A modern myth

di reb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il pettegolezzo del giorno ***
Capitolo 3: *** Crisi isteriche a go go ***
Capitolo 4: *** Stranezze e paura ***
Capitolo 5: *** Imbrogli al destino? ***
Capitolo 6: *** Confidenze di fumo... ***
Capitolo 7: *** Ricordi, promesse e speranze ***
Capitolo 8: *** Confessioni al gusto di caffè ***
Capitolo 9: *** Fratelli ***
Capitolo 10: *** Rossa in fuga ***
Capitolo 11: *** Segreti svelati ***
Capitolo 12: *** Giuro solennemente di non avere buone intenzioni. ***
Capitolo 13: *** Regole infrante ***
Capitolo 14: *** Fiduciosa sincerità ***
Capitolo 15: *** Maschere ***
Capitolo 16: *** I sogni son desideri ***
Capitolo 17: *** Una possibilità, insomma. ***
Capitolo 18: *** Deja-vu ***
Capitolo 19: *** L'abilità dello stratega ***
Capitolo 20: *** Benvenuto in famiglia. ***
Capitolo 21: *** Madre serpente, Decreti di Segretezza e dodicenni ***
Capitolo 22: *** Primi passi ***
Capitolo 23: *** Pezzi di vita ***
Capitolo 24: *** Prima settimana ***
Capitolo 25: *** Il pezzo mancante ***
Capitolo 26: *** Punto d'incontro ***
Capitolo 27: *** Dalle stelle alle stalle... ***
Capitolo 28: *** Senza certezze ***
Capitolo 29: *** Il bagno delle ragazze al secondo piano ***
Capitolo 30: *** L'inizio dei giochi ***
Capitolo 31: *** Maschere in frantumi ***
Capitolo 32: *** Fratelli ***
Capitolo 33: *** Natale ***
Capitolo 34: *** Passato e futuro ***
Capitolo 35: *** Nuovi inizi ***



Capitolo 1
*** Prologo ***







PROLOGO
 


James Potter era una mago e sapeva da sempre di esserlo.
Sapeva, dai racconti di amici e parenti, che l’estate dei suoi undici anni avrebbe ricevuto una pesante ed elegante lettera con uno stemma elaborato e antico, in ceralacca.
Sapeva che avrebbe frequentato Hogwarts, la Scuola di Magia e Stregoneria inglese.
Sapeva che avrebbe avuto luogo uno Smistamento.
Conosceva perfino la Casa in cui sarebbe finito. Era un Potter e i Potter sono Grifondoro.
Culla dei coraggiosi e leali di cuore. Come suo padre e suo nonno prima di lui.
Essendo cresciuto in un’antica famiglia di maghi, con genitori che raramente gli negavano qualcosa e una nonna che lo adorava e possedeva il suo stesso carattere allergico alle regole nonostante i novant’anni suonati, quel giorno non avrebbe dovuto sorprenderlo o mandarlo su di giri.
Conosceva addirittura il preside Silente, per la miseria! Sua nonna Disyde lo invitava spesso a prendere il tè da lei e Godric Hallow.
E così era stato, fino a un certo punto.
Non aveva avuto paura di lasciare i genitori e salire sul treno, a Kings Cross.
Non si era domandato per tutto il tempo cosa sarebbe successo l’indomani.
Alla stazione di Hogsmade non aveva guardato stralunato Hagrid, il mezzo gigante custode della scuola che li avrebbe accompagnati.
Non si era stupito delle carrozze che si muovevano senza cavalli e nemmeno delle barchette su cui avevano attraversato il lago, che non avevano remi o motore.
Era magia. E lui c’era nato in mezzo.
Ma quando aveva visto Hogwarts, così splendidamente illuminata, spiccare come un enorme incendio nella notte per la luce calda e rossastra, dovuta sicuramente a centinaia e centinaia di candele, che filtrava dalle finestre, come tutti gli altri bambini si era trovato senza parole e in una assorta contemplazione.
Come migliaia prima di lui e dopo, come avrebbe fatto suo figlio vent’anni dopo, James Potter venne ammaliato dalla magia di Hogwarts e ne rimase conquistato.
Adesso capiva quando nonna Disyde gli diceva che Hogwarts era casa.
Il castello era familiare e sconosciuto insieme. Sembrava chiamarlo.
L’assorta contemplazione venne bruscamente interrotta da un urlo spaventato e il rumore di un tuffo.
Lui e Sirius, un ragazzino che aveva conosciuto sul treno, con cui aveva fatto a pugni e diviso le sue cioccorane in rapida sequenza, si erano voltati simultaneamente verso la fonte del rumore, come tutti gli altri, in tempo per vedere soltanto gli ultimi schizzi e la barchetta tremolante su cui una bambina cercava di issare il povero sfigato.
-Tranquillo ti tiro su Severus.- si prodigava la piccola con infaticabile cocciutaggine, per niente aiutata dal ragazzino che si muoveva come un’anguilla cercando di rimanere a galla. Probabilmente non sapeva nuotare considerò distrattamente James mentre una manona grande quanto un badile, appartenente ad Hagrid, issava sulla propria barchetta l’improvvisato sirenetto. L’uomo, ridacchiando nascosto nella barba folta, cercava di calmarlo senza successo ignaro dello spazio ristretto in cui lo aveva relegato vista la sua mole e delle occhiate malevole che stava ricevendo nonostante lo avesse appena salvato.
-Hai visto ragazzino? Anche la piovra gigante ha voluto darti il benvenuto a Hogwarts.- intanto andava blaterando il custode.
-Co-cosa? Piovra gigante?- chiese tremante Severus.
-Già gia. Devi piacergli proprio, eh? Di solito esce solo in primavera, ma si vede che ti ha preso in simpatia…-
Alla parola piovra gigante il viso del bambino era sbiancato, ma niente in confronto a quando aveva capito che l’uomo non lo stava prendendo in giro. Tanto lui diventava cadaverico, però, tanto i visetti di James e Sirius si colorivano di eccitazione.
Una piovra gigante! Una piovra gigante! Questa mica la sapeva…forteeee!
Così nello sconcerto generale quei due mentecatti iniziarono a sporgersi da un bordo all’altro della barchetta, rendendone l’equilibrio ancora più precario, per muovere l’acqua nella speranza di una nuova comparsa. O meglio ancora di un bagno non programmato.
Erano talmente presi che non notarono lo sguardo soddisfatto di Hagrid, felice di aver finalmente trovato qualcuno che come lui apprezzasse tanto quei poveri e bistrattati cucciolotti fuori misura, e nemmeno quello perplesso della bambina di poco prima.


 

***



 
-Peccato amico, non si è vista.-
La voce delusa di un undicenne Sirius Black avrebbe scatenato in molte ragazze un innato istinto di tenerezza, dovuto al faccino imbronciato e lo sguardo tradito, se si fosse riferito a un’amichetta lontana o a una zia divertente che non aveva potuto essere presente a un appuntamento, anziché a un’amabile e forse carnivora piovra gigante.
Ma anche questo fatto, vista la famiglia da cui proveniva e che l’aveva fino ad allora educato, avrebbe fatto sembrare normale la cosa. Quello che avrebbe destato qualche sospetto circa problemi mentali fu vedere che un altro ragazzino rifletteva come uno specchio la stessa delusione. E quel bambino non proveniva da una famiglia purosangue antibabbana e dalle simpatie tutt’altro che rassicuranti, ma da una rispettabile famiglia di Auror. Nientemeno che un Potter.
Il piccolo infatti annuì. Per riuscire nell’avvistamento avevano quasi fatto rovesciare la loro barca, ponderato di gettare qualcuno come esca e speronato un’altra imbarcazione facendola colare a picco, cosa mai vista in un millennio di onorato servizio. E ora si trovavano, bagnati fradici e stanchi, sul porticciolo aspettando l’attracco delle ultime barche senza essere riusciti nel loro nobile e socialmente utile intento.
Avevano inutilmente cercato di farsi almeno raccontare l’eccezionale episodio da tale Severus Piton ottenendo solo uno sguardo di sdegno da lui e uno curioso dalla bambina.
Sirius l’aveva poi mandato sottilmente a quel paese, perché i suoi dicevano che farlo platealmente è solo sinonimo di arroganza e povertà anche se secondo lui avrebbe dato maggior soddisfazione, inserendolo mentalmente nella sua lista nera.
Nemmeno a James piaceva. Era stropicciato e trascurato. Con quel pastrano addosso, poi, era così piccolo da sembrare un ragnetto. Non riusciva a classificarlo. Si comportava arrogantemente eppure cercava di nascondersi. Guardava gli altri con sospetto, e nel caso suo e di Sirius, disprezzo eppure si rivolgeva a lei come a una principessa.
Quello l’aveva stupito. Infatti il piccolo Potter continuava a lasciare occhiate curiose alla bambina che gli stava a fianco, tutta imbacuccata nel suo mantello che le nascondeva addirittura i capelli.
Mentre ascoltava distrattamente Sirius e Remus, il bambino che era salito sulla loro stessa barca, dall’aria malaticcia ma simpatica, chiacchierare circa lo smistamento aveva visto il suo viso alla luce delle torce dell’ingresso. Prima non ci aveva fatto caso per via del buio, ma era carina. Con quella pelle chiara e le lentiggini sul naso. Poi occhi così non ne aveva mai visti.
Gli ricordavano quegli orecchini di giada che la mattina prima a Diagon Alley sua mamma aveva tanto ammirato. Così profondi che sembravano leggere dentro.
E nemmeno usa la Legimanzia, pensò quando incrociarono gli sguardi.
Almeno non sembrava antipatica come il suo amico. Gli aveva anche sorriso…
-…a Serpeverde.-
Aveva appena captato la frase di Sirius eppure sapeva di cosa stava parlando. Era il motivo per cui si erano presi a pugni.
-Ti ho detto che non finirai in quella Casa. Diventerai un Grifondoro, ne sono super sicuro.- gli rispose.
-Ma tutta la mia famiglia è Serpeverde, James.- ribatté l’altro.
-Allora inizierai una nuova tradizione, no?-
E continuarono con il loro botta e risposta senza curarsi di chi avevano intorno nonostante gli altri bambini li stessero ascoltando cercando di capire cosa sarebbe successo loro una volta entrati.
Sulla porta d’ingresso vennero presi in consegna da una giovane donna che si presentò come professoressa McGrannitt, docente di Trasfigurazione che si premurò di informarli sulla divisione per Case senza essere presa in considerazione dai due bambini, che ancora parlottavano tra loro. O meglio James si stava arrampicando sugli specchi per dare sempre nuove e a suo parere valide motivazioni per convincere anche l’amico della sua sicura assegnazione rosso oro.
-Vai a parlarle, no?- propose timidamente Remus una volta rimasti nuovamente soli intercettata l’ennesima occhiata di James verso la bambina.
-Eh? E cosa dovrei dirle?-
-Non ti sei fatto poi tanti problemi a prendermi a pugni, no? Fai lo stesso con lei…- rispose Sirius pragmatico.
-Cosa prenderla a pugni? Guarda Sir che è una ragazza.- esclamò indignato.
-Ma cosa sei scemo? Dicevo non preoccuparti troppo e parla.- e con una leggera spintarella in quella temuta direzione Sirius Black si condannò a sette anni di paturnie e castelli in aria.
-Io sono James.-
-Lily.- rispose lei sorpresa, prendendo la mano che il bambino gli stava sventolando davanti al viso.
Nessuno le aveva ancora rivolto la parola da quando erano scesi al porto, forse anche perché Severus lanciava occhiate irritate a chiunque si avvicinasse troppo. Quel bagno doveva averlo innervosito parecchio.
E ora, di fronte a un portone grande tre volte lei erano tutti troppo ansiosi di sapere cosa ci fosse dietro per preoccuparsi di fare nuove amicizie.
Lei li capiva. E se le avessero detto che si erano sbagliati? Che non era davvero un strega?
Invece lui era tranquillo. Come il suo amico dagli occhi blu. Sembravano a loro agio ovunque, anche prima mentre cercavano la piovra. Forse perché già sapevano di essere nel posto giusto. Forse perché sapevano cosa sarebbe successo dietro quello porta. Forse perché già sapevano in quale Casa sarebbero stati assegnati.
-Perché non togli il cappello?- chiese curioso il bambino – Hai le orecchie a punta? O magari come un gatto?-
Mentre parlava cercava di sbirciare sotto la stoffa. Era invadente. Ma amichevole. Forse non sarebbe stato male averlo come amico, non sembrava cattivo.
Lentamente Lily sciolse il fiocco del mantello e piegandolo sul braccio non notò lo sguardo di lui. Lo sentì solo parlare e arrossì.
-Hai i capelli rossi!-
Incrociò il suo sguardo imbarazzata. I suoi capelli rosso fiamma attiravano sempre l’attenzione, ma nessuno aveva mai avuto quella faccia incredula vedendola.
-Smettila di fissarmi. Se non ti piacciono basta che te ne…- ma non fece in tempo a finire la frase che lui riprese.
-Non avevo mai visto un rosso così…rosso, ecco. Forte quel cappello, dove l’hai preso? Mi piace un sacco…-
James aveva preso a blaterare del suo cappello girandole intorno come un predatore, tutto interessato da volerne vedere ogni angolatura. Intanto anche i suoi amici si erano avvicinati e Severus stava tornando imbronciato e finalmente asciutto.
Il cappello in effetti era strano. E forse infantile, ma era il suo preferito. Era verde prato e aveva la forma di un orsacchiotto di pezza. Con tanto di orecchie, naso in rilievo e bottoni come occhi. Ora quell’abbigliamento che a casa le sembrava perfetto attirava troppo l’attenzione. Sev le aveva consigliato di non togliersi il mantello prima del cappello. Ma anche le calze gialle, con sopra un paio di calzettoni rossi lunghi fino al ginocchio in quel mare di grigio risaltava come un diamante tra il carbone quando invece a Londra era un abbinamento originale, ma carino.
Era proprio in un altro mondo. E James continuava a girarle intorno.
-Sarai una Grifondoro, Lily! Forte! Saremo nella stessa Casa.- continuava a sproloquiare.
-Cosa?-
-Rosso oro, il colore dei Grifoni. Hai già scelto!- e indicò le sue gambe.
-Lily spera di diventare una Serpeverde. Vero Lily?- chiese duro Severus appena apparso al suo fianco.
-Serpeverde? Chi mai spererebbe di finire lì?-
Lily presa tra due fuochi decise di non prestare troppa attenzione al carattere improvvisamente rissoso di Severus, probabilmente era solo per il tuffo nel lago. Di solito era sempre tranquillo con lei.
Così dopo qualche attimo di pesante silenzio si decise a chiedere – Davvero sai in quale Casa finirai?-
-Certo Grifondoro. Culla dei coraggiosi e leali di cuore, siamo Grifondoro da secoli.- rispose orgoglioso.
-Allora sai anche quello che dobbiamo fare…-
Quello era un punto in cui Sev non era mai stato molto chiaro perché nemmeno lui lo sapeva. E la curiosità unita all’ansia la stava uccidendo.
-O certo è una specie di prova. Ma non ti chiedono di fare magie. Anche se sarebbe fortissimo che ci chiedessero di volare o incantare qualcosa, non credi? Non sarebbe fantastico Sir?- l’eccitazione di James era palpabile.
-Già ti immagini a volare per la Sala. O far esplodere oggetti?- e trovò terreno fertile nell’amico.
-Papà invece mi ha insegnato a volare, diventerò cercatore. E poi…- e si guardò intorno tipo 007 - so far volare le cose. Quando ho comprato la bacchetta nonna mi ha insegnato, anche se non poteva. Non è fortissima mia nonna? Volete vedere cosa so fare?-
-Non è permesso fare magie fuori dalla scuola se sei minorenne. Si finisce ad Azkaban.- si intromise maligno Piton.
-Azkaban? Ma dove vivi? Non si finisce là per le magie accidentali…- rispose a tono Sirius.
-Ma quelle non erano accidentali, le ha fatte con la bacchetta.-
-E come fanno a saperlo, eh? Glielo vai a dire tu genio?-
Quel botta e risposta stava preoccupando Lily. James invece sembrava interessato a vedere come sarebbe finita. Solo l’altro bambino, biondo e pallido, sembrava pensarla come lei, ma non faceva niente per fermarli.
Severus era così rosso in viso che sembrava stare per scoppiare. E James ancora non faceva niente, anzi lo trovava divertente perché stava sogghignando.
-Sev dai smettila. Magari ha ragione…- provò a mediare.
-Certo che ha ragione, papà è un Auror e mi ha detto che solo i cattivi finiscono ad Azkaban. I maghi oscuri. A me hanno solo mandato un richiamo dal Ministero per magia accidentale.- si intromise tranquillo James.
-Ma l’hai fatta con la bacchetta, non è magia accidentale.- Piton stava urlando ormai tanta era la collera.
-E allora? Mica sono andato a dirglielo. E poi era solo un incantesimo di lievitazione, dai. Mica ho ucciso il mio gatto o fatto esplodere una casa!-
Se prima aveva trovato quel bambino insignificante e vagamente antipatico ora provava un’insofferenza così grande che…calmo James, hai promesso alla nonna di non metterti nei guai. Non subito.
Calma James, calma…
Ma sembrava che Sirius non avesse promesso niente del genere a nessuna nonna. Infatti aveva spintonato il bambino e stava per parare il colpo in arrivo dall’altro quando un esclamazione agghiacciata li fermò.
-Cosa sta succedendo qui?- sibilò Minerva McGrannitt che mai, mai aveva visto un comportamento del genere al primo giorno di scuola. Figuriamoci addirittura prima dello Smistamento.
E presi Sirius e Severus per un braccio ciascuno se li trascinò dietro per controllarli mentre finalmente permetteva ai marmocchi di varcare la temuta porta.
 
 
 
 




 
ANGOLO AUTRICE.
Sono tornata con una nuova storia, finalmente. Questo è solo il prologo ed è un po’ cortino, lo so. Sono solo quattro pagine di Word, ma mi piaceva lasciare il primo anno da solo e iniziare con la storia vera, ambientata al settimo anno, dal prossimo in poi.
Qualche parola su questo mio nuovo delirio.
Dovevano essere massimo cinque capitoli, ma anche se ancora non ho ben suddiviso la storia sono convinta che saranno almeno il doppio. O almeno questo è il progetto.
Ho lasciato per un po’ da parte Lily e Scorpius, anche se sto comunque scribacchiando qualcosa che aspetta un'attenta revisione e una trama degna di questo nome, per passare a un altro paring che adoro. James e Lily.
Non sono sicura di riuscire a non rovinare due personaggi che personalmente mi incuriosiscono parecchio e che fanno sognare, almeno secondo il mio punto di vista.
Questo prologo spero faccia trasparire almeno una bozza di quelle che saranno le future relazioni tra i vari personaggi, soprattutto Piton, Sirius e James e Lily.
Entro martedì dovrei pubblicare il secondo capitolo, che è già scritto tra l'altro, ma è solo una data approssimativa. Tutto dipende dalla scuola.
Per gli altri aggiornamenti penso che saranno una volta la settimana. Spero avrete la pazienza di seguire gli sviluppi.
Come sempre ringrazio chi ha seguito le mie ultime storie e chi ha letto soltanto.
Spero che anche questa nuova idea vi piaccia. Fatemi sapere cosa ne pensate, ok? Mi fanno sempre piacere le vostre recensioni.
Beh non posso che sperare vi piaccia e di leggere quello che pensate, anche perché domani non ho niente da fare (scherzo!).
Un ultima cosa, ho lasciato il mio contatto Facebook sul profilo, se volete aggiungermi mi fa piacere, fatemi magari sapere chi siete su efp così che possa conoscervi.
Tanti baci e buon weekend, Rebecca.
  

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Capitolo 2
*** Il pettegolezzo del giorno ***


 

 

-Ehi Jam, guarda.-

Sirius interruppe senza evidente rammarico un concitato Peter Minus tutto preso a pregare Remus Lupin di spiegargli il compito di Pozioni che avrebbe dovuto svolgere durante le vacanze estive e di cui non era riuscito a venire a capo. Compito che invece avrebbe svolto quella notte, costringendo gli amici a rimanere svegli con lui per un’assistenza attiva e continua.

-Cosa, Sir?-

James si sporse verso l’amico che indicava un angolo dello sportello della carrozza su cui viaggiavano, direzione Hogwarts. Dopo un attimo di perplessa ricerca il ragazzo trovò quello che aveva attirato l’interesse del moro.

Un graffito, o meglio un’incisione praticata nel legno scuro. Ricordava quell’incisione. Ricordava anche l’occasione in cui era stata fatta, perché l’autore gli sedeva davanti e portava il nome di Sirius Black.

Erano al secondo anno, appena scesi dal treno lui e gli altri tre ragazzi, già allora inseparabili, si erano fiondati sulla prima carrozza libera. Sirius portava sempre con sé un coltellino multiuso, pratico per aprire, o scassinare come gli ricordava ogni volta uno scontento Remus, ogni tipo di serratura.

Stavano discutendo su quanto fosse difficile ricordare tutti i passaggi segreti scoperti l’anno prima e le relative parole d’ordine quando Peter aveva ingenuamente proposto di disegnare una mappa. Dopotutto lui era bravo a disegnare e Sirius avrebbe potuto usare la sua bella calligrafia per completarla, tipo legenda. Che alla mappa fossero stati aggiunti nel corso del secondo e terzo anno per volontà di un testardo Remus, che non voleva finisse nelle mani dei professori o di qualche altro studente, incantesimi protettivi di ogni genere a opera di James era stato una misura necessaria per non essere scoperti durante i loro illeciti pellegrinaggi. E far tacere l’inopportuna coscienza di Remus.

Quel primo giorno in carrozza, in ogni caso, era nato il loro motto e Sirius aveva pensato bene, da perfetto delinquentello, di lasciare un segno del loro passaggio. E del loro credo.

E ora, a distanza di cinque anni, quella scritta spiccava ancora contro il legno lucido.

Giuro di non avere buone intenzioni.

Bei tempi quelli in cui erano ancora giovani e liberi di combinare disastri in ogni angolo di Hogwarts senza preoccupazioni!

Da quando Remus era stato nominato Prefetto prima e Caposcuola poi la loro pace interiore era finita. Cercava di far rigare dritto gli amici senza successo, ma questo non gli impediva di partire in paternali ogni volta che riteneva avessero passato il limite.

Praticamente ogni volta…

-Ehi ragazzi guardate qua!- esclamò entusiasta Sirius, orgoglioso del suo ritrovamento.

-Di buono auspicio, che dite? Abbiamo iniziato qua e qua ci ritroviamo all’ultimo anno. Probabilmente il destino vuole farci capire che questo sarà un grande anno…- continuò James sullo stesso tono.

Dallo sguardo scettico di Remus, capì, che il suo pensiero non era condiviso.

-Lo dici ogni anno, James.- infatti.

-E non ho sempre avuto ragione, Remmy?-

Quel soprannome era osceno, James lo riconosceva senza problemi, ma da quando Sirius lo aveva inventato la notte della sua prima sbronza aveva capito quanto fosse utile. Il giovane Lupin, infatti, si disgustava talmente tanto al solo sentirlo che ogni altro pensiero lasciava la sua mente. Alcune volte erano perfino riusciti a fermare le sue interminabili prediche solo pronunciandolo due o tre volte. Nei casi peggiori ci aggiungevano, sempre con successo, un tono in falsetto e occhi dolci che causavano in Peter un eccesso di risate e in Remus conati degni del peggiore festino alcolico.

Fu così anche quella volta. Ah, caro vecchio Remmy…

-Caposcuola eh, Remmy?- fece allusivo Sirius.

James sapeva che giocarsi la carta del soprannome-distrazione avrebbe scatenato Sirius che trovava oltremodo divertente irritare Remus. E non perdeva mai l’occasione per farlo, ma ormai il dado era stato tratto.

-Smettila Pad.- rispose scocciato l’altro. La mano sinistra che tamburellava nervosa sul finestrino della loro carrozza. Solo quello serviva a mostrarne lo stato d’animo, lui sempre calmo e pacato si accendeva come un petardo alle prime frecciate di Sirius.

Con un sorriso sulle labbra, ormai abituato ai loro pseudo litigi giornalieri, James si voltò per dare un’occhiata al paesaggio. Avevano passato i cancelli da alcuni minuti ormai, presto sarebbero potuti scendere.

E così un nuovo anno stava per iniziare. Il settimo, l’ultimo. Doveva giocarsi tutto quell’anno.

Caposcuola…

Chissà se anche…

-Ehi Rem chi è l’altro Caposcuola?- chiese fingendosi disinteressato.

-Perché vuoi saperlo Jamie?-

Il tono freddo gli fece capire che lo riteneva, a ragione, il responsabile per le frecciate che ancora facevano loro di sottofondo proveniente dal canide del gruppo. Ma che diventasse una serpe se avesse lasciato perdere.

-Dai, Rem. Chi è? Chi è? Chi è?- il modo migliore per convincere Lupin quando entrava in modalità scorbutico era prenderlo per sfinimento. E lui era dannatamente bravo nel farlo.

-… …- cercava di fare il sostenuto eh?

-Reem? Perché non vuoi dirmi chi è? Non sono uno dei tuoi migliori amici? Chi è? Mi basta anche solo il cognome, guarda magari nemmeno lo conosco…- balla, non c’era nessuno del settimo anno che lui non conoscesse. In realtà conosceva tutti a Grifondoro – chi è? Chiii èèè?-

-Lily, è Lily. Ma ora smettila!-

Fatta, come sempre. Le risatine di Sirius e Peter in sottofondo ne erano la conferma.

Ci avrebbe scommesso, in ogni caso. Era ovvio che l’irreprensibile e sempre Eccezionale Lily Evans sarebbe stata nominata Caposcuola.

Finalmente le luci di Hogwarts filtrarono dalle tendine e i quattro ragazzi capirono che era giunto il momento di scendere.

-Banchetto, aspettami!- sospirò estasiato Sirius. Il banchetto di inizio anno era l’unico momento in cui tutte le ragazze della scuola avrebbero potuto passargli nude davanti e lui non le avrebbe nemmeno intraviste.

Venerava quell’evento. E gli altri tre non facevano che prenderlo in giro per quello.

James però in quel momento aveva altro in mente.

L’aveva deciso quell’estate insieme a Sirius, quella era la sua ultima occasione.

Così quella sera era un uomo in missione. O meglio era un uomo a caccia.

E la sua preda vantava capelli rossi come le fiamme e occhi di giada.

Non ci mise niente a trovarla. Solo altre tre studentesse avevano i capelli rossi, ma nessun’altra li aveva di quel particolare colore. Così vivo, come lei.

La trovò poco lontano, circondata da amici come ogni anno. Come succedeva a lui.

Perché quella bambina conosciuta tanti anni prima, che per i primi mesi si era aggirata curiosa per il castello con la sola compagnia di Mocciosus, adesso era diventata non solo bellissima, ma anche popolare. E tutti, tutti dannazione, non facevano che girarle intorno.

Eppure avrebbero dovuto saperlo che Lily Evans era territorio proibito!

-Eeevaans?- esclamò ancora vicino alla carrozza.

Non era riuscito a intercettarla prima alla stazione per colpa di quei nanetti del primo che gli avevano sbarrato la strada e goffi come piccoli anatroccoli ubriachi avevano urtato l’altro unico studente di Hogwarts che considerava il terreno battuto più infido del ghiaccio. Peter.

Che infatti era caduto a gambe all’aria trascinando con se un incredulo Sirius e alcuni ragazzini sotto lo sguardo di un presto agonizzante Remus, che ancora rideva come un matto al ricordarlo.

Non che Sirius poi se le fosse presa eccessivamente considerato che si era ritrovato circondato da ragazze adoranti e prodighe di aiuti. Ma la scena era stata comunque esilarante.

La sua rossa, perché era ovviamente deciso che sua sarebbe diventata, si voltò verso di lui con la solita smorfia irritata di sempre quando si ritrovava davanti il giovane Potter. Sirius diceva che ormai le veniva in automatica al solo sentire la sua voce. Miscredente!

-Potter mi sembrava troppo bello una tua anche troppo rimandata espulsione. Stupido da parte mia credere nei miracoli…- rispose piccata.

Lily incassò con stoicismo la gomitata nello stomaco che Alice, la sua migliore amica, le rifilò.

Era troppo buona, tutti lo ripetevano sempre. Ma quel suo ostinato portare avanti una crociata a favore di Potter le faceva dubitare della veridicità delle parole.

La rossa le rifilò infatti un’occhiataccia volta a esprimere tutto il suo malcontento. Proprio non la capiva in quel caso. Perché le interessava tanto il modo in cui si relazionava col ragazzo? Se lo trovava insopportabile non poteva farci niente. Era un tronfio arrogante figlio di papà, lo aveva capito già al primo anno, ma solo dopo Natale. Era stata così stupida da considerarlo addirittura un amico prima, ma a ben guardare le cose anche con Severus era successa la stessa cosa.

-Esci con me, Evans?-

Era talmente presa dai suoi pensieri che nemmeno l’aveva visto avvicinarsi. Forse allora Alice non voleva intimarle di comportarsi meglio, ma solo avvertirla dei suoi spostamenti…

-Quante volte devo dirti di no, Potter, prima di farti capire la mia risposta?-

Erano anni che le chiedeva di uscire, eppure lui non demordeva. Che testone…       

-Tante quante io ne impiegherò per convincerti a darmi una possibilità.- rispose serio lui.

Non era ancora abituata a quella nuova versione di lui. Tanto che durante l’estate l’aveva quasi dimenticato.

Aveva notato quel cambiamento per la prima volta verso il secondo semestre dell’anno prima. Anzi erano state Alice e Julie a farlo e poi l’avevano fatto notare a lei.

Non che avesse smesso di fare lo sbruffone, quello probabilmente l’aveva nel sangue, ma non lanciava più incantesimi su chiunque passasse. Non colpiva nemmeno più Severus, anche se era convinta lo facesse ogni volta lei non fosse nei paraggi o anche solo quando aveva appena voltato le spalle.

Forse stava davvero crescendo.

E quello non poteva che essere un bene. Forse almeno quell’anno Grifondoro sarebbe riuscito a vincere la Coppa delle Case oltre a quella del Quidditch se lui e Black avessero smesso di fare gli idioti in giro.

Forse non si sarebbe sentita così abiettamente traditrice a togliere loro punti un giorno si e l’altro anche.

-Come sono andate le vacanze?- chiese senza reale interesse lei, sentendo il gomito di Alice troppo vicino alle sue costole.

Poteva anche essere gentile per una sera, almeno non avrebbe avuto lividi fin dal primo giorno.

-Magnificamente. Le tue?- chiese James tutto contento.

Era quello il motivo per cui non era mai gentile con lui, accidenti.

Ogni volta che succedeva lui sembrava brillare e gli ricordava nitidamente l’undicenne che la aiutava con i compiti di Incantesimi in cambio di un aiuto in Pozioni. Il primo che le avesse parlato, anni prima.

Scacciò quei ricordi lontani.

Era stata una scema ad affezionarsi tanto a lui e non avrebbe commesso due volte lo stesso errore anche se adesso sembrava un bambino davanti ai regali di Natale, nemmeno se sembrava tanto sincero.

-Al solito. Con i miei siamo stati in crociera in Egitto, ma non ho potuto visitare la parte magica.- si trovò comunque a rispondere nonostante la testa le urlasse oltraggiata “Smetti, sciocca. Mandalo al diavolo e vattene…”

-Esistono navi volanti anche tra i babbani? Forte!- fece lui.

-No, solo navi. Viaggiano a motore…un sostituto della magia insomma. Ma non volano.- di nuovo si ritrovò a rispondere senza nemmeno rendersene conto. Alla fine non era nemmeno tanto difficile parlare civilmente con lui, una volta dimenticata la logica.

-Ma Remus dice che i babbani volano e se non lo fanno con la navi come fanno? Non possono usare le scope mi pare…-

Ma alla logica venne in soccorso il peggiore degli alleati con suo immotivato disappunto. E, cavolo, non stava parlando di un razzista Serpeverde, ma di un Grifondoro appiccicoso che ci provava con  lei da un paio di anni a quella parte.

Da quando Lily, allora ingenua quindicenne non aveva avuto il cuore di negargli un appuntamento.

Mattew Clifford era abbastanza carino da avere ammiratrici in ogni Casa, niente di paragonabile al fan club di Sirius, fondato per dispetto da un quanto mai arrabbiato Remus Lupin anni prima (e che vantava come membri attivi ragazze di tutte le Case ed estrazioni sociali, troppe perfino per essere contate), o quelle che sospiravano dietro a James, ma comunque un traguardo invidiabile.

E fin qui niente di strano. Ma Matt non era solo un bel ragazzo. Era un bel ragazzo appiccicoso e inspiegabilmente geloso che si atteggiava a cavalier servente ogni volta che se ne presentava l’occasione con grande irritazione di Lily che avendo una bacchetta e sapendola usare aveva tutte le intenzioni di cavarsi dai guai da sola.

-Lily hai ricevuto le mie lettere? Sai il gufo di famiglia è parecchio vecchio e a volte non consegna la posta al giusto destinatario, ma mamma gli è troppo affezionata per cambiarlo…-

Cavolo, era entrato in modalità fidanzatino petulante. E nemmeno si erano mai messi insieme, accidenti! Quello era peggio di Potter quando ci si metteva. Almeno del moro riusciva a liberarsi.

Sentendosi giustamente braccata la ragazza si guardò intorno cercando Alice, nella speranza di un diversivo, ma la individuò parecchi metri più in la insieme a Franck, il suo ragazzo.

Non aveva mai odiato Franck come quel giorno. Addio piano di fuga.

-Evans, cerchi qualcuno?- chiese Potter vedendola guardare altrove.

-No, mi chiedevo solo dove fosse Alice.- sospirò scoraggiata.

-Allora Lily, come sono andate le vacanze?- tornò all’attacco l’uomo-piattola.

Incontrò di nuovo lo sguardo del ragazzo, cercando disperatamente di scovare nel suo vasto repertorio di incantesimi socialmente utili anche una fattura da rifilare a Matt senza essere vista, quando la persona meno probabile di tutte le trasse d’impaccio.

E mai come in quel momento fu grata alle buone maniere insegnate ai purosangue.

Sotto lo sguardo a metà tra l’allibito e il risentito di James e quello incredulo di Matt, infatti, Sirius Black l’aveva presa sotto braccio, tranquillo come una pasqua, e l’aveva trascinata via sulle note di uno sproloquio come “Cara Evans, quest’estate non ho fatto che pensare a…”.

Nessuno del piccolo e incredulo gruppetto seppe mai quello cui il ragazzo aveva pensato tutta l’estate perché si era dileguato nella folla dopo nemmeno dieci secondi al seguito della bella rossa.

Ma se James sembrava pronto a una retata nei confronti del migliore amico, geloso e indignato visto che gli aveva appena portato via da sotto il naso la sua futura ragazza ufficiale, Matt più pragmaticamente si ritirò con il morale a terra, i lacrimoni agli occhi e un senso di inadeguatezza grande quanto una casa.

-James, ma Sirius vuole provarci con la Evans?- chiese perplesso Peter.

Fu così che ancora prima del banchetto di inizio anno scoppiò l’apocalisse.

James Potter fu visto filare via come un treno, con un ringhio incastrato in gola e bacchetta alla mano, pronto a schiantare qualche serpe. Già Sirius si era portato via la donna dei suoi sogni, se ci si metteva anche Peter con le sue domande idiote…

In qualche modo doveva sfogare il nervoso, no?

 

***

 

 

-Sai cosa si dice in giro, Lily?- chiese Alice divertita alternando una parola a un morso alla fantastica torta di cioccolato glassato che aveva davanti.

-No, ma sono sicura che sopperirai a questa mia mancanza…- il tono della ragazza trasudava ironia da ogni poro.

A un osservatore esterno quelle due sarebbero potute sembrare due ragazze estremamente incompatibili, come lei e Potter in pratica, tanto erano diverse tra loro e invece erano amiche per la pelle.

Tanto Lily era pragmatica e indifferente al pettegolezzo, tanto Alice venerava il gossip e le fantasie a occhi aperti. Non per niente aveva catalogato Franck Paciock come l’uomo della sua vita a soli tredici anni dopo che lui le aveva cavallerescamente tenuto aperta la porta dell’aula di Difesa per farla passare.

-Si dice che Lily Evans e Sirius Black abbiano un’infuocata relazione clandestina.-

Il riso che traspariva dalla sua voce fece riflettere attentamente Lily sulle parole che aveva invece solo distrattamente ascoltato.

Infuocata relazione…Sirius Black…Lily Evans…

E se l’istinto perfezionato in tanti anni d’amicizia, fatto di tante chiacchiere e blando interesse ai pettegolezzi su tutto e tutti, l’avrebbero portata ad annuire, magari aggiungendo qualche commento di accordo e un assenso, quell’attenta analisi, benedetta attenta analisi, le fece quasi andare di traverso la torta al cioccolato che si stava placidamente gustando per mandarla al creatore.

Infuocata relazione…Sirius Black…Lily Evans…

Sarebbe stato sicuramente un epitaffio originale “Qui giace Lily Evans, tanto amata figlia, un po’ meno come sorella. Morta per soffocamento da torta dopo l’accusa di una relazione con Sirius Black”.

E la sua tomba sarebbe diventata meta di pellegrinaggio per tutte le fan oltraggiate che avrebbero pagato per essere al suo posto.

-Co-cosa?- chiese incredula tra un ansito soffocato e l’altro.

-Hai presente prima, sono andata in bagno no? Beh c’erano anche altre quattro ragazze e ne stavano parlando. Dicono che l’amica di un loro compagno della classe avanzata di Cura delle Creature Magiche vi aveva visto insieme nascosti nell’ingresso tutti intenti a salutarvi come si deve dopo una lunga assenza, non so se mi spiego…- commentò allusiva con un sorriso sulle labbra talmente grande da risultare irritante.

-Ma non è assolutamente vero! Non eravamo nascosti in alcun antro buio, ma sotto gli occhi di tutti, maledetti pettegoli…- rispose sdegnata Lily.

-Oh vuoi forse dirmi che davvero vi stavate amichevolmente salutando dopo una lunga assenza?- chiese ancora più divertita Alice.

-Ma che diavolo vai blaterando. Non crederai a queste cose, spero.-

-Sinceramente non credevo nemmeno che tu e Black steste chiacchierando, ma a quanto pare mi sbagliavo. Ora, vuoi darmi i particolari o devo tirarteli fuori a forza?-

Quando Alice puntava qualcosa non c’era verso di farle mollare l’osso. Non era un caso che fosse stata lei a chiedere a Franck di uscire l’anno prima, esasperata dalla timidezza di lui ma troppo presa per guardare altrove. E non c’era niente che la prendeva di più che estorcere informazioni a lei, la curiosità era una delle sue caratteristiche più inquietanti. Era come se riuscisse a sentire a naso le novità in arrivo e fino a che non aveva appreso anche le virgole continuava a tormentare il prossimo.

-Non ci sono particolari, sciacallo del cavolo. Matt mi aveva appena avvistata e tu non eri in giro per fornirmi una via di fuga. Stavo per cedere, cavolo. E Black mi ha trascinato via blaterando che per tutta l’estate non ha fatto altro che pensare alla mia intransigenza nei suoi confronti, dovuta probabilmente a una voglia matta di saltargli addosso a detta sua, che mi porta anche a snobbare un bel ragazzo come James. Parole sue non mie, sia chiaro. E se per saluto amichevole intendi che mi sono arpionata al suo braccio tentando di staccarglielo, allora si quello che dicevano nei bagni aveva una base di verità.-

Alice sembrava soddisfatta della risposta, almeno per il momento, e si limitò a ridacchiare immaginandosi la scena. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo che non se la sarebbe cavata con così poco.

Infatti nemmeno un secondo dopo…

-Sai Lily cosa si dice nei bagni?-

Julie era appena spuntata dal nulla e aveva posto la domanda con un sogghigno pauroso e il tono allusivo. Oltre che abbastanza alto da farsi sentire da tutti i ragazzi vicini. Entro domattina tutti ne sarebbero stati a conoscenza.

Fantastico! Quella notte non solo sarebbe stata tartassata dalle amiche e le altre compagne di stanza per colpa di quel maledetto pettegolezzo, ma avrebbe anche dovuto sigillare la porta per evitare che una banda di isteriche gelose senza cervello entrassero di soppiatto cercando di soffocarla nel sonno.

Che bell’inizio anno! Ci mancava solo che il preside Silente unisse Serpeverde e Grifondoro in un’unica grande a pacifica Casa e l’apocalisse sarebbe scoppiata.

-Ehi Lily è vero che ti sei fidanzata con Sirius?- chiese ad alta voce stupefatto un ragazzo biondo appena entrato.

Tom Gordon, Grifondoro del quarto anno cui Lily faceva da tutor nei weekend o nel tempo libero del ragazzo, poco visto che giocava a Quidditch e faceva parte del club di scacchi. Se fino al giorno prima lo considerava un simpatico ragazzino, un amico anche, adesso era appena finito sulla lista nera.

Perché i suoi pronostici erano stati terribilmente e stupidamente ottimistici.

Tutti si erano appena convinti che Lily Evans e Sirius Black stessero insieme.

 

 

 

***

 

 

-Sirius sei morto.- sibilò isterico James.

Non era raro che Sirius irritasse qualcuno. Non era raro che qualcuno lo minacciasse, di morte anche. Non era raro nemmeno che qualcuno desiderasse lanciargli maledizioni a ripetizione.

Ma di solito di trattava di Remus, un Serpeverde o sua cugina Bellatrix che, pace all’anima sua, non era morta ma almeno si era diplomata quattro anni prima, rendendo il clima a Hogwarts decisamente più respirabile.

Ma che fosse James Potter a provare istinti omicidi verso l’amico non solo era raro. Era eccezionale.

I due ragazzi vantavano infatti al loro attivo solo due scazzottate una sul treno al primo anno, l’altra al quarto e di quella nessuno ne sapeva ancora il motivo, diretti interessati a parte. Nemmeno Remus o Minus ne erano a conoscenza. Ma sospettavano, almeno quello dotato di cervello, di qualcosa di grosso. Molto.

-Dai Jam, che sarà mai? Domani tutti se ne saranno dimenticati. Vuoi rovinarti così il rientro?- chiese l’altro tranquillo, del tutto ignaro delle vibrazioni negative a lui dirette o forse troppo abituato a esse per preoccuparsene, svaccandosi scompostamente sul letto.

Erano rientrati al dormitorio da un mezz’ora piena e James aveva già sentito una quindicina di ragazzi, dal terzo anno in poi, chiedere ammirati come avesse fatto ad accalappiarsi Evans, lui un malandrino, quando James non ce l’aveva fatta in anni di tentativi infruttuosi.

Non che si fossero azzardati ad esternare l’ultima parte della frase. Sapevano che non sarebbero arrivati vivi al giorno dopo altrimenti.

Quei deficienti l’avrebbero fatto dare in escandescenza anche senza aiuto, ma se si consideravano tutti gli altri che in Sala Grande commentavano più o meno velatamente le nuova e inimmaginabile coppia allora c’era solo da aspettarsi uno scoppio coi fiocchi.

E quella maledetta di Evans mica aveva fatto niente,per Morgana!

L’aveva vista quando i suoi amici l’avevano messa al corrente del pettegolezzo.

Prima era rimasta perplessa un attimo, poi diventata rossa in viso tanto da fare concorrenza con i capelli - e li avrebbe scommesso in una maledizione collettiva per esternare il malcontento – invece si era limitata a parlare concitata con la sua amica Alice probabilmente per spiegarle. Poi niente, niente.

Aveva ripreso a mangiare la sua torta al cioccolato senza prestare troppa attenzione a ciò che le accadeva intorno, anche quando quel ragazzino del quarto, Tom, lo aveva gridato a tutta la Sala.

Che poi com’è che c’era tanta confidenza tra quei due? Doveva informarsi al riguardo.

Non che considerasse uno più piccolo un vero problema ovviamente, ma era sempre meglio essere sicuri. Ed Evans era estremamente  imprevedibile a volte. Che si ostinasse così a non uscire con lui ne era la conferma, qualunque altra ragazza non solo sarebbe stata lusingata da quel plateale interesse, ma gli sarebbe caduta ai piedi da anni ormai..

Probabilmente era per quello che Evans gli interessava davvero. Non era come tutte le altre.

-Ehi Sirius, ma allora è vero che stai con la Evans?-

Peter era decisamente stupido. Come avesse fatto ad arrivare all’ultimo anno senza copiare da Remus, che non l’avrebbe permesso per nulla al mondo, era un mistero. Ma non credeva che fosse così tanto stupido.

Come se Sirius avesse mai potuto fargli una cosa del genere.

E poi non era il tipo da innamorarsi di una come Evans. Nemmeno da andarle dietro a dirla tutta.

Fortunatamente…

-Ma sei scemo? Non sono ancora pronto per tagliarmi le pa…-

-Sirius!- esclamò indignato Remus. Certe cose proprio non le accettava, e il parlare in quel modo delle ragazze era una di quelle. Soprattutto se la ragazza era Lily, con gli anni e complici le ronde insieme erano diventati amici, lo sapevano tutti.

