Presenze

di Adelhait
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** XXIII ***
Capitolo 24: *** XXIV ***
Capitolo 25: *** XXV ***
Capitolo 26: *** XXVI ***
Capitolo 27: *** XXVII ***
Capitolo 28: *** XXVIII ***
Capitolo 29: *** XXIX ***
Capitolo 30: *** XXX ***
Capitolo 31: *** XXXI ***
Capitolo 32: *** XXXII ***
Capitolo 33: *** XXXIII ***
Capitolo 34: *** XXXIV ***
Capitolo 35: *** XXXV ***
Capitolo 36: *** XXXVI ***
Capitolo 37: *** XXXVII ***
Capitolo 38: *** XXXVIII ***
Capitolo 39: *** Fine ***



Capitolo 1
*** I ***


Presenze

I

Vi è mai capitato, mentre state studiando, oppure lavorando, di avvertire dietro di voi una presenza che vi osserva costantemente? Voi voltate il capo, ma non vedete nessuno? Ma sapete che lei c’è e vi osserva?

Una vera assurdità, ora affermerete, come la storia che mi appresto a raccontare.

Pazza.

Già, mi prenderete per una folle, ma anch’io mi reputai così, per ciò che mi accadde…ma è la pura verità tutta questa storia.

Una storia nata tempo fa, quando decisi di andare a vivere da sola. All’epoca dei fatti avevo solo venticinque anni, ed era tempo di lasciare la casa paterna e di vivere una vita propria, anche se mia madre non era d’accordo con questa mia decisione.

Rammento ancora le sue parole.

"Perché te ne vuoi andare? Sei ancora troppo giovane. Perché lasci casa? E poi abitare da sola…non è buono sai? Potrebbe accaderti qualcosa di grave, come ad esempio che un uomo entri in casa e ti uccida".

Io la guardai dritta negli occhi e risi, era una cosa davvero assurda, ma lei è sempre stata così opprimente e iper-protettiva verso i suoi figli. Fece la stessa storia con mio fratello maggiore, Shippo, quando decise di andare a convivere con la sua ragazza.

Ricordo i pianti e le scenate assurde, invece mio padre, un uomo calmo e tranquillo la azzittì dicendole.

"Ora basta! Se nostro figlio ha deciso così, noi dobbiamo solo rispettare la sua scelta e poi lo vedremo ogni volta che vogliamo".

La stessa cosa si ripeté con me e, anche qui mio padre calmò mia madre.

"Grazie, Papà".

Gli dissi abbracciandolo. Fu lui ad aiutarmi a cercare casa, una vera impresa. Infatti, gli affitti nella zona erano altissimi e con il mio, già striminzito stipendio di mille e duecento euro, era davvero difficile trovarlo.

Quante agenzie immobiliari girammo, ma tutte mi proponevano degli appartamenti con affitti da capogiro e poi, con le varie utenze da pagare non sarei mai arrivata alla fine del mese.

"Non temere Rin, ti aiuteremo noi".

Mi disse una sera mio padre, vedendomi giù di morale. Quella sera ero davvero triste, infatti, ero seduta accanto al camino e accarezzavo la testa del mio cane Shu, un Golden Retriever di un anno, mentre cercavo di riprendermi.

"Grazie, Papà. Ma voglio cavarmela da sola".

Gli risposi, mentre mi alzavo e mi dirigevo in camera mia. Ero davvero delusa, demoralizzata, avrei vissuto in casa dei miei in eterno?

"Che bella prospettiva".

Mi dissi, mentre mi buttavo a peso morto sul letto, ma non immaginavo che l’indomani il mio desiderio si sarebbe avverato.

Un desiderio, ma anche un incubo che mi avrebbe buttato in vero baratro di disperazione…di paura.

Continua…

__________________________

Beh, che dire? Mi sono rimessa a scrivere una nuova fan fiction, non sono sicura neanche del risultato, ma è nata così in un momento di pura follia.

Infatti, dal titolo si capisce di cosa tratta. Sì, di esseri sovrannaturali ^^.

Che altro dire, spero che vi è piaciuto questo breve capitolo.

P.S: l’ambientazione non è il solito Giappone, ma bensì una località Europea. Però voglio lasciare al lettore immaginare quale sia ^^.

Buona lettura.

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Capitolo 2
*** II ***


II

 

Come ogni dì andai a lavorare, ma avvenne una cosa che mai avrei potuto prevedere. Infatti, la strada che portava da casa dei miei all’ufficio era stata chiusa per lavori, quindi, un po’ irritata dovetti scegliere una stradina secondaria che passava per la zona periferica della città.

Mi trovai a sbuffare irritata, avrei fatto tardi al lavoro, ma d’un tratto gli occhi mi caddero su di un vecchio palazzo a cinque piani. Ma il quarto piano mi attrasse, infatti, sul suo balcone vi era l’insegna di un’agenzia immobiliare.

"Affittasi".

Lessi. Costeggiai la macchina su un lato della strada e scesi per leggere meglio.

Ero felice, tornai in macchina, presi il mio cellulare dalla borsa e annotai in rubrica il numero telefonico dell’agenzia, intanto mi dicevo.

"Beh, tentar non nuoce. Chi lo sa? Forse è la volta buona, no?".

Fatto ciò tornai al lavoro, ero davvero felice sentivo che quella era l’occasione giusta di trovare casa.

Entrai in ufficio sorridendo, tanto che la mia collega, un po’ impicciona, Ayame mi guardò dicendo.

"Dalla faccia sorridente, deduco che hai conosciuto un uomo? Giusto?".

Io la guardai storto, non cambierà mai. Mi sedetti alla scrivania e le risposi con un secco.

"No".

Ci rimase male, ma se non cambia atteggiamento con me, rischia molto. Ma non volevo guastare la mia felicità con la rabbia, perciò presi un profondo respiro e le dissi.

"Sai forse ho trovato casa".

Ricordo che lei si precipitò alla mia scrivania felice, prese le mie mani e mi disse.

"Davvero? E com’è?".

Io la guardai stranita, tolsi le mani dalle sue e le dissi, leggermente infastidita.

"Ho detto forse. E poi non so com’è. Ayame sei la solita che capisce fischi per fiaschi".

La vidi cambiare espressione, dopotutto aveva tirato troppo presto le sue conclusioni. La vidi ridere nervosamente e chiedermi scusa per la gaffe appena commessa. Io sospirai e accesi il mio computer, avrei chiamato l’agenzia all’ora di pranzo, intanto Ayame era tornata al suo posto.

Lavorai per tutta la mattinata e all’ora di pranzo chiamai l’agenzia e presi un appuntamento con un loro agente.

Nel pomeriggio avrei visitato la mia futura casa.

Ero felice, anche se dentro di me avvertivo una strana sensazione…un malessere, come se quello non era un posto adatto a me.

Finalmente arrivò il tanto desiderato pomeriggio, era meglio che non fossi andata, ma ora ero lì nel piazzale del palazzo e avevo il viso rivolto a quel balcone.

Ricordo una cosa bizzarra, ma forse quello era solo frutto della mia fantasia, una sagoma di una donna. Di una ragazza vestita di scuro, che era poggiata con i gomiti sulla ringhiera.

Assottigliai lo sguardo per vedere meglio, quando.

"Buona Sera. È lei la signorina Rin Riversi?".

Sobbalzai, mi voltai di scatto e mi trovai di fronte un ragazzo che aveva su per giù la mia età, di bell’aspetto e ben vestito, aveva i capelli neri legati in un codino e occhi viola. Annui di fronte a quella domanda.

"E lei è…".

"Miroku Brendan, e sono l’agente Immobiliare della Casa & c."

Allungò la mano verso di me, ed io gliela porsi. Ricordo bene che, sorrideva mentre me la stringeva. Beh, a dire il vero Miroku non faceva altro che sorridere quel giorno, ma continuiamo con il racconto.

"Bene. Allora che ne dice di entrare a vedere il duplex?".

"Duplex?".

Domandai stupita, lo vidi sorridere e dire.

"Deduco che la ragazza con la quale ha parlato ha omesso che si trattava di un duplex, cioè un appartamento…".

"A due piani".

Non lo lasciai terminare la frase, e continuai con una punta di acidità.

"So cos’è un duplex".

Lo vidi ridere, cosa che m’irritò ulteriormente, ma poi mi fece segno di seguirlo…ma prima di andare con lui alzai il viso di nuovo verso il balcone, dove vidi quella ragazza, ma lei non c’era più.

"C’è qualcosa che non va?".

Voltai il capo e vidi l’agente guardarmi, io risposi velocemente.

"No, niente…andiamo?".

"Certo. Mi segua".

Lo seguii, ma dentro di me restò quel dubbio atroce. Quella ragazza era frutto della mia fantasia? Oppure era reale?

Continua…

_______________________

Eccomi con il nuovo capitolo ^^.

Spero che anche questo sia di vostro gradimento. Comunque, ringrazio:

Yoi: grazie sorellina per aver commentato, sono iper felice che la mia nuova fan fiction ti piaccia ^^. Un mega bacio e ancora grazie.

Mikamey: grazie per aver recensito, sono felice che questa fan fic ti piaccia. Non temere non sei pazza sappi che, anche a me succede spesso di avvertire una presenza dietro di me e sappi che la cosa mi fa sobbalzare ogni volta. Un bacio e grazie.

Ringrazio anche chi ha solo letto.

Buona lettura.

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Capitolo 3
*** III ***


III

Entrammo nell’ascensore, mentre io continuavo a pensare a ciò, quando Miroku cominciò a elencarmi la bellezza del palazzo, come anche la sua storia…cosa che a me dopotutto non importava molto.

Finalmente arrivammo al quarto piano, dovrei dire l’ultimo, quindi il palazzo era di quattro piani e non di cinque. Scossi il capo e lasciai stare questi inutili pensieri, quando d’un tratto la porta si aprì e mi mostrò l’ingresso di quello che sarebbe stato il mio inferno.

L’agente mise la chiave nella toppa della porta e aprì. Un cattivo odore di chiuso mi investì facendomi storcere il naso. Da quanto tempo era chiusa?

"Mi scusi".

Si scusò Miroku che, corse ad aprire una finestra facendo cambiare l’aria. Io restai per un attimo sulla soglia, ma poi mi decisi a entrare all’interno di quell’appartamento, prima privo di luce e ora illuminato dal bagliore pomeridiano.

Però ora rammento un’altra cosa, quando misi piede al suo, interno, avvertii una strana scossa che mi fece tremare, come se ci fosse qualcuno che non mi voleva. Che non mi desiderava.

"Ora va un po’ meglio, non è vero?".

Mi disse il ragazzo, mentre io mi guardavo intorno.

"Sì".

Sussurrai. Mi diressi verso di lui, che intanto alzava la tapparella del balcone. Di quel balcone dove vidi lei.

Mi avvicinai al vetro per osservare il punto preciso dove la vidi, ma come supponevo, era solo frutto della mia immaginazione, anche se sembrava reale. Molto reale.

Poggiai il viso sul vetro freddo e socchiusi gli occhi, quando avvertii una mano toccarmi la spalla. Sobbalzai spaventata, mi voltai e vidi ch’era Miroku a chiamarmi.

"Allora? Che ne dice di visitare l’appartamento?".

"Sì, certo".

Lui mi sorrise e cominciò con quello ch’era il soggiorno, bello grande e spazioso, anche se le pareti erano ingiallite per via dell’umido e poi erano anni che nessuno abitava là.

C’erano tre porte, la prima sulla destra era la cucina, non tanto grande né tanto piccola, poi un po’ più in là accanto alla finestra vi era un piccolo stanzino, forse per l’utilizzo delle scope. Infine accanto al portone vi era un piccolo bagno di servizio.

Ma la cosa che attirò la mia attenzione fu la scala a chiocciola, di legno laccato scuro, che era sulla sinistra.

"Quella scala porta nella zona notte".

Mi disse il ragazzo, mentre richiudeva la porta dello stanzino.

"Ora saliremo al piano superiore".

"Sì".

Ero davvero curiosa di vedere la camera dove avrei dormito. Già ero sicura di abitare in quell’appartamento.

Salimmo al piano superiore, mentre sentivo sotto i miei piedi, lo scricchiolio delle assi della scala, intanto domandai all’agente.

"Mi scusi, signor Miroku, posso farle una domanda?".

"Certo, ma non mi chiami signor Miroku".

Mi disse fermandosi, per poi continuare.

"Mi fa sentire vecchio, e come ben vede, sono molto giovane".

Finì la frase facendomi l’occhiolino, io rimasi leggermente turbata da ciò, ma poi mi ripresi e dissi.

"Ancora non abbiamo parlato del prezzo dell’affitto".

"Giusto".

Ricordo che prese la sua agenda e lesse il prezzo ma credo che lo sapesse.

"Ebbene,il proprietario non chiede molto come affitto, infatti, esso è di quattrocentocinquanta euro il mese".

Rimasi impietrita, era davvero basso come affitto, contando che era un appartamento enorme.

"Oh…è davvero vantaggioso come prezzo".

Dissi con stupore.

"Vero signorina".

Mi trovai a sorridere, cosa che di sicuro piacque a Miroku che, ricambiò il mio sorriso. Salimmo al piano superiore, dove trovai alla fine della scala un piccolo spiazzo, dove vi erano quattro porte ben chiuse.

La prima, sulla mia sinistra, era un bel bagno. La seconda era una stanza da letto, quella per gli ospiti, la terza, lo studio e infine la mia futura stanza da letto. L’agente aprì la porta, d’un tratto avvertii qualcosa di strano, una sorta di mugolio, ma suppongo che anche questa volta abbia immaginato tutto.

Entrammo, la stanza era al buio ed io cercavo di vedere dentro muovendo il capo a destra e a sinistra, quando il ragazzo aprì la finestra e me la mostrò.

I muri erano anch’essi ingialliti dal tempo, sul soffitto, nella zona sopra la finestra, vi erano delle evidenti chiazze di muffa. Storsi il naso, cosa che fu notata dall’agente che leggermente imbarazzato disse.

"Beh. Vede è da un paio d’anni che non entra più nessuno, è logico che ci siano macchie di umido".

"Già".

Risposi con una punta di stizza. Sospirai e dissi.

"Dopotutto a questo prezzo non posso certo pretendere di possedere una casa senza difetti".

Mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. La finestra si affacciava su di un meraviglioso parco dovrei portato il mio cane, Shu.

Sorrisi pensando al mio cane pasticcione, mentre correva nel parco.

"Sì, l’appartamento mi piace…lo prendo".

Dissi sorridendo all’agente. Un sorriso ricambiato, ma qualcosa mi diceva che facevo un grosso sbaglio. Un errore.

Uscimmo dalla stanza, ma qualcosa sfiorò il mio collo, come un leggero sospiro seguito da una voce flebile di donna.

"Vattene".

"Cosa?".

Dissi voltandomi di scatto, azione che non sfuggì a Miroku che si fermò dicendo.

"Ha detto qualcosa?".

Io lo guardai, ma poi risposi subito un.

"No, niente…anche se…".

Lui mi osservava senza comprendere ciò che stessi dicendo, ma poi mi affrettai a dire, per chiudere quella situazione che, a mio parere, era divenuta imbarazzante.

"No, no, non ci faccia caso. Ora andiamo".

"Sì, ok".

Mi disse voltandosi di spalle, cosa avrà pensato di me? Di sicuro che non ero tanto sana di mente poiché, avevo creduto di aver sentito una voce. Una voce crudele che mi diceva di andarmene, ma dopotutto non errava diceva il vero. Avrei dovuto ascoltarla lo so, ma non lo feci. Ero, e ancora sono una testarda che non da retta a nessuno.

Scendemmo al piano di sotto, intanto ripensavo a quella voce. Di chi era?

"E’ tutto apposto signorina?".

Sobbalzai sentendo la voce del ragazzo che mi riportava alla realtà, gli sorrisi e dissi velocemente.

"Sì, sì, non si preoccupi".

Arrivammo al portone d’ingresso, dove io domandai.

"Quando firmiamo il contratto d’affitto?".

Ricordo la faccia incredula di quel ragazzo che si fermò di botto.

"Siete sicura?Non volete rifletterci prima?".

"Certo e poi trovare un appartamento con un fitto così basso è davvero raro, diciamo che è una vera mosca bianca".

Risposi, mentre prendevo le chiavi della macchina dalla borsa.

"Giusto, signorina. Allora che ne dice di dopo domani per stipulare il contratto?".

"Sì, per me va bene".

Gli risposi senza mezzi termini, ricordo che sorrise, mentre appuntava sulla sua agenda il nostro appuntamento.

Scendemmo nel cortile, dove vi erano le nostre macchine ad attenderci.

"Allora a dopo domani?".

"Sì".

Gli dissi, mentre gli stringevo la mano, ero certa che presto avrei avuto il mio tanto e agognato nido.

Mi trovai a sorridere, mentre l’agente mi lasciava da sola nel cortile accanto alla mia macchina.

"Beh, sarà meglio tornare a casa a comunicare la bella notizia".

Mi dissi, mentre m’infilavo nell’abitacolo, ma d’un tratto avvertii qualcosa o qualcuno che mi osservava. Mi voltai di scatto in direzione del balcone del duplex. Una cosa mi chiedo: la motivazione della mia azione, perché ho alzato lo sguardo verso quel balcone? Ed ebbi di nuovo la sensazione di vedere quella figura scura, ma di nuovo mi detti della pazza visionaria, mi accomodai sul sedile e accesi il motore della macchina.

Però qualcosa dentro di me urlava il contrario, ma io testarda feci tacere quella voce.

Continua…

_______________________

Bene, poiché mi sentivo ispirata a continuare ho aggiornato più in fretta che potevo ^^.

Ma voglio dirvi una cosetta, ebbene sapete perché aggiorno così in fretta? Beh, il perché è che la storia su carta è terminata XD. Quindi mi resta solo di riscriverla su pc e controllare i vari errori, anche se quest’ultimi, scappano sempre è_é.

Comunque, ringrazio:

Monik: grazie per i complimenti che, a mio giudizio non sono meritati, comunque li accetto ^^. Non temere sorellina aggiornerò sempre e sempre. Un bacio e ancora grazie.

Mikamey: grazie. Sono contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto. Un bacio.

Callistas: sono felice che questa nuova fan fiction ti sia piaciuta, non temere presto aggiornerò le altre storie, poiché loro (le storie) stanno fremendo nell’essere aggiornate ^^. Se no, ti concedo il permesso di picchiarmi XD. Un bacio.

Flag95: non temere come ben vedi, ho aggiornato, un bacio anche a te con un grande grazie.

Ringrazio come sempre anche chi solo legge.

Buona lettura.

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Capitolo 4
*** IV ***


IV

 

 

Quella stessa sera festeggiai la mia futura casa con i miei, anche se mia madre fece la solita tragedia, ma io non le detti peso. Però devo ammetterlo le madri alcune volte non sbagliano.

I giorni passarono e finalmente il tanto atteso dì della stipulazione del contratto arrivò, ero felice e raggiante, il mio desiderio di vivere da sola si sarebbe avverato, anche se dovrei dire incubo.

Firmai il contratto, pagai la caparra di tre mensilità con le varie spese ed ebbi in consegna le chiavi della mia casa.

Ricordo che quel giorno avevo un nodo in gola per l’emozione, strinsi quel mazzo di chiavi.

"Possiedo una casa tutta mia".

Mi dissi socchiudendo gli occhi, mentre le ponevo, con la mano destra, accanto al cuore.

"Sono felice per te, piccola mia".

Aprii gli occhi di scatto e trovai accanto mio padre che sorrideva, ma aveva anche gli occhi lucidi. Un altro figlio lo lasciava solo, ma dopotutto sarebbe accaduto alla fine di lasciare il nido e di spiccare il volo, anche se adesso mi pento di quell’errore.

Ma alcune volte bisogna sbattere il muso per comprendere un errore…ed io lo feci.

In quei giorni mi dedicai alla ricerca dei mobili, anche se la maggior parte erano di seconda mano comprati da un rigattiere. Ayame mi aiutò nella scelta, insieme a Kagome, anche se le due litigavano spesso per i colori dei mobili.

Ayame era propensa per colori vivaci, come il rosso, il giallo, il blu, in parole povere voleva rendere la mia povera casa in un vero arcobaleno.

"Ayame!".

La richiamai esasperata, mentre lei era in cerca di un comodino color verde smeraldo per la mia stanza da letto. La vidi guardarmi con quei suoi occhioni verdi e dirmi.

"Sì, Rin. Che cosa c’è?".

Ricordo benissimo che la guardai storto, mentre Kagome cercava in tutti i modi di frenare la mia furia omicida. Grazie al cielo ci riuscì, ma frenai anche la pazzia di Ayame di rendere la mia casa, un caos di colori assurdi.

Comprai dei mobili semplici e senza pretese, dopotutto non avevo una gran somma da spendere.

Quando finii i miei acquisti, mi sentii bene con me stessa. Sorrisi compiaciuta di fronte ai miei acquisti che, ora erano all’interno del mio nuovo nido.

Ricordo bene la sensazione che mi pervase, quando accarezzai la stoffa del mio divano. Esso era un qualcosa comprato da me…un elemento del mio mondo.

Mi lanciai sopra di esso, poggiai il capo, chiusi gli occhi e rimasi ad ascoltare il silenzio rotto dal rumore del mio respiro calmo.

"Mi sento bene. Sono davvero felice".

Pensai, ma d’un tratto un rumore che proveniva dal piano di sopra mi destò. Aprii gli occhi di scatto, mi misi seduta, voltai il capo verso la scala e la fissai.

"Che cosa è stato?".

Mi dissi.

Scesi dal divano e mi diressi verso la scala. Ero davvero curiosa di sapere cosa avesse prodotto quel rumore…quella sorta di tonfo.

Salii la scala lentamente, sentivo solo il rumore del mio respiro misto allo scricchiolio delle assi. Intanto una forte inquietudine mi assaliva.

Poggiai la mano sul corrimano e guardai verso il pianerottolo, ma non vidi nessuno…però la curiosità mi assaliva, come anche l’angoscia.

Decisi di salire al piano di sopra.

"Basta! Devo sapere".

Ricordo che arrivai al pianerottolo e notai che le porte delle stanze erano aperte, tranne quella della mia stanza da letto. Perché?

Rimasi perplessa, perché ricordavo perfettamente di averla lasciata aperta…ma poi mi dissi.

"Che stupida di sicuro avrò lasciato la finestra aperta, per questo motivo è chiusa".

Sorrisi, allungai la mano sulla maniglia e cercai di aprirla, ma avvenne una cosa strana che ancora oggi mi lascia piuttosto turbata.

La porta non si apriva.

"Ma…che diavolo succede?".

Dissi leggermente irritata, mentre spingevo con forza per aprirla.

"Apriti".

Sibilai, in preda alla rabbia. Finalmente dopo vari tentativi, riuscii ad aprire la porta. Ricordo che sorrisi soddisfatta, mentre osservavo la porta aperta, ma poi il mio sorriso si spense lasciando il posto all’incredulità.

La finestra era chiusa.

Allora chi era stato chiudere la porta? Perché non riuscivo, ad aprirla facilmente?

Rimasi a guardare la stanza come imbambolata…ma d’un tratto avvertii una strana sensazione dietro di me. Mi sentivo osservata. Voltai il capo di scatto, ma non vidi nessuno.

Provai un senso di panico…avevo paura.

Mi poggiai con la schiena al muro, mentre mi ripetevo.

"Rin non c’è niente da temere è solo il frutto della fantasia".

Ma lo era? No, ahimè, non lo era…

Continua…

____________________

Eccomi ad aggiornare come ho promesso, ma non sono sicura del risultato XD.

Purtroppo non sono sicura se domani riuscirò ad aggiornare perché oggi non starò davanti al mio adorato pc, perché come pochi sanno, è il mio compleanno, un’età importante ^^.

Comunque, ringrazio:

Mikamey: grazie per aver recensito, spero che questo nuovo capitolo ti sia piaciuto.

Monik: grazie sorellina mi rende felice leggere le tue recensioni…arrossisco come un’aragosta ogni volta che mi fai complimenti ^^. Un bacio e ancora grazie.

Callistas: sono felice che la mia storia ti faccia paura, beh, è quello il mio scopo XD. Un bacio e ancora grazie.

Bellatrix_Indomita: grazie per aver recensito, sono felice che questa storia, insolita, ti piaccia. Infatti, io adoro questo tipo di storie sul sovrannaturale, quindi adoro continuarla XD. Un bacio e ancora grazie.

Ringrazio come sempre anche chi solo legge.

Buona lettura.

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Capitolo 5
*** V ***


V

 

 

 

I giorni passavano, io ero sempre presa nel rendere la mia nuova dimora, un posto caldo e accogliente. I muri avevano ripreso a vivere…so perfettamente che la cosa è impossibile, ma per me sembrava fosse tornata viva.

Sorridevo nel vedere i muri immacolati privi di chiazze di umido e muffa.

"Ora sì, che sei ospitale".

Dissi, mentre riponevo a terra il rullo per imbiancare. In quei giorni avevo obbligato i miei amici ad aiutarmi nel trasloco. Ricordo perfettamente gli sbuffi di Inu Yasha, mentre spostava, insieme a Koga, una piccola libreria.

"Coff…coff…oddio, com’è pesante…ma…ma di cosa è fatta? Di piombo?".

Diceva Inu Yasha, mentre spingeva la libreria verso il muro.

"Hai ragione…cavoli Rin dove, hai comprato questa libreria? Da una ferramenta?".

Disse Koga, ormai paonazzo in volto per lo sforzo. Io li guardavo, mentre stavo per salire al piano di sopra a rimettere in ordine il mio armadio. Intanto Kagome e Ayame erano sedute sul divano a ridere come pazze.

Ridevano per i visi contorti dalla smorfie di fatiche dei loro rispettivi compagni.

"No, non ho comprato la libreria dalla ferramenta".

Dissi, mentre alzavo un sopracciglio, poi continuai.

"Però anche voi, mettete primi i libri e poi la spostate, è logico che pesi tanto".

Mi voltai e salii al piano di sopra, mentre sentivo i due litigare sul fatto chi aveva riempito la libreria. Invece le loro ragazze ridevano sguaiate.

Sospirai, mentre scuotevo il capo.

"Che dementi".

Entrai in camera mia pronta a riporre la mia roba nell’armadio e nel cassettone. Ricordo che canticchiavo, mentre tiravo fuori da uno scatolone alcune magliette di cotone che, sarebbero finite nel cassettone di fronte al letto.

Quante ne avrò riposte nel cassetto? Due o tre, non molte…lo ricordo perfettamente. Perché dico così? Perché vidi una cosa strana, ma ora ve lo spiego.

D’un tratto il mio sguardo cadde sul pomello d’acciaio del cassettone, dove vedevo riflesso il mio letto.

Cosa normale, vero? Sì, è normale vedere riflesso le cose di fronte ad esso, ma no, quello che vidi.

Infatti, vidi seduta sul ciglio del letto una figura scura. Mi fermai di botto, restai a guardare il riflesso di quell’essere. Una figura femminile.

Aveva il capo piegato in avanti, i capelli erano lunghi e neri, credo che fossero ondulati. Non riuscivo a capirlo bene dall’immagine, poiché risultava un po’ distorta.

D’un tratto la vidi alzare il viso e voltarlo verso di me, ma lo faceva lentamente, come in quei film di orrore, dove la protagonista vede l’immagine di un fantasma.

Avvertii per la prima volta la paura impossessarsi di me. Avevo la pelle d’oca, le mani erano gelide e stringevano forte la maglietta, la bocca leggermente spalancata che tremava. Gli occhi erano sgranati, e guardavano quell’immagine che lentamente voltava il capo verso di me.

Ecco! L’aveva voltato, ma l’immagine era piccola e non riuscivo a vedere bene il viso, anche perché i capelli le cadevano scomposti su di esso.

Ero in un film dell’orrore?

In quel momento delle miriadi di pensieri assediarono la mia mente…come: non è reale. È frutto della mia fervida immaginazione. È un fantasma? Sto per morire? E molte altre assurdità.

Ero pietrificata. Trattenevo il respiro. Non riuscivo a parlare, quando qualcosa dentro di me disse di voltarmi.

Lo feci lentamente, avevo il terrore di vedere quella donna.

Mi voltai, mentre sentivo le lacrime salirmi.

"Fa che non sia reale".

Mi dicevo mentalmente. Voltai il capo verso il letto, quando con stupore e costernazione lo vidi vuoto.

Rimasi imbambolata a guardare, mentre la maglietta che prima tenevo in mano cadde a terra sui miei piedi.

Avevo per caso sognato?

"Rin! Ma che fai? Se la butti a terra, si sporca".

Mi destai di colpo al suono della voce di Kagome che, ora si trovava ai miei piedi a raccogliere la maglietta.

Abbassai lo sguardo e la vidi che raccoglieva la maglia, alzarsi e guardarmi negli occhi.

"Cos’hai Rin? Ti senti male?".

Vidi il suo sguardo preoccupato, ma io velocemente le sorrisi…più che altro mi sforzai nel farlo.

"No, non ho niente".

Le dissi per tranquillizzarla.

"Sicura? Se vuoi, dico a Inu di andare a prendere qualcosa in farmacia…".

Era preoccupata. Ma io la tranquillizzai velocemente, dicendole che ero solo un po’ stanca e poi il trasloco aveva fatto il resto. L’aveva bevuta.

Presi la maglietta dalle sue mani e la riposi nel cassetto.

Restammo qualche minuto in silenzio, quando lei decise di dirmi che era andata a vivere con Inu Yasha. Ricordo che le sorrisi, mentre lei si sedeva sul mio letto e cominciava a elencarmi le bellezze della vita in due. Io tornai nel mio laborioso lavoro, intanto annuivo, ma non rispondevo…però di tanto in tanto lo sguardo ricadeva sul pomello che ora rifletteva l’immagine di Kagome che, ridacchiava.

Di nuovo mi dicevo che avevo sognato, anche se una vocina insistente mi diceva il contrario…

Non era un sogno…

Continua…

________________________

Scusate il ritardo, ma eccomi come promesso ad aggiornare ^^.

Ringrazio:

Lirith: oh, mamma chiedo scusa se non ti avviso, ma non ti trovo mai XD. Segnali di fumo dici? Si potrebbe anche fare, no? Però c’è un ma…come faccio io, vivo in un piccolo parco e rischierei di distruggere gli alberi ma poverelli ç_ç. Comunque, a parte questo momento di pura demenzialità sono felice che la storia ti piaccia, un bacione e a presto.

Mikamey: grazie per gli auguri, come ben vedi, sono tornata con un nuovo capitolo, spero che ti abbia messo un po’ di paura XD. Un bacio.

Alessandro85: grazie per aver messo la mia storia tra i preferiti, mi lusinga ^^. Grazie e un bacio.

Callistas: sono lieta nel sapere che il capitolo precedente ti abbia messo un po’ di paura, beh, ho raggiunto il mio piccolo scopo XD. No scherzo. Figlia di King? Io? Magari sarebbe un sogno ^^. Ancora grazie e un bacio.

Flag95: non preoccuparti se non hai commentato lo scorso capitolo, sono felice che la mia storia ti piaccia ^^. Un bacio.

Bellatrix_Indomita: ti ringrazio di cuore per i complimenti, arrossisco sempre di più XD. Un bacio e ancora grazie.

Gemellina Dolly: oh mon amour, grazie per la bellissima recensione, sono commossa ç_ç. Un bacio e a presto.

Monik: la mia sorellina che fa il tifo per me mi rende iper felice, grazie un miliardo di volte per i complimenti…un mega bacio e a presto.

E come sempre ringrazio di cuore anche chi solo legge.

Buona lettura.

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Capitolo 6
*** VI ***


VI

 

 

Non era un sogno e ne ero cosciente solo che, non volevo ammetterlo…un fantasma era inammissibile nei giorni nostri.

Perciò decisi di lasciar corre e di vivere la mia nuova vita in quell’appartamento.

Da quell’avvenimento passarono tre settimane, non ebbi più nessuna presenza strana in casa.

Mi convinsi che fosse un’allucinazione dovuta alla stanchezza.

Decisi perciò di dare una festicciola con i miei amici e parenti, anche se mia madre continuava a tenermi il muso per via della mia scelta. Di fatti non faceva altro che rinfacciarmi il mio errore.

Sapete aveva ragione…avrei dovuto ascoltarla, ma la mia testa dura m’impedì di capire l’immane errore che feci.

Mi pento, ma ormai non si può tornare indietro. No, non si può.

Ero felice di vivere da sola insieme al mio cane, anche se lui sentiva un po’ la mancanza di mio padre, ma sapevo che lui veniva spesso a casa mia a portarlo a passeggio, quando ero al lavoro.

Unica cosa che mi dette fastidio fu la battuta stupida, d’oca giuliva, di Ayame.

"Oh Rin, da oggi chissà quanti uomini porterai a casa..."

Era altaccia, ma ciò che avvenne dopo mi lasciò furiosa.

"Di sicuro farai tante cosette sconce".

Rammento la faccia basita di mia madre, come anche quelle degli altri. Ayame alcune volte esagera, e quel giorno aveva dato il peggio di sé.

La guardai storto, mentre Koga si scusava al suo posto dando la colpa al vino. Ricordo che la perdonai anche se quell’azione mi dette molto fastidio.

Io portare degli uomini a casa? Era inconcepibile, io mi sarei dedicata al lavoro e a nient’altro.

Infatti, feci così…una vita di casa e lavoro, ma anche di uscite tra amiche.

Mi sentivo realizzata…libera di vivere, ma presto il tempo mi avrebbe fatto ricredere.

La sera, quando rincasavo, portavo Shu nel parco davanti casa, com’era felice di correre dietro al bastone che io gli lanciavo, ma alcune volte avvertivo che qualcuno ci osservava dal palazzo.

Ricordo che voltai il capo e vidi alla finestra del terzo piano una donna anziana fissarci, ma quando vide che io la guardavo chiuse le tende e svanì.

Io rimasi leggermente turbata, quella donna m’incuteva un senso di agitazione. Forse perché portava una benda sull’occhio sinistro? Richiamai il mio cane e rincasai.

Ogni giorno portavo il mio cane in quel parco e ogni volta quella donna ci spiava.

Un giorno conobbi la famosa vecchina che, mi spiava. Quel giorno l’ascensore era rotto, quindi fui costretta a salire le scale per arrivare al mio appartamento…una vera scocciatura.

Salivo le scale tranquillamente, quando la porta del suo appartamento si aprì e la vidi. Sobbalzai nel vederla.

Dopotutto era sbucata dal nulla così. Ricordo ancora la frase che mi disse.

"Vattene, se ci tieni alla vita".

Io rimasi impietrita da ciò. Perché quella frase? E poi quel tono di voce freddo e ostile, mi fece rabbrividire…ricordo che le chiesi il perché, ma lei si chiuse di nuovo in casa lasciandomi così senza una spiegazione.

Rammento che rimasi alcuni minuti sul suo pianerottolo a pensare a questa frase, ma poi mi detti della stupida.

"Mfh. Deve essere altera sclerotica…Rin non badare alle sue stupide parole".

Rincasai e non badai più a quella donna, anche se aveva ragione.

I giorni passavano e il lavoro nell’agenzia di assicurazioni aumentava, infatti, portavo spesso a casa qualche fascicolo da completare. Ero e lo sono ancora tutt’ora, la classica persona tutta casa e lavoro.

Ricordo ancora quella sera, quando ero davanti al computer nello studio.

Quella sera mi sentivo un po’ stanca, perciò mi preparai un’ottima tisana alla menta peperita. La portai al piano di sopra, intanto Shu, rimase di sotto a sonnecchiare sul tappeto. Salii le scale ed entrai nello studio, dove il lavoro mi attendeva. Lavorai per un paio d’ore di fronte a quello schermo luminoso, quando sentii un lamento provenire dalla mia stanza da letto.

Rammento che sbuffai irritata.

"Uff. Adesso Shu, cos’ha?".

Pensai subito a lui, mentre mi alzavo dalla sedia e mi dirigevo nella mia stanza.

Entrai, la stanza era buia, era solo illuminata da un timido raggio di luce che proveniva da un lampione in strada.

"Shu…che c’è?".

Dissi, leggermente preoccupata, ma avvenne una cosa che mi lasciò senza fiato…ancora adesso tremo nel ricordare quello vidi. Di nuovo quella donna seduta sul mio letto, ma questa volta piangeva.

Io rimasi impietrita. Sentii un brivido salirmi su per la schiena, cominciai a tremare e a sentire freddo.

Si lamentava, aveva le mani sul volto. Io la guardavo. Volevo tanto urlare dal terrore, ma le corde vocali erano come paralizzate. L’unica cosa che riuscivo a fare era quello di spalancare la bocca. Indietreggiai verso il muro, intanto lei aveva tolto le mani dal volto e lentamente lo voltava verso di me.

Io tremavo come una foglia, mi poggiai al muro e con la mano destra cercavo l’interruttore della luce. Ero in preda al panico, non riuscivo a trovarlo. Sbattevo la mano sul muro nel vano tentativo di accendere la luce.

Paura.

Avevo molta paura. Chiusi gli occhi, intanto la mia mano era riuscita a trovare l’interruttore.

Accesi la luce e mi lasciai scivolare a terra, quando sentii sul mio viso qualcosa di umido e caldo.

Aprii gli occhi di scatto e vidi Shu che, mi leccava il viso.

Velocemente lo abbracciai, mentre il mio sguardo era rivolto verso il letto ora vuoto.

Di lei non c’era traccia, ma era reale?…l’avevo vista!…l’avevo sentita!

Senza rendermene conto mi misi a piangere.

"Shu, ho paura".

Dissi, mentre continuavo a stringere il mio cane…quello era solo l’inizio del mio inferno…

Continua…

___________________________

Ehm, scusate il ritardo nell’aggiornare, ma ho avuto qualche problemino tecnico…in parole povere sia Word che il mio Editor Html hanno deciso di mettersi in ferie, con mia somma rabbia è_é.

Quindi ho dovuto utilizzare un altro programma di scrittura e un altro Editor, un po’ difficile per la mia povera mente XD.

Ringrazio:

Lirith: grazie sorellina, amante della matematica e della storia…questa volta mi uccide XD. Sono felice che, la mia storia dall’atmosfera surreale ti piaccia ^^. Non temere continuerò ad aggiornare, sai ci tengo alla mia vita XD. Un bacio.

Alessandro85: grazie per la recensione, spero che questa volta tu abbia acceso la luce, perché come ben vedi il fantasma è tornato XD. Un esorcista dici? Io l’avrei già fatto…un bacio e a presto.

Monik: grazie di cuore per le tue recensioni che, mi mettono di buon umore. Un mega bacio.

Mikamey: beh, vuoi sapere l’identità del fantasma, giusto? Ahimè, dovrai attendere. Sono cattiva lo so, ma non temere lo scoprirai. Un bacio e a presto.

Fla95: grazie per aver recensito, un bacione ^^.

Bellatrix_Indomita: grazie per i complimenti, spero che questo capitolo sia di tuo gradimento. Un bacio.

Callistas: sì, mi hai scoperto…in verità sono la concubina di King XD. No scherzo. Comunque, sono felice che la mia storia, così particolare, ti piaccia, un bacio e ancora grazie.

Ringrazio anche chi solo legge.

Buona lettura.

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Capitolo 7
*** VII ***


VII

Mi alzai da terra, sentivo le gambe indolenzite, ma feci leva sulle braccia e mi misi in piedi. Tremavo, ero davvero spaventata.

Intanto Shu mi guardava incuriosito, io lo accarezzai.

"Questa notte dormirò di sotto".

Mi dissi, mentre scendevo le scale. Ero troppo spaventata per riposare in quella stanza.

Scesi, e mi fiondai sul divano. Presi un plaid posto sotto un cuscino e mi coprii. Accesi la televisione, il suo chiacchiericcio mi face compagnia…però la mia mente tornava a quella figura.

Era vera? Oppure frutto della mia immaginazione?

Oddio, quante domande affollavano la mia testa. Ricordo il terribile mal di testa che ne scaturì.

Mi assopii, mi destai al mugolio di Shu che, mi richiamava…voleva scendere di sotto.

Era lì, accanto alla porta con in bocca il suo guinzaglio rosso e mi guardava.

Rammento che, sospirai. Intanto il mal di testa era rimasto.

"Oddio, che dolore".

Mi dissi ponendomi una mano sulla tempia destra.

Scesi da divano, salii al piano di sopra e mi chiusi subito in bagno. Avevo ancora il terrore di entrare in camera mia.

Mi guardai allo specchio e costatai le brutte occhiaie. Avevo dormito malissimo.

Mi lavai il viso. Mi rispecchiai di nuovo e mi dissi, per darmi coraggio.

"Rin! Smettila di fare la bambina i fantasmi non esistono! Sono solo frutto della tua fervida immaginazione e del troppo lavoro".

Mi rincuoravo. Cercavo di darmi una spiegazione logica. Ci riuscii, ma solo in parte. Infatti, in un angolino del mio cervello una vocina mi diceva "non è un sogno, essa è reale".

Mi sciacquai di nuovo il viso e uscii dal bagno, però rimasi alcuni secondi sulla soglia.

Sentivo il mio corpo irrigidirsi, non voleva entrare in quella stanza. Ricordo che, strinsi i pugni.

"Rin! Entra!".

Non volevo farlo, ma d’un tratto il nuovo mugolio di Shu mi fece destare da quello stupido stato di trans.

Sospirai e mi detti della cretina ed entrai in camera mia. Però ricordo il nervosismo, non guardai nemmeno il mio letto.

Un qualcosa mi diceva che lei era lì e mi guardava.

Mi vestii in tutta fretta e scesi di sotto dal mio cane che, mi attendeva davanti al portone di casa.

Gli infilai il collare, agganciai il guinzaglio e uscii da casa. Quel giorno mi sentii una vera stupida. Come si può credere a queste presenze?

Rimasi per quasi un’ora fuori con Shu, intanto avvertivo lo sguardo di quella donna.

Mi dette davvero fastidio, tanto che sibilai.

"Stupida vecchiaccia impicciona! Va a rompere le scatole a qualcun altro!".

Ricordo che mi voltai furente e la guardai storto. Quel giorno avrei voluto urlarle di lasciarmi in pace, ma come il suo solito chiuse le tende e fuggì.

I giorni passavano ed io mi sentivo sempre più stanca. Quella situazione era davvero troppa per me.

Avevo paura di tornare a casa.

Di fatti, cercavo ogni pretesto per rimanere il più possibile fuori di casa…ma chi ne soffriva di più era Shu. Perciò decisi di lasciarlo ai miei, anche se questo mi costava molto.

Lo lasciai con il pretesto che: "Devo lavorare e ho poco tempo da dedicare a lui".

Oddio, quel giorno mi sentii una vera bastarda, ma non potevo farlo soffrire…per questo agii così.

Mi dedicai anima e corpo al lavoro, anche se Kagome mi diceva di smetterla di fare così, ma io testarda non la ascoltavo…dopotutto aveva ragione, alla fine sarei crollata.

Ma che cosa potevo fare?

Tornare con la coda tra le gambe dai miei? No, questo mai. Già, sentivo la ramanzina di mai madre:

"Rin te lo avevo detto. Vedi? Non puoi vivere da sola".

No, non avrei sopportato quella lavata di capo. Allora avrei dovuto trovare un nuovo appartamento? Questa era la soluzione migliore, ma… c’era un ma. I soldi. Gli affitti erano altissimi e trovare un nuovo appartamento con l’affitto basso come questo, era davvero arduo. Perciò strinsi i denti e rimasi.

Però una soluzione c’era. Trovare un bel ragazzo e innamorarmi di lui…così sarei andata a vivere con lui e il problema si sarebbe risolto.

Ricordo che mi trovai a ridere a pensare a ciò. Lasciai correre a questi pensieri e mi buttai nel lavoro anima e corpo.

Tornavo a casa sempre più tardi, tanto che avevo fatto amicizia con gli addetti alle pulizie.

Non avrei retto allungo, lo so, sarei cascata alla fine. Infatti, una sera, mentre gli altri erano usciti io, rimasi in ufficio come il mio solito. Ero davanti allo schermo luminoso del mio computer. Avevo finito da ore il lavoro e ora rimanevo a osservarlo triste.

"Dovrò tornare a casa?".

Pensai, mentre picchiettavo con le dita sul tavolo, ma d’un tratto una voce mi fece sobbalzare.

"Anche oggi non torni a casa?".

Voltai il capo e vidi la persona che mi aveva spaventato. Eccolo! Era il mio capo, Sesshoumaru Belleville. Ricordo che biascicai un.

"Sì".

Ricordo ancora il suo sguardo, ambrato, severo su di me, l’ho sempre detestato, come tutt’ora del resto.

Era in piedi accanto a me e ora guardava lo schermo del mio computer.

"Vedo che il suo lavoro è terminato da un bel po’".

Io arrossii, aveva ragione. Mi morsi leggermente le labbra dal nervosismo.

Non risposi.

"Torni a casa. Da fastidio agli addetti alle pulizie".

Disse, mentre tornava indietro sui suoi passi. Sapete in quel momento avrei voluto picchiarlo. Mi dette fastidio quel suo tono di voce. Mi alzai stizzita, presi la mia roba e uscii di corsa dall’ufficio. Però un pensiero mi balenò.

"Anche lui resta fino a tardi in ufficio".

Mi fermai nel parcheggio del nostro ufficio, alzai il capo verso la sua finestra e notai che la luce era ancora accesa. Ricordo che scossi il capo e mi misi in macchina…però avvenne una cosa che, mai avrei potuto immaginare.

Qualcosa che mi lasciò senza parole…

Continua…

_______________________

Scusate come sempre il ritardo. Sono davvero felice che la mia storia, di pura follia sia piaciuta.

Un bacio enorme a chi ha recensito: Lirith – Mikamey – Fla95 – Monik - Kaimy_11.

Ma ringrazio sempre anche chi solo legge ^^.

Buona lettura.

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Capitolo 8
*** VIII ***


VIII

Salii in macchina, poggiai la mia roba sul sedile e misi la chiave nella toppa. Dovevo accendere il motore per partire, ma non lo feci.

Ero paralizzata. La mano tremava, gli occhi erano fissi in avanti a guardare il vuoto.

Ricordo il malessere che provai. Mi sentivo soffocare. Cominciai a tremare, mentre sentivo le lacrime scendermi sul viso. Piangevo.

Ero disperata, avevo bisogno di sfogarmi e lo feci. Poggiai le mani sul volante, e infine il viso e mi lasciai andare a un pianto liberatorio.

Non ricordo per quanto tempo piansi, forse una decina di minuti oppure di più…non lo rammento, però qualcosa mi fece fermare. Infatti, sentii bussare al finestrino. Sobbalzai, smisi di botto di piangere.

Alzai lentamente il viso, mentre trattenevo il respiro per la paura.

Chi era?

Voltai il viso e vidi la persona che aveva bussato al finestrino. No, non poteva essere. Ricordo che sgranai gli occhi nel vederlo. Lui, il mio capo era lì che mi osservava. In quel momento mi sentii in imbarazzo, avevo mostrato il mio lato debole. Io che dimostravo una forza di volontà invidiabile, ora mi mostravo come una bimba piccola e frignona.

Continuavo a fissarlo come imbambolata, mentre lui apriva lo sportello.

"C’è qualcosa che non va?".

Mi domandò, mentre mi fissava. Ricordo che abbassai il viso, mentre le mie gote andavano in fiamme per la vergogna…dopotutto non si sbagliava c’era qualcosa che non andava.

"Beh, sì".

Sussurrai. Però una cosa mi sono sempre chiesta, perché risposi sì?

"Purtroppo sto attraversando un periodo strano".

Continuavo a tenere il viso abbassato, mentre parlavo a ruota libera della situazione assurda in cui ero caduta. Mi sentivo parola dopo parola sempre più leggera, come se il mio animo si fosse liberato di un peso. Intanto lui non diceva niente, rimaneva lì, in piedi ad ascoltarmi. Sapete è raro trovare qualcuno che ti ascolti, e lui lo fece.

Ricordo che finii il mio racconto con una risata di commiserazione, rialzai il viso e lo guardai negli occhi. Nei suoi occhi cercavo capire cosa stesse pensando di me. Cercavo la prova della mia pazzia. Perché io mi reputavo una pazza. Credere ai fantasmi è da folli.

Ma purtroppo nei suoi occhi non lessi nulla, però una cosa mi lasciò perplessa, ciò che disse.

"Interessante".

Io rimasi senza parole. Aveva trovato interessante il mio racconto. Un racconto di pura follia. Una cosa mi venne da pensare, mi prendeva per caso in giro?

Abbassai di nuovo lo sguardo, mentre mi voltavo e cercavo di inserire la chiave nella toppa, ma la mano di nuovo ricominciò a tremare. Ero nervosa, e non riuscivo a calmarmi, quando.

"Esca dalla macchina".

Io voltai il capo verso di lui.

"Perché?".

"Le ho detto di uscire dalla macchina".

Era un ordine, ma io testarda non volevo uscire. Misi la chiave, quando la sua mano afferrò il mio polso destro.

"Non può mettersi alla guida in queste condizioni. Scenda che, l’accompagno io a casa".

Rimasi basita da quel che disse. Lui mi voleva accompagnare a casa?

D’un tratto mi tirò fuori dall’abitacolo, io in quel frangente ero come imbambolata, incapace di replicare.

Chiusi la macchina e lo seguii, anche se mi sentivo nervosa. Ricordo che, quando entrai nella sua BMW torturai la mia borsa. Ho sempre odiato essere in quello stato, perché è deleterio per il corpo. Di fatti, i muscoli del collo, come quelli delle spalle erano tesi e doloranti. Gli diedi le istruzioni dove, si trovava la mia casa e lui le annotò sul suo navigatore.

Misi la cintura di sicurezza e partimmo verso la mia dimora. Dimora? Dovrei dire inferno.

Ricordo che non proferii neanche una parola durante il tragitto, mi limitai a guardare fuori dal finestrino.

Diciamola tutta, avevo vergogna di guardarlo, perciò mi concentrai sul panorama…sulle saracinesche e vetrine dei negozi, ormai chiusi.

Mi persi nei pensieri e non mi resi conto che eravamo arrivati. Sobbalzai, quando capii che eravamo nel parcheggio di casa mia. Arrossii di nuovo per l’imbarazzo, slacciai la cintura di sicurezza, anche se il nervosismo era alle stelle.

"Grazie per il passaggio".

Dissi, mentre riuscii a togliere quella dannata cintura. Però qualcosa mi lasciò di stucco, lui era sceso dalla macchina e mi attendeva. Perché?

Scesi dalla macchina e lui la chiuse.

"Andiamo".

Mi disse, mentre s’incamminava verso il portone di casa mia. Io lì per lì, rimasi senza parole, ricordo che annuii, mentre lo seguivo.

Perché voleva venire a casa mia? Per quale motivo?

Entrammo nell’ascensore, io continuavo a non guardarlo. Trattenevo il respiro, intanto il mio corpo era attraversato da brividi di puro nervosismo.

Le mie mani erano fredde e continuavano a torturare quella povera borsa.

Le porte si aprirono. Uscimmo dall’ascensore e lì ricominciai a respirare. Presi la chiave dalla borsa e cercai di metterla nella toppa, ma di nuovo la mano tremava e non riuscivo a fare quel banalissimo gesto.

Ma d’un tratto lui me la tolse di mano e aprì la porta.

"Grazie".

Dissi ridacchiando nervosamente, mentre lui mi osservava impassibile, ma credo che abbia pensato a me come una perfetta incapace. Beh, in quel momento lo ero divenuta.

