Il cuore di uno stregone

di Darth Curunir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: l'arrivo nella Terra di Mezzo ***
Capitolo 2: *** L'ombra si addensa ***
Capitolo 3: *** Vita da anziani ***
Capitolo 4: *** Il re traditore ***
Capitolo 5: *** La donna vestita di blu ***
Capitolo 6: *** Istanís ***
Capitolo 7: *** L'Uomo astuto e la Stella del dono ***
Capitolo 8: *** Cena da Annael ***
Capitolo 9: *** Le bizzarrie dell'amore ***



Capitolo 1
*** Prologo: l'arrivo nella Terra di Mezzo ***


Il cuore di uno stregone
 
1.
Prologo: l’arrivo nella Terra di Mezzo
 
 
 
 
 
La nave bianca veleggiava da un giorno intero sulle onde stranamente placide di Belegaer, il Grande Mare. La nave era interamente bianca, con la polena scolpita con le sembianze di un cigno, e aveva nel mezzo del ponte un albero con due vele candide e bianche, gonfiate da un vento… no, forse non era un vento terrestre quello che sospingeva le vele bianche, forse era un vento soffiato dai grandi Valar, Signori del mondo.
A prua c’era l’unico passeggero della nave. Era seduto su una seggiola, e osservava l’orizzonte, in cerca della terra dove doveva sbarcare. Era vestito anch’egli di bianco, con un candido mantello e una veste lunga e fluente. Nella mano destra reggeva un bastone di metallo nero e lucido e con un globo bianco sulla sommità, mentre la mano sinistra era aggrappata al bracciolo. Il volto era lungo e appuntito, con un naso aquilino e pronunciato, la fronte larga e spaziosa, due sopracciglia nere e folte, una barba tutta grigia e capelli lunghi e lisci di un colore a metà fra il grigio e il bianco. A prima vista pareva un vecchio Uomo con un bastone in mano, ma se si guardavano bene quelle mani appuntite e dalle dita flessuose, quel corpo alto e forte nonostante l’apparente vecchiezza e quegli occhi neri, profondi e impenetrabili come l’aldilà, si capiva che quello non era un semplice Uomo, Secondogenito di Ilúvatar.
Ma chi era, allora, il vecchio sulla prua della nave bianca? Era un Istari, precedentemente un Maia del Vala Aulë, e il suo nome era Curunír.
Abbiamo detto che Curunír era un Maia, e quindi uno spirito celeste, creato prima dell’inizio dei giorni da Eru Ilúvatar, Signore dell’Universo. Ma perché una creatura celeste tanto potente e saggia faceva vela verso oriente?
Dovete sapere che Curunír, dopo la creazione di Arda, il mondo, aveva deciso di servire il Vala Aulë, uno degli Dei d’Occidente (i Valar, per l’appunto). Aulë, in particolare, era il dio dei fabbri, in grado di creare con l’arte della metallurgia ogni oggetto. Curunír era quindi andato a vivere in Aman, il Reame Beato, il continente più occidentale del mondo e aveva appreso molte cose da Aulë, e il suo padrone-Vala aveva iniziato a prediligerlo fra gli altri Maiar che erano con lui. Infatti Aulë chiedeva sempre il consiglio di Curunír, e non disdegnava di chiedere l’aiuto di quest’ultimo in situazioni gravose.
Tutto questo nella Prima Era degli Anni del Sole.
Ma poi, dopo la sconfitta dell’Oscuro Signore Morgoth alla fine della Prima Era, una nuova minaccia si era risvegliata nella Terra di Mezzo, il continente più orientale del mondo Arda. Questa minaccia era Sauron, allievo di Morgoth.
Sauron aveva persuaso gli Elfi, i Primi Figli di Ilúvatar sempre giovani e immortali, a creare degli Anelli del Potere, potentissimi artefatti magici. Sauron ne aveva donati tre agli Elfi, sette ai Nani (creature basse e tozze, abili e solitari minatori) e nove agli Uomini, e poi aveva forgiato un potentissimo Anello sovrano, che racchiudeva parte della forza vitale dello stesso Sauron: l’Unico Anello.
Sauron venne distrutto alla fine della Seconda Era, ma l’Anello fu preso dal vincitore di Sauron, Isildur, della razza degli Uomini. L’Anello condusse Isildur alla morte, e venne smarrito per molti anni.
Ma Sauron non era stato sconfitto definitivamente: poiché la sua forza vitale era legata all’Anello, ed esso era sopravvissuto, anche lo spirito di Sauron aveva perdurato, rinchiuso nel mondo delle Ombre, in attesa di tornare nella Terra Nera di Mordor e riaffermare il suo dominio, sconfiggendo i popoli liberi della Terra di Mezzo.
Proprio dopo questi fatti, nell’anno 1000 della Terza Era, ad Aman era accaduto un fatto eccezionale. Manwë, il Signore dei Valar, per volere di Ilúvatar, aveva spinto i Valar a mandare cinque Maiar nella Terra di Mezzo: questi avrebbero dovuto proteggere il continente orientale di Arda da un possibile ritorno di Sauron, e fronteggiare l’Ombra.
I cinque Maiar scelti erano spiriti celesti di alto livello, molto saggi e versati nelle arti magiche: Olórin, un Maia saggio e dal grande cuore generoso e avventuriero, del seguito del Vala Irmo; Aiwendil, un Maia amante della Natura del seguito di Yavanna, la Vala signora della fauna e della flora; i due Maiar Alatar e Pallando, amici di vecchia data seguaci del Vala Oromë. Ma soprattutto, Manwë volle la partecipazione del più saggio e potente dei Maiar, del seguito di Aulë: Curunír.
Così, questi cinque Maiar erano stati incarnati in corpi terreni, dall’aspetto di uomini vecchi e stanchi, e fu loro dato il nome di Istari, o Stregoni. Ma la forza degli Istari era enorme nonostante l’apparente vecchiaia, e benché provassero fame, sete, odio, amore e altre sensazioni come tutti i viventi e benché i loro corpi materiali fossero distruggibili, gli Istari rimanevano spiriti di grande potere, e lo spirito di un Istari rimaneva intatto anche dopo la morte del corpo.
Curunír, Olórin, Aiwendil, Alatar e Pallando erano dunque partiti per la Terra di Mezzo. Curunír, che era di natura schiva e solitaria, chiese di arrivare da solo per primo; Alatar e Pallando vennero per secondi; e Gandalf e Aiwendil per ultimi.
Ecco perché il Maia Curunír era su una nave diretta verso est. E ogni tanto, il nostro Istari guardava indietro, e vedeva la nave di Alatar e Pallando e, lontano verso ovest, la nave di Olórin e Aiwendil.
Curunír non aveva mai amato stare in compagnia di altre persone. Quando era ancora un Maia di Aulë, adorava stare in disparte, a leggere libri o a fabbricare oggetti magici. Aveva fabbricato lui stesso il proprio bastone, per catalizzare la propria magia e usarla quando opportuno: il che dimostra l’esperienza di Curunír.
Prima di partire, Curunír aveva fatto conoscenza degli altri quattro compagni. Detestava Aiwendil, così sempliciotto e poco intelligente; non considerava Alatar e Pallando, che si interessavano a loro volta poco degli altri Istari. Quanto a Olórin… Curunír aveva la netta percezione che quell’Istari fosse molto potente, ma lo vedeva così vecchio e secco sul suo bastone! Pareva che Olórin fosse debole. Diciamo che non stava particolarmente simpatico a Curunír. Inoltre i due Maia/Istari avevano caratteri così diversi! Olórin era molto gioviale ed espansivo, mentre Curunír era più serio e riflessivo.
Da questa descrizione sembra che Curunír fosse antipatico e burbero, ma non era proprio così. Era molto saggio, il che gli garantiva rispetto da parte degli altri Istari, ma non trattava con alterigia gli altri. Anche se amava la solitudine non era così odioso come potreste pensare, ed era capace anche di farsi quattro risate quando conveniva.
 
Quando a occidente il sole stava quasi per tramontare, Curunír avvistò la Terra di Mezzo. Davanti a lui si materializzavano lentamente le bianche sponde del Lindon, la regione nord-occidentale della Terra di Mezzo, e i Porti Grigi. Questi Porti erano governati da Círdan il Carpentiere, uno degli Elfi più anziani e saggi della Terra di Mezzo, e dai Porti Grigi partivano le navi degli Elfi diretti verso Aman. Alcuni Elfi, infatti, stanchi dei pericoli della Terra di Mezzo, facevano vela verso Occidente, per andare a vivere in pace presso i Valar.
Curunír più di una volta si era chiesto se era disposto a rinunciare alla vita tranquilla di Aman per optare per la Terra di Mezzo. Era il caso di rinunciare alla pace eterna dei Valar per andare in un territorio potenzialmente pericoloso nel quale lo spirito di Sauron aleggiava costantemente? Ma Curunír non era un codardo, ed era pronto a combattere per i Valar e Arda, qualora ce ne sarebbe stato bisogno. Inoltre era molto saggio ed esperto nella storia di Arda, cosa che gli permetteva di fare molte più cose di un “sempliciotto quale Aiwendil!”.
Verso sera, la piccola nave bianca attraccò nei Porti Grigi. Sul molo bianco, che emergeva da alcune colline boscose, c’era un Elfo vestito di blu, che aveva, cosa rara, una sottile barbetta attorno al viso.
Quando la nave si fermò, Curunír si alzò. Aiutandosi col bastone, l’Istari scese dalla nave, mettendo per la prima volta piede sulla Terra di Mezzo. Fu una strana sensazione: era come iniziare una nuova vita, più insidiosa eppure più frizzante.
“Chi ho l’onore di vedere per primo su questa Terra di Mezzo?” chiese Curunír con la sua voce profonda ed elegante.
“Il mio nome è Círdan, detto il Carpentiere,” rispose l’Elfo. “Sono…”
“So bene chi sei, Círdan, Signore dei Porti Grigi, nobilissimo fra gli Eldar,” disse Curunír. “Io sono Curunír, Maia del Vala Aulë.”
“Piacere di conoscerti, saggio Curunír,” disse il Bianco con un inchino. “Sei forse il capo dell’ordine degli Istari che devono arrivare? Vedo che sei alto e di bell’aspetto, e che sei giunto per primo.”
“Il Signore di Aman Manwë ha desiderato che partissi per questa Terra di Mezzo, e che fossi una guida per gli altri Istari in caso di bisogno.”
“Ne sono molto lieto. I tuoi compagni stanno arrivando, vedo,” disse Círdan guardando a ovest.
“Sì, ora giungeranno Alatar e Pallando.”
E in effetti pochi minuti dopo attraccò un’altra nave bianca. Ne scesero due vecchi vestiti di blu. Il primo aveva un manto lungo con l’orlo viola, una barba bianca e un bastone con uno zaffiro sulla sommità. Il secondo aveva una barba grigia, un cappuccio blu calato sul capo e un bastone con un’acquamarina sulla cima.
“Salute, Alatar,” disse Curunír rivolto al primo, “e buonasera, Pallando,” disse rivolgendosi al secondo. “Qui davanti a voi c’è Círdan il Carpentiere, signore dei Porti.”
“Salute a voi,” dissero i due.
Trascorsero pochissimi minuti, e l’ultima nave bianca attraccò. Il primo a scendere fu un vecchietto barbuto sorridente, tutto vestito di bruno, con un bastone di legno nodoso e un cappuccio marrone sul capo. In mano aveva un’alga viscida e verde, e la rimirava con un’allegria enorme. Il secondo aveva un vestito tutto grigio, e un cappello a tesa larga azzurro. In mano aveva un bastone ligneo, ai piedi degli stivali enormi e sul viso, dietro alla barba grigia, un sorriso benevolo.
“Aiwendil ha trovato un’alga sulla superficie,” disse l’Istari vestito di grigio, “è due ore che la guarda come fosse un capello di Varda signora di Aman!”
Gli altri presenti risero alla battuta, e Aiwendil nascose l’alga nella tasca.
“Aiwendil, Olórin, vi presento Círdan il Carpentiere,” disse Curunír.
“Piacere di conoscerti!” disse Aiwendil.
“È un immenso piacere, venerabile Círdan!” disse Olórin il Grigio.
“Piacere, Istari,” disse Círdan. “Vi do il benvenuto in questa Terra. Spero che vi troviate a vostro agio in questo continente, benché io capisca che Aman sia un’altra cosa. Bene, vi lascio ai vostri incarichi, e vi do la mia disponibilità se avrete bisogno di me.”
“Grazie,” dissero gli Istari. Círdan se ne andò verso nord, diretto verso la parte collinare del Lindon, e i cinque Istari si ritrovarono ancora una volta soli.
“È giunto il momento di smistarci,” disse Curunír.
“Io e Pallando,” disse Alatar, “abbiamo ricevuto il compito di andare a Est, per pacificare le popolazioni nomadi e bellicose che risiedono in quelle contrade.”
“Oromë non mi ha riferito nulla di tutto ciò,” disse Curunír.
“Avrà avuto cose migliori da fare,” mormorò Aiwendil.
“Taci, amico degli uccelli!” disse Curunír citando il nome dell’Istari Bruno.
“Calma, fratelli!” esclamò Olórin. “Se i Valar hanno affidato ad Alatar e Pallando il compito di andare a Est, ci vadano. Aiwendil, tu hai un compito preciso?”
“Per iniziare preferirei indagare su Boscoverde il Grande,” disse Aiwendil. “Sapete, la grande foresta a est delle Montagne Nebbiose? Troverò molte specie interessanti, e chissà che io non trovi un’ombra annidata fra quelle spesse cortecce…”
“Bene, vedo che voi tre avete molta strada da fare…” disse Olórin. “Curunír, tu cosa farai?”
“Credo che farò indagini sul popolo degli Uomini,” disse Saruman. “Farò la spola fra i due principali regni umani della Terra di Mezzo, e mi recherò un po’ al nord, nel Regno di Arnor, e un po’ a sud, nel Regno di Gondor. I due regni sono in pace, e credo che passare un po’ di tempo presso gli Uomini mi farà scoprire qualcosa di più sull’Unico Anello e sull’Oscuro Signore.”
“Molto astuto!” disse Olórin. “Bene, allora io mi recherò dagli Elfi. Mi farà piacere conoscere quel popolo tanto saggio, e credo che la sapienza dei Maiar abbia molto da offrire ai Figli immortali di Ilúvatar.”
“Bene, ora che i ruoli sono stati decisi,” disse Curunír, “possiamo metterci in marcia.”
“Bene, verso l’Est, fratello!” disse Pallando. E, dopo aver salutato con la mano, i due Istari Blu sparirono dalla nostra storia.
“E io, verso nord!” disse Aiwendil.
“Verso est, idiota!” sbottò Curunír. “Qui siamo nel nord! Tu devi oltrepassare le Montagne Nebbiose e penetrare nel Rhovanion!”
“Aiwendil, sei appena arrivato e già ti perdi!” esclamò ridendo Olórin.
“Oh, sì, hai ragione Curunír!” disse arrossendo Aiwendil. “Verso est e poi a ovest…”
“A est, sempre a est!” urlò Curunír. Olórin si avvicinò ad Aiwendil e gli sussurrò all’orecchio:
“Fossi in te andrei!”
Aiwendil fece un ultimo sorriso imbarazzato, poi volò verso sud.
“Bene, Curunír, quanto a me credo che andrò a Gran Burrone, a fare la conoscenza di Elrond. Non credo che sappia del nostro arrivo, ma intendo conoscerlo. A rivederci presto.”
“A rivederci, Olórin, e che i Valar ti assistano.” Olórin, appoggiandosi al suo bastone, si diresse verso est, in direzione di Imladris (o Gran Burrone), dimora di sire Elrond.
Curunír si ritrovò solo, sul pontile dei Porti Grigi. Il mare ondeggiava placido, e l’Occidente era lontano. Il sole era tramontato, la luna iniziava a sorgere sul suo carro argentato e le stelle di Varda iniziavano a punteggiare il cielo.
“E così, la vita pacifica di Aman si è conclusa,” mormorò fra sé Curunír osservando l’orizzonte buio e lontano. “Addio Valar, addio Maiar del Reame Beato. Dovrò difendere questo continente dal male, e impedire che prolifichi, e in qualità di capo dell’Ordine degli Istari avrò molte responsabilità sulle spalle. Ebbene, già che sono al nord, direi di visitare Arnor.”
E così Curunír se ne andò verso nord-est, diretto nel Regno di Arnor, il regno più settentrionale abitato dagli Uomini.
 
