosa è un
deserto?» domandò Aster, mentre
camminavano. Lui era tra i Pooka che conoscevano la lingua comune e
avevano
raccolto abbastanza informazioni da decidere di avere rapporti con i
Lunanoff e
le Costellazioni, ma non significava essersi informato su ogni tipo di
clima e
terreno possibile e immaginabile, e il concetto di
“deserto” gli era totalmente
sconosciuto. «nel nostro pianeta ci sono solo un clima mite,
il verde delle
piante e l’azzurro
dei mari».
«se
ci sono dei
mari allora c’è anche la sabbia»
osservò Altair, il quale cercava di trattenere
una risata per l’ignoranza mostrata da quel coniglio troppo
cresciuto e persino
vestito. Vestito!
«onepu.
Sì»
annuì il Pooka.
«ecco,
per farvi
un’idea di come sia il deserto potete immaginare il mare
prosciugato e pieno di
onepu dorata, privo di verde per tratti lunghi
chilometri» disse Lord
Altair.
«ma
è terribile!»
esclamò Aster, senza riflettere troppo.
«ehm… non voleva certo essere
un’offesa».
«nessuna
offesa» lo
tranquillizzò Nahema «e vi assicuro che per chi lo
conosce bene il deserto ha i
suoi vantaggi».
«sì…
certo, certo,
non ne dubito… però questo mi conferma che uno
dei doni che ho portato è stato
molto azzeccato. Lo vedrete!» esclamò il Pooka
«e considerando la quantità di sabbia
di cui mi avete parlato, dovete essere la prima a
utilizzarlo.
Assolutamente!»
«la
vostra
gentilezza mi onora, karere Nui»
replicò l’arciduchessa «e al
momento non vedo altro modo di ricambiarla se non invitandovi al
matrimonio di
mio fratello con la figlia del qui presente Lord Altair, il quale
sicuramente
concorda con me» aggiunse, con un sorriso.
«assolutamente
sì»
confermò il suddetto senza pensarci.
«un
incontro
formale era necessario» proseguì
Nahema «ma per iniziare a stringere un sincero legame di
amicizia tra i nostri
popoli quale occasione è migliore di una festa?»
Aster
rimase
interdetto per qualche istante, perché partecipare a una
cerimonia e a una
festa non era nei suoi programmi -e lui non era un tipo da feste,
assolutamente
NO- ma capì ben presto che rifiutare un simile invito non
sarebbe stato molto
conveniente per nessuno, se la politica estera voleva partire col piede
giusto.
«accetto il vostro invito con molto piacere».
“…eeeee
adesso ho capito perché era tanto
contenta che il giorno dell’incontro con il coniglio e quello
del matrimonio
coincidessero” pensò Lord Altair “tra
una chiacchiera e un bicchiere di liquore
gli spremerà fino all’ultima goccia di
informazioni che può spremergli, e già
che c’è gli farà anche firmare cinque o
sei trattati per il commercio di chissà
cosa, se fiuta l’affare” non visto, alzò
gli occhi al soffitto “è sempre la
stessa persona che quando eravamo piccoli, insieme al suo degno compare
Taurus,
è riuscita a fami scambiare la mia torta con le sue
‘caramelle speciali della
super forza’. Super forza un corno, quella statua non era di
ferro massiccio,
era cava e di gesso dipinto! Di gesso! È
stata una truffa bella e
buona!” pensò. «ecco, siamo praticamente
arrivati, e non siamo neppure in
ritardo. Non più di qualche secondo, almeno».
“la
figura che ho
fatto quantomeno non è troppo pessima”
pensò l’ambasciatore, drizzando
le orecchie e lisciandosi di nuovo il soprabito “se il resto
dei nobili delle
Costellazioni è come loro due andrà tutto bene.
Sì… sì, andrà tutto bene.
Spero.
Mi auguro. Prego”.
Aster
nell’entrare
nella sala dov’erano radunati tutti i nobili era nervoso,
tuttavia non
raggiungeva il livello di Tsarina Lunanoff, la quale cercò
di non incupirsi
troppo visibilmente -senza particolare successo.