Lo feci accomodare dentro.

"Perdoni il disordine".

Dissi, mentre aggiustavo un cuscino che, io reputavo in disordine…ma non lo era. Dovete sapere che la sottoscritta era e ancora tutt’ora lo è, una maniaca dell’ordine e del pulito, quindi la stanza era in perfetto ordine.

Però mi sentivo in disaggio, vedere il mio capo nel mio umile appartamento.

"Posso offrile qualcosa? Un bicchiere di vino?".

Dissi, mentre poggiavo la mia borsa su di una sedia. Lui annuii, mentre osservava la mia libreria.

Gli sorrisi e andai in cucina a prendere due bicchieri di vino, intanto mi ripetevo.

"Rin sta calma, smettila di fare la ragazzina…non c’è nulla da temere. Quindi calmati".

Presi un profondo respiro e tornai di là dove, lui mi attendeva. Era lì, in piedi a guardare il mio piccolo murales…dopotutto non ero riuscita a riempiere quella stanza, perciò una parete era rimasta vuota, quindi optai per un bel murales fatto da me.

Un paesaggio. Una spiaggia, un mare cristallino e un albero di ciliegio in fiore…era molto bello ed io ero orgogliosa.

"Le piace? Sa l'ho fatto io".

Dissi, mentre poggiavo il vassoio sul tavolino accanto al divano. Presi i due bicchieri e uno glielo porsi. Intanto attendevo una risposta. Però si limitò a dire un.

"Sì".

Sorrisi, mentre lui continuava a guardare la stanza. D’un tratto si fermò e alzò lo sguardo verso le scale.

Avrà visto qualcosa? Ricordo che strinsi forte il bicchiere, mentre lo guardavo.

Lui poggiò le labbra al bicchiere, ma poi si voltò in direzione della porta. Poggiò il bicchiere sul tavolino dell’ingresso, aprì la porta e mi disse una frase che mi lasciò dubbiosa.

"Stia attenta".

E uscì lasciandomi così senza replicare.

"Stia attenta".

Mi ripetei, mentre osservavo la porta ora chiusa…

Continua…

_____________________

Scusate il mega ritardo, ma non ho davvero avuto tempo per aggiornare. Vi chiedo solo di non lapidarmi XD.

P.S: il murales esiste davvero e si trova in camera mia XD

Vi ringrazio di cuore delle recensioni che mi lasciate, mi rendono iper felice ^^.

Ma ringrazio anche chi solo legge.

Buona lettura.

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Capitolo 9
*** IX ***


IX

"Stia attenta"

Mi dissi, mentre guardavo la porta.

"Ma a cosa?".

Dissi stizzita. Bevvi tutto d’un fiato il contenuto del mio bicchiere, mentre la mente ripeteva senza mai fermarsi quella frase.

"Mfh".

Mi diressi a prendere il suo bicchiere sul tavolino dell’ingresso e notai con disappunto che, non aveva per niente bevuto.

Alzai un sopracciglio, mi sentivo leggermente delusa. Lo guardai e lo bevvi io, non volevo che andasse sprecato.

"Che razza di serata".

Mi dissi, mentre riportavo i bicchieri in cucina. Ero distrutta. Avevo i muscoli doloranti per colpa del nervosismo, perciò preferii una bella doccia e una dormita.

Una cosa mi balzò in mente…domani come avrei fatto ad andare al lavoro?

Sospirai amaramente e mi dissi.

"Mi tocca chiamare un taxi. Ottimo, un’altra spesa extra per il mio già striminzito portafoglio. Brava Rin".

Mi cambiai, mettendomi il pigiama, intanto continuavo a brontolare su quella situazione assurda. Però almeno mi evitò di pensare a quella presenza.

La notte trascorse serenamente e il mattino dopo mi alzai presto. Chiamai la ditta dei radio-taxi per farmi mandare una loro vettura a prendermi. Ricordo che sospirai, mentre mettevo giù la cornetta del telefono.

"Spese. Altre spese extra".

Mi cambiai, mi truccai e uscii da casa. Ero leggermente irritata quel giorno, sentivo nell’aria che sarebbe capitato qualcosa di spiacevole, oppure qualcosa che mi avrebbe fatto arrabbiare.

Lo sentivo.

Intanto quel giorno conobbi anche il nome di quell’adorabile vecchina. Il suo nome era Kaede.

Infatti, la trovai nell’androne del palazzo e come il suo solito bofonchiò qualcosa contro di me. Io la guardai storto stavo per risponderle a tono, quando la voce di una donna mi fermò.

"Signorina, non badi alla nonna Kaede".

Io mi voltai e vidi una donna con i capelli castani corti e occhiali che, mi sorrideva. Con rapidità si avvicinò a quella donna anziana che aveva chiamato nonna.

"Sa come sono fatte le persone anziane, vero?".

Mi disse sorridendo. Io non dissi nulla, continuavo a osservarle.

"Dicono un sacco di sciocchezze".

Ridacchiò, mentre io le sorrisi. Già, alcune volte le persone anziane dicono delle sciocchezze, ma lei no. Diceva, a suo modo, il vero.

"Sì".

Le dissi, mentre le due si dirigevano nell’ascensore.

"Su, nonna torniamo a casa".

Le diceva dolcemente. Invece, io le osservavo, mentre mi spostavo per farle passare. Le porte dell’ascensore si chiusero ed io tirai un sospiro di sollievo. Quella donna anziana di nome Kaede, aveva il dono di farmi saltare le staffe. E ci riusciva divinamente.

Mi voltai e andai verso il parcheggio, dove avrei trovato il mio taxi, ma avvenne qualcosa che mi lasciò di stucco.

Di fatti, al posto del taxi che avevo chiamato c’era lui, il mio capo che mi attendeva. Lì per lì, rimasi a guardarlo come imbambolata.

Che cosa ci faceva lui lì, in quel momento?

L’avrei scoperto. Di fatti, con passo deciso andai da lui che, in quel momento era sceso dalla macchina. Ero curiosa di sapere cosa fosse venuto a fare.

"Che cosa ci fa qui?".

Gli dissi con una punta di acidità, cosa che non gli sfuggì, infatti, aveva alzato un sopracciglio. Era infastidito dal mio tono di voce.

"La sono venuto prendere".

Era venuto a prendermi?

"A prendere?".

Sussurrai, mentre lo guardavo.

"E perché?".

Gli domandai, mentre lui ritornava dentro la macchina, e dicendomi tranquillamente.

"Perché ieri sera ha lasciato la sua macchina nel parcheggio dell’ufficio".

Che cosa? Io avrei lasciato la macchina? Queste erano le domande che ora affollavano la mia mente.

"Salga, è tardi".

Il suo tono di voce mi destò. Era un ordine bello e buono. Rammento che sbuffai stizzita.

"Va bene".

Dovetti accettare, dopotutto era tardi per chiamare un nuovo taxi, perciò salii. Aprii lo sportello, mi sedetti e lo feci sbattere. Ero furiosa, ma credo che questa mia azione non gli sia piaciuta, infatti, mi guardò storto. Cosa che feci anch’io, ma gli dissi.

"Che fine ha fatto il mio taxi?".

"L’ho mandato via".

Sgranai gli occhi. Perché l’aveva fatto? Era questo quello che volevo dirgli, ma lui mi anticipò.

"Perché era un mio dovere portarla in ufficio".

Mi disse, mentre partivamo.

"Un dovere?".

Mi domandai mentalmente abbassando il viso. Dopotutto non si sbagliava, era un suo dovere accompagnarmi al lavoro. Sospirai cercando di ritrovare la calma. Quella poca che mi restava.

Socchiusi gli occhi e mi accomodai meglio nel sedile, non mi andava di continuare quella discussione, come anche lui del resto. Quello fu uno dei giorni più pesanti della mia vita. Infatti, il peggio doveva ancora venire.

Arrivammo in ufficio. Lo ringraziai velocemente e fuggii nel mio ufficio. Non volevo restare un minuto di più con lui. Con l’unica persona al mondo che, riusciva a farmi sentire male fisicamente e mentalmente, ma sempre dopo quella presenza diabolica.

Entrai dentro e notai che Kagome e Ayame parlottavano. Beh, una cosa normalissima. Ma quello che fece trillare il mio campanello d’allarme erano le occhiate complici tra le due. Io le guardai come a dire.

"Che avete da guardare? Ho qualcosa che non va in viso?".

Scossi il capo, attaccai la giacca alla spalliera della mia sedia e cominciai a visionare i plichi di documenti che, Kagome aveva poggiato sulla scrivania. Cominciai a visionarli uno per uno intanto con la coda dell’occhio vidi la cara Ayame venire verso da me. Aveva un sorrisino malizioso che, adornava il suo viso leggermente truccato e i suoi occhi verdi brillavano di una luce strana.

"Allora Rin? Che ci racconti di bello, oggi?".

Quell’oggi era stato sottolineato come a dirmi "Su, muoviti! Dimmi tutto e non tralasciare niente!". Io lì per lì non le detti peso e le risposi, semplicemente.

"Niente di ché".

La sentii, ridacchiare maliziosamente e dirmi a due centimetri dal mio naso.

"Sicura?".

Io sgranai gli occhi, mentre pensavo che la mia collega e amica avesse perduto qualche rotella.

"Certo".

Le dissi, mentre indietreggiavo leggermente infastidita. Ma purtroppo Ayame continuò.

"Non ti credo!".

Io voltai il capo e guardai Kagome che, intanto aveva abbassato il viso leggermente arrossato dall’imbarazzo. Perché arrossiva? Era una domanda che presto avrebbe avuto una degna risposta.

"Su Rin! Dì la verità su ieri sera!".

Voltai di nuovo il viso verso Ayame. Intanto nei suoi occhi lessi curiosità, impazienza e rabbia, perché attendeva una risposta alla sua domanda.

"Su cosa?".

Biascicai, mentre vedevo il viso di Ayame sempre vicino al mio.

"Su cosa? Ma sei scema o cosa? Sul fatto che il nostro bel capo ieri sera ti ha accompagnato a casa".

Sgranai ancora di più gli occhi, mentre trattenevo il respiro. Intanto la mia amica, impicciona, continuò la sua tortura.

"E non solo…oggi ti ha portato anche al lavoro".

Ridacchiò, mentre si voltava a guardare Kagome che, aveva una mano sulla bocca a nascondere un risolino. Si voltò di nuovo verso di me per darmi il colpo di grazia.

"Allora dicci? Com’è al letto?".

Ricordo che sbiancai, strinsi i pugni, intanto la rabbia saliva velocemente. Mi morsi il labbro inferiore, alzai la mano e la schiaffeggiai. Sento ancora la sua pelle morbida sulla mano. Come il suo solito aveva tirato troppo presto le sue conclusioni. Aveva creduto che io e Sesshoumaru fossimo andati al letto.

Rammento che cominciai a urlare come una pazza, mentre buttavo a terra i plichi. Ero furiosa. Delusa. Dissi cose davvero orribili ad Ayame che, mi guardava. I suoi occhi mi supplicavano di perdonarla.

Intanto sentivo le mani di Kagome sulle spalle, come anche le sue parole.

"Su Rin calmati".

Ricordo che la spinsi, ero furiosa anche con lei. Le guardai storte e uscii sbuffando. Intanto sentivo la voce di Ayame che mi chiedeva perdono, ma in quel momento non ero in grado di perdonarla.

Camminai per il corridoio dello stabile. Battevo con forza i piedi, come a far capire che nessuno doveva intralciarmi, ero come un toro in un’ arena che vede il mantello rosso del matador. Ricordo che passai accanto a Inu Yasha e Koga che parlottavano accanto al distributore del caffè. Loro mi salutarono, ma ebbero come risposta un’occhiataccia degna di un pazzo omicida.

Arrivai in bagno e mi barricai dentro, dovevo sbollire la rabbia. Una rabbia repressa da troppo tempo che ora era esplosa…

Continua…

___________________________

Perdonate il ritardo, ma in questo periodo non sono stata a casa. Tra il lavoro, ho sostituito una ragazza per una settimana intera ç_ç, i corsi, lo studio e la palestra non ho avuto davvero tempo T_T.

Comunque, ringrazio:

Flag95: grazie spero che ti sia piaciuto questo capitolo ^^. Un bacio e buona Pasqua, in ritardo.

Kaimy_11: sai non sapevo che Sesshoumaru comprasse la settimana enigmistica XD. Allora è un mio cliente ed io non lo sapevo? XD. Non temere le tue domande saranno saziate, però in futuro XP. Un bacio e Buona Pasqua e Lunedì dell’Angelo.

Mikamey: grazie, sono felice che il mio Sesshoumaru così enigmatico ti sia piaciuto ^^. Un bacio e Buona Pasquetta.

Callistas: scusami il ritardo, ma non sono stata a casa in questi giorni ç_ç. Quindi ho aggiornato oggi. Un bacio e buone vacanze pasquali.

Un bacio e un augurio a tutti coloro che solo leggono ^^.

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Capitolo 10
*** X ***


X

 

Mi barricai in bagno, dovevo sbollire quella rabbia che attanagliava la bocca del mio stomaco.

Ricordo che camminai avanti e indietro dentro quella stanza cercando di calmarmi, ma la mente beffarda mi ripresentava la scena di prima ed io di nuovo m’infuriavo.

"Ayame".

Sibilai, mentre stringevo i pugni. Per rabbia repressa detti un pugno al lavandino. Mi feci male, ma quel piccolo gesto mi liberò un po’ da quello stato di furia omicida.

Non so quanto tempo rimasi dentro, una decina oppure una ventina di minuti, ma furono utili per farmi ragionare su quella situazione assurda che vivevo.

Infatti, mi poggiai con il fondo schiena al lavandino e con lo sguardo al pavimento, cominciai a pensare a cosa fare.

"Che situazione assurda. Mia cara Rin devo proprio dirtelo: sei sull’orlo di una vera crisi di nervi. Wow, mi mancava proprio l’esaurimento nervoso. Ma che cosa posso fare?Mettermi in malattia? No, è escluso…allora l’unica soluzione sono le ferie".

Ricordo che mi girai e mi guardai allo specchio. Ero decisa.

"Rin è ora che tu ti conceda un breve periodo di vacanze. Dopotutto hai ancora delle vecchie ferie da sfruttare, prima che vadano perse. Sì, farò così…anche se…basta! Non indugiare, va da Inu Yasha".

Mi risistemai e uscii dal bagno. Presi un profondo respiro e andai dal mio capo ufficio, Inu Yasha.

Ferie.

Arrivai alla porta, aperta, del suo ufficio e vidi lui che parlava con Kagome, di sicuro della lite tra me e Ayame.

"E’ permesso?".

Dissi e i due si voltarono verso di me, notai che Kagome aveva abbassato lo sguardo, si sentiva in colpa. Ma dopotutto lei non aveva colpa di ciò che era accaduto.

"Inu Yasha posso parlarti?".

Gli dissi guardandolo negli occhi, ero decisa, anche se un a parte di me era piuttosto titubante nel prendere un periodo di riposo. Amavo, e ancora tuttora il mio lavoro.

"Certo".

Mi rispose, io gli sorrisi, intanto Kagome si era congedata sapeva bene che io dovevo parlare di cose piuttosto urgenti con Inu Yasha. Ricordo perfettamente, quando lei uscì dalla stanza, aveva uno sguardo triste, in quel momento mi fece pena, ma la rabbia che ancora provavo mi rese una sorta di essere senza sentimenti…la guardai senza neanche salutarla. Sapete ora che ci penso, avrei voluto che qualcuno mi avesse dato uno schiaffo, fui meschina nei suoi confronti.

"Inu Yasha devo chiederti una cosa di vitale importanza".

Dissi tutto d’un fiato, mentre lui mi osservava stranito.

"Ho bisogno di un periodo di ferie".

"Che cosa?".

Era sbalordito. Infatti, ricordo la sua espressione, aveva gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta per lo stupore.

"Rin? Sei sicura?".

"Sì".

Sì, ero sicura. Volevo. Desideravo un periodo di ferie. Lo vidi dirigersi alla sua scrivania e sedersi sulla poltroncina.

"Va bene, anche se la tua decisione, specialmente in questo periodo, mi sembra strana. Sai bene che questo non è il periodo adatto per allontanarsi dal lavoro, ma dopotutto hai bisogno anche tu di un periodo di ferie…non sei un automa fatto di solo lavoro. Quindi… quanti giorni vuoi?".

"Due settimane".

Dissi così di getto senza riflettere, ma dopotutto non era male quindici giorni di puro relax.

"Va bene".

Mi disse sorridendo, mentre prendeva il foglio con scritta la domanda di ferie e me la porgeva. Mi sentivo felice, ma restava un ultimo ostacolo. La firma del grande capo.

"Ecco a te. Devi solo farlo firmare a Sesshoumaru".

Disse Inu Yasha, sospirando. Era consapevole che il suo caro fratellastro, era restio a concedere un periodo di ferie, specialmente se si trattava di un periodo così lungo. Ma io non avevo paura, volevo le ferie.

"Sì, lo so".

Ringraziai Inu Yasha e uscii dal suo ufficio con in mano la mia salvezza. Arrivai alla porta del suo ufficio, ricordo benissimo le sensazioni che provai, come anche i pensieri assurdi che riempirono la mia mente.

Sospirai profondamente e bussai alla porta. Sentii la sua voce che mi invitava a entrare ed io lo feci.

"Mi scusi se la disturbo, ma ho bisogno della sua firma su questo foglio".

Gli dissi, mentre mi dirigevo da lui che, si trovava dietro la sua bellissima scrivania di mogano con sopra un computer ben acceso. Lui alzò il viso verso di me e mi guardò interrogativo, dopotutto era raro che io andassi nel suo ufficio. Infatti, sarò entrata sì o no, sette o otto volte nel suo ufficio, ma solo quando Inu Yasha non poteva andare.

Gli porsi il foglio, intanto sentivo il mio corpo attraversato da brividi di puro nervosismo. Intanto mentalmente pregavo.

"Fa che firmi, ho bisogno di fuggire da questa situazione. Oh, ti prego firma".

Stringevo forte i pugni, mentre lo guardavo. Leggeva attento ogni parola. D’un tratto lo vidi prendere la penna e firmare. Sgranai gli occhi aveva accettato le mie ferie e anche senza dire nulla. Cosa strana e bizzarra, ma dopotutto questo non mi importava molto, avevo ottenuto ciò che desideravo. Le mie ferie.

"Ora può andare".

Mi disse, mentre mi restituiva il foglietto. Io lo presi felice e lo ringraziai con un radioso sorriso, mentre lui ritornava al suo lavoro.

"Grazie".

Gli dissi, mentre uscivo dal suo ufficio.

"Prego".

Ricordo che mi fermai di botto, quando lo sentii. Lo guardai stranita, quell’uomo aveva la capacità di mandare in tilt ogni essere vivente.

Chiusi la porta e mi diressi verso il mio ufficio, mentre pensavo a lui.

"E’ un tipo bizzarro. Provo pena per l’anima pia che gli sta accanto. Ma ora che ci penso, nel suo ufficio non ho visto foto di donne. Sarà gay? Ah, Rin che vai a pensare, ora concentrati per le ferie e non su quel tipo strano".

Entrai nel mio ufficio e mi precipitai verso la mia scrivania, non guardai neanche il viso della mia amica, che mi guardava triste e amareggiata.

Mi sedetti e accesi il mio computer, quel giorno non lavorai molto, più che altro mi concentrai nella ricerca di una buona pensione, dove trascorre i miei quindici giorni di puro relax.

Visionai moltissimi siti di pensioncine carine sul mare, di tanto in tanto con la coda dell’occhio controllavo Ayame che, mi guardava curiosa.

Sospirai infastidita, mi dava noia essere guardata in quel modo. Ayame sobbalzò e abbassò il viso verso la tastiera del suo computer.

"Ayame".

La chiamai, mi decisi a perdonarla, anche se era meglio farla un po’ soffrire. La vidi alzare il viso di scatto e guardarmi.

"Sì, Rin?".

Mi rispose con voce tremula, aveva paura.

"Per due settimane non ci sarò".

"Che cosa? E perché?".

Ricordo il suo viso preoccupato, ma anche stupito. Sapeva bene che io non ero il tipo di allontanarmi dal lavoro.

"Ho preso un periodo di ferie".

Le dissi, mentre prenotavo una stanza in una pensione in una località marittima, non molto lontano dalla nostra città.

"Ferie?"

Domandò lei, mentre mi guardava dubbiosa. Io sbuffai infastidita.

"Sì".

La vidi abbassare il viso e dirmi.

"Rin ti chiedo scusa per ciò che è accaduto prima, io non…".

"Basta! Non ne parliamo più. Ti perdono, anche se mi ha davvero fatto saltare le staffe".

La vidi alzare il viso e sorridermi, aveva gli occhi lucidi. Veloce lasciò la sua scrivania e venne da me per abbracciarmi, più che altro a soffocarmi. Mi trovai a ridere. Ayame era, ma lo è ancora tutt’oggi, una bimba pestifera, ma anche molto affettuosa.

L’avevo perdonata.

Ora dovevo pensare alle ferie, alla mia fuga dal mio inferno…

Continua…

_________________________

Eccomi di nuovo con un nuovo capitolo. Non temete la presenza inquietante tornerà presto, ma questa fuga di Rin ci vuole, infatti, la mia mente malta ha stravolto la storia che avevo terminato su carta XD.

Son pazza e ne sono consapevole XP.

Comunque, spero di riuscire a farvi un piccolo dono, cioè fare la foto del temuto duplex. Ebbene lui esiste nella realtà e dista da casa mia duecento metri XD.

Ma voglio ringraziare le persone dolci che con pazienza recensiscono, ma anche chi solo legge.

Un mega bacio e buona lettura.

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Capitolo 11
*** XI ***


XI

Finii di lavorare, mi sentivo elettrizzata all’idea di partire. Salutai Ayame e Kagome che sorrideva felice del fatto che, io e l’impicciona avevamo fatto pace.

"Ci vediamo tra due settimane".

Dissi, mentre uscivo dall’ufficio, quando sentii.

"Mi raccomando Rin, fa conquiste!".

Era di nuovo Ayame, mi voltai e le dissi, con un tono di voce leggermente alterato.

"Certo mia cara".

Scossi il capo, ormai la mia amica era una causa persa. Mi trovai a ridere pensando a ciò, quando incrociai nell’ingresso Sesshoumaru. Mi fermai, dovevo ringraziarlo del fatto che, mi aveva concesso un periodo di pausa. Gli sorrisi e gli dissi.

"Devo ringraziarla per avermi concesso le ferie…".

Lui mi guardò, mi passò accanto e mi disse.

"Si riposi".

E ritornò nel suo ufficio lasciandomi così, senza replicare. Rimasi sulla soglia per un po’ a riflettere, ma poi decisi a tornare a casa a preparare le valige. Devo ammetterlo quell’uomo era un vero mistero.

Ritornai a casa e mi precipitai in camera mia a prepararmi per il viaggio, ricordo che cominciai a canticchiare, cosa davvero bizzarra poiché non ho mai cantato, era una cosa che detestavo. Ma in quel frangente lo feci, perché?

Scossi il capo, chiusi la valigia e chiamai i miei genitori, era giusto farlo. Dopotutto mi assentavo per un periodo piuttosto lungo. Rammento ancora le parole melodrammatiche di mia madre che, mi supplicavano di non andare in vacanza da sola. Erano la solita solfa. Sbuffai, e le dissi che sarei andata lo stesso…avevo bisogno di quel periodo di fuga, volevo un momento per stare da sola con me se stessa.

Fatto ciò, mi misi a letto, l’indomani sarei partita. Infatti, appena il sole fu sorto mi preparai per partire. Ero euforica.

"Per un po’ non ci vedremo, mia cara presenza".

Dissi, mentre chiudevo la porta, lasciandomi dietro ogni preoccupazione. Ogni paura. Mi misi in macchina e partii verso la località che avevo scelto per trascorrere i quindici giorni di ferie. Dopotutto non era molto distante dalla città dove abitavo, infatti, ci impiegai due ore per arrivare.

Arrivai. Ricordo ancora la dolce brezza marina che mi accarezzava il viso, il profumo salmastro, il sole e la pensioncina in riva al mare.

Sorrisi e scesi dalla macchina. Entrai nella hall e presi la chiave della camera che avevo prenotato, la strinsi forte, mentre il facchino mi faceva strada.

"Non voglio pensare a nulla in questo periodo. Niente lavoro. Niente pensieri legati a quella presenza in casa. Ora voglio godermi un periodo di puro relax".

Pensai, mentre aprivo la porta della mia camera. Una stanza molto carina, anche se piccola, ma non faceva nulla io ero lì per riposarmi.

Sistemai la mia roba nel piccolo armadio laccato beige, mi sentivo davvero bene, come se l’anima si fosse liberata di un grosso peso. Avevo voglia di gridare, di ballare, di cantare, cose che io non farei mai, ma in quel momento avevo voglia di farlo.

Mi cambiai e uscii, volevo visitare quel piccolo angolo di paradiso, anche se eravamo in bassa stagione. Infatti, la gente che incontravo era per la maggior parte anziana, una cosa davvero deprimente, ma dopotutto ero lì per riposarmi no, per far conquiste come Ayame voleva.

Ricordo ancora quei giorni meravigliosi, il sole, la spiaggia e il bagno in un giorno piuttosto caldo, anche se l’acqua era ancora fredda. Le bancarelle dei venditori ambulanti, fu lì che trovai un libricino piuttosto carino.

"Il risciò fantasma".

Dissi, mentre lo tenevo in mano. Era piccino,la rilegatura era di cartone bianco con qualche venatura grigia, ma fu il titolo mi attrarmi.

"Fantasma".

Sussurrai, mentre con la mente ritornavo alla presenza in casa mia. Ricordo ancora il brivido che percorse la mia schiena. Scossi il capo e lessi l’autore.

"Kipling. Mmh… l’autore lo conosco. Lo prendo".

Dissi mentre prendevo il portafoglio e lo pagai. Due euro, un buon prezzo. Comprai anche qualche souvenir da regalare ai miei amici, per Kagome e Ayame optai per una collana con due bei pendagli ricavati da delle conchiglie. Erano belli e poco costosi. Invece per Inu Yasha e Koga comprai due simpaticissimi porta tabacco di latta. Ero orgogliosa dei miei acquisti, quando notai in una vetrina una bellissima penna argentata. Mi fermai ad ammirarla e subito pensai a lui, a Sesshoumaru, il mio capo. Sorrisi ed entrai a comprarlo, anche se il prezzo era piuttosto elevato. Lo comprai e lo misi in borsa.

Acquistai altra roba da regalare ai miei parenti, ninnoli fatti con le terra cotte del luogo.

Ero davvero sfinita. Ricordo che mi recai nel piccolo bar, dove andavo ogni pomeriggio. Era carino e accogliente, era a gestione familiare. Infatti, lì lavoravano i tutti componenti. Il marito, un omaccione baffuto, era davvero simpatico, come anche sua moglie, la figlia era un po’ civettuola, ma dopotutto aveva quindici anni era logico essere così. Mi sedetti e ordinai una tazza di tè al limone e una fetta di torta paradiso, la mia preferita.

Queste piccole cose mi rendevano felice e appagata. Mi piaceva quel piccolo bar, animato da gente gentile e cordiale. Ricordo anche la musica, calma e rilassante. Bevvi un sorso di tè e cominciai a leggere il libricino, dall’introduzione, era mia abitudine farlo. Era piuttosto breve, infatti, rimasi un po’ delusa. Pazienza.

Intanto la musica era cambiata, ora c’erano un gruppo americano molto in voga in quel periodo, ma anche tutt’ora, gli Evanescense.

Ricordo il gridolino eccitato della figlia del gestore, mi trovai a ridacchiare nel vederla.

La canzone era Missing.

Please, please forgive me,

But I won't be home again.
Maybe someday you'll look up,
And, barely conscious, you'll say to no one:
"Isn't something missing?"

Era molto bella, ma una cosa mi fece rabbrividire, la frase di apertura del libro.

Che brutti sogni non turbino il mio riposo, e le Potenze Infernali non mi tormentino! (Inno alla sera).

Era come se rispecchiasse il mio tormento. La canzone e quella frase mi fecero sbiancare di colpo, tanto che, la signora del bar si preoccupò.

"Signorina non si sente bene?".

Io alzai lo sguardo dal libro, e la guardai negli occhi. Era preoccupata, ma io velocemente dissi.

"No, non si preoccupi…non è niente".

Ricordo che risi nervosamente, cercando di togliermi da quella situazione stramba in cui ero piombata. La donna si tranquillizzò, ma volle lo stesso portarmi qualcosa da bere, un succo di frutta.

Fui costretta ad accettarlo, ma malincuore, non ho mai adorato i succhi di frutta e specialmente quelli albicocca. Troppo dolci.

Bevvi, pagai e uscii ringraziando la signora. Però quella sensazione strana rimase. Strinsi forte quel dannato libricino che, senza volerlo mi aveva fatto ripiombare nel baratro di tensione…

Continua…


Traduzione:

Ti prego, ti prego, perdonami,
ma io non tornerò a casa.
Forse qualche giorno alzerai lo sguardo
e, appena consapevole dirai a nessuno in particolare:
"Non c'è qualcosa che manca?"

________________

Eccomi, scusate il ritardo, ma questo capitolo mi ha fatto penare. L’avrò riscritto un miliardo di volte, ma finalmente ci sono riuscita XD.

Ebbene, come sarà risultato? Speriamo che sia stato di vostro gradimento. Comunque, il libricino che Rin compra, io l’ho pagato molto di meno, un euro, in una bancarella al mercatino dei libri usati. Mi piaceva e l’ho preso ^^.

Credo che tutti conosciate Kipling, il papà del Il libro della Giungla.

La canzone poi mi sembrava azzeccata, io adoro questo gruppo e poi questa canzone mi ha davvero ispirato.

Ora passiamo ai ringraziamenti:

Karly_chan the black cat: grazie per I complimenti e per aver messo la mia storia tra I preferiti ^^.

Callistas: ciao, non temere Rin non è morta ^^. Quindi non stare in pena, questa è una sorta di diario, dove Rin annota questo periodo buio della sua vita. Per la fan fiction "Ritornare ad amare", non preoccuparti aggiornerò presto, voglio prima finirla così la posterò tutta. Un bacio a grazie.

Mikamey: per quanto riguarda Sesshoumaru e il suo modo di fare lo scoprirai in seguito, avrà un ruolo chiave in questa storia ^^. Un bacio e a presto.

Lirith: sorellina non devi mai, e dico mai, scusarti. So perfettamente che sei sempre impegnata, la colpa è della scuola -.-. Quindi su con il morale, un mega bacione.

Darseey: sono felice che la mia storia ti abbia appassionata, anch’io adoro le storie legate al sovrannaturale. Davvero hai capito chi è la donna che infesta la casa di Rin? Wow, che meraviglia ^^. Un bacio e ancora grazie.

Kaimy_11: già, povera Rin vivere con una presenza bastarda che non la lascia stare, e poi Sesshoumaru che vive solo per la settimana enigmistica, è davvero stressante. Ma adesso la vacanza l’ha ricaricata, almeno spero XD. Ciao.

Flag95: vacanze? Magari, anch’io le vorrei, ma, ahimè, sono sempre iper impegnata…dovrò aspettare agosto. Londra *ç*. Un bacio e grazie.

Un bacio anche chi solo legge.

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Capitolo 12
*** XII ***


XII

Le due settimane volarono. Mi ripresi, anche se l’episodio del bar mi lasciò con una sensazione di disagio. Perché? Forse era il preludio di un avvenimento che avrebbe sconvolto la mia vita? Sì, lo sarebbe stato.

Tornai a casa serena, perché mi ero convinta che, quello che avevo vissuto prima era solo frutto della mia fervida immaginazione.

Quel giorno incontrai anche la signora Kaede che, come il suo solito bofonchiò qualcosa contro di me.

"Buona sera, signora Kaede".

Le dissi, con un sorriso tirato, ma dentro mi sentivo furiosa, quella donna era davvero irritante, il contrario di sua nipote. Infatti, lei mi sorrise e mi diede il ben tornata. Era una donna davvero dolce.

Rientrai nel mio appartamento, ma notai, con disgusto, che puzzava di muffa, come se fosse stato chiuso per un periodo lunghissimo.

Velocemente aprii le finestre e feci cambiare l’aria.

"Come mai questo cattivo odore? Eppure sono stata via solo quindici giorni?E poi mio padre è venuto spesso a controllare. È una cosa davvero strana".

Mi dissi. Scossi il capo e lasciai perdere. Decisi di concedermi un bel bagno, il mattino dopo sarei andata al lavoro, dove avrei rivisto le mie amiche.

Mi cambiai e mi ficcai sotto le coperte, mentre sorridevo all’idea di dare i miei piccoli regali. La notte trascorse serena senza alcun intoppo. Al sorgere del sole ero già in piedi pronta ad affrontare il mio primo giorno di lavoro dopo le ferie. Ero felice.

Mi preparai e uscii da casa, stranamente non incontrai la signora Kaede nell’androne del palazzo.

"Ottimo! La giornata si prospetta meravigliosa".

Dissi sorridendo. Mi ficcai in macchina e partii per l’ufficio, dove avrei trovato due donne che mi avrebbero stritolato, in un abbraccio, appena mi avrebbero visto. Infatti, Ayame e Kagome fecero così. Ricordo che stavo per morire soffocata dal troppo affetto.

Diedi loro i miei regali, furono davvero graditi.

"Oh, Rin è davvero meraviglioso. Grazie!".

Mi disse Kagome, mentre chiedeva a Inu Yasha di chiudere il gancetto del laccio dietro il collo. Stessa cosa avvenne con Ayame, solo che lei si pavoneggiava dicendo.

"Che meraviglia, si intona con i miei capelli rossi, e occhi verdi. Dopotutto qualunque cosa che io metta mi sta sempre bene. Beh, sono la più bella, no?".

Ricordo che io e Kagome la guardavamo storto, ma poi io dissi.

"Certo come no".

Alzai gli occhi al cielo e la lasciai perdere.

"Oca giuliva".

Pensai, mentre prendevo i regali per Koga e Inu Yasha. Anche loro li gradirono, ma non fecero le stesse moine di Ayame. Alcune volte penso che gli uomini siano più discreti e meno aperti di noi donne che, quando riceviamo un regalo emettiamo gridolini striduli idioti.

"Grazie, Rin".

Mi disse Koga, mentre ammirava il porta tabacco.

"Questo è un pensiero davvero gradito".

Disse Inu Yasha sorridendomi. Ne fui davvero felice, i miei regali avevano fatto colpo. Ma restava un ultimo regalo, quello di Sesshoumaru.

Era lì nella mia borsa, attendeva il momento adatto per essere donato.

"Bene, abbiamo salutato la cara Rin , ora tornate al lavoro".

Esortò Inu Yasha. Aveva ragione c’era molto lavoro da fare, anche se il mio non era molto. Infatti, Kagome e Ayame mi avevano sostituito egregiamente.

Mi sedetti e accesi il computer, però restava ancora il regalo per lui. Ricordo che sospirai, mentre guardavo con non curanza il monitor.

"Rin! Cosa ti spaventa? Non ti mangia mica se glielo porti, no?".

Mi dicevo mentalmente. Sì, era vero non avevo nulla da temere. Presi il regalo dalla borsa, mi alzai e andai da lui. Intanto, Ayame aveva smesso di specchiarsi e mi disse.

"Rin, dove vai?".

Nascosi il regalo dietro la schiena e le risposi semplicemente.

"Dal capo. Deve essere informato che io ho ripreso servizio".

Lei mi guardò dubbiosa e rispose.

"Beh, lo avrà avvertito Inu, no?Quindi non c’è bisogno che tu vada, oppure c’è dell’altro?".

Finì la frase con un tono malizioso. Io la fulminai con lo sguardo.

"No, non c’è nulla. È mio dovere farmi vedere dal capo e fargli capire che, sono tornata efficiente come un tempo".

Ricordo il viso mortificato di Ayame.

"Scusami".

Disse. Io mi voltai, ma feci bene attenzione a non mostrare il regalo, e uscii dal mio ufficio.

"Ah, Ayame sei sempre la solita".

Sbuffai. Arrivai alla porta del suo ufficio e bussai. Una volta, due volte, tre ma non ottenni mai risposta. Poggiai la mano sulla maniglia.

"E’ permesso? Posso?".

Dissi guardando dentro, ma non c’era nessuno. Sospirai delusa, ma poi mi avvicinai alla scrivania e lasciai il pacchetto.

"Avrei voluto dartelo di persona. Pazienza".

Presi un foglietto bianco e scrissi:

Questo è un piccolo dono per ringraziarla per avermi concesso le ferie.

Rin Riversi.

Breve e concisa. Lo poggiai accanto al pacchetto e uscii dal suo ufficio, però una cosa mi domandavo.

"Speriamo che almeno gli piaccia?"

Lo avrei scoperto molto più in là.

I giorni trascorsero tranquilli, senza nessun problema. Della presenza neanche l’ombra, mi sentivo rinata.

Sorridevo e non ero più imbronciata come prima. In quel periodo riuscivo anche a sopportare le punzecchiature di Ayame sul fatto che, io avessi un appartamento bello grande e vivessi da sola.

"Invidiosa".

Le rispondevo ridendo. Ero davvero felice in quel periodo, tanto che accettai l’invito a cena a casa di Kagome e Inu Yasha. Quella sera mi sentii bene. Parlammo del più e del meno, anche di lui, del gran capo.

Scoprii che non aveva avuto una storia seria in tutta la sua vita.

"Oh, ma è peggio di me in fatto di vita sentimentale".

Dissi, mentre bevevo un bicchiere di vino rosso. Ricordo che Inu Yasha rise come un matto, dicendo.

"Una Sesshoumaru al femminile".

Io lo guardai storto, ma poi scoppiai a ridere dicendo.

"Ma che dici? Io sono molto più formosa di lui".

Kagome intanto aveva le lacrime agli occhi dal troppo ridere, intanto noi continuavamo a imitarlo. A dire il vero io ero davvero brava nell’imitarlo, forse perché avevano un po’ lo stesso carattere. Forse.

Rincasai piuttosto tardi, ero esausta, ma felice.

Mi feci una doccia veloce e mi ficcai sotto le coperte, ma ciò che avvenne dopo mi lasciò senza fiato…mi lasciò nel più completo terrore. Ma avevo per caso sognato? Oppure era vero ciò che vidi?

Continua…

__________________________

Sono tornata ^^.

Perdonatemi se ho bloccato così, ma sono piuttosto cattivella e adoro lasciare il lettore sulla spine XD.

Un bacio a chi ha recensito, e anche a chi solo legge.

Buon 25 aprile.

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Capitolo 13
*** XIII ***


XIII

Ero rincasata piuttosto tardi. Feci una doccia veloce, mi sentivo bene quella sera. Mi misi il pigiama e m’infilai sotto le coperte, mentre la mente ancora ripensava alle battute cretine che, io Inu Yasha facevamo su di lui. Su Sesshoumaru.

"Che scemo".

Dissi sorridendo, mentre chiudevo la luce sul comodino. Poggiai il capo sul cuscino e mi assopii. Quanto tempo dormii? Due o tre ore, non di più.

Quando d’un tratto avvertii qualcosa che, premeva sui miei piedi. Ricordo che mugugnai un.

"Shu, scendi dal letto".

Aprii leggermente gli occhi e vidi ai piedi del letto, leggermente illuminato da un piccolo raggio di luce che, filtrava da una fessura della finestra, un’ombra.

Un’ombra che si muoveva lentamente e che stava salendo sopra di me. Sgranai gli occhi, sentii il cuore accelerare, mentre pensavo.

"Non è Shu, lui non è a casa. Ma allora chi è?".

Lo sapevo chi fosse, ma solo che la paura aveva bloccato la mia mente. Non riuscivo a capire ciò che mi stesse succedendo. Intanto sentivo il mio corpo rigido, non riuscivo a muoverlo. Cercavo di farlo, ma invano, intanto lei si avvicinava sempre di più.

Avvertivo sul mio corpo il suo peso, mi sentivo schiacciare. Avrei voluto urlare, ma la voce era come bloccata. Ero divenuta muta. Ricordo che muovevo la bocca convulsamente, ma non riuscivo ad emettere nessun suono.

Avevo paura. Intanto lei era arrivata sul mio petto, vidi la sua lunga capigliatura corvina scendere sul mio seno, avvertii le sue mani, fredde, sui miei polsi. Mi teneva ferma, non voleva lasciarmi andare.

Volevo oppormi, ma non ci riuscivo. Avrei voluto piangere, ma ero incapace di farlo. Ero divenuta una bambola.

"Vattene tu non sei reale! Tu sei il frutto di un incubo! Rin muoviti!".

Mi urlavo mentalmente, ma non riuscivo a far nulla in quel momento. Solo un’unica cosa. Quello di vederla.

Con estrema lentezza avvicinò il suo viso al mio. La vidi per la prima volta in volto, ma la cosa che mi attrasse furono i suoi occhi color rubino. Un colore insolito, se poi pensiamo che nel semi oscurità non avrei dovuto vedere il colore degli occhi. Ma lo vidi. È pura follia ciò che affermo, ma è la pura verità.

Due occhi grandi e rossi che mi scrutavano, mi leggevano nell’anima. Poi il suo viso dove, i capelli cadevano scomposti, era pallido ed emaciato, le sue labbra, un tempo rosee, erano grigie e contorte in un sorriso beffardo e crudele.

"Che cosa vuoi da me?Vattene! Lasciami in pace! ".

Urlai, mentalmente. Non la volevo lì, ma credo che lei lo abbia capito. Sorrideva divertita.

Sì, si divertiva nel vedermi impaurita.

Non riuscivo a chiudere gli occhi, mi aveva paralizzato. Continuava a sorridere, ma poi il suo sorriso si spense.

"Vattene o morirai".

Sibilò. D’un tratto chiusi gli occhi, non avvertii più il suo peso su di me. Scattai a sedere urlando dal terrore. Veloce misi la mano sul comodino in cerca dell’interruttore della luce, feci cadere alcuni oggetti, il mio orologio da polso, un piccolo portafoto che si ruppe, un libro e altri ninnoli. Ero davvero terrorizzata. Accesi la luce e cominciai a guardarmi intorno, avevo il timore che lei fosse ancora lì, ma non c’era.

Misi una mano sul viso, e notai che ero sudata.

"Eri vera? Oppure frutto di un mio incubo?".

Mi dissi tra le lacrime che, scendevano sul mio viso terrorizzato. Voltai il capo verso il comodino e cercai il cellulare. Non lo trovai. Ma poi compresi che era caduto a terra per colpa della mia ricerca spasmodica.

Mi piegai e lo raccolsi veloce. Avevo timore che lei apparisse da sotto il letto. Già come, quando si è piccoli e si ha il terrore che sbuchi da sotto il letto l’uomo nero.

Sì, in quel frangente ero divenuta una bimba sperduta. Presi il cellulare e cominciai a far scorrere la rubrica in cerca di una persona. Mio fratello? No, non lo avrei mai disturbato. I miei? Neanche loro.

Ayame e Koga? No, neanche loro. Kagome e Inu Yasha? Scossi di nuovo il capo e lasciai perdere.

Chiusi il cellulare e cominciai a dirmi.

"Piantala Rin! Non era reale ciò che hai visto!".

Poggiai il cellulare accanto a me, e continuai a dire.

"Se avessi avuto il suo numero lo avrei chiamato…".

Sgranai per ciò che dissi.

"Sono per caso pazza? Ma che diavolo dico? Ecco sto davvero perdendo il lume della ragione!".

Poggiai di nuovo la mano sul viso. Ero davvero stravolta. Il cuore batteva ancora velocemente dalla paura.

"Ma che ora saranno?".

Mi domandai, mentre allontanavo la mano e volgevo il capo verso la sveglia, l’unica superstite sul comodino.

Le lancette segnavano le tre e dieci minuti del mattino.

"E’ ancora presto".

Sussurrai. Sì, era ancora presto per andare al lavoro, ma era tardi per restare sveglia. Ma purtroppo il sonno non tornava.

Mi alzai e scesi al piano di sotto, mentre ripensavo a lei.

"Ora basta Rin! Era un incubo, non era reale!".

Bugie. Menzogne. Ero consapevole che lei era reale, ma la mia cocciutaggine mi impediva di capire che era un errore rimanere in quel duplex. Ma lo avrei capito in futuro.

Continua…

________________________

Beh, è molto breve come capitolo, chiedo umilmente perdono ^_^’. Ma almeno la bella presenza è tornata.

A dire il vero la scena è un mio incubo, ma credo che una volta nella vita una scena del genere sia capitata a tutti…come son pazza XD.

Vi ringrazio di cuore, scusate se non ringrazio uno per uno, ma sono di fretta, per aver recensito. Ma anche chi ha messo la mia storia tra i preferiti e tra le storie seguite *_*. Grazie.

Ringrazio anche chi solo legge.

Un bacio e a presto.

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Capitolo 14
*** XIV ***


XIV

 

 

 

 

Scesi al piano di sotto e mi diressi in cucina, avevo bisogno di bere. Acqua.

Presi un bicchiere e lo riempii d’acqua, mentre mi ripetevo che avevo sognato.

"Sì, Rin tu hai sognato. Quella donna non era reale".

D’un tratto una goccia d’acqua cadde sul mio polso e lì ricordai il freddo delle sue mani. Tremai e feci cadere il bicchiere a terra. Si ruppe.

Rimasi imbambolata a guardare i frammenti di vetro che, brillavano nella chiazza d’acqua. Pensavo a lei.

Un’immagine viva nella mia mente. Feci scorrere una mano tra i miei capelli, mentre mi dicevo.

"Sto perdendo il lume della ragione, lei non esiste. È solo il frutto della mia fervida immaginazione".

Chiusi gli occhi, mentre stringevo nella mano una ciocca di capelli. La strinsi forte, tanto da strapparmi qualche capello.

Ero nervosa. Riaprii gli occhi e osservai la mano. Sbuffai.

"Brava, Rin! Ora sei arrivata al punto di strapparti i capelli come fanno i pazzi".

Mi chinai e cominciai a raccogliere i cocci, quando un vetro mi ferì l’indice destro. Strinsi gli occhi dal dolore, li riaprii e mi guardai la ferita.

Sangue. Un liquido scarlatto caldo che, attraversava la mia rosea mano. Un lampo e la memoria mi ripresentò il colore insolito di quegli occhi. Sgranai gli occhi, mentre avvertivo un brivido percorrermi lungo il corpo.

Quegli occhi che mi scrutavano nella penombra nella mia stanza da letto.

Quegli occhi che mi deridevano, perché ero terrorizzata.

"Ora basta!".

Urlai furiosa.

"E’ una vera assurdità! Tu non sei reale! Rin mettitelo bene in mente, Lei non esiste!".

Mi rialzai, presi un tovagliolo di carta e lo avvolsi intorno al dito sanguinante. Mi chinai di nuovo e finii di raccogliere i cocci, intanto mi dicevo di non pensare più a lei.

Buttai tutto nella pattumiera, asciugai il pavimento e andai nel bagnetto di servizio a prendere un cerotto da mettere sul dito ferito.

Continuavo a sbuffare irata da quella situazione assurda. Infatti, lo era.

Uscii dal bagnetto e mi misi seduta comoda sul divano in salotto, intanto l’orologio del lettore dvd segnava le quattro meno dieci. Era ancora presto.

Presi il telecomando e accesi la televisione, un po’ mi avrebbe tenuto compagnia in quella stanza silenziosa.

Rimasi a guardare la tivù per un paio di minuti, mi illudevo che essa riuscisse a farmi ripiombare nel sonno, ma non fu così. Infatti, ogni volta che chiudevo gli occhi, rivedevo quell’immagine, e ogni volta sobbalzavo.

Mi sentivo frustrata. Spensi la televisione, intanto erano le cinque. Salii al piano di sopra, riassettai la mia camera. Intanto sentivo in strada il rumore del camion della nettezza urbana che, faceva il suo lavoro. Quel rumore mi diede un po’ di sollievo, mi sentivo meno sola.

Già, mi sentivo per la prima volta da sola.

Aprii la finestra e guardai fuori, era ancora buio. Poggiai i gomiti sul davanzale e mi misi ad ammirare il panorama. Una dolce brezza primaverile mi sfiorò il viso, mentre ripensai a ciò che dissi qualche ora prima.

"Se avessi avuto il suo numero, l’avrei chiamato".

Mi trovai a ridere, mentre mi mettevo una mano sul viso.

"E poi che cosa avrei dovuto dirgli?".

Mi domandai.

"Sa ho visto un fantasma che mi ha minacciato".

Mi dissi ironica, mentre il cielo lentamente si tingeva di viola.

" Che fesseria. Di sicuro mi avrebbe preso per pazza. Basta Rin, è tempo che tu ti prepari per andare al lavoro".

Chiusi la finestra e andai in bagno a farmi una buona doccia. Mi cambiai e uscii, erano le sette meno venti, era ancora presto, ma volevo uscire e andare in un posto familiare. Il mio ufficio.

Uscii dall’ascensore e trovai nell’androne quella donna, Kaede, che mi sorrideva ironica. Perché?

La guardai sorto e le passai accanto dicendole, a denti stretti, un "buongiorno".

Lei per tutta risposta rise. Io mi fermai di botto, mi voltai e la guardai, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano. Continuava a ridere, mentre io rimanevo lì a guardarla come una perfetta ebete.

Poi mi diedi della stupida e uscii dal palazzo.

"Brutta vecchiaccia, sei riuscita a farmi arrabbiare ancora di più".

Entrai in macchina e feci sbattere la portiera, se continuavo, così alla fine sarebbe caduta a terra. Ero davvero nervosa. Corsi veloce nelle strade semi deserte della città, mentre la mia mente era rapita da quella risata di Kaede. Perché rideva? Perché? Mi domandavo, ma non riuscivo a capirlo. Un vero enigma.

Arrivai al parcheggio dell’ufficio. Era deserto, questo mi diede un senso di abbandono. Poggiai il viso sul volante, mentre mi dicevo che stavo per diventare pazza. Lo ripetei per un bel po’.

"Rin non puoi andare avanti così. È stato solo un sogno. Un incubo. Su, ora esci".

Cercai di rincuorarmi. Uscii dall’abitacolo, chiusi la macchina e mi poggiai sullo sportello, mentre ponevo una mano sul viso. Ero davvero distrutta.

"Che situazione assurda".

Sospirai, quando una voce mi fece sobbalzare.

"Mattiniera?".

Sgranai gli occhi, avevo riconosciuto quella voce. Mi voltai e lo vidi. Sì, non mi sbagliavo era lui, il mio capo che mi guardava leggermente curioso. Mi trovai a sorridere ironica.

"Ecco, e lui che ci fa qui a quest’ora? Ottimo, ora mi sento ancora più nervosa. Tra un po’ mi verrà una bella ulcera. Lo so."

Pensai, mentre lui si avvicinava.

"Come mai a si trova qui a quest’ora?".

Mi domandò. Io mi trovai a ridacchiare nervosamente, mentre lo maledicevo mentalmente. Ho sempre odiato le persone che, mi ponevano troppe domande, anche se le sue, a dire il vero erano giustificate. Cosa diavolo ci facevo io lì, alle sette del mattino?

"Beh, io…non avevo sonno…e allora…".

Cominciai a balbettare. Che vergogna.

"Venga con me".

Mi fermai di botto e lo guardai stranita. Non voleva sapere perché mi trovassi lì, a quell’ora? E poi quello che mi aveva detto era un ordine.

"Cosa?".

