Un Mondo in Rivolta

di SenzaPH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Clandestini - parte 1 ***
Capitolo 2: *** Clandestini - parte 2 ***
Capitolo 3: *** Complotti Europei ***
Capitolo 4: *** Fuga da Roma ***
Capitolo 5: *** Manuel ***
Capitolo 6: *** Elia ***
Capitolo 7: *** Sara ***
Capitolo 8: *** Entrare nel Sistema ***



Capitolo 1
*** Clandestini - parte 1 ***


CLANDESTINI - parte 1


 
Lentamente iniziai ad aprire gli occhi vedendo solo immagini offuscate.
La stanza era bianca e pian piano iniziavo a distinguere i contorni degli oggetti che mi circondavano e delle persone.
 
Ruotai lentamente la testa sul morbido cuscino, mi sentivo la gola secca e un dolore lancinante alla spalla iniziava a farsi sentire incessantemente.
 
<< Ti sei svegliata... >> sentii una voce e, girandomi verso la sua direzione, vidi una radazza dai corti capelli mossi, un viso rassicurante e dei profondi occhi castani << Mi chiamo Daisy >> disse << Adesso ti trovi al sicuro, allo S.H.I.E.L.D >>.
 
Tutto avviene a New York, o nei paraggi, è strano ma quando succede qualcosa di catastrofico o rivoluzionario gli occhi del mondo sono sempre puntati verso il grande colosso. Ricordo perfettamente tutte le edizioni speciali che passavano i telegiornali quando vi fu il famoso attacco a New York.
 
Ho sempre creduto agli alieni ma non pensavo fossero come quelli, ho sempre creduto che non fossimo soli nell'universo ma, insomma... Non mi aspettavo certo un "biondone dio del tuono". Durante quella battaglia tutto il mondo seppe dell'esistenza degli alieni e cosa più importante: degli Avengers.
 
Il mondo sembrò finire quando la più malvagia organizzazione dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, fosse risorta dalle ceneri e avesse insediato il seme della paura all'interno dei più alti ranghi del governo americano: S.H.I.E.L.D compreso.
 
Eppure nessuno sembrava accorgersi di come quell'evento sconvolse i precari equilibri politici presenti in Europa, e cosa più importante in Italia.
La mia storia inizia da qui: l'Italia- Roma.
La mia Nazione ha sempre avuto un modo ambiguo di affrontare i problemi, non sapendo mai da che parte schierarsi e quasi sempre sbagliando alleato.
 
Siamo sempre stati soggetti al dominio di altri più potenti e organizzati stati: Francia, Austria, Germania...
Nessuno si è mai preoccupato del nostro stretto legame con la Germania e purtroppo, le conseguenze di tale imprudenza la risentono solo i cittadini.
 
Quando HYDRA annunciò la sua rinascita, non lo fece solo in America ma anche in Europa; in Italia iniziarono a sorgere nuove istituzioni di carattere nazionale con lo scopo di difendere dai nemici. Ma quali nemici?
Eravamo allo sbaraglio, ancora una volta incapaci di capire chi fossero i buoni e chi i cattivi, non riuscimmo neanche a imporci come stato neutrale, il governo non fu in grado di far fronte alla crisi e vennero varate nuove leggi per la Salute pubblica che minavano la libertà di tutti ma non impedivano ai membri dell'Hydra di controllare il nostro stato e manovrarci a loro piacimento.
 
E per l'ennesima volta, l'Italia scelse l'alleato sbagliato.
 

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Capitolo 2
*** Clandestini - parte 2 ***


CLANDESTINI - parte 2
 
Daisy- S.H.I.E.L.D erano le uniche cose che riuscii a capire nell'immediato.
Il mio inglese non era mai stato sviluppato ad altissimi livelli ma riuscivo a capire abbastanza bene ma purtroppo, non ero in grado di esprimermi altrettanto meglio.
 
Il vero anglofono nel gruppo era senz'altro Elia.
Tramite un programma di scambio culturale fatto ai tempi del liceo, aveva avuto l'opportunità di studiare per tre anni in Inghilterra, prendere il diploma e tornare in Italia. Quando feci la sua conoscenza all'università, più volte gli chiese perchè fosse tornato in Italia.
 
<< Il sole >> mi rispose << Ed il cibo! >> continuò. Da quel giorno diventammo inseparabili, io studiavo Scienze Politiche lui mediazione linguistica. Diventammo amici fin da subito e fu lui a presentarmi Manuel.
 
Manuel è molto diverso da noi, silenzioso e riflessivo, non parla se non ha nulla da dire e prima di esprimere la propria opinione si sforza di trovare le parole giuste per non offendere nessuno. Genio dei computer, studiava ingegneria informatica nel settore della programmazione.
 
Eravamo un gruppo molto affiatato e decisamente disomogeneo, io avevo appena vent'anni, Elia ventuno e Manuel era prossimo alla laurea con i suoi ventitrè anni.
Io ed Elia eravamo molto esuberanti, dinamici, simpatici con tutti ma i vostri caratteri si sviluppavano su due fronti differenti: la mia attitudine turbolenta e forte si caratterizzava per un'ossessione quasi morbosa per la sicurezza, l'obbiettivo della mia vita era tenere tutte le persone che amavo al sicuro e protette;
Elia no, accidenti se era guerrafondaio! Anche a lui interessava difendere le persone ma a forza di calci e pugni, aveva praticato per anni kung fu ed ogni occasione era buon per far capire che lui era forte e che nessuno doveva permettersi di ferire le persone che amava.
 
<< Come ti chiami? >> mi chiese osservandomi attentamente, << Sara >> risposi istintivamente concentrandomi per metterla meglio a fuoco, poi i miei pensieri andarono subito a loro << Elia? Manuel? >> chiesi allarmata.
Daisy mi sorrise in maniera rassicurante dicendomi che stavano bene anche se io non riuscii a trovarli perlustrando la stanza con lo sguardo.
 
La ragazza iniziò a farmi una sequela incredibili di domante che faticavo a capire, parlava così velocemente che le sue parole mi sembravano un incomprensibile agglomerato di fonemi << Non capisco, per favore vai piano... >> protestai, con un flebile filo di voce mentre la testa prendeva a martellarmi.
 
La ragazza si fermò, alzò un sopracciglio e mi chiese di ripetere: decisamente non parlava nemmeno una parola di italiano. Mi sollevai dal letto appoggiandomi al cuscino mentre offuscati ricordi iniziavano ad aleggiarmi per la mente, poi concentrandomi iniziai a parlare nella sua lingua << My name is Sara, Sara Rossellini and I'm from Italy. I need to talk to S.H.I.E.L.D because my frinds and I are in danger >>.

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Capitolo 3
*** Complotti Europei ***


Complotti Europei

 
 
Daisy fece un lungo sospiro osservando la ragazza, il suo istinto le diceva che allo S.H.I.E.L.D ci sarebbero stati nuovi ospiti e nuovi problemi.
Rassicurò la ragazza chiedendole di aspettare lì e riposarsi e, dopo essersi assicurata che avesse capito, uscì dalla stanza con passo veloce.
 
