Il filo rosso

di Elisir86
(/viewuser.php?uid=688)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ultimo dell'anno ***
Capitolo 2: *** Aiuto! C'è un filo legato al mio mignolo! ***
Capitolo 3: *** Di uomini alfa e di padri inflessibili ***
Capitolo 4: *** Incontri non programmati ***
Capitolo 6: *** Depressione, alcool e limoni ***



Capitolo 1
*** L'ultimo dell'anno ***



Il filo rosso

 

Capitolo 1
 

L'ultimo dell'anno

 

L'azienda agricola dei Carriedo era di modeste dimensioni, nata a metà dell'ottocento da un emigrato spagnolo che altri non era il trisavolo di Antonio.

L'attività da piccola fattoria era diventata sempre più grande fino ad arrivare ad avere un proprio posto sugli scaffali dei supermercati con la sua polpa di pomodoro, da prima con piccole richieste per poi aumentare.

Il nonno di Antonio, Bernardo Fernandez Carriedo, aveva ampliato ancor di più l'azienda spostando la sede principale -ovvero gli uffici- a Los Angeles.

Suo padre, Gustavo, aveva fatto si che la loro polpa di pomodoro diventasse la migliore di tutta la California accantonando per un bel po di tempo gli altri prodotti.

Antonio, che aveva ereditato oltre il nome del trisavolo anche la sua buona volontà nel lavorare la terra, era sicuro che per aumentare la produzione dell'azienda avrebbero dovuto iniziare a creare nuovi prodotti come le verdure fresche e i sottaceti.

Ovviamente parlarne con suo padre era come parlane al muro. Un muro alto e spesso.

Anche quel giorno aveva discusso animatamente, aveva portato sul tavolo fogli con schemi, proposte, tassi di vendita e molte, moltissime parole -che perfino lui si era sorpresa di conoscere- sulla scrivania di suo padre nonché capo. Carte che furono cestinate appena letto il titolo del bilancio e lui si era sentito di nuovo umiliato.

“L'azienda crollerà se ti ostini solo a fare un prodotto solo!” aveva iniziato lui incrociando i suoi occhi verdi in quelli dello stesso colore dell'uomo “La passata di pomodoro non si deteriora nel giro di pochi giorni ed è molto usata, siamo andati avanti così per un secolo intero, possiamo avere lo stesso tenore per altrettanto tempo.”

E così aveva passato un intera ora a ribattersi contro, con le loro opinioni differenti che non avrebbero mai cambiato.

“Farai quello che vorrai quando prenderai il mio posto!” aveva infine urlato suo padre “Finché sarò io il capo tu ti limiterai ad eseguire i miei ordini!”

Antonio se ne era andato sbattendo la porta.

 

@

 

Francis guardava il modello che si era presentato davanti a lui, era longilineo con una cascata di capelli biondi e due occhi di un verde smeraldo.

Parlava poco d'inglese ma aveva un bel sorriso e un corpo a dir poco splendido, “Feliks, giusto?” il giovane annuii avvicinandosi “Bene direi che potresti andare bene per questa, sfilata...”

Il cellulare vibrò e con noncuranza iniziò a leggere “Domani sera ci sarà un assaggio dei nuovi capi che ovviamente saranno proposti nel nuovo anno, perciò vedi di arrivare qui alle diciotto per prepararti.”

I suoi occhi azzurri si alzarono solo un attimo sul viso del ragazzo, che sembrava piuttosto confuso, sorrise alzandosi, “Capito?” l'altro annuì “Bene, ti aiuterà Alicia...” indicò con il mento la ragazza ancora seduta sulla scrivania e intenta a scrivere qualcosa accanto al curriculum. Lei sorrise alzando il volto e allungando un biglietto da visita “Se hai dei problemi basta chiamare a questo numero.”

 

@

 

Il ristorante Taiyō to tsuki aveva aperto tre mesi prima, in una giornata di pioggia. Antonio e Francis avevano iniziato a frequentarlo per curiosità e visto che era un locale tranquillo avevano continuato ad andarci per pranzo ogni venerdì.

Il loro tavolo -perché il proprietario li faceva accomodare sempre lì- era laccato di nero con i cuscini rossi tutt'intorno, dove loro due erano soliti a sdraiarsi mangiando come un tempo facevano gli antichi romani.

Antonio quel giorno fu il primo ad arrivare, Kiku lo aveva accolto con il solito inchino avvolto in un yukata nero sul quale risaltava il ricamo di una gru.

Lo accompagnò al solito tavolo inchinandosi di nuovo prima di allontanarsi. Lo spagnolo aprì il menù solo per far passare il tempo guardando i vari piatti, si allungò sui cuscini mettendosi comodo come sul divano del suo appartamento.

“Quando ho letto il tuo messaggio Tonio mi ha distratto da un pâtisserie…” Francis accompagnato da Kiku lo raggiunse.

Antonio sorrise “Un nuovo modello?” l'amico annuì sedendosi composto e prendendo a sua volta il menù, “Questo sei sicuro che non sia vergine come l'altro?”

Francis si portò una mano tra i capelli “Ha l'aria di uno che se ne intende...” mormorò richiamando con una mano Kiku, ancora si domandava perché il proprietario si disturbava a servire i tavoli invece di starsene negli allori a non far nulla.

“Prendo del Tako Su, niente sale mi raccomando.” l'ispanico diede un occhiata veloce, non aveva ancora scelto ed era strano visto che era lì da diversi minuti a sfogliare il menù “Io...” si morse le labbra “Futo Maki e direi il solito vino bianco” sorrise.

 

“Perciò hai litigato di nuovo con tuo padre per dei sottaceti.” Francis non capiva la fissazione di Antonio nel voler cambiare la produzione della famiglia, la loro polpa di pomodoro era la migliore di tutta la California e non c'era rischio di trovarsi in fallimento, ma era pur sempre il suo migliore amico e non poteva di certo fargli cambiare idea.

L'ispanico corrugò la fronte tornando a mangiare il suo riso e pesce, aveva appena finito di raccontare la sua bellissima mattinata al lavoro “Non per i sottaceti, ma perché lui non vuole nemmeno pensarci ad ampliare la produttività. Voglio dire non smetteremo di fare la polpa di pomodoro, ma avremo anche un entrata in più su altri prodotti, i soldi per ampliare l'azienda non ci mancano!”

Francis avrebbe dovuto capirlo, la sua famiglia aveva una fabbrica tessile, della quale lui non aveva mai voluto a che farci. Aveva lasciato che la sua parte fosse spartita tra suo fratello maggiore Louis e la sorellina Marianne. Lui era entrato nel mondo della moda a soli vent'anni disegnando abiti a dir poco sublimi per un importantissimo marchio, infine era diventato abbastanza famoso per avviare una linea tutta sua con i tessuti che i suoi producevano.

Poteva dire di essere uno degli stilisti più famosi del mondo a soli trent'anni e con un minima gavetta alle spalle, e non era per nulla pentito di aver abbandonato il lavoro di famiglia per diventare stilista.

Francis perciò pensò a come si era dovuto sentire Marianne quando suo padre si era rifiutato di promuovere un tessuto interamente biologico che avrebbe potuto ampliare il portafoglio di clienti. Scrollò le spalle “Suppongo che tu abbia ragione...” posò la forchetta nella ciotola dell'insalata “Ma dovresti smetterla d'insistere, fra qualche anno prenderai tu le redini della famiglia e poi potrai fare come ti pare.”

Antonio sospirò “È quello che ha detto anche mio padre, ma io non sono così sicuro di riuscire a mandare avanti l'azienda, speravo che vedesse in mio cugino un valido sostituto...” si grattò i capelli ricci “Io preferisco stare a zappare la terra, anche se ultimamente non ci riesco mai con tutto il lavoro con cui papà mi sommerge!”

Rimasero in silenzio per la lunga durata di due minuti e mezzo prima che Antonio tornasse a parlare.

“E stasera c'è la festa di fine anno con i dipendenti, mi toccherà sopportare oltre che mio padre anche tutti quei stronzi che lavorano negli uffici e che non hanno la minima idea di come nasca un pomodoro!”

Francis si sistemò i capelli “Però c'è anche Emma, giusto?” e l'ispanico sospirò nascondendo il viso in uno di quei morbidissimi cuscini, lui ci provava con Emma da almeno due anni ma nonostante le sue avance e i numerosissimi regali lei non si era mai lasciata andare. “Oh sarà l'unica gioia in un mondo nero!”

Il francese rise divertito “Parli come se dovessi andare a sconfiggere zombi!” guardò il proprio bicchiere “Pensa che io dovrò sopportare quel mezzo drogato di mio fratello e la mia adorata sorellina mi farà conoscere il suo fidanzato. Tutto sommato l'invasione dei mostri è una prospettiva molto più allettante!-

 

@

 

Francis arrivò a casa dei suoi genitori in tempo per la cena. Posteggiò la sua meravigliosa porsche nell'ordinato vialetto costituito da minuscoli sassolini bianchi nel momento in cui suo fratello si calava dalla finestra del bagno.

Lo guardò arrampicarsi con difficoltà sul piccolo melo, probabilmente era già fatto visto che ridacchiava come un matto mentre cercava di raggiungere vari rami con i piedi.

“Louis...” lo chiama quando lo vede cadere a terra con il sedere “Cosa stai facendo?” il maggiore alzò lo sguardo su di lui, occhi rossi e delle occhiaie che avrebbero fatto invidia ad uno zombi. “Shhsssssssshhhhhh!” sibilò alzandosi e mettendogli faticosamente un dito sulle labbra -che poi finì dentro una narice- “Sto cercando di andarmene...” mormora ridacchiando come se stesse facendo una marachella.

Francis inarcò un sopracciglio spostando quel dito fastidioso dal naso “Ma che merde ti sei preso?” lo guarda con rabbia, in un qualche strano e contorto modo lui sembrava più maturo del fratello, anche se in realtà fino a cinque anni prima non era esattamente così, era stato l'amore a ridurlo un morto ambulante.

L'amore e un divorzio ad appena ventisette anni.

Louis storse il naso e la bocca facendo un'espressione a dir poco spaventosa “Non sono cazzi tuoi...” sibilò avvicinandosi al viso del più giovane “Putain de merde!” aveva tanta voglia di sputargli addosso a quel vestito elegante ma gli sembrava di che le gambe non lo reggessero più.

“Potevi spaccarti l'osso del collo, idiot!” iniziò ad alterarsi Francis, fissò i suoi occhi azzurri in quelli del medesimo colore del fratello “Perché devi buttarti così? Ormai lei est passé...” in quel momento un pugno lo colpì sullo zigomo destro, facendolo dondolare pericolosamente.

Ne pas parler d'elle! Ne pas allé...ne pas allé...je l'aime!” la voce carica di rabbia si era alzata pericolosamente. Il minore si toccò la parte offesa, drogato o meno suo fratello rimaneva davvero forte “Merde! Cela fait cinq ans...” cercò di parlare ma fu bloccato di nuovo “Ne pas parler d'elle!” e al suono di quell'affermazione Francis decise che era meglio non insistere, non quando Louis era in quello stato.

 

@

 

Antonio sorrise forzatamente agli invitati, uno dopo l'altro stretti nei loro abiti firmati andavano a porgere i loro saluti -dopotutto era il vice presidente- le donne civettuole ridevano a qualche assurda battuta per farsi notare.

Lui odiava tutto questo. Era un uomo di terra e stare in mezzo a gente ipocrita che voleva solo acchiapparsi il posto migliore nella loro azienda gli faceva contorcere le viscere.

“Mi sembri distrutto, Antonio, eppure la serata è appena iniziata” il ragazzo spostò lo sguardo su suo cugino Manuel comparso chissà come dietro le sue spalle accompagnato dalla bellissima Emma. Lui si allentò la cravatta sbottonandosi il colletto “È una tortura...” mormorò sorridendo alla ragazza e portando lo sguardo lungo tutto il corpo, aveva dei tacchi vertiginosi che la facevano arrivare quasi alla sua altezza e il vestito le fasciava le curve non lasciando nulla all'immaginazione.

“Sei sempre il solito, cugino!” loro si assomigliavano molto, tanto che spesso li cambiavano per fratelli, vestiti eleganti sembrava quasi impossibile distinguerli se non fosse per il codino di Manuel.

“Ti danno sempre fastidio i party organizzati dall'azienda...” Antonio ridacchiò grattandosi i capelli “Il fatto è che non mi sento a mio agio vestito in questo modo!”

