Gli Evanescenti

di NienorDur
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Gli Evanescenti
 
 
Capitolo I
 
 
 
 
 
 
 
 
Il treno si fermò alla stazione praticamente deserta, scese una sola persona: un ragazzo, vent’anni circa, capelli corti e spettinati, castano chiaro, la barba corta sulla mascella, la pelle era piena di lentiggini, i grandi occhi verdi risaltavano tra le piccole macchie, le labbra carnose erano arricciate in una smorfia triste.
Carino, particolare; la donna lo osservò da dietro il vetro del bancone da dove vendeva i biglietti, lavorava lì da quasi cinque anni e non lo aveva mai visto. Si sarebbe trasferito in questo paesino dimenticato da tutti? Oppure era solo per le vacanze? Eppure non era un posto adatto per un ragazzo così giovane.
Lo vide guardarsi attorno, un po’ disorientato, probabilmente si aspettava di trovare qualcuno, parenti o amici? Il ragazzo sospirò profondamente, prese il trolley che aveva con sé, mise in spalla il borsone e si diresse verso di lei.
-Salve, io stavo aspettando una persona ma… ecco, devo andare a Villa… Villa Girandola, mia nonna abita li, se c’è un pullman che ferma in zona… non so, non vengo qua da un sacco di tempo. –
Tra una parola e l’altra continuava a guardarsi in torno, spaesato ed evitava di guardarla negli occhi, con una mano giocava con qualcosa, sembrava un ciondolo ma non riuscì a vederlo bene.
-Certo, caro, la linea 25 ferma lì vicino, ma passa tra circa due ore, sai è un paesino piccolo e nessuno li usa, è un miracolo che passi per di qua! Comunque, mi sa che ti conviene chiamare qualcuno e farti venire a prendere. –
-Oh, ok… grazie. –
Lei sorrise e il ragazzo se ne andò; appoggiò i gomiti sui tavolini e la testa sulle sue mani sbuffando annoiata: quella sarebbe stata probabilmente l’ultima conversazione della giornata, sarebbe tornata a casa, avrebbe dato da mangiare al suo vecchio cane, visto un film poliziesco di serie B, preso le sue pasticche e dormito fino la mattina dopo per ricominciare tutto da capo.
 
L’aria era calda e afosa, Dante era seduto sul marciapiede fuori dalla stazione, non sapeva se chiamare o aspettare il pullman, quindi puntava sull’attendere il secondo e sperare nell’eventuale arrivo della nonna.
La maglia bianca era pezzata e appiccicaticcia, ma gli piaceva sentire il calore del sole sulla sua pelle fino a quasi bruciare, non faceva di certo bene alle sue lentiggini ma in quel momento era davvero rilassante: chiuso tutto il tempo in treno gli aveva fatto dimenticare quella piacevole sensazione di tepore.
Era da quasi cinque anni che non visitava sua nonna, tra la scuola e il resto non ne aveva più avuto occasione, non gli dispiaceva nemmeno tanto però: non aveva mai avuto un rapporto particolare con sua nonna, a dire la verità con nessuno dei suoi parenti, ma lei era l’unica che gli parlava, o meglio, l’unica che non gli aveva detto chiaramente di non voler rivolgergli più la parola.
La strada era deserta, i campi erano verdi e immobili, le cicale riempivano il silenzio; nessun segno di vita, eccezione fatta per la signora della biglietteria, cordiale, ma il fatto che lo avesse chiamato caro lo aveva infastidito.
Sentì il rumore di un’auto in lontananza, si alzò in piedi sperando di vedere la nonna alla guida della sua vecchia Ape Car gialla; mise una mano sulla fronte per provare a vedere meglio: una macchia blu, un vecchio modello si stava avvicinando.
 
-Ehi, tra quanto arrivi? –
-Dammi pochi minuti, tu fatti trovare giù e non pensare a quello che ti hanno detto. –
-…. –
-Tranquillo, ci sono io. –
-Va bene, grazie, ora ti lascio guidare. –
-A tra po…. –
 
