All is lost, hope remains

di Emma Fantasy Wilkerson
(/viewuser.php?uid=566217)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Non siamo pazzi ***
Capitolo 3: *** Che diavolo è uno Stiles? ***
Capitolo 4: *** Stavo pensando... ***
Capitolo 5: *** Siamo sulla stessa barca, Tommy. ***
Capitolo 6: *** Lui ti piace. ***
Capitolo 7: *** Per favore, Tommy. Per favore. ***
Capitolo 8: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 9: *** Non è così che ci comportiamo noi Radurai ***
Capitolo 10: *** Tutto ciò che so, è che la fine sta iniziando ***
Capitolo 11: *** A pezzi ***
Capitolo 12: *** Tutti la possiedono, ma nessuno può perderla ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 

-È morto!- Qualcuno lo strappò dal corpo inerme di Janson. L’aveva ucciso, aveva stretto il suo collo fino a che non aveva esalato l’ultimo respiro. Un uomo come lui non meritava una morte così rapida, ma date le circostanze Thomas doveva accontentarsi. –È morto! Dobbiamo andare via da qui!-Ripeté Minho mentre lo trascinava verso l’uscita dell’edificio, la base della C.A.T.T.I.V.O, l’organizzazione che aveva sottratto dei bambini innocenti alle loro case, alle loro famiglie, per sottoporli a delle prove infernali totalmente inutili.
Avevano sottratto loro i ricordi, facendogli credere che tutto ciò che stavano passando era per una buona causa: il mondo era nel caos, dicevano, delle eruzioni solari si erano abbattute sulla Terra anni prima distruggendo tutto ciò che c’era di buono e portando l’Eruzione, un’epidemia letale. E loro dovevano trovare una cura.
Non esisteva niente di tutto ciò, però, il mondo stava bene. Molti ragazzi erano morti per colpa loro, e per cosa? Per una fantasia di un branco di uomini completamente fuori di testa.
I due raggiunsero l’esterno giusto in tempo perché la porta crollasse ostruendo il passaggio. I pochi superstiti delle prove erano tutti lì, feriti, deboli, distrutti dal dolore e dal peso di quell’esperienza così brutale, ma vivi. Alcuni piangevano per gli amici morti, altri tenevano lo sguardo fisso sul’edificio senza vederlo veramente.
Thomas cercò una persona in particolare, un ragazzo biondo e leggermente zoppicante, sperando che non se lo fossero lasciato indietro: non aveva più avuto modo di controllare che fosse al suo fianco durante lo scontro, quindi aveva riposto la sua fiducia sul fatto che Newt era un ragazzo in gamba e che si sarebbe sicuramente salvato.
Lo vide dopo pochi istanti poco più in là, che parlava con Teresa e Brenda. Sembrava affannato e un po’ ammaccato come tutti gli altri, ma stava bene e Thomas riuscì finalmente a rilassarsi.
-Newt!- gridò andandogli incontro mentre l’altro si voltava e gli rivolgeva un debole sorriso, prima di venire travolto dal bruno, il quale lo strinse in un forte abbraccio.
-Sto bene, Tommy.- sussurrò il ragazzo ricambiando la stretta.
Thomas non voleva lasciarlo per paura che, se l’avesse fatto, sarebbe scomparso. Era stato così vicino dal perderlo per sempre, così vicino... non riusciva a pensare a una vita lontana dalla C.A.T.T.I.V.O. senza di lui, senza il sorrisetto rassicurante che gli delineava le labbra e che aveva il potere di fargli credere che, nonostante tutto ciò che stava succedendo, sarebbe andato tutto bene. E poi non si sarebbe mai perdonato se...
Un colpo di tosse lo riportò alla realtà e la sua attenzione venne attirata dalla ragazza mora alle spalle del biondo: Teresa.Con riluttanza si staccò per abbracciare anche lei: non aveva più senso tenerle rancore per ciò che era successo nella Zona Bruciata, la seconda prova, dopotutto era stata proprio lei a salvarli. Era riuscita a recuperare la memoria e a metterli in guardia prima che fosse troppo tardi.
Dopo di lei, salutò anche Brenda, Jorge, Frypan e persino Gally. Forse sarebbe riuscito ad andare d’accordo con quest’ultimo da quel momento in poi.
-Beh...- Minho parlò di nuovo non appena tutti si furono calmati. –Che facciamo ora? Non possiamo stare qui in eterno, di sicuro qualcuno verrà a vedere cosa è successo.-
-Io voglio cercare la mia famiglia- disse Brenda di punto in bianco, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non aveva tutti i torti, certo, ma Thomas si era aspettato che sarebbero rimasti uniti dopo essere scappati.
-Cosa? Perché?-
-Voglio vedere se stanno bene... non è passato molto tempo da quando mi hanno sottratta a loro. E mal che vada, posso sempre stare con Jorge.- le ragazza alzò lo sguardo verso l’uomo che ormai era diventato come un padre per lei, il quale le mise un braccio sulle spalle per stringerla a sé.
-Non preoccuparti, hermano. Ci penserò io a lei.-
Thomas la guardò con fare supplicante. Lasciarla andare avrebbe significato non vederla mai più, e Brenda era diventata come una migliore amica per lui.
Fu Teresa a parlare, e ciò che disse lo scioccò: -Penso che dovremmo farlo tutti.-
-Cosa?!-
-Tom,- lo guardò con dolcezza. –Molti di noi hanno ancora delle famiglie che ci stanno cercando, probabilmente persino piangendo la nostra scomparsa. Non possiamo ignorarli.-
-Come te?- chiese lui.
Teresa scosse la testa. –No, io non ho più nessuno. Ma tu sì.- Prese un respirò profondo. –Quando ci conoscemmo, mi raccontasti di tuo padre e di tua madre. Del tuo migliore amico e della ragazza per cui avevi una cotta dalla terza elementare...-
Thomas arrossì a quell’ultima rivelazione e senza volerlo scoccò un’occhiata nervosa a Newt.
-Tom, devi tornare da loro.- Teresa gli prese le mani. –Devi tornare a Beacon Hills. Riprenderti la tua vita.-
-E voi che farete?-
-Io aiuterò gli altri a cercare.- Lei guardò gli interessati con un cenno della testa e loro annuirono. Thomas non voleva lasciarli, erano diventati la sua famiglia, la sua unica certezza, non poteva andarsene. Newt sembrò leggergli nel pensiero perché d’un tratto si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla: -Non preoccuparti, Tommy. Appena ci saremo sistemati verremo a trovarti. Tu va’, ne hai il diritto.-
Il bruno scosse la testa, rifiutandosi di guardarlo: -Non posso lasciarti.-
-Ehi, guardami.- Il biondo posò le dita sotto il suo mento per alzargli il viso, così che i loro occhi si incontrassero. –Tornerò, te lo prometto.-
Ancora quel sorriso. Era debole, ma c’era. E Thomas seppe che, non importa quanti anni avrebbe potuto impiegarci, Newt avrebbe mantenuto la sua parola.
Annuì, pieno di nuova speranza: -Okay.-
-Ora ti devi svegliare però, Tommy.- disse ancora. –Hai capito? Svegliati, Tommy. Svegliati!-
 
Stiles si svegliò di soprassalto urlando e sudato da capo a piedi, fra le braccia di suo padre.
 

Nota dell'autrice: Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere cosa ne pensate ^^ 
E buon anno a tutti!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Non siamo pazzi ***


Non siamo pazzi

Stiles guardò il proprio riflesso nello specchio del bagno: aveva l’aria stanca e provata e le goccioline dell’acqua con cui si era bagnato poco prima gli scivolavano sul viso. La casa era avvolta nel silenzio, ma il ragazzo sapeva che il padre era fuori dalla stanza ad aspettarlo per assicurarsi che stesse bene, come tutte le altre notti da qualche settimana. Si stava quasi abituando agli incubi riguardarti il Nemeton, ma questo... questo non era mai successo. Era la prima volta in due anni che sognava i Radurai. Non che li avesse dimenticati, certo, ma tutti gli strani avvenimenti che Stiles si era ritrovato a fronteggiare non gli avevano permesso di pensarci troppo.
Ora però continuava a rivedere il sorriso di Newt, rendendosi conto solo allora di quanto gli mancasse, di quanto gli mancassero tutti quanti. Non aveva mai parlato di loro a nessuno, come non aveva mai raccontato le sue vicende con la C.A.T.T.I.V.O. Non aveva neppure rivelato il suo falso nome nemmeno a Scott, il suo migliore amico, non perché non si fidasse della gente che lo circondava, la sua vera famiglia... ma perché era troppo doloroso da spiegare. E l’ultima cosa che voleva era farlo da solo.
Ricordava ancora quando era arrivato, spaesato e spaventato da ciò che avrebbe potuto trovare. Milioni di dubbi gli avevano affollato la mente, come “E se non mi volessero più?” o “E se non mi riconoscessero?”. Era andato alla stazione di polizia con l’intenzione di controllare la lista delle persone disperse negli ultimi dieci anni, ma appena arrivato aveva incontrato un uomo –che poi si era rivelato essere suo padre- che lo aveva riconosciuto subito.
Ci era voluto un po’ prima che Thomas si abituasse al suo nome, Stiles, e altrettanto prima che i ricordi ritornassero a galla, ma ora poteva finalmente dire di essere riuscito a riappropriarsi della propria vita... più o meno. Da quando Scott era diventato un lupo mannaro, il ragazzo si era ritrovato in mezzo a un altro incubo. Niente a che vedere con il Labirinto o la Zona Bruciata, ma non era tutto rose e fiori. Soprattutto da quando lui, Allison e Scott erano morti per qualche ora e poi ritornati in vita: gli incubi erano iniziati da quel momento.
Come avrebbe voluto vedere di nuovo quel sorriso e sapere che non tutto era perduto...
-Stiles?- il padre lo chiamò dall’altro capo della porta, la sua voce carica di preoccupazione. Doveva essere stato immerso nei pensieri per un po’.
-Sto bene,- rispose, asciugandosi velocemente il viso prima di uscire dal bagno. Notò allora che era quasi l’alba e che presto sarebbe dovuto andare a scuola e fronteggiare Scott, Lydia, Allison e Isaac, cercando di comportarsi come se nulla fosse accaduto.
-Sicuro di voler andare?-
-Sì, papà, sto bene, - ripeté. -Era solo un incubo- forzò un sorriso tirato dirigendosi verso la propria stanza per fare lo zaino. Raccolse da terra qualche libro lasciato lì la sera prima e cominciò a infilarceli dentro. Fu solo quando fece per leggere la copertina di uno di essi che si accorse che qualcosa non andava: era come se d’un tratto fosse diventato dislessico, le parole erano tutte sparse e incomprensibili come se fossero scritte in un’altra lingua. Il suo cuore cominciò a battere forte al pensiero di essere ancora addormentato, di essere ancora intrappolato nel sonno come gli capitava spesso. Doveva letteralmente svegliarsi urlando per uscirne, di solito.
-Chiamami se hai bisogno, okay?- suo padre parlò nuovamente distogliendolo dai suoi pensieri. Alzò la testa per annuire, non fidandosi della propria voce, e quando la riabbassò per tornare a guardare il libro tutto era tornato normale. Il titolo si leggeva perfettamente, ora.
Un sospiro di sollievo lasciò le sue labbra mentre infilava nello zaino le ultime cose.
 
* * *
 
Parcheggiò la sua jeep davanti alla Beacon Hills High School come al solito, preparandosi a un’intensa giornata di inferno. Abituarsi ai banchi di scuola era stato tremendo: all’inizio non riusciva a stare fermo, combinava pasticci e non studiava. Era arrivato persino a pensare che scappare dai Dolenti fosse più divertente; non che morisse dalla voglia di tornare nel Labirinto, no. Quello mai. Avere una vita normale era ciò che aveva sempre desiderato, ma nessuno lo aveva avvertito di quanto fosse noiosa la scuola.
Si stava giusto lamentando di questo sottovoce, quando la sua attenzione venne attirata da una scena piuttosto strana: il suo migliore amico stava correndo verso di lui con fare nervoso, e ogni tanto si voltava per controllare la propria ombra, come se stesse cercando di sfuggirle.
Stiles si avvicinò velocemente a lui e gli posò una mano sulla spalla per fermarlo: -Ehi, Ehi! Stai bene?- aggrottò la fronte nel sentire il ragazzo sobbalzare sotto il suo tocco e nel vedere la sua espressione spaventata. Un’idea si fece spazio nella sua mente. –Non sembri stare bene, Scott.-
-È tutto okay...-
-No, non è tutto okay. Sta succedendo anche a te, vero? Vedi delle cose.-
L’Alpha sgranò gli occhi: -Come lo sai?-
-Perché sta succedendo a tutti voi.- Lydia comparve alle spalle di Stiles proprio in quel momento, in compagnia di Allison, la quale sembrava avesse appena visto un fantasma. E così i suoi sospetti erano fondati, l’esperienza di qualche settimana prima aveva innescato qualcosa nelle menti dei tre ragazzi. L’oscurità, l’aveva chiamata Deaton.
Stiles non aveva esattamente intenzione di capire cosa fosse.
Mentre si dirigevano tutti e quattro verso l’entrata della scuola, Allison raccontò della sua visione e di sua zia Kate, una psicopatica morta l’anno prima a causa di Peter Hale, un lupo mannaro. Come Allison, anche lei era un cacciatrice.
-Beh, direi che non sono più quella pazza ora- commentò la ragazza dai capelli biondo fragola, in testa al gruppo.
-Non siamo pazzi- ribatté Allison.
Lydia di voltò verso di loro con un sorriso di scherno, probabilmente nel tentativo di portare un po’ di sarcasmo in quella faccenda: -Allucinazioni? Paralisi nel sonno? Già, state proprio bene.-
I tre si guardarono l’un l’altro prima che Scott prendesse parola: -Beh, siamo morti e tornati in vita,- si difese. –Dovrà pur esserci qualche effetto collaterale.-
Giusto allora la campanella suonò l’inizio della prima lezione, che Stiles ovviamente non moriva dalla voglia di fare, non in queste circostanze. –Tenetevi d’occhio l’un l’altra,- disse a lei ed Allison. –E, Lydia. Smettila di pensare che sia divertente.- La oltrepassò per entrare in classe, ignorando il suo tentativo di fare la finta tonta, sedendosi poi a un banco vuoto nella fila centrale. Scott prese posto proprio dietro di lui.
Non appena tutti si furono sistemati, il professore, che doveva essere nuovo e fino ad allora era rimasto a scribacchiare qualcosa sulla lavagna, cominciò a presentarsi: -Buongiorno a tutti, sono il Signor Yukimura e prenderò il posto della vostra professoressa di storia. Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti tre settimane fa, sono sicuro che ormai conoscerete tutti mia figlia, Kira. Oppure no, visto che non ha mai menzionato nessun compagno di scuola.-
Un rumore in fondo all’aula catturò l’attenzione di tutta la classe, che si voltò a guardare una ragazza bruna che stava visibilmente cercando di nascondersi.
-E abbiamo anche quattro nuovi arrivati- continuò l’uomo. –Potreste alzarvi per favore?-
Il gruppo seduto in prima fila fece come richiesto e si posizionò davanti alla cattedra in modo che tutti potessero vedere le facce nuove. Stiles ebbe un tuffo al cuore quando li vide, cadendo quasi dalla sedia. –Date il benvenuto a Teresa Agnes, Minho Lee, Gally...uhm, non riesco a leggere il tuo cognome, e Newt Isaacs.-
Tutto sembrò fermarsi.
Gli occhi del bruno incontrarono quelli del biondo e lì rimasero, come se esistessero solo loro due e il sorriso raggiante disegnato sul viso di quest’ultimo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Che diavolo è uno Stiles? ***


Che diavolo è uno Stiles?
 
 
POV NEWT
 
Se solo avesse potuto, Newt sarebbe corso incontro al ragazzo per abbracciarlo, fregandosene del fatto di essere in classe e di ciò che gli altri avrebbero potuto dire. Fortunatamente gli era rimasto un po’ di buon senso e si limitò a guardarlo, con il cuore che gli batteva a mille, finché il professore non chiese loro di tornare ai propri posti. In quel momento si pentì di essersi seduto in prima fila, o meglio, provò un istinto omicida per i suoi amici che lo avevano costretto a sedersi lì.
-C’è una scarsa possibilità che Thomas sia proprio nella nostra prima classe,- aveva detto Minho e tutti avevano concordato. E invece no, Tommy era proprio lì, seduto in modo scomposto al suo banco, i capelli castani più lunghi e scompigliati di come li ricordasse, gli occhi da cerbiatto ancora più luminosi di quanto già non lo fossero... ma sembrava diverso in qualche modo. Certo, tutti loro lo erano: un’esperienza come la loro ti segnava fino alla fine dei tuoi giorni, anche se dopo riuscivi finalmente a trovare il tuo posto nel mondo e un po’ di felicità. Ma per Thomas era come se si trovasse ancora nel limbo tra una situazione e l’altra.
Si voltò un’ultima volta per guardarlo incontrando ancora i suoi occhi. Dannazione, avrebbe potuto stare così tutta l’ora, ma si costrinse a rompere il contatto visivo e a prestare attenzione alla lezione. Di sicuro avrebbe potuto parlargli dopo.
Se non avesse avuto di nuovo la memoria intatta, avrebbe trovato storia un pochino interessante; invece si ritrovò a lamentarsi mentalmente di dover stare a scuola. Non ricordava nemmeno di chi era stata quella brillante idea di iscriversi alla Beacon Hills High School; probabilmente l’avevano deciso tutti e quattro senza nemmeno parlarne. Dopotutto era il modo migliore per scovare Thomas.
Quando finalmente la campanella suonò, Newt si affrettò a infilare le sue cose nello zaino e si alzò dal banco con l’intenzione di raggiungere l’amico, il quale lo stava già guardando.
-Beh, che fai ancora qui impalato?- sentì Gally dire dietro di sé.
Stava già muovendo un passo quando un altro ragazzo bruno, con la mascella un po’ storta –notò il biondo- e probabilmente di origini ispaniche, si avvicinò a Thomas e cominciò a parlargli. Non sapeva cosa si fosse aspettato, che non avesse amici? Che fosse completamente solo? No... Tommy era un tipo abbastanza amichevole quando voleva. Allora perché ci era rimasto male?
-Stiles, mi stai ascoltando?- disse l’ispanico schioccando le dita davanti alla sua faccia, e gli occhi da cerbiatto che fino ad allora erano rimasti fissi su di lui, si spostarono verso... –Scusa, Scott. Cosa hai detto?-
Scott. Sembrava il nome di un cane.
Newt non riuscì a fare a meno di storcere le labbra mentre cominciava ad avvicinarsi, ma prima che riuscisse a raggiungerli, Scott prese per un braccio Thomas e lo trascinò fuori dall’aula. Quest’ultimo si voltò a lanciargli un’ultima occhiata dispiaciuta prima di seguirlo e sparire in corridoio.
-Davvero?- sbottò Minho con un tono di voce che trasudava sarcasmo. –Te lo sei lasciato scappare cosi?-
Newt alzò gli occhi al cielo oltrepassandolo per uscire: -Chiudi quella bocca, Min.-
-Secondo voi quello è il migliore amico di cui mi aveva parlato?- chiese Teresa.
-Shh, T. Non vedi quanto è geloso? Peggiorerai le cose- ribatté il ragazzo, strappando una risata agli altri, fatta eccezione del biondo che non sembrava affatto divertito.
-Quale parte di “chiudi quella bocca” non capisci?-
-Suvvia Newtie, ti sto solo prendendo in giro!-
-L’ho notato- gli diede un pugno sul petto. –E non chiamarmi Newtie.-
-Okay, Newtie.-
Scosse la testa con esasperazione. Adorava i suoi migliori amici, quei due anni passati insieme come una famiglia li avevano fatti avvicinare più di quanto già non lo fossero, e quando i ricordi erano tornati erano diventati praticamente inseparabili. Tuttavia, quando si parlava di Thomas, Newt non riusciva a farli stare zitti. Insomma, non che fosse un segreto il fatto che gli piacesse, anzi era anche piuttosto evidente, ma non sopportava quando glielo rinfacciavano.
-Oh, eccolo di nuovo- sussurrò Gally con un sorrisetto divertito, alzando le sue folte sopracciglia in direzione del biondo, il quale seguì il suo cenno della testa giusto in tempo per vedere il bruno armeggiare con il lucchetto del suo armadietto. Sembrava avesse qualche difficoltà ad aprirlo.
Ancora una volta, il ragazzo provò ad avvicinarsi, ma anche in questa occasione dovette fermarsi perché vide Tommy drizzare di scatto la schiena e guardarsi intorno, prima di abbassare la testa del suo amico e trascinarlo via verso un’aula vuota.
Newt aggrottò la fronte a quella scena e lottò contro l’intenzione di andare a controllare cosa stesse succedendo, ma alla fine decise di non fare nulla. Sarebbe arrivato il momento, prima o poi.
Gli altri stavano scuotendo la testa con fare contrariato. Li ignorò bellamente.
 
* * *

Non lo incontrarono più per il resto della giornata, e una volta a casa quella sera Newt si lanciò sul letto coprendosi la testa con il cuscino. Avevano affittato una casa dopo una settimana in cui erano rimasti in hotel, pensando che probabilmente, ora che erano tornati da Thomas, non si sarebbero più mossi. Dopotutto lì lui aveva una famiglia, loro non avevano trovato nessuno. Avevano girato per tutta l’America in cerca dei loro parenti senza avere successo, sembrava che si fossero volatilizzati. Teresa aveva fatto del suo meglio sforzandosi di ricordare qualche dettaglio sulla loro vita precedente, dato che lei lavorava con i Creatori e ogni tanto riusciva a estorcere qualche informazione dai computer, ma neppure quello era servito. Così, una volta esaurite tutte le possibilità, avevano deciso di raggiungere Beacon Hills.
-Ehi, posso entrare?- una voce femminile lo riportò alla realtà. Teresa era in piedi accanto alla porta, un sorriso gentile disegnato sulle sue labbra. C’era voluto un po’ prima che Newt la perdonasse per tutto quello che aveva fatto e non provasse più gelosia per lei, ma ora poteva dire che fosse come una sorella per lui. Gli era sempre stata accanto quando aveva gli incubi, rassicurandolo, tanto che il biondo aveva cominciato a fidarsi abbastanza da raccontarle cosa era successo a Denver. Solo loro due e Thomas lo sapevano, mentre Minho e Gally non ne avevano la più pallida idea.
Newt si mise a sedere facendole segno di avvicinarsi e prendere posto accanto a lui.
-Tutto okay?- chiese lei dopo averlo fatto. Aspettò che il ragazzo annuisse prima di continuare: -Mi dispiace che tu non sia riuscito a parlare con Tom, oggi.-
Lui scrollò le spalle con noncuranza, aveva ancora tutto il semestre per farlo. –Non importa, ci proverò domani.-
Rimasero in silenzio per un po’, osservando la stanza ancora completamente vuota: non avevano abbastanza soldi per permettersi tutti i mobili, quindi avevano comprato solo lo stretto necessario. Speravano di riuscire a trovare dei lavori per pagare l’affitto e tutto il resto, almeno.
-Che cosa diavolo è uno Stiles, comunque?- chiese Newt dopo un po’, facendo ridacchiare Teresa.
-Non è il suo vero nome- spiegò lei, che ovviamente sapeva. Lei sapeva sempre tutto. –Ma siccome sarebbe impronunciabile, si fa chiamare così.-
-Penso che continuerò a chiamarlo Tommy.-
-Credo fosse sottointeso.- lei gli sorrise scherzosamente, scompigliandogli i capelli. Poi la sua espressione si addolcì: -Hai già deciso cosa gli dirai?-
Newt aggrottò la fronte. –Riguardo a cosa?-
-Lo sai cosa.-
Ovviamente lo sapeva. Aveva solo troppa paura di parlarne. –Non so, T. E se non si sentisse allo stesso modo? Sono passati due anni.-
-Vale la pena discuterne lo stesso. Non penso che comincerà a urlarti contro, non è il tipo.-
Storse le labbra abbassando il capo. Tutto ciò che voleva al momento era abbracciare Thomas e sentire di nuovo la sua voce, il resto sarebbe venuto da sé: -Ci penserò.- disse allora.
Teresa annuì e gli diede un bacio sulla fronte prima di alzarsi e dirigersi verso la porta. –Buonanotte, Newt.-
-Notte, Teresa.-
E quando lei fu scomparsa, si coprì di nuovo la testa col cuscino, addormentandosi dopo qualche secondo.

* * *

La mattina dopo non vide Thomas fino all’ora di economia, durante la quale si sedette alla sua sinistra senza avere però il tempo di parlargli, visto che era arrivato in ritardo. Non ascoltò nemmeno una parola di ciò che usciva dalla bocca del coach, troppo impegnato a guardare il bruno scrivere sul suo quaderno. Aveva notato subito che qualcosa non andava: il suo sguardo era vacuo, come se non si rendesse nemmeno conto di cosa stesse facendo. Che diavolo gli stava succedendo?
D’un tratto il fastidioso e stridulo suono di un fischietto riempì la classe. Newt dovette tapparsi le orecchie.
-Stilinski!-
Thomas alzò di scatto la testa per guardare il coach. Evidentemente quello era il suo cognome.
-Sì, coach?-
-Ti ho fatto una domanda.-
-Mi scusi... che cos’era?-
L’uomo lo guardò visibilmente seccato dal suo comportamento: -Oh, era “Stai prestando attenzione, lì dietro, Stilinski?”-
Thomas sbatté un paio di volte le palpebre e si strofinò il collo con una mano, in un modo che –Newt pensò- lo fece sembrare ancora più tenero. –Oh, ehm... ora sì, credo.-
Sarcastico. Da quando Tommy era sarcastico?
-Stlinski, smettila di ricordarmi perché bevo, tutti i giorni- gli disse il coach, prima di rivolgersi di nuovo alla classe, ma Newt non stava ascoltando di nuovo. La sua attenzione era rivolta alla breve conversazione che si stava tenendo fra il ragazzo e Scott: -Sto bene,- sentì dire a Thomas. –Mi sono solo addormentato un attimo.-
-Amico... non stavi dormendo.- nel viso dell’ispanico c’era evidente preoccupazione mentre indicava il quaderno sul suo banco. Newt allungò il collo senza farsi notare, per leggere cosa c’era scritto.
Una parola era ripetuta su tutto il foglio: “Svegliati”.
Okay, quella situazione stava diventando veramente strana. Si accorse che il bruno si era voltato a guardarlo solo quando incontrò il suo sguardo, e in tutta risposta alzò entrambe le sopracciglia.
Thomas scosse semplicemente la testa, quasi impercettibilmente, prima di tornare a comportarsi come se niente fosse. E ancora non avevano parlato.
La lezione terminò e i due amici uscirono velocemente dall’aula parlottando sottovoce. Newt si diresse verso la mensa per incontrare gli altri e pranzare insieme a loro: doveva assolutamente raccontare loro ciò che era appena successo. Qualcosa non andava in Tommy, e aveva intenzione di scoprire cos’era.
Immerso nei suoi pensieri, non si accorse di un ragazzo piuttosto enorme che si era avvicinato a lui, spingendolo di proposito a terra. Sentì solo qualcuno urlare un “Ehi!” in lontananza quando era già troppo tardi.   
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Stavo pensando... ***


Stavo pensando...
 
