Due tessere dello stesso puzzle

di Sakura Hikari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incanto ***
Capitolo 2: *** Primo bacio ***



Capitolo 1
*** Incanto ***


Incanto


Prompt di Scaroy Black: Makoharu, Makoto è finalmente riuscito a convincere Haru a fargli provare il suo stile.


Haruka si sentiva leggermente a disagio, per la prima volta avrebbe provato uno stile diverso dal solito e confortante stilo libero, dietro insistenza di Makoto. Nuotare sul dorso gli appariva estraneo, innaturale, rispetto a quando nuotava in stile libero ed era completamente padrone della sensazione, aveva una perfetta visuale della piscina e sapeva dove stava andando, sapeva come incanalare forza e velocità nelle bracciate.
Adesso, invece, gli sembrava di star imparando a nuotare di nuovo, con Makoto accanto a controllare ogni suo movimento. “Stai tranquillo, io sarò qui accanto a te tutto il tempo.”, aveva assicurato.
Dopo i primi, goffi tentativi, però, Haruka dovette ammettere che non era così male. Grazie alla pazienza e alla tranquillità di Makoto, e alla sicurezza che riusciva ad infondergli, Haruka imparava a conoscere nuovamente l’acqua, la sua vecchia amica, questa volta sotto una prospettiva diversa. I suoi movimenti si fecero più fluidi e coordinati, non urtava più contro lo sparti-corsie, e Makoto lo lasciava libero per tratti più lunghi. Ancora però non si fidava ad aprire gli occhi: trovava che fosse più semplice concentrarsi ed ignorare gli spruzzi d’acqua.
Terminata l’ennesima vasca, Makoto sorrideva raggiante. “Che ne dici se questa volta nuotiamo insieme?”, propose.
Haruka annuì. Partirono. Haru si aspettava di venir superato in un battito d’occhio, dato che quello era lo stile di Makoto: invece, voltando appena la testa, vide che l’amico aveva rallentato volutamente così da restare al suo fianco. Nuotava con estrema calma, come se avesse tutto il tempo del mondo, muovendo un braccio dopo l’altro e con un’espressione serena nel viso, assaporando appieno quegli istanti. Haruka era abituato a sentirsi ripetere quanto fosse bravo in acqua dopo una gara o una dimostrazione da bambini ed adulti dagli sguardi ammirati e raggianti, ma evidentemente nessuna di quelle persone si era mai soffermata abbastanza da ammirare i movimenti di Makoto: la sua grazia, la sua forza, il modo in cui si muoveva nell’acqua come se ne fosse padrone.
Adesso l’amico stava guardando il cielo, ed Haru, dimenticando i suoi propositi, cedette alla tentazione di guardare in alto. Il cielo era limpido, solcato da due piccole nuvole passeggere e qualche gabbiano. Non udiva un suono, tranne il rumore ovattato dell’acqua. Gli tornò in mente una conversazione, quando Makoto gli aveva raccontato la sua prima esperienza in piscina: ricordò che gli aveva raccontato di come gli fosse sembrato di volare ad un certo punto, benché si trovasse in piscina e stesse nuotando. Haru non aveva mai capito cosa avesse voluto dire, fino ad oggi. La linea di demarcazione tra le due era diventata così sottile che ad Haru sembrava di star galleggiando lì in alto, coi gabbiani, mentre sentiva al tempo stesso la carezza dell’acqua.
Il sogno venne interrotto da un improvviso dolore alla testa. Haru si riscosse, si mise in posizione verticale e vide che avevano finito la vasca, e Makoto lo osservava preoccupato.
“Stai bene, Haru?”, chiese. “Avevo provato ad avvisarti, ma non mi hai sentito…”
“È stato bellissimo.”, disse Haruka. All’occhiata sbalordita che gli rivolse l’amico, rispose: “Ho capito quello che intendevi, quando parlavi di volare e nuotare al tempo stesso. L’ho provato anch’io.”
“Beh, questa sì che è un’ottima notizia”, sorrise Makoto, quel sorriso caldo, gentile e così tipico di lui.



