Voci nel Vento

di Nelith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Arrivo a Valgar ***
Capitolo 3: *** Han ***
Capitolo 4: *** Rinascita ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
Senza nome 1

Il fuoco divorava ogni cosa, nulla era tralasciato, come se fosse mosso dalla volontà di qualcuno. Tra gli scricchiolii e i cedimenti della struttura si sentivano violenti rintocchi di metallo: lo scontro proseguiva nonostante il campo di battaglia fosse ormai completamente invaso dalle fiamme. Le due lame che si incrociavano erano illuminate dal fuoco mentre danzavano assieme ai due guerrieri. Un nuovo crollo, questa volta più vasto, aprì un varco verso la notte; il vento spazzò via gran parte del fumo, dando però nuova energia alle fiamme, aumentando il calore già quasi insopportabile dell’incendio. Il fuoco ardeva la villa mentre la tempesta spazzava via l'esterno, tingendo la notte con lampi cremisi.

Il cavaliere si domandò come riuscisse ancora a vedere e a respirare in una simile situazione: solo adesso aveva cominciato a risentirne. All’inizio aveva quasi camminato tra le fiamme senza rendersene conto, avvertendo solo un leggero e trascurabile calore.

Continuava a combattere, si sforzava di non sentire l’impugnatura arroventata tra le sue mani, che lo ustionava. Serrava testardamente le dita, il sangue aveva reso la presa appiccicosa e la carne della mano si era attaccata al metallo. Il suo avversario si ergeva tra le fiamme come se il fuoco non potesse toccarlo, sorrideva. Aveva sorriso per tutto il tempo, fin da quando lo aveva ospitato in casa.

Se sopravvivrò, pensò il cavaliere, non ospiterò mai più qualcuno, non importa quanto freddo faccia o quanto sia ormai prossima una tempesta. Quel momento di distrazione lo portò a urtare qualcosa con un piede, abbassò lo sguardo e vide un arto sporgere dalle macerie. Un anello spiccava tra le fiamme che stavano consumando la carne ormai carbonizzata. Urlò. Urlò con tutto il fiato che gli restava, scagliandosi contro il suo avversario con ferocia, giocandosi il tutto per tutto. La lama affondò nel fumo, tagliandolo senza incontrare nessun ostacolo. Il vento che entrava dai vari varchi spazzò via tutto quello che restava dell'illusione.

«Dove sei?!»

«Qui.» il cavaliere si voltò, la spada stretta tra le mani che puntava alla gola del suo avversario. La lama compì un ampio arco, intercettato quella avversaria, la violenza fu tale che la lama del cavaliere si spezzò e una parte della punta volò indietro, conficcandosi nella sua spalla. «Direi che ho finito.» il cavaliere vide che aveva una mano appoggiata alla parte senza filo della sua spada, la teneva verticale, salda come un muro.

«Di che materiale è fatta?» chiese più a se stesso che al suo avversario.

«Anime e sangue.» rispose prima di muoversi con rapidità inumana. La testa del cavaliere rotolò a terra, le fiamme la inglobarono poco dopo seguendo la volontà del vincitore. La lama affondò nel collo del cavaliere, penetrando per l'intera lunghezza. Attese, attese che le fiamme consumassero ogni cosa attorno a loro senza però sfiorarli, fino a quando il corpo del cavaliere si svuotò completamente dal sangue, assimilato dalla lama. Appena la estrasse dal corpo, una miriade di creature si mossero sotto la cute raggrinzita del cadavere; una volta lacerata, gli insetti sciamarono sul terreno, divorando i pochi resti che il fuoco aveva lasciato, poi si diressero verso il vincitore, arrampicandosi sul suo corpo e svanendo.

La tempesta sopra di lui ancora imperversava, anche se la pioggia aveva cessato di cadere e solo gli echi lontani dei tuoni riempivano la vallata.

Lui sorrise, osservando la terra bruciata attorno che li circondava, poi sollevò lo sguardo verso il cielo che sembrava attraversato dalle stesse fiamme che avevano divorato la villa e i suoi abitanti.

«Ne resta uno.» sorrise soddisfatto, sentendo il vento che gli accarezzava la pelle, poi, lentamente, riprese il suo cammino. Il nord lo aspettava.

 

 

 

I Deliri di Nelith

Buon anno! XD Torno con una minilong fantasy che partecipa a 2 contest

- Malia il canto delle sirene indetto da Yuko chan

- Quando il fantasy è Dark [Multifandom + Originali] indetto da Nuel2

Ma doveva esserci un terzo contest, L'inizio e la fine di ogni cosa indetto da ManuFury, peccato che abbia sforato il limite di parole consentito e quindi mi sia ritirata XP

Detto ciò spero che il prologo vi abbia incuriosito almeno un po', presto avete anche gli altri tre capitoli ^^

 

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Capitolo 2
*** Arrivo a Valgar ***


Senza nome 1

Il porto iniziava a scorgersi all'orizzonte. Hira lo osservava dalla prua della nave mentre i marinai si affaccendavano a preparare la manovra di attracco. Gigantesche montagne ricoperte da una fitta vegetazione sprofondavano nell’acqua, creando il canale marino che li avrebbe condotti fino alla terra ferma. Era strano come sull'acqua i suoni si perdessero, il silenzio era stato interrotto solo dai rumori delle assi di legno della nave che cigolavano e dal delicato infrangersi delle onde sulla chiglia. Anche le voci dei marinai si disperdevano trasportate dal vento.

Hira si voltò osservando le vele candide e gonfie di vento mentre gli uomini si muovevano tra gli alberi come insetti. Sorrise e si passò una mano tra i capelli pallidi arruffati dal vento. Nell'altra mano stringeva una lunga spada contenuta in un fodero di legno laccato, su cui scorrevano sinuose linee dorate tra cui si celava il disegno di una fenice e tre stelle. Un laccio blu era intrecciato poco sotto da dove sporgeva la guardia, composta da un cerchio formato da alcuni anelli affiancati. Se non fosse stato per quella strana lavorazione nessuno avrebbe capito che si trattava di una spada, erano armi troppo eleganti, troppo ricche, per quelle gelide terre del nord. Tutto, però, in quel viaggiatore era strano ed esotico: dai capelli pallidi agli occhi rossi, passando per le mani delicate su cui spiccavano le unghie nere, quelle rare volte che non indossava i guanti, fino agli abiti che indossava. Inusuali ed esotici erano composti da un'ampia veste stretta in vita da una cintura scura, con maniche larghe che arrivavano solo a coprire metà avambraccio e, sotto di essa, erano presenti altri strati di foggia simile. Anche i pantaloni, neri con piccole righe grigie, erano inconsueti: talmente ampi da sembrare quasi una lunga gonna che celava i piedi. Non sembrava risentire del freddo, quella era una delle cose che avevano maggiormente colpito i marinai. Infatti in un primo momento non lo volevano a bordo, dicevano che portava male, ma il capitano non aveva sentito ragioni: il suo denaro era buono come quello di qualunque altro passeggero.

L’equipaggio non ne era stato felice, soprattutto quando, il giorno successivo alla partenza, cupe nubi nere se erano addensate dietro di loro. La tempesta, però, non si era mai abbattuta su quella nave: li aveva seguiti per tutto il viaggio, alcune volte il vento arrivava impetuoso, agitando il mare, per poi placarsi all’improvviso, come se arretrasse. I marinai avevano iniziato ad attribuire a Hira la fortuna che sembrava averli baciati.

Un marinaio si affiancò a Hira, osservando come lui verso terra, mentre l'ombra delle montagne iniziava ad allungarsi.

«Ci siamo quasi. Questa notte potrai dormire a terra.» Hira sorrise, voltandosi verso l’uomo aveva parlato e che arrossì leggermente. Quel volto giovane e affascinante aveva risvegliato in molti uomini desideri che non sapevano di avere, mentre in altri aveva stuzzicato passioni che conoscevano, ma nessuno aveva mai osato avvicinarsi. Aveva qualcosa di mistico, come se non appartenesse a quel mondo e temevano anche solo l’idea di toccarlo.

«Voi avete sicuramente una vista migliore della mia.» cominciò il viaggiatore lasciando perplesso il suo interlocutore «Quindi quelle là in fondo, oltre la cittadina portuale, sono nubi temporalesche o è fumo?» il marinaio si sporse verso il parapetto, come a volersi avvicinare un po' di più, ma fu un altro a rispondere per lui.

«Sicuramente fuoco.» i due uomini si voltarono incrociando gli occhi nocciola del capitano del vascello che, come loro, osservava l'orizzonte. «Le incursioni degli Han non accennano a scemare. Dicono che diventino sempre più violente e si avvicinano sempre di più alla costa: se conquisteranno Valgar non potremo più respingerli, controlleranno uno dei maggiori porti del nord.»

«Mi chiedo come un gruppo di barbari possa fare tanto.» urlò il marinaio per sovrastare il vento.

«Dicono che ci sia qualcuno che li guida, la gente parla di una strega.» Hira si voltò scorgendo dietro la loro scia altre navi che veleggiavano verso il porto. Era da molto tempo che il viaggio non era stato più in solitaria, arrivavano da tutte le terre conosciute, uomini desiderosi di ricchezza che si vendevano o per guerra o per i cadaveri. Hira sorrise, i corpi attiravano tantissimi necrofagi di ogni le razza.

Che cosa meravigliosa è la guerra... Hira sospirò, accarezzando con la mente l'immagine dei campi di battaglia grondanti di sangue. La voce dei due uomini però riportò presto la sua attenzione alla nave.

«Dovremo fermarci a Valgar più del previsto, temo.» il capitano osservava la tempesta dietro di loro: erano stati fortunati a non incontrarla in mare aperto, ma non avrebbero avuto possibilità di scampo ora.

«Almeno saremo attraccati al sicuro.»

«Sperando che la tempesta tenga lontano i barbari... mi sembra strana.»

«Credo sia di natura... artificiale.» rispose Hira sfiorando con le dita la corda intrecciata che adornava il fodero della sua spada. «È da un po' che la vedo e sembra marciare costantemente verso nord.»

«Vi ha seguito?» Hira scoppiò a ridere alle parole terrorizzate del marinaio.

«No. Non credo proprio. È più probabile che facciamo la stessa strada. In fondo sono tanti quelli che si spingono a nord negli ultimi tempi.»

«Potrebbe avere a che fare con la strega?» il marinaio si rivolgeva a lui come se detenesse tutte le risposte, ma Hira non gli avrebbe mai rivelato cosa si celasse in quella tempesta.

