L'ultimo Dursley [IN REVISIONE]

di Ceccaaa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jo... un mago? - Prologo [REVISIONATO] ***
Capitolo 2: *** Casa Potter [REVISIONATO] ***
Capitolo 3: *** Otto anni dopo [REVISIONATO] ***
Capitolo 4: *** Hogwarts: che fifa ***
Capitolo 5: *** Il dono di Jo ***
Capitolo 6: *** Il segreto del Cavaliere ***
Capitolo 7: *** Giorni infernali ***
Capitolo 8: *** Avventure poco richieste ***
Capitolo 9: *** Sotto la botola ***
Capitolo 10: *** Innamorati non autorizzati ***
Capitolo 11: *** Tu non puoi mollare ***
Capitolo 12: *** Natale ***
Capitolo 13: *** Notte e paura ***
Capitolo 14: *** Sogni ***
Capitolo 15: *** Capodanno e crisi amorose ***
Capitolo 16: *** Un turbolento ritorno ***
Capitolo 17: *** Un regalo anonimo ***
Capitolo 18: *** La mia più grande paura ***
Capitolo 19: *** Corpuscontroller ***
Capitolo 20: *** Loro sanno. ***



Capitolo 1
*** Jo... un mago? - Prologo [REVISIONATO] ***


Jo... un mago?

Dudley Dursley era un uomo di grande rispetto. O, per meglio dire, la sua mole lo era. Incuteva timore a tutti: i suoi colleghi, i vicini di casa, i genitori dei compagni di classe dei suoi figli. Gli unici a non esserne impauriti erano i suoi genitori – soprattutto suo padre – sua moglie e i suoi figli.
Ne aveva due: Vernon, il più grande di sette anni, e Jo. Jo aveva solo tre anni ed era in tutto e per tutto un bambino ordinario. Ordinario fino ad allora.
Erano gli ultimi giorni di giugno. I bambini erano con la madre nel parco giochi deserto. Jo si trovava nell'altalena e il fratello lo spingeva più forte che poteva solo per vederlo battere quelle manine dolci e ridere. A Vernon piaceva vedere suo fratello felice: lo faceva intenerire, gli voleva molto bene. Ad un certo punto, senza preavviso, Jo si saltò in alto dall'altalena battendo le mani e guardando in giù, dove la madre, preoccupata, si era alzata dalla panchina su cui stava seduta, e lo guardava. Ma Jo non precipitò. Rimase fermo qualche secondo e poi, piano piano, planò sul prato. "Jo! Stai bene? Quanto mi hai fatto preoccupare!" gli disse la mamma correndo verso di lui. "Tutto bene, mamma." Rispose lui rialzandosi. "L'avevo già fatto cadendo dal letto!" continuò vedendo il viso sempre più pallida della madre. "Bambini, meglio se torniamo a casa, papà ci starà aspettando." disse la madre prendendo i figli per la mano e raggiungendo l'auto.

"Posso farti una domanda, tesoro?" chiese la donna entrando in salotto con un vassoio per il tè in mano. "Certo, Julia." rispose Dudley, seduto sul divano. "Sei ancora in contatto con tuo cugino Harry?" Dudley spalancò gli occhi e rispose arrossendo: "Veramente no. Abbiamo perso i contatti quando se n'è andato di casa. Perchè?" la moglie lo guardò negli occhi e prese fiato: "Jo ha—spiccato il volo, oggi al parco." rispose. Dudley lo guardò preoccupato e capì cosa lei voleva comunicargli: "Il piccolo Jo—un mago?"

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Capitolo 2
*** Casa Potter [REVISIONATO] ***


Casa Potter

Dudley bussò alla porta. Aspettò in ansia e alla fine quella si aprì. Ad aprirgli fu una bambinetta sui dieci anni con i capelli rossi, le lentiggini e un bel nasino. "Salve.” disse Dudley. “Sono un amico di tuo padre. Lui è in casa?” la bambina annuì un po’ impaurita, ma gli fece strada nell’ingresso.
Corse su per le scale e gridò: "Papà! C'è un signore che ti cerca!" dopo poco scese di nuovo, preceduta da un uomo alto e magro. Portava degli occhiali rotondi sul naso, della stessa forma di quello della bimba. E aveva gli occhi verdi, tanto famigliari a Dudley, quasi da farlo piangere. Harry Potter rimase impietrito di fronte al cugino, ed era così sorpreso, da non accorgersi che qualcuno scendeva le scale. "Papà, ma che ti prende?" chiese la voce di un bambino alle spalle di Harry. Riuscì a passare attraverso le gambe del padre a vedere bene cosa lo aveva pietrificato. Era la fotocopia di Harry: capelli neri, stesso naso, stessi occhi. L'unica differenza era la cicatrice che il padre portava in fronte e lui no. "Andiamo Lily, facciamo una partita a scacchi." disse alla sorella spostando a forza il padre per tornare indietro, quasi la vista di Dudley fosse abbastanza a spiegare la situazione.
"Ehm—belli i tuoi ragazzi." commentò Dudley cercando di smorzare la tensione. "Uh—oh, sì. In realtà sono delle pesti." rispose Harry facendo un cenno al cugino per farsi seguire in salotto. "Allora, quanto tempo! Non avrei mai pensato di trovarti sulla soglia di casa." "Sì, beh. Mi hai dato l’indirizzo qualche anno fa, era ora che venissi a trovarti." rispose Dudley sedendosi accanto a lui sul divano. "Molto bene. Immagino però che ci sia un qualche motivo che ti ha spinto, se no non saresti qui." continuò Harry vedendo il cugino girarsi i pollici. Dopo lo shock iniziale, sembrava davvero felice di averlo rivisto. "Vedi, tu—devi aiutarmi, Harry." rispose lui con il tremolio nella voce. Harry sembrò preoccupato, ma Dudley gli fece un sorriso rasserenante. "Vedi, l'altro ieri mia moglie era al parco con i miei figli e il più piccolo è come caduto dall'altalena, ma non si è fatto niente. È planato!" raccontò.
Harry lo guardò pensieroso: suo cugino gli stava davvero chiedendo informazioni sul mondo magico? "Ma io cosa dovrei fare?" "Ho bisogno di sapere come crescere un bambino magico." rispose Dudley. Harry lo guardò scandalizzato: davvero, dopo che lui aveva vissuto a casa sua tutta la vita, Dudley non sapeva che i bambini maghi e i bambini Babbani erano uguali? "I tuoi genitori mi hanno mai fatto cure speciali solo perché ero un mago?" chiese. "Proprio no." rispose Dudley imbarazzato. Di certo Harry non era mai stato considerato un bambino speciale. "E allora perché mi chiedi come crescere tuo figlio?" chiese lui. "Boh, è che per me è tutto nuovo. Non credevo di doverci—come dire—inciampare di nuovo, in questo mondo. E Julia, poi, non sa che fare." Harry si morse il labbro come, Dudley sapeva, faceva sempre quando era di fronte a un problema. “Senti,” disse infine “a fine agosto c'è una piccola festa per il compleanno di mio figlio che compie undici anni. Se vuoi ci sarà tutta la famiglia e tu e tua moglie potrete ambientarvi con il nostro mondo." Propose “E poi ci saranno i miei nipoti, che più o meno hanno tutte le età.” Dudley accettò.

Due mesi dopo
Dudley aveva aspettato due mesi per rivedere il cugino. Nel frattempo i poteri di suo figlio erano diventati sempre di più e ora Jo faceva cose che lui mai avrebbe immaginato. Raggiunse il culmine quando bucò la porta di casa con una biglia facendo incuriosire i vicini. La mamma l'aveva sgridato, ma più tardi Dudley gli aveva raccontato le esplosioni di magia di Harry, per farlo sentire meno diverso.
Alle due meno un quarto di quel martedì pomeriggio, la famigliola era pronta a partire per dirigersi a casa Potter. Dudley aveva spiegato che tutti gli invitati erano maghi e streghe e di non stupirsi delle stranezze, soprattutto da parte dei più grandi – che potevano usare la magia. Arrivarono con cinque minuti di anticipo alla festa e Dudley bussò alla porta. Si sentì un ululato di gioia da parte di un bambino e qualcuno corse ad aprire. Sulla faccia del piccolo si dipinse la delusione: evidentemente si aspettava qualcun altro. "Ciao, sei tu che compi gli anni?" chiese Julia, vedendo che il bambino non si muoveva. "S-sì. Voi dovete essere i Dursley, giusto?" chiese. Vernon annuì. Era contento di conoscere tutte quelle persone. Il bambino si fece da parte. "Albus, tesoro. Chi era?" chiese una voce femminile. La donna cui apparteneva entrò poco dopo nell'ingresso. Aveva dei lunghi capelli rossi, le lentiggini e gli occhi di un marrone chiaro, nocciola. "Oh, salve. Voi siete i parenti di Harry, vero?" chiese dirigendo la bacchetta dei libri caduti che si riposizionarono all’istante nel loro scaffale. Vernon osservò rapito. "Sì. Siamo noi. Io sono Dudley Dursley, lei è mia moglie Julia e loro sono i miei figli, Vernon e Jonathan." rispose Dudley, mentre moglie e figli si guardavano intorno. "Beh, molto piacere! Io sono Ginny Potter. Avete già conosciuto mio figlio Albus." si presentò Ginny. "Albus Severus, mamma." "Sì, giusto. Come vuoi. Ti spiace chiamare tuo padre, Al?" chiese Ginny, mentre il figlio si fiondava su per le scale.
Harry scese poco dopo discutendo animamente con un altro dei suoi figli, al che Dudley si dovette chiedere quanti ne avesse. "No, James. Niente partite qui a casa." "Ma papà! Non mi alleno dalla fine dell'anno! Come farò a entrare in squadra?" Chiese il ragazzo, evidentemente preoccupato. "Non hai bisogno di allenarti per entrare. Vedrai che andrai benissimo. Io sono entrato la prima volta che ho volato." Ribatté Harry. "Ma tu sei entrato per un colpo di fortuna, e con un anno di anticipo, per di più!" esclamò James, decisamente contrariato. Entrarono in salotto, dove i Dursley si erano seduti sul divano, e la discussione finì. "Oh! Ciao Dudley! Tu devi essere Julia, io sono Harry Potter. Molto piacere." si presentò Harry. "Io sono James Sirius Potter." fece a sua volta il figlio, usando, come Albus, il suo nome completo. "Dovete proprio essere orgogliosi del vostro nome per usarlo per intero!" esclamo la signora Dursley stringendo la mano del ragazzo. "Allora, quale dei tuoi figli è un mago, cugino?" chiese Harry osservando i bambini. "Jo, il più piccolo." spiegò Dudley indicandolo. "Wow! Ma quanti anni ha?" Chiese la figlia di Harry entrando. "Lily! Non si saluta?" la sgridò la madre entrando con un piatto di pasticcio fumante da riporre in tavola. "Oh, scusa. Piacere, io sono Lily Luna" si presentò la piccola. "Nessun disturbo, Ginny. Jo ha tre anni e quattro mesi." Rispose Julia. "Beh, è davvero piccolo per aver già mostrato i suoi poteri." Commentò Harry pensieroso “Potrebbe indicare un’anomalia, nel peggiore dei casi una malattia. Ma non sono io il guaritore in famiglia.” Qualcuno bussò. "Sono gli zii Ron e Hermione." informò James guardando dalla finestra. "Hugooooooo!" gridò Lily fiondandosi ad aprire. "Oh, oh. Non vorrei essere nei panni del povero Hugo adesso!" esclamò James guardando ancora fuori dalla finestra.
"Allora, avete una grande famiglia?" chiese Dudley cercando di non pensare all’ultimo commento del cugino. "Oh, sì! Ginny ha—vediamo—" rispose Harry. "Cinque, tesoro.” Gli venne in aiuto la moglie “Già, cinque fratelli.” Annuì l’uomo mentre una famiglia entrava chiacchierando nella stanza curiosamente più grande di come Dudley se la ricordava. "Buon pomeriggio" si presentò Dudley, una volta che i nuovi ospiti si accomodarono "Sono Dudley Dursley." I due che Dudley inquadrò come Ron e Hermione, i migliori amici di suo cugino, sgranarono gli occhi e guardarono Harry in cerca di spiegazioni. "Dudley ha appena scoperto che suo figlio è un mago e ho deciso di invitarlo per parlare un po' e spiegargli come funziona il mondo magico. E vorrei farti qualche domanda, Hermione: il bambino ha tre anni." Disse lui, accendendo un interesse fin troppo vivido nell’amica.
In poco tempo arrivarono tutti i parenti, difficili da ricordare per un qualunque esterno alla famiglia. L'ultimo ad arrivare fu un ragazzo magrolino dai capelli arancione chiaro, che apparve nel mezzo del salotto e venne subito assalito da un branco di cuginetti. "Che bella famiglia! Siete davvero tanti!" commentò Julia. Vernon faceva il timido, ma dopo un po' uno dei cugini francesi lo invitò a giocare con lui e i suoi cugini in giardino. Il povero Hugo, rapito meschinamente da Lily, non si vide fino al momento della torta raccontando che lui e la cugina avevano organizzato la Sfida: una tradizione annuale che si teneva l'ultima festa in famiglia prima dell'inizio della scuola.
"Lily, perché non invitate il piccolo Jo a giocare con voi?" chiese Ginny a un certo punto, osservando la fetta sproporzionata sul piatto della figlia. Lily annuì felice e prese per mano il bimbo per portarlo in sala giochi, il regno dei ragazzi. "Ehm—Vic, sarei più tranquilla se andassi a controllare. Fred e Roxanne sono tremendi e non vorrei che—" "Ci penso io, zia! Penso che Vic e Teddy abbiano qualcosa da fare..." si offrì la sorella di Victoire mentre lei le faceva la linguaccia e si sedeva sulle ginocchia di Teddy. Dominique aveva un anno più di James ed era decisamente più responsabile di lui.
in sala giochi la situazione era simile a quella di una gabbia di scimmie: e il tetto di vetro verde non migliorava la situazione.
Vernon stava giocando a lupo con Fred, Roxanne, Louis e James. I cinque creavano molto scompiglio, uscendo e entrando dalla porta finestra. "Preso Vern!" gli gridò Louis toccandolo "Non per molto!" rispose lui inseguendo Fred e travolgendo Lucy, che si mise a strillare che erano dei casinisti idioti. "Calma, Lucyfera! Perché non vai a parlare di lavoro con i tuoi?" chiese James: sua cugina era noiosa quasi quanto i genitori. A quel punto Lucy si alzò e gli gridò: "Certo che ci vado, piuttosto che rimanere a far da baby-sitter a te!" e se ne andò infuriata. Giocarono tutto il pomeriggio finché Teddy non venne per avvertirli che la cena era in tavola: "Dai ragazzi! Basta con i giochi! Ma che—?" Hugo e Lucy gli si erano attaccati alle gambe e non si volevano staccare. Cercando di scrollarseli di dosso attraversò l'ingresso per entrare in sala da pranzo seguito da un'orda di cugini e cugine. "Vi prego, staccatemeli!" Disse sedendosi su una poltroncina e cercando di alzare le ditine dei due senza risultato. "Lily, Hugo. Vi prego, me lo lasciate solo per la cena? Poi è tutto vostro." promise Vic e i due bimbi si staccarono e corsero a tavola ridendo. La cena era davvero squisita. Julia era impressionata su come fosse buona e chiese diverse ricette a Ginny che spiegò aiutata da Hermione – “Non è molto difficile, ma a volte serve la magia.” – “Devo dirlo, Harry: la tua è una bella famiglia.” Esclamò Dudley. Harry sorrise: “Mi fa piacere, BigD. Sono sorpreso che tu ti sia trovato così bene, a dir la verità.” “Allora si può dire che per una volta sono io quello imprevedibile.” Risero entrambi, consapevoli di questa nuova amicizia.
Quando quasi tutti si stavano tirando indietro di fronte agli irrinunciabili piatti di Ginny, Lily saltò in piedi gridando: “SFIDAAAA!”, il tavolo venne sparecchiato velocemente e spostato di lato – o meglio: fatto levitare di lato – e Hugo finì in qualche modo al centro della stanza con una piccola scopa rosa in mano. Dietro di lui Lily sembrava un pirata che spingeva un prigioniero sulla passerella. “Allora—” Hugo alzò la scopa sopra la testa. “Quest’anno dovete stare il più possibile in sella alla scopa di Lily. Chi vince può fare un giro sul manico di scopa di James.” Al che James saltò in avanti e afferrò su sorella issandosela in spalla. “E tu puoi fare un giro a sacco di patate per tutta la casa.” Esclamò. “Vomito!” disse Lily.
Hugo continuò quando se ne furono andati, con i loro genitori alle calcagna. “E se vince Fred ha anche diritto ai compiti di Dominique per due mesi.” Hermione si alzò per protestare ma venne subito trattenuta da Ron.
Con la Sfida si concluse la festa e uno dopo l'altro, tutti gli invitati se ne andarono, Roxanne con lo sguardo assetato di sangue di suo cugino James che l’accompagnava: aveva vinto lei.
Alla fine rimasero solo i Dursley, ai quali Harry aveva chiesto gentilmente di rimanere per parlare. "Allora, che ve ne pare?" chiese dopo che anche la famiglia di Percy se ne fu andata. “Ci siamo tutti divertiti, Harry.” Disse Dudley. "Quindi, vi piace il nostro mondo?" chiese il cugino a Julia e ai bambini. “È stato stupendissimo! Grazie per averci invitato!" rispose Jo decisamente entusiasta. Vernon annuì vivacemente. "Ti va di venire per accompagnare Al a prendere il treno per la scuola?" chiese Harry al piccolo. "Posso venire anch'io?" chiese Vernon. "Assolutamente! Potete venire anche tutti. L'ho chiesto a Jo perché lui frequenterà Hogwarts tra qualche anno." Julia non ci aveva pensato: "Ma—ma quindi arriverà questa lettera? Arriverà anche a lui?" chiese "Certo. Arriva a tutti i maghi e le streghe Inglesi e Irlandesi." rispose Ginny dalla cucina.
"Bene, Harry. Meglio se andiamo. Grazie mille di tutto.” Disse Dudley guardando l’orologio. "Non c'è di che, Dudley. Tornate quando volete: ci farà piacere!" rispose Harry conducendoli attraverso l’ingresso. Prima di seguire il resto della famiglia alla macchina, Dudley si voltò per il momento della giornata che doveva affrontare suo malgrado. “Credo di doverti delle scuse, Harry.” Disse. “Da piccolo non credevo a tutto quello che dicevano i miei. Tu eri gentile e intelligente, e io ero—il contrario. Deve essere stato orribile per te, ma voglio che tu sappia che ho sempre voluto avere quello che avevi tu. Ma non ero abbastanza intelligente per capirlo.” Porse una mano al cugino e lui la strinse. “Grazie. Significa molto, Dud.” Si sorrisero per un istante. Poi Dudley sciolse la stretta e si allontanò, con un senso di leggerezza nel cuore. Ora era davvero tutto a posto.

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12-10-2017
Care persone che si apprestano a leggere quello che scrivo!
Mi sono divertita un sacco a revisionare questo capitolo dopo tre anni in cui non l'ho neanche riletto. Vorrei scusarmi con chi l'ha dovuto leggere nella sua squallida versione precedente e anche informare chi l'ha letto ora che è cambiato radicalmente (ovviamente non ho cambiato la linea di massima).

Vi spiego perché: nella prima stesura tutto era molto lasciato al caso e poco dettagliato per via della mia natura frettolosa; alcune cose erano sottintese, ma ovviamente solo io le potevo capire, quindi ho deciso di esplicitarle meglio. In oltre ho voluto lasciare alla riunione di Harry e Dudley un po' più spazio per accentuare la nuova amicizia che gli è completamente sconosciuta, e questo lo farò anche in futuro perchè mi sono accorta di aver trascurato un bel po' i ruoli di alcuni personaggi.
BENEEE!! Quindi, questo è tutto. Continuerò a revisionare i prossimi capitoli per i veterani. Alla prossima, TechnoCiek <3

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Capitolo 3
*** Otto anni dopo [REVISIONATO] ***


Otto anni dopo

"Mammaaaaa!" gridò l'undicenne dal pianerottolo su cui dava la sua camera. Era biondo, magro, slanciato e di carnagione chiara. Aveva gli occhi verdi, così diversi da quelli del resto della famiglia.
"Arrivo, tesoro! Solo un attimo!" rispose la madre dal piano di sotto. "Sbrigati!" Il ragazzo rientrò in camera. Era nervoso e parecchio in ansia. Si sdraiò sul letto guardando il comodino. Decise che non riusciva a resistere e afferrò la busta di pergamena. La fissò. La lettera era arrivata due settimane prima e lui ne era stato felice: finalmente anche lui ci andava, dopo che tutti i suoi cugini ci erano andati, dopo che perfino Lily ci aveva passato sei anni, lui ci andava. Andava finalmente a Hogwarts.
La porta si aprì e Julia Dursley entrò cercando di sembrare il più predisposta possibile nei confronti del figlio, che era decisamente insopportabile dall'arrivo della lettera. Lei capiva quanto fosse emozionato, ma era diventato così nervoso, che perfino suo fratello - con il quale aveva ottimi rapporti - si teneva alla larga quando c'era in ballo la preparazione del baule, il controllo dei libri e le varie prove per verificare che la divisa fosse perfetta per il fisico del ragazzo.
"Allora, Jo. Cosa vuoi?" "Volevo chiederti se siamo stati invitati alla festa di Al." rispose Jo fissando ancora la busta. "Sì, tesoro. Lo zio Harry mi ha scritto questa mattina. Sarà domani sera." la madre squadrò il figlio che ancora non la guardava. "Non potevi scendere tu invece di farmi salire di corsa?" il ragazzo scosse la testa "Non posso andare alla festa di Albus." Quest'affermazione lasciò la madre a bocca aperta. Non era da Jo rifiutarsi di vedere i suoi cugini. "Ma— tesoro! Perché? È successo qualcosa?" chiese mentre il figlio si sedeva e frugava nel baule, solo per fare qualcosa. "Niente. Ma se vuoi ci vado. Non c'è problema." continuò Jo. Qualcosa decisamente non andava. "Jo, io non voglio obbligarti a venire alla festa. Mi puoi solo dire cosa è successo?" Jo alzò le spalle e uscì dalla porta con l’intenzione di andare da qualche parte che non fosse la sua camera da letto. Julia lo rincorse e lo fermò prima che iniziasse a scendere le scale; suo figlio era molto in ansia, era vero, ma il fatto che non volesse vedere i cugini era del tutto nuovo. “Non è successo niente, davvero. Sono solo un po’ nervoso con tutta questa questione della partenza.” Disse il ragazzo. Julia gli appoggiò una mano sulla spalla. “Solo per un giorno, dimentica la partenza. Pensa a tutto come se dopodomani non dovessi andare ad Hogwarts.” “La fai facile tu. Non sei mai dovuta andarci—” sua made si abbassò per guardarlo in viso: “Andrà benissimo.” E lo abbracciò.

Vernon era lì, davanti alla porta che fronteggiava la sua camera, come un pollo, da mezz'ora. Era lì e si sentiva stupido. Ma non trovava il coraggio di bussare. Anche avendo cinque anni più di Jo, aveva paura che nel suo nervosismo avrebbe manifestato i suoi poteri su di lui. Era cresciuto, negli ultimi otto anni. Era cresciuto molto. Ora aveva i capelli castani, come la madre, e lunghi. Gli arrivavano alle spalle. Come il fratello era magro, ma decisamente più basso. Eppure ormai era un uomo. Un uomo maturo, vaccinato, come diceva sempre suo padre quando lo presentava ad amici e parenti. Tuttavia in quel periodo, se la faceva sotto anche solo pensando di dover bussare alla porta del fratello.
Quindi se ne stava lì da mezz'ora, come un pollo, cercando di decidersi. Alla fine chiuse gli occhi, alzo il pugno e bussò. Nessuna risposta. Vernon si sentì enormemente sollevato: Jo non era in camera, e probabilmente neanche in casa. Avrebbe aspettato il suo ritorno per parlargli. Si voltò pensando di chiamare un suo amico e uscire, tirando fuori il suo IPhone13.
"Avanti." disse la voce di Jo oltre la porta. Vernon si voltò rassegnato ed entrò. "Pensavo te ne fossi andato." gli disse il fratello, ancora sdraiato sul letto, questa volta a fissare il soffitto bianco. "Infatti, stavo per farlo." rispose Vernon con un sospiro angosciato. "Non so che fare, Vern. Da quando è arrivata quella lettera continuo a tormentarmi. Non so in che Casa verrò smistato e ho paura di non essere all’altezza di nessuna." Vernon rimase un po' spiazzato. Cosa ne sapeva lui, di Smistamenti e cappelli parlanti? “Non credo di essere la persona migliore per discutere su questo.” Osservò. “Beh, sì invece: sei l’unico sotto i trent’anni oltre a me, sei cresciuto nel mondo magico e quindi in questa casa sei l’unico con cui io possa discutere su questo.” Il ragionamento non faceva una piega, quindi Vernon si costrinse a sedersi sulla sedia della scrivania. “Bene, allora. Non mi sembra di avere scelta.” “No, in effetti.” Rimasero in silenzio per qualche minuto. “Uhm… come si fa? Tu mi dici cosa ti preoccupa e io ti dico che andrà tutto bene?” chiese allora Vern. Jo scosse la testa: “C’è niente nella tua esperienza personale che possa aiutarmi a superare questo drammatico momento della mia vita?” chiese. Vernon ci pensò su un momento. Cosa c’era che davvero avrebbe potuto aiutare Jo? Niente come Hogwarts si era mai presentato al suo orizzonte, quindi poteva solo scegliere qualcosa di valenza inferiore. “A tredici anni, quando ho cominciato il liceo, ero terrorizzato.” Cominciò, risvegliando l’attenzione del fratello. “Pensavo che sarei sicuramente finito nella classe peggiore oppure in quella migliore, e quindi in entrambi i casi avrei sofferto per quattro anni1. Il primo giorno di scuola quando sono entrato in classe quello che è visto sono stati tutti quei ragazzini che si conoscevano appena e che erano spaventati quanto me. Allora mi sono seduto vicino a uno di loro, e piano piano abbiamo cominciato a parlare. Dopo quel giorno tutto è andato di bene in meglio.”
Finì di raccontare. Suo fratello lo fissava con occhi concentrati. “Non mi ricordo di te terrorizzato. Semplicemente non ti ho mai visto così.” “Oh, sì invece! Avevi otto anni, mi ricordo che avevi paura che potessi tirarti un mal rovescio se mi avessi parlato.” Il ragazzino annuì. “Quello lo ricordo. Ma di te terrorizzato non ricordo nulla.” Vernon lo guardò perplesso. Come era possibile che non si ricordasse delle sue notti insonni? “Non ti ricordi di quante volte ho fatto su e giù dalle scale la notte?” chiese. “La notte dormivo, evidentemente.” “Wow. Che sonno pesante che dovevi avere! Quelle scale cigolano peggio che l’inferno” Jo alzò le spalle.
“In ogni caso tutto questo ti dà un’idea di quanto potresti sentirti esattamente come gli altri undicenni?” chiese Vern. Jo annuì ancora pensieroso.

Il giorno dopo Jo era decisamente più rilassato del solito. Sembrava non aspettasse altro che vedere i suoi cugini e infatti quella sera - perché ormai le feste di compleanno si erano ridotte a semplici cene - salì in macchina tutto contento e tirato a lucido. Aveva pettinato i capelli, che era diverso tempo che andavano dove volevano, si era vestito con dei pantaloni neri di pelle finta, una giacchetta e una maglietta bianca con il simbolo dei Ballycastle Bats stampato sul petto. "Non potevi essere un po' più elegante?" chiese sua madre vedendolo arrivare vestito in quel modo. “È la moda, mamma. Se mi vestissi in modo diversi farei un piacere a James, e non voglio proprio che mi prenda in giro tutta la sera." Julia alzò gli occhi al cielo lanciando uno sguardo irritato alla felpa di Vernon – gentilmente regalatogli dallo zio George quando si era complimentato per il prodotto - con le lettere che continuavano a spostarsi formando ripetutamente le parole ‘MANGIAMORTE’ e ‘MANGIO TARME’.
"Allora, pronti a godersi la serata?" chiese Dudley, trattenendosi a fatica dall'aggiungere 'finalmente'. Quando tutti assentirono con entusiasmo avviò il motore.
Arrivarono in dieci minuti, come sempre. Bussarono, venne Albus ad aprire, con una faccia decisamente diversa rispetto alla prima volta che li aveva accolti, otto anni prima. Ora, ogni volta che Albus apriva la porta e vedeva i Dursley, esplodeva di gioia tirandoli dentro. Si accomodarono in salotto a parlare. "Ciao ragazzi.” Salutarono sia Jo che Vernon vedendo gli altri due Potter junior seduti nel salotto. Lo zio Harry entrò dalla cucina sentendo le voci "Giusto, i Dursley. Avrei dovuto immaginarmelo. Benarrivati.” Salutò mettendo giù uno straccio che nel frattempo tornò lindo. “Jo, allora, sei pronto per la scuola?" chiese al ragazzo. “Un po’ nervoso, ma nel complesso ce la posso fare.” “Ma certo che ce la farai! Se c’è riuscito Al a non morire il primo giorno di scuola—” commentò James. Il fratello gli tirò una gomitata. “Ero solo un po’ emozionato.” Brontolò. “A me più che altro sembravi nauseato, ma il tappeto della cucina sa la storia meglio di me.” Rispose James sempre più divertito. “In effetti qualche dettaglio lo ricordo anch’io. Soprattutto ricordo di non aver finito la colazione per via della puzza.” Commentò Jo cercando di dare man forte a James. “Sì, è molto divertente che tu e James andiate così d’accordo. Se non fosse che avete nove anni di differenza.” Osservò lo zio spiando fuori dalla finestra. “Ah! Ecco qualcuno che potrebbe interessarti, Jo.” Disse. In quell’istante suonò il campanello e Jo fu mandato ad aprire.
“Benvenuti nella nobile casa di Harry James Potter, eroe della secon—” cominciò atteggiandosi come un maggiordomo, ma l’ometto che lo strinse gli tolse il fiato e non riuscì a continuare. “Sam! Non respiro!” disse con voce stridula per via della mancanza di aria. Suo cugino gli si staccò riluttante dallo sterno. Aveva solo sette anni, ma era alto quasi quanto lui, i capelli rossi alla Weasley con sfumature blu di qua e di là – sicuramente un’accortezza d’occasione. “Vedo che non hai ancora imparato ad apprezzare le mie manifestazioni di affetto.” Brontolò intrecciando le braccia al petto.
“Ciao Vic, ciao Teddy.” Salutò Jo con la mano. “Lo zio Ron ti farà nero.” Osservò Victoire indicando la sua maglietta. “Saluto io per tutti e due, Jo.” Teddy entrò nell’ingresso e appese la giacca di pelle nera all’attacca panni. Anche lui aveva dato ai suoi capelli delle belle sfumature complementari.
Teddy e Victoire si erano sposati qualche mese dopo l’ingresso dei Dursley in famiglia, e Sam era una delle ragioni: da quanto era riuscito a capire, il giorno dopo aver scoperto che Victoire era incinta, Teddy si era presentato con un anello e la sua proposta, alla quale lei aveva risposto sì.
“Sala giochi.” “Eh?” “Sala giochi, ora.” Ripeté Sam. “Subito, piccolo dittatore.” Rispose Jo facendo il saluto militare. “Sam, guai a te se diventi un misto di Lily e Lucy!” lo sgridò sua madre con occhi diabolici. Sam sospirò: “Ovviamente, mamma.” Teddy costrinse Victoire a entrare nel salotto, così che Sam potesse trascinare Jo in sala giochi.
Arrivati lì rimasero sulla soglia per decidere il divano sul quale avrebbero dovuto sedersi. Rispetto a otto anni la sala giochi era decisamente cambiata. Il soffitto non era più di vetro verde, ma di legno chiaro, che dava alla stanza un aspetto più grande di quello che già era. Al centro del pavimento in piastrelle c’era un tappeto circolare con tanti piccoli personaggi che volavano su manici di scopa lungo tutto il perimetro, a volte scontrandosi tra di loro. Gli scivoli di plastica e la casetta in legno di Lily – teoricamente da giardino – erano stati sostituiti da cinque divani in pelle: uno era nero, gli altri portavano i simboli e i colori delle quattro case di Hogwarts. Dei tavolini erano disposti agli angoli e sulle pareti erano appese le foto incorniciate di ogni membro della famiglia, a formare un enorme albero genealogico. Quando aveva chiesto il perché di quell’abominio a suo zio Harry, lui aveva risposto a Jo che era una vecchia usanza della famiglia Black e che l’aveva attuata in memoria del suo padrino Sirius. Un enorme libreria – apprezzata sia da Albus che da Rose – era appoggiata al muro dell’entrata.
Decisero di sedersi a uno dei tavolini adornati con candele che non si consumavano mai e Sam estrasse un foglio scritto alla bell’e meglio. “Queste sono alcune idee.” Disse porgendolo a Jo. “Sfida 2023” lesse Jo. E aprì la bocca ricordandosi all’improvviso della lettera che Sam gli aveva inviato una settimana prima ricordandogli del ‘grande impegno’ - come lo aveva definito lui - che gli era affidato quell’anno. “Te n’eri dimenticato! Lo sapevo!” esclamò indignato il cugino. “Sono un po’ scombussolato in questi giorni, Sam, e tu lo sai. Come pretendevi che mi ricordassi della Sfida?” Sospirò l’altro mettendo giù il foglio “Esponi le tue idee, prego.”