-Ma che vuoi? Ora nemmeno posso parlare come mi pare?-

-Non ci sarebbe niente di male a parlare, ma tu ti limiti a dare aria alla bocca.-

-Cosa?- e su quei toni continuò il loro litigio e base di frecciatine e vecchie mancanze.

James sospirò. Dopotutto Sirius davvero non aveva fatto niente, anzi si era comportato bene con Evans, tirandola fuori dai guai, solo per lui.

Sapeva quanto fosse costato all’amico ammettere la profondità dei suoi sentimenti per Lily e ancora di più per accettarlo. Sapeva che l’aveva fatto solo per lui. Non è quello che si fa per un fratello? E James sperava che presto avrebbe potuto fare altrettanto per Sirius. L’avrebbe proprio voluto vedere innamorato, nessuno come lui si sarebbe meritato la felicità e l’amore.

Avrebbe dovuto fare di nuovo un discorsetto con quell’idiota di Matt, accidenti. Ma perché non si metteva in testa che lei era off limits?

Che poi se pensava che a lui, lui, quella maledetta aveva detto di si…

Ci era uscita insieme, cavoli! E a lui, James Potter, rifilava sempre un bel picche.

Ma ce l’avrebbe fatta, quell’anno Lily Evans sarebbe uscita con lui.

Se l’era promesso l’anno prima quando aveva capito che non continuava ad andarle dietro solo per orgoglio, per una scommessa fatta a se stesso, ma perché davvero le piaceva.

Ironia della sorte si era innamorato dell’unica ragazza che non lo voleva. Ma non poteva lasciar perdere.

Era quella giusta, lo sapeva...

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE.

Sono riuscita a pubblicare per tempo come avevo sperato. Ero indecisa se  aggiungere il prossimo paragrafo o meno, ma poi il capitolo sarebbe venuto fuori troppo lungo e ho lasciato perdere.

Di fatto ancora non succede niente, ma spero che potrete iniziare a capire il carattere che ho affibbiato ai miei personaggi. Inoltre volevo sottolineare che essendo una ragazza sto cercando di fare del mio meglio nel caratterizzare James e gli altri, ma a volte sono un po’ perplessa. Quindi fatemi sapere se trovati i ragazzi troppo strani. Con le altre mie fic non ho avuto questo problema, anche perché i personaggi erano particolarmente fuori di testa, Jamie primo fra tutti.

Come ho già scritto nel prologo penso di pubblicare settimanalmente, abbiate pazienza e non abbandonatemi!!

Grazie mille a chi ha letto e inserito le mie storie tra le preferite, le seguite o da ricordare.

Un grazie speciale, invece, a chi ha utilizzato un pochetto del loro tempo per inserire una recensione.

Margot90 ciao, felice di fare la tua conoscenza! Spero di non averti deluso con questo nuovo capitolo, visto le cose carine che hai scritto. Lily e James piacciono tanto anche a me e spero di riuscire a rendere loro giustizia. Se hai voglia di farmi sapere cosa ne pensi sono contenta e non posso che sperare che tu abbia voglia di dare un’occhiata anche alle mie storie e magari commentarle anche se sono concluse.

Mousse ciao, benvenuta anche a te! Quasi sono preoccupata di quello che penserai leggendo visto che sei una grande fan di Lily e James. Fammi sapere, allora!

Nashira91 ecco qua il nuovo capitolo. Cosa mi dici? Piaciuto? Ammetto che ridacchiavo mentre lo leggevo, speriamo di sortire lo stesso effetto anche su di te. Spero di sentirti ancora.

Raffaley94 ciao tesoro! Comincerò a considerarti una lettrice fissa e non può che farmi piacere. E non sai quanto sia contenta che questa sia la tua prima James/Lily! Mi sto gonfiando come un tacchino dalla soddisfazione! Purtroppo anche io sto soccombendo sotto i colpi della scuola e siamo solo alla terza settimana, ma la 5^si sta rivelando un massacro. Spero almeno che tu te la passi meglio! Aspetto con ansia un commento eh?

Baci baci Rebecca.

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Capitolo 3
*** Crisi isteriche a go go ***


 

 

 

 

 

 

 

Era passata ormai una settimana e i ritmi di Hogwarts erano stati ripristinati così come i suoi delicati equilibri. Studenti in ritardo venivano visti correre per i corridoi con Gazza, il custode, alle calcagna. Pix aveva fatto la sua magistrale prima apparizione incantando tutte le statue del secondo piano mobilitandole come il miglior generale alla presa di Tassorosso, compiuta nel giro di un paio d’ore e con una resa incondizionata. Il Barone Sanguinario era stato costretto a interrompere i suoi giornalieri pellegrinaggi solitari per fermare la sete di potere del poltergeist dopo infinite suppliche da parte di piagnucolanti Prefetti.

In quella settimana, però, erano anche successe cose strane, lontane dall’ordine giornaliero.

Per la prima volta il sette anni, infatti, Severus Piton aveva sbagliato una pozione guadagnandosi non solo il suo primo Troll in tutta la carriera scolastica, ma anche un’ustione di terzo grado e un calderone nuovo visto che il suo era mezzo liquefatto e mezzo esploso.

Matt Clifford era stato ritrovato dopo ore di affannose ricerche, da una adesso traumatizzata ragazzina del secondo anno, legato nudo a una delle porte dello stadio di Quidditch.

Un gruppo di Serpeverde parecchio confusi avevano inoltre giurato a un incredulo Horace Lumacorno di essere stati vittima di un attacco da parte di un cervo carnivoro che no, non aveva cercato di mangiarli, ma aveva ficcato loro con gli zoccoli anteriori la testa nei water del bagno di Mirtilla Malcontenta che non era stata vista così felice da anni.

E nonostante la sfiga si fosse improvvisamente abbattuta sul castello, il pettegolezzo del giorno riguardava ancora la relazione segreta e sempre più vietata ai minori, a detta dei bene informati, tra l’irreprensibile Caposcuola Evans e il tenebroso malandrino Black.

James si era trovato così, a dispetto delle rosee previsioni dell’amico, sulla strada tra un tracollo emotivo e un travaso di bile. Per non parlare delle volte, che ormai non riusciva nemmeno più a contare, in cui gruppi di allegri Serpeverde si erano prodigati nell’esprimere la loro partecipazione al suo delicato stato emotivo sulle note di un motivetto che aveva come punto cruciale “Potter fesso”. Giusto per rendere l’idea di quanto trovassero divertente la situazione, i cari ragazzi infatti non erano mai stato tanto partecipi della vita scolastica come da quando avevano appreso che Potter non solo si era fatto fregare la ragazza, ma che a farlo fosse stato il suo migliore amico e non facevano niente né per non ricordarglielo né per dissimulare il loro gaio stato d’animo. In tutta la Casa solo Piton si aggirava per il castello lugubre come un becchino rovinando parecchio il divertimento dei compagni.

-Se ti vengono di nuovo a chiedere cosa nasconde Evans sotto i vestiti, salteranno delle teste.- borbottò tetro James.

-Vuoi dire che non assolderemo un cervo killer per liberarci di loro?- chiese Sirius, per nulla toccato dalla cosa, forse anche divertito che credessero davvero a quell’assurda storia.

-Non so di cosa tu stia parlando, Felpato.- commentò vago Potter con lo sguardo altrove.

-Sai cosa ti ci vuole, Jamie?- provò allora l’altro.

-A te servirebbe un cervello nuovo, ma purtroppo nessuno è disposto a immolarne uno alla causa.- ribatté caustico Lupin con il naso affondato in un pesante librone.

-A te invece servirebbe un po’ di sangue nelle vene. Sei talmente noioso da sembrare un vecchio.- rispose piccato l’altro, scontento dell’interruzione.

-Almeno io non sembro reduce da una lobotomia…-

-Lobochecosa? Ma non lo vedi? A furia di leggere nemmeno sai più quello che dici. Dammi qua…- e con una calma invidiabile Sirius strappò di mano il libro a Remus, venendo però intercettato dall’amico quando tentò, con una faccia di bronzo segno distintivo di famiglia, di gettarlo dalla finestra provvidenzialmente presente nel muro.

-Cretino che stai facendo? Quel libro è della biblioteca…-

-Perché abbiamo un biblioteca? Ma dai…-

Se non fosse stato così deprimente una mancanza del genere da uno che aveva partecipato alla realizzazione della Mappa del Malandrino sarebbe stata divertente. Perché era evidente che Sirius davvero non aveva idea di dove si trovasse la biblioteca, giusto per far capire quanto tenesse allo studio, infatti continuava a chiedere indicazioni su come arrivarci, con l’intenzione di darci una veloce occhiata e poi mai più metterci piede.

Sirius quella mattina era di buon umore, come ogni volta che sapeva avvicinarsi la luna piena. E Remus era altamente nevrotico per lo stesso motivo. Tanto che i toni della discussione si stavano sempre più alzando fino ad assomigliare a quelli tra due coniugi alle prese con un divorzio moolto amichevole.

-Di che cosa avrei bisogno, Sir?- li interruppe James cercando di far calmare gli animi.

-Uno scherzo! Non c’è niente di meglio per risollevare l’umore di un malandrino a terra e tu, lasciatelo dire, in questi giorni sei mortalmente noioso.-

-Sai com’è, in giro si dice che il mio migliore amico mi ha fregato la donna e ora tutti, e sottolineo tutti, sembrano improvvisamente interessati in quel senso a lei. Ti vengono addirittura a chiedere che cosa nasconde sotto la divisa, per la miseria!- sbottò Potter.

-Visto che ti avevo detto, sei noioso in questi giorni. Per cui stasera usciamo e andiamo a fare un bello scherzetto ai Serpeverde. Ho già pronto il piano…- gli rispose tranquillo.

Niente, quando Sirius entrava in modalità il mondo è bello e io ho l’anima in pace, praticamente quattro giorni su sette, era impossibile ragionarci. Solo che di solito era Remus quello che se ne risentiva.

E dannazione Sir nemmeno aveva fatto niente. Maledetti pettegoli, per colpa loro in quei giorni non era riuscito ad avvicinarsi a Evans senza incappare in cori da stadio o commenti poco velati. E occhiatacce della ragazza che almeno per una volta, però, non si riversavano su di lui, ma su tutto il resto della scuola.

Avrebbe giurato di averla vista addirittura sorridere nella sua direzione dopo l’ennesimo infruttuoso tentativo, se il suo morale fosse stato attendibile.

-Intendi dire che tormentare Piton, legare Matt alla porta da Quidditch e infilare la testa dei Serpeverde nel water non gli è bastato?- chiese uno scettico Remus.

-Non so di cosa stai parlando, Rem.-

-Non è certo la stessa cosa fare uno scherzo da solo, dettato dall’irritazione del momento poi, e farlo tutti insieme dopo un’attenta pianificazione. Quindi per stasera è deciso, dobbiamo solo trovare la parola d’ordine di quelle Serpi e il mio piano è completo.- dichiarò un entusiasta Felpato senza minimamente considerare di aver parlato sopra al diretto interessato.

Entrarono rumorosamente nell’aula di Trasfigurazione dove metà classe si era già radunata.

La professoressa McGrannitt ancora non era arrivata quindi tutti girottolavano per la classe dividendosi in ridanciani gruppetti o affannandosi a completare il saggio sulla tramutazione del loro famiglio in una morbida poltrona da camera.

Incantesimo utilissimo, come sottolineava da tre giorni a quella parte Sirius. Peter più semplicemente si era limitato a far diventare il suo gufo prima un coniglio e poi una salamandra senza sapere come, aveva dovuto portare il povero animale dalla McGrannitt per farlo ritornare alle origini, ma ancora ogni tanto pretendeva carote anziché i suoi amati biscotti.

-Buongiorno ragazzi.- una voce severa interruppe l’allegro chiacchiericcio costringendo gli studenti a una veloce ritirata ai loro banchi.

James si stava velocemente dirigendo verso il suo solito banco, in fondo nell’angolo più buio della stanza quando venne tirato per una manica, cadendo seduto a una banco della fila centrale.

Fece un calcolo mentale. Terza fila centrale.

Se non sbagliava in quel posto si sedeva sempre…

-Se inizi a blaterare di stupidaggini ti uccido. Ma rimani qua.- sibilò veloce una ragazza.

…bingo! Evans!

Per anni aveva cercato di sedersi accanto a lei senza mai successo. Di solito si alzava o lo spingeva via. Invece quel giorno l’aveva addirittura costretto a farlo. Che stesse subendo finalmente il suo innegabile fascino?

-Evans se mi volevi vicino non aveva che da chiedere, lo sai.-

Era bella quella mattina, l’aveva notato già a colazione.

Beh in realtà era sempre bella e per lui lo era sempre stata. Anche quando portava le trecce e quel cappellino a forma di orso in testa. Approposito…

-Che fine ha fatto il tuo cappello?-

-Di che vai blaterando. Non portavo nessun cappello stamattina.- giusto un’occhiata veloce prima di tornare a prestare attenzione alla professoressa che stava ritirando i loro saggi.

-Quello verde con l’orso, al primo anno non te ne separavi mai.- le spierò lui.

Lily lo guardò stupita, non poté farne a meno anche se si era ripromessa di non considerarlo più di tanto quella mattina, quando aveva deciso di parlargli.

Si ricordava davvero di quell’assurdo cappello? Erano anni che non lo metteva, sei, da quando Severus le aveva detto che sembrava un po’ stupida a portarlo.

-Dai sono sicuro che te lo ricordi, lo avevi anche il primo giorno di scuola. Mi piaceva un sacco, sai? Ho costretto mamma a cercarne uno anche per me, ma nella Londra magica non lo trovò.-

-Lo comprai a Roma con i miei l’estate, poco prima che mi arrivasse la lettera. Deve essere in qualche scatolone a casa, ma non sono sicura.- finalmente si decise a rispondergli.

James le sorrise ascoltandola attentamente. Lo faceva sempre, ogni volta che la vedeva e non poteva dire di non rimanerne stupita ogni volta. Non si comportava abbastanza bene con lui per meritarselo, eppure il ragazzo sembrava non curarsene.

-Non mi hai fermato per stare in mia compagnia, lo so. Cosa vuoi Evans?- le chiese dopo un po’, dopo aver consegnato il suo saggio alla McGrannitt.

Sembrava dispiaciuto di questo eppure non c’era incertezza nella voce.

Lily lanciò un’occhiata distratta al rotolo che la professoressa ancora stringeva nella mano destra troppo intenta a chiedere le ragioni per una mancata consegna a un Tassorosso lì vicino, prima di rispondergli.

-E’ per quella storia con Black. Ho cercato di parlarne con lui, ma ogni volta che mi avvicino a meno di un metro tutti iniziato a bisbigliare e studiare ogni nostra mossa. Tu sei più facile da avvicinare.-

Il tono era sconfortato, lo sapeva, ma non poteva farci niente.

Erano stati giorni terribili, sempre sotto i riflettori, osservata costantemente e ogni sua mossa sezionata in ogni sfumatura possibile.

Si era ritrovata così tante volte circondata da ragazzine del primo o del secondo, curiose di quella storia tanto chiacchierata con uno dei più bei ragazzi della scuola, che nemmeno in bagno si sentiva più tranquilla.

Accertatasi che nessuno stesse prestando loro attenzione, tornò a fissare Potter.

Era raro che si trovassero così vicini. Erano passati anni dall’ultima volta che si erano seduti vicini, così tranquilli. Non riusciva a impedirselo, ma di solito gli urlava contro a ogni occasione, il ragazzo sembrava tirare fuori il peggio di lei.

Ma quella mattina per la prima volta lo osservò attentamente.

In quel momento non era il borioso figlio di papà che si muoveva tronfio per i corridoi, nemmeno il fantastico giocatore di Quidditch che tutti osannavano dopo ogni partita, nemmeno il malandrino irritante e capace di creare disastri solo respirando, solo James.

E,almeno con se stessa, lo ammise era un bel ragazzo. Non era strano che tante ragazze gli facessero il filo. Quello strano era che lui continuasse e provarci con lei, nonostante gli innumerevoli e immancabili rifiuti che gli rifilava. Probabilmente si trattava di orgoglio, era l’unica a non essergli caduta ai piedi. E forse si sentiva un po’ in colpa, per quello non la ignorava come lei avrebbe tanto voluto.

-Sirius la trova divertente. Ma non mette in giro strane voci se è quello che pensi. Si limita a riderci sopra.-

Ed era esattamente quello che aveva pensato. O meglio non che raccontasse chissà che balla su di loro insieme, il solo pensiero la faceva stare male, ma che confermasse, per poter vedere le reazioni incredule degli altri, quello si.

Era tipico di Black parlare senza ragionare prima.

E da quella storia lui non ne usciva minimamente toccato. Era lei quella che adesso doveva guardarsi da ragazzi interessati a lei sbucati da chissà dove. Da ragazzine gelose.

Perfino il professor Lumacorno era arrivato a dirle durante uno delle riunioni del LumaClub che la sua media scolastica era più importante di quel ragazzo.

Tutti la stavano prendendo per scema, in pratica. E quella era una cosa che non aveva mai potuto sopportare, era il motivo per cui anni prima aveva rinunciato al suo adorato cappello-orso, dopo che Severus gli aveva detto che sembrava una stupida bambina con quello addosso.

Ma non era di quello che voleva parlare con Potter.

-Vuoi che gli parli? Che gli dica di smentire tutto, insomma?- provò lui confuso di fronte al silenzio prolungato della ragazza.

-No, vorrei essere io a farlo. Potresti dirgli che stasera ci vediamo al quarto piano, nella Sala Studio in disuso. Magari potresti portarti dietro anche Remus se è d’accordo.- gli sussurrò talmente piano che faticò a sentirla.

-Portarmi?- il tono incredulo in altre circostanze l’avrebbe fatta sorridere, ma quei giorni erano stati troppo stressanti per farlo.

-Certo cosa credi? Devi venire anche tu. Se sparite insieme non ci saranno problemi, penseranno che andate in giro a combinare casini. Ma se Black sparisce da solo e io non sono in giro le voci non faranno che aumentare.- spiegò spazientita.

Gli rivolse un ultimo sguardo prima di tornare a prestare attenzione alla McGrannitt che ignorandoli totalmente aveva preso a spiegare. Lily la vide distintamente rilassare le spalle quando il suo chiacchiericcio con Potter scemò.

Per una volta, a quanto sembrava, aveva voluto non infierire troppo. Dopotutto era la prima volta che si distraeva a una delle sue lezioni e la donna doveva essere sicuramente a conoscenza delle voci di corridoio da voler fare un’eccezione alla regola.

Sarebbe stato troppo sperare che quel grandissimo pettegolo di Lumacorno non andasse a spifferare quel succulento quanto improbabile pettegolezzo a tutto il corpo docente.

-Se lo faccio cosa mi dai in cambio?- le sussurrò a un orecchio Potter.

Cavoli! Per un attimo si era quasi dimenticata a chi appartenesse il corpo al suo fianco tanto era stato silenzioso e accomodante. Rilassante perfino, doveva proprio essere ammattita per arrivare a pensare che la presenza di Potter fosse rilassante.

-Come scusa?- sibilò adesso arrabbiata.

Mai che si smentisse quel deficiente. Per una volta, una sola, non poteva comportarsi da adulto e lasciar correre? No, doveva sempre rimarcare e fare battute idiote fuori luogo.

-Mi hai praticamente dato della copertura, nemmeno così indispensabile e speciale visto che posso portarmi dietro anche Remus se non ha da fare – continuò facendole il verso prima di far riapparire in viso il suo solito irritante ghigno – e inoltre potrei anche avere da fare stasera, no? Quindi cosa mi dai in cambio?-

-Scherzi spero.- stava per esplodere, era chiaro.

-Mai stato più serio.-

Maledetto, poco prima si era anche sentita bendisposta nei suoi confronti, tanto da ammettere quanto fosse diventato bello per la barba di Merlino!, e lui si comportava così…così…

…così come sempre. Commentò alla fine la sua vocetta interiore.

Potter si stava comportando nuovamente da Potter. Tronfio, arrogante e irritante. Per una settimana era riuscito a sembrare una persona decente, si era quasi dispiaciuta del suo modo di trattarlo, ma a quanto pare aveva raggiunto il punto di saturazione.

Ed era tornato se stesso.

Purtroppo anche lei stava raggiungendo il suo di punto di saturazione, quanto ancora sarebbe riuscita a stargli accanto, sentire il calore del suo corpo sul braccio destro, sentirlo perfino respirare, senza lasciar vincere l’istinto di lanciargli una fattura o tappargli quella boccaccia? Magari pestarlo, anche.

A salvarla da una sicura punizione venne la campanella che la lasciò libera di sprofondare il viso tra le braccia incrociate sul banco e respirare rumorosamente, cercando di calmarsi.

-Evans…- le scosse lievemente una spalle.

-Sparati Potter!- ringhiò riuscendo contemporaneamente a divincolarsi e raccogliere i libri sparsi sul banco per poi alzarsi velocemente.

Aveva quasi raggiunto la porta indisturbata, visto che gli altri studenti avevano lasciato la classe quasi correndo, quando lo sentì parlare ancora –Ti chiedo solo dieci minuti, Evans. Dieci minuti del tuo tempo e niente altro.-

Era serio, anche in faccia, e quello non succedeva spesso.

Dieci minuti. Dieci minuti con lui.

Non era poi molto si ritrovò a considerare. E considerando che era con Potter che stava parlando poteva decisamente andarle peggio.

-Dieci minuti, non uno di più. Ci vediamo stasera alle dieci al…- acconsentì alla fine.

-…quarto piano nella Sala Studio in disuso. Ho capito, Evans.-

Lily finalmente varcò la porta con una strana sensazione addosso. Forse era per Potter, con i suoi comportamenti così difficilmente inquadrabili. Non riusciva a capirlo, dannazione. E di solito era brava a leggere le persone.

Prima si comportava come un idiota poi le parlava come se da quello dipendesse la vita. Ma che Potter fosse pazzo lo pensava da anni. Quindi si limitò ad allontanare quel pensiero molesto dirigendosi a lezione di Antiche Rune dove Alice la stava aspettando.

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

-Mi spieghi perché dobbiamo andare?- brontolò un irritato Sirius camminando tranquillamente per i corridoi bui al fianco di James e Remus. Peter era rimasto al calduccio nel suo letto dal momento che il loro scherzo ai danni delle serpi era stato rimandato.

-Ancora? Evans mi ha chiesto…- gli rispose un esaltato James. Era in quello stato di grazia da tutto il pomeriggio sebbene Sirius non ne comprendesse il motivo. Dopotutto la Evans non gli aveva dato un appuntamento romantico. In un certo senso non gli aveva nemmeno dato un appuntamento e basta, visto che era con lui che voleva parlare.

Ma sull’argomento Lily Evans aveva rinunciato a capire l’amico.

Era una bella ragazza, lo ammetteva tranquillamente anche se non a voce alta vista la fine che avrebbe fatto la sua testa altrimenti. Era anche brava a scuola. E se voleva risultava perfino simpatica, lo aveva capito all’inizio anno durante quell’assurda chiacchierata che aveva scatenato tutto e anche dai numerosi amici che le giravano sempre intorno, non l’avrebbero fatto se fosse stata una stronza spocchiosa. Infatti Malfoy e Bella avevano scagnozzi, non amici. La rossa era sarcastica e caustica, facilmente irritabile ma sincera. E Sirius apprezzava la sincerità come poco altro.

Ma lì tutto si fermava. La scuola era piena di ragazze del genere per quello che lo riguardava. Magari non erano altrettanto belle o dai capelli rossi, ma andavano più che bene. Anzi. Non avevano quello smodato senso della giustizia, non cercavano di riportarli all’ordine e non avevano la facoltà di togliere loro punti o metterli in punizione.

Insomma a Hogwarts c’era decisamente di meglio della Evans. Ma Jamie non aveva occhi che per lei da sempre, non si sarebbe sorpreso più di tanto se si fosse votato all’astinenza fino a che non l’avesse conquistata. E già adesso non usciva spesso con le altre ragazze, se succedeva poi non andava mai oltre le due settimane. Anche meno se riusciva a liberarsene senza lasciarle in lacrime o farsi urlare dietro.

-Dai sinceramente non sarebbe stato meglio andare nei sotterranei?-

Quello scherzo gli era costato giorni di pianificazioni. Aveva anche fatto gli occhi dolci a una Serpeverde del quarto per avere la parola d’ordine quel pomeriggio e tutto per niente.

Sperava almeno che la Evans avesse qualcosa di interessante da dirgli oltre le solite lamentele da ragazzine perché altrimenti se la sarebbe legata al dito.

-Sirius è giusto risolvere questa situazione. Lily deve essere stanca di sentirsi chiedere costantemente come vi siate messi insieme e compagnia bella.- gli rispose Remus. Dal tono si capiva perfettamente quanto fosse d’accordo con la ragazza.

-Rem guarda che le altre pagherebbero per essere al posto della Evans.-

-E tu guarda che è della mia futura ragazza fissa che stai parlando.- si intromise James.

Aveva in mano la Mappa del Malandrino anche se il coprifuoco sarebbe scattato solo un’ora dopo, ma le vecchie abitudini erano dure a morire e così controllava attentamente chi si aggirava per quel piano.

-Ehi ragazzi stiamo per incrociare Mrs Purr.- commentò dopo un po’.

Sirius odiava quel gattaccio da sempre, ma da quando era finalmente riuscito a diventare Animagus il vecchio rancore era stato inasprito dallo spirito del suo animale immagine.

Così come ogni volta si guardò distratto intorno e al cenno affermativo di James, che gli assicurò come di routine di essere soli, si trasformò nel caro Felpato e partì alla rincorsa della povera gatta bistrattata.

-Perché dobbiamo assistere a queste scene ogni santa volta?- chiese depresso Remus.

-Lascialo sfogare, dai. Poi quel gatto è veramente un piaga, prima o poi qualcuno con meno coscienza di noi le farà fare una brutta fine e stai certo che non ne piangerò.- rispose divertito James.

Ripresero la loro marcia chiacchierando tranquilli e una volta davanti alla porta della Sala Studio trovarono un grosso cane nero ad attenderli. Dalla coda che vibrava festante in aria capirono che ancora una volta era riuscito a prendere Mrs Purr di sorpresa.

Aspettò ancora un segno di James per tornare normale, dopotutto certi segreti è meglio portarseli nella tomba, e finalmente decisero di entrare nella stanza che trovarono illuminata e già occupata.

Lily era infatti arrivata un decina di minuti prima e si era seduta su un banco con in mano una lettera.

Era talmente assorta nella lettura che li notò solo una volta che chiusero la porta.

I suoi capelli brillavano alla luce delle torce. E la pelle sembrava ambra.

Il coro di ciao Evans e ciao Lily di James e Remus venne interrotto dalla voce seria di Sirius che proruppe in un -Ciao amore mio!- tanto entusiasta quanto falso che la fece sorridere.

-Siete puntuali, non l’avrei mai detto. Senza offesa, Remus.- commentò tranquilla mentre riponeva con cura la lettera nella tasca del maglione.

-Così mi ferisci, dolcezza.-

La teatralità di Sirius a volte era impareggiabile, ma sentirgli dire quelle parole, seppure ironiche, rivolte alla sua Lily lo irritava a morte. E il maledetto lo sapeva visto quanto calcava sulle parole e il braccio che le stringeva le spalle.

Il sospiro di Remus al vedere quel comportamento infantile fu immediatamente seguito dal ringhio di James e dalla dolce risposta della ragazza.

-Schiantati, Black. E mollami.-

Quella era una delle cose che rendevano Lily così speciale ai suoi occhi. Non sarebbe mai caduta ai piedi di Sirius, e vista l’avvenenza del suo migliore amico, avvenenza che lui non avrebbe mai potuto eguagliare, quello non era che un bene.

Dopotutto se l’affetto che legava i ragazzi aveva reso la ragazza off limits, come dovrebbe essere tra amici, niente avrebbe però impedito alla bella rossa di provare qualcosa per Sirius.

Ma vedere quanto quella storia la irritasse, che non ne avesse approfittato come invece avrebbero fatto altre, aveva fatto sospirare di sollievo James. Almeno qualcosa di buono quello schifo di situazione l’aveva portato.

-Allora di cosa volevi parlarmi, Evans?- chiese Sirius guardandosi intorno curioso. Si vedeva lontano un miglio che non aveva mai frequentato quel genere di aula. –Ma davvero c’è gente che viene qua a studiare?- continuò poi senza lasciarle il tempo per rispondere.

-Come scusa?-

Il cipiglio di Evans era qualcosa di unico. Le sopracciglia si confondevano nella frangetta lunga che le arrivava di poco sopra gli occhi. Aveva i capelli più corti rispetto all’anno prima, quando arrivavano a metà schiena, l’aveva notato una mattina mentre la fissava insistentemente dall’ultima fila. E la frangia quasi le nascondeva lo sguardo, infatti aveva preso a sostare i capelli con uno sbuffo infastidito.

Era bella anche quando faceva quella smorfia. E la stava fissando incantato, realizzò grazie a una leggera gomitata di Remus.

-Hai qualche idea, Lily?- chiese Lupin tentando di distogliere l’attenzione della ragazza di Sirius e dal suo incessante curiosare.

James non ci trovava niente di strano in questo. Era nella loro natura di malandrini provare curiosità verso ogni ambiente nuovo, ma evidentemente gli altri due mal digerivano la cosa. O forse semplicemente non sopportavano, e per Remus non aveva dubbi, che Sir fosse arrivato all’ultimo anno, con voti più che soddisfacenti tra l’altro, senza essere mai entrato in una sala studio o in Biblioteca.

-Pensavo che potremmo farci vedere insieme un paio di volte a studiare. Non è un segreto che in caso di bisogno faccio da tutor e smetterebbero di sparlare di noi.- spiegò alla fine lei.

Semplice e pratico. No a Sirius quella soluzione non sarebbe andata bene.

-Cosa? Non ci penso neanche, sai che figura ci faccio? Se questa è la tua unica idea allora non se ne fa niente e buonanotte. Alla fine questa situazione è anche divertente…- il lamento del ragazzo non giunse affatto inaspettato alle orecchie degli amici.

-Almeno io propongo qualcosa, Black.- rispose caustica Evans.

-Dai Evans, non è fattibile. Non ci crederebbero comunque e sai perché? Perché solo gli sfigati o gli incompetenti iniziano già a studiare ora, dopo nemmeno un mese di scuola. E io non rientro in nessuna delle due categorie.-

-Prego?-

Era raro vederla così gentile con loro anche se gli istinti omicidi che l’animavano brillavano nei suoi occhi come un faro nel buio. Forse aveva sperato che la via della civiltà risultasse più utile al suo scopo. Ma Sirius non collaborava. Si era infatti piantato con le mani sui fianchi a pochi metri da lei e ricambiava in pieno lo sguardo in cagnesco che stava ricevendo.

-Io non sono un incompetente, Evans. E ovviamente nemmeno uno sfigato. Quindi non studio, e non lo farò fino…al più tardi possibile. Trova un’alternativa.-

-Senti razza di deficiente…-

-Perché te la prendi tanto, tutte le ragazze vorrebbero essere al tuo posto.- le parlò sopra.

James indirizzò all’amico uno sguardo di ammonimento e uno preoccupato a Lily. Se in quegli anni l’aveva inquadrata almeno un po’, allora stava per lanciargli una fattura più che massiccia o avrebbe iniziato a urlargli contro.

-Trovi divertente questa situazione, vero Black? Beh a me fa schifo. Da quando sono diventata la tua ragazza la mia carica di Caposcuola è messa in dubbio, perché ovviamente non posso punire qualcuno quando sto con uno come te. Le ragazze mi danno il tormento, sai che Alice sigilla la porta della nostra camera dall’interno per timore che vogliano soffocarmi nel sonno, visto che ti ho tolto dal mercato? Ah, e come se non bastasse i professori mi guardano come una bomba pronta a esplodere…-

-Ora non esagerare.- borbottò Sirius, venendo bellamente ignorato.

-…non esagero affatto, razza di tronfio pavone arrogante. Il professor Lumacorno si è sentito in dovere di ricordarmi quanto lo studio sia importante e che non devo mandare tutto al diavolo per un ragazzo. Lo trovi ancora divertente?- terminò con la voce quasi isterica.

Stava per piangere. Evans stava per piangere e non sapeva cosa accidenti fare.

-Noi andiamo, Lily. Ci vediamo domattina, vuoi?- le si avvicinò gentile Remus dopo aver fatto cenno a Sirius di rimanere in silenzio.

Vedendo annuire la ragazza si avvicinò alla porta trascinandosi dietro il moro, evidentemente dispiaciuto visto lo sguardo contrito che per un attimo aveva rivolto alla ragazza. Ma era troppo orgoglioso per chiedere scusa o mormorare qualche parola di conforto. James era però certo che quella notte non avrebbe chiuso occhio per trovare una soluzione e aiutarla.

Stava per seguire gli amici fuori quando intravide un movimento della ragazza che fece apparire una morbida poltrona su cui si buttò a peso morto sospirando.

Bastò un’occhiata con Lupin perché capisse di non aspettarlo. Bastò un’occhiata di Lupin per capire di non tirare troppo la corda con lei e andarci piano.

Era felice che quei due fossero diventati amici anche se ogni tanto si sentiva geloso della cosa. Dopotutto a Remus aveva dato una possibilità. Di spiegarsi, di farle capire, di rimanerle amico. Che a lui aveva precluso, ma non voleva recriminare, non quella sera.

Guardò ancora un attimo Lily prima di avvicinarsi cautamente. Sembrava stanca, ma almeno aveva ricacciato indietro le lacrime. Il suo primo istinto era stato quello di avvicinarsi e stringerla, ma sapeva che non sarebbe stato accettato. Non solo perché raramente mostrava debolezze di fronte agli altri, ma anche perché si trattava di lui.

Con gli anni Remus era riuscito a fargli capire di avere sbagliato con lei. Forse non dall’inizio, ma lo aveva fatto. C’era voluto parecchio tempo, di fatto due anni di dispetti a scherzi imbecilli nei suoi confronti per capirlo, ma alla fine ci era arrivato. E aveva smesso. Non le aveva più tirato i capelli o fatto gavettoni in pieno inverno, non aveva più deriso Mocciosus ogni volta che lei era vicina. Aveva però iniziato a chiederle di uscire di fronte a tutta la scuola.

Pian piano era anche riuscito a correggere il tiro.

Aveva smesso di giocare con il boccino rubato anni prima, ma aveva iniziato a tormentarla con battutine perché non poteva sopportare che lei lo ignorasse. Aveva continuato a chiederle di uscire, moderando i toni e i luoghi.

Remus diceva che era cresciuto, Sirius che si era totalmente rimbecillito. Peter non diceva, ma quello era normale. Era difficile che si esprimesse sulla vita degli amici che assumevano per lui le fattezze degli eroi. Quella cosa lo irritava, nonostante fosse stato lo sguardo adorante di un bambino grassottello, sempre solo e silenzioso, a convincerli ad ammetterlo nel loro gruppo tanti anni prima.

-Dormi, Evans?- le chiese cauto.

-Credevo te ne fossi andato con gli altri.- gli rispose lei, sedendosi un po’ più diritta e composta.

Lo fissava intensamente, cose per capire cosa avesse in testa. Quello si che era un passo avanti! Fino all’anno prima gli ripeteva sempre che la sua testa era irrimediabilmente vuota…

Per tutta risposta James si limitò a scollare le spalle e ad avvicinarsi ancora un po’. Ormai c’era meno di un metro tra loro due.

Non era più rilassata come poco prima, ma pronta a scattare, notò Potter aggrottando le sopracciglia perplesso. Ma non sembrava intenzionata a fare la prima mossa né a litigare con lui. Forse era davvero stanca come sembrava. O forse era stanca dei loro continui litigi. Anche lui lo era, avrebbe tanto voluto potersi avvicinare come ogni persona normale e parlarle. Farla sorridere. Ma lei non glielo permetteva e lui continuava a irritarla per attirare la sua attenzione.

-Ti va una cioccolata calda? Mamma me la prepara sempre quando mi sento un po’ giu.- propose poco convinto.

-E’ contro le regole scendere nelle cucine, Potter.-

Bene, non era arrabbiata e nemmeno combattiva. Avrebbe accettato.

-Remus ci fa sempre aggiungere quei cosi bianchi babbani, gli Elfi ne tengono una scorta apposta.- la blandì.

-I marshmallow, intendi?-

Lui annuì convinto e per tutta risposta lei si alzò con un piccolo sorriso sulle labbra.

-Se ci beccano, Potter, scordati la finale di Quidditch perché troverò il modo di fartela saltare.- lo minacciò mentre raccoglieva le sue cose e faceva evanescere la poltrona.

-Stai parlando con me, Evans. Non ci beccheranno.-

E trascinandosela dietro tenendola per un polso si avviarono verso le cucine per quella che James sapeva sarebbe stata la miglior cioccolata di sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE.

Ciao a tutti. Anche questa settimana sono riuscita ad aggiornare il giorno prefissato, rubando in realtà del tempo al campo elettrico, ma proprio non avevo ancora voglia di mettermi a studiare. Accidenti al liceo scientifico, mi sta ammazzando.

Cosa mi dite di questo capitolo?

Io invece mi ero ripromessa di dirvi due paroline in proposito e infatti lo sto per fare.

Innanzitutto l'accenno alla canzone dedicata dai cari Serpentelli a James, "Potter Fesso" è un omaggio a Colorado che mi ha fatto ridere per mesi con la sua performance. E anche se non c'entra niente ho voluto dotare anche questa generazione verde-argento del talento musicale di Malfoy.

Altra perla, a mio dire magari a voi ha fatto schifo o lasciato indifferenti, è l'irritazione di James che l'ha reso talmente vendicativo da risultare un Cervo Carnivoro per i poveri sventurati. A quel punto del capitolo ho capito che il mio cervello stava andando in pappa, ma invece di rimandare la stesura ho continuato.

Pix merita un accenno perchè raccontarlo a capo di un esercito di statue alla presa di Tassorosso me l'ha fatto adorare ancora di più.

La frase di James su cosa nasconda Lily sotto i vestiti è presa di una di One Tree Hill dove Owen dice a Brooke "Cosa nascondi sotto i vestiti Brooke Davis?". Non ho resistito alla tentazione, adoro troppo quel telefilm. Se vi capita dategli un'occhiata su Streaming perchè merita veramente.

La domanda di Sirius che non ha idea di cosa sia un lobotomia, in risposta alla frecciatina di Remus, invece, con mio grande stupore mi è stata realmente fatta e avrei solo voluto battere la testa contro un muro dallo sgomento.

Ok ora smetto con gli sproloqui e passo ai ringraziamenti.

Grazie a chi ha letto.

Grazie a chi ha inserito la mia storia tra i preferiti, le seguite e le da ricordare. Grazie un mondo anche a chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (i miei occhi sbrilluccicano ancora a pensarci, siete dei tesori).

Grazie a chi ha speso un pò del suo tempo anche per lasciare un commento.

Margot90 ciao tesoro! Ho visto che sei andata a leggere le altre storie, sei stata veramente carina (hai anche recensito, ti adoro!!). Sono contenta che ti siano piaciute, mi spiece per gli occhi, so che Castelli di Carta è venuta scritta in piccolo, ma ancora non sono riuscita a trovare il tempo per sistemarla. Fammi sapere cosa pensi di questo capitolo se hai voglia, sei sempre così carina!

Mousse ciao allora ti piace il mio James? Dio anche a me!! Ok sto veramente degenerando, passiamo oltre. Come vedi in questo capitolo sono un pò spiegati meglio i vari caratteri, ho aggiunto anche Sirius all'ultimo cambiando un pò il capitolo originale, ma mi ci stava bene (italiano orribile, lo so, ma si dice così dalle mie parti e rendeva bene). Qua iniziano a muoversi un pochetto le cose, molto molto poco, ma sto ingranando. Spero di sapere cosa ne pensi, grazie ancora per il bel commento.

Nashira91 come hai visto l'intolleranza di James sta raggiungendo nuovi picchi (mi spiace dirlo ma i dispetti che ha fatto sono fantastici, in barba al porgere sempre l'altra guacia), ma l'amicizia di James e Sirius è salda. Lily è ancora un pò sulle sue, ma hai visto che si sta sciogliendo, anche se prevedo delle belle litigate!! Sperando che ti sia piaciuto ci sentiamo!!

Raffaley94 hai aspettato davvero con ansia, tesoro? Pensa che io aspetto sempre i tuoi commenti nello stesso stato! Beh a ogni modo spero di non aver deluso le aspettative. Che mi dici, capitolino di transizione ancora, il prossimo invece si entra nel vivo. E visto che non ho nessuna intenzione di abbandonare voi tesori che mi seguite nemmeno questa storia mi sono ritrovata a rivedere e correggere il capitolo di sabato pomeriggio, con un sottofondo di pioggia scrosciante e Foscolo sotto gli occhi. Che non c'ho capito niente in quelle due ore mi pare ovvio, visto dove avevo la testa. Fammi sapere cosa ne pensi, eh?

Effy_ forse non leggi nemmeno questa storia, ma mi faceva piacere risponderti. Suicida coraggio...Serpeverde? è stato il primo esperimento di long fic anche se ha solo due capitoli e mi fa piacere ti sia piaciuto. Ancora di più che tu abbia apprezzato Draco, personalmente lo adoro e quasi mi sono strappata i capelli visto come l'hanno ridotto nel famoso prologo 19anni dopo, per il film. Orribile, è dire poco. Sembra un ottantenne anzichè uno di quarant'anni. Comunque sei stata veramente carina, spero di leggere altre tue recensioni.

 

 

 

Alla prossima, ora vi lasci in pace (finalmente direte voi), anche perchè non ho più scuse. Devo studiare, accidenti!

Baci baci, Rebecca.