“l’ambasciatore
dei
Pooka ritarda, anche se di pochi secondi, e insieme a chi arriva? A
Lady
Nahema, naturalmente!... e la presenza di Renin Altair non cambia
nulla” pensò
la regina “tutto quel che è successo ultimamente
mi ha fatta ricordare un
vecchio detto: ‘Altair colpisce, Taurus finisce, Aldebaran
nasconde il
cadavere’! Peccato che mio marito non da
quell’orecchio non ci senta proprio!”
pensò amaramente “e Nahema in questi mesi ha
mietuto successi al fronte, e
qualunque cosa dica lui le crede, e lei è ancora single, e- BASTA”
si
disse “farsi paranoie inutili non serve a nulla”.
Sì,
soprattutto
visto che da tre mesi a quella parte aveva iniziato a frequentare i
maghi,
sperando di far arrivare quell’erede che non sembrava aver
voglia di arrivare.
Lady
Vliegen era un’assassina
di ragazzini, ma purtroppo alcune cose che le aveva detto le erano
rimaste in
testa al punto da indurla ad agire di conseguenza, e Tsarina sperava
che questo
avrebbe portato a dei risultati concreti.
Scelse di
concentrarsi sull’ambasciatore dei Pooka, il quale dopo
averli salutati -saluto
da lei ricambiato quasi automaticamente- aveva iniziato a parlare.
Era alto
almeno un
metro e ottantacinque, era interamente ricoperto di pelo grigio e
bianco,
indossava un soprabito dell’esatto verde dei suoi occhi.
Tsarina non ne era
sicura, ma le sembrava di vedere su di lui il portamento di coloro che
praticavano da tempo certi tipi di arti marziali.
“lo
stesso che ha anche
Na… no, eh. Non ricomincerò” si impose,
dopo un paio di minuti “meglio che
ascolti l’ambasciatore, piuttosto”.
Fortunatamente,
il
suddetto non si era accorto che la regina fino a quel momento lo aveva
ascoltato solo a metà, e continuò imperterrito il
suo discorso. «…ed è per
questi motivi che abbiamo deciso che questo è il momento
giusto per aprirci e
avviare scambi con l’esterno, ossia con voi, che portino
benefici a entrambe le
parti…»
In pochi,
nel mentre,
si accorsero dell’arrivo di Kitah, scivolato nella stanza da
uno degli ingressi
laterali con la massima discrezione. Alla fine i suoi problemi mentali
erano
riusciti anche a farlo arrivare in ritardo, fantastico.
«eccomi» disse
pianissimo a Nahema, dopo averla raggiunta «lo so che sono in
ritardo, non
aggiungere rimproveri».
«iniziavo
a pensare
che non avresti partecipato neppure questa volta»
replicò lei, altrettanto
piano «cos’è successo?»
«è
caduta una mosca da un cipresso. Mai che si faccia i cazzi suoi,
questa» commentò
Vliegen.
No,
l’allucinazione
non aveva abbandonato il duca nemmeno in quel frangente.
«smettila,
una
buona volta!» sibilò Taurus senza
pensarci, per poi incrociare lo sguardo
di Nahema -che parlava da solo- e rendersi conto della figura appena
fatta. «eeeh…
non parlavo con te,
davvero, credimi»
farfugliò rapidamente «giur-»
«sì,
bene» lo
interruppe Nahema «comunque, ho trovato un marito a tua
sorella Isabeli. I due
futuri sposi praticamente devono soltanto incontrarsi, e
sarà fatta».
Marito.
Isabeli.
Futuri sposi.
COSA?!!
L’argomento
del
discorso e la nonchalance con cui era stato buttato lì in un
momento apparentemente
del tutto improbabile fecero ammutolire Kitah, che sembrava soltanto
capace di
fissarla con lo sguardo sconvolto. Era un vero fulmine a ciel sereno,
perché
lui non sapeva nulla di tentativi di “piazzamento”
vari che se fossero andati
veramente in porto lo avrebbero lasciato completamente solo nel suo
grande
palazzo ricoperto di ghiaccio. Trovare un marito per Isabeli era
auspicabile,
ma proprio in quel periodo!... come le era venuta in mente
un’idea del genere?!
«…solo?
Non passa giorno senza che tu mi rompa le scatole, altro che
solo!» disse
Vliegen, alzando gli occhi al
soffitto.
“taci!
TACI!”
pensò Kitah, ripromettendosi di discutere di quella faccenda
con Nahema alla
prima occasione. «sono io a dover
decidere» si limitò a dire, almeno per
il momento.