POV Stiles

Seduto al tavolo della mensa insieme ai suoi amici, Stiles ripensava all’ultimo giorno e mezzo. A quanto avesse voluto parlare con Newt ma fosse sempre successo qualcosa che glielo aveva impedito. Di una cosa era certo però, doveva proteggerlo da tutte le cose strane che accadevano a Beacon Hills, compreso ciò che stava accadendo a lui, anche se avesse significato mentirgli. Non poteva rischiare di perderlo ancora una volta...
-Okay, quindi... che succede quando una persona sperimenta la morte e ne esce cominciando a vedere delle cose?- Scott cominciò a parlare attirando la sua attenzione.
-E non è capace di capire cosa è reale o no?- aggiunse lui.
-E continua ad avere visioni demoniache di parenti morti?- finì Allison.
-Vengono tutti rinchiusi perché fuori di testa.- rispose Isaac con il suo solito tono di voce sarcastico e strafottente che Stiles a volte non sopportava proprio.
-Ah-Ah. Potresti cercare di essere d’aiuto almeno? Per favore.- ribatté lanciandogli un’occhiataccia, solo per ricevere un sorrisetto di scherno come risposta: -Sono stato rinchiuso in un freezer per gran parte della mia infanzia, aiutare è una cosa nuova per me.-
Accanto a lui, Scott sbatté la testa contro il tavolo, e persino Lydia e Allison sbuffarono
-Amico, ancora con questa storia?- chiese allora Stiles, visibilmente seccato.
-Sì, ancora con questa storia.-
-Ehi,- una voce fermò la loro discussione e una ragazza, che Stiles ebbe la sensazione di conoscere ma non riusciva a collocare da nessuna parte, si avvicinò a loro. –Scusatemi, non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione.-
Si scambiarono tutti uno sguardo nervoso che diceva: “Esattamente quanto hai sentito?”.
-E penso di sapere di cosa state parlando- continuò lei vedendo che i ragazzi si trovavano un po’ a disagio. –C’è una parola tibetana per quello. Si chiama Bardo. Significa letteralmente “Stato intermedio”, quello fra vita e morte.-
-E com’è che ti chiamano?- chiese Lydia, ostentando gentilezza, anche se si vedeva lontano un miglio che stava diventando curiosa.
Con sorpresa di tutti, persino della ragazza, fu Scott a rispondere: -Kira,- e vedendo che lo stavano guardando in modo strano, si affrettò a spiegare. –Fa storia con noi.-
Oh, la figlia del professore! Ma certo.
-Quindi parli del Bardo della cultura buddista o indiana?- chiese ancora Lydia. Già. Decisamente curiosa.
Kira si sedette accanto a Stiles, con un po’ più di confidenza: -Entrambi credo. Ma tutta quella roba di cui stavate parlando... accade nel Bardo,- continuò a spiegare. –Ci sono alcune fasi progressive in cui si possono avere allucinazioni. Alcune le vedi altre le senti. E si possono anche incontrare delle divinità pacifiche e maligne.-
-Divinità maligne?- chiese Isaac. –Che cosa sono?-
-Um, come demoni.- Rispose lei come se fosse la cosa più ovvia del mondo, con un sorriso.
Stiles cominciò seriamente a preoccuparsi: -Demoni!- esclamò, celando l’ansia che lo stava divorando con un po’ di sarcasmo. –Perché no?-
-Aspetta, se ci sono diverse fasi... qual è l’ultima?- tutti si voltarono verso Allison.
Kira scrollò le spalle. -La morte. Si muore.-
Stiles aprì la bocca per dire qualcosa, senza più nascondere il panico, ma poi qualcosa alle spalle della ragazza attirò la sua attenzione. Newt stava camminando tranquillamente verso uno dei tavoli quando un ragazzo lo fece cadere a terra di proposito.
In preda alla rabbia, senza nemmeno accorgersi di ciò che stava facendo, si alzò dal tavolo e corse loro incontro: -Ehi!- Urlò al bullo, spingendolo lontano dal biondo non appena lo raggiunse. –Che cosa pensi di fare? Te la prendi con quelli nuovi, ora?-
Non aveva assolutamente idea di chi fosse, ma solo il fatto che avesse messo le mani addosso a Newt bastava per dargli una bella lezione.
-Non sono affari tuoi- grugnì il ragazzo avvicinandosi pericolosamente a lui.
-Oh, sono affari miei eccome!- lo spinse di nuovo. Sapeva che i suoi amici erano accorsi e sperò che stessero aiutando Newt. –Ora vattene, non farti più vedere in giro.-
-Altrimenti che mi fai?-
-Ti prendo a calci fino a spedirti a casa. Credimi, non mi vuoi vedere più arrabbiato di così.- ringhiò in risposta. Si sentiva ribollire. Come aveva osato?
Bastò. Quello alzò i tacchi e si allontanò velocemente da loro. Dietro di sé sentì Lydia che si accertava che il biondo stesse bene. Aspettò che il bullo fosse scomparso prima di voltarsi e, spingendo gli altri per farsi spazio, raggiunse Newt prendendogli il viso fra le mani. –Stai bene? Ti ha fatto male? Giuro che lo uccido, io lo ammazzo.- cominciò a farfugliare controllando che non avesse niente di rotto, per poi abbracciarlo forte. Sentì il petto dell’altro tremare e la sua risata echeggiargli nelle orecchie. Dio quanto gli era mancata...
-Sto bene, Tommy. Non ti preoccupare.-
-Newt! Thomas!-
-Tom!-
-Che cacchio è successo?!-
Stiles sciolse l’abbraccio e si voltò verso Teresa, Minho e Gally con un sorriso raggiante. Lei gli corse incontro fiondandosi tra le sue braccia, dopodiché lui salutò anche gli altri due.
-Che è successo?- chiese di nuovo Minho. –Stai bene, Newt?-
Il biondo annuì, sorridendo come se avesse già dimenticato gli avvenimenti di poco prima. Stiles stava per sciogliersi. –Tommy ha fatto di nuovo l’eroe. Felice di vedere che non è cambiato per niente.- scoppiarono tutti a ridere.
-Non posso credere che siate qui davvero, ragazzi...- disse allora lui, facendo scorrere lo sguardo su ognuno di loro.
Newt gli prese la mano. -Te l’avevo promesso, no?-
-Non ha fatto altro che ricordarcelo. Non la smetteva di parlare di te.-
-Minho, chiudi quella bocca.-
-Davvero?- chiese Stiles, sinceramente sorpreso, senza riuscire a non arrossire. Newt aveva pensato a lui... Aveva mantenuto la sua promessa ed era venuto. Solo ora si rendeva conto di quanto aveva bisogno della sua presenza.
-Qualcuno mi spiega che sta succedendo?-
-Perché Stiles parla con quelli nuovi?-
-Chi diavolo è Tommy?-
-Penso che Thomas sia Stiles.-
-Stiles è Thomas?!-
Il ragazzo si ricordò solo allora di essere in compagnia degli amici, i quali stavano osservando la scena con sguardo spaesato. Sembrava che la cosa li confondesse più delle faccende sovrannaturali comprendenti lupi mannari, Kanima, Banshee, Bardo e tutto il resto. –Um, Newt, Teresa, Minho, Gally,- si massaggiò il collo con una mano in imbarazzo. –Questi sono Scott, Lydia, Allison e Isaac. Ragazzi, loro sono dei vecchi amici... della mia vita, ehm, precedente diciamo.-
La ragazza dai capelli biondo fragola allungò una mano per stringere le loro, e per una volta Stiles fu grato alla sua indole amichevole.
-Non ce ne hai mai parlato...- Scott sembrava offeso. –Nemmeno che ti chiamavi Thomas.-
-Non ne ho mai avuto l’occasione- si difese lui, abbassando lo sguardo. D’un tratto sentì un braccio sulle proprie spalle e qualcuno gli scompigliò i capelli: -Non arrabbiatevi con Tom-boy.- Minho. Ovviamente. -È una storia un po’ lunga da spiegare, e anche piuttosto dolorosa da ricordare. Non ne parliamo mai molto volentieri...-
-Ha a che vedere con la faccia di Sopracciglia Folte?-
-Isaac.- Stiles lo rimproverò, cominciando a muovere il pugno verso di lui prima di ricordarsi che, se gliel’avesse dato, si sarebbe probabilmente rotto il polso. Si voltò a guardare Gally con un’espressione di scuse, vedendo che aveva aggrottato la fronte ma non aveva reagito così male. Si rese conto che anche lui era cambiato dall’ultima volta che si erano visti. –Mi sento ancora in colpa per quello...- lo indicò con un cenno del capo.
-Nessun problema, amico. Ti ho già perdonato.- Il sorrisetto scherzoso del biondo gli sollevò il morale.
-Mi dispiace anche di avervi lasciati...- si rivolse agli altri, soprattutto a Newt. –Non avrei dovuto farlo.-
-Siamo stati noi a chiedertelo- rispose Teresa con una scrollata di spalle.
Stiles si morse il labbro senza però ribattere, nonostante avesse un milione di argomentazioni con cui farlo, perché non sembrava esattamente il momento opportuno. Ora voleva stare con i suoi amici e basta.
Sfortunatamente la campanella decise di suonare proprio in quel momento e gli altri cominciarono ad allontanarsi dopo averlo salutato. –Stiles!- lo chiamò Scott. –Ricordati che dobbiamo andare da Deaton, dopo.-
Alzò i pollici in risposta, per poi voltarsi di nuovo verso i Radurai e tirare fuori dallo zaino un quaderno, strappandone un piccolo pezzetto. Prese quindi una penna e vi scrisse sopra il suo numero, porgendolo a Teresa. –Non so quando arriverò a casa oggi, ma chiamatemi, mandatemi un messaggio, qualsiasi cosa. Vi faccio sapere quando sono libero così potete venire da me e raccontarmi tutto.- Diede un bacio sulla guancia alla ragazza, un abbraccio veloce a Newt e salutò gli altri, prima di correre verso la sua prossima classe.

* * *
 
Stiles si fiondò sul divano non appena lui e suo padre arrivarono a casa. Era stato un pomeriggio tremendo: tanto per cominciare, aveva scoperto di avere una porta accostata nella sua mente che doveva assolutamente chiudere, in secondo luogo avevano fatto una capatina nella casa di una ragazza scomparsa.  L’unica cosa positiva dell’intera giornata era stato riuscire a parlare con i suoi amici, sentire di nuovo le loro voci, sentirsi di nuovo il buon vecchio Thomas. Tutto era più semplice allora quando, nonostante la situazione facesse schifo, c’era un solo obbiettivo e quello dovevano seguire. Non capitava mai che rimanessero senza idee, senza sapere che cosa fare dopo, come invece stava accadendo a lui proprio in quel momento.
Chissà se tutto questo sarebbe accaduto se avesse deciso di restare con loro, due anni prima.
Prese il telefono dalla tasca dei jeans per controllarlo: aveva due chiamate perse e un messaggio da un numero sconosciuto. Immaginò fossero loro. Aprì la chat.
Ehi, Tommy. Sono Newt.
Si accorse di star sorridendo come un idiota solo dopo qualche minuto, ancora non riusciva a credere che fossero lì.
Ehi, Newt. ;) Se ora siete liberi, potete venire.
Aggiunse anche l’indirizzo di casa sua e inviò. Non dovette aspettare troppo per la risposta.
Arriviamo.
Sospirò, appoggiando la testa allo schienale del divano. Non si sentiva così felice da... da tanto. Passare il tempo con il branco era meraviglioso, non per niente erano i suoi migliori amici, ma con i Radurai era diverso. Erano la sua famiglia, ed era bellissimo riaverla finalmente indietro.
Era passata solo mezz’ora quando suonarono alla porta.
-Vado io!- urlò alzandosi, quasi inciampando nei propri piedi mentre correva ad aprire. Si trovò davanti solamente Newt: -Ehi, dove sono gli altri?- 
-Sono rimasti a casa a finire di sistemare, hanno detto che verranno un altro giorno.- il biondo scrollò le spalle e Stiles lo imitò, facendogli segno di entrare.
Dopodiché lo condusse al piano di sopra verso la propria stanza. Un fischio di approvazione lasciò le labbra di Newt non appena le luci furono accese, che si avvicinò alla parete piena di fogli di cui Stiles si era completamente dimenticato. Si maledisse mentalmente per non averci pensato.
-Paralisi nel sonno... Bardo... Nemeton... che significa?- chiese Newt indicandoli. Oh, se solo avesse saputo.
-Lunga storia- lo liquidò il bruno sedendosi sul letto e facendogli segno di fare lo stesso. –Parlami di voi.-
Il biondo sbuffò, passandosi una mano fra i capelli: -Non c’è molto da dire. La nostra è stata una vita on the road per due anni. Non abbiamo nemmeno trovato ciò che stavamo cercando... cioè, i miei sono probabilmente tornati in Inghilterra e io non me la sento di lasciarvi. La famiglia di Minho non si sa dove sia e Gally non ha voluto nemmeno saperne di andare a cercare la sua. Non abbiamo più avuto notizie di Aris, Sonya e Harriet...- alzò lo sguardo verso di lui, mordendosi il labbro, come se stesse pensando alle parole giuste con cui dirlo. –E nemmeno di Brenda e Jorge. Se ne sono andati senza di noi e non li abbiamo più visti, ma scommetto che stanno bene. Sono dei tipi tosti quei due.-
Stiles annuì, si era aspettato una cosa del genere. –Mi dispiace che abbiate girato a vuoto...-
-È meglio così, Tommy. Se fosse andata diversamente probabilmente non sarei qui.-
Il pensiero gli fece accapponare la pelle. Lo scacciò subito dalla mente.
-Mi sei mancato, sai?- sussurrò senza rendersene conto, strappando un sorriso all’altro.
-Anche tu, Tommy.-
Restarono così per un attimo, solo guardandosi. E pensare che tutto questo non sarebbe stato possibile se, a Denver, avesse preso una scelta diversa. Ancora non riusciva a perdonarsene.
-Ehi, senti- Newt parlò di nuovo, tornando a mordersi il labbro. –Stavo pensando...-
La porta si aprì di colpo e Scott fece capolino all’interno della stanza, solo per fermarsi a bocca aperta. –Oh. Oh, cavolo. Dovevo immaginare che fossi con lui, tuo padre mi ha appena chiesto chi fosse entrato prima di me.-
-Che succede?- chiese Stiles, vedendo tutta la sicurezza sparire dal volto del suo migliore amico.
-Beh, volevo andare a cercare Malia, ma...- fece un cenno verso Newt.
-Oh, non preoccupatevi per me, posso andarmene tranquillamente.- Nonostante le sue parole, il biondo sembrava leggermente seccato. –Ci vediamo domani a scuola?-
-Certo.-
-Okay, buonanotte, Tommy.- gli sorrise, uscendo poi dalla stanza e dirigendosi di sotto. Il bruno gli corse dietro per accompagnarlo alla porta, e quando tornò in camera alzò un sopracciglio in direzione di Scott: -Hai detto che vuoi andare a cercare Malia? Proprio ora?- Scrollò le spalle senza aspettare la risposta dell’amico e prese la giacca. –Adiamo.-
Si recarono nel bosco che, normalmente, avrebbe spaventato Stiles a morte se non fosse che ormai ci era abituato. Ispezionarono la macchina dell’incidente, trovando inciso su di essa il segno degli artigli di un lupo mannaro, e persino una bambola che fece prendere un infarto a entrambi. Solo allora sentirono un ringhio proveniente da poco lontano, fra gli alberi.
-Lo vedi anche tu?- mormorò Scott, fissando i due occhi azzurri e luminosi che spiccavano nel buio. E un momento dopo, era partito alla carica.
-Aspetta, Scott. Aspetta!- Gli urlò dietro Stiles, senza però riuscire a fermarlo. Un suono di esasperazione uscì dalla sua bocca mentre si voltava per tornare a studiare la scena del delitto.
Dovette però fermarsi a guardare una figura famigliare che era appena apparsa a pochi passi da lui, la fronte talmente aggottata che le sue sopracciglia si toccavano: -Che cavolo era quello?-
Avrebbe potuto riconoscere quell’accento inglese ovunque.  

Nota dell'autrice: Okay, rileggendolo mi sono accorta che questo capitolo non mi piace per niente... mi farò perdonare, promesso!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Siamo sulla stessa barca, Tommy. ***


Siamo sulla stessa barca, Tommy.
 

Newt’s POV
 
Davvero credevano che sarebbe tornato a casa così? Quale ragazzo sano di mente, dopo aver saputo che due diciottenni stavano per uscire nel cuore della notte per cercare qualcuno, se ne sarebbe andato senza farsi domande? Beh, se esistevano persone del genere, Newt non era di certo fra quelle. Oh, no. Soprattutto non da quando aveva notato le cose strane che accadevano a Thomas. Perciò, approfittando del fatto che l’amico non sapesse quale fosse la sua macchina, vi si era nascosto dentro finché non aveva visto i due uscire. Li aveva seguiti senza farsi scoprire fino al bosco e poi aveva continuato a piedi, stando attento a non far rumore. Le cose che aveva sentito uscire dalle bocche dei due amici mentre camminavano, l’avevano turbato profondamente. Per un attimo aveva persino pensato che Thomas fosse impazzito completamente in seguito all’esperienza con la C.A.T.T.I.V.O.
Insomma, chi crederebbe mai ai lupi mannari?
Dovette ricredersi. Ora che si era avvicinato abbastanza, riusciva a vedere i segni degli artigli sulla macchina, e decisamente non potevano appartenere a un semplice animale. –Che covolo era quello?- Chiese ad alta voce, mandando completamente a monte la propria copertura. Dopotutto Thomas l’aveva già avvistato, e la sua espressione che poco prima era esasperata, ora si era tramutata in puro terrore.
-Newt?- era come immobilizzato al suo posto. –Che ci fai qui?-
Il biondo sbuffò avvicinandosi per esaminare l’auto: -Non sono stupido, Tommy. So che c’è qualcosa che non quadra e ho intenzione di scoprire cosa.-
-Non è così semplice...- ribatté il bruno, trovando finalmente la forza di muoversi.
-E quando mai lo è?- lui alzò un sopracciglio in risposta. Davvero credeva di poter liquidare la cosa così? –Credi che io non possa capire? Ho già dovuto sopportare una bella dose di assurdità per circa dieci anni, una in più non mi rovinerà la vita più di così-
Thomas scosse la testa, oltrepassandolo per controllare i dintorni.-È proprio per questo che non voglio che tu ti impicci.- lo sentì mormorare. Fece per controbattere quando d’un tratto il ragazzo si fermò di nuovo, accovacciandosi per osservare una piccola grotta, perfetta come tana per un coyote. –Devo trovare Scott- disse allora prima di partire a razzo verso il punto in cui l’ispanico era scomparso.
Ovviamente Newt lo rincorse, non poteva mica lasciarlo andare così: esigeva delle risposte e, soprattutto, non sapeva come tornare alle macchine. Per fortuna era ancora bravo a correre, nonostante la ferita alla gamba non fosse mai guarita del tutto. I dottori che aveva consultato gli avevano detto che avrebbe zoppicato a vita, poiché era troppo tardi per poter intervenire. Non che gli importasse, ormai quel fatto era diventato parte di lui, come una cicatrice da guerra... oltre che il ricordo del momento in cui aveva perso la speranza, nel Labirinto.
 Si rese conto che Thomas si era fermato solo quando gli andò a sbattere contro.
-Ho trovato qualcosa- stava dicendo a Scott, il quale sembrava senza fiato.
-Anch’io- poi vide Newt e la sua fronte si aggrottò. –Che diavolo ci fa lui qui?-
-Ci ha seguiti.-
-Cosa?!-
-E penso che ci abbia sentito parlare-
Lo sguardo del lupo mannaro si spostò di nuovo e in modo troppo repentino verso il biondo, che cominciò a sentirsi un po’ in colpa per quello che aveva fatto. Ma d’altro canto, era l’unico modo per ottenere quello che voleva. –Non devi dirlo a nessuno, okay?- diversamente da ciò che si era aspettato, Scott gli stava parlando con gentilezza, come se avesse capito cosa gli stava passando nella testa. Sentì una stretta al petto mentre si costringeva a rispondere: -Non posso...-
-Che significa, “non puoi”?- chiese Thomas, il suo tono di voce invece un po’ troppo brusco gli fece male, ma lo fece anche arrabbiare.
-Dovresti saperlo, Tommy- replicò guardandolo. –O hai già dimenticato le nostre regole? Niente segreti fra noi, se uno sa qualcosa deve dirlo anche agli altri, in questo caso Teresa, Minho e Gally.-
L’espressione del bruno di addolcì e si avvicinò a lui per posargli le mani sulle spalle, con un sorriso triste: -Non ho dimenticato, ma è pericoloso...-
-Quando lo capirai, Tommy?- lo interruppe. –Dopo tutto ciò che abbiamo passato, ancora non ti è entrato in quella caspio di zucca che siamo sulla stessa barca? Siamo tornati con l’intenzione di riunirci a te e tornare il gruppo coeso che eravamo due anni fa. Sei il nostro leader e noi siamo pronti a seguirti ovunque, nel bene o nel male.-  fissò insistentemente lo sguardo nel suo, dimentico del fatto che Scott era a qualche passo da loro e li stava fissando come se stessero parlando in una strana lingua. –È così che funziona fra noi. È sempre stato così e continuerà ad esserlo. Ma ti devi fidare... per una volta, smettila di fare l’eroe cercando di salvarci e lascia che siamo noi ad aiutare te.-
Thomas si voltò a guardare l’amico, come per chiedergli il permesso. Doveva essere roba grossa se non poteva prendere decisioni da solo come faceva sempre... oppure, Newt realizzò, Scott era il capo di tutta la gang. Comunque, quando il ragazzo annuì, il biondo lasciò andare un respiro di sollievo che non sapeva di star trattenendo.
-Domani raduneremo tutti e spiegheremo agli altri come stanno le cose, dall’inizio- disse l’ispanico. –Ma ora dobbiamo proprio andare. Stiles, hai detto di aver trovato qualcosa?-
E così tornarono insieme alla piccola grotta vicino al luogo dell’incidente per esaminarla. Newt che fino ad allora non aveva capito perché fosse così importante, non appena vide dei vestiti da bambino e un orsacchiotto di peluche fece due più due.
-È la tana di un coyote- spiegò Thomas.
-Coyote mannaro...- confermò Scott.
-Woh, fermi. Coyote mannaro?- chiese lui, che già trovava strana la faccenda dei lupi, figuriamoci pure i coyote. Gli altri lo ignorarono, continuando a parlare: -Vedete?- Thomas prese il giubbotto blu per farlo vedere a loro. –È di Malia. Ricordi? Lo stesso che indossava nella foto.-
-Non dovremmo essere qui-
-Perché no?-
-Non tornerà ora. Abbiamo appena invaso casa sua, il nostro odore è dappertutto.- spiegò Scott, voltandosi per uscire.
-Se non tornerà qui... dove andrà allora?- con sorpresa di tutti, sé stesso compreso, fu Newt a chiederlo. Se doveva aiutare, tanto valeva farlo da subito. Anche se non gli era ancora tutto chiaro.
-Non lo so...-
Il bruno si massaggiò il mento, guardandosi attorno: -Beh, puoi trovarla ora? Hai memorizzato il suo odore?-
Ora, Newt non voleva prenderla sul ridere, ma non fece a meno di pensare che il nome Scott calzava proprio a pennello al lupo mannaro. E il modo in cui ne parlavano, gli strappò un leggero sorriso.
-Forse. Ma ci riesco meglio quando sono completamente trasformato, e ho paura che se lo faccio non riuscirò più a tornare normale.-
Thomas sospirò. –La porta è ancora aperta...-
Il biondo aggrottò la fronte a quelle parole, spostando lo sguardo dall’uno all’altro. Non aveva esattamente compreso l’ultima parte, ma in qualche modo sapeva che c’entrava con lo strano comportamento dell’amico. Paralisi nel sonno, come aveva scritto sui fogli sulla parete. –Quindi non è solo Tommy che ha problemi, anche tu?-
Scott alzò le sopracciglia, sinceramente sorpreso. Il che era un bene, giusto? –Intelligente il tuo amico, anche gli altri sono così?- chiese al bruno, con un mezzo sorriso.
Sì, era un buon segno. Newt era ancora geloso di lui per essere stato accanto a Tommy per quei due anni quando lui non aveva potuto, ma forse il ragazzo non era così male dopotutto. –Quindi che si fa?- chiese.
-Visto che non riesco a contattare Derek, ci serve l’aiuto di qualcun altro...- continuò l’ispanico, voltandosi verso il bruno. –Questa è una scena del crimine, giusto? Penso che sia un po’ fuori dalla portata del mio capo.-
-Ma non lo è per mio padre-
E così il padre di Thomas era lo sceriffo della città...
Arrivò una decina di minuti dopo che l’ebbero chiamato insieme a qualche altro agente e, come loro, ispezionò il luogo. –Siete sicuri che fosse lei?- chiese loro non appena ebbe finito.
Scott annuì: -L’ho guardata dritto negli occhi e brillavano, come i miei.-
-Ha senso- confermò Thomas.
Newt se ne stette zitto durante tutta la conversazione, non sapendo come intervenire. Faceva male vedere il suo migliore amico interagire con il padre e Scott con così tanta confidenza, perché si vedeva lontano un miglio che era il suo territorio, che sapeva tutto, che era in grado di spiegarlo. Si rese conto che era la prima volta che loro due non erano sulla stessa lunghezza d’onda, che Tommy si stava lentamente separando dalla sua vecchia vita per abbracciare quella nuova. Lo stava perdendo...
-E lui chi è?- chiese d’un tratto lo sceriffo guardando dritto verso di lui, accorgendosi solo ora della sua presenza.
Il biondo si trovò stranamente in imbarazzo: -Um, Newt signore. Sono un vecchio amico di Tom— cioè, Stiles.- Non sarebbe riuscito a chiamarlo in quel modo nemmeno fra un milione di anni, lo sapeva. Era troppo strano.
L’amico gli avvolse le spalle con un braccio, sfoderando il suo solito sorriso radioso per rassicurarlo: -È uno dei miei compagni di avventure, sono appena arrivati a Beacon Hills.-
-Oh...- l’uomo aggrottò la fronte. –Non me ne avevi mai parlato.-
Il viso di Thomas si rabbuiò e Newt capì che doveva sentirsi in colpa, ma lo comprendeva. Raccontare tutta la storia era doloroso, nemmeno lui l’avrebbe fatto.
-E anche lui sa di questa storia?-
-Non era in programma, ma sì.-
-Ah...- annuì, sempre guardando nella sua direzione. –Beh, benvenuto.-
-Comunque sia, papà... pensaci.- continuò l’amico. –Stanno guidando, Malia comincia a trasformarsi e va fuori controllo. La macchina si schianta e muoiono tutti.-
-Tranne Malia- sopraggiunge Scott.
-Lei si sente in colpa, scappa nel bosco e alla fine rimane intrappolata nel corpo di un coyote.-
-Ha senso,- commenta lo sceriffo, annuendo per un secondo prima che la sua espressione cambi in qualcosa tra l’arrabbiato e lo sconcertato. –In un racconto del folklore cinese!- Newt non riesce a non ridacchiare. Non ha mica tutti i torti! – Ragazzi, questa cosa è da pazzi! Voglio che stiate zitti, nessuno lo deve venire a sapere, soprattutto non il signor Tate. Scott? Scott!- l’uomo riprese il ragazzo che stava guardando qualcosa alle loro spalle.
-Scusa, cosa stavi dicendo?-
Ma lo sceriffo non rispose. Invece fissò una macchina che era appena stata parcheggiata in lontananza, dalla quale scesero altri due uomini. –Oh, cavolo. Signor Tate...-
-È suo...- l’uomo un po’ più vecchio prese il giubbotto blu dalle mani del padre di Thomas, mentre l’altro, che assomigliava parecchio a Scott, guardava con rimprovero i tre ragazzi. –Papà...- fece infatti il ragazzo.
-Parliamo fra un secondo. Non mi dispiacerebbe sapere perché tua madre vi lascia girovagare nei boschi di notte.-
E detto questo, si allontanò con lo sceriffo.
Newt aveva il sospetto che la serata non sarebbe finita molto bene per Scott e Thomas.