Emma sorrise “Secondo me stai benissimo! Dovresti venire anche al lavoro in giacca e cravatta, probabilmente anche tuo padre l'apprezzerebbe.” e quella frase bastò a far arrossire lo spagnolo.

“Scusatemi...” la voce di un ragazzino fece voltare i tre adulti. Il ragazzo era un poco più basso di Antonio, un viso quasi etereo con enormi occhi ambrati che sembravano illuminarsi con il suo splendido sorriso, era molto più giovane di loro forse aveva una decina d'anni in meno “...Potrei farvi una foto?”

Emma rise “Certo!” e prese a braccetto i due uomini avvicinandoli a lei, Manuel guardò incerto la macchina fotografica del giovane “Lavori per qualche giornale?” il ragazzino sbatté un paio di volte le palpebre “Vee..?” la sua voce si alzò di parecchio “Io non lavoro per nessuno, ho un mio laboratorio anche se ho iniziato a vendere le mie opere solo da qualche mese.” iniziò a gesticolare, “Sono qui perché mio fratello lavora in quest'azienda e in sette anni non ha mai partecipato a una sola festa, perciò ho pensato Ehi! Potrei esercitarmi con la fotografia! Perché io non sono molto bravo con la tecnologia preferisco le tempere e i pennelli, anche le matite non sono male...”

Antonio rise divertito da quel fiume in piena “Tranquillo non vogliamo sapere tutta la tua vita!” il giovane lo guardò perplesso “Vee, ho parlato troppo? Mio fratello dice sempre che sono logo...” aggrottò la fronte cercando la parola giusta “...logorroico...” abbassò la voce come se temesse di sbagliare “Insomma uno che parla tanto e a vuoto!” tornò a sorridere.

Manuel sbuffò “Si l'abbiamo notato...” ricevendo un pizzicotto da parte di Emma che mosse le labbra in un muto “Non sei carino...”, Antonio ampliò il suo sorriso “Allora niño questa foto?”

Il ragazzino s'illuminò alzando la macchina la fotografica, “Sorridete!” e un flash abbagliò un attimo i tre adulti.

 

@

 

“La cena è squisita signora...” il fidanzato di Marianne era un tizio con degli assurdi capelli rossi -ma un bel rosso una sembravano più un arancione-, pallido e con dei occhi di un azzurro ancor più chiaro dei suoi. Veniva dall'Inghilterra, si era trasferito lì con la sua famiglia all'età di diciassette anni e ora lavorava nello studio legale dei suoi come avvocato divorzista.

Francis pensò che era stata una benedizione che Louis non fosse a tavola con loro, avrebbero rischiato la terza guerra mondiale e forse sua sorella avrebbe perso il fidanzato.

Merci Darren!” trillò la donna alzandosi per sparecchiare “Che ne dite se andiamo in salotto ad aspettare la mezzanotte?” sorrise affabile all'ospite, sua figlia non poteva trovarsi un partito migliore, “Intanto io preparo il caffè e il dolce!”

Marianne trascinò letteralmente il compagno nella stanza accanto, Francis li seguì in silenzio con loro padre, “Lo sapete che Darren ha altri quattro fratelli, tre dei quali sono avvocati proprio come lui?” urlacchiò la sorella mentre si sedeva accanto al rosso sul divano.

“E il quarto? Non ha seguito le vostre orme?” il signor Bonnefoy si accomodò educatamente sulla propria poltrona “Peter è ancora piccolo, concluderà quest'anno la quarta superiore.” spiegò Darren “Ma sono quasi sicuro che studierà legge anche lui, ha una sorta di venerazione per uno dei nostri fratelli e vuole eguagliarlo.” sul suo viso si dipinse una smorfia di disappunto.

Francis sbuffò “Ma che famiglia unita...” e noiosa. Si secondo lui lo era, insomma nessuno che avesse scelto un futuro diverso o più allegra. Il rosso s'incupì “Si, abbastanza”.

Il padrone di casa lanciò uno sguardo severo al figlio “E dimmi, siete tutti avvocati divorzisti?” Darren sorrise “No, io sono l'unico, tutti abbiamo scelto rami differenti.” Marianne si accoccolò sul braccio del fidanzato “Perché non chiedi a loro di aiutarti per quella denuncia sessuale Francis? Hanno una buona fama.”

Il rosso alzò lo sguardo su di lui per la prima volta in tutta la serata, “Ho già un avvocato...” stronzo e che non aveva mai chiamato da quando era arrivata la denuncia. “Mio fratello minore, tornerà da Londra proprio in questi giorni, non ha mai lavorato con noi ma ha deciso di lasciare lo studio dove ha lavorato fin'ora per stare più vicino alla...” si rabbuiò “...famiglia.” la parola scivolò dalle sue labbra con rammarico “Comunque, mio fratello è l'unico che ha deciso di diventare un avvocato penale e a quanto abbiamo sentito, nonostante la sua età, era molto richiesto in Inghilterra, potrei sottoporgli il tuo caso.”

Francis sospirò “...Ho già il mio avvocato...” ripeté, l'ultima cosa che voleva era sorbirsi qualcun altro di quella famiglia, “Ma è fantastico!” trillò Marianne battendo le mani “L'avvocato Moore non è tanto affidabile, l'ultima volta ti ha fatto pagare uno sproposito l'accusatore quando sapeva benissimo che erano tutte fandonie quelle che quel uomo aveva raccontato!”

Darren sorrise divertito “Si tratta di un uomo?” si sporse in avanti scrutandolo come se dovesse spogliarlo, Francis si mosse a disagio “Non sono affari tuoi e io ho già un avvocato!”

Marianne si sporse verso il ragazzo parlandogli sottovoce “Ne parliamo dopo in privato...”

 

@

 

Antonio non aveva mai bevuto così tanto in tutta la sua vita, vedere Emma ballare con Manuel per tutto il tempo -rifiutando i suoi di inviti- lo aveva fatto ingelosire. Il bar era lì a disposizione e lui non ci aveva pensato due volte ad affogare il suo dispiacere in qualche alcolico.

Qualche drink dopo aveva notato la barista, il suo seno prosperoso strizzato in una misera camicetta bianca e le labbra carnose dipinte di rosso, l'aveva convinta ad andare nel retro con lui a fare qualcosa di molto più interessante che stare lì a servire gente di ogni tipo.

Per quello quando ormai mancavano pochissimi secondi a mezzanotte e tutti stavano allegramente contando ad alta voce, lui era appoggiato al muro con i pantaloni calati e le mani serrate tra i capelli biondi della ragazza inginocchiata in mezzo alle sue gambe. La bocca calda ed esperta lo accoglieva senza riserve facendolo affondare fino in gola e lasciando che fosse lui a dettare il ritmo.

Si immaginava che al posto della sconosciuta ci fosse Emma con i suoi occhi verdi fissi nei suoi e le sue splendide mani sul suo addome.

Venne quando nella stanza accanto tutti esultarono con Buon Anno, inchiodando il viso della barista sul suo pube e riversandosi dentro a quella meravigliosa bocca.

La lasciò quando il piacere divenne spossatezza, lei si alzò leccandosi le labbra e sistemandosi i capelli in una frettolosa coda. La ragazza si mise a cercare qualcosa su uno scaffale, Antonio la vide scrivere qualcosa su un pezzo di carta strappato da qualche prodotto, “Chiamami...” gli sussurrò lasciandogli tra le mani il bigliettino, poi uscì per tornare al proprio lavoro.

 

“Kesesese!” una voce sibilò vicino al suo orecchio appena riuscì a chiudersi i pantaloni, Antonio per poco non urtò lo scaffale vicino dallo spavento “Uno spettacolo davvero interessante...freund.” due occhi rossi lo guardavano divertiti.

Joder! Veo a los muertos!” l'ispanico si portò una mano sugli occhi massaggiandoli, quanto aveva bevuto per riuscire a immaginare Gilbert dopo tanti anni “Mi Dios me volvió loco!”

“Ma che morto, morto...Io sono troppo magnifico per essere un fantasma!” ridacchiò l'albino portandosi una mano al petto.

No puede ser...tu...io...ero al tuo funerale...ti ho visto muerto!” iniziò ad aver paura quando Gilbert gli artigliò il braccio “Anche se fosse, Tonio, vuoi forse rifiutare una mia visita?” gli occhi ardenti si fissarono nei suoi.

Un brivido gli scese lungo la schiena fino ad arrivare alle punte dei piedi, “Dios te estás castigando?” spostò lo sguardo sulle varie pareti soffermandosi sulla porta “Gilbert éramos amigos...” sussurrò sentendo il braccio congelare, “Appunto per questo che sono qui. Voglio darti il mio regalo...” l'albino si avvicinò ancor di più “...Un regalo speciale...” e l'alito freddo investì il viso dello spagnolo.

 

 

 

 

 

 

Appunti:

 

Louis: Ho voluto prendere il 2p di Francis

Marianne: Ho pensato alla parte femminile di Francis

Manuel: Dovrebbe essere Portogallo, non ho trovato il suo nome da nessuna parte perciò ho scelto questo, mi sembrava carino.

Darren: Irlanda, anche di questo personaggio non ho trovato il nome.

 

Conversazione tra Francis e Louis:

 

“...Ormai lei è passato..”

Non parlare di lei! Non è passato...non è passato...l'amo!”

Merda! Sono passati cinque anni...”

Non parlare di lei!”

 

Conversazione tra Antonio e Gilbert:

 

Cazzo! Vedo i morti!”

Mio Dio sono impazzito!”

No può essere...tu...io...ero al tuo funerale...ti ho visto morto!”

Dio mi sta castigando?”

“Gilbert eravamo amici...”

 

 

Angolino dell'autrice

 

Lo so ho l'altra fanfic da terminare (la prossima settimana posto un nuovo capitolo promesso!) ma questa mi frullava in testa da un po, perciò ho deciso di buttarla sui fogli e postarla.

Mi spiace in anticipo per errori.

Ora passiamo alla storia, sarà decisamente molto più corta dell'altra e con meno personaggi, anche se ho fatto alcune famiglie molto numerose XD

La storia del filo rosso penso che ormai la conoscono tutti ma mi sembrava carino scriverci qualcosa e spero che non sia troppo simile ad altre (anche se non ho letto nulla a riguardo)

 

Approfitto per farvi gli auguri di un buon anno a tutti!

 

Un abbraccio

Elisir

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Aiuto! C'è un filo legato al mio mignolo! ***


 

Capitolo 2

 

Aiuto! C'è un filo legato al mio mignolo!

 

 

 “...È un regalo speciale...” Francis tremò come mai aveva fatto in vita sua, gli occhi azzurri che non riuscivano a spostarsi da quelli rossi, si sentiva violato nell'anima.

La mano di Gilbert stretta sulla sua spalla era fredda e gli intorpidiva la pelle, i brividi aumentavano d'intensità ogni secondo che rimaneva attaccato a lui, “Mi spaventi così...” iniziò il biondo cercando di allontanarsi.

Sussultò sbattendo la testa contro la portiera quando anche l'altra mano si posò su di lui.

La guancia congelò subito come se avesse immerso metà faccia nel ghiaccio, “Stai tranquillo...” gli alitò in faccia facendolo tremare ancor di più, “...Mi ringrazierai per il resto della tua vita...” e lui non riuscì più a muoversi.

 

 

Francis spalancò gli occhi respirando profondamente come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento, allungò le braccia davanti a se cercando di cacciare via qualcosa -o meglio qualcuno- che lo aveva tenuto fermo fin a quel momento, le dita toccarono solo il volante.

Sbatté le palpebre mentre portava le mani al torace, sentì la stoffa pregiata della camicia sotto le dita, grattò nervosamente con le unghie sui bottoni bianchi aprendone due e infilando così due dita. Sentire la propria pelle e sotto di essa il battito veloce lo fece calmare.

Baise...” soffiò con la gola secca, portò una mano sul viso strofinandola sul pizzetto, incerto se andare o meno a toccare la guancia, allungò l'indice sfiorando appena la pelle e sentendola calda.

Baise...” sussurrò di nuovo tornando a guardarsi intorno. Era in auto fermo nel vialetto dei suoi genitori.

Da solo.

Il sedile del passeggero era vuoto, nessun morto dagli occhi rossi e dalle mani ghiacciate era seduto accanto a lui.