La macchina gli sfrecciò davanti, destandolo dai suoi pensieri, si stropicciò gli occhi stanchi e secchi; probabilmente avrebbe dovuto bere un po’. Tirò fuori una bottiglietta dal borsone, l’acqua era tiepida, la mandò giù a fatica un po’ disgustato, forse era il caso di spostarsi sotto il tetto della stazione; si sedette su una delle panchine sotto il piccolo portico.
La schiena curva, il volto basso, stava giocando col piccolo ciondolo in metallo, in realtà era solo un frammento di quello originale, un lato era ancora tagliente; nonostante lo avesse sempre con sé, cercava di guardarlo il meno possibile: troppi ricordi che voleva semplicemente sparissero.
Il cellulare vibrò nella sua tasca, lo prese, sullo schermo c’era scritto “nonna”.
-Nonna? –
-Dan, sei già arrivato? –
La sua voce suonava più gracchiante di quanto ricordasse, ma probabilmente era colpa del telefono.
-Sì, credo dieci minuti fa…. –
-Avresti dovuto chiamarmi! Sto arrivando. –
Riattaccò senza lasciargli la possibilità di dire altro: breve, fredda, coincisa e forse era proprio per questo che era l’unica che gli parlava ancora.
Dante sospirò profondamente, appoggiò la schiena sullo schienale e si lasciò scivolare giù: era stanco, si sentiva così da troppi mesi, tutti i giorni, le notti, quando dormiva e quando no, aveva provato con dei medicinali, roba omeopatica che gli propinava sua zia, ma nulla.
Stanco e distaccato da tutto, probabilmente isolarsi in un paesino in mezzo al nulla non era la scelta migliore ma questo era l’unico posto dove lo avrebbero accolto senza fare domande.
Eppure prima c’erano così tanti posti dove sarebbe potuto andare… ora erano macerie, cenere di sogni bruciati.
In mezzo al palmo il frammento di metallo brillava, tanto da attirare l’attenzione di una gazza ladra: la vide planare, un uccello molto aggraziato, poi rallentò, portò in avanti le zampe e gli graffiò le mani portandogli via il ciondolo.
Successe tutto in un attimo, se non fosse stato per le unghie nella carne, non ci avrebbe fatto minimamente caso; eppure non disse niente, l’uccello volò via con grazia maldestra cercando di riprendere quota.
Si guardò la mano graffiata, ora il suo ultimo ricordo era volato via, letteralmente; non riuscì a fare o dire nulla, gli si strinse il cuore e chiuse gli occhi.
Come poteva una cosa così dolorosa lasciarlo così indifferente?
Sentì il rumore di un altro motore, guardò alla sua destra e vide un mezzo giallo, sicuramente l’Ape di sua nonna; si spostò sull’orlo del marciapiede ad attenderla, si avvicinò lentamente e sobbalzando, era abbastanza ridicola da vedere.
Si fermò davanti a lui, sua nonna lo squadrò per bene e lo stesso fece lui a lei: aveva cinquantacinque anni, non li dimostrava e probabilmente nessuno avrebbe detto che fosse nonna di un vent’enne, camicia a quadri, abiti forse troppo giovanili, ma a lei non era mai importato.
-Allora, vuoi salire o rimanere qui ?-
Fece cenno con la testa di salire di fianco a lei, i suoi capelli erano color miele erano raccolti in una coda di cavallo stretta.
-Ciao anche a te. –
Dante mise i bagagli nel cassone dietro e si sedette di fianco a lei.
La donna ripartì facendo un’inversione in mezzo alla strada, il ragazzo non si azzardò a contestare la manovra.
-Tua madre sa che sei qui? –
-Non credo. –
-Cosa hai detto ai tuoi? –
-Niente. –
-Non l’hanno voluto sapere o non glielo hai detto tutto? –
-Non lo volevano sapere. –
-Non so se è più cogliona mia figlia o quel cretino di suo marito, senza offesa, eh. –
-Tranquilla. –
Non si dissero nient’altro durante il tragitto, il vento che entrava dai finestrini era piacevole, seppure fastidiosa per gli occhi, li chiuse e si concentrò sull’aria che scivolava sulla sua pelle, tra i suoi capelli, sembravano delle dita fredde.
 
-Lasciatemi passare! Lo conosco! Lasciatemelo vedere! –
-Stia indietro! Non può passare! –
-Ditemi come sta… . –
Cadde a terra, l’asfalto era freddo e bagnato, le lacrime invece erano fin troppo calde.
-Mi dispiace… . –
L’ambulanza si allontanò a luci spente.
 
-Senti, sai che non sono brava in queste cose, non sono stata brava come madre figuriamoci come nonna, ma se hai bisogno di qualcosa… non so… beh, sappi solo che devi chiedere, solo non rovinarti: tu sei migliore di noi. –
Fabrizia parcheggiò in mezzo al prato e lo guardò dritto negli occhi, i suoi erano più azzurri rispetto a quelli di Dante.
-Va bene. –
Non la guardò nemmeno negli occhi, aprì la portiera e prese i suoi bagagli, avviandosi verso casa.
-Ah, ho dimenticato di dirti che il piano superiore l’ho affittato a un ragazzo qualche messe fa, dovrai dividere l’appartamento con lui. –
-Potevi dirmelo prima. –
-E rischiare di trovarti in qualche squallido locale o sotto i ponti? Ti farà bene, in ogni caso ci sta poco a casa e cucina da dio, ogni tanto mi porta delle cose buonissime. –
Dante non disse nulla e continuò a camminare, percorse il giardino; l’erba era secca sotto il sole estivo, i fiori abbondavano ai lati, tra questi una ventina di girandole erano immobili, immerse nell’afa estiva.
Sua nonna aveva una strana passione per le girandole: diceva che gli piaceva il modo in cui giravano, mischiando i colori, ma lui non era mai riuscito a coglierne il fascino.
La casa poteva essere riassunta in rettangolo, diviso a metà orizzontalmente: due appartamenti separati e autosufficienti; quello sotto era di Fab, il piano di sopra lo affittava ai turisti di solito, era strano che l’avesse affittata a quel ragazzo per così tanto tempo.
Si chiese che tipo fosse per piacere a sua nonna, ma cercò di non pensarci troppo e farsi false aspettative.
-Le chiavi sono dentro la cassetta delle lettere! –
Una delle cose belle di quella casa era che se urlavi abbastanza forte ti si sentiva da fuori, un altro dei motivi per cui non aveva più passato lì le sue estati.
Prese la chiave e aprì la porta, l’appartamento era luminoso, tutte le persiane erano aperte, percorse il corridoio, sul lato destro due porte, le camere, dall’altro il bagno. Alla fine del corridoio c’era un'unica stanza che fungeva da salotto, sala da pranzo e cucina, il disordine era visibile: vestiti, scarpe e la cucina in particolare piena di pentole e altri strumenti, alcuni sporchi, ma la maggior parte erano puliti.
Entrò nella camera vicino alla sala, sperando di trovarla vuota: quando era piccolo dormiva sempre lì. Fortunatamente la trovò libera, il letto fatto e non c’erano segni di oggetti estranei, lanciò il borsone sul letto, tolse le scarpe lasciandole in un angolo e tornò in sala con la valigia; fece spazio sulla scrivania appoggiata contro il muro a sinistra, tirò fuori il suo computer e iniziò a montare la sua postazione.
Prese una sedia dal tavolo da pranzo e si sedette davanti allo schermo, le sue mani si misero automaticamente sulla tastiera e sul mouse, era una bella sensazione, lo faceva sentire al sicuro, era l’unica cosa fissa nella sua vita. Era triste ma almeno poteva non pensare a se stesso, distaccarsi e far finta di essere qualcun altro.
Fuggiva.
Non sapeva far altro che fuggire.
Era patetico: si era appena trasferito, avrebbe dovuto disfare il borsone, sistemare qualcosa e invece era lì a giocare.
Fece per cliccare sull’icona, ma un rumore lo distrasse, un miagolio per la precisione, si girò e vide un grosso gatto arancione che lo fissava, ma era davvero enorme per essere un gatto normale, sembrava che i suoi occhi ambrati potessero scrutargli l’anima.
Doveva essere del suo futuro coinquilino, peccato che Fab si fosse dimenticata di dirglielo.
Dante porse esitante la mano, sperando di risultare amichevole e di non essere graffiato di nuovo; il felino si avvicinò circospetto e, dopo aver annusato attentamente la mano, ci si strusciò sopra.
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo: non era mai stato bravo con gli animali; lo accarezzò per un po’, poi questo decise di saltargli in braccio e acciambellarsi come se nulla fosse. Dan sorrise e si dedicò al suo gioco, coccolando di tanto in tanto il grosso gatto.
 