Senza esitazioni si diresse alla sala computer dove ad attenderla ci stava Mac e un crucciato Coulson << Abbiamo un problema >> disse << Problemi con quei ragazzi? >> le chiese stupefatto il direttore. Daisy fece una smorfia << No, non mi sono spiegata bene. Abbiamo un problema di comunicazione: sono italiani. Dice di chiamarsi Sara Rossellini, gli altri due sono Elia e Manuel. Italiani anche loro. Non so quanto possano essere attendibili le sue parole ma è spaventata e soprattutto chiede di parlare con lo S.H.I.E.L.D perchè sostiene di essere in pericolo >>.
 
Coulson osservò la ragazza << Tecnicamente lo S.H.I.E.L.D  non esiste e non so fino a che punto l'Italia possa essere informata sul nostro conto. Il vero problema non è questo, però. Il problema sta nel capire come diamine ha fatto un aereo militare francese ad alzarsi in volo da chissà dove, rintracciare il nostro, che ricordo essere invisibile, e fare richiesta di attraccare pochi secondi dopo che i nostri radar lo localizzassero! Non ho idea di quale sia il problema del nostro sistema di sicurezza ma voglio che lo aggiusti immediatamente, Daisy. Questa volta ci è andata bene, anche se non abbiamo l'assoluta certezza che siano innocui.
Per il resto, hanno chiesto di parlare con lo S.H.I.E.L.D... Bene, li faremo parlare con lo S.H.I.E.L.D >>.
 
Coulson si allontanò dalla sala computer dirigendosi verso il laboratorio.
Qualche ora dopo il trio di amici era di nuovo riunito attorno al letto di Sara.
Quello che gli era accaduto nel giro di pochi giorni aveva dell'irreale ma il foro da proiettile nella spalla della ragazza non lasciava spazio ai dubbi.
Nessuno di loro parlò, limitandosi ad osservarsi e cercare di calmare i nervi, non sapevano se si trovassero al sicuro ma di certo non vi erano stati alcuni tentativi di omicidio.
 
Quando la porta della stanza si aprì, Elia scattò in avanti come una molla guardando con occhi furiosi e determinati un uomo con un elegante vestito, un sorriso rassicurante ed un guanto nero ad una mano. Era seguito da un ragazzo leggermente più basso in camicia, capelli ricci di un castano chiaro e l'aria stanca. Tra le mani teneva tre auricolari ed un tablet.
 
Intimai ad Elia di calmarsi e tornare seduto ma, anche se ascoltò le mie parole, non riusciva a rilassarsi: comprensibile. 
Il ragazzo disse di chiamarsi Fitz, ci chiese di mettere gli auricolari spiegandoci che si trattavano di prototipi per la traduzione istantanea da una lingua all'altra. Elia non lo mise spiegando di parlare perfettamente inglese. Fitz programmò gli auricolari dal suo tablet e quando l'uomo in abito elegante iniziò a parlare, io e Manuel sentimmo risuonare nelle nostre orecchie parole italiane.
 
<< Il mio nome è Phil Coulson e sono il direttore dello S.H.I.E.L.D ma prima di sentire la vostra storia, vorrei fare qualche premessa. Quando lo S.H.I.E.L.D crollò, agli occhi del mondo questa organizzazione non esisteva più e il fatto che voi ne sapevate l'esistenza- considerato che vivete letteralmente oltre oceano- mi stupisce non poco >> l'uomo fece una pausa osservandoci attentamente uno ad uno, poi riprese a parlare.
 
<< La cosa che mi insospettisce di più è il fatto che voi- semplici civili italiani- siate arrivati alla mia base aerea, invisibile, protetta da radar, in perenne movimento sopra i cieli per impedire che la nostra posizione venga rilevata, a bordo di un caccia francese guidato da un pilota automatico programmato tramite alcuni codici appartenenti ad un vecchio protocollo S.H.I.E.L.D >>.
 
Stavo per dire qualcosa ma l'uomo mi bloccò << Ma prima che voi diciate qualcosa, vorrei aggiungere che il vostro aereo non è stato rilevato dai nostri radar se non qualche minuto prima che ci arrivasse la richiesta di attraccare... Capirete, che la situazione è abbastanza anomala senza considerare il fatto che alla domanda "identificarsi", qualcuno di voi ha prontamente risposto "EuroM.I.N.D".
Ma voi, ovviamente, non avete la più pallida idea di cosa sia l'EuroM.I.N.D, giusto? >>.
 
L'uomo smise di parlare e una volta elencate le sue ragioni di sospetto, onestamente anche io pensai che non sarebbe bastata una spiegazione semplicistica degli eventi che ci portarono sul quel caccia.
Ci guardammo e capimmo che la situazione non solo era assurda ma anche pericolosa, ragion per cui concordammo per dire tutta la verità. Per quanto assurda potesse essere.

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Capitolo 4
*** Fuga da Roma ***


Fuga da Roma

 
 
<< Il mio nome è Manuel e a breve mi sarei laureato in ingegneria informatica. Vorrei dirle di essere stato io a programmare il pilota automatico del caccia ma... Non ho ancora tali competenze. Cercando di procedere con ordine, inizio col dirle che ha ragione: non abbiamo la più pallida idea di cosa sia l'EuroM.I.N.D ma ci è stato ordinato di dare questa risposta a qualunque domanda ci aveste fatto >>.
 
Manuel prese fiato mentre Elia terminava di tradurre, quanto più velocemente possibile, ciò che aveva detto l'amico.
 
<< In realtà, ci sono grossi problemi in Europa ma- purtroppo- non crediamo di potervi dare molto aiuto se non raccontandovi tutto quello che sappiamo >>.
 
Manuel mi guardò cedendomi la parola affinchè spiegassi meglio la situazione poichè, in fondo, era solo colpa mia.
 
<< Partiamo dal presupposto che a quanto pare nessuno si è mai preoccupato di controllare l'Europa. Quando la vostra organizzazione crollò e l'Hydra annunciò la sua rinascita, la notizia arrivò in tutto il mondo scatenando il panico tra le popolazioni e tra i governi ancor di più dopo gli avvenimenti di New York.
 
L'Italia non è mai stata brava a gestire il panico, i nostri governi non sono mai stati pronti e nemmeno i cittadini. Nel passato è sempre stata controllata da altri e non siamo mai stati in grado di capire chi fossero i buoni e chi i cattivi portandoci a perpetrare delle scelte infelici >>.
 
L'uomo ci ascoltava attentamente cercando di capire dove volessimo arrivare. Inclinò la testa di poco invitandoci a continuare il racconto.
 
<< In Europa la situazione è molto tesa anche se non lo si da a vedere. In Italia, da un giorno all'altro iniziarono a nascere nuovi istituzione dalla dubbia autorità, dai nomi strani come se ci trovassimo ai tempi del '45, vennero varate nuove leggi per la "Salute Pubblica" che limitavano le libertà dei cittadini e istituzionalizzavano nuove norme per il controllo dei dati e delle identità di chiunque circolasse sul suolo italiano.  
 
Le nuove macchine politiche iniziarono a funzionare con una efficienza mai riscontrata nel nostro paese e qualche volta si sentiva di arresti perpetrati ai danni dell'Hydra. La situazione per la prima volta nella storia della nostra nazione, sembrava essere sotto controllo fin quando- nuovo capo di tutti quegli organi politici da poco inaugurati- fu nominato Karl Schwarz: giovane politico proveniente dalla Berlino Nord. Da quando arrivò al potere, non sembrò cambiare nulla in Italia fin quando non vennero nominati nuovi dirigenti che in un modo o nell'altro erano collegati a questa fatiscente figura.
 
