Tales of the Golden Age- back to basics

di _Cthylla_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. il primo conflitto ***
Capitolo 2: *** 2. Le cose che odio di te ***
Capitolo 3: *** 3. Soap opera -parte I ***
Capitolo 4: *** 4. Soap Opera- parte II ***
Capitolo 5: *** 5. Scontri e incontri ***
Capitolo 6: *** 6. Un matrimonio che non s'ha da fare - parte I ***
Capitolo 7: *** 7. Un matrimonio che non s'ha da fare- parte II ***
Capitolo 8: *** 8. Amandoti ***
Capitolo 9: *** 9. 00-Spear ***
Capitolo 10: *** 10. Sussurri striscianti ***
Capitolo 11: *** 11. Una promessa spezzata ***
Capitolo 12: *** 12. ''auguro a quest'uomo di vivere in eterno'' ***
Capitolo 13: *** 13. Due passi in più ***
Capitolo 14: *** 14. Vita da sassi ***
Capitolo 15: *** 15. Il veleno dello scorpione -parte I (si riceve solo su appuntamento) ***
Capitolo 16: *** 16. Il veleno dello scorpione- parte II (per non dimenticare) ***
Capitolo 17: *** 17. ''Dare fendenti alle montagne ***
Capitolo 18: *** 18. Matrimoni e allucinazioni, conigli e contrattazioni ***



Capitolo 1
*** 1. il primo conflitto ***


ToGA

Salve!
Qualche piccola nota prima che iniziate a leggere.
La prima: questa raccolta AU è ambientata in piena Golden Age -che chi conosce solo il film de "Le 5 Leggende", non possiede i libri o non ha avuto modo di trovare qualche informazione in più, non ha idea di cosa sia- durante il periodo in cui regnava la famiglia Lunanoff, ossia quella cui appartiene il nostro Manny. Precisamente, durante gli anni in cui è ambientato il primo capitolo di questa raccolta, a regnare erano i nonni di Manny, mentre il principe Tsar Lunar Lunanoff XI che apparirà nei capitoli successivi è -canonicamente- il padre di Manny.
La seconda: escluso Kozmotis Pitchiner -ossia Pitch prima che diventasse Pitch, per chi non lo sapesse- e la breve citazione di cui sopra, il resto dei personaggi che compaiono in questo primo capitolo sono tutti miei OC.
La terza: vedrete dei bambini cresciuti forse troppo in fretta -non proprio come nel Trono di Spade, ma quanto ad età per poter iniziare, volendo, ad addestrarsi al combattimento o sposarsi più o meno siamo lì- con capacità acquisite che di norma sarebbe difficile trovare. Ma se -canonicamente- la figlia di Kozmotis Pitchiner sapeva utilizzare bene una piccola nave a sei anni, alla fine non c'è nulla di strano neppure in questi qua.
La quarta: ...se l'introduzione che avete letto è strana, bizzarra e confusa è perché non sapevo cosa accidenti scriverci, sinceramente :'D

E niente, buona lettura :)



= Tales of the Golden Age =

Piccoli nobili, piccoli supereroi, piccole battaglie.
Ma nemmeno tanto.




La guardia cadde a terra con un gemito e un tonfo sordo. Una volta svenuto, il povero ghoul del deserto venne trascinato in un punto nascosto, legato come un salame e imbavagliato.
Due figure, una più piccola dell’altra, si mossero rapidamente in direzione delle astronavi.

«presto, presto!...ma vuoi muoverti, Aladohar?!»

«lo sto facendo!!!»

Anche impegnandosi più che poteva, un bambino di nove anni difficilmente avrebbe potuto correre più velocemente di una di undici, e poco contava che fosse ben allenato, dal momento che anche sua sorella lo era.

«e allora fallo meglio! Se ci scoprono per colpa tua è l’ultima volta che ti porto dietro, quanto sono veri gli Dei!»

Quella non era certo la prima volta che la piccola Lady Nahema fuggiva di nascosto dal palazzo della sua famiglia su Aldebaran I: aveva iniziato a farlo quando aveva sette anni, a volte finendo con l’essere scoperta e altre no, e le punizioni ricevute le volte in cui era andata male non erano servite a farla desistere, se mai il contrario. Nahema tendeva a dare retta a sua madre solo quando capiva che poteva risultarle conveniente, altrimenti faceva di testa propria.

«non ci hanno mai beccati per colpa mia. L’altra volta è stato perché Nihil Ralonrin aveva fatto la spia con nostra madre!» protestò Aladohar, raggiungendo assieme alla sorella una nave di piccole dimensioni.

«perché tu, dopo esserti fatto sorprendere in corridoio, gli avevi detto quel che avremmo fatto» gli ricordò la sorella con un’occhiataccia, mentre apriva il portello della nave «stavolta hai verificato che dormisse come ti ho detto, vero?»

«lo faceva, quando ho guardato in camera sua» le stanze di Aladohar e Ralonrin, di soli cinque anni, erano una vicina all’altra, e Aladohar aveva dato una breve occhiata all’interno mentre passava, senza vedere nulla di strano.

«bene. Sali, sbrigati!»

Il piccolo arciduca, non appena sua sorella si fu voltata, alzò gli occhi al cielo: Nahema aveva sempre la tendenza a dare ordini a tutti, e a volte era un po’difficile sopportarla, ma d’altra parte era un tratto che aveva in comune con la loro madre. Nonostante l’età, Aladohar sapeva benissimo che era Nihil Iyra Aldebaran a tenere le redini, mentre Kerasaas, il loro padre, giocava con intrugli e miscugli nel suo laboratorio da alchimista.

Quando entrambi furono saliti, acceso i motori ed ebbero allacciato le cinture, Nahema decollò rapidamente, e altrettanto rapidamente si lasciarono il pianeta Aldebaran I alle spalle.

«dove andiamo stavolta? Nei territori dei Taurus? Kitah mi è simpatico» disse Aladohar, riferendosi al figlio primogenito di quella Casa, coetaneo di Nahema «magari lo incontriamo in giro…»

«Kitah? Pensavo preferissi vedere Faeliria Orion» sogghignò Nahema «avete già cominciato a mandarvi fiori e pupazzi, se continuate così finiranno col farvi fidanzare di già, per davvero».

«perché, mamma diceva per scherzo?»

«no. In effetti diceva sul serio. Forse è meglio se lasciamo perdere questo discorso».

Aladohar non era l’unico di cui Iyra Aldebaran stesse decidendo il futuro. Nahema infatti era stata già informata sul fatto che più avanti, se tutto fosse andato bene -ma perché dubitarne?- si sarebbe fidanzata nientemeno che col principe Lunanoff, Tsar Lunar XI. La sua famiglia puntava alla corona, lo sapeva, e così facendo sarebbe stato tutto più semplice, ma non aveva ancora deciso se la cosa le piaceva o meno. Bisognava vedere quanto sarebbe stato d’ostacolo alla sua carriera militare.
L’obiettivo suo e della sua famiglia era il regno, ma lei puntava anche a diventare Lady High General of the Galaxies, il massimo grado nell’esercito. Se ce l’avesse fatta, sarebbe stata la prima donna in assoluto ad ottenere quel titolo.
Aveva preso quella decisione a sei anni, assistendo a una cerimonia in onore dell’High General attuale, e si era detta “un giorno io sarò lì al suo posto”. Per tale motivo aveva preteso e ottenuto di iniziare immediatamente l’addestramento che serviva -e lo stesso aveva fatto Aladohar, due anni dopo- e grazie a ciò avrebbe potuto entrare nell’accademia militare tra un anno, invece che due.
I suoi compagni di corso sarebbero stati più grandi di lei, ma ciò non le importava, e non la spaventava: già adesso Nahema andava a caccia del punto debole dell’avversario e colpiva duro, senza mostrare alcun accenno di pietà, e la cosa funzionava.
Non le importava neppure che l’allenamento avesse impedito la formazione di quei minimi accenni di forme femminili che alcune sue coetanee iniziavano a mostrare. Forse più avanti le cose sarebbero cambiate, ma non avrebbe fatto un dramma se così non fosse stato: in considerazione di quel che voleva fare, braccia forti e gambe in grado di sostenere lunghe corse sarebbero state più utili di un po’di seno e un po’di fianchi.

«quindi dove andiamo?»

«ma sei demente? Ho appena nominato Faeliria Orion, secondo te dove andiamo?»

«a casa sua?»

Stavolta toccò a Nahema alzare gli occhi al soffitto. Di norma suo fratello non era un cretino, nonostante la giovane età, ma in certi momenti le faceva venire voglia di mettersi a dare testate contro il muro. «perché secondo te ha senso fuggire di nascosto da casa nostra per andare a imbucarci in casa di un altro nobile che ci rispedirebbe subito da dove siamo venuti, vero?! Tieni» gli appioppò in mano un flacone «copriti la voglia, altrimenti ci riconoscono subito».

«sì infatti, giusto volevo chiederti il correttore».

«ora ce l’hai».

Specchiandosi su una superfice lucida, Nihil Aladohar coprì la strana voglia color vinaccia a forma di stella a otto punte che aveva sulla guancia destra, in basso. Era la caratteristica che rendeva gli Aldebaran immediatamente identificabili, ben più del colore nero/blu dei capelli o del verde dei loro occhi, benché anch'essi fossero tratti largamente diffusi nella loro famiglia. «stavo pensando: ma quando la guardia verrà liberata, non ci beccheranno ugualmente?»

«non ha visto chi è stato, l’abbiamo nascosta bene, e quando la troveranno, se lo faranno, saremo già tornati. Chi lo sa, magari qualcuno è entrato in casa nostra di nascosto chissà come e perché. Zero prove per chiunque voglia accusarci, è questo che conta».

Aladohar, seppur leggermente dubbioso, alla fine si limitò a scrollare le spalle. Se lo diceva lei, che era più grande di lui, magari aveva ragione per davvero…


***

«quindi tra quanto cominci?»

«un mese. Mi sa che non ci vedremo per un po’, eh Aleha?» disse, non riuscendo a mascherare un accenno di amarezza nella voce all'idea.
L’accademia l’avrebbe impegnato per dieci mesi all’anno, con uno solo di pausa tra un quinquemestre e l’altro. Stare lontano da casa non sarebbe stato facile, ne era consapevole, ma avrebbe tenuto duro. Doveva riuscirci. Voleva riuscirci.

«allora sei sempre convinto di voler fare, insomma, il militare?» gli chiese la ragazzina dai lunghi capelli scuri e gli occhi blu, sua dirimpettaia e sua amica praticamente da sempre, stringendosi nel vestito azzurro pallido e accostandoglisi di più sulla panchina che occupavano.
Da quando c'era una data precisa per la partenza, i due cercavano di passare insieme più tempo possibile, consci che avrebbero sentito vicendevolmente la mancanza l'uno dell'altra, e incuranti delle chiacchiere originate da quella frequentazione più che mai assidua. Erano amici, si volevano bene, e non contava nient'altro per nessuno dei due.

Kozmotis Pitchiner, tredici anni e una settimana, annuì con decisione. «sì. Ovvio. Seguirò le orme di mio padre e farò la mia parte per aiutare il regno. Lo volevo prima, e lo voglio ancor di più adesso che…adesso, ecco» concluse bruscamente, e strinse la mano dell'amica in una presa salda, come cercando un contatto che gli desse conforto.

La frase lasciata a metà era “adesso che è morto”, come Aleha ben sapeva. Tutti nel quartiere erano stati al funerale del tenente colonnello Pitchiner, caduto in battaglia appena due mesi prima. Era stato un brav’uomo, benvoluto da chiunque l’avesse conosciuto, dunque non avrebbe potuto essere altrimenti.
Kozmotis, da parte sua, sembrava aver imboccato la strada giusta per finire con l’essere altrettanto amato dalla sua gente. Non era un ragazzino disposto a concedere così facilmente la propria lealtà e la propria fiducia al primo che passasse, ma era un tipo onesto, pronto a dare una mano a chi ne aveva bisogno, e gentile…con chi non rompeva le scatole a lui e agli altri, almeno. Detestava i bulli arroganti -se ne trovava sempre qualcuno in giro-, chi se la prendeva con i più deboli, la falsità, le ipocrisie e le ingiustizie in genere. Diventando un guerriero come suo padre avrebbe potuto combattere tutto ciò, o così lui credeva fermamente.
Poi certo, c’era anche il sogno di diventare Lord High General of the Galaxies, che cullava sin da bambino. Di solito a ottenere quel titolo era qualche nobile delle Costellazioni -sempre per merito, per carità- ma se fosse diventato molto, molto, molto bravo non sarebbe stato un sogno impossibile, e suo padre, che sicuramente vegliava su di lui dal regno degli spiriti, ne sarebbe stato orgoglioso.

«ti capisco. Io non credo di avere le caratteristiche giuste per entrare nell’esercito, ma mi piacerebbe poter aiutare il regno come faceva tuo padre, e come faceva il mio».

La guerra contro Dream Pirates, Fearlings e gli altri nemici del regno non si era portata via solo il padre di Kozmotis, ma anche quello di Aleha, ormai tre anni prima. Se la madre di Kozmotis non si era lasciata abbattere, la situazione in casa di Aleha era ben più complicata. Sua madre trascorreva tutto il giorno a languire sotto le coperte, e ormai era sua sorella maggiore, Spear, a fare di tutto per tenere a galla quel che restava della famiglia, dibattendosi tra gli studi e la specializzazione in medicina, e lavori di ogni genere: il vitalizio dato alle vedove di guerra non bastava per tre persone, specialmente non nei quartieri alti come quello. Avrebbero potuto vendere la casa e trasferirsi, ma Spear non ne aveva la minima intenzione, non la casa costruita dai loro bisnonni, e le aveva imposto di non dire nulla a nessuno della loro situazione. Aleha, incapace di ribattere, si era limitata a chinare la testa e obbedire. Che altro fare, se no?

«il capitano Sinetenebris era un grand’uomo, e sono sicuro che troverai il modo di aiutare anche senza entrare nell’esercito, vedrai!» sorrise Kozmotis «il regno non ha bisogno di soli soldati».

«lo so. A dirtela tutta lo sai, stavo pensando che forse potrei studiare da infermiera. Mia sorella un giorno diventerà un dottore, e io…»

«penso che potresti essere molto brava, ma non devi farti condizionare troppo da tua sorella. Con tutto il rispetto».

Aveva avuto a che fare con Spear solo indirettamente, in quanto sorella di Aleha, ma non poteva dire che gli piacesse molto. Troppo fredda, troppo dura, anche prima della morte del padre, per non parlare del modo in cui l’aveva sempre guardato dall’alto in basso -in virtù di cosa, poi?-.

«non mi faccio condizionare!» ribatté la ragazzina «ma penso che potrebbe essere una buona idea!»

«ma sì, sì! Non guardarmi in quel modo» borbottò Kozmotis «quand’è che ti ho dato torto? Ti ho anche detto che potresti essere molto brava…quanto sei permalosa, certe volte…»

L’ attenzione di entrambi venne attirata da un bambino con una busta della spesa in mano, che passò loro davanti con aria abbattuta, tirando su col naso. Aleha, naturalmente portata ad aiutare il prossimo -e forse anche un po’ficcanaso- gli si fece immediatamente vicina. «aspetta…tu sei il figlio degli Starr, giusto? Cos’hai?»

Il bambino sollevò gli occhi azzurri arrossati su Aleha, indeciso se raccontarle o meno quel che era accaduto poco prima, ma alla fine si lasciò persuadere. Conosceva quella ragazzina, una volta lo aveva aiutato quando si era sbucciato un ginocchio, e anche la sua mamma la conosceva, e ne aveva sempre parlato bene. «ero andato a fare la spesa per la mamma. Mentre tornavo giocavo con la mia pallina magica…quella che diventa un pesciolino volante…»

«ne ho una collezione, di quelle» Kozmotis si avvicinò, facendogli un breve sorriso. Anche lui e quel bambino si conoscevano, abitava a tre case di distanza sulla stessa via. «e poi? Cos’è successo?»

«un bambino più grande di me mi ha detto che era bella, poi mi ha detto di dargliela, e quando ho risposto di no me l’ha presa, e non me l’ha ridata».

Kozmotis sbuffò, irritato. «li detesto i tipi così. Senti, se vuoi possiamo tornare indietro e convincere quel bulletto a restituirti il maltolto».

Il bambino sorrise speranzoso, ma Aleha era tentennante. «Kozmotis, non vorrei che finissi col metterti nei guai…»

«si tratta di recuperare una pallina magica da un bambino, non vedo come potrei mettermi nei guai. Non finirà mica in rissa! Dai, andiamo, e vediamo se il bulletto è ancora lì».

Aleha si passò una mano sul volto e sistemò il vestito, rassegnandosi a seguirli. Kozmotis doveva sempre fare l’eroe della situazione, altrimenti non era contento! Di solito era un tratto di lui che amava e ammirava molto, ma era anche una caratteristica che purtroppo a volte l’aveva trascinato in qualche scontro, e non conveniva, non ora che mancava un mese alla sua entrata in accademia.

«eccolo, è lui!»

Kozmotis lo avrebbe identificato anche se il figlio degli Starr non gliel’avesse indicato: era quel bambino con i capelli nero-blu, ben vestito, seduto su un vecchio tubo all’interno del parco abbandonato, che giocava con aria arrogante e indolente con la pallina rubata, lanciando ogni tanto qualche occhiata al negozio di dolci lì davanti. Aveva qualche anno meno di Kozmotis, si capiva dai tratti del viso, ma a giudicare dalla lunghezza delle gambe non c’era tanta differenza d’altezza tra loro.

«ehi».

Aladohar, intuendo che stessero dicendo a lui, si voltò a osservare il gruppetto. «ehi».

“il bambinetto ha portato i rinforzi” pensò. La ragazzina mora con le meches ramate non lo impensieriva affatto, ma non poteva dire lo stesso del tizio con i capelli neri e quel naso che probabilmente mamma Iyra avrebbe definito “notevole”. Era alto quanto Nahema, e a guardargli braccia e gambe neppure lui sembrava nuovo a corse e allenamenti vari. Se le cose si fossero messe male forse avrebbe potuto sfruttare il fatto di essere un po’più piccolo e quindi forse più agile, ma nel dubbio sperava che sua sorella uscisse presto dal negozio di dolci in cui era -malvolentieri e dopo una tremenda sequela di rimproveri- entrata per accontentarlo, quando le aveva detto di avere fame.

«quel giocattolo non è tuo, ma di questo bambino, e tu gliel’hai rubato. Restituisciglielo subito» gli ordinò seccamente Kozmotis.

«suo? Macché. È mio. Non devo restituire proprio niente a nessuno».

«bugiardo! È mio, lo sai che è il mio! Ridammelo!!!» gridò il bambino.

Kozmotis non conosceva il nome di quel tipo, ma già lo detestava. «quanto si deve essere vigliacchi per rubare un giocattolo a un bambino più piccolo, e poi negare quello che hai fatto in modo tanto sfacciato? I bulli non mi piacciono, e mi piace ancora meno che se la prendano con i bambini del mio quartiere, per cui-»

«bla, bla, bla!» lo interruppe Aladohar con una smorfia «che importa a me di quello che non ti piace?»

Quante seccature per una stupida pallina magica. Forse avrebbe potuto evitare di prenderla a quel bambino, ma gli era piaciuta, e lui in casa aveva diversi tipi di giochi ma non quello, per cui cosa c’era di strano nell’essersene appropriato? Se quel bambino gliel’avesse ceduta appena gliel’aveva chiesta, non avrebbe dovuto togliergliela di mano.

Aleha lanciò un’occhiata preoccupata a Kozmotis. Di quel passo avrebbe dato in escandescenze da un momento all’altro, e non era proprio il caso. «Kozmotis, forse è meglio se lasciamo perdere, lo ricompro io il giocattolo a-»

«ma nossignora! Non esiste proprio, Aleha! Sentimi bene» si avvicinò minacciosamente ad Aladohar «ora tu restituisci immediatamente quel giocattolo, sennò io-»

«“sennò” che? Non mi faccio minacciare da uno come te, anche se sei più grande non mi fai paura, e non mi faccio dire da te quello che devo fare. Se vuoi questa stupida palla me la dovrai strappare dalle mani, ma è meglio per te se ne vai via: sei noioso».

Strappargli la palla dalle mani? Kozmotis non chiedeva di meglio, e ignorando le proteste di Aleha agì di conseguenza, avventandosi addosso a quel piccolo arrogante.
Appena gli ebbe stretto il polso, però, qualcuno lo afferrò da dietro facendogli perdere l’equilibrio e lo scaraventò a terra con forza. Kozmotis per fortuna riuscì a cadere bene, e appena toccata terra era già pronto a rialzarsi, con gli occhi puntati sulla sua nuova avversaria, una ragazzina alta quanto lui -e a giudicare dalla mossa che aveva appena fatto anche altrettanto forte- che lo stava fulminando con lo sguardo.

«non so chi sei e cosa vuoi, ma se tocchi mio fratello io poi “tocco” te».

Se il bambino bullo non gli piaceva, quella ragazzina -la sorella, a quanto pareva- per qualche motivo gli piaceva ancora meno. Gli trasmetteva una brutta sensazione, così a pelle, al di là del fatto che l’avesse appena scaraventato al suolo. Kozmotis era un cavaliere, non aveva mai alzato un dito su una donna, eppure quella lì l’avrebbe presa a pugni volentieri. «tuo fratello è un vigliacco, un ladro e un bugiardo che ha rubato un giocattolo a un bambino più piccolo e ha pure la faccia tosta di negare l’evidenza!» esclamò, rialzandosi.

Nahema lo squadrò da capo a piedi. «cosa saresti, il supereroe del quartiere? Ma per piacere! E tu» rivolse lo sguardo ad Aladohar, che parve rimpiccolire «che bisogno avevi di prendergli quel giocattolo? Dammelo» gli intimò bruscamente.

“chiunque sia è abituata a dare ordini, e si vede” pensò Aleha. Pur avendo intuìto ciò, però, non riusciva a capire quanti anni avesse quella ragazzina. La sua curiosa pettinatura -una moltitudine di treccine sottili, raccolte in una coda di cavallo- non l’aiutava.

«mi piaceva…» borbottò Aladohar, affrettandosi a consegnare il giocattolo alla sorella appena questa tese la mano.

«è l’ultima volta che ti porto con me, puoi starne sicuro. Ma guarda se devo discutere con certa gente per colpa di un cretino» con “certa gente” ovviamente intendeva il ragazzino che, se mai un giorno avesse voluto davvero diventare il supereroe del quartiere, non avrebbe potuto farsi conoscere in altro modo se non “Super Naso”. Non le era ancora del tutto antipatico, ma di sicuro le dava l’idea di un povero idiota. «eccoti la palla magica» disse al bambino, porgendogliela con una certa grazia «e con questo direi che il caso è chiuso. Andiamo, Al».

«no invece!» sbottò Kozmotis, parandosi davanti a Nahema «non mi è parso che tuo fratello si sia scusato per quel che ha fatto, quindi il caso non è chiuso per niente!»

D’accordo. Aveva capito. Super Naso cercava rogne. «sì che lo è, ah…come ti chiami?»

«sono Kozmotis Pitchiner, figlio del tenente colonnello Pitchiner, e se dico che una faccenda non è chiusa, allora vuol dire che non è chiusa!» disse il ragazzino, con decisione.

“e io sono l’arciduchessa Nihil Nahema della Casa Aldebaran, per cui il tuo essere figlio di un tenente colonnello mi importa meno di zero, ma se non altro adesso conosco la vera identità di Super Naso” pensò Nahema. «e se io dico che fai meglio a toglierti di torno immediatamente, allora vuol dire che fai meglio a toglierti di torno immediatamente. Il bambino ha riavuto il suo giocattolo, tu ti sei divertito a fare il supereroe per farti sbavare dietro dalla tua amica» Aleha, nel sentirsi nominare in quel contesto, trasalì «direi che basti».

«non riferirti ad Aleha in quel modo» disse piano Kozmotis, irrigidendo i pugni «lasciala in pace».

Ormai si erano avvicinati talmente tanto l'uno all'altra che i loro nasi quasi si sfioravano, e nessuno dei due sembrava intenzionato ad abbassare lo sguardo.

«a me non importa nulla né di lei né di te» disse freddamente Nahema «togliti di torno, Super Naso».

Della serie “la goccia che fa traboccare il vaso”.
L’istante dopo Nihil Nahema e Kozmotis si saltarono addosso contemporaneamente, entrambi con l’intento di spaccare la faccia all’avversario. Finirono però col bloccarsi a vicenda le mani, fronteggiandosi senza dire una parola in una prova di forza in cui nessuno dei due sembrava prevalere. Nahema fu la prima a lasciare la presa, e si abbassò velocemente per assestare a Kozmotis un calcio dritto allo stomaco che egli, tuttavia, riuscì a parare efficacemente.

«Kozmotis! Me lo sentivo che sarebbe finita male, me lo sentivo!...» Aleha si mordicchiava le unghie, avrebbe voluto fermarli, ma come farlo senza finire a farsi colpire a sua volta?

Kozmotis cercò di assestare un pugno dritto in volto a Nahema, ma invece fu lei a picchiarlo con forza ad uno zigomo, facendogli vedere per un attimo un sacco di scintille bianche. Lui comunque incassò, non desistette, e mettendo da parte il dolore scattò, riuscendo a colpirla dritta all’addome. A quel punto, vedendola piegarsi in una posa semi accovacciata, ne approfittò per darle un colpo in testa, illudendosi di terminare così la lotta; per un attimo, vedendo che aveva ferito la sua avversaria, temette persino di aver esagerato.
Comprese che sbagliava appena Nahema strinse il suo avambraccio destro in una morsa e, dopo averlo tirato giù in avanti, gli scagliò un pugno dritto sotto al mento che lo fece cadere all’indietro. Non contenta di ciò, la ragazzina si lasciò cadere in ginocchio sul suo ventre, iniziando a prendere a pugni ogni centimetro quadrato del suo corpo che riuscisse a raggiungere, e quando sentì il “crack” del naso di Kozmotis, che si incrinò, tutto pensò meno che di aver esagerato. Le regole erano sempre le stesse: colpire duro e colpire senza pietà.

«e vai così!» esultò Aladohar.

Aleha a quel punto non riuscì più a rimanere ferma a guardare, e cercò di spingere via Nahema. «basta, smettila!»

«ma scansati!…» fu Aladohar, invece, a spingere via Aleha, che riuscì a reggersi in piedi solo per miracolo. «è tutta colpa del tuo amico, gliel’avevamo detto di farla finita!»

Vedere la sua amica bistrattata, tuttavia, diede a Kozmotis la forza necessaria a bloccare le mani di Nahema, e a colpirla in volto con una solenne testata. Stavolta fu lei a vedere le scintille bianche, prima di cadere all’indietro.

Aleha prese tra le braccia il figlio degli Starr, allontanandolo ulteriormente dallo scontro. «torna a casa. Corri dalla tua mamma. Sono stata stupida a non avertelo detto prima. Vai!»

«ma il tuo amico-»

«Kozmotis se la cava. Vai!» ripeté Aleha, e dopo un’ultima esitazione in bambino le obbedì.

«vi ho detto di lasciarla in pace!!!» gridò Kozmotis, avvicinandosi pericolosamente ad Aladohar.

«vi avremmo lasciati in pace tutti e due se vi foste fatti gli affari vostri. Non cercavamo guai, noi!» ribatté Aladohar, senza indietreggiare di un passo. Il motivo era semplice: Nahema si era appena rialzata, e fu lesta ad assalire l’avversario alle spalle, bloccandogli il collo in una morsa che se prolungata avrebbe potuto tranquillamente farlo svenire.

«Aladohar…fai una bella cosa…stai zitto!» sbottò Nahema, la voce spezzata per lo sforzo. Quel tizio era forte quanto lei, non sarebbe riuscita a trattenerlo ancora per molto, e tantomeno a farlo svenire. Urgeva mollare la presa ed escogitare qualcos’altro.

«…Kozmotis!»

Una voce poco distante, femminile e decisamente adulta. Va’ a vedere che il bambino della pallina magica aveva chiamato i rinforzi di nuovo. Poco male, forse così facendo le aveva offerto una nuova scappatoia.
Kozmotis non aveva sentito la voce chiamarlo, ma sentì Nahema lasciare la presa sul suo collo, e non esitò ad approfittarne, volgendosi verso l’avversaria, che aveva le braccia lungo i fianchi e il mento sollevato. Il ragazzino la vide come un’occasione d’oro e, senza esitare, afferrò il collo della sua sfidante, e la sollevò persino da terra. «hai finito di giocare, eh?!» le ringhiò contro con rabbia «tu e tuo fratello non-»

Gli aveva sorriso?...perché?

«Kozmotis Pitchiner, che diamine stai facendo?!!»

Le dita del ragazzino si aprirono di scatto, lasciando che Nahema ricadesse a terra. Deglutì, e si volse lentamente a guardare indietro. «ehm. Mamma…è una lunga faccenda…»

Kozmotis Pitchiner temeva poche cose, ma sua madre era senz’altro tra queste, più che altro per tutti gli inseguimenti e le botte col battipanni sul sedere ogni volta che tornava a casa dopo aver fatto a botte. Sua madre non voleva che andasse a litigare in giro, non le importavano i perché e i percome, e Kozmotis doveva ancora capire per quale miracolo divino avesse più o meno accettato l’idea che lui volesse entrare in accademia.
Era suo padre a comprenderlo -seppure non approvasse la sua eccessiva impulsività in certe cose- e lui ormai non c’era più.

«non devi andare a fare a botte in giro, te l’ho detto miliardi di volte, e adesso il discorso è ancora più valido! Ti sei dimenticato dov’è che andrai tra un mese?!» la signora Pitchiner era molto più bassa del figlio e decisamente paffuta, ma altrettanto energica «se continui così finirai a metterti in qualche guaio serio, e allora potrai dimenticarti l’esercito, perché di combinaguai nell’accademia militare non ne vogliono!»

Il figlio degli Starr, sentendosi in colpa per la predica ricevuta da Kozmotis, scappò via. Quando Aleha gli aveva detto di andarsene, e aveva incontrato per caso la mamma di Kozmotis, aveva pensato fosse una buona idea dirle che stava succedendo qualcosa di spiacevole, nella speranza che facesse finire tutto. Era stato così in effetti, ma l’umiliazione per quel rimprovero pubblico si rifletteva sulle gote rosso fuoco del povero Kozmotis, che trovava il tutto alquanto ingiusto.

«picchiare una ragazzina, poi! Si può sapere cosa ti è saltato in testa?!»

«ma lo vedi come sono ridotto?!» gridò Kozmotis, inascoltato.

«signora Pitchiner, Kozmotis ha solo-» provò a dire Aleha, ma venne interrotta bruscamente dalla signora con un gesto della mano.

«tu non fai testo, Aleha, sei una brava ragazza e so quanto vuoi bene a Kozmotis, per cui so anche quanto sei pronta a coprirgli le spalle» disse, e si avvicinò a Nahema, che era rimasta seduta a terra «qualunque cosa sia successa con mio figlio mi dispiace, è un bravo ragazzo ma è tremendamente impulsivo, e il modo in cui si è comportato è assolutamente-oh miei Dei».

Per un istante Nahema la guardò perplessa, poi notò che la signora stava fissando il lato in basso a destra del suo volto, quello dov’era la voglia. Probabilmente nella lotta il trucco era andato via in qualche modo, rendendola visibile.

Aleha, in quell’atmosfera di sbigottimento generale, notò il fratello della ragazzina pulirsi la guancia in basso a destra, scoprendo una specie di voglia che fino a un attimo prima non si vedeva. Significava di certo qualcosa, ma al momento non riusciva a capire di preciso cosa.

«oh miei Dei» ripeté la signora Pitchiner, pallida e incredibilmente impaurita «milady, sono costernata, io non avevo…non pensavo…» balbettò, prodigandosi nell’aiutare Nahema a rialzarsi «Kozmotis, scusati immediatamente» gli intimò la madre, sempre più allarmata «lo sapevo che un giorno…te l’avevo detto che non si va in giro a litigare, quante volte te l’ho detto?!»

Kozmotis ora era decisamente confuso, e l’agitazione della madre iniziava a contagiare anche lui. Non l’aveva mai vista così preoccupata, e l’aveva vista altrettanto pallida solo due mesi prima, quando aveva ricevuto la notizia della morte del marito. «mamma, ma che succede? Io non capisco…»

«signora, non dovete preoccuparvi» disse Nahema, con aria conciliante «è stato solo un piccolo equivoco. Mio fratello minore» indicò Aladohar con un cenno del capo «non si è comportato troppo bene, sia io che vostro figlio a quanto pare siamo un po’impulsivi, una cosa tira l’altra e…» fece spallucce «sono i rischi che si corrono quando si esce di casa senza farsi riconoscere. In un certo senso siamo noi che ce la siamo cercata».

Kozmotis era allibito quanto profondamente indignato sia per quel cambio d’atteggiamento della sua avversaria, sia per il comportamento di sua madre, sia per aver capito che quella lì si era lasciata afferrare il collo di proposito, perché sua madre vedesse lui in atteggiamenti compromettenti! «non “in un certo senso”, siete stati proprio voi a-»

«milady, no, non è assolutamente colpa vostra e di vostro fratello, non ditelo neppure! E tu, Kozmotis, taci! Per gli Dei» si passò una mano sul viso «sono mortificata, credetemi…Kozmotis, inginocchiati e scusati come si conviene per aver alzato le mani su di lei».

«ma mamma!...»

«adesso!»

Del tutto controvoglia, con lo sguardo ostile e pieno di rabbia per quella che reputava un’ingiustizia completa, Kozmotis obbedì alla madre, inchinandosi di fronte a quella ragazzina diabolica che detestava, di cui non conosceva neppure nome e titolo. «chiedo umilmente perdono per aver alzato le mani su di voi» disse, col tono di voce che però suggeriva tutt’altro «milady».

«lo apprezzo, ma non era necessario, né io ne mio fratello siamo arrabbiati con vostro figlio, quindi che si rialzi pure» disse Nahema.

Aleha notò che, in tutta la gentilezza che mostrava al momento, non sembrava aver calcolato minimamente le scuse di Kozmotis, livido di rabbia e di vergogna. Occhieggiò anche il fratello, che osservava la scena con aria decisamente soddisfatta. Di sicuro anche la ragazzina provava la stessa cosa, ma era più brava a nasconderlo, e Aleha non sapeva dire se fosse meglio o peggio.

«permettetemi di invitare voi e vostro fratello nella mia umile dimora per offrirvi assistenza, milady, è il minimo che possa fare dopo quel che ha combinato questo scapestrato!»

Nahema a quel punto voleva solo togliersi di torno e riprendere la gita, ma quella povera donna era veramente spaventata e preoccupata, rifiutare il suo aiuto sarebbe stato scortese e, ultimo ma non per importanza, rimanere sarebbe stata un’ulteriore seccatura per Super Naso. «accetto la vostra generosa offerta. Avete la gratitudine di lady Nihil Nahema, primogenita della famiglia Aldebaran…»

«…e di Lord Nihil Aladohar» aggiunse il bambino, affiancando la sorella «secondogenito».

Aleha impallidì. Lei e Kozmotis si scambiarono un’occhiata. L’atteggiamento della signora Pitchiner adesso era molto più comprensibile: Aldebaran = arciduchi = nobili delle Costellazioni molto molto in alto. C’era da chiedersi perché fossero venuti lì, e proprio in incognito, ma il problema sicuramente non era quello.

La madre di Kozmotis si allontanò assieme ai due fratelli, mentre Kozmotis e Aleha rimasero indietro.

«“nobile sangue, nobile cuore”?» così recitava il proverbio riguardante i nobili della Golden Age «quei due sono l’eccezione che conferma la regola» mormorò Kozmotis.

«adesso che so chi sono, se non ricordo male sono entrambi più piccoli di noi...fare qualche stupidaggine è normale, e forse fai meglio a non dire altro» ribatté Aleha «se mai spera che lascino perdere sul serio quel che è successo».

«sentimi bene, né tu né io quand’eravamo più piccoli abbiamo rubato un giocattolo ad un altro bambino, non c'è età che tenga, e se sono veramente chi dicono di essere possono comprarsi tutte le palline magiche che vogliono!» sibilò il ragazzino «quell’Aladohar è un piccolo arrogante, e Nahema è…è cattiva! L’hai vista come mi prendeva a pugni!»

«vi siete saltati addosso nello stesso momento, Kozmotis…»

«nemmeno tu mi sostieni, tu che c’eri?!» s’infuriò lui, sentendosi tradito «che razza di amica sei?! Basta, non voglio vederti più!» gridò, e si allontanò da lei zoppicando, incurante dei lividi e di tutto il sangue che gli sporcava il volto e gli abiti. Era una reazione piuttosto infantile, ma in quel momento di sentiva abbandonato da tutto e tutti, e avrebbe solo voluto che suo padre fosse lì. Lui avrebbe capito, lui capiva sempre…

«Kozmotis, torna indietro! Kozmotis!»

Lei gli voleva bene, gli riconosceva tanti pregi, ma purtroppo Kozmotis sembrava incapace di capire che il mondo non era tutto in bianco o nero, e sperava per lui che ciò, crescendo, sarebbe cambiato. Con un sospiro lo seguì, augurandosi di riuscire a farlo ragionare.


***

Quando tre ore più tardi Kozmotis, dopo essersi rappacificato con Aleha, tornò a casa, trovò sua madre seduta accanto al tavolo, coi gomiti poggiati sul ripiano e il volto nascosto tra le mani. La donna, avendolo sentito rincasare, le tolse, rivelando un’aria terribilmente stanca. «siediti» disse, piano.

«mamma…»

«per piacere».

Dopo una breve esitazione Kozmotis si sedette mentre, curiosamente, sua madre si alzò. Il ragazzino, perplesso e un po’preoccupato, la sentì aprire il rubinetto dell’acqua, e qualche secondo dopo la vide riavvicinarsi a lui.

«solleva il viso, così posso dargli una pulita e vedere in che condizioni è».

Kozmotis obbedì nuovamente, stupito. Si era aspettato l’ennesima predica, e invece no, mamma gli stava pulendo delicatamente il volto con un fazzoletto bagnato, con l'infinita premura che solo una madre poteva avere.

«le nobili di oggi non sono più quelle di una volta» commentò la signora «quella ragazzina ha solo undici anni, così mi ha detto, e a giudicare da quel che vedo picchia duro quanto un ragazzo di sedici. Il naso?...»

«se lo tocco fa male, ma non credo sia proprio rotto-rotto» mormorò Kozmotis «o almeno, non credo».

«dopo chiamo comunque il medico».

Per un po’nessuno dei due disse nulla, anche se Kozmotis avrebbe avuto molto di cui parlare. La rabbia per l’ingiustizia subita bruciava ancora, ma diminuiva un po’ad ogni tocco delicato della madre.

«io non voglio che tu vada in giro a litigare. Lo sai» esordì all’improvviso la suddetta «te l’ho sempre detto. E anche tuo padre te lo diceva».

«ma-»

«fammi finire. Nonostante questo, non pensare che vederti così mi abbia lasciata indifferente. Tu sei il mio unico figlio, sei tutto quello che ti rimane, vederti ferito fa più male a me di quanto ne faccia a te. Ho agito come ho fatto per cercare di arginare i danni, e non compromettere il tuo prossimo futuro. Seguire le orme di tuo padre è sempre stato il tuo sogno, nonché il suo, e anche se io non sono d’accordo non posso che rispettarlo, e aiutarti ad andare avanti. Se sono stata così ossequiosa con quei due, se ho cercato di rabbonirli in tutti i modi, è perché la parola di un nobile delle Costellazioni può distruggere questo sogno come se nulla fosse. “Nobile sangue, nobile cuore”…ma il cuore di chiunque diventa meno nobile, se la sua primogenita torna a casa arrabbiata e con dei lividi».

«se lo sarebbero meritato tutti e due. Lui aveva rubato un giocattolo al figlio degli Starr…poi Nahema ha rimproverato suo fratello e glielo ha restituito, ma non pensava che fosse necessario scusarsi».

«hanno nove e undici anni, per cui hanno tempo di migliorare» disse la signora Pitchiner «anche perché non penso possano peggiorare oltre».

«quindi tu non pensi bene di loro!» esclamò Kozmotis, sorpreso.

«entrambi si sono comportati bene con me, non hanno sbagliato d’un picco, e proprio per questo dico che non potrebbero essere peggio di così. Nessun bambino di undici e nove anni, di natura, parla e si comporta in quel modo. Era tutta una finzione, e loro erano veramente bravi» dichiarò «altri forse non se ne sarebbero resi conto e li avrebbero trovati deliziosi nella loro gentile clemenza, ma io sì. Lei in particolare, fa quasi paura...Lady Nahema, dico. Spero che la faccenda finisca qui per davvero, che non ci siano ripercussioni, e di non dover incontrare più nessuno dei due. Io ho fatto tutto quel che potevo» incluse le pubbliche scuse in ginocchio a cui aveva costretto Kozmotis, e oh, dover fare una cosa del genere per evitare di peggio l'aveva seccata eccome.

«me lo auguro anch’io» disse Kozmotis, con sincerità e rinnovato amore verso sua madre «…che hai?»

«la speranza vana che Lady Nahema non riesca a entrare nell’accademia militare prima che tu ne sia uscito. Abbiamo fatto due chiacchiere, e sembra che potrebbe entrare con un anno d’anticipo».

«che cosa?! Se finiamo nella stessa sede potremmo ritrovarci insieme due anni interi! Non che mi faccia paura, io posso batterla» puntalizzò «credo. Ma sarebbe…brutto».

“se siete alla pari adesso che lei ha due anni meno di te, che ne sai di come saranno le cose in futuro?” pensò la signora Pitchiner, senza esprimersi. «voglio che tu mi prometta che d’ora in poi starai attento, Kozmotis. Ma attento per davvero, non come al solito».

Si guardarono negli occhi, occhi identici, l’unico tratto che Kozmotis avesse ereditato da lei.

«lo farò, mamma. Te lo prometto».


***

«…davvero vuoi lasciare che finisca così?»

«Aladohar, sua madre l’ha rimproverato in pubblico e obbligato a scusarsi in ginocchio, se ci accanissimo sarebbe stupido. È solo un tredicenne disgraziato che si crede un supereroe, non vale la pena perdere tempo con lui. Non mi importa niente di Kozmotis Pitchiner, e non dovrebbe importare nemmeno a te» aggiunse «imparerai. Quando avrai la mia età capirai».

Aveva solo due anni più di lui, undici, e parlava come una donna vissuta. Avrebbe fatto quasi ridere, se non avesse avuto ragione. Erano Aldebaran, avevano degli obiettivi da raggiungere, e dovevano crescere in fretta, con tutto quel che comportava…

Oh. Maledizione.

«Nahema…vedi anche tu mamma, Ralonrin e delle guardie vicino al punto dove noi dovremmo atterrare?»

Certo che Nahema li vedeva, e vedeva anche che mamma Iyra, come al solito di una bellezza quasi ultreterrena nel suo stretto abito dorato, era palesemente irritata. «mi avevi detto che Ralonrin dormiva!»

«ne ero convinto! Avevo controllato! Non dirmi che ha fatto finta…»

«a questo punto direi di sì. Ultima volta che ti porto dietro, è deciso» disse, preparandosi ad atterrare.

Aladohar guardò a terra, decisamente agitato. «ma se tornassimo indietro e chiedessimo asilo politico a Faeliria? A Kitah? A chiunque?»

«potremmo chiedere asilo politico solo se fossero in un regno diverso dal nostro, e comunque pensi davvero che servirebbe a qualcosa? Siamo Aldebaran. Possiamo proteggerci da tutto, ma non da noi stessi».

Pura verità. Aladohar sospirò. «se chiedono dei tuoi lividi diciamo che sei caduta?»

«esatto».

Li aspettava un brutto quarto d’ora, ma in fin dei conti era giusto così: come dice il proverbio, “a ognuno il suo”.

Nobili compresi.




Ci tengo a ringraziare chiunque sia stato così paziente da leggere fino alla fine :)

Prima che me lo chiediate, sì, Aleha nel mio immaginario è la futura moglie di Kozmotis. Lady Pitchiner nel canon è una figura di cui non si conosce neppure il nome, e tantomeno l'aspetto (ho provato a cercare informazioni ufficiali a riguardo senza trovarne neanche mezza) per cui ho potuto farla un po'come mi pareva.
Per il resto, chi segue la mia pagina su FB, o il mio profilo su Manga.it, probabilmente già conosce Nahema, Aladohar e gli altri Aldebaran, ormai adulti -e no, la madre di Kozmotis non ha sbagliato di di loro, li ha inquadrati più che bene :'D- .

Alla prossima,

_Dracarys_

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Capitolo 2
*** 2. Le cose che odio di te ***


= Le cose che odio di te =





Kozmotis Pitchiner era un militare, e felice di esserlo.
La vita nell’esercito era qualcosa che aveva sempre perseguito, ed era soddisfatto del proprio lavoro: se si dava tanto da fare per difendere il regno, in fin dei conti, era anche per la sua ragazza. L’unico problema risiedeva in tutti quel mesi lontani da casa e, quindi, da Aleha.

Nei momenti in cui era in congedo, trascorreva tutto il proprio tempo con la madre o, quando Aleha non era al lavoro, con lei: erano sempre troppo brevi, e teneva molto a far sì che almeno fossero intensi
Per cui, quando lei gli aveva detto di essere riuscita a liberarsi per quella sera, e che avrebbero avuto casa libera perché sua sorella sarebbe rimasta in clinica fino al pomeriggio del giorno dopo, si era sentito il diciassettenne più felice della galassia.

Lui e Aleha avevano passato la serata insieme come da programma, e dopo la cena si erano goduti anche il dessert. Non era stata certo la prima occasione in cui avevano fatto l’amore, ma era stata la prima volta che avevano trascorso un’intera notte insieme. Era stato bello addormentarsi accanto a lei, e ancor di più svegliarsi e rendersi conto che non era stato affatto un sogno.
Si era detto che un giorno, sperava non troppo lontano, avrebbero passato insieme tutti i giorni e tutte le notti che avrebbero potuto.

Come marito e moglie.

Kozmotis non aveva mai amato altri che Aleha Sinetenebris, probabilmente da tutta la vita, anche se si erano messi insieme per davvero “solo” tre anni prima. L’idea di stare con qualunque altra ragazza gli risultava semplicemente inconcepibile, e non poteva importargli meno di coloro che ridevano dicendogli “hai diciassette anni, vedrai quante volte cambierai idea!”. 

Loro non capivano, e se non capivano era perché, evidentemente, non avevano mai adorato qualcuno quanto lui adorava Aleha. 
Il fatto che non le avesse ancora detto quel “ti amo” era solo un dettaglio di poco conto: Kozmotis non era un tipo da chiacchiere smielate, preferiva dimostrare certe cose con i fatti…anche perché se si trattava di esprimere i propri sentimenti tendeva a essere un po’troppo introverso, quindi non avrebbe potuto fare altrimenti.

Proprio in virtù di ciò, quando alle nove del mattino si era svegliato, aveva deciso che sarebbe andato in cucina e avrebbe preparato la colazione per lui e Aleha -la quale dormiva ancora placidamente- e l’avrebbero gustata insieme, a letto.
Era uscito dalla stanza sereno, anzi, tanto allegro che per poco non si era messo a fischiettare. La vita era bella, niente poteva andare storto…

Quando arrivò in cucina, tuttavia, per poco non gli venne un colpo. 

«dann…!»

Riuscì a stento a contenere quell’imprecazione, si irrigidì, e quasi senza rendersene conto indietreggiò oltre la soglia.
Se Kozmotis aveva avuto una simile reazione non era perché lì dentro c’era un gruppo di Dream Pirates, di Nightmare Men o di Fearlings: ciò che aveva davanti agli occhi era peggio, molto peggio.

«non so proprio cosa trovi mia sorella in qualcuno che non è neppure in grado di dire “buongiorno” come si deve».

C’erano poche cose nella galassia che potessero far paura al giovane Kozmotis: era sempre stato un temerario, e il tempo trascorso al fronte non aveva fatto altro che confermarlo. 

Peccato che tra le suddette “poche cose” fosse compresa Spear, la sorella maggiore della sua fidanzata, seduta accanto al tavolo a bere qualcosa da una tazza.

Prima, quando lui e Aleha non stavano insieme, Kozmotis la trovava semplicemente fredda, antipatica e snob. 
In seguito, quando aveva iniziato ad entrare più spesso in casa Sinetenebris, si era trovato ad avere a che fare di più con lei per forza di cose: i momenti liberi di Spear e Aleha spesso coincidevano, e la dottoressa non usciva di casa se non per il lavoro. Passava la maggior parte del suo tempo libero in camera a studiare, questo andava detto, ma secondo Kozmotis tale lasso di tempo era sempre troppo poco.

Ciò aveva fatto sì che la sua antipatia verso quella donna -non riusciva a definirla “ragazza”, sebbene avesse solo ventidue anni- diventasse qualcosa di diverso.
La sua vita nell’esercito e fuori non era stata tutta rose e fiori e, nemici del regno a parte, gli era capitato di avere a che fare con persone a cui lui non piaceva, e che non gli piacevano. 
Spear però era in grado di risvegliare in lui un’inquietudine strisciante, una sorta di timore atavico: riusciva a dissimularlo in maniera più o meno decente, ma era solo una facciata. Era così magra che lui avrebbe potuto tranquillamente spezzarla in due, se avesse voluto, ma quella consapevolezza non sembrava influire minimamente.

C’era qualcosa negli occhi della dottoressa, simili a quelli di Aleha in forma e colore per quanto era diverso lo spirito che li animava, che gli faceva venire voglia di allontanarsi il prima possibile ogni volta che sentiva il suo sguardo di posarsi su di lui. Non capiva come Aleha riuscisse a sopportarlo così bene, quando per lui tentare di sostenerlo era come fissare troppo a lungo un abisso oscuro.

«tu non avresti dovuto lavorare fino a oggi pomeriggio?» ribatté Kozmotis in un modo che avrebbe voluto essere “seccato”. Spear per prima aveva dato inizio alle ostilità e lui, timore o meno, doveva trovare il modo di ribattere e non farsi mettere i piedi in testa.

«tu non avresti dovuto passare la notte a casa tua, invece di copulare con mia sorella?»

Il problema con Spear non era solo lo sguardo penetrante, c’era anche quel suo modo di parlare. Quelle affermazioni che faceva solo ed esclusivamente con lo scopo di metterlo a disagio -di questo era convinto- che dette da un’altra persona avrebbero potuto risultare quasi ironiche, ma non nel suo caso.

Kozmotis arrossì e, accorgendosene, si maledisse almeno venti volte di fila. «io e tua sorella siamo adulti, questa è anche casa sua, mi ha invitato a rimanere, e sono rimasto. Non c’è altro da dire» aggiunse voltandosi verso i fornelli, ma solo per tre quarti: non si sarebbe sentito tranquillo nel darle completamente le spalle. «e ora le preparerò la colazione».

«vorresti farmi credere che sei in grado di fare qualcosa che non sia picchiare le persone o particolari tipi di ginnastica?»

Certo, Kozmotis era in grado di fare anche altro, ma se fosse stato davvero una persona violenta, se Spear non fosse stata la sorella di Aleha e lui fosse stato meno in soggezione -“ma perché, dannazione, perché?!”- effettivamente l’avrebbe presa a schiaffi con gusto. «sono in grado di fare molte più cose di quanto tu creda!» 

«eccetto finire di rivestirti e andartene, purtroppo».

“ignorala- ignorala- ignorala!” si intimò il ragazzo. Per fortuna, avendo avuto modo di vedere dove erano arnesi da cucina e ingredienti vari in occasioni precedenti, poteva mettersi al lavoro e concentrarsi su quello.

Farlo sentendo lo sguardo di Spear puntato addosso però era a dir poco complicato. Non invidiava proprio i colleghi della dottoressa, che probabilmente si trovavano ogni giorno in una situazione come quella, a dover tollerare che il loro operato fosse fissato costantemente da lei, in cerca di un qualsiasi minimo errore. 
Quando poi sentì le sue dita sottili iniziare a tamburellare sul tavolo, perse per un attimo la presa sul manico della padella, che sbatté contro il ripiano.

«alla tua età io ero perfettamente in grado di cucinare qualunque cosa, mentre tu pretendi di farlo senza neppure saper tenere in mano una padella».

«le cose mi riuscirebbero meglio, se non ci fosse qualcuno a fissarmi di continuo» ribatté Kozmotis sempre più irritato, avvertendo la tensione crescente.

«allora devo presumere che tu chieda ai tuoi commilitoni di non guardarti mentre ti batti contro i nemici, se no correresti il rischio di perdere la presa sulla spada o spararti a un piede. Mi auguro proprio che Aleha rinsavisca presto».

Kozmotis Pitchiner era una persona equilibrata, e ora che aveva superato la sua “mania” giovanile di finire inevitabilmente col pestare bulli e balordi si poteva anche definire un tipo abbastanza tranquillo, ma era difficile rimanere tale con una persona che non solo lo maltrattava, non solo lo provocava, ma che cercava sempre di mettersi in mezzo tra lui e Aleha. 
Fino a quel momento non c’era riuscita, ma Kozmotis sapeva quanto Aleha tenesse da conto Spear e le sue opinioni. Cosa sarebbe successo se un giorno la totale e costante disapprovazione di Spear nei suoi confronti fosse riuscita a condizionare Aleha al punto di convincerla a lasciarlo?

«Aleha è perfettamente in sé, e sarebbe ora che lo accettassi. Devo piacere a lei, non a te. Non hai il diritto di metterti in mezzo!» esclamò. Momentaneamente di cucinare non se ne parlava, ma continuò a tenere in mano la padella: meglio avere a disposizione un’arma impropria che non averne affatto.

«sono sua sorella maggiore, nonché tutto quel che rimane della sua famiglia. Non ho solo il diritto di proteggerla, io ne ho il dovere. Si diventa legalmente adulti a sedici anni, ma non sempre la maturità e la capacità di decidere per il meglio coincidono con l’età anagrafica. Aleha è una ragazza intelligente» ammise Spear «ma purtroppo è vittima di una pesante cotta adolescenziale…»

«non è una cotta! Noi ci amiamo!» sbottò, portato all’esasperazione «e non hai né il diritto né il dovere di proteggere chicchessia, Aleha è in grado di farlo da sola, e se per qualche motivo un giorno non dovesse riuscirci ci sarò io a farlo!»

Spear sollevò un sopracciglio. «in quel caso sono certa che una tua telefonata dal fronte sarà risolutiva».

Kozmotis strinse forte il manico della padella, e tornò a volgersi verso il ripiano. Nel tempo che impiegò per prendere gli ingredienti, né lui né Spear dissero più nulla.

«qualunque cosa io dica, per te sarà sempre sbagliata» disse in seguito il ragazzo, decidendosi a rompere il silenzio.

«a dire la verità hai appena fatto un’affermazione del tutto corretta, per cui hai sbagliato di nuovo».

Kozmotis fece un sospiro nervoso. «si può sapere cosa ti ho fatto?!» l’apostrofò, voltandosi a guardarla in faccia «è da quando ero bambino che mi tratti come se ti avessi ucciso il gatto! Io sono una brava persona, con Aleha mi sono sempre comportato bene, e mi do da fare per difendere il regno. Qual è il problema? Magari vorresti che Aleha si mettesse con qualcuno più ricco, di una classe sociale più alta? O cosa?»

Spear poggiò tranquillamente la tazza sul tavolo, senza distogliere lo sguardo da lui. «hai deciso di parlare chiaro, per cui farò altrettanto. Aleha ha un buon lavoro con cui potrebbe vivere bene anche abitando da sola, e non ha bisogno di trovare un uomo che la mantenga, quindi ricchezza e classe sociale sono l’ultimo dei miei pensieri. Poi, so che sei un ragazzo di buona famiglia -su questo non metto bocca, so chi sono i tuoi genitori- e so che la cotta adolescenziale di Aleha è ricambiata».

Kozmotis avrebbe voluto mettersi ad urlare che la loro non era una stramaledetta cotta, ma era certo che sarebbe stato totalmente inutile, per cui si trattenne, volendo sentire dove Spear sarebbe andata a parare dal momento che “sapeva questo e quello” ma lo detestava ugualmente.

«il problema…cerca di ascoltarmi e mettertelo bene in testa, perché non amo parlare con te e non lo ripeterò una seconda volta…è che tu, fin da bambino, hai sempre avuto la capacità di attirare i guai come il miele attira le mosche» dichiarò Spear «attualmente cerchi di astenerti dal fare stupidaggini, e ho sentito che la tua carriera militare procede tanto alla svelta che c’è chi ti immagina colonnello, o addirittura generale, entro pochi anni…»

«e allora?!»

Spear si mise ad osservare la tazza vuota, con aria assente. «la natura delle persone non cambia. Tu rimani sempre miele, e i guai rimangono sempre mosche. Finora ti è andata bene, hai avuto fortuna… ma arriverà il giorno in cui il tuo modo di essere ti procurerà dei nemici, e i nemici delle persone “in alto” come tu potresti diventare tendono ad essere altrettanto in alto, o ancora più su».

Per qualche istante calò di nuovo un pesante silenzio, disturbato soltanto dal ticchettio di un orologio a muro. «ma…queste sono tutte tue fantasie!» inveì Kozmotis dopo un po’ «sono soltanto-»

«hai ragione, invece di arrivare in alto potresti anche finire col morire nel corso della tua prossima missione, e dare un dolore non da poco ad Aleha» disse Spear, tornando a guardarlo. Questo lo mise temporaneamente a tacere, e lei poté continuare. «immagino che questo ti sembri più realistico. Bada bene: io ho stima di coloro che scelgono di dedicare la propria vita a difendere il regno, perché anche mio padre come sai era un militare, e lo ricordo come un brav’uomo, per quel poco che l’ho visto. Quel che voglio dire è che la strada che hai scelto non ti permette, né ti permetterà mai, di stare vicino ad Aleha come sarebbe giusto. Ora sei un “innamorato” assente. Se uno dei due non rinsavirà in tempo, diventerai un fidanzato assente, poi un marito assente, e forse anche un padre assente. Non esiste alcun modo per evitarlo, e tu lo sai benissimo: non puoi essere contemporaneamente al fronte e a casa con la tua famiglia. Inoltre, se per disgrazia le cose andranno male, lascerai mia sorella -o lei e degli eventuali figli- nell’identica situazione in cui i nostri padri hanno lasciato noi. Non è stato piacevole, dovresti ricordarlo. Ora ti domando: è davvero questo che vuoi per Aleha?»

Era anche per questo che Kozmotis non amava avere a che fare con lei, per il modo in cui, le poche volte che avevano parlato -quella era stata la conversazione più lunga avuta fino a quel momento- Spear non gli aveva lasciato molte opzioni per ribattere.

«non è…chi ti dice che andrà così per forza?! Chi ti dice che non troverò il modo di tornare a casa ogni volta che potrò e non essere “assente”, chi ti dice che morirò, o che mi farò chissà quali nemici?! Le tue sono solo teorie, e poi…e poi è un discorso assurdo da farsi, adesso. Io ho solo diciassette anni…» borbottò, passandosi una mano sul volto.

«mi hai detto di essere un adulto, io ti ho fatto un discorso consono. Forse non te l’hanno mai spiegato, ma non si può essere adulti solo per quel che si vuole» ribatté la dottoressa, con una certa durezza. «ora fai una cosa sensata: raccatta i tuoi vestiti, esci da quella porta e anche dalla vita di mia sorella. La mia famiglia ha già avuto problemi sufficienti per due o tre vite intere».

«tu dici tutto questo solo perché mi detesti!!!» gridò il ragazzo, ormai incapace di trattenersi oltre «lo hai sempre fatto, e continuerai a farlo qualunque cosa io dica, qualunque cosa io faccia, solo perché sono io!»

«il fatto che tu sia un ragazzino arrogante che si crede molto più maturo di quanto in realtà non è, di sicuro non mi aiuta a trovarti simpatico».

«ecco, visto?! Visto?! Mi odi a prescindere! Si capisce già solo da come mi guardi, se tu non fossi un dottore probabilmente avresti già cercato di tagliarmi la gola!»

Detto ciò indietreggiò verso il bancone, perché a quel punto la faccia della sua -teoricamente- futura cognata gli fece capire che non lo aveva mai guardato veramente con aria assassina…fino a quel momento.

«se anche non ci fosse in ballo la deontologia professionale non mi sporcherei le mani in questo modo per ucciderti. Ci sono molti altri metodi più rapidi, più semplici e meno rischiosi».

L’attimo dopo sentirono i passi strasicati di Aleha, ancora decisamente insonnolita. «Kozmotis, perché gridavi…» borbottò la ragazza, sbadigliando. Quando vide Spear però cambiò espressione, improvvisamente sveglissima. «aaah…Spear, tu non avresti dovuto essere al lavoro?» le domandò, decisamente imbarazzata. Lei e Kozmotis erano legati da un pezzo, e sua sorella sapeva benissimo che non passavano tutto il tempo a guardarsi negli occhi, ma non aveva preventivato di farle sapere di quella notte trascorsa insieme proprio lì in casa.

«tua sorella vuole uccidermi!» esclamò Kozmotis, avvicinandosi alla ragazza «mi odia e vuole uccidermi, lo ha detto adesso!»

Normalmente non era il tipo di persona che andava a lagnarsi dalla propria ragazza o dalla madre per certe cose, ma aveva preso le parole di Spear sin troppo seriamente, e ci teneva che Aleha sapesse che una sua morte improvvisa dopo aver mangiato o bevuto qualcosa non sarebbe stata casuale.

«perché lui, di tutto il discorso che ho fatto, ovviamente ha recepito solo questo. Aleha, il tuo ragazzo è un cretino» sentenziò Spear, alzandosi in piedi «e detto questo me ne vado a dormire».

«non pensare di sfuggire alla discussione così facilmente, Spear, perché dopo vorrò sapere cosa gli hai detto e come glielo hai detto!» la avvertì Aleha, lasciando che si allontanasse. «mi dispiace, io ero veramente convinta che non sarebbe tornata prima di oggi pomeriggio» aggiunse, ovviamente rivolta a Kozmotis «immagino che non sia stato bello trovarla in cucina».

«no, infatti» borbottò lui «e dire che la giornata era cominciata così bene…io volevo prepararti la colazione e farti una sorpresa, e invece è lei che l’ha fatta a me!»

«non badare troppo a quello che ti ha detto. Spear non ha un carattere facile, specialmente dopo il turno di notte, ma sono sicura che ucciderti è l’ultimo dei suoi pensieri. Non è mica un Dream Pirate!»

«hai ragione, non è un Dream Pirate, è peggio» mugugnò lui.

«Kozmotis, non esagerare! Non è affatto un mostro, e tantomeno ti odia. Vedrai che un giorno inizierete ad andare d’accordo» lo rassicurò, accarezzandogli il viso.

«io non credo proprio. Lei mi detesta, e non vuole che stia con te. Smetterebbe di odiarmi solo se ti lasciassi, e questo può scordarselo pure» sottolineò le sue parole attirando a sé Aleha in uno stretto abbraccio.

«non vuole davvero che ci lasciamo. Lei è solo molto protettiva nei miei confronti, lo è sempre stata, e ancor di più da quanto papà è morto…e poi mamma…sì, insomma, tu cerca di non farci caso» concluse Aleha «capirà che non vuoi farmi del male, col tempo vi conoscerete meglio, e inizierà a vedere in te quel che vedo anche io».

«certo, poi magari le spunteranno delle ali da fata e inizierà a svolazzare per il quartiere spargendo coriandoli e arcobaleni» borbottò Kozmotis «vorrei tanto condividere il tuo ottimismo, ma abbiamo opinioni differenti su tua sorella».

«io però la conosco meglio di te! Se sono ottimista magari ho i miei buoni motivi, e poi non preferiresti anche tu che io abbia ragione?»

In certi casi Kozmotis, da un lato, arrivava quasi ad invidiare Aleha, con tutto il suo candore e il suo ottimismo; dall’altro invece gli dispiaceva per lei perché, se avesse davvero continuato a credere in quel che aveva appena detto, un giorno avrebbe ricevuto una gran brutta batosta. 
Non che lui potesse fare alcunché a riguardo: quella ragazza era naturalmente portata a pensare bene di tutti quanti e giustificarne il comportamento, eccetto in casi del tutto estremi, e se lui ne era tanto innamorato era anche per questo.

«certo, è ovvio che lo preferirei, renderebbe tutto molto più semplice…ma mi sa che resterà un sogno impossibile».

Sì, magari era proprio un sogno impossibile. Ma lui aveva già una ragazza che lo amava e una fulgida carriera militare davanti: non era forse abbastanza?

“sì che lo è. Al diavolo Spear e le sue illazioni. Un giorno vedrà quanto si è sbagliata!” pensò.





Salve!

Vi avevo detto che probabilmente la one shot si sarebbe evuoluta in una raccolta, ed eccomi qui.

Qui avete conosciuto l'adorabile (?) Spear, una mia OC, che nel primo capitolo era stata soltanto citata. Come potete vedere, è la futura cognata che tutti vorrebbero...a molti, molti chilometri di distanza. Molto diversa da Aleha, come potete notare, principalmente a causa del loro vissuto non facile :)

Che dire? Mi auguro che apprezziate anche questo lavoro, e alla prossima!


_Dracarys_

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Capitolo 3
*** 3. Soap opera -parte I ***


= Soap Opera -parte I =






Spear sollevò gli occhi stanchi dall’ordinato mazzo di fogli, rendendosi conto solo in quel momento di essere rimasta di nuovo in ufficio fino a un orario indecente.

 Un medico, anche affermato, che prendesse seriamente il proprio lavoro non finiva mai di studiare e aggiornarsi, e lei aveva finito per concentrarsi così tanto nell’esame approfondito di dieci differenti casi di Sindrome di Tera’shat da non rendersi conto di aver fatto le due e mezza di notte.

 Il suo turno sarebbe cominciato tra meno di sei ore: non valeva neppure la pena tornare a casa. Fortunatamente per lei, in quella clinica gli uffici dei medici possedevano un bagno con doccia annesso, e Spear era stata tanto lungimirante da comprare un divano letto a una piazza e mezza proprio per simili evenienze, oltre ad avere sempre appresso dei cambi.

 Stava per alzarsi dalla scrivania, quando il suo comunicatore personale iniziò a vibrare. Erano poche le persone che sapevano come raggiungerla su quello -le altre chiamate arrivavano sulla linea diretta dell’ufficio o le venivano passate dal centralino della clinica- e Spear sapeva di non poter ignorare nessuna di esse, orario indecente o meno.
Soprattutto in quel caso specifico.

 «dimmi».

  credo che stavolta ci siamo.

 Spear non credeva negli Dei, aveva smesso da quando aveva quindici anni, ma se così non fosse stato probabilmente li avrebbe ringraziati. «perfetto, Elaja. Dimmi tutto».

 Elaja era la dottoressa nella piccola armata del giovane capitano Kozmotis Pitchiner. Era un’ex specializzanda di Spear, molto in gamba, che in seguito lei ed Aleha avevano frequentato al di fuori del lavoro.
Quando era stata spedita al fronte, e proprio in quell’armata, Spear le aveva chiesto di tenere d’occhio Kozmotis -per quanto le era possibile- e riferirle qualunque cosa potesse risultare utile al raggiungimento del suo obiettivo: dividerlo da sua sorella.

 Ovviamente non le aveva chiesto di farlo gratis. Elaja avrebbe lasciato il fronte volentieri, nella clinica dove Spear lavorava al momento c’erano un paio di posti vacanti, e lei era certa che il direttore avrebbe dato ad una qualunque sua proposta la massima considerazione possibile: questo non solo per la sua indubbia bravura di medico, ma anche perché aveva iniziato a lavorarselo a dovere appena arrivata nella struttura.

 Coloro che tendevano credere nell’importanza di certi valori morali avrebbero potuto trovarlo riprovevole, ma gli Dei non erano la sola cosa in cui Spear, sempre a quindici anni, avesse smesso di credere.
Si era detta che anche se la loro madre si era lasciata andare del tutto, abbandonando il lavoro e anche loro due a se stesse, il tenore di vita di Aleha non avrebbe mai dovuto cambiare in peggio, neppure minimamente; per tale motivo, quando i soldi che era riuscita a raccogliere con ognuno dei lavori part-time che aveva trovato -oltre al vitalizio destinato alle vedove di guerra- non erano stati sufficienti,  Spear aveva fatto in modo di trovarne con degli…extra di tipo tristemente particolare.
Tuttora non sapeva se Aleha avesse intuito qualcosa, ma se anche l’aveva fatto non aveva mai voluto parlarne, e tanto meglio così.
Poi la sua carriera era decollata, e attualmente stava procedendo veloce quanto quella di Kozmotis in campo militare, ma quel periodo buio l’aveva plasmata irrimediabilmente in un certo modo; indi, dove competenze e professionalità non aumentavano la sua influenza, non si faceva scrupoli a utilizzare altri mezzi.

 ‒ stasera i soldati avevano la libera uscita, e gli ufficiali avevano in programma di andare in un bordello travestito da locale notturno qualunque...

 «ed è andato lì anche lui?»

 Forse Elaja aveva ragione, e quella era veramente la volta buona. Però doveva ammettere di essere un po’sorpresa perché, dopo tutta la lealtà che Kozmotis professava ad Aleha, tutto avrebbe pensato meno che finisse col tradirla in modo così palese e grossolano.

 ‒ sì. Però è tornato prima degli altri. A quanto diceva, a lui era sfuggita la parte del “bordello travestito”, probabilmente perché conoscendolo i suoi commilitoni non gliel’avevano detto e basta, e quando ha capito dove si trovava realmente non ha voluto saperne…ma lui è effettivamente andato in quel posto, ci è rimasto a sufficienza da avere il tempo materiale di intrattenersi con una lavoratrice, e causa solidarietà maschile le testimonianze dei suoi colleghi non sono granché attendibili. Personalmente gli credo senza dubbio alcuno, sapendo che tipo di persona è, ma non ho prove concrete che dimostrino la sua innocenza.

 «appunto. Mi raccomando, quando Aleha ti contatterà per chiederti conferma, perché ovviamente lo farà, tu evita di dire che lo ritieni innocente» disse, con un tono abbastanza neutro «Elaja, ti ringrazio. Ci vediamo qui in clinica tra una settimana, massimo due».

 sono io che ringrazio te. Non vedo l’ora di andarmene di qui…del resto stare al fronte non è qualcosa che ho scelto io.

 «posso immaginarlo. A presto».

 Si alzò e interruppe la comunicazione, sentendosi quasi sollevata per qualche breve istante. Tuttavia, già prima di andare sotto la doccia, si rese conto che era ancora lontana dal poter cantare vittoria. Non sarebbe stato saggio farlo, almeno fino a quando non avesse sentito Aleha dire addio a quello stupido ragazzo, e magari l’avesse rimpiazzato.

 Per folle che potesse sembrare, Spear aveva iniziato da tempo a dare un’occhiata ad alcuni possibili candidati:  tra questi c’era un neurologo di un anno più giovane di lei, che lavorava in quella stessa clinica, che ovviamente già conosceva entrambe, e che inizialmente aveva fatto una corte discreta ad Aleha. Non era un tipo appiccicoso ed insistente, e aveva desistito appena lei gli aveva detto di essere impegnata…ma a breve quello non sarebbe più stato un problema.

 

 

 
***

 

 

 «sono tornata!» annunciò Aleha entrando in casa. Era un’abitudine che aveva preso anni addietro, e non l’aveva ancora persa benché spesso si trovasse ad annunciare il suo arrivo a una casa vuota. «Spear, ci sei?...»

 La sera prima sua sorella non era tornata a casa, ma la cosa non l’aveva stupita più di tanto. Aveva intuito come sarebbe andata da quando le aveva domandato “oggi torni?” e lei, senza sollevare lo sguardo da quel che stava facendo, aveva risposto “mh”. Probabilmente non l’aveva neppure sentita, com’era successo altre volte.

 «sì, ci sono. Vieni in cucina, la cena è in tavola».

 Tolti cappotto e scarpe, Aleha raggiunse la sorella in cucina. «ieri sera mi avevi detto che saresti tornata a casa».

 «ah sì?» ecco, appunto: non l’aveva neppure sentita! «scusami, mi sono messa a esaminare alcuni report dei casi di Sindrome di Tera’shat, e sai com’è che vanno a finire queste cose. Probabilmente avrei continuato fino a chissà quanto, se non avessi ricevuto una chiamata da Elaja…ricordi Elaja, giusto?»

 Ovvio che la ricordava, ogni tanto si sentivano tuttora. Magari Aleha non aveva un comunicatore personale come quello di sua sorella -aveva solo un cercapersone- ma c’era sempre la linea fissa di casa. «certo, anche se non parlo con lei da un po’. Dovrei proprio chiamarla appena possibile! Come sta? Da quel che hai detto mi è parso di capire che ti abbia chiamata a un’ora piuttosto tarda…» osservò la ragazza, leggermente allarmata.

 «sì, è così. Nulla di che, lei sta bene…per bene che si possa stare al fronte, ovviamente».

 Qualcosa non andava: mentre aveva parlato, Spear non l’aveva mai guardata in faccia, e ciò non prometteva nulla di buono. «di Kozmotis ha detto nulla?»

 «mh».

 Prima non la guardava negli occhi, ora esitava a risponderle: cosa accidenti stava succedendo? «Spear, gli è successo qualcosa?!»

 «Kozmotis sta benissimo e si diverte anche, da quel che mi ha detto. Non preoccuparti per lui. Mangiamo?»

 La risposta della sorella le diede sollievo solo in parte, perché aveva percepito la sottile venatura di disprezzo con cui aveva sottolineato quel “si diverte”. C’era qualcosa riguardante il suo ragazzo che lei non sembrava volerle dire, e questo stava iniziando a darle una certa ansia. «mangerò solo quando mi dirai quello che non vuoi dirmi, qualunque cosa sia!»

 Spear sollevò finalmente gli occhi dal piatto. «io te lo direi, ma trattandosi di quel ragazzo tu non mi crederesti a prescindere. Quindi a che pro?»

 «tu intanto parla, poi se crederci o meno lo deciderò io» ribatté Aleha «ma non puoi lanciare il sasso e nascondere la mano».

 «io non ho lanciato sassi né nascosto mani. Tu domandi, io rispondo».

 Iniziava a temere il peggio, anche se non era ancora in grado di dargli una forma. Cos’aveva combinato Kozmotis perché Spear, col carattere che aveva, fosse così reticente? Se non parlava poteva esserci un solo motivo, ossia perché temeva di ferirla, e non poco. «e allora rispondimi anche adesso! Cosa ti ha detto Elaja?!»

 Davanti alla sua testardaggine, dopo un’ultima esitazione, Spear parve rassegnarsi. «Aleha, premetto che nonostante quel che ho saputo non penso che lui sia cattivo. È un ragazzo di diciotto anni, quindi ha i suoi bisogni, i suoi istinti, voi due vi vedete molto poco, per cui è ovvio che lui finisca per…insomma, non so quanta lealtà si possa pretendere da un militare diciottenne in missione. Certo, lui avrebbe potuto essere più onesto con te e ammettere di non volere una relazione che prevedesse reciproca fedeltà a livello fisico, invece di professarti lealtà, rassicurarti di pensare e volere solo te, mentre poi…»

 Aleha iniziò a capire dove Spear voleva andare a parare, tanto che sentì il bisogno di sedersi. Non poteva né voleva credere a quel che stava sentendo. Doveva esserci uno sbaglio, non era possibile: lei e Kozmotis si erano sentiti solo tre giorni prima, e lui le aveva fatto proprio tutte quelle rassicurazioni di cui Spear aveva parlato. Non poteva essere stato con un’altra ragazza, o forse anche più di una. Non era nella sua natura, e comunque non vedeva dove avrebbe potuto trovarne una laggiù, in missione.

A parte Elaja stessa.
E le infermiere.
E magari, nelle rare sere di libera uscita, le lavoratrici di qualche locale notturno, o di un…no! Impossibile.

 «non mi ha tradita».

 Spear poggiò una mano fredda sopra la sua. «ti avevo detto che non mi avresti creduta. Elaja mi ha detto che lui e gli altri ufficiali avevano la libera uscita, e sono andati tutti quanti in un bordello. Lui è tornato prima degli altri, ma ha avuto tutto il tempo di fare quel che si va a fare in certi posti».

 «no!» gridò la ragazza, sbattendo un pugno sul tavolo «io non ci credo, non è possibile, non l’avrebbe mai fatto. Lui mi ama, e non andrebbe mai a letto con un’altra!»

 «anche a me sembrava assurdo, ma perché Elaja, che è amica di entrambe, avrebbe dovuto dirmi una stupidaggine? Oltretutto non c’è neppure la possibilità che possa aver detto una cosa del genere perché vuole Kozmotis per sé: ha altri gusti» le ricordò Spear.

 «magari ora le piacciono gli uomini» borbottò Aleha.

 «purtroppo per te io temo di no, al momento è ancora legata a quell’infermiera. Se non credi alle mie parole puoi sempre cercare di contattarla» disse, porgendole il proprio comunicatore «forse a quest’ora può risponderti».

 Aleha lo prese senza esitare. «la chiamo eccome! Non perché non ti creda, ma magari puoi aver frainteso le sue parole».

 «io non credo proprio, ma fai pure».

 Elaja rispose dopo tre squilli, e la conversazione delle due ragazze andò al sodo dopo brevissimi convenevoli. Purtroppo per lei, Aleha non sentì nulla che riuscisse a rincuorarla minimamente, o che smentisse quel che aveva detto sua sorella.

 ho saputo dagli altri ufficiali la destinazione, mentre lui l’ho incontrato soltanto quando è tornato. L’ho sentito borbottare qualcosa come “io credevo fosse un locale qualunque”, ma francamente non è molto credibile: anch’io avrei cercato una qualunque scusa, anche banale come questa, se a farmi domande fosse stata un’amica della mia ragazza.

 «ma potrebbe anche non aver fatto niente per davvero» obiettò debolmente Aleha «tu per caso hai fatto qualche domanda a quelli che erano con lui?»

  quel che dicono loro non vale granché: non solo gli ufficiali qui vanno tutti d’accordo, ma gli uomini tendono a coprirsi senza esitazioni quando ci sono in ballo certe cose. Senti, è stato fuori diverso tempo insieme agli altri, e se vai in un bordello non è per guardare le pareti, Aleha. Io ti ho detto quel che so e come la penso, poi ovviamente sta a te decidere come regolarti.

 Si salutarono e conclusero la chiamata. Aleha ormai non sapeva cosa pensare. Avrebbe voluto credere che il suo ragazzo fosse davvero ignaro della vera natura di quel posto, che una volta compresa se ne fosse andato, e finirla lì, ma l’opinione di Elaja non si fondava su elementi campati per aria, e anche sua sorella non aveva tutti i torti.
Kozmotis la vedeva poco, lui aveva diciotto anni, la vita da militare non era semplice, e forse lui aveva davvero sentito il bisogno di uno sfogo…però anche lei era giovane, anche lei lo vedeva poco, e neppure il lavoro di un’infermiera era precisamente semplice, ma non per questo andava a cercare un ragazzo qualunque con cui fare sesso!

 «fare buoni propositi è semplice, mantenerli non lo è altrettanto per tutti» disse Spear, che doveva aver intuito cosa le passava per la testa.