La cena di zia Ginny fu ovviamente deliziosa. Le pietanze preferite di Albus furono servite in dose sostanziosa e Jo si ritrovò a ringraziare il cielo che non avesse i gusti orribili di Lily perchè la festa di quest’ultima era stata molto meno soddisfacente, in fatto di cibo. Dopo la gigantesca torta di lamponi e la meringata tutti si trasferirono sui comodi divani del salotto o della sala giochi a digerire felicemente mentre le stoviglie sporche volteggiarono allegramente fino alla lavastoviglie o a impilarsi sul tavolo della cucina. Sam lasciò a tutti addirittura ventidue secondi per accomodarsi prima di saltare su una sedia e gridare: “SFIDAA!” secondo la tradizione. Jo non aveva ancora capito come, ma a quel segnale la famiglia diventava un unico corpo: tutti si alzavano, qualcuno faceva levitare il tavolo lungo il muro e automaticamente lo zio George - l’unico autorizzato a conoscere la Sfida in anticipo in caso di aiuto magico - faceva apparire tutto il necessario al centro della stanza. Sam doveva aver urlato abbastanza forte, perchè tutti i ragazzi che erano in sala giochi arrivarono di corsa e si disposero in riga dietro al lungo tavolo comparso in quel momento.
“Molto bene.” cominciò Sam con voce autoritaria mentre Jo si assicurava che ci fossero abbastanza sedie “La Sfida di quest’anno è—” Lo zio George diede un colpo di bacchetta e da una delle credenze di zia Ginny uscirono quattordici piatti pieni di hot dog fumanti. “Una gara a chi mangia di più!” finirono insieme Jo, Sam e James – quest’ultimo affascinato. “Ci sono trentacinque hot dog in ogni piatto, una volta cominciata la gara bisogna finirla, quindi chi non ha più spazio nello stomaco si tiri indietro adesso, o potrebbe rimanerci per giorni.” spiegò Jo gonfiando il petto come un presentatore televisivo. Lucy fece girare gli occhi e corse a sedersi. Anche Victoire sembrava indecisa e quando andò a sedersi ricino a sua madre ricevette un’occhiataccia da Sam.
“Bene” disse quest’ultimo “Prendete posto, prego. Il primo a finire vince una riserva per un mese di dolci TiriVispi Weasley.” Tutti si sedette veloci come schegge. “Pronti, partenza, via!”

La serata era finita nel complesso bene: James aveva vinto la Sfida e l’aveva rinfacciato a Roxanne e Fred finchè non se n’erano andati – tanto loro potevano avere tutti i dolci che volevano, ma James non pareva capirlo – e come sempre i Dursley erano rimasti gli ultimi, insieme alla famiglia Lupin. Teddy chiacchierata allegramente con Dudley, mentre Vernon discuteva di qualcosa di apparentemente serio con Harry. Jo era seduto ad osservare divertito Sam che discuteva con sua madre per la questione della Sfida, quando Julia si sedette vicino a lui. “Stai bene?” chiese passandoci una mano dietro alle spalle. “Molto meglio, se è questo che intendi.” “Sono contenta che ti sia rilassato un po’, cominciavo a preoccuparmi.” Jo si appoggiò alla spalla della madre sentendosi stanco. Era come se lo stress dei giorni precedenti gli avesse lasciato addosso un peso che solo una bella dormita gli avrebbe rimosso. “Già, anch’io.” rispose, e continuò a osservare la scena del salotto.

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1In Inghilterra il liceo dura solo quattro anni, il quinto è facoltativo.
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14-10-2017
Buonasssera!! Bene, ho finito di revisionare anche questo capitolo, e devo dire che più che altro ho dovuto riscriverlo. Mi spiace taanto averlo fatto, ma era decisamente illeggibile (sequenze troppo lunghe, concetti sottintesi e incapibili...). Vi faccio qui sotto la lista di quello che ho cambiato radicalmente:

  1. Ho pensato che prima sembrava che Julia si lavasse le mani dei problemi di suo figlio, quindi ho deciso di renderla più materna.
  2. Ho voluto enfatizzare la differenza di età tra Jo e Vernon, perchè hanno sempre e comunque cinque anni di differenza, ma non credo di esserci riuscita appieno ~ consigli per favore.
  3. Ho cambiato il nome del figlio di Victoire e Teddy (da Sammy a Sam, per chi leggera i capitoli più avanti) perchè Sammy sembra più un diminutivo che un nome vero e proprio.
  4. Questo cambiamento non incide per niente sull'andatura della storia, ma mi sono divertita ad attuarlo. Ho pensato che dopo otto anni la sala giochi non potesse più essere piena di giochi, che in ogni caso James, Albus e Lily sono cresciuti e che quella stanza è 'cresciuta' con loro. Quindi l'ho resa più simile a una Sala Comune di Hogwarts.
​Questi sono più o meno i punti che hanno dato un volto diverso al capitolo, e spero apprezzerete ~ se non è così commentate ~ quindi buona giornata a tutti.
TechnoCiek

 

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Capitolo 4
*** Hogwarts: che fifa ***


Cari ragazzi! Non è da me fare preamboli, ma volevo informarvi che dal prossimo capitolo, farò grandi salti di tempo durante il primo anno di Jo. Inoltre volevo ringraziare tutti quelli che seguono questa storia. Grazie a tutti e buona lettura!

Hogwarts: che fifa

1 Settembre 2023
Caro diario, sono io, Jo, e ti scrivo da uno scompartimento vuoto verso la coda dell'Espresso per Hogwarts. Eh, già! Oggi è il gran giorno! Ma prima che tu tiri un sospiro di sollievo dopo le tre settimane infernali che ti ho fatto passare, ti racconterò quello che è successo 'stamattina.
Mi sono svegliato alle 6, e non credevo possibile di sentirmi così sveglio, visto che ieri mi sono gettato sul letto completamente vestito, verso l'una. Nell'attesa ho letto per l'ennesima volta il libro che mi ha regalato zio Ron per il mio compleanno: 
Nicholas Flamel: i segreti dell'Alchimia. So che i miei zii si sono cimentati nella più pericolosa delle avventure a soli undici anni, ma non posso fare a meno di sussultare ogni volta che leggo l'ultimo capitolo: Come venne salvata e poi distrutta la Pietra Filosofale.
Comunque, verso le otto ho finito di leggere e, siccome dovevamo andare alla Tana per partecipare finalmente alla colazione che viene offerta tutti i primi di settembre, sono andato a svegliare i miei genitori e Vernon, che per il nervoso ho fatto rincorrere dal suo cuscino. Siamo usciti e siamo andati a casa Potter per prendere la Metropolvere. Giuro che non lo farò MAI-PIÙ! Preferisco farmi mezz'ora in macchina che dieci secondi all'intern0 di polvere e fumo. Ti consiglio di non farlo mai, anche se non puoi.
Una volta arrivati alla Tana, e dopo esserci spolverati, abbiamo mangiato la buonissima cucina che Molly Weasley si ostina a cucinare ogni colazione, pranzo e cena. Mia nonna è proprio un asso, in cucina! Mi sono quasi ingozzato, se non fosse che Al mi ha dato delle forti botte sulla schiena facendomi rigurgitare tutto. Dopo la colazione e un rapido turbinio all'interno di fiamme verdi, abbiamo raggiunto la stazione in circa quindici minuti. Erano le undici meno venti, e mia zia Ginny sembrava parecchio in ansia, mentre Lily alzava gli occhi al cielo ogni volta che ci diceva di sbrigarci.
Abbiamo incontrato Hugo, Lucy e Molly sul binario. Quando quasi tutti i Weasley e i Potter andavano ancora a scuola, ci si riuniva tutti in un unico scompartimento, ma la differenza di casa (Lily e Hugo sono Grifondoro, Lucy è Tassorosso e Molly è Corvonero) e di età ha spinto noi quattro a dividerci e io, che non conosco nessuno a parte i Scorpius Malfoy, che ha l'età di Albus, mi sono trovato uno scompartimento solitario.
Ora chiudo perché sento dei passi in corridoio. Ci vediamo,
Jo
 
Jo chiuse il diario e lo ripose accuratamente nello zaino. Qualcuno si avvicinò allo scompartimento e aprì la porta. "Si può?" chiese un ragazzo alto e muscoloso. Era biondo e aveva gli occhi verdi. Jo annuì e il ragazzo si accomodò di fronte a lui. "Piacere, Leòn Zabini." si presentò lo sconosciuto tendendo la mano. "Sono Jo Dursley." salutò a sua volta Jo afferrandola. "Dursley? Il parente dei Potter?" "Più o meno. Ma come mi conosci? Non ho una famiglia magica, io." il ragazzo ghignò. "Hai idea di tutti i Potter e i Weasley che sono passati da Hogwarts? Mio fratello è un grande amico di Scorpius Malfoy, che tu di sicuro hai conosciuto, essendo lui un Grifondoro." Jo annuì e chiese: "Quanti anni hai?" Leòn alzo gli occhi al cielo: "Me lo chiedono tutti. Ho undici anni." rispose. Jo lo guardò sgranando gli occhi. Se si giudicava la sua stazza, la sua altezza e i muscoli, si sarebbe detto un perfetto quattordicenne. "Anche tu, vero?" chiese Leòn. Jo annuì. "Sono il penultimo della mia famiglia, per ora, che affronterà lo Smistamento." Leòn sorrise. "E dove pensi di finire?" chiese. Jo alzò le spalle. "Io non sono coraggioso, ne particolarmente intelligente. Ne furbo ne altro. Credo che opterò per Tassorosso, la Casa dei falliti. E tu?" chiese guardandolo negli occhi che notò essere leggermente più scuri dei suoi. "Se non andassi a Serpeverde, mio padre mi spellerebbe vivo. E io penso di essere portato solo per quella Casa." spiegò. "E perché dovrebbe spellarti vivo?" chiese. "Anche se non ha nulla contro le altre Case, credo che lo deluderei parecchio se non fossi una serpe come lui." Jo annuì.
Passò un viaggio incredibilmente lungo a chiacchierare con Leòn. Di Quidditch, di lezioni, di colazioni, pranzi e cene (che avevano sentito essere più che deliziosi). Jo insegnò al suo nuovo amico diversi incantesimi che aveva imparato prima di andare a scuola. Per lui erano semplicissimi, ma Leòn proprio non capiva come fare. "Amico, sei un Corvonero nato!" gli aveva detto quando glieli aveva mostrati. Jo aveva sorriso, e aveva risposto che lui era pronipote di James e Lily Potter e che quindi era logico che gli fosse usato così bene. Jo non era tipo da appropriarsi i meriti, anche se erano suoi.
"Jo! Jo, muoviti, o farai tardi!" Jo aprì gli occhi e fisso il volto magro di Leòn. "Il treno si è appena fermato e, se non vuoi tornare a Londra ti conviene scendere." gli disse. Jo si alzò di scatto, quasi inciampando nella veste che aveva indossato quasi tre ore prima. Prese il baule dalla rastrelliera e lo trascinò nella fredda aria della stazione di Hogsmeade. Lo appoggiò accanto a una montagna di bagagli e animali per poi avviarsi verso la grande ombra di Rubeus Hagrid che gridava a squarcia gola: "Primo anno! Primo anno qui!" si avvicinò a Leòn che si era già messo in fila e aspettò che Hagrid li scortasse fino al molo del Lago Nero. Cosa che accadde pochi minuti dopo. Si avvicinò ad Hagrid e lo salutò. "Hey, Jo! Felice di vedere che sei ancora tutto intero, dopo la colazione alla Tana!" fece quello in risposta attirando l'attenzione dei diversi primini che si guardavano intorno preoccupati. Jo rise e tornò accanto a Leòn, che gli chiese a cosa 'quel gigante' si riferiva. Jo gli spiegò della tradizione di famiglia e gli disse che Hagrid si chiamava Hagrid e non 'quel gigante’. Arrivarono al piccolo molo in cinque minuti. Jo si era aspettato molto di più. "Bene, solo quattro persone per barca, non di più, non di meno!" esclamò Hagrid e tutti si strinsero nelle barchette. Qualcuno si lamentò, dicendo che non aveva voglia di remare, ma non dovettero farlo, perché le barche si mossero verso la sponda opposta magicamente. Jo e Leòn conobbero due ragazze dagli occhi argentati: Mila Belle e Claire Feliz. Le ragazze non erano sorelle, ma lo sembravano davvero: avevano entrambe lunghi e profumati capelli biondi, un naso piccolo e lineare, delle labbra sottili e sorridenti. E poi, come già accennato, c'era il particolare degli occhi argento. Jo era ammirato dalla bellezza di entrambe, ma capì subito quanto fossero diverse: Claire era più sorridente, rideva di più; Mila era decisamente più seria e ribelle.
Arrivarono alle porte d'ingresso della scuola attraverso un porto sotterraneo. Entrarono nella sala più grande che Jo avesse mai visto: era alta almeno quanto la torre Eiffel di Parigi. I ragazzi rimasero a fissare sbalorditi il soffitto, mentre un uomo sulla mezza età avanzava sorridente verso di loro. "Grazie, Hagrid. Ci penso io, ora. Ti spiace raggiungere il tavolo degli insegnati?" chiese gentilmente e Hagrid obbedì salutando con un goffo: "Sera professor Bones.".
"Molto bene, ragazzi! Per favore, datemi ascolto. Io sono il professor Marcus Bones e sono il professore di Trasfigurazione. Vi prego di mettervi in fila per due e seguirmi." Loro eseguirono e lui li guidò in una stanza gigantesca, con quattro lunghi tavoli posizionati alla loro destra e il tavolo degli insegnati a sinistra. I ragazzi fissarono sbalorditi il soffitto di questa stanza. Oltre le loro teste videro il cielo blu, stellato. Jo sapeva che era solo una magia - come gli aveva detto zia Hermione -, ma ne restò comunque impressionato. Si posizionarono con il viso agli altri studenti. Il professor Bones posizionò uno sgabello in mezzo al corridoio centrale dei tavoli e su di esso appoggiò un vecchio cappello ringrinzito: il Cappello Parlante. Tutti attesero fissandolo e dopo qualche minuto, uno strappo del cappello si scucì e quello cominciò a parlare:

 
Se esteticamente non attiro nessuno,
non ho mai commesso sbaglio alcuno.
Ciò che non sapete è che io tempo fa,
ero simbolo di grande lealtà.
I quattro maghi forti e potenti,
che collaborando eran contenti,
decisero invece di dividersi il ruolo
per insegnare a tutti costoro.
L'idea fu del gran Grifondoro,
che di coraggiosi formava un gran coro!
Poi a Serpeverde sceglier toccò
e i puri di sangue egli approvò!
E subito dopo la dolce Corvonero,
che delle menti fece un mastiero!
E infine la timida Tassorosso,
prese chiunque non si volesse far sotto!
E quando poi loro, deboli e anziani,
mi affidarono ciò cui tenevan di più,
io con orgoglio la tradizione avanti ho portato
e la loro scuola ho preservato!
Guerra e pace ho visto alternarsi,
ma non è di queste che voglio narrarvi.
Quest'anno tra noi, qualcuno è speciale
e per dimostrarlo, delle prove dovrà affrontare.
Di più non vi dico, vi lascio a sperare
che questa persona sia giusta e leale.
Ma io di chiacchiere ne ho dette abbastanza,
e or dividiamo questa mescolanza!
 
Il Cappello smise di parlare e tutti applaudirono. Quando tutti gli applausi si fermarono, il professor Bones disse: "Ora vi chiamerò per nome e voi vi metterete in testa il Cappello Parlante per essere Smistati." Cominciò a chiamare e quando chiamò: "Belle Mila!" Mila si avvicinò impettita e dopo qualche secondo il Cappello gridò: "SERPEVERDE!" e la ragazza si sedette al tavolo che aveva appena esultato. La D arrivò in un soffio e appena Jo sentì chiamare "Dursley Jonathan!" si avvicinò allo sgabello con le gambe molli. Il Cappello gli venne appoggiato sulla testa e oscurò del tutto la sala. "Dursley... Dursley... mai sentito! Però, la tua mente è simile a un'altra... a quella di Harry Potter. È possibile?" chiese una vocina all'orecchio. 'Sono il pronipote dei suoi genitori.' pensò Jo "Ah! Sì, una mente complicata anche quella." continuò la vocina. "Allora, dove sei più adatto?" chiese. "Vedo un grande ingegno, non c'è che dire... ma davvero poca voglia di stare con la testa sui libri. Sei timido, ma non un fifone. Sei anche bravo a scamparle quasi tutte, sì. Molto furbo, ragazzo. Allora, se sei d’accordo diventerai un... SERPEVERDE!" esclamò il Cappello lasciando i suoi cugini di stucco. Jo si tolse il Cappello e corse verso il tavolo ai confini della sala. Ora sì che era sconvolto.

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Capitolo 5
*** Il dono di Jo ***


Il dono di Jo

Leòn scosse la testa. "Non ci riesco!" disse fissando l'amico. "Andiamo, è così facile! La pronuncia è Wingàrdium Levìosa e serve a sollevare gli oggetti. Dai, prova." rispose Jo cominciando a perdere la pazienza. Era in Sala Comune con Leòn, anche lui di Serpeverde, ed erano ormai ore che cercava di fargli capire l'incantesimo di levitazione.
"Provalo tu, prima! Vediamo se questa lingua lunga può anche far applicare il suo proprietario!" esclamò Leòn esasperato. Jo si alzò senza replicare e pronunciò l'incantesimo. La matita di Leòn si alzò in volo per ricadere sulla testa del suo proprietario. "Ahi! La pianti di tirarmi addosso la matita ogni volta che ti chiedo di provare?" chiese quello chinandosi per raccoglierla. Jo si risedette. "Ciao ragazzi, cosa fate?" chiese la voce di Mila alle sue spalle. "Ciao Mila." salutarono i due ragazzi in coro. "Sto cercando di far entrare in questa testa di legno l'incantesimo levitante." rispose Jo, guardando maligno il suo migliore amico. "Uff, ora ci provo, OK? Wingardium Leviosa!" disse, ma la sua matita non si mosse di un millimetro. Mila ridacchiò, imitata da Jo. "Sì, ridete! Intanto a voi esce in modo perfetto!" "Non ridiamo per questo. Hai visto come impugni la bacchetta?" chiese Mila. Leòn arrossì. "è che non riesco a capire come fare." sussurrò. "Dai, ora ti aiuto io."
Mentre Jo li guardava con un ghigno sul voto, osservava la strana reazione di Leòn. Non guardava la bacchetta, ma lanciava sguardi attenti agli occhi della ragazza. Jo conosceva fin troppo bene quello sguardo: durante l'ultimo mese l'aveva guardata così molto spesso. Pensò che forse sarebbero stati bene insieme, ma Mila non se ne sarebbe mai accorta, impegnata com'era a sbavare dietro ad Al Norton. Lui era il più bello del loro anno, ma anche il fratello del terribile Jake Norton.
"Allora, se avete tutto sotto controllo, io vado a cercare Claire." disse. I due annuirono, una concentrata sulla bacchetta, e l'altro sul viso di lei. Molto probabilmente non l'avevano neanche sentito, ma lui si alzò ugualmente e uscì dalla segreta. Andò subito verso la biblioteca. Claire adorava studiare lì, visto che la Sala Comune di Corvonero era decisamente affollata dopo le lezioni. "Ciao Clary." la salutò sedendosi al solito tavolino, al centro della biblioteca. "Per chi è?" chiese indicando il tema dall'aria complessa che la ragazza stava svolgendo. "Rüf. Quel fantasma è qui da secoli e non cambia mai gusti!" Jo sorrise. "Te lo faccio io, se vuoi. Ho già finito, tanto." Claire lo guardò con ammirazione e gli passò il compito. Lui o finì entro dieci minuti. "Ecco fatto. Ho aggiunto delle informazioni in più se vuoi approfondire." disse porgendolo alla sua proprietaria. "Grazie, sei il migliore!" esclamò lei fissando il foglio, incantata. E gli si gettò al collo, per poi staccarsi imbarazzata. "Io... scusa Jo... mi ha preso l'euforia..." ma lui la zittì con un sorriso. Era rosso in viso, e lei se ne accorse. "Devo andare." disse a un tratto, rompendo il silenzio che era sceso tra loro.
Quando se ne andò, Jo sentì una fitta insolita che non riuscì a spiegarsi. Decise di farsi una passeggiata nel parco e uscì alla luce del timido sole degli ultimi giorni di settembre. Camminava lento, osservando l'erba gelata sotto i suoi piedi. Si sentiva confuso. 'Sei un idiota, perché non le hai chiesto di restare?' chiese una vocina nella sua testa. 'Sei arrossito, ecco perché se n'è andata!' Jo non capiva. Come aveva fatto, quello stupido abbraccio, a confonderlo tanto? Si sedette e rifletté. Lui era un Serpeverde. S-E-R-P-E-V-E-R-D-E! Non poteva permettersi certe perdite di tempo. Si destò sbalordito. Era arrivato a quel punto? I pregiudizi stavano avendo la meglio? Ricordò le parole che sua zia Fleur gli aveva rivolto una volta: 'Segui il tuo cuore, lui sa dov'è giusto portarti.' Aveva ragione. Non poteva permettere alla sua mente di interferire con il suo cuore.
"Dursley! Cosa ti porta qui senza un mantello?" chiese una voce. "Norton." sussurrò Jo prima di voltarsi. "Non capisco come il Cappello abbia potuto mandarti qui. Sei solo uno sporco Mezzosangue..." "E tu uno sporco suino. Fai un favore a tutti: vattene, tanto non passerai mai comunque gli esami del primo anno."  Norton alzò la bacchetta, ma Jo lo precedette: "Impedimenta!" il ragazzo rimase bloccato con una faccia ebetamente sbalordita. I suoi amici cominciarono a guardarsi preoccupati. Quando Jake si sbloccò - dopo circa un minuto - Jo non aveva mosso un passo. Era deciso a dargli una bella punizione, per il bene di tutti, e sapeva esattamente come fare. Aveva solo bisogno del momento giusto. "Co-come hai fatto?" chiese il ragazzo sbalordito. "L'ho trovato su un libro, l'ho provato e mi è riuscito." Norton lo guardò sbalordito. Parve riprendersi e continuò a schernirlo. "Sai, se tuo padre non fosse un lurido Babbano, direi quasi che siamo simili." Jo non rispose. In realtà non ebbe la minima reazione. "Dì a tua madre che le faccio i miei complimenti per aver creato qualcosa di accettabilmente meno Babbano di lei." Gli amici di Norton risero, ma Jo continuò a fissarlo, questa volta sorridendo malignamente. "Sorridi perchè sai di appartenere a una porca famiglia, o per la tua scadentissima magia?" chiese ancora Jake. Questa volta qualcosa successe. Il ragazzo vide le pupille del piccolo Serpeverde dilatarsi fino a diventare completamente scure e uno sbalzo lo spinse indietro di dieci metri, facendolo cadere schiena a terra. Come se non bastasse, qualcosa che non poteva vedere lo afferrò per la caviglia e lo sollevò in aria facendolo ondeggiare a destra e a sinistra, per poi appoggiarlo delicatamente al suolo. Le pupille di Jo tornarono della grandezza originale. "JO DURSLEY! TU SEI IN UN MARE DI GUAI!" Jo guardò oltre la folla che accerchiava Norton e vide con orrore la professoressa McGranitt, seguita da un paio degli amici di Jake che probabilmente l'avevano chiamata. Seguì la preside dentro il castello, con lo sguardo basso, sapendo di essere osservato con curiosità dagli altri studenti. Era tutto finito. Meno di un mese, ed era tutto finito. Sarebbe stato espulso, lo sapeva. Non voleva fare del male a Norton. Non l'aveva lasciato andare, quando penzolava a mezz'aria, lo aveva riappoggiato piano per non rompergli l'osso del collo. Tuttavia sapeva che lo shock che gli aveva procurato sarebbe stato difficile da estinguere.
Arrivarono nello studio della preside. "Siediti." disse quest'ultima. "Dove lo hai imparato?" chiese. Lui alzò lo sguardo. Aveva un tono... compassionale? "Io... lo faccio da qualche anno." rispose lui. "Se posso chiedere, cosa è successo?" chiese una voce calma alle spalle della McGranitt. "Il ragazzo è un Corpuscontroller, Albus." rispose lei al quadro di Albus Silente. "Strano... come ti chiami?" chiese lui rivolto a Jo: "Jo Dursley." rispose lui. "Ah! Ora si spiega." esclamò Silente. "Allora, secondo il nostro regolamento, fare levitare qualcuno a 30 metri d'altezza in qualsiasi modo, è vietato. Vorrei discuterne con te. Cosa è successo esattamente?" chiese la preside. Il ragazzo cominciò a raccontare: delle offese, della spinta e di Jake appeso a testa in giù per la caviglia. "E non gli hai fatto niente?" chiese Silente sorridente. Jo scosse la testa. "Nobile... come molti della sua famiglia..." commentò allora l'ex preside. "Il fatto è che io volevo solo spaventarlo, ma non vorrei avergli lasciato troppo shock." rispose il ragazzo desolato. "Lo shock è facile da sistemare con la magia. Madama Chips darà man forte." disse la McGranitt, decisamente sollevata. "OK. È come sospettavo. Tu sei il nipote della nostra salvezza e sei stato educato a dovere. Vai pure." decise poi indicando la porta. Jo non ci poteva credere: non era stato espulso. Corse a perdi fiato per tre piani di seguito, ignorando di nuovo gli sguardi dei compagni. Si fermò al terzo piano. Appena riprese fiato e si rese conto di dove si trovava, il suo sguardo cadde sul pavimento. Si avvicinò con curiosità alla famosa botola del terzo piano e l'aprì. Infilò la testa: dentro era tutto buio. A un certo punto sentì dei passi e un ringhio. "Allora, amico mio, lo hai trovato?" chiese una voce. Un altro ringhio. "Bravo. Bravo." Jo s'impaurì. Estrasse la testa dal buco e richiuse la botola senza far rumore. Si allontanò in punta di piedi. Svoltato l'angolo corse a più non posso. Rifece i tre piani che aveva appena percorso, e tornò alla Sala Comune.

"E ti ha lasciato andare?" Chiese Leòn. Jo annuì. Erano riuniti in biblioteca, per permettergli di non essere osservato. "Strano. Cosa ti ha detto, come scusa?" "Che sono il nipote della nostra salvezza e che quindi sono stato educato a dovere." rispose Jo. "Tutte scuse, amico. La verità è che sei il suo pupillo." ghignò l'altro prendendolo in giro. "Ovviamente no! Mio padre conosce molto bene la McGranitt: non è tipa da preferenze!" protestò Claire. "Dì quello che vuoi, Clary, ma per me testa di legno ha ragione. Lo ha salvato perchè è stato educato a dovere? Ma che scusa è?" esclamò Mila. "Oh, non dico che quello sia il motivo. Potrebbe essercene un altro. Potrebbe volerlo..." s'interruppe. Gli altri la guardarono interrogativi. "Potrebbe volerlo proteggere." concluse in un sussurro spaventato. "Proteggere? E da che?" chiese Jo. "Aspettate qui!" disse. Gli altri si guardarono mentre correva tra gli scaffali più vicini facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi. "Ecco!" esclamò aprendo un volume rilegato che pareva appartenere a quel secolo. "Ecco!" ripeté indicando una pagina. "Si può sapere di cosa stai parlando?" chiese Leòn. "Ve lo leggo: 'La A.L.CC. (Associazione Letale Corpuscontroller) è stata fondata all'inizio del ventunesimo secolo, per eliminare i Mangiamorte ancora in circolazione all'epoca. Solo in seguito - dopo la morte del suo fondatore originale- è diventata un'associazione di reclutazione di Corpuscontroller che li addestra a diventare armi contro la società. I Corpuscontroller sono, al giorno d'oggi, quasi estinti, ma questa micidiale associazione è sopravvissuta ed è ancora a caccia di giovani armi. Tuttavia, recenti indagini hanno rivelato il completo sterminio di tutti i Cavalieri Misteriosi, ad eccezione di uno, che si dice sia ancora a caccia di Corpuscontroller per riorganizzare il suo impero. È inoltre sulle tracce delle due principesse magiche che una volta erano figlie del re di Svezia.' Capite?" chiese dopo aver guardato i suoi amici. "Cos'è un Cavaliere Misterioso?" "Sono chiamati così perchè le azioni di sterminio dei Mangiamorte erano un completo mistero ed è stato vietato di pubblicare i fatti. Ma avete capito? Se questo Cavaliere Misterioso scopre che un Corpuscontroller si trova ad Hogwarts, cercherà di catturarlo e di addestrarlo." Jo si sentì mancare. "Ragazzi, c'è ancora una cosa che dovete sapere." disse. "Stavo venendo qui quando la McGranitt mi ha congedato e mi sono fermato al terzo piano." Raccontò tutta la storia: i passi, il ringhio, la voce. Alla fine tutti lo guardavano sbalorditi. "Devi avvertire la preside!" esclamò Mila. "No. Ricordate quando è stata aperta la Camera dei Segreti? Hanno minacciato di chiudere la scuola. E l'anno del ritorno di Voldemort? Hanno messo in dubbio la saggezza di Silente! Io non denuncerò niente finché non avremo prove certe!" esclamò Jo contrariato. "Ma... se le prove certe non arrivassero fino a..." cominciò Claire. "Io mi pentirò. Ma morirò, piuttosto che unirmi a un'associazione criminale!" Claire lo guardò. "Jo, tutti Corpuscontroller sono più potenti di un normale mago. Ma tu sei alle prime armi, e se quello è veramente il Cavaliere, non esiterà a torturarti per convincerti." "Io resisterò. Dimentichi il sangue che mi scorre nelle vene? Io resisterò." E detto questo, si alzò e si avviò verso l'uscita.