Col crollo dello S.H.I.E.L.D si inaugurò una politica del sospetto e della paura, a volte si sentiva di imboscate verso alcuni "elementi sensibili", altre volte si parlava di arresti e lentamente il potere delle nostre istituzioni democratiche diminuiva in favore ai "nuovi arrivati" >>.
 
Mi fermai per qualche secondo per riprendere fiato e per dare ad Elia il tempo necessario a tradurre tutto. Il signor Coulson metabolizzò i pochi dettagli ricevuti cercando di farsi una propria idea ma sentiva che, al quadro generale, mancavano ancora dei dettagli.  
Prima che potesse fare domande, lo fermai.
 
<< Signor Coulson, i trascorsi che l'Italia ha avuto con la Germania Nazista sono di pubblico dominio da sempre. Fin da piccoli li leggiamo nei nostri libri di storia e... Credo che anche questa volta, l'Italia abbia scelto l'alleato sbagliato.
Lei si chiederà come tutto questo sia collegato con noi semplici studenti ma in realtà il nesso a tutto questo sono io >> affermai con risolutezza mentre i miei amici mi osservavano insicuri.
 
<< Tutto cominciò un paio di mesi fa quando dopo una vacanza in barca con i miei amici, riscontrai delle strane anomalie... In me. Ma procedendo con ordine, non badai subito a quelle anomalie fin quando non si fecero più palesi: all'improvviso ero in grado di fare... Cose-fuori-dal-comune e questo, mi spaventò.
Non feci mai parola con nessuno di ciò che mi stava accadendo se non che con loro i quali cercarono di darmi aiuto ma invano. Così, imparai a conviverci.
 
Un giorno ricevetti una chiamata da mia madre dicendomi che degli "Agenti della Salute Pubblica" mi cercavano perchè a quanto pareva avevo saltato il richiamo ad un vaccino... Ma da quanto ci si scomodava così tanto per un vaccino?
La questione si chiuse lì ma ogni giorno avvenivano strane cose attorno a me, mi sentivo pedinata: che fossi all'università o in giro con gli amici, osservata, sempre più spesso presunti ladri che non rubavano nulla entravano in casa mia.
 
La mia preoccupazione cresceva sempre più, impossibilitata a parlarne con qualcuno se non loro. Tutto cambiò quando un pomeriggio mi si avvicinò un ragazzo durante la pausa pranzo, non lo avevo mai visto prima ma le uniche cose che mi disse furono che "Loro" sapevano di me, di cosa sapessi fare, che mi volessero uccidere e che dovevo scappare.
 
Non riuscii a metabolizzare abbastanza in fretta le parole che all'improvviso mi crollò davanti mentre una macchia di sangue si allargava sul suo petto. Mi guardai intorno ma non vidi nessuno se non un uomo completamente vestito di nero che avanzava verso di me. Fu in quel momento che iniziai a correre dentro alla mia facoltà cercando di trovare un posto sicuro >>.
 
Mi fermai per qualche minuto incapace di continuare, la situazione era ancora molto confusa per me, avevo molte domande e nessuna risposta. Nel giro di due giorni ero scappata da Roma assieme a i miei migliori amici, senza meta, braccati da chissà quale organizzazione che opera anche in Italia. Non avevo notizie della mia famiglia, di mio fratello o di altri. Non sapevo come comunicare con loro, non sapevo dove mi trovavo e che cosa avrei fatto nei prossimi giorni.
 
Mi sentivo come un marinaio nel bel mezzo della burrasca, senza bussola e con un perenne presentimento di morte addosso. Elia mi strinse la mano cercando di infondermi coraggio poi continuò lui la storia.
 
<< Quel giorno, stranamente, tutti noi tre eravamo stati avvicinati da nostri coetanei che ci avevano dato lo stesso avvertimento. Per una pura casualità io e Sara ci scontrammo nei corridoi e subito dai suoi occhi pieni di terrore capii che era successo qualcosa di strano anche a lei. Insieme ci precipitammo a cercare Manuel trovandolo alle strette mentre due uomini in nero lo accerchiavano nei bagni della facoltà con un cadavere ai loro piedi. Cercai di aggredirli ma non riuscii a far molto finendo solo svenuto >>.
 
Infine parlò Manuel che fino a quel momento si era limitato ad osservare i nostri interlocutori cercando di valutare cosa dovesse o non dovesse dire, quali parole usare e soprattutto se anche con loro eravamo in pericolo.
 
<< In verità abbiamo ricordi confusi su quest'ultima parte, ricordo di aver cercato di aiutare Elia e di difendere Sara quando quegli uomini cercarono di afferrarla ma... Credo di essere stato colpito pure io perchè non ho ricordi alcuni su come, dai bagni di facoltà, finimmo sul retro di una jeep. Ancora un pò stordito mi destai prima degli altri, Elia dormiva ancora mentre una donna cercava di soccorrere Sara che digrignava i denti nel tentativo di non urlare. Solo dopo notai la sua spalla ferita >>.
 
Coulson li osservò cercando di sviluppare un'idea, vi erano due possibilità: o l'Italia era in balia di alcuni nuclei dell'Hydra, o gli uomini in nero erano guidati da Rosalind. E sperava con tutto il suo cuore che la risposta fosse la seconda.
 
<< L'uomo che guidava la jeep mi disse solo di chiamarsi François Borillon, che ci avrebbe portati in un luogo sicuro. Quando la jeep si fermò ci aiutò a scendere e in men che non si dica ci infilò su quell'aereo digitando qualcosa sulla tastiera. Invano chiesi dove fossimo o dove ci stessero portando. Sentii l'accendersi dei motori e prima che l'uomo scendesse mi disse che ci mandava da alcuni amici e che a questi "amici" avrei dovuto dire che l'EuroM.I.N.D era distrutto, accorpato dallo S.H.A.P.E e che ques'ultimo era fortemente compromesso... Dall'Hydra >>.
 
Manuel concluse la storia che in breve descriveva gli eventi che ci avevano portato lì. Il ragazzo ricciolino rimase a bocca aperta palesemente turbato mentre Coulson sospirò, avendo intuito cosa stava succedendo in Italia e in tutta Europa. 
 
<< Ok... Abbiamo un problema >> disse, sorridendo amaramente e osservando i tre ragazzi.
 

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Capitolo 5
*** Manuel ***


Manuel
 
 
“Abbiamo un problema”, aveva detto. Non poteva che essere d’accordo con lui. Per quanto si sforzasse non riusciva ancora ad allineare cronologicamente tutti gli aventi che lo avevano portato in quel luogo –qualunque esso fosse.
I due uscirono dalla stanza cercando di mascherare la loro preoccupazione e, pochi minuti dopo, ci furono assegnate delle stanze accoglienti e un lauto pasto.

Rimasi in quella stanza per pochi secondi giusto il tempo di tirare una boccata di sollievo e poi mi fiondai da lei. Aprii la porta della sua stanza entrando e la trovai a chiacchierare con Elia –era splendida.
Nonostante tutto quel trambusto, nonostante il pericolo e la paura di non farcela lei rideva –Dio com’era bella. Si voltò nella mia direzione sorridendomi felice –mi mancò il respiro- e invitandomi a sedermi sul letto con loro. Ma ero completamente assente.