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Capitolo 4
*** Stranezze e paura ***


 
 
 


 
 
Lily aveva raggiunto le sue amiche a Hogsmade subito dopo pranzo trovandole, come di consueto, comodamente sedute sui gradini di pietra del tempietto poco fuori il villaggio dove si recavano sempre verso quell’ora per poter chiacchierare in tutta tranquillità.
A metà tra lo stile gotico, con la sua ricchezza di particolari e alcune antiche vetrate colorate che costituivano il tetto che ancora resistevano, e quello classico delle colonnine che reggevano l’intera struttura, si trovava in aperta campagna e dimenticato da tutti.
La leggenda voleva, come aveva gentilmente spiegato loro il professor Vitius, nuovo insegnante di Incantesimi, che fosse stato eretto da un giovane del luogo per la sua innamorata e fosse stato la cornice del loro amore visto che lì aveva avuto luogo il loro matrimonio.
Anni prima, aveva commentato Vitius, quando lui era a sua volta uno studente quel piccolo tempio era molto frequentato da giovani coppie innamorate che vi si recavano con la manifesta speranza di una vita da sogno come quella che i due innamorati della leggenda avevano vissuto.
In quegli anni doveva essere stato un luogo molto romantico, con le rose rampicanti ad abbracciare le colonne esterne, la luce colorata filtrata dalla vetrata e coppiette ovunque.
Ma non era così che Lily e le sue amiche l’avevano trovato. Sempre il professore di Incantesimi, infatti, aveva spiegato loro che le vetrate mezzo distrutte e la parte più esterna miseramente crollata non era dovuta al passare del tempo, quando a un temporale particolarmente violento avvenuto non più di una decina di anni prima. Da allora nessuno si era più avvicinato al tempio con la speranza dell’amore eterno e nemmeno con l’intenzione di riportarlo all’antico splendore.
La rossa si guardò intorno malinconica, ripensando alle parole dell’uomo. Quel romanticismo da favola aveva lascito il posto a una malinconica decadenza che aveva scoraggiato gli abituali frequentatori dal tornare, ma non loro.
Anche così era bello.
Lily si sedette accanto a Virginia, che quel giorno si era unita a loro essendo finalmente riuscita a mettersi in pari con i compiti, e nascondendo  dietro la schiena il delizioso bottino che recava con sé. More selvatiche appena raccolte. Alice ne andava matta, lo sapeva, infatti le aveva raccolte per strada proprio pensando a lei dopo che aveva incontrato Franck da solo.
-Emmaline?- chiese curiosa.
La ragazza, una biondina tutto pepe di Corvonero, non mancava mai alle loro giornate per sole ragazze al tempietto.
-Con Loren. Sta cercando di impedirle di preparare dell’Amorentia per Robert. Sai che sono anni che ha una cotta per lui, no?- le rispose Virginia ridendo.
-Ma è contro le regole.- esclamò compita Lily, perfettamente calata nel suo ruolo di Caposcuola.
-Esatto. Emmaline se ne sta occupando, è lei la Caposcuola di Corvonero dopotutto, no? Che hai lì?- la distrasse abilmente Julie.
-Oh Lily! Che pensiero carino!- esclamò Alice estasiata quando mise gli occhi sul dolce regalo dell’amica.
-A proposito di te e di cose carine, rossa. Ho visto che sei finita in coppia con Potter.- Julie le si avvicinò maliziosa passandole un braccio intorno alle spalle per impedirle di scappare.
Per tutta risposta lei, sentì le guance andarle in fiamme. Di rabbia, ovviamente.
-Già, non stai facendo fuoco e fiamme, però. Accidenti Lily, adesso devo pagare dieci galeoni ad Alice.- esclamò mezza sorpresa e mezza indignata Virginia allungando nel contempo la somma pattuita all’altra ragazza.
-Che cosa? Scommettete su di me?- si indignò lei.
Ma tu guarda che razza di amiche.
-Sbagliato scommettiamo su te e Potter. Sono anni che questa storia va avanti, ci sono alcuni ragazzi del settimo di Corvonero che tengono le puntate più forti da una vita, ormai.-
-Ma…ma…- non riusciva nemmeno a esprimere bene la sua incredulità. E dire che il suo eloquio non era mai venuto meno.
Scommesse sulla sua vita privata, adesso le aveva sentite proprio tutte. Roba da pazzi.
Con un paio di respiri profondi riuscì a riprendersi abbastanza da iniziare a insultare le ragazze, come avrebbe voluta fare dall’inizio.
-Dai Lily non prendertela, era solo per gioco…- provò a blandirla Alice senza risultato.
A salvarle da una sicura sfuriata, perché è sempre giusto prendersela con i primi colpevoli su cui riesci a mettere le mani pensando solo poi a tutti gli altri, fu un sonoro POP da smaterializzazione che le fece zittire.
Lily guardò stupida le altre tre ragazze. Perché qualcuno avrebbe dovuto smaterializzarsi lì? I maghi erano notoriamente pigri per qualunque tipo di sport non contemplasse un manico di scopa e tre tipi di palle diverse, e camminare per venti minuti per arrivare al villaggio non entrava nella categoria degli sport potenzialmente mortali, ma comunque da praticare assolutamente.
Inoltre si trovavano nel mezzo del nulla, non c’erano case o altri edifici nelle immediate vicinanze e, in tanti anni che si recavano lì, le ragazze non avevano mai incrociata anima viva.
-Chi è? Riuscite a vederlo?- sussurrò pianissimo Alice.
Lily e Virginia si trovarono a scuotere contemporaneamente il capo. Dalla loro posizione non riuscivano a vedere quasi niente visto che una colonna ostruiva loro la visuale.
-Ha un mantello nero e il cappuccio tirato. Non si vede il viso.- rispose Julie con lo stesso tono preoccupato di Alice.
Tecnicamente, si ritrovò a pensare Lily, non c’era ragione di preoccuparsi, non realmente almeno.
Al corso di Smaterializzazione che avevano seguito l’anno prima per poter sostenere poi l’esame, la ragazza aveva capito quanto poco bastasse distrarsi per arrivare nel posto sbagliato o in un punto diverso da quello programmato. Rischiando addirittura di spaccarsi.
Eppure il senso d’allarme che lo sconosciuto aveva portato con sé, e che a quanto pareva anche le sue amiche condividevano, non accennava a placarsi. Anzi le aveva portate a nascondersi dietro dei cespugli vicini agli scalini dove fino a poco prima erano sedute.
Lily osò gettare un’occhiata all’incappucciato oltre le siepi pronta comunque a nascondersi o reagire alla prima mossa strana. Ma non successe niente.
La figura dava loro le spalle e si trovava a una ventina di metri da loro, dalla parte opposta rispetto alla strada che avrebbe ricondotto al villaggio. Stava immobile a fissare un punto di fronte a se, nelle campagne. Forse aspettava qualcuno.
Evidentemente non si trattava di un viaggiatore sperduto vista la calma che ostentava e l’immobilità laddove in caso di sbagliata destinazione avrebbe potuto vedere irritazione e i movimenti preparatori per una nuova smaterializzazione.
Quindi non era lì per caso, si ritrovò a considerare Lily riabbassandosi.
Le ragazze le fecero rapidi gesti per intimarle di impugnare la bacchetta, che loro avevano già estratto. Di quei tempi nemmeno un paese di periferia e tranquillo come Hogsmade era sicuro.
I professori ricordavano sempre loro, prima di ogni uscita dal castello, di lanciare scintille rosse in aria al primo accenno di pericolo o di fronte a qualche fatto strano, in modo da avvertire la squadra di Auror di stanza al villaggio.
Ma farlo in quella determinata situazione avrebbe significato essere scoperte in pochi secondi. Il tempo che gli Auror avrebbero impiegato per trovarle, quello sconosciuto avrebbe potuto usarlo per scappare. Nel migliore dei casi, sussurrò all’orecchio di Lily una vocetta saccente che per qualche motivo aveva la voce di Black.
Incontrò gli occhi impauriti di Alice, paura che probabilmente si rifletteva nei suoi, che con gesti e segni della testa le chiese informazioni sull’uomo. Lei per tutta risposta si limitò a sillabare, con una morsa a stringerle la gola, “sta aspettando”.
Aveva paura. E le ragazze anche. Avrebbero potuto tentare la fuga se avessero avuto la certezza che lui non si sarebbe girato. Non avevano altro dietro cui nascondersi.
Julie si sporse leggermente dalla siepe quando sentirono il rumore di passi avvicinarsi. Lily sentì Virginia stringerle la mano terrorizzata e cercò di infonderle un po’ di coraggio ricambiando la stretta, per quanto possibile.
Virginia era, come lei, figlia di babbani e un mantello nero poteva significare morte. Ma se Lily una volta presa coscienza della cosa aveva deciso di combattere per non vivere nel continuo terrore, Virginia aveva chiaramente espresso il desiderio di non scendere in campo. Aveva già perso tanto.
I suoi nonni erano infatti stati uccisi l’anno prima da un gruppo di Mangiamorte durante uno dei loro psicotici attacchi. Sua madre era stata salvata solo dall’arrivo di una squadra Auror che aveva messo in fuga o catturato i Mangiamorte, ma non arrivati abbastanza in tempo per salvare anche i suoi nonni e il fratellino di otto anni.
Probabilmente vedeva loro in quell’uomo incappucciato…
-Sta arrivando qualcuno, ma…accidenti è uno studente.- sussurrò incredula Julie una volta tornata al suo posto per permettere anche alle altre di dare un’occhiata.
-Cosa?- chiese con lo stesso tono Alice.
Lily si fece coraggio, dopotutto se aspettava uno studente non poteva certo essere un pazzo maniaco, così anche lei si sporse per poter osservare la scena, sentendo sulla schiena il confortante calore della mano di Alice che sbirciava a sua volta.
-Serpeverde.- sospirò afflitta la rossa.
Che cosa stava combinando quel ragazzo? Anche lui cappuccio calato e mantello  a nascondere il corpo. Di lui, o lei, si poteva solo sapere la Casa di appartenenza, per via dello stemma che il mantello recava con sé. Stemma che mancava a quello dello sconosciuto, rendendolo così totalmente anonimo.
-Stanno parlando. Quell’uomo sta passando qualcosa al ragazzo, sembrerebbe una lettera. Ma cosa?- parlò piano Alice, tanto che faticarono a sentirla.
-L’ha bruciata subito dopo averla letta.- completò per lei Lily tirando l’amica dietro il loro fitto nascondiglio visto che i due si stavano voltando nella loro direzione. Dopo alcuni secondi di assoluta immobilità la calma tornò
Rumore si passi. Un POP.
-Se ne sono andati.- si tranquillizzò finalmente Virginia, il sollievo palesemente presente sul suo viso, come anche in quello delle altre.
-E’ meglio andarsene. Qualunque cosa quei due stessero facendo non voglio finirci in mezzo.- dichiarò con tono pratico Julie controllando che i due incappucciati avessero finalmente lasciato via libera.
L’odore di bruciato arrivava fino a loro e a terra ancora potevano vedere la pergamena bruciacchiata, non ancora completamente in cenere.
-Aspettate.-
Lily si mosse veloce per colmare quei venti metri che le separavano dalla lettera per raccoglierla senza pensare, per una volta.
Non c’era più molto di leggibile, a dire il vero quasi niente. Intere frasi erano state cancellate per sempre dal fuoco. Ma una in particolare attirò l’attenzione della ragazza.
C’erano delle bruciature qua e là che ne alteravano probabilmente il senso, ma la calligrafia in quel punto frettolosa nettamente contrastava con l’elegante raffinatezza che contraddistingueva tutto il resto.
“…la chiamata è giunta…onore alla famiglia…marchio…”
Bastarono quelle poche parole per far gelare il sangue nelle vene a Lily.
Uno studente di Hogwarts stava per essere marchiato.
 
 
 
 
 

***

 
 
 
 
 
I malandrini quella domenica pomeriggio avevano preso possesso della Sala Comune di Grifondoro cacciando fuori senza che se ne rendessero conto, questo grande obbiettivo grazie alle gentili maniere di Remus, tutti i ragazzini dei primi due anni ancora troppo piccoli per godersi le bellezze che Hogsmade poteva offrire a giovani maghi annoiati e altrimenti reclusi e che non avevano avuto altra scelta se non rintanarsi nei dormitori o girovagare senza meta, ma almeno liberi, per il castello e il parco.
Avevano impiegato tre quarti d’ora solo per far eseguire con successo a Peter un incantesimo scudo e quasi due ore piene per fargli imparare uno Schintesimo.
E ora all’alba delle sette di sera, quando tutti gli altri ritornavano sorridenti e infreddoliti da Hogsmade, carichi di dolci o di scherzi di Zonko, loro si dirigevano depressi verso il parco, ansiosi di sgranchirsi le gambe e prendere aria dopo quel pomeriggio da incubo.
Ma cosa non si fa per gli amici. Anche se c’era da dire che l’umore di Peter non era dei migliori, anzi era terribilmente depresso viste le sue scarse doti magiche, e si era rifugiato nelle cucine per poter affogare i dispiaceri in una massiccia dose di dolci ipercalorici.
-Non ha speranze.- commentò impietoso Sirius.
-Sirius non dire…- si indignò Remus interrotto però da James stranamente depresso.
-Ha ragione, Rem. Se Mocciosus decide di vendicarsi quando sono insieme non riuscirà a difendersi, purtroppo Peter è negato in Difesa lo sappiamo tutti.- sospirò.
-Faremo un discorsetto a Mocciosus, allora. Non gli conviene averci di nuovo continuamente contro, lo sa anche lui.- concluse dopo un attimo di meditabondo silenzio Sirius con una faccia talmente schifata e scura che ben esprimeva cosa provasse a dover scendere a patti con il Serpeverde.
La faccia scura di Remus invece faceva capire a distanza di chilometri quanto fosse contrario all’idea di minacciare un compagno, per quanto si trattasse di quel compagno, ma non potevano fare altrimenti. Come aveva ricordato loro Silente a pranzo, le coppie non erano sindacabili e loro non potevano trovarsi in due posti contemporaneamente. Quella era l’unica soluzione possibile. Sperando che Peter non lo scoprisse e Piton mantenesse la parola, i Serpeverde non erano famosi per la loro affidabilità.
I ragazzi avevano quasi raggiunto il portone quando Lupin li fermò indicando un gruppo di ragazze poco distanti. C’era Lily tra loro, constatò James ora decisamente più allegro. Era tutto il giorno che non la vedeva.
Stava per esplodere nel suo ormai consolidato “Eeevaans!”, quando l’amico biondo lo pietrificò con solo una frase.
-Deve essere successo qualcosa.-
Potter si scambiò un’occhiata preoccupata con Sirius prima di avvicinarsi alle ragazze e accertarsi della cosa. Evans aveva il viso pallido, come le sue amiche, ma sembrava decisamente più preoccupata di loro. E tra le mani teneva qualcosa che non riusciva a distinguere.
-Evans tutto bene?- chiese.
-Noi andiamo in Sala Comune, Lily vieni con noi?- parlò contemporaneamente Alice con il volto tirato.
-No devo parlare di una cosa con Remus, cose da Caposcuola sai, ci vediamo dopo.- le congedò con un sorriso lieve.
-Allora, Evans?- chiese di nuovo James. Non avrebbe mollato quell’osso. Se era successo qualcosa al villaggio voleva saperlo. Se le era successo qualcosa, voleva saperlo.
Se le avevano fatto del male…
-Potter conosci la parole d’ordine per l’ufficio del preside?- gli domandò ignorando completamente la sua domanda.
-Cosa ti fa pensare che la conosca? Sono o non sono uno studente modello?- replicò tentando di alleggerire l’atomesfera.
-Smettila di fare il buffone. Allora, la conosci?- chiese la ragazza in tono irritato.
Il suo tentativo di farla sorridere era miseramente fallito.
-Dipende.-
Ma accidenti se l’avrebbe accompagnata senza sapere che cosa le era successo.
-Non ho tempo, Potter. Remus…- alzò la voce scocciata per attirare l’attenzione di Remus, rimasto con Sirius qualche metro più lontano.
-Vieni dai. Loro hanno da fare.- la spinse via intercettando lo sguardo di scuse di Remus verso la ragazza.
Peter era tornato dalla sua incursione nelle cucine e dalla faccia non doveva stare molto bene. Quanto era stupido a volte? Era stato così tante volte in infermeria per indigestione che quasi batteva la frequenza con cui la frequentavano lui e Sir.
Poteva sempre chiederle spiegazioni per strada, dopotutto,no? Continuò la sua discussione silenziosa mentre si voltava di nuovo verso di lei.
E poi voleva stare insieme a Evans. Il commento questa volta era inopportuno e assolutamente involontario. Quella sua maledetta coscienza, a volta assumeva addirittura il tono ironico di Sirius, non le bastava metterlo di fronte a verità scomode? E poco nobili? Infatti scendeva in campo solo quando non avrebbe voluto ammettere qualcosa a se stesso, oltre che agli altri.
Come in quel momento.
Ma pensandoci bene stare con Evans, dopo una giornata dedicata a Peter, insomma la sua buona azione quotidiana, non era affatto qualcosa di scomodo o poco nobile.
Era solo giusto, come ogni volta che l’aveva accanto e lei sorrideva. Era giusto perché lei era quella giusta e non c’era niente altro da dire.
Aveva ancora la mano sulla schiena di lei che gli stava un passo avanti e a dispetto delle aspettative, maturate in anni e anni di litigi furiosi e battutine acide, oltre un paio di fatture parecchio pesanti quando l’aveva spinta al limite dell’esasperazione, lei non gli stava staccando la testa e non aveva evocato un mastino infernale perché fosse lui a farlo. Dopotutto il sangue viene così male via dai vestiti!
James sentiva il suo calore anche attraverso la stoffa. Conquistarla non gli era mai sembrato così importante come in quel momento, attorniato dal suo profumo dolce.
-Evans che cosa…- iniziò a chiedere.
Doveva sapere cosa era successo, perché era evidente il suo turbamento.
-Non chiedermelo, Potter.- gli rispose lei in un soffio.
La sentiva tremare leggermente e le vide irrigidire le spalle. Ma non riuscì mai a capire se quell’ultimo movimento, impercettibile se non le fosse stato così vicino, se non la stesse toccando, fosse dettato dal brutto ricordo che lui aveva riportato a galla o dal realizzare che la sua mano non si fosse ancora mossa dalla sua schiena.
-Evans voglio solo sapere se…- …stai bene.
Quelle parole rimasero tra loro come un fantasma, ma James non le pronunciò mai. In tanti anni non le aveva mai dato retta una sola volta, forse quello era il momento giusto per cominciare a farlo.
Anche se gli costava tantissimo. Anche se tutto, il corpo la mente e il cuore, gli urlava di parlare, di farla parlare. Perché quel peso sembrava schiacciarla. Perché voleva che lo condividesse con lui, così da farlo diventare più leggero. Perché voleva davvero aiutarla. Perché temeva che qualcuno le avesse fatto del male. Perché voleva che lei si fidasse. Perché…c’erano miriadi di motivi per cui voleva sentirla parlare. Ma nessuno di questi era quello che davvero lo muoveva, che faceva urlare il corpo la mente e il cuore contemporaneamente, quando mai l’avevano fatto prima.
Solo lei, solo per lei.
Perché l’amava e aveva una fottutissima paura.
Solo lei, solo per lei.
Ma capiva, stranamente capiva.
Solo lei, solo per lei.
Gli faceva male sapere che lei non si fidasse abbastanza per aprirsi e farsi aiutare, ma non voleva costringerla a fare niente.
Solo lei, solo per lei.
Perché l’amava e niente era più importante di lei. Dei suoi desideri.
Ci sarebbe stato al momento giusto, ci sarebbe stato quando lei avesse voluto dargli una possibilità concreta. Ci sarebbe stato. Forse sarebbe bastato.
Così in silenzio, senza muovere la mano, perché a lei non sembrava dispiacere e perché aveva aspettato anni per averla così vicina, la seguì per i corridoi fin davanti al mostro di pietra che gli studenti gentilmente appellavano come gargoyle.
-Pignatta caramellata.-
Lily si voltò a guardarlo stupita –Cosa?-
-Gli piacciono i dolci, al preside intendo. Stavolta è pignatta caramellata, il mese scorso era mousse alle fragoline di bosco.- le spiegò James.
Ormai la statua aveva lasciato il posto alle scale e Lily con un ultimo sguardo al ragazzo e un grazie appena sussurrato si avviò verso l’antro del preside.
James si appoggiò al muro tranquillo. Ci sarebbe stato.
Solo lei, solo per lei.
 
 
 
 
 



 
SPAZIO AUTRICE.
Ciao a tutte, ragazze!! Dopo una settimana di occupazione, in cui non ho fatto altro che poltrire a letto come un orso in letargo il rientro a scuola è stato traumatico, ma almeno ho avuto il tempo di buttare giù qualche cosa. Questo infatti era l’ultimo capitolo che avevo da parte fin dal giorno della prima pubblicazione. Forse gli aggiornamenti si diraderanno anche per questo, tutto dipenderà dall’ispirazione che mi coglie sempre nei momenti meno opportuni e della scuola.
Ma se dio vuole questo è l’ultimo anno!!
Comunque come di consueto due parole su questo capitolo.
Le cose iniziano a muoversi come potete vedere e Lily poverina c’è finita involontariamente in mezzo. Proprio come succedeva sempre al caro Harry. James invece sta crescendo che dite?
Non so voi ma questo capitolo mi piace un sacco, eppure non succede niente di eclatante. Come avete potuto vedere sto cercando di dare un po’ di carattere anche alle amiche di Lily, fatemi sapere se ci sono riuscita. Il caro incappucciato, notiziona delle notizie, non ha ancora un volto né un nome preciso. Diciamo che ho due opzioni alternative che sto portando avanti contemporaneamente, ma che ancora non mi convincono del tutto. Ma tanto per almeno due capitoli non lo rivedremo quindi…ho tutto il tempo per frugarmi nel cervello e prendere la decisione definitiva.
Ma ora vi lascio in pace anche perché scrivo sempre dei monologhi degni di Amleto e non sono proprio al massimo.
Grazie a chi ha letto.
Grazie a chi ha inserito la mia storia tra le preferite, le seguite e le ricordate.
Grazie a chi ha inserito me tra gli autori preferiti.
Siete adorabili e io gongolo in modo osceno e mi vengono i lucciconi agli occhi, è sempre bello vedere quello che si scrive apprezzato anche da altri!!
Grazie a chi, stupendi tesori, ha inserito un commento…
IloveJP tesora sei stata la prima ad aggiornare!! La donna misteriosa, quella almeno, ha già un’identità e se non cambio idea all’ultimo momento sarà la causa di tutti i guai dei ragazzi. Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo e spero questo sia all’altezza del precedente, anche perché mi ci sono affezionata in modo particolare. Spero di sentirti ancora, è sempre un piacere per me. Baci.
sissi181 allora intanto scusa davvero per come era scritto il precedente capitolo, hanno cambiato leggermente i comandi per pubblicare e io, da brava impedita nella tecnologia di qualunque tipo (fai conto che è stavo per chiamare un’amica ad aiutarmi), sono andata nel panico e nemmeno ho riguardato come era venuto scritto. Mi sono resa conto della scrittura microscopica solo dopo aver letto il tuo commento, due giorni fa quindi. Scusa. Comunque sono contenta di avere una nuova lettrice e che ti piacciano James e Lily. Io li adoro. Ti dirò ancora non c’è odore di accoppiamento nell’aria, ma c’è odore di…qualcosa di bello comunque. Rispetto e stima da parte di una rossa a caso nella fatti specie. Fammi sapere cosa ne pensi si hai tempo, baci.
DarkMoon86, Aly, credimi i vostri commenti non possono che farmi un immenso piacere, soprattutto se scritti da persone così gentili come te! Carina l’idea della vacanza studio vero? Ho pensato che serviva qualcosa di alternativo e diverso dalle solite quattro mura per far avvicinare quei due, visto che in sette anni a scuola non hanno fatto altro che infamarsi. Sperando davvero di non liberarmi di te spero proprio che ti sia piaciuto anche questo capitolo. Baci baci.
gufetta_95 ciao piacere di conoscerti! Sono contenta che Sirius ti piaccia, piace anche a me, infatti contavo a parte la parentesi stupida dei primi capitoli di farlo comparire più spesso e cercando di andare un po’ oltre la superficie. Insomma non è solo il belloccio scemo. magari poi mi farai sapere. Per quanto riguarda i capitoli non sai quanto mi ci fisso e che paranoie ho prima di pubblicare, mi sembrano sempre troppo corti, ecco. Alla fine oscillo sempre tra le cinque e sette pagine, un ottimo compromesso. Grazie mille per i complimenti sei carinissima. Baciotto anche a te!
mousse, ciao tesoro! Le tue recensioni sono sempre così frizzanti che riportano il buon umore (e fai conto che oggi ho avuto tre interrogazioni di fila quindi potrei costruirti una statua solo per questo). Come è andato il compito sul ‘600? Quel periodo non mi è mai piaciuto, ma almeno la mia prof riusciva a renderlo interessante nonostante tutte le cavolate di Marino e compagnia bella. Felice che tu abbia apprezzato Garfield-gatto-obeso, anche perché ho intenzione di inserirlo di nuovo. Solo pochi accenni ma già lo adoro (e l’accenno alla pubblicità mi ha fatto morire!!). per sapere cosa è successo nelle cucine dovrai aspettare il prossimo capitolo, o quello dopo ancora. Mi piacciono troppo i flash back e tendo a dilungarmi su certe cose (infatti il prossimo sarà il continuo di questa giornata e sembrerà non finire mai). Ti faccio un piccolo spoiler, se mi concedi l’ardire di chiamarlo così, durante la settimana studio Lily darà di matto e James rischierà la vita. Ma mammaEvans e papàPotter almeno si faranno quattro risate. 
 
Ora vi lascio davvero. Lasciate tanti commentini eh? Scherzo, spero davvero però che abbiate apprezzato!
Baci e abbracci Rebecca. 

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Capitolo 5
*** Imbrogli al destino? ***






Era ormai ottobre inoltrato e il freddo iniziava a farsi sentire, portando con se nuvoloni minacciosi e nebbie irritanti. Il castello acquistava però un’aura di misterioso fascino sconosciuto altrimenti, che lo faceva sembrare un’antica fortezza dimenticata da tempo.
E invece tra quelle antiche e forti mura il chiacchiericcio di centinaia di studenti era costante e nettamente contrastava con il silenzio che uno sconosciuto avrebbe potuto associare a un edificio così magico.
Ma la figura nascosta nell’ombra della foresta proibita non poteva fregiarsi di tale titolo. Si muoveva infatti con la sicura consapevolezza di chi ha trascorso anni tra quelle mura, una vita quasi, e ne conosce i ritmi e i passaggi.
Era immobile da parecchi minuti, non più di venti, e nascondeva il volto dietro un pesante  e scuro cappuccio di lana come se ne sarebbero potuti vedere tanti in giro, anche tra quelle mura, se non fosse stato per il tessuto pregiato che raccontava una storia di familiare ricchezza senza tuttavia recarne il blasone come invece avrebbe voluto la tradizione.
Una mano delicata e nervosa spuntava ogni tanto dal mantello quando questo si gonfiava per il vento e allontanava di conseguenza dal corpo.
Solo una cosa era visibile di quella inquietante e silente figura, i lunghi e scurissimi capelli che il cappuccio non riusciva a contenere, ma alla proprietaria non sembrava importare.
Perché stava aspettando.
Stava aspettando qualcuno che, sperava, avrebbe fatto la differenza e lavato via le ingiurie. Qualcuno che non l’aveva mai tradita.
 
 
 
 
 

***

 
 
 
 
 
Hogwarts era da sempre foriere di guai. Non per una maledizione imposta sul castello e nemmeno dall’alta concentrazione di ragazzi tra gli undici e i diciotto anni chiusi tutti in un unico posto. Per una volta nemmeno perché ospite di un gruppo di ragazzi che cercavano i guai come stile di vita.
Da sette anni a quella parte infatti c’era una studentessa che non rientrava nel gruppo dei popolari, ma che nonostante questo tutti conoscevano. Non rientrava nemmeno in quello che, nella gerarchia scolastica, è il gruppo degli sfigati, eppure tutti cercavano di evitarla il più possibile. Non era una di quelle che contavano perché altolocate, dai nomi antichi e importanti o perché Caposcuola, eppure tutti cercavano di non contrariarla.
A occhio esterno Cordelia Waffle, il cui cognome era già tutto un programma, era una ragazza come tante. Non bellissima, ma avvenente. Non bravissima a scuola, ma con una media Accettabile. Non intelligente, ma furba. Non Serpeverde, ma una serpe. Era a conti fatti tanti non e altrettanti ma, ma non era questo che la rendeva tanto odiata tra le mura di Hogwarts.
Natababbana da genitori avvocati aveva presto capito che il modo migliore per sopravvivere tra le mura della scuola era la gente che frequentavi e su tale imprescindibile credo aveva costruito la sua vita. Vantava così una cerchia di conoscenze che includeva quasi tutti gli ultimi anni e tutti i ragazzi più piccoli destinati a diventare qualcuno, ma di fatto aveva solo due vere amiche, Clodia e Dorotea a detta di tutti troppo stupide per anche solo capire con chi avevano a che fare, ed era la regina assoluta del gossip.
Cordelia era a capo del giornalino scolastico. Aveva fondato un club del pettegolezzo al secondo anno che aveva talmente esasperato i professori da concederle di elevarlo a club giornalistico, con tutto quello che avrebbe comportato, a patto che non diffondesse notizie false o potenzialmente nocive.
Promessa bellamente ignorata a ogni uscita non tanto per l’inattendibilità delle notizie quanto per quello che potevano causare.
E se più di un mese prima erano state lei e le sue fedeli assistenti a diffondere la notizia della rovente passione tra Sirius Black e Lily Evans e tutti vi avevano creduto, era sempre stata lei a scusarsi con i fedeli lettori in una smentita degna delle più grandi testate giornalistiche babbane.
Sirius aveva infatti accettato, dopo una notte in bianco per trovare un’alternativa all’idea proposta dalla ragazza, di fingere un semplice rapporto tutor-studente, con una faccia da funerale sparita non appena aveva visto il rianimarsi del suo fan club che aveva smesso gli abiti da lutto per ritornare al suo scintillante e civettante splendore.
Perché ormai era noto a tutti. Sirius Black era nuovamente sulla piazza, bello e disponibile, e Lily Evans non era più la vittima di occhiate malevole e attentati più o meno mortali.
-Non posso crederci, come possono i professori dare retta a quella pazza?- chiese Alice angosciata.
-Di cosa stai parlando?- chiese Lily nascosta dietro un pesante tomo di Incantesimi tanto quanto l’amica si era buttata attentamente nella lettura del giornalino scolastico.
Che quella mattina aveva appena gettato su l’intero e ignaro corpo studentesco quel foriere di guai che Hogwarts per antonomasia doveva portare con sé.
-Per quella strega di Morgana!- esclamò allibita Julie appena arrivata in Sala Grande leggendo da sopra la spalla di Alice.
C’era da dire di Julie Parker che era difficile stupirla. Nata da una famiglia purosangue da generazioni e generazioni era stata educata nel credo del “non mostrare agli altri quello che provi, sei migliore di loro”, come ogni altro suo pari. E se non aveva disdegnato quella riservatezza che i suoi predicavano come la migliore delle religioni, sebbene rivisitata in chiave molto meno austera, non aveva però compreso quella parte della lezione che poteva essere riassunta in “sei una signorina, devi parlare bene”.
Quella parte proprio non riusciva a concepirla e lo sapevano bene le sue amiche che dovevano sorbirsi le sue interminabili arringhe piene di insulti, che a volte scendevano nel triviale, a cui si erano aggiunta una lunga lista di chiara derivazione babbana dall’inizio di Hogwarts e in costante aggiornamento.
Ma quella mattina sembrava abbastanza di buon umore da cercare di trattenersi, anche se il cipiglio che stava sempre più inalberando, di pari passo al procedere della lettura, prometteva se non problemi almeno una sequela di insulti degni del peggior marinaio.
-Allora? Vi degnate di spiegarmi?- chiese Lily ormai conscia dell’impossibilità di terminare il ripasso.
Se la preoccupazione di Alice poteva non essere considerata visto il contesto, chiamava pazze almeno un quarto della popolazione femminile del castello, quella di Julie non era da ignorare.
Poco interessata al pettegolezzo, con cui aveva avuto a che fare fin dall’età di tre anni, riteneva come la rossa quello pseudo giornale spazzatura, a detta sua addirittura tre gradini sotto la Gazzetta del Profeta che era da molti considerato il peggio del peggio.
-Ehi mi sentite?- provò ancora Lily.
Vedendosi nuovamente ignorata per la terza volta di fila, ma soprattutto vedendo i nuvoloni neri comparsi sulla testa dell’amica, ormai pronta allo scoppio, aggirò il tavolo per mettersi a sua volta alle spalle di Alice e leggere l’articolo in questione.
La ragazza, che pensava a un titolone scintillante volto a rovinare la reputazione di qualcuno o nella migliore delle ipotesi un articolo infamante su un paio di professori, dovette invece ricredersi.
Ma Cordelia Waffle aveva comunque trovato il modo per rovinare a qualcuno se non la vita almeno la colazione visto la notizia di cui si era resa entusiasta portavoce.
-Spero stiano scherzando…- pigolò esterrefatta.
-Da quanto dicono qua, - Julie indicò una frase una decina di righe più in basso – è già tutto deciso. Maledetta stronza incontinente.- frecciò poi ad alta voce con il viso rivolto alla Waffle che talmente abituata al peggior genere di insulti, l’ultima volta causati dall’assurda idea di inaugurare la settimana del giallo, suo colore preferito, non diede segno di aver sentito.
-E’ peggio della settimana del giallo. E dire che credevo con quella avesse raggiunto il fondo.- affermò Alice.
Quando si dice la telepatia! Anche Alice aveva pensato a quell’orrenda settimana.
Lily ancora la ricordava con orrore. Erano stati infatti costretti a vestirsi totalmente di giallo quando la divisa non era obbligatoria con tanto di spada di Damocle sulla testa formato tromba da stadio che suonava ogni volta che qualcuno non rispettava il modaiolo mandato.
Quella settimana i malandrini si erano addirittura fatti ricoverare in Infermeria per scampare alla cosa.
-Come possono aver deciso una cosa del genere senza prima informarci? O chiedere cosa ne pensassimo?- chiese di nuovo Lily.
Non poteva crederci, non ci riusciva e basta.
Cavoli, d’accordo non avvertire tutti gli studenti, ma almeno i Prefetti e i Caposcuola! Cosa avevano nel cervello i professori?
…Aveva appena insultato i professori? Da non crederci, probabilmente l’influenza di Julie cominciava a farsi sentire dopo anni di vicinanza gomito a gomito. Oppure era quella nefasta di Potter, pensò non appena lo vide varcare il portone chiacchierando con Remus e Black.
Si rimproverò mentalmente da sola per quello che aveva pensato.
Da quando l’aveva portata nelle cucine, la sua prima incursione nelle cucine in sette anni, era stato gentile. Lei aveva cercato di fare altrettanto, anche se un paio di volte da un mese a quella parte non si era potuta impedire di urlargli dietro scoprendolo intento in qualche scherzo. E di toglierli venti punti ogni volta.
-Buongiorno, Lily.- la salutò cortese il giovane Lupin.
-Ciao Remus, hai…- venne interrotta da James che fino a pochi secondi prima era tutto preso a parlottare con l’altro amico.
Minus si vedeva sempre più raramente insieme a loro durante i pasti, ma nessuno sembrava farci troppo caso. Dopotutto non era esattamente l’anima della festa…
-Giorno Evans. Sei splendente stamattina.- scherzò riferendosi alla miriade di mollette dorate che tenevano la frangia su e che letteralmente brillavano tra i suoi capelli rossi.
-Buongiorno anche a te, Potter.- si arrischiò perfino a sorridere in risposta alla battuta senza tuttavia commentare. Virginia, l’altra ragazza che divideva con loro la stanza aveva impiegato mezz’ora per sistemarle tutte dichiarando che il lavoro era perfetto e lei brillante. Più o meno la stessa cosa che aveva detto il ragazzo.
-Che cosa stavi dicendo, Lily?- chiese educato Remus.
-Guarda qua, sono tutti impazziti. Probabilmente hanno finito le loro pillole babbane che li fanno sembrare normali. Come si chiamano Lily?- si intromise Julie.
-Psicofarmaci. Ma non vengono usati dai maghi, te l’ho detto.- rispose l’altra ridacchiando.
-Beh forse somministrarli alla Waffle sarebbe la soluzione ai nostri problemi. Puoi procurarteli?- chiese di nuovo la sua amica.
-Psicochecosa?- esclamarono all’unisono Black e Potter risvegliandosi improvvisamente dai loro sogni a occhi aperti sentendo discorsi del genere provenire da Evans e la Parker.
Era strano, ma da quella cioccolata i loro rapporti erano migliorati si ritrovò a considerare Lily gettando un’occhiata veloce a James che ancora attendeva una risposta. E non solo con lui visto che era arrivata addirittura ad ammettere che Black se ci si metteva era divertente, l’aveva notato dopo uno dei loro pomeriggi studio del mese scorso, quando ovviamente non avevano studiato per avvalorare la tesi del ragazzo sul suo essere un genio incompreso che studiava solo nel momento dell’acqua alla gola.
Con Potter era diverso, però. Non sapeva bene come comportarsi o cosa aspettarsi da lui. Un attimo era amichevole, l’altro le chiedeva di uscire o faceva battutine maliziose. La irritava, ma poi la faceva ridere. Insomma non ci capiva più niente. Ed era una cosa che odiava profondamente non risolvere un quesito.
-Sono delle pasticche, dei farmaci come le nostre pozioni, che i babbani usano per chi ha problemi comportamentali o simili.- rispose compita, almeno a quella domanda aveva la giusta risposta.
-In pratica potrebbero usarle su di te, Sir.- scherzò irriverente Lupin, l’umore che peggiorava a ogni riga letta.
-Qualcosa di interessante nella rubrica delle idiozie?- chiese retorico James.
Era impossibile che qualcosa di buono o utile uscisse da quelle pagine, gialle e profumate di lillà come aveva scoperto con orrore l’anno prima.
-Vacanze studio.- rispose lugubre Remus.
-Che cosa?- saltò su Sirius, per lui le vacanze erano sacre. Niente doveva toccarle.
James gli batté una solidale pacca sulla spalla prima di chiedere delucidazioni.
Il ragazzo gettò uno sguardo distratto alla rossa che intanto era tornata a occupare il suo posto e ostentava un’artefatta tranquillità intenta a parlare con un ragazzino del quarto, Tom. Sapeva delle ripetizioni che lei dava al biondino da due anni a quella parte, dopo che una sfilza interminabile di T gli aveva fatto rischiare la bocciatura.
Anche adesso manteneva una media di A solo grazie ai continui aiuti di lei che non riusciva mai a dirgli di no. Li aveva visti insieme qualche volta e sebbene non fosse ovviamente geloso di uno più piccolo, quel mostriciattolo gli rubava del tempo che avrebbero potuto passare insieme. Se lei fosse stata d’accordo.
Stava sorseggiando assorto un bicchiere di succo di zucca, intento a trovare il momento giusto per chiederle di uscire, quando intercettò uno stralcio di conversazione dei ragazzi.
Era talmente preso a osservare Evans che per un attimo si era dimenticato di quell’assurda idea delle vacanze studio.
-…insomma due settimane. Una nel mondo babbano e una nel mondo magico. A quanto dice qua saranno coppie miste. Chi vive nella Londra babbana ospiterà chi vive nel mondo magico e viceversa…-
-Ma è da pazzi! Non ci penso nemmeno!- quasi urlò Sirius.
Capiva cosa voleva dire. Tornare dai suoi per una settimana dopo che li aveva lasciati quell’estate per stare definitivamente prima da lui poi a casa di suo zio era non solo assurdo, ma addirittura impossibile. Non sarebbe stato un soggiorno facile. Anzi i suoi, sua madre specialmente, gli avrebbero reso la vita impossibile. E il ragazzo che l’avrebbe accompagnato avrebbe dovuto stare attento a cosa avrebbe mangiato nel caso la cara Willy tentasse un avvelenamento di Mezzosangue con la complicità del fedele elfo domestico.
-Potremmo chiedere al preside di far stare anche te e l’altro ragazzo a casa mia. La settimana che io sto tra i babbani tu vai dai miei e la settimana dopo il contrario. Mamma sarebbe felice di averti a casa.- propose James.
Era ovvio che non sarebbero stati in coppia insieme, nessuno dei due aveva idea di come muoversi nel mondo babbano figurarci abitarci in pianta stabile!, quindi tanto valeva provare subito senza fare storie sulle assegnazioni.
Babbani…mondo babbano…
La Evans abitava nel mondo babbano. I suoi lo erano.
Sarebbe stato fantastico stare in coppia con lei. Due settimane insieme, un sogno, in pratica.
Magari poteva chiederle se…già ma sia Julie che Alice erano purosangue. Avrebbe fatto coppia con una di loro, accidenti.
Che occasione sprecata!
-Qua dice anche che le coppie saranno estratte a caso dopodomani e che la vacanza studio si svolgerà in novembre.-
Il caso, tutto sarebbe stato nelle mani di un incantesimo mescolante, aveva anche minor probabilità allora. Se solo avesse potuto corrompere l’incaricato sarebbe stato più semplice. Ma per certe cose perfino vantando  un’amicizia di lunga data come quella tra sua nonna e Silente non contava niente, non in ambito scolastico almeno. Però, magari…
L’occhiata che gli rivolse Sirius gli fece capire che i loro pensieri erano sulle stessa lunghezza d’onda.
Si sorrisero complici prima di tornare alla loro colazione. Ora era certo, avrebbe fatto coppia con Evans. Tutto stava nello scegliere l’incantesimo giusto…
 
 
 
 
 

***

 
 
 
 
 
Le estrazioni erano state fatte e James non aveva nemmeno dovuto barare per poter finire in coppia con Evans. Era stata una vera fortuna, visto che dell’incantesimo si era occupato nientemeno che Albus Silente in persona. O era stata una fortuna che a eseguire l’incantesimo fosse il preside, a seconda dei punti di vista.
L’uomo infatti dopo essersi accordato con i coniugi Potter dopo che i ragazzi gli avevano esposto il problema, proposta accettata con gioia dai due genitori felici di avere di nuovo per casa Sirius e anche di evitargli quella che sarebbe diventata a tutti gli effetti una pessima detenzione, li aveva richiamati nel suo ufficio per metterli a parte della decisione.
Era stato quello il momento il cui James aveva riposto in un cassetto ogni suo piano di boicottaggio a favore della più leale speranza, che come la sua coscienza gli aveva ripetuto spesso era più congeniale alla sua Casa.
Il vecchio preside li aveva congedati con un sorriso soddisfatto sulle labbra e una frase sibillina che forse non voleva mettere fine ai piani machiavellici di Potter, ma che di fatto era riuscita nell’impresa.
E ora, a distanza di nemmeno ventiquattr’ore, James si trovava davanti alla bacheca degli avvisi in Sala Comune insieme agli altri ragazzi del settimo, unici fortunati beneficiari della visita fuoriporta, con un sorriso ebete sulle labbra.
Allora era vero…
-Ehi Jam, sei stato proprio baciato dalla fortuna eh?- ridacchiò Sirius battendogli amichevolmente una pacca sulla schiena con lo sguardo fisso nello stesso punto dell’altro. Dove chiunque poteva leggere Potter – Evans. Erano finiti insieme!
chi aiuta un amico ha sempre una ricompensa.
Avrebbe dovuto dire al preside che chi aiuta un amico, come nel suo caso, a volte ne aveva addirittura due, di ricompense.
La tranquillità di Sirius e l’essere in coppia con Evans.
-Beh anche a me è andata bene.- riprese Felpato.
-Già, Franck. Ti divertirai, papà poi lo adora, conosceva bene i suoi genitori. Quando eravamo bambini passavamo sempre il sabato sera insieme e suo padre mi ha insegnato a giocare a scacchi.- commentò Ramoso, vagamente dispiaciuto.
Franck Paciock era un bravo ragazzo. Sempre allegro e sorridente, ma mai invadente. Su quel punto era il contrario di Alice, la sua fidanzata. Erano cresciuti insieme ed era uno dei pochi amici che aveva prima di entrare a Hogwarts. Sua mamma era un po’ strana, molto energica e diretta per essere una donna, ma fantastica a modo suo. Aveva preso in mano gli affari di famiglia in modo esemplare, infischiandosi delle tradizioni purosangue che avrebbero invece voluto vederla confinata nelle mura familiari con il ruolo di madre e moglie, quando tre anni prima suo marito era morto in missione.
Come i suoi genitori anche il padre di Franck era un Auror. Ed era morto in missione, come molti in quel periodo buio.
James si riscosse dai quei pensieri tristi, non voleva pensare a quanto rischiassero i suoi genitori ogni giorno con quelle loro missioni sul campo. Quello che avrebbe rischiato anche lui una volta conclusa l’Accademia, visto la strada che aveva deciso di intraprendere. Come Remus e Sirius. Come Lily, pensò con una stretta angosciosa al cuore.
Lei così fragile in battaglia…basta! Ci avrebbe pensato al momento, l’avrebbe protetta, l’avrebbe aiutata. Così come avrebbe fatto con i suoi amici. Ma ora doveva pensare al presente, sua nonna Disyde lo ripeteva sempre.
Così gettò un’occhiata concentrata anche ai nomi dei suoi amici. Remus era stato un po’ meno fortunato di loro. Era finito con una Corvonero che non conosceva e dall’espressione perplessa del ragazzo nemmeno lui sapeva chi fosse. Ma era una Corvonero, non sarebbe stato troppo male e poi in un mese avrebbe potuto conoscerla, no? Poi anche la luna piena non sarebbe stato un problema visto che l’uscita era prevista la settimana dopo, e questo aveva ben predisposto Lunastorta al progetto.
Potevano succedere così tante cose in un mese…
Cercò infine il nome di Peter con una certa preoccupazione visto lo sguardo sbarrato che aveva l’amico.
Minus…Minus…Minus – Piton.
Accidenti che sfiga. Anzi peggio. Sarebbe stato un suicidio far convivere per ben due settimane Peter con quel…Serpeverde. Probabilmente lo avrebbe sottoposto ad angherie di ogni tipo.
Quella sera dovevano assolutamente fargli ripassare i principali incantesimi difensivi, per sicurezza. Codaliscia non aveva una grande memoria e nemmeno una grande attitudine in Difesa. Avrebbero dovuto sudare parecchio, pensò Potter.
-C’è il tuo zampino dietro, James?- chiese divertita una voce femminile alle loro spalle.
Alice aveva appena raggiunto Franck e, stretta tra le sue braccia sorridente, occhieggiava la pergamena riferendosi ovviamente alla sua amica.
-Alice…- la ammonì a bassa voce guardandosi preoccupato intorno. Ci mancava solo che Evans sospettasse qualcosa che aveva voluto fare, ma non fatto. Lo avrebbe maledetto nel migliore dei casi.
-Non ti preoccupare non metterei voci del genere in giro se lei fosse nei paraggi. Sta ancora dormendo.- ridacchiò la ragazza.
-Sono o non sono il ragazzo più fortunato del mondo?- si pavoneggiò allora soddisfatto.
-Avrei voluto avere io un po’ della tua fortuna…- piagnucolò Peter.
Solo allora Sirius, intento a istruire un riluttante Remus su come rimorchiare una ragazza, scoprì il nome del compagno di Codaliscia. E a dispetto di quello che aveva fatto Rem, cioè preoccuparsi e tranquillizzarlo, o James, preparare un piano per farlo tornare vivo a scuola, Sirius si comportò da…Sirius. E scoppiò nella sua risata simile a un latrato ottenendo solo di far sbiancare ancora di più l’amico visto che tra un singulto e l’altro articolava parole incoraggianti come “ti ucciderà” oppure “oddio Mocciosus no!” o ancora “non avvicinarti a me o al mio letto prima di esserti fatto almeno quattro bagni”.
Quando si fu ripreso abbastanza, anche grazie a un pugno nello stomaco da parte di James, articolò -Ti direi che hai bisogno di uno scherzo, ma visto chi avrai come compagno credo che sia meglio astenerci. Magari quando questa pazzia sarà conclusa.-
Remus portò via il povero afflitto cercando di consolarlo alla meglio, provando addirittura a blandirlo con del cioccolato da sempre suo punto debole, senza grande successo visto il ridacchiare di Sirius che era ricominciato non appena avevano voltato le spalle.
James lo guardò scuotendo la testa, era sempre il solito.
-Potevi evitare, Sir.- sospirò.
-Sbagliato, dovevo evitare, ma non ci sono riuscito. Ammettilo James è maledettamente divertente. Quante probabilità c’erano che uno di noi, anzi che Peter finisse in coppia con Mocciosus? Ed è successo…- riprese a ridere senza rammarico trascinandosi dopo un po’ il sommesso ridacchiare di Franck e Alice e anche quello più riluttante di James.
Effettivamente la situazione vista dall’esterno era comica.
-Dovete insegnargli a difendersi come si deve. Altrimenti Peter lo ucciderà davvero.- affermò dopo un po’ Paciock prima di prendere per mano la sua ragazza e trascinarla via per una romantica passeggiata per Hogsmade.
James si fermò a guardare sognante ancora per qualche attimo quella benedetta pergamena prima di allontanarsi con Sirius alla volta della Sala Grande.
Avrebbero dovuto fare un’abbondante colazione per poter affrontare una sessione di allenamenti con Peter.
-Sai che dobbiamo farlo davvero.- fece James riferendosi alla frasi di Franck di poco prima.
-E tu sai che non riuscirà mai a difendersi a lungo contro Mocciosus. Per quanto mi costi ammetterlo in questi anni ha imparato a difendersi abbastanza decentemente. Certo non bene da rivaleggiare con uno di noi, ma per il resto della scuola è più che sufficiente…-
-…figuriamoci con Peter. Lo so.- sospirò sconsolato.
Sarebbe stata decisamente una giornata massacrante. E dire che avrebbe voluto chiedere a Evans di uscire con lui, ma gli amici prima di tutto…
 
 
 
 
 

***

 
 
 
 
 
Lily era sempre molto mattiniera. Durante la settimana era la prima delle ragazze con cui divideva la stanza a svegliarsi, più per avere l’esclusivo e tranquillo uso del bagno che altro, ma era comunque mattiniera.
Durante i weekend invece poltriva più che poteva, cercando di riguadagnare le ore di sonno perse durante i suoi pattugliamenti o i ripassi prima di dormire.
Così anche quella mattina, come il giorno prima, all’alba delle undici e un quarto era ancora a letto, coperta fin sopra il naso e sprofondata nel mondo dei sogni, anche se stava pian piano tornando in quello dei vivi.
Si alzò a sedere sul letto sbadigliando almeno tre volte nel compiere l’operazione prima di gettare un’occhiata distratta nella stanza alla ricerca di Garfield il suo gatto arancione e lievemente obeso, che condivideva con il suo omonimo cartaceo anche l’amore per i sonnellini e quello che per il buon cibo fatto in casa.
Ultimamente non si vedeva molto in giro e questo voleva dire solo una cosa, pensò afflitta.
Tom lo aveva nuovamente adottato come l’anno prima viziandolo in un modo inconcepibile. Avrebbe dovuto comprare una nuova cesta per riportarlo a casa, a Natale. Nell’altra non sarebbe sicuramente entrato vista la frequenza con cui il ragazzino lo rimpinzava di prelibatezze, grazie anche alla complicità degli elfi domestici e di Jennifer, una ragazzina del terzo innamorata da sempre di lui e che di riflesso adorava anche il gatto.
Sarebbe assomigliato più a un tappeto d’orso che a un gatto, se quei due non si fossero dati una regolata.
Con uno sbadiglio si alzò e un altro la accompagnò fino al bagno da dove usci dieci minuti dopo vestita e profumata. Ma soprattutto con un aspetto umano.
Fortuna volle che nella Sala Comune trovò proprio Tom tutto intento a convincere un suo compagno di corso, Alan se non sbagliava, dell’utilità dello studio di Babbanologia.
Quella convinzione gli era venuta grazie all’involontario contributo di Lily. Lo aveva incontrato quell’estate a Diagon Alley mentre carica di pacchi per la scuola tentava di tornare incolume a casa.
Tom le aveva offerto una mano e come ricompensa aveva fatto preparare a sua madre la sua fantastica torta di frutta. Giusto per ringraziarlo. Il ragazzo se n’era mangiata più di metà sotto lo sguardo orgoglioso di mamma Emily che lo trovava troppo magro per la sua età e troppo simpatico per averlo conosciuto solo allora. Aveva rimproverato scherzosamente la figlia per quello sotto lo sguardo di un imbarazzato Tom.
Una volta pieno lo stomaco la ragazza si era offerta di fargli fare un giro della casa visto che lui non aveva mai messo piede nel mondo babbano e gli aveva spiegato, con molta ma molta pazienza, l’uso di uno stereo. E Tom se n’era innamorato. Letteralmente, tanto lei ne aveva comprato uno identico al suo da regalargli per Natale.
In ogni caso da allora trovava Babbanologia una materia decisamente interessante.
-Tom quanto è ingrassato quell’approfittatore di un gatto?- scherzò caustica interrompendo la sua appassionata arringa, guadagnandosi tra l’altro uno sguardo di ringraziamento da Alan.
-Povero Garfield, Lily! Non è colpa sua se va matto per il pasticcio di fegato.- rispose il ragazzino.
Lei si limitò a sorridere, evitando di commentare gli orribili gusti del proprio animaletto, e fece per andarsene quando Tom la fermò.
-Lily non sei curiosa di sapere con chi farai coppia per quella gita?- le saltellò intorno.
-Ci sono già i risultati? Vediamo un po’…-
E con gli occhi seguì la colonna dei nomi fino a incontrare il suo...
Evans e…Potter?
Ma erano tutti ubriachi? Dando una veloce controllata agli altri nomi, e vedendo che non erano stati divisi per casa, si ritrovò a pensare che Potter andava più che bene.
Sarebbe stato un suicidio passare due settimane con un Serpeverde. Con Nott, magari propose sarcastica una vocetta irritante nella sua testa.
Ecco, quello avrebbe tentato di ucciderla nel sonno prima ancora che scendesse la notte.
-Forte, Lily! Sei finita con Potter!- esclamò eccitato Tom –Mi racconterai tutto, vero?-
Tom era andato. Venerava Potter e la sua combriccola esattamente come Garfield e quello non andava affatto bene. Per niente! L’anno prossimo lei non sarebbe stata a scuola e lui sarebbe diventato un teppista come i suoi amati eroi.
Cavoli sembrava una mamma isterica con il suo unico figlio! Doveva smetterla, subito anche.
Così si limitò a scompigliarsi i capelli, ottenendo un sorriso sereno in risposta, e lasciò la Sala. Era quasi mezzogiorno e lei aveva decisamene fame.
Avrebbe pensato poi a raggiungere Julie e Emmaline al villaggio.
 