«Possibile. Sicuramente non è naturale. Spesso avanzava controvento.» Il marinaio si toccò un orecchio, poi la fronte e infine sputò in acqua.

Non ti servirà quello sciocco rituale per allontanare la malasorte...

«Credo che andrò a radunate le mie poche cose per lo sbarco.» Hira si chinò, mantenendo il tronco rigido e piegandosi verso di loro per congedarsi. Poi, nonostante il mare leggermente mosso, avanzò con passo sicuro e leggero sul ponte, diretto al piccolo sgabuzzino che era stato il suo alloggio in quel mese di traversata.

 

Si chiuse la porta alle spalle, isolando quel cubicolo dal resto del mondo. Tutto era di legno al suo interno, tranne l'amaca di corda che serviva da letto. Appena entrò emise un basso suono scricchiolante e dalle fessure del legno iniziarono a fuoriuscire una miriade di insetti che andarono a infilarsi sotto gli abiti di Hira. Il tessuto iniziò a muoversi, brulicante di vita mentre lui gemeva quasi estasiato dal contatto con le sue creature. Un lungo centopiedi si attorcigliò tra le sue dita, e Hira se lo portò vicino al viso.

«Ho un lavoretto per te. Hai fame, vero?» l'insetto si immobilizzò, poi emise un piccolo gemito.

Hira si diresse verso la sacca in cui conservava le sue poche cose e prese piccolo borsello di pelle. Dentro c'erano alcuni piccoli sassi, nulla più di semplice ghiaia, e vi lasciò cadere tra essi l'insetto. Mormorò una sola parola, più simile a uno stridio, e le pietre furono sostituite da monete d'argento tra cui spiccava un piccolo smeraldo. Sorrise e iniziò a sistemare il suo bagaglio. Rimase dentro l'alloggio fino a quando non avvertì distintamente il porto, l’energia vitale che gli abitanti di Valgar emanavano arrivava fino a lui, assieme all'agitazione dei marinai che si preparavano ad approdare. Prese la sua spada e si caricò la sacca in spalla, poi si avviò verso l'alloggio del capitano.

Bussò un paio di volte, attendendo una risposta: sapeva di trovarlo lì a controllare i registri di carico prima di svuotare la stiva. Quando entrò lo vide seduto alla sua scrivania circondato da alcuni quaderni e le carte nautiche.

«Hira! Pronto per sbarcare?»

«Sì. Ammetto che iniziavo un po' a stancarmi, non sono abituato a stare fermo per così tanto tempo, ma a piedi non sarei mai giunto fino a qui così rapidamente.»

«Avresti impiegato almeno un anno. Con l'arrivo dell'inverno i passi sarebbero stati chiusi e avresti dovuto aspettare un bel po' per riprendere il cammino.» Hira annuì, appoggiò la sacca a terra e prese il piccolo sacchetto di pelle.

«Questo è quanto abbiamo pattuito. Con anche una cosa in più, per ringraziarvi di essere stato dalla mia parte anche quando il vostro equipaggio non mi voleva a bordo perché pensavano portassi sventura.»

«I marinai sono dei superstiziosi. Comunque abbiamo appurato che al massimo porti fortuna. Secondo gli uomini hai tenuto alla larga la tempesta permettendoci di arrivare senza difficoltà a Valgar.» Hira sorrise: come mutavano in fretta le opinioni degli uomini.

«Io non c'entro con la tempesta.»

«Questo non ha importanza, conta solo quello che pensa l'equipaggio.» Il capitano Cenran aprì il sacchetto e una piccola gemma verde spiccò tra l'argento. Mise la mano nel sacchetto estraendolo e rimirandolo sul palmo della mano, illuminato dalla luce delle lampade a olio che illuminavano la cabina. «È... è meraviglioso.»

«Non lasciatevi ingannare, capitano. Vale meno di quel che sembra, ma comunque sono monete in più che finiranno nelle vostre tasche.» l'uomo si alzò, aggirando la scrivania e avvicinandosi al suo passeggero. Gli tese una mano e Hira, a fatica, ricambiò la stretta, grato per la presenza dei guanti che aveva indossato in previsione di quel gesto: detestava il contatto con gli esseri umani, in più, toccando la sua pelle, avrebbero potuto capire che ci fosse qualcosa di strano in lui. Fortunatamente era riuscito a far capire a tutti i marinai che non amava il contatto fisico e loro, prima per timore poi per venerazione e rispetto, si erano tenuti lontani.

«Ti ringrazio. Non so cosa ti porti così a nord, ma se lo desideri potrai tornare a sud con noi: ci fermeremo a lungo nel porto.»

«Dipende da quanto tempo impiegherò a compiere il mio lavoro. Ma vi ringrazio.»

Hira si congedò subito dopo, sorridendo tra sé e pensando alla reazione dei marinai.

Vorrei assistere alla loro superstizione, ma sicuramente sentirò le voci... quello che accadrà farà il giro della città in poco tempo.

 

Hira fu il primo a scendere, congedandosi dall’equipaggio e salutandoli tutti con un inchino, precedendo gli altri passeggeri che ancora si attardavano sul ponte, carichi di armi, che attendevano che anche i loro bagagli venissero messi a terra, sbuffando e imprecando contro la pigrizia dei marinai. Sentì alcuni guerrieri fare battute sul suo equipaggiamento: quella semplice spada di legno non sarebbe mai servita contro gli Han. Hira si limitò a sorridere, lo avevano fatto per tutto il viaggio appena avevano saputo che aveva la loro stessa meta.

Si voltò un’ultima volta verso sud, osservando la tempesta lontana, intravedendo gli abbaglianti fulmini rossi.

 

Valgar non era molto meglio di ciò che stava arrivando. L’aria era satura dell’odore nauseante della legna e della carne bruciata, seppur stantia. Davanti a lui, la folla che osservava lo scarico delle merci, appariva tutt’altro che felice; gli uomini avevano espressioni stanche, stravolte, con i volti ancora sporchi di cenere e sangue.

Hira si ritrovò i loro occhi iniettati di sangue addosso, ritrovandosi contro un muro di uomini che non sembrava intenzionato a farlo passare. Puntò tra due di loro il fodero della sua spada, spingendone uno da una parte e creando un piccolo varco, guadagnandosi molte occhiatacce.

Davanti a lui la cittadina iniziava a mostrarsi alla luce unta e fioca delle lanterne appese alle pareti degli edifici: le gabbie di metallo e vetro ondeggiavano nella lieve brezza che da terra portava al mare, facendo cigolare le catene. Hira sorrise: quella città gli piaceva e soprattutto apprezzava l’aria che stava respirando.

Attraversò in silenzio le vie fangose del distretto portuale, fino ad arrivare a quelle relativamente più pulite e lastricate delle zone più interne. Il suo sguardo fu attirato da una serie di strutture metalliche più grandi, simili a gabbie, appese alla parete di un massiccio edificio di pietra che si trovava al centro di una piazza circolare. I corvi stavano appollaiati tra le sbarre di metallo, affondando i grossi becchi in ciò che restava al loro interno. Sorrise, avvertendo la presenza strisciante dei vermi che divoravano gli ultimi avanzi.

Si guardò attorno, notando che per strada c’era pochissima gente che camminava in fretta e a testa bassa nella piazza, cercando di ignorare le gabbie.

Sollevò lo sguardo verso l’edificio, sopra il portale sprangato spiccava uno stemma: un’alba che sorgeva alle spalle di un maestoso albero sempreverde.

Onegeldra, uno dei Signori della Luce… non credo che ascolterà le vostre implorazioni: gli dèi da tempo hanno abbandonato questi cieli. Scosse la testa, cercando di non sorridere. Senza poi contare che non credo apprezzerebbe questi… doni di fede. Se non ricordo male non gradiva gli estremismi… la cosa tanto non mi riguarda; hanno perso i poteri, non possono in alcun modo nuocermi, neppure se mi scoprissero.

Mentre si allontanava, dall’interno del tempio provenne un urlo agonizzante, quasi troppo acuto per essere quello di una persona. Hira si immobilizzò, tendendo l’orecchio. Non fu l’unico a fermarsi, altre persone sollevarono lo sguardo dal selciato, osservando con occhi spiritati nella direzione del tempio. In pochi istanti la piazza si svuotò, lasciando Hira da solo, stranito e incuriosito da quei suoni. L’agonia era sempre stata una dolce musica per lui.

Passi veloci sulle pietre della piazza. Hira si sentì afferrare per un braccio e strattonare via verso alcune vie laterali, proprio mentre alcuni sacerdoti uscivano in processione dal tempio. Riuscì a scorgere il primo sacerdote che teneva in mano un lungo bastone con sulla sommità una gemma sacra al suo dio, dietro di lui altri sacerdoti con le vesti candide sporcate di sangue e cenere trascinavano alcuni prigionieri. Non riuscì a scorgere altro, chi lo aveva preso si stava allontanando troppo in fretta. I loro passi veloci risuonavano nel silenzio della città mentre le voci dei religiosi avevano iniziato la loro litania e non sembravano interessati a interrompere la cerimonia, anche se non erano sfuggiti ai loro occhi attenti i villici che di fretta avevano iniziato a correre, mettendo più spazio possibile tra loro e la cerimonia.

«Sei appena arrivato, immagino.» mormorò il cittadino appena furono sufficientemente lontani.

«Immagino di averlo scritto chiaramente in faccia.» l’uomo annuì, sorridendo debolmente.

«Vieni, è meglio non girare per le strade di notte. Ultimamente tira una brutta aria.»

Attraversarono in fretta i vicoli, Hira non disse altro, limitandosi a liberarsi dalla presa dell’uomo e seguirlo.

 

La locanda dove Hira fu portato era gremita di persone: quasi tutti i tavoli erano occupati e tutti si voltarono verso i nuovi arrivati.

«Meglio non uscire, quei pazzi sono a caccia.» disse l’uomo chiudendosi la porta alle spalle.

«Ci mancavano solo loro...» mormorò qualcuno dalla folla.

«Sono arrivate molte navi oggi, immagino vogliano mostrare il loro potere.»

«Già, molte navi e quello deve essere uno dei passeggeri. Sei molto fortunato a essere arrivato qui.» A Hira non sfuggì l’ironia che trasudavano quelle poche parole, ma non si sorprese, sapeva a cosa andasse incontro.

«Io ero a conoscenza di una guerra contro gli Han, non sapevo che i chierici di Onegeldra avessero iniziato a dedicarsi a certe attività...» I presenti lo squadrarono da capo a piedi, accigliati per gli strani indumenti e quel volto che sembrava non essere per nulla adatto a un guerriero.

«Cosa sei? Un chierico?» domandò la stessa persona che aveva parlato poco prima.

