Beauty and the Beast

di lawlietismine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



 

C'era una volta– Tutte le belle storie iniziano con un “c'era una volta”, tutte quelle fantastiche, quelle da raccontare ai bambini prima che si addormentino, quelle storie che fanno sognare e che si allontanano fin troppo dalla realtà, creando illusioni che portano solamente delusioni; ma comunque, naturalmente, anche questa ha il suo “c'era una volta”.

Non è da sostituire a una ninnananna, non è un sogno, è reale e pare incredibilmente una vera fiaba, a modo suo sembra impossibile: a volte è solo questione di destino.

C'era una volta, sì, ma non un giovane principe che viveva in un castello splendente in un paese lontano, bensì un ragazzo che ne aveva passate tante, troppe, un ragazzo che era stato forgiato dall'esperienza e che probabilmente non avrebbe mai trovato una via differente, una via migliore, in una cittadina chiamata Beacon Hills.
Non era un ragazzo qualunque, non lo era mai stato, era cresciuto in una famiglia di licantropi noti per la loro forza, per la loro potenza, in un mondo dove i licantropi erano guardati con timore e incertezza, ma era cresciuto in una famiglia che lo aveva amato e curato e che presto gli era stata portata via sotto i suoi stessi occhi, avvolta dalle fiamme, intrappolata nella loro stessa dimora fino all'ultimo respiro, senza che lui potesse intervenire: ogni goccia di felicità, ogni briciola di umanità, ogni sfumatura di un lontano ricordo sereno era morta in quella casa, era bruciata con quella famiglia che tanto lo aveva adorato e che lui tanto aveva ammirato.
Con loro era morto quel normale ragazzo licantropo dalla nascita, con loro era morta ogni speranza.

Derek Hale era solo un ragazzo, Derek Hale era un ragazzo solo, costretto in quella casa le cui mura racchiudevano il ricordo delle vecchie giornate spensierate, di quei litigi passeggeri che ora erano fonte di rimpianto e delle ultime urla strazianti di cui erano state testimoni. Derek Hale aveva continuato la sua apparente vita, ma chiuso all'interno di una gabbia, all'interno della peggiore prigione possibile per la sua mente, ed era diventato inevitabilmente ciò che era, presto dimenticato da tutti.

 

 

“Stiles?” il richiamo non fu colto per quanto ripetitivo e ormai sbottato a gran voce, poiché il ragazzo se ne stava immerso nelle coperte della sua camera, gambe incrociate, schiena ricurva, torcia in una mano, libro nell'altra e sguardo concentrato e perso fra le innumerevoli curiosità che stava leggendo: nonostante il sole fosse ben alto nel cielo e nonostante l'ora della giornata, le luci nella stanza erano spente e le finestre rigorosamente chiuse, l'unica fonte di luce era racchiusa sotto al piumone, che in quel periodo tardo estivo iniziava a stonare.
“Stiles!” stavolta fu un rimprovero secco e stizzito, proposto sempre dalla stessa voce femminile che apparteneva alla ragazza che aveva appena spalancato la porta, acceso la luce e adocchiato la montagna bianca sul materasso: un attimo dopo gli si avvicinò, afferrò malamente la grossa coperta e la strattonò via senza alcun miserabile preavviso.
Stiles Stilinski” sbottò visibilmente innervosita, smuovendo con un colpo del capo i lunghi capelli raccolti in una coda alta e perfetta, prima di portare le mani sui fianchi con sicurezza e guardarlo con fare decisamente minaccioso, poi “continua a ignorarmi e giuro che ti pentirai di essere nato” continuò a testa alta per sottolineare quanto fosse bene non contraddirla.
Il ragazzo nel letto le riservò un'occhiata confusa, sbatté ripetutamente le palpebre per adattarsi alla nuova e più potente fonte di luce e poi tentò uno sorriso sbilenco, spegnendo la torcia e posandola accanto a sé così da passarsi la mano libera tra i capelli castani tremendamente arruffati. Era evidente che non l'avesse sinceramente sentita arrivare e conoscendola, cercò a ogni modo di placare quell'animo offeso.
“Scusa?” tentò titubante, lanciando un'occhiata di nuovo al libro che aveva in grembo prima di spostare la sua attenzione su di lei, che lo stava guardando riluttante, una smorfia infastidita a delinearle le labbra e le braccia ora incrociate al petto, contrariata. Non parve molto convinta da quelle scuse poco sentite, ma prima che potesse anche solo pensare di dire qualcosa, qualcun altro entrò nella stanza, arrancando disperatamente per la corsa appena affrontata.
“Non lo uccidere, Lydia!” la pregò il nuovo arrivato, letteralmente aggrappato allo stipite della porta per non cadere agonizzante a terra, mentre cercava di riprendere fiato, e la diretta interessata non fece altro se non alzare esasperata gli occhi al cielo: era circondata da idioti, quello era poco ma sicuro, e si chiedeva perché fosse ancora lì quando avrebbe potuto mollare tutto e partire per l'Europa.
Lydia Martin, la ragazza in questione, cercò di evitare la presenza alle sua spalle e tornò a occuparsi delle sue faccende, cioè di Stiles, che ora fissava la scena ancora più perplesso e preoccupato per la sua incolumità.
“Devi smetterla subito, ora tu posi quel dannato libro –che non fa altro che riempirti la testa di stupidaggini e forgiare il tuo lato di potenziale assassino, perché chi diamine legge “il manuale del delitto perfetto”, Stiles?!– e alzi quel bel culo che ti ritrovi, così inizi a occuparti delle cose davvero importanti: farti una dannata vita, per esempio!” poi Lydia sbuffò indemoniata fra sé e sé, sbatté una mano sul suo vestito a tema floreale come se il vento lo avesse teatralmente smosso e poi allungò inaspettatamente una mano per afferrare per il colletto della t-shirt il povero ragazzo colpito profondamente da tali parole: un secondo dopo Stiles era sul pavimento della sua camera e l'altro dalla sua postazione sulla porta emise un verso strozzato, in preda a un probabile attacco d'asma.
Lydia lasciò la stanza subito dopo aver rivolto a entrambi un ultimo sguardo assassino e dopo aver procurato a Scott, il ragazzo morente per l'ansia, la sua medicina, sbattendo dietro di sé la porta: entrambi sapevano che li avrebbe attesi in salotto.

“Scott, stai bene?”
“Amico” disse l'altro, ignorando la domanda, prendendo un grosso respiro a ogni singola parola e guardandolo con compassione “sono tre giorni che ignori le sue chiamate, dovevi aspettartelo” e poi alla fine si decisero a raggiungerla.

 

Stiles Stilinski era conosciuto, in un modo o nell'altro, in tutta Beacon Hills per svariati motivi: era il figlio dello sceriffo, era il ragazzo a cui tempo prima era morta la madre, era quello scalmanato che si inoltrava sempre nel bosco da quando era piccolo, tanto per creare un po' di scompiglio e far preoccupare quel povero di un uomo che era suo padre, ed era lo strambo fuori dal mondo, che passava il suo tempo a leggere libri bizzarri, a giocare ai videogiochi e a incasinare la sua vita insieme al suo migliore amico, Scott.
Era un tipo, lui, nessuno lo capiva e nessuno gli somigliava, ma era inevitabilmente intelligente (forse troppo, a volte), simpatico (fino a raggiungere un sarcasmo intenso e pungente), particolare.
Stiles Stilinski era anche un ragazzo immensamente curioso, ma si sa: la curiosità uccise il gatto.
Pensava spesso che essere lui fosse pessimo, un ammasso di ossa in un corpo inutile, non era un licantropo, non era forte, non era speciale in niente, non era niente: certo, non si lamentava di non essere un licantropo, perché – anche se a volte ci aveva pensato – non avrebbe mai voluto essere trasformato, poi però si aggiungeva a questo anche il fatto che non aveva uno straccio di fisico decente, era solo alto il giusto e snello, un po' gracile, la sua unica forza stava nelle sue parole e – a parte Scott, miracolosamente Lydia Martin, che era stata una sua primordiale cotta, e qualche altra conoscenza vaga – non aveva nessuno nella sua vita.

A volte pensava che non ci fosse proprio alcun posto, per lui, nel mondo.

Come se non fosse già triste la sua vita, Scott – che era come il fratello che non aveva mai avuto – si era innamorato e per quanto fosse contento per lui questo aveva dimezzato il tempo a disposizione per loro per stare insieme, perché ora al posto dei videogiochi, delle avventure nel bosco e chissà che altro, Scott preferiva presentarsi al bar dove Allison lavorava, e stava lì, seduto a un tavolo, a guardarla sognante mentre il caffè si raffreddava nel bicchiere tra le sue mani.
Lydia, invece, aveva quell'idiota di Jackson.
E lui era solo, lo era sempre stato alla fine, perché Lydia non lo aveva mai ricambiato – era già tanto se poi erano diventati amici, ancora non capiva come fosse successo! – e, oltre a lei, non c'era mai stato nessun altro, Stiles non si era mai davvero innamorato di nessuno e probabilmente, comunque, chi mai si sarebbe innamorato di lui?


 

 

“Non ci vengo con voi oggi” soffiò stancamente, raggiungendo in definitiva il suo limite: basta, adesso basta. Lydia si bloccò di colpo, si voltò e gli rivolse un'occhiata scettica e ironicamente divertita, perché vuoi seriamente tornare su questo discorso, Stiles, e farmi arrivare al punto in cui ti devo trascinare in quel dannato bar?, ma lui non aveva assolutamente voglia di andare con loro: stare al tavolo con Scott – che fissava quella Allison alle prese col suo lavoro – e con il duo Jackson-Lydia (lui li stava aspettando già in quel dannato bar) nel mezzo dei loro battibecchi da coppia perfetta ed equilibrata, non era né nei suoi piani né la sua più grande aspirazione, perciò no, non sarebbe andato con loro e non avrebbe aspettato l'entrata in scena divina di qualcuno che poi l'avrebbe casualmente avvicinato e sarebbe, guarda caso, diventato l'amore della sua vita –e vissero tutti felici e contenti, certo Lydia, come no.
“Stiles.” quasi ringhiò lei tra i denti: lui lo sapeva che lo faceva per il suo bene, che voleva seriamente che incontrasse finalmente qualcuno, ma semplicemente Stiles non la pensava come lei, non era pronto a ricevere altre delusioni. Fu per questo che, senza aggiungere niente, scrollò le spalle e al posto di entrare nel bar, cambiò strada: Lydia e Scott lo chiamarono di nuovo, poi però lo lasciarono andare, sapendo quanto volesse solamente allontanarsi e stare un po' da solo, ancora.

Era assurdo come le persone non capissero perché gli piaceva andare a rifugiarsi nel bosco, perché ad ogni occasione Stiles mollasse tutto e corresse nell'oscurità e nell'ignoto, ma per lui era così ovvio il perché, così scontato. Cercare un rifugio lontano dal mondo, lontano da tutti, dove ci fosse solo lui con tutti i suoi pensieri e la sua mente incasinata, un luogo dove potesse sentirsi vivo di fronte al rischio (e che rischio, poi, era un po' un'esagerazione generale) e all'avventura, in cui nessuno poteva essere lì a giudicarlo, perché chiunque, il mondo intero, per fargli pesare ancora ogni suo difetto avrebbe dovuto aspettare il suo impredicibile ritorno in città.

Non è che fosse una novità improvvisa, era un'abitudine già da prima che sua madre morisse – molti invece attribuivano quella sua pazzia a quell'evento – però, da quando era successo, naturalmente le sue fughe erano aumentate di numero e di consistenza temporale, perché semplicemente ne aveva sentito il bisogno: la pietà e l'incomprensione altrui, poi, erano state uno dei fattori che lo avevano portato ad agire in tal modo.


Si strinse maggiormente nella felpa rossa, la sua preferita, e rallentò il passo ora che era giunto a destinazione: quegli alberi, quei percorsi e quei suoni erano per lui come una casa, erano normali, erano familiari e senza grandi segreti, non aveva mai davvero considerato la foresta come un potenziale pericolo, perché in tutti quegli anni non ne aveva mai incontrato uno.
O meglio, non uno serio.
Ricordò inevitabilmente quella volta in cui, nella notte inoltrata, aveva sentito un rumore e – distratto per lo spavento – non si era accorto di una radice sporgente, per poco non si era slogato la caviglia e il tutto per un semplice uccello e un po' di vento che aveva scosso qualche foglia, ma al tempo aveva solamente dieci anni, ora ne aveva venti.
Sovrappensiero, Stiles proseguì senza meta il suo viaggio interiore ed esteriore e senza guardarsi intorno realmente, il suo sguardo vitreo vagava sulla natura che lo circondava, ma la sua mente era completamente altrove, occupata a riflettere sulle questioni della vita, in uno di quei momenti di filosofia pura che lo vedevano protagonista quando si sentiva soffocare, perché era tutto troppo e allora era inevitabile pensare, e pensare, e pensare ancora fino a provare un insopportabile mal di testa.
A volte si sentiva semplicemente più adulto di quanto non fosse davvero, come se ne avesse passate talmente tante da non avere realmente vent'anni, si sentiva spossato e irrecuperabile, e subito dopo gli veniva da ridere di se stesso perché era completamente ridicolo: aveva una vita davanti, avrebbe trovato la sua strada, prima o poi, avrebbe formato la sua famiglia e tutto, in qualche modo sarebbe andato tutto bene: lo desiderava così tanto, che spesso faceva male.
Lui, nonostante quei momenti di sconforto, la speranza ce l'aveva.

Stiles era così distratto, così assorto nei suoi pensieri un po' dolorosi e malinconici, che neanche si accorse che la strada di fronte a sé non gli era più familiare e si stava aprendo davanti a lui, i rami – quasi spostati da mani invisibili – si stavano facendo da parte e il percorso più agevole, tanto che, quando finalmente alzò lo sguardo lucido e scosse la testa a mo' di rimprovero, reprimendo la nausea, Stiles non poté far altro che sobbalzare, un brivido che gli percorse la schiena: di fronte a sé, nuova e sconosciuta, un'enorme villa si ergeva immersa nei rovi e nella solitudine, abbandonata nel mezzo della più completa desolazione, avvolta nell'ombra.
Fece istintivamente un passo avanti, travolto da una viscerale e inspiegabile curiosità e dalla sorpresa, quando anche un velo di insicurezza però si fece spazio in lui, e prima che potesse decidere cosa fare fu una pressione sulla sua schiena, una forte folata di vento, persistente, a spingerlo avanti, quasi sussurrandogli melodica di avvicinarsi, di entrare, di scoprire cosa si celava dietro a quel luogo abbandonato.
Non si chiese quanto fosse strano che una pressione insistente lo stesse spingendo verso quel posto che non emanava altro se non inquietudine e una certa tristezza, rabbia forse, ma i suoi occhi castani erano rapiti da quella casa, il suo corpo si stava muovendo da solo e tutta la sua attenzione non era più rivolta ai suoi problemi, ma alla sensazione che provava, al desiderio di raggiungere l'entrata.

Stiles varcò la soglia, ignaro di non essere da solo.

 





Angolo della pazza: 
Buongiorno a tutti and welcome back to my world of truth (?) aka Sterek
Btw, non desidero sapere come e perché, ma vabbé l'idea è giunta e io mi sono messa a scrivere: eppure dovrei studiare, damn! Sono stupida. 
Era da tantissimo che non scrivevo qualcosa su questi due °-° non so spiegare come sia possibile, ma l'ispirazione sterek è tornata. 
Vabbé! Come sempre non commento, dico solo che in questa storia siamo ai giorni d'oggi, stessa ambientazione del telefilm, l'esistenza dei licantropi è nota e non sarà proprio la bella e la bestia eh! solo il titolo e lo scenario iniziale perché beh l'idea è venuta da lì, ah e sarà una storia di pochi capitoli.
Spero vi sia piaciuta ^^ fatemi sapere cosa ne pensate. 
Alla prossima, 
Lawlietismine 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



 

Era scontato come fosse per lui necessario sfuggire da una realtà troppo opprimente, soffocante, con un costante bisogno intenso di trovare altrove un rifugio per la mente, mettere momentaneamente in pausa la sua vita per schiarirsi le idee: per Stiles questo era davvero scontato, e in fondo era la sua vita.
Certo, però, il bisogno che sentì in quel momento, mentre tutto intorno a lui pareva condurlo nella direzione di quella enorme casa abbandonata, era tutt'altra cosa, era ammaliante, ipnotico, quasi fosse quello un luogo magnetico per tutti i suoi sensi: non riuscì a fermarsi, sentiva di non poter cambiare direzione, sentiva di dover saziare una curiosità irrazionale e impetuosa, e sentiva un richiamo melodico, incessante, che quasi voleva indurlo a proseguire perché sarebbe giunto finalmente a casa.
Stiles era noto per la sua curiosità, per il suo spirito avventuriero, e non sarebbe stato Stiles se avesse rifiutato quel celato invito, quel canto soffiato dal vento, che ancora gli indicava la via verso l'entrata.
Oltrepassò il cancello malmesso e circondato dai rovi, proprio come lo spiazzo di terra – difficile chiamarlo giardino – scuro e tagliente per le spinte che fuoriuscivano da alcuni cespugli e dai gambi delle rose rosse che si arrampicavano sui resti di una fontana antica e sulle mura dell'edificio oscurato: sembravano passati anni dall'ultima volta in cui qualcuno era stato lì, ma lui affrettò il passo e la pressione sulla sua schiena cessò nello stesso istante in cui varcò la soglia, semiaperta dall'esatto momento in cui l'aveva raggiunta.
Stiles poté constatare presto che l'esterno rifletteva esattamente ciò che c'era all'interno: totale desolazione, completo abbandono, una scia insopportabile e melanconica di tristezza, rabbia, frustrazione, sensazioni che lui percepiva inspiegabilmente e che sentiva come proprie, mentre un senso di empatia lo avvolgeva e la voglia di rimediare, un bisogno viscerale di consolare quei sentimenti, lo travolgeva allo stesso tempo.
Si guardò intorno con circospezione e fascino, mentre di fronte a sé una scalinata portava ai due piani superiori, altre stanze lo circondavano lì al piano terra, alla sua sinistra quella che probabilmente un tempo era stata una sala da pranzo, alla sua destra la cucina e vicino alle scale – appurò avvicinandosi – un bagno: fu impossibile, per lui, non notare come al suo passaggio ciò che vedeva fosse fin troppo in buone condizioni per lo stato in cui era quel luogo.
Nella sala da pranzo il buio circondava una grossa tavola, Stiles rabbrividì quando notò del cibo su di essa, che era apparecchiata come in attesa di ospiti, e una candela si illuminò dal nulla con del fuoco: indietreggiò, Stiles, strabuzzando gli occhi castani, fino a scivolare maldestramente a terra vicino alla cucina, dove l'acqua scendeva costante su delle posate nel lavandino, della polvere si trovava radunata ai piedi di una scopa, come se qualcuno si fosse impegnato a mantenere – ironicamente, pensò – un po' di pulizia.
Si tirò su in piedi, sia più incerto che più desideroso di proseguire con la perlustrazione di quel luogo e, prima ancora che potesse bloccare l'impulso, le parole uscirono dalla sua bocca.
“C'è qualcuno?” domandò al nulla, guardandosi intorno, mentre nel frattempo iniziava a salire le scale: si resse al corrimano, lanciando anticipatamente qualche occhiata in su, ma – non scorgendo niente, né ottenendo alcuna risposta – non si fermò.

Si sentì travolto dalle sensazioni che stava provando, una parte di lui pareva dirgli che avrebbe fatto bene a voltarsi e lasciarsi tutto alle spalle, sparire il prima possibile, ma un'altra, una molto più convincente e intensa, sembrava indurlo a continuare, a scoprire ogni singolo angolo di quella casa, ogni singolo segreto che nascondeva, senza timore e senza preoccupazioni, come se – in un modo tutto suo – appartenesse a quel luogo, come se la sua presenza fosse stata valutata e accettata.
Stiles, non sapeva né perché né tanto meno come, percepiva che – se non fosse stato il benvenuto fra quelle mura – non si sarebbe neanche potuto avvicinare di un passo.