 «se sentiva che qualcosa non andava, perché non me ne ha parlato l’ultima volta che ci siamo sentiti? Perché non mi ha confessato che la nostra lontananza stava diventando difficile da gestire e mi ha detto tutte quelle cose, se non era vero? Non è da lui!» esclamò, in un altro tentativo di strenua difesa «non è in grado di essere così meschino!»

 «ti stupirebbe sapere cosa sono in grado di fare e dire le persone pur di non perdere i propri “punti fermi”» replicò sua sorella «nello specifico una ragazza con cui “sistemarsi", che sia in grado di sostenere una relazione con un militare…e sostenere anche la sua estrema possessività, nonché il suo essere così terribilmente eccessivo e soffocante nei periodi in cui torna a casa».

 «non è “estremamente possessivo”, lo è solo nella giusta misura, e non è affatto eccessivo e soffocante, ma premuroso!» protestò Aleha «mi piace che si prenda cura di me, e non mi spiace che sia un po’geloso…»

 «un po’, dici? Ti devo ricordare cosa mi hai detto a riguardo, sorella? Hai dimenticato che “guarda storto qualunque ragazzo osi osservarti un po’troppo a lungo”? O la volta in cui “ha picchiato un ragazzo che ha osato farti un apprezzamento”?»

 «Spear, questo è successo quattro anni fa, ora non lo rifarebbe!» protestò Aleha.

 «o ancora» continuò l’altra, imperterrita «il giorno in cui hai preso una leggerissima storta alla caviglia sinistra e lui ti ha portata in braccio fino a qui…»

 «quello è stato un gesto carino».

 «…attraversando tre quartieri a piedi? Tu lo troverai carino, ma se io fossi stata al tuo posto mi sarei vergognata non poco. Anzi, non glielo avrei proprio permesso. Ma torniamo al discorso principale: cosa intendi fare adesso? Ciò che ti ha riferito Elaja non lascia molti dubbi su quel che è successo».

 Avevano divagato per un po’, ma ecco che il problema principale si ripresentava in tutta la sua grandezza. Pensare a lui a letto con un’altra faceva molto male, e ancor di più che lui non fosse stato sincero nel dirle come si sentiva realmente. Se lo fosse stato avrebbero potuto discuterne e regolarsi di conseguenza: magari avrebbero finito lo stesso col lasciarsi, e non sarebbe stato piacevole, ma sarebbe stato meglio così piuttosto che venire a conoscenza di un tradimento.
Cos’avrebbe fatto?
Si sentiva più delusa e ferita che arrabbiata, e continuava ad amarlo lo stesso; più rifletteva, più finiva col confondersi. Che lasciarlo libero fosse meglio per entrambi? O no?

 «prima di prendere qualsiasi decisione voglio parlare anche con lui. Gli dirò quello che ho saputo, e se sarà abbastanza onesto almeno da ammettere di avermi tradita, se dirà che è stato solo uno sbaglio di cui si è pentito e prometterà di non rifarlo, io…potrei anche provare a passarci sopra, credo. Sì, sapevo che non avresti approvato» aggiunse Aleha, vedendo Spear passarsi una mano sul volto «oppure, se ammetterà quel che ha fatto e di non sentirsela di sostenere ancora una relazione a distanza, ci lasceremo e…e basta».

 «e se invece negherà spudoratamente?»

 Aleha scrollò le spalle, con aria afflitta. «non lo so. Immagino che mi prenderò una pausa…»

 «che è come lasciarlo, visto e considerato che Kozmotis non tornerà prima di altri quattro mesi».

 «hai ragione anche su questo» ammise «però sarebbe veramente dura».

 Spear sollevò un sopracciglio. «più dura di quando è morto nostro padre? Di quando abbiamo detto a tutti che mamma aveva trovato lavoro altrove e ci mandava i soldi, quando invece era qui a languire nel letto come l’inutile ameba che ha dimostrato di essere? Sei più che in grado di sopportare la fine di una relazione a distanza».

 «ho passato momenti peggiori, ma non è facile lo stesso. Non è una relazione a distanza qualsiasi, io lo amo da sempre. Lo amavo anche prima di rendermene conto. Non ho mai avuto altri che lui, non ho mai pensato ad altri che lui. Ho sempre creduto che l’avrei sposato, un giorno…e prima di iniziare a dispiacermi per la fine della nostra relazione aspetterò che questa arrivi, se mai arriverà davvero».

 
 

 

***

 

 

 
«…io sto bene, ma quattro mesi sono troppo lunghi. Per fortuna possiamo almeno sentirci ogni tanto, altrimenti diventerei pazzo, e quell’ “ogni tanto” non è mai abbastanza».

 Kozmotis aveva chiamato Aleha appena aveva potuto, e se pensava a cos’era accaduto solo due sere prima s’innervosiva ancora. I suoi colleghi ufficiali lo avevano trascinato fuori durante la libera uscita, promettendogli che “sarebbe stata una cosa tranquilla e sarebbero tornati presto”. Ebbene, non solo avevano passato buona metà della serata andando da un pub a un altro di quella cittadina di confine, ma avevano anche concluso il tutto in un locale notturno che poi si era rivelato essere nientemeno che un bordello!
Lui non ne aveva idea, ma gli altri lo sapevano eccome, e glielo avevano nascosto di proposito, oltretutto istigandolo a “divertirsi un po’con le signorine”. Lui ovviamente non c’era stato, aveva salutato tutti ed era tornato alla base, maledicendosi per aver accettato di andare con loro: avrebbe potuto sfruttare quel tempo per contattare Aleha, cosa che a quel punto non aveva potuto più fare, perché si era fatto troppo tardi. Quindi era semplicemente andato a letto, dopo aver scambiato due chiacchiere con la dottoressa della loro piccola armata, che aveva incontrato per caso.

 già, non lo è mai.

 Ora però non gli importava molto dei commilitoni cretini. C’era qualcosa che non andava in Aleha, e l’aveva percepito dall’inizio di quella chiamata. Magari era colpa di una giornata lavorativa particolarmente pesante o qualcosa di simile, ma c’era uno strano e immotivato campanello d’allarme che aveva iniziato a risuonargli in testa…

 senti…a parte questo c’è dell’altro che vorresti dirmi?

 E non solo non voleva saperne di smettere, ma al momento suonava ancor più forte di prima.

 «sì, certo. Abbiamo bloccato un gruppetto di Dream Pirates ieri mattina. Per fortuna ce la siamo sbrigata in fretta, non ci sono stati feriti, e non abbiamo ucciso nessuno dei nemici: li abbiamo catturati tutti e spediti nella Prigione Maxima. Preferisco sempre questo ad un’uccisione, e la maggior parte dei miei colleghi ufficiali inizia a pensarla come me».

 ‒ ne sono felice, ma non era quel che intendevo. Kozmotis…tu sei soddisfatto della nostra relazione, anche se adesso è più a distanza che altro? Non ti pesa neanche a livello…fisico?

 Ecco. Ecco il perché del campanello d’allarme. Quella domanda non gli piaceva per nulla, e gli stava causando una certa agitazione: perché Aleha se n’era uscita improvvisamente con delle frasi del genere? Era a dir poco strano, anzi, preoccupante. «amo il mio lavoro, ma vivo per i momenti in cui posso tornare a casa e rivederti, e quei momenti valgono tutti quelli in cui siamo lontani, quindi direi di no, che non mi pesa. Tu invece…» si fece coraggio, volendo andare a fondo della questione «è tutto a posto?»

 Aleha rimase in silenzio per qualche istante di troppo, e lui iniziò a sentirsi molto più che agitato e preoccupato. Cosa stava succedendo?! Fino a pochi giorni prima era tutto ok!

 ‒ no, non lo è, perché continui a dirmi che è tutto a posto, che stare lontani non ti pesa, e poi vai a divertirti in un bordello. E non provare a negarlo, lo so che ci sei andato.

 Kozmotis si sentì stringere in una morsa ghiacciata. Lui non aveva niente di cui rimproverarsi, se non l’essere stato un po’troppo ingenuo, ma vai a sapere cos’avevano detto ad Aleha! «tu…c-come l’hai saputo?! Aaah, ma che dico! Aleha, ascoltami, non so cosa ti hanno detto ma ti giuro che non ho fatto niente che possa dispiacerti! Sì, sono andato in quel posto» ammise «ma non ho toccato nessuna di quelle ragazze, davvero!»

 forse pensi che sia stupida, ma si sa che chi va in certi posti non lo fa per i complementi d’arredamento. Perché mi menti ancora? Abbi almeno il coraggio di ammetterlo! Io capisco che la nostra non è una situazione semplice, e se hai avuto un…un cedimento…è comprensibile, ma-

 «non posso ammettere di aver fatto qualcosa, se non l’ho fatto!» la interruppe, ormai preoccupato quanto innervosito dalla mancanza di fiducia della sua ragazza «non ti ho tradita, non ti avrei mai mancato di rispetto in questo modo, e non esistono “cedimenti comprensibili”!...non sarà forse che stai facendo tutto questo discorso perché ne hai avuto uno tu?!»

 ‒…per gli Dei, è proprio come aveva previsto Spear, ti ho messo alle strette a stai accusando me di qualcosa che hai fatto tu!

 Spear.
Avrebbe dovuto immaginare lei che c’entrasse in qualche modo, e se era così doveva necessariamente cercare di darsi una calmata e correre ai ripari, tentando di convincere Aleha della sua innocenza senza muoverle altre accuse cretine. In caso contrario avrebbe soltanto fatto il gioco di quella maledetta strega, che di certo aveva messo in testa ad Aleha chissà cosa! «scusa. Scusami. Mi sono innervosito e ho detto un’idiozia. So che mi sei fedele, e ti giuro su tutto quel che vuoi che lo sono anche io!» esclamò «io tengo troppo a noi due per rovinare tutto in questo modo, davvero, se solo adesso potessimo parlare faccia a faccia sono sicuro che tu-»

 ma non possiamo. Kozmotis, è difficile anche solo pensarlo, ma forse dovremmo…tu sei un militare, e sei…sei un ragazzo giovane, hai i tuoi istinti

 «Aleha, no. Non dire altro. Non dire altro, per favore» la pregò, con la voce che tremava leggermente. Sentirla iniziare a piangere, poi, fu un’ulteriore fonte di sofferenza.

 separarci sarà difficile per tutti e due, ma forse è meglio così, e non lo dico perché ce l’ho con te: ti amo, e continuerò a farlo sempre, ma è giusto che io ti lasci libero di fare quello in cui sei più bravo, ossia difendere il regno, e di poterti sfogare quanto e con chi vuoi senza pensieri. Ti auguro ogni bene.

 «io non voglio che ci lasciamo, non ti voglio perdere. Non so cosa ti hanno detto, io però non ho fatto niente» ripeté il ragazzo «non ho fatto niente…»

 Ma ormai ad ascoltarlo non c’era altro che il ronzio che accompagnava una chiamata conclusa.
Rimase lì per un pezzo, immobile come una statua, a lasciare che il mondo gli crollasse addosso e, contemporaneamente, la terra gli svanisse da sotto i piedi.
La sua storia con Aleha era finita e lui, così distante dalla sua amata, avrebbe potuto fare ben poco per riconquistarla. Non avrebbe potuto rivederla prima di altri quattro mesi, e quattro mesi erano un’eternità, ora più che mai.

 

***

 

 
«lui si ostina a dire che è tutto a posto, ma non lo è…sentite, qualcuno ha idea di cosa gli stia succedendo?»

 Gli altri ufficiali, da una nove a quella parte, avevano notato nel loro commilitone Kozmotis uno strano cambio di atteggiamento.
I primi cinque giorni l’avevano visto a terra, anzi, molto a terra -sebbene il modo in cui combatteva non ne avesse risentito-: avevano cercato di indagare, ognuno per conto proprio, senza ottenere nulla di concreto.
In seguito, ecco che qualcosa era cambiato di nuovo: nel tempo libero lo vedevano alternarsi tra momenti in cui rimuginava chissà cosa senza sosta, ed altri in cui si metteva a fare domande di vario tipo, spesso riguardanti l’ultima libera uscita.

 «non ne sono sicuro, ma inizio a pensare che abbia qualche problema con la sua ragazza. Mi sa che ha saputo dov’è che siamo stati l’ultima volta…»

 «e allora come fa lui ad avere problemi?! Se mai potrei averne io, se la mia ragazza venisse a saperlo» commentò un capitano «ma Pitch è più fedele di un cagnolino, e se lei ha qualche dubbio allora non lo conosce bene!»

 Quell’affermazione ebbe il pieno consenso dell’intero gruppo: non c’era persona più leale e onesta di Kozmotis, ed era chiaro a chiunque lo frequentasse.

 «non so cos’abbia in mente…stamattina l’ho visto confabulare persino con un’infermiera. Quella che stava con la dottoressa, per capirci».

 «ah, non mi ci far pensare» sospirò un tenente «lei sarà anche stata contenta di abbandonare il fronte e andare in una clinica, ma noi abbiamo perso una dottoressa valida, e dobbiamo solo sperare che il suo sostituto sia all’altezza. Comunque sia, io volevo fare una proposta: perché non andiamo tutti dal capitano Pitch e gli offriamo il nostro aiuto? Così facendo forse sarà un po’più tranquillo».

 Anche stavolta gli ufficiali furono tutti d’accordo, e si misero alla sua ricerca. Lo trovarono poco dopo nel cortiletto interno, immerso nei propri pensieri.

 «capitano».

 Kozmotis impiegò qualche secondo a riscuotersi e dare un’occhiata a tutto il gruppetto. «siete qui tutti riuniti…devo preoccuparmi?»

 «a dire il vero siamo noi ad essere preoccupati» disse l’altro capitano suo pari «ci siamo accorti tutti che c’è qualcosa che non va, ed è inutile che provi a negarlo. Se ci dici di cosa si tratta possiamo provare a darti una mano».

 Oh sì, era molto carino da parte loro offrirgli un aiuto dopo aver contribuito involontariamente a metterlo nei guai. Proprio per quell’ “involontariamente”, tuttavia, non riusciva ad avercela con loro neppure provandoci. In quei giorni aveva rimuginato, raccolto informazioni, e si era fatto un’idea abbastanza precisa di come dovessero essere andate le cose; se aveva ragione, e non vedeva perché non dovesse essere così, nessuno degli uomini che gli stavano davanti era coinvolto nel complotto, e forse potevano aiutarlo…o comunque essergli di sostegno.

 «sono vittima di un complotto, signori miei, e penso anche di sapere i chi, il come e i perché. Qui strega ci cova».

 «strega, signore?» allibì il tenente, un po’perplesso.

 Kozmotis fece cenno di sedersi, e loro obbedirono senza storie, piuttosto incuriositi dalla vicenda.

 «cercherò di tagliare corto per quanto posso. Voi dovete sapere che Spear, la sorella della mia ragazza…anzi, ex ragazza» si corresse, facendo violenza su se stesso «mi detesta da quando ero un bambino, e da sempre non ha fatto altro che parlarle male di me…»

 «dovrebbe farsi un po’di cazzi suoi» fu il commento triviale dell’altro capitano.

 «parole sante» concordò Kozmotis, per una volta senza fare commenti sul linguaggio «finora si era limitata a questo, e la cosa non ha toccato né me né Aleha, ma stavolta si è spinta oltre. Ho fatto un po’di indagini qui, le ho ricollegate ad alcuni episodi, e mi sono fatto un’idea abbastanza precisa. Credo che Elaja…avete tutti presente il nome della dottoressa che avevamo fino a tre giorni fa, no?…fosse in combutta con quella strega».

 L’infermiera con cui Elaja aveva avuto una relazione l’aveva sentita parlare con qualcuno al telefono quella stessa sera e, da quel che gli aveva riferito, Kozmotis aveva capito che la dottoressa parlava proprio di lui, sebbene non lo avesse nominato direttamente.

 «in combutta come?»

 «la cara dottoressa Willow avrebbe dovuto tenermi d’occhio e riferirle ogni informazione utile, e Spear le avrebbe fatto avere un posto nella clinica dove lavora» disse Kozmotis «pensateci bene: Aleha viene a sapere da qualcuno della nostra libera uscita -in chissà quali termini!- mi lascia, e guarda caso Elaja viene trasferita in una clinica nel territorio degli Orion pochi giorni dopo!»

 «non vorrei contraddirti, Pitch, ma mi sembra un po’improbabile e macchinoso» obiettò il capitano.

 «diventa meno improbabile e macchinoso se consideri che Elaja è stata una specializzanda di Spear, e che frequentava sia lei che Aleha al di fuori del lavoro».

 «aspettate, capitano…allora la Spear di cui parlate è la dottoressa Sinetenebris?» domandò il tenente.

 «sì, la strega di cui parlo è proprio lei. La conosci?» indagò Kozmotis, un po’sorpreso.

 «io no, ma mia madre è una capo infermiera proprio nella clinica dove lavora lei. Ogni tanto la nomina. Non le ha mai dato della strega, ma non l’ha neppure definita amabile. Pare che il direttore le permetta di fare il bello e il cattivo tempo, là dentro».

 «quindi per farle avere quel posto le sarebbe bastato chiedere» concluse Kozmotis.

 «signore, se volete posso chiedere a mamma se ora la dottoressa Willow lavora lì per davvero. Come conferma».

 «è un’ottima idea» annuì Pitchiner «e ti ringrazio».

 «una cosa però va detta: al tuo posto non so se mi darei tanta pena per una ragazza che si fa manovrare in questo modo dalla sorella» disse l’altro capitano «non sembra molto sveglia».

 Kozmotis gli diede un’occhiataccia. Non importava che Aleha lo avesse lasciato, non avrebbe mai tollerato che qualcuno ne parlasse male. «è una persona intelligente, ma quando c’è di mezzo Spear abbassa la guardia. Tutto qui».

 Riusciva a comprendere l’attaccamento di Aleha a Spear: la madre delle due sorelle, in seguito alla morte del marito, aveva trovato lavoro altrove, limitandosi a spedire alle figlie i soldi che servivano fino a quando si era ammalata ed era morta; dunque era stata Spear ad accudire Aleha in tutti quegli anni, e a farle realmente da madre. Così gli aveva detto Aleha.
Tanto secondo lui quanto secondo sua madre era stato tremendo da parte della signora Sinetenebris  lasciare sole le figlie in un momento del genere, ma l’aveva fatto per poterle mantenere, e ciò le dava un minimo di giustificazione.

 «come vuoi. Dopo? Cosa intendi fare?»

 «finché sono qui cercherò di contattarla come posso e più che posso. Avrò più libertà di manovra solo tra più di tre mesi e mezzo, lo so…ma non voglio arrendermi».






Buonasera :)

Avendo già diversi capitoli pronti conto di aggiornare questa raccolta a cadenza settimanale, giorno più giorno meno, e se le pubblicazioni saranno così "distanti" l'una dall'altra è soltanto perché voglio cercare di dare a tutti quanti il tempo per leggere. Di conseguenza, a chi è arrivato fin qui -e soprattutto a chi interessa :'D- comunico che potrà leggere il seguito di questa "soap opera" non più tardi della prossima settimana!

Che dire...era ben intuibile già dal precendente capitolo che i rapporti tra i due futuri cognati -posso chiamarli così, tanto sapete tutti che Aleha è la futura Lady Pitchiner- non fossero propriamente dei migliori, ma credo che da qui si possa intuire ancora meglio che, per tentare di proteggere sua sorella, Spear non si limita alle parole.
Non che questo sia il peggio che farà, non credete :'D

Ringrazio tutti coloro che danno un'occhiata anche questa raccolta, oltre al resto. In particolar modo i miei ringraziamenti vanno a vermissen_stern per i suoi commenti, e a Ialeya per aver inserito tra le storie seguite  questo patetico tentativo di creare una raccolta decente su una Golden Age piena di gente che, alla faccia di quanto si diceva nel canon, complotta come non so cosa questo insieme di one shot che è una sorta di prequel di “La Luna Dorata” :)

Alla prossima,

_Dracarys_

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Capitolo 4
*** 4. Soap Opera- parte II ***


= Soap Opera- parte II =





Erano già passati due mesi da quando aveva rotto con Kozmotis, e ogni giorno continuava a farle male come il primo.

 Aveva cercato di convincersi che lasciarlo libero fosse la cosa migliore per tutti e due, e cercato di andare avanti concentrandosi sul lavoro, ma ciò non le aveva risparmiato notti e notti di pianti. Era ancor più difficile di quanto aveva creduto che sarebbe stato, ed era incredibile come l’assenza di Kozmotis la facesse sentire incompleta.

 Prima erano lontani fisicamente, ma non con lo spirito, e Aleha non aveva capito quanto significasse davvero fin quando questo non era venuto a mancare.
Quanto significasse per lei, almeno: Kozmotis non l’aveva più cercata, da dopo quell’ultima chiamata.

 Non poteva lamentarsene, in fin dei conti era stata lei a voler troncare, ma per come lo conosceva -e dalla reazione che aveva avuto- si sarebbe aspettata altro. Si era preparata a declinare tristemente ogni suo tentativo di insistere, forse a lasciar nascere e mantenere un rapporto d’amicizia o almeno cordiale, e invece no: non aveva ricevuto una lettera, non una chiamata, solo silenzio. Era la conferma che lui aspettava da tempo di essere liberato dai suoi “obblighi”, ma non aveva avuto il coraggio di prendere posizione.
Le risultava strano, e non in linea col Kozmotis Pitchiner che conosceva da una vita, ma cos’altro pensare?

 «…Aleha, mi stai ascoltando?»

 «eh? No, sinceramente no. Come mai siamo ancora qui?»

 Il loro turno in clinica era finito ed erano uscite, ma per qualche motivo erano ancora lì nel cortile. Sicuramente Spear gliene aveva parlato, ma non aveva ascoltato, causa pene d’amore e distrazione.

 «perché questa sera andiamo a cena fuori con il dottor Shade. Cain Shade» aggiunse Spear, vedendola perplessa «il neurologo, Aleha!»

 «ah, sì. Ho capito».

 Dopo qualche istante di esitazione Spear si avvicinò e l’abbracciò. Aleha non si sarebbe opposta in ogni caso, ma sapendo quanto fossero rari gesti del genere da parte sua, specie in pubblico, accolse il gesto quasi con commozione.

 «meglio che sia accaduto adesso, piuttosto che tardi. Passerà, Aleha».

 «sì…lo spero».

 «eccomi! Ho fatto prima che ho potuto» esclamò il dottor Shade «scusatemi».

 «sono soltanto cinque minuti di ritardo, non succede niente…»

 “davvero ha detto ‘non succede niente’? Spear? Che è capace di rimproverare qualcuno per un minuto di ritardo?!” allibì Aleha.

 Quella cena doveva essere più importante di quanto avesse immaginato all’inizio e…ah. Ma certo.
Cain Shade, il neurologo che l’aveva corteggiata all’inizio, quando lei e Spear avevano iniziato a lavorare lì.
Incredibile che fosse arrivata a capire solo adesso che Spear stava cercando per lei un nuovo ragazzo.

 Peccato che lei non volesse un nuovo ragazzo. Non era pronta, forse non lo sarebbe stata mai.
Nulla d’irrisolvibile, comunque: con sua sorella avrebbe parlato più tardi, e quanto al resto bastava lasciar intendere con gentilezza al dottor Shade di non desiderare una nuova relazione, se mai questi avesse di nuovo mostrato interesse.

 «andiamo, signore mie?»

 «andiamo!»

 Fortunatamente per lei, in seguito Aleha comprese di poter mettere da parte ogni sua preoccupazione a riguardo.
Cain Shade fu molto carino con lei per tutta la sera, ma che non mirasse più a lei era piuttosto chiaro: cercò di conversare con Spear quanto più possibile, concordò calorosamente con ogni sua affermazione, e le mostrò una particolare premura che, purtroppo per lui, venne accolta con della semplice cortesia. Era piuttosto evidente che fosse abbastanza preso da Spear, e lo divenne ancor di più una volta usciti.

 «comprate fiori per queste bellissime ragazze?» domandò al neurologo un venditore ambulante.

 «ma sì, dai: dammi due di quelle rose».

 Ne comprò una bianca e una dorata, e porse la prima ad Aleha con un gesto gentile. A Spear, invece, regalò quella dorata solo dopo averle fatto un perfetto baciamano.
Al povero Shade sfuggì l’espressione con cui Spear accolse tale gesto -del tipo “perché diamine stai facendo una cosa del genere, scemo?”- ma non ad Aleha, che quasi si lasciò sfuggire una risatina. Sua sorella aveva dei piani per lei e quel medico, ma erano indubbiamente andati a rotoli.

 «è stata una bella serata, ma temo che per me termini ora, dato che sono un po’stanca. Voi due però potete sempre rimanere qui a divertirvi».

 Nonostante tutto, Spear non sembrava volersi arrendere, e cercò di fare in modo che rimanessero da soli…

 «a dire il vero sono un po’stanco anche io» disse il dottore, appena prima che lo facesse Aleha «domani dobbiamo lavorare tutti e tre, e forse è meglio concludere».

 Ma poco importava, non c’era proprio niente da fare.

 Il dottor Shade le riaccompagnò a casa e, una volta rientrate, Spear non si curò più di nascondere il suo scontento. «credo proprio che sia stata una pessima idea. Ho puntato sul candidato sbagliato».

 «“candidato”! Non vorrai dirmi che ce ne sono altri? Che ci saranno altre serate di questo genere? Non so se tu mi credi una sciocca, ma ho capito benissimo quel che vuoi fare!»

 «e io sapevo benissimo che tu avevi capito, Aleha» ribatté Spear «ma non mi piace vedere che ti struggi in questo modo per qualcuno a cui non importa nulla di te».

 Erano parole dure, ma sentì un leggero rimorso per averle pronunciate soltanto quando, appena prima di voltarsi e incamminarsi verso la sua stanza, la vide asciugarsi velocemente una lacrima. «grazie mille per avermelo ricordato, ne avevo proprio bisogno».

 «mi dispiace. Non avrei dovuto dirlo».

 Aleha fece una breve risata nervosa. «forse no, non avresti dovuto, ma le cose stanno proprio così. Potrei prendermela con te perché hai detto la verità, ma a che scopo? Non cambierebbe la realtà dei fatti, e comunque l’ho voluto io. Mi consola soltanto sapere che lui, ora che è libero, è sicuramente felice».

 Detto ciò Aleha andò a chiudersi nella propria stanza, e Spear la lasciò andare senza fare ulteriori commenti. Non le piaceva vederla soffrire, ma era sicura che ciò che aveva fatto -e stava facendo- le avrebbe risparmiato cose ben peggiori.

 Non era perché Kozmotis non le piaceva particolarmente, e non era neppure a causa dei motivi oggettivi che aveva esposto a quel ragazzo circa un anno prima. Spear sapeva che sua sorella doveva tenersi ben lontana da lui, questo era quanto.
Era una consapevolezza dalle origini indefinite, ma chiarissima nella sua essenza e, per il bene di Aleha, la dottoressa intendeva assecondarla in ogni modo, anche deviando al suo comunicatore personale ogni chiamata che arrivasse a casa dal fronte, o facendosi consegnare lettere non destinate a lei.

 Era incredibile la quantità di lettere che Kozmotis aveva scritto a sua sorella in soli due mesi, e lo era ancor di più il numero di chiamate: era come se sfruttasse ogni minimo momento libero tra un colpo di pistola a un Dream Pirate e l’altro. La caparbietà di quel ragazzo era a dir poco eccezionale.
Peccato fosse anche del tutto inutile, e che Spear stesse iniziando a pensare di mandargli un messaggio più concreto rispetto al completo silenzio…

 

 

 
***

 

 

 
«…»

 Quando Kozmotis aveva creduto di aver finalmente ricevuto una risposta da Aleha, dopo due lunghi mesi di silenzio che l’avevano fatto disperare, per un attimo era riuscito a sentirsi quasi contento.
Ormai aveva perso il conto di tutte le chiamate fatte, delle lettere che aveva scritto.

 Aveva dedicato a questi tentativi ogni più piccolo momento di libertà, senza mai darsi pace…e senza ottenere nulla: non era riuscito a raggiungerla con le sue chiamate, che venivano puntualmente trasferite a un altro numero, e le sue lettere erano tutte cadute nel vuoto.

 Non aveva desistito soltanto grazie alla sua estrema testardaggine, e ora eccolo lì, a osservare proprio l’ultima lettera che le aveva mandato.
Ridotta in sottili strisce di carta da un distruggi documenti e rispedita al mittente.

 Aleha ora lo odiava davvero così tanto da compiere un gesto del genere?
Era stata lei e non credergli, era stata lei a lasciarlo, a dirgli che l’avrebbe sempre amato e che gli augurava ogni bene…perché allora gli stava facendo questo?! Che si fosse stufata della sua insistenza, e avesse deciso di farsi intendere in modo più incisivo?

 Si passò una mano sul viso. Maledetta quella sera di due mesi prima, maledetta Elaja Willow e, soprattutto, maledetta quella strega di Spear. Aveva manovrato tanto che, alla fine, era riuscita ad ottenere quel che aveva sempre voluto…

 No, un momento. C’era qualcosa che non andava.

 Osservò di nuovo i frammenti della sua lettera, osservò attentamente la calligrafia con cui era stato scritto il suo nome sulla busta, e un nuovo barlume di speranza si fece strada nell’abisso oscuro di disperazione in cui era sprofondata la sua situazione sentimentale.

 La scrittura di Aleha era stata imitata in maniera più che discreta, ma chiunque fosse stato non era riuscito a renderla ampia e rotondeggiante quanto avrebbe dovuto, e le parole “Kozmotis Pitchiner” sembravano essere state vergate quasi di fretta, come se per lo scrittore fosse stato seccante anche soltanto pensarle.
Poi c’era la sua lettera. Rispedita al mittente? Distrutta, per giunta da una macchina, come se non valesse neppure lo sforzo di farlo a mano?
No. Non era da Aleha. Lo aveva lasciato, ma non lo avrebbe mai trattato in quel modo.

 Chiuse bruscamente la busta. Forse le sue erano le congetture di un ragazzo innamorato e disperato che non voleva accettare la realtà, ma iniziava a pensare che Aleha fosse all’oscuro di tutto quanto.
Il numero cui venivano trasferite le chiamate poteva essere quello del comunicatore personale di Spear, se ne aveva uno, e c’era la possibilità che fosse sempre lei a prendersi le sue lettere e a farle sparire. Era stata capace di ordire quel complotto con l’aiuto di Elaja -grazie alla madre del tenente non c’erano più dubbi- quindi nascondere lettere e deviare chiamate non era nulla, a confronto.
Per un attimo pensò di chiamare direttamente in clinica e chiedere di Aleha, ma probabilmente sarebbe stato inutile: il regolamento per le chiamate durante l’orario di lavoro era di suo molto rigido -solo emergenze, per farla breve- e se Spear aveva sufficiente influenza da far assumere chi voleva, non avrebbe avuto problemi a parlare ai centralinisti di “un ex fidanzato di Aleha troppo insistente”, con le conseguenze del caso.

 Ma se era così, se Aleha era all’oscuro di tutto…

 “se le cose stanno così, allora ormai sarà convinta che a me non importi nulla di lei!” pensò, trattenendosi a stento dal tirare un pugno contro il muro.

 Era una cosa che lo stava facendo diventare matto, e l’unica parte buona di tutto ciò era che potesse sfogare in battaglia le proprie frustrazioni -sempre con del raziocinio- finendo col brillare più che mai come guerriero.

 “mancano ancora quasi due mesi, e io ho le mani legate”.

 

 

 
***

 

 

 
«lo so, ho capito. So che è una buona offerta, Spear, te l’ho già detto ieri, ma il territorio degli Hydra è lontano…»

 Spear minimizzò con un cenno. «non è poi così lontano, è compreso l’alloggio, sarebbe solo per tre mesi, e una volta finito raggiungeresti già i requisiti per diventare capo infermiera qui. Sarebbe assolutamente fantastico per la tua carriera».

 Aleha incrociò le braccia davanti al petto prosperoso, ben poco convinta, accomodandosi meglio nella poltrona dell’ufficio di Spear. «io non ho tutta questa fretta, se anche ci volesse un po’di più andrebbe bene lo stesso. Ho passato la maggior parte della mia vita qui, nel territorio degli Orion, e le volte che ne sono uscita non ero mai da sola. Con me c’eri tu».

 «c’è sempre una prima volta, poi ripeto, sono soltanto tre mesi, e io verrei a trovarti ogni volta che posso. Per non parlare del fatto che, accettando, eviteresti incontri indesiderati. Questo trasferimento temporaneo dura proprio il giusto periodo di tempo. Colui Che Non Deve Essere Nominato torna questa sera» le ricordò «e se rimani qui non potrai evitare di tornare a casa per tre mesi, ti pare?»

 «non chiamarlo in quel modo, è bruttissimo» la rimproverò Aleha «anche perché sei solo tu che non lo vuoi nominare. Mi è dispiaciuto che non mi abbia più scritto, ma in fondo l’ho lasciato io, quindi non posso né voglio detestarlo, e non avrei problemi a incontrarlo».

 «quindi se mi hai chiesto il permesso di passare la notte qui nel mio ufficio è perché non hai problemi a incontrarlo?»

 Aleha decise di ignorare la domanda retorica della sorella, concentrandosi su un altro dettaglio. «…però quel che mi ha detto sua madre stamattina è strano».

 «perché? Cosa ti ha detto?» indagò Spear.

 «non sapeva che abbiamo rotto. È rimasta basita quando gliel’ho detto. Mi domando perché Kozmotis non le abbia raccontato nulla» fece spallucce «non me lo spiego. Forse è stato per non darle un dispiacere?...Spear, smetti di mordicchiare la penna e di’ qualcosa!»

 La dottoressa aveva pensato che la signora Pitchiner  avesse saputo della rottura di Aleha e Kozmotis, ma che avesse evitato di intromettersi in qualcosa che non la riguardava affatto. Invece no, ne era venuta a conoscenza solo quella mattina…

 “e chi se ne importa, lo vogliamo dire?”

 «non ho idea di come funzionino le teste delle persone quando sono vuote. Evidentemente non vuole raccontarle tutti i fatti suoi, che devo dirti? Se le avesse detto che l’hai lasciato avrebbe anche dovuto spiegarle perché, e magari non aveva voglia né di inventarsi una qualche balla, né di dirle che era andato a prostitute».

 «smettila di dirlo, va bene? So benissimo che cos’ha fatto, e sbagli se pensi che ricordarmelo farà sì che io inizi a odiarlo. Non accadrà mai».

 «sei davvero incredibile» sospirò Spear «io penso che, se avessi saputo una cosa del genere, l’avrei odiato per cinque lunghissimi minuti e poi ne avrei dannato in perpetuo la memoria».

 Che poi il povero Kozmotis fosse del tutto innocente era un piccolo dettaglio di nessunissimo conto.

 Aleha alzò gli occhi al soffitto. «ovviamente. Ma dov’eri quando gli Dei distribuivano la bontà d’animo?»

 «a studiare medicina, immagino».

 

 

 
[…]

 

 

 
«non restare qui fuori al freddo, finirai per ammalarti».

 «no, mamma, tranquilla. Sono stato in posti in cui era molto più freddo di così, quindi…»

 Si era preso giusto il tempo di salutarla, posare quei pochi bagagli e cambiarsi, poi eccolo: si era messo a sedere lì fuori, sulle scale davanti alla porta, e non si era più mosso.
Non c’erano molti dubbi sulla persona che suo figlio stava aspettando, ma iniziava a temere che l’attesa sarebbe risultata vana: le sorelle Sinetenebris avevano sforato di molto l’orario di rientro, ormai. «non penso che stasera torneranno».

 «turno di notte?»

 «teoricamente no».

 «allora non mi muoverò di qui. Se non ha il turno di notte, non vedo alcun motivo per cui non dovrebbe tornare».

 La signora Pitchiner alzò gli occhi al cielo. «davvero? Non ne vedi neppure uno?...Kozmotis Pitchiner, tu pensavi davvero che non sarei venuta a saperlo?!»

 Lui abbassò gli occhi. «speravo di risolvere la cosa prima che ti arrivasse alle orecchie, ma avrei dovuto immaginare…»

 «non solo “avresti dovuto immaginare”, ma avresti dovuto essere il primo a parlarmene. Dai, torniamo dentro» lo esortò, e Kozmotis si alzò con un sospiro «si può sapere cos’è successo?»

 «è successo che ci siamo lasciati» borbottò. Non aveva voglia di parlarne, men che meno con lei: che razza di uomo -e di soldato- sarebbe stato, se no? Uno che andava a lamentarsi da sua madre per cose come quella?
Sarebbe stato vergognoso, dal suo punto di vista.

 «già, e questo è tutto quel che so».

 Sia lei che Aleha avevano i loro impegni, e non erano pochi -Aleha in particolare, proprio per quel che era successo, si era gettata più che mai nel lavoro- per cui in quei quattro mesi avevano avuto giusto il tempo di salutarsi; le volte in cui l’aveva vista le era sembrata piuttosto giù, ma aveva pensato che fosse proprio per via dell’eccessiva mole di lavoro, e non si era preoccupata granché.
Solo quella mattina aveva capito che forse c’erano ben altri motivi, e le era dispiaciuto non poco: quella ragazza le piaceva moltissimo sia come persona che come ragazza di suo figlio, nonostante la storia familiare delle Sinetenebris presentasse, a suo avviso, diversi punti oscuri.

 «te ne ha parlato Aleha?»

 «sì».

 «ti è sembrato…» avviò a dire, esitante «ti è sembrato che lei mi odiasse?»

 «no. Mi è sembrata solo un po’triste».

 Kozmotis annuì, decisamente abbattuto. Meglio questo dell’odio, ma non sopportava di saperla triste. «capito».

 «mi ha anche detto che c’è la possibilità che vada tre mesi in una clinica nel territorio degli Hydra, ovviamente per lavoro».

 Kozmotis sgranò gli occhi, con un’espressione di sofferenza pura sul volto. Le possibilità di tornare con lei non erano molte, ma se Aleha fosse andata via adesso l’avrebbe persa per sempre, senza possibilità di scampo.
Sicuramente c’entrava Spear anche stavolta, non poteva essere un caso che il trasferimento temporaneo di Aleha durasse proprio tre mesi, l’arco di tempo in cui lui sarebbe stato a casa. «ci mancava solo questo, se adesso se ne va io…» si passò una mano sul volto «mamma, davvero, non ho voglia di discuterne».

 «se ne discutessimo forse potrei aiutarti».

 «no che non puoi!» sbottò lui, innervosito, senza guardarla più in faccia «e adesso basta, non sono dell’umore, ti ho detto che non ne voglio parlare!»

 “che ragazzo cocciuto!” pensò la signora, decisissima non arrendersi. «ma si può sapere cos’hai combinato di tanto grave da-»

 «io non ho fatto niente!» gridò il ragazzo «io non ho fatto…non ho fatto niente…»

 La signora Pitchiner ammutolì.
Aveva visto da subito che Kozmotis non stava bene, se ne sarebbe resa conto anche senza sapere della sua rottura con Aleha, ma solo adesso capiva com’era messo realmente. Suo figlio non era il tipo di persona che piangeva facilmente, tantomeno a dirotto, ma era proprio ciò che stava facendo in quel momento.

 «adesso ti siedi, ti sfoghi a dovere, e poi mi racconti cos’è successo. Non accetto un “no” come risposta».

 Detto ciò rimase in silenzio per qualche minuto, limitandosi ad abbracciare e coccolare il figlio. Poco che importava che fosse adulto e fosse un capitano dell’esercito, lei era sempre sua madre, essergli di sostegno era suo preciso dovere, e non c’erano età o grado che tenessero; per non parlare del fatto che le pene d’amore facevano male anche a persone di oltre quarant’anni, quindi figurarsi cos’erano per un diciottenne che, in tutta la vita, aveva avuto una sola e unica ragazza.

 «è stato tutto un complotto, mamma» mormorò lui dopo un po’ «ha fatto tutto sua sorella, che mi detesta».

 «chi, Spear? E da quando?!» si stupì la signora.

 «da sempre. Lei non vuole che io stia con Aleha, me l’ha detto più volte…un anno fa mi ha detto che se rimanessi con lei diventerei un fidanzato, marito e padre assente, e che questo non va bene per Aleha! Ma sono convinto che in realtà siano solo scuse, io non le piaccio e basta».

 «perché non mi hai detto nulla neppure di questo?»

 «non posso venire a lamentarmi da te per ogni piccolezza».

 «è vero, ma queste non sono piccolezze, e tu hai parlato addirittura di un complotto ai tuoi danni!»

 «le ho considerate piccolezze perché fino a quattro mesi fa si era limitata a parlare, ma poi…mamma, ascolta, io adesso ti racconto tutto quanto, ma tu devi essere disposta a credermi, va bene?»

 «va bene».

 Kozmotis tenne fede a quel che aveva detto raccontandole tutto quanto, dal difficile rapporto con Spear a quella libera uscita, dall’ultima chiamata tra lui e Aleha alle prove che coinvolgevano la dottoressa Elaja Willow, dal silenzio completo alle lettere distrutte e rispedite al mittente, che aveva conservato e che le mostrò.

 Più andava avanti nel suo racconto, più la signora Pitchiner si stupiva. Le informazioni che aveva raccolto sembravano dare ragione a suo figlio, e non esitò minimamente a credere che avesse lasciato immediatamente quel bordello -pur comprendendo che Aleha, alla quale era stato raccontato tutto in chissà che modo, non ci fosse riuscita-.

 «ecco tutto. Mi credi?»

 «sì, direi di sì, anche se mancano prove che siano del tutto inoppugnabili. È impressionante il modo in cui quella ragazza sia riuscita a smuovere mari e monti solo per questo!»

 Ovviamente le parole di Spear davano da pensare. “Fidanzato, marito e padre assente”…non era una prospettiva campata per aria, e non serviva essere dei geni per intuire i motivi celati dietro un discorso del genere.

 Poteva capire che Spear volesse proteggere Aleha: non era facile affrontare rimanere vedove a causa della guerra, e solo il cielo sapeva cos’avevano passato quelle due ragazze.
La storia della madre andata via a lavorare da un’altra parte non l’aveva mai convinta molto, le sembrava strano che le avesse lasciate lì da sole così, e fino a qualche anno prima aveva visto più volte Spear rientrare a casa tardissimo e in condizioni niente affatto buone; una volta, tornando dal turno serale, l’aveva persino vista crollare a terra ed era andata a darle una mano, ma Spear aveva rifiutato, aveva dichiarato di stare benissimo e, facendosi forza, si era rialzata da sé.

 Non aveva potuto fare nient’altro perché, quando lei si era accorta di ciò, Spear aveva sedici anni -quindi era un’adulta- e Aleha era, o quantomeno sembrava, una ragazzina di undici anni sempre perfettamente sana nel corpo e nella mente.
Aveva potuto solo osservare in silenzio, e chiedersi cosa ci fosse davvero sotto, consapevole che probabilmente non l’avrebbe mai saputo.

 A parte tutto, comunque, stava di fatto che doveva essere solo e soltanto Aleha a decidere se accettare o meno tutto ciò che comportava essere legata a un militare: sua sorella maggiore non aveva alcun diritto di intromettersi e procurare dolore a due ragazzi che si amavano.

 «quindi adesso cosa facciamo? Aleha parte…»

 «Aleha parte…“forse”! Non è ancora tutto perduto».

 «adoro il tuo ottimismo, ma stavolta non so proprio da dove lo tiri fuori» disse Kozmotis «io vado a dormire, sono stanco. Proprio stanco…’notte, mamma».

 La signora Pitchiner lo osservò trascinarsi in camera e pensò che, se per lui la giornata era finita, per lei la notte sarebbe stata ancora lunga.
Occhieggiò la massa di lettere distrutte, ognuna ancora nella busta con cui era stata rispedita indietro, e pensò:

 "per fortuna il nastro adesivo non mi manca”.

 

 

 
***

 

 

 
Erano quasi le otto del mattino, e il suo turno era ancora iniziato, per cui non le restava altro da fare che passare del tempo nel cortile della clinica.
Era un bel posto, molto ordinato e ben curato, senza un filo d’era fuori posto, con molte panchine bene in ombra e, soprattutto, pieno di cespugli di rose blu, il suo fiore preferito.
La cosa divertente era che, nel periodo in cui lei e Spear erano arrivate, quei cespugli non c’erano: erano stati trapiantati nel cortile tre mesi dopo, più o meno. Le sarebbero mancate, se avesse davvero deciso di andare nel territorio degli Hydra.

 “certo che Spear poteva venire qui fuori con me, invece di dedicarsi al lavoro ‘arretrato’ in ufficio. Lei non ha lavoro arretrato! Ci manca solo che si metta a curare i pazienti prima che si ammalino!” pensò.

 «Aleha?»

 Quella voce la fece trasalire, perché sinceramente non si sarebbe mai aspettata di vedere lì la signora Pitchiner nel suo abito blu a fiorellini gialli. Aveva l’aria di chi non aveva dormito molto, notò Aleha, tanto che per un attimo pensò addirittura che potesse essere lì perché non stava bene…o forse era Kozmotis che…
«Mira, come mai sei qui? È successo qualcosa a…?» 

 «no, no, Kozmotis è in salute. L’ho lasciato che dormiva, e fatto quel che devo fare è bene che torni a casa e vada a letto anche io. Sono venuta qui per portarti una cosa» tirò fuori dalla sua vecchia borsa marrone diverse buste da lettera, e le porse alla ragazza «e per dirtene un’altra».

 Aleha, esitante, prese le buste e le sottopose a un rapido esame. Erano tutte indirizzate a Kozmotis, tutte di un periodo compreso in quei quattro mesi di silenzio -a giudicare dal timbro postale- e, benché mancasse il mittente, la calligrafia delle scritte sulla busta le parve praticamente identica alla propria. «non le ho mandate io» disse, perplessa «non le ho mai viste prima. La scrittura sembra mia, ma non lo è».

 «lo avevamo immaginato».

 Aleha aprì la prima busta, e da essa tirò fuori…un’altra busta.
Era una lettera di Kozmotis indirizzata a lei, una lettera che era stata ridotta a strisce sottili ma riattaccata in modo estremamente preciso con del nastro adesivo, e sulla quale il timbro postale era ancora perfettamente leggibile.

 «non ha smesso di pensarti neppure per un secondo, e in questi mesi non ha fatto altro che scriverti. Le lettere che hai in mano non sono neppure la metà di quelle che sono state distrutte e rispedite a lui. Per fortuna le ha conservate, altrimenti non avremmo avuto alcuna prova. Te ne ha scritte anche delle altre, ma sono state fatte sparire. Ha provato anche con le chiamate, certo» continuò, vedendo che Aleha aveva alzato gli occhi su di lei «ma venivano sempre trasferite altrove, precisamente a questo numero» aggiunse, porgendole un biglietto ripiegato più volte «quanto al resto, io non so cosa ti sia stato raccontato di preciso quattro mesi fa, non posso né voglio costringerti a credere all’una o l’altra versione, e non ho prove concrete se non la sua parola, ma non penso ti abbia tradita. Il Kozmotis Pitchiner che ho cresciuto non l’avrebbe mai fatto, e se fosse stato colpevole non mi avrebbe giurato e spergiurato di non esserlo come ha fatto ieri sera. Piangendo a dirotto, aggiungo».

 «…Kozmotis che piange a dirotto?»

 Era qualcosa di inaudito, al punto che la sola idea non le sembrava concepibile.
Lo conosceva da una vita, ma non lo aveva mai visto piangere, mai: anche al funerale del padre era rimasto serio e composto vicino a sua madre, ad accettare con gran dignità le condoglianze di tutti i partecipanti. Aveva lasciato intendere quanto avesse bisogno del suo sostegno soltanto chiedendole di rimanere accanto a lui, e tenendola per mano durante tutta la cerimonia.

 «ha provato a tenere tutto per sé, come puoi ben immaginare, ma non ci è proprio riuscito. Non oso pensare alla sua reazione se sapesse che ti ho detto una cosa del genere, ma è così. Tu hai diritto di fare quel che vuoi, Aleha, ma mi sembrava giusto che fossi informata anche di tutto questo».

 Aveva creduto che lui l’avesse dimenticata, ma quelle lettere erano una prova concreta del contrario, e c’era quel numero, scritto nel biglietto ancora ripiegato che stringeva in mano. «ma chi avrebbe potuto avere interesse a…insomma…»

 «io su questo non posso dire niente, ma riflettendoci magari ne verrai a capo. L’unica cosa certa è che chiunque abbia fatto questo non approvava la tua relazione con Kozmotis. Conosci qualcuno?»

 Aleha non rispose. Che lei sapesse c’era una sola persona che non approvava la sua relazione, ma non era possibile….

 «io ho fatto quello che dovevo fare, e ora sta a te. Ci vediamo».

 «sì…ci vediamo».

 Lasciò che la signora Pitchiner si allontanasse e poi, dopo diversi momenti di indugio, si decise ad aprire il biglietto che le aveva passato.

 «…»

 Inizialmente volle pensare di aver sbagliato a leggere.
Sua sorella non poteva averle davvero nascosto tutto per mesi sapendo quanto avrebbe sofferto. Non poteva davvero averle detto “a lui non importa nulla di te” guardandola tranquillamente negli occhi, sapendo che invece le cose erano molto diverse. Doveva esserci un’altra spiegazione. Kozmotis non le piaceva, d’accordo, ma non poteva essere arrivata a tanto.

 O sì, invece?

 Rientrò nella clinica quasi correndo, raggiunse l’ufficio di Spear ed entrò senza neppure curarsi di bussare, sbattendosi la porta alle spalle. Gettò lettere e biglietto sulla scrivania della sorella, ignorando che questa fosse visibilmente in procinto di protestare per il suo comportamento incivile. «spiegati».

 Dopo un attimo di silenzio tesissimo in cui nessuna delle due si mosse, Spear prese una delle lettere e la osservò con aria indifferente. «piombi nel mio ufficio come una furia, e a dovermi spiegare sarei io?»

 «smetti di fare finta di niente, e spiegami perché tutte le chiamate che mi ha fatto Kozmotis in questo quattro mesi sono state deviate a questo numero! Il tuo!» esclamò, battendo un dito sul biglietto «e perché tutte queste lettere gli sono state rispedite dopo essere passate in un distruggi documenti, presumibilmente quello!» aggiunse Aleha, indicando l’oggetto in questione.

 «sarebbe interessante scoprire chi ti ha detto e dato tutte queste cose. Dubito sia stato Kozmotis, o probabilmente sarebbe anch’egli qui a sindacare sul nulla. Che ne dici di risparmiarmi lo sforzo di guardare le registrazioni delle telecamere di sicurezza e dirmi di chi si tratta?»

 «Mira Pitchiner» fu costretta a rispondere Aleha, sapendo che Spear non parlava a vanvera «ma non è di lei che dobbiamo parlare, piuttosto-»

 «certo, è chiaro che le parole della madre del tuo ex fidanzato siano del tutto attendibili».

 «non si tratta solo di parole! Ci dei sono timbri postali a provarlo!» e per sottolineare il concetto tirò fuori una delle lettere “riattaccate” «e dubito che tu le abbia dato il numero del tuo comunicatore personale, Spear!»

 «può averlo ottenuto in un altro modo».

 «come no! E magari i Pitchiner hanno anche degli amici alle poste pronti a falsificare timbri, oltre a non avere niente di meglio da fare che distruggere lettere e riattaccarle col nastro adesivo!» sbottò Aleha, esasperata.

 «che abbiano amici alle poste è plausibile, e che uno dei due non avesse di meglio da fare che giocare col nastro adesivo è sicuro, da quello che vedo».

 «piantala!!!» gridò la ragazza «perché l’hai fatto?! Sapevi quanto stavo male, perché mi hai nascosto tutto? Come hai potuto dirmi per quattro mesi interi che a lui non importava niente di me guardandomi in faccia, quando sapevi benissimo che non era vero?! Si può sapere cosa ti è passato per la testa?! Rispondimi!»

 Si sentiva delusa e ferita esattamente com’era successo quattro mesi prima, ma stavolta era anche arrabbiata. Si era sempre fidata quasi ciecamente di sua sorella, ma dopo una cosa del genere come avrebbe potuto tornare a farlo?

 «Aleha, tu ora sei in grado di difenderti da sola da tutto e tutti, ma non da lui. Sei troppo innamorata, e questo ti rende cieca di fronte a tanti fattori oggettivi per cui sarebbe meglio che restiate divisi come siete attualmente. Io ho agito così solo ed esclusivamente per proteggerti, e il fatto che ti abbia cercata non cambia le motivazioni per cui tu hai volontariamente deciso di lasciarlo. Lui ha negato di averti tradita anche quattro mesi fa: cos’è, ora che sua madre lo ha difeso è improvvisamente diventato un santo?»

 «lui le ha giurato e spergiurato di non averlo fatto. E piangeva!»

 Spear le diede una lunga occhiata. «oh. Capisco. Se ha fatto un bel pianto sulla spalla di mammina dev’essere innocente per forza».

 «tu non capisci, e comunque sia non avevi il diritto di metterti in mezzo!»

 «temo che quella che non capisce sia proprio tu. Prima lo lasci, poi decidi all’improvviso che è un’anima candida, tutto ciò a parità d’informazioni! Ma per favore».

 «rimangono sempre fatti miei, e resta il fatto che tu non hai fatto che ingannarmi per tutto questo tempo. Per “proteggermi”! Proteggermi da cosa?! Tu mi hai parlato di fattori oggettivi, ma credi che io non sappia a cosa si va incontro quando si ha una relazione con un militare? Certo che lo so!» esclamò Aleha «so che ci vedremo sempre poco, so che dovrò sempre essere pronta a tutto, ma prima che saltasse fuori tutta questa storia non è mai stato un problema, e se lui è innocente, se può sostenere a sua volta la distanza e tutto il resto, continuerà a non esserlo. Qui l’unico vero problema è che a te lui non piace, non ti è mai piaciuto!»

 «è vero, non mi piace molto, ma d’altra parte non devo essere io a starci insieme! Non mi importerebbe proprio niente, se non fosse che…»

 Fu costretta a interrompersi, perché onestamente non sapeva come continuare la frase. Come poteva spiegare ad Aleha in modo convincente che non doveva stare con quel ragazzo perché…per il suo bene non doveva starci? Detto così sembrava assurdo anche a lei.

 «“se non fosse che” cosa?! Perché non ti va bene che stia con lui, tanto da arrivare a fare quel che hai fatto? Dimmelo!»

 «non penso di riuscire a spiegartelo. Io so solo che se non starai lontana da lui, tu…» “tu” cosa? Di nuovo, non era in grado di concludere la frase. «se non tornerai con lui soffrirai. Se invece lo farai, per te sarà peggio. Stare insieme vi porterà ben poco di buono. A te in particolare».

 Aleha si allontanò dalla scrivania, perplessa, ancora innervosita e anche un po’in ansia. «non so da dove hai tirato fuori tutte queste convinzioni, ma sbagli, e a dirtela tutta mi inquieti anche un po’. Il mio turno comincia tra due minuti, è meglio che vada».

 «Aleha, sono seria. Non prendere alla leggera quel che ti ho detto».

 La ragazza le diede un’ultima occhiata e, dopo una scrollata di spalle, uscì dall’ufficio.

 Spear chiuse gli occhi e, poggiati i gomiti sulla scrivania, prese a massaggiarsi le tempie. Aleha non intendeva darle retta, e il suo lavoro di quattro mesi probabilmente si sarebbe rivelato inutile: sua sorella e Kozmotis Pitchiner sarebbero tornati insieme in un tripudio di lacrime, parole, sole, cuore e amore, per sempre felici e contenti e finché morte li avesse separati.

 «non se ne parla» disse tra sé e sé «Mira Pitchiner ha vinto questa battaglia, ma non la guerra».

 

 

 
***

 

 

 «Kozmotis, anche stasera qui sulle scale? Dai, non farmi andare al lavoro stando in pensiero».

 «fosse per me adesso sarei in quella clinica, ma tu mi hai detto di no!»

 «esatto, e tu fa’ il bravo continuando a dare retta a tua madre. Io credo che si sistemerà tutto quanto».

 «non vedo come possa sistemarsi se non posso vederla»  borbottò lui, con gli occhi bassi «e io comincio a temere che non tornerà a casa neppure stasera, e neppure domani, e che partirà per quel viaggio di lavoro».

 «io invece penso che la ragazza dall’altra parte della strada sia proprio lei!»

 Il ragazzo, incredulo, alzò lo sguardo. Sua madre aveva ragione, era Aleha, ed era lì davanti a lui, dopo così tanto tempo!
Si rizzò in piedi e scese la scalinata con un solo balzo, per poi attraversare di corsa quel breve tratto di strada che lo separava da lei. Desiderava la sua vicinanza, ma allo stesso tempo si sentiva teso come poche volte nella vita, al punto che pur avendo milioni di cose da dirle non riusciva a tirarne fuori neanche una.

 Le condizioni di Aleha non erano molto diverse da quelle del suo ex ragazzo: le era bastato guardarlo in faccia per far dissipare gli ultimi dubbi sulla sua innocenza e, ora che lo aveva davanti, si chiedeva come avesse potuto pensare anche solo per un momento che lui le avesse mancato di rispetto in quel modo. Se mai era stata lei a farlo, pensò, non dandogli la fiducia che meritava.
Cosa poteva dirgli, adesso? “ciao”? “come va la vita”? Le sembrava stupido, e forse era meglio andare al dunque.

 «non avrei dovuto dubitare di te nemmeno per un secondo, e tantomeno lasciarti. Se sei arrabbiato con me ti capisco. Mi dispiace».

 Dopo alcuni istanti d’immobilità, Kozmotis posò le mani sulle sue spalle, serissimo in viso. « Ascoltami bene: non ti ho mai mentito, e non lo farò mai».

 «lo so. Probabilmente mi sentirò in colpa a vita per questa-»

 Lui la interruppe posandole delicatamente un dito sulle labbra. «Aleha, io mi impegno a non farti mai del male in alcun modo, ma tu devi impegnarti a credere alle mie parole. È l’unico modo in cui possiamo far funzionare tutto».

 «lo farò» affermò Aleha con sicurezza. Dopo mesi di tristezza, finalmente, iniziava a sentirsi di nuovo felice, e le sembrava incredibile che lui la volesse ancora. Indubbiamente l’amava moltissimo, o non sarebbe passato così facilmente sopra una cosa del genere.

 «giuralo» la esortò Kozmotis, sempre serio.

 «lo giuro su tutto quel che mi è caro».

 Fece giusto in tempo a finire la frase, perché poi Kozmotis la baciò, stringendola a sé con tutto l’intento di non lasciarla più andare via.
In seguito avrebbero dovuto parlare di molte cose, e lo avrebbero fatto, ma c’era un momento per ogni cosa, e adesso tutto quello di cui entrambi avevano voglia era baciarsi, stringersi, accarezzarsi, e sentirsi vicini quanto e più di prima.

 Osservando la ritrovata felicità di quei due ragazzi, Mira Pitchiner sorrise. Ora sì, poteva andare al lavoro tranquilla.

 “credo che domani mattina dovrò preparare la colazione per tre persone”.




Come promesso ecco la seconda -e ultima- parte  di questo complotto finito male :) nella gara a chi è più testarda la vincitrice è stata Mira Pitchiner, stavolta. Forse sarebbe stato meglio che così non fosse...ma non glielo diciamo.
Grazie a tutti coloro che hanno letto :) vi anticipo già che nel prossimo capitolo non comparirà il nostro giovane Pitchione, ma si vedrà il padre di Manny alle prese con una nobile un po'fuori dai soliti schemi. Appena un pochino!

Alla prossima,

_Dracarys_

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Capitolo 5
*** 5. Scontri e incontri ***


=Scontri e Incontri=






La prima domanda che sorse spontanea a Tsar Lunar Lunanoff XI, re da circa un anno, fu: “è una palestra, o la sala d’attesa di un pronto soccorso?

Era da tempo che nella sua famiglia si parlava di un suo fidanzamento con la primogenita degli Aldebaran, Lady Nahema. I suoi genitori non intendevano veramente costringerlo e la decisione finale stava soltanto a lui, ma gli avevano fatto capire chiaramente che un simile legame sarebbe stato conveniente per tutti, su qualunque fronte: gli Aldebaran erano tanto ricchi che quasi non sapevano cosa fare di tutto il denaro che possedevano, molto bravi ad amministrare i territori di loro competenza, con una potenza militare non da poco, e in quanto arciduchi erano nobili piuttosto “in alto” che, in un eventuale matrimonio, si sarebbero “elevati” ancora di più.

L’unica cosa bizzarra era che l’incontro ufficiale tra lui e Nahema non fosse ancora avvenuto, ma si sarebbe tenuto solo tra tre giorni: ricordava solo vagamente di averla vista quando erano entrambi molto piccoli, e non contava granché. Il tutto però era giustificato dal fatto che Nahema fosse entrata nell’Accademia Militare estremamente presto, e passasse diverso tempo al fronte a difendere il regno, oltretutto con grandi risultati.

Nel corso della storia non c’erano state molte donne che potessero vantare altrettanto: benché avessero la possibilità di scegliere ogni carriera che le aggradasse, infatti, le donne del regno tendevano a sceglierne di più “tranquille”. Le eccezioni, di solito, erano rappresentate da esponenti del pianeta di donne guerriere nel territorio degli Scorpio, le quali però usavano lavorare più di armi e muscoli che di testa. Nahema invece usava bene anche quella, o così si diceva.

Sembrava essere un tipino piuttosto particolare, motivo per cui, dopo essersi informato un po’sulle sue abitudini, Tsar aveva deciso di andare su Aldebaran I, ovviamente travestito -oltre ad aver cambiato colore di occhi e capelli si era anche lasciato crescere la barba per l’occasione- per conoscerla al di fuori del contesto “ufficiale”. Riteneva che così si sarebbe fatto un’idea più precisa su che tipo di persona fosse: nelle occasioni formali a volte si tendeva a “fingere” un po’, cosa che invece nel proprio ambiente naturale non accadeva.

Arrivato nella capitale del pianeta Aldebaran I, sfruttando le informazioni raccolte per non perdersi in quella calda e secca metropoli stratificata, aveva trovato la palestra in cui milady si teneva in esercizio quando non era al fronte. Una strana idea di “riposo”, aveva pensato.

«…andiamo, quante volte vi ho detto che non dovete lasciarmi vincere? Dovete picchiare duro! Con cattiveria! Pensavo che ormai aveste capito che non conviene andarci leggeri solo perché sono una ragazza, e tantomeno conta il titolo: non ci sono ripercussioni, chi qualche anno fa è riuscito a battermi lo sa».

Attorno al ring c’erano circa una quindicina di uomini -tutti visibilmente allenati- alquanto malridotti. Due di questi, messi un po’meglio degli altri, stavano trascinando via l’ultimo che la ragazza in piedi al centro del tappeto aveva mandato KO .

“è lei?...

Lady Nahema era alta almeno un metro e novanta, e aveva muscoli che avrebbero fatto invidia a diversi suoi coetanei maschi. Questi però non avevano intaccato eccessivamente le forme femminili del suo fisico -anche se quel seno prosperoso era un po’inspiegabile- e, oltre a ciò, Nahema aveva anche un bel viso, sebbene attualmente fosse rovinato da un brutto livido all’altezza di uno zigomo. Gli occhi in particolare erano, senza alcun dubbio, quelli verdi della madre: Tsar aveva avuto modo di vederli bene, dal momento che la capofamiglia Aldebaran veniva a palazzo molto spesso.

«non siamo noi che vi facciamo vincere, ci riuscite benissimo da sola!» disse un uomo, gemendo quando, senza pensarci, mosse una delle due braccia terribilmente malandate «sapete, se per un giorno evitaste di dedicarvi alla lotta non disimparereste a combattere».

«è vero, ma poi tu e gli altri vi annoiereste!» ribatté lei, poggiandosi alle corde «senza contare che il lavoro è più che ben retribuito. Vuoi che aggiunga un pupazzetto per il disturbo?» quando il suo sguardo cadde verso l’ingresso, la risposta perse importanza. Non aveva mai visto quel tipo in precedenza, o sicuramente se lo sarebbe ricordato, perché di persone con capelli di un arancio così acceso non se ne vedevano molte in giro. «salve, straniero. Capiti a proposito, sono rimasta senza avversari!»

Tsar, sulle prime, s’irrigidì leggermente: trovarsi faccia a faccia con lei sul ring non era minimamente nei suoi programmi, specialmente vedendo com’erano ridotti gli altri, o le macchie di sangue sulle fasciature che Nahema aveva avvolto attorno alle nocche. «vorrei rimediare, ma sono un po’arrugginito, e voi non sembrate andarci leggera».

«posso rassicurarti sul fatto che qui cerco di evitare di rompere le ossa agli sfidanti. So ancora distinguere il ring da un vero campo di battaglia».

«sì… più o meno» borbottò un uomo, premendosi una borsa ghiacciata sulla fronte.

Il re Lunanoff tentennò ancora, ma poi si tolse giacca e cappotto, gettandoli su una sedia. Uno strano impeto di curiosità, il suo, volto a cercare di capire quanto effettivamente fosse forte milady. C’era una certa differenza tra lui, che nella sua istruzione per diventare re aveva avuto anche degli ottimi maestri d’armi e combattimento, e quegli uomini, che sembravano più dei comuni atleti pompati. «accetto la sfida».

Nahema sorrise, e tornò al centro del ring. «raggiungimi qui, allora».

Tsar raggiunse il tappeto, ed entrò nel ring con un salto elegante. «mi auguro che il combattimento si svolga in maniera leale».

Nahema fece una breve risata. «ovvio. Non ho bisogno di battermi slealmente, straniero. Già, qual è il tuo nome?»

«...Kizar» rispose Lunanoff, dopo una brevissima esitazione «Kizar Lostcinder».

«bene, Kizar. Sicuro di non voler togliere anche quella bella camicia di seta prima di cominciare?»

Tsar non ribatté, limitandosi a seguire il consiglio: la camicia non avrebbe potuto proteggerlo, benché ne avesse a bizzeffe non valeva la pena rovinarla, e comunque non aveva motivo di vergognarsi a stare a petto nudo.

L’addetto suonò il gong, dando ufficialmente inizio allo scontro. Tsar, che viste le condizioni degli altri si era aspettato che Nahema lo attaccasse immediatamente, rimase un po’spiazzato dal fatto che lei non sembrasse avere intenzione di muoversi, nemmeno per assumere una qualsiasi posizione di difesa, rimanendo in piedi con le braccia lungo i fianchi. 
Che le sue reazioni fossero più lente di come lui aveva creduto? O forse lo sottovalutava al punto di lasciare a lui la mossa di apertura?
Fosse come fosse, non era un’opportunità che intendeva lasciarsi sfuggire, e dunque partì all’attacco con dei pugni veloci e potenti. Aveva sentito Nahema dire a quegli uomini di non andarci piano, quindi, sebbene non fosse intenzionato a farle del male, non ci sarebbe andato piano neanche lui.

ma che?!...

Nessuno dei colpi andò a segno, perché la sua avversaria riuscì a pararli tutti quanti senza particolare difficoltà. Stesso discorso valse per i calci che seguirono, deviati con estrema tranquillità; quando lui interruppe l’attacco, Nahema tornò alla posizione di partenza, senza dire una singola parola.

Neppure gli uomini che osservavano la lotta sembravano avere alcunché da commentare, come se stessero osservando un film già visto, rivisto e stravisto di cui conoscevano a memoria svolgimento e conclusione, e probabilmente era proprio così.

“d’accordo, qui occorre tentare qualcosa di diverso” pensò il re “devo trovare il modo di infrangere la sua difesa!”

L’istante seguente si lanciò di nuovo all’attacco, con un pugno sollevato in aria, dando l’impressione di volerla colpire in quel modo ma, quando Nahema sollevò le braccia per difendersi, lui si abbassò di scatto, bloccandola in una presa all’altezza della vita, con la quale mirava a sollevarla e farla schiantare contro il tappeto.

“ci sono!” pensò, esultante.

Ma durò giusto un attimo, perché all’improvviso un colpo violentissimo alla testa lo stordì al punto di non fargli capire più nulla, ed uno altrettanto forte all’addome lo spedì contro le corde del ring. Boccheggiò per qualche attimo, col respiro mozzato dal dolore e la vista annebbiata. D’accordo, si disse, la sua sembrava non essere stata una buona idea: se voleva concludere qualcosa, doveva ricorrere ad attacchi semplici e, soprattutto, veloci.

Si gettò contro l’avversaria senza perdere ulteriore tempo, dando fondo a tutto il suo arsenale di mosse. In alcuni casi riuscì a colpirla, un paio di volte persino a farla vacillare, ma Nahema incassò bene ogni volta, e quando Tsar terminò l’attacco si rese conto di essere molto più stanco di lei. «siete un’avversaria difficile» commentò, sfruttando quella pausa per riprendere fiato.

«tu invece hai studiato come si lotta» ribatté lei «ma non sei un lottatore».

Prima che Tsar potesse replicare, il pugno di Nahema lo picchiò dritto allo stomaco. Quando si riprese, ebbe appena il tempo di capire che era corsa dietro di lui e lo aveva afferrato, perché poi si sentì sollevare, vide il mondo rovesciarsi e, infine, un grosso colpo a collo e schiena oscurò tutto alla sua vista.

Gli attimi che seguirono furono molto confusi. Gli parve di sentire, in lontananza, il suono del gong, e di avvertire sul proprio corpo delle mani che lo toccavano. Non seppe dire quanto tempo passò di preciso.

«ci siete andata leggera».

«non avrebbe retto un attacco serio, era affaticato nonostante tutte le pause che gli ho concesso per riprendere fiato. Pause che il mio maestro non avrebbe approvato…ma d’altra parte non è qui!»

Tsar gemette, e sbatté ripetutamente le palpebre. La vista tornò a fuoco, e la prima persona che vide fu proprio Nahema. «le…ggera?...» disse come prima cosa, alzandosi lentamente a sedere.

«non hai ossa rotte e ferite che sanguinano, quindi sì, ci sono andata leggera. Vuoi qualcosa da bere?» gli chiese lei, gentilmente.

«sì…acqua» riuscì a dire Tsar, vedendosi consegnare prontamente una bottiglietta «grazie».

«non c’è di che».

Solo a quel punto il re notò che Nahema era bella pulita e con vestiti diversi; ciò significava che doveva essere rimasto in quello stato confusionale per diverso tempo, o lei non avrebbe avuto certo modo di sistemarsi. «mi sa che avete ragione, non sono un lottatore. Me la cavo molto meglio con la spada» aggiunse, alzandosi in piedi con cautela «ma in fin dei conti sono stato io a cercarmela».

«la curiosità di per sé non è un male, ma a volte è controproducente».

«è vero. Sentite, vi sembrerei sfrontato se vi invitassi a fare due passi? Fuori di qui?» era andato su Aldebaran I per conoscerla, in fin dei conti, e non sapeva quanto valesse come “conoscenza” un incontro di lotta perso appena lei si era mossa per attaccare.

Nahema gli diede una brevissima occhiata indagatrice. «sta bene, se mi prometti di non crollare per strada all’improvviso» aggiunse, con un sorrisetto.

«no, no, non c’è pericolo! Mi ci è voluto un po’ per riprendermi, ma ora sono a posto…» mosse il collo, e gemette «dolori a parte».

«allora andiamo». 

Una volta che Tsar si fu sistemato, uscirono dall’edificio con la dovuta calma. Il re non poté fare a meno di tornare ad osservare la città. Era curioso il modo in cui edifici e varie opere architettoniche estremamente moderne si mescolassero a strutture, monumenti e palazzi che, invece, sembravano essere estremamente antichi e piuttosto “alieni”. Tra le materie che erano state oggetto di studio di Tsar c’era anche storia dell’arte, ma non era proprio in grado di dire da dove fosse stata presa l’ispirazione per quegli enormi e grandiosi edifici in pietra -che aveva visto nel raggiungere la palestra- sorretti da grosse colonne, o per quelle strane costruzioni piramidali a poca distanza dalla città. «è una città particolare, molto antica e molto moderna allo stesso tempo» disse, imbastendo un primo -e patetico- tentativo di conversazione.

«è vero. Le parti “vecchie” che vedi lo sono ben più della mia stessa famiglia, e gli Aldebaran esistono da molto, molto tempo. Tuttora non sappiamo precisamente chi li abbia costruiti, probabilmente sono frutto di un’unione tra un popolo antenato del nostro con uno proveniente da tutt’altra parte, che per qualche motivo è arrivato qui».

«non è da escludere» ammise Tsar.

«ora però parliamo d’altro. È da quando sei entrato nella palestra che mi domando chi sei. Cosa fai per vivere, Kizar Lostcinder?»

«non il lottatore!» rispose lui, e Nahema fece una breve risata il cui suono non dispiacque al re «ma penso che l’abbiate capito».

«ammetto che ci ero arrivata. Allora?»

«sono un bibliotecario, milady» “bibliotecario! Di tutti i mestieri che potevo dire, ‘bibliotecario’!” pensò, trattenendosi dal fare un facepalm. Non che avesse qualcosa contro i bibliotecari, ma dopo quel che era successo in palestra non era sicuro che suonasse ancora sensato. «niente di che. Di sicuro la vostra vita è più interessante della mia».

«non saprei. Casa, esercito, qualche uscita ogni tanto…l’unica “novità” è che questa mattina il mio maestro di combattimento ha preso congedo» disse Nahema, e a Tsar parve di sentire una leggera nota di malinconia. «ha detto di non avere più niente da insegnarmi».

«vi sarete dispiaciuta un po’, immagino».

«credo sia inevitabile, era con me da tredici anni e nove mesi precisi, ormai. Ho iniziato presto» aggiunse Nahema, notando lo sguardo sorpreso dell’altro.

«direi molto presto! Allora è ovvio che siate un’avversaria temibile, se vi allenate da tutto questo tempo. Solo che certo, se oltre agli studi vi siete concentrata su questo…insomma, avete passato un’infanzia piuttosto impegnata».

«mi sono divertita lo stesso, credimi. Ho perso il conto delle volte in cui sono fuggita dal palazzo in cerca di avventura, da sola o con qualcuno dei miei fratelli».

«immagino che ora abbiate tutta l’avventura che volete, e che per essere una ventenne abbiate visto molte cose».

«è vero, ho visto molte cose, inclusi perfetti sconosciuti che sanno perfettamente quanti anni ho, che hanno modo di sapere qualcosa delle mie abitudini nei momenti in cui sono in città, e danno per scontato che la mia vita sia più interessante della loro, come se sapessero più o meno com’è. Di solito è qualcosa che non mi piacerebbe affatto, ma in questo caso lo trovo divertente».

Non ci era cascata neppure per un momento, comprese Tsar. Forse Nahema non sapeva chi aveva davanti, ma di sicuro aveva capito che non era chi diceva di essere. «ed è meglio per me che sia così, immagino, se lo trovate divertente e mi avete mandato KO…»

Nahema rise ancora. «magari posso regalare un pupazzetto anche a te per farmi perdonare. Vediamo» aprì una tasca del borsone «ho un orso spaziale, un gatto siderale, un pesce…»

«ma allora eravate seria, prima!» esclamò il re, sorpreso e anche divertito nel vederla tirare fuori dalla tasca dei pupazzetti in patchwork.

«ovvio che ero seria, che c’è di strano? Certo, mi ci vuole diverso tempo per completarne anche solo uno perché gli impegni sono quelli che sono…»

«li avete fatti voi?!» Tsar sollevò entrambe le sopracciglia, ancor più stupito, «davvero? D’accordo, lo devo ammettere, non avrei mai pensato che una ragazza come voi…ecco…»

«ho avuto una formazione molto completa, per cui sono una combattente, ma conosco bene la storia, la geografia, sono competente di economia e, ovviamente, anche di strategia militare. Se si parla di vita in società conosco bene tutte le regole, e so applicarle: il fatto che solitamente faccia quel che mi pare e funzioni lo stesso è un’altra storia. Infine, ebbene sì, faccio pupazzetti in patchwork semi decenti. Tutto questo per dire che le persone non sono mai una “cosa” sola, e fermarsi ad osservarne giusto la superficie è un grosso errore» disse Nahema «a proposito, quanti anni è durato il tuo addestramento con il maestro Alexandria?» buttò lì, con un altro sorriso.

Per qualche attimo Tsar non riuscì a dire una parola, tanto era basito. «come fate a?…»

«è stato il mio primo maestro, anche se solo per tre mesi: non eravamo giusti l’uno per l’altra. Ricordo le sue tecniche, però, e tu prima ne hai usate alcune. Sarebbe interessante sapere come un bibliotecario possa permettersi di studiare con lui e di indossare certe camicie di seta pregiata, ma in fin dei conti va bene così. Se hai voluto presentarti come “Kizar Lostcinder” un motivo ci sarà, e oggi per me continuerai ad esserlo. Come dicevo prima, lo trovo divertente».

Aveva capito chi era in realtà, oppure no? Probabilmente la risposta era “sì”, ma sembrava che Nahema volesse lasciarlo nel dubbio. 
Una cosa però l’aveva afferrata: le voci sul fatto che milady fosse in grado di usare bene la testa erano del tutto fondate, per non parlare del fatto che se la sua formazione era completa come diceva -e chissà perché non faticava a crederle- avrebbe avuto tutte le capacità per mandare avanti il regno insieme a lui…o anche da sola, a dire il vero. «quindi ora cosa facciamo, milady?»

«possiamo passare la serata insieme, poi salutarci e chissà, magari rivederci a breve».

“ha capito, altroché”.

Le donne che nel tempo aveva avuto modo di conoscere erano per la maggior parte sveglie e gradevoli, ma Nahema era qualcosa di diverso, “particolare” proprio come aveva pensato fosse, se non di più e, se anche la sua schiena forse la pensava diversamente, secondo lui non era affatto un male.


***




Finalmente era arrivato il gran giorno: Tsar Lunar Lunanoff XI e Nahema si sarebbero conosciuti dopo anni di procrastinazioni -da parte di lei-. 
Era proprio dal re che si stavano recando, camminando spedite lungo i corridoi del palazzo. Se tutto fosse andato come da piano, si sarebbero fidanzati a breve, e dopo quel passo ne sarebbe mancato solo un altro, quello del matrimonio. 
Nihil Iyra Aldebaran lavorava a quel progetto, di cui Nahema era parte fondamentale, da oltre vent’anni…

«dovevi scegliere proprio questo lasso di tempo per tagliarti i capelli in questa maniera? Sembri un’esponente di qualche tribù selvaggia ai margini dei territori del regno!»

«brava, è proprio da lì che il parrucchiere ha preso l’idea!»

Ed erano più o meno quattordici anni che era costretta a sopportare provocazioni da parte della sua primogenita, come quel taglio di capelli. Le treccine non erano cosa nuova, ma prima i capelli non erano rasati ai lati della testa, per gli Dei.

«prega che al re Lunanoff piacciano. Non possiamo permetterci di far andare male il tuo primo incontro con lui per colpa di una delle tue maledette idee balzane!»

«calmati, ma’. Se dovesse andare male troveremo un altro sistema».

calmati ma’ ”! Se non le fosse esplosa una vena in quel momento, non lo avrebbe fatto mai più. Era semplicemente assurdo il modo in cui Nahema fosse per lei -e fosse stata praticamente da sempre- tanto fonte di orgoglio quanto di arrabbiature che le causavano emicranie a dir poco terrificanti.