«assolutamente.
Ma
mentre decidi tieni presente che quando prima l’ho chiamata
per accennarglielo
sembrava stranamente contenta. Per cui…»
«bella
personcina, la tua non-fidanzata: non solo ti scavalca tranquillamente
per
combinare matrimoni, ma te lo fa pure sapere in un momento e in un
luogo in cui
non puoi mandarla a prenderlo in quel posto!» Vliegen guardò Nahema e
sollevò entrambi i pollici, con un’espressione
sarcastica sul viso
«non ti sposerà mai… ma forse
è
meglio così!»
Kitah non
ribatté
né alle parole di Nahema né a quelle della
propria allucinazione: la sola cosa
che avrebbe voluto era potersi togliere di torno, tornare dritto a casa
e
restarci per un pezzo. Tuttavia non gli era concesso neppure questo,
motivo per
cui si limitò a osservare l’ambasciatore dei
Pooka, che stava tirando fuori un
piccolo scrigno di legno scuro intarsiato dall’interno del
soprabito.
«…
e abbiamo
ritenuto che siate in grado di utilizzare il primo di questi doni con
la
saggezza che occorre» disse Aster
«all’interno del manufatto contenuto in
questo scrigno è custodito qualcosa di estremamente
prezioso: noi Pooka la
chiamiamo “Marama o-te Hanga”,
che nella lingua comune significa…»
aprì
lo scrigno « “Luce della Creazione”, o
meglio, un suo frammento».
Qualcosa
uscì dallo
scrigno sollevandosi in aria, e una luce abbagliante accecò
per qualche istante
tutti i presenti, e soltanto quando questa si attenuò
riuscirono a vederne la
fonte: si trattava di un artefatto la cui forma ricordava in tutto e
per tutto quella
di un uovo, sulla cui superficie si potevano intravedere dei decori al
momento
non identificabili.
«lo
chiamiamo
“Creation Egg”. Sono orgoglioso di dire che il
manufatto contenente la Luce è
stato intagliato dal sottoscritto» continuò Aster
«ha il potere di portare la
vita, il verde, dove questo non c’è. Di rendere
fertili terre sterili… anche
quelle tutte piene di onepu, come dicevo prima a
Lady Nahema. Aggiungo
che inizia ad agire automaticamente una volta aperto lo scrigno, mentre
per
farlo smettere e tornare dentro basta dare due colpetti al
coperchio».
«è
straordinario,
assolutamente!» esclamò Tsar Lunar, sinceramente
meravigliato «e anche molto
semplice da utilizzare. Solo…onepu?»
sottinteso, perfettamente
intuibile: “che roba è?”.
«sabbia»
tradusse
Nahema, prima che lo facesse Aster.
«aaaah,
ecco! Ahem,
sì… un dono senza dubbio meraviglioso,
ambasciatore, del quale tutti siamo
onorati» disse il re «e che utilizzeremo con
intelligenza, dando la precedenza
alle terre più “difficili”, come appunto
è il deserto. Proprio per questo
motivo ritengo che possiate consegnarlo direttamente a Lady Nahema, la
sua
famiglia sarà la prima a utilizzarlo».
“e
ti pareva!”
pensò Tsarina.
Il Pooka
diede i
due colpetti al coperchio dello scrigno, e l’uovo
tornò tranquillamente
all’interno, dopo aver smesso di brillare. «avevo
pensato la stessa cosa,
quando ho saputo dell’esistenza del deserto! Onepu!
Onepu
ovunque!... vederlo di persona sarà
un’esperienza!»
«mi
sono presa la
libertà di invitare il karere Nui
al matrimonio di mio fratello,
così che possa conoscere altre nostre consuetudini
più o meno formali… e
festeggi il lieto evento assieme a tutti noi, naturalmente».
«eh,
ho già
cominciato a scaldare la voce da stamattina, io!»
esclamò Lord Vega «“I’m
thruuuu with loooov-”»
«Vega!»
sbottò
Lord Altair, trattenendosi dall’aggiungere un amorevole
“barattolo che non sei
altro” «per l’amor degli Dei, questa
tienila per dopo, ora non siamo abbastanza
brilli!»