Io e Sara ci conoscevamo da meno di un anno ma era bastato per stregarmi totalmente: il modo in cui parlava, il modo in cui scherzava ed era amichevole con tutti, quella sua assurda convinzione di dover mangiare il gelato ad ogni stagione: “io amo il gelato”, mi disse mangiandone un’abbondante cucchiaiata nonostante fuori nevicasse “ed una brava amante è fedele al suo uomo in qualunque circostanza, che piova o ci sia il sole, che nevichi, grandini o nel pieno di un naufragio. E chi non la pensa così non ama veramente il gelato!”.
La tenacia con cui portò avanti la sua tesi –finendo una vaschetta di gelato da cento grammi- mi stupì e mi intenerì allo stesso tempo. Sembravano passati anni da quel giorno eppure eccola lì: sorrideva felice, giusto qualche capello fuori posto ma bellissima come sempre. Mi andai a sedere sul letto ripensando al primo giorno in cui l’avevo conosciuta. Dovevo uscire con Elia ma giusto poche ore prima di vederci mi disse che avremmo avuto compagnia, giunti a sera arrivai ai Fori Romani –luogo dove ci saremmo dovuti incontrare- e da quel momento non riuscii a togliermela dalla testa. Ricordo ancora come i morbidi capelli castani svolazzassero per ogni dove.

Indossava dei jeans, un paio di stivaletti neri e un pesante cappotto rosso, rosso come la montatura dei suoi grandi occhiali che incorniciavano due occhi verdissimi, vispi, pieni di vita e gioia, rosso come il rossetto che portava su delle labbra sottili.
Quando mi presentai, rispose immediatamente con: “Piacere di conoscerti! Io sono Sara!”, con un tono così squillante e allegro che mi fece venire da ridere. Non avevo mai conosciuto una ragazza così esuberante, attiva e imprevedibile come un uragano ma la cosa che mi colpì di più fu il suo sorriso. Era splendido, sincero e spontaneo, innocente come quello di una bambina, capace di farti sentire una persona speciale come se volesse dirti “sei unico e meriti il mio più bel sorriso”, assurdo eh?

Realizzai di essere completamente, irrimediabilmente e irrazionalmente innamorato di lei dopo qualche settimana. Vedevo lei, solo lei, sempre lei, non volevo che stare con lei, parlare con lei… Lei… Lei … Lei.
L’aspetto meraviglioso di Sara è decisamente l’ottimismo e la sua visione della vita: positiva, in perenne ricerca del bene nonostante il mondo sia tutto merda, tutto male.
“Manuel, non sto dicendo che la vita è tutta rosa e fiori. Il mondo fa schifo, la gente fa schifo, ci si uccide, ci si butta merda addosso a vicenda, ognuno pensa a se, ognuno fa male all’altro e se ne frega di tutto. Lo so, lo so esattamente, non lo nego e non faccio finta che non esista. Ma è troppo semplice gettare la spugna e arrendersi solo perché l’intero Universo sembra essere contro di te, sempre pronto a buttarti giù e ad uccidere l’unico barlume di speranza. E’ troppo semplice dire: il mondo fa schifo. Bisogna avere il coraggio di trovare il bene e far in modo che qualunque sofferenza ti sia utile, altrimenti che vivi a fare? Solo perché l’Universo ti odia, non è un buon motivo per odiare l’Universo, solo perché ricevi male non hai la scusa per farne agli altri. E’ come quel giochetto psicologico: “un albero cade nella foresta ma tu non lo senti. E’ caduto o non è caduto?”. Il bene è così, solo perché tu non lo vedi non vuol dire che non ci sia”.

Ricordo ancora a memoria tutto il suo discorso sul bene e sul male e, per quanto assurdo e utopico potesse suonare, filava liscio come l’olio. Alla fine del suo monologo mi sorrise finendo il suo cappuccino- amava il cappuccino, con due bustine di zucchero e senza cacao- e, come al solito, mi fece mancare un colpo al cuore.
Non ne feci mai parola con nessuno dei forti sentimenti che provavo per Sara, nemmeno con Elia, tenendomi tutto dentro e limitandomi a starle vicino in qualunque situazione: quando piangeva il giorno del compleanno di suo fratello maggiore – morto appena due anni fa-, quando esultava per un esame andato bene, quando si lamentava per i libri da studiare, quando brontolava per la fame, quando si demoralizzava per il suo “nanismo” –scemenze, era di statura media: 160 cm-, quando si deprimeva per il suo peso –altra colossale scemenza, era nel suo peso forma: 59 chili-. Io ero sempre lì, con lei.

<< Bill Gates! Sei ancora con noi? >> Elia mi batté violentemente le mani davanti gli occhi facendomi destare dai miei pensieri << Sono felice, di vedervi vivi… >> sussurrai osservandoli, un malinconico sorriso in viso.
Elia, era il suo migliore amico. Lo aveva conosciuto nell’estate dei suoi vent’anni quando l’amico ne aveva appena diciotto. Ostia, spiaggia affollatissima e caldo insopportabile, avevo deciso di fare un tuffo in mare e senza alcuna connessione logica mi ritrovai a giocare a “Schiaccia sette” assieme ad un gruppetto di ragazzi mai visti prima. Durante la partita, lo presi in pieno e dopo una scampata “rissa acquatica” diventò il mio migliore amico.

Ci perdemmo di vista a inizio settembre, frequentando università differenti, ma tenendoci sempre in contatto e cercando di vederci per una birra ogni qual volta si presentasse l’occasione. Da quando si era formato il trio, Elia si era molto legato a Sara, per un folle periodo pensai addirittura che stessero segretamente insieme logorandomi il fegato per la gelosia. E forse ancora un po’ lo sono ma con le settimane che passavano capii che in realtà, quello di Elia, era un morboso istinto di protezione che giustificavo dal fatto che anche lui avesse perso una sorella. A volte il destino riesce a far incontrare le persone per un motivo: in un certo senso, entrambi avevano ritrovato nell’altro il fratello e la sorella morta.

Mi sorrisero comprensivi, poi mi abbracciarono forte e finalmente mi sentii a casa.

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Capitolo 6
*** Elia ***


Elia
 
 
Sembrava tranquilla, serena, come se fossimo a casa mia a prendere un tè. Sembrava la solita Sara: allegra, piena di vita, ottimista, forte… Tanto forte, eppure fino a poche ore prima stava su di un lettino, attaccata a dei macchinari.
Per la prima volta l’avevo vista fragile, non ero riuscito a far nulla per difenderla e questo non sarei mai riuscito a perdonarmelo.

Di quello che era successo, avevo pochi ricordi molto confusi e che mal si concatenavano tra di loro ma l’unico vero e vivido ricordo riguardava la colluttazione avvenuta nei bagni della facoltà. Ricordavo benissimo ogni cosa, ogni dettaglio, tutto mi si era impresso nella mente come un marchio di fuoco: gli uomini in nero, il cadavere di un ragazzo mai visto prima e Manuel alle strette.
Quel giorno per ben due volte avevo fallito, non ero riuscito a difendere né Manuel né tanto meno Sara e questo era l’unica cosa che mi risuonava nella mente in questo momento: avevo fallito.
Quando mia sorella morì a causa di una brutta malattia, mi sembrò che nulla avesse più senso: la vita, l’amore, le persone… Nulla riusciva più ad emozionarmi fin quando pochi mesi dopo la sua morte fu protagonista di un evento quanto meno strano ma che incise irrimediabilmente la mia filosofia di vita.