Non riusciva a capire come quella casa fosse stata lasciata a se stessa, come nessuno se ne fosse occupato o l'avesse reclamata: era bellissima, grande e sembrava importante, da una parte metteva perfino timore. Le stanze erano numerose e buie, era ovvio – a parte per le stranezze al pianterreno – che nessuno ci abitasse, che nessuno entrasse in quel posto da un tempo indefinito, e la cosa era piuttosto triste e sconcertante, era impossibile capire come una proprietà di tale valore potesse essere ridotta così.
Stiles sfiorò le pareti del corridoio che stava ripercorrendo, portandosi dietro un po' di polvere e qualche ragnatela depositata su quadri squarciati e irriconoscibili, un po' riluttante di fronte al tremendo odore di chiuso e di rovina che impregnava l'ambiente: non appena un porta socchiusa attirò inevitabilmente la sua attenzione, vi si diresse senza remore e – con un'ingenua esitazione – entrò.
Si ripulì le mani sui jeans stretti, mentre curiosava con lo sguardo e si addentrava nella camera, un letto matrimoniale se ne stava alla parete opposta rispetto alla porta e – oltre a quello – solo una scrivania, una libreria e un armadio, tutto rigorosamente immerso nell'ombra se non per qualche misero raggio di sole che penetrava da qualche fessura nelle assi di legno con cui erano sigillate le finestre alla sua sinistra.
Senza realmente pensarci due volte, Stiles si guardò intorno, afferrò qualcosa di duro che gli parve un bastone di ferro e finalmente lasciò che la luce inondasse la stanza, staccando con tutta la forza che aveva in corpo le assurde assi logore, che caddero a terra rotte con un tonfo secco.
La cosa che attirò la sua attenzione quando la luce solare illuminò ciò che lo circondava, fu la libreria colma di libri.
«Verso i boschi della luce delle lucciole» lesse distrattamente il titolo, dopo aver soffiato sullo scaffale pieno di polvere.
«I racconti di Terramare»
«Iliade»

Poi scrutò una fiaba, «La sirenetta», subito accanto «La regina delle nevi» e infine il suo sguardo cadde su «La bella e la bestia», lo prese curioso e ne pulì la copertina con il palmo della mano, sembrava davvero vecchio e di valore, una prima edizione in francese, quando fece per leggerlo, però, un ringhio basso e roco alle sue spalle gli fece gelare il sangue nelle vene e accapponare la pelle: sobbalzò, Stiles, e quando molto lentamente si voltò e incrociò sulla porta un paio di occhi, il cui rosso acceso delle iridi scintillava minaccioso, la gola parve seccarsi all'improvviso, il respiro si mozzò e – inevitabilmente – il libro cadde rumorosamente a terra.
Un altro ringhio, che portò a un suo passo indietro, fino a scontrarsi con la schiena contro la libreria: il lupo dalla folta pelliccia nera avanzò intimidatorio verso di lui, le fauci scoperte che vibravano all'emissione di quel basso verso animalesco, il muso e il corpo chini in una posizione che Stiles, tremante e in preda a mille emozioni contrastanti, non riusciva bene a capire se fosse di difesa o di attacco – dal suo sguardo avrebbe detto la seconda – e gli artigli fin troppo visibili mentre lasciavano il segno sul pavimento malconcio.

Oh cazzo” imprecò tra i denti, aggrappandosi con le mani agli scaffali quasi a volersi fare più piccolo, deglutì a vuoto e fissò l'animale cercando di ideare qualcosa il più velocemente possibile, prima che quello decidesse di ucciderlo senza tante storie: tutto si sarebbe aspettato entrando laggiù, Stiles, tutto tranne trovarsi un lupo alle spalle.
Le sue possibilità gli vorticarono in testa come saette: aspettare e sperare che gli venisse a noia, che capisse quanto non ne valeva la pena di mangiare quel coso tutto ossa, o tentare uno scatto verso la finestra che aveva aperto e saltare sperando di farcela, oppure afferrare il pezzo di ferro usato per togliere le assi e... lo sguardo del lupo gli rese impossibile proseguire con quell'ultima ipotesi, l'animale – ancora chino, gli occhi rossi e tutto il resto – aveva improvvisamente iniziato ad annusare l'aria, poi aveva fatto uno strano verso, che Stiles non avrebbe saputo catalogare, e ora lo stava fissando insistentemente, il muso leggermente inclinato, come se lo stesse studiando attentamente, ma non come aveva fatto fino a quel momento: il ringhio era cessato, il corpo era più dritto e rilassato e pareva confuso quasi non sapesse lui stesso cosa fare.
Si mosse di nuovo in avanti, verso di lui, ma questa volta con più grazia e cautela, spostandosi quasi in un semicerchio, gli occhi assottigliati e un che di diffidente, a Stiles sembrò quasi umano.
“Da bravo, cucciolo, lascia che...” tentò scioccamente, facendo per muoversi verso la finestra, ma il ringhio d'avvertimento che uscì dall'animale a quell'accennato movimento, lo riportò di scatto a sbattere contro la libreria e la polvere si scosse tutta intorno, facendolo tossire malamente: era già tanto, si disse sarcasticamente in un moto di autoironia nervosa, che non gli fosse preso un attacco di panico.
Ma, non avrebbe saputo spiegarsi come fosse possibile, Stiles non riusciva a capire se il lupo rappresentasse realmente una minaccia.
“Lascia che...” disse di nuovo, stavolta in un mormorio rapito, e mosse – senza quasi neanche rendersi conto di ciò che stava facendo – la mano verso il muso dell'animale, lo sguardo perso, come ipnotizzato: voleva raggiungerlo, nemmeno si accorse – tanto era ammaliato – del ruggire improvviso del vento.

 


Si svegliò di soprassalto, scattando su a sedere, e si guardò intorno senza capire, il cuore gli batteva fino allo stremo e dal respiro e il corpo coperto di sudore sembrava che avesse appena corso per dei chilometri: era nel suo letto, però, riconobbe la sua camera, nessuna foresta a circondalo, nessuna casa abbandonata e – soprattutto – nessun lupo a ricambiare il suo sguardo perso.
Era stato solo un sogno, si era immaginato ogni cosa.
Si concesse cinque minuti, forse dieci, per riprendere fiato e calmarsi, perché era stato così reale come sogno – avrebbe saputo raccontare ogni singolo dettaglio – e, in cuor suo, gli dispiaceva di essersi svegliato, sentiva un peso sul petto e una sensazione di vuoto allo stesso tempo.
Com'è che non si ricordava di essere tornato a casa dopo la sua fuga dal bar in cui non era mai entrato? Si disse inizialmente che probabilmente si era immaginato anche l'intrusione in camera sua da parte di Lydia e Scott, ma poi – forse perché gli sembrava strano, o forse perché aveva bisogno di credere che non fosse così e che era effettivamente successo qualcosa – cercò con lo sguardo il suo telefono, poi si alzò di fretta e l'afferrò.
“Stiles non dirmi che hai poltrito tutto il giorno, per favore” il sospiro esasperato di suo padre, chiaro e improvviso dalla porta, lo fece sobbalzare e voltare di volata, lasciando perdere la chiamata che voleva fare: suo padre lo fissava in attesa di una risposta, stretto nella sua divisa, passando lo sguardo da lui alle coperte sfatte.
Lui si concesse un'occhiata veloce all'orologio sulla sua scrivania e si sorprese nel constatare che era già quasi ora di cena: un attimo dopo strabuzzò gli occhi.
“Farò tardi a lavoro, dannazione!” sbottò, mise il telefono nei jeans, afferrò il portafoglio sul comodino e le chiavi della jeep e poi corse giù per le scale, lasciandosi dietro suo padre, completamente basito, un attimo dopo nella casa risuonò il rumore della porta sbattuta, seguito da quello dell'auto che partiva e usciva dal vialetto.


“Tieni, mangia un muffin” Erica gli porse il dolce e lui lo accettò senza fare tanti discorsi, mentre lei scuoteva nell'aria il suo straccio e tornava a pulire uno o due tavoli, concedendogli un sorriso divertito: Stiles, tanto per mettere qualcosa da parte prima di tornare al college, lavorava durante l'estate in un bar vicino alla riserva di Beacon Hills, un bar che restava aperto anche di sera solo d'estate due giorni alla settimana.
Erica era una sua collega e amica da quando aveva iniziato tre estati prima e – lavorando lì già da un anno al suo arrivo – l'aveva aiutato a prendere dimestichezza con il nuovo lavoro: finita l'estate, però, avevano continuato a uscire insieme.
Erica era un licantropo.
“Allora, come va con Boyd?” le chiese distrattamente nel solito silenzio del bar deserto, mentre sgranocchiava un po' del suo muffin al cioccolato, la vide con la coda dell'occhio poco distante mentre passava lo straccio sulla superficie del tavolo e poi lo raggiunse di nuovo fino al bancone, dove si sedette con una piccola spinta.
“Il solito, domani sera andiamo al cinema” scrollò le spalle, rubandogli un morso del dolce, poi si leccò maliziosa le labbra e lui fece una smorfia. Erica era bella, aveva dei lunghi capelli biondi e mossi e sembrava sempre così sicura di sé, senza però essere altezzosa o arrogante, era simpatica ed era stato facile per Stiles avvicinarla, lei gli aveva presentato Boyd, il suo ragazzo, anche lui licantropo, e alla fine erano diventati amici.
Bofonchiò qualcosa tra sé e sé, voltandosi per preparare un po' di sano caffè sia per sé che per l'altra, quando però fu interrotto da un tintinnio alla porta che annunciò l'arrivo di un cliente e lasciò che fosse Erica a prendere l'ordine, lui lo avrebbe invece preparato.
“Ma che...” la sentì sbottare dopo un attimo di silenzio, poi udì un tonfo per il balzo giù dal bancone e quando si girò verso di lei, nel bar erano ancora soli, la bionda stava andando a chiudere la porta aperta.
Quando la chiuse e fece per tornare al suo posto, una forte folata di vento la riaprì e, insieme a quella, si spalancarono una alla volta anche le due finestre ai lati: Stiles vide Erica guardarsi attentamente intorno fiutando l'aria, con circospezione, ferma sul posto, e allora superò anche lui il bancone per raggiungerla.
“Non c'è nessuno” si calmò subito, non percependo alcuna presenza con i suoi sensi sviluppati e insieme riportarono tutto all'ordine senza dire niente.
Stiles però sentì una sensazione di familiarità – un pizzicore insistente alla base del collo – quando il vento lo colpì nel chiudere la finestra, e per un attimo rimase spiazzato a guardare fuori, verso la riserva, come se fosse certo di vedere succedere qualcosa da un momento all'altro, quando però Erica lo richiamò all'attenzione, lui lasciò perdere e tornò a preparare i loro caffè.

Erano le due di notte passate quando finalmente scese dalla sua amata jeep ed entrò in casa silenziosamente, cercando di non svegliare suo padre: si sfilò la tracolla e la poggiò da una parte, mentre continuava a procedere verso la sua camera, si tolse la maglia salendo le scale e – una volta arrivato a destinazione – era già pronto a mettersi il pigiama.
Quando entrò nel letto, si pentì di aver bevuto quel caffè con Erica.
Era stanco, ma era quella stanchezza che ti coglie malamente senza che però tu riesca a soddisfarla, insopportabile e inevitabile. Non avrebbe saputo dire quanto tempo restò a pancia in su nel buio, a fissare il soffitto senza neanche vederlo e a pensare a qualsiasi cosa potesse dargli il colpo di grazia. Inviò un messaggio a Scott, un secco e speranzoso “dimmi che sei sveglio, perché io lo sono e quindi devi esserlo anche tu” che però non ricevette alcuna risposta, Stiles sbuffò, rigirandosi distrattamente la stoffa della canottiera sulla pancia fra le mani e gli tornò in mente che alla fine si era dimenticato di chiedere a Lydia e all'altro se erano usciti davvero o se si era sognato tutto, ma questo pensiero non fece in tempo a svilupparsi nella sua testa, che crollò finalmente addormentato.

Quando si svegliò di soprassalto, la prima cosa che pensò fu che stava diventando un'abitudine, la seconda – e ci mise un po' a realizzarlo – fu che era in piedi, scalzo su della terra e – la cosa gli fece accelerare il battito – si trovava nel bel mezzo della foresta, davanti a lui solo una maestosa casa abbandonata. 

 


 





Angolo della pazza: 
Sono tornata prima di quanto pensassi e sperassi! Ma in fondo non rientrerò a scuola fino al sette, perciò è ovvio che al posto di studiare io passi il mio tempo a scrivere e leggere fic sterek... oh mamma mia ho bisogno seriamente di aiuto. Se continuo così la maturità sarà un casino.   
Btw, nel capitolo ho nominato «Verso i boschi della luce delle lucciole» e «I racconti di Terramare», il primo sarebbe in giapponese "Hotarubi no mori e" (Into the forest of fireflies' light in inglese) ed è un manga one-shot di cui è uscito anche l'anime di 44 minuti (è bellissimo ç.ç ho scritto anche una os merthur basata su quello) e il secondo in realtà è il titolo di un film d'animazione giapponese di Gorō Miyazaki.
Vabbé! Avevo pensato di non pubblicare, di lasciarmi il capitolo lì e postarlo magari nel weekend (soprattutto visto che domani devo studiare perché dal 7 fino a martedì avrò mille compiti e interrogazioni e quindi non potrò scrivere granché), ma alla fine ho lasciato perdere ed eccomi qui. Grazie mille a IrenePlutone per avermi lasciato un pensiero e grazie mille anche a tutti quelli che hanno già messo la storia fra le preferite/seguite/ricordate.
Spero vi sia piaciuto questo capitolo ^^ fatemi sapere cosa ne pensate. 
Alla prossima, 
Lawlietismine 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***



 

Stiles aveva sofferto fin da piccolo di sonnambulismo, nei casi migliori suo padre l'aveva trovato in cucina o nel giardino di casa, in quelli peggiori, invece, i colleghi dello Sceriffo lo avevano fermato mentre vagava senza meta di notte nella riserva, riportandolo poi a casa: una volta, quando John si era accorto della sua assenza, ci avevano messo delle ore per individuarlo.
Era iniziato perlopiù con la morte di Claudia, sua madre, e c'era voluto qualche anno per riuscire a far migliorare la situazione.
Svegliarsi in piedi e nel bel mezzo del nulla, dunque, non era poi una così grande novità per lui, certo un po' si sorprese visto che dall'ultima volta in cui era successo era passato del tempo, ma il vero colpo lo incassò quando pian piano aprì gli occhi, stropicciandoli assonnato: ci mise poco a svegliarsi del tutto, ora in completa allerta, quando si rese conto di essere di nuovo di fronte alla casa abbandonata.
Rimase interdetto e spaesato di fronte a quella presa di coscienza.
Che stesse sognando? Stiles sentiva che era tutto reale, ne era inspiegabilmente convinto.
La luna era alta in cielo e la sua luce illuminava debolmente lo spazio intorno a lui, dando vita a un'atmosfera cupa e desolata, proprio come le sensazioni che il luogo gli suscitava emotivamente a prescindere da ogni cosa materiale: a Stiles non servì molto per decidersi ad avanzare e poco dopo entrò.
Non trovò alcuna tavola imbandita stavolta, nessun segno di vita, l'acqua del rubinetto della cucina era chiusa e, se possibile, la scopa e la polvere raggruppata che aveva trovato l'ultima volta che era stato lì, non c'erano più.
Che fosse la prova che stava effettivamente sognando, magari? Le cose non potevano sparire da sole. Ma, in effetti, non sarebbe stata l'unica stranezza.
Scacciò quel pensiero senza remore: si ripeté che non era possibile, che tutto intorno a lui era reale, tutto era concreto e percepibile e troppo vero per essere un sogno.
Se ne convinse.
Per un attimo si chiese se non fosse bene afferrare qualcosa per difendersi, nel caso in cui quel lupo fosse tornato di nuovo lì, ma fu solo un pensiero fugace che svanì all'istante senza essere realizzato: Stiles, in realtà, quasi sperava che ci fosse davvero, avrebbe voluto rivederlo, avvicinarlo, e – dopo il modo in cui lo aveva osservato l'ultima volta, quando gli era parso di cogliere in quegli occhi un po' di umanità – capirlo.
Tornò al piano superiore, vagando nel buio con qualche difficoltà e per poco non cadde quando, proprio prima del suo passaggio, alcune candele iniziarono ad accendersi di fronte a lui, quasi come se l'avessero visto arrivare: si fermò un istante, gli occhi pieni di sorpresa, poi, per quanto assurda la situazione fosse, proseguì senza voltarsi indietro neanche una volta.
Lanciò una rapida occhiata alla camera in cui era stato la prima occasione, le assi della finestra giacevano ancora a terra e tutto era sempre un gran caos, a parte per il libro che gli era caduto: “la bella e la bestia” era posato sulle coperte del letto un po' sgualcite, come se qualcuno – dopo averlo letto – lo avesse appoggiato e dimenticato lì.
Continuò il suo percorso e quando si rese conto che le candele iniziavano a mancare, afferrò un candelabro e si fece strada per il resto del corridoio con un po' più di sicurezza.
Si pentì presto di essere andato a dormire solo con i pantaloni grigi della tuta e una canottiera, in quella casa – nonostante il periodo estivo – non faceva particolarmente caldo come invece nella sua, ed era quasi certo che non avrebbe trovato alcun impianto di riscaldamento, per quanto avesse potuto cercare.
Era enorme, quel posto, sembrava non finire mai ed era ancora solo al primo piano.
Stiles rimase completamente di stucco quando sbirciando curioso nell'ennesima stanza, la riconobbe immediatamente: assi di legno giacevano a terra rotte, dalla parte opposta alla porta dove era lui, c'era un grosso letto un po' sfatto e – sopra di esso – c'era un libro, accanto solo una ricca libreria polverosa.
Non era possibile.
Si lanciò un'occhiata alle spalle e poi entrò cauto, cercando di spiegarsi come avesse fatto a tornare lì se non era mai effettivamente e consapevolmente tornato indietro, anzi, era stato quasi sicuro a un certo punto di stare per raggiungere le scale per il secondo e ultimo piano: ma quella era la solita stanza, non c'erano dubbi, non quando prese in mano il libro e lesse attentamente il titolo.
Non seppe spiegarsi quale colpo alla testa avesse preso o quale malattia lo avesse colpito per renderlo così incosciente, ma – al posto di capire come stavano davvero le cose, o di andarsene a corsa e cercare di tornare a casa, di chiamare aiuto, o capire cosa avrebbe dovuto e potuto fare – Stiles si mise dapprima seduto sul bordo del letto, sfogliando il libro con curiosità come se quello avesse potuto concedergli tutte le risposte esistenziali del mondo, poi – pian piano, quasi senza nemmeno rendersene conto – si sdraiò completamente su di esso, poggiandosi alla meglio sui cuscini e al muro, con una mano dietro la testa come appoggio ulteriore, e iniziò a leggere dall'inizio il racconto.
Si addormentò.

 


Stiles si svegliò lentamente, infastidito da un raggio di sole che lo stava colpendo in pieno volto filtrando dalla finestra, si stiracchiò mugugnando qualcosa come a voler mostrare quanto avesse dormito bene – neanche si era accorto di essersi addormentato, e non avrebbe saputo dire da quanto tempo non si sentiva così riposato – e si rigirò più volte sopra le coperte con un sorriso fra le labbra: quando aprì gli occhi, però, si trovò a fissarne un altro paio verdi e profondi proprio di fronte a lui.
Per un attimo gli mancò il fiato, sentì un improvviso groppo in gola e sobbalzò vistosamente cercando di tirarsi su sul letto senza successo, si resse alle coperte sfatte, indietreggiando malamente verso i cuscini e il muro alle sue spalle, e non distolse lo sguardo neanche per un secondo da quello del lupo di fronte a sé: quello indietreggiò in contemporanea alla sua reazione fino a raggiungere l'angolo della stanza, quasi dietro la porta aperta, e continuò a fissarlo attentamente con un'intensità tale da togliergli il respiro, come se lo stesse facendo da un po'.
La sensazione di calore che aveva circondato Stiles fino a quel momento e che lo aveva accompagnato in quel sonno piacevole, pian piano si allontanò insieme all'animale e si ritrovò a sentirne la mancanza.
“Ciao” farfugliò prima che potesse porre un freno alla sua bocca, che subito dopo rimase schiusa per far passare il respiro agitato, e finì per maledirsi mentalmente per la sua assurda stupidità nel parlare con, beh, con un lupo che poteva perfino ucciderlo in un baleno, anche se non sembrava sul punto di farlo.
Stiles si mosse ancora, impercettibilmente, e il suo sguardo venne catturato dal libro che – quando si era svegliato – era scivolato giù dal letto, si sporse più che poté e lo afferrò, per poi poggiarlo di nuovo sul materasso e osservarlo qualche secondo, prima di trovare il coraggio per guardare di nuovo quegli occhi che lo studiavano attentamente, quasi potessero leggergli dentro.
Certo, non poteva dimenticare che l'ultima volta in cui era stato in quella situazione, poi si era improvvisamente risvegliato in camera sua, nel suo letto, da solo.
“Uhm... Non è che...” balbettò, arrampicandosi di nuovo sul letto, come se volesse scendere da lì ma al tempo stesso restarci sopra, visto come si sentiva intimidito ed esposto: non sapeva nemmeno lui cosa voleva dire, ma quando negli occhi del lupo lesse una nota di tristezza, si sentì stringere il cuore in una morsa dolorosa e gli andò in contro velocemente, quello non si mosse.
Stiles strinse le labbra in una linea sottile, completamente indeciso e confuso, poi si passò nervoso una mano fra i capelli castani arruffati e lo scrutò dall'alto in basso senza sapere come comportarsi.
Allungò una mano verso il muso, desideroso di toccarlo e di far sparire quella piccola, ma comunque presente, traccia e sensazione di tristezza, che si aggiungeva a tutto il resto, ma quando si mosse, il lupo si abbassò istintivamente in allerta, ringhiò fra i denti mentre gli occhi si tingevano di rosso e poi corse via, uscendo dalla stanza e lasciandolo solo, pietrificato: una colpo di vento penetrò dalla finestra e lo trafisse lungo la schiena, e – come se fosse stato quello a spingerlo – Stiles lasciò perdere tutto e uscì anche lui, ripercorrendo di corsa quei corridoi per raggiungerlo.

E – con sua immensa sorpresa – il lupo, correndo, si voltò più volte verso di lui, quasi a controllare che lo stesse seguendo e che non si fosse fermato, aumentando però con uno scatto la velocità ogni volta che stava per essere raggiunto: Stiles allungava il braccio, tendendo le dita verso il pelo folto, ma non riusciva mai a toccarlo.

