Tè al ginseng

di Niruh
(/viewuser.php?uid=66607)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Tè al Ginseng

Prologo

Quando la vide per la prima volta, Vanessa leggeva un libro dalla copertina consumata ed addentava piccoli dolcetti giapponesi. Con il tempo Andrea avrebbe imparato che li amava quasi quanto la lettura; eppure in quelle poche ore primaverili, tra le sue dita, non riusciva a cogliere con lo sguardo nient’altro che piccole palline di zucchero viscoso.
Gli sembrava che la lettura la coinvolgesse talmente tanto da farle perdere il contatto con la realtà. A volte lui la osservava nei momenti di tensione, mentre i suoi occhi scuri saettavano tra quelle pagine ingiallite. Si limitava a muovere la mano e posarsi il mignolo sulle labbra, come se volesse evitare una qualche fuga emotiva.
La prima volta che rivolse la parola ad Andrea fu per chiedergli se servivano tè al ginseng. Lui, in realtà, non sapeva nemmeno cosa fosse, così rimase vari secondi in silenzio per poi scuotere la testa e dirle che avevano solo del tè solubile. Quella fu l’unica volta che la vide abbassare il capo non per dedicarsi alla lettura, tanto che i capelli rossi le coprirono il volto nascondendolo alla sua vista. Non ritornò nemmeno al suo posto per ricominciare a leggere, ma lo fece lì, in piedi davanti al bancone.
Nei mesi seguenti era sempre lì con quel maledetto libro, nello stesso silenzioso angolino.
Per tanto tempo ordinò il tè scialbo del locale, ma non lo bevve mai; lo ordinava solo per poter rimanere nel locale.
Ad Andrea, infondo, non dispiaceva avere compagnia durante le giornate di pioggia; anche se era una compagnia così silenziosa.
E fu così che passarono altri giorni ed altri mesi; il freddo lasciava spazio al caldo e l’angolino iniziò a ricevere piccoli raggi di luce. Ma ormai lei non veniva più e quel posto rimaneva isolato come prima, dimenticato da tutti.
Andrea la vide tornare dopo molto tempo. Quasi non la si riconosceva con i capelli corti neri e lo sguardo attento. Sembrava essere tornata alla realtà, come se avesse buttato quel suo adorato libro per strada ed avesse deciso di ricominciare a vivere.
Tra tutti gli sguardi ammiccanti degli uomini nel locale quello di Andrea però non c’era . Lui aveva visto qualcosa in lei la prima volta, mentre le pagine venivano sfogliate e i dolcetti divorati. Ora aveva davanti a sé una donna diversa, dall’aria cupa e misteriosa, non trascurata e sognante.
Arrivò al bancone in fretta e lui si asciugò le mani tremando; sembrava un ragazzino al primo lavoro.
“Un caffè, grazie” gli disse con tranquillità, ma lui, così attento a lei, riuscì a cogliere un tono diverso anche nella sua voce.
Le preparò il caffè con molta attenzione, più di quanta ne avrebbe usata per gli altri clienti; tuttavia sentiva di aver sbagliato qualcosa, di aver perso l’occasione della sua vita in quel tè di tanto tempo prima.
Vanessa consumò il suo caffè e gli lasciò una piccola mancia, e così fece ancora per i giorni seguenti. Ad Andrea non sembrava vero di aspettare il suo arrivo con trepidazione. Voleva sapere tutto di lei, così cercava di cogliere tutto quello che poteva nei pochi minuti in cui gli rivolgeva la parola.
Uno dei giorni prima di Natale la vide entrare nel locale con un piccolo sacchettino tra le mani. Non ci fece caso più di tanto, sarebbe potuto tranquillamente essere un regalo per qualche amico o familiare. Però lei aveva un’aria strana, e quello lo capì subito. Non solo perché non ordinò il solito caffè, ma anche per il fatto che andò a sedersi nell’inospitale angolino. Era tornata per un attimo nel passato con quel sacchettino tra le mani. Fece un paio di sospiri e poi ne cacciò un libro. Era il suo libro. E, per Andrea, il suo momento.
Corse in cucina e afferrò i filtri per il tè al ginseng che aveva comprato qualche giorno prima. Era andato al negozio orientale e si era fatto consigliare dal proprietario per non sbagliare. Tornò al bancone e ne mise uno in una tazza d’acqua calda. Poi alzò gli occhi e la vide accarezzare la copertina consumata del libro e passare le dita sul dorso, la parte forse più delicata essendo attaccata per miracolo.
Si avvicinò piano con la tazza e la posò sul tavolino di fronte a lei, ma quella ragazza non aveva occhi che per quel libro. Andrea riusciva persino a sentirne l’odore, di zucchero e marmellata, come se non fosse mai sfuggito dalle sue mani, nemmeno dopo tanto tempo.
Quando lei alzò lo sguardo, notò lui e poi la tazza e Andrea fu contento che non fosse stato il contrario. Lei aveva gli occhi talmente lucidi e la pelle bianchissima. Andrea non sapeva cosa fare, si considerava una frana in tutto: nella studio, nel lavoro, negli affetti. Ma a parte tutto sentiva di essere nel posto giusto.
Si sedette vicino a lei e prese coraggio per un bel po’ di volte, ma alla fine distolse lo sguardo verso una delle pareti. Solo dopo un po’ di tempo sentì un lieve contatto sulla mano. Era quella di Vanessa, calda e timorosa, che gli chiedeva di starle vicino.
“Grazie” sussurrò tra le labbra. E lui capì di essere davvero nel posto giusto.




Note dell'autore:
Ciao a tutti. Questo prologo è stato recuperato da un mio vecchio hard disk. E' bastato un attimo per ricordare i vari elementi che mi avevano portato a scriverlo e così ho deciso di continuare questa storia. Dal primo capitolo in poi la storia prenderà la sua piega da commedia. Oscillerà infatti tra sentimentale e commedia. Spero vi piaccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Tè al Ginseng

Capitolo 1

“E poi?”
“Poi cosa?”
“Le hai chiesto il numero o di uscire o entrambi?” chiese Ezio iniziando a togliere calzettoni e scarpette. Era prima mattina ed erano negli spogliatoi dopo aver finito gli allenamenti di calcetto.
Andrea aprì la bocca un paio di volte “Io…”
“Ma come, sbavi su questa ragazza da più di un anno e quando finalmente sembra che tu l’abbia fatta uscire da Narnia non fai nulla?” sbottò Ezio guardando stupefatto il proprio migliore amico.
Per tutta risposta Andrea si portò una mano dietro la testa con imbarazzo.
“Sono un idiota”
“Lo so, ma non intendo passare altri mesi a sentirti ciarlare di una a cui hai parlato tre volte in croce”.
Finì di togliere i vestiti ed entrò nella doccia dello spogliatoio.
Andrea, intanto, fissava i suoi calzini con interesse.
Cody*, puzzi come un cane bagnato, dovresti davvero lavarti anche tu” Ezio spuntò fuori dal box solo con la testa per dirglielo. Sperava che chiamandolo con il nome del suo personaggio dei videogiochi preferito, come ai vecchi tempi, si sarebbe ripreso un po’.
Andrea rise, si tolse i vestiti e andò verso il box vicino.
“Va bene, Guy*, oggi le chiederò di uscire”
“Alleluia”
Qualche ora dopo desiderò non averlo mai detto. Ezio era il suo migliore amico da una vita e si era lasciato convincere da lui a scegliere una facoltà lì. Aveva un talento inutile per i film, di cui ricordava praticamente tutto a distanza di anni, ma un ulteriore talento a rompergli le scatole per una cosa come questa. Non le hai ancora parlato?! Vuoi che le chieda io se vuole giocare con te?
Già sentiva le sue paternali nelle orecchie, ma cosa poteva farci? Non era pronto, non sapeva cosa dire.
Con la sua ex era stato tutto molto fisico e non aveva trovato particolari difficoltà nel parlarle perché non lo studiava con gli occhi e non aveva quell’aria colta che invece Vanessa trasudava da ogni poro.
Improvvisamente il suo trentadue al test d’ingresso lo faceva sentire inadeguato.
Forse non la merito.
Ma se neanche la conosci gli rispose il suo migliore amico nella testa.
Aspettò fino all’ultimo minuto combattendo con sé stesso tra la voglia di vederla e l’ansia. Alle otto però il suo turno finì e si sentì strano. Non c’era sollievo nel suo petto, ma angoscia. Si sarebbe rotolato tra le coperte pensando alle parole da dire, ma il giorno seguente le avrebbe sbagliate tutte. Come quando in quinta elementare aveva preso una cotta per una compagna e la frase studiata allo specchio per chiederle di fare il cartellone insieme a lui si era trasformata in vuoi fare il cartellone con me? Disegno bene. Non che tu non disegni bene, ma io sono bravo. Non solo aveva ricevuto un rifiuto, ma per tutta la durata delle scuole medie Linda Bosco l’aveva guardato con stizza e aveva incitato le altre ragazze contro di lui. A dieci anni dire di essere migliore in qualcosa rispetto agli altri può rovinarti. Così come a quindici battere quelli dell’ultimo anno di un liceo artistico in concorsi di pittura.
Salutò l’altra cameriera del bar e uscì dal locale stringendosi nel cappotto. L’aria dicembrina gli batté sul viso e il rumore del treno si fece più intenso mentre imboccava la strada di casa. La stazione si trovava esattamente tra casa sua e il locale e, per quanto possa sembrare strano, ad Andrea il rumore non disturbava affatto. Inoltre l’affitto di casa costava di meno rispetto agli altri proprio per questo. Arrivato a casa trovò Ezio indaffarato in cucina a cuocere un uovo.
“Ehi, Cody, a quando le nozze?” chiese avendo riposto nell’amico sicurezza e fiducia.
Andrea piombò su una sedia. “Oggi non è venuta… è sparita di nuovo.”
“Come?! Ma non abita lì, praticamente?” nel fare la domanda si voltò di novanta gradi, mentre l’uovo assumeva colori terrosi.
“Forse è via per le vacanze” ipotizzò Andrea per darsi coraggio. Ezio spense il fornello e mise l’uovo in un piatto. Dopodiché guardò l’amico. “So cosa farai. Passeranno queste vacanze e ti giustificherai con te stesso che è questo il motivo per non parlarle. Poi a gennaio prenderai quei quindici giorni extra che il tuo capo ti ha promesso e ovviamente non le parlerai. Poi sarà passato troppo tempo e sentirai che non è più il momento adatto per farlo.”
Andrea pensò che era impossibile rispondere con qualcosa di sensato a tanta ovvietà su se stesso.
Rinuncerò.
Come se gli avesse letto nel pensiero Ezio gli rispose prontamente.
“Oh, no, bello, tu le parlerai e se non lo farai entro la fine dell’anno dirò a tua madre che agli ultimi appelli d’esame non ti sei proprio presentato”
“E’ un colpo basso, ma prima o poi gliel’avrei detto io”
A quanto pare la minaccia non lo scalfì, così Ezio passò all’artiglieria pesante.
“Dirò a tua nonna che hai perso cinque chili”
“Ma se ne ho persi solo tre”
“A lei sembreranno dieci”
Nella cucina piombò il silenzio e Andrea capì di non poter scappare. Ci fu una lotta di sguardi, ma alla fine la ragione vinse.
“Ok, le parlerò, ma se non verrà più al locale come farò a trovarla? Poi fra due giorni torno a casa”
“A questo ci pensa Eziuccio” disse l’amico alzandosi e sparendo nel corridoio. Tornò poco dopo con il computer portatile.
“Facebook ci aiuterà. Cosa sappiamo di lei?” si preparò mettendosi in posizione e accorciando le maniche della maglia, cosa alquanto da pazzi visto il periodo e il riscaldamento quasi inesistente, roba da studenti universitari fuori sede insomma.
“Ehm… il nome?” provò Andrea. Non credeva molto in quella soluzione. Aveva 120 amici su facebook: 40 stranieri che avevano messo mi piace ai suoi disegni, colleghi dell’università, vecchi compagni e parenti. Suo zio Pietro, di 82 anni, aveva più amici e foto di lui.
Ovviamente trovarono una quantità assurda di ragazze di nome Vanessa.
“Dobbiamo restringere l’area” disse Ezio entrato ormai in modalità poliziotto.
“Puoi fare una ricerca per interesse?” chiese Andrea alzandosi in piedi. Andava avanti e indietro per la cucina e passava in rassegna ogni dettaglio su quella ragazza.
Era fissata con la lettura, sì, ma cosa in particolare? Per vario tempo aveva portato dei libri diversi, di università, lo si capiva dalla rilegatura della copisteria del campus. Andrea aveva buttato lo sguardo con nonchalance, ma fortunatamente ricordava ancora l’autore: John Milton.
“Letteratura Inglese!” quasi urlò per la foga. “Sono quasi sicuro che studi questo all’università”
“Bene, deve esserci un gruppo di facoltà, proviamo”
Cercarono in ogni tipo di gruppo di letteratura del dipartimento e lessero tanti di quei commenti e nomi che quasi veniva loro spontaneo voler rispondere al genio di turno che chiedeva sempre la stessa cosa. Ezio considerò l’eventualità di arrendersi, ma vide l’amico talmente preso che aprì un’altra finestra.
Ragazzi chi sta preparando l’esame… bla bla…qualcuno ha le slide… bla bla…l’email del pr-
“Fermo!” quasi gli saltò un timpano.
“Sali su”
Ezio obbedì e nei primi commenti ad uno stato lesse il nome di una Vanessa.
“Dici che potrebbe essere lei?” fu cauto, non voleva alimentare false speranze nell’amico.
“E’ lei” Andrea lo disse in modo così sicuro e con un’espressione così seria che Ezio sembrò rivederlo a sedici anni davanti ai bulli. Ne avevano prese, eh sì, ma le abbiamo anche date ripensò con un sorriso.
A quel punto fu Andrea a prendere il controllo del mouse. Cliccò sul nome e si aprì la pagina della ragazza. Nell’immagine del profilo era seduta su una panchina e sorrideva semplicemente. Andrea si meravigliò ancora una volta della sua bellezza.
“Ora capisco tutto” esalò Ezio.
“Amico, se decidi di nuovo di arrenderti io-”
“Non mi arrendo”
Ezio sorrise.
“Bentornato, Cody




NB: Dal terzo i capitoli sono più lunghi.

Note dell'autore:
*Cody e Guy sono due personaggi di Final Fight, un gioco degli anni 90. Andrea ed Ezio da bambini ci giocavano sempre e tendevano, per i loro caratteri, ad immedesimarsi nei personaggi scelti.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Tè al Ginseng

Capitolo 2

Andrea si rigirò di nuovo tra le coperte. Aveva promesso a se stesso di non toccare il cellulare fino al mattino successivo, ma l’attesa lo stava logorando.
Mia sorella direbbe che sembro una femminuccia.
Afferrò il cuscino e ci si infilò sotto. Tic, tac, tic… l’orologio alla parete non era stato mai così assordante mentre il treno passò una volta e poi un’altra ancora.
Basta.
Afferrò il cellulare e aprì l’applicazione di Facebook. Niente, lei non aveva ancora accettato la sua richiesta di amicizia. Erano passate poche ore dopotutto, ma aveva strani presentimenti. Sperava di non aver fatto la figura del pervertito ad averle mandato la richiesta così tardi.
Mica può vedere l’orario?
Intanto dalla cucina si sentiva il suono della carta e della matita. Ezio stava ancora finendo le tavole di disegno per l’università. Andrea si sentì in colpa perché i suoi libri ormai non lo riconoscevano più.
Lo schermo del cellulare si illuminò e così il viso del ragazzo.
La tua promozione si rinnova il 23 dicembre. Verifica di avere credito.
L’avrebbe seriamente gettato dalla finestra se non fosse stato per l’altra notifica in alto che gli comunicava un nuovo messaggio nella chat.
Aprì il menù a tendina e dopo aver controllato di essere sveglio sorrise nell’oscurità.
Erano le 2.43 e lei aveva accettato la sua richiesta. Questo significava che era ancora sveglia.
Che fa a quest’ora sveglia? Potrebbe essere che scrive con qualcuno?

Improvvisamente si sentì sciocco. Era ovvio che una così avesse dei pretendenti, no? Se le avesse scritto ora sarebbe diventato un altro di quegli idioti che le rompevano le scatole.
Provò a prendere sonno, ma non aiutarono né le pecore né i numeri né niente. Riprese il cellulare e mise il suo stato offline. Andò sul profilo della ragazza e iniziò a scorrere le sue foto. In una era abbracciata ad un uomo asiatico. Se non fosse stato per i commenti, Andrea non avrebbe mai detto che fosse suo padre. Lui guardava la figlia con affetto, ma era un tipo di affetto diverso da quello di un padre mediterraneo. Sembrava che tra loro vi fosse un distacco rispettoso.
Nell’altra foto invece Vanessa era affiancata da una donna e si abbracciavano contente. Avevano dei buffi cappellini di carta in testa. In quel caso non gli fu difficile capire che era sua madre. Si somigliavano davvero molto e avevano la stessa bellezza raffinata. Le altre foto ritraevano Vanessa in momenti di studio o con amici, ne riconobbe due con frequenza. Forse quelli a cui era più legata, ma non poteva dirlo con certezza. Lui, infatti, aveva pochissime foto con Ezio, eppure era il suo migliore amico.
Salvò la foto della panchina e una in cui aveva i capelli arruffati mentre leggeva un libro all’università.
Si sentì tanto uno stalker, ma si giustificò con se stesso dicendosi che, dopotutto, era un bravo ragazzo.
Sperò di carpire qualcosa in più dagli stati, ma sembrava che a Vanessa non piacesse condividere i suoi pensieri. C’era qualche immagine divertente, contenuti condivisi da altri con lei. Oltre a questo tutto si fermava a mesi prima. Andrea ci arrivò dopo un po’ a capire che era lo stesso periodo in cui era sparita dal locale. Le era successo qualcosa? Sentì un forte sentimento di protezione in quel momento e si chiese se avrebbe potuto davvero aiutarla. Quel giorno, al bar, lei lo aveva ringraziato in modo profondo e sincero. Non solo per il tè, di questo era più che sicuro.
Forse fu per il desiderio di aiutarla, l’adrenalina della notte o il troppo sonno. Non seppe neanche lui cosa fu, ma in quel momento gli sembrò cosa geniale inventarsi una balla per rivederla.

Ehi, ciao, ti ricordi di me? Sono il ragazzo del bar. Scusami per l’orario, ma hai dimenticato una cosa al locale e volevo restituirtela. Devo prendere il treno nel pomeriggio quindi non avrei più possibilità di dartela.

L’ultima frase non si riferiva affatto alla fantomatica cosa. A mente lucida, Andrea lo avrebbe considerato un messaggio da disperato, ma alle quattro di notte tutto sembra migliore. Si congratulò con se stesso e vedendo che lei non era più collegata chiuse l’applicazione. La stanchezza e la soddisfazione contribuirono in buona parte a farlo addormentare profondamente.

“Andrè, ma ti sei fregato di nuovo i miei calzini?”
Il mugugno di risposta dell’interessato non meravigliò Ezio che iniziò ad aprire i vari cassetti in cerca di prove incriminanti.
“Ecco! Lo sapevo” dichiarò dopo un po’. “Devi ricordarti che quelli con una striscia blu sono miei, i tuoi ne hanno due”
Andrea cercò di tornare nel mondo reale sbattendo le palpebre un paio di volte. Lui non faceva molto caso a quante strisce avessero i suoi calzini.
“Questi architetti, come sono puntigliosi” disse prendendo in giro l’amico. In risposta Ezio gli lanciò una scarpa, una di quelle di Andrea ovviamente, e uscì ridendo.
Andrea si alzò con molta tranquillità, andò in bagno, preparò il latte e accese la televisione. Mentre i cartoni animati risentivano della gloria degli anni novanta, il cellulare vibrò e Andrea sembrò tornare in sé. O meglio, nel se stesso delle quattro di notte che aveva scritto a Vanessa.
Oh, cazzo.
Il biscotto che aveva appena immerso nel latte si inzuppò e diventò molliccio. Aprì la chat e sperò solo di aver scritto le cose così come le ricordava e non come la sua mente malata poteva averle distorte. Mai più Linda Bosco, ti prego.
Il messaggio era come lo ricordava e fu un sollievo. Sorrise congratulandosi con se stesso e si premiò prendendo un altro biscotto. Il suddetto biscottò però gli andò di traverso quando lesse cosa aveva aggiunto nel messaggio successivo.

Tranquilla, comunque. Anche se ti ho scritto a quest’ora non sono un maniaco. E’ solo che devo darti quella cosa. E poi se fossi stato un maniaco avrei già messo qualcosa nel tuo caffè, no? Ahah

Desiderò fuggire in Canada. Sarebbe andato a tagliare la legna lì e avrebbe sposato una donna che non parlava la sua lingua, così da non combinare disastri.
E lei gli aveva anche risposto. Lottò con se stesso per leggere.

Certo che mi ricordo di te. Posso venire al bar oggi, ma solo nel primo pomeriggio, alle tre. Va bene per te?


E poi un altro:

Hai messo qualcosa nel mio caffè? Ah, ecco perché mi sento attratta da te :P

Boom.




Note dell'autore:
Ringrazio tutti quelli che hanno messo questa storia nelle seguite. Ne sono davvero felice :)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Tè al Ginseng

Capitolo 3

Andrea ci mise davvero un bel po’ per riprendersi dallo stato di trance. Aveva strabuzzato gli occhi, fatto quasi cadere il cellulare nel latte e riletto quel messaggio tante –tantissime- volte. Perché non era vero, no? Non poteva esserlo.
E’ impossibile.
Non c’era bisogno di avere chissà quanta esperienza per capire che con quel messaggio lei aveva flirtato con lui. Andrea per un momento gioì con se stesso, poi l’insicurezza lo colpì. Anche se fisicamente era cresciuto bene, per via del suo carattere aveva collezionato dei rifiuti negli anni e montarsi la testa non era il modo migliore per affrontare le cose.
E se stesse solo scherzando?
Aveva avuto le sue relazioni, ma a volte le donne non riusciva proprio a capirle. Non si trattava solo di Linda Bosco che gli lanciava bigliettini con frasi criptiche e sguardo arrabbiato, ma anche sua sorella che gli chiedeva una cosa e poi si irritava perché l’aveva fatta.
Per lui le donne erano contraddizione pura e non riusciva a capire quanto Vanessa, la sua bellissima Vanessa, potesse aver messo di vero in quel messaggio.
Oh, coglione, pensi troppo!
In effetti aveva anche quel piccolo problema di rimuginare sulle cose.
Vanessa era sempre stata taciturna e silenziosa. Forse l’aveva idealizzata pensando a lei come a qualcosa di irraggiungibile, chiusa nell’angolino del bar e persa nel suo libro. Ma era da pazzi, no? Averla guardata per così tanto tempo e non aver colto la sua essenza. Doveva aver capito almeno una piccola parte di lei.
“So che al mattino gli smartphone sono particolarmente attraenti, ma lo stai fissando da troppo tempo perché la cosa possa risultare normale” disse Ezio posizionando la valigia nel corridoio. Era passato in cucina mezz’ora prima e aveva visto l’amico nella stessa identica posizione. Sospettò che non avesse neanche sbattuto le palpebre.
Andrea lo guardò e pensò che un altro umano, di indubbia qualità cognitiva visti i suoi voti all’università, avrebbe spazzato via qualsiasi idiozia il suo cervello stesse creando.
Ezio vide l’amico mostrargli lo schermo e quasi sperò in qualche ragazza in topless. Avrebbe di sicuro giustificato la particolare attenzione dell’amico. Si avvicinò e lesse il messaggio.
“Beh” si aprì in un grande sorriso “Grande! Allora è fatta?” alzò il cinque per batterlo con l’amico, ma Andrea non ricambiò.
“Non dirmi che ti stai facendo pippe mentali. Ci risiamo” alzò gli occhi al cielo Ezio.
“Questa ragazza ti ha detto che si sente attratta da te. E’ un via libera” gli spiegò. “I sì al posto dei no o le stronzate che hai dedotto vivendo con tua sorella non sono rilevanti” gli diede una pacca sulla spalla per scuoterlo.
Andrea sapeva che Ezio non gli avrebbe mai detto cose che non pensava. Quando ne passi tante insieme a qualcuno la sincerità è la prima cosa.
Si disse che, sì, era vero, Vanessa aveva apertamente flirtato con lui. E lui non era affatto male. Avrebbe messo la sua maglia preferita, un paio di jeans e l’avrebbe incontrata per restituirle quello che -
Oh no!
Per incontrarla le ho detto che aveva lasciato una cosa al locale” rivelò all’amico portando una mano sul viso, disperato.
“Le hai detto anche cosa?” chiese Ezio addentando un biscotto.
“No”
“Bene, allora potrebbe essere qualsiasi cosa. Devi solo scegliere”
Andrea non sapeva cosa usare. Doveva essere qualcosa che lei poteva davvero aver dimenticato lì.
Vagò con lo sguardo per la cucina in cerca di ispirazione.
Scatola di caffè, tazza a forma di pac-man, porta tovaglioli…
Poi, lo sguardo gli cadde sulla valigia di Ezio. A lato, colpito da un raggio di luce, probabilmente frutto della sua mente bacata, spuntava un ombrello.