Stavo camminando tranquillamente in piedi davanti al semaforo rosso –musica alle orecchie- in attesa che giungesse il verde per attraversare. Tutto accadde molto velocemente: una bambina mi spinse saltellando leggermente in avanti, si fermò proprio sulle strisce facendo linguaccia allegra verso qualcuno alle mie spalle. In pochi secondi –non so perché o per quale istinto strano- balzai in avanti correndo e spingendo via la bambina verso il marciapiede. In quell’esatto momento una macchina mi sfrecciò alle spalle: mi paralizzai osservando gli occhi in lacrime della bambina –si doveva essere spaventata molto-, l’eco di un urlo sovrastò la musica nelle mie orecchie ed io presi consapevolezza di essere stato quasi investito ma in compenso l’avevo salvata. Avevo impedito che quella bambina fosse investita e per la prima volta dopo mesi mi sentii di nuovo vivo.
 
Ancora oggi non idea del perché scattai in avanti, sentii solo uno forte istinto a farlo, come una forza interiore che partendo dal mio stomaco mi spinse ad agire. Da quel giorno capii che forse, nel mio piccolo, potevo veramente fare qualcosa di buono per il mondo, potevo forse proteggere le persone che amavo – in qualunque modo. Fu a causa di questo episodio che tutta la mia vita fu rimodulata sul concetto di “proteggi chi ami”, sapevo che nel mio piccolo potevo fare qualcosa e, VOLEVO assolutamente farlo. Forse fu in quel periodo che il mio carattere “guerrafondaio” – citando le parole di Sara- emersero: se per difendere me o qualcun altro, il mio di onore o di chiunque mi fosse caro, era necessario dare a botte di certo non mi tiravo indietro. Anzi! Quando la situazione inizia a riscaldarsi ero sempre il primo ad attaccare come se volessi dimostrare agli altri – o forse, più a me stesso- che ero in grado di difenderli, di prendere le loro parti. Volevo dimostrare a tutti di essere abbastanza forte per proteggere chi amavo ma questa volta avevo fallito, miseramente.

Quando Sara era su quel lettino priva di sensi, con quella ferita alla spalla, capii di non essere abbastanza forte: mi sentii piccolo. Non l’avevo mai vista così fragile, così indifesa, nemmeno quando un giorno la trovai in lacrime – era il compleanno del fratello- scoprendo che anche lei aveva perso qualcuno di importante. Quel giorno rivalutai completamente Sara, fin dal primo giorno che la conobbi mi fu simpatica: era divertente, intelligente, sagace ed ironica senza mai risultare cattiva o acida. Sara ha questa cosa strana… Lei riesce subito a farsi voler bene da chiunque, non ho idea di come ci riesca ma lei ti entra dentro.
 
Non riesci a fare a meno di volerle bene, di amarla in un certo senso… Per un periodo ebbi le idee confuse su cosa provassi realmente per lei: è così bella!
Ma quando scoprii di suo fratello feci definitivamente chiarezza: l’amavo.
Certamente l’amavo, profondamente, ma era un amore diverso, non so come spiegarlo ma è come se la sentissi legata a me in un modo o nell’altro: a me, alla mia anima, al mio cuore, alla mia mente… Fu come ritrovare un pezzo che avevo perso molto tempo prima, fu come ritrovare mia sorella.
Io l’amavo, io l’amo e l’amerò per sempre ma di certo non come un normale ragazzo. Lei non era una donna per me, lei era semplicemente mia sorella.
 
Dopo che anche Manuel entrò nel gruppo non ebbi dubbi su chi amasse chi ma ovviamente, lei non si accorse di nulla. Forse Sara è ancor più imbranata di me quando si tratta di amore ma a quanto pareva non notava per niente le incredibili “attenzioni” che le riservava Manuel. Invano tentai di fargli capire cosa intendessi per “attenzioni”: insomma quel ragazzo era ed è tutt’ora innamorato perso di mia sorella eppure lei non sembrava accorgersi di nulla e questo mi irritava tremendamente. Manuel era il mio migliore amico, lo conoscevo bene e sapevo altrettanto bene quando fossero sinceri i suoi sentimenti per lei. Volevo aiutarlo a farsi avanti o, quanto meno, a rendere consapevole Sara di ciò che provava Manuel. Ovviamente lei non capiva e lui timido com’era, non si faceva avanti.
 
Non le parlò mai di ciò che provava e tanto meno ne fece parola con me. Ancora oggi, credo di essere l’unico ad aver capito cosa succede nel cuore di Manuel anche se ho qualche dubbio sul cuore di Sara. A volte aveva atteggiamenti “speciali” nei suoi confronti, altre volte era la solita Sara. A volte sembrava che l’arrivo improvviso di Manuel riuscisse a modificare il suo umore: i suoi occhi brillavano di una strana luce, il suo sorriso era leggermente diverso come se volesse dirgli “tu sei speciale e meriti il mio miglior sorriso”, altre volte la presenza di Manuel gli era totalmente indifferente quasi come se le desse fastidio. Credo di conoscere abbastanza bene mia sorella eppure, quando si parlava di Manuel, si trasformava in un groviglio di dubbi e incertezze in continuo conflitto. Se piaceva anche a lei, perché non dichiararsi? E se non le piaceva, perché non dirglielo? L’amicizia ovviamente, il trio si sarebbe rotto ed io sarei finito nel mezzo tra due fuochi ma ad un certo punto la situazione sarebbe tornata gestibile. Manuel l’avrebbe sicuramente superata, è intelligente.
 
Avrebbe senz’altro sofferto –tanto- e forse era questo che la spaventava di più.
Quando Manuel aprì la porta ebbe di nuovo quella reazione “speciale”. Decisamente non la capivo. Ci andammo a sedere tutti e tre sul letto, ci fu un lungo momento di silenzio e solo quando Manuel ci disse di essere contento di vederci vivi, capii che eravamo scampati a morte certa. Ci abbracciammo ma nella mia testa avevo un solo pensiero fisso: non ero riuscito a difenderli. Mi odiavo per questo, ma non lo avrei più permesso – mai più.

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Capitolo 7
*** Sara ***


Sara

 
Entrata nella mia stanza chiusi la porta dietro di me ed espirai silenziosamente. Ogni volta che chiudevo gli occhi mi si profilavano davanti le tremende immagini di quei giorni. Andai verso il letto e mi distesi osservando il soffitto bianco: come potevo essere finita in una situazione del genere? E con quale coraggio mi sono trascinata dietro pure Manuel ed Elia? Era stata tutta colpa mia eppure quei due non ebbero nessuna esitazione a seguirmi e a difendermi – o tentare di difendermi.
 