Quando l'animale entrò in una stanza, lui cercò di farsi forza per un'ultima volta e accelerò, aggrappandosi poi allo stipite della porta, piegato in due per la mancanza di fiato, e si guardò intorno per cercarlo, cercando di rimettere in ordine i pensieri: il lupo era di fronte a lui, a qualche metro, e lo fissava intensamente, quasi in attesa di qualcosa, senza più ringhiare e con gli occhi del loro colore naturale.
Poi, Stiles, lo notò.
La stanza – un po' buia – era una biblioteca, un'enorme e ricca biblioteca, ogni parete aveva un'immensa libreria colma di libri, alcuni erano invece sparsi su una tavola circolare alla sua destra, altri in dei bauli antichi e – da una parte, poco distante dalla portafinestra che dava su una terrazza alla sua sinistra – c'era un camino con una poltrona bordeaux sbiadita. Era tutto coperto di polvere lì dentro, tutto abbandonato, ogni cosa dava l'idea di essere lì da anni, ma nonostante ciò sembrava quasi in un sonno immortale che non poteva rovinare niente.
Quando Stiles mosse un passo in avanti, nel camino si accese di riflesso il fuoco e per un attimo, tornando a osservare il lupo, si chiese se per caso non fosse quello a far accadere tutte le stranezze: che fosse lo spirito protettore della casa? Scosse la testa fra sé e sé, dicendosi che aveva letto decisamente troppe storie.
Le fiamme scoppiettanti e vive illuminavano la vecchia poltrona in un modo stuzzicante, quasi invitandolo silenziosamente a prendere un libro e andarsi a rilassare, chiudendo la mente al quel mondo per aprirla a tanti altri: Stiles si mosse ancora, si avvicinò alla prima libreria e osservò gli scaffali, leggendo alcuni titoli nascosti dalla polvere e proseguì, studiando tutto l'ambiente intorno a lui mentre l'animale restava fermo al suo posto, seguendolo con lo sguardo come in attesa.
Si sentiva inspiegabilmente in pace con se stesso, non come se fosse effettivamente da solo con un lupo potenzialmente aggressivo in una casa abbandonata da chissà quanto tempo e senza nessuno che sapesse dove era – si rese conto, ripensando al sole che l'aveva svegliato, che era mattina e che probabilmente suo padre aveva trovato il letto vuoto: di sicuro a quell'ora aveva già chiamato Scott, Lydia e alla fine i suoi colleghi alla centrale, magari lo stavano cercando – si sentiva tranquillo, riposato, sereno e perfino elettrizzato per quella situazione illogica e incomprensibile.
Notò un libro particolare e sicuramente antico, gli anni avevano avuto il loro effetto su di esso, ma lo prese, ne ripulì la copertina e cercò il titolo senza trovarlo: quando lo aprì, si rese conto che probabilmente era unico e che era appartenuto alla famiglia che aveva abitato la casa, ma quando lo sfogliò si rese anche conto dell'ironia della cosa, perché parlava di lupi.
Sorrise divertito, lasciandosi sfuggire uno sbuffo di risata, e si voltò inevitabilmente indietro per rendere partecipe anche l'altro essere vivente in quella stanza.
“Guarda caso!” enfatizzò, sventolando un po' il grosso libro, prima di guardare sorpreso il lupo che – dopo aver ricambiato per un po' lo sguardo – se ne andò verso il camino, fece un mezzo giro su se stesso come a voler trovare il punto giusto, poi si lasciò cadere a terra, raggomitolandosi accucciato ai piedi della poltrona e di fronte al fuoco caldo, poggiò il muso sulle zampe e tornò a guardare l'umano con sguardo profondo e pungente.
Stiles lo fissò senza parole, le labbra schiuse e il libro ancora a mezz'aria, irrequieto di fronte a quegli occhi su di sé, deglutì a vuoto e poi si riscosse, abbassò il manuale e si avvicinò lentamente ma con spontaneità verso la poltrona, dove si sedette.
Nessuno dei due si mosse, nessuno dei due sembrò turbato dalla situazione, solo un ragazzo comodamente in pigiama seduto su una poltrona un po' rovinata, con un libro fra le mani davanti al fuoco scoppiettante che gli illuminava metà volto e tutti i nei, e con un lupo accovacciato silenziosamente ai suoi piedi.

Passò del tempo, Stiles si ritrovò entusiasta a studiare ogni singola pagina, che raccontava un numero infinito di cose sui lupi, di segreti, informazioni specifiche che lui non conosceva e che forse non avrebbe mai forse neanche facilmente trovato altrove, e avrebbe giurato di averne trovate anche alcune scritte a mano insieme a qualche raffigurazione, degli schizzi distratti o qualche rappresentazione tecnica fatta da chissà chi.
Si mordeva distrattamente il labbro da un po', lo sguardo fisso e un po' lucido, ipnotizzato, una bella sensazione di pace e di caldo, poi lanciò una veloce occhiata amorevole e dolce, quasi affezionata, all'animale che si era addormentato accanto a lui.
E non ce lo trovò.

Per poco non gli sfuggì un grido esterrefatto, quando – addormentato ai suoi piedi – non trovò quel lupo dal manto nero e gli occhi verdi, ma un uomo, a vista poco più grande di lui, nudo, il corpo forte e atletico illuminato alle spalle dal camino acceso, il respiro calmo e i muscoli rilassati.
Stiles – fra tutte le cose che avrebbe potuto fare – si riscoprì a pensare che era bellissimo.

 

 

 


 





Angolo della pazza: 
Omg questo è davvero un record! Questa fic non mi sta deludendo, mi sono venute parecchie idee all'improvviso per i prossimi capitoli!    
Il capitolo era pronto già da ieri, ma ho passato tre giorni di inferno a scuola fra interrogazioni di greco e di storia del cavolo che mi hanno fatto dormire quattro ore a notte, quindi alla fine ho rimandato a oggi l'aggiornamento.
Penso comunque di non aver mai aggiornato con questa velocità nessuna fic prima, è davvero una sorpresa (di solito ci metto minimo due settimane/un mese ^^").
Dunque... Mi sono svegliata e con me la fic, ora si inizia eh! Ed ecco Derek finalmente! (è ovvio no che è lui? Sì dai) Anzi... Ecco Derek umano finalmente! 
Ora mi divertirò a scrivere il prossimo capitolo, me lo sento! 
Grazie mille a dida kinney e a Madam Nechro98 per avermi lasciato un pensiero e grazie mille anche a tutti quelli che hanno messo la storia fra le preferite/seguite/ricordate.
Spero vi sia piaciuto il capitolo ^^ fatemi sapere cosa ne pensate. 
Alla prossima, 
Lawlietismine 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***




Si mordeva distrattamente il labbro da un po', lo sguardo fisso sull'interessante libro e un po' lucido, ipnotizzato, una bella sensazione di pace e di caldo, poi lanciò una veloce occhiata amorevole e dolce, quasi affezionata, all'animale che si era addormentato accanto a lui.
E non ce lo trovò.
Per poco non gli sfuggì un grido esterrefatto, quando – addormentato ai suoi piedi – non trovò quel lupo dal manto nero e gli occhi verdi, ma un uomo, a vista poco più grande di lui, nudo, il corpo forte e atletico illuminato alle spalle dal camino acceso, il respiro calmo e i muscoli rilassati.
Stiles – fra tutte le cose che avrebbe potuto fare – si riscoprì a pensare che era bellissimo.

Non riusciva a muoversi, il fastidioso formicolio alle mani iniziò a percorrergli le braccia, ed era semplicemente pietrificato, lo sguardo sconvolto era posato su quel volto sconosciuto, su quell'espressione beatamente addormentata, i capelli corvini che sulla fronte coprivano un po' gli occhi chiusi, le mani sotto la testa a mo' di cuscino, e aveva le labbra schiuse, Stiles sentiva il proprio respiro pesante e il battito così forte che gli pulsava nelle orecchie, impedendogli di ragionare lucidamente, la mente in totale tilt.
Perché quello non poteva essere reale, quel ragazzo era troppo bello e perfetto per essere umano.
Restò imbambolato a fissarlo, gli occhi castani sgranati e il sangue completamente concentrato sul suo volto, si sentiva andare a fuoco, mentre ripercorreva ogni lineamento di quel volto, ogni linea marcata, ogni ombra e ogni dettaglio, la barba accennata, fino a scendere inevitabilmente verso il basso, su quei muscoli che Stiles non pensava potessero esistere su nessun essere vivente, perché quel ragazzo sembrava in tutto e per tutto una statua greca, era per certo un adone, e il petto nudo si alzava e abbassava in un ritmo magnetico, ammaliante, che gli rendeva impossibile distogliere lo sguardo.
Deglutì a vuoto, risalendo fino al volto, il respiro sempre più pensate, gli occhi socchiusi e il battito accelerato, e sentì un incessante bisogno di toccare quel corpo, magari con le proprie labbra...
E poi un'agghiacciante consapevolezza lo travolse: il ragazzo era un licantropo, un licantropo che poteva diventare un vero lupo.

Stiles si ritrovò in piedi prima ancora di rendersene conto, il libro antico cadde a terra con un rumoroso tonfo e lui non se ne curò, corse senza fiato verso la porta, tremando incondizionatamente dalla testa ai piedi senza un serio motivo, ora il sangue era completamente defluito dal suo viso: non capiva – ma in quel momento non riusciva nemmeno a pensare a una cosa del genere – cosa lo spaventasse tanto, lui conosceva dei licantropi, anche se non si trasformavano in lupi, e inoltre se quello l'avesse voluto morto, a quel punto era certo che lo sarebbe già stato, aveva avuto molte possibilità di ucciderlo.
Realizzò che aveva avuto ragione sull'umanità che aveva visto in quegli occhi e si sentì crollare nel realizzare che quindi valeva lo stesso anche per la rabbia e la tristezza che vi aveva letto.
Allungò disperatamente una mano per aggrapparsi allo stipite e darsi una spinta per scattare più velocemente verso l'uscita, facendo una confusione da incosciente per la situazione in cui si trovava, ma incapace di controllare se stesso e il suo corpo, quando una mano lo afferrò per la canottiera sulla schiena e lo sbatté poi brutalmente contro la parete accanto alla sua unica via di fuga, Stiles non sentì neanche il dolore provocato dallo scontro del suo petto con il muro, non riusciva a fare assolutamente niente se non tremare e boccheggiare.
Un brivido gli percorse la schiena nel sentire un respiro caldo sulla nuca, labbra che gli sfioravano la pelle sul collo.
Stava tremando senza controllo, la mente in panne, il corpo schiacciato fra la parete e il licantropo, il cui ringhio basso e furibondo scaturito dritto vicino al suo orecchio, gli fece gelare il sangue nelle vene e strabuzzare gli occhi.
La sua testa era semplicemente vuota, per quanto avesse quel corpo nudo praticamente premuto contro la sua schiena, o per quanto un licantropo stesse letteralmente per strappargli la gola con i suoi stessi denti, la sua mente era vuota, non riusciva a pensare, non riusciva a muoversi, non riusciva neanche a parlare.
“Non dirò nulla!” quasi strillò, cercando inutilmente di alzare le mani a mezz'aria in segno di resa, e il ragazzo dietro di lui lo strattonò di nuovo, per poi fargli colpire ancora con il corpo la parete e ringhiargli contro ancora più forte.
Che poi, si disse, cosa avrebbe dovuto dire? Era già impossibile per lui crederci, nessuno gli avrebbe dato retta se avesse detto che per due volte si era ritrovato chissà come in una casa abbandonata, che pareva autogestirsi per magia e in cui si trovava un lupo che però non era un vero e proprio lupo: certo, gli avrebbero creduto tutti.
“Non uccidermi” piagnucolò supplichevole, stringendo gli occhi pronto a qualsiasi tortura l'altro stesse programmando, e sperò davvero di risultare abbastanza pietoso da fargli capire che non ne valeva sinceramente la pena.

Il licantropo dietro di lui lo lasciò andare all'improvviso a quelle parole, lo liberò di scatto e – dopo qualche secondo – si discostò, indietreggiando per allontanarsi da lui: Stiles non osò girarsi per guardarlo, sentiva il suo stesso respiro mentre boccheggiava in cerca d'aria, il cuore che per poco non gli esplodeva nel petto, gli occhi spalancati che puntavano la parete senza neanche vederla ed era ancora scosso da qualche brivido di troppo, ma percepiva lo sguardo fisso su di sé, sulla sua schiena tremolante quanto le gambe, lo sentiva trapassarlo, studiarlo, e se una parte di lui voleva letteralmente scappare da lì, un'altra – quella più folle – voleva voltarsi e affrontarlo.

Azzardò un'occhiata oltre la spalla, cercando di non essere notato – ma quello dietro di lui era un licantropo, dannazione, non poteva non notarlo – e lo trovò come se lo era immaginato, in piedi a fissarlo con quel solito sguardo profondo e inquisitorio, le braccia lungo i fianchi e la schiena dritta, poi, come se si fosse dimenticato di quel piccolo e insignificante dettaglio, gli occhi per caso gli scivolarono lungo tutta la sua figura e semplicemente avvampò, imbarazzato e attratto allo stesso tempo, perché, diamine, come aveva fatto la sua testa a mettere da parte il fatto che era nudo? Un fatto di primordiale importanza, ora che lo vedeva cosciente e in piedi.

“Oh mio...” si fermò da solo perché non sapeva come far diventare parole i suoi molteplici pensieri in quel momento -ma, poi, esistevano delle parole per descriverlo? Andava tutto oltre la sua esperienza umana- e alzò istericamente le mani in aria, facendo ripetutamente per voltarsi verso di lui ma ripensandoci ogni volta, perché era rosso fino alla punta delle orecchie e in ansia.

La situazione si era trasformata da assurda in generale ad assurdamente imbarazzante, e Stiles era certo che il licantropo – Erica glielo aveva fatto notare più volte, prendendolo in giro – stesse già capendo ogni singola emozione che stava provando: una parte di lui non avrebbe voluto fargli sapere che era un po' spaventato, un'altra avrebbe voluto solamente sotterrarsi.

“Senti... Magari potresti vestirti e potremmo ragionarne da persone civili, no?” sbottò all'improvviso, prendendosi la testa tra le mani per nascondere inutilmente il rossore, senza smetterla di dargli le spalle, e poi aggiunse in modo frettoloso un “o puoi anche non vestirti, se non vuoi, in fondo è il tuo territorio”, pentendosene subito dopo: a volte odiava il suo non riuscire mai a stare zitto, doveva sempre dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato, ecco perché finiva sempre nei casini peggiori.
“Naturalmente non volevo dire che... Cioè, tu...” balbettò e – se solo avessero potuto – le orecchie avrebbero iniziato a fumare per la temperatura elevata che il suo corpo stava raggiungendo.
“Perché insomma–” l'ennesimo ringhio basso interruppe bruscamente il suo monologo e – come se quello avesse risvegliato tutto il suo coraggio dormiente – Stiles si voltò di scatto, senza preavviso né logica, testa alta, lo sguardo stralunato e le guance quasi viola per la vergogna, braccia strette al petto quasi a farsi da scudo.

Poi allungò istericamente una mano in avanti verso l'altro – che continuava a fissarlo allo stesso modo, forse maggiormente dubbioso – e “Stiles, io sono Stiles” farfugliò, prima di deglutire a vuoto: quando capì che il ragazzo spaventoso e dannatamente bello non gli avrebbe concesso quella gentilezza, che non avrebbe ricambiato, ritirò la mano e iniziò a torturarsela distrattamente con l'altra.
“Va bene, almeno puoi spiegarmi cosa sta succedendo?” borbottò indispettito, perché, insomma, almeno quello glielo doveva! O forse no... “che problema ha questa casa? Sono sicuro al novantanove percento che non sia normale ed è inutile che mi guardi così, sai, perché – che tu ci creda o meno – non sono stato io a venire qui di mia spontanea volontà!”
Il ragazzo sconosciuto inarcò sorpreso le sopracciglia, perché Stiles sembrava esser passato in un batter d'occhio dall'essere un cucciolo impaurito a essere decisamente più sicuro e padrone di sé, partendo logorroico a rinfacciargli la cosa con fare saccente, un dito puntato minacciosamente contro di lui e lo sguardo di chi era ovviamente dalla parte della ragione.
“No okay, non ti arrabbiare” tornò subito al suo posto, alzando le mani arrendevole “forse dovremmo semplicemente far finta che non sia successo niente e me ne andrò molto lentamente...” iniziò a muoversi di lato verso la porta, senza distogliere lo sguardo da lui e senza abbassare le braccia “...e sarà come se non avessi mai visto niente”
Fu Stiles stavolta a sorprendersi, quando il ragazzo fissò ripetutamente la porta e lui, prima di scattare in avanti e afferrarlo malamente per un braccio per tirarlo via con un ringhio d'avvertimento: quando lo lasciò andare, Stiles dovette fare mille acrobazie per non cadere rovinosamente a terra e si ritrovò scambiato di posto, ora l'altro stava fra lui e la porta e lo guardava con rimprovero e qualcos'altro che Stiles non riuscì bene a classificare, perché no, era impossibile che fosse preoccupazione, apprensione?, proprio impossibile, insensato.
“Okay! Okay” e tornò in posizione arrendevole, un po' sottomessa, per fargli intendere che non voleva davvero innescare una discussione in cui lui ne sarebbe sicuramente uscito ammaccato, per non dire morto, e l'altro parve calmarsi un po', rilassò le spalle e il suo sguardo cessò di apparire perlopiù minaccioso: Stiles non sapeva più seriamente cosa fare, perché una parte di sé si sentiva irrimediabilmente attratta dal ragazzo che aveva davanti, un'altra temeva per la propria incolumità e un'altra, invece, si sentiva irragionevolmente e completamente a proprio agio, come se fosse una cosa normale, pura quotidianità, un'abitudine piacevole. Gli veniva da ridere, non sapeva bene però se di sé o se della situazione in generale.
Poi il licantropo spostò lo sguardo da lui all'angolo lettura in cui si erano messi insieme prima, poi tornò su di lui e Stiles si sorprese ancora di più quando gli venne in mente che forse gli stava dicendo di tornare a fare quello che stava facendo prima che scoppiasse il caos totale, ma lui non riuscì a muoversi neanche di un passo, si sentì ancora completamente pietrificato sul posto, incapace di ordinare al suo corpo di spostarsi.
Poi, inaspettatamente, quello si avvicinò lievemente verso di lui e “Derek” disse piano e un po' brusco, corrucciato, distogliendo velocemente lo sguardo dal suo, e quando Stiles – con gli occhi vispi pieni di stupore – si mosse e fece per ribattere chissà con che cosa, Derek indietreggiò a sparì rapidamente dalla stanza: l'unica cosa che Stiles riuscì a vedere prima che quello lo lasciasse da solo, fu la sua schiena nuda e il tatuaggio impresso sopra.

 


Stiles era in piedi davanti all'ingresso di casa sua, immobile e occupato a fissare il vuoto, quando Scott aprì la porta con il suo personale mazzo di chiavi e sobbalzò spaventato nel trovarselo lì di fronte senza preavviso – per poco non gli caddero i due cartoni di pizza e la busta con le lattine che aveva fra le mani – facendolo risvegliare dal suo stato di assoluta distrazione.
“Amico, vuoi farmi morire d'infarto per caso?” disse, cercando di riprendersi.
Stiles lo fissò senza davvero vederlo, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa, fastidiosamente confuso, perché, per la miseria, fino a un attimo prima stava parlando con Derek e adesso che diamine stava succedendo? Non aveva la più pallida idea di come fosse finito in quella che riconobbe essere casa sua, né di quanto tempo fosse passato, né tanto meno di cosa fosse successo: aveva un vuoto immenso in testa, si sentiva stordito e semplicemente fuori tempo, come se – per chissà quanto o come – la sua mente avesse subito un blackout totale, come se si fosse appena risvegliato da uno stato di trance.
Erano trascorse ore? Secondi? Era almeno accaduto davvero? Gli vennero i brividi pensando che potevano essere passati giorni, perché lui davvero aveva perso totalmente la cognizione del tempo, non sapeva spiegarsi come dall'essere in piedi davanti a quel misterioso ragazzo, adesso invece stesse affrontando lo sguardo confuso e preoccupato di Scott: tempo un battito di ciglia e poi era stato come risvegliarsi bruscamente dal sonno, ma non mentre si è al sicuro a letto.
Questa cosa iniziava a essere preoccupante, come se stesse perdendo inspiegabilmente il controllo di sé. Non aveva memoria di niente dopo Derek che si allontanava da lui. Ma, in fondo, era successo davvero? Questo, invece, stava accadendo realmente o no?
“Stiles?” il richiamo del suo migliore amico gli arrivò ovattato, lontano, mentre lui sentiva il cuore palpitare frenetico, la testa girargli, e – con un tremendo senso di nausea, annaspando come se stesse soffocando – capì che gli stava prendendo un attacco di panico, il resto diventò tutto sconnesso: Scott che lo afferrava, che lo chiamava continuamente a gran voce, portandolo verso il divano, i cartoni di pizza che cadevano malamente a terra.
Niente, Stiles non riusciva a capire più niente, né a concentrarsi, né a ragionare, tanto meno a calmarsi, perché stava perdendo la testa, lo sentiva, non riusciva più a capire se fosse tutto un sogno o no, se stesse impazzando o se ci fosse qualcosa sotto, perché il pensiero di non riuscire a ricostruire quel vuoto temporale nella sua testa, lo faceva tremare di paura e frustrazione.
Magari stava esagerando, magari ne stava facendo un dramma e forse avrebbe soltanto dovuto tranquillizzarsi, mettersi da una parte e ragionare lucidamente: per due volte si era ritrovato in un luogo che non sapeva nemmeno collocare su una dannata cartina geografica, ma che probabilmente era lì a Beacon Hills – ma ne era certo? Lui conosceva benissimo la riserva eppure non l'aveva mai visto prima – e poi c'era il lupo, che non era un lupo, e che si chiamava Derek e poi si era risvegliato per tre dannate volte senza sapere niente di cosa gli stesse succedendo e in posti che non aveva idea di come avesse raggiunto.
Stava impazzando e se non fosse morto lì nel bel mezzo di quel catastrofico e incontrollato attacco di panico, l'avrebbe fatto magari in un altro stupido momento in cui la sua mente pareva sconnettersi e agire a modo suo, senza lasciargli neanche l'ombra di un ricordo.
“Stiles calmati, respira” Scott continuò inutilmente a richiamarlo, gli portò dell'acqua che lui non prese, gli si sedette accanto e gli parlò con un tono pieno di preoccupazione – perché dannazione, era da molto che non si trovava in quelle condizioni e lo sapevano entrambi – senza che però lui capisse cosa stesse dicendo.