Iyra si rendeva conto di aver cresciuto una figlia dalla forte personalità, brillante, cui non mancavano le capacità per fare qualunque cosa avesse desiderato, e abbastanza ambiziosa da tentare in ogni modo di raggiungere i suoi obiettivi. Le ricordava molto se stessa, a dire il vero.
Peccato che fosse anche cocciuta e, benché perseguisse gli obiettivi della famiglia, secondo Iyra tendeva a farlo fin troppo a modo suo. Nahema aveva sempre avuto un’indole ribelle, sin da quando era bambina, e nulla di quel che aveva fatto per tentare di domarla era stato abbastanza.

A volte Iyra si chiedeva da chi avesse preso ma, nei momenti in cui riusciva a essere più onesta con se stessa, non poteva far altro che ammettere la pura verità con due semplici parole: “da me”. 

Anche lei, a suo tempo, aveva preso decisioni contrarie al volere dei suoi genitori, e non se n’era ancora pentita. Suo marito non era solo un alchimista, era anche un medico -incredibile a sentirsi, considerato il rapporto tra gli alchimisti e i medici!- ed “estremamente valido” non rendeva l’idea di come fosse davvero: Kerasaas era un vero e proprio genio in entrambi i campi. Se c’era qualcuno che unendo entrambe le scienze poteva trovare una cura alla tara genetica che gli Aldebaran si portavano dietro, quel male antico che indipendentemente da tutto poteva privarli della ragione in qualsiasi momento della loro vita o non farlo mai, era lui. Purtroppo non aveva ancora raggiunto l’obiettivo, ma lei era sicura che un giorno ce l’avrebbe fatta. 

«nessun momento è buono per le tue insulse provocazioni, Nahema, ma questo è il peggiore di tutti, e ti sei già avvicinata al limite. Rivolgiti a me come si conviene o, meglio ancora, non parlare più fino a quando porgerai al re tutti i convenevoli previsti dal protocollo».

Nihil Iyra Aldebaran era una donna che i più avrebbero trovato difficile da capire, se mai ci avessero provato. 
Era tra le donne più belle che si fossero mai viste nel regno -più volte, a dirla tutta, aveva vinto il titolo della più bella in assoluto- e questo, unito al sangue blu, a una ricchezza smisurata, alla consapevolezza di essere una donna in gamba, e a un orgoglio e un’ambizione sconfinati, l’avevano convinta di essere superiore a chiunque sotto ogni aspetto; in fin dei conti negli anni non era mai accaduto qualcosa che le avesse dimostrato il contrario.

Tuttavia era anche una persona capace di provare reale stima per le altre persone, e persino qualcosa di simile al rispetto, laddove ce n’era motivo
Il suo stesso matrimonio non era stato solo finalizzato alla ricerca di una cura, non si sarebbe sposata con un uomo di cui non avesse avuto un’alta opinione, e non le importava che Kerasaas non fosse minimamente d’aiuto nella gestione delle “faccende di famiglia”: lei ci riusciva benissimo da sola e, se mai per disgrazia fosse successo qualcosa che le avesse impedito di continuare, sapeva che i suoi figli l’avrebbero fatto al suo posto.

«teoricamente il re dovrebbe diventare il mio fidanzato, con tutto quel che comporta, ma sei più agitata tu di quanto lo sia io…e io potrei avere buoni motivi per esserlo. La mia carriera militare rischia, se non di interrompersi, quantomeno di rallentare».

«è una carriera che non avresti dovuto neppure cominciare, se l’ho accettato è soltanto perché i tuoi successi sono stati innegabili. Imparare i rudimenti della lotta è utile, ma sarebbe stato sufficiente, invece no, hai voluto deformare il tuo fisico per forza».

Parole apparentemente crudeli, ma in realtà non c’era vera cattiveria in esse, quanto piuttosto un sincero dispiacere. Era convinta che la sua primogenita avrebbe potuto essere bella come lei, se non avesse avuto tutti quei muscoli, e lo considerava veramente un peccato.

«non so se in tempo di guerra sia più importante sapersi muovere in battaglia o poter vincere il titolo di donna più bella del regno» ribatté Nahema, con una certa tranquillità «non ho mai sentito di qualcuno che abbia sconfitto orde di Dream Pirates facendo fluttuare nel vento i suoi chilometrici capelli nero blu, ma magari mi è sfuggito».

«Nahema».

«sì, ho capito. Ho afferrato il concetto».

“me lo auguro” pensò Iyra, ma non poté dirlo ad alta voce: erano arrivate finalmente a destinazione, alla presenza del re Tsar Lunar Lunanoff XI. Questi era abbigliato nella sua uniforme ufficiale verde scurissimo, che non stonava col mantello rosso sangue e le decorazioni dorate all’altezza delle spalle, e aveva un’aria serena sul viso. 

Non sembrava che l’idea di conoscere la sua futura fidanzata lo preoccupasse o per qualche motivo lo irritasse, e visto il taglio “da selvaggia” di Nahema era già qualcosa, pensò Iyra, che si inchinò immediatamente. Essere superiore o no, purtroppo occorreva rispettare certe regole sociali. 

«siete la benvenuta, milady, così come la vostra incantevole figlia» le salutò il re.

«maestà, essere qui in un’occasione come questa è un grande onore» disse Iyra. “ora da brava” pensò “saluta come si conviene, Nahema. Ne sei capace. Lo sai come si fa”.

«maestà. Come va il tuo mal di schiena?»

Iyra si voltò ad osservare la figlia con una lentezza assassina e il principio della più brutta emicrania mai avuta pronto ad esplodere nella sua testa.
Si rifiutava di credere a quel che aveva appena sentito.
Doveva aver capito male, per forza.
Nahema non poteva aver detto davvero “come va il TUO mal di schiena”, che non solo era una domanda completamente priva di senso in quel contesto, ma nella quale si era anche azzardata a dare del “tu” al re la primissima volta che lo aveva visto!
Tutti quei combattimenti le avevano danneggiato il cervello, non c’era altra spiegazione, e ora aveva mandato in fumo anche tutti i progetti a cui aveva lavorato per-un momento.
Tsar Lunar Lunanoff XI stava…ridendo?

“forse non è Nahema ad essere impazzita, forse sono io che sto avendo un delirio allucinogeno” pensò.

«ancora non è del tutto a posto, magari domani se ne riparla. Sono felice di vedere che alla fine hai seguito il mio consiglio…» Tsar si indicò la testa con un cenno «i capelli».

“d’accordo, questo È un delirio allucinogeno!” concluse Iyra “dev’essere la malattia. Alla fine mi ha presa prima che Kerasaas trovasse una cura, e proprio nel momento più cruciale…

«ho capito che potevano starmi bene, quindi perché no? Mamma, ti presento il mio buon amico Kizar Lostcinder! Per fortuna sei nato principe e non figlio di spie, altrimenti ti sarebbe stato difficile seguire le orme dei genitori».

«sì, lo ammetto, sono un dilettante, ma se il travestimento non ha funzionato è per la maggior parte colpa tua. Lady Iyra, non so se lo sapete, ma avete una figlia con un’intelligenza da non sottovalutare!...Lady Iyra? Vi sentite bene?» le chiese il re, un po’allarmato.

«credo sia solo stupita. Sciaguratamente mi sono dimenticata di raccontarle il nostro incontro di tre giorni fa!»

No, la malattia non c’entrava nulla, a meno di considerare “malattia” l’avere una figlia idiota che si divertiva a farla disperare, come se lei non avesse avuto già tante altre cose a cui pensare. «non vi allarmate per me, maestà. Nahema ha ragione, la mia reazione è dovuta unicamente alla sorpresa. Non sono stata debitamente ragguagliata sul vostro incontro, spero che non sia accaduto niente di disdicevole» disse, seppure quell’allusione alla schiena del re non le lasciasse molte speranze «nei nostri precedenti incontri, avevo anticipato a voi e ai vostri genitori che Nahema è un po’…come dire…eccentrica».

“aggiungerei altresì che un re che si traveste per conoscere una persona prima di un incontro ufficiale prefissato è altrettanto eccentrico. In questo caso è tornato utile che fosse così, ma c’è da domandarsi quanto un giovane re che fa cose così bizzarre possa far bene al regno!...ecco cosa succede quando la corona finisce in mano a famiglie nobili da meno di tredici generazioni”.

I Lunanoff erano brava gente ma, rispetto ad altre famiglie, la loro era una nobiltà piuttosto "recente", acquisita quando l’High General of the Galaxies Polaris Lunanoff, estremamente amato dalla popolazione, aveva occupato il posto del re Tsar Rocheborn Lynx, un pazzo psicotico come se n’erano visti pochi.
Un pazzo con degli Aldebaran tra i suoi ascendenti, tra gli altri. 
Ma era un dettaglio cui nessuno aveva fatto caso, essendo all’oscuro della “tara genetica”.

«un po’eccentrica, forse. Eccezionale, sicuramente. Se ora i miei genitori…oh, ecco mia madre».

La madre di Tsar era una donna alta e florida, con gli occhi grigi e lunghi capelli ramati. Era solo qualche somiglianza nell’espressione ad accomunarla al figlio, che per il resto era tale e quale al padre. «salute a tutti! Iyra, è proprio una gioia per me vedere tua figlia finalmente qui a palazzo» disse, senza neppure dare ad alcuno il tempo di rispondere al saluto, avvicinandosi rapidamente alle due. «Nahema cara, lasciati guardare…sì, hai indubbiamente lo stesso bel viso di Iyra. Che dire, benvenuta».

«vi ringra-»

«no, no cara, non darmi del “voi”: per te, come per tua madre, io sono semplicemente Elvashak» quando lei e il marito avevano abdicato in favore del figlio, avevano perso i titoli di “Tsar” e “Tsarina”, che spettavano solo a sovrano e consorte, ma Elvashak non pretendeva neppure che le si desse del “voi”, non da persone come Iyra con cui aveva rapporti più “stretti”. «Tsar, perché non porti Nahema a visitare il palazzo, e magari anche tutti i terreni limitrofi?...Iyra e io abbiamo molte cose da amiche intime di cui conversare» disse l’ex regina, lanciando una breve occhiata d’intesa ad Iyra. Non c’era dubbio che il desiderio che i loro due figli si fidanzassero era forte da entrambi i lati, probabilmente anche perché il denaro degli Aldebaran giocava la sua parte.

Tsar, obbediente, annuì e si avvicinò a Nahema. «di sicuro la città non è affascinante come la capitale di Aldebaran I, ma ti assicuro che ci difendiamo bene».

«non ne dubito. Allora, Elvashak…mamma…ci vediamo dopo».

I ragazzi lasciarono la stanza, attentamente osservati da entrambe le donne, che non distolsero lo sguardo fino a quando la porta si chiuse dietro di loro.

«mio figlio ha parlato di Nahema in termini che non lasciano dubbi sul fatto che l’ammiri molto» esordì Elvashak «spero solo che lei trovi Tsar altrettanto degno di stima».

«non vedo come potrebbe accadere il contrario».

«Nahema a te non ha parlato di lui?» indagò la donna.

«Nahema non mi ha neppure raccontato del loro incontro» fu costretta ad ammettere Iyra «ma non me ne stupisco, dal momento che sembra godere nell’attentare ai miei poveri nervi!» si lasciò sfuggire, nell’esasperazione.

«andiamo, sicuramente esageri. Forse le sarà passato di mente dato che lei, come del resto anche tu, ha diversi impegni anche nei momenti in cui torna a casa. Per fortuna, quando saranno fidanzati, le cose per lei si faranno molto più “rilassate”. Non intendo far sì che l’esercito rinunci a un elemento così valido, ci mancherebbe altro, ma rallentare il ritmo le farà bene».

«sono pienamente d’accordo» disse Iyra, senza mentire. Nahema non lo sarebbe stata altrettanto ma, per il bene di tutti, se ne sarebbe fatta una ragione.

Gli Aldebaran sarebbero arrivati alla corona, ormai era solo questione di tempo…


Rieccomi, come vi avevo anticipato :)

Potete notare che l'undicenne che ha lottato con il nostro giovane Pitchione è cresciuta, e non è certo diventata meno pericolosa...anzi :'D ma lo capirete meglio anche in seguito!

Vi raccomando di fare caso al precedente storico -frutto di una mia invenzione- secondo cui i Lunanoff sono discendenti di un High General of the Galaxies molto amato dal popolo che proprio per tale motivo è salito al potere appena c'è stato un "vuoto". È uno dei motivi per cui in futuro...no, niente, lo vedrete :'D

Da ultimo ci tengo a chiarire una cosa, tante volte qualcuno lo avesse pensato: Nahema non è la futura madre di Manny. NO. Assolutamente no :'D

Alla prossima,


_Dracarys_

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Capitolo 6
*** 6. Un matrimonio che non s'ha da fare - parte I ***


= Un matrimonio che non s'ha da fare - parte I =







Aleha era raggiante: il giorno tanto atteso era arrivato, e finalmente avrebbe finalmente sposato il suo Kozmotis. Avevano rimandato per diverso tempo, lui aveva voluto arrivare a un grado più alto nell’esercito in modo da garantire a se stesso -e a lei, una volta sposati- un certo tenore di vita…e ci era riuscito più che bene, dal momento che l’anno prima era diventato High General of the Galaxies. 

Era diverso tempo che un generale di estrazione plebea non raggiungeva il massimo grado militare: l’ultimo, se non ricordava male, era stato un antenato dei Lunanoff quando non erano ancora saliti al trono, motivo per cui quell’elezione era stata particolarmente “sentita” dalla gente comune di ogni parte del regno -meno da Lord Renin della Casa Altair, l’ultra favorito per il titolo, che si era congratulato calorosamente con Kozmotis solo per poi stritolargli la mano- ed era un altro motivo per essere fiera di lui, nonché ancora più felice di sposarlo. 

«sicura di non aver bisogno di aiuto?»

La cosa migliore però era che Spear sembrava aver accettato l’idea di avere Kozmotis come cognato. Dopo tutti i terribili litigi con Kozmotis, dopo tutte le discussioni con lei -l’ultima dieci giorni prima- sua sorella maggiore aveva finalmente iniziato a comportarsi come avrebbe sempre dovuto fare, ossia smettendo di cercare di denigrare la sua relazione, evitando di inquietarla con oscuri presagi privi di una qualsiasi valida ragione, e sostenendola e in quel momento così speciale per lei.

«no, Spear, non entrare, faccio da sola…ma grazie lo stesso!»

Doveva solo indossare il suo vestito da sposa, cosa che avrebbe fatto in meno di un minuto, perché non c’era più altro da fare: aveva deciso di lasciare i capelli sciolti al naturale, e il trucco consisteva semplicemente in un velo di rossetto, un po’di matita nera e del mascara. Di solito non usava neppure quelle poche cose, fortunatamente per lei non ne aveva un gran bisogno.

«quindi oggi è proprio il gran giorno» disse Spear da dietro la porta «“Aleha Sinetenebris” diventerà “Aleha Pitchiner”».

Aleha Pitchiner…suonava così bene!, pensò la ragazza. «sì, e non vedo l’ora».

«sono le tre del pomeriggio».

«ah-ah-ah. Divertente» commentò Aleha, avvicinandosi al letto «guarda che qui ho l’orologio».

«quindi niente panico pre-nuziale? Ripensamenti dell’ultimo minuto? Un minimo dubbio?»

«no, neppure mezzo. Non vorrai ricominciare a tentare di convincermi a non sposarlo proprio adesso, spero!…dove ho messo le scarpe?» borbottò, chinandosi a sbirciare sotto il letto.

«no. Arrivata a questo punto temo di dover passare dalle parole ai fatti».

Aleha ebbe giusto il tempo di provare una sensazione d’allarme causata dalle parole della sorella, perché quando si voltò e corse verso la porta era già troppo tardi: aveva sentito distintamente gli scatti della serratura.

L’aveva chiusa a chiave nella sua camera.

«Spear, apri» le intimò Aleha, con la voce che tremava leggermente.

Sua sorella l’aveva chiusa a chiave nella sua camera a mezz’ora dal matrimonio.

«no».

«apri la porta. Lasciami uscire» iniziò a sbattere furiosamente la maniglia, pur sapendo che era inutile «Spear, io mi devo sposare tra mezz’ora! APRI LA PORTA, MALEDIZIONE!!!»

«solo quando inizierai a ragionare».

«questo è un vero e proprio sequestro di persona, e secondo te sono io che non ragiono?! Perché mi stai facendo una cosa del genere?! Perché vuoi rovinare il giorno più bello della mia vita?!!»

«lo faccio perché ti voglio bene. So che al momento mi stai odiando, ma credimi se ti dico che non potrei farti favore più grande di questo» disse Spear, del tutto convinta delle proprie parole.

«se mi volessi bene non mi avresti chiusa qui dentro, e non avresti cercato di separarmi da lui in quel modo squallido, anni fa! » non avendo la sorella davanti, Aleha sfogò la frustrazione scagliando un pugno contro la porta. Le aveva fatto male, ma non le importava. «non è vero che mi vuoi bene!!!»

«te ne voglio molto più di quanto te ne voglia quello che dovrebbe diventare tuo marito. Andiamo, tu credi veramente che la morte di Mira Pitchiner, avvenuta guarda caso meno di un mese dopo che Kozmotis ha ottenuto il titolo di High General, sia stata accidentale come dicono?»

Aleha si stupì. Non capiva proprio cosa c’entrasse adesso quel triste fatto, avvenuto ormai quasi un anno prima. «perché tiri in ballo sua madre, adesso?!»

«mi hai detto tu stessa che Renin Altair non era molto contento che fosse stato eletto Kozmotis e non lui. Mira Pitchiner e un gruppo di sue colleghe sono state chiamate per gli addobbi della festa del quattordicesimo compleanno della nipote del suddetto Altair...»

«non c’è niente di strano, quell’azienda riceve richieste da ogni parte del regno, non-»

«le sue colleghe sono tornate a casa sane e salve. Lei no» continuò imperterrita Spear «caso strano è stata l’unica a cadere e rompersi il collo».

«qualunque cosa sembra un “caso strano” a una persona che vede complotti dappertutto! È stata una disgrazia, e quello che dici è semplicemente assurdo. Ammettiamo che Lord Altair si sia risentito per l’elezione di Kozmotis, e allora?! Secondo te si sarebbe sprecato a far uccidere Mira per ripicca?!»

«è esattamente quello che penso» confermò Spear «anche se non ci sono prove».

Aleha diede un altro colpo alla porta. «questo è folle!»

«e io non ho mai detto il contrario, ma gli Altair sono state tra le famiglie nobili più sanguinarie fino a quando, secoli fa, i Lynx hanno preso il potere e gli hanno fatto abbassare la cresta. Il loro motto non è tuttora "Blood Will Have Blood"? C'è il proverbio sul nobile sangue e il nobile cuore, sì, ma è abbastanza “recente”» Spear rigirò la chiave tra le dita, poggiandosi contro una parete. «non sono mai stata felice della tua relazione con Kozmotis Pitchiner, ma diventare High General of the Galaxies è stato come disegnarsi un bersaglio sulla schiena, e disegnarne uno anche a te di conseguenza. Io glielo ho detto. Ho sperato che mi avrebbe dato retta, e invece ha addirittura anticipato le nozze… quando quel che successo a sua madre è stato un messaggio estremamente chiaro, per qualcuno che è in grado di vedere».

«falla finita con queste idiozie!» gridò Aleha «è tutto nella tua testa, come sempre del resto! Tu chiacchieri, ma intanto non sai darmi un motivo valido che sia uno, se non che tu non vuoi! Dici che è per il mio bene, ma io ormai sono adulta, non ho bisogno di qualcuno che decida le cose al posto mio, e soprattutto che decida cos’è “il mio bene”!»

«…sì, e intanto il tuo ragazzo ha deciso quando vi sareste sposati, dove, e anche chi invitare! Non mi risulta che ne abbiate parlato, piuttosto che te l’abbia comunicato».

«questo è perché è stato fatto tutto molto in fretta, se no oltre alla maggior parte dei suoi ufficiali avremmo invitato anche molti altri!» ribatté Aleha «Spear, per favore, mancano venticinque minuti, non puoi veramente voler rovinare tutto!»

«preferisco rovinarti una giornata che permetterti di rovinare la tua intera vita. Sono tua sorella maggiore, proteggerti è il mio dovere, è quello che ho sempre fatto e che sempre continuerò a fare. Sarò cattiva, sarò una strega, sarò quello che ti pare, ma con questo posso convivere. Con la consapevolezza di non aver almeno cercato di aiutarti, no».

Niente da fare, non c’era modo di persuaderla ad aprire, e Aleha ormai lo aveva capito: Spear era convintissima di stare facendo del bene, e niente avrebbe potuto farle cambiare idea. 
Si allontanò dalla porta, trattenendo lacrime di puro nervosismo. Come aveva potuto essere tanto ingenua da credere veramente che sua sorella potesse aver accettato quel matrimonio? Forse Kozmotis aveva ragione quando le diceva che tendeva a pensare troppo bene delle persone, di Spear in particolare.

la finestra!...

Forse c’era ancora speranza: la sua camera da letto era al primo piano, e sarebbe stato un bel salto, ma sotto c’era un cespuglio che avrebbe potuto attutire la caduta. Tutto quel che doveva fare era stare attenta.

Ripiegò con cura il suo abito da sposa, poi trovò le scarpe, le infilò in una busta e mise tutto in uno zaino che si caricò sulla schiena. 

Si avvicinò alla finestra pensando che fosse fatta, ma quando provò ad aprirla non ottenne alcun risultato.

Aleha non apriva quella finestra molto spesso, specialmente in quella stagione, ma di sicuro non la ricordava inchiodata. 

«no!…non ci credo».

Altro che rassegnazione o approvazione, Spear era andata fuori di testa, e il peggio era che lei non fosse riuscita ad accorgersene nella maniera più assoluta. Anzi, no: il peggio era non essersi procurata un comunicatore portatile, perché avendo quello avrebbe potuto chiamare aiuto.
Per un attimo pensò di provare a ingannare sua sorella fingendo di cedere, così che Spear aprisse la porta e lei potesse provare a fuggire, ma dubitava seriamente che sarebbe cascata in un trucchetto così stupido…e intanto mancavano solo venti minuti all’inizio della cerimonia. 

Venti. 
Minuti.

Non aveva fatto male a dire a Kozmotis di non mandare nessuno a prenderla, aveva fatto malissimo. «dovevi scegliere proprio oggi per dare di matto?!»

«tu chiami questo “dare di matto” solo perché non conosci le altre opzioni, credimi».

«non le so e non le voglio neanche sapere, ma pretendo che tu adesso apra quella maledetta porta, altrimenti giuro su quello che vuoi che la sfonderò, uscirò, e ti prenderò pugni!» gridò la ragazza, che dal proprio punto di vista avrebbe anche avuto tutte le ragioni per fare una cosa del genere.

«non riuscirai a sfondarla, ho fatto dei calcoli».

sfondare…

“la porta forse no” pensò Aleha mentre con aria febbrile si alzava dal letto, sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle, e andava ad afferrare la sedia accanto alla scrivania, sollevandola. “ma la finestra sì, quella sì”.

Era una brutta cosa sfondare la finestra? Sì.
Era pericoloso, per una niente affatto abituata a certe cose, tentare un simile salto rischiando l’osso del collo? Eccome.
Aveva tenuto conto dei frammenti di vetro che avrebbero potuto ferirla, oltre al resto? Certo.
Le importava qualcosa? 
No.

Vide le sue braccia muoversi, sentì il rumore della finestra che andava in frantumi e, prima che avesse tempo di rifletterci sopra, si ritrovò sul davanzale pronta a saltare, senza provare nessunissima paura.
Lei, a cui faceva impressione salire su una sedia per cambiare una lampadina fulminata.
Saltò giù senza che alcun pensiero riuscisse ad attraversarle la mente, come se si fosse trovata in uno stato di alterazione indotto da chissà quale sostanza. Uno stato quasi di grazia, brutalmente spezzato dapprima da un dolore lancinante partito dal piede sinistro, poi da quello alla spalla corrispondente: il piede aveva ceduto, di conseguenza lei era crollata a terra e dei frammenti di vetro si erano profondamente conficcati nell’articolazione.

“ci penserò poi, io devo alzarmi!!!”

Riuscì a tirarsi su abbastanza rapidamente e a raggiungere il marciapiede, col respiro corto, le lacrime agli occhi e il dolore che si rinnovava ad ogni falcata: doveva per forza appoggiare il piede anche solo un po’ per cercare di essere più veloce possibile, e soprattutto doveva trovare un nascondiglio temporaneo, perché Spear non ci avrebbe messo a scendere le scale e uscire di casa, e lei non doveva assolutamente farsi prendere, o avrebbe potuto dire addio al suo matrimonio.

“se almeno avessi avuto il tempo di prendere la moto!...” pensò, con grande rimpianto.

Trattenne un grido di dolore mentre imboccava una stradina secondaria che portava…non ricordava bene dove. 

“ora che faccio?!” pensò, appoggiandosi contro uno steccato per evitare di cadere a terra: il piede non voleva proprio collaborare, e se non fosse stato per quel minimo di prontezza di riflessi che le restava sarebbe crollata giù. Se solo avesse incontrato qualcuno a cui poter chiedere aiuto, chiunque!...e invece niente, le strade erano deserte. Maledizione, ma dov’era la gente quando poteva servire?! 
Ah, già, che domande: a quell’ora le persone erano al lavoro.

“dovevamo proprio sposarci in questo giorno del cazzo?! A quest’ora del cazzo?! Ma soprattutto dovevo proprio avere…

«…una sorella del cazzo!!!» ringhiò, continuando a trascinarsi lungo la strada.

Kozmotis avrebbe disapprovato il suo linguaggio, ma tanto non era presente…e se anche ci fosse stato probabilmente si sarebbe trovato un po’troppo disorientato per farlo: Aleha con la forza di procedere avanti nonostante quelle ferite, infuriata e anche sboccata era qualcosa di assolutamente inedito.

Il rumore di una moto che conosceva fin troppo bene la fece impietrire per un breve istante. Era chiaro -ovvio- che Spear non intendesse assolutamente demordere, e non l’avrebbe stupita se avesse deciso di imboccare proprio quella strada, immaginando che lei avesse abbandonato la via principale. Sarebbe stata lì a minuti, anzi, probabilmente a secondi, e col piede in quelle condizioni non c’era tempo materiale per allontanarsi oltre: doveva tentare un altro sistema.

Con la forza della disperazione, la ragazza si aggrappò allo steccato e, aiutandosi col piede sano, cercò di tirarsi su. Maledisse più volte quel seno enorme che solitamente le piaceva tanto, ma che ora le stava solo impicciando -quasi quanto lo zaino che aveva ancora sulla schiena- e che la sbilanciò non poco facendola cadere in avanti come un sacco di patate…all’interno del giardino, se non altro.
Intontita, borbottando biascicanti improperi contro sua sorella, la sua sfortuna con le parentele e l’universo intero, si trascinò verso la porta sul retro strisciando come un verme. Essere riuscita a entrare nel giardino era un passo avanti, ma non era certo finita. Sua sorella avrebbe guardato con attenzione nei cortili, e se per disgrazia avesse visto qualcosa di sospetto…!

Però c’era un problema: come riuscire a entrare in casa dall’ingresso sul retro, dato che la famiglia che l’abitava non c’era?
Si aggrappò agli stipiti della porta per aiutarsi ad alzarsi, osservandone la parte superiore -in vetro-. A mali estremi, estremi rimedi: avrebbe compiuto un’effrazione come se fosse stata una volgare delinquente qualsiasi. Avrebbe pagato i danni in seguito, ma quella era un’emergenza!

…è aperta!

La fortuna in quel caso l’assistette, e Aleha poté entrare in casa senza fare danni, chiudendosi la porta alle spalle con un sospiro di sollievo. Si guardò attorno: ora che si era tranquillizzata un po’riconosceva quella casa, era dei Neramani, una coppia di coniugi di mezza età che aveva una figlia un paio d’anni più giovane di lei. 

«c’è qualcuno? Dorathea?...»

No, non c’era nessuno. Quella era, appunto, un’ora in cui la maggioranza della gente era al lavoro, e i Neramani non facevano eccezione: avevano semplicemente dimenticato di chiudere la porta. 
Peccato, perché l’aiuto di almeno una persona amica le avrebbe fatto comodo, Spear ormai era in una condizione in cui lei non poteva proprio affrontarla da sola e, no, non importava che Aleha pesasse diciannove/venti chili più di lei, soprattutto se si era portata dietro la pistola a tranquillanti per i pazienti poco “pazienti”. 
Cosa che aveva fatto quasi di sicuro.

“devo sfruttare questo momento di calma per controllare i danni, curarmi come posso, e soprattutto chiamare qualcuno che mi venga a prendere. Fa’ che i Neramani abbiano ancora la linea fissa!

Avrebbe voluto controllare immediatamente, ma il suo piede e la sua spalla non erano affatto d’accordo, e fu costretta a ripiegare verso il bagno più vicino.
Una volta entrata diede una rapida occhiata attorno a sé, in cerca di un armadietto dei medicinali che trovò immediatamente. Disinfettante, cerotto liquido, garza per fare fasciature e antidolorifici: per fortuna non mancava niente.

Per prima cosa si tolse di dosso le schegge di vetro, avendo cura di disinfettare bene tutte le ferite. In futuro avrebbe dovuto procurarsi uno di quei preparati alchemici maledettamente costosi, o le sarebbero rimaste delle cicatrici a perpetua testimonianza della -sperava momentanea- follia di sua sorella. Quanto al piede, dopo un breve esame diagnosticò una brutta contusione al malleolo. Poteva andarle meglio, ma anche decisamente peggio.

Si diresse in salotto, e un nuovo colpo di fortuna volle che i Neramani non avessero ancora abbandonato la linea fissa.

«e ora devo chiamare…»

Chiamare chi? Kozmotis? Per farlo venire lì, farlo litigare ferocemente con Spear -perché pur avendo una cerimonia in programma lui non avrebbe mai lasciato correre, non dopo fatti del genere- e rovinare anche a lui la giornata?
Non aveva intenzione di fare niente di simile. Almeno uno dei due doveva rimanere sereno per quanto possibile.
In quel frangente le venne in mente il numero di una persona soltanto da poter chiamare, e ringraziò gli Dei di avere una buona memoria per le sequenze di cifre.

– colonnello Grimmers.

«Rich, sono Aleha…non dire niente. Ho bisogno di aiuto, ma non voglio che Kozmotis si preoccupi. Se sei vicino a lui trova una scusa per allontanarti, d’accordo?»

Rich Grimmers non era uno degli ufficiali dell’Armata Dorata, comandava lui stesso un’armata che solitamente si occupava di mantenere la tranquillità ai confini del territorio dei Vega, ma era comunque il testimone di nozze del suo fidanzato. 
I due si erano conosciuti durante il primo anno di Accademia Militare, si erano trovati ben presto d’accordo, e alla fine Kozmotis aveva deciso di portarlo a casa propria e permettergli di conoscere la sua ragazza, il che era tutto dire, perché ai tempi era doppiamente geloso di lei rispetto a quanto fosse ora. Per fortuna le cose erano filate lisce come l’olio anche con lei, e tuttora capitava che si sentissero, di solito più per lettera che per altre vie.

– sì, mamma, sì, che ne abbiamo in casa, ti ho detto…! Scusate un attimo ragazzi, è mia madre che cerca il suo pacco di zuccherepevattelapesca…ecco, ora possiamo parlare.

«ho bisogno che qualcuno venga a prendermi prima possibile. Hai presente la stradina secondaria vicino casa mia? Sono nella terza casa che trovi. Parte sinistra. Dai Neramani. Capito dove?»

– mi ricordo bene sia Dorathea Neramani che dove abita, stai sicura. Ma cos’è successo?

«Spear ha dato di matto».

– …ah. 

Grimmers non aveva avuto il dubbio piacere di conoscere Spear, ma ne aveva sentito parlare a sufficienza da Kozmotis in termini come “strega”, “demone degli Abissi dei morti senza pace” e “per carità degli Dei, meno la vedo meglio sto”, cosa di cui Aleha era consapevole. Fino a quel giorno non aveva affatto gradito che si sparlasse così di sua sorella, ma in quell’occasione Spear stava dimostrando che certe definizioni non erano troppo lontane dalla verità.

«forse ha anche una pistola a dardi tranquillanti, e nessuna remora a usarla. Per adesso sono al sicuro, ma per favore, fai presto!...»

– verrò io stesso, più altri quattro uomini, tempo sette minuti e saremo lì. 

Lui interruppe la comunicazione prima che Aleha potesse dire anche solo “grazie”. Sette minuti…metà del tempo che ci sarebbe voluto andando a una velocità ragionevole. Un po’rischioso, ma per lei era meglio così.

“mentre aspetto che arrivi, tanto vale che torni in bagno a mettere il vestito e darmi una sistemata” pensò.

[…]


Non poteva essere andata troppo lontano. Aveva trovato tracce di sangue per terra, e l’aveva vista andare via zoppicando, anche se l’adrenalina le aveva permesso di tenersi in piedi e procedere abbastanza velocemente.

Aleha era lì da qualche parte, ferita, il che le dava un ulteriore motivo per recuperarla al più presto: quel matrimonio non si doveva fare, ma l’ultima cosa che Spear avrebbe voluto era farle del male, o lasciare che finisse col farsi male.

Aveva sfondato la finestra con una sedia ed era saltata giù. Aleha! …aveva perso la testa, non c’era altra spiegazione. Doveva ammettere di averla sottovalutata, non l’avrebbe mai giudicata capace di un gesto così inconsulto. Tutto per cosa? Per andare a sposarsi con Kozmotis Pitchiner! 

Follia pura, e sicuramente Aleha era anche convinta di essere nel giusto. Perché, perché si rifiutava di aprire gli occhi? Per quale assurdo motivo sembravano tutti quanti ciechi di fronte a cose che per lei erano così chiare?! Possibile che non riuscissero a vedere il modo in cui l’oscuro destino di Kozmotis Pitchiner aveva già iniziato a stringere le spire attorno a lui, e ad Aleha di conseguenza?

Mira Pitchiner era stata solo l’inizio, e non se ne rendevano minimamente conto. 
Lui non lo faceva. 
Aleha non lo faceva. 

A Spear non importava che Kozmotis potesse fare una brutta fine, non le sarebbe importato nemmeno se l’intera popolazione del regno fosse morta, purché Aleha si salvasse, e questo sarebbe stato possibile solo se quell’idiota di Pitchiner avesse dato ascolto ai suoi avvertimenti: Aleha non lo avrebbe mai fatto, era troppo persa dietro a lui, troppo pronta a pendere dalle sue labbra.


“sono congetture, solo maledette congetture della tua mente malata, razza di strega!!!”


Questo era stato tutto ciò che era riuscita a ottenere da lui, che avrebbe voluto prove concrete che Spear non poteva dargli. Non poteva neppure dargli spiegazioni chiare su ciò che li minacciava. Da un lato poteva anche riuscire a capirlo ma, maledizione, perché non si limitava a darle retta e basta?! Pensava forse che lei si divertisse a rendersi conto ogni giorno di più quanto sua sorella si stesse avvicinando all’abisso?

Controllando un giardino dopo l’altro Spear pensò che, se per disgrazia fossero riusciti a sposarsi e fosse successo qualcosa ad Aleha, non avrebbe mai perdonato Kozmotis Pitchiner. Lo avrebbe sempre ritenuto il solo ed unico colpevole. Non c’era nulla che lui potesse fare per cambiare il proprio destino, ormai, ma aveva ancora potere su quello di Aleha. Poteva ancora salvarla, se lui l’avesse lasciata e loro due fossero andate via in tutt’altra parte della galassia.

“ma dove sei?!...”

Ormai erano oltre cinque minuti che stava perlustrando la zona in cerca di Aleha senza trovarne traccia. Non intendeva arrendersi, ma le seccava perdere tempo in quella maniera, e c’era qualcosa…un dettaglio che il suo sguardo doveva aver catturato da qualche parte, mentre guardava i giardini, ma che continuava a sfuggirle. Un dettaglio importante.

Accostò a lato della strada, con la grossa moto nera e oro scuro ancora accesa che borbottava sotto il suo corpo esile. «…le cose sono due, testa: o ti decidi a fare il tuo dovere o inizierò a sbatterti contro una parete, e bada che non sto scherzando».

Non era la prima volta che minacciava così il suo cervello, e solitamente funzionava.
Rivide alcuni giardini, poi i suoi ricordi si fissarono su quello dei Neramani…ma non c’era niente che non andasse, nel giardino dei Neramani…cos’aveva visto allora? Qual era il dettaglio che le sfuggiva?
Lo steccato bianco…
Cosa c’era sullo steccato bianco?
Macchie rosse. 
Poche, ma erano macchie rosse…rosse come il sangue fresco.
Era un medico, sapeva riconoscere le macchie di sangue, quando le notava.

Aleha doveva essere entrata in casa dei Neramani.

Ripartì, fece fare una bruca inversione a U alla moto, e procedette a tutta velocità verso casa dei Neramani. Aleha si era di certo nascosta all’interno dell’abitazione: c’era da chiedersi come avesse fatto a entrare, dal momento che i Neramani a quell’ora erano al lavoro, ma arrivate a quel punto non l’avrebbe sorpresa se sua sorella avesse compiuto un’effrazione.

“oh no. Assolutamente no”.

Quella era senza dubbio un’automobile semiblindata dell’esercito, e si stava fermando “casualmente” proprio davanti al giardino dei Neramani. 
Aleha doveva aver chiamato rinforzi, e con “rinforzi” si intendevano alcuni degli ufficiali dell’armata più grande e potente del regno, High General incluso, forse.
Militari addestrati.
Persone che combattevano tutti i giorni, più che pronte a fronteggiare un attacco.
Uomini alti, forti e forse anche armati.
In tutto ciò, lei era una donna di un metro e settantacinque che pesava più o meno quarantotto chili…

“che provino a fare quello che vogliono, Aleha non andrà da nessuna parte!”

…a cui non sembrava importare alcunché dell’evidente disparità di forze.

Spear diede gas e, appena due ufficiali scesero dall’auto, li colpì con tre dardi tranquillanti in tutto: il quarto purtroppo andò a vuoto. 
Superò l’auto, maledicendosi per aver sprecato un colpo in quel modo considerando che ora le restavano solo due dardi e che, come vide quando fece inversione, c’erano ancora tre ufficiali da abbattere.

«ha una pistola a dardi!!!...»

“ma no. Davvero. Non se n’erano accorti” pensò Spear, riuscendo a colpire alla gola il militare che aveva urlato l’inutile avvertimento. Ora ne restavano solo due, e a lei solo un colpo. «andatevene immediatamente. Non ve lo dirò un’altra volta!»

«puoi dimenticartelo» dichiarò uno dei due rimasti in piedi, che Spear riconobbe come l’amico di Aleha e del suo fidanzato, tal…Grimm? Grimmer? Chi se ne importava. «…entra e portala fuori, Finch!» ordinò l’uomo «portala fuori!»

Mentre Finch correva verso la casa, il colonnello Grimmers andò velocemente incontro a Spear con uno storditore elettrico in mano. 
In quelle poche frazioni di secondo che aveva, Spear decise di scendere dalla moto e colpire Finch con l’ultimo dardo, cosa che le riuscì, ma in breve tempo il colonnello le fu addosso.

«porteremo Aleha alla cerimonia, che ti piaccia o no!» affermò Grimmers, cercando di colpirla con lo storditore senza riuscirci. Quella donna era esile, ma sfuggente come una maledetta anguilla dei territori degli Aquarius! 
Riuscì ad afferrarla solo dopo un paio di minuti di tentativi andati a vuoto. «mi spiace» disse, mentre Spear si strattonava per liberarsi «ma devo renderti inoffensi-»

Non riuscì a finire la frase, perché tre colpi all’inguine dati con una forza spaventosa lo privarono momentaneamente delle sue facoltà vocali. I dardi erano finiti, ma Spear aveva usato con acume il calcio della pistola, e nonostante i propri sforzi il colonnello non riuscì a impedirle di liberarsi e strappargli lo storditore elettrico dalle mani.

«per portarla in municipio dovrete passare sul mio cadavere!» sibilò Spear, avvicinando lo storditore al collo di Grimmers.

Qualcosa -o meglio, qualcuno- la spinse via proprio all’ultimo, facendola sbilanciare, e le tolse lo storditore dalle mani. 
Spear fece solo in tempo a volgere lo sguardo al suo aggressore per capire che si trattava di Aleha -spaventata quanto risoluta- prima di avvertire un forte dolore ad una spalla e vedere il mondo diventare vuoto e buio.





«alzati Rich, ALZATI!!!»

Non era un’allucinazione: Aleha era vestita da sposa, aveva lo storditore elettrico in mano, e aveva appena messo fuori gioco sua sorella. Per tutti gli Dei degli Alti Cancelli, adesso sì che aveva capito perché Kozmotis amava quella ragazza! «s-sali in macchina, Aleha!» esclamò.

«no, prima ti aiuto ad alzarti, e non voglio discussioni» disse, perentoria, mentre dava una mano al colonnello «presto, prima che si riprenda!»

«ha preso una scarica che la terrà buona almeno per altri tre min-maledizione, ma CHE COSA È?!» gridò, nel rendersi conto che alla faccia di ogni possibile pronostico Spear si era già ripresa, e si stava lentamente rialzando. 
Per fortuna erano già arrivati alla macchina, e lui salì al posto di guida più svelto che poteva.

«è cocciuta!» anche Aleha era salita, sul sedile accanto a quello di Grimmers «PARTI!!! Parti, muoviti!»

Il colonnello non se lo fece ripetere due volte, e partì in quarta premendo l’acceleratore a tavoletta, pensando quanto, a volte, stare seduto fosse dannatamente doloroso. Quando poi curvò per entrare in una strada secondaria, a suo parere più sicura ma tenuta meno bene della principale, fu persino peggio, ma non era proprio il momento adatto per lamentarsi. «per gli Dei…ma tua sorella non era un medico?!»

«te l’ho detto che è cocciuta. Molto cocciuta».

«cocciuta, dici! Ha steso due maggiori e un tenente, ha colpito un tenente colonnello mentre io le andavo addosso, mi ha atterrato, e si è rialzata pochi secondi dopo aver preso una scarica elettrica!» elencò, con uno sguardo ancora incredulo negli occhi nocciola «o è un demone degli Abissi come dice Kozmotis, o è stata sottoposta ad uno strano esperimento scientifico/magico/alchemico per creare strani superesseri di non-so-cosa…altro che “cocciuta”!» sbottò Grimmers «Pitch avrebbe dovuto mandarla in prima linea, quando l’hanno spedita al fronte a fare il medico nella sua armata!»

«adesso non far sembrare che abbia fatto chissà cosa, anch’io avrei potuto stendere i tuoi colleghi, se avessi avuto dei dardi tranquillanti» minimizzò Aleha, che per il momento non vedeva niente di troppo improbabile in tutto questo «e non darle del demone, per piacere. Prende solo delle grosse cantonate...con conseguenze estremamente spiacevoli e folli, lo ammetto» infatti era ancora arrabbiata, sebbene aver stordito Spear avesse già attenuato il tutto a causa di -assurdi?- sensi di colpa «ma da qui a “demone” ce ne corre!» 

«se lo dici tu! Comunque sia, si può sapere com’è che sei finita in casa dei Neramani? Per di più ferita?» aggiunse, dopo aver dato un’occhiata alla spalla sinistra di Aleha.

«ho dovuto rompere la finestra di camera mia e saltare giù...ma scusami, al momento non mi sento proprio di parlarne. Voglio solo pensare che sto andando a sposarmi e fingere che questa sia una bella giornata!»

Speranza vana: appena ebbe finito di parlare, un colpo di cui non riconobbe la natura raggiunse la parte posteriore dell’automobile, seguito da un altro in rapida successione…

«porca puttana, tua sorella sta cercando di colpire le gomme!!!»

«sta facendo COSA?!!»

Grimmers ovviamente aveva riconosciuto eccome i colpi che aveva sentito, classificandoli come degli spari, e guardando lo specchietto retrovisore aveva visto niente meno Spear, dritta in sella alla propria moto come se non fosse stata stordita da una scossa poco prima, con in mano la pistola d’ordinanza che doveva aver rubato a lui stesso
Era stato il solo a portarsela dietro in quell’occasione, e probabilmente Spear gliel’aveva sottratta quando si era liberata dalla sua presa.
Ringraziando gli Dei l’aveva caricata con quei due soli colpi, e in ogni caso le gomme erano fatte per resistere a ben altro, quindi erano al sicuro…ma il solo fatto che li stesse inseguendo era così assurdo!

“c’è anche da chiedersi come sia riuscita a intuire la strada che avremmo imboccato!” aggiunse mentalmente.

«ha cercato di sparare alle gomme…con la mia pistola! Ma tanto i proiettili sono finiti, e non avrebbe funzionato lo stesso». 

«non so se stupirmi di più che ci stia alle costole o per gli spari, sinceramente!» ammise Aleha, dando veloci occhiate allo specchietto retrovisore.

Proprio in quel momento il comunicatore del colonnello iniziò a vibrare e lui, alla faccia di tutte le regole della strada, rispose prontamente. «Grimmers».

‒ ma dove accidenti sei?! ‒ era Kozmotis che, prevedibilmente, era piuttosto agitato ‒ la cerimonia avrebbe dovuto essere già iniziata, ma Aleha non si è ancora fatta viva, e tu sei scomparso con altri quattro-

«sto portando io Aleha al municipio, se gli Dei lo vogliono, ma tu devi mettere in sicurezza l’edificio. Servono almeno dieci uomini…ma se fossero quindici sarebbe anche meglio!»

‒ quindici ufficiali?! E stai portando Aleha…ma si può sapere che sta succedendo?! Stanno arrivando dei Dream Pirates o cosa?! 

«tu metti in sicurezza il municipio. Ci vediamo» concluse Grimmers, e troncò la comunicazione senza lasciargli tempo di replicare «spero che il tuo fidanzato mi dia retta».

«quindici ufficiali non sarà un po’esagerato?» si azzardò a domandare Aleha «c’è sempre la security del municipio, e se anche non avesse finito i proiettili non la vedrei bene a sparare a sangue freddo contro delle persone…è sempre un medico».

«…e questo è esattamente il motivo per cui non sono stato più specifico!» disse il colonnello «se perfino tu che eri presente tendi a sottovalutare la cosa, figurarsi lui».

Un aspetto positivo di quella vicenda c’era: quel giorno, il colonnello Rich Grimmers aveva imparato a non sottovalutare mai, mai e poi mai una donna molto cocciuta.

«mi dispiace di averti coinvolto in tutto questo. Avrebbe dovuto essere un giorno di festa, ma lei!…»

«non è colpa tua, Aleha…e faremo tutti in modo che tu e Kozmotis riusciate a sposarvi al più presto, dovessimo mettere in campo tutti gli ufficiali che sono stati invitati alla cerimonia!»


Stavolta ho buone motivazioni per il ritardo nell'aggiornare: prima si è rotto il portatile -che ha NVU installato, e per pubblicare qui quello è vitale, secondo me- e poi...mi sono rotta anche io. Non nel senso che questa raccolta mi ha stufata, mi sono "rotta" letteralmente :'D per fortuna non le mani, ma potete capire che ho avuto altro per la testa.
Ad ogni modo, eccomi qui con la prima parte di questo matrimonio che non s'ha da fare.
Presumo che diversi di voi detestino Spear perché tenta, con mezzi ancor più estremi dell'altra volta, di mandare a monte la cerimonia tra i nostri due colombi (o piccioni?) innamorati...ma tenete a mente la fine della moglie di Pitch nel canon, e ricordate sempre una cosa: le motivazioni di Spear sono perfettamente valide.
Oh, e quel che ha detto riguardo la defunta madre di Kozmotis e il fatto che c'entrino gli Altair potrebbe *ironic* anche non essere una teoria campata per aria :'D 
Sono a conoscenza di quel poco che ha detto Joyce sulla Golden Age, ma da che mondo è mondo dove ci sono troni, Case nobiliari e terreni vari, la tranquillità è solo una bella facciata, e da tale convinzione ho tirato fuori questa AU.
Vero, la maggioranza dei pochi sopravvissuti la ricorda come il periodo migliore che quella porzione di galassia abbia mai avuto, ma quando la Golden Age è finita Manny era piccolo, Emily Jane Pitchiner/Madre Natura non ha capito granché di quel che stava succedendo perché aveva i suoi problemi (lo vedrete in uno dei futuri capitoli) Sandy era un pilota qualunque (quindi cosa poteva sapere di quel che combinavano i nobili?), i Pooka erano una comunità chiusa (quindi non solo non sapevano, ma panso che neppure volessero sapere!), e a Pitch nessuno dà retta, anche se lui...niente, lo vedrete da voi :'D

Alla prossima,

_Dracarys_

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Capitolo 7
*** 7. Un matrimonio che non s'ha da fare- parte II ***


= Un matrimonio che non s'ha da fare- parte II =






Parcheggiò la grossa moto vicino all’entrata e corse nell’edificio, in una dura battaglia contro il tempo. La testa che pulsava, strascico di quanto era successo in precedenza con quello storditore elettrico, era un fastidio che la faceva soltanto arrabbiare di più.

 
Non poteva credere che Aleha l’avesse fatto davvero, che fosse tanto determinata a volersi rovinare l’esistenza da arrivare ad attaccarla.
Attaccare lei, che le aveva fatto da madre oltre che da sorella, lei, che aveva fatto di tutto perché non le mancasse niente, lei, che le aveva agevolato la carriera e aveva fatto in modo che in clinica non avesse mai alcun problema!

 
Aleha non era solo cieca di fronte alla realtà delle cose, era anche un’ingrata incapace di adempiere alla più importante richiesta che le faceva ormai da anni -la sola che riguardasse la sua sfera più privata- pensando che fosse una pazza tirannica invece di una persona che voleva, e aveva sempre voluto, solo ed esclusivamente il suo bene.
Sua sorella era arrivata a farle del male fisico pur di sposarsi con quello là!
Altro che la testa pulsante, era questo che la faceva infuriare più di ogni altra cosa, tanto con Kozmotis Pitchiner, secondo lei il colpevole di tutto ciò, quanto con Aleha stessa. Stupida, stupida e maledetta ingrata!

 
Il problema era che lei le voleva troppo bene per lasciarla cuocere nel suo brodo e permetterle di gettarsi direttamente nell’abisso abbracciando il destino infausto del suo adorato fidanzato. Strano come amore e rabbia pura potessero fondersi in un’unica cosa.
Per questo motivo si era rialzata, per questo motivo aveva inseguito l’auto col suo veicolo cercando di tenersi dritta e non fare danni, per questo motivo aveva cercato di forare le gomme con la pistola d’ordinanza rubata a quel cretino d’un ufficiale, degno amico del suo amico Pitchiner.

 
«altolà! Ci dispiace, dottoressa» disse uno dei due ufficiali, alti e robusti entrambi, che le si pararono davanti appena ebbe superato l’ingresso del municipio «ma abbiamo l’ordine di non farvi passare per nessun motivo. Andiamo, siate ragionevole e non costringeteci a portarvi fuori di peso, non fareste una bella figura».

 
Non si dovevano sposare, non importava quale prezzo Spear avrebbe dovuto pagare, ne andava del destino di sua sorella…anche se non sapeva bene perché.
Dettagli.
Con la coda dell’occhio intravide una possibile arma alla propria sinistra e, prima che i due militari potessero fermarla, agguantò e sollevò un pesante candelabro a piantana, di lucido e pesante acciaio.

 
«fermatemi, allora».

 
Dettò ciò usò l’arma improvvisata contro l’ufficiale più vicino, abbattendolo -ovviamente senza ucciderlo- con un colpo secco. Allibito per quel che era appena accaduto, anche l’altro ufficiale subì la stessa sorte, e ricadde a terra poco lontano.

 
Sempre più arrabbiata, ma anche in ansia per il tempo ormai agli sgoccioli, Spear corse in direzione delle scale che l’avrebbero portata al primo piano. Non poteva permettersi di rallentare oltre, era imperativo raggiungere il quarto piano e interrompere la cerimonia prima che quei due deficienti si sposassero.

 
Cinque ufficiali poco lontani, che fino ad allora sottovalutando il pericolo non avevano ritenuto necessario avvicinarsi, vista quella scena si precipitarono addosso alla dottoressa con l’intenzione di bloccarla. Erano ufficiali dell’Armata Dorata, tempo prima avevano avuto Spear come medico per qualche mese e dunque la conoscevano, ma erano comunque basiti, perché sembrava assurdo che fosse riuscita ad atterrare due di loro!

 
Vedendoli avvicinarsi, Spear strinse forte il candelabro. Dir loro di togliersi di mezzo non sarebbe servito.

 
Come era accaduto con sua sorella, sarebbe stata di nuovo costretta a passare dalle parole ai fatti.

 

 

 

 

[...]

 

 

 

 
“non è questa l’atmosfera che avevo immaginato per il mio matrimonio”.

 
Tensione e agitazione, ecco gli stati d’animo che permeavano la sala del municipio in cui si stava svolgendo il matrimonio tra Aleha Sinetenebris e Kozmotis Pitchiner, il quale continuava a gettare occhiate inquiete alle sedie che si stavano svuotando man mano.

 
Aleha resistette alla tentazione di mordicchiarsi il labbro inferiore soltanto perché non intendeva rovinare il rossetto, e a quella di mettersi a urlare solo perché sarebbe stato ben poco dignitoso. Neppure il fatto che Kozmotis la tenesse per mano, accarezzandone il dorso col pollice, riusciva a tranquillizzarla minimamente: quel movimento continuo equivaleva all’ondeggiare della coda di un gatto stellare nervoso, e lei se ne rendeva conto fin troppo bene.

 
Videro la porta aprirsi nuovamente, un ufficiale entrare trafelato e altri cinque ufficiali alzarsi per correre fuori, e a quel punto Kozmotis non resse più. «ma stiamo scherzando?! Com’è possibile una cosa del genere?! Spiegatemi!»

 
«è peggio di un’orda di Dream Pirates e Nightmare Men, signore!» esclamò, concitato, l’ufficiale che era entrato «abbatte tutti quelli che trova sulla sua strada con quel dannato candelabro, è inarrestabile! È già arrivata al terzo piano! Richiedo l’autorizzazione all’uso di forza letale!»

 
Kozmotis guardò Aleha con aria interrogativa. «tu che ne dici?»

 
«assolutamente no!» rifiutò lei, categorica «che razza di domanda è?!»

 
«…sicura?»

 
«SÌ!» esclamò Aleha «cerchiamo di andare avanti con la cerimonia e basta, così da essere sposati prima che riesca a farsi strada fin qui!»

 
«niente forza letale, maggiore, siete militari addestrati e altamente qualificati, siete abituati a combattere al fronte, dovete per forza riuscire a contenerla!» disse Kozmotis «è un scheletro da neppure cinquanta chili, per gli Dei!»

 
«sarà uno scheletro da neppure cinquanta chili ma è anche un demone in forma di donna, signore!»

 
In quel caso Kozmotis non si sentì di contraddire il suo maggiore, lasciando che uscisse dalla stanza in fretta e furia. Che Spear Sinetenebris in realtà fosse un demone in forma di donna, con l’unico pregio di avere per sorella una meravigliosa creatura, era qualcosa che aveva sempre pensato. «mi sa che devo rivedere la scelta del personale, se si fanno abbattere così facilmente da una donna candelabromunita» disse piano ad Aleha, cercando vanamente di alleggerire un po’la tensione. Vedeva quanto il comportamento di Spear la stesse mettendo in ansia, oltre a rattristarla e farla arrabbiare allo stesso tempo, ed era qualcosa che gli faceva ribollire il sangue.

 
Possibile che Spear non riuscisse a mettere da parte l’odio -ingiustificato secondo lui- nei suoi confronti neppure quel giorno, neppure per il bene di sua sorella, che dichiarava di amare tanto?!
Era assurdo, semplicemente assurdo…ma da quel giorno in poi sarebbe finita. Spear non avrebbe più potuto mettere bocca su nulla, i giochi sarebbero stati fatti, e non sarebbe stata più un problema né per lui, né per Aleha.

 
Sì, d’accordo, c’era da sistemare quel piccolo dettaglio del fatto che le loro case fossero una dirimpetto all’altra, intendeva iniziare presto a lavorarci su. Avrebbe cercato un posto che fosse quanto più nascosto possibile per costruire la sua -anzi, la loro- nuova dimora, per poi trasferirsi lì con Aleha senza rivelare a nessuno l’ubicazione. Aleha avrebbe dovuto lasciare il lavoro, ma era certo che avrebbe capito: era per una questione di sicurezza, per il suo bene.
Certi discorsi di Spear, sebbene folli, gli avevano messo in testa brutti pensieri molto difficili da mandare via. Folli, sì, perché lui non aveva nemici “in alto”, gli Altair non ce l’avevano affatto con lui, e l’incidente mortale che aveva coinvolto sua madre era stato, appunto, un incidente.
O così sembrava.
No: ERA.
Non doveva permettere che la follia iniziasse a corrodere anche il suo cervello.

 
«non è colpa loro, è che quando Spear si convince di qualcosa neppure l’assalto di un’intera armata può indurla a desistere» mormorò Aleha, con una smorfia dovuta al piede sinistro ancora dolorante «e lei è convinta che non ti debba sposare. Lo sai che è cocciuta».

 
«ha preso una scarica elettrica, maledizione!» sbottò Grimmers, il quale al momento faceva da “stampella” alla sposa «sta abbattendo tutti nonostante questo, e tu mi vieni a dire che è cocciuta?!»

 
«può essere cocciuta quanto le pare, ma se si azzarderà a fare veramente irruzione qui dentro stavolta la faccenda finirà male, e non m’importa se sta per diventare mia cognata!» affermò il generale.

 
«che finirà male non c’è quasi dubbio, il dubbio è per chi» commentò il colonnello Grimmers.

 
«Rich, io sono l’High General of the Galaxies! Il giorno in cui mi farò fermare da Spear Sinetenebris darò le dimissioni!» esclamò Kozmotis.

 
«non per allarmarti, Koz, ma intanto la sala continua a svuotarsi» disse il colonnello «quindi basta chiacchiere e sbrighiamoci, prima che-»

 
«è al quarto piano!!!» urlò un ufficiale, entrando di colpo nella stanza «è al quarto piano, porca puttana! Aiutateci!!!»

 
Quella faccenda era talmente incredibile che Kozmotis non pensò neppure di fare a quel poveretto un appunto per il linguaggio. Forse doveva seriamente pensare di cercare nuovi ufficiali, sebbene quella che aveva fatto prima ad Aleha fosse stata solo una battuta…
No”, si disse poi. Non era colpa loro. Conosceva gli ufficiali presenti, e sapeva quanto valessero, ormai. Ma come poteva essere possibile?! Capitani, maggiori, colonnelli, tutti falciati con un candelabro!

 
“ho deciso, io da oggi odio i candelabri”.

 
«tagliamo corto, sindaco, per favore! Passiamo direttamente alla fine, visto che è già al quarto piano!» concluse Kozmotis, vedendo gli ultimi sette militari -eccetto Grimmers- lasciare la stanza per gettarsi nell’indubbio casino che, a giudicare da quel che sentiva, si era creato fuori.

 
«sì, sì, direi che sia meglio» il sindaco, con una flemma assurda in quel contesto, aggrottò le sopracciglia candide come i capelli «l’assalto di un vero demone degli abissi non è cosa che si veda tutti i giorni».

 
«mia sorella non è!...ah, ma che lo ripeto a fare» borbottò Aleha.

 
«bene. Vuoi tu Kozmotis Pitchiner-»

 
«sì, lo voglio, e lo vuole anche lei! Ci dichiari marito e moglie, buon cielo!» sbottò il generale.

 
«Kozmotis Pitchiner! Hai scelto giorno e ora della cerimonia, e va bene, hai invitato soltanto chi ti pareva, e va bene, ma ora non vuoi darmi neppure modo di dire “lo voglio”?!» lo rimproverò Aleha, con un’espressione che al generale ricordò terribilmente quella di sua madre, la defunta Mira Pitchiner. «è il nostro matrimonio o il tuo?! No perché mi sta venendo qualche dubbio!»

 
«sì, hai ragione» borbottò lui, in una mezza resa «ma prenditela con tua sorella, non con me, d’accordo?! È lei il problema!»

 
Il sindaco si schiarì la voce. «vuoi tu Aleha Sinetenebris prendere il qui presente Kozmotis Pitchiner come tuo sposo, amarlo, onorarlo e rispettarlo finché gli Dei vi accoglieranno nella loro casa?»

 
«lo voglio» disse la ragazza, senza alcuna esitazione nonostante il rimprovero di poco prima.

 
«bene» continuò il sindaco «siete ufficialmente dichiarati marito e moglie. Potete baciarv-»

 
La porta di legno della stanza venne spalancata con tanta forza che uscì per metà dai cardini, e il rumore fu tale che il colonnello Grimmers si lasciò sfuggire una smorfia infastidita.
Ma il rumore era l’ultimo dei problemi.

 
«questo matrimonio non si deve fare! Né ora, né domani, né MAI!»

 
Spear era ancora sulla soglia, con i capelli in condizioni disastrose e il vestito viola strappato, e brandiva ancora il candelabro d’acciaio visibilmente sporco di sangue in diversi punti. Alle sue spalle c’era un numero indefinito di ufficiali che aveva steso lungo la via, che si lamentavano e cercavano di strisciare gli uni vicini agli altri; un’ecatombe che Kozmotis a volte aveva visto quando era ancora un soldato qualsiasi, ad opera di orde di nemici del regno.
Orde, appunto.

 
«sei arrivata tardi, razza di demone che non sei altro!» la apostrofò Kozmotis, trovando persino il coraggio di avvicinarsi «hai steso i miei ufficiali, ma ormai è fatta: tua sorella è Aleha Pitchiner, e lo sarà finché morte non ci separi, che ti piaccia oppure no!»

 
«“finché morte non ci separi”» ripeté la donna, con un terrificante sguardo freddo e una voce bassa che sembrava realmente provenire da qualche parte nell’oltretomba, mentre stringeva il candelabro «vorrà dire che la renderò vedova».

 
«non ti azzardare!!!» strillò Aleha, andando con fatica a mettersi in mezzo tra suo marito e Spear «hai rovinato il giorno più bello della mia vita, sei andata fuori di testa perché per una volta non ho fatto quel che TU volevi, come se potessi essere tu a decidere il mio destino, con chi devo o non devo stare! Ficcati in testa che le mie scelte non ti riguardano! Fatti! Gli! Affari! TUOI!» gridò ancora la ragazza, con lacrime di rabbia ad offuscarle la vista «vai agli Abissi una volta per tutte, insieme ai demoni tuoi pari!!!»

 
Il sindaco non sapeva che pesci prendere, e tanto Kozmotis quanto Grimmers erano ammutoliti: non avevano mai visto Aleha così furiosa, né le avevano mai sentito rivolgere parole simili alla sua tanto amata sorella. Evidentemente era arrivata al punto di rottura.

 
Spear lasciò cadere il candelabro, osservando Aleha con la stessa aria gelida con cui aveva guardato Kozmotis. Per un attimo quest’ultimo si illuse che fosse finita…

 
«ingrata».

 
Ma ovviamente non era così.

 
«credi che abbia fatto tutto questo per divertirmi? Credi che mi sia piaciuto? No! Non mi sono divertita, e non mi è piaciuto per nulla. L’ho fatto per tentare di salvarti un’ultima volta da quel che ti aspetta. L’ho fatto per il tuo bene, lo ho fatto per te, come tutto il resto! Ho passato una vita intera a proteggerti, disinteressandomi di quel che succedeva a me perché tu venivi prima di tutto…e oggi mi ripaghi con questo!»

 
La sfuriata di Aleha si era già trasformata in un pianto di puro nervosismo, rendendola momentaneamente incapace di rispondere alla sorella, e per questo motivo Kozmotis si decise a intervenire. «Aleha è libera di fare quello che vuole, e non è in debito con qualcuno che ha soltanto fatto il proprio dovere di sorella! Sei riuscita a rovinare la cerimonia e picchiare dei militari, brava, complimenti, tanti applausi!» disse, sarcastico «desideri dell’altro?!»

 

Calò il silenzio per qualche istante, in cui Kozmotis strinse al petto la moglie con fare protettivo. Avrebbe fatto di tutto perché non accadesse più qualcosa del genere ad Aleha, in futuro.

 
«sì. A dire il vero sì» disse Spear «desidero annunciarvi che oggi avete abbracciato il peggiore dei destini!» esclamò «desidero annunciarvi che rimpiangerete questo giorno, perché non vi si prospetta altro che un avvenire oscuro, e pieno di dolore» continuò, senza avvicinarsi né allontanarsi di un solo passo «con quest’unione non otterrete nient’altro che lacrime e sangue! Nient’altro! Vi è chiaro?! Che siate maledetti!» aggiunse, quasi in un ringhio «che siate maledetti voi due e la vostra stupidità!»

 
Ci fu un brevissimo momento di tensione e poi, neppure avesse veramente visto un demone degli abissi, Spear corse via con un breve svolazzo del vestito rotto. Raggiunse le scale e le scese alla velocità del vento, non perfettamente consapevole di quel che faceva, con in testa soltanto l’eco delle parole che le aveva rivolto sua sorella e delle proprie, soprattutto queste ultime.

 
Aveva lottato tanto per cercare di impedire quel matrimonio, e maledire sua sorella -maledirla!- era la sola cosa che fosse riuscita a fare! Perché non era andata via subito? Perché era rimasta e aveva lasciato che la rabbia la portasse a rispondere alla provocazione di quello che ormai, purtroppo, era diventato suo cognato?!
Si era resa conto della gravità di quello che aveva detto appena aveva finito di parlare, ossia troppo tardi. Era una fortuna che fosse tipo da lasciarsi accecare dalla rabbia soltanto di rado, e che di norma riuscisse a gestire situazioni molto spiacevoli con completa freddezza e lucidità, altrimenti solo gli Dei sapevano che fine avrebbe fatto.
Aveva minacciato di morte l’High General of the Galaxies. Anche questo non era meno grave, perché in quel momento aveva pensato seriamente di rendere vedova Aleha…e Spear non si era mai reputata una persona in grado di uccidere qualcuno a sangue freddo, tanto più essendo un medico.

 
“Aleha non vorrà più sapere nulla di me” pensò, mentre lasciava l’edificio “e avrà soltanto ragione”.

 
Nessuno cercò di fermarla, nessuno la inseguì, ma se le cose andarono così fu soltanto perché Kozmotis era troppo impegnato a occuparsi di Aleha, ormai passata da un pianto di nervosismo a uno dirotto: le erano successe troppe cose brutte e/o assurde in quella giornata, e la felicità di essere sposata, nonché quella per la luna di miele di dieci giorni che le si prospettava, non era sufficiente a far sì che le mettesse da parte.

 
«Aleha, non la devi stare a sentire… capito? Andrà tutto bene» mormorò il generale, stringendola a sé «andrà tutto bene, saremo felici e non ci accadrà nulla di male. Lei è solo una strega maligna, e oggi si è rivelata anche a te per quello che è. Non la devi assolutamente ascoltare».

 
“non era certo così che avevo immaginato la cerimonia…che Spear sia maledetta dieci volte!” pensò, dando alla moglie un bacio sul capo.

 
«dannazione, credevo che ormai potesse spaventarmi giusto l’idea di combattere da solo un esercito di Nightmare Men» borbottò Grimmers, andando in direzione della porta per cercare di dare una mano agli uomini che si stavano lentamente rialzando «ma dopo questo!...ai ragazzi ci penso io, tu occupati di tua moglie, Pitch».

 
Kozmotis annuì, lo ringraziò e, dopo aver preso in braccio Aleha, uscì dalla stanza senza dire altro.

 

 

 

 

[…]

 

 

 

 

«…una nuova casa: è soltanto una questione di tempo, poi ci trasferiremo, potrai lasciare il lavoro e non vederla mai più, finalmente!»

 
Quando Kozmotis aveva scelto la meta della loro luna di miele si era immaginato di fare tutt’altro una volta giunto nella suite di quel bell’albergo, ma con tutto quel che era successo nessuno dei due aveva voglia di festeggiare alcunché e, causa infortunio, anche il progetto di fare una passeggiata lungo le vie del centro era stato rimandato. Peccato, perché la capitale dell’ex territorio degli Eagle, verdeggiante e piena di canali che l’attraversavano da ogni parte, meritava davvero: nonostante tutti i commenti ironici che erano stati fatti quando il governo era cambiato, i Taurus non avevano portato con loro il gelo delle proprie terre.

 
«trasferirci?!» esclamò Aleha «tu quando pensavi di dirmelo, di preciso? Il giorno in cui mi avresti fatto trovare le valigie pronte vicine alla porta?!»

 
«allontanarci dal posto dove siamo cresciuti è la cosa migliore per tutti e due, e anche per i figli che avremo. Vuoi davvero che conoscano una zia del genere?» Kozmotis sollevò le sopracciglia, un po’perplesso «e non capisco perché te la stai prendendo così per questo progetto».

 
«non so, magari perché non abbiamo mai parlato di una cosa del genere?» ribatté Aleha.

 
«ne stiamo parlando adesso» insistette il generale, che non riusciva proprio a capire cosa avesse fatto di male.

 
«non me ne hai parlato, tu me lo hai comunicato!» sbottò la ragazza, innervosita nel rendersi conto di essere costretta a usare le esatte parole pronunciate da Spear quello stesso giorno «è diverso. Ma poi, chi ti ha detto che intendo lasciare il mio lavoro? Non abbiamo mai discusso neppure di questo!»

 
«Aleha, sono l’High General of the Galaxies, il mio stipendio basta per entrambi. Anzi, a dirla tutta avanza, e di molto. A volte non so neppure cosa fare di quello che prendo, io non sono abituato a spendere tanto» aggiunse «ecco perché ti dico che non dobbiamo per forza lavorare entrambi!»

 
«non posso lasciare il mio lavoro, anche se il tuo stipendio ce le permetterebbe! Sei un militare, se per disgrazia…»

 
Non concluse la frase.
Erano passate solo poche ore dal matrimonio, ma improvvisamente tutto ciò di cui Spear l’aveva avvertita per anni stava venendo a galla per davvero…e dire che fino a poco prima le erano sembrate tutte cose di ben poco conto, rispetto all’idea di diventare la signora Pitchiner!

 
“questo non sarebbe successo, se lui non se ne fosse uscito di botto con queste idee balzane!” pensò.

 
«“se per disgrazia” cosa? Morissi? Non accadrà, puoi star sicura che non ti libererai di me tanto facilmente» disse Kozmotis, palesemente irritato «ma se dovesse succedermi qualcosa di brutto sarai felice di sapere che il sussidio per la vedova dell’High General è sostanzioso. Ah, e sei anche la mia erede universale. Questo ti basta? Sei tranquilla, adesso?!»

 
«io non ti ho chiesto di lasciarmi alcunché, quel che ho detto è che vorrei poter continuare a lavorare, non mi sembra chissà quale eresia» insistette Aleha «e non capisco perché all’improvviso per te costituisce un problema!»

 
«“perché?! Perché lavori dove lavora tua sorella! Ecco perché! I suoi auguri ti sono già usciti di mente, per caso?! Bene, a me no! E tu con lei non dovrai più avere rapporti» le intimò «anche solo per quello che ha fatto oggi, se proprio non vuoi contare il resto».

 
Altro che la giornata più bella della sua vita, se mai era la giornata in cui tutti cercavano di farla innervosire, in particolare le due persone che per lei contavano di più. «devo prenderlo come un ordine, generale Pitchiner?»

 
«puoi prenderlo come vuoi, purché tu mi dia retta» replicò lui, altrettanto nervoso.

 
«ti ricordo che non sei in un campo di battaglia, ma in una suite da luna di miele, e che io sono tua moglie, non uno dei tuoi ufficiali, motivo per cui non puoi ordinarmi proprio un accidenti! Hai capito?!» 

 
«lo so, maledizione, lo so! Avrei volentieri fatto a meno di parlarti in quel modo, ma tu a volte sei così cocciuta!...» utilizzare quell’aggettivo lo indusse a dare una rapida occhiata attorno a loro due, sincerandosi che non ci fossero candelabri in giro: mai accostare a un candelabro la cocciutaggine di una Sinetenebris! «e sempre pronta a dimenticare quel che fa tua sorella».

 
«io non dimentico proprio niente, ma lei è mia sorella!» ribatté Aleha, con fare ostinato.

 
«cosa vorresti dire con questo? Che continuerai a vederla? A parlarle? Che le perdonerai anche questo dopo averle detto che deve farsi gli affari suoi e averla insultata, anzi, descritta?!» disse Kozmotis mentre, esterrefatto, si avvicinava alla moglie «continui a dire “è mia sorella” anche dopo che ha maledetto noi e la nostra unione! Sei uscita di senno o cosa?!»

 
«deve farsi gli affari suoi, ma non avrei dovuto darle del demone, lì ho sbagliato io, e dopo ha detto quelle cose soltanto perché-»

 
«BASTA!» gridò il generale, facendola sobbalzare spaventata «possibile che tu debba essere succube Spear fino a questo punto?! Tutto quel che ha sempre fatto è stato tentare di decidere ogni aspetto della tua vita e riuscirci, quasi! Tutta questa devozione nei suoi confronti non ha senso, Spear non ha mai fatto niente per te da-»

 
«stai zitto, non parlare di cose di cui non sai niente!!!» strillò Aleha «io devo tutto a mia sorella! TUTTO! Se non fosse stato per lei, se lei non avesse fatto…io sarei…» si morse il labbro inferiore e, con uno sguardo molto più cupo del solito, si chiuse in un silenzio ostinato.

 
In quella faccenda c’era decisamente qualcosa che non andava, Aleha non si era mai comportata in quel modo, e Kozmotis non sapeva spiegarsi nulla di tutto ciò, soprattutto quel silenzio. Sapeva che per un certo periodo di tempo, dopo la morte del padre, la vita delle due Sinetenebris si era un po’complicata perché la madre aveva trovato lavoro in un territorio lontano, ma nulla di più.
Nulla che potesse giustificare una reazione simile. 


«Aleha».

 
«no».

 
«niente “no”, tu e io dobbiamo parlare. Siamo marito e moglie, tra noi non deve esserci alcun segreto. A dire il vero non avrebbero dovuto esserci nemmeno prima» aggiunse, con una certa amarezza «quindi tu mi dirai una volta per tutte cos’è successo tra te e tua sorella, e lo farai adesso».

 
«e se non volessi?»

 
Un silenzio tesissimo si propagò tra i due.
Che meraviglioso inizio di luna di miele!

 
«uscirò da quella porta e non mi vedrai più, anche se ci siamo sposati poche ore fa, perché non posso stare con una persona che si ostina a nascondermi qualcosa che, evidentemente, è così importante. Io ti do e ti ho sempre dato la mia completa lealtà, ma ne pretendo altrettanta, e tu questo lo sai» disse il ragazzo «se ci tieni veramente a me, inizia a parlare».

 
«mi stai veramente ricattando? Siamo arrivati a questo punto?»

 
Parole che erano come coltellate, soprattutto perché vere, e quella avrebbe dovuto essere la prima sera da sposati. La- prima- sera- da- sposati. «non vorrei niente di tutto questo! Non vorrei litigare con te in nessun caso, tantomeno adesso, ma ho bisogno di sapere cosa succede…anche per evitare litigi futuri. Una volta che saprò certe cose, saprò anche come muovermi. È per il bene del nostro matrimonio, immagino che tu lo capisca».

 
Aleha sollevò lo sguardo su di lui. «non sono sicura che possa essere un bene».

 
«più andiamo avanti più questa storia mi preoccupa. Cos’avete fatto, avete ucciso qualcuno e seppellito il cadavere in giardino?...Aleha? Guarda che non lo penso sul serio!»

 
«potremmo averlo fatto» disse Aleha, in un tono secco che di norma non le apparteneva «in un certo senso».

 
Kozmotis la guardò, più che mai sconvolto. Aveva sempre visto Aleha come una creatura dalla totale bontà e purezza d’animo, e ora se ne usciva con questo! No, doveva esserci una spiegazione: qualunque cosa fosse successa, sicuramente era tutta colpa di Spear, e lei si stava dando la colpa inutilmente. Per forza. «spiegati».

 
Aleha fece un sospiro nervoso. «tu ricordi quando morì mio padre, immagino».

 
«certo che ricordo. Quindi?»

 
La ragazza si mise a fissare con sguardo vacuo un soprammobile di vetro. «e ricordi anche che mia madre non si è più vista in giro».

 
«sì, dal momento che aveva trovato lavoro altrove» disse lui, prontamente «perché lei aveva effettivamente trovato lavoro altrove…giusto?» vide Aleha scuotere piano la testa «come sarebbe a dire “no”?!»

 
«non ha mai lasciato casa nostra» disse piano Aleha « dal funerale di mio padre in poi, lei è finita in una sorta di catatonia. Si nutriva e andava in bagno, ma non faceva altro, non parlava neppure» mormorò «ricordo che all’inizio io andavo nella sua stanza tutti i giorni sia per farla mangiare, sia per tentare di scuoterla da quello stato. Le parlavo, la muovevo, ma non c’era niente da fare. Un mese dopo mi arrabbiai, le gridai contro, arrivai a schiaffeggiarla. Avevo dieci anni!» esclamò, dopo una specie di singhiozzo «ho schiaffeggiato mia madre, e lei non ha minimamente reagito!»

 
Kozmotis avrebbe voluto dire qualcosa di sensato, o almeno di pertinente, ma non riusciva proprio a proferire parola. Non sapeva se dispiacersi per lei, o se arrabbiarsi perché Aleha non gli aveva mai detto nulla. Non sapeva cosa pensare in genere, e tutto quel che poteva fare era solo lasciarla finire.

 
«poi sono iniziati i problemi con i soldi. Il sussidio per le vedove di guerra non ci bastava, dal momento che viviamo nei quartieri alti, ma non potevamo neppure chiedere aiuto a nessuno. Non avevamo altri parenti, io ero una bambina, e a Spear mancava un anno per diventare maggiorenne, se lo avessimo fatto ci avrebbero prese, messe in qualche istituto e probabilmente anche separate. Spear ha fatto di tutto perché non succedesse: mi ha imposto di non dire nulla a nessuno e si è messa a cercare qualsiasi lavoro che le permettesse di portare dei soldi a casa».

 
«per quale genere di lavori può essere assunta una quindicenne?» fu tutto quel che riuscì a dire il generale, temendo la risposta.

 
«secondo te quale genere di persone, e in quali quartieri, assumerebbe una quindicenne con un gran bisogno di soldi, una madre incapace e una sorella piccola a carico?» ribatté Aleha, con la voce leggermente incrinata «diceva “cameriera part-time”, e io all’inizio facevo finta di crederci, ma poi non più. Lei non voleva, ma io la aspettavo alzata tutte le volte!» esclamò all’improvviso, guardandolo con un’aria quasi spiritata «tutte! Ho perso il conto delle volte che l’ho vista tornare con i lividi, quando andava bene. L’ho vista tornare camminando male, e non perché si era storta una caviglia. L'ho vista tornare sporca di sangue su...» non riuscì a concludere «lo sai cosa significa».