Dieu...” si era trovato a sospirare di sollievo, sentendosi un grande idiota per essersi spaventato per un incubo -probabilmente dovuto allo stress di quel periodo-.

Si portò i palmi sugli occhi strofinandoli, ridacchiò divertito di se stesso, “C'était un rêve...” sopirò “J'ai ne rêvé que Gilbert...”

Riportò le mani sul volante alzando lo sguardo sul parabrezza “Putain...” sobbalzò sbattendo un gomito sulla portiera e le ginocchia sul volante. Il viso di sua sorella, prima schiacciato sul vetro, si allargò in un sorriso allegro, “Cosa stai facendo lì dentro?”.

Francis si massaggiò il gomito “Marianne mi hai spaventato!” lei rise portandosi una mano tra i biondi capelli “Non dirmi che hai dormito tutta la notte in macchina!” lui annuì lentamente.

Eppure quando era uscito dalla casa dei suoi genitori non era così stanco, ricordava benissimo che si era appena seduto sul sedile quando aveva sentito la risata allegra di Gilbert.

Gilbert...lanciò uno sguardo ancora spaventato al posto accanto a se come se potesse vederselo comparire da un momento all'altro. Scosse la testa era stato solo un sogno. Solo un incubo.

Marianne gli aprì la portiera “Dai vieni a fare colazione, grand frère!” lui tornò a guardarla, indossava un pigiama rosa con mille fiorellini bianchi sui pantaloni e uno solo sul petto, “Si, forse del caffè mi farà bene...” mormorò.

Uscì dall'auto e solo in quel momento si accorse di un filo di lana di color rosso, che scivolava lungo il tappetino e che saliva lungo la sua gamba sinistra fino ad arrivare al suo dito mignolo, “E questo cos'è?!?” urlò alzando la mano davanti al suo viso.

Marianne lo guardava stranita “Cosa?” lui alzò gli occhi “Che razza di scherzo è?” cercando di slegare il nodo che però sembrava farsi sempre più stretto.

 

 

Francis e Marianne entrarono in casa discutendo animatamente, “Ti ho detto che non hai proprio niente sul dito!” la voce della ragazza echeggiò nella cucina insieme allo sbattere della porta, “Non prendermi in giro, hai perfino fatto il fiocco!” lui aveva alzato la voce come se la sorella non potesse sentirlo “Esigo di sapere dove arriva!” continuava a parlare mentre cercava di arrotolare lo spago per trovare l'altro capo. Ma quanto è lungo?

“Secondo me ti sei fumato qualche schifezza di Louis, perché qui non c'è nessunissimo filo tanto meno di lana!” esclamò la ragazza prendendogli la mano e muovendola come se fosse una bambola di pezza.

Lui stava per risponderle quando loro madre, Aline, entrò in cucina avvolta dalla sua vestaglia color rubino, i capelli biondi come quelli dei figli le ricadevano morbidi sulle spalle. “Francis, sei venuto a trovarci?” chiese la donna con un splendido sorriso, “Macché l'ho trovato che dormiva in macchina...” il ragazzo diede un pizzicotto sulla guancia a sua sorella lasciandole un segno viola.

La madre alzò gli occhi al cielo, domandandosi quando i suoi figli avrebbero smesso di comportarsi come dei bambini, “Miel, se eri così stanco potevi rimanere qui nella tua stanza.”

Francis sospirò, la sua vecchia stanza, quella dove non dormiva da quando aveva l'età di ventun anni, e che sua madre si ostinava a tener in ordine, era sicuro che c'era ancora l'elicottero giocatolo che aveva costruito in quarta liceo per un progetto scolastico. “Non ero stanco, maman. Ho solo…” deglutì a fatica non sapendo cosa dirle, perché esattamente cosa fosse successo non lo sapeva nemmeno lui. Parlare di Gilbert dopo tutti quei anni forse avrebbe messo a disagio sia sua madre che Marianne e a lui avrebbe fatto male, gli avrebbe ricordato tutto quel dolore che aveva provato in quella giornata e quelle dopo, per cosa poi? Per un incubo che lo aveva preso alla sprovvista appena seduto sul sedile?

Scosse la testa, “Non importa! Maman, dove sono le forbici?” chiese lanciando uno sguardo di fuoco alla sorella, “Nel secondo cassetto, Mon chéri. Ma a cosa ti servono?” Aline si era seduta dopo essersi presa una tazza di caffè e mettendosi gli occhiali aveva iniziato la lettura di uno dei tanti romanzi rosa che riempivano la casa.

“Come per cosa?!” esclamò più che esasperato Francis “Per questo stramaledetto filo! Marianne l'ha legato troppo stretto e il nodo non si disfa!” alzò la mano mettendo in risalto quel ridicolo fiocco di lana rossa che stonava sul suo splendido mignolo.

La sorella gonfiò le guance “Ti ho già detto che non esiste nessun spago!” soffiò come una gatta, “Marianne!” la sgridò la madre mettendo a tacere sia lei che il figlio -che ingoiò la risposta acida-. Mosse lo sguardo lungo la manica della camicia del figlio, arrivando al polsino rigido, osservò ogni millimetro della pallida mano dove non vedeva nessuna imperfezione e soprattutto dove non c'era traccia di fili rossi o cordoni.

“Fai quello che devi fare, Francis...” sorrise prima di tornare alla lettura, il suo secondo figlio non era mai stato un tipo da allucinazioni e non si era mai drogato, e il fatto che vedesse qualcosa che non esisteva la preoccupava ben poco, probabilmente erano i postumi della sera prima.

Sentì armeggiare nel mobile dietro e vide con la coda dell'occhio la figlia sedersi con in mano una brioche.

“Stiamo scherzando?!?” e quel urlo isterico fece sobbalzare le due donne, quando entrambe guardarono dalla parte del ragazzo videro chiaramente le lame spezzate.

 

@

 

Antonio spalancò gli occhi e la bocca in cerca d'aria, portò le mani al collo graffiando la pelle come a volersi liberare da una ferrea presa che gli bloccava il respiro.

Quando un filo d'aria entrò nei suoi polmoni, lasciò alle mani di vagare tra le lenzuola fresche, si alzò di colpo con il busto, trovandosi improvvisamente con la pelle nuda e sudata a rabbrividire.

Spostò lo sguardo tutt'intorno con il terrore d'incrociare di nuovo degli occhi rossi, ma tutto ciò che incontrò il furono le pareti color grigio antracite e i mobili scuri che ammobiliavano la sua camera.

Si portò una mano sul viso iniziando a ridacchiare, per un attimo aveva pensato di trovare Gilbert accanto a lui, aumentò la risata sentendosi un perfetto idiota.

Esa estúpida idea... Él murió...

Piano la risata scemò diventando pesanti respiri, Antonio non aveva intenzione di piangere di nuovo per l'amico, non dopo che aveva passato mesi di depressione, non dopo tutti quei anni.

Si portò la mano sul braccio dove aveva ancora l'impressione di sentire la presa ferrea di Gilbert, scosse di la testa poteva un sogno spaventarlo tanto?

Hola!” suo cugino spalancò la porta della stanza facendolo sobbalzare, Antonio quasi urlò dallo spavento mentre come di riflesso si strinse le lenzuola sul petto.

“Ma dico, sei scemo?” sbatté le palpebre cercando di ricordarsi il motivo di Manuel in casa sua, “Speravo in un ringraziamento migliore, visto che ho trascinato il tuo culo fino a qui e senza farmi notare dallo zio...” come non detto.

Antonio sorrise circospetto, non si ricordava di essere arrivato a casa e tanto meno di aver avuto aiuto da suo cugino, l'ultima cosa era che si stava allacciando i pantaloni dopo il lavoretto di quella biondina e poi era arrivato Gilbert.

Gilbert…

Lasciò la presa dalle lenzuola improvvisamente consapevole di essersi addormentato nel retro del locale -dove era certo, non sarebbe mai più tornato dopo una figura del genere- “Mi hai trovato tu?” chiese sapendo già che la risposta non sarebbe stata positiva.

“Oh, amigo, quando un barista mi ha avvicinato per informarmi che mi hermano era ubriaco marcio nel magazzino, io non ci potevo credere!” Manuel fece un passo all'interno della stanza “Stavo morendo dal ridere mentre ti contorcevi come un verme sul pavimento mugugnando qualcosa No, no...amici...e cazzate del genere.”

Antonio fece una smorfia, che parenti meravigliosi che aveva!

“Comunque non ti avrei mai lasciato la da solo -la prossima volta chiama anche me, non ho praticamente toccato alcol ieri- e così ti ho caricato in spalla e portato qui. A proposito, non metterò mai più le mani nelle tue tasche, ma che cazzo ci metti dentro per ridurle in quello stato?” Manuel gli scoccò uno sguardo disgustato ricevendo come risposta una risata “Oh, io non vengo a chiederti perché continui a riempirti le tasche di bustine di zucchero!”

Il cugino scosse la testa, era impossibile rimanere arrabbiati con Antonio soprattutto se sorrideva: la sua allegria era contagiosa. “Alzati va, ti ho preparato la colazione, anche se sono già le una di pomeriggio, e io voglio tornamene a casa per farmi un bellissimo bagno rilassante e poter dormire nel mio comodissimo letto.”

Antonio annuì alzandosi in piedi e stiracchiandosi con le braccia, “E questo che cos'è?!?” esclamò guardando un filo rosso attaccato alla mano sinistra penzolare sul suo viso.

 

@

 

Papa, anche tu ti ci metti in questo scherzo?!” Francis non ci poteva credere, suo padre che stava tranquillo sulla sua poltrona a mangiare una fetta di torta gli aveva appena assicurato che non vedeva niente di strano sulla sua mano.

Valentin sospirò guardandolo negli occhi “Tuo fratello ti ha dato qualche strana pasticca?” la voce seria e ammonitrice “No! Certo che no! Non prenderei nemmeno un bicchiere d'acqua offerto da lui!” fece una smorfia inorridita sottolineando la veridicità dell'affermazione.

Suo padre si rilassò tornando a mangiare il proprio dolce “Allora smettila con questa assurda storia del filo rosso, tua madre sta iniziando a preoccuparsi e presto chiamerà il suo psicologo per farti fare una seduta.”

Francis si portò esasperato le mani tra i capelli, gli mancava lo strizzacervelli!

Marianne entrò in quel momento vestita di tutto punto, un sorriso raggiante stampato in faccia “Io esco, vado a trovare Savannah!” lanciò uno sguardo al fratello, “Poi verrò alla tua sfilata...non vedo l'ora di vedere la nuova collezione!” trillò battendo le mani.

Francis spalancò gli occhi stringendo le mani sui capelli rischiando di tirarli con troppa foga “Ah, me ne ero dimenticato!” urlò in preda a una crisi “Non posso andarci con sta cosa sulle mani! La mia carriera finirà nel giro di poche ore!”

Valentin appoggiò il piattino sul tavolino alzando di nuovo lo sguardo sul figlio “Francis, ti ho detto di smetterla con questa storia. Sto iniziando a perdere la pazienza.” lo ammonì con voce e occhi. Marianne si sentì a disagio, iniziò a muovere nervosa stropicciando la corta gonna verde mentre lanciava occhiate al fratello. “Perché non vai a casa?” loro padre si era alzato e sorrideva tranquillo “Ti fai una doccia, ti cambi -magari ti fai anche la manicure- e vedrai che alla fine sarai più calmo.” gli mise le grandi mani sulle spalle “Sono sicuro che sei agitato perché per la prima volta ti troverai anche stilisti europei di grande portata.”

Francis fece una smorfia, anche lui era famoso quanto loro ma non aveva mai avuto un confronto diretto sul campo e forse, forse, temeva quella prova. “Ma tu sei giovane molto più di loro, capisci meglio i compratori d'oggi. Saprai eguagliarli se non addirittura superarli!” la voce di suo padre era rassicurante e involontariamente si sentì meglio.

Annuì alzandosi a sua volta, “Non ho paura di quattro vecchi!” esclamò facendo ridere l'uomo “Così si parla Francis!” la poderosa pacca sulle spalle quasi lo fece cadere.

 

 

Marianne si guardò allo specchietto accertandosi di non aver niente fuori posto “Sei stato gentile a darmi un passaggio.” Francis ridacchiò “Scherzi? Non potevo di certo lasciarti camminare tutto il tragitto con quei tacchi!” lei gonfiò le guance come una bambina, “Non sono poi così alte...” mise lo specchietto nella borsetta “...E comunque, dopo che hai dato il due di picche a Savannah pensavo che non volessi più vederla.”

