Another Life

di NeverAloneF
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** brotherhood ***
Capitolo 3: *** di conigli e tinte per capelli ***
Capitolo 4: *** Potions ***
Capitolo 5: *** it's kind of a sad story ***
Capitolo 6: *** being hungry ***
Capitolo 7: *** the Circle ***
Capitolo 8: *** sick of life ***
Capitolo 9: *** lightwood ***
Capitolo 10: *** fight ***
Capitolo 11: *** brothers and boyfriends ***
Capitolo 12: *** Note Dell'Autrice (Ancora Viva E Terribilmente Dispiaciuta) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Another Life
Amavo Valentine con tutto il mio cuore. 
Dopo la nascita di Jonathan, un bambino forte e sano, bello come lo avevo sempre immaginato, mi ero sentita la persona più felice del mondo. Ero consapevole che la maggior parte delle madri si sentiva in quel modo, ma credevo comunque che nessuno avesse mai provato tante emozioni positive in un solo momento. C'era qualcosa in lui che mi preoccupava non poco, ma ero sicura che con un po' di amore il bamino sarebbe cresciuto e diventato un ragazzo magnifico. 
Se mi ero considerata felice allora, dovetti presto ricredermi quando dovetti comunicare a Valentine una novità: ero di nuovo incinta. 
Speravo con tutta me stessa che fosse una femmina, come avevo fatto la prima volta, e quando le mie speranze furono confermate, decisi che la avrei chiamata Clarissa. Era un nome che mi aveva sempre affascinata, e avrei fatto in modo che quello diventasse il suo nome. Ero consapevole del fatto che Valentine non lo apprezzasse, troppo mondano, lo aveva definito, ma questa volta non la avrebbe avuta vinta.

Ero seduta sul divano sorridente, e Jonathan giocava tranquillo sul tappeto del salotto. Aveva un sorriso tranquillo, niente che potesse nemmeno avvicinarsi ai ghigni malvagi che mi aveva riservato i primi pesi della sua vita. I suoi occhi mi inquietavano ancora parecchio, ma almeno il resto del suo viso sembrava più amichevole, umano. Mi accarezzavo il ventre, pensando ancora una vola a quanto mi sentissi felice e spensierata, ma soprattutto a quanto lo fosse mio marito. Non credevo di averlo mai visto tanto entusiasta per qualcosa. Alla nascita di Jonathan mi era sembrato angosciato, era sempre nervoso, quasi... dispiaciuto, ma con Clary - perché avevo già cantato vittoria - parerva essere felice quanto me.

In quell'esatto momento Valentine era entrato nel salotto con una tazza in mano. Mi aveva sorriso. Pareva sereno, anche se negli ultimi giorni era stato abbastanza nervoso. Avevo appoggiato la testa sulla sua spalla e insieme avevamo guardato Jonathan giocare senza dire nulla, non ce ne era bisogno. Eravamo una famiglia, una famiglia completa e felice. Avevamo un figlio che occupava il nostro tempo, ma era allo stesso tempo più tranquillo e calmo della norma. Valentine era finalmente felice. I fantasmi del passato che lo circondavano e gettavano ombra e dolore sulla sua vita erano spariti, volatilizzati.
E aspettavo una figlia, avevo pensato posando entrambi le mani sul ventre sorridendo serena.

- Ti amo -  avevo sussurrando. Ed era la verità. Non ero mai stata più sicura di qualcosa in vita mia. 

- Anche io Jocelyn - avevo sospirato - anche io -.

Cinque Anni Dopo

- Jonathan - lo rimbrottai - smettila di strappare i capelli a tua sorella -.

Lo guardai allontanarsi con un ghigno e mi avvicinai a Clary. Alla fine avevo vinto io con la scelta del nome, se fosse stato per Valentine avrebbe chiamato Jonathan anche lei. 
Guardare i suoi occhietti verdi e i capelli rosso fuoco mi faceva impressione. Mi sembrava di vedere me stessa da bambina. In effetti tornare indietro di una ventina di anni e abbandonare tutte le preoccupazioni mi avrebbe fatto molto comodo in quel periodo così difficile. La presi in braccio e spostai il peso da un piede all'altro, nella speranza che si calmasse. Ero felice di dover prendere cura dilei. La cosa mi distraeva, ma non mi impediva comunque di pensare agli avvenimenti degli ultimi mesi. 

Lucian era diventato un lupo mannaro e si era suicidato, almeno così mi aveva detto Valentine. Stephen era morto e Celine aveva provato ad uccidersi, ma ero riuscita a fermarla in tempo. Ora viveva con sua suocera e il bambino. Avrebbe tanto voluto chiamarlo William, ma a Valentine piaceva Jonathan, e lei non si era sentita di chiamarlo in modo differente. Aveva molti debiti con Valentine, sia pecuniari che in altri termini, e avrebbe fatto di tutto per renderlo felice. Avevo tentato di dissuaderla, ma nulla era servito, sembrava essere soggiogata all'uomo, e odiavo la cosa. Odiavo quanto potere mio marito avesse aquisito, e odiavo l'uso che ne stava facendo. 

Per non parlare del fatto che quello era un momento molto difficile per la famiglia Morgenstern. C'erano stati molti problemi con il conclave, ma ancora non sapevo perché. Non uscivo spesso. Valentine mi aveva convinta che era pericoloso e che avrei dovuto prendermi più cura dei bambini mentre lui lavorava. Anche il suo lavoro rimaneva un mistero per me. 

Negli ultimi tempi Jonathan stava dimostrando comportamenti violenti, e Valentine a volte perdeva la pazienza e lo portava nei sotterranei per sgridarlo. Il mio bambino doveva proprio odiare ripreso, perché da sotto arrivavano sempre delle urla che quasi potevano sembrare di dolore, ma Valentine non era un tipo violento, non avrebbe mai picchiato nessuno. Avevo spesso temuto che non fosse l'uomo che credevo essere, ma lui mi aveva fatto ricredere ogni volta. Non temevo per l'incolumità di Jonathan, era un ragazzo intelligente, e se mai Valentine avesse fatto ciò che per qualche tempo avevo temuto facesse, lo avrebbe detto a me e non lo avrebbe tenuto segreto. Ero sua madre dopotutto.

Se Jonathan era un diavoletto, Clary era un angelo. Non avrebbe mai fatto male ad una mosca e adorava tutti. Aveva perdonato a suo fratello tutti gli scherzi che le aveva fatto. Anche quando la aveva immersa nella vasca da bagno e lei aveva rischiato di annegare. Anche se sapevo che non avrebbe mai permesso che accadesse, mi ero spaventata non poco. Jonathan adorava sua sorella, erano inseparabili, anche se lui aveva un modo particolare per dimostrarlo. Jonathan non era solito dimostrare affetto per le persone, bisognava conoscerlo per sapere chi lui considerasse amico e chi no, e nonostante torturasse Clary in contrinuazione, era la persona a cui era più vicino, anche troppo vicino in effetti.

Inoltre Clary piangeva per ogni cosa. Era così contro la violenza che quasi sembrava… non umana.

L'avevo presa in braccio e cullata per qualche minuto, mentre Jonathan si allenava in armeria. Aveva solo sei anni, ma riusciva a fare cose che ragazzi di 16 non si sarebbero neanche immaginati di provare. Avevo spesso tentato di evitare che si dilettasse in attività tanto pericolose, ma Valentine mi aveva convinta di essere troppo protettiva verso il bambino. 

Mentre camminavo verso l'armeria sentiii un colpo alla porta e sussultai. Valentine mi superò da dietro e mi lanciò un occhiata veloce. Per la prima volta in tanti anni vidi sul suo viso un espressione…spaventata. Terrorizzata sarebbe stato un aggettivo migliore. Non servirono parole, capii da sola che erano venuti per noi. Capii subito che la fine era arrivata. Un altro colpo aveva colmato il silenzio nella stanza. 

Jonathan si precipitò nella stanza e incrociai il suo sguardo. Capii in quel momento che avrei fatto di tutto per proteggere i miei bambini. 

- Valentine - avevo sussurrato, guardando negli occhi il diretto interessato - dobbiamo nasconderli -. Lui annuii senza dire nulla.

La runa di sicurezza che mio marito incideva ogni giorno sulla porta non avrebbe retto a lungo. Presi per mano Jonathan, corsi in saotto per prendere Clary e corremmo verso la libreria. Avevo scoperto dei sotterranei qualche anno prima, ma non ci ero mai entrata. Avevo avuto troppa fiducia in mio marito e non avevo mai pensato che qualcosa di terribile avrebbe potuto succedere là sotto. Mi ero sbagliata. Aveva spostato un libro tra i tanti volumi e la libreria era scivolata di lato, lasciando il mosto ad una scala di pietra che portava ad una stanza ampia e fredda. La vista di quello che c'era all'interno mi fece rivoltare lo stomaco. Corpi mutilati e insanguinati giacevano su una fila di lettini al lato destro della stanza. In un angolino alla sinistra c'era un corpo magro rannicchiato contro la parete. Mi coprii la bocca con entrambe le mani, ma non servii e vomiti sul pavimento. Una mano mi si posò sulla spalla e mi scostai con forza. Quello che per anni avevo creduto essere un uomo dolce e amorevole, il cui unico difetto anche solo lontanamente preoccupante fosse avere qualche problema a trattenere la rabbia, si era dimostrato essere un mostro. Non riuscivo a pensare a lui senza avere un altro conato di vomito, senza pensare di essere stata una stupida incosciente. Serrai gli occhi forte e irrigidii tutti muscoli nel mio corpo, per poi rilassarli e guardare mio marito senza lasciare trasparire nessuna emozione. Non avevo tempo di pensare alle sue bugie in quel momento. Dovevo salvare i bambini.

- Jonathan - dissi inginocchiandomi vicino al bambino e prendendolo per le spalle, lasciando trapelare una finta sicurezza dalla mia voce - mi devi fare una promessa -.

Lui annuii energicamente, eccitato in modo spaventoso per l'imminente battaglia. 

- Mi devi promettere che rimarrai qui con Clary e la proteggerai sempre. Qualsiasi cosa succeda -. Lui annuii di nuovo.

Gli lasciai un bacio sulla guancia e lascia Clary ai suoi piedi, riservandole lo stesso trattamento. mi girai verso Valentine. Stavo per alzarmi quando lo sentii: sentii Jonathan parlare per la prima volta.
- Vi vendicherò - sussurò il bambino con voce roca e tagliente. Faceva paura e io riuscii a malapena a trattenermi dal rabbrividire - adesso non posso, sono troppi, ma un giorno, ve lo prometto, li ucciderò tutti, uno per uno -.

Rimasi scioccata da quel discorso. avevo sempre creduto che sotto a quell'aria spaventosa Jonathan fosse solo un bambino bisognoso d'affetto, ma probabilmente Valentine gli aveva fatto qualcosa e io ero sempre stata coì stupida da pensare di poterlo riparare.
Ero sempre stata così cieca.

Mi chinai per arrivare alla sua altezza. 

- No Jonathan. Devi promettermi che non farai mai male a nessuno. Promettimelo -.

Lui scosse la testa.

- Non posso -.

Una lacrima mi scivolò sul viso. Stavo per dire qualcosa quando un colpo più forte degli altri arrivò da sopra e Clary cominciò a piangere di nuovo. 

- Dobbiamo andare adesso - disse Valentine.

MI limitai ad annuire.

- Vi voglio bene - sussurrai. - Prenditi cura di lei tesoro, mi raccomando. Non fatevi scoprire dal conclave, nascondetevi, cambiate nascondiglio almeno una volta ogni quattro mesi. Jonathan diventerai un ragazzo stupendo. E Clary, sei una bambina speciale ricorda. In caso di emergenza… chiedete a Celine - diedi un'ultima occhiata ai miei bambini e presi la mano di Valentine. Nonostante tutto quello che aveva fatto, ero ancora innamorata di lui. Corremmo di sopra e lui rimise il libro nella sua posizione originale.

- come faranno ad uscire? - domandai allarmata.

- Jonathan sa come fare - mi rassicurò.

certo che Jonathan sapeva come fare, chissà quanto tempo aveva passato lì dentro. 

Andammo in salotto, esattamente davanti alla porta protetta dalle numerose rune disegnate da Valentine.
Ci guardammo negli occhi per l'ultima volta e lui mi porse la mano. La guardai indecisa sul da farsi. Volevo davvero morire odiando il padre dei miei figli, l'uomo della mia vita? Decisi che non ne valeva la pena. Afferrai la sua mano e la strinsi forte. 
- Ti amo - sussurrò. 

- Anche io - risposi. 

Un' esplosione, poi buio.

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Capitolo 2
*** brotherhood ***


La grotta in cui dormivamo da quasi più di due mesi era umida e scomoda. Le pareti di roccia fredda e bagnata gocciolavano regolarmente creando una catena di suoni infinita che mi stava facendo impazzire e che mi impediva di dormire. Ci eravamo nascosti in posti peggiori, ma non potevo comunque dire di stare bene. Da due giorni mangiavo a malapena e la poca acqua che avevo bevuto in tutto quel tempo proveniva dal soffitto sporco di terra che gocciolava ogni tre secondi. 
Non vedevo Jonathan da quando eravamo arrivati tre giorni prima e se non fosse stato la mia unica fonte di cibo, non sarei neanche stata troppo ansiosa di vederlo tornare. Mi diedi subito della stupida e affondai le unghie sporche terra nella pelle del polso come mi aveva insegnato mio fratello. Non devi lamentarti, mi ripetei, ma senza nulla da fare non potevo fare altro che quello, e in meno di un minuto dovetti di nuovo tornare a torturarmi la pelle. 
Quando qualcosa di umido, caldo e leggermente denso mi bagnò le dita soffocai un gemito di dolore e mi chiesi per l'ennesima volta perché dovessi subire una tale tortura. Che senso aveva? 
Avevo spesso pensato di scappare, ma non avevo dove andare. Sapevo che se il conclave avesse scoperto la mia identità, avrei passato il resto dei miei giorni in una cella della città di ossa solo per essere stata imparentata con mio padre. Jonathan me lo aveva ripetuto tante volte. E lì entrava spesso in gioco un'altra domanda: chi era mio padre? Cosa aveva fatto per essere così tanto odiato da tutti? Una volta lo avevo chiesto a Jonathan, ma lui si era arrabbiato con me per aver parlato senza il suo permesso. Rabbrividii a pensare allo schiaffo che aveva seguito ciò che aveva detto. O forse avevo rabbrividito per il freddo?

In quel momento avrei tanto desiderato avere una coperta, ma avremmo potuto spostarci da un momento e non avrei avuto dove metterla. 
E poi Jonathan era stato chiaro "devi imparare a resistere a tutto" aveva detto.  E così ero stata abituata per anni. Resistere a tutto. Alla violenza di Jonathan, alla solitudine, alla fame, al freddo. 

Freddo.


A volte mi chiedevo come sarebbe stata la mia vita se i miei genitori non fossero morti. Sicuramente meglio, o no? 
Se mio padre era così odiato da tutti non poteva essere un uomo così malvagio. Affondai di nuovo le unghie nella carne e mi diedi nuovamente della stupida. Certo che lo odiavano, areno tutti malvagi. Mostri.