 
Sì, Kozmotis lo sapeva, ma non riusciva a crederci. Non riusciva a immaginare Spear coinvolta in certe cose, né a credere che nessuno, incluso lui stesso, si fosse accorto che qualcosa non andava.
Iniziava a capire diverse cose su entrambe le sorelle, pensando che era proprio vero il detto secondo cui non si finisce mai di conoscere veramente le persone.

 
«lei però non si lamentava mai. Mai. Non mi ha fatto mai mancare nulla» continuò Aleha «tanto che a volte mi sembrava di avere persino troppo. Si preoccupava solo per me, si occupava sempre e solo di me. Non mi sono mai trovata sola all’uscita di scuola, finché ne ho avuto bisogno, non ha mai mancato un colloquio con gli insegnanti, o una qualunque di quelle stupide recite che ci facevano fare a metà anno e alla fine, te le ricordi? C’era sempre».

 
«sì, ricordo».

 
«intanto continuava a studiare medicina. Tutto questo è andato avanti per tre anni, in tutto…poi, se gli Dei vogliono, a diciotto anni ha cominciato a lavorare in ospedale. Non l’ho più vista malridotta, e io non sentivo più il bisogno di aspettarla alzata, pregando che tornasse a casa».

 
Aleha non aveva voglia di proseguire oltre, ricordare quel periodo sembrava quasi farle male a livello fisico, ma nonostante la gravità di quel che sua moglie gli aveva raccontato c’era una domanda che aveva continuato a ronzare nella testa di Kozmotis frase dopo frase, e lui, alla fine, non riuscì ad astenersi dal farla. «e tua madre? Il primo anno non avete parlato a nessuno della sua condizione per i motivi che mi hai detto, e…e posso capirlo» “più o meno” aggiunse mentalmente «eravate minorenni entrambe, ma poi? Perché non avete chiesto aiuto? Avreste potuto far ricoverare vostra madre…non so, in qualche posto…»

 
«con quali soldi, Kozmotis? Spear si è tenuta quel "lavoro", nonostante tutto, proprio perché oltre ai lividi riusciva a portare a casa soldi extra che un qualsiasi sedicenne al suo primo impiego non avrebbe potuto ottenere. E anche in seguito per nostra madre “era troppo tardi”, così diceva mia sorella» aggiunse, stavolta in tono perfettamente neutro. «quando abbiamo iniziato ad avere più mezzi ho provato a dirle che forse era il caso di provare a fare qualcosa, ma lei diceva che qualunque tentativo di curarla, anche da parte di veri esperti, sarebbe stato solo uno spreco di tempo e risorse!» disse, quasi stridula sull’ultima sillaba «l’ultimo anno mamma non mangiava e si muoveva più. L’abbiamo tenuta in vita “nutrendola” via endovena, con cose che Spear riusciva a prendere in ospedale dopo che l’ho convinta a farlo, e poi è morta, e io continuo a pensare che se ci avessimo almeno provato, se di noi due almeno io non avessi iniziato a vederla alla stregua di un soprammobile, forse avremmo potuto…»

 
Non concluse il discorso, incapace di farlo, e si raggomitolò su se stessa scossa da singhiozzi silenziosi. Era la prima volta in assoluto che parlava con qualcuno di quegli argomenti, e non era stato affatto semplice, soprattutto perché aveva detto tutto ciò all’ultima persona cui avrebbe voluto dirlo.

 
«non mi hai mai detto nulla…» disse Kozmotis, tanto in pena per lei quanto arrabbiato e del tutto smarrito «io pensavo che tu fossi un’anima troppo candida per riuscire a mantenere anche un piccolo segreto, se non con difficoltà, e ora scopro che sei stata capace di tacere per anni su cose così gravi, e chissà cos’altro-»

 
Si interruppe quando la vide sollevare il viso e guardarlo. «ho sempre fatto del mio meglio per cercare di essere una brava persona» mormorò Aleha «e credo di esserci più o meno riuscita, ma mi spiace, non sono la “santa donna” che tu credevi che fossi, e che da un certo momento della mia vita in poi iniziato io stessa a credere di essere. Spear ha i suoi difetti, ma almeno lei non ha mai voluto dimenticare ciò che è davvero, o illudersi di essere migliore di com’è, o illudere altri» disse, alzandosi in piedi con una certa fatica e muovendo qualche passo verso la porta.

 
«non so dov’è che vorresti andare» Kozmotis, dopo qualche momento, l’affiancò e la prese in braccio «ma tu non ti muoverai da questa suite».

 
Aleha gli diede un'occhiata esitante. «anche se non sono una santa donna?»

 
«in questa galassia nessuno è santo» borbottò lui, raggiungendo il divano e sedendovisi sopra «e dubito che malediresti tua sorella se sposasse qualcuno che non ti piace, per cui resti una persona migliore di lei sempre e comunque, e anche di tante altre che conosco. Non ti nascondo che quel che mi hai detto mi ha sconvolto abbastanza, o anche un po’di più» ammise «...o molto di più. Mi dispiace che tutto questo sia venuto fuori soltanto adesso, e in questo modo» aggiunse «e devo abituarmi all’idea che anche tu, come tutti noi comuni mortali, hai un lato oscuro, cosa per cui magari mi servirà un po’di tempo, ma non per questo ti reputo una cattiva persona. O colpevole per…tua madre. Non avresti potuto fare nulla più di quel che hai fatto, eri una bambina».

 
“se mai la colpa è di sua sorella, che non l’ha aiutata neppure quando avrebbe potuto iniziare a farlo!” pensò il generale.
Quel che Aleha gli aveva rivelato non gli aveva certo fatto smettere di odiare sua cognata, anche se ora la capiva un po’di più, ma iniziò a pensare che se Aleha teneva tanto al proprio lavoro poteva anche evitare di lasciarlo…o di lasciarlo subito.

 
«tu dici?»

 
«sì, “io dico”. Però ascoltami: d’ora in poi non dovrai tacermi nulla, Aleha. Non dovrai avere più segreti per me, come io non ne ho per te! Ci siamo intesi?»

 
Sollevata che suo marito non avesse iniziato a odiarla per quel che gli aveva nascosto, la ragazza annuì. «sì. Ma per favore…da oggi in poi non voglio più parlare o sentir parlare di questo, va bene? Sono ricordi troppo…sono…»

 
«troppo dolorosi. Ho capito. Per me va bene».

 
«è bello sapere che non mi detesti» aggiunse Aleha candidamente «anche dopo questo».

 
«per quello dovresti atterrare svariati ufficiali con un candelabro, ma forse non riuscirei a detestarti neanche così! A proposito, tu non riusciresti a fare qualcosa del genere, vero?» le domandò Kozmotis.

 
«in teoria no, ma forse è solo questione di riuscire a trovare l’arma impropria giusta» rispose Aleha, sforzandosi di scherzarci su. «già, quando la cosa si saprà in giro…»

 
«cercheremo di contenere la fuga di notizie per quel che possiamo, sperando che nessuno ci creda. I primi due mesi dopo la mia nomina c’erano persone che non mi prendevano ancora molto sul serio, e mi seccherebbe se questa cosa arrivasse alle loro orecchie!»

 
«immagino che ti riferisca a persone come Nihil Aladohar Aldebaran».

 
L’armata dell’arciduca aveva supportato l’Armata Dorata in un’occasione quasi un anno prima, in una missione. Dal punto di vista militare era andata molto bene, ma a Kozmotis quel ragazzo non piaceva e non sarebbe mai piaciuto, per ovvie ragioni: non aveva dimenticato cos'era successo tra loro quando erano piccoli, e mai l'avrebbe fatto.

 
«precisamente. Chiedo scusa in anticipo per il linguaggio, ma da piccolo era uno stronzo, e non sembra cambiato. Cerca solo di renderlo meno evidente…ma te l’avevo già detto, e forse è tempo di smetterla con gli argomenti sgradevoli. Sono un po’stanco, tu no?»

 
«fin troppo».

 
Kozmotis la portò in camera da letto, ed entrambi si addormentarono poco dopo essersi stesi sul materasso.
Ci sarebbe stato tempo in abbondanza per consumare il loro matrimonio: per quella sera preferirono andare a dormire, sognare un inizio migliore per la loro unione, e sperare che in futuro andasse meglio rispetto a com’era iniziata.

 





Non potevo fare in modo che matrimonio e luna di miele -almeno l'inizio :'D- filassero lisci, ovviamente!
Ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere fin qui, soprattutto la seconda parte: sarà risultata un po'noiosa, magari, ma volevo spiegare cos'era successo in casa delle Sinetenebris con qualcosa più dell'accenno che c'è nel primo capitolo.
Alla prossima,

_Dracarys_

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Capitolo 8
*** 8. Amandoti ***


= Amandoti =






«il motto della tua Casa avrebbe dovuto essere “qui si muore di freddo”, altro che».

 
Lord Taurus alzò gli occhi al soffitto, anche se non provava reale fastidio: era una vita che si sentiva rivolgere frasi di quel genere almeno una volta ad ogni visita.
Di solito la prendeva leggermente in giro per questo, ma in verità poteva capirla: la temperatura nei territori della sua famiglia era oggettivamente fredda sino all’estremo, tanto che nei secoli -anzi, millenni- era stata tra le loro principali armi di difesa contro invasori i quali, non abituati a un simile gelo, avevano sempre finito per morire come mosche. «invece quello della tua Casa avrebbe dovuto essere “arrostiti fino alla morte”. Comunque sia è sempre meglio il freddo del caldo, ci sono più soluzioni per ovviare al problema…prima tra tutte evitare di stare in terrazza lasciando il padrone di casa a letto da solo come un deficiente».

 
Avrebbe preferito evitare di dire qualcosa che avrebbe potuto dare inizio a un’altra possibile discussione, ma non era proprio riuscito a farne a meno.
Parte dell’Armata Dorata era temporaneamente a riposo, e Nahema dunque aveva lasciato il fronte dopo aver trascorso più di un anno -escluso un altro momento di congedo- a far finta di essere un’altra persona, tale “Silk”.
L’aveva fatto per entrare nell’armata dell’High General of the Galaxies senza essere riconosciuta, e tutto perché suddetto High General avrebbe dovuto essere coinvolto -come vittima, immaginava lui- in piani degli Aldebaran di cui lui non sapeva ancora proprio tutti-tutti i dettagli.
Ma sembrava che le cose non stessero andando come dovevano, o comunque non alla velocità cui Nahema avrebbe gradito andassero.
Lei aveva accettato il suo invito di trascorrere quel periodo di riposo con lui nel suo palazzo, e Kitah ne era stato felice, ma le cose non stavano andando esattamente come aveva sperato: il corpo di Nahema era lì con lui, ad Atlantia, ma la sua mente era da tutt’altra parte…persino più di quanto lo fosse di solito.

 
«abbiamo già passato due giorni a letto, quasi, quindi non vedo il problema. Soprattutto…»

 
«non dirlo».

 
«visto che sono “ un po’distante”».

 
Era accaduto circa un quarto d’ora prima, quando alla fine dei giochi -e per tale motivo ancora non del tutto lucido- si era lasciato sfuggire che la trovava un po’distante.
Si era sentito rispondere che “le sembrava che fossero piuttosto vicini, anzi lui le era ancora letteralmente dentro, quindi dove cazzo di altro voleva andare”.
Bonjour finesse.

 
«magari l’ho detto nel momento sbagliato, ma vorresti negare di avere la testa altrove?» forse avrebbe fatto meglio a stare zitto, ma in effetti non vedeva perché mai avrebbe, o avrebbero, dovuto chiudere gli occhi di fronte a un problema. «ho capito che hai delle cose da fare, tanto per cambiare, ma non per questo devono diventare un’ossessione».

 
«se il fatto che io abbia degli obiettivi da raggiungere e pensi a come farlo ti disturba così tanto potevi fare a meno di dirmi di venire ad Atlantia».

 
Se amare qualcuno era una maledizione, Kitah Taurus era il più dannato tra tutti i dannati.  Amava Nahema, aveva quasi ventiquattro anni e non ricordava di aver trascorso un periodo della propria vita senza farlo.
L’amava anche se a volte era veramente dura, perché Nahema non era una persona semplice: Kitah aveva l’incrollabile convinzione che lei ricambiasse i suoi sentimenti, ma lo faceva molto a modo suo, e solo una volta l’aveva sentita confessarglielo, ormai undici anni prima.

 
«se non ti rendessi conto che ho ragione non te la prenderesti. Lo dico per il tuo bene, non per il mio» insistette «pensare ora a cosa fare al nostro High General non può aiutarti in alcun modo, perché tu sei qui e lui è dove è! Cerca di rilassarti, o ne andrà della tua salute….mentale» resosi conto della pessima scelta di termini cercò di far sfumare la frase in un borbottio confuso, ma era troppo tardi.

 
«e io a parer tuo farò la fine di mia madre? È questo che volevi dire?»

 
Nihil Iyra Aldebaran era da poco caduta in uno stadio che Aladohar aveva definito “una specie di precoce e gravissima demenza senile”, motivo per il quale quest’ultimo, con un certo rammarico, aveva dovuto rinunciare alla carriera militare e prenderne il posto.

 
«ovviamente no, e mi spiace per l’infelice scelta di termini, ma ciò non toglie che potresti darti tregua, o almeno provarci».

 
Teoricamente tale onore ed onere sarebbe toccato a Nahema, in quanto primogenita e dunque capofamiglia, ma lei “aveva la sua missione” -verissimo, per carità- e comunque, da quel che lui sapeva, non era tornata a casa propria nemmeno per sbaglio, onde evitare seccature.
La cosa non era piaciuta molto ad Aladohar, come Kitah aveva potuto intuire dalle sue parole, ma lui aveva tentato di difendere Nahema, ricordando ad Aladohar che era via su ordine di Iyra stessa.
La risposta di Aladohar? “È vero, ma trattandosi di mia sorella tu non fai testo”.
Ed era vero anche quello.

 
«ci ho provato» ammise lei dopo un po’ «ma tra le mie faccende che vanno a rilento e quel che sta succedendo a casa non ci sono riuscita».

 
Capita l’antifona Kitah spinse via le coperte, sistemò alla meglio i lunghi capelli neri in una coda bassa, infilò una vestaglia che era lì vicino e andò anch’egli in terrazza a congelarsi. La cosa buffa era che quello era il periodo “caldo” dell’anno ad Atlantia, durante il quale c’era un po’meno gelo del solito, e lui era abituato a ben altro. «avremmo potuto parlarne fin da subito».

 
«mi sembrava che avessi in mente altro».

 
«ossia quel che, all’inizio, mi sembrava che avessi in mente anche tu. Ci conosciamo da molto tempo, ma da questo a leggerti nel pensiero ce ne corre» pose una mano sopra quella della sua coetanea, che non l’allontanò. «vuoi parlare?»

 
Seguì un momento di silenzio piuttosto lungo, ma il giovane duca non intendeva metterle fretta: proprio perché la conosceva da una vita sapeva quanto per lei fosse difficile “sciogliersi” su determinati argomenti. “Vincit qui se vincit” era il motto della famiglia Taurus, ma Nahema sapeva metterlo in pratica meglio di lui.

 
«non pensavo che una cosa del genere potesse succedere a lei» disse Nahema «non per davvero. Iyra Aldebaran ridotta a una sorta di vegetale!…ci pensi? A te che l’hai conosciuta non sembra impossibile? Sai che il mio rapporto con lei non era dei migliori, questione di caratteri incompatibili, ma il modo in cui riusciva a mandare avanti tutto quanto era degno di rispetto».

 
«assolutamente» confermò lui, in totale onestà «credo che quel che le è accaduto sembri impossibile a tutti coloro che hanno avuto modo di conoscerla, Nahema. Il nome di Nihil Iyra Aldebaran non lasciava indifferente nessuno».

 
«è vero».

 
«e così il tuo. Non perderà di valore per nessuno, indipendentemente dalla durata della tua missione».

 
Nahema fece un leggero sorriso. «buono a sapersi».

 
«e soprattutto non lo perderà per me».

 
Il sorriso scomparve. «sarebbe disdicevole se succedesse con uno dei miei maggiori alleati».

 
A volte amarla non era soltanto dura, era peggio.
Eppure lui persisteva, anche se sapeva che per lei non sarebbe mai stato al primo posto, perché prima venivano lei stessa, la sua famiglia e i suoi obiettivi, come sempre.
Persisteva anche se i bei momenti trascorsi sia tra quelle mura che tra altre non avevano mai portato a qualcosa di concreto, perché tra loro due non c’era alcunché di ufficiale neppure ora che erano liberi da vincoli.

 
«“alleato”, dici» ripeté Kitah, con un leggero accenno di amarezza.

 
“Liberi da vincoli”…e nel suo caso tale libertà aveva richiesto un prezzo alto, molto alto.

 
Fin da piccolo era stato promesso a Lady Asyin della Casa Eagle, di quattro anni più grande di lui.
Asyin era una bellissima ragazza, ma non era quella di cui lui voleva diventare il marito.
Nahema stessa, insieme ad Aladohar, il giorno delle nozze aveva dovuto convincerlo ad andare all’altare, ignorando la sua rinnovata proposta -quasi una supplica- di fuggire insieme.

 
Per tale motivo a quindici anni era diventato Lord Kitah Taurus, Governatore di Atlantia, residente in quella che era la dimora principale della sua famiglia, che per tradizione veniva lasciata ai figli primogeniti quando questi convolavano a nozze….e sempre per tale motivo, dopo essersi premurato di mettere incinta Asyin, a quindici anni aveva iniziato a progettare lo sterminio di quel che rimaneva di una famiglia un tempo numerosa.

 
Una figlia e un padre.
Una moglie e un suocero.

 
Al settimo mese di gravidanza di Asyin, suo padre era precipitato dalla montagna sulla quale sorgeva il palazzo principale degli Eagle. Un tragico incidente. Una fatalità.
Un ghoul del ghiaccio pronto a spingerlo giù al momento giusto.
Due mesi dopo, Asyin era morta a causa di un’emorragia inarrestabile durante il parto dei suoi due figli gemelli; era accaduto durante una passeggiata ai confini del territorio attorno al loro palazzo, e non c’era stato nessuno che avesse potuto soccorrerla. Una disgrazia. Una tragedia.
Una somministrazione continuativa -stando ben attento al dosaggio- di un anticoagulante per tutti i nove mesi della gravidanza.

 
La vita della madre dei suoi figli, quello era stato il prezzo da pagare per tornare libero sperando, un giorno, di poter sposare chi desiderava.


Non lo aveva fatto a cuor leggero. La differenza d’età non aveva impedito ad Asyin di provare affetto per lui e forse anche qualcosa di più, perché Kitah si era comportato da marito esemplare -pianificazione della sua morte a parte- ma lui aveva altri progetti.

 
«non lo sei?»

 
«sempre. Ma a volte mi chiedo a cosa serva realmente tutto questo…»

 
Nahema si voltò a guardarlo. «tutto questo cosa?»

 
«la tua famiglia ha il controllo su tutto l’oro, le pietre e i metalli più preziosi in circolazione, la mia famiglia possiede la stragrande maggioranza dei giacimenti di petroleum e delle materie prime con cui costruire ogni tipo di nave» le ricordò «qualche anno fa ti ho detto che tu sei fatta per governare, e lo penso tuttora, ma le nostre famiglie insieme hanno già più potere di quanto ne abbia la famiglia reale…»

 
«presumo che la conclusione di questo discorso sia che dovrei lasciar perdere tutti i miei obiettivi e convolare a nozze con te» disse la ragazza, con aria del tutto neutra «speravo che questa non diventasse una di quelle conversazioni, e invece!...»

 
«non ti chiedo di rinunciare proprio a niente, cercavo solo di farti riflettere. Sarei orgoglioso di essere il marito della prima donna a diventare High General of the Galaxies, ma a cosa serve la corona, se hai già il potere? Comunque, se proprio-»

 
«hai perfettamente ragione» lo interruppe Nahema «se il fulcro della questione fosse il potere, quella corona non mi cambierebbe molto la vita. Nondimeno, il fulcro della questione non è il potere. Voglio quella corona perché sono la più adatta a portarne il peso. Sono nata per questo, sono stata cresciuta per questo, e così sarà. Tutto il resto viene dopo. Matrimoni inclusi».

 
«se mi avessi fatto finire di parlare ti avrei ricordato che se davvero desideri la corona potresti ottenerla anche se le nostre famiglie si unissero, col tempo» insistette lui «una cosa non esclude l’altra, anzi, potrebbe addirittura facilitare il tutto».

 
«perché? Le nostre famiglie sono già unite, alleate praticamente dalle loro origini. Devo forse pensare che tu non mi stia supportando al massimo delle tue possibilità, o che in generale in tutti questi secoli voi Taurus non abbiate messo in tavola tutte le vostre carte?»

 
«la lealtà reciproca delle nostre famiglie è indiscussa, e parole del genere potrebbero anche offendermi, se fossi un tipo di persona più tendente ad arrabbiarsi! Soprattutto sentendole da te!» ribatté il ragazzo, alquanto innervosito «noi due ci conosciamo da sempre. Dai, ricordami una volta in cui ti sono stato d’intralcio o non ti ho “supportato al massimo delle mie possibilità”! Se me ne ricorderai anche una soltanto mi inginocchierò e mi cospargerò il capo di cenere!»

 
Non c’erano occasioni simili di cui discutere, e Kitah lo sapeva bene, conscio com’era di aver fatto sempre tutto quel che era in suo potere per appoggiarla in qualsiasi cosa…

 
«messa così allora mi chiedo a cosa servirebbe sposarci, se entrambi facciamo già quel che faremmo dopo il matrimonio. Politicamente parlando siamo già alleati, con tutto quel che comporta, io non rinuncerei ai miei obiettivi, anche qui con tutto quel che comportano, siamo amici, cosa che non cambierebbe dopo sposati, e abbiamo iniziato ad andare a letto insieme già undici anni fa. Quindi dimmi: nella nostra situazione, quale sarebbe l’utilità di un matrimonio?»

 
…eppure lei aveva trovato ugualmente il modo di fregarlo.
Forse avrebbe dovuto puntare a fare l’avvocatessa, invece che alla carriera militare o alla corona.

 
«mi piacerebbe potermi definire tuo marito, e poter definire te mia moglie. Non sarebbe un matrimonio utile, è vero» ammise «ma un’unione di convenienza non è quel che voglio, me ne è bastata una. Voglio sposarmi con una persona che mi renderebbe felice di fare questo passo, e da circa ventiquattro anni penso che una cosa del genere sarebbe possibile soltanto se quella persona fossi tu. Anche se riesci a spuntarla in ogni discussione!»

 
Concluso il discorso si preparò spiritualmente ad incassare la risposta, sapendo che le alternative possibili sarebbero state qualcosa di simile a: “non dire sciocchezze”, “la prossima volta me ne vado da [inserire nome di un Lord delle Costellazioni a caso], che quantomeno è già sposato”, “lo apprezzo molto ma non è il momento giusto”, “prima finisco di fare tutte le mie cose e poi se ne riparla”.
Ormai le conosceva a memoria, erano le stesse da anni.

 
«la convenienza è la base di ogni matrimonio duraturo. Sai che fine fa un castello costruito su una duna di sabbia come fondamenta?»

 
Ah, giusto, c’era anche quella risposta. L’aveva dimenticata. «mi sembra che il tuo si regga ancora in piedi dopo svariati millenni» ribatté.

 
«e difatti non ha le fondamenta di sabbia, genio! Andiamo bene! Mi raccomando, che non ti venga mai l’idea di decidere dove far costruire un castello, o come minimo lo troverai in fondo a un lago ghiacciato».

 
Nahema aveva potuto cambiare argomento, finalmente, ed era una fortuna: certi discorsi di Kitah a volte le rendevano difficile avere a che fare con lui. Parlare del più e del meno, di complotti vari o di sesso non era un problema, ma i sentimenti erano un’altra faccenda.

 
«mi credi veramente così cretino?»

 
«non so, pensavi che il mio palazzo avesse fondamenta di sabbia, dimmi tu!» disse, e si voltò per rientrare nella stanza.

 
Parlava così, ma scherzava, ma non lo riteneva affatto un cretino. Sarebbe stato un imperdonabile errore di valutazione, visto il modo in cui aveva ucciso gli ultimi Eagle e si era preso tutti i loro terreni, che ora gli appartenevano di diritto.
Sì, Nahema era a conoscenza di quel che Kitah aveva fatto, anche se non per bocca di quest’ultimo.

 
Quando sua madre era stata colpita dalla follia, Nahema aveva ricevuto una comunicazione nientemeno che da suo padre Kerasaas, che la invitava a raggiungerlo nel suo laboratorio appena avesse potuto.
Già solo per il fatto che suo padre avesse fatto qualcosa di così incredibile -sospendere le sue sperimentazioni per chiamarla!- Nahema aveva deciso di dargli retta, e  aveva sfruttato il primissimo giorno di congedo proprio per questo.
Non era la prima volta che entrava di soppiatto nel suo stesso palazzo, memore delle fughe di quand’era bambina, ma le sensazioni che aveva provato in quell’occasione erano state molto diverse: nessuno eccetto suo padre, cui aveva chiesto di mantenere il silenzio su quel suo breve ritorno, doveva sapere che era stata lì.
Arrivata nel laboratorio, Kerasaas l’aveva accompagnata di fronte a una porta blindata che lei aveva sempre visto chiusa, e una volta entrata si era trovata davanti un autentico tesoro: se un qualsiasi nobile o persona di potere in genere aveva uno scheletro nell’armadio, le informazioni e le prove -soprattutto quelle- su di esso erano lì.
Kerasaas le aveva detto che nei meandri del palazzo c’erano più e più archivi simili, anche se lui non sapeva dove, ma che tutto il materiale che vedeva era stato messo lì dentro proprio da Iyra, e la suddetta aveva voluto che passasse a Nahema nel caso a lei fosse successo qualcosa di brutto.

 
ora è tutto tuo. Ah, una cosa: so che era suo desiderio che tu prestassi attenzione al fascicolo che ha lasciato lì, sopra quella scrivania, prima che a tutti gli altri” aveva aggiunto suo padre “no, Nahema, non ho idea del perché, come non ho idea di cosa contenga: non mi permetterei di fare altro se non custodirlo, anche adesso”.

 
Il fascicolo era su Kitah, ed era stato così che Nahema aveva trovato la conferma a sospetti che aveva sempre avuto. Non era una stupida, e aveva immaginato che la morte degli Eagle non fosse stata propriamente dovuta a tragici scherzi del destino, anche se lei avrebbe preferito che fosse andata così.
All’interno c’era anche una nota che Iyra aveva scritto di proprio pugno: “ricordalo sempre, ora che non posso farlo io per te”.
Lapidaria, ma Nahema aveva capito quel che doveva capire, ed era sufficiente.
Aveva dato un’occhiata veloce a diversi altri fascicoli, poi era uscita, e quando aveva detto a suo padre di mostrare quella miniera d’informazioni ad Aladohar questi non si era opposto; del resto, come le aveva detto, ora quel materiale le apparteneva, e poteva disporne come voleva.

 
In seguito si era comunque recata da Kitah come aveva deciso di fare in precedenza, ma era diventata ancor più restia a sposarsi.
Era vero che aveva delle cose da fare ed erano più importanti di un matrimonio, quello sempre, ma c’era anche quest’altro motivo: come riuscire a fidarsi completamente di un ragazzo che aveva ucciso la sua prima moglie, per giunta in maniera così subdola? Un conto era sospettarlo, un altro saperlo per certo.

 
«il mio castello in ogni caso non ha fondamenta di sabbia» ribatté Taurus, da fuori «e la grande sala sotto il livello del mare, quella con le pareti di cristallo, sarebbe perfetta per un matrimonio».

 
«tralasciando il fatto che una eventuale cerimonia si svolgerebbe a Thanoushiradryas e non ad Atlantia, perché non avrei voglia di congelarmi anche durante le nozze, direi di chiudere qui un discorso che si è protratto anche troppo e che adesso è inutile, perché al momento non voglio sposarmi con nessuno».

 
Probabilmente era vero che Kitah l’avrebbe amata anche se anni prima fossero fuggiti via insieme sul serio e avessero vissuto lontani da lì, come plebei e con pochi soldi…ed era quel “probabilmente” che la fregava.
Anche Nahema a modo suo amava quel ragazzo, ma era troppo prudente, o troppo diffidente. Non era in grado di fidarsi al punto di sposarlo, e come darle torto? Eppure non riusciva a dire quel “no” assoluto.

 
«eh già…al momento!» ripeté Kitah, decidendosi a rientrare «ma un domani chissà!»

 
Un “no” che comunque non sarebbe servito, conoscendo il soggetto: Kitah non si sarebbe arreso lo stesso, e allora a che pro andare a infastidire un alleato? Se l’idea di rimanere lì a sperare in una loro unione ufficiale gli piaceva tanto, che continuasse pure. «Lord Kitah della Casa Taurus, tu sei la persona più testarda e ostinata che abbia mai conosciuto».

 
«sì, e pensa un po’: non sono testardo neppure la metà di quanto lo sei tu» si avvicinò e le baciò la fronte «pensi di aver preso abbastanza freddo, per oggi? Perché se così non fosse avrei un’idea».

 
«ossia?»

 
Lui sorrise. «quant’è che non torniamo nelle Terrae Albae?»

 
Le Terrae Albae si trovavano ai confini di Atlantia, erano piene di boschi ed erano chiamate così per le peculiarità della flora che vi cresceva: non soltanto l’erba e i fiori erano bianchi, ma anche le chiome degli alberi avevano di natura lo stesso colore della neve.
Era un paesaggio di una bellezza quasi surreale ma, soprattutto, in quel luogo c’era la grande casa in cui si erano appartati per un’intera settimana nei mesi di vacanza dall’Accademia Militare, quando avevano appena tredici anni e si curavano un po’meno dei loro doveri. Sette giorni decisamente speciali per entrambi, che Nahema ricordava di aver vissuto quasi come se si fosse trovata in una dimensione di sogno, complice anche la particolarità del luogo. «non ci torniamo dalla prima e ultima volta che ci siamo stati, undici anni fa».

 
«allora dovremmo rimediare».

 
«sì, forse dovremmo».

 
C’erano già delle cose complicate nella sua esistenza, e non voleva mettersi a pensare troppo anche al suo contraddittorio rapporto con quel ragazzo.
Magari poteva davvero permettersi di essere soltanto una qualsiasi ragazza di quasi ventiquattro anni, anche se solo per qualche momento: lasciarsi ossessionare da certe cose non avrebbe giovato a nessuno, lei stessa per prima, e Kitah non aveva torto nel dire che i suoi complotti, la sua missione e tutto il resto tra qualche giorno sarebbero stati ancora lì.

Purtroppo per le future vittime.

 

 

 

 

Buonasera!

 
Lo so che è stato un capitolo più pieno di chiacchiere che di altro, ma volevo farvi conoscere qualche altro lato di un personaggio (Nahema) che nei capitoli successivi…diciamo che tirerà fuori il suo peggio, ecco. Ho pensato che potesse servire per farvi capire che anche lei ha delle “mancanze”,chiamiamole così -vedi quel che è successo col fratello Aladohar, o meglio, che non è successo- e insicurezze varie, e quindi non è solo “cattiva” come nei prossimi capitoli potrebbe sembrare, e tantomeno è immune a pippe mentali piuttosto umane :’D e nel prossimo capitolo -o quello dopo ancora- un personaggio che chi ha letto LLD già conosce entrerà di colpo nella sua vita (e se mai qualcuno volesse qualche informazione in più sul suo background, c’è sempre questa one shot).

 

Già che ci sono vi lascio le immagini del palazzo dei Taurus ad Atlantia e delle Terrae Albae, trovate entrambe su google :)  Alla prossima!

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Capitolo 9
*** 9. 00-Spear ***


Premessa: i fatti raccontati qui si svolgono più o meno nello stesso periodo in cui si sono svolti quelli del capitolo precedente.


= 00- Spear =






«mai più! Mai più in tutta la vita! MAI! PIÙ!!!»

 
Kozmotis Pitchiner non aveva commesso molti peccati in vita sua, e in quei soli quattro minuti di viaggio aveva avuto modo di pentirsi di ognuno di essi almeno dieci volte.

 
«e tu saresti l’High General of the Galaxies, il marito di mia sorella, e tra poco il padre di mia nipote…andiamo proprio bene».

 
Stava per diventare padre, ma sua figlia aveva scelto un gran brutto periodo per venire al mondo, se si trattava di traffico e servizi in genere: era la stagione in cui la stragrande maggioranza della gente era ancora in vacanza, o era in strada di ritorno da essa, il che significava vie intasate e persone assenti al momento del bisogno.

 
Tornato a casa più in fretta che aveva potuto, Kozmotis si era trovato davanti la prospettiva di affrontare una quantità indefinita di ore di coda sulle strade. Inaccettabile, considerando che sua moglie doveva partorire quel giorno e lui voleva assolutamente essere presente, motivo per cui aveva sfruttato la sua posizione per richiedere un elicottero che lo portasse all’ospedale.
Peccato che tra ferie, assenze e disservizi vari, fosse risultato impossibile trovarne uno, anche per l’High General of the Galaxies.

 
Si era arreso all’idea di chiamare Aleha in ospedale per avvisarla che avrebbe ritardato di chissà quante ore, ma era stata Spear a rispondere.
Era stata la prima volta in cui lui e sua cognata si erano parlati dopo il matrimonio: contrariamente ad Aleha, che nonostante la sua completa disapprovazione aveva prevedibilmente finito con riallacciare i rapporti con Spear, lui non aveva proprio voluto saperne.
Comunque sia, la sua “cara” cognata lo aveva informato del fatto che ad Aleha si erano rotte le acque circa tre minuti prima. Una notizia che lo aveva messo in forte agitazione, sia per la sua stessa natura sia perché lui non era lì e probabilmente non sarebbe nemmeno arrivato in tempo per veder nascere sua figlia
Poi però aveva sentito distintamente Aleha urlare a sua sorella “vallo a prendere”.
E non solo.

 
vallo a prendere!

“c’è troppo traffico, non farei in tempo”.

“non era una richiesta, e tu puoi! Sto per avere una bambina e non voglio scuse! Va bene?!

 
Sì, sembrava che andasse bene, perché Spear -dopo un sospiro seccatissimo perfettamente udibile- gli aveva detto “aspettami lì, arrivo tra più o meno un quarto d’ora”, per poi chiudere senza aspettare una risposta.
Ma la cosa più incredibile era stata vederla arrivare lì da lui veramente dopo circa quindici minuti, saldamente in sella alla vecchia moto di Aleha -che quest’ultima non usava più da un pezzo- e le prime parole che gli aveva rivolto erano state “Aleha vuole che ti porti da lei, quindi muoviti”.
Kozmotis non era sicuro che fidarsi di Spear fosse una buona idea, non gli piaceva dover avere a che fare con lei e temeva che sfruttasse quell’occasione per cercare di ucciderlo in qualche modo o cose simili, ma la sola risposta di sua cognata -felice quanto lui della situazione- era stata ripetere la frase precedente come un disco rotto.
Più lentamente, come se avesse avuto a che fare con un cretino.

 
Dopo un’ultima esitazione, e non riuscendo a trovare alternative, si era deciso a salire dietro Spear, la quale non era affatto intenzionata a cedergli la guida della moto. Era stato a quel punto che le aveva rivolto la domanda.

 
“come diamine hai fatto ad arrivare qui in dieci minuti, col caos che c’è per le strade?!”

“tu pensa a reggerti, capirai il resto da solo, per una volta”.

 
Doveva ammettere che in effetti era andata proprio così: aveva iniziato a intuire qualcosa fin da subito, quando Spear era schizzata via a cento all’ora su quella moto evidentemente truccata, apparentemente infilandosi nel primo vicolo che aveva trovato.
Che dopo una serie di slalom -a volte contromano- e curve fin troppo brusche li aveva portati in un cantiere edile abbandonato.
Nel quale c’era un palazzo in costruzione, o forse restauro?, attorniato da impalcature di legno sulle quali Spear era salita, incurante dei suoi “ma perché?!”.

 
«ovvio, stai andando a ottanta all’ora su delle impalcature di legno!!!» gridò il ragazzo, avvinghiandosi a Spear come un’alga mentre sentiva la moto sobbalzare continuamente sotto di sé.

 
«e quindi?»

 
«hai anche il coraggio di domandarlo?!!» urlò «si può sapere che ti sei messa in testa?!»

 
«non deconcentrarmi, le cose stanno per complicarsi» fu la risposta della donna, che con sommo terrore del generale accelerò ulteriormente.

 
«cosa vuoi- » un’occhiata al percorso davanti a loro però lo fece ammutolire e diventare ancor più pallido di quanto già fosse, anche se grazie al casco nessuno poteva vederlo «Spear, l’impalcatura sta per finire!»

 
«ma no, davvero?» l’interpellata incurvò leggermente la schiena in avanti, per nulla interessata a quel che era stato appena detto.

 
«Spear fermati!!!» strillò Kozmotis, con un tono di almeno un’ottava più alto del solito «Spear FERMATI O FINIREMO AMMAZZATIIIIIIII!...»

 
Durante le sue missioni aveva volato sulle navi di legno stregate dai maghi, aveva volato sulle astronavi più moderne e sì, a volte era anche stato costretto a utilizzare dei paracadute per raggiungere determinati luoghi; quello era normale, ci poteva stare.
Saltare da un palazzo in costruzione, in due su una moto, era un’esperienza che non solo avrebbe voluto evitare, ma che giustamente non aveva mai immaginato di dover vivere.
Come non aveva immaginato che sarebbe morto così, e proprio in quel giorno.

 
Serrò gli occhi, incapace di tenerli aperti, e mentre percepiva la moto precipitare con loro due sopra si mise a recitare ogni tipo di preghiera che conoscesse, miste a svariate maledizioni tutte rivolte alla cognata e a un numero indefinito di “perdonami Aleha”/“perdonami Emily Jane”, che era il nome scelto per la figlia in arrivo.

 
Poi toccarono terra, e rimasero fermi, ma lo schianto violento che aveva immaginato non arrivò mai.

 
«quando hai finito di maledirmi fammelo sapere, così possiamo ripartire» disse Spear «ah, nel caso dovessi rigettare sei pregato di non farlo addosso a me».

 
La moto, ancora accesa, continuava a borbottare sotto di lui, e Kozmotis aprì lentamente le palpebre. «ma-ma cosa, dove?...un tetto?!!»

 
Proprio così, quella pazza furiosa aveva sfruttato l’altezza delle impalcature per saltare da esse al tetto di un palazzo vicino, decisamente più basso. Facendosi coraggio diede un’occhiata alla strada vicina a loro, strabordante di veicoli vari. Lassù c’era molta più pace, ma lui avrebbe preferito di gran lunga rimanere con i piedi ben piantati a terra.

 
«sì, è un tetto, e noi abbiamo diversa altra strada da fare» lo avvisò la donna.

 
Il generale non riusciva ancora a capire l’utilità di quel salto, e gli sembrava soltanto un tentativo di omicidio-suicidio, tanto che pensò di scendere; peccato che le gambe, ancora serrate attorno alla moto per la gran tensione e il grande spavento, non avessero alcuna intenzione di rispondere ai suoi comandi.

 
«ma come facciamo a scendere in strada?!»

 
«non scenderemo. Reggiti».

 
«EH?!»

 
Kozmotis fece giusto in tempo ad aggrapparsi di nuovo a Spear, la quale ripartì, diretta -con suo orrore- verso il ciglio del tetto. Stavolta quantomeno il salto durò pochissimo, e andarono a finire sul tetto vicino, ma il momento di sollievo durò poco: dopo quel salto ne venne un altro, poi un altro, e dopo un altro ancora!

 
«tu stai cercando di farmi venire un infarto, io lo so!!!» gridò il ragazzo.

 
«quante scene, e sì che dovresti essere un uomo d’azione».

 
«uomo d’azione, non pazzo scriteriato!!!»

 
Spear non rispose, ma Kozmotis fece uno strillo quasi femmineo quando l’ultimo salto durò più del previsto e, aperti gli occhi, vide che erano tornati in strada.
Già meglio di prima…

 
«ma cosa-»

 
«DOVE CAZZO VAI?!!!»

 
«EHI!!!»

 
Peccato che stessero viaggiando a tutta velocità lungo lo spazio tra le due corsie piene di automobili.
Ormai Kozmotis aveva perso il conto di tutte le infrazioni commesse in quei…quanto era passato? Tra uno spavento e un altro aveva perso completamente il senso del tempo.
All’anima del “migliorata”, come l’aveva descritta Aleha: Spear era e sempre sarebbe rimasta la donna che aveva decimato i suoi ufficiali con un candelabro. «tutto questo è folle!»

 
«guarda che se fosse stato per me non sarei certo venuta a prenderti» replicò Spear.

 
«sarebbe stato meglio arrivare in ritardo ma con tutte le parti del corpo al loro posto!»

 
«se cerchi i tuoi testicoli temo sia una causa persa» replicò la dottoressa.

 
«sì, perché tu negli anni me li hai disintegrati man mano!» ribatté Kozmotis.

 
L’amabile scambio di battute finì giusto in tempo perché alle orecchie di entrambi arrivasse distintamente il suono delle sirene della Gendarmeria.

 
«mi viene da dire “alla buon ora”, dopo tutti quei salti sui tetti» commentò Spear, osservando le -assai poche- motociclette delle Forze dell’Ordine «si vede proprio che questo è il periodo in cui la gente svogliata va in vacanza, Gendarmeria inclusa».

 
«la Gendarmeria ci insegue e tu!...“migliorata” un corno, fuori di testa eri e fuori di testa resti, e adesso fermati!» le intimò Kozmotis «sono l’High General of the Galaxies, se ora collaboriamo e dico loro che si tratta di un’emergenza forse possiamo cavarcela!»

 
«no, perderemmo tempo» disse Spear, lapidaria, non accennando a rallentare.

 
«ma

 
«stai zitto e aggrappati bene, se vuoi arrivare da lei intero!»

 
Spear accelerò bruscamente senza aspettare una risposta affermativa o negativa, lanciandosi in un pericolosissimo slalom tra i veicoli, con la Gendarmeria cercava di star loro dietro.
Non era solo una cosa folle, era peggio. Lui era la massima carica militare del regno -eccetto il re stesso- ed era coinvolto in un inseguimento come il peggiore dei fuorilegge.
Con sua cognata.
La “rispettabile” dottoressa Spear Sinetenebris.
Pazzesco. Assurdo.
Probabilmente prima o poi si sarebbe risvegliato nel proprio letto, e avrebbe scoperto che si trattava soltanto di uno stranissimo sogno, anzi, incubo.

 
Il generale urlò quando Spear fece una curva talmente brusca che quasi lo sbilanciò, imboccando la strada che portava a un cavalcavia sotto il quale si trovavano i binari su cui di solito transitavano i treni merci.
E la Gendarmeria sempre dietro, a sirene spiegate.

 
«stavo per cadere, MALEDIZIONE!!! Ci farai ammazzare entrambi, razza di-»

 
Se da parte di Spear ci fu una risposta lui non la sentì, coperta dal fischio del treno che stava per passare sotto di loro.

 
Proprio in quel momento, tuttavia, Kozmotis vide arrivare davanti a loro un nuovo problema. «ne arrivano altri! Davanti a noi!»

 
Vista la difficoltà dell’inseguimento, quei pochi gendarmi che c’erano avevano deciso di dividersi e di intrappolarli proprio sopra quel cavalcavia: metà stavano arrivando davanti a loro, andando contromano, e l’altra metà era alle loro spalle.
Kozmotis non vedeva altra via d’uscita da quella situazione se non usa resa immediata, prima di peggiorare le cose, ma Spear non stava rallentando affatto, se mai il contrario.
Male.
Molto male.

 
«dobbiamo fermarci e arrenderci, non te lo ripeterò un’altra volta! Non solo ci inseguono, tra poco arriveranno anche qui davanti a bloccarci, non possiamo fare altrimenti, e poi solo gli Dei sanno quante leggi-»

 
«mia sorella sta per partorire e noi dobbiamo andare da lei» lo interruppe Spear «il resto non ha importanza!»

 
Arrivata quasi a metà del cavalcavia, quando le tenaglie della Gendarmeria stavano per stringersi su di loro, Spear diede ulteriormente gas, e prima che Kozmotis potesse anche solo vagamente intuire le sue intenzioni saltò il basso guard rail che delimitava la strada, precipitando di sotto, dritta sul terzultimo vagone del treno merci.

 
“morirò. Morirò male. Morirò malissimo” fu il solo pensiero che Kozmotis riuscì a formulare, mentre occhi e bocca si spalancavano in un urlo silenzioso.

 
Poi sentì le gambe abbandonare la presa attorno alla moto, si sentì strattonare e, per finire in bellezza, diede una bella testata contro il tettuccio del vagone sul quale era atterrato. Gli parve di sentire un’esplosione, presumibilmente quella della moto, ma non poteva esserne sicuro: tutto quello a cui pensava era aggrapparsi a quel vagone con tutte le proprie forze, ancora stupito di essere vivo.

 
«muoviti, High General!» si sentì apostrofare «dobbiamo raggiungere il bordo e calarci giù tra un vagone e l’altro!»

 
«COSA?!!» gridò lui, sollevando appena la testa «non puoi chiedermi anche questo!»

 
«vuoi restare qui sopra per tutta la vita? Ti ricordo che Aleha-»

 
«sì, sta per partorire, LO SO, ho capito!» aveva creduto che con un candelabro in mano fosse pericolosa al massimo, ma sembrava proprio che si fosse sbagliato: su una moto era peggio, tragicamente peggio. «a momenti è un parto più difficile per me che per lei» borbottò tra sé e sé.

 
«appunto. Quindi datti una mossa» concluse Spear, avviandosi verso il bordo del vagone.

 
Kozmotis, dal canto suo, non poté far altro che fare appello a tutta la forza d’animo che gli restava e trascinarsi fino alla fine del vagone assieme a quella svitata, alla quale -se fosse sopravvissuto- avrebbe dovuto chiedere un paio di spiegazioni.

 
«ci siamo, ora caliamoci. Sei in grado di fare almeno questo senza lamentarti?»

 
«e tu sei in grado di fingerti sopportabile per almeno cinque secondi?»

 
Lei non lo degnò neppure di una risposta, eseguendo una complicata manovra per calarsi giù tra i due vagoni. Kozmotis la imitò, anche più agilmente: un conto erano pericolose corse e salti assurdi in moto, un altro situazioni che richiedevano una prestanza fisica che lui, ovviamente, possedeva.

 
«tra poco dovremo saltare giù» lo avvisò Spear «mentre venivo da te ho visto che qui, vicino alla clinica, c’erano alcuni isolati senza troppo traffico».

 
«siamo già vicini alla clinica?!» allibì il ragazzo.

 
«non ho corso su tutti quei tetti per sport. Preparati a saltare» lo esortò «ora!»

 
Riuscirono a saltare quasi in perfetta sincronia e a “cadere” bene, senza rompersi alcun osso: ancora una volta l’addestramento militare fu decisamente d’aiuto a Kozmotis, il quale provò una certa soddisfazione quando riuscì a rialzarsi prima di Spear. «muoviti, dottoressa! Aleha sta per partorire!» disse addirittura, in una palese presa in giro.

 
«non ho bisogno che me lo ricordi, la mia mente funziona a meraviglia, contrariamente ad altre» replicò la donna «allontaniamoci dai binari, liberiamoci dei caschi e raggiungiamo la strada: potremmo percorrere a piedi il tragitto che rimane, ma penso che nessuno si sognerebbe di rifiutare un passaggio all’High General of the Galaxies. L’unica cosa in cui la tua carica possa tornare utile, oserei dire».

 
Detto questo Spear raggiunse a passi veloci la breve salita che li avrebbe portati più lontani dai binari, e ancora una volta Kozmotis non poté far altro che seguirla; osservò la sua esilissima figura e, per l’ennesima volta, si disse che sua cognata era una strega fatta e finita. O un demone. Che un mucchietto d’ossa come lei potesse fare certe cose era inspiegabile.
Oppure…

 
«Spear!»

 
Lei si voltò e tolse il casco, mostrando uno sguardo che appariva solo leggermente seccato. «cosa?»

 
«non è che sei un agente segreto al servizio di Sua Maestà, o di qualche famiglia delle Costellazioni?» le domandò Kozmotis, togliendosi il casco a sua volta «parli poco, sei tetra, fai cose!…tutto tornerebbe».

 
«“torna” solo nel tuo cervello evidentemente danneggiato dal colpo di prima. Non sei neanche degno di una risposta, davvero» disse la dottoressa, tornando camminare.

 
«oppure magari qualcuno ha fatto qualche esperimento su di te ma non lo ricordi!» insistette Kozmotis «e “Aleha sta per partorire” è la frase di innesco per-»

 
«non per far tacere i rompicoglioni, a quanto pare».

 
«non usare quel tono con me, strega psicopatica, altrimenti io»

 
«se stai per dire “ti sparo” ti fermo subito».

 
Kozmotis ammutolì: Spear gli stava puntando contro una pistola, la sua, che gli aveva rubato chissà quando. Quando lei gli restituì l’arma tenendola per la canna la sua agitazione diminuì, ma soltanto di poco. «allora niente, rimane valida la mia teoria sul fatto che sei un demone degli abissi».

 
«puoi teorizzare quel che vuoi, purché tu lo faccia in silenzio e camminando. Cerca di non sembrare più agitato del dovuto».

 
La voglia di dare inizio a un bel litigio con lei, anche solo per sfogare tutta la tensione accumulata, era veramente tanta, ma Kozmotis fu abbastanza intelligente da intuire che quello non era il momento, né il luogo…e che comunque litigare con un demone degli abissi, anche se privo di candelabro, moto e pistole, non era una grande idea.
Dopo aver alzato gli occhi al cielo, dunque, si limitò a seguirla procedendo a passi veloci, tornando a stupirsi di quanto sembrasse calma, nemmeno facesse cose simili tutti i giorni. «e tu cerca di sembrare agitata come una persona che si rende conto di essere saltata sopra un treno in corsa. Di’, ma l’avevi già fatto?»

 
«il salto sul treno no».

 
«perché, il resto invece sì?!»

 
Spear non gli rispose, ma vedendo un’automobile a trecento metri di distanza fece uno scatto da centometrista e corse avanti, per poi far cenno di fermarsi alla donna che la guidava.
Kozmotis non la raggiunse in tempo da capire cosa le avesse detto, ma vide distintamente Spear indicarlo, e la donna -che evidentemente lo aveva riconosciuto- guardarlo stupita.

 
«sì…sì, certo signori, non c’è problema! Non è una deviazione così lunga rispetto alla strada per casa mia!...non che mi sarebbe importato, in caso contrario» aggiunse, visibilmente emozionata «voi, dottoressa, avete curato con successo mia zia tempo fa, ed è ancora in buona salute!»

 
«me ne rallegro, signora».

 
«e l’High General of the Galaxies! Nientemeno!...la massima carica militare del regno sta per diventare padre e IO lo sto accompagnando da sua moglie! Io!» squittì, mentre Kozmotis e Spear salivano sull’automobile «quale onore!»

 
«non avete idea di quanto sia grande il favore che mi state facendo, signora. È incredibile la condizione delle strade e anche dei servizi in questa stagione, davvero!» commentò il generale «sappiate che sono in debito con voi».

 
«non parlatene nemmeno, Lord Pitchiner, non parlatene nemmeno, non mi dovete nulla!» ribatté la donna, mettendo in moto «solo…sarà un maschio o una femmina?»

 
«sarà una femmina!» rispose Kozmotis, e lo fece volentieri «e si chiamerà Emily Jane, come mia nonna».

 
«che nome grazioso!» trillò la donna.

 
«oppure Seraphina» aggiunse Spear «come la trisnonna mia e di mia sorella. Aleha ha sempre detto di voler chiamare così un’eventuale figlia femmina».

 
Se la donna che guidava avesse visto lo sguardo di Kozmotis in quell’occasione, probabilmente si sarebbe spaventata temendo che volesse commettere un omicidio. Ma per fortuna non poteva vederlo, dal momento che lui era seduto sul sedile posteriore.

 
«però alla fine ha deciso di chiamarla Emily Jane, e chi più della madre ha il diritto di scegliere il nome della creatura che mette al mondo?» disse, con un tono allegro completamente fasullo: che quella si permettesse di sindacare anche sulla scelta del nome di sua figlia era veramente il colmo.

 
«hai ragione» disse Spear «nessuno più della madre ha diritto di scegliere il nome di sua figlia».

 
“io prima o poi la strangolo” pensò il generale, sperando che il viaggio e anche la successiva permanenza in clinica durassero il meno possibile.

 

 

 

***

 

 

 

Tutto quel che Kozmotis avrebbe desiderato era che il parto di sua moglie fosse miracolosamente indolore, ma era chiaro che fosse chiedere troppo, e sentirla gridare in quel modo, vederla soffrire in quel modo, gli stava causando un’ansia indicibile. Sapere qualcosa sul parto era un conto, assistervi era tutt’altro paio di maniche, e lui non riusciva a far altro se non tenerla per mano e farfugliare un “tranquilla andrà tutto bene” ogni tanto.

 
«dai Aleha, spingi! Ci sei quasi, la testa è quasi fuori!...Coraggio!»

 
Per Spear non valeva lo stesso discorso. Non era imperturbabile o tetra come suo solito, anzi, in quell’occasione -contrariamente a prima con tutte quelle cose folli- gli sembrava viva, piena di premure verso sua sorella e, incredibile ma vero, umana.
Non un demone degli abissi, ma una persona che assisteva degnamente  una sorella a cui voleva molto bene.

 
«s-siamo sicuri che sia tutto norma-»

 
«, Kozmotis, ti assicuro che sta andando tutto come deve andare» lo interruppe Spear «quindi non stare in ansia. E soprattutto non mettere in ansia Aleha» aggiunse, in un sibilo al suo orecchio «provaci e ti butto fuori dalla stanza a calci».

 
Come non detto, quella di umanità era solo mera apparenza. Almeno con lui. «la sento urlare così, che dovrei dire secondo te?» sibilò di rimando «non sono esperto di parti!»

 
«e allora muto!»

 
«DOVETE PROPRIO DISCUTERE ANCHE ADESSO?!!» urlò Aleha, stringendo tanto forte la mano di Kozmotis che questi impallidì dal dolore, senza però osare lamentarsi: con quel che stava passando Aleha, il minimo era che un po’di dolore toccasse anche a lui.

 
«no che non dobbiamo, noi siamo qui per te» disse Spear, con una strana dolcezza «e ora tu devi dare due ultime spinte, due soltanto!...vai così!»

 
Il grido di Aleha si mescolò con quello spaccatimpani della bambina appena venuta al mondo, prontamente recuperata dall’ostetrica, e tutti quanti poterono fare un sospiro di sollievo.

 
«la mia bambina» fu la prima cosa che disse Aleha, con lo sguardo reso un po’spento dalla stanchezza «lei…»

 
«sta benissimo» disse Spear, mentre metteva la neonata a contatto della madre «e anche in questo momento riesce a essere bellissima…è evidente che ha preso molto da te».

 
La frecciatina non venne minimamente presa in considerazione da Kozmotis, troppo preso a contemplare la sua bambina. Non gli importava quanto potesse essere sporca, o che lo sforzo fatto per venire al mondo non giovasse al suo aspetto: per lui sua figlia, con quelle sue manine minuscole e quei pochi capelli corvini sul capo, era già l’essere più bello, fantastico e meraviglioso di tutta la galassia. «la nostra Emily Jane è bellissima».

 
«…o Seraphina».

 
Ancora?! Era incredibile che anche in quel momento Spear si ostinasse a battere su quel chiodo. «non te lo ripeterò un’altra volta: si chiama Emily Jane! Ti serve uno spelling, per caso?!»

 
«non sei in grado di fare uno spelling» replicò Spear «Seraphina le starebbe molto meglio, perché-»

 
«non tirare di nuovo fuori la storia che la vostra antenata Seraphina era la figlia ribelle del barone Saiph!» la interruppe Kozmotis «non me ne potrebbe importare meno, Emily Jane è un nome molto più bello».

 
«Seraphina è più elegante».

 
«Emily Jane è più moderno!»

 
«Emily Jane Seraphina Pitchiner!» intervenne Aleha, mentre coccolava la suddetta Emily Jane «e detto questo vedete di farla finita! Insieme siete la piaga di partorienti e puerpere, davvero».

 
«ehm…è ora che la bambina venga lavata e visitata» intervenne timidamente l’ostetrica «il padre dovrebbe venire con me, e portare i vestitini…»

 
«i…cosa?» disse Kozmotis, colto alla sprovvista e improvvisamente nel panico. I vestitini, le cose per la bambina! Come aveva potuto dimenticarsene?! Eppure sapeva che avrebbe dovuto portarli!

 
«il cervello, ecco cosa» disse Spear, appioppandogli in mano un grosso borsone «qui c’è tutto. Vai».

 
Anche quando Spear faceva del bene gli rendeva veramente impossibile trovare la voglia di dirle “grazie”.

 
Dopo aver dato un bacio ad Aleha, e averle detto che lui ed Emily Jane sarebbero tornati presto, seguì l’ostetrica fuori dalla sala parto. Non c’era niente da fare, pensò, lui e sua cognata si sarebbero sempre odiati, tanto da non riuscire a comportarsi civilmente neppure in quell’occasione.

 
“alla fine però non è colpa mia se oltre a fare cose ha un carattere orribile! Ho capito che ha avuto una vita difficile, ma non per questo è autorizzata a trattare ME come se fossi un escremento di gatto stellare o peggio…e comunque è sempre la persona che ha maledetto me e sua sorella al matrimonio, cosa che non dimenticherò finché avrò vita!”

 
Per fortuna che la nuova casa in cui sarebbero andati a vivere sarebbe stata completata a breve, e che sua moglie aveva rispettato la sua richiesta di non dire nulla a Spear del loro eventuale -in realtà sicuro- trasferimento.
Aleha non era ancora del tutto convinta, in quel caso, perché le piaceva il suo lavoro, le piaceva il suo quartiere e la gente che lo abitava, e in più si era riappacificata con sua sorella, ma alla fine avrebbe ceduto: tempo pochi mesi e sarebbero andati via, nascosti da tutto e tutti. Se si voleva vivere tranquilli era la cosa migliore, e se ne sarebbe fatta una ragione.

 
Guardò Emily Jane in braccio all’ostetrica.

 
“è anche per difendere te da pessime influenze esterne che lo faccio. Proteggerò te e tua madre da tutto quel che può minacciarvi, qualunque siano i pericoli. È una promessa!”

  

 

Buonasera! Anzi, ormai buona notte :’D

La prima cosa che ho da dirvi è questa: è tutta colpa di Skyfall. Ho commesso l’errore di rivedere quel film, soprattutto l’inizio, ed ecco che un viaggio in moto già turbolento di suo si è trasformato in quello che avete letto, e Spear in 00- Spear.
Non che sia un agente segreto, ma il fatto è che-

 
Kozmotis: se dici “sua sorella stava per partorire” ti sparo.

 
Sì quella cosa lì, e avete già visto che, se si tratta di Aleha, lei "fa cose", per citare Kozmotis.


Già che c’ero ho sfruttato questo capitolo per inserire la questione Emily Jane/Seraphina: nel fandom italiano e straniero, in particolare quest’ultimo, è nota tanto con un nome quanto con l’altro, nonostante la wiki ufficiale dica “Emily Jane”. Qui se non altro Aleha ha tagliato la testa al toro :’D

 
Nel prossimo capitolo ci sarà un salto in avanti di diversi anni, verranno spiegate alcune cose che nel capitolo precedente hanno sollevato qualche domanda, e si vedrà quel personaggio di cui avevo parlato la scorsa volta.
No, non cambierò idea in corsa, il capitolo è già pronto :D

 Alla prossima,

 
_Dracarys_


Ah, un'ultima cosa: immaginate automobili, elicotteri e veicoli vari in versione un po'steampunk. A giudicare dalle immagini del Moon Clipper che ho trovato, direi che i veicoli un po'più "articolati" avevano quello stile.

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Capitolo 10
*** 10. Sussurri striscianti ***


= Sussurri striscianti =






La successione ininterrotta di rumori acuti che da circa mezz’ora si udiva in un luogo isolato appena fuori da quell’avamposto militare ai confini della parte est del regno dei Lunanoff avrebbe potuto risultare estremamente fastidiosa, alle orecchie di alcuni, ma non per la donna intenta ad affilare le lame dei due coltelli che si portava sempre appresso, assieme alla pistola laser in dotazione, ovviamente.

“caporale Silk”. 

Recitava così la medaglietta che penzolava dal suo collo robusto, ma mentiva, esattamente come lei mentiva sul proprio nome ogni giorno da sette anni a quella parte, come mentiva il colore dei suoi occhi -modificato da una banale pastiglia reperibile da qualunque alchimista nel regno dei Lunanoff- e quello dei suoi capelli. 
Come mentivano gli innesti in finta pelle su tutto il suo corpo, in particolare quello sul lato destro del volto, rendendolo orrendamente sfigurato per nascondere una voglia color vinaccia che, altrimenti, avrebbe reso immediata la sua identificazione.

All’arciduchessa Nihil Nahema della Casa Aldebaran non aveva mai pesato fingersi una qualunque plebea dal passato nebuloso e, per quel poco che aveva inventato a beneficio di chi aveva il coraggio di farle domande, tetro: a dire il vero aveva trovato anche piuttosto divertente immaginare una nuova identità partendo da zero.

Quel che l’aveva seccata un po’era stato degradarsi a caporale, anche se solo per finta, dopo essersi fatta per anni un mazzo tanto arrivando al grado di maggiore, e avrebbe potuto arrivare ben più in alto, perché non le mancava proprio nulla. 
Dava importanza al proprio titolo solamente quando ciò le tornava comodo, riteneva sciocco “gonfiarsi” tanto perché il caso aveva voluto che fosse nobile di nascita, ma ciò che aveva guadagnato per puro e semplice merito era tutt’altro paio di maniche, ed ora eccola lì…a prendere ordini dall’Eroe degli Eroi.

 

Al pensiero fece un sospiro, alzando gli occhi al cielo.
Riconosceva a Lord Kozmotis Pitchiner di essere abile esattamente quanto dicevano tutti, e che quindi c’erano stati validi motivi dietro alla sua nomina a Lord High General of the Galaxies.

Riconosceva anche la sua indiscussa lealtà alla corona, e quella verso i propri uomini: il generale era il tipo d’uomo che non avrebbe mai abbandonato i suoi soldati per salvarsi, ritenendo -scioccamente?- che la vita di ogni soldato semplice valesse tanto quanto la sua. Era compassionevole fino all’ultimo anche verso i suoi nemici, e quando poteva farlo evitava di ucciderli, preferendo catturarli ed imprigionarli nella Prigione Maxima, insistendo altresì che venissero trattati umanamente.

Nahema aveva compreso presto che Kozmotis Pitchiner, o Lord Pitch come lo chiamavano, era onesto e integerrimo come pochi nella galassia. Fin troppo.
Una vera “anima candida”, insomma, che gli orrori della guerra non erano riusciti ad insozzare in alcun modo…ed era proprio quello che l’aveva indotta ad alzare gli occhi al cielo. 

Nihil Nahema non riteneva che la guerra fosse il posto giusto per le anime candide, e pensava che l’atteggiamento di Pitchiner con i nemici fosse davvero sciocco. Perché catturare i Dream Pirates, imprigionarli e mantenerli a spese della corona -che, a sentire sua sorella Nihil Rerazara, non aveva di che scialacquare- oltretutto col rischio che riuscissero a evadere, quando invece avrebbero potuto ucciderli e liberarsi del problema con tutta la semplicità del mondo? Sarebbe stata anche la soluzione più divertente. 

Ricordava con nostalgia le "battute di caccia al Nightmare Man" cui, un tempo, dava inizio dopo aver sbaragliato le armate nemiche.
Di norma non era una persona sadica, non uccideva se non era strettamente necessario né amava vedere altre persone provare dolore, ma quei “mostriciattoli” -così li chiamava lei- non erano delle persone vere e proprie, erano dei mangia anime aborti della natura, e portavano a galla un lato di lei che tendeva a rimanere ben sepolto.
Lei e i suoi soldati li inseguivano, li prendevano e li uccidevano tutti quanti, tranne uno scelto a caso, il quale veniva torturato -spesso da lei personalmente- e rispedito dai suoi compatrioti, così da trasmettere il messaggio.
Gran bei tempi, quelli!

Poi c’era stata la realizzazione della “brillante” idea di sua madre di farla fidanzare col principe Tsar Lunar XI, più grande di lei soltanto di tre anni. Un progetto a cui Nihil Iyra Aldebaran lavorava probabilmente da quando Nahema non era ancora venuta al mondo, e su cui l'aveva edotta da quando aveva raggiunto l'età per capire qualche altra parola oltre a “mamma” e “oro”. 

Dopo diversi temporeggiamenti -e infinite arrabbiature da parte di sua madre- principalmente dovuti alla convinzione che un simile legame ufficiale avrebbe ridotto di molto la libertà che aveva ai tempi, a vent'anni suonati Nahema le aveva dato finalmente retta.
Non era andata male, Tsar Lunar Lunanoff XI era una delle persone migliori che avesse mai conosciuto -e lui, ignorante dei dettagli riguardanti il suo atteggiamento coi “mostriciattoli”, pensava lo stesso di lei- e quelli passati come sua fidanzata erano stati due begli anni per entrambi, ma la vita di “moglie del re” non faceva per lei.

Era stata cresciuta per governare in prima persona, ne sarebbe stata perfettamente capace ed era qualcosa che il re stesso aveva riconosciuto, ma era una posizione che le tradizioni gli impedivano di darle, e sotto sotto -forse- lui aveva temuto che, se fosse andato contro le tradizioni, la sua figura sarebbe stata schiacciata da quella di Nahema,  più carismatica .

Poi Tsar si era innamorato della figlia di un mercante di stoffe preziose, tal Beileag Stone, e a quel punto, di comune accordo e senza rancori, avevano rotto il fidanzamento. Quella di regina consorte non era una posizione cui Nahema ambiva particolarmente, checché ne dicesse sua madre, e in ogni caso lei aveva sempre un legame antecedente con un altro uomo da poter riprendere dopo due anni di pausa, anche se “questo era un dettaglio marginale” -così si ripeteva.

A quel punto Nahema era andata via, lasciando a Tsar una lettera in cui gli comunicava che sarebbe tornata al fronte, senza dare altri dettagli.

Tsar aveva atteso un anno e mezzo per legarsi ufficialmente alla sua amata -così da “salvaguardare l’onore” di una ex fidanzata a cui voleva sempre bene- e poi, con buona pace di tutti o quasi, lui e Beileag si erano sposati.

Nihil Nahema era del tutto libera da vincoli, e ne era felice, ma ciò per gli Aldebaran aveva significato dover trovare una strada alternativa per raggiungere il loro obiettivo: il cambio di dinastia regnante. 
La grande macchina delle alleanze aveva dunque iniziato a muoversi ancor più alla svelta, spinta dalle immense risorse della sua famiglia, rinforzando legami preesistenti e intrecciandone di nuovi, e in virtù di questo i suoi fratelli e sorelle avevano iniziato a fidanzarsi, guarda caso, con i rampolli delle Case più importanti -a livello strategico- tra le varie Costellazioni.

Oltre a ciò, sua sorella Nihil Rerazara, come “risarcimento” ma anche per merito, all’età giusta era stata presa dal Re come Ministro Supremo dell’economia, posizione eccellente per raccogliere prove della…non eccelsa…gestione delle risorse finanziare da parte della coppia reale, troppo portata alle opere di bene, mentre Nihil Ralonrin era stato scelto come medico di corte, avendo così modo di venire a sapere tutto ciò che accadeva all'interno del palazzo.

Tutto era sempre proceduto bene, anche se la follia aveva colpito sua madre Iyra portando qualche complicazione sullo stabilire “chi avesse l’obbligo di fare cosa” e creando un velo di acredine nel rapporto tra Nahema e Aladohar.

Nulla di irrisolvibile, minimizzava Nahema, ma intanto era contenta di non essere su Aldebaran I o i pianeti limitrofi.


C’era solo un piccolo, minuscolo, insignificante particolare: la sua missione, quella che la stava tenendo lontana da casa, non stava andando come doveva. 
Oltre a trattare segretamente con i Dream Pirates, coi quali grazie a certi mezzi aveva stipulato un accordo -se “fate quel che voglio o vi schiavizzerò tutti privandovi delle vostre coscienze, perché posso” si poteva definire così- da diverso tempo a quella parte aveva capito di dover trovare qualsiasi appiglio per distruggere Kozmotis Pitchiner.
Con la prima di questa due cose non aveva avuto problemi, ma la seconda si era rivelata difficile.

Ucciderlo non era mai stato nei suoi intenti, la sua famiglia avrebbe preferito averlo dalla propria parte che vederlo morto, ma in quei sette anni in cui aveva imparato a conoscerlo Nahema si era resa conto che la sua lealtà ai Lunanoff era troppo grande perché lui potesse essere corrotto, motivo per cui era bene che qualcun altro subentrasse a lui nel comandare l’armata più grande e potente del regno.

O meglio, qualcun’altra.
Non sarebbe stato male diventare prima High General of the Galaxies e poi regina.

 

Escludere l’omicidio però aveva reso tutto più complicato.

 

Non si poteva distruggere la reputazione del generale, perché quell’uomo era qualcosa di più che irreprensibile, amato e rispettato da tutti, purtroppo per lei.

Aveva pensato di disseminare false prove che portassero le persone ad accusarlo di chissà cosa, ma aveva dovuto lasciar perdere: non le era venuto in mente niente che potesse risultare credibile, e quella di High General of the Galaxies era una posizione elevata, abbastanza da poter insabbiare facilmente certe cosucce.

A livello mentale, poi, Nahema non aveva mai visto psiche più sana di quella di Lord Pitch e anche lì non aveva trovato appigli a cui agganciarsi per iniziare a corroderla.

 

L’unica cosa positiva era che in quei sette anni avesse imparato a conoscerlo bene, al punto di poterne prevedere facilmente le mosse, e che avesse capito quali erano i suoi unici punti deboli: sua moglie Aleha e sua figlia Emily Jane, le persone che il generale amava più di ogni altra cosa. 

Avendole nelle proprie mani avrebbe potuto chiedere a Pitchiner di fare qualunque cosa volesse, e lui l’avrebbe accontentata.

Peccato che, nonostante tutto lo spiegamento di forze degli Aldebaran, l’ubicazione della sua dimora risultasse sconosciuta. Sapevano soltanto che si trovava da qualche parte nei territori degli Orion, il che non era troppo d’aiuto, vista la loro vastità.

Cercare informazioni dalla sorella maggiore di Lady Pitchiner, Spear, sarebbe stato inutile: non aveva idea di dove si trovassero, e si mormorava di un terribile litigio tra lei e i due sposini appena prima che partissero, circa sei anni prima, avvenuto proprio per quel motivo.
Non che a Spear Sinetenebris fosse mai piaciuto il cognato: Nahema ricordava perfettamente la conversazione avuta con lei qualche giorno dopo la nomina di Pitchiner ad High General, periodo durante il quale la dottoressa aveva fatto parte del personale medico dell’armata in cui si trovavano lei e Kitah.


“ho sentito che vostra sorella ha un fidanzato illustre, dottoressa. L’High General of the Galaxies, nientemeno! Sbaglio?”
“purtroppo no, ma spero sempre che mia sorella rinsavisca presto”.
“si direbbe che Lord Kozmotis Pitchiner vi piaccia poco”.
“non poco, per niente”.


In seguito non avevano avuto altri grandi scambi d’opinioni, e lo considerava un peccato perché la dottoressa non le dispiaceva come persona e sarebbero stati sicuramente interessanti, ma la schiettezza di Spear, in quell’occasione, l’aveva divertita.

Ora che la sua missione andava a rilento, però, Nahema non si stava divertendo affatto.

Non era servito neppure che Lady Faeliria, primogenita della Casa Orion, fosse sposata con suo fratello Aladohar: Pitchiner, prima di finire nel “mirino” della sua famiglia, aveva chiesto ed ottenuto dal capofamiglia Orion l’autorizzazione a costruire casa sua da quelle parti senza essere costretto a specificare dove.

Si diceva che avesse costruito tutto quanto da solo, proprio per evitare fughe d’informazioni, e Nahema aveva finito col crederci: o quello, o aveva ucciso tutti coloro che avevano collaborato. A nulla era valso anche farlo seguire discretamente da alcune spie le volte in cui tornava a casa, perché Lord Pitch sempre a depistare tutti appena prima di entrare nel territorio degli Orion.

A volte l’Alto Generale Perfezione era quasi detestabile, davvero.


«in sette anni non ho ottenuto nulla. Sto fallendo miseramente…» si trattenne dal prendere a pugni il terreno in un moto di pura stizza «maledizione. Se solo sapessi dove sono moglie e figlia potrei anche costringerlo a vestirsi come un topo lunare e farsi scopare allegramente da tutti i suoi soldati, e invece!...»

Appoggiò la schiena contro il muro, sospirando. “E invece” niente, per sua sfortuna!

«fingerti plebea ti ha spinta ad adottare un linguaggio adeguato, da quel che sento».

Nahema si era rizzata in piedi di scatto, coltelli in mano e pronta ad uccidere, appena il suono di una voce femminile sconosciuta aveva raggiunto le sue sensibili orecchie, ma per quanto si guardasse attorno non riusciva a scorgere nulla che rivelasse la posizione della sua interlocutrice.

Chiunque fosse sembrava essere a conoscenza della sua vera identità, e dunque andava eliminata.

Rimase in silenzio, cercando di captare qualunque cosa potesse tornarle utile allo scopo, invano. 

«perché non metti giù quegli spilli? Sono inutili con me. Non solo posso diventare invisibile, ma anche intangibile, per cui poco importa che tu sia una macchina per uccidere: non sono alla tua portata, e vengo in pace. Anzi…a dirla tutta sono qui per darti un aiutino».

Davanti a Nihil Nahema, all’improvviso, comparve una tra le creature più inquietanti che le fosse mai capitato di vedere. 
La parte superiore era quella di una donna dalla pelle viola, dai capelli corvini, e un viso a modo suo quasi bello, con quegli occhi dalle iridi gialle circondati da una sorta di tatuaggio nero; dai fianchi in giù, invece, le sue fattezze erano quelle di un serpente dalla coda nera, spessa e lunga oltre dieci metri.
L’arciduchessa ormai ventinovenne aveva viaggiato molto, ne aveva viste di cose, ma mai nulla del genere. «ottimo. Però dimmi chi sei, cosa sei, come mi fai a sapere chi sono, in cosa consiste questo “aiutino” e perché vuoi darmelo».

La donna serpente, per nulla piccata dalle parole di Nahema, distese le labbra nere e piene in un sorriso. «auspicare un “per favore” dalla capofamiglia Aldebaran è troppo, mh? D’accordo, credo sia meglio andare subito al sodo» disse, strisciando verso Nahema «so dove si trova la dimora del caro generale Pitchiner. È ben nascosta in una luna minuscola tra tre pianeti, circondata da una cintura di asteroidi nella quale è presente solo un passaggio sicuro per raggiungerla, ma quello lo troverete da soli. Le coordinate di casa Pitchiner sono OR-W-17-35C-4528. So che non avrai difficoltà a ricordarle. Puoi ordinare un controllo se, come penso, non ti fidi».

D’accordo, la faccenda si stava facendo decisamente strana e allarmante. Se quel che diceva la donna serpente era vero, e non si sentiva di escludere a priori che lo fosse, quell’informazione poteva essere risolutiva per la sua missione, ma cosa poteva volere in cambio di quell’indicazione e del suo silenzio? Perché voleva vedere Pitchiner distrutto? Che accidenti di creatura era?! urgeva indagare. «verificherò. Chi sei?» le domandò di nuovo «cosa vuoi in cambio? Da che mondo è mondo nulla è gratis».

Quando la creatura le si avvicinò ancora, Nihil Nahema si allontanò bruscamente. Non ne aveva paura, ma non intendeva finire avvolta dalle sue spire.

«hai mai sentito parlare delle Ephemerides, arciduchessa?» le domandò la donna serpente, quasi sottovoce «magari in qualche racconto, o hai letto in qualche libro le poche notizie che riguardano la mia specie».

“Ephemerides”. Non le era nuovo, aveva sentito parlare di questa fantomatica razza ancestrale durante i propri viaggi ma, come tutti, le aveva sempre considerate una leggenda metropolitana o poco più. «Ephemerides. Ho presente. Donne serpenti nomadi, vivete in piccoli gruppi e vi spartite la galassia, o le galassie, in zone…»

«hai fatto i compiti, allora. Che brava!» l’Ephemeride aveva un tono di voce tanto dolce e accondiscendente che ci mancava solo che si mettesse a fare le fusa. Ignorò l’indurirsi dell’espressione di Nahema a quel suo atteggiamento: non era qualcosa che potesse importarle. «dunque, ora hai capito cosa sono?»

I muscoli di Nahema, in tutto ciò, erano ancora tesi e pronti allo scatto, per quel poco che avrebbe potuto servirle. «ovviamente».

«sai di cosa mi nutro?»

Oh, sì. Delle poche leggende sulle Ephemerides, quello era l’aspetto più conosciuto. «ti nutri di dolore. Devo farti notare che, in tutta questa digressione, non mi hai ancora detto cosa vuoi in cambio».

L’Ephemeride fece una risatina. «avevo pensato che fossi più sveglia. Ti ho dato modo di trovare la famiglia del generale Pitchiner. Un uomo molto famoso, un eroe che ormai da troppi anni sembra praticamente invulnerabile a qualunque sentimento negativo, in special modo il dolore. È qualcosa che fa storcere un po’il naso alle altre Ephemerides con le quali condivido il regno dei Lunanoff, ma l’unica che intende fare qualcosa a riguardo è la sottoscritta, per cui eccomi qui a fare il lavoro sporco» sospirò «non c’è più rispetto per gli anziani, è una cosa così irritante!...comunque, cosa credi che voglia in cambio?» puntò lo sguardo in quello dell’arciduchessa sotto mentite spoglie «fai sì che i Dream Pirates tuoi alleati sterminino la sua famiglia. Spezza quell’uomo. Fa’ in modo che provi un dolore tale da impazzire. Ci guadagneremo tutti quanti. Lord Pitch soffre» indicò le pareti dell’edificio con un gesto distratto «Nahema vince» indicò lei «Tanith mangia» concluse, indicando se stessa «mangia molto, mi auguro».

Dunque si chiamava Tanith. Nihil Nahema avrebbe ricordato a vita il suo nome, con eterna gratitudine se quelle informazioni fossero state veritiere e l’avessero portata al successo, con sentimenti ben diversi se quelle fossero state menzogne. Ma in fin dei conti, perché Tanith avrebbe dovuto mentirle, se dicendo il vero avrebbe ricavato qualcosa da tutto ciò? «avresti potuto dirlo direttamente ai Dream Pirates, per ottenere quel che vuoi sarebbe stata una mossa ugualmente efficace. Perché a me?»

Tanith sorrise. Nahema aveva già notato il suo sguardo “affamato”, ma pareva che pensare ai pasti futuri lo accentuasse, rendendolo ancor più evidente. «il tuo modo di fare non mi dispiace, e sei una di quelle che, da quando sono presente in questa zona, mi ha fornito molti lauti pasti con le sue azioni. Ho voluto ricambiare il favore…per averne altri ancora. Fai buon uso di quanto ti ho rivelato. Presto, magari».