La causa di quel trambusto ero io, o meglio, quello che da pochi mesi riuscivo a fare. Successe tutto a seguito di una vacanza in barca fatta parecchi mesi prima durante l’estate, assieme a degli amici di vecchia data. Non mi spiego ancora le dinamiche – il come o il perché – ma subito dopo quella gita capii che qualcosa stava cambiando, in me. In quel periodo mi sentivo diversa non so ben spiegare come, avevo una perenne sensazione di disturbo. Come quando si ha un principio di influenza, ti senti le ossa a pezzi, lo stomaco sotto sopra e qualche linea di febbre. Non riuscivo a capire bene cosa mi accadesse fin quando il mio “malessere” si palesò, letteralmente.
 
Mi trovavo a casa di Elia, giusto qualche settimana dopo il nostro primo incontro, lui stava cercando dei vecchi album fotografici incassati – modello Tetris – in uno sportellino in alto. Si aiutò con una sedia cigolante e quando con forza sfilò dall’insieme l’album che gli interessava, si sbilanciò rischiando di cadere per terra mentre in alto, si generava un effetto “valanga” a causa del quale tutti gli album iniziarono a cadere.
 
Ricordo di aver alzato le mani cercando di afferrare quanti più album possibili per evitare che gli cadessero in testa uno dopo l’altro. Sentii solo un tonfo – non ero decisamente riuscita a frenare la caduta di Elia – e poi il silenzio. Quando aprii gli occhi non riuscivo a credere a ciò che stavo osservando: pochi centimetri al di là delle mie dita, si apriva una barriera azzurrina.
Sembrava come un sottile vetro su cui si erano adagiati i libri ma la cosa più sconvolgente fu il realizzare che quella specie di “barriera” era “uscita” dalle mie mani. L’avevo creata io – non so ben spiegare come-, per qualche secondo osservai sconvolta quella “cosa” cercando di capire come fosse possibile, se fossi stata veramente io, sforzandomi di trovare una spiegazione razionale – invano-.

Quando Elia - anche lui sconvolto ancor più di me- mi chiamò come se volesse delle spiegazioni, la barriera si dissolse facendo cadere gli album per terra o sulla testa del mio amico.
I giorni successivi furono improntati alla ricerca – qualunque cosa potesse spiegare l’evento vissuto- ma non ottenni nessun risultato. Sempre più spesso avvenivano fenomeni strani, la barriera compariva e scompariva senza un’apparente logica fin quando Elia non notò che tale fenomeno si manifestava nel momento in cui avvertivo un pericolo. Quando mi spaventavo, ero nervosa o – ancor più spesso – quando lui o Manuel si trovavano in un qualche pericolo.
 
Era una specie di reazione automatica, qualcosa che scattava quando mi sentivo minacciata o quando qualcosa minacciava le persone a cui tenevo di più anche  se non mi era ancora ben chiaro come riuscissi ad “attivare” tale protezione. Non feci mai parola con nessuno di quel che mi stava succedendo cercando di evitare che tali episodi accadessero in pubblico. Non sempre fu semplice specialmente quando si usciva in gruppo o quando andavo in caffetteria – una macchina che sfrecciava troppo vicino a qualcuno, o il pericolo che una tazzina cadesse dal vassoio -, quando cioè la minaccia del “pericolo” era più forte ed io più sensibile.
 
A volte la barriera scattava senza controllo anche per una stupidaggine ed il fatto che io mi sentissi sotto pressione non aiutava. La mia fortuna erano loro: Manuel ed Elia, sempre pronti a sviare l’attenzione degli altri, a distrarli o a inventare storie assurde su fenomeni magnetici e diffrazione… Assoluti geni.
 
Sorrisi ricordando come quei due fossero stati sempre al mio fianco, in qualunque situazione, avevo la certezza che se fossi “affondata” senza possibilità di salvezza loro mi avrebbero seguita. E in un certo senso fu così, se si trovavano in quell’aereo chissà dove nel mondo era solo a causa mia e di quello che sapevo fare. Chiusi gli occhi ricordando gli eventi accaduti in facoltà: Elia e Manuel svenuti ai miei piedi con l’unica colpa di aver cercato di difendermi in tutti i modi
“ Se ci seguirai non li ucciderò “ disse uno degli uomini in nero puntando la pistola alla testa di Elia
“ E per dimostrare che non scherzo, ucciderò l’altro “ continuò spostando la canna della pistola alla testa di Manuel mentre, osservandomi sadicamente, non si fece nessun scrupolo a premere il grilletto. Ricordo solo che urlai chiudendo gli occhi e quando li riaprii vidi la barriera azzurrina che ricopriva completamente sia me che i miei amici come una cupola. Pochi secondi dopo il suono di un piccolo oggetto metallico che cadeva al suolo: il proiettile era totalmente deformato come se si fosse schiantato contro qualcosa di estremamente solido.
 
Rabbrividii al ricordo di quegli eventi riaprendo gli occhi di scatto, il battito accelerato, la fronte madida di sudore come dopo un brutto incubo. In quel momento la porta si aprì e, silenziosamente, entrò Elia.
<< Hey… >> mi disse timidamente avvicinandosi. Mi alzai andando verso il piccolo tavolo della stanza e sedendomi << Mi dispiace, è tutta colpa mia… Io vi ho trascinato in questa storia e… E… >> sentivo un grosso groppo alla gola e gli occhi in fiamme ma subito Elia mi abbracciò, forte, quasi a togliermi il respiro.
Era lì – con me-, ancora una volta al mio fianco come un angelo custode. Era sempre pronto a sostenermi, appoggiarmi –nel bene o nel male-, c’era durante le mie crisi isteriche post o pre esame, c’era durante le mie crisi di panico quando non riuscivo a controllare lo “scudo azzurro” – che lui aveva allegramente definito: “lo starnuto del puffo” e non chiedetemi perché- o quando, in preda ai singhiozzi, mi straziavo per la perdita di mio fratello maggiore.
 
Lui c’era stato fin da subito, fin dal primo momento che c’eravamo conosciuti, eravamo una coppia. Con lui mi sentivo al sicuro, protetta, mi sentivo parte di qualcosa, il mondo sarebbe potuto bruciare ma se lui mi avesse tenuto la mano non avrei avuto paura. Lo strinsi più forte a me cercando quanto più contatto possibile e man mano che i secondi passavano io tornavo in me, riacquistavo il controllo della situazione, ritornavo nel mio “qui e ora” . Per mesi mi interrogai su cosa fosse Elia per me, ma quasi immediatamente lo associai ad un calmante, era come bere una camomilla.
<< Adesso va meglio? >> mi chiese in un sussurro sciogliendo lentamente il suo abbraccio per poi baciarmi la fronte. Espirai rumorosamente, come se avessi voluto urlare, poi annuii più calma. Mi si venne a sedere accanto stringendomi forte una mano e sorridendomi serenamente come se mi avesse voluto dire “ ci sono io, andrà tutto bene “, pochi minuti dopo stavamo scherzando e ridendo –come al solito lui sapeva calmarmi, era la mia camomilla.
 
Elia e Manuel, Manuel ed Elia, sempre al mio fianco, sempre pronti a gettarsi nel fuoco per me. Lo avevano dimostrato, ora più che mai; entrambi così diversi ed entrambi uguali ma sotto un solo aspetto: difendevano i loro legami.
Entrambi mi volevano bene, così diversi eppure così simili. Erano entrambi molto alti –decisamente più di me-, giusto pochi centimetri di differenza l’uno dall’altro. Manuel moro, con profondi occhi neri come l’ossidiana, un viso squadrato coperto da una leggera barbetta e con grossi occhiali rosso fuoco davanti agli occhi. Elia, profondi occhi azzurri dove annegare e folti capelli neri raccolti in un piccolo codino. Manuel aveva delle spalle leggermente più larghe – retaggio di qualche anno in cui aveva praticato pallanuoto, una sorpresa anche per me- rispetto ad Elia che invece era più esile. In compenso Elia aveva un fisico bene asciutto, atletico e vagamente scolpito a causa degli anni passati a praticare il kung fu.
 