* * *
 
Dopo la ramanzina della sera prima, erano tornati tutti alle proprie case. Newt  non era stato sorpreso di trovare gli amici addormentati. Quella mattina andarono a scuola, pronti ad affrontare l’ora di storia insieme: era una delle poche classi che avevano in comune. Trovarono Scott e Thomas che parlavano con una ragazza mora, Allison se ricordava bene, ed erano talmente assorti che immaginò stessero discutendo di Malia.
Quando la campanella suonò, la ragazza si dileguò fuori dall’aula e Thomas si sedette al banco alla sinistra del biondo, per la sua felicità.
-Ehi, ragazzi.- sussurrò il bruno al gruppo dopo averli salutati. –Vediamoci dopo scuola davanti all’entrata. Io e i miei amici dobbiamo parlarvi- fece un cenno a Newt perché se ne occupasse, il quale sorrise in risposta. Era normale essere eccitato ma anche agitato per tutta quella storia? Gli era mancata l’avventura, nonostante gli ultimi due anni non fossero stati esattamente leggeri.
Il professor Yukimura cominciò a spiegare e la classe si fece di nuovo silenziosa. Dovevano leggere un passaggio di un qualche libro.
-Signor Stilinski, vuoi venire tu?- il bruno alzò la testa di scatto sentendosi chiamare, muovendosi nervosamente sul posto. –Ehm, magari... magari qualcun altro?-
Newt aggrottò la fronte. Da quando Thomas si tirava indietro per qualcosa? Non era mica timido, lui.
-Tutti partecipano nella mia classe, signor Stilinski.-
Il biondo guardò l’amico alzarsi con titubanza, raggiungendo il leggio. Guardò le sue mani stringersi su di esso e la sua fronte imperlarsi di sudore nell’evidente tentativo di leggere ciò che c’era scritto sul libro. Gli occhi del bruno cercarono i suoi e probabilmente anche quelli di Scott nella classe. Entrambi si alzarono subito dai loro posti.
-Stiles?- lo chiamò l’ispanico. –Stai bene?-
Il bruno lanciò uno sguardo di implorazione a Newt, che vedendolo in quelle condizioni si avvicinò velocemente per sorreggerlo. Anche Scott aveva fatto lo stesso.
-Lo portiamo in infermeria- disse il biondo al professore. Guardò i suoi amici, immobili ai loro posti con gli occhi sgranati per lo shock, prima di trascinare Thomas fuori dall’aula.
In bagno, il ragazzo si aggrappò subito a uno dei lavandini, fissando il proprio riflesso nello specchio.
-Ehi, Stiles. È un attacco di panico?- chiese Scott, la cui voce trasudava preoccupazione.
Newt non aveva idea di cosa stesse accadendo, del perché il suo migliore amico stesse così male facendo stare male anche lui. Gli posò una mano sulla schiena e gli prese una mano, stringendola forte.
-È solo un sogno... è solo un sogno...- continuava a ripetere.
Scosse la testa: -Non è un sogno. Tommy, guardami, non è un sogno. Sei qui, con me, con noi.- Lanciò uno sguardo a Scott in cerca di aiuto.
-Okay, cosa fai per capire se stai dormendo?- chiese lui poco dopo.
-Conto le dita. Nei sogni si hanno delle dita in più...-
Newt si allontanò di un passo, giusto quel poco perché potesse vederlo, ed alzò un dito: -Conta con me, Tommy. Uno- gli scrollò una spalla perché lo guardasse e, non appena lo fece, contarono insieme fino a dieci. Solo a quel punto il suo respiro cominciò a calmarsi; si sedette sul pavimento con la schiena appoggiata al muro. Newt non riuscì a trattenersi dall’abbracciarlo, accarezzandogli i capelli per calmarlo.
-Che cosa mi sta succedendo?- sussurrò, la voce tremante attutita dalla maglia del biondo.
Scott, che fino ad allora era rimasto a guardare la scena in silenzio, si inginocchiò accanto a loro: -Lo scopriremo. Andrà tutto bene.-
-Davvero?- Newt si spaventò per quel suo cambio di atteggiamento. Era raro che Tommy perdesse la speranza, lui era sempre quello che aveva un piano B, che spronava tutti quanti ad andare avanti. E quando una cosa del genere succedeva, il biondo si sentiva sempre in dovere di ricordargli chi era. Il loro leader. –E tu?- continuò il bruno. –Scott tu non riesci a trasformarti. Allison è perseguitata dalla sua zia morta. E io sto completamente perdendo la testa...-
Newt si separò da lui, tenendo però un braccio sulle sue spalle. Non capiva. Non ancora. Ma almeno ora sapeva che erano in tre ad avere problemi.
-Non possiamo farcela, Scott. Non possiamo salvare Malia. Non possiamo salvare nessuno.-
-Ma possiamo provarci- si intromise lui, spostando lo sguardo tra i due. –Ti ricordi quando Alby e Minho stavano per essere intrappolati nel Labirinto e tu sei corso all’interno prima che le porte si chiudessero? Tutti credevamo che per loro non ci fosse più speranza, che non avrebbero superato la notte. Ma tu non volevi abbandonarli lo stesso, anche se c’era l’un percento di probabilità di sopravvivere. Tu non ti sei arreso- Allungò una mano per asciugargli una lacrima, sorridendogli dolcemente. –Non farlo anche ora.-
Scott stava annuendo. -Newt ha ragione- E questo probabilmente bastò a convincere il bruno, il quale continuò a guardarlo mentre chiedeva, cercando le parole adatte: -Lo faremo insieme, vero?-
E il sorriso del biondo si allargò. –Insieme.-

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Lui ti piace. ***


Lui ti piace
 
Newt's POV

La campanella suonò dopo quella che sembrò un’eternità. Thomas si era finalmente calmato ed aveva ripulito il sudore dal viso, sotto lo sguardo attento di Newt e Scott.  Il biondo d’altro canto non si era ancora ripreso dallo shock di vedere il suo migliore amico in quello stato, così vulnerabile, e aveva intenzione di aiutarlo a tornare il vecchio Velocista intrepido e determinato che era una volta, senza attacchi di panico frequenti.
Non sapeva ancora cosa fosse successo in quella città, ma si era reso conto che quello, sommato a ciò che aveva dovuto passare a causa della C.A.T.T.l.V.O., lo avevano devastato, forse anche più di quanto avessero devastato lui.
-Come stai?- gli chiese, le sopracciglia aggrottate per la preoccupazione. Gli occhi di Thomas erano rossi e circondati da occhiaie; era evidente che non dormiva da giorni. Come aveva fatto a non accorgersene prima?
Il bruno abbozzò un sorriso tenue, passandosi una mano fra i capelli. –Meglio. Non preoccuparti troppo per me, Newt, o ti verranno le rughe.-
Lui ridacchiò scuotendo leggermente la testa, divertito dal suo comportamento: gli piaceva il nuovo Thomas nonostante tutto, gli piaceva il modo in cui scherzava, le fossette che apparivano sulle guance ogni volta che sorrideva, nei brevi momenti in cui stava bene; gli piaceva come prendeva le cose alla leggera cercando di non farne mai un dramma e facendole sembrare meno gravi di quanto non fossero. –Le rughe sono l’ultimo dei miei problemi, Tommy.- affermò osservandolo. In quel momento sembrava che tutto fosse tornato agli anni prima del Labirinto, quando sapevano cosa li aspettava ma non credevano che avrebbe cambiato completamente le loro vite, quando erano ancora liberi di essere ciò che erano: bambini.
Si chiese se Thomas ricordasse...
-Scott?- l’attenzione del bruno si spostò sull’ispanico, il quale si era alzato di scatto dal pavimento ed era fermo immobile accanto alla porta, come in ascolto. E d’un tratto schizzò fuori senza dire una parola.
-Scott!- gli urlò dietro Thomas, emettendo poi un suono di esasperazione. –Quel ragazzo è incredibile. Vieni- guardò Newt, avvicinandosi per prendergli gli la mano, probabilmente senza pensarci. Il biondo si sentì andare immediatamente a fuoco e seppe di essere arrossito, ma era grato al fatto che il ragazzo aveva già cominciato a camminare davanti a lui e non lo stava più guardando: ogni volta era Newt quello che prendeva l’iniziativa per un qualsiasi contatto fra i due, fatta eccezione forse per l’abbraccio del giorno prima e per...per Denver. Con un sospiro, fissò le loro dita intrecciate in modo quasi naturale, incastrandosi perfettamente fra loro come se fossero state fatte apposta. Dovevano assolutamente parlare prima o poi, o Newt sarebbe scoppiato. Un tremendo fragore fece sobbalzare entrambi: proveniva dagli spogliatoi dei ragazzi. I due si scambiarono uno sguardo confuso, Newt alzò entrambe le sopracciglia, e poi cominciarono entrambi a correre perché lo stesso rumore si era ripetuto.
Trovarono Scott negli spogliatoi insieme a una ragazza di cui il biondo non conosceva il nome, ma che gli pareva di aver già visto in classe. Ah sì! La figlia del professor Yukimura. Che ci faceva nello spogliatoio dei ragazzi, tutta trafelata e spaventata a morte?
-Il coyote- disse loro Scott non appena li vide, facendo un cenno col capo per fargli capire di cosa stava parlando. E Newt comprese, allora. –È entrato.- Scoccò un’occhiata alle loro mani e la sua fronte si aggrottò, ma Newt aveva visto il guizzo di un sorriso sulla sua bocca.
-Chiamo mio padre, aspettate qui- nello stesso istante in cui Thomas pronunciò quelle parole, la stretta diminuì e il calore sulla propria mano scomparve di colpo, come se ci avessero appena versato dell’acqua fredda sopra. Cercò di non sembrare troppo deluso, ma dallo sguardo che Scott gli lanciò, si rese conto che probabilmente la sua faccia aveva assunto un’espressione strana, e sperò che il bruno non l’avesse vista. Il ragazzo si allontanò digitando sul cellulare il numero del padre, e la sua voce riecheggiò lungo il corridoio non appena egli rispose.
Newt fece retrofront, senza un apparente motivo. Anzi no, un motivo c’era: non era ancora molto in confidenza con Scott e sapeva che se avesse provato a imbastire una conversazione con il migliore amico del suo migliore amico, avrebbero finito per parlare di Thomas, di quanto avevano condiviso con lui... e il biondo si sarebbe accorto di quanto aveva perso negli ultimi due anni, e si sarebbe sentito geloso e imbarazzato. Perciò sì, uscì velocemente dalla stanza con l’intenzione di raggiungere l’amico.
-Aspetta, Newt!-
Ovviamente i suoi desideri non furono esauriti, quando mai qualcosa andava come sperava che andasse? Mai. L’ispanico lo raggiunse senza il minimo sforzo, posandogli una mano sulla spalla per fermarlo. Sul suo viso era disegnato un sorriso gentile, anche se un po’ spavaldo.
La sua prima intenzione fu di sbuffare e toglierselo di torno, ma poi ci ripensò, perché in fondo non voleva inimicarsi il ragazzo, soprattutto non se era un lupo mannaro con artigli e denti affilati. –Che c’è?- anche se non riuscì a impedire alla propria voce di sembrare seccata.
-Lui ti piace- affermò lui a bassa voce, voltando un attimo la testa per guardare Thomas, il quale stava ancora parlando al telefono con il padre. Newt dovette fingere uno sguardo inorridito: -Ma che dici?-
-Amico- l’altro lo fissò con insistenza, segno che sapeva perfettamente cosa stava succedendo. –Ho visto come lo guardi, come lui ti guarda. Come cercate sempre di toccarvi anche quando non ce n’è bisogno, il modo in cui tu ti preoccupi per lui. Da quando è tornato, non ho mai visto Stiles così felice, anche se non si direbbe date le circostanze. Ma ti posso assicurare, che il sorriso che rivolge a te non gliel’ho mai visto fare con nessun’altro.-
Newt assottigliò lo sguardo su di lui, non riuscendo a credere alle proprie orecchie: -Come mi guarda?-
-Come se tu fossi una sorta di angelo caduto dal cielo.-
Il biondo sgranò gli occhi e spostò l’attenzione sul ragazzo di spalle in lontananza, soffermandosi ad osservare le sue mani mentre gesticolava e cercava di spiegare l’accaduto. Scosse quindi la testa, con un sospiro rassegnato. –È complicato.- Si lasciò sfuggire, confermando inconsciamente le parole di Scott, il cui sorriso si allargò ancora di più. –Non guardarmi così. Senti, è successa una cosa e io e Tommy non abbiamo mai avuto modo di parlarne, quindi non so a che punto stiamo o se lui... se lui prova ancora le stesse cose.-
-Perché non gli parli allora?- gli chiese l’ispanico, guadagnandosi un’occhiataccia dal biondo.
-Stavo per farlo ieri, quando sei entrato tu e hai mandato tutto all’aria.-
Scott aprì la bocca a formare una O e Newt lo vide farsi piccolo piccolo per il senso di colpa, cosa che gli diede una certa soddisfazione. Nel frattempo Thomas era sparito, probabilmente per andare incontro allo sceriffo. Il biondo oltrepassò l’ispanico per poterlo raggiungere, trovandolo dopo una decina di minuti nel corridoio principale che parlava con l’uomo in divisa, tutto agitato. Per sua sfortuna Scott lo aveva seguito ed ora stavano entrambi fissando le due figure in lontananza, finché il bruno non si voltò per qualche secondo a guardarli. Newt non riuscì a capire cosa successe dopo, sapeva soltanto di aver visto il lupo mannaro annuire senza motivo, o forse era solo lui che non ne trovava uno.
Presto si ritrovarono di nuovo nello spogliatoio per parlare dell’accaduto, ma il biondo non prestò attenzione a nulla di ciò che veniva detto o di ciò che accadeva, troppo impegnato a prendere coraggio per parlare con Thomas.
-Ehi- la sua voce lo riportò alla realtà. Non si era nemmeno accorto che l’oggetto dei suoi pensieri si era avvicinato a lui, probabilmente preoccupandosi della sua espressione assorta. –Stai bene?-
Annuì, abbozzando un leggero sorriso ed aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse. Ripeté quel gesto un paio di volte, mentre l’altro alzava un sopracciglio in attesa che dicesse qualcosa, e finalmente si decise: -Tommy, dobbiamo parlare.-
-Ora?-
-Sì, Tommy. Ora.-
Il bruno si morse il labbro e si guardò attorno, come se stesse cercando una via di fuga: -Okay, parlare mi sta bene-disse. –Ma possiamo farlo dopo? Vorrei riunire tutti per spiegarvi la situazione-
Newt non riuscì a fare a meno di lanciare un’occhiata a Scott, il quale li stava già osservando, e si lasciò sfuggire un nuovo sospiro di rassegnazione. –D’accordo, immagino che possa aspettare ancora un po’.-
-Bene così- Thomas annuì, stranamente serio. –Ci vediamo all’entrata fra cinque minuti, okay?-

* * *
 
Dopo una ventina di minuti si trovavano tutti alla clinica veterinaria del capo di Scott, Deaton, che a quanto pareva era il Druido e consigliere del Branco. Tutti, ad eccezione di Lydia e Allison perché non erano potute venire.
-Quindi, fatemi capire...- disse Minho, massaggiandosi il mento con le dita mentre provava a riassumere tutto. –Siete creature sovrannaturali con poteri altrettanto sovrannaturali. Scott è un lupo mannaro Alpha, vero Alpha, Isaac un beta, la ragazza con i capelli scuri una cacciatrice di lupi mannari e quella carina... ahia!- si dovette fermare un attimo per proteggersi dal pugno che Teresa gli aveva dato sulla spalla, all’improvviso. Newt dovette frenare una risata a quella scena, e non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo: ancora non si era abituato al fatto che quei due stessero insieme. Era stato uno shock per lui e Gally venire a sapere che si piacevano, quando solo pochi mesi prima continuavano a scannarsi e non si sopportavano proprio. –Dicevo,- continuò il ragazzo. –Lydia è una Banshee. E tu, Thomas, cosa sei allora?-
L’interessato scrollò le spalle: -Solo un povero umano.-
-Beh,- fece Gally, incrociando le braccia al petto. –Se non avessi le prove davanti, direi che avete tutti l’Eruzione. Questa storia è al limite dell’assurdo.-
Sia Thomas che Newt trasalirono nel sentire nominare quella malattia, i loro sguardi si incontrarono per un breve momento prima che il biondo lo spostasse velocemente verso la finestra, per non doverlo incrociare con nessuno. Ricordava ancora il tremendo dolore alla testa e la rabbia disumana che aveva provato quando ne era affetto, o così aveva creduto. Era come avere dei tarli del cervello che mangiavano tutto che rimaneva della ragione, facendogli odiare le persone a lui più care, facendogli pronunciare parole che non pensava nemmeno. Togliendogli quella poca speranza che aveva e la voglia di vivere.
-Newt...- Thomas lo chiamò, sgomento, la voce flebile e strozzata. Il ragazzo sentiva gli occhi di tutti puntati su di sé, accorgendosi che il respiro e il battito del suo cuore erano aumentati notevolmente. Senza voltarsi a guardarli, rispose seccamente: -Sto bene.-
Passò un istante di logorante silenzio, in cui i Radurai si osservarono l’un l’altro, nel panico più totale. Nessuno aveva mai nominato l’Eruzione prima d’ora, perché sapevano essere un argomento doloroso e delicato per il biondo, come un tabù. E ovviamente ora che l’avevano fatto non sapevano come comportarsi, vedendo la sua reazione non esattamente buona. D’un tratto sentì delle forti braccia avvolgerlo, e la sua testa ricadde sulla spalla di Thomas, mentre quest’ultimo gli accarezzava i capelli e la schiena per calmarlo, proprio come Newt aveva fatto poche ore prima con lui.
Bastò solo quello a fargli dimenticare tutto, senza parole di conforto senza senso. Solo Tommy.
-Sto bene- ripeté dopo un po’, con sincerità questa volta, accennando un lieve sorriso.
Il bruno gli fece un cenno con la testa, stringendogli una spalla con una mano. Poi raccontò la loro storia, a partire dal Labirinto, fino alla Zona Bruciata e poi alla loro fuga dalla C.A.T.T.I.V.O., omettendo per ovvi motivi la parte in cui Newt era stato quasi spacciato. Nessuno fiatò fino alla fine, e anche dopo ne seguì qualche attimo di silenzio, finché Deaton non prese parola e cominciò a spiegare quello che dovevano fare con Malia. Perché, dopotutto, era quello il motivo principale per cui erano venuti.
Newt avrebbe tanto voluto parlare con Thomas alla fine della discussione, ma ovviamente si affacciarono nuovi imprevisti e, su richiesta del bruno, il ragazzo dovette tornare a casa con i suoi amici con la promessa di Thomas che sarebbe venuto più tardi a casa loro.
Solo che, ovviamente, non la mantenne.
Il giorno seguente si ritrovarono tutti nel bosco, ognuno con il proprio compito da svolgere. Fu snervante, e tutti avevano la vaga impressione di star facendo più male che bene, ma tutto si risolse nel migliore dei modi. Scott riuscì a far tornare Malia umana usando il suo ruggito, Allison fece addormentare il signor Tate con il sonnifero prima che potesse far del male al coyote, e Thomas riuscì a scoprire il mistero della bambola della sorella della ragazza. Dal canto loro, i Radurai fecero ben poco, se non correre a destra e a manca per cercare di capire cosa stesse succedendo, perché d’un tratto tutto era diventato troppo confuso.
Sarebbe stata una bella giornata, piena di adrenalina come piaceva a Newt, se non fosse per ciò che aveva visto: Thomas che abbracciava Lydia dopo averla salvata da una trappola per animali. Una gelosia indescrivibile lo aveva assalito, nel vedere lo sguardo sollevato che lui le lanciava, nel sentire le parole di incoraggiamento della ragazza... se n’era andato dal bosco ed era tornato a casa senza dire una parola a nessuno.
Doveva immaginarlo, comunque. Erano passati due anni, non poteva certo pensare che Thomas provasse ancora qualcosa per lui. Che stupido era stato a credere alle parole di Scott. Che stupido era stato a credere che ci fosse mai stato qualcosa.
Eppure, non riusciva a togliersi il pensiero di quella sera, a Denver, quando tutto sembrava perduto. Voleva parlargliene anche se non aveva più senso, perché voleva chiarire una volta per tutte quello che era successo. Così, appena sentì la porta al piano di sotto chiudersi, sgattaiolò fuori dalla finestra e si calò fino a terra, correndo poi verso casa Stilinski.
Non appena la raggiunse, bussò alla porta senza esitazione. La gamba gli doleva per lo sforzo, ma cercò di ignorarla, e quando il ragazzo aprì la porta lo guardò dritto negli occhi. Ben presto, il sorriso che si era formato sulle labbra del bruno si affievolì, nel vedere l’espressione seria dell’amico.
Il quale disse: -Dobbiamo parlare.- E questa volta non aveva intenzione di rimandare.   

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Per favore, Tommy. Per favore. ***


Per favore, Tommy. Per favore. 
 
