I sette Vizi Capitali

di SSJD
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Superbia ***
Capitolo 2: *** Avarizia ***
Capitolo 3: *** Lussuria ***
Capitolo 4: *** Gola ***
Capitolo 5: *** Invidia ***
Capitolo 6: *** IRA ***
Capitolo 7: *** Accidia ***



Capitolo 1
*** Superbia ***





Per anni era stato il sovrano indiscusso dell'intero Universo.
Più potente di suo fratello e, ne era convinto, anche di suo padre.
Aveva sottomesso al suo volere e al suo comando migliaia di popolazioni, sterminando quelle che, secondo lui, alla prima occasione avrebbero preso la palla al balzo, per soverchiare il suo trono indiscusso.
Sayan, namecciani, terrestri.
E chi più ne ha, più ne metta.
Chiunque si fosse impicciato e avesse cercato di impedire la realizzazione dei suoi assurdi intenti di onnipotenza avrebbe pagato con la vita.
Perché nessuno poteva osare sfidarlo.
Nessuno che poi la sera volesse andare a riposare tranquillo.
Certo il fatto di essere stato ridotto in fin di vita da un sayan, non poteva considerarsi condizione sufficiente, per un essere onnipotente come lui, per non tornare a girare la ruota della fortuna e rifarsi vivo, dopo più di un anno e sfidare di nuovo chi aveva attentato alla sua vita.
Certo che no.
La sua smania di vendetta e le sue psicosi di grandezza lo portarono sulla Terra dove, guarda un po', un nuovo ssj gli diede una nuova degna sepoltura.
Quella volta fu un vero smacco, per uno come lui.
Affettato da uno stupido ragazzino uscito chissà da dove o, per meglio dire, da quando, fu spedito giustamente all'inferno, dove fu indecorosamente inserito in un assurdo bozzolo appeso ad un albero fiorito, in cui soggiornare per anni e poter...rimuginare.
Non poteva essere finita così.
Non poteva accettare, che finisse proprio così.
Anni dopo, gentaglia spaziale decise di raccogliere le sfere del drago e lo fece tornare in vita.
Di nuovo.
Tutto da capo.
Il brutto vizio di sentirsi il migliore dell'Universo si tradusse in un intensissimo allenamento, al termine del quale, tutta la sua pomposa superbia, si tradusse in due semplici parole: Golden Freezer.





 

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Capitolo 2
*** Avarizia ***






12
Erano dodici.
Erano dodici, erano suoi e soprattutto, erano gli ultimi rimasti.
Non esisteva proprio che ora quello sbruffone venuto da chissà dove e per chissà quale motivo, con quella flemma inglese, ma con fare tutt’altro che conciliante, fosse lì a chiedergliene addirittura UNO.
NO, NO, NO e NO!
Le regole per vivere sulla Terra gli erano state spiegate, tempo addietro.
Poche.
Chiare.
Cristalline:
Se vuoi qualcosa non la puoi prendere con la forza.
Se la vuoi comprare, devi avere i soldi.
Se desideri qualcosa, prova a chiederlo gentilmente, ma poi non ti arrabbiare se non ti viene data.
Le tre semplici regole erano state ascoltate, percepite e, inesorabilmente, col tempo, ‘rielaborate’.
Tale ‘reinterpretazione’ era avvenuta non molto tempo prima quando, in un parco dietro casa, aveva chiesto ad una bimba di fargli assaggiare il gelato alla crema che lei stava leccando con non poca avidità.
“No, questo è mio. Ѐ mio e non lo dò a nessuno. SLURP” aveva risposto la bimba alla sua formalissima richiesta.
Ma come? Lui aveva espresso il suo desiderio di assaggiare quel gelato alla crema in modo così cordiale e quella bimba non aveva avuto pietà di lui?
Erano state quelle parole dette in quel modo così asettico ad averlo illuminato, quel giorno.
Del categorico rifiuto della piccola, il grande e grosso mostro rosa aveva assimilato solo tre termini, che sarebbero rimasti legati alla delusione di non aver ottenuto ciò che desiderava: questo è mio.
Ora, di fronte a quell’alieno antipatico, quelle parole iniziarono a tornare vivide nella sua mente.
Il bozzolo in cui erano state accuratamente conservate iniziò a pulsare, all’interno del suo cervello.
“No, questi budini sono miei, tutti” disse MajinBu estraendo dalla comica bocca mezzo metro di lingua per leccare tutti e dodici i simpatici barattolini contenenti l’ambito dolce gelatinoso…