 
 
 
 
 
 
 


SPAZIO AUTRICE.
Ciao a tutti! Riesco a ritagliare nuovamente un angolino di tempo per scrivere i commenti (che a nessuno mancherebbero probabilmente) e ringraziarvi. Oltre che per riprendere un po’ fiato tra un campo elettrico e una poesie lucreziana…da incubo. Non so quale dei due sia peggio.
Allora due parole sul capitolo? Che mi dite? Personalmente non mi entusiasma troppo se togliamo la parte sulla misteriosa sconosciuta ai confini di Hogwarts e la parentesi su Garfield che non sono riuscita a evitare. È inutile mi ricorda troppo il mio super obeso felino!!
Le cose iniziano a muoversi, anche se forse è ancora presto per dirlo. Dal prossimo capitolo potreste cominciare a capire di chi si tratti. Per inciso probabilmente non si capisce bene ma tra il primo paragrafo sull’incappucciata e la vita al castello, nella mia idea, passano almeno due settimane. Così solo per dirvelo, anche se saperlo non cambia niente.
Sto cercando di allargare un po’ il numero dei miei personaggi, non mi piace incentrare una storia su solo i due protagonisti e sporadiche apparizioni di altri da contorno, dei bei tappabuchi insomma, ma non sono sicura di essere riuscita nell’intento. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
Che altro? A si, cavoli devo iniziare a farmi una lista delle cose che vorrei dire altrimenti ci metto ore a scrivere questo commento, la reazione di Lily alla scoperta di chi è in coppia è molto easy, lo so. Forse anche poco credibile, ma fate conto che i loro rapporti stanno migliorando e che, effettivamente, ci sono personcine particolarmente ostili all’interno della scuola. Insomma, anche se non adorassi James come invece faccio, Potter andrebbe più che bene. Al massimo rischia un tracollo emotivo e del sano isterismo.
Vabbè smetto di dire scempiaggini e passo ai ringraziamenti.
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite.
Grazie a chi ha inserito la storia tra le seguite.
Grazie a chi ha inserito la storia tra quelle da ricordare.
Grazie a chi ha inserito ME!! Tra gli autori preferiti (VI ADOROOOOO!!!).
Grazie a chi ha inserito un commentino…
 
IloveJP, uso l’abbreviazione spero non ti spiaccia. Intanto grazie sei veramente carinissima. Spero che anche questo capitolo ti faccia venire voglia di leggere il successivo. Sperando di non avere ritardi, e soprattutto di avere l’ispirazione perché la scuola mi sta togliendo di sentimento, martedì prossimo ci sarà il quinto capitolo. Fammi sapere cosa ne pensi. Baci.
Mousse, ciao tesoro!! Che bello risentirti! Vedo che hai apprezzato Potter fesso, sono contenta. Ero così soddisfatta di me, volevo inserire quella canzoncina in una storia dalla prima volta che l’ho sentita anche se qua ho un po’ sconvolto il testo. Comunque…per sapere cosa è successo davanti alla famosa tazza di cioccolato dovrai aspettare qualche capitolo, uno o due ancora non sono sicura. Ma mi piacere mettere un flashback. Io li adoro…E Sirius che rincorre Mrs Purr, beh in tante fic Remus lo accusa di comportarsi da cane, ma di fatto non avevo mai letto che lo facesse davvero così ecco qua. James invece, si sta mettendo la testa a posto, anche se vedrai che farà venire i cinque minuti a Lily. Se hai voglia di scrivere due righe mi fa piacere, eh? Baci.
Raffaley94 ciaoooo!! Non ti preoccupare per il ritardo, l’importante è che commenti (scherzo, anche se mi fa sempre piacere sentirti). Per il bacio mi spiace dovrai aspettare, ma se vuoi dello zucchero ci sono Alice e Franck. Io invece sto cercando di farlo venire fuori in un’altra storia che ho in cantiere sul mio adoratissimo e pucciosissimo James Sirius Potter. Ma mi riesce difficile vederlo un innamorato tutto miele. Più che come romantica dovrò segnalarla come barzelletta se non riesco a sistemarla un pò. Comunque mi fa sempre piacere sentirti, se hai voglia scrivi due righe sul capitolo altrimenti ci sentiamo presto. Baci baci.
 
Beh che altro dire? Mi lasciate qualche commentino-ino-ino?
Baci baci, Rebecca. 

 

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Capitolo 6
*** Confidenze di fumo... ***


 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
-Avanti.- una voce serena invitò Lily a entrare.
Era la prima volta che metteva piede nell’ufficio del preside. Come ogni studente modello non era mai stata spedita in presidenza con la minaccia di un’espulsione. E di spiegare gli incarichi di Prefetto e Caposcuola se ne era occupata la McGrannitt in quanto CapoCasa di Grifondoro.
Tutto si era aspettava tranne che quello. Nel suo immaginario quell’ufficio era austero e ordinato, con plichi di fogli sulla scrivania dietro cui sedeva la maggiore carica scolastica come quello della scuola che aveva frequentato prima di Hogwarts.
Ma di certo non si era aspettata quella stanza circolare sontuosamente arredata con tanto di camino e scale che conducevano a una biblioteca privata sopraelevata. Piena di libri antichi, probabilmente prime edizioni se la vista non la ingannava, alcuni di quei volumi erano conservati anche in biblioteca, sotto l’attenta attenzione, quasi morbosa in verità, di Madama Pinch, la nuova bibliotecaria.
-Signorina Evans, che piacere vederla. È la prima volta se non sbaglio, vero?- chiese l’uomo divertito.
-Si signore, mi scuso per l’intrusione. Potter mi ha fornito la parola d’ordine.- rispose titubante.
Era difficile capire cosa pensasse quell’uomo. Quasi quanto stabilire la sua età, considerò tra sé in un momento di inopportuno umorismo la rossa.
-Ha il caro James. Stranamente quest’anno ancora non ho avuto il piacere di una sua visita, per motivi scolastici, intendo.-
Sembrava si divertisse a provocarla. Come se non sapesse che era stata lei a mandarlo in quella stanza almeno la metà delle volte in quegli anni. Come se non sapesse che il preside Silente era un amico della famiglia Potter, una volta nonna Potter era addirittura arrivata fino a Hogwarts solo per bere un the con il vecchio amico.
-Immagino che questa non sia una visita di cortesia, sbaglio signorina Evans?-
Intanto le fece cenno di sedersi, ora con sguardo serio voltandosi contemporaneamente verso uno dei quadri alla sua destra sussurrandogli –Di a Minerva che non posso essere disturbato in questo momento. A lei il timone.-
Mentre l’uomo parlava con uno dei vecchi presidi, per almeno fingere di dargli una parvenza di privacy, Lily diede un’occhiata all’ambiente circostante. Prima non aveva notato che su uno scaffale della biblioteca al piano di sopra era situato il Cappello Parlante. E nemmeno che poco lontano dalla finestra si trovava un trespolo con sopra un uccello rosso e maestoso. Non poteva essere…
-…una fenice.- bisbigliò meravigliata.
Non ne aveva mai vista una se non sui bestiari in biblioteca. Non aveva mai creduto che avessero davvero quel colore di fuoco, cangiante.
-E’ Fanny. Un vero peccato che l’abbia vista all’approssimarsi del Giorno del Falò, signorina Evans. Un vero peccato. Fanny non è al suo meglio, anzi assomiglia più a un gufo rachitico che alla fenice che invece è. Le dico da giorni di prendere fuoco.- spiegò paziente l’uomo.
La ragazza rimase in silenzio per alcuni minuti. Rientrata a scuola, e per tutta la via del ritorno, non aveva pensato ad altro che a recarsi dal preside e consegnargli quel biglietto. Ora non ne era più sicura. Magari avrebbe potuto aver capito male, dopotutto non sapeva niente di quel mondo di morte e sangue che stava fuori da Hogwarts.
Non sapeva niente della guerra, era solo una studentessa come tante. Forse addirittura troppo supponente.
-Signorina Evans, c’è forse qualcosa che vuole dirmi?-
-Volevo darle questo.- finalmente si risolse a consegnare la pergamena prima di parlare.
Lasciò che Silente la leggesse e osservasse per bene senza quasi respirare per non turbare l’assorta meditazione del vecchio.
-Dove l’ha trovata, signorina Evans?- chiese alla fine con tono triste.
-A Hogsmade. Ero con le mie amiche al tempietto. Un uomo vestito di nero è improvvisamente comparso e non accennava a muoversi. Noi abbiamo fatto altrettanto, eravamo spaventate, preside. Dopo poco è arrivato un ragazzo, aveva sul mantello lo stemma di Serpeverde. L’uomo gli ha consegnato la lettera e non appena l’ha letta l’ha bruciata. Sono andati immediatamente via e io ho preso questa. Non siamo riuscite a sentire niente, però.- raccontò senza quasi riprendere fiato.
-Le sue amiche sanno cosa c’è scritto sopra?-
-No, signore. Credono che fosse rimasta solo cenere. Con noi c’era Virginia Cudworth e non ho voluto allarmarla più di quanto già non fosse.- rispose agitata lei.
Si sentiva in colpa per aver mentito alle sue amiche, ma sul momento non aveva potuto fare altro. Aveva ancora impressa a fuoco nei ricordi il viso terrorizzato di Virginia e voleva solo piangere.
-So quando debba costarle mentire alle sue amiche, ma le chiederei di non dire niente loro. Non voglio che vi mettiate in pericolo, ma sarebbe una buona cosa che qualcuno sapesse quello che ha scoperto, signorina Evans. Qualcuno di cui potersi fidare, che non tradirebbe mai il suo segreto. Insieme si è più forti.- commentò pacato Silente.
Dopo alcuni momenti di silenzio lui si rimise a osservare con sguardo greve quel piccolo foglietto stropicciato.
-Signore, davvero un ragazzo sta per essere marchiato?- chiese impaurita Lily.
Non conosceva quel mondo e non avrebbe mai potuto farne parte, fortunatamente. La sua nascita babbana, che tanti in quella scuola criticavano, era la sua salvezza si ritrovò a pensare e non per la prima volta la ragazza. Ma con gli anni, leggendo delle sempre più numerose morti, delle sparizioni improvvise, di attacchi in centri babbani, sperimentando con mano la paura per il futuro aveva imparato ad averne anche di quel maledetto marchio.
Forse più del marchio che non del suo padrone. Perché un uomo per quanto potente può morire, può cambiare, può essere ucciso, ma le idee che aveva inculcato nei suoi seguaci, che sarebbero rimaste impresse per sempre sulla pelle di decine  e decine di uomini, quelle no, non potevano essere sconfitte.
Sarebbero rimaste per sempre a infestare le menti dei più conservatori, a ossessionare i malati, a spargere odio e morte. Il vero nemico, Lily lo credeva fermamente, non era Tu-Sai-Chi, ma quello che lui rappresentava.
-Sono arrivato alla stessa conclusione, signorina Evans. E mai con oggi ho desiderato sbagliare.- commentò Silente. Aveva un tono strano, sembrava sconfitto.
Quando per l’ennesima volta tornò a rivolgere l’attenzione a quel pezzo di pergamena, rappresentante del suo più grande fallimento, Lily capì che era il momento di andarsene.
Lasciò la stanza senza nemmeno salutare, per non rompere l’immobilità dell’uomo, con addosso un senso di sconfitta che probabilmente provava anche lui. Perché lei, per quel ragazzo che aveva deciso di autocondannarsi, non poteva fare niente.
Ma un giorno avrebbe fatto la differenza, quella era una promessa.
 
 

 
 
 

*** 


 
 

 
 
 
 
Lily aveva appena sentito chiudersi la statua che presiedeva l’ufficio del preside. Quel colloquio era stato massacrante mentalmente, almeno per lei.
Sperava però di aver fatto la scelta giusta, che il vecchio preside riuscisse in qualche modo a salvare quel ragazzo. Sospirò sentendosi impotente.
Quando finalmente si decise al alzare lo sguardo dal pavimento ne incontrò uno color cioccolato. Un conosciuto sguardo color cioccolato.
Potter l’aveva aspettata. Così, appoggiato con la schiena al muro, le braccia incrociate al petto e le gambe incrociate al livello delle caviglie era l’emblema della tranquillità e nullafacenza. Atteggiamento totalmente contrario all’espressione seria e determinata in viso. Sperava solo che non iniziasse a tormentarla per quella storia, altrimenti quella volta un bello schiantesimo in piena faccia non glielo toglieva nessuno. Dannazione, non era proprio in vena per uno dei suoi assalti estenuanti.
Ma stranamente quando il ragazzo si staccò dal muro e iniziò a parlare non fu per chiederle spiegazioni.
-Sembri proprio una che ha bisogno di una sigaretta.-
Che fosse impazzito? Dove era finito il Potter irritante e infantile che ricordava? Quello che era capace di inseguirla per i corridoi chiedendole incessantemente di uscire, quello che malediva tutti i Serpeverde che incontrava per strada e finiva in punizione un giorno si e l’altro pure?
Era vero che l’anno prima, durante l’ultimo mese, sembrava essersi calmato, ma Lily ricordava di aver pensato che l’intensa attività clandestina, portata strenuamente avanti insieme ai suoi amici mentecatti, e che Remus la perdonasse, di scherzi, partite di Quidditch fuori dal campionato e incursioni nelle cucine avesse prosciugato le sue energie. Che finalmente si fosse deciso a crescere?
-Io non fumo, Potter.- rispose comunque.
-Nemmeno io, in realtà, ma fortunatamente so dove alcuni ragazzi di Grifondoro tengono le loro scorte. Ti assicuro che sembri davvero averne bisogno.- parlò di nuovo lui passandosi contemporaneamente una mano nei capelli, come se non sapesse esattamente come comportarsi e stesse cercando di prendere tempo. O una decisione in pochi istanti.
-Vieni.- e senza lasciarle rispondere o divincolarsi la prese per un braccio e la trascinò due piani sopra.
Doveva decisamente smettere di invadere così i suoi spazi e lei doveva riprendere le vecchie abitudini e mandarlo al diavolo quando iniziava a prendersi troppe libertà, ma quel giorno non sembrava averne le forze. Anche prima, con quella mano sulla sua schiena, e non aveva detto niente…
Riprenditi Lily! Si rimproverò mentalmente.
E stava per riuscirci, stava davvero per divincolarsi dalla sua presa leggera quando guardò la mano di Potter così più grande intorno alla sua.
Era calda. Sembrava scottare. E stava allontanando il gelo che quella lettera maledetta aveva portato con sé.
Bastò quello a fermarla.
-Rallenta, Potter.- esalò dopo l’ennesima rampa di scale Lily, rompendo quel silenzio così strano tra loro che li aveva avvolti come una cappa.
-Ma siamo quasi arrivati e…stai bene?- si fermò di botto James dopo averla guardata in faccia mentre parlava.
Lily sapeva cosa lo aveva colpito così tanto. Succedeva da sempre, anche se con gli anni la situazione era leggermente migliorata. Ma in ogni caso sapeva cosa lui stesse fissando intensamente, lo specchio le rimandava quell’immagine con anche troppo sadismo.
Il viso paonazzo. Il respiro corto. Gli occhi brillanti.
Dannazione, dopo due rampe di scale di corsa lei quasi non riusciva a respirare, lui invece era fresco come una rosa. Forse il Quidditch non era poi così inutile.
-Evans, davvero, stai bene?-
-Fammi riprendere fiato Potter. Oddio tu sei pazzo.- e gli mollò la mano per poterle appoggiare entrambe sulle ginocchia.
-Ma davvero due gradini ti riducono così? Non è che stai ansimando per la mia indubbia e brillante bellezza?- le chiese divertito lui prima di scoppiare a ridere dopo aver incontrato uno sguardo indignato della ragazza.
Deficiente! Lo insultò mentalmente Lily.
-Dove eravamo diretti?- gli chiese dopo aver riacquisito finalmente un battito cardiaco normale e un colore in viso umano.
-Un bagno femminile?- chiese stupita lei prima di notare quale bagno fosse.
Oh no…
-Ah, vedo che la luce della comprensione ha raggiunto finalmente il tuo splendido e ancora rosso viso, cara Evans.- commentò divertito James.
…il bagno di Mirtilla Malcontenta.
Lei non ci andava mai. L’indiscussa padrona di quel bagno, da quanto le aveva raccontato Alice che andava regolarmente lì per spettegolare con Mirtilla informata di tutto e di tutti nella scuola, era morta più di venti anni prima in circostanze misteriose per diventare un fantasma petulante e cattivello che non perdeva occasione per ridere delle disgrazie altrui. E la odiava. Per quello non entrava mai in quel bagno, perennemente inagibile tra l’altro. Ovvio che un gruppo di sovversivi nascondesse lì le loro scorte di sigarette.
-Evans, sia chiaro niente retate con insegnati a seguito.- la ammonì Potter.
-Per chi mi hai preso, eh? Stupido scemo non sono una spia!- quasi gli urlò addosso Lily.
Ecco, decisamente adesso si riconosceva.
Sentiva di stare riguadagnando pian piano il suo spirito. Grazie a Potter, sembrava quasi una barzelletta considerato che quello era il ragazzo che per sei anni l’aveva fatta dannare.
-Meglio così.-  rispose tranquillo lui prima di mettersi a battere sulle mattonelle del muro di uno dei cubicoli.
Lily gli si avvicinò incuriosita e lo vide uscire pochi attimi dopo con in mano un paio di sigarette.
-Non fumo, Potter.- ribadì lei rigida.
Quella situazione era decisamente anomala. Non era normale che lei e Potter passassero tanto tempo insieme senza urlarsi addosso. Seriamente.
E invece ancora non l’aveva mollato solo in quel bagno. Non gli aveva tolto punti per le sigarette, che comparivano sulla lista di oggetti banditi presente nell’ufficio di Gazza, e che lui sembrava avere tutta l’intenzione di fumare. Non l’aveva nemmeno ringraziato.
Per averla accompagnata dal preside. Per averla aspettata. Per non averle chiesto niente. Perché stava tentando di aiutarla.
E non sapeva nemmeno quanto solo la sua presenza fosse importante. Tranquillizzante.
No, fermi tutti! Da quando faceva certi pensieri nei confronti di Potter?
Tranquillizzante Potter, c’era solo da dubitare della sua salute mentale. Potter era tutto tranne che tranquillizzante. Eppure la sua mano ancora conservava, come immagazzinato in una fino al allora inesistente memoria sensitiva, il suo calore. E la sensazione che aveva portato con sé.
-Evans, non fare la solita Caposcuola perfettina, dai! Una sigaretta non ha mai ucciso nessuno.- le rispose sorridendo lui porgendogliene una.
-E’ vietato fumare a scuola.- ribattè glaciale.
-Allora andiamo alla Torre di Astronomia o nel parco. Dai, Evans. Per una volta fai qualcosa di fuori dagli schemi…-
Se solo avesse saputo. Quella serata era decisamente fuori dagli schemi. E non perché era insieme a lui.
Per un attimo il pensiero torno al viso preoccupato del preside. A quella maledetta pergamena. A quel Serpeverde sconosciuto che aveva visto poche ore prima.
Avrebbe potuto essere Severus.
A  quello non aveva pensato, non aveva voluto farlo. Ma alla fine anche quel pensiero era venuto fuori. Dopotutto erano proprio le idee sul sangue di Severus che li avevano fatti progressivamente allontanare negli ultimi anni.
Che cosa gli assicurava che sotto quel cappuccio meticolosamente calato non ci fosse proprio il suo amico d’infanzia?
Quella consapevolezza le diede la nausea. Non poteva essere Severus. Non poteva essere arrivato a tanto.
Lily sapeva che in molti, già prima dell’ascesa al potere di Tu-Sai-Chi, condividevano quelle teorie malate sulla purezza del sangue. Che intere generazioni di maghi erano state educate al culto della purezza e del disprezzo. Sapeva anche che Severus da sempre associava il mondo babbano con suo padre. E lo odiava. Di riflesso odiava il mondo in cui era cresciuto così come odiava il genitore.
Ma tra il disprezzo e quello…
No, non poteva essere arrivato a richiedere il marchio. Diventare schiavo non era nella natura del ragazzo, quella invece sarebbe stata una condanna a vita, assoggettato a un unico e solo padrone nelle cui mani non sarebbe stata solo la sua vita, ma la libertà. Il suo pensiero. Il suo futuro.
-Sai come arrivare alla torre senza essere scoperti?- si ritrovò a chiedere Lily senza quasi rendersene conto.
Domani. Avrebbe pensato a tutto domani. Magari avrebbe anche potuto tentare di parlargli, sperando non risultasse inutile che tutte le sfuriate che gli aveva fatto al quinto anno. Sperando che Severus l’ascoltasse…
In quel momento voleva solo che il cuore tornasse a battere normalmente e che il groppo formatosi a livello della gola si sciogliesse.
-Evans, guarda che ancora non è scattato il coprifuoco.- le fece presente con tono divertito e perplesso insieme James.
-Potter, guarda che ancora non è permesso agli studenti entrare nella torre fuori dall’orario scolastico. - gli rispose facendogli il verso prima di sospirare fintamente delusa – Ma che te lo dico a fare…-
Vide comparire sul viso del ragazzo un sorriso che poteva dire tutto o niente. Ma non le era mai stato tanto caro. Anche con quel sorriso da schiaffi. Anche se stavano per infrangere almeno un paio di regole. Anche se era lui Potter e lei Evans. Anche se…
…o al diavolo! Stava funzionando. I pensieri scemavano e il respiro si normalizzava portandosi dietro il cuore. E quel sorriso continuava a brillare.
Strano a dirsi, in quel momento, non avrebbe voluto accanto nessun altro che non fosse James Potter. E si ritrovò per la prima volta a rispondere veramente a un suo sorriso.
 
 
 
 
 

 

***
 

 
 
 
 
 
 
James non smetteva di sorridere felice. Non credeva che Evans avrebbe accettato. Non sul serio, almeno. E invece dopo un tragitto silenzioso, ma tranquillo, si trovavano alla torre di astronomia come due vecchi amici quando fino all’anno prima era un utopia anche solo pensare di stare nella stessa stanza senza che lei gli urlasse addosso o lui tentasse in tutti i modi di attirare la sua attenzione irritandola.
Quante cose erano cambiate in pochi mesi. Forse non era stato un errore ascoltare Remus, e la parte razionale del suo cervello generalmente ignorata, e iniziare a rapportarsi con Evans in modo più maturo. E tranquillo.
-Faccio apparire un bicchiere d’acqua?- le chiese vedendola nuovamente rossa e ansimante.
Nessun altra ragazza si sarebbe comportata così di fronte a lui, Lily invece non si faceva problemi a respirare rumorosamente. Era buffa. E tenera. Ma comunque bellissima.
Lo era sempre stata ai suoi occhi.
-Taci, Potter. Non ti ho mai odiato tanto come in questo momento.- sibilò tra un ansito e l’altro.
Per tutta risposta James ridacchiò aspettando che si calmasse. Sapeva che non diceva sul serio. Dopo anni di sfuriate e insulti era perfettamente in grado di riconoscere i suoi momenti seri.
Si diresse verso il balcone. Gli piaceva il clima di fine ottobre, il freddo che però non ti faceva rabbrividire gli ricordava i suoi primi voli.
Aveva otto anni e suo padre gli aveva insegnato a volare con la scopa, era marzo e il clima era lo stesso di quella sera. Erano anni che non andava più a volare con suo padre, magari per le vacanze di Natale avrebbe potuto rimediare.
-A cosa stai pensando?- Evans gli si era avvicinata in silenzio, tanto che non l’avrebbe sentita arrivare se non fosse stato per il suo profumo. Sempre lo stesso da anni. James non avrebbe saputo associarlo a una specifica fragranza, ma per lui era casa, in un certo senso.
Sapone, fiori e caramello. Avrebbe potuto essere nauseante se fosse stato solo un po’ più forte, ma come in ogni cosa che la riguardava Evans non esagerava mai. Era per questo che era così brava in pozioni.
Era per questo che lo trovava così insopportabilmente…insopportabile gli fece notare malefica la sua coscienza. Mai che stesse zitta nel momento giusto.
-Ti interessa davvero?- le chiese stupito. Non si era mai interessata prima di allora a cosa pensasse. Se si escludevano i suoi scherzi.
-Non parlo se non ho niente da dire. E non chiedo se non voglio risposte. Il contrario di te.- gli fece presente lei con un sorriso.
Era vero, pensò sorridendo a sua volta.
Lui mal sopportava il silenzio. Non gli piaceva stare troppo tempo solo e anche con gli altri si trovava spesso e dire la prima cosa che gli passava in mente solo per riempire gli spazi. Riusciva a trovare il silenzio confortante o accettabile solo quando stava con Sirius. Perché loro si capivano al volo, senza bisogno di troppe parole. E anche con Evans taceva.
Ultimamente, in realtà. Fino all’anno prima la intontiva di chiacchiere.
In ogni caso il silenzio non gli piaceva. Era cresciuto in una casa silenziosa, che conosceva risate e chiacchiere continue solo quando nonna Dyside andava a fargli visita, e preferiva evitarlo se poteva. Anche le parole vuote, andavano bene.
-Papà mi ha insegnato a volare a otto anni. Quando mi hanno regalato la mia prima scopa è stato un giorno fantastico, anche se l’ho passato prevalentemente cadendo a terra e quelli seguenti a massaggiare lividi. È durata solo un mese. L’ho distrutta contro un albero.- commentò tranquillo.
-Mio papà mi ha insegnato ad andare in bicicletta a cinque anni. L’anno prima invece avevo imparato ad andare sui pattini, era stata Tunia a insegnarmi.- sentì risponde.
Aveva un’espressione strana, Evans. Come se non si capacitasse di quello che aveva detto. Eppure non gli sembrava niente di strano.
-Chi è Tunia?-
-Mia sorella.- parlava, ma guardava lontano. Che cosa le era preso tutto in un colpo?
E da quando Evans aveva una sorella? Non ne parlava mai. Non aveva nemmeno mai sentito le sue amiche parlarne.
-Mi sarebbe piaciuto avere fratelli, ma i miei non hanno avuto altri figli. Nonna dice che avevano smesso di sperare di avere un figlio prima che nascessi.-
-E’ bello. Con Tunia stavo bene. Si è sposata lo scorso aprile.-
-Allora questa sigaretta?- chiese James tanto per alleggerire l’atmosfera.
Non era così che si era immaginato stare insieme a Evans. Sembrava lontana, persa in chissà quali pensieri.
-Non fumo, Potter.-
-Solo un tiro. Se non ti piace la butti, no?- le chiese allungandone una verso la ragazza.
James la guardò in viso attentamente mentre accettava riluttante la proposta e allungava in risposta la sua mano per prenderla. Non era convinta, poteva leggerglielo in viso.
Il ragazzo le accese entrambe con un semplice colpo di bacchetta e si voltò verso la finestra, lasciandole almeno l’illusione della privacy mentre si decideva a dare il primo tiro.
Ma non potè evitarsi di spiarla di sottecchi. Non riusciva mai ad evitarlo, era come se lei, inconsciamente, richiamasse il suo sguardo in ogni momento. Altrimenti non sapeva spiegarsi come potesse individuarla sempre e comunque, anche appena entrato in una stanza piena di gente.
Ridacchiò quando Lily iniziò a tossire, con le guance rosse e gli occhi pieni di lacrime.
-Era la prima?- le chiese con ancora il sorriso nella voce.
Non riuscì bene a distinguere la sua risposta, così coperta dai continui colpo di tosse, ma gli pareva di aver sentito qualcosa come “tronfio pavone”, “irritante stupido” e altre carinerie simili.
Dopo aver provato con un altro ancor più riluttante tiro alla sigaretta e averla buttata, il tutto nel più completo silenzio, la sentì avvicinarsi a lui come mai prima.
Erano entrambi appoggiati alla balaustra del balcone, le loro braccia che si toccavano e lei ancora non parlava. Come poco prima aveva di nuovo un’espressione distante, concentrata, e James moriva dalla voglia di chiedere che cosa fosse successo quel pomeriggio, al villaggio. Ma ancora una volta decise di tacere.
Conoscendo Evans non sarebbe stata ben disposta alla sua invadenza.
Ma voleva di nuovo averla vicina. Non poteva sopportare di esserle finalmente così vicino con il corpo, ma lontano come non mai nello spirito.
E riempì il silenzio. Con una stupidaggine, come sempre, ma che la fece sorridere lievemente.
-Che cosa è una bicicletta, Evans?-
-E’ un mezzo di trasporto babbano, con due ruote e…ma tu non frequenti Babbanologia da tre anni?- gli chiese indignata dopo un breve attimo di silenzio dove sicuramente aveva ricordato la cosa.
-Remus mi fa copiare i compiti. E non abbiamo mai fatto un compito in classe teorico, il professore Babbit crede nella pratica e non nella teoria.- gli rispose senza la minima traccia di rimorso.
Se James si aspettava una sgridata o comunque insulta poco velati, rimase deluso visto che la ragazza si limitò a scuotere la testa.
-Da Remus non me lo sarei mai immaginato.- sospirò.
Beh non che non avesse tutti i torti, avevano dovuto scongiurarlo quasi in ginocchio per convincerlo, ma il gioco valeva bene la candela, no? Lui e Sirius avevano deciso che un’umiliazione del genere ci stava tutta per ottenere buoni voti con zero studio.
-Ma la smetti?- sbottò tutto a un tratto Lily sventolandosi davanti al viso una mano per allontanare il fumo che le aveva soffiato in faccia senza nemmeno rendersene conto.
-E’ solo fumo, Evans. Hai appena fumato, ricordi?- ribatté sorridendo.
-Già e mi ha fatto schifo. Sapevo che non dovevo darti retta.- replicò lei stizzita.
Quella frase…chissà se ricordava quando gli aveva già detto quelle parole? Usando lo stesso tono stizzito, anche…
-Nessuno ti ha obbligato, Evans…-
Anche quella sera gli aveva risposto così. Finto stizzito, mezzo felice.
Lily lo fissava con uno sguardo concentrato, un po’ lontano, forse, ma attento come a lui non ne aveva mai rivolti.
Chissà se stava ricordando anche lei…
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Ciao a tutte!! Sono reduce da un massacrante compito di fisica, seguito da un’altrettanto massacrante lezione di matematica e per la prima volta dannarmi per riuscire a pubblicare il capitolo, leggibile preferibilmente, non mi manda al manicomio. Ci hanno già pensato i miei cari professori…-
Vi evito ulteriori lamentele, anche perché potrei andare avanti pagine e pagine e inoltre sono sicura di non essere l’unica sommersa dai compiti (ma almeno posso vantarmi di un otto a storia? Che con il mio prof è un miracolo?) quindi passiamo al capitolo.
Allora le cose stanno iniziando a muoversi, sia dentro che fuori la scuola.
Ma partiamo con quello che c’è fuori. Finalmente ho cancellato uno dei due possibili continui e l’incappucciato ha una sua faccia, ormai irrevocabile, anche perché quelle venti pagine non sono più recuperabili, anche se voi dovrete aspettare ancora un po’ per saperlo.
Mi sono scervellata un po’ chiedendomi se il colloquio tra Silente e Lily sia credibile, ho cercato di rispettare il carattere dell’uomo senza tener conto di quello che succede negli ultimi libri, e spero di non aver rovinato un personaggio tanto complesso. Lily finalmente trova una motivazione per combattere che non sia semplicemente il suo sangue. E ha paura, ma spera ancora. Quello che pensa sul marchio mi sta molto a cuore, perché è quello che pensavo anche io mentre leggevo la Saga. Magari fatemi sapere cosa ne pensate se avete tempo e voglia.
Tra Lily e James, beh anche loro si stanno muovendo. Lei inizia a conoscerlo, di nuovo oserei dire come scoprirete in seguito o come già avete intuito, e lui inizia a capirla e rispettare i suoi bisogni. Anche in silenzio.
Cosa ne pensate? Lei si è aperta, forse non volendo è vero. Ma per esperienza so che quando una persona ti fa confidare involontariamente è la volta che quel qualcuno tu non debba fartelo scappare. Fosse anche la persona che più odi al mondo.
Ok ora basta con le discussioni pseudo filosofiche, non voglio annoiarvi troppo.
Vi dirò solo che nel prossimo capitolo finalmente saprete cosa è successa la famosa notte nelle cucine. E come in questo capitolo quei due mi fanno un sacco di tenerezza.
Cavoli vi ho scritto un papiro altro che…
E ora i doverosi ringraziamenti. Mi fate sempre contenta.
Grazie a chi ha inserito la mia storia tra le preferite, le da ricordare e quelle seguite.
Grazie a chi ha letto e chi ha recensito.
Siete dei tesori!!
Mousse sono contenta che il compito da crampo alla mano sia andato bene (il mio prof di storia ci costringe a scrivere come dei pazzi dandoci solo un’ora di tempo e so cosa si prova, ma almeno lui è bello bello!!) visto tutta la fatica fatta. Grazie per la recensione, come sempre sei un tesoro! Cosa mi dici di questo capitolo? Qua le cose iniziano a girare ed entra in scena anche l’uomo ai piani alti con la sua fedele Fanny (che io adoro anche se non compare quasi mai nei libri, come Pix) che per una volta, viva me, non era già a conoscenza dei fatti nefasti. La sua onniscienza mi ha sempre inquietata. Comunque per l’accoppamento di James c’è ancora tempo e Lily invece si sta sciogliendo, o rammollendo come preferisci. Per lo studente c’è ancora tempo e pochi accenni per ora. Non vorrei appesantire troppo la storia. Aspetto un parere eh? Ormai mi hai abituata maleJ, mi spiace. Baci tesoro.
IloveJP non preoccuparti dei ritardi, l’importante è che commenti (scherzo, le giornate piene ci sono per tutti e capisco bene)! cosa ne pensi? James cresce, esatto e spero che tu abbia capito cosa prova Lily. O cosa non prova. Di certo non vuole più ammazzarlo o schiantarlo, almeno per ora. Non facesse casini non sarebbe James, non credi? Ma sono contenta che tu non la capisca perché ci tenevo fosse così, in un certo senso nemmeno lei capisce, il prossimo o prossimo capitolo ancora chiariranno tutto meglio. Su Peter ancora non mi sbilancio. Ho una mezza idea un po’, molto in realtà, bastarda, ma ancora non sono sicura. Anche se è ovvio che verrà marchiato,quella è storia. Ma l’esodo diciamo è nebuloso, anche se le idee bastarde sono quelle che preferisco. Quindi no, non è Peter a ricevere la lettera, anche perché diciamocelo credi davvero che avrebbe avuto il coraggio di entrare apertamente in campo così presto? Vabbè spero ti sia piaciuto anche questo capitolo, fammi sapere se hai un po’ di tempo.
Raffaley94 ciao tesoro! Ho letto la mail e non ti preoccupare, l’imporante è che non mi abbandoni. Comunque spero i problemi a scuola si siano risolti, i miei a matematica e fisica infatti spero non saranno un problema per l’ammissione ma si fa quel che si può. Vorrei poter essere utile, ma non posso fare molto (anche se non ci metto niente a mandarti appunti vecchi di storia o italiano via mail, anche in disegno non ero male). Comunque come richiesto il colpo di genio c’è stato e per quanto non conosca le tue supposizioni non è detto che tu abbia sbagliato, a volte sono veramente priva di immaginazione (è il motivo per cui i battibecchi tra Remus e Sirius mi fanno sempre dannare). Questo e il prossimo capitolo mi piacciono, anche perché hanno pochi personaggi e riesco a gestirli bene, spero di aver reso qualcosa. Per ora la curiosità non è soddisfatta, non dico niente di utile per quello che c’è fuori insomma ma se hai tempo scrivi qualcosa così so cosa ne pensi. Ormai sei una delle più vecchie lettrici (vecchia, vabbè chiedo venia). Baci e in bocca al lupo tesora…
Nashira91 oddio quanto mi hai fatto gongolare con la tua recensione? Ti voglio tanto tanto tantissimo bene!! Sulle amiche di Lily ci sarà a breve un capitolo, così magari avranno finalmente un carattere definito. Poi passerò anche a Sirius e gli altri. E Severus, che non me lo sono dimenticato, ma è in fase di…boh revisione? In realtà avrà un ruolo un po’ brutto a meno che non cambi idea. Sono contenta che il vecchio capitolo ti sia piaciuto, insieme a questo e il prossimo sono completamente incentrati su Lily e James e ho cercato di non metterci troppo zucchero, in James in realtà, o confusione per via di Lily. Che comincia veramente a non capirci più niente. Ma le amiche la aiuteranno, me ne sono assicurata. Baci baci, a presto!
 