Ma, per la miseria, la prima volta è un caso, la seconda è una coincidenza, ma la terza volta, beh, la terza volta è destino. E Stiles non sapeva se sperare in una terza o se convincersi che fosse stata tutta una dannata e irripetibile coincidenza.

 


Passarono tre interi giorni, prima che Stiles si ritrovasse di nuovo di fronte a quella casa abbandonata, per la terza volta, mentre un lupo dal manto nero e gli occhi rossi lo osservava silenziosamente di nascosto oltre il vetro di una finestra.




 




Angolo della pazza: 
Okay, okay, non so nemmeno se essere fiera di me o no, perché il tempo che passo a scrivere dovrei passarlo a studiare! ç.ç    
Scrivere questo capitolo è stato più difficile di quanto mi aspettassi, sinceramente, e se non mi fosse venuta l'illuminazione divina fra ieri sera e stamani, probabilmente avrei aggiornato fra un bel po'. 
Ero partita tutta carica, sicura di voler parlare dell'incontro ufficiale fra Derek umano e Stiles e poi nada, vuoto totale. 
Btw, alla fine ce l'ho fatta: stamani sono rimasta a casa perché a scuola avevo assemblea, perciò ho fatto tutto tranne che scrivere e studiare (damn), fino a quando non mi ha colpito in faccia l'ispirazione e... ho finito il capitolo.
Non aggiungo altro, non so davvero come commentare quello che ho scritto! 
Grazie mille a fange69 per avermi lasciato un pensiero e grazie mille anche al numero crescente delle persone che mettono la storia fra le preferite/seguite/ricordate.
Spero vi sia piaciuto il capitolo ^^ fatemi sapere cosa ne pensate. 
Alla prossima, 
Lawlietismine 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***




 

La terza volta in cui Stiles si ritrovò di fronte a quella villa, ne fu un po' più consapevole: fu lui a cercarla, uscì di casa alle cinque del pomeriggio, dopo aver passato la mattinata a riflettere e riflettere ancora, e vagò per la riserva senza una meta precisa, le mani immerse nelle tasche della felpa rossa – indossata quasi come porta fortuna – e lo sguardo che si spostava ovunque, alla ricerca di qualcosa che non sembrava esserci.
Ci aveva pensato bene per quei tre giorni che erano trascorsi da quando si era incontrato con Derek, per poi ritrovarsi improvvisamente a casa sua, mentre Scott – che era andato lì per una serata con pizza e serie tv – lo aiutava a riprendersi dal suo attacco di panico, ci aveva pensato davvero bene e alla fine aveva deciso di provare a vedere se era del tutto impazzito definitivamente o se questo scherzo della natura andava oltre le sue capacità di comprensione.
Continuò a camminare nel nulla per circa un'ora o un'ora e mezza, chiedendo a volte a gran voce a chissà chi che facesse accadere qualcosa e apparire ciò che stava cercando, perché si sentiva immensamente stupido e ottuso, in preda a qualcosa che sfuggiva al suo controllo.

 


Ci aveva messo un po', Scott, per farlo calmare e farlo tornare a respirare normalmente, perché la vista gli si era oscurata, il sudore ghiaccio gli aveva imperlato la fronte e ogni pensiero, ogni sensazione, gli era parsa come un pugno dritto nello stomaco, non come se stesse propriamente affogando, ma come se stesse perdendo se stesso.
Aveva visto Scott afferrare il telefono per chiamare probabilmente lo sceriffo, oppure Melissa, sua madre, ma lo aveva faticosamente fermato ed era riuscito a convincerlo a non farlo, perché l'ultima cosa che voleva era far preoccupare suo padre senza sapere poi cosa dirgli per spiegargli la situazione: cosa avrebbe pensato se gli avesse detto che non ricordava cosa aveva fatto nelle ultime ore? Ore che – tanto aveva perso la cognizione del tempo – potevano essere minuti o giorni.
Suo padre si sarebbe preoccupato per la sua sanità mentale e davvero non era il caso, perché lui per primo doveva capirci qualcosa.
Perciò aveva fatto di tutto per impedire a Scott di fare quella chiamata e poi, insieme, avevano combattuto quel momento come in passato: era finito in mezz'ora circa, poi entrambi si erano distesi silenziosi ed esausti sul divano.
Non aveva fatto troppe domande, Scott, perché Stiles – non appena quello gli aveva lanciato un'occhiata e aveva fatto per parlare, per chiedergli probabilmente cosa avesse innescato l'attacco di panico – gli aveva lanciato a sua volta un'occhiata, ma totalmente d'intesa, e alla fine allora quella conversazione era stata rimandata a quando Stiles fosse stato pronto.
Avevano mangiato, avevano guardato un film e poi erano andati a dormire.

 


Stiles non sobbalzò nemmeno quando si ritrovò all'improvviso la villa davanti agli occhi, dove un istante prima non c'era altro se non alberi, non si sorprese come avrebbe pensato e anzi, dopo un attimo in cui rimase a guardarla impassibile, percorse la poca distanza che lo divideva dalla porta ed entrò: stavolta, ad aspettarlo, non c'erano candele, né tavole imbandite, ma il maestoso lampadario che scendeva sulle scale all'ingresso era acceso e per un attimo Stiles si chiese come fosse possibile che in quella casa ci fosse dell'elettricità, poi però si disse anche che sarebbe stata proprio la più piccola delle stranezze che l'avevano vista come protagonista.
Si guardò intorno come in attesa di vedere sbucare dall'ombra e dal nulla un lupo dal manto folto e scuro, oppure un ragazzo nudo e bello come pochi, ma invece dovette ricredersi, perché ciò che lo circondava era unicamente silenzio. C'era solo lui.
Stiles si dondolò un po' sul posto in modo infantile, lo sguardo che viaggiava fra le parti più nascoste intorno a lui, le mani ancora nelle tasche e il labbro inferiore fra i denti, poi si decise a muoversi e risalì quasi di corsa le scale che aveva davanti: se il licantropo della volta prima non aveva intenzione di farsi vedere, lui lo avrebbe aspettato comunque lì.
Perchè Stiles ne aveva bisogno, meritava dei chiarimenti e meritava anche di provare a se stesso che non era completamente impazzito.

Una parte di lui ne aveva bisogno per essere certo che non ci fosse niente che non andava nella sua testa, che stesse bene.

La prima camera che raggiunse fu quella dove era entrato la prima volta in cui era stato lì, la trovò esattamente come l'aveva lasciata e in fondo non se ne sorprese affatto, ma non riuscì a fare a meno di provare il senso di delusione che lo colse nel constatare che però, in quel momento, non c'era nessun altro lì dentro a parte lui.
Si avvicinò con calma alla libreria e osservò ancora una volta i titoli che aveva notato la prima volta, li guardò distrattamente scorrendo le copertine con le dita, ripensò a come si era sentito poi nel trovarsi di fronte quel lupo inaspettato e alla fine si ricordò anche del fatto che, dopo quello, si era risvegliato a casa sua, nel suo letto.
Scosse la testa, scacciando malamente quei pensieri, e si voltò, pronto a passare alla sua seconda meta: la libreria.
Sobbalzò, stavolta sorpreso, nel rivivere un recente deja-vù.
Proprio come la prima volta, ora non era più solo.
Il licantropo era di nuovo dietro di lui, ma stavolta non c'erano ringhi a tuonare fra le mura, non c'erano occhi rossi a sottolineare il suo fastidio e soprattutto non c'era il manto nero ad avvolgerlo: il ragazzo, Derek, era nella sua forma umana, stavolta coperto da un paio di pantaloni di una vecchia tuta grigia un po' logora, scalzo, era in piedi davanti alla porta, le braccia lungo i fianchi e uno sguardo inquisitorio fisso su Stiles, ma non era minaccioso, sembrava solo osservalo in attesa.
Stiles lo fissò stupito, ma fu un istante e la delusione lo lasciò velocemente, un peso parve scivolargli via dalle spalle, e allora si prese un attimo per fare solo quello: guardarlo, gli occhi leggermente sgranati, la bocca improvvisamente asciutta e una sensazione di pace ed ebbrezza a pervaderlo, un fremito a ripercorrergli la spina dorsale.
Non si sentiva neanche stupido, come invece si era sentito ai tempi di Lydia, ma semplicemente arrendevole: era disarmante, quel ragazzo, Derek, era completamente e irrimediabilmente disarmante, la sua bellezza era sconvolgente ed era inevitabile ammirarlo, sentire le vertigini nell'incrociare quegli occhi verdi che parevano racchiudere il mondo intero.
Stiles sentiva che sarebbe potuto restare così per un'infinità, anche senza dire niente, anche senza muoversi di un passo.
Una lieve barba gli copriva il volto e, diamine, avrebbe voluto accarezzarla e ripercorrere la linea rigida della mascella con le dita, poi passarle sulle labbra, fra i capelli corvini, sul collo, su tutto quel corpo proporzionato e così perfetto da togliere il respiro.
E non era neanche una questione fisica, un'attrazione completamente carnale, semplicemente Stiles si sentiva calamitato verso di lui, coinvolto e ammaliato, come se fossero uniti da un forte empatia, come se fossero legati l'uno all'altro.
Stiles sentì una pressione sulla schiena, un soffio di vento che gli accarezzava il collo e lo esortava a muoversi, tanto da farlo avanzare di un passo, e si sorprese nel rendersi conto che la stessa cosa stesse accadendo anche all'altro, ma Derek, nell'esatto momento in cui entrambi si fecero più vicini, si voltò impercettibilmente verso le sue spalle e ringhiò infastidito a qualsiasi cosa li stesse inducendo a raggiungersi, quasi a volersi malamente ribellare.
Poi, con le labbra ancora inarcate in un gesto animalesco, i suoi occhi scintillarono per un istante di rosso e tornarono su Stiles, che alzò di riflesso le braccia a mezz'aria in segno di resa, senza indietreggiare o dare l'idea di essere davvero intimorito da quel cambiamento improvviso.
“Che problema ha questo posto?” parlò di fretta e quasi non se ne rese nemmeno conto, il filtro fra il cervello e la bocca totalmente andato, e un po' storse le labbra perché non era davvero la prima cosa che voleva chiedere a Derek, tanto meno farfugliando come se fosse un ragazzino in ansia, ma ormai l'aveva fatto e l'altro tornò nella posizione iniziale, sorprendentemente calmo.
Eppure non dette minimamente l'idea di volergli concedere una risposta a quella domanda.
Stiles portò una delle mani alzate fino alla nuca e si massaggiò distrattamente il collo, uno sbuffo di risata gli lasciò nervosamente le labbra schiuse, mentre lasciava ricadere l'altro braccio lungo il fianco.
“Come non detto” aggiunse, distogliendo per un attimo lo sguardo, e spostò il peso sulla gamba opposta, ora incapace di starsene fermo: l'altro lo seguì costantemente con gli occhi.

“Non dovresti stare qui”

Stiles non seppe se sorprendersi di più per il fatto che quello avesse parlato, oppure per il suono roco e serio della sua voce, senza un'intonazione né intimidatoria né particolarmente seccata, ma una semplice constatazione, quasi un avvertimento fra il preoccupato e il distaccato allo stesso tempo, fatto sta che la sua bocca si schiuse inevitabilmente e rimase a fissarlo stordito e interdetto.
Derek lo stava guardando quasi come se potesse leggergli dentro, in un modo da farlo deglutire a vuoto e tremare, con le braccia incrociate al petto e la testa alta.
Il suo, Stiles se lo disse quasi a convincersi, non era un Vattene, non gli aveva intimato di andare via e di non tornare, di sparire, forse perché non voleva che lui lo facesse.
Scosse la testa, rimproverandosi mentalmente per l'ennesima volta per l'assurdità dei suoi pensieri.
“Sei reale?” avrebbe dovuto imparare a contare fino a venti, minimo, prima di parlare, ma lui era fatto così e se non era cambiato in tutti quegli anni, con i numerosi rimproveri di suo padre e chiunque lo conoscesse, allora probabilmente non sarebbe cambiato mai: il licantropo lo scrutò disorientato e per un attimo si limitò a strabuzzare leggermente gli occhi, le sopracciglia inarcate per la confusione, poi “Sì” rispose piano, tanto che quasi ne sembrò lui stesso incerto.
E rimasero entrambi in silenzio, ognuno con la testa piena di pensieri contrastanti.
“Bene... Almeno non sono completamente matto” buttò lì Stiles, massaggiandosi animatamente un braccio attraverso la stoffa della felpa, il tono scherzoso che non nascondeva del tutto la sfumatura di sollievo: il ricordo del suo attacco di panico pochi giorni prima lo fece fremere, aggiunto a tutto quello che gli era assurdamente capitato, e l'altro, probabilmente percependolo, parve restare interdetto di fronte a quelle nuove sensazioni che stavano riempiendo l'aria, facendo vacillare l'apparente calma di Stiles, il cui cuore iniziava a battere incessantemente.
“Ma sono quasi del tutto convinto che qualcosa di anormale ci sia” biascicò poi, non avendone per niente abbastanza “non so te, ma – per quanto sia sonnambulo – apparire e scomparire continuamente da qui, inizia a essere inquietante, ho fatto le mie ricerche e, , lo so che Google non ha tutte le risposte, ma comunque conferma l'assurdità della situazione, e arriverei a dire che o sono pazzo io, oppure c'è di mezzo qualcosa che va oltre la mia comprensione,ma non sarebbe niente di poi così strano visto che, insomma, esistono licantropi e chissà che altro-”.
L'espressione dell'altro interruppe il suo sproloquio incontrollato e si rese conto che, come al solito, l'agitazione aveva dato via libera alla sua parlantina nervosa e asfissiante, proprio l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento.
Distolse inevitabilmente lo sguardo, imbarazzato.
“La casa è nascosta” disse solamente Derek, come se quello spiegasse tutto, ma l'altro non glielo fece notare, aveva capito che, molto probabilmente, non era uno di tante parole: come minimo doveva ringraziare il cielo solo per il fatto che almeno qualcosa l'avesse detto.

Poi Derek percepì qualcosa, Stiles lo notò dal suo irrigidirsi e guardarsi di nuovo intorno con circospezione, inspirando attentamente in allerta, un attimo dopo gli artigli erano di nuovo in mostra e i denti digrignati in un ringhio a mo' di ammonizione al nulla, ma prima ancora che potesse dire qualcosa, prima ancora che potesse spiegare qualcosa, il vento tornò a ruggire e – mentre Stiles lo guardava pietrificato mentre veniva spinto miseramente via – gli occhi si illuminarono di rosso e Derek fu inghiottito dal buio, gli occhi spalancati e una mano malamente in avanti a chiudere l'aria, come a tentare inutilmente di afferrare l'altro, la porta si richiuse tra di loro e l'ultima cosa che Stiles sentì, mentre anche lui si protendeva in avanti troppo tardi per raggiungerlo, fu il guaito straziante dell'altro.
“No! Stiles!” e poi, per un attimo, ci fu solo silenzio, ogni suono, ogni rumore, ogni richiamo, mentre Derek graffiava e colpiva animatamente e quasi disperatamente la porta per tornare da lui, ogni cosa a Stiles arrivò ovattata, lontana, quasi inesistente, come se non lo riguardasse, come se non stesse succedendo lì intorno a lui. Lo sguardo perso, l'ombra di quello a cui aveva appena assurdamente assistito ancora a sfumargli in mente, una stretta nauseante e quasi dolorosa allo stomaco di fronte alla paura che aveva visto in quelle iridi e sorpreso e allo stesso tempo coinvolto nel profondo di fronte al tentativo reciproco di appigliarsi l'uno all'altro nell'incertezza di quello che stava succedendo.
Stiles aveva sentito un bisogno viscerale di raggiungerlo, una paura sotterrata dentro di sé nel vederlo sparire e, per un istante, si era sentito morire alla possibilità di rimanere solo, senza di lui.
“Stiles!” l'ennesimo richiamo terrorizzato e tuonato oltre la porta fu come una scarica e Stiles si mosse senza nemmeno rendersene conto, non del tutto padrone del suo corpo e non totalmente risvegliato dallo stato in cui era caduto, attonito, fino a raggiungerla e provare con la forza ad aprirla, come se fosse ciò di cui entrambi avevano disperatamente bisogno.
“Derek!” chiamò quasi senza fiato, mettendo in quelle poche lettere tutte le sensazioni che lo stavano travolgendo.

Stiles capì presto che niente sarebbe servito, che, qualsiasi cosa avessero provato a fare, quella porta non si sarebbe aperta per lasciarli liberi e per un attimo si chiese se per caso i loro incontri non fossero limitati, se, per decisione di qualsiasi cosa animasse quel posto, loro due non potessero entrare in contatto per più di un determinato tempo, visto che ogni volta qualcosa si frapponeva fra loro.
Si lasciò scivolare a terra, le spalle contro la porta e le braccia intorno alle ginocchia, lo sguardo fisso nel vuoto mentre con la testa pensava a mille altre cose, anche oltre quell'indesiderato divisorio di legno malridotto era calato il silenzio e per un attimo pensò che probabilmente Derek aveva fatto come lui, si era arreso a quell'inevitabilità.
Nessuno dei due disse qualcosa di più, nessuno dei due chiamò più il nome dell'altro, ma entrambi erano consapevoli della reciproca presenza.

Passò un po', poi si tirò su e vagò per la stanza che ormai gli era familiare e in cui era rinchiuso, in cui lo sarebbe stato chissà per quanto ancora.
Finì per sdraiarsi sul letto, stanco e arrendevole, e – per la seconda volta da quando tutta quella storia era iniziata – si ritrovò ad addormentarsi profondamente su quelle coperte un po' sfatte.

 


Quando si risvegliò, non era sicuro di quanto tempo era passato, ma su quelle coperte sapeva per certo di non essere più solo.
 





 




Angolo della pazza: 
Okay, me la sono gufata da sola. Ci ho messo tanto questa volta, chiedo venia!     
La mia ispirazione era andata completamente a farsi benedire, poi ieri è tornata (è stato un lungo viaggio il suo, si era persa... poverina) e ho ripreso a scrivere (questo capitolo l'avevo già un pochino iniziato un mese fa). 
Btw, visto che ho già iniziato a scrivere anche il prossimo (wow, miracolo), stavo pensando se pubblicare questo subito o aspettare di avere finito l'altro, in modo da evitare eventuali blocchi e fare aspettare un altro mese e mezzo(?), ma... Eccomi qui, non sono una con le idee molto chiare ^^" srry. 
Comunque, per il prossimo sono già a un buon punto quindi vedrò di finirlo oggi o comunque in questi giorni, così magari aggiorno la prossima settimana (?) 
Lo spero, ma non prometto niente. No dai, ora non mi tolgo dal pc finché non l'ho finito!
Vabbé, le cose adesso iniziano a muoversi un po' e i nostri giovani eroi iniziano a interagire di più ^^ evviva. (Nel prossimo capitolo ci sarà anche qualche altro personaggio comunque)
Grazie mille a dida kinney per avermi lasciato un pensiero e grazie mille anche al numero crescente delle persone che mettono la storia fra le preferite/seguite/ricordate.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto ^^ fatemi sapere cosa ne pensate. 
Alla prossima, 
Lawlietismine 

Bonus? Bonus: 
Amore mio
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***




 

Stiles era seduto al tavolo del bar con Scott, un bicchiere rinfrescante di succo all'albicocca fra le mani e un'invitante e già da lui addentata brioche al cioccolato nel piatto, entrambi i ragazzi fissavano – chi con sguardo perso e innamorato, chi distrattamente – la ragazza che, genuinamente sorridente ed educata, faceva il suo lavoro al bancone.
“Che angelo” mormorò Scott, sorridendo irrimediabilmente alla figura femminile che ogni tanto guardava nella loro direzione con le labbra dolcemente piegate in su, e l'altro alzò gli occhi al cielo esasperato nel sentire l'ennesima esalazione da folle innamorato proveniente dal suo migliore amico: la sua testa, invece, era completamente altrove e la sua attenzione era del tutto concentrata su un'altra persona che, dannazione, lui avrebbe voluto raggiungere all'istante.
“Non è perfetta?” fu la milionesima domanda retorica.
“Sì, perfetta” soffiò lui in risposta, giusto per dargli corda, affondando poi i denti nella sua colazione in modo da distrarsi.
Allison era perfetta, sì, perfetta per Scott. Stiles lo aveva appurato durante tutta la settimana in cui era stato, volente o nolente, trascinato ripetutamente lì per sostenerlo psicologicamente, visto che, a quanto pareva, nel tempo in cui lui era sparito dalla circolazione – proprio, appunto, fino a una settimana prima – per vagare nei dintorni di una casa sperduta e abbandonata insieme a un licantropo sconosciuto, Scott era riuscito davvero a farsi notare e a conoscere l'altra. L'aveva presentata al suo migliore amico e, vista la psicologia incomprensibile del ragazzo, ora che almeno ci parlava, si sentiva in diritto e in dovere di andare il più possibile nel bar per improvvisare conversazioni e approfittare delle sue pause.
Insomma, Scott stava un po' imponendo ingenuamente la sua presenza a quella povera donna santa che doveva sopportarlo in un modo o nell'altro, anche se non ne sembrava per niente dispiaciuta.
A Stiles piaceva, era simpatica, gentile, divertente ed era sinceramene contento per l'altro, anche se avrebbe fatto volentieri a meno di questi appostamenti strategici.
Piaceva perfino a Lydia.
“Allora, ragazzi, che programmi avete per oggi?” entrambi alzarono lo sguardo e incrociarono il suo, Allison si era fatta dare il cambio e si era seduta al posto libero al loro tavolo, un sorriso smagliante rivolto ai due nuovi amici mentre si portava una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio: Scott ammirò ogni suo gesto come se avesse davanti un'opera d'arte unica, l'altro invece scrollò le spalle un po' assente, sorseggiando il suo succo.
“Pensavamo di fare un giro, magari di andare al cinema” rispose, prima di iniziare a spilluzzicare ciò che rimaneva della sua brioche.
“Ti unisci a noi?” domandò speranzoso Scott, sinceramene desideroso di spendere del tempo insieme a lei, che – con suo sommo piacere – annuì entusiasta: Stiles li osservò di sottecchi, leggendo fra le righe e ripassandosi mentalmente il manuale del perfetto migliore amico, così alla fine fece una faccia improvvisamente sorpresa, con tanto di falsa smorfia e “penso che dovrete andare senza di me” se ne uscì con la sua grande capacità recitativa da perfetto bugiardo “mi ero dimenticato di dirti che devo andare in un posto, amico”.
“Ma come, me lo avevi promesso...” si lamentò Scott con la sua ottima espressione da cagnolino abbandonato dal padrone, profondamente dispiaciuto per quella novità inaspettata, poi, però, sotto lo sguardo insistente dell'altro parve ragionarci su e lo sguardo da cucciolo pian piano si allargò, improvvisamente consapevole di quella farsa messa su proprio per il bene suo e della sua vita amorosa, farsa che – lui non lo sapeva – era però anche una mezza e un po' egoista verità.
Una parte di lui lo faceva per la futura e promettente coppia, per contribuire ad accelerare le cose, ma un'altra parte, quella più importante, lo faceva solamente per placare l'incessante impazienza che lo animava ogni volta che non era dove invece voleva essere, e soprattutto con chi voleva essere.