“Lo incarto?”
“Sì” rispose Andrea. Non poteva rispondere altrimenti. Se il 23 dicembre compri un ombrello con delle paperelle stampate sopra e vuoi mantenere una parvenza di dignità hai l’obbligo di far credere alla commessa che quello sia un regalo e non la fantomatica cosa che devi restituire alla ragazza per cui hai perso la testa.
Era l’unico pezzo rimasto e la cosa l’aveva fatto sudare freddo a dir poco. Dove sono quelli che li vendono per strada quando servono? Quel negozio poi, era l’unico che aveva trovato aperto ad orario di pranzo.
Aveva chiamato Ezio per pregarlo di dargli il suo, ma l’amico era all’università per un ricevimento e non avrebbe fatto in tempo a raggiungerlo.
Ma poi chi è che va all’università il 23 dicembre!?
L’ombrello di Andrea invece si reggeva a stento grazie alla gravità. Aveva persino un buco nel tessuto.
Il ragazzo aveva anche pensato di comprare qualcos’altro, ma nulla sembrava adatto. Sapeva che solo una ragazza molto distratta avrebbe potuto credere a quella balla, ma cercò di convincersi che era una buona idea.
Ho sempre buone idee alle quattro di notte.
Come quella volta in cui era così contento di andare a pescare con suo padre perché negli ultimi due fine settimana non lo aveva visto. Aveva undici anni e neanche la minima idea di come si pescasse, quindi aveva passato l’intera notte a leggere guide e consigli su internet per non farsi cogliere impreparato. Al mattino, tra il freddo del lago e i suoi occhi stanchi, si era addormentato con la canna in mano e non era riuscito a prendere nulla.
A volte si sentiva ancora un bambino insicuro con le mani sporche di china e matita. Un bambino che aspettava con ansia il fine settimana per vedere il padre, ma che si sentiva di deluderlo se si dimostrava incapace in qualcosa.
Mentre andava al bar, perso nei suoi pensieri, il cellulare lo avvertì di una chiamata ed Andrea, riscosso, rispose.
“Wow, hai risposto subito” esordì una voce femminile squillante.
“Ti ho risposto solo una volta in ritardo” iniziò Andrea alzando gli occhi al cielo.
“Sìsì, certo” lo liquidò la voce. “Mamma vuole sapere il momento esatto in cui partirai e quello in cui arriverai, per infornare le lasagne”
“Eli, ma le avevo già detto che sarei arrivato molto tardi perché il treno è nel pomeriggio” rispose portandosi una mano dietro la testa. Sua sorella Elisa non era mai stata comprensiva, soprattutto con lui, ma quella volta sospirò per supporto.
“Ho provato a dissuaderla, ma dice che arriverai morto di fame. E’ un caso perso”
Andrea sentì quasi la sorella temporeggiare, come se pensasse ad altro e non alle lasagne.
“Oggi ha chiamato papà”
Oh.
“Verrà a Natale” lo informò la sorella.
“E verrà anche lei?” chiese Andrea. Lei era la compagna superstrana di suo padre.
“Non ho indagato, ma penso proprio di sì”
“Mamma?” domandò protettivo.
“Al solito. Cucina per non ammettere che pensa ancora a lui” rispose Elisa ridacchiando.
Andrea rise. “Ottimo. Devo proprio riprendere i chili che ho perso” e si toccò la pancia.
“Ora devo andare, è tornata nonna! Chiamami quando arrivi”.
Andrea la salutò e chiusero la chiamata.
Si avviò verso il locale e, non potendo farne a meno, pensò a Vanessa. Da una lato aveva una voglia matta di vederla e farle capire quanto fosse pronto a conoscerla. Dall’altro non sapeva cosa aspettarsi.
Gli capitava spesso di sentirsi così. Come quando a diciotto anni aveva saputo che il suo artista preferito sarebbe stato nella sua città. Aveva aspettato sei ore in fila per farsi firmare la copia di stampa grafica che adorava, ma un momento prima che toccasse il suo turno aveva desiderato non essere lì. Aveva timore del confronto con l’artista, di scoprirlo diverso da quello che credeva.
Quando gli arrivò davanti, l’uomo lo guardò da dietro un paio di occhiali anni cinquanta. Era un artista dai lavori eclettici, uno da cui non sai mai cosa aspettarti. Quella volta però sorrise e, alzando la mano sporcata dalla stilografica, indicò Andrea. Disse solo “Bella maglietta”, ma al ragazzo sembrò come se quelle parole racchiudessero un mondo di approvazione. Aveva disegnato lui quella maglietta e da quel momento aveva dubitato meno delle sue abilità artistiche.
“Sei di nuovo perso nel tuo mondo, eh?”
Andrea sobbalzò e si girò verso Eva, l’altra ragazza che lavorava nel locale. Stava sistemando i tavolini fuori. Tendevano a non metterli d’inverno, ma alcuni anziani a volte preferivano fermarsi lì e guardare il via vai sulla stradina.
Eva era davvero carina, ma da sempre offlimits per Andrea perché figlia del capo. Il ragazzo si sentiva davvero a suo agio con lei e non era stato difficile considerarla solo una buona amica. Soprattutto da quando aveva visto Vanessa per la prima volta.
“Oh, sì” rispose Andrea.
“Si tratta di quella ragazza che viene sempre, vero?” chiese con un sorriso malizioso.
Il ragazzo portò una mano dietro la testa e non riuscì a mentire. Non era affatto bravo a farlo.
“Secondo te ho qualche speranza?” chiese sincero aiutando la ragazza.
Lei sorrise “Tu hai sempre speranze” gli fece notare. Se Andrea non l’avesse conosciuta così bene, avrebbe potuto pensare che ci stesse provando, ma erano davvero solo amici. A volte lo capiva anche di più di sua sorella, che era decisamente troppo critica.
“E’ quel tuo amico che non sa come ci si comporta” esclamò ad un tratto piccata. “Qualcuno dovrebbe insegnargli che la prima cosa da guardare in una donna sono gli occhi e non altro!”
Andrea si trattenne dal ridere spudoratamente. Ezio in effetti gli aveva fornito bei dettagli, su misure ipotetiche e tutto il resto.
“Non ho intenzione di uscirci mai più!” esclamò sicura.
Eppure Andrea vide che i suoi occhi e il suo corpo dicevano tutt’altro.
Mmh, amico, i sì al posto dei no sono stronzate. Sì, Ezio, proprio così.
Era cresciuto con sole donne, il minimo che aveva imparato era che non erano affatto semplici.
Eva gli prese una sedia dalle mani. “Oggi non lavori, sei in ferie, ricordi?” poi si rese conto della cosa. “A proposito come mai sei qui?”
Andrea fece l’espressione più piena di ego che riuscì e puntò i pollici verso il petto “ Si da il caso che questo ragazzo dalle innumerevoli speranze abbia invitato qui la donna della sua vita”
Meglio ostentare sicurezza, pensò.
In risposta Eva rise, talmente tanto che usò la sedia che aveva appena sistemato per reggersi.
Ottimo, fa bene al mio già enorme orgoglio.
“Questa l’hai presa da Ezio” considerò la ragazza con le lacrime agli occhi.
Andrea aveva davvero pensato all’amico per quella frase quindi non poteva prendersela davvero.
“Va' a sistemarti quei capelli o la farai scappare” disse Eva dopo essersi calmata. Usò quel tono dolce che usava sua madre.
Suscito tenerezza, è un bene?
Dopo venti minuti davanti allo specchio del bagno del locale, realizzò che doveva decisamente tagliarsi i capelli. La barba poi… aveva deciso di non rasarla perché solo accennata, ma ci stava ripensando.
Almeno così non sembro un neonato, no?
Poi quelle occhiaie da psicopatico. Però non era affatto male. Aveva gli occhi blu e di solito le ragazze desideravano quelli con gli occhi color dell’oceano, no? Ma a lui sembrava di attirare solo sessantenni che volevano presentarlo alle loro nipoti.
“Andrea, è arrivata la tua dama” disse Eva bussando alla porta. Il tono che usò e le sopracciglia ammiccanti che gli mostrò poco dopo gli fecero ulteriormente capire che, per quanto negasse, lei ed Ezio erano fatti l’uno per l’altra.
Vanessa era lì nel suo angolino e improvvisamente tutti i dubbi andarono via. Non voleva essere in altro posto, anche se le mani gli sudavano da impazzire.
“Ehi” esordì avvicinandosi.
Ottimo, che inizio.
Lei, che stava sistemando qualcosa ai piedi del tavolino,alzò la testa e spostò un ciuffo di capelli scuri mostrando ad Andrea il suo volto. Era bellissima, ovviamente, ma così diversa con quei capelli. Così poco dalla lei che aveva visto la prima volta, pensò Andrea.
Il ragazzo ricordò di aver letto da qualche parte che una donna cambia acconciatura dopo una delusione amorosa. Aveva visto sua sorella cambiare colori come sua madre cambiava disposizione ai mobili. Per non parlare di come questa aveva preso il divorzio. Era successo anche a Vanessa?
Amico, spegni quel cervello da femminuccia e attiva altro! Lo ammonì l’Ezio della sua testa.
“Ciao” rispose lei con quel tono vellutato.
“Tutto bene? Cosa posso offrirti?” chiese Andrea sedendosi e cercando di darsi un’aria da figo per mascherare l’ansia. Almeno ci provò. Ed era un gran passo avanti.
“O provo ad indovinare i tuoi gusti? Sai, sono bravo” le confidò.
Lei si morse il labbro per non ridere e stette al gioco. “Certo”
Andrea esultò con se stesso. Era carico di adrenalina e di un qualcosa che gli stava dando tutto quel coraggio.
“Direi che sei il tipo da tè” poi si portò le dita alle tempie e finse di sforzarsi “ma non un tè qualsiasi, sento delle vibrazioni…” inscenò un momento di suspense. “Al ginseng! Tè al ginseng!” e la indicò.
Lei rise e ad Andrea sembrò di aver conquistato il mondo. Era meglio di un trenta e lode.
Dopo poco Eva arrivò con le due tazze da tè e Andrea pensò che aveva conquistato abbastanza coraggio per darle l’ombrello.
“Stavo quasi dimenticando perché ti ho fatta venire qui” ridacchiò venendo colto da un po’ di nervosismo.
Oh, no, i poteri stanno svanendo.
Le diede l’ombrello e portò una mano dietro la testa. “Hai dimenticato questo l’altro giorno”
Lei prese l’oggetto e Andrea quasi ci vide più paperelle rispetto a poche ore prima.
Lei era davvero di poche parole, ormai l’aveva capito, ma l’aveva già sorpreso una volta quindi non sapeva cosa aspettarsi.
“Sei stato davvero carino a conservarlo” gli disse prendendo l’ombrello.
Ok, sono carino. Va bene, no?
“Ma non è il mio” continuò Vanessa porgendoglielo. Andrea sapeva che quella era una delle reazioni possibili. Anzi, era la più sensata, dopotutto.
Quindi lo ripose nel sacchettino che posò vicino al tavolo e pensò che sì, era una scusa, e lei probabilmente l’aveva sgamato, ma aveva pur sempre funzionato. Doveva approfittare del momento.
Lei intanto mise un po’ di zucchero nella tazza e bevve un sorso di tè. Andrea si sentì in dovere di bere anche lui, almeno per seppellire l’imbarazzo dietro i vapori del liquido paglierino. Il signore del negozio orientale aveva consigliato ad Andrea di evitare lo zucchero con il ginseng, in quel modo avrebbe apprezzato a pieno il suo sapore e le sue doti benefiche. E poi, aveva aggiunto, era più da uomini.
Il ragazzo quindi, con tutta l’innocenza del mondo, lo assaggiò al naturale. Le sue papille gustative però si resero conto del fatale errore troppo tardi.
Quell’intruglio sapeva di terra amara. Non era per niente buono. La sua faccia doveva essere lo specchio di quello che gli stava succedendo in bocca perché Vanessa rise e posò la tazzina per pulirsi la bocca con un tovagliolo.
“Mia nonna l’ha sempre bevuto così” iniziò a raccontare dopo aver fatto “quando ero piccola volevo sembrare più grande della mia età perché ero più bassa delle altre bambine” accennò un sorriso al ricordo.
“Volevo davvero essere come lei che era una grande donna. Una di quelle persone che sanno sempre cosa fare e che ti dicono sempre le parole giuste. Anche se aveva un tono un po’ duro e sembrava nel posto sbagliato la maggior parte delle volte. Ma a parte questo, faceva credere a me di essere nel posto giusto ed era questo che le importava davvero” Quella confidenza colpì Andrea. C’era qualcosa negli occhi di Vanessa, qualcosa che aveva visto i primi tempi. I tempi di quel suo adorato libro.
Ma c’era troppa malinconia in quegli occhi scuri. Andrea notò che guardarono un paio di volte il cellulare posato sul tavolino.
“Grazie per quello che hai fatto“ disse ad un tratto Vanessa.
Andrea rimase spiazzato. Grazie per cosa? Aveva solo usato una scusa per rivederla e l’aveva riempita di stupidaggini.
“Per cosa?” gli venne spontaneo chiedere.
“Per quel giorno alla stazione”
Andrea rimase stordito. Quale giorno alla stazione? A quanto pare c’era qualcosa di estremamente importante che doveva ricordare.
Ma… cosa?
“Scusami, non capisco” Pensò che era meglio fare la figura del cretino che perdersi qualcosa di lei.
Vanessa si sistemò un ciuffo di capelli e Andrea quasi riuscì a sentire il suo profumo.
“Quel giorno avevo tutt'altro in testa e se tu non –“ ma le iniziò a squillare il cellulare.
Ma io devo sapere! Andrea imprecò dentro di sé contro ogni rete mobile esistente.
“Perdonami, devo proprio rispondere”
Ovvio, si disse il ragazzo, ma lo sguardo di Vanessa gli aveva fatto capire tutto. Aveva una sorta di potere su di lui. Era senza speranze se riusciva a domarlo solo con uno sguardo, no?
Poi chi diavolo era al cellulare, un ragazzo? Sembrava davvero ansiosa di rispondere.
Andrea si aspettava che lei si alzasse e allontanasse per parlare in privato. Invece rispose restando seduta.
Mochi, mochi*”
Ma è giapponese?

“Genki desu. Iie, Oto-san” e continuò in modo veloce. Era arrabbiata.
Andrea aveva visto abbastanza anime giapponesi per capire che Vanessa stava parlando con suo padre, ma per il resto si perse. Si sentì quasi a disagio quando iniziarono a litigare.
“Wakarimashita” concluse Vanessa chiudendo la chiamata con rabbia.
“Andrea, devo andare” ed iniziò a prendere le sue cose in fretta. Aveva gli occhi lucidi e Andrea sentì di nuovo quel sentimento di protezione. Voleva proteggerla da tutto.
Ma non posso farlo, vero?  Come non poteva proteggere sua madre o sua sorella.
Si alzò e combatté con se stesso. Voleva fermarla, farla calmare e dirle che per qualsiasi cosa lui ci sarebbe stato. La aiutò con la borsa e la guardò, ma non disse nulla.
Poi Vanessa, in modo inaspettato, lo abbracciò e, per quanto durò più di un abbraccio normale, a lui sembrò troppo poco. I suoi capelli gli solleticarono la guancia e sorrise. Avrebbe voluto sentirsi sempre così. Con l’altro braccio invece la strinse sul fianco e Andrea sentì le curve della ragazza sotto il palmo.
Spero di non essermi comportato da maniaco.
Quando si staccarono sentì una sorta di vuoto. Non si era mai sentito così con nessuna.
E il vuoto sembrò intensificarsi quando lei uscì dal locale.
“Stai bene?” gli chiese Eva avvicinandosi.
“Sì, credo” rispose Andrea.
Cercò di scaricare la tensione scompigliandosi i capelli.
Eva tolse le tazze e poi iniziò a pulire il tavolino sistemando le sedie. Poi prese una cosa da terra.
“Andre, questo è tuo?”
Il ragazzo riconobbe il sacchetto con l’ombrello.
“Oh, sì. Il mio stupendo ombrello nuovo” disse sdrammatizzando. Eva, da donna e curiosità fatta persona, non poté fare altro che sbirciare. Andrea però la vide leggermente confusa.
“Il tuo ombrello ha la forma di un libro” considerò.
Andrea fu un lampo, si avvicinò a lei e vide che nel sacchetto non c’era l’ombra del suo ombrello, ma al suo posto il libro di Vanessa.
Dovevano aver scambiato i sacchetti nella fretta. Subito pensò di rassicurarla. Andrea aveva visto abbastanza per sapere che quel libro era una parte di lei e non voleva farla preoccupare. Inoltre, non doveva aver fatto molta strada, poteva ancora tornare indietro.
Prese il cellulare per mandarle un messaggio, ma trovò la notifica che nessuno vuole vedere quando ha la fretta di contattare qualcuno.
La tua promozione è rinnovata, ma il tuo credito disponibile non copre il costo.
E che cavolo!







Note dell'autore:
*per le parti in giapponese:
Mochi, mochi -> Pronto
Genki desu. Iie, Oto-san -> Sto bene. No, papà.
Wakarimashita -> Ho capito
Non me ne vogliano i madrelingua o gli studenti di giapponese. La mia cultura si limita ad una grande passione per telefilm asiatici (drama) e anime. Se ho fatto qualche errore fatemelo notare e sistemerò.
Spero che il capitolo vi piaccia e che giustifichi l'attesa. Andrea oscilla dal coraggio, al sentimento di protezione all'insicurezza. Nel prossimo capitolo spiegherò il perché, promesso :D
Secondo voi riuscirà a restituire il libro a Vanessa?
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Per chi è interessato, ho pubblicato anche un'altra storia qui su efp, si intitola Amori e altri difetti.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Tè al Ginseng

Capitolo 4

Guardando fuori dal finestrino del treno, Andrea si disse per l’ennesima volta che sarebbe dovuto tornare indietro. Eva si era dispiaciuta per lui. Erano anni che combatteva con il padre per far installare la wi-fi nel locale e attirare più clienti. Dopo averle detto che non faceva nulla, Andrea era corso in ricevitoria a ricaricare il cellulare, ma gli aveva comunque impegnato una mezz’ora e, quando finalmente aveva potuto scrivere a Vanessa su facebook, era quasi arrivato il momento di partire.
Aveva scritto alla ragazza che stava per partire, ma che avrebbe conservato il libro per quando sarebbe tornato.
Quasi gli parve ironico che quella volta non era affatto una balla e che lei avesse davvero dimenticato qualcosa al bar.
Poco dopo era salito sul treno dicendo a se stesso che quindici giorni passavano in fretta. Avrebbe custodito il libro fino a che non si fossero rivisti.
Non aveva mai avuto molto interesse nei libri. Non era riuscito a finire neanche quei tre che, negli anni, gli avevano assegnato per le vacanze scolastiche.
Preferiva disegnare o dipingere che leggere. Per lui nessun libro al mondo poteva sostituire l’odore della vernice e dell’olio di lino. Ma dopo dieci fermate la curiosità vinse o forse fu la noiosità del viaggio a fargli prendere quel libro dalla valigia.
Sembrava più vecchio di come lo ricordava. Aveva una copertina rigida, simile alla pelle, decorata con motivi in oro.
Andrea si stupì della complessità del disegno che mostrava un intreccio apparentemente infinito di figure marine e vegetali.
Era poi tenuto chiuso da un laccetto di cuoio con una sorta di medaglietta. L’aveva vista qualche volta. Vanessa lo usava come segnalibro anche se Andrea aveva il sospetto che non le servisse affatto per quanto conosceva quelle pagine.
Mentre districava il nodo, si sentì come se stesse violando qualcosa di molto privato, ma pensò che lei non lo nascondeva né cercava di coprire le pagine quando lui si avvicinava al tavolino nel locale.
Poi, sinceramente, è solo un libro e non deve per forza sapere che l’ho letto.
Ci sarebbe stato un tacito accordo con la sua coscienza per quella volta.
“Ho capito perché i biglietti costano così poco. Se vuoi mangiare c’è solo un distributore che ha prezzi assurdi. Due euro e cinquanta per uno snickers! Preferisco digiunare che lasciare che il sistema mi strappi via tutto” Ezio faceva così il suo ritorno dal vagone ristorante. Quando riprese posto al suo fianco, Andrea vide che aveva qualcosa tra le mani.
“Ma l’hai comprato lo stesso” notò.
“Certo che l’ho fatto. Ho fame! Ne vuoi?” Andrea fece no con la testa così Ezio iniziò a divorare la barretta.
“Sai che sono ancora deluso, vero?” disse dopo aver ingoiato il primo pezzo.
“Non solo né tu né la tua amica antipatica mi avete risposto per aggiornarmi sulla situazione, ma non hai neanche concluso” Era seccato e anche parecchio.
“Te l’ho detto che si è rinnovata la promozione” alzò gli occhi al cielo “e poi eravamo rimasti che le dovevo parlare prima di capodanno. Beh, l’ho fatto. Non puoi rompere ed Eva non è antipatica”.
Ezio prese un respiro e si preparò a parlargli come si fa con qualcuno di molto tonto.
“Parlarle significava concludere qualcosa. Oggi, a quanto pare, hai solo concluso che è incacchiata col padre” Poi come se parlasse tra sé e sé aggiunse “Neanche il numero le ha chiesto!”
Andrea sapeva che avrebbe dovuto farlo, ma ormai cosa poteva fare?
“Ha lasciato questo però” disse alzando leggermente il libro.
“Questo dimostra solo che inventi balle credibili. Potresti metterlo nel curriculum” notò Ezio addentando un altro po’ di barretta.
Andrea non sapeva davvero perché, ma sentì di dover aprire quel libro in privato e non lì davanti ad Ezio. Come fosse qualcosa che unisse solo lui e Vanessa.
Ricontrollò il cellulare, ma niente. Di solito sul treno prendeva poco, ma l’ultima volta che aveva controllato lei non era nemmeno collegata. Considerò di scriverle il suo numero di cellulare, ma poi ci ripensò.
Osservò per un bel po’ fuori dal finestrino, poi Ezio gli propose un gioco sul portatile e il tempo volò.
Quella sera, dopo aver convinto sua nonna di aver mangiato abbastanza lasagne e aver rassicurato visivamente la madre, si chiuse in camera. La sua bellissima camera con il letto cigolante e le pareti azzurre.
Finalmente era da solo e poteva aprire il libro.
Inizialmente non gli sembrò niente di speciale. Dopo aver sfogliato una ventina di pagine però vide tante piccole note a margine. A volte trovava anche delle parole cerchiate a penna.
Non riusciva a capire. Amare, sole, famiglia, una dopo l’altra venivano cerchiate e appuntate da qualche altra parte.
Tanto bello era quel libro da voler ricordare tutte le parole che venivano usate? Andrea era confuso e sentiva di esserlo troppo spesso ultimamente.
Provò a tornare alle prime pagine per leggere il nome dell’autore e cercarlo su google, ma il motore di ricerca non trovò nulla.
Chiuse il libro e poi lo riaprì per rifare le cose per bene. Prima pagina, vuota. Seconda pagina, vuota. Terza pagina…
A mia nipote.
Una dedica scritta a penna, niente di strano. Andrea pensò che poteva essere un regalo molto particolare che avevano fatto a Vanessa.
Si disse che leggerlo un po’ gli avrebbe fatto capire qualcosa di più sulla ragazza. Che poi era quello che voleva da quando l’aveva vista la prima volta.
Iniziò a leggerlo e le ore passarono una dopo l’altra. Quando finì i primi capitoli non gli importò che fossero le tre del mattino, si collegò a facebook e andò sulla pagina della ragazza. Scorse i post fino al periodo in cui non era più andata al locale e confermò a se stesso che non aveva scritto nessuno stato.
Vanessa non aveva condiviso i suoi pensieri con la rete, ma- e Andrea gioì per questo- l’aveva fatto con la carta. Alla fine di ogni capitolo aveva trovato qualcosa scritto da lei con una data appuntata.
Sotto il primo capitolo, in neretto, qualcosa che sembrava dirti tutto e niente.