Sapevo di avere dei nonni da qualche parte, ma Jonathan non aveva intenzione di affidarsi a loro e io non potevo controbattere. Non mi sarei mai permessa. 

Mi chiedevo perché mio fratello avesse deciso di venire a nasconderci ad Idris. Mi era sembrata un idea così stupida quando me lo aveva comunicato che stupidamente prima di collegare il cervello alla bocca avevo aperto la bocca per protestare e mi ero beccata un ceffone e tanta perdita di sangue dal naso. Me lo ero meritata in realtà, come avevo potuto essere così impertinente.
Non ci avevo quasi nemmeno fatto caso, oramai ero abituata. Mi aveva urlato che non avrei mai più dovuto contestare una sua idea e che fino alla sua morte avremmo fatto quello che diceva lui. Io mi ero limitata ad annuire come per dire che non sarebbe successo più. Lui mi aveva carezzato una guancia e sorriso, ed io ero rimasta ferma, tutti i muscoli del corpo tesi come corde di violino. 

Mi chiesi se un bambino fosse mai morto per la violenza che veniva riservata loro. Insomma, dal momento che a tutti i componenti di rango inferiore nella famiglia viene riservata una buona dose di violenza dal capo famiglia per insegnare loro come comportarsi - cosa che avevo sempre disapprovato, ma hey, è così che va il mondo - mi sembrava molto probabile che ci fosse stata più di una vittima a tutto ciò.

A volte mi sentivo terribilmente patetica. Piangevo spesso la notte perché mi sentivo sola o perché avevo freddo. Quando ero piccola mi ammalavo spesso ed ero un peso morto per Jonathan, ma lui non mi aveva mai lasciata indietro, e per questo le sarei sempre stata debitrice. 

Un rumore di passi rimbombò nella grotta, ed afferrai il pugnale che avevo di fianco. Avevo imparato a non essere mai troppo prudente. Il rumore si stava intensificando, e io mi alzai, senza badare al fatto che il dito mignolo della mano con cui tenevo l'arma aveva già ripreso a sanguinare grazie al fatto che premeva con forza contro la lama. Il mio cuore prese a battere freneticamente, ma riuscì a non farmi prendere dal panico. 

Fa che sia un animale, per favore, fa che sia un animale, fa che sia.. 

- Clary -

Fu la voce di Jonathan a sovrastare il battito del mio cuore che mi rimbombava nelle orecchie e sembrava volermi esplodere nel petto. 

- Ciao - risposi, tentando di mantenere la mia voce ferma. 


Lui ghignò e si buttò di peso per terra. Aveva una borsa in spalla che non aveva prima di uscire tre giorni prima. Si accorse che la fissavo perché se la sfilò dalle spalle e mi guardò con un sopracciglio alzato, ma senza ancora dire niente. 

La aprì e ne tirò fuori del pane. Me ne tirò un pagnotta e ne morse un'altra.

- grazie - dissi, la voce leggermente meno ferma di prima a causa della felicità nel poter finalmente mangiare qualcosa che non fosse erba o corteccia. Il pane emanava un profumo inebriante, ma non me ne curai. Le diedi un morso e fu come se per un momento tutto il resto scomparisse. Mi era già capitato diverse volte di arrivare all'orlo dello star male per la troppa fame, quindi decisi di rallentare e mangiare più lentamente, ma nonostante ciò, la finii dopo meno di un minuto. Avevo ancora fame, ma non glie ne avrei mai chiesta un' altra. Quando ebbe finito anche lui mi si avvicinò e mi cinse la vita. Io mi irrigidii, ma tentai di far notare il mio nervosismi il meno possibile. 

- mi sei mancata- sussurrò. 

Accennai un sorriso tirato e finto, senza parlare perché non mi era ancora stato dato il permesso di farlo, dal momento che ciò che aveva detto non era una domanda. 

Prese ad accarezzarmi la schiena ed io deglutii. 

- cosa hai fatto oggi? - mi sussurrò con voce roca all'orecchio. 

- ho studiato strategie - mentii - e tu? - domandai forse rischiando troppo. 

Lui si staccò da me e un po' di paura si dissolse, anche se adesso il freddo era tornato e ora arrivava in profondità fino alle ossa. 

- Niente che tu debba sapere - rispose scorbutico. - Adesso mettiti a dormire, perché domani ti allenerai tutto il giorno -

Annuii.  Avevo imparato che se avessi dimostrato anche un minimo di dispiacere, uno schiaffo avrebbe seguito il mio gesto. 
mi sdraia sul pavimento gelido e chiusi gli occhi. Tentavo di tremare il meno possibile, rilassando i muscoli per limitare il movimento, ma il tutto era inutile. Pensai al sole, il sole bollente d'estate, quel sole che ti fa desiderare di poter fare un bagno gelido, ma più ci pensavo, più volevo allontanarmi di lì e andarmene.Andare dove Clarissa? Non essere stupida.

- Combatti il freddo Clarissa - la voce arrabbiata di Jonathan mi arrivò alle orecchie, e il mio corpo si tese ancora di più. serrai gli occhi, sperando che quello potesse aiutarmi a controllare il tremore, anche se sapevo che era solo un riflesso incondizionato che mi preparava ad una violenza imminente. 
Lo sentì sbuffare irritato e il rumore di qualcosa strofinato contro la pietra. spalancai gli occhi e sentii che si era alzato e che si stava avvicinando. 
Lo vidi chinarsi su di me. 

- Alzati - mi ringhiò nell'orecchio.

Io obbedì.

- Visto che non hai intenzione di combattere contro il freddo -  sibilò - adesso correrai per tutta la notte. Farai tutto il perimetro della foresta di Brocedlin, e se qualcuno ti vede - mi afferrò un ricciolo sporco e lo tirò con forza - giuro che quella sarà la volta che mi liberò di te - concluse.

Deglutì rumorosamente. Non aveva mai minacciato di uccidermi, quel giorno doveva essere successo qualcosa che lo aveva fatto arrabbiare. E non poco, constatai

- Hai capito? - urlò. 

- Si - sussurrai. La sua mano colpì la mia guancia con una forza disumana e un gemito mi sfuggì dalle labbra. 

- Non ho sentito - ringhiò. 

- si - dissi più forte.

- Bene - disse più calmo.

Mi indicò l'entrata della grotta.

- prego -.


Iniziai a correre sotto la pioggia con il suo sguardo puntato sulle spalle.
Se mi fossi fermata, lo avrebbe saputo.
Se qualcuno mi avesse vista, lo avrebbe saputo.
Se mi fossi fatta male, lo avrebbe saputo, anche se ero piuttosto sicura che l'ultima non gli sarebbe importata più di tanto.

Dopo poco meno di un minuto, i miei capelli erano fradici e stavo tremando di nuovo. I piedi affondavano nel fango e avevo come l'impressione che qualcuno mi stesse seguendo. Inciampai, e ci misi qualche secondo per rialzarmi. Le braccia e i vestiti che non cambiavo da giorni, forse settimane, erano pieni di fango, esattamente come lo erano i capelli. Cominciai a singhiozzare dopo la terza volta che fui inciampata. Riuscii a malapena a rialzarmi e ricominciai a correre, sentendo che le gambe faticavano a sostenermi. 

Mezz'ora dopo inciampai di nuovo. tentai di rialzarmi, ma non ci riuscii. 
Sentii che i miei occhi si stavano chiudendo, e l'ultima cosa che sentii prima di svenire fu un forte dolore all'attaccatura dei capelli e un'imprecazione sussurrata contro di me. 




Mi risvegliai tutta dolorante. 
Riuscivo a stento a muovermi, e immaginai che le gambe e le braccia fossero coperte di graffi. La luce del sole mi impediva di tenere gli occhi completamente aperti. Avevo voglia di richiuderli, ma sapevo che avrei dovuto alzarmi. Ne aprii lentamente uno e poi l'altro. Mi portai una mano ai capelli, e li ritrovai straordinariamente puliti, così come i miei vestiti ed il resto del corpo. Strano. 

Il mio stomaco gorgogliò e lo maledissi in silenzio. 

- Ti sei svegliata finalmente -

La voce di Jonathan ruppe il silenzio creatosi nella grotta.

- Alzati - ordinò.

Io obbedì, trattenendo un gemito di dolore per le mie ossa doloranti e mettendoci più del dovuto a trovare una posizione anche solo simile allo stare in piedi. Lo lo guardai osservarmi disgustato. 

- Mi hai deluso - sputò - come ti sei permessa di addormentarti come se non fossi stata nel luogo più pericoloso del mondo per te? -

Abbassai lo sguardo, ero una delusione. 

- Guardami Clarissa - sibilò.

Alzai lo sguardo e lo puntai nei suoi occhi neri come la pece.

- Per questa vota sei perdonata, ma se dovesse succedere un'altra volta…- lasciò apposta la frase in sospeso.

Poi si chinò e tirò fuori dalla borsa un'altra pagnotta.

- Non te la meriteresti ma…-

Detto questo me la lanciò. 
La addentai subito. Era un po' dura e bagnaticcia per la pioggia, ma era comunque una delle cose più buone che avessi mai assaggiato in vita mia. Quando l'ebbi finita tornai a guardarlo. Lui sogghignò. 

- Bene -  disse - è arrivato il momento di addestrati -

Annuii, anche se dentro di me avrei voluto scoppiare a piangere solo al pensiero di ciò che mi aspettava. come aveva fatto il mondo a ridursi in quel modo? I più forti maltrattano i deboli. Lo trovavo ridicolo e mi chiedevo perché nessuno si fosse mai ribellato, ma Jonathan mi aveva detto che a tutti nel resto del mondo andava bene, e quindi sarebbe andato bene anche a me. Non che se non mi fosse andato bene mi sarei lamentata certo.

Mi condusse in uno spazio libero dagli alberi nella foresta e ci si fermò.
Sfilò una spada angelica dalla cintura delle armi e me la lanciò. La afferrai al volo e la osservai senza parlare. Ne sfilò un altra e ne sussurrò il nome. Poi il suo sguardo si posò su di me e alzò un sopracciglio.

- Clarissa - disse infastidito.

Guardai la spada dubbiosa e deglutii. Non mi piaceva combattere, non mi piaceva la violenza in generale. 

- Clarissa - sibilò arrabbiato - Usa. Quella. Spada.-

Feci ciò che mi aveva detto, perché ero troppo debole per subirmi un'altra sua sfuriata. Sussurrai il suo nome e quella si mostrò per tutta la sua lunghezza. 
Senza aspettare si fiondò su di me tentando un affondo. Io mi spostai di lato, e schivai la sua lama. Mi girai verso di lui infuriata, aveva veramente osato colpire prima di avvertire? 
Con un gesto svelto alzai la spada e mirai alla sua spalla, ma lui era veloce e fece cozzare le nostre lame. Con un ghigno alzò la sua spada con tanta forza che la mia, ancora appoggiata alla sua, per poco non volò via. Approfittò del mio momento di distrazione per mirare esattamente dove avevo fatto io e lasciarmi un profondo taglio sul braccio. Il dolore mi accecò e per qualche secondo non vidi più niente. Venni assalita da un conato di vomito e mi liberai sull'erba rinsecchita. 
Jonathan si esibì in una risata fredda.
La rabbia attutì il dolore, e mentre era distratto e non si aspettava una mia mossa, mi mossi e lo ferii al fianco. 
Smise di ridere di colpo e mi guardò infuriato. Non emise neanche un gemito di dolore, e la cosa fece perdere un battito al mio cuore per l'ansia di una sua punizione imminente. Non avevo paura però. 

- Brutta…- non lo lasciai finire e lo colpì di nuovo, ma questa volta intercettò la mia spada e la bloccò con la sua.
Liberò la spada e tentò un affondo verso il braccio sinistro, ma lo intercettai e gli ferii la mano. Poi col piatto della spada lo colpii al braccio con tutta la mia forza. La spada non gli cadde dalle mani, ma ebbi la soddisfazione di vedere una smorfia di dolore dipinta sul suo viso. 
Continuammo a combattere per altri due minuti, fino a quando Jonathan con un colpo men assestato riuscì a far perdere la presa sulla spada alla mia mano esausta, e a farla volare a cinque metri di distanza, dove non sarei riuscita a prenderla senza uscirne ferita gravemente. 
Jonathan scoppiò a ridere. 

- Sei ridicola sorellina. Non riesci neanche a tenere in mano una spada -  

Assottigliai lo sguardo e feci l'unica cosa a cui riuscii a pensare in quel momento: mi ci lanciai addosso, incurante della sua lama puntata contro di me, la quale mi ferì nuovamente il braccio, ma non ci feci caso. Le mie mani andarono a chiudersi contro il suo collo e i suoi occhi si spalancarono. 
Riuscì a colpirmi e farmi cadere di lato senza sforzi, visto il mio quasi inesistente peso, ma io afferrai la spada che aveva lasciato andare quando mi aveva tolta da sopra di lui e glie la puntai alla gola.

- Adesso chi è che non sa impugnare una spada fratellino? - gli rinfacciai.

Lui scoppiò a ridere ed io con il fiato corto scostai la spada dal suo collo, sicura che la sfida fosse ormai conclusa. Mi sbagliavo.
Si alzò con un movimento così veloce che quasi non lo vidi e mi si buttò addosso, facendomi così cadere a terra e battere la testa violentemente.

- Regola numero uno, Clarissa - disse sputando a qualche centimetro dai miei capelli - mai abbassare la guardia-.

Lo guardai senza dire nulla. Il sangue mi ribolliva nelle vene e la testa mi pulsava dove la avevo battuta. 

- Giusto. Hai vinto tu - sussurrai per togliermelo di dosso.

Lui si alzò e mi tese la mano. Strano, pensai, devo essere stata davvero brava per meritarmi tanta gentilezza.  
Feci per afferrarla, ma poi, con tutta la forza che avevo, mossi la mia gamba sotto ai suoi piedi facendolo così cadere a terra. Mi alzai velocemente e gli misi un piede sul petto. 

- questo è abbassare la guardia? - domandai con aria innocente.

- Esattamente - rispose lui.

Rimanemmo in quella posizione per quasi un minuto, il sangue delle mie ferite che gli gocciolava sulla divisa e gli occhi di lui che sembravano scavarmi dentro. 

- possiamo passare al lancio dei coltelli adesso - disse Jonathan schiarendosi la voce.

Annuii poco entusiasta all'idea, togliendo allo stesso tempo il piede dal suo petto. 
Mi scostai da lui traballando un po'. Avevo perso parecchio sangue e mi ero indebolita parecchio. La testa mi girava e così tutto quello che mi circondava. 

- Jonathan? - Lo richiamai incerta. 

- Cosa vuoi? -  rispose lui scorbutico.

Era arrabbiato per essere stato battuto dalla sua stessa allieva. Mi affondai le unghie nella carne del polso per aver pensato qualcosa di così sfacciato. 

- Io...- contegno Clarissa - potrei avere il tuo stilo? -

Aspettai un silenzio una sua risposta, affondando le ungie più a fondo nella carne. 

- Direi che te lo sei meritata - disse lanciandomelo e facendo spallucce.

Lo guardai sbalordita per un secondo, distogliendo lo sguardo velocemente e sperando che non avesse notato la mia esitazione. Mi feci qualche iratze e un paio di rune della forza e dalla precisione. 