Dissi leggermente confusa.

"Venga, le offro un caffè".

"Un caffè?".

Ero sempre più confusa, non capivo cosa stesse succedendo.

"Sì, vedo che ne ha davvero bisogno".

Disse con la sua solita freddezza, mentre si incamminava verso il bar che, si trovava dall’altra parte della strada. Io non riuscivo a capirlo.

"Scusi e perché?".

Una domanda idiota. Ancora oggi, mi vergogno per averla posta.

Lui si fermò, si voltò e mi disse.

"Non mi piace vedere un dipendente dormire sul lavoro. E poi vedo che, questa notte non ha chiuso occhio".

Aveva tremendamente ragione. Abbassai il viso, mi vergognavo. Infatti, avevo due occhiaie molto marcate, anche se il fondotinta le aveva nascoste, lui era riuscito a vederle. Però dovevo ammetterlo era un tipo che, aveva un’ottima acutezza nel vedere i dettagli.

"Ha ragione".

Sussurrai, mentre rialzavo il viso, mi avvicinai a lui.

"Ok, accetto il suo invito".

Sorrisi, mentre lui mi guardava. Credo che abbia capito qualcosa, infatti, non faceva altro che osservarmi.

Ci incamminammo verso il bar. Però di una cosa ero certa, quel caffè insieme con lui mi diede un senso di tranquillità…mi sembrava di stare con l’unica persona che, riusciva a capirmi.

Era l’unico che forse poteva aiutarmi.

 

 

Continua…

___________________________

Perdonatemi se aggiorno sempre di rado, ma questo è periodo davvero pesante. Infatti, non faccio altro che studiare e poi gli esami sono sempre più vicini ç_ç.

Non vedo l’ora che finiscano *_*.

Comunque, ringrazio:

Mikamey: bene ho raggiunto il mio scopo, farti saltare sulla sedia XD (no scherzo). Comunque, è Kagura il fantasma. Non so il perché, ma piaceva come "presenza". Non temere più avanti i dubbi su di lei, su Kaede e anche Sesshoumaru saranno svelati ^^. Un bacio e grazie.

LilyProngs: sono felice che il capitolo precedente ti sia piaciuto ^^. Anch’io avrei voluto il numero di Sesshoumaru *ç*. Ma di sicuro non l’avrei chiamato, sono un tipo timido XD. Grazie per i complimenti ^^.

KaDe: hai ragione, infatti, la peperonata è davvero pesante XD. Poiché faccio questi sogni molto realistici XD. Beh, non temere il numero di Sesshoumaru sarà tuo (nostro ^^). Un bacio e a presto.

Kaimy_11: che bello non sono la sola che fa dei sogni così, strani ç_ç. Siamo in due ç_ç. Però un prete con le sembianze di Sesshoumaru non è male *ç* (la sua mente fantastica su "Uccelli di Rovo"). Ok, basta sognare. Grazie sorellina, un bacio e alla prossima.

Flag95: scusami se ti ho terrorizzata, ma era una scena che volevo tanto scrivere (sono pazza e lo confermo XD). Un bacio e non aver paura ^^.

Un bacio anche a chi solo legge ^^.

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Capitolo 15
*** XV ***


XV

 

Ci incamminammo verso il bar. Mi sentivo leggermente nervosa, ma dopotutto era normalissimo esserlo. Dopotutto ero con il mio capo.

Ero di fianco a lui, mentre attraversavamo la strada, intanto mi chiedevo il perché avessi accettato il suo invito. Perché? Perché avevo bisogno di stare con qualcuno. Avere un contatto umano. Queste erano le uniche risposte che vorticavano nella mia mente, in quel preciso istante.

Sospirai, mentre osservavo la porta del bar.

"C’è qualcosa che la turba?".

Sobbalzai sentendo la sua voce, dove c’era una nota di curiosità. Voltai il capo e risposi velocemente.

"No. Perché?".

Ridacchiai nervosamente, mentre sentivo il suo sguardo su di me. Mi faceva un effetto strano. Avevo la pelle d’oca.

"Mi sembrava".

Rispose, mentre mi faceva entrare. Dopotutto non si sbagliava, c’era qualcosa che mi turbava, che mi rendeva tesa e nervosa. Odiavo quello stato, davvero deleterio per la mia salute fisica e mentale.

Entrammo nel bar semi deserto, cosa normalissima erano ancora le sette del mattino e i dipendenti degli uffici si presentavano verso le otto. Gli unici clienti erano degli operai.

Ricordo il buon profumo di caffè, dei cornetti e il chiacchiericcio dei clienti con il gestore. Infatti, Sam, era ma ancora lo è, un bel omone robusto e molto simpatico. Era dietro il bancone a parlottare con due operai edili che, bevevano un caffè.

Invece la sua graziosa aiutante, Sara, preparava un buon cappuccino.

"Buongiorno".

Dissi, mentre mi dirigevo con lui, Sesshoumaru, al bancone.

"Oh, buongiorno Rin".

Rispose, sorridendomi, Sam appena mi vide. Io gli sorrisi, era davvero un tipo davvero simpatico e poi un sorriso sincero rallegrava il cuore, e io in quel momento ne avevo davvero bisogno.

"Buongiorno anche a lei Dottore".

Sesshoumaru si limitò ad annuire. Io lo guardai storto. Infatti, non ho mai sopportato che una persona non rispondesse a un saluto. Scossi il capo e mi sedetti sullo sgabello, cosa che fece anche lui.

"Vi faccio preparare un buon caffè?".

Domandò Sam, che si era avvicinato. Io annuii. Ne avevo un bisogno urgente.

Intanto avvertivo uno sguardo ostile su di me. Voltai il capo e vidi due occhi azzurri che mi fissavano intensamente. Era Sara.

Perché tanto astio nei miei confronti?

Era accanto alla macchinetta del cappuccino, e teneva in mano una tazza fumante. La vedevo che la stringeva forte. Però guardava sia me che Sesshoumaru.

Voltai il capo verso il mio capo e compresi il perché. Era gelosa.

Sospirai e alzai gli occhi al cielo.

"Perché tutte a me?".

Pensai, ma d’un tratto un voce mi fece scendere con i piedi a terra.

"Rin? Ti porto il solito, giusto?".

"Sì".

Sospirai. Quel giorno non riuscivo a parlare, ero davvero distrutta.

"Anche a lei Dottore?".

Sam si era rivolto a lui. Però sentendo quel "dottore" mi faceva un certo effetto.

"Sì".

Certo che quel giorno eravamo molto loquaci. Ma non c’era da stupirsi, lui non era tipo che spendesse tempo in chiacchiere inutili e io ero altrettanto, anche se quel giorno avevo bisogno di sentire parole di conforto.

Restammo in silenzio, mentre aspettavamo i nostri caffè. Ma d’un tratto.

"Che cosa ha fatto all’ indice della mano destra?".

Sgranai gli occhi e veloce fissai il mio dito offeso.

"Beh… è successo ieri sera… mentre lavavo i piatti".

Mentii. Che cosa avrei dovuto dirgli? Sa ho rotto un bicchiere perché sono pazza! Sarebbe stata una bellissima risposta.

"E’ stata una piccola distrazione".

Ridacchiai nervosamente. Lui mi guardò negli occhi, ma poi voltò il capo in direzione di Sara che, in quel frangente portava i nostri caffè.

"Stia attenta la prossima volta".

Io lo guardai leggermente furiosa.

"Certo lo sarò".

Dissi a denti stretti. Mi aveva preso per una vera imbranata. Io Rin Riversi un’imbranata. Voltai il capo verso Sara che, mi guardava divertita.

"Mfh".

Le dissi, mentre voltavo lo sguardo verso la porta. Mi sentivo offesa, ma anche ridicola. Sospirai e tornai a guardare il mio caffè.

Un buon caffè nero e amaro come piaceva a me. Sorrisi leggermente. Presi la tazzina fumante e cominciai a bere lentamente.

Era davvero forte, ma riuscì a svegliarmi. Bevvi a piccoli sorsi, quando il mio sguardo si posò sul suo caffè.

Inarcai un sopracciglio, mentre vedevo cosa stesse facendo.

Una, due, tre, quattro bustine di zucchero erano finite nel suo caffè e di sicuro sarebbe finita anche la quinta, quando io dissi.

"Non farebbe meglio a mettere il caffè dentro una zuccheriera? Sa, fa molto prima".

Lui si fermò di scatto, come anche il chiacchiericcio nel bar. Avevo detto una cosa poco gradita a Sesshoumaru, ma purtroppo alcune volte dico e faccio delle cose senza riflettere. E quella era una di quelle cose.

Avrei dovuto mordermi la lingua, ma oramai il danno era fatto.

Ricordo il suo sguardo, dorato e freddo, che mi fissava tagliente come la lama di un rasoio. Tossii imbarazzata, stavo per dire "mi scusi", quando una sonora risata mi tolse da quella situazione incresciosa.

Era Sam a ridere. Lentamente si avvicinò a noi e disse.

"Rin ha perfettamente ragione. Dottore se continua così, mi finisce le scorte di bustine di zucchero".

Rise di nuovo.

"Però hai del fegato mia cara".

Si complimentava con me, io rimasi di sasso a guardarlo, l’unica cosa che dissi fu un.

"Grazie".

Seguito da un sorriso tirato. Quel giorno avrei voluto sprofondare. Sospirai e ritornai a bere il mio caffè, mentre Sesshoumaru finì il suo.

Finimmo, lui pagò il conto, anche se io volevo pagare il mio, ma lui mi freddò con lo sguardo e pagò. Dovevo ammetterlo era capace di farmi paura, molto più del fantasma. Uscimmo dal bar, avevo il viso abbassato.

"Mi perdoni per ciò che ho detto prima".

Cercavo di scusarmi, ma lui disse.

"Cosa le è accaduto di così grave da toglierle il sonno?".

Alzai il viso e lo guardai negli occhi. Sentii un groppo alla gola e una voglia irrefrenabile di dirgli tutto.

Sì, dovevo farlo. Dovevo dirgli cosa mi era successo, anche se questo significava rendermi ridicola ai suoi occhi.

Ma non lo sarebbe stato…

 

Continua…

 

________________________

Mamma come sono in ritardo. Sapete mi ero scordata di aggiornare XP.

Chiedo scusa.

Ringrazio di cuore:

KaDe: perdonami se ho aggiornato così in ritardo. Comunque, come va con la ricerca del numero? Se lo trovi, passalo XD. Sappi che per il carattere di Kaede, mi sono ispirata alla vecchina (rompi) vicino a casa mia. Ma tutta la storia è una ricostruzione, un po’ ampliata, di una storia reale ^^. Ma questo te lo avevo già accennato su msn u_u. Un bacio.

Kaimy_11: buono il caffè con Sesshoumaru, anche se io non bevo questa bevanda nera (mi puzza XD). Il fantasma è Kagura ^^. Kaede è una figura cardine di questo pandemonio dove, Rin si trova ormai persa. Ma tanto c’è Sesshoumaru, sempre dopo aver finito la settimana enigmistica XD. Un bacio e ancora grazie.

LilyProngs: già concordo con te, vogliamo, anzi no, pretendiamo il numero del cellulare del Demone *_*. Possiamo aprire una campagna elettorale XD. Grazie per la bellissima recensione ^^.

Callistas: non temere, se può consolarti il mio computer ha anche lui una volontà propria XD. Decide lui, quando io devo scrivere -.- Grazie perle bellissime recensione, mi rendi sempre felice, un mega bacio.

Flag95: sì, il nostro demone preferito sa qual cosina, o per meglio dire ha visto qualcosa in quella casa ^^. Un bacio.

Ringrazio anche chi solo legge.

Comunque, devo avvertirvi che aggiornerò una volta a settimana perché lo studio e le altre cose mi tolgono tempo. Spero di non essere uccisa prima XD.

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Capitolo 16
*** XVI ***


XVI

 

Eravamo fermi di fronte la porta. Lui mi guardava e attendeva con ansia una mia risposta.

Che cosa era successo, di così grave da togliermi il sonno?

Mi morsi il labbro inferiore, mentre cercavo di formulare una risposta decente. Ma, ahimè, non c’era.

Sospirai e scostando lo sguardo, da lui, dissi.

"Beh, può sembrare assurdo, ma quella presenza è tornata a casa mia".

Ricordo che risi di commiserazione e continuai.

"Questa volta mi sembrava davvero reale. Infatti, sentivo il peso del suo corpo sopra di me, mentre ero distesa sul mio letto".

Abbassai lo sguardo sui miei polsi. Strinsi forte gli occhi, mentre ricordai il freddo di quelle mani che, mi stringevano con forza, come quei lacci di cuoio di tortura ai tempi dell’Inquisizione.

Era una sensazione davvero sgradevole. Cominciai a tremare, quando sentii una mano che prese il mio polso sinistro.

Aprii gli occhi di scatto e vidi che era stato Sesshoumaru a prenderlo, e ora lo fissava. Ricordo che, arrossii vistosamente.

"C’è…c’è…qualcosa che…non va?".

Balbettai, mentre lui con calma osservava il mio piccolo e candido polso.

"Lei ti ha stretto in questo punto".

Affermò con calma, mentre io sgranavo gli occhi. Una cosa mi balenò in mente.

Lui come diavolo aveva capito che, lei me lo aveva stretto in quel punto?

Rimasi come imbambolata, mentre lui continuava a guardare il mio polso che, ora tremava.

"Lei…lei come…ha fatto…a capire che...".

Continuavo a balbettare, mentre lui con estrema calma mi rispose.

"Lo so".

Lo so? Ma che razza risposta era?

Inarcai un sopracciglio. Mi sentivo indispettita da quella risposta che, non colmava affatto il mio dubbio. Come aveva capito che Lei mi aveva stretto i polsi? Come?

Velocemente lo divincolai dalla sua mano e lo fissai, cercavo di carpire dal suo sguardo come avesse capito quello che mi era accaduto. Ma con mio sommo rammarico non c’era nessuna traccia. Nessuna risposta.

"Che cosa le ha detto?".

Mi disse, mentre io mettevo la mia mano destra intorno al polso. Abbassai di nuovo lo sguardo e risposi, con un filo di voce.

"Vattene o morirai".

Quella frase mi provocò di nuovo quel senso di panico. Cominciai a tremare, mentre ripensavo al suo sguardo, rossastro, che mi derideva nella semi oscurità della mia stanza.

Chiusi gli occhi e strinsi con forza il mio polso, quando.

"Stia calma".

Riaprii gli occhi al suono della sua voce che, cercava di calmarmi. Lo guardai negli occhi, mentre sentivo una voglia di piangere, ma mi imposi di non farlo. Non dovevo di nuovo mostrare la mia debolezza.

Scossi il capo e dissi.

"Sì, ha ragione devo darmi una calmata".

Mi misi di nuovo a ridere. Quel giorno mi resi davvero ridicola.

"Dopotutto non è reale ciò che ho creduto di vedere".

Aggiustai, nervosamente, dietro l’orecchio destro una ciocca di capelli d’ebano ribelle.

"Sa? Forse la cena che ho gustato ieri sera a casa di Kagome e Inu Yasha, mista al buon vino ha creato degli incubi…delle allucinazioni. Perciò affermo che quello che ho creduto di vedere non era reale".

Lui mi guardava senza rispondere. Mi avrà preso per pazza? Di sicuro sì, poiché mi contraddicevo sempre. Prima affermavo di aver visto e sentito un fantasma, e poi dicevo il contrario.

Ridicola. Ero divenuta il pagliaccio della situazione.

Risi, e risi, mentre lui mi fissava. Quegli occhi d’ambra erano, e lo sono tutt’ora, un muro che evitavano di mostrare ciò che provava.

"Bene. Sarà meglio tornare in ufficio, non crede?".

Dissi, mentre voltavo il capo verso la strada.

"Sì, è meglio andare".

Ritornammo nel parcheggio e poi salimmo nei nostri uffici, ma prima di sparire dietro la porta del mio ufficio.

"Grazie, Signor Sesshoumaru".

Dissi sorridendo, ma una cosa mi lasciò di stucco. Quello che vidi. Infatti, le sue labbra si erano mosse in un tenue sorriso, ma credo che fosse solo frutto della mia fantasia. Anche se fosse stato frutto della mia immaginazione, mi dettero un senso di pace e tranquillità. Infatti, entrai nel mio ufficio con il sorriso sulle labbra.

Ottima cosa, almeno evitai pensare per un po’ a lei. Alla presenza.

Accesi il computer e mi misi a lavorare, anche se mi sentivo davvero uno straccio. Infatti, non facevo altro che sbadigliare tanto che Ayame, oramai stufa di vendermi in quello stato, esclamò.

"Rin, hai una faccia da far spavento".

Si alzò dalla sua poltroncina e venne a chiudermi il computer, mentre io sbuffavo irritata, perché non avevo ancora finito.

"Finiscila di fare la bimba e va a casa, finirai il lavoro domani. Dopotutto è una pratica che scade fine mese e siamo solo a metà, quindi non c’è bisogno che la termini sta sera. Ascoltami una buona volta e va a casa".

Fui costretta ad accettare, anche se non volevo andare via prima del tempo, ma ero davvero uno straccio. Presi la mia roba e uscii dall’ufficio. Mi misi in macchina, ma prima di partire alzai lo sguardo verso una finestra. La sua finestra.

Mi trovai ad arrossire, mentre ripensavo a quel sorriso fantasma. Scossi il capo, mi detti dell’idiota e partii verso casa.

"Smettila Rin! Non dirmi che quel tipo, ambiguo, ti piace? Sarebbe comico".

Pensavo, mentre percorrevo la strada di casa.

"Allora perché continuo a pensare a lui?Ottimo, tra la presenza e lui non so quale dei due mi manderà al manicomio".

Mi trovai a ridere, mentre parcheggiavo la macchina.

Scesi e mi diressi verso il portone, quando trovai la nipote di Kaede piena di buste della spesa. Mi avvicinai e con un tenue sorriso.

"Buona sera".

Lei si voltò e rispose al mio saluto.

"Oh, buona sera anche a lei".

Mi piaceva quella donna così gentile, mi chinai e presi alcune buste della spesa.

"Dia a me che la aiuto a portarle a casa".

Lei sorrise e mi porse alcune buste.

"Grazie".

Aprimmo ed entrammo dentro. Sapete credo che quell’incontro era scritto nel mio destino, infatti, seppi, anche se parzialmente, alcune cose sul mio appartamento e sulla presenza.

Cose che mi lasciarono dubbiosa e vogliosa di saperne di più…

 

 

Continua…

 

_________________________

Come promesso ho aggiornato dopo una settimana, anche se il capitolo è risultato noioso e corto XD.

Che vergogna, come anche il Sesshoumaru da me descritto, è OOC, uff.

Non mi riesce di lasciarlo freddo, ma nelle AU è un po’ difficile XD.

Comunque, ringrazio:

Callistas: non temere come ben vedi, ho aggiornato, sono felice che la tua adorabile cagnolina Lilly, adori la mia fic *_*. Io amo i cani XD. Infatti, ho ancora i segni di Max sul braccio, come anche quelli di Ciccio il cane più fifone del mondo XD. Un bacio.

KaDe: beh, chi non vorrebbe stare su quello sgabello *ç*. Bene, bene hai trovato il numero di Sesshoumaru, ottimo (si sfrega le mani, mentre sul suo viso si dipinge un ghigno malefico degno di un pazzo maniaco XD). Un bacio e ancora grazie per il complimento, immeritato, ma che comunque accetto ^^. Un bacio.

LilyProngs: ottima idea per la campagna elettorale, mi raccomando gli striscioni, bandierine e i gadget da dare ai sostenitori di Sesshoumaru *_*. Grazie per aver recensito.

Kaimy_11: perdonami se ho terminato così, ma come sempre dico: sono una bimba dispettosa XD. Non temere sul fatto di Kagura, perché i tempi della sua morte con l’età di Sesshoumaru non coincidono, ma non voglio dire oltre per non rovinare la fic ^^. Un bacio e a presto.

Mikamey: già un Sesshoumaru che adora il caffè dolce non si era mai visto, ma vedi mi sono ispirata al mio Sesshoumaru umano XD. Lui beve solo cose iper dolci -.-, lo fa per farmi disperare XD. Un bacio.

Ringrazio anche chi solo legge.

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Capitolo 17
*** XVII ***


XVII

 

Entrammo nell’ascensore. Pigiai il pulsante del suo piano e le porte si chiusero.

Ricordo che parlammo del più e del meno, quando.

"Però ha fegato a vivere nell’appartamento maledetto".

Disse con una calma che mi fece venire la pelle d’oca. Voltai il capo di scatto verso di lei, mentre sgranavo gli occhi. Intanto lei sorrideva.

"Per…perché?".

Dissi deglutendo a fatica e cercando di stentare un sorriso. Ma dopotutto ero già a conoscenza a cosa si riferiva, ma volevo esserne sicura.

"Beh, vede…".

La vidi distogliere lo sguardo da me, mentre continuava a dire.

"Dopo la disgrazia avvenuta vent’anni fa, e i vari problemi che ne sono scaturiti dopo, è raro vedere una persona abitare così allungo nel duplex".

Finì la frase ridacchiando, mentre io cercavo di capire che cosa era accaduto vent’anni prima del mio arrivo nel duplex. E poi che cosa erano i vari problemi scaturiti dopo la fantomatica disgrazia?

Rammento che mi sporsi di più verso di lei, ero troppo curiosa, infatti, domandai.

"Perché che cosa è accaduto vent’anni fa?"

La vidi cambiare espressione, mentre le porte dell’ascensore si aprivano. Non parlava.

Intanto mentalmente mi dicevo:

Su parla! Dimmi che cosa è accaduto nel mio appartamento?

Mi sporsi ancora di più, quando lei cominciò a parlare.

"Beh…vent’anni fa una persona. Una ragazza, perse la vita tragicamente. Io a quel tempo avevo compiuto diciassette anni, ricordo ogni attimo, ogni minuto di quel terribile giorno…e poi il viso della sorellina della ragazza. Oddio fu orrendo".

Mise una mano sul viso, leggermente tirato. Intanto io volevo sapere di più. La curiosità mi rodeva dentro come un tarlo.

"Come è morta?".

Domandai. Lei allontanò la mano dal viso e disse, guardandomi negli occhi.

"Si è tolta la vita per colpa di un uomo".

"Si è suicidata".

Dissi con un filo di voce, mentre sentivo una forte stretta alla bocca dello stomaco.

"Già".

Sospirò la nipote di Kaede.

Ricordo che cominciai a provare pena per quella ragazza che non conoscevo, prima di quell’incontro con la donna non sapevo nemmeno il suo nome.

"Povera".

Sospirai, ma poi domandai.

"Come mai ha detto che si è tolta la vita per colpa di un uomo?".

D’un tratto la mia domanda la fece infuriare.

"Ah, quell’uomo spero che le tenebre infernali lo inghiottano. È colpa sua se Kagura è morta. È colpa sua".

La vidi stringere forte i pugni e guardare a terra, mentre continuava a maledire quell’uomo, ma poi con un sorriso beffardo disse.

"E pensare che siamo parenti…".

Rialzò il viso e mi guardò di nuovo negli occhi e continuò.

"Sa lui è mio…".

D’un tratto sentimmo il rumore di una porta che sbatteva. Ci voltammo di scatto verso il rumore, quando.

"Elisa!".

Urlò, la vecchia Kaede che uscì fuori attirata dalle nostre chiacchiere. Ricordo il suo sguardo furioso nei confronti della nipote, che intanto era impallidita nel vederla.

Con passo fulmineo si avvicinò a noi e strattonò la povera Elisa per il braccio destro.

"Fila dentro!".

Continuò a urlare. Elisa annuì con il capo, mentre io rimasi lì impietrita a osservare quella scena, quando Kaede si voltò verso di me.

"Tu!".

Mi puntò il dito indice, raggrinzito, verso il mio viso e con fare minaccioso mi disse.

"Vattene o te ne pentirai amaramente".

Mi irrigidii, mentre dissi a denti stretti.

"Non mi fanno paura le sue minacce".

La vidi sorride beffardamente.

"Ah davvero?".

"Sì".

Le risposi alzando il mento in segno di sfida, ma lei non era di certo intimorita del mio atteggiamento, anzi si divertiva. Adorava farmi arrabbiare.

"Ragazzina stai giocando a un gioco pericoloso, dove è in palio la tua vita. Se ti è cara ritirati finché sei in tempo".

Si voltò e spingendo la nipote dentro casa, chiuse la porta dietro di sé facendola sbattere. Non ricordo per quanto tempo rimasi su quel pianerottolo a osservare quella porta, ora chiusa, e a pensare a quella frase.

Ragazzina stai giocando a un gioco pericoloso, dove è in palio la tua vita…

"La mia vita".

Sussurrai continuando a guardare quella porta, ma d’un tratto un impeto di rabbia mi fece sbottare.

"Ah, quella vecchiaccia ha il dono di farmi venire il bruciore di stomaco. Tra la pazzia e l’ulcera, non so quale tra le due arriverà prima".

Pigiai con rabbia il bottone dell’ascensore che, corrispondeva al mio piano e salii di sopra. Intanto quella frase continuava a martellarmi il cervello, ma dopotutto non si sbagliava…quella frase aveva tremendamente ragione.

Quello era un gioco, dove non avrei di certo vinto, ma purtroppo la mia testardaggine mi aveva reso cieca e sorda. Non riuscivo a comprendere che mi ero addentrata in un campo minato, e prima o poi sarei saltata in aria. Ma tutto ciò l’avrei capito molto più avanti, quando avrei toccato il fondo.

Le porte dell’ascensore si aprirono, intanto la stanchezza e spossatezza avevano preso il posto della rabbia, provata qualche minuto prima.

Misi una mano sul viso e lentamente mi diressi verso la mia porta.

"Che giornataccia".

Sospirai, mentre aprivo la porta. Entrai dentro e buttai su di una sedia la mia borsa e la giacca, che caddero a terra. Le guardai e non le raccolsi, alzai le spalle e salii al piano di sopra, avevo bisogno di una doccia veloce e di una buona dormita.

Ero davvero stanca ed esausta, dopotutto la notte prima non avevo dormito e il mio corpo esigeva un buon riposo.

Mi spogliai e mi ficcai sotto la doccia. L’acqua lentamente faceva scivolare via ogni pensiero su quella disgrazia, ma alcune domande mi rimbombavano nel cervello.

Perché si è tolta la vita per colpa di un uomo? Qual’era il vero motivo? Delusione amorosa? Sì, era un’ipotesi da non scartare, oppure c’era dell’altro.

E poi che grado di parentela c’era con la povera Elisa?

Chiusi il rubinetto, uscii dalla doccia, mi asciugai e mi vestii.

Mi guardai allo specchio del bagno e mi dissi.

"Rin ti serve davvero una buona dormita".

Uscii dal bagno e scesi al piano di sotto, ma non sapevo che quella notte avrei fatto un sogno strano. Molto strano…

 

Continua…

 

____________________________

Bene è da un bel po’ che non aggiorno, purtroppo gli esami si avvicinano ç_ç, e il tempo è sempre poco.

Comunque ringrazio di cuore: Mikamey – KaDe – LilyProngs – Sesshy94 – Kaimy_11 - Flag95. Perdonatemi se non vi ringrazio una per una, o uno, ma purtroppo sono davvero di fretta, spero di aggiornare presto…almeno spero ^^’.

Un bacio e ancora grazie, e come sempre un mega abbraccio anche chi solo legge.

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Capitolo 18
*** XVIII ***


XVIII

 

 

 

 

Scesi al piano di sotto senza mettere le pantofole, era una brutta abitudine che mai avrei tolto. So bene che camminare a piedi nudi sul pavimento freddo fa male, ma purtroppo non sono mai riuscita a tenere quelle dannate pantofole morbide ai piedi, mi davano e danno fastidio.

Mi diressi verso il divano, mi buttai sopra a peso morto e accesi la tivù.

Il suo cicaleccio mi avrebbe distratto dai pensieri, ma, ahimè, fu invano. Quella dannata discussione avvenuta qualche ora prima mi tormentava, quando d’un tratto il trillo di un nuovo messaggio sul mio cellulare mi fece sobbalzare.

Istintivamente pensai.

"E’ Sesshoumaru?".

Scesi dal divano e presi il cellulare dalla borsa, ancora a terra. Con il cuore che batteva forte lessi il messaggio di chi fosse, ma con mia somma delusione era di.

"Hojo".

Sospirai, leggermente scocciata. Mio cugino era convinto che tartassando me avrebbe avuto il cuore di Kagome, ma era e lo è ancora tutt’ora un povero illuso. Non capisce che la mia amica convive felicemente con Inu Yasha, credo che questo concetto ancora non gli sia entrato nel suo cervello tarlato.

Con rabbia cancellai il messaggio "idiota", e misi apposto il cellulare.

"Ah, Hojo hai la capacità di rendermi una pazza omicida con i tuoi messaggini idioti. Ma quando ti deciderai a capire la situazione? Secondo me mai!".

Sbuffando mi rimisi sul divano, afferrai un cuscino e lo abbracciai con forza, mentre mi dicevo.

"Ho pensato che fosse tuo il messaggino e non di Hojo".

Ma dopo mi trovai a ridere.

"Ma sono per caso uscita fuori di senno? È improbabile che Sesshoumaru abbia il mio numero di cellulare. Ah, mia cara Rin Riversi sei una pazza visionaria. Ora basta con questi assurdi pensieri!".

Strinsi di più il cuscino cercando di levare dalla testa quei pensieri che, lentamente mi provocarono una feroce emicrania. Pian piano mi assopii e cominciai a sognare. Sono cosciente che i sogni con il passare del tempo si cancellano dalla memoria, ma questo, con mio sommo stupore, non sparì, anzi rimase indelebile nella mia memoria, come se fosse una scarificazione1.

Ricordo ogni sfumatura di quel sogno. Ma che dico? Quello non era affatto un sogno, ma un incubo.

Mi trovavo nel mio appartamento, ma era arredato in modo diverso. Mobili e monili a me sconosciuti. Mi sentivo un’estranea, ma la tempo stesso un’abitante di quell’appartamento. So che è una cosa assurda, ma è una sensazione che ancora tutt’ora non riesco a decifrare.

Ero lì, in piedi nel centro del salotto e avevo di fronte a me la scalinata. Era illuminata dalla luce che proveniva dal piano di sopra. D’un tratto sentii una voce. Una voce femminile che veniva dal piano di sopra.

Di chi era? Mi avvicinai di più alla scala, quando vidi scendere velocemente una donna.

Una ragazza che aveva la mia stessa età. Aveva i capelli lunghi neri ondulati, lasciati liberi di cadere morbidamente sulle spalle. Era vestita con una veste nera con larghe spalline, come quelle in uso alla fine degli anni ottanta, e una cintura di pelle lucida che la fasciava la vita.

Era una bella ragazza. Ricordo il suo viso, i suoi occhi truccati pesantemente.

Io ero lì in piedi a guardarla, mentre lei mi passava accanto e si infilava nel bagnetto di servizio, accanto alla scala. Io mi voltai e la seguii. Ero curiosa.

Mi avvicinai alla porta e osservai dentro il bagnetto, volevo sapere cosa stesse facendo.

La vidi che armeggiava con alcuni oggetti posti dentro un armadietto, laccato di bianco. Sgranai gli occhi. Era lo stesso armadietto che ora si trovava in casa mia, nel mio bagnetto.

La vidi che prendeva la cintura di un accappatoio, ma poi vidi che tirava fuori altre due. Perché?

Piegai il capo di lato per vedere meglio, quando la vidi che li legava. Li stringeva forte. Intanto la sentivo piangere e dire.

"Non c’è posto per me in questo lurido mondo".

Inarcai un sopracciglio. A cosa si riferiva quella frase? A un tratto la vidi voltarsi verso di me e la guardai dritta negli occhi. I suoi occhi. Quel colore.

Rosso.

Colore del sangue.

Mi sentii paralizzata dal quello sguardo triste e magnetico. Capii subito chi era. Era Kagura.

Era la donna che mi tormentava. Ora era nel mio sogno, e legava strette le cinture di spugna. Perché lo faceva? Ma lo avrei visto, anzi dovrei dire sognato.

Lentamente uscii dal bagnetto passandomi di nuovo accanto, io intanto la guardavo. Una cosa mi balzò in mente. Lei mi vedeva o no? La guardai uscire. Era triste vederla così.

Anche se nel suo sguardo triste vi era una fermezza che mi fece tremare. Era fermo e deciso, e guardava avanti a sé, e non era titubante.

Io la seguii, saliva le scale lentamente come in una sorta di processione, mentre stringeva tra le mani le cinture.

Una cosa ora ricordo, non piangeva più. La seguivo come un’ombra, ero curiosa di sapere cosa doveva fare. La vidi che si fermava sul pianerottolo , si avvicinò alla ringhiera del ballatoio, la vidi legare con forza la corda di cinture. A un tratto sentii una risata. Rideva. Io mi avvicinai a lei, quando la vidi che si poneva sul collo la corda e scavalcava la ringhiera.

Capii subito cosa voleva fare.

Aprii la bocca per urlarle di non farlo, perché avevo intuito che voleva uccidersi, ma la voce non usciva. Ero muta. Allora mi decisi di fermarla fisicamente, ma ero paralizzata. Non riuscivo a muovermi. Cercai in tutti i modi per farlo, ma non ci riuscii. Intanto lei si era sporta ancora di più.

Non farlo! Avrei voluto urlare, ma la voce era svanita.

Allungai il braccio destro nel tentativo di fermarla, ma non ci arrivavo. Cominciai a piangere disperatamente, mentre lei si sporse ancora di più e poi si lasciò andare nel vuoto.

No!

Sgranai gli occhi dal terrore, mentre osservavo la corda tesa verso il basso. D’un tratto non mi sentii più bloccata al suolo, mi lanciai velocemente verso la ringhiera nel tentativo di salvarla, ma con mio sommo stupore lei non c’era più.

Mi sporsi di più, ma il suo corpo era svanito nel nulla. Dov’era sparita?

Il nulla l’aveva inghiottita. Rialzai il viso attirata da un sospiro dietro di me. Strinsi con forza il poggia mano, mentre voltavo il capo lentamente. Sapevo chi era.

Lo voltati e la vidi. Era dietro di me con la corda intorno al collo e il viso rigato dalle lacrime, e dal trucco.

Mi guardava e rideva maleficamente.

Io mi girai di scatto, mentre mi poggiavo alla ringhiera. Ero terrorizzata.

Sentivo il cuore battere all’impazzata, come se stesse per esplodere.

"Anche tu, come me perirai. Ti ucciderai e io ti aiuterò".

D’un tratto sentii due mani intorno al mio collo che stringevano forte. Mi toglievano il respiro, mentre mi dimenavo a più non posso. No! Non volevo morire, mentre lei rideva di gusto.

Stavo morendo. Quando.

"NO!"

Urlai a più non posso, mentre scattai in piedi. Ero sveglia.

Velocemente misi una mano sul collo e grazie al cielo non c’erano quelle mani. Socchiusi gli occhi, ma subito li riaprii per guardare verso le scale, ora illuminate dalla luce del sole nascente.

Avevo il terrore di vedere lei che mi guardava con il suo sorriso crudele e beffardo, ma lei non c’era. Sospirai tranquillizzata, quando mi dissi.

"Rin non temere è stato un brutto sogno. Quello che hai sognato è solo frutto della storia raccontata da Elisa, quindi non badarci su".

Intanto tremavo, mentre sentivo le lacrime scendere sul viso.

"Smettila di fare la cretina! Non è reale!".

Urlai, mentre chiudevo gli occhi e con i pugni chiusi mi picchiettavo il capo. Stavo impazzendo forse? Ahimè, sì.

Mi buttai di nuovo sul divano e piansi a più non posso. Non rammento quanto, ma questo riuscì a tranquillizzarmi, almeno un po’.

Mi ripresi e guardai l’orologio del display del lettore dvd, segnava le sei e cinquantadue minuti.

"E’ tardi! Devo andare in ufficio".

Dissi singhiozzando. Lentamente salii al piano di sopra, ma dentro di me albergava l’inquietudine.

Entrai in bagno e poggiai le mani sul lavandino.

"Che incubo".

Dissi, mentre mi ponevo una mano sul viso. Lentamente lo alzai e mi guardai allo specchio e con orrore vidi qualcosa che mi sconvolse. Infatti, intorno al mio collo c’erano i segni di un tentato strangolamento.

Indietreggiai dal terrore. Caddi a terra. Mi rialzai e mi voltai verso il water a vomitare.

Rialzai il viso bagnato di sudore.

"No, non può essere vero. No!".

Mi rialzai, ma ricaddi di nuovo a terra. Gattonai in camera mia, mentre piangevo dal terrore. Arrivai al mio letto e con forza mi rialzai, voltai di nuovo il capo verso lo specchio, ma con il mio sommo stupore i lividi erano scomparsi. Non c’erano più.

Che cos’era accaduto? Che cosa?

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

***

Note:

1: E’ una deformazione cutanea a scopi decorativi e protettivi, legati a volte al culto della magia, talora distintivo etnico- tribale sociale. In passato è stata anche impiegata per praticare la vaccinazione antivaiolosa, oggi non più obbligatoria. Consiste in incisioni o tagli della pelle, non seguite da fuoriuscita di sangue, allo scopo di produrre cicatrici permanenti. Impropriamente identificata con il tatuaggio, la scarificazione è diffusa soprattutto in Africa centrale ed in Nuova Guinea. Nell'uso moderno, il termine scarificazione viene quasi sempre riservato all'ultima fra le tecniche citate, che consiste nel taglio o nell'incisione della pelle e nella successiva introduzione nella ferita ancora aperta di una sostanza (ad esempio la cenere, l'inchiostro) per intervenire sul processo di cicatrizzazione. La conseguente cicatrice risulterà molto pronunciata sia dal punto di vista visivo, sia da quello tattile. Se dalla ferita iniziale si originerà o meno un cheloide dipende largamente dalla predisposizione genetica di ogni soggetto, nonché in presenza di sostanze estranee nel proprio corpo. (cit. di Wikipedia).

 

_________________________________

Bene, bene come sempre in ritardo aggiorno. Dopo le prime prove d’esami, ho trovato un buco per poter aggiornare ^^.

Che dire del nuovo capitolo? Mah, secondo è una vera pazzia allo stato puro XD.

Comunque sia, spero di non avervi provocato qualche problema intestinale XD.

Ringrazio:

LilyProngs: grazie di cuore per aver recensito, sono lieta che il capitolo precedente ti sia piaciuto, spero di non averti deluso con questo. Un bacio e a presto.

Callistas: sì, sono ritornata, anche se ancora non mi perdono per l’errore che ho commesso, cioè Plagiare una storia. Io che bacchetto gli altri ho fatto lo stesso errore. Comunque, per quella storia non ci sarà un seguito, perché è ingiusto continuare qualcosa che rappresenta un errore. Però non temere continuerò questa perché è un mio sogno e poi adoro questo campo *_*. Un bacio grande e ancora grazie per la pazienza con cui mi segui, poiché aggiorno sempre di rado XD.

Princess jiu 327: sono lieta che la mia fanfiction ti abbia incuriosita. Oh mamma quante domande che attendono una giusta risposta ^^. Comincio con il dirti che, a me capita spesso di aver a che fare con un fantasma che di tanto, in tanto adora infastidirmi è_é. E lo fa di notte. Comunque, in molti studiano questi fenomeni paranormali, infatti, ho visto alcuni programmi che trattano questo argomento. Sono molto affascinanti, ma anche claustrofobici (per me lo sono). Per quanto riguarda i vampiri, qui c’è da aprire un bel dibattito, anch’io sono attirata da questi esseri che adorano il sangue e sono tremendamente pallidi. Perché? Molti studiosi, specialmente nel campo della medicina storica, attribuiscono il sintomo del vampirismo ad una malattia, come ad esempio l’ "anemia", ma anche ad altre che ora non rammento ^^’. Però la tua recensione mi ha davvero emozionato, grazie e un grosso bacio.

Mikamey: beh, sono felice che ho almeno colmato un po’ di buchi, ma ancora resta il dubbio del parente di Elisa XD. Come sono birichina, non voglio dire niente, ma presto lo scoprirai ^^. Ciao.

Sesshy94: scusami se ti ho lasciato sul più bello, ma come sempre dico, e dicono, sono molto Sadica XD. La sorellina è Kanna, per il resto chi lo sa chi è il misterioso ragazzuolo? XD.

Bacio e a presto.

Dolcekagome: ciao, sono felice che la mia storia ti è piaciuta. È molto strana come storia, lo so, ma adoro scriverla XD. Son pazza e ne vado fiera XD. Un bacio.

Ringrazio anche chi solo legge, non sapete come mi fate felici ^^.

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Capitolo 19
*** XIX ***


XIX

Che cos’ era accaduto? Che cosa?

Era questo che ora mi tormentava. Dove erano finiti i segni di poco prima, che erano intorno al mio collo?

Mi posi una mano sul viso, che in quel momento era pieno di sudore, e mi ripetei, quasi allo svenimento.

"Rin è non reale tutto ciò! È solo frutto della tua fervida immaginazione!".

Purtroppo non era così, ma a quel tempo ero troppo testarda per capire che ero entrata in una strada senza uscita.

Presi un fazzoletto, che si trovava nel cassetto, e mi asciugai il viso. Poggiai la mano sul comò e mi guardai di nuovo allo specchio, dicendomi che ero una stupida visionaria e che, mi ero lasciata suggestionare da uno stupido incubo.

Buttai con rabbia il fazzoletto nella cesta accanto al comò e mi diressi in bagno a preparami ad uscire, intanto mi convincevo di non pensare più a quel dannato incubo.

Mi lavai, mi vestii e uscii di casa. Però ricordo che, mentre ero nel cortile accanto alla mia macchina, mi voltai in direzione della finestra dove, abitava la vecchia Kaede. La vidi.

Era lì, che mi fissava e sorrideva beffarda. Rammento ancora il moto di rabbia che mi assalì, avrei voluto salire sopra, spalancare quella dannata porta e picchiarla. Sì, volevo darle due ceffoni.

La guardai storto mentre mi mordevo il labbro inferiore e m’infilai in macchina, accesi il motore e mi diressi in ufficio.

Il lavoro avrebbe eliminato quella nottataccia, almeno lo speravo.

Arrivai in ufficio, era ancora presto, parcheggiai e notai che lui era già lì.

"Sarà al bar?".

Pensai, mentre chiudevo la mia macchina e mi dirigevo di sopra. Entrai nella mia stanza, ancora deserta, e poggiai sulla scrivania la mia borsetta. Ricordo che sospirai profondamente, mentre mi dicevo.

"Basta rimuginare su questa idiozia! Mia cara Rin, ora concentrati sul lavoro".

Voltai il capo verso la pila di pratiche, e continuai.

"Lo vedi quanta roba c’è? Quindi non pensare a cavolate simili, come fantasmi e incubi, dettati dallo stress e dalle storielle. C’è una mole di lavoro arretrato che ti aspetta, e qui non ti pagano per passare il tempo a girarti i pollici. Suvvia si lavora".

Accesi il computer, mi tolsi il soprabito, mi sedetti e cominciai a lavorare, anche se ogni tanto la mente beffarda ritornava là, a quell’incubo. Ma io ogni volta scuotevo il capo, come a scacciarlo, non doveva intralciare il mio lavoro.

Caddi in una sorta di trance, non mi accorsi nemmeno della presenza di Ayame e Kagome, che erano appena entrate. Infatti, mi chiamarono un paio di volte, ma senza alcun risultato. Quando d’un tratto sentii sulla spalla una mano che, mi fece fare un balzo.

Voltai il capo velocemente e vidi il viso di Ayame.

"Oddio, Ayame che vuoi?".

Le dissi. Il mio timbro di voce era alterato, come infastidito. Ricordo ancora la faccia sorpresa della mia amica.

"Rin cos’hai? È così che si risponde ad una amica preoccupata? Mi meraviglio di te!".

Era Kagome che mi bacchettava sul mio comportamento, ma io testarda la guardai storto, cosa non da me. Che cosa mi stava accadendo?

Rammento ancora i visi stupiti delle mie due amiche che, mi guardavano.

"Rin…".

Biascicò Ayame, mentre Kagome continuava a fissarmi come se fossi un’altra persona. Lo ero. Ero diversa.

"Che cosa avete a fissarmi come due pupattole senza cervello? Non vedete che mi date noia con la vostra presenza? Andate a rompere qualcun’altro".

Dissi con noia e insolenza. Dissi parole taglienti e fredde, cose non da me.

Continuai a fissarle, quando vidi Ayame fuggire via. Piangeva.

L’avevo ferita, ma non volevo. Le parole di Kagome mi fecero rinsavire, come anche il ceffone che mi diede.

"Rin cosa ti è preso? Non sei tu! Hai ferito Ayame e me. Vergognati!".

Urlò e veloce inseguì Ayame che, si era rinchiusa in bagno. Io rimasi lì come imbambolata a guardare la scena.

Chinai il capo a terra, mentre mi dicevo.

"Che cosa ho fatto? Che cosa ho detto?".

Mi alzai di scatto, facendo cadere a terra la sedia e seguii le mie amiche in bagno. Arrivai lì e le trovai. Ayame piangeva poggiata sulla spalla di Kagome, mentre lei le accarezzava il capo con fare materno.

"Su, su non piangere".

Le diceva. Mi sentii un verme. Mi avvicinai e con il capo chino dissi.

"Scusatemi per prima, ma non so cosa mi è preso".

Lo sapevo, ma non potevo di certo dire: Sapete ragazze ho un fantasma dentro casa che mi tormenta, per questo motivo mi comporto così.

Mi avrebbero di certo preso per folle. Chiesi scusa tante e tante volte. Mi sentivo male per il mio atteggiamento. Fui perdonata, anche se Ayame si spaventava spesso quando mi toccava la spalla. Aveva ragione, ero sempre sulle difensive come se ci fosse sempre un nemico dietro di me.

Quel giorno passò veloce. Era tempo di tornare a casa, anche se dentro di me tornò il terrore di quell’incubo. Non volevo tornare a casa. Sperai che Ayame, oppure Kagome mi chiedessero di andare a cena a casa loro, ma non avvenne. Rimasi in ufficio da sola con le mie paure.

Strinsi i denti e chiusi il computer.

"E’ ora di tornare a casa".

Mi dissi con un nodo in gola. Avevo paura. Quando sentii dietro di me la sua voce che mi fece sobbalzare.

"Signorina Rin".

Voltai il capo e lo vidi accanto alla porta. Era lì, che mi fissava enigmatico. Mi sforzai di sorridere, anche se il risultato fu una sorta di smorfia.

"Buona…buona sera".

Dissi con un filo di voce. Ero un po’ nervosa, ma allo stesso tempo un po’ sollevata. Che caos di sentimenti, eppure mi sentivo così.

Lui era lì, non ero più sola, anche se in un angolino del mio animo c’era una voce che diceva: Che cavo ci fa lui ora qui! Vattene rompiscatole!

Invece un’altra diceva: Non andartene, non abbandonarmi. Ho paura a star da sola.

Credo che lui l’abbia capito. Infatti, quella sera avvenne qualcosa che mi lasciò senza parole…mi rilassò.

 

Continua…

 

_________________________

Oh, che immane ritardo. Allora gli esami per ora son terminati, ma mi attendono quelli di fine agosto XD.

Ma quest’ultimi saranno una delizia farli *_*. Comunque, dopo un po’ di vacanze ho deciso di aggiornare.

Chiedo scusa sia per il ritardo e sia per il capitolo precedente ch’è risultato un po’ ripetitivo su alcuni punti, lo sto aggiustando ^^’. Spero di non aver fatto casini con questo (almeno spero XD).

Vi ringrazio di cuore per aver recensito, sapete mi rendete sempre felice.

Dioni: grazie per aver recensito e per i complimenti ^^.

Sesshy94: tu dici ch’è Sessholino (morirò ne sono certa XD) l’uomo cattivo? Mah, non saprei (tono di voce da bimba malefica XD). Non temere lo scoprirai presto ^^. Un bacio e ancora grazie.

LilyProngs: sono felice che non ti ho delusa, pensavo che fosse una vera schifezza il capitolo scorso ^^’. Non sono neanche certa di questo XD. Un bacio.

Princess jiu 327: vampiri, demoni e altre creature delle tenebre sono argomenti che adoro *ç*. Non sai quanti libri ho su questo genere XD. Forse è per questo che ho scelto il campo storico all’università **. Comunque il bel tenebroso è apparso verso la fine XD. Che cosa accadrà tra i due? E chi lo sa XD. Un bacio.

Callistas: come ben saprai il mio secondo soprannome, oppure il terzo o il quarto…dopo avvocato, amante del vil denaro (nomignolo che adoro XD), è crudele. Cioè, adoro torturare i lettori XD. Come in questo capitolo u_u. Se può renderti felice, ho in mente una nuova fic un po’ strana, ma spero che piaccia **. Un bacio e a presto.

Kaimy_11: già, Kagura ce l’ha davvero con la povera Rin ç_ç. Il motivo lo scoprirai avanti non temere e poi Sessho sarà importante in questa folle storia XD. Un bacio.

Ringrazio anche la gente che legge con un grosso bacio ^^.

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Capitolo 20
*** XX ***


XX

 

Quella sera mi sentivo così. Ero tra la voglia di mandarlo via e la voglia che lui restasse…dopotutto avevo un po’ di paura a rimanere sola. Sola con il mio incubo. Con il mio tormento.

Abbassai il viso, lo sentivo accaldato. Ero arrossita. Il suo sguardo ambrato mi provocava questo effetto.

Lo sentii avvicinarsi.

"Non torna a casa?".

Mi domandò, con quella sua solita calma. Io alzai il viso, ma evitai di guardarlo negli occhi, mi concentrai a fissare il monitor, ora spento, del mio computer.

"Beh, veramente…".

Deglutii, cercando di evitare di balbettare. Dovete sapere che, quando sono nervosa ho il vizio di balbettare. Più che vizio lo chiamerei difetto.

"Veramente…stavo… per andare…anche se…ho molto lavoro arretrato…".

Ridacchiai nervosa. Inventai una stupida scusa che non resse.

Infatti, lo sentii dire.

"Non dica stupidaggini. Lei non ha nessun lavoro arretrato".

Mi morsi il labbro inferiore dalla vergogna. Che cosa potevo fare?

Che cosa potevo dire? Cosa?

Sospirai, socchiudendo gli occhi.

"Ha ragione".

Dissi, mentre lo sentivo allontanarsi verso la porta.

Aprii gli occhi e voltai il capo verso la porta, dove lui era di spalle. Ebbi paura che mi lasciasse da sola. Da sola in quello stabile vuoto.

Strinsi lo schienale della mia sedia, mentre lo osservavo. Sentii dentro di me una voce che urlava: Fermalo Rin! Fermalo!

Stavo per parlare, quando.

"Venga. Questa sera lei cenerà con me".

Rimasi senza parole. Per la prima volta non replicai, anzi come un cane docile lo seguii. Presi la mia roba e uscimmo dall’ufficio.

Entrai nella sua macchina, mentre sentivo lo stomaco in subbuglio dal nervosismo. Dove mi avrebbe portata?

La macchina partì in direzione del luogo che lui aveva scelto.

Viaggiammo per le vie illuminate dai lampioni e dalle insegne dei negozi. Io come al solito mi soffermai a guardarle, quest’azione era una rimembranza della mia infanzia. Infatti, le luci al neon mi ricordavano le lucine lampeggianti dell’albero di natale. Senza rendermene conto ritornai a ritroso con la mente, a quei giorni dove, io rimanevo ore ed ore accanto albero ad osservare quelle luci. Immaginavo delle fatine che danzavano felici attorno a quei colori.