  
 
  
 
 
 
SPAZIO AUTORE
Questa long deriva dal desiderio di approfondire la storia di uno dei personaggi più complessi del corpus tolkieniano: Saruman. È un personaggio che personalmente ho sempre amato, per la sua complessità, per la sua oscurità e per il conflitto fra dovere e desiderio che porta dentro. Queste sono le principali motivazioni che mi hanno spinto a scrivere questa fanfiction, che spero possa piacere (forse troverete l’inizio un po’ lento, ma è tutto voluto).
Vorrei precisare che alcuni dettagli sulla Storia di Arda precedente alla Terza Era sono stati omessi, chiaramente, per motivi di brevità e chiarezza.
Colgo l’occasione per dare qualche chiarimento sulla fonetica delle Lingue Elfiche, che potrà creare problemi nella lettura. Il suono C e il suono G sono sempre duri; la dieresi non crea problemi fonetici, siccome esiste solo per separare i gruppi vocalici che non fanno dittongo; il dittongo AE si può leggere anche AI.
In ultimo, vorrei fare i miei “auguri” a J.R.R. Tolkien, che nacque il 3 gennaio 1892, esattamente 124 anni fa. Auguri, Professore!!
 
 

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Capitolo 2
*** L'ombra si addensa ***


2.
L’ombra si addensa
 
 
 
 
Passarono gli anni.
Curunír continuò a girovagare per la Terra di Mezzo, andando ad Arnor, a Gondor e qualche volta anche nell’Est. Iniziò a frequentare molto gli Uomini, che presero a chiamarlo Saruman il Bianco, ossia l’Uomo astuto, nome che si adattava bene al capo degli Istari.  
Saruman (così lo chiameremo d’ora innanzi) incontrò spesso Olórin, che vagava molto più di lui, ed era molto più avventuriero di lui. Olórin aveva stretto amicizia con molti popoli della Terra di Mezzo, ed aveva assunto il nome di Gandalf – Uomo col bastone – il Grigio, col quale lo chiameremo.
Quanto ad Aiwendil, l’Istari Bruno si rivelò poco avventuriero. All’inizio vagava anch’egli per la Terra di Mezzo, e assunse il titolo di Radagast – Custode degli animali – il Bruno. Ma col passare degli anni restava sempre più a Boscoverde, e si interessava sempre meno dei suoi compiti. Spesso Gandalf e Saruman parlavano di lui, e il capo degli Istari non mancava di esprimere il proprio disappunto per il comportamento del “poveraccio”.
Gli Istari avevano stretto amicizia con i principali signori Elfici della Terra di Mezzo: Elrond di Gran Burrone, figlio di Eärendil; Galadriel figlia di Finarfin, saggia e splendida signora dei Boschi di Lothlórien; Celeborn, suo marito; Thranduil del Reame Boscoso costruito fra le fronde di Boscoverde il Grande; e anche Círdan del Lindon.
Gli Istari erano divenuti in breve il nuovo tormentone della Terra di Mezzo. In ogni dove si narrava di questi venerandi maghi sapienti e potenti, in grado di fare qualsiasi cosa. Eppure, la gente aveva reazioni diverse a seconda dell’Istari. Radagast era tenuto poco in considerazione, anche se Gandalf ne parlava sempre bene. Gandalf era amato e temuto: il suo animo buono e allegro lo rendeva simpatico e amato (anche presso i bambini, che lo conoscevano per i suoi fuochi d’artificio!); ma la sua conversazione, la sua possanza, la sua chiara saggezza lo rendevano temuto al pari di un mago potente e tremendo.
Saruman non era molto amato. I re di Arnor e di Gondor lo amavano, perché sapeva donar loro consigli sempre nuovi e sempre giusti. Alcuni Elfi, invece, lo consideravano troppo apatico. In realtà, Saruman era un amante della solitudine e della riflessione, e forse era questo suo carattere schivo a renderlo poco amato ai più. Tuttavia i grandi signori Elfici (come Elrond o Galadriel) lo stimavano per il suo potere e, soprattutto, per la sua enorme saggezza e per la sua infinita conoscenza.
E così, il tempo passava, e l’ombra lentamente si addensava.
 
In un giorno di giugno dell’anno 1103 della Prima Era, Saruman il Bianco camminava verso nord, diretto nel Regno di Arnor. Saruman aveva fatto visita alle Miniere di Moria, il Reame nanico di Khazad-dûm, il più prospero dei regni sotterranei dei Nani, e ora si dirigeva verso il reame umano del nord. Mentre si trovava nell’Eregion, a metà strada fra Moria e Gran Burrone, lo raggiunse Gandalf a cavallo.
Lo stregone Grigio aveva in una mano il bastone, e pareva affrettato e agitato. Non appena scorse Saruman in lontananza, fece la faccia di una persona che ha trovato qualcuno dopo averlo cercato per giorni.
Saruman, che camminava nei pressi di un bosco appoggiato al bastone, si fermò, e Gandalf lo raggiunse. Quando il cavallo dello stregone Grigio si fermò, Gandalf disse affannato:
“Saruman, finalmente! Sono due giorni che ti cerco, e ho saputo che stavi andando nel Regno di Arnor.”
“In effetti è così, amico mio.”
“Saruman, devi venire a Gran Burrone subito!” esclamò Gandalf. “Ci sono già Galadriel, Elrond, Círdan e Radagast, manchiamo solo noi due!”
“È forse accaduto qualcosa di spiacevole?” chiese Saruman.
“Radagast ha detto che ci deve parlare subito!”
“Spero non sia uno scherzo o lo espello dall’Ordine…” mormorò Saruman fra sé. Poi, rivolto a Gandalf, “Ma ora,” disse, “come facciamo ad andare a Gran Burrone? Abbiamo solo un cavallo!”
Gandalf portò due dita alla bocca e produsse uno strano suono, simile a un fischio ma molto grave e sonoro. Dopo pochi istanti all’orizzonte comparve un cavallo grigio, che si fermò davanti a Saruman.
“È un trucchetto insegnatomi da Radagast,” disse Gandalf.
“Se non altro le sue stramberie ogni tanto servono a qualcosa,” disse Saruman montando in sella. I due Istari galopparono veloci come la luce verso Gran Burrone, e vi arrivarono dopo un’ora soltanto, percorrendo una strada segreta nota a pochi, a quei tempi.
I cavalli salirono la strada che conduceva alla meravigliosa città di Imladris, a picco su una rocca immersa nella natura. Poi, i due Istari licenziarono i cavalli, e appoggiati ai bastoni si diressero in una terrazza che dava sul fiume Rombirivo.
Era una loggia sorretta da colonne tortili costruite dalla sapiente arte degli Elfi. Al centro c’era un tavolo rotondo, al quale erano seduti Elrond e Radagast, mentre Círdan e Galadriel discorrevano poco più in là. Elrond aveva una coroncina sui lunghi capelli neri e un vestito rosso, mentre Radagast era vestito con i soliti abiti bruni, e aveva la testa fra le mani. Galadriel era una meraviglia per gli occhi: i lunghi capelli biondi accecavano la vista, e gli abiti smaglianti e il viso benevolo incantavano chiunque la guardasse. In lei si riconosceva la traccia di una storia ormai passata, ma che aveva lasciato ancora delle tracce meravigliose.
“Signori, siamo arrivati,” disse Gandalf.
“Salute a tutti voi,” disse Saruman, “è sempre un piacere vedervi. Oh, Galadriel, buongiorno. Sei sempre un ristoro per i miei occhi stanchi, mia signora.”
“Grazie Saruman,” disse Galadriel con voce dolce, “è un piacere rincontrarti.”
“Ora che ci siamo tutti,” disse Elrond mentre gli altri si sedevano, “possiamo ascoltare ciò che Radagast il Bruno ha da dirci.”
Per un attimo ci fu silenzio. Si udiva solo lo scroscio delle acque del Rombirivo, il canto degli uccelli e il rumore delle fronde degli alberi. Poi, Radagast sollevò il capo, mostrando un volto preoccupato, e disse:
“Mi dispiace avervi disturbato, compagni Istari e Saggi Elfi, ma devo informarvi di alcuni fatti terribili…”
“Vieni al sodo!” esclamò Saruman.
“Su, dicci tutto,” disse Gandalf in tono dolce, come per vanificare le parole brusche del capo dell’Ordine.
“Vedete,” disse Radagast, “forse saprete che da qualche tempo mi sono stabilito a Rhosgobel, nella parte meridionale di Boscoverde il Grande…”
“Contravvenendo al tuo dovere di stregone nomade…” disse Saruman.
“Ebbene?” chiese Elrond.
“Io…” mormorò Radagast; “ecco… c’è qualcosa in quella foresta. Qualcosa è cambiato! Vedo la flora che appassisce, gli animali che si allontanano… e tutto in una zona precisa e circoscritta: Amon Lanc.”
“Sarà che sono poco pratico delle Terre Selvagge,” disse Círdan, “ma non ne ho mai sentito parlare.”
“Amon Lanc è una fortezza in rovina a sud di Boscoverde,” disse Saruman. “Anticamente era abitata dagli Elfi Silvani, ma ora è stata abbandonata e cade letteralmente a pezzi.”
“Sì, ma lì dentro c’è qualcosa!” esclamò Radagast. “L’ombra s’infittisce su quelle rovine, le nuvole sono eterne laggiù, e persino gli animali più feroci temono la fortezza! Gli uccelli iniziano a chiamare quel luogo col nome di… Dol Guldur!”
Colle oscuro?” fece eco Gandalf.
“Gandalf, ascoltami,” disse Radagast. “Laggiù c’è un’ombra… non qualcosa di comune. Sono andato a controllare di cosa si trattasse (mi ci è voluto del coraggio!)… ho visto un’Ombra. Qualcosa di orribile ha preso possesso della fortezza, e… ho trovato questo…” Radagast mise le mani nel mantello e ne tirò fuori un involucro di panno. Lo posò sul tavolo e lo srotolò: al suo interno vi era una spada.
“Questa non è arte elfica,” disse Elrond esaminandola.
“Queste rune sono state incise dagli Uomini molto tempo fa,” disse Círdan osservando l’arma. “Eppure non capisco…”
“Ahi!” gridò Galadriel osservandola. “Ho già visto quest’arma! E avrei preferito non rivederla.”
“A chi appartiene?”
“È…” mormorò la regina di Lothlórien, “è una delle armi dei Nazgûl!”
“Gli spettri dell’Anello?” sussurrò Elrond. “I più crudeli servitori di Sauron!”
“Come può un Nazgûl essere tornato?” chiese Saruman. “I Nazgûl sono legati alla volontà di Sauron. Se Sauron non è tornato, essi non possono tornare. Non si può dividere uno Spettro dell’Anello dall’Oscuro Signore.”
“E se Sauron fosse tornato?” domandò Radagast. “L’ombra di Dol Guldur non può essere dovuta a un banale stregone! C’è qualcosa di più losco all’opera!”
“Non essere sciocco, Radagast,” disse Saruman. “Senza l’Unico Anello, Sauron non può tornare. E noi sappiamo benissimo che Esso è andato perduto dopo la scomparsa di Isildur. Sauron necessita dell’Unico Anello per tornare a possedere una forma fisica. Dunque, non è tornato.”
“Saruman,” disse Gandalf, “non giungiamo a conclusioni affrettate. Hai ragione, Sauron non può essere tornato. Ma Radagast ha ragione: la presenza di una spada dei Nazgûl all’Amon Lanc (o Dol Guldur che dir si voglia) dimostra una presenza oscura molto forte, molto temibile laggiù.”
“Stai dicendo che un Nazgûl potrebbe aver preso possesso delle rovine dell’Amon Lanc?” chiese Círdan.
“Non possiamo negarlo, né affermarlo.”
“Se un Nazgûl non è a Dol Guldur,” disse Radagast, “come può una delle loro spade essere laggiù? Tutti sappiamo bene che esse sono rimaste per secoli nei sepolcri dei loro padroni!”
“Un’ombra in un castello in rovina non significa Nazgûl,” disse Saruman. “Ammetto che le circostanze in cui ci troviamo ci facciano capire che laggiù ci sono grandi potenze all’opera, ma non giungiamo a conclusioni affrettate. Un pezzo di ferro ossidato non basta per dire che Sauron è tornato. Compagni Saggi, tutti ben sappiamo che Sauron non è stato sconfitto, e che il suo spirito aleggia ancora sulla Terra di Mezzo. Potrebbe essere tornato, perché no? Ma non ne siamo sicuri. Benché io non dubiti della parola di Radagast, non possiamo basarci sulle scarse prove in nostro possesso.”
“Bisognerebbe fare delle ricerche a Dol Guldur,” disse Elrond.
“Non essere affrettato, Elrond figlio di Eärendil,” soggiunse Saruman. “Io ritengo che non sia opportuno intensificare ulteriormente le ricerche. Non ora. Se le prove aumenteranno, il Consiglio dei Saggi valuterà di indagare sull’Amon Lanc.”
“Saruman,” disse Gandalf, “permettimi di esprimere il mio parere. Perché non dovremmo fare ricerche? Una spada Nazgûl non capita a Dol Guldur per caso…”
“Ma Sauron non può essere tornato, senza l’Anello, e se l’Oscuro non è tornato, dubito che un Nazgûl abbia potuto farlo,” disse Saruman.
“Ha ragione,” disse Círdan.
“Tuttavia,” disse Galadriel, “l’Oscuro Signore potrebbe essere tornato non come forma corporea, ma come puro spirito maligno. Egli potrebbe non aver assunto una forma fisica, e in tal caso avrebbe potuto richiamare uno dei Nazgûl.”
“Precisamente!” esclamò Gandalf.
“Mia signora,” disse Saruman, “benché io tenga in altissima considerazione la tua opinione, permettimi di controbattere. Non è facile acquisire forma di spirito. Sauron non ne possiede per ora le capacità. Millecento anni fa veniva sconfitto, ed Egli ha continuato a vivere come spettro: ma è qui il punto. Non ha ancora la forza di assumere una qualsiasi forma. Sono scettico riguardo il suo ritorno.”
Per un attimo cadde il silenzio. “Abbiate pazienza, Saggi,” disse Saruman alzandosi, “e se avremo delle prove più concrete valuteremo il da farsi. Perché spendere energie e forze nella ricerca di un qualcosa che non sappiamo se è vero? Date retta al capo dell’Ordine: lasciamo scorrere. Il tempo ci saprà dire se i sospetti che si sono manifestati sono fondati.”
“Faremo come dici,” disse Gandalf, mascherando a stento il disappunto.
“Se saprò qualcosa di nuovo ve lo comunicherò al più presto,” disse Radagast.
“Bene,” disse Elrond.
“A questo punto,” disse Saruman, “tolgo il disturbo. Devo recarmi nel Regno di Arnor, il re Beleg mi attende per questioni di politica alquanto tediose. Al prossimo incontro, amici Saggi.”
“A presto.”
“I Valar ti assistano.”
“Salute, al prossimo incontro,” dissero gli altri.
Saruman si avviò verso nord, e uscì da Imladris, diretto verso la città di Fornost. Da un lato pensava che le prove del ritorno dei Nazgûl fossero inconfutabili, eppure… non voleva crederci. Pareva così strano! Era difficile che Sauron fosse tornato. E comunque, le prove in loro possesso erano scarse, e non si poteva giungere a conclusioni troppo presto.
 