Dopo aver riempito due pagine di un monologo infinito vi lascio finalmente in pace. Spero vi sia piaciuto il capitolo, lasciate un commentino?
Baci baci baci,
Rebecca 

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Capitolo 7
*** Ricordi, promesse e speranze ***


 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
Chissà se stava ricordando anche lui…
Non era mai stata nelle cucine, ma non avrebbe nemmeno mai immaginato che per entrarvi si dovesse solleticare una pera. Non era strano che Potter conoscesse quel passaggio, era assurdo come lui.
Solleticare un pera…quando i Fondatori avevano messo quel passaggio dovevano essere ubriachi.
Dal passaggio arrivavano gli odori di spezie e il rumore di pentole tipico di ogni cucina che si rispetti.
La sua parte razionale continuava a insultarla, stava pur sempre infrangendo una regola, con Potter per di più, e le intimava di andarsene e mollarlo lì, ma il pensiero di una bella cioccolata calda con marshmallow la tentava in quel momento come aveva fatto poco prima nella sala studio.
E almeno a se stessa poteva ammetterlo, Potter così gentile la incuriosiva e insieme le impediva di andarsene e tanti saluti.
Non che generalmente non fosse gentile, perfino lei che associava simultaneamente alla sua figura insofferenza e irritazione, vedeva quei momenti di inaspettata gentilezza che sembravano venire fuori senza che lui nemmeno se ne accorgesse. Quante volte lo aveva visto indicare con un sorriso la strada giusta a primini sperduti, arrivare tardi a lezione per accompagnare ragazzine in lacrime in Infremeria? Quando mai lo aveva visto fare un scherzo ai Serpeverde al di sotto del quarto anno?
Quindi si, vedeva spesso quella bontà di fondo che gli era tipica, ma era sempre accompagnata da strati e strati di sbruffonaggine e arroganza, da una battuta idiota con Black o uno sguardo astioso ai Serpeverde, che…non era come adesso.
Quella mattina era stato così. L’aveva aiutata, ma non aveva potuto fare a meno di essere Potter. Quella sera, invece, era gentile e basta. Non cercava di farsi bello agli occhi degli altri. Non c’era Black nei paraggi con cui scambiare un’occhiata tronfia e soddisfatta. Non c’era Remus che scuoteva sconsolato la testa. Non c’era lei che cercava di trattenersi dall’affaturarlo.
Non erano Potter ed Evans. Sembravano di nuovo James e Lily, i ragazzini del primo anno che spesso si vedevano camminare ridendo fianco a fianco per i corridoi. James e Lily amici.
Come era tipico di lui continuava a sorprenderla. Quando ormai credeva di averlo capito, di aver visto di lui tutto quello che aveva da dare al mondo, ecco che Potter faceva qualcosa di strano e fuori dalla norma, per lui, e cambiava tutto.
James aveva sempre saputo cambiare le carte in gioco. Ma lei non aveva mai creduto che anche Pottersapesse farlo.
-Allora, che mi dici?- la voce squillante del ragazzo interruppe improvvisamente le sue riflessioni.
Solo allora Lily si rese conto che non stavano più percorrendo il male illuminato corridoio, ma si trovavano in una grande stanza bel illuminata e piena di odori invitanti.
Per dimensioni e disposizione, se si escludevano le cucine, era identica alla Sala Grande, con tanto dei quattro tavoli delle Case. Probabilmente era lì che venivano disposti i piatti prima di farli apparire al piano di sopra.
Ma la voce del ragazzo non aveva attirato solo la sua attenzione. Vennero presto circondati da un esercito di piccole creature verdognole, dalle orecchie a punta e un naso imponente. E con occhi a palla, sgranati e servizievoli.
Parlavano anche…
-I padroncini vogliono…-
-Padroncino James cosa le…-
-Possiamo fare qualcosa per…-
Quegli esserini parlavano uno sopra l’altro, ma sembravano tutti intenzionati a rendersi utili per primi. I loro occhi brillarono adoranti quanto James chiese loro due cioccolate calde.
In un attimo tutti erano spariti, trotterellavano saltellanti desiderosi di esaudire le loro richieste, e Potter la condusse a uno dei tavoli.
-Ma cosa sono, Potter?- chiese lei stranita.
-Uhm, Elfi no?- le rispose lui guardandosi attorno, come se cercasse il motivo del suo sconcerto.
-Elfi?-
-Evans ma…già se non eri mai stata nelle cucine non li avevi nemmeno mai visti. Sono Elfi Domestici, sono loro a occuparsi di tutto. E lo fanno in modo fantastico, vero?-
-Che vuol dire fanno tutto loro? Non c’è nessuno ad aiutarli? E perché non li ho mai visti in giro per il castello?- chiese ancora più confusa.
-Perché è loro compito non farsi vedere, no? Escono dalle cucine solo di notte.-
Solo di notte. Ogni notte ripulivano ogni stanza dell’edificio da soli e il castello era enorme, non era possibile che nessuno a parte loro li aiutasse. Erano troppo piccoli e gracili per poterlo fare.
-Ma è abominevole! E tu razza di schiavista…- esclamò indignata Lily.
-Evans mi piacciono. Sono sempre gentili e non mi sognerei mai di trattarli male, ma sono nati per questo. E’ sempre stato così.-
La ragazza conosceva abbastanza il mondo dei maghi per riconoscere la chiusura mentale che avevano verso certi argomenti. Conosceva abbastanza le loro tradizioni, Julie al secondo anno le aveva addirittura elencato gli obblighi che una donna di un elevato stato sociale aveva, come non lavorare dopo il matrimonio. Vedeva quella chiusura mentale nel discorso di Potter. E probabilmente lui vedeva qualcosa di strano nel suo comportamento. Nella sua indignazione.
Non si nasceva per essere qualcosa. Erano i singoli a decidere del proprio destino, ma quegli esserini non potevano vantarsi di tanto.
-Ognuno deve essere libero di costruire il proprio destino. Non si nasce per essere qualcosa, per fare qualcosa. Il destino è solo nelle nostre mani, Potter.- dichiarò irritata.
Non ammetteva che altri decidessero per lei, perché lei avrebbe dovuto decidere per gli altri?
-E’ qui che sbagli. Guardati, Evans. I tuoi sono babbani. Tu invece sei nata per essere speciale. Sei nata per essere una strega e sono sicuro che lo sai anche tu.- le rispose pacato lui, rivolgendo un lieve sorriso ai due Elfi che avevano portato loro due tazzone di cioccolata insieme a un fornito vassoio di dolci da abbinarci. Quelli si illuminarono letteralmente vedendo quel piccolo gesto. Altri lo avrebbero dato per scontato. Lei lo avrebbe dato per scontato. Ma non loro. 
Lily pensò attentamente alle parole che aveva appena sentito senza allontanare lo sguardo dal viso del ragazzo. Non stava mentendo, questo era certo.
Se da una parte condannava quello che aveva appena ascoltato, così arroccato nelle sue convinzioni di purosangue nato e cresciuto tra i maghi senza mai vedere il suo mondo, dall’altra sentiva la sincerità della sua voce. Vedeva la gentilezza con cui li trattava.
Dopotutto anche lei non aveva mai visto l’altro lato del mondo, non sapeva come vivevano i maghi veri.
Non sentivache era nata per essere stregaogni volta che teneva in mano la bacchetta? Che mescolava gli ingredienti di una pozione?
Venne riscossa da quei pensieri dalla mano calda di Potter che aveva appena sfiorato la sua, come se temesse di farle male, come se fosse il più delicato dei fiori. Sentiva i suoi occhi chiamarla, sentiva che voleva solo avvicinarsi…
-Guardali Evans. Qua sono felici. Certo ci sono dei padroni che li trattano malissimo, peggio di schiavi, ma Silente è buono con loro.- e le porse la sua tazza.
-Non sto mentendo.- chiarì poi lui.
-Lo so.- poteva leggere la sincerità negli occhi di Potter esattamente come riusciva a farlo in quelli di Tunia tanti anni prima.
… …
Doveva essere impazzita, dopotutto quella storia con Black la stava facendo uscire matta e non se ne sarebbe dovuta stupire nemmeno troppo.
Ma stava bene con Potter, come tanti anni prima le stava aprendo le porte di un mondo che le era stato sempre precluso. Alice, come Julie, era purosangue e le avevano mostrato molto del mondo dei maghi, ma c’era sempre stata solo una persona capace di mostrarle gli angoli scuriche i maghi tanto si affannavano a nascondere. Al primo anno le aveva raccontato di Azkaban e di dissennatori, di fate e sirene.
Senza volere aveva infranto i suoi sogni romantici di bambina, su quelle creature da sogno invece tanto pericolose, con storie paurose su mostri neri e putrescenti, su carceri che non necessitavano di sbarre e su creature capaci di ucciderti ammaliandoti con un sorriso. Aveva infranto sogni senza alcuna cura e allo stesso tempo l’aveva salvata da creature che avrebbero potuto farle del male.
Allora come adesso, Potter nemmeno si accorgeva di quando le insegnasse. Di come si prendesse cura di lei, in un certo senso. In un modo contorto e senza senso, privo di tatto, irritante e arrogante, forte solo della conoscenza del suo mondo. Così normale per lui, così estranei a lei.
Allora come adesso, Potter le apriva gli occhi aiutandola a crescere.
Si aprì in un piccolo sorriso, forse rivolto all’Elfo che era venuto a chiedere saltellante se desiderassero altro, o al ragazzo che stupito la guardava dall’altro lato del tavolo, chi avrebbe saputo dirlo?
Forse di quel ragazzino cui tanto bene aveva voluto era rimasto molto più di quando avesse mai immaginato. Forse non si era ingannata e illusa poi così tanto al primo anno.
Forse, semplicemente, non aveva voluto vedere, ma questo ancora non poteva saperlo.
Il silenzio che calò tra i due non era stranamente pesante o denso di minacce non esternate e parole non dette. Era quel silenzio che solo tra amici si può bene apprezzare, ma che tra lei e Potter non c’era mai stato per un motivo o per l’altro.
Eppure quella sera non si sarebbe dovuta più stupire di niente.
Aveva visto per la prima volta le cucine, con Potter.
Aveva infranto le regole, con Potter.
Aveva parlato con Potter.
E ora il silenzio.
Lily allontanò la sua tazza di cioccolata, perfino per una golosa come lei era stato impossibile finirla. Anche se era talmente buona che lasciarla così era un peccato.
Vedendo il ragazzo allungare una mano verso la tazza e avvicinarla a sé lei si ritrovò a considerare che anche lui doveva pensarla allo stesso modo. Una tale meraviglia…
…rivinata con un sorriso?
Quel maledetto senza fare una piega aveva iniziato a mescolare alla sua cioccolata dolcetti vari, scegliendo accuratamente quelli meno invitanti dai vassoi che gli Elfi avevano portato loro.
Ok che non voleva finirla, ma lui cosa ne sapeva?
Avrebbe potuto voler solamente riprendere fiato prima di condannarsi volontariamente a una vita da diabetica. E lui che faceva? Pasticciava la sua cioccolata?
Lily sentiva prepotente il prurito che le prendeva la mano sinistra, quella con cui maneggiava la bacchetta, almeno tre volte la settimana, la media con cui lui faceva qualcosa che la irritava a morte.
-Cos’è che staresti facendo?- proruppe alla fine infastidita.
-Assaggia.- disse lui per tutta risposta.
Lo vide ridacchiare di fronte al suo scetticismo che, ogni volta, si manifestava con l’alzarsi di un sopracciglio.
-Non ti avvelenerei mai, mia dolce Evans. E per dimostrartelo…- si portò alla bocca quell’intruglio ipocalorico guardandola poi soddisfatto senza che il sorriso che gli illuminava il viso si spegnesse o anche solo attenuasse.
Confortata, minimamente ma pur sempre confortata, Lily lo imitò rubandogli la tazza dalle mani e prendendone un sorso.
Solo quando quella…roba le scese in gola si ricordo perché  lei non dava mai retta a Potter. Perché non c’era da fidarsi del suo sorriso incantatore.
E accidenti lei si era fatta fregare come una scema.
Lo vide dalla risata incredula che lui cercava inutilmente di trattenere.
-Che ti avevo detto, Evans? Non avrei mai cercato di avvelenarti.-
-Già e mi ha fatto schifo. Sapevo che non dovevo darti retta.- rispose piccata e incredula per quello che aveva appena fatto.
Dio stava per vomitare…
-Nessuno ti ha obbligato Evans.-
…che fossero beatificati tutti gli Elfi di questo mondo. Le avevano appena portato dell’acqua per togliersi di bocca quella dolcezza nauseante.
-Crepa Potter.- sibilò dolce e amorevole lei, realizzando solo in quel momento che il ragazzo l’aveva fregata due volte. Non aveva nemmeno assaggiato quello schifo e il suo sorriso soddisfatto glielo confermava costantemente.
 
 
 
 




 

***

 


 
 
 
 
Lily tornò al presente con un vago sorriso sulle labbra vedendo che la sigaretta in mano a Potter si era consumata da sola e che lui ancora stava ricambiando il suo sguardo.
-La prossima volta che vuoi compagnia, Potter, offrimi una cioccolata non una sigaretta.- disse per rendersi conto solo dopo che sembrava…si insomma che lo spingesse a chiederle di uscire. E lei voleva solo…in un certo senso…dio sapeva benissimo che l’aveva portata lì solo per farla distrarre.
-E ora riportami a Grifondoro, senza farci beccare preferibilmente.- cercò di riprendersi, usando un tono falsamente imperioso, ma più simile a quello che abitualmente usava con lui che non quello di poco prima.
La smorfia soddisfatta di Potter non si attenuò minimamente, anzi sembrava ancora più ampia e…tronfia.
Per la barba di Merlino! Era arrossita. Ecco perché quella faccia. A diciassette anni, quasi diciotto, era una vera vergogna arrossire come un dodicenne. Davanti a lui, per di più.
Nonostante gli avesse servito l’occasione su un piatto d’argento non ribatté e cominciò a scendere l’interminabile scalinata che portava alla Torre di Astronomia, non prima di aver fatto evanscere la sigaretta del ragazzo, abbandonata a terra. Solo quando arrivarono in un corridoio del quarto piano James aprì di nuovo bocca.
-La prossima volta che vorrò compagnia lo farò senz’altro.- ribattè lui, tono di voce in linea con l’espressione, fraintendendo volontariamente le sue parole.
Quanto era irritante!
-A questo proposito il prossimo sabato…- continuò con fare suadente.
-Non vengo a Hogsmade con te.- lo anticipò lei.
Il calore al viso era aumentato, segno che il rossore si stava centuplicando sulla sua faccia, accidenti!
-Sai Evans? Prima o poi finirò davvero col credere che non mi vuoi intorno…-
Lily aprì la bocca. Stava davvero per dirgli che intorno non lo voleva, ma le parole si rifiutavano di uscire. Quella mancata risposta fece stupire lui tanto quanto lei. In sette anni di litigate non c’era stata una volta, una sola, che lei non avesse avuto le parole per ribattere caustica.
E invece quel giorno…
-Senza te probabilmente Hogwarts sarebbe mortalmente noiosa.- si ritrovò a bisbigliare più a se stessa che a lui.
…tutto stava girando al contrario.
Lily si bloccò, realizzando quanto aveva detto ad alta voce, quando aveva detto a lui, scoccandogli un breve sguardo a metà tra il terrorizzato e lo stupito.
Poi black out, scollegò il cervello nello stesso momento in cui le sue gambe avevano iniziato a correre, lasciandolo solo nel corridoio, con alcuni quadri che brontolavano dalle loro antiche cornici per tale comportamento.
Arrivò alla porta del suo dormitorio senza nemmeno ricordarsi di essere entrata nella torre tanto era sconvolta.
Sbattè la porta senza curarsene per gettarsi malamente sul letto. Mai come quel giorno rimpianse una stanza singola dove poter battere la testa contro il muro fino a spaccarsela senza doversi curare di quello che avrebbero detto le sue amiche di fronte a tutto quel sangue.
 
 
 



 
 

***

 



 
 
 
 
James rimase a guardare il punto dove fino a pochi secondi prima c’era Evans. Non aveva fatto niente per fermarla, anzi se non si fosse messa a correre lei lo avrebbe fatto lui.
Quasi non credeva a quello che aveva sentito. Quante volte nei sogni lei gli dichiarava amore o lo baciava improvvisamente? Quanti sogni aveva fatto su di lei, ogni tipo di sogno, in tutti quegli anni?
Probabilmente quello non era che l’ennesimo.
Non esisteva che la ragazza si lasciasse andare a certe dichiarazioni. Magari nella cioccolata gli Elfi avevano messo del liquore. Oppure nei dolcetti che ci aveva mischiato lui.
Odiava quei sogni. Con tutto il cuore. Si svegliava sempre nel suo letto, da solo, irritato e deluso. Alcune volte, addirittura, il suo risveglio era stato accompagnato dalle risate incredule di Sirius.
Eppure la voce della ragione gli diceva che non era così. Che non c’era nessun sogno, quella volta.
Ma quando mai lui ascoltava la sua ragione anziché qualunque altra vocetta che albergava la sua testa? Logica o meno che fosse, anzi meglio se irrazionale.
Così senza pensarci due volte tirò un pugno al muro, dopotutto era risaputo che il dolore fa sempre svegliare, o era che in sogno non si sente dolore?
Doveva iniziare ad ascoltare più attentamente Remus…
Il pugno toccò la parete con gran forza.
…e forse doveva imparare anche ad ascoltare la sua ragione.
Porca Morgana, che male!
Ma il dolore venne presto dimenticato mentre, massaggiandosi attentamente la mano, James ricordò quello che lei aveva detto.
-Senza si te Hogwarts sarebbe mortalmente noiosa.-
Non era una dichiarazione d’amore, certo. Non era la dichiarazione d’amore che aspettava. Ma Evans non gli aveva mai detto niente di più bello.
E se da un lato quella frase rendeva la sua situazione ancora più deprimente, dall’altra finalmente qualcosa aveva iniziato a muoversi nel verso giusto.
 
 
 
 





 
 
 
SPAZIO AUTRICE.
Ciao a tutti. Oggi sono un po’ in ritardo rispetto al solito orario, ma ho dovuto fare le corse per pubblicare.
Ma purtroppo per voi oggi il papiro-commento di fine capitolo sarà più corposo del solito.
Innanzitutto finalmente sappiano cosa è successo nelle cucine, di fronte a quella famosa cioccolata (la prima parte è un ricordo).
Non c’è stato un bacio, né una dichiarazione d’amore, ma tengo tanto a questo capitolo, anche se magari a voi sembrerà poco. Ho un amico esattamente come James, o meglio come il James di Lily, di questo capitolo. Non vi annoierò sul come e quando ci siamo conosciuti, ma praticamente in questo capitolo ho scritto di lui e se mai lo saprà (e state sicure che ho la bocca cucita al riguardo) mi riempirà di accidenti prima di non parlarmi mai più.
Anche lui mi fa arrabbiare da morire, mi riempie di chiacchiere e di stupidaggini. Ma è il mio migliore amico, mi fa vedere le cose come nessun altro riesce, come fa James con Lily, anche se qua parliamo di creature potenzialmente mortali o piccoli esserini schiavizzati. Insomma mi fa vedere il mondo in un’altra ottica e non è cosa da poco. Anche perché, personalmente, per permettere a qualcuno di fare una cosa del genere, devi fidarti molto, ma veramente molto. quindi questo è il capitolo della fiducia, in un certo senso. Lily si sta ricredendo senza nemmeno rendersene conto, o forse inizia a prendere coscienza della cosa.
James nell’ultimo paragrafo mi fa molta tenerezza, come anche Lily che scappa via di fronte a un pensiero fugace quanto compromettente. Come vedete la corazza già cede. E finalmente anche Lily cresce.
Di questo sto programmando di parlare nei prossimi capitoli perché ci tengo. Insomma si parla tanto, nelle fic come nella storia originale, di James che cresce, che smette di essere un pagliaccio arrogante, che inizia a capire come comportarsi con lei, ma di Lily quando ne parliamo?
Cavoli lei lo ha insultato per anni. Non gli ha mai dato la possibilità di spiegarsi. Lo ha riempito di punizioni etichettandolo come un bastardo arrogante, ma lei? Ho sempre pensato che fosse un po’ chiusa e prevenuta nel rapportarsi con Potter. Poi magari sono io che mi faccio i filmini, ma lei mi fa una rabbia…è stupida. Perché ok è intelligente, adorata dai professori e difende i deboli, ma è così ferma nelle sue convinzioni che costringe lui a cambiare per lei senza, in alcune fic, nemmeno chiedere scusa (e qui mi riferisco al loro quarto anno, no dico ma avete presente la partaccia che fa a quel poveraccio? Si vede che consulto i libri per scrivere questa storia eh?).
Dopo questa digressione che vi avrà allucinato passiamo alle note. Questa volta ci tengo a metterle.
Che sia James a raccontarle di Azkaban è Petunia a dircelo, quindi ecco qua, non mi sono inventata niente.
La mia personale interpretazione delle sirene come creature malvagie non viene da Harry Potter, ma da Peter Pan. Ricordate quando tentano di affogare Wendy con un sorriso? Le preferisco in questa versione sinceramente.
L’idea del dolore per svegliarsi da un sogno non è un detto popolare, ma una disattenzione di James. Sono partita dalla frase “Dammi un pizzicotto” per poi rifarmi al Inception, l’ultimo film di Di Caprio (che consiglio a tutti di vedere perché è spettacolare) dove per svegliarsi dai sogni indotti era necessario morire. Mi è venuto spontaneo tanto mi è piaciuto.
L’idea di James che inizialmente crede quello sia tutto un sogno l’ho ripresa dalla mia fic Castelli di Carta, dove quel poveretto si ritrova appunto a rimuginare su quanto odi i suoi sogni su Lily. Se non l’avete letta e vi ho incuriosito fateci un salto, è breve e molto smielata, almeno per i miei canoni, ma…
Passiamo ai ringraziamenti.
Grazie a chi ha letto.
Grazie a chi ha inserito le mie storie tra le seguite, le preferite e da ricordare.
Grazie a chi ha commentato.
Shine_ciao, nuova lettrice. Purtroppo ti ho lasciata con la curiosità per una settimana anche perché più spesso non riesco ad aggiornare causa scuola e impegni vari. Spero di non averti deluso visto che non succede niente di eclatante. Spero di sentirti di nuovo. Baci.
Gufetta_95 non preoccuparti per i commenti, certo mi fanno sempre piacere, ma non ti devi fare problemi se non riesci a recensire un capitolo. Pensa io prendo appunti per le storie che seguo e poi scrivo tutti i commenti insieme appena ho un po’ di tempo. Quello che hai scritto mi ha fatto brillare gli occhi!! Cerco sempre di scrivere qualcosa di mio, magari banale e privo di colpi di scena, ma che dica qualcosa, almeno a me. Altrimenti sono capace di cancellare tutto. Le parole vuote (e conta che io faccio largo uso di giri di parole infiniti, me ne rendo conto) non servono a niente. Comunque sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, quello e questo, per ora, sono quelli cui tengo di più. Sperando l’influenza sia passata e in un tuo prossimo commento ti abbraccio, sei un tesoro!
Raffaley94 ciao tesoro! Sono contenta che hai trovato il tempo per commentare, anche perché le tue recensioni ormai sono un appuntamento fisso (e ti adoro per questo). Per adesso ancora nessun bacio, ma inizia è instaurarsi un rapporto tra quei due, anche se nemmeno io sarei in grado di definirlo. Ma di fatto Lily inizia a farsi domande, ad aprire gli occhi, a vederlo veramente. A crescere insomma. Spero questo si avverta perché è un punto cui tengo particolarmente, come mi sono persa a spiegare nel commento post capitolo. Lily che fuma è un’immagine strana anche per me, è sempre descritta come una studentessa modello, ma era per mostrare quanto in quel momento si fidasse di James e quanto lo volesse accanto. Strano, ma vero. Grazie ancora per il commento spero di sentirti presto, baci.
Margot90 ciao che bello risentirti! Sono proprio contenta che i vecchi capitoli ti siano piaciuti. Nemmeno a farlo apposta te ne do subito un altro da leggere, sperando troverai il tempo di farlo. Già come ripeto di continuo James cresce e Lily inizia a seguirlo. Ma che James sia un passo avanti è d’obbligo in un certo senso perché è tra i miei personaggi preferiti. Probabilmente se non volessi scrivere di loro due (perché alla fine mi piacciono troppo), attenendomi alla storia originale, probabilmente lo farei finire con un’altra. Un bello scossone ci vorrebbe proprio a quella ragazza, ma dai libri di zia Row lui non sembra il tipo. La adora troppo. Ma conto di riuscire a ridimensionare la cosa, in un certo senso. Fammi sapere cosa ne pensi se hai tempo, ok? Baci.
 
E dopo questo colosso che è quasi più lungo del capitolo (chiedo venia) vi saluto.
Mi lasciate un commento??
Baci Rebecca. 

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Capitolo 8
*** Confessioni al gusto di caffè ***


 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
Lily si svegliò la mattina dopo con ancora addosso i vestiti della sera prima e un mal di testa assurdo. Nemmeno si fosse ubriacata fino all’incoscienza.
Era di mal umore. Non arrabbiata, ma non era una sensazione piacevole. Come quando sai di aver fatto una cazzata assurda, ma non riesci a ricordartene per poter rimediare.
E di prima mattina Lily non riusciva mai a connettere se non aveva già buttato giù una tazzona di the e almeno quattro biscotti ipercalorici. Preferibilmente alla cioccolata, ma purché distruggessero il fegato tutti erano bene accetti. Quindi non era strano che non riuscisse a ricollegare a fatti concreti quella strana e fastidiosa sensazione.
Che avesse dimenticato un compito? Che non avesse terminato una barbosa relazione? Un libro da riportare in biblioteca…
-…Potter.-
-Che cosa?- chiese ansiosa, senza nemmeno sapere il perché, ad Alice appena uscita dal bagno insieme a Julie, entrambe perfettamente vestite e pettinate.
-Emmaline ancora non ha visto i cartelloni della vacanza studio e la stavamo aggiornando.- le rispose quella.
Emmaline, infatti, uscì dal bagno subito dopo le amiche, incurante di allagare il pavimento per i capelli ancora gocciolanti dalla doccia appena fatta. Dovevano averla ospitata per la notte, capitava spesso che volessero passare una serata insieme tra ragazze e che la Corvonero si intrufolasse a Grifondoro.
-Allora Potter eh, Liluccia?- chiese maliziosa.
-Non fare stupide illazioni, io…- iniziò Lily irritata per il nome osceno e per i pensieri che sicuramente le stavano affollando la testa.
Conosceva abbastanza i suoi polli, e quel pollo non faceva eccezione, per sapere che non avrebbe mollato facilmente…
Oddio Potter!
I ricordi tornarono improvvisamente e tutti insieme. Finalmente i tasselli tornarono al loro posto e quello che il sonno aveva gentilmente assopito, visto che non era riuscito a cancellarlo completamente, la colpì con tutta la sua forza.
…che cosa aveva fatto?
Ma soprattutto da quando pensava certe cose di Potter? Da quando in Potter vedeva così tante somiglianze con il suo amico James?
È ovvio che le vedi. Sono la stessa persona. Le sussurrò irritante la solita vocetta molesta che da anni metteva a tacere.
Da quanto tempo metteva a tacere quella voce? Intimamente Lily sapeva che erano almeno due anni che periodicamente certi pensieri le affollavano la mente. Probabilmente lo stava anche lentamente perdonando quando sette anni prima si era promessa di non farlo mai.
Dopotutto sette anni prima era anche convita che l’amicizia con Severus sarebbe durata per sempre, che l’affetto di Petunia non sarebbe venuto meno per quella scomoda verità che era entrata di forza nella loro vita.
A ben vedere a undici anni tutte le sue convinzioni erano sbagliate. E forse poteva…
Qualcosa a livello istintivo le urlava a gran voce di non farlo, ma le abitudini di anni passati a tenerlo a distanza potevano esserne la causa.
-Lily ma mi dici che cosa ti succede?- le chiese preoccupata Virginia, ancora infagottata e calda di sonno nel suo pigiamone rosa confetto con tanto di coniglietti azzurri.
Sebbene Alice fosse la sua migliore amica era Virginia quella che per prima le si avvicinava per chiederle come stava. Per certe cose era addirittura empatica nei suoi confronti e Lily si era sempre ritenuta una persona poco trasparente.
-Ma niente. Qualche pensiero strano.- le rispose vaga.
Un conto era affrontare certi pensieri da sola di prima mattina, in compagnia dell’immancabile vocetta bastarda, ma un altro era ammetterli ad alta voce, appena nati, con quattro amiche impiccione e senza nemmeno aver bevuto il suo litro di the quotidiano prima.
-Non hai ancora imparato a mentire decentemente.- le ridacchiò dietro Julie.
Virginia più riservata e dolce si limitò a sorridere e scuotere la testa.
Alice invece…
-Cos’è che non ci dici, rossa? Se si tratta di un bel ragazzo dagli occhi nocciola e dalla grandissima carica distruttiva, oltre che ormonale…-
…Alice partì all’attacco.
Lily si sentì arrossire fin alla radice dei capelli.
-Alice!- urlò arrossendo ancora di più.
Le risatine divertite delle altre ragazze, che le si erano radunate intorno nemmeno un branco di squali, si spensero di fronte alla mancata, e ormai scontata, sfuriata indignata di Lily.
-O mio dio…- sussurrò piano Virginia.
Emmaline più prosaicamente lasciò cadere spazzola e boccetta di Pozione Distruggi Nodo alla Prima Passata, che finì in mille pezzi.
Ma le reazioni più preoccupanti furono quelle di Julie e Alice.
La prima dopo un attimo di attonito silenzio era, bastardamente e priva di qualunque tatto, scoppiata a ridere con una nota quasi isterica che andava pian piano crescendo. Alice invece la guardava incredula.
Il silenzio, relativo considerato la risata di Julie la Perfida che stava quasi per strozzarcisi con quelle risate, sarebbe durato ancora per poco.
-Lily…- iniziò infatti.
Merlino, ti prego fammi colpire da un fulmine, sprofondare fino all’antenora, inghiottire dalle fiamme, qualunque cosa ma non questo.
-…dobbiamo parlare.- concluse minacciosa.
Lily sospirò. Merlino,  Dio, il diavolo o chi per loro non l’avevano minimamente ascoltata. L’avevano condannata senza possibilità di replica.
Ancora non si sentiva pronta a parlarne con le amiche. Erano nemmeno dieci minuti che aveva formulato per la prima volta, ok per la prima volta coscientemente, quei pensieri e già doveva tirare tutto fuori.
Maledetto Potter.
Fu istintivo voltarsi verso Virginia, che con la sua empatia e comprensione era quella sicuramente meno invadente e più rispettosa dei silenzi altrui, e si rilassò. Era sempre così, se Alice e il suo carattere vulcanico e ottimista non riusciva a calmarla allora riusciva l’altra, pacata e silenziosa, ma sempre dolcissima.
Erano le sue amiche e mettere le carte in tavola l’avrebbe certamente fatta stare meglio.
L’avrebbero aiutata a capire. L’avrebbero fatta capire.
Alla fine quella mattina non aveva nemmeno voglia di seguire una barbosa lezione di Storia della Magia, una mattinata tra ragazze, anche se lei era la cavia da sezionare, era sicuramente più invitante.
Virginia lesse negli occhi quella decisione e si sciolse in un sorriso affettuoso e riconoscente, in un atteggiamento così tipico di lei, ma che ancora Lily trovava disarmante.
Le altre, a cui ancora stava di spalle, si rilassarono visibilmente di fronte a quel sorriso.
-Che dite scendo nelle cucine per prendere qualche dolce?- chiese allora Emmaline.
-Prendi anche qualcosa di forte per me. A forza di ridere mi è venuto il singhiozzo.- la fermò Julie tra un ich e l’altro.
-Julie sono solo le sette!-
-E’ contro le regole!-
Le voci di Alice e Lily si sommarono di fronte a quella richiesta.
Ma sfortunatamente per loro Emmaline si era già data alla macchia.
-E allora? Mamma dice sempre che due dita di brandy risolvono ogni problema.- ribattè mezza stizzita l’altra, ancora preda del singhiozzo.
Ah Julie e le sue strane manie da purosangue. Alice con quel suo sguardo divertito e malizioso insieme. Emmaline sempre frizzante e tra le nuvole. Virginia la dolcezza fatta persona.
Emmaline rientrò come un tornado nella stanza, sbattendo la porta infuriata.
-A nessuna è venuto in mento di ricordarmi di vestirmi prima di uscire, maledette stronze?-
Le altre quattro scoppiarono a ridere simultaneamente realizzando solo in quel momento che la ragazza, effettivamente, aveva addosso solo l’accappatoio e i capelli ancora bagnati.
Che cosa avrebbe fatto senza di loro?
Erano la sua famiglia…






 

***







 
Alice fingeva di riordinare le sue cose mentre insieme alle altre aspettava il ritorno di Emmaline dalla sua sortita nelle cucine. In realtà lanciava sguardi furtivi a Lily che, come Virginia, si era finalmente decisa a rendersi presentabile, pettinandosi il groviglio rosso che aveva in testa dopo quella notte che doveva essere stata particolarmente agitata.
La sera prima, di ritorno dalla cena che lei aveva accuratamente saltato, l’avevano già trovata addormentata e non avevano voluto svegliarla. Dopo la paura, apparentemente immotivata, di quel pomeriggio tutte desideravano solo sprofondare in un sonno profondo e dimenticare. Era stato logico pensare che Lily avesse avuto la stessa necessità.
Alice scambiò un’occhiata con Julie, il cui cipiglio tetro era da attribuirsi più all’infame singhiozzo che ancora non la abbandonava che non alla preoccupazione per l’amica.
E, razionalmente, Alice lo sapeva che i suoi timori erano infondati. Che James amasse Lily era palese perfino per un ceco, solo la sua amica era così tonta da scambiare l’interesse del ragazzo per testardaggine, e lui non le avrebbe mai fatto del male.
Perché era ovvio che di James Potter si stesse parlando. Erano anni che giravano intorno a quell’argomento senza mai tuttavia chiamarlo con l’esatto nome.
Eppure la preoccupazione non voleva andarsene, era strano vedere Lily Evans in quello stato. Non che fosse sempre calma e remissiva, anzi era facile preda della rabbia. Ma si trattava sempre di stati d’animo fugaci come un temporale estivo. C’erano poche cose che la toccassero così a fondo da turbarla veramente, da rovinarle il sonno.
Così era stato, da che la conosceva, per la fine dell’amicizia con Piton, per il peggiorare dei rapporti con la sorella, per Virginia, quando i suoi erano stati attaccati dai Mangiamorte. Ma mai con Potter. Erano anni che lui non riusciva più ad avvicinarsi tanto.
Sospirando si voltò verso Virginia il cui viso corrucciato bene esprimeva la lotta interiore che sicuramente stava ingaggiando con se stessa per non correre da Lily e abbracciarla, cercando di darle tutto il conforto e la comprensione possibile. Sarebbe stata un’ottima Medimaga, ne era sicura. Forse non era fatta per i campi di battaglia, ma lo era per aiutare le persone.
Julie nel frattempo le si era avvicinata, singhiozzo al seguito, e se la conosceva almeno un po’ stava elencando tutti gli insulti di sua conoscenza per cercare di scaricare il nervoso, ma comunque non aveva dimenticato Lily a cui lanciava regolari occhiate curiose. Non era tipo da fasciarsi la testa prima di averne un fondato motivo.
Alice tornò a osservare la rossa. Lily era forte e vederla così nervosa e incredula, così elettrica, era destabilizzante. Per lei come per le altre. Non per niente Emmaline, l’unica a condividere la spassionata osservanza delle regole quanto la Caposcuola rosso oro, si era volontariamente offerta di scendere nelle cucine andando contro il suo innato senso del dovere.
 
 
 
 
 
 
 

***

 
 
 
 


 
-Avete visto Garfield?- la voce soffocata di Lily arrivava direttamente da sotto il letto dove sperava di trovare, speranza vana tra l’altro, il suo gatto.
Oddio chiamare gatto quella palla di grasso era un azzardo, però…
-Ieri sera era nella Sala Comune, l’avrà preso Tom.- rispose sollecita Virginia, cercando di essere utile come poteva.
Julie considerava una fortuna per l’anguria con la coda l’essersi dato alla macchia, rifugiandosi nel dormitorio maschile viziato e coccolato dal ragazzino, visto che la legittima padrona certamente non era in grado di trattarlo delicatamente come invece avrebbe dovuto.
Ammesso che sotto quello strato di ciccia la bestia riuscisse a sentire qualcosa.
-Fantastico per Natale dovrò rincorrerlo per tutto il dormitorio come l’anno scorso se Tom non si decide a smetterla di viziarlo. Ogni tanto penso che lo rapirà nel cuore della notte.-
Le altre ragazze risero piano, già immaginandosi il ragazzino entrare di soppiatto nel loro dormitorio per rapire la palla di lardo, anche se si vedeva che Virginia stava pensando ad altro.
Non era da lei farlo, ma di questo passo avrebbe rischiato un collasso. Era più per il vivi e il lascia vivere, abituata com’era con una madre troppo presente che le organizzava la vita, ma cosa non si fa per le amiche!
-Mentre aspettiamo Emm sarebbe il caso di mandare qualcuno a dire che non scenderemo. Vado a…- inziò poco convinta.
-Vado io. Rifilerò una scusa a Steffy, quella dolce ragazzina del quarto anno. Lei ha Incantesimi stamattina ed è sulla stessa strada di Storia della Magia.- la anticipò con un sorriso riconoscente Virginia.
La sua propensione alla bontà d’animo verso tutto e tutti prima o poi le avrebbe causato guai. Se non la raddrizzavano probabilmente sarebbe finita a fare favori anche ai Serpeverde, roba da pazzi.
E tenerla occupata era l’unico modo per impedirle di rovinarsi il fegato nella ricerca di aiutare l’amica.
-Grazie non credevo avrebbe resistito ancora molto.- si congratulò Alice.
Allora l’aveva notato anche lei. Il vero problema era che Lily non l’aveva fatto affatto e questo non era un bene. Lei si accorgeva sempre di tutto…
 
 
 
 
 
 

***

 
 
 
 


 
 
Aveva appena finito di raccontare i caotici pensieri che quella mattina l’avevano svegliata. Quelli con cui si era addormentata la sera prima. Quelli per cui era scappata ancora prima.
E se sperava che raccontarli, accettarne l’esistenza tanto da articolarli ad alta voce davanti ad alcune delle persone a lei più care, quelle di cui più si fidava e che maggiormente teneva in conto, li avrebbe fatti sparire o almeno accantonare come cazzate in libertà causate da un momento di debolezza temporanea, causati dalla paura e dal senso di impotenza che l’avevano animata, si era sbagliata.
Virginia la guardava con gli occhi sgranati, l’atteggiamento silenzioso così tipico di lei che la aiutava sempre a calmarsi.
Julie, il cui singhiozzo era stato spazzato via dallo sconcerto durante il racconto, perché il rimedio di Mamma Alcolizzata non era servito a niente, ora la guardava a bocca aperta con un nuovo bicchiere di brandy in mano.
Emmaline invece si era immobilizzata da un paio di minuti buoni con ancora in bocca un dolcetto sgraffignato durante l’impunita escursione nelle cucine e le mani sporche di zucchero, lei che odiava avere le mani appiccicose o sporche. Apocalissi si scatenavano quando entrambi gli eventi si verificavano nella stessa giornata, figurarsi contemporaneamente, ma non quel giorno.
Alice, invece, la guardava sorridendo orgogliosa, come una compiaciuta mamma chioccia. E quello sguardo la preoccupava più di tutti gli altri.
Perché era normale, accidenti se lo era, rimanere scioccati da quell’improvviso e involontario cambio di rotta. Lei stessa ne era stata colpita così tanto da scappare via correndo, non tanto da James causa di quei pensieri, quanto dai pensieri stessi.
Idea stupida e ingenuamente infantile, a ben vedere, ma altrettanto istintiva e necessaria. Perché rimanere e vedere lo sconcerto dipingersi, perché era successo sicuramente, anche sul viso di Potter l’avrebbe mandata ancora di più nel panico.
Si sarebbe buttata dalla Torre di Astronomia, complice silenziosa di quell’imperdonabile reato, senza pensarci due volte.
Quella sarebbe stata la decisione migliore per liberarsi di quei pensieri molesti. E anche dello sguardo scintillante di Alice.
Perché, per la miseria, non era normale sorridere soddisfatta dopo che lei aveva raccontato loro quello che aveva appena raccontato.
-E’ così grave che tu lo stia rivalutando? Dopotutto ricordo che al primo anno eravate amici, o almeno qualcosa di simile.- commentò alla fine Virginia.
La verità arriva sempre da chi meno te lo aspetti. Perché avrebbe scommesso su un commento ironico di Julie, che sarebbe stato nella norma. Avrebbe giurato in una spiegazione razionale su quanto aveva fatto da Emmaline. Si era aspettata, e se lo aspettava ancora, che Alice parlasse dicendo la cosa giusta. Quella che le avrebbe fatto inquadrare nel verso giusto la questione risolvendola. Facendole accettare completamente quei pensieri.
Ma non si era certamente aspettata che Virginia, così silenziosa e timida, sempre rispettosa degli spazi altrui, le facesse quella domanda.
Che razionalmente era quella giusta. Ma era anche quella che nessuno, nessuna di loro, le aveva mai posto. Perché solo Alice, la sua migliore amica fin dal primo anno, sapeva quello che era successo al primo anno con Potter e le altre avevano sempre preferito non chiedere.
-Abbiamo litigato.- si limitò a rispondere alle domande silenziose che leggeva nello sguardo delle altre ragazze.
E Alice ancora non parlava.
-Non ti sembra un po’ eccessivo odiarlo, no detestarlo, per anni a causa di un semplice litigio tra ragazzini?- chiese allora Julie.
E anche quella domanda era dannatamente giusta. Un’altra domanda che razionalmente era giusta e che Lily, come la precedente e sicuramente quella che sarebbe seguita, evitava da anni.
-Lily non vogliamo costringerti a parlarne, lo sai. Ma hai continuato a credere in Piton per anni, anche dopo che aveva iniziato a girare con Malfoy e la Black. Perché non hai dato un’altra opportunità anche a James?- chiese allora Emmaline.
Eccola la terza, l’altra domanda che razionalmente era quella giusta. Il terzo tabù era infranto.
Le guardò a una a una. Virginia con uno sguardo di scuse per aver iniziato quella sequela di domande. Julie impassibile come diventava a ogni discorso serio o comunque importante. Emmaline sinceramente incuriosita e lievemente critica, a lei Severus non era mai piaciuto.
E Alice ancora non parlava. Ma allo sguardo di mammina orgogliosa, oh sarebbe stata una madre fantastica un giorno, se n’era aggiunto uno di incoraggiamento. Come a volerla esortare a raccontare.
Erano le sue amiche e ormai i tabù erano stati infranti. Era il momento giusto per parlarne e si decise.
Finalmente anche quel segreto non era più tale.
-Poco prima delle vacanze di Natale Potter e Black iniziarono a fare scherzi a Severus.-iniziò ancora incerta.
Il motivo era anche stupido visto adesso che aveva diciotto anni. Ma allora, piccola undicenne catapultata improvvisamente in un mondo tanto magico quanto estraneo, era stato il più grande dei tradimenti.
-Avrei voluto chiedergli di smettere perché Severus era mio amico e i loro scherzi lo facevano stare male. Ma non volevo che smettesse di parlarmi, era sempre così gentile e divertente quando studiavamo insieme che decisi di non dirgli niente. Trovai Severus in bagno un giorno ed era molto arrabbiato, gli avevano fatto un altro scherzo e, da quanto mi disse, tutti i loro compagni di Casa gli ridevano dietro. Mi chiese di smettere di parlargli, perché se ero amica sua non potevo esserlo anche di Potter.-
Si sentiva stupida e se adesso le ragazze erano tutte schierate al suo fianco, indignate quanto lo era stata lei, per la richiesta di Piton, presto non lo sarebbero più state.
A undici anni era così stupida e infantile.
-Non accettai. Si infuriò tantissimo e mi disse che non saremmo stati più amici, che sarei diventata come lui. Ma me ne andai, convinta che fossero solo stupidi scherzi tra rivali di Casa. Litigammo per giorni. Poi Potter non si presentò a un appuntamento di studio e quando andai a cercarlo lo trovai in Sala Comune con Sirius a giocare a scacchi…-
-Non lo avrai trattato in quel modo per anni solo perché non si era presentato a un appuntamento, Lily!- si indignò Julie. Era strano che avesse resistito così a lungo.
-No, litigammo per quello che stavano dicendo. Quel giorno in biblioteca doveva venire anche Remus, ma entrambi erano rimasti con Black per preparare uno scherzo. Quando mi avvicinai abbastanza gli sentii dire che almeno avrebbero dovuto avvertirmi, ma Black gli risposte che sapevo badare a me stessa. E Potter concordò dicendo che lui non era la balia di nessuno, che quel giorno di studiare non aveva voglia e che Sirius era suo amico, quindi era più giusto stare con lui che non passare il pomeriggio con me.- la voce si affievolì fino a svanire nel nulla.
Dio quanto si vergognava. Accusava tanto Potter di essere un ragazzino immaturo quanto lei aveva lo era stata altrettanto. Ma allora aveva pensato solo che per lui aveva litigato con Severus, il suo migliore amico, l’unico che ancora teneva insieme la sua vita a Hogwarts e quella a Londra, per un ragazzino che la reputava solo un aiuto nei compiti, non un amica come lei reputava lui. Che non si era nemmeno sbattuto ad avvertirla, che l’aveva lasciata ad aspettarlo per ore a preoccuparsi per lui visti i trascorsi. Che erano giorni che litigava con Severus per quel ragazzino arrogante e privo di ogni tipo di tatto e sensibilità.
Dopo le parole sprezzanti e cattive di Piton avevano fatto il resto. Aveva iniziato anche lei a notare gli atteggiamenti arroganti e sprezzanti, tipici di ogni Purosangue. Aveva volutamente ignorato o cercato di dimenticare i loro momenti insieme, le risate e i gesti gentili di cui la faceva oggetto istintivamente. Vedeva come si divertita a lanciare incantesimi sul primo che passava e che non gli piaceva abbastanza. Non vedeva, però, come aiutasse chi aveva bisogno. Vedeva l’atteggiamento di superiorità con cui si rivolgeva a Severus e i suoi amici Serpeverde, ma non le occhiate dispiaciute che riservava a lei o il tono gentile con cui le parlava.
Poi era iniziata l’indifferenza. E i suoi tentativi di attirare attenzione. Gli insulti e gli scherzi. Le battutine acide e le grida. E tutto era nato di conseguenza e con gli anni era solo peggiorato perché lei non voleva ascoltare e lui non si scusava mai veramente né capiva. Lei non dava opportunità e lui non faceva altro che peggiorare la situazione.
-Perché hai perdonato Remus e non James?- chiede di nuovo Julie, con lo stesso tono di prima.
Le altre ancora non parlavano, aspettando di sentire anche le ultimi spiegazioni.
-Perché Remus venne a parlarmi. Senza dichiarazioni eclatanti o scene madri. Solo noi due e la sua sincerità, niente altro.- rispose ancora sommessamente.
-E’ stato un atteggiamento infantile, ma capibile. Dopotutto ancora non conoscevi nessuno.- commentò allora Alice.
Ne avevano già discusso anni prima. Ogni tanto ancora lo facevano. E sempre, sempre, Alice le diceva che si era comportata in modo infantile, ma che la capiva. I Grifondoro erano famosi per il loro orgoglio e Lily non faceva differenza.
-James non ha molto tatto e tu non ami le inutili scenate pubbliche.- si accodò Virginia, forse tentando di scusarsi, come se ce ne fosse stato davvero bisogno.
-Ho sempre saputo che Potter era un completo imbecille.- concordò allora Emmaline.
-E abbiamo anche sempre saputo che tu sei un po’ stupida e arroccata nelle tue posizioni.- frecciò caustica Julie.
E con quello il quadro fu completo. Lui un completo imbecille. Lei una completa imbecille. Ma non commentarono le sue scelte perché le volevano bene. Perché erano la sua famiglia. Perché, alla fine, la capivano come nessun altro.
-Solo una cosa. Cosa provi quando pensi a James?- ovvio che Julie non si sarebbe risparmiata una battutina. A lei Potter piaceva, erano cresciuti insieme.
-E’ stupido, ma buono.- commentò leggera Lily.
Nessuno le disse che, ancora prima di articolare la risposta, al solo sentire il nome del ragazzo, aveva sorriso.
Di quel sorriso spontaneo e sereno si sarebbe accorta da sola solo tempo dopo.
 