-A te piacevano i draghi, giusto? –
-Sì, perché? –
-Guarda cosa ho trovato! –
-È bellissimo… grazie. –
Fece il nodo al laccio intorno al suo collo, il suo sorriso era bellissimo; non poteva sperare in una reazione migliore.
 
Davanti al pc perdeva sempre la cognizione del tempo: ormai erano quasi le undici. Era lì dal pomeriggio e non mangiava praticamente dalla sera prima, non aveva poi così tanta fame, ma preferiva non andare a dormire a stomaco vuoto.
Spostò il gatto che non si era mosso per niente, lo invidiava, e guardò  in frigo se c’era qualcosa di commestibile.
 
 
*                                                                                     *                                                                                          *
 
Fab osservò attentamente il ragazzo davanti a lei: capelli lunghi e ramati, barba folta e curata, occhi castano scuro, zigomi pronunciati e labbra sottili, un bel giovane, troppo per lei, ma non si poteva mai dire.
Indossava una camicia e dei jeans, sembrava una persona a modo, affittargli l’appartamento superiore gli sembrava un buon accordo, contando che dei soldi extra gli facevano comodo e che nessuno affittava da quasi tre anni ormai.
Ragazzo sveglio, affidabile, forse con troppa fiducia nel suo aspetto fisico, ma almeno aveva due lavori e si stava anche impegnando a studiare a detta sua; un programma massacrante: dal lunedì al venerdì tutto il giorno in un ristorante, il fine settimana lavorava la sera in un locale e tra tutto questo riusciva a studiare.
Se non ricordava male era Gabriel il suo nome, seduto dal lato opposto del tavolo girava metodicamente il cucchiaino pieno di miele nel suo tè, mentre lei finiva il suo caffè.
-Ah, ho un animale domestico, un gatto, Maine Coon per la precisione, affettuoso, pulito e silenzioso, è un problema? –
-Nah, nessuno problema, basta che non mi lascia merda in giro e siamo ok, ah e niente feste giganti o porcate simili, puoi portare chi ti pare a casa finché non disturbi me. –
-Perfetto, grazie, Fab, sei una donna stupenda. –
Il ragazzo le fece l’occhiolino e bevve dalla sua tazza.
-Fabrizia. –
 
Si traferì al secondo piano il giorno stesso, gli anticipò addirittura i primi quattro mesi. Mai nessun problema e ogni tanto la mattina le lasciava pronta una torta o qualche pietanza da finire di cuocere in forno.
L’arrivo di Gabriel fu una bella novità nella sua vita monotona, adornata dalle serate a casa con le altre sue amiche a spettegolare oppure a bere e giocare a carte, con qualche sporadica chiamata dal suo ex-marito e dall’avvocato, ma l’importante era che arrivasse l’assegno mensile.
Da giovane aveva amato quell’uomo, un sentimento forte e coinvolgente, ma, con la nascita della bambina e tutti i problemi allegati, questo l’aveva tradita.
Spesso rimpiangeva di aver corso così tanto nella sua vita, fino a trovarsi a cinquant’anni  con ancora una vita davanti ma a comportarsi come una pensionata; e sua figlia aveva fatto lo stesso errore, fortunatamente col marito era andata meglio, ma si sono entrambi dimenticati di curare il figlio.
Ah, adorava suo nipote, vispo, sempre allegro e curioso, erano anni che non lo vedeva per colpa della figlia; in qualche modo Gabriel glielo ricordava, forse perché avevano quasi la stessa età; Dante doveva avere circa 4 anni in meno di lui.
 
-Ciao, nonna… so che è da tanto che non ci sentiamo, ma è un problema se tra qualche giorno vengo da te? –
-Oh, certo, Dan, tua madre ti vuole cacciare di casa o scappi di tua spontanea volontà? –
-… . –
-Va bene, vieni quando vuoi. –
 
 
*                                                                                     *                                                                                          *
 