Nahema avrebbe voluto rispondere adeguatamente, ma non fece in tempo: com’era comparsa, l’Ephemeride era sparita lasciandola sola, immersa nel silenzio. Dopo circa un minuto passato a ispezionare il territorio circostante con lo sguardo, si sedette di nuovo a terra.

Avrebbe informato Nihil Aladohar appena avesse potuto: un controllo non costava nulla, e se Tanith avesse avuto ragione…tombola. Non aveva ancora di che festeggiare, eppure sorrise, soddisfatta.

«caporale Silk».

Non diede il minimo segno di stupore, ma di certo non si aspettava che proprio Kozmotis Pitchiner, futura vittima delle sue azioni, le comparisse dietro senza che lei se ne accorgesse. Sia come sia, si alzò e fece un perfetto saluto militare. «generale Pitchiner».

«presumo che tu abbia sentito i miei passi, come sempre».

No, affatto, era troppo assorta nei propri pensieri. «sissignore. Se mi permettete, è curioso vedervi qui fuori. Avete ordini per me?»

Il giudizio di Kozmotis Pitchiner su quella donna era ancora in sospeso, nonostante fosse con lui da diverso tempo. A Kozmotis non piaceva la sua totale spietatezza coi nemici durante le azioni di guerra, che cozzava con i propri ideali, e non amava molto neppure il suo atteggiamento enigmatico: Silk non sembrava avere problemi a trovarsi in sua compagnia, aveva sempre un atteggiamento educato con lui e non gli aveva mai mancato di rispetto in alcun modo ma, allo stesso tempo, sembrava voler mantenere le distanze, come testimoniava il fatto che, contrariamente agli altri, non l’avesse mai chiamato “Lord Pitch”.
Certo, in battaglia si era sempre dimostrata più che efficiente -colpire un Dream Pirate alla testa da mezzo miglio di distanza non era da tutti!- e perfettamente affidabile, per cui non riteneva un errore tenerla nella propria armata, però…

Bah. Forse non era colpa di Silk, quanto piuttosto sua, che si faceva troppi problemi. Ognuno aveva il proprio vissuto e il proprio carattere, il caporale non faceva eccezione, ed era assurdo giudicarla per questo! Non tutti erano come lui, che dalla vita aveva avuto tutto: talento in battaglia, un cervello niente male -secondo lui- un aspetto a parer suo non da buttar via, una salute di ferro, soldi, fama, gloria e, soprattutto, aveva accanto praticamente da sempre la sua anima gemella, dalla quale aveva avuto una meravigliosa bambina. Aveva perso entrambi in genitori in giovane età, e sua cognata era una strega maligna, ma quando faceva un bilancio della propria vita si riteneva ugualmente un uomo molto fortunato, anche perché ormai vedeva Spear soltanto una volta al mille. «no, caporale, ma gli uomini mi hanno riferito di averti vista uscire, e ho ritenuto opportuno verificare che fosse tutto a posto, nonché invitarti a rientrare. Il territorio che circonda l’avamposto dovrebbe essere libero da pericoli di qualunque sorta ma, pur sapendo che sai difenderti più che bene, ritengo anche che la prudenza non sia mai troppa. Non si sa mai chi si potrebbe finire a incontrare».

“non sai quanto hai ragione, 'Lord' Pitch”.

«rientro immediatamente, generale. Avevo soltanto cercato un po’di tranquillità qui all’esterno, ma vi do la mia parola che eviterò di ripetere una simile azione, se voi non siete d’accordo».

«non era un ammonimento ufficiale, non essere così rigida, caporale: ormai dovresti sapere bene che non mordo» le sorrise perfino, tentando una debole battuta.

«ne sono consapevole, signore» replicò la donna. Immaginando che il generale avrebbe apprezzato un sorriso di ricambio, gliene rivolse uno.

«bene. Rientriamo».

Si diressero all’ingresso dell’avamposto. Pitchiner rientrò per primo, un po’ più disteso, ripetendosi che non c’erano motivi per inquietarsi del carattere chiuso di certe persone.

 

Nahema, invece, si avvicinò al portone con la speranza di poter finalmente dare una svolta alla sua missione.

Si girò a guardare alle proprie spalle un’ultima volta, prima di rientrare.

Tanith, prima di sparire definitivamente, le sorrise.

 



Vi avevo detto che in questo capitolo sarebbe comparso un personaggio che già conoscevate, ed eccola qui: ebbene sì, Tanith era in giro già da allora.
Ed era vecchia.
Ho altresì cercato di dare alcune delle spiegazioni promesse a chi era rimasto perplesso su alcuni dettagli temporali, e spero che siano state comprensibili.
Ora la domanda è "come hanno fatto gli Aldebaran a convincere i Nightmare Men e compagnia ad 'allearsi', se vogliamo definire così la cosa?"
La risposta nel prossimo capitolo :) ...che dovrei intitolare "il patatracchete", se volessi sintetizzare la situazione in modo terra terra, ma credo che gli darò un titolo che si confà un po' di più al dramma della situazione :'D

Alla prossima,

:heart: :heart: rvmp :heartbreaker:_Dracarys_ :heartbreaker: :heart: rvmp :heart: 

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Capitolo 11
*** 11. Una promessa spezzata ***


Questa volta tengo particolarmente a ringraziare KausBorealis per tutte le recensioni che ha lasciato a questa storia, e alla sua pazienza nel ripostarle tutte quante!

I server di EFP purtroppo ci sono contro, ma questo non cambia nulla, e prima o poi i tuoi commenti, e anche quelli più recenti degli altri, torneranno sicuramente visibili J

 

Detto questo, buona lettura.

 

 

 

= Una promessa spezzata =







«…quindi non vedo quale alternativa sia possibile rispetto a ciò che penso io sulla questione, ma ho voluto comunque chiederti spiegazioni, caporale. Ti sei sempre rivelata affidabile in battaglia, sei nella mia armata da anni. Preferirei che non fossi la traditrice che sembri essere, e di aver frainteso i tuoi atteggiamenti».

Kozmotis Pitchiner era tornato a casa propria da neppure una settimana, ed ecco che gli era giunta la notizia di un attacco in massa dei Dream Pirates proprio ai confini del territorio degli Orion.

La piccola luna dove aveva nascosto la propria dimora era piuttosto lontana da quel punto specifico, ma non aveva potuto esimersi dal salutare moglie e figlia e ripartire, facendo il proprio dovere di High General of the Galaxies, come sempre.

Peccato che la notizia dell’attacco in massa fosse fasulla: i nemici erano soltanto un gruppo non troppo numeroso di cui lui e la sua armata si erano occupati in meno di un quarto d’ora ma, contrariamente ai suoi commilitoni, Pitchiner aveva notato un dettaglio che agli altri era sfuggito: una conversazione per nulla ostile, seppur non troppo lunga, tra il caporale Silk ed il capo di quel gruppetto, appena prima che questi riuscisse a scappare. Gli era parso di vedere Silk consegnargli qualcosa, ma non era sicurissimo, e non sapeva cosa fosse di preciso.

Non se l’era sentita di far diventare quel fatto un caso di Stato, almeno non immediatamente: il tradimento del caporale sarebbe stato uno scotto principalmente per lui stesso -nessuno nella sua Armata Dorata aveva mai anche solo pensato di tradire, per quanto ne sapeva- perché avrebbe fatto crollare miseramente la sua ferma convinzione di saper valutare bene le persone.

Quindi aveva deciso di fare due chiacchiere con Silk, prima di prendere provvedimenti.

«traditrice, dite? No, Lord Pitch, a diventare traditrice della patria non sarò io. Ma magari voi! Sapete, se ci fossero più malpensanti in circolazione, la vostra ferma volontà a prendere vivo ogni Nightmare Man, Dream Pirate e Fearling possibile e metterli tutti nello stesso luogo potrebbe essere scambiata col voler, man mano, radunare un esercito con cui dare l’assalto al reame».

Lord Pitch era indignato per quel che Silk aveva appena insinuato -“insinuato”…tanto per utilizzare un eufemismo- ma era anche allibito: non solo l’atteggiamento della donna aveva improvvisamente subìto un mutamento radicale da rigidissimo e serio a rilassato e quasi sfacciato, ma la nota fredda che di solito era udibile nella sua voce era scomparsa, sostituita da una divertita e, incredibilmente, sorrideva. L’espressione era quella di un cacciatore che, catturata la sua preda, si apprestava a decidere cosa farne di preciso…e Pitchiner avrebbe mentito, se avesse asserito di capirne la ragione. «tu vaneggi, caporale, tutto questo tempo al fronte deve averti resa pazza».

«sono ben lungi dall’essere folle: estremamente ambiziosa magari, ma folle proprio no. Mi avete chiesto spiegazioni, Lord Pitch» Silk poggiò i gomiti sul tavolo, intrecciando le dita delle mani «e io intendo darvene, o almeno, darvi alcune di esse. La prima: sapevo benissimo che mi stavate osservando, quando ho consegnato il gemello di questo» da una tasca tirò fuori un minuscolo comunicatore ad alta tecnologia «al mostriciattolo. La seconda: volevo che mi vedeste. La terza: avete agito come avevo previsto, e state parlando con me da solo, probabilmente sperando di aver frainteso quello che avete visto e di non aver sbagliato a pensare che fossi una brava persona».

Pitchiner, perplesso ma altrettanto inquieto per quell’analisi accurata, la osservò con sguardo penetrante. «non capisco dove vuoi andare a parare, e la mia teoria sulla tua pazzia resta valida. Perché hai messo in piedi questo teatrino, caporale Silk?»

«perché ci sono due modi in cui questa conversazione può finire, e ci sono delle strade che devo spianare nel caso mi costringiate a seguire il piano originale».

Conosceva la pericolosità del caporale, per cui, istintivamente, Lord Pitch si preparò a rispondere all’eventuale assalto, apprestandosi ad impugnare una qualsiasi delle armi che aveva con sé. «spiegati» le ordinò, gelido «evita di parlare per enigmi. Quali sarebbero questi due modi?»

Silk si stiracchiò. «uno è che voi, al termine della nostra chiacchierata, usciate di qui senza colpo ferire, vi autodenunciate per alto tradimento alla corona ammettendo…beh, quel che vi ho detto prima, che in realtà siete in combutta con i nemici del regno e quella di catturarli vivi è una strana scusa per radunare un esercito. Ma la vostra coscienza non ce la fa più a sostenere un simile peso, siete pentito, per cui avete deciso di confessare, e rinunciare al vostro titolo, comprendendo di non esserne minimamente degno. La vostra reputazione ne uscirebbe distrutta, è vero, ma siete un eroe del regno, e la pena capitale ormai è in disuso: ve la cavereste con diverso tempo in una prigione, presumo».

«che cosa?» Pitchiner, incredulo, fece una breve risata senza allegria «asserisci di non esserlo, ma sei folle veramente! Perché mai dovrei fare una cosa del genere? Non ci penso nean-ma che accidenti…?!»

Era osceno a vedersi, ma pareva che Silk avesse infilato le falangi di pollice e indice sotto la pelle della guancia destra, all’altezza di quella cicatrice che le deturpava il volto in modo a dir poco orribile. «dovreste farlo sia perché vi conviene, che perché ve lo ordino io. Il mio nome non è Silk. Non sono un caporale, e non provengo dal pianeta di donne guerriere nel territorio degli Scorpio».

Davanti agli occhi attoniti del generale, Silk sollevò buona parte di quello che si stava rivelando null’altro che un innesto di pelle finta, mostrandogli una voglia color vinaccia la cui forma ricordava moltissimo quella di una stretta e sottile stella a otto punte.

Un segno che Lord Pitch già conosceva, che chiunque fosse minimamente pratico delle nobili famiglie della Golden Age, le Costellazioni, conosceva, e che lui aveva visto molto bene sul volto dell’ex colonnello Nihil Aladohar della Casa Aldebaran, sia in gioventù -un pessimo incontro, in cui lui era un tredicenne e Aladohar un novenne- sia qualche anno prima, quando l’armata di quest’ultimo aveva supportato la sua.

La donna che gli stava davanti non sembrava più giovane dell’arciduca, se mai il contrario, per cui, escludendo a priori le varie sorelle minori, restava un’unica possibilità.
L'undicenne che aveva incontrato diciotto anni prima era decisamente cresciuta, e non era diminuita in pericolosità, se mai il contrario. «non so cos’abbiate in mente, arciduchessa Nihil Nahema, ma sappiate che non intendo assolutamente obbedirvi, anzi, sapendo che siete in combutta con i nostri nemici farò di tutto per fermarvi! A cosa puntate? Al regno, forse?!»

Nahema sospirò, risistemando l’innesto di pelle finta. «forse. Sicuro di non voler prendere in considerazione l’idea di obbedire, generale?» diede un’occhiata all’orologio in dotazione, mentre la lancetta dei secondi avanzava veloce «siete proprio convinto al cento per cento?»

«assolutamente! Non avreste dovuto neppure osare chiedermelo!»

Qualche secondo dopo Nahema sbuffò una breve risata e ruppe il comunicatore, disintegrandolo nel pugno sinistro. «allora questo non serve più. Niente ordini contrari, ma quando al dunque è meglio così, dopotutto avevo un debito da saldare. Molto bene, Lord Pitch» si alzò tranquillamente in piedi «vostra la decisione, vostra la responsabilità per le conseguenze. Tenetelo a mente».

Inspiegabilmente il generale avvertì un’improvvisa morsa gelida all’altezza dello stomaco. Aveva un brutto presentimento, anzi orribile, e un’inquietudine serpeggiante stava inesorabilmente montando dentro di lui. «cosa…» si schiarì la voce, ignorando i battiti del cuore, che aveva iniziato ad accelerare «cosa volete dire? Quali ordini contrari e debiti intendete?! Parlate!» fece per afferrarla, ma Nahema gli sfuggì facilmente dalle mani.

«lo scoprirete tra qualche istante».

La porta si spalancò all’improvviso, ed un maggiore dell’Armata Dorata entrò trafelato; un segno che doveva esserci una reale emergenza, o non si sarebbe mai permesso di agire in quella maniera! «sign-caporale Silk, guarda dove vai!» sbraitò quando Nahema, nel correre via dalla stanza, lo urtò accidentalmente «generale, abbiamo ricevuto altre notizie-»

«non è il momento, adesso! Bisogna catturare il caporale Si…Nahema!» si corresse, inseguendo quest’ultima.

«i Dream Pirates stanno attaccando in massa per davvero!!!» esclamò il maggiore, confuso su quel che Lord Pitch aveva appena detto, ma concentrato sul resto «stanno oltrepassando una cintura di asteroidi, convergono tutti alle coordinate OR-W-17-35C-4528, e non si capisce per-»

Sentendo quelle coordinate, il generale interruppe la propria corsa, impietrito. 

Guardava davanti a sé con gli occhi sbarrati, ma non vedeva nulla. Per qualche attimo dimenticò persino di respirare, mentre nella sua testa martellavano sia quelle coordinate, quelle di casa sua, che le penultime frasi di Nahema: “vostra la decisione, vostra la responsabilità per le conseguenze”…le conseguenze…”tenetelo a mente”.

Ma Silk/Nahema non contava più per lui, ormai, non contava più catturarla, non contava più fermarla.

Fu solo vagamente consapevole di stare impartendo l’ordine di dirigersi tutti sul posto immediatamente, si rese conto solo a stento di come le sue gambe si mossero facendolo correre nella sala comandi della nave ammiraglia, di stare urlando a tutti quelli che capitavano di sbrigarsi, che non c’era tempo da perdere, e poco gli importava se quel modo di agire poteva sembrare ineducato, o non da lui: aveva in testa solo i volti di moglie e figlia, la voce di Emily Jane che gli aveva fatto promettere di tornare a casa… .-


“tornerò presto”.


Sentì nel pugno sinistro il gelo del medaglione argentato donatogli da sua figlia, quello con dentro il ritratto di quest’ultima.


“lo prometti?”


Sì, lui l’aveva promesso, l’aveva promesso sulla sua stessa anima. Ma erano loro due la sua anima, Aleha e la sua adorata Emily Jane, meravigliosa, cara Emily, che aveva i suoi stessi occhi, e ora…

E ora…


“vostra la decisione”.


Ora avrebbe potuto perderle entrambe, poteva averle già perse, per quanto ne sapeva.


“vostra la responsabilità per le conseguenze”.


Le conseguenze per non aver obbedito, per aver detto di “no” ad una nobile di sangue che non lo era altrettanto d’animo -alla faccia del proverbio!- per aver rifiutato di perdere la propria rettitudine agli occhi di tutti, di farsi devastare la reputazione.


“tenetelo a mente”.


Ma a cosa serviva avere una reputazione integra, se il prezzo da pagare per mantenerla era la distruzione dell’unica cosa che contasse davvero?!

“non le perderò. Non le perderò. Io le salverò. Io sono Kozmotis Pitchiner, Lord High General of the Galaxies. Mi batto tutti i giorni per proteggere un intero regno, e lo faccio bene. Salverò la mia famiglia. Non fallirò. Non devo fallire. Non posso fallire”.

Per gli Dei, perché quel maledetto viaggio sembrava durare così tanto, perché era tutto così dannatamente lento, proprio adesso?!...

***






Fuggire dalla nave ammiraglia di Pitchiner era stato semplice come previsto: per il generale, sapendo che la sua famiglia era in pericolo, catturare lei era passato in secondo piano.

Nihil Nahema si era appropriata con tranquillità assoluta di una navicella d’emergenza, e aveva impostato le coordinate per un piccolo satellite disabitato appena al di fuori del territorio Orion -non distante dal luogo del finto attacco di massa- in cui, come da piani, suo fratello Nuro l’avrebbe recuperata. 

Non poteva dire di conoscere bene tutti i propri fratelli: era entrata presto nell’ambiente militare, per sua stessa volontà, giusto pochi anni prima di suo fratello Aladohar, e impegni su impegni le avevano portato via moltissimo tempo.

Altri suoi fratelli avevano fatto la stessa cosa, e/o si erano sposati molto presto, e poi c’erano quegli ultimi sette anni d’assenza…
Conosceva il ventunenne Nihil Nuro un po’di più, ma sua sorella Nihil Kehazilia e suo fratello Nihil Iruhu -rispettivamente quindici e quattordici anni- le erano soltanto vagamente presenti, mentre aveva visto solo due volte i piccoli di casa, Nihil Taha e Nihil Texu, entrambi di otto anni.

Lei e i suoi fratelli erano molto uniti nell’intento di raggiungere i propri obiettivi, e alla fine era quel che contava davvero, ma non c’era la sensazione di calore che invece, da quel che ricordava, trasmettevano Tsar Lunar Lunanoff e i suoi genitori, pur essendo tutte persone adulte. 

Un tempo c’era stato qualcosa di simile solo tra lei, Nihil Aladohar e anche con Nihil Rerazara -seppur un po’meno- ma il tempo trascorso si era portato via anche questo, in special modo da quando la loro madre aveva perso la ragione sei anni prima, ed Aladohar aveva rinunciato al suo ruolo di colonnello per occuparsi delle “faccende da Lord della Casa Aldebaran”. 
Certo, forse per un uomo sposato -e innamorato della moglie, con la quale stava da quattro anni- era meglio così, ma Nahema sapeva che per lui era stata dura rinunciare a tutto.

Aveva notato l’amarezza nella voce di Aladohar ogni volta che l’argomento veniva sfiorato: lui a casa, lei al fronte, e poi a puntare al titolo di Lady High General of the Galaxies, il massimo grado militare.

Stava vivendo il sogno di suo fratello, e poco importava che fosse anche parte del suo. Quella di Lady High General, per lei, sarebbe stata solo una tappa prima di sottrarre il trono ai Lunanoff, mentre per suo fratello sarebbe stato il punto d’arrivo.

A volte pensava che, in nome dell’ambizione, la sua famiglia avesse perso, stesse perdendo, ed avrebbe continuato a perdere tante cose.

«qui Gold Star. Missione compiuta. Mi dirigo alle coordinate stabilite. Mi aspetto che tu sia già sul posto. Passo».

Staccò dal volto i vari innesti di pelle finta, e passò una mano tra i capelli, con un leggero sospiro. Non vedeva l’ora che tornassero lunghi, e del solito blu scuro. A volte era una fortuna avere un padre alchimista, i cui preparati potevano risolvere facilmente certe cosucce…

– qui Red Star. Ti aspetto. Passo e chiudo.

Quella voce la fece trasalire. Non era di Nuro, non era quella che si aspettava. A dirla tutta la possibilità di poterla sentire in quel frangente non le era passata neppure per l’anticamera del cervello.

Una sensazione di perplessità con una punta d’agitazione che non avrebbe mai ammesso né mostrato l’accompagnò per quel che restava del viaggio. Raggiunse il satellite, atterrò alle coordinate stabilite…e lui non solo era già sul posto come aveva detto, ma era anche sceso dalla sua navicella.

“non cambia nulla” si disse Nahema, aprendo il portello per poi scendere a sua volta “avrei dovuto comunque parlargli di persona una volta tornata su Aldebaran I”. «Aladohar. Vederti qui è…inaspettato».

Capelli blu scuro, occhi verdi brillanti, un po’ di barba, alto almeno un metro e novanta, come lei. Da ventenne a ventisettenne non era cambiato quasi per nulla, forse perché sette anni prima sembrava già più “adulto” di quanto fosse.

«ho le cariche esplosive» disse lui, mostrandole una valigetta «mettiamole a posto».

Nahema non ribatté, limitandosi a procedere come da piano. Aperta la valigetta, lei e Aladohar posizionarono le cariche sulla navicella d’emergenza che aveva utilizzato per fuggire, senza dire una parola. L’atmosfera non era piacevolissima, ma d’altra parte Nahema se l’era aspettato.

«fatto» disse Aladohar, un paio di minuti dopo.

«bene» disse l’arciduchessa, e si avviò verso la navicella del fratello, impassibile.

«sette anni…»

Nahema si voltò a guardarlo. Aladohar stava venendo verso di lei a passo lento, guardandola dritta in volto.

«sette maledetti anni che non ci vediamo, in cui non ci siamo mai parlati faccia a faccia, e tu hai davvero creduto che avrei lasciato che fosse Nuro a venirti a prendere?» le chiese Aladohar, con voce quasi incrinata «dopo tutto questo tempo?»

Nahema non era tipo da abbracci, così come non lo era Aladohar, eppure eccoli lì, abbracciati stretti come se avessero avuto l’intenzione di non staccarsi più.

«cos’è tutto questo sentimentalismo?» gli chiese Nahema, sollevando un sopracciglio «hai preso qualche strano preparato alchemico?» 

«pfff. Macché» borbottò l’arciduca «è che ci sono delle cose che mi hanno fatto riflettere» disse, entrando nella navicella assieme a Nahema «e ho pensato che non si sa mai quel che può accadere, per cui meglio abbracciare una volta in più quando si può, che pentirsi in seguito di non averlo fatto abbastanza. Sai che il generale Pitchiner non mi è in simpatia, ma…diciamo che in questo momento non lo invidio affatto».

Presero entrambi posto, chiusero il portello e si prepararono al decollo.

«io gli ho dato la chance di limitare i danni, ma non è stato in grado di coglierla. Renin Altair, Kitah e Lord Vega sono stati avvisati?»

«sono pronti a testimoniare che hai passato questi sette anni di “esilio” a combattere ai confini più estremi dei loro territori, con bei risultati e qualche momento particolarmente epico. Nessuno crederà a Kozmotis Pitchiner quando griderà al complotto. Sarà un pover’uomo sotto shock e dalla psiche in pessime condizioni che lancia accuse impossibili contro degli arciduchi notoriamente nemici dei mostriciattoli, va’ a capire come mai» disse Aladohar, decollando.

«accusare me solo perché ho un fisico simile a quello delle donne di un lontano pianeta nel territorio degli Scorpio è da pazzi» annuì Nahema, premendo un pulsante. Sentirono vagamente il rumore della navicella d’emergenza che esplodeva.

«non è molto sicuro lasciare la massima carica militare ad uno così» asserì Aladohar «dovrebbero darla a qualcuno di più assennato. Come te, per esempio».

Passò qualche secondo. «Aladohar, voglio essere diretta» esordì Nahema «la massima carica militare è parte del mio sogno, ma era anche il tuo obiettivo finale, e-»

«lo era. Ma nostra madre non è più in grado di intendere e volere da sei anni, nostro padre è sempre rinchiuso nel suo laboratorio, e tra poco avrò un figlio. Rinunciare a quel sogno inizialmente mi è costato, e ammetto di aver provato un po’ d’acredine nei tuoi confronti, Nahema…ma le responsabilità che ho sono quelle che sono, e tutto sommato essere “solo” un arciduca straricco con una moglie che ama moltissimo, e che lo ama altrettanto, non è poi così male. Se qualcuno deve avere quella carica, voglio che sia tu» affermò, con estrema sincerità.

«ottimo» inspiegabilmente, Nahema si sentì come se qualcuno le avesse tolto di dosso un peso che non si era neppure resa conto di portare. 

 

«oltre a questo mi sono resto conto che, tutto sommato, nostra madre non aveva previsto che fossi veramente tu ad occuparti a tempo pieno dell’amministrazione delle nostre terre» disse Aladohar «se anche ti fossi sposata con il re avresti dovuto pensare al regno, non alle nostre faccende. Doveva per forza toccare a me o a qualcuno degli altri».

 

«non avevo mai considerato questo punto di vista» ammise Nahema «ma penso proprio che tu abbia ragione, Aladohar…e ora, finalmente, possiamo dare inizio alla nostra vera missione».

 

“Finalmente”, davvero: Nahema era in grado di portare pazienza come un ragno in attesa delle sue prede, ma era normale che fosse felice di poter andare avanti dopo aver passato sette anni senza aver concluso molto.

Anche se questo significava la morte di una donna che in quei giochi di potere non c’entrava proprio nulla, e strappare una bambina di sei anni alla sua famiglia per utilizzarla in qualche modo in seguito, cose che non la rendevano altrettanto contenta.

Non andava fiera di quel che aveva fatto, distruggere la famiglia di un uomo perché questi avrebbe potuto rappresentare un problema era atroce, e Nahema lo sapeva benissimo; tuttavia la piena consapevolezza di quel che stava facendo non aveva fermato la sua mano, perché non aveva trovato un altro modo per raggiungere lo stesso risultato.

 

 

“cosa credi che voglia in cambio? Fai sì che i Dream Pirates tuoi alleati sterminino la sua famiglia. Spezza quell’uomo. Fa’ in modo che provi un dolore tale da impazzire. Ci guadagneremo tutti quanti”.

 

 

Ma pensandoci bene, dopo la conversazione con Tanith -essere che si era dimostrata altamente pericolosa- Nahema aveva veramente mantenuto la possibilità di scegliere?

Forse era meglio non arrovellarsi troppo su quella questione: a quel punto i giochi erano fatti, il suo debito era stato pagato, e ci avevano guadagnato per davvero.


«è una bella fortuna che papà abbia trovato quel manufatto, come l’ha chiamato?» tornò a parlare Aladohar.

«Barra del Comando, per comodità» rispose pronta Nahema «detta altresì “Schiavizza Mostriciattoli”».

Era accaduto sei anni fa, il giorno in cui era tornata a casa in segreto proprio su richiesta di Kerasaas. Oltre a mostrarle quel che Iyra gli aveva chiesto di mostrarle, le aveva fatto vedere anche un oggetto decisamente interessante, arrivato da poco nel suo laboratorio: un manufatto costruito da una razza ancestrale - “dalla quale credo discendesse quel Kraken Divoratore che avevi portato qui in casa anni fa*, nientemeno!” aveva detto- che, da quel che era riuscito a capire, dava al possessore il dominio sugli antenati di quelli che oggi erano nemici del regno: Dream Pirates, Nightmare Men e compagnia bella.

Era una specie di cilindro di uno sconosciuto metallo scuro striato di rosso, senza decorazioni e abbastanza piccolo da poterlo portare sempre con sé senza che impicciasse. Da com’era fatto sembrava che fosse possibile aprirlo, o comunque dividerlo, ma nonostante i tentativi di Kerasaas le due estremità della verga non avevano voluto saperne di staccarsi.

Poi Nahema lo aveva preso in mano, ed era successa una cosa imprevista: il cilindro si era diviso, e tra le due estremità di era formata una sfera di luce piccola, ma tanto luminosa che li aveva quasi accecati.

Appena lei lo aveva lasciato cadere sul tavolo si era richiuso, e non c’erano state conseguenze, ma quella reazione era stata a dir poco curiosa; per questo suo padre, dicendo di non avere ulteriore tempo da dedicare allo studio di quell’artefatto, glielo aveva affibbiato con un’alzata di spalle.

 

«peccato che non sappiamo come si usa! Hai detto che si accende quando lo tocchi, ma non sai neppure perché».

«poco importa, finché i mostriciattoli non sanno che non lo sappiamo. Faranno quel che diciamo loro di fare, ed è l’unica cosa che conti».


Quel cilindro era stato il mezzo per ottenere l’ “alleanza” con i Nightmare Men -e tutti i loro sottoposti di conseguenza.

Ne aveva attirato di proposito un gruppo in un luogo in cui non potesse essere vista dai suoi commilitoni, e aveva provato a tirare fuori la Barra per vedere cosa sarebbe accaduto.

Ricordava bene la paura nei loro occhi giallastri privi di pupille quando avevano visto quell’artefatto, e si erano spaventati ancor di più vedendolo attivarsi.

Lì Nahema aveva giocato un po’ d’azzardo, facendo credere loro di saper usare quello strumento e di poterli ridurre in stupidi esseri privi di volontà; poi aveva aggiunto che in nome del rispetto verso di loro in quanto essersi intelligenti -rispetto che in realtà non provava affatto- preferiva cercare un’alleanza piuttosto che schiavizzarli, e che dunque la scelta stava soltanto a loro.

La fortuna aiuta gli audaci, e infatti Nahema aveva ottenuto quel che voleva: sufficiente obbedienza da parte di quei mostri.

 
«solo una cosa: devi spiegarmi come hai fatto a trovare casa di Pitchiner!» esclamò Aladohar, guardandola incuriosito «all’improvviso, dopo sette anni, te ne esci con le coordinate precise…non è che per caso tu e lui?…»

«ah no, non è proprio il mio tipo! Meglio un’orgia con quindici mostriciattoli, davvero».

Aladohar rise. «e allora come hai fatto?»

«una donna serpente lunga più di dieci metri mi ha fatto una soffiata perché voleva mangiare».

«va bene, va bene, ho capito, non vuoi dirmelo! Proprio come da piccoli» borbottò Aladohar «quando ti rifiutavi di dirmi come facessi a rubare le cose dal laboratorio di nostro padre».

«io ti ho detto quel che dovevo, poi se non mi credi è affar tuo».

***






«mia moglie e mia figlia. Dove sono?»

Lo sguardo era spiritato, le mani gli tremavano leggermente, e il volto pallido era costretto in un’espressione che avrebbe voluto essere dura e impassibile ma che in realtà tradiva solo la speranza disperata di non essere arrivato veramente troppo tardi, l’angoscia di non sapere che fine avesse fatto la sua vita -perché questo erano moglie e figlia per lui, la sua vita- e la terribile paura che forse…forse…NO!

Non doveva pensare al peggio. Non doveva.

Le avrebbe recuperate. Le avrebbe salvate.

Sarebbe finito tutto bene…

«beh, non qui, Pitchiner. Tu le vedi?» disse il capo di quel folto gruppo di Dream Pirates, con fare tranquillo e arrogante, come se fosse convinto di non andare incontro alla morte per quel che lui e gli altri avevano fatto o, piuttosto, come se non gli fosse importato.

I soldati dell’Armata Dorata osservavano la scena con una certa preoccupazione. Non avevano mai visto il loro comandante ridotto in quel modo, con quell’aria tanto scioccata da sembrare quasi folle, e la maggior parte di loro aveva un gran brutto presentimento a riguardo, oltre ad essere terribilmente dispiaciuti per quel che era successo. Amavano e rispettavano Kozmotis Pitchiner, e mai gli avrebbero augurato del male.
Poi c’era anche la faccenda della sparizione del caporale Silk. Pareva che in tutto il bailamme che si era creato avesse disertato con una navicella d’emergenza, chissà come mai! …ma non era quel che contava, al momento. 

«è perché sono state catturate? Le avete catturate?!»

Si sentiva come se dentro di lui ci fosse stato un mostro ad artigliargli e dilaniargli lo stomaco con un’intensità spietata che aumentava secondo dopo secondo. Sentiva il battito del proprio cuore risuonargli nelle orecchie con forza, come fosse stato un tamburo di guerra…o quello che in altre civiltà precedeva una condanna a morte. 

«catturarle? A che pro?» 

Al generale Pitchiner iniziò a mancare il fiato. Sentiva la propria mente…strana. Come se iniziasse a distaccarsi da lui, dalla realtà che lo circondava. 
Il mostro nel suo corpo affondò di nuovo gli artigli nel suo povero cuore già straziato da un’angoscia sempre più insopportabile. «avete…» a stento riusciva a pensarlo, figurarsi a dirlo, ma doveva farlo per forza «avete fatto loro del male?» 

Il Dream Pirate scoprì i denti neri appuntiti in un orribile sogghigno. «no, generale! Le abbiamo soltanto uccise».

Per un attimo, Kozmotis Pitchiner si “disconnesse” completamente dalla realtà. Riuscì a vedere solo gli occhi fiammeggianti del Dream Pirate, mentre l’eco delle due parole gli rimbombava in testa di continuo, sempre più forte, sempre più intensamente. 


“le abbiamo soltanto uccise”.

“soltanto uccise”.




Aleha, la sua adorata moglie, la donna della sua vita, la sua metà…la sua bambina, la sua Emily Jane, la sua piccola, dolce, innocente Emily Jane…
La sua bambina di soli sei anni…




“tornerò presto”.

“lo prometti?”




Lo prometti?

Sì, lo aveva promesso, ed era tornato presto.
Ma non abbastanza.

«è la verità?» si sentì chiedere. La sua lingua ormai andava da sola.

«assolutamente sì. Trovi il cadavere di tua moglie fuori dalla finestra della vostra camera da letto, in fondo allo strapiombo: si è uccisa, quella sciocca! Ma lascia perdere quello della bambina. Ho provveduto personalmente a far sì che non ne restasse nulla».

Qualcosa dentro Kozmotis Pitchiner si ruppe irrimediabilmente. L’uomo tutto d’un pezzo che era sempre stato non esisteva più, si era appena disintegrato in mille frammenti, come la convinzione che le sue donne fossero al sicuro e che lo sarebbero sempre state, come la speranza di poterle accarezzare, baciare, abbracciare di nuovo. 
Non avrebbe potuto farlo più…mai più…

Il mostro che aveva in corpo ruggì, bramando solo di essere liberato. Il volto del generale divenne freddo come ghiaccio, con l’eccezione degli occhi, animati da uno scintillio pericoloso. «metteteli in fila» ordinò seccamente ai suoi uomini, senza distogliere lo sguardo da quello del Dream Pirate.

«generale…» azzardò timidamente un maggiore, ma si zittì immediatamente dopo avergli dato una seconda occhiata. Sia lui sia gli altri, sempre più allarmati, obbedirono senza esitare ulteriormente, finendo meno di un minuto dopo.

Pitchiner si avvicinò ulteriormente al capo di quel gruppo di mostri, di assassini spietati. «se è così, se le avete uccise, allora guardami. I miei occhi saranno l’ultima cosa che tutti voi vedrete».

Il Dream Pirate sogghignò un’ultima volta.

Nello shock di tutti, la spada del generale Pitchiner calò velocemente a mozzargli il capo.

Così come al Dream Pirate dopo di lui, e quello dopo ancora, e ancora.

Nessuno dei soldati riuscì a proferire parola, completamente allibiti per quel che stavano vedendo. Il generale Pitchiner che conoscevano non avrebbe mai agito così…ma quello non era l’uomo che conoscevano, non più: era evidente in ogni suo gesto, in quell’espressione di pietra, in quei suoi occhi da pazzo, anche solo da modo in cui calava la spada, come se farlo gli fosse vitale, come se così facendo avesse potuto riportare indietro le sue donne.

Fendente dopo fendente, nella testa di Lord Pitch le parole del Dream Pirate iniziarono a sovrapporsi a quelle del caporale Sil…no: di Nahema, l’arciduchessa Nihil Nahema Aldebaran, che voleva il regno, che aveva ordinato quell’attacco, che voleva distruggerlo perché non le aveva obbedito, e c’era riuscita, eccome se c’era riuscita…ma lui, lui l’avrebbe distrutta a sua volta! 

Non l’avrebbe passata liscia, sangue nobile o meno, non avrebbe lasciato che facesse quel che voleva, non avrebbe lasciato che lei e la sua maledetta famiglia si prendessero il regno, se quello era il loro scopo: li avrebbe accusati, avrebbe lottato contro di loro con tutte le forze che gli rimanevano, e li avrebbe fermati, sia loro sia i Dream Pirates loro alleati.
L’avrebbero pagata cara, giurò a se stesso, cara come non avrebbero mai potuto neppure immaginare, e non si sarebbe mai arreso finché sua moglie e sua figlia non avessero ottenuto la giusta vendetta.

Non si sarebbe mai arreso, mai!

Improvvisamente non trovò più teste da mozzare. Erano finite.

Peccato.

«Lord Pitch…»

«cercherò il cadavere di mia moglie» disse, con voce quasi meccanica «in seguito vi annuncio che accuserò formalmente davanti al re l’arciduchessa Nihil Nahema della Casa Aldebaran per questo assassinio». 

«eh?!» un luogotenente lo guardò allibito «ma generale, cosa c’entra l’arciduchessa Aldebaran?! Non se ne hanno notizie da anni, piuttosto il caporale Silk-»

«Silk è Nahema!!!» sbraitò Pitchiner «sono la stessa maledetta persona!»

«ma…il caporale Silk viene dal pianeta di donne guerriere nel lontano territorio degli Scorpio…» disse timidamente il luogotenente. 

«menzogne! Gli Aldebaran vogliono il regno, e quella era Nahema, io lo so!»

«signore, a me è capitato di vedere l’arciduchessa qualche anno or sono, e vi assicuro che non ha proprio nulla a che vedere con il caporal-» 

«non osare contraddirmi, maggiore. Non osare» sibilò Pitchiner «so quello che dico! Non mi credi, forse? Non credete al vostro comandante?!» urlò, nello sconcerto di tutti «hanno fatto uccidere la mia famiglia!»

«generale-»

Kozmotis si allontanò bruscamente, in direzione del cadavere dello strapiombo. Guardò in basso. Il cadavere di Aleha, da quell’altezza, non si vedeva, ma non importava. Sarebbe sceso immediatamente giù a cercarla, e da solo. 
Come solo, d’altra parte, era rimasto.

“hai dato più importanza alla tua integrità che alla tua famiglia, ed ora non ti è rimasto niente. Ma è colpa tua. Tua e tua soltanto. Ricordalo sempre, povero generale Pitchiner, sciocco uomo che non ha voluto chinare la testa”. 

Solo col sussurro del suo profondo rimorso, e con quella promessa spezzata, com’era spezzato lui.

E con una soddisfatta e sorridente Ephemeride di dodici metri di nome Tanith avvolta attorno al corpo, che lui non poteva vedere.


 


Ecco il patatracchete! Per la gioia di Tanith, alla quale vogliamo tutti tanto bene (?)

Voglio precisare una cosa: il dialogo da “mia moglie e mia figlia dove sono” al punto in cui Pitch taglia la testa ai Dream Pirates è quello originale (almeno le parti di Kozmotis, quelle dei mostriciattoli le ho dovute inventare andando a intuito) tradotto dalla sottoscritta e dal mio inglese livello “the dog cataplum in the water” , così come “lo prometti?, Sulla mia anima” è stato detto veramente. Esiste veramente anche il medaglione che Emily Jane ha dato a suo padre.

A voi i commenti, sempre che ce ne siano: EFP non si mangerà anche questi nuovi. 
Alla prossima,

 

_Dracarys_

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Capitolo 12
*** 12. ''auguro a quest'uomo di vivere in eterno'' ***


= “Auguro a quest'uomo di vivere in eterno” =

 

 

 

 


“è per vostra sorella, lei e vostra nipote…vedete, i Dream Pirates hanno trovato la loro casa  e…”


Non c’era stato bisogno che il direttore della struttura medica dove lavorava proseguisse oltre. Spear Sinetenebris aveva già capito tutto quel che c’era da capire soltanto guardando l’espressione del suo superiore quando le aveva dato la notizia. Lo aveva lasciato continuare a parlare semplicemente perché era giusto così: per lei non era stato facile ascoltare quelle parole, e per lui non era stato facile dirle. Quando mai è facile dire a qualcuno “tua sorella e tua nipote sono state uccise dai Dream Pirates ieri, ma la notizia è arrivata qui solo adesso, e il funerale si terrà dopodomani”?
Tutte le parole dette da Spear in quel frangente erano state “ho capito”, e “bene” quando il suo superiore le aveva dato una settimana di congedo. In condizioni normali non l’avrebbe accettato, era una stacanovista, ma in quell’occasione era tutto diverso.

 

La sua ultima azione prima di andare a casa era stata quella di richiedere alle autorità competenti un rapporto scritto quanto più possibile dettagliato su cos’era accaduto, sulle condizioni dei corpi e della casa. Altri non avrebbero potuto chiedere nulla di tutto ciò, ma il lavoro e la posizione di Spear le avevano procurato qualche contatto e dei favori da riscuotere. 

Aveva passato il resto di quella giornata chiusa in casa, al buio, rifiutandosi di parlare con chiunque, o qualsiasi contatto da parte della gente del quartiere.

Casa…tra quelle pareti era stata più infelice che altro, eppure quanto aveva fatto, in gioventù, per tenersela stretta! 

Ora era l’unico conforto che le restava. Una casa piena di ricordi e di un silenzio assordante che avrebbe portato chiunque altro a impazzire. 

Ma Spear non era “chiunque altro”. Aveva familiarità col dolore e la tristezza, erano antichi compagni di giochi, così come ben conosceva la morte, intima “amica” da molto tempo. Si era presa suo padre, si era presa sua madre -la vita non era stata clemente con i Sinetenebris, bisognava ammetterlo- e ora anche Aleha, la sua dolce e testarda sorella, nonché Emily Jane, la nipote che aveva potuto tenere tra le braccia solo durante i suoi primi quattro mesi di vita.

Per ore aveva vagato da una stanza all’altra come l’anima in pena che era, lasciandosi assalire dalle memorie che ogni singolo oggetto le riportava alla mente.

Aveva sfiorato lo stipite della porta su cui, anno dopo anno, era stata segnata l’altezza di Aleha dal momento in cui era riuscita a stare in piedi in poi.

Aveva sfogliato e risfogliato i disegni che sua sorella aveva fatto da piccola, conservati con cura in un cassetto, e guardato fotografie finché il sonno non l’aveva vinta e fatta crollare lì, sul letto che era stato di Aleha.

Poi, circa a metà della seconda giornata, aveva trovato i suoi diari segreti, quelli che Aleha aveva scritto dai dieci fino ai sedici anni. Inizialmente aveva esitato ad aprirlo, ma pensare che era tutto quel che rimaneva di sua sorella, e che lei sarebbe stata seppellita il giorno seguente, l’aveva spinta a tuffarsi in quelle pagine. Leggendo quelle righe le era sembrato di sentire la voce di Aleha, dapprima infantile e poi, mutando assieme alla calligrafia, un po’più adulta.

Aveva pianto. Dopo quasi ventiquattro ore in cui non era riuscita a farlo, lacrime silenziose avevano iniziato a scivolarle sulle guance. L’amore, la gratitudine e l’ammirazione che Aleha aveva provato per lei erano espressi tutti lì, nero su bianco.

Per un attimo aveva pensato che una reazione simile alla sua età -trentasei anni, per inciso- fosse sciocca, ma quella considerazione aveva perso importanza già l’istante successivo. Non c’era età troppo avanzata per provare dolore e tristezza, ma non c’era età neppure per l’amore fraterno, né si era mai troppo vecchi per commuoversi nel leggere parole piene d’affetto.

Poi aveva voltato l’ennesima pagina.


“Io lo amo tantissimo, e anche lui mi ama. 
È così bello stare insieme a lui, per quel poco che possiamo, ed è così naturale per me essere la sua ragazza che ho capito che era soltanto questione di tempo. Credo che fossimo destinati a stare insieme. 
Io e Kozmotis siamo una cosa sola, e sono sicura che lo saremo per sempre”.



Tipiche parole di una tipica adolescente innamorata persa.

Le lacrime avevano immediatamente smesso di scorrere, tutto ciò che aveva provato fino a quel momento era scomparso, sostituito da un dolore ancor più grande del precedente e una profondissima collera.

Aveva passato la vita a spaccarsi la schiena per se stessa e per Aleha, facendo di tutto -ma proprio di tutto- purché mantenesse un tenore di vita più che soddisfacente…a che pro? Ormai era tutto perso, tutto distrutto, e di chi era la colpa?

Chi era stato la causa principale, se non l’unica, dei litigi tra lei e sua sorella?

Chi l’aveva allontanata da lei, e idem sua nipote, facendole trasferire in quel posto dimenticato dagli Dei, decisione per cui lei e Aleha avevano avuto uno scontro così terribile da non aver avuto contatti per quattro anni?

Kozmotis “Pitch” Pitchiner, Lord High General of the Galaxies. Il grande eroe del regno. Dov’era quell’imbecille, mentre Aleha ed Emily Jane morivano?

Il primo istinto era stato di fare in mille pezzi le pagine di quel diario, ma era riuscita a trattenersi, e lo aveva scagliato contro una parete, soffocando per metà un ringhio rabbioso.
Quante volte aveva detto a sua sorella che, pur non essendo una cattiva persona, Kozmotis Pitchiner aveva un talento innato per attirare guai, e che la loro famiglia ne aveva già passati abbastanza? Innumerevoli, come le volte in cui aveva espresso la sua completa disapprovazione per quel legame. Aveva fatto di tutto per spezzarlo -a volte con atti che sfociavano “leggermente” nell’illegalità- ma non c’era proprio stato verso.

In quante occasioni aveva detto a Kozmotis di stare lontano da Aleha, perché con i nemici che si era fatto -forse non solo tra i Dream Pirates- stava disegnando un bersaglio anche sulla sua schiena? Altrettante.

L’avevano ascoltata? No, ovvio che no, avevano voluto fare di testa propria.

Anzi, no: avevano voluto fare come diceva lui. 

Lei sapeva che sarebbe andata a finire male, lo aveva previsto.

Quanto aveva maledetto la stupidità di entrambi, il loro stesso legame. “questa decisione e quest’uomo saranno la rovina tua e di mia nipote!” aveva gridato ad Aleha il giorno in cui se n’era andata.

Nel ricordarlo Spear si era accasciata sul letto della sorella, scossa da una risata isterica e accecata da nuove lacrime. Era una di quelle persone che, quando dicevano una cosa, tendevano ad avere ragione in oltre il novantacinque per cento dei casi, ma mentre rideva fino a sentir dolere la gola aveva pensato che avrebbe volentieri barattato quella sua peculiarità pur di far rivivere Aleha ed Emily Jane. 

Poi era tornata a pensare a suo cognato Kozmotis, piccolo, stronzo e inutile vigliacco.

Non aveva neppure avuto il coraggio di informarla di persona, aveva lasciato che lo venisse a sapere da terzi, e solo il giorno dopo.

Era un affronto. Uno scandalo. Se lo avesse avuto lì lo avrebbe aperto in due col bisturi nemmeno fosse stato un pesce, e chi se ne importava se era un medico che aveva giurato di non attentare mai alla vita di alcuno.

La svolta era arrivata in tarda serata, con l’arrivo del rapporto scritto che aveva richiesto, dettagliato come l’aveva voluto. Su Kozmotis c’erano scritte frasi come “riscontrata una perdita di lucidità la cui entità effettiva è ancora da definire”, che era come dire “è pazzo di dolore”, ma di lui non avrebbe potuto importarle meno.

Quel che contava era altro.

Piuttosto che lasciarsi divorare l’anima -e non solo- dai Dream Pirates, della cui attività non era stata trovata traccia sul corpo, Aleha si era suicidata gettandosi dalla finestra della stanza da letto, che dava su uno strapiombo estremamente profondo. Fin lì nulla di anormale, e quella di sua sorella era stata una scelta estrema e coraggiosa: meglio morire in quel modo che per mano di quei mostri.

Ma c’era un dettaglio alquanto strano: perché saltare giù stringendo tra le braccia una bambola di grandi dimensioni?

Chi aveva stilato il rapporto non aveva trovato un senso a tale azione, perché all’apparenza sembrava non averne. 
Però iniziava ad acquistarne se a ciò si aggiungeva che del corpo di Emily Jane non era stata trovata traccia, e che la piccola nave con cui la bambina faceva le sue gitarelle tra gli asteroidi -così le aveva raccontato Aleha in qualche lettera: era una cosa che la faceva impazzire, ma che quel demente di suo marito invece approvava!- era segnalata tra gli oggetti mancanti. C’era la possibilità che fosse stata distrutta, ma non ne erano stati trovati i pezzi.
Spear aveva fissato a lungo quella parte del rapporto, e non era riuscita a soffocare in alcun modo la speranza nascente che forse non era davvero tutto perduto.

Aleha era morta, ciò non poteva essere cambiato, ma forse, al momento dell’attacco, Emily Jane stava facendo una delle sue gitarelle. Forse si era allontanata e si era salvata.

I Dream Pirates avevano detto che di lei non era rimasto niente, ma potevano aver mentito per distruggere ancor più il loro nemico, con completo successo.

C’era una possibilità che Emily Jane fosse viva, e che parte di Aleha dunque esistesse ancora. 

Se le cose stavano così, Spear non avrebbe lasciato che tutto sfumasse. Dopo il funerale avrebbe iniziato a indagare e, se necessario, avrebbe abbandonato il suo lavoro per seguire qualunque pista avesse trovato. Ormai aveva guadagnato a sufficienza da potersi comprare addirittura una piccola nave personale, di quelle volanti in legno, e investimenti fruttuosi fatti qualche anno prima le permettevano di vivere con una rendita dignitosa.

Se avesse avuto successo, una volta trovata Emily Jane l’avrebbe tenuta con sé, e avrebbero iniziato una nuova vita altrove. 

Non intendeva rendere suo cognato partecipe della cosa. Riteneva che non meritasse di condividere con lei quella speranza, e tantomeno di avere rapporti con la bambina, se mai fosse riuscita a trovarla: aveva fatto danni a sufficienza già così. 

Sperare non aveva affievolito la rabbia e l’odio -sì, ormai poteva tranquillamente definirlo tale- che la dottoressa Sinetenebris provava verso il cognato.

Un odio tale da renderla fredda come ghiaccio anche ora, durante il funerale di Aleha, mentre guardava la bara chiusa della sorella attraverso la veletta, nera come il vestito che indossava. 

La cerimonia era molto sentita, e il tempio era pieno, ma era normale: coloro che avevano conosciuto Aleha le avevano anche voluto bene. Peccato che la loro presenza e le loro condoglianze non avessero toccato minimamente Spear. Oltre alla freddezza che l’aveva invasa, provava anche una strana sensazione di “irrealtà”, come se non si trovasse lì per davvero, e fosse tutto uno strano sogno, o un mondo parallelo.

I suoi pensieri erano proiettati su Emily Jane e su come avrebbe potuto ritrovarla, e nulla finora aveva avuto il potere di riscuoterla, neppure la presenza della piccola bara vuota accanto a quella di Aleha.

Aveva a malapena notato che Kozmotis non le si era ancora avvicinato. C’era, poi? Se era così, non aveva fatto caso a dove fosse.

Il suddetto Kozmotis invece l’aveva avvistata immediatamente. Benché fosse devastato dal dolore, dal senso di colpa e dalla rabbia, benché l’accusa formale che intendeva presentare contro Lady Nahema fosse fissata per il giorno dopo, e avesse quelle due bare sotto gli occhi, la figura ammantata di nero di Spear gli era saltata subito all’occhio.

Loro due erano tutto quel che rimaneva della famiglia, e forse se fossero riusciti a sostenersi l’un l’altra sarebbe stato più facile ottenere giustizia per quell’assassinio crudele, altro motivo per cui avvicinarsi a lei sarebbe stato corretto.

Alla fine però non l’aveva fatto. Ognuno esprimeva il dolore a modo proprio, d’accordo, ma Spear sembrava essere quella di sempre, come se quel che era accaduto, e la cerimonia cui stava assistendo, non la toccassero affatto.

In virtù dell’amore che professava verso la sorella, Spear avrebbe dovuto essere distrutta quanto lui, ma quel che aveva visto Kozmotis era tutt’altro. Ciò lo aveva disorientato, e gettato nell’insicurezza al punto da aver deciso di rimandare la conversazione a dopo la cerimonia.

Parlare con lei non gli era mai risultato semplice, tanto per utilizzare un eufemismo, e in quell’occasione ancor meno.

La guardò ancora. Vederla così dritta e composta nella sua solita alterigia era l’unica cosa che, fino a quel momento, era riuscita a distrarlo leggermente dal pensiero ossessivo che non avrebbe più visto il sorriso di Emily Jane, che non avrebbe più abbracciato sua moglie, e dal desiderio di vendetta verso gli Aldebaran.

Cercò sulla sua figura esile un qualsiasi segno di cedimento, una qualsiasi emozione sul volto parzialmente coperto, ma non trovò nulla.
Per un attimo la odiò. Se Lady Nahema era malvagità pura, cos’era allora una donna che restava indifferente dinanzi alla morte di sorella e nipote?

Guardare nuovamente le due bare, però, lo riportò alla realtà. Che Spear fosse o meno un mostro era l’ultima cosa che contasse e, se non avesse voluto sostenerlo nella sua lotta per ottenere giustizia, che fosse! Avrebbe lottato da solo.

La cerimonia andò avanti, e il momento in cui i familiari dei cari estinti erano chiamati a dire qualche parola arrivò prima del previsto.

Kozmotis si avvicinò al pulpito, cercando di non far cedere le ginocchia. Guardò il feretro della moglie. Davvero Aleha era lì dentro? Ogni passo in avanti era una pugnalata al cuore, e non osava pensare a come sarebbe stato quando l’avrebbero portata via e sotterrata. Per non fare come la madre di Aleha quando ad essere seppellito era stato suo marito avrebbe dovuto sforzarsi.

Le immagini di quella donna che si aggrappava alla bara del marito gridando e piangendo irruppero nei suoi pensieri. Era certo che quello sarebbe stato anche il suo primo istinto.
Chissà se Spear avrebbe ripetuto le azioni di allora anche in quel frangente. Il modo in cui aveva allontanato la madre, e la durezza di quel “mamma, basta. È morto. Fare così non cambierà nulla. Niente sceneggiate!” gli erano sempre rimaste impresse.

Raggiunse il pulpito, prese il microfono con le mani che gli tremavano leggermente, rivolse lo sguardo ai presenti e, dopo una breve esitazione, iniziò a parlare. «voi tutti conoscevate Aleha, e sapete quale persona meravigliosa fosse. Era mia moglie, la mia anima gemella, la mia metà. Mi è stata accanto sin da quando eravamo bambini di tre anni, e probabilmente l’amavo già allora. Ora non c’è più» s’interruppe un attimo per riacquistare un po’di compostezza, rendendosi conto che la sua voce era terribilmente prossima a spezzarsi «così come non c’è più mia figlia, la mia dolce Emily Jane. Hanno portato con loro la parte migliore di me. La mia vita non sarà più quella di prima, io stesso non sono più l’uomo di prima, né potrò mai tornare ad essere qualcosa che gli somigli, soprattutto perché ho la consapevolezza che tutto ciò non è accaduto per una disgrazia voluta dal destino. I nemici del regno non hanno trovato la mia famiglia per caso» alzò leggermente la voce, sentendo che la gente iniziava a mormorare «e se hanno ucciso tutti coloro che hanno trovato in casa mia, tentando di distruggermi per facilitarsi la conquista del regno, è stato perché era stato loro ordinato da una tra le più nobili famiglie del nostro regno: gli Aldebaran!»

Diversi uomini della sua armata sospirarono, e alcuni arrivarono addirittura a fare facepalm. Si erano augurati che il loro comandante avrebbe evitato di tirare fuori quelle strampalate teorie complottistiche anche in quell’occasione, ma evidentemente avevano sperato troppo, e ormai la gente faceva ben più che mormorare, chiedendosi se il povero Pitchiner fosse impazzito completamente.

«non si sono sporcati le mani personalmente, ma sono loro i colpevoli di questa tragedia. Io intendo dimostrarlo affinché venga fatta giustizia, e mia moglie e mia figlia possano riposare in pac-»

Non riuscì a finire la frase, perché qualcuno gli tolse il microfono dalle mani, avvicinandolo poi all’apparecchio elettronico più vicino. Il fischio che emise fu tanto acuto e fastidioso che molti gemettero e si tapparono le orecchie, Kozmotis incluso. 

«ora che la giusta atmosfera è stata ripristinata, credo di dover dire qualche parola anch’io».

Sembrava proprio che Spear avesse finalmente abbandonato la sua composta immobilità, ma a Kozmotis, una volta riscossosi dall’accaduto, non vi volle molto per intuire che per come si erano messe le cose era più un male che un bene. La Spear Sinetenebris che conosceva lui, poteva essere in due soli modi. Il primo: dura e fredda come la parete di una salda e gigantesca diga. Il secondo: come l’acqua che, ceduta suddetta diga, travolgeva e distruggeva tutto quel che aveva la sventura di trovarsi sulla sua strada, senza distinzioni e senza pietà alcuna.

«mia sorella era la creatura più buona, gentile e altruista che abbia mai conosciuto» iniziò Spear «e non lo dico perché sono di parte. È semplice verità, come lo è dire che era una donna splendida, e intelligente».

“allora sbagliavo?” pensò Kozmotis, un po’sorpreso. Si era aspettato il peggio, invece fino ad ora sua cognata non aveva detto nulla che non pensasse lui stesso.

«il problema è che anche le persone intelligenti non sono esenti dal commettere piccoli e grandi errori. Aleha ha commesso uno solo di questi ultimi, che purtroppo le è costato la vita: affidarsi all’uomo sbagliato».

Se le parole del generale Pitchiner avevano causato subbuglio e mormorii, quelle di Spear stavano sconcertando altrettanto, ma all’interno del tempio non volava una mosca. 

«in tutta la vita, io ho chiesto a Kozmotis Pitchiner due sole cose. Gli ho chiesto di stare lontano da mia sorella, vista la sua posizione, e lui non l’ha fatto. Gli ho chiesto di non far spostare Aleha ed Emily Jane in un luogo isolato in cui nessuno avrebbe potuto aiutarle, e non solo sono rimasta inascoltata, ma sono stata insultata, trattata come una strega maligna, e a causa di questo ho perso i contatti con mia sorella per quattro anni».

Kozmotis si era aspettato il peggio, ma non credeva alle proprie orecchie. Quella donna traboccava tanto d’odio da arrivare a fare quel discorso in un momento del genere, e ciò lo stava sconcertando al punto che, per il momento, non riusciva neppure a reagire.

«se avesse esaudito la seconda di queste due richieste, forse mia sorella sarebbe ancora tra noi. Se avesse esaudito la prima, lo sarebbe stata sicuramente. Non c’è bisogno di scomodare i nemici del regno o qualunque famiglia delle Costellazioni. Se Kozmotis Pitchiner vuole che il colpevole di questa tragedia paghi, non ha altro da fare che impiccarsi. Io, però, spero che decida di non farlo e che continui a vivere con la consapevolezza che la colpa di tutto questo è sua. Auguro a quest’uomo di vivere in eterno, fin quando diventerà l’ombra di se stesso, e anche oltre. Grazie a tutti».

Concluso così il suo discorso posò il microfono sul pulpito e procedette verso l’uscita del tempio a grandi passi, guardando dritto davanti a sé. Tutti la osservarono allontanarsi, ma nessuno la ostacolò…

«no, generale, no, per favore, non è il caso!...»

O meglio, nessuno riuscì a farlo.

Il povero Lord Pitch, ripresosi dal colpo, stava cercando di raggiungerla, col solo desiderio di spezzare quel suo collo sottile. Se non ci stava riuscendo era soltanto perché diversi uomini della sua armata lo avevano raggiunto, e lo stavano trattenendo a viva forza.

Quanto al sacerdote, ormai aveva perso definitivamente il controllo della situazione.

«sputi veleno perfino al funerale di tua sorella e tua nipote, non hai un minimo di ritegno!» gridò il generale.

Le parole di quella donna l’avevano fatto sentire ancor peggio di prima, e non credeva fosse possibile. Non aveva bisogno di qualcuno che gli ricordasse il suo fallimento nel proteggere ciò che amava di più, tantomeno con una sorta di “te l’avevo detto” non troppo nascosto. Se Spear fosse stata un’altra avrebbe potuto giustificarla dicendo che aveva parlato mossa dal dolore, che non sapeva cosa diceva, ma una cosa del genere non poteva valere per lei. Non per qualcuno che non aveva aspettato altro che un’occasione qualsiasi per gettare pubblicamente fango su di lui, come se la scenata che aveva fatto al matrimonio anni orsono non fosse stata abbastanza.

«ad Aleha non sarebbe piaciuto» disse Spear, voltandosi lentamente indietro «ma grazie a te non avrà modo di lamentarsene».

«sei contenta che le tue maledizioni si siano avverate! Che tu sia dannata! STREGA!!!»

La donna rimase impassibile, almeno all’apparenza. «urli, strepiti, accusi chicchessia di qualcosa per cui hai colpa soltanto tu, e quella senza ritegno secondo te sono io? Hai una strana concezione della realtà, Kozmotis. Addio».

Oltrepassò la soglia del tempio, incurante di qualsiasi cosa. La diga era stata distrutta, l’acqua aveva inondato tutto, e ora non restava che lasciarla defluire.

Tutto quel che c’era da dire era stato detto, e ora non doveva far altro che iniziare le sue indagini, sperando di trovare qualcosa, e iniziare col dare un’altra letta al rapporto non avrebbe fatto danno.

Certo, l’accusa agli Aldebaran dava da pensare. Kozmotis aveva tutti i difetti della galassia, ma che casualmente fosse andato ad accusare proprio quella famiglia le suonava strano.

Ricordava bene quant’era “contenta” Lady Nahema quando Kozmotis era stato nominato High General of the Galaxies, ed era indubbio che Kozmotis e la sua lealtà ai Lunanoff le sarebbero stati d’ostacolo, se davvero lei e la sua famiglia volevano prendersi il regno: l’Armata Dorata era la più grande e potente del reame, e unite alle famiglie “lealiste” dei Lunanoff avrebbe potuto costituire un problema non da poco.

Ma la cosa non la riguardava. Non intendeva supportare minimamente suo cognato in quella faccenda. Se anche Kozmotis avesse avuto ragione, la colpa sarebbe stata sempre sua: se le avesse dato retta e si fosse allontanato da Aleha anni prima, gli Aldebaran o chicchessia non avrebbero avuto motivo di ucciderla.

Inoltre, se voleva indagare su Emily Jane, era bene non inimicarsi persone che avrebbero potuto metterle i bastoni tra le ruote, e degli arciduchi molto ricchi avrebbero potuto farlo.

Sua nipote era tutto quel che -forse- le restava, e tutto quel che contava al momento. 
Se era viva, giurò a se stessa, un giorno l’avrebbe trovata.


[…]


«hai voglia di darti pesantemente all’alcol, Nahema?»

«mi preparo spiritualmente per l’udienza di domani. Quella in cui Pitchiner accuserà me e Aladohar, hai presente? E comunque è solo un bicchiere».

Altri sarebbero stati decisamente preoccupati all’idea di dover affrontare l’accusa formale del Lord High General of the Galaxies, ma non gli Aldebaran, che ritenevano di aver studiato tutto sufficientemente bene da non correre rischi. L’ “ansia” di Nahema e Aladohar era tale da starsene tranquillamente a mollo in una grande vasca a idromassaggio insieme a Kitah.

«è un momento cruciale. Da qui in avanti, se vogliamo che Pitchiner venga screditato del tutto, il margine d’errore che abbiamo a disposizione è inferiore allo zero» continuò Nahema «meglio restare lucidi, e rimandare i festeggiamenti a quando avremo raggiunto i nostri obiettivi» 

«a proposito, tra stasera e domani mattina dovremo informarci sul funerale categoricamente vietato ai nobili» l’arciduca alzò gli occhi al soffitto, per poi rivolgere lo sguardo a Lord Taurus «si direbbe che Pitchiner non abbia preso bene che tu, Renin Altair e gli altri abbiate già parlato a favore di Nahema. Poi certo, torna utile ugualmente, perché tutto questo suo gridare al complotto e certe scelte azzardate non faranno che alimentare le voci sul fatto che perdere moglie e figlia gli abbia fatto perdere anche la ragione». 

«a raccogliere informazioni ho già pensato io» disse Kitah, con la sua classica tranquillità, mentre legava in una coda i lunghi capelli neri. «pare che da un certo punto in poi sia stata una cerimonia piuttosto movimentata».

«ah sì?» Nahema si stiracchiò «specifica».

«andiamo, come se non lo sapeste già! Siete stati bravi a fingere di non essere a conoscenza di nulla, è un buon allenamento per il futuro, ma con me non serve. Riuscire a convincere la cognata di Pitchiner a fare quella sceneggiata è stato un gran bel colpo» sollevò entrambi i pollici in segno di approvazione, scrutando entrambi i fratelli con gli occhi azzurro cupo «anche se mi chiedo come abbiate fatto» Nahema e Aladohar si scambiarono un’occhiata perplessa, e Lord Taurus sollevò le sopracciglia, sorpreso. «aspettate…Pitchiner vi ha accusati, quella donna lo ha interrotto, gli ha dato la colpa di tutto e detto che doveva impiccarsi, e mi state dicendo che non c’entrate? Seriamente? Pensavo fosse una vostra strategia per far arrivare Pitchiner all’udienza nel peggior stato psicologico possibile!»

«no, non abbiamo proprio niente a che fare con la sorella della fu Lady Pitchiner, ma se davvero ha fatto una cosa del genere ci ha facilitato le cose» Aladohar fece spallucce «il buon Lord Pitch sarà ancor più fuori di testa di quanto fosse già. O beh, pare che l’ora della tua prima ubriacatura si avvicini, Nahema! Non potrai più sbattermi in faccia la tua verginità dalle sbronze».

«vergine giusto dalle sbronze, perché per il resto!...» aggiunse Kitah con un sorrisetto divertito.

«ho la vaga impressione che stasera una certa persona, contrariamente ai programmi, se ne andrà a letto a casa propria» disse Nahema «e ora vi consiglio di uscire entrambi dall’acqua e togliervi di torno per un po’. Non vorrei che finiste per essere annegati da qualcuno!»

Ovviamente Nahema non se l’era presa per davvero, e forse non avrebbe neppure rispedito Kitah a casa come aveva minacciato di fare -gli Dei sapevano quanto avesse bisogno di un po’di sesso decente!- ma le era presa voglia di rimanere sola coi propri pensieri, senza fratello minore e alleato/amico/amante attorno.

La minaccia dell’annegamento funzionò, ed entrambi uscirono dall’acqua, un po’borbottando, un po’protestando. Sapevano che probabilmente non li avrebbe annegati davvero, ma era stato proprio quel “probabilmente” a far loro concludere che era meglio darle retta.

Rimasta sola, Nihil Nahema chiuse gli occhi. Si stava avvicinando all’obiettivo passo dopo passo, e nulla che si fosse messo sulla sua strada avrebbe potuto impedirle di raggiungerlo, com’era giusto che fosse: il motto degli Aldebaran non era forse “Nihil Obstat”? 

“certo” pensò, schiudendo svogliatamente le palpebre “ma temo che sarei ancora a un punto morto, se non fosse stato per-”

Quando vide quel che aveva davanti, sobbalzò e trattenne a stento un’esclamazione sorpresa, ma c’era da capirla: mandare via fratello e amico/alleato/amante per ritrovarsi nella vasca una donna serpente sui dodici metri che sorseggiava beatamente liquore da un bicchiere non rientrava esattamente nei suoi programmi.

«le vostre vasche con l’acqua calda non sono affatto male, e nemmeno le vostre bevande, a dirla tutta!»

Era inquietante per l’arciduchessa osservare il proprio corpo sparire per metà tra le nere spire intangibili, ma perfettamente visibili, di quella creatura. Era una cosa che la faceva sentire in trappola, oltretutto in casa propria, e non le piaceva. «Tanith. Come hai fatto a entrare in…no, niente. Ephemeride. Diventi invisibile e incorporea quando vuoi. È ovvio che tu possa entrare praticamente ovunque quando vuoi».

«confermo e sottoscrivo. Sono venuta a complimentarmi per il celere e corretto utilizzo delle informazioni che ti ho passato. Io e le altre Ephemerides siamo molto soddisfatte. Non che la soddisfazione delle altre m’importi, naturalmente» aggiunse, con un sorriso «oh, mi raccomando: domani, all’udienza, ricordati di porgere al povero Kozmotis le tue più sentite condoglianze».

“va bene, ma ora esci dalla mia vasca. Esci. Esci”. «puoi stare sicura che lo avrei fatto anche se non me l’avessi detto» disse Nahema «ormai ho imparato a conoscerlo, e credo che una cosa del genere lo farà dare fuori di matto, specialmente dopo oggi» commentò «se sei andata al funerale dovresti aver mangiato bene».

«è stato un buon banchetto per tutte quante. Il dolore di un uomo come Kozmotis Pitchiner, specie così profondo, è assolutamente delizioso, forse addirittura il migliore di cui mi sia nutrita fino ad ora, e la cosa migliore è che potrò continuare a farlo a lungo!» esclamò, sembrando veramente felice «anche il dolore della cognata però non era affatto male, devo ammetterlo».

«puoi nutrirti anche di quello della figlia di Pitchiner, se ti va. Abbiamo fatto sì che fosse “trovata per caso” dal titano Typhan e mia sorella Nihil Kehazilia, quindi ora è nei loro territori. Se le tue colleghe non lo sanno già, è una fonte di dolore tutta per te».

Il sorriso dell’Ephemeride si allargò leggermente. «prima o poi l’avrei trovata da sola, ma mi hai reso il compito più semplice. Però sappilo: non solo mi nutro di dolore ma se posso, coi miei sussurri, lo alimento per averne ancora. Che lo faccia con una bambina di sei anni non dovrebbe essere socialmente inaccettabile, per la tua gente?»

«tu mi hai fatto un favore, e io lo ricambio. Gli Aldebaran pagano sempre i propri debiti» replicò Nahema «a patto che non le venga fatto del male fisico, di Emily Jane Pitchiner non mi importa proprio niente. Se ho lasciato che vivesse è solo perché magari un giorno potrà essere utilizzata in qualche modo.».

Tanith si appoggiò contro il bordo della vasca, e la fissò silenziosamente per diversi istanti, con la testa leggermente inclinata di lato. «per essere un Ephemeride ti manca soltanto una cosa: la razza. Ma in fin dei conti è meglio così, se fossi stata una mia simile sarei stata quasi sicuramente costretta a ucciderti. Arrivederci, arciduchessa».

Così com’era apparsa, Tanith sparì di colpo, esattamente com’era accaduto l’altra volta.

«…arrivederci».

Era un po’irritante chiedersi se fosse andata via per davvero o se fosse lì da qualche parte in forma invisibile, ma Nahema si disse che era meglio lasciar perdere, perché in ogni caso non avrebbe potuto farci niente. 

 
Sembrava che anche per lei e la sua famiglia ci fossero creature impossibili da contrastare, dopotutto.

“fortunatamente sembro piacerle, quindi se ogni tanto ha voglia di farmi una visitina farò bene ad accettarlo”.

Meglio che Tanith continuasse a essere utile, piuttosto che pericolosa.
Non voleva certo finire come Pitchiner.

 






Buon pomeriggio a tutti!
La prima cosa che tengo a puntualizzare è che quella faccenda della bambola di grandi dimensioni non è faina del mio sacco, ma canonica. Solo che nel canon è stata utile (ha fatto pensare ai Dream Pirates che la moglie di Pitch si fosse gettata nel vuoto insieme a Emily Jane, quando in realtà non era così) qui invece Aleha avrebbe anche potuto fare a meno di prendere la bambola, dal momento che uccidere Emily Jane non era nei piani.

Nello scorso capitolo mi sono dimenticata di specificare un paio di cose: il Kraken Divoratore cui Kerasaas ha fatto accenno è quello della one shot, come giustamente detto da KausBorealis, e nel concepire l'idea della Barra (prima avevo in mente altro, in effetti) sono stata molto aiutata da vermissen_stern :)

Alla prossima,

_Dracarys_

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Capitolo 13
*** 13. Due passi in più ***


= Due passi in più =

 

 



«questa storia non mi piace affatto».

Tsar Lunar Lunanoff XI si lasciò sfuggire un sospiro. «ti capisco. A chi piace sentire di una donna ed una bambina innocente morte a causa dei Dream Pirates?»

La notizia della morte di moglie e figlia del generale Pitchiner era corsa rapidamente in tutto il regno, ma il re era stato tra i primi a riceverla. Il motivo era molto semplice: l’High General of the Galaxies gli aveva fatto pervenire una richiesta che in quei giorni era stata causa di varie indagini e discussioni non da poco.

Tsarina sciolse i lunghi capelli neri, solitamente raccolti in una strana acconciatura. «non era ciò a cui mi riferivo».

«no? Perdonami per averti fraintesa, cara. Dimmi, allora: a cosa ti riferivi?» faceva lo gnorri, in realtà temeva di sapere benissimo quale sarebbe stato l’argomento di conversazione, visto quel che li aspettava il giorno dopo. 

La regina s’infilò sotto le candide lenzuola del letto matrimoniale, senza distogliere lo sguardo dal marito e senza esitare minimamente nel dire quel che seguì. «mi riferisco all’accusa formale che il generale Pitchiner intende sporgere contro Lady Nihil Nahema domani mattina».

“ecco, per l’appunto” pensò Tsar. «ah. Quello» mormorò.

Raggiunse la moglie ma, invece di ricambiare il suo sguardo, sembrava preferisse fissare con aria assente un punto indistinto nel vuoto.
Kozmotis Pitchiner intendeva accusare Nahema di alto tradimento e omicidio premeditato. A parere del generale, Nahema e la sua famiglia si erano alleati chissà come con i Dream Pirates, ai quali avevano ordinato di distruggere la sua casa e uccidere la sua famiglia, e stavano complottando da anni insieme ad altre famiglie delle Costellazioni per prendersi il regno. 
Un capo d’accusa più assurdo dell’altro, secondo lui. Se c’era una famiglia che si era distinta nella lotta contro Dream Pirates, Nightmare Men e quant’altro era proprio quella degli Aldebaran, e Nahema in particolare era tra i più strenui difensori della patria.

Quei complotti di cui incolpava lei e gli altri nobili, poi, non avevano il minimo senso. Se Nahema avesse voluto avrebbe potuto avere il regno in un modo molto più semplice, e già da qualche anno.

«esatto, proprio quello!» incalzò Tsarina, costringendolo a voltarsi verso di lei «cosa intendi fare a riguardo?»

Non le piaceva affatto l’atteggiamento che suo marito stava assumendo in quel frangente.

A dir la verità non le piaceva, in genere, il suo atteggiamento se si trattava di avere a che fare con gli Aldebaran: tendeva a prendere molto sul serio quel che loro gli dicevano e/o consigliavano, forse persino troppo.

Aldebaran, Aldebaran, Aldebaran! Da quando lei e suo marito si erano conosciuti c’erano sempre stati loro di mezzo.

Prima lui e Lady Nahema stavano insieme, e passi, non c’era molto che la figlia di un mercante di stoffe preziose potesse fare a riguardo; poi, quando si erano lasciati e Lunar aveva iniziato a frequentarla più assiduamente, lo aveva fatto di nascosto per un anno intero, cosa che lei aveva accettato anche se lui lo stava facendo per “salvaguardare l’onore” della sua ex fidanzata; in seguito l’aveva presentata alla sua famiglia, sempre molto in sordina e senza cerimonie ufficiali, e Beileag aveva avuto il dubbio “piacere” di conoscere la quintessenza dell’aggressività passiva.
Alla anima del pacifismo, la tolleranza e l’apertura mentale, Elvashak Lunanoff Albali non aveva preso affatto bene l’idea che suo figlio sposasse una ragazza benestante, ma priva di sangue nobile, al posto di un’arciduchessa che nuotava nell’oro.
Beileag aveva smesso di contare le frecciate che aveva dovuto sopportare ogni volta che Elvashak le rivolgeva la parola, anche dopo la presentazione ufficiale e il matrimonio, e la sola cosa buona era che alla fine Lunar si fosse reso conto dell’atteggiamento di sua madre, e avesse agito di conseguenza mettendo un freno a quel comportamento inaccettabile.

«Beileag…» Lunar esitò, non sapendo bene cosa risponderle «cosa vuoi che faccia?»

«“cosa vuoi che faccia”? Cosa pensi che voglia che tu faccia, se non luce sulla questione? Non puoi accantonare una cosa del genere come se nulla fosse solo perché è coinvolta…» “la tua ex fidanzata” pensò «quella famiglia».

«non comprendo la punta di asprezza che sento nella tua voce. Quando mai gli Aldebaran ci hanno dato ragione di voler loro male? Nihil Ralonrin, come medico di corte, non ha sempre fatto un ottimo lavoro? E non è Nihil Rerazara ad averci fatto notare i problemi che c’erano nel modo in cui gestivamo le risorse? Senza di lei ora non avremmo più fondi per fare…qualunque cosa per il regno!» pura verità. Erano buoni regnanti, ma non degli economisti, e avevano spesso ecceduto nelle opere di bene per tutto il popolo, in particolare verso i bambini. Tutto in buona fede, insomma, ma in certi casi la buona fede non faceva bene alle casse del regno! «gli Aldebaran ci hanno persino fatto un prestito, non ricordi?» una somma da capogiro che comunque, man mano, si stavano impegnando a restituire «come re e regina non ce la caviamo male, ma i fondi sono un’altra storia. Poi c’è anche Nihil Aladohar…ormai lo conosciamo piuttosto bene, è venuto qui diverse volte, pensavo ti piacesse».

Tsarina incrociò le braccia davanti al petto, poggiando la schiena contro i cuscini. «mentirei se dicessi che si è mai comportato in modo inappropriato o che è una persona sgradevole» ammise «ma stiamo divagando! Il punto principale del discorso è quell’accusa. Il generale Pitchiner è un eroe del regno e ormai sappiamo piuttosto bene che tipo di uomo è, anche se non abbiamo mai preso un tè con lui. Non vedo perché dovrebbe uscirsene all’improvviso con un’accusa così pesante senza che ci sia almeno una minuscola ragione per cui-»

«Beileag, amore mio, capisco le tue ragioni, ma ti prego di attenerti ai fatti. Lord Vega, Lord Taurus e Lord Altair, appena venuti a conoscenza della questione, hanno dato la loro parola che in questi sette anni Nahema è stata sempre in missione ai confini più estremi dei loro territori, combattendo per difendere il regno…e per quanto sia una donna incredibile, non possiede il dono dell’ubiquità».

«magari la donna incredibile ha fatto qualche inghippo altrettanto incredibile» ribatté Tsarina, un po’piccata.