- Grazie - dissi rilanciandoglielo.

Lui mi fece un cenno col capo che presi come un 'prego', anche se sapevo che mio fratello non avrebbe mai detto qualcosa del genere. 

- Sbrigati Clary-  sibilò poi - non abbiamo tutto il giorno -.

'Per fortuna' pensai prima di seguirlo verso l'albero su cui ci saremmo allenati a tirare coltelli. 

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Capitolo 3
*** di conigli e tinte per capelli ***


Ero dannatamente stanca… e affamata. 
Quella misera pagnotta che avevo mangiato a "colazione" non mi aveva sfamata per niente. 
Avevamo iniziato ad allenarci verso le nove di mattina e adesso il sole stava per tramontare e le mie gambe minacciavano di cedere da un momento all'altro. 
Dopo un ora di lancio di coltelli, dove dopo mezz'ora le mani mi facevano così male che uno dei pugnali mi era scivolato dalla mano e mi aveva tagliato tutto il palmo, facendo così arrabbiare Jonathan e procurandomi un ceffone così forte da farmi girare la testa per un quarto d'ora, avevamo combattuto di nuovo, poi avevamo fatto un po' di arrampicata, dove le mie mani avevano sanguinato come dannate, poi avevamo combattuto di nuovo, e lì mi ero fatta menare malamente, ed infine eravamo tornati al lancio dei coltelli.  
Stavamo mirando allo stesso albero da mezz'ora e l'episodio di quella mattina stava per ripetersi. 
"Concentrati Clarissa" sibilò Jonathan "la tua pigrezza è ridicola". 
Strinsi i pugni sul pugnale, ferendomi il mignolo della mano sinistra che avevo il vizio di tenere sempre attaccato alla lama. Il sangue cominciò a scorrermi sul dito e la testa tornò a pulsare. 
Jonathan scoppiò a ridere. 
"Stai scherzando?" Esclamò
"mi stai prendendo in giro?" Lo guardai senza capire. 
"Apri gli occhi Clarissa" sibilò il mio nome come se fosse stato una parolaccia. 
Mi guardai intorno senza capire. Mi afferrò i capelli con violenza e, senza curarsi dei miei gemiti di dolore e protesta, mi fece girare la testa versò sinistra. 
E allora lo vidi. 
Un coniglio enorme, delle dimensioni di… beh un coniglio grande, stava mordicchiando un cespuglio di bacche e sembrava non averci ancora notati. 
Mi girai verso Jonathan, e gli lanciai un occhiata. 
Lui alzò un sopracciglio e fece un cenno col capo in direzione del coniglio. Era chiaro che si stesse chiedendo se avessi avuto il coraggio di tirare quel coltello. 
Non volevo deluderlo, non di nuovo, ma non volevo neanche uccidere un povero coniglio. 
Non capì se fosse stata la fame, o solo il fatto che stessi impazzendo, a farmi fare quello che feci. 
Chiusi un occhio e presi la mira, poi con un veloce gesto della mano lanciai il pugnale. 
Non ebbi il coraggio di guardare cosa fosse successo, e chiusi gli occhi con tutta la forza che avevo. La risata di Jonathan diede conferma ai miei sospetti. 
Avevo appena commesso omicidio. 
Avevo appena ucciso un essere vivente. 
Presi un respiro profondo e riaprì gli occhi. Jonathan mi fissava sorridente. 
"Beh sorellina" disse ridendo di nuovo "devo dire che mi hai sorpreso". 
Accennai ad un sorriso che si trasformò in una smorfia. 
Lo avevo sorpreso, ed in senso buono, ma a che prezzo? 
"Tieni" disse lanciandomi il suo stilo. Io lo guardai confusa. "Te lo sei meritata" disse per la seconda volta in un giorno. "E vai a cercare della legna, questa sera si mangia". 
Il mio stomaco gorgogliò come per confermare che sarebbe stato un evento stupendo. 
Il suo sguardo si assottigliò appena sentito il rumore, ma fece finta di non aver sentito, e nella mia testa lo ringraziai per questo. 
Mi allontanai con un mezzo sorriso stampato sulla faccia. CIBO. Quella sera avrei mangiato, cibo. 
Girai per la foresta per circa cinque minuti, finché non ebbi le braccia piene di legna, e allora decisi di tornare alla grotta. 
Quando fui arrivata davanti all'entrata, Jonathan aveva già scuoiato il coniglio e messo la pelle su di un bastone piantato nel terreno. 
Appena fui a qualche passo da lui, alzò lo sguardo e fece una smorfia infastidita. 
"Ci hai messo tanto" disse scocciato. Io mi limitai a far cadere a terra il legno che mi stava riempiendo di schegge le braccia nude e tirare fuori dalla tasca lo stilo che mi aveva dato. 
Mi disegnai quattro iratze, un paio di rune della forza, dell'equilibrio, dell'agilità, della silenziosità e, mentre Jonathan era girato dall'altra parte, una del coraggio. 
Non lo avrei mai ammesso davanti a lui, anche perché l'avrebbe presa male e mi sarei beccata un altro ceffone, ma avevo paura della foresta, della grotta, del conclave, e anche un po' di lui. 
Dietro di me sentì il fuoco scoppiettare e mi girai di scatto. 
Jonathan mi guardò a sua volta e sembrò notare la mia faccia sconvolta, perché scoppiò a ridere. 
"Cosa vuoi adesso?" Chiese scocciato. 
"Io…io…" balbettai, di colpo consapevole di avere involontariamente e indirettamente dubitato di lui. 
"Tu?" Domandò con un tono minaccioso. 
"Io ecco… il fuoco… non ci farà scoprire?" Lui scoppiò di nuovo a ridere ed alzò un sopracciglio. 
"Davvero hai così poca fiducia in me?" Chiese ironico. 
Mi stupì. Credevo che si sarebbe arrabbiato, ma quel giorno doveva essere proprio di buono umore. 
Scossi la testa con forza e abbassai lo sguardo. 
"Bene" lo sentì sussurrare soddisfatto. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, con lo scoppiettio del fuoco come sottofondo. 
Jonathan si torturava le mani e mi fissava intensamente. Alla fine si decise a parlare. 
"Ho bisogno che mi faccia un favore" sussurrò stringendo i pugni come se quelle parole gli richiedessero uno sforzo enorme. 
"Tu… cosa?" Chiesi stupita. Lui mi lanciò un occhiata assassina. 
"Non ho intenzione di ripeterlo" ringhiò. "E chiudi la bocca, sei ridicola". 
Chiusi di colpo la bocca che non mi ero accorta di aver spalancato. 
"Io… s… si ce… certo" balbettai. 
Jonathan mi aveva chiesto un favore per la prima volta in tutta la sua vita e io rimanevo a balbettare davanti a lui come una cretina. 
"Cosa ti serve?" Chiesi questa volta con più sicurezza. Lui si guardò intorno come se qualcuno avesse potuto sentire e poi il suo sguardo si puntò si di me. 
"Mi devi tiffhfhd chfhfh" bofonchiò. 
Lo guardo confusa. Sbuffò rumorosamente. 
"Mi devi tingere i capelli" ripeté più chiaramente. 
spalancai gli occhi e strinsi i denti per non scoppiare a ridere. Lui si alzò di botto dal tronco su cui si era seduto e mi guardò minaccioso. 
"Non osare ridere di me" urlò. Abbassai lo sguardo e il buonumore mi abbandonò di colpo. 
Perché mio fratello si comportava così? 
Fece un passo indietro e si risedette ancora infuriato. 
"Prendi il coniglio" mi ringhiò contro. Mi alzai senza pensarci neanche un secondo e mi diressi verso il fuoco. Mi bruciai le mani afferrando la stecca di metallo su cui l'animale era infilzato, ma non dissi una parola, anche se il dolore era fortissimo.     
"Sbrigati Clarissa" sibilò "non ho tutta la sera". Riuscì a stento a reprimere un gemito, ma non riuscì ad evitare di fare una smorfia di dolore. 
"Combatti. Il. Dolore" sibilò. Strinsi i pungi, e la cosa mi causò altro dolore ai palmi delle mani. Mi porse una "specie di piatto" e io ci appoggiai il corpo senza vita dell'animale. Lo poggiò a terra e mi afferrò il polso con violenza. 
Avvicinò il suo viso al mio e inspirò il mio odore. Rabbrividì, sentendomi come se quel suo gesto fosse completamente sbagliato. 
"Jo…Jonathan" balbettai. Lui si allontanò, molto lentamente. 
Rimanemmo a guardarci negli occhi, la runa del coraggio come unica cosa a impedirmi di tremare. 
"È pronto" disse ghignando. 
Io annuì e rimasi ferma. Non volevo fare qualcosa di sbagliato e farlo arrabbiare ancora di più. 
Mi passò una coscia di coniglio, e dopo un secondo che la ebbi osservata la addentai e mi godetti il sapore che non avevo sentito per mesi. 
In un minuto la ebbi finita, e avevo ancora fame, tanta fame. 
Al posto di guardarmi e dirmi di combattere la fame, Jonathan mi passò un altro pezzo di coniglio e ne afferrò un altro per sé stesso. 
Lo guardai sorpresa, ma poi l'appetito ebbe la meglio e mi avventai sul cibo. 
Cominciai a sentirmi sazia, cosa che non succedeva da tanto tempo, e Jonathan continuò a passarmi pezzi di coniglio finché non fui così piena che non sarei riuscita a magiare ancora neanche se avessi voluto.     
"Grazie" sussurrai riconoscente per avermi permesso di mangiare così tanto. 
Lui alzò le spalle e sbuffò. 
"È arrivato il momento" disse. Non capì di cosa stesse parlando, ma non dissi nulla, perché non volevo che la mia stupidità lo facesse arrabbiare. 
Diceva sempre che la mia stupidità era insopportabile. 
Si alzò e si diresse nella grotta, e ne uscì con una scatoletta che pareva essere molto… mondana. 
E allora capì che la tortura della tinta sarebbe iniziata in pochi minuti. 

Un'ora dopo ero seduta per terra, appoggiata al muro della grotta, con le mani nere per il colore della tinta per capelli che avevo applicato a mio fratello qualche momento prima. 
Ero rimasta da sola, di nuovo. 
Jonathan era appena partito, e tutto quello che mi aveva detto era che doveva infiltrarsi ad Alicante e scoprire quali fossero le mosse del nemico. 
Mi aveva detto che se fosse successo qualcosa, qualunque cosa, avrei dovuto dimenticare tutto su di lui. 
E che se non avessi dimenticato tutto, sarei morta. 
Il solito rumore prodotto dalle gocce di pioggia che cadevano sulla roccia fredda era più fastidioso del solito. 
Tic, tic, tic, tic. 
Tic, tic, tic ,tic. 
Il rumore aumentava sempre di più, e fu solo quando vidi una figura avvicinarsi che capì che era un rumore di passi. 
Afferrai il pugnale che tenevo nello stivale e mi alzai più velocemente possibile. 
Non poteva essere Jonathan, se ne era appena andato. 
L'uomo che mi trovavo davanti mi guardò per qualche istante, poi prima che potesse fare qualcosa, tentai di colpirlo col pugnale, ma lui si spostò prima che avessi l'opportunità di ferirlo. 
"Ma che…" sussurrò sorpreso, prima che tentassi di colpirlo ancora. 
"Hey, hey non voglio farti del male" bugiardo! Jonathan mi aveva insegnato di non fidarmi mai di nessuno. 
Tentai di colpirlo di nuovo, e questa volta ci riuscì. Gli ferì il braccio, e sorrisi per esserci riuscita. 
I pugnali non erano mai stati la mia arma. 
Prima che potessi provare un altro affondo, sentì un forte dolore alla nuca e fu tutto nero. 





ANGOLINO PICCOLO PICCOLO:
buonsalve bella gente. sono riuscita a pubblicare, finalmente, e devo dirvi che questo capitolo non mi piace per niente. 
io cci ho provato ma.....
ringrazio che ha recensito, chi ha messo la storia tra le preferite, seguite e chi lo farà.

au revoir

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Capitolo 4
*** Potions ***


"Pensi che si sveglierà? Ormai sono tre giorni…" 
"Devi darle tempo, quella roba che le hai iniettato è forte"
"La gente muore come niente è" 
"Mamma, lo sai che porta sfortuna parlare di morte nella stanza di un malato"

Tre giorni, pensai come a rallentatore. Tutti i miei pensieri erano densi e lenti come sangue, come resina. Mi dovevo svegliare. 
Ma non ci riuscivo. 
Mi trattenevano i sogni, uno dopo l'altro, un fiume di immagini che mi trasportavano come una foglia nella corrente. Vidi Jonathan con un pugnale in mano. Vidi il ragazzo incappucciato con delle ali bianche da angelo che gli spuntavano dalla schiena. Angeli che cadevano e bruciavano. Che cadevano dal cielo. 

"È uno scricciolo è? Jace dice che l'ha quasi battuto"
"Mamma…"
"Dici che possiamo fidarci?"
"Aline…"
"Sono seria ragazzi, potrebbe benissimo essere una spi…"
"Hai chiamato i Fratelli Silenti?"
"Spero di no. Mi danno i brividi. Chi si mutila a quel modo"
"Anche noi ci mutiliamo"
"Lo so Aline, ma quando lo facciamo noi non è permanente. E non sempre fa male…"
"A volte mi chiedo se prov… Helen! Guarda! Si è mossa?"
"Il che immagino voglia dire che Jace non l'ha uccisa" un sospiro "vado a prenderle qualcosa da mangiare"
 
Era come se qualcuno mi avesse cucito le palpebre, non riuscivo ad aprire gli occhi, e ora che ci pensavo meglio, non ne avevo più tanta voglia. 
Per quello che ne sapevo, chiunque mi avesse trovata, avrebbe potuto anche uccidermi subito dopo che mi fossi svegliata, magari lentamente, torturandomi come Jonathan mi aveva detto che il Conclave avrebbe fatto quando mi avesse trovata. 
Avrei voluto tenere gli occhi chiusi ancora per un po', ma era come se una parte della mia mente mi stesse costringendo a muovere le palpebre. Mi parve di sentire la pelle che si strappava mentre aprivo lentamente e sbattevo gli occhi per la prima volta da tre giorni a quella parte. 
Vidi sopra di me un limpido cielo azzurro con nuvole a pecorelle e angeli paffuti coi polsi ornati da nastri dorati. 
'Sono morta?' Mi chiesi 'il paradiso è davvero una cosa così?'  Strizzai gli occhi e li riaprì: questa volta mi accorsi che quello che stavo guardando era un soffitto dipinto con una scena di nuvole e cherubini. 
Mi misi dolorosamente a sedere. Mi faceva male tutto, ma soprattutto la nuca. Mi guardai attorno: mi trovavo in un letto con lenzuola molto molto morbide, come non ne avevo mai avute, in mezzo a una lunga fila di letti tutti uguali. Di fianco c'era un piccolo comodino con una brocca e una tazza. Alle finestre non c'erano tende e riuscì a scorgere un panorama, formato principalmente da verde e altro verde.    

"Così alla fine ti sei svegliata" disse una voce secca "Celine sarà contenta. Pensavamo tutti che probabilmente saresti morta nel sonno". 