«No, sono uno spadaccino.» ci fu un momento di assoluto silenzio, persino l’oste aveva smesso di pulire nervosamente quei pochi bicchieri che ancora aveva nella credenza, immobilizzandosi. Dopo poco tutta la sala scoppiò a ridere.

«Con quel faccino da ragazzino innocente che ti ritrovi? Raccontala a qualcun altro.»

«Taci, Throwine.» si intromise una voce femminile. «Io conosco i guerrieri che combattono con quelle spade, li ho visti all’opera.» si alzò dalla sedia, avvicinandosi a Hira a passo spedito; una volta davanti a lui unì le mani e si inchinò. «Non mi aspettavo che le voci dei disordini giungessero così lontano, mada. Non credevo che l’Ordine mandasse un difensore della Luce così a nord.» Hira ricambiò il saluto osservando con attenzione la lunga chioma argentea della donna. Era giovane eppure i suoi capelli erano pallidi, ma non era il grigio dell’avanzare dell’età, era un colore differente, luminoso, che ricordava il prezioso metallo.

Sei venuta da me… ti ringrazio. Tu sei l’ultima, quindi. Hira sorrise. «Ho abbandonato la mia terra da molto tempo e dubito di poter essere considerato un mada. Comunque ti ringrazio.» il viaggiatore la osservò con attenzione, gli occhi neri, simili a ossidiana erano un altro tratto distintivo di quella famiglia: occhi troppo scuri per essere definiti banalmente neri, troppo luminosi per essere così cupi.

«Che cazzo sarebbe un mada?»

«Qualcuno che potrebbe fare il culo a tutti qui dentro.» 

«Sei la solita esagerata, Rihilda.» Hira ascoltava in silenzio, non aveva intenzione di mettersi a discutere con loro, specie di certi argomenti: non era un mada, lo era il ragazzo a cui aveva rubato il corpo.

La discussione si interruppe di colpo, quando dalla strada iniziarono a sentirsi le voci altisonanti dei chierici. Gli uomini vicino alla porta si affrettarono a sprangare tutto, mentre altri chiusero le ante interne delle finestre: non volevano avere a che fare in alcun modo con loro.

Attesero tutti in silenzio che si allontanassero e fino a quando anche l’ultima nota del canto dei chierici non si disperse, nessuno proferì parola.

Hira si andò a sedere sul muretto del camino che si trovava al centro della sala, aspettando che qualcuno riprendesse a parlare.

«Quelli sono completamente impazziti.»

«L’ho notato.» rispose Hira stiracchiandosi «Su chi si accaniscono?»

«All’inizio sugli Han, quando vengono condotti in città come prigionieri, ma ultimamente hanno iniziato una sorta di caccia alle streghe. Poi gli Han non durano mai molto dentro la città.»

«Colpa delle voci che ci sono in giro.» si intromise un soldato dopo aver emesso un sonoro rutto e sbattuto il suo boccale di birra sul tavolo.

«Quelle secondo cui gli Han sono comandati da una strega?» chiese Hira sempre più interessato.

«Le voci corrono, eh?»

«Se i mercenari arrivano fino a qui per combattere in cerca di gloria mi sembra il minimo che si infirmino. Forse solo io sono stato l’unico fesso ad arrivare fin qua senza sapere nulla della strega, ma in fondo era apparsa da poco.» si intromise un soldato.   

«Da quanto tempo è in circolazione questa strega?» domandò Hira facendo scorrere le dita guantate sulla roccia grezza del focolare. La sua schiena era calda, i suoi piccoli parassiti gradivano quel calore, il freddo del nord non era mai piacevole, anche se il potere di Hira li proteggeva.

«Saranno ormai due anni. Con lei gli Han sono diventati più potenti e più aggressivi.»

«E i chierici? Quando hanno iniziato?»

«Loro da poco, sarà un mese. Da quando un nuovo capo del loro ordine è arrivato. Arriva gente da ogni luogo negli ultimi anni.» Hira lanciò un ultimo sguardo verso la porta d'ingresso. Rihilda gli si sedette accanto, porgendogli un bicchiere di vino caldo.

«Devo confessarti che io non sono esattamente un mada,» iniziò, cercando un contatto con la donna «purtroppo il mio maestro non ha fatto in tempo a terminare il mio addestramento.»

«È morto?» Hira annuì, fissando il liquido rosso dall'aroma speziato: quel colore era così simile al sangue...

«Mi dispiace.» mormorò la donna.

«Anche a me. Sono in viaggio per trovare i suoi assassini. Li ho eliminati tutti, mi manca solo l'ultimo.» sorrise, non riuscì a trattenersi: un sorriso grottesco, che deformò quel volto dall'aria innocente. Rihilda rabbrividì, vedendo solo la brama di sangue e la violenza con cui l'avrebbe soddisfatta.

«È per questo che ti sei spinto a nord? È qui?»

«Sì. Comunque sia ho bisogno di denaro, credo che andrò a combattere anch'io contro gli Han: non si può vivere di sola vendetta, giusto?» Rihilda annuì e lo invitò ad andarsi a sedere al suo tavolo.

 

Hira riuscì a trovarsi un piccolo angolo solitario nel sottotetto, troppo freddo e pieno di gelidi spifferi perché qualcuno lo preferisse a una camera piena di persone. Lui però era un mada, e aveva bisogno dei suoi spazi e Rihilda garantì per lui: era l’unica a conoscere quella gente e i soldati sembravano tenerla in grandissima considerazione. La sua parola era legge, forse era per quello che i chierici non erano entrati nella locanda.

Il sangue della stirpe bianca… pensò mentre si sistemava vicino alla canna fumaria, disponendo il giaciglio e le coperte: il freddo lo disturbava relativamente.

Appena si sedette sul pavimento, dall'oscurità iniziarono a strisciare piccoli ragni verso di lui. Lasciò che camminassero sul suo corpo mentre meditava: vegliandolo.

***

«Che cosa vuoi?!»  una voce femminile urlò portata da vento, rompendo la sua concentrazione.

«Nulla che possa interessarti.» rispose Hira, infastidito da quell'intrusione.

«Questa città è mia!»

«Puoi tenertela, strega, a me non interessa niente di questa città.»

«Non sei il benvenuto qui!»

«Credi che la cosa mi interessi? Credi che la volontà di una strega capace solo di piegare la debole mente dei barbari e che per due anni non è riuscita ad accedere alla città, possa in qualche modo preoccuparmi?» la donna urlò furiosa, ma Hira non si scompose. «Non metterti sulla mia strada, strega e io non intralcerò la tua.» Il vento filtrava attraverso gli spifferi sempre più furioso, proveniente da terra: non aveva nulla a che fare con la tempesta che si stava avvicinando dal mare. Hira continuò a sentirla urlare attraverso la tempesta, se avesse pensato di poterlo intimorire in quel modo, non aveva capito nulla di lui. Ed era meglio così, molto meglio così.

Mentre ascoltava i suoi lamenti, si rese conto che c'era qualcosa che stonava, una sorta di eco nella voce, come se il suono provenisse da una zona chiusa; ma non poteva essere così semplice, così banale.

Se fossimo a sud saprei cosa fare… poi la tempesta ruggì nella sua mente e il vento mutò direzione. Sorrise.

Si slacciò la veste, liberandosi sei molteplici strati di tessuto sovrapposti, fino a scoprire la schiena. Un lungo e sinuoso verme si arrampicava su di essa. La testa, rappresentata da un cerchio circondato da una miriade di denti, simile a un sole stilizzato, si trovava esattamente sul collo. Il corpo dell'animale si piegava dietro la spalla destra, tornando poi lungo la schiena dove la coda si biforcava e le lunghe code sparivano appena sotto la cintura.

Si portò le mani dietro la nuca, scoprendo leggermente il collo dai corti capelli pallidi e iniziò a mormorare qualcosa.

Suoni sibilanti, simili a fruscii, si persero nel vento: nessuno lo avrebbe sentito con quel clima.

L'animale disegnato, poco alla volta, sembrò muoversi. Le piccole zampe, simili ad artigli, affondavano nella carne, facendo scorrete un liquido verdastro.

Alla fine l'animale si staccò, rotolando per terra ricoperto da una densa poltiglia verde, mentre sulla schiena di Hira ora stava solo un buco con la pelle lacerata. Al suo interno piccoli insetti si agitavano, ansiosi di riparare quel danno, mentre qualcosa di più grosso e si muoveva al suo interno, lentamente, sistemandosi.

Hira afferrò il verme, lo accarezzò, togliendoli i piccoli brandelli di carne che ancora lo ricoprivano, e riprese il suo sussurro.

L'animale gli si arrampicò su un braccio, avvolgendosi attorno a esso, mentre Hira si alzava, avvicinandosi a un piccolo lucernario sul tetto.

L'oscurità avvolgeva ogni cosa, mentre piccoli vortici avevano preso a formarsi per le strade, creati dallo scontro delle due correnti d’aria.

Hira accarezzò il parassita un'ultima volta, poi la creatura scivolò sul tetto, eseguendo l'ordine del suo padrone: avrebbe trovato la strega.

Tra le strade cittadine, la voce dei chierici continuava a risuonare, seppur soffocata dal vento. Imperterriti i religiosi marciavano, intenti a benedire le strade per proteggerli dalle tenebre.

Hira sorrise, non c'era potere in quelle parole, erano cantilene vuote, morte.

Anche la strega rideva divertita, si prendeva gioco di loro.

«Non dovresti ridere tanto, sai?» mormorò Hira tornando nel sottotetto e chiudendosi la finestra alle spalle. «Due anni e ancora non hai preso la città, che è protetta solo da una chiesa priva di potere.» la donna urlò, facendo aumentare il divertimento di Hira. Lentamente si rivestì, la schiena ormai completamente sistemata, anche se avrebbe ripreso l'aspetto normale solo quando il verme fosse tornato da lui.

Hira tornò nella sua meditazione, ignorando le urla e gli strepiti della donna.

«Che cosa hai fatto? Ho avvertito la tua magia!» Hira non rispose, chiudendo la mente: tanto non avrebbe potuto raggiungerlo. Non si preoccupava troppo di lei, in fondo era solo una strega.

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Capitolo 3
*** Han ***


Senza nome 1

Quando Hira scese poco dopo l'alba, il cielo era coperto da una fitta coltre grigio scuro: il sole sarebbe rimasto celato a lungo e con molta probabilità non sarebbe mai più tornato una volta che la sua missione fosse portata a compimento. I giorni erano già diventati molto brevi con l'inverno ormai alle porte, la tempesta in arrivo avrebbe accelerato la discesa dell'oscurità.