Lui sbuffò “Non è il mio tipo per una semplice cosa: est une femme.” sua sorella rise divertita dell'affermazione, loro due si confidavano tutto ed era bello poter contare su qualcuno anche nei momenti difficili anche se ogni tanto Marianne faticava a capire i problemi di suo fratello -lei era un tipo più diretto- o viceversa.

Un tempo c'era stato anche Louis con loro, pronto a dare i suoi consigli da fratello maggiore, poi era arrivata Evelyn, il matrimonio e il divorzio solo due mesi dopo. Louis nel giro di pochissimo tempo si era allontanato da loro, decidendo di seguire le persone sbagliate e quando loro due se ne erano accorti era ormai troppo tardi.

Francis si domandò cosa avrebbe detto il vecchio Louis riguardo al filo rosso, per un attimo s'immaginò il viso bello del fratello -non quello scavato di ora- e il suo sorriso rassicurante, le labbra che si muovevano in un “Se lo puoi vedere solo tu, seguilo e guarda dove ti conduce...”

“Ecco! Fermati qui!” Marianne lo riportò alla realtà la vide indicare una profumeria “Abbiamo appuntamento qui! Devo comprarmi assolutamente il profumo di Dior, l'ho quasi terminato!” si voltò a guardarlo con gli occhi ridenti “Quando vedrò il tuo nome su una bottiglietta, stai sicuro che sarò la tua consumatrice numero uno!” gli diede un bacio sulla guancia lasciandogli il segno.

Francis rise parcheggiando l'auto, “Senti ma questo filo...” la bloccò prima di farla scendere, lei corrugò la fronte stava perdendo la pazienza, “Ancora?” chiese con voce alterata, lui abbassò lo sguardo sul volante “Davvero non lo vedi?”

Marianne si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, fece un cenno con la mano all'amica che era rimasta a debita distanza, “Ascolta, io non riesco a vederlo, mamma e papà non lo vedono e probabilmente nemmeno Savannah.” si lisciò la ginna “Con questo non voglio dire che sei impazzito all'improvviso, forse tu lo vedi veramente o molto probabilmente ieri sera hai bevuto troppo e hai ancora degli effetti collaterali -anche se stanno durando eccessivamente-, perciò vai a casa e cerca di rilassarti.” aprì la portiera ritornando a sorridere “E vedi di essere carico stasera!” gli diede un piccolo pugno sulla spalla e scese dall'auto.

Francis sorrise appena mentre la portiera veniva chiusa, i suoi occhi tornarono a fissare il mignolo: quel filo rosso era ancora lì.

 

@

 

Antonio all'inizio l'aveva preso bene quello scherzo, si era messo perfino a ridere, ma dopo aver visto lo stato in cui si trovava il salotto stava perdendo la pazienza.

Manuel da parte sua non lo stava aiutando affatto, rimaneva seduto a guardarlo perplesso come se si trovasse davanti un asino volante. “Te lo dico per l'ultima volta, questo disastro lo sistemi tu visto che è opera tua!” lanciò le forbici sul tavolino da caffè, ormai completamente rotte.

Com'era possibile che tre paia di forbici -e ora doveva andare a comprarne delle nuove- si fossero rotte per tagliare quel dannato filo rosso.

Non che amasse quel colore, ma trovarsi uno spago in giro per il proprio appartamento avvinghiato ai suoi costosissimi mobili, non gli piaceva affatto.

“Io non ho fatto proprio nulla, se non spaccarmi la schiena a dormire su questo divano.” Manuel accavallò le gambe osservando la forbice completamente distrutta -manco fosse stata colpita ripetutamente da un masso- “Secondo me ieri hai bevuto un drink corretto con una buona dose di droga.”

Antonio si fermò improvvisamente con gli occhi spalancanti, poteva essere una ragione per cui lui continuava a vedere un filo indistruttibile di cui Manuel negava l'esistenza. Oppure suo cugino lo stava prendendo in giro!

Assottigliò lo sguardo “Non ci provare a trovare scuse!” si piantò davanti a lui incrociando le braccia “Ora, mi sleghi questo nodo e poi pulisci tutto, claro?”

Manuel rifletté un attimo, cercando di capire se era il caso di dar corda al cugino e così trovare una soluzione a quella improvvisa pazzia.

“Va bene, va bene. Ma prima mangiamo, ho una fame!” si stiracchiò avviandosi alla zona cucina mentre la soluzione più orribile si faceva spazio tra i suoi pensieri.

Scosse la testa, di sicuro avrebbe trovato altro, magari poteva addormentarlo con un po di sonnifero...

“COSA HAI FATTO ALLE MIE PENTOLE???” l'urlo -Manuel ne era sicuro- fu udibile in tutto il quartiere.

 

 

La terribile e spaventosa soluzione con il nome di Gustavo Fernandez Carriedo stava sorseggiando il proprio caffè seduto sul divano accanto a Manuel.

Antonio in piedi davanti al televisore al plasma guardava con astio il proprio cugino -che a dirla tutta sembrava una statua di marmo da quanto era rigido-, ma come aveva potuto chiamare suo padre?

Gustavo appoggiò la tazzina, “Antonio pensi ancora di essere un bambino per fare tutti questi capricci?” gli occhi severi puntati in quelli del figlio “Yo no soy un niño!”

L'uomo irrigidì i muscoli facciali “Tuo cugino mi ha chiamato spaventato dal tuo comportamento, pensi che non abbia sentito i tuoi scatti d'ira al telefono? E ora arrivo qui e tutto ciò che mi hai detto è che Manuel ti ha messo in disordine l'appartamento con un filo...”

Antonio pestò i piedi “Ed è vero! Non lo vedi anche tu? Eppure è rosso come la tua stupida polpa di pomodoro!”

“Non vedo proprio niente fuori posto a parte te.” Gustavo si alzò mostrando la sua enorme stazza “Io capisco che ti vuoi divertire, che ti senti ancora un adolescente, ma devi capire che ormai hai superato i trentanni e che devi diventare un uomo.” assottigliò lo sguardo “Qualsiasi cosa ti sei preso ieri sera o stamattina chiuderò un occhio, ma tu devi crescere. Pensi di farcela?”

Antonio abbassò lo sguardo furioso, suo padre lo trattava come un ragazzino.

“Non ho preso un accidente ieri sera! È Manuel che mi ha fatto questo...” si bloccò nel momento in cui realizzò che suo padre era un uomo concreto e non avrebbe mai dato corda a uno stupido scherzo come quello.

Deglutì guardandosi il mignolo, se suo padre diceva che non c'era nulla nella stanza allora era vero, “Papà, davvero non vedi il filo?” chiese con un filo di voce.

Gustavo si mosse spazientito ma colse al volo l'opportunità di poter raddrizzare suo figlio, “Se ti do una risposta tu farai tutto ciò che ti dirò io?” Antonio strinse i denti, sapeva che suo padre gli avrebbe dato ordini solo per il lavoro -al massimo poteva arrivare a proibirgli di andare a zappare la loro terra- e non si sarebbe permesso di mettersi nella sua vita privata, ma gli dava fastidio.

Aveva bisogno di sapere se effettivamente esisteva quel odioso filo?

Merda si!

“Va bene...” ringhiò lanciando fulmini dagli occhi, Manuel deglutì consapevole di essere finito nella lista nera del cugino. “No, ese hilo tuyo mucho no existe.”

Antonio sbiancò, non esisteva nessun filo, nessuno lo vedeva, si sedette sul tavolino improvvisamente le gambe gli tremavano.

...El diablo maldito me...

 

@

 

Francis allungò la mano sinistra verso Alicia, la sua segretaria, lei si sistemò gli occhiali perplessa “Non noti niente?” chiese lui con una strana angoscia. La donna sbatté le palpebre un paio di volte continuando ad osservare la mano “Sinceramente no.” tornò a guardarlo in viso “Oh, ti senti pronto per il quel passo?” chiese sorridendo.

Personalmente non pensava che Francis fosse un uomo fedele e anzi era convinta che per lui la parola fidanzamento fosse bandita dalla sua vita, ma per quale altro motivo le faceva vedere la mano sinistra se non per farle capire che voleva una fede al dito.

Forse sentiva che stava diventando un adulto, che presto avrebbe compiuto trentun anni e che che in un batter d'occhio sarebbe arrivato ai quaranta senza nessuno accanto.

Francis la guardò confuso “Quale passo?” era rammaricato che anche lei ignorasse il fiocchetto rosso al mignolo, ma in un certo senso confortato perché Alicia non era una donna che stava agli scherzi di sua sorella e perciò magari i suoi non avevano mentito.

Quel maledetto filo lo vedeva solo lui.

Lei smise di sorridere “Ti sei fidanzato?” lo guardò con i suoi occhi indagatori, lui abbassò la mano sconvolto “Ma come ti viene in mente una cosa del genere?” rabbrividì al solo pensiero.

“Allora perché mi fai vedere la mano?” lui rimase in silenzio mentre guardava i modelli fare le prove della sfilata, in quel momento Feliks camminava sulla pedana con movimenti sensuali e sguardo provocante. Era veramente perfetto.

“Stavo pensando a una linea di cosmetici...” mormorò assaporando ogni passo di quel giovane, Alicia s'illuminò come sempre ad ogni novità “Voglio iniziare questo progetto da lunedì, contatta chiunque serva per poter creare profumi e creme.” lei annuì con vigore.

 

 

 

 

Appunti:

 

Francis:

 

Si portò i palmi sugli occhi strofinandoli, ridacchiò divertito di se stesso, “è stato solo un sogno...” sopirò “Ho solo sognato Gilbert...”

 

 

Antonio:

 

Che idea stupida...Lui è morto…

 

Francis e Marianne:

 

Lui sbuffò “Non è il mio tipo per una semplice cosa: è una donna.” sua sorella rise divertita dell'affermazione

 

Antonio e Gustavo:

 

Io non sono un bambino!”

 

No, quel filo di cui parli tanto non esiste.”

 

...Il diavolo mi ha maledetto…

 

 

Angolino dell'autrice

 

Ed ecco il secondo capitolo! Spero con tutta me stessa di non avervi deluso!

Devo dire che speravo di poter scrivere qualcosina di più, ma non sono una fan dei capitoli lunghi :P

 

Comunque chiedo scusa per errori di ortografia, lessico e punteggiatura.

 

Ringrazio tutti coloro che hanno letto, messo la fanfic tra le ricordate, seguite, preferite e un abbraccio a Lady White Witch che ha recensito che è colei che mi ha fatto ricredere sulla coppia FrUk e che mi ha ispirato per iniziare questa storia!

 

Al prossimo capitolo

Elisir

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Di uomini alfa e di padri inflessibili ***


 

 

Capitolo 3

 

Di uomini alfa e di padri inflessibili

 

 

Francis non era un un uomo che amava particolarmente dormire, la mattina la dedicava praticamente alla preparazione della sua figura, iniziando con alcuni esercizi per mantenere quella forma fisica -che sapeva essere meravigliosa- per finire a cospargere sulla sua pelle creme profumate che la rendevano ancor più diafana di quello che effettivamente era.

Tutto quello gli prendeva ben tre ore e venti minuti della sua giornata e a forza di fare le medesime cose per anni i suoi occhi si aprivano -in una sorta di sveglia biologica- alle sette del mattino ogni giorno.

C'erano delle volte però che lui non scendeva dal letto e rimaneva sotto le coperte a gustarsi ancora un po di calore accanto al corpo del suo amante.

Era raro che qualcuno rimanesse nel suo letto dopo aver fatto sesso e lui rimaneva a fissare il viso di chi era stato tanto sfrontato.

Quella mattina, Francis, era sdraiato su un fianco e guardava l'uomo con la pelle scura da almeno venti minuti. Lo conosceva da almeno cinque anni quel cubano fumatore di sigari, l'odore appestava i suoi vestiti firmati e di conseguenza -in quel momento- anche la stanza.

Carlos Machado non era proprio un tipo con cui trattare su certe questioni, aveva una pessima reputazione ma veniva accettato per via del suo ceto sociale -ah i soldi fanno diventare dei delinquenti delle brave persone!-. A Francis non importava che lavoro facesse o se era veramente un spacciatore, bastava che lo portasse in estasi e che non si innamorasse di lui.