Sobbalzai così violentemente che caddi giù dal letto. Ancora ingarbugliata tra le coperte indietreggiai il più possibile, andando a sbattere contro il comodino. Un rumore di cocci rotti mi fece sobbalzare di nuovo, e in meno di un secondo il pavimento era fradicio di un liquido appiccicoso. 
La ragazza a cui apparteneva la voce mi si avvicinò molto lentamente con le mani davanti al corpo per farmi calmare. 

"Hey, hey, non ti farò male" mi dimenai ancora di più. 

"Non avvicinarti" sussurrai con voce roca "ti prego non avvicinarti". 

La ragazza si fermò e alzò le mani in segno di resa. 

"Ok, sono ferma" sussurrò gentilmente "sono ferma" ripeté. 

Il mio respiro rallentò gradualmente, fino a diventare un leggero sospiro. La ragazza, che non si era ancora mossa abbassò le mani che aveva alzato. 
"Io sono Helen, Helen Blackthorn" disse "e non ho intenzione di farti del male" ripeté. Annuì, ma quando 
Helen fece un altro passo nella mia direzione, mi agitai di nuovo e la ragazza si fermò. 
Poi sospirò  piegò le gambe e si sedette appoggiandosi al letto, e rimase lì ferma a guardarmi. 

"Come ti chiami?" Mi sussurrò. 

Scossi la testa, per farle capire che non avevo intenzione di dirglielo. 

"Okay… perchè hai paura di me?" Chiese Helen. Feci per tacere di nuovo, ma poi non riuscì a trattenermi e parlai. 

"Perché il Conclave è cattivo" sussurrai con le poche energie che il cibo che aveva mangiato tre giorni prima mi aveva dato. Helen scoppiò a ridere. 

"Già, hai ragione, il conclave è… malvagio" disse prima di scoppiare a ridere di nuovo. 

Strinsi i pugni infastidita, come osava ridermi in faccia? La ragazza notò il mio cambiamento di umore perché smise di ridere di colpo e si scusò. 

"E… perchè credi che il Conclave sia cattivo?" Domandò. Esitai di nuovo, ma poi il fatto di avere qualcuno con cui parlare per la prima volta in anni, mi convinse ad aprire di nuovo la bocca. 
"Me lo ha detto mio fratello" bisbigliai con gli occhi che si facevano pesanti. 
"Oh, e dov'è tuo fratello ora?" Chiese la ragazza. 
"È morto" mentì io, perché se avessi detto la verità su Jonathan sarei stata io a morire. 
"Oh…" disse qualcos'altro, ma non la sentì perché il sonno mi stava avvolgendo di nuovo tra le sue spire.

"Helen" sussurrai prima di chiudere di nuovo gli occhi "non lasciare che mi facciano del male, ti prego". 
Potrei giurare di averle sentito dire "lo prometto".   


Mi risvegliai quelli che mi sembrarono anni dopo, ma che probabilmente erano state solo qualche ore. Feci molta meno fatica ad aprire gli occhi, e quando lo feci, notai che non ero più nella stanza di poco prima. 
Alle finestre c'erano delle tende grigie ed impolverate, il mio era l'unico letto della stanza, e seduto su di una sedia affianco ad esso, c'era un ragazzo biondo, lo stesso che mi aveva colpita. 
Sussultai al suono del mio stomaco che reclamava cibo. Alzai lentamente lo sguardo sullo sconosciuto, terrorizzata dal fatto che avesse potuto svegliarsi, ma lui borbottò qualcosa di incomprensibile e si girò dall'altra parte. 
Mi districai lentamente dalle coperte e mi spostai di lato. Poi, quando i miei piedi toccarono il pavimento, quello scricchiolò molto rumorosamente. Mi fermai di botto.
Mi girai molto lentamente, tutti i muscoli tesi, pronta a saltargli addosso. Quando il mio sguardo si puntò su di lui, lo vidi sbadigliare e stropicciarsi gli occhi. Helen mi aveva giurato che non avrebbe lasciato che mi facessero male, ma non mi fidavo né di lei e né di promesse facili da non mantenere. "Ti prometto che non ti faranno del male, ma non ti prometto che non troveranno di un modo di ucciderti senza farti soffrire". In effetti farmi uccidere mi sembrava la migliore opzione in quel momento.   
Non seppi mai se la decisione che presi in seguito fu perché pensavo che in qualche modo sarei riuscita a scappare facendo ciò o solo perché ero impazzita, fatto sta' che gli saltai addosso, letteralmente. 
In qualche modo riuscì a superare l'ostacolo del letto, e tentai di chiudere le mie mani intorno alla sua gola.
Inutile dire che per quanto ero debole, era stato un miracolo che ancora fossi in piedi. 
Mi blocco il pugno è mi afferrò prima che potessi inciampare di lato. Poi ridacchiò. 

"Sei una ragazza violenta, non è vero?" Disse con un ghigno sul viso angelico. 

Gli lanciai un'occhiataccia e tentai di liberarmi il polso, ma lui lo strinse ancora di più. 

"Lasciami andare" sibilai, perché iniziava a farmi male. 
"Se ti lascio andare tenterai di colpirmi di nuovo?" Domandò. Io annuì. 
"Allora no". 

Gli lanciai un'altra occhiataccia carica di odio. Poi le gambe mi cedettero, e per la seconda volta in un giorno, il ragazzo mi afferrò. 

"Hey, da quanto non mangi?" Il suo tono che prima era stato ironico e insopportabile, si addolcì e diventò preoccupato. 
"Quattro giorni" sussurrai "credo". Lui si allungò e prese una boccetta dal comodino. 
"Visto che hai distrutto la brocca che ti aveva fatto Hodge questa mattina" disse porgendomela "ti tocca prendertene la metà". 

La afferrai incerta. Avrebbe potuto essere veleno, ma poi pensai che se avessero voluto uccidermi lo avrebbero potuto fare prima. 

"Non preoccuparti" disse il ragazzo con quel suo tono insopportabile come leggendomi nella mente "non è avvelenata, ti farà solo passare la fame". 
Lo guardai un'altra volta, ma poi mi portai la boccetta alle labbra e bevvi. Era deliziosa, non avevo mai assaggiato qualcosa di così buono, e in effetti non avevo molti termini di paragone. La fame mi stava gradualmente passando, sembrava magia. 
La finì in pochi secondi, e rimasi imbarazzata a fissarla, con lo sguardo del ragazzo puntato sul viso. Non aveva qualcosa di meglio da guardare? 

"Grazie" sussurrai dopo per distrarlo dal fissarmi. 
"Prego" disse lui afferrando la boccetta senza chiedere il permesso e appoggiandola sul comodino 
"comunque" aggiunse dopo "come hai detto che ti chiami?"
"Clary" dissi prima pensarci e poi maledicendomi per quello che avevo detto. Gli avevo appena rivelato il mio nome dannazione!
"Bel nome" disse lui "io sono Jace, Jace Herondale".  


ANGOLINO PICCOLO PICCOLO:
buonsalve bella gente. il capitolo era pronto oggi e quindi ho pubblicato prima.
che dire... Hodge è stato messo a lavorarera a casa di Celine a causa delle sue precedenti condizione, ma i Lightwood sono stati puniti comunque e vivono tutti nell'istituto di New York.
ringrazio chi ha recensito e messo la storia tra le preferite. vi invito a recensire, perchè i vostri commenti sono l'unica cosa che mi fa continuare a scrivere. 
spero di arrivare a sei recensioni oggi.
al prossimo capitolo
 

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Capitolo 5
*** it's kind of a sad story ***


buonsalve bellagente sono in ritardo di tre ore, scusate ma ho finito di scrivere il capitolo alle 2.15 di notte. 
questo è un capitolo di passagio, ma spero vi piaccia comunque, perchè si scoprono un paio di cose abbastanza interessanti e le balle di Jonathan verso Clary cominciano a venire a galla. 
ringrazio chi ha recensito e messo la storia tra le preferite, (e chi lo farà, ci tengo tantissimo), tra le seguite e chi lo farà. grazie e buona notte/ giorno o wathever


Per qualche attimo rimasi interdetta, avevo già sentito quel nome. 'Strano' pensai, non conoscevo tante persone, ma ero sicura di averlo già sentito.

"Clary" mi richiamò Jace. Dannazione mi ero distratta di nuovo, Jonathan mi diceva sempre che ero stupida, e che quindi il mio cervello si staccava facilmente dalla realtà. "Terra chiama, ehm, Clarissa giusto?"  

Io annuì, poi mi maledissi di nuovo, altre informazioni, non che fossero informazioni pericolose, ma stavo avendo troppa confidenza col nemico. 

"Come fai di cognome?" Chiese lui curioso. Spalancai gli occhi e lo guardai come se mi avesse appena 
chiesto se avessi voluto fare sesso con lui. 

"Che… io … cosa?" Balbettai presa alla sprovvista. 

Lui mi guardò con un sopracciglio sollevato e scosse la testa per concludere la conversazione. Sospirai sollevata, se c'era qualcosa in cui ero terribile, quello era mentire, e non ero sicura che sarei riuscita a farlo se qualcuno mi avesse chiesto il mio cognome, specialmente se fosse stato quel ragazzo che mi stava particolarmente antipatico. 
Nella stanza calò nuovamente un silenzio imbarazzante. Mi guardai intorno, e notai che indossavo vestiti che non mi appartenevano. Indossavo una semplice maglietta lunga, niente pantaloni. Arrossì e mi tirai le coperte sopra al bacino. In quel momento pensai che non mi ero cambiata per circa sei mesi, se non di più, ma il fatto di vivere da barboni e non poter stare in posti troppo affollati come negozi e supermercati faceva sì che ci fosse una grande carenza di cibo e vestiti per me e Jonathan. Mi chiesi chi mi avesse vestita. 

"Dov'è Helen?" Chiesi a Jace, più per parlare che per interesse. Lui fece un sorriso sghembo. 

"Perché? Non ti basta la mia compagnia? Sai, molte ragazza pagherebbero per avere questo onore" 
Feci una smorfia, che ego smisurato, se avessi detto qualcosa del genere, probabilmente Jonathan mi avrebbe riservato uno dei suoi schiaffi più potenti. Non risposi, perché se lo avessi fatto probabilmente mi avrebbe picchiato, Jonathan mi aveva insegnato che la violenza era la soluzione a tutto, e che lui ne usava poca con me perché era clemente, ma che ero una ragazza viziata e che avrei dovuto atteggiarmi meglio se non avessi voluto essere privata dei quel privilegio. 

"Che c'è, hai perso la lingua per caso?" Strinsi i pugni infastidita e lo guardai negli occhi in segno di sfida. Lui parve sorpreso dal mio comportamento che Jonathan avrebbe considerato oltraggioso, ma non disse nulla. 

"Sai che sei strana Clarissa vero?" Disse Jace, più come un esclamazione che una domanda. 

"Sai che sei insopportabile Jace Herondale?" Sibilai acida. 

Il ragazzo ridacchiò e si alzò. Pensai che avesse perso la pazienza e che si fosse arrabbiato e sussultai indietreggiando e cercando di coprirmi il viso con le braccia. Aspettai che mi colpisse, ma quando dopo qualche secondo non ne sentì l'impatto, spostai lentamente le braccia dal viso e guardai un Jace molto perplesso guardarmi stupito. 

"Cosa…?" Dicemmo allo stesso momento. 
In quello stesso attimo sentì un rumore di passi, e richiudendo la bocca che non mi ero accorta di aver spalancato mi girai per vedere chi fosse. Davanti a me c'era una donna dal viso delicato ed un'espressione gentile. Aveva dei capelli corti e mori, ed un sorriso stanco ma cordiale, ed era diretto a me. 

" ti sei svegliata" constatò, aveva una voce dolce e calda "Helen mi aveva detto che hai degli occhi bellissimi". 

Rimasi a bocca spalancata. Nessuno mi aveva mai fatto un complimento in tutta la mia vita, nemmeno Jonathan, non che avessi mai parlato con qualcuno che non fosse lui. La donna mi inspirava un senso di fiducia, e trovavo difficile non potermi fidare di lei. Mi porse la mano, ma tenendosi a debita distanza, come se già avesse saputo che preferivo così. 

"Mi chiamo Celine, sono la mamma di Jace" aggiunse con un sorriso "mi scuso se è stato maleducato, è fatto così" da dietro di me sentì qualcuno tossicchiare, ma non mi girai per vedere chi fosse, sapevo già che era il ragazzo. Allungai la mano e strinsi quella della donna. 

"Clary" sussurrai a mo' di presentazione. 

"Felice di conoscerti" disse la donna. Poi sorridendo ancora di più indicò la boccetta vuota sul comodino della stanza.  "Hai fame?"   

Quella domanda mi prese alla sprovvista, ma doveva essere un test per capire quanto fossi forte. 

"No" dissi decisa, ma il mio stomaco mi tradì e mi morsi il labbro. Aspettai che la donna si arrabbiasse per la mia debolezza, ma non lo fece. Mi guardò confusa e aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse. lanciò un occhiata a Jace e poi tornò a guardare a me. 

"Ehm, ti dispiace se ti rubo Jace per un attimo?" La guardai confusa per qualche secondo. Rubarmi Jace? Lui non era mio, perché mai avrebbe dovuto rubarmelo. 

"Posso parlare con Jace per qualche minuto?" Si corresse la donna. Annuì e seguì con lo sguardo i due uscire dalla stanza. Nonostante il muro che ci separava potevo sentire tutto quello che si dicevano, Jonathan mi aveva addestrata a farlo. 

"Tipa strana eh?" 
"Jace!, lo sai che è maleducato parlare così delle persone"
"Scusa!, è che… insomma, è una tipa strana"
"Jace!"
"Scusa mamma"
"Ti ha detto qualcosa? Mi sembra confusa…  e parecchio spaventata"
"No non mi ha detto niente, ma prima credo che… credo che si aspettasse che la picchiassi"
Un sussulto
"cioè mi sono alzato per venirti a dire che si era svegliata, e lei… lei si è allontanata da me e si è coperta la faccia con le mani, come se avessi potuto colpirla"
"Oh Jace, hai visto come ha reagito quando le ho chiesto se avesse fame?"
"Si ho visto, come se essere affamati fosse un reato"
"Credo che dovremmo avvertire il conclave…"

A quel punto un grido mi uscì involontariamente dalla gola, e mi coprì la bocca con le mani. Celine e suo figlio si precipitarono nella stanza e mi guardarono preoccupati. 
  
"Cos'è successo Clary?" Fece la donna preoccupata. 
"Lo direte al conclave?" Chiesi terrorizzata. Lei e Jace si scambiarono un'occhiata confusa e poi puntarono di nuovo lo sguardo su di me. 

"Ehm, se non vuoi credo che potremmo aspettare un po'" annuì e cercai di regolarizzare il respiro. 

Celine guardò il figlio e gli mise una mano sulla spalla. 

"Jace perché non vai da Helen a dirle che Clary è sveglia?" Lui annuì ed uscì dalla stanza. Celine puntò lo sguardo su di me e sorrise. 