Nella
stanza
risuonarono varie ed eventuali risatine: Advif Vega aveva una voce
sonora,
soprattutto per un uomo piccolo e grasso com’era lui, ma non
era precisamente
intonato. Peccato che si credesse un grande cantante, nonostante la
totalità
dei pareri contrari, e che dunque sentirlo cantare a ogni santissimo
ricevimento
fosse la prassi.
«a
proposito del
matrimonio, credo che se il secondo dono che vi ho portato
sarà di vostro
gradimento potrà essere utilizzato anche in quel
frangente!» disse Aster
«abbiate solo un attimo di pazienza».
In molti
sollevarono le sopracciglia vedendo il Pooka battere il piede a terra
un paio
di volte e aprire così un buco di oltre due metri, proprio
al centro della
sala.
«non
temete,
maestà, il pavimento tornerà a posto»
lo rassicurò «eeeee…eccolo
qua!»
Un
immenso sacco
“eruttò” dal buco -il quale si richiuse
subito dopo, come se non ci fosse mai
stato- e dopo un breve volo in aria atterrò pesantemente sul
pavimento.
Qualunque cosa fosse era senza dubbio grossa, oltre due metri per due,
e
pesante.
«dobbiamo
spaventarci, ambasciatore?» Tsar Lunar sollevò
entrambe le sopracciglia,
imitato da svariati dei nobili presenti.
«non
è per
spaventarvi, ma per deliziarvi»
replicò il Pooka, sorridendo mentre
tirava il nastro che teneva chiuso il sacco. La stoffa
scivolò giù, rivelando…
«un
grosso blocco marrone quadrato di due metri per due. Domanda seria:
a
che
cavolo serve?»
domandò Vliegen «...capisco
che sei troppo impegnato a fare il muto, cosa
di cui tanto a Nahema non frega nulla, ma avendomi chiamata potresti
almeno
sforzarti di darmi una risposta mentalmente!»
Kitah la
ignorò
ancora, sia perché ormai aveva adottato quella strategia,
sia perché tanto non
avrebbe saputo rispondere.
«la
cosa da
mangiare più buona dell’universo: si chiama
“cioccolato”!» esclamò Aster,
entusiasta «la ricetta è un nostro segreto, ma
è-»
«qualcuno
porti un
coltello, perbacco! Ha detto che è commestibile»
Lord Vega, incurante di tutto
e tutti, si era avvicinato per primo all’immane blocco di
cioccolato
«assaggiamolo!»
Gli altri
si erano
contenuti, ma il facepalm di Renin Altair si udì
perfettamente in tutta la
sala.
Le manie
canterine
non erano la sola peculiarità di Lord Vega, c’era
anche quella del buon cibo,
ma ciò non toglieva che la sua Casa restasse per vari motivi
da non
sottovalutare.
Il Pooka
tirò fuori
un coltellino dalla tasca del cappotto. «coltello da
cioccolata» disse, con un
sorriso «ora ne taglio un pezzo per tutti!»
La
distribuzione
del cioccolato avvenne piuttosto rapidamente, e in breve sia la coppia
reale
sia i nobili ne ebbero prima un pezzo in mano, e poi in bocca.
«…»
«è
buonissimo!»
«la
cosa più buona
che abbia mai mangiato!»
«spettacolare!»
fu l’unica cosa che Tsar Lunar riuscì ad
esclamare, mentre la regina, con la
bocca ancora piena, annuiva. «non vi ringrazieremo mai
abbastanza per i vostri
doni, ambasciatore!»
“se
anche non
riuscissi a convincerlo a darmi la ricetta segreta, devo
ottenere i
diritti commerciali esclusivi sulla distribuzione del cioccolato in
tutto il regno...
la compriamo per una miseria, dal momento che la moneta dei Pooka
è pirite,
e la rivendiamo al giusto prezzo!” fu il solo pensiero di
Nahema dopo aver
assaggiato quella leccornia e aver visto le espressioni entusiaste
degli altri
“ho fatto proprio bene a invitarlo al matrimonio”.
L’incontro
si
concluse pochi minuti dopo, con una bella atmosfera e la consapevolezza
che
tutti quanti si sarebbero ritrovati a Thanoushiradryas a breve.
***
«vorrei
soltanto
tornarmene a casa. Ho voglia di tornarci da prima di partire, e cosa
faccio
invece?»
«ti
metti a bevere. Che genio».