 

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Capitolo 2
*** Primo bacio ***


Primo bacio 






Prompt di Luciana: Free!, Makoharu: Di solito lui tirava Haruka fuori dalla sua vasca. Quel giorno, però, fu il moro a trascinarlo dentro con sé.
Parole: 736
 





Il loro primo bacio non fu qualcosa di programmato o romantico, scambiato sotto un cielo stellato o durante uno dei tanti festival estivi durante i fuochi d’artificio. Fu una cosa istintiva, improvvisa, ma non per questo meno sentito.
Era accaduto una mattina di primavera, poco dopo l’inizio del nuovo anno scolastico, ed Haruka stava sognando. Sognò di trovarsi sott’acqua: i raggi del sole che filtravano attraverso la superficie illuminavano il fondale marino e non un suono turbava la quiete. Haruka batté le gambe un paio di volte, quasi pigramente, nulla a che vedere con la forza e l’agilità che sfoggiava nelle gare. Ma quella non era una competizione o un allenamento: adesso c’erano solo lui e l’oceano, e non c’era posto per pensieri, doveri ed obblighi. Haruka smise di muovere braccia e gambe e lasciò il suo corpo galleggiare in quell’immobilità liquida, sentendosi avvolgere da una sensazione di totale pace e leggerezza. Nelle sue orecchie sentiva il mare cantare la sua canzone, una canzone antica e senza parole, e Haruka si concentrò totalmente su di essa, lasciandosi cullare.
Là sotto non sentiva il bisogno di altro, della compagnia di altre persone, di preoccuparsi per i suoi studi, dell’andamento degli allenamenti e delle decisioni per il suo futuro. Non sentiva neanche il bisogno di risalire in superficie e respirare.
Quella per lui era la perfezione. Eppure, per la prima volta sentì che c’era qualcosa di sbagliato: mancava qualcosa.
Ad un tratto sentì la voce pronunciare forte il suo nome.
“Haruka?”
Haruka aprì gli occhi. Non era stato l’oceano a parlargli, bensì Makoto, e non si trovava sott’acqua, ma nella vasca del suo bagno. Il volto di Makoto gli appariva in alto rispetto a dove giaceva e l’amico lo guardava leggermente preoccupato. “Hai impiegato più del solito a rispondermi. Sei sicuro di stare bene?”
Haruka fece un lieve cenno di assenso. “Stavo sognando di galleggiare sul fondale marino”, disse.
Chiunque altro avrebbe scosso la testa oppure gli avrebbe rivolto un sorriso di cortesia. Non Makoto: il sorriso che si fece strada sulle sue labbra era sincero e conteneva quella comprensione e complicità che era andata a solidificarsi tra di loro in tutti quegli anni. “Avanti, tirati su oppure faremo tardi come al solito”, lo incitò, porgendogli una mano.
A quel punto accaddero due cose strane, in rapida successione. Per cominciare Haruka guardò Makoto, come se lo vedesse davvero per la prima volta. Era sempre il solito Makoto, e quella era una scena che si era ripetute innumerevoli volte giorno dopo giorno (la mattina a casa sua, il pomeriggio in piscina), eppure Haruka si ritrovò ad osservare con più attenzione i suoi lineamenti, il suo sorriso dolce, lo sguardo affettuoso. Quella semplice posizione di lui con il braccio rivolto verso Haruka rappresentava per il moro una delle immagini più care e familiari. Di più, qualcosa di così abitudinario da essere irrinunciabile, come lo sgombro a colazione e la sensazione dell’acqua sulla pelle.
E Makoto era davvero bellissimo.
La seconda fu quasi un’incidente: di solito, a quel punto, lui tirava fuori Haruka dalla sua vasca. Invece, quel giorno il moro lo trascinò dentro con sé – non che Haruka avesse preso quella decisione consciamente: invece di lasciarsi issare su, istintivamente aveva fatto leva verso il basso, e un secondo dopo Makoto si trovava con il busto contro di lui, la gamba sinistra incastrata tra la vasca e la gamba destra di Haruka ed un gemito di sorpresa sfuggitogli dalle labbra.
Makoto si sollevò un poco da quella scomoda posizione, sostenendosi con le braccia e con la gamba rimasta all’asciutto, ed i loro sguardi s’incontrarono. I loro volti erano vicinissimi, tant’è che Haruka poteva contare le gocce d’acqua impigliatesi tra le sue ciglia.
“Haruka, ti senti bene?”, domandò lui.
Per tutta risposta Haruka fece incontrare le loro labbra: fu un bacio umido, forse un po’ impacciato all’inizio, ma una volta riavutosi dallo shock Makoto ricambiò, stringendo delicatamente il labbro inferiore di Haruka tra le sue.
Il bacio durò un istante o forse un’ora, Haruka non avrebbe saputo dirlo. Quando si staccarono Makoto aveva appoggiato una mano sulla guancia del moro, e teneva gli occhi chiusi.
“Mi trovavo sott’acqua”, cominciò Haruka, altrettanto all’improvviso come le sue labbra si erano posate su quelle di Makoto. “Era una sensazione bellissima, mi sentivo in pace… ma allo stesso tempo c’era qualcosa di sbagliato. Mancava qualcosa”. Tacque ed incrociò lo sguardo con quello di Makoto. “Mancavi tu”.




 

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