Potrebbe capitarti di nascere giusto nel mondo sbagliato o sbagliato nel mondo giusto.
Ma, infondo, cos’è il giusto?
Giusto è il ragazzo del carboncino e del tè.
Giusto è pensare a lui pur essendo entrambi sbagliati nel mondo dell’altro.

“Cosa?!” esclamò Ezio allucinato il mattino dopo. Erano andati a correre insieme.
“Vado in Giappone, il prima possibile” ripeté Andrea fermandosi per riprendere fiato.
“Credo di essermi perso qualcosa” gli fece notare l’amico succube della confusione.
“Vanessa sara lì. Sua sorella ieri ha pubblicato una foto insieme a lei all’aeroporto e ha scritto che stavano andando ad Osaka”
Ezio si sentì orgoglioso nel vedere che il suo allievo di spionaggio era cresciuto.
“Ma non ti ha risposto” notò.
“No, ancora no” confermò Andrea riprendendo a correre. Aveva bisogno di sfogarsi per sgombrare la mente e rimettere insieme tutti i pensieri in modo ordinato.
“E tu vuoi andare da lei perché non ti ha risposto a un messaggio su facebook?” chiese Ezio perplesso.
“Hai presente il libro che ha lasciato?” al cennò affermativo di Ezio riprese “quel libro è la chiave per capire tutto. Le interesso.”
“Certo che le interessi. Te l’ha detto”
“Ma c’è qualcosa in più. Qualcosa che la blocca. Ieri sembrava strana, diversa. Stava per dirmi una cosa che penso di aver dimenticato” si fermò di nuovo e ripensò al giorno prima.
“Questa non sarebbe una novità. Dimentichi persino di scaricare in bagno, a volte” disse Ezio iniziando a fare un po’ di stretching.
Andrea ignorò il particolare e portò un braccio dietro la testa tirando il gomito con l’altro braccio.
“Sento che è importante e che non può aspettare” disse guardando l’amico. “Ho come la sensazione che se non faccio qualcosa ora non avrò più possibilità” abbassò le braccia e andò a sedersi sulla panchina vicina. Ezio lo imitò poco dopo.
“Andrè, sai che partirei subito con te per aiutarti, perché hai ovviamente bisogno di me, ma a volte ci sono cose che non possiamo fare. Siamo in periodo di feste. Dove troveremo un volo disponibile e che soprattutto non ci costringa a vendere un rene per pagarlo?”

Due ore dopo anche Andrea si rese conto che il suo piano faceva acqua da tutte le parti. Si erano messi a fare ricerche con il portatile in salotto. Avrebbe dovuto vendersi ben due reni per pagare il viaggio. Se fosse riuscito a trovare un posto visto che risultava tutto prenotato.
La cosa positiva era che, tra una ricerca e l’altra, alternavano con assaggini del ben di Dio che stava preparando la madre di Andrea in cucina.
“Mamma, non ti capisco, davvero. Le altre divorziate metterebbero il cianuro nel cibo se dovessero prepararlo per l’ex marito. Tu invece ti impegni per farlo più buono” sentirono dire da Elisa, la sorella di Andrea.
La nonna, fonte di saggezza, annuì. “Anche io ci metterei il cianuro”
“Mamma!” esclamò la figlia indignata. “Lo faccio solo per fargli capire cosa si perde ogni giorno” disse leggermente imbarazzata.
“Magari facessi questi piatti tutti i giorni” si lamentò Elisa.
Andrea sorrise tra sé. Gli erano davvero mancate.
“Che dici di questo?” gli chiese Ezio indicando il laptop.
“Ottocento euro a testa. E’ troppo” Le speranze stavano iniziando ad affievolirsi.
“Ho qualcosa da parte. Potresti andare da solo, come avevi pensato, e io ti darei la metà dei soldi” gli propose Ezio. “Anche se ti perderesti dopo due secondi come quella volta in gita”
“Avevamo nove anni!” Ribatté Andrea.
“Ho un’idea!” esclamò Ezio dopo un po’. “Che sciocco a non averci pensato prima”.
Prese il cellulare e dopo aver scorso la rubrica fece partire una chiamata.
“Ehi, piccola” esordì. “Hai ancora l’agenzia di viaggi? Ah, perfetto. Ho bisogno di una consulenza last-minute. Io e il mio amico Andrea dobbiamo essere in Giappone il prima possibile al minor costo possibile” guardò l’interessato alzando le sopracciglia. “Sì. Mh. Aspetto. Ok. Grazie piccola. Sì, ci sentiamo per messaggio. Ciao” Dopo aver chiuso la chiamata sfoderò il palmo in aria.
“Andrè, stavolta lo devi battere perché sono un genio”
Ezio mantenne fiducia in se stesso restando in quella posizione.
“Partenza il 29, due scali, venti ore in totale, ma quattrocento euro!”
Andrea esultò come quelle signore americane che in televisione riescono a fare la spesa solo con i coupon e batté il cinque ad Ezio, ovviamente.
Avrebbe dissanguato il conto in posta e sarebbe stato costretto a digiunare. Doveva considerare anche un margine per dormire. Mentre cercava il volo aveva letto una piccola guida sui viaggi in Giappone per soldi, alloggi e mezzi pubblici. Non poteva farcela con i pochi soldi che aveva.
L’insicuro che era in lui si fece strada prepotentemente. C’era chi progettava un anno intero un viaggio in Giappone, mentre lui stava facendo tutto in un paio d’ore.
Poi la lingua. Forse quel paese l’avrebbe schiacciato prima che lui riuscisse a trovare Vanessa.
Lei non gli rispose, anche se lui continuò a controllare fino a sera. A parte tutto, gli sembrò carino augurarle buon natale a mezzanotte e così le inviò quell’ulteriore messaggio. Molto probabilmente era ancora in viaggio. Si fece un conto approssimativo in mente.
A parte tutto, sembrava sparita di nuovo, ma la differenza questa volta era che sapeva dove cercarla.
La mattina di Natale si sentì come se fosse una mattina qualunque. Rimpiangeva i tempi in cui era piccolo e non aspettava altro, tanto da svegliarsi alle sei per scoprire cosa avrebbe trovato sotto l’albero.
Crescere è uno schifo.
Verso le undici arrivò suo padre e Andrea si meravigliò di quella puntualità perché non era mai stato uno che rispettava gli appuntamenti.
Aveva persino portato dei regali. La gente non faceva che stupirlo ultimamente.
Della bionda, neanche l’ombra. Altra cosa strana.
“Allora, Andrea” iniziò suo padre mentre divoravano gli antipasti. “Come va con l’università?”
Il ragazzo optò per la tecnica della mezza verità.
“Al solito” che poi era intera verità.
“Sono bei tempi, goditeli finché puoi” disse il padre con nostalgia dandogli una pacca sulla spalla. Andrea si sentì in colpa. Suo padre aveva frequentato solo due anni l’università, poi era stato costretto a lasciarla a causa del nonno di Andrea. L’uomo considerava inutile che il figlio studiasse. Meglio stare dietro un banco a vendere tabacchi, no? Il risultato era che suo padre era cresciuto pensando a come sarebbe stata una vita diversa mentre il negozio era fallito.
Andrea aveva quindi deciso di iscriversi all’università per non far provare al padre l’ennesimo fallimento o rimpianto. Ma è davvero difficile intraprendere la strada di qualcun altro. Andrea l’aveva capito subito, ma non era stato capace di ammetterlo. Ed è per questo che i libri restavano coperti di polvere e la sua testa volava altrove.
Andrea voleva fare l’artista. Era da pazzi. Certo che lo era, ma non era uno di quelli che dicevano di non avere possibilità in un mondo ottuso e semplicemente lasciavano che le cose scivolassero via.
Partecipava alle estemporanee, dipingeva, scarabocchiava persino sui tovagliolini del bar a volte.
D’estate poi, portava cavalletto, carboncini ed acquerelli in piazza e cercava un contatto umano con le persone. Per quanto fosse nervoso ad ogni tratto, temendo un giudizio negativo, si sentiva in pace con se stesso e nel posto giusto. Non si faceva nemmeno pagare se gli chiedevano un ritratto, non gli importava. Quando sei un ragazzo quanto possono importarti i soldi?
Possono importarti quando devi partire per il Giappone gli disse una vocina.
Beh, c’era un motivo se era squattrinato.
Si era persino intrufolato all’Accademia delle Belle Arti un giorno. Aveva avuto il terrore che lo sgamassero, ma nessuno gli disse niente. Vide tutti questi ragazzi che correvano da una parte all’altra con tele e cavalletti. Le pareti piene di emozioni umane e colore.
Quella sera, nel letto, si sentì un idiota. Perché se avesse parlato prima, se avesse detto una sola parola a cuore aperto con i suoi genitori, non si sarebbe sentito così vuoto.
Poi però era arrivata Vanessa e quasi poteva considerarla la sua musa. L’aveva disegnata tra una tazza di tè e l’altra, di nascosto, guardandola con occhi attenti e curiosi.
I disegni erano ancora nel blocco che aveva messo in valigia. Erano disegni semplici a penna, con un tocco di colore per i capelli rossi della ragazza.
Forse era anche per quello che la nuova acconciatura l’aveva destabilizzato.
“E con le ragazze?” lo riportò sulla terra il padre, come se gli avesse letto nei pensieri.
“Oh, beh, ci sarebbe una ragazza” ammise.
“Una sola? Non ci credo. Tu sei come il tuo papà!” e gli scompigliò i capelli.
Andrea gettò uno sguardo a sua sorella, di fronte, e lei fece no con la testa.
La sorella sapeva benissimo che lui non era come il padre. Per fortuna non sempre si ereditano i comportamenti dei propri genitori.
Ma suo padre voleva sempre portarlo sulla sua strada, una strada che a lui non piaceva affatto.
“Sì, una sola. Si chiama Vanessa e stiamo insieme da un po’”
Oh, no, zitto. Combini sempre guai. Perché dico sempre stronzate? Forse era questo che aveva ereditato dal padre. Solo che a differenza sua le bugie gli sfuggivano di mano.
“E quando me la presenti?” chiese ammiccante mentre davanti a loro comparivano i primi. Meno male che sua madre era andata in cucina e non aveva sentito, altrimenti sarebbe impazzita per la notizia.
“Appena torna dal –“ non dirlo, non dirlo, non dirlo! “Giappone. Ora è lì per studio”
Quando iniziava non riusciva a finire. Era come se la sua parte imbranata si coalizzasse con la balla e creasse una trappola esplosiva. Che poi esplodeva davvero, sempre, perché non era bravo a mentire.
“E da quando non vi vedete?”
“Da…” temporeggiò. Era persino arrossito leggermente. Sua sorella si morse il labbro inferiore per non ridere, poi gli mostrò la mano aperta. “Cinque mesi!” disse Andrea cogliendo al volo in consiglio.
“Ma è tanto. E non puoi andare da lei?” Sembrava davvero preoccupato, tanto che Andrea si pentì di essere così idiota, ma sua sorella lo ammonì con lo sguardo. Il padre aveva detto loro ben più balle di quelle. Andrea pensò che se lui l’avesse conosciuto un po’ di più, solo un briciolo di più, avrebbe capito che stava mentendo.
“Ho solo i soldi del biglietto” ammise con sincerità e si sentì meglio a tornare nella zona sicura delle verità.
“E’ importante questa ragazza per te?”
“Sì”. Non poteva rispondere altrimenti.

Dopo pranzo suo padre si era defilato dicendo di dover andare a comprare le sigarette. Era tornato poco dopo e aveva chiesto ad Andrea di fargli compagnia sul terrazzo. Tra una boccata e l’altra -del padre perché Andrea non fumava- gli aveva dato delle banconote piegate. Un bel po’ di banconote.
Il ragazzo rimase davvero senza parole.
“Accettali, ti prego” disse il padre. “Ho fatto sempre schifo come genitore e marito e questo non basta neanche a coprire un decimo di quello che meriteresti”
“Ma…” e guardò verso la cucina dove l’ex-moglie stava lavando i piatti insieme alla figlia “per quanto so di non poter più essere un buon marito, so che posso diventare un buon padre, se me lo permetterai”
Era più di quanto Andrea potesse lontanamente immaginare. Quel giorno, tra il freddo e la pancia piena, decise che avrebbe dato una seconda possibilità a suo padre.

A nove ore di fuso orario da lì e più di ottomila chilometri, metro più metro meno, Vanessa e sua sorella Lara arrivavano finalmente a casa, distrutte. Erano state costrette ad aspettare otto ore allo scalo e poi altre sei a causa del maltempo e della troppa affluenza.
“Non viaggerò mai più durante le feste! Eppure ricordo che qualche anno fa non era così sentito il natale qui”
Vanessa annuì. Nella cultura e religione Giapponese, prevalentemente scintoista, il Natale non era affatto contemplato, ma l’occidente era entrato nelle case dei nipponici nell’ultimo decennio. Tra i giovani si scambiavano regali e auguri come una normale festa ormai, ma senza nessuna importanza religiosa.
“Poi hai sentito la signora del terminal? Non nevicava da anni” disse Vanessa mentre iniziava ad aprire le valigie.  
“Mai vista la neve ad Osaka. Nevica dopo tremila anni per bloccare noi due in aeroporto.” Si lamentò Lara. Non era stata una nevicata eccessiva, ma aveva colto la zona impreparata. Fortunatamente però si stava già sciogliendo.
“Papà non ha neanche fatto l’albero” considerò Vanessa dopo un po’, poi le venne il panico. “Lalli, non trovo il libro che mi ha regalato nonna! L’avevo messo in un sacchettino blu” e continuò a frugare da tutte le parti.
Lara, la calma fatta sorella, la rassicurò subito. “Tranquilla, ho preso io quel sacchetto quando sono passata a prenderti. Eri tutta scossa. Litigare con papà non ti fa affatto bene”. Aprì la sua di valigia e afferrò il sacchettino.
“A te invece fa bene” le rispose Vanessa riferendosi al piercing e ai tatuaggi frutto delle litigate adolescenziali.
Lara non se la prese, come sempre. “Ecco. Sono un’ottima sorella.”
Vanessa, rincuorata, prese il sacchetto. Quel libro era un po’ tutto per lei e le piaceva sapere di averlo sempre con sé. Però durante il viaggio non aveva fatto che ripensare alla telefonata con il padre ed era talmente nervosa e in lotta con se stessa che, per la prima volta, non aveva pensato al suo libro.
Non voleva tornare in Giappone quell'anno, non voleva vedere suo padre, ma era lì perché glielo imponeva quel grande macigno chiamato rispetto che gli opponeva il cuore. Non aveva neanche ringraziato per bene Andrea. E non gli aveva neanche spiegato la situazione, che era la cosa peggiore.
Ma che…?
Al posto del libro c’era l’ombrello con le paperelle che Andrea gli aveva mostrato prima che la chiamasse suo padre. Era inconfondibile, anche perché il ragazzo aveva persino dimenticato di staccare l’etichetta. Pur nella disperazione del momento Vanessa sorrise.
“Me lo ricordavo meno cilindrico” notò Lara imbarazzata. Che ho combinato? Si chiese Ma sta sorridendo quindi non mi mangerà.
“Ho scambiato il sacchetto con quello di Andrea” disse Vanessa portandosi una mano ai capelli per scaricare la tensione arrotolando qualche ciocca. Era un vizio che aveva da sempre, complici i capelli lunghi. Da quando li aveva tagliati però non si era ancora abituata a quella nuova sensazione.
“Oh, oh. Il ragazzo sexy del bar? Quello della storia della stazione, giusto?” chiese Lara anche se sapeva la risposta, ma adorava vedere sua sorella arrossire. La prima della classe in imbarazzo, che spettacolo!
“Non dovevo dirti niente!” esclamò Vanessa tirandole un cuscino e uscendo dalla camera.
Dovresti vedere i suoi occhi blu!” la imitò la sorella rincarando la dose e seguendola attraverso il corridoio.
“Quando gli hai scritto quel messaggio sono stata così orgogliosa di te! Per una volta hai seguito il tuo istinto. Hai fatto come ti ho detto?”
“Prima di partire volevo dirgli che stavo solo scherzando con quel messaggio” ammise amaramente facendo spalancare gli occhi alla sorella. “Ma quando l’ho visto non ci sono riuscita. Lui è dolce, tanto dolce.”
“Ferma, ferma, ferma. Che cappero stai dicendo?! Questo tipo ti piace da quasi due anni! Mi hai persino chiesto dei soldi per comprare del tè che non hai mai bevuto solo per vederlo. Abbastanza patetico, aggiungerei”
“Avevo bisogno di tempo per progettare una strategia!” ribatté Vanessa piccata.
“Ma quale strategia! Non hai mai avuto problemi con i ragazzi. Com’è che ora sei diventata una mollacciona?” nel dirlo si alterò e mise le braccia conserte.
E’ sempre finita per un motivo però. Pensò Vanessa e quasi le vennero le lacrime agli occhi. Era davvero una mollacciona allora.
Lara a quel punto si sciolse e abbracciò la sorella.
“Ho sbagliato a provarci con lui perché per quanto voglio…non posso” ammise e fu amaro dirlo ad alta voce.
“E’ per papà” disse poi. Lara a quel punto si staccò dall’abbraccio per guardarla negli occhi intuendo ciò che abbatteva la sorella.
“Quello che è successo tra mamma e papà poteva capitare a tutti. Non si sono trovati. Punto.”
Vanessa invece sapeva che era per altro che i loro genitori si erano lasciati, in modo così brusco per di più.
“Fanno parte di due mondi diversi. Due culture diverse. Per quello si sono lasciati”
“Questa è una grande cazzata!” ribatté Lara. A volte faceva davvero fatica a seguire i ragionamenti criptici della sorella. Vanessa era una secchiona, ma una secchiona che complicava le cose più semplici.
Povero barista dagli occhi blu! Si ritroverà a risolvere equazioni differenziali per capirla.
Vanessa pensò ad Andrea, alla prima volta in cui l’aveva visto. Quel giorno aveva sostenuto un esame molto impegnativo e non era ancora riuscita a scaricare tutto il nervosismo. Il professore continuava a fare commenti fuori luogo e sfiorarle il braccio in modo mellifluo così lei gli aveva risposto in modo davvero brusco e se ne era andata senza accettare il voto. L’avevano tutti guardata come un’aliena, come se non avesse fatto la cosa giusta. Lei aveva guardato per sfida ogni ragazza presente nell’aula mentre se ne andava. Quel professore faceva così con tutte e non le sembrava possibile che tutte le ragazze presenti in quella stanza accettassero quello per un misero voto. Erano come dei numeri con delle tette per lui, ma lei non voleva essere l’ennesima bella ragazza che poteva vantare un trenta e lode da un porco accademico. Lei aveva una media brillante, ma aveva dei principi. Si era diretta verso la stazione dove prendeva quasi tutti i giorni il treno per casa. Qualche volta, infatti, andava all’università in macchina con sua sorella. Mancava tanto all’arrivo del treno, così cercò di scaricare la tensione camminando avanti e indietro per la piazza di fronte alla stazione. Qualche dubbio le venne ovviamente, forse dirgli determinate parole era stato eccessivo. Si sarebbe laureata? Era tanto speciale da rompere un sistema che, per quanto schifoso, esisteva da anni?
La piazza era una di quelle accoglienti, piene di anziani che passeggiano e ragazzini che giocano. Poi aveva la fortuna di ospitare il retro di un edificio rinascimentale. Per quanto fosse rumorosa la zona, a tutti piaceva stare lì. Quel giorno, al centro, vide questo ragazzo dai capelli neri e gli occhi attenti che disegnava con il carboncino su una tela. Stava, molto probabilmente, riproducendo l’edificio perché ogni tanto gli gettava uno sguardo e poi riprendeva a disegnare. Il ragazzo, notò Vanessa, aveva una fasciatura sulla mano e qualche volta si fermò a controllarla, anche se sembrava che non gli importasse granché. Dopo poco arrivò un altro ragazzo molto alto con una lattina di cola che gli porse subito.
“Era la cosa più fredda che avevano. Ti fa ancora male?” chiese.
L’altro annuì. “Ha iniziato a sanguinare un po’. Penso di non riuscire a fare niente oggi. Mi aiuti a prendere le cose?”
“Certo” rispose l’altro. Ma proprio in quel momento un signore anziano che reggeva la moglie sottobraccio si fermò di fronte a lui chiedendogli se poteva fare loro un ritratto.
Vanessa si sarebbe aspettata che il ragazzo dicesse di non poterlo fare, ma la stupì. Prese un blocco da una borsa e disegnò con tanta di quella attenzione e cura, come se quelle fossero le persone più importanti al mondo.
Vanessa pensò che doveva esserci davvero qualcosa di speciale in un ragazzo che riusciva a guardarti in quel modo. Rifiutò anche i soldi che i due signori volevano dargli.
Dietro gli occhialoni enormi, messi per non farsi giudicare dai colleghi universitari che già avevano scritto di tutto su di lei sui gruppi, sorrise capendo di aver fatto la cosa giusta quel giorno. Perché nessuno può ridurti a un numero se al mondo ci sono persone che sanno guardarti in quel modo.