Gabriel aprì la porta della casa, era stremato: lavorava dalle cinque, puzzava di cibo e sudore; si passò la mano tra i capelli mossi e appiccicaticci, togliendo l’elastico che li teneva raccolti in uno chignon spettinato, lo mise al polso e chiuse la porta appoggiandosi con la schiena, lasciandosi scivolare giù fino a sedersi per terra.
Le gambe piegate, le braccia poggiate sulle ginocchia, la testa rivolta verso l’alto, chiuse gli occhi assonnati, si concesse qualche secondo per riprendersi, ma doveva finire di studiare.
-Gordon, vieni qui, micio. –
Vide la palla di pelo arancione  correre verso di lui miagolando, si strusciò contro le sue gambe facendo le fusa.
-Andiamo a cucinare qualcosa. –
-Ehi, coinquilino, vieni a farti una birra con me! –
Si era dimenticato che oggi sarebbe arrivato il nipote di Fabrizia, sospirò profondamente e si grattò la folta ma corta barba; sperava di non trovarsi davanti un ragazzino insolente, stupido e con in mente solo l’alcool e a giudicare da quello che gli aveva appena detto per ora ci aveva preso per metà.
Si alzò prendendo in braccio il felino che si sedette sulla spalla come un gufo, entrò nella sala e vide il ragazzo seduto sul divano ad elle sulla destra, gambe aperte, braccia sullo schienale, in mano una birra e sul pavimento altre tre. Non lo vide bene in volto: l’unica luce proveniva dal computer  dall’altro lato, ferma sul menù di gioco.
-Non riesco ad ammazzare quel diavolo di drago…  maledetta modalità incubo, tu giochi? –
Indicò il computer con la mano libera e fece un cenno con la testa.
Strano modo per iniziare una conversazione, eppure sembrava funzionare, forse lo aveva giudicato in modo affrettato.
-Giocavo, ora non ho più il tempo, ma posso provare, sono un po’ arrugginito… posso cambiare strategie e altro? –
-Fai pure. –
Gabriel si sedette e osservò le sue impostazioni.
-Ti stai portando dietro la squadra sbagliata… . –
-Puoi cambiare tutti, tranne il mago. –
-Ma è un negromante, un supporter sarebbe più comodo… . –
-Questioni sentimentali. –
-Uh…  capisco. –
Gordon si allungò sulle sue spalle e iniziò a fare le fusa; Gabriel si mise comodo e sgranchì le spalle: era da un sacco che non prendeva in mano un mouse e una tastiera, gli era mancato. Sostituì parte delle armature e delle armi, cambiò due compagni e tutte le loro azioni, quelle di prima non erano male, ma erano fine a loro stesse, non collaboravano bene con gli atri.
Sentì l’altro alzarsi dal divano e trascinare una sedia di fianco a lui, si sedette e stappò altre due bottiglie di birra, gliela appoggiò di fianco  e avvicinò il volto allo schermo per controllare i vari cambiamenti.
-Mh… interessante… -
Bevve un altro sorso di birra e poggiò il braccio sulla sua spalla facendo spostare il gatto; Gabriel fu sorpreso da quel contatto fisico, ma Gordon sembrava non approvare il fatto di doversi cercare un altro posto per dormire.
-Inizio le danze o le lascio aprire a te? –
Gabriel si morse il labbro e lo guardò, peccato che la sua attenzione fosse rivolta verso il gioco.
-È la tua squadra, fai tu, non saprei come gestirla. –
Leggermente frustrato prese la birra, bevve un lungo sorso e iniziò la battaglia, finì in pochi minuti, certo, entusiasmante e complessa, ma veloce.
 -Woa…  complimenti sei stato meraviglioso! –
-Me lo dicono spesso, comunque io sono Gabriel. –
-Io sono Dan, complimenti ancora, penso che userò sempre queste impostazioni. –
-Non ti conviene, contro altri tipi di nemici ti sarebbero inutili… ma te li posso posizionare come preferisci. –
-Interessante… . –
Dan finì la sua quinta birra, la testa ciondolava e lo sguardo era vacuo, aveva sicuramente bevuto a stomaco vuoto.
-Ti va di mangiare qualcosa? Tipo, delle belle fette biscottate con marmellata fatta da me e un po’ di tè allo zenzero? –
-Non ho capito niente di quello che vuoi farmi mangiare ma se me lo dici con quella voce potrei mangiarmi di tutto. –
-Attento a quello che dici o potrei davvero approfittarmene. –
Si alzò e si diresse verso la cucina ad angolo dietro di loro, accese la lampada li vicino, prese un pentolino e lo riempì d’acqua, immerse delle fette di zenzero prese dal frigorifero assieme alla marmellata e lo mise sul fuoco; spalmò la marmellata sulle fette biscottate e le mise in un piatto che pulì maldestramente con uno straccio.
Dan sembrava un tipo apposto, simpatico e carino da quando aveva acceso la lampada.
-Per cosa sta “Dan”? Daniele, Danilo? –
-Dante. –
Il ragazzo si spostò al tavolo spostando pentole e piatti per ricavarsi un angolo dove mangiare.
Gabriel gli porse la tazza calda e il piatto.
-Penso che ci divertiremo molto a convivere. –
 
-Dove hai intenzione di andare?! –
-Lontano! –
-E cosa credi di combinare? Credi forse di diventare un cuoco famoso da un giorno all’altro? È solo uno stupido sogno, vai a lavorare con tuo padre come ogni persona sana di mente farebbe! –
-Una persona sana di mente se ne andrebbe da questo lerciume! Michael, andiamo. –
-Michael, se vai con tuo fratello non potrai mai più tornare a casa dai tuoi genitori. –
-Gabriel… mi dispiace. –
 
 







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Uff, mi cimento di nuovo in qualcosa di lungo sperando di finirlo...
Spero che questo primo capitolo vi abbia incuriosito sulla loro storia, lasciandovi interrgotativi a cui potrete trovare risposte solo più avanti...
Grazie per aver letto!

Avviso:
Il rating potrebbe cambiare con l'aggiornare della storia causa eventi futuri su cui sono indecisa per la parte descrittiva;
in relazione a questo potrebbero aggiungersi degli avvertimenti.
Cercherò di pubblicare il più regolarmente possibile, tra le tre e le quattro settimane circa, causa scuola ed elementi di forza maggiore.

Infine vorrei ringraziare delle persone fondamentali nella creazione di questa storia:
-Lorenzo che mi ha aiutata con la definizione di punti cruciali per la narrazione
-Delta_Machine che legge la storia senza sapere assolutamente nulla della trama finale ed è sempre più confusa
-Kaleido, senza di lei probabilmente questa storia sarebbe ancora nella mia testa e soprattutto, senza un titolo.