 
 
 
 
 
 
SPAZIO AUTORE
Molti di voi avranno riconosciuto nel capitolo presente un evento che si verifica nel film Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato di Peter Jackson. In effetti è altamente probabile che i Saggi abbiano ritrovato a Dol Guldur una spada dei Nazgûl, ma è scorretto (stando alle opere di J.R.R. Tolkien) che questo evento accada nel 2941 della Terza Era, parallelamente al viaggio di Bilbo Baggins e dei Nani di Thorin Scudodiquercia. Infatti, nell’Appendice B de Il ritorno del Re, Tolkien scrive che all’incirca nel 1100 della Terza Era i Saggi sospettarono che Dol Guldur fosse occupata dai Nazgûl. Ho scelto di prendere spunto dall’evento del film, inserendolo nell’epoca opportuna, ossia il 1100 circa, per l’appunto.
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Vita da anziani ***


3.
Vita da anziani
 
 
 
 
 
Saruman il Bianco non si abituò facilmente alla sua nuova vita.
Infatti, quando viveva nel Reame Beato insieme agli Elfi, ai Maiar e ai grandi Valar, aveva come i suoi simili fattezze di un individuo giovane, in forze e di bell’aspetto. Inoltre vagava per i boschi di Aman e per le meravigliose caverne di Aulë il Fabbro, a suo piacimento e quando gli faceva comodo. I giorni erano sempre uguali ed eterni, eppure non ci si poteva stancare della vita in quel luogo meraviglioso.
Sulla Terra di Mezzo, era tutta un’altra cosa. Curunír era stato mandato lì per adempiere a un compito, e Saruman non poteva permettersi di trasgredire a quest’ultimo. Aveva un grande senso del dovere, e sapeva che doveva mantenere le promesse fatte ai Valar, e aiutare la Terra di Mezzo in caso di pericolo.
In fin dei conti, Saruman era il più saggio e il più potente degli Istari, e se egli trasgrediva alla sua missione, l’Ordine sarebbe andato in frantumi.
Eppure, com’era difficile la vita in quel continente! Mentre in Aman tutti si assomigliavano, Elfi e Maiar, sulla Terra di Mezzo la storia era differente. Gli Elfi veri e saggi si mischiavano ai burberi e misantropi Nani e ai mortali e grezzi Uomini. Saruman apprezzava solo gli Uomini di Gondor e Arnor, mentre detestava gli Uomini di etnie inferiori, e soprattutto quelli del Nord. Costoro erano gente ben poco civilizzata, e a dirla tutta piuttosto ignorante. Saruman si era più volte recato presso gli Uomini Nordici, ma era sempre stato scontento delle sue visite. Insomma, Saruman si sentiva il solo sapiente in un mondo di mediocri, a parte gli Elfi e certi Uomini saggi.
Ma c’era un’altra cosa ben più penosa per Saruman: il proprio corpo. Dentro di lui brillava lo spirito possente e sempre giovane di un Maia, eppure il suo corpo era così vecchio e malconcio! I capelli erano quasi bianchi, e la barba grigia era simbolo di una insopportabile vecchiaia. Quando si specchiava in un ruscello, Saruman si vedeva così anziano!
E naturalmente questa vecchiaia esteriore si portava dietro una serie di inevitabili fattori: a fine giornata Saruman era stanco e dolorante, e a stento riusciva a stare sempre in piedi. Più volte Saruman si era chiesto perché i Valar avessero donato dei corpi anziani agli Stregoni, e l’unica risposta che si era dato era che la vecchiaia poteva suggerire una maggiore saggezza e una maggiore potenza.
Di tanto in tanto, nel suo peregrinare, incontrava Gandalf, che invece pareva sempre arzillo e pimpante, mentre di rado incontrava Radagast il Bruno. Si recava spesso a Osgiliath (capitale di Gondor), a Fornost (nel Regno di Arnor), a Gran Burrone e a Lothlórien, mentre raramente si recava dai Nani. Insomma, la vita di Saruman nella Terra di Mezzo procedeva, e l’Istari “tirava avanti”, come si userebbe dire ai nostri giorni.
 
Nell’agosto del 1149, salì al trono di Gondor, il regno meridionale abitato dagli Uomini, il re Hyarmendacil I. Costui era un uomo saggio e molto forte, che da giovane aveva concluso ottime campagne militari contro gli Haradrim, i bellicosi abitanti del Regno del Sud di Harad; inoltre, Hyarmendacil aveva fatto conoscenza negli anni precedenti di Saruman il Bianco. Quando Hyarmendacil divenne re, Saruman fu invitato alla reggia di Osgiliath per parlare col nuovo sovrano.
Saruman si recò dal re, e lo trovò nella stanza del trono.
“Saruman, amico mio!”
“Salute a te, Hyarmendacil figlio di Ciryandil! Che il tuo regno possa essere duraturo e prospero!” disse Saruman inchinandosi a fatica.
“Lo sarà, amico mio,” disse il re; “ora alzati! Ti ho invitato per proporti una cosa.”
“Dimmi, mio re.”
“Vedo che vieni spesso a Gondor,” disse Hyarmendacil, “il che mi fa piacere. Ma perché non ti stabilisci qui vicino? Hai presente il cerchio di Isengard, a sud delle Montagne Nebbiose, non distante dal corso del fiume Isen? Lì gli Uomini di un tempo hanno edificato una torre che noi chiamiamo Orthanc...”
“Mi dispiace, ma mi vedo costretto a rifiutare,” disse Saruman. “Tu sai bene che il mio compito è errare per la Terra di Mezzo, visitare ogni luogo per allontanare il male. Non mi è concesso di fermarmi in un luogo preciso.”
“Ma almeno quando vieni qua, potresti fermarti a Orthanc, e lì riposarti nella notte. Perché no, Saruman?”
“Se è per fermarmi per la notte, ti ringrazio, Hyarmendacil,” disse Saruman.
“Servitori!” gridò il re, “portate Saruman il Saggio a visitare la torre di Orthanc!”
“Non è necessario, mio signore!” disse Saruman.
“Non ti preoccupare, amico mio,” rispose sorridendo Hyarmendacil.
I servitori del re accompagnarono Saruman nelle stalle di Osgiliath, dove lo fecero salire su un cavallo. Poi, lo accompagnarono fino a Isengard. Il viaggio verso il circolo a sud delle Montagne Nebbiose non fu breve, e quando Saruman vi giunse assieme alle guardie era già sera.
Il cerchio d’Isengard era un grande spazio circolare con alberi e aiuole. A nord del cerchio vi era la punta meridionale della catena delle Montagne Nebbiose (la “colonna vertebrale” della Terra di Mezzo”), e a sud c’era la catena dei Monti Bianchi, che divideva orizzontalmente Isengard da Gondor. Al centro del cerchio, c’era l’alta torre di Orthanc, costruita in pietra nera e terminante in quattro pinnacoli. La torre nera e alta si stagliava minacciosa verso il cielo, eppure quella maestosità non intimoriva, bensì quasi affascinava, e faceva pensare ai gloriosi anni della Seconda Era, quando i Grandi Uomini del passato (i Dúnedain) avevano costruito Orthanc.
I servitori di Gondor aprirono la porta della torre, e Saruman la visitò da dentro. Aveva numerose stanze, anche se il clima all’interno era piuttosto tetro a causa del colore scuro della pietra. Saruman passò lì la notte, e la mattina dopo poté riprendere le sue peregrinazioni.
Da quel giorno, Saruman si recò molto spesso a Isengard, passandovi la notte o fermandosi per una giornata a riposare.
 
Nell’anno 1250, Saruman si era recato a Lothlórien per riposarsi. Assieme a Gandalf e a Radagast aveva fatto una ricognizione a Dol Guldur, ma non avevano visto nulla di più che un inquietante cumulo di rovine immerso nella nebbia. Era stato comunque un anno complicato: aveva fatto molte visite a Gondor e alle Terre Selvagge per via di alcune campagne militari gondoriane contro gli Esterling, crudeli Uomini dell’Est; e aveva anche fatto visita anche agli Uomini del Nord, per via di un sodalizio che si era creato fra questi e il Regno di Gondor.
Insomma, Saruman ne aveva fatta di strada, e ora necessitava di riposarsi. Così, nel maggio di quell’anno, decise di riposarsi sotto gli alberi eterni e argentati di Lothlórien. Rimase nel meraviglioso regno di Celeborn e Galadriel per due settimane, passeggiando sotto le folte chiome degli alberi e discorrendo con nobili Elfi.
Un giorno si sdraiò sotto una delle alte querce di Lothlórien, e pensò a lungo ad Aman. Ah, quanto erano belle le verdi sponde di Valinor! Un ininterrotto, meraviglioso prato verde, su cui si stagliavano le alte montagne di Manwë, i pascoli di Oromë, i prati di Yavanna, le luminose caverne di Aulë, e su cui si infrangevano le onde spumose di Belegaer. A Saruman mancavano molto quei paesaggi meravigliosi ed eterni.
Saruman rifletté sui suoi compagni. I due Istari Blu non si erano più fatti sentire: chissà se erano ancora vivi! Radagast aveva quasi abbandonato il suo compito. Rimaneva Gandalf… Saruman provava sentimenti contrastanti verso quel Maia. Da un lato lo considerava potente e saggio, quasi quanto lui, e credeva che i Valar avessero fatto bene a sceglierlo. Dall’altro era geloso di lui, ammettiamolo. Gandalf era così amato da tutti, aveva un carattere così gentile! Saruman invece era più temuto che amato, forse perché, come abbiamo già detto più volte, aveva un carattere chiuso e poco amabile.
Comunque, a Saruman non serviva essere amato. Il suo compito non era né di essere amato, né di amare: lui doveva solo combattere l’Ombra. Tutto il resto era superfluo e inutile.
Saruman tese l’orecchio. Lontano, sulle falde della collina di Cerin Amroth, gli Elfi di Lórien cantavano con la loro voce sublime e ultraterrena. Saruman era a contatto con la terra, la stessa che aveva visto nascere con i suoi propri occhi, e osservava i boschi di Lothlórien, udendo le voci ataviche e cariche di memoria degli Elfi.
Per un attimo, allo stregone parve di essere in Aman. In fondo, Lothlórien era così simile alle pianure di Yavanna o ai boschi di Oromë. Per la prima volta, Saruman vide il reame elfico come lo specchio di Aman, e pensò che la presenza degli Elfi sulla Terra di Mezzo era l’ultimo legame con le Terre Immortali.
Eppure… anche gli Elfi erano in declino. Nessuno se n’era accorto, ma sia Saruman sia Gandalf convenivano nel ritenere che sempre più Elfi stavano lasciando la Terra di Mezzo. Gli Elfi, gli Immortali, i Figli Perfetti di Ilúvatar, non sopportavano il male crescente nella Terra di Mezzo, e per questo facevano rotta verso la loro vera patria: Aman. E una volta che gli Elfi fossero scomparsi? Cosa sarebbe stato della Terra di Mezzo dopo l’allontanamento degli Elfi? Saruman non lo sapeva, e per ora i problemi erano altri.
Saruman se ne andò da Lothlórien il giorno dopo, e continuò nel suo peregrinare continuo. E così, Saruman continuava la sua vita. Tuttavia, il più potente degli Istari ignorava una cosa: che un Istari non è più un Maia; così come può provare la sete, la fame e il sonno, può provare anche l’amore. Ma questo, Saruman il Saggio lo capì solo più tardi.
 
 
 
 
 
 
 
 
SPAZIO AUTORE
Chiedo scusa per la brevità di questo capitolo, ma era solo un episodio di transizione. Spero non vi stiate annoiando, e vi assicuro che dai prossimi episodi inizierà la storia vera e propria di questa fanfiction.
Recensite e buona lettura!
 
 
  
 

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Capitolo 4
*** Il re traditore ***


4.
Il re traditore
 
 
 
 
 
 
 
Col passare degli anni, Saruman il Bianco divenne molto apprezzato dai sovrani degli Uomini, in special modo a Gondor, dove era sempre ben accetto.
Come abbiamo detto, nel 1250 Saruman si era recato a Lothlórien per riposarsi. Cos’era successo a Gondor di così stancante?
Nel 1248, il reggente Minalcar (nipote di quel Hyarmendacil che abbiamo visto precedentemente) si era recato nel territorio di Rhûn, nell’est della Terra di Mezzo. Qui risiedevano gli Esterling, genti bellicose e spietate, nemiche di Gondor. Minalcar aveva condotto in quell’anno una spedizione militare eccellente, e gli Esterling erano stati respinti e sconfitti.
Minalcar era tornato a Osgiliath, e qui era stato chiamato col nome di Rómendacil, ossia Vincitore dell’Est. Rómendacil fece amicizia in quel periodo con Saruman il Bianco, e i due ebbero da subito un buon rapporto: come il capo degli Istari, anche Rómendacil era una persona riflessiva e molto seria, anche se amava banchettare con gli amici e darsi ai divertimenti. Benché Rómendacil non fosse davvero il re, poiché sul trono sedeva ancora suo padre Calmacil, il principe reggente era molto influente nella politica gondoriana, anche grazie ai consigli di Saruman.
Rómendacil fu in quegli anni molto giusto con i suoi alleati. Nel 1250, dopo essersi consultato con Saruman, decise di mandare uno speciale ringraziamento a coloro che avevano reso possibile la vittoria contro gli Esterling: gli Uomini del Nord.
Abbiamo già parlato brevemente di questa popolazione, poco simpatica a Saruman. Aggiungiamo ora che il re degli Uomini del Nord era un certo Vidugavia, in buoni rapporti con Gondor. Ebbene, siccome gli Uomini del Nord avevano inviato grandi contingenti in aiuto dei gondoriani, Rómendacil fece una saggia decisione, che prese assieme a Saruman il Bianco. Ecco come accadde.
Era un giorno di fine inverno, alla corte di Osgiliath. Saruman e Rómendacil erano nella sala delle udienze del re Calmacil, con molti arazzi alle pareti, un piccolo trono e, davanti a esso, un tavolo di marmo. Rómendacil era assiso sul trono, e Saruman era accanto a lui.
“Per quale ragione mi hai chiamato, Rómendacil?” chiese Saruman.
“Per chiederti un parere su una decisione che sto per prendere.”
“Esponimela, e vedrò cosa consigliarti.”
“Tu saprai,” disse Rómendacil, “che due anni fa ho sconfitto gli Esterling a Rhûn. Da allora mio padre ha lavorato molto sulla politica interna, rafforzando i confini di Gondor e rafforzando la riva occidentale del Grande Fiume. Ma ho l’impressione di aver trascurato una parte importante dei miei alleati: gli Uomini del Nord.”
“Perché mai essi meriterebbero le tue attenzioni, principe?” chiese Saruman.
“Mio Saggio, non sai forse che essi mi hanno aiutato nella guerra contro gli Esterling?” chiese il principe. “Sai quanti uomini forti e valenti mi sono stati inviati in aiuto? Ben tremila! Tremila giovani forti e addestrati! Tutto grazie a un principe del Nord, un tale Vidugavia, che di fa chiamare Principe delle Terre Selvagge.”
“Vedo che, dati alla mano, il loro aiuto è stato importante,” disse Saruman. “Non ne ero a conoscenza.”
“Eccome!” esclamò Rómendacil. “Ora ascolta, amico mio. Per ringraziare Vidugavia ho già assunto molti Uomini del Nord nel mio esercito e nel mio palazzo ma… ho l’impressione che non basti. Credo che ci voglia un piano per rafforzare la nostra amicizia con loro. Vedi, hanno mostrato un grande valore in battaglia, e credo che potranno esserci utili anche in futuro.”
“Hai intenzione di mandare delle ambascerie per consolidare i rapporti?” chiese Saruman.
“Avevo in mente qualcosa di più,” disse Rómendacil avvicinandosi al Saggio. “Pensavo di mandare alla corte di Vidugavia nientemeno che Valacar!”
“Valacar?!” esclamò Saruman.
“Esatto…”
Vi chiederete il perché della reazione di Saruman. Valacar era il figlio di Rómendacil, e il padre lo adorava. Vedete, Valacar all’epoca era ancora giovane, relativamente alla vita degli Uomini, che allora poteva durare anche duecento anni. Ma non era quella la nota dolente; il fatto era che Valacar era quasi l’opposto del padre.
Mentre Rómendacil era un uomo astuto, un gran calcolatore e un abile stratega, Valacar era più dedito al piacere e al godimento che alla cultura e all’ingegno. Rómendacil giustificava questo fatto dicendo che era la gioventù, ma Saruman pensava che Valacar fosse, in realtà, poco adatto alla vita di corte e alle strategie di un reggente.
Saruman fu piuttosto stupito dalla decisione di Rómendacil. Tuttavia cercò di vedere i lati positivi della faccenda: forse, andando al Nord, Valacar avrebbe imparato meglio le usanze di corte, avrebbe imparato la loro lingua e, chissà, sarebbe anche riuscito a consolidare i rapporti fra Rómendacil e Vidugavia. Forse, a pensarci bene, c’era solo da guadagnarci.
“Bene, mio principe,” disse allora Saruman il Saggio; “siccome è questo il tuo volere, io esprimo il mio consenso. Anche se credo che Valacar sia meno portato di te alla vita da regnanti, immagino che questa situazione potrà giovargli.”
“Esatto!” esclamò Rómendacil alzandosi. “Proprio questo intendevo dire! Sapevo di aver fatto la scelta giusta seguendo i tuoi consigli, o Saruman il Saggio!”
Cinque giorni dopo, Valacar partì con una scorta verso Nord. A salutarlo, fuori dalla porta di Osgiliath, c’erano il re Calmacil, il padre Rómendacil, la madre, Saruman il Bianco e molti dignitari.
“Mi raccomando,” disse Rómendacil stringendo le spalle atletiche di Valacar e accarezzandogli i capelli castani, “fatti onore, tieni alto l’onore di Gondor e il tuo onore. Se porterai a compimento questa missione, sarai un sovrano degno di tale nome!”
“Grazie, padre,” disse Valacar. Poi, il giovane partì con la scorta, diretto verso la corte di Vidugavia. Ma Saruman presagiva qualcosa di oscuro all’orizzonte, e percepiva che presto Gondor sarebbe stata messa alla prova.
 