 


Quasi due settimane prima, quando si era appisolato dopo essere rimasto chiuso in quella camera per qualche ora, Stiles si era risvegliato lentamente, uscendo con suo grande dispiacere da un profondo sonno privo di sogni e incredibilmente rigenerante. Aveva mugugnato qualcosa fra sé e sé, stiracchiando le gambe come un felino, prima di rendersi conto di essere completamente poggiato e avvinghiato a qualcosa che poco gli ricordava il cuscino di un letto.
Aveva sbadigliato sonoramente, strusciandosi una mano – quella libera e un po' intrappolata sotto di sé – sul volto, poi aveva finalmente aperto gli occhi e si era ritrovato – ora completamente sveglio, senza più traccia di sonnolenza – a guardare sorpreso il lupo che stava incredibilmente fra le sue braccia, addormentato come se gli avesse tenuto compagnia per tutto il tempo.
Stiles lo aveva osservato rapito e non avrebbe saputo dire neanche per quanto, beandosi della vicinanza e divorando insaziabilmente ogni dettaglio che riusciva a notare, prima che quello si svegliasse e si allontanasse irrimediabilmente, mentre con la mano che ancora era avvolta attorno a lui iniziava una lenta e delicata carezza continua. Aveva lanciato una veloce occhiata alla porta, ora aperta e segnata con graffi evidenti della forza con cui l'altro aveva tentato di aprirla in precedenza, e si era chiesto cosa avesse spinto Derek a unirsi a lui dopo averlo trovato addormentato, cosa avesse pensato nel vederlo lì, e cosa avesse pensato tutto il tempo prima che gli fosse dato di nuovo il permesso di entrare in contatto dalla forza che dominava in quella casa.
Se ne era rimasto in silenzio, beandosi del respiro calmo del lupo, poi si era buttato di nuovo giù, aveva stretto un po' di più la presa e si era lasciato cullare proprio da quel respiro fino a quando non si era riaddormentato.

La seconda volta in cui si era risvegliato, la scena era cambiata: si era ritrovato sul divano di casa sua, solo.

 


Stiles in quella settimana e mezzo trascorsa da quando era successo, era tornato laggiù molte volte, tutte in modo inaspettato. Come al solito aveva passato il suo tempo a pensare a quella casa, a pensare a Derek e a tutto il resto, poi – cosa non più poi così sorprendente – si era risvegliato lì, oppure aveva semplicemente vagato per la riserva in attesa di vedere apparire qualcosa.
Lo aveva ritrovato lì ogni volta, occupato ad aspettarlo in piedi dietro il vetro della finestra o nella biblioteca, e non avevano parlato di quel particolare episodio neanche per sbaglio, ma in effetti avevano comunicato più a sguardi che a parole ogni volta, come se soprattutto in quel modo potessero trasmettersi ogni cosa.
Le volte in cui avevano intrapreso una conversazione – magari mentre Stiles se ne stava arrampicato a gambe incrociate sulla poltrona davanti al camino acceso, quel vecchio e importante libro sui lupi tra le mani e il labbro inferiore tra i denti, e l'altro invece in terra con la schiena poggiata al bracciolo, piegando ogni tanto la testa all'indietro per controllarlo con lo sguardo dal basso verso l'alto e accertarsi visivamente che fosse sempre lì – il più piccolo gli aveva chiesto qualche chiarimento su informazioni che aveva trovato scritte, oppure spiegazioni per alcuni dubbi improvvisi, curiosità sui licantropi e su di lui in particolare. Perlopiù Derek aveva ascoltato silenziosamente i suoi monologhi senza fine, i suoi racconti su Scott –e perché no, anche su Allison, qualche aneddoto su Erica e alcune lamentele su Jackson, che poi lo avevano di conseguenza portato a parlare di Lydia, gli aveva detto un po' di cose su suo padre – non richieste proprio come tutto il resto – e perfino su Melissa, ma l'altro non si era lamentato neanche una volta.

(“Ultimamente sono sempre distratto” Stiles si stava mordicchiando distrattamente il pollice con un'aria estremamente pensierosa “l'altra sera durante il turno di lavoro con Erica ho rovesciato un'intera bottiglia di Coca Cola in terra”

Derek aveva alzato lo sguardo dalla sua operazione coi denti al povero pollice per guardarlo dritto negli occhi, senza dire una parola, e l'altro – ricambiando – aveva poi annuito animatamente come per sottolineare ogni singola cosa che stava dicendo e confermarne l'assurdità.

“Quando ho provato a pulire, ci sono scivolato sopra e per sbaglio mi sono portato dietro anche Erica”
Il licantropo l'aveva osservato con una impercettibile nota di divertimento.
“Sono sorpreso che non mi abbia squarciato la gola, visto l'occhiata che mi ha lanciato! In effetti sempre per sbaglio poco prima per poco non le avevo incendiato i capelli, quindi devo ammettere che ne avrebbe avuto tutto il diritto” aveva ammesso poi Stiles, facendo corrucciare l'altro: gli aveva detto una delle volte prima che anche la ragazza era un licantropo e Derek gli aveva chiesto di rimando se, visto che ci stava così insieme, quella fosse capace di controllarsi, soprattutto con la luna piena, ma Stiles aveva scrollato le spalle e “si lamenta sempre della mia iperattività ma sono ancora vivo, quindi suppongo di sì” aveva risposto ironicamente, convincendolo ben poco.

“Ieri invece mi sono dovuto far ripetere venti volte da Lydia il programma per il pomeriggio, perché non riuscivo a seguirla...” si era fermato un attimo e aveva fatto una smorfia “...ho più paura di lei che di Erica, sinceramente, e la botta che mi ha dato per il nervoso era proprio piazzata nel punto giusto” si era lamentato, massaggiandosi la parte colpita del braccio.

Derek lo aveva ammutolito spostandosi dalla sua postazione in fondo al materasso del letto nella camera, fino a raggiungerlo e stenderglisi silenziosamente accanto, vicino: Stiles non se lo era fatto ripetere due volte e l'attimo dopo era già accoccolato contro di lui.


La volta dopo erano entrambi seduti in terra davanti al fuoco del camino, fianco a fianco, due tazze di cioccolata calda fra le mani e un sorriso a fior di labbra.)

Che fossero nella biblioteca, oppure sul letto di quella vecchia camera, lui lo aveva ascoltato senza mai interromperlo, osservandolo quando possibile e lasciandolo sfogare quando le chiacchiere diventavano un po' animate, perché Stiles si lasciava travolgere dal momento e dalle emozioni.
Ma era diventata quasi una parte della sua routine, la parte migliore, era diventato tutto normale e atteso.

 


Perciò fu inattesa la sensazione corrosiva di ansia che provò quando sentì il sonno abbandonarlo e capì ancora una volta di non essere nel suo letto, fu inattesa la stretta allo stomaco che gli provocò una forte nausea e fu totalmente inattesa la paura che lo travolse ancora prima di aprire gli occhi, perché, quando lo fece, si sentì morire.
La prima cosa che notò, fu che era buio. Totalmente buio, tanto che gli sembrò per un attimo di essere diventato cieco.
La seconda fu che l'aria era estremamente pesante, stava respirando a fatica e ogni respiro gli graffiava la gola, provocandogli fitte alla testa.
Stiles non vedeva niente, non sentiva niente, ma era sicuramente rinchiuso.
Si trovava in uno spazio stretto e umido e qualcosa si stava muovendo intorno a lui.
Tastò alla cieca per quanto gli fosse possibile muoversi e per quanto il dolore sparso nel corpo glielo permettesse, e per poco non gridò quando qualcosa di bagnato e denso gli colò sulla guancia, qualcosa di vivo gli accarezzò il collo, l'unico rumore in quel posto lo produceva lui e, dannazione, si trovava sotto terra mentre il suo ultimo ricordo era sua padre che lo salutava prima di andare a lavoro.
Stiles tentò di mantenere la calma e di respirare al meglio, ma la tachicardia gli provocava un fastidiosissimo e continuo pulsare incessante nelle orecchie e ormai stava annaspando nel panico.
Più si muoveva, più la terra sopra di lui crollava e finiva di sotterrarlo, più si agitava più quella sostanza gli colava addosso e più faceva rumore, più gli sembrava che degli animali, dei serpenti, lo stessero avvolgendo fino a strozzarlo.
Era stato seppellito vivo e non aveva la più pallida idea di come fosse successo, di dove fosse, né tanto meno da quanto tempo.
“AIUTO!”
Stiles iniziò a dibattersi come un animale in trappola, senza più riuscire a respirare, il buio lo stava divorando fuori, ma il panico lo stava inghiottendo dentro, scavando nella sua mente per riportare alla luce ogni sua più piccola paura, e disgregando, sgretolando e consumando ogni piccola parte razionale che incontrava, travolgendolo per farlo sprofondare nel terrore.
“Papà! Scott!”
Stava gridando senza neanche rendersene conto, ogni barlume di lucidità ormai perso, e a ogni emissione di suono, qualcosa dentro di lui bruciava dolorosamente.
Graffiava nello sgomento la terra sopra di lui, chiamava inutilmente nomi di persone che non lo avrebbero mai sentito, e le lacrime gli incidevano la pelle come acido, infrangendosi nel terreno sporco che lo circondava e opprimeva.
Alcune parti del suo corpo sembravano incendiate, forse trafitte da resti inanimati, forse lacerate da esseri animati, altre invece non le sentiva affatto, come se una parte di lui fosse paralizzata, mentre un'altra fosse invece totalmente sommersa e inghiottita dall'orrore che lo stava uccidendo.
Si sentiva come in una di quelle trappole in cui più ti muovi, più si chiudono e strozzano, solo che lui non poteva farne a meno e a ogni movimento, a ogni urlo disperato, il panico si mischiava al dolore fisico come se qualcuno lo stesse tirando da più parti, cercando di strappare ogni singola parte del suo corpo.
“DEREK!” il suo urlo lo logorò quasi fino a farlo sanguinare, il bisogno, l'angoscia e la disperazione lo stavano scuotendo e non riusciva a fare altro che chiamare e chiamare ancora quel nome, per quanto male facesse, i pugni che colpivano alla cieca, materiali affilati che gli incidevano la pelle della schiena.

Quando l'ennesimo grido lo stava per lasciare, ormai quasi ridotto a un mormorio roco, Stiles riaprì gli occhi bagnati dalle lacrime e l'ennesimo colpo alla terra andò a vuoto, tagliando l'aria fresca che all'improvviso fu come uno schiaffo per lui.

Si trovava fuori, adesso, quasi del tutto nudo e tremante dalla testa ai piedi in modo incontrollato, lo sguardo strabuzzato rivolto alle sue mani sporche di terra e di sangue – forse non totalmente suo – senza realmente vederle e i singhiozzi lo scuotevano animatamente. Davanti a lui, se ne accorse vagamente quando colse con la coda dell'occhio un movimento e reagì come un animale terrorizzato, Derek, appena arrivato a corsa, lo fissava sconvolto come mai prima d'ora.
Le sue labbra si mossero qualche volta, ma Stiles non riuscì a sentire niente se non un inarrestabile stridio nella testa.
Il suo sguardo si spostò lentamente dal licantropo alle proprie mani sporche, e poi di nuovo sull'altro con ancora più realizzazione, ancora più consapevolezza delle condizioni in cui era, e voleva dire qualcosa, la bocca tremolante era schiusa, ma non ce la faceva, voleva muoversi, in qualsiasi direzione, ma il suo corpo era paralizzato, voleva pensare a qualsiasi cosa, ma la sua mente era vuota.

Derek parlava e lui non sentiva, e sobbalzò intimorito senza poterci fare niente quando l'altro lo raggiunse e gli posò piano una mano sulla schiena, osservandolo pieno di preoccupazione e agonia. A quella reazione alzò le mani come a fargli intendere che non voleva fargli niente, poi tornò a toccarlo e stavolta Stiles non si oppose, sembrò disposto a lasciarsi guidare ovunque l'altro lo stesse portando, fino a quando non si portò istintivamente le mani insanguinate e terrose fra i capelli e “è un incubo” gracchiò stridulo e senza voce, mosso dai fremiti, gemiti e singhiozzi, una tale vena di speranza nel tono, quasi stesse implorando che fosse così, che fece esitare l'altro.
“Stil-”
“È solo un incubo. È un incubo!” ripeté quello deciso, stringendosi le ciocche viscose fra le dita quasi fino a strapparle, tappandosi forzatamente le orecchie, e “Svegliati, Stiles, SVEGLIATI” tuonò, quasi a rimproverarsi da solo, chinandosi su se stesso come a volersi fare sempre più piccolo, a volersi nascondere.

Prima che il licantropo potesse muoversi, il rumore di una pistola che veniva caricata raggiunse entrambi: Stiles guardò passivamente mentre Derek lo spingeva rapidamente dietro di sé, ringhiando in modo intimidatorio a qualunque fosse la minaccia, gli artigli in mostra e probabilmente – visto che gli dava le spalle, non poteva saperlo con certezza – anche il solito scintillio rossastro degli occhi.
Se non fosse stato nel bel mezzo di un principio di attacco di panico, Stiles avrebbe fatto qualcosa, avrebbe guardato avanti a sé e sarebbe intervenuto, perché suo padre era proprio lì e gli sarebbe bastato dirgli che no, non doveva puntare l'arma contro Derek, che era l'ultima cosa che voleva, e avrebbe detto proprio a Derek di non attaccare, di non fargli del male nel tentativo di proteggerlo, ma il pianto isterico lo stava opprimendo e tutto gli sembrava solo un assurdo, orrendo incubo da cui voleva solamente risvegliarsi. Voleva chiudere gli occhi e riscoprirsi al sicuro sotto le coperte del suo letto.
Cancellare dalla sua mente quello che aveva appena vissuto, tutto quello che stava provando.
“Allontanati da lui” avvertì secco lo sceriffo, la pistola davanti a sé e la mira rivolta dritta al petto dell'uomo che aveva di fronte. Dietro di lui si fece strada un altro tipo in divisa, anche lui armato.
Derek ricambiò con un latrato basso e inumano rivolto a entrambi, la sua figura possente posizionata in modo da coprire il ragazzo che non aveva intenzione di lasciare nelle loro mani, perché ora come ora, visto il suo stato, doveva solo portarlo via e occuparsi di lui.
“Ho detto” quasi ringhiò lo sceriffo, marcando ogni parola rabbioso e visibilmente pronto a sparare “allontanati subito da mio figlio” e l'attimo dopo Derek aveva già assunto nuovamente la sua forma umana, lo sguardo combattuto e sconcertato fisso in quello dell'uomo, del padre di Stiles.

Dopo Stiles sentì solamente un'esplosione assordante.  

 


 



 



(piccola parentesi: avevo pubblicato il capitolo ieri, ma - cercando di modificare una cosa dal telefono - per sbaglio l'ho eliminato. Quindi nada, le note qui sotto le ho scritte ieri e visto che nel documento word avevo anche quelle, le lascio ^^")
Angolo della pazza: 
Dico soltanto che oggi non dovrei essere qui.
Io dovrei lasciar perdere il pc, prendere il libro di filosofia e quello di italiano e studiare, studiare, STUDIARE! Perché domani mi interrogano. Ah-a. 
Quindi stamani dovevo solamente svegliarmi presto e dedicarmi al buon vecchio D'Annunzio, e poi anche a Darwin, ma... Ieri ho passato la serata con take away cinese, nutella e X-Men - Giorni di un futuro passato in 3D dalla mia migliore amica *fa ciao con la manina* quindi alla fine mi sono alzata quasi alle 9 e poi sono rimasta nel letto fino alle 10.30 a pensare al sogno su Loki che ho fatto stanotte, troppo stanca per trovare la forza di alzarmi. (Eheh)
Inoltre non volevo aggiornare oggi perché non ho ancora iniziato a scrivere il prossimo capitolo, che sarà probabilmente per me davvero impegnativo. E conterrà tanti flashback (soprattutto riguardanti le due settimane nominate in questo capitolo, quelle in cui Stiles è andato da Derek), perché io amo i flashback. 
Però... Era già pronto e... Niente, eccomi qui. Ripeto: non ho affatto le idee chiare.  
Cooomunque. Questo capitolo è un pochino (poco poco eh) più lungo degli altri e anche più pesante(?) beh, povero Stiles. ç.ç 
La situazione mi è sfuggita di mano. 
Cercherò di scrivere già da domani e magari di aggiornare lunedì 14! Ci proverò, lo giuro. 
Vabbé, non commento e mi dileguo, corro a studiare ç.ç 
Grazie mille a dida kinney e a OrangeJuice per avermi lasciato un pensiero e grazie mille anche al numero crescente delle persone che mettono la storia fra le preferite/seguite/ricordate.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto ^^ fatemi sapere cosa ne pensate. 
Alla prossima, 
Lawlietismine 

Bonus? Bonus: 
Amori
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***




*Allora, ho una o due premesse da fare. Questo capitolo è strutturato in modo diverso dagli altri, le parti normali sono ricordi di quelle due settimane di cui ho parlato nello scorso capitolo, in cui Stiles è andato spesso da Derek, mentre quelle in corsivo sarebbero il continuo, cioè riprendono da dove si interrompeva la narrazione l'ultima volta, con lo sceriffo, Stiles e Derek all together.
Poi... Ci sono quattro ricordi in tutto e in ognuno vedrete come si è sviluppato pian piano il rapporto fra loro due ^^  
E questo è tutto, ci vediamo a fine capitolo!


 

Stiles era sdraiato lateralmente sulla poltrona della biblioteca, la schiena poggiata a un bracciolo e le gambe distese sull'altro, quasi di spalle al camino acceso e con il vecchio libro sui lupi in grembo: era arrivato quasi a metà di quel grosso manuale e Derek gli aveva rivelato che era di famiglia, proprio come lui aveva inizialmente ipotizzato, e che molti degli appunti erano di sua madre.
Ma non era andato granché oltre, Stiles aveva capito immediatamente dalla sua espressione nel nominare la donna che quello non era un argomento felice e aveva lasciato cadere la questione nel nulla, distraendolo con una battuta pungente delle sue su una delle frasi lette in precedenza.

Era interessante, estremamente interessante, perché molte di quelle informazioni erano uniche e lui si sentiva fortunato nel poterne approfittare, non si sarebbe fatto sfuggire l'occasione preziosa per niente al mondo: era grato che Derek, inoltre, glielo lasciasse fare.
La sua concentrazione era dedicata al libro ormai da un po', tanto curioso e ammaliato da ogni singola parola che neanche si accorse del licantropo, che – poggiato con una spalla allo stipite della porta, le braccia incrociate al petto – lo scrutava attentamente da quelle che potevano benissimo essere delle ore, senza perderlo di vista neanche per un secondo.
Stiles era assurdo mentre leggeva, sul suo volto passavano infinite emozioni contrastanti e il suo odore tendeva a mutare di riflesso con la stessa intensità, mandando in confusione i sensi di Derek: era impossibilmente difficile stargli dietro, era quasi peggio di quando iniziava a parlare ininterrottamente di qualsiasi cosa gli passasse per la testa.
A volte si mordicchiava distrattamente il labbro, corrucciandosi in modo buffo, altre si grattava un punto sotto il mento quasi come un tic abituale, oppure arricciava il naso, tratteneva il respiro, sgranava leggermente gli occhi o schiudeva le labbra come a voler dire qualcosa, prima di richiuderle in una linea sottile.
Derek se ne stava rigorosamente in silenzio e seguiva ogni suo movimento, ogni suoi cambiamento, senza perdersi nessun dettaglio.