So che questo può sembrare assurdo, ma l’immaginazione di un bambino è davvero meravigliosa.

D’istinto mi trovai a sorridere, ma poi intravidi nel riflesso del finestrino il suo volto. Il volto del mio capo che mi osservava, mentre eravamo fermi ad un semaforo. Arrossii vistosamente, azione che non gli sfuggì.

Ridacchiai, mentre lui rimase impassibile a guardarmi.

Che cosa aveva pensato di me? Che ero una pazza che arrossiva per niente? Sì, credo di sì.

Voltai il capo per evitare di guardarlo di nuovo, intanto eravamo di nuovo ripartiti.

"Dove mi sta portando?".

Gli domandai. Quesito logico, dopotutto.

"Lo vedrà, non tema".

Voltai il capo di colpo, mentre l’imbarazzo di prima svaniva.

"Cosa?".

Dissi con un tono di voce leggermente alterato.

"Scusi, è pure mio diritto sapere dove mi porta? O no?".

Domandai, sempre con il tono di voce alterato, ma con una tonalità alta. Lui per tutta risposta fece una leggera smorfia. Era per caso un sorriso quella smorfia? Suppongo di sì.

D’un tratto la macchina si fermò. Eravamo arrivati a destinazione.

Ricordo che il piazzale del parcheggio era poco illuminato. Infatti, vi erano solo dei lampioncini che lo illuminavano.

"Siamo arrivati".

Disse, mentre scendeva dalla macchina. Io rimasi per qualche istante a guardarlo come imbambolata, quando una vocina dentro di me mi destò. Uscii di corsa dalla macchina e mi avvicinai a lui che, intanto mi attendeva vicino ad un lampione.

Affrettai il passo, mentre lo guardavo. Dovevo ammetterlo era davvero un bell’uomo, ma ancora oggi lo è.

Rammento che arrossii di nuovo, intanto sentivo una forte morsa alla bocca dello stomaco. Nervosismo.

Mi avvicinai al lui. Lui mi fissò per un po’, ma poi si voltò.

"Entriamo".

Disse, mentre io annuivo. Lo seguii. Entrammo nello stabile davanti a noi. Più che stabile dovrei dire ristorante.

Intimo, ma molto carino. Rimasi incantata, era grazioso e molto accogliente, come anche la gentilezza dei camerieri e del proprietario, amico di Sesshoumaru.

Mi sentii bene, mentre mi accomodavo al nostro tavolo, accanto ad un caminetto, ora spento.

Rimasi leggermente delusa, ma eravamo agli inizi di maggio e l’aria era già leggermente calda. Scrollai le spalle e mi dedicai nella scelta delle pietanze descritte sul menù. I prezzi erano altini, ricordo che deglutii.

"Scelga ciò che vuole, lei è mia ospite questa sera. Non si faccia alcuno scrupolo sui prezzi".

Disse, Sesshoumaru, mentre mi fissava. Io sorrisi, ma optai lo stesso per qualcosa di meno costoso e leggero, non avevo molto appetito.

Infatti, avevo sempre quella fastidiosa morsa allo stomaco che non mi dava tregua. Mangiammo, bevemmo e parlammo del più e del meno senza mai parlare di lei. Del fantasma.

Quella sera come per magia dimenticai ogni cosa, come se quella presenza fosse solo un qualcosa che non faceva parte della mia vita. Ma purtroppo le belle cose devo prima o poi terminare, infatti, arrivò il momento di andare via e di tornare a casa.

Ricordo che provai una sensazione di smarrimento, quasi come non volessi uscire dal ristorante.

Strinsi forte il tovagliolo sulle mie gambe, mentre lui si accingeva a pagare.

Rin è tutto finito! È ora di tornare al tuo inferno. Alzati e va!

Tolsi il tovagliolo e lo riposi sul tavolo, mentre la voce dentro di me mi richiamava alla realtà. Alla dura realtà. Mi alzai, seguita da lui. Salutammo il proprietario e i camerieri, ed uscimmo.

Camminammo per il viale in assoluto silenzio. Un silenzio fastidioso. Strinsi le labbra in segno di stizza, aprì la portiera e mi ficcai in macchina.

Ero nervosa. Ero leggermente furiosa. Perché? Lui non aveva colpa del mio malessere, eppure davo la colpa a lui. A Sesshoumaru.

Stupida. Ero una sciocca a dare la colpa a una persona innocente. Era mia la colpa di tutto. Ero consapevole di ciò, ma come una bimba viziata volevo dare la colpa a qualcun altro.

Sfrecciammo per le vie deserte, mentre dentro di me c’era questa lotta a chi dare la colpa, quando la macchina si fermò. Eravamo arrivati.

Sobbalzai. Slacciai la cintura, mentre lui di nuovo scendeva dalla macchina.

Sbuffai, mentre lo vedevo andare verso il portone del palazzo senza di me.

"Cafone".

Pensai. Lo raggiunsi velocemente. Era fermo accanto al portone. Mi avvicinai e gli dissi, distogliendo lo sguardo.

"Grazie per la cena…io…".

Mi fermai, mentre sentivo la sua mano sul mio collo. Lo guardai negli occhi, mentre sentivo il cuore battere all’impazzata.

"Lei ha tentato di strangolarti".

Disse con una calma. Io sgrani gli occhi, mentre mi allontanavo da lui.

"Come…come…come fa a saperlo?".

Domandai balbettando, mentre mettevo la mano destra sul collo. Sentivo un brivido percorrermi la schiena.

"Lo so e basta".

Arretrai ancora di più, mentre cercavo le chiavi dentro la borsa. Una domanda ora mi sorgeva spontanea.

Come faceva a sapere che Kagura mi aveva quasi soffocato ? Però era nel sogno e non nella realtà…oppure era una scena reale quella della notte scorsa?

Trovai le chiavi. Aprii il portone, mentre lui era fermo lì a guardarmi. Entrai veloce dentro e lo richiusi senza voltarmi, volevo fuggire. Fuggire da lui.

"Stia attenta!".

Lo sentii gridare, mentre io indietreggiavo. Aveva ragione, ma io ero concentrata nella mia paura verso di lui per cogliere quel consiglio. Lentamente mi poggiai al muro accanto all’ascensore, intanto Sesshoumaru se ne era andato. Rimasi per un po’ nell’androne, quando la risata di Kaede mi fece sobbalzare.

"Ragazzina anche tu morirai come la mia povera Kagura".

Urlai e corsi di sopra nel mio appartamento. Quella sera piacevole si era tramutata in una serata piena di paura.

Che cosa sapeva Sesshoumaru? Che cosa? Il tempo mi avrebbe aiutato…

 

 

Continua…

 

_________________________________

Vacanze. Già, sono in vacanza e posso dedicarmi alla mia folle storia XD.

Forse il capitolo risulta un po’ caotico, ma è il frutto di un mio sogno…sono folle e ne vado fiera XD.

Grazio di cuore ogni persona che ha recensito, ma anche a chi solo legge.

Ringrazio anche chi ha messo tra i preferiti la mia storia, come anche a chi la segue…vi ringrazio ^^.

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Capitolo 21
*** XXI ***


XXI

 

 

 

Chiusi la porta e mi accasciai a terra. Piansi.

Piansi per molto tempo. Sentivo la testa scoppiare. Poggiai la mano destra sulla tempia, che pulsava.

"Basta".

Singhiozzai. Mi alzai da terra, sentivo il corpo pesante e stanco. Stanco di quella situazione in cui ero piombata. Maledetta la mia cocciutaggine. Maledetta.

Mi incamminai di sopra, dovevo lavare il viso. Togliere di dosso quella sensazione di malessere.

"Perché a me? Perché?".

Mi domandavo, mentre tiravo su con il naso. Non riuscivo più a piangere, solo a singhiozzare. Mi recai in bagno e sciacqui il viso. Tolsi la roba di dosso, infilai il pigiama e mi misi sotto le coperte. Avevo sonno, molto sonno.

Poggiai il capo sul cuscino e mi assopii. Rammento che non spensi nemmeno la luce sul comodino. Dopotutto avevo paura. Terrore che lei apparisse nel buio della notte per farmi del male.

Caddi in un sonno senza sogni. Dormii tutta la notte, mi svegliai al suono della sveglia. Sobbalzai, voltai il capo verso la finestra dove filtrava la luce del sole. Notai che non avevo abbassato la tapparella e la luce entrava dentro prepotente.

Mi alzai a fatica, sentivo ancora il corpo pesante. Mi sentivo male. Molto male.

Mi poggiai al comò e mi guardai allo specchio, e costatai che avevo delle orrende occhiaie. Sorrisi beffarda.

"Che ironia… ho dormito come un sasso, eppure il mio corpo dice il contrario".

Sospirai, mentre socchiudevo gli occhi. La testa ancora mi faceva male, come i postumi di una sbornia.

Lentamente mi diressi in bagno, mi sfilai di dosso il pigiama e mi ficcai sotto la doccia.

Un getto d’acqua freddo che mi destò del tutto, però la scena della notte scorsa restò viva nella mia mente, come anche le domande.

Come faceva Sesshoumaru a sapere molte cose sulla presenza? E perché lui appariva sempre, quando io ero sul punto di cadere?

"Perché?".

Sussurrai, mentre i capelli, trasportati dal getto d’acqua, mi ricoprivano il viso.

Li tirai indietro e dissi, con un tono di voce leggermente furioso.

"Rin piantala! Non farti delle idee assurde su di lui!".

Chiusi l’acqua e uscii. Mi coprii ben, bene e scesi di sotto a prepararmi un buon caffè. Un caffè amaro come quel terribile momento.

Preparai la caffettiera, quando mi dissi.

"Vado a trovare Shippo".

Già, mio fratello maggiore. Era da un bel po’ che non lo vedevo. Solo dai miei genitori, oppure le poche volte che veniva a casa mia.

Lo sentivo spesso, ma adesso volevo vederlo. Per cosa poi? Non lo so, ma volevo vederlo. Sentirlo. Sentire la sua voce, che diceva anche una cretinata.

Presi il caffè, tutto d’un fiato e salii di sopra a vestirmi.

Era domenica. Una tiepida domenica d’inizio maggio. Ma io quel giorno sentivo freddo.

Un freddo che proveniva dal profondo della mia anima. Poggiai il capo sull’anta dell’armadio e mi dissi.

"Rin che cosa diavolo ti sta succedendo? Cosa? Non è da te sentirti così. Avere paura…tu che rappresenti la forza, ora sei diventata l’ombra di te stessa. Non sei tu".

Sospirai, e con forza mi cambiai.

Uscii fuori e sull’androne del portone trovai lei. Quella donna, Kaede, che ancora sorrideva beffarda.

Rideva di me. Le passai accanto senza guardarla, mentre mi stringevo nel mio giubbino di jeans.

Quella donna era riuscita nel suo intento…quello di spaventarmi.

Chiusi il portone dietro di me e senza rendermene conto cominciai a correre. Volevo scappare e rifugiarmi nella mia macchina. Arrivai e mi chiusi dentro, mentre riprendevo fiato. Voltai il capo verso il portone e vidi Kaede che mi guardava. Sorrideva ancora.

Io mi morsi le labbra, dal nervosismo. Non la sopportavo. Accesi la macchina e partii veloce.

"Va al diavolo!".

Sibilai stizzita. La odiavo. La detestavo, proprio come la mia situazione.

"Basta Rin. Ti prego basta".

Mi dissi con un tono di voce stanco. Ero stanca, ma ancora cocciuta.

Fermai la macchina di fronte a una pasticceria. Scesi ed entrai dentro, dovevo portare qualcosa, dopotutto non potevo di certo presentarmi a casa di mio fratello a mani vuote.

Mi fermai al bancone dei pasticcini e rimasi per un po’ a guardarli, quando una voce mi fece sobbalzare.

"Buongiorno".

Voltai il capo veloce, avevo riconosciuto la sua voce.

Era la voce di Sesshoumaru. Lui era qui. Che cosa ci faceva lui qui? Che cosa?

Sgranai gli occhi, mentre lentamente indietreggiavo. Avevo ancora paura. Quando lui si avvicinò lentamente a me.

"Non abbia paura".

Mi fermai, mentre sentivo il cuore battere velocemente. Lo sentivo in gola, come se volesse uscire fuori dalla mia bocca.

Strinsi con forza la fibbia della mia borsa, mentre continuavo a guardarlo negli occhi. Volevo capire se potevo fidarmi, o no.

"Posso esservi utile?".

Sobbalzai sentendo la voce della commessa. Mi voltai veloce verso di lei che, attendeva con ansia che io ordinassi.

"Beh…io…vorrei…vorrei…".

Balbettai, mentre osservavo il bancone dei pasticcini. Ero confusa, non sapevo cosa fare.

Li guardavo e non riuscivo a capire che cosa fare. Sentivo che presto sarei scoppiata a piangere, quando intervenne Sesshoumaru e ordinò lui al mio posto. Scelse un po’ di tutto. Io rimasi a guardarlo come imbambolata. Mi aveva tolto da quella situazione imbarazzante. Sorrisi, e debolmente dissi.

"Grazie".

Lui mi guardò.

"Dovere".

Arrossii e voltai il capo verso la commessa che aveva già completato l’opera. Era stata veloce, le sorrisi e presi il pacchetto che mi porgeva. Lo presi e mi diressi verso la cassa, quando vidi Sesshoumaru pagare.

M’imposi che dovevo farlo io, ma lui non mi ascoltò. Pagò lui.

Era testardo quanto, ma nel tempo non è cambiato molto. È resterà un testardo.

Uscimmo dalla pasticceria.

"Scusami per ieri sera".

Dissi mortificata, mentre tenevo il viso abbassato. Mi sentivo in colpa, ma dopotutto era stata una reazione logica. Quella di fuggire.

"Non si preoccupi la colpa non è sua, ma mia".

Rialzai il viso e lo guardai dritto negli occhi, mentre dentro di me c’erano tante domande che volevano delle risposte.

La paura lentamente svaniva, per dare il posto alla curiosità. Ero curiosa.

Curiosa di sapere cosa centrasse lui con quello che mi stava accadendo.

"Andiamo".

Mi disse, mentre io mi destavo dai miei pensieri.

"Eh?".

Lui mi guardò e mi disse di nuovo.

"Non possiamo di certo rimanere sull’uscio del negozio, rischiamo di dar fastidio ai clienti che voglio entrare, e uscire. Mi sembra logico andarcene".

Mi guardai intorno e notai che la gente ci osservava, un po’ indispettita. Arrossii e lo seguii. Quando dissi.

"Ma io devo andare da mio fratello".

Osservai il pacchetto che tenevo tra le mani, mentre ripensavo a mio fratello.

"Andrà da lui più tardi. Le devo parlare".

"Io…".

Sospirai e continuai.

"E va bene vengo".

Gli sorrisi e lo seguii. Quest’uomo aveva la capacità di rendermi un cane docile. Perdevo la mia forza di volontà e divenivo la sua schiava servente. Lo seguii nel piccolo parco, dove avremmo parlato seriamente. Dove avrei soddisfatto, almeno in parte metà, i miei dubbi…

 

 

Continua…

 

 

______________________

Eccomi di nuovo, come vedete il caro Sesshoumaru è tornato. Ma questa volta non ha spaventato Rin, anzi l’ha tolta dai guai. Cosa che nella vita reale a me non succede mai ç_ç. Ma perché?

Comunque, siamo a un buon punto della storia. Presto scopriremo chi è l’uomo misterioso che ha portato al suicido la povera Kagura.

Voglio ringraziare:

Callistas: Grazie per la bella recensione, sono contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto ^^. Ho messo un po’ ad aggiornare. Beh, il mare e la sua acqua cristallina mi hanno rapita XD. Comunque, sono felice per te che sei in ferie come me, poiché possiamo dormire un po’ di più *O*. Un bacio anche a te.

Mikamey: Già la vecchia Kaede ha davvero esagerato con Rin, facendola spaventare a morte con quella frase. Non temere Sesshoumaru l’aiuterà e anche molto, e come hai detto tu è una sorta di "Perno" della storia ^^. Grazie e un bacio.

LilyProngs: Grazie per i complimenti, arrossisco sempre, anche se adesso si vede poco il rossore XD. Sono ancora abbrustolita dal sole XD. E già, il caro Sesshoumaru aiuterà la povera Rin, anche se sarà un aiuto po’ strano…ma l’aiuterà ^^. Un bacio e ancora grazie.

Ringrazio anche chi ha solo letto ^^.

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Capitolo 22
*** XXII ***


XXII

 

Avrei soddisfatto i miei dubbi. Ne ero sicura.

Eravamo nel piccolo parco accanto alla pasticceria, mi sentivo un po’ nervosa. Quella situazione era davvero insolita. Mi sedetti su di una panchina verde di ferro, dove l’usura del tempo l’aveva resa arrugginita.

Su di essa vi erano molti graffiti, la maggior parte erano frasi scritte da adolescenti innamorati.

Le guardai con una certa nostalgia. Anch’io l’avevo fatto ai tempi della scuola. Ah, quanti amori adolescenziali avevo avuto che, mi fecero perdere il sonno.

Poggiai il pacchetto accanto a me e cominciai, con la punta dell’indice destro, a percorre quelle scritte. Quando la sua voce mi destò dai ricordi.

"L’ho portata qui per parlarle di ieri sera".

Alzai il viso e lo guardai. Lui era in piedi e guardava avanti, mentre un leggero venticello primaverile smuoveva la sua frangia.

Attesi che continuasse a parlare, ma rimase per svariati minuti in silenzio. Un silenzio opprimente.

"Allora?".

Mi decisi a rompere il silenzio con un tono di voce leggermente alterato.

"Le devo le mie scuse per il mio comportamento…".

"Mfh!".

Lo fermai sbuffando. Lui mi guardò leggermente infastidito dal mio atteggiamento. Ma io mi comportavo così a causa sua. A causa del suo modo di fare. Mi lasciava sempre così, con tante domande e poche risposte.

E poi l’episodio della sera prima mi aveva davvero impaurito. Dopotutto chiunque avrebbe avuto paura.

Si avvicinò di più a me. Si sedette accanto, mentre io mi scostavo. Avevo un po’ di timore. Che cosa sarebbe accaduto ora? Lui era vicino a me, come quella sera.

"Non abbia paura".

Di nuovo quella frase, così veritiera. Detta con un tono di voce così calmo e pacato. Non dovevo aver paura, eppure una vocina dentro di me diceva il contrario. Perché?

Tremai, mentre lui si avvicinava di più a me. Scostai il viso e mi concentrai a osservare il suolo. Evitavo di guardarlo negli occhi. In quegli occhi dorati che avevano il dono di scrutarmi nell’animo.

Trattenni il fiato, mentre sentivo il mio cuore battere furioso nel petto. Prima o poi sarebbe uscito fuori.

"Rin, non c’è bisogno di aver paura".

Sgrani gli occhi. Mi aveva dato del "tu", chiamandomi per nome. Alzai gli occhi e incrociai il suo sguardo. Non mentiva. Mi diceva il vero, non dovevo aver paura di lui.

"Però…".

Sussurrai.

"So cosa stai per dire, sappi che il mio atteggiamento dell’altra sera, non era dettato per terrorizzarti, ma per metterti in guardia su quel luogo".

Aggrottai la fronte, mentre cercavo di capire il nesso di quella frase. Ma lo sapevo già. So di essere un po’ contorta, ma in quel periodo ero divenuta un essere privo di senso logico che, s’impuntava su un qualcosa di pericoloso.

"Hai capito ciò che ho detto?".

Disse Sesshoumaru vedendo il mio viso. Sospirai e risposi un.

"Sì, ho capito. Ma ciò non toglie che mi hai davvero terrorizzato con il tuo atteggiamento così ambiguo".

Anch’io avevo rotto il "tabù" del "lei", rivolgendomi a lui con il "tu". Mi trovai a ridacchiare e a dire.

"Oh, mio Dio. Tu hai il dono di mandare in confusione il mio modo di esprimermi con la gente. Complimenti".

Lo vidi piegare leggermente le labbra in un sorriso, cosa che mi fece ridere. Un risata che riuscì a tranquillizzarmi. A rilassarmi.

Come un fiume in piena cominciai a parlare sugli avvenimenti accaduti dopo che, lui se ne era andato. Sparlai dell’anziana signora che abitava al piano inferiore.

"Ah! Quella donna ha il dono di far infuriare anche un santo".

Sbuffai, mentre voltavo il viso e alzavo gli occhi al cielo, e non mi ero resa conto che Sesshoumaru aveva preso la mia borsetta.

Sentii il rumore delle mie chiavi che tintinnavano nel suo interno. Voltai il capo veloce e sgranai gli occhi, mentre lui tranquillamente trafficava nella mia borsa in cerca di qualcosa. Che cosa?

Ecco, l’aveva trovato. Era il mio cellulare.

Io continuai a guardarlo, mentre lui tranquillamente, come se niente fosse, toglieva il blocca tasti e armeggiava con esso.

Rimasi sconcertata da quell’azione così singolare. Lui con somma calma continuava il suo lavoro, quando d’un tratto finì la sua opera e ripose il mio cellulare nella borsa. La richiuse e la rimise dov’era prima, mentre io, con gli occhi sempre più sgranati, l’osservavo. Ero senza parole.

"Chiamami a qualsiasi orario".

Mi disse, mentre si rialzava e se ne andava lasciandomi così, su quella panchina con la bocca leggermente spalancata.

Non ricordo quanto tempo rimasi a guardare, come una perfetta demente, la strada che aveva percorso. Quanto tempo? Cinque o sei minuti, o forse di più? Ah, non lo ricordo. Ma so per certo che fu per un bel po’. Quando riuscì a svegliarmi da quello stato di trance, presi il mio cellulare e vidi nella rubrica il suo numero.

Le mani cominciarono a tremare e a sudare freddo. Non era un sogno, lui mi aveva dato il suo numero.

Un numero che mi avrebbe salvato.

Però quell’incontro così strano non aveva del tutto soddisfatto la mia curiosità, ma il tempo mi avrebbe aiutata.

Chiusi il cellulare e lo riposi nella borsa, mi alzai e uscii dal parco con in mano il pacchetto per Shippo.

Quel giorno mi sentii bene. Mi sentii rinata, anche se quella era solo una chimera.

 

Continua…

 

 

________________

Vergogna. Vergogna. Sono settimane che non aggiorno, e non ci sono scusanti, ma chiedo lo stesso scusa a tutti per il ritardo. Non temete ormai la storia sta per terminare un altro paio di capitoli e poi finisce, con il mio e il vostro sommo piacere XD.

Comunque, ringrazio chi continua a seguire, recensire e leggere la mia così insolita storia sul paranormale ^^. Un bacione e grazie di cuore.

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Capitolo 23
*** XXIII ***


XXIII





Mi sentii bene in quel momento. Avevo per caso ottenuto la chiave della mia salvezza?
Sì, era così.
Entrai in macchina e mi diressi da Shippo, mentre la mente ritornava a quell’istante preciso dove, lui gentilmente mi aveva donato il suo numero.
Beh, dire gentilmente è del tutto errato. Infatti, aveva preso il “mio” cellulare senza permesso e aveva abusato della “mia” rubrica per mettere il “suo” numero. Una persona normale con un minimo d’intelligenza si sarebbe infuriata di tutto ciò, invece io non feci nulla. Rimasi lì, a osservare quella scena senza muovermi…come una perfetta imbecille.
Rimuginai a questo per molto tempo fino a, quando non arrivai a destinazione. Parcheggiai e scesi dalla macchina, mentre vedevo Mina, la compagna di mio fratello, venirmi incontro.
“Oh, Rin! Finalmente ti sei decisa a venire a pranzo da noi!”.
Mi disse con le braccia aperte, mentre io le sorridevo e tenevo il pacchetto tra le mani. Mi abbracciò, ma io l’ammonii, in modo materno, di non stringermi troppo se no, addio dolcetti.
Ricordo la sua risata così dolce e allegra che, ti dava un senso di pace… per questo l’adoravo, anche se il mio carattere, così chiuso e diffidente mi evitava di esternare il mio affetto per lei. Ma dopotutto lei lo aveva compreso e mi aveva accettato così com’ero.
Ricordo che a quel tempo aveva ancora quella buffa acconciatura corta e riccia…un cespuglio castano con poche ciocche rossicce, ecco cos’era.
“Già”.
Le risposi sorridendo. Sì, era da tempo che dovevo recarmi da loro, ma gli impegni mi impedivano di andare.
Entrammo dentro dove, Shippo con un grembiule bianco con merletti rosa mi attendeva. Ricordo che io gli dissi in modo ironico.
“Bel completino fratellone. Sai ti dona tanto il rosa”.
Lui incrociò le braccia al petto e con fare da finto offeso rispose.
“La tua è invidia”.
Io ridacchiai.
“Ma certo, la mia è invidia”.
Anche lui si mise a ridere, ma poi si avvicinò e mi abbracciò. Rammento che profumava di sugo e basilico. Ho sempre adorato quell’aroma.
“Shippo cos’hai cucinato di buono oggi?”.
Domandai, mentre mi avvicinavo ai fornelli. Lui sorrise e mi rispose.
“Qualcosa che ti piacerà”.
Sì, era quello che adoravo. Spaghetti con il sugo e basilico fresco. Era e lo è tutt’ora un ottimo cuoco.
Mangiammo tra le risate e ricordi d’infanzia. Quello giorno era iniziato nei migliori dei modi, ma purtroppo senza volerlo Mina mi fece ripiombare nel mio stato di angoscia.
“Allora Rin, com’è vivere da soli?”.
Mi domandò, mentre beveva un bicchiere di vino. Io deglutii. Invano cercavo di trovare una degna risposta, ma non ci riuscivo.
Scostai lo sguardo e mi concentrai a guardare alcune foto di loro due in montagna, intanto mi dicevo mentalmente.
“Rin cosa puoi dire? Sai Mina coabito con un fantasma che mi vuole morta…una vera pacchia. Per finire una bella risata collettiva. Che meraviglia. Su Rin sforzati e cerca di trovare una risposta decente”.
Stentai un sorriso e le risposi con voce roca.
“Bene”.
Breve e concisa, cosa che non soddisfò affatto la curiosità di Mina. Di fatti, mi guardò stranita, invece mio fratello mi guardava dritta negli occhi e capì che c’era qualcosa che non andava.
“Dal tono della tua voce non credo che vada bene”.
Mi disse serio Shippo, mentre io sobbalzavo. Lui notò la mia reazione, come anche Mina.
“Anche la tua reazione è un chiaro segno. Rin? Dimmi la verità? E’ successo qualcosa?”.
Ecco! La domanda che più temevo, ora pendeva sulla mia testa come un grosso masso in bilico su di un precipizio. Che cosa potevo fare?
Dovevo dire la verità? Oppure mentire?
Anche se dicevo la verità mi avrebbero creduto? No, non credo proprio.
Pazza. Mi avrebbero preso per folle, perciò mentii.
“Beh, a dire il vero… sento la mancanza di mamma e papà”.
Menzogna. Beh, un po’ la loro mancanza la sentivo, perciò optai per questa mezza verità.
Sospirai e afferrai la bottiglia del vino e riempii il mio bicchiere, mentre Shippo mi guardò con dolcezza.
“Lo sospettavo sorellina”.
Io lo guardai dritto negli occhi, intanto sentivo un nodo alla gola.
Ah, Shippo avrei voluto dirti tutto, ma ero consapevole che mai mi avresti creduto, tu  che credevi e credi solo in ciò che puoi vedere.
Sorrisi tristemente, mentre Mina distoglieva lo sguardo, credo che avesse gli occhi lucidi.
La giornata finì in fretta, era tempo che facessi ritorno a casa, anche se mio fratello e mia cognata mi avevano invitato a passare la notte da loro, ma io declinai l’invito.
Era ingiusto rovinare la loro privacy con la mia presenza.
“Grazie di tutto”.
Dissi, mentre abbracciavo Mina. Li salutai ed entrai in macchina, intanto sentivo ancora quel nodo alla gola.
Una cosa davvero fastidiosa.
Guidai tra le strade illuminate dai lampioni, mentre pensavo alla vita di coppia felice di mio fratello. In quel preciso momento provai una sorta d’invidia. Io ero sola, invece lui aveva Mina. Sospirai amaramente.
“Beh, mia cara te la sei cercata. Con questo carattere chiuso e diffidente che ti ritrovi è normale che non trovi un straccio di uomo…anche se…”.
Sgranai gli occhi, mentre stavo per dire il suo nome. Io e lui? Era inconcepibile.
Scossi il capo, intanto parcheggiavo la mia macchina.
“Però devo ammettere che è un tipo davvero singolare”.
Mi dissi, mentre scendevo dalla macchina. Sorrisi pensando a lui.
“Mi sta aiutando…chissà, forse in un futuro potrei anche fare un pensierino su di lui”.
Ridacchiai, intanto la chiave girava nella toppa della porta, quando la voce di Kaede mi fece sobbalzare.
“Sei tornata”.
Non mi voltai, il suo tono di voce mi dava la nausea, come anche il suo viso. Con insolenza le risposi.
“Sì, e non intendo andarmene”.
Aprii la porta ed entrai, intanto sentivo la sua risata che mi faceva infuriare.
Sbattei la porta con violenza, intanto cercavo di darmi una calmata ero sul punto di ucciderla.
“Vecchiaccia fa un piacere al mondo, perché non muori?”.
La maledii. Se mio padre si fosse trovato lì in quel momento mi avrebbe dato uno schiaffo, lui ha sempre odiato le persone che maledicono.
Mi tolsi la giacca e salii al piano di sopra, avevo bisogno di una buona doccia. L’acqua avrebbe calmato i miei bollenti intenti di uccidere la mia cara vicina.
Mi spogliai e mi ficcai sotto il getto d’acqua calda.
“Lurida vecchiaccia”.
Sibilavo, mentre l’acqua scivolava sul mio corpo. Lentamente riacquistai il buon senso, chiusi l’acqua, mi coprii e scesi di sotto dovevo bere un bicchiere d’acqua. Passai accanto alla mia borsa poggiata sul divano, quando pensai a lui. La presi e frugai al suo interno e trovai il mio cellulare. Lo presi e guardai il suo visore.
Perché?
La risposta è semplice credevo in un suo messaggio, ma questo non c’era. Mi trovai a ridere.
“Che stupida! Però…ah, ora basta!”.
Mi diressi in cucina e poggiai il telefonino sul tavolo, mi voltai e aprii il frigo in cerca della bottiglia d’acqua, quando il trillo di un nuovo messaggio mi fece battere forte il cuore nel petto. Di chi era?
Era suo? Oppure di qualche mia collega o familiare?
Rimisi apposto la bottiglia e rapidamente afferrai il cellulare. Il mio cuore batteva forte, le mani erano gelate. Aprii il nuovo messaggio, sgranai gli occhi quando lo lessi, ma poi mi trovai a ridere come una pazza.
Era del mio gestore della linea telefonica, che annunciava una nuova offerta.
Risi come non mai, anche se rimasi un po’ delusa. Pazienza.
Poggiai il telefono e salii di sopra, era tempo di andare a letto.
“Che giornata”.
Mi dissi, quando sentii di nuovo il telefono trillare. Un nuovo messaggio, ma questa volta non mi precipitai a leggerlo, anzi lo snobbai. Entrai in camera mia, m’infilai il pigiama e mi ficcai sotto le coperte lasciando sempre aperta la luce.
Chiusi gli occhi e mi assopii, senza sapere di chi fosse il messaggio…




Continua…




___________________
Mamma che vergogna, non ho davvero scusanti…anche se non ho davvero tempo da dedicarmi a questa follia ç_ç.
Questo è stato un periodo davvero difficile e duro. Vi chiedo scusa. Ero tentata anche di non continuarla, ma mia cognata mi incitato (sotto tortura ç_ç) a continuarla. La devo ringraziare, anche se non capisco come regge mio fratello minore Cocco u_u. Mah, misteri della Santa Pazienza XD.
P.S: Mina esiste nella realtà, anche se un cane XD. E’ un omaggio ai miei nuovi vicini, molti simpatici…veramente il ragazzo lo è di più XD.
Vi ringrazio di cuore a tutti che continuate a recensire e a seguire la mia storia. Non sapete, quando mi rendete felice ç_ç.
Un bacio e buon anno.

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Capitolo 24
*** XXIV ***


XXIV







Mi assopii, anche se il mio sonno era leggero. Di fatti sentivo sempre dei rumori. Rantoli e scricchiolii sinistri che provenivano dalla scala.
Un vero tormento e sapevo chi era.
Era lei. Il spirito inquieto di quella povera ragazza.
Mi rigirai un sacco di volte nel letto, fino a che il sonno pesante non venne, ma purtroppo dormii poco. Infatti, poco dopo la sveglia trillò. Era tempo di alzarsi e di prepararsi per andare a lavorare.
Mi alzai. Sentivo il corpo pesante. Avvertivo un senso di spossatezza davvero fastidioso.
“Detesto alzarmi così”.
Mi dissi mentre mi dirigevo in bagno. Mi spogliai e mi ficcai sotto la doccia. Una buona doccia mi avrebbe ridato un po’ di benessere…e ci riuscì.
Mi vestii e scesi al piano di sotto.
“Ora ci vuole buon caffè”.
Mi recai in cucina senza guardare il tavolo dove, avevo lasciato la sera prima il cellulare. Non pensai per niente a lui, anzi mi premeva prendere il caffè.
Presi la caffettiera, la aprii, misi l’acqua e il caffè, accesi il fornello e la lasciai. Mentre attendevo l’uscita di quel liquido nero e fumante, ripensai alla giornata di ieri. Ripensai a lui e al fatto che, aveva utilizzato il mio cellulare per immettere il suo numero nella mia rubrica. Sorrisi scuotendo il capo, quando.
“Il messaggio”.
Dissi mentre mi voltavo verso il tavolo dove, vidi il visore del mio cellulare brillare. Lo presi e controllai di chi fosse il messaggio.
“Sarà un altro messaggio del mio gestore”.
Mi dissi, anche se dentro di me una vocina diceva il contrario…e non si sbagliava. Era il suo.
“Sta attenta e ricorda che puoi chiamare, quando vuoi”.
Sentii un forte calore alle gote, come anche una morsa alla bocca dello stomaco. Quel messaggio mi aveva emozionato come una ragazzina di quindici anni che vede il suo divo, e comincia a emettere gridolini striduli.
Sorrisi, poggiai il telefonino sulle labbra e cominciai a pensare a lui.
“Grazie”.
Pensai, quando il fischio della caffettiera mi fece destare da quello stato di trance adolescenziale. Mi voltai e corsi al fornello prima che il caffè traboccasse fuori, ma purtroppo cadde facendomi sbuffare.
“Ottimo Rin”.
Ripulii tutto, presi il mio adorato caffè amaro e uscii. Sentivo che la giornata sarebbe andata bene.
Chiusi la porta a chiave e mi diressi verso l’ascensore, ma purtroppo era fuori uso. Mi trovai a sbuffare irritata.
Scesi le scale e lì trovai sul pianerottolo Elisa, che stava rientrando a casa. Si era fermata a guardarmi.
Io le sorrisi, quella donna non mi dispiaceva per nulla, anzi la trovavo simpatica.
“Buongiorno Elisa”.
Lei dissi, mentre mi avvicinavo a lei. Erano giorni che non la vedevo.
“Buongiorno”.
Mi rispose, ma notai che il timbro della sua voce era nervoso. Infatti, la vidi guardare verso la porta come se temesse qualcuno. Ma io sapevo chi, e questo mi dava fastidio.
“Allora come va Elisa?”.
Incalzai cercando di instaurare un discorso con lei.
“Bene…bene…Rin”.
Biascicò, mentre la vedevo stringere la busta di plastica dove, dentro vi erano il pane e il latte.
“Ne sono felice”.
Le dissi sorridendo, ma poi continuai…quella sorte di tortura se la vogliamo definire.
“Era da un bel po’ che non ti vedevo e ho creduto che eri partita, ma grazie al cielo sei qui. Che cosa hai fat…”.
Non riuscii a finire la frase, infatti, Elisa mi afferrò per un braccio e mi portò verso la porta dell’ascensore.
“Rin non posso parlarti e tu sai il perché. Ma ti scongiuro, anzi ti supplico va via da qua”.
Io rimasi senza parole, pure lei non mi voleva qui. Anche se le sue parole erano dette in modo premuroso, supplichevole e non di odio come quelle di Kaede.
La guardai dritta negli occhi e vi lessi paura e pena.
“No”.
Dissi convinta. Mai avrei lasciato la casa.
La vidi sospirare amareggiata. Voltò il capo verso l’uscio di casa sua, voleva essere sicura che sua nonna non la sentisse. Vi voltò di nuovo verso di me.
“Lo temevo”.
Sospirò.
“Sei una vera testarda, non tieni alla tua vita?”.
Mi domandò.
“Certo che razza di domanda fai? È logico che io tenga alla mia vita”.
Mi trovai a ridacchiare, quella domanda era buffa, anche se veritiera.
“Perché allora non ascolti il mio consiglio. Io so che sei una brava ragazza e non voglio che, tu faccia una brutta fine. No! Non lo voglio”.
Una lacrima rigò il suo volto. Era in pena per me e questo mi faceva uno strano effetto, però non l’avrei accontentata. Di fatti, accarezzandole la guancia le dissi, sempre con la fermezza di prima.
“Grazie per la tua premura, ma non cederò. Rimarrò in quel duplex”.
Elisa abbassò il viso, ormai sconfitta.
“Sei una testarda e non capisci l’errore che fai. Ma sono costretta a cedere, anche se io lo dicevo per te. Pazienza la vita è tua”.
Io le sorrisi, l’avevo convinta. D’un tratto mi ritornò in mente la discussione di qualche settimana fa, la curiosità ritornò a fare da padrona.
“Elisa dimmi la verità su Kagura? E sul perché Kaede cerca in tutti i modi di cacciarmi?”.
La vidi irrigidirsi, mentre continuava a guardare a terra. Io volevo sapere, perciò la presi per le spalle e la scrollai.
“Elisa! Parla?Ti ordino di parlare?”.
Domandai quasi urlando, quando lei rialzò il viso impaurito.
“Zitta! Te ne prego non farmi certe domande…io…io non posso dire nulla su quella povera sventurata”.
M’irritava quel suo fare pauroso, infatti, continuai a chiederle spiegazioni. Ma lei niente, era muta.
D’un tratto, una voce che proveniva da dentro la casa di Elisa ci fece ammutolire…era Kaede che richiamava la nipote.
Elisa, si staccò da me e si diresse velocemente verso l’uscio, lasciandomi così senza alcuna risposta. Ero insoddisfatta. Mi voltai e cominciai a scendere, quando la voce di Elisa mi fece fermare. Mi voltai e la vidi poggiata sulla ringhiera del ballatoio.
“Rin! Cerca Kanna la sorella minore di Kagura, lei ti dirà ciò che ti preme sapere”.
Si staccò dalla ringhiera e ritornò in casa lasciandomi di nuovo nel dubbio. Dove avrei trovato Kanna? Io non sapevo, dove vivesse. Sapevo che Kagura aveva una sorella e nient’altro.
Mi diressi in ufficio con la testa piena di domande e senza alcuna risposta.
“Kanna dove sei?”.
Mi domandai mentalmente, mentre salivo in ufficio. Entrai nel mio ufficio salutai le mie colleghe e mi sedetti alla mia scrivania. Continuavo a pensare a quello che mi aveva detto Elisa.
“Cerca Kanna”.
E dove? Ah, che caos. Da dove potevo iniziare?
Quella mattina mi concentrai sul mio lavoro e mi dimenticai del messaggio di Sesshoumaru, ero presa da altro. Non prestai neanche attenzione ai discorsi di Kagome e Ayame sui loro rispettivi compagni.
“Ehi, Rin sei in questo mondo?”.
Mi domandò Ayame, mentre muoveva la sua mano davanti al mio viso. Mi destai dai miei pensieri.
“Eh?”.
La guardai dritta negli occhi, la vidi leggermente preoccupata.
“C’è qualcosa che non va? Rin?”.
Era Kagome che si era avvicinata a me, anche lei era preoccupata. Io mi alzai e sorridendo le rassicurai.
“No, sto bene è solo che ho dormito poco questa notte”.
Kagome mi accarezzò il capo, mentre Ayame come il suo solito esordì con...
“Chissà cosa hai fatto questa notte. Di sicuro cose turche”.
Io la fulminai con lo sguardo.
“Certo, come dici tu Ayame”.
Sibilai, ormai ero certa che la mia amica non sarebbe mai cambiata.
“Scusate, ma ho davvero bisogno di un caffè. Vi lascio alle vostre cose turche”.
Sottolineai l’ultima parola e uscii dall’ufficio. Avevo bisogno di svegliarmi e solo il caffè riusciva a farlo.
Mi avvicinai al distributore, misi la monetina e pigiai il bottone. Intanto continuavo a dirmi, dove potevo trovare Kanna, quando una voce a me familiare, mi fece voltare.
“Bisognosa di caffè?”.
Era Sesshoumaru che si era avvicinato, lo aveva fatto senza farsi sentire… in questo era e lo è, ancora tutt’ora, un maestro.
Gli sorrisi.
“Sì, e poi avevo bisogno di uscire dalla stanza. Ayame ha il dono di farmi uscire fuori dai gangheri”.
Presi il mio caffè e lo poggiai sulle labbra. Il liquido caldo scivolò veloce in gola dandomi una bella sensazione.
“Capisco”.
Disse, mentre avvicinava la moneta nella fessura del distributore.
“No, lascia offro io”.
Scacciai la sua mano e misi una mia moneta. Volevo ringraziarlo. Lui mi guardò stranito.
“Devo farmi perdonare di non aver risposto al messaggio”.
Dissi arrossendo leggermente. Mi ero comportata da vera cafona a non rispondere al suo messaggio.
“Avrei dovuto farlo subito, ma l’ho letto stamattina. Scusami”.
Lui mi fissava con quel suo sguardo enigmatico.
“Però è stato un bel gesto. Grazie”.
Continuai, mentre mi voltavo e piegavo a prendere il caffè, ormai pronto.
“Dovere. Comunque, ho notato che avevi la testa altrove. A che cosa pensavi?”.
Mi trovai a scrollare le spalle, mentre gli porgevo il caffè.
“Beh, oggi dopo tanto tempo ho rivisto Elisa, la nipote di Kaede”.
Cominciai, mentre lui corrugava la fronte cercando di capire a chi mi riferivo.
“Kaede, la signora anziana che abita al piano di sotto”.
Evitai di dire: vecchiaccia – bisbetica – che spero faccia un piacere a questo mondo sparendo.
“Comunque, abbiamo parlato. Beh, parlato è errato, diciamo che ho cercato di sapere di più sulla ragazza morta”.
“E lei?”.
Notai che Sesshoumaru era un tipo curioso, e questo mi faceva sorridere.
“Lei non ha detto nulla, ha troppa paura di sua nonna”.
Dissi a denti stretti. Non ho mai amato le persone che si fanno mettere sotto come dei zerbini. Delle persone senza alcuna personalità. I deboli di carattere.
“Che idiozia! Avere paura di una vecchiaccia che prima o poi creperà”.
Continuai piena di rabbia, mentre voltavo il viso verso il distributore.
“Rin, cos’è accaduto dopo?”.
Mi domandò Sesshoumaru. Sospirai.
“Beh, mi ha detto di cercare Kanna”.
“Kanna?”.
“Sì, la sorella minore della ragazza morta”.
Buttai il bicchierino di carta nel cassonetto del riciclaggio, mentre cercavo di pensare a come trovare la casa della sorella di Kagura.
“Sai dove abita?”.
Mi domandò Sesshoumaru. Io sorrisi amareggiata.
“No. Magari lo sapessi così dissiperei questi dubbi sulla cara presenza”.
Ero davvero scoraggiata, non sapevo come fare, quando.
“A chi paghi l’affitto?”.
“Beh, verso la mensilità su un conto corrente bancario. Perché?”.
Dissi con semplicità, non riuscivo a capire dove, volesse arrivare.
“Con chi hai contrattato per l’appartamento?”.
“Con un’agenzia immobiliare. Ma non riesco ancora a capire dove, vuoi andare a parare”.
Ero davvero confusa, eppure la risposta era di una semplicità assurda, ma in quel momento ero divenuta una vera inetta.
“Non ci arrivi da sola?”.
“No”.
Scrollai le spalle. Non riuscivo davvero a capire a cosa intendeva Sesshoumaru in quel preciso momento.
Lo vidi leggermente irritato, cosa che m’intimorì.
“Rin, dovresti parlare con l’agente con cui hai trattato l’affitto. Lui, o lei sa, dove abita il proprietario dell’appartamento”.
M’illuminò. Infatti, dissi.
“Hai ragione. Hai perfettamente ragione, come mai non ci sono arrivata da sola? Che perfetta imbecille che sono”.
Mi trovai a ridacchiare. In quel momento mi ero persa in un bicchiere d’acqua, ma credo che alcune volte capita ad ognuno di noi nella vita. Vero?
“Sesshoumaru?”.
“Sì”.
“Verresti con me all’agenzia immobiliare?”.
Domandai decisa, volevo che lui venisse con me. Infatti, lui non mi deluse.
“Sì”.
“Grazie”.
Gli sorrisi, cosa che credo gli piacque.
“Andiamo adesso. Va a prendere la tua giacca”.
Io annuii e veloce mi diressi nel mio ufficio, mi sentivo emozionata finalmente avrei dissipato ogni mio dubbio… oppure no.




Continua…



____________________________
Eccomi qua! Che cosa dite? Il capitolo è lungo e monotono? Beh, di lungo lo è, ma monotono non lo so XP.
Lo è, chiedo umilmente perdono ç_ç. Ma oggi ho avuto un momento di pazzia scribacchina (non capisco da dove, tiro fuori sti’ termini. Mah, il troppo studio e lavoro fanno male XD).
Bando alle ciance, voglio ringraziare uno per uno chi mi ha recensito…sono commossa ç_ç.
LilyProngs: sono felice che il capitolo precedente ti sia piaciuto ^^. Come ben vedi il messaggio non era della Vodafone XD, ma di Sesshoumaru *ç*. Ma ora cosa accadrà ai due eroi? Tu lo sai? Beh, io non lo so XD. No scherzo.  Ti ringrazio per la bella recensione, un mega bacio.
Dioni: dici ere? Hai ragione, ma che vuoi farci io sono un tipino abbastanza longevo e smemorato XD. Comunque, grazie e come vedi ho recensito la tua storia, anche se in modo un po’ crudele ^^’. Perdona la mia schiettezza. Un bacio e ancora grazie.
Lirinuccia: per prima cosa : auguri ( in ritardo) anche a te ^^, e per seconda: ben venuta ^^. Grazie per la bella recensione. Anche tu adori il bel Inu Youkai Sesshoumaru, come me. Infatti, scrivo troppe, e troppe fic  su di lui…povero spettro, tra un po’ mi ucciderà lo so ç_ç. Help me!
Sono felice che Sesshoumaru sia IC, purtroppo riesco sempre a renderlo OOC ( mannaggia a me è_é). Rin, ahimè, lo so e OOC, ma la volevo così. Con un carattere forte, ma anche testardo. Il suo modo di fare è nato leggendo gli ultimi capitoli del manga, quando non vuole restare nel gruppo di Inu Yasha, perché desidera seguire Sesshoumaru. Lì, ho sorriso, finalmente ha mostrato la forza del suo carattere *_*. Beh, scrivere al passato,  po’ sembrare strano ma mi riesce facile…anche quando andavo alle superiori (piange ricordando quei meravigliosi periodi), scrivevo i compiti in classe in questo modo. Povera prof. u_u. Comunque, grazie e un bacio.
Ringrazio anche chi solo legge ^^.