Lady Nahema era stata fidanzata ufficialmente con suo marito per due anni, prima che rompessero il legame di comune accordo. Dalle parole di Tsar, era successo perché entrambi avevano capito di volere altro dalla vita, e quindi la separazione era avvenuta senza alcun rancore, anche perché tra loro non c’era mai stato veramente amore. Erano amici e si volevano molto bene -o almeno, Tsar ne voleva a Nahema- ma l’amore era una cosa diversa.

«ti prego di non lasciare che la gelosia annebbi il tuo giudizio, anche perché non c’è motivo. Nel mio cuore non ho altri che te, dovresti saperlo» cercò di rassicurarla Tsar «quanto al resto conosci il proverbio, “nobile sangue, nobile cuore”. Se Lord Vega, Lord Taurus, Lord Altair e altri hanno detto così, io credo alle loro parole» si accasciò a sua volta sui cuscini «però devo essere franco: anche senza testimonianza, difficilmente avrei dato credito a certe accuse. Conosco bene Nahema, una sua alleanza con i nemici del regno non avrebbe senso, e l’avrebbe ancor meno danneggiare Lord Pitch».

«l’avrebbe se puntasse a prendersi il regno come dice il generale Pitchiner!» ribatté la regina «l’Armata Dorata è la principale difesa del reame, una volta presa in mano quella-»

«questo avrebbe ancor meno senso di tutto il resto» la interruppe Lunar, e fece una debole risata «se avesse voluto il regno, le sarebbe bastato sposarmi».

Tsarina socchiuse le palpebre, l’espressione del volto indurita. «già, immagino».

«non fraintendere» disse subito il re «mi sono innamorato di te appena ti ho vista e non posso dire che tra me e Nahema ci sia mai stato quel che c’è noi due».

«ma se non ci fossimo incontrati, o se lei non avesse desiderato qualcosa di diverso rispetto alla vita da regina consorte, non avresti spezzato l’accordo. Tu l’avresti sposata».

«ricordo con piacere i due anni in cui siamo stati insieme, ma lei non era te e non sarà mai te» ribatté lui «tienilo sempre presente».

Tranquillizzata, ma solo in parte, Beileag si mordicchiò il labbro inferiore. «non intendi proprio dare il minimo credito a quel che dice Pitchiner?»

Il re le baciò tranquillamente la fronte. «non avvelenarti la mente con certi brutti pensieri. Concentrati su ciò che ti rasserena, o il tuo sonno verrà turbato, e non voglio questo. Ci penserò sopra, d’accordo? In fin dei conti si dice che la notte porta consiglio».

Tsarina non fece ulteriori commenti eccetto un “bene, come ti pare”, e si voltò dall’altra parte, rannicchiata sotto le coperte. Tsar, invece, si mise a fissare quel poco che si distingueva dei delicati decori color oro del soffitto.
Non sapeva dire se e quanto avrebbe dormito, quella notte.





***




«Lord Pitch, so che per voi è un periodo complicato, ma siate ragionevole: ritirate queste assurde accuse e prendetevi del tempo per metabolizzare il dolore. L’arciduchessa Nahema non poteva certo essere in due posti contemporaneamente» disse Lord Altair. I suoi occhi dorati -sfumatura tutto sommato piuttosto comune tra il popolo della Golden Age- fissavano quelli di Pitchiner con decisione, come se facendolo potesse entragli in testa e convincerlo a cambiare idea.

«gli Aldebaran sono ricchi oltre ogni misura, e se non sbaglio una delle vostre figlie è in procinto di sposarsi con uno di loro, Lord Altair» la voce del generale era aspra, arrocchita, cupa come la follia nel suo sguardo, somigliante a quello di un animale selvaggio inferocito che riusciva a trattenersi a stento «sareste in grado di affermare che in questi sette anni quella donna si è messa a capo di un branco di orsi spaziali, se ve lo chiedesse».

Il generale Pitchiner aveva il volto tanto smunto, pallido e tirato che sembrava essere invecchiato di quindici anni in quattro giorni; tanti ne erano passati dall’attacco dei Dream Pirates alla sua famiglia, e non era riuscito a riposare neppure un istante, tanto da presentare delle profonde occhiaie viola scuro.

Rabbia e dolore non gli avevano dato -né gli davano ancora- tregua: se non era stata la furia assassina verso chi gli aveva distrutto la vita a tenerlo sveglio, ci avevano pensato i volti di moglie e figlia. Lo tormentavano senza sosta. Al primo sguardo ogni donna gli sembrava l’anima gemella perduta, e ogni bambina era uguale alla sua Emily Jane, ma nessuna di loro era Emily Jane, e nessuna donna era sua moglie: loro erano morte, non camminavano per strada, erano morte, non le avrebbe riviste mai più.
Quel che era accaduto al funerale, poi, non lo aveva aiutato affatto. Aveva solamente peggiorato una situazione di per sé tragica, impedendogli di dare l’ultimo saluto alle sue donne con la dignità che un gesto simile avrebbe meritato.

Se i suoi uomini non l’avessero trattenuto, probabilmente avrebbe davvero cercato di spezzare il collo alla sua cara cognata, e il fatto che per forza di cose fosse tornato a stare nella casa dove aveva vissuto da giovane, dirimpetto a quella di Spear, di certo non aiutava.

«davvero state mettendo in dubbio l’onestà non di una nobile delle Costellazioni, ma addirittura di due?» s’intromise Lord Vega, sollevando un sopracciglio rosso rubino «suvvia, generale, già prima esageravate, ma ora…»

«esagero, dite? Allora devo presumere che il matrimonio tra vostra figlia Meleria e Nihil Ralonrin Aldebaran proceda molto bene!» disse, pieno di un disprezzo che non aveva intenzione di celare «“nobile sangue, nobile cuore”! Mi disgustate quanto gli schifosi assassini che state coprendo!»

Pitchiner e un gruppetto dei suoi soldati più fedeli erano già in sala, così come i tre Lord che avevano testimoniato a favore di Nahema, più altri di Case minori legate loro da vassallaggio -a loro volta coinvolti nella testimonianza-; anche la suddetta arciduchessa avrebbe dovuto essere presente già da tre minuti, ma era deliziosamente in ritardo, così come la coppia reale.

«generale Pitchiner, voi siete un eroe del regno, il lutto che avete subìto è gravissimo e siete indubbiamente sotto shock» intervenne Lady Akanexi della Casa Virgo, vassalla degli Altair, con uno svolazzo dei lunghissimi capelli argentati «ma c’è un limite a tutto, incluse le vostre ingiurie».

«gli Aldebaran hanno distrutto la mia famiglia per colpire me. Solo il primo di una serie di passi per la conquista del regno, che io non intendo permettere loro di ottenere. Di cosa tutti voi esseri meschini, corrotti, o semplicemente ignoranti, pensate delle mie ingiurie m’importa meno di zero».

«Lord Pitch, la situazione è già abbastanza tesa!...» lo supplicò un colonnello «attaccare i nobili delle Costellazioni non vi porterà a nulla!»

«siate saggio e ascoltate il vostro colonnello, Lord Pitch» lo esortò Lord Altair, con una certa durezza «ci avete offesi abbastanza, e qui nessuno vuole che una situazione tesa si trasformi in una difficile».

«mi state minacciando? Voi a me?! Con tutte le volte che io, questi uomini» indicò il piccolo drappello di soldati «e altri ancora vi abbiamo protetti?! Ve lo siete forse dimenticato?!»

«nessuno vi minaccia» disse piano Kitah Taurus, scostando dal volto una ciocca dei lunghi capelli neri «stiamo semplicemente cercando di evitarvi di essere trascinato via dalle guardie in maniera alquanto ignominiosa per un uomo del vostro calibro, Lord Pitch».

Era vero, un simile atteggiamento non lo avrebbe aiutato a sostenere le sue tesi di complotto, sarebbe passato per un semplice pazzo svitato…
Doveva smetterla assolutamente.
S’irrigidì, col respiro irregolare e i pugni contratti, e si costrinse a sedersi al posto che gli era stato assegnato, senza dire un’altra parola, pallido di rabbia più che mai. Sia i nobili delle Costellazioni sia i suoi uomini lo imitarono, i primi continuando a parlottare tra loro, i secondi scambiandosi fuggevoli occhiate allarmate, rendendosi conto sempre meglio di quanto il povero Lord Pitch fosse cambiato. C’era da chiedersi cos’avrebbe combinato in futuro, una volta tornato in battaglia.

Proprio in quel momento entrò la regina, preceduta da una dozzina di guardie, curiosamente non accompagnata dal marito e apparentemente un po’ a disagio. «signori. Signore. L’occasione non è delle più liete, ma siate i benvenuti».

«salute a voi, maestà» fu la risposta corale.

«vostra maestà, perdonate l’indiscrezione, ma il vostro consorte?...» Lord Altair, in un riflesso condizionato, passò una mano tra i corti capelli bianchi tagliati a spazzola. Si mormorava che la bellezza della regina non gli fosse del tutto indifferente, benché fosse sposato da tempo con una marchesa della ricca Casa Aquarius.

«ha avuto una leggera indisposizione, ma non è nulla di cui preoccuparsi, e arriverà di certo a momenti. Spero possiate perdonarlo…»

«figurarsi, da quando un re deve chiedere perdono per quello che fa?» minimizzò Lord Vega «ci mancherebbe altro».

Tsarina gli rivolse un leggerissimo sorriso con un cenno del capo, mentre faceva scorrere lo sguardo sui presenti. Ebbe un colpo al cuore quando arrivò al generale Pitchiner, ancor più stravolto di quanto avesse immaginato di trovarlo. «generale, so che probabilmente non ne potrete più di sentirvelo dire, ma voglio che sappiate che vi sono vicino in questa disgrazia, e vi faccio le mie più sentite condoglianze».

Per un attimo parve che il generale fosse stato “svuotato”, tanto che si strinse nelle spalle accasciandosi sulla sedia, ma l’istante dopo sollevò il viso, fissando Tsarina dritta negli occhi. «le vostre almeno sono sincere, per cui vi ringrazio, maestà. Spero facciate anche giustizia, perché non è stata una fatalità, ma un assassinio» affermò, evitando di aggiungere “e io devo starmene qui ad aspettare perché il re è ‘indisposto’, pensa!”

La regina non commentò, pur avendo il cuore gonfio di compassione per quel povero disgraziato. Fosse dipeso da lei avrebbe dato un minimo di fiducia alle sue parole cercando almeno d’indagare più a fondo nonostante le parole di qualunque nobile, ma sciaguratamente non dipendeva da lei.

Era una regina, ma una regina consorte, e ciò significava che ad avere l’ultima parola in certe decisioni sarebbe sempre stato suo marito. «e l’arciduchessa? Il motivo per cui questa mattina siamo qui riguarda lei più di tutti» disse, con una nota di rimprovero ben udibile.

Stava iniziando ad allarmarsi un po’. Già quel pochissimo tempo in più che suo marito aveva impiegato rispetto al solito per dichiararsi “pronto” -e che aveva fatto slittare l’incontro di cinque minuti- l’aveva inquietata, ma aveva lasciato stare perché in fin dei conti capiva che quella situazione non era semplice per nessuno, e necessitava ogni riflessione e ponderazione possibile…ma che a un certo punto, mentre camminavano per raggiungere la sala, avesse mandato avanti lei dicendole di avere un’indisposizione. L’aveva tranquillizzata sul fatto che non fosse nulla di grave, e le aveva detto che si sarebbe ripreso subito, ma forse le aveva detto una bugia, forse quella donna lo aveva convinto ad incontrarsi con lei prima in segreto…

“sto diventando paranoica, perché avrebbe dovuto mentire? E Nahema starà temporeggiando! La sua fama d’impavida forse è eccessiva” pensò.

 

 

  
***





«forse tu avresti dovuto indossare un vestito».

«Aladohar, mi sembri nostra madre anni fa, e non è un complimento» replicò Nahema, che si stava dirigendo verso l’ingresso principale del palazzo dei Lunanoff con passo deciso «sto andando ad affrontare un’accusa per omicidio, non a un ballo, le armature sono più appropriate».

Erano armature parziali di metallo dorato, decorate in alcuni punti con fini motivi color viola, lo stesso viola della sottile linea cristalli che contornava la stella a otto punte degli Aldebaran, la quale campeggiava fieramente sul petto; le armature, infatti, proteggevano busto, addome, parte dei fianchi, spalle, braccia e dal ginocchio in giù. 
Ciò che non era celato da queste, in ogni caso, era stato debitamente coperto da una spessa calzamaglia, nera come il mantello che avevano voluto indossare “in segno di rispetto per il tragico lutto del Lord High General of Galaxies”.

L’arciduca alzò gli occhi al cielo, mentre camminava a fianco di sua sorella. «non l’ho detto per una questione estetica, ma semplicemente perché forse un vestito avrebbe dato uno “stacco” più netto da quel che sai tu».

Ossia dall’identità del caporale Silk, ovviamente: donna molto mascolina, dura, dalla dura voce, dura espressione del volto e ancor più dure, enigmatiche e gelide maniere. Diversa dalla Nahema “pubblica”, insomma -mentre la vera Nahema era un misto tra le due cose-. 
Nahema gettò dietro le spalle con un gesto fluido i capelli, raccolti in una lunga coda composta da innumerevoli treccine. I preparati alchemici di suo padre avevano fatto un miracolo, come aveva immaginato. «non hai torto, ma non lo ritengo necessario» disse, appena prima di raggiungere l’ultimo tratto di strada, con guardie allineate ad entrambi i lati «inoltre» le sentinelle, al loro passaggio, s’inchinarono fin quasi a toccare terra «non solo mi trovo meglio così, ma desumo che verrò presa più sul serio. Ancor più di quanto lo sia abitualmente, s’intende».

«se volevi questo avresti potuto fare come Lord Antares, che porta un seguito di almeno quaranta persone anche quando viene invitato a prendere un tè».

«e da quando non troviamo ridicolo Lord Antares, fratello?»

Aladohar sogghignò. «da mai. Infatti scherzavo, non abbiamo bisogno di un seguito».

«non avevo bisogno neppure di te, se è per questo» concluse lei, entrando finalmente nel palazzo.

Aladohar aveva dovuto insistere parecchio per poterla accompagnare, perché inizialmente Nahema non aveva avuto la minima intenzione di lasciarglielo fare…


“ho detto di no, Aladohar. Ricordi com’è finita quand’eravamo bambini?”
“la volta in cui hai decapitato il mio pupazzo preferito perché non smettevo d’insistere? Ora non ho più pupazzi, mi spiace”.
hai una moglie”. 



Ma alla fine, dopo aver ricevuto minacce di morte varie che Nahema non avrebbe messo in pratica, -o almeno, non senza una ragione valida- era riuscito a spuntarla. «non per questo devi fare tutto da sola».

Lei non replicò, troppo impegnata a ricambiare i saluti della gente presente nell’atrio, poi nei corridoi. Aveva gentilmente rifiutato di essere accompagnata da guardie e paggi.


“ti ringrazio, ma non è necessario: raggiungeremo da soli il caro Lunar, in fin dei conti conosco questo palazzo come il palmo della mia mano destra”.


Lei era l’arciduchessa Nihil Nahema Aldebaran: non aveva bisogno di un seguito, non aveva bisogno di essere scortata da alcuna parte, conosceva il palazzo a menadito, dava del tu al re chiamandolo per nome, e si permetteva di arrivare in ritardo solo per far vedere che poteva.


 

 

***

 




Trascorsero altri due minuti. La tensione stava iniziando ad aumentare in maniera esponenziale, almeno per la regina, il generale e i soldati; i nobili erano tutti piuttosto tranquilli, eccetto un paio che tradivano una leggerissima impazienza.

Improvvisamente la massiccia porta di legno dorato intarsiato si aprì…

«signori, signore, domando scusa per il ritardo» esordì Tsar Lunar. Non aveva mentito a Tsarina, la tensione per tutta quella brutta faccenda gli aveva giocato per davvero un brutto scherzo -povero caro!- ma al momento era tutto a posto. «do a tutti voi il benvenuto. Avrei voluto che un simile incontro avvenisse per motivazioni ben diverse, ma purtroppo…generale-»

«“condoglianze”, sì maestà, grazie mille» lo interruppe Pitchiner, cupo «vostra moglie si è già espressa bene in questo senso…»

«generale, forse è il caso-» uno dei suoi uomini cercò di interromperlo, senza successo.

«ed io sono più interessato che facciate giustizia piuttosto che le condoglianze, se permettete» continuò infatti Kozmotis «ascoltate le mie parole! Di tutti i nobili che vedete lì seduti non ce n’è uno che non sia una carogna corrotta!»

«va avanti così da prima, maestà, e temo non intenda smettere» sospirò Lord Vega, allargando le grosse braccia paffute «accuse su accuse, una più strampalata dell’altra, ahimè! Che vogliamo farci? Spero siate in grado di far ragionare questo pover’uomo distrutto. In vostra assenza ha accusato anche noi, oltre all’arciduchessa, ignorando tra le altre cose il colore dei nostri mantelli» perché ovviamente gli Aldebaran non erano stati i soli ad avere l’idea del mantello nero «per cui…»

Pitchiner fissò con rabbia Lord Vega, col solo desiderio di stringere le mani attorno a quel suo collo grassoccio. «mantelli neri come le vostre anime! Siete nemici miei e del regno quanto lo sono i Dream Pirates, ma se non altro loro evitano di nascondersi dietro atteggiamenti ipocriti!»

«Lord Pitch, v’invito a moderare i toni» intervenne Lunanoff «inoltre l’udienza non può certo iniziare senza che l’altra parte in causa sia presente!»

«a tal proposito» avviò a dire Tsarina «trovo che il ritardo di lady Nahema sia veramente

La porta dorata si aprì di nuovo.

«salute a entrambe le maestà» fu la prima cosa che disse Nahema con la massima disinvoltura e un breve inchino, entrando a testa alta seguita dal fratello «e anche a voi, signore e signori!» aggiunse, rivolta ai nobili «vi prego di perdonare il mio ritardo».

Più che una preghiera o una richiesta sembrava una sorta di ordine, cui l’unica risposta prevista era un “ma certo, figuratevi milady”! 
Entrambi i fratelli facevano la loro figura, in fondo le armature della Casa Aldebaran per le occasioni ufficiali erano piuttosto rinomate per la loro bellezza, ma a fare la differenza tra i due era l’atteggiamento: Aladohar era tranquillo e sicuro come sempre, però Nahema aveva quel tocco di carisma in più, e l’aria di una persona a cui l’idea di uscire male da quell’udienza non era mai passata neppure per l’anticamera del cervello.

Lunanoff, agendo istintivamente, si avvicinò a Nahema per salutarla con un abbraccio; riuscì a riscuotersi solo nel momento in cui stava per stringerla, fermandosi, e limitandosi a posarle le mani sugli avambracci -ricambiato- con fare piuttosto “intimo”.

Non la vedeva da sette anni, e l’ultima volta che aveva avuto sue notizie in via diretta risaliva sempre a sette anni prima grazie a una lettera che lei stessa gli aveva inviato, ed era sia estremamente affezionato a lei che molto felice di rivederla, anche in un contesto come quello, e del tutto incurante del ritardo. «Nahema. Da quanto tempo!»

Lei sorrise. «troppo, Lunar, troppo».

Pitchiner sobbalzò visibilmente, per poi iniziare a stringere i braccioli della sedia con tanta forza che questi si ruppero con un sonoro “crack”. Lo stesso rumore che avevano fatto le sue speranze di ottenere giustizia, infrangendosi davanti a quell’abbraccio a stento contenuto.
Occhieggiò la regina. Neppure lei sembrava molto contenta di quella scena, tanto da essersi visibilmente incupita, ma nessuno eccetto lui sembrava averlo notato, o aver voglia d’interessarsene.

«Nihil Aladohar».

«maestà» l’arciduca chinò brevemente il capo «sono circostanze spiacevoli, senza dubbio…»

«molto, molto spiacevoli» concordò il re «direi che a questo punto possiamo iniziare davvero...»

«un attimo soltanto, per favore».

Kozmotis impietrì quando vide Nahema voltarsi verso di lui, fargli un piccolo inchino assieme al fratello.

«sentite condoglianze, generale Pitchiner. So che mi credete responsabile di quant’è accaduto, ma vi assicuro che così non è, e che io e la mia famiglia vi siamo vicini».

L’intero gruppetto di soldati dovette trattenerlo per impedirgli di saltarle addosso e staccarle la testa, mentre le guardie si strinsero in parte attorno alla regina, ora piuttosto spaventata. Altre si avvicinarono a Nahema e al re, ma questa le allontanò con un cenno. «io non necessito protezione, signori, occupatevi dei nostri sovrani» disse tranquillamente.

«messa così, vado a sedermi» disse Aladohar, raggiungendo Lord Altair.

«abbi almeno un mimino di buongusto e TACI, bastarda assassina!!!!!» urlò Lord Pitch, più che fuori di sé «non crediate che va la farò passare liscia! Avete ucciso mia moglie! Avete ucciso una bambina innocente, luridi cani schi

«generale, per gli Dei! Basta!» tuonò il re, mentre prendeva posto accanto alla moglie «capisco che siate sconvolto, lo siamo tutti quanti per quant’è accaduto, ma vi prego di mantenere un po’di contegno».

«”contegno”! Parlate così perché non avete dovuto raccogliere e seppellire il cadavere di vostra moglie per colpa sua!» indicò Nahema «si è finta un’altra persona per sette anni, ha cercato il modo per distruggermi…»

«generale, voglio essere diretta: essere in due posti contemporaneamente non è nelle mie possibilità, anche se indubbiamente tornerebbe molto comodo. Non pensate sia più probabile che quella donna, il caporale Silk se non ricordo male il documento che mi è pervenuto, fosse un’impostora dei territori Scorpio che si è fatta passare per la sottoscritta?»

«non vedo che motivo avrebbe avuto per fingersi voi, milady» obiettò Tsarina, ignorando completamente l’espressione del marito. Le aveva detto che ci avrebbe riflettuto sopra, e pareva averlo fatto, ma non sembrava aver cambiato minimamente idea rispetto alla sera prima, per cui toccava a lei tentare di andare più a fondo.

«come io non vedo che motivo avrei avuto per fare ciò di cui mi si accusa, maestà» replicò prontamente Nahema «non ne avrei tratto alcun vantaggio».

Tsar non sarebbe stato un problema, ma era bene che anche Tsarina si astenesse dal tentare di creargliene. Nahema non aveva mai dato granché importanza a quella donna, figlia di un mercante di stoffe preziose che aveva felicemente accettato il ruolo di regina consorte cui lei aveva scelto di non sottostare, e per il suo stesso bene Tsarina avrebbe fatto meglio a rimanere fuori dalla “linea di tiro”.

«quel che asserisce il Lord High General implica che la mia famiglia debba essere alleata in qualche modo con i Dream Pirates» aggiunse Aladohar «ora: pur volendo ignorare il fatto che tanto io quanto mia sorella e nostro fratello Nihil Nuro siamo -o siamo stati- a combatterli al fronte in diverse occasioni, resta il fatto che stringere un’alleanza con esseri che, senza scrupolo alcuno, tentano di divorarti l’anima appena ti vedono sia alquanto complicato».

«eppure lei l’ha fatto! L’ho vista parlarci!»

«Lord Pitch, voi avete visto il caporale Silk» gli ricordò pazientemente Nahema «non me. Non siamo assolutamente la stessa persona. Sapete, non è mia abitudine lasciare a dei Dream Pirates il tempo di parlarmi. Soldati!» alcuni degli uomini di Pitchiner sobbalzarono leggermente nel sentirsi interpellare «conoscete la donna di cui si sta discutendo, giusto? Vi sembra che possa avere a che fare con me? Rispondete sinceramente».

«ecco…» esordì un tenente «in effetti sembrate possedere un fisico simile, milady, ma il pianeta da cui proveniva Silk è pieno di donne guerriere alte e molto atletiche, per cui…e quanto al resto, beh» si fece piccolo piccolo sentendo su di sé lo sguardo del proprio comandante «se devo essere proprio del tutto sincero…con tutto il rispetto per Lord Pitch, ma…non vedo molto di Silk in voi».

Coloro che avevano presente solo -o prevalentemente- l’aspetto del caporale Silk, o che non l’avevano mai vista con un atteggiamento diverso da quello che aveva mostrato fino all’ultimo, difficilmente sarebbero riusciti a conciliarne la figura con quella di Nahema: le cicatrici orrende erano scomparse, i capelli erano diversi, il colore degli occhi era differente, per non parlare dell’aria che aveva -Silk non aveva mai sorriso, soprattutto non in quel modo- e della maniera di comportarsi. Pitchiner si sentiva tradito dai suoi stessi uomini, però non poteva dire di non capirli.
Loro non l’avevano vista minacciarlo, non avevano visto sotto la maschera, ma lui sì, a lui si era mostrata. Nahema avrebbe potuto indossare qualunque travestimento, ma lui l’avrebbe riconosciuta sempre.

«perché non lo era, soldato: come detto e ripetuto più volte, nonché riferito al re nei dettagli, Lady Nahema ha combattuto nei nostri territori per tutto il tempo» affermò Lord Taurus.

«proprio tutto-tutto? Ne siete assolutamente convinto?»

«lo ha ribadito molte volte, Tsarina, io credo che lo sia, e francamente lo sono anche io» dichiarò Tsar Lunar alzandosi in piedi «Lord Pitch, vi prometto che io, e ogni nobile presente in questa stanza, ci impegneremo perché il caporale Silk venga catturato e paghi le sue malefatte…»

«il! Caporale! È! Nahema!!!» gridò il generale, indicandola con entrambe le mani «è tutto un complotto per rubarvi il trono, i nobili presenti sono tutti d’accordo e chissà quanti altri sono coinvolti, perché non volete ascoltarmi?!»

«perché siete palesemente fuori di voi, generale, e credo che dobbiate prendervi del tempo per elaborare il lutto subìto. Sono sicuro che in seguito vi renderete conto dell’assurdità di tutto ciò che avete detto. Davvero, quel che vi serve è solo del tempo…»

«e a voi servirebbe svegliarvi, sire!» sbottò Pitchiner «perché non vi rendete conto di una congiura neppure se questa viene sbattuta sotto il vostro regale naso».

«intollerabile, davvero intollerabile» commentò Lady Virgo, facendosi aria col ventaglio verde scuro abbinato all’abito «quanta maleducazione volete farci ancora sopportare quest’oggi?! Persino verso il re!»

«Lord Pitch, basta-»

«taci, maggiore! Anche voi avete deciso di voltarmi le spalle e lasciarmi solo in tutto questo, voi, i miei uomini più fedeli!»

«ecco, io ci rifletterei sopra, Pitchiner» disse Aladohar «perché magari se l’hanno fatto un motivo c’è».

Stavolta i soldati non riuscirono a trattenerlo, non fecero in tempo: il generale partì all’attacco, preso dalla furia più cieca per tutta quell’ingiustizia e incapace di contenerla oltre.

 

Gli parve di udire vagamente il re gridare un “guardie!”, ma non avrebbe potuto importargli meno. Dei corpi gli vennero addosso, cercando di fermarlo, ma se ne sbarazzò con pochi colpi. Nulla l’avrebbe tenuto lontano dai suoi bersagli, nulla!

Fu allora che Nahema decise di aver visto abbastanza: corse incontro al generale, gli artigliò il braccio sinistro e, torcendoglielo, atterrò Kozmotis con una violenta doppia ginocchiata alla schiena. Fatto ciò afferrò la testa dell’uomo e la sbatté con forza contro il pavimento, e l’impatto fu talmente duro che Lord Pitch perse i sensi.

In condizioni normali Nahema non avrebbe potuto batterlo con altrettanta facilità, Kozmotis Pitchiner non era diventato High General of the Galaxies senza motivo, ma quelle decisamente non erano condizioni normali.

I soldati di Pitchiner, tuttavia, non parvero capirlo, e si convinsero che l’arciduchessa era ben più forte del caporale Silk, nonostante le tecniche che usava fossero abbastanza simili!

«corri a chiamare il medico» ordinò Lunanoff a una guardia, dopo aver tranquillizzato la moglie «subito!»

«sì, maestà».

«per gli Dei, fortuna che c’eravate voi, milady» Lord Vega si asciugò la fronte, e i suoi baffi fremevano ancora per la paura che si era preso.

«ho fatto né più né meno del mio dovere, ma rimpiango di aver dovuto essere così drastica» disse la donna, rialzandosi rapidamente. «signori, teniamo a mente che l’anima di questo pover’uomo è spezzata, non è padrone di tutto ciò che dice e fa, quindi perdoniamolo, e in futuro cerchiamo di sostenerlo con ogni mezzo in nostro possesso in modo che possa rimettersi in sesto. Kozmotis Pitchiner è un fiero protettore del reame, e lo merita pienamente».

«brava! Concordo!» esclamò Aladohar, dando il via ad un applauso.

«sì, io stesso sono perfettamente d’accordo» affermò il re «sarebbe stato meglio evitare tutto questo, ma il povero Pitchiner era fuori di sé a tal punto che non c’era altra soluzione, e ci rifaremo in futuro». 

La regina s’incupì ancora di più. Non solo Nahema aveva vinto a prescindere, ma ora veniva persino applaudita per aver causato un trauma cranico a un uomo! Certo, qualcuno doveva pur bloccare il povero Pitchiner, ma non in quel modo. “avrà vinto il processo, ma io non intendo chiudere la cosa qui, a costo di dover tentare di avviare personalmente qualche indagine tra i nobili!” pensò Tsarina.

«eccomi! Dov’è il ferito?! Uh, ciao ragazzi!» esclamò Nihil Ralonrin Aldebaran, con un cenno di saluto infantile ai suoi fratelli, per poi chinarsi immediatamente sul ferito «procedura da trauma cranico. Bloccategli la testa, giratelo…bene, così. Caricatelo sulla barella» ordinò ai suoi quattro assistenti «non fai in tempo a tornare che già ti rimetti a picchiare la gente?» disse a Nahema.

Si pentì di aver parlato appena vide l’espressione dei suoi fratelli.

«a volte si è costretti, Ralonrin» rispose Aladohar, piatto.

Il ragazzo, saggiamente, spostò la sua attenzione altrove. «salute a voi, suocero, è sempre un piacere vedervi» disse, e sorrise a Lord Vega «vorrei poter restare di più ma ho un paziente di cui occuparmi».

«figurati, ragazzo, figurati…»

«il paziente è pronto, signore!»

«ottimo. Andiamo!» esclamò Ralonrin, abbandonando la stanza dopo un ultimo cenno di saluto a tutti.

«a questo punto credo che non ci sia più nulla da dire…una delle parti in causa è ricoverata» commentò Tsarina.

«a dire il vero qualcosa c’è ancora» la contraddisse il re «arciduchessa Nihil Nahema della Casa Aldebaran, in quanto Capo Supremo delle Forze Armate ti promuovo da maggiore a generale con effetto immediato».

«cosa?!» allibì la regina.

«in questi anni non sei stata certo con le mani in mano, e comunque sia l’ Armata Dorata ha bisogno di qualcuno che la guidi, almeno fino a quando Lord Pitch sarà tornato in sé e potrà riprendere il suo posto. Concorderete tutti che l’armata più valente del regno debba essere comandata da qualcuno di più stabile» disse il re, senza sapere di aver usato esattamente le parole usate dai due fratelli Aldebaran quattro giorni prima.

I soldati di Pitchiner ammutolirono completamente. Il re non aveva tutti i torti, però sarebbe stato strano essere guidati da un’altra persona dopo tutto quel tempo.

«accetto con gioia questo compito. Solo una cosa: quando il generale Pitchiner si sarà ripreso e sarà tornato al comando, come dimostrazione di buona volontà da parte della mia famiglia, vorrei potergli essere di supporto con le mie armate. Credo che aiutandolo, e facendo sì che ci conosciamo meglio, il generale capirà che non ho nulla a che vedere con l’altra donna. Certo, spero che perdoni il brusco modo in cui l’ho atterrato…»

«sei stata costretta, e ovviamente la tua proposta è accolta».

 Nahema sorrise.

Aveva fatto due passi in più.

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Capitolo 14
*** 14. Vita da sassi ***


= Vita da sassi =
 
 
 
 
 
 
 
La prima cosa che Kozmotis avvertì quando si svegliò fu una spaventosa fitta alla testa. Richiuse le palpebre con un mugugno, e si rigirò nelle morbide lenzuola dorate che lo avvolgevano.
Un momento. Lenzuola dorate?
 
Quel particolare riuscì a dissipare quasi completamente la sonnolenza residua, e lo indusse a rizzarsi a sedere. La velocità del movimento gli causò un’altra fitta al capo, attorno alla quale il generale avvertì ancora la delicata pressione della fasciatura che gli era stata applicata dopo il processo -conseguenza del fatto che Nahema lo avesse atterrato e “mandato a dormire” con un colpo alla testa- ma al momento era l’ultimo dei suoi pensieri.
 
Non riusciva a capire dove si trovava, non aveva mai visto quel posto prima d’ora, e tantomeno rammentava il modo in cui ci era arrivato. Si sforzò di fare mente locale: qual era l’ultimo posto che ricordava?...ma certo: l’infermeria del palazzo reale, si era risvegliato lì.
Poi però cos’era successo?
 
Mentre cercava di ricordare, decise di iniziare a guardarsi attorno con la massima circospezione.
Quella camera da letto era più grande dell’intero piano terra di casa sua, munita di ampie finestre e una terrazza aperta sul panorama di una metropoli dalla curiosa architettura che lui non ricordava di aver mai visto.
Cercò indizi concentrandosi sugli elementi presenti nella stanza, e la prima cosa che saltava all’occhio era  l’opulenza smodata che regnava in tutto l’ambiente.
Già solo il letto era un baldacchino molto rialzato ed estremamente ampio, con fini tendaggi viola dai ricami lucenti, e non ci avrebbe voluto giurare, ma il comodino e la lampada sopra di esso sembravano in tutto e per tutto d’oro zecchino. Stesso discorso valeva per il resto del mobilio, anche se da lontano non poteva esserne totalmente sicuro, e per le pareti: se quelle decorazioni non erano composte da foglie d’oro e scaglie di quelli che sembravano in tutto e per tutto diamanti viola, lui non si chiamava Kozmotis Pitchiner. Decori simili erano presenti anche sulle grosse colonne rigate presenti nella stanza, marmoree come il pavimento.
Chi poteva permettersi di sprecare in quel modo risorse come oro, marmo e soprattutto rarissimi diamanti viola?!
 
 “l’infermeria…”
 
Perché il lusso smaccato -quasi pacchiano, a suo parere- di quel posto gliela stava facendo venire in mente? Doveva cercare di risolvere il mistero. Cos’era successo nell’infermeria, e cosa c’entrava con quel posto?
 
Fece un respiro profondo, e lasciò che i ricordi fluissero.
 
 
 
 
 
 
*** In precedenza… ***
 
 
 
 
 
 
Si svegliò confuso e con la testa che pulsava. Mentre sbatteva le palpebre, gli parve di vedere la sagoma di qualcuno alla sua sinistra. «dove sono…?»
 
«siete in infermeria, generale. Cercate di stare tranquillo, siete reduce da un colpo al cranio non indifferente!»
 
Con un sibilo di dolore, il generale voltò il capo in direzione del suo interlocutore. Era un ragazzo alto, poco più che ventenne, con una barbetta incolta e una zazzera di capelli neri che, fosse stata meno disordinata, avrebbe potuto fare invidia alla sua. L’aria leggermente trasandata del giovane medico -questo era, a giudicare dal suo camice bianco- era qualcosa su cui riusciva comunque a soprassedere senza sforzo dal momento che la sua persona, o almeno il suo profilo sinistro, trasmetteva uno strano senso di tranquillità.
 
«sì» borbottò Kozmotis «ora ho presente. Avrei solo voluto dare a quei bastardi ciò che meritavano, invece no…tutto quel che sono riuscito a ottenere è un trauma cranico».
 
«posso immaginare quanto fosse difficile, ma forse avreste dovuto cercare di rimanere più calmo, generale» disse il dottore, con la calma più assoluta, mentre appuntava «non credo che quel che è successo abbia giovato alla vostra causa».
 
Già. Provava ancora una rabbia profonda, ma il colpo preso stava riuscendo a farlo ragionare un po’. Nahema, suo fratello e i nobili loro alleati avevano cercato di farlo passare per un uomo dalla psiche straziata della perdita, e c’erano riusciti alla perfezione anche grazie al suo contributo.
Vero, gli erano successe troppe cose orribili in pochi giorni, ma lui avrebbe dovuto cercare di mettere da parte il suo dolore per ottenere giustizia, o almeno per tentare di far venire al re qualche dubbio in più e far sì che stesse in guardia. «non avete tutti i torti, dottore, ma ne sono successe troppe perché riuscissi a trattenermi» ammise, con una semplicità che solitamente non gli apparteneva «prima la mia famiglia, poi quella strega di mia cognata, e ora anche questo…»
 
«sembra quasi una richiesta d’aiuto, Lord Pitch. Pensate di aver bisogno di un sostegno psicologico? Guardate che non sarebbe indice di debolezza» specificò il dottore, sollevando finalmente lo sguardo dai suoi appunti.
 
Una cosa che saltò subito all’occhio di Kozmotis era il colore dell’iride: era come osservare una fiamma viva posta tra tizzoni di brace nera. La gente della Golden Age non era nuova a fantasiose sfumature di occhi e capelli, ma era la prima volta che gli capitava di vedere quella combinazione di colori. «se lo dite voi».
 
«dico, dico! Anzi, considerando la vostra situazione e la posizione che occupate credo che sarebbe un gesto di grande accortezza da parte vostra. Come High General of the Galaxies siete responsabile della vita di molte persone, il che significa dover essere sempre perfettamente lucido e stabile. Voi cosa pensate?»
 
«che mi piacerebbe che le vostre parole fossero un po’meno sensate».
 
«allora non avete perso la capacità di comportarvi in modo ragionevole» si voltò e si allontanò di poco, rovistando nel cassetto di un piccolo mobile bianco «immaginandolo, mi sono permesso di mettere sul comodino vicino a voi sia il modulo da firmare che la penna. Vi accorgerete che è tutto scritto in modo chiaro e conciso, se ora lo leggete con calma».
 
Il documento era breve, giusto una pagina, e il generale non notò alcunché di strano leggendolo. Non conosceva il nome dello psicologo, ma dal nome sembrava essere originario del territorio degli Orion, come lui. Un residuo di orgoglio e testardaggine lo fece esitare nell’apporre la firma, ma le parole del dottore riguardo la responsabilità avevano colpito nel segno.
 
“per non parlare del fatto che se voglio contrastare persone come Nahema e la sua dannata famiglia devo necessariamente essere quanto più stabile possibile. I soldi e il potere degli Aldebaran possono essere contrastati solo cercando di essere più furbo di loro” si disse mentre firmava “e io al momento non sono in condizioni di riuscire nell’impresa. Forse non potrò fare giustizia nell’immediato, ma in futuro le cose saranno diverse”. «ho firmato, dottore».
 
«spero che vi troverete bene con lo specialista che ho scelto per voi» disse il ragazzo «è un collega che conosco molto bene, e che mi informerà prontamente di ogni vostro progresso».
 
D’accordo, il discorso stava prendendo una piega strana. «a voi?...ho già un medico di base, io credevo aveste interpellato lui per la scelta e, con tutto il rispetto, da come avete parlato sembra che dobbiate essere voi ad avere l’ultima parola sulla durata della mia terapia».
 
«non solo “sembra”, ma è naturale che sia così. Sarete dichiarato idoneo a svolgere il vostro compito quando, esaminati i resoconti che il mio collega farà sulle vostre condizioni psichiche, io stabilirò che sia il momento opportuno. Non aspettatevi che passino meno di sei mesi, riprendersi anche solo un po’da un trauma del genere è molto dura, ma non preoccupatevi né per il regno né per la vostra armata» lo “rassicurò” il dottore, voltandosi verso di lui con grande calma  «il re ha dato a mia sorella l’onore e l’onere di sostituirvi, e vi garantisco che non c’è persona più preparata di Nahema».
 
All’inizio il generale Pitchiner non riuscì a proferire parola, troppo impegnato a fissare la voglia a forma di stella a otto punte in bella mostra sul lato destro del volto del dottore, a lui celato fino a quel momento. «a-anche tu sei…?»
 
In difesa di Kozmotis va detto che sapeva che Nihil Ralonrin Aldebaran era il medico di corte ufficiale dei Lunanoff, ma sapeva anche che non era il solo dottore presente: i Lunanoff offrivano nel loro palazzo prestazioni mediche ambulatoriali gratuite a coloro che, per un motivo o per un altro, non avrebbero potuto permettersele, e un unico dottore non avrebbe potuto gestire tutto da solo. Tra questo, il non aver mai visto prima Ralonrin, nonché il fatto che questi non somigliasse per nulla agli Aldebaran che lui aveva conosciuto, era comprensibile che non avesse intuito subito la verità.
 
«generale, già non vi piaccio più? Solo per un segno sul viso? Potrei offendermi» disse il ragazzo, imbronciandosi per un attimo «...ma in effetti anche no» aggiunse subito dopo, prendendo con uno scatto felino il foglio che Pitchiner aveva riappoggiato sul comodino «l’importante è che continuiate a collaborare».
 
Tanti saluti al “cercare di essere più furbo di loro”, pensò Kozmotis; erano riusciti ad anticiparlo prima ancora che potesse iniziare a studiare qualcosa. «quel foglio non vale niente, mi hai strappato il consenso con un inganno, se io-»
 
«con l’inganno, dite? A me non risulta, avete fatto tutto da solo» ribatté Ralonrin «mi avete praticamente detto che avete bisogno di sostegno, io vi ho suggerito di ricorrere a uno psicologo, e voi avete letto e firmato tranquillamente un conciso documento scritto in chiare lettere. Non vedo inganni di sorta, generale, tutto quel che posso constatare è che soffrite di un disturbo paranoide non solo verso chi ha questo segno sul volto, ma anche verso persone come il mio stimato suocero, Lord Advif Vega. È passato di qui a raccontarmi qualcosina».
 
Kozmotis aveva in mente solo una cosa, ossia prendere quel foglio e farlo a pezzi: sarebbe stato un modo come un altro per iniziare, e se avesse voluto avrebbe sempre potuto andare da uno psicologo di sua scelta, possibilmente che non avesse niente a che fare con quella famiglia di bastardi. La fitta di dolore provata quando si alzò bruscamente in piedi lo fece quasi vacillare, ma non intendeva lasciar perdere. «dammi quel foglio, o me lo prenderò da solo».
 
Ralonrin, come già detto, era un ragazzo alto -come del resto la stragrande maggioranza dei suoi parenti- ma non troppo robusto, ed era completamente a digiuno di cose come tecniche di lotta e simili. Come tutti i suoi fratelli lui era stato istruito fin da piccolo su come amministrare e governare vasti territori, ed era un dottore con buone conoscenze di alchimia -grazie a suo padre- ma null’altro, e trauma cranico o meno Kozmotis Pitchiner non era diventato High General per niente. «dovreste tornare a letto, non siete ancora nelle condizioni di fare movimenti bruschi».
 
«non me ne serviranno molti!»
 
«vi conviene rimanere calmo» dal camice Ralonrin tirò fuori quella che sembrava una specie di piccola pistola, caricata a dardi tranquillanti «noi medici abbiamo i nostri metodi, quando abbiamo a che fare con pazienti poco…sì, beh, pazienti».
 ,
«prima devi riuscire a colpirmi» gli ricordò il generale, man mano che si avvicinava. La testa gli pulsava, ma si sforzò di ignorarlo. «devi aver mandato via gli infermieri perché rimanessimo soli, ma scommetto che ora te ne stai pentendo, vero?...mancato!» esclamò quando Ralonrin, indietreggiando di molto, fallì il primo colpo «non hai la mira dei tuoi fratelli».
 
«…siamo passati a darci del tu e non me ne sono nemmeno accorto, pensa un po’» disse Ralonrin quasi tra sé e sé, sparando altri due dardi. Anche stavolta non andarono a segno, perché nonostante il trauma cranico il generale ebbe sufficiente prontezza di riflessi da afferrare un vassoio vuoto che si trovava su un mobiletto vicino e deviare con esso i due dardi. «senti, ma non potresti stare fermo e lasciarti colpire? Sul serio! Tanto non hai modo di uscire di qui con questo foglio, quindi che ti batti a fare?» sbuffò l’arciduca, con l’espressione di un bimbo capriccioso «andiamo, suuuu!»
 
Proprio in quel momento una terza persona fece il suo ingresso nella stanza. «Ralonrin, mi serve-»
 
Kozmotis, senza pensarci troppo, afferrò suddetta persona e la strinse a sé come uno scudo umano, per poi afferrare un paio di lunghe forbici, che Ralonrin aveva usato per tagliare le bende con cui gli aveva fasciato il capo. «distruggi quel foglio e dimmi come uscire rapidamente dal palazzo, o giuro sugli Dei che ucciderò tua sorella come voi avete ucciso le mie donne!»
 
Kozmotis aveva riconosciuto Nihil Rerazara Aldebaran perché, tanto per continuare la tradizione di Iyra Aldebaran, aveva vinto il titolo di “donna più bella del regno” già due volte -forse immeritatamente o forse no- ed era comparsa spesso nelle riviste di moda che lui aveva comprato per sua moglie, cui certi frivoli giornaletti erano sempre piaciuti.
Ricordò le occasioni in cui aveva sentito Aleha dire che le sarebbe piaciuto avere gambe chilometriche come quelle di Rerazara, e in cui lui l’aveva rassicurata dicendole di non avere proprio nulla da invidiarle, anzi.
Ecco: non avrebbe più potuto fare neppure questo, ed era sempre colpa degli Aldebaran, sempre loro, solo loro.
 
Rerazara, terzogenita della sua famiglia, alzò gli occhi al soffitto con aria decisamente seccata. Era andata da Ralonrin per farsi dare qualcosa che diminuisse il nervosismo -gestire le finanze di un re e una regina che tendevano a spendere troppo in opere di bene non era sempre facile, e quella sera aveva anche una sfilata- e cos’aveva trovato? Di certo non quel che cercava! Che giornataccia. «ecco, ci mancava solo il cretino che non ha niente di meglio da fare che puntarmi un paio di forbici in faccia».
 
«taci!» le intimò il generale, dopo un breve attimo di smarrimento per quella sua non-reazione «e tu non pensare di chiamare rinforzi e sbrigati ad obbedire, perché faccio sul serio!»
 
Non c’era il minimo dubbio su ciò, e Ralonrin non era sicuro di riuscire a sparare abbastanza velocemente da evitare ogni rischio a sua sorella. «ehm…Rera, digli qualcosa».
 
«“Rera digli qualcosa”? Ma sei serio? Secondo te dovrei anche parlarci?»
 
«beh, …»
 
«ma stiamo facendo le comiche o cosa?!» sibilò il povero Pitchiner, che si trovava sempre più spiazzato. Confrontati a quei due -un bambinetto nel corpo di un ventitreenne e una donna che pareva un pezzo di ghiaccio, persino peggio di sua cognata- Nahema e Aladohar erano l’apoteosi della normalità.
 
«un High General of the Galaxies ferito alla testa che pensa di poter attentare alla vita di un’arciduchessa credendo di riuscire a ottenere quello che vuole in effetti è abbastanza comico» osservò Rerazara, senza neppure provare a divincolarsi. «sentite, perché non interrompiamo questa pantomima e mi lasciate? Sareste veramente disposto a uccidere una civile innocente?»
 
«sei una civile, ma in quanto Aldebaran di certo non sei innocente» replicò.
 
Rerazara alzò gli occhi al cielo. «Ralonrin, si può sapere cosa c’è in quel foglio?»
 
«ha ammesso lui di aver bisogno di un sostegno psicologico e a firmare, non è colpa mia se poi ha cambiato idea!» si lagnò il ragazzo.
 
«ho firmato solo perché prima non sapevo chi sei! Non vi permetterò di tenermi lontano dalla mia armata a vostra discrezione, potete pure scordarvelo!»
 
«forse voi non avete ben chiara la vostra posizione» disse Rerazara «per ora siete fuori dai giochi, dal momento che è stato il re in persona a dare a mia sorella l’incarico di sostituirvi “finché non starete meglio”. Potete notare che è un lasso di tempo del tutto indefinito, e da quel che vedo minaccia di durare anni. Avendo firmato quel foglio, datovi da Ralonrin, apparirete davanti al re già più ragionevole di quanto siate in realtà. Vi garantirà un ritorno più rapido. Se è questo ciò che volete, tecnicamente vi agevola».
 
«agevolarmi?! Perché diamine dovreste volere che torni al mio incarico prima?!» allibì il generale «non ha senso! Cos’ha in mente di fare tua sorella?!»
 
Nello stupore commise l’errore madornale di abbassare la mano, e Rerazara approfittò della momentanea distrazione per colpirlo allo stomaco più forte che poteva col suo gomito appuntito. Quando sentì la presa allentarsi riuscì a sgusciare via, afferrò con mano sicura la pistola a dardi che Ralonrin le lanciò, e sparò a Kozmotis un paio di volte, centrandolo in pieno.
 
«penso che tentare di spiegarvelo ora sia inutile» disse Rerazara, impassibile come se avesse avuto indosso una maschera «siete imbottito di tranquillanti».
 
Mentre Kozmotis cercava di resistere all’effetto dei tranquillanti e non cadere a terra, inutilmente perché questo fu proprio ciò che accadde l’attimo dopo, sentì rimbombare nelle orecchie l’applauso che Nihil Ralonrin fece alla sorella.
 
«brava Rera!...»
 
«“brava Rera” è tutto quel che sai dire? Anche munito dei tranquillanti non sai gestire un uomo reduce da un trauma cranico…se tu non fossi la copia precisa di papà avrei dei dubbi sul fatto che siamo imparentati. Seriamente».
 
«sì, anche io Ti Voglio Tanto- Tanto- Tanto- Tanto- Tanto…»
 
«taglia».
 
«...Tanto- Tanto- Tanto- Tanto- Tanto- Tanto Bene».
 
«direi di rimettere a letto il paziente».
 
I suoni stavano diventando sempre più ovattati e il mondo sempre più buio, ma Kozmotis riuscì a vedere Nihil Ralonrin guardarlo con una smorfia infantile sul volto.
 
«io invece ho un’altra idea. Ha chiesto cosa vuol fare Nahema, giusto? Io direi di mandarlo a farle domande personalmente!»
 
«perché?»
 
Ralonrin rise. Il generale stava per addormentarsi, ma sentì ugualmente la risposta.
 
tanto per romperle le ovaie! Passami un po’quelle siringhe, già che ci sei”.
 
 
 
 
*** Ora ***
 
 
 
 
“chi può permettersi di sprecare in questo modo risorse come oro, marmo e soprattutto diamanti viola”, si era chiesto?
Che domande.
Le stesse persone che avevano sotto il loro controllo un numero incalcolabile di ricche miniere di vario genere, ovviamente.
 
Si catapultò letteralmente giù dal letto, all’improvviso non gli importava più di quanto mal di testa avrebbero potuto causargli dei movimenti bruschi: la sola cosa che doveva fare era andarsene di lì prima possibile, a costo di saltare giù dalla terrazza e lanciarsi giù nel largo fiume che si vedeva scorrere sotto.
 
«un simile salto nelle vostre condizioni è sconsigliabile, generale. Tanto vale che vi mettiate comodo».
 
Kozmotis si voltò di scatto, e capì che poteva tranquillamente dire addio alle sue speranze di fuga. Non era in condizioni di scontrarsi contro Nahema e Aladohar insieme, non sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte neppure battendosi con la forza della disperazione, per cui tanto valeva rimanere fermo e sentire cos’avevano da dire quegli schifosi assassini. «avete distrutto la mia casa e la mia famiglia, cosa volete ancora da me? Perché mi avete portato qui?!»
 
«“portato”? Guardate che non vi abbiamo portato da nessuna parte. Avete fatto irruzione nel palazzo ieri sera. Non avrei portato voi in casa mia» affermò Aladohar «potete starne sicuro. Sapete di non essermi molto simpatico».
 
«Aladohar, per cortesia, evita. Come stavamo dicendo, generale, siete stato voi a venire qui» disse Nahema.
 
«è mai possibile che voi Aldebaran non riusciate a dire la verità nemmeno in casa vostra?! È stato il vostro caro fratello Ralonrin ad addormentarmi, e poi evidentemente mi ha spedito qui!»
 
Nahema inarcò le sopracciglia, con aria lievemente seccata. «Ralonrin?...capisco» commentò, per poi rivolgersi al fratello «īlva muña tresy ēdas naejot emagon mēre doru-borto».
 
Per un attimo Kozmotis pensò che il cervello gli stesse giocando un brutto tiro, perché non aveva capito una parola che fosse una.
 
«vestragon sīr…kostagon īlon zirȳla ossēnagon?»
 
«qilōni? Ziry iā īlva lēkia?»
 
Poi però realizzò che forse non si trattava di un’allucinazione uditiva, quanto piuttosto di una conversazione -che evidentemente non doveva essere compresa da terzi- in quella che doveva essere la vecchia lingua degli Aldebaran. Il reame aveva una lingua comune, ma non significava che i vari nobili delle Costellazioni avessero rinunciato alle proprie, soprattutto le famiglie più antiche.
 
«…sȳrkīta naejot pendagon tolī olvie daor» borbottò Aladohar «iā ziry kostagon rhaenagon naejot vestragon iā sȳz dēīa».
 
«sì, credo che tu abbia ragione» concluse Nahema «sentite, generale, mandarvi qui è stata un’idea di Ralonrin, non nostra».
 
Kozmotis avrebbe dato chissà cosa per poter capire quel che avevano detto, perché conoscendoli c’era da aspettarsi di tutto; magari avevano discusso su come farlo fuori, se gettarlo in mezzo al deserto o semplicemente farlo a pezzi e seppellirli chissà dove. «smettetela di parlare in quella vostra strana lingua barbara e ditemi cosa volete! Volete torturarmi? Uccidermi?! Cosa?!»
 
«non vogliamo torturarvi, non vogliamo uccidervi, né farvi proprio niente» ribatté Nahema, sorvolando sullo “strana lingua barbara” «vi invito a riflettere: che senso avrebbe fare una mossa simile dopo ciò che è stato detto durante il processo?»
 
La voglia di staccarle la testa dal collo rimaneva sempre alta in Kozmotis, ma era costretto ad ammettere che il discorso di Nahema era sensato. Solo che continuava a non capire come fosse arrivato lì. «come sono arrivato in questa stanza?»
 
«se vi ha davvero mandato Ralonrin desumo che dopo avervi addormentato debba essere stato lui a mettervi nella navetta d’emergenza con cui siete arrivato, e abbia attivato il pilota automatico per farvi finire qui» disse Aladohar «quando siete arrivato però vi siete svegliato, e siete entrato in questo palazzo agitando un badile, rubato non so dove,  minacciando di uccidere tutti…sì, d’accordo, ammetto che vi abbiamo lasciato entrare per vedere dove volevate andare a parare, sembrava divertente» confessò l’arciduca «infine i nostri fratelli Nihil Taha e Nihil Texu si sono stufati, si sa che i bambini di otto anni si annoiano facilmente, quindi vi hanno strappato il badile e vi hanno atterrato con un colpo in testa. Tutto qui».
 
Kozmotis non sapeva quale parte della storia fosse peggiore, se la scena col badile o il fatto di essere stato atterrato da due bambini Aldebaran di otto anni. «non ho prove del fatto che stiate dicendo sul serio».
 
«però purtroppo è vero. Sarebbe bello se il regno avesse un High General of the Galaxies che non si lasci coinvolgere in fatti così ridicoli, ma purtroppo questo passa in convento, per ora» sospirò Aladohar «e in fondo non è tutta colpa vostra, sappiamo tutti che per voi è un brutto periodo».
 
«chissà per colpa di chi!» ringhiò il generale «erano una donna e una bambina innocenti, cosa vi avevano fatto? Che bisogno c’era?!»
 
«vi è stato detto di costituirvi come traditore della patria, ma voi non avete voluto obbedire» ribatté Aladohar «avete fatto una scelta, Lord Pitch, e ogni scelta ha le sue conseguenze. Siete voi che avete scelto di sacrificare le vostre donne per il vostro grado e-lanciarmi candelabri non vi aiuterà!» concluse, evitando per un pelo il pesante suppellettile.
 
«ti pare che se io avessi veramente saputo cosa c’era in gioco avrei sacrificato mia moglie e mia figlia?!!» gridò «se non avessi trovato un altro modo per salvarle mi sarei richiuso da solo nella Prigione Maxima e avrei gettato via la chiave, ma questo mostro che tu chiami “sorella” si è dimenticata di darmi qualche DETTAGLIO!»
 
Aladohar diede a Nahema un’occhiata sinceramente sorpresa. Sua sorella era sadica soltanto con quelli che lei chiamava “mostriciattoli” ossia Nightmare Men, Dream Pirates e Fearlings: quanto al resto, non era -né era mai stata- per le uccisioni inutili.
Aladohar credeva che avesse dato ordine di uccidere Aleha Pitchiner solo al fallimento di ogni trattativa, magari perché il generale non aveva preso sul serio i suoi avvertimenti su cosa sarebbe capitato se non le avesse dato retta, o simili. L’uccisione di una civile “perché sì” non era da lei. «se ha agito così significa che era necessario».
 
«sì» confermò Nahema.
 
Con Pitchiner presente era bene troncare lì la questione, ma Aladohar si ripromise di indagare più a fondo in seguito.
 
«necessario!» il generale fece una breve risata quasi isterica «sicuro, far ammazzare due persone che non erano in grado di difendersi, che vivevano isolate a svariati chilometri di distanza e che non potevano minimamente influire sui tuoi piani di conquista era imprescindibile! Non nasconderti dietro a queste dannate scuse!» sbraitò «almeno qui, almeno adesso, abbi il coraggio di ammettere che lo hai fatto perché sei una sadica bastarda che ha goduto nel dare quell’ordine, che probabilmente ha riso mentre quei mostri uccidevano le mie donne, che sin da quando eravamo bambini tu mi odi, e adesso mi temi anche! Mi odi perché vorresti essere arrivata dove sono arrivato io, perché oltre alla corona tu vorresti il mio grado, e mi temi…o non ti saresti data tanta pena per cercare di distruggermi!!!» urlò.
 
Rimase lì a tremare di rabbia per un lungo momento, durante il quale entrambi gli Aldebaran non dissero alcunché, e lui rimase col cuore in gola ad aspettare una qualsiasi risposta.
 
«noto che sei passato al “tu” » osservò Nahema «d’accordo, mi adeguerò. Il tuo è un punto di vista interessante, ma errato. Cercherò di spiegarti come stanno le cose attraverso una storiella. Diversi anni fa, mia madre passeggiava su uno dei sentieri qui in giardino, e a un certo punto vide un sasso a circa tre metri di distanza da lei. Era un sasso abbastanza largo e piatto, ma c’era la remota possibilità che la facesse inciampare ugualmente, così lo fece rimuovere, con buona pace di tutti» concluse «ecco, Kozmotis, tu sei quel sasso. Eri in mezzo al sentiero, e se il nostro motto è “Nihil Obstat” c’è un motivo. La tua piccola persona, la tua piccola casa e la tua piccola vita non hanno importanza per noi Aldebaran, e non l’aveva neppure la tua piccola famiglia».
 
“La sua piccola casa”, “la sua piccola famiglia”…la sua vita in otto parole, e lei si permetteva di minimizzare tutto in quel modo. Intollerabile.
 
«immagino che non ti faccia piacere sentirlo dire, ma è così» continuò Nahema «e mi dovresti spiegare quel “da quando eravamo bambini”» aggiunse «perché io non ricordo di averti mai incontrato!»
 
Quella frase, nonostante l’ira che stava montando dentro Kozmotis, riuscì a stupirlo. «come sarebbe a dire “non mi hai mai incontrato”?! Menti anche ora, è impossibile che ve lo siate dimenticato!»
 
«“ve lo siate”? Ero presente anch’io?» Aladohar lo guardò dritto in viso, perplesso «ma sei sicuro? Non vorrei che sia la botta in testa che hai preso a…» s’interruppe, preda di un’illuminazione improvvisa «Nahema! Rōva Pungos iksis! Īlon zirȳla rhēdan isse Orion tegun, jēnqa ampā jēdri gō!»
 
«Rōva Pungos! Kessa, drēje iksis!» esclamò Nahema «chiedo venia, generale, avevo completamente rimosso il nostro primo incontro. Un’ ulteriore dimostrazione che le mie precedenti parole sono vere».
 
«la parola “scontro” sarebbe più esatta. Uno scontro in cui il qui presente Nihil Aladohar si è nascosto dietro le gonne della sorella, da buon piccolo bulletto vigliacco quale era» Kozmotis, animato da una rabbia che in quel caso si traduceva in un atteggiamento “coraggioso” forse inappropriato, fece un passo avanti «e che è finito con me a prenderti per il collo, se ben ricordo. Rimpiango solo di non aver stretto di più».
 
Aladohar si era incupito e fece per rispondere qualcosa, ma Nahema lo precedette. «a me sembra che quello scontro sia finito con te in ginocchio a scusarti appena tua madre ti ha ordinato di farlo. Ma forse sbaglio, del resto fino a poco fa non ricordavo neppure che fosse avvenuto, tanto era importante».
 
«tu e tuo fratello potete anche divertirvi a ricordarmi quanto sia piccolo e insignificante, se ne avete voglia» ribatté il generale « pensi di essere chissà chi e di essere chissà quanto in gamba, ma in realtà tutto quello che hai sono molti soldi e l’ambizione smodata di ottenere il potere che hanno i Lunanoff, cosa in cui non riuscirai mai. Non ne sei capace!» affermò «per sette anni sei stata alle calcagna di questo piccolo uomo con la sua piccola vita, non sei stata in grado di “rimuovermi”…e non lo sei neppure adesso!»
 
Aladohar evitò di fare commenti, ma occhieggiò la sorella, leggermente inquieto: Nahema non era una persona impulsiva, se mai tutto il contrario, e qualsiasi frecciatina le scivolava addosso, ma tra le cose che conveniva non dirle c’era sia “non riuscirai mai” che “non ne sei capace”.
Si trattenne a stento dal sobbalzare, quando la sentì ridere.
 
«credo che tu sia uno di quelli che fanno davvero fatica a capire certe cose» sospirò Nahema «ma forse io posso aiutarti. Mēntyr!»
 
A quell’esclamazione circa una ventina di ghoul armati irruppe nella stanza, nello sconcerto dei due uomini presenti che non si aspettavano nulla del genere.
 
«zirȳla gūrotīs!»
 
Il drappello di creature agguantò il generale e lo bloccò, nonostante tutti i suoi sforzi di divincolarsi: era ancora troppo debole per vedersela con tutti loro. Forse in una situazione come quella avrebbe fatto molto meglio a stare zitto, ma non ci era proprio riuscito. «LASCIATEMI SUBITO!!!»
 
«skoros issi gaomā?!» Aladohar si avvicinò alla sorella, ora decisamente allarmato.
 
«ivestragī nyke gaomagon» replicò la donna, per poi rivolgersi a Kozmotis «come dicevo, generale, forse posso aiutarti a capire alcune cose. In questi anni non ti ho tolto di mezzo perché, contrariamente a quanto pensi, se si tratta di compatrioti non sono per le morti inutili, e riconoscevo il tuo valore come guerriero, che è indubbio» concesse Nahema «ti avrei preferito dalla mia parte piuttosto che sotto terra, ma in questi anni ti ho conosciuto, e ho capito che trattare con te non era possibile: sei troppo idealista, troppo corretto, prima che trovassimo la tua famiglia non c’erano altri appigli abbastanza forti, e io ho finito per concepire altri piani» gli si avvicinò, molto tranquillamente «ma se sei vivo è perché io voglio che tu sia vivo».
 
«balle!» sbottò lui «non mi hai ucciso solo perché non potevi farlo, sapendo che la tua famiglia non l’avrebbe passata liscia, e ora meno che mai! Indagherebbero, se mi accadesse qualcosa sareste i primi sospettati, dopo il processo che c’è stato, e il re non potrà chiudere entrambi gli occhi di nuovo!»
 
«Kozmotis Pitchiner, tu sei il secondo uomo più cocciuto che conosca, davvero» sospirò, sollevando il mento e passandosi il pollice sulla gola in un gesto universalmente compreso. «zirȳla ossēnatas».
 
Il generale gridò quando i ghoul gli sollevarono la testa e sentì distintamente il freddo bacio dell’acciaio sulla pelle, mentre capiva che gli Aldebaran potevano ucciderlo eccome, che stavano per farlo proprio in quel momento e che non avrebbe mai ottenuto la giustizia che voleva, perché aveva dato troppa aria alla bocca.
Sarebbe morto senza vendicare Aleha ed Emily Jane.
Si sarebbe ricongiunto ad Aleha ed Emily Jane.
Forse non era del tutto un male…
 
«keligon».
 
La lama rimase ferma dov’era ma non incise la sua carne, fermandosi proprio quando quel pensiero che faceva sembrare la morte un’alternativa attraente, ormai svanito com’era arrivato, gli aveva attraversato la mente.
 
«non avremmo problemi a far sì che l’ultima notizia su di te sia “è scappato dall’infermeria del palazzo reale per andare chissà dove”» disse Nahema, calmissima «ora potrei ordinare nuovamente ai ghoul di tagliarti la gola, stavolta senza fermarli prima che lo facciano, e seppellirti in una qualsiasi parte del deserto che circonda la città. Una tua sparizione potrebbe apparire sospetta agli occhi di qualcuno, te lo concedo, ma sospetti e prove sono due cose molto diverse, e pochi luoghi sono adatti quando il deserto, se si tratta di nascondere cadaveri».
 
Se la morte non era più un’alternativa attraente, tuttavia, avrebbe dovuto continuare a vedersela con quelle persone.
Ma l’avrebbe fatto, eccome se l’avrebbe fatto, e non si sarebbe arreso, nemmeno dopo essersi quasi fatto sgozzare da un ghoul del deserto. «il re e la regina-» avviò a protestare Kozmotis, venendo però interrotto.
 
«non sono onnipotenti» intervenne finalmente Aladohar, che col procedere del discorso si era tranquillizzato «hanno una corona in testa, sì, ma anche molto oro meno di noi, e molti meno amici di quanto credano, tra le Costellazioni».
 
«penso che con questo abbiamo finito» concluse Nahema « ivestragī zirȳla jikagon » ordinò, e i ghoul lasciarono immediatamente libero Kozmotis «ebbene, dopo che ti abbiamo accolto in casa nostra e debitamente curato, ti aiuteremo a tornare a casa…perché siamo brave persone pronte ad aiutare anche un High General che ieri era palesemente ubriaco! Questo nonostante le terribili accuse che ci ha rivolto al processo, nonché le minacce di morte urlate in questo stesso palazzo».
 
«ubriaco?!» allibì Pitchiner «io non ero affatto ubriaco!»
 
«lo so, ma non conta. Se io dico che eri ubriaco, significa che eri ubriaco, e per coloro che lo verranno a sapere sarai stato ubriaco. Non c’è molto da aggiungere, e c’è già una nave che ti aspetta qui fuori. Arrivederci, generale! Cercherò di essere una tua degna sostituta fino a quando ti sarai ripreso, e chissà, magari sarò talmente brava che il re renderà la sostituzione definitiva».
 
«puoi scordartelo!» ringhiò Kozmotis «non ti permetterò di sottrarmi anche questo. Per colpa vostra sono padre di una figlia assassinata e marito di una moglie uccisa, non diventerò un High General caduto in rovina. E vi giuro che avrò la giustizia che mi spetta…in questa vita o in un’altra!»
 
Nahema fece spallucce. «allora ne riparleremo in un’altra vita. Mēntyr!» i ghoul scattarono sull’attenti «Āeksio Pitchīner hen sombāzmion traenatas».
 
I ghoul affiancarono Kozmotis, e uno di essi gli diede una leggera spinta in direzione della porta. Il generale lanciò un’occhiata ostile sia al ghoul che ai due fratelli Aldebaran, per poi rizzare la schiena e dirigersi verso la porta con passi decisi, seguito dalle guardie.
 
Quando l’ebbe attraversata e Nahema giudicò che ormai fosse abbastanza lontano, fece un leggero sospiro. «utilizzare i ghoul per certe stupide “dimostrazioni di forza” è qualcosa che m’innervosisce abbastanza. Non avrebbe dovuto neppure essere necessario, non dopo quanto è accaduto al processo, ma Kozmotis Pitchiner è un gran testardo».
 
«Super Naso è Super Naso, era testardo da piccolo, e ora che è un uomo fatto non poteva essere diverso» Aladohar si lasciò cadere su un divanetto vicino, stiracchiandosi «ma non penso che sia tanto stupido da non prenderci sul serio, chiacchiere a parte. Ha parlato in quel modo per semplice rabbia. Però  penso che quella lezioncina gli sia servita lo stesso, sebbene inizialmente tu mi abbia fatto inquietare: per un po’ho pensato che volessi veramente sporcare il tappeto».
 
Nahema non rispose.
 
L’arciduca guardò a lungo la figura in controluce della sorella, che non sembrava avere intenzione di sedersi quanto piuttosto di continuare ad osservare il panorama persa in chissà quali pensieri. Qualunque essi fossero, tuttavia, lui si sentiva in dovere di interromperli: c’era una questione da approfondire. «hai fatto uccidere sua moglie senza neppure provare a trattare con lui. Di solito non agisci così. Perché, dunque?».
 
«perché gli Aldebaran pagano sempre i propri debiti, e io ne avevo uno piuttosto grande da saldare».
 
«Kozmotis Pitchiner ti ha fatto qualcosa di grave di cui non sono a conoscenza?» indagò l’uomo «mi parrebbe molto strano».
 
«e infatti non ero “in debito” con lui».
 
«allora con chi? C’entra qualcosa il modo in cui hai trovato la posizione di casa sua, faccenda su cui non mi hai ancora dato delucidazioni?»
 
Nahema si voltò verso di lui, con uno svolazzo della lunga gonna dorata aperta su un lato. «io ti ho detto subito com’è andata, il fatto che tu pensi sia uno scherzo è qualcosa di cui non ho colpa».
 
«dovrei credere che una donna serpente lunga più di dieci metri abbia fatto la spia perché voleva mangiare non so cosa? È ridicolo, sii sincera e ammetti che non vuoi proprio dirmelo, no?»
 
Di nuovo Nahema non gli rispose, incamminandosi verso la porta. «se dovessi avere bisogno di me nelle prossime due ore…beh, cerca di non averlo, perché non sarò in città, ma in una delle oasi vicine» furono le sue sole parole. Poi lasciò la stanza senza aggiungere altro.
 
Aladohar non era sicuro del modo in cui prendere quella faccenda, ma d’altra parte non c’era molto che potesse fare: non sarebbe riuscito a strappare a sua sorella una parola di più. Si chiedeva soltanto perché Nahema si ostinasse con quella storia assurda della donna serpente spiona, ma forse lo faceva perché si divertiva a prenderlo in giro.
 
Fece spallucce, pensando che c’erano alcune cose di sua sorella che non sarebbe mai riuscito a capire.

 
Buonasera! Credo che dopo questo qualcuno abbia capito perché Ralonrin non era poi un così bel soggetto :’D ma lascio a voi tutti i commenti.

Intanto ecco  le traduzioni delle parti in hallallallala in vecchio aldebariano.
Simile al valyriano, dite? Lo so!
 
 
Nahema: «nostra madre doveva avere per forza almeno un figlio cretino».
Aladohar: «così pare. Non potremmo farlo fuori?»
Nahema: «chi? Lui [Kozmotis] o nostro fratello?» style="border-style: none none solid; border-color: -moz-use-text-color -moz-use-text-color windowtext; border-width: medium medium 1pt; padding: 0cm 0cm 1pt;">Aladohar: «…meglio non pensarci troppo, o potrebbe iniziare a sembrarci una buona idea».


A:«Nahema! È Super Naso! L’abbiamo incontrato nel territorio degli Orion, diciotto anni fa!»
N: «Super Naso!...sì, è vero!»


N: «soldati!» […] «prendetelo!»


A:«cosa stai facendo?!»
N:«lasciami fare».


 
N:«uccidetelo».
N:«fermi» […] «lasciatelo andare».


N: «scortate Lord Pitchiner fuori dal palazzo».

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Capitolo 15
*** 15. Il veleno dello scorpione -parte I (si riceve solo su appuntamento) ***


= Il veleno dello scorpione - parte I =
(si riceve solo su appuntamento)
 
 
 
 
 
 
 
«posticino adorabile» disse Kitah tra sé e sé, mentre percorreva lo stretto ponte che oscillava su quel lago ricolmo di una sostanza verde luminescente nel quale nessuno, nemmeno il gruppetto di ghoul del ghiaccio che si era portato appresso, si sarebbe mai augurato di cadere dentro.
 
Quel posto non aveva nulla a che vedere con la sua splendida Atlantia, o con le città soleggiate di Aldebaran I o, ancora, con le città dei Vega, bizzarre quanto i Vega stessi ma affascinanti.
I tre pianeti del territorio degli Scorpio, e in particolare quello dove sorgeva Duskfell, la capitale storica, erano tra gli ultimi luoghi in cui chiunque avrebbe voluto vivere, e quelli che nel corso della storia avevano subito meno invasioni; tanto  la popolazione indigena ben poco invitante, quanto l’enorme presenza di un metallo chiamato uranium -dagli effetti devastanti sulla salute- erano sempre state dei gran dissuasori.
Ma c’era un fatto: nel tempo, gli Scorpio avevano sia trovato il modo di proteggersi dagli effetti dell’uranium, sia il modo di utilizzare lo stesso come fonte di energia primaria, sia il modo di bonificare e decontaminare determinate aree, costruendovi sopra delle grandi città.
Ci erano riusciti così bene che al momento erano autosufficienti in tutto e per tutto, cibo incluso -che proveniva interamente da allevamenti e coltivazioni sotterranee- ed erano stati i primi a creare delle terrificanti armi, chimiche e non, di devastante potenza, delle quali in certi casi le “ricette” erano ancora un loro segreto.
 
Per fortuna quella degli Scorpio era sempre stata una famiglia di persone tranquille, per non dire ignave, che tendevano a farsi i fatti propri e non entrare troppo al dentro delle dinamiche del regno; tuttavia facevano sempre parte delle Grandi Case, e le loro risorse avevano portato lui e le altre famiglie a cercare -e ottenere- un’alleanza col compianto Lord Brandon Scorpio.
Compianto, sì, perché era morto tragicamente cadendo da cavallo due mesi prima, lasciando tutto nelle mani della sua misteriosa moglie plebea.
 
Congetture su un possibile uxoricidio a parte, il non aver mai visto Lady Vliegen di persona era una bella stranezza: di solito quando un nobile delle Costellazioni si sposava faceva le cose in grande, presentando la sua sposa a tutti i propri pari -non importava se lei fosse o meno di nobili origini- e partecipando ad almeno quattro o cinque eventi mondani immediatamente successivi con lei al proprio fianco.
Lord Scorpio invece si era sposato sei mesi prima quasi in sordina -per volere della moglie, si diceva- senza altri attorno se non la sua famiglia, e non aveva mai portato la sua signora ad alcun evento mondano, perché “le ho chiesto di venire in dieci lingue, ma mia moglie detesta queste cose! È fatta un po’ a modo suo”. Molto ironico, pensando che diverse donne del popolo sognavano di sposare un Lord proprio per partecipare a simili eventi.
 
“ma non m’interessa se evita di farsi vedere alle feste, a patto che si dimostri lungimirante quanto suo marito, e nonostante la curiosità e le richieste di Tsarina Lunanoff mantenga viva l’alleanza che io e le altre Case avevamo stipulato con lui” pensò Taurus, sollevato che il ponte fosse finalmente finito.
 
Ora doveva soltanto superare le guardie che sorvegliavano l’ingresso principale del grande palazzo in pietra nera.
 
«alt» gli intimò una delle suddette, con voce gutturale «diteci chi siete e cosa volete».
 
Quelle bestie erano dieci demoni alti come minimo due metri e mezzo, muniti di ali, di corna ricurve e di zoccoli, coperti da un’armatura leggera e armati ognuno con due grossi pugnali ricurvi avvolti da una verde luminescenza inquietante, la stessa dei loro occhi; nonostante tutto ciò, Kitah non si fece impressionare. Era il duca della Casa Taurus, serviva ben altro. «sono Lord Kitah della Casa Taurus» “che pezzi d’idioti, come se non avessero visto i vessilli!” aggiunse mentalmente «sono qui per incontrare Lady Scorp-».
 
«impossibile» lo interruppe il demone «Lady Scorpio non è disponibile. Non posso lasciarvi proseguire».
 
“non è disponibile”. Inaudito. Quella creatura forse era anche peggio che idiota, se rifiutava di accontentarlo. «forse non ci siamo intesi bene: io voglio incontrare la tua signora adesso. È una questione importante» aggiunse «non sarei venuto fin qui se così non fosse, mi sembra piuttosto logico».
 
«Lady Scorpio è disponibile dalle 15.00 alle 16.15, dalle 17.30 alle 18.45, e dalle 20.30 alle 22.10» disse un’altra guardia «questi sono gli orari. Non sindacabili».
 
«sono certo che per me, che ero un amico di Lord Brandon Scorpio -gli Dei l’abbiano in gloria- milady possa fare un’eccezione» insistette, innervosito anche se non lo dava a vedere «fate un tentativo».
 
Dopo alcuni momenti d’attesa lunghi in maniera snervante, uno dei demoni volò in alto, diretto chissà dove.
 
«è andato a sentire l’attendente della signora» spiegò una guardia al duca «passerete se egli deciderà che è il caso che passiate».
 
“ma questi sanno chi sono io? ‘L’attendente’! Ma per favore!” pensò Kitah “quando c’era Brandon Scorpio non mi avrebbero mai lasciato attendere fuori dalla porta. Se l’attendente è sempre Mindshread però non ci saranno altri problemi: è un demone, ma quantomeno sa come comportarsi in presenza di nobili”.
 
La guardia che prima era volata via tornò, e atterrò poco lontano, sollevando una grossa quantità di pulviscolo nerastro. «ha detto che potete passare, tempo di tirare giù dal letto milady e verrete ricevuto».
 
“Tirare giù dal letto”? Alle dieci e mezza del mattino? E quand’era che Lady Vliegen gestiva i suoi affari?! Un’altra stranezza, ma Kitah si disse che anche quelli alla fine erano fatti suoi, ed entrò nel palazzo, con i ghoul che si apprestavano a seguirlo.
 
«loro no» li fermarono le guardie «non entrano».
 
«come sarebbe? Sono la mia scorta!» protestò Taurus.
 
«all’interno del palazzo non avete bisogno di altra scorta, oltre a me» disse una voce profonda in avvicinamento «non ci ritenete in grado di garantire la vostra sicurezza, Lord Taurus?»
 
L’attendente non era cambiato affatto dall’ultima volta che lo aveva visto: era sempre lo stesso demone dal viso vagamente umanoide, segnato dal tempo e dalle lotte passate, e rimaneva sempre una spanna più alto di quelle giovani guardie. Aveva mantenuto anche la sua aria fiera, e l’armatura ricca di dettagli che indossava tutto sommato non stonava su di lui.
 
«non è questo il punto, è che non posso certo lasciare che i miei uomini attendano qui fuori» ribatté Kitah.
 