 
 
 




 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Ciao a tutte, ragazze! Come va? Qua piove a catinelle da due giorni ormai e del sole non è rimasto che un vago ricordo. La sensazione di trovarsi in Inghilterra è sempre più forte, la luce e l’umidità sono le stesse.
Spero a voi vada meglio…
Passando al capitolo ecco qua, in linea con i tempi di aggiornamento. Volevo pubblicare stamattina, visto che non sono andata a scuola, ma quelle due moleste linee di febbre mi avevano fatto montare un mal di testa assurdo che mi ha tenuta lontana dallo schermo. Ma, cavolo, avevo proprio voglia di pubblicare, anche perché questo capitolo mi lascia un po’ perplessa, ma non volevo riscrivere tutto da capo, anche perché non so quando avrei potuto aggiornare altrimenti.
Capitolo tutto al femminile (come il prossimo sarà tutto al maschile) e il mondo finalmente si allarga. Anche gli altri personaggi secondari stanno iniziando a interagire e intervenire nella storia.
Questi due capitolo, nel progetto originale dovevano essere uno unico, ma come sempre tendo a dilungarmi e quindi la scelta di pubblicare o un capitolo mastodontico, tipo dodici pagine, o fare qualche aggiunta qua e là e renderli due capitoli di lunghezza accettabile.
Spero di non aver rovinato il lavoro.
Vabbè ci tenevo a fare due precisazioni.
Quando Lily invoca l’entrata nell’Antenora, so che è la zona dell’Inferno in cui vengono condotti i traditori della patria, a chi interessasse o non ricordasse la punizione sono immersi nel Cocito fino alla cintola e con la parte superiore del corpo esposta ai gelidi venti del lago ghiacciato (tra l’altro è un Canto dell’Inferno che mi piace particolarmente, come anche gli altri dedicati ai traditori). Volevo far notare, forse non ci sono ben riuscita, come lei si sia arroccata nelle sue posizioni, quasi letteralmente, e che adesso stia iniziando a tradirle. Vabbè ogni tanto ho queste immagini senza senso che derivano alla mia passione per la Divina Commedia e la letteratura classica in generale. Poi mi sembrava possibile che Lily conoscesse l’opera di Dante, viste le sue origini babbane.
Un’altra cosa che volevo sottolineare, e me la sono anche appuntata, è che sono consapevole che il motivo della litigata tra James e Lily è idiota. Ma avevano undici anni, lui era effettivamente un arrogante ragazzino viziato e lei un principessina orgogliosa con gli occhi scintillanti per il mondo estraneo che ha improvvisamente di fronte. Nell’idea iniziale il motivo per cui quei due iniziano a litigare e lei inizia a detestarlo doveva essere più grave, ma alla fine ho deciso così. Poi scopriremo anche la motivazione e i pensieri di James (Remus come sapete si è già scusato, Sirius era solo geloso delle attenzioni che l’amico riservava alla bambina).
Ah, il caffè del titolo non c’entra niente era solo per rimandare alle confessioni di Lily durante una bella colazioni tra amiche (come anche il titolo della storia in generale. A modern mith è una canzone dei 30 Seconds to Mars che mi ha accompagnato nella stesura dei primi capitoli e così gli ho reso omaggio. Tra l’altro è fantastica e ho intenzione di scriverci sopra anche l’epilogo).
Di nuovo ho scritto un saggio invece che delle vere note. Quindi senza ulteriori induci passo ai ringraziamenti.
Grazie a chi ha legge e continua a seguirmi
Grazie a chi commenta.
Grazie grazie grazie!! Sono sempre una grande soddisfazione.
Margot90 ciao Monia cara! Aspetto un commento allora, eh? Più tardi poi risponderò alla mail, purtroppo oggi non riesco a stare al computer troppo tempo di seguito. Innanzi tutto grazie per la recensione sei sempre gentile. E sono contenta che la mia visione di Lily non ti spiaccia poi tanto, perché ci sto scrivendo un bel capitolo sopra. Una litigata con i fiocchi che mi sta prosciugando ogni energia. Perché mica possono essere sempre rose e fiori? Dopotutto stiamo parlando di due testoni di prima categoria. E non preoccuparti se non riesci a recensire ogni capitolo, ognuno ha i suoi impegni ed è giusto così. Credimi preferisco sapere le persone fuori casa a divertirsi che rinchiuse per lasciare commenti, anche se non ci sputo mica sopra ehJ.
Shine_ felice di vedere che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. Anzi che dico felicissima. Sei molto carina. Purtroppo James è ancora in alto mare, come Lily del resto, e per capirsi davvero  ci vorrà ancora un po’, anche se nemmeno troppo. Il caro Potter non è certo uno che procede con i piedi di piombo, ma nelle situazioni si butta a capofitto (leggi: non le darà tregua). E visto che hai apprezzato anche il momento di loro due da piccoli, spero apprezzerai anche questo. Certo non è teneroso come l’altro, ma sto cercando di far capire le motivazioni di entrambi. Beh, se hai un po’ di tempo fammi sapere, ok? Grazie per la recensione.
Nashira91 intanto grazie grazie per il commento. Sei veramente un tesoro. Per il ricordo all’inizio, beh doveva essere qualcosa di bello, per entrambi, altrimenti perché Lily avrebbe voluto averlo vicino in un momento del genere? Stiamo sempre parlando di Potter, dopotutto. Prima o poi inizierò a parlare di James e allora capirete che tutto è cambiato. Perché, non so se si nota, ma ogni volta che pensa a lui da piccolo lo chiama per nome. Altrimenti è Potter. Nelle mie storie ricorre spesso questa cosa dei nomi perché fanno capire subito che tra quei due personaggi c’è qualcosa di speciale (non a caso in quelle sulla new generation, James Sirius Potter è Jamie solo per Victorie, mentre lei è Vicky solo per James). Oddio questo non c’entrava niente con la risposta comunque ormai è fatta. Grazie ancora, fammi sapere cosa ne pensi, eh?
Mousse il tuo augurio si è avverato, di fatto sono sopravvissuta un’altra settimana e spero che per te sia stato altrettanto. Ma quanto mi piacciono le tue recensioni? E non solo perché apprezzi i particolari e quello che scrivo, ma perché parlano di te. vabbè non ha senso quello che ho scritto, ma spero capirai. Quindi grazie per la recensione e non preoccuparti per i mancati commenti, ognuno ha il tempo che ha ed è giusto che altro venga prima di questo (poi dichiarandoti mia fan mi hai fatto brillare gli occhi quindi…ti meriti un capitolo personalizzato. Della serie chiedi e ti sarà dato, nei limiti del possibile. Ti chiedo io di non fare rischieste orrori fiche tipo una scena romantica tra Peter e Piton perché in quel caso mi rifiuto, ma sono aperta al resto). Se ancora non l’hai fatto ti invito a guardare Inception perché merita davvero. E la città che si capovolge, Parigi mi pare, è un momento fantastico. In quel punto inizi a capire come riescano a fare quello che fanno. Grazie ancora per la recensione (sono seria riguardo all’esprimere un desiderio, chiamiamolo così) e tanti baci.
 
Vi lascio con un invito a recensire (sempre se avete tempo) e ad aggiungermi a Facebook (sempre se avete voglia), il mio profilo è nella mia pagina autrice.
Ora ciao ciao davvero.
Baci baci Rebecca. 

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Capitolo 9
*** Fratelli ***


 
 
 
 
 
                                                                                                                            
 
 
 
 
 
 
 
-Smettila di ridere.- sbuffò irritato Remus.
Inutile dire che Sirius non lo ascoltò, anzi non si sprecò nemmeno a considerarlo, tanto era preso nel suo fantastico mondo delle risate.
Quella mattina era iniziata in modo grottesco. Prima Peter non si sapeva per quale motivo aveva deciso di andare nel Bagno dei Prefetti, entrando per sbaglio in quello femminile e rimanendo in mutande davanti a mezza dozzina di ragazze oltraggiate e vagamente schifate, non che si potesse dare loro torto, poi quello.
Ma Sirius non doveva vederla in quel modo. Probabilmente per lui quella mattina non era iniziata in modo grottesco,era sicuramente un sogno che diventava realtà.
-Ho detto smettila, Sir.- sbottò di nuovo Lunastorta.
Come risposta si dovette accontentare di una risata ancora più rumorosa.
James scosse la testa, lanciando uno sguardo divertito e rassegnato insieme a Sirius, che poco ci mancava si rotolasse per terra.
Capiva perché il suo migliore amico trovasse così esilarante la situazione. Se non fosse che Lui ne era il protagonista, avrebbe fatto altrettanto.
Ma invece lui era il protagonista. E la mano, maledizione, gli faceva vedere le stelle. Quando stupidamente, perché si dannazione lo ammetteva era stato stupido, la sera prima aveva voluto fare l’eroe e sopportare stoicamente il dolore rinunciando a un impacco freddo alla mano certo non immaginava una cosa del genere.
Aveva immaginato le nocche viola, leggermente graffiate per la botta che aveva dato al muro. Aveva immaginato che pulsasse, come quando si era slogato il polso l’anno prima durante la prima partita di campionato.
Dio, si era immaginato lei. Evans si sarebbe preoccupata. Gli avrebbe chiesto cosa fosse successo, con quei suoi fantastici occhi verdi attenti e dolci. E dopo, capendo finalmente quanto lei fosse importante per lui, quanto ci stesse male da anni solo per lei, si sarebbe improvvisata infermiera per rimetterlo in sesto e poter così realizzare ogni suo sogno.
E invece…c’era Remus che gli lanciava occhiate rassegnate mentre lui si era improvvisato medimago, c’era Peter traumatizzato perché un branco di sedicenni gli avevano tirato saponette, scarpe e quant’altro era stato loro a portata di mano durante la sua disavventura in bagno, e c’era Sirius…
…Sirius che non solo guardava incredulo ed estasiato la sua mano, ringraziando mentalmente ma neanche tanto i filmini che James si faceva ogni tre per due, e rideva senza sosta da almeno venti minuti.
E poi c’era quella cosa.
Perché ormai chiamarla mano non solo non sarebbe stato veritiero o verosimile, ma addirittura un insulto per l’altra ancora integra.
Nella notte, durante la quale il sonno aveva bastardamente anestetizzato il dolore, era diventata almeno il doppio. Il viola sexy intorno alle nocche che si era immaginato si era espanso su tutto il dorso diventando in alcuni punti di un brutto giallognolo, e il sangue rappreso non faceva che peggiorare il tutto.
O renderlo un sogno per una persona particolarmente sadica quale era Sirius.
Dopotutto i geni Black, per quanto in lui fossero confluiti i migliori, erano pur sempre geni Black.
E poi anche lui trovava la cosa vagamente divertente. Anche se sentiva un dolore cane e vedeva le stelle.
-Ti prego dimmi di nuovo come è successo.- lo pregò con le lacrime agli occhi Sir.
Decisamente quella mattina era iniziata in modo grottesco, anche se il ricordo della sera prima riusciva ad addolcire perfino…quello.
Ancora non aveva detto niente ai ragazzi. Ancora non aveva detto niente a Sirius. E avrebbe tenuto la bocca ben chiusa fino a che non ne avesse parlato a quattr’occhi con lui.
Per quanto volesse bene ai ragazzi, James sapeva che il primo con cui avrebbe dovuto parlare era il suo migliore amico, e che Remus e Peter lo perdonassero.
Era una promessa che si erano fatti anni prima dopo essersi presi a pugni.
Nessuna donna, nemmeno Evans, avrebbe rovinato la loro amicizia.
Con quei pensieri in testa James abbandonò l’espressione divertita guardando Sirius seriamente. Tra loro non c’erano bisogno di parole, a ben pensarci non ce n’era mai stato bisogno. Nemmeno il primo giorno di scuola quando sulla barchetta che li portava a Hogwarts per la prima volta avevano silenziosamente e contemporaneamente deciso di voler vedere la Piovra Gigante, ospite del Lago Nero.
Come sempre quello sguardo bastò. Le risate del giovane Black si spensero di botto, l’espressione ilare prontamente sostituita da una speculare a quella di James.
Il cambio di atmosfera fu destabilizzante perfino per James che ne conosceva il motivo. Non si stupì affatto, quindi, quando Remus smise di occuparsi della sua mano per guardare perplesso e preoccupato l’amico, o quando Peter assunse la tipica espressione da Su-Che-Pianeta-Sono, che solitamente riservava per occasioni importanti quali le lezioni di Trasfigurazione o Incantesimi Avanzati. O Pozioni. O Astonomia. O…beh in realtà durante ogni ora di lezione.
-Sir finalmente il tuo cervello ha scoperto la sua esatta ubicazione?- chiese incerto il licantropo.
-In te invece è qualcos’altro che deve trovare la giusta strada. Per inciso una strada molto piacevole e che si trova tra le gamb…- ribatté caustico l’altro senza riuscire a finire l’irriverente battuta.
-Sirius!- gli urlò in faccia Remus ora irritato e dimentico completamente dell’attimo di serietà di Black.
James sorrise vedendo lo sguardo che Lupin gli lanciò. James aveva sempre saputo leggere le persone. Era stato costretto a farlo, in un certo senso.
Circondato fin da piccolo da tate e costretto in noiose feste di società, dove la parola d’ordine era Mentiamo-Allegramente o al massimo Sorrido-Anche-Se-Ti-Vorrei-Morto-Ma-Poi-Ti-Sputerò-Nel-Piatto, come Sirius, saper riconoscere chi realmente pensava quello che diceva o no era di vitale importanza. Perché capirlo aiutava a non illudersi e soffrire. Quindi, si, James poteva vantarsi di saper leggere le persone. E in quel momento poteva leggere in Remus perplessità e anche una piccola dose di dispiacere. Era abbastanza intelligente da saper riconoscere i loro momenti di serietà, quelli cui nessuno poteva prendere parte, non inizialmente almeno, e James non cercava di ignorare il fatto che lo stavano escludendo, seppure per poco.
Ma Remus era troppo intelligente anche per non capire. E per non perdonarli.
Così con un piccolo sorriso di scuse James salutò silenziosamente l’amico, intento a trascinarsi dietro uno stranito Peter, ringraziandolo come mai prima per l’amicizia che quel gesto dimostrava.
Quell’accettazione valeva tantissimo e James non l’avrebbe scambiata per nulla al mondo. Remus spesso, ancora, li ringraziava per essersi impegnati così tanto nel diventare Animagus e per rimanergli vicino a ogni luna piena. Ma quello non era niente in confronto a quello che Remus stava facendo in quel momento.
Remus con i suoi silenzi faceva tantissimo e nemmeno se ne rendeva conto. Prima o poi avrebbe dovuto cercare di fargli capire quanto fossero preziose le sue azioni. Quanto gli fosse grato.
-Quella del pugno al muro era tutta una balla e in realtà è Evans che ti ha conciato così?- Sirius cercò di smorzare l’atmosfera seria, troppo per loro, che aleggiava nella stanza.
Che avesse subito capito il motivo di quella improvvisa chiacchierata non stupì James. E non perché loro si capissero sempre al primo sguardo, ma perché era solo quello l’argomento affrontato nei loro attimi seri.
Potter si ritrovò ironicamente a pensare che non era nemmeno colpa del suo egocentrismo.
Era per Sirius.
Per l’affetto che li legava.
Perché nessuna donna, nemmeno Evans, avrebbe potuto rovinare la loro amicizia.
James ricordava la prima volta che Lily Evans, i suoi sentimenti per lei, erano diventati un ostacolo tra loro.
Erano ancora al quarto anno, la fine dell’anno si avvicinava sempre più e di pari passo con essa cresceva la distrazione di James verso tutto e tutti. Per una volta perfino, addirittura, Sirius era stato messo da parte. Involontariamente certo, ma comunque messo da parte.
James ricordava ancora come si perdesse a osservare i riflessi del sole sui capelli rossi della ragazza. Come la cercasse tra la folla. Come osservando il morbido movimento dei suoi fianchi, lento o veloce a seconda dell’umore, tutto il resto del mondo svanisse.
Per settimane, forse addirittura mesi, Sirius si era limitato a osservare i cambiamenti del suo amico. Non aveva chiesto niente, aspettando solo che lui tornasse quello di sempre. Quello che chiedeva a Evans di uscire davanti a tutti, ma che intanto aveva preso appuntamenti con altre nel caso di un rifiuto. Quello che la prendeva in giro con lui, quello che la considerava una sfida da vincere, quello che voleva solo superare Mocciosus anche in quello.
Quello per cui Evans era una bella ragazza, ma pur sempre una delle tante. E che, certamente, non l’amava.
Sirius aveva aspettato, convinto che quel ragazzo così simile a lui, il suo compagno di conquiste di sempre, arrogante e superficiale, tornasse. Dannatamente stupido, ecco come era stato in quegli anni.
Stupido perché non aveva visto quanto lei fosse speciale. Stupido perché aveva rischiato di perdere il suo migliore amico senza nemmeno rendersene conto.
E sarebbe stato da ridere il fatto che, per una volta, a farlo ragionare non fosse stato Remus, ma Sirius se non fosse stato per come si era sentito dopo.
Quella era stata l’occasione della loro seconda litigata e nessuno ne sapeva il motivo, forse Remus lo immaginava, ma nessuno dei due aveva mai parlato e lui non aveva mai chiesto niente.
Il primo pugno di Sirius era arrivato sul naso senza che James nemmeno si rendesse conto che l’amico aveva caricato il colpo, così preso dai suoi pensieri innamorati.
Il secondo pugno era arrivato ancora più inaspettato del precedente. Perché era Sirius a colpirlo. Perché era serio come mai prima. Perché per un attimo lo aveva guardato come spesso guardava Regulus.
Il terzo pugno era stato parato a sento.
Il quarto pugno era stato schivato. E per la prima volta James aveva risposto senza ancora capire il motivo.
Il quinto pugno era stato accompagnato dal rumore di vetri infranti perché James, sbilanciato, si era portato dietro Sirius cadendo insieme sullo specchio.
Il sesto pugno li aveva visti ancora stesi a terra. Sirius con gli occhi brillanti di rabbia e dispiacere.
James ricordava lo sgomento. Per la prima volta non capiva il suo migliore amico.
Sapeva, lo sapevano entrambi adesso come allora, che Sirius rialzandosi gli aveva lasciato il tempo per riprendere fiato e rispondere a sua volta.
Tempo che invece Potter aveva usato per rompere quel pesante silenzio che Sirius sentiva da settimane, a causa delle sue continue fantasie su Evans, ma che James avvertiva solo in quel momento, con un labbro e il sopracciglio destro spaccato.
-Che ti prende, dannazione!-
-Idiota.-
Non c’era stato verso di fargli dire niente. Solo una serie di insulti alternati ad altrettanti pugni.
-Ho sempre sospettato che tu fossi tonto, hai impiegato un infinità di tempo prima di capire.- borbottò il Sirius diciassettenne, quello che non voleva spaccargli la faccia.
-Hai una capacità comunicativa che fa schifo. E’ ovvio che ci abbia messo così tanto per capire, chiunque altro mi avrebbe parlato invece di prendermi a pugni.- ribattè con un sorriso mesto il ragazzo.
-Chiunque altro ti avrebbe preso a pugni fin dall’inizio.- commentò l’altro buttandosi a peso morto sul letto.
Sir aveva ragione. Erano serviti altri quattro pugni e una battuta infelice prima di capire cosa pensasse il moro. Così preso in quel sentimento, allora senza nome, per Evans, scoperto per caso non aveva fatto caso ad altro. E James si vergognava profondamente di aver messo da parte il suo migliore amico, anche a distanza di tre anni, passati a cercare di riparare all’errore.
-Sei impazzito, per caso?- gli aveva urlato con il sapore del sangue in bocca, segno che il taglio al labbro era profondo.
-Non sono certo io quello che sembra un altro.- gli aveva urlato furioso l’altro.
Non aveva torto. Così, da un giorno all’altro si era reso conto che la guardava con occhi diversi. Vedendola bella come mai prima.
Tra capire e immobilizzarsi, quel giorno, non era passato nemmeno un attimo. Aveva incassato due pugni senza far niente per evitarli o rispondere, convinto di meritarseli come non mai.
Forse Sirius aveva letto quella presa di coscienza nei suoi occhi perché non aveva infierito oltre. Erano rimasti immobili nella stanza, ormai distrutta, per minuti. Forse ore. Solamente a guardarsi negli occhi con il fiato corto e mille parole non dette che venivano comunque comprese dall’altro.
James non aveva dato voce a quelle scuse che gli bloccavano la gola. Sirius non aveva spiegato niente nonostante gli occhi mandassero lampi.
Pian piano si erano calmati, entrambi. E la calma era tornata.
Di nuovo non c’erano state scuse né per quel comportamento incurante e bastardo né per i pugni che gli stavano facendo pulsare tutta la faccia.
Era stato Sirius il primo a muoversi, perché James sapeva che era giusto così. Era lui ad aver sbagliato e Black si meritava tutto il tempo che avesse voluto. A lui stava aspettare come il suo amico aveva fatto per settimane.
-Andiamo a cena? Potremmo dire che sono state le Serpi a ridurti così e organizzare una retata.- aveva commentato poi tranquillo Sirius.
Il peggio era passato così, in un modo talmente inaspettato quanto…da Sirius.
E tutto era tornato alla normalità, o quasi. Il giorno dopo avevano organizzato quella retata. Quello dopo avevano dato fuoco, involontariamente ovvio, ai capelli di Mocciosus. Quello dopo ancora erano riusciti a confondere Lucius Malfoy, allora al settimo anno, così tanto da farlo andare in giro in mutande a fantasia di boccini per tutto il giorno prima che i professori riuscissero a fermarlo e portarlo in infermeria.
Quella catena di scherzi era continuata per quasi un mese. Le punizioni per il doppio del tempo. Evans non gli aveva parlato per ancora di più, visto che la loro vittima preferita era l’allora suo migliore amico. Ma Sirius c’era. E non importava altro.
Quei loro momenti seri erano iniziati, ancora una volta, grazie al moro. James si era trattenuto dal parlare di Evans quanto più possibile, iniziando nuovamente a uscire con tutte quelle ragazze che accendessero almeno un po’ il suo interesse, invitandola sistematicamente per ogni weekend a Hogsmade, cercando di considerarla di nuovo una sfida.
Perché nessuna donna, nemmeno Evans, avrebbe potuto rovinare la loro amicizia.
Ma Sir aveva deciso, perché tra i due era lui quello più forte.
-Quanto hai intenzione di smetterla di mentire?- gli aveva chiesto di punto in bianco, all’uscita di una noiosissima lezione di Storia della Magia.
-Mentire?-
-Intendo hai ancora intenzione di far finta che con Evans non sia cambiato niente?-
Avevano saltato la lezione successiva. E quella dopo ancora, tanto a Trasfigurazione erano entrambi fortissimi (non che nelle altre materie andassero male, ma Trasfigurazione era la loro materia, con grande stizza di Remus) e avevano parlato.
E come sempre Sirius gli aveva fornito la soluzione, tra una risata incredula e un insulto divertito. Quel giorno, durante il loro primo momento serio, gli aveva detto che solo un imbecille del suo stampo si sarebbe andato a impelagare con una come Evans. Che Potter avesse impiegato addirittura un’ora per venire a patti della cosa, perché stavamo pur sempre parlando di quella ragazza che gli urlava dietro continuamente e che preferiva Mocciosus a lui, lo aveva divertito ancora di più.
Così James finalmente aveva capito cosa fosse cambiato con Evans, e Sirius che il suo migliore amico non sarebbe sparito per rincorrere quella ragazza. Anche perché ci sarebbero stati altri pugni a ricordarglielo in caso di necessità.
-Hai finito di elucubrare? Prima o poi ti rinchiuderanno per studiare questi tuoi momenti di totale estraniamento.- fece Sir, ancora elegantemente, perché un Black non riesce nemmeno volendo a essere scomposto, svaccato sul letto.
-Se Rem ti sentisse parlare così gli prenderebbe un colpo.- ridacchiò James, di fronte allo sfoggio di un vocabolario forbito.
-Gli prenderà comunque quando usciranno i risultati dei MAGO, visto che i miei saranno migliori dei suoi sudati Oltre Ogni Previsione da secchione.- commentò l’altro.
James scosse la testa, cosciente che sarebbe davvero andata così. Sia lui che Sirius ai GUFO avevano avuto una media migliore di Lupin, anche se di poco, e che l’avessero ottenuta con un decimo del suo studio certosino lo faceva infuriare anche dopo due anni.
-Mi vuoi dire cosa è successo, a meno che davvero Evans non ti abbia gonfiato dopo che hai cercato di guardarle sotto la gonna.-
Maledetto, al quinto anno la ragazza gli aveva rifilato uno schiaffo così forte che ancora sentiva dolore proprio per quel motivo. Mai che evitasse di ricordarglielo…
-Mi ha detto una cosa…-
Come accadeva ogni volta quella mattina saltarono le lezioni. Perché interagire per un James ora estatico e incurante del dolore e un Sirius incredulo non era una cosa veloce.
-Forse inizio a piacerle.- commentò alla fine James.
-Forse le hanno dato una botta in testa al villaggio che le ha scombinato la personalità.- commentò invece sarcastico Sirius. Era il suo modo per riportarlo con i piedi per terra.
E quella frase detta con apparente noncuranza, mentre entrambi si preparavano a scendere per il pranzo affamati come poche altre volte nella vita, non solo ebbe il potere di riportare James sul giusto pianeta, ma anche di ricordargli che, effettivamente, alla fine lei non gli aveva detto cosa fosse successo in quel dannato villaggio, né di cosa avesse avuto così urgentemente bisogno di discutere con il preside, lei che si rivolgeva sistematicamente a Minnie o al Lumacone…
-Smettila di pensare catastrofi. Lei sta bene e solo questo importa, no?- lo riscosse dall’ennesimo estraniamento Sirius.
Ed Evans nemmeno gli piaceva troppo, ma per lui aveva iniziato a sua volta a guardarla con occhi diversi. Non più solo come la ragazzina irritante che mandava a monte i loro scherzi.
-Quel giorno ho capito una cosa, sai?...- non occorreva dire che stava parlando del giorno della rissa, l’altro aveva capito e il sopracciglio inarcato stava a indicare che aveva, di nuovo, la sua completa attenzione.
-…Che non eravamo più solo amici, ma fratelli. Mentre mi prendevi a pugni mi guardavi come guardi Regulus. Lì ho capito che per me era lo stesso.-
E se sembrava tanto una dichiarazione d’amore andava bene lo stesso. Perché Sirius non avrebbe frainteso…
-Sapevo che ti stavi innamorando di me, pasticcino.-
…o che lo avrebbe fatto volontariamente.
James non si sprecò nemmeno a prenderlo a pugni. Privilegi dell’essere fratelli.
 
 
 

 
 
 

***

 

 
 
 
 
 
 
 
 
Quella mattina, a colazione come alle lezioni, mancarono addirittura sette ragazzi e per questo un depresso Peter si era ritrovato a dover preparare da solo la Pozione Rimpolpasangue (quando di solito copiava i movimenti di uno degli altri due amici visto che Rem non veniva mosso a compassione nemmeno di fronte a un ragazzino in lacrime per certe cose) e Piton, per la prima volta, aveva sbagliato la sua senza nessun ingerenza da parte dei sopra nominati assenti. Perché oltre a Potter mancava anche Evans e il ragazzo sperava con tutto il cuore che non fossero insieme…
 
 
 
 
 
 
 
 




 
ANGOLO AUTORI.
Ciao a tutte, ragazze (non me ne vogliano ragazzi nel caso leggano questa storia). Come va?
Inizio con lo scusarmi per il ritardo, contavo di postare ieri, ma la scuola mi ha risucchiato nel vortice infernale quindi sono riuscita a postare solo oggi.
Cosa dire di questo capitolo? Questo mi piace tanto quando il prossimo mi deprime (non sono affatto soddisfatta, insomma) e non escludo di riscriverlo se mi prende l’ispirazione. Vabbè magari non vi frega niente di questi discorsi campati in aria quindi passo ad altro.
Come avevo detto il capitolo è tutto al maschile, meglio ancora è quasi totalmente James-Sirius. Quei due mi fanno una tenerezza incredibile. E anche un po’ di invidia, non è facile trovare un amico del genere.
La scena iniziale penso sia comica, ce lo vedo James, almeno il mio James, a farsi filmini mentali e un broncio triste nel riscontrare che in realtà è tutto diverso. Povero, anche la mano mezza marcia gli ho rifilato! Un commento inutile, ma che ci tengo a fare: Peter non mi piace, non solo per il tradimento, ma perché è inutile e fosse per me lo eliminerei direttamente dalla storia, ma non si può quindi non voletemene se lo tratto come un imbecille che non capisce niente e che le ragazze snobbano anche se fa parte del famoso gruppo dei Malandrini (non ha caso si è beccato un sacco di roba più o meno pesante in faccia).
Non so se vi ricordate, ma avevo vagamente accennato a una litigata tra i due, al quarto anno in uno dei primi capitoli (sono andata a controllare per essere sicura di non scrivere cavolate) e beh…eccola qua.
Non so perché ma ho sempre immaginato che Sirius, accorgendosi dell’interesse così profondo di James per Lily, si sentisse un po’ tradito. E la pseudo-scenata di gelosia ci stava. Almeno per me. Anche se scriverla è stata dura, spero si capiscano i momenti al presente e quelli al passato perché non ne sono totalmente sicura. Cioè io li capisco, ma gli altri? È in questi casi che rimpiango di non far leggere a nessuno i miei capitoli in anticipo. Anche la mia migliore amica li legge solo dopo la pubblicazione, pensate un po’? Che dite sono paranoica?
Visto che sono in vena di domande, eccone un’altra. È credibile la loro chiacchierata? Non è troppo smielata, troppo empatica, troppo parolosa (non so da dove mi è uscita, ma credo renda bene l’idea). Perché sono stata un po’ bloccata dai commenti che sento a volte dai miei amici, sullo stile del tra uomini ci si da pacche sulla spalla, ma non si parla (citazione più o meno letterale all’Era glaciale 3, sono ferratissima sul genere con una sorellina che mi costringe a vederli tutti).
Non ho altro da dire (meno male direte), in verità, credo il capitolo parli da solo o ci vada vicino, comunque. Quindi passo ai ringraziamenti.
Grazie a chi continua a seguirmi e che continuerà a farlo, nonostante i ritardi.
Grazie a chi legge e grazie ancora di più a chi commenta, vi adoroooo!!
Margot90, ciao tesora! Ti avevo detto ieri aggiornamento e non ce l’ho fatta, e ancora non ti ho risposto. Sono veramente pessima. Comunque spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo. Grazie per il commento in sé, ma anche per quello che c’è scritto. Sei veramente adorabile! E dopo il punto di vista di Lily quello di James era d’obbligo, soprattutto perché povero si era sentito dire per la prima volta da anni qualcosa di carino. Anche se ho cercato di non fermarmi troppo sulla cosa, preferendo parlare della sua amicizia con Sirius. E anche con Remus perché no. Sono contenta che le ragazze ti piacciano, sono una bella sfida per me, come tutti i personaggi nuovi. Alla prossima, allora (prometto di rispondere in tempi relativamente brevi, eh?). Ciao ciaooo!
Shine_ciao cara, grazie per il gentilissimo commento . come hai notato si, Lily teneva a James. Ho pensato fosse credibile. Dopotutto ha undici anni e non conosce nessuno, Severus escluso. Non conosce la scuola o quello che le riserva il futuro, e nemmeno il mondo nuovo in cui è stata catapultata. E James si è infischiato del muro di recinzione che Piton le ha costruito intorno per esserle amico. Si è sentita tradita e lui non è riuscito a scusarsi decentemente. Solo scene eclatanti per il piccolo Potter, insomma. Che la ragazzina non condivide particolarmente, però. E, ancora, si. Stiamo facendo qualche piccolo e lento passo avanti. Ma cambiamenti radicali e improvvisi, almeno per esperienza personale, sono sempre sinonimo di basi fragili. E non è questo il caso, almeno non secondo la storia originale. E io mi adeguo, ed è anche una scusa con sui posso seguire i miei tempi. Comunque grazie ancora, spero di sentirti presto!
Mousse, ciao finalmente! No scherzo, sono contenta di sentirti, però. E capisco benissimo, vedi che anche io sono in ritardo quindi siamo pari. Il Genio della Lampada, poi, ha accettato la richiesta (meno male che non hai chiesto cose astruse e grottesche tra l’altro, i più deboli di stomaco non avrebbero gradito magari). Domani vedrò di scrivere il tuo capitolo, allora. Così ho anche una scusa per andare avanti, visto che sono rimasta un po’ indietro sui tempi previsti. Alice, beh Alice conosce i suoi polli e riesce a leggere la sua amica come pochi altri, quindi il radar di mamma chioccia orgogliosa si è appena attivato! No, non è vero, è attivo da sempre, come quello di ogni buon amica. E la cara Lily…è un po’ sotto sopra, troppi pensieri strani tutti insieme, speriamo che non scappi a gambe levate, eh? A già…l’ha già fatto nello scorso capitolo. Vedremo nel prossimo cosa deciderà, no? Grazie grazie per la recensione, sei carina come sempre. E non sparire, eh? Che tra poco arriva il tuo capitolo…
Nashira91 ciao carissima! Macchè ritardo. Sei perfettamente in tempo o come dico io non sono mai in ritardo, arrivo sempre quando voglio arrivare (non so da che film l’ho ripresa, ma mi rappresenta bene). Grazie, ovviamente, per il commento. Mi brillano sempre gli occhi leggendo recensioni così attente e piene di pensieri come la tua…Emmaline mi piace tantissimo  anche se non penso sia molto credibile come Corvonero, sempre così tra le nuvole. Ma non volevo stringere tutto intorno ai Grifondoro. E poi, dai assomigli davvero a Virginia? Io l’adoro, è stata la prima delle ragazze di cui ho scritto. E fa tanta tenerezza. Ma la mia preferita è…Julie. Che assomiglia un pochetto a Draco Malfoy delle altre storie Lily/Scorpius, in realtà. Forse è per questo che mi piace tanto, ma anche lei non sembra tanto Grifondoro. Ma viva i non stereotipi, insomma!! E Alice…hai presente quando al San Mungo regala caramelle a Neville (non ricordo in che libro)? Ecco, la mia Alice è una specie di risarcimento per come ziaRow l’ha ridotta. Quindi è stata delineata apposta come l’opposto di quello che è scritto in quelle pagine. Attenta, affettuosa, leale, sincera. Ma soprattutto una buona amica, quando invece non le è stato possibile essere una buona madre. Oddio che riflessioni che mi sono messa a fare, penserai che sono pazza! Grazie mille, fammi sapere di questo capitolo, eh?
Ora vi lascio in pace perché come al solito ho rubato anche troppo tempo. grazie grazie ancora, mi lasciate un commentino?
Baci baci bacioni…Rebe.

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Capitolo 10
*** Rossa in fuga ***



 
 
 
 
 







 
 
 
 
 
 
 
Severus Piton quella mattina aveva l’umore di un becchino. Non che generalmente emanasse calore umano e risate, ma solitamente almeno provava a interagire con i suoi compagni di Casa e insultava matricole che intralciavano il suo funereo incidere.
Quella mattina, invece, era rimasto silenzioso e costantemente pronto a scattare, con o senza bacchetta, al diavolo le sue idee di supremazia e disprezzo verso i babbani. Aveva addirittura fatto sciogliere il suo calderone senza ingerenze esterne, con sommo sgomento del professor Lumacorno che mai avrebbe pensato o voluto mettere una T a uno dei suoi pupilli, e vantava al suo attivo la bellezza di otto persone schiantate e altri tre ragazzi, tra il primo e il quarto anno, colpiti accidentalmente da incantesimi vari e sconosciuti ai più. Ed erano soltanto le undici di mattina.
Severus si stava avvicinando all’aula di Trasfigurazione, ultima lezione prima di pranzo, senza notare che gli altri studenti, dotati di un vivo e salutare istinto di sopravvivenza, si ritraevano al suo passaggio come novelle e ciarliere acque del Mar Rosso.
Lily quella mattino non era scesa a lezione e nemmeno era in infermeria, aveva controllato durante l’intervallo. E mancava anche quel maledetto di Potter, ma il suo cervello ancora si rifiutava di credere che fossero insieme, sebbene l’idea non fosse stata debellata completamente.
Alla rabbia e alla gelosia si sommava, poi, la preoccupazione per la ragazza perché Lily mai avrebbe volontariamente saltato una lezione. Ricordava che al primo anno si era presentata anche con la febbre alta, pur di non perdere doppie ore di Pozioni e che aveva dovuto pregarla quasi in ginocchio perché nel pomeriggio si astenesse da studiare per andare da Madama Chips.
Il ragazzo sentiva forte l’istinto di chiedere a qualche Grifondoro informazioni, sebbene il suo lato Serpeverde si rifiutasse categoricamente di chiedere alcunché a quegli arroganti snob.
Come aveva già fatto almeno altre quattro volte scacciò l’idea di abbassarsi a tanto, con quegli sbruffoni soprattutto, memore dell’ultima volta che l’aveva fatto.
Era al terzo anno e Lily non si trovava. Allora erano ancora amici e tutti lo sapevano sebbene criticassero quella scelta, Grifondoro e Serpeverde per una volta da secoli erano stati d’accordo. D’accordo nel volerli divisi, pensò caustico e acido. E c’erano riusciti alla fine. Dopo averla cercata per quasi un’ora si era risolto a chiedere a un paio di ragazzi più grandi che per tutta risposta gli avevano riso in faccia e commentato sarcasticamente che a una Serpe non avrebbero detto niente nemmeno sotto tortura. Figurarsi a uno come lui. E avevano continuato a sogghignare occhieggiando il suo stemma fino a che non se n’era andato.
Uno come lui. Quelle parole lo avevano tormentato per mesi. Come diavolo si erano permessi? Lui era un Prince, anche se solo per metà. Era e rimaneva un Prince anche se quel lurido babbano di suo padre aveva contaminato quel sangue antico e rispettato.
Ricordava di aver visto quei due solo mezz’ora dopo insieme a Lily, a ridere e chiacchierare come vecchi amici facendosi raccontare del suo pomeriggio sulle rive del Lago Nero insieme a un ragazzo. Il suo primo appuntamento e lui non ne sapeva niente. Quel giorno oltre che giurare per l’ennesima volta vendetta verso quella Casa di idioti aveva anche capito che Lily non era più solo l’amica di sempre. Si era innamorato della sua migliore amica.
Severus riprese a guardarsi in giro, cercando quella chioma inconfondibile tra quel mare di nero e castani più o meno scuri, e sentì i suoi timori acquietarsi solo quando la vide insieme alle sue amiche davanti alla classe di Trasfigurazione. Aveva dimenticato che quella lezione l’avevano in comune, eppure non avrebbe dovuto visto le volte che un appartenente all’una o all’altra Casa era finito in infermeria per incantesimi la cui mira era stata stranamente deviata o che da innocue trasformazioni di animali in oggetti si erano trasformate in maledizioni più o meno gravi. Una volta avevano anche iniziato a volare oggetti contundenti, quando la professoressa McGrannitt aveva avuto la malaugurata idea di far trasfigurare coltelli in cucchiaini da the.
Guardò attento la rossa, cercando come faceva un tempo di leggerle dentro solo osservandone i lineamenti. Cercando di capire cosa pensasse e cose le fosse successo, perché avesse saltato le lezioni. Ma, non per la prima volta, si rese conto di non riuscirci, non più almeno. Continuava a illudersi che niente fosse cambiato, che lei fosse la stessa ragazzina che gli aveva rubato il cuore con sorrisi e risate durante gli infiniti pomeriggi passati insieme. Si illudeva che lei, come lui, fosse rimasta fossilizzata al giorno del loro ultimo litigio, pronta a perdonarlo e cercarlo di nuovo tra la folla. Poi cercava di leggerla, nell’espressione e nei modi, e capiva che non era così.
Oh, c’era ancora dispiacere e rimpianto nel suo sguardo quando i loro occhi si incontravano, ma non c’era più quella luce che gli riservava senza nemmeno rendersene conto. Perché l’aveva osservata tanto, prima e dopo quel maledetto quinto anno, e solo altre due persone riuscivano ad accendere quella luce. Petunia, che probabilmente ci riusciva ancora nonostante tutto, e…Potter.
Perché Severus poteva dire con certezza che Lily lo disprezzasse e che forse non provava più quell’imbarazzato piacere quando la fermava per i corridoi come al primo anno, ma ancora le accendeva gli occhi. Di rabbia, forse, e irritazione. Ma lui non riusciva a fare nemmeno quello.
E per quello lo odiava ancora di più. Lui che aveva tutto. Amici, famiglia, successo e…forse anche Lily. Sicuramente l’aveva più di quanto non l’avesse lui.
-Avremmo potuto saltare anche le ultime lezioni ormai, Lily!- protestò la sua amica mora, Julie Parker se ricordava bene.
-Cosa dici, Julie! Abbiamo già perso tre ore di lezione, non possiamo saltarne altre. E soprattutto non Trasfigurazione, non ora che stiamo affrontando la trasfigurazione umana…- la riprese Lily indignata.
Era in quegli atteggiamenti severi che vedeva ancora la sua amica.
Sembrava stanca, però, considerò il ragazzo.
E si guardava intorno, come aveva fatto lui fino a poco prima, cercando qualcuno che evidentemente non c’era. Che cercasse un ragazzo?
Odiava quei momenti, quando la gelosia gli attanagliava lo stomaco e la voglia di scuoterla e farla ragionare era talmente forte che doveva stringere i pugni per impedirsi di farlo davvero.
-Lui non c’è, Lily.- le disse divertita Alice. Maliziosa.
Severus strinse così tanto i pugni che le unghie andarono a conficcarsi nel palmo. Se avesse stretto ancora un po’, probabilmente sarebbe uscito del sangue.
Era un ragazzo, ma non era certamente…
-Non sto cercando Potter, Alice, smettila. Stavo solo…- ribattè stizzita, arrossendo.
-Non avevo detto che stavi cercando Potter, tesoro. Davvero non c’è?- rispose divertita l’altra, fingendo di cercarlo nella calca.
…Potter. Lo sgomento avrebbe potuto piegargli le ginocchia se non fosse stato abituato, da anni ormai, a non concedere niente agli altri. A non mostrare cedimenti di alcun tipo.
Non Potter. Avrebbe potuto accettare chiunque, ma non Potter.
Quel bastardo aveva tutto. Amici, famiglia, successo e…anche Lily.
La vide entrare spedita in classe, dando una sberla affettuosa alla ragazza, insieme all’altra ragazza Grifondoro, quella sempre silenziosa e gentile. Ma non sembrava essersela presa e quello lo fece stare solo peggio.
-Quando pensi che affronteremo seriamente il discorso, Alice? Sono anni ormai che ci giriamo intorno…- chiese curiosa Julie guardando fissa la schiena di Lily e abbassando lievemente la voce.
-Quel sorriso deve vederlo da sola, Julie, altrimenti non crederà mai di…volergli bene, diciamo.- commentò l’altra seria.
-Volergli bene, un po’ riduttivo forse, ma in mancanza di meglio per ora, mi piace. L’unico problema sarà vincolare Virginia al silenzio, lo sai che non riesce a mentire nemmeno sotto Imperius. Pensi che un Incando Fidelio potrebbe fare al caso nostro?- continuò la mora sullo stesso tono.
-Julie!- esclamò Alice.
-Cosa? Hai presente cosa le chiederemo di omettere? Che Lily si sta innamorando di James, Alice, una bomba insomma…- commentò divertita l’altra entrando finalmente in classe, sotto lo sguardo attento di Minerva McGrannitt.
Severus quella mattina non si presentò alla lezione di Trasfigurazione, nonostante qualche zelante e attento Grifondoro assicurò alla professoressa, tanto severa quanto giovane, che fino a poco prima fosse proprio davanti a quella porta. Per amore di giustizia, ovvio, certo non spifferò tutto a causa di un’assurda e datata rivalità tra Case. Almeno fu quello che con incredibile faccia di bronzo rifilò alla donna che, anima buona, si limitò a togliere venti punti a Serpeverde e a rifilargli una punizione di una settimana, per tale faccia tosta.
 