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Capitolo 25
*** XXV ***


XXV



Presi la borsa e la giacca, mentre Kagome e Ayame mi guardavano ammutolite, cosa davvero rara. Le salutai e uscii dall’ufficio lasciando le due nel dubbio, dove stessi andando.
D’un tratto la voce di Kagome mi fece voltare.
“Rin dove stai andando?”.
Io in tutta fretta le risposi.
“Ora non posso. Ho fretta! Ti spiegherò tutto, non temere”.
Già, le spiegherò tutto. Ma che cosa? Che vedo e sento una presenza ultraterrena nel mio duplex?
Follia.
No, non era ancora giunto il momento per spiegarle questa mia pazzia. Mi diressi verso l’ascensore, dove Sesshoumaru mi attendeva.
“Sono pronta, andiamo”.
Lui annuì con il capo. Entrammo nell’ascensore, intanto cercavo di immaginare come fosse Kanna.
Era come Kagura?
Già, ma quello che avevo visto era solo frutto della mia immaginazione. In realtà non avevo mai visto il viso di Kagura, fino al giorno in cui incontrai Kanna.
Mi sforzavo di immaginare la sua fantomatica sorella minore, mentre mi avvicinavo alla mia macchina.
“Andiamo con la mia”.
Mi voltai sentendo questa frase.
“No, andiamo con la mia. E’ piccola e riusciamo facilmente a trovare un parcheggio”.
Ribattei, mentre Sesshoumaru mi guardava leggermente infastidito.
Si avvicinò e mi tolse le chiavi dalla mano con fare prepotente, gesto che non mi piacque per nulla. Infatti, lo fulminai con lo sguardo. Non lo intimorii, anzi provò quasi piacere nel vedermi furiosa.
Aprii la portiera e s’infilò dentro, intanto io lo guardavo furente. Sbuffai irritata, mentre stringevo i denti.
“Cafone”.
Pensai, mentre mi accomodavo e allacciavo la cintura di sicurezza.
“Allora andiamo?”.
Domandai leggermente alterata, mentre stringevo i denti. Lui non mi guardò. Accese il motore e partì spedito, facendomi sgranare gli occhi. Infatti, uscì dal parcheggio senza neanche controllare la strada. Ricordo che in quel momento poggiai le mani sul cruscotto, mentre mi mordevo le labbra dal terrore.
Sesshoumaru era, ma lo è ancora, un pericolo pubblico, quando si indispettisce.
“Va piano”.
Dissi con voce flebile, mentre controllavo la strada. Credo che sorridesse, quando dissi quella frase.
Con mio sommo piacere finalmente rallentò. Infatti, sospirai e mi poggiai meglio sul sedile.
A suo modo mi aveva punito.
“Sesshoumaru, gira a destra dopo quell’incrocio. È in quella traversa che si trova l’agenzia”.
Lui annuì, mentre girava. Rammento ancora l’agitazione, quando parcheggiammo.
Che cosa avrei scoperto sulla sorella di Kagura?
Abitava ancora in città, oppure fuori?
Mi fermai sulla soglia dell’agenzia, mentre queste domande mi tormentavano. Fissai la porta di vetro presa dalla paura di non trovare nulla, quando.
“Hai paura?”.
M’irrigidii.
“No”.
Dissi con voce un po’ tremante.
“Menti”.
Mi riprese. Aveva ragione, mentivo. Avevo paura non scoprire nulla. Sospirai.
Hai ragione. Ho timore di non scoprire nulla”.
Mi sentivo già sconfitta. Abbassai il viso e continuai.
“E se Kanna non abitasse più in città? E se fosse all’estero? O peggio fosse morta? Che cosa posso fare?”.
“Se…se… con i se, non si va avanti. Entriamo e sconfiggi queste stupide paure”.
Mi riprendeva. Alzai il viso e lo vidi accanto alla porta.
Aveva ragione, non era da me avere paura per delle cose così sciocche.
“Sì, hai di nuovo ragione”.
Sorrisi. Mi avvicinai a lui ed entrammo nell’agenzia.
“Buongiorno”.
Dissi, mentre entravamo. L’agenzia non era molto grande, infatti, era un’unica stanza suddivisa in quattro settori con divisori di cartongesso.
“Oh, buongiorno. Benvenuti all’Immobiliare Casa & c.”
Ci venne incontro una donna molto bella, con i capelli castani lisci, occhi del medesimo colore. Sorrideva, mentre ci salutava.
“Mi presento: sono Sango Hold. Posso esservi d’aiuto?”.
Era davvero gentile.
“Sì, grazie. Sto cercando un vostro agente, Miroku Brendan”.
“Miroku? Ha per caso combinato qualche guaio?”.
Domandò leggermente preoccupata. Io la rassicurai subito spiegandole che volevo alcune informazioni sul padrone del mio appartamento.
La vidi sospirare.
“Scusatemi, ma ora Miroku è fuori con dei clienti. Però potete aspettarlo qui. Se volete accomodarvi su quelle poltroncine”.
Ci indicò delle poltroncine accanto alla porta. Noi ci accomodammo, dopotutto dovevamo attendere il ritorno di Miroku.
Intanto Sango ci portò del caffè. Dovevo ammetterlo era davvero disponibile con noi. Dopotutto era il suo lavoro. Io invece, sono leggermente più fredda nei confronti dei miei clienti. Mi trovai a sorridere ironica pensando a ciò.
“Io sono fredda”.
Sussurrai, mentre stringevo il bicchierino di carta tra le mani. Ero e scontrosa nei confronti della gente…beh, lo sono ancora tutt’ora, ma sto cercando di essere più gentile verso il prossimo.
Giocherellai con il bicchiere, mentre battevo freneticamente a terra i piedi dal nervosismo. L’attesa era davvero snervante, quando la sua voce mi fermò.
“Smettila!”.
Mi girai di colpo verso di lui e con fare indisponente gli risposi.
“Ti da fastidio? Ebbene a me no, anzi è un modo per scaricare la tensione che mi sta uccidendo”.
Indisponente e bisbetica, erano questi i termini giusti per me. Lui assottigliò lo sguardo, era davvero infastidito dal mio atteggiamento infantile. Infatti, era sul punto di esplodere. Quando.
“Scusatemi se vi disturbo, ma Miroku farà un po’ tardi”.
Sango si era intromessa. E grazie al cielo. Che cosa sarebbe accaduto? Alcune volte ho immaginato la scena.
Io mi alzavo e gli urlavo contro, mentre lui continuava a fissarmi irato…e il dopo? Beh, è facile da capire, mi avrebbe preso a schiaffi…cosa che mi sarei meritata.
“Come mai?”.
Domandai, leggermente preoccupata. Sango sorrise dolcemente, e mi rispose.
“Ha trovato un po’ di traffico. Cosa normale, poiché sono le tredici e mezzo…orario di uscita delle scuole”.
Io sospirai. Sapevo che quello era un brutto orario.
“Non temete arriverà…almeno spero”.
L’ultima parte la sussurrò, sperando di non essere sentita, ma purtroppo la sentii. Quell’"almeno spero" mi preoccupò molto, infatti, cominciai a torturare il bicchierino di prima.
“Sta calma”.
Mi fermò Sesshoumaru con la sua mano. Mi bloccai, aveva ragione, anche se avevo sentore che lui non sarebbe arrivato.
“E se non viene?”.
Domandai preoccupata. Mi sentivo come una bimba di sei anni che attende con ansia Babbo Natale, e poi scopre che non verrà.
“Verrà non temere”.
Mi rassicurava. Sgranai gli occhi, intanto sentivo un brivido lungo la schiena. Quella frase mi aveva leggermente turbata. Arrossii leggermente e chinai il capo, non volevo mostrami in quello stato.
D’un tratto sentii una voce venire da fuori. La riconobbi era quella di Miroku. Parlava con una cliente. Alzai il viso e lo voltai verso l’uscio.
Era lui che chiacchierava amabilmente con una ragazza bionda. Io restai a guardarlo, quando sentii accanto a me una persona tossicchiare e richiamarlo.
“Miroku!”.
Lui smise di parlare, si voltò e sbiancò di colpo. Perché?
Voltai il capo verso Sango e capii il perché. Era furente. Compresi che doveva avere una sorta di legame affettivo con Miroku. Mi trovai a scuotere il capo, pensando a come gli uomini sappiano perdersi dietro a un bel viso e a delle gambe lunghe. Ma poi un pensiero un po’ malizioso si fece strada in me.
“Chissà se Sesshoumaru è come Miroku. Chissà se si perde dietro a una gonnella”.
Mi trovai a storcere le labbra, cercando di trattenere le risa, pensando a Sesshoumaru fare il demente davanti ad una bella donna. Oddio sarebbe stato un vero show comico.
Scossi di nuovo il capo cercando di tornare con i piedi per terra.  E ci riuscii, non era quello il momento di pensare a queste cose così frivole, dovevo concentrarmi sul mio problema.
Mi voltai di nuovo verso Miroku che, in quel momento rientrava nell’agenzia, dopo aver salutato la ragazza. Notai che quella “graziosa fanciulla” fulminò con lo sguardo Sango, si voltò e se ne andò via stizzita.
Era davvero furente con lei.  Sospirai e mi alzai seguita a ruota da Sesshoumaru.
“Scusate il ritardo, ma ho trovato un po’ di traffico”.
Ridacchiò, mentre Sango incrociava le braccia al petto.
“Già, traffico”.
Sibilò.
“Piuttosto, hai fatto attendere dei clienti che sono qui da un quarto d’ora”.
Sango era molto seccata. Infatti, riprese spesso il povero Miroku che in quel momento sudava freddo. Quella donna era gelosa e lo si poteva capire dal suo atteggiamento così duro nei confronti di quell’uomo.
Sospirai di nuovo, quando Miroku si soffermò a guardarmi.
“Ma noi non ci siamo già visti da qualche parte?”.
“Sì, non ricorda?”.
Lui mi guardò più intensamente, quando sorrise e disse.
“Ma certo! Lei è la signorina che ha preso in locazione il duplex…lei si chiama Rin Rivorsi, giusto?”.
Io mi morsi il labbro sentendo il mio cognome sbagliato.
“Riversi”.
Puntualizzai.
“Sì, sono io volevo chiederle alcune cose”.
“Certo. Ma non restiamo qui sulla porta, venite nel mio box così possiamo parlare in santa pace”.
Ci disse, mentre guardava Sango che continuava a fulminarlo con lo sguardo, ma poi si allontanò da noi con la scusa che doveva uscire per il pranzo. Infatti, uscì lasciandoci soli.
“Perdonate l’atteggiamento di mia moglie. Sapete è così…”.
“Gelosa”.
Puntualizzai io, che ero ormai stufa di quello stupido teatrino.
“Già”.
Ridacchiò Miroku, mentre si accomodava alla scrivania e riavviava il suo computer. Mi sedetti sulla sedia di fronte a lui, mentre Sesshoumaru rimase in piedi dietro di me.
“Allora in cosa posso esserle utile signorina Riversi?”.
Presi un profondo respiro e chiesi senza troppi giri di parole notizie sul proprietario del mio appartamento.
Miroku mi guardò leggermente turbato. Sapeva qualcosa sul duplex? Su Kagura? Su Kanna?
Strinsi di più la fibbia della mia povera borsa, mentre queste domande mi tormentavano.
“Signor Brendan, mi dica dove abita il proprietario del mio appartamento?!”.
Ero furiosa. Stufa. Sesshoumaru sentendo il tono alterato della mia voce, poggiò la sua mano destra sulla mia spalla. Alzai il viso e incrociai il suo sguardo severo.
Mi faceva comprendere di stare calma. Abbassai il viso e ritornai a guardare Miroku che, intanto torturava una povera penna. Lo vidi mordersi il labbro.
“Allora signor Brendan? La scongiuro mi dica dove abita Kanna”.
Quel nome lo fece sobbalzare. Impallidì. Voltò il capo verso il visore del suo computer e fece finta di leggere qualcosa. Non rispose.
“Allora?”.
Continuai. Ma lui niente. Che stress emotivo. Mi sentivo sconfitta, quando Sesshoumaru intervenne.
“Signor Brendan, è un diritto e un dovere che la signorina qui presente, sappia la locazione del suo padrone di casa”.
Alzai il viso e sorrisi a Sesshoumaru.
“E’ vero, ma…”.
La voce di Miroku tremava. Aveva forse paura?
“Nessun ma! Ci dia questo indirizzo!”.
Sobbalzai sentendo il tono alterato del mio capo. Anche Miroku tremò. Infatti, non replicò oltre e ci diede l’indirizzo di Kanna. Di Kanna Etienne.
Mi sentii realizzata, quando ebbi quel dannato indirizzo.
“Ora saprò la verità su Kagura”.
Mi dissi, mentre uscivamo dall’agenzia.
“Grazie Sesshoumaru. Senza di te di sicuro mi sarei già arresa e invece…”.
“Dovere. Ora andiamo, è ora che tu metta qualcosa nello stomaco”.
Io mi fermai e lo guardai. Ma poi mi trovai a ridere.
“Grazie papino”.
Lui mi guardò leggermente infastidito da quella frase…era così sciocca, ma in quel frangente mi venne solo quel termine... “papino”.
Entrammo in macchina e ci dirigemmo in buon ristorantino, nel pomeriggio ci saremmo recati da Kanna.
Da colei che avrebbe sciolto il primo nodo di questa intrigata matassa…




Continua…




________________
Salve! Ormai sono la regina delle scuse, ma la preparazione di un esame toglie davvero tempo…e poi il lavoro (non capisco perché le case editrici cambiano il nome delle loro riviste) mi sta facendo venire i capelli bianchi è_é.
Tra un po’ dovrò tingerli XD.
Comunque ora passiamo ai ringraziamenti:
Mikamey: perdona il ritardo, ma come ho già detto sto studiando come una pazza. Tra un po’ mangerò le quattro dispense di appunti XD. Come ben vedi si stanno avvicinando i nostri piccioncini…anche se sono ancora agli inizi XD. Un bacio e grazie.
DolceKagome: mi fai arrossire con i tuoi complimenti. Grazie. Ancora non la nostra Rin non sa nulla, ma nel prossimo apparirà Kanna che riuscirà a svelare qualcosa ^^. Un bacio.
Lirinuccia: wow, sei un fantasma? Che strano non ti ho avvertita XD (scherzo). Ma io adoro i fantasmi, fin da piccola a dire il vero e forse per questo adoro questa pazza fic XD. Grazie per l’avvertimento, alcune volte non mi rendo conto degli errori ^^’.  Un miliardo di grazie e non temere di farmi notare gli errori, anzi adoro quando qualcuno lo fa, ciò significa che qualcuno tiene alla mia storia ç_ç. Me felice e commossa ç_ç. Un bacio grande.
Ma ringrazio anche chi solo legge ^^.

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Capitolo 26
*** XXVI ***






XXVI





Arrivammo a destinazione. Un piccolo ristorantino che conosceva Sesshoumaru. Carino e accogliente, come piace a me.
Dovevo ammetterlo, in fatto di ristoranti aveva, ma anche oggi ha, buon gusto.
Sorrisi, mentre scendevo dalla macchina, anche se dentro di me c’era ancora quella maledetta morsa che mi stringeva la bocca dello stomaco. Una cosa orrenda.
Entrammo e un cameriere ci accompagnò ad un tavolo accanto alla finestra. Ci sedemmo e cominciammo a guardare il menù.
Come il mio solito cercavo sempre delle pietanze poco costose, e lui di rimando mi diceva sempre la solita cosa.
“Non badare ai prezzi. Pago io”.
Io tossii imbarazzata. Poggiai il menù, ma ordinai lo stesso qualcosa di leggero…ero troppo tesa per gustare qualcosa di buono.
Cominciammo a mangiare in silenzio.
Un silenzio opprimente. Poggiai la forchetta sul piatto, mi voltai e presi la borsa posata sul pavimento.
La presi e cercai il biglietto dove c’era scritto l’indirizzo di Kanna.
Lo lessi e rilessi tante volte, come se volessi imprimerlo nella mente. Intanto Sesshoumaru mi guardava.
Alzai gli occhi e incrociai il suo sguardo così enigmatico. A cosa pensava? Di sicuro a quanto fossi stupida.
Poggiai il foglietto e dissi, cercando invano di nascondere la mia impazienza.
“Non ho più fame. Che..che ne dici di andare?”.
Lui annuì con il capo. Mi trovai a sorridere. Pagò il conto ed uscimmo.
Ero nervosa, infatti, sentivo le mani fredde e tremavo dall’impazienza. Sapete è una sensazione brutta e bella allo stesso tempo. È una vera contraddizione, eppure era questo ciò che avvertivo.
Mi sedetti sul sedile, mentre lui avviò la macchina.  Socchiusi gli occhi cercando di calmarmi.
Intanto cercavo di trovare le domande giuste da porre a Kanna, quando sentii la macchina fermarsi.
Aprii gli occhi di scatto.
“Siamo arrivati”.
Disse Sesshoumaru, mentre apriva lo sportello e scendeva. Io lo seguii, ero curiosa.  
Scesi e mi diressi verso un cancello, rossastro, chiuso. Mi avvicinai e guardai oltre.
Un piccolo viale di ghiaia con degli alberi ai lati…credo che fossero delle betulle, non sono mai stata brava in botanica.
Vi erano alcuni cespugli di rose, e altre piante in fiore. Alla fine del viale vi era una villetta bianca, con una piccola, ma bella, scalinata di marmo.
Rimasi a guardarla per un po’, mentre Sesshoumaru citofonava. D’un tratto il cancello si aprì. Mi irrigidii.
Era giunto il momento di dissipare i miei dubbi.
Presi un profondo respiro, cercando di trovare un po’ calma. Ma non ci riuscii.
Ero tesa. Nervosa.
“Non essere nervosa. Non serve a nulla”.
Mi riprese Sesshoumaru. Io lo guardai un po’ storto, ma dopotutto aveva ragione…non serve a nulla essere nervosi, è deleterio per la salute mentale e fisica.
“Hai ragione”.
Sussurrai. Gli sorrisi leggermente ed entrammo in quel viale.
Sento ancora oggi il rumore della ghiaia sotto la suola delle scarpe. Il suono della verità.
Arrivammo di fronte al portone. Quel portone di legno scuro, con le maniglie dorate a forma di testa di leone.
Ricordo che allungai la mano per toccarla, quando essa si aprì. Sobbalzai.
La porta si aprì. Trattenni il respiro, mentre i muscoli erano tesi come le corde di un violino.
Finalmente avrei conosciuto Kanna. Ma ad accoglierci sulla porta di casa non era lei, ma una donna non tanto giovane.
Ci fece entrare. Ci sorrise…cosa che feci anch’io, ma l’agitazione era alle stelle.
“Ci scusi vorremmo parlare con la signora Kanna”.
Mi sembrava logico dare della signora a Kanna, perché non sapevo se fosse sposata o libera. Perciò optai per la prima.
La donna mi sorrise e annuì. Sospirai di sollievo, mentre mi voltavo e guardavo Sesshoumaru. Gli sorrisi soddisfatta, quando una voce mi fece di nuovo voltare. Era la voce di un uomo, che veniva dal corridoio alla destra del portone.
Aveva all’incirca la mia età, forse qualche anno di più...il suo viso un po’ fanciullesco mi traeva in inganno.  Era leggermente più basso di Sesshoumaru, aveva i capelli castani lunghi, legati in una coda e occhi del medesimo colore. Era vestito in modo semplice. Camicia bianca con i risvolti delle maniche arrotolate, e pantaloni scuri.
“Buon pomeriggio”.
Biascicai. Lui mi guardò per qualche istante, ma poi posò lo sguardo su Sesshoumaru.
“Che cosa volete da Kanna?”.
Domandò. Nella sua voce c’era una punta di fastidio...di noia, ma anche di disprezzo.
“Beh, io vorrei parlarle...”.
Sussurrai, mentre torturavo la fibbia della mia povera borsa.
“Non può ricevere nessuno…andate via”.
Disse, mentre ritornava indietro su suoi passi. Io rimasi impietrita. Ci stava cacciando.
No, dovevo impedirlo!
Mi lanciai verso di lui, mentre Sesshoumaru si era avvicinato.
“La prego non ci cacci via. Io devo parlare con lei… la supplico”.
Lo pregavo, mentre lui mi guardava con disprezzo…quando, una voce lo fermò.
“Kohaku, che cosa sta succedendo?”.
Era una voce femminile pacata. L’uomo sentendosi chiamare si voltò e guardò verso la scalinata.
“Non sta succedendo nulla Kanna, torna in camera tua!”.
Disse, mentre osservava la donna ferma sul ballatoio della scalinata.
Era Kanna, la tanto famosa sorella della defunta. Mi sporsi di più vederla bene.
Lei si mosse e cominciò a scendere la scala, mentre l’uomo l’ammoniva, in modo dolce.
“Kanna torna in camera tua, non stai bene”.
Lei continuò a scendere e continuò a dire, sempre con lo stesso timbro di voce così pacato.
“Non temere sto bene, piuttosto fa accomodare i nostri ospiti”.
Mi trovai a sorridere sentendoci definire “ospiti”. Mi voltai verso l’uomo e non potei notare la smorfia di fastidio sul suo volto. Non ci voleva e questo era lampante, ma avevamo vinto noi.
Mi voltai di nuovo verso Kanna e la guardai scendere.
Ricordo ancora quella donna che scendeva con grazia quella scalinata.
Aveva i capelli color della neve primaverile, lunghi fino a metà schiena. Erano lisci e lucenti.
Il suo viso era pallido dove, spiccavano due occhi neri come l’oblio. Erano tristi e vuoti. Mi trovai a provare pena per quella donna.
Era magra e vestita semplicemente. Un vestito color cenere e un maglioncino azzurrino.
“Perdonate mio marito Kohaku, ma in questo periodo non sto bene”.
Scusava il suo consorte, che intanto bofonchiava qualche parole. Io le sorrisi.
“Ci perdoni non sapevamo nulla sulle sue condizioni di salute”.
Mi scusai, ma poi continuai.
“Ma la nostra visita è di vitale importanza”.
Ero decisa, mentre Sesshoumaru era rimasto in silenzio, come anche il suo consorte.
Lei mosse le labbra in tenue sorriso e ci invitò a seguirla, intanto aveva ordinato alla signora di portarci del tè.
La seguimmo in silenzio in quel corridoio illuminato dalla luce pomeridiana. Rammento ancora il mobilio, era antico e scuro. Era d’ebano.
Aprì una porta e ci fece accomodare. Un salotto in stile barocco, con poltrone e divani in legno dorato e velluto rosso…non li ho mai amati.
Ci sedemmo in silenzio. Un silenzio fastidioso, rotto solo dal rumore del pendolo posto sul lato destro della stanza.
“Allora ditemi che cosa volete da me? E chi siete voi?”.
Non mi conosceva. Beh, era logico che mi domandaste chi fossi, mi ero presentata così senza nessun avviso a casa sua.
Tossicchiai imbarazzata e dissi chi fossi.
“Beh, io sono l’inquilina che ha preso in locazione il suo duplex”.




Continua…


___________________________
Breve vero? Ma non temete aggiornerò prestissimo, perché in realtà il capitolo era lunghissimo XD.
Perciò ho deciso di dividerlo in due parti, perché rischiava di divenire troppo pesante e noioso da leggere u_u.
Comunque ringrazio chi ha recensito:
Dioni: grazie per aver recensito, ma non mi risulta che io abbia chiamato “panino” Sesshoumaru XD. Ma papino u_u. Infatti, ora vuole uccidermi XD. Grazie un bacio.
Kaimi_11: sono felice che il capitolo, come la storia ti piaccia. Anch’io come te mi collego di rado, colpa degli impegni lavorativi e universitari -.-
Per Kaede ti farò sapere presto, anzi prestissimo ^^. Un bacio.
Lirinuccia: Paranormal Activity ?! Oh mamma, io volevo andare a vederlo, ma il mio ragazzo, mio fratello e mia cognata non vogliono venire con me -.- Fifoni è_é. Sono felice che il capitolo precedente ti sia piaciuto ç_ç…commossa. Spero che la figura di Kanna ti piaccia, è un po’ OOC a mio riguardo, ma mentre scrivevo è nata così come un essere travagliato XD. Sono proprio pazza XD.
Ringrazio anche chi solo legge ^^.

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Capitolo 27
*** XXVII ***



XXVII






La vidi tremare leggermente, mentre le dicevo chi fossi e dove, abitassi.
“Kagura”.
Sospirò, socchiuse gli occhi piegando il capo all’indietro facendo ondeggiare la sua frangetta candida.
Io la guardai rapita, provavo una pena enorme per lei. Chissà quanta sofferenza le avevo evocato con la mia presenza. Mi sentii in colpa, ma non era quello il momento di fermarsi, continuai senza alcun tentennamento.
“Mi perdoni per quello che sto per dirle, ma voglio sapere com’è morta Kagura”.
Fui diretta, forse troppo…ma volevo sapere tutto. Lei sospirò e con estrema calma mi disse.
“Si è tolta la vita”.
“Questo lo so, ma il perché mi sfugge”.
Dissi con impazienza. Dopotutto ero andata lì  per quello. Riaprì gli occhi, mentre il marito mi guardò storto.
“Come si permettere di chiedere una cosa del genere a mia moglie?! E poi sono cose private”.
Kohaku mi riprese in modo aspro, e aveva ragione. Chi ero io da chiedere delle cose così private della loro vita? Io non ero nessuno…eppure senza volerlo ero piombata nel loro mondo.
Abbassai lo sguardo imbarazzata e chiesi scusa.
“L’hai vista?”.
La domanda di Kanna mi fece sobbalzare, mentre la mente mi ripresentava le immagini della presenza.
Mi trovai a tremare, ma la mano di Sesshoumaru sulla mia mi tranquillizzò.
“Sì”.
Sussurrai, mentre rialzavo il viso per incrociare il suo sguardo così triste.
“Lo immaginavo. Il suo animo inquieto ancora non trova la pace eterna. La perdoni”.
Perdoni? Kanna mi chiedeva di perdonarla. Sgranai gli occhi. Allora lei sapeva della presenza.
“Sì, la perdono”.
Dissi con voce roca. La vidi sorridere, ma poi continuò.
“Ormai è inutile tenere nascosto la verità così allungo celata. Sono trascorsi vent’anni d’allora, ma sembra ieri che sia successo”.
Rimanemmo tutti in silenzio ad ascoltarla, mentre lei ci raccontava un avvenimento così difficile. Così sofferente.
Si alzò dal divano e si diresse verso un tavolino dove, vi era poggiata una foto. La foto di due persone.
Una ragazza che abbracciava una bambina dai capelli corvini.
La prese e ritornò a sedersi. La poggiò sul tavolino posto di fronte a noi e disse con tristezza.
“Siamo io e Kagura”.
Io la guardai esterrefatta. Era la stessa ragazza che avevo visto nel sogno.
Capelli neri ondulati e occhi cremisi.
Deglutii, mentre Kanna continuava il suo travagliato racconto.
“Come ho detto prima: sono trascorsi vent’anni d’allora, da quando il fato, dalle sembianze di un uomo suadente, ci divise per sempre. Kagura era un’anima ribelle e libera come il vento, ma quell’essere era riuscito a tenerla prigioniera in un mondo di bugie…quelle stesse che la portarono sull’orlo della pazzia”.
Prese un profondo respiro, mentre socchiudeva gli occhi. Ricordava. Intanto suo marito le accarezzava un mano, conscio del fatto che sua moglie fosse cagionevole di salute.
“Quell’uomo per me era il diavolo reincarnato, maledico ogni giorno il suo nome”.
La vidi mordersi il labbro, mentre evocava dalle nebbie dei ricordi quel nome.
“Naraku!”
Sibilò. Quel nome mi provocò un brivido lungo la schiena. Ricordo che afferrai la mano di Sesshoumaru e la strinsi forte, avevo paura.
Quel nome era denso di cattiveria, ma anche di desiderio carnale. Non so bene ancora come decifrarlo, ma erano questi i termini giusti per definirlo.
“E’ il vero colpevole della sua morte. Che sia maledetto!”.
Kanna tremò dalla rabbia, mentre suo marito cercava di calmarla…ci riuscì, ma solo in parte.
“Non temere Kohaku sto bene. Piuttosto perdonatemi, ma rievocare quei ricordi mi fa rabbia. Comunque, Kagura aveva deciso di lasciare la nostra casa paterna, anche se i nostri genitori non volevano…poveri, anche loro sono volati in cielo lasciandomi da sola”.
Una lacrima rigò il suo pallido volto. D’un tratto mi sembrò di vedere una bellissima bambola di porcellana.
Rimasi incantata da lei. Era bella ed eterea.
Kanna si asciugò la lacrima e continuò il suo racconto.
“Scusatemi di nuovo. A quell’epoca Kagura voleva vivere da sola, si sentiva soffocare in questa casa, che ora è rimasta a me…perciò lottò con mio padre per l’acquisto del duplex. Una dura guerra, ma che lei riuscì a vincere. Comprò l’appartamento e si trasferì subito. Ricordo che piansi allungo, perché mi sentivo sola e poi amavo mia sorella”.
Afferrò di nuovo la foto e la guardò con tenerezza. In quel momento io ripensai a Shippo. Al mio adorato fratello. Sentii una forte stretta al cuore, mi mancava terribilmente, ma al contrario di Kanna io potevo vederlo e sentirlo quando volevo.
Mi sentii in colpa. Io avevo mio fratello accanto e lei no. Abbassai il viso tristemente, quando la voce di Kanna catturò di nuovo la mia attenzione.
“Beh, dopotutto è normale voler bene a un consanguineo. Io amavo, e l’amo ancora ora. Povera sorella mia”.
Sospirò, mentre abbassava lo sguardo su quel ricordo d’infanzia. Inclinò il capo di lato, mentre la luce del sole, che entrava dalla finestra, le illuminava il volto.
Sentivo i miei occhi bruciare. Quella donna aveva il dono di intenerire anche il più duro di cuore.
La vidi sorridere amaramente, mentre riprendeva il suo racconto.
“ Un giorno come una forte folata di vento apparve lui, Naraku. Un uomo bellissimo, il nipote prediletto della signora Kaede”.
Sgranai gli occhi sentendo questa frase. Era il nipote di quella vecchiaccia. D’un tratto ripensai alla frase che mi disse Elisa tempo fa.
“E pensare che siamo parenti…”.
Già, perché non c’ero arrivata da sola? Questo Naraku era il fratello o il cugino di Elisa.
“A quell’epoca Naraku abitava nell’appartamento sotto Kagura dove, ora abita sua nonna. La signora Kaede invece abitava al pian terreno, ora affittato a degli studenti universitari. Quell’essere si era mostrato come un angelo. Buono e disponibile, ma era una maschera…era un essere senza scrupoli che l’ha resa schiava, togliendole la libertà”.
Libertà? Ricordo che lo ripeteva spesso. La vidi abbassare il viso, mentre stringeva con forza la foto.
“Io capii subito, anche se piccina, ch’era un demonio. Rammento che supplicai mia sorella di lasciarlo, ma lei mi derise dicendomi: Kanna sei ancora troppo piccola per comprendere queste cose, come l’amore. Amore…già, era una cosa che non capivo, ma avevo compreso quello che Naraku provava per lei. Lussuria. All’inizio la trattava come una regina, le faceva un sacco di doni…viaggi in posti meravigliosi. La coccolava, ma era solo finzione. Lentamente lei  si allontanò da noi, da me. Quante volte andavo a casa sua di nascosto da nostri genitori, solo per vederla…”.
Si fermò e mi guardò  dritta negli occhi. Cercava qualcosa in me. Ma cosa?
“La capisco”.
Sussurrai. Era l’unica cosa che riuscii a dire.
“Anch’io avrei fatto lo stesso con mio fratello”.
Le dissi per rincuorarla, volevo rendere il suo martirio più leggero. Mi sorrise debolmente e ricominciò a raccontare.
“Grazie… Kagura in quel periodo era raggiante, aveva creduto di aver trovato in Naraku il vero amore, ma non era così. Il loro legame era un fiore di ghiaccio che al sole si sciolse, e aveva mostrato una pietra aguzza al suo interno…una pietra come il cuore di quell’uomo”.
Sospirò di nuovo, mentre la domestica entrava e poggiava le tazze da tè sul tavolino.
“ Dopo pochi mesi lui  era mutato, era freddo e duro con lei. Quante volte la vidi piangere, provavo rabbia e pena per lei. Eppure continuava ad amarlo. Viveva in una chimera…credeva di poterlo cambiare.  Anche la signora Kaede era contraria a quest’unione, conscia del fatto che suo nipote era un uomo senza scrupoli”.
“Quel tipo di uomo che odio”.
Dissi aspramente, mentre stringevo le mani. Mi sentivo furiosa verso quest’uomo, anche se non lo conoscevo. Ma ancora mi chiedevo il perché Kaede si comportasse al quel modo.
“Scusami posso farle una domanda?”.
“Certo, dopotutto mi sembra giusto che tu mi ponga delle domande, giacché sei invischiata in questo dolore”.
Le sorrisi, mentre le attendeva la domanda.
“Perché Kaede si comporta a quel modo con me, o con le altre persone che prendono in affitto il duplex?”.
“Perché si sente in colpa nei confronti di Kagura e nei miei. Infatti, non voleva che io affittassi l’appartamento, anche se in verità neanche io lo desideravo”.
Voltò il capo verso Kohaku. Gli sorrise, mentre lui sospirò.
“La colpa è mia. È ingiusto tenere un appartamento chiuso, solo per delle sciocchezze come i ricordi del passato. E poi tenerlo così…beh, mi sembrava un sacrilegio”.
Dopotutto non potevo dargli torto. Era un vero peccato lasciarlo così, ma c’era lei…quell’anima in pena.
“Capisco, ma il comportamento di Kaede è inaccettabile a mio parere…mi ha minacciata, dicendomi che sarei morta…che essere ignobile”.
Dissi, mentre stringevo i pugni. La detestavo ed era evidente, quando.
“Non dovresti parlare così, che cosa credi?! Anche lei soffre”.
Kanna mi ammoniva. Mi sentii mortificata, avevo parlato a sproposito. Infatti, anche Sesshoumaru mi guardava leggermente infastidito da ciò che dissi. Mi morsi il labbro inferiore e chiesi nuovamente scusa…anche se dentro di me urlavo che avevo ragione.
Kaede era una donna difficile da comprendere e poi le minacce era troppe pesanti da sopportare.
Rialzai lo sguardo e fissai di nuovo Kanna, ma poi la vidi toccarsi una ciocca di capelli. Perché?
L’avrei compreso dalle sue parole.
“Questo colore è il candore della paura…della morte”.
Trattenni il respiro. a cosa si riferiva con quella frase?
“Avevo i capelli neri come i miei occhi, ma da quel terribile dì, sono mutati…ora sono bianchi come la neve”.
Mi sorrise beffarda, mentre io capivo la sua frase. D’un tratto ricordai una vecchia storia di mio nonno paterno, che mi diceva: quando si prova una paura così forte i capelli diventano canuti.
Io non avevo mai creduto a questa storia, ma dovetti ricredermi perché ne avevo una prova lampante.
“Da allora sono così. Bianchi. Tutto era successo troppo in fretta, Kagura era mutata…la mia sorella ribelle era svanita e al suo posto era comparsa una donna sottomessa, ma innamorata. Innamorata di un demonio…che la vendette per…per…”.
Kanna si irrigidì, mentre con disgusto ci rivelò il martirio di sua sorella.
“La vendette per soldi. Era divenuta una prostituta”.
Provai una rabbia indescrivibile, infatti, sbottai.
“Che essere ignobile, trattare così la sua donna”.
“Vero, ma lui non provò pena per mia sorella, anzi provava gusto nel farla soffrire dicendole solo infinite bugie…come quella di un matrimonio. Un giorno, mentre mi ero recata da lei la vidi ridere e scherzare. Canticchiava un motivetto nuziale, intanto guardava una rivista di abiti da sposa…io presa dalla curiosità le chiesi il motivo, lei con un grosso sorriso mi disse: Kanna mi sposo. Io rimasi impietrita, ma poi le sorrisi…rividi di nuovo il mio uccellino volare libero e felice…ma purtroppo non fu così”.
Si fermò, intanto suo marito le teneva di nuovo la mano…era giunto il momento.
“Sette ottobre, un giorno che mai dimenticherò…era una giornata uggiosa…era domenica, volevo andare a messa con mia sorella, perciò mi recai da lei. Ero raggiante, mentre facevo volteggiare il mio ombrellino e canticchiavo una canzoncina: sarò una bella damigella al matrimonio della mia principessa. Un matrimonio che non fu celebrato. Arrivai al portone dove, la cugina di Naraku, Elisa, stava portando la spazzatura ai bidoni. Ricordo che mi sorrise, mentre io entravo. È sempre stata un vero angelo con me e mia sorella…entrai e salii le scale, non presi l’ascensore perché avevo e ho ancora tutt’ora paura…le salii felice, arrivai alla porta e suonai. Ma niente. Provai e provai, quando decisi di prendere la chiave di riserva che Kagura mi diede nel caso fosse fuori, ed io arrivassi prima. Infilai la chiave nella toppa e la girai. Entrai, la casa era la buio…mi dissi: che dormigliona. Sorrisi, mentre mi recavo al balcone…passai accanto alle scale senza guardarle…aprii la finestra e mi recai di sopra, ma come posi il piede sul primo gradino un ombra sospetta su di esso mi fece alzare il viso…lo alzai e con orrore vidi di fronte a me due piedi che penzolavano”.
Trattenni il fiato, mentre Kanna continuava il suo racconto.
“Erano di Kagura. Si era tolta la vita impiccandosi con la…”.
“La cintura del suo accappatoio”.
Dicemmo in coro. Kanna e suo marito mi guardarono stupiti, invece Sesshoumaru no. Nel suo sguardo non c’era alcuna traccia di stupore, anzi vi lessi una nota di comprensione…sapeva del mio sogno.
Abbassai lo sguardo, mentre le gote mi si infiammarono dall’imbarazzo.
“Scus…”.
Fui interrotta da Kanna.
“Non scusarti, allora hai visto la sua morte?”.
Io annuii, ma continuavo a tenere lo sguardo abbassato, quando una mano pallida si poggiò sulla mia. Era Kanna.
“Nella vita onirica hai avuto uno squarcio di una atroce verità. Lei è morta per un’illusione. Un amore mai vissuto”.
Rialzai lo sguardo e mi trovai di fronte il viso di un angelo triste. Restammo in silenzio per un po’, mentre il rumore del pendolo scandiva i minuti, quando lei ricominciò.
“Era lì che pendeva nella tromba delle scale. Urlai a più non posso, mentre correvo di sopra. Invocavo il suo nome:Kagura! Ma lei non poteva rispondermi…era morta. D’un tratto, mentre cercavo di issarla su, sentii una persona che mi scansava…era la signora Kaede che era accorsa attirata dalle mie urla, e con lei c’era anche Elisa. Ricordo che Elisa mi allontanò da mia sorella e mi copriva gli occhi con una mano…mi cullava, ma io cercavo in tutti i modi di andare da Kagura…ma niente, Elisa mi stringeva a sé, intanto piangeva. Soffriva come me. Tutto fu veloce, l’ambulanza, la polizia e…il telo nero…i miei genitori che piangevano disperati…e fine il funerale…”.
“E di Naraku?”.
“Nessuna traccia era sparito, come inghiottito dalle tenebre”.
Era svanito. D’un tratto Kanna si alzò e sorridendo amaramente mi disse.
“Tu somigli un po’ a mia sorella, per questo la vedi. Prova invidia nei tuoi confronti lo avverto. Ti do un consiglio non provocarla…”.
Non provocarla? Che cosa significava?
Mi alzai di scatto, quando lei mi disse.
“Ora sapete tutto, vi prego di lasciare la mia casa”.
Sobbalzai, mentre portavo una mano sul petto…il cuore batteva forte. No volevo sapere di più. Infatti, mi lanciai verso Kanna, ma fui fermata da Sesshoumaru. Mi voltai verso di lui…ero furiosa, come si era permesso di fermami?
“Va bene così”.
Mi disse freddamente. Io mi morsi il labbro e mi voltai di nuovo verso Kanna che mi guardava.
“Grazie di tutto e ci scusi ancora”.
Disse Sesshoumaru, mentre io rimanevo senza parole. Era insoddisfatta, volevo sapere di più…mi sentivo sconfitta.
Però ciò che sarebbe accaduto dopo mi avrebbe sconvolto…


 

Continua…



_______________________________
Scusatemi, ma la preparazione dell’esame di letteratura francese mi ha impegnato più del dovuto ç_ç.
Volevo aggiornare subito, vi chiedo scusa ç_ç.
Kanna non so perché, ma mi è sembrata leggermente OOC…non riesco a farla IC, che rabbia è_é.
Vi chiedo scusa di nuova se non vi rispondo, ma lo farò nel prossimo.
Ringrazio: Lirinuccia – Samirina _ Mikamey – Dioni – Kaimi_11 –Sandy23.
Ma ringrazio anche chi solo legge ^^.

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Capitolo 28
*** XXVIII ***


XXVIII







Uscimmo da quella casa. Mi sentivo sconfitta, anche se ora sapevo il vero motivo della morte di Kagura…ma molte delle mie domande erano rimaste senza risposta.
Sospirai, intanto tenevo il capo chino e osservavo i miei piedi sulla ghiaia che si muovevano.
Perché Sesshoumaru mi aveva fermata? Perché lo aveva fatto?
Io volevo, anzi pretendevo di soddisfare le mie domande su Kagura, ma lui mi aveva fermata.
Mi sentivo furiosa nei suoi confronti…mi aveva ostacolato.
Entrammo in macchina in silenzio. Lui accese il motore e partimmo. Poggiai il capo sul finestrino, ero triste.
Quello che avevo saputo su quella ragazza mi avevano lacerato il cuore. Mi trovai a riflettere su cosa era accaduto alla fine, quando Sesshoumaru mi aveva fermato…non aveva sbagliato. Infatti, non avevo riflettuto abbastanza su Kanna…lei era malata e la stavo costringendo ad uno sforzo immane.
In quel momento mi sentii un verme. Un essere ignobile. Pensavo a me e non a lei. Io avevo riaperto quella ferita con le mie domande…l’avevo fatta ripiombare in quel baratro di sofferenza.
Socchiusi gli occhi e ripensai alla frase che mi disse mentre si accarezzava una ciocca canuta:
“Questo colore è il candore della paura…della morte”.
Lei avrebbe portato in eterno quel dolore ora manifestato dai suoi capelli. Sospirai di nuovo, quando dissi.
“Andiamo al cimitero”.
Volevo andare lì, in quel luogo dove le spoglie mortali di Kagura giacevano.
“Va bene”.
Mi disse Sesshoumaru, mentre girava ad un incrocio. Io gli sorrisi tristemente.
Riaprii gli occhi e fissai il panorama. Lentamente uscivamo dalla città. Il cimitero era situato su di un’altura fuori dall’abitato.
Poco dopo arrivammo. Sesshoumaru parcheggiò e scendemmo dalla macchina. Io mi diressi verso un chiosco dove, vendevano dei fiori. Mi sembrava giusto portarle dei fiori.
Comprai delle gerbere rosse e gialle, qualche crisantemo del medesimo colore, due gigli e dei garofani rossi. Acquistai quest’ultimi ricordando una persona a me cara…mio nonno materno.
Li acquistai e salii la scala di pietra del cimitero. D’un tratto mi fermai e osservai l’immensa entrata con il cancello nero aperto, provai di nuovo quella sensazione…di fastidio.
Sì, non amo i cimiteri, sarò crudele, ma li ritengo un luogo di ipocrisia. Non fraintendetemi, ma non ho mai amato quella gente che piange in modo così teatrale i propri defunti…quella gente è la peggiore che esista sulla faccia della terra. Con ciò non dico che i cimiteri siano un luogo odioso, ma io non li amo.
Osservai quell’entrata, non sapevo che fare…entrare o uscire?
Strinsi il mazzo di fiori, quando sentii la presenza di Sesshoumaru dietro di me…chissà che cosa pensava di me. Di sicuro che ero matta da legare.
No, non volevo che mi giudicasse così…perciò avanzai ed entrai dentro.
Un odore di muffa, di fiori e d’incenso mi invase…provai una leggera nota di disgusto. Mi voltai verso Sesshoumaru e notai che anche lui aveva arricciato il naso, ma in modo lieve, come me.
“Anche a te non piacciono molto i cimiteri, vero?”.
Lui mi guardò.
“Sì, li trovo dei luoghi intrisi d’ipocrisia”.
Mi trovai a sorridere, anche lui la pensava come me.
“Anch’io li definisco così, ma l’uomo è un essere così debole da credere che costruendo dei mausolei dove, rinchiudere le loro spoglie mortali, possa far dimorare la propria anima in eterno. Ma non sa che dopo la morte non esiste nulla…c’è il vuoto”.
Mi trovai a ridacchiare sarcastica.
“Beh, il vuoto è errato, poiché un fantasma bivacca a casa mia”.
Scossi il capo e m’incamminai, seguita da Sesshoumaru, verso il custode che si trovava in quel momento in una cappella accanto all’entrata. Fummo fortunati.
Entrai e lo chiamai.
“Mi scusi”.
Lui, che in quel momento stava ripulendo una lapide, si voltò. Era un uomo anziano…d’un tratto lo riconobbi era quello di dieci anni fa che aiutò gli operai delle pompe funebri a seppellire mio nonno materno.
“Mi scusi”.
Ripetei con voce tremante.
“Noi vorremo sapere dove, si trova ubicata la tomba di Kagura Etienne”.
Lui ci guardò per un attimo, me dopo ci disse.
“Sì, certo”.
Lo vidi ripulirsi i pantaloni con le mani ed uscimmo dalla cappella. Lui ci fece strada, mentre noi lo seguimmo.
Camminammo tra delle viuzze dove, ai lati c’erano delle cappelle di famiglie facoltose, erano di marmo con delle porte di vetro colorate con raffigurazioni sacre. Di tanto in tanto incontravamo delle tombe poste a terre,alcune erano vecchissime…risalivano agli inizi del novecento, o peggio alla fine dell’ottocento.
Quanta gente defunta.
Incontravamo anche delle gente che piangeva sulle tombe…provai un po’ di fastidio. Tirai dritto e mi concentrai a guardare le spalle del custode. Non volevo guardare quelle scene.
Camminammo per un bel po’, quando arrivammo nelle prossimità di una cappella di marmo con degli angeli ai lati della grata di ferro. Io mi fermai a guardarla, mentre il custode apriva la grata e ci diceva.
“Qui giace quella ragazza”.
Deglutii, mentre stringevo il mazzo di fiori. Sesshoumaru rimaneva sempre al mio fianco, quando il custode, forse mosso dalla curiosità, ci domandò.
“Siete per caso dei parenti?”.
Mi trovai a sorridere e a dire.
“Non proprio, diciamo che la conoscevo”.
Mi incamminai verso l’interno della cappella, mentre il custode si voltava e s’incamminava, però prima di sparire ci disse.
“Povera fanciulla sfortuna, morire a venticinque anni”.
Sparì dietro un piccolo muro, mentre io rabbrividii. Aveva la mia stessa età.
“Aveva la mia stessa età”.
Sussurrai, mentre sgranavo gli occhi.
“Coincidenze, non badarci”.
Mi disse Sesshoumaru, mentre mi precedeva ed entrava nella cappella. Però sapere la sua età, mi provocò un tumulto nell’animo.
“È morta a venticinque anni. Allora anch’io perirò?”.
Mi domandai mentalmente, mentre ripensavo a quell’età. Scossi il capo e mi diedi dell’idiota ed entrai anch’io.
Quella cappella era fredda, come la mani di quella notte. Cercai con lo sguardo la sua tomba e la trovai, era sopra quella di sua madre, morta tre anni dopo la sua morte.
Provai compassione per sua madre. Mi avvicinai alla tomba di Kagura, e sfiorai la sua fotografia…era impolverata.
La ripulii con le dita, mentre la osservavo. Sorrideva felice, eppure nella vita non lo era mai stata.
“Povera”.
Sussurrai, mentre la guardavo con tenerezza. Voltai lo sguardo sulle lettere in oro…il suo nome e cognome, la data di nascita e di morte, e in fine un piccolo epitaffio.
“Ora il vento è libero”.
Mi trovai a sorridere. Era strano come epitaffio, ma dopotutto ora era libera…anche se realmente era legata al dolore…all’odio.
Mi girai e porsi i fiori a Sesshoumaru. Lui li prese, mi voltai di nuovo e tolsi i fiori secchi dal vaso.
Li buttai nel piccolo secchio posto accanto alla tomba. Nessun parente veniva da lei? Neanche uno, infatti, i fiori erano secchissimi e pieni di ragnatele.
Ripresi il vaso ed uscii fuori, dovevo riempirlo d’acqua. Sesshoumaru rimase dentro, anche se si era proposto di andare lui…però io lo fermai.
“No, vado io…voglio restare qualche minuto da sola, voglio un po’ pensare…comunque grazie”.
Gli sorrisi, mentre lui mi disse.
“Va bene, rispetto la tua decisione”.
Però nel suo sguardo c’era una nota di fastidio. Ero stata forse la prima donna che aveva rifiutato una sua gentilezza? Penso di sì.
Mi voltai e mi recai verso la fontanella che, si trovava dietro l’angolo, dopo aver passato tre edifici dove, vi erano degli loculi.
Camminai pensando al racconto di Kanna. Quell’anima inquieta aveva sofferto per un amore mai avuto.
Povera Kagura.
Arrivai alla fontana e l’aprii. Lasciai scorre l’acqua, mentre continuavo a riflettere, quando d’un tratto mi sentii osservata.
Un brivido mi percorse lungo schiena. Voltai il capo lentamente, quando vidi un uomo che mi guardava.
Un uomo vestito di scuro, capelli neri ondulati, ma raccolti in una coda bassa. Era affascinante.
La carnagione del suo viso era rosea e delicata, ma ciò che mi incantò erano i suoi occhi…erano cremisi come quelli di Kagura, ma incantatori.
Restai a fissarlo ammutolita, mentre lui si muoveva verso di me. Le sue labbra sottili erano piegate in un sorrisetto beffardo. Si fermò di fronte a me. Il suo sguardo mi fece tremare.
“Buon pomeriggio”.
Mi disse. Io non risposi. Le corde vocali erano come paralizzate. Lui chinò il capo e si allontanò da me.
Chi era quell’uomo?
Sentii le gambe molli, fui costretta a poggiarmi sulla fontana, mentre poggiavo la mano destra sul cuore.
Batteva veloce. Ansimavo.
Era la prima volta che una persona mi faceva quell’effetto. Mi drizzai a forza e mi voltai, volevo vederlo…ma lui era sparito, come inghiottito dal nulla.
Restai a guardare la stradina per un bel po’, quando decisi di ritornare da Sesshoumaru. Presi il vaso e ritornai sui miei passi.
“Chi era quell’uomo?”.
Mi dissi, mentre tenevo il viso abbassato. Cercavo di trovare una risposta plausibile, ma non c’era.
“E’ accaduto qualcosa?”.
Mi domandò Sesshoumaru. Rialzai il viso e incrociai i suoi occhi, così magnetici…era curioso.
“No…no, niente”.
Biascicai. Lui inarco un sopracciglio…non mi credeva. Infatti, si infastidì del mio modo di fare.
“Menti”.
Sì, mentivo.
“No, ma che dici”.
“Allora perché sei così pallida e tremi?”.
Tremare? Lo guardai interrogativo. Abbassai lo sguardo,  mi guardai le mani e notai che tremavano. Non mi ero resa conto di tremare. Ero ancora scossa per l’incontro di prima.  Mi morsi il labbro e mentii di nuovo.
“Beh, ho ripensato all’età di Kagura, quando è morta”.
Lui mi guardò infastidito e mi ammonì.
“Sono solo delle coincidenze, ti ho detto di non badarci”.
“Lo so ma…non posso farci nulla se anch’io ho la sua età”.
Dissi con una punta di rabbia. Era logico pensare a questa coincidenza.
“Fa un po’ come vuoi. Il mio era solo un consiglio”.
Era infastidito. Il suo tono di voce era molto più tagliente del solito…mi ferì. Però a ferirlo per prima ero stata io, gli  avevo nascosto quell’incontro e ancora tutt’oggi mi chiedo il perché. Dopotutto non accadde nulla di pericoloso, ma lo nascosi.
Presi i fiori e li misi nel vaso. Lo poggiai nel gancio, mi feci il segno della croce ed uscii.
Volevo uscire da quel luogo…così opprimente…




Continua…




_____________________
Eccomi di nuovo, ho aggiornato subito ^^. Non è lungo, ma oggi volevo scrivere…invece di studiare XD.
Chissà chi era quell’uomo, ma credo che tutti voi l’abbiate capito, vero?
Questa storia, pur folle mi piace un sacco e poi adoro il paranormale *_*. Sono strana lo so, ma non posso farci nulla XD.
Però volevo precisarvi, che l’idea di Rin di vedere i cimiteri come luogo di ipocrisia è una mia concezione. Infatti, io non li amo sarà che ho visto troppe scene disgustose dove, parenti menefreghisti piangevano…io sono fatta così, non mi piacciono…scusatemi…
Comunque ringrazio:
Lirinuccia: sono felice che Kanna ti sia piaciuta e pensare che credevo fosse OOC. Beh, sono brava a modificare i personaggi XD. Il racconto di Kanna era doloroso, infatti, lo scritto e riscritto una marea di volte, volevo essere realistica il più possibile ^^. Kohaku era odioso perché ama sua moglie e poi è malata, è stato un po’ cafone con Rin…ma meglio così no? Sesshoumaru vincerà il premio del mutismo, ma dopotutto lui non parla quasi mai XD…però agisce u_u. Buon per lui. Mamma quante domande, posso dirti che Sesshoumaru ha un ruolo importante, non affronterà Naraku in questa storia…ma nella prossima sì ^^.
Beh, sarà costretto se no…ah, non farmi dire troppo se no, addio seguito…perché la storia ha un seguito XD.
Un bacio.
Dioni: grazie per aver recensito. Eccoti accontentato ^^.
Marrion: grazie anche a te, non temere aggiornerò sempre. Comunque, sto leggendo le tue storie…mi ha incuriosita quella su la resurrezione dei genitori di Inu Yasha e Kagome, certo che Sesshoumaru è cambiato ^^. Brava.
Mikamey: almeno abbiamo capito il carattere di Kaede, però come dici più svelo enigmi, più ne escono fuori…alcune volte mi stupisco io stessa XD. Sono leggermente complicata ^^.
Samirina: grazie, mi sento lusingata dalla tua recensione e pensare che il capitolo lo ritenevo una vera schifezza ^^’. Grazie, sono davvero commossa ç_ç.
Ringrazio anche chi legge ^^.