 

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Capitolo 3
*** Lussuria ***





Si svegliò nel cuore della notte.
Sudato, affannato e con i pantaloni del pigiama indecorosamente ingrossati da un’erezione che gli stava procurando quasi un dolore fisico, tanto pulsava.
Cazzo, non era possibile, tutte le notti la stessa storia, lo stesso dannatissimo sogno: le labbra umide e calde di lei che lo invogliavano ad entrare nella sua immacolata perfezione…
Perché sentiva sempre l’impellente bisogno di soddisfare quell’istinto?
L’immagine di lei che gli concedeva gli anfratti più intimi del suo bellissimo corpo lo bombardava in continuazione, facendogli pulsare le vene sulla fronte mentre, in tutta fretta, indossava una tuta e usciva velocemente di casa per andare da lei.
La trovò a dormire supina e beata, nel letto di casa sua.
Troppo caldo per indossare qualsiasi tipo di indumento.
Si avvicinò e le accarezzò un seno scoperto facendo inturgidire il capezzolo all’istante, dato il tocco esperto dei suoi polpastrelli, mentre di nuovo il suo membro era tornato a pulsare.
Lei aprì gli occhi, neri come la notte che li circondava e li sprofondò nell’azzurro cristallino dei suoi.
Senza dire nulla si mise a sedere.
Non distolse lo sguardo da quello di ghiaccio di lui nemmeno per un secondo.
Gli abbassò la tuta che scivolò a terra senza troppe discussioni.
Prese la sua eccitazione in mano e la massaggiò delicatamente per interminabili istanti, sostenendo quello sguardo di ghiaccio come solo lei sapeva fare.
“Non penserai che io sia venuto qui per questo, vero? Le seghe me le potevo fare a casa da solo…ti pare?” disse a bassa voce infilando la mano nei suoi lunghi capelli corvini, attirandola verso di sé.
Lei non fece altro che aprire un sorriso maliziosissimo, che scomparve subito dopo per cause di forza maggiore: difficile mantenerlo dovendosi occupare di accogliere tra le labbra l’organo vellutato di lui.
Sospiro.
Oblio.
Nient’altro.




 
NA: Mi scuso per l'eventuale OOC, ma per la lussuria una coppia vale l'altra e a me questa piace parecchio, se non si era capito. Se non vi aggrada, metteteci voi chi volete, in fondo, tutti i ssj hanno gli occhi azzurri, no? 😉