Note dell'autore:
Ed ecco a voi Vanessa. Si sa ancora poco di lei, ma vorrei fare un appunto che ritengo di vitale importanza. Quando Vanessa parla di rispetto, di dovere, è il suo lato giapponese che parla. Il Giappone è considerato il paese del rispetto, ma questo va ben oltre il rispetto generale. Si rispettano gli altri, ma si rispettano i propri genitori in modo particolare e lei, per quanto sia nata in Italia e sia italiana, sente come un dovere assecondare suo padre. Nei prossimi capitoli la capirete meglio e questo concetto verrà spiegato largamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Tè al Ginseng

Capitolo 5

“Cos’è questa storia che hai una ragazza?”
Ecco.
Andrea doveva aspettarsi il confronto con sua sorella Elisa. Quasi gli sembrò di essere sotto interrogatorio. Era andato in camera a posare i soldi che gli aveva dato suo padre, ma non era stato abbastanza veloce da evitare l’agguato della sorella.
“Ho improvvisato” rispose semplicemente alzando le spalle.
“Quando hai pronunciato il suo nome avevi una faccia da ebete, non mi sembrava che stessi improvvisando” gli fece notare con quell’espressione critica che Andrea conosceva fin troppo bene.
“Io…” Portò una mano dietro la testa.
“Sei imbarazzato” disse Elisa “Fai sempre così quando lo sei” e fece un sorrisetto.
Andrea le spiegò la situazione e la sorella ascoltò senza dire niente, cosa che il ragazzo apprezzò molto. Ma sapeva che alla fine avrebbe detto la sua e il problema era che Elisa aveva quasi sempre ragione.
Era molto logica e da sempre aveva fermato Andrea prima di fare scemenze. Una volta aveva persino salvato i suoi capelli dalla colla. Aveva dieci anni ed Ezio l’aveva sfidato, non poteva mica tirarsi indietro.
“Allora…” iniziò dopo un paio di minuti. Andrea la conosceva abbastanza da sapere che il suo cervello aveva macinato idee e pensieri a non finire in quel breve tempo.
“…per quanto sia romantico e per quanto so che devi aver preso questa decisione per un motivo molto valido, non puoi andare in un paese che non conosci per una ragazza con cui hai parlato davvero solo un paio di volte” Guardò il fratello con attenzione come se temesse di ferirlo.
Sono messo così male se persino lei si preoccupa.
Andrea sapeva che era azzardato, davvero tanto, ma quella sensazione nel petto non lo aveva lasciato un attimo da quando aveva aperto quel libro. Ogni parola di Vanessa sembrava sussurrare altro al suo orecchio. Come se lei sapesse perfettamente cosa aveva il bisogno di leggere.
In un capitolo, la protagonista, una ragazzina della provincia di Inaba, era andata in città per la prima volta e raccontava con parole commoventi quanto fosse stata colpita dagli sguardi della gente. Questa, pur se di poca cultura più ampia di lei, la considerava diversa, sbagliata, perché i suoi occhi erano più sottili dei loro ed i suoi piedi troppo grandi per poter diventare una moglie perbene.
Vanessa aveva scritto subito dopo l’ultima parola.

Inuki ha capito a otto anni quello che io ho capito molto più tardi, ma che ho sentito di sapere da sempre.
In Italia sono sempre stata
quella cinese. In Giappone una gaijin, una straniera.
Inuki non sapeva qual’era il suo posto. E neanche io ho mai saputo qual è il mio.

Andrea aveva pensato che avevano davvero tanto in comune. Lui, così inadatto ad ogni situazione. E negli altri scritti sentiva come se il destinatario fosse proprio lui. Come se lei avesse voluto dirgli quelle cose, ma senza farlo direttamente.
Qualche volta mentre scarabocchiava sul foglio, nei momenti morti del bar, poteva quasi scommettere di averla vista gettare sguardi nella sua direzione per poi mettersi a scrivere, ma non ci aveva dato molto peso. E se ne stava pentendo.
“Posso dire di conoscerla più di quanto pensi” disse infine ad Elisa.
Lei mosse leggermente le labbra e guardò il libro che il fratello aveva lasciato sul letto.
“E’ per quello?” chiese.
Andrea le aveva solo detto che Vanessa l’aveva lasciato al bar per sbaglio.
“Non hai mai letto un libro e non ne ho mai visti qui in camera tua” gli fece notare. “Non credevo che leggere ti avrebbe fatto questo effetto” lo schernì.
Andrea gettò uno sguardo all’oggetto e pensò che se era davvero pazzo non c’era nessuna persona più adatta di sua sorella per capirlo.
Prese il libro e sotto lo sguardo perplesso della sorella lo aprì direttamente alla fine per poi mostrarle ciò che Vanessa aveva scritto proprio lì, all’ultima pagina. Quella piccola parte sarebbe bastata a sua sorella mentre il resto sarebbe rimasto solo tra lui e Vanessa.
Sua sorella lesse in silenzio. Per più di una volta in realtà. Andrea lo capì dal movimento dei suoi occhi.
Poi arricciò le labbra.
“So che potrei pentirmi di quello che sto per dire, ma penso che dovresti partire”.

Vanessa gettò uno sguardo al cellulare mentre suo padre metteva del wasabi nel suo piatto. Erano in un ristorante per famiglie e Lara era sparita in bagno.
“Mangia” le disse il padre. In giapponese, ovviamente.
Vanessa doveva davvero sforzarsi a pensare in un'altra lingua, non era come la sorella che passava da un idioma all’altro senza problemi. Non l’aveva mai detto a nessuno, ma dopotutto ogni secchiona ha il suo piccolo segreto, quella cosa in cui non è affatto brava.
“Non ho molta fame” rispose.
Riguardò il cellulare. Appena aveva potuto leggere i messaggi di Andrea aveva sorriso. Le aveva scritto subito per rassicurarla e questo le confermò quanto fosse premuroso. Poi le aveva anche mandato gli auguri per Natale. Lei aveva ricambiato, sperando di essere ancora in tempo.
Era davvero sulle spine però perché lui aveva il suo libro e quelle pagine erano diventate una sorta di diario per lei. Aveva timore che leggendo qualcosa il ragazzo potesse capire che parlava di lui. Sarebbe stato davvero imbarazzante, ma non aveva colto l’occasione quando aveva potuto.
Ora è tardi.
Prese un po’ di riso con del pesce e masticò lentamente.
Sapeva di aver indugiato troppo per quei mesi. Inizialmente aveva deciso di prendere la situazione di petto. Dopo aver visto Andrea in piazza aveva una voglia matta di conoscere quel ragazzo dagli occhi blu.
Ma come fare a fermarlo e parlargli? Chiedergli un disegno era fuori discussione con quella mano fasciata. Poteva solo immaginare con quanta fatica avesse completato il ritratto alla coppia di anziani.
Vanessa tendeva a pensare troppo. O meglio, a pianificare troppo.
Stava lì a pensare ad ogni dettaglio ipotetico di una situazione perché sapeva da sempre che se riesci a capire qualcosa in ogni aspetto puoi controllarla. Ma capitava, a volte, che un piccolo tassello le sfuggisse. Come il particolare che il ragazzo dagli occhi blu veniva raggiunto da una bionda fin troppo empatica.
Però avrebbe scoperto solo un paio di settimane dopo che non stavano insieme.
Dopo quel periodo infatti fu l’amico del ragazzo a farle scoprire il bar. Lo vide entrare con uno di quei tubi porta disegni a tracolla e pensò che anche lui poteva essere un artista. Entrò nel bar e Vanessa vide la ragazza bionda con l’uniforme da barista. La curiosità fu troppa così pensò di prendere un caffè.
“…dai, solo un attimo” sentì dire dal ragazzo “chi potrà mai venire in cinque minuti? Arriviamo solo fino all’incrocio della piazza e ti riporto al forte”
“Ezio, non posso lasciare il bar incustodito! Perché non mi inviti per bene per una volta? Sempre alle undici del mattino”
“Questa è l’ora dell’oro, mia dolce Eva. Voi ragazze cambiate quando cala il sole”
Vanessa quasi rise per il tono che usò e per lo sguardo con cui la ragazza gli rispose.
“Vabbè, ho capito, vado che tra venti minuti ho lezione. Pensami!” poi si girò per uscire e diede solo una rapida occhiata a Vanessa sulla porta. Sembrava distratto.
“Buon giorno” disse lei semplicemente.
“Buon giorno” le rispose la barista con un gran sorriso. “Cosa posso fare per te?” le venne spontaneo il tu. E Vanessa la prese subito in simpatia, anche se non aveva eliminato i dubbi sul rapporto che aveva con il ragazzo dagli occhi blu.
Pensò che avrebbe capito solo chiedendo, ma le serviva qualche particolare.
“State insieme?” chiese facendo un cenno verso la strada dove ancora si intravedeva il ragazzo.
Eva abbozzò un sorriso. “Oh, no. Sarei matta”. Ma sembrava che desiderasse il contrario.
Forse il ragazzo le piaceva, ma si aspettava qualcosa di più principesco dell’invito di quella mattina.
Vanessa aveva da sempre avuto il talento di capire le persone e il suo intuito non aveva fallito né con Eva, né con Andrea.
“Potresti prepararmi un caffè?” le chiese.
“Certo” le rispose Eva mettendosi subito all’opera.
Vanessa cercò le parole adatte per formulare la sua domanda mentre la ragazza era di spalle.
“Senti, vorrei chiederti una cosa” quasi le parlò come se si conoscessero da anni, le uscì naturale.
“Dimmi” rispose Eva voltandosi un attimo.
“Ho visto quel ragazzo in piazza un po’ di tempo fa ed era-”
Ma Vanessa avrebbe scoperto presto che Eva finiva le frasi nella sua testa troppo velocemente.
“Ti ha dato fastidio? Se ci ha provato e non ti ha chiamato per giorni sappi che l’ho conosciuto che era già così”. Sembrava nervosa però, come se sperasse di essersi sbagliata.
“No” le disse Vanessa alzando le mani. “Tendo a fare delle premesse forvianti quando parlo. Sono interessata al suo amico” le confidò.
Ad Eva iniziarono quasi a brillare gli occhi. O fu solo un’impressione di Vanessa. Forse si sarebbe dovuta allarmare in quel momento.
“Andrea? Lavora qui, di solito nel pomeriggio.” Era sorridente, ma Vanessa si sentì un po’ sotto analisi.
Come se cercasse di capire se era una brava ragazza o una pazza.
Comprensibile, pensò.
“Oggi dovrebbe venire a lavorare dopo pranzo”
Vanessa però per quel mese aveva sempre lezione nel pomeriggio. Eva fu gentile. Probabilmente all’inizio voleva solo inquadrare Vanessa per bene, per non mettere Andrea sotto le grinfie di una psicopatica, ma con il tempo le due ragazze divennero amiche ed Eva una valorosa spia e fonte di informazioni.
“Sembro una stalker” esordì Vanessa dopo un mesetto che si conoscevano.
“Una stalker seguirebbe il suddetto ragazzo, non l’amica e collega per estrapolare informazioni da usare in un piano dai tempi infiniti” e la guardò in modo davvero eloquente.
“Ti prego, fa’ parlare me con lui” la pregò Eva.
“No” disse Vanessa. “Sto pianificando la mia strategia” e arrossì.
Oh mio Dio pensò Eva esasperata.
“Il piano A è fallito totalmente?” chiese Vanessa. Aveva pensato di farsi presentare ad Andrea da Eva in un’uscita di gruppo. Semplice ed efficace.
“Sì, Ezio ha perso quei due neuroni che gli restavano guardandomi le tette tutto il tempo mentre gli parlavo. Non ha neanche capito che gli stavo dicendo che volevo presentare una mia amica ad Andrea” 
Vanessa prese una ciocca rossa tra le dita per scaricare lo stress.
“Forse non era un grande piano” considerò.
“Devi parlargli o lo farò io. Non mi piace questa regola della non-intromissione. Mi sembra di vedere una lumaca che insegue una tartaruga” e sbuffò.
Eva non aveva tutti i torti. Ma aveva chiesto ad Andrea di sostituirla il giorno seguente ed in quel modo quando Vanessa sarebbe andata al bar per incontrarla se lo sarebbe finalmente trovato di fronte.
Il piano aveva funzionato, ma Vanessa non aveva detto niente ad Andrea e le frustrazioni erano aumentate nella mente di Eva che leggeva harmony da quando aveva undici anni. Se non poteva vivere una storia decente con Ezio almeno avrebbe aiutato un nuovo amore a sbocciare. Ma quei due sembravano uno con meno speranze dell’altro.
Vanessa prese un gambero in tempura e ripensò con gioia alle chiacchierate insieme all’amica. Avevano parlato spesso di Andrea e Vanessa si sentiva più attratta del ragazzo ad ogni parola. Eppure Eva non era stata affatto magnanima descrivendogli anche brutte figure o lati negativi del ragazzo.
Era un imbranato dannatamente carino.
Vanessa però più il tempo passava più non si sentiva adatta a lui. E per quello i giorni passavano mentre rimuginava su se stessa. Se fosse andata bene con lui, l’avrebbe buttato in quella che era la sua disastrosa situazione familiare. Non avrebbe voluto che affrontasse tutto quello.
Se non decide di scappare prima.
“Eccomi” disse Lara sedendosi. Aveva raccolto i capelli con una bacchetta e si vedeva chiaramente il nuovo tatuaggio che aveva fatto sul collo. Suo padre si rabbuiò nel vederlo.
“La pelle va rispettata” usò un tono molto duro.
“Papà, la esalto ad opera d’arte. Più rispetto di questo” ed iniziò a prendere il riso.
“Non mi piace come ti stai comportando. E nemmeno quel coso con cui esci”
“Siamo fidanzati” gli fece notare sfidandolo.
Vanessa pensò che dire a suo padre di voler sposare un tatuatore con pezzi di metallo in luoghi mai visti sarebbe stato abbastanza per fargli scoppiare una vena. In effetti quella sul collo stava pulsando in modo poco rassicurante.
“Non puoi stare con uno così!”
“Ci sposeremo!” rincarò lei. Nel frattempo avevano attirato l’attenzione nel ristorante.
Suo padre divenne talmente rosso che Vanessa si preoccupò, ma poi sembrò calmarsi guardando la figlia maggiore.
“Almeno ho te” disse. “Tu sposerai un bravo ragazzo giapponese con un ottimo lavoro e renderai quest’uomo orgoglioso di te”
Non faceva che parlarne. Vanessa aveva voglia di fargli notare che lui era stato il primo a sposare un’occidentale. Ma quello avrebbe solo alimentato di più il fuoco perché lui gli avrebbe buttato addosso tutti i fallimenti e gli sbagli di quel matrimonio.
Sentiva che era ingiusto dover star male in quel modo. Aveva persino rinunciato ad Andrea per suo padre.
Infatti proprio quando aveva deciso che avrebbe buttato all’aria tutti i piani e che semplicemente avrebbe chiesto ad Andrea di uscire, il padre le aveva sganciato la bomba.
“Cosa?” aveva chiesto Vanessa quella volta al telefono. Temeva di aver capito male.
“Ho organizzato un omiai per te. E ti ho già prenotato un biglietto”
Vanessa era rimasta pietrificata. Un omiai era un incontro per pianificare un matrimonio combinato.
Non ne sentiva parlare da anni.
“Papà, non capisco. Perché l’hai fatto?”
Suo padre aveva sospirato. “I ragazzi occidentali non potranno mai capirti. Non potranno mai portarti abbastanza rispetto”
Vanessa aveva subito pensato ad Andrea e alla premura con cui le porgeva la tazza o la guardava mentre scarabocchiava sui tovaglioli.
“Ti sbagli” e sentì in quel momento di aver perso troppo tempo a guardare il ragazzo senza fare nulla.
“Ho promesso a tua nonna che l’avrei fatto” e così scagliò il dardo nel suo punto debole.
“Nonna non l’avrebbe mai detto”
“E invece l’ha fatto” disse solo il padre per poi chiudere la chiamata.

Vanessa volò in Giappone con il cuore tra le mani chiedendo al cielo perché sua nonna le avesse lasciato quel fardello. A nove anni ricordava che ne avevano parlato, ma sua nonna le aveva sempre augurato di trovare l’amore. L’amore e basta. Senza restrizioni.
Era un pensiero profondo per un’anziana cresciuta tra le regole e l’obbedienza. Ma sua nonna era speciale, in ogni contesto.
In aereo aveva ricordato i suoi nove anni tra lago e canti con la donna. Sua nonna infatti aveva una voce meravigliosa e Vanessa si sentiva male quando si rendeva conto che stata iniziando a dimenticarla.
L’incontro era stato un disastro. Il ragazzo che le avevano presentato non faceva che abbassare la testa e guardare la madre che parlava al suo posto. Se non l’avesse detto lei, Vanessa non avrebbe saputo neanche il suo nome. Quella sera, a casa, era piombato il silenzio tra lei e suo padre.
“Non avevo capito che non era il manager dell’azienda. Ora organizzerò di meglio, non preoccuparti” e prese un taccuino in cui aveva tutti numeri appuntati.
“Papà, fermo” gli aveva detto mettendogli una mano sul polso. “Non fa per me”
Vanessa si sentì come se avesse portato un brutto voto a casa per la prima volta.
“Tua nonna ha conosciuto tuo nonno così e sono stati sposati per cinquant’anni. Io ho sposato la donna che amavo e guarda dove siamo ora. A stento le parlo!
Non voglio che tu e tua sorella soffrite per qualcuno che non vi merita e non vi capisce”
Merita? Vanessa avrebbe voluto che l’uomo della sua vita la guardasse negli occhi. Voleva che dimenticasse il regalo dell’anniversario, ma che si facesse perdonare sotto le coperte. Voleva mangiare biscotti a letto guardando la televisione. Voleva essere guardata come qualcosa di speciale.
Eppure si sentiva sbagliata. Sentiva di non essere a posto in nessuno dei due mondi che la componevano. In Italia sembrava avere troppe pretese. In Giappone per niente adatta alla vita di coppia e troppo espansiva.
Ma aveva pensato a quanto era stata felice sua nonna e a quanto avevano sofferto i suoi genitori. Andrea non aveva lasciato un secondo la sua mente però. Si riempì di se e di ma. E le chiacchierate al cellulare con Eva non mancavano per rincarare la dose.
“Sei pazza perché il ragionamento è tutto sbagliato” aveva detto l’amica una volta.
“Lui che fa?” aveva chiesto Vanessa timidamente.
“Guarda la porta con la faccia da cane bastonato”
Poco tempo dopo si era tinta i capelli di nero, il suo colore naturale. E più mandava all’aria gli incontri più tagliava i capelli per sentirsi meno persa.
I pretendenti che suo padre le presentava erano senza animo, senza nulla che potesse attrarla.
Era assurdo che pensasse ad un ragazzo con cui non aveva mai parlato davvero?
“Sta uscendo con qualcuno?” chiese una sera.
“No, ma prima o poi succederà” le rispose Eva.
Avete mai visto la prima della classe rispondere al professore? E’ uno di quei momenti epici in cui non sai come reagire.
Vanessa se ne andò dall’incontro prima che la madre del ragazzo iniziasse a elencare i suoi voti a scuola. Quella donna le aveva detto chiaramente che non era adeguata al figlio. Non le importò di quanto fosse risultata sgarbata. Per il primo momento nella sua vita le importò di se stessa e comprò un biglietto per tornare in Italia.
Quasi non le sembrava vero di poter tornare nel bar al suo angolino per osservare Andrea lavorare. Ma le telefonate di suo padre la tartassavano e sentiva di avere ancora dei doveri da rispettare.
Andrea era lì, bello da togliere il fiato con quell’aria scanzonata. Lei non faceva che chiedergli caffè per trovare una scusa per vederlo.
“Tra voi due diventerò vecchia prima del tempo” disse Eva qualche giorno prima di Natale.
Vanessa invece pensò al suo libro. Era un tarlo. Sua nonna non avrebbe voluto quello per lei, non avrebbe voluto che si sentisse così triste.
Quel pomeriggio accarezzò il libro come se fosse una lampada. Quasi sperando che, nella disperazione, le risposte le sarebbero arrivate per magia.
Poi Andrea le portò il tè al ginseng e le sembrò che fosse quello il segnale che aspettava.
Si era sentita libera di flirtare con lui per messaggio e sentiva il petto pieno di aspettative per il giorno seguente e l’incontro. Fantasticò a lungo su come dovesse essere abbracciare il ragazzo.
Ma per quanto aveva ignorato le chiamate del padre nei giorni precedenti, una piccola speranza di chiarire si fece strada in lei, favorita dal buonumore.
La chiamata le portò via tutti i buoni propositi e ripensò a quanto poco adatta si sentiva. Voleva essere adatta per Andrea, lo sarebbe stata? O doveva solo fidarsi del padre e della sua cultura?
Qual è la mia cultura?
“Vane, è solo zuppa di miso” le fece notare Lara. La stava fissando da una vita probabilmente.
Il posto di suo padre era vuoto.
“E’ andato a prendere l’acqua. Che ti prende?” chiese poi.
“Mi ha organizzato un altro incontro”
Lara alzò gli occhi al cielo. “Non dovremmo più venire da lui”
“E’ tutto quello che ci resta di nonna, che ci lega a lei” le fece notare Vanessa.
“Beh, che bel lascito” considerò Lara.
“Ed è nostro padre”
“Ti sta manipolando. Come sempre” disse la sorella sospirando. “Mamma ha ragione. Non ascoltarlo”.
Le prese le mani tra le sue.
“Ti sta mettendo queste strane idee in testa che non mi piacciono per niente”
Quando il padre tornò si staccarono e finirono di mangiare. Con il padre non esistevano abbracci in pubblico né manifestazioni d’affetto. Potevano contarsi sulla mano.
Eppure Vanessa sapeva che doveva esserci qualcosa di più. Qualcosa che l’aveva fatto cambiare. C’era stato un tempo degli abbracci, un tempo delle braccia protese verso il cielo a contare le stelle. Sua nonna non aveva cresciuto un figlio così freddo e sua madre, così solare, non si era innamorata di un tipo così.
Non faceva che ripetere che non voleva farla soffrire, ma stava succedendo proprio a causa sua.

Quella sera lei e sua sorella uscirono per le vie di Osaka per poi rifugiarsi in un karaoke. E se ne stettero lì su dei divanetti comodissimi.
“Una cosa di cui non potrei fare a meno sono queste bibite. Se immagini un gusto assurdo, qui lo trovi” e tirò con la cannuccia la bevanda al sapore di anguria e yogurt.
Vanessa era pensierosa, ancora. Lara la vide prendere il cellulare, scrivere e poi cancellare. La cosa venne ripetuta per un bel po’ di volte. Non si accorse nemmeno che la sorella correggeva le bibite con l'alcol.
“Non capisco qual è il problema, sai?” esordì Lara per poi posare la bevanda sul tavolino.
Vanessa alzò lo sguardo.
“Papà ti organizza degli stupidi incontri e tu rinunci ad un ragazzo che ti piace?”
“Beh, immagina come reagirebbe a scusami se stasera non ti ho chiamato o non ci siamo visti ma mio padre mi ha fatto conoscere il mio futuro marito!” era irritata, eccome, ma anche disperata.
“E tu non presentarti. Non la trovo una cosa difficile” le fece notare la sorella.
“In modo che papà venga additato per disonore?”
Vanessa stava combattendo una lotta interna senza fine.
“Ma c’è qualcos’altro, giusto?” Lara non era una persona attenta, ma sapeva leggere tra le righe.
“E se avesse ragione? Non faccio che pensarci” ammise Vanessa.
Le sue relazioni passate avevano avuto la costante insicura delle montagne russe. Prima era tutto rose e fiori, i ragazzi venivano attratti dal suo aspetto e dai suoi modi gentili. Li conquistava con la sua battuta pronta e con la sua attenzione. Poi tutto crollava quando entravano un po’ nel suo mondo o conoscevano quelle che erano le sue tradizioni e le sue radici. Un suo ex, per caso fortuito, aveva persino conosciuto suo padre. Vanessa rabbrividì al pensiero. Aveva avuto poche relazioni in realtà, ma erano bastate per farle capire che non tutti sanno capirti se dici loro che per la tua famiglia è importante cenare con i defunti per onorarli.
A parte che i greci facevano lo stesso e nessuno si scandalizzava.
“Se un ragazzo non sa accettarti per quello che sei, non è quello giusto” disse Lara.
Erano parole fatte, ma le più giuste.
“Anche se per qualche trentenne giapponese può andar bene l’omiai perché è così presa dal lavoro che non ha tempo di trovarsi un marito, non vale lo stesso per te”
“Ma questa è la nostra cultura, no? Se non ha sbagliato per millenni…” provò Vanessa prendendo una ciocca tra le dita.
“Papà mangia le stesse cose da trent’anni. E’ legato alla sua cultura perché per lui è una zona sicura, ma noi non siamo come lui” nel parlare Lara si avvicinò alla sorella e le prese la mano. Vanessa veniva sempre rassicurata dal contatto, fin da quando erano bambine.
“Non ho ancora capito qual è la mia di cultura” confidò Vanessa alla sorella.
Lara la guardò un attimo, poi abbozzò un sorriso.
“Invece io la conosco bene. Rispettare le persone fa parte di te, ma trovi che sia sciocco inchinarsi solo perché chi ti sta difronte ha un lavoro più retribuito del tuo. Sei ambiziosa, ma hai rinunciato all’appuntamento con quel famosissimo professore per venirmi a recuperare alla centrale di polizia”
Vanessa spalancò gli occhi, ma Lara la precedette nel parlare.
“Sì, l’ho scoperto. E te ne sono grata, anche se mi avevano scambiata per un’altra”
“Ora fammi finire perché sento che sto facendo il primo discorso profondo della mia vita” disse alzando leggermente una mano. Vanessa rise, ma annuì.
“Sei sempre curiosa e cerchi di essere espansiva, ma ti chiudi un po’ in te stessa perché ci sono cose che vuoi tenere solo per te. Ami gli abbracci, ma solo a pochi li daresti in pubblico. E per te guardare negli occhi le persone è la cosa più importante”.
“Quindi” continuò prendendo la bibita sul tavolino e porgendola a Vanessa. “Sei quello che sei e prendere un poco da ogni mondo non è per niente un male. Papà ha rovinato il suo matrimonio non per la sua cultura in sé, ma per la considerazione che ne aveva”.
Vanessa venne colpita dall’ultima frase. Non pensava che sua sorella potesse davvero averci pensato su, ma invece l’aveva fatto.
“E ora cantiamo!”