«senti,
renditi
utile e dimmi a che bottiglia sono».
«quasi
alla fine della seconda, ne hai ancora una. Vorrei solo poter bere
anche io,
forse riuscirei a trovarti un po’meno insopportabile.
Già che sfori con i miei
orari non sindacabili e mi chiami quando ti pare almeno immaginami con
una
bottiglia in mano, porco due».
«se
vuoi te ne
offro un po’. Ah, già, no! Tu sei
un’allucinazione, quindi non puoi bere del
vino vero! Che peccato!... sei tu che vieni a
tormentarmi, rimanere a
secco è il minimo, quindi guardami mentre bevo alla faccia
tua, e taci».
In quei
mesi Kitah
Taurus aveva avuto giornate un po’più buone e
giornate assolutamente pessime, e
quella era senza dubbio una delle seconde.
Dopo
l’incontro con
il Pooka lui e tutti gli altri si erano recati a Thanoushiradryas come
stabilito: la cerimonia si era svolta nel migliore dei modi, i due
ragazzini
erano sembrati entrambi contenti di convolare a nozze… e sia
l’abito della
sposa quanto quello da cerimonia dello sposo avevano ricevuto i
complimenti che
meritavano.
Poi era
iniziato il
ricevimento, una cosa in grande come di norma erano tutti i matrimoni
dei
nobili delle Costellazioni. Aveva scelto quel momento per cercare di
parlare a
Nahema della questione Isabeli, prevedibilmente senza ottenere grandi
risultati: lei era troppo impegnata a girare come una trottola passando
da un gruppo
di invitati all’altro, a parlare con questo e quello,
concedere un ballo a
quell’altro…
“So che
è una questione importante e infatti ne parleremo
tra un po’. Ovviamente preferirei ascoltare te rispetto a
Vega e Ralonrin che
cantano, ma adesso non è proprio il momento giusto: ho un
affare in ballo che
devo concludere, ci sono quasi”.
…e
soprattutto a lavorarsi
a dovere l’ambasciatore dei Pooka, riuscendo anche a fargli
firmare -da quel
che aveva capito- un contratto per ottenere i diritti commerciali sulla
distribuzione del cioccolato.
Tanto di
cappello, e
se fosse stata una giornata migliore lui sarebbe stato al suo fianco in
tutto
questo, come al solito; ma in quel frangente, invece, avrebbe preferito
che
Nahema stesse vicina a lui, che parlasse con lui di Isabeli e anche
altro,
piuttosto di farlo intrattenere -o meglio, tenere d’occhio-
da Aladohar.
Per
fortuna che
Nahema non era la sola Aldebaran impegnata con gli invitati, e appena
Aladohar
aveva guardato altrove lui ne aveva approfittato per avvicinarsi al
bar,
prendere troppo da bere e defilarsi. Era
avvantaggiato, ritenendo di
conoscere quel palazzo come il proprio, e una volta trovato un balcone
piuttosto isolato che dava sul fiume si era messo lì a bere
da solo.
O meglio,
in
compagnia della sua allucinazione.
«se
almeno potessi
dirle… se almeno potessi parlarle di questa cosa, se io
glielo avessi detto…»
«pensavo
che ne
avessimo già discusso. La salute
mentale lasciala perdere, quella ormai è andata, ma per il
bene della tua
salute fisica non puoi diventare
“scomodo”»
gli ricordò Vliegen «a dirla tutta
non dovresti neppure essere qui. Vuoi
attirare la sua attenzione, ma così la attiri per le cose
sbagliate».
«non
è la prima volta
che finisco a bere un po’troppo durante un ricevimento, ci
può stare» ribatté
lui, finendo la seconda bottiglia «sì, di solito
non sparisco per farlo da solo
ma… saranno fatti miei?! E poi tanto non
corro il rischio, di avere la
sua attenzione» disse, per poi ridere senza allegria
«ha troppe cose da fare
per perdere tempo con l’uomo che dice di amare! Troppe cose
da fare per
sposarmi, troppe cose da fare per ascoltarmi, cose, cose…»
«più
che “dice” di amare è
“disse”, ormai sono
diciassette anni che non le senti più dire che ti ama. Io mi
farei due domande!
Ahahahahiiiiiih!... è inutile che provi a
darmi in testa la bottiglia
vuota, sono un’allucinazione, idiota».