“Qui c'è scritto che i lupi scelgono un compagno per tutta la vita, che lo riconoscono subito quando lo vedono” parlò d'un tratto Stiles, continuando a studiare quel paragrafo con insistenza scorrendo ogni parola: da come gli era uscita, sembrava quasi che si aspettasse una conferma o una smentita dal ragazzo che, come ben sapeva, era proprio di fronte a lui.
Derek per un po' non rispose e nella stanza tornò a prevalere il silenzio.
“Sì” disse alla fine, impassibile e serio, perfettamente consapevole che la curiosità del ragazzino non si sarebbe fermata lì.
“E tu non l'hai ancora trovato?” domandò infatti dopo un attimo, ora di nuovo corrucciato mentre fissava la pagina senza davvero vederla.

Questa volta l'altro non rispose affatto.

Quando Stiles si costrinse ad alzare cautamente gli occhi per incontrare i suoi, si sentì mancare il respiro di fronte allo sguardo profondo che Derek, apparentemente imperturbabile, gli stava rivolgendo quasi fino a leggergli dentro. Sotto quegli occhi verdi e intensi, Stiles si sentì totalmente e irrimediabilmente esposto.
Quando distolse lo sguardo, travolto dalle troppe sensazioni, percepì l'altro lasciare la stanza.
Per un attimo si chiese se anche questo fosse un argomento infelice, e – di conseguenza – si sentì un po' infelice anche lui.

 


Stiles sentì vagamente un'esplosione assordante, poi Derek che indietreggiava fino a far scontrare la schiena con il suo petto, una mano subito indietro per afferrarlo e tenerlo stretto all'avambraccio, per esser certo che non gli sfuggisse, per proteggerlo da qualsiasi cosa stesse succedendo. Ma l'esplosione l'aveva sentita unicamente lui.
 


Derek a volte era scontroso, cupo, come se ce l'avesse costantemente con il mondo oppure con se stesso, Stiles non avrebbe saputo dire con certezza quale delle due –forse entrambe.
Quando pensava che l'umano non gli stesse prestando molta attenzione, qualcosa in lui cambiava e sembrava arrabbiato, ferito e rassegnato, in un modo così evidente e destabilizzante che Stiles ogni volta sentiva qualcosa dentro di lui incrinarsi, soprattutto si sentiva impotente e – per quanto assurdo – si sentiva anche come se fosse compito suo cancellare tutte quelle emozioni, sostituirle con qualcosa di bello, qualcosa che eliminasse quell'espressione abbattuta dal volto del licantropo.
Vederlo così, lo faceva sentire vuoto.

“Sì, beh, c'è Scott che continua a provarci con questa Allison” parlò nella speranza di distrarlo dai pensieri che gli avevano evidentemente occupato la testa, “lavora in questo bar e lui è innamorato perso, giuro che a volte ne parla così tanto che vorrei buttarmi dalla finestra, perché va bene che lui ha dovuto sopportare per un'infinità di tempo le mie chiacchiere infinite su Lydia, ma...”.
Stiles si fermò un attimo, corrucciandosi, e poi arricciò il naso.
Accidenti, non ci avevo pensato in effetti: glielo devo, se lui ha provato la stessa cosa che provo io quando inizia a parlare di lei, allora sono stato davvero un mostro. Come avrà fatto a sopportarmi per tutti quegli anni con la mia fissa per Lydia?” il discorso gli era sfuggito di mano, ma Derek lo stava guardando incuriosito: quando Stiles lo notò, si sentì in dovere di spiegare “Ah sì, beh, sto parlando di Lydia Martin, la bellissima, intelligentissima e incredibile Lydia Martin, sono stato cotto di lei per un tempo infinito, poi siamo diventati amici e mi è passata, comunque lei sta con quell'idiota di Jackson, che all'inizio odiavo, ma ora in un certo, strano, assurdo modo gli voglio bene”.

Stavano camminando fuori nella riserva – perché , quella alla fine era davvero la riserva di Beacon Hills, nessun altro luogo sulla carta geografica in cui si teletrasportava misticamente – e il percorso gli sembrava sconosciuto e immenso, mentre se ne stava con le mani nelle tasche della felpa e lo sguardo nel parlare si muoveva freneticamente da davanti a sé a Derek.
Derek, che lo osservava silenziosamente come se quello che diceva, gli interessasse davvero.
Magari era davvero così, magari per qualche ragione gli importava.

“Ma comunque è impossibile non avere un debole per Lydia, per quanto ora che la conosco bene sia anche piuttosto inquietante, soprattutto quando mi guarda in quel modo... Come se volesse uccidermi da un momento all'altro, ma non come te le prime volte in cui sono venuto qui, lei ha un modo tutto suo di mettere ansia, ci sono dei momenti che è da brividi... Ma posso sapere una cosa? Cosa intendevi quel giorno quando mi hai detto che la casa è nascosta?”
L'espressione sorpresa di Derek espresse il suo stupore di fronte all'improvviso, inaspettato e brusco cambio di argomento da parte dell'altro, che ora lo guardava incerto, torturandosi un po' le mani come se temesse di aver chiesto qualcosa di estremamente sbagliato.
L'attimo dopo quelle mani le stava già scuotendo a mezz'aria come a scacciare una mosca e distolse rapido lo sguardo, maledicendosi mentalmente.
“Niente, niente, fa finta che non ti abbia chiesto niente” farneticò, senza il coraggio di vedere la sua reazione: era un bel momento, non voleva rovinarlo con domande stupide e odiava il suo maledetto filtro, che – come al solito – lo aveva fatto parlare prima di poterci ripensare.
Derek rimase in silenzio, lo sguardo pensieroso dritto sul percorso che aveva di fronte.
“La casa è protetta, nessuno si può avvicinare” gli rispose infine, prima di lanciargli una veloce occhiata e aggiungere: “a parte rare eccezioni”. L'altro infatti aveva già fatto per contraddirlo, pronto a ribattere a quell'iniziale imprecisione.
Sentì Stiles trattenere il respiro per un momento a quel chiarimento.
“È così da un po' di anni, soltanto io posso uscire e tornare quando voglio senza problemi” continuò, immergendo le mani nelle tasche dei jeans e riprendendo a fissare l'ambiente che lo circondava, mentre camminavano fianco a fianco “tu sei l'eccezione, Stiles, non era mai venuto nessuno prima, ed è un incantesimo forte, ha i suoi modi per permetterti di stare qui”

Nonostante tutto quello che aveva appena ascoltato attentamente lo avesse colpito, alimentando la sua curiosità, a Stiles – al posto di dare il via a tutte le intelligentissime domande che gli affollavano la testa – uscì un ironico “sì, incasinandomi la mente e rendendomi la vita impossibile, ecco il modo” che era finalizzato a smorzare la situazione, perché lui era fatto così, ma dall'espressione improvvisamente afflitta di Derek nel sentirglielo dire, si dette irrimediabilmente dell'idiota.

Per quel giorno il discorso si chiuse lì.

 


Il suo sguardo vagò a rilento intorno a lui, quasi fosse tutto a rallentatore, i suoni lontani e ogni scena che gli vorticava davanti agli occhi in modo non naturale, e sentì la presa ferrea di Derek al suo braccio in modo così vivido da stonare con il resto delle sue percezioni, ma gliene fu grato e senza pensarci di più si aggrappò a lui di rimando.
 


Ormai era in quel posto quasi tutti i giorni, ci andava ogni volta in cui suo padre era di turno, o si inventava che usciva con Scott quando non lo era, e ringraziava il cielo sia per la presenza di Allison, che teneva distratto a tempo pieno il suo migliore amico, sia per la piccola fuga improvvisa di Lydia e Jackson nella casa in montagna di lei: nessuno si era accorto delle sue sparizioni, riusciva a passare inosservato senza troppi problemi.
Stiles e Derek in quel poco tempo si erano avvicinati molto senza neanche rendersene conto, come se fosse la cosa più naturale di sempre. Fra loro c'era una spontaneità che in altri casi entrambi avrebbero formato in anni, si sentivano a loro agio, come se solo l'uno con l'altro potessero essere davvero loro stessi, senza il bisogno di preoccuparsi di dire o fare qualcosa di sbagliato, senza la necessità di indossare una maschera.
A Stiles piaceva poter parlare e raccontare, mentre l'altro lo ascoltava silenziosamente interessato, oppure starsene entrambi per ore senza dire una parola o conversare distrattamente di cose varie, concedendosi qualche informazione reciproca.

“Derek?”

Il diretto interessato, seduto a terra, a quel debole e biascicato mormorio abbassò lo sguardo sul ragazzo che se ne stava sdraiato sul pavimento di schiena con la testa sulle sue gambe, una mano sulla pancia e i capelli tutti scombinati. Fino a un attimo prima si stava riposando beatamente, mentre il licantropo leggeva un libro – entrambi posizionati di fronte al camino acceso – ma adesso l'umano lo stava fissando dal basso, lo sguardo un po' lucido e la parte sinistra del volto costellata di nei illuminata dalla luce del fuoco caldo che avevano davanti.
“Mm?” fece solo in risposta, osservandolo, spostando lo sguardo su ogni dettaglio di quel volto un po' segnato dalla stanchezza visto il risveglio improvviso, prima di tornare a incontrare i suoi occhi leggermente socchiusi.
Stiles fece lo stesso, il suo sguardo corrucciato si mosse leggermente più volte sul volto dell'altro, la sua testa visibilmente colma di pensieri, e sembrò sul punto di dire qualcosa di importante, le labbra schiuse e il respiro pesante, ma alla fine si morse forzatamente il labbro, distolse cupo lo sguardo e si girò su un lato, dandogli le spalle e portando le mani fra la sua guancia e le gambe di Derek a mo' di cuscino.

“Niente” bisbigliò a malapena subito dopo, il cuore che gli martellava nel petto e un'emozione strana nell'aria intorno, facendo calare di nuovo il silenzio.

Derek tornò a leggere il suo libro, senza riuscire davvero a concentrarsi sulle parole.

 


Gli si gelò il sangue nelle vene.
Stiles sgranò gli occhi e sentì la gola prosciugarsi, quando vide una figura femminile davanti a lui, oltre Derek e suo padre. La testa iniziò a dolergli fastidiosamente e un senso di nausea gli premette nello stomaco, facendolo gemere.
La donna lo fissava dritto negli occhi in modo profondo e quasi spaventoso, ma nessuno – oltre lui – parve vederla, proprio come nessuno aveva sentito l'esplosione: lo sceriffo e il licantropo continuavano indisturbati, il primo ancora con la pistola carica puntata verso l'altro e il secondo combattuto di fronte alla realizzazione di star affrontando il padre di Stiles e il bisogno di portarlo via.
Ma quella donna c'era, Stiles non riusciva a distogliere lo sguardo da lei e ne percepiva il pericolo imminente: quasi di riflesso, ancora coperto di sangue e terra e ferito, cercò di muoversi per frapporsi tra lei e le persone a lui care, ma Derek, protettivo per lo stato in cui lo aveva trovato e allo stesso tempo incapace di decidere cosa fosse bene fare, lo costrinse a rimanere dietro di lui.
Stiles guardò inorridito e impotente lo scenario davanti ai suoi occhi.

 


L'umano quella mattina era uscito da casa sua non appena la macchina di suo padre aveva lasciato il vialetto, dandogli via libera per la fuga giornaliera. Poi dopo aver vagato per un po' nella riserva, si era finalmente ritrovato davanti alla villa: ultimamente, con questo metodo invece che i risvegli improvvisi, più ci andava e meno ci voleva per trovarla, passando dall'attesa iniziale di quasi ore a una manciata di minuti che magari sarebbero diventati presto secondi.
Ad aspettarlo aveva trovato il lupo dal manto nero, seduto compostamente ai piedi delle scale con gli occhi fissi sulla porta e poi su di lui una volta entrato. Lo aveva guardato con quel suo solito sguardo serio e come le altre volte in cui era successo, Stiles, quando gli era passato accanto, gli aveva passato la mano dietro l'orecchio come fosse stato un animale qualunque, non un uomo, facendogli digrignare i denti in modo falsamente irritato dal gesto compiuto. Aveva riso della sua teatrale reazione e poi si era avviato verso la cucina, nella speranza che qualsiasi cosa animasse la casa potesse leggergli nella mente e realizzare i suoi desideri: era così che, poco dopo, Derek era tornato umano, aveva indossato dei vecchi pantaloni di una tuta grigia e insieme si erano ritrovati seduti come sempre in terra di fronte al fuoco della biblioteca con ciascuno una tazza di cioccolata calda tra le mani.

“Demenza frontotemporale, non esiste cura” disse piano, quasi in un bisbiglio rauco contro la tazza ancora fumante, prima di prendere un altro piccolo sorso della bevanda densa, lo sguardo perso nelle fiamme del camino che li illuminava debolmente e la testa piena di ricordi che avrebbe preferito rimuovere, pur di non ricordare sua madre unicamente in quel modo. “Ero un ragazzino quando ha iniziato con il delirio, immaginava cose, era paranoica e ha sofferto abbastanza di disfasia, aveva difficoltà con il linguaggio, non riusciva a capire, né a comunicare” il tremolio nella voce lo costrinse a concludere e a riprendere a bere per non dover continuare, mentre Derek, al suo fianco, a ogni percezione di dolore proveniente da Stiles, sembrava soffrire lui stesso dentro, nonostante non lo desse a vedere troppo fuori.
Avrebbe voluto afferrarlo e stringerlo a sé, strappargli via ogni male e donargli il mondo, per cercare in ogni modo possibile di eliminare qualsiasi cosa non fosse serenità, ma sapeva meglio di chiunque altro che non sarebbe stato del tutto possibile.

Nessuno dei due ricordava neanche come erano finiti a parlare di quello, semplicemente era uno di quei momenti in cui condividevano qualcosa l'uno dell'altro, lasciandosi conoscere più a fondo.

Gli occhi lucidi di Stiles, le mani strette alla tazza con forza per fermare il tremolio incontrollato e l'espressione affranta, l'odore di tristezza e vuoto nell'aria, furono per il licantropo come una corda stretta intorno al collo, mentre un senso di impotenza lo opprimeva all'altezza del petto.
“La casa è andata a fuoco un po' di anni fa, ecco perché è in queste condizioni” si decise ad ammettere, incredulo di fronte alla consapevolezza che quella era la prima volta che ne parlava ad alta voce, ma dirlo a Stiles sembrava naturale, era come dirlo a se stesso.
L'altro sobbalzò impercettibilmente, viste le volte in cui avrebbe voluto chiedere e quelle in cui Derek era sembrato sul punto di spezzarsi per qualcosa legato all'argomento, tanto da farlo lasciar perdere: smise di occuparsi della sua cioccolata e si bloccò a fissare di fronte a sé in attesa.
“Dei cacciatori contrariati dall'esistenza dei licantropi, e soprattutto dalla forza della mia famiglia, hanno circondato la casa di una particolare cenere che fa da barriera a quelli come noi, costringendo tutta la mia famiglia dentro senza la possibilità di uscire, e poi hanno appiccato l'incendio”.
Stiles inorridì, sgranò gli occhi di fronte a quello che comprendeva quell'affermazione e l'attimo dopo stava guardando Derek incredulo, mentre la sua mente iniziava a mettere insieme alcuni pezzi: il ricordo sbiadito di suo padre che si occupava di un caso terribile, chiuso nel suo ufficio per nottate intere pur di trovare delle prove schiaccianti, un ragazzo adolescente seduto da solo alla centrale, lo sguardo vacuo e assente, arrabbiato a volte, mentre i colleghi dello sceriffo cercavano di capire come una disgrazia del genere fosse potuta accadere.
“Io non ero in casa, ecco perché sono vivo” aggiunse Derek, prima di farsi forza e girarsi anche lui per guardarlo negli occhi: si sorprese, tornando bruscamente alla realtà, nel ritrovare in essi le stesse cose che aveva provato lui stesso nel percepire la sua sofferenza quando gli aveva parlato di sua madre poco prima, la stessa empatia e lo stesso desiderio sconcertante e viscerale di consolarlo.

Forse fu prima Stiles a sporgersi, o forse Derek, i cui occhi si tinsero di rosso prima di chiudersi definitivamente, ma le loro labbra si trovarono all'unisono a metà strada, scontrandosi con cautela, un tocco bramato inconsciamente da tempo, mentre le mani di Stiles circondavano in un appiglio necessario il collo dell'altro, e Derek avvolgeva con le sue il suo volto per avvicinarlo maggiormente a sé, entrambi quasi in modo disperato, le due tazze di cioccolata fumante ora dimenticate da una parte.

Fu confortante, liberatorio e istintivo, perfetto, mentre si cercavano a perdifiato, avvolti nel calore del camino acceso e nella penombra della vecchia biblioteca, come fosse la cosa più naturale del mondo. L'unica certezza.

 


“Ciao, Stiles.”
Intorno a lui all'improvviso non c'era più assolutamente niente a parte quella donna sconosciuta, entrambi circondati da quella che sembrava una stanza dal soffitto e il pavimento bianchi, ma lui non riusciva a vedere dove questa finisse: sembrava immensamente vasta, sicuramente irreale.
“Io sono Kimera, tu e io ci siamo già incontrati in circostanze particolari, ma tu non puoi ricordarlo: preparati, adesso ho una storia da raccontarti”.
E Stiles non poté far altro che assecondarla.




 



 



Angolo della pazza: 
Qui è il degenero, non dico altro. Non sapete quanti dubbi mi sono venuti su questa storia e sul finale a cui avevo pensato, ma alla fine mi sono decisa!
E ce l'ho fatta a pubblicare in una settimana circa, visto?
Come vi avevo detto, io amo i flashback e quindi ecco il capitolo basato perlopiù sui ricordi. Ho cercato di dare un'idea, come scritto all'inizio, di come si sono sviluppate le cose tra Stiles e Derek a ogni incontro, spero abbiate colto ciò che c'era da cogliere ^^" soprattutto nel primo ricordo (?) Insomma, Derek sa dalla prima volta in cui l'ha visto che Stiles è il suo compagno, ecco spiegati tutti i suoi atteggiamenti, e alla fine anche Stiles ha ceduto.
Quindi nel presente, dove lui, suo padre e Derek sono nella riserva, il bacio è già avvenuto, ecc, ecc...   
E poi c'è Kimera! Come personaggio in questa storia è molto importante, ma spiegherò tutto nel prossimo capitolo.
Cooomunque. Questo, non vorrei dirlo, ma secondo i programmi è il penultimo (omg, non ci posso credere!) e il prossimo sarà complicatissimo, perché dovrò spiegare 4576546545 cose. 
Cercherò di scriverlo velocemente, ma non vi prometto niente: giovedì ho compito di matematica, venerdì interrogazione di storia e martedì prossimo simulazione di terza prova, perciò proverò a scrivere nel poco tempo libero e - nel caso - martedì prossimo, dopo la simulazione, mi dedicherò solamente a questo, visto che poi iniziano le vacanze. 
Vabbé, non aggiungo altro... Ho la testa che mi esplode ç.ç 
Grazie mille a _shelovesvampires per avermi lasciato un pensiero e grazie mille anche al numero crescente delle persone che mettono la storia fra le preferite/seguite/ricordate.
Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto ^^" ç.ç fatemi sapere cosa ne pensate. 
Alla prossima, 
Lawlietismine 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Epilogo. ***




*Allora, preparatevi mentalmente perché questo 1) è l'ultimo capitolo, 2) è lungo più del doppio rispetto agli altri e 3) è un totale casino, qui spiego praticamente tutto quello che c'è da spiegare e probabilmente capirete il senso soltanto alla fine mettendo insieme tutti i pezzi.
C'è un'alternanza fra flashback e il momento interrotto alla fine dello scorso capitolo in cui Stiles parla con il nuovo personaggio, e anche qui capirete il senso dei flashback soltanto man mano che vi avvicinerete alla fine. 
E questo è tutto, ci vediamo a fine capitolo!^^


 





Stiles se ne stava sdraiato nel letto di camera sua, dalle finestre entravano i raggi del sole già alto nel cielo e la sveglia sul suo comodino stava suonando in modo assordante già da un minuto, annunciando che era definitivamente giunta l'ora di alzarsi e iniziare la giornata.
Si stiracchiò leggermente, la testa poggiata sul petto caldo e nudo di Derek e le braccia avvolte intorno a lui per tenerlo stretto a sé, poi tornò a sonnecchiare contro il licantropo, mentre quello si affrettava a spegnere infastidito l'oggetto che emetteva quel suono indesiderato e che li aveva inevitabilmente svegliati entrambi.
Stiles mugugnò qualcosa di sconnesso nel sentire l'altro allontanarsi, poi le labbra di Derek si posarono sulle sue per un veloce bacio e l'attimo dopo Stiles lo sentì indossare i pantaloni, alzarsi e dirigersi infine verso il bagno.
Quando ne uscì qualche minuto dopo, lui era sdraiato a pancia in su, un braccio incrociato dietro la testa e lo sguardo fisso sullo schermo del proprio telefono per dare un'occhiata ad alcuni messaggi, la coperta che lo copriva malamente fino ai fianchi.
“Pensavo ti ci sarebbe voluto di più” ammise Derek, che si era aspettato di trovarlo di nuovo immerso in un sonno profondo da cui sarebbe toccato a lui trascinarlo via: il diretto interessato lo guardò con un sorrisetto ferino e un sopracciglio inarcato ironicamente.
“Sai che effetto mi fai se mi baci di prima mattina mentre sei nudo” ribatté con ovvietà, facendo alzare gli occhi al cielo all'altro di riflesso “e poi è il mio ultimo giorno di vacanza e voglio godermelo, domani mi attende una lunga giornata a scuola e il Coach mi distruggerà all'allenamento” aggiunse in un borbottio falsamente indispettito, sporgendo il labbro inferiore in modo da infondere un po' di pietà nel licantropo di fronte a lui, che “è il tuo dovere” rispose solamente, prima di avvicinarsi alla scrivania e prendere la sua maglia, abbandonata sul pavimento dalla sera prima.