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Capitolo 29
*** XXIX ***


XXIX






Volevo fuggire dal quel luogo. Volevo fuggire da me stessa.
Accelerai il passo, mentre continuavo a guardare in ogni angolo…avevo il sentore che quel uomo sbucasse dal nulla. Ma lui non apparve, anche se il mio malessere interiore aumentava a dismisura.
Sentivo freddo, anche se eravamo a metà maggio e la temperatura era mite.
Ero tesa come le corde di un violino, quando la voce di Sesshoumaru mi fece fermare.
“Che cosa ti prende?”.
Non mi voltai, volevo evitare di guardarlo negli occhi. In quegli occhi dorati da inquisitore.
“Niente. Perché?”.
Dissi, mentre cercavo di calmarmi.
“Non ti credo!”.
Mi riprese, mentre mi passava davanti. Io girai il viso di lato per non guardarlo in faccia. Ma lui non accettò il mio comportamento infantile. Infatti, con due dita mi afferrò il mento e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
Il suo sguardo era leggermente alterato, e questo mi intimorì.
Tremai di più, mentre mi liberavo dalla sua presa.
“Non ho nulla!”.
Dissi con un tono di voce alterato. Lui non mi aveva creduto…continuò a guardarmi negli occhi.
In quel momento sembravo una bimba davanti al suo genitore e cercava invano di nascondere l’ennesima marachella, ma senza riuscirci.
Mi morsi il labbro inferiore, mentre cercavo di formulare una risposta decente, quando dissi.
“Sì, hai ragione”.
Sospirai, intanto avevo abbassato il viso sconfitta.
“Perdonami, ma detesto questo luogo…mi rende nervosa…voglio andare via al più presto…”.
Dissi una mezza verità…sì, era vero che odiavo quel luogo, ma omisi quel uomo.
Feci bene?
Un giorno me ne sarei pentita…
“Capisco”.
Mi disse Sesshoumaru, intanto si era voltato e mi dava le spalle. Io continuai a scusarmi.
“Piantala! Non serve continuare a chiedermi scusa”.
Mi riprese di nuovo. Freddo e deciso come sempre…in quel momento provai invidia.
Invidiavo il suo carattere freddo, distaccato e deciso…non si faceva sopraffare dai sentimenti. Io al contrario ero una pantomima…mi mostravo forte, ma non lo ero…
“Hai ragione”.
Sorrisi tristemente, mentre mi affiancavo a lui.
Continuammo a camminare tra quelle viuzze, quando intravidi l’uscita. Mi sentii sollevata nel vederla.
In quel momento volevo correre come una bimba piccola. Accelerai di nuovo il passo, gli passai davanti  quando vidi di nuovo quel uomo. Era accanto al cancello e mi guardava.
Sorrideva di nuovo. Quell’odioso sorriso beffardo.
Mi fermai di colpo, mentre continuavo a guardarlo.
Perché era lì?
Strinsi i pugni, mi morsi di nuovo il labbro, intanto lui si era voltato ed era uscito dal cimitero.
Chi era costui da farmi tremare così? Era per caso legato a Kagura?
Domande. Quesiti che urlavano una degna risposta, ma che io non sapevo dare.
“Che cosa c’è?”.
Mi domandò Sesshoumaru, che intanto mi aveva di nuovo sorpassata. Io trasalii. Mi ero persa nei miei pensieri.
Lo guardai dritto negli occhi.
“Nulla”.
“Sicura?”.
Io annuii, anche se mentivo. Infatti, dissi.
“Anche se…”.
Lui si avvicinò a me, voleva sapere cosa mi passava per la mente.
“Anche se cosa?”.
Mi domandò, mentre inarcava un sopracciglio. Era di nuovo infastidito dal mio modo di fare.
Gli sorrisi. Un sorriso tirato.
“No…no, niente. E solo che questa giornata è stata densa di emozioni…tutto qui”.
Ridacchiai nervosa. Lui si voltò di nuovo e s’incamminò senza dirmi nulla. Mi avrà creduta?
Suppongo di no.
Ma lasciai corre e lo seguii fuori dal quel luogo malsano per la mia salute mentale. Però mentre scendevo le scale cercai con lo sguardo quel uomo, ma di lui non c’era nessuna traccia.
Inghiottito dal nulla.
Sospirai ed entrai in macchina, mentre queste domande mi tormentavano.
Chi sei?
Mi domandavo, mentre mi perdevo nel paesaggio del ritorno.
Ricominciai a ripensare a tutto ciò che era accaduto durante la giornata. Kanna e il suo racconto pieno di sofferenza, a ciò che ci disse il custode del cimitero sull’età di Kagura, quando morì ed infine…a quell’uomo misterioso dallo sguardo di rubino e dal sorriso malefico.
Quante cose…più ci pensavo e più la testa mi scoppiava.
Le tempie pulsavano, sentivo un malessere interiore odioso…volevo vomitare.
Poggiai la mano destra sulla fronte, come a capire se avessi la febbre…ero fresca, anche se mi sentivo bruciare.
“Sesshoumaru ferma la macchina…voglio scendere!”.
Dissi. Intanto mi sentivo come chiusa in trappola…cominciai a soffrire claustrofobia…so di essere esagerata, ma in quel momento mi sentivo così.
Sesshoumaru accostò in una piccola piazzola, io aprii la portiera e scesi. Sentii sul mio viso un venticello fresco che mi diede un po’ sollievo.
Cominciai a camminare, mentre Sesshoumaru era sceso e si era poggiato al cofano della macchina…mi fissava, mentre io avevo scavalcato il guardrail e m’incamminavo verso un piccolo prato.
Un piccolo prato che terminava in un dirupo dove, si poteva ammirare in tutta la sua bellezza, la città.
La mia città così grande e così fredda. Il sole calava dietro i monti ed essa piombava nell’oscurità.
Io osservavo il susseguirsi delle luci che si accendevano, mentre mi abbracciavo…quell’immensità m’incuteva un senso di desolazione…di smarrimento.
D’un tratto sentii gli occhi pizzicarmi e la gola bruciare. Le labbra tremavano, mentre mi stringevo cercando di calmarmi, ma non ci riuscivo…le lacrime prepotenti scesero sul mio viso.
Carezze di sale e d’amarezza. Quell’amarezza che mi soffocava.
Cominciai a piangere più forte, mentre sentivo i suoi passi dietro di me. Sesshoumaru era dietro di me e mi osservava.
“Sono una stupida!”.
Dissi mentre stringevo le mani sulle braccia sempre di più, tanto da conficcarmi le unghie nella stoffa della giacca.
“Perché a me? Perché? Io volevo solo una casa tutta per me…che cosa ho fatto di male?Perché io?”.
Cominciai a urlare, intanto battevo i piedi a terra dalla rabbia repressa da troppo tempo. Ero furiosa contro quello spettro. Contro Kaede. Contro Kanna. Contro quell’uomo…e infine contro me stessa, l’unica vera colpevole di quel dramma.
Continuai a piangere a dirotto, quando mi voltai di colpo e guardai in faccia Sesshoumaru.
Lui era fermo lì impassibile e mi lasciava piangere.
“Perché?”.
Gli domandai con voce roca. Lui non disse nulla. Mi morsi le labbra e feci un gesto da bimba sperduta…mi gettai sul suo petto, avevo bisogno di un contatto umano.
Piansi e piansi, senza smettere. Ogni lacrima lavava via il mio malessere.
In quel momento mi sentivo tanto piccola. Afferrai la stoffa della sua giacca e la strinsi forte, intanto avevo poggiato di più il mio viso sul suo petto.
Lui mi lasciò fare e per questo gesto ne fui grata.
D’un tratto mi staccai dal suo petto. Tirai sul con il naso.
“Scu…scus…ami…”.
Singhiozzai. Non alzai il viso ero troppo imbarazzata, quando la sua mano destra mi accarezzò il viso. Sgranai gli occhi arrossati e gonfi.
Lentamente mi alzò il viso costringendomi a guardarlo…il suo sguardo di miele era diverso, vi era una nota di dolcezza.
Con il pollice mi asciugò l’ultima lacrima, mentre io restavo a guardarlo ammaliata. Che cosa stava accadendo?
Pian piano il suo viso si avvicinò al mio. Sentivo il suo respiro sulle mie labbra. Socchiusi gli occhi, mentre le sue labbra si posarono sulle mie.
Un bacio.
Un legame.
Sentivo le sue labbra calde e morbide sulle mie bagnate di sale. Mi strinse a sé con forza, mentre intensificava quel bacio.
Mi sentii libera…rinacqui.
Il fantasma di quell’anima inquieta sembrava un brutto ricordo…




Continua…



______________________
Ehm…è un po' corto, ma che dire? Il loro primo bacio, Sesshoumaru qui è un po’ OOC, ma ci voleva un bacetto qui no?
Sospiro…almeno scrivendo mi sono calmata…oggi ero tentata di fare una strage è_é.
Comunque ringrazio:
Sandy23: grazie, sono felice che il capitolo precedente ti sia piaciuto…me commossa ç_ç.
Lirinuccia: ti adoro *_*. L’idea di scotoliare Naraku me gusta *_*. Mi sa che lo faccio io, speriamo che non sia ricco di polvere , me allergica al dannato demone della polvere è_é. Voglio la bakusaiga, ma Sesshoulino bello de mamma sua non me la presta è_é.  Comunque, nel prossimo capitolo la presenza ritorna più incavolata di prima XD. Un mega bacio ^^.
Samirina: tu mi fai arrossire con i complimenti, me gongola XD. Rido come un’ebete al lavoro XD. Un mega grazie.
Marrion: un bacione anche a te che adori la coppia Sesshou/Rin ^^. Grazie dei tuoi commenti così carini. Grazie.
Kaimy_11: grazie!!! Beh, Naraku non ci sarà in questa fic, la sua apparizione è solo un cammeo ma nella prossima…silenzio non dico nulla XD. Un bacione.
Ringrazio anche chi solo legge ^^.

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Capitolo 30
*** XXX ***


XXX








Quel bacio fu una liberazione dell’anima. Della mia anima chiusa tra le mura di questo tormento.

Lentamente ci staccammo. Sentivo il mio viso accaldato, mentre il mio cuore galoppava nella cassa toracica. Riaprii gli occhi e lo guardai dritto in quelle pozze dorate che, riflettevano gli ultimi raggi di un sole morente…erano tremendamente belli e incantatori.
Sorrisi imbarazzata e abbassai il viso…non riuscivo a reggere il suo sguardo.
Ma lui mi costrinse a rialzarlo di nuovo. Mi riprese il mento con il dito indice, però il mio sguardo rimaneva abbassato, fisso sul suo petto che si muoveva ad ogni respiro.
No. Non riuscivo a reggerlo.
“Guardami”.
Non era un ordine, ma una richiesta.
“Beh, io…io…”.
Non sapevo cosa dire, farfugliavo parole così a casaccio, quando sentii una leggera risata. Sgranai gli occhi e rialzai lo sguardo. Non potevo credere ai miei occhi, come anche alle mie orecchie…stava ridendo.
Era strano vederlo così…anzi, non l’avevo mai visto ridere. Mi trovai a sorridere in modo materno era bello guardarlo così. D’un tratto l’imbarazzo di prima svanì come una bolla di sapone. Appoggiai di nuovo il viso sul suo petto, mi sentivo bene tra le sue braccia…riuscì a ridarmi quella forza che negli ultimi mesi era scemata.
Ispirai il suo profumo così dolce e rassicurante…io lo accostai al profumo della vita che lui mi aveva ridato.
Restammo così per qualche minuto, quando lui decise che era ora di tornare a casa.
“Andiamo”.
Si staccò da me bruscamente, lasciandomi lì, in quel piccolo prato…rimasi leggermente delusa. Lo guardai andare verso la macchina.
Sospirai e decisi di seguirlo…dopotutto non si sbagliava era ora di tornare a casa.
Casa. Questa parola legata a quel periodo mi fa ancora rabbrividire…quella non era una casa, ma un carcere…che io stessa mi ero imposto.
Ripartimmo verso l’ufficio dove, lui aveva lasciato la sua vettura…presto ci saremmo separati e questo mi rattristava un pochettino.
Pochettino? No, diciamo molto. Ormai era lampante che lui mi piaceva e anche molto.
Sospirai, mentre mi accomodavo meglio nel sedile. Quella giornata era stata davvero estenuante per i miei poveri nervi. Troppi avvenimenti in un solo giorno.
La storia drammatica di Kagura raccontata dalla sorella…e fine quell’uomo.
Già quell’uomo. Perché non dissi nulla a Sesshoumaru di lui? Ancora oggi me lo chiedo…
Poggiai il viso sul finestrino, mentre cercavo di analizzare ogni singolo avvenimento, quando la sua voce mi fece voltare.
“A cosa stai pensando?”.
“Oh…beh, a ogni cosa avvenuta oggi”.
Dissi, mentre lo guardavo guidare. Ormai mancavano pochi chilometri e presto ci saremmo divisi, e lui voleva sapere a cosa pensassi in quel preciso istante.
“Sono venuta a conoscenza di periodi dolorosi, quando io ero ancora una bambina…sai provo pena per Kanna, la sua infanzia spensierata è stata interrota dalla morte di sua sorella. Comprendo il suo dolore…”.
Voltai il capo e abbassai il viso.
“Io non so se avrei retto a un dolore così grande…”.
Dissi. A dire il vero mi dissi. Infatti, cercavo d’immaginare la scena con Shippo al posto di Kagura. Una scena dolorosa e straziante.
Mi morsi il labbro inferiore, mentre cercavo di scacciare quell’immagine, quando lui mi disse…anzi mi riprese.
“Smettila di pensare a queste cose”.
Rialzai il viso e ritornai a guardarlo.
“Non posso”.
Dissi, quasi piagnucolando.
“Devi!”.
Era un ordine.
“Ma…ma…io…”.
Balbettai, cercando d’impormi, ma lui mi riprese di nuovo. Aveva tremendamente ragione, se continuavo così sarei impazzita…se non lo ero già.
Sospirai di nuovo e gli sorrisi.
“Hai ragione”.
Mi riaccomodai meglio sul sedile e rimanemmo in silenzio fino a ché non arrivammo a destinazione. Era tempo di lasciarci.
Parcheggiò accanto alla sua macchina. Notai che non c’era più nessuno…erano andati via tutti.
Spense il motore e scese dalla macchina, anch’io lo seguii…era tempo di salutarci.
“Grazie di tutto…Sesshoumaru”.
Dissi arrossendo leggermente. Lui si voltò e mi rispose.
“Dovere”.
Dovere. Per lui era un dovere…ma suppongo che non era così. Lo vidi allontanarsi da me, quando provai un impulso irrefrenabile di baciarlo di nuovo.
“Sesshoumaru!”.
Lo chiamai, mentre mi lanciavo verso di lui. Lui sentendosi chiamato si voltò di scatto. Un attimo e le nostre labbra si riunirono un’altra volta. Lo lasciai spiazzato.
Quello fu un bacio rubato. Sentivo di nuovo il mio cuore scoppiare. Lo strinsi a me…volevo assaporare ogni attimo di quel momento.
Il suo calore.
Il suo profumo.
Tutto.
Un bacio intenso, ma che presto finì. Ci staccammo di nuovo per dirci buona notte e ognuno ritornò a casa propria.
Io m’infilai nella mia macchina, mentre mi dicevo che ero stata una vera pazza a farlo.
Mi trovai a ridere come una bimba di cinque anni di fronte al nuovo ninnolo…mi sentivo una ragazzina alla sua prima cotta.
Arrivai a casa sorridendo ancora…ero felice, anche se la mia felicità presto si sarebbe interrotta.
Aprii il portone e mi diressi verso l’ascensore, ma era ancora fuori uso. Sbuffai irritata e cominciai a salire le scale, quando mi fermai sul pianerottolo di Kaede.
Mi fermai a guardare quella porta chiusa...mi trovai a provare pena per quella donna, anche se con me non era mai stata gentile.
“Dopotutto si sente ancora in colpa per la tua morte…Kagura”. Sospirai.
Mi voltai e continuai a salire le scale, mentre mi dicevo che tutto si sarebbe sistemato.
Aprii la porta ed entrai. Poggiai la borsa sulla poltroncina, mi tolsi la giacca e salii le scale…avevo bisogno di una buona doccia…anche se mentre salivo mi leccavo le labbra. Volevo riassaporare il suo sapore.
“Rin ti comporti come un’adolescente”.
Mi trovai a ridere, mentre guardavo il mio riflesso nello specchio del bagno. Mi feci la doccia cantando, cosa che non avevo mai fatto. Sesshoumaru mi aveva mutata…mi aveva resa una ragazza adolescente e questa cosa mi piaceva.
Uscii dalla doccia e mi infilai un paio di pantaloncini beige e una canotta, e a piedi nudi mi diressi al piano di sotto sempre canticchiando.
Mi piaceva sentire sotto i piedi il fresco della ceramica…era una brutta abitudine che mai avrei eliminato. Mi buttai sul divano e accesi la tivù, ma prima trafficai nella mia borsa alla ricerca del mio cellulare. Lo trovai e notai che vi erano visualizzati sul display quindici messaggi…erano una decina di Ayame e il restante di Kagome.
Mi trovai a ridacchiare, ma non risposi.
“Mie care vi racconterò qualcosa domani…sempre se ne avrò voglia”.
Finii la frase con un tono diabolico…volevo lasciarle sulle spine, ma specialmente quell’impicciona di Ayame. Era un modo di punirla.
Feci scorrere il dito sulla rubrica e mi soffermai sul suo numero. Arrossii di nuovo e mi domandai.
“Che faccio lo chiamo?”.
Il dito rimase sospeso sul tasto verde…avevo paura.
“Di sicuro lo disturberò…però ho una voglia matta di sentire la sua voce. Che faccio? Lo chiamo? Beh, male che vada mi manderà a quel paese e buona notte ai suonatori”.
Il dito tremava, mentre mi dicevo di chiamarlo. Quando chiusi gli occhi e pigiai. Li riaprii e vidi che la chiamata era partita.
Poggiai il telefono all’orecchio e attesi. Era libero. Mi mordevo le unghie, mentre cercavo di calmarmi. Era una cosa davvero fastidiosa…essere nervosi.
“Piantala Rin!”.
Mi sgridai, quando sentii la sua voce…aveva risposto.
“Rin”.
“Ciao…scu…scusami se…ti disturbo…ma…ma…”.
Balbettavo.
“Perché balbetti? E’ successo qualcosa?”.
Mi domandò calmo e pacato. Mi morsi il labbro, mentre ridacchiai nervosamente. Che vergogna.
“No. Niente è solo che volevo ringraziarti di nuovo…e poi non balbetto è la linea che è scadente”.
Mentii cercando di nascondere questo mio difetto…questo mio odioso difetto. Lo sentivo respirare, quando mi disse.
“Dovere”.
Ecco di nuovo quella parola. Rimasi un po’ delusa.
“Già…”.
Sussurrai, mentre accarezzavo un cuscino del divano. Il mio tono di voce era basso e triste, lui lo capì. Infatti, mi disse.
“Rin ora va a letto”.
“Che cosa?”.
“Hai capito. Va riposare ci vedremo domani…”.
E chiuse la chiamata lasciandomi così senza potergli dire…
“Buona notte”. Sussurrai leggermente delusa.
Mi nascosi il viso con il cuscino e ripetei.
“Buona notte…oh principe privo di tatto…ma che sa baciare da Dio”.
Mi misi a ridere e cominciai a guardare la tivù. Non ricordo cosa guardai, ma rimasi lì tutta la notte…ricordo che misi il timer per l’auto chiusura, perché sapevo che presto mi sarei assopita. Infatti, fu così.
Mi addormentai sul divano inconsapevole di ciò che sarebbe accaduto dopo. Dormii tranquillamente fino a ché sentii un forte rumore. Un botto.
Lì per lì, non compresi cosa stesse succedendo. Mugugnai, aprii gli occhi, quando un secondo tonfo che proveniva dal piano di sopra mi fece sobbalzare.
“Che cosa è stato?”.
Mi domandai, mentre mi mettevo in ginocchio sul divano. Era buio, solo un timido raggio di luna che proveniva dal balcone illuminava la stanza…mi ero dimenticata di accendere la piccola lampada accanto alla televisione.
Un altro tonfo, ancora più forte mi fece tremare ancora di più. Voltai il capo verso la scala, quando sentii un lamento di donna.
Sgranai gli occhi, mentre sentivo il mio corpo pervaso da mille scariche di terrore.  La bocca tremava, quando intravidi penzolare due piedi. Strinsi il cuscino sul petto, cercando in esso un riparo…un conforto.
D’un tratto una figura cadde giù…una donna voltata di spalle vestita di scuro, lunghi capelli neri. Il capo era piegato in avanti. Si girò lentamente, intanto il mio cuore correva veloce. Strinsi ancora di più il cuscino, mentre lei si voltava lentamente…come in quei film d’orrore.
Si voltò verso di me, intravidi i suoi occhi rubino luccicare…al collo penzolava il cordone candido dell’accappatoio.
“Tu devi morire!”.
Sibilò. Sgrani di più gli occhi, mentre lei si muoveva lentamente verso me. Caddi dal divano, intanto sentivo lo scricchiolio delle assi della scala. Avevo paura. Non volevo morire…non ora.
“No”.
Piagnucolai…quando mi trovai accanto il telefonino. Lo presi velocemente e pigiai il tasto verde. Chiamai lui.
“Ti prego rispondi…ti prego… ho paura. Ho bisogno del tuo aiuto”.
Squillava, intanto la sentivo venire verso di me…mi voleva. Voleva la mia vita. Gattonai verso la televisione, tenendo il cellulare accanto al cuore…allungai la mano verso il mobile… cercavo il pulsante della tivù. La sua luce mi avrebbe protetto, quando sentii la sua voce.
“Pronto! Rin!”.
Veloce portai il cellulare all’orecchio e farfugliai.
“Lei è qui…lei è qui…”.
La mia mano destra intanto cercava il pulsante di quel dannato aggeggio. Volevo la luce.
“Rin sta calma sto arrivando”.
Mi incitava a calmarmi, ma la paura mi impediva di capirlo. Piangevo e invocavo il suo aiuto, intanto lo spettro si avvicinava.
“Aiutami…aiutami…ho paura…ho paura…”.
“Rin sta calm…”.
D’un tratto la linea cadde. Il cellulare si era scaricato lasciandomi nel più totale terrore.
“No! No! Non mi lasciare…maledetto di un telefono…”.
Lo strinsi nella mano, mentre le lacrime di paura rigavano il mio viso.
“Sto per morire lo so”.
Mi dicevo, quando d’un tratto vidi il viso di Kagura dietro la spalliera del divano. Mi fissava. Io urlai dal terrore. Mi coprii il viso con la mano sinistra, mentre quella destra cercava quel dannato pulsante.
Era come inghiottito dalle tenebre. Finalmente lo trovai e lo pigiai. La televisione si accese…il bagliore e il suo cicaleccio mi fecero coraggio…non ero più sola.
Allontanai lentamente la mano dal viso e vidi che Kagura era svanita. Continuavo a tremare, mentre osservavo il punto dove, l’avevo vista. Restai per qualche minuto così a fissare il vuoto, inginocchiata con il cellulare spento nella mano sinistra.
Era finito. Ero salva…ma non riuscivo a fermare i tremiti di paura che sconquassavano il mio corpo. A un tratto sentii il citofono…era lui. Era venuto a salvarmi.
Mi alzai di scatto, ma le gambe non mi ressero…caddi. Mi rialzai di nuovo, dovevo correre da lui…dal mio salvatore.
Mi poggiai al divano e mi recai verso il citofono, che intanto trillava di nuovo. Tolsi il ricevitore e pigiai il pulsante…gli aprii. Tolsi il fermo alla porta e aprii anche quella. Mi poggiai al muro e mi feci scivolare, mentre continuavo ad ansimare dal terrore…quella notte non l’avrei mai più dimenticata.




Continua…



__________________

Eccomi, sempre in ritardo, ma eccomi qua ad aggiornare questa fanfiction…un po’ fuori dal normale XD.
Povera Rin la sto facendo impazzire, anche se io (autrice) lo sono già XD. Ma che giri di parole assurde.
Comunque ringrazio:
Dioni: grazie per aver recensito, sono felice che il capitolo ti sia piaciuto. Grazie ^^.
Lirinuccia: grazie, e pensare che il caro Inu Youkai mi sembrava OOC in quel bacio. Però hai ragione tu, un bacio non è mai OOC, se poi lo da lui *ç*…mi sciolgo al solo pensiero…invece la nostra cara Rin è testarda come me. Porca pupattola! Purtroppo tiene troppe cose nascoste al nostro Sesshoumarino bello (sento dietro la schiena una punta fredda e fastidiosa…chissà perché? Mah…), come appunto la presenza di Naraku. Però lo capirai meglio nel seguito ^^. Un bacio.
Samirina: anch’io lo aspettavo questo bacio, però Sesshoumaru, anche se non lo si nota…è timido u_u. spero di vivere a lungo XD. Un bacio anche a te.
Kaimy_11: almeno sappiamo che Naraku serve a qualcosa ^^. Ma non temere c’è Sesshy che fermerà Kagura…almeno spero XD. Un bacio.
Mikamey: non ti preoccupare se non recensisci sempre, anch’io come te sono lenta…in parole dialettali “muscia” XD. Già u_u. Ora torniamo seri, cosa davvero ardua, Rin poteva parlare di Naraku a Sesshoumaru, ma lei lo ha ritenuto superfluo, ma se ne pentirà un futuro…lo so ^^. Un bacio e a presto.
Ringrazio anche chi solo legge.


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Capitolo 31
*** XXXI ***


XXXI






Mi poggiai al muro e mi feci scivolare a terra. Mi sentivo esausta. Incrociai le braccia sulla ginocchia, mentre attendevo la sua venuta.
Pensavo a ciò che mi era accaduto. Sentivo ancora il viso umido dalle mie lacrime versate per la paura.
“Sto impazzendo lo so”.
Sussurrai con voce roca, mentre poggiavo la mano destra sul viso…sul mio viso stanco di questa situazione. Socchiusi gli occhi, mentre continuavo ad aspettare. I secondi sembravano ore interminabili, intanto sentivo un leggero venticello fresco stuzzicarmi le cosce nude. Sentivo freddo, anche se eravamo a metà maggio. Mi strinsi di più cercando di scaldarmi, ma non ci riuscivo, sapevo che il freddo proveniva dal mio animo…dalla paura provata.
“Quanto tempo ci metti”.
Biascicai, mentre tenevo poggiata la mano sul viso, quando sentii dei passi provenire da dietro la porta d’ingresso…era lui…era arrivato. Sentii il cuore ricominciare a battere, mentre alzavo il viso in direzione dello spiraglio. Tremai ancora di più, intanto sentivo di nuovo le lacrime scendere sulle mie guance.
La porta si aprì e lui apparve. Io ero sempre seduta a terra, quando lui mi chiamò.
“Rin!”.
Io singhiozzai attirando la sua attenzione. Lui voltò il capo e mi guardò negli occhi…nei miei occhi sperduti.
S’inginocchiò di fronte a me, io restavo sempre accovacciata a terra a tremare.
“Come ti senti?”.
Mi domandò, sempre con il suo tono pacato, ma notai una punta di preoccupazione nel suo timbro di voce. Ne fui felice, anche se in quel momento non lo ero.
“Male. Ho avuto  paura di morire”.
Sussurrai, mentre abbassavo lo sguardo. Continuavo a tremare, quando lui chiuse dietro di sé la porta…credeva che sentissi freddo per via della corrente d’aria, ma non era così.
“Riesci ad alzarti?”.
Mi domandò, mentre si rialzava.
“Non lo so…”.
“Alzati!”.
Mi ordinò. Io sgranai gli occhi. Ma come si permetteva? Io non ero in condizioni per riuscire ad alzarmi, eppure lui mi ordinava a farlo. Assottigliai lo sguardo, leggermente irritata dal suo modo di fare.
Asciugai con il dorso della mano le lacrime, mentre lo guardavo storto.
Feci leva con le mani e mi misi in piedi, anche se fui costretta a poggiarmi al muro per mantenere l’equilibrio.
Le gambe mi dolevano, ma strinsi i denti e mi misi eretta…gli mostrai che ero forte, anche se non lo ero.
Ero una debole donna.
Alzai il mento in segno di sfida, mentre lui  continuava a fissarmi.
“Sono in piedi. Contento?”.
Pensai mentre lo fissavo alterata, non capivo il suo gesto…lo compresi in futuro, lui voleva che non cadessi nel baratro delle mie paure, dovevo lottare con le mie forze senza l’aiuto degli altri. Però poteva anche darmi una mano ad alzarmi in quel momento di fragilità.
Sesshoumaru voltò il capo e si diresse verso la scala. Io lo seguii a ruota, anche se all’inizio barcollavo.
“E’ lì che ho visto di nuovo Kagura”.
Dissi con voce tremante. Ritornare con la mente al quel preciso istante era davvero terribile. Ricordo ancora il battito accelerato del mio cuore, mentre nuovi tremiti sconquassavano il mio corpo.
Lui annuì con il capo e lentamente cominciò a salire. Io restai a guardarlo, mentre saliva i primi gradini, quando decisi di seguirlo…non volevo rimare da sola di nuovo.
Accesi la luce della scala e lo seguii, però una cosa mi lasciò sconcertata…il suo sorriso. Sì, sorrideva.
Se state pensando a un sorriso dolce e tenero, mi rincresce deludervi…il suo era di sfida. Per Sesshoumaru era una sfida nei confronti di quel fantasma.
Rimasi impietrita da quel sorriso, quell’uomo aveva, e ha ancora oggi, il dono mi mandarmi in tilt. Non ho mai capito cosa pensasse…beh, ancora oggi non ci riesco…
Lo seguii, mentre lui era arrivato sul ballatoio e fissava la ringhiera. Io subito affermai, indicandogli con l’indice della mano destra...intanto la sinistra era poggiata sul petto.
“E’ lì che si è impiccata”.
Lui si avvicinò lentamente e poggiò la mano sulla balaustra. L’accarezzò, mentre continuava a sorridere.
Si voltò e si diresse nella mia camera da letto, passandomi accanto. Io lo seguii a ruota e accesi la luce…riamasi senza fiato nel vederla.
“Oh mio Dio!”.
Dissi, mentre entravo.
“Ma…ma…cosa diavolo è accaduto?”.
Domandai. La mia povera stanza era in disordine. I piccoli quadretti attaccati al muro era caduti a terra, i loro vetri erano sparsi per il pavimento. I ninnoli e le bottigliette di profumo erano anch’essi a terra, come anche i miei vestiti.
Mi trovai a tremare, mentre mi stringevo. Sesshoumaru si avvicinò al mio letto e accarezzò la trapunta sciupata.
“E’ furiosa”.
Disse con calma, mentre io non riuscivo a fermare i miei tremiti. Kagura era furiosa…la sua rabbia era rivolta a me…
“Hai fatto qualcosa che l’ha turbata?”.
Mi domandò, mentre si voltava a guardarmi. Io lo guardai impaurita e negai.
“No…io…no…non ho fatto nulla”.
“Sicura?”.
Mi morsi il labbro inferiore, intanto pensavo a ciò che avevo fatto qualche ora prima. Ero stata felice di essermi scoperta innamorata.
Abbassai il viso e dissi con voce fievole.
“Ho sbagliato”.
“Lo sospettavo”.
Mi disse, mentre faceva scorre la mano sul mio letto. Io rialzai il viso e lo guardai fare questo gesto strano. Perché faceva così?
“E’ un’entità rancorosa. Mi piace”.
Sesshoumaru si disse sorridendo. Io spalancai la bocca dallo stupore…quelle parole mi fecero paura. Tremai di più, quando lui, sempre con il viso rivolto sul mio letto, mi disse.
“Non dovresti stare in canotta e short, dato che tremi dal freddo…mettiti addosso della roba più decente”.
Smisi di tremare di botto sentendo quella frase. Ero vestita indecentemente? Voltai il capo verso lo specchio posto sul comò e notai che ero vestita davvero in modo indecente. La canotta era scollata e un po’ trasparente…una vera gioia per ogni maniaco… e poi il pantaloncino era molto corto e lasciava spaziare l’immaginazione a ogni perversione. Arrossii imbarazzata.
“Sì…sì…hai ragione”.
Balbettai, mentre mi avvicinavo al comodino.
“Sta attenta ai vetri”.
Mi avvertì Sesshoumaru, ma…
“Ahi!”.
Strinsi gli occhi e alzai il piede sinistro. Inavvertitamente avevo pestato un vetro e mi ero ferita. Piccole gocce scarlatte caddero sulla ceramica, intanto mi ero poggiata con le mani sul bordo del comò.
Sentendo il mio lamento Sesshoumaru voltò il capo verso di me e mi ammonì.
“Incosciente”.
Si avvicinò a me e continuò a sgridarmi.
“Ti avevo avvisata di stare attenta”.
“Lo so…scusami…”.
Dissi con voce sofferente. La piccola ferita bruciava come le fiamme dell’inferno, e poi era sotto la pianta del piede, una delle zone più dolorose.
Piegai il capo e guardai il piede offeso…vi era un pezzettino di vetro conficcato. Mi morsi le labbra, mentre Sesshoumaru si era chinato a vedere la mia ferita. Lo vidi osservarla serio, intanto io mi lamentavo come una bimba piccola.
Si rialzò e leggermente alterato mi prese in braccio. Io mi opposi, ma lui niente.
“Vuoi altri vetri sotto i piedi? Perché se è così ti accontento e li lascio qui!”.
“No”.
Sussurrai. Mi ero arresa, ma dopotutto non diceva il falso…rischiavo di peggiorare la situazione. Mi poggiò sul letto.
“Dov’è l’armadietto dei medicinali?”.
“Nel bagno di servizio al pian terreno”.
“Ottimo”.
Sbuffò irritato, mentre avvolgeva intorno al mio piede la fodera del mio cuscino. Quel gesto non mi piacque tanto…infatti, le macchie di sangue sono davvero ostinate da togliere.
Volevo farglielo notare, ma il suo sguardo tagliente mi fece desistere. D’un tratto mi riprese in braccio, doveva disinfettare la ferita e togliere la piccola scheggia.
Scendemmo di sotto. Io mi strinsi a lui. Sentivo il mio cuore battere veloce…però dovevo ammetterlo era davvero forte. Beh, lo è ancora tutt’ora. Era riuscito a sostenere il mio peso senza barcollare.
“Scusami per la mia incoscienza. Per colpa mia ti ho fatto stancare…sono troppo pesante”.
Dissi, mentre mi poggiava sul divano. Mi sentivo in colpa. Abbassai il viso, mentre lui andava nel bagnetto.
“Perdonami”.
Continuai, quando lui ritornò e mi disse, mentre s’inginocchiava.
“Non fa nulla. Ora piantala e lasciami controllare la ferita”.
Non mi piacquero molto i suoi modi di fare così autoritari. Io in quel frangente ero davvero confusa e spaventata, e lui continuava ad essere freddo e autoritario. Lo guardai tristemente, mentre lui metteva del disinfettante su di una garza sterile.
“Perché ti comporti così?”.
Mi domandavo, mentre lo vedevo prendere il mio piede ferito. Lo esaminò, sanguinava ancora. Corrugò la fronte e con un gesto secco tolse la piccola scheggia. Io sobbalzai dal dolore, mentre mi mordevo il labbro inferiore e stringevo gli occhi…ma il peggio doveva ancora venire…il disinfettante, quello bruciò tantissimo.
Mi lamentai come una bimba,mentre mi dimenavo. Lui afferrò la mia caviglia con forza e mi fulminò con lo sguardo. Io mi fermai impaurita.
“Finalmente l’hai capito, se continui a dimenarti non riesco a disinfettarla”.
“Ma fa male!”.
Piagnucolai, ma lui niente…continuò la sua opera. Pulì ben bene la ferita e prese l’altra garza e fasciò il mio piede. Lo medicò delicatamente, in quel momento sentii un calore in tutto il corpo. Strinsi con forza la stoffa del divano, mentre sentivo il sangue scorrere veloce nelle vene. Le sue mani erano calde…un calore benefico per il mio spirito confuso. Una carezza intorno alla caviglia mi fece fremere. Che cosa mi stava accadendo?
Volevo che la sua mano destra salisse per tutta la gamba, che accarezzasse la mia pelle…lo desideravo.
Sentivo il mio corpo urlare di piacere, ma sapevo che quella era solo una confusione momentanea.
Socchiusi gli occhi e mi cullai nei miei pensieri piuttosto impuri, quando sentii il rumore di uno strappo. Aprii gli occhi di scatto e vidi che Sesshoumaru applicava sulla benda un cerotto per tenerla ferma.
“Ecco fatto!”.
Aveva terminato. Si rialzò e mi guardò. Io lo guardai un po’ spaesata…ero ancora rossa in viso.
“Oh…gra…grazie”.
Balbettai imbarazzata, mentre distoglievo lo sguardo. D’un tratto si accomodò accanto a me, sentii il mio cuore fermarsi un istante, ma poi riprese a correre veloce.
“Dovere”.
Sospirò, mentre si accomodava sul divano. Io sospirai sentendo quel termine…credo che lo amasse alla follia, poiché lo ripeteva sempre.
“Già”.
Sussurrai un po’ delusa. Delusa dai suoi modi ortodossi, ma dopotutto lui era così…freddo e scostante…anche se credo che tutto ciò fosse una maschera.
Restammo in silenzio ad osservare la televisione, quando lui si alzò…doveva ritornare a casa sua. Io lo guardai spaventata.
“No, ti prego non andare via”.
Piagnucolai, mentre gli afferravo la mano. Gliela strinsi, intanto una nuova lacrima percorreva il mio viso…avevo paura.
“Ho paura…ti prego passa la notte con me…ti scongiuro…”.




Continua…



________________________
Allora che dire? Bene, ho lasciato a metà il capitolo perché infondo sono bastarda dentro, ma anche fuori XD.
Ringrazio di cuore chi recensisce, per motivi di fretta non ringrazio uno per uno, ma sappiate che mi rendete immensamente felice ç_ç.
Ma ringrazio anche chi solo legge ^^.

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Capitolo 32
*** XXXII ***



XXXII





“Ho paura…ti prego passa la notte con me…ti scongiuro…”.
Dissi, mentre stringevo con forza la sua mano. Non volevo rimanere di nuovo da sola.
Lui mi guardò seriamente, mentre io piangevo. Ero disperata. Di nuovo ripresi a tremare.
“Ti scongiuro…non mi lasciare da sola…”.
Dissi con voce rotta dal pianto. Lo vidi sospirare. Socchiuse gli occhi e disse.
“Va bene resterò”.
Sorrisi sollevata, intanto lui ritornava a sedersi accanto a me.
“Gra…gra…zie”.
Singhiozzai. Intanto tenevo saldamente la sua mano destra nella mia, avevo il sentore che lui fuggisse via…ma non lo fece.
Restammo per alcuni minuti in silenzio, rotto solo dalla voce della televisione accesa e dai miei singhiozzi. D’un tratto mi lasciò la mano per afferrare un cuscino per poi porlo sulla sua gamba destra. Mi sentii smarrita, ma poi…
“Poggia la testa qui, è ora che tu riposi”.
Lo guardai stranita, che cosa significava questo gesto? Lo capii dopo, era esausta. Ubbidientemente poggiai la testa sul cuscino. Rannicchiai le gambe sul divano, mentre lui mi copriva con il plaid. Afferrai il lembo della coperta e lo tirai fin su il viso, ma poi riafferrai la sua mano…un gesto legato alla mia infanzia.
Un gesto di protezione…Sesshoumaru mi ricordò mio padre. Afferravo sempre la sua mano, quando mi sentivo triste e impaurita la notte.
“Sesshoumaru?”.
Lo chiamai.
“Dimmi?”.
“Tu…tu pensi che io…sia pazza?”.
Domandai piena di tristezza. Volevo forse la conferma della mia follia? Perché come sempre ho sostenuto…vedere esseri ultraterreni è da pazzi. Da folli.
“No”.
Sospirò. Strinsi di più la sua mano. Quella negazione mi rassicurò, anche se dentro di me albergava questo dubbio.
“Ora riposa, ne hai bisogno…”.
Sospirò, voleva che dormissi.
“Sì, hai ragione”.
Di nuovo silenzio, ma poi…
“Sesshoumaru?”.
Lui bofonchiò un “sì”.
“Che cosa posso fare? Dove posso andare ora?”.
Domande idiote, ma veritiere.
“Torna a casa dai tuoi”.
Risposta logica. Sospirai sconfitta. Aveva ragione, dovevo ritornare a casa. Da mio padre e da…mia madre.
Da colei che mi riteneva ancora una bambina incapace di vivere un’esistenza lontana dal nido.
“Sì, hai ragione…anche se sono un po’ riluttante a ritornare a casa”.
Mi fermai, aspettavo la tipica domanda: “Come mai?”…ma non la sentii, ma lo stesso la percepii. Oh, so che può sembrare stupido, ma credo che lui aspettasse il continuo della frase e non lo feci attendere.
 “Di sicuro mia madre mi canzonerà: Rin te lo avevo detto? Non puoi vivere da sola…ecco il risultato”.
Già, era un bel risultato…ero sulla soglia di una crisi nervosa. Socchiusi gli occhi, mentre sospiravo avvilita e stanca, quando lui mi disse.
“Non badare a questo. Ora dormi ne hai bisogno”.
“Già…hai ragione…”.
Dissi con voce flebile, mentre sentivo il mio corpo divenire più pesante…ero davvero esausta.
Chiusi gli occhi e piombai in un sonno senza sogni.
Dormii stringendo la sua mano…così grande e rassicurante.  Rimasi così fino al risveglio.
Aprii lentamente gli occhi, li sentivo pesanti. Gli chiusi di nuovo e li riaprii. Cercai di capire dove, mi trovassi. Vidi la televisione, spenta, la lampada ancora accesa…e il display del lettore dvd dove, potevo leggere l’orario.
“Sono le cinque e quarantasei”.
Pensai, mentre l’osservavo. Era ancora presto, anche se la stanza era leggermente illuminata. Socchiusi gli occhi e sospirai, quando notai che stringevo qualcosa…e quel qualcosa era una mano.
Sgranai gli occhi, ma poi ricordai.
“Sesshoumaru”. Sospirai.
Era rimasto. Sorrisi sollevata, alzai il viso e lo guardai. Dormiva. Il capo era poggiato sulla spalliera morbida del divano, continuai a sorridere mentre l’osservavo. Il viso era calmo e rilassato, ben diverso, quando era sveglio…sempre teso e serio…ora sembrava un bambino. Provai tenerezza nel guardarlo.
Restai così, in muta adorazione, quando un rumore, dovuto al camion della nettezza urbana, mi fece sobbalzare. Ripensai subito a lei, al fantasma. Mi misi seduta e fissai la scala, dove la sera prima l’avevo vista. Tremai dalla paura, ma mi tranquillizzai subito. Infatti, sentii la sua mano stringere la mia…si era svegliato. Anzi, l’avevo svegliato bruscamente. Voltai il capo e mi trovai a pochi centimetri dal suo viso.
“Che cosa c’è?”.
Mi domandò, mentre socchiudeva gli occhi e si passava una mano sul viso.
“Beh…ho…sentito un rumore e ho pensato…”.
“Al fantasma? Non temere lei non c’è”.
Mi disse, mentre riapriva gli occhi e mi guardava. Era calmo e tranquillo, il contrario di me che tremavo a ogni sussulto, a ogni fruscio.
Però una cosa mi lasciò sconcertata. Come faceva a sapere che lei non c’era? Come?
Lo avrei scoperto un giorno, ma non ora.
“Ah…ok, buon per me”.
Ridacchiai nervosamente, mentre continuavo a guardarlo, ma poi mi trovai ad arrossire…eravamo pericolosamente vicini, come in quel piccolo prato. Scostai lo sguardo, non riuscivo a guardarlo in faccia…mi sentivo a disagio, che cosa orrenda.
Sentivo il mio povero stomaco fare le capriole insieme al cuore…ottimo.
Piombò un silenzio rotto dai nostri respiri, quando lui mi lasciò la mano. Si alzò lasciandomi lì, da sola seduta.
“Sono quasi le sei”.
Disse, mentre afferrava la giacca che aveva posato sulla poltrona accanto al divano. Io voltai il capo e osservai il display del dvd. Annuii, mentre lo guardavo.
“Come va il piede?”.
Mi domandò, mentre s’infilava la giacca. Io mi guardai il piede offeso ben medicato. Lo mossi, ma non sentii nulla.
“Non sento nulla, a parte la garza che mi da un po’ di prurito…è una cosa logica dopotutto”.
Risposi, mentre mi mettevo seduta composta.
“Prova a stare in piedi”.
“Ok”.
Mi alzai, ma poggiai lentamente il piede. Avevo paura di farmi male. Lo poggiai , ma avvertii una piccola fitta sotto la pianta. Soffocai un lamento, ma lui lo sentii.
“Oggi starai a casa”.
Sgranai gli occhi e lo guardai.
“Hai capito bene, resterai a casa…ti congedo un giorno di riposo”.
Lo guardai storto, mi poggiai alla spalliera del divano e risposi.
“Grazie, ma declino il tuo gentilissimo invito di restare a casa”.
Fui acida, ma fui costretta ad esserlo non volevo rimanere a casa…da sola.
“Verrò al lavoro, anche se mi amputassero il piede…quindi mettiti l’anima in pace perché io verrò in ufficio”.
Alzai il mento in segno di sfida. Lui mi guardò male. Avevo rifiutato una sua gentilezza, se così la volevamo definire.
“Fa un po’ come ti pare, la salute è tua non mia”.
Avevo vinto. Sorrisi vittoriosa. Sesshoumaru si allontanò da me e si diresse verso la porta. Io lo fermai.
“Sesshoumaru aspetta! Ti preparo il caffè?”.
Gli domandai allungando la mano nel tentativo illusorio di fermarlo. Lui si voltò e mi rispose, un po’ seccato.
“No, ma va preparati verrò a prenderti fra un’ora”.
L’aprì ed uscì lasciandomi da sola a fissare la porta.
“Fra un’ora”.
Sussurrai continuando a guardare la porta ormai chiusa, quando scossi il capo e mi lasciai cadere sul divano.
Accarezzai la stoffa del divano dove, prima lui era seduto. Era ancora calda. Sorrisi, mentre la mano scivolava.
“Avrei voluto un bacio”.
Dissi delusa, ma poi sgranai gli occhi, presi un cuscino e nascosi il viso.
“Ma che diavolo vado a pensare!”.
Quasi urlai, mentre lo dicevo. Restai con il cuscino sul viso per un po’, quando mi decisi a preparami un caffè. Un ottimo caffè amaro.
Mi alzai e saltellando mi diressi in cucina. Preparai la caffettiera , la poggiai sul fornello acceso, mi girai e andai nel bagnetto di servizio a prendere le mie pantofole, non potevo di certo salire di sopra a piedi nudi, dopotutto la mia camera era ancora piena di pezzi di vetro.
M’infilai le pantofole  e ritornai in cucina dove, la caffettiere fischiava. Il caffè era pronto. Lo bevvi caldo, intanto pensavo a quello che mi era capitato in queste ventiquattro ore…ore di felicità, ma anche d’inferno.
Lavai la tazzina e la caffettiera, e mi decisi a salire di sopra. Feci fatica per colpa della ferita, ma mi poggiai al corrimano e salii lentamente. Il rumore delle assi della scala mi facevano rabbrividire.
“Piantala Rin! Lui sta per tornare non c’è nulla da temere”.
Mi dissi per darmi coraggio. Ne avevo davvero bisogno.
Entrai in camera mia e la guardai sconsolata. Era ancora sottosopra. Beh, dopotutto non poteva mettersi apposta da sola.
Sospirai avvilita, mi voltai e scesi di sotto di nuovo a prendere scopa e paletta. Scendere fu un po’ faticoso, ma ci riuscii.
Presi il necessario e ritornai indietro. Dovevo almeno rimettere apposto i miei vestiti. Rientrai nella mia camera e cominciai a pulirla. Mi sentivo triste, mentre mi chinavo e prendevo un quadretto dove, vi era la foto della mia famiglia. Tolsi con cura i cocci e la poggiai sul comò.
“Perché mi fai questo Kagura?”.
Che sciocca domanda, ma in quel frangente mi uscì dalla bocca. Ripresi a piangere dallo sconforto, ma poi scossi il capo dicendomi di piantarla.
Smisi, anche se sentivo un odioso nodo alla gola che non voleva svanire.
“Mi sono cacciata in una situazione assurda…sono davvero esausta. Sì, seguirò il consiglio di Sesshoumaru…meglio la ramanzina di mia madre che questo orrore”.
Mi vestii e scesi di sotto, anche se la scarpa sinistra mi dava noia, colpa della fasciatura e della ferita.
Feci un po’ di fatica a scendere le scale del palazzo.
“Maledetto ascensore fuori uso!”.
Ringhiai, mentre scendevo l’ultimo gradino. Finalmente ero arrivata all’uscita. Aprì il portone e uscì fuori dove, lui mi attendeva appoggiato al cofano della sua macchina. Sorrisi un po’ imbarazzata.
“Scusami ma ciò messo più del previsto”.
Mi guardai il piede, cosa che fece anche lui.
“Lo vedo”.
Mi rispose. Ridacchiai nervosamente, quando sentii un’altra risata dietro di me. Mi voltai e vidi che a ridere era lei…la signora Kaede. Era sulla soglia della portone. Assottigliai lo sguardo e strinsi i pugni. Perché rideva?
“Io ti avevo avvisato stupida signorina…per questa volta ti è andata bene! La prossima non sarà una piccola ferita, ma molto di più”.
Mi disse, mentre continuava a ridere di gusto. Mi morsi il labbro inferiore dalla rabbia, strinsi di più i pugni.
Basta! Quella donna era andata troppo oltre la mia pazienza.
“Razza di vecchiaccia te la faccio pagare!”.
Sibilai. Intanto ero tornata indietro sui miei passi. Volevo picchiarla, quando fui fermata da Sesshoumaru. Lui mi prese per un braccio. Mi voltai furiosa verso di lui.
“Lasciami andare!”.
Quasi gridai, ero davvero furiosa, ma lui mi strinse di più e mi tirò indietro.
“No”.
Mi disse semplicemente. Io mi dimenai, ma lui niente mi costrinse a seguirlo.
“Lasciami andare! Lasciami!”.
Continuai a dire. Non voleva lasciarmi andare.
“Piantala di fare la bambina!”.
Sibilò. Io mi fermai di botto.
“Cosa?”.
“Hai capito! Non abbassarti al suo livello. Ti vuole solo provocare. Ignorala vedrai che la pianterà”.
Calmo e sangue freddo. Lui era così. Io mi facevo prendere facilmente dall’ira. Abbassai il viso e sussurrai un…
“Scusami, ma quella donna ha il dono di farmi infuriare…non posso farci nulla…ma seguirò il tuo consiglio. Grazie”.
Cosa ardua. La rabbia e la frustrazione mi stavano avvelenando. Entrai in macchina e  mi accomodai al sedile.
Mi sentivo ancora furiosa verso Kaede. Tremavo dalla rabbia. Sesshoumaru se ne accorse e mi riprese di nuovo. Dovevo piantarla di dar retta a quella donna anziana, dopotutto era il dolore a renderla così. Odiosa. Termine giusto e azzeccato.
Arrivammo in ufficio dove, avrei passato qualche ora dimenticando quella orrenda nottata…



Continua…




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Buona Pasqua a tutti! Dopo giorni mi sono decisa ad aggiornare. Come dite? Ah, che sono una demente? Beh, avete fatto centro cari XD. Purtroppo dimentico di aggiornare e quindi soffro di demenza allucinante XD. Ma esiste questa malattia? Mah, sarà un vero mistero XD.
Comunque ringrazio:
Kaimy_11: che vuoi farci il nostro principino è fatto così, adora le sfide e Kagura è una sfida u_u. Non temere Rin non cade dalla scale come fa la sottoscritta. Beh, io cado anche nella cassetta della resa delle riviste XD. Evviva la sbadataggine ^^. Un bacio.
Lirinuccia: ciao ^^. Ebbene la sottoscritta adora il genere horror, e infatti ho visto “The grudge”, le due versioni. Quella nipponica e quella americana, ma quest’ultima non mi è piaciuta tanto…che vuoi farci, son fatta così, ma comunque, adoro il cinema horror nipponico. Comunque, Sesshoumaru è rimasto e Kagura è stata buona buonina a cuccia XD. Un bacio e a presto.
Samirina: hai perfettamente ragione, Sesshoumaru è un po’ sadico, ma in realtà lo sono io XD. Basta leggere i guai in cui incappa la povera Rin. Tu che dici? Mi picchierà Rin a fine storia? Mah, io non lo so XD. Un bacio.
Sandy23: grazie per le belle recensioni che mi lasci, sono commossa ç_ç. E’ vero, a Sesshoumaru piace quest’entità cattivella XD. Un bacio anche a te.
Dioni: grazie anche a te per aver recensito, spero che questo capitolo sia di tuo gradimento. Un bacio.
Ringrazio anche chi solo legge, sapete mi rendete felice ^^.