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Capitolo 2
*** II ***


Gli Evanescenti
 
 
Capitolo 2
 
 
 
 
 
 
 
 
Le ombre erano lunghe e sottili, il sole stava sorgendo in quel momento, il cielo era ancora scuro dietro di lui, chiuse lentamente gli occhi apprezzando il primo calore della giornata.
Il gracchiare di una gazza ladra lo distrasse, drizzò le orecchie cercando di capire da dove provenisse; la sentì ancora, quanto avrebbe voluto mangiarsela.
Il gatto si alzò e si allungò stirando i muscoli, conficcò le unghie nel ramo su cui era seduto, un bel ciliegio; saltò sulla macchina gialla della signora che odorava di alcool e poi per terra, il terreno era friabile e secco sotto i suoi polpastrelli.
Vide la donna seduta fuori dalla sua porta, aveva una sigaretta in mano, non gli dava fastidio come odore, ormai ci si era abituato, si sedette a osservarla: anche lei guardava l’alba, gli occhi erano gonfi come se non avesse dormito, di fianco a lei una bottiglia vuota.
-Ciao, gatto, nemmeno tu hai dormito? –
Non ricevette alcuna risposta, il felino si limitò a guardarla negli occhi.
-Sai, forse dovrei dirglielo, se lo merita quel povero ragazzo… –
Il grosso gatto alzò il pelo irritato, eppure sapeva che lei non gli andava a genio, poteva considerarsi fortunata a non avere ancora un graffio, se ne andò senza degnarla di un altro sguardo.
-Che gatto stronzo. –
Gordon continuò per la sua strada e salì le scale fino alla porta di casa, grattò con la zampa l’angolo della porta sperando che uno dei due ragazzi lo sentisse e gli aprisse ma probabilmente dormivano ancora; provò anche a miagolare, ma nessuno si degnò di aprire la porta.
Saltò sulla mensola della camera sulla destra, era sabato, quindi Gabriel doveva essere in casa, probabilmente a dormire, non gli importava più di tanto, guardò all’interno, ma la stanza era vuota, miagolò seccato.
 
Era sdraiato sul divano a pancia in giù, il braccio penzolava fuori, la mano sfiorava il pavimento freddo, aprì e chiuse più volte gli occhi cercando di mettere a fuoco gli oggetti circostanti, portò una mano sulla nuca, massaggiandola e scompigliandosi i capelli castani: aveva un forte mal di testa che probabilmente lo avrebbe accompagnato per il resto della giornata.
Indosso aveva solo la maglia e i boxer, vide i suoi pantaloni buttati ai piedi del divano; dei rumori provenivano dall’altro lato della sala, alzò il volto e vide un ragazzo, in vita aveva un asciugamano, i capelli erano lunghi e raccolti, intento nel cucinare qualcosa; probabilmente avrebbe sentito l’odore della pietanza se non avesse avuto il naso chiuso.
Dante provò a parlare, ma gli era rimasta la gola secca dalla sera prima, non ricordava molto di quello che era successo dopo aver mangiato, si schiarì la gola e s’inumidì le labbra secche.
-‘Giorno. –
Sbadigliò e si sedette sul bordo del divano stropicciandosi la faccia con le mani, avrebbe tanto voluto buttarsi nel suo letto e continuare a dormire.
- Buongiorno, lentiggini. –
Il ragazzo dall’altro lato della stanza, armeggiò con un mestolo e fece salare qualcosa nella padella, la sua schiena era ben definita, le spalle grandi ancora un po’ bagnate, probabilmente lo erano per colpa dei capelli che gocciolavano sulla sua pelle ambrata; peccato che il fondoschiena fosse interamente coperto.
- Michele, giusto? –
-Gabriel, ma per te va bene anche Michele. –
-Ok… no, Gabriel va bene, ma non mi chiamare lentiggini. –
-E perché? Ieri ti piaceva quando ti chiamavo così. –
Gabriel si girò mettendo in mostra il suo corpo scolpito, ammiccando un sorrisetto dopo essersi inumidito le labbra; Dante sgranò gli occhi sconcertato: ieri sera?
Confuso cercò di collegare ciò che aveva visto: Gabriel quasi nudo, lui mezzo svestito, aveva dormito sul divano, si guardò intorno confuso e poi rivolse un’occhiata all’altro che lo osservava da dietro il tavolo da pranzo, questo si mise a ridere di gusto. Aprì la bocca per chiedere spiegazioni ma l’altro lo interruppe.
-Tranquillo, ti sto prendendo in giro: non mi approfitterei mai di qualcuno ubriaco, specialmente se minorenne. –
Dante, si alzò per sedersi al tavolo sperando che Gabriel stesse preparando la colazione anche per lui.
-Ho vent’anni. –
-Se la metti così la prossima volta non mi farò scrupoli, pancake? –
Lo guardò sconcertato, ma evitò fare altre domande e si sedette.
-Si, grazie. –
-Ecco a te, lenticchia. –
Gabriel prese con la paletta i due pancake che stava cucinando e glieli porse in un piatto, sembravano molto invitanti, dorati e caldi, questo sorrise e gli fece l’occhiolino, Dan ridacchiò: sembrava tutto così naturale, come se fosse così da anni, era strano ma piacevole.
-Non mi piace nemmeno lenticchia. –
Con la forchetta tagliò un pezzo di pancake e lo mise in bocca, soffice e dolce, doveva ammettere che erano davvero buoni.
-E come dovrei chiamarti? –
-Ehm, Dan? –
Non capiva perché dovesse cercare un soprannome per lui: non c’era alcun bisogno di una cosa del genere.
 
-Ehi, Lentiggini, vieni qua. –
-Quante volte devo dirti di non darmi soprannomi? –
-Ma tu mi chiami… . –
 