Stiles’ POV
 
Era appena sopravvissuto all’impossibile. Non aveva fatto nemmeno in tempo ad assicurarsi di non avere niente di rotto, che già i suoi occhi erano rivolti da tutt’altra parte. Verso uno Spaccato immobile in mezzo alla strada avente un’aria famigliare, ma allo stesso tempo completamente diverso da come Thomas l’aveva trovato poco tempo prima. Gli venne un tuffo al cuore nel vederlo in quello stato, così malridotto: intere ciocche di capelli erano state strappate, i vestiti erano a brandelli e la faccia era graffiata e insanguinata. Nessuno si era preso la briga di aiutarlo, perché a nessuno importava degli Spaccati. Ma quello non era un ragazzo qualsiasi, quello era Newt. Aveva creduto che tutto fosse perduto, che non sarebbe più riuscito a vederlo, ed invece eccolo lì.
-È tutto a posto. Il furgone è da buttare, ma con un po’ di fortuna resisterà fino all’hangar.- gli urlò Lawrence dal sedile anteriore, ma fu solo quando mise la retromarcia che Thomas si accorse che si stavano muovendo. Si riscosse immediatamente dai suoi pensieri, non potevano andare via senza Newt, c’era una cosa che doveva assolutamente fare.
-Fermati!- gridò in risposta. –Ferma il furgone! Subito!-
-Ma che dici?!-
Nonostante questo il veicolo si fermò di colpo e lui fece per scendere, quando delle forti braccia lo tirarono indietro. In preda alla rabbia puntò la pistola contro l’uomo, il quale alzò le mani in segno di resa: -Calmati, ragazzino. Che ti prende?-
-Ho visto un mio amico là fuori- spiegò, ignorando il nodo che gli si stava formando in gola. Non riusciva a credere di aver detto davvero “amico”, quando invece dentro di sé sapeva che era molto più di quello. Era colui che non l’aveva mai lasciato nei momenti difficili, lo aveva aiutato, lo aveva spronato quando credeva non ci fosse più alcuna speranza. “Amico” era troppo poco per descrivere la persona meravigliosa di cui si era inconsciamente ed irrimediabilmente innamorato. –Voglio vedere se sta bene- mentì, perché aveva anche un compito da svolgere, sempre se il biondo era ancora abbastanza lucido da starlo a sentire.
Corse fuori dal furgone, dritto verso il ragazzo ancora immobile. Dimezzò la distanza fra loro, costringendosi poi a fermarsi nonostante volesse avvicinarci ulteriormente per abbracciarlo e dirgli che era tutto okay. La follia nello sguardo di Newt lo sconvolse più di qualsiasi altra cosa, sembrava che si fosse completamente arreso, e Thomas non poteva lasciarglielo fare.
-Ehi, Newt, sono io, Thomas. Ti ricordi di me vero?- gli chiese cauto, non essendo sicuro di quanta lucidità gli rimanesse, ma con sua sorpresa lui annuì. –Accidenti se mi ricordo di te, Tommy. Sei appena venuto a trovarmi al Palazzo, sbattendomi in faccia il fatto di aver ignorato la mia lettera. Non posso impazzire completamente nel giro di pochi giorni.-
Se possibile, quelle parole gli fecero ancora più male. Aveva sbagliato e se n’era già pentito, ma anche se l’avesse letto in tempo, davvero Newt pensava che sarebbe riuscito a ucciderlo? –Allora perché sei qui?Perché sei con... loro?-fece un cenno della testa verso il gruppo di Spaccati in lontananza, che Newt si voltò a guardare per qualche breve secondo prima di riportare l’attenzione su di lui.
-Va e viene, amico mio. Non riesco a spiegarlo. A volte non riesco a controllarmi, so a malapena quello che faccio. Ma di solito è come un tarlo nel cervello, che scombussola ogni cosa quanto basta per infastidirmi, per farmi arrabbiare.-
-In questo momento sembri a posto.- Decisamente non la cosa più intelligente da dire, visto lo stato in cui si trovava. Ma Thomas ne sapeva di più, per questo gli stava parlando.
-Già, beh,- rispose Newt con una scrollata di spalle. –L’unico motivo per cui sono con quegli svitati del Palazzo è perché non so cos’altro fare. Tra di loro litigano, ma sono anche un gruppo, se ti trovi da solo non hai una cacchio di possibilità.-
E con quelle parole il bruno seppe che era il momento giusto per cominciare a dissuaderlo: -Newt, vieni  con me questa volta, adesso. Appena saremo al sicuro ti spiegherò...-
Il ragazzo rise e la sua testa fece degli scatti strani. -Vattene da qui, Tommy. Vattene.-
-Vieni con me, ti prego...- continuò lui.
Ma forse non era questo il modo adatto per farlo, forse quello era ciò che intendeva il biondo quando diceva che ogni cosa lo faceva arrabbiare, perché la sua espressione si indurì all’improvviso e i suoi denti si digrignarono: -Chiudi il becco, traditore del caspio! Non hai letto il mio biglietto? Non puoi fare un’ultima schifosa cosa per me? Devi fare l’eroe, come sempre? Ti odio! Ti ho sempre odiato!- Sputò quelle parole come se fossero veleno, e a Thomas fecero male. Non lo pensa, si disse. Non lo pensa.
Se lo ripeté finché quasi non ci credette, ma ovviamente non aveva idea se fosse vero o no. Non aveva idea di che cosa pensasse il suo amico di lui. –Newt...-
-È stata tutta colpa tua. Avresti potuto fermarli quando i primi Creatori sono morti. Avresti potuto trovare la maniera. Invece no! Tu hai dovuto portare avanti la tua missione, cercare di salvare il mondo, fare l’eroe. E sei venuto nel Labirinto e non ti sei mai fermato. Ti importa solo di te stesso! Ammettilo! Devi essere quello di cui la gente si ricorda, che la gente venera! Avremmo dovuto ributtarti nel buco della Scatola!- ora stava urlando, ogni parola era come una pugnalata al petto.
-Gli faccio saltare il cervello- gridò Lawrence dal furgone. –Spostati!-
Il panico cominciò allora a impossessarsi di Thomas: e se non fosse riuscito a spiegare ciò che voleva a Newt? Se alla fine se lo fosse ritrovato fra le braccia, morto e coperto di sangue? Scacciò quel pensiero, perché una vita senza di lui non aveva senso. –No!- alzò una mano in direzione dell’uomo. –Questa cosa rimane fra me e lui, non fare niente.-
Non conosceva tutta la storia, non avrebbe capito.
-Newt, fermati. Devi ascoltarmi. So che nel profondo stai bene. Abbastanza da starmi a sentire.- si rivolse di nuovo al ragazzo.
-Ti odio, Tommy!- continuò però lui, imperterrito. Ora era a qualche passo di distanza, e la follia nei suoi occhi era tale da spaventare il bruno, tanto che dovette fare un passo indietro. –Ti odio, ti odio, ti odio! Dopo tutto quello che ho fatto per te, dopo tutta la cavolo di sploff che ho passato in quel maledetto Labirinto, non puoi fare l’unica cosa che ti abbia mai chiesto! Non riesco nemmeno a guardare la tua brutta faccia di caspio!-
Era troppo tardi. Newt non lo avrebbe mai ascoltato, non in queste condizioni. Le lacrime cominciarono a pizzicargli gli occhi mentre si rendeva conto che, se avesse continuato in questo modo, lo avrebbe costretto a ucciderlo. Oppure sarebbe stato lui a morire. –Newt, devi fermarti o ti spareranno! Fermati e ascoltami, dammi una possibilità...- Non poteva uccidere il suo migliore amico. Non poteva ucciderlo a basta.
Newt gridò e si fiondò verso di lui. Sentì il suono del lanciagranate mentre veniva scaraventato a terra; la sua schiena picchiò contro il cemento causandogli un dolore acuto lungo tutta la spina dorsale che lo lasciò senza fiato, il peso del biondo lo schiacciò a terra. Grazie al cielo la scarica lo aveva mancato.
-Dovrei cavarti gli occhi!- gridò ancora. –Farti imparare la lezione degli stupidi. Perché sei venuto qui? Ti aspettavi un cacchio di abbraccio? Eh? Che ci mettessimo a fare due chiacchiere sui bei vecchi tempi della Radura?-
Thomas scosse la testa, non era quello il motivo. Ed anche se aveva paura, anche se si sentiva come se stesse per scoppiare a piangere, non voleva ancora mollare. Gli occhi gli ricaddero sulla pistola caduta accanto a lui, ma non fece il minimo sforzo di prenderla.
-Vuoi sapere perché zoppico, Tommy? Non te l’ho mai detto? No, non credo di averlo fatto.-
Sgranò gli occhi. Per settimane si era chiesto come si era procurato la ferita alla gamba, non riusciva a credere che glielo stesse dicendo di sua spontanea volontà. Non prometteva niente di buono. –Cosa ti è successo?-
-Ho cercato di ammazzarmi nel Labirinto. Mi sono arrampicato su uno di quei maledetti muri e arrivato a metà mi sono buttato giù. Alby mi ha trovato e mi ha trascinato nella Radura prima che si chiudessero le porte. Odiavo quel posto, Tommy. Ho odiato ogni secondo di ogni giorno. Ed era tutta... colpa... tua!-
Il dolore al petto si intensificò, allora. Newt si era arreso. Non aveva mai pensato che sarebbero riusciti a uscire da quel posto e aveva provato a togliersi la vita... proprio come stava cercando di fare in quel momento, con la differenza che stava chiedendo a lui di occuparsene. Con uno scatto improvviso prese l’arma da terra e se la puntò alla testa, per poi afferrare la mano di Thomas e posargliela sull’impugnatura.
Stava accadendo tutto troppo in fretta, il suo cuore stava battendo all’impazzata. Non era pronto a questo.
-Adesso devi rimediare!- disse ancora il biondo, a voce bassa. –Uccidimi prima che diventi uno di quei cannibali mostruosi. Uccidimi! Io mi sono fidato di te con quel biglietto! Di nessun altro. Ora fallo!-
Non poteva. Non poteva. Non aveva intenzione di perdere la persona che amava, non quando sapeva che c’era una possibilità per lui. Ed era sicuro che, se avesse premuto il grilletto, non se lo sarebbe mai perdonato. Cercò di allontanare la mano, ma Newt era troppo forte. –Non posso, Newt. Non posso...-
-Devi rimediare! Pentiti di quello che hai fatto!- il suo corpo tremava terribilmente e la sua voce di abbassò ulteriormente, finché non diventò un sussurro basso e pressante. –Uccidimi, codardo del caspio. Dimostra di saper fare la cosa giusta. Metti fine alle mie sofferenze.-
“È quello che sto cercando di fare, Newt!” pensò. –Newt, possiamo...-
-Sta zitto! Sta zitto e basta! Io mi sono fidato di te. Adesso fallo!-
“Ti devi fidare ancora di me...”
-Non posso.-
-Fallo.-
-Non posso!-
-Uccidimi o io ucciderò te. Fallo!-
-Newt...-
-Fallo prima che diventi uno di loro.-
-Io...-
Perché non lo lasciava parlare? Perché non gli lasciava spiegare?
-Uccidimi!-
Poi i suoi occhi si schiarirono, come se avesse raggiunto un ultimo istante fugace di lucidità, e la sua voce si addolcì: -Per favore, Tommy. Per favore.-
La pistola tremò nella mani di Thomas, l’indice troppo vicino al grilletto. Non riusciva a guardarlo mentre tutta la speranza scivolava via da lui. E capì che gli rimaneva ancora un’ultima cosa da fare: con uno strattone, riuscì a spostare la pistola dalla sua testa e, prima che l’altro potesse reagire, si sporse fino a che le loro labbra non si toccarono. Non c’era nulla di romantico, non era come l’aveva immaginato. Le labbra del ragazzo erano screpolate e sapevano di sangue, e per diversi secondi il biondo rimase completamente immobile e rigido. Finché, finalmente, non ricambiò il bacio. Come se tutto il resto non esistesse più, come se non lo avesse appena pregato di ucciderlo.  
E Thomas non voleva interrompere quel contatto per scoprire se si era calmato, se era pronto ad ascoltarlo, ma lo fece lo stesso, fissando gli occhi in quelli dell’altro. –Stammi a sentire, ti prego... solo un secondo, okay?-
La rabbia era sparita dal suo sguardo, ora, rimpiazzata da confusione e sorpresa, forse anche affetto ma il bruno non ne era sicuro. Con un impercettibile cenno della testa, Newt annuì.
-Okay- Thomas sospirò di sollievo, era bastato davvero solo quello per far sparire tutta la follia? –Newt, tu non hai l’Eruzione. Non l’hai mai avuta.-
-Cosa...?- fece lui, aggrottando la fronte.
-No, ti prego, lasciami finire. Teresa ha riottenuto i suoi ricordi e ha scoperto che tutto questo è solo una fantasia dei Creatori. Non c’è niente di reale. L’Eruzione non esiste, sono solo dei pazzi che hanno divulgato la notizia di una finta malattia mortale. Pare che, dire che non si è Immuni, provochi qualche cosa nel cervello che fa pensare di averla davvero. E così cominci lentamente a impazzire, fino a che non ti abbandoni a questa verità.- spiegò tutto velocemente, per paura che Newt potesse non crederci. –Ti prego, vieni via con me. Ti senti meglio ora, vero? Solo sapendo che non è reale.-
Il ragazzo si tolse da sopra di lui, le mani a coprirsi la bocca, la pistola a terra completamente dimenticata. La lucidità era tornata nei suoi occhi e sembrava rendersi conto, poco a poco, di stare bene.
-Newt...-
-Tommy. Ne sei davvero sicuro?- lo interruppe di nuovo, guardandolo dritto negli occhi.
-Al cento per cento. Quelle persone sono solo dei burattini nelle mani dei Creatori...- fece un cenno verso gli Spaccati. –Era solo un’altra Variabile. Vieni via con me.-
Newt sembrò ponderare quella richiesta, per la prima volta. Si passò le mani fra i capelli per metà strappati e si toccò la faccia. Non sembrava nemmeno lo stesso ragazzo di qualche minuto prima. Soprattutto non quando rialzò lo sguardo e un sorriso debole, appena percettibile, gli solcò le labbra. E pronunciò l’unica parola che Thomas voleva sentirgli dire: -Okay.-
 
Stiles fissò il ragazzo davanti a sé, preoccupato di tutta quella sua determinazione. Sapeva di cosa voleva parlargli, ma non credeva di essere pronto. Si morse il labbro e gli fece segno di entrare, chiudendo la porta  prima di condurlo al piano superiore, nella propria stanza. Newt non fece nemmeno il gesto di sedersi sul letto, pensando probabilmente di non fermarsi troppo.
-Di cosa vuoi parlare?- gli chiese, la voce tremante.
-Lo sai, Tommy.- fece lui, incrociando le braccia al petto. –Non siamo mai riusciti a discutere di ciò che è successo a Denver.-
Stiles abbassò lo sguardo mentre riduceva leggermente la distanza fra loro, con un sospiro. Ricordava ancora fin troppo bene quella sera, e ancora faceva male: -Non c’è nulla di cui parlare. Non ti avrei mai ucciso...-
-Mi hai baciato, Tommy. Ricordi?-
Gli si formò un nodo alla gola a quelle parole. Perché il suo era stato un gesto spontaneo, ma non poteva negare che aveva sempre voluto farlo, da quando lo aveva incontrato. Cominciò a pensare solo in quel momento che Newt avrebbe potuto non provare le stesse cose. Eppure la loro storia non si fermava solo alle Prove...
Un suono di esasperazione uscì dalla bocca del biondo quando non ricevette risposta: -Non so cosa ti stesse passando per la testa, okay? Ma mi rendo conto che tu non provi sentimenti per me, ho visto come guardi Lydia, e non voglio più illudermi. Vorrei solo sapere perché l’hai fatto, d’accordo? Se ha significato almeno qualcosa.-
Stiles aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse subito, troppo scioccato per parlare.
-E poi hai cominciato a comportarti in modo strano e io... io non capisco. Non riesco a capirti.-
Perché non riusciva a dire nulla? Poteva spiegare, poteva confessare tutto ciò che provava per lui, e invece rimase zitto a fissare l’amico. Vide Newt cominciare a spazientirsi, finché non sbuffò sonoramente: -Meglio che vada.- disse, prima di superarlo per raggiungere la porta. Allora qualcosa si smosse nella testa di Stiles; gli afferrò un braccio e lo attirò a sé per non lasciarlo andare, prendendo finalmente coraggio: -Non so cosa tu abbia visto con Lydia. Ma posso assicurarti che non c’è proprio nulla fra me e lei. Sì, ti ho baciato e non me ne pento, non l’ho fatto perché credevo fosse l’ultima spiaggia. L’ho fatto perché ti amo, Newt. E non so se ti ricordi gli anni nella C.A.T.T.I.V.O., ma allora non l’avresti mai messo in dubbio. Quando ce ne fregavamo delle regole e ci baciavamo negli stanzini delle scope per non farci vedere dalle telecamere- gli spostò una ciocca di capelli dal viso. –In due anni, non c’è stato un solo momento in cui non abbia pensato alla tua promessa, ed è stato forse quello che mi ha fatto superare tutte le nuove difficoltà. Non hai idea della felicità che ho provato non appena ti ho visto...-   
Le guance del biondo erano completamente rosse per l’imbarazzo, ora. Allungò la mano libera per accarezzargli delicatamente il viso, come se potesse sbriciolarsi da un momento all’altro. Le cicatrici dei graffi che aveva a Denver arano ancora lì, perfettamente visibili da quella distanza. Si sporse a posare un bacio sulla sua fronte, chiudendo un attimo gli occhi mentre si prometteva che niente avrebbe più rovinato quel viso da angelo di cui si era innamorato, e che l’avrebbe fatta pagare a chiunque avesse osato toccarlo.
-Non voglio più lasciarti, okay?- sussurrò sulla sua pelle.
Newt alzò il viso quel tanto che bastava perché i loro occhi si incontrassero di nuovo, e poi chiuse completamente la distanza fra loro, in un bacio dolce e tranquillo, che finalmente fece esplodere il cuore di Stiles.
E il ragazzo capì, mentre le sue labbra rincorrevano quelle dell’altro, che era lì che doveva stare.  


Nota autrice: Questo è l'ultimo dei capitoli che avevo già pronti. Attualmente sto lavorando al prossimo, quindi se tutto va bene dovrebbe uscire o domani o sabato. In ogni caso, volevo farvi sapere che d'ora in poi non aggiornerò più così frequentemente, causa scuola e altri impegni. Probabilmente uscirà un capitolo ogni sabato, o forse anche prima.
Fra due settimane comincerò anche l'alternanza scuola/lavoro, perciò magari avrò più tempo di scrivere, ma non voglio illudervi. 
Grazie di nuovo a tutti quelli che seguono questa fic, è bello sapere di star facendo un buon lavoro.
Alla prossima! 
P.S. Se qualcuno riesce a trovare il riferimento a un altro fandom, gli faccio una statua. 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La quiete prima della tempesta ***


La quiete prima della tempesta
 
Stiles’ POV
 
Uno degli incubi ricorrenti di Stiles era quello del Nemeton, un grande albero di cui rimaneva soltanto il tronco, con un potere inimmaginabile. Settimane prima, il branco si era ritrovato ad affrontare un druido maligno, il Darach, che voleva restaurarne il potere per mezzo di sacrifici umani ed usarlo per i propri scopi. Per fare questo aveva scelto tre persone per ogni categoria: prima i vergini, poi i guerrieri, i curatori, i filosofi, ed infine i guardiani. Quest’ultima comprendeva Melissa, la madre di Scott, il padre di Stiles e Chris Argent, il padre di Allison. I tre ragazzi erano stati costretti a ricorrere a misure drastiche per salvarli. Grazie ad un metodo di Deaton, erano morti per ben sedici ore per scoprire la posizione del Nemeton, dove il Darach nascondeva le sue vittime, e poi tornati in vita. Questo aveva innescato l’oscurità ed aperto una porta nelle loro menti che doveva essere chiusa il più velocemente possibile. Scott ed Allison ci erano riusciti... Stiles non aveva idea di come farlo.
Eppure quella notte non venne disturbato da nessun tipo di sogno, forse perché gli avvenimenti della sera prima erano riusciti ad alleggerire il peso che lo opprimeva, oppure perché Newt aveva dormito beatamente accanto a lui, le gambe intrecciate alle sue e un braccio a cingergli la vita, mentre la testa era appoggiata sul suo petto. Il biondo era troppo stanco per tornare a casa e dover subire la ramanzina degli altri, perciò era rimasto, e i due avevano parlato e parlato finché non si erano addormentati l’uno nelle braccia dell’altro.
Stiles si era svegliato per primo, assicurandosi di spegnere la sveglia in modo da poter svegliare poi Newt con calma. Si prese il suo tempo a fissare quel viso da angelo, così tranquillo, così sereno, le labbra leggermente curvate all’insù probabilmente a causa di un bel sogno. Il bruno non ricordava quando fosse l’ultima volta che l’aveva visto così.
Si azzardò ad allungare la mano per accarezzare i capelli biondi dell’altro, facendo scorrere poi il pollice sulla sua guancia e sulle cicatrici, così delicatamente che probabilmente Newt non lo sentì nemmeno. Sorrise fra sé e sé mentre, dopo aver controllato l’ora, si sporse a posare un leggero bacio sulla sua fronte.
Il lieve russare del ragazzo si interruppe, allora, e lui cominciò a muoversi, la presa sulla vita su Stiles si strinse un poco. –Che ore sono?- mormorò con la voce impastata dal sonno, attutita ulteriormente dalla maglia del bruno. Nonostante questo però, i suoi occhi rimasero chiusi.
-L’ora di andare a scuola- gli rispose Stiles, non riuscendo a nascondere un sorriso. L’ultima cosa che voleva era sciogliere quel caldo abbraccio e dover sopportare un’altra lezione del coach e di chimica... ma era anche vero che non potevano stare lì tutto il giorno, tralasciando il fatto che suo padre lo avrebbe ammazzato se avesse provato a saltare scuola. Newt, poi, doveva tornare dagli altri.
-Ancora cinque minuti...- mugolò ancora quest’ultimo.
Con tutta la forza di volontà che riuscì a trovare, Stiles si mosse, togliendosi delicatamente il ragazzo di dosso, per poi alzarsi dal letto. Già gli mancava il contatto con l’altro, ma si costrinse a raggiungere l’armadio per prendere dei vestiti.
Sentì sbuffare dietro di sé, perciò immaginò che Newt si fosse finalmente arreso. –Dove stai andando?-
-Doccia. Potrai farla anche tu se vuoi, dopo.- si voltò verso di lui con un sorriso. Gli lanciò un paio di indumenti nuovi in modo che potesse cambiarsi; probabilmente gli sarebbero stati un po’ larghi, ma meglio di nulla. Dopodiché uscì dalla stanza e si diresse in bagno. Lungo la strada andò quasi a sbattere contro suo padre: -Buongiorno!- esclamò. L’uomo lo guardò torvo, un po’ spiazzato dal fatto che fosse già sveglio e soprattutto di buon umore.
-Tutto bene?- gli chiese infatti. –Non hai avuto incubi stanotte...-
-Mai stato meglio. Stai andando al lavoro?-
Lo sceriffo socchiuse gli occhi, guardandolo dalla testa ai piedi come se cercasse qualche anomalia, ma poi scrollò le spalle. –Chiamami se hai bisogno.-
-Certo papà.-
E quando finalmente se ne fu andato, Stiles si infilò in bagno ed accese l’acqua della doccia. Fissò il suo riflesso nello specchio per qualche breve secondo, osservando le occhiaie che cominciavano a formarsi sotto i suoi occhi, prima di svestirsi completamente e fiondarsi sotto il getto caldo dell’acqua per non prendere freddo. Chiuse gli occhi mentre questa gli scorreva sulla pelle, allontanando la stanchezza.
Dopo un quarto d’ora buono uscì e si rivestì, tornando in camera. Vi trovò Newt che osservava i vari oggetti appoggiati sui mobili e sulla scrivania, i capelli ancora scompigliati.
-Ehi- il biondo fece un salto nel sentire la sua voce, voltandosi a guardarlo con un’espressione di rimprovero. –Scusa.-
Newt sbuffò e gli passò accanto per andare a farsi la doccia. Nel mentre, Stiles mise i propri libri nello zaino e rifece il letto, su cui poi si sedette ad aspettare, mentre controllava i messaggi sul cellulare. Ne aveva parecchi da un numero sconosciuto, probabilmente quello di Teresa, che chiedevano sostanzialmente la stessa cosa: “Newt è scomparso! È lì da te? Giuro che lo ammazzo!”. La assicurò che il ragazzo era sano e salvo e che non c’era assolutamente bisogno di ricorrere a misure così drastiche. Anche perché avrebbero dovuto passare sul suo cadavere, se davvero volevano ucciderlo.
In quel momento rientrò Newt: i vestiti gli stavano po’ larghi, e non erano esattamente il suo stile, i capelli ancora bagnati erano ancora più in disordine di prima ma... Stiles lo trovò comunque bellissimo.
Era giusto pensare cose del genere, no? Dopotutto aveva ammesso di amarlo.
-Chiudi la bocca prima che ti entrino delle mosche, Tommy.- il sorrisetto di scherno sul volto dell’altro lo riportò alla realtà, e si accorse di star fissando. Così si affrettò ad alzarsi e prendere a braccetto Newt per condurlo fuori casa: -Siamo in ritardo, dobbiamo passare anche a casa tua.- fu la sua scusa.
Non notò però l’espressione soddisfatta di Newt.
* * *
Stiles parcheggiò la jeep davanti a scuola. Sarebbe stata una mattina come le altre, se non fosse che un certo biondo era seduto sul sedile del passeggero e per tutto il viaggio aveva continuato a lanciargli occhiate. Tante domande stavano affollando la mente del bruno. Domande come: “Che si fa, ora?” e “Quello che è successo ieri sera ha cambiato tutto o siamo ancora a un punto morto?”. Ma prima che potesse articolarne anche solo una, Newt parlò per lui: -Che succede ora?- e decisamente non si riferiva ai piani per la mattina, il pomeriggio, o qualsiasi cosa riguardante il branco. Oh, no.
Stiles spense il motore e si voltò a guardarlo, allungando la mano per prendere la sua. Un brivido si diffuse lungo tutto il suo corpo a quel contatto, eppure la sua pelle era così calda che quasi scottava.
Che cosa doveva dire? Quali erano le parole giuste?
Ai tempi della C.A.T.T.I.V.O. non c’erano stati problemi di questo genere. Si erano baciati una volta, per sbaglio, e il giorno dopo si erano ritrovati nello stesso punto ed era successo di nuovo, per caso. Era diventata una routine, finché col tempo non avevano cominciato a considerare ufficiale il fatto che stessero insieme, senza però dirlo a nessun altro.
Ora era tutto diverso, era cambiata ogni cosa. Quei due anni li avevano divisi, Stiles aveva cominciato una nuova vita, Newt aveva percorso un’altra via... ed era come se non si conoscessero più. Come se tutte le loro certezze fossero d’un tratto svanite.
-Cioè... significa che stiamo insieme?- chiese di nuovo il biondo, non avendo ottenuto risposta. Si stava mordendo il labbro, il che significava che non era del tutto sicuro dell’esito di quella conversazione.
Ma d’altro canto nemmeno Stiles lo era. Voleva con tutto il suo cuore poter dire di sì, poter urlare al mondo che Newt era il suo ragazzo e così era sempre stato... ma un angolo recesso della sua mente gli suggeriva di non correre troppo, perché se avesse accettato avrebbe sottoposto il ragazzo a nuovi pericoli, e questo avrebbe significato rischiare ancora la sua vita.
-Tu che ne pensi?- gli chiese allora, a voce talmente bassa che quasi fece fatica a sentirsi da solo. Ovviamente la risposta di Newt fu uno sguardo da: “Ma che domande fai?!”
-Allora...- Stiles sospirò, perché per una volta voleva essere un po’ egoista e prendersi la cosa che più amava al mondo. –Allora proviamoci.-
Le labbra del biondo si arcuarono in un ampio sorriso mentre si avvicinava per posarle, delicatamente, sulle sue. Fu un bacio veloce, ma fu abbastanza per scaldare il cuore di Stiles, il quale non riuscì a non ricambiare il sorriso.
Dopodiché scesero entrambi dalla jeep ed entrarono a scuola: i corridoi erano come al solito gremiti di studenti, dalle matricole ai senior, che chiacchieravano a voce fin troppo alta. Gli armadietti di Scott e Stiles era vicino alla porta di entrata, quindi non dovette fare troppa strada per raggiungerlo, e il suo migliore amico era già lì ad aspettarlo insieme agli altri.
Allison stava discutendo di qualcosa con Lydia, Isaac sembrava ascoltare solo ciò che usciva dalla bocca della mora, e Scott pareva fosse sul punto di scoppiare a ridere ma si stesse trattenendo per correttezza nei confronti delle due.
I due ragazzi si avvicinarono, senza nemmeno accorgersi di essere ancora mano nella mano.
-Buongiorno, facce di caspio.- li salutò Stiles. Era bello poter usare di nuovo il gergo dei Radurai, che aveva dovuto mettere da parte perché nessuno era in grado di capirlo. –Di che parlate?-
-Buongiorno a te, faccia di...qualcosa- rispose la ragazza dai capelli biondo fragola, lanciandogli un’occhiata di sottecchi. –Dopo la storia di Malia pensavamo di prenderci una piccola pausa e uscire, andare divertirci, stavamo discutendo su cosa fare. Io avevo proposto una festa, ma Allison dice che così traumatizzerei i tuoi amici.-
Newt sbuffò una risata a quelle parole: -Oh, non preoccuparti. Minho è un festaiolo, per quanto riguarda noi altri invece ci siamo dovuti adattare alle sue esigenze.-
Lydia scoccò un occhiata, insieme a un sorrisetto di vittoria, alla mora, la quale cominciò subito a contestare. –Comunque non penso sia un buon modo per conoscerci. A una festa finisce che ci si ubriaca e ci si disperde.-
-Mh, su questo non posso darti torto.-
-Potremmo sempre vederci a casa mia e parlare un po’- propose Scott.
-Dimentichi che c’è tuo padre in giro, certe cose è meglio che non le sappia.- ribatté Isaac. Qualcosa cliccò nella mente di Stiles. Stavano facendo piani per il pomeriggio, e lui era coinvolto, i Radurai erano coinvolti, Newt era coinvolto. Per una volta, passare un po’ di tempo con il branco gli parve una pessima idea: -Fate quello che volete, io non potrò esserci.-
-Perché?- chiesero Newt e Lydia all’unisono.
Stiles si voltò a guardare il ragazzo con un mezzo sorriso, pungolandogli il fianco con un braccio. –Perché sarò con te, da qualche altra parte. Comprendi?-
Il biondo sbatté le palpebre un paio di volte, come se non avesse capito dove il bruno volesse andare a parare. Non che avessero molta esperienza in quel campo, e come tentativo di invitare il ragazzo ad un appuntamento, Stiles stava facendo un pessimo lavoro. –E poi,- continuò. –Devo tenerti alla larga dalla furia di Teresa. Oh, parli del diavolo...-
-NEWTON!- un urlò sovrastò il vociare degli altri studenti. La ragazza stava attraversando a grandi falcate il corridoio con un’espressione severa dipinta sul viso, Gally e Minho la seguivano a ruota con le braccia incrociate al petto. Facevano paura, sembravano bulli in piena regola, ma Stiles sapeva che in fondo erano dolci come lo zucchero... più o meno. Erano solamente arrabbiati.
-Cacchio...- sussurrò il malcapitato a denti stretti, pregando con lo sguardo il bruno affinché facesse qualcosa.
Non appena i Radurai raggiunsero il gruppo, Teresa strinse il ragazzo in un abbraccio talmente forte che Stiles temette potesse schiacciarlo come una noce. –Dove diavolo eri?! Ci hai fatto preoccupare, razza di Pive!-
-Lo so... scusatemi...- riuscì a dire lui, sforzandosi di respirare. –T, mi stai strozzando...-
Lei lo lasciò immediatamente, borbottando qualche scusa. Gli altri due si limitarono a dargli qualche pugno, non troppo forte, sulla spalla. Newt sembrava sollevato di non essere stato ammazzato.
-Che ci facevi a casa di Thomas, comunque?- chiese Gally non appena si furono calmati e fu tornato l’ordine. Tutti si voltarono quindi a guardare Stiles, anche i membri del branco sembravano interessati ora, soprattutto Scott. Era un sorrisetto quello che vedeva sulla sua cacchio di faccia? –Sì, Stiles. Che ci faceva Newt a casa tua? Non sarà mica rimasto a dormire...-
-Sì che è rimasto a dormire.- rispose Minho, con una risata di scherno.
A questo punto entrambi erano più rossi di un semaforo e il biondo apriva e chiudeva la bocca come se stesse cercando di ribattere, ma non riuscisse a trovare le parole per farlo, troppo in imbarazzo.
Con sorpresa di Stiles, fu Teresa a rompere la tensione. –Voi due avete parlato.- non era una domanda, e si chiese come facesse a saperlo. Possibile che Newt le avesse raccontato tutto? Lei gli lanciò infatti un’occhiata significativa, e il biondo dovette scrollare le spalle.
-E?-
I due si guardarono per un momento, incerti sul da farsi. Dirlo o nascondere tutto fino al momento opportuno? Certo, Stiles sapeva che nessuno dei suoi amici era omofobo, e che non avrebbero avuto nessun problema, ma come al solito doveva dubitarne.
Alla fine, però, si decise che non sarebbe stato così male. E una relazione segreta non funzionava quasi mai. –E... – cominciò, alzando un angolo della bocca. -Gli ho praticamente detto che lo amo.-
Il silenzio seguì quelle parole.
Newt spostò il peso da un piede all’altro, fissando insistentemente il pavimento, in evidente disagio.
Poi Minho alzò le braccia al cielo e urlò: -Finalmente! Non ne potevo più, era ora!-
Teresa sorrise compiaciuta ed arruffò i capelli del biondo, Gally alzò gli occhi al cielo. Scott rise ed annuì con approvazione, mentre Isaac guardava Stiles con le sopracciglia alzate.
-E io che pensavo avessi una cotta storica per Lydia...- mormorò Allison, sinceramente sorpresa. La diretta interessata sbuffò, spostandosi i capelli dal viso con un veloce gesto della mano. –Onestamente io ho sempre sospettato fosse una sorta di copertura.-  
-Ha funzionato però...- Stiles fu il solo a sentire i borbottii di Newt, perché era a qualche passo da lui, e per un attimo il suo sorriso si incrinò. La campanella suonò proprio in quel momento; i ragazzi cominciarono a disperdersi, ad eccezione dei Radurai, in particolare Teresa che stava ancora guardando storto il biondo.
-Oggi- gli disse. –Io e te. Non è ancora finita, Pive.-
Stiles quasi si lasciò scappare un lamento. Doveva assolutamente fare qualcosa prima che la ragazza facesse Newt a fette. –Come ho già detto agli altri. Newt oggi è impegnato, con me. Dovrai rimandare a stasera.-
Gli occhi di lei si ridussero a due fessure e osservarono il bruno dall’alto al basso, come se non volesse cedere così facilmente. Dovette intervenire Gally, visto che lei non si decideva a rispondere: -E stasera sia. Non vogliamo negare un po’ di divertimento ai due piccioncini, non è così?-
Stiles alzò entrambi i pollici in risposta, guadagnandosi un occhiolino da parte di Minho. –Usate le protezioni, mi raccomando!-
-Oh, taci, Min!-
I tre ragazzi se ne andarono ridendo, con un cenno di saluto della mano. Con la coda dell’occhio, il bruno vide che Newt era completamente rosso per l’imbarazzo e fissava i propri piedi come se fossero la cosa più interessante del mondo, così si avvicinò a lui e gli mise un braccio sulle spalle, rivolgendogli poi un sorriso di rassicurazione. Camminarono insieme fino all’aula di Economia, e Stiles sperò che quella giornata si affrettasse e passare.
* * *
-Parti, parti! Metti in moto!- Newt balzò nella jeep urlando e sbattendosi la portiera alle spalle, cosa che fece sobbalzare a gemere Stiles. La sua macchina era una delle cose più care che aveva ed era già un catorcio di suo... se poi la trattavano così, non sarebbe durata molto. Nonostante questo accese il motore, e nell’istante in cui posò lo sguardo sulla strada,vide due ragazzi piuttosto robusti uscire di corsa dalla scuola e dirigersi verso di loro.
Si affrettò a fare retromarcia e uscire dal parcheggio prima che potessero raggiungerli.
E gli parve di sentire le loro urla anche quando ebbe svoltato l’angolo, alla fine della via.
-Che cacchio hai fatto?- chiese, quasi gridando, a Newt, il quale aveva il fiatone ma un sorriso divertito stampato sul viso.
Il biondo gli mostrò due semplici barrette di cioccolato, tenendole strette come se fossero oro. Stiles non riuscì a non alzare un sopracciglio e ridere: -Hai rubato del cioccolato?-
-Ammira le mie capacità di ladro!-
-Hai rubato del cioccolato, Newt!- suo malgrado, nonostante cercasse di fermarsi perché stava guidando, continuò a ridere sempre più forte. –E ti sei anche fatto beccare.-
-Solo perché non mi sono impegnato- ribatté lui con uno sbuffo. –Quando vivi sulla strada devi impararle queste cose. E comunque se proprio non lo vuoi, me lo posso mangiare tranquillamente tutto io.-
-No!- Stiles prese una barretta dalle mani di Newt e la scartò stando attento a non andare fuori strada. Con la coda dell’occhio vide Newt ridacchiare e mordere un pezzo della sua.
Poi aggrottò la fronte, realizzando solo in quel momento ciò che gli aveva detto: -Rubavate?-
La cosa che lo sconcertò di più fu la tranquillità nello sguardo dell’altro, e la semplicità con cui scrollò le spalle. –Solo quando ce n’era veramente bisogno. Quando ti muovi continuamente, non hai il tempo di cercare un lavoro e guadagnare qualche soldo, perciò devi per forza ricorrere a modi poco consigliabili. Certo, non abbiamo derubato delle cacchio di banche o cose del genere, solo gente che passava per strada. E a volte abbiamo chiesto l’elemosina usando la scusa dell’intervento alla gamba.- spiegò con calma, per niente intimorito da quello che avrebbe potuto pensare Stiles, il quale, d’altro canto, capiva perfettamente. La C.A.T.T.I.V.O. aveva, fra le altre cose, insegnato loro a pensare solo a sé stessi e, eventualmente, ai propri amici. Non ad essere altruisti. Non l’educazione. Solo a sopravvivere. –E comunque ci siamo sentiti un po’ in colpa. Non stiamo parlando di Spaccati, di gente completamente Andata a cui non sarebbe più servito, di gente senza più speranza... quelle persone a cui abbiamo rubato i portafogli avevano delle famiglie a cui badare, del figli magari, delle tasse da pagare, la spesa da fare. Non dev’essere bello vedersi portare via lo stipendio.-
-Già beh...- rispose il bruno. –Non farne mai parola con mio padre, eh?-
-Non era mia intenzione.-
Si scambiarono un mezzo sorriso. La vita continuava, eppure c’erano quelle piccolezze da cui si capiva che non sarebbe mai più stato lo stesso: il loro modo di pensare, il loro modo di agire, il fatto che non riuscivano a fidarsi di nessuno se non di sé stessi. E nessuno che non avesse sperimentato sulla propria pelle ciò che avevano passato loro, avrebbe potuto comprendere. Solo il fatto di essere con Newt e ridere e scherzare, proprio lì, in quel momento, era molto più di ciò che Stiles avesse desiderato.
-Dove stiamo andando comunque?- chiese ancora il biondo, interessandosi per la prima volta alla strada.
-C’è un cinema, qui vicino. Pensavo che potremmo vedere The Revenant, mi hanno detto che è carino.-
-Non me ne intendo di film, mi fido di te.-
Come se fosse il film quello che mi interessa, pensò il bruno con un sorrisetto. Certo, non aveva proprio bisogno di un posto buio per poter baciare Newt, tenergli la mano, guardarlo di nascosto, e il cinema era il luogo più cliché nella storia degli appuntamenti. Ma quello non era un vero e proprio appuntamento... più una semplice uscita.
Parcheggiò di fronte alla struttura e i due scesero dalla macchina, per poi entrare e prendere i biglietti. Comprarono anche dei popcorn da dividere, anche se Stiles dubitava sarebbero durati molto. Era sempre così, in fondo.
Una volta nella sala, si sedettero ai loro posti ad attendere che il film iniziasse.
Non era un granché. Il ragazzo perse interesse dopo mezz’ora, e la sua attenzione si spostò verso Newt, accanto a lui: osservò il profilo del suo viso, le sopracciglia aggrottate in un modo dannatamente tenero, il gesto che compieva ogni tanto di leccarsi le labbra...
Come si poteva non innamorarsi di una persona del genere?
-Mi distrai, Tommy- il biondo sussurrò, un sorriso divertito gli incurvava ora le labbra. Si voltò a guardare Stiles, con quei suoi occhi già così profondi che al buio sembravano dei pozzi neri. Lui non riuscì a resistere e si sporse a sforare le labbra con le sue, brevemente, per poi appoggiare la testa sulla sua spalla e prendergli la mano. Le loro dita si incastrarono alla perfezione.
Forse a un certo punto si addormentò, cullato dal calore di quella vicinanza, o forse aveva chiuso gli occhi solo per qualche minuto. Al film, però, non prestò più alcun interesse.
E quando si accorse che era finito e le luci si erano riaccese, dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per separarsi da Newt e alzarsi dal posto, per poter uscire e riportare il ragazzo a casa.
-La prossima volta il film lo scelgo io- fece Newt una volta sulla jeep.
Durante il viaggio parlarono delle pellicole più conosciute, di quelle che avrebbero potuto vedere insieme una volta che le acque si fossero calmate. Stiles riuscì a convincerlo a fare la maratona di Star Wars con lui, visto che Scott proprio non ne voleva sapere. E in men che non si dica, si ritrovarono davanti alla modesta abitazione dei Radurai: le luci al piano di sopra e quelle della cucina erano accese, segno che probabilmente erano tutti dentro.
-Immagino di non poter più ritardare l’inevitabile...- mormorò, spegnendo il motore e voltandosi verso Newt. –Mi chiamerai appena ti avranno lasciato in pace?-
Lui si torturò le mani lanciando uno sguardo preoccupato alla casa, per poi sospirare e scuotere la testa. –Certo che ti chiamo.- rispose, prima di accennare un sorriso. –Grazie comunque, Tommy. È stato divertente.-
Gli diede un bacio sulla guancia e aprì la portiera per scendere, quando Stiles lo fermò di nuovo, prendendogli la mano: -Mi porterai altra cioccolata domani?-
Una risata fece capolino dalla bocca del biondo, il quale annuì e allungò una mano a scompigliare –ulteriormente- i capelli dell’altro. –Quando vuoi, Tommy. Sarà il nostro piccolo segreto-
Poi, con un ultimo sorriso, si liberò dalla presa di Stiles e si allontanò verso l’abitazione. Lui lo guardò entrare, aspettando ancora qualche secondo prima di uscire dal vialetto e imboccare la strada verso casa, ripensando alle ultime due giornate passate insieme al biondo.
Forse, pensò, la sua presenza avrebbe potuto aiutarlo a chiudere quella dannata porta.
Forse, la minaccia sarebbe stata sventata e tutto sarebbe tornato alla normalità, lasciandolo respirare.
Non immaginava che il pericolo era, invece, proprio dietro l’angolo.     
 