Kitah
stava per
rispondere con qualche insulto, ma una risata sonora quanto
completamente
cretina interruppe la sua conversazione.
«…
eeee ci siamo
perse anche stavolta!»
«come
tutte le
volte! Evviiiiivaaa… ma è
possibile che per tornare nel salone dopo
essere state al bagno debba volerci la mappa?!»
Due
ragazze erano
sbucate nel corridoio dietro di lui, e nonostante dicessero di essersi
perse
sembravano piuttosto allegre.
Preso da
un impulso,
Taurus decise di attirare la loro attenzione e avvicinarle. Forse
quella di
stare da solo non era stata una grande idea, dopotutto, quindi
occorreva
rimediare. «buonase-»
«MINTAKA!!!
Uno
che si è perso come noi! O forse non si è perso e
sa dove dobbiamo andare! … ah
sì comunque ciao, Coso! Ti sei perso?»
Non si
vedeva molto
delle due ragazze in quella penombra, ma la luce era abbastanza da
permettere a
Kitah di vedere che avevano entrambe un cappello, i capelli neri -una a
caschetto e l’altra più lunghi- e dei vestiti
scuri dal modello praticamente
identico… che con i cappelli non c’entravano
proprio nulla, ma era un discorso
a parte.
Inutile
chiedersi
come avessero fatto due così a partecipare al ricevimento:
facevano sicuramente
parte del folto seguito prevalentemente femminile
di Lord Antares, il
quale da quando era rimasto vedovo raccoglieva a caso donne di
qualunque
estrazione sociale, purché fossero decenti. «a
dire il vero mi ero allontanato
perché c’era troppo rumore e volevo…
eh…» aggrottò la fronte «non
me lo ricordo
nemmeno, cosa volevo. Perché non rimanete a bere con me,
invece di tornare là?»
Le due si
guardarono, fecero spallucce, e poi tornarono a guardare lui.
«ok!» dissero,
quasi in sincrono.
«io
comunque mi
chiamo Deathstar!» disse quella con i capelli a caschetto,
tendendogli la mano.
«io
Mintaka!» disse
l’altra, imitandola.
Dopo un
attimo di
confusione Kitah ricordò di avere di mani, e le
usò per stringere quelle delle
ragazze contemporaneamente. «io sono Lord Kitah della Casa
Taurus. E questa è
Bottiglia di Vino della Casa Bianco».
Deathstar
rise,
rivelandogli così che la risata sentita prima era proprio la
sua. «piacere di
conoscerti, Bottiglia di Vino!» esclamò,
stringendone e scuotendone leggermente
il collo.
Kitah si
rese conto
solo dopo che il risolino demente e disperato che era seguito a quella
battuta
era stato proprio il suo.
Cinque
minuti dopo,
comunque, se ne era già dimenticato: si erano seduti a
terra, lui al centro e
le due ragazze ai lati, e stavano cantando canzoni marinare totalmente
a
caso.
«“quindici
uominiiii… sulla casa del morto-”»
«nooo,
non è casa,
è “cassa”!» lo corresse
Mintaka.
«sono
nobile, ho la
licenza poetica!... “quindici uomini sulla cassa del
morto, yo-ohoh, e una
bottiglia di vinoH!”»
«…di
rhum!» lo
corresse Mintaka, di nuovo.
«o
senti!... “quindici
uomini sulla cassa del mort-”»
«ah,
ecco dov’eri».
L’atmosfera
disperatamente allegra era svanita, sostituita da una morsa allo
stomaco:
improvvisamente Kitah non si sentiva più in vena di cantare,
perché Nahema era
lì davanti a loro, e lo stava guardando in quel momento che
ora riconosceva
essere assolutamente pietoso. «N-Nahema, come mi
hai-»
«i
ghoul mi hanno
dato un paio di indicazioni» disse, con espressione
indecifrabile «immagino che
voi due ragazze vogliate tornare alla festa. Dovete proseguire lungo
questo
corridoio, poi imboccare il primo a destra».
«OOOOH,
finalmente le indicazioni!!!» strillò
Deathstar, e lei e Mintaka si
alzarono e se ne andarono allegre e contente quasi di corsa, senza
nemmeno
salutare.