Mentre scendeva le scale avvertiva il formicolio degli insetti sulla pelle, sapeva che non era opera di quelli che fisicamente si muovevano in lui, ma era opera di quello che aveva lasciato al capitano Cenran.

«Dormito bene in quel sottotetto gelido?» domandò il locandiere appena lo vide.

«Meglio di quanto pensassi dopo che il vento ha smesso di urlare.» gli avventori si scambiarono rapide occhiate preoccupate.

«L'hai sentita? Quella è la strega.» Hira aggrottò la fronte, perplesso: non si aspettava che anche loro avvertissero la sua voce.

«Ne siete sicuri? Non poteva essere solo il vento?  Da queste parti immagino soffi spesso così violento.»

«Alle volte sembra quasi di sentire la sua voce, ma non si riescono a cogliere le parole.»

È andata bene...

«È la superstizione locale.» si intromise Rihilda «Per questa gentaglia ogni alito di vento è opera della strega.»

«Se passa tutto il suo tempo a urlare nel vento, allora è chiaro perché non ha ancora invaso la città.» In un primo momento tutti tacquero, sconvolti da quelle parole, poi scoppiarono a ridere: una risata divertita e quasi allegra. Qualcuno rischiò anche di cadere dalla sedia tanto era violenta. «Non che io non sia felice di aver scatenato il vostro divertimento,» iniziò perplesso Hira, «ma vorrei sapere cosa lo ha scatenato.»

«Sei un tipo interessante.» disse Rihilda prendendo un piatto di stufato da uno dei suoi compagni e portandoglielo. «Nessuno avrebbe il coraggio di dire una cosa simile, però hai ragione: in qualche modo non riesce a spingersi molto oltre il confine. Dicono che sia opera dei chierici; vedrai con i tuoi occhi cosa succede ai barbari quando entrano in città.» Hira stava per dire qualcosa quando la porta si spalancò all'improvviso. Un mercenario entrò di scatto, madido di sudore.

«Rihilda! Ci sono problemi!»

«Strano, non succede mai nulla qui.» sbuffò la donna. «Hanno fatto un'incursione?»

«Magari! No, peggio.» Rihilda si accigliò, imitata dai suoi compagni. «Vieni a vedere! Presto! Prima che arrivino i fanatici.» La guerriera fece un cenno con la testa a Hira, che appoggiò il suo stufato fingendosi irritato almeno aveva una scusa per non mangiarlo affrettandosi a seguirli.

Il gruppo corse per le strade, diretti verso sud, verso la zona portuale.

Dopo l’ingresso di quel soldato, aveva compreso perché il giorno precedente l’uomo lo aveva condotto proprio in quella locanda: Rihilda era una difesa per quella gente, e da una con il suo sangue non poteva aspettarsi nulla di differente.

Condottieri e paladini. Lei è una paladina, lo sarebbe stato almeno. Per mia fortuna non lo sa. Si trattenne dallo sputare per terra, non poteva attirare l’attenzione su di sé a quel modo.

 

Entrarono in una locanda e Hira vide buona parte dell'equipaggio che lo aveva trasportato fino a Valgar. Cercò di trattenere il divertimento, non poteva mostrarsi felice: anche se il suo potere era superiore a quello della strega, dei chierici e dei soldati, era meglio continuare a muoversi nell'ombra, proprio come gli insetti. Per non parlare di lei: doveva essere cauto, forse in quella città, era l’unica che poteva nuocergli veramente. Si mostrò perplesso, attirando l'attenzione di uno dei marinai.

«Non capiamo come sia successo?» mormorò uno degli uomini avvicinandosi a lui.

«Successo cosa?»

Assieme a Rihilda fu accompagnato nelle stanze in cui alloggiava il capitano. L'uomo, quello che ne restava, era disteso sul giaciglio, l'addome squarciato e qualcosa di fluido scorreva su di esso. Rihilda emise un suono strozzato quando vide che si trattava di vermi: piccoli vermi necrofagi stavano divorando il corpo dell'uomo. Sollevando lo sguardo videro costole rosate, scarnificate, sotto di esse, gli organi erano una massa brulicante di insetti.

La testa di Cenran si mosse, facendo urlare uno degli uomini che erano entrati nella stanza; gli occhi del capitano iniziarono a colare liquido biancastro, mentre piccoli insetti foravano i bulbi, uscendo dal cranio.

«Quale diavoleria è mai questa?» mormorò Rihilda coprendosi la bocca con la mano, imitando Hira. I piccoli vermi uscirono dal corpo, sciamando sul pavimento dirigendosi verso i soldati. Alcuni insetti vennero schiacciati, altri sparirono tra le fessure di legno; altri ancora, nascosti dalla confusione e dal terrore che quella vista aveva scatenato, si insinuarono tra gli abiti degli uomini, nelle piccole pieghe dei pantaloni e degli stivali. Rihilda obbligò tutti a uscire, anche se non fu necessario imporsi con molto vigore.

Mentre uscivano dalla stanza quasi si scontrarono con alcuni chierici ‒ li avevano preceduti di poco ‒ che, vedendo di sfuggita il corpo e i vermi indietreggiarono, urlando di dar fuoco all'interno edificio.

«Per una volta sono d'accordo con loro.» mormorò Rihilda verso i suoi compagni.

La locanda fu svuotata poco dopo e, sotto lo sguardo sconvolto dei proprietari, data alle fiamme.

I chierici presero a intonare i loro canti di benedizione e Hira aspettò di percepire almeno un leggero fastidio, ma nulla parve sfiorarlo: quelle parole erano vuote.

«Hai mai visto una cosa simile?» sussurrò Rihilda cercando di non disturbare i chierici. Hira aggrottò la fronte, non capendo perché lo chiedesse a lui, poi comprese: aveva viaggiato per il mondo, forse qualcosa aveva visto.

«Ho visto cose simili sui campi di battaglia, ma erano passati giorni, se non settimane dalla morte di quelle persone. Ieri il capitano stava più che bene, sono praticamente certo che non fosse morto.» qualcuno ridacchiò, venendo zittito dallo sguardo gelido di uno dei chierici.

«Credete che sia divertente?» sbraitò un religioso non appena anche l'ultima eco del loro rito si disperse, inghiottita dl crepitio delle fiamme. «Questa è opera della strega! Uno dei suoi malefici! Deve aver mandato uno dei suoi emissari in città!» l'uomo si zittì appena il suo superiore gli appoggiò una mano sulla spalla.

«Fratello Brumit ha detto il vero.» sospirò, era un uomo di mezza età, che ancora conservava la corporatura massiccia di un guerriero. Hira sorrise tra sé: la strega non avrebbe mai potuto fare una cosa simile, ma che lo pensassero pure, lui aveva preso tutte le precauzioni del caso. «Magari era sulla nave del capitano Cenran.» continuò il chierico fissando astioso Hira.

Rihilda affiancò Hira e gli strappò di mano la spada.

«Lo vedi questo simbolo, Hamry? La fenice e le tre stelle tracciate sul fodero? Dall'alto della tua fede non riconosci il marchio di Adansa? Credi che qualcuno che gira con una spada sacra possa essere coinvolto in un simile atto di magia nera?» Hamry osservò con attenzione la spada, poi allungò una mano verso di essa, chiudendo gli occhi e concentrandosi su quella che doveva essere la sua emanazione spirituale.

Il sangue di Hira per un momento raggelò, ricordando ancora com'era la morsa della fede di Adansa durante il periodo che aveva trascorso in prigionia a Bel-dris. Lunghi secoli erano trascorsi, un tempo talmente lungo che gli uomini del tempio si erano scordati di lui. Poi gli dei erano periti, scomparsi, e le catene che lo avevano tenuto prigioniero si erano dissolte. In un primo momento non se ne era accorto, troppo abituato al dolore costante che lo aveva accompagnato durante quei secoli, ma la voce lo aveva destato, lo aveva riportato alla consapevolezza. Quella spada sacra era l'ultimo vessillo presente nel tempio. La voce nella sua mente gli ordinava di prenderla, ma lui aveva ancora paura, il dolore era troppo vivido nei suoi ricordi così come nel corpo; poi aveva stretto la custodia, preparandosi alla nuova fitta, ma nulla era arrivato. La voce aveva riso, aveva riso di gusto mentre gli dava gli ordini. «Trova la stirpe bianca. Uccidili. Rendimi il mio corpo.» Hira in quel momento aveva riso, stringendo tra le mani quella sacra reliquia ormai una semplice spada di metallo, affilata, certo, ma solo metallo, un’arma vuota, pronta ad accogliere un nuovo tipo di energia, un nuovo potere.

Hira guardò il chierico studiare con attenzione la spada, la afferrò anche lui, la soppesò, come se volesse percepire con maggior chiarezza la sua energia.

Tu sai di essere cieco e sordo, ma cosa vuoi fare? Vuoi ammettere la tua impotenza? Hai il coraggio di farlo?

Hamry gliela restituì poco dopo, annuendo.

«Volevo esserne sicuro, spero che comprenderai. Questi sono tempi bui.» Hira riprese la spada portandosela al petto e si inchinò in segno di rispetto, impedendo a tutti di vedere il suo ghigno divertito.

Il buio, chierico, quello vero, tu lo devi ancora vedere. Con un sospiro si sollevò, riprendendo l’abituale espressione. «Lo capisco, non è necessario che vi scusiate. Non ho nulla da nascondere, io.» Quell’ultima parola fece rabbrividire la piccola folla che si era radunata attorno alla locanda che ancora bruciava, anche Hamry si irrigidì, come se fosse stato colpito sul vivo.

Hira si sentì osservato, voltandosi trovò gli occhi neri di Rihilda su di lui, che fissavano prima la sua persona poi l’arma.

Una campana iniziò a suonare, impedendo ai due di parlare martellava in modo frenetico e i soldati iniziarono ad allontanarsi, diretti verso il nord della città.

Hira si affrettò a seguire Rihilda, non se la sarebbe fatta scappare per nulla al mondo, specie ora che aveva colto un dubbio sul suo viso: lei aveva percepito qualcosa, il suo sangue la stava mettendo in guardia.

A sud la tempesta avanzava, vento di terra e di mare si scontravano, mescolandosi e creando vortici sempre più violenti, come se fossero in lotta, agitando le navi attraccate: non avrebbero retto, non avevano alcuno scampo, né in mare, né al porto. Nella mente di Hira, il suo padrone aveva ripreso a farsi sentire, una eco lontana, un basso ringhio gutturale carico di impazienza.

Presto, manca poco ormai, mio Signore.