Elia impulsivo, azzardato, guerrafondaio, esuberante come un fuoco d’artificio, simpatico e allegro; Manuel sostenuto, riflessivo, accorto, un gran osservatore anche dei dettagli più insignificanti, un gran ascoltatore, diceva la cosa giusta nel momento giusto, timido. Sorrideva di rado ed ogni volta pareva vergognarsi nel farlo. Entrambi altruisti e pronti a dare tutto, Elia non perdonava facilmente Manuel capiva, accettava e rispettava. Non portava rancore.
Avevano un carattere completamente opposto eppure entrambi parevano incondizionatamente legati a me da un filo invisibile e sebbene con Elia avessi le idee chiare –era la mia “camomilla”, la mia metà persa anni prima durante un brutto incidente. Era mio fratello-, Manuel mi confondeva. Da un periodo non capivo che mi succedesse quando gli stavo accanto: stomaco sotto sopra, battito accelerato, gola secca. Poi rabbia, fastidio, come se lo odiassi. Questi sentimenti contrastanti mi mandavano in loop il cervello. Con Elia non mi era mai successo e questo mi preoccupava non poco: che mi piacesse Manuel?
 
Quando anche Manuel entrò in camera mi sentii meglio, come se avesse portato una ventata d’aria fresca, adesso eravamo di nuovo insieme e nessuno avrebbe potuto separarci.

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Capitolo 8
*** Entrare nel Sistema ***


Entrare nel Sistema


 
Sprofondai subito in un sonno profondo, complice la stanchezza, appena pochi minuti dopo che i miei amici uscirono per tornare nelle stanze. Dormii senza pensieri, rilassata e tranquilla, una strana sensazione di sicurezza mi permise di non avere incubi. Il mattino seguente mi svegliai molto presto, erano circa le 06.30 quando mi sollevai dalle coperte. Dopo pochi minuti di confusione, ricordai di trovarmi in un luogo sicuro, da qualche parte in volo sulla terra: valutai la completa insensatezza di quella situazione e poi mi arresi all’evidenza. Per il momento, l’insensatezza sarebbe stato il mio pane quotidiano << Buon giorno Sara >> disse a se stessa alzandosi e stiracchiandosi come un gatto. Diede una veloce ma attenta occhiata alla stanza notando un bagno che ore prima non avevo visto. Una bella doccia mi rimise letteralmente al mondo, mi avvolsi in un morbido accappatoio uscendo.

Sobbalzai per lo spavento - nonostante fossi in un posto sicuro ero ancora molto tesa- non appena vidi una ragazza nella stanza: aveva i capelli corti un po’ scomposti, avrei detto che anche lei si fosse appena alzata dal letto ma il viso sciupato e delle evidenti occhiaie mi suggerirono che non doveva essere così. La ragazza si spaventò forse più di me ma dopo pochi secondi tornò in sé, esitò un po’ dondolandosi sui talloni poi si presentò << Jemma >>.
Settai il cervello in modalità inglese cercando di capire il più possibile ma la ragazza parlava decisamente troppo velocemente per essere una comune mortale. Quando incrociò i miei occhi persi e dubbiosi sorrise, impacciata, deglutì e parlò con più calma << Ti ho portato qualcosa da mettere… Non abbiamo spesso ospiti a bordo ma cerchiamo di essere ben forniti in qualunque evenienza >> disse porgendomi quella che sembrava essere una tuta nera, dell’intimo e delle scarpette da ginnastica dello stesso colore.

Sorrisi a mia volta prendendo i vestiti e ringraziando << Quindi… Italia >> chiese allungando di molto le ultime vocali, annuii sconsolata << La tua storia deve essere decisamente interessante ma più che altro… Volevo dirti che mi dispiace tanto per quello che è successo e, se tu volessi parlarne –con tutti i simpatici inconvenienti che potrebbero sorgere dalla differenza di linguaggio- davanti ad un tè caldo io sono disponibile >>.
Sorrise aspettando un mio segno di assenso poi si volatilizzò fuori dalla porta. Rimasi qualche secondo come in trans poi in pochi minuti mi vestii sedendomi sul letto. Restai immobile su quel letto a fissare il vuoto solo una manciata di minuti ma bastarono per farmi innervosire: il silenzio, la tranquillità, il non fare niente mi dava sui nervi così decisi di agire. Avevo bisogno di risposte e forse quel posto o chi lo abitava poteva darmene. Uscii dalla stanza imboccando un corridoio, sapevo che ci trovassimo senz’altro su di un aereo ma più camminavo più non riuscivo a capire come tutte quelle cose fossero contenute in un aereo.

O quest’ultimo era molto più grande del normale o le cose erano state posizionate in modo strategico per occupare meno spazio possibile e far entrare più cose possibili. In qualunque caso era senza dubbio qualcosa di fantastico; durante la mia breve passeggiata avevo già visto un paio di porte, due o tre laboratori con dentro diversi macchinari e ancora pochissime persone. Persone, non pensava potessero essere più di dieci eppure, esclusi lei Manuel ed Elia, ne aveva viste quattro: Daisy, Coulson, Fitz e Jemma in più qualcuno di anonimo che camminava lungo i corridoi o sedevano a delle postazioni. Portavano una tuta simile alla mia ma la loro sembrava più una divisa mentre la mia dava l’impressione di una tenuta da jogging.
 
Senza nemmeno accorgermene mi ritrovai come in un grande open space, mi guardai velocemente attorno incredula << Ma c’è anche una cucina! Ed è fornita… Più della cucina di casa mia! >> esultai in falsetto con un misto di sconcerto, sorpresa e gioia! In tutto ciò non mi accorsi degli ospiti che vi si trovavano: Fitz mi osservava perplesso, le guance piene di qualcosa –caffè probabilmente-, accanto a lui una donna alta e formosa, tonica, dai lunghi capelli biondi, anche lei mi osservava perplessa ma il suo sguardo era più sospettoso.
Fitz mandò giù la sorsata che teneva in bocca alzando la caraffa che aveva nella mano destra << Caffè? >> propose. Sorrisi, saltellando letteralmente verso uno sgabello e alimentando il sospetto e la curiosità della bionda.

Fitz prese una tazza e vi versò dentro del caffè << Non garantisco il sapore… I maestri siete voi >> scherzò mentre la bionda, sempre più curiosa, fissò il ragazzo come in cerca di spiegazioni che non arrivarono. Risi per la battuta sorseggiando il caffè << Hai ragione… Non è decisamente il caffè che sono abituata a bere. Ma… Un caffè diventa più buono se lo prendi assieme a delle persone di compagnia >> dissi facendolo sorridere.
Erano appena le 07.30 ma la cucina iniziò ad essere invasa: di seguito si aggiunsero un uomo dai capelli corti, basso ma con un fisico atletico che andò a baciare la stangona bionda. Che stessero insieme? Subito dopo si aggiunse Jemma, visibilmente felice di vedermi lì, Daisy ed un omone enorme, spalle larghissime, pelato, di colore. Fitz e Simmons iniziarono a parlarmi come se fossi una loro amica litigando sulle parole usate e la velocità del linguaggio << Ha vissuto momenti terribili, scampata a morte certa e ora si trova in un posto che non conosce circondata da persone ignote. Nemmeno un inglese reggerebbe la velocità delle tue parole dopo tutto lo stress passato >> la rimproverò Fitz.