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Capitolo 6
*** Il segreto del Cavaliere ***


Il segreto del Cavaliere

La settimana passò. Jo e gli altri cercarono per tutta la biblioteca un libro riguardante il Cavaliere Misterioso o la A.L.CC. Il venerdì sera si trovarono tutti attorno a un apparato tavolino, nascosto alla vista della terribile Madama Pince. Molti pensavano che la vecchia bibliotecaria sarebbe stata sepolta nella biblioteca, un giorno.
"Allora... ho cercato in Pericolose Sette del Ventunesimo SecoloOperazione Sterminio Mangiamorte - che cita i Cavalieri, ma non ne parla -, Corpuscontroller in Posizione di Difesa e Estremisti Pericolosi. Niente. Non si dice niente sulla A.L.CC.! Sembra proprio che sia Top Secret." Esclamò Claire abbandonandosi contro lo schienale della sedia. "Allora io credo di avere qualcosa da fare, se non è un problema..." Leòn tentò di alzarsi, ma Mila lo tirò a sedere tirandolo per la manica. Il ragazzo sbuffò. "Abbiamo controllato ogni libro! Non c'è traccia del Cavaliere. Perchè non posso riposarmi?" "Un maniaco potrebbe girare per la scuola e tu vuoi riposare?" chiese Claire. Leòn alzò gli occhi al cielo. Come la facevano tragica, a volte, le ragazze! "Comunque non abbiamo guardato in tutta la biblioteca: manca la sezione proibita." continuò Mila. Poi guardò Jo, per vedere cosa ne pensava. Il ragazzo stava appoggiato allo schienale della sua sedia, con la testa all'indietro, la bocca aperta e addormentato, ma senza emettere nessun suono. Lei gli diede un calcio alla gamba e lui si destò di colpo. "Eh? Che vuoi Mila?" chiese massaggiandosi la gamba, mentre la guardava male. "Ho appena proposto di tentare nella sezione proibita." con suo stupore, il ragazzo annuì. "Non che io creda che sia una buona idea, ma farei di tutto pur di terminare questo strazio." spiegò Jo. "Come faremo?" chiese. "Guarderemo il catalogo dei libri in quella zona e poi tu chiederai il permesso a Vitious. Quello là ti adora." spegò Mila. Flem Vitious era un uomo più basso di tutti loro. Tuttavia non quanto il padre, che aveva sposato una pertica di due metri. "OK. Io vado al bagno. Voi cercate qualcosa." rispose, anche se voleva semplicemente vedere la luce del sole, cosa rara da quando portavano avanti le ricerche. Si alzò e andò verso il bagno. A metà strada cambiò idea e si diresse verso la Sala Comune di Grifondoro. "Salve, Signora Grassa! Cerco Hugo Weasley e Lily Potter. Potrebbe chiamarli?" chiese gentilmente, sapendo quanto quello stupido quadro la adorasse. Lei acconsentì, e poco dopo Hugo e Lily uscirono dal buco che introduceva alla loro Sala Comune. "Hey, ragazzi! Ci facciamo un giro?" chiese. "Hey, Serpino!" risposero in coro i due. Lui li guardò storto. "è un soprannome che ha inventato zio George. Scusaci." disse Lily. Jo sorrise. "Ditegli che d'ora in poi lo chiamerò Georgiuccio!" esclamò ridendo.
Si incamminarono verso il cortile, nonostante facesse troppo freddo per uscire senza mantello. "Quindi, come va? è una settimana che non ci si vede!" gli disse Hugo dandogli una pacca sulla spalla. "Andiamo avanti bene. Niente votacci: sono il primo del mio anno!" esclamò suo cugino entusiasta. "Incredibile. Ma lo sapevo, io." commentò Lily. "Veramente i votacci non li prendo solo nella pratica. I temi meritano quasi sempre solo una O..." "E lmentati! Io è già tanto se prendo un Accettabile!" esclamò Hugo. "Però ho preso T in un tema di Trasfigurazione." disse Jo, quasi a dimostrare quanto fosse pessimo. "Lo so. Tutti prendono voti così bassi, da quando la McGranitt non insegna più. Bones ha dei criteri decisamente stretti." disse l'altro con aria critica. "Parlando d'altro: ci devi raccontare qualcosa, Jonathan?" chiese Lily. Jo sapeva che quando lo chiamava con il suo nome di battesimo era impossibile ribatter. "Non saprei. Avrei da raccontarvi molte cose: i miei amici, la mia Casa, i miei compiti. Ce ne sono di cose che non sapete!" disse lui per evitare l'argomento. "Parliamo dei tuoi... nemici." disse Lily seria. "Non ne ho, mi spiace." disse lui, intenzionato a schivare il più possibile l'argomento delle chiacchiere di Hogwarts da una settimana. "Non più. Jo, dicci quello che è davvero successo." replicò Lily bloccandolo e obbligandolo a guardarla. Jo scosse la testa deciso e infastidito. "Quello che è successo sono affari miei." disse. "E perchè i tuoi affari sono sulla bocca di tutti?" chiese Lily di rimando. "Perchè la gente è pettegola." ribattè lui, mentre Hugo li guardava passando gli occhi dall'uno all'altra come se stesse guardando una partita di tennis. "Beh, anche tu lo sei. Molly mi ha detto che Claire Feliz - che è tua amica, non negarlo - passa la giornata in biblioteca e sono sicura che c'entra il fatto che tu sia un Corpuscontroller." disse lei. "Claire passa la giornata in biblioteca perchè non riesce a studiare in Sala Comune." lei lo guardò storto. Non aveva prove che i suoi amici sapessero cos'era successo. "Ti tengo d'occhio, Dursley." sussurrò minacciosa prima di correre di nuovo dentro. "Donne, cugino. Non capiranno mai che noi dobbiamo avere le nostre libertà." disse Hugo fissando il punto dove sua cugina era ferma poco prima, dispiaciuto. "Dimmi la verità, i tuoi amici ne sanno qualcosa?" Jo annuì. Poi si ricordò che lui doveva essere uscito per andare in bagno. "Ora devo andare. Ti prego, non dirlo a Lily." e corse via.
Entrò nella biblioteca e corse verso il tavolino dove i suoi amici lo aspettavano. "Finalmente! Cosa hai fatto in bagno? Hai tirato fuori Canon dalla tazza?" chiese Leòn, decisamente infuriato. Lui non era uscito, nella mezz'ora che Jo aveva trascorso in compagnia dei suoi cugini. "Siediti! Abbiamo trovato il volume giusto." disse Claire, anche lei arrabbiata. "La storia del Cavaliere Misterioso. Mi sembra buono." disse Jo. "Lo è! Ora devi solo chiedere a Vitious il permesso." Jo la guardò atterrito: "Perchè devo farlo io?" chiese, immaginando la faccia del professore al solo pronunciare del Cavaliere. "Primo: sei il primo della classe di Incantesimi. Secondo: ti sei preso una bella pausa e non ci hai aiutato." Jo si rassegnò. Prese un foglio per il permesso dal banco della bibliotecaria e corse in sala professori. "Ehm... professor Vitious?" chiese quando gli fu dato il permesso di entrare. "Vieni ragazzo! Cosa ti serve?" chiese il professore "Un permesso per la sezione proibita. Se non le spiace, ovviamente." Jo aveva scoperto una strana dote nell'ultimo mese: la capacità di ammaliare le persone. "Certo, Jo! Di che libro si tratta?" Jo gli porse il biglietto. Lui lo lesse e tornò serio. "Io... non credo che questo sia un testo adatto alla tua età." disse con voce tremante. "La prego, professore! Ne ho davvero bisogno. Non si può almeno saperne il rissunto?" chiese Jo con voce adulatoria. Vitious lo guardò e sospirò. "Penso che per la tua maturità vada bene. Ecco fatto." disse infine firmando la pergamena. Jo tornò in biblioteca contento. "Ecco qua!" disse. Poi andarono al banco di Madama Pince e Claire chiese: "Mi servirebbe questo libro, per piacere." La Pince lesse il biglietto, strabuzzò gli occhi e senza dire nulla entrò nella sezione  proibita per poi tornare con un pesante libro non molto vecchio. Glielo consegnò ancora muta e tornò alle sue carte. I ragazzi se ne andarono ridacchiando.
"Ricapitolando: il Cavaliere sopravvisse alla gran caccia degli auror del 2002 e nel 2013 ha cercato di rapire le figlie dell'ex re di Svezia, che avevano solo un anno ed erano notoriamente dotate di grandi qualità magiche. Poi è sparito nel nulla. Sappiamo acnhe che il suo destriero è un Bulldog gigante." disse Claire. Gli altri annuirono. Era decisamente il riassunto più estremo ma completo che fosse mai riuscita a mettere insieme. "Ma chi sono queste due ragazze? Secondo il libro hanno la nostra età." osservò Mila. Gli altri fecero spallucce. Decisero che Jo avrebbe tenuto il libro per scoprire cose extra, ma essenziali, per sapere tutto del Cavaliere.
Quella notte non riuscendo a dormire, il ragazzo prese il libro. Lesse la parte riguardante le principesse e scoprì cose che lo fecero pensare: le due ragazze erano state trasferite in Inghilterra, quindi molto probabilmente erano a Hogwarts. Pensò a chi potessero essere, chi potevano essere le due sorelle? Il suo pensiero arrivò subito su... ma no. Non poteva essere. Aveva anche scoperto che le due principesse possedevano il potere di possedere le persone: potevano comandarle, fino anche a portarle alla pazzia. E tutto questo senza usufruire di una bacchetta.
Chiuse il libro e cercò di addormentarsi. Non riuscendoci, si alzò e, assicurandosi di non fare rumore per non svegliare Leòn, uscì dalla camera. S'incamminò per i corridoi di soppiatto. Nonostante il vecchio Gazza e la sua micia fossero in pensione, i Caposcuola e i Prefetti pattugliavano la scuola a turno tutta la notte. Ad un certo punto (circa a metà del secondo piano) sentì delle voci provenire da un'aula. Si accostò alla porta e ascoltò: "...è venuto da me oggi. Mi ha chiesto il permesso per La  storia del cavaliere Misterioso." Jo s'immobilizzò: stavano parlando di lui. "A quest'ora lui e i suoi amici avranno già scoperto delle principesse!" esclamò ancora Vitious. "Perchè non glielo hai rifiutato?" chiese la voce della professoressa McGranitt. "Non ce n'era il motivo!" si sentirono dei passi fare avanti e indietro per la stanza. "Pensi che potrebbero averlo intutito? Chi sono le principesse, intendo." "Non so, Flem. Tuttavia, suggerirei di tenerli tutti e tre più controllati possibile: ho visto uno di quei Bulldog aggirarsi, di recente, nella Foresta Proibita." rispose la McGranitt. "Soprattutto Belle e Feliz: vanno tenute al sicuro."

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Capitolo 7
*** Giorni infernali ***


Giorni infernali

Era passato mezzo mese da quando Jo aveva ascoltato la conversazione tra Vitious e la McGranitt, e lui aveva avuto il coraggio di dirlo solo a Leòn. L’amico aveva promesso (anche per sua volontà) di non dire niente alle ragazze. Dal canto loro, le ragazze avevano notato che i due Serpeverde le guardavano con meno passione. È vero: i loro movimenti e le loro chiacchiere non erano cambiati, ma le due ragazze si erano accorte che i loro sorrisi e la loro voglia di fare era triste, quasi imbarazzata. Ognuna delle due, però, vedeva questi sintomi solo in uno dei due amici. Ossia, ognuna credeva che solo uno avesse qualcosa che non andava. Una sera si trovarono da sole in biblioteca. I ragazzi avevano usato la scusa dei compiti, ed erano riusciti a dileguarsi.
“Hai notato come si comporta Leòn in questi giorni? Non è strano?” chiese Mila all’amica. “Ma non è Jo che sembra diverso?” chiese l’altra. Si guardarono per qualche secondo. “Stai dicendo che anche Jo è più triste da quando abbiamo preso il libro?” chiese Mila. Claire parve riflettere. “Non ci avevo pensato. Sono due settimane, in effetti, che si comporta così. Anche Leòn?” Mila annuì. “Secondo te sanno qualcosa?” chiese. “Sì. Ma perché non ce l’hanno detto?” chiese la Corvonero. “Non lo so. Però forse so come scoprire cosa stanno tramando.” “Come?” “Ci servirà un Mantello dell’Invisibilità.” rispose Mila.
Cinque minuti dopo erano pronte: Claire aveva incantato il suo mantello perché la rendesse invisibile, e Mila le aveva spiegato come seguirla senza fare rumore – era un genio del travestimento. Si incamminarono verso la Sala Comune di Serpeverde. Arrivarono davanti al muro di pietra dietro la quale si nascondeva e Mila pronunciò la parola d’ordine: “Boa Constrictor!” e il muro si smaltellò lentamente. Entrarono in una stanza bagnata da luce verdognola attraversante il Lago Nero. Le tende erano verdi anch’esse e i divani e le poltrone di pelle nera. Il camino, come in ogni Sala Comune, era spento, sostituito dal riscaldamento.
“Ehm… ciao Eddie, sai dove sono Jo e Leòn?” chiese Mila a un ragazzo magro e bello. “Sono nel dormitorio.” Rispose lui. Le ragazze si diressero verso il dormitorio maschile e salirono le scale. Giunte alla porta con una targa che diceva Primo anno, la aprirono silenziosamente. Dall’interno non arrivava alcun rumore, finché… “Lo credi davvero?” chiese la voce di Leòn. “Te l’ho detto: ne sono sicuro.” Disse Jo. “La prenderebbero male. Dobbiamo aspettare fino a quel momento.” “Lo so.”
Le ragazze dietro la porta trattennero il respiro. “E tu… tu credi che siano davvero loro?” chiese Leòn in un sussurro quasi impercettibile. Non sentirono la risposta. Jo aveva o annuito o scosso la testa. Ma chi erano loro? “Se sono le principesse, sono più in pericolo di te.” Sospirò spaventato Leòn. “Lo so.” Rispose l’altro. Le due ragazze ebbero un tuffo al cuore. Claire sussurrò di chiamarli per andare in biblioteca, mentre lei sarebbe tornata prima per non dare sospetti. Ne avrebbero parlato.
 
“Allora, che lista avete oggi?” chiese Jo, alludendo ai libri da controllare. “Principesse del ventunesimo secolo. L’unico della lista.” Rispose Claire. “Non esiste.” Disse Leòn, passando il dito sull’elenco dei libri della biblioteca. Ma poi notò che Jo guardava le ragazze sbalordito, e loro restituivano uno sguardo infuriato. “Perché non ce l’avete detto?” chiese Claire, quasi urlando. Vennero ripresi dalla Pince e Jo disse, tranquillo ma spaventato, che era meglio uscire e così fecero. “CI AVETE NASCOSTO TUTTO PER DUE SETTIMANE! DUE SETTIMANE!” gridò Mila, decisamente meno brava a trattenere la rabbia. Molti studenti si voltarono. “Calmati, Milly. Ti prego, ci guardano tutti.” Sussurrò Jo. Gli occhi della ragazza si fecero ancora più furiosi: “Non. Chiamarmi. Milly.” Sussurrò scandendo le parole, e Jo pensò che era meglio quando urlava. “Noi… volevamo proteggervi.” Disse Leòn. Le due lo fulminarono con lo sguardo. “Voglio sapere tutto quello che avete scoperto!” disse Claire. Alcuni studenti si voltarono di nuovo. “Non sono affari vostri!” disse rivolta a quelli che avevano un’espressione di domanda sul volto.
Andarono nel parco, ricoperti di sciarpe e mantelli e si misero sotto un calice piangente che li nascondeva agli occhi curiosi. “Allora?” chiesero le ragazze ostili. “Beh… il giorno in cui mi avete permesso di tenere il libro, non riuscivo a dormire. Quindi, dopo aver letto un paio di informazioni che mi hanno fatto pensare, mi sono alzato e mi sono fatto un giro. Al secondo piano mi hanno attirato delle voci: la McGranitt e Vitious stavano parlando del fatto che ho chiesto di prendere il libro. E… beh, in qualche modo ho capito che le principesse di Svezia siete voi.” Jo finì di raccontare e le ragazze sembrarono parecchio curiose. “Ma… vuoi dire che lo siamo… di sicuro?” chiese Mila. “Perché se è così vuol dire che siamo sorelle!” “No Mils: significa che siamo gemelle.” Mila e Claire si guardarono, in uno sguardo pieno di sorpresa e tenerezza. Avevano gli occhi lucidi. I ragazzi non lo capirono, ma stavano per scoppiare di gioia. Infatti, dopo qualche secondo si abbracciarono e Jo fece un cenno all’amico per lasciarle sole.
Le due sorelle si raccontarono tutto della loro vita: i primi denti persi, la prima volta che avevano dimostrato di essere magiche, quando avevano ricevuto la lettera da Hogwarts. Stettero tutta la sera a guardarsi e conoscersi meglio, per poi ricordarsi che dovevano andare a cena. Decisero di comune accordo di farla pagare ai due Serpeverde che gli avevano nascosto la cosa più importante della loro vita. Gli avrebbero tenuto il broncio tutta la settimana, da fargli passare delle giornate infernali.
Arrivarono a cena e si separarono, sempre guardandosi felici. Quelli che le notarono, cominciarono a chiedersi cosa fosse successo. Quando lo sguardo di Mila si posò sui due ragazzi che la guardavano con un sorriso incerto, il suo volto si fece arrabbiato e, sorpassati gli amici, si sedette a fianco di Eddie Morf, un ragazzo del secondo anno che le stava simpatico. Nascose un sorriso compiaciuto vedendo le espressioni deluse dei due.
“Ciao, Mila. Jo e Leòn sono laggiù.” Disse Eddie. “Lo so. Fai finta che ci stiamo divertendo un sacco.” Il ragazzo acconsentì e i due partirono con una conversazione interessante sulla Foresta Proibita.
Più in là Jo e Leòn consumavano in silenzio il loro pasto.
 
Il giorno dopo – con false presunzioni – Leòn scese in Sala Comune di buon ora per salutare Mila. “Ciao. Passata una buona nottata?” le chiese sedendosi su un divano affianco a lei. “Scusa, il posto è occupato. Lo tengo per Eddie.” Rispose lei, fingendosi scocciata. Lui si alzò e si avviò all’apertura nel muro e lei lo guardò compiaciuta: sarebbe stata una settimana infernale.
“Secondo te cosa stanno architettando?” chiese Leòn a Jo durante la colazione. “Ci stanno punendo. Sanno quanto ci peserà se ci tengono il muso per un po’.” “Già… e sanno quanto ci feriranno a passare i giorni con qualcun altro.” Disse il suo migliore amico vedendo Mila entrare in Sala Grande parlando con Eddie, mentre Jo guardava Claire arrivare con Al Norton e avviarsi insieme a lui al tavolo di Corvonero. Entrambi sospirarono, persi nei bei lineamenti di entrambe le ragazze. Jo pensò che forse, un pochino, sperava che lei lo guardasse, ma Claire andò spedita a sedersi al suo tavolo. Lo stesso fece Mila. I ragazzi decisero di recuperare la borsa e andare a lezione di Pozioni. Speravano che quello strazio sarebbe durato poco, ma quando Mila entrò nel sotterraneo, dovettero ricredersi. Sapevano che lei era compiaciuta e decisero di non dargliela vinta. Guardarono il professor Farkl fare il suo ingresso nell'aula, mentre, con la coda dell'occhio, videro Mila voltarsi e guardarli delusa. La vera domanda era quanto tutti e quattro avrebbero resistito ignorandosi. Era come una guerra silenziosa: se uno dei due schieramenti avesse ceduto, sarebbe stato distrutto.
Continuarono a ignorarsi tutta la lezione, anche perché concentrati sulla complicata Pozione Voce che dovevano preparare. In realtà non era così difficile, ma loro tre, che passavano un periodo complicato, facevano fatica a concentrarsi. Ma alla fine Jo riuscì a mettere insieme una pozione da almeno un Oltre Ogni Previsione. Nessuno se ne stupì: dopotutto era il primo della classe.
Uscirono al suono della campanella e si diressero verso l'aula d'Incantesimi. "Pensi che gli passerà?" chiese Jo, vedendo Claire nel gruppo dei Corvonero diretto a Erbologia. Leòn scosse la testa. "L'hai detto tu: è una punizione e funziona come tale. Basta ignorarle: vedrai che saranno loro a cedere." ma Jo non ne era convinto: sapeva che quando una donna ha in testa una cosa, la porta fino in fondo. Aveva diverse cugine a confermarlo. "Almeno ora non rischiano di farci la gobba stando chini sui libri!" esclamò Leòn. "Se questa è la cosa positiva, io preferivo prima." rispose l'amico guardando i Corvonero girare l'angolo.
Arrivarono in ritardo alla lezione d’Incantesimi e dovettero fare una dimostrazione davanti a tutta la classe sull’Incantesimo di Pulizia. Jo riuscì al secondo tentativo, a Leòn venne detto di studiare. Mila li guardava solo perché lo facevano tutti, ma anche dopo non riuscì a concentrarsi a dovere e mandò Jean Thomas in infermeria con il naso completamente sbiancato.
A Trasfigurazione Mila e Claire poterono finalmente confrontarsi sulla riuscita del loro piano. “Sembra che non gliene freghi niente.” Disse Claire. “Fingono. Vogliono farci credere che non abbia effetto, ma credimi: ce l’ha eccome.” “Però un po’ mi mancano…” disse Claire fissando i due ragazzi con occhi tristi. “Sì, ma loro cederanno prima.” “Come fai a esserne sicura?” chiese la Corvonero. “Noi sappiamo quanto durerà tutto questo. Per quanto ne sanno loro, invece, potrebbe durare in eterno.”
“Ci guardano?” “No, stanno parlando. Che devo fare?” “Non guardarle.” “OK.” Il professore si avvicinò e chiese di svolgere l’esercizio: trasformare un pezzetto di stoffa in una scheggia di vetro. “Trasfigurium!” pronunciò Jo, e il suo pezzetto divenne una solida scheggia trasparente. Ci provò anche Leòn e, con suo grande stupore, la sua stoffa divenne trasparente, pur rimanendo di tessuto. Il pomeriggio Mila non venne a lezione, cosa che fece sorridere i ragazzi. Sorrisero meno quando scoprirono che neanche Eddie era a lezione. La incontrarono quella sera in Sala Comune. “Dove sei stata?” chiese Leòn appena la vide. “Perché dovrei farne conto a te?” chiese lei acida. “Perché siamo amici.” Rispose lui. “Questo è tutto da vedere.” Disse lei, sentendo la furia del giorno prima rinnovarsi e crescere. “C’entra Morf?” chiese Leòn, ma lei era già scomparsa nel suo dormitorio. “Vorrei solo che ammettesse che le piace.” Si voltò, pensando che Jo fosse dietro di lui, ma non lo vide. Jo si era dileguato in silenzio.
 
“Claire! Claire! Devo parlarti.” Le urlò per farla voltare. “Io no. Lasciami stare!” ribatté la ragazza. “Ti prego! Ho bisogno di parlarti e tu di ascoltarmi.” Lei si voltò e lo guardò con occhi furenti. “Che vuoi?” chiese. “Voglio spiegarti cosa è successo.” Rispose lui. “So esattamente cosa è successo: ci avete nascosto la cosa più importante della nostra vita.” Disse lei sbrigativa. “No. Noi abbiamo cercato di proteggervi.” “Come? Nascondendoci tutto?” chiese lei. Non lo guardava, e quando non rispose lo guardò in faccia. Aveva gli occhi tristi e lucidi. “Scusa.” Sussurrò semplicemente, prima di voltarsi e correre via.
Claire affrettò il passo, non voleva arrivare tardi all’appuntamento con Mila. Si chiese il motivo di quelle lacrime: cosa era successo? “Ciao Mils. Come va?” chiese sedendosi nel loro angolino della biblioteca. “Hey.” Rispose sua sorella. “Che hai?” chiese Claire. “È il primo giorno di vendetta e sto male. Primo giorno!” esclamò Mila. “Sì, anch’io. Se vuoi possiamo finirla qui.” Le disse la Corvonero abbracciandola forte. Non voleva che nessuna delle due stesse male per vendicarsi di quei due. “Non c’entra. È che… Eddie mi ha chiesto di uscire.” Disse Mila. “Accetterai?” chiese Claire staccandosi. “Non so. Lui è carino, certo, ma… insomma… io sono un po’…” Claire annuì. Sapeva cosa intendeva dire: lei era ribelle. Non era fatta per i ragazzi, non ancora. “Dovresti dire di no, se non te la senti.” Continuò. “Ora, però, parliamo di quello che è successo oggi.”
 
Il giorno dopo, le sofferenze si alleviarono un poco. Entrambe le parti si stavano abituando a non passare la giornata senza gli altri. Quel pomeriggio, Mila decise di accettare l’invito di Eddie e passò una lezione tranquilla, senza notare i gelosi sguardi di Leòn, dall’altra parte della serra di Erbologia. “Vieni, facciamo un giro.” Propose Jo, cercando un modo per fargli scordare Mila e Eddie che si divertivano guardando le Mandragole urlare come pazze. S’incamminarono per il parco, bardati fin sopra il naso e oltre gli occhi. Parlavano a fatica e ben presto decisero di stare in silenzio. Ad un certo punto individuarono due ragazzi che camminavano tranquilli sulla riva del Lago Nero ghiacciato. Li riconobbero subito. Lei lo guardava con tenerezza e l’altro rispondeva con uno sguardo pieno di amore. Fu quando lui si voltò portandosela davanti che Leòn si voltò e corse verso il castello, lasciando Jo solo.
Quella sera Leòn passò il tempo in camera, con le tende del baldacchino verde chiuse attorno al letto. Jo entrò nella camera. “Buone notizie: Mila è infuriata.” Disse. “E perché questo dovrebbe rallegrarmi?” chiese Leòn. “È arrabbiata con Morf.” Leòn aprì la tenda. “Cosa?” “È arrabbiata perché ha provato a baciarla.” Rispose l’amico. Leòn lo guardò qualche secondo e poi si stese sul letto sospirando. Allora non e piaceva! Quanti problemi, si era fatto! “Meno male. Pensavo stessero insieme.” Jo scosse la testa e si gettò sul letto. Era davvero stanco. Non poteva essere peggio di così. Claire non gli parlava, Mila era arrabbiata e non aveva più amici e Leòn aveva il cuore stellato. Sperando in cuor suo che tutto ciò finisse presto, si addormentò ancora vestito.

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Capitolo 8
*** Avventure poco richieste ***


Cari amici, finalmente torno a scrivere! Questo piccolo preambolo serve ad informarvi che all'inizio di ogni capitolo, d'ora in poi, ci sarà un piccolo "estratto" del diario di uno dei protagonisti che riassumerà il capitolo precedente. Questo è tutto. sono lieta di augurarvi: BUONA LETTURA!!

Avventure poco richieste

17 Novembre 2023
Caro diario, questa settimana è stata proprio terribile! Ti racconterò tutto dall’inizio. Ricordi la conversazione che ho origliato involontariamente qualche settimana fa? Di quello che avevo sentito ho parlato solo a Lèon, ma in qualche modo Mila e Claire l’hanno scoperto (non chiedermi come). Fatto sta che si sono arrabbiate e hanno evitato di parlarci per tutta la settimana, e ancora non ci parlano! Poi qualcosa ha peggiorato le cose: Mila è uscita con Eddie Morf, cosa che ha mandato su tutte le furie Leòn, soprattutto perché sembrava che l’avesse baciata. Invece è uscito fuori che hanno litigato proprio per quest’ultimo motivo.
Io ho cercato di far ragionare Claire, ma figuriamoci se mi ascolta. Da una parte ha ragione: pensavo di poterle proteggere evitando di dire la verità, ma non c’è un perché. Non c’è un motivo vero e proprio se non gliel’ho detto. Però si vedeva lontano un miglio: quelle due sono proprio gemelle! Nell’aspetto soprattutto, perché in realtà hanno caratteri opposti.
Oh no, ecco che arriva Claire. Devo andare. Buona giornata,
Jo
 
Jo chiuse il minuscolo libro e lo ripose con cura nella borsa. Alzò la testa per guardare la ragazza avvicinarsi, guardarlo storto e oltrepassare il suo tavolino. Stranamente non andò così: Claire si avvicinò e si sedette di fronte a lui, guardandolo un poco imbarazzata. Il biondo la fissò interrogativo. “Ti devo parlare.” Disse lei. “Mi…mi devi…mi vuoi parlare?” chiese Jo incredulo scandendo l’ultima parola. “Sì, ti voglio parlare. Noi, io e Mila, abbiamo pensato che forse è passato abbastanza tempo per farvi stare male, quindi…” “FARCI STARE MALE??” urlò Jo. “Hey, anche i libri devono riposare, sai?” lo sgridò Madama Pince, il ragazzo si scusò e torno a fissare Claire incredulo. “Non guardarmi con quella faccia da pesce lesso, sapevi che era così.” Disse lei, scocciata. “Comunque, noi due abbiamo deciso di proporvi una visita assolutamente innocente sotto la botola del terzo piano.” “COSA??” questa volta la Pince liberò due libri Mostro dei Mostri che li inseguirono fuori dalla biblioteca finché i due ragazzi non li seminarono. “Voi due siete pazze. Brave, intelligenti, leali. Ma pazze!” Esclamò Jo due piani più sotto, riprendendo fiato. “Vogliamo solo saperne di più. Non capisco dove sia finita tutta la tua curiosità. Non sei stato tu a infilare la testa in quel buco nero? Con tutto quello che già sappiamo, non vuoi scoprire cosa c’è dopo…” “Dopo cosa?” la interruppe Jo, cominciando a capire la serietà dell’argomento. “Claire, qualunque cosa ci sia sotto quella botola, vuole solo ucciderci. Si tratta del Cavaliere!” Jo stava cominciando a temere per la sanità mentale dell’amica. Temeva anche che quello fosse tutto uno scherzo per farlo uscire di testa: se così fosse stato, stava funzionando benissimo. “Non ti scaldare. Lo so che sei spaventato, ma se dobbiamo combattere il Cavaliere bisogna capire come. Inoltre ti ricordo che per esteso è Cavaliere Misterioso, questo significa che ha tanti segreti.” Ribatté la ragazza, adesso determinata a non litigare. “Va bene. Cerchiamo di non litigare. Ne ho proprio abbastanza di quello.” Disse il Serpeverde cercando di calmarsi. “Prima di tutto non dobbiamo combatterlo noi. È compito degli Auror. Posso avvertire mio zio.” Claire scosse la testa. “Non puoi avvertire nessuno. Se quello che pensiamo è completamente errato, ci espelleranno. Abbiamo infranto troppe regole.” Aveva ragione: il suo ragionamento non faceva una piega. Solo un punto non andava a genio al ragazzo: “Ma non abbiamo infranto le regole! A meno che… non sia esattamente quello che intendi fare.” Disse. Claire si morse il labbro. “No. Mi rifiuto. Sgattaiolare fuori di notte, in una zona proibita, magari sotto un mantello dell’invisibilità? L’ho detto e lo ripeto: siete pazze.” Erano arrivati ai piedi della scala della sala d’ingresso. “Clarie… non fatelo. È per proteggervi, davvero, questa volta.” La supplicò usando il suo soprannome. Ma questo non smosse Claire, che rispose: “Se voi non venite, andremo da sole.” Si voltò e salì le scale senza voltarsi indietro.
Quella sera Jo non studiò. Stette seduto a fissare il fuoco oltre la poltrona che Leòn aveva lasciato libera per andare da qualche parte. Gli aveva detto dove, ma a malapena si era accorto della sua presenza. Il fuoco guizzava riflesso nei suoi occhi verdi e limpidi. E Mila dov’era? Probabilmente l’aveva salutato, oppure l’aveva solo guardato imbarazzata e con un’espressione di scusa sul volto. Ma che gliene fregava? Sia lei che Claire avevano deciso di andare a caccia della persona che le voleva morte. Quindi Jo stava dormendo. Anche se nessuno se ne rendeva conto: era molto bravo a fare in modo che i suoi occhi rimanessero aperti durante il sonno. Li stregava perché si chiudessero proprio nel momento in cui doveva svegliarsi. Non era certo fosse un incantesimo comune, ma bastava a svegliarlo e non era il caso di consultare il professor Vitious per accertarne la validità. In quel momento le palpebre di Jo si abbassarono e lui si alzò dalla poltrona stiracchiandosi. Era quasi mezzanotte: Leòn era di certo già a letto. Mila, invece, doveva essere quasi pronta per uscire dalla Sala Comune. ‘Sempre che sia questa notte’ pensò Jo. Il fuoco era ancora acceso: lo spense e spinse la poltrona sotto la finestra, dove la luce verde del lago era più forte. Stette seduto per quasi due ore, ma proprio quando decise che Mila non sarebbe venuta e stava spostando la poltrona, qualcosa si mosse. “Chi c’è?” chiese nel buio. “Kreacher pulisce. Kreacher pensava che gli altri elfi fossero un po’ stanchi.” Jo pensava di aver già sentito quel nome, se solo avesse ricordato dove… “Ehm… scusa. Io stavo andando a letto. Se tu devi pulire, ti lascio pure.” Accese la bacchetta per capire dove andare e sentì qualcosa sfiorargli le ginocchia. “Non andate, per favore. Voi siete ospite qui, potete rimanere qui sotto quanto volete. Kreacher pulisce comunque.” Jo vide il viso di un elfo molto vecchio, vestito con una divisina costituita da dei pantaloni che ricordavano una tuta da ginnastica e una felpa non da meno. Lo stemma sulla sinistra della felpa indicava l’appartenenza alle cucine di Hogwarts.
L’elfo lo guardava con occhi enormi, pieno d’interesse. “Ciao, mi chiamo Jo. Tu Kreacher, giusto?” chiese il ragazzo dopo un attimo di esitazione. “Salve, Jo. Kreacher si chiede perché vi trovate qui a quest’ora della notte.” Il ragazzo si ricordò improvvisamente di Mila. Nonostante non avesse visto nessuno, era possibile che fosse uscita con un mantello invisibile. “Beh, dovevo tener d’occhio qualcuno. Posso farti una domanda, Kreacher? Tu sai cosa c’è sotto la botola al terzo piano?” chiese Jo sperando che quello potesse aiutarlo. “No, a noi elfi è proibito accedervi. Dovrebbe essere sigillata con la ceralacca. Voi mi ricordate molto il mio padrone. Solo che lui ha i capelli neri.” Jo lo guardò confuso. “Come faccio a ricordarti qualcuno di capelli neri? Io sono biondissimo.” “Il mio padrone ha gli occhi verdi come i vostri.” Jo conosceva una sola persona con il suo stesso colore di occhi, ma in quel momento non ci pensò. “Ti prego, dammi del tu.” Disse invece. “Ma aspetta un attimo… tu non appartieni alla McGranitt?” chiese. “Kreacher è stato mandato a lavorare a Hogwarts dal suo padrone più di vent’anni fa. All’inizio non piaceva al suo padrone, e Kreacher lo odiava, ma poi il suo padrone ha fatto un regalo a Kreacher e lui è diventato fedele. Però continua a lavorare qui.” Jo ascoltò la storia e chiese: “Perché il tuo padrone non ti ha voluto con lui?” Kreacher sorrise: “Non fu possibile ai tempi della Guerra. Dopo, il suo padrone ha chiesto a Kreacher di lavorare qui per servire nel posto che considerava più importante al mondo. Kreacher ha accettato e ora lavora qui fiero!” Jo sorrise. “Beh, è una bella storia! Ora sono un po’ stanco. Ti spiace se vado a letto? È stato un piacere conoscerti.” “Anche per Kreacher è stato un piacere conoscerti, Jo. Buona notte, domani è già arrivato da due ore.” L’elfo lo accompagnò alle scale del dormitorio. “Buona notte, Kreacher.” Salutò Jo; si voltò e salì verso la porta di quelli del primo anno.
 
“OK. Quindi, Flamel è morto. E anche Raptor. Mentre Voldemort è in una specie di limbo tra la morte e la vita. E Potter è…” “Flamel non è morto. Ha abbastanza elisir per fare ancora un po’ di affari.” Mila stava spiegando a Leòn alcuni dei compiti di Storia della Magia, ma era quasi sicuro che sarebbe finita per farglieli lei. Leòn aveva accettato senza repliche gli avvenimenti dell’ultima settimana e aveva approfittato per farsi spiegare gli appunti presi da Jo. Dal canto suo, il Serpeverde se ne stava dormiente su una poltrona della Sala Comune. Quella mattina non era riuscito ad alzarsi e ancora dormiva. Per fortuna era sabato, se no si sarebbe sentito dietro le urlate di Claire. La sua fortuna era che non era uscito e che Claire non poteva entrare. “Quindi, Potter rimane invalido per tre giorni… cioè svenuto… e si fa un sacco di ammiratori?” fu la frase incerta di Leòn che fece venire un gran sorriso a Mila. “Esatto! Vedi, non è poi così difficile!” Leòn le sorrise e cercò di continuare la storia. “Quindi: durante il suo secondo anno… ehm Ginny Weasley? Sì, lei. Ginny Weasley, a undici anni, trova un diario che… aspetta. Credo risponda alle sue parole? Credo…” il monologo di Leòn non faceva altro che aiutare Jo a dormire sempre di più. Ed eccolo: camminava per il terzo piano. La botola era lì, in mezzo. La stava aprendo ma poi… “Jo, tu vieni a cena?” chiese Mila scuotendolo. “Eh? Come? Sì, certo. Mi servirebbe un po’ d’aria, in effetti…” Si alzò e vide Leòn studiare e leggere i suoi appunti. “Non dirmi che stai davvero studiando!” esclamò il ragazzo allargando gli occhi. “Beh: li scrivi per me. Dovrò usarli, prima o poi.” Aveva ragione: Jo aveva sentito così tante volte quelle storie che non aveva bisogno di studiarle. Tuttavia prendeva appunti per Leòn, che faceva fatica a seguire il professor Rüf durante le sue monotone lezioni. “Bene, direi di andare a cena, prima che rimangano solo i dolci.” Scesero nella Sala Grande. Quel rumore di passi e urla faceva soffrire le orecchie di Jo, abituate a un giorno di silenzio. “Bene, bene. Sembra che Claire si stia ritrovando con All Norton.” Ghignò Mila, sempre divertita dalla cotta della sorella. Jo fissò i due e sentì qualcosa stringergli i polmoni in una morsa. Chiedendosi il motivo di quel mancamento d’aria, seguì gli altri oltre la panca. “Wow! È tutto il giorno che non mangio qualcosa di decente!” esclamò sedendosi e servendosi subito di qualunque piatto fosse a portata di mano. “Allora, sei riuscito a studiare bene la storia di Harry Potter?” chiese per informarsi “Oh, sì! Non hai idea di come è stato bravo: ora sa tutto il primo capitolo di Storia della Seconda Guerra Magica: sviluppo ed estinzione, di Hermione Granger.” Disse Mila, guardando Leòn con ammirazione. Lei usava gli appunti di Jo e li memorizzava in fretta, ma in genere li studiava a memoria. “Avete parlato con Claire, oggi?” chiese Jo. Stare chiuso in un sotterraneo per un giorno intero lo spingeva a informarsi su quello che Leòn aveva definito quel pomeriggio come il mondo esterno. “Sì, in effetti. So cosa stai pensando, ma no: non abbiamo cambiato idea. Vogliamo ancora scendere nella…” “SHHHH!!” Jo l’aveva fermata appena in tempo: Mila stava per svelare a tutti che la botola del terzo piano conteneva, ancora una volta, un segreto. “Scusa. Comunque non abbiamo cambiato idea. Non sprecare tempo a stare sveglio tutta la notte.” Jo la guardò sbalordito. E lei come lo sapeva? “Lo so, Jo. Conosco tutti i tuoi incantesimi più efficaci e so benissimo che ieri pomeriggio eri addormentato. E poi oggi non hai fatto altro che dormire!” Mila era più intelligente di quanto Jo aveva previsto. Non avrebbe dovuto parlarle degli incantesimi che aveva imparato prima della scuola. “Va bene. Non lo farò più, ma promettetemi che non uscirete.” Jo era furbo quanto la sua Casa. Ma Mila lo era di più, perché era una ragazza (o almeno questo era il pensiero di Leòn). “Va bene.” Disse incrociando le dita dietro la schiena. “Ma piantala, mi credi stupido? Di questo passo non dormirò mai più!” disse Jo. No, non era affatto stupido e sapeva che Mila lo era anche meno, ma lui era più bravo. “OK. Se non vuoi dormire, accomodati. Ma questo non ci fermerà.” Jo deglutì, quella sera, pensando che non poteva proteggerle dalla loro volontà.