" sei proprio una bella ragazza, mi ricordi di una mia grandissima amica. Si chiamava Jocelyn Fairchild, era una delle mie migliori amiche. Era sposata con uno dei migliori amici di mio marito, facevamo tutti parte di un gruppo, lo chiamavamo il circolo. Valentine Morgenstern ne era a capo, lo adoravano tutti, riusciva sempre ad attirare la tua attenzione, quando entrava in una stanza, era come se di colpo si accendesse una luce, e ovunque andava, quella luce lo seguiva, come un angelo. Un giorno mio marito è morto, e quella donna è stata la persona che mi è stata più vicina in un momento di così grande difficoltà. Anche suo marito mi aiutava sempre in tutto, mi preparava delle tisane che mi erano molto di aiuto con la gravidanza, a quel tempo aspettavo Jace. Ero ancora incinta quando sono stati uccisi. Valentine e Jocelyn sono stati uccisi, in un attentato. Avevano due figli". 

La storia mi aveva lasciata senza fiato. Mia madre si chiamava Jocelyn, mio padre si chiamava Valentine. Io e Jonathan eravamo i loro due unici figli. Erano stati uccisi in un attentato, Jonathan mi aveva detto che erano stati torturati fino alla morte dal conclave. Sapere che erano morti velocemente, e forse senza soffrire mi alleggerì il cuore. Deglutì a fatica. 

"E i figli…" chiesi esitante "che cosa è successo ai figli?"

Celine sembrava triste, molto triste. 

"Sono morti, hanno trovato i corpi nella tenuta dei Morgenstern dopo che hanno appiccato un incendio per distruggere tutto quello che era rimasto della famiglia" 


 

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Capitolo 6
*** being hungry ***


Spalancai la bocca. 'Sono morti, hanno trovato i corpi'. Tremai violentemente, di chi erano i cadaveri? Avevo il respiro affannato e mi sudavano le mani. 
 
"Clary, va tutto bene?" 
 
La voce dolce di Celine mi fece tornare alla realtà, ma al posto di calmarmi cominciai a tremare ancora di più. Scoppiai in un pianto incontrollato e la donna mi strinse a sé. Non avevo mai avuto un contratto tanto ravvicinato con qualcuno che non fosse mio fratello. 
Celine mi accarezzava la schiena e mormorava parole dolci, mentre io piangevo tutte le lacrime che avevo voluto piangere da quando avevo messo piede in quella casa. 
Piansi per la paura di quello che il conclave mi avrebbe fatto quando Celine si fosse stufata di ospitarmi sotto al suo tetto. 
Piansi per il terrore di quello che Jonathan mi avrebbe fatto quando sarebbe tornato alla grotta e si fosse accorto che io non c'ero più. 
Piansi per la sorte dei miei genitori, e per quella dei due bambini di cui era stato trovato il cadavere nella tenuta dei Morgenstern. 
Piansi perché piangere era l'unica cosa a cui il mio cervello riuscì a pensare in quel momento. 
Quando dopo qualche minuto mi fui calmata, mi staccai da Celine e la guardai senza sentire niente.
Era come se avessi spento tutte le mie emozioni. 
Era come se tutto quello che avevo provato in diciassette anni di vita passati con Jonathan, tristezza, sconforto, disperazione, fossero stati tutti cancellati, lasciando spazio solo al vuoto più totale.  
La donna seduta sull'unico letto in cui avessi mai dormito in vita mia, o almeno su cui mi ricordavo di aver dormito, mi guardò tristemente. 
 
"Mi dispiace Clary, non sapevo che la mia storia ti abbia fatto stare male" disse veramente in pena per me. 
 
La guardai in quegli occhi che mi sembravano così sinceri che non potevo non fidarmi di lei.
 
"Mi consegnerete al conclave?" Domandai con voce piatta "lascerete che mi torturino fino alla morte?"
 
L'espressione scioccata sul viso di Celine mi fece quasi pentire della domanda che le avevo posto, ma era la verità, e non potevo fare niente a riguardo. 
 
"Oh no Clary, il conclave non ti torturerebbe mai a morte" sussurrò "mai"
 
Questa volta toccò a me essere sorpresa, ma non durò molto, stava chiaramente mentendo. Jonathan era stato molto chiaro su questo. Conclave uguale tortura fino alla morte. 
 
"Stai mentendo" dissi di colpo coraggiosa. Mio fratello mi avrebbe tirato uno schiaffo per la mia sfrontatezza, ma lei si limitò a scuotere energicamente la testa.  
 
"No no non sto mentendo, non lo farei mai per qualcosa del genere" esclamò la donna che iniziava a piacermi sempre di più. 
 
"Davvero?" Domandai
 
"Davvero, e non permetterò mai che ti facciano del male, lo giuro sulla mia vita" disse sicura di se. 
 
La guardai sorpresa, nessuno aveva mai fatto un giuramento del genere, ma di nuovo, non c'erano mai state occasione perché succedesse. Mi sporsi verso di lei e la abbracciai, come non avevo mai abbracciato nessuno, come non avrei mai abbracciato Jonathan. Lei ricambiò, e un sorriso mi increspò le labbra. 
Mi sorpresi di me stessa, non avevo mai sorriso, non in quel modo. Quel momento mi segnò per sempre. Quella era stata una giornata di prime volte. 
La prima volta che avevo parlato con qualcuno che non fosse stato Jonathan. 
La prima volta che avevo abbracciato qualcuno. 
La prima volta che avevo sorriso per davvero.    
La prima volta che mi ero sentita protetta. 
La sensazione durò poco, perché un rumore di passi mi fece staccare da Celine e Jace fece la sua entrata nella stanza.  
Mi lanciò una strana occhiata e poi si rivolse a sua madre. 
 
"Helen è già andata via assieme ad Aline e tutti gli altri" la donna annuì e si alzò dal letto. 
 
"Grazie Jace" disse con un sorriso "adesso abbiamo la casa tutta per noi, e direi proprio che è il momento perfetto per pranzare". Aggiunse guardandomi. Sentì le guance andare a fuoco, ma non abbassai lo sguardo. 
 
"Io…" dissi indugiando
 
"Tu?" Chiese Jace impaziente. 
 
Feci un respiro profondo, quel ragazzo era veramente insopportabile. 
 
"Non so cosa sia un pranzo" dissi tutto d'un fiato. 
 
Celine e suo figlio si guardarono un attimo e poi lui scoppiò a ridere. Strinsi i pugni infastidita. Jonathan mi aveva detto che era maleducazione ridere, per me almeno, diceva che era segno di sfida e che non dovevo sfidarlo perché avrei sempre dovuto portargli rispetto. La donna gli tirò una gomitata. 
 
"Il pranzo é uno dei tre pasti principali della giornata Clary" spiegò dolcemente. Spalancai la bocca. Tre pasti? Principali? Quindi ce ne erano degli altri? Sentì Jace ridacchiare e richiusi la bocca di scatto. 
 
"Certo, il pranzo" borbottai infastidita mentre il ragazzo ancora ridacchiava sotto ai baffi. Ci alzammo tutti insieme e Celine mi porse un paio di pantaloni. Feci un sospiro di sollievo nel constatare che erano lunghi, e che anche la maglietta lo fosse, non volevo vedessero la mia pelle. Camminammo lungo un corridoio lussuoso con ghirigori che attirarono la mia attenzione in modo particolare. Amavo l'arte, ma Jonathan mi aveva sempre detto che era una cosa da deboli e che quindi era inutile. Mi chiesi perché ci stessimo spostando dalla stanza precedente, in fondo non ci si sposta da una stanza all'altra per mangiare giusto? 
Beh mi sbagliavo. Arrivammo in un salone, con un tavolo di mogano al centro. Lo guardai sbalordita, ma non feci commenti, avevo già fatto abbastanza brutte figure per un giorno solo. Sentivo lo sguardo di Jace bruciare sulla mia schiena, ma non mi girai per vedere che cosa volesse da me. 
 
"Cosa volete mangiare?" Chiese Celine più a me che al figlio. Potevamo decidere cosa mangiare? Visto che non parlavo lo fece Jace per me. 
 
"Stupiscici mamma, sfodera le tue brillanti doti da cuoca". Rimasi scioccata dalla sua confidenza con una persona più grande di lui. Se avessi detto qualcosa del genere a Jonathan, uno schiaffo avrebbe seguito la mia richiesta. Rimasi a fissarlo scandalizzata, anche quando Celine fu scomparsa in un altra stanza. Quando incontrai il suo sguardo guardai da un altra parte imbarazzata. 
 
"Vuoi sederti?" Chiese. Mi stupì per la gentilezza nella sua voce. 
 
"Si grazie" dissi senza più sussurrare. Lui mi guardò con un sorriso sghembo stampato su quella faccia da schiaffi. Si girò e lo seguì verso un altra saletta illuminata come tutte le altre da strane pietre sparse ai lati del locale. Al posto di sedermi assieme a lui su quella che mi sembrava la poltrona più comoda del mondo rimasi a fissare incuriosita una delle pietre. Nonostante Jonathan mi avesse specificamente vietato di disegnare,in quel momento avrei voluto raffigurare uno di quei stupendi miracoli della natura. 
 
"Che cos'è?" Chiesi ancora incantata a Jace. Lui sembrò stupito. 
 
"Credevo fossi una Shadowhunter Clarissa" disse scettico. Gli lanciai un occhiataccia e ripresi ad esaminare quella magica pietra. 
 
"È stregaluce" disse poi "la usiamo per illuminare il nostro oscuro cammino" aggiunse. 
 
Mi sorpresi del fatto che Jace avesse risposto alla mia domanda, ma scoppiai a ridere per la battuta che aveva fatto. Quando mi accorsi di quello che avevo fatto mi tappai velocemente la bocca e mi voltai velocemente verso il ragazzo, spaventata che potesse arrabbiarsi. 
 
"Scusa" sussurrai. 
 
Lui mi guardò sorpreso. 
 
"Scusa per cosa?" Chiese. 
 
Lo guardai scettica e realizzai che la sua confusione era vera, non era una prova per farmi fare qualcosa di "illegale" ed avere un pretesto per arrabbiarsi con me. 
 
"Credevo che…" 
"Credevi che ridere fosse vietato?"  
 
Io annuì confusa. Perché Jonathan mi aveva detto che non si può ridere?
 
"Dove cavolo sei cresciuta Clarissa? In una grotta?" 
 
A quelle parole mi irrigidì. Non perché lo presi come un insulto, ma perché in parte era vero, e le volte in cui non eravamo in una grotta era sotto ad un ponte, o in un vicolo buio nascosta da un pezzo di cartone. Distolsi lo sguardo dal ragazzo e mi misi a camminare per la stanza. 
 
"Da dove vieni?" Mi chiese lui prendendomi alla sprovvista. 
 
"Non lo so esattamente" dissi io. 
 
Da quando ero entrata in quella casa qualcosa di strano era successo, avevo iniziato a prendere confidenza con le persone, ed ero sicura che se Jonathan mi avesse vista in quel momento non ne sarebbe stato felice. 
 
"Cosa vuol dire non lo so esattamente?" 
"Vuol dire che da quando sono piccola viaggio per il mondo, e che quindi non vengo da un posto preciso"
"E i tuoi genitori di dove sono?" Chiese. Mi irrigidì di nuovo. 
"Non lo so" mentì. 
"Oh" fu tutto quello che disse. 
 
Rimanemmo così per circa dieci minuti, lui seduto sul divano a guardarsi le unghie ed io ad analizzare ogni singolo particolare della stanza. Era tutto spettacolare, il camino, le pareti, i dipinti, tutto. 
Fu Celine a riscuotermi dal mio incantamento venendoci ad avvertire che era pronto il pranzo. Ero un po' diffidente, il cibo avrebbe potuto essere avvelenato, ma poi ripensai al giuramento che Celine mi aveva fatto e mi vergognai per aver dubitato di lei in quel modo. 
In quel momento un sentimento stranissimo mi nacque dentro. 
Ero arrabbiata con Jonathan per avermi insegnato a diffidare così delle persone. 
Quando entrai nella sala precedente rimasi a bocca aperta. Sul tavolo c'era la più grande quantità di cibo che avessi mai visto. Il mio stomaco borbottò. Lo ignorai, intenta ad osservare quello che mi trovavo davanti. Jonathan mi aveva raccontato che le persone ricche se lo potevano permettere, ma avevo sempre creduto che lo facesse per farmi desiderare di essere una di quelle persone e potermi deludere dicendomi che non lo sarei mai stata. Il misero coniglio che avevamo mangiato qualche giorno prima, che in quel momento era stato il pasto migliore della mia vita, era nulla a confronto. 
 
"…ary, Clary, terra chiama Clarissa" la voce di Jace mi riscosse dai miei pensieri. 
"Dio sembra che non abbia mai visto del cibo in vita sua"
 
"Jace!" Esclamò Celine scandalizzata.
 
Poi si rivolse a me e con un sorriso mi fece cenno di sedermi sulla sedia di fianco a lei.  Non me lo feci ripetere due volte. Mi sentivo affamatissima, ma sentivo anche che se avessi provato a toccare quel cibo, sarebbe scomparso lasciandomi delusa e ferita, come faceva Jonathan quando mi dimostravo troppo felice di mangiare. La sua politica era eliminare tutte le emozioni tranne l'odio, lui era bravo in quello, io no. 
 
"Serviti pure Clary" disse Celine con voce dolce. 
 
Ed io lo feci. Mi riempì il piatto con tutto quello che riuscì a trovare. Poi addentai una pagnotta e subito dopo quella passai al pollo che avevo nel piatto. Finito anche quello mi fiondai su altro pane ed altre verdure di cui nemmeno conoscevo il nome. Non avevo mai mangiato nulla di così buono in tutta la mia vita, mai. Continuai a mangiare finché non riuscì più ad ingoiare nulla ed alzai lo sguardo. Celine aveva uno sguardo leggermente scioccato, ma fece del suo meglio per nascondere la sua reazione. Jace ridacchiava sotto ai baffi, ma non disse niente. 
 
"Spero che ti sia piaciuto" disse Celine sorridendo. Mi chiesi come facesse a non smettere mai di essere felice, probabilmente perché non lo era veramente, o non del tutto almeno. 
 
"Si, non ho mai mangiato qualcosa di così buono in vita mia" dissi in imbarazzo. 
"Si vede" sentì borbottare Jace. 
 
Mi voltai di scatto verso di lui e vidi la consapevolezza di essere stato sentito farsi largo dentro di lui. L'addestramento a sentire quello che altre persone non sentono normalmente da parte di Jonathan si era rivelato utile, dopo tutto. 
 
"Oh" fu l'unica cosa che disse, di nuovo.    
 
Mi sentì in dovere di giustificarmi. 
 
"Io e mio fratello eravamo… poveri" mentì "non potevamo permetterci di mangiare tanto". 
 
Celine sembrò dispiaciuta per me. 
 
"E adesso dov'è lui?" Chiese
 
Decisi di rifilarle la stessa bugia che avevo detto a Helen. 
 
"È morto". 
 
La donna si morse il labbro, sentendosi colpevole di aver risvegliato in me brutti ricordi, che probabilmente credeva che avessi cercato di sotterrare, e mi sentì in colpa per averla fatto sentire male a causa di una bugia. Celine cercò di cambiare discorso. 
 