Passarono gli anni. Valacar era assente già da molto da Gondor, e nel 1260 Rómendacil chiese al padre il permesso di richiamare Valacar in patria. Il figlio tornò a Osgiliath, acclamato da una città intera. Ma… accanto a lui c’era una donna dai capelli lunghissimi e biondi, con una pelliccia addosso e degli stivali di pelle. E la donna reggeva fra le mani nientemeno che un bambino!
Quando Saruman vide la donna e il bambino capì subito la situazione. E, in effetti, poco dopo Valacar spiegò al padre che aveva sposato la figlia di Vidugavia, di nome Vidumavi, e che insieme avevano concepito un figlio, Vinitharya.
Il principe Rómendacil fu assai scosso dalla notizia. Alla felicità di essere nonno si mescolava il sospetto che i Gondoriani non avrebbero accettato la situazione.
E in effetti, quando la faccenda divenne nota a Gondor, gli Uomini iniziarono a manifestare il loro disappunto. Molti dicevano che non avrebbero accettato, in futuro, un sovrano metà gondoriano e metà nordico. In fin dei conti, prima o poi Calmacil sarebbe morto: gli sarebbe succeduto Rómendacil, poi Valacar il traditore, e poi… il meticcio Vinitharya.
Rómendacil chiese a Valacar e a Vidumavi di cambiare il nome del figlio, che da Vinitharya divenne Eldacar. Non dimentichiamo, infatti, che il popolo di Gondor era allora piuttosto chiuso nelle sue tradizioni, e che il semplice fatto di avere un re con nome gondoriano poteva essere un pregio.
Da allora, la situazione a Gondor si fece tesa e ambigua. Gli Uomini del Nord che Rómendacil aveva fatto assumere a Gondor erano felicissimi perché la moglie del figlio del principe reggente fosse loro compaesana, e la lodavano molto. I Gondoriani iniziarono a guardar male gli Uomini del Nord che passeggiavano fra loro. Vidumavi iniziò a essere imbarazzata, e con lei Valacar. Rómendacil tentava di oscurare i lati negativi di questa storia, mascherando i suoi sospetti con l’allegria per essere diventato nonno. Quanto a Saruman, il Saggio prevedeva un uragano imminente.
 
Nel 1304, quarantaquattro anni dopo il ritorno di Valacar, il vecchio Calmacil morì, e Rómendacil divenne finalmente re a tutti gli effetti. Valacar divenne principe reggente, mentre Eldacar cresceva a Osgiliath. Valacar scelse Saruman come precettore di Eldacar, anche se il Saggio preferì impartirgli solo alcune delle lezioni che, normalmente, vengono fatte ai futuri re.
Dopo l’ascesa di Rómendacil, Saruman fece conoscenza di Valacar più approfonditamente. Il Saggio capì, dopo qualche tempo, che Valacar era, effettivamente, più saggio e accorto di prima. Evidentemente, al giovane era servito il soggiorno al Nord, nonostante fosse tornato a sud con una moglie e un figlio! Valacar aveva iniziato a interessarsi di lettere e arte, ed era diventato finalmente un uomo intelligente.
Il regno di Rómendacil fu pacifico e sereno, eppure si sentiva una strana aria. I Gondoriani si erano fatti più chiusi, e girava voce che fra il popolo ci fossero dei sobillatori, che rifiutavano di essere governati, in futuro, da re mezzi nordici.
Un giorno Gandalf il Grigio e Saruman il Bianco si incontrarono vicino a Fornost, e parlarono un po’ di ciò che avveniva nella Terra di Mezzo. Gandalf si era recato nell’Est, per visitare le popolazioni bellicose di quei luoghi, e non sapeva cosa era accaduto a Gondor. Saruman glielo raccontò, e, alla fine, Gandalf chiese:
“Cosa pensi che accadrà dopo la morte di Rómendacil?”
“Difficile a dirsi. Immagino che salirà al trono Valacar…”
“Sperando che i Gondoriani lo accettino,” disse Gandalf.
“Amico mio,” sospirò dopo un po’ Saruman, “quand’anche lo accettassero, non so per quanto lo sosterrebbero…”
 
Nel 1344, nel regno di Rómendacil, la bella Vidumavi morì. Ella, infatti, non era della razza degli Uomini di Gondor (discendenti degli Antichi Uomini, i Númenórean), bensì di una razza di Uomini “comuni”, gli Uomini del Nord: mentre i Gondoriani potevano vivere per molti anni, gli Uomini più comuni avevano vita più breve.
Allora, un nuovo timore s’insinuò nei cuori dei Gondoriani: che il discendente di Valacar, ossia Eldacar, avesse ereditato la brevità della vita dalla madre. Questo avrebbe significato una contaminazione troppo grande del sangue gondoriano, e i Gondoriani non avrebbero potuto accettarlo.
 
Passarono ancora degli anni. Alla fine, nel 1366, dopo una lunga vita di conquiste, alti e bassi, Rómendacil si ammalò. Era ormai chiaro che per il vecchio re si avvicinava la morte.
Una sera d’autunno, Rómendacil (costretto a letto) chiese se Saruman il Bianco fosse a Gondor. In quel momento, lo stregone era a Isengard, ma il re lo fece chiamare, e il capo degli Istari si recò in fretta a Osgiliath.
Quando Saruman fu entrato nella camera del re, appoggiato al bastone e a capo chino, Rómendacil disse:
“Avvicinati, Saruman, amico mio.” Saruman andò vicino al re, chinandosi verso quest’ultimo. “Devo confessarti tutto ciò che non ho mai osato confessare a me stesso.”
“Cosa intendi?” chiese Saruman.
“Parlo… parlo di Valacar,” disse con le lacrime agli occhi il vecchio sovrano; “non ho mai avuto il coraggio di ammetterlo, ma sono preoccupato per ciò che potrà accadere a Gondor. Saruman, so bene cosa stai pensando: che egli abbia commesso un errore a sposare Vidumavi… forse hai ragione. Ma ascoltami, amico mio. Quando me ne andrò, e Valacar sarà sul trono, proteggilo. Cerca di aiutarlo, quando avrà bisogno di te: so che necessiterà del tuo aiuto. Sento che si prospettano ore buie per Gondor.”
“Signore, farò come dici.”
“Grazie, amico mio. Grazie.”
Il giorno seguente, il vecchio Rómendacil spirò. Valacar, allora, divenne sovrano di Gondor, come da consuetudine. Con una processione a Osgiliath, Saruman il Bianco incoronò Valacar, che fu cinto dal mantello regale e dotato dello scettro e della corona di Gondor.
 
Dopo due giorni dall’incoronazione di Valacar, si videro già i primi tumulti a Minas Anor e a Osgiliath, le due principali città gondoriane. Alcuni dicevano che Valacar aveva “tradito il sangue di Gondor”, e che aveva “sposato una donna di origini ignobili”. Addirittura, ci fu qualcuno che iniziò a definire Valacar il “re traditore”, in quanto aveva “tradito il proprio sangue”.
Tuttavia, Valacar non si dimostrò un sovrano incapace. Sapeva reagire dignitosamente agli insulti dei Gondoriani, e in questo modo non ci furono mai delle vere e proprie insurrezioni.
Saruman si ripeteva spesso nella mente le parole di Rómendacil. Doveva aiutare Valacar, aveva ragione… eppure all’Istar pareva così insensata la decisione che Valacar aveva preso. Come aveva potuto sposare una donna del Nord?
Un giorno (era trascorso circa un mese dal giorno dell’incoronazione di Valacar), Saruman si recò dal sovrano e gli chiese un colloquio a quattr’occhi.
“Cosa desideri, Saruman?” chiese Valacar.
“Desidero avere un chiarimento da te, mio signore,” disse Saruman. “Perché, anni fa, hai deciso di sposare Vidumavi? È risaputo che i Gondoriani tengono molto al loro sangue, e non vogliono che venga contaminato. Perché dunque hai osato tanto?”
Valacar rimase per un po’ immobile. Poi disse:
“Purtroppo ci sono cose che nemmeno tu comprendi, Saruman il Saggio. Tu conosci la forza dei pensieri, la forza della magia, la forza della conoscenza… ma conosci la forza dell’amore? Quella forza che prende l’anima, che lacera i pensieri, che distrugge la razionalità? Ebbene, se non conosci il potere di questo sentimento, non potrai mai capire perché ho sposato la donna che amavo.” Detto questo, Valacar uscì.
Da quel giorno, Saruman il Saggio non fece mai più a Valacar domande riguardanti la moglie.
 

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Capitolo 5
*** La donna vestita di blu ***


5.
La donna vestita di blu
 
 
 
 
 
 
Gli anni passarono. Valacar diede prova di grande coraggio nell’affrontare tutti gli scandali che affioravano sul suo conto, mentre cresceva il suo erede Eldacar. In quegli anni, Gondor era in una situazione tutta particolare: anche se era a tutti chiaro che c’era molta, troppa tensione nell’aria, la vita procedeva quasi inalterata. Era come quell’insolita quiete che precede una tempesta.
Con gli anni, Saruman iniziò a recarsi sempre meno a Gondor. Non perché non s’interessasse più agli Uomini, ma perché era occupato con gli altri Saggi. In quegli anni, infatti, Radagast il Bruno notava un’ombra sempre maggiore crescere su Dol Guldur. Più volte i Saggi dovettero riunirsi, anche se mai si giunse a una decisione definitiva.
Fra l’altro, in quegli anni accaddero altri fatti nella Terra di Mezzo. Dal 1300 in poi, gli Orchi, le crudeli creature che avevano servito Sauron, iniziarono a pullulare nelle Montagne Nebbiose, e alcuni cominciarono a costituire un problema.
Ma accadde anche un altro fatto preoccupante: nove individui misteriosi, forse maghi umani oscuri, capeggiati da un tale Re Stregone, si fecero vivi nella Terra di Mezzo. Essi si stanziarono in un regno settentrionale a nord di Arnor, il Regno di Angmar.
Da quel periodo, i Saggi si riunirono più soventemente, e molti erano gli interrogativi che si ponevano: chi erano quegli individui stanziatisi ad Angmar? Chi era davvero il Re Stregone? Bisognava preoccuparsi di costoro? Sauron si stava forse preparando a ritornare?
Alcuni proposero di attaccare Dol Guldur, altri di attaccare addirittura Angmar. Ma le ombre di quei luoghi erano quasi impenetrabili, e le presenze malefiche sapevano camuffarsi abilmente. Tant’è vero che, nonostante le numerose ricognizioni fatte a Dol Guldur da parte degli Istari, mai gli stregoni si scontrarono con spettri od Ombre.
Insomma, ora gli Istari iniziavano a sentire davvero il peso dei loro compiti.
 