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Capitolo 9
*** Sotto la botola ***


Sotto la botola

2 Dicembre 2023
Caro diario, siamo pronti. ‘Stanotte scendiamo nella botola, e mi sento di aggiungere finalmente, visto che è quasi un mese che ci stiamo pensando. Per fortuna, nonostante il rifiuto iniziale, anche Jo e Leòn verranno con noi. So di aver detto che saremmo andate anche senza di loro, ma era solo una tattica per convincerli. E ha funzionato! Infatti una settimana più tardi, Jo mi ha comunicato di averci ripensato e di aver deciso che se non può impedirci di andare, verrà con noi. E ‘stanotte andiamo! Non vedo l’ora: abbiamo ordinato dei Mantelli Autoinvisbili da Tiri Vispi Weasley (anche questo ha rallentato la missione) e tracciato un percorso da seguire, visto che non potremo vederci. Oh, ecco Mila e Leòn. Quei due girano sempre insieme ultimamente! Ora devo andare. A più tardi,
Claire
 
Mila si sedette davanti a lei e Leòn al suo fianco. “Jo dov’è?” chiese Claire. “Si è fermato a parlare con Skai Thomas.” Rispose Leòn con un ghigno sul volto. “Vorrei sapere cosa ci vede in lei: è pazza quanto la madre.” “Ma per favore! Voleva solo parlarle e comunque non è pazza è… singolare.” Skai Thomas era la figlia di Luna Lovegood e Dean Thomas. Erano in molti a prenderla in giro per le sue strane idee, ma un gran numero di studenti la difendevano dopo l’eroismo dei genitori durante la Seconda Guerra Magica.
“Va bene, va bene. Definiscila come vuoi, ma per me resta pazza. Allora, sono arrivati i Mantelli?” chiese il ragazzo guardando la scatola sul tavolo. “Ma è vuota!” esclamò deluso aprendola. “No che non lo è. Hai dimenticato cosa abbiamo ordinato? Mantelli Invisibili: significa che non si vedono.” Disse Mila. “So cosa vuol dire! Solo che in genere Mantelli dell’Invisibilità si vedono se non indossati.” Ribatté Leòn irritato.
“Nessuno, che si sappia, ha mai inventato un mantello dall’invisibilità permanente (quindi che non evapora) che si possa vedere quando inutilizzato. L’unico potenzialmente esistente è uno dei Doni della Morte.” Spiegò Claire aprendo una cartina enorme di Hogwarts sul tavolo. Mila sbuffò. Non era una credulona e la storia dei Doni della Morte non l’aveva mai convinta. Molti ragazzi raccontavano diverse storie udite dai genitori, soprattutto su quella chiamata da tutti Bacchetta di Sambuco. Si diceva che fosse appartenuta al terribile Gellert Grindelwald prima della battaglia con Silente che determinò la fine del suo potere. A scuola non si studiava, ma diversi libri narravano la Seconda Guerra Magica raccontando la più veloce processione di possessori che la Bacchetta avesse mai avuto in pochi anni. Si diceva che da Silente fosse stata conquistata da Draco Malfoy, poi in seguito venne conquistata da Harry Potter e infine Potter decise di restituirla a Silente. Altri libri sostenevano che prima di Draco Malfoy la bacchetta fosse appartenuta a Severus Piton, ma visto che ne Malfoy ne Potter avevano testimoniato in riguardo non si sapeva con certezza come si fossero succeduti i proprietari della Stecca della Morte in quegli anni.
Di tutto questo Mila era a conoscenza per la passione di Leòn per le leggende e le avventure misteriose. In ogni caso non era incline a credere all’esistenza del Mantello Invisibile della Morte.
“Quindi, sai già i turni dei Prefetti?” chiese. “Veramente doveva procurarli Jo, se solo si sbrigasse ad arrivare.” Rispose la Corvonero scrutando il corridoio di scaffali dove si erano nascosti. “E come avrebbe dovuto fare a prenderli?” chiese Leòn. Sapeva quanto l’amico detestasse infrangere le regole. “Non lo so, gli ho detto solo di procurarseli.” Rispose Claire, con l’aria di non voler sapere veramente come Jo li avrebbe ottenuti.
“Parli del diavolo…” disse Mila guardando il magro biondino avvicinarsi con le mani in tasca e un sorriso da un orecchio all’altro. “Ciao.” Salutò Jo. “I turni?” chiese Claire porgendo la mano. “Come richiesto. Mi devi due galeoni, amico.” Aggiunse rivolto a Leòn. Il ragazzo sbuffò e consegnò il denaro. “Voi ragazzi siete tutti uguali. Scommettete anche sulle cose importanti.” Mila alzò gli occhi al cielo e scrutò il biglietto che Claire teneva in mano, tanto per avere qualcosa da fare. La sorella voleva che tutto fosse in ordine e malgrado avessero ripassato il piano un milione di volte ancora non rinunciava a incastrarli in quell’angolo di libri polverosi anche per l’intero pomeriggio.
“Perché mi guardi così, Jo? Sei inquietante.” Disse Leòn all’amico, che aveva la pelle del viso tirata in un sorriso esagerato. “Ho rimediato un appuntamento.” Il labbro inferiore di tutti e tre i suoi amici cadde a penzoloni staccandosi dal gemello. “Allora, pensi che quei turni possano essere utili?” chiese Jo a Claire come se non avesse notato la reazione. “Hai un appuntamento con Skai Thomas?” chiese Mila sbalordita, tuttavia facendo una linguaccia a sua sorella. Jo annuì ridendo. La bocca di Claire si spalancò ancora di più: Mila gliela chiuse divertita.
“Possiamo concentrarci sul piano e non sulla mia vita privata, per favore?” chiese Jo continuando a sorridere. “I turni: pensi che ci saranno di aiuto?” chiese di nuovo a Claire, che questa volta rispose: “Ve… vediamo. Già, quello che pensavo.” Rispose la Corvonero osservando la mappa “Dobbiamo evitare la scala a chiocciola del secondo piano: il professor Torrence, quello di Divinazione, è di turno fino alle 3 di notte. Non so proprio da dove passare.” “Che ne dici del passaggio dietro il quadro di Bianco?” propose Jo. Mila e Leòn li guardavano confabulare sbadigliando annoiati. Quando Jo e Claire finirono di sistemare il percorso si guardarono intorno e Jo ghignò: Leòn e Mila dormivano e quella era la sua occasione per fare uno scherzo al suo migliore amico. "Vado in Sala Grande un momento. Tu non svegliarli." Disse a Claire. La ragazza sapeva benissimo a cosa stava pensando e lo fermò impedirgli di uscire. "Andiamo, Clarie. Voglio solo fargli uno scherzetto, tu puoi capire." Claire scosse la testa. "Devono dormire tutti e due: stanotte c'è da fare!" Si oppose. "Allora fammi andare a dormire." Disse il ragazzo. Claire non ebbe più scuse e dovette farlo passare. Si rimise a studiare la mappa mentre Jo si avviava in teoria verso il dormitorio, in pratica verso il Lago Nero, sapendo benissimo di non poter mettere in atto il suo scherzo con Claire presente. ‘Sei uno stupido, Jonathan Michael Dursley.’ Si disse. ‘Sei uno stupido. Era ovvio che non ci sarebbero mai andate senza di te, idiota!’ credeva di saperlo da troppo tempo per non insultarsi che, naturalmente, quelle due ragazze furbe e intelligenti quanto le loro Case lo avrebbero minacciato in un qualche strano modo. A volte si chiedeva cosa aveva nel cervello. Fissò il Lago sentendo una forte paura crescere dentro di lui. Si sentiva combattuto: lasciar stare il piano o andare, infrangere molte regole e magari rischiare di… ‘No. Non devi neanche pensarci.’ Si disse scuotendo la testa. Cominciò a percorrere la sponda con le mani in tasca e i brividi di freddo. Pensò di tornare dentro il Castello e recuperare qualcosa per scaldarsi, ma forse se si fosse ammalato non sarebbero più andati. Forse le ragazze avrebbero dimenticato cosa c’era sotto la botola. ‘Cosa potrebbe esserci. Non quello che c’è: quello che potrebbe esserci.’ Si corresse cercando di ignorare l’istinto che continuava a premergli sul cuore come per convincerlo. O forse era il senso di colpa. Si sedette sull’erba gelida coperta di brina ghiacciata e si sentì attraversare la schiena da un brivido di freddo. Provò a pensare a qualcosa di più semplice della sua vita. ‘Skai.’ La soluzione gli attraversò la mente. Voleva parlare con lei, sarebbe stato meglio che ripassare mille volte il piano suicida che stavano architettando. O almeno più facile.
Rientrò nel Castello e si avviò verso la torre di Grifondoro. Aspettò fuori che qualcuno uscisse o entrasse. Con suo gran sconforto quel qualcuno fu Lily Potter. Sua cugina si avvicinò con un sopracciglio alzato. “Guarda chi si è fatto vedere! Allora Jo, cosa fai qui?” chiese. “Ehm… cerco Skai Thomas, sai dov’è?” chiese incerto. “L’ho vista in Sala Grande. Grazie di pensare anche a noi, eh.” Jo alzò gli occhi al cielo voltandole le spalle. Non sapeva bene perché non andasse a genio a Lily, probabilmente era il suo modo di manifestare il suo affetto. Arrivò in Sala Grande e gli dissero che Skai era andata al bagno del primo piano. Aspettò fuori, ma le ragazze che uscirono dopo dieci minuti gli comunicarono che la ragazza era salita alla torre di Grifondoro per studiare. A quel punto Jo decise che si sarebbe distratto con un libro sul Pozionismo Semplice. Si avviò verso la Sala Comune pensando (finalmente si era distratto) a come far diventare una rana un palloncino. Mentre giungeva al muro che divideva il corridoio dalla stanza verde-argento decise che avrebbe ordinato un Gonfiatore Magico a Durata Limitata da zio George. Pronunciò la parola d’ordine e senza neanche accorgersene si sedette nella solita morbida poltrona. Prese il libro che gli interessava dalla borsa. Lesse tutto il pomeriggio finché una voce non lo portò alla realtà: “Jo, c’è la cena, a meno che tu non voglia digiunare, cosa di cui non hai assolutamente bisogno.”  Mila non aveva torto: Jo era magrissimo, ma nonostante tutto avrebbe trovato il modo di farsi i muscoli – o almeno così aveva deciso. Si alzò e la seguì attraverso il sotterraneo. “Leòn?” chiese per fare conversazione. “Ha detto che ci prendeva i posti. Come se ce ne fosse bisogno: ci stanno lontani almeno venti posti quando mangi…” Mila s’interruppe arrossendo. Jo sentì una stretta al cuore: da quando si sapeva la sua natura erano in molti gli studenti che gli stavano alla larga. Tuttavia si mostrò sordo al commento di Mila. Raggiunsero la Sala Grande e Leòn. Mangiarono in fretta e in silenzio. Jo sentiva ogni morso come un pezzo di legno secco. Saltarono il dolce e raggiunsero Claire in biblioteca. La ragazza dormiva con la testa sulla mappa di Hogwarts ancora aperta sul tavolo. “Bene. Penso che non si sveglierà prima di domattina. Buona no…” provò disperatamente Jo seguito nella sua fuga da Leòn. “Fermi là.” Lo interruppe Mila guardandoli minacciosa. Ai due ragazzi non rimase che sedersi e aspettare la chiusura della biblioteca sonnecchiando. Quando anche l’ultima candela della biblioteca fu spenta e fu suonata la campanella del coprifuoco svegliarono Claire e sistemarono il tavolo. Per fortuna dopo la guerra era stata aperta l’area delle stanze degli insegnanti altrimenti Madama Pince sarebbe stata in agguato. Si infilarono i mantelli – con non poca difficoltà – e si avviarono in punta di piedi alla porta. Mila sbirciò fuori. “Via libera.” Sussurrò e i quattro si avviarono verso le scale. Jo continuava a ripetersi il percorso per non perdere neanche un passaggio: ‘Destra, sinistra, tre scalini, a destra, altri cinque scalini, due svolte a destra, la porta del corridoio del primo piano, sinistra…’ arrivati a una tela completamente bianca, quella si aprì. Entrarono nel passaggio e lo seguirono fino a un'insenatura che dava sul corridoio est del terzo piano. ‘Ora tutto dritto fino alla botola.’ Pensò Jo. Camminò secondo il piano e arrivato alla botola la osservò volteggiare per due secondi e atterrare a lato del buco. “N-non c’è nessuno.” Disse la voce di Leòn soffocata: probabilmente il ragazzo aveva infilato la testa dentro, perché gli videro le suole delle scarpe sotto il mantello. Si calarono dentro, in una stanza dal soffitto basso con il pavimento in travi di legno sporche di quella che sembrava terra.  All’unisono sussurrarono “Lumos!” quattro lucine si accesero sulla punta delle bacchette estratte da sotto il mantello. Jo cominciò a camminare cauto finché con illuminò il muso canino di una bestia addormentata. Venne scosso da un brivido di paura, ma ormai erano dentro: doveva farsi coraggio. Esaminò il resto del corpo e confermò il suo timore: quel bulldog corrispondeva alla descrizione. Fece un cerchio con la bacchetta e anche gli altri rabbrividirono: Knife, la preziosa cavalcatura dell’ultimo Cavaliere Misterioso, dormiva a pochi passi da loro sbavando sul pavimento.
Si irrigidirono. Dei tacchi battevano il pavimento sopra di loro. Si voltarono terrorizzati verso la luce tonda che entrava nell’apertura della botola: avevano dimenticato di chiuderla. Furono istanti lunghi e carichi di tensione: Jo corse verso la botola, sbattendo contro Mila che aveva fatto lo stesso, Leòn cominciò a tremare così forte da far muovere le assi sotto di loro e qualcuno sussurrò “Botola Locomotor!” alche il tappo rotondo chiuse l’apertura. Come se non fosse abbastanza, Knife disturbato da tutto quel trambusto si agitò nel sonno e rischiò il risveglio. Anche dopo che il buio fosse quasi totale, le assi del pavimento cigolarono per il forte tremolio di Leòn. Mila lo cercò nel buio e gli posò una mano sulla spalla. Con suo gran stupore, il ragazzo si calmò all’istante.
Nel buio quasi totale intravidero una porta contornata da una luce calda proveniente da dietro di essa. Si avvicinarono cauti ed estrassero le orecchie oblunghe che Jo si era trovato curiosamente nel baule all’inizio della scuola. Infilarono il cordicino color carne in un orecchio e aspettarono che l’altra estremità si introducesse sotto la fessura della porta. “…e dopo che la notizia ha fatto clamore ne ho radunati altri. Ma questo è strano: è il più potente che abbia mai visto. Pensa che riesce già a controllare i suoi poteri!” disse una voce; la stessa voce che Jo aveva sentito l’ultima volta che aveva aperto la botola. “Fai attenzione, vecchio mio. Potrebbe essere quello di cui tutti parlano e se è lui allora riuscirà a batterti. Riuscirà a batterci tutti.” Rispose una voce più pacata e giovane. “Figuriamoci! L’ho visto: ha sollevato quell’idiota e l’ha appoggiato senza rompergli un dito. Nessuno di così educato potrebbe mai battere me. Pensavano fossi io, ricordi?” chiese la prima voce. “La maggioranza. Ma non erano in pochi a credere che il tuo potere fosse ordinario. Dopotutto la profezia parla di una persona... com’era? ... ‘Gentile ed onesta, non assassina. Che con garbo imprigioni il nemico e lo nutra come un amico. Gli dia carne e vino a tutti i pasti e curi tutti i suoi malanni e le ferite, nel cuore e sul corpo.’” La voce concluse e ci fu un secondo di silenzio. “Io non son un assassino. Loro lo credono, ma non è così. Noi non siamo e mai saremo assassini.” Sussurrò la prima voce. “Eppure tu desideri imprigionarlo? Dimentichi il codice: mai noi cattureremo un nostro simile. Sono passati in molti a Bantdracal: gnomi, elfi, umani. Mai un Corpuscontroller.” Jo si chiese cosa fosse Bantdracal. Soprattutto capì che stavano parlando di lui come qualcuno che si aspettava da tempo. Ebbe fortuna a scoprire pure quanto, visto che la voce più anziana rispose: “Un secolo l’abbiamo aspettato. Non permetterò che distrugga la specie.” Si sentì un pop e uno sgradevole odore di fumo e dei passi si avvicinarono alla porta. I ragazzi fecero in tempo a spostarsi e mettersi in un angolo buio, quando essa si aprì e un uomo uscì camminando curvo sotto il soffitto. Controllò che il cane dormisse e si diresse verso una seconda porta che richiuse alle sue spalle. I ragazzi aspettarono qualche minuto e si mossero verso la botola. La fecero levitare e uscirono applicando lo stesso incantesimo su se stessi. La chiusero velocemente e corsero immediatamente verso i rispettivi dormitori.

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Capitolo 10
*** Innamorati non autorizzati ***


Innamorati non autorizzati

Corsero fino al dormitorio e si fiondarono dentro. Leòn era sfinito e si accasciò ansimante nella poltrona. Jo corse a cercare qualcosa da mangiare dei resti della festa per aver vinto la partita a Quidditch di quel giorno. Non l’avevano vista, ma forse Jo l’avrebbe preferito. Tornò e trovò Mila intenta a scrivere su un libretto simile al suo diario. La ragazza arrossì subito e lo ripose nella veste.
 
● DAL DIARIO DI MILA ●
 
2 Dicembre 2023
Caro diario, che nottata! Davvero: non credevo che sarebbe stato così spaventoso. Sento che dovrei prendere appunti, quindi ecco qui quello che è successo: Abbiamo seguito senza intoppi il percorso che Claire e Jo avevano preparato secondo i turni dei Prefetti e siamo arrivati alla botola. Meno male che dentro non c’era nessuno: solo il bulldog gigante di nome Knife che Jo aveva sentito ringhiare. Siamo entrati e abbiamo controllato che il cane dormisse. E poi… che colpo! Qualcuno è passato dal terzo piano e Claire ha fatto appena in tempo a chiudere la botola. Quando si è fatto del tutto buio abbiamo visto che c’era una porta. Abbiamo usato le Orecchie Oblunghe per origliare: abbiamo scoperto un sacco di cose e spero che ne parleremo, perché non ci ho capito niente. Jo di sicuro ha capito qualcosa, e anche Claire, ma mi spaventa un po’ come hanno parlato di lui. Hanno parlato di una profezia, di un codice e di un posto chiamato Bantdracal in cui sono finiti tutti tranne i Corpuscontroller. Finito con questo argomento, uno dei due interlocutori si è avvicinato alla porta, è passato a mezzo metro da noi e poi è entrato in un’altra stanza. Noi siamo scappati, ovviamente. Comunque ora sono un po’ stanca, penso che andrò a dormire.
Mila
P.S. Jo ha un appuntamento con Skai Thomas, è pazzo.
 
Jo si avvicinò e fece cadere diverse Cioccorane e Tutti i Gusti+1 sul pavimento. Ne prese diverse e le mandò giù senza sentirne il sapore (il che fu un bene, visto che le Tutti i Gusti avevano colori sinistri).
Mila non sembrava affamata. Al contrario, sembrava stesse per rigettare la cena. Leòn dormiva beato su una poltrona, russando un poco. Jo si gettò all’indietro sullo schienale morbido della sua e ragionò un secondo. Gli uomini, chiunque fossero, dovevano essere Corpuscontroller. Parlavano di sé come una specie distinta, come se fossero una razza a sé. Lui era sicuro di essere un uomo. Suo padre non era nemmeno un mago: come poteva essere di razza diversa? No, lui non era una razza distinta. Aveva solo un dono, che se usato bene avrebbe potuto giovargli molti benefici. Ma non per se stesso: per gli altri, per chi gli stava intorno e soprattutto per chi era in pericolo. Poi pensò alla profezia di cui avevano parlato. Era più che probabile che fosse lui il soggetto. ‘Una persona gentile e sincera, non assassina.’ Sentiva di avere tutte le qualità. Che poi si considerassero qualità: non pensava ci volesse un genio a capire che uccidere era sbagliato. Si voltò verso Mila e noto che anche lei dormiva. Pensò che il giorno dopo avrebbero dovuto alzarsi presto e li svegliò guidandoli l’una verso la porta del suo dormitorio e l’altro direttamente a letto. Si cambiò e infilò il pigiama. Si sdraiò a letto e si addormentò all’istante.
Il giorno dopo dovettero trovare il modo di restare svegli, almeno per le lezioni normali. Quelle di Rüf erano più difficili e Jo non prese appunti. Poi a mezzanotte avrebbero avuto lezione di Astronomia su alla Torre e avrebbero passato un’altra notte in bianco. Jo in genere era molto felice di fare Astronomia: poteva vedere le stelle e stare sveglio un po’ di più. Ma quel giorno non riuscì a pensare ad altro che a un buon letto caldo. “Jo, devo studiare. Mi daresti gli appunti di oggi?” chiese Leòn entrando nella Sala Comune di ritorno dal pranzo. “Non li ho presi. Mi sono addormentato.” Rispose il ragazzo in una sorta di dormi-veglia, sdraiato su una panca dall’aria scomoda. “Cosa?! E io ora come faccio? Era su Silente!” esclamò il brunetto sedendosi sulle gambe dell’amico. Jo non si mosse: ormai i suoi amici lo sapevano che quando saltava anche un’ora di sonno non riusciva più a interagire fino a sera.
“Dovresti saltare Astronomia.” Disse Leòn serio. “No. Se mi riposo un po’ forse riesco a non addormentarmi sul telescopio.” Rispose il biondo strofinandosi gli occhi. “Sì, e dopo non dormirai per due giorni.” “Esagerato! Al massimo domani.” Jo si voltò sul lato facendo cadere l’amico che alzò gli occhi al cielo. Suonò la campanella delle lezioni pomeridiane e raggiunsero Mila nel sotterraneo di Pozioni dove Lumacorno spiegò la pozione più difficile dall’inizio dell’anno fino a quel momento. Jo dormì con la testa sul calderone rovesciato e solo fuori dall’aula si rese conto di essersi appena procurato una T (Troll) nella sua materia preferita.
Si avviarono con gli altri Serpeverde verso l’aula di Difesa Contro le Arti Oscure, tenuta dal professor Stuart Matthews. Jo si chiedeva come mai quel vecchietto curvo dall’aria simpatica odiasse tanto gli studenti. Molti sostenevano fosse imparentato con Argus Gazza (e la sua gatta).
A lezione c’erano anche i Corvonero e Claire si sedette con loro. “Ha seguito qualche lezione?” chiese avvicinandosi. Mila e Leòn scossero la testa. Jo si era sdraiato sul banco più nascosto che era riuscito a trovare. Sonnecchiava con la testa sui dorsi delle mani e sorrideva. Ad un certo punto Matthews si avvicinò al suo banco e chiese: “Bene, signor Dursley. Magari può darci una dimostrazione?” Jo alzò la testa e rispose: “C… certo.” Seguì il professore nel corridoio centrale e si fronteggiarono. Jo esclamò: “Expelliarmus!” la bacchetta del professore si alzò in volo e ricadde sulla testa del proprietario. “Bene… esercitatevi a coppie, ora.” Tornò alla cattedra massaggiandosi la testa mentre Jo tornava baldanzoso al suo banco. Mila, Leòn e Claire – e non solo loro, a dir la verità – lo fissavano a bocca aperta mentre chiedeva al suo migliore amico di essere in coppia con lui. “Ma piantatela. Sapete che non dormo mai quando c’è in giro Matthews.” Disse con voce ovvia. Si esercitarono per il resto della lezione. Leòn non disarmò Jo neanche una volta, mentre quest’ultimo sembrava stesse bevendo un bicchier d’acqua.
A pranzo Mila scomparve e la videro ricomparire verso il secondo con un sorriso che faceva vedere tutti i denti che aveva. “Ho già visto questa faccia.” Sussurrò Leòn guardando a occhi stretti il viso della ragazza che entrava dal portone. “Certo: è Mila.” Osservò Jo servendosi il pollo. “Intendo dire l’espressione. È la stessa che avevi tu quando ci hai detto che uscivi con la Thomas.” Rispose Leòn.
“C’entra quel Morf?” chiese appena Mila si sedette di fronte a lui. “Eh?” fece lei disorientata. “Hai un appuntamento con Morf, vero?” ripeté lui. “Nooooo…” rispose la ragazza, tradita dall’improvviso arrossamento del volto. Jo guardò entrambi allarmato. No, non di nuovo, per favore, non di nuovo. “Invece sì. Ma cosa ci vedi in lui?” chiese il suo amico. “Beh, è simpatico, romantico…” non notò il temperamento improvviso segnato nell’espressione di Leòn. “E ha cercato di baciarti.” Esclamò quest’ultimo. “E quindi? Cos’è, un reato?” chiese lei. “Bah, ho perso l’appetito.” Il ragazzo si alzò e fece rovesciare la sedia. Senza degnarsi di raccoglierla se ne andò impacciato. “Ma che gli è preso?” chiese Mila. Jo alzò le spalle concentrato sulla sua cotoletta. “Tu ne sai qualcosa?” chiese di nuovo lei sospettosa. “Mah, stiamo parlando di Leòn.” “E quindi? Perché proprio non sopporta che io esca con Eddie?” “Non lo so.” “Certo che lo sai!” “No.” “Allora perché non mi guardi in faccia?” chiese la Serpeverde provocatoria. Lui guardò dritto negli occhi a scaglie argentate. “Non posso dirtelo.” Rispose con sincerità. “Deve farlo Leòn, se vuole.” Tornò a guardare la cotoletta e sentì Mila spostare la sedia e allontanarsi. Non voleva farla arrabbiare. In quel momento aveva solo una cosa per la testa: evitare un litigio. Come? Non ne aveva idea. Ma doveva convincere Leòn che Mila doveva essere libera di scegliere con chi uscire.
Tornò nel sotterraneo di Serpeverde e cercò l’amico. Si trovava in stanza, sdraiato sul letto con le tende del baldacchino chiuse come dopo il primo appuntamento di Eddie e Mila.
“Vuoi parlarne?” chiese Jo osservando la sagoma dell’amico distesa sul letto. “No.” Rispose lui con la voce di qualcuno che ha pianto a lungo. “Devi. Leòn io capisco che ti piaccia Mila ma ci sono cose che…” “Cose che il suo migliore amico a cui non piace dovrebbe sapere.” Si scocciò il moro. “O, ma piantala! Chi piangerebbe per qualcuno che non gli piace?” chiese Jo. “NON STAVO PIANGENDO!” Gridò Leòn. I vetri tremarono: Leòn era sconvolto tanto da non controllare il suo potere. “Leòn… sono tuo amico e, malgrado a volte vada un po’ oltre con le prese in giro, sono qui per sostenerti. So benissimo che stavi piangendo e non ho intenzione di dirlo a nessuno.” Lo rassicurò il piccolo Serpeverde sempre in piedi a osservare la sagoma scura al centro del materasso. “E so anche perché.” Concluse in un sussurro. Cadde il silenzio. Leòn non si muoveva e neanche Jo. Ad un certo punto, quanto la luna aveva quasi raggiunto il centro del cielo, Leòn cominciò a russare lievemente: si era addormentato. Jo si mosse, dopo quasi un’ora d’immobilità, e si mise in pigiama. Si voltò e scese nella Sala Comune che sospettava essere vuota. Si sbagliava: nel divano centrale era seduta Mila a leggere un libro e anche lei in pigiama. Si voltò quando sentì la porta sbattere. “Scusa. Pensavo non ci fosse nessuno.” Disse voltandosi per tornare indietro. “Non andartene. Ho bisogno di un po’ di compagnia.” Jo cambiò strada e si sedette di fianco a lei. “Non so proprio cosa fare, Jo.” disse lei fissando il camino spento. “Leòn sembra così… affranto dalla mia cotta per Eddie.” “Affranto è dire poco.” Si fece scappare il ragazzo. “Che intendi dire?” chiese lei guardandolo. “Ehm… oggi ha pianto come una fontana. Sai, quando sono andato a parlargli era decisamente scosso.” Mila lo guardò interrogativa, poi capì. “Non lo sapevo. Proprio non me n’ero accorta. Incredibile.” “Davvero non l’avevi capito? È un gelosone senza pari.” Commentò Jo. “Beh… non lo sapevo. Ti sembra normale?” chiese lei guardandolo negli occhi. Quegli splendidi occhi verde acceso, con scaglie giallo chiaro e verde acqua. “Sì. Tu eri tutta presa da Eddie.” Eddie? Ah, già. Sì, Eddie. Ma le piaceva davvero? Credeva di no. A lei piaceva un altro. “Ehm… si è fatto tardi. Credo sia meglio che io vada a letto.” Disse. Si alzò e Jo l’accompagnò alla porta del dormitorio femminile. “Grazie della chiacchierata, mi è servita.” Poi si alzò sulle punte fino a raggiungere il suo viso e lo baciò. Un bacio caldo, umido, passionale. Le loro labbra incastrate una tra l’altra, a bearsi quel momento senza pari. Jo rispose al bacio con naturalezza, come se il ricordo del suo migliore amico, innamorato folle della ragazza che stava baciando non fosse mai esistito. Non esisteva nessun Leòn, in quel momento. Nessuna Claire. Nessuno. Solo loro due, padroni del bacio in cui erano coinvolti. Padroni dei pensieri e del tempo, l’attimo che speravano non finisse mai. E poi quel bacio magnifico finì. Quel momento in cui Jo aveva cinto la stretta vita di lei con le sue braccia, in cui tutto ciò che sentiva era il suo respiro emozionato: tutto finì. Rimasero abbracciati, così. Come se niente e nessuno avesse mai potuto interrompere quel momento in cui solo loro abitavano il mondo, in cui i loro muscoli si rilassavano l’una nelle braccia dell’altro ed entrambi realizzavano ciò che era appena successo. Poi dei passi rimbombarono dai dormitori dei ragazzi e Mila si liberò da quell’abbraccio.
Jo la lasciò andare, come se non potesse più decidere cosa il suo corpo doveva fare. La porta della scala si aprì e Leòn entrò nella stanza. “Jo. Cosa fai qui come un pesce lesso? E perché sei proprio davanti al dormitorio delle ragazze?” chiese. Il ragazzo dagli occhi dei Potter non rispose. Non poteva essere finito tutto così. Non poteva neanche essere iniziato. Quel bacio era stato proibito da quando Leòn aveva visto Mila per la prima volta. E quel bacio proibito era avvenuto, senza precedenti, senza che si fossero mai neanche guardati in quel modo, senza che avessero mai immaginato che sarebbe potuto accadere davvero. Era avvenuto e basta. Ma era proibito. Assolutamente proibito da un’amicizia cui lui teneva fin troppo.
“Allora ti muovi o ti ci devo far levitare, a letto? Lo sai, non credo sarebbe una buona idea.” Jo si mosse verso di lui. “S-sì. Meglio andare, sono esausto.” Rispose Jo. Non era per niente esausto. Se prima era stanco ora era più sveglio che mai.
A letto ragionò. Cercò di capire quello che ormai sembrava un ricordo troppo lontano, di un paio d’anni, forse più. Non capiva. Cercava la logica, ma sapeva che non sarebbe servita. Lui non era fatto per i sentimenti. Lui era bravo nella logia, a mentire, a perdonare, ad aiutare. I sentimenti erano così complessi che neanche la sua mente li capiva a fondo. Anzi: non li capiva per niente.
Ricordò di quando Albus e il suo migliore amico, Scorpius Malfoy, avevano avuto una cotta per la stessa ragazza. Suo cugino l’aveva definito un triangolo amoroso quando gliene aveva parlato. Anche lui ora era coinvolto in una cosa del genere. Quello era un triangolo amoroso. Un triangolo amoroso dove Leòn era il terzo incomodo.
 