"Jace perché non fai vedere la casa a Clary?" 
 
Il ragazzo annuì e si allontanò dalla stanza senza aspettare per controllare che lo stessi seguendo. Ringraziai Celine per il pranzo e mi precipitai dietro al ragazzo. 
 
"Questo è un corridoio" disse indicando la parete "questo è lo studio di mia madre, questa è la sua stanza" salimmo le scale "questa è la stanza dove hai dormito questa notte, questa è la mia". Sussultai nel constatare che erano una davanti all'altra. "Questa invece è la biblioteca". 
Aprì la porta e la tenne aperta per lasciarmi entrare. 
"Questi sono libri" feci una smorfia nel constatare che mi stava trattando come una bambina di due anni. 
"E il tipo strano che assomiglia ad un elfo nell'angolino è Hodge" disse indicando una figura che prima non avevo notato. 
"Grazie Jace, anche per me è un piacere convivere con te" disse l'uomo ancora di spalle. 
 
Quando si girò e mi vide il sorriso cortese che gli increspava le labbra scomparì lasciando spazio ad un espressione scioccata. 
 
"Clarissa" sussurrò. 
 
 
 

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Capitolo 7
*** the Circle ***


buonsalve bellagente. 
quello che segue è un capitolo mooooooooooooooooooooooolto corto, ma abbastanza importante. 
ringrazio chi ha recensito, messo la storia tra le seguite e chi lo farà, e in particolare tra le preferite, ci tengoooo.
grazie mille a tutti, pace fratelli



 
Clarissa. Conosceva il mio nome, ma io non lo avevo mai visto. Chi era quell'uomo? 
Lo guardai confusa e lui ricambiò lo sguardo, scioccato. Poi si ricompose. 
 
"Jace potresti uscire per favore?" Disse Hodge apparentemente calmo
 
"Io n…" 
 
"JACE HERONDALE ESCI SUBITO DA QUESTA STANZA!" esplose l'uomo. 
 
Sussultai e involontariamente indietreggiai, dietro a Jace. Ero come una bambina di due anni che si nasconde dietro alla madre perché si vergogna di parlare con uno sconosciuto, solo che l'uomo davanti a me era davvero terrificante, e per quello che Jonathan mi aveva detto mia madre era morta dandomi alla luce, anche se Celine mi aveva appena rivelato che era morta durante un'attentato. 
Lui mi guardò con un'espressione che non riuscì a decifrare e poi guardò Hodge. 
 
"Vuoi rimanere da sola con lui?" Mi chiese rivolgendosi di nuovo a me. 
 
La preoccupazione nella sua voce mi sorprese, non era stato gentile con me prima, perché adesso era preoccupato? Guardai l'uomo dietro a lui e provai un senso di terrore, ma qualcosa nell'espressione che aveva mi fece cedere. 
 
"Si" dissi sicura. 
 
Jace annuì come se gli avessi appena tirato uno schiaffo, ma cercai di ignorarlo. Odiavo fare stare male le persone, ma dovevo sapere. Rimasi a guardare Hodge finché non ebbi sentito la porta chiudersi alle mie spalle ed un rumore di passi sempre più flebile, segno che il ragazzo si era allontanato. Incrociai le braccia sul petto e soppressi il senso di terrore che mi stava crescendo dentro. 
 
"Clarissa" ripeté "sei viva". 
 
Evitai di sorprendermi per il fatto,che come avevo sospettato, non lo avevo mai visto prima, ma che mi avesse riconosciuta, magari da quando ero piccola, e se ci era riuscito lui voleva dire che ci sarebbe riuscito chiunque mi avesse vista da piccola. Però Celine non lo aveva fatto…. 
 
"Così mi dicono" risposi acida. 
 
Lui mi guardò un po' sorpreso e un po' divertito, nonostante lo shock della scoperta che aveva appena fatto fosse palese sul suo viso. 
 
"Vedo che il tuo sangue non ha cancellato la sfacciataggine dei Morgenstern" 
 
Non capì cosa volesse dire, ma non ci feci neanche tanto caso, dopotutto non era la prima volta quel giorno che non capivo cosa la gente cercasse di dirmi. 
 
"Così mi dicono" ripetei. 
 
Non sapevo cosa mi fosse preso. Un minuto prima ero completamente terrorizzata, un minuto dopo un senso di fastidio e rabbia, forse derivanti dal fatto di essere stata riconosciuta, mi avevano investito con la forza di un uragano. 
 
"Dov'è Jonathan?" Domandò. 
 
"Morto" mentì senza neanche pensarci per un secondo. Cosa mi stava succedendo?
 
"Oh" disse Hodge. Sembrava sorpreso, ma non troppo. 
 
"Cosa sai di me?" gli chiesi senza giri di parole. 
 
"Cosa so di te?" Chiese confuso
 
"Della mia famiglia, della mia infanzia, di me" Domandai nervosa. 
 
Se Jonathan mi avesse vista in quel momento, con tutta quella sfacciataggine e sicurezza, mi avrebbe riservato uno dei suoi schiaffi più forti. 
 
"Potrebbe non piacerti" disse "ed è una storia lunga" 
 
Feci spallucce
 
 "racconta"
 
"Giuro incondizionata obbedienza al Circolo e ai suoi principi, sarò pronto a rischiare la vita in qualsiasi momento perché il circolo preservi la purezza del sangue di Idris e per il mondo mortale della cui sicurezza ci facciamo carico" recitò. 
 
Lo guardai confusa senza capire. Che cosa aveva tutto questo a che fare con me? Che cos'era il circolo?
 
"Non capisco come tutto questo possa avere a che fare con me" dissi a voce atona. 
 
Questo vent'anni fa era il giuramento di fedeltà del Circolo di Raziel" disse Hodge, sembrava stanco. 
 
"Quindi?"
 
Era un gruppo" disse lentamente "di Cacciatori che perseguiva l'eliminazione di tutti i Nascosti e la restaurazione di un mondo più "puro". Il loro piano era aspettare che i Nascosti arrivassero ad Idris per firmare gli Accordi. Devono essere firmati ogni quindici anni  affinché la loro magia conservi la propria potenza. Progettarono di massacrarli tutti mentre erano disarmati e indifesi. Questo atto terribile, pensavano, avrebbe scatenato una guerra tra gli umani e i nascosti… una guerra che avevano intenzione di vincere" 
 
Ancora non capivo casa questo centrasse con me, ma continuai ad ascoltare senza proferir parola. 
 
"L'esistenza del Circolo è ancora una fonte di imbarazzo per il Conclave. La maggior parte dei documenti che li riguardano è stata distrutta". Esitò "io ne facevo parte, come il padre di Jace, come Celine". 
 
Poi esitò di nuovo. Volevo risposte, nonostante fossi sorpresa nell'apprendere che quella donna adorabile che avevo appena conosciuto avesse fatto parte di una così terribile associazione, sapevo che c'era qualcosa di più, e volevo saperlo a tutti i costi. 
 
"Non erano gli unici Clary" continuò "anche tua madre ne faceva parte" trattenni il fiato "e tuo padre ne era a capo" 
 
 
 

 

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Capitolo 8
*** sick of life ***


Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. Dovevo riordinare i miliardi di pensieri che mi bombardavano la testa. 
Sapevo dell'attentato a mio padre da parte del conclave, anche se non sapevo che anche mia mamma fosse morta in quello stesso evento. 
Non capivo perché Jonathan mi avesse detto che mamma era morta di parto. 
Sapevo che il Conclave non approvava le attività di mio padre, ma Jonathan si era limitato a riferirsi al Circolo come un gruppo di Nephlim il quale lavoro non era accettato dalle autorità. 
Non sapevo delle crudeltà che i miei genitori avevano compiuto o del fatto che Celine avesse partecipato a quella follia. 
Mi morsi il labbro inferiore con forza tale che in pochi secondi il sapore di sangue aveva già invaso la mia bocca. 

"Tu ne facevi parte" dissi. 

Lui mi guardò confuso. 

"Si, ne facevo parte" affermò per la seconda volta in pochi minuti. 
"E abbiamo fatto cose terribili, non avrei mai v…"

"Com'erano?" lo interruppi
"Come erano i miei genitori?" 

Rimase un attimo interdetto, lo avevo interrotto mentre parlava. Se lo avessi fatto a Jonathan mi avrebbe tirato un ceffone. 

"Tua madre era molto solare. Le piaceva disegnare, e adorava stare in compagnia. Amava tuo padre alla follia. 
Lui invece era… speciale. Alla prima occhiata ti saresti fidato di lui ciecamente e avresti fatto tutto quello che ti avesse detto di fare. Non potevi non fidarti di lui. Io l'ho fatto" scosse la testa 
"Non avrei dovuto". 

"Perché?" Chiesi incuriosita. 

"Subito dopo l'attentato il Conclave ha dato una possibilità di scelta ai membri del Circolo:
Ammettere le proprie colpe, pentirsi e giurare di abbandonare il Circolo, o morire. 
La maggior parte di noi ha scelto la prima, ma tutto ha un prezzo" fece una breve pausa. 
"Io per esempio, non ho il diritto di mettere piede fuori da questo posto. 
Poteva andarmi peggio certo, ma… non sono più libero, e tutto questo solo per aver parte di un gruppo di ragazzi. Abbiamo fatto cose terribili, ma eravamo solo ragazzi"

Ascoltai il suo racconto senza emettere suono, e solo quando ebbe finito mi accorsi di aver spalancato la bocca. Solo ragazzi, aveva detto. Solo ragazzi.
Chi poteva essere così cattivo da condannare un uomo a una pena del genere? 
Il Conclave , mi risposi da sola. Jonathan mi aveva avvertita. 

"E Celine? Lei può uscire?"

Hodge fece una risata amara. 

"Celine era incinta, suo marito era appena morto, lei aveva tentato di suicidarsi. L'inquisitrice è sua suocera, ha fatto in modo che la sua punizione non fosse troppo pesante"

Aggrottai le sopracciglia confusa

"Credevo che l'inquisitore fosse Wayland" o almeno, quello era quello che mi aveva detto Jonathan. 

"Lo era" disse Hodge, la sua espressione era triste e stanca "ma il suo parabatai, Robert Lightwood aveva scoperto la sua omosessualità e lo aveva malamente rifiutato. 
Beh, lui non l'ha presa bene. Era confuso e deluso e… è scappato da Idris" si stropicciò gli occhi come un bambino
"Era ancora un ragazzo quando è diventato inquisitore, aveva solo vent'anni. Hanno ritrovato il suo cadavere nella foresta di Brocedlin. Nessuno l'ha mai detto, ma tutti sanno che è stato tuo padre ad ucciderlo"

Deglutì rumorosamente. Mio padre era un assassino, un mostro, e se lo era lui lo ero anche io. Prima che potessi rendermene conto ero in piedi e stavo correndo. Non sapevo dove, sapevo solo che volevo uscire da quella casa, allontanarmi da tutte quelle persone, in qualche modo collegate alla mia famiglia, al mio passato. 
Scesi le scale e attraversai il salone. L'edificio sembrava vuoto, ma non mi chiesi dove fossero tutti. Spalancai la porta d'ingresso e davanti ai miei occhi comparve il panorama di un prato verde, punteggiato di papaveri rossi. 
Mi lasciai cadere sull'erba e annaspai in cerca d'aria. Avevo lo stomaco sottosopra e le lacrime premevano per uscire e sgorgarmi sulle guance. 
Sentii un leggero peso sulla spalla e lanciai un gridolino, sobbalzando e allontanandomi da cosa mi aveva toccata. 

"Hey, hey calma" disse una voce dolce e rassicurante che collegai subito a Jace. 

Continuai ad annaspare e questa volta quando la mano del ragazzo si poggiò sulla mia spalla non mi spostai. Si posizionò di fronte a me e mi guardò in viso, finché non riuscì a calmarmi leggermente e ricambiare lo sguardo, perdendomi nell'oro dei suoi occhi. 
Mi prese la mano e le diede una leggera stretta. I miei occhi si puntarono sulle nostre dita intrecciate. 

"Cos'è successo?" Mi chiese. 

Io non risposi, perché se lo avessi fatto avrei dovuto inventarmi una bugia, e in quel momento non avevo voglia di farlo. 
Lo sentì sospirare. 

"Devo andare a picchiare Hodge?" Mi chiese, e nonostante il suo tono quasi serio capì che stava scherzando. 

Mi scappò un sorriso, che non tentai neanche di nascondere, che senso aveva ormai?

"Sai dovresti smettere di sorridere, potrebbero arrestarti" disse. 

Sussultai spaventata e smisi di sorridere di colpo. 
Lo sentì ridacchiare. 

"Stavo scherzando" 

Strinsi i pugni infastidita, ma la sua mano era ancora nella mia e quindi lo sentì anche lui. 

"Non sei mai stata presa in giro?" Ironizzò lui con un sorrisetto stampato su quella faccia da schiaffi. 

"No" dissi, ed era vero. 

Se Jonathan doveva dire qualcosa me lo diceva e basta, non si faceva scrupoli, e tanto meno non avrebbe scherzato, per lui quella parola era come veleno. 
Mi aveva insegnato che scherzare era una cosa da deboli e stupidi e che se lo avessi mai fatto non avrei più potuto vivere sotto la sua protezione. 
Jace smise di ridere e stette in silenzio. 
La tranquillità mi diede tempo per pensare alle parole di Hodge e per riordinarmi le idee. 
Quando il pollice del ragazzo mi sfiorò il polso sussultai e sfilai bruscamente la mano dalla sua. 
Gli lanciai un occhiata omicida e lui mi guardò confuso. 

"Cosa…?" 

Non gli diedi tempo di finire e mi alzai e senza dire una parola mi ritirai in casa, in quella che sarebbe stata la mia stanza per qualche tempo. 
Mi sdraia sul letto e rimasi a guardare il soffitto per quella che mi parve un eternità. Un miliardo di pensieri mi affollavano la testa e faticavo a pensare chiaramente. Alzai un braccio, come per toccare il soffitto di quella lussuosissima stanza, e la manica si scostò leggermente. Intravidi una delle tante cicatrici che mi percorrevano le braccia e le gambe. Cicatrici provocate da lame demoniache. 

Un ricordo mi riaffiorò alla mente. 
Una ragazzina sedeva piangente appoggiata ad un muro di roccia scura e umida. 

"Combatti il dolore" diceva un bambino a un passo da lei "combatti il dolore Clarissa". 

E la bambina stringeva i denti con le lacrime agli occhi, guardando impotente il piccolo pugnale nelle mani del fratello, bagnato di sangue rosso. 

Un senso di nausea iniziava ad invadermi e dovetti alzarmi e correre verso quello che Jace mi aveva indicato essere il bagno. 
Accovacciata al gabinetto vomitai per la prima volta in tutta la mia vita.