Correvano veloci sul selciato, la maggior parte di loro aveva indossato l’armatura quella mattina appena si erano svegliati, forse non l’avevano neppure tolta, altri invece imprecavano, si insultavano per essere uscito solo con le armi. Hira sperava che il suo parassita avesse trovato la strega, non lo aveva più sentito: si augurò che non avesse incantato delle armi, forse quelle avrebbero potuto nuocergli.

Le case, più si avvicinavano al confine nord, più erano malridotte, consumate dal fuoco.

Giunti al limitare della città, vide che lo scontro era già iniziato. Voci portate dal vento, il fragore del metallo che risuonava lungo le vie. Hira inclinò la testa da una parte, davanti a lui, i barbari dell’estremo nord, non erano proprio come se li era immaginati.

«Sì.» la voce di Rihilda filtrò da sotto l’elmo: era al suo fianco, lo aveva tenuto d’occhio per gustarsi la sua espressione. «La strega ha fatto qualcosa.» urlò per sovrastare il clangore della battaglia.

Hira li osservò, anche attraverso gli occhi degli insetti che avevano riempito il campo di battaglia: vecchi corpi che gli abitanti non avevano fatto in tempo ad ardere. Dei barbari coperti di pelli di orso non c’era quasi più traccia, restavano le armature, gli elmi cornuti, ma quei guerrieri non erano più uomini. Alti quanto due soldati, quasi simili a giganti se paragonati ai guerrieri che affrontavano. La pelle era striata di rosso, la carne sembrava quasi lacerarsi tanto i muscoli erano gonfi. I volti distorti, come ustionati, deformati dal potere che la strega aveva usato per trasformarli. Vide una di queste creature strapparsi una lancia dal collo e usarla per conficcarla nella corazza di un soldato, trapassarlo e trafiggere anche quello che era alle sue spalle. Li lanciò senza quasi alcuno sforzo apparente, creando un piccolo squarcio nella barriera di guerrieri. Erano pochi, una decina, forse meno, mentre i difensori di Valgar erano molti di più, ma sembravano comunque in difficoltà.

Il suono stridente della spada che veniva estratta dal suo fodero, attirò l’attenzione di Hira: la sua preda stava andando all’assalto. La osservò che stringeva entrambe le mani attorno all’impugnatura dello spadone. Non si chiese come una ragazza così giovane e anche così esile potesse maneggiarla: il sangue del drago era in lei, donandole una forza e un potere superiore alla maggior parte degli uomini.

Peccato che con il trascorrere del tempo abbiano dimenticato. Pensò Hira, divertito, mentre estraeva dal fodero la sua spada. Una spada sottile, taglio semplice e la lama leggermente incurvata. Piccole onde più scure si intravedevano lungo il piatto della lama, come se il metallo stesso formasse uno strano disegno: i guerrieri che lo avevano visto sfoderarla ne rimasero ammaliati, solo in pochi potevano dire di aver visto una di quelle spade, e tra di loro, a parte Rihilda, nessuno aveva avuto quell’onore.

«Spero che non sia solo bella, ma che serva anche a qualcosa.» scherzò uno dei soldati al suo fianco, cercando di smorzare la meraviglia che gli aveva suscitato quella lama chiara, così semplice e dall’aspetto quasi delicato: non sembrava una spada fatta per combattere.

Hira osservava quelle creature tra il divertito e il preoccupato. Percepiva l’energia che pulsava in loro, sapeva che non sarebbero vissute a lungo, ecco perché non erano ancora riuscite a conquistare la città portuale. Vedeva chiaramente i flussi di energia muoversi sotto la loro pelle, disperdendosi come se fossero piccole nubi di vapore: più il tempo passava, più le creature combattevano, più in fretta si consumavano. Hira ringhiò sommessamente, un suono soffocato dalla battaglia che imperversava davanti a lui, irritato dall’incapacità di questa terribile strega.

La luce se ne è andata e tu riesci a fare solo questo? Serrò le mani attorno all’impugnatura e scattò verso i barbari.

La lama affondò nella carne senza sforzo, colpendo l’articolazione di un gomito, recidendo alla perfezione l’arto e subito si spostò, evitando il liquido. Il getto di sangue colpì in pieno i soldati attorno al barbaro, Hira li sentì urlare, si voltò solo un istante per vedere quello che stava succedendo e sbuffò. Poi il suo sguardo venne attirato verso il basso: i vermi che nuotavano nel campo di battaglia non erano minimamente infastiditi dal sangue del barbaro, sguazzavano, cibandosi della carne che colava dal corpo dei soldati senza preoccupazione. Un’orgia di cibo che non faceva che accrescere la loro eccitazione.  Sorrise, un’idea particolarmente divertente gli aveva attraversato la mente.

Gli altri guerrieri però non sembravano pensarla come lui: il sangue delle creature non aveva mai sciolto nessuno, eppure adesso, appena toccavano la carne, questa iniziava a sciogliersi. Piccoli pezzi di tessuto vivente di staccavano dai corpi come se fossero cera calda.

L’attacco dei difensori della città perse vigore dopo aver assistito a quello spettacolo, venendo travolti dai barbari.

Hira attaccò di nuovo, ma questa volta il gigante lo colpì all’addome con un pugno, facendolo rotolare sul suolo tra cadaveri e vermi. Immerso nella melma iniziò a sussurrare e le piccole creature si affrettarono a eseguire il suo comando.

Si rialzò poco dopo, schivando il piede di un barbaro che aveva cercato di schiacciarlo, ma che era finito immerso nei liquami brulicanti di parassiti. Le piccole creature iniziarono ad arrampicarsi su di lui, infilandosi non viste tra le ferite e negli indumenti. Mentre Hira continuava a lottare, parando i colpi che gli venivano inflitti, danzando tra i cadaveri degli uomini e dei barbari, osservava le sue creature all’opera. Si abbassò all’ultimo, evitando un poderoso colpo di mazza ferrata di un barbaro, che andò a colpire un suo compagno. I due guerrieri presero a colpirsi tra loro, furiosi e dopo poco anche altri si unirono alla rissa. Gli Han si strapparono arti, si lacerarono la carne e, nella lotta, colpirono con quel fluido corrosivo i soldati che stavano loro attorno. Hira si allontanò, abbandonando il campo per non essere colpito da quella furia: se il sangue lo avesse colpito e non gli avesse provocato alcun danno avrebbe destato dei sospetti. Si trovò accanto a Rihilda e a pochi altri, mentre i barbari proseguivano nel loro folle massacro.

«Sono pazzi...» mormorò la guerriera bianca senza potere fare nulla, limitandosi a osservare gli uomini che morivano sotto la follia degli Han.

«Che cosa sarà successo?» domandò uno degli uomini al suo fianco.

«Quella roba che hanno nel corpo,» azzardò Rihilda «forse li ha fatti impazzire.»

«La strega starà facendo degli esperimenti.» Hira era inginocchiato sul suolo, la spada conficcata nel terreno e gli abiti imbrattati di fluidi. Piccoli vermi strisciavano su di lui, ma nessuno sembrò farci caso, in fondo erano tutti nelle medesime condizioni.

«Sì, esperimenti. Questa è stata la prima volta che abbiamo visto una cosa simile. Cambiano sempre.» Poco alla volta i barbari cadevano, liquefacendosi e portandosi dietro un gran numero di soldati. Dopo qualche tempo, il sangue non sembrava essere più corrosivo, come se l’aria avesse consumato il potere che vi era contenuto, riempiendo l’aria dell’odore acre del fluido.

Il silenzio tornò a regnare sul confine nord della città, nessun suono sembrava riuscire a forzare quella cappa soffocante, persino i tuoni della tempesta del sud sembravano essersi sopiti.  «Bruciate tutto.» riuscì a dire Rihilda quasi a fatica.

«Sicura che sia saggio?» intervenne Hira attirando su di sé lo sguardo di tutti i sopravvissuti. «Hai visto cos’ha fatto quel sangue, non sai cosa potrebbe succedere una volta bruciato.» i soldati raggelarono, persino Rihilda ebbe un sussulto, Hira poteva quasi sentire l’odore della sua paura filtrare da sotto l’armatura.

«Hai ragione, ma non possiamo lasciare tutto così.»

«Con la tempesta che sta arrivando è da folli preparare una pira!» urlò qualcuno per sovrastare il vento che aveva iniziato a soffiare violento.

«Maledizione! Come dopo la scorsa incursione! Se continua di questo passo creeremo un muro di cadaveri!» Hira osservò il nord, celando un sorriso, i suoi occhi la vedevano, la strega non era molto lontana. In qualche modo restava immobile a poche leghe di distanza, tra le montagne. Il parassita gli stava parlando, gli mostrava un tempio in rovina, dei fuochi ardevano in una sala, al cui centro si trovava una statua contorta. L’immagine non era chiara, la sua creatura non vedeva bene, ma i barbari si aggiravano tra i colonnati e da qualche parte doveva esserci lei. Attorno alla statua, grossi globi pulsavano attirando la luce del fuoco, risucchiando in essi ogni piccola scintilla.

Hira aggrottò la fronte, scrutando nelle tenebre.

È una mortale che ha appreso le arti oscure. Irritante. Non credo che mi lascerà lavorare in pace, mi toccherà occuparmi seriamente anche di lei. Il ruggito nella sua testa non sembrava troppo contrariato, solo smanioso che il compito venisse portato a termine. Userò Lei, la paladina, per la strega, o vice versa.

Sì! La voce urlò potente nella sua mente, rideva, pregustandosi lo scontro.

«Hira.» Rihilda lo scosse per la spalla, ritrovandosi la lama affilata della spada alla gola. La paladina rimase immobile, impietrita. In quel momento Hira pensò di farlo lì, ma avrebbe atteso. Con un sospiro abbassò la lama, scrollandola per liberarla dei residui. Poco dopo seguì il gruppo verso l’interno della città: li avrebbe sfruttati fino all’ultimo.

Senza quella strega sarebbe stato tutto più semplice…

Con un gesto Hira comandò i parassiti che si aggiravano nella melma, li avrebbe lasciati banchettare, nutrendosi di quel sangue oscuro, poi li avrebbe mossi verso la città. Avrebbe sfruttato anche la strega, lei non apparteneva alla stirpe nera, non era pura, non sarebbe riuscita a contaminare le sue creature.

***

«Cos’hai visto di così interessante?» Rihilda non aveva smesso di tenerlo d’occhio un solo istante da quando avevano abbandonato il campo di battaglia e forse anche da prima.