Erano passati molti anni da quando Saruman non faceva visita a Gondor. Nel 1409, il Re Stregone aveva attaccato il Regno di Arnor, e si era svelata la sua vera identità: egli non era altri che il Signore dei Nazgûl, e le entità misteriose erano gli Spettri dell’Anello, i nove più temibili servitori di Sauron.
A capo di un esercito di Orchi e Uomini Selvaggi, i Nazgûl avevano attaccato il Regno di Arnor. Gli Uomini avevano saputo brillantemente resistere, anche se alcune regioni di Arnor, come il Cardolan, vennero devastate.
Ai Saggi, allora, fu chiaro che il ritorno di Sauron si stava preparando. Le pedine stavano per posizionarsi.
Così, quando nel 1431 Saruman il Bianco tornò a Osgiliath, per lui fu un vero piacere rivedere re Valacar. Dopo il loro dialogo avuto nel 1366, Saruman e il re avevano riallacciato i rapporti, e non avevano più toccato quell’argomento: non ci fu, quindi, astio nelle loro parole.
In un mattino di maggio del 1431, dicevamo, Saruman entrò a Osgiliath dalla porta occidentale. In cielo brillava il sole, e solo qualche tenue nuvoletta punteggiava il cielo. La città era in fermento come sempre: donne con ceste di cibo sottobraccio, guardie armate in ricognizione, passanti e semplici contadini. Saruman camminava, appoggiato al suo bastone, e molti dicevano “Ecco Saruman!”, “Il Saggio è tornato a Gondor!”, “Ecco l’Istar!”, e “Bentornato, Saruman il Bianco!”
Saruman procedette verso ovest, diretto verso la Casa delle Stelle, ossia il Palazzo reale. Camminando in vie fra alti palazzi, case signorili o abitazioni popolari, Saruman giunse all’Iant Rómendacil, uno dei ponti principali della città. Osgiliath, infatti, era costruita sulle due rive del Grande Fiume Anduin, e le due metà della città erano separate dal fiume. Molti ponti congiungevano le due metà di Osgiliath: l’Iant Rómendacil conduceva alla Casa delle Stelle.
Siccome il ponte passava vicino alla Piazza del Mercato (e quello era giorno di mercato), Saruman incontrò molta gente sul ponte. Ma questo non gli impedì di fermarsi a contemplare la città, uno dei momenti che preferiva.
Davanti ai suoi occhi, c’era la grande cupola della Casa delle Stelle, l’enorme Palazzo Reale. Affianco alla cupola si ergeva la Torre della Pietra, così chiamata perché custodiva uno dei sette palantíri, le Pietre Veggenti, che permettevano di guardare nel passato, nel presente e nel futuro, fabbricate dagli Elfi millenni prima. Tutt’attorno, grandi aiuole, che sembravano nascere direttamente dalle acque dell’Anduin. Se si guardava a sinistra, si vedeva la meravigliosa Tol Gilthoniel, un’isola boscosa in mezzo all’Anduin, un’autentica meraviglia per gli occhi. A destra, invece, l’imponente Rond Giliath, la Basilica di Osgiliath, meravigliosa costruzione innalzata da Isildur nella Seconda Era. E poi, palazzi alti e fusiformi, cupole dorate, meravigliose guglie luccicanti al cielo! Per non parlare poi delle acque tumultuose e azzurre del Grande Fiume! Bastava chinare lo sguardo e si vedevano sotto al Ponte meravigliose navi mercantili o da viaggio, onde spumeggianti e pesci guizzanti sotto le acque azzurre.
“Ah!” esclamò Saruman, “che meravigliosa città.”
L’Istari, appoggiandosi al bastone, iniziò a camminare verso la Casa delle Stelle, quando vide l’essere destinato a cambiare la sua esistenza.
Dall’altro lato del ponte, in direzione opposta alla sua, vide una donna. Aveva un vestito lungo blu cielo, che terminava in un pizzo sapientemente cucito. I capelli lunghi sciolti sulle spalle erano neri come la notte profonda, di un nero paragonabile solo al nero profondo degli occhi di Saruman. Ciò che più incantò Saruman erano gli occhi della donna, azzurri come la veste, come il cielo e come l’acqua dell’Anduin, gli occhi più luminosi che avesse mai visto.
Ma c’era qualcosa in quella donna, qualcosa che solo un Maia poteva vedere. Saruman osservò quegli occhi profondi, quella bocca rossa, e penetrò nell’anima della donna. Vide… ebbe come la sensazione che lui e quella donna fossero identici! Riuscì a capire che ella era molto intelligente, nonché saggia. Pareva di scandagliare la propria anima, non quella d’una sconosciuta! Vedeva, però, qualcos’altro, qualcosa che Saruman non possedeva: una gaiezza e una felicità senza eguali, un animo sereno, oltre che nobile.
Saruman si fermò lentamente, sempre fissando la donna vestita di blu. Questa gli passò affianco, e, sorridendo, fece un piccolo inchino. Saruman ebbe un fremito: la donna l’aveva riconosciuto! Eppure lui era certo di non averla mai vista a Osgiliath. Saruman, appoggiandosi al bastone, fece un grande inchino, ma nel momento in cui tentava d’aprir bocca, non riuscì a dire nulla.
La donna, con un altro sorriso lieve, chinò il capo e continuò verso ovest, finché non disparve dalla vista di Saruman. L’Istari non poteva muoversi. Lo sguardo era rimasto fisso nel punto in cui la donna se n’era andata. A Saruman pareva di essere in un altro mondo. Per un attimo si sentì leggero come si sentiva quando era in Aman. Gli parve addirittura che Osgiliath crollasse, per far posto ai paesaggi del Reame Beato. Cos’era successo? Saruman si rendeva conto di essere ridicolo, così immobile in mezzo al Ponte. Chissà, qualcuno stava forse ridendo di lui. Eppure… no, non poteva interrompere quell’attimo meraviglioso.
Ma ecco che le grandi campane della Rond Giliath suonarono le dieci del mattino. Il rintocco delle campane svegliò Saruman dal torpore, e lo stregone ebbe un fremito. Per un attimo non riuscì a capire dove si trovasse. Poi si ricordò della donna vestita di blu e… del re! Doveva vedere Valacar!
Così, Saruman procedette fino alla fine del Ponte, e arrivò davanti alla Casa delle Stelle, la meravigliosa reggia di Gondor. Saruman salutò le guardie, che lo riconobbero e lo fecero entrare. Saruman percorse corridoi e stanze ormai a lui noti, e alla fine entrò nella sala del trono.
Man mano che avanzava verso il trono di Valacar, molti dignitari lo riconoscevano e lo salutavano. Saruman rincontrò molti vecchi amici, e in un angolo della sala vide Castamir. Costui era un lontano cugino di Eldacar, nipote alla lontana di Valacar, in quanto Castamir era nipote di Calimehtar, il fratello di Rómendacil stesso.
Castamir era piuttosto giovane, ma la faccia sempre ombrosa e corrucciata, la barba nera e gli occhi impenetrabili lo facevano sembrare più vecchio. Castamir aveva un carattere piuttosto scontroso, e si raccontavano molte storie sulle presunte violenze che aveva compiuto sulle damigelle di palazzo. Ad ogni modo, Castamir era nipote di Valacar, e lo zio gli aveva assegnato la carica di Capitano della Flotta Gondoriana. Castamir aveva, dunque, un discreto potere, in quanto controllava le Navi di Gondor e i Porti di Dol Amroth e Pelargir, le due più grandi città portuali costruite dagli Uomini.
Saruman non aveva mai apprezzato Castamir. Spesso aveva parlato con lui, o l’aveva osservato, ma tutte le volte che l’Istar osservava quei freddi occhi grigi non vedeva altro che nubi e tempeste.
Saruman procedette verso il trono e qui rivide Valacar. Il re era piuttosto invecchiato, ma in lui si vedeva ancora la possanza dei re di Gondor. Valacar parlava con un ragazzo giovane e nel pieno delle forze, dal fisico atletico e dal volto sorridente. Il giovane aveva i capelli biondi abbastanza lunghi e un mantello rosso sulle spalle. Saruman si avvicinò, e subito Valacar lo riconobbe:
“Saruman, amico mio!” gridò. “Sei tornato!”
“Gli Istari hanno avuto parecchio lavoro da svolgere in questi tempi, Valacar…”
“Immagino,” disse il giovane biondo. “Con tutto quello che è accaduto ad Arnor…”
“Ma…” mormorò Saruman osservando il ragazzo, “non mi dirai mica che sei… Eldacar!”
“Esatto,” disse Valacar, “è il mio ragazzo!”
Saruman salutò Eldacar con molto piacere. Il giovane era cresciuto dall’ultima volta, e in lui era chiaro, oltre al coraggio dei Gondoriani, lo spirito valoroso degli Uomini del Nord, che, seppure meno dotti dei Gondoriani, erano molto valorosi.
Saruman dialogò un po’ con Eldacar e Valacar, poi il re gli chiese di parlargli a quattr’occhi. Saruman e Valacar entrarono in una piccola stanza adibita a ingresso della sala del trono.
“Dimmi, sire,” disse Saruman.
“Saruman, sono preoccupato per Gondor,” disse Valacar guardando fuori da una finestra. “Vedi che sono invecchiato: questo non è comune fra la mia razza. È a causa di tutto ciò che sta accadendo, se sto avvizzendo. Sento che la mia forza svanisce, e temo che fra non molto il mio regno terminerà.”
“Ti vedo ancora in forza, Valacar,” osservò Saruman.
“Non abbastanza per reggere ancora a lungo questa situazione,” disse il re. “A Gondor sta nascendo un grande male: l’intolleranza. Tu sai che io adoro la stirpe Nordica, tanto da aver sposato Vidumavi anni fa. Ma i Gondoriani sono gelosi del loro sangue, e questo li sta facendo diventare intolleranti. So che tu hai molte cose a cui pensare, e so che l’Ombra dell’Oscuro Signore è il più grande male per la Terra di Mezzo, ma ascoltami, Saruman. Anche il male interno a Gondor rischia di distruggerci.”
Valacar continuò a guardare fuori dalla finestra.
“Saruman,” disse poi rivolto all’Istari, “cosa pensi di Castamir, mio nipote?”
“Beh,” disse Saruman, “egli è un valente Uomo di Gondor e un abile ammiraglio della Flotta. Ma non credo che sia una persona di cui mi fiderei per il governo di un popolo…”
“Neanch’io, Saruman,” disse Valacar con voce profonda. “L’ho nominato ammiraglio in quanto mio nipote e in quanto abile stratega. Ma io percepisco ostilità in lui. Anche se mi riverisce ed è gentile con me, sento che lui odia gli Uomini del Nord ed Eldacar come tutti gli estremisti del Regno. Temo che quando Eldacar diventerà re, egli si ribellerà.”
“In lui c’è dell’altro che tu non vedi,” disse Saruman. “Egli brama il potere. Tu sai che io ho sempre ammirato la vostra razza, e che gli Uomini sono creature affascinanti per me. Ma in voi è troppo alta la sete di dominio. Valacar, tuo nipote Castamir è assetato di potere, oltre ogni misura.”
“Cosa pensi che possa portare questo?” chiese Valacar.
“È possibile,” disse Saruman, “è possibile che si ribellerà. Desidera il potere supremo più d’ogni altra cosa.”
“Saruman,” disse Valacar, “io mi fido di te e mi sono sempre fidato. Quando io non sarò più, e mio figlio Eldacar sarà re… ti prego, aiutalo. Lui è coraggioso e valoroso, ma avrà bisogno dell’aiuto di un Saggio. Temo che si ritroverà grandi rivolte per le mani: una larga fetta di Gondoriani non lo accetta. Aiutalo, Saruman. E diffida di Castamir.”
“Sarà fatto, maestà.”
Saruman e il re tornarono nella sala del trono. L’Istar parlò ancora un po’ con i Gondoriani, poi decise di ritirarsi. Uscito dalla Casa delle Stelle, percorse l’Iant Rómendacil in direzione delle porte di Osgiliath. Ma quando fu sul ponte si ricordò di una figura che credeva d’essersi dimenticato: la donna vestita di blu.
Per un attimo, Saruman desiderò rivederla. Si guardò attorno con aria persa, come per cercarla. Ma poi si chiese cosa stesse facendo: cosa gli era accaduto? Perché continuava a pensare a quella mortale? Egli era un Istari, un Maia incarnato, uno spirito celeste nato prima del Tempo, e il suo compito era sconfiggere il male. Perché continuava a pensare a una semplice donna?
Quella sera, Saruman si riposò a Orthanc, nel cerchio d’Isengard. Nella nera torre non faceva molto freddo in primavera inoltrata, ma quella sera Saruman non riuscì a dormire. Era scosso da brividi, e ogni tanto si alzava con il batticuore: doveva rivedere la donna vestita di blu.
Cosa stava accadendo in lui? Perché Saruman aveva questo comportamento? Per lui era inaccettabile che uno spirito celeste fosse attratto da una semplice mortale. Eppure non poteva impedirlo! Da quando aveva visto sull’Iant Rómendacil la donna vestita di blu, non poteva più togliersi il suo volto dalla mente! Era assillato, tormentato, torturato da quella donna meravigliosa. Doveva rivederla subito!  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
SPAZIO AUTORE
In questo episodio, avete iniziato a conoscere Osgiliath, capitale di Gondor, dall’interno. La geografia della città è basata sulla ricostruzione fatta dallo studioso finlandese Sampsa Rydman, che ho trovato sul sito Lindëfirion Wiki. In quanto Tolkien non ha mai descritto con esattezza Osgiliath, ho deciso di basarmi su questa precisa e ottima descrizione della capitale gondoriana.
Abbiamo poi iniziato a conoscere un personaggio che sarà fondamentale in questa storia. E non dico altro: non vorrei mai guastare la sorpresa!  

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Capitolo 6
*** Istanís ***


6.
Istanís
 
 
 
 
 
 
 
Passarono alcuni giorni. A Gondor, la situazione rimaneva immutata: l’aria era tranquilla e tesa al tempo stesso. Colui che veramente stava cambiando era Saruman. Lo stregone passava molto più tempo a Osgiliath, nella speranza di vedere la donna vestita di blu. Ma da quel giorno non l’aveva più rivista. Quando era solo, Saruman piangeva e gridava, perché sentiva che quella donna era entrata nei suoi pensieri, e non se ne sarebbe andata.
In un giorno di luglio dello stesso anno 1432, Saruman si recò alla Casa delle Stelle di Osgiliath per consultare alcuni libri. La reggia di Gondor, infatti, era dotata di una libreria vastissima e carica di volumi di storia, filosofia, arte e cultura generale.
Il Saggio si sedette a una delle tante scrivanie disseminate per l’enorme sala della Biblioteca, con un libro su Isildur davanti. Saruman aveva infatti intenzione di compiere alcune ricerche sugli ultimi momenti dell’Anello, per tentare di capire dove il prezioso Oggetto fosse andato a finire. Così, Saruman avrebbe forse potuto capire se l’Oscuro Signore ne era a conoscenza e se lo stava cercando.
L’Istar passò parecchie ore nella Biblioteca. E, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non fu per via del grande studio ma per colpa della maledetta donna vestita di blu. Ogniqualvolta Saruman si concentrava su un dettaglio, ecco che quel viso gli tornava in mente, impedendogli di pensare.
Saruman dovette fermarsi più volte. Non ce la faceva più. Da giorni ormai quella donna danzava nella sua mente, sulle sue palpebre, sulle pagine dei suoi libri, e iniziava a sospettare che il sentimento che iniziava a nascere in lui fosse amore.
Dopo qualche ora, entrò nella Biblioteca una delle guardie del Palazzo, abbigliata con la divisa di Gondor, che disse a Saruman:
“Re Valacar desidererebbe parlarti, Saruman.”
Il Saggio ripose i libri che stava consultando negli scaffali (ormai era impossibile tentare di concentrarsi), e poi salì le scale che conducevano alla sala del trono.
Qui, Valacar era seduto accanto a Eldacar. Affianco al giovane principe reggente c’era un ragazzo di quasi vent’anni, che assomigliava molto a Eldacar e che aveva gli occhi identici a Valacar.
“Saruman, che piacere rivederti!” esclamò Valacar.
“Buongiorno,” disse Saruman osservando il giovane.
“Saruman,” esordì Eldacar, “non ti ho mai presentato mio figlio,” e indicò il giovane ragazzo. “Ti presento Ornendil.”
Il ragazzo si fece avanti e si inchinò a Saruman, il quale a sua volta accennò a un inchino.
“È un piacere conoscere colui che in futuro siederà su quel trono,” disse Saruman. “Chissà perché in vent’anni nessuno ci ha mai presentati…”
“Come puoi sapere che ho vent’anni?” chiese Ornendil.  
“Sono un Istar!” esclamò Saruman ridendo; “Questo varrà pure qualcosa!”
“Ora mia moglie aspetta un secondo figlio,” disse Eldacar.
“Bene, vedo che la tua discendenza è assicurata,” disse Saruman. Poi, rivolto a Valacar, “Mi hai chiamato per un motivo preciso, sire?”
“Oh, giusto!” disse Valacar. “Mi era venuta in mente un’idea brillante. Prima ti vedevo in Biblioteca, tutto assorto in libri enormi e vissuti…”
“Compivo ricerche su Isildur e sull’Unico Anello,” disse Saruman, “ma per il momento non ho trovato nulla che non sapessi.”
“Bene,” disse Valacar poco concentrato. “L’idea che mi era venuta era la seguente. C’è una donna che vive a Osgiliath, molto nota per la sua intelligenza. Devi sapere che ha compiuto ricerche anni orsono sulla Storia di Arda, degli Elfi, degli Uomini e dei Grandi Anelli. Ha scritto molti libri, di cui possediamo alcune copie in Biblioteca, e quello che stavi leggendo è opera sua.”
“La Storia della Seconda Era del Mondo?” chiese Saruman.
“Precisamente,” disse Eldacar. “Fino a pochi anni fa ho studiato molto su quel libro.”
“Comunque,” riprese Valacar, “quello che volevo dire era che credo che dobbiate incontrarvi. Avete entrambi un’intelligenza finissima, e credo che confrontarvi sarebbe utile per entrambi!”
“Qual è il suo nome?”
“Oh, non me lo ricordo, ora come ora,” disse Valacar. “Come si chiama, figliolo?”
“Il suo nome,” disse Ornendil, “è Annael.”
“Annael!” ripeté Saruman. “Bellissimo nome! Significa Stella del Dono…”
“Come lo sai, figliolo?” chiese Eldacar.
“Studio anch’io sui suoi libri, padre,” rispose Ornendil.
“È una donna di grande cultura,” disse Valacar, “tanto che a Osgiliath la chiamiamo Istanís, la Donna di sapienza.
“Sì, è lo pseudonimo col quale si firma,” disse Saruman, “l’ho letto su molte copertine. Dev’essere dotta, con un tale nome,” disse Saruman.
“Eccome!” esclamò il re; “Le ho parlato un giorno, per complimentarmi del suo lavoro. Ha una conversazione così forbita e di alto livello! Adatta per te!”
“Ne sono lieto.”
“Perché non la vai a trovare ora?” chiese Valacar. “Abita nel quartiere del Thoronumen, nel lato sud della Piazza di Turambar. Non puoi sbagliare: è una casa con tetto rosso a spiovente, adornata dalle statue dei Signori degli Alti Elfi Noldor della Prima Era.”
“Ah, capisco,” disse Saruman. “Ho già visto di sfuggita quell’abitazione. Inizio a essere curioso, quindi credo che ci andrò subito.”
“Bene!” esclamò Valacar. “Chissà quante cose avrete da dirvi!”
Saruman salutò Valacar, Eldacar e Ornendil, poi uscì dalla Casa delle Stelle. Quel giorno il cielo era nuvoloso, e i marmi bianchi di Osgiliath non luccicavano come il solito. Tuttavia, la bellezza di Osgiliath era enorme ugualmente.
Saruman si diresse verso il quartiere del Thoronumen, nella parte occidentale della città. Lo Stregone oltrepassò l’Iant Rómendacil, ed entrò nella meravigliosa Piazza del Mercato. Non era giorno di mercato, e Saruman poté passare per la piazza indisturbato. Saruman si fermò ad ammirare i magnifici santuari dedicati all’Anduin, a Tulkas, il Vala Guerriero, e a Ulmo, il Signore delle Acque. L’Istari si commosse ricordando il tempo trascorso in Aman assieme ai Valar, e per un attimo si lasciò andare ai ricordi passati.
Poi, lo Stregone s’incamminò su per una lunga strada porticata, che conduceva verso la Piazza di Turambar. Per la strada non c’erano molte persone, ed era la condizione ideale per fare una passeggiata, osservando i meravigliosi palazzi e i marmi di Osgiliath.
Saruman non si accorse di un pensiero, che stranamente non lo tormentava: la donna vestita di blu. La curiosità lo teneva lontano da quel pensiero, e così continuava a camminare senza preoccupazioni.
Lo Stregone entrò poi nella Piazza di Turambar. L’entrata della Piazza era decorata con un meraviglioso cancello dorato, da cui si arrivava nel cuore della Piazza. Essa era di forma circolare, e al centro c’era l’Obelisco fatto innalzare dal re Turambar (397-667 della Terza Era), circondato da fontane ornamentali zampillanti. La Piazza era circondata da colonne e da meravigliose statue marmoree, raffiguranti celebri personaggi della Storia di Arda e di Gondor.
Saruman si volse verso il lato sud della Piazza, affianco al cancello da cui era entrato. La prima casa che vide fu quella in questione: col tetto spiovente in mattoni rossi, le statue dei Noldor della Prima Era poste a decorazione della sommità dell’edificio, un porticato sul davanti e tre grandi finestre. Sui lati dell’edificio si vedevano dei rami d’edera, che davano un tono più ameno alla casa.
Saruman bussò alla porta. Nessuno da dentro rispose. Lo Stregone provò a bussare una seconda volta, ma ancora nessuna risposta. Saruman rinunciò al proposito, così si voltò, verso la Piazza di Turambar.
L’Istar si sedette su una delle panche, osservando l’Obelisco e le fontane della Piazza. “Peccato,” pensava. “Avrei tanto voluto conoscere questa sapiente donna. Fra l’altro non sono molte le donne acculturate nella Terra di Mezzo. Tutt’al più esistono Elfi femmine acculturate: ad esempio Galadriel. Eppure è un caso raro che una donna sia così saggia! C’è anche da dire che Valacar non è uno che esagera… ad ogni modo, i libri che scrive sono ben fatti. Quali ho letto, già? Storia della Seconda Era, Storia dei Grandi Anelli, Le battaglie del Beleriand, L’Akallabêth… ah, sì, anche la biografia di Fëanor e Fingolfin. Sì, devo dire ben scritti. Molto documentati, se ricordo bene. Dona delle interessanti prospettive su alcuni fatti poco noti. Ad ogni modo, non credo che potrà aiutarmi a scoprire qualcosa sulla storia dell’Unico Anello dopo la morte di Isildur. I suoi libri sono belli, certo, ma dicono cose di cui io sono già a conoscenza. Chissà se riuscirò a scoprire qualcosa di più. E chissà dov’è adesso quella donna! Non è neanche giorno di mercato, per Aulë! Beh, speriamo che arrivi, altrimenti dovrò tornare un altro giorno, e a dirla tutta non ne ho la benché minima…”
Le riflessioni di Saruman furono interrotte: qualcuno gli toccò la spalla. Saruman si girò, e dietro di sé vide un Uomo di Gondor vestito come tanti, che disse:
“Saruman, Istanís ha appena aperto la porta: la cercavi?”
“Oh!” esclamò lo stregone, “sì! Grazie, buon Uomo!”
Saruman si alzò e tornò a passo svelto davanti alla casa della donna. La porta era socchiusa, ma non si vedeva nessuno sulla soglia. Saruman si avvicinò, bussò sulla porta socchiusa e disse:
“È permesso?”
Una voce femminile rispose da dentro:
“Arrivo all’istante! Ero andata nel giardino sul retro a raccogliere qualche ciliegia. Eccomi!”
Davanti agli occhi dello Stregone apparve una donna abbastanza alta, vestita di bianco e con una cintura di seta dorata attorno alla vita. La donna non aveva più di cinquant’anni, dunque era ancora piuttosto giovane. Le mani avevano la pelle ancora morbida e uniforme, e il volto era liscio e dai tratti sottili. Gli occhi erano azzurri e luminosi, i capelli oscuri come le profondità della Terra.
Saruman l’aveva già vista altrove, e per lui non fu difficile capire chi fosse: era la misteriosa e meravigliosa donna vestita di blu, colei che l’aveva stregato per giorni. E ora, il suo volto aveva ricominciato a torturarlo. Istanís, la donna colta per eccellenza a Gondor, era nient’altri che la donna vestita di blu, l’essere che si era insinuato nel cuore del più saggio e fermo degli Istari.
“Ma che onore!” esclamò la donna inchinandosi, “l’illustre e saggio Saruman il Bianco nella mia dimora!”
Saruman non riusciva a parlare. Aveva gli occhi quasi sgranati, quando si disse di riprendersi: non poteva fare brutte figure ora! Così si fece forza e disse con voce malferma:
“Buo… buongiorno, mia signora.”
“Chiamami Annael, mio signore.” 