“Sembri mio padre così” si lamentò Stiles scuotendo la testa, senza risparmiarsi poi dal seguire l'altro con lo sguardo mentre indossava l'indumento a suo parere indesiderato, con i muscoli che si tendevano a ogni singolo gesto “ancora due anni e poi college, addio Harris e le sue stupide punizioni insensate!”
Derek si voltò per osservarlo, le braccia strette al petto e lo sguardo fisso sul ragazzo che ora se ne stava scoperto seduto sul letto a gambe incrociate, nudo e senza nessuna vergogna, la testa probabilmente altrove mentre pensava sicuramente a un futuro senza più quella patetica imitazione di professore tra i piedi.
“Cosa vuoi fare oggi?” interruppe la sua immaginazione, pronto ad assecondarlo in qualsiasi cosa anche se non lo avrebbe ammesso ad alta voce.
Stiles tornò a concentrarsi su di lui, apparentemente incerto, poi gli rivolse di nuovo un'occhiata eloquente e un sorriso furbo, prima di sbattere la mano sul posto libero accanto a lui sul materasso in un chiaro invito a tornare al suo fianco: un ultimo giorno di pace solo fra loro due, prima di ritornare a scuola e al mondo soprannaturale che non li lasciava mai respirare, tentando di ucciderli ogni volta che si presentava l'occasione.

“Sono tre giorni che stiamo qui” tentò inutilmente e falsamente di opporre resistenza, Derek, muovendosi impercettibilmente verso l'altro.
“Stai approfittando troppo dell'assenza momentanea di tuo padre” aggiunse, come se fosse davvero intenzionato a non dargliela vinta, avvicinandosi ancora un po' a ogni parola.
“Magari potresti anche stud–” Derek si interruppe da solo quando, ormai già arrampicatosi di nuovo sul letto e raggiunto l'altro, la sua maglia già di nuovo in terra, baciò il ragazzo.

Il sorriso di Stiles si espanse incontrollatamente, mentre – a cavalcioni sull'altro – si accertava di non essere l'unico privo di indumenti nella stanza: nelle iridi del licantropo guizzò irrimediabilmente una luce rossastra mentre il ragazzino si dedicava diligentemente al suo collo, lambendo i punti che sapeva più che bene essere sensibili, per poi scendere sul petto e sostituire per un solo attimo i denti alle labbra, cogliendolo di sorpresa.
Ci volle poco per farlo spazientire: Derek, già stanco di quel gioco fin troppo lento per quanto piacevole, ribaltò con un ringhio animalesco la situazione, frettoloso e secco, e Stiles, stringendogli le braccia al collo, si lasciò a una felice risata sonora.

 


Stiles voleva chiedere alla sconosciuta dove diamine fossero finiti suo padre e Derek, e dove invece si trovassero loro, se fosse tutto nella sua testa o se fosse reale, per quanto ne dubitasse, ma più la guardava più non riusciva a parlare.
Non avrebbe saputo darle un'età e neanche gli interessava al momento, ma la sua pelle era liscia e pallida, sembrava quasi porcellana, gli occhi etero-cromatici, uno grigio e l'altro ambrato, splendevano di una luce innaturale e i capelli lunghi fino oltre la vita e mossi erano bianchi, alternati con alcuni boccoli neri che stonavano e allo stesso tempo sembravano in armonia con tutto il resto e che mettevano ancora più in risalto le iridi diverse e la pelle lattea.
La ragazza mosse con un gesto fluido e calcolato la mano sinistra di fronte a sé e prima ancora che Stiles potesse chiedersi il perché, il pavimento bianco alle sue spalle si deformò, fino a rialzarsi e plasmarsi per formare quello che sembrava un trono, costringendolo, volente o nolente, a sedersi.
Fece per protestare, ma lei lo interruppe.
“Tu non ti ricordi di me, Stiles, ma in altre circostanze sei stato tu a cercarmi”
Il ragazzo la fissò corrucciato e allo stesso tempo intimorito, una parte di lui che ancora pensava a Derek e suo padre, un'altra che invece voleva tempestarla di domande di tutti i tipi, prima fra tutte come fosse possibile che lui, come lei sosteneva, non la ricordasse affatto nonostante a quanto pareva si fossero già visti, o perché avrebbe dovuto mai contattarla.
“Questa non è la tua vita” continuò, osservandolo dall'alto in basso mentre lui se ne stava seduto con le mani artigliate ai braccioli di quell'assurdo trono bianco, come a tentare di fermare il tremolio, e la schiena completamente indietro, quasi a volerle stare il più lontano possibile.
Poi si accorse di una cosa: le sue mani erano pulite, sul suo corpo non c'era più traccia di terra né una goccia di sangue, ed era vestito.
“Quando mi hai cercata, il tuo mondo era diverso da questo: l'esistenza dei licantropi era segreta, il tuo migliore amico, Scott, era uno di loro e tu e Derek vi conoscevate già da un po'”

A ogni parola detta, nella testa di Stiles si iniziarono a formare immagini sconnesse, immagini che non gli sembravano reali o familiari, ma che nel profondo sapeva invece che lo erano.

 


Se ne stava seduto scompostamente sul divano nero del loft, mentre Derek, Scott e Isaac parlavano di qualcosa che poco gli interessava: era stato così tante volte lì, con o senza il resto dei ragazzi, che ormai era come se ci abitasse. Il suo spazzolino di riserva era nel bagno accanto a quello di Derek, alcuni suoi abiti stavano nell'armadio – o sulla sedia quando il licantropo non faceva in tempo a sistemare il suo disordine – e alcuni dei suoi cibi preferiti erano nel frigo per ogni evenienza, anche se la maggior parte delle volte ordinavano pizza: niente di serio o concordato esplicitamente, solo cose che rendevano tutto più semplice visto il tempo che passava nel loft.
Nessuno dei due aveva dato l'idea di averci fatto caso e il resto del branco, di fronte al forte odore di Stiles in quel posto, quasi come se gli appartenesse, non aveva mai proferito parola, visto che i due interessati erano stati i primi a non farlo.
Prese l'ennesima manciata di patatine dalla busta e se la portò in modo piuttosto animalesco alla bocca, finendo per sbriciolarle quasi tutte sul divano, poi allungò l'altra mano verso la lattina di Coca Cola sul comodino di fianco e bevve un lungo sorso, noncurante delle goccioline che gli ripercorsero tutta la gola fino a infrangersi sul bordo della sua felpa.
L'attimo dopo Derek era in piedi davanti a lui, le braccia incrociate al petto e uno sguardo che dava l'idea che si stesse trattenendo dal lanciargli il tavolo contro.
“Mm?” Stiles mugugnò qualcosa a mo' di domanda, le sopracciglia inarcate e la bocca di nuovo piena, una mano nella busta e l'altra che teneva la bibita a mezz'aria: il licantropo prese un profondo respiro, contò probabilmente fino a dieci e quando fece per dire quello che voleva dire, l'altro gli offrì il pacchetto di patatine con molta nonchalance.
Derek ringhiò.
“Avevi detto che dovevi fare dei compiti, no?” sbottò, e subito lui fece per ribattere, ma lo zittì con un'occhiata e “vai a farli e smetti di perdere tempo” continuò imperterrito, il solito tono di quando non ammetteva repliche –e di quando era arrabbiato perché qualcosa lo preoccupava.
Stiles vide Scott e Isaac guardarsi per un attimo, sorpresi e forse preoccupati di fronte a quella reazione che secondo lui era evidentemente eccessiva, ma non si intromisero e alla fine si ritrovò costretto ad alzarsi, prendere con uno sbuffo la sua tracolla e montare le scale senza guardarsi indietro, per poi rinchiudersi in camera.

Passarono tre ore prima che la porta si aprisse, Stiles – seduto sul letto un po' sfatto con il libro di chimica sulle gambe – alzò leggermente lo sguardo ancora un po' offeso e vide Derek entrare a passo strascicato, un'espressione stravolta mentre si passava stancamente una mano sul volto, e di riflesso provò un po' di apprensione nei suoi confronti: qualcosa lo stava decisamente preoccupando.
“Cosa succede, Derek?” abbandonò il libro da una parte quando l'altro si lasciò cadere a sedere in fondo al letto, lo raggiunse in ginocchio da dietro e si sporse su di lui, posandogli piano le mani sulle spalle in un gesto che voleva essere confortante. Il licantropo appoggiò indietro la testa sul suo petto tenendo gli occhi chiusi.
Quando non rispose, Stiles desiderò dargli dello sciocco per il suo continuo volerlo tenere fuori da qualsiasi cosa, nonostante tutto quello che avevano passato insieme, nonostante tutte le volte che si erano salvati la vita a vicenda: Derek aveva sempre l'orrenda abitudine di voler fare tutto da solo, di voler portare ogni peso unicamente sulle sue spalle e di lasciare gli altri fuori, come se non capisse di non essere solo, che quelli intorno a lui odiavano il suo non volersi fare aiutare.
Soprattutto Stiles. Stiles odiava da morire quando gli altri fingevano che lui fosse parte del branco, nonostante il suo essere solo un umano, e poi però lo tenevano all'oscuro di tutto, soprattutto Derek.
Naturalmente il licantropo, per quanto egoisticamente lo volesse, non poteva chiuderlo in una gabbia e impedirgli per sempre di intervenire.

La questione era che nuove creature erano arrivate a Beacon Hills, nuovi guai e nuove minacce da cui Derek, alla fine, non riuscì a proteggerlo.

 


A Stiles girava a testa, gli faceva male come se fosse tutto troppo e voleva dirle di smetterla di parlare a vanvera, sia per il rumore prodotto, che per le immagini che le parole suscitavano nella sua testa confondendolo fino allo stremo, ma lei se ne stava immobile di fronte a lui, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo impassibile, e continuava a dire cose per lui completamente senza senso, prendendo ogni cosa con molta calma.
“Mi hai cercata quando andavi ancora alla Beacon Hills High School, Scott McCall era un Alpha e lo stesso vale per Derek” per un attimo si interruppe, come a dargli il tempo di assimilare le informazioni e prepararsi per le seguenti. Stiles aveva subito fatto per ribattere sbalordito a quell'assurdità sul suo migliore amico ma alla fine aveva taciuto sotto quegli occhi “tu e Derek eravate molto legati, eri il suo compagno”
Spalancò gli occhi sorpreso e si sporse istintivamente in avanti, la bocca schiusa per rispondere in qualche modo senza però riuscirci davvero, la guardava come se fosse totalmente impazzita, come se avesse di fronte un alieno, ma quella non si scompose minimamente: dopo quel bacio ce ne erano stati altri, ma lui e Derek non avevano parlato esplicitamente di ciò che poteva comportare quello che era nato tra loro, anche se entrambi lo sapevano. Ma non riusciva a capire come ne fosse a conoscenza lei.
La ragazza parve leggergli nel pensiero.
“Lo so perché ti sto dicendo la verità, Stiles, questo dettaglio si è mantenuto anche qui ma in realtà la tua vita è un'altra” gli sorrise leggermente, quasi comprensiva, di fronte alla sua completa confusione “siete stati insieme per qualche anno, lo hai conosciuto grazie alla trasformazione del tuo migliore amico in licantropo e dopo un po' è successo, eravate follemente innamorati. Come mi hai detto tu per convincermi quando mi hai cercata, eravate destinati

Stiles non riuscì a trattenersi: “Convincerti di cosa?” domandò quasi in un sibilo, corrucciato, come se nel profondo temesse la risposta.

 

Lei lo fissò come se avesse finalmente fatto la domanda giusta.
 


Quella notte erano tornati al loft con qualche graffio, ma decisamente e fortunatamente vivi.
Scott si era accertato che l'amico stesse bene e poi, andandosene via con Isaac, lo aveva lasciato nelle mani di Derek, che per tutto il tempo se ne era rimasto in religioso silenzio, come aspettando di riportare Stiles a casa e di essere soli prima di lasciarsi andare a qualsiasi cosa lo stesse tormentando.
Infatti, non appena erano entrati nel loft e si erano richiusi la porta alle spalle, il ragazzino lo aveva guardato in attesa di vederlo esplodere, ma lui si era limitato a non proferir parola, superandolo velocemente.
“Derek” lo richiamò Stiles con un sospiro, ancora fermo dove – non appena arrivato, come al solito – aveva lasciato le chiavi della Jeep: l'altro stava mettendo a posto cose a caso poco distante da lui pur di non dover dar voce ai suoi pensieri, probabilmente prossimo a una sfuriata, e nessuno dei due si premurò neanche di accendere la luce, accontentandosi di quella lunare che penetrava dalla grossa vetrata.
Quei raggi perlacei colpirono i tagli e le ferite sul volto di Stiles, mettendo in contrasto la pelle pallida e il rosso scarlatto sulle labbra e sul collo, per non parlare dell'alone violaceo che gli ripercorreva lo zigomo destro.
“Potresti almeno guardarmi” sbuffò esasperato, allargando le braccia per poi stringere le labbra con frustrazione, desideroso di lanciargli qualcosa contro per attirare la sua attenzione.
L'importante era solo che fossero sopravvissuti anche stavolta, ma forse era l'unico a pensarla così.
“Der–”
“No, Stiles, no” sbottò in un ringhio il diretto interessato, interrompendolo bruscamente e voltandosi all'improvviso per fronteggiarlo con una strana luce negli occhi “ti avevo detto di non farlo e tu non mi hai ascoltato, non lo fai mai!”
Stiles fece istintivamente un passo indietro, un'espressione ferita in risposta allo sguardo furioso che Derek gli stava rivolgendo, anche se sapeva bene che fosse soltanto per la preoccupazione nei suoi confronti, perché lo amava e lui continuava a cacciarsi nei guai, facendolo dannare.
“Derek, io–”
“Per una sola dannata volta non potevi fare quello che ti era stato chiesto?” continuò imperterrito, ignorando ogni suo tentativo di ribattere, e l'altro seppe che era sull'orlo di perdere il controllo “come fai a non capire che mi è impossibile concentrarmi, se devo pensare prima di tutto a te?”
“Nessuno te l'ha chiesto” si difese velocemente in modo infantile senza riuscire a zittirsi in tempo, e dall'occhiata che gli rivolse Derek, si sentì improvvisamente minuscolo, come un bambino di fronte ai rimproveri del padre: era il suo compagno, stavano insieme e avrebbe sempre messo la sua sicurezza prima di tutto, lui lo sapeva bene. Entrambi lo sapevano bene.
Si pentì subito di aver parlato.
“Davvero, Stiles? L'hai detto davvero?” quasi mormorò l'altro, deluso da quella risposta e sfinito da quella giornata disastrosa, troppo stanco, arrabbiato e allo stesso tempo sollevato per poter realmente mettere su una vera predica, che tanto – come al solito – sarebbe andata sprecata.
Voleva solamente medicare quelle ferite che tempestavano il corpo di Stiles e poi andare a dormire, lasciando al sonno il compito di affievolire ogni emozione e sistemare le cose, mentre si stringevano l'uno all'altro come quasi ogni notte.
L'umano abbassò lo sguardo e sentì una voragine nel petto, mentre il senso di colpa pian piano cresceva, consapevole che ogni sua mossa stupida metteva in pericolo anche Derek, che sarebbe morto prima di far succedere qualcosa a lui. Si strinse le braccia al petto e deglutì a vuoto, reprimendo il pizzicore negli occhi, e alla fine sentì sospirare stremato l'altro: odiava discutere con lui, deluderlo e farlo arrabbiare, preoccupare, voleva solamente baciarlo e poi stringersi a lui prima di addormentarsi, lasciando perdere tutto il resto.
Quella sera il branco di Alpha per poco non li aveva ammazzati, perciò voleva soltanto chiudere gli occhi e ringraziare il cielo per esserne usciti tutti vivi.
Stiles si avvicinò all'altro con cautela, come per accertarsi che l'insopportabile lite fosse davvero terminata, poi lasciò andare il respiro che non si era neanche accorto di star trattenendo quando Derek lo strinse improvvisamente a sé con forza, affondando disperatamente il volto nell'incavo del suo collo e mostrando così tutta la sua debolezza, quanto fosse stato tormentato fino a quel momento, perché per quella sera aveva davvero avuto paura di perderlo.
Ricambiò presto la stretta, maledicendosi di essere la causa della sua apprensione.
“Mi dispiace” mormorò, quando Derek rialzò la testa e lo guardò dritto negli occhi, prima di afferrargli il volto con le mani e baciarlo, ignorando la fitta data dai tagli sulle labbra. La tensione fra loro si sciolse a ogni tocco e il licantropo lo baciò a sua volta, attento a ogni ferita, stringendogli i fianchi quasi a non volerlo far andare via.
“Mi dispiace” ripeté sincero Stiles, quando si allontanarono leggermente per riprendere fiato, poggiando la fronte su quella dell'altro.

 


Kimera lo scrutò dall'alto in basso come se stesse valutando se sarebbe riuscito a mantenere la calma oppure no, quasi come se pensasse che avrebbe dato di matto da un momento all'altro, e quest'attesa provocò in lui ancora più ansia di quanta già non ne provasse, facendolo agitare sul posto impaziente.
“Di cosa dovevo convincerti?” chiese ancora, ormai come se credesse davvero a tutto ciò che lei gli stava dicendo, più preoccupato di quello che ancora non sapeva che della veridicità del resto che aveva già sentito.
“Volevi che io lo riportassi indietro” gli rispose calma, prima di spostarsi distrattamente una ciocca bianca dietro l'orecchio e prendere a rigirarsi fra le dita una di quelle nere: l'altro si accigliò senza riuscire a capire.
“Cosa intendi dire?”
“Intendo dire che quando mi hai cercata, Derek Hale era morto”
L'umano spalancò gli occhi, smarrito e attonito, la gola improvvisamente secca al solo pensiero.
Poi, però, lei aggiunse la cosa peggiore di tutte e allora si sentì come se stesse precipitando nel vuoto: “L'avevi ucciso tu”.
Stiles impallidì.

 


“Se ripenso a tutto quello che è successo nell'ultimo periodo, mi vengono i brividi: non so proprio come facciamo a essere vivi e vegeti e soprattutto sani di mente fra Deucalion, Scott che è diventato un Alpha, quella pazza di una Darach che ci provava spudoratamente con te come se non fossi già impegnato con il sottoscritto, il rituale e il Nemeton...” Derek smise immediatamente di leggere alcuni documenti e abbassò lo sguardo sul ragazzo che aveva parlato e al quale stava distrattamente accarezzando i capelli arruffati con la mano libera, mentre entrambi se ne stavano sul divano del loft, l'umano sdraiato con la testa sulle sue gambe.
“Ah già, proprio sani di mente non direi, ma almeno siamo vivi” aggiunse in uno sbuffo di risata ironico che stonava del tutto con la stanchezza e le occhiaie che gli marcavano il volto in modo innaturale, provocando nell'altro un'espressione dura a quell'allusione sarcastica e fuori luogo.
“Gli incubi stanno peggiorando, non è vero?” chiese infatti di rimando con una smorfia sofferente, riferendosi a ciò a cui aveva portato quel dannato rituale proposto da Deaton a lui, Scott e Allison per salvare i loro genitori dalla morte certa a cui li aveva sottoposti la Darach: Derek c'era stato la prima notte in cui Stiles si era svegliato gridando nel buio, la fronte imperlata di sudore e uno sguardo oltremodo terrorizzato mentre cercava di capire dove fosse, prima che lo Sceriffo entrasse di corsa nella stanza e insieme a lui cercasse piuttosto inutilmente di calmarlo, troppo preso dalle condizioni del figlio per poter commentare la sua presenza lì, anche se sapeva di loro due.
Derek c'era stato quando Stiles aveva iniziato ad avere problemi con la lettura, quel giorno in cui lui se ne stava sdraiato sul letto a farsi gli affari suoi per tenergli compagnia mentre il ragazzo studiava alla sua scrivania. Lo Sceriffo era entrato per controllarli giusto quando Derek aveva iniziato a sentire uno strano odore d'ansia e confusione nell'aria, suo padre gli aveva chiesto se fosse tutto okay e lui aveva risposto di sì: il suo cuore aveva mancato un battito, il licantropo l'aveva sentito.
Stiles non ci aveva messo molto ad ammettere quale fosse il problema.
Deaton aveva detto che le allucinazioni erano date dal rituale, eppure più il tempo passava più la situazione peggiorava, nonostante l'altro cercasse di non darlo troppo a vedere: era arrivato a un punto in cui, Derek ne era certo, aveva perfino paura di addormentarsi.
Nel caso in cui non fosse bastato il suo andare a letto a ore improponibili, ne sarebbero stati comunque una prova evidente gli occhi stanchi e il pallore della pelle, in aggiunta al carattere sempre più irascibile, per niente da Stiles.
“Dimmi la verità” continuò il più grande, rivolgendogli uno sguardo serio e apprensivo.
L'altro perse il sorriso e sospirò, abbandonando ogni maschera, prima di allungare una mano fino a posarla sulla guancia di Derek coperta dallo strato leggero di barba: era impossibile e inutile fingere che andasse tutto bene con lui, non ne era neanche capace.
“Non sono più sicuro se sto sognando o se sono sveglio” ammise con un filo di voce, visibilmente spaventato di fronte a quella realtà che lo perseguitava “non riesco a capire se è tutto nella mia testa o no, sto per impazzire”.