Il giorno dopo Jo venne svegliato dalle cuscinate di Leòn. “SVEGLIAAAAA!!” gli strillò nelle orecchie. “Jo, abbiamo dimenticato una cosa importante.” Disse serio il moro quando il suo amico si fu messo a sedere. “Cosa?” “Astronomia.” Jo si sentì mancare. Era così concentrato su quello che era successo che se ne era scordato. ‘Però, in fondo è stato un bene.’ Pensò tra sé. Non si era ripreso ancora dallo shock del b… non poteva neanche pensarci senza sentirsi in colpa.
Scesero in Sala Comune a cercare Mila, ma non la trovarono. Era invece in Sala Grande, seduta pensierosa al tavolo di Serpeverde. Sussultò quando la salutarono e lei indicò i due posti davanti a lei. “Leòn” disse una volta aver preso un respiro. Jo supplicò che non stesse per dire quello che credeva. “devo dirti una cosa.” Era fatta: era morto. Faceva prima a scavare una buca e buttarcisi dentro. “Ho disdetto l’appuntamento con Eddie.” Jo alzò lo sguardo dal bacon che stava contemplando. “Perché?” chiese il suo amico senza accorgersi della sua reazione. “Non… non credo sia il ragazzo giusto per me.” Rispose lei. “Mila posso parlarti un secondo?” intervenne Jo. “Ma sto facendo colazione!” protestò lei. “È urgente.” Tagliò corto lui. La trascinò via sotto gli occhi incuriositi di Leòn.
“Devo parlarti.” Disse Jo una volta fuori dalla vista dell’amico. “Ma davvero?” chiese lei retorica. “Voglio sapere se tra noi c’è qualcosa. Insomma, tutto questo per cosa?” chiese.
“Jo… non lo so cosa mi è preso ieri sera. Non lo so, OK?” “Quindi per te non significa nulla? Quel…” abbassò la voce “quel bacio non ha alcun significato? Perché per me vuol dire molto.” Mila sospirò. “Non possiamo.” Sussurrò. “Io voglio stare con te. Non con la Thomas: con te.” L’aveva detto: non poteva più rimangiarselo. Mila non rispose. Gli scoccò un breve bacio sulla guancia e corse via. La risposta era sì.

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Capitolo 11
*** Tu non puoi mollare ***


Tu non puoi mollare

23 Dicembre 2023
Caro diario, come hai notato dalla data è quasi Natale. Ora mi trovo alla Tana nella mia stanza (la vecchia stanza di zio Ron) con Sammy che – non ci crederai mai – russa come se non ci fosse un domani. Sono le 7.30 del mattino e sento già la nonna fare avanti e indietro per la cucina. Aspetta: zio Harry è appena arrivato. L’ho sentito materializzarsi, fa sempre colazione qui quando passa la notte in bianco – e succede quasi sempre.
Sai, il Natale qui è bellissimo ma quest’anno sarà anche meglio: ho invitato Mila, facendo attenzione di non invitare lo Zabini. Lui verrà a capodanno con la sua famiglia e in ogni caso è in vacanza con i suoi genitori. Certo: non so quanto sia una buona idea andare in Alaska a Natale, ma comunque non è qui. Sento dei passi sulle scale: deve essere Albus, è sonnambulo. Sammy si sta svegliando, ci sentiamo domani,
Jo
 
“Stai ancora scrivendo quello stupido coso?” chiese suo cugino strofinandosi gli occhi. “Aiuta, sai? Quando non hai nessuno con cui confidarti, basta confessare tutto a un pugno di righe e sei apposto.” Rispose Jo riponendo con attenzione l’agendina sul comodino. “Sarà, ma io ho sempre odiato scrivere qualunque genere di racconto. Sia pure la mia giornata.”
Si sentì un CRACK e Sammy si voltò per vedere chi si fosse appena materializzato nel giardino. Sgranò gli occhi e Jo chiese: “Stai bene?” “Devi scendere, Jonathan.” Il Serpeverde non se lo fece ripetere due volte: Sammy l’aveva chiamato così solo quattro volte nella sua vita e non sapeva se esserne contento o preoccupato. Infilò la vestaglia e uscì dalla stanza per fiondarsi giù dalle scale. “Ciao nonna, ciao zio, abbiamo sentito qualcuno materializzar…” non finì la frase che un fiume di capelli biondi profumatissimi lo fece quasi soffocare. Il ragazzo rispose all’abbraccio beandosi di quel profumo così delicato finché Mila non lo allontanò suo malgrado. “Hey, Jo!” esclamò una voce alle sue spalle. Jo impallidì identificandola come quella della sua migliore amica. “Ehm… ciao Claire. Che ci fai qui?” chiese leggermente imbarazzato. “Mila mi ha detto che veniva da te e, siccome mio padre doveva andare in Germania, ci ha portate con la materializzazione congiunta.” Rispose la fotocopia della sua ragazza raggiante. “E mi ha anche detto anche perché veniva qui.” Il ragazzo divenne paonazzo e guardò Mila incredulo. Lei fece finta di grattarsi il naso con aria colpevole. “È mia sorella: doveva sapere.” Si giustificò. “Quindi dobbiamo evitare che Leòn scopra tutto… facendo in modo che tutti sappiano tutto.” Le ragazze alzarono le spalle. “Volete qualcosa da mangiare, care?” chiese nonna Molly in quel momento. “Nonna, è un po’ presto per la colazione, direi. Vi porto su a conoscere Sammy.” Propose invece il ragazzo porgendo una mano a Mila, che accettò volentieri. Notando all’ultimo secondo lo sguardo deluso della nonna, guidò le ragazze verso l’ultimo piano, dove entrarono nell’unica stanza presente con il fiato leggermente alterato per la fatica. “Sei piuttosto in alto.” Commentò Claire osservando la stanza dalle pareti trasandate. “Quando sei l’ultimo di quasi venti cugini, e forse più, ti becchi la stanza meno voluta.” Sospirò l’amico sedendosi sul letto. In realtà la sua stanza era decisamente più grande di quando suo zio la abitava: c’erano due letti fissi, una scrivania spaziosa e diversi poster dei Cannoni di Chandley su una parete, mentre su quella opposta gli acerrimi rivali: i Falmouth Falcons. Jo li adorava e Sammy offriva una degna risposta alla provocazione ricoprendo di gadget dei Cannoni la sua parte della stanza. “Hey, Lupin! Non sarai mica tornato a letto.” “Maledetto, Dursley!” grugnì in risposta il cugino cercando di scrollarselo di dosso, visto che si era seduto sulla sua schiena.
“OK, OK! Mi tolgo… ma ti togli anche tu.” Ribatté l’altro tirandolo giù dal letto. “Mi passeresti il cuscino, per favore?” “Piantala, mi fai fare brutte figure.” Borbottò Jo. Sammy aprì gli occhi e guardò le due sorelle che ricambiarono con sguardo divertito. “Io… sono sonnambulo…” cercò di giustificarsi alzandosi. Aveva solo nove anni, ma Jo lo vedeva talmente bene nella parte di James da considerarlo un coetaneo. “Ma certamente. Queste sono Mila e Claire. Te ne avevo parlato.” Presentò indicandole una dopo l’altra. “Sì, praticamente non parli d’altro. Piacere, Sammy Dudley Lupin.” Il Serpeverde sorrise tra sé: era stato lui, a cinque anni, a proporre per scherzo di chiamarlo così di secondo nome. Non aveva certo immaginato l’avrebbero davvero preso in considerazione.
Dopo poco più di mezz’ora decisero che c’erano abbastanza passi sulle scale da seguirli. In quei giorni precedenti il Natale era concesso a tutti i genitori (tranne Teddy e Victoire) una pausa dal convivere con i figli. Tutti abitavano la tana per tenere compagnia alla nonna, sola in una casa troppo grande da un paio d’anni. Quando arrivarono in cucina il lunghissimo tavolo posizionato al centro era quasi del tutto pieno e rumoroso, ma cadde il silenzio appena tutti notarono le nuove arrivate. I ragazzi ne erano ammaliati, i fratelli per un ottavo Veela le osservavano evidentemente disorientati e tutti gli altri sorridevano amichevoli. “Ragazzi, queste sono Mila e sua sorella Claire. Credo di avervene parlato.” Fred sbuffò qualcosa che sembrava: “Non ha parlato d’altro.” E gli altri si alzarono per salutare. “Quale delle due è Mila?” chiese James. La ragazza alzò incerta la mano. “Complimenti e buona fortuna.” Ghignò il ragazzo con una strizzatina d’occhio. Poco dopo si sedettero tutti a tavola e tutto tornò alla normalità. “Vuoi della cioccolata, tesoro?” chiese Victoire a suo figlio. “Grazie mamma. Mi passeresti lo zucchero?” “Nella cioccolata?” chiese lei contrariata. “È sempre troppo amara.” Rispose lui. Lei gli passò la zuccheriera alzando gli occhi al cielo. “Quindi, com’è andata la nottata, Harry caro?” chiese nonna Molly al cognato. “Non male. Non abbiamo preso nessuno di loro. A proposito: Jo, Mila e Claire vi devo parlare.” Di nuovo piombò il silenzio. I tre avevano una certa idea del perché il capo Auror volesse parlare proprio a loro. Infatti si alzarono con gli occhi di tutti addosso e seguirono lo zio nel salotto. Lui bloccò la porta e la imperturbò in modo che fosse a prova di Roxanne-Fred e si voltò verso i tre che si erano stretti nel divano più grande. “Bene. Il modo con cui vi siete mossi mi fa pensare che sappiate perché siete qui, e siccome Jo vi ha presentato come sorelle penso abbiate fatto ricerca. Ragazzi: sta notte sono andato a caccia di Corpuscontroller.” I ragazzi trasalirono. Non erano sicuri delle intenzioni dell’uomo. “Non preoccupatevi, non avete alcuna colpa. Volevo mettervi in guardia: qualche anno fa il Ministero, che fa abbastanza schifo da questo punto di vista, ha dichiarato la quasi totale scomparsa del Corpuscontroller dalla faccia della terra. Dicevano che solo uno esisteva ancora, che gli altri erano stati sterminati. Beh, non è così. Forse all’inizio erano pochi, ma si sono riprodotti, formando quasi un piccolo esercito. Quindi ve lo dico: sono pochi quelli che pensano di essere normali esseri umani e magari si vergognano anche del loro potere. La maggior parte si crede una specie a sé e non faticheranno a convincere gli altri. Quindi vi prego: fate attenzione.” Concluse e si diresse verso la porta. I tre ragazzi erano un po’ scossi. “Ehm… dovremmo finire la colazione.” Mila si alzò, ma Jo la fermò: “Posso parlarti? In privato?” la sua migliore amica si alzò con un sorrisetto malizioso e seguì la zio Harry chiudendosi a porta alle spalle.
“Mila, ho paura.” Sussurrò Jo fissando il pavimento. Non aveva dato l’idea di quanta pura avesse, ma lei era certa che se l’avesse guardato negli occhi avrebbe visto più di semplice paura: avrebbe visto terrore. “Lo so. Ma non è colpa tua. E neanche mia. Non è colpa di nessuno.” Lui sbuffò e si alzò tirando un calcio alla poltrona per scaricare l’adrenalina. “Jo! Devi credermi. Non è colpa tua.” Il ragazzo era rosso in viso e quando la guardò negli occhi argentati lei non vide il terrore. Era anche più del terrore. Ha gli occhi verdi. Verdi come la speranza. Pensò scacciando l’espressione appena scorta in un angolo del cervello. Ha gli occhi verdi perché lui è la nostra speranza. Realizzò infine. “Tu non puoi mollare.” Si era alzata e glielo aveva sussurrato all’orecchio, come un segreto. Ma il ragazzo sapeva perfettamente che il segreto sarebbe divulgato.

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Capitolo 12
*** Natale ***


Natale

La mattina di Natale arrivò come se le ore avessero deciso di passare cento volte più veloci. La vigilia era trascorsa in una calma sonnolenza che aveva trascinato la Tana nel silenzio più assoluto: la nonna aveva spedito i ragazzi a dare una sistemata alle camere, ma i più si erano addormentati tra le coperte.
Quindi la mattina di Natale la casa si animò verso le 5:30; la nonna dormiva ancora, mentre i nipoti decisero di farle una sorpresa addobbando per bene il salone.
“Scorp passami quella ghirlanda, ti spiace?” Scorpius Malfoy, il migliore amico di Albus, era arrivato quella mattina perfettamente sveglio, lasciando tutti di stucco vista l’ora. “Ecco. Sta’ attento: quella roba trema.” Albus se ne stava in piedi su una pila di scatoloni malmessi che minacciavano di rovinare a terra da un momento all’altro. “Da dove viene tutto questo interesse per la mia incolumità?” chiese fissando la ghirlanda al muro. “Da nessuna parte: se cadessero mi arriverebbero addosso. Chissenefrega di te?” rise il suo migliore amico intercettando Rose di ritorno dal bagno. Si allontanò lasciando Al in preda all’equilibrio.
“Ciao.” Salutò. “Scorp! Vieni, questa non te la puoi perdere.” Lo trascinò in giardino e si accovacciò dietro la siepe. Scorpius conosceva quel posto: era il loro posto. Ma qualcuno gliel’aveva rubato, e quel qualcuno erano Jo e Mila, abbracciati in un bacio appassionato. Scorp sorrise pensando che quel ragazzino tanto timido si fosse fatto avanti così velocemente. Doveva essere fiero, forse, ma in effetti il bacio stava diventando un po’ troppo violento ed era il caso di intervenire.
“Credo sia abbastanza, ragazzi.” Commentò alzandosi. I due si staccarono improvvisamente e vide una furia crescere negli occhi di Jo. “Ciao.” Salutò Mila, e corse via. Il ragazzino invece gli dedicò uno sguardo infuocato e corse oltre la staccionata, verso la fine della strada.
Non ci credo. Pensò con lacrime di rabbia e dolore a scaldargli le guance chiare. Non smise di correre fino al limitare del bosco, che penetrò fino ad arrivare a un albero che conosceva bene. Si arrampicò usando la corda pendente e male assicurata e raggiunse uno spiazzo che la corda non superava. Si sedette e lascio le lacrime salate scendere lente lungo il collo, fino al petto.
Non possono avermi umiliato così. Pensò sentendo un fuoco crescere dentro di lui. Poi la sua mente si concentrò su un altro dettaglio, il viso si distese in un’espressione stupita. Non posso aver reagito così. In effetti, se tutto quello fosse accaduto un anno prima avrebbe seguito Mila con le guance paonazze e lo sguardo basso. Certo, la vergogna c’era, ma non nei confronti di ciò che aveva fatto: nei confronti del modo in cui Scorpius si era intromesso. Eppure non se ne capacitava. Quel bacio era stato tanto intenso da dargli la forza di correre a perdi fiato senza in realtà perderlo davvero. Forse quella era la ragione: lui non voleva che finisse.
Estrasse il diario dalla tasca interna del giaccone e lo aprì con un colpo secco.
 
25 Dicembre 2023
Caro diario,
UCCIDERÒ SCORPIUS MALFOY! Insomma: io stavo solo dando il buon Natale a Mila e lui ci ha interrotti. OK, forse stava diventando un po’… eccessivo… ma non ho fatto niente di male. Non sa nemmeno che lo spio quando è con Rose: a se stesso non fa problemi!
E quindi niente: quando ci siamo staccati sono corso verso il mio albero e sto meditando vendetta. Che ne dici di una pasticca vomitosa nella zuppa di Natale?
Ti aggiornerò più tardi.
 Jo
 
Vide una testa violetta aggirarsi sotto di lui e seppe che era ora di scendere. Atterrato nella piccola radura che ospitava il suo albero e si trovò di fronte un ragazzino sui dieci anni, con occhi blu notte e capelli viola. Aveva un piccolo naso a punta e dritto. Tuttavia era caratterizzato dalla solita bellezza, dono della madre.
Jo alzò un sopracciglio e chiese: “Cambiato look?” Sammy cambiava aspetto un volta l’anno. Teddy diceva che era una specie di muta, visto che un Metamorfomago non sapeva il suo vero aspetto, per via del dono.
“Carino, no? Però penso che cambierò colore.” Rispose il ragazzo accennando ai capelli. Chiuse gli occhi in un’espressione sofferente e i suoi capelli si tinsero di verde, mentre gli occhi – che Sammy non riusciva a controllare – divennero di un arancione acceso. “Decisamente meglio.” Commentò cercando di scorgersi il ciuffo da sotto la fronte. “Mah, a me piacevi di più prima. Ricordavano tua nonna.” Rispose Jo con un ghigno canzonatorio. “Va beh. L’anno scorso erano bianchi, mi hanno preso in giro finché non ho imparato a cambiarli.” Scoppiarono a ridere: l’anno prima Sammy era diventato un vecchietto, per un errore durante la metamorfosi, e suo padre aveva dovuto insegnargli a trasfigurarsi in modo permanente.
“Ne vuoi parlare?” chiese all’improvviso Sammy. “No. Lo sapevo che ti avevano mandato per questo.” Jo si voltò e si sedette su un tronco giocando con una foglia raccolta da terra. “In realtà volevo dirti che Mila non ha avuto il coraggio di entrare in sala. In realtà non ha il coraggio di vedere nessuno.” Il Serpeverde si alzò. Non ci aveva pensato: certamente anche Mila doveva essere imbarazzata. S’incamminarono per la strada mentre i primi raggi freddi dell’alba gli colpivano le caviglie proseguendo per il resto del corpo imbottito nei giacconi. Doveva essere passata circa mezz’ora dalla fuga di Jo e faceva decisamente freddo, cosa di cui si resero conto loro malgrado.
Entrarono dalla cucina ed ebbero subito gli occhi di tutti addosso. Sammy si sedette vicino a Roxanne, mentre Jo attraversò la stanza dopo aver scrutato il tavolo. Salì le scale con le mani in tasca. Il giaccone gli allargava le spalle, rendendo insulse le magre game che spuntavano al di sotto. Raggiunse il piano della sua stanza dove era stata aggiunta una camera per ospitare le gemelle e vi entrò. Mila era sdraiata sulla schiena e fissava il soffitto sopra il suo letto. Era ancora molto rossa e appena lo sentì entrare lo divenne completamente. “Vieni a fare colazione?” chiese lui avvicinandosi. Il ciuffo che ricadeva sulla fronte sembrava insulso, nell’enormità di quel vestiario. “Non è un po’ presto?” chiese lei. Erano le 6.05. “Beh, ci siamo alzati alle 5. Dai vieni, prometto che non ci saranno battute.” “La fai facile. Non ho molta fame, comunque.” Il suo stomaco tradì quell’affermazione. Jo si sedette sul letto dopo essere uscito da quell’abominio e la invitò ad alzare la schiena. “Solo la colazione, poi ti prometto che torni qui almeno fino all’arrivo di tutti.” Lei lo guardò incerta. “Va bene, ma se parte una sola battuta torno su.” Jo ghignò: “Voglio vederli toccare una questione del genere.” Sapeva che per quanto i suoi cugini fossero fastidiosi, sapevano capire quando darsi un freno.
Dopo essersi scambiati un bacio a fior di labbra, si fiondarono giù dalle scale per non arrivare a mangiare solo i resti e, ignorando gli sguardi di chi non si era ancora stancato di pettegolare, si fiondarono affamati su tutto ciò che gli capitasse di afferrare. “Gli adulti arriveranno per l’una, quindi direi che le camere vanno riordinate. Tutti devono preparare le valigie e fare il letto, poi scendete o riposate. Fate ciò che volete, ma non toccate i regali!” Aggiunse Rose lanciando uno sguardo a James, Fred, Louis e Vernon, che già stavano sgattaiolando in sala. Si alzarono rumorosamente e cercarono di entrare tutti insieme nella piccola porta per accedere alle scale. Ci vollero dieci minuti perché tutti fossero nella propria stanza a fare le valigie per tornare a casa. Si era stabilito che dopo il Natale, ognuno avrebbe festeggiato di conto proprio il capodanno, visto che, nonostante continuasse a negarlo, la nonna era ormai troppo vecchia per dare luogo a due feste così vicine.
Passarono la mattinata a correre su e giù per le scale, causando scontri tra persone che cercavano di rintracciare ogni oggetto, che fosse libro o merendina canarina, disperso in ogni angolo del pian terreno, delle camere altrui e del sottoscala, non che qualcuno se ne facesse problemi.
“Allora: Cioccorane, Tutti i Gusti, Color Vits, DoubleU Gums, Christmas Specials e le care vecchie Pasticche Vomitose. OK, ho tutto.” Affermò Sammy chiudendo il suo baule su un centinaio di pacchetti di dolci magici. “Sicuro che i tuoi te li faranno portare tutti via? Comunque sono quaranta galeoni.” “QUARANTA??” Fred e James stavano facendo dei conti – incredibile, ma vero – per calcolare il costo delle merendine che stavano vendendo al cugino “Quaranta galeoni e tre falci, sgancia cugino.” Il più piccolo della famiglia era a bocca aperta. Insomma quaranta galeoni? Non potevano fargli uno sconto?
“Tanto non li compra. Finirà come al solito: Teddy controllerà il baule e vorrà indietro i soldi.” Disse Jo ridendo mentre Sammy consegnava quella montagna di soldi. “Oppure un uccellino gli dirà di controllare il baule.” I due ormai uomini lo guardarono minacciosi. “Oh, no. Io ero piccolo, da quella volta l’ha fatto sempre. Ah… che vi dicevo?” dei passi attraversarono il pianerottolo e Victoire Weasley spalancò la porta per puntare gli occhi minacciosi su Fred e James. “Aspetta, tesoro. Non entrare…” Teddy apparve dietro alla moglie e i suoi capelli divennero di un leggero viola alla radice. Aveva questa particolarità: non arrossiva, avviolava. “James, Fred! Ma che siete, scemi? Restituite i soldi e riprendetevi i dolci. E guai a voi se lo rifate.” Jo sorrideva vincente mentre lo scambio avveniva. “Peccato, era grand’affare. Alla prossima.” Commentò Fred facendo scomparire anche l’ultimo pacchetto. Jo decise che era meglio lasciare Victoire sfogarsi senza spettatori, anche temendo per la propria incolumità, e lasciò la stanza sapendo che avrebbe comunque potuto sentire tutto dal salone.
 
“BUON NATALE A VOI! OH, OH, OH!” Dudley dovette tapparsi le orecchie appena uscito dal camino della cucina della Tana. Il Babbo Natale in cima alla credenza sembrava dare di matto: oltre a correre di qua e di là per scendere, gridava sempre la stessa frase con volume crescente. Naturalmente non aiutavano affatto le voci dei ragazzi che cercavano di aggiustarlo. “Eccolo! Louis, viene verso di te!” “Oh, no! Al fermalo!” “Piantala di muoverti, Scorp!” “E voi come ci siete finiti lassù?” Chiese Rose con i pugni ai fianchi. Louis e Dominique erano accovacciati sulla credenza, cercando di non cadere e, allo stesso tempo, bloccare il Babbo Natale impazzito. Albus era in piedi sulle spalle di Scorpius, che sembrava avere un’urgenza al livello della vescica. “Uno scherzo di Hugo.” Mentre Rose ragionava e Dudley per l’ennesima volta si chiedeva come facesse Molly a tenere quei ragazzini per una settimana, qualcuno gridò: “Finitem Incantatem!” il Babbo Natale si fermò all’istante. “E ora, dov’è mio figlio?” Hermione era tra il divertito e l’arrabbiato. “Ehm… zia?” “Può aiutarvi uno dei vostri tanto qualificati cugini. Ora devo recuperare quel ragazzo che usa la magia a caso!”
La guardarono allontanarsi mentre anche suo marito li raggiungeva dando una pacca Dudley. “Lasciali fare Duds. Direi di andare a rilassarci prima che arrivi quel guastafeste di Percy.” Lasciarono Rose, Albus e Scorpius a trovare un modo per tirare giù i cugini dalla credenza e si sedettero su uno dei numerosi divani della sala. “Scricciolo, ti sei conciato in modo orribile. Capisco sia Natale, ma non conosci colori più sobri? O almeno che si intonino con i tuoi capelli?” Jo e Sammy entrarono, il primo ridendo come un pazzo, l’altro con un sorriso fiero mentre mostrava una divisina da elfo di Babbo Natale di un verde fosforescente decisamente equivoco. “I tuoi capelli sono verde scuro! Non centra assolutamente niente.” Si votò e sorrise a suo padre arrossendo un poco. “Ciao pa’!” salutò correndo ad abbracciarlo. “Ti prometto di non aver fatto assolutamente niente, lo giuro! Chiedi a chiunque…” “Pure a me?” chiese Scorpius entrando mano nella mano con Rose. Il ragazzino rispose con una linguaccia.
“Mi spiegate cosa è successo in cucina? Vostra zia sta letteralmente dando di matto.” Chiese Claire entrando. “Hugo ha trasportato Louis e Dom sulla credenza.” Rispose Jo lasciandole guardandola sedersi vicino alla coppietta nel suo magnifico vestitino giallo sole. “Tra l’altro: papà, questa è Claire Feliz, la mia migliore amica.” Presentò ricordandosi all’improvviso di quella presenza. “Piacere. Mila si sta vestendo, vuole essere più bella di me, credo.” Informò provocando un sorriso imbarazzato sul viso del ragazzo, sicuramente scopo dell’affermazione.
“A dire il vero credo sia impossibile, Clary.” Disse la diretta interessata entrando vestita alla Babbana: dei jeans aderenti e una felpa aperta sopra una maglietta decisamente estiva. “Pensavo ti vestissi elegante.” Sua sorella parve contrariata. “Non è nel mio stile. Ah, buongiorno signor Dursley.” Salutò stringendogli la mano e poi sedendosi vicino a Jo che non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. “HUGO WEASLEY! ESCI SUBITO DA LÌ O GIURO CHE TI AFFATTURO!” “Oh, no. Credo sia un po’ fuori controllo.” Rise Rose stringendosi di più a Scorpius. Ron sorrise: quel ragazzo si era guadagnato la sua approvazione dal primo momento in cui l’aveva conosciuto, e questa non era vacillata nemmeno dopo aver scoperto il suo cognome. “La nonna sta per far esplodere la porta: giuro che tra lei e zia Hermione non so chi sia più infuriata.” Informò Victoire entrando per sedersi vicino a suo figlio che le scoccò subito un bacio sulla guancia. “Hanno ragione, mami.” Fece il bimbo dolce. “Non fare tanto l’angioletto! Sei ancora in punizione.” Lo sgridò la donna assottigliando gli occhi. “E anche Fred e James dovrebbero esserlo. Credo che informerò gli zii.” Sammy alzò gli occhi al cielo mentre Victoire notava che Dudley e Ron improvvisavano una conversazione senza un argomento ben definito. “Perché, voi cosa ne sapete? Non ditemi che ero l’unica a non sapere dello spaccio di dolcetti.” I due arrossirono sorridendo preoccupati. “Davvero? Volete dirmi che voi approvate questa cosa?” chiese incredula. “Certo che no! Ma a volte non fa male qualche caramella.” Rispose Ron procurandosi un’occhiataccia. Victoire stava per aprire bocca, ma fu bloccata dall’ingresso di Julia e Vernon che parlavano del lavoro che quest’ultimo voleva intraprendere una volta lasciata la scuola. “Ha solo sedici anni, Julia. Io credo che potrebbe ereditare il negozio di George. Insieme a Fred e James, ovviamente.” Propose Harry dietro di loro, ma lei lo ignorò osservando Mila e Jo che sedevano mano nella mano e rossi in viso: sapevano che Dudley non avrebbe fatto problemi per quella relazione precoce, ma cosa avrebbe detto sua moglie? “Hem… mamma questa è Mila Belle, sai te ne ho parlato nelle lettere.” La donna annuì continuando a osservare la ragazza con sguardo inquisitore. “Beh, piacere cara.” Disse infine cordialmente. Jo tirò un sospiro di sollievo consapevole di avere ancora molto lavoro da fare prima di convincere completamente sua madre, ma per il momento era abbastanza anche così. “Oh e tu sei…” chiese Julia dopo aver rimbalzando vedendo la gemella perfetta di Mila. “Claire, signora. Claire Feliz.” “Che strano: avrei giurato foste gemelle.” Sussurrò pensierosa la donna. “Beh, in realtà lo siamo, ma siamo state separate a un anno.” Annuì Claire con un sorriso incerto.
Dopo una lunghissima ora in cui tutti erano troppo felici per non guardare l’orologio ogni due minuti, l’intera famiglia Weasley e le sottofamiglie che la alimentavano erano riunite nel salone. Quando finalmente anche Charlie fu presente, tutti si fiondarono sui regali che riempivano più di metà della stanza.
“Questo è per te, Mils.” Disse Claire porgendo un regalino a sua sorella. “È bellissimo, grazie.” Ringraziò Mila alzando gli occhi al cielo di fronte al kit di trucchi waterproof. “Almeno non sembrerai più una che si è appena alzata dal letto.” Commentò la sorella. “Non lo sembra mai.” Sospirò Louis un po’ troppo forte. Le due lo guardarono con un’identica espressione accigliata. “Sì… cioè. Intendevo…” Hugo lo salvò tirandogli in testa un pacco. “Però non ha torto. Mila, Jo ti cerca.” Informò questo controllando che il cugino fosse svenuto per evitare la sua furia.
 
“Jo! Eccoti.” La ragazza gli sorrise mentre Jo cercava di scollarsi una fastidiosa Sciarpa Semipermanente dal collo, regalo di zio George con l’originario scopo di resistere al vento per un tempo determinato.
“Hey Milly. Tu sai il controincantesimo?” chiese indicando il serpentone che non accennava a staccarsi. “No, e non chiamarmi Milly!” lui sorrise soddisfatto mentre si arrendeva lasciando la sciarpe penzoloni. Adorava Mila, ma era pur sempre una serpe! “Volevo darti il mio regalo.” Si erano nascosti nell’ampio sottoscala in cui nessuno entrava mai per la comune paura dei ragni e gli aracnidi in generale.
“Pensavo fosse quello di stamattina.” Sorrise lei facendolo arrossire anche più di quello che avrebbe fatto normalmente. “Non credo fosse proprio un bacio da regalo.” Si avvicinò e la baciò una terza volta. Quello era il bacio più dolce che la ragazza avesse mai ricevuto. Anche più dolce di quello che lei stessa aveva deciso di regalare quella sera nella Sala Comune. Sorrise mentre lui le accarezzava i lunghi capelli biondi e lui se ne accorse. Si divisero guardandosi negli occhi. Entrambi osservarono con acceso interesse ogni sfumatura degli occhi dell’altro. Jo aprì la bocca per dire qualcosa.
Un tonfo sulle scale li riportò alla realtà e senza smettere di guardarsi negli occhi uscirono da quella stanza buia.

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Capitolo 13
*** Notte e paura ***


Notte e paura

30 Dicembre 2023
Caro diario, so di non aver riportato molto delle vacanze, ma a dire la verità non ricordo bene come siano trascorse, come tutti gli anni d'altronde. Ricordo solo che la mattina di Natale Scorpius e Rose hanno interrotto me e Mila mentre ci baciavamo e che io sono scappato. Sono andato al mio albero, come ti ho raccontato (tra parentesi, la pasticca nella zuppa ce l’h messa davvero).
A proposito del pranzo, ci sono state visite inaspettate e gradite quasi a tutti. Ero con Mila nel sottoscala, quando abbiamo sentito un tonfo sulle nostre teste e siamo corsi in cucina. C’era davvero una gran calca, ma dopo un po’ era chiaro che Gilderoy si era materializzato…
 
“Gilderoy! Ti ho detto mille volte di non materializzarti.” Esclamò Harry comparendo alle spalle dell’anziano Gilderoy Allock, che era notoriamente più strampalato dei Lovegood. “Andiamo, è andata bene: dopotutto non mi sono spaccato.” Effettivamente era miracolosamente intero, anche se non si poteva dire lo stesso del pianerottolo sul quale era piombato. “Ma come diavolo hai fatto a materializzarti a un metro da terra?” chiese Ginny che, per quanto il gesto fosse stato avventato, sembrava divertita nel vedere suo marito e la sua migliore amica alle prese con microscopiche schegge di legno. “Bisognerà ritrovarle tutte.” Sospirò appunto Hermione, non prima di aver fulminato la signora Potter. “Basterà acciarle, no?” chiese Hugo. “Acciarle?” “Gergo dei giovani, voi non potete capire.” Canzonò il ragazzo. “Comunque, non si può semplicemente fare Accio…” “NO!” Hermione fermò il foglio appena in tempo, perché l’intera casa scricchiolò pericolosamente. “Non ci sono solo le assi rotte, Hugo! Tutta la casa ne è piena.”
Mentre Harry e Hermione si decidevano sul da farsi, tutti presero posto a tavola, compreso Gilderoy, che sembrava felicissimo di poter trascorrere le vacanze in compagnia.
“Perché ti sei materializzato, Gil? Insomma: i dottori hanno detto che non puoi finché non prendi la patente.” Lo canzonò Louis, che reggeva un grosso blocco di ghiaccio sul bernocolo procuratogli dal cugino. “In realtà l’ho presa, ma solo quella junior, quindi non dovrei fare lunghe distanze. Ma sai – gli strizzò l’occhio – che vita è senza un po’ di rischio?” tutti i vicini risero, tranne Rose che si trattenne per evitare di sembrare immatura.
 
… quindi, come ben capirai, le scale per salire in camera erano infattibili: quindi ci hanno portato su con la Materializzazione congiunta, ma non è stato bello come credevamo tutti. In ogni caso alla fine siamo arrivati a casa e da qualche giorno non vedo l’ora che arrivi domani (ma che prendo in giro? Mi manca la mia bionda, e basta!)
Ora devo andare: sento la mamma sulle scale, sarà una crisi di sonnambulismo, ma c’è una percentuale che non lo sia. Ti scrivo appena posso,
Jo
 
Il ragazzo si voltò, sdraiandosi sulla schiena. Fissò il soffitto, pensando alla verità di quell’affermazione: gli mancava Mila, quanto gli mancava! E pensare che era tutta colpa di Allock se non le aveva detto…
Poi pensò al povero Leòn, che senza saperlo era incastrato in quel guaio amoroso. Decisamente, anche se fosse riuscito, non avrebbe potuto dire niente a Mila. Non poteva dirglielo, mai. Era una frase semplice, ingenua, forse timorosa, e nonostante fosse incredibilmente soave, era proibita. Si voltò e prese a pugni il cuscino. Ora era infuriato, e non ne sapeva il motivo. Stupido destino, perché non potevo odiare Leòn, così da poter stare con Mila senza aver paura di offenderlo?
Si tirò una sberla, ragionando su quel pensiero amaro. Non poteva odiare Leòn, lui rappresentava davvero troppo.
Come un improvviso cambio di programma, il suo cervello si riempì di nebbia, e senza pensare a niente ricadde con un tonfo sul cuscino, in un sonno insolito.
 