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Capitolo 7
*** L'Uomo astuto e la Stella del dono ***


7.
L’Uomo astuto
e la Stella del Dono
 
 
 
 
 
Saruman il Bianco rimaneva fermo sulla porta, appoggiato al bastone nero. Annael lo guardava, e tutto tacque per qualche istante.
“Accomodati, venerabile Saruman,” disse Annael.
“Oh,” mormorò lo Stregone, “puoi… puoi chiamarmi Saruman senza alcun epiteto, mia signora!”
Annael s’incamminò, seguita da Saruman. I due percorsero il corridoio d’ingresso, sul quale si aprivano due porte per lato, e arrivarono al fondo del corridoio, dove si apriva una sola porta. Annael entrò nell’ultima porta a sinistra, che dava su una stanza rotonda piuttosto grande sorretta da quattro colonne marmoree, adibita a sala da pranzo. Quattro colonne tortili finemente scolpite sorreggevano una volta bianca, e fra le quattro colonne si trovava un piccolo tavolo marmoreo di forma circolare. Sul lato sud della sala si apriva una grande vetrata che dava sul giardinetto sul retro.
Annael fece sedere Saruman al tavolo, poi gli offrì un bicchiere di ottimo vino elfico. Annael, alla fine, si sedette affianco all’Istar.
“A cosa devo questa piacevole visita?” chiese la donna.
“Oh,” disse Saruman, “è stato re Valacar a indirizzarmi qui. Mi ha raccontato di te, mia signora, e mi ha detto che la tua cultura e la tua saggezza sono molto vaste…”
“Il re è sempre stato generoso nei miei confronti,” disse Annael osservando fuori dalla porta-finestra aperta che dava sul giardino.
“Ha detto che sarebbe stato molto felice se ci fossimo incontrati,” riprese Saruman, un po’ in imbarazzo. “Vedi, ho letto molti dei tuoi libri, mia signora, e devo dire che ho apprezzato molto i tuoi saggi storici e artistici.”
“Ti ringrazio, Saruman,” disse Annael. “Era da qualche anno che desideravo parlarti, per parlare dei fatti che stanno accadendo. Ad esempio, so che i Saggi si sono riuniti dopo l’attacco ad Arnor da parte dei Nazgûl. Cosa avete deciso?”
“È un argomento estremamente delicato,” disse Saruman stringendo il bastone. “Da molti anni l’Ombra si preparava a tornare, lontana dai nostri sguardi. Non posso dire che tutti credevamo che Sauron fosse stato definitivamente sconfitto, tuttavia devo confessare che pensavamo che non si sarebbe fatto vedere per lungo tempo.”
“Non è stato così,” disse Annael. “Le forze di Sauron si stanno riorganizzando, e non nego che l’Oscuro Signore stia preparando il suo ritorno.”
“Se non l’ha già fatto!” esclamò Saruman.
“Cosa intendi?” chiese Annael.
“Credo che tu sia piuttosto affidabile, mia signora,” disse Saruman. “Devi sapere che ad Amon Lanc, a sud di Boscoverde il Grande, si è insinuata un’Ombra, che inizia a minacciare tutta la grande Foresta. Spesso noi Istari abbiamo esplorato il luogo, ma non abbiamo potuto far nulla.”
“Pensate che l’Oscuro Signore si sia insediato ad Amon Lanc?” chiese la donna.
“Personalmente non credo,” disse Saruman, dopo aver sorseggiato del vino. “L’unico oggetto che lega Sauron alla Terra è l’Anello del Potere. In quanto quell’Oggetto racchiude parte della forza vitale dell’Oscuro Signore, come ben saprai…”
“… Egli non può tornare fisicamente senza di esso,” concluse Annael.
“Precisamente,” disse Saruman. “Sauron è relegato nel mondo delle Ombre, e non tornerà finché non recupererà l’Unico Anello. Qualora lo facesse, la Terra di Mezzo piomberebbe ancora nell’Oscurità.”
“L’unico sistema, come ho scritto nel libro Storia di un Anello d’oro,” disse Annael, “è trovare l’Anello prima del Nemico.”
“E poi?” chiese Saruman.
“Questo è un quesito molto complesso,” disse Annael. “Per distruggerlo, ci vorrebbe il fuoco di uno dei Grandi Draghi, o forse non basterebbe…”
“Purtroppo non basterebbe nemmeno quello,” disse Saruman. “Quando ero un Maia di Aulë il Fabbro, il mio Maestro mi insegnò che un oggetto magico in cui un Maia infonde il suo potere, come l’Unico Anello, può essere distrutto solo nel fuoco ove fu creato. Quindi nel Monte Fato, a Mordor.”
“Interessante teoria, l’avevo già udita” disse Annael. “Ma come trovare l’Anello?”
“Giusto oggi ci pensavo,” disse Saruman. “In questo periodo sto compiendo delle ricerche sugli ultimi istanti di vita di Isildur, per capire dove possa essersi nascosto l’Anello. È possibile che sia andato perduto, ma non ne abbiamo la certezza.”
“Il mio terrore più grande è che qualcuno possa averlo trovato e tenuto nascosto,” disse Annael.
“Questo sarebbe non solo un ostacolo ai piani del Nemico,” disse Saruman, “ma anche ai nostri piani. E ci rallenterebbe. Voglia Ilúvatar che non sia così!”
“Quali sono gli indizi che abbiamo in merito alla morte di Isildur?” chiese Annael. “Hai dei dettagli in più rispetto a me?”
“Disgraziatamente non credo,” disse Saruman. “So da documenti della Casa di Elrond a Imladris che nell’anno terzo della Terza Era un servitore di Isildur, di nome Ohtar, riportò a Gran Burrone i frantumi della spada di Isildur, Narsil.”
“Se ricordo bene,” disse Annael, “egli disse che Isildur aveva subito un’imboscata e che lui era l’unico sopravvissuto.”
“Ricostruire una storia simile è molto complicato,” disse Saruman, “e credo che i Saggi avranno molto lavoro da fare per capire qualcosa. Dove Isildur è caduto? È stato ucciso, o è perito in altro modo? Aveva ancora l’Anello con sé? Chissà se mai avremo risposte!”
Annael offrì delle ciliegie a Saruman, e i due continuarono a parlare della Storia di Sauron e della Storia della Seconda Era. Non mancarono gli accenni alla Storia della Prima Era e delle Battaglie del Beleriand. Poi, Saruman disse, sospirando:
“Credo che resterò a Gondor per un po’. Il mio compito è quello di vagare per la Terra di Mezzo in cerca del male, ma i miei occhi hanno percepito un male molto grande nascere qui, a Gondor.”
“Ti riferisci all’insofferenza verso Eldacar e verso gli Uomini del Nord?” chiese Annael.
Saruman annuì.
“Io non capisco queste proteste,” disse Annael. “Non apprezzo più di tanto gli Uomini del Nord, in quanto non sono dotati di un grande senso della cultura, ma apprezzo il loro valore. Trovo sciocchi quei Gondoriani che predicano la purezza del sangue númenóreano e che vorrebbero allontanare per sempre gli Uomini del Nord da Gondor: è grazie a questi se abbiamo vinto contro gli Esterling ai tempi di Rómendacil! E io credo che questi abbia fatto bene a ringraziarli e a onorarli.”
“Il tuo discorso è lo specchio di una mente aperta e di un animo nobile,” disse Saruman. “Ma non tutti sono come te, mia signora. Girando per Minas Anor, o per Minas Ithil, o per l’Ithilien, o per Umbar si nota che i Gondoriani sono cambiati. Ricordo quando, circa trecento anni fa, regnava Hyarmendacil. Allora, i Gondoriani erano benevoli, aperti e generosi. Ora si stanno chiudendo nelle loro tradizioni, insofferenti ed egoisti come non mai. Sono preoccupato per Gondor. Tante volte, non sono le grandi Ombre a distruggere le civiltà, ma sono i sentimenti d’odio e d’ira, che s’insinuano come un cancro negli Uomini, a piegare i popoli più fieri.”
“Parole di un saggio,” disse Annael chinando il capo. “Purtroppo hai ragione, Saruman. Gondor è cambiato. E temo che quando Eldacar dovrà salire al trono, accadrà qualcosa di molto brutto.”
“Lo temo anch’io…” disse Saruman. “Per questo credo che starò più tempo a Gondor. Anche se la saggezza talvolta è impotente, contro l’ipocrisia.”
 
Saruman tornò anche nei giorni successivi da Annael. Ora il pensiero della donna lo tormentava di meno, perché aveva scoperto di trovarsi meravigliosamente bene quando era con lei. Potevano parlare di storia e di arte, di attualità e di questioni irrilevanti senza problemi, e anche Annael stava bene con Saruman.
Il Saggio in quei giorni era felicissimo. Non solo perché il pensiero di Annael non lo turbava più, ma anche perché sentiva di amarla davvero. Ogniqualvolta la vedeva, si sentiva il cuore leggero, e sentiva l’Ombra allontanarsi da quella casa. Era come se il Male sfumasse a cospetto di quell’essere meraviglioso e sapiente.
Un giorno, Saruman e Annael stavano parlando del raccolto di quell’anno, che non era stato molto propizio. Fra l’altro, come abbiamo accennato, Annael aveva anche un orticello sul retro della casa, e coltivava della frutta e un po’ di verdura: dunque sapeva di cosa stava parlando. Improvvisamente, qualcuno bussò alla porta. Annael si alzò, e andò ad aprire. Saruman sentì una voce familiare dire “Buongiorno!”, si alzò e vide nell’entrata nientemeno che Gandalf il Grigio.
“Saruman, amico mio!” esclamò questi.
“Gandalf, che piacere!” disse Saruman con tono un po’ forzato abbracciando l’altro mago. Intanto, Annael osservava Gandalf con sguardo assorto.
“Mia signora,” disse Saruman, “ti presento Gandalf il Grigio, membro dell’Ordine degli Istari.”
“Piacere di conoscerti, dama…?”
“An…” mormorò la donna, “Annael!”
“Piacere mio!” disse Gandalf col suo sorriso benevolo. Annael era diventata stranamente silenziosa. Saruman pensava che avrebbe chiesto a Gandalf qualcosa su di lui, sul suo passato di Maia, e invece rimaneva zitta, e osservava l’Istar Grigio.
“Come mai sei qui?” chiese Saruman.
“Ho saputo che Valacar è invecchiato,” disse Gandalf, “e vorrei vederlo dopo tanto tempo; poi ho sentito che eri qui, e sono passato a salutare il capo dell’Ordine. Fra l’altro so che la situazione a Gondor non è delle migliori: ho sentito molti manifestare un certo disappunto nei confronti del principe reggente.”
“Eldacar non è ben accetto per le sue origini, non è vero, Annael?” disse Saruman rivolto alla donna. Questa rimaneva immobile, con lo sguardo fisso fuori dalla finestra. “Mia signora!” esclamò Saruman. Annael ebbe un fremito, poi disse:
“Certo, è vero!”
“Mia signora, non vi sentite bene?” chiese Gandalf. “Ho qui delle erbe medicinali, me le ha date Radagast. Sono ottime, ma lui le usa per lo stufato, e vi garantisco che per cucinare sono veramente pessime!”
Annael rise di gusto alla battuta di Gandalf.
“Giuro, dama Annael, l’ho imparato a mie spese!” esclamò Gandalf. “Non avessi mai accettato di cenare da quello svitato! Sapete che mangia le cortecce dei larici?”
“Non è il caso di raccontarci cosa fa Radagast il Bruno!” disse Saruman, infastidito dalle battute di Gandalf e dalle risate di Annael. “Sappiamo che quell’Istar è sostanzialmente venuto meno ai suoi obblighi, dunque lasciamo stare.”
Improvvisamente cadde un silenzio di tomba. Annael osservava Gandalf di sottecchi, con degli occhi stranamente lucidi. Gandalf aveva la faccia di una persona capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato. E Saruman era infastidito. Perché Annael aveva riso così di cuore alla stupida battuta di Gandalf? Con lui non aveva mai riso così! La cosa lo faceva montare su tutte le furie.
Fu Gandalf a rompere il silenzio, dicendo:
“Bene, io mi incammino verso la Casa delle Stelle. Spero che Valacar sarà felice di rivedermi. A rivederci, Saruman, e a presto, mia signora.” Gandalf si voltò, e Saruman vide un luccichio rosso provenire dalla sua mano.
“Oh, a rivederci presto, Gandalf!” esclamò Annael alzandosi. La donna andò ad aprire a Gandalf, e dopo che l’Istar Grigio fu uscito, Saruman si alzò, andò alla porta e disse:
“Vado anch’io, mia signora.”
“Non rimani ancora un po’ qui, Saruman?”
“No, grazie, Annael,” disse Saruman lievemente infastidito. L’Istar uscì, pagò un cavallo e cavalcò fino a Isengard. Qui, si ritirò in una stanza vicina alla sommità della torre di Orthanc.
Quella sera, Saruman non riuscì a dormire. Continuava a pensare all’incontro con Gandalf a casa di Annael. Perché la donna si era comportata così? Non appena aveva visto il Grigio si era immobilizzata, e poi aveva iniziato a ridere ai suoi commenti, e a osservarlo. Cosa stava capitando?
“Non riesco a capire il comportamento di quella donna. Eppure non riesco a odiarla! È troppo bella, troppo buona, troppo intelligente! Ah, se solo penso alle conversazioni avute con lei, il mio cuore si scalda! Com’è bello l’amore!
“Ma… perché si è comportata così oggi?! Con quello stupido di Gandalf che fa il cascamorto con lei! Sì, ho capito! Gandalf è geloso del nostro rapporto, e vuole fare bella figura con lei, vuole conquistarla! Oh, e se… e se Annael fosse caduta in balia delle sue arti? No, non è possibile! Lei è troppo intelligente. Ah, quanto la amo! Però… Gandalf… cos’era quel luccichio rosso? L’ho già visto, ne ho sentito parlare, ne sono certo… ah! può essere una sola cosa: Narya, l’Anello di Fuoco, uno dei Tre Anelli degli Elfi!! Dovrebbe averlo Círdan… forse ho capito: Círdan l’ha dato a Gandalf, è per questo che quel Grigio Viandante è così amato… in fondo il potere di Narya è scaldare i cuori, e forse quel Grigio Pezzente vuole irretire Annael con quell’oggetto magico, e soppiantarmi… e chissà, che non troverà anche l’Unico Anello! Dannato maledetto!!”
Questi e molti altri erano i pensieri dello Stregone. Da un momento all’altro, Saruman era capace di ridere, di sospirare, di sbuffare e di urlare d’ira. Stava letteralmente impazzendo d’amore per Annael.
Ma Saruman comprendeva solo il proprio amore, non riusciva a comprendere l’amore altrui. E questa sarebbe stata la sua rovina.
 