Purtroppo
per
Kitah, che aveva ottenuto l’attenzione tanto agognata nel
momento sbagliato. «…non
le conosco, quelle due» fu la prima cosa che
borbottò «lo ho chiarito perché
pensavo che potesse indispess…
indispef…»
«temevi
che io mi
indispettissi vedendoti con loro? Ma per favore, neanche fossimo
sposati. Mi
preoccupa il fatto che tu sia sparito, e vedere due bottiglie vuote e
una mezza
piena, non che tu conosca o meno quelle due ragazze di
Antares» ribatté lei.
“neanche fossimo
sposati”.
Tre
parole, tre
coltellate.
«perché
non me lo
dici in faccia, che non ti importa di quello che faccio… o
che io viva o muoia…»
disse lui, guidato dall’alcol.
«questa
volta direi
che la sbronza ti sia presa male, perché sai perfettamente
che le cose non stanno
così. Se fosse, non sarei venuta a cercarti».
«certo…
non l’hai fatto
solo perché non vuoi che io intralci i tuoi affari, vero?
Perché altrimenti non
hai scrupoli, a lasciarmi solo quando avrei bisogno di non essere
solo…»
No, la
sbronza non
gli era presa solo male, era peggio. Normalmente non se ne sarebbe mai
uscito
con un’accusa del genere. Quelle parole dette da un suo
importante alleato non
le piacevano affatto. Non era sobrio, vero, ma davano da pensare lo
stesso:
aveva cercato di non trascurarlo troppo proprio per evitare momenti
come quello,
ma se si era ridotto così, e parlava così,
evidentemente non aveva fatto
abbastanza.
Nahema
era stata
felice fino a quel momento, soddisfatta per il contratto con il Pooka,
ma era
tutto quanto svanito. «se
non vedessi
che hai veramente esagerato con l’alcol potrei quasi
offendermi. Mi domando
cosa ti sia saltato in testa, davvero».
«tu,
che accasi mia
sorella!» sbottò lui.
«ci
provavate da
tempo senza risultato, ora invece il risultato
c’è. Isabeli sarà felice, e per
varie ragioni sono convinta che questo matrimonio farà molto
bene al suo
equilibrio psichico» aggiunse Nahema «questo
però non significa che rimarrai da
solo. È vero, io ho molti impegni e continuerò ad
averne molti, ma la mia
intera famiglia continuerà a starti vicina come ha fatto
finora, potrai vedere
Isabeli quando vuoi, e sono sicura che le tensioni con i tuoi genitori
passeranno presto. Ora vieni con me, così che possa portarti
in una camera da
letto e lasciarti riposare» e lei, ovviamente, fatto
ciò sarebbe dovuta tornare
al ricevimento «parleremo domani mattina con più
calma».
Parte di
lui
avrebbe voluto gridarle di no, di farsi gli affari suoi come aveva
fatto per
tutta la sera, di lasciarlo in pace; un’altra parte di lui
però, preponderante,
lo spinse ad avvicinarsi a lei e lasciarsi condurre docilmente lungo il
corridoio. «non mi dovevi vedere così…
non dovevi… non volevo farti pena,
volevo solo… non lo so» mormorò
«non lo so».
Più
volte Nahema,
nel corso degli anni, aveva pensato a quante cose stessero perdendo a
causa dei
loro complotti: legami affettivi, parenti,
la possibilità di
vivere in modo più
sereno.
Ma il
fine
giustificava i mezzi e compensava qualunque perdita, giusto?
Lasciò
morire
quelle riflessioni così com’erano nate, sapendo
che non poteva fare altro che
sperare di avere ragione.
Sono riemersa dalle tenebre!
Con un capitolo pieno di idiozie random, camei (Deathstar e Mintaka
saranno familiari a qualcuno :'D), allucinazioni e Calmoniglio, ma ne
sono uscita.
Piccolo appunto sul Creation Egg e la cioccolata: non ho inventato
nulla, se non la maniera in cui utilizzare l'uovo. Per il resto, il
suddetto esiste... e pare proprio che siano stati i Pooka, a creare la
cioccolata.
Per il resto... niente. Vi chiedo veramente scusa per tutto il tempo
che ci ho impiegato ad aggiornare, e spero che col prossimo capitolo
(nel quale dovrebbe vedersi Kozmotis) vada meglio.
Grazie a tutti coloro che mi seguono ancora :)
Alla prossima,
_Dracarys_
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