Mila era sdraiata sul letto, sua sorella era in una brandina al lato opposto della stanza e all’apparenza dormiva. Era tardi, ma i suoi non erano in casa e lei non era stanca. Si alzò e scese le scale senza fare rumore. I suoi genitori erano maghi, ma avevano comprato una televisione per sua richiesta, e lei non esitava a sfruttarla. L’accese, coprendosi il volto con le mani per via dell’improvvisa luce scaturita dall’aggeggio. Cominciò a rimuginare su quello che provava per Leòn, e poi su quello che provava per Jo, e poi ancora a Leòn, e poi a Jo… era un cerchio senza fine. Uno dei due si era dimostrato protettivo, forse un po’ appiccicoso, ma sempre affettuoso, l’altro era stato forse l’unico in tutto il castello di Hogwarts a non innamorarsi di lei al primo sguardo. Ovviamente era questo ad ammirarla tanto, ma in fin dei conti, Jo non l’aveva mai considerata più di un’amica, finché lei non aveva capito chi davvero le piaceva e si era dichiarata. Forse il ragazzo l’aveva osservata meglio, forse aveva pensato a lei tutta la notte, forse aveva pensato a cosa significasse quel bacio, forse l’aveva fatto davvero, ma erano tanto giovani da potersi innamorare subito e solo per il piacere di provare – e questo aveva di certo dato man forte.
Si fidava di Jo, era vero. Era più responsabile di Leòn, più determinato. Ed è anche il tuo ragazzo, quindi smettila di pensare a queste cose e tienitelo buono.
Era il suo ragazzo. Ma allora perché…
Un sonno improvviso interruppe il filo dei suoi pensieri. Non riuscì a contrastarlo, era stato troppo imprevisto. Con un movimento naturale, si accasciò sul divano dove era sdraiata.
 
“AAAAAAAAAAH!” Jo balzò a sedere sul letto, sudato fradicio, mentre Vernon inciampava sulla porta per la fretta di correre a vedere cosa era successo.
“Che… cosa… Jo… stai be… bene?” il biondo tremava come una foglia. “I… io devo… Mila… Claire…” si alzò rovistando in tutti i cassetti della stanza in cerca di una piuma e una pergamena. “Jo, mi dici che succede?” “Mila… Claire… pericolo…” “Cosa? Mila e Claire sono in pericolo? E tu come lo sai?” dal tremore, Jo rovesciò l’inchiostro sul tavolo e, come se niente fosse, cominciò a scrivere lettere che nessuno sarebbe riuscito a decifrare. “Jo, basta! Scriverai domani, non vedi come sei scosso? Meno male che mamma e papà dormono ancora. Torna a letto…” Vernon lo prese per la mano e sentì che scottava. “Hai anche una febbre da cavallo! Basta, ora torni nel letto.” Lo trascinò con più facilità di quanto si sarebbe aspettato, visto che il fratello non sembrava in grado di far altro che tremare e protestare con parole indecifrabili e piene di paura.
Appena Vernon lo sdraiò sul letto sentì un caldo tremendo e un gran mal di testa, mentre la febbre saliva a una velocità allarmante. “Mio dio, sei fortunato a essere ancora vivo!” esclamò il brunetto, visibilmente preoccupato.
Jo si lamentava del caldo, e a volte diceva cose nel sonno che a Vernon parvero deliranti. Il ragazzo rimase tutta la notte a vegliare: aveva troppa paura che suo fratello si cacciasse in qualche guaio, sonnambulo o meno.
 
Quando Irma e Todd Belle rientrarono erano quasi le tre del mattino, e di certo non si aspettavano di trovare la figlia mezza svenuta sul divano del salotto e con la febbre a 40. Suo padre la prese in braccio, accorgendosi del sudore che bagnava ogni singolo lembo di pelle della ragazza.
Si diressero nella sua camera, e la deposero nel letto. Sembravano preoccupati, molto preoccupati e solo quando un silenzio caldissimo scese nella stanza sentirono dei lamenti provenire dalla brandina nell’angolo opposto. Si avvicinarono e tastarono la fronte bagnata della perfetta copia fisica di loro figlia: scottava in modo allarmante. Non si spiegavano questo fenomeno: quando avevano lasciato la casa entrambe le ragazze stavano bene e nessuna delle due sembrava avere il minimo accenno di raffreddore.
Non rimaneva altro da fare che aspettare il mattino e fare qualche domanda.

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Capitolo 14
*** Sogni ***


Sogni

L’ultimo giorno dell’anno Jo si svegliò sudato fradicio, avvolto da un caldo soffocante e la testa pulsante. Si strofinò gli occhi cercando di ricordare il sogno che aveva fatto quella notte: un luogo umido e freddo, buio. Era con Mila e Claire, e un uomo le trascinava per i capelli. Lui cercava di aiutarle, ma ogni passo che faceva il desiderio di ottenere il loro potere aumentava, finché non aveva alzato la bacchetta e una luce verde aveva messo fine al sogno. Ma quale sogno? Incubo.
Senti un leggero sospiro di fianco a sé e si voltò ad osservare Vernon, addormentato con la testa sul comodino. Si chiese se avesse bevuto, la sera prima, e per quello avesse deciso di schiacciare un pisolino nel primo posto dove le sue gambe si erano fermate. Poi notò che i cassetti erano stati rovesciati e buttati dappertutto e che dell’inchiostro asciutto bagnava la scrivania.
“Ladri?” il suo sussurro bastò a svegliare il fratello. “Jo! Sei sveglio, stai bene?” chiese il ragazzo. “Io… sì. Ma che è successo?” il biondo era disorientato. “Beh, la febbre è calta.” Rispose Vernon tastandogli la fronte. “La febbre? E quando mai ho avuto la febbre?” “Non ricordi nulla? Ieri ti sei svegliato urlando a notte fonda e volevi scrivere una lettera. Dicevi che Mila e Claire erano in pericolo e tremavi. Avevi una febbre altissima, quindi ti ho portato a letto e non ho dormito fino alle sette, quando mi sono addormentato per circa… beh un’ora e mezza.” Spiegò il ragazzo velocemente. “Mila e Claire in… ma certo! Il sogno!” collegò i fatti e capì. “Ieri notte ho avuto un sogno. Non era molto chiaro dove fossi, ma sembrava molto buio e per essere un sogno tutto era molto realistico. Sentivo l’odore di muschio e umido che c’era sulle pareti e i rumori che c’erano. Li sentivo chiari. Mila e Claire urlavano e io volevo… volevo…” nascose il viso tra le mani, gli occhi umidi per la paura. Il getto verde. Gliene avevano parlato tante di quelle volte! Lui aveva voluto ucciderle, perché l’unico incantesimo che produceva un getto di quel colore era l’Avada Kedavra, l’Anatema che Uccide.
“Vern, prendi una biro e un foglio e scrivi subito quello che ti detto. Subito!” ordinò a suo fratello. Il ragazzo non se lo fece ripetere: almeno non stava impazzendo come la notte prima.
Cercando di contrastare il dolore incredibile alla testa, Jo cominciò a dettare: “Care Mila e Claire, sono Jo. Dovete sapere di un sogno che ho fatto ‘stanotte e… ehm… che mi ha procurato una febbre altissima. In questo sogno… come posso dire?” chiese rivolto a Vernon. “Mi trovavo in un posto molto strano?” propose quest’ultimo. “OK. Mi trovavo in un posto molto strano e… ah, che mal di testa… e riuscivo a sentire odori e rumori. C’eravate anche voi.” Si bloccò. Come avrebbe potuto dire? Sembrerà strano, ma volevo uccidervi. Anzi: l’ho fatto. Forse mancava un po’ di tatto. “Jo, non è stata colpa tua. Era un incubo, uno stupido incubo.” Lo consolò il fratello, che attendeva con la biro levata. “Sentivo uno strano desiderio, ma non ho capito cosa fosse fino ad ora. Volevo uccidervi, credo. Ho anche visto una luce verde, se capite cosa significa avvertitemi. – mentì per non aumentare il disagio – Vernon mi ha detto che avevo la febbre alta e che deliravo, ma io non ricordo nulla.” Proseguì. Prese fiato tastandosi le tempie per il dolore alla testa. “Se vuoi ti prendo qualcosa per il mal di testa.” Si offrì Vernon, che vedeva troppo chiaramente la fatica che faceva il fratello anche solo per parlare. “N-no. Manca solo la firma, ormai. Comunque: Vi prego di non arrabbiarvi…­” “Non succederà.” “Zitto, per favore. Vi prego di non arrabbiarvi e rispondere appena possibile. Ci vediamo presto, Jo. Fatto?” chiese il biondo facendosi passare la lettera per controllarla. “Bene, ora c’è solo d’aspettare il gufo del servizio postale, che passa tra dieci minuti.” Approvò convinto. “Dovevi proprio aggiungere P.S. Ha scritto Vernon, che vi saluta?” chiese al diretto interessato, che sorrise.
 
Quando la luce fredda del sole colpì il viso di Claire questa cercò di coprirsi con le coperte, ma aveva un caldo tremendo, il che non era molto coerente con la stagione. Rinunciò a riaddormentarsi e buttò le coperte in fondo al letto, lasciando che l’aria fresca del mattino le procurasse piccoli brividi. Rimase a fissare il soffitto con un gran mal di testa finché non sentì il rumore di un becco che batteva contro il vetro della finestra. Voltò di scatto la testa e si alzò sentendo la testa pesante per il brusco cambio di pressione. Attese un momento che le luci colorate davanti agli occhi sparissero e si avviò ad aprire. Si chiese chi avrebbe potuto permettersi un gufo così costoso dal servizio di posta, ma appena lesse chi era il mittente capì che non era questione di soldi, ma d’importanza nella precisione del recapito.
Prima di aprire la busta svegliò Mila, accorgendosi che il gufo reale non tornava indietro, segno che attendeva una risposta.
“Posta? E da chi?” chiese la Serpeverde aprendo gli occhi e, come la gemella, buttandosi le coperte ai piedi. “Jo. Mila, hai una faccia orribile. Stai bene?” chiese Claire sedendosi accanto a lei sul suo letto. “Ho un mal di testa tremendo. E ‘stanotte ho fatto un sogno… particolare…” Claire aprì la busta e la posò sulle ginocchia.
Lesse la lettera con una certa difficolta e tra uno sbadiglio e l’altro:
 
Care Mila e Claire, sono Jo. Dovete sapere di un sogno che ho fatto ‘stanotte e che mi ha procurato una febbre altissima. In questo sogno mi trovavo in un posto molto strano e riuscivo a sentire odori e rumori. C’eravate anche voi. Sentivo uno strano desiderio, ma non ho capito cosa fosse fino ad ora. Volevo uccidervi, credo. Ho anche visto una luce verde, se capite cosa significa avvertitemi. Vernon mi ha detto che avevo la febbre a alta e che deliravo, ma io non ricordo nulla.
Vi prego di non arrabbiarvi e rispondere appena possibile. Ci vediamo presto,
Jo
P.S. Ha scritto Vernon, che vi saluta.
 
“Aspetta… lui ha sognato di essere in un posto strano dove poteva usare tutti e cinque i sensi e voleva ucciderci?” chiese Mila. “E l’ha fatto: la luce verde è il getto dell’Avada Kedavra. Ma anche io ho sognato una cosa del genere: ero in luogo buio, umido.  Mi faceva malissimo l’attaccatura dei capelli, sentivo urlare e c’era Jo. Ma ogni volta che faceva un passo vedevo i suoi occhi spegnersi: la bontà che aveva stava diminuendo, finché non ha alzato la bacchetta e… beh: ci ha uccise.” Sapevano di aver fatto praticamente lo stesso sogno, visto che si erano sognate vicine, ma era molto complicato capire perché e che rapporto avesse questo con il Cavaliere.
“Bantdracal.” Sussurrò Claire. “Tu sì che sei una Corvonero!” esclamò Mila. “Bene: rispondiamo a Jo, ma scrivi che ne parleremo appena tornati a Hogwarts.”
 
Prima di scendere in salotto, Jo si strinse la camicia e chiuse alcuni bottoni della giacca. Doveva fare sempre così quando c’erano i suoi nonni e sua zia ospiti e, per non sentirsi a disagio, aveva chiesto anche a Leòn di vestirsi elegante.
Si rimirò nello specchio e sorrise di fronte al fisico snello e slanciato. Pensò che non sarebbe mai stato più bello di Sammy, ma di sicuro non sarebbe neanche mai stato un brutto ragazzo. Sentì il campanello e scese di corsa saltando diversi scalini. “Vado ioooooo!” gridò scivolando e sbattendo contro Vernon, che aprì la porta in quell’esatto istante. “Jo! Insomma, la pianti di fare il deficiente?” chiese suo fratello scrollandoselo di dosso. “Oh, ma tanto non ti sei fatto niente! Ciao Leòn.” Salutò il suo migliore amico, che dentro a suo completo elegante sembrava più affascinante di quello che già era. “Salve, moi, je suis trés heureux de vous voir.” Salutò questo con un azzeccato accento francese. “Parli francese ora?” chiese divertito il biondo. “Questo è mio fratello Vernon. E questo deve essere tuo fratello, piacere Jonathan.” Si presentò fingendo una postura elegante. “Piacere, Brian.” Il ragazzo, quasi identico al fratello, scoppiò a ridere. “Piacere, io sono Blaise Zabini e questa è mia moglie Pansy.” Presentò un uomo alto e magro, con capelli castano scuro e occhi altrettanto scuri. Sua moglie era una bella donna, dai capelli neri e gli occhi verdi, identici a quelli dei suoi due figli. “Piacere.”
Si avviarono in salotto, dove due paia di nonni e un’anziana e scorbutica prozia stavano chiacchierando cordialmente, fingendo di non avere divergenze. “Oh, Jo! Era tutta la vacanza che volevo vederti.” Salutò subito sua nonna Gemma, invitandolo a sedersi vicino a lei sul divano. “Ecco: un regalino di Natale, c’è anche per te Vern.” Jo aprì il pacchettino: era una piccola trottola che, secondo una specifica tecnologia, girava per più di un minuto senza cadere. “Wow! Ma è fantastica. Ed è anche la mia passione, come facevi a sapere che la volevo?” chiese mentre Vernon estraeva un nuovissimo PC ultimo modello. “Tu sì che hai strani gusti. Non pensavo ti piacessero le trottole.” Intervenne Leòn sedendosi sul tappeto per osservare meglio il computer di Vernon. “Pensavo di cercare qualcosa da Zonko, appena potremo andarci.” Suo fratello alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa per indicare a Leòn e Brian di non chiedere spiegazioni.
“A proposito di Zonko: questo è per te.” Gli porse un pacco che tremava appena. “Dovrei preoccuparmi?” chiese il biondo incerto. “Forse. Apri!”
Dentro c’era un minuscolo libro che tremava in continuazione. “Cos’è?” chiese. “Un libro Mostro dei Mostri, ci sono tutte le creature più ripugnanti del modo magico, ma è solo un gioco: quelli veri hanno il limite di età.” Spiegò Leòn.
“Jo, ci presenti i tuoi amici?” chiese l’enorme Vernon Dursley Senior, che non aveva affatto gradito di essere stato ignorato. “Sì, certo: questi sono Leòn e Brian Zabini, e i loro genitori Blaise e Pansy. Questi sono i miei nonni Gemma, Tod, Vernon e Petunia, e la mia prozia Marge.” Mentre Gemma e Tod stringevano la mano dei signori Zabini con entusiasmo, gli altri tre salutarono con un semplice gesto del capo.
“Jo, Vernon! Ora mi spiegate cosa è successo qui sotto!” gridò Julia Dursley dal seminterrato. “Oh, no! Jo: il fumogeno colorato di zio George, l’abbiamo dimenticato e deve essere esploso.” I fratelli si precipitarono giù dalle scale, seguiti dagli amici, che ridevano a crepapelle.
Dopo qualche ora, verso le undici e mezza di sera, tutti avevano mangiato l’ottima cena di Julia e stavano digerendo tranquilli. “Jo, è arrivato Il Profeta della Sera.” Annunciò Dudley entrando con un rotolo stretto in mano. “Lo zio Harry è in prima pagina.” Lo aprì e tutti si sporsero per vedere una foto di Harry che stringeva la mano a Kingsley Shacklebolt, il Ministro della Magia. “Il capo Auror Harry Potter, famoso per aver ucciso il Signore Oscuro, incontra oggi il Ministro della Magia per una riunione in seguito a un avvenimento di questa notte: dei Corpuscontroller, dal Ministero dichiarati estinti, si sono introdotti nel reparto delle profezie, all’interno dell’ufficio Misteri, per ragioni ignote.” Lesse Leòn. “Corpuscontroller?” chiese Brian, senza capire. “Jo… il reparto profezie.” Sussurrò Leòn. CRACK.
Qualcuno bussò alla porta e Dudley andò ad aprire, per tornare qualche minuto dopo con Harry in persona. “Jo, posso parlarti?” chiese. “Beh… può venire anche Leòn?” chiese il ragazzo.
“Harry Potter.” Salutò Blaise. “Blaise Zabini, è un piacere.” Replicò freddo l’uomo. “Andiamo, Potter. Pensavo fossimo cresciuti, ci fossimo lasciati alle spalle certe cose.” “Salve Parkinson. O forse dovrei dire signora Zabini?” chiese ancora Harry. “Voi vi conoscete?” chiese Brian sconcertato. “Eravamo allo stesso anno a Hogwarts. Solo che io ero un Grifondoro e lo Serpeverde.” Rispose il bambino che è sopravvissuto. “Anche Draco era un Serpeverde, ma non mi sembra che siate così nemici, in questo periodo.” “No, infatti, mi scuso. Sono solo un po’ scosso per ieri notte.” Poi si accorse dei Dursley. “Vernon, Petunia… Marge.” Salutò, ma questa volta nessuno provò a riallacciare i rapporti. “Ragazzo.” Salutò semplicemente Vernon.
“Harry, hai detto di dover parlare con Jo.” Gli ricordò il cugino. “Ah, già. Venite voi due.” Si avviarono verso la cucina. Jo e Leòn avevano un brutto presentimento.

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Capitolo 15
*** Capodanno e crisi amorose ***


Capodanno e crisi amorose

Entrarono nella piccola cucina di casa Dursley, dove numerosi piatti sporchi erano impilati al centro del tavolo, e si sentiva ancora il profumo della gustosa cena di Capodanno. Jo e Leòn si sedettero al tavolo e aspettarono che Harry parlasse.
“Avete saputo degli avvenimenti della scorsa notte?” chiese l’uomo. I ragazzi, ammutoliti, annuirono. “Penso abbiano qualche collegamento con te – indicò Jo – e Mila e Claire.” Jo deglutì: se era stata violata la sala delle profezie, tutto ciò aveva altro che qualche collegamento con loro. “Cosa… cosa hanno rubato?” chiese, non molto sicuro di volerlo sapere. “Una profezia molto antica, ci abbiamo messo quasi venti ore, ma alla fine abbiamo trovato uno spazio vuoto su uno scaffale.” Lo zio estrasse delle foto che sembravano recenti. “Sono ferme.” Osservò Leòn. “Preferiamo vedere chiaramente ciò che è rappresentato in immagini di questo tipo. Ma quello che vi deve interessare è il contenuto.”
Erano immagini di una stanza gigantesca e piena di scaffali altissimi. La prima foto rappresentava un bigliettino che diceva: Bantdracal, ora e per sempre. “Bantdracal?” chiese Leòn spaventato. Jo sgranò gli occhi. “Voi cosa ne sapete?” chiese Harry sospettoso. “Troppo. Bantdracal ha qualche collegamento con i Corpuscontroller: ma solo con i Cavalieri.” Rispose suo nipote. “Quindi ogni Corpuscontroller eccetto te.”
Il picchiettare di un becco sulla finestra gelida li distrasse. “È del servizio postale della sera.” Osservò il bruno indicando il collarino del pregiato gufo reale che entrò lasciando una busta sulle ginocchia dell’amico. “Non aspetta risposta.” Aggiunse quando l’uccello tornò a volteggiare nella notte buia.
Jo aprì la busta e lesse:
 
Caro Jo,
dopo la lettera di questa mattina pensavamo di aspettare a parlare del sogno, ma abbiamo letto il Profeta e abbiamo deciso sia più importante che tu sappia. Il posto che abbiamo sognato, a rigor di logica, è Bantdracal. Pensavamo fosse una normale prigione, ma forse è più di questo: potrebbe essere un rifugio sicuro, probabilmente Occultato o sotterraneo, in cui hanno residenza tutti i Cavalieri. Vogliamo specificare che è un posto sicuro per loro e nessun altro, visto che da quanto abbiamo sentito quella notte, non è esattamente il miglior posto dove finire per qualcuno che non è un Corpuscontroller. Secondo alcune intuizioni di Claire, i Corpuscontroller non uccidono mai le loro vittime, perché le rinchiudono là dentro, e questo spiegherebbe perché lui ha detto di non essere un assassino.
Sappiamo quanto sia pericoloso trasmettere tutte queste informazioni via gufo, e per questo pagheremo un patrimonio per affittare il miglior gufo reale del servizio postale della zona.
Ne parleremo ancora una volta a scuola, sperando che tu stia bene,
Mila e Claire
 
Jo rimase a bocca aperta di fronte a quella valanga d’informazioni. Bantdracal. Perché non ci aveva pensato lui? Era così ovvio.
“Di chi è?” chiese lo zio Harry destandolo dai suoi pensieri. “Mila e Claire.” Rispose il ragazzo cercando ancora di capire cosa lo turbasse di più: l’ovvietà di quelle informazioni o quanto fossero reali. “Posso?” il capo Auror prese la lettera e la lesse diverse volte per essere sicuro di capire ogni parola. “Lui chi?” chiese. “Il Cavaliere Misterioso.”
Harry guardò il nipote con un sopracciglio alzato, indeciso se rimproverarlo o preoccuparsi. Decise di approfondire la cosa prima di farsi illusioni e cominciò un interrogatorio lunghissimo su come sapessero di Bantdracal, come mai sapessero i pensieri del Cavaliere e domande a non finire su cosa gli facessero studiare a scuola.
Finito questo, Harry decise di spiegare ai due ragazzi a cosa portavano le numerose indagini sul caso. “Quanto abbiamo scoperto noi non è neanche lontanamente preciso quanto sapete voi, ma molte cose vanno specificate. Nel reparto profezie ce ne sono molte riguardanti i Corpuscontroller. Ne abbiamo ascoltate alcune e molte predicevano il trionfo della ‘specie’, se così si può definire. Ma molte altre lo descrivevano come uno ristabilimento dell’ordine da parte di qualcuno di molto potente, ma giusto.” I ragazzi si guardarono. Potente? “Forse voi sapete qualcosa a riguardo, in quelle molte predizione era solo poco più che accennato.”
Jo prese un gran respiro e cercò di ripetere la profezia che aveva sentito sotto la botola: “La profezia che è stata rubata parlava di una persona gentile, onesta, con la coscienza pulita. E soprattutto che non tratti male il nemico… almeno credo.” Lo zio lo guardò dall’alto al basso. “Ma cosa avete fatto in un solo quadrimestre a Hogwarts?” chiese. Jo si ricordò solo in quel momento della gran quantità di regole infrante negli ultimi mesi e di come conoscevano quella profezia. “Ehm…”
“Mancano dieci minuti a mezzanotte! Papà ha posizionato i fuochi, venite a vederli?” chiese Vernon entrando all’improvviso, e i due Serpeverde ringraziarono che non avesse bussato. “Arriviamo.” Dissero in coro, e corsero dietro al sedicenne sorridendo, ma con una grande angoscia addosso, come a essere stati scoperti a fare qualcosa di sbagliato.
“Bene, questi sono quelli non magici, mentre questi sono quelli di George. Ecco mettilo qui. Questi non sono pericolosi, dovrebbero andare bene.” Dudley stava posizionando i fuochi d’artificio aiutato da Brian. “Vuoi lanciare i fuochi George?” chiese Harry aiutandolo a trasportarne uno. “Beh, sono molto creativi e decisamente meglio dei nostri. Questo dovrebbe fare un’aquila infiammata.”
Jo e Leòn trascinarono un gigantesco petardo magico al centro del giardino e lo puntarono con la punta verso l’alto. “Wow, chissà cosa c’è dentro. A pensarci mi servirebbe una scopa nuova.” Commentò il bruno esaminando attentamente il piccolo missile. “Non ci sono le scope nei petardi. Però a volte ci sono degli animali. A me farebbe comodo un gufo.” Commentò invece Jo.
I Dursley osservavano la scena senza avvicinarsi: non si fidavano affatto di quegli strani fuochi d’artificio. “Bene, manca meno di un minuto.” Avvisò Blaise. “6 5 4 3 2 1!” i fuochi partirono e miriadi di scintille colorate riempirono il giardino. Un’enorme aquila di fuoco inseguì Brian, che cominciò a scappare ridendo.
“Auguri Leòn!” esclamò Jo dandogli una pacca sulla spalla. “Wow, quanto darei perché Mila fosse qui.” Il ragazzo aveva gli occhi sognanti e, perso nei suoi pensieri, non si accorse dell’espressione affranta di Jo. Già, anch’io. Pensò. Poi pensò che era Capodanno e si stampò un sorriso in faccia.
 
I fuochi d’artificio splendevano nel cielo e Mila e Claire li osservavano dalla grande finestra della camera della Serpeverde. A causa della febbre del giorno prima, non avevano avuto il permesso di uscire, ma comunque la vista era spettacolare. “Quello è magico!” Claire indicò un grosso serpente a sonagli che si aggirava nel cielo. Era una serata magica. Chissà se Leòn si sta divertendo. Si trovò a pensare Mila. Si ritrasse indispettita. “Che c’è?” chiese Claire guardandola interrogativa. “Claire, tu cosa pensi di me e Jo?” chiese sua sorella scendendo dal davanzale. “Che siete la coppia più improbabile mai esistita.” Rispose l’altra ridendo. “Già. E forse anche la meno possibile.” Commentò la Serpeverde sedendosi sul letto. “Mila, non è con me che devi parlarne.” Claire si sedette vicino a lei osservando ancora la finestra. “Pensi sia meglio Leòn?” “Penso di non essere pronta per una relazione.” “Forse non lo sei. Dovresti dirglielo, capirà.” Mila sospirò. Era esattamente quello che avrebbe fatto: avrebbe lasciato Jo e prima di mettersi con qualcun altro si sarebbe dovuta sentire pronta. “Vieni?” chiese Claire. “Andiamo in giardino, si vede meglio da là.” Scesero le scale e entrambe pensarono che tutto sarebbe andato bene.

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Capitolo 16
*** Un turbolento ritorno ***


Un turbolento ritorno

Jo scese dall’auto con la gioia nel cuore. Un po’ di nostalgia per le vacanze, anche, ma l’idea di tornare a Hogwarts era incredibile. Lui era piccolo, dopo tutto, e un po’ di quella felicità tipica dell'infanzia ce l'aveva ancora.
 Trascinò il baule fino a un carrello, inciampando nei vestiti giganti che indossava, e corse verso la barriera che a King’s Cross divideva il mondo Magico dal mondo Babbano.
“Jo! Per la miseria, ti vuoi fermare?” suo padre correva verso di lui, affannato per il poco esercizio. “Su, su papà! Di questo passo, Lloyd farà prima di te.” eh, sì. Era ancora un bambino, per quanto grande potesse essere considerato, era ancora piccolo. Lloyd era il piccolo cane zoppo che al momento sonnecchiava nella sua cuccia, sopra il baule, un regalo di zia Marge. Poi, qualcosa successe. Jo cominciò a rimpicciolire, sempre di più e tutto attorno a lui lo sovrastava. Si avvicinò alla barriera, spingendo il carrello con tutte le sue forze, ma quello si mosse solo perché aveva le ruote, se no di certo il peso avrebbe impedito ogni movimento. Infine, Jo divenne così minuscolo che una formica l'avrebbe schiacciato, ed implose in un piccolo sbuffo polveroso.

 
Il ragazzo apri gli occhi verde speranza e fissò il soffitto, ascoltando la voce di Vernon che parlava dalla cucina.
Non era un bel sogno, ma è il migliore che ho da capodanno. Pensò. Eppure rabbrividì, come faceva ogni mattina, svegliato da una luce verde e spettrale. Ma oggi era diverso. Oggi il sogno era qualcosa di particolarmente intimo. Era un incubo che l’ego era riuscito a mantenere, nonostante fosse continuamente soppresso o negato. Chissà se questa paura mi passerà mai. Jo si alzò e infilò le ciabatte calde. Lloyd rotolò nel sonno giù dal cuscino che Jo gli aveva regalato e tirò fuori la lunga lingua svegliandosi. Rimase a testa in giù a osservare il suo nuovo padrone.
Di tutti i suoi cani, la vecchia prozia aveva regalato a Jo il più ‘scadente’, ma lui aveva pensato che quel poveretto non sarebbe sopravvissuto un mese tra quei cani sani e robusti quali erano i suoi fratelli.
Prese in braccio il cane e lo coccolò con tenerezza.
“Jo, se vuoi fare colazione, poi dovremmo preparare il baule. Il treno parte alle…” “...13 e non puoi fare tardi. Ora scendo.” Vernon era più eccitato di lui all'idea di tornare sul binario 9 ¾, e lui pensava che fosse per una ragazza che aveva conosciuto qualche anno prima, accompagnando i cugini che ancora andavano a scuola.
Avrò un intero viaggio per ragionare su ‘stanotte. Si alzò e scese in cucina.
 