«se le nostre guardie attendono fuori possono farlo anche loro, milord. Ci sono ordini ai quali non posso transigere, immagino che possiate capire, quindi vi prego di seguirmi… se proprio ci tenete a incontrare la belv-ehm, Lady Vliegen».
 
Non era per nulla soddisfatto di come stavano procedendo le cose, ma alla fine il duca acconsentì a seguire Mindshread senza discutere oltre: non intendeva rimanere in quel posto un minuto di più del necessario.
Arrivato in quella che era la sala del trono, tuttavia, quel che vide lo lasciò a dir poco perplesso.
E non per i venti demoni -dieci per lato- che erano a guardia di quel luogo.
 
«…ma per tutte le divinità degli Abissi, vi avevo detto di rendervi presentabile!!!» ruggì Mindshread, muovendo grandi passi in avanti «vi pare questo il modo di presentarvi a un ospite importante?!»
 
«o senti, non è colpa mia se l’ “ospite importante” si è presentato a un’ora assurda della mattina, e io dopo intendo tornarmene a letto, quindi non rompere! La signora di questa casa sono io, quindi tu muuuuto».
 
La prima cosa di Lady Vliegen Scorpio che saltava all’occhio erano senz’altro i capelli: molti, molto lunghi, molto ricci e con sfumature che andavano dal rosso all’oro, e al castano. Peccato che fossero tutti disordinati, e che in tutta la sua piccola persona, perché certo non si poteva definire una stangona, fossero la sola cosa degna di nota.
Oltre alla taglia molto “comoda” del pigiama e la vestaglia neri che indossava, ovviamente.
Il p-i-g-i-a-m-a.
E all’espressione da “se avessi un pugnale te lo ficcherei dritto tra gli occhi per avermi svegliata”.
 
“d’accordo, non è assolutamente così che me l’ero figurata” pensò Kitah, ancora allibito “ma tant’è, cerchiamo di fare buon viso a cattivo gioco”. «Lady Scorpio, sono-»
 
«uno a cui piace disturbare a orari improbabili le persone che dormono, va bene, ma facciamola breve: cosa ci fate qua?»
 
Interrotto. Da una tizia sbucata fuori dal nulla che aveva avuto la fortuna di sposare un marchese e restare vedova. Gli venne il dubbio che milady potesse non sapere a chi si stava rivolgendo, ma avrebbe fatto in modo di chiarirlo nel corso della conversazione. «sono qui perché ero curioso di conoscervi. In questi sei mesi siete stata quantomeno misteriosa, con gli amici di vostro marito».
 
«magari perché negli ultimi tempi, nello specifico appena prima che mio marito cadesse accidentalmente da cavallo -così dicono- non eravate così tanto amici» ribatté Vliegen, lasciandosi cadere sul trono e sedendovisi a gambe incrociate «se non sbaglio».
 
«temo che invece vi sbagliate, vi assicuro che avevamo ottimi rapporti» disse Kitah, più perplesso di prima: non gli risultava affatto che Brandon lo avesse in antipatia, o che meditasse di tirarsi fuori dal complotto contro i Lunanoff. Del resto però quella ragazza non gli sembrava troppo a posto, e probabilmente tendeva a parlare a vanvera.
 
«ma davvero!...a beh! Se lo dite voi sono tenuta a credervi per forza» disse, con una leggerissima punta di ironia. «bene, ora mi avete conosciuta, quindi andate verso la porta. Quella».
 
Lo stava congedando?! Inammissibile. Doveva necessariamente tagliare corto e arrivare al punto della questione. «a dire la verità sono qui anche per un altro motivo. Ho saputo che la regina vi ha incaricato di indagare sulla colpevole della disgrazia accaduta a Kozmotis Pitchiner, e mi domandavo come procedessero le cose» disse «vedete, è una questione che a me e altri nostri pari sta molto a cuore».
 
A quelle parole Lady Scorpio se ne uscì con una risata palesemente finta, e alzò gli occhi al soffitto. «ma non mi dite! Vi sta molto a cuore!...perché non vi limitate a dire che temete che possa saltare fuori chissà quale intrallazzo che a voi e altri nostri pari “sta a molto a cuore”? Sareste un pelino più credibile» commentò la ragazza «soprattutto visto che le indagini sono a buon punto, e caso strano non ho ancora trovato nemmeno mezza Silk indigena di quel pianeta là. Lord Taurus, io sono assonnata e alquanto seccata, non deficiente».
 
No, si disse Kitah, era anche deficiente se credeva di potergli parlare così. Voleva che fosse più chiaro? Benissimo. «potreste risparmiarvi la fatica di fare ulteriori indagini, e trovare qui a palazzo dei documenti che provino l’esistenza del caporale Silk. Sono certo che se vostro marito fosse stato ancora in vita li avrebbe già in qualche cassetto» disse «vi assicuro che vi saremmo tutti molto grati se riusciste a sveltire certe pratiche, milady, mentre in caso contrario potreste incorrere nel disappunto di alcune persone» aggiunse, in tono condiscendente «ovviamente parlo per il vostro bene, siete una ragazza molto giovane, è bene chiarire determinati-»
 
«quel che mi è chiaro è che mi avete fatta svegliare a un’ora indecente per minacciarmi velatamente in casa mia» lo interruppe di nuovo Vliegen, alzandosi in piedi «però le minacce velate le so fare anche io!» disse con uno strano sorriso, avvolgendo parte di un drappo a lei vicino attorno alla testa, a mo’ di velo «tipo questa, state a sentire: TAGLIATEGLI LA TESTA!!!» gridò, indicandolo.
 
«cosa?!» esclamò Kitah, allibito.
Fu l’ultima cosa che riuscì a fare prima che, almeno dal suo punto di vista, scoppiasse il caos.
 
Diciannove su venti dei demoni presenti, Mindshread escluso, gli andarono addosso tutti insieme, togliendogli in pochi istanti ogni possibilità di fare resistenza; lo fecero inginocchiare, gli bloccarono le braccia e, incuranti delle sue grida di protesta, lo trascinarono verso un grosso ceppo di legno messo lì dal demone rimasto.
 
«mi è venuta bene, eh? Io sarei perfetta per la parte della regina mezza matta in una qualche commedia, l’ho sempre pensato» dichiarò Vliegen, perfettamente tranquilla «inizialmente mi era venuto il dubbio se dirla in modo molto signoVile o strillarlo come un’isterica, ma direi che sia meglio la seconda».
 
Lord Taurus era incredulo per quella situazione assolutamente surreale -non era così che agivano i nobili, tantomeno di quei tempi e tantomeno con i duchi della sua Casa- e spaventato a morte, ma si rifiutava ancora di credere che quella pazza facesse sul serio, soprattutto sentendo quel che aveva appena detto. «non è affatto uno scherzo divertente, ci saranno delle conseguenze!» gridò l’uomo, divincolandosi inutilmente.
 
«sicuro, prima tra tutte una testa che rotolerà per questo…La tua!» esclamò la ragazza, per poi fare una risatina «no, davvero, starei benissimo in una parte simile. Mindshread, sai giocare a croquet?»
 
«piantatela milady, le cose sono già tragiche così!» sbottò il demone.
 
Stava per morire, stava per succedere davvero, e in un modo che Kitah non avrebbe mai immaginato.
Cosa avrebbero pensato i suoi genitori? Come l’avrebbe presa sua sorella Isabeli, che era sempre stata così terribilmente fragile? Come l’avrebbero presa Shaun e Shauna, i suoi figli?!
E Nahema, lei avrebbe pianto al suo funerale? lo avrebbe vendicato? Sperava di sì, dopo una cosa del genere il minimo che potesse fare era sterminare tutti gli abitanti di quel dannatissimo castello.
Sentì la lama della spada del demone sulla nuca e poi…
 
«ahahahahiiiih!... che faccia che hai fatto!!!»
 
La risata di Lady Scorpio, che rimbombò in tutta la stanza.
 
Venne tirato su in piedi a viva forza dai demoni, mentre Vliegen, ancora scossa dalle risa, si asciugava una lacrima. «questo mi ripaga quasi dell’alzataccia. Quasi! Sentite, Lord Taurus, ve lo dico una volta sola e vedete di capirlo bene: non fatevi vedere mai più in questo palazzo, o la prossima volta finirò il lavoro, ma invece di tagliarvi la testa vi ucciderò immergendovi allegramente nel lago qui fuori, un po’per volta. A mai più!» concluse, salutandolo con un cenno infantile della mano «e buttatelo fuori come sapete!»
 
Il duca venne sollevato e trascinato via prima di poter rispondere, ma non disse alcunché durante il tragitto: meditava già la sua rappresaglia.
 
«ve l’avevamo detto che la signora non andava disturbata. Non diamo mica aria alla bocca noi, eh!» disse la guardia dell’ingresso appena lo rivide.
 
«la vostra signora imparerà presto com’è che ci si deve comportare» ribatté Taurus, per poi fare un’esclamazione soffocata quando una di quelle bestie lo spinse fuori con una zoccolata sul sedere.
 
I demoni risero, incuranti tanto del suo sguardo duro quanto dell’aria assassina dei ghoul del ghiaccio, giunti subito in soccorso del loro signore. «speriamo di no, prendere a zoccolate nobili chiappe come le vostre è un piacere!»
 
“non per molto” pensò Kitah “non per molto”.
 
 
 
 
[…]
 
 
 
 
Ripensando alla scena dei demoni che portavano via di peso il duca, Lady Scorpio si stiracchiò sogghignando, e fece scricchiolare tutti i muscoli, soddisfatta che anche quella sera la cuoca avesse fatto un buon lavoro con la pizza. «che giornatina, eh?»
 
«voi sapete che quel che avete fatto vi costerà» disse Mindshread, con la sua voce profonda.
 
La ragazza si voltò verso di lui, tornando nuovamente seria. «ci puoi scommettere che lo so. Ma non ho potuto farne a meno: lui è quello che ha fatto uccidere mio marito…vedi un po’tu».
 
«non è detto che-»
 
«Brandon meditava di uscire dal complotto contro la famiglia reale e oh, ma tu guarda, è morto!» esclamò Vliegen «e ora, dopo che la regina mi ha chiesto di fare delle indagini, caso strano arriva Lord Taurus -che non s’era mai fatto vedere prima- a minacciarmi in casa mia di disappunti e conseguenze! Ma dai! Anche un cretino capirebbe che è tutto collegato».
 
Mindshread aveva dei sospetti analoghi, ma evitò di dirlo a Lady Scorpio, che sembrava essere già abbastanza su di giri. «non c’è molto che possiamo fare a riguardo, se anche fosse, e siamo già abbastanza nei guai per quella vostra sceneggiata della decapitazione!»
 
«“non c’è molto che possiamo fare”? Stai scherzando?! Abbiamo pianeti pieni di uranium, posso far saltare in aria Atlantia e tutte le capitali del regno, se mi gira!» dichiarò Vliegen.
 
«fermate le rotative, milady: l’uranium è la nostra principale fonte di energia, quindi non potremmo affatto distruggere tutte le capitali del regno! E una guerra contro tutte le altre Case, che si scatenerebbe anche se ci limitassimo alla sola Atlantia, finirebbe per ucciderci» le fece notare il demone, vagamente allarmato: c’era la possibilità che milady desse veramente l’ordine di far saltare tutto in aria, e quindi era meglio stroncare la cosa sul nascere. «chiudete qui la faccenda, avete fatto già fin troppo».
 
«se anche io volessi chiuderla dubito che Taurus sia della stessa idea, ormai. Però non hai torto» ammise la ragazza «magari è eccessivo far saltare in aria una città intera piena di persone che non hanno colpa se il loro duca è un grande fidiputt».
 
«parole sante» borbottò l’attendente.
 
«motivo per cui voglio tutte le informazioni che riesci a trovare sui Taurus» disse Vliegen, con estrema tranquillità.
 
«sul duca?» domandò Mindshread.
 
«su tutta la famiglia. Un’innocua raccolta di informazioni, Mindshread, non chiedo altro» si guardò attorno «quando ho sposato Brandon non pensavo che mi sarei trovata a dover mandare avanti la baracca e avere a che fare con le persone, non mi interessa niente di tutto ciò, potrei mollare tutto anche domani! Io volevo solo vivere con mio marito tranquilla e senza rotture, e invece…»
 
«e difatti ci vivete: dormite, mangiate, leggete, disegnate, e qui faccio tutto io!» le fece notare il demone, pur sapendo che in effetti tanto tranquilla non era. Non aveva beghe amministrative di cui occuparsi, ma da quando Lord Brandon era morto le pressioni che stava ricevendo quella ragazza erano diverse, e quella di Lord Taurus era solo l’ultima della serie.
 
«mi hai rotto le scatole, me ne vado in camera mia» fu la sola risposta di milady, che abbandonò la sala a passo “veloce” -per quanto lei potesse esserlo. «e guai a te se vieni a bussare!»
 
Mindhsread alzò gli occhi al soffitto con uno sbuffo. Dopo sei mesi non era ancora sicuro se la detestava, e dunque le obbedisse o lasciasse fare solo perché era la signora, o se le volesse almeno un po’di bene nonostante fosse fatta molto, molto a modo suo, e dunque le desse retta anche per quello.
 
Uno strillo seguito da un tonfo interruppe il flusso di pensieri dell’attendente, che si voltò di scatto verso il corridoio in cui era sparita milady. «Lady Vliegen!» gridò, correndo velocemente nell’androne e pestando tanto forte con gli zoccoli da far tremare il pavimento. «signora!...»
 
Lady Scorpio era distesa a terra, ai piedi di una scalinata di soli quattro gradini che portava in una stanza attigua, e sul viso già pallidissimo in condizioni normali aveva un’espressione tanto dolorante quanto spaventata. Mindshread fece un salto, arrivandole immediatamente vicino. «signora, come-»
 
«non riesco…le caviglie…» farfugliò la ragazza, visibilmente sconvolta.
 
«le caviglie, d’accordo, fa male anche dell’altro? Avete battuto la testa? ...no? Meglio così» con molta cautela riuscì a tirarla su, senza neanche sforzarsi troppo «ma come è successo?!»
 
«mi hanno spinta! Mi hanno spinta giù!» esclamò Lady Scorpio «forse erano in più, o almeno credo, io sono riuscita a vederne uno ma non so, non so, porca miseria quanto fa male!…» sibilò.
 
«avete visto chi vi ha spinta?! Com’era fatto?» indagò Mindshread «ditemelo, intanto che vi porto dal medico».
 
«grande come un uomo normale. Pelle bianca o azzurro chiaro, non ricordo, ma non era liscia come quella di un uomo, e occhi azzurri, molto azzurri, sono la cosa che ho visto meglio, e poi…e poi aveva un tocco freddissimo, l’ho sentito sulla schiena».
 
«ghoul del ghiaccio, dal nord est del regno» disse subito il demone, senza riflettere.
 
«il nord est del regno è dei Taurus!» sibilò Vliegen.
 
Giusto, e ricordando la loro precedente conversazione Mindshread si maledisse per non essere stato zitto. «non è detto-»
 
«un corno, Mindshread!» lo interruppe la ragazza «quello ha mandato i suoi ghoul ad ammazzarmi!»
 
«sapevate che ci sarebbero state delle rappresaglie, ma non credo che volesse farvi uccidere: in quel caso i ghoul vi avrebbero sgozzata, invece di spingervi giù da una piccola scalinata. Questo è stato un avvertimento».
 
«Kitah Taurus può prendere il suo stracazzo di avvertimento e infilarselo nel suo stracazzo di culo fino a farlo uscire dalla sua stracazzo di bocca!!!» gridò Vliegen in tutta la sua “finezza”, ma era giustificata, al punto che Mindshread evitò di rimproverarla per il linguaggio. «ridurrò Atlantia in un’informe poltiglia di ghiaccio, pietra e cadaveri!!!»
 
«non è una buona idea, stesse ragioni di prima: capisco la rabbia e il dolore, e vi giuro che avrete le informazioni che mi avete chiesto già quando vi sveglierete domattina, ma vi consiglio di lasciar perdere. O al limite di pensare a qualcosa che non comprenda l’uso di uranium».
 
Lady Scorpio non disse altro, ma lo sguardo nei suoi occhi dall’iride verdastro non prometteva nulla di buono, e ancor meno l’accenno di sorriso che riuscì a scorgere sul suo volto livido, oltre alla smorfia di evidente dolore.
 
Mindshread iniziava a temere che presto sarebbe stato l’attendente di qualcun altro: conoscendo milady, sapeva che non le pesava perdere terreni di cui non le importava nulla -poteva sempre tornare a casa propria, ovunque essa fosse- pur di avere la vendetta che credeva di meritare.
 
“e di certo, uranium o meno, se la lascerò fare sarà qualcosa di devastante” pensò.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
«quindi sarà domani, ho capito bene, sì?»
 
«perfettamente, milady, ma siete proprio sicura di quello che volete fare?»
 
« Mindshread, ne sono perfettamente sicura, e non chiedermelo un’altra volta perché non sono proprio dell’umore».
 
Il demone dalle grandi corna ricurve ­non fece altri commenti se non “sissignora”. Il malumore di Lady Vliegen gli era apparso evidente già prima che lei lo facesse notare, e guardandola muovere nervosamente la caviglia destra bloccata da un tutore non era difficile intuirne il motivo: la sinistra aveva preso solo un brutto colpo, ma la destra si era proprio spezzata la sera dell’ “incidente”, avvenuto ormai una settimana prima.
 
«perché stai ancora qui fermo come una statua? Che altro succede?»
 
Il demone alato indicò fuori con un cenno del capo. «una visita della regina, milady».
 
«e chi se ne frega».
 
«milady…» avviò a dire Mindshread con una certa nota di rimprovero, venendo bruscamente interrotto.
 
«ho detto di no! È quasi ora di cena, e io quando è ora di cena non voglio rotture» sbottò Vliegen «non poteva venire prima? O dopo? O non venire proprio, visto quel che sta per succedere?! E ma porca miseria, proprio di martedì!»
 
Il demone alzò gli occhi al cielo: da quando Lord Scorpio aveva sposato quella ragazza, il menù del martedì e del venerdì sera era stata pizza, fisso. Cambiarlo era fuori discussione, ed era ancor più fuori discussione che milady potesse essere disturbata durante o poco prima dei pasti. «so che è seccante, ma non potete rifiutare di ricevere la regina».
 
«sì che posso, è casa mia, quindi entra solo chi pare a me».
 
«e invece no che non potete!» ribatté Mindshread, battendo nervosamente un piede -o meglio uno zoccolo- a terra «dopo quel che è successo una settimana fa io eviterei di cercare altri guai, che vogliate portare a compimento il vostro folle progetto o meno! … sono qui da tre secoli e giuro, non ho mai visto una persona più zuccona e scostante di voi».
 
«ok, allora dopo aver sistemato quella piccola faccenda personale sfrutterò il fatto di essere la signora di questi luoghi per farti staccare la testa dal collo e tanti saluti» disse la ragazza, con fare teatrale «almeno ci sarà uno in meno a scassarmi l’anima. Da quando quelli hanno avuto la bella idea di far cadere mio marito da cavallo e rompergli il collo sono fin troppi a ronzarmi attorno».
 
Il demone la guardò severamente con gli occhi verdi brillanti privi di pupilla. «rischiate più voi di me, direi, se fatto il lavoro non abbandonerete in tempo il palazzo».
 
Capendo quel che intendeva, Vliegen non replicò. Dopo uno sbuffo indicò la porta. «falla entrare, cercherò di togliermela dalle scatole presto».
 
Alleluja, se non altro non avrebbe dovuto inventarsi scuse per congedare la visitatrice. «non volete darvi una sistemata? E riceverla altrove?» le chiese, alludendo ai capelli della ragazza, raccolti in un grosso e folto ciuffo scomposto, alla completa mancanza di trucco, ai vestiti neri veramente troppo larghi e troppo informi e al fatto che quella fosse la camera da letto.
 
«ti avverto, sto per cambiare di nuovo idea».
 
Sentito ciò, Mindshread uscì dalla stanza senza ulteriore indugio, pensando di aver ottenuto già tanto e che fosse meglio non tirare troppo la corda: meglio prendere quel che veniva e non insistere troppo. «Lady Vliegen vi riceverà nella sua stanza da letto» disse, atono, alla regina una volta che l’ebbe raggiunta «sapete che ultimamente ha difficoltà a muoversi per colpa della caviglia» aggiunse, a mo’ di spiegazione.
 
Seppur messa a disagio da quella bizzarria, Tsarina acconsentì a seguire quel demone tanto educato.
Non era felice di essere lì. Non le piacevano i territori Scorpio, la capitale le faceva quasi paura già solo per la perenne cappa di nuvole scure che avvolgeva tutto il pianeta condannandolo a una penombra eterna, e gli autoctoni, come quel demone, gliene facevano ancora di più. Comprensibile, essendosi abituata alla luce di Paradhiso -la città dove sorgeva il palazzo reale- e ai suoi abitanti indigeni tranquilli e tanto carini.
Si domandava come accidenti si potesse vivere tranquilli in un posto del genere, soprattutto se, come Lady Vliegen, non si era originari di quei luoghi.
In ogni caso, una volta arrivati a destinazione ed entrati nella stanza, quel che vide la sorprese un po’: non aveva mai incontrato Lady Scorpio prima di allora, ma non se l’era immaginata come la sciattissima ragazza -intenta a leggere un libro- che le stava davanti, di un’età apparente tra i quindici e i ventiquattro anni e che oltretutto non la stava calcolando minimamente.
 
«ah-ehm» tossicchiò il demone, con una nota di disapprovazione che la regina sentì perfettamente.
 
Vliegen alzò gli occhi. «ah, siete già qui?» disse, con “grande” entusiasmo.
 
«ssssssì, milady. Io e la regina, la quale per inciso aspetta ancora un saluto decente, siamo qui».
 
«farei volentieri un inchino se sapessi come si fa, e soprattutto se potessi alzarmi in piedi facilmente, ma considerato tutto questo mi sa che passo» commentò «se non vi spiace eh, vostra grazia».
 
«aaah…no, no, state comoda» concesse la regina, vagamente imbarazzata da quella situazione fin troppo simile a una sottospecie di commedia fatta male. «non è necessario, a questo punto…»
 
«ecco, grazie. Sentite, passiamo subito al dunque senza fare tante chiacchiere: cosa vi porta qui? Alle sette e dieci di sera? Di martedì?»
 
Non visto dalla regina, Mindshread si coprì il volto con le mani: in tutta la sua vita non aveva mai visto un caso più disperato di quello, a cui neppure la lezione ricevuta era servita a qualcosa.
Non era la prima plebea a diventare una Lady Scorpio, in un certo senso sembrava quasi che a quella famiglia piacesse mescolarsi con “forte sangue del popolo”, parole loro; ma Vliegen, munita di un livello di diplomazia pari a zero -anche quando provava seriamente a esserlo- non sapeva proprio stare in mezzo alla gente, e peggio ancora in mezzo ai nobili.
Il compianto Lord Scorpio comunque l’aveva presa proprio per quello, “quando sono a casa mia voglio avere vicino una persona che dica pane al pane e vino al vino”, diceva, e al fratello ancora celibe di suddetto Lord non importava molto del carattere della cognata, purché ella acconsentisse a sposarlo il più presto possibile.
Cosa che milady, per inciso, non era intenzionata a fare, ed era un ulteriore motivo per portare a compimento l’idea che la caviglia spezzata e le informazioni che lui le aveva fornito le avevano fatto balenare nel cervello.
 
«è per il risultato di quelle indagini che vi ho chiesto gentilmente di fare, dal momento che la colpevole del massacro della famiglia dell’High General sembra provenire da un pianeta del vostro territorio. Avrei potuto farmi inviare tutto, ma ho preferito passare e sentirvi dire di persona se avete scoperto qualcosa».
 
Lo aveva detto e lo aveva fatto: indipendentemente dal parere del marito, Tsarina aveva avviato una sua personale indagine, nei limiti delle proprie possibilità. Non era persuasa da quel che era venuto fuori al processo, né dall’atteggiamento dei nobili delle Costellazioni che erano presenti in quel momento, e dunque si era detta che forse era il caso di tentare -almeno quello!- di scavare un po’più a fondo, e il primo passo l’aveva fatto proprio con Lady Vliegen, chiedendole di raccogliere informazioni per una ragione che anche Tsar aveva trovato tutto sommato sensata.
 
«sì, però potevate pure avvertire prima, o almeno arrivare un altro-»
 
«ah-ehm, fatela-finita, eh-ehm» tossì il demone.
Non ci credeva granché, ma sperava ancora che la sua signora imboccasse la via più facile, anche se questa comprendeva un matrimonio, e desse retta all’ “avvertimento”, viste le conseguenze che c’erano già state  e l’incapacità che lui stesso aveva dimostrato nel proteggerla.
Non si era più staccato da Vliegen da dopo l’incidente, se così lo si voleva chiamare, ma ciò non significava che lei fosse al sicuro in quel palazzo, perché con i Taurus non c’era da scherzare.
 
«vabbè, comunque siaaaa…sì, i risultati delle indagini» riprese la ragazza «ve la dico stringata-stringata: in questi sette anni c’è stata una certa Silk che ogni tanto ha soggiornato in un albergo su quel pianeta di donne guerriere, mai lo stesso tra l’altro -e sì che ce ne sono pochi- ma non è nata là, nossignora. Se poi fosse o meno Lady Nahema non ve lo so dire…può darsi di no, ma può darsi anche di sì».
 
Alla fine lo aveva fatto veramente, aveva detto la verità a Tsarina mandando al diavolo l’ “avvertimento” ricevuto, il che significava che intendeva andare fino in fondo, per quanto folle potesse essere.
 
«quindi tutto quel che potete dirmi è che il caporale Silk non era originaria di queste parti. Non c’è altro?»
 
Vliegen scosse la testa. Non aveva prove concrete sulla vera identità di Silk da mostrare ad altri. Volendo avrebbe potuto fare alla regina un lungo racconto di quel che era successo una settimana prima, ma non sarebbe servito a molto: sarebbe stata la parola di un duca contro la sua, la plebea sposata da un nobile, e aveva una vendetta da compiere, per sé e per la memoria di suo marito, quindi non voleva intralci. «nah. Mindshread vi darà la documentazione relativa alle indagini…»
 
«se mi diceste dove l’avete messa, magari» borbottò l’attendente.
 
«primo cassetto della scrivania. Quella» la indicò «dicevo, Mindshread vi darà i documenti mentre voi vi dirigete verso la porta. Quella. Non è difficile da trovare, siete entrata da lì».
 
«mi state per caso congedando, Lady Scorpio?» disse, con una certa durezza. Un po’ di stravaganza e brutto carattere si potevano sopportare, ma quand’era troppo era troppo, e lei era sempre la regina.
 
«non “per caso”, sto proprio dicendo che è ora che ve ne andiate, perché la pizza
 
«perdonatela, Vostra Grazia, è che gli antidolorifici che prende per la caviglia le fanno pessimi scherzi al cervello!» intervenne Mindshread, con i fogli in mano «permettete che vi accompagni all’uscita».
 
«sì. Grazie» disse Tsarina, neutra «vi faccio i miei auguri di pronta guarigione, Lady Vliegen. Cercherò di non venire più a farvi visita all’ora di cena» aggiunse, con una punta di sarcasmo.
 
«no problem, visto che non ci rivedremo» ribatté Vliegen.
 
«cosa volete di-» avviò a dire la regina, ma venne interrotta.
 
 «e se fossi al posto vostro» continuò la ragazza «e io fossi sposata con vostro marito, prima di riferirgli tutto cercherei di avere in mano qualcosina di più di quanto voi avete ora. Se fosse stato un po’ meno pendente dalle labbra della sua ex fidanzata vi avrei consigliata diversamente, ma visto come si è svolto il processo-»
 
«Lady Scorpio, ricordate che state parlando a me del vostro re!» sottolineò la regina, punta sul vivo «e non so come voi possiate sapere del processo, dal momento che non eravate presente».
 
«io invece non so come voi possiate non capire che praticamente tutti i nobili lo sanno, ormai, perfino quelli che non escono mai di casa come me» commentò Vliegen, con una risata del tutto fuori luogo «e vi dirò di più, vista la vostra situazione direi che sarebbe il caso di tirare fuori uno straccio di erede al trono, a costo di farsi aiutare dai maghi: con le ex fidanzate non si sa mai!»
 
«questo è veramente troppo!» esclamò la regina -di nuovo punta sul vivo- a ragione.
 
«antidolorifici! È colpa degli antidolorifici, non ragiona bene e non sa quello che dice, quindi sì, forse è meglio che vi accompagni all’uscita, vostra grazia… di situazioni imbarazzanti ce ne sono state già troppe» concluse con un borbottio che Tsarina riuscì a udire perfettamente.
 
Uscì accompagnata dal demone, senza dire un’altra parola.
 
«di norma Lady Scorpio non è così, davvero: è tutta colpa delle pastiglie troppo forti. Non sapete quanto sia mortificato» si scusò Mindshread, cercando di recuperare l’irrecuperabile. A Vliegen per ovvie ragioni non importava di mantenere buoni rapporti con la famiglia reale, ma a lui, che a suo rischio e pericolo aveva deciso di restare lì dov’era nato e cresciuto, invece sì.
 
«non sei tu che devi scusarti, non sei responsabile di quel che dice la tua signora» fu tutto quel che disse Tsarina, e non aggiunse una parola di più neppure quando uscirono dal castello.
 
Accompagnata fuori la regina, dopo averla guardata allontanarsi, Mindshread volò direttamente sulla terrazza davanti alla stanza da letto di Vliegen. «perché diamine avete detto alla regina certe cose?!» sbottò, chinandosi per entrare in camera dal finestrone.
 
«perché sono vere» replicò la ragazza «e perché tanto da domani l’irritazione di sua maestà non sarà più un problema, per me. I patti che ho stretto con l’Uomo sono estremamente chiari e precisi, anche per cautelarmi da qualsiasi eventuale futuro problema da parte sua».
 
«non mi fiderei di uno che ha sterminato tutti i suoi simili perché voleva essere l’unico della sua razza. Parole vostre!» le ricordò il demone.
 
«una volta che lui accetta un lavoro si può stare sicuri che lo poterà a termine a qualunque costo, e non c’è da temere un voltafaccia: ha tanti difetti, ma non si è mai rimangiato la parola in vita sua. Ucciderà chi deve uccidere senza esitazioni, mi verrà a prendere e io, una volta arrivata illesa dove devo arrivare, gli darò la somma che abbiamo stabilito. Aaah, porca miseria, ci pensi che questa è la mia ultima notte da Lady Scorpio?»
 
«potete ancora tornare indietro. Anche se avete parlato con la regina ce la possiamo cavare con…beh, insomma, in qualche modo» borbottò l’attendente.
 
«non hai sentito quello che ho detto? “Una volta che l’Uomo ha accettato un lavoro”…non potrei tornare indietro nemmeno volendo, e non voglio: mi ha tolto il marito e rotto un osso, quindi io gli toglierò il futuro» fece un gesto teatrale  «questo è un addio, ma credo proprio che lascerò ad alcuni un ricordo indelebile».
 
 
 
 
 
 
Come potete notare questa è soltanto la prima parte, quindi potete stare tranquilli: la mazzata vera e propria non è quel che avete visto qui, è solo il preludio, ma arriverà :)
Poi, anche se non resterà per molto mi spiaceva l’idea di privarvi della presenza di quell’adorabile e socievole (?!!!) persona che è Lady Scorpio senza mostrarla giusto un pochino anche nel prossimo capitolo (anche se sarà incentrato su altre persone) quindi la ritroverete :’D
Ultima cosa: l’Uomo di cui si parla a fine capitolo, anche se non viene detto direttamente, non è altri che Lobo, personaggio della DC Comics. Se potete cercatene i fumetti, ha picchi di violenza/demenzialità/epicità che ne valgono la pena :’D
Alla prossima,
 
_Dracarys_

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Capitolo 16
*** 16. Il veleno dello scorpione- parte II (per non dimenticare) ***


=Il veleno dello scorpione - parte II=
(per non dimenticare)
 
 
 
 
 
Duskfell era avvolta da una penombra perenne, come del resto tutto il pianeta, eppure Lady Vliegen Scorpio, seduta su un’ampia sedia imbottita, riusciva a distinguere un vaghissimo chiarore rosato che scivolava progressivamente su tutta la coltre di nubi nere.
 
«and so he spoke, and so he spoke, that Lord of Atlantia…» canticchiò sommessamente.
 
In quella stagione cominciava ad albeggiare soltanto verso le sette del mattino, ed era l’unica occasione, in tutti i suoi ventidue anni di vita, in cui non le era dispiaciuto troppo alzarsi presto. Questione di poche ore e sarebbe partita, la sua vita sarebbe ricominciata da capo nuovamente e, soprattutto, la sua vendetta si sarebbe compiuta.
 
«milady, volete davvero bere quella roba amara e schiumosa, e a quest’ora del mattino?»
 
«abbiamo di che festeggiare, ma non avremo altra occasione per farlo se non questa, Mindshread».
 
«avrete di che festeggiare soltanto se tutto andrà come deve» ribatté l’attendente «in caso contrario…»
 
«andrà tutto come deve, non ti preoccupare. In caso contrario, quantomeno avrò bevuto la mia ultima cervesia. Su, smetti di rompere, prendi un bicchiere e unisciti a me» lo esortò la ragazza «chi non beve in compagnia è un ladro o una spia».
 
«a me quella roba non piace granché» il demone prese un bicchiere da sopra il tavolino lì accanto, e lo riempì per un quarto «ma essendo l’ultimo giorno che vi vedo, vi voglio accontentare. Per caso avete anche voglia di un brindisi?» le chiese, tra il serio e il faceto.
 
Vliegen appoggiò le braccia sul basso muretto che delimitava la terrazza, continuando a osservare il cielo. «in effetti sì. In alto i boccali, Mindshread!» esclamò all’improvviso, sollevando in aria il bicchiere mezzo vuoto «brindiamo al futuro della nobile Casa Taurus…visto che tra poche ore non ne avrà più uno. Salute».
 
Detto ciò, Vliegen portò alle labbra il boccale e finì di vuotarlo pigri sorsi, mentre Mindshread a si sforzò di ingollare quella roba in un’unica volta.
 
«and so he spoke, and so he spoke, that Lord of Atlantia…»
 
Era da quando si era alzata che Vliegen continuava a canticchiare quelle parole, sempre le stesse, in una melodia che non sembrava voler trovare conclusione.
 
«and now the rains weep o’er his hall… and not a son to hear!»
 
Fino a quel momento.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
«…ho pensato di aspettare che tornassi e ragguagliarti su tutto faccia a faccia, per certe cose credo sia il modo migliore di agire, avendone la possibilità».
 
Nahema annuì alle parole di Kitah, seduta su una poltrona bianca come tutto il resto del mobilio. Del resto erano tre i colori che imperavano nel palazzo dei Taurus ad Atlantia: bianco e azzurro ghiaccio, spesso ghiaccio vero. «hai fatto bene, così potrò sfruttare in modo produttivo questi tre giorni in cui l’Armata Dorata è a riposo. Allora? Com’è questa Lady Scorpio che in sei mesi di matrimonio non si è mai fatta vedere assieme al compianto Lord suo marito?»
 
Kitah ebbe una leggera esitazione nel risponderle. «Vliegen Scorpio è matta come cavallo idrofobo» sentenziò «e probabilmente pesa altrettanto, visto che definirla “in carne” è un grosso e grasso eufemismo».
 
«Brandon Scorpio ha sempre avuto gusti un po’strani» commentò Nahema «ma a me non importa nulla se Vliegen è un fuscello o un elefantino: definisci “matta come un cavallo idrofobo”, per cortesia, e quanto potrebbe essere problematica in una scala da uno a dieci».
 
«in una scala da uno a dieci ormai direi meno venti» replicò Kitah «certe persone vanno rimesse al posto che le compete appena alzano un po’troppo la testa, ed è quello che ho fatto. Vliegen Scorpio si comporterà come si sarebbe comportato il suo defunto marito, ossia confermando a una regina un po’troppo curiosa l’esistenza di una Silk nata sul pianeta di donne guerriere nelle sue terre. Ho fatto in modo di farle capire molto chiaramente che in casi come questo conviene essere collaborativi. L’incidente che le è capitato ha portato una caviglia rotta, ma la prossima volta potrebbe anche andare peggio».
 
«hai addirittura mandato i tuoi ghoul del ghiaccio a darle una spintarella?» Nahema sollevò leggermente le sopracciglia «cos’è successo quando l’hai incontrata, perché arrivassi a tanto?»
 
Taurus dovette ammettere a se stesso di non avere molta voglia di parlare a Nahema di quella sua disfatta, perché tale era stato l’esito di quell’incontro. Motivo per cui, prima ancora di lasciare il pianeta Scorpio I, aveva messo in moto i ghoul: un simile affronto non si poteva lasciar passare come se nulla fosse, ed era già tanto che non avesse ordinato loro di farla fuori direttamente. «mi ha trattato in un modo…inaccettabile».
 
«“inaccettabile”» ripeté Nahema.
 
«del tutto. Senti, non voglio parlare oltre dell’incontro con quella pazzoide, va bene? Quel che c’era da dire è stato detto» tagliò corto Kitah «pensiamo a cose più allegre, adesso…come i miei figli in viaggio verso l’Accademia degli Alchimisti!»
 
«immagino che non avere più dei tredicenni in giro per il castello sia un ottimo motivo per festeggiare» scherzò Nahema.
 
«ah, questo non c’entra nulla! Fosse stato per me avrebbero potuto rimanere ad Atlantia quanto volevano» disse il duca «sono semplicemente contento che siano riusciti a entrare, visto che entrambi avevano sempre avuto quest’idea».
 
Nahema non dubitava che Kitah volesse bene ai suoi figli; certo, aver tolto loro la madre era come minimo discutibile, ma con quel che lei e la sua famiglia avevano fatto  negli anni non poteva certo mettersi a giudicare.
Sapeva che sotto sotto in Kitah c’era una tendenza “protettiva”, diciamo così, almeno verso le persone a cui per un motivo o per l’altro teneva seriamente: bastava pensare alle nottate che -le avevano detto- aveva passato al suo capezzale quando lei a diciotto anni aveva avuto quell’incidente in battaglia.
Oppure al suo atteggiamento verso la sorella minore: se Isabeli non viveva assieme a lui era soltanto perché i loro genitori non avevano ascoltato le sue richieste di lasciarla rimanere ad Atlantia, così che fosse lui a prendersene cura, e in seguito quelle di lasciare che tornasse a stare lì. Forse speravano ancora di riuscire ad accasare quella ventisettenne così fragile fisicamente da non poter sostenere una gravidanza -dicevano- e così “delicata” da avere delle crisi di nervi con annessi pianti e fughe per delle sciocchezze. Un’impresa disperata, in breve.
 
«sì, ne sono felice anche io. So che l’esame di ammissione non è affatto semplice, quindi c’è di che esserne orgogliosi. Mi spiace solo di essere arrivata troppo tardi per riuscire a salutarli».
 
«non fa niente» minimizzò Kitah «loro però salutano te, e Shaun in particolare ha detto che quando tornerà ti farà vedere tutto quello che avrà imparato. Sa che sei figlia di un alchimista».
 
«è un pensiero carino da parte sua».
 
«ho fatto in modo che i miei figli ti volessero bene, nel caso…»
 
Ah no! Sostenere una di quelle conversazioni era tra le ultime cose di cui Nahema avesse voglia al momento, quello non era proprio il periodo giusto per parlare di eventuali futuri fidanzamenti e matrimoni. A dirla tutta non c’era mai stato, un periodo giusto. «almeno questa volta hai lasciato che andassero da soli?» gli chiese, interrompendolo.
 
«no. Il viaggio verso l’Accademia degli Alchimisti è lungo, e io da padre non voglio che corrano rischi» affermò Kitah.
 
«quanti anni avevamo tu e io quando fuggivamo da palazzo per infilarci nei boschi sacri del territorio degli Hydra, che è esattamente al lato opposto del regno? Otto?» gli ricordò Nahema.
 
«noi due eravamo degli incoscienti, ma certe cose non si possono capire appieno finché non diventi genitore. Non perché tu sia stupida, ma è proprio un’esperienza che ti fa cambiare punto di vista in alcune cose. Prima o poi anche tu capirai».
 
Il trillo del comunicatore fisso ruppe l’attimo di silenzio che era seguito a quell’ultima frase. Sapendo che quelle che riceveva su quella linea erano solo chiamate importanti, Taurus dovette interrompere la conversazione con la sua adorata ospite per rispondere. «Lord Taurus all’apparecchio».
 
sono il capo della Gendarmeria di Atlantia. Lord Taurus, signore, è successo…ho ricevuto una comunicazione da… per gli Dei, io non so come dirvelo, è così orribile
 
«ci sono problemi in città?» gli domandò Kitah, perplesso e vagamente inquieto.
 
no Lord Taurus, magari fosse così ‒ prese rumorosamente fiato ‒ ho ricevuto una comunicazione dalle pattuglie della rotta spaziale da qui all’Accademia degli Alchimisti. Le navi che trasportavano i vostri soldati sono state distrutte, tutti gli uomini sono stati uccisi e…
 
«i miei figli. Cosa ne è stato di loro? Dove sono?!»
 
Con la coda dell’occhio vide Nahema alzarsi e avvicinarsi a lui, ma al momento non gli interessava: non ricordava di aver mai provato un’angoscia simile in tutta la sua vita, non avrebbe mai pensato che fosse umanamente possibile poterne provare tanta, o comunque che lui potesse provarne.
Lui, che aveva ucciso la sua stessa moglie, lui, che era invischiato in una ragnatela infinita di complotti e alleanze, lui, che non si era fatto problemi a sostenere chi aveva da poco distrutto una famiglia, e si era persino un po’ divertito vedendo Kozmotis Pitchiner dare di matto a quella farsa definita “processo”.
Poco importava che il motto della sua famiglia fosse “Vincit qui se vincit”, alla faccia di quelle parole sembrava che tutto quel che c’era di importante nella sua esistenza si fosse improvvisamente concentrato in quel comunicatore, e nella frase “loro stanno bene”.
 
li hanno uccisi, milord. Mi dispiace veramente moltissimo. I loro corpi sono stati appena riportati qui in città, all’obitorio.
 
Per prima giunse l’incredulità più assoluta. Non era possibile, probabilmente era ancora a letto e stava avendo un incubo, o forse si trattava di uno scherzo molto più che di pessimo gusto.
Lui era un Taurus, i suoi figli erano due Taurus, e i Taurus erano intoccabili. Nessuna persona sana di mente avrebbe mai osato fare una cosa del genere alla sua famiglia.
Poi venne la consapevolezza, come un colpo di fucile nel ventre: lui era sveglissimo, e il capo della Gendarmeria di Atlantia non si sarebbe mai azzardato a riferirgli certe cose, se non ne fosse stato assolutamente certo.
Il che significava che Shaun e Shauna erano morti sul serio.
Non sarebbero mai diventati alchimisti, non sarebbero mai tornati a casa per mostrargli quel che avevano appreso, non li avrebbe più visti pattinare sulle distese ghiacciate attorno al palazzo, né li avrebbe più sentiti ridere, e non avrebbe assistito ai loro futuri matrimoni.
Improvvisamente il futuro della sua Casa non c’era più.
 
«chi e come. Non tralasciate nulla» si sentì dire, senza capacitarsi di essere riuscito a parlare.
 
alcuni testimoni hanno visto da una certa distanza un uomo, o qualcosa di simile, allontanarsi con una sottospecie di strana motocicletta spaziale. Pare che cantasse a squarciagola “ho ucciso la mia gente, non è stato un incidente”. Non abbiamo altro sull’assassino, ma una cosa che sappiamo con sicurezza è che per distruggere le navi dei vostri soldati sono state usate delle armi  all’uranium.
 
«“uranium” significa Scorpio!» esclamò, incredulo. Per gli Dei, era tutto così irreale.
 
per i vostri figli le cose sono diverse, ma non so se-
 
«sì, maledizione!» alla consapevolezza ora si era aggiunta un’ira profonda, tanto profonda da non avere fine. Il colpevole, o i colpevoli, avrebbero pagato con la vita quel che avevano fatto. «ditemi come quel bastardo ha ucciso i miei figli!» voleva saperlo subito, per quanto dura potesse essere.
 
un colpo al cuore per uno. Non ci sono dubbi sulle cause, e non ci sarebbero altre ferite, a parte…è una stranezza, ma l’assassino ha spezzato a entrambi una caviglia, precisamente la destra. Post mortem, o così risulta da-
 
Mise giù il comunicatore con tanta violenza da romperlo, ma al momento non avrebbe potuto curarsene di meno. Sollevò lo sguardo e trovò il volto teso di Nahema, ferma lì accanto a lui, ma non aveva proprio voglia di dire qualsiasi cosa a nessuno, inclusa lei.
 
«Kitah-»
 
La interruppe spingendola via con delicatezza e lasciò la stanza quasi di corsa, poi percorse il corridoio, e l’atrio principale, e infine l’ingresso. Quando uscì dal palazzo e iniziò a camminare in avanti senza una destinazione precisa venne investito dalla bufera di neve che giusto un paio di minuti prima, vista la stagione, si era sollevata. Però il gelo e la neve erano le ennesime cose che avevano perso importanza. 
Un comportamento poco ragionevole, ma del resto lui non aveva la minima dannata voglia di essere ragionevole.
“Quanto è problematica Vliegen Scorpio da uno a dieci?”, “meno venti!” …meno venti! Aveva proprio capito tutto!
Che dei Taurus fossero “toccati” era impensabile, aveva sempre creduto questo, ma l’impensabile era accaduto, nel peggior modo possibile e per mano di qualcuno che lui aveva sottovalutato. Vliegen Scorpio era molto più pazza di quanto avesse immaginato, e i suoi figli erano morti a causa del suo errore di valutazione: avrebbe dovuto farla sgozzare dai ghoul, o farla gettare nel lago, invece di limitarsi a un avvertimento.
Ovviamente quell’assassina non l’avrebbe fatta franca, ma intanto Shaun e Shauna erano morti.
 
“è così che si è sentito Kozmotis Pitchiner?” fu il pensiero che gli balenò in mente. Ma durò poco. “ma chi se ne importa di Kozmotis Pitchiner, chi cazzo se ne importa… se le cercava da una vita, e la sua, di figlia, è viva e perfettamente in salute…”
 
Solo a quel punto si rese conto che non stava più camminando, ma era in ginocchio nella neve. Si voltò a guardare indietro, e notò che il castello non si vedeva più, ma poteva essere dovuto tanto alla distanza quanto alla bufera. Una cosa di cui era sicuro invece era che i cumuli di neve fossero posti molto comodi sui quali stare inginocchiati, anche se si era vestiti leggeri come lui. Era comodo anche starci sdraiati a guardar bene, e iniziava a essere preda di una stanchezza che gli faceva proprio venire voglia di rimanere lì a riposarsi un po’.
 
“giusto un po’, chiudo gli occhi un attimo ma poi mi rialzo, davvero…”
 
 
 
 
[…]
 
 
 
 
«ahi!... ma perché?!»
 
«perché sei un deficiente, ecco perché! Cosa ti è saltato in testa?! Uscire fuori con quei vestiti, in questa stagione e durante una bufera di neve!»
 
Ricevere una sberla in faccia poco dopo il risveglio non era precisamente tra i desideri di Kitah, ma avendo ricominciato a “connettere” si rendeva conto che tutto sommato se l’era meritata. «non mi è saltato in testa proprio niente, Aladohar, ero a malapena cosciente di essere uscito fuori dal palazzo. Avevo in testa solo il fatto che i ragazzi…» sollevò lo sguardo «ma è successo davvero?»
 
Mai in tutta la vita Nihil Aladohar aveva pensato che un giorno avrebbe visto Kitah in condizioni simili, o anche solo che questi si sarebbe comportato in modo tanto irrazionale. Non immaginava neppure che una persona come lui potesse tenere tanto ai suoi figli. Sapeva che voleva loro bene, non era un mostro, ma non credeva che la loro morte potesse portarlo a reagire in quel modo. Pensava che si sarebbe “contenuto” molto di più, e che per prima cosa avrebbe dato ordine di rintracciare i responsabili dell’omicidio e occuparsene.
Era proprio vero, non si finiva mai di conoscere una persona, nemmeno stando a contatto con essa una vita intera. «purtroppo è successo davvero, e tu stavi per raggiungerli…pezzo di scemo!»
 
«avevo appena saputo che i miei figli sono morti».
 
«e in questo dov’era l’utilità di gettarti in una bufera?! Ti rendi conto di quel che hai fatto?!» insistette Aladohar.
 
«ne riparleremo se per disgrazia tra tredici anni morirà il figlio tuo e di Faeliria!» ribatté il duca «solo allora potresti capire!»
 
«se non ti infilo dove non batte il sole tutti i soprammobili di questa stanza, candelabri inclusi, è solo perché sei il mio migliore amico, sei sconvolto e stai parlando a vanvera! Vedi di ricominciare a usare il cervello!» gli intimò Aladohar «quello che è successo è terribile, ed è umano che tu sia sconvolto, lo siamo tutti, nessuno se lo aspettava, ma ti chiedo per favore di cercare di tornare in te almeno quel tanto che serve. Non è detto che Nahema riuscirà di nuovo a trovarti in tempo, se andrai di nuovo a passeggio nella bufera».
 
Ed ecco risolto il mistero su chi fosse stato a riportarlo nel palazzo, e Kitah riusciva a ragionare abbastanza lucidamente da capire che anche lei aveva rischiato grosso: il terreno attorno al palazzo era esteso, e le tempeste di neve erano tanto impetuose quanto impietose, tanto che persino i ghoul del ghiaccio cercavano riparo quando iniziavano a infuriare. «dov’è ora? Cosa sta facendo?» sottinteso: “perché non è qui?”.
 
«nulla di che, Kitah! In quattro ore e mezzo è soltanto andata all’obitorio per avere tutte in informazioni sul caso. Non è stato complicato far ricollegare tutto a Lady Scorpio, che ha agito in modo piuttosto “sfacciato”» tra le armi all’uranium, che solo gli Scorpio possedevano, e le caviglie rotte «e scoprendo che milady è fuggita. A quel punto Nahema ha messo in moto gli uomini di cui dispone la nostra famiglia, quelli di cui dispone la tua, nonché quelli dei nostri alleati, per quanto possono contribuire; ha messo a conoscenza dell’accaduto anche il re, com’è ovvio,  facendo sì che anch’egli mettesse dei gruppi di persone a disposizione, e già che c’era ha anche posto una sostanziosa taglia sulla testa di Lady Vliegen, da consegnare rigorosamente viva. Ah, ha anche cercato volontari tra i soldati dell’Armata Dorata a riposo, oltretutto riuscendo a trovarli. Poi ha avvertito i tuoi familiari dell’accaduto, naturalmente, premurandosi di avvisarli che almeno per oggi non intendevi ricevere nessuno. Al momento sta iniziando a organizzare il funerale, e penso che a breve avrà finito. Tutto perché tu oggi non dovessi pensare a questioni pratiche che, da come hai reagito, pensava che tu non fossi in condizioni di gestire».
 
«contemporaneamente a tutto questo si è anche messa a spalare via la neve da tutto il palazzo?» disse Kitah, riuscendo a trovare chissà dove la forza di provare a fare quella debole battuta.
 
«no» rispose Aladohar, apprezzando il tentativo «però ha dato ordini perché lo facciano il giorno del funerale. A parte gli scherzi, puoi essere certo che troveremo quella donna a breve, se non è magicamente evaporata. Abbiamo risorse sufficienti per riuscirci».
 
«ho risorse per riuscire a trovare l’assassina dei miei figli, ma non ne avevo abbastanza per proteggerli… bell’affare» si lasciò ricadere contro i cuscini «proprio un bell’affare».
 
«ci si può proteggere solo da quello che si riesce a prevedere, Kitah, non dalle schegge impazzite. Nessuno di noi avrebbe mai potuto anche solo pensare che la moglie plebea di uno Scorpio potesse essere problematica» disse Aladohar «gli Scorpio sono degli ignavi, li conosci! Basti pensare a Lord Jon, che per forza di cose ora è il capofamiglia» ed era totalmente estraneo a quel che aveva fatto sua cognata «o a com’era Lord Brandon».
 
«già, e io ho dato per scontato che Vliegen fosse soltanto un cane che abbaiava e non mordeva. La dimostrazione che un errore di calcolo può distruggere il futuro di una Casa».
 
Il futuro. Oddio.
Non aveva più figli, quindi non aveva più eredi, il che significava…
 
«non se ne parla nemmeno!» sbottò Taurus, cogliendo Aladohar di sorpresa.
 
«non se ne parla di cosa?» gli domandò questi, perplesso.
 
«i miei genitori penseranno soltanto che questo fatto lascia la Casa Taurus priva di eredi! Sai cosa significa questo?!» esclamò, con una punta di disperazione nella voce dovuta non solo al lutto subìto «Shaun e Shauna non ci sono più, Isabeli non ha un marito, chi pensi che dovrà trovare di nuovo una moglie?!»
 
«trovare un marito per tua sorella non dovrebbe essere tanto complicato, fosse anche di una Casa minore. In fin dei conti Isabeli è sempre una Taurus» gli ricordò Aladohar.
 
«Isabeli non è in condizioni di sposarsi, e tantomeno di fare figli» affermò Kitah «lei è troppo fragile per queste cose».
 
“sì, perché i tuoi genitori l’hanno cresciuta male e non l’hanno portata da uno psichiatra bravo” pensò Aladohar. «guarda che il capofamiglia sei tu, se i tuoi genitori insistono ti basta dir loro di smetterla».
 
«hai ragione» riconobbe Kitah «ma ci sono già abbastanza problemi senza aggiungere degli attriti con loro, io…Aladohar!» si alzò di scatto, e afferrò gli avambracci dell’amico «mi devi aiutare».
 
«se si tratta di trovare una donna, tra quelle delle nostre Case vassalle ce ne sono di-»
 
«non voglio quelle delle vostre Case vassalle! Tu devi aiutarmi a convincere tua sorella a sposarmi!»
 
«ascolta, per un aiuto io ci sono, ma i miracoli sono un’altra cosa» si schermì l’arciduca.
 
«“miracoli”?! Ricordami da quanto tempo è che io e Nahema ci frequentiamo, o da quanto tempo è che parliamo di sposarci, o meglio che io le parli di sposarci» specificò, per amor di onestà «e la risposta è sempre stata “non è il momento”, ma appunto per questo!... se finora ha rifiutato non è perché non mi voglia, o non mi ami».
 
«ha sfidato una tempesta di neve per salvarti la pelle, quindi direi che su questo non ci sia da discutere, ma di fatto non è il momento» disse Aladohar «Nahema ha più cose da fare che da dire, un matrimonio non sarebbe opportun-»
 
«comincio a chiedermi se il momento opportuno arriverà mai, per tua sorella. Seriamente» si rimise a sedere sul letto «perché non si decide ad accettare la proposta? Il nostro matrimonio sarebbe conveniente per tutti, e poi…e poi cosa vado a pensare ai matrimoni, che i miei figli sono morti poco più di quattro ore e mezzo fa?!» fece un sospiro nervoso, nascondendo il volto tra le mani «è ufficiale, non sto capendo più un cazzo. Ringrazia da parte mia Nahema per aver già smosso mari e monti».
 
«puoi farlo tu dopo, tempo di finire di dare disposizioni e verrà qui».
 
«credo sia meglio di no, vedendomi così sarebbe capace di tirarmi un ceffone, e forse non avrebbe torto: di Taurus fragili, in famiglia, ne basta uno...oh no…Isabeli! Non oso immaginare come abbia reagito quando ha saputo, Shaun e Shauna erano i soli con i quali non avesse mai avuto uno dei suoi “momentacci”!»
 
«a tua sorella penserai domani. È anche per lei che oggi devi cercare di rimetterti in piedi. Io purtroppo devo tornare a casa, adesso» fu costretto a dire Aladohar, realmente a malincuore «e se sei proprio convinto di non volere che Nahema venga da te…»
 
«ora come ora non sono convinto di niente, se non di voler ammazzare quella psicopatica con le mie stesse mani».
 
«è già qualcosa su cui lavorare, Kitah. Ci vediamo domani».
 
Aladohar uscì dalla stanza, e dopo aver fatto un bel po’di strada incrociò Nahema. «si è svegliato» la informò, a bassa voce «ma, citando lui stesso, “non sta capendo più un cazzo”: prima è a terra per i figli, poi si preoccupa degli eventuali futuri matrimoni, poi torna a pensare ai figli e poi “non oso immaginare come abbia reagito Isabeli”…»
 
«sua sorella non fa testo, basta che le cada un cucchiaino dalle mani perché le venga una crisi nervosa» “e si appiccichi a me come un’alga” aggiunse mentalmente.
 
«non è finita! Prima ha chiesto dove fossi, poi ha detto che è meglio che tu non vada da lui, e infine che non sa se lo vuole o no. È più confuso di quella volta che aveva bevuto troppo è si è tuffato nello Shira» il grande fiume che scorreva accanto al loro palazzo «scambiandolo per una delle piscine. Nahema…»
 
«cosa?»
 
«stavo pensando che forse…» esitò Aladohar «ecco, sappiamo come sono i suoi genitori, ricordi le pressioni che ha subìto anni fa. Ora gli eredi non ci sono più, lui non ha una moglie, e ricominceranno a insistere perché ne trovi u-»
 
«vai via» lo interruppe Nahema.
 
Aladohar non si mosse. «sai che non ti sarebbe d’intralcio, avete la possibilità di far coincidere i sentimenti con gli interessi, cosa c’è di male?»
 
«ma tu e io siamo davvero stati cresciuti dalla stessa madre? Mi fai venire voglia di tornarmene al fronte immediatamente, giuro».
 
«guarda me e Faeliria» insistette l’uomo «la nostra situazione era uguale alla vostra, ci siamo sposati e siamo entrambi felici».
 
Nahema gli diede un’occhiata cupa. «Faeliria non ha ucciso un suo precedente marito» disse, molto piano «i sentimenti qui non contano».
 
«lui lo ha fatto per te» ribatté Aladohar.
 
«io non gliel’ho mai chiesto» affermò Nahema «lascia Faeliria e sposalo tu, se hai tanta voglia di matrimoni».
 
«quindi lascerai che si risposi con chissà chi?»
 
«se Kitah non vuole un’altra moglie ricorderà ai suoi genitori che non ha più quindici anni, che adesso il capofamiglia è lui, e che loro non devono intromettersi. Ha preso i figli, non gli attributi, quindi che li tiri fuori. Chiuso il discorso».
 
Non aspettò un’eventuale replica del fratello, e preparandosi spiritualmente ad affrontare l’ennesima proposta di matrimonio raggiunse la stanza del suo eterno alleato/amico/amante. Non si curò di bussare, qualunque possibile scenario sarebbe stato già visto, ed entrò.
Le bastò un’occhiata per capire che Aladohar aveva perfettamente ragione: che Kitah non fosse del tutto in sé era evidente già dallo sguardo. «eri indeciso se volermi qui o meno, dunque ho scelto io per te».
 
«non è il giorno giusto per badare a quello che dico, e devi averlo capito, visto che hai fatto tutto quel che avrei dovuto fare io» la guardò «non devi per forza restare vicina alla porta, a meno che tu voglia prendermi a sberle».
 
«la tentazione c’è, ma immagino che Aladohar abbia già provveduto. Mi hai fatta preoccupare» aggiunse e, detto da Nahema, era una specie di dichiarazione d’amore. «e non poco».
 
«entro domani mi riprenderò» disse lui «e spero che Vliegen Scorpio venga trovata altrettanto presto».
 
«le stiamo dando tutti quanti la caccia, a lei e anche al mercenario che ha assoldato. Vero, non siamo riusciti ad avere informazioni utili dal demone suo attendente nonostante i tentativi» ed era facile immaginare quali tipi, di tentativi «e il fatto che io stessa abbia fatto un salto laggiù, dato che Vliegen si è attenuta al principio “meno sa, meglio è”, ma non le servirà: la troveremo e le faremo fare la fine che merita».
 
Kitah annuì e fece per rispondere qualcosa, ma la porta si aprì di scatto, e a quel rumore ne seguì uno molto simile all’uggiolio di un cane; l’attimo dopo Nahema si sentì stringere in una presa degna di uno dei serpenti giganti nei boschi sacri degli Hydra, ma decisamente più umida.
 
«Isabeli, cosa ci fai qui?!» Kitah si alzò rapidamente dal letto e raggiunse la sorella.
 
«me la sono trovata davanti…» fu la debole giustificazione di Aladohar, tornato indietro e ora fermo sulla soglia, indeciso se ridere o…mah, non lo sapeva neppure lui.
Sapeva soltanto che dietro l’espressione completamente neutra di Nahema e la sua totale immobilità probabilmente si nascondevano splendidi sogni in cui sollevava tra le braccia la sorella di Kitah… per poi buttarla giù dal balcone.
 
«vieni qui, Isa, dai» la esortò Kitah con gentilezza, staccandola da Nahema nel modo più delicato possibile «vieni da me, da brava, lascia andare Nahema e vieni qui…bravissima» mormorò «tranquilla ora, tranquilla, va tutto bene, ci sono qui io».
 
Isabeli era alta un metro e ottanta ma esile come un giunco, e con quella specie di tunica bianca con perline nere che indossava -decisamente troppo leggera per la stagione- nonché il suo comportamento, poteva tranquillamente sembrare una paziente fuggita dal reparto psichiatrico di una ricca clinica privata; esattamente il posto dove, secondo la modesta opinione di Nahema, avrebbero dovuto mandarla già molti anni prima.
 
«vogliono farmi mettere dentro un figlio, ma io non posso!...»
 
I suoi nipoti erano morti, e lei con cosa esordiva? Non “mi dispiace”, non “è orribile” o tutto quel che ci si poteva aspettare in un simile contesto, ma “vogliono farmi mettere dentro un figlio”. Fantastico.
 
«anche se Shaun e Shauna sono morti nessuno ti costringerà farlo» cercò di tranquillizzarla il fratello. Sapeva che Isabeli viveva nella sua “piccola bolla”, e pensava che non ci fosse altro da fare se non prenderla com’era.
 
«erano bambini così b-b-belli!» farfugliò, con tono quasi stridulo «volevo loro tanto bene…mamma e papà invece sono cattivi. Loro pensano solo alla Casa, pensano solo a quello, io sono scappata, non potevo rimanere lì con loro, non volevo, aiutami…»
 
«come volevasi dimostrare» disse freddamente Kitah, guardando Aladohar «che ti avevo detto? A loro importa solo questo. Stai tranquilla Isabeli, fin quando rimarrai ad Atlantia impedirò che i nostri genitori e la loro fissa dell’erede possano farti del male».
 
“uno di voi due però dovrà provvedere, prima o poi: una Casa non può restare senza eredi!” pensò Nahema, che non essendo più fidanzata con il re e avendo altri otto fratelli che potevano impegnarsi - o si erano già impegnati!- in tal senso aveva la fortuna di non dover fare figli per forza.
 
«non ne saranno felici» disse piano Isabeli, lasciandosi accarezzare i lunghi capelli corvini.
 
«che si arrangino. Il capofamiglia sono io, quindi che si mettano l’anima in pace» disse. Aladohar aveva ragione, aveva ventinove anni, Atlantia era sua da quando ne aveva quindici, e i tempi in cui i suoi genitori potevano dirgli cosa fare o chi sposare erano finiti.
 
A quel punto la lunga crisi nervosa di Isabeli, che l’aveva portata fin lì, finì di colpo, esattamente come era iniziata. «mi dispiace tanto per quello che è successo, è una cosa bruttissima. Ma perché l’hanno fatto?» domandò, con uno sguardo tristissimo negli occhi azzurro cupo come quelli del fratello.
 
La presenza di Isabeli poteva essere una seccatura ma, se il suo arrivo sembrava essere riuscito a riscuotere Kitah abbastanza da fargli prendere una decisione come quella, allora forse non era del tutto un male. Doversi occupare di qualcun altro se non altro lo costringeva a tenere in ordine le idee e a non correre in mezzo alle tempeste di neve.
 
«non si sa mai quali pensieri passino nella testa dei pazzi» disse Aladohar.
 
«tu però la troverai, vero Nahema?» Isabeli si allontanò da Kitah per aggrapparsi nuovamente a lei «è vero che troverai Lady Scorpio? Dimmi di sì, per favore! Tu puoi!»
 
 
“sì, e posso anche fare questo!”
Nel completo sconcerto dei presenti Nahema afferrò l’esile donna, la sollevò e, una volta corsa sul balcone, la lanciò di sotto. Il tonfo che sentì Nahema quando Isabeli cadde a terra fu tra i suoni più splendidi che avesse mai sentito in vita propria, e sorrise…
 
 
«…Nahema? Non mi ascolti?» le chiese Isabeli, perplessa.
 
«perdonami, ero assorta nei miei pensieri. Certo che la troverò, stai tranquilla».
 
«oh, tu sei così brava!» esclamò la donna,  poggiando la testa su una spalla di Nahema «non dovevo chiederlo nemmeno. Sei come quegli eroi delle fiabe che arrivano e risolvono tutto, adesso hai anche l’armatura d’oro, la sola differenza da loro è che tu sei una donna» disse con un sospiro e le gote colorate da un lieve rosa pesca «ma è di poco conto, no?»
 
«sei molto gentile, ora però io e Aladohar purtroppo dobbiamo proprio tornare a casa nostra, abbiamo molte cose di cui occuparci, in primis di quanto è accaduto oggi…se a Kitah non serviamo qui, ovviamente».
 
«no. C’è mia sorella» disse questi, lapidario.
Sapeva che Nahema non amava troppo quelle scene quasi imbarazzanti che si venivano a creare quando c’era Isabeli, la quale provava per lei una certa ammirazione che però, in tutta onestà, era espressa in modo tale da poter dare un’idea diversa.
Se Isabeli fosse davvero rimasta ad Atlantia permanentemente avrebbe dovuto cercare il modo di “contenerla”, ma quello non era il giorno giusto.
 
«sì, ci sono io» ribadì Isabeli, un po’mesta «ci sono io…se proprio devi andare, Nahema…»
 
«io devo tornare a casa per forza, ma tu puoi tranquillamente restare qui» disse Aladohar, sforzandosi di restare serio. «non vorrai privare i nostri amici della tua compagnia in un momento come questo?»
 
ALADOHAR, TI UCCIDO”. «non vorrei, ma temo proprio che non potrò farne a meno. Anche io ho molte responsabilità, purtroppo, e se Kitah è sicuro…»
 
«lo sono. Prendere Vliegen ha la priorità» disse il duca «andate pure, e tenetemi informato».
 
Dopo un breve saluto, i fratelli Aldebaran uscirono in fretta dalla stanza e, mentre Nahema attendeva il momento opportuno per tirare un ceffone alla nuca scoperta del fratello, rifletteva sulla sola traccia di sé che Vliegen Scorpio avesse lasciato a Duskfell: un biglietto chiuso in una busta sigillata i cui destinatari, scritti a chiare lettere…per quanto la calligrafia di Lady Scorpio potesse essere definita “chiara”… erano “Taurus & Compagnia”.
Non aveva ancora riferito a Kitah o ad Aladohar ciò che era scritto su quel biglietto -che tra l’altro aveva con sé anche in quel momento- ma lo aveva imparato a memoria in modo quasi istantaneo.
 
“Perché la ricchezza non è sempre impunità, perché il potere non è immortalità, perché tramare non vuol dire riuscire, perché di un errore si può anche morire. Per non dimenticare”.
 
Non avrebbe dimenticato, né lei né gli altri lo avrebbero mai fatto, così si disse Nahema.
 
Se poi tra il dire e il fare fosse davvero presente il mare, sarebbe stato dimostrato solo più avanti.
 
 
 
 
Avevo anticipato la citazione di inizio capitolo :’D mi era “salito” il Rains of Castamere, e tutto sommato è già tanto che l’uso di uranium sia stato fortemente limitato a Lobo che usa i fatman per uccidere soldati e distruggere navi e uccidere soldati e-
Ehm, sì, comunque credo che farò meglio a lasciare a voi eventuali commenti, se ne avete, perché qui il PC si sta scaricando :’D
Alla prossima,
 
_Dracarys_
 

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Capitolo 17
*** 17. ''Dare fendenti alle montagne ***


= “Dare fendenti alle montagne” =


 
 
 
 
 
«quindi a breve rientrerai come High General».
 
L’aspetto di Kozmotis era molto migliorato: le occhiaie erano scomparse, non aveva più alcuna ferita ed anche l’aria folle era scomparsa. Se una persona qualunque lo avesse guardato lo avrebbe giudicato perfettamente in sé, ma per Grimmers, che lo conosceva bene da anni, era piuttosto evidente che le cose non stessero così…
 
«sì. Anche se quel demonio di certo avrà provveduto a mettermi contro tutti i miei uomini».
 
E quel che aveva appena detto lo dimostrava.
Era ovvio che tutta la psicoterapia del mondo non avrebbe fatto tornare Kozmotis l’uomo che era, perché la perdita subìta era troppo devastante, lo sarebbe stata per chiunque.
Aveva superato la fase peggiore, ritrovando un po’di equilibrio -al momento non lo vedeva in condizioni da mettersi a picchiare le guardie del re Lunanoff pur di raggiungere gli Aldebaran e tentare di fare lo stesso a loro- ma non stava bene, e se il dottore aveva veramente detto che a breve sarebbe potuto tornare operativo le opzioni erano due: o Kozmotis sapeva fingere molto bene, o il dottore era un incompetente.
Lui però non aveva voce in capitolo e, nonostante quel che stava dicendo, Grimmers sapeva che Kozmotis non desiderava altro che poter tornare a fare il suo lavoro. «magari non sarà tragico come pensi».
 
«hai ragione» disse Kozmotis «sarà molto peggio, soprattutto perché, anche se il comando verrà restituito a me, il generale Nahema mi “supporterà”» mimò le virgolette con le dita «con le proprie armate, e devo farmene una ragione, perché quel tonto di re che ci ritroviamo pensa sia proprio una grande idea!»
 
Grimmers giocherellò con un sigaro per qualche istante, prima di accenderlo. «forse non ha torto» disse, senza crederci particolarmente: non tanto per Nahema, quanto per l’atteggiamento dello stesso Kozmotis. «magari conoscendo Lady Nahema-»
 
«scoprirò che è più orribile di quanto già io pensi? Sì, è estremamente probabile» Kozmotis incrociò le braccia davanti al petto «non tirare nuovamente fuori l’idea che possa essermi sbagliato, Rich, o anche solo che esista veramente una Silk: tu non c’eri quando ha sollevato quella cicatrice finta che le deturpava la guancia e ha scoperto la voglia, io invece sì, e sono certo di quello che ho visto e sentito».
 
«Koz…» Grimmers sbuffò una piccola nuvola di fumo «posso farti una domanda senza che tu te la prenda?»
 
«sono circa sette mesi che mi stai ospitando qui, in casa tua, prima per evitarmi di dover vivere dirimpetto alla strega» ossia Spear «e in seguito per…beh, perché temevi che in quella casa piena di ricordi di persone morte mi suicidassi, immagino. Quindi sì» disse «direi che tu possa farmi domande, e che io non abbia il diritto di prendermela».
 
«la domanda è…se temevi che Silk-»
 
«Nahema» lo corresse il generale.
 
«quello che è. Se temevi che fosse una traditrice, perché l’hai interrogata senza testimoni?!»
 
Dopo qualche istante di immobilità, Kozmotis  fece cenno di passargli il sigaro. Seppur perplesso, Grimmers gli diede retta, non capendo bene cosa volesse farci, considerando che non fumava.
Almeno fino a quel momento, in cui Kozmotis fece un tiro e divenne preda di una tosse tale che sembrava piuttosto un principio di soffocamento.
 
«ma che diamine fai?!» sbottò il colonnello, riprendendosi il sigaro «preferisci soffocarti che rispondermi?!»
 
Kozmotis tossì ancora. «n-no, mi era solo venuta voglia di capire che avessero di speciale quei cosi, per piacerti tanto. Per la cronaca, non l’ho capito nemmeno adesso».
 
«non hai ancora risposto alla domanda».
 
«che vuoi che ti dica, Rich?!» all’anima del “non prendersela”, il generale si alzò di scatto dal gradino sul quale era seduto «la mia capacità di valutare le persone fa schifo, e a quanto pare è da idioti pensare che i miei soldati, tutte persone che conosco -o pensavo di conoscere- siano innocenti fino a prova contraria e meritino una chance. Sono stato un coglione di prima categoria! “il secondo High General più amato della storia”! “il Generale Dorato”! Mi sono sentito chiamare persino “l’Eroe degli Eroi”!» esclamò, con una risata amara «da tutti amato, da tutti rispettato! Io ho cominciato a crederci. Sono stato così stupido da iniziare a pensare che le cose stessero così per davvero. La carriera andava a gonfie vele, il mio esercito mi amava, il popolo mi amava, la mia famiglia mi amava, Spear ormai era diventata poco più di un minuscolo fastidio, e credevo che il fronte -e la mia stessa persona- fossero sufficientemente lontani e al di fuori da chissà quali complotti dei nostri cari nobili delle Costellazioni. Credevo di aver vissuto da ragazzino abbastanza guai e sofferenze per tutta la vita» disse «sono stato così ingenuo da pensare che ormai la strada fosse tutta in discesa. Ovviamente sbagliavo, ed è stata la mia famiglia a farne le spese. Questo è quanto».
 
Dopo un paio di ultime boccate, il colonnello spense il sigaro contro il gradino. «sono stati i Dream Pirates a fare quel che hanno fatto, Pitch, la colpa è loro».
 
«gli esecutori materiali sono loro, sì, ma i mandanti sono da questa parte della barricata, anche se perfino tu stenti a darmi ascolto» disse Kozmotis, in tono d’accusa.
 
«non c’è cosa nella galassia che desidererei di più che poterti dare completamente ragione e combattere al tuo fianco a spada tratta, Pitch, tu questo lo sai!» ribatté l’uomo, con gli occhi nocciola pieni di compassione «ma se davvero è tutto un complotto, finora hanno agito in modo da legare le mani a chiunque: è la tua parola contro la loro e purtroppo, per quanto io possa crederti, non possiamo dimostrare niente».
 
«puoi dimostrare che Nahema non era nel territorio dei Vega nel periodo in cui diceva di esserlo, perché tu invece c’eri davvero! E non l’hai vista!»
 
Grimmers sospirò. «ne abbiamo già parlato: il territorio dei Vega è esteso, e il fatto che non fosse dov’ero io non significa che non fosse lì affatto. Per non parlare del fatto che io sono un tuo amico, è risaputo, vivi con me da mesi, è risaputo pure questo…»
 
«e tu vuoi lavartene le mani. Anche questo inizia ad essere risaputo» aggiunse freddamente Kozmotis.
 
«non voglio lavarmi le mani di nulla, perché non c’è nulla di cui siano sporche» replicò Rich, quasi con lo stesso tono «io ti ho aiutato per quanto ho potuto e non me ne pento affatto, ma non posso fare altro. Di noi due basti tu, a dare fendenti alle montagne!»
 
«“dare fendenti alle montagne”!» ripeté Kozmotis, incredulo «quindi lo ammetti!»
 
«cosa, Kozmotis, cosa?!» il colonnello si alzò e lo raggiunse «che la tua è una battaglia inutile contro il niente? O che se anche tu avessi ragione, e in realtà questo “niente” fossero i nobili delle Costellazioni, avresti comunque perso in partenza perché non li si può colpire in alcun modo?!»
 
«ah no? Non li si può colpire in alcun modo, dici?! Vallo a ripetere ai figli di Lord Taurus, allora!» sbottò Kozmotis «vallo a dire a loro, no?! Ah, già! Non puoi, perché nonostante tutto il potere di Taurus i suoi figli sono morti come la mia! O magari puoi andarlo a dire a Lady Vliegen Scorpio… se, contrariamente a tutta la nobiltà del regno, tu sai dov’è!»
 
«aspetta un attimo: tu vorresti prendere come esempio un’assassina di bambini?!!» trasecolò Grimmers «ti rendi conto di quello che stai dicendo?!»
 
«Vliegen Scorpio è un mostro» affermò Kozmotis con sicurezza «e sarebbe folle appoggiarla o dire il contrario. Se l’è presa con dei ragazzini di tredici anni per qualcosa, chissà cosa, che il loro padre le ha sicuramente fatto» perché non metteva in dubbio che Taurus, degno amico di Nahema, avesse fatto qualcosa per provocare quella -smoderata- reazione «è stato un atto imperdonabile, in particolare dal mio punto di vista, come puoi intuire. Però ha dato una dimostrazione molto forte e molto chiara del fatto che non sono invulnerabili come si pensa che siano, che è possibile contrastarli, che è possibile colpirli duramente E farla franca: dopo quasi sette mesi in cui tutti le stanno dando la caccia non sono stati ancora in grado di trovarla, nonostante le loro risorse».
 
«primo, è ancora possibile che riescano a trovarla» iniziò a elencare Rich, sollevando l’indice affusolato «secondo, tutto quel che ha fatto è dimostrare che i nobili possono colpirsi solo tra loro e solo se possiedono soldi a sufficienza e armi all’uranium» disse, e sollevò il medio «terzo, Vliegen Scorpio ha mollato tutto quello che aveva per fuggire rapidamente, cosa che non mi risulta tu voglia fare, sbaglio? Non è il modo migliore per ricominciare, Pitch» Grimmers scosse la testa «non è proprio il modo migliore. Oppure, visto questo… forse dovresti… insomma, se anche Spear se n’è andata…»
 
«ma ceeerto, solo perché quel demone ha abbandonato la sua tana io dovrei fare lo stesso! Sì, forse potrei prendere in considerazione l’idea di andarmene a mia volta… per cercarla e spezzarle l’osso del collo con le mie stesse mani!» esclamò «casa mia viene trovata, e lei guarda caso ottiene denaro sufficiente per compare una nave, potersi permettere di lasciare il lavoro e andarsene chissà dove. Questo dopo aver fatto quella scenata al funerale, guarda caso proprio prima di quel dannato processo. Se a questo aggiungiamo il fatto che ha conosciuto tanto Taurus quanto Nahema anni fa, quando l’hanno mandata a fare il medico nella loro armata, mi sembra piuttosto ovvio che fosse in combutta con loro».
 
Ormai se n’era convinto e poco importava che in realtà, se Spear l’avesse sentito dire certe cose, avrebbe preso un candelabro e glielo avrebbe fatto ingoiare.
 
«mi hai già parlato di questa teoria, e mi spiace, ma non ci credo nemmeno un po’. Demone degli Abissi sì, ma fino a un certo punto!»
 
«lei sapeva, te lo dico io!» esclamò il generale «spiega tutti gli “avvertimenti” che mi ha dato negli anni. Ha fatto di tutto per tenermi lontano da Aleha asserendo di volerla “proteggere”, la sola spiegazione plausibile per le sue azioni è questa. Ma non è riuscita nel suo intento, e mi odiava non solo al punto da non fare nulla di concreto per aiutare me, ma addirittura da scegliere di sacrificare Aleha ed Emily Jane per aiutare Nahema a distruggermi!»
 