Ma Jemma non si fece intimidire << Fitz santo cielo! E’ solo italiana, non viene mica da un altro pianeta! E poi sai che parlo così solo quando sono nervosa… Non lo faccio di proposito! >> si difese lei incrociando le braccia sul petto e distogliendo lo sguardo scocciata. Quel simpatico siparietto mi fece sorridere, almeno quei due erano simpatici –a modo loro. Diedi un’altra sorsata al caffè –acqua sporca- osservando gli altri che stavano alle spalle di Simmons, eccetto Daisy che sorrideva complice gli altri mi guardavano perplessi, come se in tutto quel contesto la mia presenza fosse fuorviante. L’ometto parlò per primo << Morte certa? Italiana? Qualcuno potrebbe spiegarmi? >> chiese quasi con impertinenza. Stavo per spiegare, o almeno tentare, ma Daisy fu più veloce e fece un breve riassunto su come fossi finita lì destando lo stupore di tutti i presenti << Wow… Questo trio è proprio fortunato >> disse l’ometto << Ma non vedo gli altri due… >> continuò la bionda << Dormono ancora! >> rispose prontamente Jemma.
Ci furono secondi di silenzio imbarazzante poi fu di nuovo l’ometto a parlare << Bè… Se siete ancora qui vuol dire che ci rimarrete ancora per un po’ quindi tanto vale fare delle presentazioni. Io mi chiamo Hunter e questo splendore biondo è la mia ex moglie Bobbi, mentre l’omone silenzioso è Mac. E’ buono come un cioccolatino >> scherzò, beccandosi uno schiaffo sulla nuca da quest’ultimo.
 
Ridacchiamo tutti << Si certo, fatemi passare per il giullare di corte! >> protestò massaggiandosi la nuca << Sappiano chi è, com’è finita qui e cosa le è successo… Ma ci sfugge ancora il perché >>. Sentenziò una voce femminile alle mie spalle, mi voltai vedendo avanzare una donna piccolina ed esile dai tratti orientali ed una espressione severa << Ah dimenticavo, la strega cattiva: May >> disse Hunter. Daisy portò lo sguardo prima su di me poi su May << In effetti è vero, perché cercavano proprio te? >> sentenziò. Sospirai, mi avrebbero mai creduta?
Cercai di concentrarmi spiegando nel miglior modo possibile il perché mi cercassero, balbettai qualche parola, mi fermai a pensare come si dicesse in inglese “gita in barca”, il discorso che ne uscì fuori fu poco chiaro << Ok >> disse Daisy << Andiamo con calma, dopo un viaggio in barca sei stata in grado di fare un “parola indefinita che ti giuro non ho capito” in vetro? Tu fai degli oggetti in vetro? >> domandò. Scossi la testa vivacemente, non aveva capito proprio nulla!

<< Ah COME il vetro, fai delle cose che somigliano al vetro? Ok non capisco… >> si arrese, mentre gli altri tentavano di indovinare cosa sapessi fare. Sembrava stessimo giocando a Taboo. << Crea uno scudo con le mani, azzurrino simile al vetro. Non è solido, sembra fatto di una qualche forma di energia e appare quando ha paura, è in prossimità di pericolo lei o chi le sta a cuore >> un assonnato Elia diede una spiegazione quanto meno più dettagliata possibile e tutti, soprattutto Daisy, ne rimasero stupiti.
 << Inumana… Ecco perché ti cercavano ma come… Hai mangiato olio di merluzzo? >> la guardai dubbiosa prima che Elia mi traducesse la domanda << Oh no… Mai preso olio di merluzzo ma durante la gita in barca mangiavamo essenzialmente pesce, molto merluzzo ma anche altro. Dei miei amici si diedero alla pesca e niente… Pesce fresco quasi ogni giorno >> affermai non riuscendo a capire cosa c’entrasse il pesce.

Daisy si morse un labbro prima che Coulson entrasse in cucina << Tutti in sala conferenze, abbiamo novità >> disse con una cartellina in mano. << Anche noi! >> affermò sprezzante Hunter << L’italiana ha poteri speciali >> disse muovendo velocemente le dita come in un numero di magia << Confermo >>, lo assecondò Daisy.
Coulson mi osservò per qualche secondo poi intimò gli altri di andare in sala conferenza << Con te tornerò a parlare tra qualche minuto… Nel frattempo, Jemma per favore disinfettale la ferita alla spalla >>. Jemma diede un segno di assenso poi si dispersero tutti << Dobbiamo andare in laboratorio, se vuoi puoi venire anche tu >> disse lei sorridendo ad Elia. La seguimmo come pulcini dietro mamma oca, una volta entrati vidi un enorme laboratorio con molte postazioni e strani macchinari. << Questa è la parte biologica, me ne occupo… Occupavo io, mentre dall’altro lato c’è quella tecnologica di Fitz >> disse mentre delicatamente toglieva i bendaggi << Sembra in via di guarigione ma deve farti ancora male, o sbaglio? >> chiese mentre iniziò a disinfettarla.
 
Feci una piccola smorfia per il dolore << E’ molto grave? >> chiesi titubante << Bè è pur sempre una ferita da arma da fuoco ma guarirà presto >> sorrisi, mi ero spiegata male << No, intendevo la cosa dei “poteri magici”… E’ molto grave? Cioè, volevano uccidermi ed io… Sono un pericolo? >> Jemma si fermò non sapendo bene cosa dire poi, guardandomi sorrise quasi maternamente << No, non è così grave. Sì siete un pericolo soprattutto se avete dei poteri distruttivi ma questo… Non è grave. Anche Daisy ha dei poteri ma una volta imparato a controllarli non è stata più un pericolo per nessuno, anzi! Lo Shield fa questo, o almeno ci prova, cerca le “persone speciali”, da loro un posto sicuro e li rifornisce di un modulo di contenimento dove imparare a gestire i loro poteri.

Ma non tutti la pensano come noi, alcuni hanno paura e quindi… >> Elia la osservò avendo intuito la conclusione della frase << Li uccidono… Qualcuno anziché contenere la minaccia, la elimina >> disse quasi con rabbia. Jemma sospirò, fasciandomi la ferita << Non le accadrà nulla. E neanche a te o all’altro, siete al sicuro ora. Siete sotto la protezione dello Shield >> concluse fermamente.


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Infine una piccola nota personale, nei precedenti capitoli ho volutamente tralasciare in quale episodio della terza stagione si sviluppasse la storia perchè aspettavo il "momento giusto". Ebbene, nella puntata 3x04 ho trovato il perfetto punto di giunzione tra la serie e la mia fan fiction. Da questo capitolo in poi, gli avvenimenti si intrecceranno con quelli della serie quindi occhio agli eventuali SPOILER.
Un bacio,
SenzaPh

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