Jo girava per il treno in cerca di uno scompartimento libero, o, per meglio dire, dello scompartimento che i suoi cari amici avevano trovato appena arrivati al binario, che lui aveva raggiunto dopo di loro. Bene. Ora chissà quando li troverò, quei tre. Sospirò e continuò la sua ricerca fino alla coda del treno, dove si accorse di aver sbagliato qualcosa. Si voltò e tornò indietro per proseguire. I ragazzi negli scompartimenti lo guardavano e ridevano, vedendolo tutto sudato a trascinare il baule. Quanto passò davanti a Jake Norton e i suoi amici, intenti a distruggere i sedili, quelli si fecero piccoli piccoli e si ammutolirono. Jo, solo per il gusto di farlo, infilò la testa nello scompartimento e chiese: “Scusate, avete visto Leòn Zabini? È il fratello di Brian, non so se lo conoscete.” Norton annuì cercando di non guardarlo negli occhi. “E sapreste anche da che parte è andato?” tutti indicarono la direzione verso la quale stava andando lui. “Grazie, ci si vede a scuola, Norton.” il ragazzo sbiancò e Jo si avviò soddisfatto verso la direzione indicata.
“Eccovi! Finalmente, vi ho cercato tutta la mattina.” Jo entrò in uno scompartimento a metà del treno, dove Leòn, Mila, Claire e anche Al Norton - cosa che fece calare il morale di Jo sotto i piedi, senza un motivo - chiacchieravano amabilmente. “Noi ti abbiamo cercato, ma tu sembravi scomparso.” sorrise Leòn. Era seduto vicino a Mila e le accarezzava i capelli, e questo rese il morale di Jo ancora più vicino al centro della terra. Addio pubblica relazione. “Al ci stava raccontando di come suo fratello stia migliorando, grazie alla riabilitazione. Ora è meno violento.” In realtà sono passato davanti al suo scompartimento e lo stava facendo a brandelli.
“Si sta anche riprendendo dallo shock, ma non credo che perderà mai la paura delle altezze.” Colpo di grazia. Jo tirò con uno scatto di adrenalina il baule sulla rastrelliera. Estrasse il libro Mostro dei Mostri e lo aprì con la solita procedura, mettendosi a leggere. Lloyd si accovacciò sulle sue ginocchia e si addormentò.
“Oh, andiamo Jo! Non dirmi che te la prendi per questo.” Claire aveva quel terribile difetto di appoggiare in tutto e per tutto quell’idiota di Norton. Anche se non gliel’aveva mai detto sapeva che gli piaceva, ma questo non gli impedì di trovare una scusa liberatoria per farsi un giro e pensare al sogno di quella notte come aveva sperato. “È tutto il giorno che giro, devo andare in bagno. A proposito, questo è Lloyd, è zoppo, quindi se rotola a testa in giù dovete aiutarlo ad alzarsi.”
Uscì senza altre spiegazioni, pensando che sarebbe stato meglio rimanere a cercare e arrendersi in coda al treno. Begli amici. Pensò in preda all’ira. Non capiva cosa gli stava succedendo. Quella notte non aveva sognato il macabro omicidio delle sue migliori amiche nell’umida prigione di Bantdracal. Eppure si sentiva inverso, scontroso. Era fermamente convinto che il suo morale fosse cambiato nell’esatto istante in cui aveva visto quel pomposo di Al Norton. E poi c’era stato il fantastico incontro col sorriso di Leòn; infine Claire si umiliava seguendo Norton in ogni suo movimento.
Come può? Come può seguire quell’idiota di Norton? Per quanto se lo chiedesse, la risposta non variava: a Claire piaceva Norton, e non importava quanto lui odiasse quella famiglia prepotente e inutile. Pensare che Jake aveva già sedici anni e non aveva ancora superato il primo anno.
Ma siccome quando si parla del diavolo questo arriva, Jake Norton andò a sbattere contro l’esile corpo di Jo, che cadde e lo guardò imbronciato. “Cosa c’è?” chiese Jake. Solo che sei un’idiota senza cervello. “Perché mi hai spinto?” chiese il piccolo Serpeverde. “Mi spiace, non ho guardato. Vuoi una mano ad alzarti?” doveva aver capito male. Jake Norton gli aveva offerto il suo aiuto? “N-no. Ce la faccio.” Si alzò e continuò la sua passeggiata, pensando che il più antipatico tra i due fosse di certo Al quando… “Aspetta! Dursley!” si voltò e vide Jake che gli correva dietro affannato. “Sì?” chiese. “Io, mi chiedevo se ti andrebbe di trovare uno scompartimento. Voglio dire, tra poco passa il carrello e io ho fame.” Jo lo guardò pieno di sincero stupore. “Sbaglio o mi stai offrendo la tua amicizia?” chiese. Jake scrollò le spalle.
Tornarono verso la coda del treno, dove gli scompartimenti erano quasi tutti liberi, visto che un quarto della scuola aveva passato le vacanze al castello. “Allora, dove hai lasciato i tuoi bagagli?” chiese Jake cercando qualche spicciolo nelle tasche. “In uno scompartimento dove ci sono i miei amici e… c’è anche tuo fratello.” Jake sbuffò. “Quell’idiota. Davvero siete amici di Al?” “No, io no. La mia migliore amica è una Corvonero. Sai che ha detto? Che stai facendo la riabilitazione.” Jake sbuffò di nuovo. Era ovvio che non stava facendo niente di niente per migliorare il suo comportamento. “Quello è buono solo a dire balle.” Commentò infatti.
Il viaggio trascorse tranquillo. Prima Jo e Jake si sfogarono prendendo in giro Al, poi cominciarono a parlare di professori e Jake fece una lista dettagliata delle volte in cui era finito in punizione e i vari motivi. Poi il conduttore informò: “Ci stiamo avvicinando alla stazione di Hogsmeade, tra meno di venti minuti dovrete scendere.” E i due ragazzi si salutarono per andare a cambiarsi.
Quando Jo rientrò nello scompartimento dei suoi amici, fu felice di vedere la scomparsa di Norton. “Jo! Ma dove sei stato tutto il viaggio? Non ti sei ancora cambiato. E poi il tuo cane ti cercava. E…” “Grazie mille Claire, non voglio sapere i dettagli di quello che ho mancato di fare. Vi spiace uscire, voi due? Dovrei mettermi la divisa.” Mila lo guardò accigliata. Non l’aveva neanche salutata, quella mattina, e lei non sembrava aver gradito. “Per… per favore.” Balbettò il Serpeverde vergognandosi improvvisamente.
Le ragazze uscirono e Leòn chiuse le tendine dello scompartimento.
Non parlarono per un po’, finché Leòn non ruppe il silenzio. “Sai, non vedevo l’ora che Norton se ne andasse. È davvero vanitoso.” Jo non si stupì. Leòn era geloso, soprattutto delle persone, e non doveva aver sopportato quell’attaccamento che Claire e Norton dimostravano. “È un Corvonero. Sapevo che i Serpeverde erano solo stereotipati: anche le altre Case sanno essere viscide e insopportabili.” Rispose il biondo. “Dove sei finito oggi pomeriggio?” chiese il suo migliore amico. “Ho incontrato un vecchio… amico.” Proprio in quel momento Lloyd scivolò giù dal sedile e rimase a testa in giù ad osservarli. Era il suo modo di svegliarsi. Jo lo prese e lo mise sulle zampe. “Apri pure, sono a posto.” Mila e Claire tornarono nello scompartimento e si sedettero a fissare Jo con la solita voglia di punire i suoi cambi d’umore ingiustificati. “Scusate per prima. Sono solo un po’ stanco.” “Jo, hai passato due settimane a mangiare e riposarti. Per non parlare del fatto che a Natale sei andato da tua nonna…” “…eh sì, proprio rilassante…” “…il fatto è che non hai motivo di essere stanco!” finì Mila. “Jo, quante volte hai fatto quel sogno nell’ultima settimana?” sembrava sinceramente preoccupata. “Tutte le n0tti tranne l’ultima.” Mila e Claire annuirono facendo capire che era andato allo stesso modo anche per loro. “Io non ho ancora capito.” “Che novità.” Sussurrò Jo maligno. “Intendo dire che non ho capito di cosa state parlando. Qualcuno si è dimenticato d’informarmi.” Leòn proprio non sopportava il carattere di Jo, che a volte sapeva di bipolarità: c’era il Jo amabile, talvolta umile, e poi c’era un abominio che solo la difficile posizione di Corpuscontroller riusciva a giustificare.
“Ecco, questa è la lettera che ci ha mandato Jo.” Claire gli passò la lettera che descriveva il sogno da come lo vedeva Jo. “Wow. Davvero sognate questa roba tutte le notti?” chiese il bruno a bocca aperta. “L’unica variante è che Jo ci uccide davvero. Il lampo verde è l’Avada Kedavra.” Spiegò la Corvonero. “E il posto dove vi trovate è Bantdracal. Beh, tutto torna.” Claire e Mila lo guardarono con un improvviso lampo di sorpresa. “Sono andato da Jo a capodanno.” Spiegò il ragazzo.
“Tra pochi metri raggiungeremo la piattaforma di Hogsmeade. Vi prego di prendere bagagli e animali e uscire dal treno velocemente.” Fu la voce del conduttore a ricordare a tutti che ormai l’arrivo a Hogwarts era vicino e che era ora di scendere. Raccattarono i bagagli e Jo ripose con delicatezza Lloyd nella cuccia – guadagnandosi una leccata – poi uscirono dallo scompartimento proprio mentre il treno iniziava a frenare.

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Capitolo 17
*** Un regalo anonimo ***


Un regalo anonimo

Il secondo trimestre a Hogwarts era iniziato con molta calma. I ragazzi del primo anno avevano poco da studiare, visto quanto avevano invece quelli degli ultimi anni. Nonostante tutto, i piccoli undicenni erano impegnati con compiti e notti in bianco. Dunque, quando arrivò la liberatoria ora di Astronomia del giovedì sera, Jo, Leòn, Mila e Claire non si attardarono a salire le scale che portavano alla torre più alta della scuola, seguiti a ruota da Al – il quale non si staccava un secondo da Claire. Nessuno voleva mai perdersi quelle lezioni piene di bellezza naturale e aria fresca. Purtroppo per gli sventurati primini di Corvonero e Serpeverde, Gennaio era solo agli inizi e l’aria era fredda gelida. A complicare la situazione fu l’alternarsi di nuvoloni che impedivano la vista delle stelle. Nel complesso la lezione fu un disastro e l’insegnate li liberò con mezz’ora d’anticipo. Tornati nella Sala Comune, a parte all‘improvviso senso di liberazione dal vanitoso Al Norton, Jo si sentiva stanco morto. Erano giorni che, se dormiva, aveva al massimo un’ora di sonno, e questo non giovava alla sua prestazione scolastica. Dormiva durante ogni lezione, nonostante avesse voti massimi anche in Difesa Contro le Arti Oscure, possibili solo grazie allo studio notturno. Era come se per lui giorno e notte fossero al contrario: infatti trovava sempre più facile studiare durante la notte. Ma questo non permetteva di effettuare alcuna ricerca sul Cavaliere, che sempre più insistentemente affiorava come un’ombra senza volto nei suoi sogni più felici. Il che era un vero peccato, perché non ne aveva quasi nessuno.
Come se non bastasse, Mila si era allontanata molto nelle ultime settimane, e non potendo parlarne, il ragazzo non sapeva per certo se era dovuto a Leòn o lui.
“Jo! Ho bisogno di quegli appunti su Piton, e anche quelli sulla Mandragola, già che ci sei. Poi mi devi aiutare con l’incantesimo di disarmo, o Matthews non me la fa passare liscia questa volta.” Era l’una di notte, e Leòn era appena sceso in Sala Comune per raggiungere Mila e Jo al solito tavolino. Era sempre triste non poter studiare con Claire, ma Voldy se tutti e tre ci tenevano a evitare Norton! “Ecco, chiedi a Jean se ti ridà quelli su Piton, li ho dati a lei.” Rispose Jo passandogli due fogli sulla Mandragola e uno sull’Expelliarmus e indicando Jean Thomas (la sorella più piccola di Skai) dall’altra parte della stanza. “Dursley, non è che mi presti i tuoi appunti di Pozioni? Ero malato la settimana scorsa.” Chiese Simon Finnigan sorridendo. “Simon, tu sei al terzo anno!” “Sì, ma tu prendi appunti dai libri del terzo anno, quelli del primo ti annoiano.” “A me serve aiuto in questo tema di Cura delle Creature Magiche.” “Non faccio Creature Magiche.” “Ma sai tutto di questo libro, ti ho visto leggerlo.” “Jo, mi daresti una mano in Trasfigurazione? So che sei solo al primo anno, ma si dice che tu sappia fare cose molto più avanzate dello standard.” “Credi di potermi spiegare questo capitolo sui Patronus? Sarebbe un gran favore, sai.” Si andava avanti così, tutta la notte fino all’una, nei giorni peggiori le due: ore in qui Jo doveva aiutare tutti dopo aver finito i suoi compiti. Gli unici che non chiedevano aiuto erano i ragazzi del settimo anno, e lui gli era davvero grato. Mila e Leòn usavano gli appunti senza chiedere il permesso, tanto lui accordava a tutti ogni favore. La Sala Comune sembrava più viva la notte che in qualunque altro momento, e gli ultimi ad andarsene erano quelli del quinto e settimo anno, senza contare i tre ragazzini del primo dei quali due dormivano sul tavolo e l’ultimo aiutava senza sosta il quinto anno a organizzarsi e prepararsi per i G.U.F.O.
Insomma, tra notti di studio, e sogni fuori dal comune, i weekend di Jo erano come delle oasi di salvezza. In realtà il sabato non esisteva più nella sua vita: si addormentava il venerdì sera e, salvo i bruschi risvegli dovuti ai sogni, dormiva fino alla domenica mattina, e ormai nessuno si chiedeva più dove fosse finito.
Durante le settimane più difficili, Jo saltava anche mattinate intere e le domande come “Avete visto il signor Dursley?” da parte dei professori oppure “Ma Jo è di nuovo a letto?” da parte degli studenti, erano lasciate senza risposta da uno sguardo allusivo. Quando in questi giorni nel pomeriggio le lezioni coincidevano con i Corvonero, Claire tirava calci al suo migliore amico da sotto il banco per svegliarlo o solo per punire il fatto che avesse saltato metà delle lezioni. Al Norton la seguiva sempre, quindi nessuno dei tre Serpeverde si sforzava troppo per trovare una scusa per tornare a sgobbare su libri segreti presi quasi per sbaglio dalla Sezione Proibita. Perfino Mila non riusciva a pensare al Cavaliere. E beata lei! I sogni delle gemelle erano molto rari, ma Jo si svegliava almeno tre volte a notte (e dormiva al massimo un’ora ogni notte) svegliato dallo stesso lampo verde dell’Avada Kedavra. La febbre dovuta al sogno spariva in qualche minuto, giusto il tempo di farlo rimbambire per il rapido calo del calore corporeo e farlo addormentare in un nuovo sogno, eppure sempre lo stesso, ma più vivido col passare del tempo, come se si avvicinasse sempre di più il momento di attuarsi e diventare realtà.
Argomento A, pagina 345: La caccia ai Lupi Mannari da parte degli Auror.” “Argomento A? Come fa a essere a pagina 345?” chiese Leòn a Jo, che stava dettando il tema di Storia della Magia. “Perché è l’argomento A del capitolo 11. Quello riguardante il dopoguerra. Dicevo: La caccia dei Lupi Mannari da parte degli Auror. Secondo il documento evocato il 4 giugno 1998, tutti gli Auror ebbero il compito di catturare e processare qualunque Lupo Mannaro si fosse dimostrato incline al movimento Mangiamorte.” “Ma perché proprio tutti? Insomma, magari qualcuno non aveva nulla a che fare con Voldemort e aveva lottato contro di lui, oppure era rimasto neutrale, guarda Remus Lupin: lui è morto durante la Battaglia di Hogwarts.” “Sai cosa vuol dire processare?” “Non proprio…” “Scrivi e basta. I Lupi Mannari si nascosero nelle caverne dei giganti, che non gradirono e protestarono al Ministero, che chiuse le grotte lasciando i Lupi per sempre lì dentro.” “Hey, non dice così! E poi io devo scrivere un tema di trenta centimetri, non due frasi.” “Allora perché non scrivi grande?” “Non mi aiuti.” “Senti perché non chiedi a Mila di aiutarti?” “Perché a lei l’hai dettato tu.” “Allora copialo, comunque ora devo andare.” Jo si alzò e restituì il libro al suo amico. “Dove?” chiese Leòn “Ho un favore da fare a un amico del fratello di mio cugino, che è anche mio cugino, che però non si ricorda il nome del suo amico.” “Non regge neanche se mi Confondi.” “Non mi credi? E va beh, comunque Mila è appena scesa. Ti aiuterà lei a studiare, ci vediamo dopo.” E sparì oltre il muro di mattoni.
“Dov’è Jo?” chiese Mila sedendosi reggendo cinque libri e posando la borsa piena di altri sette sul tavolo. “A incontrare un amico di suo cugino. Credo, non è stato molto chiaro.” Poi si voltò notando che Mila lo guardava accigliata, bloccata nell’atto di aprire il libro di Erbologia. “Jo è andato a parlare con… qualcuno?” “Così ha detto. Non è che mi aiuti a finire il tema?”
 
Jo scese le scale veloce e raggiunse il cortile interno, dove Jake stava cercando di studiare, senza molto successo. “Ancora alle prese con inutili informazioni sulla zoologia Babbana?” lo canzonò l’amico raggiungendolo. “Disse il Nato Babbano. Non me l’hai regalato tu questo libro?” “Solo perché non m’interessava. A proposito, dov’è Lloyd?” chiese Jo, il quale aveva ‘prestato’ il suo cane a Jake, solo per non lasciarlo senza cure, visto tutti i compiti che aveva e non (era quasi sicuro che la metà dei compiti di tutti i Serpeverde fossero opera sua).
“Dursley, te conviene stargli lontano, o giuro che ‘sta volta te affatturo!” minacciò uno degli amici di Jake arrivando minaccioso. “Se volessi fargli male, dovrei fare i conti con la McGranitt, ancora, e ti assicuro che è l’ultima cosa che voglio.” “Calmo, Carlos, è qua solo per aiutarmi a studiare.” Lasciando Carlos decisamente sbalordito, si avviarono verso un’aula vuota.
“Tra te e Leòn, non so chi sia messo peggio.” Commentò Jo, dopo quasi un’ora di studio. “Io. Leòn ha undici anni…” “…e la mentalità di un cinquenne. E pure tu, solo che tu di anni ne hai sedici.” “Sai essere un degno Serpeverde, quando vuoi.” “Grazie.”
Passò ancora un’ora, ad un certo punto qualcuno entrò nell’aula e tirò la veste di Jo. “Kreacher?” chiese il ragazzo con un sorriso. “È un piacere vederti.” “Kreacher è venuto per fare a Jo un regalo. Dal suo padrone.” Jo lo guardò sorpreso. “Il tuo padrone ti ha chiesto di farmi un regalo? A me?” chiese il ragazzo indicando il suo petto. “Sì, sì. Oh ma… Kreacher chiede scusa, non aveva visto il signorino.” Disse l’elfo sorridendo a Jake. “Piacere, Jake. Tu sei Kreacher, giusto?”
“Kreacher deve darti questo, Jo. Un regalo del padrone.” Kreacher porse una pergamena ingiallita a Jo. “Grazie. Qualunque cosa significhi, grazie mille, Kreacher.” L’elfo sorrise radioso e con un profondo inchino, si dileguò.
“Ma che cos’è?” si chiese Jo. “Posso vedere? Forse io ho un’idea, ma devo vederla a vicino.” Jo gliela porse e Jake la esaminò per bene, poi esclamò: “Wow! Ho letto di questa roba. Si chiama la Mappa del Malandrino. C’era in un libro sui protagonisti delle Guerre Magiche, si è fatta due generazioni intere! Giuro solennemente di avere cattive intenzioni.” Non successe niente. “Ho capito. Ma stai sbagliando formula: è Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.” La pergamena si animò e mostrò diverse centinaia di puntini, ognuno contrassegnato da un nome.
“Jo, cosa non va?” “Questa mappa. Appartiene a mio zio.” E si voltò ricordandosi dove aveva sentito il nome di Kreacher.

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Capitolo 18
*** La mia più grande paura ***


La mia più grande paura

Jo corse fuori dall’aula, schizzando veloce tra gli studenti. Si scontrò con Lucy, che gli urlò contro, ma lui aveva altro per la testa. “Lucy, hai visto un elfo domestico, per caso?” chiese riprendendo fiato. “No, ti pare?” rispose lei scocciata. “E va beh. Ci si vede Lucyfera!” lei gli urlò dietro, mentre lui tornava verso l’aula dove Jake era rimasto solo. “So io dove trovare quell’elfo, amico.”
Si avviarono verso le cucine, usando la Mappa. “Ecco, ora devi solo fare il solletico alla pera.” La grande pera del dipinto d’accesso rise un poco e si trasfigurò in una maniglia verde. Sicuro, il biondo spinse la tela, che li lasciò passare. La cucina era enorme, quasi quanto la Sala Grande che si trovava qualche piano più su. Dei tavoli perfettamente corrispondenti ai cinque presenti in quella Sala erano disposti nello stesso modo e gli elfi si stavano affannando per preparare la cena. I due ragazzi scesero il piccolo gradino che divideva la porta dalla stanza e cercarono con lo sguardo la testa pelosa e pimpante di Kreacher.
Lo trovarono quasi all’istante: il piccolo elfo se ne stava su uno sgabello, accerchiato da una quindicina di altri elfi, evidentemente in pausa. Raccontava una storia appassionante sulla II Guerra Magica: “Fu in quel momento che Kreacher sentì un gran fracasso provenire dalla Sala Grande. Quindi, volendo rendere fiero il suo buon padrone, gridò agli altri elfi ‘Per il mio povero padron Regulus e per il grande Harry Potter. Per l’elfo Dobby: salviamo la nostra scuola!’ e allora tutti i suoi prodi compari elfi lo seguirono contro i Mangiamorte e il loro padrone!” finì di raccontare e tutti applaudirono e ruggirono orgogliosi. Un’elfa scoppiò in lacrime e altri due le portarono del tè caldo. “Cara Winkie, non piangere. Il nobile Dobby è morto con onore.” La rassicurarono in molti.
Facendosi spazio tra tutte quelle testoline che saltavano pimpanti di qua e di là, Jo e Jake arrivarono fino al piccolo gruppo che si esaltava attorno a Kreacher. “Signorino Jo! Kreacher non si aspettava di rivederti tanto presto.” Esclamò l’elfo venendogli incontro. “A cosa deve questa visita?” chiese. “Ho bisogno di parlarti. Del tuo padrone. Come si chiama?” chiese il ragazzo diretto. “Ma tu lo conosci! Lo conoscono tutti: è il grande Harry Potter, il padrone di Kreacher. Come l’elfo Dobby fece prima di lui, anche questo vecchio elfo lo serve degnamente, e sfido chi direbbe che non è così!” Jo annuì. “Era tutto ciò che mi serviva, grazie Kreacher.” Si voltò e salutò con un sorriso, tornando da Jake che lo aspettava vicino ad un tavolo pieno di dolci. “Dai Jake, è ora di tornare a studiare: pausa finita!” e ringraziando innumerevoli volte i piccoli elfi della cucina, uscirono e si diressero nei sotterranei.
 
Jo si svegliò di colpo, l’immagine della morte impressa nella testa, stufo di quel solito sogno. Ma era inutile che provasse ad addormentarsi con pensieri felici per la testa. Anzi: ultimamente aveva paura di addormentarsi, costretto a rivivere in modo sempre più reale il sogno dell’omicidio di Mila e Claire.
Sentiva la febbre pulsare nella testa, un caldo asfissiante circondarlo e dei brividi dovuti sia alla febbre che alla paura. Moriva di sonno, ma il Cavaliere lo stava distruggendo. Non dormiva, e questo causava mancanza di attenzione e febbre quasi costante.
Agitato, tormentandosi nel sudore caldo estrasse la mano dal baldacchino e afferrò il foglio di pergamena ingiallito dal tempo che era appoggiato sul comodino. “Lumos” la bacchetta s’illumino e lui pronunciò: “Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.” La Mappa del Malandrino si animò e mostrò ogni piano di Hogwarts, ogni suo abitante e ogni animale. Cercò velocemente nel corridoio del terzo piano, poi setaccio a lungo la Foresta Proibita, ma niente. Nessun “Cavaliere Misterioso” o “Knife” nei paraggi. I passaggi segreti erano sigillati, ma li controllò comunque, senza alcun successo. Si rassegnò, per il momento. Tempo un quarto d’ora e si sarebbe svegliato nuovamente, avrebbe avuto nuovamente la febbre e ancora avrebbe controllato la Mappa.
Si addormentò di malumore.
 
Leòn venne svegliato da degli strani mugolii. Aprì la tenda, infilò le ciabatte e rabbrividì per il freddo notturno dei dormitori di Serpeverde. Si avviò verso la cuccia di Lloyd, ma era vuota. Si voltò verso il letto di Jo. I mugolii provenivano da lì. Si avvicinò velocemente e aprì le tende per controllare che Jo stesse bene. “Calmo, Lloyd. Ora chiamo Lumacorno. Ha la febbre a quaranta, dev’essere una brutta serata…” il cagnolino era la fonte dei mugolii, mentre cercava di svegliare il padrone leccandogli tutta la faccia preoccupato. Il Serpeverde sapeva che Jo si svegliava spesso la notte, e non era mai successo che non si svegliasse per più di venti minuti. “Finnigan! Keller! Morf!” gridò ripetutamente i nomi di tutti i ragazzi di Serpeverde, finché un assonnato Alexander Ivan entrò nella stanza quadrata stropicciandosi gli occhi. “Zabini, sono le quattro del mattino…” “Jo: ha la febbre, bisogna chiamare qualcuno.” In quel momento Jo, nel sonno, ebbe un conato, rigurgitando la cena. “Ti prego, vai a chiamare qualcuno, chiunque, Lumacorno…” Alexander, rendendosi conto della serietà della situazione, uscì dal sotterraneo, alla ricerca del primo Prefetto di guardia. Tornò mezz’ora dopo, seguito da Lily Potter, che era forse l’unica a poterli aiutare in quel momento. “Lily, Jo sta male. Ha la febbre e vomita nel sonno.” Lily evocò una barella più veloce che poteva, poi posò Jo su di essa, avvolgendolo in un batuffolo di coperte per non fargli avere colpi di freddo. “Veloci, all’infermeria. Leòn, aiutami. Ivan e tutti gli altri – indicò la folla che si era radunata nella camera – tornate a letto, non c’è niente di spettacolare in uno che vomita, sapete?” estrasse una Pasticca Vomitosa e la divise in due, costringendo Jo a ingurgitare la metà curativa. Leòn ringrazio Alexander per il suo aiuto, e in cuor suo ringraziò che avesse trovato proprio Lily.
Dopo aver depositato Jo, Leòn tornò a letto ammonito da Lily: voleva restare la notte con l’amico, ma la ragazza promise che ci avrebbe pensato lei.
Lily guardò il cugino nella penombra dell’infermeria. Il suo viso pulito era pallido più del solito. Una piccola stoffa bagnata era stata posata da Madama Chips sulla fronte del ragazzino, e le coperte erano state tirate fin sopra le spalle.
La ragazza si asciugò la fronte e sospirò. Si era preoccupata davvero, questa volta. Aveva visto il viso pallido del cugino, le coperte sporche di vomito e aveva sentito un caldo pesante e insostenibile. Era riuscita a mantenere il sangue freddo per organizzarsi, ma ora il petto si alzava e abbassava velocemente, mentre stringeva la mano scottante di Jo. Il piccolo Serpeverde giaceva immobile, il respiro lento e aritmico, la bocca semiaperta e il fiato pesante. La Pasticca aveva fatto effetto e lui aveva smesso di vomitare, e la febbre stava calando lentamente.
Eppure il suo non era ancora un sonno senza sogni.
 
Il Serpeverde si svegliò, per la prima volta da settimane aprendo semplicemente le palpebre. La luce del freddo sole di gennaio riempiva l’infermeria. Uno sgabello vuoto era accanto al suo letto e un biglietto era sul comodino, accanto a un bicchier d’acqua.
 
Caro Jo,
sono stata con te tutta la notte. Sono andata a lezione ma torno per pranzo. Un bacio,
Lily
 
Jo guardò l’orologio: mancavano due ore al pranzo. Non capiva bene come, ma quella notte non si era svegliato di nuovo, come aveva previsto. Eppure qualcosa doveva essere successo, perché era arrivato dalle segrete fino al quarto piano senza muovere un passo, e Lily gli aveva lasciato un biglietto dicendo che non aveva lasciato l’infermeria tutta la notte. Lily? Lily Luna Potter era rimasta a vegliare su di lui per una notte? Questo fatto lo lasciava perplesso. Doveva essere successo qualcosa di incredibile, se Lily non l’aveva lasciato un secondo.
Restò a fissare il soffitto, facendo pensieri su pensieri su come fosse finito in infermeria. “Madama Chips! Potrei avere uno spazzolino, per favore?” chiese attraverso la stanza. La vecchia infermiera era l’unico membro dello staff insegnanti a dormire ancora in ufficio, quindi doveva essere presente. Infatti la porta dall’altra parte dello stanzone si aprì e la donna si avvicinò al letto di Jo con un gran sorriso. “Mi fa piacere che ti sia svegliato, signor Dursley. Ho praticamente dovuto minacciare la signorina Potter per mandarla a lezione, questa mattina: voleva rimanere fino al tuo risveglio.”
Jo sorrise sereno a quella notizia, e chiese di nuovo uno spazzolino. “Ecco, il dentifricio è nel bagno. Manderò un elfo a prenderti dei vestiti.” Assicurò Madama Chips. Jo si alzò e si diresse nel piccolo bagno, poi si vestì e si ridistese sul letto, che nel frattempo era stato rifatto. All’una e mezza, la campanella del pranzo risuonò in tutta la scuola e Lily arrivò dieci minuti dopo seguita da una gran folla di amici e parenti. “Jo! Stai bene? Insomma, hai il mal di testa, nausea, febbre, male alle dita, infarti…?” “Molly, sto bene, non preoccuparti. Piuttosto dovreste raccontarmi cosa è successo, perché sapete: mi sono svegliato ‘stamattina in infermeria e non so come ci sono arrivato.” Jo cercò di staccarsi Molly, ma pareva alquanto impossibile.
“Prima devo sapere una cosa: che sogni hai fatto ieri notte?” chiese Claire sedendosi sul bordo del letto, mentre Molly si sdraiava accanto al cugino. “I soliti.” Rispose semplicemente il ragazzo, mentre lei aggrottava la fronte. “Jo, ‘stanotte Ivan è venuto a chiamarmi mentre facevo la guardia. Avevi la febbre alta e conati di vomito.” Ecco cosa era successo.
Era interessante come tutto fosse così degenerato, soprattutto perché dopo che si era riaddormentato, non aveva sognato la prigione di Bantdracal. No: era qualcosa di molto più profondo.
So voltò verso Mila. Lo guardava preoccupata, gli occhi argentati erano leggermente spaventati. Un certo disagio lo investì. Mila era l’unica persona che avrebbe voluto vedere in quel momento, ma non era possibile, lo sapeva.
Guardò Lily. “Perché sei rimasta con me tutta la notte?” chiese. Lei inarcò un sopracciglio: “Che domande fai? Hai avuto un attacco d’influenza. Che dovevo fare, lasciarti a vomitare nel tuo letto?” Jo la guardò poco convinto: “Non ti ho chiesto perché mi hai portato in infermeria. Potevi finire il turno e tornartene a letto, invece sei rimasta fino alle nove. Perché?” nessuno fiatava. Era ben chiaro a tutti il difficile rapporto tra i due cugini, l’avevano dimostrato: Lily era molto severa nei confronti di Jo, forse iperprotettiva.
“Ne parliamo più tardi. Ora sono in ritardo per… un gruppo di studio.” Hugo la guardò uscire e le urlò dietro: “Un gruppo di studio? A chi vuoi darla a bere?” e la rincorse salutando velocemente. Molly si mise una mano sulla bocca cercando di soffocare una risatina. “La piccola Lily sta crescendo. Vorrei sapere cosa ne direbbe lo zio Harry.” E tutti risero. “A proposito: quel Davies. Ti va dietro da due settimane, non è ora di dargli una possibilità?” chiese a sua sorella, che inarco il sopracciglio e gonfiò il petto rispondendo: “Ti pare che mi metto a uscire con quello là? È solo un irresponsabile.” Lucy era stata la sorpresa più grande, per Jo, quando era entrata chiacchierando amabilmente con Claire dietro a tutti. “Vedremo.”
Mila e Claire si rotolavano dalle risate, mentre Leòn cercava di trattenerle a fatica.
Jo esibiva un sorriso divertito e Molly stava decisamente prendendo in giro Lucy al suo fianco. “E va bene, questo l’hai voluto tu!” Lucy – contro ogni aspettativa di Jo – prese a fare il solletico alla sorella, che si agitò implorando pietà. “Ba-basta! Smettila, è-insopportabile! Ti-ti pre-ego!”
“Signorina Weasley! Non tollero questo baccano. Tuo cugino ha bisogno di riposare, ora. Tutti fuori.” L’infermiera salvò Molly dal solletico. Lucy si ricompose nella sua figura seria, anche se il viso era un po’ meno duro del solito. Jo salutò i suoi amici e rimase solo. Guardò l’orologio: le due meno venti. I suoi cugini e amici avevano saltato il pranzo pur di venirlo a trovare. Sospirò e si mise a sedere e si appoggiò ai cuscini. “Signor Dursley, ecco il tuo pranzo.” Madama Chips attraversò la stanza con un grande vassoio pieno di cibo. “Grazie mille, Madama Chips.” Il ragazzo si accorse che stava morendo di fame: dopotutto aveva rigurgitato la cena. Si avventò sul cibo e si riempì la pancia. “Ora prendi questa.” L’infermiera gli passò un dolcetto. Ma non uno qualunque: una Pasticca Vomitosa. “Vuole farmi vomitare tutto?” chiese Jo sorpreso. “No: mangia la parte sana, me l’ha consigliato la signorina Potter.”
Jo passò un pomeriggio tranquillo, fissando il soffitto. Pensava al sogno di quella notte. Era un sogno poco tranquillo, poco piacevole, e raccoglieva una delle sue più grandi paure. Non era il primo e non sarebbe stato l’ultimo che avrebbe avuto, e lo sapeva.
 
Jo si trovava di nuovo in mezzo agli elfi, in cucina. Cercava Kreacher, ma era troppo basso e non lo vedeva. Non riconosceva nessuno degli elfi che aveva incontrato solo poche ore prima, ma soprattutto si accorgeva che il vestiario era cambiato. Se prima tutti gli elfi portavano una comoda tuta da ginnastica con lo stemma di Hogwarts, ora lo stesso stemma era posizionato su un sudicio straccio.
“Jo cerca Kreacher. Dov’è Kreacher?” chiedeva, e tutti lo guardavano confusi. “Jo va a cercare Kreacher.” Ma non toccò neanche il retro della tela che gli elfi lo trascinarono indietro. “Jo non può andare, lui non può. Non può uscire, deve andare un altro elfo.” E Jo prese a rimpicciolire, sempre più piccolo. Il drappo che indossava era sempre più grande e alla fine lui scomparve in uno sbuffo di fumo.
 