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Capitolo 4
*** Gola ***




Guardava quel piatto rivestito per intero da quel sottile disco variopinto e fumante.
L’aspetto era a dir poco magnifico.
Quella forma senza spigoli: fastidiosissimi spigoli che, ad ogni piatto, danno un non so che di atteggiamento  irriverente. Per questo i piatti sono rotondi: a nessuno piace mangiare in ceramiche quadrate o addirittura triangolari. Nessuno gradisce quel tedioso senso di sfida che danno quei dannatissimi angoli.
I cerchi sono perfetti.
Nessuno li mangerebbe così come sono.
Per questo motivo si tagliano le torte o le pizze in odiosissime fette triangolari: così possono essere immediatamente ingurgitate per far capire loro chi è il più forte.
Quel cibo era lì, con il bordo di croccante pane bianco che lambiva dolcemente il rilievo più esterno del piatto sottostante.
Cerchio nel cerchio.
Tutto dannatamente perfetto.
Un aspetto assolutamente invitante.
Per non parlare del profumo: un misto di pomodoro, mozzarella e quella deliziosa erbetta spezzettata che dava quel tocco pungente, ma assolutamente indispensabile per rendere quel piatto la sua pietanza preferita. In più, a questo magico intreccio di profumi, giunti per primi al suo infallibile olfatto, si aggiunse quello vellutato, soave e assolutamente immancabile, del più pregiato olio d’oliva.
Lo annusò più e più volte, prima di ‘procedere’ al sezionamento.
“Come si chiama questo cibo?” chiese non riuscendo a togliergli occhi e naso di dosso.
“Pizza, Lord Bills” rispose Whis, mentre l’altro puntava la prima fetta verso la sua bocca famelica.
La punta della fetta andò ad impattare contro il palato e, pochi istanti dopo, i denti felini del dio si serrarono, separando definitivamente la parte più minacciosa della fetta dal resto del suo corpo.
Solo qualche filo di mozzarella filante cercò di resistere al definitivo distacco, con grande sorpresa del Lord che, divertito, aprì sul suo volto un sorriso di assoluta, infinita e ingorda soddisfazione.




 
 

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Capitolo 5
*** Invidia ***




Lo guardava allenarsi ogni giorno.
Ogni dannatissimo giorno vedeva il suo corpo modificarsi, diventando sempre più possente, perfetto, una incredibile e dissoluta macchina da guerra.
E non solo.
Qualche volta aveva visto arrivare quella donna.
Ricordava bene come era stato, essere dentro il corpo di lei.
Umiliante, ma, allo stesso tempo, incredibilmente…strano…per uno come lui.
Sempre meglio che essere dove era ora.
Una noia mortale.
Essere costretto a vedere tutti i giorni quel corpo divenire infallibile era così dannatamente frustrante che lui stesso non sapeva quanto sarebbe potuto durare.
Il giorno in cui prese la decisione di cambiare definitivamente vita, fu quando li vide attraverso la porta a vetri del salone che dava sul giardino.
La vide avvicinarsi a lui.
Il tempo di qualche scambio di battute acide e poi…
I vestiti di entrambi erano finiti a terra calpestati dai soli piedi di lui che, intrappolando il formoso corpicino di lei tra il suo e il muro, l’aveva sollevata di peso, portandole le gambe sui suoi fianchi scolpiti e facendola sua.
Lui era stato lì fuori, a farsi del male osservando la scena che avrebbe potuto vivere lui stesso, se le cose non fossero andate per quell’orribile verso.
Era colpa dei sayan, se lui ora era così.
L’avrebbero pagata cara, un giorno.
Sentì i due amanti portare a termine quell’amplesso con gemiti fin troppo accentuati per essere frutto di finzione e il suo desiderare di possedere quel corpo, già agognato non molto tempo prima, divenne, da quel preciso momento, quasi un’ossessione.
Voleva i suoi muscoli scolpiti.
Voleva la sua forza.
Voleva lui.
Con un po’ di fortuna, avrebbe avuto anche lei.
Ginew cercò un rametto.
Lo prese tra le piccole dita palmate e cercò in tutti i modi di imparare a scrivere una sola parola, apoteosi della sua invidia:
“Scambio”



 