Tornarono a casa poco dopo mezzanotte e Vanessa, sapendo che in Italia dovevano essere le quattro di pomeriggio, chiamò Eva.
“Grazie a Dio hai chiamato. E’ venuto a trovarci un mio zio che non vedo dal paleozoico e mio cugino a quanto pare non ha ancora perso il vizio di provarci con ogni cosa che respira” esordì facendo un verso disgustato alla fine.
“Dovrei chiamare Ezio. Si precipiterebbe da te in un attimo”
“Ah, sicuro. Per dare man forte all’idiota” e sbuffò.
Vanessa sapeva di essere senza speranze, ma anche l’amica non scherzava.
“Sai che non è vero. Da quello che mi racconti mi sembri troppo critica” le disse Vanessa.
Eva sospirò. “Forse”, ma si riprese. “Cosa hai deciso?”
Quello fu il momento di Vanessa per sospirare.
“Parlerò a mio padre e spero che questa situazione finisca” poi fece una pausa.
“Hai sentito Andrea?” chiese Vanessa.
“Sì, l’ho chiamato per gli auguri di Natale” rispose Eva, poi sentì una specie di fruscio, come se i capelli di Vanessa fossero stati toccati.
“Ti ha parlato del libro?” chiese, anche se con poca convinzione.
“No” e non fu una sorpresa come risposta. Perché non c’era motivo per Andrea di parlare ad Eva del libro, non sapeva che lei e Vanessa erano amiche. La ragazza continuò a torturarsi la ciocca.
“Chiamo Ezio e indago, ok? Prima che diventi pelata a furia di torturarti i capelli”
Vanessa, colta in flagrante, sorrise imbarazzata.
“A volte mi fai paura” ammise.

Eva poté chiamare Ezio solo dopo un’oretta perché sua zia trovò il suo bel nascondiglio nel ripostiglio e la riportò tra i parenti.
Ma appena poté, si scusò per andare in bagno e compose subito il numero del ragazzo.
“Ehi, Eva!” disse Ezio rispondendo subito con allegria.
Eva si sentiva sempre un po’ disorientata quando Ezio si rivolgeva a lei. Sapeva di interessargli almeno un poco, ma lui chiamava tutte tesoro, piccola, bellezza, mentre lei era solo… Eva.
“Grazie per gli auguri” gli disse.
“Avrei fatto di meglio se fossi stato lì” disse con fare sicuro.
Non ti emozionare, lo fa con tutte.
“Andrea l’hai sentito?” chiese la ragazza sentendo che era meglio iniziare subito le indagini.
Ci fu una pausa, impercettibile, ma Eva la percepì.
“Sto andando ora da lui” le rispose Ezio fermando la macchina.
“E il libro che quella ragazza ha lasciato al bar? E’ riuscita a contattarla?” chiese forse troppo apprensiva, ma aveva bisogno di notizie per Vanessa.
Ezio strinse leggermente la mascella, ma si riprese subito. Il ragazzo aveva sempre avuto qualche dubbio su quello che Eva provava per Andrea e ora lei gli sembrava troppo interessata a tutta quella storia.
“Non mi parlare di quel libro. Già ha fatto sbarellare Andrea. Ma anche se è diventato pazzo, lo aiuterò. E’ il mio migliore amico”
“Aiutarlo a fare cosa?” chiese Eva confusa.
“Ad andare in Giappone a conquistare quella ragazza” le spiegò Ezio.
La prima bomba era stata sganciata e Eva spalancò gli occhi.
Il ragazzo tamburellò sul volante, sentendo che la ragazza non parlava più.
E’ vero che il silenzio ti rivela più di mille parole.
“Eva, io ci tengo a te e quindi voglio che stai bene. Lui è troppo preso da lei e ti vede solo come un’amica. Non sperarci, ok?”
Ma che...?
Eva rimase intontita per un buon dieci minuti dopo aver chiuso la chiamata con Ezio.
Possibile che lui credesse che le interessava Andrea? Lei non aveva che occhi per quell’idiota e lui capiva male.
Devo assolutamente chiamare Vanessa!
Alla prima chiamata non rispose, così Eva riprovò. Era un’emergenza bella grossa quella.
Dopo un po’ ottenne risposta, ma non era Vanessa.
“Alla quarta chiamata ho pensato che dovesse essere importante. Sono la sorella di Vanessa”
“Oh, ciao. Sono Eva, ti ricordi di me?”
“Ah, sì. Vane si è addormentata, forse ho aggiunto troppo alcol alle bibite stasera. E’ successo qualcosa?”
“Cosa non è successo, vorrai dire” considerò Eva.
Aveva visto la sorella di Vanessa poche volte, ma l’amica ne aveva sempre parlato bene e sapeva che avevano un ottimo rapporto.
“Un certo ragazzo dagli occhi blu sta volando lì da voi”
Lara spalancò gli occhi. “Ho sentito bene?” cercò conferma.
“Ma come…?” chiese aggrottando la fronte.
“Non ne ho idea. Non credevo che fosse tipo da gesti così”
Lara ridacchiò. “Non ci credo. Sto provando a far decidere Vanessa da tanto di quel tempo a provarci con lui. Sai che impazzirà, vero?”
“Devi avvertirla subito” Eva sapeva che alle persone che pianificano tutto non piacciono le sorprese.
Lara però non era dello stesso avviso. “Ha deciso finalmente di parlare a papà. Forse è meglio se glielo diciamo dopo che l’avrà fatto”
Ad Eva non sembrava una buona idea, ma forse se Vanessa l’avesse saputo prima di parlare al padre, questo l’avrebbe condizionata.
“Ti mando il mio numero” disse Lara ed Eva capì di aver trovato un’altra alleata.

Il mattino successivo Vanessa si svegliò con un bel mal di testa e arrancò in bagno sperando che l’acqua portasse via quella sensazione.
Ma l’acqua non aiutò e trovare il padre seduto a fare colazione fece aumentare il dolore portandole anche un po’ di panico. Non aveva avuto le sue consuete quattro ore per studiare ogni singola parola da usare.
Lui le sorrise, carico di quelle aspettative che lo accompagnavano da quando Vanessa aveva iniziato a parlare.
Avrebbe aspettato qualche ora e sarebbe stata pronta. Ma quando lo sguardo le cadde sul vestito tradizionale posato sulla sedia, il cuore le sobbalzò in petto.
“L’ho ritirato in lavanderia, per l’incontro” le spiegò suo padre serafico.
Vanessa pensò che il suo stomaco, così spossato, avrebbe rifiutato tutto ciò che era sul tavolo. Aprì la dispensa sui fornelli e cercò qualcosa di confortante. Fortunatamente il tè al ginseng era ancora lì, dall’ultima volta che era stata in quella casa. Forse ne era diventata dipendente in quel periodo, ma le ricordava la nonna e ora anche Andrea.
Temeva che suo padre avesse buttato la scatola, ma non l’aveva fatto.
Mise a bollire l’acqua e si concentrò sulle bollicine mentre pensava a cosa dire. Era più forte di lei, dopotutto.
Solo quando il tè formò delle velature nell’acqua si sentì pronta. Fortunatamente suo padre mangiava lentamente al mattino.
“Non voglio andare a quell’incontro” iniziò.
L’attenzione del padre fu subito concentrata su di lei. Germogli e vermicelli di soia furono abbandonati a se stessi.
“Ci andrai” rispose il padre. Non c’era durezza nelle sue parole, ma sicurezza.
“No” e fu un sollievo dirlo. Vanessa pensò che la gentilezza l’aveva bloccata nel tempo. Accettava troppo facilmente ciò che gli altri decidevano per lei. Persino quella gara di grammatica italiana a cui la sua professoressa l’aveva iscritta a dodici anni.
Era brava con le parole e la migliore nelle analisi, ma non le piaceva stare sul palco a rispondere ad adulti che sapevano esattamente dove cadeva ogni accento. Inoltre si era sentita nel posto sbagliato quando una sua coetanea l’aveva avvicinata e le aveva chiesto cosa fosse una sinalefe, per poi alzare le sopracciglia e trattarla con sufficienza perché lei non ne aveva affatto idea.
Vanessa se ne era stata zitta, pensando a quanto fosse poco preparata, non sapendo che quella era una figura metrica e che con la sua gara non aveva nulla a che fare.
“Non fa per me, davvero. Ho sempre pensato che tutta la mia vita dovesse girare su quello che avrebbe reso te e la mamma felici, che del vostro matrimonio è rimasto solo ciò che Lara ed io rappresentiamo, ma mi sono resa conto che pensare alla mia di felicità non sarebbe affatto egoista” il padre provò a protestare, ma Vanessa fu più veloce.
“Se io sposassi chi dici tu, non riusciresti a riparare quello che è rimasto con mamma. Hai detto che un uomo occidentale mi farà soffrire, che non potrebbe mai meritarmi, ma sai una cosa?”
Era una domanda retorica e suo padre lo sapeva benissimo.
“L’unico uomo che ha meritato la mia attenzione fino a questo momento sei stato tu. Non solo perché sono la tua principessa, ma perché mi hai insegnato tutto quello che so e hai deciso di essere forte dopo la morte di nonna e la separazione con la mamma. Non dico di aver vissuto una vita triste fino ad ora, ma l’unico uomo che mi ha fatto soffrire non è affatto occidentale”
Fece una pausa che in un film sarebbe stata studiata, calcolata, per fornire più effetto alla frase successiva. Nel suo caso servì solo ad ingoiare il magone.
“Quell’uomo è nato proprio qui ad Osaka. Mi ha insegnato a guardare il cielo, per poi ritrattare e dirmi che la terra era più solida, decisamente più sicura”
Suo padre era ferito e non c’era bisogno di conoscerlo per capirlo.
“Le stelle sono imprevedibili” disse con una voce sottile, ma forte.
E’ sempre forte il mio papà.
“Non cambio idea. Ti chiedo solo di andare a quest’ultimo incontro.”
Vanessa pensò che era buffo leggere negli occhi di suo padre la muta domanda che non aveva aggiunto al resto.
Ci andrai?
Per una volta sembrava che la sua opinione contasse qualcosa.
“Dopo questo, sarò libera” disse solo Vanessa. Fu come un accordo sancito dai vapori del tè, il tè della sua nonna.

Lara quasi cadde quando Vanessa aprì la porta e le tolse quello che era diventato il suo appoggio. Vanessa vide la sorella con gli occhi assonnati e i capelli arruffati. Le sorrise, sentendosi leggera, anche se aveva usato delle parole un po’ dure nei confronti del padre.
“Ora sono pronta. Non vedo l’ora di tornare in Italia per parlare con Andrea”
Lara si morse l’interno della guancia per non ridacchiare perché non poteva fare a meno di pensare alla faccia che avrebbe fatto la sorella.
“A questo proposito…”








Note dell'autore:
In ritardissimo a causa dei problemi di connessione, mi scuso.
Spero che il capitolo vi piaccia. E' di transizione, ma fornisce delle risposte.
Per chi voglia saperne di più sull'omiai, consiglio questo articolo.
Grazie a tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite e le seguite e che hanno recensito.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Tè al Ginseng

Capitolo 6

Vanessa non capì fino a sera cosa le stava succedendo nel petto. Non sapeva nemmeno se il sorriso che l’aveva accompagnata da quella mattina era per quello che le aveva detto la sorella o per i messaggi che aveva scambiato con Andrea dal pomeriggio.
Perché sì, era rimasta sconvolta dal sapere che di lì a qualche giorno lui sarebbe volato da lei, ma anche profondamente lusingata. Inoltre aveva la possibilità di pianificare il tutto e decidere cosa fare e cosa dire.
Lui era disposto ad affrontare ore ed ore di viaggio solo per vederla e parlarle.
Eppure aveva il timore che vedendola lì, nella metà del suo mondo che ancora non conosceva, avrebbe pensato che era stato tutto troppo avventato.
Lei non avrebbe fatto qualcosa del genere, ma era il tipo di gesti che sapeva scuoterla nel profondo.
Non aveva detto ad Andrea di saperlo, ovviamente. Una donna vuole sempre tenersi in vantaggio sugli altri, per quanto meschino sia a volte. Poi aveva ancora quell’ultimo incontro da affrontare.
Scrivere ad Andrea dopo pranzo un semplice ‘che fai?’, senza faccine né altro, le aveva impiegato più tempo di quanto avesse mai immaginato.
Lui le aveva risposto dopo qualche ora.

Ehi, ciao. Ero fuori a correre e non ho portato il cellulare con me. Ora faccio una doccia e credo che dopo scapperò dalle richieste di mia madre e mia sorella. Tu?

Vanessa si concentrò sul dettaglio della doccia e le vibrò tutto. Non era affatto indifferente al fisico del ragazzo e negli ultimi due anni non aveva fantasticato solo sui suoi bicipiti sotto la camicia da barista.
Trovava ingiusto che proprio lei dovesse essere vittima del cliché del barista sexy.
A volte avrebbe desiderato tracannare il tè solubile del bar solo per mascherare le vampate di calore che le inondavano le guance.
Eva non faceva che punzecchiarla su quanto fosse palese, ma era diventata abile a fingere di leggere il suo libro. Perché a volte non riusciva proprio a concentrarsi.
Cosa poteva rispondere quindi? Io penso a te? In tutto il Giappone mi hanno sentita gridare quando ho saputo che saresti venuto qui?

Sono davvero così terribili? Ti chiedono di riparare il tetto?

Gli scrisse riferendosi alla sorella e alla madre di Andrea. Eva gli aveva fornito qualche informazione quindi osò la battuta. D’istinto sentì la mancanza della sua, di mamma, così il messaggio successivo venne fuori da sé.

Io penso. Quando sono qui in Giappone mi sento sempre un po’ sola.

C’era sua sorella, sì, ma rivedeva le amiche e cercava di godersi i giorni lì stando con la gente. Vanessa era diversa. Non viveva bene il caos o il trambusto. Eppure anche il silenzio le faceva male.

Ehi, non sei sola. Ci sono io ora. Puoi scrivermi quando vuoi. Ho una tuta da sub da qualche parte. Potrei cacciarla per risponderti anche da sotto la doccia :)

Non era un messaggio corto né lungo, ma Andrea ci aveva messo davvero tanto a scriverlo. Forse per trovare il coraggio di azzardare per poi inserire qualcosa di divertente per sdrammatizzare.
Vanessa suppose solo la cosa senza sapere che ci aveva azzeccato in pieno.
Gli diede il tempo di lavarsi e poi si stese sul letto fissando il cellulare. In effetti si sentì un po’ sciocca, ma era da tempo che non aspettava con ansia un messaggio.

Lì da voi immagino che non festeggiate Santo Stefano.

Vanessa deglutì pensando che si stavano addentrando sul campo cultura e che non le aveva portato nulla di buono fino a quel momento. Andrea però stava scrivendo un altro messaggio che arrivò poco dopo.

Ma è ovvio, no? Se avete il ramen* non c’è santo che regga il paragone.

Vanessa rise, capendo solo con il secondo messaggio dove volesse andare a parare.

Ti piace il ramen? Gli chiese.

Lui le inviò una faccina con i cuori al posto degli occhi.

Lo adoro.

Vanessa si morse la lingua e le dita. Per poco non gli aveva scritto: perfetto, allora quando verrai qui ti porterò a mangiare il ramen più buono della città!
Si sentiva meschina a nascondergli di sapere che sarebbe andato lì da lei, ma non poteva, dopo tutto quel tempo, rivelargli che era una sorta di stalker e che gli moriva dietro da due anni. Aveva timore di sembrare patetica e pazza.
Poi c’era la possibilità che lui cambiasse idea sul viaggio e se c’era una cosa di cui era sicura, da egoista e non, era che lo voleva lì con lei.
Parlarono tanto e un argomento li portò all’altro insieme al tempo che scorreva veloce.
Senza saperlo si sentirono entrami adolescenti nel continuare a scambiarsi messaggi anche durante il pranzo di Andrea o il drama serale di Vanessa.

“So che stai scrivendo con Vanessa dalla tua espressione, ma perché accettare la mia sfida a fifa se metti pausa ogni due minuti? Sono quasi sicuro che Rooney mi abbia mandato a quel paese tre pause fa” sbottò Ezio con il suo solito tono.
Andrea si riscosse dal cellulare e, pur sapendo che l’amico aveva ragione, non smise di sorridere.
“Ottimo. Sei ancora più cotto” notò l’amico.
“Mi sembra di conoscerla da sempre” rivelò Andrea mentre riprendeva il controllo della sua squadra.
Ezio passò la palla con un passaggio filtrante, ma il giocatore di Andrea intercettò la palla e avanzò verso la porta avversaria per poi passarla al compagno più vicino al portiere.
“Fuori gioco. Un curioso tentativo nell’ultimo quarto” disse il cronista dal televisore.
“Scusa, amico. Non riesco a concentrarmi” spiegò Andrea mettendo pausa, di nuovo. Poi portò una mano dietro la testa.
“E’ solo che mancano tre giorni e ancora non so cosa dirle né come trovarla. Le scrivo e mi viene tutto naturale, però so che quando me la troverò davanti il mio cervello andrà in pappa”.
Ezio pensò che aveva davvero bisogno di lui, come sempre.
“Caro Cody che prende gol, hai Eziuccio dalla tua parte e quindi non puoi sbagliare. Non solo ti stai concentrando sul problema minore, ma stai anche dubitando delle mie doti di orientamento. Troveremo la fanciulla in men che non si dica” concluse facendo un abbozzo d’inchino rinascimentale.
“Problema minore? C’è qualcosa peggiore di questo?” chiese Andrea confuso.
Ezio guardò l’amico comprensivo. Non ci arrivava proprio.
“Hai presente che non hai ancora detto a tua madre e tua nonna che partirai e che non ci sarai a capodanno, vero?”
Cominciò a sudare freddo, letteralmente.

Sai come si curano le mestolate?

La domanda buffa arrivò a tarda sera e Vanessa soffocò la risata nella mano. Suo padre aveva il sonno leggero e l’ultima cosa che voleva fare era svegliarlo.

Che hai combinato?

Tutta quella confidenza, da dove l’aveva presa non lo sapeva nemmeno lei.

Non dovresti conoscere la storia prima di schierarti dalla parte di mia madre?

Di solito le mamme hanno ragione
. Rispose Vanessa arrossendo nel leggere tra le righe una sorta di ipotetico futuro. Una possibile situazione in cui lei avrebbe dato man forte alla suocera nel prendere in giro Andrea.
Oh, cavolo. Sto davvero fantasticando sulla cosa.

Quello che non sapeva era che Andrea si stava dando dell’idiota dopo ogni messaggio.
Cercò di tornare su un argomento generico. Anche perché calcolando le ore di differenza doveva essere tardi da lei.

Che ore sono lì?

E’ quasi mezzanotte. Rispose Vanessa.
Vide che la domanda successiva fu scritta e cancellata un paio di volte.

Hai sonno?

Un po’ di sonno lo aveva, ma voleva di più scrivere con Andrea. Si era privata per troppo tempo del poter parlare liberamente con il ragazzo e, anche se dovevano limitarsi ai messaggi, la faceva sentire bene.

No :)

Aggiunse una faccina all’ultimo momento, per non sembrare caustica.

Comunque grazie per aver conservato il mio libro.
Tentò dopo un po’. Non aveva dimenticato affatto il suo libro e quanto fosse potenzialmente pericoloso per le sue informazioni. E se avesse letto l’ultima pagina? Eppure Andrea sembrava non ne sapesse nulla, ma Vanessa come poteva dirlo solo leggendo dei messaggi. Solo i suoi occhi dicevano la verità. Ormai aveva capito che quelli erano incapaci di mentire.

Oh, non ringraziarmi. Lo sto custodendo solo perché hai il mio prezioso ombrello in ostaggio. Non gli hai fatto niente di male, vero?

Vanessa morse il labbro inferiore e alzò un sopracciglio, come se Andrea potesse vederla.

Per il momento gli fornisco pane e acqua. Domani riceverai una foto che ti assicurerà del suo stato.

Ho come la sensazione che tu l’abbia già fatto.
La prese in giro Andrea.

Ho preso in ostaggio il peluche di mia sorella una volta. Volevo delle informazioni, ma è stato un osso duro e non ha parlato. Le era troppo fedele.
Poi l’hanno liberato in un blitz e la possibilità di scoprire che fine aveva fatto la mia tartaruga è sparita.

A nove ore di fuso orario di distanza Andrea sorrise. Vanessa invece sperò che non si leggesse tra le righe che era stata una bambina molto sola al tempo.
 
Quindi la tartaruga sparì? Chiese Andrea.

Vanessa ci pensò su.

Penso che sia morta e che mia nonna l’abbia seppellita da qualche parte senza dirmi niente.

Andrea d’istinto pensò al libro e a quanto ci fosse della nonna di Vanessa, di lei e beh… anche di lui.
Così le fece una domanda molto semplice, ma che sperò l’avrebbe portato a capirne di più.

La nonna coraggiosa che beveva il tè al ginseng senza zucchero?

Era formulata male come domanda, ma quel giorno al bar le aveva raccontato quell’episodio e quindi era meglio usare un’informazione che lui aveva ottenuto direttamente.

Oh, sì.

Vanessa divenne improvvisamente taciturna e Andrea lo capì subito. La nostalgia, la mancanza di una persona amata, era improvvisamente calata tra di loro. Vanessa temeva che lui sentisse quella pesantezza, ma non riusciva a staccarsi da quella sensazione. Per non parlare del momento  in cui il ricordo della nonna si era mescolato alle parole di suo padre su quanto fosse sbagliato frequentare un occidentale e quanto sua nonna avesse voluto l’omiai per lei.

Ti manca?

Quasi a soffocarmi, pensò Vanessa, ma scrisse:  Tantissimo.

Per quanto fosse presa da lui non era pronta ad aprirsi completamente, non attraverso un messaggio almeno. Era ancora legata alla carta e alle parole dette mentre ci si guarda negli occhi.
Non vedo l'ora che tu sia qui. Pensò.

Mi dispiace tanto.

Vanessa sapeva che Andrea era sincero, che era davvero dispiaciuto per lei e questo le scaldò il petto. Eppure le turbinavano i ricordi dei mesi passati, i discorsi del padre e le sue occhiate di rimprovero e compassione, il suo sguardo di quella mattina. Le sembrò in un attimo che tutti i progressi fatti, tutte le parole che sua sorella le aveva detto, fossero volate via.