 
 
 
 
 
 
SPAZIO AUTORE
Il nome di Annael non è una mia invenzione. L’ho tratto dai Racconti Incompiuti (Prima Era, cap. I “Tuor e il suo arrivo a Gondolin”): Annael è l’Uomo che conduce i membri della Casa di Hador nelle caverne di Androth, e presso cui cresce Tuor figlio di Huor. Anche se il nome è usato nei Racconti Incompiuti come maschile, l’ho qui dato a una donna non solo per il significato (che ricorda un po’ nomi elfici femminili), ma anche per la sonorità, che mi convinceva più per una donna. Spero che approviate questa scelta, e che Tolkien mi perdoni!

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Capitolo 8
*** Cena da Annael ***


8.
Cena da Annael
 
 
 
 
 
 
Due giorni dopo, Saruman si trovava a Minas Ithil. Questa era la più orientale delle città gondoriane, a ridosso delle montagne dietro alle quali si estendeva la terra di Mordor. Sauron era stato sconfitto, e il suo oscuro regno era disabitato, ma il clima a Minas Ithil era sempre vigile: benché paresse una città come tante, sulle mura e sulle alte torri non mancavano mai di soldati a guardia delle montagne. Ad ogni modo, era una città luminosa e brillante, e il momento migliore per ammirarla era alla luce della luna.
Saruman era in una Biblioteca, quando fu chiamato in strada da alcune guardie. Fuori dal palazzo, incontrò un corriere, che consegnava lettere e altri oggetti ai destinatari. Il corriere, un uomo in sella a un cavallo bruno, diede a Saruman una lettera. Lo stregone la aprì, e lesse:
 
Nobile Saruman il Saggio,
questa sera avrei intenzione di invitarti assieme a Gandalf il Grigio a casa mia per una cena fra amici, per così dire. Mi piacerebbe parlare con voi di molte cose, siccome immagino che abbiate molto da insegnarmi e da raccontarmi.
Se ti aggrada, vieni a casa mia in Piazza di Turambar all’ora di cena. Sarò molto lieta di ospitarti.
Buona giornata,
Annael Istanís
 
Normalmente, Saruman sarebbe stato al settimo cielo per l’invito a cena da parte della donna che amava. Ma appena il suo occhio scorse sulla prima riga, e vide che aveva invitato anche Gandalf, un odio profondo iniziò a ribollirgli nel petto.
Perché Annael aveva invitato anche Gandalf? Avrebbero potuto trascorrere una serata piacevole, solo loro due, parlando di argomenti interessantissimi. E invece, ecco che spuntava fuori anche Gandalf il Grigio, con i suoi modi da cascamorto e le sue ridicole battute! Dannazione!
Saruman fu tentato dal rifiutare. Perché doveva condividere una serata così piacevole con Gandalf? Ma poi pensò che sarebbe stato un comportamento stupido: Annael era così bella! Era un peccato perdere una simile occasione.
Alla fine, dopo mille indecisioni, Saruman decise che sarebbe andato alla cena, ma che avrebbe confutato ogni cosa che avrebbe detto Gandalf, così da far capire ad Annael che la compagnia di Saruman il Bianco era di gran lunga preferibile a quella di Gandalf il Grigio!
Quella sera, alle otto circa, Saruman il Bianco si trovava davanti alla casa della bella Annael. Era partito da Minas Ithil alle sei del pomeriggio, e aveva percorso tutta la strada verso Osgiliath pensando ad Annael. Ma ecco che il volto di Gandalf continuava a venirgli in mente all’improvviso, turbando quelle placide immagini.
Saruman bussò alla porta di casa col bastone. Dopo poco tempo aprì Annael.
“Saruman, che piacere vederti!” esclamò la donna. “Prego, accomodati in sala!”
“Grazie, Annael,” disse Saruman consegnandole il bastone, “sempre molto lieto di vederti!”
Saruman entrò in casa e percorse il corridoio d’ingresso. Lo stregone entrò nella prima porta a destra, che dava sul salone della casa. Era una stanza elegante e deliziosa, con molti vasi di fiori e molti busti di personaggi della Storia di Arda, come Fëanor, Fingolfin, Beren e Lúthien, Turgon, Idril, Túrin Turambar, Eärendil, Gil-galad e molti altri. Nel salone c’erano anche molti mobili riccamente decorati, e in un angolo c’era l’arpa di Annael, che era un’eccellente suonatrice.
Ma su una delle comode sedie del salone, Saruman vide Gandalf. Il Grigio era seduto, e accanto a lui una sedia messa di sbieco indicava che Annael gli era seduta accanto fino a poco prima.
“Prego, Saruman, siediti,” disse Annael porgendo a Saruman una sedia, vicino a Gandalf.
“Buonasera, Saruman,” disse Gandalf sorridendo, “piacere di rincontrarti.”
“Buonasera, Gandalf,” disse Saruman inespressivo.
Annael si sedette accanto a Gandalf, mentre questi guardava in giro.
“Hai un salone meraviglioso,” disse Gandalf, “i miei complimenti, mia signora. Non riesco tuttavia a identificare quel busto… mi pare rappresenti Fingolfin, ma non ne sono sicuro…”
“In verità,” disse acido Saruman, “rappresenta Fëanor, suo fratello. Lo si capisce perfettamente dal fatto che porta in una mano una pietra, che evidentemente rappresenta uno dei tre mitici Silmaril.”
“Oh, che sciocco, hai ragione!” esclamò Gandalf.
“Non ti devi preoccupare, Gandalf,” disse in tono amorevole Annael. “Quei busti sono stati creati da un mio antenato, e non sono eseguiti con grande perizia. In fondo, Fëanor e Fingolfin si assomigliavano così tanto!”
“In verità, mia signora,” disse Saruman in tono benevolo e carezzevole, “devo dire che Fëanor aveva tratti facciali più spigolosi del fratello Fingolfin. Lo so perché lo incontrai ben due volte, nella lontana Prima Era, quando ero un Maia su Aman.”
“Affascinante!” esclamò Gandalf; “Purtroppo io non ebbi mai questo privilegio, nei Giardini di Irmo.”
“Immagino che i racconti bastino, Gandalf!” esclamò Annael come per rassicurarlo.
Per un istante, tutto tacque.
“Perché non ci esegui qualche brano, mia signora?” chiese Gandalf.
“Certo!” esclamò Saruman. “Sei un’eccellente arpista, Annael!”
“Grazie, signori, non dovete!” Annael si alzò e si sedette su uno sgabello affianco all’arpa. Poi, accomodandosi, disse:
“Eseguirò una Fantasia composta da Finrod figlio di Finarfin nell’anno 356 della Prima Era.”
Annael iniziò a suonare. Era una musica molto romantica, d’una bellezza quasi sublime. Annael era molto partecipe, e suonava con estremo sentimento, quasi commuovendosi. Gandalf era visibilmente contento, mentre Saruman era sul punto di piangere.
Per un attimo, l’Istar Bianco ebbe l’impressione che Annael stesse suonando quel brano per lui. Quelle note così romantiche e così dolci gli toccavano il vecchio cuore, e sentiva di amare alla follia quella donna così bella, così intelligente, così… unica!
Il pezzo non durò molto, ma quei pochi minuti furono davvero meravigliosi. Quando Annael concluse di suonare, Saruman applaudì con forza, fra lo stupore di Gandalf, che pure si complimentava.
“Brava!” gridava Saruman, trattenendo a stento le lacrime.
“Grazie, amici miei,” disse Annael. Saruman notò che la donna non guardò Gandalf per un po’ dopo aver suonato, tenendo lo sguardo fisso a terra.
“Bene,” disse poi la donna dopo un po’, “vogliate accomodarvi in sala da pranzo.”
Saruman e Gandalf entrarono nella sala da pranzo, e si sedettero attorno al tavolo rotondo, mentre Annael andava in cucina a prendere le pietanze. Saruman e Gandalf non parlarono: anche se il Grigio pareva ben disposto al dialogo, il Bianco cercava di scansare ogni dialogo con l’altro.
Dopo qualche minuto, Annael arrivò con un piatto di stuzzichini e antipasti. La donna posò il piatto in mezzo al tavolo, assieme a una bottiglia di vino elfico e a una cesta di pane, poi si sedette fra i due Istari.
“Oh, vino elfico del 1298!” esclamò Gandalf versandosene un bicchiere e versandone un po’ ad Annael. “Fra l’altro, un’ottima annata!”
“Via, Gandalf!” esclamò Saruman, “Non esagerare col vino!”
“Lascialo bere un goccio, Saruman!” esclamò ridendo Annael.
I tre iniziarono a servirsi e a mangiare, parlando e discutendo al lume di qualche candela accesa nella stanza.
“Dove sei stato nell’ultimo periodo?” chiese Annael rivolta a Gandalf.
“Mi sono recato nell’Eriador,” disse Gandalf. “In questa regione da poche decine di anni si sono stanziati degli individui davvero buffi!”
“Fai riferimento agli Hobbit?” chiese serio Saruman.
“Precisamente!”
“Chi sono costoro?” chiese Annael.
“Oh,” disse Gandalf, “li chiamano anche Mezzuomini. Sono come degli Uomini, ma molto più bassi, e con i piedi ricoperti di pelo. Sono degli individui molto socievoli e simpatici, e inizio già a fare amicizia con loro.”
“Che cosa ammirevole!” esclamò Annael. “E da quando sono arrivati nella Terra di Mezzo?”
“Da pochi secoli,” disse Gandalf, “anche se non riesco ancora a capire con esattezza le loro origini.”
“Perché sprechi tempo dietro a simili popolazioni, Gandalf?” chiese Saruman ridendo. “Saresti capace di studiare persino delle talpe mentre la Terra di Mezzo va a rotoli!”
“Non essere intollerante!” disse Annael.
“Era una battuta, la sua!” osservò Gandalf con aria sardonica. “Saruman è sempre molto simpatico!” Annael iniziò a ridere insieme a Gandalf, mentre Saruman mangiava in silenzio.
Dopo un po’, Annael si alzò e andò in cucina. Poi, tornò con un piatto di arrosto di montone con verdure. Gli invitati si servirono, mentre Annael si riaccomodava.
“Ad ogni modo,” disse Saruman, “io preferisco stare a Gondor. La situazione in questo Regno non è delle migliori, e personalmente ritengo sia meglio vigilare.”
“Fai bene, Saruman,” disse Gandalf seriamente.
“Speriamo che la vicenda si risolva per il meglio…” osservò Annael.
I tre iniziarono a gustare il piatto preparato da Annael, quando Gandalf esclamò:
“Mia signora, questo è un piatto degno del palato di Manwë, Signore dei Valar! Credo di non aver mai mangiato nulla di così buono!”
“Oh, grazie, Gandalf!” esclamò Annael arrossendo, “sei sempre così gentile!”
“Beh,” proruppe Saruman, stanco dei commenti di Gandalf, “vuol dire che non hai assaggiato i banchetti di Galadriel a Lothlórien! Quelli sono più che superbi!”
Annael guardò storto Saruman.
“Non che questo piatto non sia buono!” Saruman divorò subito un boccone. “È sublime!”
 Il resto della cena trascorse in un clima di imbarazzo. Saruman non parlò praticamente più, limitandosi a osservare di sottecchi Gandalf con odio. Gandalf parlò ancora un po’ con Annael, la quale rideva sempre a ogni battuta dell’Istar Grigio. Ma poi, quando si arrivò al dolce, tutti finirono di mangiare in silenzio.
Dopo la cena, la conversazione riprese un poco, e si parlò un po’ della situazione di Gondor. Saruman apprese da Gandalf (cosa che lo fece imbestialire: quando mai Saruman aveva appreso qualcosa da lui?) che Valacar era sempre più stanco, e che alla Casa delle Stelle si iniziava già a parlare di eredità, che sarebbe andata al controverso figlio Eldacar, di cui molto abbiamo parlato.
Verso le undici di sera, Saruman decise di andarsene: vedere Gandalf vicino alla bella Annael gli risultava ormai insopportabile.
Così, dopo aver salutato calorosamente Annael e controvoglia Gandalf, Saruman uscì dalla casa della donna. Lo stregone decise di andare alla Casa delle Stelle, dove Valacar riservava sempre una stanza per lui: avrebbe dormito lì, la notte.
Saruman attraversò l’Iant Rómendacil ed entrò nella Casa delle Stelle. Valacar dormiva, ma Saruman conosceva la strada verso la propria stanza anche senza bisogno di una guida, e vi entrò. Era una stanzetta modesta ma con un letto comodo, un comò e una finestra sull’Anduin.
Saruman appoggiò il bastone alla parete, chiuse le tende e si gettò sul letto. Non riusciva a dormire, né a riposare: poteva solo pensare ad Annael.
“Come è possibile?” si chiedeva. “Sei un Maia, uno spirito di Ilúvatar! Sei stato mandato sulla Terra di Mezzo per contrastare il Male! Sei di stirpe divina, uno dei più potenti maghi sulla faccia di Arda e… t’innamori? Come puoi, Saruman, innamorarti? Tu, che sei a capo dell’Ordine degli Istari e dei Saggi, tu, che sei il mago più potente della Terra di Mezzo, tu, che sei da tutti ritenuto il più sapiente! Ah, come posso amare una donna, una mortale?
“E poi c’è Gandalf… lui sì che è un idiota. Spreca tempo dietro a stupidi Mezzuomini e… sì, lui ti vuole rubare Annael! Ah, Annael, sei troppo bella, troppo sublime perché io non possa amarti! Sono impazzito! Sì, sì, sto impazzendo, è vero! Annael è la mia unica ragione di vita! Annael… il suo nome è più bello della Fantasia di Finrod!
“Gandalf, maledetto! Ti odio!! No, tu non avrai mai il mio bene, la mia ragione di vita! Annael ama me, sì, ne sono certo! E io amo lei! Oh, dovrei decidermi a confessarmi… chissà, magari lei aspetta solo che io mi faccia avanti, e io sono qui a piangermi nella barba! Ma c’è quel bastardo di Gandalf, lui mi impedisce tutti i piani! Manwë non doveva farlo venire!
“E se… oh, mio Ilúvatar! E se Annael amasse Gandalf? Magari la Fantasia per arpa era dedicata a lui, magari è lui il suo amato! Oh, se fosse così morirei! No… no, non è così! Annael è troppo intelligente per amare quel barbone idiota! Io sono la persona giusta per lei: sono intelligente, sono saggio, e lei è come me, solo molto più bella!
“Oh, Annael! Mi chiedo come Ilúvatar abbia potuto crearti, senza ingelosirsi della sua creazione! Ah, la tua bellezza supera quella di tutti gli Elfi, di tutte le creature di Arda! E poi, la tua intelligenza, il tuo cuore, sono due cose immense, meravigliosamente infinite! Ah, vorrei che tu fossi qui, vorrei poterti stringere e baciare… Annael, mia dolce… bella…”
E Saruman il Bianco, stremato, si addormentò.