Umiliato, si sentiva umiliato e non ne sapeva il motivo.
“A cosa pensi?” Jo si guardò intorno: nei suoi pensieri non si era accorto della ragazza che si era avvicinata al letto.
“Io… a niente. Un sogno. Ma tu come hai fatto a liberarti di Leòn?” Mila aggrottò la fronte. “Non cambiare argomento. Che sogno?” “Niente, una cosa stupida. Davvero: non c’è da preoccuparsi.” Il ragazzo si mise a sedere. Si sentiva terribilmente nella situazione di un malato dell’ospedale che non vedeva i suoi amici da mesi. “E rientra nei soliti come hai detto a Claire?” quella ragazza era sempre, in modo inquietante, attenta ai dettagli. Una Serpeverde incredibile. “In un certo senso. Leòn è in punizione?” chiese ancora. “Sì, non ha ancora imparato l’Incantesimo di Disarmo. Mi racconti questo sogno?” “Sono abbastanza fatti miei.” “Il Cavaliere riguarda anche me…” “Non è sul Cavaliere.” “OK. Allora è ancora più interessante.” “Mila, ti ho mai detto che trovo i tuoi capelli decisamente profumati.” “Non provarci, Dursley.” “Non ti parlerò del mio sogno.” “Bene, tanto non ero qui per parlare dei tuoi sogni.” La ragazza si mise comoda sullo sgabello con l’aria di chi sta per iniziare un discorso difficile. “Di cosa vuoi parlare?” il Serpeverde la scrutò attento. Si stava preparando al peggio. “Dobbiamo rompere.” Mila chiuse gli occhi in un’espressione di puro dolore misto a sollievo. Non vedeva la bocca di Jo inesorabilmente spalancata, o i suoi occhi il cui verde sembrava più scuro del solito, eppure pieno di comprensione.
Quando lei riaprì gli occhi, Jo stava bevendo un bicchiere pieno fino all’orlo. La ragazza si sentiva piena di colpa, e non riusciva a guardarlo negli occhi. Eppure lui capiva, anche se continuava a bere senza respirare.
“Va bene. Eh, io… me l’aspettavo.” L’acqua della caraffa era finita, quindi il ragazzo non aveva più una scusa per non parlare, o per evitare gli occhi di Mila, che si erano improvvisamente agganciati ai suoi. Ma soprattutto, erano improvvisamente sollevati.
“Quindi.” Disse una voce. “Io sono solo un pagliaccio che cerca di conquistare una ragazza occupata.” I due si voltarono, le bocche secche, verso un Leòn decisamente infuriato. “Leòn… noi…” ma il ragazzo stava già correndo verso le segrete.
Quella sera Jo tornò nella Sala Comune, dove la sua assenza era stata evidentemente sentita. I ragazzi lo assalivano cercando di farsi aiutare in tutte le materie possibili. “Scusate, non sono in vena di studiare.” E tornò oltre il muro lasciando i suoi compagni tra l’offeso e il sorpreso.
Si diresse verso la biblioteca, dove Claire si era rifugiata, in fuga da Norton. “Hey.” Si sedette al solito tavolino appartato in uno degli angoli più scuri della biblioteca. “Jo! Non è che…” “Sì, lo finisco, passa.” Afferrò il tema di Claire, ma qualcuno chiese: “Clary, mi dici perché non mi hai detto che venivi qui? Potevamo studiare insieme!” eccolo, l’unico che poteva minargli il morale più di quanto già non lo fosse. Al Norton. “Beh, io e Jo dovevamo ripassare Incantesimi, quindi ci siamo incontrati qui.” Spiegò lei.
“Fa niente Claire, devo andare. A camminare.” “Cadi nel lago.” “Ma sì, magari l’acqua fredda mi aiuterebbe a capire come salvare Claire da un idiota come te.” I due ragazzi avevano sviluppato un odio l’uno per l’altro e non perdevano occasione per scambiarsi frecciatine maligne, anche se Jo era decisamente più bravo a rispondere.
“Ti pare, con questo freddo a camminare.” Al si voltò verso Claire e la sua espressione si addolcì. “Per fortuna tu sei una Corvonero e non fai certe cretinate.” La ragazza inarcò un sopracciglio e rispose tagliente: “In realtà penso che un po’ d’aria fresca mi aiuterebbe a studiare. Ci vediamo dopo, Al.” E seguì l’amico fuori dalla biblioteca.
Lo raggiunse che fissava il lago, quasi desiderando che la piovra lo tirasse dentro e lo facesse sparire per sempre.
Gli mise una mano sulla spalla. “Sai, forse Norton ha ragione: merito di cadere nel lago e morire annegato.” Lei sospirò. “Jo, qualunque cosa sia successo nella vostra Sala Comune, sono sicura che si risolverà.” Lui si sedette e cominciò a piangere. Sempre così emotivo, quel ragazzo.
“Jo…” “No! È tutta colpa mia, è sempre colpa mia e ora Leòn non mi parla più. SONO SOLO UN IDIOTA!” Claire si morse il labbro. “Tu e Mila avete rotto.” La verità lo trafisse come una lama troppo affilata. “Leòn… lui sa tutto. Ci ha sentito che parlavamo.”
“Sai, pensavo che la mia più grande paura fosse quella di sentirmi piccolo e insignificante, ma la verità è che non voglio rimanere solo.”
Claire gli abbracciò le spalle da dietro. “Non sei nessuno dei due, fidati.” Gli soffiò una voce all’orecchio. Non era Claire, era Lily.

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Capitolo 19
*** Corpuscontroller ***


Corpuscontroller

No, non era arrabbiato.
No, non l’avrebbe sollevata da terra.
No, non ci poteva credere.
No: era l’unica parola a cui riuscisse a pensare.
No, semplicemente: era impossibile.
No. No. Nei suoi occhi vedeva un certo senso di leggerezza.
Ma no.
Assolutamente no. “Come?” chiese.
No. “Hai capito” rispose Lily con quella sua aria di sfida tuttavia tradita da un certo tremolio delle mani.
No. “Invece non ci capisco niente.” Lily lo guardava dritto negli occhi. Aveva gli occhi nocciola. Vederlo su qualcun altro faceva paura.
No. Perché gli occhi di Lily erano diventati due buchi neri, due universi infiniti. “Non sei solo, non sei piccolo.”
No. Ora capiva. Lily non lo odiava, lo invidiava.
“Perché non me l’hai mai detto?” “Perché… è pericoloso.” Il parco era deserto, erano tutti a cena. Jo non sapeva da quanto fossero lì insieme, oppure da quanto stesse fissando la cugina orripilato, o quanti anni fossero passati da quando, quel venerdì a Hogwarts aveva rotto con la sua ragazza, litigato con il suo migliore amico e scoperto tutto – tutto – ciò che aveva portato Lily a odiarlo. Sembrava una realtà così lontana, impossibile da reperire. Tutto finiva lì. Nel parco.
Gli occhi neri. Lily aveva gli occhi neri. E gli parlava. Chissà da quanto tempo sapeva controllare… quella cosa. Chissà se lo considerava un dono o una maledizione.
“E tu sapevi tutto? Sapevi di me?” chiese. La cugina annuì. Aveva ancora le pupille dilatate. Un ramo bagnato si alzò da terra e vi ricadde, Lily fu scossa da un tremito. “Dobbiamo andare.” lo prese per un braccio e lo trascinò via.
“Dobbiamo parlarne.” Sussurrò Jo appena il portone si chiuse alle loro spalle. “Sì, ma non qui. Al settimo, a mezzanotte. Non farti beccare.” E scomparve dentro la Sala Grande.
Jo tornò nella Sala Comune e si lasciò cadere in una poltrona accanto a Leòn, che non lo degnò di uno sguardo. “Che hai?” chiese Jo. “Se me lo chiedi tu allora sei messo male.” Rispose l’altro in malo modo concentrandosi sul fumetto che stava leggendo. E d’improvviso a Jo tornarono in mente tutti gli avvenimenti di quel giorno infernale.
Sospirò e si diresse verso la porta del dormitorio: se doveva uscire di notte, era meglio che fosse riposato, o tutti si sarebbero chiesti come mai fosse così stanco il giorno dopo. Entrò nella stanza lasciando la porta richiudersi alle sue spalle e crollò sul letto chiudendo il baldacchino. Non ebbe il tempo di analizzare quella giornata tremenda che già era sprofondato in un sonno profondo.
 
Lily uscì dal dormitorio non del tutto sicura di cosa stava per fare. Aveva mantenuto quel segreto per così tanto tempo che non si ricordava più la prima volta che era successo, anche se nella sua mente si elaborò l’immagine di sua madre affacciata sulla sua culla con un’espressione sbalordita, mentre il suo orsacchiotto di peluche si aggirava penzolando per un braccio attorno al suo campo visivo. Si chiese come facesse a ricordare una cosa del genere, ma forse non era esattamente un ricordo, quello che aveva in mente.
Svoltò per salire al quinto e poi al sesto piano e ripensò a quello che era successo nel parco: un ramo si era sollevato e poi era ricaduto a terra. La sua coscienza era più debole quando succedeva, ma sapeva controllarlo abbastanza da essere sicura di non essere stata lei a sollevarlo. E nemmeno Jo: lui era normale quando era accaduto.
Arrivò alla porta del settimo piano e si sedette per riprendere fiato e scacciare i pensieri frenetici che le facevano girare la testa. Non le piaceva pensare a quello che era, perché si sentiva pericolosa, più che speciale. E forse lo era stata, ma ora era molto più brava a controllare la rabbia e le emozioni in generale.
Sentì dei passi e si voltò di scatto sperando solo che fosse Jo, e si rilassò subito vedendolo arrivare con la Mappa del Malandrino in mano. “Sei stata fortunata: Lumacorno e qualche Prefetto girano per il sesto piano e ti hanno mancato di poco.” Le disse a mo’ di saluto analizzando il settimo piano sulla mappa. “Lo so, scoprirai che sono brava ad avvertire la presenza di altra gente vicino a me.” Jo la guardò affranto: “Non lo voglio sapere. Non voglio sapere nulla di cosa puoi o non puoi fare.” Lily scrollò le spalle. “Peccato, perché mi sarebbe piaciuto insegnarti quello che so io: se te lo insegna qualcun altro e più facile che da autodidatta. E in ogni caso lo dovrai imparare per proteggere te stesso e gli altri.” Nella sua voce c’era una sfumatura di dispiacere, quel tipo di dispiacere che provi quando non vorresti fare qualcosa ma sai che se non la fai ci saranno delle conseguenze che non vuoi affrontare. Jo scrutò l’intrico di scale che si spostavano sotto di loro. Sapeva che Lily aveva ragione, perché l’aveva provato sulla sua pelle. Eppure non sapeva decidersi ad accettare la realtà. Una vita con i nervi costantemente tirati era l’ultima cosa che voleva.
“Perché proprio qui? Vuoi creare l’Esercito di Silente II?” le chiese sarcastico. Sapeva che l’unico luogo dove Lily poteva insegnargli a controllare i suoi poteri era al settimo piano, dove suo zio aveva allenato i suoi compagni durante il suo quinto anno ad Hogwarts perché il Ministero aveva impedito la pratica di Difesa.
“Puoi accettare che ti aiuti oppure ignorare che un giorno o l’altro ti arrabbierai con qualcuno e lo scaglierai contro un muro a trecento chilometri orari senza che la tua coscienza te lo impedisca. A te la scelta.” Jo si voltò verso di lei capendo alla perfezione che aveva ragione. “E va bene.” Disse “Ma se mi annoi con stupidi discorsi teorici che aumenterebbero solo il mio carico di studio mi rimangio tutto.” Lily fece un cenno di assenso con la testa. “Andiamo?” Chiese alzandosi per aprire la porta. Jo controllo meglio la mappa: solo qualche fantasma qua e là. “Si.” E la seguì oltre la porta.
 
Claire era sdraiata a fissare la tenda che tecnicamente doveva stare sopra la sua testa, ma ricadeva tagliata dai due squarci che aveva inflitto lei con la sua bacchetta. Era annoiata, ma l’immagine di Jo che sperava di essere tirato nel lago dalla piovra continuava a riaffiorarle nella mente. Lo aveva osservato un momento, prima di sedercisi accanto e aveva notato la mascella rotonda leggermente contratta e gli occhi verdi più lucenti del solito. E poi aveva osservato quei capelli mossi dal vento invernale: chiunque si sarebbe aspettato che fossero più scuri a causa dell’assenza di luce, ma a lei era sembrato che risplendessero quasi. Non aveva notato quanto gli fossero cresciuti dall’inizio dell’anno: solo pochi mesi prima gli avvolgevano il collo senza toccargli le spalle, ma ora gli ricadevano sulla schiena di circa mezzo centimetro. Per avere undici anni era un gran bel ragazzo. Si chiese quante ragazze ci avrebbero provato con lui nel corso degli anni e senti uno strano vuoto allo stomaco, ma fu una breve sensazione.
Poi pensò a come mai Jo si fosse seduto a fissare l’acqua nella gelida aria invernale e si sentì stupida per aver notato tutte quelle cose in brevi istanti. Le sue due compagne di stanza erano chissà dove a ‘studiare’, anche se dubitava che fosse vero. Era una stupidità, pensò tra se, che la gente pensasse ai Corvonero come degli studiosi quando non lo erano affatto. Più della metà dei suoi compagni di corso non prendeva mai più di un Accettabile in quasi nessuna materia. Erano dei ragazzi come tutti gli altri.
Fissò il soffitto oltre la tenda squarciata: molte delle mattonelle erano di colori diversi perché lei si sforzava di non annoiarsi lanciando incantesimi a caso. Fissò per un istante una mattonella che si era impegnata a rendere arancione fluo. Non era stato il colore a destare la sua attenzione, ma la posizione storta come se fosse stata incastrata per non farla cadere. Si altro in piedi sul letto e infilò la bacchetta in una delle due fessure tra gli angoli e sussurrò: “Lumos.” La bacchetta si illuminò e confermò la sua tesi quando la luce uscì dalla fessura opposta. Sbircio dentro a quella e vide delle travi di legno di un soffitto a punta: il tetto della torre. Chissà se in tutte le torri del castello c’era una pietra smossa nel soffitto. Decise di controllare e uscì per avvicinarsi alla porta del dormitorio del secondo anno. Bussò e non ottenne risposta: era molto tardi, ma tutti erano in Sala Comune a studiare o chiacchierare. Aprì la porta e cominciò a perlustrare il soffitto finché non trovò un’altra pietra incastrata come quella della sua stanza. Puntò di nuovo la bacchetta accendendone la punta e scoprì che anche sopra a quella stanza c’era un sottotetto. Stupita tornò sul suo letto. Sicuramente delle pietre non venivano incastrate in quel modo nel soffitto se non si aveva idea di avere accesso al sottotetto. Pensò che non voleva avere a che fare con altri misteri, nonostante avesse un certo desiderio di avventurarsi là sopra. Aggiustò il baldacchino e uscì diretta in Sala Comune: se voleva distrarsi era sempre meglio passare del tempo in compagnia.
 
Due settimane dopo
 
Jo era appena arrivato davanti all’arazzo del settimo piano. Quel sabato tutti i ragazzi dal terzo al settimo anno erano a Hogsmeade e visto che Leòn non gli parlava perché era furioso e Mila neanche perché era imbarazzata e sicuramente si sentiva in colpa, lui aveva dato appuntamento a Lily per incontrarsi per una lezione di Corpuscontroller. Dopo aver accettato che Lily gli insegnasse come controllare le emozioni si era reso contro di averne bisogno: aveva molte difficoltà a controllarsi anche normalmente e trascorse quelle settimane era riuscito perfino a non provare troppi sensi di colpa per Leòn, anche se gli mancava la sua compagnia. Quanto a Mila, aveva avuto modo di concentrarsi il meglio possibile su quello che provava per lei e aveva capito di non provare più di un sentimento di amicizia nei suoi confronti. Quindi non era più addolorato per se stesso, quanto più per il fatto che quando si incontravano, dovunque succedesse, lei lo guardava con uno sguardo afflitto e colpevole che lo faceva trasalire.
Continuò a osservare l’arazzo finché non sentì i passi di Lily alle sue spalle. Si voltò e le sorrise dal suo basso metro e sessanta. “Pensavo che volessi andare a Hogsmeade.” Le disse guardandola camminare lungo il muro. “No, Hugo va in giro con una ragazza e non voglio correre il rischio di incontrarli per strada. Sono disgustosi.” Spiegò la cugina concentrandosi meglio su quello che desiderava che la Stanza delle Necessità diventasse per lei. Dopo avere fatto avanti e indietro tre volte si scostò osservando il muro dietro l’arazzo trasfigurarsi in una porta. “E poi volevo passare un po’ di tempo con il mio cuginetto.” Aggiunse guardandolo di sottecchi. “Già, questo è proprio un modo per passare del tempo sapendo che il tuo cuginetto farà esattamente quello che gli ordini perché sei la sua insegnate.” Ironizzò lui abbozzando un sorriso divertito. In realtà non trovava per nulla spiacevole avere Lily come insegnante, ma da quando lei non lo odiava più era rilassante prenderla in giro come faceva Hugo. “Vuol dire che se ti chiedo di attaccare delle Caccabombe alla sedia di Bones sei disposto a farlo?” “Solo se mi prometti un Accettabile per la fine del trimestre.” Rispose lui oltrepassando la porta con fatica per via dell’arazzo. “Allora mi sa che mi devo rassegnare.” Risero e osservarono la sala allenamenti. Era divisa in tre aree che, come gli aveva spiegato Lily, erano destinate ai tre livelli che aveva pensato di affrontare con lui: il primo costituiva la pazienza, poi c’era la coscienza e infine l’allerta, che Jo non aveva idea di cosa fosse. Lily gli aveva spiegato che aveva dovuto analizzare quello che le permetteva di non perdere il controllo e aveva selezionato quei tre ‘criteri fondamentali’, come gli aveva definiti lei. Jo aveva l’impressione che si sentisse orgogliosa di poter realizzare un programma di addestramento come aveva fatto suo padre anni prima, anche se era per una sola persona. Si avvicinò alla prima area divisa dalla seconda da un separé in cartongesso che gli ricordava i teatro con il pavimento girevole diviso in stanze. “Bene, tieni questo. L’ho trovato in biblioteca e ho pensato che potesse interessarti.” Gli disse porgendogli un libro dall’aria nuova. Per esercitarsi nella pazienza ed essere capace di concentrarsi nello stesso momento, Lily lo faceva leggere un libro mentre dei piccoli cannoni gli sparavano addosso delle palline da tennis. Il ragazzo prese il libro e si sedette a gambe incrociate sui cuscini al centro del locale. “Va bene, cominciamo così finiamo per pranzo.” Disse Lily. Non appena Jo aprì il libro, i cannoni cominciarono a scagliargli addosso più palline possibile. Il ragazzo cominciò a leggere: ‘L’origine delle trottole è molto antic…’ la parola che stava leggendo venne interrotta da una pallina che colpì il libro facendolo tremare. Ma Jo continuò come se non fosse successo niente. ‘…antica. Le prime trottole furono giocattoli dei bambini Greci e Romani che…’ una pallina gli colpì il braccio interrompendo la sua lettura. Il ragazzo sospirò e continuò a leggere.

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Capitolo 20
*** Loro sanno. ***


 

Loro sanno.

Lloyd se ne stava sul letto di Jo, girato sulla schiena, con la testa a penzoloni oltre il bordo del letto e la lingua fuori. Dormiva, in un modo completamente incomprensibile al biondo che leggeva sul pavimento, appoggiato con la schiena al letto. Quel giorno aveva trovato insopportabile il silenzio dei suoi amici: Leòn era ancora arrabbiato con lui, Mila continuava a stare con Eddie Morf, ma non sembrava apprezzare la sua compagnia. E Claire. Claire quasi non lo guardava, a lezione non lo cercava, e ovviamente anche lei non spiccicava parola. Cosa le avesse fatto, Jo non lo sapeva. Ma pensava sempre di più che suo cugino James avesse ragione: il mondo femminile era parallelo a quello maschile.
Se riusciva a gestire con destrezza le emozioni di mancanza per i primi due, l’assenza di Claire era quasi in opprimibile. Lei era davvero l’unica persona a cui voleva parlare in quel momento, ma non poteva costringerla.
Quindi Jo si era chiuso in camera, con la speranza che Leòn e il suo caro nuovo amico Opius Jazar non fossero interessati a irrompervi. La compagnia del suo cane era quantomeno affettuosa: magnifiche creature, i cani.
Proprio in quel momento Jo stava osservando la lingua dell’animale colare bava sul pavimento e invadere il suo spazio vitale. Aveva il libro sulle gambe distese, abbandonato tra le mani. Con una smorfia di disgusto di alzò e cercò un fazzoletto sulla scrivania. Lo appoggio sul pavimento circoscrivendo la pozza e si rimise a leggere.
E se Claire si fosse arrabbiata perché mettendosi con Mila le aveva reso la vita impossibile? Era probabile, ma Mila aveva accettato di sua spontanea volontà. Si accorse di aver riletto la stessa frase tre volte senza averne afferrato una parola. Si concentrò sulla storia: ‘Durante i miei studi mi sono spesso trovato in situazioni di estremo pericolo che mi hanno poi condotto alle scoperte più affascinanti: per esempio ho scoperto che il veleno dell’Acromantula è un ottimo ingrediente per un filtro sperimentale da me inventato, il Proximus Posterum, o Futuro Liquido. ’
Jo aggrottò le sopracciglia. Aveva letto moltissime volte quel libro, da quando lo zio Ron gliel’aveva regalato. Non si ricordava di aver mai letto quel nome, eppure era lì, stampato sulle pagine di quel libro consunto. Lesse oltre: ‘Nicholas Flamel non rivelò mai ad alcuno la procedura per preparare questo filtro mistico, ma da alcuni documenti e studi si comprende che l’abbia effettivamente creato e provato. Il suo taccuino descrive gli effetti della pozione come un lampo di ricordi – o per meglio specificare – di futuri approssimativi che danno immagine del futuro in prospettiva dell’istante presente.” Ora ricordava. Il libro proseguiva con vari effetti negativi e pericoli, come la dipendenza dalla pozione e la conseguente pazzia per il continuo cambio del futuro.
Il ragazzo si voltò di nuovo verso il cane, che ancora dormiva. “Un futuro imprevedibile—” commentò “La storia della mia vita.” Si alzò chiudendo il libro.
Lo appoggiò sul letto, lontano dalle zampe infangate di Lloyd, e aprì n cassetto estraendone un sonnifero di Tiri Vispi Weasley. Nelle ultime settimane il suo turbamento si era riprodotto in orribili sogni di omicidi in cui Jo era in prima persona, e il forte sonnifero di suo zio era l’unica cosa che garantiva un sonno tranquillo senza troppi effetti collaterali. Lo guardò indeciso: usava la medicina per non pensare a volte, ma sapeva che non avrebbe dovuto. Si voltò guardando il cane steso sulla metà inferiore del letto. Con un sospiro rimise a posto il sonnifero.
 
Claire aveva aspettato tutto il giorno, con la testa che lavorava veloce e l’ansia che cresceva ogni minuto. Quando Mila le aveva chiesto cosa fosse successo, non era stata in grado di rispondere e aveva balbettato una scusa che mal si avvicinava alla realtà. Figuriamoci quando Vitious le aveva chiesto cosa faceva l’incantesimo Incendio! – che non era poi così difficile, sussurrò Mila
Ma ora finalmente quelle lunghe ore erano finite, era giunto il momento di scoprire la verità. “Animagus.” Pronunciò. Il gragoyle ruotò su sé stesso scoprendo una scala mobile di pietra i cui gradini apparivano per magia dal pavimento. La ragazza salì, ma non aspettò che fosse la scalinata a portarla in cima: si mise a correre rischiando di cadere diverse volte fino a dover frenare evitando per un pelo la porta di mogano dell’ufficio della preside. Fece dei lunghi sospiri calmano i battiti.
Rimase qualche minuto in questa posizione, poi si fece coraggio e bussò.
“Avanti.” Disse la voce della McGranitt dall’interno. Claire aprì la porta con tanta foga da farla rimbalzare contro il muro. “S-scusi professoressa. Non intendevo—” si bloccò notando l’uomo seduto in una delle due sedie davanti alla scrivania. “Nessun problema, Feliz. Siediti, per favore.” La ragazza avanzò lentamente e si sedette nella sedia vuota, cercando di non fissare l’uomo.
“Bene. Sicuramente conoscerai Ronald Weasley, uno degli eroi di Guerra.” Lo presentò la McGranitt indicandolo con un gesto della mano. “Ma certo. Piacere di rivederla, signor Weasley.” Il suo tono di voce era più basso di un’ottava. Diede un colpo di tosse. “Lo stesso per me, Claire. Purtroppo le ragioni della mia visita nono sono delle più piacevoli, però.” La McGranitt gli lanciò uno sguardo infuocato. “Mi scusi professoressa, ma credo sia il caso di arrivare dritto al punto. Girarci attorno sarebbe una perdita di tempo, e il suo come il mio tempo è prezioso.” “Lo so Weasley. Ma pensavo che sarebbe stato meglio non essere bruschi: te l’ho spiegato con chiarezza prima di questo colloquio.” Le sue labbra erano tirate come la corda di un arco, il che non presagiva nulla di buono. “E va bene. Prego, dica lei.” La preside gli lanciò un altro sguardo tagliente prima di rivolgersi a Claire con voce incerta: “Feliz, come ha detto il signor Weasley, dobbiamo darti una notizia non troppo piacevole.” Il leggero ma udibile sbuffo del signor Weasley fece intendere che la notizia fosse molto più che ‘non troppo piacevole’, ma la McGranitt continuò senza guardarlo. “Questa mattina Harry Potter in persona mi ha scritto, ritenendo la questione di massima importanza e Weasley è qui per fare le sue veci.” Annuì lentamente in direzione di quest’ultimo. L’uomo sfilò dalla tasca un foglio dall’aria ufficiale. “Ecco, tieni. Questa è da parte di Harry.” Claire lo prese e lesse:
 
Cara signorina Feliz Claire, non credo sia ancora stata informata di ciò che è avvenuto durante le prime ore di questo giorno, 9 marzo 2023. È un grande dolore per me doverla informare della scomparsa della sua famiglia in seguito a un attacco—
 
Claire asciò cadere il foglio. Cosa? La scomparsa della sua famiglia? Era un modo gentile per dire che i suoi genitori erano morti—? “Mamma e papà—” sussurrò.
“Mi dispiace tanto, Claire. Vuoi che ti legga il resto della lettera?” chiese il signor Weasley. “È importante.” La ragazza annuì, incapace di parlare. Voleva solo correre via, nascondersi, piangere fino a finire le lacrime. Il signor Weasley continuò a leggere dalla frase fatale.
 
È un grande dolore per me doverla informare della scomparsa della sua famiglia in seguito a un attacco della casa famigliare. Secondo i Guaritori del San Mungo è opera indiscussa di maghi molto potenti, ma non abbiamo rilevato alcuna attività di magia indiretta nella zona (e con questo si intende magia prodotta da una bacchetta) e il decesso è accaduto in entrambi i casi in seguito a uno schianto contro una parete.
Devo dedurre alcune conclusioni che preferirei non sospettare neanche. Potrebbe essere che degli esseri non-umani abbiano senza apparente motivo attaccato la casa famigliare dei suoi genitori.
La mia ipotesi più probabile è che dei Corpuscontroller abbiano invece effettuato l’attacco. Lei sa molto sull’argomento e spero che in un secondo momento mi aiuterà a risolvere l’indagine.
In seguito allo scorso natale ho appreso dal mio cugino di secondo grado Jonathan Dursley che avete svolto insieme alcune indagini sull’argomento. Dunque la prego di contattarmi appena avrà superato il lutto.
Altre informazioni le verranno inviate via gufo attraverso la preside della scuola.
Mi rammarico delle sue perdite e mi impegnerò nell’organizzazione al più presto dei funerali dei suoi genitori. Con ossequi,
Harry J. Potter
Capo del dipartimento Auror
Ministero della Magia
 
Il signor Weasley posò la lettera sul tavolo. Claire sedeva con le mani tra i capelli, le unghie conficcate nella cute, quasi a sangue. La professoressa McGranitt sembrava scossa quanto lei. Ci furono diversi minuti di silenzio. Poi si alzò e girò attorno alla scrivania. Si avvicinò alla ragazza e l’abbracciò.
Nel calore di quell’abbraccio, che la lasciò un po’ sorpresa, le lacrime cominciarono a scivolare giù dalle guance di Claire. Le parole della lettera cominciarono a balenargli nella mente: la scomparsa della sua famiglia— non abbiamo rilevato alcuna attività di magia indiretta nella zona—
E poi quella parola, che aveva cominciato ad odiare. Corpuscontroller. Aveva un suono aspro sulla sua lingua e un profilo oscuro nella sua mente. Era l’insieme di amicizia e terrore. Una paura troppo terribile per essere vera, ma che esisteva senza il minimo dubbio. E poi, come colpita da un attimo di lucidità, un colpo al cuore: casa mia. Sono andati a casa mia. Lo sapevano. Sapevano chi era. E lei sapeva per certo chi sarebbero state le prossime vittime. Non c’era tempo da perdere.
 
Continuava a fare su e giù per la stanza, un dolore incredibile in tutto il corpo. Non gli permetteva di star fermo. Dei ricordi non suoi andavano e venivano, e ogni volta i suoi muscoli si irrigidivano e il dolore aumentava, aumentava—
Una casa. Una casa distrutta.
Un uomo. Una donna. Scagliati a velocità supersonica attraverso la casa.
Sangue per terra, sui muri. E quella voce. Quella che lo aveva perseguitato, a volte, nei suoi sogni.
“Tu sarai l’erede di tutto questo.”
Il buio.
Sbatté gli avambracci sulla parete. Un uovo dolore arrivò come un’ancora di salvezza. Si concentrò su quello. Tutto il suo cervello provò quell’unico dolore, ma non bastò per contrastare quella tortura.
Una uova voce raggiunse le sue orecchie. “Era molto che Kreacher voleva tornare a trovare Jo.” Il ragazzo aprì gli occhi. “Oh. Kreacher, scusa non ti ho sentito arrivare.” Disse. Si andò a sedere sul letto, stropicciandosi le mani l’una con l’altra. Lloyd gli si avvicinò posandogli la testa bavosa sulle gambe. “Jo non ha piacere di vedere Kreacher? A Kreacher dispiace.” Disse l’elfo guardandolo con i suoi grandi occhi verdi. “No, Kreacher. Creto che ho piacere di vederti, solo che sto passando un momento un po’ complicato.” Accarezzò distrattamente la testa del cane, che continuava a sbavargli sui pantaloni della divisa. “Hai bisogno di qualcosa?” chiese. Kreacher scosse la testa. “No, ma Kreacher ha notato che Jo non parla più con i suoi amici. Kreacher è venuto a tener compagnia a Jo.” Il ragazzo gli sorrise. “Sei gentile, Kreacher.” “E poi Kreacher ha scoperto una cosa che pensa che Jo dovrebbe sapere.” Jo alzò lo sguardo dalla testa di Lloyd. “Non voglio sapere più niente. Sono stanco di sapere e sapere. Vorrei non sapere nulla di tutto questo.” “Ma quello che Kreacher vuole dire non è parte di tutto questo. Riguarda la ragazza Claire Feliz.” Lo sguardo di Jo, che era ricaduto sul cane, guizzò in direzione dell’elfo. “Che cosa?” l’elfo fece un saltino. “Jo vuole sapere di più! Kreacher ne era certo!” canticchiò. “Kreacher, voglio sapere cosa devi dirmi. Hai vinto. Ora dillo.” D’improvviso l’espressione dell’elfo si tramutò. “Jo ha fatto la scelta giusta. Kreacher gli racconterà tutto.”
 
Jo stava correndo verso la biblioteca. Continuava a dare spallate agli studenti che trascorrevano un pomeriggio tranquillo nei corridoi.
Non si fermava per scusarsi, né per salutare nessuno: correva e basta.
Arrivò alla biblioteca e si fermò ansimante. Quando riuscì a calmarsi entrò. Non gli servì guardarsi attorno per individuarle, né individuarle in sé. Si avviò all’istante verso il tavolino nascosto dietro agli scaffali, attraverso un labirinto che aveva imparato troppo bene per potersi perdere.
Non riusciva a pensare a niente, era anche riuscito a scacciare le strane visioni che lo avevano torturato poco prima. Non sentiva il male fisico che gli attraversava il corpo: solo il dovere di parlare con lei. Si sentiva stupido, sapeva di essersi isolato, commiserato, intristito, ma che non aveva fatto niente per risolvere la situazione prima che fosse troppo tardi. E sperava con tutto il suo cuore di essere ancora in tempo per ricostruire quel terribile anno ad Hogwarts.
Arrivo al tavolo che cercava e si sedette senza neanche pensarci. Era sudato, ansimante. Le due ragazze lo guardarono sorprese.
“Dobbiamo parlare.” Disse. “Ora.”
Alzò lo sguardo e arrossì: Mila lo guardava a bocca aperta, Claire aveva appena alzato la testa per guardarlo, il viso bagnato, gli occhi rossi, l’espressione disperata.
“Dobbiamo.” Ribadì, ma con voce meno decisa.
“Jo, non è il momento.” Disse Mila. “È sempre il momento, se siamo davvero amici. E voglio essere davvero amici.” Si sedette vicino a Claire. “Kreacher mi ha detto tutto.”
La ragazza alzò la testa dalle braccia cercando di ricomporsi un poco. “Tutto cosa?” “Non cercare di fingere, Clary. Si vede che stavi piangendo.” Appoggiò una mano sul suo braccio. La ragazza si ritrasse bruscamente.
Jo la guardò ferito. Gli occhi terrorizzati di lei gli comunicavano solo una cosa: pericolo. Pericolo, lui?
No. Pericolo, Corpuscontroller. Pericolo, assassino.
E tutto ciò era il motivo per cui era troppo tardi: non si fidavano. Lui era quello che le uccideva nel sogno. Lui era quello che era destinato a ucciderle.
Jo non ci credeva. Non era lui, quello nel sogno. No. Lui era questo. Lui era un Dursley. E questo Dursley non avrebbe lasciato la sua migliore amica nel momento del bisogno.
“Claire. Ti prego.” Disse dolcemente. “Non ce la faccio più. Ho bisogno di aiutarti. E tu hai bisogno del mio aiuto.” Claire non si muoveva, come se si fosse vergognata di sé stessa. “Jo. Non credo voglia il tuo aiuto.” Mila appoggiò una mano sulla spalla della sorella, guardandolo. “Invece sì. Io non sono un mostro. Non mi avete mai considerato un mostro, e non lo avreste mai fatto se—” “Dillo. Dillo se hai il coraggio.” Ma non ne aveva. Anzi, non voleva averne. Ne aveva abbastanza di litigare, abbastanza di evitarsi, di non parlarsi. Voleva riavere i suoi amici indietro: studiare con Claire, colpire Leòn in testa con una matita, ridere alle sue spalle quando guardava Mila con sguardo adoratore. Non se n’era accorto fino a qual momento, ma si era sentito triste nell’ultimo mese. Gli erano mancati. Voleva tornare indietro al primo di settembre: lui e Leòn seduti in uno scompartimento in coda all’Espresso di Hogwarts, il loro unico pensiero era stato la Casa in cui sarebbero finiti: "Io non sono coraggioso, ne particolarmente intelligente. Ne furbo ne altro. Credo che opterò per Tassorosso, la Casa dei falliti. E tu?" chiese guardandolo negli occhi che notò essere leggermente più scuri dei suoi. "Se non andassi a Serpeverde, mio padre mi spellerebbe vivo. E io penso di essere portato solo per quella Casa."
“No.” Disse. “Non voglio, non ne posso più.” Si voltò verso Claire, appoggiandole di nuovo la mano sul braccio. Lei la guardò con un moto di paura, e lui lasciò che si calmasse prima di continuare. “Vogliamo aiutarti. Io e Mila. Ti prego, Claire, guardami.” Lei esitò, ma si decise ad alzare lo sguardo. “Ti sembro un assassino, io?” chiese Jo. Sentiva lo sguardo sbalordito di Mila, abituata alle sue provocazioni da Serpeverde-tipo. “No.” Il tono di Claire era più deciso di quanto si aspettasse, e sorrise.

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