In cinque anni si erano visti si e no otto settimane sparse qui e là nelle quali il letto era stato l'unico luogo dei loro incontri. Quando lo aveva visto tra il pubblico la sera prima non aveva potuto resistere, insomma era una scopata assicurata e che gli avrebbe fatto dimenticare quel dannato filo rosso!

“Hai intenzione di farmi un ritratto?” la voce profonda di Carlos lo destò dai suoi pensieri, un occhio scuro lo fissava freddo “O devo dedurre che ti piace tanto il mio corpo nudo”. Sul volto di Francis si dipinse una smorfia “Quanto resterai?” si portò una mano tra i lunghi capelli mentre la risata divertita dell'altro riempiva la stanza “Non dirmi che ti dispiace non avermi con te!”

Carlos aprì anche l'occhio destro puntandolo sul fondo schiena del francese che si era alzato, il pensiero che era affondato dentro di lui solo poche ore prima lo fece eccitare nuovamente.

“Che sciocchezze, solo che ho molto da fare in questi giorni e non posso dedicarti altro tempo!” Francis aprì la finestra notando solo in quel momento che aveva ancora legato al mignolo quel irritante filo rosso, “Non ti devi preoccupare, domani a quest'ora sarò...” fu interrotto dal suono del campanello.

Carlos sbuffò mettendosi a sedere, “Non dirmi che è la tua segretaria...” indossò rapidamente i boxer attillati “Lei ha le chiavi!” lo liquidò il biondo mentre si metteva una vestaglia da camera e si dirigeva in salotto.

 

Alfred F. Jones era un tornado in tutti i sensi, parlava in continuazione, gesticolava e camminava velocemente -come se stare fermo fosse un'opzione da non prendere nemmeno in considerazione-.

Francis aveva solo socchiuso la porta dell'appartamento che l'americano si era fiondato all'interno urlando -con quel tono adatto a uno stadio e non a una conversazione- “È fatta!” e sventolando alcune riviste o almeno quello che ne rimaneva.

“I critici europei sono stati tutti colpiti dalla tua nuova collezione!” lanciò uno sguardo divertito e un sorriso smagliante al proprio capo “Si domandano quando avranno la possibilità di poter vedere tutti i capi e sei stato invitato in Italia da diversi stilisti e anche la Francia ti reclama...”

Francis gli prese una rivista eccitato “Non ci credo!” esclamò appena finito il primo paragrafo, “Qui dice che sono l'astro nascente della moda!”

Alfred annuì con forza “Non solo in quella rivista, ma anche in tutte queste e non hai ancora letto le critiche sui blog!” era talmente entusiasta che non si curò minimamente di abbassare la voce.

Francis si lasciò sedere sul divano accavallando le gambe, la vestaglia scivolò lasciando scoperta la coscia sinistra, l'americano seguì la linea morbida del muscolo desiderandolo di nuovo caldo e sudato circondare il suo bacino.

“Scusa, ma come mai non ti ho trovato intento a farti la ceretta?”

 

Alfred era andato spesso a letto con Francis in quei tre anni e mezzo in cui era diventato un suo dipendente, sapeva che per il francese non era altro che divertimento ma questo non valeva per lui.

No, Alfred era un ragazzo che si affezionava alle persone e finché non vedeva effettivamente un altro amante nell'appartamento del suo capo poteva pensare -o convincersi- che anche l'altro provava per lui una sorta d'affetto.

Per questo quando vide Carlos uscire dalla camera da letto di Francis con addosso solo dei boxer aderenti che non nascondevano una mezza erezione, improvvisamente smise di esultare.

“Sei più chiassoso di un gruppo di ragazzine davanti al loro idol!” la voce del cubano lo riscosse e subito sul suo viso si dipinse un splendido sorriso “Ci conosciamo?”

Ovviamente Alfred sapeva benissimo chi era quell'uomo, il suo volto e il suo nome venivano sempre a galla nelle cronache nere in cui c'erano traffici illegali di droga e prostituzione.

Non avrebbe mai immaginato di trovarlo nell'appartamento -e soprattutto nel letto- di Francis.

“Certo che no, i ragazzini come te me li mangio a colazione!” Carlos si accese un sigaro facendo corrugare la fronte di Francis “Spegni quella schifezza!”

Il cubano rise entrando in bagno, Alfred si mosse di scatto “Ma dico sei forse impazzito?!!” sussurrò con voce strozzata “Ti porti in casa un narcotrafficante-pappone-assassino-fumatore-cubano in casa!?!”

Francis si portò una mano tra i capelli “Sei il solito esagerato...” sbuffò tornando a leggere le riviste “Mi sto solo divertendo...”

 

@

 

Antonio stava da dieci minuti buoni davanti al proprio armadio domandosi se quel filo rosso fosse veramente solo un'allucinazione, aveva indossato una camicia rossa e stranamente quel coso non era rimasto incastrato tra il tessuto e il suo braccio.

Penzolava beatamente dal suo mignolo come se non fosse stato toccato da nulla. Non era normale!

Lanciò uno sguardo veloce alla sveglia digitale che aveva sul comodino indicava le nove e un quarto, corrugò la fronte cercando di ignorare la vocina nella sua testa che gli ricordava che quello era un altro ritardo. Ma Antonio era dell'idea che andare a rinchiudersi in un soffocante ufficio -lui che amava tanto gli spazi aperti- di mattina presto era come toglierli il sole.

E lui adorava il sole.

Prese la giacca elegante bianca che Francis gli aveva regalato due o tre anni prima e che lui non aveva mai osato mettere, indossare qualcosa simile a un completo da matrimonio per andare al lavoro lo faceva sentire un gran idiota.

Si guardò allo specchio lisciando di tanto in tanto la stoffa, si domandò se potesse piacere ad Emma vestito in quel modo o se doveva mettersi una fastidiosa cravatta. Aprì il cassetto contenente più di trenta cravatte di colori e disegni differenti, ne prese una bianca con disegnati tanti piccoli pomodorini che gli aveva regalato suo cugino -inutile dire che anche quella era rimasta per anni rinchiusa nell'armadio-.

L'appoggiò al collo per osservarsi di nuovo allo specchio, -Dios- era un pugno nell'occhio, la lanciò sul letto sfatto con irritazione.

L'orologio indicava i venticinque, Antonio si diede un'ultima occhiata, sistemò i capelli con le mani e decise che si, poteva uscire e fare il suo lavoro anche per quella giornata.

 

Antonio arrivò nell'edificio dell'azienda con un sorriso solare, salutò calorosamente Emma che stava al telefono con suo fratello maggiore -“Se quel Antonio dirgli di mettersi il suo sorriso del cazzo su per il culo!”- che lo odiava dal loro primo incontro in prima elementare. Diede un'occhiata alla porta socchiusa dell'ufficio del cugino, dall'interno si sentiva il battere delle dita sul portatile e il fruscio di varie carte, decise che lo avrebbe salutato più avanti ed entrò nella sua di prigione. Suo padre era lì ad attenderlo con gli occhi socchiusi e un'aria a dir poco furiosa.

“Sono le dieci.” aveva usato un tono carico di rimprovero, come se davvero si trovasse davanti a un bambino capriccioso, “Non tollerò mai più un ritardo del genere da parte tua, sei il vicepresidente e come tale devi dare l'esempio ai tuoi dipendenti.” le sue mani strette dietro la schiena “Da domani devi essere in ufficio alle sette.”

Antonio aveva annuito trattenendosi nel rispondergli che nessuno in quel dannato edificio era puntuale, “Mentre eri a dormire ho dato un occhiata al tuo computer. Non mi è piaciuto affatto ciò che ci ho trovato, non tollero che i miei sottoposti usino il loro tempo per questioni private, men che meno te.”

Il giovane inclinò il capo “Non guardo filmini porno se è per questo.” l'uomo gonfiò il petto “A no? Ci sono conversazioni veramente interessanti riguardo ad atti sessuali riguardanti te o a quel tuo amico francese!”

Ci fu un attimo di silenzio dove Antonio assimilò quell'affermazione, “Come ti sei permesso di entrare nella mia chatt privata?” sbottò stringendo i pugni e irrigidendo la mascella “È il computer della mia società, tu piuttosto come ti permetti di usarlo per scrivere certe porcherie!” Gustavo colpì con un pugno la scrivania “Non m'interessa con chi scopi, ne tanto meno che posizioni usi e quante volte lo fai, ma qui si lavora!”

Antonio tremò di rabbia, così sembrava che fosse un pervertito, “Io mi faccio un culo così per quest'azienda!” ringhiò avanzando nella stanza “Non abbastanza!” la voce dell'uomo sembrò un abbaio di un cane furioso.

Quella affermazione bastò per far congelare Antonio, gli sembrò di ricevere un pugno talmente forte da bloccargli il battito cardiaco.

Non abbastanza?” mormorò come se faticasse a parlare “Dopo tutti questi anni in cui ho dato tutto me stesso per ogni cosa. Sono perfino partito dal gradino più basso per capire come gestire e migliorare la nostra produzione...” respirò profondamente puntando gli occhi in quelli del padre “...Ho studiato e fatto ricerche di mercato per poter ampliare i nostri standard, ho passato ore in questo stramaledetto ufficio a rimediare errori di quegli idioti che tu chiami collaboratori e tutto ciò non è abbastanza?!?”

Gustavo non abbassò lo sguardo, non corrugò la fronte e non si pentì della sua affermazione.

“Attualmente non saresti in grado di gestire un chiosco di pattatine fritte.” la voce calma “Quindi tutto quello che hai detto non è sufficiente per quest'azienda.”

Ad Antonio si seccò il palato, aveva dato anima e corpo in quei cinque anni e tutto ciò che aveva ricavato era un incapace.

Suo padre sospirò pesantemente spostandosi dalla scrivania, “Elimina quella chatt e inizia a comportanti in maniera matura.”

 

@

 

Vediamoci a pranzo

 

Francis guardò con un sospiro il messaggio che il suo migliore amico gli aveva inviato. Quando non scriveva qualche parola in spagnolo voleva dire che era di cattivo umore e lui di certo non aveva voglia di sorbirsi anche le sue di sfuriate.

“Sei un schifoso tacchino farcito di merda!” Carlos aveva alzato la voce facendo azzittire i due biondi, non erano passate nemmeno due ore che già Alfred aveva iniziato a torturare la pazienza -che era durata anche più del previsto- del cubano.

“Io sarei cosa?!” la voce dell'americano aveva ruggito nel spazioso salotto del francese che a dirla tutta non sapeva esattamente cosa fare.

 

Dove?

 

La testa gli scoppiava tra tutti quelle urla, perché due personalità come Carlos e Alfred avevano la capacità di mettere -oltre che nelle mani- nella voce tutta la loro potenza e facevano vibrare i loro petti e le finestre.

Il fatto che lui stesse seduto a guardare il cellulare mentre loro come due galli da guerra seguitavano a beccarsi non voleva dire che non fosse preoccupato.

Dopo l'ennesimo insulto su Cuba e i loro pessimi sigari -perfino Francis era d'accordo su l'ultima cosa- Carlos si scagliò contro l'americano.

Le loro mani, grandi e forti, colpivano il corpo dell'altro con precisione e dalle loro labbra uscivano parole che di certo avrebbe preferito non ascoltare.

 

Kiku.

 

Francis sbiancò quando rischiarono di far cadere un antico vaso francese. “Ragazzi...” iniziò cercando di essere meno isterico di quello che in realtà era, lanciò uno sguardo al vaso che ancora dondolava lievemente “...Che ne dite se continuiamo questa discussione un'altra volta?”

Alfred alzò un sopracciglio, una mano stretta sul collo del cubano e l'altra che era scattata a colpirne il petto -“Così ti buco quei cazzo di polmoni marci che hai e faccio un piacere al mondo!” -

Carlos che a sua volta stava stritolando con la mano sinistra una spalla dell'americano e con la destra intenta a colpirne il ventre - “Ora ti faccio vomitare perfino la merda e vediamo chi è un perdente!”- gli lanciò uno sguardo scettico.

Da canto suo Francis si sentì sollevato nel notare che gli ultimi pugni erano andati a segno con meno forza. Sorrise indicando la porta della camera da letto “Ora scusatemi ma io devo prepararmi...” li guardò maliziosamente prima di sparire nella stanza.

 

Va bene, ci vediamo lì a mezzogiorno.