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Capitolo 9
*** Le bizzarrie dell'amore ***


9.
Le bizzarrie dell’amore
 
 
 
 
 
 
Il 4 settembre 1432, Saruman si recò alla Casa delle Stelle per far visita al vecchio re. Quella notte aveva dormito a Isengard, quindi partì di buon mattino per raggiungere Osgiliath.
Lo stregone si era ripromesso di non pensare più a Gandalf. Così, da qualche giorno, il nostro Istar pensava solo più ad Annael, alla sua bellezza, alla sua intelligenza, e sentiva di amarla ogni giorno di più, fino all’infinito. Nessun’ombra di gelosia poteva turbare la purezza di quell’amore.
Saruman era convinto di andare a visitare un Valacar vecchio, sì, un po’ rallentato, certo; ma non avrebbe mai pensato di trovare Valacar nelle condizioni in cui lo vide quel giorno.
Saruman il Bianco salì fino alla camera del re, e qui vide due guardie affianco alla porta chiusa.
“Saruman, piacere di vederti!” disse una delle due guardie.
“Piacere mio,” disse Saruman perplesso; “posso entrare?”
“Re Valacar è molto malato,” disse l’altro, “ma credo che una visita da parte di Saruman il Bianco non gli dispiacerebbe.”
Le due guardie si spostarono di lato e aprirono la porta. Saruman entrò.
La stanza era sempre identica, e sul letto a baldacchino coperto da lenzuola azzurre c’era il vecchio Valacar. Il re aveva ormai barba e capelli bianchi, ed era sdraiato sul letto a occhi chiusi, costretto a letto, con gravi difficoltà di movimento. Re Valacar stava per capitolare.
Saruman aveva paura di disturbare, ma ad un tratto la voce anziana di Valacar si levò, dicendo:
“Saruman, avvicinati.”
Saruman si avvicinò al letto, e Valacar aprì gli occhi, sorridendo.
“Mio re, vi sentite male?”
“No,” disse Valacar. “No. È la vecchiaia, amico mio. So che anche tu sai cosa si prova a essere vecchi. Ma non sai cosa si prova a morire. Io inizio a scoprirlo, e devo dire che la morte, quanto la vita, è piena di sorprese. Ho passato molti anni della mia vecchiaia a interrogarmi su cosa si prova morendo… chissà… tu credi che sia un male, morire?”
“Con tutto il sapere che esiste al mondo, con tutta la cultura che si può aspirare a possedere…” mormorò Saruman; “non credo che mi piacerebbe morire. Inoltre, il mio compito continua, e devo restare su questa Terra per adempiere al volere dei Valar.”
“Capisco,” disse Valacar. Il re girò la testa dall’altro lato, verso la finestra aperta. “Eppure per un Uomo come me non può essere che un dono.”
Il re rimase a osservare la tiepida luce del sole di fine estate che entrava dalla finestra, mentre Saruman, appoggiato al bastone, scrutava di sottecchi gli occhi di Valacar, cercando invano di carpire il segreto dell’immensità che cercavano di conquistare.
“Ad ogni modo,” disse Valacar rigirandosi verso Saruman, “ho un compito per te, mio buon amico… ah, pazzesco da quanto ci conosciamo! Ti ricordi, quand’ero un giovane scapestrato? Non ti piacevo all’epoca, vero? Avevi ragione! Comunque, il compito che ho da affidarti è questo: chiama qui Araphor, il mio segretario.”
“In cosa vi sarà utile?”
“Nel redigere il mio testamento,” disse Valacar sorridendo. “Ormai è tempo che il mio regno sia affidato a chi di competenza.”
“Cosa posso fare d’altro?” chiese Saruman.
“Di’ a tutti che sto scrivendo le mie ultime volontà,” disse Valacar. “Poi, quando Araphor verrà da te con la lettera, leggila davanti alla corte. Voglio che Gondor sappia chi dovrà governare.”
“Sarà fatto, maestà,” disse Saruman. Lo stregone uscì e si diresse verso la sala del trono.  Qui, Araphor parlava con Castamir, il cugino di Eldacar. Castamir pareva particolarmente irato, e parlava con veemenza al segretario. Saruman chiamò Araphor, dicendo:
“Il re Valacar ti attende nelle sue stanze per una questione particolarmente importante.”
“Vado subito!” disse Araphor, un ometto piuttosto gracile e scarno.
“Araphor!” lo trattenne Castamir osservandolo con gli occhi bui; “Ricordati della mia raccomandazione!”
Araphor annuì impercettibilmente, poi corse verso le stanze del re. Intanto, Castamir si rintanò in un angolo della sala, dietro una colonna, con le braccia conserte e gli occhi persi nel vuoto.
Saruman salì la corta scalinata che conduceva al trono vuoto, e da lì disse a gran voce:
“Posso avere la vostra attenzione? Principi, cortigiani e dignitari, ho un messaggio da consegnare!”
“Parla, Saruman!” esclamò Eldacar, che era in sala e parlava con alcuni cavalieri.
“Ebbene,” disse Saruman, “re Valacar ha chiamato il suo segretario per redigere il suo testamento.” Un brivido percorse l’uditorio, e dall’ombra dietro la colonna in fondo alla sala emerse Castamir. “Fra breve riceverò l’ordine di leggere il testamento ad alta voce, e sapremo chi sarà l’erede di Valacar.”
Saruman scese dagli scalini, e si diresse verso Eldacar. Il principe disse a Saruman:
“Tu credi che mio padre mi nominerà ufficialmente suo successore?”
“Immagino di sì,” disse Saruman, “del resto è questa la tradizione di Gondor; e se sarà così, Eldacar, ti dico subito che sarò per te un consigliere fidato e un amico.”
Eldacar pose una mano sulla spalla di Saruman, dicendogli:
“Grazie, saggio Saruman.”
L’Istar si diresse in un angolo appartato della sala. Voleva controllare da vicino Castamir: il comportamento del Capitano della Flotta era davvero strano. Tuttavia, Saruman non lo vide: pareva sparito. Allora, lo stregone si sedette su una panca che era sul lato destro del grande salone, e rifletté.
All’inizio pensò al testamento di Valacar, e a come sarebbe stato Eldacar una volta re. Di certo sarebbe diventato lui sovrano di Gondor: il padre lo amava, e il giovane principe era molto capace e molto forte.
Ma poi, le riflessioni di Saruman caddero di nuovo su Annael. Non la vedeva dal giorno della cena, e si ripromise di andare a trovarla subito dopo aver letto il testamento di Valacar. Ah, chissà come sarebbe stata contenta di rivederlo!
Dopo un po’, da una porta laterale entrò Araphor. Il segretario aveva una faccia preoccupatissima e, restando nell’ombra, disse a Saruman:
“Tieni, Saruman. Leggila da… davanti a tutti. Io re… io resto qui.”
Saruman prese in mano il rotolo di pergamena che Araphor gli porgeva, poi si alzò e tornò a salire gli scalini verso il trono. Man mano che i presenti vedevano l’Istar salire le scale, tutti tacevano. Quando ci fu silenzio, Saruman tolse il sigillo raffigurante l’emblema di Gondor. Lo stregone srotolò lentamente la pergamena, si schiarì la voce, e lesse:
Io, Re Valacar figlio di Minalcar Rómendacil II, re di Gondor e Signore degli Uomini del Sud, con il presente testamento nomino il mio successore e il futuro possessore dei miei beni. Dichiaro, dunque, che il Regno di Gondor spetterà a mio figlio Vinitharya Eldacar: egli sarà il re di Gondor mio successore. Tutte le mie ricchezze andranno a lui e alla sua famiglia. In ultimo, dichiaro che il comando della Flotta Reale Gondoriana andrà a Castamir, mio nipote. Valacar di Gondor vi rende omaggio, in attesa della propria fine.
All’istante, la maggior parte dei presenti andò verso Eldacar per congratularsi col futuro re, visibilmente contento. Saruman cercò con lo sguardo Castamir, e lo vide che usciva correndo dalla sala, assieme ad alcuni ammiragli e capitani.
Saruman scese le scale e andò da Eldacar, congratulandosi col futuro re. Ma furono felicitazioni affrettate: lo stregone intendeva anzitutto trovare Castamir.
Saruman uscì dalla sala e girò un po’ per il palazzo, ma non vide né Castamir né i suoi collaboratori. Chissà cosa stava macchinando quella mente: gli occhi di Castamir erano così impenetrabili e la sua mente tanto complessa da impedire persino a un Saggio quale Saruman di leggerla e scoprirne i segreti.
L’Istar, allora, decise di andare a trovare Annael. Saruman uscì dalla Casa delle Stelle, e percorse l’ormai nota strada verso Piazza di Turambar. Arrivato, lo stregone bussò alla porta. Nessuno rispose.
Saruman pensò che Annael fosse nell’orto sul retro. L’Istar costeggiò la casa e arrivò davanti allo steccato che circondava il giardino: Annael non era lì. Saruman pensò che Annael sarebbe potuta essere al mercato, ma quello non era un giorno di mercato.
Dov’era Annael? A quell’ora del mattino la donna non era solita fare passeggiate. Istanís, infatti, preferiva passeggiare all’alba o al tramonto, quando “il giorno e la notte si fondono nel sublime”, come era solita dire.
Saruman iniziava a preoccuparsi. Lo stregone decise di cercare la donna per tutta Osgiliath, per tutta Gondor, per tutta la Terra di Mezzo, se fosse stato necessario. Saruman si incamminò verso sud, in direzione della Piazza del Mercato: forse Annael si era recata in una delle bancarelle fisse della Piazza per acquistare qualcosa. Lo stregone si aggirò per alcuni minuti per la Piazza, cercando Annael, ma non la trovò.
Saruman, allora, si incamminò verso ovest, diretto alla Piazza di Narmacil. Essa era una delle piazze più grandi e frequentate di Osgiliath, e forse Annael era lì per qualche ragione particolare. Saruman girò per circa mezz’ora per la grande piazza porticata, senza trovare Annael.
Saruman allora tornò verso est, per cercare Annael dall’altro lato della città. Attraversò l’Iant Rómendacil, costeggiando la Casa delle Stelle, e gli venne in mente Tol Gilthoniel, l’isolotto alberato molto gettonato come luogo di riposo dagli abitanti di Osgiliath. Annael poteva essere lì.
Saruman giunse al limitare dell’isola, costellata di querce e in riva al fiume. Era in un angolo piuttosto tranquillo, libero dal traffico navale che di solito si faceva intenso in corrispondenza dei ponti, e libero dal trambusto del centro di Osgiliath.
Saruman correva come un disperato da un albero all’altro in cerca di Annael, ma non la trovava. Tutt’a un tratto, vide una donna vestita di blu e con i capelli neri liberi al vento in riva all’Anduin. La donna era a piedi scalzi, e con un ramoscello stava disegnando sulla sabbia bagnata.
Saruman corse verso Annael. Com’era bella, vestita esattamente come il giorno in cui l’aveva vista per la prima volta sull’Iant Rómendacil!
“Annael!” esclamò Saruman inginocchiandosi affianco alla donna, “Finalmente ti ho trovata! Come mai sei qui?”
“Ne avevo voglia,” disse Annael degnando a mala pena di uno sguardo Saruman.
“Annael, ho grandi notizie da riferirti!” disse Saruman. “Vengo adesso dalla Casa delle Stelle, e Valacar ha appena scritto il proprio testamento.”
“Ah, sì?” fece Annael guardando Saruman. “Cosa ha scritto?”
“Ha nominato suo erede Eldacar, e Castamir resterà Capitano della Flotta,” disse Saruman.
“Prevedibile,” disse Annael continuando a scrivere sulla sabbia. “Valacar non ha mai apprezzato molto Castamir, preferendo il proprio figlio Eldacar. Tuttavia, questa decisione forse si porterà dietro una serie di eventi poco piacevoli…”
“È quello che credo anch’io…” disse Saruman.
Lo stregone osservò quello che Annael disegnava sulla sabbia. La donna continuava a disegnare una linea verticale, dalla cui cima partivano obliquamente due linee più piccole parallele fra di loro. In poche parole, la runa elfica per la lettera G.
Non appena Annael terminava di disegnare la runa, l’acqua del fiume arrivava e la cancellava. Ma Annael continuava a disegnarla, imperterrita, come un animale in gabbia che continua a percorrere la stessa strada, pur sapendo che non lo porterà in alcun luogo.
“Annael,” disse Saruman, “mi ascolti?”
“Sì,” disse la donna. Ma il suo sguardo era basso, e osservava la runa che continuava a disegnare.
Saruman iniziava a stancarsi. Perché Annael aveva quel comportamento? Di solito avrebbe accolto con curiosità la sua notizia esclusiva! E perché continuava a disegnare sulla sabbia la G?
“Bene,” disse Saruman, “ora… devo andare.”
“Va bene, a presto,” disse con aria distratta la donna.
Saruman se ne andò, e uscì da Tol Gilthoniel, diretto verso la Casa delle Stelle. Perché Annael si comportava in quel modo? Era dal giorno della cena con Gandalf che Saruman aveva notato un decisivo cambio di comportamento della donna. Da quel giorno, Annael sembrava più insofferente e più schiva.
Soprattutto, Annael badava sempre meno a Saruman. Insomma, pochi giorni prima avrebbe ascoltato con grande piacere le notizie di Saruman, e adesso non lo considerava neppure.
Ma soprattutto, perché Annael continuava a disegnare quella runa sulla sabbia? Saruman rifletté: quella runa era molto usata da una persona, ma non ricordava quale. Pensò che fosse un simbolo di Galadriel, ma la Signora di Lothlórien non usava quella runa per identificarsi. Saruman pensò che fosse il simbolo usato da Glorfindel, uno degli Elfi di Gran Burrone: ma non era lui a usarla.
E improvvisamente, la risposta gli balenò in mente: Gandalf!
Era proprio il Grigio che usava spesso quella lettera per firmarsi o per segnalare il suo passaggio in qualche luogo! Ma perché Annael disegnava quel simbolo?
E se… e se Annael fosse innamorata di Gandalf? In effetti durante la cena Annael aveva parlato solo a Gandalf, dandogli sempre ragione e cercando in ogni modo di attirare la sua attenzione. E poi… quegli sguardi intensi che gli aveva scambiato, quelle parole, quei complimenti…
Annael era innamorata di Gandalf! Questo pensiero martellante assillava lo stregone. L’Istar scacciava prontamente questo pensiero: “Annael è troppo intelligente per amare un idiota di tal fatta!” Ma questo pensiero tornava, tornava e tornava. E Saruman sapeva benissimo che non poteva liberarsene, per quanto lo tentasse inutilmente.
 
 
 
 
 
SPAZIO AUTORE
Non mi dilungherò molto. Voglio solo precisare che il personaggio di Araphor, segretario di Valacar, è da me inventato, e il nome è preso da un sovrano di Arnor. Sarà nel corso della storia un personaggio marginale, per non dire terziario, anche se la sua morte (non me ne vogliate per questa anticipazione) sarà importante fra poco.
 
 

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