 
Angolo autrice: Ce l'ho fatta!! Non immaginate quanta fatica ho fatto per scrivere questo capitolo, mi ci sono voluti giorni! Dovevo aggiornare già sabato scorso, ma l'ispirazione è andata a farsi friggere e non riuscivo a mettere giù nemmeno una riga. Poi sono dovuta andare a fare formazione per lo stage lavorativo per tre giorni, alla fine dei quali ero completamente esausta. Scusatemi davvero se vi ho fatto attendere e se il capitolo non è uno dei migliori, volevo aggiungerne uno di stacco/? prima di continuare con la storia. 
Fatemi sapere che ne pensate, è sempre bello leggere le vostre opinioni e i vostri pensieri ^^ 

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Non è così che ci comportiamo noi Radurai ***


Non è così che ci comportiamo noi Radurai
 
Newt's POV

Teresa lo stava aspettando in cucina, mentre tentava di preparare una cena che non facesse venire a tutti un’intossicazione alimentare. T non era molto brava a cucinare, nessuno di loro in realtà lo era, ma in assenza di Frypan dovevano cavarsela da soli, e non potevano certo ordinare pizza e schifezze tutti i giorni.
Perciò, a turno, si cimentavano in quell’impresa impossibile.
-Hai intenzione di dirmi cosa è successo ieri?- chiese lei non appena mise piede nella stanza. La cosa che gli piaceva di più di Teresa era che andava subito al sodo, non si perdeva in troppi giri di parole. Certo, anche questo aveva i suoi lati negativi, perché a volte non ti dava la possibilità di pensare a una scusa plausibile o
cercare di svignartela.
-Posso rifiutarmi?-
-No.-
-Bene così,- Newt si sedette al tavolo, congiungendo le mani in grembo, con la schiena appoggiata allo schienale della sedia. E cominciò a raccontare quello che era successo la sera prima, dicendo però che si era sentito male ed era tornato a casa. Non aveva nessuna intenzione di ammettere che si era ingelosito nel vedere Thomas con Lydia, quando non c’era assolutamente nulla di cui essere gelosi.
-Avresti potuto avvisare- protestò lei non appena ebbe finito di cucinare. –Ti abbiamo cercato ovunque per tutta la sera. Pensavamo che qualche creatura strana ti avesse sbranato, o qualcosa del genere.-
-So badare a me stesso, T.-
-Davvero?- La ragazza si voltò a guardarlo con un sopracciglio alzato e le braccia incrociate al petto. Newt poteva capire il suo scetticismo, considerando come aveva cercato di gestire la situazione a Denver... ma finiva lì. Non aveva di certo desideri di morte, o quasi.
Scrollò leggermente le spalle, disegnando delle strane forme con l’indice sul tavolo, e probabilmente lei capì che la questione si chiudeva lì, perciò cambiò argomento.
-Tu vuoi davvero rimanere qui?- chiese a bassa voce, e finalmente Newt alzò lo sguardo su di lei.
-Che intendi?-
Teresa sospirò, volgendo la sua attenzione verso la finestra. –Intendo dire... questa storia dei lupi mannari, del sovrannaturale... non è un po’ troppo? Siamo scappati dalla C.A.T.T.I.V.O. per avere una vita normale, e invece ci siamo ritrovati di nuovo a combattere contro qualcosa che va al di là delle nostre conoscenze. Tu sei quasi morto una volta. Vale la pena rischiare la vita di nuovo?-
Il ragazzo la guardò intensamente, la fronte aggrottata: non riusciva a credere alle sue orecchie. Stava davvero suggerendo di darsela a gambe e lasciare agli altri il lavoro sporco? No, non era pensabile.
-Se significa stare con Tommy, sì. E poi da quando in qua i Radurai si fanno da parte?- ribatté allora, con decisione. –Un amico ha bisogno di noi e lo lasciamo qui a morire?-
-Non siamo più Radurai, Newt. Siamo rimasti noi cinque, gli altri sono sparsi chissà dove per il mondo. Non abbiamo più nulla di cui preoccuparci, dobbiamo solo costruirci una nuova vita lontano dai pericoli.-
-Se si trattasse di Minho, te ne andresti?- Newt strinse i pugni sul tavolo e serrò la mascella, fissando gli occhi nei suoi. Era arrivato solo da una settimana e aveva ritrovato Thomas, non lo avrebbe lasciato di nuovo.
Teresa esitò per un attimo, ma poi alzò le mani in segno di resa e scosse la testa: -Come non detto.-
Allora Newt si alzò dal tavolo e si diresse verso la porta, intenzionato a mettere un po’ di distanza fra loro per il momento. Come poteva anche solo pensare di chiedergli una cosa del genere? –Non ho fame. Se mi cerchi sono nella mia stanza.- E con questo uscì dalla cucina e salì al piano di sopra, verso la propria camera. Si lanciò sul letto, sfilando il cellulare dalla tasca e digitando il numero di Tommy. Doveva assolutamente parlargli.
-Pronto?- Rispose dopo due squilli, il che strappò un sorriso al biondo.
-Ehi...-
-Wow, sei ancora vivo? Pensavo di avrebbe spellato vivo- riuscì quasi a immaginarsi il sorrisetto sghembo disegnato sulle labbra del ragazzo.
-Già... beh, credo ci abbia pensato.-
-Allora, che ti ha detto?-
Tutta la gioia che aveva provato nel sentire la voce di Thomas scomparve di colpo, e Newt si morse il labbro: -Lei e gli altri vogliono andarsene da Beacon Hills.-
Una pausa. Seppe che Thomas non aveva riattaccato solo perché riusciva a sentire il suo respiro che si era fatto leggermente più pesante, ma quell’istante di silenzio sembrò durare ore e fu una tortura. –E tu?- chiese infine l’altro, in un sussurro.
-Le ho detto che non ho intenzione di farlo.- Un sospiro di sollievo, appena udibile.
-Bene.-
-Già-
-Senti... devo andare. C’è una cosa che devo assolutamente preparare. Ci vediamo domani?-
-Certo. Buonanotte, Tommy- attese la sua risposta prima di chiudere la telefonata. Era durata solo pochi minuti, ma a Newt bastava. Appoggiò il cellulare sul comodino e, senza nemmeno accorgersene, dopo aver posato la testa sul cuscino, si addormentò.
La mattina seguente fu svegliato dal fastidioso suono ripetuto della sveglia. Rimase un po’ sconcertato dal fatto che nessuno fosse salito a svegliarlo, e si rese anche conto di non aver fatto i compiti per la giornata. Sperò di poterli copiare da Thomas, o da qualcun altro.
Si diresse verso la porta, intenzionato ad andare in bagno, ma non appena mise piede fuori dalla stanza qualcosa di duro lo colpì alla testa.
E tutto si fece nero.
 
Quando si risvegliò, si trovava seduto sul sedile posteriore della macchina, con la cintura ben allacciata. Davanti, Minho e Gally stavano intrattenendo una conversazione a bassa voce, di cui riuscì a cogliere solo alcune parole, come “Beacon Hills” e “Thomas”. Probabilmente stavano parlando di lui.
-Newt?- Teresa, accanto a lui, gli posò una mano sulla spalla. Lui se la scrollò di dosso.
Si sentiva tradito, arrabbiato, deluso...
Gli avevano fatto perdere i sensi per portarlo via con loro, perché sapevano che non se ne sarebbe mai andato di sua spontanea volontà.
-Mi dispiace, ma è per il tuo bene.- Continuò lei, abbozzando un sorriso triste. Probabilmente nemmeno a lei faceva piacere dover lasciare Thomas, ma Teresa non era legata a lui come Newt. Non poteva capire.
Non rispose. Le lanciò semplicemente un’occhiataccia prima di rivolgere lo sguardo fuori dal finestrino. Data la posizione del sole, doveva essere almeno mezzogiorno, il ché significava che erano in viaggio da almeno sei ore.
Tirò il cellulare fuori dalla tasca: aveva dieci chiamate perse da Tommy, e una ventina di messaggi in cui gli chiedeva dove cavolo fosse. Aveva anche tre messaggi in segreteria. Li ascoltò tutti.
 
Newt, dove diavolo sei? Avevi detto che ci saremmo visti a scuola. Io e Scott abbiamo fatto uno scherzo al Coach, dovevi vedere la sua faccia! Peccato che non sia riuscito a fargli una foto.
Richiamami, okay?
 
Newt, sono ancora io. Sto cominciando a preoccuparmi. Qui sta succedendo un bel casino, se mi richiami ti spiego. Ti prego, dimmi che alla fine non hai deciso di andare via con gli altri...
 
Newt. Dove diavolo sei finito? C’è un serial killer a piede libero, non vorrei che ti fosse successo qualcosa. Scott e gli altri stanno cercando di localizzarlo, Lydia dice che potrebbe essere ancora a scuola, ma per ora nessuna traccia. Per favore, richiamami o dovrò venire a cercarti.
 
-Fermate la macchina!- ordinò quasi urlando, dopo aver finito di ascoltare l’ultimo messaggio, facendo spaventare tutti e tre. Minho accostò, voltandosi poi per guardarlo.
-Senti, amico. Lo so che non avremmo dovuto costringerti a venire con noi in questo modo, ma ormai è fatta...-
-No, non capisci. Sono in pericolo. Dobbiamo tornare indietro!- Aveva il respiro affannoso. Contò quanto tempo avrebbero impiegato a tornare a Beacon Hills.  Se tutto fosse andato bene, avrebbero dovuto essere in città per le 18:00. Sperò solo che Thomas e gli altri non si cacciassero in guai ben più grossi prima di allora.
-C’è un serial killer in giro, non so i dettagli ma non ho intenzione di lasciare che se ne occupino da soli.-
-Sono dei cacchio di lupi mannari, Newt.- ribatté Gally, con il suo solito tono di voce autoritario e scortese. –Se la caveranno.-
-Beh, io no. Torniamo indietro.- Lo guardò dritto negli occhi, digrignando i denti. Poi spostò lo sguardo sull’asiatico, che si stava mordendo il labbro. –Siete dei codardi. Abbiamo passato anni a prepararci a questo tipo di cose, e ora scappate come dei topi impauriti? Minho, pensavo che avessi un po’ più di sale in zucca. Non eri tu quello pronto a qualsiasi cosa pur di aiutare un amico?-
Loro rimasero in silenzio per un attimo, per ponderare le parole del biondo. La tensione era palpabile. Newt sapeva di aver colto nel segno. –Per favore... Quando tutto questa sarà finito, sarete liberi di andarvene se lo vorrete ancora.-
Continuò a fissare il suo migliore amico pieno di aspettativa, e questi non lo deluse. Si rimise dritto e fece dietrofront.
Newt doveva solo sperare di arrivare in tempo, non voleva più sentirsi inutile.
 
Il cielo si era scurito quando entrarono a Beacon Hills. Purtroppo avevano trovato un po’ di traffico ed erano arrivati con due ore di ritardo. Newt aveva chiamato Thomas una mezzora prima per sapere dove fossero (guadagnandosi tra l’altro una sfuriata da parte dell’altro, evidentemente teso). Ora si stavano dirigendo verso una centrale elettrica, poiché Barrow, il killer, aveva preso d’ostaggio Kira. Thomas gli aveva raccontato più o meno come erano andate le cose: a scuola quella mattina era stato dato l’allarme che l’uomo avrebbe potuto aggirarsi da quelle parti; avevano così cominciato le ricerche per tutto l’edificio senza però trovarlo, pensando così che Lydia –la quale aveva avuto una delle sue sensazioni- si fosse sbagliata. Alla fine però lei e Thomas avevano trovato la prova, nella classe di chimica, che Barrow era stato veramente lì, e che stava cercando Kira.
Arrivarono alla centrale elettrica quando tutto si era concluso. La Banshee stava aspettando fuori, nella Jeep di Thomas. Newt corse dentro per assicurarsi che fosse tutto okay, e non aveva fatto che pochi passi quando trovò il ragazzo steso a terra che tossiva. Accorse subito ad aiutarlo:
-Ehi...- gli passò un braccio sotto la schiena, sollevandolo per rimetterlo in piedi. –Tutto okay? Che cavolo è successo?-
-Non lo so...- mormorò con voce roca Thomas, scrutandolo da capo a piedi prima di gettargli le braccia al collo. –Non spaventarmi mai più così, faccia di caspio.-
Newt sorrise, ricambiando l’abbraccio e affondando il viso nell’incavo della sua spalla. –Nemmeno tu.-
Lo strinse forte a sé ancora per qualche secondo. Avrebbero parlato dopo dell’accaduto, ora gli bastava assicurarsi che stesse bene. Purtroppo però non avevano più molto tempo: dall’esterno si udì il suono delle sirene della polizia, che veniva sicuramente a controllare. Qualcuno doveva averli chiamati, probabilmente Scott, o Kira.
Il ragazzo sperò che non fosse successo nulla di grave.
-Dannazione...- mormorò Thomas, accanto a lui, mentre guardava la figura di un uomo alto con i capelli neri e la divisa da federale avvicinarsi a loro. Il padre di Scott. 