 

“Vattene a casa ragazzino, certe cose le fanno solo gli uomini!” mentre si spogliava sentì la voce sicura di Carlos e scosse la testa esasperato nel sentire la risposta di Alfred “Sei talmente vecchio che probabilmente per fartelo diventare duro devi iniettarti direttamente il viagra nelle palle!”

Sperò che un fulmine li colpisse entrambi, nel momento esatto in cui sentì qualcosa di pesante cadere nel soggiorno.

Qualche entità doveva avercela con lui, prima quel filo rosso -di cui si era scordato preso dall'euforia- e ora di maschi alfa che gli stavano distruggendo i soprammobili.

“Dio che ho fatto di male?” dalla stanza accanto si sentivano solo imprecazioni, insulti e tonfi.

 

@

 

Kiku quel giorno aveva indossato uno yukata di un tenue azzurro arricchito con una fascia sul bacino dello stesso identico colore solo finemente ricamata -dalla mano esperta di sua sorella Sakura- con numerose rondini.

Accoglieva come al solito i vari clienti, inchinandosi e accompagnandoli ai rispettivi tavoli, stirando un sorriso di circostanza che era sicuro gli avrebbe causato una paralisi facciale.

Molte ragazze lo riempivano di domande sul suo abbigliamento: “Il tessuto è satin o seta pura?” “I ricami sono fatti a mano?” “Le fasce sono sempre dello stesso colore del kimono?” “Non è un kimono? Cos'è allora?”

Lui rispondeva calmo, anche se era quasi impossibile sopportare le mani che afferravano i lembi lunghi delle maniche per poter saggiarne la consistenza. Dietro al balcone del piano bar sua cugina Mei ridacchiava divertita stretta nel suo di cheongsam rosa acceso.

Quando nel locale entrò Antonio, Kiku si ritrovò a sospirare alla vista di quello sguardo furioso, non lo aveva mai visto in quello stato in quei tre mesi, anzi era sempre stato allegro.

S'inchinò come al solito e lo scortò a un tavolo diverso dal solito, il legno laccato di rosso con dipinti dei draghi dorati “Vuole ordinare?” Antonio si lasciò cadere sui cuscini neri, rossi e gialli “Una birra.”

 

Francis trovò Antonio con la fronte schiacciata sul tavolino e due birre finite davanti, si morse l'interno guancia quello non gli piaceva per niente.

“Ohi!” lo salutò sedendosi davanti a lui, “Dimmelo, sono patetico...” fu il borbottio dell'iberico che rimaneva fermo con il naso schiacciato e la bocca premuta sul legno.

Francis ridacchiò appena “Si lo sei...” fece scorrere le unghie sui cuscini, ricamati da draghi stilizzati, il filo rosso seguiva i suoi movimenti.

“Non sono in grado di vendere patatine fritte...” il tono lamentoso lo costrinse ad alzare lo sguardo “...Morirei di fame nel giro di pochissime settimane...”

Il biondo alzò un fino sopracciglio non capendo cosa centrassero delle patate -che nel suo corpo non sarebbero mai entrate- con le vendite dell'azienda dell'amico.

Antonio decise finalmente di alzare il capo e guardare Francis in viso, “Il mio lavoro non è abbastanza.” si morse le labbra “Non abbastanza, capisci?”

 

@

 

Arthur Kirkland era arrivato da meno di un'ora a Los Angeles e già aveva una gran voglia di tornarsene a Londra. Aveva avvisato sua madre del suo arrivo e l'aveva supplicata di non dirlo a nessuno. Invece lì, davanti a lui, c'era suo fratello Darren che lo guardava sorridente.

L'ultima volta che si erano parlati era stato più di sei anni prima e non erano state belle parole.

Darren aveva alzato un braccio in segno di saluto, mentre vedeva il biondo avvicinarsi con la giacca elegante -di sicuro carissima- di un verde bottiglia piegata sul braccio e il manico del trolley stretto nella sua mano destra.

Arthur lo superò ignorandolo completamente, non voleva aver a che fare ne con lui ne con gli altri fratelli maggiori se non solo per lavoro.

“Sei ancora arrabbiato?” Darren lo seguiva tenendo le mani in tasca, il biondo fece una smorfia prima di fermarsi davanti a un taxi “Sono venuto in macchina...” continuò il rosso affiancandolo e indicando con il mento una maserati color bordò.

Arthur lanciò uno sguardo furioso all'auto e con forza aprì la portiera del taxi, mise la valigia e la giacca sul sedile accanto per sedersi “Arty sono passati anni...” la fine della frase fu coperto dallo sbattere della porta.

L'autista alzò lo sguardo dal giornale in quel momento,la pelle scura e i capelli arruffati, “Dove la porto?” la voce rocca per il troppo fumo -dall'accento orribile- e gli occhi scuri lo fissavano dallo specchietto.

Darren rimase a guardare il taxi partire in direzione della casa dei loro genitori.

 

 

 

 

Appunti:

 

Sakura: Nyotalia di Kiku

Mei: Taiwan

Carlos: Cuba

 

 

Angolino dell'autrice

 

Chiedo umilmente perdono per il ritardo! (prometto che aggiornerò anche l'altra fanfic il più velocemente possibile)

Che dire di questo capitolo? Forse ho fatto un crack paring con Cuba e Francis, ma mi piaceva l'idea XD

Come trovo che Carlos e Alfred abbiano due forti personalità che porto entrambi a un odio a prima vista XD

 

Ringrazio tutti coloro che seguono questa fanfic!

 

Al prossimo capitolo

Elisir

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Incontri non programmati ***


 

 

Capitolo 4

 

 

 

 

Incontri non programmati

 

 

 

Francis stava perdendo la pazienza, più passavano i giorni e più si trovava le stanze piene di filo rosso.

Insomma, non pensava che quel coso orribile potesse allungarsi, ma a quanto pare lo faceva, si attorcigliava su oggetti e persone.

Era giunto ad urlare quando aveva visto quello spago circondare il torace tonico di Alfred mentre quest'ultimo era intento a leccare un cono gelato con quello sguardo dannatamente erotico.

Si era portato le mani tra i capelli e si era messo a strepitare che schifezze come quelle non le voleva nel suo meraviglioso studio!

Il risultato?

Alfred gli stava tenendo il muso da tre giorni, non si era presentato alla riunione del personale -dopo la quale, loro due, di solito avevano un incontro poco casto- e cosa ancor più orribile, aveva riempito il frigo nella zona ristoro con vaschette di gelato di colori talmente accesi da far venire la nausea a chiunque.

Perciò quella mattina aveva mandato al diavolo tutti, obbligando Alicia a dover disdire appuntamenti e allontanare chiunque volesse avvicinarsi al suo ufficio.

Seduto sulla sua comodissima e imbottita poltroncina, le gambe incrociate e lo sguardo rivolto sulla matita ferma tra le sue dita, si stava domandando se fosse il caso di disturbare Antonio e parlare di quel piccolo problema -che lo perseguitava da ormai due settimane-.

Era talmente assorto nei suoi pensieri che sobbalzò quando la porta si spalancò sbattendo sul muro.

Guardò Alicia che trafelata stava attaccata al braccio di un giovane biondo, con il viso accigliato e delle orribili e grosse sopracciglia.

Mio dio, ma questo non conosce l'estetista?!?

“Ah...” lo sconosciuto si mise dritto e staccò con ben poca grazia Alicia da se “Lei è il signor Bonnefoy?” l'accento inglese fece arricciare il naso al giovane stilita, gli ricordava una persona –Quel dannato inglese ramato e fidanzato con sua sorella!-. Alzò un fino sopracciglio “E lei è?” quello di tutta risposta gli allungò la mano “Piacere sono Arthur Kirkland, il suo avvocato.”

 

Guardava il viso serio quel giovane -quanti anni poteva avere? ventisette?- con quelle orribili sopracciglia con la tentazione di prendere la pinzetta e sistemarle.

L'inglese si sedette sulla poltroncina rivestita di un tessuto blu elettrico, sistemò la ventiquattrore sulle ginocchia e la giacca di un orribile velluto verde marcio sul bracciolo.

“Non so cosa le abbia detto suo fratello Darren, ma io ho già un avvocato.” il francese si sistemò i capelli facendoli fluire tra le dita, “Non è stato...Darren -fece scoccare con rabbia la lingua sui denti- a parlami di lei, ma la signorina Marianne Bonnefoy.”

Francis averebbe ucciso sua sorella quella sera stessa!

Sorrise divertito “La questione non cambia, vede, il mio avvocato si sta già occupando della questione, ha solo sprecato tempo a venirmi parlare – punto i suoi occhi in quelli dell'altro notando solo in quel momento il verde smeraldo- Avrebbe potuto chiamarmi…”

Arthur strinse le labbra “La signorina Bonnefoy...” iniziò venendo interrotto da uno sbuffo da parte dell'altro “Mi ha assicurato che lei ha mandato una lettera di licenziamento al suo avvocato all'inizio di questo mese.” si portò la mano tra la frangetta scompigliandola. “Come scusi?” Francis allungò il collo verso l'avvocato “Cosa avrei fatto io?”

“Ha licenziato l'avvocato...” lo sguardo verde lo scrutò come se avesse davanti un mentecatto e per la seconda volta in pochi minuti Francis giurò vendetta verso la sua piccola e stronza sorella, “Ecco perché non si è più fatto sentire...” mormorò pensieroso.

Arthur sospirò contrariato “Senta… -alzò entrambe le mani per aprire la ventiquattrore- che ne dice di iniziare a parlarmi di questo Collin. Come vi siete conosciuti?”

Francis sbatté le palpebre ripetutamente fissando la mano sinistra del suo -ormai- nuovo avvocato, dal mignolo penzolava un filo rosso.

“Signor Bonnefoy...” la voce iniziò ad alterarsi per l'irritazione, lo stilista scosse la testa “Scusi, ma il suo dito...”

Arthur alzò un sopracciglio “Il mio dito?” si guardò la mano non capendo “Qualcosa non va?” sperava di non avere a che fare con un feticista delle mani o qualsiasi altra parte del corpo.

Francis guardò il fiocchetto stretto intorno al mignolo, il filo che scendeva sulla ventiquattrore, lungo le cosce e giù fino al pavimento confondendosi con il suo.

Doveva parlarne con Antonio, avere un altro punto di vista che non fosse quella “sei pazzo!” della sua famiglia e il suo amico gli avrebbe creduto.

 

@

 

Antonio era praticamente sdraiato sulla scrivania alla ricerca di quel documento che Emma gli aveva lasciato una settimana prima.

Era sicurissimo di averlo lasciato lì, dove lei lo aveva appoggiato, anche se non riusciva a trovarlo.

Maledette scartoffie!

Si era talmente calato nel lavoro che quel posto era diventata una discarica di documenti e cancelleria varia, tanto che quel giorno a suo padre era venuto un mezzo infarto quando era entrato -per la prima volta dopo la loro ennesima litigata-.

I suoi occhi verdi si erano spalancati e il viso era impallidito, poi aveva rinchiuso la porta senza parlare, forse per convincersi che quello non era altro che un incubo.

Mezz'ora dopo era toccato al segretario personale di suo padre andare da lui e chiederli quel documento revisionato e firmato, inutile dire che lui era caduto dalle nuvole. Insomma era da giorni intento a sistemare un affare che -tanto per cambiare- uno dei soci di suo padre aveva per poco mandato all'aria!

“Suo padre...” iniziò il giovane uomo, che avrà avuto pochi anni in più di Antonio “...Non è un uomo paziente...” si ritrovò ad ammutolire davanti allo sguardo furioso del vice-presidente.

“Lo so! Lo conosco da trent'anni cazzo!” sibilò alzando una pila di fogli pieni di grafici e numeri, spostò i documenti che aveva faticosamente finito di compilare per quel supermercato che stava a New York, e si ritrovò ad alzare perfino la tastiera del computer. Ma nulla, quel maledettissimo foglio non si trovava.

“Digli che entro un'ora glielo porto io!” ringhiò guardando con odio la scrivania, “Ma...” si azzardò a dire il segretario che ritrovandosi di nuovo a fissare gli occhi verdi carichi di quell'irrazionale ira decise di fare dietrofront e tornare in silenzio alla sua scrivania.

 

Emma guardò in silenzio il collega allontanarsi lungo il corridoio mentre dall'ufficio di Antonio poteva sentire imprecazioni in spagnolo.