Hira la fissò a lungo, mentre il calore del fuoco gli accarezzava la pelle, dentro quella locanda la donna aveva creato la cosa più simile a una barriera mistica che si potesse erigere ora. Sentiva caldo, il fuoco del drago bruciava ancora: sì, aveva fatto bene a non affondare la lama in quel momento, lei poteva ucciderlo, lo avrebbe fatto. Si sarebbe lasciata guidare dall’istinto e avrebbe colpito il suo nucleo e sempre assecondando l’istinto vi avrebbe riversato tutto il suo potere. Sospirò, irritato, ma anche soddisfatto per la decisione presa.

«La strega.» avvertì il gelo insinuarsi all’interno della locanda e sbuffò trattenendo una risata: era quello il pericolo delle azioni istintive, se non si sapeva di possedere certi doni se ne perdeva il controllo in un istante. «Vuoi farmi credere,» sollevò lo sguardo verso di lei, fingendosi irritato «che tu non l’avevi mai sentita? Credi che io sia cieco?» si avvicinò a Rihilda per poterle sussurrare all’orecchio «Come i chierici qui fuori?» la paladina impallidì ancora di più e Hira avvertì distintamente la protezione andare in frantumi. Sottili filamenti presero a scivolare dalle sue dita, simili alla bava di un ragno, e andarono a infiltrarsi tra le assi del pavimento, approfittando del crollo della barriera. Rihilda, l’unica che avrebbe potuto vederli, era troppo impegnata a guardare il suo viso per notarli e Hira iniziò a tessere la sua maledizione.

«Anche i chierici vedono...» Hira socchiuse gli occhi e in quel momento si irrigidì. La spada che ancora stringeva tra le mani, quell’arma maledetta con cui avrebbe portato a termine la sua missione lei poteva avvertire l’energia che emanava, era per quello che lo aveva fissato.

Quando anche l’ultimo filo arrivò a destinazione, intrappolando l’intera locanda nella sua morsa, Hira inspirò profondamente e tese la spada tra loro, orizzontalmente. Doveva capire se avesse riconosciuto l’energia o avesse solo capito che era incantata.

«Cosa vedi?» la donna aggrottò la fronte, poi si concentrò sull’arma. Alla fine scosse la testa.

«Nulla. C’è qualcosa, lo sento, ma non riesco a capire è sfuggente, come se fosse nebbia.»

«Non hai ricevuto un addestramento mistico.» Hira disse più a se stesso che a lei: era sollevato. Rihilda lo fissò per alcuni istanti, poi scoppiò a ridere.

«Stai scherzando? Io sono una mercenaria! E sono riuscita ad arrivare fin qui solo perché, dalle mie parti, la gente è estremamente superstiziosa e non si porterebbe mai a letto una con certi capelli o certi occhi.»

«E la tua famiglia?» Rihilda scrollò le spalle.

«Mai conosciuta e non mi interessa.» Hira si trattenne, riuscì a farlo solo grazie alla forza di volontà che lo aveva mantenuto in vita in tutti quegli anni, ma la voce nella sua mente esplose in una baritonale risata, così simile al rombo del tuono che invase ogni minimo anfratto della città.

Nessun addestramento, nessuna preparazione… rimpiangerai di non aver conosciuto la tua famiglia. Hira cercò di mostrarsi triste, si diresse a testa bassa verso un tavolo e appoggiò la lama contro il muretto del camino.

«Cosa vogliamo fare con la strega? La vuoi lasciare lì e farla venire a invadere la città, oppure vuoi eliminarla?»

«Che domande! Sono qui per ucciderla!» Hira sorrise compiaciuto: sì, glielo avrebbe lasciato fare.

«Datemi una mappa.» ordinò Hira dopo qualche istante di silenzio. Gli uomini attesero un cenno della paladina per portargliela. Quanto potere hai senza esserne conscia.

Studiò con attenzione il territorio, aveva capito dove si trovasse il suo rifugio, ma doveva vedere come fosse disposto il terreno. Colline non ancora ripide immerse nella foresta. Infilò la mano in una delle ampie maniche, in una tasca nascosta c’erano alcuni piccoli frammenti di ossa incise, li lasciò cadere in alcuni punti della mappa, senza ottenere successo, poi finalmente si disposero autonomamente in cerchio, isolando una zona.

«Cosa significa?» Chiese la paladina perplessa: era da molto tempo che non vedeva più praticare la magia. Hira si accasciò sulla sedia, fingendosi stremato.

«Quello è il punto in cui si trova.»

«Il campo degli Han?»

«No, quello della strega, loro non so dove stiano.»

«Se la strega li usa come cavie,» si intromise un soldato, «allora non potranno essere troppo lontano.» Hira annuì, accarezzando con le dita il sottile tessuto oscuro che si stava intrecciando nell’aria. Rihilda era irrequieta, avvertiva il cambiamento, sapeva che qualcosa non andava, lo avvertiva sulla pelle, ma non poteva dare un nome a quelle sensazioni. La voce nella testa di Hira rise ancora, prendendosi gioco della paladina.

Rihilda scosse la testa, cercando di allontanare quelle sensazioni, non voleva pensarci. C’era stato un periodo della sua vita in cui le era quasi sembrato di vedere alcune cose, cose che agli altri sfuggivano, ma poi erano sparite, erano rimaste solo vaghe sensazioni che con il tempo sembravano affievolirsi sempre di più. Guardò Hira seduto sulla sedia, la sua espressione era indecifrabile, ma continuava a fissarla, forse sulle sue labbra c’era l’ombra di un sorriso, ma non poteva esserne certa.

«Cosa facciamo quindi?» domandò il soldato rompendo il silenzio.

«Io direi di prendere il fuoco dell’alchimista, se riusciamo a sfruttare il vento della tempesta forse potremo riuscire ad attaccare l’accampamento dei barbari. Magari potremmo creare una sorta di diversivo, attirandoli lontano dalla loro padrona, ed eliminarla. Morta lei i barbari dovrebbero tornare a disperdersi.» Rihilda prese una sedia, accasciandosi accanto a Hira: lei era stremata veramente, la lotta contro il controllo del suo avversario era impegnativa, talmente impegnativa che aveva fallito.

«Aspettiamo che la tempesta sia passata?» la paladina aggrottò la fronte, poi si voltò verso una finestra: era stata sprangata. Hira toccò la sua magia, pizzicò la trama come se fossero le corde di uno strumento e Rihilda rispose senza esserne consapevole, stordita da qual suono, senza capire che stava solo dando voce al suo piano.

«No, meglio approfittarne.» rispose. «Con la tempesta saremo in qualche modo coperti, poi non sembra che abbia ancora intenzione di scatenarsi.» si alzò, barcollando per un solo istante, e si avvicinò alla finestra sprangata. «In più i barbari sono esseri superstiziosi, non hanno mai attaccato durante una tempesta, e se iniziavano i temporali si dileguavano.»

«Non capiscono come possano sopravvivere così a nord se hanno paura di un temporale.» borbottò qualcuno, irritato. In molti annuirono silenziosi, dandogli ragione.

«Hanno i loro rituali, come tutti. Meglio che approfittiamo di questo.» si voltò verso Hira e lui annuì, fingendosi poco convinto.

«Se è questo che volete, io mi adeguerò.»

Non tutti reagirono in quel modo, alcuni soldati non erano interessati a uscire con quel tempo e dopo poco si formò la squadra d’assalto, quella che avrebbe portato a termine la missione, se gli dei glielo avessero concesso.

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Capitolo 4
*** Rinascita ***


Senza nome 1

Camminavano a testa bassa, con il vento che sembrava spingerli verso la strega, come se non vedesse l'ora di assistere allo scontro. Hira e Rihilda erano in testa al gruppo, la donna era pensierosa, qualcosa nella sua mente le diceva che aveva fatto una follia: partire con quella tempesta era stata una pazzia. Non riusciva a capacitarsi di averlo deciso, appena erano usciti si era liberata dell’influsso di Hira e aveva riacquistato lucidità, ma ormai era tardi.

Hira di tanto in tanto si fermava, osservava il cammino davanti a loro come se potesse vedere cosa si celava oltre le foreste e le montagne.

Il vento scuoteva gli alberi sopra le loro testa, facendo piovere i piccoli aghi degli alberi e la prima neve che si era depositata qualche giorno prima, ma per il momento non sembrava provocare troppi danni, anzi, sembrava che ripulisse l'aria dall'odore acre che gli Han si portavano dietro.

Gli uomini che li accompagnavano erano tranquilli, merito dei parassiti che lentamente si erano insinuati dentro di loro durante lo scontro: le ferite e l'eccitazione avevano impedito ai soldati di accorgersi delle punture, dei movimenti dentro alle loro ferite, lasciando libero spazio di azione. Solo Rihilda non era stata toccata dei parassiti, il suo sangue doveva essere puro e non avrebbe potuto comunque infettarlo con le sue creature: la stirpe bianca era velenosa per quelli come lui, contrariamente agli esseri che aveva creato la strega.

Hira si sentiva tranquillo, era quasi esaltato per quello che stava per accadere: gli sarebbe bastato poco, avrebbe potuto ucciderla anche subito, ma non voleva correre rischi, non aveva visto la strega, non sapeva se le sue intuizioni fossero giuste. In fondo lui era un parassita, avrebbe sfruttato ogni mezzo a sua disposizione per sopravvivere, celandosi agli occhi di chi lo avrebbe ospitato fino alla fine: quella era la sua natura.

Serrò la mano attorno all'impugnatura, avvertendo i battiti cardiaci degli uomini attorno a lui, la sua morsa su di loro era più stretta di quella con cui impugnava la spada, in fondo era quella la sua arte, la scherma apparteneva a quel corpo, quel corpo così bello di cui si era impossessato e che usava ormai da molto tempo.

Con la mente tornò a quell’incontro, quando lo aveva visto la prima volta, mentre strisciava su per i gradini che lo avrebbero condotto alla superficie e, stremato, aveva sentito il suo odore: paura, sofferenza, profumi così dolci. Lo aveva trovato disteso davanti all'altare, prostrato dinnanzi alla rappresentazione del suo dio, l'unico rimasto al tempio. Implorava perdono, perché non gli parlava più, perché non avvertiva più la sua presenza. Soffriva per un crimine che credeva di avere commesso, che tutti loro avessero commesso. Le sue lacrime gocciolavano sul pavimento di pietra e, per il suo sensibile olfatto, erano così dolci, così cariche di dolore. Strisciò verso di lui, il rumore del suo corpo coperto dai singulti e alla fine lo aveva preso, ritrovando una forza che aveva dimenticato di possedere.