 
 
 
 



 
 
 
 

***

 



 
 
 
 
 
 
 
 
James e Sirius si fecero vedere solo per l’ora di pranzo quando il loro stomaco li costrinse a lasciare la loro confortevole e calda camera da letto reclamando rumorosamente cibo.
Non capitava da anni che saltassero la colazione, non per rimanere chiusi nel dormitorio almeno. Quando succedeva sopperivano a quella mancanza di cibo andando a fare un’abbondante colazione delle undici ai Tre Manici di Scopa o alla Testa di Porco. Quando non addirittura al Paiolo Magico e dopo che l’anno prima avevano imparato a Smaterializzarsi era successo un paio di volte.
Sirius si buttò letteralmente sulla panca, incurante di aver quasi fatto affondare la faccia di Remus nel piatto di Peter per la spinta che gli aveva dato. James scoppiò a ridere allegro, seguito dalle minacce di morte cruenta, e quelle non sapevi mai come prenderle visto il suo Piccolo Problema Peloso, di Lupin.
-Cosa avete fatto tutta la mattina?- chiese un curioso Peter, senza rinunciare a infilarsi contemporaneamente in bocca due cucchiai di zuppa di piselli.
La faccia di James si contorse schifata giusto per quei due secondi che permisero a Sirius di spararne una delle sue. Non gli piaceva che si impicciassero dei loro momenti seri, nemmeno se a farlo erano Peter o Remus. Ma Remus era troppo intelligente per farlo, peccato che lo stesso non si potesse dire di Minus.
-Sesso.- fu il candido commento di Black.
Remus con un faccia scettica si rimise a mangiare tranquillo, non volendo finire nel mirino dell’amico, ma Peter per poco non si strozzò con la sua zuppa.
-Dai Codaliscia, stava scherzando! Ma ti pare?- chiese un ridacchiante James.
Era di buon umore. Era di buon umore e aveva parlato con Sirius. Quando era in quello stato di grazia assoluta, c’era solo una cosa che si accordava perfettamente con il suo umore e quella cosa erano…dolci!
Con sguardo goloso e soddisfatto, soprattutto per il suo fantastico metabolismo che bruciava qualunque cosa fantasticamente, studiò attentamente ogni dolce presente sul tavolo.
Ah quegli Elfi…cosa avrebbe fatto senza di loro?
Senza fare caso agli sguardi allucinati dei compagni, dopotutto era James Potter e a lui era permesso tutto, per la miseria era il miglior cercatore di sempre, un Potter per di più, fece incetta di quei fantastici manicaretti.
Remus lo guardò sorridendo –Siamo di buon umore, eh?-
Già, se il suo sorriso non avesse bene espresso il suo umore, sarebbe bastato guardare la montagna di dolci che aveva nel piatto. Forse aveva esagerato, non sarebbe riuscito a mangiarli tutti.
-Ti meriteresti di morire di diabete, Potter!- commentò una voce tranquilla alle sue spalle.
James ridacchiò di nuovo, sembrava che quel giorno non sapesse fare altro.
-Vuoi favorire Julie?- chiese allora, già sapendo la risposta. Mica era così scemo da rischiare di intaccare irrimediabilmente il suo sudato bottino.
-Sono a dieta, James. Non che tu conosca il significato di questa parola visto come ti ingozzi…- rispose acida occhieggiando la montagna e buttandoglisi contemporaneamente seduta accanto, bisbigliandogli nel mentre –Mi devi un favore. Riscuotibile tramite regalo di Natale molto, ma molto costoso.-
C’era solo una cosa che poteva portarla a chiedergli un regalo molto, ma molto costoso, lei che era stata educata all’insegna dei più antichi e apprezzati modi Purosangue. Che non avessero attecchito era un’altra cosa, ma sapeva come comportarsi e chiedere apertamente un regalo non rientrava in quella categoria.
-Buongiorno, Evans!- cinguettò allora, rivolgendo uno smagliante sorriso all’amica e alla ragazza che aveva preso posto poco più in là.
Non sembrava contenta ed era arrossita. Probabilmente non voleva un confronto così presto, non dopo quello che si era lasciata scappare la sera prima...
-Buongiorno, Potter. Non mangerai davvero tutte quelle schifezze, spero.- guardò incredula il suo piatto.
…grazie Julie...
-Come ho detto a Julie, vuoi favorire?- per lei avrebbe fatto un’eccezione.
-Non mangio dolci per pranzo, ma grazie.- rispose cortese lei.
Era sulle spine. Ed era arrossita di nuovo,ancora di più. Ormai il viso si confondeva quasi con il colore dei capelli.
-Avete visto Franck, ragazzi?- si intromise allora Alice, cercando di distrarre l’amica probabilmente.
-Aveva Cura delle Creature Magiche prima di pranzo e dopo andiamo agli allenamenti. Vieni a vederlo?- rispose il ragazzo.
Non era strano che Alice rimanesse anche due ore sugli spalti ad aspettare il ragazzo.
Prima o poi anche Evans avrebbe fatto lo stesso.
-Veramente dovrei studiare con Lily. Ma…ehi perché non vieni anche tu e studiamo sugli spalti? Ti prego Liluccia, quella biblioteca polverosa mi deconcentra troppo.- provò con un tono implorante vedendo lo sguardo contrariato dell’amica.
-No, Alice…Alice ho detto di no. Voglio studiare davvero, non sentirti decantare le doti di Franck, di qualunque natura siano. Alice ho detto…e va bene, accidenti. Ma scordati che ti faccia i compiti mentre sbavi, eh?-
…grazie Alice. Avrebbe dovuto fare un regalo molto, molto costoso anche a lei per Natale visto che aveva anticipato quel prima o poi.
-Senti Evans, perché…- iniziò allora James decidendo di tentare la sorte.
-Non ora, Potter. Devo andare.- rispose lei veloce, prima di infilarsi un tramezzino in bocca e scappare a gambe levate.
Avrebbe potuto prendersela. Se si fosse trattato di chiunque altro l’avrebbe fatto, ma non con lei. Non con Evans così deliziosamente imbarazzata e rossa sulle gote.
-Dalle tempo, Jamie.- commentò allora Sirius, senza curarsi di essersi sporto talmente tanto attraverso il tavolo da aver colpito nuovamente Remus in direzione del piatto nuovamente pieno di Peter. Morire affogato in un mare di gelatina al lampone sarebbe sicuramente rimasto nella storia.
 
 
 
 
 
 
 
 



 

***

 



 
 
 
 
 
 
 
Lily stava maledicendo in tutte le lingue a lei conosciute la sua più cara amica a cui non riusciva mai a dire di no. Accidenti a quei suoi occhioni da cucciolo e accidenti a lei, che sapeva usarli sempre nelle peggiori situazioni.
Più si avvicinavano alle tribune dello stadio di Quidditch più si sentiva male. Non voleva avvicinarsi. Non voleva avvicinarsi a Potter. E quella mattina lo aveva già fatto abbastanza, quando nei suoi piani originari avrebbe dovuto evitarlo il più possibile. Dopo quello che…o cavolo! Come avrebbe fatto per la vacanza studio? Era stata talmente tanto agitata che l’aveva dimenticato. Due settimane insieme. Due settimane con Potter. Tra nemmeno un mese.
Se la mattina prima, vedendo con chi fosse capitata, aveva pensato che Potter andava bene, che avrebbe potuto andarle peggio, che Potter non era poi così male, alla vista di come si comportava negli ultimi tempi, ora non era più così. Ora avrebbe preferito chiunque altro, perfino Black sarebbe stato meglio.
Con Black avrebbe litigato. Lo avrebbe insultato. Si sarebbe irritata a morte. Come sarebbe dovuto accadere con Potter. E invece ci sarebbe stato imbarazzo. Ricordi di mezzo che sarebbero aleggiati tra di loro, sempre in agguato per creare situazioni insostenibili e silenzi.
E dire che lei amava il silenzio. Era Potter quello che non riusciva a rimanere zitto un attimo. Eppure sapeva, accidenti se lo sapeva, che per una volta sarebbe stata lei quella a riempire ogni più piccola pausa, anche con quelle stupidaggini da…Potter che tanto la irritavano normalmente, solo per evitare di pensare troppo. Di iniziare quel discorso. O altri altrettanto…
-Ehi, Lily? Non starai ancora pensando a ieri sera?- chiese Alice.
-Stamattina quando mi ha parlato avrei voluto sprofondare.- mormorò sconfortata.
-James è sempre riuscito a farti comportare in modo…atipico, diciamo, ma questa ancora non gli era riuscita. Addirittura sprofondare?- era mezza divertita, lei.
-Vorrei tanto che tutto tornasse come prima, lui che mi chiede di uscire a si comporta come uno stupido e io che gli urlo dietro. Che lo metto in punizione e accarezzo l’idea di lanciargli uno schiantesimo. E invece…- cercò di spiegarsi la rossa.
Non riusciva a mettere in ordine i pensieri nella sua testa, figurarsi se riusciva ad articolarli razionalmente.
-E’ così importante che tutto torni come prima? Magari…-
-Alice è di me e Potter che stiamo parlando.-
-Proprio perché è di te e James che stiamo parlando tutto questo tuo imbarazzo mi sembra eccessivo. Negli ultimi anni hai visto il peggio di lui e lui ha fatto lo stesso con te. Ti ricordi l’anno scorso che è venuto a trovarti in infermeria quando eri malata? Ti assicuro che non eri un bello spettacolo, ma lui non ha fatto una piega, continuava a guardarti come se fossi…l’unica.-
-Certo…l’unica che non gli sia caduta ai piedi. Non vedere nel suo interesse per me qualcosa che non c’è.- rispose Lily.
-Tu invece dovresti smettere di non vedere quello che c’è. Quanti altri continuerebbero a provarci, e intendo a provare a piacerti o stabilire un rapporto se fosse solo perché sei una sfida? Non sei l’unica ragazza libera a scuola.- cercò di farla ragionare Alice.
Come se fosse la prima volta che facevano quel discorso.
-Non ho mai detto che Potter sia una persona normale. Anzi. E questa…cosa sta complicando tutto.-
-Pensaci, Lily. Pensaci e dimmi che in questi anni non hai mai rimpianto di non avergli chiesto spiegazioni, di non aver ingoiato l’orgoglio. Per lui, come hai fatto con Remus.-
-Remus era…solo un compagno di Casa. James era…un amico.- concluse Lily.
Poi lo vide. Stava entrando in campo circondato da tutti gli altri giocatori e rideva con Franck. Rideva sempre, Potter. Anche quando non doveva. Forse anche quando non voleva.
I loro sguardi si incrociarono per poco più di un attimo. Ma comunque fu sufficiente per far sorridere lui e arrossire lei.
Lily sentiva il calore sulle guancie che testimoniavano quel rossore meglio di qualunque specchio. Che cosa le prendeva? Aveva smesso di arrossire di fronte a Potter al primo anno, quando avevano iniziato a studiare insieme…
E a quel punto fu semplicemente troppo per lei. Pensieri che fino a quel momento erano stati nascosti sotto qualcosa, forse la rabbia o più facilmente l’irritazione che il ragazzo le provocava, perché non si illudeva che in nemmeno un mese fosse cambiato tutto, la travolsero.
Cosa mi hai fatto, Potter?
Lanciando un ultimo sguardo stralunato a James, rivedendo nei suoi atteggiamenti, nella sua risata, in lui, il suo amico, fece l’unica cosa che aveva giurato di non fare mai più.
Mormorò delle scuse incomprensibili a una stupefatta Alice prima di correre via. Lontano da quel campo. Lontano da quel ragazzo. Lontano da quei ricordi.
La sera prima era scappata dalla sconvolgente ammissione, a lui ma soprattutto a se stessa, di volerlo vicino. Adesso stava scappando dalla consapevolezza che forse, sotto il ragazzo popolare e arrogante che era diventato c’era ancora quello che lei conosceva. Stava scappando dai ricordi.
Ma soprattutto stava scappando da quel sorriso che, dopo anni, le aveva fatto di nuovo battere più forte il cuore.
 
 
 
 
 
 
 



 
 

***

 



 
 
 
 
 
 
 
 
-Alice cosa è successo?-
James le si era avvicinato appena finito l’allenamento. Quando ancora gli altri si stavano cambiando negli spogliatoi. Dire che non se l’era aspettato sarebbe stata una bugia grande quanto Hogwarts, ma dire che ci aveva sperato con tutta se stessa sarebbe stata una balla ancora più grande.
Sapeva che aveva affrettato troppo i tempi. Conosceva abbastanza Lily da sapere che i cambiamenti non le piacevano, avevano smesso di piacerle dopo aver visto il suo sicuro mondo crollare a poco a poco.
Ma aveva sperato che la terapia d’urto sarebbe stata efficace. E invece era andata peggio del previsto, Julie aveva avuto ragione. Sarebbe stato meglio parlare a cuore aperto, rischiando di farla arrabbiare o morire d’infarto per lo shock piuttosto che quello.
-Devi darle tempo, James.- mormorò dispiaciuta.
Tifava per lui da anni. Da quando aveva visto i suoi sentimenti cambiare e diventare qualcosa di vero.
-Non ho fatto altro che darle tempo, Alice. Dovrei smetterla di sperarci e lasciar perdere. Sono un illuso.- sibilò arrabbiato e deluso, sfogando l’irritazione su un sasso lì vicino, che si ritrovò improvvisamente nel mezzo del campo.
Sapeva che stava aspettando solo lei, che lo aveva sempre fatto. Ma non poteva rinunciare. Non adesso che finalmente Lily iniziava ad aprire gli occhi e capire…
Se avesse osservato la situazione dall’esterno avrebbe consigliato davvero a James di lasciar perdere, di mettersi il cuore in pace e guardarsi intorno. Gli avrebbe detto di dimenticarla e basta.
Ma lei ci stava dentro. E, per quanto si sentisse meschina a pensarlo, voleva più bene a Lily che non a James. Per questo non poteva dirgli quelle cose, non poteva dirgli che qualcosa stava cambiando, che non aveva buttato anni dietro a una semplice stronza irraggiungibile.
Perché voleva troppo bene a Lily e non avrebbe mai voluto vederla con il cuore spezzato, anche se questo significava far soffrire lui, che pure era un caro amico. Perché Lily non avrebbe mai trovato nessun altro che la amasse tanto e che lei, se solo se lo fosse permesso, avrebbe potuto amare altrettanto.
-E’ una fortuna, allora, che tu sia James Potter, no? In giro si dice che non rinunceresti mai ai tuoi sogni.- la buttò sul ridere la ragazza sentendosi un verme.
L’unica consolazione era che non lo stava illudendo inutilmente. E forse lui parve capirlo.
-Già è una fortuna che sia James Potter.- commentò lui prima di andarsene, per niente convinto.
Sospirando Alice lo guardò allontanarsi, percorrere lo stesso sentiero che quasi un’ora prima aveva preso Lily, senza che il senso di colpa smettesse di farsi sentire.
 
 
 
 
 
 
 
 





 
ANGOLO AUTRICE.
Ciao a tutte! Come va?
Sono pessima, lo so. Prima di aggiornare nuovamente ho lasciato passare addirittura una settimana. Vi risparmio però la solita storia del sono oberata di compiti, non riesco a respirare un attimo ecc.
La verità è che sono indietro con la storia e ieri invece di aggiornare come avevo previsto ho scritto qualche pagina e che poi non ce la facevo proprio più a stare di fronte a tastiera e schermo così ho chiuso tutto. Quindi scusate per il ritardo, spero che non mi mollerete per questo, anche perché sono la prima a non sopportarmi quando inizio qualcosa e non riesco a rispettare le scadenze.
Potete bene immaginare che sono di corsa. Quindi due parole veloci sul capitolo, davvero veloci.
La parte iniziale su Severus mi ha fatto pensare, ho dovuto censurarla parecchio per cercare di non renderlo troppo OOC anche se stiamo parlando di un Severus ragazzo e non dell’uomo descritto da ziaRow. Ma spero di non averlo resto noioso o ovvio.
Lily invece…beh lei è refrattaria ai cambiamenti e infatti l’incontro del giorno dopo non può nemmeno essere ritenuto tale. È piuttosto una fuga. Di fatti è in continua fuga ultimamente, la ragazza! James prima in stato di grazia assoluta, che lo porta a battute arroganti (il miglior cercatore di sempre e bla bla bla) e ingozzarsi di dolci finisce invece deluso e scontento. Ma poi capirete perché.
Quindi stavolta passo subito ai ringraziamenti, per la prossima volta il tentativo di rispondervi con la nuova funzione di efp, per questa volta rimaniamo ancorati ai vecchi metodi (la verità è che non avendolo mai usato impiegherei un sacco a farla ora quindi…)
Shine_ ciao cara…sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo e visto che hai apprezzato il piccolo siparietto dell’altra volta con Severus magari apprezzerai anche questo. Leggendolo mi sono resa conto che trasuda sarcasmo da tutti i pori, quel passo. E poi beh Sirius geloso penso sia d’obbligo e magari ti farà apprezzare anche il prox capitolo. Quindi grazie per la recensione, spero di sentirti presto. J
Margot90 ciao mia caraaa!! So che non c’entra niente ma promette che rispondo alla mail eh? E magari ti mando anche un cesto di frutta per scusarmi dei miei continui ritardi. Mi faccio rabbia da sola. In ogni caso, bando ai deliri. Grazie per il commento ti adoro! Sei riuscita a cogliere proprio quello che penso e non solo di Sirius e James. Ma di Remus. Più avanti, infatti, ci sarà un capitolo dedicato a lui. Non è da tutti farsi volontariamente da parte per lasciare i tuoi due migliori amici a parlare da soli. Vuol dire che non solo sei un vero amico, ma anche intelligente. Conosco persone che non lo sono affatto. E come vedi James sta bene, Remus ha fatto un ottimo lavoro anche se non l’ho sottolineato. La mano è abbastanza guarita da farlo giocare quindi…W Remus! A presto tesoro! J
Nashira91 ma quanto sei dolce? Con tutti questi complimenti prima o poi mi monterò la testa (come se non succedesse ogni volta che leggo le tue recenzioni!). Beh mi pare che un grazie sia d’obbligo e poco allo stesso tempo, sei proprio carina. Come ho già scritto a Margot, Sirius è da ammirare perché fa capire a James le cose e se ne fa una ragione velocemente. Remus, invece, lo è perché lascia loro gli spazi necessari per la loro amicizia. Anche se questo significa mettersi in secondo piano rispetto a loro due. E poi che Sirius sia il mio preferito, escluso James, dei Malandrini è storia. Infatti è uno dei personaggi maschili di cui scrivo con più piacere e velocemente. Un po’ come James, che anzi ogni tanto mi mette in crisi. Grazie ancora e a presto, allora! J 

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Capitolo 11
*** Segreti svelati ***


























-Cosa staresti combinando, tu?- una voce femminile sconosciuta colse impreparato Peter che, acquattato dietro una statua particolarmente deforme, fissava ostinatamente un gruppo di ragazze poco più in là. Tassorosso dallo stemma sul loro mantello. Dovevano essere al sesto anno.
-I-io…ecco n-non…- il pigolio di Peter, vedendosi scoperto, sfumò senza nemmeno aver formulato una risposta compiuta.
La ragazza castana che aveva davanti, intanto, continuava a guardarlo come avrebbe fatto con un insetto molesto particolarmente grosso che non aveva nessuna intenzione di toccare. O in quel caso a cui non voleva assolutamente avvicinarsi.
-Ti ho fatto una domanda. Ehi tutto bene?- riprese lei, ora lievemente preoccupata visto il colorito cadaverico di lui.
Peter lanciò un ultimo sguardo alle sue spalle rammaricato, prima di tornare a rivolgere la sua attenzione alla ragazza.
Se non ricordava male era al suo stesso anno e frequentavano insieme i corsi di Incantesimi e Pozioni. Ma non conosceva il suo nome, nemmeno le aveva mai parlato. Beh, non che le ragazze si sprecassero troppo spesso a parlargli volontariamente, lo facevano solo per chiedergli informazioni su Sirius o James. Più raramente, ma nemmeno troppo, su Remus.
Era molto triste che una delle poche che gli si fosse rivolta per parlare con lui, e non per parlare di Sirius o James o Remus, lo avesse fatto perché lo aveva beccato a spiare Cordelia Waffle, Tassorosso del suo stesso anno, regina del gossip scolastico e troppo in alto per uno come lui. Nonostante lui facesse parte dei Malandrini era comunque troppo in alto per lui.
Quella constatazione lo fece arrabbiare, come capitava spesso negli ultimi tempi. Perché non era bravo a Quidditch come James. Perché non aveva il successo di Sirius. Perché non era intelligente come Remus. Perché anche lui, come loro, era un Malandrino, era un Animagus, ma nessuno lo considerava alla loro altezza. Forse nemmeno loro.
-Che diavolo ti importa? Non impicciarti, non sono affari tuoi…- non le urlò contro, ma il tono risentito con cui lo disse le fece intendere che avrebbe tanto voluto farlo. Ma c’era in giro troppa gente e non voleva attirare troppo l’attenzione. Non voleva che Cordelia scoprisse che ogni tanto la osservava. Che gli piaceva.
-Se tu ti comporti come un deficiente non posso farci niente.- rispose gelida lei. Gli occhi gelidi lo fecero rabbrividire per un attimo prima che la rabbia divampasse.
-Sei tu la stupida che si impiccia degli affari degli altri. Perché non vai al diavolo, cretina?- rispose lui.
La ragazza lo guardò nuovamente con occhi brillanti di collera, rammaricata di essersi interessata a quel ragazzino perennemente oscurato dalla luce del suoi amici. Che andasse al diavolo quel cafone, lei voleva solo essere gentile! Come se non sapesse cosa gli dicevano dietro. Che tutti, perfino i professori forse, si chiedessero perché tre degli studenti più brillanti di Hogwarts si fossero interessati a quel mago mediocre, invisibile e ingrato.
-Almeno io quando voglio parlare con qualcuno lo faccio. Non mi nascondo dietro una statua come un guardone maniaco. Ma forse è lei che non vuole avere niente a che fare con te?- impietosa affondò un coltello in una piaga sicuramente aperta.
-Taci b-bastarda. Non sai niente! Niente di me!- le rispose lui velenoso. Se fosse stato più abile con la bacchetta, probabilmente l’avrebbe colpita.
-So che sei uno studente mediocre e che non sai accettare nemmeno un po’ di gentilezza. Per quanto mi riguarda non c’è niente altro da sapere di te e, ad averlo saputo prima, di certo non mi sarei preoccupata prima.- e senza un’altra parola la ragazza gli diede le spalle.
Vedendola camminare via, il passo veloce dettato dall’irritazione e dal dispetto, gli ricordò Lily Evans. E mentre si voltava nuovamente verso Cordelia, che nel frattempo scoprì essere sparita, sperò che quella ragazza non assomigliasse alla Evans anche in altro oltre che il passo perché nel caso aveva appena fatto veramente una cavolata.
-Peter, cosa hai fatto a Medison?- la voce di Franck lo colse alla sprovvista, tanto da farlo sobbalzare dallo spavento.
-Me-Medison?- chiese non capendo. Chi era Medison?
-Medison Burdett, settimo anno Corvonero, Minus. Doveva essere lei una dei Caposcuola di Corvonero, vero amore?- Alice, appena come di consueto al braccio di Franck, ancora provato dopo l’allenamento, era un’altra  di quelle ragazze che gli parlavano solo se costrette. Anche se di solito gli chiedeva se avesse visto Franck Paciock, il suo ormai storico fidanzato.
-Se non sbaglio Jake mi ha detto che ha rinunciato perché voleva uscire bene ai MAGO. Così ha rinunciato alla carica e hanno dato la spilla a Emmeline. Non te l’ha detto?- chiese il ragazzo, per un attimo dimentico dell’altro.
-Nemmeno Emmaline sapeva bene perché aveva rinunciato, sul treno. Poi non siamo più tornate in argomento.- rispose leggera Alice, come se la cosa non la interessasse davvero.
-Allora Peter cosa è successo?- Franck tornò a rivolgersi all’altro ragazzo anziché alla sua fidanzata.
-N-niente. Si sarà svegliata male, stamattina.- rispose lui prima di filarsela. Non voleva dare spiegazioni e poi anche la Waffle se n’era andata. Non c’era più motivo per rimanere nascosto dietro una statua. Non per parlare con quei due che lo ignoravano ogni dieci secondi. Ma non scappò abbastanza velocemente per non sentire quello che Alice disse al fidanzato con lo stesso tono disinteressato di prima.
-Non è strano? Medison è sempre così gentile con tutti e stamattina era di ottimo umore. Emmaline mi ha detto che sua sorella maggiore l’aveva appena fatta diventare zia.-
-Sarà successo qualcosa nel frattempo, no? Magari ha litigato con Jake, non è il suo ragazzo?-
-Beh in ogni caso, non vorrei essere quello che l’ha fatta arrabbiare. L’ultimo è rimasto in infermeria perché gli aveva riempito la faccia di pustole, ricordi?-
-Già, decisamente sotto quella faccia dolce Madison nasconde un bel caratterino.-
Peter non sentì altro del discorso tra i due, ma quello gli bastò per capire una cosa. Che quella ragazza assomigliava a Evans anche per altro oltre alla camminata. E che, come Evans, non dimenticava facilmente. In pratica si era appena scavato la fossa da solo.
Così si diresse depresso in cucine, nella speranza che una gigantesca torta al cioccolato potesse tirarlo su di morale. Perché di certo se quella ragazza avesse deciso di vendicarsi, lui non se la sarebbe cavata con solo una visita in infermeria.
Solo davanti alla tanto agognata torta Peter ricordò anche un’altra cosa. Medison Burdett, settimo anno Corvonero, quasi Caposcuola e quant’altro, era la compagna della vacanza studio di Remus. Quella era decisamente la sua fine, gli altri avrebbero scoperto tutto. Cordelia Waffle compresa.
 






***

 







Lily era decisamente stanca. Evitare Potter per tutta la settimana l’aveva provata psicologicamente e fisicamente, anche perché sembrava che il ragazzo spuntasse dietro ogni angolo. E che fossero della stessa Casa, costretti quindi a condividere la Sala Comune, e anche le lezioni perché entrambi aspiravano alla carriera di Auror, non aveva aiutato affatto.
Fortuna che, quella sera, Potter non si era visto. A ben pensarci non aveva visto nemmeno Remus e Black. E Minus di conseguenza.
Questo poteva solo significare che quei quattro stavano tramando qualcosa. Ma Lily, per una volta, non era minimamente interessata ad andare a cercarli per poterli punire come meritavano. Questo a testimonianza di quanto quella settimana l’avesse distrutta.
-Non rispetti più il coprifuoco, Evans?- una voce alle sue spalle la fece spaventare, tanto da farle cadere di mano il libro che stava leggendo.
-Non c’è il coprifuoco nelle Sale Comuni, Black. Ma mi stupisce che tu sapessi della sua esistenza visto che sei stato fuori fino ad adesso.- rispose pacata lei, chinandosi per raccogliere il libro.
Fortuna che non si era rovinato perché Madama Pinch, la nuova bibliotecaria, l’avrebbe sicuramente uccisa se qualcosa di brutto fosse capitato a uno dei suoi preziosi libri.
-Ma sembra che per te esista invece. Alle undici sparisci sempre, anche prima se non devi studiare.- rispose lui, buttandosi sulla poltrona davanti alla sua. Entrambe davanti al fuoco erano, da che lei ricordasse, quelle più desiderate dagli studenti di tutti gli anni, ma per gerarchia scolastica riservate a quelli del settimo.
Lily si guardò intorno, effettivamente non c’era nessuno oltre loro due, prima di tornare a prestare attenzione al ragazzo.
Come Potter anche lui era diventato un bel ragazzo. E del bambino che ricordava, insieme a Potter, tirarle i capelli o l’orlo della gonna, cosciente di rischiare di prendersi poi dietro ceffoni prima e maledizioni poi a non finire, era rimasto poco. Il sorriso arrogante, che però in quel momento non aveva. E gli occhi. Adesso come allora raccontavano una storia che lei non riusciva a sentire, ma che l’aveva sempre incuriosita. Soprattutto da quando, al terzo anno, aveva scoperto avesse in fratello con cui l’aveva visto parlare si e no quattro volte. E nessuna di queste negli ultimi due anni.
Ma non credeva che fosse diventato così attento a quanto lo circondava. Che si fosse liberato così tanto del suo egocentrismo, da accorgersi anche di lei e delle sue abitudini.
-Nel caso tu te lo stia chiedendo, no. Non mi sono di certo messo a studiare i tuoi orari e simili. È James che lo fa.- le parlò senza guardarla negli occhi, più interessato alle basse fiamme del fuoco che non a lei.
Non lo era mai stato nemmeno da bambino, attento a lei. E non lo era nemmeno adesso, ma lo era James.
-Perché lo fai? Intendo portare avanti questa crociata del tuo amico. Non ti piaccio nemmeno.-
Era curiosa, lo ammetteva. E per una volta non della storia silenziosa dei suoi occhi. Ma da lui.
Era Purosangue. Di buona famiglia, una delle migliori a detta di Alice. Ma non parlava mai dei suoi e dai discorsi di corridoio riportategli da alcuni amici, sapeva perché. Era stato diseredato l’anno prima e suo fratello non gli parlava da anni, ma sembrava non curarsene. Paradossalmente le era più vicino che non tanti altri. Senza saperlo condivideva con lei un passato simile.
Pensando a Petunia, Lily si rannicchiò sulla poltrona, portandosi al petto le ginocchia e poggiandovi il mento sopra. Inconsapevolmente rivolse il viso alle fiamme, imitando l’atteggiamento di indifferenza del ragazzo.
Quanto tempo era passato da quando aveva parlato l’ultima volta con Petunia? Almeno due anni. Quell’estate,dato che lei si era sposata e viveva a Londra, non l’aveva mai vista e non aveva voluto imporle la sua presenza recandosi a casa Dursley. Il marito, poi, l’aveva visto solo una volta prima del matrimonio o mai più dopo. Non che le dispiacesse era un uomo…meschino. Le spiaceva, però, che sua sorella lo avesse scelto. Avrebbe meritato di meglio.
Era così persa nei suoi pensieri che quasi si era dimenticata di lui e totalmente della domanda che gli aveva fatto.
-L’hai detto tu, Evans. È il mio migliore amico e se ti ritiene interessante un motivo ci sarà. Magari un giorno riuscirò a trovarne uno anche io, che non sia solo l’affetto che James prova per te.-
L’aveva già notato a settembre, quando per mettere fine ai pettegolezzi su una loro ipotetica relazione aveva finto di fargli da tutor, con lui il silenzio non era opprimente.
E non lo era nemmeno parlargli. Quando invece con Potter lo era diventato dopo la loro litigata al primo anno. Prima, quando ancora lo considerava un amico, il primo amico dentro Hogwarts, trovava facile passare del tempo insieme, come ora lo era con Black. Quando non faceva battute idiote o si comportava come un arrogante damerino, ovvio. Ed era quasi triste che succedesse con qualcuno a cui, di lei, non fregava proprio niente.
-Perché sei ancora sveglia, Evans?-
-Cosa ti fa pensare che siano affari tuoi?- rispose lievemente piccata, solo una blanda imitazione del tono con cui gli si rivolgeva di solito, ma comunque infastidita per quella domanda, senza nemmeno saperne il perché. Era una domanda legittima, dopotutto. Da lui era abituata a commenti ben peggiori.
-La stessa cosa che ha convinto te che i miei fossero tuoi.- rispose Sirius, guardandola per la prima volta negli occhi e trovandola assurdamente concentrata sul fuoco, come lo era stato lui fino a un attimo prima, e in quella posa assurda come a volersi proteggere.
Ma qualcosa gli diceva che era lui la vera minaccia. Che forse non lo era affatto, una minaccia.
Era strana Evans. Non aveva mai guardato lui o James in modo strano, come avevano fatto tutte le altre ragazze della scuola. Non aveva mai cercato di diventare loro amica, aspirando alla popolarità. Era diventata popolare senza accorgersene, nonostante il suo carattere spinoso e l’assurda mania per le regole. Forse ne era stata anche infastidita, se pensava a come aveva reagito istericamente ai pettegolezzi su loro due. E sembrava lontana. Non gli era mai successo di essere quasi ignorato da una persona e contemporaneamente parlare con la stessa. A scuola nessuno era nella posizione per farlo, sarebbe stato stupido perdere l’occasione di un momento di gloria, pensò con cinismo. E a casa…beh a casa l’avevano ignorato da sempre. E ora lo avevano cancellato. Immaginava benissimo sua madre cancellare il suo nome dall’arazzo di famiglia. Fosse stato per lui gli avrebbe dato fuoco direttamente, a quella tela piena di tarme e bastardi malati di mente.
-Alle dieci e quarantacinque sono salita in Dormitorio. Ma non riuscivo a respirare così sono tornata giù e ho letto un po’.- si decise finalmente a rispondere lei senza volerlo davvero.
Non riusciva a spiegarsi quella sensazione. Cosa diavolo era successo? Un momento stava parlando con Alice del suo continuo evitare Potter e si era messa a letto. Rigirandosi nel letto le era capitata tra le mani la lettera che le era arrivata da casa quel pomeriggio, sua madre non accettava che ci fosse un orario prestabilito per ricevere posta e faceva come le pareva da anni, e l’aveva riletta sentendosi male di nuovo per quello che c’era scritto. Aveva iniziato a gironzolare scalza per la stanza, ben decisa a non svegliare le amiche, ma insofferente alle coperte che la opprimevano e all’immobilità in cui quel letto a baldacchino improvvisamente la costringeva. Poi quella sensazione di non riuscire a respirare e la decisione di scendere in Sala Comune e leggere un po’, sperando di calmarsi.
-Asma?- chiese allora lui, forse un po’ preoccupato.
-Non sto per morire, Black.- lo prese blandamente in giro lei, sperando di mitigare così quello che gli aveva appena detto.
-Per fortuna! Chi lo avrebbe spiegato poi a James che mi eri morta davanti?- rispose lui sullo stesso tono.
-Ti è mai capitato?- chiese Lily, rinunciando a fissare le fiamme per poggiare il capo sulla spalliera della sua poltrona. Era stanca.
-Cosa?- non aveva capito, Sirius, e improvvisamente si riscopriva curioso.
-Sentirti soffocare in un luogo che hai sempre considerato casa…- rispose lei piano, come riflettendo, la testa ancora reclinata all’indietro, senza realmente vedere il soffitto.
-Ho iniziato a farlo a dieci anni e ho ricominciato a respirare solo quando i miei mi hanno cacciato di casa.- rispose lui, incredulamente sincero di quanto le aveva appena rivelato.
Non avevano mai parlato seriamente, quindi si poteva dire che non avevano mai parlato. Lui la prendeva in giro, andandoci anche pesante a volte. Lei lo insultava isterica e irritata, gli urlava dietro, lo minacciava e lo metteva in punizione.
Non avevano mai parlato prima di quella sera. E le aveva appena detto cose che solo James e Remus sapevano.
Non avevano mai parlato prima di quella sera. Eppure le aveva appena detto qualcosa che perfino James e Remus immaginavano, ma non gli avevano mai sentito dire. Certo sapevano dei litigi, del disgusto, del disagio. Ma poco altro. Con James non c’era mai stata la necessità di parlarne. Con Remus…nemmeno. Perché sapeva che avrebbe preferito essere lui, il Lupo Mannaro, e non aveva mai ritenuto necessario dire altro al riguardo.
Eppure aveva appena detto a Evans qualcosa che trovava difficile ammettere perfino a se stesso.
-E se non avesse funzionato nemmeno quello?- continuò a chiedere lei.
Aveva un tono strano, come se capisse, ma non volesse farlo fino in fondo e quello…non era possibile. Ma cosa le importava? Non si erano parlati per sette anni e improvvisamente decideva che poteva farsi gli affari suoi? Impicciarsi nei suoi, fortunatamente ormai inesistenti, rapporti familiari?
-Tagliare i ponti funziona sempre.- concluse asciutto, deciso a chiudere quel discorso.
Ma perché continuava a risponderle? Avrebbe dovuto mandarla al diavolo e andarsene. Farle capire che…
-E se non fosse possibile?-
-Cosa è successo, Evans?- era preoccupato, ma anche irritato. Forse più con se stesso che non con lei.
-Mia sorella ha abortito.-
Aveva il pianto nella voce, Evans, ma non negli occhi. Almeno per quanto poteva vedere lui.
Odiava le ragazze che piangevano. Odiava le ragazze che piangevano per lui. Ma non era quello il caso e non poteva limitarsi ad andarsene dicendole che non l’aveva mai illusa e che non aveva mai promesso amore eterno o matrimonio. Che era stato sincero fin dall’inizio.
Perché Evans non stava piangendo per lui. Perché, a ben vedere, Evans non stava piangendo punto.
Eppure avrebbe voluto che lo facesse. Per una volta avrebbe voluto vedere una ragazza piangere ed esserne spettatore. Perché avrebbe potuto almeno cercare di consolarla. O magari si sarebbe irritato.
Ma quello…
-Non sapevo nemmeno che fosse incinta.- concluse lei, avverando inconsapevolmente il suo desiderio e facendo cadere quelle maledette lacrime che le chiudevano la gola.
Non l’aveva detto a nessuno, non a Virginia, Julie, Emmaline. Non ad Alice. Ma a Black. Se in quel momento non fosse stata così a pezzi, se non fosse stata così stanca, sarebbe corsa in infermeria per farsi rimettere a posto il cervello. Perché era ovvio che qualcosa non andava.
Erano anni, ormai, che aveva capito che la rabbia della tredicenne Petunia, invidiosa della sua lettera, si era trasformata in disprezzo e timore. Forse addirittura rancore. Ma non credeva che l’avrebbe mai allontanata così tanto, da non considerarla nemmeno più sua sorella.
Aveva chiesto ai suoi di non dirle niente e loro avevano supposto che volesse farlo personalmente, forse cercando anche di ricucire i rapporti. E invece, semplicemente, non voleva che lo sapesse. Non la voleva intorno nemmeno adesso, nel momento del bisogno.
Lily sentì di nuovo quel senso di apnea che l’aveva presa prima nel dormitorio. Strinse maggiormente le ginocchia al petto cercando di normalizzare il respiro, si era scoperta anche troppo quella notte, decisa a tornare nella sua stanza. Magari rintanarsi sotto le coperte, cercando di fermare i singhiozzi. Magari sigillando e insonorizzando il bagno per poter fare qualunque cosa. Magari…
Aprì gli occhi di scatto, incredula, sentendosi tirare improvvisamente in piedi da una presa salda sul braccio destro. Black aveva le mani fredde, fu il pensiero più stupido che le affiorò alla mente in quel momento.
Senza una parola la strinse a sé, senza forzarla o stringere troppo. E fu solo un attimo.
Bastò un attimo a Lily per decidere che, per una volta, poteva anche accettare quello che il ragazzo le stava offrendo. Non amicizia. Non vuote parole di conforto. Non pietà. Ma calore. Comprensione. Un attimo, niente altro, di vera vicinanza. E strinse a sua volta. Senza forzarlo o stringere troppo.
Tra le sue braccia…non c’era il calore provato con Potter sulla Torre di Astronomia. Non c’era quella pace ovattata, fatta di sorrisi e comprensione.
Black aveva le mani fredde, lo sentiva anche attraverso la stoffa del pigiama. Sentiva quel freddo anche con quella presa leggera e appena accennata. E, tra le sue braccia, non c’era un’improvvisa tranquillità, né la soluzione a tutti i problemi. Non era Potter. Ma era quello che le serviva in quel momento. Quella freddezza e quel distacco emotivo che a lei, sempre razionale, in quel momento mancava.
Lui aveva già ricominciato a respirare, dopotutto. Sapeva sicuramente cosa stava provando, eppure non la riempiva di parole, né di confidenze inopportune e altrettanto dolorose.
E le lacrime, senza più remore o freni, iniziarono a scendere, bagnando incuranti la preziosa stoffa della camicia di lui. I singhiozzi riempirono il silenzio. E la stretta di lui si fece appena più forte sulla sua vita, forse insicuro su come comportarsi, forse timoroso di rompere tutto. Forse solo capendo che non era necessario farle sentire che c’era stringendole spasmodicamente la schiena.
Passarono ore o forse minuti senza che nessuno dei due si muovesse o che parlasse. Lily, arginate le lacrime, stava cercando di regolarizzare il respiro prima di staccarsi da quella presa così tranquilla e consolante.
Un altro rumore ruppe il silenzio della Sala Comune. E non erano i suoi singhiozzi questa volta.
E se Lily si irrigidì sentendolo, di fronte alla prospettiva che altri, che non avrebbero dimenticato il giorno dopo, assistessero a quel momento di debolezza, sembrò niente in confronto all’improvvisa rigidità che sentì nascere nel corpo di Black al vedere chi era appena entrato in Sala Comune.
Non ebbe bisogno di sentire la voce per capire chi fosse entrato. Era bastata la rigidità di Black a farglielo capire. Ma la voce, stranamente priva di qualunque inflessione, fu una pugnalata. Che affondò sicuramente di più nel corpo dell’altro che non nel suo.
-Cosa mi sono perso?-
Perché James Potter era appena entrato in Sala Comune accompagnato da Remus e Peter. E Sirius non gli aveva mai visto, in viso, uno sguardo così deluso…
 
 
 
 
 







 
 
ANGOLO AUTRICE.
Lo so. Sono terribilmente in ritardo. Come sempre ultimamente, del resto.
Ieri ho approfittato per andare avanti con la storia (di fatto ho scritto il capitolo successivo finalmente) perché sebbene abbia già pronti altri capitoli (due) non avevo pronto quello dopo. Non so cosa mi prende ultimamente, ma ho scritto la storia a blocchi, quando mi viene in mente una situazione la scrivo e poi metto insieme tutto. E non mi piace. Però almeno sto scrivendo qualcosa, anche se in modo psicotico e disorganizzato al massimo.
Allora cosa mi dite di questo capitolo (il titolo allude ovviamente al segreto di Petrer, interessato alla reginetta del gossip, e a quello di Petunia)? Finalmente conosciamo anche la compagnia di Remus per la vacanza studio, Medison Burdett, settimo anno Corvonero, quasi Caposcuola e quant’altro.
A me piace abbastanza, non è una stronza, ma nemmeno una zuccherosa ragazzina. Insomma è una via di mezzo.
Forse vi siete chieste, mentre leggevate, perché mezzo capitolo su Peter Minus? Soprattutto dopo la predicozza che ne ho fatto sopra negli scorsi capitoli. Ma volevo un ingresso ad effetto per Medison e, ammettiamolo via, strapazzarlo mi distende i nervi. In questo capitolo sta venendo fuori anche la sua odiosa personalità. Come dice Medison (non ho saputo evitarmi di metterle in bocca quelle parole) Peter è mediocre, invisibile e ingrato.
Sta iniziando a rendersi conto anche lui che vive della luce riflessa dei suoi amici. O meglio che gli altri lo conoscono, che le ragazze gli parlano, per le amicizie che vanta. E che, nonostante questo, non è comunque abbastanza. Dopotutto dovevo porre le basi per il suo futuro tradimento, no? Ed è Sirius stesso, nel terzo libro, a ricordare che fosse geloso degli amici (mi pare, non sono andata a controllare, nel caso non esitate a correggermi).
Perché almeno io la vedo così. Oltre alla paura non aveva altri motivi per tradirli. E tutto sommato erano ancora dei ragazzi. È abbastanza verosimile, no? che decida di prendere la strada che ha presto per gelosia e invidia? Nei libri più che cattivo è uno che si fa trasportare dagli eventi, debole e insicuro. Facilmente calpestabile. Ancora mediocre, invisibile e ingrato.
Passando al resto del capitolo. Lily e Sirius. E la sua rivelazione su Petunia.
Parto proprio con questa. So di aver trattato, soprattutto nel capitolo dopo, questo argomento in modo superficialissimo e forse senza rispetto per chi ha vissuto quello un aborto vero.
Nei libri della Rowling di aborto non si è mai parlato. E anche in questa storia non se ne parlerà più. insomma ho tirato fuori un dramma così grave senza un vero motivo. L’ho fatto per due motivi che magari avrebbero potuto essere soddisfatti anche con un altro problema, più comune e meno doloroso. Primo perché volevo che Lily capisse quanto il risentimento di Petunia fosse forte. Così come lo sono le parole della donna nel primo libro. E in questo modo si sentisse più vicina a Sirius che con il proprio, di fratello, non parla più anche se sono nella stessa scuola. Tra loro doveva iniziare a instaurarsi un rapporto forte come nella storia originale.
Il secondo motivo…beh non ha nessuna attinenza con la mia storia. È stato solo per un evolversi autonomo dei miei pensieri mentre l’altro giorno la mia sorellina leggera ad alta voce La Pietra Filosofale.
All’inizio, quando Harry viene affidato agli zii, la professoressa McGrannit dice di aver osservato la famiglia e aver visto Dudley prendere a male parole e a calci la madre per la strada.
All’inizio lo ritenevo un comportamento senza spiegazioni. Ma poi ho detto. Magari gli fa fare tutto quello che vuole perché hanno desiderato tanto un figlio. La mamma di una mia amica si comporta così proprio per questo motivo e l’ho messo per iscritto.
Tutta questa digressione insomma era per scusarmi di aver turato fuori questo argomento. Di non averlo trattato come meriterebbe. Di aver, spero di no perché ne sarei veramente dispiaciuta, riportato a galla brutti ricordi.
E con questo vi lascio. I ringraziamenti sono stati mandati a ogni anima buona che perde un po’ del suo tempo a scrivermi, singolarmente con la nuova funzione di efp.
Anche se a ben vedere ho intasato comunque la pagina.
Grazie e chi ha letto, come sempre.
Tanti tanti baci. Rebe. 