Angolo autrice: Non avete idea di quanto io mi stia sentendo in colpa in questo momento. Avrei dovuto aggiornare un sacco di tempo fa, ma fra una cosa e l'altra non sono più riuscita a scrivere una riga. Questo capitolo fa anche piuttosto schifo, ma dovevo assolutamente pubblicare qualcosa. E siccome quest'episodio non lo sopporto e non riuscivo a trovare nulla da scrivere, ho optato per un'opzione più semplice. 
Spero che mi stiate ancora seguendo. Prometto che non vi farò aspettare così tanto per il prossimo capitolo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Tutto ciò che so, è che la fine sta iniziando ***


Tutto ciò che so, è che la fine sta iniziando

 

NEWT’S POV
 
-Quindi…- fece McCall, il padre di Scott, fissando uno ad uno i ragazzi seduti sul divano davanti a lui. Si trovavano nell’ufficio dello sceriffo, erano stati portati lì dopo essere stati trovati alla centrale elettrica. Tutti tranne i Radurai, che forse avevano avuto il buonsenso di nascondersi quando avevano sentito le sirene della polizia. –Quando siete arrivati lì?-
-Nello stesso momento- rispose prontamente Thomas, con un sorrisetto di sfida. Newt pensò che ce l’avesse proprio a morte con quell’uomo, ma cosa avesse fatto non ne aveva proprio la minima idea.
-Nello stesso momento di chi?-
-Di me- subentrò Scott in difesa dell’amico. I due si lanciarono un veloce sguardo di intesa, mentre l’uomo alzava un sopracciglio nella loro direzione, le braccia incrociate al petto. –Per coincidenza?-
-Che significa “per coincidenza”?- sbottò Thomas.
-È quello che sto chiedendo io. Voi due siete arrivati nello stesso momento. È stata una coincidenza?-
Thomas aggrottò la fronte: -Lo stai chiedendo a me?-
-Credo stia dicendo a me- ribatté Scott, fingendosi confuso.
-Credo sia parlando a entrambi.- commentò Lydia.
Newt non riuscì a trattenere una risata, che dovette camuffare con un colpo di tosse. Doveva ammettere che questa strana compagnia stava cominciando a piacergli: non facevano mai quello che gli veniva detto, rischiavano la vita la maggior parte del tempo, e il loro modo di parlare con gli adulti era geniale. Loro sapevano cose che pochi avrebbero potuto immaginare, ci voleva una mente aperta.
Il signor McCall gli lanciò un’occhiata torva, ma non doveva avere un’alta considerazione di lui, perché il suo sguardo si sposto subito su Thomas. –Barrow si nascondeva in una classe di chimica a scuola. Qualcuno gli ha lasciato un messaggio cifrato dicendogli di uccidere Kira. Poi Barrow ha portato Kira in una centrale elettrica e l’ha legata con l’intento di folgorarla, cosa che ha mandato in black out tutta la città.-
Le sopracciglia di Thomas scattarono verso l’alto. –Tutto sorprendentemente corretto.-
-Come sapevate che l’avrebbe portata lì?-
-Beh...- Newt sapeva che  il ragazzo stava per inventarsi una scusa che non stava né in cielo né in terra. Lui era così. –Era un ingegnere elettrico.- Appunto. Nemmeno l’uomo sembrò cascarci. –È una bella deduzione, Stiles...-
-Già, sai. Ho imparato da mio padre- Thomas fece l’occhiolino allo sceriffo dietro la scrivania, e fu il suo turno di sbuffare una risata. Quando però vide l’occhiataccia del suo superiore, dovette costringersi a fingere un’espressione seria: -Stiles, per favore... rispondigli e basta.-
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo in risposta. –Abbiamo tirato a indovinare-
-E voi due cosa stavate facendo?- l’uomo si rivolse allora a Scott e Kira.
-Mangiando pizza-
-Mangiando sushi-
Dissero nello stesso momento, guardandosi poi dopo essersi accorti di aver detto due cose diverse. Allora ci riprovarono:
-Mangiando sushi-
-Mangiando pizza-
L’uomo, confuso, spostò lo sguardo dall’uno all’altro, finché finalmente non si decisero a parlare insieme: -Mangiando sushi e pizza.- Quindi si voltò verso Stilinski, scuotendo la testa, segno che non sapeva nemmeno lui quali pesci pigliare.
-Tu ci credi?- chiese all’uomo.
-Onestamente?- rispose lo sceriffo, con un sospiro. –Non credo a una parola che esce dalla bocca di Stiles da quando ha imparato a parlare,- sul viso del ragazzo si allargò un sorrisetto soddisfatto. –Ma credo che questi ragazzi si siano ritrovati solamente al posto sbagliato nel momento sbagliato, e quella ragazza è molto fortunata ad essere qui.-
McCall annuì, anche se Newt capì che non aveva intenzione di chiudere la faccenda così facilmente. Chiaramente fra i due uomini non correva buon sangue. –Kira, è così che te lo ricordi?- Gli occhi di tutti furono su di lei in un battibaleno; il biondo osservò l’espressione tesa sul suo viso provando un po’ di pena per lei. –Sì. Posso riavere il mio telefono ora?-
Rassegnato, l’uomo si spostò dal tavolo e fece un cenno verso di loro. –No, mi dispiace. Potete tornare a casa a dormire.-
Li lasciò uscire dall’ufficio, ma prima che Newt e Thomas uscissero dalla centrale, il biondo sentì McCall parlare con il figlio, e riuscì a capire qualche parola di ciò che gli stava dicendo: -Se metà di questa storia su Barrow è vera, allora non solo qualcuno l’ha aiutato a scappare, ma lui era anche una pedina nei loro giochi. Un serial killer è già abbastanza pericoloso, ma un serial killer controllato da qualcuno è anche peggio.-
Un brivido percorse la schiena di Newt e non a causa del freddo che lo aveva colpito non appena aveva messo piedi fuori. Che cosa diavolo stava succedendo? Lanciò un’occhiata a Thomas accanto a lui, facendo scivolare la mano nella sua e stringendosi istintivamente a lui. Non avrebbe mai ammesso di avere paura, no. Ciò che avevano passato durante le Prove era molto peggio, ma il pensiero di perdere di nuovo Tommy lo terrorizzava. Doveva ancora capire come risolvere il suo problema, che era ancora lì, nonostante nessuno l’avesse più menzionato. E, in cuor suo, sapeva che la tempesta era appena iniziata.
Quella notte dormì a casa Stilinski, perché voleva mettere più spazio possibile fra sé e i Radurai. Non avevano parlato di ciò che era appena successo, non ne avevano avuto l’occasione, ma Newt non aveva intenzione di perdonarli così presto. Il loro comportamento lo aveva deluso profondamente, nonostante capisse il loro punto di vista, e sapesse che prima o poi si sarebbe riunito a loro. Perché erano la sua famiglia, e famiglia significa che nessuno viene abbandonato anche dopo un colpo basso come questo.
Accanto a sé Thomas si rigirava nel sonno, probabilmente in preda di uno dei suoi soliti incubi. Il biondo fece passare un braccio attorno alla sua vita e appoggiò la testa sul suo petto, sentendo il ragazzo rilassarsi poco a poco sotto il suo tocco. E pochi istanti più tardi si addormentò anche lui.
 
***
 
Il giorno dopo a scuola sembrò tornato tutto alla normalità, solo che agli occhi di Newt niente lo era più. Si chiese come facessero gli altri studenti a camminare fra i corridoi come se un serial killer non fosse stato lì solamente il giorno prima, quando tutto sarebbe potuto andare ancora più in discesa da un momento all’altro. Lui e Thomas si separarono perché non avevano classi in comune. Durante la giornata riuscì a cogliere diversi discorsi fra alcuni membri del branco ed altre persone: venne a sapere che quella sera era prevista una festa in occasione di Halloween. Ne stavano parlando due ragazzi, uno che riconobbe come Danny e l’altro che non aveva idea di chi fosse; alto, biondo, il viso simile a quello di un cane. Non appena venne raggiunto da un altro ragazzo identico a lui capì di chi si trattava, gliene aveva parlato Thomas il giorno prima. Dovevano essere i due gemelli, un tempo Alpha, contro cui solo poco tempo prima il branco aveva dovuto combattere; Ethan e Aiden.
Non sembravano pericolosi al momento, ma si appuntò comunque di stare loro alla larga.
La sera invece scoprì che Thomas e Scott avevano intenzione di andare di nuovo contro la legge e sgattaiolare dentro la centrale di polizia per riprendere il cellulare di Kira. A quanto pareva vi erano delle foto compromettenti su di lei che Barrow aveva scattato, qualcosa che riguardava il sovrannaturale e che la ragazza non voleva che la polizia scoprisse. Perciò, dato che non aveva nulla da fare, si aggiunse al gruppo per dare una mano.
-Okay, questa vi consentirà l’accesso al perimetro, questa alla stanza delle prove, e questa all’ufficio di mio padre,- disse Thomas mentre porgeva a Scott e Kira delle carte magnetiche. Il piano era mandare loro due a fare il lavoro sporco, mentre lui e Newt controllavano che non arrivasse nessuno.
-Non le hai rubate, vero?- chiese l’ispanico, corrugando la fronte.
-No! Le ho clonate usando l’emulatore RFID,- si difese Thomas.
-È peggio di rubare?-
Il ragazzo accennò un sorriso storto, facendogli l’occhiolino. –È più astuto.-
Ovviamente non poteva andare tutto secondo i piani: nemmeno dieci minuti più tardi un’auto parcheggiò davanti all’entrata e Newt sentì Thomas imprecare accanto a sé. Perché ci doveva essere sempre McCall di mezzo? D’un tratto Thomas, che si era ripromesso prima di non fare assolutamente nulla se fosse successa una cosa simile, scese dall’auto per fermare l’uomo prima che fosse troppo tardi. Newt lo seguì a ruota tentando di tenere il passo.
-Ehi! Ehi!- urlò Thomas per attirare la sua attenzione. –Grazie al cielo sei qui. Oh, cavolo...- fece finta di riprendere fiato per perdere ulteriore tempo. Newt sbirciò alle spalle dell’uomo per controllare a che punto fossero gli altri due, ma l’ufficio era nascosto.
-Cosa vuoi, Stiles?- tornò a fissare McCall, un’espressione annoiata dipinta sul viso.
-Oh, cavolo...- ripeté, annaspando. –Stavo pensando al caso.-
Newt capì il suo piano.
-Stavo pensando di dover far presente a te ciò che stavo pensando. Perciò ecco, stavo pensando a Barrow. Stavo pensando che Barrow ha ricevuto le informazioni a scuola su chi uccidere, giusto? Lo sapevi? Quindi pensavo che la persona che gli ha dato queste informazioni potrebbe essere qualcuno a scuola.-
-Uhm... era ciò che avevo pensando anch’io. Hai ragione-
-Davvero?- fece Newt, sorpreso che l’uomo ci fosse cascato e soprattutto che Tommy avesse ragione, per una volta. Purtroppo si prese una gomitata nel fianco in risposta.
-Sì, beh,- continuò McCall. –Abbiamo cominciato a pensare a qualche collegamento fra Barrow e gli studenti.-
-Quindi lo sapevi già?- Newt si prese di nuovo la libertà di parlare. –Ci avevi già pensato?-
L’uomo scrollò le spalle e indicò l’altro ragazzo con un cenno. –Suo padre l’ha fatto. Il suo unico suggerimento utile.-
-Lo sai, questo comportamento che hai con mio padre,- scattò Thomas, e il biondo capì che era il momento di farsi da parte. L’espressione irritata sul suo viso lo preoccupò. –Puoi farla sembrare disapprovazione quanto vuoi, ma la sai una cosa? Io conosco la vera ragione per cui lui non ti piace.-
-Oh, ma davvero?- la tensione fra i due era palpabile.
-Già. Perché lui sa qualcosa che tu non vuoi che sappia. E indovina un po’... la so anch’io- concluse Thomas, con uno sguardo di ghiaccio che spaventò Newt. Aveva sperato di non rivederlo mai più.
McCall sospirò: -Andate a casa, ragazzi. C’è il coprifuoco.-
Newt non se lo fece ripetere due volte, prese Thomas per un braccio e lo tirò verso l’uscita, lontano dall’uomo, prima che potesse fare qualcosa di cui si sarebbe pentito. Sapeva perfettamente di cosa era capace il suo ragazzo quando si arrabbiava, lo aveva visto in diverse occasioni. Sperò solo che Scott e Kira fossero riusciti nel loro intento.
I due tirarono un sospiro di sollievo quando li videro uscire dalla centrale con un sorriso di trionfo stampato sui loro visi, oscurati dalle ombre della notte.
-È stato fantastico! Cioè, un po’ terrificante... ma comunque fantastico! Non avevo mai fatto una cosa del genere, e voi?- i due amici si guardarono prima di stringersi nelle spalle. –Qualche volta.-
Newt soppresse un sorriso, sapendo che ‘qualche volta’ era un eufemismo. Conosceva il branco da poco, ma ormai aveva capito che cose di questo tipo erano all’ordine del giorno. Diamine, si chiese se avessero mai avuto un po’ di tempo libero.
-Ti va di andare ad una festa?- chiese Thomas appena furono di nuovo soli nella jeep. Lui si voltò a guardarlo con un sorriso. –Non credevo fossi un tipo festaiolo.-
-Ehi, mi sono dovuto adattare!- il ragazzo rise, allungando una mano per scompigliargli i capelli. –Allora?-
Newt annuì. Qualsiasi cosa pur di passare un po’ di tempo con Tommy, senza pensare a nulla se non a divertirsi.
Il ragazzo lo portò ad un loft dove la festa era già incominciata da un pezzo. Il biondo notò che la gente era ricoperta di una vernice colorata fosforescente e ballava al ritmo di una musica molto simile a quella di un rave. A Newt non piacevano questo genere di cose, non sapeva ballare e la gamba gli rendeva tutto ancora più difficile, ma sperò che gli altri fossero troppo impegnati per notare la sua goffaggine. Scott e Kira li avevano seguiti e stavano dietro di loro.
-Derek non deve mai venirlo a sapere,- urlò Thomas al suo migliore amico, per sovrastare il suono della musica. Così quel posto apparteneva al mentore di Scott, Derek. Newt non l’aveva ancora conosciuto, ma sapeva che era stato l’Alpha del branco prima che lo diventasse l’ispanico.
Thomas gli sussurrò all’orecchio di seguirlo. Gli prese la mano e lo tirò verso il centro della pista, spintonando per farsi spazio fra la gente. Un volta raggiunto un punto abbastanza ampio, con somma sorpresa di Newt, Thomas cominciò a muoversi. Forse anche in modo più goffo e idiota di quando avrebbe fatto lui. Ridendo e sopprimendo l’imbarazzo, provò a imitarlo, così che ora erano in due a fare la figura degli stupidi, ma nessuno stava guardando, perciò a loro non importava.
Si resero ridicoli per un po’ prima che entrambi fossero troppo assetati per continuare, così si ritirarono in un angolo vuoto del loft con dei bicchieri di alcol in mano.
-Ti stai divertendo?- chiese ad alta voce Thomas, un sorriso radioso ancora stampato sulle labbra.
Newt annuì, sedendosi per terra e tirando giù l’altro con sé, i loro visi così vicini che Newt poteva sentire il respiro dell’altro su di sé. –Manca solo una cosa?-
Il bruno lo guardò, piegando leggermente la testa di lato. –Cosa?-
Con un sorriso, appoggiò il bicchiere a terra e posò una mano sul suo collo, chiudendo la distanza fra loro. Sentì l’altro sussultare, ma sciogliersi subito e ricambiare il bacio, mentre le sue mani correvano sulla sua schiena per attirarlo ulteriormente a sé. Questo bacio durò più degli altri e fu molto meno moderato, forse a causa dell’atmosfera che li circondava... o forse perché Newt aveva bevuto e non reggeva molto l’alcol.
Ad ogni modo, non aveva nessuna intenzione di lamentarsi. Credeva che non si sarebbe mai abituato all’effetto che gli faceva, alle farfalle nello stomaco che sentiva ogni volta che lo baciava.
Ma come tutte le cose, anche quello doveva finire prima o poi. Si separarono, annaspando in cerca di aria, ancora più sudati di quanto non fossero dopo aver ballato. Newt lasciò che Thomas gli passasse un braccio sulle spalle e si strinse lui. Fu allora che notò una piccola cosa colorata che fuoriusciva dalla tasca dei jeans del ragazzo. Aggrottando la fronte la prese e la alzò per farla vedere a lui: era una chiave, in parte sporca di un po’ di quella vernice che stavano usando tutti. Ma come aveva fatto ad arrivare lì se Tommy non si era nemmeno avvicinato alla tizia che dipingeva la gente?
Il ragazzo gliela prese di mano senza fare complimenti. –Perché è fosforescente?-
-Deve esserci caduto sopra un po’ di fosforo,- azzardò Newt, senza nemmeno sapere da dove era venuta fuori la risposta. –È una sostanza chimica. Reagisce ai raggi UV, per questo luccica.- Aggrottò la fronte.
-Perché dovrebbe esserci del fosforo sulla mia chiave...?- chiese Thomas, rispecchiando i pensieri di Newt. E d’un tratto lo sentì irrigidirsi. Scattò in piedi, rovesciando i bicchieri per terra, gli occhi spalancati.
-Tommy?- lui si alzò, preoccupato.
-Devo andare. Resta qui,- fece Thomas, cominciando ad allontanarsi, ma Newt lo bloccò prendendolo per il polso.
-Che cosa stai dicendo?-
-Devo andare! Mi dispiace, vai a cercare Scott. C’è una cosa che devo fare.- E dopo avergli dato un ultimo bacio sulla fronte, sparì fra la folla in cerca dell’uscita.
Per un po’ Newt rimase lì impalato, insicuro sul da farsi. Non riusciva a capire perché lo avesse lasciato lì da solo e cosa fosse più importante di lui e perché non poteva portarselo dietro. Poi si riscosse e andò a cercare gli altri membri del branco, o qualcuno che conoscesse.
Non trovò nessuno, sembrava che si fossero tutti volatilizzati.
E proprio in quel momento vide una figura nera, con una maschera giapponese terrificante, incombere su di lui. Fu un attimo. Si ritrovò a terra prima che potesse agire, scosso dai tremiti. A malapena si accorse che la gente aveva cominciato a uscire dal loft dopo che il proprietario era tornato.
Presto rimase solo il branco, o almeno una parte di esso, visto che alcuni erano stati tramortiti come lui. Anche i Radurai erano a terra, incoscienti.
-Newt!- La voce di Allison gli giunse ovattata alle orecchie. Pian piano i tremiti cominciarono a farsi meno frequenti e la vista tornare pressoché normale, ma gli girava la testa. Con la coda dell’occhio vide i lupi mannari combattere contro quelle strane creature, Kira in un angolo protetta da Scott; Lydia, Ethan ed Aiden che si stavano lentamente riprendendo; i suoi amici invece erano strisciati contro una parete.
La battaglia non durò molto, fra colpi di artigli e katana. Non appena la luce dell’alba illuminò il loft, le strane figure in nero scomparvero.
-Che cosa cavolo erano quelle cose?- da un angolo risuonò chiara la voce di Minho, brusca come al solito.
Isaac e Allison si scambiarono un’occhiata nervosa, poi la ragazza parlò. Newt riuscì a fatica a tirarsi a sedere. –Non sappiamo per certo cosa siano, ma mio padre li ha già combattuti. Crede che siano qui per lui, ma se fosse così perché prendere anche noi? E soprattutto, perché non ucciderci?-
Il silenzio piombò nel loft, mentre tutti tentavano di trovare una risposta a queste due domande.

 
STILES POV
 
Stiles corse. Corse più veloce che poté. Fuori dal loft, dentro la macchina. Sfrecciò fino alla Beacon Hills High School tentando di non andare a schiantarsi contro qualcosa. E poi corse di nuovo verso l’aula di chimica, consapevole che nessuno era di guardia, perché ormai la gente aveva paura di ciò che accadeva sempre lì dentro. Con mani tremanti prese la chiave che si era ritrovato in tasca e la avvicinò alla serratura. Il suo cuore sobbalzò quando la porta si aprì senza problemi.
Cauto, entrò nella stanza e si avvicinò alla lavagna, le scritte non erano ancora state cancellate.
 
19 K
53 I
88 Ra
 
I numeri corrispondevano a quelli della tavola periodica degli elementi, e le lettere al simbolo.
Stiles prese un gessetto e, dopo un attimo di esitazione, riscrisse i numeri accanto all’originale.
Barrow si nascondeva nell’aula di chimica a scuola. Qualcuno ha lasciato un messaggio cifrato dicendogli di uccidere Kira.
Stiles non riusciva a respirare. La scrittura combaciava. Era stato lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** A pezzi ***


A pezzi
 

STILES’ POV
 
Capì di essere nei guai subito dopo aver varcato la soglia di casa: poteva sentire la tensione nell’aria anche da chilometri di distanza. –Papà?- chiamò, pensando che si trattasse di qualcosa che avesse a che fare con lui; forse McCall lo aveva chiamato per dirgli della loro piccola conversazione, o forse era semplicemente arrabbiato perché non era tornato a casa quella notte, il che sarebbe stato comprensibile. Quando non ricevette nessuna risposta, però, la sua fronte si aggrottò e lui si affrettò a raggiungere la propria stanza.
Fu allora che comprese: Newt era seduto sul letto con gambe e braccia incrociate, un’espressione di sincera irritazione dipinta sul viso. Nel vederlo Stiles si portò una mano alla fronte, facendo di tutto per evitare il suo sguardo. Si era completamente dimenticato di aver lasciato da solo il ragazzo, e in quali condizioni, per colpa di tutti i pensieri che aveva in testa.
-Si può sapere dove diavolo sei stato?- sbottò subito Newt, la voce fredda come il ghiaccio, senza nemmeno degnarlo di un saluto. Il suo primo istinto fu di darsela a gambe, ma si costrinse a rimanere immobile, lo sguardo ancora fisso sulle assi del pavimento sotto di lui.
-A scuola...- la risposta gli uscì poco più di un sussurro, ma il silenzio attorno a loro era tale che l’altro non fece fatica a sentirla.
-Mi hai fatto preoccupare a morte, Thomas. Te ne sei andato all’improvviso, lasciandomi con persone che conosco a malapena a chiedermi dove fossi... e tu eri a scuola?- non era la prima volta che Newt lo sgridava per qualcosa, ma non riuscì comunque a impedire che il suo stomaco si attorcigliasse su sé stesso. –Siamo stati attaccati, lo sai? Pensavo ti fosse successo qualcosa. Che ti avessero preso, e io non ero stato lì per impedirlo.-
A queste parole Stiles alzò finalmente la testa, gli occhi sgranati e pieni di paura. Provò ad avvicinarsi per assicurarsi che l’altro non fosse ferito, ma il biondo si ritrasse al suo tocco. Scacciò dalla testa il pensiero di quanto quel piccolo gesto gli avesse fatto male, ancora troppo preoccupato per pensare a sé stesso: -Che è successo?-
-Se fossi stato lì lo sapresti,- lo rimbeccò Newt, il tono di disapprovazione ancora nitido nella sua voce. Stiles si morse il labbro.
-Senti, mi dispiace- tentò di difendersi, anche se sapeva che non sarebbe servito a molto senza una spiegazione valida, -Ti direi tutto, ma voglio che sia presente anche Scott. Non ho intenzione di ripeterlo due volte.-
Forse fu il rimorso sul suo viso a convincerlo, forse il fatto che il biondo non riusciva a stare arrabbiato con lui per molto, ma la sua espressione d’un tratto si addolcì. Sperò in un tocco da parte dell’altro o di un sorriso, segno che era disposto a passare oltre e dimenticare l’idiozia di Stiles, ma sapeva di star chiedendo troppo. Così sospirò e si limitò a sedersi accanto a lui, in attesa che l’altro gli raccontasse cosa era successo.
Si ritrovò a guardare il ragazzo con orrore mentre veniva a sapere dei tizi con le maschere e di ciò che avevano fatto ai suoi amici, ma più di tutto si maledisse per non essere stato lì a proteggere Newt e gli altri Radurai. Si era promesso che niente avrebbe più toccato la persona di fronte a lui, eppure non aveva fatto un buon lavoro finora.
-Il padre di Allison pensa che vadano dietro a tutti quei Pive che hanno una sorta di connessione con il sovrannaturale, ma se davvero fosse così non capisco perché abbiano preso anche me e gli altri- continuò a spiegare Newt, che era stato a casa degli Argent insieme a Scott e Isaac. –Ci ha raccontato di quando lì ha incontrati la prima volta, il suo primo incarico di cacciatore. Stavano cercando un Kumicho, il capo della yakuza, la mafia giapponese, e nel frattempo uccidevano tutto ciò che bloccava loro la strada- un leggero sospirò lasciò le sue labbra mentre si portava due dita alle tempie nello sforzo di ricordare. Stiles si accorse solo allora di quanto sembrasse stanco. –Chris era riuscito a sparare a uno di loro e a fare a pezzi la sua maschera dopo che quelli avevano ucciso l’uomo, e per questo credeva che stessero cercando lui per vendicarsi o qualcosa del genere. Ma dato che nessuno di noi si è fatto male, a parte qualche graffio, pensa che ci sia qualcos’altro sotto. Per non parlare dei segni che ci hanno impresso sulla pelle- girò leggermente la testa e spostò l’orecchio sinistro per mostrargli la strana S tatuata sotto al lobo. –Ovviamente non sappiamo che significhi, ma lui, Allison e Isaac sono già al lavoro per trovare un altro sopravvissuto a quella notte che possa dare loro delle spiegazioni.-
Stiles non si era accorto di star agitando le mani fino a che quelle di Newt non vi si posarono sopra per fermarle. Sentiva di star per avere un altro attacco di panico, e per un attimo trattenne il fiato e chiuse gli occhi per impedire che l’ansia avesse il sopravvento. –È tutto okay- lo rassicurò Newt, -Sto bene, vedi?-
Il bruno lo guardò per un lungo momento, osservando ogni particolare del suo viso in cerca di qualche graffio o bruciatura. Nulla, a parte la stanchezza. Annuì, girando i polsi in modo da intrecciare le dita con le sue, facendo scorrere i pollici sulla sua pelle.
Sapeva che ora era il suo turno di raccontare la sua parte di storia.
Ancora cinque minuti. Ancora cinque minuti in questa posizione. Si disse. Poi possiamo andare a scuola.
Cercò di non mostrare la paura nei suoi occhi mentre avvicinava le mani di Newt alla bocca per posare un leggero bacio su di esse. La paura di essere giudicato dal suo migliore amico e dal suo ragazzo per quello che aveva fatto.
 