ANGOLINO A(U)TR(I)oCE:

a parte la terribile battuta qui sopra sono abbastanza felice per il capitolo... no ok fa schifo però ci ho provato, e un po' di sana Clace non si può mai rifiutare anche se Jace è ancora in fase 'sono stronzo perchè io posso'.

ringrazio chi ha recensito, aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate, e ringrazio chi lo farà.

adios

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Capitolo 9
*** lightwood ***


Mi appoggiai al muro e chiusi gli occhi. 
Avrei potuto dare la colpa allo shock per tutto quello che avevo scoperto o al ricordo di come mi ero procurata le mie cicatrici, ma sapevo benissimo che era stato tutto il cibo che avevo mangiato la causa di questa mia disgrazia. Non avevo mai fatto un pasto del genere, e adesso avevo pagato le conseguenze delle mie azioni. 
Mi alzai tremante e mi sciacquai la bocca. Poi mi diressi verso quella che era diventata la mia stanza e mi sedetti sul letto. 
Sulla soglia della stanza comparve Jace. Sembrava leggermente preoccupato, ma non ci feci caso. Dopotutto non era lui il cretino che qualche minuto prima mi aveva presa in giro?
 
"Stai bene?" Chiese, e il suo tono di voce lasciava trapelare la preoccupazione che prima avevo accuratamente evitato di notare 
 
"Si" dissi, ma la mia voce si incrinò leggermente. 
"Sto benissimo, non si vede?"
 
Sarcasmo, casa avrebbe fatto Jonathan se mi avesse sentita?  
Jace sorrise. 
 
"Credevo che il senso dell'umorismo fosse vietato dalla legge"
 
"Lo è" dissi "solo mi piace infrangere le regole"
 
Il che non era per niente vero. Io ero nata per seguire le regole. 
 
"Che coincidenza" disse sedendosi sul letto di fianco a me "infrangere le regole è il mio passatempo preferito"
 
"Qualcosa mi dice che non ne hai molti" borbottai
 
"E che cosa te lo dice?"
 
"Se passi le tue giornate a infastidire ragazze qualcosa mi dice che nella tua vita non fai molto di speciale"
 
Lo sentì ridere silenziosamente di fianco a me e mi girai per guardarlo. I riccioli biondi gli ricadevano sulla fronte, e i suoi occhi, quei bellissimi occhi, erano puntati su di me. Rimanemmo in silenzio a guardarci per qualche secondo, fino a quando lui non distolse lo sguardo e mi porse la mano. 
 
"Vieni con me, voglio farti vedere una cosa" 
 
La afferrai e senza esitare lo seguii, giù per le scale, fino al salotto. Si fermò all'entrata della stanza e lo guardai senza capire. 
Lui si limitò a farmi cenno di entrare, e quando lo feci rimasi ancora più confusa di prima. Lo vidi avvicinarsi alla scrivania vicino al divano di pelle e lo seguì con lo sguardo. Lanciai una veloce occhiata alla superficie del mobile e scorsi un set di matite e fogli di carta. Quanto avrei voluto averne uno tutto mio. 
Lo vidi sorridere e sentì un moto di gelosia montarmi dentro, perché lui poteva avere tutto questo e io no?
 
"Sono per te" disse. 
 
La gelosia e la rabbia che avevo provato nei suoi confronti scomparvero in un attimo, e mi ritrovai a guardare i fogli come un bambino guarda un negozio di caramelle. 
 
"Da… davvero?" 
 
Un ghigno era stampato su quella. Sua stupenda faccia da schiaffi. 
 
"Certo che se non li vuoi…"
 
"No no" lo interruppi, e vidi il ghigno allargarsi sempre di più. 
 
"Beh non vuoi provarli?" 
 
La domanda mi prese in contropiede e non mi mossi di un centimetro. 
 
"Cosa c'è?"
 
"Io.. Ecco ehm..."
 
"Tu?"
 
"Io non ho mai disegnato in vita mia" ammisi
 
Mi aspettavo che mi prendesse in giro, invece mi fece cenno di avvicinarmi
 
"Ragione in più per provare" 
 
Non me lo feci ripetere due volte e mi avvicinai alla scrivania. Accettai il suo atto di galanteria e mi sedetti sulla sedia che spostò per lasciarmi sedere. 
Lui si prese posto di fianco a me, e mentre disegnavo, sentivo il suo sguardo bruciare sulla mia guancia. Non mi girai verso di lui nemmeno una volta, ero troppo concentrata sul disegno. Presi una matita grigia, e cominciai a tracciare linee sulla carta bianca. Era come tracciare rune, solo più complesso e molto meno doloroso. 
Quando ebbi finito alzai lo sguardo soddisfatta e incontrai lo sguardo leggermente accigliato di Jace. 
 
"Posso vedere?"
 
"Io ecco…"
 
Non aspettò la mia risposta e mi rubò il foglio da sotto il naso, con un agilità che avevo visto solo a Jonathan, non che avessi conosciuto molte persone a cui applicare il paragone. 
 
"Wow Clary, sei brava" rimasi leggermente stupita da quel commento "anche se mi aspettavo che avresti disegnato me". 
 
Come non detto, il solito deficiente. Gli strappai il disegno dalle mani e lo osservai attentamente. Raffigurava il soffitto della mia nuova stanza, con tutte le decorazioni e i ghirigori. 
 
"Funziona davvero?" Gli chiesi
 
"Funziona davvero cosa?"
 
"Questa tua… cosa della seduzione" lo sentì ridere
 
"Certo che funziona, non conosco ragazza in Idris che non sia attratta da me, e scommetto che lo sei anche tu"
 
Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva. Essere attratti da qualcuno era sbagliato, molto sbagliato, me lo aveva insegnato Jonathan. 
 
"Oh" disse Jace "scommetto che anche essere attratti da qualcuno è contro la legge"
 
Gli lanciai un'occhiata omicida. 
 
"Anche parlare con i deficienti è contro la legge" balla "ma mi sembra che in questo momento io lo stia facendo comunque"
 
"Quindi ammetti che sei attratta da me"
 
"Non era quello che intendevo" risposi stizzita. 
 
Lui ammiccò. 
 
"Cambierai idea, vedrai"
 
"Dubito"
 
E con questo chiusi il discorso. 
Calò il silenzio, solo interrotto dal rumore della matita che sfregava contro la carta. Questa volta non stavo disegnando un paesaggio, o un oggetto, o una persona. Le linee si creavano da sole nella mia mente, e senza che potessi accorgermene una runa aveva preso forma sul foglio. 
La guardai stravolta, non l'avevo mai vista prima, ma sentivo che era una runa che parlava di amore, di…
 
"Whoa, una runa del matrimonio" disse Jace "avevo capito che ti piaccio, ma non ti sembra di correre troppo?"
 
Gli lanciai l'ennesima occhiataccia e lascia cadere la matita sul tavolo. 
 
"Non ho mai visto questa runa prima d'ora" dissi
 
"E allora come…?" Cominciò, ma fu interrotto dall'ingresso nella stanza di Celine, la quale non aveva il solito sorriso stampato sul viso, ma bensì un espressione infastidita. 
 
"Mamma va tutto bene?" Questo era Jace, e aveva una voce preoccupata. 
 
"Si, tutto bene"
 
"Ma…?" la incitò lui. 
 
"Ci sono stati dei problemi col conclave, stanno arrivando i Lightwood"
 
  

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Capitolo 10
*** fight ***


La reazione che ebbi a quell'affermazione fu leggermente esagerata, ma solo leggermente. 
Sobbalzai e mi aggrappai al polso di Jace, il qual ridacchiò. 
"Problemi col conclave?" Domandai spaventata, sicura che riguardassero me. 
"Si Clary, non devi preoccupartene" mi rassicurò Celine con aria stanca e un sorriso leggermente sforzato sul viso "non centrano niente con te". 
"Ma presto quei cretino faranno in modo che succeda" borbottò Jace infastidito. 
"Jace!" Esclamò Celine scandalizzata. 
"Cosa c'è?" Si difese lui "lo sai che ho ragione"
L'espressione di Celine di addolcì. 
"Si lo so" ammise "ma non voglio che sia maleducato con loro"
"E quando mai lo sono stato?"
Celine non rispose e si limitò a sorridergli. 
"Perché non fai qualcosa con Clary mentre lavoro?" Disse poi per non lasciare che il silenzio calasse nella stanza. Jace si voltò a guardarmi e alzò un sopracciglio. 
"Vuoi allenarti?" Mi chiese. 
La faccia che feci doveva essere proprio terribile, perché il ragazzo scoppiò a ridere. L'allenamento non faceva proprio per me. Passare ore a combattere finché le gambe non mi reggevano più non era una delle mie attività preferite, per niente. Non capivo perché non ci si potesse allenare solo per qualche ora, e quando ci si stancava riposarsi. 
"Sei una ragazza pigra è?" Poi si rivolse a Celine
"Visto? Non vede l'ora". 
E senza tante cerimonie mi afferrò il polso, coperto dalla manica della maglietta, e mi trascinò fuori dalla stanza. Sfilò due spade angeliche dal portaombrelli, cosa che mi fece sorridere lievemente e mi spinse fuori dalla porta, in giardino. Me ne lanciò una e sussurrò il nome della sua. Io feci lo stesso chiamando la mia Raziel. Non era molto originale, ma era l'unico angelo di cui conoscevo il nome. 
"Quindi" cominciò "non ti piace combattere".    
Feci roteare l'arma tra le mani. 
"In realtà, non amo allenarmi" dissi. 
Avevamo cominciato a camminare in tondo, ed eravamo entrambi pronti ad attaccare e difenderci l'uno dall'altro. 
Jace alzò un sopracciglio. 
"Pigrezza?" 
"No, cervello", e con quello attaccai. 
Calai la spada sulla sua testa, ma lui parò il mio colpo con la sua lama. Per un attimo sembrò leggermente scosso per essere stato colto impreparato, ma si riprese in un attimo e tentò un affondo che parai facilmente. Le nostre spade si scontrarono diverse volte, e dopo soli due minuti, lui aveva numerose ferite sulle braccia, e una sulla guancia. Io avevo un profondo taglio sull'avambraccio sinistro che mi impediva di muoverlo, ma era evidente che anche con quello, io ero in netto vantaggio. 
Quando tentò un'altro affondo, colpii la sua spada con la mia da sotto e la feci volare a cinque metri da noi. Poi gli puntai la mia lama alla gola. 
Avevamo entrambi il fiato corto, e lui sembrava sorpreso per essere stato battuto. 
"Come hai…"
"Cosa c'è Herondale?" Lo canzonai "non sei mai stato battuto da una ragazza?"
"In realtà, non ero mai stato battuto prima. Da nessuno"
La sua confessione mi sorprese. Jonathan mi aveva sempre detto che non sapevo combattere, ma da qualche tempo avevo imparato che quello che Jonathan mi aveva insegnato non sempre era esatto. 
Il che mi fece riflettere. Perché Jonathan mi aveva cresciuta in quel modo? perché mi aveva crescita con tutte quelle bugie?
"C'è sempre una prima volta" dissi mentre scostava la mia lama dalla sua gola con una mano e si avvicinava alla sua spada per raccoglierla. 
"Scusa" gli dissi senza riuscire a frenare la lingua. 
"Scusa per cosa?" Domandò alzando un sopracciglio. 
"Per le tue braccia… e tutto il resto" dissi riferendomi ai tagli e le ferite che gli avevo procurato. 
Il problema era che quando iniziavo a combattere non ero più me stessa, una scarica di adrenalina mi attraversava e non riuscivo a pensare ad altro che a battere il nemico. 
E lo dissi anche a lui come giustificazione. 
"Succede un po' a tutti noi cacciatori" mi spiegò Jace "è l'adrenalina della battaglia" 
Poi mi guardò. 
"Cosa?"
"È una bella sensazione vero?"
"Si" ammisi "lo è". 
Lo osservai in silenzio. Lui pulì la spada, sporca di sangue e terra e la appoggiò per terra. Poi si frugò in tasca e ne tirò fuori uno stilo. 
Lo guardai tracciarsi tre rune sul braccio e una sulla spalla. Notai che era mancino, e che quando era concentrato su qualcosa aggrottava le sopracciglia in modo buffo. 
Notai anche quanto il suo viso, per quanto insopportabile, fosse bello e delicato. 
Quando ebbe finito alzò lo sguardo e mi beccò ad osservarlo. Distolsi velocemente lo sguardo arrossendo lievemente e lo sentì avvicinarsi. 
"Tieni" disse porgendomi lo stilo. 
Indietreggiai di qualche passo. 
"No grazie, non mi serve" 
Non lo rifiutai perché non ne avevo bisogno, ma perché se avessi alzato la manica della maglietta per tracciarmi una runa guaritrice, Jace avrebbe visto le mie cicatrici. Mi ero ripromessa che nessuno le avrebbe mai viste, e così era sempre stato. Nessuno tranne Jonathan, dopotutto era stato lui ad infliggermi quelle ferite. 
"Non dire cavolate, riesci a malapena a muovere il braccio"
"Ho detto che sto benissimo" sibilai indietreggiando, ma lui non mi ascoltò e mi afferrò il polso e mi scostò bruscamente la manica della maglietta dal braccio. 
Trattenni il respiro, insicura su quale sarebbe stata la sua reazione alla vista di quei segni. 
Rabbia?
Disprezzo?
Disgusto?
Lui non disse niente, e rimase a fissare senza espressione quei segni permanenti. 
"Chi ti ha fatto questo?" Domandò infine. 
Il suo tono era freddo e arrabbiato, potei anche sentire una punta di disgusto nella voce. 
Ma certo, mi dissi, chi non sarebbe disgustato dopo aver visto qualcosa del genere. 
Io non risposi e abbassai lo sguardo. 
"Chi ti ha fatto questo?" Ripeté, e questa volta il suo tono di voce era così duro che quasi mi fece paura. 
"Sei stata tu?" Domandò con un tono di rimprovero. 
Scossi la testa senza incontrare il suo sguardo. 
"E allora chi?" Domandò per l'ennesima volta con tono sconsolato. 
Sentii una delle sue dita sotto al mento, e con quella mi fece alzare il viso. Mi persi nell'oro dei suoi occhi e continuai a mantenere un silenzio di tomba. 
Lo sentì sospirare e subito dopo un lieve bruciore mi fece abbassare lo sguardo sul braccio. Jace ci stava tracciando un iratze, e quando ebbe finito alzò lo sguardo con un'espressione interrogativa. 
"Perché rimangono le cicatrici?" Domandò perplesso. 
"Lama demoniaca" mi limitai a rispondere. 
"Vuoi dirmi come te le sei procurate?" Chiese Jace, e la gentilezza nella sua voce mi sorprese. 
Scossi la testa e lo sentì sospirare di nuovo. 
"Sai che quando vorrai dirmelo io ci sarò giusto?" Io annuii. 
Mi sorrise e io ricambiai il sorriso. Eravamo in piedi, un davanti all'altro, e le nostre ginocchia si sfioravano. Mi resi conto della nostra eccessiva vicinanza, ma non feci niente per allontanarmi da lui. Dopotutto, si stava bene. La mia mano destra era ancora nella sua, perché dopo avermi guarito aveva fatto scivolare le sue dita lungo una delle tante cicatrici che sfregiavano il mio polso e che terminava nel mio palmo. 
"Herondale" disse una voce femminile dietro di noi "vedo che ti dai ancora da fare con le ragazze" 
"Lightwood" lo sentii sussurrare prima che si staccasse da me, facendomi sentire come se mi avessero appena strappato un cerotto senza tante cerimonie.  