Ora penso che mi metterò a dormire. Buona notte.

Andrea esitò. Aveva un mondo di cose da dirle prima di quello, ma poi ricambiò semplicemente.

Buona notte.

Quando lei passò su offline, il ragazzo si ritrovò a fissare il cellulare con la sensazione di aver sbagliato qualcosa. Forse ripensare alla nonna le faceva ancora male.
O è altro? Sono stato invadente?
Un attimo prima scrivevano liberamente e poco dopo lei si chiudeva in se stessa.
Sono incapace, ecco cos’è.
Non fu facile pensare ad altro. Sua madre lo obbligò a fare il giro per le case di amici e parenti. Sarebbe partito di lì a qualche giorno e questo era il minimo che sua madre richiedeva. Le mestolate avevano fatto la loro parte, in effetti.

Il giorno dopo vagava con Ezio al supermercato.
“Prendiamo altre scatolette, non si sa mai” considerò il ragazzo.
Andrea ci pensò su e poi seguì il consiglio.
“Non che non mi fidi della cucina asiatica, ma metti che finiamo i soldi” disse Ezio tirando il carrello.
“E se perdiamo il bagaglio?” Andrea era il pessimista dei due, sempre.
“So che con la tua sfiga e la tua capacità di far cadere una statua non siamo al sicuro, ma ci ho pensato. Fidati di me”
“E poi dobbiamo prepararci. Giulia mi ha detto che qualcuno ha rinunciato al viaggio, così possiamo partire già domani e non faremmo tutti quegli scali”
“Cosa?!” strabuzzò gli occhi Andrea. “E quando pensavi di dirmelo?” afferrò la scatola di cacao amaro che gli aveva chiesto sua madre e la buttò nel carrello.
“Ora” rispose Ezio serafico.
Prese altre due cose della lista e poi Ezio si girò verso Andrea.
“Ah, mh, non dirlo ad Eva, ok? Era già parecchio sconvolta quando ha saputo che partivamo”
“Gliel’hai detto?” chiese Andrea di getto. A lui non era proprio venuto in mente, in realtà. Poi si calmò. Eva doveva essersi preoccupata pensando ad Ezio tra tante bellezze asiatiche.
“Allora vedi di non provarci con nessuna e di rassicurarla, ok?” disse Andrea.
Ezio si rabbuiò. “Ma se quella non fa che pensare a te” gli fece notare, credendo che fosse ovvio.
Andrea ridacchiò per l’assurdità della cosa e si portò una mano alla fronte scuotendo la testa.
E ho anche acconsentito a farmi accompagnare in Giappone da lui per aiutarmi.
“Perché ridi?”

Verso sera andarono al locale in centro e rividero vecchi compagni di scuola e molte ex fiamme di Ezio. Andrea controllò il cellulare varie volte, ma Vanessa ancora non gli aveva scritto.
Ordinarono delle birre e presero posto vicino al tavolo da biliardo.
“Andreuccio si comporta bene?” chiese un ragazzo muscoloso della loro età. Lo chiamavano tutti Toni e avevano frequentato la scuola insieme fino alle medie.
“O fa ancora arrabbiare le ragazze? Linda Bosco ancora parla male di te” e rise. Andrea lo sapeva, l’aveva incontrata qualche volta e al suo saluto aveva risposto con sguardi al cianuro.
“La Galdi ti metterà una nota se continui a parlare, Bongi” rispose Andrea alzando la birra.
“Pff, le manderò un tuo disegno autografato”
Ancora con quella storia, pensò Andrea. Aveva fatto un ritratto alla professoressa di storia dopo gli esami finali e ricordava che era anche parecchio brutto. Senza proporzioni adatte o altro. Si erano accalcati tutti a guardarlo disegnare e la pressione gli aveva fatto perdere la concentrazione, sbagliando le linee guida e gli assi di riferimento.
Eppure tutti, da anni, continuavano a dire che la professoressa aveva un debole per lui.
“Non se n’è mai accorto, giusto?” chiese Toni a Ezio, indicando Andrea.
“Oh, no, per niente. Preferisce inciampare sulle cose che capire quanto potere hanno i suoi occhioni blu sulle femmine” e portò la birra alle labbra.
Andrea le considerava tutte stupidaggini. Aveva sempre dovuto faticare per conquistare una ragazza o chiederle di uscire. Poi l’unica di cui al momento gli importava era a ottomila chilometri da lì e non sapeva neanche cosa stava facendo o a cosa stava pensando.
Ricontrollò il cellulare e si sorprese quando trovò una notifica. Non gli importò neanche che Toni ed Ezio iniziarono a raccontare episodi imbarazzanti su di lui.
Aprì la chat e vide che Vanessa gli aveva mandato una foto. Andrea ci mise un po’ per capire che era il suo ombrello con le paperelle a cui Vanessa aveva aggiunto delle braccine in cartone che reggevano un quotidiano scritto in giapponese.
E sotto: Non puoi immaginare quanto ci abbia messo a trovare quel giornale.
Andrea rise di cuore e quasi gli uscì dal naso un po’ di birra.
Oh, diamine. Devo sposarla questa ragazza.








Note dell'autore:
*Il ramen. Spendiamo tante parole per questa goduria per le papille gustative.
Qui trovate la pagina di wikipedia dedicata a questo buonissimo piatto. Io vivrei di quello (e diventerei una botte perché è tra i piatti più calorici al mondo, ma sono dettagli).
Nel prossimo capitolo, Giapponeee! :D
Grazie a tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite e le seguite e che hanno recensito.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Tè al Ginseng

Capitolo 7

“Sai che fra poco atterreremo su un aeroporto che in realtà è un’isola artificiale e che a causa del suo peso sul fondo sabbioso dell’oceano è sprofondata di dodici metri?” Ezio fornì l’informazione ad Andrea in un assurdo tentativo di fomento. Andrea sapeva che quella dell’amico era solo curiosità su strutture ed edifici, ma lui preferiva non sapere certe cose. Soprattutto a duemila metri d’altezza.
Guardò fuori dal finestrino e gli parve di essere ancora più in alto. Stava calando la sera e questo non faceva che accentuare quella sensazione di vuoto sotto i piedi.
“Ma tranquillo. Gli ingegneri giapponesi sono dei geni” gli spiegò Ezio piegandosi leggermente per guardare anche lui il panorama con un gran sorriso soddisfatto, come se fosse stato lui a sistemare il problema.
“Hanno bloccato il cedimento e ora è inferiore ai venti centimetri l’anno”
Andrea pensò che la cosa non lo rassicurava affatto. C’era poco da scherzare, lui attirava le sfighe ed inciampava da seduto. Poteva capitargli di tutto.
“Sono offeso che tu non me ne abbia parlato sedici ore fa, avrei passato il viaggio a pensare ai ricordi belli della mia infanzia” disse Andrea scherzando solo in parte.
Era stato un viaggio sfiancante, ma pensare a Vanessa lo aveva tenuto vigile e attento. Non solo alle loro valigie, ma anche a quello che Ezio ciarlava in inglese al personale in aeroporto o in aereo.
Aveva scambiato messaggi con Vanessa appena ne aveva avuto la possibilità nelle zone con la connessione gratuita ed aveva provato ad essere evasivo su quello che stava facendo.
Se potesse vedermi in faccia, mi sgamerebbe subito.
“Questa guida dice che dobbiamo assolutamente provare le polpette di polpo” disse Ezio alzando l’opuscolo su Osaka che aveva preso a Tokyo. L’ultimo scalo infatti l’avevano fatto proprio lì e l’aeroporto era pazzesco. Avevano vagato per un’ora inebetiti da tutto quello che si trovavano davanti agli occhi.
“Ti devo ricordare perché siamo qui?”
Ezio alzò gli occhi al cielo. “Lo so benissimo, ma devo parlare con la gente del luogo per trovare la tua dama. I venditori ambulanti di polpo sembrano saperla lunga” e ammiccò nella sua direzione.
Andrea gettò di nuovo lo sguardo fuori dal minuscolo finestrino e pensò a Vanessa.
La terra da lì sembrava piccola e piena di luci, ma questo non faceva che accentuare quanto fosse grande e rimarcare nella sua testa quanto sarebbe stato difficile trovare la ragazza.
Ma i ripensamenti erano meno di quanti ne avrebbe immaginati. Voleva conquistarla, baciarla, stringerla a sé. Voleva rendere reali mesi e mesi di sguardi rubati e bozzetti.
Quando scesero dall’aereo e gettarono uno sguardo verso la struttura dell’aeroporto Ezio emise uno sbuffo curioso.
“Quel marpione di Renzo Piano. Lo riconosci ovunque” disse guardando la copertura a forma di ala della struttura.
Mentre il vento gli sferzava sul viso Andrea guardò la città collegata all’isola artificiale e si aggrappò alla speranza di trovare presto Vanessa e dirle finalmente tutto quello che provava per lei.
Quella sensazione che lo legava a lei lo aveva accompagnato per tutto il tempo e strinse forte la tracolla in cui aveva messo il libro della ragazza.

La città gli si rivelò speziata, piena di colori e vita. Non aveva mai visto niente di simile. I grattaceli si scontravano visivamente con i piccoli negozietti di specialità locali e le luci brillavano sotto il cielo scuro. La strada poi, gli sembrava infinita.
“Ho bisogno di un attimo” rivelò ad Ezio fermandosi.
L’amico posò lo zaino a terra e lo guardò leggermente preoccupato.
“Ehi, tutto bene?” chiese.
Andrea inspirò un paio di volte. Gli mancava l’aria, improvvisamente.
Sembrava che la foga, la fretta, avesse incontrato l’aria fredda per poi rimandarla nei suoi polmoni, spiazzandolo.
“Non la troverò mai. E’ una pazzia”. Si piegò un po’ e posò le mani sulle gambe.
Ad Ezio sembrò di rivederlo ad otto anni al campetto di calcio, nel panico e senza aria dopo aver scoperto da un compagno che i suoi genitori avrebbero divorziato.
“Ci sono io qui” gli disse posandogli una mano sulla spalla.
Poi abbozzò un sorriso. Se c’era una cosa in cui era bravo, da sempre, era far star meglio il suo migliore amico.
“So cosa ti ci vuole. Un bel piatto di qualsiasi cosa riusciremo ad ordinare”.
Andrea fece una risata che uscì quasi come uno sbuffo e si trasformò in vapore nell’aria fredda.
Entrarono in un piccolo locale caratteristico. La lunga descrizione in giapponese dei piatti non spaventò Ezio che sfoggiò il suo miglior inglese per ordinare. Non gli servì a molto, in realtà.
“Yes, that. Quello” e indicò la foto di una ciotola di ramen. Provò anche a mimarla.
Two” continuò mostrando due dita. La ragazza dietro al banco cercò di non ridere e gettò uno sguardo complice ad Andrea confermandogli che aveva già capito l’ordine da un pezzo.
Presero posto ad uno dei tavolini e poco dopo la stessa ragazza portò loro due grandi ciotole fumanti.
Il profumo che il vapore sprigionava nell’aria era così buono che per un attimo i ragazzi dimenticarono persino se stessi.
Andrea tolse la sciarpa e, nel posarla sulla panca, perse il sorriso che la ragazza gli rivolse.
“Ehi, tu hai già la tua di dama” sbottò Ezio fintamente seccato.
Andrea guardò l’amico confuso per poi prendere un paio di bacchette di legno e dividerle.
“In che senso?”
“Stai scherzando, vero?” Le sopracciglia di Ezio si alzarono per rimarcare il suo stupore, ma Andrea lo ignorò e iniziò a mangiare.
Assurdo.
“Come faremo a trovare Vanessa?” chiese Andrea dopo il primo boccone bollente.
Ezio prese una porzione bella grossa e la studiò per poi mangiarla piano. Dopo prese un pezzo di carne sotto lo sguardo attento di Andrea e masticò anche quello molto lentamente.
“Oh, Dio. Non hai la minima idea di come faremo” capì Andrea.
Ezio si offese.
“Ehi, anche se hai proposto tu questa pazzia, se non ti avessi detto che sapevo come fare non saresti mai venuto.”
Andrea sapeva che l’amico voleva solo aiutarlo, ma essere così vicini a Vanessa senza la minima traccia su come trovarla era ancora più frustrante che essere a migliaia di chilometri da lì.
“Ci dormiremo su e troveremo qualcosa. Sai che ragiono meglio sotto pressione” disse Ezio addentando altra carne. Andrea notò che aveva ripreso il suo solito ritmo. Scosse la testa.
“Come quella volta all’esame di stato?”
“Esattamente. Quel cento è scritto a penna sul mio diploma, mio caro Andreuccio” disse Ezio assumendo un’espressione fiera.
“Ancora non so come te l’abbiano dato, quel cento” rimarcò Andrea ripensando all’improvvisazione dell’amico sulla domanda di storia dell’arte. Ezio aveva sempre avuto ottimi voti, complice la volontà e la scioltezza nell’esprimersi. Ma quella volta, Andrea se ne era accorto, era stato colto di sorpresa. Aveva sfoggiato un’improvvisazione degna di teatro e conquistato lo stupore del professore esterno.
“Perché sono geniale e non posso farne a meno. Troverò la tua dama grazie alle mie abilità”.
Ezio era sicuro, profondamente sicuro. O almeno così doveva mostrarsi ad Andrea. Così come aveva fatto all’esame di maturità grazie alla sua faccia tosta.
Ma in quel momento c’era molto di più in ballo. Cercando di conquistare quella ragazza, l’amico aveva finalmente mostrato la scintilla di un tempo nello sguardo, quella forza che solo la pittura sapeva dargli e lui avrebbe fatto di tutto perché non la perdesse.
Trovare l’ostello non fu difficile come pensavano. Andrea era stanchissimo tanto che a stento riuscì a lavarsi. Tra gli occhi pesanti e la sensazione confortante delle coperte, scrisse la buona notte a Vanessa sperando di vederla al più presto.
Ezio vide l’amico crollare e fissò il soffitto illuminato dallo schermo del cellulare di Andrea.
Doveva esserci un modo per trovare quella ragazza. Doveva.

Il mattino seguente quando Andrea si svegliò ci mise un po’ per ricordare dove fosse. La stanchezza l’aveva messo al tappeto e aveva persino ignorato le sue solite preoccupazioni.
Pensò di scrivere a Vanessa il buon giorno, ma sul comodino non c’era traccia del suo cellulare. Eppure ricordava di averlo messo lì poco prima di addormentarsi.
Prima che provasse a tornare allo stato mentale della sera prima, Ezio entrò dalla porta.
Deve essersi svegliato presto. Non ho mai capito come fa.
“Ehi” disse Ezio.
Indossava la giacca, segno che era stato fuori dall’edificio. Doveva anche esserci del vento a giudicare dai suoi capelli. Era quasi buffo non vederlo perfettamente pettinato.
“Ha chiamato tua mamma e sono andato fuori perché qui prende malissimo”
Avevano attivato un’offerta per l’estero, ma solo sul cellulare di Andrea. Ezio glielo passò.
“Ma è tardissimo in Italia” notò Andrea. Facendo un veloce calcolo infatti ipotizzò che fosse l’una di notte.
“Ieri sera non l’abbiamo chiamata e si è preoccupata” spiegò Ezio togliendo la giacca.
Andrea lo vide andare in bagno e tornare dopo poco con il suo solito sorriso malandrino.
“Allora, mio Andreuccio dalle dubbie qualità orientative, oggi dovrai fare una cosa sola.”
Andrea per un attimo quasi temette di sentire il resto.
“Fidarti di me” concluse Ezio.
Perfetto.


Vanessa si guardò allo specchio. L’immagine che gli si mostrò di fronte era quella di un viso bianchissimo e la figura coperta da uno stupendo abito tradizionale quasi non le sembrò la sua.
Quel vestito doveva essere costato parecchio. Lo si capiva dai ricami fatti a mano e dal tessuto lucido e candido in contrasto con il blu lapislazzulo della fascia sotto al petto.
“Dillo”
“Che sembri appena uscita da un drama storico?” chiese Lara di getto sistemandosi meglio sul letto.
“No, che è una pagliacciata” disse Vanessa.
“Ti farebbe sentire meglio?” Lara conosceva talmente bene la sorella che non fu sorpresa dal suo sospiro.
“No, ma lo vorrei tanto” le confidò Vanessa.
Si guardò allo specchio un’altra volta e si sentì egoista. Di tutti i pensieri che potevano riempirle la testa in quel momento –il costo di quella stoffa, l’incontro, suo padre- lei pensò a quanto avrebbe voluto che Andrea la vedesse con quel vestito che sembrava darle una bellezza ormai persa e dimenticata.
Gettò uno sguardo al cellulare e pensò che di lì a qualche giorno avrebbe rivisto il ragazzo, lì nel suo mondo. Così lontano, ma per molti versi così simile a quello italiano.
“Devi resistere solo oggi” le ricordò Lara.
Vanessa lo sapeva benissimo. Quello era l’ultimo incontro, dopodiché suo padre le avrebbe lasciato spazio per le sue scelte.
Portò il viso più vicino allo specchio e stappò l’eyeliner per poi metterlo con attenzione, ma la mano le tremava.
Sentiva quel calore in petto al pensiero di Andrea, ma nervosismo al pensiero di suo padre.
E gli aveva anche parlato.
Forse è questo?
Parlargli aveva rotto un equilibrio abitudinario. Sembrava che questo la condizionasse anche senza esserci più.
“Come mai hai deciso di accompagnarmi?” chiese Vanessa alla sorella. Sapeva quanto Lara si annoiasse in situazioni simili e l’aveva meravigliata non poco quella mattina nel dirle che sarebbe andata con loro.
“Vedilo come supporto morale” le rispose semplicemente. Poi sorrise e prese l’eyeliner dalle mani della sorella per aiutarla. In un attimo tracciò una linea morbida e ben definita.
“Vedi, hai bisogno di me”

L’edificio dove si sarebbe svolto l’incontro era un po’ lontano dal centro e quando arrivarono Vanessa si meravigliò di tutta quella natura.
Nel bel mezzo di un bellissimo giardino orientale c’era una locanda in legno che sarebbe stata perfetta in un quadro.
“Caspita” disse Lara togliendole le parole di bocca.
Vanessa pensò ad Andrea. Lo rivide con il cavalletto e il carboncino mentre lanciava occhiate all’edificio della stazione.
E non poté fare a meno di immaginarlo lì, intento a catturare i colori di quell’ambiente con pennellate premurose.
Controllò il cellulare. Gli aveva risposto per il buon giorno e lesse l’ultimo messaggio.

Ti penso.

Quasi avvampò, ma un sorriso le illuminò il viso. Ignara che Andrea, dall’altro lato del cellulare, cercava di rimediare all’imbarazzo con un altro messaggio.

Non mi hai più mandato foto del mio ombrello. Non l’avrai fatto fuori, spero.

Vanessa gettò uno sguardo a suo padre che la stava aspettando e scrisse in fretta.

L’ho costretto a dirmi cose imbarazzanti su di te.

Andrea rispose dopo pochi secondi.

Spero non ti abbia raccontato della mia identità sotto copertura.

Vanessa scosse la testa.

L’ha fatto, detective.

“Vanessa!” la chiamò suo padre. Lei si riscosse, ma prima di incamminarsi scrisse un ultimo messaggio.

Anch’ io ti penso.


“Taxi!” Ezio gridò alla strada per l’ennesima volta, ma nessuno si fermò.
“Dici che devo mostrare la gamba?” chiese voltandosi verso Andrea che inutilmente sventolava la mano con il pollice all’insù.
“E se qui significa qualcosa di offensivo?” chiese dopo poco ad Ezio riferendosi al segno dell’autostop.
Ezio ricacciò la cartina dalla tasca e scosse la testa.
“Dobbiamo prendere per forza il taxi per andare lì” considerò.
“Non credo sia una buona idea, sai?” gli fece notare Andrea per la milionesima volta.
“Ti devi fidare di me”
Andrea si fidava dell’amico, da sempre, ma trovava la sua decisione solo una perdita di tempo.
Ezio tracciò con le dita il percorso che li avrebbe portati a destinazione.
“Ti piacerà” disse con sicurezza continuando a guardare la cartina. “Era sulla guida e ci darà tempo per pensare.” Spostò un ciuffo dal viso.
“Hai presente che quando cerchi qualcosa non la trovi, ma poi quando smetti di cercarla magicamente compare davanti ai tuoi occhi? E’ lo stesso principio”.
Andrea pensò che l’amico doveva essersi scolato litri di sakè mentre lui legava i lacci delle scarpe.
C’era una bella differenza tra una penna o un paio di calzini dimenticati da qualche parte in camera che una persona in un paese straniero.
“Non ha sen-“ iniziò, ma in quel momento un taxi si fermò ed Ezio ci si infilò dentro come una scheggia.
“Andrè, spicciati!”
C’erano un milione di motivi per non salire su quel taxi. Doveva trovare Vanessa e quello non l’avrebbe aiutato per niente. Il suo amico era diventato improvvisamente pazzo e l’autista aveva uno strano monosopracciglio.
La testa gli disse di girarsi ed infilarsi nel primo internet cafè per scrivere a Vanessa e fare la figura del deficiente nel rivelarle cosa aveva fatto. Ma almeno l’avrebbe trovata.
Se lei accetta di vedermi dopo tutte queste stronzate.
Mentre la sua testa macinava idee, supposizioni e si contorceva su se stessa, il corpo di Andrea l’aveva già fatto sedere nel taxi.
“Bravo, Andreuccio” disse Ezio soddisfatto.
Dopodiché l’autista partì come un pazzo.