La lotta era stata dura, il mada, nonostante la giovane età era forte, ma la disperazione che provava lo aveva indebolito, rendendo lui più forte. Lo aveva stritolato, le sue spire si erano strette attorno a quel corpo e un po’ alla volta lo aveva sottomesso. Aveva annullato la sua mente, cibandosene, facendola sua e alla fine aveva ottenuto un nuovo corpo, giovane e forte in cui proliferare. Una rinascita che ormai dubitava di poter ottenere.

Hira raddrizzò la schiena, si sentiva potente, l'energia della tempesta e delle tenebre scorreva vigorosa in lui e più la luce scemava, maggiore era il controllo che aveva sui suoi servi.

Rihilda lo seguiva ignara, ma qualcosa la insospettiva, lo avvertiva, ma ormai si era allontanata troppo e non poteva tornare in dietro.

Poi hai i tuoi guerrieri, non sei sola... avrebbe voluto ridere, ma non poteva. Rimase concentrato sul suo obbiettivo; solo una volta conclusa ogni cosa, si sarebbe lasciato andare.

I lampi rossi illuminavano il loro cammino, filtravano attraverso gli alberi, creando ombre di possibili nemici in agguato. Hira avvertiva la loro impazienza, erano smaniosi di combattere, e lui faceva in modo che questa brama fosse accentuata, che non sentissero la paura, lasciando Rihilda da sola con la sua angoscia. Lei poteva percepire, anche se non poteva dargli un nome, quello che stava avvenendo: la rinascita era vicina.

Il sentiero che stavano percorrendo portava tracce fresche, i barbari passavano spesso da lì, era il terreno più battuto.

«Non capisco perché non avete mai osato avventurarvi oltre il confine.» disse a Rihilda distraendola dai suoi pensieri.

«Da quello che so hanno tentato, ma sono stati massacrati. Sembra che abbiano più potere fuori dai confini della città.» Hira aggrottò la fronte «Che cosa c'è?»

«Ci dev'essere qualcosa, una sorta di punto caldo.» rivelò alla donna. «Qualcosa da cui la strega trae potere. Solo che dev'essere fissa e più le sue creature si allontanano più si indeboliscono.»

«E noi ci stiamo tuffando dentro!»

«Hai suggerimenti? Vuoi fare altro?» domandò divertito Hira. La paladina si voltò verso i suoi uomini, erano una ventina, tutti volontari che smaniavano di affrontare la loro nemica.

«Sai molte cose.»

«Io non le so, io le vedo.» rispose Hira fingendosi irritato. «Tuttavia, se lo desideri, puoi tornare indietro. Eppure pensavo che fosse tua l’idea di muoversi ora, sfruttando la tempesta. Ed è una buona idea, ci nasconderà.»

«Ne sei sicuro?» Rihilda cambiò argomento, era combattuta, ma ormai aveva fatto la sua scelta e doveva fidarsi.

«Sì, come ti ho detto la tempesta è potente ed è qualcosa di mistico. È come una luce abbagliante, un lampo che ti rende inerme per qualche tempo.»

«Tu non mi sembri accecato.» Hira sorrise, non poté evitarlo e il lampo rosso distorse il suo viso facendo spaventare la donna.

«Io ho preceduto la tempesta per un po', durante il viaggio mi sono abituato lentamente alla sua energia, lei no.» Rihilda fu costretta ad annuire, quello che diceva aveva senso e anche lei avvertiva il potere della tempesta: era innegabile che avesse un'origine tutt'altro che naturale.

 

Camminarono a lungo attraverso il bosco, i barbari erano un popolo superstizioso, quella tempesta li avrebbe intimoriti, obbligandoli a chiudersi nelle loro tane, permettendo a loro di muoversi con relativa cautela: non erano degli sciocchi creduloni loro.

Hira sentiva i soldati ridacchiare, si burlavano dei barbari e soprattutto dei chierici che si erano rinchiusi nel tempio preferendo interrogare i membri dell'equipaggio di Cenran, piuttosto che seguirli. Non aveva bisogno che i parassiti li spingessero contro il clero, lo erano già loro. Avevano visto donne e uomini torturati, accusati di essere in combutta con la strega e giustiziati, lasciate morire appesi nelle gabbie, divorati da uccelli e vermi. In verità erano voluti scappare da loro, temevano che potessero "interrogarli": meglio gli Han che il clero.

Gli occhi sensibili di Hira riconobbero la luce, i fuochi ardevano all'interno del tempio, riparati dal vento: il suo parassita lo aveva sfiorato, sentendolo avvicinarsi. Fece arrestare il gruppo, non voleva che attirassero troppo l'attenzione. Si concentrò sulla vita che strisciava nel sottosuolo, vide le tende dei barbari, i loro rifugi che stavano quasi per essere divelti, ma che loro cercavano testardamente di tenere in piedi.

Hira si acquattò, avanzando lentamente nel sottobosco. Le mani immerse tra le foglie, avvertiva gli insetti, i vermi che strisciavano nel terreno infetto e che proliferavano grazie all’emanazione di energia negativa di quel punto caldo. Avrebbe sfruttato anche quello, probabilmente era solo per lui che la paladina era arrivata così a nord: il male l’aveva chiamata, il suo sangue sentiva il bisogno di purificarlo. Sorrise, con il volto verso terra, seguito dagli altri che avevano imbracciato le armi.

Avvertiva la paura di Rihilda, qualcosa le stava suggerendo di ucciderlo ora che aveva la guardia abbassata, o almeno così credeva.

I parassiti si mossero seguendo gli ordini del loro signore, lacerando lentamente l’anello di potere che la strega aveva creato, restringendolo. La tempesta era con loro, erano molte le cose che poteva fare.

«Ci siamo.» Mormorò a un certo punto. Avrebbe potuto proseguire nella sua opera, ma non voleva esagerare: che faticassero un po’ anche i soldati.

Rihilda osservò il campo: le tende erano ammassate, gli abitanti rintanati all’interno, ma c’era qualcuno che restava esposto alle intemperie, gruppi di persone legate attorno a degli alberi, incatenati al suolo da gigantesche rocce, che si stringevano tra loro, terrorizzati.

«Hanno dei prigionieri.» la paladina affiancò Hira inginocchiandosi sul suolo.

«Cosa ti aspettavi? Probabilmente i barbari faranno il possibile per assecondarla senza che decimi il loro clan: si saranno buttati sugli altri.»

 «Che bastardi.» mormorò la donna.

«Se si vuole sopravvivere bisogna fare delle scelte.»

«Non così. Non in questo modo...» la voce di Rihilda era poco più di un sussurro, ma Hira riuscì comunque a sentirla. Fece finta di nulla: il vento e i tuoni non gli avrebbero permesso di sentire quel suono se fosse stato un semplice umano.

Alla fine la paladina sembrò riprendersi, guidò un gruppo di uomini e con loro aggirò parte del campo, cercando di trovare il punto più adatto per scoccare le frecce incendiarie. Hira li osservò allontanarsi, sorridendo, poi tornò a concentrarsi sull’accampamento davanti a lui. Tra le tende c’era una zona vuota, un buco all’interno del terreno che scendeva in profondità e lì stava la strega: la sentiva, avvertiva il suo potere. C’era come un vapore cremisi che saliva da quell’avvallamento e che indicava il flusso di energie. Era un cuore vivo e attivo, da cui lei traeva forza e potere. Hira ringhiò, non avrebbe continuato ancora per molto.

La prima freccia fendette l’aria conficcandosi proprio sui prigionieri. Le loro urla iniziarono a risuonare all’interno del campo, obbligando gli altri guerrieri a uscire dai loro rifugi.

Hira poteva quasi sentire le imprecazioni della paladina, la freccia era sua, e non aveva colpito volutamente i prigionieri, una come lei non lo avrebbe mai fatto: era stato il vento, la tempesta aveva guidato quella freccia. Poco dopo ne seguirono altre che dettero fuoco all’intero accampamento. Approfittando di quel momento iniziò a tessere un nuovo incantesimo, altri filamenti sottili scivolarono dalle sue dita, intrecciandosi agli alberi e producendo una nuova rete.

Quando la sua opera fu compiuta, con un sibilo di esultanza fece un cenno agli uomini che erano rimasti con lui, non doveva più fingere, adesso che Rihilda non c’era poteva comandare i parassiti al loro interno: non era rimasto più nulla di quegli uomini.

Guidò la carica, avanzando nell’accampamento in preda al caos, mietendo vittime con la stessa facilità con cui il vento spezzava i rami.

Hira riuscì a evitare il grosso dello scontro, lasciando che fossero i soldati a combattere per lui, la sua meta era un’altra.

Sentiva la paura dei barbari, le loro urla di agonia e sapeva che anche la strega li avvertiva, eppure non interveniva, non si muoveva. Scosse la testa, perplesso e alla fine arrivò all’apertura. Una lunga e viscida scala scendeva verso il basso, il passaggio non era molto largo, e sulle pareti vide piccole macchie scure, il sangue lasciato dai barbari su cui aveva fatto degli esperimenti: per uscire si erano feriti, avevano sofferto, ma probabilmente non avevano sentito nulla di quei tagli, il dolore che li consumava dall’interno doveva essere ben più grande.

 

Hira entrò nel tempio con passo leggero, i suoi abiti scivolavano silenziosi nella penombra. I fuochi ardevano, crepitavano, quello era l'unico suono che riempiva quel luogo, a parte il lamento. Lo aveva avvertito appena aveva messo il primo piede dentro l'edificio, appena aveva lasciato l’ultimo gradino alle sue spalle. Un rantolo, un sussurro quasi persistente che aveva impregnato ogni anfratto, spezzato solo dal rumore scoppiettante delle braci. Era parte delle tenebre, solo di tanto in tanto un grido più forte spezzava quell'equilibrio.

Era rimasto immobile per alcuni istanti, cercando di adattarsi e poco dopo Rihilda lo aveva affiancato. La paladina lo aveva guardato spaventata, poi il primo urlo aveva infranto il silenzio ed entrambi avevano serrato le mani attorno alle impugnature. Adesso lo seguiva in silenzio, sobbalzava di tanto in tanto quando scoppiavano le braci o un urlo rompeva l'immobilità dell'aria. Era nervosa e Hira non poteva darle torto: lo sarebbe stato anche lui in altre circostanze.

Gli uomini li seguivano guardinghi, erano rimasti in pochi, l’assalto degli Han era stato brutale, ma per Hira non era una gran perdita, tanto li avrebbe utilizzati tutti, in un modo o nell'altro: anche i cadaveri dei barbari sarebbero stati utili. Alcuni di loro erano feriti, ma proseguivano imperterriti la marcia: il sangue che fuoriusciva dai loro corpi era poco, divorato dai parassiti che proliferavano dentro di loro.