«magari sapeva cosa stava per succedere, ma aveva in mano le stesse prove che tu hai ora, e di sicuro se ti avesse detto di più non le avresti creduto lo stesso. Quanto al resto, continuo a essere scettico…soprattutto per il fatto che lei non sapeva dove fosse casa tua».
 
«Aleha potrebbe averglielo detto in una delle lettere, mi fidavo e non leggevo quel che scriveva a sua sorella, e tu sei uno scettico cronico, quindi non fai testo. Le cose stanno sicuramente così, è talmente chiaro! Ma arriverà il giorno in cui anche lei avrà quel che si merita» dichiarò «e quanto a Nahema, se ha tanta voglia di distruggermi e prendere stabilmente il mio posto dovrà passare sul mio cadavere. Non intendo cedere, non gliela darò vinta così facilmente: sarò pure un banale sasso sul suo cammino, per lei, ma prima o poi imparerà che certi sassi sono troppo difficili da rimuovere, e che inciampando su quello sbagliato si può anche cadere».



 
 
 
***
 
 
 
 
I progetti di Nahema per il primo giorno di “riposo” dopo sette mesi passati a capo dell’Armata Dorata, inizialmente, erano diversi.

Aveva pensato di tornare su Aldebaran I, così da vedere di persona il figlio di Nihil Aladohar e Faeliria Orion, il piccolo Haverail, il quale aveva appena un mese di vita.

Non era il suo primo nipote, i suoi fratelli Ralonrin e Nuro si erano dati molto da fare in quel senso, ma sarebbe stato il primo che avrebbe visto in un momento abbastanza vicino alla nascita. 


Oltre a questo c’era anche il fatto che Haverail fosse frutto di quasi quattro anni di tentativi andati a vuoto, tanto che i due coniugi avevano iniziato a temere che dalla loro unione non sarebbe mai nato nulla, motivo per il quale il suo arrivo era fonte di gioia ancora maggiore, tanto per loro quanto per Nahema stessa. 


Pensare che in principio aveva approvato solo parzialmente quel matrimonio, a suo dire un po’ “insicuro” perché Aladohar era realmente innamorato di Faeliria da una vita!

Per il popolo e per alcune delle altre famiglie nobili delle Costellazioni, il matrimonio era qualcosa che si basava principalmente sull’amore, ma non per gli Aldebaran. Bastava pensare al matrimonio ormai prossimo di suo fratello Nihil Iruhu Aldebaran, appena quattordicenne, con la sedicenne Vaendiliel della Casa Altair. Erano stati fatti conoscere e frequentare sin da piccolissimi, in attesa che Iruhu raggiungesse l’età minima consentita per sposarla, ed era arrivato il momento.

Probabilmente quel periodo della Golden Age sarebbe passato alla storia come prospero e pacifico -almeno all’interno del regno- in cui regnavano giustizia e buoni sentimenti…a parte alcune eccezioni. Oh, quant’erano ossessionati i Lunanoff da questa manfrina dei “buoni sentimenti”!

Ma quando si era al dunque ognuno in casa propria faceva quello che voleva, e per quel che concerneva tutto il resto Nahema si chiedeva ancora se tutti coloro che erano coinvolti nel loro complotto per prendersi il regno erano realmente tanto bravi da non farsi scoprire, o se semplicemente i Lunanoff -e le nobili famiglie che per vari motivi non lo erano- si rifiutavano di aprire gli occhi.
 
Una nascita e un matrimonio di convenienza comunque erano due buone notizie, e tutti loro sentivano di averne un gran bisogno, dopo quel che era accaduto mesi prima.
 
Nonostante tutti quanti si fossero impegnati al massimo, l’omicidio di Shaun e Shauna era tuttora impunito: non erano riusciti a trovare né Vliegen, né l’assassino a cui era stato assegnato il lavoro.
Spariti.
Volatilizzati.
Non c’era traccia di nessuno dei due, come nessuno dei due sembrava avere altri “collegamenti” da sfruttare per trovarli, o per costringerli a uscire allo scoperto.
Un alone di mistero attorno a un assassino era abbastanza normale, ci poteva anche stare, ma che non si riuscissero a trovare informazioni su una plebea qualunque era semplicemente assurdo. Era come se Vliegen avesse utilizzato un’identità fittizia, come lei aveva fatto con “Silk”: non risultava avere parenti, né essere stata vista in altri luoghi se non la dimora degli Scorpio a Duskfell. Sembrava che fosse stata creata appositamente per sposare un nobile, fare quel che aveva fatto e poi scomparire nel nulla, come se tutta quella situazione, o tutta la realtà stessa, non fosse altro che una sottospecie di tragicommedia malfatta scritta da un autore alle prime armi che si dilettava a tirare fuori personaggi improbabili come quella.

Ad ogni modo, tornando al discorso principale, Nahema aveva finito per accantonare temporaneamente l’idea di tornare a Thanoushiradryas, e aveva deciso di posticipare di qualche ora il rientro a palazzo per compiere una deviazione di non poco conto. 

Sua sorella Nihil Kehazilia, appena quindicenne, si era accompagnata al titano Typhan circa otto mesi prima. Era accaduto tanto per una questione di convenienza -avrebbero pur dovuto mettere la figlia di Pitchiner da qualche parte!- quanto per volontà di Kehazilia stessa. 
Nonostante la considerazione che gli Aldebaran avevano del matrimonio, Nahema doveva ammettere che la decisione di Kehazilia -giovane quanto bella- di sposarsi con un titano vecchissimo e cieco l’aveva leggermente sorpresa…ma probabilmente, agli occhi di sua sorella, il fatto che Typhan fosse anche una specie di semidio estremamente potente metteva in ombra tutto il resto. Stando a quanto diceva Aladohar, Kehazilia si reputava “troppo, per un nobile qualunque”.

Nahema riconosceva che la sua era una famiglia di persone superbe, chi più chi meno: erano stati abituati sin da piccoli ad avere sempre tutto e subito, a dare ordini e vederli eseguiti, e a vedere gli altri inchinarsi nel salutarli. Un po’di superbia dunque era inevitabile, ma Kehazilia sembrava esserlo sin troppo. 
Forse era stato un bene che fosse diventata la signora di quei territori piuttosto lontani dal regno dei Lunanoff: la sua non era una tracotanza che potesse essere dissimulata come, in tutto quel contesto, richiedeva il buonsenso. 

Atterrò direttamente nel cortile interno del palazzo. Fino a otto mesi fa, quella costruzione non eccessivamente imponente non c’era neppure: una creatura come Typhan non necessitava di strutture simili, e considerava “casa” tutti i terreni di sua proprietà. Aveva costruito quel posto appositamente per la sua nuova famiglia, cui invece tutto ciò era necessario, almeno per il momento.

 
Già…una cosa ancor più sorprendente della decisione di Kehazilia, era che un vecchio semidio potesse provare solitudine, tanto da lasciarsi corrompere dalla promessa di una moglie e una “figlia”. Meglio così, rendeva tutto più semplice, ma la cosa faceva quasi ridere.

Una volta scesa dalla nave venne accolta da grossi esseri antropomorfi senza volto, semitrasparenti e brillanti come se avessero avuto delle stelle al proprio interno. Così come aveva fatto per il palazzo, Typhan aveva creato per Kehazilia dei servi senz’anima -ma per fortuna con una specie di cervello- che le obbedissero in tutto e per tutto e l’assistessero in qualunque cosa avesse bisogno.

«voglio vedere mia sorella. Portatemi da lei».


Gli esseri rimasero immobili solo per un istante, poi, senza opporre alcuna resistenza, la scortarono da Kehazilia. Nahema si chiese se le avessero obbedito perché sapevano chi era, o se semplicemente erano stati fatti per dare ascolto a qualunque Aldebaran, o qualcosa di simile. Non che avesse importanza, a dire il vero. 

«…farai meglio a metterti in testa che il tuo santo padre non verrà mai a prenderti. Mai. Non c’è proprio ragione per cui dovrebbe farlo, hai un carattere terribile, e come se non bastasse sei anche bruttina: troppo pallida, con delle occhiaie terribili e i capelli troppo spenti. Nelle condizioni attuali, anche se fossi stata di sangue nobile -o se un matrimonio fosse stato nei progetti- sarebbe stata dura farti fidanzare con chicchessia. Non hai stile, non hai eleganza, né un minimo di alterigia: i tuoi genitori hanno fatto proprio un pessimo lavoro, persino per dei plebei».

Benché fosse solo una voce femminile proveniente da dietro una porta chiusa non c’erano molti dubbi su chi fosse a parlare, né sulla persona cui tutte quelle dolci considerazioni erano rivolte. 
A Nahema sembrava di essere vittima di qualcosa simile a un dejà vu, con protagonista una versione doppiamente stronza -come altro definirla?- di mamma Nihil Iyra.

Più volte Aladohar le aveva detto che Kehazilia somigliava alla loro madre, ma solo ora capiva veramente quanto. 
Spalancò la porta con una spinta decisa. «salve, sorella» esordì «ti trovo in perfetta forma».

Kehazilia sollevò un sottile sopracciglio, nero/blu come la folta chioma setosa, rivolgendo lo sguardo alla sorella maggiore. «salve a te, Nahema. Altrettanto. Non mi aspettavo una tua visita» disse, senza particolare calore. La differenza d’età e gli impegni avevano fatto sì che le due sorelle non si frequentassero quasi per nulla; quindi, nonostante Kehazilia seguisse i piani della famiglia, non si poteva dire che tra loro due fosse presente un grande attaccamento. «e tu saluta come si conviene, bestiola che noi sei altro. Non hai neppure un briciolo d’educazione, sei proprio un caso disperato!» 

Se Kozmotis Pitchiner avesse avuto una vaga idea di come veniva trattata sua figlia, avrebbe dato di matto ancor più di quanto avesse già fatto. Emily Jane Seraphina Pitchiner era smunta e sciupata, con un misto tra astio e abbattimento negli occhi arrossati.

Nahema pensò che probabilmente passasse ancora molto tempo a piangere, tanto per la disperazione quanto per la rabbia, e come darle torto?

La bambina si avvicinò a Nahema, ma non ci furono inchini, né saluti in genere. «questa è l’armatura dorata di papà, e quello è il suo mantello. Mi ha detto che solo lui può metterli, perché sono dell’High General of the Galaxies. Perché ce li hai tu?» 

«non sei una bestiola, sei peggio» commentò Kehazilia «loro possiedono un briciolo di buone maniere in più. Ma ci penserò io a te, dammi solo un altro po’di tempo e vedrai!» dichiarò «perdonala, sorella, è ancora una selvaggia».

Nahema minimizzò la cosa con un cenno, e si accovacciò all’altezza della bambina. Non era affatto bruttina come diceva Kehazilia: fortunatamente per lei aveva preso dalla madre, anzi, a dirla tutta la sua magrezza la faceva somigliare di più alla zia. Gli occhi dorati però erano indubbiamente del padre, e c’era anche un “qualcosa” nella sua espressione che ricordava molto il caro generale. «ce li ho io perché al momento sostituisco il tuo papà. Per lui questo non è un bel periodo, e qualcuno deve pur proteggere il regno, come penso tu capisca».

Sì, era qualcosa che Emily Jane poteva capire, ma non la faceva stare più tranquilla.

 
Da quando i Dream Pirates avevano distrutto casa sua, dal giorno in cui aveva visto sua madre precipitare fuori da quella finestra, svegliarsi ogni mattina era diventata una condanna. Emily Jane non faceva che aggrapparsi alla speranza che suo padre sarebbe venuto a prenderla presto.
Typhan la chiamava “figlia” e la trattava piuttosto bene, ma lei aveva già un padre, e Nihil Kehazilia -da lei rinominata “la strega maligna”- col suo comportamento vanificava tutto quel che di buono Typhan, quando c’era, faceva per lei.
Sembrava che le velleità familiari del titano fossero solo part-time, motivo per il quale Emily Jane era sotto l’attacco di Kehazilia in maniera quasi costante. Le parole orribili che le rivolgeva facevano sembrare quasi un sollievo i momenti di completa solitudine in cui, a volte, la lasciava.
E ora era arrivata anche quella lì, con l’armatura di suo padre. Che lo sostituiva! Come se qualcuno ne fosse in grado!

Già, ma se lui al momento non era a combattere, cosa stava facendo? Perché non era ancora arrivato? Forse la strega maligna aveva ragione, e non la stava neppure cercando. «se non fa il generale allora cosa fa?» domandò «perché non mi viene a prendere?»

Cercava di fare la dura, ma la nota disperata nelle sue parole era perfettamente udibile.

“cosa fa tuo padre? Cerca di convincere gli psicologi che lo seguono che è pronto a riprendere il suo posto, e purtroppo per lui sta per essere accontentato. Ho dato ottima prova di me come High General. È tempo che lui dia la sua…pessima, ovvio, perché è ben lontano dall’essere pronto. Tutto andrà come deve andare” pensò Nahema. 

Era una situazione “strana” persino per una persona come lei.

Solitamente lo sconforto altrui non le faceva né caldo né freddo, anzi, nel caso di Pitchiner poteva dire persino di rallegrarsene in quanto vantaggioso per i suoi piani; trovarsi faccia a faccia con una bambina di neppure sette anni distrutta, che aveva perso tutto in un attimo soltanto perché figlia dell’uomo sbagliato, era un po’diverso. 
Accantonò presto la cosa, però: quella di Emily Jane non era la prima vita devastata in nome dell’ambizione degli Aldebaran, e tantomeno sarebbe stata l’ultima. «tuo padre non sa che sei qui. D’altra parte non è che si sia dato da fare per cercarti, posso assicurartelo».

Emily Jane strinse i pugni, decisa a trattenere le lacrime. «non è vero». 

«purtroppo è così. Tu, per vari motivi, al momento sei l’ultimo dei suoi pensieri. A volte mi viene quasi da pensare che ti creda morta o qualcosa del genere, per come si comp-»

All’improvviso Nahema sentì qualcosa colpirla dritto su una guancia.

Nulla che potesse farla vacillare, ma la botta era quasi riuscita a farle voltare la faccia.
Schiaffeggiata…da una bambina?
Sul momento le parve un affronto inaccettabile, ma l’istante dopo cambiò idea. Quel che aveva fatto a Emily Jane Pitchiner avrebbe meritato molto più di uno schiaffo, e Nahema era troppo onesta con se stessa per non rendersene conto. «hm. L’ho quasi sentito» commentò, rialzandosi.

«NON È VERO!!!» gridò Emily Jane «mio padre mi troverà, lui mi sta cercando, e quando saprà come sono trattata vi punirà t-»

La bambina non riuscì a finire la frase, perché due dei servi senza volto la sollevarono senza alcun garbo.

«in questi mesi mi sono sforzata di sopportare sia te, sia la tua completa inciviltà…gli Dei sanno se l’ho fatto!» esclamò Kehazilia, con un’espressione quanto mai dura sul suo giovane viso «ma che tu abbia osato alzare le mani su mia sorella, la primogenita di una famiglia di arciduchi, è intollerabile».

«lasciatemi!» gridò Emily Jane, divincolandosi inutilmente.

Nahema aveva una bruttissima sensazione. «cos’hai in mente?»

«mio marito mi ha fatto promettere che avrei trattato questa selvaggia come fosse stata mia figlia. Ciò significa crescerla come se fosse un’Aldebaran, con tutto quel che comporta. Dovresti conoscere le conseguenze di azioni come quella che ha compiuto questa bestiola».

A quel punto Nahema capì dove voleva andare a parare, e si stupì quando vide la sorella modellare senza particolare difficoltà qualcosa di terribilmente somigliante ad una frusta, fatta di una strana materia luminosa. Sembrava che Typhan, oltre a munirla di palazzo e servitù, l’avesse dotata di alcuni poteri e le stesse insegnando anche qualche trucchetto. «Kehazilia, è una bambina».

«anche tu e Aladohar lo eravate, eppure la giusta dose non vi è stata risparmiata, se non sbaglio» ribatté la ragazza.

«non è un’Aldebaran e, promessa o non promessa, non puoi trattarla come se lo fosse. Come tua sorella maggiore e parte lesa, voglio che tu sorvoli su quanto è accaduto».

Kehazilia si avvicinò a Emily Jane, dando quasi l’impressione di fluttuare nel suo lungo abito dorato. «come tutrice di questa piccola bestia e signora di queste terre, io non intendo assolutamente ascoltarti».

Il primo schiocco della frusta risuonò sonoro nella stanza, e ancor di più il grido di dolore straziante di quella povera bambina. 
Il secondo fu ancora peggiore. Contrariamente ad Iyra, brava a infliggere frustate che causavano dolore ma non lasciavano altro se non brutti segni rossi che sparivano dopo un paio di giorni, Kehazilia aveva tutta l’intenzione di imprimere in modo profondo e indelebile la sua lezione sulla pelle di Emily Jane, lacerando vestiti, pelle e psiche.
Il rumore del terzo colpo fu quasi del tutto soffocato da quello degli strilli e i pianti. Nahema non sapeva dire se fosse peggio questo, o l’aria imperturbabile con cui Kehazilia inferse il quarto.

Superando lo sbigottimento la sua mano destra a quel punto scattò da sola, bloccando a metà strada il polso sottile di sua sorella. «è sufficiente, anzi» allontanò bruscamente Kehazilia dalla sua vittima «è anche troppo. Non può reggerne altri, non di questo genere!»

«la punizione prevista è di dieci frustate, e tu non hai l’autorità di impedirmi di continuare!» protestò Kehazilia, che in seguito gemette, sentendosi quasi stritolare il polso.

«se avessi voluto la morte della bambina, a quest’ora sarebbe stata sottoterra con la madre. Lei deve rimanere in vita, e quanto più possibile illesa. Per il resto ricorda: avrai sposato una specie di semidio, ma sei un’Aldebaran, e io sono a capo della nostra famiglia. Ho tutta l’autorità che serve» affermò Nahema «e l’avrò sempre, che ti piaccia oppure no. Il sangue non è acqua, e per vari motivi preferirei che mantenessimo un buon rapporto, Nihil Kehazilia» concluse, lasciandola andare «ora di’ ai tuoi servi che lascino andare la bambina, e falla medicare».

«una punizione è una punizione, non vedo che valore possa avere se poi le sue ferite vengono curate immediatamente!» ribatté la ragazza, mentre i due servi lasciavano cadere a terra la povera Emily Jane.

«non dubito che per una persona che non ha mai preso colpi di frusta, o così mi dicono, sia facile parlare. Benissimo, se tu non vuoi farla medicare lo farò io stessa nella mia nave. Uno dei tuoi servi verrà con me, così che in seguito possa accompagnarla nella sua stanza. Per oggi eviterai la sua compagnia e, quanto al modo in cui la tratterai in futuro, mi sono spiegata poco fa. Tu» si rivolse a un servo «solleva la bambina e seguimi».

«è vergognoso che un’arciduchessa si faccia colpire da una piccola plebea senza protestare!» esclamò Kehazilia «credevo fossi diversa, Nahema. Più autorevole».

«infatti lo sono, quando e con chi serve. La crudeltà inutile è una cosa diversa, e lei ne ha già passate abbastanza. Ti saluto Nihil Kehazilia, e spero che i nostri incontri futuri, perché ce ne saranno, siano migliori di questo».

Uscì senza degnare Kehazilia di un’ulteriore occhiata, e senza aspettare una risposta, seguita dalla creatura senza volto che, come lei aveva ordinato, trasportava Emily Jane.

 
Quest’ultima al momento quasi del tutto immobile e silenziosa, tanto da somigliare a una bambola di pezza con la schiena martoriata. 
Anche nella nave le cose non cambiarono, ed Emily si lasciò manipolare senza proteste, anche quando Nahema le scoprì la schiena. L’unica cosa che faceva capire che era viva era il respiro corto e spezzato.

«ho mentito a mia sorella. Probabilmente avresti potuto reggerle tutte e dieci, fisicamente parlando. Il fatto che tu sia piccola e magra non deve ingannare: credo che tu abbia il nerbo di Kozmotis, e non è un male» da una valigetta d’acciaio, Nahema tirò fuori una fiala che conteneva uno strano liquido blu luminescente, con cui imbevve del cotone. «questo farà sparire immediatamente il dolore, e renderà la guarigione un po’più rapida. Gli intrugli di mio padre a volte hanno quasi del miracoloso. Quasi. Credo che dovrò anche metterti dei punti, ma neppure questo ti farà male. Poi ti fascerò. Servo» Nahema guardò l’essere senza volto «nei prossimi giorni cambierai le sue fasciature fino a quando le ferite saranno scomparse».

Anche in seguito la bambina non disse nulla, però man mano che il liquido veniva applicato sulle sue ferite riprese a respirare in modo più regolare, e iniziò a tremare leggermente.

«ora metto i punti. Cerca di restare ferma, d’accordo?»

«portami da papà» disse Emily Jane, in un mormorio quasi inudibile «portami via. Non lasciarmi qui. Portami da lui…portami da papà, ti supplico…»

Furono le ultime parole che disse prima che la sua voce si spezzasse, e crollasse in un pianto dirotto.

Qualcosa portò Nahema -Nahema!- a sollevare una mano per fare addirittura una carezza a quella povera creatura ma, com’era accaduto prima con l’indignazione per lo schiaffo ricevuto, cambiò subito idea. Sarebbe stato un gesto inutile, nonché -conscia del proprio ruolo in quella vicenda- ben poco coerente. «io non posso proprio portarti via, quindi resterai dove sei. Tranquilla, Kehazilia non ti frusterà più» disse, auspicando di avere ragione «però una cosa posso farla. Posso dire a tuo padre che sei qui».

«davvero lo farai?» le chiese Emily Jane, con una flebile luce di speranza negli occhi.

«sì. Hai la mia parola che, quando verrà il momento, gli dirò dove sei. A quel punto deciderà lui cosa fare».

Tanith, invisibile e intangibile, rise silenziosamente. “Quando verrà il momento” significava “quando avrò preso il posto di tuo padre e forse anche il regno”, quindi molto probabilmente ci sarebbero voluti anni prima che il povero generale avesse notizie di sua figlia.

Non dubitava che Nahema avrebbe mantenuto la parola, prima o poi, ma intanto lei avrebbe potuto pasteggiare tranquillamente col dolore dei Pitchiner rimasti. 

“non mi sorprenderei se quel che ha detto Nahema causasse ulteriore tormento alla piccolina. Finirà col pensare che suo padre sia stato informato, ma abbia deciso coscientemente di abbandonarla. Certe persone sono così brave a distruggere le famiglie altrui!”

Così pensò Tanith, nel suo allegro compiacimento…e non aveva idea di quanto avesse ragione.

 
 
 
 
 
 
Ed ecco spiegato perché Emily Jane ha qualche problema a lasciare che le persone guardino la sua schiena nuda. In LLD2 ne avevo dato un accenno, qui è spiegato un po’meglio.
Per quel che concerne il titano Typhan -al quale in un mio head canon ho dato la possibilità di assumere forme più “comode” quando ha a che fare con le persone- io mi sono sempre chiesta perché, pur sapendo benissimo chi fosse Emily Jane, non l’abbia mai restituita al padre e l’abbia tenuta con sé chiamandola “figlia”: egoismo, immagino. Viene fatto intendere che desiderasse una famiglia, quindi in questa AU già che c’ero gli ho affibbiato anche un’adorabile moglie.
A voi i commenti, e alla prossima,
 
_Dracarys_

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Capitolo 18
*** 18. Matrimoni e allucinazioni, conigli e contrattazioni ***


= Matrimoni e allucinazioni, conigli e contrattazioni =







«sì, ho visto il vestito che hai disegnato per la tua futura moglie».
 
«lo so, non è qualcosa che metteresti tu» disse il quattordicenne, indicando sua sorella con la matita che aveva in mano «ma Lili lo metterà volentieri. Comunque…come lo trovi?»
 
La prerogativa dei nobili di sposarsi già dai quattordici anni aveva permesso ad Aldebaran e Altair di combinare un matrimonio tra Vaendiliel, la sola figlia di Lord Renin Altair, e Nihil Iruhu, il settimo dei nove eredi che Iyra Aldebaran aveva dato alla luce.
Poteva sembrare un matrimonio poco vantaggioso per l’erede di Casa Altair, ma la verità era che le altre famiglie delle Costellazioni avrebbero accettato di combinare un matrimonio con chiunque portasse il cognome della Casa più ricca del regno.
Bastava pensare al fatto che gli Albali e i Virgo avessero già messo gli occhi sui figli -di un’età che andava dai sei anni in giù- di suo fratello Nihil Ralonrin, come altre famiglie lo avevano fatto coi figli di Nuro.
Era così da sempre: essere un Aldebaran significava avere tanti pretendenti quante tonnellate d’oro. Ai più superficiali poteva sembrare bello essere circondati da persone pronte a lusinghe e matrimoni, ma bisognava sempre tenere presenti i motivi dietro tutto ciò.
 
“sarebbero disposti a sposare persino una capra, se questa avesse la voglia sul muso” pensò Nahema. «è bello, su questo non ho nulla da dire. Stoffa oro, decori d’oro…molto Aldebaran» disse «ma “Lili” è un’Altair».
 
«per questo insieme al vestito c’è un luuuuungo mantello blu scuro molto Altair» obiettò Iruhu «con piccole applicazioni in oro sul fondo che ricordano un po’le stelle del cielo: non è bellissimo?»
 
«è una buona idea, Iruhu».
 
Iruhu non era precisamente uno dei fratelli che Nahema conosceva meglio, a causa degli impegni e della differenza d’età, ma nel tempo in cui si erano frequentati aveva dimostrato di avere un carattere amabile, ereditato da loro padre Kerasaas…
 
«certo che lo è! È una mia idea!»
 
… Nonostante la completa mancanza di falsa modestia -un altro tratto che condividevano, oltre al colore degli occhi e dei capelli. «ottimo atteggiamento, se non si è i primi a essere sicuri delle proprie idee non si può pretendere di arrivare da nessuna parte. In ogni singolo aspetto della vita!»
 
«e soprattutto nel mondo della moda» aggiunse Iruhu «che è strapieno di squali astrali».
 
Alcuni avrebbero potuto stupirsi del fatto che a un Aldebaran, per di più maschio, fosse stato permesso di vivere in un mondo che sembrava fatto unicamente di bozzetti, aghi, stoffe e decori, ma in tutto ciò la parola chiave era proprio quel “sembrava”.
Iruhu aveva ricevuto la stessa formazione che avevano avuto lei e gli altri loro fratelli -e questo già diceva tutto; per il resto, i componenti della famiglia potevano scegliere di dedicarsi a qualunque tipo di attività, a patto che questa fosse utile e/o servisse a influenzare le masse in loro favore. Tutti motivi per cui quando Iruhu, circa un anno e mezzo prima, aveva iniziato a mostrare interesse e talento per l’attività di stilista di moda, non era stato affatto scoraggiato: al contrario!
 
«mai sentite parole più vere, il mondo della moda è quasi peggio di quello della politica. Hai progettato anche il tuo abito da cerimonia?»
 
Iruhu annuì. «sì… ma mi piacerebbe che restasse una sorpresa anche per te e nostri fratelli».
 
Nahema, per nulla contrariata, alzò le mani. «come desideri» disse, per poi sedersi su una sedia lì vicina. «si prospetta un bel matrimonio».
 
Iruhu a quel punto si decise a posare la matita, e a dare alla sorella la sua totale attenzione. «di sicuro sarà tranquillo, e non chiedo di meglio».
 
«la cerimonia e il ricevimento si svolgeranno senza intoppi» lo rassicurò Nahema.
 
«non mi riferivo a quello» disse il ragazzino, per poi face spallucce «ma va bene lo stesso».
 
Nahema non fece commenti, pensando che tutto sommato Iruhu avesse preso anche l’intelligenza di Kerasaas, oltre alla corporatura. Le tradizioni degli Altair li volevano tanto forti caratterialmente quanto abili con le armi da taglio, ma Vaendiliel -complice l’atteggiamento “morbido” del padre nei suoi confronti- non sembrava spiccare né per l’una né per l’altra cosa.
Quella di Renin Altair era una figlia di bell’aspetto e tranquilla, adatta a un matrimonio tranquillo, ed era precisamente questo ciò a cui Iruhu si riferiva.
 
«io comunque sono contento, e lei anche» continuò Iruhu «per quello che conta».
 
“Per quello che conta”. Evidentemente la realtà penetrava nei mondi fatti di stoffe e decori più profondamente di quanto si potesse pensare, e ricordando com’era anche lei a quattordici anni non riusciva a ritenerlo un male.
Non era forse l’interesse la base più solida sulla quale si fondasse un matrimonio ben riuscito? Certo. Non era stata a sua volta promessa a qualcuno? Naturalmente sì, come del resto tutti i suoi fratelli. Non si era forse fidanzata col suo promesso, com’era suo dovere? Il dovere era sacro, gli obiettivi della famiglia venivano prima di tutto, quindi la risposta era che ovviamente sì, lo aveva fatto.
Dopo anni di procrastinazione nei quali invece aveva fatto tutt’altro, in altri luoghi e con altre persone, per poi dare a Tsar il permesso di chiudere il loro legame nel più sincero affetto, almeno da parte di questi, nella prima occasione in cui c’era stata un’occasione valida per farlo.
Il dovere e gli obiettivi di famiglia erano sacri, ma le modalità e i tempi con cui svolgere l’uno e raggiungere gli altri erano sempre stati molto variabili… almeno per lei.
 
«meglio così» rispose Nahema, giusto per interrompere riflessioni un po’ “scomode”. «quantomeno avrete l’occasione di indossare dei vestiti perfino più belli di quanto siano di solito».
 
«i vestiti nuziali devono esserlo» replicò il fratello, quieto «ma comincio a credere che non ti vedrò mai addosso il tuo».
 
«…prego?»
 
Passi Kitah, che era il principale pretendente, passi Aladohar, che era il migliore amico di suddetto pretendente, ma che perfino il suo fratellino quasi quindicenne incominciasse a romperle le scatole con quella faccenda del matrimonio non era ammissibile. Cosa ne sapeva Iruhu, poi?!
 
«ho progettato i vestiti nuziali per tutti quelli della famiglia che non si sono ancora sposati» le spiegò «ma se a ventinove anni, e con tutti i pretendenti che presumo ci siano, non ti si sente mai neppure accennare ad un plausibile matrimonio…mi sa tanto che il bozzetto rimarrà nel cassetto».
 
«potrei liquidare la questione con un “fatti gli affari tuoi”, sarebbe nei miei diritti» disse Nahema «ma sei mio fratello e non sei uno stupido, per cui ti parlerò di conseguenza. Al di là del fatto che i miei impegni al momento non lascino spazio a delle nozze, la mia attuale posizione di capofamiglia renderebbe ancor più difficile trovare, eventualmente, un marito adeguato. Mi segui?»
 
«non deve essere soltanto l’altra famiglia a guadagnarci, dobbiamo avere un tornaconto anche noi, perché se così non fosse il matrimonio sarebbe completamente inutile» disse Iruhu, atono come se stesse recitando frasi a memoria, e in un certo senso era proprio così. «e forse perfino dannoso».
 
«direi che ci siamo intesi. Cos’altro aggiungere? Ah, sì: voglio vedere il progetto per il mio vestito».
 
Iruhu fece spallucce, aprì un cassetto della scrivania lì vicino e, dopo aver cercato un po’, tirò fuori un foglio. «già che ci sei te lo lascio proprio, così non rimane lì a prendere polvere».
 
Una piacevole sorpresa arrivò vedendo che Iruhu non aveva progettato un vero e proprio vestito: la parte superiore era somigliante a un’armatura da cerimonia intarsiata, ovviamente dorata, mentre la parte inferiore era composta da una lunga gonna viola con un lungo spacco sulla parte destra, non dissimile dal tipo che lei portava abitualmente -quando le portava. Stivali, cintura, e accessori vari sempre dorati completavano il tutto…e quel “tutto” le piaceva molto. «hai previsto che io mi porti dietro una spada?»
 
«non si sa mai!»
 
Trascorse quale istante di silenzio, poi Nahema guardò nuovamente il disegno, e si alzò. «se mai un giorno mi sposerò, rifiuterò di indossare qualsiasi altra cosa».
 
«promesso?»
 
Aveva deciso che quel foglio sarebbe finito nell’archivio dei documenti più importanti, nonostante non c’entrasse nulla col resto. Se Iyra fosse stata ancora in grado di intendere e di volere non avrebbe approvato quel gesto, né ne avrebbe compreso il motivo, ma Iyra non era in grado di dire la propria, e comunque neppure Nahema sapeva perché avesse preso una simile decisione. «promesso».
 
Iruhu sorrise. «sono contento che ti piaccia. E magari quel giorno arriverà presto! Ricordi cosa succede oggi pomeriggio, prima delle mie nozze?»
 
Certo che ricordava, era impossibile dimenticarlo. «un ambasciatore dei Pooka in arrivo a Paradhiso… proprio un evento. Ma non capisco cosa c’entri con le mie eventuali nozze» aggiunse, vagamente perplessa.
 
«beh, anche con il re dei Pooka andrà pure stretta una qualche alleanza. In questa unione dinastica il tornaconto ci sarebbe!» esclamò Iruhu, con un sorrisetto.
 
«tu a volte sei fin troppo somigliante a Ralonrin!» ribatté Nahema «e no, non è un complimento».
 
Iruhu, per l’ennesima volta, fece spallucce, e tornò a chiudere il cassetto. «“…rise il toro, rise il toro, la zampa sollevò…ma lo scorpion più lesto fu, perciò, sul muso gli saltò!”…» canticchiò «l’hai sentita questa canzone? Gira tantissimo».
 
Nahema si irrigidì. «evitiamo di cantarla, dal momento che il toro e lo scorpione in questione non sono stupidi animali parlanti, come tu sai benissimo» disse seccamente.
 
“e tra tutti quanti non stiamo facendo precisamente una bella figura, dal momento che Lady Vliegen tuttora non si trova e la situazione nei territori degli Scorpio è tesa, tanto per utilizzare un eufemismo” aggiunse mentalmente Nahema “alla maggior parte della popolazione di quella specie di fogna, che è purtroppo piena di uranium, non interessa che Lady Vliegen abbia fatto uccidere due bambini Taurus, e vorrebbe perfino che tornasse a gestire il tutto al posto di quell’ignavo di Jon Scorpio!” o meglio, che lo facesse l’ex attendente demone, perché milady in realtà aveva gestito proprio niente, da quel che si era capito “… tensioni dagli Scorpio, Kozmotis Pitchiner che rientra come High General tra meno di una settimana, l’incontro con il Pooka, il matrimonio di un fratello che canta le canzoni sbagliate… se fossi mia madre avrei già l’emicrania, e a me preoccupano un po’anche i Taurus, al momento”.
 
Kitah diceva di stare bene, per quanto “bene” potesse stare un uomo che aveva perso entrambi i figli da pochi mesi, ma da quel che lei sapeva la sua presenza ai vari eventi mondani era fortemente diminuita, e lo si vedeva più spesso rinchiuso nel suo palazzo che in qualunque altro luogo. Rinchiuso insieme a sua sorella Isabeli, una piagnona appiccicosa come colla e chiusa nella sua piccola bolla.
Motivo per cui aveva detto ad Aladohar di stargli vicino e tenerlo d’occhio più di quanto facesse già; lo avrebbe fatto lei stessa, ma già ora aveva più cose da fare che tempo per farne… tra le quali sondare il terreno con un vecchio amico di suo padre, ancora scapolo, per capire se fosse interessato ad accasarsi con una duchessa Taurus giovane e  molto “delicata”. Con profitto!
Kitah inizialmente non sarebbe stato felice, ma col tempo l’avrebbe ringraziata: Isabeli non era il tipo di compagnia che gli servisse al momento, né mai.
 
“anzi, è la peggiore possibile. Liberarsene gli farà bene”.
 
No, in realtà quella di Isabeli non era la peggiore compagnia di cui Kitah “godesse” al momento.
Peccato solo che non potesse saperlo.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
«i conigli cominciano a uscire dalla tana, visto?»
 
Non giunse risposta dall’uomo con lo sguardo cupo e la mascella irrigidita che, guardandosi in un grande specchio, indossava una parte dell’armatura candida che aveva appoggiato a terra.
 
«evidentemente hanno superato la paura di essere fatti arrosto o essere braccati!» aggiunse ridendo la figura, che con i suoi larghi vestiti neri spiccava sulle coperte candide del letto sul quale era seduta a gambe incrociate. «non che con noi corrano questo rischio, il coniglio arrosto non ci piace…e per il resto è molto meglio andare a braccare ragazzini tredicenni».
 
«TACI!!!» gridò l’uomo, lanciando con forza la parte di armatura che stava per indossare verso la sua interlocutrice, senza ottenere risultati concreti: il pezzo ne attraversò il corpo come se fosse stata fatta d’aria, e con un forte suono metallico andò a finire contro il muro di pietra.
 
«e per fortuna che “Vincit qui se vincit”! Io sarò pure una plebea, ma ho rispettato il motto degli Scorpio molto più di quanto tu faccia col tuo: “Venom in our veins”» recitò, con un gesto teatrale «e ora anche nelle tue».
 
Kitah raggiuse la sedia più vicina e crollò a sedere lì, passandosi le mani sul volto e sperando che quell’azione la facesse scomparire una volta per tutte dalla sua vista. Peccato che fossero speranze vane e che lui, ormai, lo sapesse fin troppo bene. «sì, l’ho notato. Proprio una meraviglia».
 
«vorresti prendertela con me perché a te è partita una rotella? Questo è il colmo! Di’, credi che a me piaccia trascorrere il mio tempo libero a fare la tua allucinazione?! Come se tu fossi una persona sopportabile, guarda un po’!»
 
«e allora vattene e smettila di rendermi la vita impossibile, maledizione!»
 
Stava parlando al vuoto, ne era conscio, ma non poteva farci nulla: tutto era cominciato una settimana dopo la morte dei suoi figli, e da quel momento in poi nulla era cambiato.
La prima volta che aveva trovato Vliegen beatamente appollaiata sul suo letto non aveva esitato un secondo a tirare fuori la spada per tagliarla in due, ma non aveva trovato altro che aria, e tutto quel che aveva ottenuto era stato mutilare uno dei suoi cuscini.
Ricordava l’incredulità che aveva provato quel giorno, e soprattutto la paura. Non sapeva dire se ne avesse provata di più quando non era riuscito a colpirla e aveva pensato che lei avesse acquisito qualche strano potere, o piuttosto quando Vliegen gli aveva detto di essere una sua allucinazione e lui aveva capito che non mentiva.
No, non era vero: in realtà sapeva benissimo di aver provato più paura quando aveva capito di essere diventato un pazzo. Un pazzo che si rendeva conto di esserlo, e che oltre a quel “piccolo” problema non ne aveva altri - si rendeva perfettamente conto di cosa gli succedeva attorno e non pensava di essere il padre di sua madre - ma sempre un pazzo.
 
«lo vuoi capire sì o no che appaio ogni volta che mi pensi?! Se fosse per me col cavolo che sarei qui, avrei di meglio da fare che stare dietro a un malato di mente» ribatté Vliegen, stratandosi sul letto «sei tu che mi rompi l’anima anche alle nove di mattina, quando a quell’ora antelucana potresti benissimo lasciarmi dormire in pace! Prova a immaginare di fare cose con Nahema, piuttosto».
 
«le “cose” con lei sono affar mio, tu non ti intromettere!»
 
«difatti mi hai mai visto intorno a voi mentre le fate?... che hai da guardare in quel modo?» Vliegen aggrottò la fronte «è successo solo una volta!»
 
«una volta di troppo, e per colpa tua in quell’occasione non sono riuscito a…ah, ma anche io perché  mi metto a discutere con un’allucinazione?!» sbottò, andando a prendere la parte di armatura che aveva lanciato «con tutto quel che c’è in ballo oggi! L’incontro con il Pooka tra tre ore, il matrimonio di Nihil Iruhu Aldebaran con Vaendiliel Altair…»
 
«e anche il tuo matrimonio con Nahema...ah, già, quello no!» fece spallucce «perché lei non ti sposerà mai!»
 
Kitah Taurus lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e strinse i pugni, sentendosi a sua volta “stretto” in una morsa fatta tanto di rabbia quanto di impotenza. «non lo fa per ora. Solo per ora…e giuro su quel vuoi che troverò il modo di liberarmi di te prima di sposarmi!»
 
La ragazza allargò le braccia. «allora guarda, hai tuuuuutto il tempo del mondo! Anche se in effetti un modo rapido ed efficace per togliermi di torno ci sarebbe» indicò il balcone «al momento siamo molto in alto, giusto?»
 
Non era la prima volta che succedeva. Non era la prima volta che l’allucinazione lo tormentava e arrivava al punto di cercare di istigarlo al suicidio, e in un’occasione era quasi riuscita nel proprio intento.
Era successo il mattino del terzo giorno, dopo aver passato quarantotto ore da incubo senza riuscire a chiudere occhio. Come avrebbe potuto farlo, con l’assassina dei suoi figli sempre presente, sempre a osservarlo, sempre a prenderlo in giro, indipendentemente da dove fosse e con chi?!
Si era accasciato su un divano con le mani tra i capelli e le aveva urlato di andarsene, l’aveva quasi supplicata.
Era stato allora che lei gli aveva porto il tagliacarte sul tavolo vicino -o meglio, che lui aveva preso il tagliacarte sul tavolo vicino credendo fosse lei a darglielo- dicendogli di finire il lavoro che lei aveva iniziato a Duskfell: o quello, o trovare la vera Vliegen e ucciderla, non c’era altro modo.
Per un attimo aveva pensato di farlo davvero, e aveva avvicinato l’oggetto alla propria gola. Non si sapeva dove fosse Lady Scorpio, e lui non poteva andare avanti in quel modo un giorno di più, o così credeva.
 
 
“Kitah? Sei qui?...cosa stai facendo?”
 
 
Poi però era entrata Isabeli, e la sua mano si era mossa da sola, gettando il tagliacarte fuori dalla finestra. Si era giustificato con la sua delicata sorella dicendo che lo aveva fatto perché non gli piaceva più, e lei, la sua ingenua salvatrice, gli aveva persino creduto.
A quel tentativo di Vliegen erano seguiti altri, inizialmente piuttosto fitti, ma lui non era più arrivato al punto di assecondare l’incarnazione delle proprie turbe psichiche, e alla fine le istigazioni al suicidio si erano diradate e avevano perso di efficacia, lui aveva ripreso a dormire, e di solito cercava di ignorare la sua presenza: quando era da solo non aveva molto successo, ma era sempre un miglioramento rispetto all’inizio.
Si poteva dire che avesse più o meno incominciato ad abituarsi, e questo, a pensarci bene, faceva più paura di tutto il resto. «puoi sempre saltare giù e verificarlo di persona».
 
«nah, senza di te non ci sarebbe gusto. In alternativa, perché non provi ad andare da uno psichiatra molto bravo?» gli chiese, con uno strano sorriso «alla lunga rischierai di perdere la testa per colpa mia… in un modo o nell’altro!»
 
«andarci è esattamente quello che farò. Un giorno».
 
Vliegen scosse la testa. «incredibile, sei così cretino da provare a mentire al tuo stesso cervello. Non ci andrai mai, e lo sai perché? Perché se lo facessi gli Aldebaran verrebbero a saperlo, se venissero a saperlo riuscirebbero anche a scoprire il motivo, e se scoprissero il motivo-»
 
«Aladohar è il mio migliore amico e Nahema mi ama!» la interruppe l’uomo «loro mi aiuterebbero!»
 
«sicuro che ti aiuterebbero!... a crepare più in fretta!» esclamò Vliegen «al posto loro non vorrei intorno una potenziale mina vagante, né vorrei un malato di mente come amico, e tantomeno nel mio letto. Gli Aldebaran sono così… loro pretendono aiuto nel momento del bisogno, ma tu non solo non puoi parlare del tuo problema al Grande Ammmore Della Tua Vita, ma devi sentirti felice del fatto che lei non abbia notato che hai qualcosa di serio che non va!...o magari lo ha notato, ma non ritiene sia il caso di dargli importanza. A proposito, tu e Nahema avete un gran bel rapporto» disse, e applaudì «complimenti».
 
«smettila di dire stronzate, o IO-»
 
«… ‘o io mi metterò a gridarti di non dire stronzate’? Perché più di questo non puoi fare, Lord Taurus! Ahahahahiiiih!» rise sguaiatamente «non puoi fare molto, contro il tuo cervellino. Come non puoi fare molto per evitare la diffusione delle belle canzoni».
 
L’uomo emise un verso che sembrava quasi un ringhio feroce. «non provare a-»
 
«“togliti di mezzo!, disse il grosso toro, o ti calpesterò. Mi basta uno zoccolo, e io ti ucciderò!”» cominciò a canticchiare l’allucinazione, ignorandolo «“prova dai, vediamo un po’!, disse lo scorpion, sei grosso ma non servirà, se ti pungerò!”»
 
Kitah raccattò gli ultimi componenti dell’armatura e, incapace di rimanere in quella stanza un minuto di più, ne uscì di corsa, sbattendo violentemente la porta dietro di sé.
 
«“rise il toro, rise il toro, la zampa sollevò, ma lo scorpion più lesto fu, perciò, sul muso gli saltò! La coda egli lì drizzò, e il toro avvelenò…”»
 
Se ne andò, pur sapendo che non sarebbe servito proprio a nulla: non poteva fuggire da Vliegen, dalla sua voce, da quella maledetta canzone.
Non poteva fuggire da se stesso.
 
«“e ora le ossa del grosso toro si seccano qui al sol! Sì ora le ossa si seccano e ride, ride lo scorpion!”»
 
 
 
 
***
 
 
 
 
“non capisco, cosa se ne fanno di un palazzo così grande? Non sarebbe molto meglio riunire i capi delle varie tribù attorno a un fuoco, come facciamo noi? Ci sono aspetti di questo tipo di società che mi lasciano un po’perplesso. Sono edifici grandiosi, non dico di no, ma servirebbero delle indicazioni al loro interno!” pensò, muovendo ripetutamente le lunghe orecchie pelose “no, su: devo cercare di rilassarmi. È un momento importante, non posso lasciare che venga rovinato dalle mie ansie, soprattutto perché sono tra quelli che ha votato a favore di un’apertura verso il regno dei Lunanoff!”
 
Pura verità ma, nonostante le sue auto- rassicurazioni e l’autocontrollo che ai Pooka veniva insegnato fin dalla tenera età, se E. Aster Bunnymund avesse detto di non essere agitato avrebbe mentito.
Non che fosse una cosa anormale, tutt’altro: dopo millenni di isolamento, in cui poche cose riguardo i Pooka erano trapelate all’esterno, la sua comunità aveva deciso di aprirsi a un regno che era sempre stato loro vicino, ma del quale non si erano mai curati di entrare a far parte. 
Se avevano preso quella decisione era tutto merito dell’eccelsa gestione del regno da parte del re e i nobili delle Costellazioni, i quali, da ciò che loro erano riusciti a sapere, sembravano essere proprio delle brave persone - beata ignoranza! - e dunque meritevoli tanto di una chance, quanto dei doni che Aster si era portato dietro.
Solo che c’era un problema: per dare loro i suoi regali, doveva prima trovare la stanza giusta.
 
«accidenti a me e alle mie idee!» borbottò.
 
Era un tipo curioso, motivo per cui aveva deciso di arrivare un po’prima con la sua navicella a Paradhiso e visitarne parte da solo, per poi aprire una galleria che lo portasse davanti all’ingresso del palazzo reale.
Non era abituato a quel genere di edifici, di veicoli e a tutto quel tran-tran, ma nonostante tutto aveva trovato Paradhiso era una città bella quanto tranquilla, e la prima parte del suo “piano” era filata liscia come l’olio - eccetto per i comprensibili sguardi stupiti di alcune persone - la seconda invece…un po’meno.
Non aveva regolato bene le varie distanze, e invece che all’ingresso era rispuntato in chissà quale ala del palazzo, finendo col perdersi.
Stava facendo una figura da scemo, sì, e non per le sue ansie.
Ansie che quei pensieri stavano facendo gonfiare a dismisura.
 
«…dico solo che proprio oggi forse non era il caso. Ecco. Il matrimonio di mia figlia con tuo fratello inizia subito dopo, avrebbe anche potuto dirgli di rimandare a un’altra occasione».
 
Una voce. Una voce maschile. Qualcuno a cui chiedere indicazioni! Miracolo!
 
«non vedo perché, Renin. Al contrario, io penso che non potesse scegliere un giorno migliore di questo!»
 
Oh. C’era anche una femmina. C’era solo da sperare che non si fossero appartati per accoppiarsi, visto che quella razza -da quel che sapeva lui- tendeva a farlo molto spesso. Del resto non tutti erano creature immortali che, per impedire la sovrappopolazione, si riproducevano una volta ogni mille anni. Letteralmente.
 
Il Pooka arrivò all’angolo, e non avendo sentito rumori inopportuni si azzardò a dare un’occhiata.
L’uomo era alto, vestito di blu scuro e con capelli di un brillante bianco argenteo, mentre la donna… diciamo che non avrebbe fatto volentieri a botte con lei, e non per l’armatura dorata dalla quale era protetta.
 
“che faccio, chiedo indicazioni a loro due? Ma poi chi sono, loro due? Non è che sono il re e la regina? E se sono loro due che figura ci faccio?!... oh senti” si passò una mano sul volto “meglio darci un taglio, chi se ne importa di chi sono e chi non sono, io devo trovare il benedetto corridoio giusto!”. «ehm… salve?» esordì, dopo essersi lisciato sia il pelo che il lungo soprabito verde smeraldo ricamato «sono E. Aster Bunnymund, ambasciatore per conto del popolo dei Pooka… e credo di essermi… ecco… un pochino perso».
 
I due si erano immediatamente voltati verso di lui con un’aria un po’sorpresa, comprensibile vista l’interruzione improvvisa e da chi questa era stata fatta, ma la donna si riebbe subito, gli si avvicinò, e lo salutò -con suo stupore- con il tipico saluto dei Pooka, facendo un leggero inchino con la parte superiore del corpo. «karere Nui Bunnymund, kia tonu koutou whenua i roto i te pua».
 
«kia tonu koutou whenua i roto i te pua» rispose lui quasi meccanicamente, dopo un’esitazione dovuta all’ulteriore sorpresa «conoscete la lingua dei Pooka, Lady…?»
 
«Lady Nihil Nahema, arciduchessa della Casa Aldebaran e, momentaneamente, High General of the Galaxies» si presentò la donna «della vostra lingua e del vostro popolo conosco solo quel che avete permesso che trapelasse al di fuori della vostra comunità, che purtroppo non è molto».
 
«speriamo che dopo l’incontro di oggi le cose cambino. Lord Renin, marchese della Casa Altair» si presentò l’uomo con i capelli bianchi «e deplorevolmente ignorante sui saluti di rito dei Pooka».
 
Aster non conosceva il loro aspetto e aveva delle lacune su usi, costumi e geografia, ma era consapevole che Aldebaran e Altair fossero due delle grandi Case delle costellazioni, e che quindi doveva comportarsi di conseguenza -e superare l’imbarazzo per la figura da sciocco fatta perdendosi. «non ve ne faccio una colpa, Lord Altair. Comunque, nella lingua comune, significa “possa la vostra terra essere sempre in fiore”» tradusse il Pooka «la terra è fonte di vita, è colei che ci sostenta, e per il mio popolo è molto importante, tanto da fare in modo che ogni angolo del nostro pianeta sia verde e rigoglioso!»
 
«deve essere un posto meraviglioso» disse educatamente Altair.
 
«se vedeste Aldebaran I, Aldebaran II, Aldebaran III allora vi spaventereste: fatta eccezione per le oasi, le rive dei fiumi e alcune coste è tutto un deserto. Giusto su Aldebaran IV e V le cose sono diverse» commentò Nahema «intanto venite con noi, vi portiamo dal nostro sovrano».
 
«grazie!... ehm…scusate l’ignoranza, ma cosa è un deserto?» domandò Aster, mentre camminavano. Lui era tra i Pooka che conoscevano la lingua comune e avevano raccolto abbastanza informazioni da decidere di avere rapporti con i Lunanoff e le Costellazioni, ma non significava essersi informato su ogni tipo di clima e terreno possibile e immaginabile, e il concetto di “deserto” gli era totalmente sconosciuto. «nel nostro pianeta ci sono solo un clima mite, il verde delle piante e  l’azzurro dei mari».
 
«se ci sono dei mari allora c’è anche la sabbia» osservò Altair, il quale cercava di trattenere una risata per l’ignoranza mostrata da quel coniglio troppo cresciuto e persino vestito. Vestito!
 
«onepu. Sì» annuì il Pooka.
 
«ecco, per farvi un’idea di come sia il deserto potete immaginare il mare prosciugato e pieno di onepu dorata, privo di verde per tratti lunghi chilometri» disse Lord Altair.
 
«ma è terribile!» esclamò Aster, senza riflettere troppo. «ehm… non voleva certo essere un’offesa».
 
«nessuna offesa» lo tranquillizzò Nahema «e vi assicuro che per chi lo conosce bene il deserto ha i suoi vantaggi».
 
«sì… certo, certo, non ne dubito… però questo mi conferma che uno dei doni che ho portato è stato molto azzeccato. Lo vedrete!» esclamò il Pooka «e considerando la quantità di sabbia di cui mi avete parlato, dovete essere la prima a utilizzarlo. Assolutamente!»
 
«la vostra gentilezza mi onora, karere Nui» replicò l’arciduchessa «e al momento non vedo altro modo di ricambiarla se non invitandovi al matrimonio di mio fratello con la figlia del qui presente Lord Altair, il quale sicuramente concorda con me» aggiunse, con un sorriso.
 
«assolutamente sì» confermò il suddetto senza pensarci.
 
 «un incontro formale era necessario» proseguì Nahema «ma per iniziare a stringere un sincero legame di amicizia tra i nostri popoli quale occasione è migliore di una festa?»
 
Aster rimase interdetto per qualche istante, perché partecipare a una cerimonia e a una festa non era nei suoi programmi -e lui non era un tipo da feste, assolutamente NO- ma capì ben presto che rifiutare un simile invito non sarebbe stato molto conveniente per nessuno, se la politica estera voleva partire col piede giusto. «accetto il vostro invito con molto piacere».
 
 “…eeeee adesso ho capito perché era tanto contenta che il giorno dell’incontro con il coniglio e quello del matrimonio coincidessero” pensò Lord Altair “tra una chiacchiera e un bicchiere di liquore gli spremerà fino all’ultima goccia di informazioni che può spremergli, e già che c’è gli farà anche firmare cinque o sei trattati per il commercio di chissà cosa, se fiuta l’affare” non visto, alzò gli occhi al soffitto “è sempre la stessa persona che quando eravamo piccoli, insieme al suo degno compare Taurus, è riuscita a fami scambiare la mia torta con le sue ‘caramelle speciali della super forza’. Super forza un corno, quella statua non era di ferro massiccio, era cava e di gesso dipinto! Di gesso! È stata una truffa bella e buona!” pensò. «ecco, siamo praticamente arrivati, e non siamo neppure in ritardo. Non più di qualche secondo, almeno».
 
“la figura che ho fatto quantomeno non è troppo pessima” pensò l’ambasciatore, drizzando le orecchie e lisciandosi di nuovo il soprabito “se il resto dei nobili delle Costellazioni è come loro due andrà tutto bene. Sì… sì, andrà tutto bene. Spero. Mi auguro. Prego”.
 
Aster nell’entrare nella sala dov’erano radunati tutti i nobili era nervoso, tuttavia non raggiungeva il livello di Tsarina Lunanoff, la quale cercò di non incupirsi troppo visibilmente -senza particolare successo.
 
“l’ambasciatore dei Pooka ritarda, anche se di pochi secondi, e insieme a chi arriva? A Lady Nahema, naturalmente!... e la presenza di Renin Altair non cambia nulla” pensò la regina “tutto quel che è successo ultimamente mi ha fatta ricordare un vecchio detto: ‘Altair colpisce, Taurus finisce, Aldebaran nasconde il cadavere’! Peccato che mio marito non da quell’orecchio non ci senta proprio!” pensò amaramente “e Nahema in questi mesi ha mietuto successi al fronte, e qualunque cosa dica lui le crede, e lei è ancora single, e- BASTA” si disse “farsi paranoie inutili non serve a nulla”.
 
Sì, soprattutto visto che da tre mesi a quella parte aveva iniziato a frequentare i maghi, sperando di far arrivare quell’erede che non sembrava aver voglia di arrivare.
Lady Vliegen era un’assassina di ragazzini, ma purtroppo alcune cose che le aveva detto le erano rimaste in testa al punto da indurla ad agire di conseguenza, e Tsarina sperava che questo avrebbe portato a dei risultati concreti.
 
Scelse di concentrarsi sull’ambasciatore dei Pooka, il quale dopo averli salutati -saluto da lei ricambiato quasi automaticamente- aveva iniziato a parlare.
Era alto almeno un metro e ottantacinque, era interamente ricoperto di pelo grigio e bianco, indossava un soprabito dell’esatto verde dei suoi occhi. Tsarina non ne era sicura, ma le sembrava di vedere su di lui il portamento di coloro che praticavano da tempo certi tipi di arti marziali.
 
“lo stesso che ha anche Na… no, eh. Non ricomincerò” si impose, dopo un paio di minuti “meglio che ascolti l’ambasciatore, piuttosto”.
 
Fortunatamente, il suddetto non si era accorto che la regina fino a quel momento lo aveva ascoltato solo a metà, e continuò imperterrito il suo discorso. «…ed è per questi motivi che abbiamo deciso che questo è il momento giusto per aprirci e avviare scambi con l’esterno, ossia con voi, che portino benefici a entrambe le parti…»
 
In pochi, nel mentre, si accorsero dell’arrivo di Kitah, scivolato nella stanza da uno degli ingressi laterali con la massima discrezione. Alla fine i suoi problemi mentali erano riusciti anche a farlo arrivare in ritardo, fantastico. «eccomi» disse pianissimo a Nahema, dopo averla raggiunta «lo so che sono in ritardo, non aggiungere rimproveri».
 
«iniziavo a pensare che non avresti partecipato neppure questa volta» replicò lei, altrettanto piano «cos’è successo?»
 
«è caduta una mosca da un cipresso. Mai che si faccia i cazzi suoi, questa» commentò Vliegen.
No, l’allucinazione non aveva abbandonato il duca nemmeno in quel frangente.
 
«smettila, una buona volta!» sibilò Taurus senza pensarci, per poi incrociare lo sguardo di Nahema -che parlava da solo- e rendersi conto della figura appena fatta. «eeeh…  non parlavo con te, davvero, credimi» farfugliò rapidamente «giur-»
 
«sì, bene» lo interruppe Nahema «comunque, ho trovato un marito a tua sorella Isabeli. I due futuri sposi praticamente devono soltanto incontrarsi, e sarà fatta».
 
Marito.
Isabeli.
Futuri sposi.
COSA?!!
 
L’argomento del discorso e la nonchalance con cui era stato buttato lì in un momento apparentemente del tutto improbabile fecero ammutolire Kitah, che sembrava soltanto capace di fissarla con lo sguardo sconvolto. Era un vero fulmine a ciel sereno, perché lui non sapeva nulla di tentativi di “piazzamento” vari che se fossero andati veramente in porto lo avrebbero lasciato completamente solo nel suo grande palazzo ricoperto di ghiaccio. Trovare un marito per Isabeli era auspicabile, ma proprio in quel periodo!... come le era venuta in mente un’idea del genere?!
 
«…solo? Non passa giorno senza che tu mi rompa le scatole, altro che solo!» disse Vliegen, alzando gli occhi al soffitto.
 
“taci! TACI!” pensò Kitah, ripromettendosi di discutere di quella faccenda con Nahema alla prima occasione. «sono io a dover decidere» si limitò a dire, almeno per il momento.
 
«assolutamente. Ma mentre decidi tieni presente che quando prima l’ho chiamata per accennarglielo sembrava stranamente contenta. Per cui…»
 
«bella personcina, la tua non-fidanzata: non solo ti scavalca tranquillamente per combinare matrimoni, ma te lo fa pure sapere in un momento e in un luogo in cui non puoi mandarla a prenderlo in quel posto!» Vliegen guardò Nahema e sollevò entrambi i pollici, con un’espressione sarcastica sul viso «non ti sposerà mai… ma forse è meglio così!»
 
Kitah non ribatté né alle parole di Nahema né a quelle della propria allucinazione: la sola cosa che avrebbe voluto era potersi togliere di torno, tornare dritto a casa e restarci per un pezzo. Tuttavia non gli era concesso neppure questo, motivo per cui si limitò a osservare l’ambasciatore dei Pooka, che stava tirando fuori un piccolo scrigno di legno scuro intarsiato dall’interno del soprabito.
 
«… e abbiamo ritenuto che siate in grado di utilizzare il primo di questi doni con la saggezza che occorre» disse Aster «all’interno del manufatto contenuto in questo scrigno è custodito qualcosa di estremamente prezioso: noi Pooka la chiamiamo “Marama o-te Hanga”, che nella lingua comune significa…» aprì lo scrigno « “Luce della Creazione”, o meglio, un suo frammento».
 
Qualcosa uscì dallo scrigno sollevandosi in aria, e una luce abbagliante accecò per qualche istante tutti i presenti, e soltanto quando questa si attenuò riuscirono a vederne la fonte: si trattava di un artefatto la cui forma ricordava in tutto e per tutto quella di un uovo, sulla cui superficie si potevano intravedere dei decori al momento non identificabili.
 
«lo chiamiamo “Creation Egg”. Sono orgoglioso di dire che il manufatto contenente la Luce è stato intagliato dal sottoscritto» continuò Aster «ha il potere di portare la vita, il verde, dove questo non c’è. Di rendere fertili terre sterili… anche quelle tutte piene di onepu, come dicevo prima a Lady Nahema. Aggiungo che inizia ad agire automaticamente una volta aperto lo scrigno, mentre per farlo smettere e tornare dentro basta dare due colpetti al coperchio».
 
«è straordinario, assolutamente!» esclamò Tsar Lunar, sinceramente meravigliato «e anche molto semplice da utilizzare. Solo…onepu?» sottinteso, perfettamente intuibile: “che roba è?”.
 
«sabbia» tradusse Nahema, prima che lo facesse Aster.
 
«aaaah, ecco! Ahem, sì… un dono senza dubbio meraviglioso, ambasciatore, del quale tutti siamo onorati» disse il re «e che utilizzeremo con intelligenza, dando la precedenza alle terre più “difficili”, come appunto è il deserto. Proprio per questo motivo ritengo che possiate consegnarlo direttamente a Lady Nahema, la sua famiglia sarà la prima a utilizzarlo».
 
“e ti pareva!” pensò Tsarina.
 
Il Pooka diede i due colpetti al coperchio dello scrigno, e l’uovo tornò tranquillamente all’interno, dopo aver smesso di brillare. «avevo pensato la stessa cosa, quando ho saputo dell’esistenza del deserto! Onepu! Onepu ovunque!... vederlo di persona sarà un’esperienza!»
 
«mi sono presa la libertà di invitare il karere Nui al matrimonio di mio fratello, così che possa conoscere altre nostre consuetudini più o meno formali… e festeggi il lieto evento assieme a tutti noi, naturalmente».
 
«eh, ho già cominciato a scaldare la voce da stamattina, io!» esclamò Lord Vega «“I’m thruuuu with loooov-”»
 
«Vega!» sbottò Lord Altair, trattenendosi dall’aggiungere un amorevole “barattolo che non sei altro” «per l’amor degli Dei, questa tienila per dopo, ora non siamo abbastanza brilli!»
 
Nella stanza risuonarono varie ed eventuali risatine: Advif Vega aveva una voce sonora, soprattutto per un uomo piccolo e grasso com’era lui, ma non era precisamente intonato. Peccato che si credesse un grande cantante, nonostante la totalità dei pareri contrari, e che dunque sentirlo cantare a ogni santissimo ricevimento fosse la prassi.
 
«a proposito del matrimonio, credo che se il secondo dono che vi ho portato sarà di vostro gradimento potrà essere utilizzato anche in quel frangente!» disse Aster «abbiate solo un attimo di pazienza».
 
In molti sollevarono le sopracciglia vedendo il Pooka battere il piede a terra un paio di volte e aprire così un buco di oltre due metri, proprio al centro della sala.
 
«non temete, maestà, il pavimento tornerà a posto» lo rassicurò «eeeee…eccolo qua!»
 
Un immenso sacco “eruttò” dal buco -il quale si richiuse subito dopo, come se non ci fosse mai stato- e dopo un breve volo in aria atterrò pesantemente sul pavimento. Qualunque cosa fosse era senza dubbio grossa, oltre due metri per due, e pesante.
 
«dobbiamo spaventarci, ambasciatore?» Tsar Lunar sollevò entrambe le sopracciglia, imitato da svariati dei nobili presenti.
 
«non è per spaventarvi, ma per deliziarvi» replicò il Pooka, sorridendo mentre tirava il nastro che teneva chiuso il sacco. La stoffa scivolò giù, rivelando…
 
«un grosso blocco marrone quadrato di due metri per due. Domanda seria: a che cavolo serve?» domandò Vliegen «...capisco che sei troppo impegnato a fare il muto, cosa di cui tanto a Nahema non frega nulla, ma avendomi chiamata potresti almeno sforzarti di darmi una risposta mentalmente!»
 
Kitah la ignorò ancora, sia perché ormai aveva adottato quella strategia, sia perché tanto non avrebbe saputo rispondere.
 
«la cosa da mangiare più buona dell’universo: si chiama “cioccolato”!» esclamò Aster, entusiasta «la ricetta è un nostro segreto, ma è-»
 
«qualcuno porti un coltello, perbacco! Ha detto che è commestibile» Lord Vega, incurante di tutto e tutti, si era avvicinato per primo all’immane blocco di cioccolato «assaggiamolo!»
 
Gli altri si erano contenuti, ma il facepalm di Renin Altair si udì perfettamente in tutta la sala.
Le manie canterine non erano la sola peculiarità di Lord Vega, c’era anche quella del buon cibo, ma ciò non toglieva che la sua Casa restasse per vari motivi da non sottovalutare.
 
Il Pooka tirò fuori un coltellino dalla tasca del cappotto. «coltello da cioccolata» disse, con un sorriso «ora ne taglio un pezzo per tutti!»
 
La distribuzione del cioccolato avvenne piuttosto rapidamente, e in breve sia la coppia reale sia i nobili ne ebbero prima un pezzo in mano, e poi in bocca.
 
«…»
 
«è buonissimo!»
 
«la cosa più buona che abbia mai mangiato!»
 
«spettacolare!» fu l’unica cosa che Tsar Lunar riuscì ad esclamare, mentre la regina, con la bocca ancora piena, annuiva. «non vi ringrazieremo mai abbastanza per i vostri doni, ambasciatore!»
 
“se anche non riuscissi a convincerlo a darmi la ricetta segreta, devo ottenere i diritti commerciali esclusivi sulla distribuzione del cioccolato in tutto il regno... la compriamo per una miseria, dal momento che la moneta dei Pooka è pirite, e la rivendiamo al giusto prezzo!” fu il solo pensiero di Nahema dopo aver assaggiato quella leccornia e aver visto le espressioni entusiaste degli altri “ho fatto proprio bene a invitarlo al matrimonio”.
 
L’incontro si concluse pochi minuti dopo, con una bella atmosfera e la consapevolezza che tutti quanti si sarebbero ritrovati a Thanoushiradryas a breve.
 
 
 
 
***
 
 
 
«vorrei soltanto tornarmene a casa. Ho voglia di tornarci da prima di partire, e cosa faccio invece?»
 
«ti metti a bevere. Che genio».
 
«senti, renditi utile e dimmi a che bottiglia sono».
 
«quasi alla fine della seconda, ne hai ancora una. Vorrei solo poter bere anche io, forse riuscirei a trovarti un po’meno insopportabile. Già che sfori con i miei orari non sindacabili e mi chiami quando ti pare almeno immaginami con una bottiglia in mano, porco due».
 
«se vuoi te ne offro un po’. Ah, già, no! Tu sei un’allucinazione, quindi non puoi bere del vino vero! Che peccato!... sei tu che vieni a tormentarmi, rimanere a secco è il minimo, quindi guardami mentre bevo alla faccia tua, e taci».
 
In quei mesi Kitah Taurus aveva avuto giornate un po’più buone e giornate assolutamente pessime, e quella era senza dubbio una delle seconde.
Dopo l’incontro con il Pooka lui e tutti gli altri si erano recati a Thanoushiradryas come stabilito: la cerimonia si era svolta nel migliore dei modi, i due ragazzini erano sembrati entrambi contenti di convolare a nozze… e sia l’abito della sposa quanto quello da cerimonia dello sposo avevano ricevuto i complimenti che meritavano.
Poi era iniziato il ricevimento, una cosa in grande come di norma erano tutti i matrimoni dei nobili delle Costellazioni. Aveva scelto quel momento per cercare di parlare a Nahema della questione Isabeli, prevedibilmente senza ottenere grandi risultati: lei era troppo impegnata a girare come una trottola passando da un gruppo di invitati all’altro, a parlare con questo e quello, concedere un ballo a quell’altro…
 
“So che è una questione importante e infatti ne parleremo tra un po’. Ovviamente preferirei ascoltare te rispetto a Vega e Ralonrin che cantano, ma adesso non è proprio il momento giusto: ho un affare in ballo che devo concludere, ci sono quasi”.
 
…e soprattutto a lavorarsi a dovere l’ambasciatore dei Pooka, riuscendo anche a fargli firmare -da quel che aveva capito- un contratto per ottenere i diritti commerciali sulla distribuzione del cioccolato.
Tanto di cappello, e se fosse stata una giornata migliore lui sarebbe stato al suo fianco in tutto questo, come al solito; ma in quel frangente, invece, avrebbe preferito che Nahema stesse vicina a lui, che parlasse con lui di Isabeli e anche altro, piuttosto di farlo intrattenere -o meglio, tenere d’occhio- da Aladohar.
Per fortuna che Nahema non era la sola Aldebaran impegnata con gli invitati, e appena Aladohar aveva guardato altrove lui ne aveva approfittato per avvicinarsi al bar, prendere troppo da bere e defilarsi. Era avvantaggiato, ritenendo di conoscere quel palazzo come il proprio, e una volta trovato un balcone piuttosto isolato che dava sul fiume si era messo lì a bere da solo.
O meglio, in compagnia della sua allucinazione.
 
«se almeno potessi dirle… se almeno potessi parlarle di questa cosa, se io glielo avessi detto…»
 
«pensavo che ne avessimo già discusso. La salute mentale lasciala perdere, quella ormai è andata, ma per il bene della tua salute fisica non puoi diventare “scomodo”» gli ricordò Vliegen «a dirla tutta non dovresti neppure essere qui. Vuoi attirare la sua attenzione, ma così la attiri per le cose sbagliate».
 
«non è la prima volta che finisco a bere un po’troppo durante un ricevimento, ci può stare» ribatté lui, finendo la seconda bottiglia «sì, di solito non sparisco per farlo da solo ma… saranno fatti miei?! E poi tanto non corro il rischio, di avere la sua attenzione» disse, per poi ridere senza allegria «ha troppe cose da fare per perdere tempo con l’uomo che dice di amare! Troppe cose da fare per sposarmi, troppe cose da fare per ascoltarmi, cose, cose…»
 
«più che “dice” di amare è “disse”, ormai sono diciassette anni che non le senti più dire che ti ama. Io mi farei due domande! Ahahahahiiiiiih!... è inutile che provi a darmi in testa la bottiglia vuota, sono un’allucinazione, idiota».
 
Kitah stava per rispondere con qualche insulto, ma una risata sonora quanto completamente cretina interruppe la sua conversazione.
 
«… eeee ci siamo perse anche stavolta!»
 
«come tutte le volte! Evviiiiivaaa… ma è possibile che per tornare nel salone dopo essere state al bagno debba volerci la mappa?!»
 
Due ragazze erano sbucate nel corridoio dietro di lui, e nonostante dicessero di essersi perse sembravano piuttosto allegre.
Preso da un impulso, Taurus decise di attirare la loro attenzione e avvicinarle. Forse quella di stare da solo non era stata una grande idea, dopotutto, quindi occorreva rimediare. «buonase-»
 
«MINTAKA!!! Uno che si è perso come noi! O forse non si è perso e sa dove dobbiamo andare! … ah sì comunque ciao, Coso! Ti sei perso?»
 
Non si vedeva molto delle due ragazze in quella penombra, ma la luce era abbastanza da permettere a Kitah di vedere che avevano entrambe un cappello, i capelli neri -una a caschetto e l’altra più lunghi- e dei vestiti scuri dal modello praticamente identico… che con i cappelli non c’entravano proprio nulla, ma era un discorso a parte.
Inutile chiedersi come avessero fatto due così a partecipare al ricevimento: facevano sicuramente parte del folto seguito prevalentemente femminile di Lord Antares, il quale da quando era rimasto vedovo raccoglieva a caso donne di qualunque estrazione sociale, purché fossero decenti. «a dire il vero mi ero allontanato perché c’era troppo rumore e volevo… eh…» aggrottò la fronte «non me lo ricordo nemmeno, cosa volevo. Perché non rimanete a bere con me, invece di tornare là?»
 
Le due si guardarono, fecero spallucce, e poi tornarono a guardare lui. «ok!» dissero, quasi in sincrono.
 
«io comunque mi chiamo Deathstar!» disse quella con i capelli a caschetto, tendendogli la mano.
 
«io Mintaka!» disse l’altra, imitandola.
 
Dopo un attimo di confusione Kitah ricordò di avere di mani, e le usò per stringere quelle delle ragazze contemporaneamente. «io sono Lord Kitah della Casa Taurus. E questa è Bottiglia di Vino della Casa Bianco».
 
Deathstar rise, rivelandogli così che la risata sentita prima era proprio la sua. «piacere di conoscerti, Bottiglia di Vino!» esclamò, stringendone e scuotendone leggermente il collo.
 
Kitah si rese conto solo dopo che il risolino demente e disperato che era seguito a quella battuta era stato proprio il suo.
Cinque minuti dopo, comunque, se ne era già dimenticato: si erano seduti a terra, lui al centro e le due ragazze ai lati, e stavano cantando canzoni marinare totalmente a caso.
 
«“quindici uominiiii… sulla casa del morto-”»
 
«nooo, non è casa, è “cassa”!» lo corresse Mintaka.
 
«sono nobile, ho la licenza poetica!... “quindici uomini sulla cassa del morto, yo-ohoh, e una bottiglia di vinoH!”»
 
«…di rhum!» lo corresse Mintaka, di nuovo.
 
«o senti!... “quindici uomini sulla cassa del mort-”»
 
«ah, ecco dov’eri».
 
L’atmosfera disperatamente allegra era svanita, sostituita da una morsa allo stomaco: improvvisamente Kitah non si sentiva più in vena di cantare, perché Nahema era lì davanti a loro, e lo stava guardando in quel momento che ora riconosceva essere assolutamente pietoso. «N-Nahema, come mi hai-»
 
«i ghoul mi hanno dato un paio di indicazioni» disse, con espressione indecifrabile «immagino che voi due ragazze vogliate tornare alla festa. Dovete proseguire lungo questo corridoio, poi imboccare il primo a destra».
 
«OOOOH, finalmente le indicazioni!!!» strillò Deathstar, e lei e Mintaka si alzarono e se ne andarono allegre e contente quasi di corsa, senza nemmeno salutare.
 
Purtroppo per Kitah, che aveva ottenuto l’attenzione tanto agognata nel momento sbagliato. «…non le conosco, quelle due» fu la prima cosa che borbottò «lo ho chiarito perché pensavo che potesse indispess… indispef…»
 
«temevi che io mi indispettissi vedendoti con loro? Ma per favore, neanche fossimo sposati. Mi preoccupa il fatto che tu sia sparito, e vedere due bottiglie vuote e una mezza piena, non che tu conosca o meno quelle due ragazze di Antares» ribatté lei.
 
“neanche fossimo sposati”.
Tre parole, tre coltellate.
 
«perché non me lo dici in faccia, che non ti importa di quello che faccio… o che io viva o muoia…» disse lui, guidato dall’alcol.
 
«questa volta direi che la sbronza ti sia presa male, perché sai perfettamente che le cose non stanno così. Se fosse, non sarei venuta a cercarti».
 
«certo… non l’hai fatto solo perché non vuoi che io intralci i tuoi affari, vero? Perché altrimenti non hai scrupoli, a lasciarmi solo quando avrei bisogno di non essere solo…»
 
No, la sbronza non gli era presa solo male, era peggio. Normalmente non se ne sarebbe mai uscito con un’accusa del genere. Quelle parole dette da un suo importante alleato non le piacevano affatto. Non era sobrio, vero, ma davano da pensare lo stesso: aveva cercato di non trascurarlo troppo proprio per evitare momenti come quello, ma se si era ridotto così, e parlava così, evidentemente non aveva fatto abbastanza.
Nahema era stata felice fino a quel momento, soddisfatta per il contratto con il Pooka, ma era tutto quanto svanito.  «se non vedessi che hai veramente esagerato con l’alcol potrei quasi offendermi. Mi domando cosa ti sia saltato in testa, davvero».
 
«tu, che accasi mia sorella!» sbottò lui.
 
«ci provavate da tempo senza risultato, ora invece il risultato c’è. Isabeli sarà felice, e per varie ragioni sono convinta che questo matrimonio farà molto bene al suo equilibrio psichico» aggiunse Nahema «questo però non significa che rimarrai da solo. È vero, io ho molti impegni e continuerò ad averne molti, ma la mia intera famiglia continuerà a starti vicina come ha fatto finora, potrai vedere Isabeli quando vuoi, e sono sicura che le tensioni con i tuoi genitori passeranno presto. Ora vieni con me, così che possa portarti in una camera da letto e lasciarti riposare» e lei, ovviamente, fatto ciò sarebbe dovuta tornare al ricevimento «parleremo domani mattina con più calma».
 
Parte di lui avrebbe voluto gridarle di no, di farsi gli affari suoi come aveva fatto per tutta la sera, di lasciarlo in pace; un’altra parte di lui però, preponderante, lo spinse ad avvicinarsi a lei e lasciarsi condurre docilmente lungo il corridoio. «non mi dovevi vedere così… non dovevi… non volevo farti pena, volevo solo… non lo so» mormorò «non lo so».
 
Più volte Nahema, nel corso degli anni, aveva pensato a quante cose stessero perdendo a causa dei loro complotti: legami affettivi, parenti, la possibilità di vivere in modo più sereno.
Ma il fine giustificava i mezzi e compensava qualunque perdita, giusto?
Lasciò morire quelle riflessioni così com’erano nate, sapendo che non poteva fare altro che sperare di avere ragione.

 

 



Sono riemersa dalle tenebre!
Con un capitolo pieno di idiozie random, camei (Deathstar e Mintaka saranno familiari a qualcuno :'D), allucinazioni e Calmoniglio, ma ne sono uscita.
Piccolo appunto sul Creation Egg e la cioccolata: non ho inventato nulla, se non la maniera in cui utilizzare l'uovo. Per il resto, il suddetto esiste... e pare proprio che siano stati i Pooka, a creare la cioccolata.
Per il resto... niente. Vi chiedo veramente scusa per tutto il tempo che ci ho impiegato ad aggiornare, e spero che col prossimo capitolo (nel quale dovrebbe vedersi Kozmotis) vada meglio.
Grazie a tutti coloro che mi seguono ancora :)
Alla prossima,

_Dracarys_

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