Fece qualche piccolo passo verso la porta lasciata aperta, allungò il collo e sospirò sconsolata nel vedere l'amico piegato sotto la scrivania alla ricerca di qualcosa.

“Dovrei preoccuparmi se sbirci mio cugino?” la voce di Manuel la fece trasalire, uno squittio uscì dalle sue labbra mentre le mani si chiusero sul petto.

Lanciò uno sguardo spaventato al giovane uomo mentre quest'ultimo soffocò a stento una risatina, “Mi hai spaventato...” sospirò tornando a rilassarsi, “...Non farlo mai più!”

Manuel le circondò la vita -così sottile- con il braccio “Scusa, ma era un'occasione troppo ghiotta!” le scoccò un bacio sulle labbra, “Mi farò perdonare stasera!”

Emma sorrise finalmente, lasciando la presa delle mani e tornò a lanciare uno sguardo all'ufficio, Antonio ancora stava rovistando tra i documenti e non si era accorto di nulla.

Manuel alzò gli occhi al cielo “Non vuoi ancora dirgli che stiamo insieme?” lei scosse la testa, voleva bene ad Antonio e non voleva dargli lei un motivo per essere triste.

Non voleva vedere quel sorriso spegnersi per causa sua e soprattutto non voleva che tra i due cugini si creasse una guerra perché lei aveva preferito l'uno all'altro.

“Prima o poi lo verrà a sapere...” Emma gli pestò un piede facendolo barcollare dal dolore “Lo saprà quando lo deciderò io.” e quando lei era così decisa nessuno le avrebbe fatto cambiare idea.

 

@

 

Arthur si sistemò sulla sedia “Allora, lei e il signor Collin quando e dove vi siete conosciuti?” chiese quando finalmente il cliente gli diede tutta la sua attenzione.

“Sei mesi fa, qui, nella mia azienda. Lei vede qualche filo rosso in giro per la stanza?”

L'inglese alzò un sopracciglio “No. Quando ha iniziato a importunare quel giovane sapeva che era minorenne?”

“Sapevo che aveva diciassette anni e ha fatto tutto lui!” Francis ruotò gli occhi appoggiando il mento sul dorso di una mano “Non che mi sia dispiaciuto, infondo era un bel ragazzo e a letto era una tigre, ma credimi non ho fatto io la prima mossa.”

Arthur scrisse qualcosa sul taccuino “Se è così non ha pensato che magari Collin volesse qualcosa in cambio?”

Francis alzò le spalle “Tutti vogliono sempre qualcosa. Ha sognato qualche morto ultimamente?”

“Come? Morto?” l'avvocato alzò finalmente lo sguardo sul viso incredibilmente niveo dell'altro “Si, magari un albino con occhi rossi...”

“Signor Bonnefoy, cosa c'è nella mia vita privata e nei miei sogni non sono affari suoi. Siamo qui per la sua causa, se non se ne rende conto avrà la prima udienza fra una settimana!” le sopracciglia spesse corrugate avevano creato un muro crespo e per niente armonioso.

“Oui, oui...” Francis mosse la mano libera davanti al viso “Non si alteri, ero solo curioso!” e rise divertito dello sguardo livido dell'inglese.

 

@

 

Alfred odiava con tutto se stesso l'uomo che gli stava difronte, occhi chiari e capelli di un color ramato smorto. Odiava lui e quei due deficienti dei suoi fratelli.

“Ehi, Alfred è una vita che non ci vediamo!” lo raggiunse sorridendo sereno, come se quello che aveva fatto anni prima non fosse altro che brutto ricordo, invece a lui bruciava, quell'umiliazione e…

...fu più forte di lui, il pugno colpì la guancia di quell'inglese del cazzo ancor prima che potesse finire di ricordare di tutte quelle lacrime che aveva versato per causa sua.

“Cosa ci fai qui?” ringhiò stringendo i pugni e gonfiando il petto, il dolore che pulsava ancora vivo dentro di lui.

Darren si massaggiò la guancia rialzandosi a fatica, certo che quel ragazzino era diventato molto forte ed era ancor più bello di quello che ricordava, “Vedo che nemmeno tu vuoi lasciarti il passato alle spalle...” e che poi doveva prendersele solo lui non lo trovava giusto. Anche Allistor e Dylan erano colpevoli quanto lui.

“Cosa fai qui?” Alfred lo afferrò con forza per la camicia elegante, facendo saltare qualche bottone, Alicia li guardò spaventata indugiò un attimo ad osservare la scena prima di dirigersi verso la porta del loro superiore.

“Francis! Francis!” urlò spalancando la porta “Alfred sta picchiando un signore!” indicando qualcosa che effettivamente stava capitando non molto lontano.

“Alfred?” il francese s'alzò di colpo e subito uscì dalla stanza lasciando un avocato piuttosto nervoso a sbuffare davanti una poltrona vuota.

 

@

 

“Ecco quel tuo stupidissimo documento!” Antonio spalancò la porta dell'ufficio del padre e raggiungendo la scrivania in battendo i piedi con furia sul pavimento e colpendo la scrivania con una sonora sberla.

L'uomo alzò lo sguardo “Non è questo il modo di comportarsi...” iniziò ma il figlio era già uscito con un diavolo per capello.

Emma gli sorrise cordiale come sempre quando lui giunse davanti a lei, gli occhi di lui saettarono sulla sua figura freddi come ghiaccio, “Io oggi mi prendo un giorno di riposo!” urlò sbattendo un pugno sul pulsante che prenotava l'ascensore.

“Cosa?!” lei spalancò gli occhi “Ma oggi arriva il signor Yukamura!” esclamò portandosi entrambe le mani sulle guance “Che si fotta pure lui!” fu la risposta che le giunse prima che le porte dell'ascensore si chiudessero.

Emma abbassò lo sguardo “Il signor Carriedo mi ucciderà!” e sapeva che quell'uomo ne era capace.

 

Antonio guidava furioso verso la casa della sua famiglia -quella che avrebbe dovuto ereditare anche lui prima o poi- non per vedere sua madre -santa donna- ne i suoi nonni che ancora ci vivevano, ma bensì per poter prendere zappa e rastrello e fare qualcosa di fisico che gli avrebbe tolto tutto il suo stress e la rabbia.

Mai si sarebbe aspettato di trovarsi in un ingorgo fuori misura, con il filo rosso che circondava la vettura accanto dove stava seduto un giovane che gli ricordava qualcosa.

Una foto…

Spalancò gli occhi, l'immagine del ragazzino che gli chiedeva se poteva fare una foto il primo dell'anno gli si parò davanti, se non sbagliava aveva il fratello che lavorava per loro.

Gli suonò il classon facendo sussultare il castano che si voltò ad osservarlo terrorizzato, aveva sul viso ancora qualche chiazza di colore e Antonio rise divertito “Ehi chico!” lo salutò e quello parve illuminarsi nel vederlo.

Aveva un bel sorriso oltre che un bel volto e sembrava simpatico “Veee! Lei è il signore di capodanno!” ridacchia portandosi una mano sporca di vernice tra i capelli “La sua foto è venuta benissimo, la tengo in bella mostra nel mio laboratorio!”

Antonio si ritrova a ridere insieme a lui: è contagioso e lo fa rilassare, “Dove stai andando di bello?!” si allunga per sentire meglio il giovane, all'interno dell'abitacolo il filo rosso sta tutt'intorno a lui “Vado a prendere mio fratello, oggi mi serviva la macchina e lui mi ha dato la sua...” sorride di nuovo “Sai la mia è dal meccanico!”

“Pensavo che lavorasse in ufficio...” il giovane spalanca gli occhi “No, mio fratello morirebbe rinchiuso lì dentro!” e lo dice con sicurezza che Antonio ci crede veramente “Non puoi togliergli il sole! Lavora alla vecchia fattoria!”

Il moro guarda davanti a se, il traffico stava iniziando a defluire “Allora andiamo dalla stessa parte!” ed era sicuro che avrebbe chiesto a quel giovane di fermarsi a bere un caffè con lui e avrebbe passato un pomeriggio allegro.

 

@

 

Francis si era aggrappato al braccio muscoloso di Alfred senza smuoverlo di un centimetro. Forse, ma molto in forse, avrebbe dovuto iniziare a far un po di palestra.

“Fermati! Si può sapere cosa ti ha fatto questo..?” lanciò uno sguardo al fidanzato di sua sorella che rosso in viso per lo sforzo di allontanarsi dall'americano e un la camicia sfatta.

Alfred lanciò uno sguardo infastidito al francese facendolo arretrare di qualche passo, infondo non lo aveva mai guardato in quel modo, nemmeno quando si era intromesso per l'ennesima volta nella lotta tra lui e Carlos.

“Non sono affari tuoi!” sbottò strattonando con più forza il rosso “Ok, ok...” balbettò quello conficcando le unghie sulle mani del giovane, se avesse saputo che quello sarebbe diventato un armadio di uomo con una forza superiore a quella di Allistor di sicuro ci avrebbe pensato due volte a fare quello stupido, stupidissimo, scherzo anni prima!

Puntò gli occhi chiari in quelli di un azzurro intenso del più alto “Mi dispiace, ok?” lo vide oscurarsi ancor di più “Non me ne faccio un cazzo delle tue scuse!”

Francis alzò un sopracciglio cercando di capire cosa si fosse perso. Era ovvio che quei due si conoscevano e che a quanto pare Darren aveva fatto qualcosa di orribile per far infuriare così Alfred.

Si puntò nella mente di dire a sua sorella di stare attenta a quell'inglese, che in quel momento ai suoi occhi sembrava tutto al di fuori di un bravo ragazzo.

“Darren?” una voce fredda fece voltare Francis verso la porta del suo ufficio, si era scordato dell'avvocato -che altri non era che il fratello di quello che se le stava prendendo-. Stava in piedi con la sua ventiquattrore nella mano destra e l'orribile giacca piegata sul braccio sinistro -dal quale penzolava il filo rosso-, gli occhi sembravano lame verdi pronte a uccidere chiunque.

Il rosso alzò una mano in segno di saluto verso di lui “Arthur, sono venuto a prenderti per...” non finì la frase che si ritrovò a terra, le mani dell'americano non lo stavano più tenendo e invece erano scese tremanti lungo i propri fianchi.

Francis alzò ancor di più le sopracciglia capendoci ancor di meno e si rese conto che quella faccenda era più complicata del previsto quando Alfred si voltò ad osservare Arthur e sui volti di entrambi vi era smarrimento, come se non sapessero cosa provare.

Poi Arthur strinse la ventiquattrore prima di abbassare lo sguardo e allontanarsi a passo svelto da quel pianerottolo -da quella azienda- senza badare al fratello che lo richiamava ansimando dietro di lui “Non voglio vederti Darren.” ringhiò uscendo dalle porte scorrevoli.

 

 

 

Appunti:

 

Allistor: Scozia

Dylan: Galles

 

 

Angolino dell'autrice

 

Allora, prima di tutto chiedo scusa per il ritardo il fatto è che il mio amato computer era morto e ho atteso parecchio prima di poterlo riavere a casa!

Senza contare che ho perso i miei documenti -non sapete che tragedia- e ritornare a scrivere i capitoli mi è sembrato peggio che prendere a testate il muro.

(Per chi segue l'altra fanfic, abbiate pazienza ma è un parto riscrivere quel capitolo che dovevo postare settimane fa. Ma arriverà, promesso!)

Ora, parliamo un po' di questo quarto capitoletto: Finalmente Francis e Arthur si sono conosciuti, anche se la situazione non è idilliaca. Ed ecco che anche Antonio finalmente rivede Feliciano, il momento in cui conoscerà Lovino si avvicina XD

Ho voluto mettere un po' di informazioni sul passato di Arty e i suoi fratelli -presto faranno la loro comparsa anche Allistor e Dylan-, la storia si complica!!!

 

Comunque spero che sia stato di vostro gradimento.

A presto!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Depressione, alcool e limoni ***


Capitolo 5

 

Depressione, alcool e limoni

 

 

 

Alfred prendeva grandi boccate d'aria come se faticasse a respirare, il petto si alzava e abbassava a un ritmo troppo veloce e le sue grandi e forti mani tremavano.

Stava inginocchiato nel bel mezzo del salotto con gli occhi sbarrati che si muovevano da una direzione all'altra nella strana ricerca di una spiegazione -che ovviamente la stanza non poteva dargli-.