* * *
 
Trovarono Scott ad aspettarli all’armadietto di Stiles. Fece loro un cenno con la testa non appena li vide arrivare: -Ehi, amico. Tutto okay?- gli chiese subito, spostando lo sguardo su Newt come se la domanda fosse rivolta anche a lui. Probabilmente conosceva già lo stato d’animo del biondo e voleva assicurarsi che fra loro fosse tutto a posto. Si stupì di quanto i due sembrassero andare d’accordo nonostante fossero completamente diversi, e avessero tutti i motivi per odiarsi a vicenda. Avrebbe dovuto essere contento che non ci fossero faide interne al gruppo, ma non riuscì a non provare un moto di gelosia: Newt era il suo ragazzo, ma anche il suo migliore amico e Scott era come un fratello per lui... per anni aveva avuto questi legami con loro separatamente, e ora che erano amici il pensiero che potessero legare lo faceva sentire strano.
Sei paranoico, pensò. Dacci un taglio.
Annuì all’amico, aprendo l’armadietto per prendere le cose che gli sarebbero servite per la prima ora di lezione. Ma prima doveva assolutamente parlare con loro di quello che aveva scoperto, anche se non desiderava altro che scappare da quella realtà.
-Newt mi ha raccontato quello che è successo,- cominciò, prendendo un respiro profondo.
Scott aggrottò la fronte, forse deluso dal fatto che qualcuno lo avesse preceduto. Di solito era lui il primo con cui Stiles parlava quando succedeva qualcosa. –Già. I gemelli si sono già offerti di farmi da guardie del corpo, visto che quelle strane cose non sono riuscite a prendermi.-
-Ti prego, dimmi che hai rifiutato...-
L’ispanico si strinse nelle spalle. –Sono stati irremovibili.-
Lui sospirò, spostando lo sguardo da lui a Newt. Poi fece loro cenno di seguirlo su per il corridoio, verso l’aula di chimica in cui Barrow si era nascosto. Il cuore gli martellava nel petto e ben presto si ritrovò a spiegare tutto molto in fretta, nella speranza di finire il più presto possibile. –Io e Newt stavamo parlando ieri sera, e lui mi ha fatto notare che sulla mia chiave c’era del fosforo. Allora ho cominciato a pensare all’aula di chimica e del fatto che qualcuno lo avesse lasciato entrare...- una volta dentro si bloccò nel vedere che la lavagna era perfettamente pulita. –È sparito...- mormorò, mettendosi le mani fra i capelli. Cominciò a sentire l’ansia che lo divorava, mentre gli altri due lo osservavano in un misto di preoccupazione e curiosità. –Non importa. Non importa, ho ancora la chiave.-
Si avvicinò a una delle porte in fondo alla classe, dove presumibilmente si era nascosto l’uomo, e tirò fuori dalla tasca il mazzo di chiavi. Gli ci vollero due secondi per capacitarsi che anche la chiave era scomparsa.
-Ma che diavolo?- Non poteva essersi immaginato tutto, vero? –Giuro che ce l’avevo con me. Newt l’ha vista.-
Il biondo annuì, ma così impercettibilmente che Stiles riuscì quasi a sentire i suoi pensieri. Probabilmente credeva che stesse uscendo completamente di testa. –Sono stato qui un paio di ore fa. E il messaggio lasciato per Barrow era proprio lì, con la mia calligrafia e avevo la chiave per questa porta.-
-Quindi... quindi hai aperto il ripostiglio in modo che Barrow si potesse nascondere dalla polizia e poi hai scritto il messaggio sulla lavagna, dicendogli di uccidere Kira?- chiese Newt, lo scetticismo nella sua voce udibile anche a miglia di distanza.
Stiles si lasciò sfuggire un suono di esasperazione. –Lo so che può sembrare strano... ma guardate qui.- tirò fuori il cellulare e cercò la pagina del giornale della città su internet, che poi mostrò ai due. –Queste sono le ultime notizie su Barrow di quando è stato arrestato, okay? Sulla bomba che ha usato su quell’autobus. Vedi cosa ha messo? C’erano chiodi, viti e bulloni. Che cosa ti ricorda?- Ora si stava riferendo a Scott in modo specifico, perché Newt non era presente quel giorno.
-Il coach. Lo scherzo che abbiamo fatto al coach- rispose subito lui.
-È stata una mia idea, ricordi? È stata una mia idea, non può essere una coincidenza. Non può- era così agitato che non riusciva a smettere di muoversi e la sua voce si era alzata di qualche ottava.
Scott sembrò accorgersene, e così anche Newt, il quale gli posò le mani sulle spalle per bloccarlo.
-Non vorrei dirti che ti sbagli, ma nemmeno che stai cercando di uccidere delle persone...- fece l’amico, la fronte di nuovo aggrottata. E Stiles seppe che non gli credeva, o per lo meno stava facendo di tutto per non credergli.
-Era qui... era tutto qui...- forse si era davvero immaginato tutto. Ma questo non spiegava i continui blackout che  stava avendo in questi giorni. Il primo era stato proprio la sera prima che Barrow d’infiltrasse a scuola, il secondo nella centrale elettrica. Non lo aveva detto a nessuno perché sapeva che si sarebbero preoccupati, ma forse avrebbe dovuto.
-Amico, sta bene? Sembri molto stanco- affermò di nuovo Scott, attirando la sua attenzione.
-Sto bene. Solo che non dormo molto in questi giorni-
-Forse dovremmo andare a casa,- si offrì Newt. –Dovresti riposare un po’.-
Lui annuì con rassegnazione. Sentì l’altro che gli stringeva leggermente le spalle prima che lo accompagnasse alla porta e poi verso l’entrata della scuola. C’era ancora qualche studente per il corridoio ma nessuno fece caso a loro.
Una volta fuori, prese le chiavi della jeep e si mise al volante.
-Non sarebbe meglio se guidassi io?- chiese d’un tratto Newt, con un sopracciglio inarcato.
-Nessuno tocca Roscoe a parte me- fu la sua risposta, abbastanza schietta. Non voleva mancargli di rispetto o sembrare maleducato, ma la sua macchina era una delle cose più preziose che aveva e non aveva intenzione di lasciarla nelle mani di nessun’altro. A meno che non fosse in condizioni così gravi da non poter guidare.
Con un scrollata di spalle, il ragazzo lo raggiunse sul sedile accanto al suo e chiuse la portiera. –Dovrei essere geloso, per caso?-
Un leggero sorriso si fece spazio sulle sue labbra: -Forse- gli lanciò uno sguardo divertito, e fu sollevato nel vedere che alche l’altro stava di nuovo sorridendo. Tornò a guardare la strada, all’improvviso di nuovo serio. –Mi dispiace di averti lasciato da solo, non avrei dovuto-
Il ragazzo sospirò leggermente, scuotendo la testa. –Non importa ora che so che cosa stava passando per quella tua cacchio di testolina. Vorrei solo che me l’avessi detto-
-Lo so, ma sono andato nel panico e ho agito d’impulso. Non volevo rovinarti la festa, visto che ti stavi divertendo.-
-Tommy, mi stavo divertendo perché eri lì con me- replicò l’altro. Sentiva il suo sguardo fisso su di lui ma non si azzardò a ricambiarlo. –Non mi importava niente di quella stupida festa, l’importante era passare un po’ di tempo con il mio ragazzo in completa normalità, per una volta. Poi sei corso via e non sapevo più che pensare, capisci? Credevo di aver fatto qualcosa di sbagliato, che non mi volessi fra i piedi-
-No. Diamine, no...- si affrettò a rispondere, posando una mano sul suo ginocchio. Questa volta gli lanciò un veloce sguardo, per fargli capire che era serio. –Newt, io darei di tutto per poter avere un altro momento come quello con te. E non mi sognerei mai di spingerti via, okay? Ti amo da morire, e non hai idea di quanto vorrei che fossimo una coppia normale con una vita normale. Ma non lo siamo... e dopo tutto quello che è successo negli ultimi anni spesso e volentieri finisco per chiudermi a riccio e affrontare le cose da solo. Non l’ho fatto perché non ti volevo con me, te lo giuro.-
Per un attimo Newt sembrò esitare, comprensibile visto che ultimamente tutti quelli che conosceva sembravano essersi messi d’accordo per deluderlo, ma poi una mano scivolò nella sua e la strinse e allora Stiles si permise di respirare di nuovo. –Ti credo. E ti amo anch’io, ma devi promettermi che d’ora in poi nessuno farà nulla senza che ci sia anche l’altro. L’ultima cosa che voglio è perderti di nuovo.-
-Bene così- rispose lui, con un cenno della testa. Ovviamente se non avesse perso la testa prima. –E quando tutto questo sarà finito, potremo stare tranquillamente insieme tutto il tempo che vorrai- aggiunse, più per convincere sé stesso che l’altro.
Ma finirà mai?
Forse quel pensiero aveva colpito anche Newt, perché lo sentì sospirare: -La situazione si sta facendo seria, vero?-
Stiles avrebbe voluto che ci fosse un’altra risposta a quella domanda. Avrebbe voluto che il peggio non arrivasse, perché significava sempre che qualcuno stava per farsi del male. La prima volta Lydia per colpa di Peter, poi Jackson era quasi morto e anche se non gli stava per niente simpatico non avrebbe mai voluto una fine del genere per lui. Erica e Boyd erano morti. Lui, Allison e Scott ci erano andati molto vicini.
No, decisamente non gli piaceva quando le cose diventavano serie, soprattutto non se lui era uno dei soggetti più colpiti. Ma ovviamente non poteva mentire a Newt. –Già,- ammise, a bassa voce. –Ma lo supereremo, vedrai. Come sempre.-
Parcheggiò davanti ad una siepe, il solito posto in cui metteva la jeep quando veniva lì.
-Pensavo stessimo andando a casa?- chiese Newt, accorgendosi solo allora che quella non era affatto casa Stilinski.
Era quello il piano iniziale, ma ad un certo punto Stiles si era ritrovato a cambiare completamente direzione, ed ora si trovavano fuori dall’ospedale. I suoi amici non glielo avrebbero mai detto, ma lui doveva assicurarsi che la sua sanità mentale fosse a posto. Soprattutto perché aveva cominciato a notare sintomi piuttosto sospetti.
Ignorò completamente la preoccupazione sul volto di Newt e scese dall’auto, dirigendosi a passo spedito verso l’entrata. Sentì l’altro che tentava di stargli dietro, ma non disse una parola. Raggiunto il bancone dove era seduta Melissa, la madre di Scott, chiese del suo dottore per una visita.
-Il Dottor Gardner torna nel fine settimana,- gli rispose lei dopo aver chiamato il reparto. –Stiles, tutto okay?- lanciò un’occhiata anche all’altro ragazzo in piedi accanto a lui, l’agitazione evidente sul viso di entrambi.
-Non lo so...- fece lui, posando una mano sulla fronte. –Immagino di no.-
Melissa si alzò all’istante, come se davanti a lei ci fosse suo figlio e doveva fare di tutto per farlo stare meglio. –Okay, tesoro. Vieni con me.-
Li portò verso una stanza vuota e fece sedere Stiles sul letto. Poi prese in mano una cartellina e cominciò a fargli domande sui suoi sintomi. Con la coda dell’occhio vide Newt, seduto su una delle sedie lì accanto, sporgersi leggermente in avanti.
Fece un checkup mentale di tutti i problemi che stava avendo: -Blackout, ma non da molto. E sonnambulismo, cosa che mi accadeva spesso da piccolo. Uhm... sto avendo anche un sacco di ansia.-
-Attacchi di panico?-
Annuì. –Un paio. Oh, e ho anche perso la capacità di leggere per un po’. Ma questo penso sia dovuto a un certo albero gigante e a dei sacrifici umani.-
Melissa gli sorrise dolcemente. –Già, credo di ricordare qualcosa del genere. Quante ore hai dormito ultimamente?-
-Otto.-
-A notte?-
-Negli ultimi tre giorni...- mormorò. Sentì Newt che si muoveva sulla sedia, probabilmente sentendosi in colpa per non essere riuscito a farci nulla.
Dopo un attimo di esitazione ed aver armeggiato con qualche oggetto su un tavolo, Melissa continuò con le domande: -Ti senti facilmente irritabile?-
Stiles si morse il labbro. –Sì, fino al punto di uccidere qualcuno.-
-Incapacità di concentrazione?-
Scosse la testa.
-Comportamento impulsivo?- chiese ancora, e prima di rispondere Stiles lanciò un’occhiata al ragazzo. –Più del solito, dici? Non saprei.-
-Sogni abbastanza vividi durante il giorno?-
-Okay, praticamente tutto quello che hai detto. Sai che cos’ho?-
La donna si voltò verso di lui impugnando una siringa, che lui guardò con sospetto. –Credo di saperlo. Ti fidi di me?-
-Non quando hai un ago in mano...- replicò, provocando una leggera risata a Newt. Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per non scappare quando Melissa lo avvicinò alla sua spalla e gli iniettò il sedativo. La sua vista cominciò ad offuscarsi quasi subito. –Hai bisogno di riposare e subito. Immagino dal suo sguardo che il tuo amico starà qui con te per tutto il tempo, quindi non preoccuparti di nient’altro.-
Lo aiutò a stendersi sul letto, coprendolo poi con le lenzuola bianche. Gli occhi gli divennero pesanti non appena ebbe appoggiato la testa sul cuscino, ma prima di addormentarsi completamente, forse per colpa del sedativo, riuscì a dire un’ultima cosa: -Grazie, mamma.-
E poi tutto si fece nero.
 
* * *
 
Si svegliò con le luci del tramonto che filtravano dalla finestra. Newt era addormentato sulla sedia dove l’aveva lasciato, la testa appoggiata al letto sopra le braccia. Il suo primo istinto fu di accarezzargli i capelli e rimanere lì ad osservare la sua espressione da angelo per tutta la sera, ma non voleva rischiare di svegliarlo. Così, il più silenziosamente possibile, scese dal letto ed uscì in corridoio, che era stranamente vuoto. Cominciò a cercare Melissa, senza però trovarla da nessuna parte; forse aveva finito il turno.
Quindi fece per tornare indietro verso la sua stanza, ma dopo aver oltrepassato una porta di trovò la strada sbarrata da degli uomini completamente vestiti di nero, con delle maschere a coprire il viso. Capì con orrore che si trattavano delle creature descritte da Newt.
Provò a voltarsi e a scappare ma era circondato. Erano quattro contro uno, non li avrebbe mai sconfitti da solo.
Fissò impaurito quello più vicino a lui, che aveva allungato una mano coperta da un guanto nero per toccargli il viso.
E all’improvviso una strana rabbia che non gli apparteneva si impossessò di lui. Con uno scatto afferrò il polso della creatura e lo bloccò, fissando lo sguardo nei suoi profondi occhi gialli. In un altro movimento repentino, affondò la mano libera dritta nel petto fatto completamente di ombra dell’uomo fino a trovare ciò che gli dava vita. Lo strinse fra le mani e lo tirò fuori dal suo corpo mentre la creatura si dissolveva sotto la sua presa.
Lanciò uno sguardo di sfida agli altri, ma quelli non si mossero di un millimetro. Se ne andarono dopo due secondi.
Stiles aprì il palmo della mano per guardare la cosa che si stava dibattendo debolmente al suo interno: una lucciola, la cui luce cominciava a spegnersi.
-Stiles? Tutto okay?-
Una voce che sembrò venire da lontano lo riportò alla realtà. La lucciola gli cadde di mano e per un attimo lui si guardò attorno per capire dove si trovava, perché non ricordava nulla di quello che gli era successo negli ultimi due minuti. Scott e Newt lo fissavano dalla porta, in attesa di una sua risposta.
-Sì,- disse, sbattendo leggermente le palpebre, perplesso. –Che è successo?-
Newt aveva i capelli scompigliati e un espressione esausta disegnata sul viso, segno che era stato svegliato in modo piuttosto brusco. Scott invece era tutto trafelato, le mani coperte di sangue e il fiatone, come se fosse stato recentemente sottoposto a qualche sforzo.
Non era sicuro di voler sapere cos’altro era accaduto, ma si apprestò ad ascoltare comunque.
 
 
NEWT’S POV
 
Newt non si era nemmeno accorto di esserti addormentato, tantomeno di aver dormito così tanto. Venne svegliato bruscamente da Scott verso sera tarda e non ci fu nemmeno bisogno delle domande. Thomas era sparito. Come aveva fatto a non accorgersene?
Si alzò di colpo dalla sedia scaraventandola a terra e insieme all’ispanico corse in corridoio a cercare il ragazzo. Non se ne sarebbe mai andato senza di lui, giusto? Magari era ancora addormentato e stava vagando per l’ospedale, ma il sedativo avrebbe dovuto impedire una cosa del genere. Oppure era semplicemente uscito per andare in bagno.
Corsero per tutto il corridoio fino a che Scott non riuscì a trovarlo, in una stanza buia oltre una porta. Se ne stava in piedi, immobile, la schiena rivolta verso di loro. C’era qualcosa di veramente inquietante in quella strana posizione, e Newt non riuscì a non preoccuparsi. Che cosa diavolo stava succedendo a Tommy?
Quando però si voltò verso di loro non c’era nulla di strano in lui, nonostante sembrasse confuso per qualche motivo. Il biondo aggrottò la fronte mentre ascoltava i due parlare, senza distogliere mai lo sguardo dal ragazzo. Si avviarono di nuovo verso la stanza dove Scott avrebbe potuto aggiornarli tranquillamente: a quanto pareva erano successe parecchie cose mentre loro erano lì a poltrire.
-Isaac, Allison e Argent hanno scoperto cosa sono quelle creature- cominciò infatti non appena furono al sicuro da orecchie indiscrete. –Si chiamano Oni, provengono dalla cultura giapponese. Sono dei demoni incaricati di cercare uno spirito maligno, una Kitsune del male detta anche Nogitsune. Quando ti toccano è per testare che tu sei ancora te stesso, che è esattamente ciò che significa la S. È un kanji giapponese. Quando ho capito che stavano cercando anche Kira, l’ho portata a casa mia per tenerla al sicuro. Non sapevo ancora le vere intenzioni degli Oni e quindi per un po’ abbiamo cercato di combatterli. Nel frattempo quell’idiota di mio padre si è quasi fatto ammazzare- un suono di frustrazione uscì dalla sua bocca.
Ecco da dove proveniva il sangue.
-Abbiamo scoperto che Kira è una Kitsune, ma è innocua e ancora inesperta. Non appena Allison è riuscita a informarci su ciò che avevano saputo, io e Kira ci siamo fatti testare. Lei è salva, perciò immagino che stiano cercando nel posto sbagliato- concluse, massaggiandosi il collo.
Per qualche strano motivo, però, quelle parole non lo rassicurarono per nulla. Anzi, lo preoccuparono anche di più. Se davvero stavano sbagliando bersaglio, perché controllare anche lui che non aveva nulla a che fare con il sovrannaturale?
C’era qualcosa di infinitamente sbagliato nel modo in cui si stavano muovendo. E soprattutto sembrava avessero preso di mira il branco di Scott in particolare. Quindi, a rigor di logica, l’unico che mancava all’appello era Thomas. Ma non poteva essere lui il Nogitsune, uno spirito cattivo. Certo, Tommy riusciva ad essere spietato quando voleva, non aveva esitato a uccidere l’Uomo Ratto e tutti quegli Spaccati, ma da quando l’aveva ritrovava sembrava si fosse addolcito, che fosse diventato di nuovo quel ragazzino innocuo prima delle Prove.
Eppure non poteva nemmeno ignorare tutte le cose insolite che gli stavano capitando.
-Terra chiama Newt- la voce di Tommy lo riportò alla realtà. Si accorse che gli altri due si erano alzati e avevano raggiunto la porta, doveva essersi assentato per qualche secondo. –Torniamo a casa, non c’è nulla da fare qui.-
Lui annuì e si affrettò a raggiungerli, il cuore che gli pulsava forte nel petto. Cercando di farlo sembrare un gesto casuale, fece scivolare la mano in quella di Thomas e la strinse, come se lui potesse scappare da un momento all’altro. 



Angolo autrice: Ehi, Pive. Scusate per l'attesa, ma sono malata da due mesi e questa praticamente è la prima volta che riesco a scrivere qualcosa di sensato. Comunque non preoccupatevi, domani aggiornerò di nuovo.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Tutti la possiedono, ma nessuno può perderla ***


Tutti la possiedono, ma nessuno può perderla
 
NEWT'S POV

-Per favore, Tommy. Per favore.-
Denver. Il metallo freddo della canna della pistola sulla fronte. Due paia di iridi color cioccolato lo fissavano con disperazione.
Sentiva il respiro pesante e l’ultimo sprazzo di sanità mentale che gli rimaneva scivolare lentamente via. Voleva farla finita, il più presto possibile. Ma il Newt che stava sognando sapeva di non avere davvero l’Eruzione e che presto Thomas si sarebbe sporto, lo avrebbe baciato e lo avrebbe rassicurato.
Sarebbe successo, da un momento all’altro. Era pronto a rivivere quella scena per la milionesima volta.
Con suo sommo stupore e orrore, però, gli parve di intravedere invece un ghigno formarsi sulle labbra dell’altro. Era malvagio, un’espressione che non apparteneva affatto alla Testa di Caspio di cui si era innamorato. Anche il suo sguardo era cambiato, ora era più sicuro di sé, pieno di cattiveria, e in qualche modo Newt seppe cosa sarebbe venuto dopo. Chiuse gli occhi. Voleva svegliarsi... voleva svegliarsi subito.
L’ultima cosa che udì fu un rumore che sperò di non dover sentire mai più, come di uno scoppio.
 
Newt si svegliò nel cuore della notte, in un bagno di sudore. Era la prima volta che quell’incubo prendeva una piega del genere, non era mai successo che Thomas avesse premuto il grilletto. E non importava quanto provasse a ripetersi che era stato solamente un sogno, l’espressione di pure odio nel volto del ragazzo continuava a presentarsi di fronte a lui... e solo il pensiero che Tommy potesse fargli davvero male era insostenibile, gli provocava una fitta dolorosa al petto.
Erano passati due giorni da quando avevano scoperto l’esistenza del Nogitsune, ma questa era la prima volta che Newt aveva un incubo a riguardo.
La sua mano si posò sulle coperte accanto a lui, e solo allora si accorse che qualcosa non andava. Abbassando lo sguardo notò che il posto dove doveva trovarsi il bruno era vuoto.
-Tommy?- chiamò. –Thomas?!-
Fece per alzarsi, ma la sua faccia incontrò diversi fili rossi che dai piedi del letto salivano fino alla parete, dove erano attaccati insieme a delle foto. Sgranò gli occhi. Non c’era nulla di tutto quello la sera prima, ne era abbastanza sicuro.
Rotolò giù dal letto, correndo poi per tutta la casa in cerca del ragazzo, ma di lui non vi era nessuna traccia. Che cosa poteva fare? Chiamare Stilinski? Dirgli che suo figlio era scomparso?
Così gli avrebbe fatto venire un infarto, e se poi fosse stato un falso allarme si sarebbe ritrovato uno sceriffo fumante alle calcagna. No, meglio chiamare qualcuno che avesse potuto aiutarlo senza fare troppi danni. Si vestì in fretta e furia, con i primi vestiti che riuscì a trovare nell’armadio di Thomas. Si era dimenticato di andare a prendere i suoi il giorno prima, perciò doveva adattarsi, anche se gli stavano un po’ larghi.
Una volta fuori casa, compose il numero di Scott al cellulare mentre si affrettava lungo la strada. Il ragazzo rispose al secondo squillo:
-Mmh... Newt?- la sua voce impastata risuonò dall’altra parte del telefono.
-Mi dispiace doverti svegliare, ma sto venendo a casa tua. È un’emergenza.-
E con questo riattaccò, senza nemmeno aspettare la risposta dell’altro. Corse più veloce che poté fino a casa dei McCall, dove arrivò circa dieci minuti più tardi. Scott lo aspettava all’entrata con Isaac alle calcagna, le sopracciglia alzate in un’espressione confusa.
-È Thomas!- non esitò a spiegare non appena fu di fronte a loro. Si piegò in avanti, tentando di riprendere fiato. Non aveva più corso in quel modo da anni, e la gamba gli doleva terribilmente, ma non poteva pensare alle proprie condizioni ora. –Mi... mi sono svegliato... e non c’era. Ho cercato per tutta la casa, ma è sparito. Non c’è nemmeno la jeep.-
Come in risposta, il cellulare di Newt cominciò a squillare. Gli venne un colpo quando vide il nome sullo schermo, il suo cuore che sembrava voler schizzare fuori dal petto. Alzò lo sguardo sui due, che lo stavano guardando con occhi sgranati e pieni di preoccupazione, poi rispose alla chiamata mettendola in vivavoce: -Tommy? Tommy ci sei?- poteva sentire il tono di supplica nella propria voce.
-N-Newt?- un singhiozzo. Thomas stava piangendo.
E finalmente la paura cominciò a impossessarsi seriamente di lui.
-Ehi, sono qui. Stai bene? Puoi sentirmi?- continuò a parlare, nel tentativo di rassicurare l’altro con la propria voce, ma persino lui aveva cominciato a tremare e l’unica cosa che gli impedì di far cadere il telefono a terra fu Scott, che lo prese fra le mani prima che lui potesse fare danni.
-Newt, non so dove mi trovo. Non so come ho fatto ad arrivare qui. Credo di aver camminato nel sonno...-
La disperazione nella sua voce gli faceva venire voglia di mollare tutto e correre da lui. Ma sapeva che sarebbe stato inutile se prima non gli avesse dato qualche indizio su dove potesse trovarsi.
-Okay, uhm...- fece allora l’ispanico, dato che lui sembrava entrato in una sorta di trance. –Che cosa vedi?-
-Scott?- disse l’altro in un sussurro. –Non lo so, è buio. C’è qualcosa che non va con la mia...-
La sua risposta venne tagliata a metà e rimpiazzata da un paio di TUD che misero ancora più ansia a Newt. Era caduta la linea.
Scott si affrettò a richiamare il numero, anche se dovette riprovare più volte prima che Thomas rispondesse. Ormai il biondo si stava mangiando le unghie per l’agitazione.
-Stiles?-
-Scott... non credo di riuscire a uscire di qui. Non riesco a muovermi.-
-Dove sei?-
-Non lo so. È troppo buio, non riesco a vedere niente e c’è qualcosa che non va con la mia gamba. Credo sia incastrata da qualche parte. Credo... credo stia sanguinando.-
A questo punto Newt si era aggrappato ai propri capelli così forte che la nuca aveva cominciato a fargli male. Si stava sforzando di non piangere e di essere forte, perché non sarebbe stato di molto aiuto in quel caso. Provò a fare dei respiri profondi per calmarsi e, appena fu sicuro che la sua voce fosse abbastanza stabile, provò a parlare: -Quanto è grave?- Nessuna risposta. -Tommy, quanto è grave? Puoi sentirmi?-
Un altro singhiozzo. Un sospiro tremante. –C’è qualche strano odore qui dentro. Puzza terribilmente. È orribile, mi lacrimano gli occhi.-
Newt e Scott si scambiarono un’occhiata. Non sarebbero mai riusciti a capire dove si trovava con così poco. –Okay, senti, ora chiamo tuo padre...-
-NO! No, no, no. Non lo fare.-
-Ma tuo padre...-
-Non lo fare. Per favore, no. Promettimi che non lo farai. Si preoccupa già abbastanza per me. Venite a prendermi, potete farcela. –
-E se non riusciamo a trovarti?- non si era accorto di essersi aggrappato alla maglia di Scott. Non avrebbe resistito ancora lungo prima di scoppiare in qualche sorta di attacco isterico. Per un attimo si sentì come se avesse ancora l’Eruzione e voleva a urlare agli altri due di muoversi, che non c’era tempo da perdere, ma si costrinse a mantenere la calma.
L’Eruzione non esiste.
-So che ci riuscirete. Ora devo andare, devo spegnere il telefono-
Entrambi sgranarono gli occhi: -Cosa? No, aspetta!-
-Vi richiamo io- e con queste parole appena sussurrate riattaccò, facendo ripiombare la stanza in un silenzio colmo di tensione. Cosa avrebbero dovuto fare ora? Restare lì finché non li avesse richiamati, o cominciare le ricerche? Newt cercò nuovamente lo sguardo di Scott per un aiuto, perché attualmente non riusciva a pensare. Era la prima volta che non riusciva a stare lucido nonostante la situazione complicata: aveva passato due anni in una Radura, era diventato il Secondo in Comando e per questo aveva dovuto prendere diverse decisioni; aveva affrontato Dolenti, Spaccati, attraversato una landa desolata sotto il sole cocente... e persino nel breve periodo in cui aveva perso la testa, sapeva esattamente cosa andava fatto.
Ora si sentiva completamente perso. Forse si era rammollito.
Fortunatamente il licantropo non lo giudicò, anche lui sembrava tremendamente turbato nonostante cercasse di non darlo a vedere: -Va bene. Newt, tieni d’occhio il telefono. Isaac, vai a prepararti, andiamo a casa di Stiles.-
-Forse dovrei chiamare i miei amici, potrebbero aiutare- suggerì lui, la voce ancora leggermente tremante.
Al cenno di assenso dell’altro, riprese in mano il telefono e digitò velocemente il numero di Teresa. Era quella con il sonno meno pesante e sicuramente l’avrebbe sentito squillare, ma le ci volle comunque un po’ prima di rispondere. E, nonostante la voce assonnata, sembrava sorpresa di sentirlo: -Newt? Che succede?-
-Thomas è sparito. Sveglia tutti, ci vediamo a casa sua fra dieci minuti.-
-Cosa?! Come è suc...-
Ma Newt non la lasciò finire. Riagganciò subito dopo averla avvertita, poiché non voleva sprecare tempo prezioso in caso il ragazzo avesse richiamato. Isaac nel frattempo era tornato e Scott si era messo la giacca, perciò si avviarono subito verso casa Stilinski, il più in fretta che poterono. A metà strada il biondo sentì il cellulare vibrare nella tasca dei jeans e si bloccò di colpo per rispondere: -Tommy, ehi!-
-Hai chiamato mio padre?-
Gli altri si voltarono a guardarlo. Non mise nemmeno in vivavoce sapendo che con il loro udito sovrannaturale avrebbero sentito comunque. –No, solo i Radurai. Stiamo venendo a cercarti- chiuse un attimo gli occhi, cercando di pensare. –Hai qualche idea su dove ti trovi? Prova a dirci cosa vedi così sappiamo dove andare.-
Un attimo di silenzio. –È un sotterraneo. Credo... credo sia un sotterraneo.-
-Di una casa?-
-No, sembra più grande. Tipo quello di un industria. Credo ci sia una caldaia- Newt guardò gli altri. Non conosceva bene Beacon Hills, per questo sperò che a loro potesse dire qualcosa, ma dalle loro espressioni spaesate e le fronti aggrottate capì che nemmeno loro avevano idea di dove fosse. Furono le parole seguenti però a preoccuparlo ulteriormente: –E fa freddo. Si gela qui sotto...-
Se Thomas aveva camminato nel sonno probabilmente indossava ancora il pigiama a maniche corte, e quella notte faceva particolarmente freddo. Non ci sarebbe voluto molto prima che entrasse in ipotermia, dovevano assolutamente sbrigarsi.
-Devo spegnere il telefono, sta per scaricarsi-
-No, aspetta, aspetta!- Newt si aggrappò al cellulare come se questo potesse far restare Thomas un po’ più a lungo. –Cosa c’è? Cos’altro vedi?-
Quando parlò di nuovo, dopo qualche secondo, la sua voce si era abbassata ulteriormente, e lui fece quasi fatica a capire cosa stesse dicendo: -Ho il telefono scarico. Non posso parlare. Devo andare...-
-Tommy, perché stai sussurrando?- sentì che qualcosa gli bloccava la bocca dello stomaco. Ora capiva come doveva sentirsi lui ogni volta che aveva un attacco di panico, non era per niente piacevole. Non riusciva a respirare.
E il suo orrore aumentò non appena ricevette la risposta: -Perché credo che ci sia qualcuno qui con me.-
La chiamata si concluse così, con quella semplice frase che aleggiava nell’aria fra loro. Newt rimise in tasca il cellulare e ricominciò a camminare come se fosse appena stato avvertito della morte di qualcuno. Sapeva che c’era ancora speranza e non aveva intenzione di arrendersi, ma dopo tutte le persone che aveva visto spirare davanti ai propri occhi, non riusciva a fare altro che pensare al viso agonizzante di Thomas. E al fatto che avrebbe potuto perderlo da un minuto all’altro se non si fossero sbrigati.
Sentiva su di sé gli sguardi dei due lupi mannari, così intensi che avrebbero potuto trapassarlo da parte a parte: non aveva idea di cosa stessero pensando, o di come facessero a stare così calmi. Scott soprattutto sembrava stesse mantenendo una calma quasi inquietante, e Newt lo invidiava parecchio per questo.
Casa Stilinski era esattamente come l’aveva lasciata, solo che all’interno sembrava si fosse riunita tutta la banda; i Radurai erano in salotto a parlottare a bassa voce, e vennero loro incontro non appena varcarono la soglia. Minho gli posò una mano sulla spalla in silenzioso conforto, per dirgli che avrebbero superato anche questo. Il biondo poteva percepire nel suo sguardo la gratitudine per averli chiamati, e malgrado tutto riuscì ad accennare un lieve sorriso. Forse era sulla buona strada per perdonarli, dopotutto non poteva biasimarli per la loro decisione. Avrebbe voluto che le cose si fossero svolte in modo diverso, tutto qui. E poi erano pur sempre la sua famiglia, non riusciva a tenere il broncio a lungo con loro.
-Lydia e Aiden vi aspettano di sopra- disse Gally, dopo aver fatto un cenno verso di lui. –Sono arrivati qualche minuto prima di noi.-
Annuendo, fece per avviarsi verso la stanza di Thomas, dove sapeva gli altri avevano trovato i fili rossi, ma prima che potesse muovere anche solo un passo Teresa si avvicinò e lo abbracciò. Non si era reso conto di quanto gli fosse mancato quel tipo di contatto finché non sentì le sue braccia esili, ma che nascondevano una grande forza, attorno a sé, e non esitò a ricambiare il gesto. –Lo troveremo, vedrai.-
Con un segno di assenso e un debole sorriso, si separò da lei per raggiungere i licantropi; come previsto stavano osservando quello che aveva fatto Thomas prima di andarsene: -Come lo sapevate? Ha chiamato anche voi?- stava chiedendo Scott.
-L’ho sentito- rispose semplicemente la ragazza.
-Non chiedete,- aggiunse Aiden. –Diventa più confuso se chiedete.-
Newt pensò che dovesse trattarsi di qualche capacità in quanto Banshee, il che non era un buon segno visto che, se non ricordava male, quelle creature predicevano la morte. Un brivido lo percorse lungo tutta la spina dorsale a quel pensiero, che cercò di cacciare via.
-Non così confuso come questo...- ribatté però Lydia, accennando ai fili. Gli tornò in mente una cosa che gli aveva detto Tommy non molto tempo prima, quando gli aveva chiesto cosa significassero i diversi colori che utilizzava: verde per i casi risolti, giallo per le cose che non sapeva, e...
-Usa il rosso per i casi irrisolti- dissero insieme, scambiandosi uno sguardo subito dopo. Newt non riuscì a non provare un po’ di gelosia nei suoi confronti, nonostante ormai sapesse che fra i due non c’era nient’altro che amicizia e affetto reciproco. –Forse si considera un caso irrisolto?- chiese lei.
-Perché lo è, magari- suggerì Isaac, che fino ad allora era stato in silenzio. Non era ancora riuscito a inquadrare per bene quel ragazzo, ma c’era qualcosa che non gli piaceva di lui. Forse la sua schiettezza?
Gli occhi di tutti si spostarono su di lui, ma fu di nuovo Lydia a parlare: -Aspettate, volete dire che è ancora là fuori? Non sapete dov’è?-
Scott scosse la testa e l’aggiornò su tutto ciò che Thomas aveva detto loro: -Questa è la notte più fredda dell’anno. E la temperatura dovrebbe scendere ancora.-
-Okay, cosa ha detto suo padre?-
-Non gliel’abbiamo ancora detto...- ammise il licantropo, e il rimorso fu evidente sul suo viso quando ricevette uno sguardo di rimprovero da parte della ragazza. –Stiles sta sanguinando, sta gelando, e voi non chiamate suo padre?- Ora stava guardando anche Newt, il quale si fece piccolo piccolo in risposta. Se non fosse stato preoccupato a morte, forse avrebbe speso un breve momento per complimentarsi con lei per la sua capacità di intimidire le persone, nonostante il suo viso a prima vista angelico e completamente innocuo.
Spostò il peso del corpo da una parte all’altra, leggermente in imbarazzo: -Gli abbiamo promesso di non farlo. Ma Scott e Isaac possono rintracciarlo grazie all’odore.-
-La sua jeep è scomparsa, potrebbe essere ovunque.-
-Lo so...-
Lydia guardò di nuovo i fili rossi, mordendosi il labbro: -Voi avete promesso di non chiamarlo, io no.-
-No, aspetta. Posso cercare aiuto altrove, contattare Derek, Allison...- Scott ora la stava quasi implorando. –Tutti ma non la polizia.-
Aiden sbuffò, dall’altro capo della stanza: -Idea geniale. Vi ricordate che Lydia ha questo tipo di sensazioni ogni volta che qualcuno sta per morire, vero?-
Proprio quello che aveva pensato lui prima. Non c’era bisogno di ricordarglielo, ma aveva ragione. –Non devi chiamare suo padre. Andremo alla stazione di polizia- si intromise lui, deciso a fare qualsiasi cosa per salvare Thomas. Anche se significava venire meno alla sua parola.
La ragazza lo guardò e annuì, allungando una mano per posarla sul suo braccio. Forse non era così male, forse dopo tutta questa storia sarebbero anche riusciti a diventare amici e lui avrebbe riposto il risentimento che provava per lei.
-Vi raggiungiamo- disse poi.
-Cosa? Perché?-
-C’è qualcosa qui...-
-Già- mormorò Isaac, e all’improvviso Newt decise che no, non gli piaceva affatto. –La prova di un’instabilità mentale.- Voleva prenderlo a pugni, dirgli di tenersi i suoi cavolo di commenti per sé, ma poi, dovette ammettere, non aveva tutti i torti. Riusciva a riconoscere i segni della pazzia quando li vedeva, e Thomas... beh, diciamo che non stava troppo bene.
-Cercheremo di capire cosa c’è che non va in lui appena gli avremo impedito di morire per ipotermia- sbottò, girando i tacchi per tornare di sotto, i due licantropi subito dietro di lui.
 