“E l’istruzione? Qui c’è scritto che sta ancora studiando”
Vanessa alzò la testa e vide che la donna dava più attenzione al foglio con le sue referenze che a lei.
Si era ridotta a quello? La sua vita era riassunta su quel foglio e veniva giudicata come ad un colloquio lavorativo.
Pensò che bastava resistere, arrivare a fine giornata e scrivere ad Andrea.
Sarebbe stata bene.
“Esco un secondo, oka-san” fu il ragazzo a parlare e ad un cenno della madre si alzò ed uscì fuori sul portico.
Vanessa non aveva affatto voglia di rimanere lì ad essere analizzata dalla donna o a guardare quanto fosse teso suo padre. L’uomo sapeva che lei non avrebbe accettato nessun fidanzamento, ma non aveva cancellato l’incontro per rispetto e si stava comportando molto bene, anche se la donna non aveva affatto gli stessi modi garbati.
Vanessa uscì da un altro balcone e con sorpresa trovò il ragazzo insieme a Lara. Stavano fumando e chiacchierando, ovviamente in Giapponese.
“Oh, eccola” disse Lara lanciando alla sorella un cenno.
“Ichiro mi stava raccontando che ha conosciuto la sua ragazza ad unKonpa. Che cosa ironica” ridacchiò Lara per poi controllare il cellulare. Vanessa cercò nella mente la definizione di quella parola e ripescò le uscite di gruppo tra i ragazzi, una sorta di forma moderna di omiai, senza genitori. Poi recepì l’intera frase.
“La tua…ragazza?” chiese irritata.
Non le importava affatto se lui fosse impegnato o meno, le importava solo quello che implicava. Ed era che suo padre era stato preso in giro.
“Mia madre non lo sa” le confidò lui accigliato. “E calmati” prese una boccata.
Che tipo odioso!
“Ok, calma” disse Lara prevedendo aria di tempesta tra i due.
“Fai poco l’offesa, mia madre ha accettato l’incontro solo perché sei una gaijin. Mio padre è stato arrestato anni fa e per le famiglie sono irresponsabile solo per le scelte fatte da mio padre” rise gesticolando, come se fosse la cosa più divertente del mondo.
Vanessa pensò che doveva essere terribile vivere con un marchio del genere. Anche in occidente ne sarebbe stato marchiato, ma in Giappone era ferro ardente sulla pelle.
Lara era ammutolita e gettò uno sguardo a Vanessa.
La ragazza ripensò a quanto aveva sofferto sentendosi inadeguata, solo perché pronunciava in modo diverso una parola o il suo volto mostrava qualche segno occidentale. Era nulla in confronto a quello.
“Poi tuo padre. Non potrebbe trovarti un marito neanche pregando tutti i giorni al tempio. Che tipo antico e insulso”
Vanessa pensò di sferrargli un pugno così forte che le formicolarono le mani.
“Come scusa?”
Lara doveva averle visto qualcosa nello sguardo perché scattò e le posò una mano sul braccio.
Il ragazzo si girò e fece un riso beffardo.
“Ho detto che tuo padre è insulso. Neanche la moglie si è saputo tenere. Mio padre è stato arrestato, ma la moglie non gliel’ha tolta nessuno”
Vanessa sentì qualcosa di strano nella bocca dello stomaco. Voleva picchiarlo, ma voleva anche volare in Italia, affondare il viso tra le braccia di Andrea ed estraniarsi da tutto.
Fece l’unica cosa simile che le venne in mente, o meglio furono i suoi piedi a farlo e la portarono via da lì.
Non si aspettava di trovare suo padre, in piedi accanto alla porta, ferito dall’aver ascoltato tutto.
Eppure Vanessa sapeva che non erano state le parole del ragazzo a fare del male a suo padre, ma la mancanza di quelle in sua difesa.
Abbassò gli occhi e tenendo il vestito camminò senza fermarsi, verso qualcosa che non le facesse male.
Il suo rifugio fu un piccolo ponte su un laghetto talmente limpido che sembrò poter riflettere persino il suo stato d’animo.
Oh, nonna, è tutto sbagliato. Non dovrei essere qui. Avrei dovuto parlare e picchiarlo.  Non sarei dovuta venire.
Se avesse parlato con Andrea, se fosse stata sincera fin da subito con suo padre. Non era stata capace nemmeno di rispettare quel loro ultimo accordo.
Le mancava casa, le mancava la sua nonna. Per un attimo le mancò anche il respiro pensando a che disastro di ragazza avrebbe presentato ad Andrea. Incapace di difendere se stessa, figurarsi gli altri.
Una folata le mosse la ciocca più lunga di capelli che ogni tanto le andava davanti agli occhi, mentre le foglie venivano suonate dal vento.
“Ehi”
Non era stato solo il vento a muoversi.
Vanessa lo intravide con la coda dell’occhio e si girò lentamente, come se temesse di essere stata burlata da un’allucinazione.
Ma non stava sognando. Lui era davvero lì.
Il ragazzo del carboncino e del tè la stava guardando. Ed aveva il sorriso più bello che Vanessa avesse mai visto.








Note dell'autore:
gaijin-> straniero
E' stato un mese da pazzi tra influenza, università, lavoro e studio. Spero che questa lunga attesa vi ripaghi. Comunque mi farò perdonare con il prossimo capitolo che pubblicherò a giorni :D
Grazie a tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite e le seguite e che hanno recensito.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Tè al Ginseng

Capitolo 8

Andrea aveva le mani sudate come non mai, ma mantenne lo sguardo fisso negli occhi scuri di Vanessa.
“Come… come-“ Vanessa boccheggiò, con la sorpresa dipinta sul viso.
“Come ho fatto? Beh, sai, vecchi favori tra colleghi. Roba da detective, insomma”
Andrea doveva mostrarsi sicuro. E farle capire finalmente quanto la desiderava nella sua vita.
Si avvicinò un po’ di più a lei e si poggiò con le braccia sullo steccato di legno del ponte.
Vanessa, nella stessa posizione, guardò il laghetto.
Le batteva forte il cuore ad averlo così vicino, ma quasi aveva timore a guardarlo. Si sentiva un disastro emotivo in quel momento e non voleva affatto che lui la vedesse così fragile.
Aveva pianificato per mesi le parole che avrebbe usato, ma non sembrava mai il momento giusto per dirle.
“Non sembri molto contenta di vedermi”
Vanessa si girò subito, ma non fu la sola a stupirsi per la frase, perfino Andrea se ne rese conto dopo averla pronunciata.
“Avrei voluto che non mi vedessi così” disse con voce sottile.
La bocca di Andrea si incurvò in un sorriso sghembo e il ragazzo iniziò a tamburellare sul legno con la mano. Doveva assolutamente fare qualcosa per scaricare lo stress, altrimenti sarebbe esploso.
“Perché?” le chiese semplicemente.
“Sei bellissima” aggiunse poco dopo.
Vanessa avvampò.
No, tu sei bellissimo.
“Puoi confidarti con me, sai? Sono un ottimo ascoltatore” disse Andrea indicandosi con il pollice.
Vanessa lo vide sicuro, sincero. Non poteva sapere che il ragazzo stava lottando con se stesso e i suoi timori.
La ragazza, invece, voleva solo buttarsi tra le sue braccia e sentirne il calore. Non solo per dimenticare tutti i problemi, ma anche per seppellire in un attimo mesi e mesi di imbarazzo.
Ma non è così semplice, giusto?
“Si tratta di mio padre. Il nostro rapporto è un po’...” provò a trovare la parola giusta ma, nonostante le migliaia di libri letti, non le venne in mente.
“…particolare. Da quando ha divorziato da mia madre è peggiorato sempre di più.”
“Oh, su questo sono un esperto. Padre assente, ricerca di approvazione. E’ la mia vita”
Vanessa vide Andrea incupirsi leggermente. Eva le aveva raccontato della situazione familiare del ragazzo, ma non poteva di certo sapere tutto su di lui.
“Il mio non è stato proprio assente, anzi potrei dire che è stato fin troppo presente a volte, ma è…“ prese aria, per poi umettare le labbra con la lingua.
“…freddo. Come se non gli importi più dell’affetto o dell’amore” e per la prima volta lo realizzò anche lei stessa.
Nel giro di un anno suo padre, anche se in modi diversi, aveva perso la madre e la moglie. Poteva esserci disillusione più forte di quella?
“Mio padre conosce fin troppo l’amore invece” considerò Andrea, quasi tra sé e sé.
Vanessa prese una ciocca di capelli tra le dita ed iniziò a torturarla senza dare importanza alle forcine che Lara le aveva conficcato in testa.
Pensò che avrebbe potuto dire di tutto su suo padre ad Andrea, ma che si sarebbe sempre tenuta per sé quanto fosse disastrosa come figlia. Voleva sembrare perfetta agli occhi del ragazzo e voleva che lui la guardasse come aveva guardato quei due anziani alla stazione.
E’ sbagliato?
Quando lui si voltò di nuovo, così sincero, così lui, Vanessa ripensò al perché si sentiva così male.
C’era un motivo per cui non aveva difeso suo padre, per cui non aveva picchiato Ichiro.
Era perché lei stessa il giorno prima aveva detto a suo padre che non era stato capace a tenere con sé sua moglie.
“Ti ho visto dipingere” disse Vanessa.
Andrea assunse un’espressione incuriosita.
“Alla stazione” continuò lei. “Sei davvero bravo”.
Voleva che lo sapesse, dopo averlo elogiato in silenzio per così tanto tempo. E voleva anche smetterla di parlare di suo padre.
“Grazie” rispose lui. Sembrava quasi più imbarazzato di prima.
Vanessa non poteva sapere che il suo imbarazzo era dovuto solo in parte al complimento. Andrea infatti, di getto, avrebbe voluto risponderle che aveva letto quello che lei aveva scritto sul suo libro e che anche lei era brava. Si sarebbe tradito in modo vergognoso.
La presenza del libro però si fece insistente, così tanto che Andrea quasi lo sentì più pesante nella tracolla.
Avrebbe tanto voluto dargli un’ultima rilettura prima di separarsene, ma aprì la borsa e lo prese, conscio che l’importanza di quell’oggetto per la ragazza superava di gran lunga la sua curiosità.
“Ecco” le disse. “Questa volta non posso sbagliare proprietario” sdrammatizzò sorridendo e portandosi la mano libera dietro la testa.
Vanessa gliel’aveva visto fare molte volte, al bar.
Quando la copertina morbida le sfiorò i polpastrelli si sentì improvvisamente meglio. Forse fu anche il leggero contatto con la mano di Andrea a rassicurarla. Per un attimo non la preoccupò neanche la possibilità che lui avesse letto quello che aveva scritto. Anzi, quasi desiderava che lui l’avesse fatto.
“Pensavo che prima dello scambio volessi accertarti delle condizioni del tuo ombrello” scherzò Vanessa.
Andrea entrò nella parte e la guardò comprensivo. “I miei agenti sono già sul posto”.
Vanessa finse stupore e non poté fare a meno di immaginare davvero la scena. Poliziotti intrufolati nella sua camera intenti a cercare un ombrello con delle paperelle.
“A parte gli scherzi” continuò Andrea. La mano ancora dietro la testa.
“Puoi tenerlo” disse per poi fare una pausa, breve e lunga allo stesso tempo.
“E’ sempre stato per te” era serio e quella frase non si riferiva solo all’ombrello.
Vanessa sentì il cuore accelerare e cercò lo sguardo di Andrea. Fu felice di trovarlo subito e non perso all’orizzonte, lontano da lei.
Persino la mano del ragazzo tornò al suo posto.
Lui la stava guardando come si guarda qualcosa di bellissimo e raro e lei avrebbe davvero voluto meritare tutta quella dolcezza.
Era quello che desiderava, ma aveva anche paura, paura che lui la conoscesse meglio e capisse che non era poi così perfetta mentre il suo mondo si allontanava sempre di più dal proprio.
Andrea fece un passo verso di lei, deciso, con il cuore che gli martellava nelle orecchie. Vanessa si perse nei suoi occhi blu, mentre i cattivi pensieri venivano portati via dal vento.
Quando il ragazzo arrivò ad una spanna da lei, fu costretta ad alzare leggermente il viso per non perdere il contatto visivo. Improvvisamente le sembrò che il vento e il freddo fossero spariti dal mondo e così il fruscio delle foglie.
C’erano solo loro due e piano chiuse gli occhi aspettando le labbra di Andrea. Le sentì calde e quando si mossero sulle proprie una scarica elettrica le attraversò tutto il corpo.
Mesi e mesi di fantasie non erano nulla in confronto a quello.
Sentì la mano di Andrea sul viso, anche quella caldissima. L’altra sul fianco, quasi a proteggerla da tutto ciò che la spaventava.
Vanessa si aggrappò a lui e gli posò sul petto la mano in cui stringeva il libro. Quando lui intensificò il bacio, il cervello le andò in pappa. Si perse nel bacio e in quella sensazione di languore, ma allo stesso tempo le sembrò di trovare il suo mondo.
Quando il ragazzo si staccò da lei, Vanessa rimase per un po’ con gli occhi chiusi, quasi in trance.
Andrea si trattenne per non esultare.
Era euforico. Non solo aveva baciato la ragazza di cui era innamorato, ma lei aveva anche ricambiato alla grande.
La sensazione di vuoto sotto i piedi che aveva provato meno di venti ora prima era stata sostituita da una leggerezza euforica. Era meglio di una vittoria sul campetto, meglio dell’ultima pennellata sulla tela.
Vanessa era bellissima. Ad Andrea sembrò di vederla in un’altra epoca, vestita con quegli abiti tradizionali. Una signora bellissima e irraggiungibile vista dagli occhi di uno straniero dagli occhi blu. Eppure sentiva di averla raggiunta, capiva che lei l’aveva visto tra la folla e aveva ricambiato il suo sguardo.
Le prese la mano libera e provò una profonda soddisfazione nel sentire le dita di lei intrecciarsi alle proprie.
“Scommetto che hai lasciato il libro al bar di proposito, solo per farmi fare il primo passo”
Andrea chiuse gli occhi dopo aver pronunciato la frase, non credendo alle sue orecchie e alla sua bocca. Era un idiota. Un tremendo idiota che aveva rovinato tutto.
Quando riaprì gli occhi però trovò Vanessa sorridere e sentì la stretta delle loro mani intensificarsi.
“Credo proprio di averlo fatto. E avrei voluto farlo prima” gli rivelò, gli occhi scuri pieni di qualcosa che Andrea non riuscì a definire.
Il ragazzo si morse l’interno guancia. Non era abituato ad essere guardato in quel modo. Era una sensazione nuova e intensa.
“Vorrei portarti in un posto” disse Vanessa. “Verresti con me senza fare domande?” gli chiese poi, quasi colta da timidezza.
Andrea ci pensò su qualche millisecondo, la risposta pronta sulle labbra.
“Certo”, disse. Poteva esserci altra risposta?

“E questo è il vero tè al ginseng. Non proprio quello della mia nonna, ma è quasi come il suo”.
Andrea guardò il liquido paglierino con sospetto. Dopo il primo assaggio disastroso non era molto contento di ripetere l’esperienza.
“Ovviamente puoi metterci lo zucchero o il miele” gli ricordò Vanessa ridendo.
Andrea le lanciò uno sguardo di finta ammonizione, facendola solo divertire di più.
“Va bene. Mi fido, ma non solo perché sei bella, ricordatelo” le disse fingendo noncuranza e dandosi dell’idiota per la sua quasi inesistente capacità di fare complimenti.
Per un attimo gli sembrò quasi di immaginare Ezio scuotere la testa dall’altro lato della sala.
Però fu bello vedere le guance di Vanessa tingersi di rosa.
Zuccherarono il tè e iniziarono a sorseggiare la bevanda. Vanessa, con il suo abito, sembrava dare ad un gesto così semplice una forte regalità.
“Avrei dovuto cambiarmi, ma volevo solo scappare da lì” rivelò intuendo i pensieri di Andrea.
Il ragazzo aveva lanciato un cenno –più che vittorioso- ad Ezio prima di andare via in taxi con Vanessa, ma l’euforia non gli aveva fatto pensare a come potesse essersi sentita lei nell’andarsene senza dire nulla a suo padre.
La vide prendere il cellulare dalla borsa e mordersi il labbro inferiore.
“Puoi richiamarlo, se vuoi” disse Andrea, preoccupato nel vederla così triste. Quel sentimento di protezione nei suoi confronti non faceva che accentuarsi.
“Non ha provato a chiamarmi” gli confidò Vanessa.
Andrea capì dal tono della sua voce che era un problema peggiore dall’aver ricevuto decine di chiamate, ma non voleva forzarla a fare né dire nulla quindi restò in silenzio.
“Ha provato a trovarmi marito” gli spiegò Vanessa sospirando. In realtà non sapeva perché aveva iniziato proprio con quel dettaglio.
“Oh” disse Andrea.
Vanessa lo vide teso e preoccupato?
“Ha provato, Andrea” sottolineò Vanessa e il ragazzo sembrò riprendere ossigeno.
“Non si è mai interessato a quello che volevo io, neanche una volta. Non ha fatto che dirmi che era per me, per proteggermi, ma quanto può essere vero?” prese un sorso di tè, per darsi forza.
“Forse se non mi fossi innamorata di te, avrei fatto quello che voleva. Io sono fatta così” Era dura ammetterlo, ancora di più se la confessione veniva affiancata da quella goffa dichiarazione.
Andrea si era fermato alla prima frase e abbracciò ancora una volta quel senso di dolce euforia.
Deglutì, sperando di non sbagliare a parlare.
“Anch’io mi sono innamorato di te. Da talmente tanto che non lo immagini. Forse ero innamorato di te ancor prima che me ne rendessi conto” disse portandosi una mano dietro la testa. Vecchia e radicata abitudine, ma non poteva farne a meno.
“Lo immagino eccome. Te l’ho detto, ti ho visto dipingere”. Vanessa voleva dirgli tutto: che le era stato di aiuto in molti momenti difficili senza saperlo, che il mondo era diventato più giusto da quando l’aveva conosciuto e che era una pazza che non faceva che guardarlo da lontano. Voleva dirgli tutto quello con uno sguardo e forse ci riuscì perché il ragazzo ricambiò e i loro visi si avvicinarono sempre di più perdendosi uno nell’altro.

“C’è un modo per proporsi come pretendente?” chiese Andrea. Erano ancora nel locale e avevano ordinato alcune specialità che Vanessa voleva far provare ad Andrea.
“Oh, sì. Devi prendere un numeretto e poi inviare il tuo curriculum a mio padre” scherzò Vanessa.
Andrea rise e prese uno spiedino impanato dal piatto a centro tavolo.
“Beh, so fare il cappuccino. Penso che lo impressionerò” disse Andrea, ma in realtà pensò che non aveva nessuna capacità che potesse convincere il padre di Vanessa a considerarlo.
“In realtà penso che se le cose fossero andate diversamente con mia mamma, gli piaceresti davvero tanto” ammise la ragazza intingendo un po’ di polpo nella salsa per poi mangiarlo.
“In che senso?” chiese Andrea, curioso.
“Mio padre è un artista” rivelò Vanessa. “Ha conosciuto mia madre quando è andato in Italia a studiare pittura”.
Andrea vide il sorriso sognante che le increspava le labbra, memore di racconti romantici. Dopo poco però si oscurò.
“Ora non dipinge più”
Andrea pensò a quanto si sentiva libero e pieno nel porre i colori sulla tela e non riuscì ad immaginare un motivo così forte che potesse spingerlo a smettere, a rinunciarci. Poi guardò Vanessa ed iniziò a capire. Anche se la conosceva da poco, sentiva che non averla nella sua vita avrebbe creato un vuoto che neanche la pittura avrebbe potuto colmare. Era così che si era sentito il padre di Vanessa?
A volte gli artisti tendono ad essere selettivi con i sentimenti. Usano il grigio, ma vivono in bianco e nero.

“Come mai non parlano più?” chiese allarmata Lara dalla sua postazione in fondo al locale.
Ezio studiò l’espressione dell’amico.
“E’ imbarazzato e credo voglia dire qualcosa a tua sorella, ma pensa che non possa essere quella giusta” snocciolò come un perfetto psicologo autodidatta.
Imbarazzato?! Come può provare imbarazzo untipo così?”
Ezio la guardò comprensivo.
“Non dirlo a me. Pensa cosa avrei potuto fare io con quell’ aspetto. Ora sarei ad Hollywood circondato da conigliette di playboy” e sospirò con finta disperazione.
“Credi che dovremmo intervenire?” chiese la ragazza gettando ancora uno sguardo al tavolo dei piccioncini.
“Se nei prossimi cinque minuti non avranno ritrovato le corde vocali, sì” disse Ezio buttando giù un bicchierino di sakè.
Lara era ancora sbalordita di tutta quella situazione, da quando quella mattina aveva ricevuto la stranissima chiamata del ragazzo che le stava di fronte. Ovviamente aveva ripreso subito la sua solita indole sicura, ma c’erano delle domande che ancora le frullavano in testa.
“Riesci in questi cinque minuti a spiegarmi come hai fatto a trovare il mio numero?”
“Non ho mai trovato difficoltà a trovare il numero di una bella ragazza” le spiegò Ezio, sorridendo serafico.
Lara lo ammonì con lo sguardo, ma non con cattiveria. Era divertita, più che altro.
“Ah, sì?”
“Tranquilla” la rassicurò Ezio. “So che sei impegnata. Trasudi impegno da ogni poro”
Lara era spiazzata. Anche se amava tantissimo il suo fidanzato, probabilmente era la persona meno da impegno del mondo. Negli anni aveva cercato di mostrare agli altri, tramite il suo aspetto o le sue decisioni, che non le importava delle opinioni degli altri o di ostentare qualcosa, nemmeno l’amore. Vanessa aveva ragione sui tatuaggi, fatti per ribellione, ma erano stati la scelta migliore della sua vita perché le avevano fatto incontrare il suo futuro marito e, per una come lei, già pronunciare quella parola sarebbe stato spaventoso un tempo.
Ezio annuì e prese una polpetta di polpo. Erano talmente buone che per un attimo considerò di rapire la cuoca e portarla con sé in Italia.
“Poi non sei il mio tipo, mi piacciono le bionde”  e prese un’altra polpetta.
“Vabbè, chissene. Allora, me lo dici?” sbottò Lara, era impaziente.
“Vedi, è questa vostra curiosità femminile che vi ha tradito” iniziò Ezio.
Poi continuò. “Hai presente quando cerchi qualcosa ma non la trovi e invece quando smetti di cercarla riesci a trovarla?”
Lara annuì.
“Ho visto che io e tua sorella abbiamo un’amica in comune su facebook e l’ho chiamata”
Ezio le fornì la versione breve. In realtà quella notte non riusciva proprio a prendere sonno e si era scervellato per ore per capire come potesse fare ad aiutare il suo migliore amico a trovare quella ragazza. Non aveva trovato niente di sensato.
Si era arreso ed era stato difficile ammetterlo a se stesso. Svuotato dalla stanchezza e dai nervi tesi, senza volerlo, aveva pensato ad Eva. Non era stato un pensiero irrazionale. Pensava spesso a lei, come ovviamente un ragazzo pensa ad una bella ragazza. Eppure pensava a lei nei momenti di tensione, persino prima di un esame, per tranquillizzarsi.
Ogni tanto poi gli veniva quell’impulso di vederla e così passava al bar per salutarla e invitarla ad uscire. Probabilmente iniziare a chiederle di uscire per gioco e inoltre così spesso aveva tolto valore all’invito, ma non era mai stato così sincero.
Gli piaceva, quella ragazza. Ed è per questo che si era ritrovato a guardare il suo profilo facebook sul cellulare alle due di notte. Fortunatamente la wifi funzionava anche lì.
Quando però cliccò sulle foto della ragazza, vide che non erano visibili.
Che mi abbia bloccato? Pensò con un tuffo al cuore, decisamente non da lui.
Poi capì. Il cellulare era ancora connesso con il profilo di Andrea. Ezio trovò strana la cosa. Andrea ed Eva erano colleghi e amici, ma non su facebook. Si chiese se fosse una qualche assurda tattica che usano le ragazze per conquistare i ragazzi. Aveva dei – ok, tanti – dubbi su quello che Eva provava per Andrea. Le aveva persino dato dei consigli qualche giorno prima.
Entrò con il proprio profilo e iniziò a sfogliare le foto della ragazza. Passò una mano sugli occhi, sorridendo per la divisa macchiata di caffè e le pose giocose della ragazza.
Era stanco, ma non aveva di certo perso la sua solita attenzione per i dettagli. Studiare di notte aveva temprato i suoi sensi negli anni.
Poi la vide, una foto di molti mesi prima in cui Eva si teneva i capelli in una posa disperata. A giudicare dallo sfondo era al bar, ma era seduta ad un tavolino. Accanto alla foto la descrizione diceva:
Ecco come ti senti quando la tua amica non fa che parlarti dello stesso ragazzo da un anno e mezzo, ma quando può non gli dice una parola. Argh.

Poteva riferirsi a chiunque, giusto? Però il commento di Vanessa a quello stato lo rendeva una prova schiacciante.