Il suo emissario li aspettava nell'ombra della sala centrale, i gemiti provenivano da lì. Non la vedeva, c'era solo quella statua all'interno della sala, circondata dalle creature che stavano nascendo, ma ci sarebbe voluto ancora molto tempo prima che vedessero la luce.

Avanzarono senza fretta mentre la tempesta fuori imperversava, i lampi illuminavano le tenebre, la loro luce si vedeva anche all'interno del corridoio, seppur debole. Come se l’entità che comandasse la tempesta cercasse di entrare assieme a loro.

Hira vide la città nella sua mente, i fulmini stavano colpendo ogni cosa: le case crollavano, cumuli di pietra si formavano in mezzo alle vie, mentre gli uomini fuggivano alla ricerca di un riparo. Il tempio non era stato risparmiato, era stato il primo a essere colpito. Solo la locanda su cui Hira aveva intessuto il suo incantesimo sembrava venire risparmiata dalla tempesta e al suo interno, molte persone trovarono rifugio, proprio come aveva progettato. Il suo nido aveva iniziato a svilupparsi.

Mentre si avvicinavano al cuore del tempio, si chiese come mai non vi fossero protezioni.

La tua abilità è solo nella costruzione di quegli esseri? Patetica creatura.

Era irritato, tutto quel fastidio per niente: quella strega non valeva niente.

Sguainò la spada, lo stridio metallico invase l'aria, raggelando il sangue della paladina.

Rihilda lo guardò male, come a dirgli di fare piano, ma la ignorò, più interessato alla persona che emise l'urlo di dolore davanti a loro.

Accelerarono il passo, uscendo dal corridoio e trovandosi davanti a un'ampia sala circolare, i colonnati tra cui ardevano dei bracieri proiettavano ombre simili a grottesche creature, ma Hira vide che molte di quelle ombre erano state prodotte anche dai cadaveri che giacevano scomposti contro le colonne: esperimenti falliti. La statua stava al centro, quattro figure umanoidi fuse tra loro in cerchio, che si davano le spalle. Hira vide che la base, creata dalle loro gambe, era unita assieme creando una strana struttura conica.

«Via!» urlò la voce della strega. Riecheggiava nella sala circolare e Hira riconobbe quattro tonalità differenti.

«Tu.» disse avanzando verso la statua «Sei tu la strega?» Rihilda lo seguiva frastornata, cercando di capire. «Guarda la tua terribile strega. Quattro persone fuse assieme, costrette all'immobilità.» la paladina osservò la statua e vide i volti glabri inclinarsi leggermente. Le bocche di tre erano perennemente spalancate e da esse proveniva il lamento che risuonava per ogni anfratto. Solo una di quelle bocche sembrava poter articolare delle parole.

«Per tutti gli dèi.» si pietrificò davanti a quello spettacolo: erano tutti e quattro molto simili, era rimasto ben poco delle fattezze che li avevano contraddistinti in vita, prima di quella metamorfosi. Corpi maschili e femminili si riconoscevano appena, come se la fusione avesse cercato di equilibrarli per renderli omogenei. «Cosa significa?»

«Hanno attinto alla sorgente e questo è il risultato.» dalle parole di Hira trapelò il suo divertimento. «Ecco perché avevi una voce così strana: una prevale e le altre sono l’eco. Un coro.»

«Lo trovi divertente?» domandò irritata Rihilda.

«Sì.» rispose semplicemente Hira. «Uccidetela. Ponete fine alle sue sofferenze.» Gli uomini eseguirono, o meglio le creature al loro interno lo fecero. Si avventarono sulla creatura e iniziarono a farla a pezzi mentre lei urlava impotente, maledicendoli. Hira si avvicinò ai globi sparsi nella sala, facendoli scoppiare incidendoli con la lama e riversando a terra il liquido maleodorante. Rihilda venne sfiorata da una di quelle gocce e la pelle iniziò a sfrigolare. Urlò di dolore, abbandonando la spada e portandosi le mani al collo, sfilandosi l'elmo integrale e toccandosi il punto colpito.

Hira continuava il suo lavoro mentre gli uomini facevano a pezzi la strega, che non poteva opporsi in alcun modo. Poco alla volta le urla furono inghiottite dal rumore liquido della carne fatta a pezzi.

Rihilda osservava il suo compagno, si muoveva all'interno di quelle pozze acide senza problemi, come se fosse semplice acqua. Aggrottò la fronte, rimanendo indecisa per qualche istante, poi afferrò la spada e si lanciò contro di lui.

Hira si voltò all'ultimo momento, parando il fendente.

«Sei lenta.»

«Che cosa sei tu?!» Hira sorrise, spingendola con la sua spada e facendola indietreggiare. I soldati si avventarono su Rihilda, ma lei era abile e i loro corpi deboli: la prima testa rotolò per terra come se non possedesse neppure più le ossa, tanto il taglio fu rapido e netto. Dal cranio e dal collo fuoriuscirono una miriade di insetti, come se fosse un sacco pieno di piccole creature.

«Sei stato tu! Hai ridotto tu il capitano in quel modo.»

«Sì.» rispose semplicemente, osservando i suoi soldati che la attaccavano. Rihilda era abile, lo sapeva, ma sperava che la affaticassero abbastanza da permettergli di eliminarla in fretta: avrebbe voluto che affrontasse la strega, ma quella era un inutile scherzo della magia oscura. Se lo avesse saputo l’avrebbe eliminata nel bosco.

Rihilda si liberò presto di quelli che un tempo erano i suoi compagni, avventandosi subito contro Hira.

Riuscì a opporsi alla furia della paladina solo all'inizio, poi fu costretto a indietreggiare. Rihilda lo sbilanciò con un colpo violento, facendolo finire a terra.

Hira affondò la mano nel liquido che era uscito dalle sfere e ne lanciò una manciata contro la donna. Si protesse come poteva, ma la sostanza la colpì, deturpandole una parte del viso e accecandole un occhio. La sua lama, però, scese implacabile su Hira, recidendo un arto. Dalla ferita uscirono alcuni parassiti e una lunga zampa acuminata. Rihilda la fissò sconvolta, serrando le mani attorno all'impugnatura e avventandosi su di lui.

«Muori essere schifoso!» qualcosa si mosse dall'ombra, scagliandosi su di lei e recidendo la colonna vertebrale alla base della nuca. Il parassita si allontanò sibilando, il sangue della paladina lo aveva colpito. Si strappò la zampa, liberandosi anche della parte di carne contaminata, per impedire che il danno si aggravasse.

«Dannata puttana!» il signore dei parassiti si alzò colpendola all'addome e facendola rotolare in una delle pozze di fluido; tra i capelli bianchi di Hira, sbucarono due piccole corna nere dalle sfumature rossicce.

Rihilda urlò, il corpo non le rispondeva più, non poteva fare altro. «Hai ferito il mio favorito! Il tuo lurido schifoso sangue lo ha danneggiato!»  la lasciò per terra, dirigendosi verso il suo parassita e raccogliendolo da terra; lo rassicurò, consolandolo per il dolore, assicurandogli che sarebbe passato presto.

Le lunghe antenne dell'insetto sfiorarono il suo volto, sibilando. Il lungo insetto si attorcigliò attorno al suo collo mentre Hira raccolse nuovamente la spada con la mano che gli restava. «E così termina la stirpe bianca.» la lama affondò nel suo cranio, piantandosi nel terreno. Il sangue della paladina si mescolò al fluido producendo una reazione gorgogliante. Hira si allontanò, evitando i vapori prodotti. Uscì in fretta dal tempio, lasciano la spada conficcata nel suolo, e ignorando la trasformazione che la lama stava subendo: non gli interessava.

Attorno a lui, in mezzo agli alberi, i barbari sopravvissuti erano rimasti invischiati nella sua rete, appesi alla mercé dei suoi cuccioli. Hira produsse un forte sibilo e la terra iniziò a tremare e allo stesso modo sembrò tremare il cielo.

I lampi che attraversavano la fitta coltre di nubi parevano mandarla in frantumi. Hira sentì il tempio crollare, aprirsi e l'energia di quella sorgente negativa riversarsi all'esterno. Dal cielo, qualcosa richiamò l'energia, e assieme a essa risalirono anche le ombre di alcuni draghi bianchi, urlavano disperati, senza poter opporsi al richiamo.

Hira osservò la scena, allontanandosi dal tempio e cercando un luogo da cui poter guardare senza correre rischi: c’era poco da fidarsi di quelli come lui.

Le anime dei draghi che Hira aveva imprigionato nella lama vennero divorati: poteva sentire le urla strazianti che provenivano da quelle creature spirituali e rise assieme al parassita che ancora aveva sulle spalle.

«È andata bene.» il parassita sibilò. Poi la coltre plumbea si contrasse, spezzandosi. Qualcosa si mosse all’interno di quella nuova sezione, alla fine esplose come se le tenebre stesse si fossero frantumate e tra le nubi, la voce che aveva guidato Hira per tutto quel tempo, riacquistò una forma fisica.

Il grande drago nero aprì le sue ampie ali fatte di fiamme, dello stesso colore dei fulmini che lo avevano accompagnato durante il viaggio. Ruggì, fu talmente potente che sembrò scuotere la terra stessa, poi guardò verso il basso, incrociando la piccola figura del suo servitore e mostrò le zanne in un bieco sorriso. Hira si inchinò, abbassando il capo e quando lo risollevò il drago stava volando verso sud.

«Abbiamo lavorato bene, vero?» il parassita sibilò soddisfatto assieme a tutti gli altri che avevano ricoperto il campo di battaglia, felici del successo ottenuto. «Vediamo cosa succederà adesso.» Hira riprese il cammino, fischiettando un motivo dei tempi antichi, a Valgar qualcuno lo stava aspettando, imprigionato nella locanda; avrebbe creato un nuovo dominio nel nord, il sorriso che il suo signore gli aveva rivolto era stato chiaro, un premio per il servizio svolto. Mentre si incamminava, la neve iniziò a cadere lieve, piccoli cristalli bianchi che avrebbero assorbito il sangue versato, tingendosi di rosso, prima di ricoprire tutto con il suo candore. Nel sottosuolo Hira avrebbe ripreso a costruire il suo popolo, prendendo possesso di quelle terre e omaggiando il suo signore con le vite che avrebbe raccolto.

 

 

 

I Deliri di Nelith

Così si conclude questa breve fantasy dark. Grazie a tutti quelli che l'hanno letta ^^ spero che almeno un po' vi sia piaciuta.

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