Sentì picchiettare sul vetro di una finestra, si girò e vide una gazza picchiettare con il becco che li guardò con i suoi occhi neri per poi volare via gracchiando rumorosamente.
-Se ci fosse stato Gordon se la sarebbe mangiata quella gazza: è da qualche settimana che gira qui intorno, deve avere il nido vicino. –
Gabriel si sedette di fianco a Dante; lui stava ancora fissando la finestra, qualcosa d’importante gli era tornato in mente ma quella presenza gli aveva fatto dimenticare cosa fosse, ci pensò un attimo ma poi decise di lasciar stare.
-Comunque sono buoni . –
Ne mise in bocca un’altra porzione e mosse la testa soddisfatto.
-Tutto ciò che è fatto con le mie mani è delizioso, qualsiasi cosa. –
Gabriel lo fissò con gli occhi e fece un movimento allusivo con la mano, Dan lo guardò sconcertato e deglutì rumorosamente, tossendo imbarazzato.
-Uho, uho, piano, nemmeno ti conosco. –
-Se ti danno fastidio posso smettere. –
Si tolse l’elastico dai capelli, passò una mano tra di essi, scompigliandoli e lasciandoli cadere intorno al suo volto e sulle spalle, lo guardò di nuovo negli occhi e sorrise.
-Ma ricordati a cosa stai dicendo di no. –
Dante, si mosse nervosamente sulla sedia accavallando le gambe imbarazzato, l’altro rise di gusto e non tentò di nasconderlo.
-Vado a farmi una doccia. –
-Bella fredda, eh. –
Il ragazzo si alzò e andò verso il bagno, aprì la porta e fece per chiuderla, ma la lasciò ben aperta per farsi sentire dall’altro.
-Io non ho mai detto di no. –
 
Gabriel sorrise tra sé e sé, era davvero carino “Lentiggini”; sentì l’acqua scorrere, si alzò per andare in camera a vestirsi, notò che la porta del bagno era aperta, non poté fare a meno di dare un’occhiata: Dante era nella vasca, la tenda opaca lasciava intravedere la sagoma del suo corpo, in piedi sotto il getto d’acqua calda, magari avrebbe apprezzato un po’ di compagnia.
Fece per entrare nella stanza ma sentì dei rumori provenire fuori dalla porta, sbuffò consapevole del fatto che probabilmente era il gatto che pretendeva di entrare in casa; aprì la porta e vide Gordon con in bocca una gazza ladra.
-Finalmente sei riuscito a prenderla, sarai soddisfatto ora, no? Ma potresti anche evitare di portarla dentro casa, grazie. –
Il gatto arancione, con ancora in bocca il corpo morto, si strusciò sulle sue gambe nude, facendo le fusa per poi entrare in casa passando tra di esse.
-No, no, no, vai fuori con quel coso morto. –
Il felino si fermò a guardarlo per poi infilarsi nel bagno.
-Dove vai? Torna qui! –
Entrò nella stanza piena di vapore, saltò nel lavandino, poggiò l’uccello al suo internò e iniziò a mangiarlo orgoglioso.
-Ehi, ma che succede? –
Dante scostò la tenda della doccia e la prima cosa che vide fu il gatto con la bocca sporca di sangue e le piume che cadevano in giro, spalancò gli occhi, s’irrigidì e cadde.
Davvero? Aveva paura del sangue?
Istintivamente, Gabriel si buttò per afferrarlo, fortunatamente, se si può dire così, cadde fuori dalla vasca e riuscì a prenderlo prima che la sua testa toccasse terra; successe tutto in pochi secondi.
-Maledizione… . –
Dante era inerme tra le sue braccia, prono, doveva girarlo e sdraiarlo per fargli riprendere i sensi, cercò di compiere il movimento il più delicatamente possibile. Il corpo di Dan pesava sul suo, bagnato e caldo, durante l’azione non poté fare a meno si osservare la sua pelle chiara, liscia, nessun segno particolare eccezione fatta per le lentiggini, finché non si guarda la schiena: una grossa cicatrice a metà di essa, molto strana ma sembrava vecchia, decise di non chiedere nulla a riguardo sempre che non volesse lui.
Lo sdraiò a pancia in su e lo scosse leggermente per farlo riprendere: non sapeva bene cosa fare in casi come questi, sperò semplicemente che si riprendesse in poco tempo.
-Ehi, ehi lentiggini? Ci sei? –
 
Aprì il portone di casa, scene nella strada affollata, rumori e luci; si sentiva confuso, non sapeva dove andare, ma non riusciva a stare fermo, forse un piccolo giro gli avrebbe fatto bene. Sotto ogni suo passo il marciapiede sembrava muoversi, come se fosse scosso da delle onde, i volti delle persone erano scuri, come tutto il resto, ad eccezione della moltitudine di led che lo accecavano ogni volta che osava alzare lo sguardo.
“Sei solo una delusione, non sei capace di fare niente e ora ci dici questo?  Ti rendi conto di quando ci metti in imbarazzo?”
Quelle parole non lasciavano la sua testa, portò la mano al collo, c’era la collana che gli aveva regalato lui, la strinse tra le mani, sperando che lo potesse aiutare.
Andò a sbattere contro diverse persone, impacciato a causa dello zaino e del borsone con le poche cose che gli sarebbero servite; si scusò debolmente più volte, ma non sembrava ascoltarlo nessuno.
Tirò fuori il telefono dalla tasca e selezionò l’ultimo numero chiamato.
-Ehi, tra quanto arrivi? –
Si fermò al semaforo dell’incrocio in attesa del verde.
-Dammi pochi minuti, tu fatti trovare giù e non pensare a quello che ti hanno detto. –
-… . –
Come se fosse così semplice, ma almeno lui poteva capirlo.
-Tranquillo, ci sono io. –
Scattò il verde, attraversò lasciandosi guidare dalla folla.
-Va bene, grazie, ora ti lascio guidare. –
Giocherellò con il ciondolo a forma di drago, le ali spiegate, la coda lunga, il metallo si era scaldato tra le sue dita.
-A tra po…. –
Sentì delle urla, si girò, davanti a lui vide una luce abbagliante, una macchina, rimase immobile, la paura lo aveva immobilizzato; oppure voleva rimanere lì e farsi investire, per porre fine a tutto?
Sentì dolore, poi il vuoto intorno a lui, batté più volte il corpo, altro dolore, vedeva tutto nero, qualche luce sfrecciava ai lati del suo sguardo; qualcosa di caldo colava intorno al suo viso.
Altre urla, tutte intorno a lui.
-Lasciatemi passare! Lo conosco! –
Chiuse gli occhi, era stanco, come non l’era mai stato, voleva dormire… solo quello.