Derek ci fu anche quando tornarono gli attacchi di panico, quando Stiles annaspava in cerca d'aria, incapace di reagire, incapace di capire cosa gli stesse succedendo, paura pura a invadere l'aria che li circondava mentre il sudore ghiaccio gli avvolgeva la pelle, la vista lo ingannava e il cuore gli scoppiava nel petto senza alcuna pietà.
Ci fu quando iniziò a soffrire di sonnambulismo, quando cominciò a sentirsi costantemente disorientato.

Derek ci fu anche quando Stiles, il fiato corto e gli occhi pieni di lacrime, dette finalmente voce alla sua paura più grande: “Penso sia demenza frontotemporale, Derek”
E il mondo crollò sotto i suoi piedi.

 


Stiles sbiancò e fissò la ragazza inorridito, un sorriso tremolante e isterico a delineargli le labbra socchiuse, mentre un senso di nausea si impossessava del suo stomaco e le parole gli morivano in gola. E inoltre tutte quelle nuove immagini, lontani ricordi per lui apparentemente mai vissuti, gli stavano invadendo la testa sempre più in modo confusionario, facendolo impazzire.

“Cosa hai detto?” sibilò sconcertato, percependo anche un moto di rabbia nei confronti di lei, che stava sicuramente mentendo, quasi infastidito di fronte al pessimo scherzo, perché era impossibile. Tutta quella situazione era impossibile.
Kimera mosse di nuovo una mano e anche dietro di lei si plasmò quello che pareva un trono completamente bianco uguale al suo, si mise a sedere, accavallò elegantemente le gambe e, con entrambe le braccia poggiate mollemente sui braccioli, lo fissò dritto negli occhi.
“Non eri del tutto te stesso quando lo hai ucciso, tranquillo” continuò, come se la cosa fosse confortante.
“Comunque, nella speranza che le mie parole ti abbiano stimolato giusto qualche ricordo...” e si fermò un secondo, in attesa di vederlo annuire come conferma “...non starò a spiegarti proprio tutto. Eri posseduto da un demone chiamato Nogitsune e Derek è morto nel tentativo di liberarti, mi hai cercata poco dopo e mi hai pregata di aiutarti perché, e qui ti cito, eravate destinati a essere e non potevi vivere senza di lui”

 


Era iniziato tutto con lo Sceriffo che metteva piede nel loft, un paio di manette in mano e lo sguardo dritto su quello che ormai non era più suo figlio. Si era avvicinato con prudenza, quasi avesse avuto paura di vedere l'altro trasformarsi in qualcosa di mostruoso proprio di fronte ai suoi occhi, e gli aveva parlato come nella speranza che suo figlio prevalesse sul demone, ma quello che all'apparenza era Stiles si era limitato a una teatrale scenata in cui si era fatto ammanettare, prima di rivolgergli un ghigno derisorio e liberarsi da solo.
Poi erano arrivati anche i rinforzi.

Ora Scott e Allison erano rispettivamente uno alla sua sinistra e l'altra alla sua destra, entrambi con un'espressione cauta in volto come se avessero davanti un animale imprevedibile, di fronte a lui Chris Argent gli stava puntando una pistola contro, nonostante lo Sceriffo e Derek gli stessero intimando caldamente di abbassarla, tutti pronti allo scontro.
“Papà, Derek...” lo voce di Stiles era una tale distrazione, che rendeva praticamente impossibile la realizzazione che in realtà non era davvero lui a parlare “vuole spararmi, vuole uccidermi”.
Il Nogitsune fece di tutto per alimentare la tensione già palpabile, da una parte pregando falsamente in preda al panico e alla paura i due cari all'umano che aveva posseduto, dall'altra provocando furbamente l'uomo che minacciava senza troppi problemi di piantargli una pallottola nel petto, ponendo così fine a tutto: quando Scott e Allison si resero conto che Stiles lo stava facendo di proposito, ormai era troppo tardi.
La prima a reagire fu la cacciatrice, che nella distrazione generale si fece avanti per bloccare lui che a sua volta aveva iniziato ad agire, ma fu respinta con noncuranza, come fosse niente.
Fu soltanto quando anche Scott tentò di bloccarlo, che gli altri tre si accorsero che erano stati mossi come pedine: l'Alpha fu fermato con semplicità, senza neanche il bisogno di dedicargli troppa attenzione, e l'attimo dopo fu scaraventato contro la ragazza già a terra.

“Stiles oppone resistenza” annunciò il Nogitsune irritato, come se la cosa causasse seri problemi a tutti i suoi loschi piani, e fu allora che il suo sguardo infuriato si posò su Derek Hale, perché se fosse riuscito a togliere di mezzo lui, allora il ragazzino che ancora si ostinava a intralciarlo si sarebbe completamente arreso al suo comando.

Kimera trovò Stiles il giorno dopo – quando ormai era libero e se stesso – dopo aver sentito la sua richiesta disperata di aiuto diretta a nessuno che potesse sentire.

Lo trovò ancora in ginocchio, solo, le mani e il corpo ricoperti di sangue ormai quasi totalmente secco e sicuramente non suo, gli occhi rossi e gonfi e le guance rigate dalle lacrime incontrollate che ancora scendevano ininterrottamente, l'espressione stravolta e angosciata, distrutta, il respiro alterato quanto il battito del cuore, di fronte a lui un corpo inerme circondato da una pozza rosso scarlatto proveniente dalle svariate ferite, ma soprattutto da quella voragine al centro del petto.
“Ho detto che dovete andare via!” il grido lacerò la gola del ragazzo, affranto e inconsolabile, furioso, probabilmente con se stesso, provocandogli un dolore fisico insulso in confronto al resto di ciò che provava, mentre le dita avvolgevano con forza i capelli e i denti si stringevano così tanto da fargli sentire un assordante suono nelle orecchie, il sapore delle lacrime e del sangue che gli riempiva fastidiosamente la bocca.
“Lasciatemi solo!” pianse in modo soffocante, ormai fuori di sé, quasi impazzito, rivolto a quelli che probabilmente aveva già cacciato prima, ma che in realtà non erano lì come lui pensava.
“Lasciatemi solo” ripeté fra i singhiozzi, stavolta più piano, sfinito, quasi in un sussurro, prima di cadere in avanti in modo arrendevole su quel corpo già morto e aggrapparsi tremante a quel petto squarciato, in un lamento feroce e straziante che sembrava interminabile.

 


Stiles aveva le guance rigate, il respiro mozzato in gola di fronte a quel ricordo per niente sbiadito e terribilmente vivido che gli occupò la mente, come ogni singolo sentimento che gli riempì il petto come se non avesse mai smesso di dolergli. Fremette all'immagine di Derek, il suo Derek, morto fra le sue braccia, il suo sangue sul suo corpo e la consapevolezza pungente di essere stato lui a ridurlo in quel modo.
Non riuscì a proferire parola, mentre gli occhi bruciavano e lui tremava.
La ragazza sembrò comprenderlo.
“Non hai chiamato direttamente me, hai semplicemente chiesto aiuto preso dal momento” riprese a spiegare pacatamente, come fosse incerta se l'altro la stesse ancora ascoltando o no “ma è uno dei miei compiti, perciò sono venuta da te e ti ho spiegato chi sono: io sono l'Ancora, Stiles, sono l'essere Originale che tiene insieme i vari mondi, sono il primo vampiro, il primo licantropo e la prima strega, e una delle mia capacità coinvolge il controllo del tempo”.
Si interruppe per scrutarlo silenziosamente, mentre lui fissava un punto davanti a sé senza davvero vederlo, ancora scosso dai nuovi ricordi acquisiti, incapace forse di distinguere quelli e la vita vissuta fino a quel momento, dove lui era sì innamorato di Derek, ma era tutto completamente e dannatamente diverso. Non si sorprese neanche troppo di fronte a quella spiegazione: vera o no, non sarebbe stata comunque l'unica stranezza della sua esistenza.

“Quando te l'ho detto, tu mi hai pregata di cambiare le cose perché voi vi amavate, perché eri stato debole e questo lo aveva portato a una morte ingiusta, per mano tua ma per volontà di un demone che si era impossessato di te”.
Stiles si sentì sprofondare a ogni singola parola.
“Ma certamente saprai che niente è mai semplice, io ho deciso di proporti delle possibilità alternative e nell'attesa di rendere realizzabile la tua richiesta, ti ho mandato qui, dove non lo conoscevi e dove avresti potuto vivere qualcosa di diverso. Dal nostro incontro ti sembrerà passata una vita adesso che lo ricordi, ma in realtà ogni cosa che hai vissuto è successa contemporaneamente in linea temporale, io ho solo momentaneamente interrotto il corso degli eventi”
“Adesso hai tre possibilità, Stiles, posso rimandarti indietro a quando mi hai chiesto aiuto e imparerai col tempo a convivere con la morte di Derek, posso farti continuare a vivere questa vita in cui lo hai incontrato un giorno in una villa abbandonata e in cui l'esistenza dei licantropi è nota, oppure posso far ricominciare daccapo quella vita in cui lo hai perso, dandoti un'altra occasione”
“In ogni caso tu non ricorderai chiaramente il resto di quello che hai vissuto in alternativa, ti sembrerà tutto un sogno vago, soprattutto se sceglierai l'ultima opzione e in quel caso avrai la possibilità di incontrarlo di nuovo, innamorarti di nuovo e ripercorrere il tuo percorso, ma il vostro futuro sarà unicamente lasciato nelle mani di quello che tu dici essere il vostro destino: se davvero siete destinati allora non dovrai preoccuparti, io però ti assicurerò unicamente che non sarà lui a morire per mano del Nogitsune”
A quel punto Kimera smise di parlare e attese che Stiles assimilasse ogni cosa, prima di fare la sua scelta.
Il ragazzo ci mise un po' a riprendersi.
“Quindi mi stai dicendo che posso lasciarlo morto a causa mia, costringerlo a una vita con me – una vita in cui non ho controllo di me stesso tra le altre cose – o dargli la possibilità di non innamorarsi di me per la terza volta?” domandò ironicamente con la voce un po' strozzata per l'agitazione, lei alzò gli occhi al cielo e poi scosse la testa delusa.
“Confidavi molto sul vostro amore” lo rimproverò, facendogli di riflesso abbassare lo sguardo “comunque tu hai il controllo di te stesso e non c'è niente che non vada, ero solamente io a decidere quando potevate incontrarvi, ero io ad animare la casa ed eri affetto da alcuni dei sintomi del Nogitsune, ma se sceglierai la seconda possibilità la smetterò con i risvegli incontrollati e i sintomi passeranno”.
“Oh bene... Io–” ma si interruppe, non sapendo molto come ribattere.

“La scelta è tua, devi solo capire cosa vuoi” gli disse calma, facendogli intendere che era arrivato il momento “devi solo capire in cosa confidi davvero”.
Stiles la fulminò con lo sguardo, poi si passò l'avambraccio sugli occhi per asciugare le lacrime e si alzò sicuro.

“Io ho già scelto”

 


Epilogo


Scott McCall aveva sistemato con cura la sua attrezzatura da lacrosse, poi si era allenato un po' e alla fine si era lavato i denti, probabilmente pronto per andare a letto, ma un rumore fuori dalla sua finestra lo distrasse all'improvviso catturando la sua attenzione e l'attimo dopo, abbandonando completamente l'idea di dormire, uscì fuori il più piano possibile con una mazza da baseball fra le mani: per poco non gli prese un attacco d'asma quando Stiles, il suo migliore amico, sbucò dal nulla a testa in giù davanti a lui, appeso a chissà che.
Urlarono entrambi per lo spavento nel buio della sera inoltrata.
Ma sei impazzito?! Che diamine fai?” sbottò, cercando di riprendere fiato.
L'altro fissò l'arma improvvisata e nel frattempo, dalla sua posizione sfavorevole, tentò malamente di alzare le braccia in segno di resa, sperando di non essere colpito alla cieca in pieno volto.
“Tu non rispondevi al telefono!” si lamentò, come se fosse una spiegazione sufficiente per giustificare il suo essere appeso fuori casa sua, poi tornò a guardare la mazza da baseball e “cosa ci fai con quella?!” guaì con un tono fin troppo acuto, ancora con il cuore palpitante.
Scott l'abbassò e lasciò andare un sospiro.
“Pensavo fossi un ladr–”
“Sì, sì, molto interessante, ma senti qua: mio padre è andato via venti minuti fa, stanno richiamando tutti gli agenti federali del distretto di Beacon e anche la polizia” lo interruppe con poco garbo, proponendogli i fatti come se fossero grandiosi, e quando l'amico gli chiese il perché, lui gli rivolse un'espressione soddisfatta ed elettrizzata: “Hanno trovato un corpo nel bosco”.
E con un balzo fin troppo agile scese giù sul prato, rialzandosi poi in piedi e appoggiandosi alla balaustra.
“Cioè un morto?” domandò Scott sorpreso, sporgendosi per guardarlo mentre quello si ripuliva con una mano i pantaloni dai vari residui della sua scalata spericolata, Stiles lo fissò come se fosse un idiota, sconcertato, e “no, il corpo di un vivo” borbottò sarcastico.
Poi si arrampicò e scavalcò la ringhiera, affiancandolo così sulla terrazza “sì, stupido, un cadavere!”.
“Un omicidio?” si interessò l'altro, ignorando l'offesa ironica, ormai abituato al carattere di quello che definiva suo fratello.
“Non si sa ancora, so che era una ragazza di circa vent'anni” gli rispose con l'aggiunta di una scrollata di spalle, come se stesse parlando del tempo e non del ritrovamento di un morto.
“Ma se hanno trovato il corpo, allora che stanno cercando?”
“Qui viene il bello” ghignò ancora più entusiasta, non riuscendo a trattenersi “ne hanno trovato solo metà!” e con uno sguardo eloquente, lo invitò ad andare con lui: poco dopo erano già nella riserva di Beacon Hills.

Fra i vari discorsi e le varie risposte pungenti si inoltrarono nel bosco, illuminati unicamente dalla debole luce lunare e dalle torce.
“Per curiosità, quale parte del cadavere stiamo cercando?”
“Ah... Non ci avevo pensato”
“E se l'assassino fosse ancora da queste parti?”
“Non ho pensato neanche a questo”

Naturalmente, come il ragazzo fortunato che era, la sua avventura fu interrotta dopo poco dall'arrivo di suo padre, lo Sceriffo, che – senza rendersi conto di starsi lasciando dietro uno Scott piuttosto intimorito dalle circostanze – lo trascinò via fino alla macchina.

I due si ritrovarono solamente il giorno dopo a scuola, con lui che tentava di fargli credere che la ferita che aveva sul fianco – e che si era procurato nella riserva quando l'amico l'aveva praticamente abbandonato a se stesso – fosse il morso di un lupo e Stiles che lo informava che non era possibile, perché i lupi non si trovavano più in California da ormai ben sessant'anni, causandogli la più completa confusione.
Messo da parte l'argomento, Scott aveva annunciato di aver trovato l'altra metà del cadavere: il resto della giornata scolastica era trascorso con lui che si comportava in modo strano e dava straordinariamente il meglio di sé a lacrosse e Stiles che non vedeva l'ora di andare a indagare non appena fosse uscito da quella prigione.

Poi finalmente erano usciti ed erano tornati nella riserva.
Scott gli stava elencando tutte le stranezze che lo avevano perseguitato per tutto il giorno, l'udito sensibile, l'olfatto, e allora iniziarono a pensare alle mille possibilità: un'infezione, magari, per il morso dell'animale che lo aveva aggredito la notte prima, ma Stiles preferì la fantasia e, prendendolo in giro, optò per la licantropia.
Fra una battuta e l'altra riguardo la notte di luna piena e l'argento, arrivarono fino al punto in cui il ragazzo aveva detto di aver trovato il corpo e perso l'inalatore per l'asma, ma, naturalmente, non ci trovarono niente di tutto ciò. Scott si chinò a terra e iniziò a cercare.

Fu Stiles a vederlo per primo.
I suoi occhi si posarono sulla figura che all'improvviso era poco distante da loro e sobbalzò vistosamente, richiamando l'attenzione dell'altro animatamente: il nuovo arrivato si mosse verso di loro, mentre lui se ne stava con le mani nelle tasche dei jeans e lo scrutava sorpreso, Scott immediatamente in piedi al suo fianco.
“Che ci fate qui?”
Stiles lo osservò corrucciato, ignorando il tono minaccioso della sua voce, e istintivamente si passò con fare nervoso una mano fra i capelli corti, chiedendosi perché all'improvviso sentisse il proprio respiro pesante, mentre la testa iniziava a dolergli leggermente, strane immagini perlopiù sfocate gli occupavano la mente senza che riuscisse a distinguerle davvero.
Una parola gli stava fastidiosamente sulla punta della lingua.
Il ragazzo sconosciuto ricambiò il suo sguardo duramente, ma per un attimo – per occhi attenti, quali naturalmente non erano i loro – parve destabilizzato per qualcosa di incomprensibile.
“Questa è proprietà privata” si affrettò ad aggiungere, cercando probabilmente di spaventarli con quel suo tono e quel suo modo di fare: Stiles si inventò che non ne avevano idea, zittendosi subito per quella irritante sensazione che voleva portarlo a dire qualcosa, senza che però sapesse cosa fosse, e Scott aggiunse un po' balbettando che stavano cercando una cosa, interrompendosi un po' intimidito.
Il tipo, come leggendogli nel pensiero, tirò fuori dalla tasca l'inalatore e glielo lanciò, poi – senza aggiungere altro, se non un'ultima occhiata incerta a Stiles – se ne andò, lasciandoli di nuovo soli.

Stiles lo fissò mentre si allontanava, lo sguardo leggermente sgranato e il battito confusamente alterato, poi capì cosa gli stesse premendo sulla punta della lingua e, senza davvero sapere lui stesso come avesse fatto a riconoscerlo, si rivolse a Scott: “Amico, quello era Derek Hale”.

E in cuor suo, inaspettatamente, sapeva che quello era solo l'inizio di qualcosa di importante.



 

Fine






*Come avrete notato, nei flashback ho ripercorso un po' (a parte il primo^^) gli avvenimenti della terza stagione, dal branco di Alpha al Nogitsune.
**La scena nel loft in cui Chris minaccia il Nogitsune e lo Sceriffo all'inizio tenta di far ragionare Stiles, è quella del telefilm (nella fic ho praticamente tolto tutto ciò che viene dopo quello, avendo modificato gli avvenimenti), ma in quel caso Scott non c'era, erano solo Chris, lo Sceriffo, Derek e Allison. 

Angolo della pazza: 

(T.T) Allora... Sinceramente non posso credere di aver finito questa fic, non ci speravo davvero e ora mi sento un po' (molto) depressa ^^" ma vabbuò.  
Ci ho lavorato parecchio e sinceramente fra quelle che ho scritto, è quella che mi piace di più. (Ed è anche la più seria, devo dire...) 
Mi sono affezionata (?) e ora è già conclusa, damn. 
Cooomunque, ai ringraziamenti ci penso dopo, ora parliamo un po' di questo capitolo: è un casino, eh? Spero davvero di essere riuscita a spiegare ogni cosa e che l'idea si capisca! 
Prima di tutto, Kimera è un personaggio inventato da me, la roba dell'Originale (obv) mi è venuta in mente grazie a The Vampire Diaries con la famiglia immortale di vampiri dei Mikaelson e l'ho rigirata un po' con licantropi e streghe perché... Beh, perché mi serviva una tizia capace di fare una cosa del genere. Inoltre, per quanto riguarda l'aspetto, mi ispirava così ^^" 
Poi... Stiles all'inizio di tutto viveva in un'altra sorta di dimensione, quella di questi flashback, una dimensione in cui la sterek era molto canon e che io vedo un po' tipo come storia pre-telefilm, in cui poi la morte di Derek ha portato Stiles a trovare un modo per ripartire da zero e quindi ha portato poi di conseguenza alla trama effettiva del Teen Wolf che conosciamo tutti (nell'epilogo come avrete notato ho ripreso la prima puntata e ho usato i suoi vaghi ricordi per giustificare il fatto che lui conosce il nome di Derek, mentre Derek reagisce un po' confuso perché lo ha riconosciuto come suo compagno o comunque Stiles lo ha colpito), in cui però lui e gli altri non hanno memoria di quello che è successo prima e quindi non sanno di star rivivendo tutto (???) e fra il pre-telefilm che ho raccontato in questo finale e il Teen Wolf vero, c'è quello che ha coinvolto praticamente tutta questa fanfiction, in cui si dimostra che in qualsiasi occasione Stiles e Derek finiscono per innamorarsi.
Questo finale lascia mooolto spazio alla fantasia, perché praticamente da qui parte il vero telefilm e quindi ognuno può pensare che loro - visto che sappiamo tutti che tanto, che Jeff lo dica o no, loro si amano - alla fine si troveranno di nuovo, con la differenza che Derek non morirà per il Nogitsune (e invece Allison sì ç.ç), oppure che tutto procederà come ha scelto Jeff, con Derek che alla fine se ne andrà via. 
E quindi niente... Questo è tutto. ç_______________________ç
Spero solamente che la storia sia riuscita e che vi sia piaciuta  (Se qualcosa non si capisce o comunque per qualsiasi domanda, basta un messaggio ^^)
Grazie mille a dida kinney per avermi lasciato un pensiero allo scorso capitolo e grazie mille anche alle persone che hanno messo la storia fra le preferite/seguite/ricordate e me fra gli autori preferiti.

Alla prossima, 
Lawlietismine 

Bonus ♥ 

 

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