Ti farò morire prima del tempo, eheh

Ezio la prese male, davvero. La sentì come una grande presa in giro nei confronti di Andrea. Quanto consideravano ingenuo il suo migliore amico? Tanto da lanciarsi occhiatine alle sue spalle?
Pensò a quanto Andrea si fosse sentito a disagio solo nel parlare a quella ragazza e quanto fosse stato sincero nel desiderio di conoscerla. Era persino andato fino in Giappone per lei! Aveva messo tutto in gioco.
Capì che quella ragazza non doveva essere così presa da lui se per un anno e mezzo non gli aveva rivolto più di mezza parola.
Ed Eva, poi. Non se l’aspettava da lei. Avrebbe potuto dirgli qualcosa invece di fingere.
Cercò di essere veloce, ma di non svegliare l’amico nell’alzarsi e nel mettere le scarpe e il giubbotto.
Scese le scale verso l’ingresso e uscì in fretta dall’ostello. In realtà la linea prendeva anche nella loro camera, ma non voleva svegliare Andrea.
Compose il numero ed aspettò.
“Pronto?” rispose Eva dopo molti squilli.
“Cosa avete organizzato? Una sorta di fan club?”
“Ezio? Cosa?” era confusa, ovviamente.
“Tu e la tua amica! Cosa fate? Prendete tè e biscotti e parlate di quanto sia sciocco Andrea?!” disse con rabbia. Era sempre stato così, fin da quando erano piccoli. Avevano pochi mesi di differenza, ma si sentiva come un fratello maggiore nei confronti di Andrea.
“Cos-? Ma di che diavolo stai parlando?” chiese Eva, ma aveva perso un po’ di sicurezza nella voce.
“Quindi è così” considerò Ezio, duro.
Eva dall’altro lato del cellulare si morse il labbro inferiore.
“Non abbiamo preso in giro nessuno. Vanessa è innamorata di Andrea”
“Come posso crederti? Se fosse innamorata di lui non credi che gli avrebbe parlato prima o fatto capire qualcosa?”
“E’…complicato” disse solo Eva. “ A volte è solo… complicato” e sospirò.
“Non me l’aspettavo da te”. Le parole di Ezio trasparivano delusione.
“Io…” iniziò la ragazza, poi quel lato femminile che non consente alle donne di essere passive in una discussione prese il sopravvento.
“Ho cercato di parlartene! Ti ho persino chiesto di organizzare un incontro a quattro per aiutarli, ma tu mi hai ignorata per guardarmi le tette!” era il suo turno di essere arrabbiata.
Ezio alzò gli occhi al cielo, mentre un uomo alla guida di un camioncino della spazzatura lo guardava incuriosito.
“Certo, ora è colpa mia perché guardo delle belle tette!”
“Vanessa è incasinata e mi ha chiesto di aspettare il momento giusto per dichiararsi ad Andrea. Non faresti lo stesso per lui se te lo chiedesse?”
Ci fu una pausa. Ezio sbuffò. Poi un’altra pausa.
“Quindi tutte le domande idiote che mi facevi su Andrea non erano per te, ma per lei?”
“Ti facevo più sveglio, Sherlock


“Si stanno alzando” esordì Lara strappandolo dal ricordo. “Dovremmo seguirli”
“A meno che non vadano ad imboscarsi da qualche parte” scherzò Ezio.
Lara alzò gli occhi al cielo.

“Sai che mia sorella e il tuo amico ci stanno seguendo, vero?” Vanessa ridacchiò mentre camminavano per le vie di Osaka. La ragazza aveva deciso di tornare a casa per potersi mettere degli abiti più comodi. Non invidiava affatto le sue antenate.
“Credi che sappiano che li abbiamo sgamati?” chiese Andrea sorridendole complice.
“Oh, no. Altrimenti mia sorella si sarebbe già precipitata qui”
“Anche Ezio”
Vanessa pensò che era facile per persone silenziose come lei e Andrea circondarsi di persone rumorose perché riempissero i loro vuoti. Era bellissimo però essersi trovati nei rispettivi silenzi.
“Sai che sei coraggioso? Molto più coraggioso di me” ammise Vanessa. Voleva dirglielo da quando l’aveva visto sul ponte.
“Coraggioso. Io?” Andrea si indicò con stupore.
“Sei volato fin qui per me, mentre io non ho avuto neanche il coraggio di parlarti senza farmi dei complessi”
“Non sono coraggioso” disse Andrea, semplicemente.
“Sei pazzo. Suona meglio?” chiese Vanessa facendogli una linguaccia. Andrea si portò una mano dietro la testa. Erano vicini ad una bancarella con degli animaletti di stoffa intrecciati e non gli interessò che la signora che ne stava intrecciando un altro si fermò per guardarli con sospetto e curiosità. Dovevano sembrare buffi visti dall’esterno. Andrea però la ignorò e bacio Vanessa attirandola verso di sé.
Fu un bacio molto più audace di quello che ci si sarebbe aspettato in pubblico da una coppia giapponese e quindi non furono pochi gli sguardi sorpresi.
Quando si staccarono, si guardarono negli occhi e Andrea capì finalmente che tutto era al posto giusto e che niente poteva andare storto ora che stavano insieme.
“Vanessa!”
Oh.








Note dell'autore:
Chiedo perdono per tutto il tempo che ho fatto passare e spero che il capitolo vi piaccia! A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Tè al Ginseng

Capitolo 9

Anni prima, Masato aveva rivelato a sua madre che il suo matrimonio stava fallendo mentre lei piantava dei kiku, crisantemi.
Al tempo aveva pensato che fosse ironico che confessasse i suoi fallimenti mentre un fiore simbolo di gioia e pace prendeva posto lì dove lui aveva corso, giocato e si era sbucciato le ginocchia.
“Abbiamo parlato con un avvocato” aveva detto guardando le spalle della madre. “Per le bambine” aveva poi aggiunto spostando la terra con la punta del piede.
Sua moglie non amava un altro. Semplicemente non amava più lui.
“Potresti portarle un po’ qui. Mentre le cose si sistemano.”
La sua oka-san gli aveva letto nel pensiero.
“Sì, penso sia una buona idea che stiano qui con te. Lara sta reagendo bene alla cosa, insomma…” alzò gli occhi al cielo “ …sta reagendo a modo suo”
La madre prese un vasetto e lo riempì di terra soffice per poi spargerla alla base dei crisantemi.
“Ma Vanessa ti preoccupa. Vanessa ti preoccupa sempre” disse serafica schiacciando il terreno con le mani.
Masato sospirò. “Non so mai cosa pensa. Sembra che abbia sempre paura, timore…”
La madre si alzò e passò le mani sulle ginocchia fatte di terra. “Non ha paura” disse guardando il figlio negli occhi, in un modo in cui solo le mamme sanno guardarti. “Semplicemente non ha ancora trovato il suo posto. ” 
Masato pensò a quando aveva trovato il suo di posto nel mondo. Da sciocco diciottenne aveva creduto di averlo trovato nella pittura, poi il ventenne stanco e assonnato l’aveva trovato sulla metro, racchiuso in una ragazza dal sorriso sbarazzino. Ma non era mai stato più sicuro di averlo riconosciuto fino a quando non aveva stretto le sue figlie fra le braccia per la prima volta.
“L’Italia non le piace e qui la vedo felice solo quando sta con te” considerò.  “Poi da quando le hai dato quel libro non fa che tenerci la testa dentro.” Continuò seccato.
“Avresti potuto almeno lasciarlo in giapponese e non farlo tradurre” la ammonì.
La madre lo ignorò, concentrandosi sul giardinaggio.
“Ci sono cose che bisogna scoprire attraverso la lingua in cui si pensa” disse con tono pacato prendendo un’altra piantina.
Masato inarcò le sopracciglia, confuso.
“Che intendi?” chiese mordendosi l’interno guancia. Sentiva in qualche modo che sua madre volesse dargli una lezione di vita non solo su sua figlia, ma anche su se stesso.
La sua oka-san si voltò e alzandosi sfilò i guanti fatti di terra.
“Volevo che capisse la storia e non che si dovesse impegnare per capirla”
Masato, in un certo senso, lo comprendeva.
“Quando hai detto per la prima volta a tua moglie che eri innamorato di lei scommetto che l’hai prima pensato in giapponese” lo stuzzicò la donna.
Masato quasi arrossì; non erano discorsi che era solito fare con lei. Poi però pensò alle sue figlie e a quel timore, che solo i padri possono avere, di vederle con dei ragazzi.
“E’ fragile. Appena alzerà gli occhi da quel libro il mondo la ferirà. Ho paura di questo”.
“Non è fragile” lo ammonì sua madre, per la seconda volta, come se fosse uscito di senno.
“Devo proteggerla” insisté Masato.
La madre si spostò verso il punto meno curato del giardino e scostò qualche filo d’erba. “Sei uno sciocco” disse continuando a scrutare il terreno.
Masato pensò che la sciocca era sua madre se credeva ancora di poter piantare in giardino qualsiasi cosa le passasse per la testa.
Ginseng? Ti sei trasferita in Corea mentre ero via? A me risulta che siamo sempre in Giappone”
La radice non era rarissima lì da loro, ma non era così facile farla crescere, a differenza della Corea o della Cina.
Anni prima, la madre lo avrebbe bacchettato e messo in punizione per quel tono, ma sembrava essere arrivato quel momento, nella vita di un figlio, in cui certe cose non ti importano più.
“Per te è sempre una questione di posto, eh?” sbottò la madre. “Non posso restare qui per imparare l’arte, devo andare in Italia! La donna deve stare qui, l’uomo lì. Tuo marito è morto, non puoi parlare con gli altri uomini! Mia figlia deve frequentare questa scuola e non quell’altra”
Era arrabbiata, molto arrabbiata. Masato non l’aveva mai vista così. Non era mai stata una donna come le altre, silenziose e con la testa costantemente china, da etichetta, ma non aveva neanche mai ostentato proteste.
“Molti di noi sono come il ginseng” spiegò poi, calmandosi.
“Possiamo non trovarci nel luogo giusto, nella giusta luce, ma se ci viene data fiducia, una possibilità, possiamo crescere sani e stare bene anche lì. Sarà poi il cuore a portarci dove sentiamo di aver bisogno di andare”.
Masato capì cosa intendeva la sua oka-san, ma non lo condivideva. Secondo sua madre doveva lasciare che Vanessa facesse quello che lei sentiva di fare, ma non poteva stare fermo e non fare nulla.
Stava passando in quel momento una delusione amara e l’ultima cosa che voleva era dare a sua figlia un destino simile. Gli sguardi della gente, i bisbigli al suo passaggio, le insinuazioni sui motivi che avevano spinto sua moglie a lasciarlo.
 Avrebbe aiutato Vanessa a non arrivare a quel punto. L’avrebbe presa per mano e le avrebbe indicato la strada giusta per non cadere.
Una pianta, dopotutto, se viene aiutata, può crescere meglio.

Masato abbandonò l’incontro poco dopo aver visto sua figlia scappare via con quel ragazzo italiano. Eppure non andò subito a casa. Aveva bisogno di tempo e aria fresca per fare i conti con quell’ennesimo fallimento.
L’aver fallito come padre nel proteggere sua figlia sembrava però fare quasi più male dell’aver fallito come marito.
Quel ragazzo può renderla felice, farla stare bene? Può capirla davvero?
Vedere il loro bacio ritornando a casa gli fece paura. Ricordava quella leggerezza dei primi baci e dei primi abbracci pieni di promesse e speranze.
Forse cercava, attraverso sua figlia, di ricostruire i propri pezzi.
“A casa!” le ordinò avvicinandosi.
Vanessa spalancò gli occhi, portò una mano alle labbra e abbassò lo sguardo, come se l’avessero sorpresa a fare qualcosa di proibito.
Di nuovo quel timore, pensò Masato. Per un attimo tentennò e si insinuò dentro di lui il dubbio che fosse davvero un pessimo genitore.
Andrea nel vedere Vanessa così dispiaciuta sentì una stretta al petto e i soliti timori, le insicurezze, sparino sostituiti dal coraggio. Prese la mano di Vanessa e la strinse forte preparandosi ad affrontare il padre della ragazza.
Il gesto sembrò dargli una sorta di scarica di adrenalina, ma a quanto pare, non fu l’unico a cui fece quell’effetto. Vanessa alzò il viso e puntò gli occhi, lucidi e scuri, in quelli del padre.
“Credevo avessi capito” disse solo. Lo fece in italiano e Andrea apprezzò.
Per un attimo sembrò che il padre non volesse dire niente, ma dopo poco sussurrò: “Sarà imprevedibile”.
Il suo italiano non era perfetto come quello di Vanessa, mostrava una sorta di reticenza ad abbandonarsi ad una nuova pronuncia.
“Voglio correre il rischio” rispose Vanessa.
Non fu un attimo, non ci furono momenti rivelatori o calori nel petto, né vocine che gli sussurravano di cambiare idea e che quella era la scelta giusta. Masato semplicemente capì che quella era una battaglia che non poteva vincere.
Non aveva potuto cambiare sua moglie o il suo modo di pensare e non poteva di certo convincerla a tornare con lui. Non poteva dire alla gente che era ancora un uomo, anche se era solo.
Non avrebbero capito che, in realtà, era stato più coraggioso di molti altri a volare lontano da casa senza soldi e sicurezza e vivere il suo sogno e la sua storia d’amore, anche se breve.
Non avrebbero capito che il ragazzo sorridente che imbiancava le staccionate non aveva perso tutto perché era cambiato, ma erano state le perdite a farlo cambiare.
Il ginseng è ancora lì.
Masato pensò che era ingiusto che fosse ancora lì, senza sua madre che se ne prendeva cura. Grazie a lei era cresciuto dove non avrebbe potuto crescere, ma non era morto con lei.
Faceva male sapere che così come il ginseng poteva sopravvivere senza sua madre, così sua moglie poteva stare bene senza di lui.
Vanessa era importante e fragile. Voleva che quel qualcuno che le sarebbe stato accanto lo capisse.
“Io ci tengo a sua figlia” esordì Andrea.
Masato guardò quel ragazzo prima con gli occhi di un padre e gli sembrò così poco adatto a proteggere sua figlia, così inadeguato. Dopo poco però fu come rivedere se stesso in un altro paese, lontano da casa, con un accenno di barba e la tracolla sulla spalla.
Lara ed Ezio si avvicinarono a loro e Masato si rese conto che avevano già dato abbastanza spettacolo.
“Andiamo a casa”

L’edificio dove abitavano era vicino, ma per tutto il tragitto Ezio tenne d’occhio il padre di Vanessa.
“Tuo padre non ha una katana, vero? Devo salvaguardare l’integrità del mio migliore amico” sussurrò a Lara.
La ragazza alzò gli occhi. “Ovvio. Che razza di domande fai? La danno ad ogni ragazzo una volta che, raggiunta la maturità, ha dimostrato la sua forza uccidendo un’antilope”
Ezio abbozzò il suo solito sorriso. “Le antilopi crescono in India”.
“E’ il primo animale che mi è venuto in mente” sbottò Lara alzando gli occhi al cielo.
“Non è uno di quei momenti in cui dovremmo essere tesi e preoccupati per la sorte degli innamorati?” continuò poi alzando lo sguardo verso Ezio mentre si avviavano verso l’ascensore del palazzo.
“Ho tutto sotto controllo” rispose Ezio umettandosi leggermente la bocca.

Ad Andrea sembrò il viaggio in ascensore più lungo di sempre. Voleva davvero che quell’uomo capisse quanto teneva a sua figlia.
Non mi sono neanche presentato. Era assurdo pensare all’educazione in un momento come quello, ma non si era mai posto un problema simile.
Crescendo in un paese non molto grande conosceva già i padri delle sue coetanee.
Passare da ‘figlio di’ a ‘ragazzo di’ era un breve passo e spesso l’unico prezzo da pagare era l’imbarazzo iniziale.
Andrea non avrebbe mai immaginato che la sua prima visita a casa di Vanessa sarebbe stata molto più simile ad una riunione di guerra, con le parti schierate in modo silenzioso e pensieroso. Non si sarebbe nemmeno mai sognato di aspettare un tè proprio mentre era senza scarpe e veniva fissato intensamente dal padre della sua ragazza.
E’ la mia ragazza, giusto? Dovrei chiederlo?
Quanto rimpiangeva i bei tempi della scuola elementare in cui tutto era chiaro e semplice. Ti bastava strappare una pagina di diario e scrivere una breve domanda. Il foglietto accartocciato poi diventava più importante di un messaggero divino, ma non avevi bisogno che tornasse indietro perché per qualche potere mistico dieci minuti dopo tutta la classe era a conoscenza della risposta.
Beh, per me non era proprio così semplice, ma era davvero un metodo infallibile.
Andrea lanciò uno sguardo ad Ezio con la coda dell’occhio e lo vide tranquillo. Sicuramente voleva essere il primo a parlare.
Era quello che facevano sempre dopotutto: Andrea combinava casini ed Ezio risolveva la situazione.
Quello però non era un casino. Si trattava di conquistare finalmente ciò che desiderava e che aveva aspettato tutta la vita.
Strinse la mano a Vanessa e umettò la bocca pronto a parlare. Quando però la aprì, Ezio lo precedette.
“Bene!” esordì il ragazzo tra lo sgomento generale.
“Signore” continuò alzandosi e piegandosi leggermente imitando il saluto di referenza giapponese.
“Mi presento: sono il nakōdo* di Andrea e Vanessa”
Andrea guardò l’amico in preda al panico.
Che diavolo ha in mente?! E che diavolo è il nakodo?
“Penso di essere la persona adatta a fare da intermediario per questa coppia perché nessuno conosce Andrea meglio di me e capisce quanto questo ragazzo sia rispettoso, non solo con sua figlia, ma con chiunque”
“Ezio…” iniziò Andrea, ma il ragazzo abbozzò un sorriso invitandolo a lasciarlo continuare.
“Non ci siamo presentati qui con chissà quali pretese o con chissà quali referenze. Siamo ragazzi semplici e cerchiamo sempre di affidarci prima a noi stessi”
“Quindi” disse facendo una pausa “Visto che abbiamo rovinato l’ultimo, le chiedo un incontro”
Masato sembrava sul punto di scoppiare. Vanessa era sorpresa, Lara colpita.
“Credi che sia tutto un gioco?!” quasi urlò l’uomo. “Quest-“
“No, signore” Fu però Andrea ad immettersi nel discorso.
Masato alternò lo sguardo da Andrea ad Ezio e scosse la testa. “Questi ragazzi!”
“Vorrei un incontro con sua figlia” insisté il ragazzo.
Masato sapeva di aver perso già quella guerra, ma il suo orgoglio gli impediva di cedere. In realtà tutto il suo essere giapponese gli urlava di non cedere.
“Portandoci qui è come se avessi già accettato” notò Lara.
Andrea, nervoso, portò una mano al petto e guardò l’uomo negli occhi. Sentiva il sudore gelato sulla pelle e continuava a ripetersi di essere sicuro, fermo, deciso. Alla fine, decise solo di essere sincero.
“Non sono ricco, non ho un lavoro decente… ho più sogni che ambizioni e spesso li guardo da un vetro pensando di non poterli nemmeno sfiorare. Non ho ancora una laurea e, in realtà, mi chiedo ogni giorno se ho fatto le scelte giuste, se sto sprecando tempo. Non ho avuto un buon padre. Non ho avuto un esempio da seguire...”
Ezio pensò che l’amico era stato fin troppo sincero.
Alla fine è sempre una specie di colloquio, no?
Raddrizzò la schiena, pronto ad intervenire se ce ne fosse stato bisogno. Andrea intanto prese aria.
“Ora non sono un candidato adatto per sua figlia, ma le prometto che lo diventerò. Non le farò mai mancare nulla e così come è ora, lei sarà il mio primo pensiero”
“Ragazzo, non fare promesse che non puoi mantenere” lo ammonì l’uomo, quasi però con rassegnazione nella voce.
Prima o poi l’idillio finisce. Per tutti.
“Lo prometto”
Era quello, pensò Andrea. Era quello il suo posto nel mondo.
Masato non era più un uomo di promesse. Era passato il momento dei sogni ad occhi aperti e del futuro incerto.
Decise che non avrebbe accettato subito quel ragazzo, ma che lo avrebbe messo alla prova.
Ricordava ancora benissimo quando a quindici anni disse a suo padre che voleva fare il pittore e che lavorare da impiegato non sarebbe mai potuto essere il suo lavoro.
Suo padre lo aveva guardato negli occhi. Aveva studiato e fatto tutte le cose perbene e nei giusti tempi e voleva che il figlio facesse lo stesso.
Masato però non faceva che pensare ai pennelli e ai colori. Alle foto dell’occidente e ai maestri d’arte italiani, così diversi da quelli orientali.
“Se lo vuoi davvero, provalo. Le tue mani non saranno mai lisce, ma non avrai mai rimpianti” gli aveva detto suo padre.
Lavorò sodo per anni per risparmiare il più possibile e volò in Italia con tante insicurezze, ma anche una grande certezza: avrebbe fatto il pittore.
I rimpianti c’erano stati, anche tanti, però non riguardavano quella parte della sua vita. I rimpianti l’avevano paralizzato emotivamente, eppure la pittura restava una parte di lui.
Semplicemente era una parte che non voleva più esternare. La sua esperienza gli aveva fatto capire che la strada sicura, diritta, è la migliore.
Sua figlia Lara lo avrebbe chiamato ipocrita, senza remore.
“Quando me lo proverai, ti accetterò” disse ad Andrea.
“Papà!” esclamò Vanessa, quasi scandalizzata.
“Va bene” rispose Andrea, accettando quel tacito accordo.
“Cosa?!” continuò Vanessa passando lo sguardo da uno all’altro. “Non devi provare niente” disse ad Andrea.
Suo padre stava esagerando, lei e Andrea non potevano essere trattati come un accordo commerciale o chicchessia. Le era stata tolta la possibilità di scelta per troppo tempo.
Era stufa che sentimenti e persone venissero paragonati e trattati come oggetti.
Andrea tese la mano per sigillare l’accordo e a quel punto Vanessa non ci vide più. Fu lei a prendere la mano del ragazzo e a trascinarlo in cucina chiudendo la porta alle loro spalle.
Era nervosa, irritata, arrabbiata e aveva un’improvvisa voglia di rompere qualcosa.
Andrea si sorprese del gesto e Vanessa lo vide provato, ma concentrato nel dissimularlo.
“Avevo già intenzione di decidere cosa fare della mia vita” le spiegò. “Non voglio certo fare il barista squattrinato tutta la vita. Questo è il segno, il momento di svolta” continuò, la voce quasi roca.
Vanessa interpretò il tono come una sorta di dovere. Non poteva sapere che Andrea era emozionato di dirle certe cose. Voleva farle capire che avrebbe fatto di tutto per lei.
“Non deve essere per me. Devi farlo per te” cercò di fargli capire.
Andrea abbozzò un sorriso e portò una mano dietro la testa, imbarazzato.
Quasi non gli importò più delle persone in salotto, dell’aver lasciato il padre della ragazza seduto a pochi metri di distanza nel mezzo di una conversazione.
“Perché non può? Se è per te è anche per me” sorrise per poi avvicinarsi e baciarla.
Non era il momento, non era il caso, ma Vanessa ricambiò.
“Ci sarà un momento in cui farlo per me non ti basterà” sussurrò Vanessa staccandosi, la voce ridotta ad un sussurro.
“Fidati di me” rispose Andrea con il sorriso più dolce che Vanessa avesse mai visto.
Uscirono dalla cucina. Ezio e Lara stavano perorando la loro causa, ovviamente.
Non sarebbero riusciti a stare al loro posto in nessun contesto.
“E’ così. Ha ragione” disse Lara indicando Ezio e sistemandosi meglio sulla poltrona.
“Ammetti di aver perso, oto-san” accentuò il tono onorifico. Stuzzicarlo così in quel momento non li aiutava per niente, pensò Ezio.
“Signore” Andrea si avvicinò. Tese la mano. Non era sicuro che una stretta di mano avesse lo stesso significato in Giappone, ma sapeva che l’uomo aveva vissuto in Italia per molti anni. Voleva solo che accettasse e sentisse quanto significativa era quella stretta.
Con sua sorpresa Masato si alzò e  sancì l’accordo, guardandolo negli occhi.
Se non mi ha incenerito lui ora, posso davvero affrontare tutto.
Papà” disse Vanessa facendo girare entrambi.
La ragazza tese la mano verso il padre e alzò il mento.
“Anch’io ho qualcosa da provarti”



Note dell'autore:

oto-san-> titolo onorifico: papà
nakodo-> la persona che organizza il primo incontro o fa da intermediario per l'omiai

È passato un anno e mezzo da quando ho aggiornato questa storia. È stato un periodo davvero difficile... di perdite, di fatica.
Non volevo però che questa storia rimanesse incompleta come me.
Spero vi piaccia. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3352466