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Capitolo 6
*** IRA ***





Odio e disprezzo cominciarono a salirgli dal ventre e gli attraversarono il cuore come una scarica elettrica o, più semplicemente, adrenalinica.
Strinse i pugni così forte che i tendini sembravano per saltare, come elastici troppo tesi.
Come aveva potuto?
Quello era suo amico.
Erano cresciuti assieme.
Si erano allenati una vita, per diventare entrambi dei guerrieri.
E lui? Quell’essere ripugnante che ora aveva di fronte, si permetteva anche di ridere scioccamente e gongolarsi del fatto di essere riuscito ad ucciderlo con uno sforzo irrisorio?
Bastardo.
Il sayan non ascoltò nemmeno la seguente scontata minaccia da parte del mostro di voler eliminare anche gli altri presenti.
Il sangue aveva già iniziato a bollirgli nelle vene.
La sua aura era già cresciuta a sufficienza da far tremare la terra circostante, permettendo così a pietre di varie dimensioni di sollevarsi e iniziare vorticosamente a fluttuare nell’aria.
Le vene del collo si fecero sempre più accentuate e pulsanti, tramutando lo sguardo monoculare del nemico da strafottente a incredulo.
Solo poche parole:
“Non avresti dovuto”
Poi…l’ira.
Quell’ira funesta, che solo chi ha subito un torto imperdonabile può capire, si concentrò in lui ed esplose mostrando la parte più primitiva del suo essere sayan.
I capelli divennero oro e gli occhi ghiaccio: colore molto più adatto ad esprimere la freddezza del suo cuore.
Pochi secondi, prima di tornare ai tratti genetici di sempre.
Non era ancora il momento…
Goku cercò nel più profondo del suo animo il termine giusto per far capire a quel mostro che ciò che aveva appena fatto era imperdonabile.
Dannazione, ma qual'era quella parola?
Pensò a Krillin che invocava il suo nome, prima di morire e alle parole del suo principe, prima di finire all’inferno.
Un fulmine scese dal cielo e il termine trovato lo fece trasformare definitivamente in ssj: Vendetta.
 

 
 

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Capitolo 7
*** Accidia ***




Lancio
Muro
Parquet
Mano.
Guardava roteare la palla che, seguendo sempre la stessa traiettoria, colpiva il muro nello stesso identico punto, fino a provocare il distacco di qualche frammento di orribile intonaco verde pistacchio.
‘Che merda di colore’ aveva pensato centinaia di volte passando per quel corridoio.
Ma non quella sera.
Quella sera la sua mente era focalizzata su tutt’altra questione.
Quest’ultima aveva cominciato a farsi spazio nella sua testa completamente svuotata da qualsiasi emozione e da un qualsivoglia pensiero, solo intorno al duecentesimo lancio.
Strano, come il semplice lanciare una palletta contro un muro aspettandone, senza ansia, il ritorno certo nella mano lanciatrice, potesse essere un’azione così filosoficamente interessante.
Eppure lo era.
Cell era tornato sulla Terra, riducendo il sacrificio di Kaaroth ad essere identificato con un unico aggettivo: inutile.
Mirai!Trunks era tornato in vita con le Sfere del Drago.
Lui era tornato a vivere lì, con lei.
Addirittura, quella stupida, inutile, decerebrata palla riusciva a tornare nell’esatto punto da cui era stata lanciata.
Tutti erano tornati.
Kaaroth no.
Aveva deliberatamente deciso di non tornare in vita.
‘Sta bene.
Lui non tornerà, ergo, io non combatterò mai più.
Me ne starò qui, a finire di togliere quest’orribile intonaco a colpi di palletta roteante e  crogiolarmi nel mio insopportabile far niente’ pensava da giorni.
Ma poi, all’improvviso…
“Fottiti, Kaaroth” imprecò afferrando per l’ultima volta la palla con la mano e premendola fino a disintegrarla completamente.
Bene, l’hai distrutta… era ora. Perché ora non vai a giocare un po’ con questa? Così la pianti di poltrire tutto il giorno. Avanti, spostati. Ho deciso di imbiancare questo corridoio… e tu sei d’intralcio” lo informò la voce irritata e seccante di lei.
Alzò lo sguardo, Vegeta.
Prese al volo la capsula che Bulma gli aveva irrispettosamente lanciato.
La girò.
Solo due iniziali.
G.R.
 






 
NA: Visto il successo di questa breve, ma intensa raccolta, credo che potrei pensare di replicare al femminile. Vedremo. Per il momento ringrazio davvero tutti coloro che hanno letto, chi ha inserito la raccolta in una delle categorie e soprattutto le decine di persone che hanno recensito: senza i vostri commenti non sarei così ispirato! Grazie di cuore e alla prox!
SSJD

 

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