-Meno male, sei sveglio. –
 Dante aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre: aveva ancora la vista un po’ annebbiata, sopra di lui vide un volto familiare.
-F… Federico? –
-Proprio non ti piace il mio nome, eh? –
A quanto pare non così familiare come credeva, si diede dello stupido per aver pronunciato quel nome.
-Gabriel? –
-Complimenti, hai imparato il mio nome. –
Lentamente mise a fuoco, vide il viso di Gabriel sopra di lui, la sua mano destra era sul suo petto era calda; sentì il corpo umido, i capelli bagnati erano freddi, come le piastrelle sotto la sua schiena e l’ultima cosa che ricordava era lui sotto il getto d’acqua.
-Cosa è successo? –
-Oh, niente, sei solo svenuto dopo aver visto Gordon mangiare una gazza, nel lavandino. –
Gabriel lo disse come se fosse una cosa normalissima, spostò la mano dal suo petto per gesticolare ed enfatizzare l’accaduto.
-Cosa? –
-Strano, vero? –
Dante sollevò il busto dal pavimento con l’intento di sedersi ma la testa gli girava, vedeva macchie bianche e nere, portò una mano sugli occhi, come se quella potesse mandarle via.
-Ehi, piano, piano, forse dovresti rimanere sdraiato. –
-No… sto bene… . –
Si spostò cercando l’appoggio della vasca dietro di lui, lo trovò e tolse la mano dagli occhi, in quel momento si rese conto di essere nudo; non si sentì in granché in imbarazzo, però gli dava fastidio essere visto così impacciato e confuso.
-Potevi coprirmi almeno, passami un asciugamano, grazie. –
-Sai, mi sono preoccupato di più per la tua salute che per il tuo membro all’aria. –
Gabriel si allungò per prenderne uno appeso di fianco al lavandino e glielo lanciò tra le gambe.
-Grazie. –
Erano seduti uno di fronte all’altro a guardarsi intorno ed evitando lo sguardo dell’altro, ma nessuno dei due accennava a volersene andare.
-Ti è successo altre volte? –
-Successo cosa? –
-Di svenire alla vista del sangue. –
-Mai. –
Dan stava ripensando a ciò che aveva visto mentre era svenuto, sembrava tanto reale quanto impossibile: aveva visto la sua morte, ma nel passato, come un’alternativa a ciò che era successo.
Gabriel aveva ancora indosso solo l’asciugamano, lui era bagnato fradicio e a malapena riusciva a coprirsi con il telo; era una strana situazione: entrambi mezzi nudi in bagno, con un uccello morto nel lavandino, Dante non poté fare a meno di iniziare a ridere, nonostante quella visione tormentasse la sua mente e ne uscì una risata leggermente isterica.
-Che hai da ridere? Per poco non mi facevi venire un infarto con la tua scenata. –
-Niente, solo che ci conosciamo da nemmeno un giorno e sono successe fin troppe cose. –
-Possono sempre accaderne altre. –
Gabriel ammiccò con lo sguardo, sollevò un angolo della bocca e con la lingua mosse la guancia dall’interno, l’altro abbassò la testa rassegnato alle avance dell’uomo.
- Tipo un pompino? –
-Anche, ma non ora. –
-No, ora no. –
I due si guardarono e risero di nuovo, in quel momento il gatto alzò il volto dalla sua preda e osservò i due seduti per terra, aveva finito di divorare la sua preda, il pelo era sporco di sangue, come il lavabo.
Gli occhi felini cercarono di trovare il pezzo di metallo che portava con sé l’uccello, spostò i resti con la zampa, ma non lo trovò; alzò lo sguardo verso la finestra, vide una gazza appoggiata sulla mensola, nel becco teneva un pezzo di metallo, poi volò via.
Quanto avrebbe voluto mangiare quella gazza.
 
I capelli corti si erano asciugati da soli, erano spettinati ma andavano più che bene; aprì il borsone in cerca di panni puliti, ne aveva portati pochi con sé: il giusto per qualche settimana, ma probabilmente avrebbe avuto bisogno di altri, non gli dispiaceva stare li, sarebbe potuto rimanerci per sempre.
Si mise le mutande, una maglia leggera e dei pantaloncini da ginnastica, niente d’impegnativo: sarebbe rimasto a casa tutto il giorno, come quello prima e quelli che sarebbero venuti.
Sentiva il rumore del phon provenire dalla camera di Gabriel, era da quasi cinque minuti che si stava asciugando i capelli, ci teneva davvero tanto a quanto pareva.
La scena di prima continuava a tornargli in mente: oggettivamente era qualcosa di molto imbarazzante, eppure non gli dava minimamente fastidio, il che lo trovava strano, ma la cosa che davvero trovava bizzarra era quella specie di “sogno/visione” della sua morte.
Dante aprì la porta della camera e raccolse i suoi panni sporchi dal bagno, li mise in un sacco e uscì di casa; li avrebbe portati da sua nonna: da loro non c’era la lavatrice.
Aprì la porta, l’afa estiva gli mozzò il respiro, scese gli scalini il più velocemente possibile per entrare subito in casa di Fabrizia; trovò la donna fuori dalla porta, con una sigaretta in mano, di fianco a lei due bottiglie e due pacchetti di sigarette vuote.
-Nonna… sai che non fa bene. –
-Tanto mi hanno già uccisa. –
 
-Dante… dobbiamo dirti una cosa molto importante: ieri tua nonna è morta. –
 
Non lo guardò negli occhi, fissò l’orizzonte, inspirando altro tabacco, Dante la guardò confuso: “Già uccisa”? Come poteva essere? Era solo un modo di dire, no?
-Come… ? –
-Niente, lascia stare, dammi il sacco, ci penso io. –
Fab si alzò e gliela prese dalle mani, aprì la porta e la chiuse dietro di sé, a chiave senza dire altro. Il ragazzo fissò la porta chiusa per qualche secondo: non capiva questo suo comportamento, cos’era successo?
Si guardò intorno, l’orizzonte era sfocato, non si vedeva niente se non campi e alberi, si sentì veramente piccolo, perso, una sensazione orribile, come se fosse solo, come se non esistesse niente, come se… fosse morto.
Scosse la testa cercando di scacciare via quel pensiero, ai suoi piedi vide il grosso gatto arancione, non si era accorto della sua presenza fino in quel momento, la cosa era molto inquietante.
-Cosa c’è? Non avrai ancora fame dopo quell’uccello? –
Il gatto non si mosse, rimase fermo a fissarlo.
 