 * * *
 
Le ricerche erano cominciate subito. Lo sceriffo non aveva perso un attimo e aveva mandato alcuni agenti a cercare la jeep, o a controllare tutti i sotterranei possibili. Ben presto si erano ritrovati al Beacon Hills Hospital dove Thomas aveva lasciato la macchina, senza benzina, probabilmente perché aveva lasciato i fanali accesi. Dopo un veloce controllo e l’aiuto dei licantropi, avevano convenuto tutti che il ragazzo non si trovava lì e che se n’era andato da un po’. Ma che cosa era venuto a fare?
La risposta la trovarono sul tetto, dove li aspettava Derek: -Hai notato quanto sia forte l’odore qui sopra?- stava dicendo a Scott. Newt si avvicinò a loro per ascoltare meglio. –Ti ho mai parlato dei segnali chimici che comunicano le emozioni? E solo il nostro sudore può significare rabbia, paura o... disgusto. Respira profondamente e dimmi cosa senti.-
L’ispanico fece come ordinato; chiuse gli occhi per qualche secondo, prendendosi il tempo per captare tutti gli odori. Poi li riaprì e guardò il suo maestro: -Stress.-
-E ansia.-
-Che cosa stava facendo qui sopra?- Newt non riuscì più a trattenersi e si intromise nella conversazione. Per qualche strano motivo, Derek gli lanciò uno sguardo torvo, come per dirgli: “E tu che diavolo ci fai qui?”. Aveva la vaga impressione di non piacere molto all’ex Alpha, ma non riusciva a capire perché. Sin da quando si erano incontrati e lui era stato presentato come l’ “amico di vecchia data e ragazzo di Stiles”, in qualche modo si era attirato l’antipatia dell’altro. Non sapeva se era un bene o un male visto che era un tizio dannatamente enorme, per non parlare del fatto che aveva una forza sovraumana, e avrebbe potuto farlo a pezzi senza nemmeno battere ciglio.
Rabbrividì involontariamente al pensiero.
-Non lo so, ma c’è stata decisamente una lotta- si decise finalmente a rispondere.
-Contro chi?-
Derek volse lo sguardo verso gli impianti elettrici attorno a loro. –Sé stesso.-
E il cuore di Newt gli balzò nel petto. Per tutto il tempo aveva cercato di ignorare quella vocina nella testa che gli suggeriva questa possibilità, aveva avuto troppa paura di ascoltarla: ma se davvero Thomas fosse il Nogitsune? Se avesse avuto uno dei suoi soliti blackout per colpa dello spirito?
Derek lasciò che le sue parole facessero effetto, prima di congedarsi, non senza aver lanciato un’altra occhiataccia a Newt: -Vado a controllare a scuola, voi tornate da Stilinski.-
Poi se ne andò, lasciandoli da soli a riflettere sulla nuova scoperta, e Scott sembrava stranamente più silenzioso del solito.
-Non gli piaccio molto- affermò il biondo, per rompere un po’ la tensione che si era formata, lo sguardo fisso sulla porta oltre la quale era sparito il ragazzo. Con sua sorpresa, l’ispanico si mise a ridere: -È solo geloso, vedrai che gli passerà.-
Newt gli lanciò uno sguardo interrogativo. Geloso di cosa?
Così Scott si affrettò a spiegare, con una scrollata di spalle: -Derek ha sempre provato un certo affetto per Stiles. Si comporta come se non gli importasse, ma in realtà si preoccupa tanto quanto tutti noi. Ho perso il conto di quante volte quei due si siano salvati la pelle a vicenda.-
Oh...
Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per non ingelosirsi a sua volta. Non era il momento adatto per pensare a queste cose. E poi davvero non ce n’era nemmeno bisogno: Thomas stava con lui, gli aveva assicurato che non c’era nessun altro. L’unica cosa che poteva fare era fidarsi.
Lo riportò alla realtà un leggero BIP proveniente dal cellulare di Scott, che lo controllò in fretta prima di alzare di nuovo lo sguardo su di lui: -Lydia pensa di sapere dove si trova, andiamo.-
I suoi occhi si illuminarono mentre un moto di speranza gli attraversava tutto il corpo: -Dove?-
-Eichen House-
Newt rabbrividì. Thomas gli aveva raccontato di quel posto; era il manicomio in cui era stato rinchiuso Barrow, e solo il pensiero che il ragazzo si trovasse lì, da solo, in mezzo ai matti gli ricordava i giorni passati al Palazzo degli Spaccati. D’un tratto era intenzionato a trovarlo ancora più in fretta.
 
* * *
 
Lydia si era sbagliata. Aveva avuto una delle sue sensazioni e Newt si era fidato, ma non avrebbe dovuto. Aveva lasciato che la speranza si impossessasse di lui, e la delusione si era abbattuta su di lui come un macigno quando avevano trovato il sotterraneo completamente vuoto.
Stilinski si era messo a urlare contro di lei.
Lui invece si era trattenuto, solo perché aveva visto il senso di colpa negli occhi della ragazza. Decisamente nemmeno lei si aspettava di aver sbagliato, e capì che non se lo sarebbe mai perdonato.
-Era qui... ne sono sicura...- aveva mormorato, mentre risalivano le scale e uscivano dall’edificio a testa bassa. Solo allora era arrivata la chiamata da parte di McCall, il quale dopo essere stato messo al corrente delle ricerche aveva deciso di aiutare, insieme a Melissa. E, grazie alle sue intuizioni dovute a esperienze personali, lo avevano trovato.
In un posto in cui nessuno di loro si sarebbe mai immaginato di cercare: la tana di Malia.
 
STILES’ POV
 
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando aveva chiamato Newt, forse cinque, dieci minuti. Faceva sempre più freddo e la gamba gli doleva ogni volta che tentava di muoverla, come se potesse strapparsi da un momento all’altro. Puntò la torcia del telefono su di essa, guardando con disperazione la trappola per orsi dentro a cui era incastrata. E per l’ennesima volta si chiese come diavolo avesse fatto a finire lì sotto: era una stanza piuttosto grande, una specie di magazzino; dietro e accanto a lui c’era la caldaia, mentre di fronte un divano piuttosto logoro e degli scaffali con delle scartoffie. Sopra c’era una finestrella da cui filtrava un po’ di luce, ma non abbastanza da poter vedere.
Un leggero suono, come di un sasso che tocca il pavimento, proveniente dalla parete alla sua sinistra, lo fece sobbalzare e subito spostò la torcia verso la sua origine.
-Chi è là?- urlò, mentre tentava di mettere a fuoco la figura illuminata debolmente. Si trattava di un uomo, ma c’era qualcosa di sbagliato in lui: teneva la schiena curva e aveva la testa e le mani completamente fasciate con della garza sudicia, come se risalisse a tanti anni fa. Se non fosse stato per la giacca e i pantaloni ancora vagamente intatti, avrebbe pensato che si trattasse di una sorta di mummia. Ma la cosa che gli fece accapponare di più la pelle, fu la lettera che l’uomo stava scrivendo sul muro con un gesso trovato chissà dove: una S.
-Sé stesso...- mormorò, tra sé e sé, cominciando a realizzare di chi, o meglio cosa, si trattava.
-Chi c’è? Chi sei?- urlò di nuovo, continuando a puntare la torcia verso l’uomo che nel frattempo si era alzato e aveva cominciato a camminare per la stanza. Zoppicava. E quando si degnò di rispondere, usò una lingua, probabilmente giapponese, che Stiles non riuscì a capire. –Cosa? Non capisco!-
-Non “chi sei”, Stiles- disse di nuovo l’uomo, questa volta in inglese. –Chi siamo.-
Stiles si bloccò, troppo impaurito per credere a quella rivelazione o per capirne il significato. Non era mai stato così terrorizzato in vita sua, né con i Dolenti, né con Gervaso lo Spaccato, né con Newt a Denver.
-Hai notato che abbiamo smesso di tremare, Stiles?- continuò il Nogitsune. –Sai perché è un brutto segno?-
Deglutì. –È il corpo che cerca di conservare energie. Ho fatto una ricerca di piccolo. Ipotermia.-
-Parlare diventa più complicato. Arriva la spossatezza. La confusione. Moriremo se non usciremo da qui- ora che si trovava a qualche passo da lui, Stiles notò che l’unica cosa visibile del suo viso era la bocca larga e da cui si intravedeva qualche dente appuntito.
-Smettila di dirlo. Smettila di dire “noi”!-
-Stiamo solo cercando di impedire che tu muoia di freddo. Dovresti alzarti, Stiles.-
-Come? La mia gamba è incastrata in una dannatissima trappola d’acciaio!-
-Oh, davvero?-
C’era qualcosa nel suo tono di voce che gli fece spostare di nuovo la torcia sulla propria gamba, e notò con orrore che la trappola si era spostata sul piede sinistro. Come diavolo era possibile?
-Che cosa stai facendo?- chiese al Nogitsune, l’irritazione, insieme alla supplica, evidenti nella sua voce.
-Stiamo cercando di salvarti, Stiles. Stiamo cercando di salvarti la vita- l’uomo, se lo si poteva chiamare tale, aveva ricominciato a muoversi, dando a Stiles un senso di nausea. –Non capisci, vero? È un indovinello. Conosci qualche indovinello, Stiles?-
-Alcuni...- respirare stava diventando difficile. Voleva solo che quest’incubo finisse.
-Più scavi e più diventa grande-
Voleva sul serio giocare adesso? Cosa sarebbe successo se non avesse risposto? –Un buco.-
-Più asciughi e più si bagna- chiese ancora.
-L’asciugamano...-
-Quando una porta non è una porta?-
Stiles sgranò gli occhi. Si era completamente dimenticato della porta nella propria mente, non aveva fatto abbastanza per chiuderla e per questo era finito in quella situazione del caspio. Come avrebbe detto Minho, era completamente rincaspiato ora. In altre circostante forse avrebbe riso. –Quando è accostata...- mormorò, chiudendo gli occhi mentre una lacrima gli scivolava sul viso. Come avrebbe fatto a proteggere Newt in quelle condizioni?
Un ghigno soddisfatto si formò sul volto coperto dell’uomo. –Tutti ce l’hanno, ma nessuno può perderla. Che cos’è?-
Stiles si ritrovò pensarci un po’ troppo a lungo, forse per l’agitazione, forse perché la vista stava cominciando ad offuscarsi, ma non riusciva a trovare la soluzione. Il Nogitsune cominciò a urlargli la stessa domanda più volte, lui si coprì le orecchie per non sentire e chiuse gli occhi, ma poi l’uomo lo prese per le gambe e cominciò a tirarlo... e tirarlo...
Il pavimento sotto di sé si trasformò in terra. Delle braccia lo avvolsero con delicatezza cercando di calmare i suoi spasmi.
 
* * *
 
La sera seguente, dopo aver trascorso il resto della notte e la giornata in ospedale, venne chiamato da un dottore per una TAC. In cuor suo sapeva esattamente cosa stavano cercando: non c’era quando era successo, ma suo padre glielo aveva spiegato a grandi linee.
Scott e Newt si trovavano davanti a lui mentre sedeva sul lettino in attesa che l’esame iniziasse, lo sguardo spaventato del biondo gli fece capire quanto tutta quella storia lo stesse turbando, e l’unica cosa che voleva fare era abbracciarlo forte dicendogli che sarebbe andato tutto bene. Ma prima doveva dire loro il motivo per cui era lì: -Si chiama demenza frontotemporale. Alcune parti del cervello si... restringono. Ce l’aveva mia madre. È l’unica forma di demenza che può colpire i giovani, e non c’è cura.- Si guardò le mani per non incontrare lo sguardo di nessuno dei due. Poteva solo immaginare che cosa stesse passando per la testa di Newt; era così simile all’Eruzione, ma la possibilità che fosse reale era molto più alta. Non era un lupo mannaro ma poteva sentire la paura irradiare dal corpo dell’altro.
-Stiles, se ce l’hai- disse Scott, con una sicurezza tale che quasi lo spaventò ma lo rassicurò allo stesso tempo, -Faremo qualcosa. Io farò qualcosa.-
Alzò lo sguardo su di lui, cercando di fargli capire quanto fosse grato che lui fosse presente, anche se ciò di cui stava parlando era trasformarlo. Non aveva mai voluto diventare un essere sovrannaturale; una volta Peter, lo zio di Derek, glielo aveva proposto e lui aveva rifiutato. Ma se era necessario per rimanere in vita e restare con i suoi amici, con la sua famiglia, con Newt... allora era pronto a sacrificare la sua umanità.
Annuì, sporgendosi per abbracciare forte il suo migliore amico.
-Vi lascio un attimo soli- disse poi lui, dopo essersi separati, lanciando uno sguardo al biondo le cui gambe sembravano sul punto di cedere. Si fiondò fra le sue braccia non appena Scott fu uscito dalla stanza.
Quel gesto poteva significare tante cose: una dimostrazione d’affetto; un segno che il ragazzo avrebbe voluto rimanere con lui come se lasciandolo sarebbe potuto andare via; rassegnazione. L’ultima cosa che voleva era che Newt perdesse la speranza, perché lui non aveva in mente di andare da nessuna parte. Nonostante... nonostante ciò che era successo quella notte, di cui ovviamente non aveva parlato a nessuno.
-Mi hai promesso che quando questa storia sarà finita potremo passare tutto il tempo che vorrò insieme- mormorò il biondo, dolcemente. –Non osare andartene o sarò io ad ucciderti.-
Per qualche strana ragione, Stiles si ritrovò a sorridere invece di sentirsi minacciato. Questa sensazione gli fece bene, dopo quello che aveva passato. –Mai- gli rispose, con tutta la sincerità che riuscì a trovare. Perché era vero.
Newt si scostò e posò le mani sulle sue guance, sporgendosi poi per dargli un leggero bacio sulla sua fronte. Stiles chiuse gli occhi per godersi quel momento di intimità fra loro, anche se dall’altra parte del vetro lì accanto c’erano suo padre e Melissa, insieme al medico, che probabilmente li stavano guardando.
Avrebbe voluto restare lì così e non scoprire mai se davvero era malato o no. Ma poi Newt, stringendo gli un’ultima volta la spalla, si allontanò: -Ci vediamo più tardi- gli promise, prima di sparire oltre la porta.
 
L’esame cominciò qualche minuto più tardi. Era disteso sul lettino, all’interno del macchinario. Il dottore lo aveva avvertito che avrebbe sentito un rumore come di un martello, ma non aveva immaginato che sarebbe stato così fastidioso. Non poteva muoversi, non poteva scappare, così si limitò a chiudere fermamente gli occhi, e il rumore cessò.
Capì di trovarsi in piedi, anche se non aveva idea di come fosse successo. Lentamente aprì un occhio, poi l’altro: le luci della stanza erano spente, dall’altro lato del vetro si intravedevano ancora Melissa e suo padre che discutevano con il dottore come se non stesse accadendo nulla. Poi la sentì, quella sensazione di essere osservato. Con uno scatto si voltò, solo per fronteggiare nuovamente l’orrenda figura del Nogitsune gobbo e zoppicante e il suo ghigno inquietante.
-Hai risolto l’indovinello?- gli chiese, quasi allegramente, girandogli intorno. –In quel caso, potremmo anche considerare di lasciarli andare, no?-
Stiles aggrottò le sopracciglia, sempre più confuso. –Lasciare andare chi?-
-I tuoi amici...- il suo pensiero andò a Scott, al branco e ai Radurai, il viso che lentamente impallidiva.
-La tua famiglia...- Inconsciamente, guardò suo padre e Melissa, che ormai era diventata come una seconda madre per lui. Stava iniziando a capire dove voleva andare a parare.
-Tutti quelli che hanno significato qualcosa per te...- e infine pensò a Newt, che aveva promesso di stargli sempre accanto nonostante questo significasse essere continuamente soggetto al pericolo.
-Noi li distruggeremo tutti, Stiles!- continuò imperterrito il Nogitsune, forse ignaro del terrore che si era impossessato del ragazzo, forse no. –Uno... dopo... l’altro.-
-Perché?- fu l’unica cosa che riuscì a dire, sussurrandola appena.
L’uomo si voltò di nuovo verso di lui: -Tutti la possiedono, ma nessuno può perderla. Che cos’è, Stiles?-
-Non lo so...-
Ora era così vicino che Stiles poteva sentire l’odore di vecchio e uova marce del suo alito. –Tutti la possiedono, ma nessuno può perderla!-
Si voltò per non guardarlo, le mani a coprire di nuovo le orecchie, le lacrime che ormai scendevano senza sosta bagnandogli completamente le guance: -Non lo so!- continuò ad urlare, finché, ad un certo punto, tornò il silenzio.
Provò a riaprire gli occhi, in attesa di qualche altro suono, ma l’unica cosa che udì fu la sua voce. Eppure non aveva aperto bocca. –Che cos’è, Stiles?-
Finalmente, tutti i pezzi del puzzle andarono al loro posto. -L’ombra...-
Girò lentamente su se stesso per trovarsi a faccia a faccia con la copia esatta di sé, solo più pallida e con un ghigno cattivo disegnato sul viso. E poi tutto si fece nero.
 
* * *
 
Scivolò fuori dal macchinario non appena tutte le luci si furono spente. Il suo piano era andato a buon fine, nonostante le varie complicazioni che gli aveva dato quello stupido ragazzino, che anche se sembrava esile e innocuo, possedeva una forza d’animo che superava qualsiasi altra. Per questo lo aveva scelto come tramite.
Finalmente la volpe era riuscita a impossessarsi di un corpo per finire ciò che anni prima aveva iniziato.
Raggiunse la stanza di Stiles per rivestirsi, approfittando del fatto che tutto l’ospedale era in subbuglio per l’improvviso blackout, e infine fece per andarsene indisturbato.
Certo non si aspettava di trovarsi lei davanti.
-Tu mi conosci- disse infatti la donna. Si limitò ad annuire. –Quindi ti ricorderai che per me non è un deterrente la scelta dell’ospite. Anche se si tratta di un innocente.-
La guardò, alzando un angolo della bocca in un ghigno divertito: -Ci stai minacciando?-
Come previsto, i suoi dannati Oni apparvero accanto a lei. –Ora ti sto minacciando.- Come se questo potesse davvero fermarlo.
-Non abbiamo paura delle tue piccole lucciole- replicò, senza nemmeno scomporsi. Eppure, nemmeno lei sembrò dare segni di cedimento. Si voltò per andarsene, la gente che gli correva accanto senza accorgersi di lui.
-Anche se gli Oni non possono sconfiggerti, conosco chi riuscirà a farlo- ribatté di nuovo la donna, e per un attimo lui pensò che si stesse arrampicando sugli specchi, ma poi il tono sicuro della sua voce lo fece ricredere. Si bloccò, lanciandole un altro sguardo da sopra la spalla.
Volpe contro volpe? E sia. 


Angolo autrice: Come promesso, un altro capitolo, persino più lungo degli altri. Questo è il mio episodio preferito in assoluto della stagione, mi sono divertita un sacco a scriverlo. Spero che vi piaccia. 
Ah, ho aggiunto anche un piccolo momento Sterek nonostante non li shippi ahahah Non so, mi sembrava la cosa giusta da fare. 
Non vi prometto nulla, ma se tutto va bene, aggiornerò di nuovo uno di questi giorni. Perciò alla prossima :*

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3349460