Matthew lo aveva visto in quello stato solo una volta sei anni prima, subito dopo era seguito un periodo nero, fatto di assoluta apatia. In quel periodo si era ritrovato a dover lasciare da parte la sua natura mite ed a usare ogni minima fibra di se stesso per spronare il fratello.

In quel momento non era sicuro se il motivo fosse simile a quello precedente, ma era certo di non avere abbastanza forza per poter affrontare un'altra fase come quella.

Gli occhi di Alfred di un azzurro splendente si fissarono sulla figura del fratello minore, appena tornato dal lavoro, a ben vedere era l'unica figura salda nella sua vita. Si trascinò verso di lui, abbracciandogli le gambe e stropicciando gli eleganti pantaloni, alla ricerca di calore.

Matthew s'inginocchiò guardandolo con sguardo dolce, gli accarezzò i capelli e sorrise comprensivo, lasciando al maggiore tutto il tempo che gli serviva per metabolizzare le sue paure. Lui non era tipo di pretendere e non era nemmeno capace di porre le domande giuste nel momento giusto.

Alfred boccheggiò per alcuni attimi, la lingua pesante come se fosse stata di piombo e il palato secco. E per quanto sembrasse strano perfino il suo cervello si era improvvisamente spento, non riusciva più a formulare frasi. Riusciva solo a pensare a quei occhi verdi che come niente fosse erano tornati nella sua vita.

Infine quando parlò la sua voce era talmente flebile che perfino Matthew faticò a sentirlo “È tornato...”

 

@

 

Arthur aveva maledetto il mondo in tutte le lingue che conosceva, aveva augurato la morte a quei suoi orribili fratelli e si era messo a bere anche se non toccava alcool da due anni e mezzo.

Mentre beveva quel schifoso drink che bruciava la gola si era ritrovato circondato da risate perfide, da sussurri turbati e da singhiozzi disperati.

“Oh andate al diavolo!” aveva urlato -sbattendo il bicchiere- a quei ricordi che aveva faticato tanto a cancellare ma che Alfred aveva fatto riemergere. La barista aveva alzato il fine sopracciglio lanciandogli uno sguardo di fuoco, ma a quello era abituato, “Non hai qualcosa di più forte?” chiese con voce impastata.

“Forse dovrebbe smetterla...” borbottò la giovane riempiendogli comunque il bicchiere, Arthur guardò il liquido aumentare goccia dopo goccia “No...” mormorò “...finché non spariscono tutti...”

Lei avrebbe voluto chiedergli “Tutti chi?” ma lui aveva già perso l'interesse per ciò che lo circondava e si era immerso nelle sue paranoie mentali.

Arthur si portò una mano tra i capelli, ma perché Alfred era dovuto tornare nella sua vita?

Non bastavano i suoi fratelli per ricordargli quella vergognosa notte?

“Alfred...” improvvisamente si ritrovò a piangere.

 

@

 

Antonio era sicuro che non esistesse al mondo una persona più esuberante di Gilbert e invece Felciano Vargas lo era molto di più. Certo Feliciano parlava con innocenza e non con quella malizia sadica che invece accompagnava sempre il suo amico.

Il giorno prima si erano salutati lasciandosi i numeri di telefono “Vee, se vuoi fare un salto nel mio laboratorio a vedere la fotografia sei il ben venuto!”

Antonio aveva tutta l'intenzione di andarci e vedere quel bell'italiano, per quanto aveva capito era un artista appena uscito dagli studi ma era già abbastanza richiesto da potersi permettere anche una mostra in centro tutta pagata da se.

Feliciano gli aveva parlato di quanto amasse dipingere su tela anche se molti richiedevano sculture e di quanto suo fratello avesse fatto per convincerlo a frequentare un corso universitario ma che lui aveva categoricamente rifiutato di fare.

Avevano passato mezz'ora dentro alla sala mensa degli operai davanti a quel disgustoso caffè in un bicchiere di plastica, a ridere e a parlare come se fossero amici da tempo. Sarebbero andanti avanti per ore, se lo sentiva, se non fosse stato per il fratello di Feliciano -di cui non si ricordava il nome- che lo aveva chiamato per tornare a casa.

Quando aveva visto Feliciano uscire dalla sala ridendo spensierato dopo un saluto veloce, Antonio si era improvvisamente ritrovato in un mondo grigio.

Perciò quella sera intorno alle otto si era vestito con abiti informali e se ne era andato verso l'indirizzo di quel laboratorio.

Solo che il locale non era esattamente come se lo era immaginato, era una piccola casetta a schiera, di quella fatte con mattoncini rossi e un recito di un color caramello intorno al pezzo di giardino.

La stradina che portava alla casa era una cozzaglia di ciottoli che sembravano non essere mai stati toccati da anni, ma all'entrata -proprio sotto a quel piccolo tettuccio di tegole di legno- vi stava un splendido alberello di limone, impiantato dentro a un enorme vaso di terracotta finemente decorato.

Antonio si prese il tempo di ammirare l'unica pianta che stava in quel giardino -che per carità era ben curato e con aiuole piene di fiori- il profumo dei frutti era inebriante.

“Cazzo fai?” una voce irritata gli fece salire i brividi lungo la schiena, si girò di scatto sfoderando il suo sorriso migliore -quello che faceva sciogliere anche il ghiaccio- si portò una mano tra i riccioli mentre focalizzava il giovane davanti a se.

Stava dentro casa e aveva aperto per metà la finestra, le spalle nude erano appena incurvate per poter vedere meglio l'intruso.

Era molto simile a Feliciano a parte i capelli più scuri e gli occhi di un verde che ricordava tanto i limoni acerbi.

Il viso era fermo in una smorfia strafottente e le sopracciglia increspate formavano una ruga in mezzo alla fronte e gli davano un aria davvero incazzata.

“Allora, che cazzo fai nel mio giardino, coglione?” la voce non era per niente dolce, e ogni parola sembrava essere sputata a forza dalle sue labbra.

Il sorriso di Antonio scemò di poco “Lei deve essere il fratello di Feliciano, io sono un suo amico.” allungò la mano “Antonio!” si presentò, l'altro non considerò affatto la mano e lo sguardo freddo e per niente rassicurante fisso sul suo viso.

“E allora? Vedi di spostare i tuoi fottuti piedi dalla mia proprietà stronzo, oppure te lo faccio capire a calci in culo!” fu la lapidaria risposta che ricevette prima di vederlo chiudere di nuovo la finestra.

 

Ah…

 

@

 

Darren si era lasciato cadere sulla poltrona girevole di suo fratello maggiore e dopo aver girato un paio di volte in tondo sotto lo sguardo freddo di Allistor decise di poter alzare le gambe e posare i piedi sulla disordinata scrivania.

“Io ci rinuncio!” aveva affermato ignorando completamente il fratello che stava fumando di rabbia “Stare dietro a quel moccioso...” sbuffò prendendo un fermacarte di una forma indefinita “...mi sta sfibrando.”

“Quel moccioso è nostro fratello” la voce calma di Dylan giunse da un angolo seminascosto dove stava cercando di prendere un libro. Darren alzò gli occhi al cielo “Fratello che abbiamo trascurato per anni durante le superiori...”

Dylan gli lanciò uno sguardo tagliente “E come risultato lui si messo a bere e si è fatto quel tatuaggio…” prese un libro a caso dalla libreria possibile che suo fratello fosse così disordinato?

Allistor sbuffò “Sciocchezze! Lo abbiamo ignorato anche in questi sei anni! Possiamo farlo benissimo anche ora!” diede una manata sulle gambe di Darren facendolo sobbalzare dal dolore.

“Lui ha ignorato noi in questi anni...” Dylan non fece una piega quando sentì gli sguardi penetranti dei due sulla sua schiena, “...E credo che sia ora di smetterla con questa stupida invidia verso Arthur...”

Allistor fece schioccare le dita delle mani mettendo in mostra quei muscoli esagerati “Non sono invidioso di quel fuscello...” iniziò aggrottando le crespe sopracciglia rosse e fulminando il minore con i suoi occhi di un verde menta, ancora una volta Dylan non cambiò espressione: il viso pallido circondato da un caschetto di capelli color amaranto, le sopracciglia folte distese che formavano due archi perfetti che sovrastavano due sfere di color glauco. “Si che lo sei.”.

Rinunciò a trovare quel libro di diritto sulle proprietà terriere posando per la prima volta lo sguardo sui fratelli “E quel livido?” chiese indicandosi una guancia.

Darren increspò la fronte congiungendo le sopracciglia -meno spesse di quelle dei fratelli ma comunque abbastanza voluminose- si accarezzò la parte lesa dove non era servito niente il fondotinta per nascondere quel bollo blu. “Ho incontrato Alfred...” borbottò “...E il suo pugno.” Allistor scoppiò a ridere di gusto, “Non è divertente!” Darren si sentiva offeso, parecchio, “È diventato più alto e grosso di te! E ti posso assicurare che è ancora parecchio incazzato per quella merda di scherzo!”

Dylan tornò a portare la sua attenzione sulla libreria, era sicuro che nemmeno con due giorni di ricerca in quel caos sarebbe riuscito a trovare il libro che gli interessava.

“Cosa ti aspettavi? Che ti salutasse cordiale come se nulla fosse?” Darren mise il broncio gonfiando le guance “Pensavo che dopo sei anni si potesse voltare pagina e invece ne lui ne Arthur sono disposti a farlo...”

Allistor si accarezzò il mento “Nemmeno io lo fare...” gli occhi fissi sulla finestra ad osservare l'orizzonte.

 

@

 

Francis guardò per l'ennesima volta i volti dei modelli senza in realtà vederli, il suo pensiero era rivolto tutto a quello che era capitato quel pomeriggio.

Alfred era scappato dal lavoro subito dopo la fuga di mister sopracciglia senza dare spiegazioni o scuse. Lo aveva chiamato per una decina di volte, ma lui non aveva risposto.

Si portò le mani alle tempie massaggiandole, stava per avere un'emicrania e forse il giorno successivo non sarebbe riuscito ad uscire dal letto.

Il cellulare suonò facendolo sobbalzare, guardò il display c'era un messaggio da parte di Antonio.

 

Ho voglia di agrumi.

 

Il sopracciglio biondo saettò in alto, non era un loro messaggio in codice -e poi avevano smesso da tempo, insomma robe da adolescenti!-, e l'ultima volta che Antonio gli aveva scritto qualcosa del genere -“Ho voglia di cioccolato” se non sbagliava- era perché si era invaghito di una cameriera.

Francis sospirò quando ricevette un secondo messaggio da parte dell'amico.

 

Tu te ne intendi di arte?

 

Il biondo si morse l'interno della guancia sinistra, era un bene che Antonio avesse messo da parte la sua cotta per Emma per qualche altra bella ragazza.

Digitò il numero dell'iberico, forse era giunto il momento di parlare del filo rosso... “Antonie! Che ne dici di una cena a casa mia?”

 

 

Un'ora più tardi Antonio era seduto di fronte a Francis, con una bistecca sul piatto e un bicchiere di vino tra le mani.

“...Mi ha praticamente minacciato. Quando ormai stavo per andarmene Feliciano ha aperto la porta tutto preoccupato solo per chiedermi scusa per suo fratello, mi ha spiegato che era stanco per via del lavoro...” sorrideva allegro al ricordo “Mi ha invitato alla sua mostra la prossima settimana!”

Francis lo ascolta preoccupato, forse Anotnio non si era reso conto di nulla, ma i suoi occhi brillavano quando parlava di quel Feliciano e il sorriso diventava più dolce. Il francese non sapeva se dirlo o meno ad alta voce, ma era sicuro che l'amico si fosse innamorato.

Innamorato di un uomo.

Lui che era etero e che mai aveva guardato un altro ragazzo in vita sua.

“...E mi ha chiesto di invitare anche i miei amici...perciò visto che io di arte non so praticamente nulla mi chiedevo se potevi venire tu...” Francis sorrise malizioso “Oui...Verrò ma solo per conoscere questo artista...”

...Di vedere chi ti ha rubato il cuore...

 

 

 

 

Angolino dell'autrice

 

Più corto del solito e so che non spiega nulla o forse si, ma dopo settimane di doppio turno sul lavoro e visite da parenti, sono riuscita a godermi una giornata a casa.

 

E finalmente Antonio ha conosciuto Romano e ma chissà se capirà presto che è lui la sua anima gemella...

 

Ok, ora vi saluto

Un bacione

 

Elisir

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3349027