Era in un cimitero, le lapidi si ergevano di fianco a lui, in lontananza vide un gruppo di persone radunate intorno ad una fossa; si avvicinò esitante.
-… ci mancherai, Dante. –
 
Fu come un flash, gli girò per qualche secondo la testa, davanti a lui Gordon miagolò irritato e dopo una breve occhiata se ne andò.
Corse dentro casa, salì i gradini due a due, spalancò la porta e la richiuse alle sue spalle, aveva il fiatone, poggiò la schiena sulla porta e scivolò per terra, sentì gli occhi lucidi, qualche lacrima scivolò sulle sue guance, come poteva avere così tanta paura? Di cosa aveva paura? Era solo un’allucinazione, colpa del caldo. Non gli era mai successo prima; troppe cose stavano accadendo.
Gabriel uscì dalla porta con lo sguardo spaventato si guardò intorno fino a vedere Dan seduto per terra.
-Ehi, come mai tutto questo rumore? –
Dante lo guardò negli occhi ma non riuscì a dire niente, il suo corpo tremava e non riusciva a controllarsi.
-Cosa… ? Che cosa è successo? –
La sua voce era calda, rassicurante.
-Non… non lo so. –
L’uomo si chinò davanti a lui e lo abbracciò, l’altro rimase immobile, singhiozzando.
-Respira lentamente. –
Dante provò a calmarsi, seguì il respiro di Gabriel, profondo e lento, i suoi capelli soffici e profumati gli circondarono il volto, il loro odore era dolce e penetrante, avrebbe voluto volentieri accarezzarli, come fosse stato il pelo di un animale.
-Grazie… . –
-Sei proprio disastro, eh? –
-Immagino di sì. –
Gabriel si scostò leggermente da lui e lo guardò confuso, cercando di capire cosa gli fosse successo, ma lui guardò dall’altro lato.
-Posso lasciarti da solo per qualche ora o ti devo portare a lavoro con me? –
-Tranquillo, penso di riuscire a sopravvivere. –
-Se vuoi parlare… non so... so che non ci conosciamo molto, ma siamo solo noi due nel raggio di chilometri salvo che tu non voglia discutere col mio gatto. –
Dante sorrise e annuì col capo mentre si alzava da terra aiutato da Gabriel.
-Vai pure, ci vediamo questa sera. –
-Notte, oggi lavoro al locale, non mi aspettare sveglio a meno che tu non abbia problemi con altri draghi. –
-Ok. –
Gabriel si avvicinò a lui e lo baciò delicatamente sulle labbra, la barba gli accarezzò il volto; come poteva essere morbida quasi quanto i suoi capelli? Dante rimase immobile, quasi stordito, ma piacevolmente stupito.
-Oh, giusto, mi sono dimenticato di dirti che faccio sempre questo effetto alle persone. –
Aprì la porta e se ne andò; Dante sentì il rumore di una macchina partire e allontanarsi velocemente.
Tutto questo aveva il sapore di un sogno, dolce ma con un retrogusto amaro che annunciava il risveglio; sembravano così forzate e costruite quelle scene, eppure si comportava normalmente, come se fosse la cosa più naturale che potesse fare, ma ancora non capiva quei sentimenti che gli ribollivano nel petto, erano semplice libidine o qualcosa di più che stava nascendo troppo in fretta?
-Meow. –
Il miagolio lo fece sobbalzare, il sorriso sognante che aveva in volto diventò un’espressione disgustata: Gordon era seduto davanti a lui. Quando era entrato? Mentre Gabriel stava uscendo? Eppure avrebbe dovuto vederlo, non passava di certo inosservato come gatto.
Il felino lo fissò con i suoi occhi ambrati, altezzoso, quasi in segno di sfida.
 
-Ci mancherai, Dante. –
 
-VATTENE! –
Urlò con quanto fiato aveva in gola.
-VATTENE! –
Il gatto non si mosse, anzi, piazzò le zampe sul pavimento e gonfiò il petto.
 
-Dante, rimarrai per sempre nel mio cuore. -
 
-HO DETTO VATTENE! –
Dante andò contro il gatto per spaventarlo, funzionò, questo scappò e corse verso una finestra socchiusa in fondo alla sala, la gazza era seduta lì vicino, volò via quando il gatto saltò sulla mensola.
Corse a chiudere la finestra, tremava da capo a piedi, c’era qualcosa che non andava, troppe cose non quadravano nella sua mente: lui era vivo, Federico era morto.
Decise di fuggire, come sempre; aprì il frigo, prese delle birre, cercò nella dispensa delle patatine, ne trovò ben tre pacchi, li prese, si sedette davanti al computer, lo accese.
La tensione scemò, mise le mani in posizione, avviò il gioco, smise di provare qualsiasi emozione, era morto e vivo contemporaneamente; una sensazione piacevole quanto spaventosa.
Passò così la sua giornata, sua nonna non si fece vedere e nemmeno sentire; il sole tramontò, udì il gatto miagolare fuori dalla porta, chiedendo di entrare, ma Dante non lo sentì.
 
Rimase a osservare dalla finestra per tutto il pomeriggio, osservò la sua schiena, curva sul computer, a mangiare e bere, senza un vero scopo. Picchiettò con il becco sulla finestra e volò via, accompagnato dalla notte, fece un giro della casa e vide il grosso felino ai piedi delle scale divorare una gazza; non sarebbe stato quello il giorno in cui si sarebbe lasciato mangiare da quel gatto.
 











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E sono al secondo capitolo pubblicato, ma la storia è più avanti e sta diventando sempre più un casino
Spero si capisca ... ?
Grazie per aver letto il secondo capitolo!

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