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Capitolo 33
*** XXXIII ***


XXXIII







Avevo bisogno di isolare la mente da quella nottata.
Non volevo rimuginare su Kagura e specialmente su Kaede. Quella donna, e continuerò a ripeterlo, ha il dono di rendere un agnello in un leone famelico.
Scesi dalla macchina, ma un fitta al piede mi costrinse a reggermi allo sportello.
“Maledizione!”.
Sbuffai contrariata, mentre guardavo il mio piede offeso. Ero nervosa e la causa era quell’anziana rompiscatole, ma anche della mia sbadataggine.
“Maledizione!”.
Continuai a ripetere a denti stretti, quando vidi accanto a me Sesshoumaru.  Abbassai il viso, non volevo che mi vedesse così. Così furiosa.
“Dovresti smetterla, non serve a nulla essere nervosi”.
“Già, hai perfettamente ragione ma…”.
Sospirai, mentre rialzavo il viso per guardarlo bene in faccia.
“Ma la rabbia repressa per troppo tempo offusca la mente”.
“Hai ragione, ma devi riuscire a dimenticare”.
 Si voltò e si allontanò da me lasciandomi lì, in piedi da sola. Da sola a riflettere. Aveva ragione.
“Devo sforzarmi a dimenticare…a lasciarmi tutto alle spalle…ma è più facile a dirsi che a farsi”.
Mi trovai a sorridere ironica, mentre mi avviavo all’ufficio. Zoppicavo.
“Devo farlo…”.
Pensai, quando sentii una voce, che ben conoscevo, che mi fece voltare. Mi voltai e vidi Ayame correre verso di me.
Ricordo ancora i suoi occhi verdi, ben truccati, brillare…brillare maliziosi e sapevo anche il perché.
“Buongiorno carissima Rin”.
Marcò quel “carissima”, mentre si avvicinava a me e mi guardava da capo a piedi. Cercava qualcosa…e quel qualcosa sapevo bene cos’era.
Sospirai e le diedi il buongiorno.
“Buongiorno anche a te…Ayame”.
“Allora Rin, che cosa mi racconti di nuovo?”.
Mi domandò, mentre avvicinava il suo viso a pochi centimetri dal mio.
“Beh…io…”.
Bofonchiai, intanto avevo indietreggiato con il capo.
“Io cosa?”.
Mi stava con il fiato sul collo…una cosa orrenda che non vorrei che capitasse mai a nessuno. Cominciai a sudare freddo, quando sentii la voce di Kagome che ci dava il buongiorno.
Sospirai contenta, mi aveva salvata dalla reincarnazione di un giudice della Santa Inquisizione.
“Rin che cosa ti è successo al piede sinistro?”.
Mi domandò preoccupata Kagome, mentre si piegava a guardare il mio piede offeso. Abbassai lo sguardo e fissai il mio piede…che cosa potevo dire? Che mi ero ferita con un vetro di un quadretto della mia camera da letto, che Kagura aveva fatto cadere? E chi era Kagura? Un fantasma…mi avrebbero creduto? No, non mi avrebbero creduto, o peggio, avrebbero fatto finta di credermi…però mi avrebbero definito una pazza visionaria.
Mi sentii triste…mentii.
Rialzai il viso e cercando di essere il più credibile possibile, dissi con un leggero sorriso sulle labbra.
“Ho fatto cadere a terra un bicchiere e accidentalmente ho pestato un pezzetto di vetro…ecco tutto! Che dire? Che sono una perfetta imbranata”.
Finii la frase ridendo…sforzandomi di ridere. Kagome sospirò e mi sgridò in modo materno, mentre Ayame ridacchiò maliziosa.
“Però ti avrà curata un bel dottorino, giusto?”.
Mi trovai ad arrossire. Aveva ragione.
“Bingo! Avevo ragione io!”.
Esultò Ayame, mentre saltellava esaltata. Aveva fatto centro…Sesshoumaru mi aveva medicata.
“Hai visto Kagome?! Anche la nostra Rin ha trovato un uomo”.
Abbracciò con forza la povera Kagome, mentre io rimanevo senza parole a fissarle.
“Sì…sì, ma ora lasciami Ayame…se continui così…muoio soffocata…”.
Continuò ad abbracciarla contenta. Un bel quadretto esilarante. Mi trovai a ridere, senza rendersi conto Ayame con i suoi modi di fare mi aveva distratto. Le fui grata.
Quella mattinata era iniziata nel miglior modo possibile. Mi aiutarono ad entrare dentro, anche se Ayame mi chiedeva ogni minimo particolare di quella notte. Più che altro aspettava qualche pettegolezzo piccante, ma che cosa potevo dire se non era capitato nulla? Beh, dissi la verità, anche se la rossa maliziosa non fu soddisfatta. Rammento ancora le sue labbra, rosso fuoco, corrucciate…era tenera, sembrava una bambina offesa perché il suo genitore le aveva negato il tanto agognato lecca lecca.
“Mi dispiace Ayame non tutti gli uomini sono maniaci. Esistono, e grazie al cielo, uomini garbati ed educati che non pensano solo a quello…al sesso”.
Rimase delusa, ma era il vero. Sesshoumaru nei miei confronti fu un vero gentil uomo, non approfittò della situazione, qualsiasi essere del sesso opposto lo avrebbe fatto, ma lui no…e di questo gliene sarò per sempre grata.
La giornata volò e fu il tempo di tornare a casa, Sesshoumaru mi accompagnò e restò di nuovo con me per la notte…non temete non accadde nulla, rimanemmo a parlare e ad attendere il ritorno di Kagura, ma di lei neanche un’apparizione. Era per caso svanita? Aveva deciso di lasciarmi in pace? No, ma per svariati giorni lei non tornò, ma io ero decisa ormai a tornare da i miei, anche se ero un po’ riluttante.
Quei giorni furono una vera manna dal cielo, mi sentivo felice, lavoravo con il cuore leggero ed ero più aperta verso le mie amiche.
Sorridevo e non ero più musona…ero migliorata e in meglio.
“Rin sei proprio raggiante in questo periodo”.
Mi disse una sera Inu Yasha, mentre ero a casa sua.
“Già, lo sono”.
Gli risposi sorridendo. Lui mi guardò e si trovò a ridere, mentre mi diceva.
“Ma anche un altro musone è migliorato in questo periodo”.
“Ti riferisci a Sesshoumaru?”.
Domandò Kagome intenta a prendere una bella torta alla meringa al limone dal frigo. Il suo compagno annuii, io sorrisi. Sì, il mio capo era migliorato, anche se aveva degli atteggiamenti un po’ ortodossi nei miei confronti, non di certo degni di un amante. Beh, se così lo si poteva definire…amante, anche se in quel periodo non eravamo andati oltre il bacio.
“Rin, posso farti una domanda? Sempre se vuoi rispondere?!”.
“Certo Inu, dimmi?!”.
Risposi, mentre m’infilavo in bocca un pezzetto di torta.
“Beh, mi domandavo come avevi avvicinato l’inavvicinabile…dato che sua signoria illustrissima reputa ogni essere femminile inferiore a lui, ecco”.
Sorrisi, mentre ascoltavo tutti gli appellativi, degni, su Sesshoumaru.
“Inu, la cosa può sembrare assurda, ma ad avvicinarci è stata qualcosa di…lo so è follia, ma è vero…”
Cercavo delle parole adatte. Intanto Inu Yasha e Kagome mi guardavano in silenzio, attendevano con ansia una giusta ed esauriente risposta. Ma che cosa potevo dire? La verità? Beh, era tempo di aprirmi con loro. Presi un profondo e continuai.
“Beh, è stato un fantasma di una donna morta vent’anni fa”.
Ricordo il viso attonito di Kagome, mentre Inu Yasha rimase serio…anzi, non si scompose di fronte alla mia rivelazione assurda. Qualsiasi persona lo avrebbe fatto, lui invece no.
“E’ assurdo vero?”.
Risi nervosamente, cercando di sdrammatizzare la situazione.
“Beh…che dire?…è un po’ assurdo…”.
Mi rispose Kagome. Rammento che evitò di guardarmi negli occhi, sapevo a cosa pensava: che ero una pazza visionaria. Invece Inu Yasha mi lasciò di stucco.
“Mfh…dovevo immaginarlo…è tipico di lui…”.
Rimasi senza parole. Che cosa significava che era tipico di lui?
“Che cosa intendi dire? Non capisco”.
“No, Rin lascia perdere a quello che ho detto…comunque, grazie per aver reso il signorino un essere più umano”.
Finì la frase ridendo, ma lo stesso mi lasciò con il dubbio. Un dubbio che presto si sarebbe chiarito…e il chiarimento sarebbe avvenuto il mattino seguente.
Quel giorno, non lo dimenticherò mai, scoprii un lato di Sesshoumaru che mi lasciò senza parole…mi sentii tradita.
Rammento che decisi di portare, personalmente, alcuni documenti da far firmare. Ero felice, mi bastava anche solo vederlo per darmi forza.
Camminavo tranquilla per il corridoio, intanto sorridevo all’idea di vederlo. Arrivai davanti alla sua porta, mi aggiustai i capelli e la camicetta, decisi di sbottonare il terzo bottone, volevo stuzzicarlo.
Trattenni un risolino malizioso. Scossi il capo dandomi della scema, alzai la mano per bussare, quando sentii una voce che ben conoscevo provenire da dentro la stanza.
“Ti rendi conto di quello che le stai facendo?!”.
Era Inu Yasha. Il suo timbro di voce era alterato. Perché?
Aprii leggermente la porta, giusto uno spiraglio per sentire bene che cosa stesse accadendo…so perfettamente bene che non è educato ascoltare i discorsi altrui, ma in quel frangente una vocina interna mi diceva: Rin ascolta quel che si dicono.
“Sesshoumaru, mi stai ascoltando?”.
Avvicinai di più l’orecchio alla porta, la curiosità mi rodeva dentro come un tarlo.
“Allora mi rispondi?! A che razza di gioco stai giocando?”.
Inu Yasha era davvero furioso, il motivo in quel frangente mi sfuggiva, ma presto l’avrei saputo. Un’amara verità mi veniva servita su di un piatto d’argento.
“A nessuno”.
Rispose semplicemente Sesshoumaru. D’un tratto sentii un rumore. Un tonfo.
Mi sporsi di più, cercai di guardare attraverso la fessura della porta. Volevo capire cosa fosse stato quel rumore, lo capii dopo, era un pugno di Inu Yasha sulla scrivania di Sesshoumaru.
Riuscii a vedere Inu Yasha girato di spalle di fronte la scrivania di Sesshoumaru. Invece lui non riuscivo a vederlo bene, solo i contorni, Inu Yasha copriva la visuale.
“Eh?! Scusa mi stai prendendo per caso in giro?Sai bene a cosa mi riferisco…a Rin”.
“E allora?”.
Sesshoumaru era freddo, mentre discuteva con suo fratello. Sentii un brivido salirmi su per la schiena, ma continuai ad ascoltare.
“Mfh…Sesshoumaru so cosa ti attira…e non è di certo Rin”.
Spalancai la bocca di fronte a quella frase…io non lo attiravo. Chinai il capo e continuai a sentire ciò che si dicevano…ciò che affermava Inu Yasha.
“E anche se così fosse non è affar tuo”.
Sgranai gli occhi, mentre sentivo una morsa alla bocca dello stomaco. Che cosa stava succedendo?
In quel preciso istante il terreno sotto i miei piedi stava crollando…come anche i miei sentimenti.
“Non sono affari miei?! Certo che lo sono! Lei non solo è una mia collega, è anche una mia amica…e non sopporto il tuo gioco. Perché tu sei attratto da quella presenza. È da piccolo che vai a caccia di fantasmi, e ora ti diverti con lo stato psichico di una ragazza fragile…sei un vero mostro…”.
Lui non rispose. Io restai lì, in piedi dietro a quella porta, mentre le parole di Inu Yasha riecheggiavano nella mia mente.
Lui giocava con il mio stato psichico.
Lui si divertiva con me.
Lui era attratto dal fantasma di Kagura.
Lui non mi amava.
Che scema, mi ero fatta trasportare da dei stupidi sentimenti. D’un tratto mi trovai a stringere con forza i documenti, mentre mi mordevo il labbro inferiore dalla rabbia.
Ero furiosa…Sesshoumaru mi aveva tradito e offeso. Mi voltai e tornai sui miei passi, non volevo stare un secondo di più in quell’ufficio…volevo fuggire…
Entrai nella stanza dove vi era Ayame da sola, che armeggiava al pc.  Mi avvicinai a lei e le lanciai i fogli sulla scrivania, lei sobbalzò e mi guardò stranita.
“Rin che diavolo ti prende?”.
“Va tu a far firmare questi documenti…io non mi sento bene…vado a casa”.
Presi la borsa ed uscii di corsa dalla stanza, lasciando un’Ayame sconcertata…



Continua…



___________________
Eccomi, di sicuro vorrete la mia testa vero? Ma io non ve la do XP.
Vi chiedo lo stesso scusa, ma in questo periodo non ho davvero avuto tempo per poter aggiornare, e pensare che il capitolo era pronto da giorni ^^.
Comunque ringrazio:
Marrion: grazie per i complimenti, sono felice che la storia ti piaccia ^^. Un bacio.
Dioni: non sempre serve la forza per risolvere i problemi, anche se Kaede è una vera spina nel fianco XD. Grazie e un bacio.
Samirina: grazie per avermi fatto notare gli errori, ahimè, mi sfuggono sempre -.- Beh, ognuno di noi desidera un bacio da Sesshoumaru *ç*…un sogno…grazie, per il bel tornato a scuola, ma io non vado più a scuola sono una pazza universitaria che si perde nei plessi XD. Un bacio.
Onechan Kitzune: grazie per la bella recensione e ben venuta ^^. Spero che continuerai a seguirmi, un bacio.
Lirinuccia: sono felice che il mio Sesshoumaru non risulti mai OOC, sai le prime fic risultava zuccheroso e smielato -.-‘. Invece ora mi sto ispirando a un tipo reale che vorrei ficcare sotto le ruote della mia macchinina XD. Ma non lo faccio perché gli voglio troppo bene ^^. Un bacio.
Mikamey: non preoccuparti se non sempre recensisci, come vedi anch’io sono lenta, non solo la pigrizia, ma anche gli impegni ci si mettono è_é .
Kaimy_11: vedo che anche tu vuoi morta Kaede, ma dai…povera vecchia impicciona, sai io l’adoro XD.
Non temere li ha allontanati ora li riunirà in futuro ^^. Un bacio.
Sandy23: sono felice che la storia continua a piacerti, sono iper-felice ç_ç…grazie.
Elenasama: sono felice, che tu come me, ami il paranormale *_*. Io adoro scrivere storie sui fantasmi ^^. Un bacio.
Ma ringrazio anche chi solo legge ^^.

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Capitolo 34
*** XXXIV ***




XXXIV








Presi la borsa ed uscii di corsa dalla stanza, lasciando un’Ayame sconcertata. Ero davvero furiosa.
Arrivai davanti alla mia macchina. Presi le chiavi dalla borsa, le infilai nella toppa e le girai. Aprii la portiera, ma prima di salire mi voltai verso la sua finestra. La guardai con disprezzo e sibilai.
“Perché mi hai fatto questo? Io mi fidavo di te…io ti amavo…ma ora…”.
Ringhiai scuotendo il capo e mi infilai in macchina. Accesi il motore e corsi via.
Via da lui.
Dalle sue menzogne.
Ricordo che sentivo un gran freddo provenire dal mio animo ferito e umiliato. Tremavo, anche se eravamo a giugno e faceva caldo.
“Perché Sesshoumaru? Perché?”.
Continuavo a ripetere come un’eterna litania, mentre sfrecciavo tra le strade trafficate. Quel giorno rischiai molto, ero furiosa verso lui…verso di me.
Mi ero fidata troppo presto di una persona che non conoscevo bene.
Arrivai a casa, scesi dalla macchina e salii di sopra. Ero ancora furiosa, se quel giorno avessi incontrato Kaede di sicuro l’avrei linciata. Ma grazie al cielo lei non si mostrò, rimase a casa sua, oppure era fuori in compagnia di sua nipote…ma in quel momento era meglio che non fosse lì.
Entrai in casa e chiusi dietro di me la porta. La feci sbattere con forza, ricordo ancora il cigolio dei cardini e la polvere a terra. Mi girai e restai a guardarla, mentre sentivo qualcosa di caldo e umido percorrermi le gote.
Stavo piangendo.
Piangevo per la delusione. D’un tratto sentii il mio corpo debole, mi accasciai al suolo, mentre continuavo a piangere.
“Brava Rin, te lo sei meritata…ti sei fidata troppo presto ed ecco il risultato…mai mostrarti debole…mai abbandonarsi ai sentimenti…”.
Strinsi gli occhi. Cercavo invano di non far scorre più le lacrime, ma, ahimè, loro correvano veloci come un fiume in piena.
Rimasi a terra svariati minuti a piangere…a commiserarmi, quando decisi di rialzarmi.
Asciugai le lacrime rimaste con il dorso della mano e mi misi in piedi.
“Ora basta piangere per un essere così!”.
Mi dissi, mentre mi dirigevo al piano di sopra. Ricordo che salii i gradini con il capo chino. Mi sentivo distrutta. Il mio cuore, come anche il mio animo, erano feriti. Una ferita che mai si sarebbe rimarginata, ma…non fu così…
Mi recai nel bagno e mi spogliai. Mi voltai verso lo specchio e mi guardai. Rimasi a fissare l’immagine sullo specchio per qualche istante. Una donna dal viso triste che mi guardava con commiserazione.
Socchiusi gli occhi e sospirai, mentre l’ultimo indumento cadeva a terra. A terra come la mia vita.
Aprii l’acqua della doccia e mi ficcai sotto di essa. Il getto d’acqua lentamente lenì il mio dolore. Uscii dalla doccia e tornai a fissare la mia immagine sullo specchio.
“Guarda che faccia”.
Dissi. Mi trovai a ridere ironica, mentre con la mano destra indicavo il mio riflesso. Un mostro.
Mi vestii e scesi di sotto.
Trascinavo i piedi nudi sulla ceramica del pavimento, non avevo la forza per alzarli. Arrivai anche a desiderare che a terra ci fossero tanti cocci di vetro, così il dolore fisico avrebbe lenito il dolore del mio cuore ferito.
Mi buttai a peso morto sul divano, mentre tenevo premuta sul viso la mano destra.
“Perché?”.
Mi dissi con voce flebile, mentre sentivo un nodo alla gola. Spostai la mano e presi la borsa poggiata malamente sul bracciolo del divano. Infilai dentro la mano e trafficai nel suo interno, cercavo qualcosa. E quel qualcosa era il mio cellulare.
Osservai il display e notai un sacco di chiamate e di messaggi. Erano la maggior parte di Ayame e Kagome, ma poi vidi un suo messaggio e una sua chiamata.
Ringhiai e strinsi forte il cellulare. Lo sentii scricchiolare. Ero nervosa. Allentai la mano e lo spensi.
Lo buttai di nuovo nella borsa e mi coricai di nuovo sul divano.
Ricordo che mi trovai a guardare il soffitto, mentre con la mente cercavo di scacciar  via i momenti piacevoli trascorsi in sua compagnia.
“Che brutta sensazione scoprire il vero volto della persona amata”.
Socchiusi gli occhi, sospirai avvilita e stanca.
Rammento che rimasi svariati minuti in quella posizione, quando mi decisi di mettermi seduta. Presi il telecomando e pigiai il pulsante dell’accensione, volevo sentire del rumore…non volevo rimanere sola.
Sola con il mio dolore.
Guardavo il via vai delle immagini sul televisore, mentre continuavo a sospirare e a cercare di fermare le lacrime che prepotenti volevano scendere sul mio viso, quando sentii il campanello della porta. Mi alzai e mi diressi verso di essa, mentre cercavo di capire chi fosse.
Istintivamente pensai ad Elisa che veniva a chiedermi qualcosa. Abbassai la maniglia ed aprii, inizialmente non guardai fuori, ma a terra. Ricordo l’ombra proiettata sul pavimento, era lunga. Rimasi qualche secondo a fissarla, quando decisi di guardare di chi fosse. Mi voltai e guardai. Rammento che provai una fitta al cuore, quando vidi chi fosse. Era lui che mi guardava serio.
I suoi occhi magnetici mi fissavano curiosi, mentre io stringevo la maniglia della porta, intanto la mia bocca tremava. Tremava dalla rabbia che lentamente ritornava prepotente ad invadere il mio corpo.
“Che cosa vuoi?!”.
Sibilai,intanto stringevo sempre di più la maniglia, mentre lui mi fulminava con lo sguardo.
“Che cosa ti prende?”.
Mi disse, mentre si avvicinava di più a me. Rammento che arretrai vedendolo così vicino a me. Mi faceva senso averlo accanto. Lui comprese il mio gesto, difatti aveva inarcato un sopracciglio, mentre mi fissava.
Lo feci entrare, ma lasciai la porta aperta.
“Allora si può sapere che cosa ti prende?”.
Di nuovo quella domanda. Io evitai di guardarlo in faccia, mentre gli passavo accanto. Che cosa potevo dirgli? La rabbia era tanta e prima o poi sarei esplosa. Strinsi i pugni, mentre mi mordevo le labbra dalla rabbia.
“Allora?”.
Il suo tono di voce imperioso mi dava fastidio. Socchiusi gli occhi, mentre cercavo invano di calmarmi, ma non ci riuscivo. Intanto lui attendeva una risposta che io evitavo di dargli.
“Rin! Allora cosa diamine ti prende?!”.
Era furioso. Logico, evitavo di rispondergli. D’un tratto come una furia mi voltai verso di lui e lo fulminai con lo sguardo. Rammento ancora il suo sguardo sbalordito, vedendomi furiosa.
“Che cosa mi prende, mi stai chiedendo questo, giusto?”.
Dissi sibilando, intanto lui mi guardava stranito, non comprendeva questo mio essere furiosa. Lo vidi annuire. Mi trovai a sorridere, intanto lui continuava a fissarmi in silenzio.
“Ebbene ho scoperto il tuo vero volto”.
Lo vidi corrucciare la fronte, mentre io continuavo a parlare. Ad urlare il mio dolore.
“So cosa ti spinge a starmi accanto…tu…tu sei attratto dal fantasma e non da me!”.
Urlai, mentre una lacrima rigava il mio volto sconvolto.
“E con questo”.
Freddo e piatto. Una frase che mi lasciò senza fiato. Sgranai gli occhi, intanto quella frase rimbombava nella mia mente come un disco rotto. Restai ferma immobile a fissarlo, mentre lui non smetteva mi guardarmi.
Il suo sguardo mi faceva male, sembrava un stiletto che lento mi trafiggeva il cuore.
Lentamente chinai il capo, mentre la mia mente formulava un’unica frase.
“Vattene da casa mia!”.
Sibilai. Intanto guardavo il pavimento. Fissavo la sua ombra che, in quel momento mi faceva nausea.
D’un tratto la vidi allontanarsi. Sparire e fine sentii il rumore della porta chiudersi…era andato via senza proferir parola. Socchiusi gli occhi, mentre continuavo a sentire ancora quella dannata frase.
E con questo.
Lentamente mi poggiai contro il muro e mi lasciai scivolare a terra. Sentivo il mio corpo di nuovo pesante, intanto nuove lacrime salate percorrevano il mio viso. Avrei voluto urlare il mio dolore, ma non ci riuscii. Non avevo più la forza…ero morta.
Non so se fosse frutto della mia immaginazione, ma rammento che sentii una risata. Una risata beffarda di donna.
Rideva di me.
Della mia delusione.
Del mio dolore.
Poggiai i palmi delle mani sulla fronte, mentre continuavo a singhiozzare. Mi aveva ferito.
“Perché a me? Perché, mio Dio?Io lo amo…e invece…lui mi ha solo…usata! Perché?”.
Non ricordo per quanto tempo restai a piangere, ricordo che aprii gli occhi al primo raggio di sole che proveniva dal balcone. Ero confusa e frastornata. Voltavo il capo a destra e a sinistra, cercando di capire cosa ci facessi lì a terra, quando.
Il respiro mi si bloccò di colpo.
“Sesshoumaru”.
Biascicai. Intanto la mente mi riproponeva quella scena orrenda e straziante. Strinsi gli occhi cercando invano di scacciarla, ma non ci riuscii.
“Basta!”.
Piagnucolai. Ma non ci riuscivo. Restai ancora a terra a battere il palmo della mano destra sulla testa, nella vana illusione di cancellare tutto…ma era impossibile. Quell’immagine era come marchiata nella mia mente.
Nel mio cuore.
Nel mio animo.
Rimasi ancora svariati minuti a terra, quando mi decisi a rialzarmi. Il corpo era intorpidito. Pesante.
Feci fatica a rialzarmi, ma ci riuscii.
Mi sentivo come ubriaca, ma non lo ero. Barcollavo. Fui costretta a poggiarmi al muro.
“Mi sento male”.
Mi dissi. Sentivo il corpo tremare dal freddo, mentre il viso era accaldato. Con uno sforzo estremo salii le scale e mi diressi in bagno. Volevo. Dovevo bagnarmi il viso. Arrivai al lavabo, quando vidi il mio viso riflesso allo specchio. Spalancai la bocca.
Gli occhi erano lucidi e labbra rosse. Poggiai la mano destra sulla fronte, mentre con quella sinistra mi reggevo sul lavandino per non cadere.
Bruciavo e capii che avevo la febbre. Mi trovai a sorridere beffarda.
“Ottimo almeno ho una scusa plausibile per non vederlo oggi…mi sono ammalata”.
Mi sciacquai il viso con l’acqua fredda. Lo asciugai e scesi al piano terra nel bagnetto di servizio, dove avrei trovato delle aspirine.
Mi sentivo male. Molto male. Ma il mio non era un dolore che un’aspirina poteva curare. Il mio era un dolore di un’anima ferita.
Arrivai nel bagnetto di servizio, aprii l’armadietto e presi il tubetto delle aspirine, ne cavai fuori una e mi diressi in cucina. Entrai, presi un bicchiere e lo riempii d’acqua. Ci buttai dentro l’aspirina e restai a fissarla sciogliersi lentamente.
“Come vorrei essere come quest’aspirina…sciogliermi…sparire…non dover mai più soffrire…”.
Socchiusi gli occhi, bevvi quel liquido frizzante che presto scacciò la febbre…ma quel malessere rimase dentro di me per svariati giorni.
Infatti, i giorni che seguirono erano freddi e vuoti. Vuoti come i miei occhi.
Mi ero buttata nel lavoro, unica ancora di salvezza. Ricordo ancora i visi preoccupati dei miei amici, che cercavano invano di aiutarmi, ma io niente. Ero morta.
Spenta.
Annullata.
“Ora basta, Rin!”.
Urlò, Ayame, una mattina. Era furiosa. Io la guardai basita e come me anche Kagome. Rammento ancora i suoi occhi verdi furenti fissarmi.
“Hai capito benissimo! Ora basta di commiserarti e lasciarti andare così…reagisti cavoletti amari!”.
La vidi avvicinarsi. Si chinò su di me, intanto mi fulmina.
“Reagire?”.
Domandai, mentre abbassavo lo sguardo.
“Sì, devi reagire e ritornare la vecchia Rin….quella che mi riprendeva ogni volta che, la metteva in imbarazzo. La rivoglio, anzi noi tutti la rivogliamo”.
Rialzai lo sguardo e la guardai dritta negli occhi. Aveva ragione, dovevo reagire.
“Sì, hai ragione”.
Le dissi, mentre abbozzavo un sorriso. Era difficile dimenticare, ma dovevo farlo. Il mio atteggiamento feriva non solo me, ma anche le persone che mi stavano accanto.
“Già, devo reagire”.
Mi dissi,  continuando a sorridere, quando sentii Ayame ridere. Era felice.
“Ora che la nostra Rin, sta ritornando, che ne dite di organizzare una bella seratina tra donne?”.
Io la guardai stranita, mentre Kagome annuiva e diceva.
“Sì, mi sembra una buona idea e poi possiamo spettegolare sui nostri colleghi e compagni”.
Finì la frase in modo malizioso, tanto che Ayame le disse.
“Kagome non ti facevo così perfida”.
Risero in coro, mentre io mi trovai a scuotere il capo e a sorridere.
“Non cambierete mai”.
Anche se quello che aveva fatto Ayame poteva sembrare poco ai vostri occhi, ma per me non lo era. Era riuscita a farmi sorridere. Mi sentii bene, era tempo di reagire…però quello che sarebbe caduto qualche ora più tardi mi avrebbe segnato per sempre…



Continua…




_________________
Vi chiedo scusa, sono mesi che non aggiorno…ma ho avuto un po’ di problemi, quindi sono stata assente XD. Vi ringrazio di cuore per chi ha recensito. Ho visto gente nuova e questo mi ha rallegrato molto. Grazie, ma voglio anche ringraziare (sono lo so) anche chi mi recensisce sempre…mi date la forza per continuare a scrivere è non poco ^^.
Beh, anche grazie a chi legge. Un bacio e alla prossima dove, avverrà qualcosa che sconvolgerà la nostra Rin ^^.
Un bacio.


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Capitolo 35
*** XXXV ***



XXXV











Mi sentii un po’ meglio. Ayame con le sue parole mi aveva un po’ risollevato. Non dovevo buttarmi giù, anche se la delusione mi aveva provocato una cicatrice nel cuore.
“Allora Rin che ne dici di una bella seratina tra femminucce?”.
Mi propose Ayame facendomi l’occhiolino. Io la guardai, ma poi abbassai lo sguardo…non ero ancora pronta a passare una serata in compagnia.
“Beh…io non me  la sento ancora…”.
Sussurrai, mentre osservavo la tastiera nera del mio computer. D’un tratto sentii due mani sulle spalle che mi scrollavano. Alzai di scatto il viso e vidi di fronte a me, a pochi centimetri dal mio naso, il viso di Ayame. Era di nuovo furiosa.
“Invece tu accetti!”.
Sibilò. Io leggermente tremai e annuii. Era la prima volta che provai paura guardando Ayame.
Lei sorrise soddisfatta, tolse le mani dalle mie spalle, si alzò e voltò il capo verso Kagome, che in quel momento era sbiancata vedendo la rossa minacciarmi.
“Anche tu, Kagome, ci stai… vero?”.
Anche lei annuii. Era impossibile lottare contro quella furia rossa dagli occhi di smeraldo.
Ottimo allora”.
Sogghignò. Poi voltò il capo verso di me e continuando a sorridere, in modo malefico, aggiunse.
“Allora ci vedremo tutte a casa di Rin, e passeremo una bella serata tra di noi”.
“Che cosa?”.
Domandai incredula.
“Come che cosa? Tu hai un bell’appartamento grande e ci ospiterai…cucinerete e mangeremo…ah, non ti preoccupare Kagome ti aiuterà a pulire…”.
Corrucciai la fronte, mentre sentivo quello che diceva Ayame. Spostai lo sguardo verso Kagome, e notai la stessa mia identica espressione sul suo volto. Anche a lei non erano piaciute alcune parti del discorso di Ayame.
Cucinerete…ah, non temere Kagome ti aiuterà a pulire…
“Cucinerete, giusto? E tu mia cara Ayame cosa farai?”.
Domandò Kagome, mentre si alzava e si avvicinava alla rossa.
“Che cosa farò? Ebbene io metterò il mio sostegno morale”.
“Sostegno morale, dici? E come mai dovremmo pulire solo io e Rin?”.
Continuò a domandare Kagome, ormai vicina alla rossa che sorrideva ingenuamente.
“Perché tu sei brava a pulire, come anche Rin e poi io…”.
Aveva unito le mani e in modo teatrale continuò.
“Ah, come potete far fare le pulizie a una così leggiadra e indifesa fanciulla?”.
Kagome, vicina ad Ayame, incrociò le braccia e inarcando il sopracciglio sinistro disse.
“Ci manca un pezzo alla tua frase: ‘perché io sono piccola e nera’”.
Pochi secondi e le due scoppiarono a ridere, mentre io scuotevo il capo. Quelle due erano la mia salvezza.
Mi trovai a sorridere.
“Va bene, questa sera venite a casa mia e ci godremo una bella serata tra noi”.
Kagome annuii, mentre Ayame, come il suo solito, esternò la sua ilarità gridando e saltando per l’ufficio. Io la guardai stranita domandandomi: se nella famiglia di Ayame ci fosse qualcuno che soffrisse di qualche malattia mentale. Un quesito emblematico, come la mia amica folle.
Scossi il capo e sorrisi pensando alla bella serata che avrei trascorso in loro compagnia…ma non sapevo che una nube oscura avrebbe minato la mia serata.
Mi alzai e mi diressi verso la macchinetta del caffè. Avevo un bisogno impellente di quel liquido caldo, quando  incrociai lui, Sesshoumaru, nel corridoio.
Mi fermai di colpo, ero nervosa, erano giorni che non lo vedevo. Che lo evitavo.
Evitavo il suo sguardo ambrato bugiardo.
Stavo per abbassare lo sguardo, quando il mio orgoglio di donna ferita mi costrinse a guardarlo dritto negli occhi.
Ritta sui miei piedi camminai verso il distributore. Gli passai accanto senza rivolgergli neanche un saluto.
Ricordo ancora il suo profumo dolce. Rammento che socchiusi gli occhi, mentre gli passavo accanto, volevo assaporare il suo profumo…per un’ultima volta.
Riaprii gli occhi e mi trovai di fronte alla macchinetta. Sentivo un vuoto nella mia anima. Mi voltai lentamente e restai a guardarlo sparire nell’ascensore. Era restato di spalle.
Mi morsi le labbra e scossi il capo.
“Basta Rin! Tu ti torturi l’anima per un tipo che non ti merita!”.
Pensai, mentre stringevo gli occhi che pizzicavano. Stavo per piangere, ma riuscii a fermarmi. Presi il caffè e ritornai dalle miei amiche.
“Sì, una serata tra amiche mi risolleverà un po’ il morale”.
Mi dissi, mentre ritornavo nella mia stanza dove loro due mi attendevano. Presi un profondo respiro ed entrai, non volevo che mi vedessero di nuovo così…occhi lucidi e con il broncio, era ora di mostrarmi forte e sorridente, anche se era più facile a dirsi che a farsi.
La giornata volò, tra le cretinate assurde di Ayame e le ramanzine di Kagome, nei confronti dell’esuberante rossa.
Quel giorno mi trovai di nuovo a ridere di gusto. Ero guarita? Forse, ma solo il tempo lo avrebbe detto.
“Bene. Allora ragazze ci vediamo alle nove a casa mia, ok?”.
Dissi, mentre prendevo la borsa. Kagome annuii, mentre Ayame bofonchiò un sì, intanto litigava con il computer…come il suo solito non riusciva a spegnerlo.
“Uffa questo aggeggio mi odia, lo so!”.
Disse in modo melodrammatico, mentre Kagome ridacchiava. Io sbuffai e mi avvicinai a lei.
“Sei sempre la solita, Ayame”.
Le dissi, mentre lo spegnevo.
“Ecco fatto!”.
Lei mi guardò felice, mentre mi saltava al collo. Io sbuffai un po’ infastidita, ma poi mi trovai a ridere. Era la solita comica.
“Su, si fa tardi. Ci vediamo tra un po’”.
Le salutai e scesi di sotto, dove la mia macchina mi attendeva. Ricordo, che mentre attraversavo il cortile in direzione della mia macchina, lo vidi. Sesshoumaru.  Era lì, in piedi accanto alla sua vettura e mi fissava. Io mi fermai un pochi secondi a guardarlo, ma poi feci una smorfia di stizza e mi diressi a passo spedito verso la mia macchina. Mi dava fastidio guardarlo.
Presi la chiave, la infilai nella toppa della portiera e l’aprii. Entrai dentro, ma guardai nello specchietto retrovisore, lui era ancora lì a guardarmi.
Ti odio”.
Sibilai. Accesi il motore e sfrecciai via.
Via da lui.
Via delle sue bugie che mi avevano ferito fin nel profondo del cuore.
Arrivai a casa e sospirai.
“Finalmente sono al sicuro dal suo sguardo”.
Dissi, mentre toglievo le chiavi dal cruscotto, scesi e mi diressi verso il portone, quando incontrai lei, Kaede, che rideva ironica. Che sapesse ciò che mi era capitato? Della delusione di aver scoperto il vero volto di Sesshoumaru? No, suppongo di no…ma quella sua risata beffarda mi dette fastidio.
Mi avvicinai a lei nervosa e infastidita.
“Sono per caso un pagliaccio?”.
Sibilai. Lei non si scompose, anzi continuò a ridere. A burlarsi di me.
Io scossi il capo furiosa e mi allontanai da lei, ero sul punto di ucciderla. Entrai nell’ascensore, ma prima che le porte si chiudessero.
“Il tempo a te concesso oggi scadrà”.
Le porte si chiusero e non potei replicare. Che cosa significava:…il tempo a te concesso oggi scadrà
Che cosa?
Mi trovai a tremare di fronte a quella minaccia, ma scossi il capo e mi dissi, per rincuorarmi.
“Ah, Rin non badare alle cretinate di quella nevrotica e pazza. Basta non ci badare!”.
Infilai la chiave nella toppa, mentre mi ripetevo di non badare alle stupidaggini di Kaede. La girai e aprii la porta, quando un soffio di vento gelido sfiorò il mio collo. Sgranai gli occhi, mentre un brivido percorse la mia schiena. Restai qualche secondo sulla soglia di casa terrorizzata, quando il buon senso mi fece ritornare in me.
“Di sicuro sarà un residuo dell’aria condizionata”.
Mi dissi, mentre rincasavo. Era così? Oppure c’era dell’altro dietro a quel soffio gelido? Era per caso un avvertimento?
Quante domande, ma che presto avrebbero avuto una degna risposta.   
Poggiai la borsa sul divano, ma per abitudine presi il cellulare dal suo interno. Guardai il visore in cerca di qualcosa. E quel qualcosa era un’icona di un messaggio…di un suo messaggio, che non c’era.
Mi trovai a sorridere ironica.
“Che stupida, ancora credi alla Befana Rin?”.
Poggiai il cellulare sul tavolino e cominciai a guardare la stanza.
“Beh, invece di pensare a lui dovrei sistemare il mio appartamento”.
Ero e sono ancora tutt’ora una maniaca del pulito. Mi misi a rassettare casa, quando sentii trillare il citofono.
“Chi sarà a quest’ora?”.
Pensai, quando voltai il capo verso il display del lettore dvd e notai che segnava.
“Oh, mamma sono già le nove e meno dieci. Cavoli è tardi”.
Andai ad aprire. Era Kagome era venuta prima.
“Non ti secca se sono venuta prima , no?”.
Mi disse, mentre entrava con delle buste della spesa tra le mani. Io scossi il capo e l’aiutai a entrare.
“Ma che dici? Certo che non mi secca, anzi mi fa piacere che la prima sia stata tu…beh, la conosci la puntualità di Ayame…”.
Ci trovammo a ridere, mentre entravamo in cucina e posavamo le buste sul tavolo.
“Comunque, scusami tu che mi hai trovato in questo stato pietoso”.
Ridacchiai imbarazzata, intanto mi guardavo. Ero sudata e non emanavo di certo un buon odore.
“Ma ora rimedio subito…vado di sopra e mi faccio un bel bagno…non ti scoccia se ti lascio da sola, vero?”.
Dissi a Kagome, mentre mi avviavo verso le scale.
“No, ma che dici…non ti preoccupare io mi metto a lavoro e vi preparo una delle mie specialità: linguine allo scoglio”.
Mi disse, mentre teneva in mano un pacco di pasta e me lo mostrava. Io risi.
“Sei un angelo…ah, beato l’uomo che ti ha come compagna”.
Le dissi, mentre salivo. La sentii ridere e rispondermi qualcosa, ma non ricordo bene cosa, di sicuro mi disse: pazza, oppure scema…in modo scherzoso.
Mi sentivo bene. Entrai in bagno e chiusi, non a chiave, la porta. Mi avviai verso la vasca, la tappai e aprii il rubinetto dell’acqua.
La lasciai scorre, mi voltai verso lo specchio, sopra il lavabo, ad ammirare il mio riflesso.
“Rin, hai proprio bisogno di un buon bagno caldo”.
Mi dissi, mentre alzavo i capelli e li fermavo con una fermaglio, preso dall’armadietto accanto allo specchio. Ricordo ancora il rumore dell’acqua che scorreva nella vasca.
“Beh, ora vediamo se è bella calda”.
Mi dissi, mentre mi giravo. Mi piegai sulla vasca, poggiai la mano sinistra sul suo bordo, mentre la destra toccava l’acqua.
“Ci siamo quasi”.
Sussurrai soddisfatta, quando d’un tratto vidi qualcosa nel fondo della vasca. Sgranai gli occhi.
Nel fondo di essa vi era una donna con lunghi capelli neri che fluttuavano nel liquido trasparente. Rimasi per svariati secondi a guardarla. Ero spaventata, non riuscivo a muovermi e a parlare. Ero divenuta una statua.
Un attimo e avvenne qualcosa che mai mi sarei aspettata. Una mano uscì dall’acqua e afferrò il mio polso destro.
Una mano nivea e fredda, che cingeva con forza il mio polso. Mi tirava con forza in acqua. Mi voleva con sé.
Rammento che lottai, ma non ci riuscii. Scivolai dentro.
Sbattei la testa contro il rubinetto, ancora aperto, e caddi con il viso in acqua. L’acqua si tinse di cremisi.
Non ricordo nulla di ciò…ma solo il nero dell’oblio che mi avvolgeva.
L’acqua che dolcemente mi cullava.
La morte con le sue nere ali stava per venirmi a prendere…era la fine…oppure no?




Continua…


_________________________
Domanda: secondo voi io sono perfida? Beh, lasciarvi così è indice di perfidia? Mah, non lo so XD.
Vi è piaciuta la scena, oppure no? Beh, se dite no, sappiate che io morirò ç_ç.  No, scherzo XD. Però adoro scrivere le scene di terrore allo stato puro…mamma come son folle.
Comunque sia, vi chiedo sempre scusa se vi faccio attendere, sono sempre impegnata…uffa.
Ringrazio:
Dioni: grazie per aver recensito ^^.
_AZRAEL_:.Certo che ti perdono, anzi sono felice che questa mia storia ti piaccia…e poi d’estate ci vuole un po’ di horror XD. Però l’idea di Kagura che consola Rin, non era male infondo. Una scena a tarallucci e vino…anche se il vino me lo scolo io (autrice alcolizzata). No scherzo XP. Un bacio e a presto.
Sandy 23: è vero Rin ha provato tanta amarezza nel sapere cosa prova Sesshoumaru, ma ricorda: mai perdere le speranze, vedrai che tutto si risolve ^^. Un bacio.
Serin88: scusami se ti ho fatta attendere. Beh, il lavoro ti toglie tempo, come anche la mancanza di personale ç_ç. Hai ragione la sofferenza d’amore è la cosa più brutta che possa esistere…ma grazie al cielo esistono gli amici che ti aiutano sempre ^^. Un bacio.
Kaimy_11: non ti preoccupare non ti sei persa nulla, anzi e Sesshoumaru che ha perso la bussola è_é. Se lo picchio forse mi pagano anche XD. No scherzo . un bacio grande.
Lirin Lawliet: siamo in periodi di cambiamenti vero? Bello…il grande Elluccio *ç*. Però appiccare il fuoco ai capelli di Sesshoumaru sai quanto ti costa? Ebbene un bel po’: un euro un accendino, una tanica di benzina da 5lt intorno a una ventina d’euro, per non parlare della puzza e della pulizia…oh, mamma…meglio legarlo e violentarlo *ç* (maniaca -_-‘ nd te; e ne vado fiera XD nd me). Un bacio e grazie per la bellissima recensione.
Elena-chan: grazie, sono felice che il mio Sesshoumaru non scivoli mai nell’OOC ho sempre il sentore che ci cadi -_-. Un bacio e a presto.
Samirina: ho cercato di essere veloce, ma sono sempre troppo lenta ç_ç. Per finire il pc, maledetto aggeggio di silicone e transistor (non esistono più lo so XP), ha deciso di cancellarlo ed io l’ho dovuto riscrivere ç_ç. Me tapina e piccina ç_ç. Un bacio e grazie.
Onechan Kitzune: grazie per aver recensito, mi fai tanto felice che mi segui ç_ç. Me commossa ç_ç.
Ringrazio anche chi solo legge, un mega bacio a tutti ^^.