ANGOLINO AUTRICE:
buonsalve bella gente.
pubblico alle 2:36 perchè non riesco a dormire, e mi scuso per eventuali errori, perchè nonostante non riesca a prendere sonno, sono comunque stanca, perchè la finee della scuola si avvicna e sono piena di test e essay.
Comunque, ringrazio chi ha recensito i precendenti capitoli, chi ha messo la storia tra le preferite!!!/seguite o ricorate, e anche i lettori silenzioni e vi auguro una buona notte, o buon-qualsiasioradelgiornosia.

PS il capitolo fa schifo lo so, ma non sapevo cosa scrivere

 

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Capitolo 11
*** brothers and boyfriends ***


buonsalve bella gente. Oggi posso finalmente dire di essere felice di un capitolo, spero che piaccia anche a voi.
Come al solito ringrazio chi legge la storia, chi recensisce e chi mette la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
buona lettura.


"Però" ripeté la ragazza per la terza volta "l'accoglienza non è delle più calde"
"Sei ancora viva Lightworm" disse Jace sprezzante "consideralo il meglio che posso fare"
Si stavano lanciando frecciatine da almeno dieci minuti. Eravamo tutti nel salotto seduti sui divani di pelle marrone. La ragazza si chiamava Isabelle, lo avevo sentito quando il fratello la aveva rimproverata per aver insultato Jace chiamandola per nome. Era alta, bella e altezzosa, tutte qualità che io non avrei mai avuto. 
Il fratello invece se ne stava in disparte. Non diceva niente e, di tanto in tanto, lanciava occhiate a Jace, che se ne accorgeva ma faceva finta di niente. 
Quelli che avevo supposto fossero i signori Lightwood erano nella stanza di fianco a quella in cui eravamo in quel momento. A Celine non piacevano, lo avevo capito, ma non capivo perché dovessero per forza dormire a casa loro, dal momento che da giovani vivevano entrambi ad Alicante e di conseguenza dovevano per forza avere una casa tutta loro. 
Isabelle sbuffò e si girò verso di me. 
"Da quanto state insieme?"
Spalancai gli occhi sorpresa e sentì Jace irrigidirsi al mio fianco. 
"Io non …"
"Oh capisco" fece la ragazza "sei solo il giochino del momento"
"Isabelle Lightwood!" Esclamò Alec scandalizzato. 
Decisi di giocarmi la carta del senso di colpa, infondo se avevo imparato qualcosa da Jace, quello era essere subdola. 
"In realtà" dissi fingendomi il più innocente e indifesa possibile "i miei genitori sono appena morti e Jace e sua madre mi stanno ospitando a casa loro. Non ho dove andare"
La vidi sussultare leggermente e abbassare lo sguardo. Era dispiaciuta e mi sentivo leggermente in colpa per quello che avevo fatto. Infondo odiavo far soffrire la gente. Possibile che in sedici anni in cui Jonathan aveva cercato di farmi diventare una spietata assassina non fossi mai cambiata come lui voleva, e in poche ore con quel ragazzo ero già così… diversa?
Sentì Jace ridacchiare sommessamente di fianco a me e mi girai nella sua direzione. 
"Avrei bisogno di una mano" improvvisai "potresti aiutarmi a … ehm … trovare un libro?"
"Con piacere" disse lui alzandosi. 
"È stato un piacere conoscervi" dissi rivolta ai due fratelli prima di alzarmi e seguire Jace fuori dalla stanza e verso la libreria. 
Lo fermai prima che potesse entrare nella sala perché non volevo rivedere Hodge, non ancora. 
Lui si voltò nella mia direzione con un sopracciglio alzato. 
"Wow" disse "credevo che mentire fosse contro la legge"
Gli lanciai un occhiataccia. 
"L'ho fatto per te"
"Lo so" disse con un ghigno stampato su quella faccia da schiaffi. 
Calò il silenzio. 
"Davvero i tuoi genitori sono appena morti?" Domandò infine. 
"No" dissi "cioè, sono morti, ma quindici anni fa"
"Quanti anni hai?"
"Sedici, credo"
Altro silenzio. 
"Mio padre è morto" disse Jace "non ero ancora nato"
"Mi dispi…"
"Non dirlo" mi interruppe "odio quando la gente lo fa"
Abbassai lo sguardo. Eravamo entrambi appoggiati alla parete davanti alla biblioteca e per la seconda volta in una giornata, le nostre ginocchia si stavano sfiorando. 
"Il punto è che… non è morto come uno shadowhunter dovrebbe morire" aggiunse
"Stava facendo cose sbagliate che non avrebbe mai dovuto fare, ma comunque, era uno shadowhunter e non si meritava di finire così. Avrebbero dovuto seppellirlo e invece non c'era niente da seppellire. I nascosti che l'anno ucciso non hanno lasciato niente di lui. Niente"
Rimasi in silenzio ad ascoltarlo parlare. Gli presi una mano nella mia e le diedi una leggera stretta per fargli capire che io c'ero, che poteva aprirsi con me. 
Ma il punto era proprio quello. Perché si stava aprendo con me? 
Quella mattina non si era neanche disturbato di parlarmi civilmente e adesso mi stava raccontando di suo padre, di come era morto. 
"Faceva parte di un gruppo, il Circolo" disse sprezzante "il loro passatempo era uccidere nascosti. Nascosti capisci? Sono solo persone dopotutto, più o meno. Una sera durante una delle loro missioni mio padre è stato ucciso. Così, una sera come un'altra. Il giorno prima era lì, e il giorno dopo… niente, non c'era più niente. 
Avrebbe potuto capitare a chiunque potresti pensare" e infatti era quello che mi passava per la mente in quel momento "ma no. Perché non è stato un incidente. Quel bastardo di Valentine l'ha ucciso" sibilò sprezzante. 
Mi irrigidì e sperai che lui non se fosse accorto. 
"Non era la prima volta che succedeva qualcosa del genere. Ha ucciso il suo parabatai. Il suo parabatai! Avrebbe dovuto proteggerlo, morire per lui, invece non gli ha coperto le spalle quando avrebbe dovuto solo perché si sentiva minacciato. Capisci, minacciato! Solo perché era il migliore amico di sua moglie e ne era follemente innamorato. 
Se fosse ancora vivo, giuro che lo ucciderei con le mie stesse mani. E ucciderei tutta la sua famiglia, solo per ripagare quello che ha fatto a mio padre"
Il suo discorso mi terrorizzò a morte. Se avesse conosciuto la mia identità, la mia vera identità, mi avrebbe uccisa. 
Mi si formò un groppo in gola e lasciai la sua mano per correre in bagno e vomitare per la seconda volta in poche ore. Siccome non avevo più cibo nello stomaco, vomitai solamente acidi, che bruciarono anche più del cibo. 
Una mano mi scostò i capelli dal viso e mi aiutò ad alzarmi quando ebbi finito. 
Jace era davanti a me e aveva un espressione preoccupata e leggermente sospettosa. 
"Cosa è successo?" Mi chiese
"Deve essere stato il cibo" mentì camminando verso al lavandino per sciaquarmi la bocca "non avevo mai mangiato tanto"
Il sospetto scomparve dal suo viso e rimase fermo ad aspettare che finissi. 
"Mi parlerai mai del tuo passato?" Mi domandò poi. 
Alzai un sopracciglio. 
"Andiamo Jace, mi conosci da un giorno e già vuoi sapere tutto di me?" Tentai di ironizzare. 
"Io ti ho detto di mio padre" sussurrò lui, e sentì un peso sullo stomaco. 
E non solo quello, pensai. 
Mi girai e mi incamminai verso la mia stanza. 
"Non ti conviene entrare" la voce di Jace mi raggiunse quando ebbi quasi varcato la soglia "per un po' ti toccherà dividere la stanza con la piattola"
"Chiamala tua sorella piattola deficiente!" La voce arrabbiata di Isabelle proveniva dalla stanza. 
Feci una smorfia leggermente divertita e feci spallucce. 
"Cosa consiglia di fare allora signore?" Chiesi a Jace con una voce esageratamente educata.   
"Io le consiglierei di scendere e aiutarmi a preparare la cena signorina" rispose porgendomi la mano. 
La guardai confusa. Cosa avrei dovuto fare ora?
"Devi prendere la mia mano" sussurrò lui leggermente divertito. 
Feci quello che mi disse e lo seguì in cucina. Lo guardai mentre girava per la stanza e spostava stoviglie dagli armadi al ripiano di fianco ai fornelli. 
Si girò nella mia direzione e sollevò un sopracciglio. 
"Hai intenzione di aiutare?"
"Io… non so cosa fare" ammisi. 
Mi aspettavo che mi ridesse in faccia, ma non lo fece. 
"Allora, tu puoi apparecchiare io cucino" 
"Non mi fido a lasciarti cucinare Herondale, potresti avvelenarci tutti" disse una voce femminile alle mie spalle. 
"Sicuramente se cucini tu non sopravvivrà nessuno anche senza veleno" disse Alec. 
Mi girai e vidi i due fratelli sulla soglia della cucina. 
"E allora perché non cucini tu Alexander?"
"Perché nemmeno io so cucinare, ma almeno non ti costringo a mangiare il mio cibo" replicò l'altro calmo. 
"Se volete mangiare dovrete accontentarvi del cibo che cucino io. E tu" disse rivolgendosi a Isabelle "insegna a Clary ad apparecchiare, magari fai qualcosa di utile. Tanto per cambiare"
"Io non prendo ordini da nessuno" fece l'altra stizzita incrociando le braccia sul petto "e soprattutto non da te"  
Alec sbuffò e si avvicinò a me con passo elegante. 
"Ti aiuto io" sussurrò per poi lanciare un occhiataccia alla sorella che si guardava le unghie indifferente. 
Lo guardai indecisa sul da farsi, ma poi annuii e lo seguii verso la pila di piatti che Jace aveva tirato fuori dal mobile. 
"Questi vanno sul tavolo, uno a testa" e si diresse nella sala da pranzo appoggiandoli sul tavolo e prendendone uno alla volta, sistemandoli tutti alla stessa distanza. Presi due dei tre rimanenti e li sistemai come aveva fatto Alec. 
"Vedi? Non è difficile"
Con l'aiuto di Alec finii di apparecchiare e solo quando il profumo del pollo che stava preparando mi invase le narici mi accorsi di quanto fossi affamata. Ero anche riconoscente ad Alec per non aver fatto domande sul perchè non sapessi fare qualcosa di così semplice e normale come apparecchiare. 
Isabelle era rimasta per tutto il tempo appoggiata allo stipite della porta a guardarci lavorare. Mi ricordava Jonathan quando mi faceva raccogliere la legna o ripulire i luoghi in cui avevamo vissuto, mentre lui rimaneva seduto a guardarmi, ripetendomi di fare più veloce e terrorizzandomi con quel suo pugnale dalla lama demoniaca. 
"Hai imparato ad apparecchiare la tavola?" Mi chiese Jace quando ebbi ringraziato Alec e mi fui avvicinata a lui. Potei dire che mi stava prendendo in giro dal suo tono di voce e dal fatto che avesse un sorrisetto sghembo su quella sua faccia da schiaffi.
"Hai imparato a chiudere la bocca?"
"Hai appena constatato che è impossibile che succeda"
"Speravo"
"La speranza non è che un ciarlatano che c'inganna senza posa" citò lui. 
"Davvero? Chamfort? Però, sei originale"
"Credevo che non conoscessi…"
"Cosa? Credevi che fossi così ignorante da non conoscere Chamfort? Mio fratello non faceva altro che citarlo e parlarmi di come si fosse suicidato prima di andare a dormire quando ero piccola"
"A si? E se non ti spaventavi ti regalava una cicatrice gratis?" Domandò freddo e sarcastico
Io mi irrigidii. 
"Come fai…"
"Per favore Clarissa, risparmiami le tue balle. Non hai genitori, sembra che sia stata cresciuta in prigione, sei piena di cicatrici, sembra che non abbia mai visto del cibo prima"
"Smettila" sibilai
"Scommetto che quando ti ho trovata stavi scappando da lui e che quando mi hai attaccato pensavi che fossi lui"
"Ho detto smettila". 
Lui scosse la testa e si girò dall'altra parte. Con i pugni serrati dalla rabbia mi guardai intorno. Incrociai lo sguardo di Alec e Isabelle e loro si girarono velocemente dall'altra parte. 
"Ti sbagli" sibilai a Jace
"A si? Sei ridicola Clarissa"
Sei ridicola Clarissa. Jonathan me lo aveva detto meno di una settimana prima. Cosa avrebbe fatto quando mi avesse trovata?
"Le tue braccia sono coperte di cicatrici, e scommetto non solo quelle. Perché vuoi difenderlo? Scommetto che non è neanche morto"
"Ed è qui che ti sbagli" sibilai "lui è morto, e non puoi capire quanto ne sia felice". 
Detto questo mi allontanai bruscamente da lui e con passo deciso camminai verso la porta, beccando per la seconda volta i due fratelli Lightwood a guardarci. 
Quando fui fuori riuscì a sentire la voce di Isabelle dire a Jace "beh, il tatto è qualcosa di cui sei privo". 
Scossi la testa e mi buttai sul divano, riscaldandomi con il calore del fuoco acceso nel camino. Sospirai e chiusi gli occhi. In qualche modo mi addormentai. 



 

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Capitolo 12
*** Note Dell'Autrice (Ancora Viva E Terribilmente Dispiaciuta) ***


Note di un'autrice molto dispiaciuta

Buon giorno lettori e lettrici. Si lo so, sono scomparsa per mesi, forse anche anni. Sono terribilmente dispiaciuta (come potete vedere dal titolo). Ultimamente sono successe tante cose e ci sono stati cambiamenti nella mia vita che mi hanno partata a prendere una pausa dalla scrittura della quale mi pento molto. Quando ho iniziato a scrivere questa storia la lettura e la scrittura erano un rifugio dalla realta' del fatto che mi ero trasferita in una citta' in cui non volevo vivere, e dal fatto che avevo lasciato tutti i miei amici e fratelli con il trasloco. E questo era due anni fa. Durante l'estate ho avuto diverse distrazioni, e sono tornata con una mentalita' completamente diversa, mettendo la scrittura (la quale ignoravo da qualche tempo) e la lettura in secondo piano. I miei voti si sono abbassati e i miei insegnanti non mi considerano piu' una studentessa modello. Cosi' durante le vacanze di Natale ho deciso di tornare a scrivere.

Quando ho iniziato ad elaborare questa storia non molte persone la leggevano e ne rimanevano anche lontanamente impressionate, e posso solo immaginare ora che opinione ne avrete voi lettori. Avevo iniziato a revisionarla qualche mese fa, perche' dopo averla letta avevo deciso che non ne ero per niente felice, ma non ero mai andata avanti con questo mio progetto. Adesso non so proprio che cosa farmene. Se mai ho avuto un talento come scrittrice, se ne e' andato assieme alla mia passione per la lettura. In mio parere, la storia che ho scritto si svolge troppo velocemente, e ci sono troppe rivelazoni nei primi capitoli. In secondo luogo, i capitoli sono troppo corti e non mi paiono scritti molto bene. 

In conclusione, se ricevessi un opinione su cosa deve essere di questa storie da voi lettori e lettrici potrei elaborarla o riscriverla completamente. 

NeverAloneF

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