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Capitolo 36
*** XXXVI ***



XXXVI



 

“Sei un angelo…ah, beato l’uomo che ti ha come compagna”.
Le dissi, mentre salivo le scale. Kagome cominciò a prendere la roba dalle buste. La sentivo canticchiare, mentre armeggiava nella plastica.
Ha sempre avuto una bellissima voce, ma lei ha sempre negato dicendo:
“Ragazzi che dite?Non è affatto vero”.
Invece sì. Quel suo canto mi tranquillizzava, mentre entravo in bagno. Nel mio inferno.
Il tempo passava veloce. L’acqua scorreva, mentre nel piano di sotto una persona armeggiava nella mia cucina.
“Allora, dove mette le pentole Rin?”.
Disse Kagome, mentre cercava tra gli armadietti, quando…
“Ecco! Ho trovato la pentola e una bella padella”.
Gioì, intanto ammirava i due oggetti come se fossero due tesori, quando d’un tratto sentì il trillo del campanello della porta. Sospirò, mentre poggiava pentola e padella sul tavolo.
“Di sicuro è Ayame”.
Sospirò, mentre si avviava verso la porta d’ingresso.
“Però è puntuale…strano non è da lei…”.
Si fermò a guardare il display del lettore dvd, nel mio salotto. Segnava le ventuno e sei minuti. Kagome alzò le spalle e scuotendo il capo si disse.
“E’ la prima volta che arriva in tempo. Che sia maturata in così breve tempo?...mah, ne dubito…comunque mi aiuterà con la cena”.
Sorrise maligna, mentre immaginava la faccia della povera rossa alle prese con la cena. Ayame è sempre stata una frana nell’arte culinaria. Ho tanti aneddoti sulle sue imprese in cucina, povero Koga…ma ora non è questo il momento per discutere di cose frivole, anche se rallegrano il cuore.
“Questa sera mi divertirò…”.
Gongolò, mentre abbassava la maglia del porta di casa.
“Cara Ayame ben arriv…oh…”.
Kagome restò immobile a guardare la persona aldilà della porta d’ingresso. Stupore e meraviglia erano dipinti sul suo volto.
“Tu”.
Disse incredula, mentre sgranava gli occhi. Mai si sarebbe aspettata che quella persona venisse qua.
Rimase qualche secondo ad ammirarla come se non appartenesse a questo mondo, quando d’un tratto si destò da quella sorta di stato di trance nella quale era piombata. Scosse il capo.
“Che cosa ci fai qui?”.
Gli domandò, mentre quella persona entrava dentro incurante della domanda che l’era stata posta.
“Allora?!”.
Disse leggermente infastidita, mentre l’osservava ormai dentro il mio appartamento.
“Lei, dov’è?”.
Domandò freddo e piatto. Kagome richiuse la porta dietro di sé, conscia del fatto che mai sarebbe riuscita a scacciarlo, anche se sapeva che io sarei saltata su tutte le furie nel vederlo.
“E’ di sopra”.
Sospirò, mentre si avvicinava lui. Però un quesito urlava nella sua mente e doveva soffocarlo.
“Sesshoumaru perché l’hai fatto?”.
Gli domandò, mentre lo fissava dritto negli occhi. Lui non rispose, voltò il capo e fissò la scala. Mai le avrebbe risposto. Erano fatti suoi e nessuna persona doveva intromettersi.
“Devo parlarle”.
Disse imperioso. Kagome s’irrigidì, odiava i modi di rivolgersi al prossimo di quel suo cognato. Perché dolente o volente erano affini. Lei era la compagna del suo fratellastro.
“No, Sesshoumaru”.
Un piccola pausa. Una negazione. Lui voltò il capo e la fulminò con lo sguardo.
“Devo parlarle è una questione urgente”.
Sibilò.
“Ti prego va via, sai bene che lei…non vuole vederti…l’hai ferita…”
Si avvicinò di più a lui cercando di farlo andar via. Di farlo desistere nel vedermi. Nel parlarmi. Kagome cercava in tutti i modi evitare l’irreparabile.
Non voleva farmi soffrire.
Sesshoumaru assottigliò lo sguardo era leggermente irritato, odiava essere contraddetto.
“Le devo parlare”.
Soffiò. Non era una richiesta, ma un ordine. Kagome tremò.
“Va bene vado a chiamarla”.
Disse con voce tremante, mentre saliva le scale. Fu costretta ad arrendersi.
“Di sicuro Rin mi ucciderà, lo so! Ma non riesco a dire di no a lui…mi fa paura…”.
Pensò.
Salì le scale, intanto Sesshoumaru l’aspettava di sotto. Attendeva il mio arrivo.
Doveva parlarmi. Spiegarmi tutto. Era arrivato il tempo di dire la verità. Troppo dolore inutile. Troppa sofferenza.
Kagome arrivò sul pianerottolo. Sospirò consapevole del fatto che io l’avrei aggredita verbalmente. Già immaginava la scena. Io che urlavo contro di lei.
Contro di lui.
Ma dopotutto era una cosa logica, mi aveva tradito. Si era burlato di me. Dei miei sentimenti.
“Perdonami Rin”.
Pensò, mentre alzava la mano per bussare alla porta del bagno.
Bussò.
“Rin, scusami ma c’è una persona che ti cerca…è una cosa urgente…poi scendere?”.
Attesa. Una snervante attesa.
Nessuna risposta. Solo il rumore dell’acqua che scendeva. Un suono ovattato.
Kagome sospirò di nuovo.
“Non mi avrà sentito per via dell’acqua che scorre?”.
Riprovò di nuovo, ma niente. Nessuna risposta. Solo quel dannato scroscio d’acqua.
“Rin mi senti?”.
Quasi urlò, intanto batteva più forte sulla porta. Ma io non risposi.
“Rin!”.
Urlò. Intanto s’insinuava nella sua mente il timore di una disgrazia. Bussò sempre più forte. Cercò in tutti i modi di aprire la porta, anche se io l’avevo solo chiusa senza girare la chiave, ma era bloccata.
“Rin! Rin!”.
Invocava il mio nome, quando vide sotto i suoi piedi dell’acqua. Tremò, mentre guardava l’acqua scivolare veloce sotto di sé.
Urlò dal terrore. Che cosa stava succedendo? Che cosa?
Continuava ad urlare il mio nome, mentre batteva con forza sulla porta e cercava di abbassare la maglia, quando qualcuno la scansò. Era Sesshoumaru che come un fulmine si era lanciato sulla porta.
Una sua spallata ben potente e la porta si aprì, ma ciò che nascondeva lasciò senza fiato i due presenti.
Io ero lì, con la parte superiore nell’acqua calda tinta di un leggero strato rosso. Era il mio sangue.
Kagome si mise le mani sul volto, intanto gridava.
Gridava il mio nome. L’acqua  veloce scorreva come una cascata. Sesshoumaru si lanciò verso di me, evitando di scivolare. Mi tirò fuori dall’acqua.
Mi girò con il viso verso di sé. I miei capelli neri mi coprivano il viso, intanto un rivolo di sangue e acqua scivolava sulla parte della pelle non coperta da essi.
Lui con la mano scostò i capelli dal mio viso, così pallido. Le mie labbra erano gonfie e violacee.
Quanto tempo ero stata in acqua?
“Non respira”.
Pensò, mentre mi guardava. D’un tratto il sangue coprì metà del mio viso. La ferita non era profonda, ma il sangue scorreva veloce come l’acqua della vasca.
Sesshoumaru mi strinse a sé con il braccio destro, mentre la sua mano sinistra chiudeva il rubinetto.
Mi poggiò a terra sulle piastrelle fredde e bagnate, intanto Kagome si era avvicinata piangendo.
“E’…è… morta”.
Disse tra i singhiozzi. Sesshoumaru si voltò verso di lei e la fulminò nuovamente con lo sguardo. Non ero morta.
“Da quanto tempo era in bagno?”.
Kagome lo guardò scossa, mentre cercava di ricordare. Alcune volte la paura ci blocca e ci fa perdere la cognizione del tempo.
“Cinque…o quattro minuti…o forse di più…o di meno…non lo so…”.
Disse, mentre la mano destra tremante scivolava tra i suoi capelli d’ebano.
“E’ morta…è morta…”.
Ripeteva come una nenia funebre. La sua mano continuava a scivolare tra i capelli corvini, mentre mi guardava con gli occhi sbarrati.
“Piantala!”.
Un ordine. Una frustata. Kagome sussultò, mentre Sesshoumaru poneva un l’indice e il medio sul  mio collo.
“Il battito è fievole, ma è viva…devo fare presto…”.
Sì, la mia vita stava sfuggendo via. Presto la Morte mi avrebbe condotta in un posto dove, non avrei mai più visto l’uomo che amavo. Già amavo e amo Sesshoumaru.
Mi aprì la bocca, doveva ripristinare la respirazione. Doveva risvegliarmi dall’oblio.
Poggiò le sue labbra sulle mie... un bacio di vita…soffiò la vita nel mio corpo. Massaggiò il mio petto.
Il mio cuore lentamente riprese a battere veloce, come anche l’aria nei miei polmoni, prima privati della loro linfa.
Sentivo l’aria scivolare nella mia gola. Il mio petto che si sollevava. Quante volte avrà provato senza mai arrendersi? Quante? È una di quella domande che avrei voluto fargli, ma alcune volte la timidezza e la paura, oppure altro mi hanno fermato. Però gli sono grata per questa sua caparbietà di non essersi mai arreso.
Di non avermi mai abbandonato.
Massaggiò. Soffiò, ma mai si arrese fino a che, cominciai a tossire con forza.
Strinsi gli occhi con forza, mentre tossivo. Sesshoumaru veloce mi piegò di lato, dovevo buttar fuori l’acqua che avevo ingoiato.
Vomitai l’acqua, mentre cercavo con forza di respirare. Piagnucolai e tossii. Intanto sentivo la sua mano scivolare sulla mia schiena. Mi aiutava a togliere via l’acqua.
Pian, piano mi fece voltare verso di sé.
Aprii gli occhi lentamente. La luce mi ferì. Li richiusi velocemente, ma dopo li riaprii. Avvertivo che qualcuno mi teneva stretto a sé, in quel frangente non riuscivo a comprenderlo.
“Chi sei?”.
Pensai. Vedevo un’immagine offuscata, quando lentamente lo vidi.
I suoi occhi ambrati che mi fissavano. Intravidi un velo di preoccupazione in quelle pozze dorate. Ora che ci penso mi viene da sorridere… lui preoccupato per me.
“Se…Ses…shou…maru…”.
 Biascicai, con voce roca. La gola dannatamente mi bruciava.
“Che…che ci…fai qui?”.
Domandai, quando una fitta alla testa mi fece piagnucolare. Alzai la mano destra, che sentivo un po’ intorpidita, e la poggiai sul sopracciglio sinistro.
Storsi le labbra dal dolore. Mi faceva male. Un dolore acuto e bruciante.
Toccai la parte dolorante. Feci scivolare i polpastrelli sulla ferita, quando sentii qualcosa di umido e caldo.
Decisi di vedere cos’era. Portai la mano davanti al viso, quando inorridii nel vederla imbratta di sangue…del mio sangue.
Cominciai a tremare, mentre vedevo quel colore scarlatto sulla mia mano pallida. Non riuscivo a capire cosa mi fosse accaduto.
L’unica cosa che riuscivo a comprendere era solo quel liquido rosso sulla mia mano.
Allontanai Sesshoumaru da me. Volevo alzarmi e vedermi allo specchio, per comprendere cosa mi fosse capitato sulla fronte.
Cercai in tutti modi di alzarmi, ma non ci riuscii. Sentivo il mio corpo intorpidito. Non era più mio.
“Smettila di fare la stupida!”.
Mi ammonì. Io strinsi gli occhi, mentre sentivo quel liquido caldo scivolare sulla mia guancia sinistra.
“Kagome prendimi un asciugamano pulito, devo tamponare la ferita”.
Un ordine. Kagome corse verso l’armadietto, cercò di non scivolare, ancora il pavimento era bagnato.
Lo aprì e prese un piccolo asciugamano che porse a Sesshoumaru. Lui lo prese e lo poggiò sulla mia ferita.
Io piagnucolai e mi dimenai, come una bambina di sei anni, ma una sua occhiata severa mi fece desistere di fare i capricci.
D’un tratto mi prese in braccio, io restai impietrita. Lo guardai stranita. Perché mi aveva preso in braccio?
“Devo portarti al pronto soccorso”.
Uscimmo dal bagno facendo attenzione a non scivolare. Avevo bisogno di cure immediate.
Mi ordinò di tenere ben tamponato l’asciugamano sulla ferita. Bruciava. Mi sentivo male, avevo sonno.
“Non addormentarti!”.
Mi ordinò. Io annuii, anche se sentivo il mio corpo non obbedirmi, ma io desistetti. Rimasi sveglia, mentre scendevamo le scale. Ricordo che mi poggiai al suo petto, così caldo e rassicurante. Sentivo il battito del suo cuore.
Batteva forte e veloce. Che fosse davvero preoccupato per me? Suppongo di sì…dopotutto ero ferita e avevo rischiato la vita.
Già avevo rischiato di morire e di non vederlo mai più…non avrei mai più rivisto quegli occhi freddi, ma che riescono a farmi tentennare e mostrare il lato fragile di me…
Sì, Sesshoumaru è l’unico al mondo che riesce a rendermi umana…




Continua…






_____________________
Dopo mesi eccomi, so bene che ormai vi siete dimenticati di me…ho perfino cambiato il mio nick. Sono pazza e ne vado fiera XD.
Vi ho lasciato sulle spine e come vede Rin non è morta ^^.
Ringrazio di cuore le persone che mi hanno lasciato delle bellissime recensioni, ma anche chi segue e legge.
Grazie e spero di aggiornare presto, anzi prestissimo ^^.

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Capitolo 37
*** XXXVII ***



XXXVII









Era bianco.
Troppo bianco e luminoso il soffitto di quella stanza. Mi dava fastidio, come anche il vociare fuori dalla porta.
C’erano tutti. I miei amici/colleghi, mio fratello con la sua compagna Mina, e infine i miei genitori. Ricordo l’apprensione dipinta suoi loro volti, come anche le lamentele di mia madre.
Mi riprendeva sul fatto che, io abitassi da sola.
“Ecco il risultato della tua incoscienza!”.
Non risposi. La sua voce era martellante, ma veritiera.
Sospirai, mentre poggiavo la mano destra sulla medicazione che prudeva. Quattro punti di sutura sul sopracciglio sinistro che, mi lasciarono una bella cicatrice. Segno indelebile del mio inferno.
Mia madre continuava a riprendermi, mi voltai verso di lei e la guardai in viso. I suoi occhi erano pieni di lacrime, era davvero preoccupata per me.
Sospirai. Ero stanca, tanto stanca di quella situazione così assurda, dove la mia testardaggine mi aveva buttato.
“Rin, ora torni a casa con noi!”.
Esordì mia madre. Io non le risposi, ma dentro di me una vocina mi diceva di non cedere. Una vocina incosciente.
“No”.
Sospirai di nuovo. No, non volevo tornare a vivere a casa dei miei, mi sarei sentita una vera fallita.
“Cosa?! No, Rin tu ritorni a casa con me e tuo padre! Sei stata fortunata che ci fossero delle persone in casa, se no a quest’ora tu…”.
Insisteva con le lacrime agli occhi, intanto io la guardavo. No, non volevo cedere…anche se restare là era davvero pericoloso.
“No, mamma…ti prego non insistere…io ritornerò a casa mia e non si discute oltre…”.
Parlare mi dava fastidio. Sentivo la mia voce rimbombare nel cranio. Ogni parola veniva detta con uno sforzo immane, ma mia madre era inflessibile.
“No, Rin tu vieni a casa con me e basta! Lo vedi che sei ferita e non sei in grado di badare a te stessa…”.
Non potevo badare a me stessa! Quella frase mi dette fastidio. Assottigliai lo sguardo. No! Mai mi sarei arresa. Ero forse impazzita?
Mi morsi il labbro inferiore dal nervoso, mentre guardavo mia madre dritta negli occhi, così simili ai miei, quando…
“Rin verrà a casa mia, non si preoccupi signora”.
Sgrani gli occhi nel sentire quella frase. Voltai il capo in direzione di quella voce. Era la sua. Sesshoumaru mi voleva a casa sua, perché?
Lo guardai stranita, mentre lui si avvicina a me. Ricordo che mia madre cercò di sopraffarlo. No, non voleva che io andassi a casa sua, ma lui con il suo sguardo magnetico riuscì a dissuaderla. Anzi no, a terrorizzarla, questo è il termine esatto.
Si avvicinò a me, forse voleva aiutarmi a scendere dal lettino, ma io lo scansai via con la mano.
Ancora mi sentivo delusa verso di lui. Verso il suo modo di fare. Scesi dal letto. Mi sentivo intontita, infatti, traballai ma mi ressi lo stesso sulle mie gambe. Infilai le scarpe e m’incamminai.
Però una cosa non torna. Perché accettai di andar via con lui? Ancora oggi non riesco a comprenderlo…forse perché in quel momento volevo lui accanto a me e non mia madre. Già, perché lui sapeva bene cosa provassi in quell’istante.
Lui capiva il mio tormento e poi era l’unico che era a conoscenza di lei…della presenza. Già gli altri non sapevano nulla, mi avrebbero preso per pazza…ma lo ero, oppure no?
Uscimmo dall’ospedale. Ricordo le facce stupite dei miei amici, ma specialmente quella di Inu Yasha. Lui mi fissava con fare fraterno. Sapeva il mio dolore, ma non capiva il mio gesto… il perché avevo deciso di andare a casa sua. A casa di Sesshoumaru. Lo vidi muoversi verso di me, ma Kagome lo fermò.
Ricordo che gli disse qualcosa, ma non capii cosa. Forse gli diceva ch’era tutto a posto? Suppongo di sì.
Entrai nella sua macchina. Mi accomodai ben bene sul sedile, mi sentivo stanca. Poggiai il capo sul poggia testa, ma voltai il viso verso il finestrino. Evitavo di guardarlo in faccia. Mi vergognavo.
Sì, mi vergognavo per ciò che avevo fatto. Ero andata a vivere, temporaneamente, a casa sua. Avevo infranto il divieto di fidarmi di lui. Avevo calpestato il mio orgoglio di donna ferita. Che stupida!
Sospirai, mentre cercavo di comprendere il mio “stupido” gesto, perché dire folle mi sembrava esagerato, ma era stupido.
La macchina partì in direzione della casa di Sesshoumaru, che cosa sarebbe accaduto ora?
Durante il tragitto guardai fuori dal finestrino. Il mattino incombeva su una città ancora sonnolenta. Incontravamo i furgoncini dei distributori alimentari e dei quotidiani…sospirai, mentre gli osservavo. In quell’istante provai invidia verso i conducenti: loro non soffrivano come me. Loro non avevano nessun problema. Loro erano felici…che sciocchezza!
Infantile sciocchezza nel credere che non avessero problemi, non come il mio questo è certo, ma anche loro avevano dei grattacapi.
Mi trovai a sorridere amaramente, mentre pensavo a questo, quando.
“Che cosa è accaduto in bagno, Rin?”.
Un fulmine al ciel sereno. Sgranai gli occhi, mentre quella frase rimbombava nel mio caos. Poggiai la mano sulla benda. Sul segno indelebile di quell’incubo.
Mi morsi le labbra, intanto cercavo di ricordare…ma non ci riuscivo. Una nebbia mi avvolgeva.
Ricordavo lo scroscio dell’acqua. Il vapore…e infine il suo viso. I suoi occhi preoccupati.
“Non…non…ricordo…”.
Strinsi gli occhi. Non lo ricordavo. Intanto la testa mi faceva male.
“Sforzati! E’ stata lei a farti questo?”.
Quella domanda fu una frustata. Misi le mani sul capo, mentre tenevo gli occhi chiusi. Scossi il capo.
No, non ricordavo nulla…troppa confusione. Troppo dolore.
“Non…non…ricordo nulla…no, non ci riesco…”.
Perché mi torturava, sapendo il mio dolore? Perché lo faceva?
“Va bene…ora ti riposerai, ma più tardi devi dirmi tutto”.
Era curioso, oppure preoccupato per me?
Mugugnai un sì, mentre mi chiedeva questo. Chiedeva? Anzi mi ordinava, questo è il termine esatto.
D’un tratto la macchina si fermò. Io tolsi le mani dal capo e riaprii gli occhi.
“Siamo arrivati”.
Sentii il rumore della portiera che si apriva e si chiudeva. Alzai il capo e guardai davanti a me. Eravamo arrivati.
Rimasi qualche istante nell’abitacolo della macchina a fissare il panorama di fronte a me. La sua casa. Una villetta nella periferia della città.
Beh, era un tipo solitario e mi sembrava logico abitare fuori dal caos quotidiano della città.
Sospirai e mi decisi a scendere, intanto lui si era diretto verso il portone di casa. Scesi e lo seguii, anche se barcollavo.
La testa mi doleva e muovermi era una vera tortura. Sentivo anche il mio stomaco attorcigliarsi, può sembrare assurdo, ma quando ho il mal di testa anche il mio stomaco sta male…è una vera assurdità, ma il mio corpo è così.
Lo seguii, mentre lui apriva ed entrava dentro. D’un tratto mi fermai, voltai il capo in direzione di un’aiuola e restai a guardare una pianta. Un’ortensia.
Restai a guardare i fiori rosati e violacei bagnati dalla rugiada. Un ricordo riaffiorò. Un’antica favoletta che la mia bisnonna materna mi raccontava su questi fiori.
“Se una fanciulla in età da marito si accostava o coltivava uno di essi, mai si sarebbe sposata”.
Mi trovai a sorridere, mentre pensavo a lei e a questa “assurda” leggenda, quando sentii la sua voce mi invitava ad entrare.
Salii la piccola scalinata di marmo ed entrai dentro. In quell’istante mi sentii a disagio.
“Permesso”.
Dissi con un soffio di voce, mentre entravo. Mi sentivo una bimba di sei anni timida, che cercava riparo dietro le gambe del proprio genitore.
Era bella, ma anche ora lo è. Poggiai il piede sul tappeto morbido chiaro, con degli arabesque rossastri, che proteggeva il pavimento di granito lucido.
Camminai con cura, avevo il timore ti sporcarlo. Infatti, guardavo a terra. Mi fermai e rialzai il viso sentendo il rumore delle chiavi che, venivano poggiate su di una console di legno scuro. Sesshoumaru si voltò verso di me e mi fissò. Io trattenni il respiro, quel suo fissare magnetico mi faceva paura.
Si mosse verso di me, mi sorpassò e chiuse la porta dietro di me. Beh, io l’avevo lasciata aperta che stupida.
Ridacchiai nervosamente, mi sentivo imbarazzata. Lui mi passò di nuovo accanto e si diresse verso il salone, invece io rimasi lì. Sospirai, voltai il capo verso la mia destra e vidi il mio riflesso in uno specchio.
Sgranai gli occhi. Ero io la persona riflessa?
Mi avvicinai incredula. No, non potevo essere io quella donna riflessa. Posai la mano sul vetro freddo, ma poi la poggiai sul mio viso. Un bel cerotto bianco sul lato sinistro. Lo toccai e provai dolore. Strinsi gli occhi, ma poi li riaprii.
Feci scivolare i polpastrelli sul ruvido cerotto e scesi giù, li poggiai infine sulla parte rosata/violacea. Sospirai amaramente presto lì ci sarebbe stato un bel livido enorme.
Restai svariati secondi a commiserarmi, quando lui mi richiamò.
“Rin”.
Sospirai di nuovo, mi voltai verso di lui e mi diressi nel salone.
Era grande e luminoso. Mobili scuri e lucidi, ma freddi. Sentivo freddo in quella casa enorme. Troppo pulita e perfetta, non vi era un pizzico d’amore.
Né una fotografia, un vaso di fiori, ma solo qualche ninnolo costoso e quadri di autori famosi, o poco conosciuti.
Era una di quelle stanze che vedi nelle riviste di arredamento. Provai una voglia di fuggire e di andare a casa dai miei, ma ora il danno era fatto.
Non dissi nulla, mi limitai a fissare la fredda stanza, quando lui mi disse di seguirlo. Io lo feci come un cagnolino. Lo seguii apatica e stanca. Sì, ero stanca e mi reggevo appena sulla gambe.
Sesshoumaru aprì una porta di legno laccato bianco ed entrò. Io di nuovo lo seguii. Rimasi incantata sulla soglia, era una stanza da letto bella e anch’essa enorme.
Un letto matrimoniale di morbida pelle bianca, con un piumino nero con scritte nipponiche bianche. Dei comodini laccati nero lucido, posti ai lati del letto. Voltai il capo e vidi un bel comò del medesimo colore. Lucido e pulito, con sopra dei ninnoli scelti per bellezza, ma privi di sentimento. So di essere assurda in questa frase, ma è così. Quella stanza come il resto della casa, erano privi di vita…era una casa di bambole senza amore.
Sospirai, pensai alla mia camera da letto, piccola ma accogliente. Entrai dentro, ma lui era sparito, dov’era?
“Sesshou…ah, eccoti”.
Lo vidi uscire da una delle due porte di quella stanza enorme. Era nel vestibolo.
Si avvicinò a me e notai che tra le mani aveva qualcosa. E quel qualcosa me lo offrì.
“Metti questo”.
Io guardai stranita quell’offerta. Allungai le mani e l’afferrai.
“Ti andrà un po’ grande, ma non puoi restare con quella roba ancora umida addosso”.
Mi guardai e notai che la maglietta era ancora umida, come del resto anche i miei capelli.
“Già”.
Dissi con un sorriso tirato.
“Va a cambiarti”.
Mi ordinò, mentre usciva dalla stanza, io mi voltai e lo vidi uscire. Non dissi nulla, lo guardai uscire. In quell’istante provai una pena.
Quella stanza, come il resto della casa rappresentavano la solitudine. Sì, lui era solo.
Abbassai il viso e fissai la maglietta bianca che mi aveva offerto.
“Grazie”.
Sussurrai sorridendo. Alzai il viso e mi diressi verso l’altra porta, dove vi era il bagno. Entrai e mi guardai di nuovo allo specchio. Sospirai di nuovo amaramente per quella ferita, quando decisi di togliermi la mia roba umidiccia.
“Che situazione assurda”.
Mi dissi, mentre facevo scivolare a terra la maglietta, quando il mio sguardo cadde sulla sua vasca da bagno.
Un flash.
Acqua che scorre veloce.
Un viso.
Una fredda mano e infine il buio.
Sgranai gli occhi, mentre un brivido percorreva la mia schiena. Come un lampo mi rivestii e uscii dal bagno.
Chiusi la porta dietro di me, intanto sentivo il mio cuore battere forte.
Fortissimo. Sembrava che volesse uscire dalla mia bocca. Mi feci scivolare sul freddo legno della porta, mentre tremavo come una foglia.
Poco a poco dalle nebbie riaffioravano ogni immagini. Orribili immagini di morte.
Caddi a terra. Occhi sgranati che fissavano il vuoto. Non avvertivo neanche il freddo del pavimento sotto di me.
Le mie labbra tremavano. Kagura aveva tentato di uccidermi.
D’un tratto sentii qualcuno che mi scuoteva e mi chiamava.
“Rin”.
Chiusi gli occhi, cercavo di scacciare quelle immagini. Quell’incubo, ma non ci riuscivo.
Aprii di scatto gli occhi. Non vidi più quelle immagini, ma lui che mi guardava preoccupato.
“Rin”.
Mi chiamò di nuovo. Io lo guardai impaurita. Lo guardai come una bimba spaventata da un incubo notturno.
Ero fragile, molto fragile in quel momento.
“Che cos’è successo?”.
Mi domandò. Io lo fissavo, ma non riuscivo a dire nulla. Sentivo il mio corpo tremare e la mia testa scoppiare.
“Rin, che cos’è successo?”.
Cercava di capire che cosa mi fosse accaduto, ma io mi limitavo a tremare a guardarlo. Lui mi scosse di nuovo, io richiusi gli occhi e li riaprii.
Lo scansai con la mano destra. Ritornai in me.
“Allora?”.
Nel suo tono di voce vi era impazienza. Io lo guardai dritto negli occhi, con stanchezza, e gli dissi.
“Niente”.
“Niente? Come niente?”.
Mi alzai poggiandomi alla porta, mentre lui mi osservava senza capire il mio modo di fare.
“Sì, niente…sono ancora un po’ sotto shock per il colpo”.
Dissi cercando di sviare ogni ricordo doloroso. Però che strano, perché non dissi nulla? Perché rimasi zitta in quell’istante? Perché? Per quale strano motivo non mi confidai con lui per ciò che mi era capitato?
Perché questa mia assurda testardaggine?
Lui era fermo lì a fissarmi. Non disse nulla, rimase fermo lì a guardarmi, quando mi prese in braccio e mi portò a letto.
Io arrossii, cercai in tutti i modi di scendere, ma lui fu irremovibile. Mi guardò storto e mi disse.
“Devi riposare. Sei accaldata di sicuro hai la febbre”.
Sì, avevo la febbre. Mi posò sul letto e io mi misi sotto il piumino. Poggiai la testa sul cuscino cercando di scacciare quelle immagini, quell’inferno.
Mi coprii con il piumone, sentivo freddo. Un freddo provenire dall’anima. Chiusi gli occhi e mi assopii. Caddi in un profondo oblio senza luce. Lui uscì dalla stanza, mi lasciò riposare.
Ricordo il dolce profumo delle lenzuola. Il suo profumo.
Lentamente riaprì gli occhi, li sentivo pesanti e gonfi. Chissà per quanto tempo avevo dormito.
Voltai la testa e fissai per prima il soffitto, poi guardai in direzione della finestra. Aggrottai la fronte. Non ero nella mia camera. Dove ero?
“Dove sono?”.
Pensai subito, ma poi capii che mi trovavo a casa sua, di Sesshoumaru. Sospirai socchiudendo gli occhi, posai la mia mano sulla medicazione e ricordai l’incidente.
“Sono a casa sua”.
Mi dissi, quando sentii una voce che mi fece sobbalzare.
“Ciao, finalmente ti sei svegliata”.
Aprii gli occhi di colpo. Non ero sola. Voltai il capo in direzione di quella voce e vidi qualcuno che, al primo impatto, mi fece pensare a lei, Kagura. Istintivamente afferrai il piumone e cercai di nascondermi, ma lei mi rincuorò.
“Non temere non voglio farti del male”.
Mi tranquillizzai un pochino, ma restai sempre sul chi va là.
“Chi sei?”.
Domandai con voce roca.
“Izayoi”.




Continua…






_________________________
Perdono, ma sono stata davvero impegnata in questo periodo. Diciamo che i problemi si accavallavano uno dopo l’altro…che stress.
Comunque, nella mia pazzia è apparsa lei Izayoi, punto importante per il finale della storia. Ebbene sì, siamo ormai agli sgoccioli.
Mancano due capitoli e poi si chiude. La storia si conclude.
Un bacio a tutti e al prossimo capitolo ^^.

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Capitolo 38
*** XXXVIII ***



XXXVIII






“Chi sei?”.
Domandai con voce roca.
“Izayoi”.
Mi rispose con un dolce sorriso materno. Io abbassai il piumone, mentre lei si avvicinava.
Una bella donna dalla carnagione rosea. Rimasi incantata.
Aveva, e ha ancora oggi, dei lunghi capelli neri lisci legati in una coda morbida. I suoi grandi occhi neri erano caldi e materni…quella donna mi fece pensare a mia madre. Sorrisi debolmente.
“Izayoi”.
Ripetei, mentre l’osservavo, quando d’un tratto qualcosa mi fece pensare ad una persona. Infatti, aggrottai la fronte. Cercavo di capire a chi somigliasse o a chi mi ricordasse. Avvicinò una sua mano al mio viso.
Io mi scansai. Non mi fidavo del tutto di lei. Izayoi rise.
“Non ti preoccupare, voglio vedere se hai ancora la febbre”.
La lasciai fare. Poggiò la sua mano destra sulla mia fronte, sfiorò la benda.
“Mh, sei ancora un po’ calda”.
Sì, la febbre non era passata del tutto. Mi sentivo uno straccio.
Abbassai lo sguardo, ma poi lo rialzai. Cercavo di capire chi mi ricordasse e il perché lei fosse lì, a casa di Sesshoumaru.
Lei continuò a sfiorarmi la fronte, quando si soffermò sulla medicazione. Con delicatezza la tolse. La vidi aggrottare la fronte, quando disse.
“Mh…i punti tengono. Vedo che i miei colleghi non hanno fatto un lavoraccio”.
Io strinsi gli occhi e la scansai.
“Ma che fai?”.
Mi aveva fatto un po’ male, e poi quell’azione mi dette fastidio. La guardai storto, quando lei mi disse.
“Non ti preoccupare sono un medico”.
Sorrise. Già, era un medico l’avrei dovuto capire dalla frase di prima, ma quel suo gesto mi fece alterare.
Continuai a fulminarla con lo sguardo, mentre lei si allontanava da me e si dirigeva verso il comò. Prese qualcosa che vi era poggiata sopra.
“Sei un medico, allora? Il medico di Sesshoumaru?”.
Le domandai sibilando. Mi dava fastidio che il medico dell’uomo che amavo fosse una donna. Ero gelosa.
“Più o meno”.
Mi rispose, mentre ritornava da me. Poggiò sul comodino delle bende e dell’acqua ossigenata.
“Che significa più o meno? Che razza di risposta è!”.
Ero davvero infastidita da quella non risposta che mi lasciò piena di dubbi. Le risposi nervosa.
Lei ridacchiò e mi disse, mentre si avvicinava per disinfettarmi la ferita.
“Sono una persona che conosce molto bene Sesshoumaru”.
“Che conosce molto bene Sesshoumaru”. Rimasi impietrita di fronte a quell’affermazione. Conosceva bene Sesshoumaru, ma chi era questa donna?
Disinfettò la mia ferita, mentre io rimanevo ferma a guardarla cercando in tutti i modi di capire chi fosse.
Finì la medicazione, mi sorrise di nuovo.
“Vedo che la mia frase ti ha lasciato senza parole, giusto?”.
Annuii.
“Beh… io sono la seconda moglie del padre di Sesshoumaru, non ché madre di Inu Yasha, che tu ben conosci”.
Sgranai gli occhi. Era la matrigna (termine orrendo) di Sesshoumaru, e madre di Inu Yasha uno dei miei migliori amici. Mi trovai ad arrossire ripensando ai toni di prima…ero stata sgarbata con lei.
“Mi…mi scusi…”.
Dissi dandole del lei, mi sentivo davvero mortificata. Lei rise dicendomi, in modo materno, che non c’era nulla da scusarsi, anzi era normale la mia reazione. Le sorrisi, mi sentivo un po’ rincuorata, anche se ero stata davvero aggressiva verso di lei...ero davvero gelosa.
“Beh, sarà meglio che tu ora  mangi qualcosa…”.
Uscì dalla stanza lasciandomi sola. Guardai ben bene quell’enorme stanza. La sua stanza. Socchiusi gli occhi ed ispirai a pieno…sentivo il suo profumo. Dolce e protettivo.
Riaprii gli occhi, mi accomodai meglio nel letto e guardai in direzione della finestra. Le tende candide riflettevano la luce del sole. Rimasi per svariati minuti in quella posizione a pensare. A riflettere su quello che mi era accaduto e sul perché non mi confidassi con lui. Che cosa mi tratteneva? Già cosa…
D’un tratto sentii il rumore di passi mi voltai in direzione della porta e rividi Izayoi che teneva in mano un vassoio. Si avvicinò a me e me lo poggiò sulle gambe.
“Ti ho preparato qualcosa di leggero. Un po’ di brodo vegetale e petto di pollo arrostito”.
Non ho mai amato questo tipo di cibarie, ma dovevo mettere qualcosa nello stomaco. Sospirai e mi decisi a mangiare. Le medicine a stomaco vuoto non aiutano, anzi posso dimostrarsi deleterie.
“Scusatemi ancora per prima…”.
“Ti ho detto di non preoccuparti”.
Izayoi era seduta accanto a me e mi guardava.
“Lo so, ma sono fatta così…comunque, dov’è Sesshoumaru?”.
Già, dov’era? Era da quando mi ero addormentata che era sparito.
“E’ andato dai tuoi genitori a tranquillizzarli ch’è tutto sotto controllo, e che tu stai bene”.
Era dai miei? Abbassai lo sguardo e fissai il piatto vuoto, dove prima vi era il brodo. Mi trovai a pensare la faccia di mia madre nel sapermi a casa del mio capo. Di sicuro avrà gridato allo scandalo…purtroppo Sesshoumaru è sempre stato restio a dirmi com’è andata a casa dei miei.
Finii di mangiare, presi le medicine che Izayoi mi diede e mi rimisi a dormire. Mi sentivo ancora frastornata. La testa mi faceva ancora male, la febbre era ritornata…era meglio dormire.
Chiusi gli occhi e lentamente ricaddi tra le braccia di Morfeo, intanto Izayoi uscì dalla stanza lasciandomi riposare.
Non sappi mai per quanto tempo, ma sobbalzai. Un incubo mi svegliò…lei, Kagura, che seduta accanto a me che rideva. Rideva di me.
“Morirai da sola come me”.
Quella voce mi trafisse come una lama di un coltello nel petto. Mi svegliai madida di sudore. Il cuore batteva forte nel petto, la ferita palpitava e bruciava come non mai. Poggiai la mano sulla fronte umida, intanto mi ripetevo che era tutto un incubo e che tutto andava bene…ma non era così. Ero terrorizzata.
Mi alzai dal letto. Traballai, ma mi diressi fuori dalla stanza.
“Sesshoumaru dove sei?”.
Pensai, mentre camminavo traballando nel lungo e freddo corridoio, quando sentii la voce di Izayoi.
Mi diressi verso la sua voce, quando arrivai vicino la porta della cucina. Mi affacciai e vidi lei voltata di spalle che parlava con lui, Sesshoumaru che in quel frangente era poggiato alla finestra aperta e guardava fuori.
“Quella ragazza ha bisogno di aiuto”.
Esordì Izayoi, mentre  prendeva una tazza nella mensola. Sesshoumaru non rispose, si limitò ad annuire. Io aggrottai la fronte e rimasi ad ascoltare.
“Di un aiuto serio...”.
Riempì la tazza di tè e la porse a Sesshoumaru che la prese.
“Inu Yasha mi ha raccontato tutto…”.
Inu Yasha le aveva raccontato tutto? Che cosa le aveva raccontato? Che cosa?
“Mfh…fantasmi…che sciocchezze!”.
Sgranai gli occhi. Inu Yasha sapeva della presenza, ma come?
Izayoi ridacchiò, ma poi tornò seria.
“Sesshoumaru, so bene che è una bella ragazza e ti attira…ma ha dei seri problemi psicologici… sarà bene che si faccia vedere da qualche psicologo se non da qualche psichiatra…”.
Tremai. Quella donna mi riteneva pazza. Mi guardai attorno, mentre il mio corpo era in preda da fremiti.
Mi sentii persa…tradita…sola.
Veloce corsi via, senza farmi sentire. Dovevo fuggire da quella casa. Da quel covo di ipocriti che ridevano di me. Il cuore non batteva più. Ero morta.
Uscii da quel posto sporco di pregiudizi. Non ricordo come ritornai a casa, ho un enorme buco nella memoria, rammento solo le lacrime che scendevano veloci sul viso.
Erano bollenti. Bruciavano come le parole di Izayoi. Bruciavano come il nuovo tradimento di Sesshoumaru. Aveva parlato della presenza con Inu Yasha e avevano riso di me…mi ritenevano una pazza.
Arrivai di fronte il portone della mia prigione. Ero scalza e triste, quando una voce mi fece saltare.
“Rin che cosa ti è successo?”.
Mi voltai di scatto e vidi Elisa che mi guardava preoccupata. Era scesa a buttare la spazzatura e ora mi guardava.
Si avvicinò a me.
“Allora?!”.
“Elisa hai la copia delle chiavi di casa mia, per caso?”.
Le domandai con voce roca. Lei annuii. Sì, possedeva ancora la copia delle chiavi…le aveva da vent’anni chiuse in un cassetto in cucina. Me le diede continuando a chiedermi cosa mi fosse capitato, ma io non risposi.
Mi faceva male parlare. Presi le chiavi.
“Grazie, Elisa…domani te le restituirò…”.
“Non ti preoccupare, fa con comodo”.
“Ancora grazie”.
Salii di sopra e aprii la porta. Non m’importava più di nulla…non m’importava della presenza.
Entrai e chiusi dietro di me la porta. Tutto era rimasto come l’avevo lasciato la sera prima. Camminai verso il divano e mi lasciai cadere sopra. Presi il telecomando e accesi la tivù.
Restai a fissare lo schermo, mentre le parole di Izayoi rimbombavano nella mente. Socchiusi gli occhi, mentre nuove lacrime scendevano veloci.
Mi rannicchiai sul divano cercando un po’ di conforto, ma non ci riuscivo…mi sentivo sempre peggio. In quell’istante le parole dell’incubo si fecero sentire.
Morirai da sola come me.
Kagura aveva ragione, anch’io ero sola e presto mi sarei lasciata morire…e invece non accadde.
Piansi e non mi accorsi che qualcuno era entrato in casa mia. D’un tratto sentii due mani che mi toccavano.
Sobbalzai e gridai. Chi era?
“Rin”.
Era Sesshoumaru che mi aveva spaventato. Io cercai di scacciarlo, ma non ci riuscii. Lui mi guardava stranito, non capiva il mio modo di fare. Il mio folle gesto…quello di fuggire da casa sua.
“Rin  che cosa diavolo ci fai qui?”.
Io non risposi, mi limitai a guardarlo. Lui mi afferrò le spalle e mi urlò.
“Sei per caso impazzita?”.
Sgranai gli occhi nel sentire quella domanda. Ringhiai e con un calcio lo allontanai da me. Lui cadde a terra. Mi alzai e furente gli urlai.
“Sì, sono pazza. Sono pazza! Pazza!”.
Lo ripetei mille e mille volte. Intanto Sesshoumaru mi guardava senza comprendere il modo di fare. Si rialzò da terra, quando mi sferrò un poderoso schiaffo. Caddi sul divano, mentre poggiavo una mano sulla guancia dolorante. Voltai il viso verso di lui, lo fulminai con lo sguardo e sibilai.
“Vattene!”.
“No”.
Non voleva andarsene. Ringhiai. Lo odiavo.
“Rin…smettila di fare i capricci”.
Mi definiva una bimba capricciosa. Mi trovai a ridere. Una risata folle.
“Non sono capricciosa, ma pazza! Sia tu, che Inu Yasha e sua madre mi definite così, giusto?”.
Lo vidi scuotere il capo e mi rispose.
“Non sei pazza”.
“A no…e allora Izayoi che ti diceva? Che ho un bisogno urgente di uno strizzacervelli? Non dire di no perché io ho sentito tutto”.
Sesshoumaru rise amaramente.
“E cosa hai sentito?”.
“Che mi serve uno strizzacervelli”.
“E poi?”.
Io lo guardai senza comprenderlo, lui continuava a ridere…ma poi tornò serio.
“E poi?”.
“Beh…io sono fuggita…”.
“Lo sapevo…Rin, hai il dono di ascoltare i discorsi a metà…”.
Mi trovai a non capire a cosa si riferisse.
“Cosa?”.
Biascicai.
“Rin, tu sei sana di mente…ma se continui a comportarti così farai diventare matto me”.
Rimasi impietrita di fronte a quell’affermazione. Allora lui non mi riteneva folle. Sentii il mio corpo debole e mi accasciai sul divano. Lui si sedette accanto a me.
“Sesshoumaru scusami…io…io…”.
Cominciai a balbettare, quando lui mi azzittì abbracciandomi. Come quella volta in quello spiazzale, mi lasciò senza parole…mi lasciò spiazzata. Non lo capirò mai.
Non capirò mai questo uomo…




Continua…




___________________________
Ho il dono di fare le cose con calma e chiedo scusa. Il prossimo capitolo è davvero l’ultimo, voglio essere sincera questa è stata la storia che mi è ben riuscita. Mi è davvero piaciuto scriverla e chi lo sa forse farò un seguito, anche se ho già buttato giù qualche riga XD.
Buona Pasqua a tutti baci.

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Capitolo 39
*** Fine ***



..Fine…







Non capirò mai quest’uomo. Così enigmatico.
Mi strinsi a lui cercando conforto. Erano successe troppe cose, i miei nervi stavano cedendo e dopotutto l’idea di Izayoi non era brutta.
Sospirai, mentre le mie mani accarezzavano la schiena di Sesshoumaru.
“Come ti senti?”.
Mi domandò. Io gli risposi, senza staccarmi.
“Un po’ meglio”.
Sì, mi stavo riprendendo, anche se la testa doleva ancora.
“Che ne dici di dirmi cosa ti è successo?”.
Era una domanda calma e pacata, e non come le solite dette con un tono d’ordine. Imperiose.
Sospirai di nuovo cercando le giuste parole. Sì, era tempo di aprirmi. Era tempo di mettere le carte in tavola.
“Sesshoumaru”.
Sussurrai.
“Sì”.
“Io…ti chiedo scusa per tutto”.
Mi fermai ad ascoltare il dolce rumore del suo cuore. Calmo e rassicurante, come quell’abbraccio. Lui non rispose, si limitò a stringermi di più.
“Ti chiedo scusa per essermi tenuta tutto dentro, ma…”.
“Sei perdonata, ma anch’io ho le mie colpe…ti ho ferita”.
“Già”.
Sorrisi debolmente, mentre lo ascoltavo. Era la prima volta che lui si apriva con una persona. Era la prima volta che chiedeva scusa.
“Perdonato”.
Sussurrai, ma poi continuai.
“Sai, può sembrare assurdo, ma oggi ho capito il dolore di Kagura…anche se ha tentato di uccidermi l’altra sera nella vasca”.
Risi ironica, ma poi cominciai a piangere di nuovo. Un pianto liberatorio. Ricordare quella scena ancora oggi mi fa male. Lei nel fondo della vasca che mi guardava.
La sua fredda e pallida mano che mi afferrava.
Il dolore.
Il freddo oscuro che mi abbracciava.
“Stavo per morire…stavo per morire…non avrei più rivisto le persone che amavo…non ti avrei più rivisto…non avrei più rivisto il viso del uomo che amo”.
Dissi tra i singhiozzi. Sì, gli dissi che lo amavo. Che lo amo.
Mi staccò dal petto. Io tenevo ancora gli occhi bassi, ma d’un tratto due dita alzarono il mio mento. Era lui.
Un attimo, le sue calde e morbide labbra si unirono con le mie. Sentivo il sapore salato delle mie lacrime. Lacrime di disperazione.
Mi baciò. Sentivo il mio cuore tornare a vivere. Il dolore di prima spariva. Stavo rinascendo.
Ci staccammo, ma lui non mi disse nulla…si limitò a stringermi a lui e accarezzarmi il capo.
“Ti amo”.
Sussurrai. Lui mi baciò il capo, ma non parlò. Ma capii che ricambiava il mio sentimento.
Non mi aveva mai abbandonato, mi era sempre stato accanto, anche se si era dimostrato freddo e distaccato.
Restammo fermi in quella posizione per molto tempo. Mi sentivo come una bimba piccola che stava tra le braccia del padre.
“Io non ti ritengo pazza Rin. Non badare alle parole di Izayoi, lei si basa su qualcosa che non può vedere e sentire. Tu non sei pazza. Sei sana di mente…unico tuo difetto è la testardaggine”.
Mi trovai a ridere, mentre mi diceva il mio “più grande” difetto: la testardaggine.
“Grazie”.
Alzai il viso e lo baciai. Lo ringraziavo per avermi creduto. Per non essersi burlato di me, anche se inizialmente avevo creduto il contrario.
Lo guardai dritto negli occhi e gli raccontai tutto. Ogni episodio omesso. L’uomo del cimitero che mi provocò quella strana sensazione di smarrimento. L’incidente della vasca.
Le mie paure più intime. Lui mi ascoltò senza proferir parola, si limitò ad accarezzarmi la fronte.
Quel suo modo di fare mi aiutò. Ora non avevo più paura di quella casa.
Lui era con me e nessuno mi avrebbe ferito…ma presto mi sarei ricreduta.
Salimmo al piano di sopra. Io lo volevo. Lui mi voleva.
Entrammo nella mia camera da letto, illuminata dalla bagliore del lampione acceso in strada.
Mi adagiò sul letto, mentre mi accarezzava e baciava…io facevo lo stesso. Sentivo il suo profumo inebriarmi.  Tremavo ad ogni suo tocco. Ricordo il fruscio dei nostri vestiti che scivolavano a terra. I nostri respiri. Le nostre mani che si toccavano dolcemente.
I suoi capelli lisci tra le mie dita. Le sue labbra che disegnavano lingue di fuoco sulla mia pelle. Ancora oggi sento i brividi sulla pelle, mentre ripercorro con la mente a quei magici momenti.
I nostri corpi si unirono in un’ atavica danza d’amore. Un amore nascosto dalla nostra cocciutaggine.
“Ti amo”.
Sussurrai, mentre poggiavo il capo sul suo petto. Lui non rispose, si limitò a far scorrere le dita sulla mia spalla. Sospirai e socchiusi gli occhi, ero conscia che mai avrebbe detto quelle parole, ma sapevo che lui mi amava… e mi ama.
Mi assopii tra le sue braccia, felice e appagata… nessuno avrebbe rovinato quel momento. Nessuno. Ma non fu così.
Tutto accadde veloce, come in uno di quei film horror. Mi svegliai sentendo un lamento. In un primo momento pensai al mio cane, Shu, ma lui era a casa dai miei…ma in quell’istante credetti che lui fosse di sotto nel salotto.
“Che cosa avrà adesso?”
Pensai. Mi misi seduta, feci piano, non volevo svegliarlo. Volati il capo verso destra, lo vidi dormire calmo e tranquillo.
Sembrava un bimbo indifeso. Sorrisi, mentre lo guardavo.
Scesi dal letto con lentezza. Ricordo il freddo delle piastrelle di ceramica sotto i piedi. Afferrai la maglietta sulla sedia e l’infilai. Voltai il capo di nuovo verso di lui,  ancora disteso nel letto.
Lentamente mi diressi verso le scale. Sospirai, mentre pensavo al mio cane che piagnucolava di sotto, quando mi fermai di botto sul ciglio delle scale.
“Ma Shu è a casa dai miei!”.
Pensai allarmata. Allora cos’era quel lamento? Presto l’avrei scoperto.
Afferrai il corrimano della scala e restai ferma sul primo scalino ad ascoltare. Fissai il fondo della scala, era poco illuminato. Strinsi di più il corrimano, mentre cercavo di capire se il lamento di prima fosse solo frutto della mia immaginazione. Ma non era così. Sapevo bene che non lo era, ma infondo volevo credere che fosse solo frutto della mia mente. Un sogno.
Trattenni il respiro e restai in ascolto. Tutto taceva.
“E’ solo frutto della mia immaginazione”.
Mi dissi con un sorriso tirato. Volevo rassicurarmi. Sospirai e lentamente mi voltai, quando uno scricchiolio mi fece gelare il sangue nelle vene. Sgranai gli occhi e voltai il capo verso il fondo della scala.
Un’altro scricchiolio seguito da un lamento. Strinsi di più il corrimano, mentre fissavo il fondo di quel baratro.
Il cuore batteva veloce nel petto. Tremavo dalla paura, quando intravidi qualcosa. Un’ombra che lenta saliva le scale. Tremai ancora di più, mentre quell’ombra si muoveva verso di me.
Un altro lamento. Una mano pallida che scivolava sul muro della scala. Mi irrigidii ancora di più, quando sentii la sua voce.
Una lama nella mia anima.
“La tua vita mi appartiene! Tu morirai stupida sciocca donna!”.
Come al rallentatore. Come in un film del terrore, lei saliva la scala. Ricordo ancora quello scricchiolio…quel dannato scricchiolio che mi trafisse  la mente come mille spilli.
I capelli neri sul pallido viso. La mano che scorreva sulla parete. Graffiava. Le sue unghie graffiavano l’intonaco del muro. Un orribile rumore.
Le mie labbra tremavano, mentre quell’orrenda figura saliva e si avvicinava a me. Desiderava la mia vita.
Odiava la mia ritrovata felicità.
Volevo fuggire. Volevo gridare, ma ero come paralizzata. Il mio corpo non rispondeva a nessun impulso.
“Rin scappa! Rin grida il suo nome! Chiamalo o morirai!”.
No. Non riuscivo ad emettere nessun suono. Il mio sguardo era fisso su quella presenza che si avvicinava a me.
Alzò il viso coperto dai capelli corvini…due occhi rubino tristi e feroci mi guardavano. Labbra bluastre contorte in sorriso di scherno. Mano pallida che si dirigeva verso di me. Tremai ancora di più, mentre sentivo il mio viso rigato dalle lacrime…uniche che riuscivano a muoversi sul mio corpo di marmo.
D’un tratto la mia mano destra si staccò dal corrimano, scivolò sul mio fianco per poi lentamente dirigersi verso la sua fredda mano.
“Rin! Che cosa fai?Fermati! Fermati ora!”.
Mi urlavo nella mente, ma la mia mano era attratta dalla sua. Veloce mi afferrò il polso. Una stretta fredda che mi attanagliò l’anima.
Chiusi gli occhi, mentre sentivo il mio corpo privato della forza vitale.
“E’ finita…”.
Mi dissi, mentre lei mi trascinava nel baratro. Ricordo i miei capelli scivolare sul mio viso. La sua risata malefica, mentre mi trascinava con sé.
“Addio…”.
Era la fine, oppure no?
D’un tratto sentii qualcosa cingermi la vita, di scatto aprii gli occhi. Ero a pochi centimetri dal legno dei gradini della scala. Le ciocche dei miei capelli erano sparse sul legno lucido, ma ciò che mi lasciò basita e che non sentivo più la sua fredda stretta sul polso…ma sentivo altro.
Un braccio che mi stringeva. Lentamente voltai il capo e tra le ciocche sconnesse lo vidi…era Sesshoumaru che mi aveva salvato.
Con uno sforzo immane mi trascinò a sé. Ricordo che mi sentivo leggera…viva.
“Rin”.
Sussurrò, mentre mi stringeva a sé. Piansi, intanto ripensavo a lei, quando qualcosa mi fece tremare. Un rumore. Un urlo.
Le luci del mio appartamento si accendevano e spegnevano convulsamente. Le porte si aprivano e chiudevano di continuo. Mi strinsi di più a Sesshoumaru, mentre osservavo quell’orrendo spettacolo.
I ninnoli sui mobili caddero a terra, come anche i quadri nella rampa della scala.
“Andiamo via!”.
Urlai mente mi stringevo di più a lui. Ricordo che conficcai le mie unghie sulle sue braccia ferendolo.
“Non voglio più vivere qui! Ti supplico portami via da qui!”.
Gli dissi tra le lacrime, mentre il mondo attorno cadeva nei meandri infernali. Lui annuì mi prese in braccio e mi portò fuori.
Fuori da quel posto…da quell’inferno.
Quello fu l’ultima volta che vidi il mio appartamento, non tornai mai più lì.
Mi trasferii a casa di Sesshoumaru, dovevo riprendermi. Le mie poche cose mi furono spedite da una ditta di trasloco. Ricordo ancora il viso di Miroku, mentre gli riconsegnavo le chiavi.
“Sa signorina? Lei è stata l’unica a vivere così a lungo in quel duplex…mi dispiace che lo lascia…le auguro buona fortuna e a presto”.
Mi sorrise e rimise a posto nel cassetto, le chiavi. Quella scena mi liberò. Salutai e mi voltai, uscii dall’agenzia. Mi sentivo libera, anche se il mio stato d’animo era davvero provato da quell’esperienza sovrannaturale.
“Addio Kagura. Addio per sempre”.
Entrai in macchina, dove Sesshoumaru mi aspettava. Non disse nulla, ma sapeva quello che provavo.
“Torniamo a casa”.
Veloce mi condusse verso il mio nuovo futuro, dove non avrei più sofferto.

Piccola nota a tutti quelli che hanno seguito la mia storia: è assurdo, ma al mondo esistono forze che la scienza non può mai capire e comprendere. Antichi rancori. Presenze benevole, ma anche malevole che vivono accanto a noi. Alcune volte noi le percepiamo, altre no…ma sappiate che loro esistono.
Un bacio dalla vostra Rin Riversi.




Fine





_____________________
Bene la storia è finita. Vi ho fatto attendere molto e chiedo scusa, ma il lavoro e problemi di salute mi ha tenuto lontana dal pc. Comunque, la storia si basa su fatti reali, un po’ favoleggiati da me.
I caratteri dei personaggi si basano su persone reali, che io incontro ogni dì al lavoro. Infatti, adoro studiare le caratteristiche di chi mi circonda…come il personaggio Elisa, esiste realmente, ma è molto più giovane di quella da me creata XD. Mi ammazza se sa che l’ho resa un po’ vecchiotta. Rin è simile al mio carattere, sempre un po’ scontroso e diffidente. Sesshoumaru è un insieme di persone che conosco, è stato difficile non farlo cadere nell’OOC, anche se in questi ultimi capitoli un po’ lo era (cavoletti amarognoli). Pazienza.
Beh, non mi piace dilungarmi troppo, posso solo dirvi che ho davvero adorato scrivere questa fanfiction…chissà forse un giorno posterò un seguito.
Un bacio e alla prossima ^^.

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