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Capitolo 12
*** Giuro solennemente di non avere buone intenzioni. ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 





 
Il silenzio era opprimente perfino per Lily che mai aveva pensato che i sentimenti di Potter per lei fossero veri. Non che lo pensasse in quel momento, chiaro.
Ma per i ragazzi doveva esserlo ancora di più. Per Black in particolar modo.
Rigida allontanò le mani dal corpo del ragazzo, che per un secondo le aveva artigliato i fianchi, appena sentita la voce di Potter, prima di lasciar cadere le proprie braccia inanimate lungo il corpo.
La ragazza finalmente si decise a voltarsi, dispiaciuta che per un singolo atto di gentilezza Black rischiasse di litigare con il suo migliore amico. E sebbene generalmente se ne sarebbe fregata, quei due divisi avrebbero significato pace e silenzio, non era quello il caso, non dopo che Black aveva mostrato quell’inaspettato e silenzioso supporto. Comprensione.
Stava per parlare e dire, viva l’originalità, non è come sembra, dal momento che il compagno sembrava intenzionato a non spiccicare parola. E anzi non aveva nemmeno staccato gli occhi da Potter fino a quel momento, ma venne preceduta da Minus.
Se per un momento fu propensa a riabilitare la pessima opinione che aveva sul ragazzo, magari avrebbe allentato la tensione con una battuta idiota, cambiò improvvisamente idea.
Quell’imbecille…
-Sirius, ma tu e la Evans state insieme? Ma non hai pensato a James?- lo accusò Peter.
…meritava solo di morire.
Lily non si sarebbe stupita se improvvisamente le fossero spuntate corna e coda come il peggiore degli stereotipi babbani, se i suoi occhi fossero diventati di fiamma, come il Caronte Dantesco. Per questo non si stupì quando la sua bacchetta emise scintille rosse, nonostante giacesse dimenticata sulla poltrona dove sedeva fino a pochi minuti prima, emesse senza che lei nemmeno la toccasse.
-Peter, ma che dici?- chiese Remus sconvolto.
Allora non era sempre così stupido il ragazzo, Lupin sembrava troppo sorpreso da quella mancanza completa di fiducia mista a cattiveria perché fosse così.
-Beh non lo vedi? È voluto tornare prima in Sala Comune per incontrarla.- continuò imperterrito quello.
E, di nuovo, la sua bacchetta emise scintille minacciose. Che questa volta attirarono l’attenzione di tutti i ragazzi.
-Evans, calmati.- commentò Black nella sua direzione senza nessuna particolare intonazione nella voce.
-Calmarmi? Calmermi, Black? Sei tu, semmai, che dovresti svegliarti! Hai sentito cosa ha detto?- gli urlò addosso irritata.
-Tu mi hai detto cose peggiori nel corso degli anni.- le rispose ancora con lo stesso tono.
Eppure quegli occhi. Erano diversi rispetto a poco fa. Erano come oscurati. Quelle parole gli avevano fatto più male di quanto avrebbe mai ammesso.
Lily si voltò verso Potter, convinta che sarebbe intervenuto. Dopotutto era Black quello sotto accusa.
Ma forse…
La rossa studiò attentamente il ragazzo. Sembrava ancora rigido, ma tutto sommato tranquillo. Niente nel suo viso o nel suo atteggiamento mostrava rabbia o delusione per la scena cui aveva appena assistito. Sembrava più curioso di quello che lei avrebbe fatto. Infatti la stava studiando attentamente a sua volta.
Allora perché non diceva niente? Era ovvio che di lei non gli importasse, che non gli importasse averla appena trovata tra le braccia di un altro. Di Black, non un altro qualunque, si corresse.
Scacciò quel pensiero, quella inspiegabile stretta allo stomaco, voltandosi di nuovo verso Black. Gli doveva ancora una risposta, dopotutto.
-Io non sono nessuno, per te. Lui è uno dei tuoi migliori amici.- rispose secca prima di lanciare uno sguardo duro a Minus. Avrebbe solo dovuto vergognarsi.
-Immagino di non potergli lanciare una maledizione.- sibilò adottando lo stesso tono di Black. Dopotutto c’erano già i suoi occhi gonfi ad attirare l’attenzione. Meglio evitare di far vedere quanto i suoi nervi fossero scossi quella sera. Chi mai avrebbe detto che un giorno avrebbe difeso Black? Che le sue mani avrebbero frizzato dalla voglia di schiantare quell’insulso idiota di Minus?
-Immagini bene, Evans.- rispose Black.
Ancora, stranamente, Potter non parlava.
Era la prima volta, da tanto, che non aspettava altro che sentirlo parlare. Anche solo per accusarla. Dopotutto l’aveva evitato per una settimana senza motivo alcuno, almeno per il ragazzo doveva essere stato così, e la ritrovava tra le braccia…
Di nuovo quella stretta allo stomaco al pensiero che forse a lui non importava affatto che lei lo avesse evitato. Che almeno secondo le apparenze gli avesse preferito il suo migliore amico. Che per una settimana l’avesse trattato come un appestato quando il suo orgoglio le aveva sempre impedito di farlo.
Con un ultimo sguardo di disprezzo verso Minus, se fosse stato un suo amico niente gli avrebbe evitato urla e maledizioni per quello che aveva detto, si voltò verso il dormitorio femminile raccogliendo nel mentre la sua bacchetta.
Era già al quarto gradino quando, finalmente, la stretta allo stomaco si sciolse.
-Evans non cerchi di convincermi che tra te e Sirius non è successo niente?-
-Non sono affari tuoi, Potter. E poi lo so che tu non ci credi. Solo un idiota potrebbe farlo- rispose piccata ancora di spalle. Non era riuscita a evitarsi quell’ennesima frecciatina a Minus.
-Esci con me, allora, sabato?-
Era tornato il solito Potter, proprio come voleva.
 
- Vorrei tanto che tutto tornasse come prima, lui che mi chiede di uscire a si comporta come uno stupido e io che gli urlo dietro. Che lo metto in punizione e accarezzo l’idea di lanciargli uno schiantesimo. E invece…-
 
Potter le aveva appena chiesto di uscire. Con lo stesso tono stupido degli anni passati.
Allora perché lei non gli stava urlando dietro? Perché non riusciva nemmeno a voltarsi e lanciargli un’occhiata inteneritrice?
Esattamente come aveva detto ad Alice pochi giorni prima.
Perché, improvvisamente quella maledetta e inspiegabile stretta allo stomaco era tornata? Eppure era quello che voleva…
-Ci vediamo.- commentò piano, a mò di risposta.
Continuò a salire, con quella strana sensazione addosso.
Sembrava…fastidio?
Fastidio per cosa?
Per il commento bastardo di Minus?
Perché domani non avrebbe potuto far finta di niente con Black, visto che altri avevano assistito a quella scena?
Perché Potter non si era mostrato nemmeno minimamente geloso?
Lily che diavolo vai a pensare!
Era ovvio che fosse infastidita perché Potter era un deficiente. Tutto nella norma, insomma.
Ma la vocetta nella sua testa…beh nemmeno lei né era poi tanto convinta.
E continuava a ripeterle che quello che aveva lasciato in Sala Comune, che le aveva chiesto come se nulla fosse di uscire, che aveva inconsciamente avverato il suo desiderio…forse non era il James Potter a cui pian piano si stava abituando.
Che forse non era il James Potter che stava imparando a conoscere. Di nuovo.
Che sembrava maledettamente uguale al James Potter degli anni passati. Che sembrava lontano mille miglia anche se le aveva appena chiesto di uscire…
 
 
 
 
 
 
 



***

 



 
 
 
 
 
 
Remus e Peter se n’erano andati in silenzio. O meglio Remus aveva trascinato via di forza l’altro, forse temendo una vendetta di Sirius visto cosa aveva detto, forse semplicemente per fargli una partaccia con i fiocchi.
Non che James se ne sarebbe dispiaciuto, in entrambi i casi. Era rimasto gelato vedendo Evans, la sua Evans, tra le braccia di Sirius, il suo Sirius. E per un attimo gelosia e delusione si erano mescolati.
Per un attimo avrebbe solo voluto strozzarlo. Per una attimo aveva solo voluto urlare. Per un attimo avrebbe solo voluto distruggere tutto. Ma poi lo aveva guardato negli occhi. Era Sirius, suo fratello.
E teneva tra le braccia Evans leggermente, come se non volesse toccarla davvero. E lei stava piangendo.
Si era sentito uno stupido per aver pensato male del ragazzo e continuava a farlo perché, nonostante tutto, non riusciva a non essere geloso.
Anche perché l’altro stava decisamente sprecando l’occasione.
Ovvio che era così che doveva essere, ma insomma!L’aveva tra le braccia eppure non la guardava nemmeno. Non lo stava facendo nemmeno quando era entrato. E non sembrava interessato a studiarne le reazioni al suo ingresso.
Un ragazzo innamorato, o comunque con qualche interesse sentimentale nei suoi confronti, non si sarebbe così preoccupato per lui, un ragazzo, più che di lei, la ragazza dei suoi sogni.
Chiunque altro lo avrebbe pensato. Anche Remus lo aveva fatto dopo la sorpresa iniziale. Glielo aveva letto negli occhi mentre trascinava in dormitorio Peter, pregandolo silenziosamente di non fare casini. Per una volta di pensare prima di agire. Ma non Peter, non sarebbe mai riuscito a guardare tanto a fondo nelle persone. Questo l’avrebbe reso se non un pessimo Auror comunque uno mediocre. Molto più che le sue difficoltà con la magia.
-Mi aspetta un pugno, per caso?- chiese Sirius, buttandosi con la solita grazia su una poltrona vicino al fuoco.
-No. Ne spetta uno a Peter però, immagino.- lo imitò James.
Rimasero in silenzio per un po’, ognuno perso nei propri pensieri.
Del bel fuoco che scaldava a ogni ora la Sala Comune, ormai, rimanevano solo le braci.
-Tra me e…- cominciò Sirius.
-Non serve che me lo dici. Lo so.- lo interruppe James.
Un sorriso increspò le labbra di Sirius e il cipiglio di tensione che fino a quel momento contraeva la sua fronte si distese un po’.
-Lo so. Ma voglio farlo. Tra me ed Evans non è successo niente.- continuò deciso l’altro.
James ricambiò il sorriso dell’amico. Se fossero stati due ragazze, in quel momento, si sarebbe commosso.
Non capitava spesso che Sirius, o lui, mettessero da parte totalmente l’orgoglio per scagionarsi da qualcosa che non avevano fatto. A ben vedere non lo facevano nemmeno quando combinavano qualche casino.
Nemmeno la volta che avevano fatto saltare la parete d’entrata di Serpeverde avevano tentato di discolparsi o dare al altri la colpa. Ma quella volta era un po’ diversa. Chi altri al secondo anno era già in grado di produrre un perfetto e così potente incantesimo bombarda?
Se ce ne fosse stato bisogno quel numero li avrebbe consacrati come padroni di Hogwarts, ma l’incoronazione era già avvenuta da tempo, quindi…
-Immagino non mi dirai perché piangeva.- James si allontanò dai suoi pensieri di autocelebrazione per ritornare al presente.
-Problemi a casa. James…sapevi che Evans aveva una sorella?-
Quello era decisamente poco da Sirius. Non aveva mai nutrito particolare interesse per Lily, non aveva motivo quindi di mantenerne un segreto o volerla proteggere. Non con lui, comunque.
Questo poteva voler dire solo una cosa. Finalmente Sirius aveva visto qualcosa in Evans, qualcosa che per anni non aveva visto o voluto vedere.
-Si, ne ha accennato quella sera sulla Torre di Astronomia. So solo che si è sposata e ha un nome assurdo…Ponia? Ah, no! Tunia!- rispose Potter.
-Tunia? Che nome privo di qualsiasi gusto.-  ridacchiò caustico Sirius, con il tipico tono snob dei Black. Questo prima di zittirsi di colpo.
-Ha parlato con me perché un po’ ci assomigliamo.- commentò a bassa voce Sirius.
Rimase zitto per alcuni secondi, a fissare le braci nel camino, prima di alzarsi e dirigersi sorridente verso il dormitorio.
-Evans mi ha inzuppato la camicia di lacrime. La mando in lavanderia o vuoi farne un santuario?-
E con un ultima bastardata Sirius si ritirò. A volte, come quella, ricordava perché facesse Black di cognome. Nemmeno i migliori geni di quella famiglia sarebbero mai riusciti a generare una persona dolce e zuccherosa. Priva di sarcasmo o voglia di affondare il dito nella piega. E per quanto gli volesse bene, Sirius non faceva che confermare quella teoria…
Ma forse riderci sopra era la cosa migliore. Per una volta aveva usato la testa.
Nessuna donna, nemmeno Evans, avrebbe rovinato la loro amicizia.
Era stato quello il pensiero che gli aveva impedito di scatenare l’Apocalisse, appena entrato. Perché, almeno adesso che era solo poteva ammetterlo, l’idea c’era stata.
E gli frizzavano ancora le mani per non averlo fatto. Ma Sirius anni prima si era fatto da parte, aveva accettato i suoi sentimenti per Evans nonostante la gelosia e le paure. Quelle che avrebbe provato anche lui il giorno in cui l’altro si sarebbe innamorato.
James stava per alzarsi a sua volta e dirigersi verso il suo comodo e caldo letto quando realizzò quello che l’amico gli aveva detto. Sorrise riconoscente al punto dove fino a poco prima c’era il ragazzo.
Anche se non conosceva i particolari, almeno sapeva perché Evans stava piangendo.
Problemi in famiglia…sua sorella…
Alla fine era riuscito a informarlo senza dire niente di compromettente…Tipico di Sirius volerlo fare felice senza esporsi. Caro orgoglio Grifondoro.
E a proposito del credo Grifonodoto. Non era forse scritto che loro erano leali agli amici quanto al loro credo? Non poteva certo andare contro quell’antica legge non scritta.
E il suo credo recitava…Giuro solennemente di non avere buone intenzioni…
 
 
 
 
 



 
 
 
 

***

 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
La mattina dopo la torre di Grifondoro venne svegliata da un urlo isterico. Alcuni pensarono a un attacco in campo nemico da parte dei Serpeverde. Altri designarono come responsabili una coppia di fidanzati, senza volto al momento, beccati in fragrante dai professori. Altri ancora pensarono che degli Elfi Domestici avessero tentato il suicidio per non aver ben pulito la Sala Comune, o il camino. Un paio di ragazzine ai primi anni temettero un attacco da parte di Mangiamorte, prima di venir rassicurate.
Dopotutto non esisteva nessun posto sicuro come Hogwarts.
Nessuno diede la colpa ai Malandrini, per una volta.
Non li ritennero responsabili nemmeno considerato che l’urlo, cui seguirono una serie di tonfi preoccupanti, provenivano dalla loro stanza.
Non li ritennero responsabili nemmeno quando Sirius Black si presentò a lezione con un bernoccolo in testa e lividi vari, fortunatamente nascosti dalla divisa, acciaccato come un vecchietto.
In definitiva nessuno designò come responsabile James Potter. Nessuno tranne il sopracitato Sirius Black che, quella mattina, capì una cosa.
Anche se gli aveva risparmiato pugni e urla, toni delusi o isterici, non aveva dimenticato.
Nessuno, nemmeno lui, doveva avvicinarsi troppo a Lily Evans.
Ma dopotutto nessuna donna, nemmeno Evans, avrebbe rovinato la loro amicizia.
A ben vedere, non si sarebbe stupito troppo se anche l’amico, come lui, avesse nell’albero genealogico un parente Black. Che condividesse gli stessi geni malati e vendicativi di sua madre avrebbe spiegato la sveglia psicotica, con tanto di secchio pieno di ghiaccio e gigantografia di Mocciosus in mutande (cimelio conservato sotto chiave per evitare di sentirsi male, risalente al quinto anno quando James lo aveva davvero spogliato davanti a mezza scuola), che il caro ragazzo si era prodigato per fornirgli.
Meglio non avvicinarsi a Lily Evans. James lo aveva messo bene in chiaro.
Ma che lui fosse dannato se dopo quell’esperienza da incubo, niente era tanto grave da meritargli da visione di Mocciosus di prima mattina, gliel’avrebbe fatta passare liscia.
Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.
Proprio a causa di quel proposito, la sera in Sala Comune, James divenne rosso di imbarazzo. Pronto a scoppiare, anche a piangere se necessario, pur di distogliere l’attenzione da quello che quel maledetto del suo migliore amico aveva combinato.
Ma anche sua madre l’avrebbe sentito, quella volta. A forza di considerarlo come un figlio si era dimenticata chi fosse dei due davvero suo figlio…
Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.
Ma ogni pensiero di rivalsa venne cancellato dal desiderio di sprofondare, talmente in basso da non poter risalire nemmeno costretto, quando vide anche Evans in quella stanza.
E con una di quelle foto in mano.
…perché c’erano cose che la tua futura moglie non dovrebbe mai sapere. Nello specifico mai vedere. E quelle foto rientravano nella categoria. Al primo posto.
Certe foto andrebbero distrutte non appena un ragazzo raggiunge consapevolezza di sé.
Quella mattina Sirius Black si era svelgiato insieme a un Piton particolarmente espansivo.
Quella sera James Potter...beh, diciamo che tutti videro l’evoluzione del suo pistolino almeno fino ai cinque anni.
La mattina dopo, invece, la signora Potter non ricevette una strillettera pronta a far saltare in aria la casa come si era aspettata.
Mentre James cercava con ripetuti incantesimi di Appello di riappropriarsi di tutte le foto, infatti, aveva sentito qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. E che aveva salvato i timpani di sua madre.
-Eri carino, Potter. E non sembro l’unica a pensarla così.- lo informò sorridente Lily Evans porgendogli nel frattempo una decina di foto che aveva raccolto manualmente mentre gli si avvicinava.
Alcune ragazze, infatti, per giorni continuarono a ripetergli –Eri adorabile, James. Un vero angioletto.- alla faccia di quel sadico bastardo del suo amico.
Ma nessuno di quei commenti gli aveva fermato il cuore come quello di Evans. Come il suo dolce sorriso.
Inutile dire che una decina di quelle foto andarono misteriosamente perse e, per quanto avesse tormentato Remus e Lily, non vennero inserite nella lista degli oggetti proibiti e quindi confiscabili.
Inutile dire anche che le ragazzine che gli andavano dietro sembrarono moltiplicarsi, desiderose di vedere come, in quel tredici anni, il suo pistolino si fosse evoluto.
Giuro solennemente di non avere buone intenzioni…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
NOTE AUTRICE.
Ciao a tutti! Come sempre ultimamente sono in ritardo, quindi mi spiace.
In questi giorni sono stata sommersa dalla neve, che mi ha impedito tra l’altro di andare a scuola, ma che non ha impedito ai cari professori di riempirci di compiti. Giusto per non farci pesare questi due inaspettati giorni di vacanza…
…beh tornando al capitolo, che poi è il motivo per cui continuate a sopportarmi…che mi dite?
Probabilmente vi aspettavate qualcosa di diverso (tra l’altro è anche più corto del solito, ma altrimenti sarebbe diventato troppo lungo) e volevo farlo diverso.
Ma poi ho riletto alcuni passi precedenti, tanto per essere sicura di non scrivere cose già dette, e mi sono accorta che…James e Sirius non potevano litigare. Non per questo motivo. Ma James non poteva nemmeno lasciargliela passare liscia. A nessuno dei due.
Spero di non avervi deluso, ma proprio non potevo fare altrimenti. Non senza andare contro quello che avevo scritto. Ma alla fine, questo capitolo, mi piace.
Mi piace perché James e Sirius stanno diventando grandi. Sanno quanto siano importanti l’uno per l’altro e proprio per questo non cercano di rinchiuderli in gabbia. Nemmeno se quella gabbia è la loro amicizia. Perché crescere significa anche questo, no?
Mi piace perché Peter inizia a mostrare, anche ai suoi amici, parte del suo vero carattere, geloso e invdioso, e loro iniziano a rendersene conto.
Mi piace perché anche Lily inizia a capire. Con quella stretta allo stomaco che si scioglie al sentire parlare James, ma che torna quando sente cosa dica. Perché forse non è solo fastidio, se nemmeno la voce razionale nella sua testa ne è convinta.
E, stupidamente, mi piace anche perché finalmente scopriamo cosa sia successo quell’anno dei GUFO sulle sponde del Lago Nero. Almeno la mia versione. Ho sempre immaginato che James, arrabbiato per il trattamento a mio parere un po’ ingiusto di Lily, abbia voluto rifarsi su chi l’aveva causata. Oltre lui, ovvio.
Quindi, si. Secondo me Piton è rimasto in mutande, nonostante il ribrezzo che i ragazzi avrebbero potuto provare a quella vista. James non è tipo che si tira indietro di fronte alle sfide. In quel momento era arrabbiato e ferito. Ma soprattutto in quel momento aveva quindici anni, o sbaglio? E a quindici anni si è degli idioti, i ragazzi in special modo, almeno per la mia esperienza.
Quindi tra le note a fine capitolo volevo dire questo. La foto di Piton in mutande è una libera interpretazione permessa da ziaRow, e appartenente al quinto libro (se non sbaglio perché non sono andata a controllare). E la frase su quanto Hogwarts sia un posto sicuro è un sarcastico omaggio ai vari libri quando, anche là, la scuola è rappresentata come un baluardo inconquistabile, ma che non si sa come diventa sempre fucina di guai e presenze potenzialmente mortali. Alla faccia della sicurezza (e anche dell’onniscienza di Silente che sa tutto di tutti, che fa ipotisi degne di un Nobel, che è il mago più potente mai esistito, ma che si fa passare tutto sotto il naso o che addirittura ne permette l’accesso, vedi Raptor).
E con questo chiudo.
Le risposte alle recensioni arriveranno ai singoli in separata sede. Ma ringrazio comunque tutte. Vi adoro tantissimo. Spero di leggere le vostre recensioni anche in questo capitolo.
Baci e buon week end. Il mio sarà sotto la neve probabilmente!
Rebecca. 

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Capitolo 13
*** Regole infrante ***


 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
Era passata nemmeno una settimana, da quando Lily aveva trovato conforto nelle braccia della più improbabile delle persone, solo due giorni a ben vedere. Solo due giorni lunghi come anni.
E Lily non si era mai pentita tanto di un momento di debolezza.
E non perché Black aveva reso pubblici i suoi problemi perché come le aveva snobbamente ricordato Julie era troppo signore per farlo.
E nemmeno perché Potter continuava a scatenare scenate di gelosia inappropriate quanto rumorose. Scenate di gelosia inappropriate e rumorose che non aveva proprio scatenato. Nemmeno una volta, pensò con stizza.
La verità era che…era nervosa. Di nuovo. Costantemente. Sempre di più.
E se il giorno prima quel nervosismo era stato associato ai continui scherzi di Potter e Black, che stavano dando il meglio di loro stessi in un guerra personale quanto assurda, una chiacchierata con Julie, isterica per essere rimasta in mezzo ai fuochi nemici, l’aveva portata a riconsiderare le sue posizioni.
Julie le aveva fatto rivalutare attentamente, sempre con i suoi toni soavi e pacati soprattutto nei momenti di maggiore tensione, gli avvenimenti da poco vissuti.
E aveva trovato la fonte di tutto lo stress.
La causa era la lettera trovata a Hogsmade.
La causa era la lettera di sua madre.
La causa era Potter.
Era quello probabilmente che la irritava sempre di più. Aggiungendo isterismo e incredulità allo stress.
Tra i tanti grandi e gravi pensieri, più grandi di lei e di lui, che le affollavano la testa James Potter riusciva comunque a spuntare.
Insieme a quella maledetta frase pronunciata come di rito nei suoi discorsi con Alice.
 
- Vorrei tanto che tutto tornasse come prima, lui che mi chiede di uscire a si comporta come uno stupido e io che gli urlo dietro. Che lo metto in punizione e accarezzo l’idea di lanciargli uno schiantesimo. E invece…-
 
Quante volte le erano tornate in mente quelle parole negli ultimi due giorni? Quante volte si era ritrovata a fissare il vuoto, anche a lezione, perché qualcosa non andava?
Aveva pensato tanto a quella sera. Per un motivo o per l’altro ci pensava continuamente.
Da quanto sapeva Potter non aveva fatto scenate. Non aveva litigato a morte con Black. Non aveva schiantato nessun Serpeverde per scaricare il nervoso. Anzi, i Serpeverde in quei giorni vivevano in uno stato di ovattata felicità che raramente la loro austera e silenziosa Casa aveva conosciuto.
A quanto pareva vedere i due Grifondoro per eccellenza sfidarsi a colpi sempre più bassi li rendeva euforici. Per quanto fosse possibile per loro esserlo.
Anche la secolare faida tra le due Case sembrava di secondaria importanza, sia per i Malandrini che per i verde argento.  Tanto che non c’erano stati attacchi interni in quel breve periodo.
I Serpeverde, estasiati dalla situazione, erano perfino passati sopra allo stato in cui verteva il bagno dei Prefetti. Sebbene non ci fossero colpevoli certi e tutti sapessero chi poteva vantarsi della colpa, la colpa era ricaduta su Pix che, in quel clima di caos inarrestabile, sembrava disposto ad accettare tutto.
Non si sapeva ancora bene come, infatti, i due ragazzi erano riusciti a riempire le tubature del bagno con una sostanza rosa gelatinosa, la cui consistenza a contatto con l’aria variava in quella dello zucchero filato. E a quella genialata ancora non era stato trovato un contro incantesimo. Nemmeno dopo l’intervento di un divertito Silente. Così i bagni erano tuttora inagibili per chiunque non desiderasse lavarsi nello zucchero e rimanerne probabilmente soffocato.
Lily guardò nuovamente l’orologio, per l’ennesima volta nel giro di mezz’ora e, realizzandolo, chiuse di scatto il libro che testardamente continuava a tenere aperto. Anche se nelle ultime due ore non aveva combinato niente, non riusciva minimamente a concentrarsi, nemmeno su cose importanti come il compito di Pozioni del giorno dopo.
Si ritrovò a guardare fuori dalla finestra alla destra del tavolo che abitualmente occupava nelle lunghe giornate di studio. Non vedeva realmente i gruppetti di ragazzini fancazzisti che si godevano gli ultimi giorni di sole, a discapito dello studio. Non vedeva niente. Come succedeva spesso in quei giorni la sua mente vagava altrove senza che lei riuscisse a controllarla, o riportarla su binari familiari, la cui meta le era conosciuta.
Quella mattina aveva notato che il suo sguardo scandagliava le file dei Serpeverdi, ponendo particolare attenzione ai ragazzi più grandi, cercando qualche indizio che le facesse capire. Cosa non importava. C’erano così tante cose che avrebbe voluto capire. Chi fosse il ragazzo. Il perché della sua scelta. Se fosse davvero una scelta e non qualcosa che assomigliava più all’obbligo.
Troppe cose che sfuggivano alla sua comprensione e che, sapeva, non avrebbe mai potuto capire. Per quanto i discorsi sulla diversità del sangue le facessero male, la facessero sentire spaccata a metà esattamente come sua sorella riusciva a farla sentire un mostro, era perfettamente cosciente che qualcosa di diverso ci fosse tra Purosangue e Mezzosangue. Come un velo invisibile che le impediva di comprendere a pieno quei maghi che, in quelle teorie, ci credevano davvero.
La ragazza guardò nuovamente l’orologio. Il preside Silente l’aveva mandata a chiamare per quella sera e, certamente, non voleva arrivare in ritardo. Ufficialmente per un problema sorto con le ronde, sebbene il preside si tenesse sempre felicemente fuori da questioni di quel genere, ufficiosamente, o almeno Lily lo sperava, per parlare di quel ragazzo senza volto. Per avere finalmente delle risposte.
Sapeva perfettamente che, anche nell’ipotetico e quasi impossibile caso Silente avesse deciso di metterla al corrente di quanto aveva scoperto, lei non avrebbe potuto fare niente.
Perfino se avesse iniziato a girare per Hogwarts con in fronte una lampeggiante scritta al neon “Io sto per essere marchiato, perdenti!”, lei non avrebbe potuto fare altro che osservarlo da lontano, vederlo dirigersi forse incoscientemente verso un futuro di morte e catene. Al massimo avrebbe potuto cercare di parlargli, ma il suo stato di sangue per un futuro mangiamorte era un invito a nozze. Eppure, nonostante leggesse di morti misteriose e improvvise di mezzosangue, nonostante sapesse cosa succedeva a quelli come lei fuori il porto sicuro che era la scuola, non riusciva ad avere paura. Non di un ragazzo della sua età, con cui era  bene o male cresciuta e che vedeva ogni giorno.
Che magari riteneva un idiota incapace o un tronfio arrogante degno soltanto di affogare nella sua boria. Ma non riusciva a vedere nessuno, nemmeno quei Serpeverde che tanto attentamente controllava in quei giorni, come un futuro assassino esaltato.
-Dannazione!- Lily si lasciò andare contro il legno del tavolo cui era seduta seriamente combattuta con il pensiero di iniziare a prendere a testate quel solido e antico ripiano, magari spaccarsi la testa le avrebbe impedito di pensare, portando involontariamente la mano alla tasca della felpa orgogliosamente gabbana che aveva indossato sopra la divisa.
Erano passati sette anni, eppure ancora non si era abituata a girare con ingombranti e a suo parere buffi mantelli, a cui tuttora preferiva piumini e felpe varie, più pratiche e calde, alla faccia delle idee sul sangue!
“Sei una Grifondoro…sei una Caposcuola…! Continuava a ripetersi come un mantra.
Lei doveva far rispettare le regole. Lei doveva dare il buono esempio. Lei non era quel deficiente di Potter!
Cosa c’entrava lui adesso? Perché riusciva a farlo incastrare in ogni discorso anche adesso che le dava respiro? Anche adesso che…
Lily strinse più forte la mano intorno alla pergamena che aveva in tasca, scacciando velocemente quei pensieri. Era già abbastanza depressa senza che quei pensieri la buttassero giù del tutto. Non che l’incomprensibile atteggiamento di Potter riuscisse a deprimerla o farla stare male, ovvio. Era solo un grattacapo un più.
Dannazione! Prima di essere una Grifondoro e una Caposcuola, lei era Lily Evans!
E come Alice le aveva più volte ricordato, Lily Evans non lascerebbe affogare nessuno senza almeno buttarsi a sua volta in acqua per tentare di salvarlo. Anche se chi è in acqua è un serpente.
Al diavolo tutto! Aveva deciso.
Prese decisa la bacchetta e modificò il permesso che il Professor Lumacorno le aveva firmato quella mattina. Controllando che non si notasse la contraffazione, soprattutto conoscendo l’occhio attento della Pinch, si avvicinò al bancone ingombro di libri che era il regno incontrastato della donna, ripetendosi contemporaneamente tutte le regole che stava infrangendo, circa ventidue senza contare le varie appendici, e che lo stava facendo per una buona causa.
Ormai non si poteva tornare indietro…
-Madama Pinch, mi scusi…-
-Si signorina Evans?-
-Avrei bisogno di entrare nel Reparto Proibito…- disse cauta, cercando di non far sentire nella voce il senso di colpa che la invadeva.
-Nel Reparto Proibito, signorina Evans?- la donna alzò un sopracciglio, mostrando che nemmeno la quotidiana frequentazione della biblioteca da parte della ragazza e il suo atteggiamento attento verso i libri le avrebbero fatto conquistare quella possibilità facilmente.
Forse avrebbe dovuto chiedere a Potter come entrare di notte in biblioteca…ALT! No, non avrebbe proprio dovuto chiedere nulla a Potter. Certo non voleva fargli credere di volerlo tra i piedi proprio ora che aveva lasciato perdere…
-Si, Madama Pinch. Avrei bisogno di controllare come trattare alcuni ingredienti per la Felix Felicis che il professor Lumacorno ci sta facendo preparare. E i libri che devo controllare non sono disponibili nella sezione di Pozioni…-
-Mi spiace signorina Evans, ma non si può portare fuori dal Reparto più di un libro e anche in quel caso è necessario il permesso…-
Dalla faccia di quella strega, detto in senso spregiativo, Lily capì benissimo quanto le dispiaceva di non poterle far toccare quei libri.
Sarebbe stata più contenta di ricevere una zappa sui piedi, probabilmente, che accontentarla.
E poi lei era una Caposcuola, certo che quelle cose le sapeva. Il senso di colpa per l’inganno sparì del tutto soppiantato dalla consapevolezza che stava facendo la cosa giusta e che quella brutta befana si meritava proprio di essere ingannata vista la sua gentilezza e disponibilità.
Come se lei, Caposcuola e Grifondoro, non conoscesse le regole della scuola. Cose le avrebbero dato a fare, quella spilla, se così non fosse stato? Per aiutare Pix a far regnare il caos?
-Il professor Lumacorno mi ha firmato proprio stamattina il permesso per entrare nel Reparto e consultare i libri. Ha anche messo i titoli…- replicò stucchevole Lily consegnandole la pergamena.
Ti prego, ti prego…era la prima volta che faceva una cosa del genere e, per quanto fosse cosciente che difficilmente quel permesso falso sarebbe stato riconosciuto come tale, il cuore non poteva evitare di battere all’impazzata.
-D’accordo signorina Evans. Parlerò anche con Horace di questo permesso. Venga, la accompagno.-
Lily mantenne ostinatamente quel sorriso idiota in faccia, ben decisa a non farle capire che qualcosa di strano, effettivamente, c’era.
Fino a che non avesse detto a Horace il numero dei libri da consultare con quel permesso, tutto andava bene.
La donna aprì con un incantesimo non-verbale il lucchetto del Reparto Proibito, guardando arcigna la ragazza senza però accennare ad entrare insieme a lei. Dopotutto farlo avrebbe significato perdere di vista tutti gli altri libri della biblioteca, lasciandoli in pasto a un branco di ragazzini esaltati e senza alcun rispetto della cultura. Probabilmente, pensò malignamente Lily, lei era il minore dei mali, almeno non avrebbe irrimediabilmente macchiato di inchiostro uno dei suoi sacri libri o fatto gli angoli alle pagine!
Finalmente sola Lily snobbò altamente il reparto pozioni per dirigersi a quello delle maledizioni, sperando di trovare lì quello che le interessava.
Se non poteva impedire a quel ragazzo di farsi marchiare, e ci avrebbe comunque provato, almeno poteva conoscere più cose possibili sul nemico.
Dopo mezzora di ricerche trovò un libro sui Marchi Neri e incantesimi oscuri orripilanti quanto vari. Se avesse avuto un macabro sarcasmo avrebbe potuto commentare che a quei pazzi non mancava certo l’immaginazione, ma si mise invece di buona lena a leggere quanto più possibile sull’argomento e, grazie a una penna prendiappunti debitamente incantata anche a ricopiare i punti più importanti, di fatto mezzo libro, per poter rivedere tutto con più calma e, soprattutto senza il fiato immaginario di Madama Pinch sul collo.
Una volta fatto, con la testa piena di incantesimi orribili che avrebbe fatto di tutto per dimenticare, rimise tutto a posto, controllando al millimetro la posizione dei libri. Meglio essere pignoli che essere scoperti. Ventidue regole infrante in una sola ora era abbastanza per farla almeno sospendere, dopotutto.
Ormai sulla soglia del Reparto, che mai più avrebbe oltrepassato visto cosa conteneva, Lily si assicurò di aver riposto al sicuro anche gli appunti.
Quando rialzò la testa si ritrovò davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quella circostanza.
Severus con sguardo incredulo guardava lei e gli scaffali che si era appena lasciata alle spalle.
-Cosa facevi lì dentro, Lily?- provò a chiederle, senza particolare intonazione nella voce.
La rossa lo guardò con espressione colpevole. Non aveva mai mentito a Severus, nemmeno quando la loro amicizia stava andando a rotoli e non facevano altro che litigare cercando di tenerla in piedi.
Ma doveva farlo quel giorno. Non perché credesse fosse lui il ragazzo misterioso, Severus teneva troppo alla sua libertà per sottomettersi a un pazzo, ma non poteva rischiare che qualcosa venisse fuori. Anche se due anni prima lui sarebbe stata la prima persona con cui parlarne, prima ancora del preside.
-Stavo controllando alcuni ingredienti per Pozioni. Il professor Lumacorno mi aveva dato un paio di titoli da consultare.-
Lo sapeva che lui non ci avrebbe creduto. Il professore non avrebbe mai dato autonomamente a lei, solo a lei, quei titoli, quando anche Severus era tra i migliori alla sua materia. E infatti lei aveva dovuto calcare un po’ la mano sugli eventi per avere quel permesso, ma questo non era il caso di dirlo al Serpeverde. Non più ormai…
Stava per parlare di nuovo, probabilmente per farle vedere che no, non le aveva creduto, ma Lily lo anticipò.
-Mi spiace Severus. Ma Alice e le altre mi aspettano per cena. Buona serata.-
Lily gli voltò le spalle senza guardarsi mai indietro, sentendo il suo sguardo sulla schiena e il tipico groppo in gola, che le saliva ogni volta che gli parlava.
Dopotutto era stato il suo migliore amico…
 
 



 
 

***




 
 
 
 
 
James quella sera all’ora di cena si poteva ritenere moderatamente soddisfatto. Bugia, si poteva ritenere molto molto soddisfatto.
Erano appena passati due giorni fantastici, molto proficui e divertenti. E poteva vedere che anche Sirius la pensava allo stesso modo. Infatti aveva la stessa espressione in faccia che aveva James.
Cosa che non si poteva dire di Remus che, invece, in quei due giorni aveva inutilmente dato il meglio di sé tanto quanto lo avevano fatto lui e Sirius.
Certo uno di quei giorni avrebbe dovuto mettersi d’impegno per riportare Remus con i piedi per terra visto il mondo utopistico in cui viveva. Come se davvero avesse potuto vincere la sua stupida lotta contro lui e l’altro amico per riportare l’ordine pubblico.
Perfino Evans aveva capito che l’ordine pubblico sarebbe tornato solo quando loro lo avrebbero deciso e infatti non si era messa in mezzo, lasciandoli sfogare come credevano e riservando loro solo qualche occhiata al vetriolo, forse ammonitrice, ma certamente ignorata.
Già Evans…
-Sai Jam, non che io mi lamenti, ma dovresti veramente fare qualcosa se vuoi uscire con lei entro la fine dell’anno. Certo posso capire che adesso tu tema la competizione e voglia arrenderti per evitare brutte figure, ma non credi che troverei più divertente conquistare Evans sotto il tuo naso?-
Maledetto scemo! Con quella storia non gli dava tregua e per quanto James sapesse che erano battute sarcastiche, rivolte soprattutto a Peter che mostrava disappunto nel vederli ancora più uniti di prima, che ogni due secondi rievocasse quell’immagine, di loro due insieme, del suo Sirius e della sua Evans insieme, non contribuiva certo a metterlo di buon umore.
Così, senza pensarci due volte e sotto lo sguardo depresso di Remus rovesciò in testa a Sirius, il suo adorato e amatissimo Sirius, il bicchiere pieno di succo di zucca di Frank.
-Ehi!- protestò infatti quest’ultimo vedendo il suo succo fare una fine così inutile.
-James! Sei deficiente?- gli ruggì nell’orecchio l’amico.
Per tutta risposta il sopracitato deficiente sogghignò e si rimise a mangiare senza dare minimamente peso agli insulti che ancora gli arrivavano.
-Ragazzi non credete sia ora di lasciar perdere e smetterla di comportarsi come bambini?- provò ancora una volta Remus.
Negli ultimi due giorni avevano sentito quella frase almeno tremila volta, in ogni sua variante possibile e ogni volta con un tono diverso. Ora Remus era passato al rassegnato.
Non avrebbe funzionato quello come non lo avevano fatto gli altri centomila precedenti.
-Sei cosciente, caro il mio Caposcuola rompiscatole, che non servirà a niente?- lo canzonò Sirius.
James li osservò litigare con un sorriso che si appannò appena quando intercettò lo sguardo risentito di Peter e si spense del tutto quando notò quello di Mocciosus che non staccava gli occhi da Evans nemmeno per vedere cosa avesse messo nel piatto.
Quel maledetto untone…eppure avrebbe dovuto capirlo che doveva lasciarla stare. Non ora che finalmente anche lei si era resa conto di che viscida serpe fosse.
-James smettila di uccidere mentalmente Mocciosus. Organizziamo una retata piuttosto! Perché non lo leghiamo nel bagno femminile al quarto piano? E’ quello più frequentato dalle ragazze più grandi e lo schianteranno se non per l’averlo trovato lì certamente per lo schifo. Potremmo rifilargli anche un’Amorentia. Se non ricordo male dovrebbe esserne rimasta qualche fialetta dell’ultima volta…- propose Sirius estasiato.
Decisamente quei giorni gli avevano fatto bene. Era sempre di buon umore e ancora non aveva preso a pugni Peter. Si era limitato a solo qualche frecciatina.
-Amorentia, Black? Fingerò di ignorare di aver sentito, ma soprattutto di ignorare che tu la usi…vedi di farla sparire presto. Non mi importa come, ma falla sparire…-
Lily decisamente aveva un tempismo pessimo, infatti era passata loro alle spalle nel momento peggiore.
Eppure non si era messa a urlare né aveva minacciato terribili ripercussioni dal momento che l’Amorentia era illegale all’interno della scuola.
Cosa che non si poteva dire di Remus che invece sembrava stare per scoppiare dall’indignazione. In effetti a lui avevano detto di averla buttata perché la pozione non era riuscita…
-Evans, tesoro! Qual buon vento ti porta?- chiese sbattendo le ciglia il suo ancora per poco migliore amico.
-Il vento dell’idiozia a quanto pare, altrimenti mi avrebbe tenuta ben lontana da te. Sei ubriaco, per caso?- replicò ironica.
Da quanto Evans usava quel tono con Sirius? Da quando non lo mandava in punizione per aver pensato di fare qualcosa di non propriamente etico e giusto?
-Ciao a tutti comunque…- riprese, come se nulla fosse la ragazza –Remus stai bene? Non hai una bella cera…-
James guardò l’amico che con uno sguardo tranquillo le rispondeva di non preoccuparsi, che probabilmente era solo un’influenza e che sarebbe certamente andato da Madama Chips per farsi dare qualcosa.
Già un’influenza. Quella sera ci sarebbe stata la luna piena ed era veramente strano che l’amico non si fosse rinchiuso in infermeria come faceva di solito. Ma dopotutto la luna non era ancora sorta del tutto e lui si era tenuto ben lontano da ogni tipo di finestra.
Conoscendo Remus probabilmente aveva fatto quello sforzo nella speranza di evitare risse o altri scherzi. Magari una corposa fattura a Peter, che anche lui pensava prima o poi sarebbe arrivata.
Sirius non era il tipo che dimenticava facilmente e Minus non c’era certo andato leggero due sere prima…
-Bene, vi auguro buona serata. E spero che quell’Amorentia faccia la fine che merita, sono stata chiara?-
Lily si stava già allontanando, diretta chissà dove visto che la cena era ancora a metà quando, ancora una volta Sirius prese la parola.
-Intendi nel bicchiere di Piton, Evans?- ridacchiò con un sogghigno.
-Non ho sentito niente, ma se succede qualcosa di strano sarai il primo che verrò a cercare, Black…Ciao Potter.- terminò incerta guardandolo per la prima volta negli occhi.
Quella serata era decisamente strana. Una delle più strane degli ultimi tempi, almeno.
Evans che volontariamente parlava con loro. Evans che non li metteva in punizione a vita per possesso di pozioni illegali. Evans che arrivava quasi a scherzare con Sirius. Evans che gli rivolgeva la parola per prima, quando lui non aveva fatto niente per attirare la sua attenzione.
-Sei Jamie, se ignorarla era un nuovo modo per farla cadere ai tuoi piedi direi che hai raggiunto più risultati così che non in anni e anni di inutili tentativi.- commentò perfido Sirius alzandosi insieme agli altri due.
Dannata empatia!
James impiegò giusto un paio di secondi per seguirli e dirigersi ai dormitori. Avevano giusto il tempo per tapparsi in camera e prendere il mantello prima che Madama Chips venisse a prendere Remus.
Con un nuovo spirito, lo stesso cui durante la cena Mocciosus e Peter avevano attentato, si preparò per un’altra fantastica notte.
 
 



 
 
 
 
 
 

***




 
 
 
 
 
 
 
 
-Signor Preside, buona sera.-
Lily aveva continuato a controllare l’orologio per tutta la cena così come aveva fatto nel pomeriggio per essere sicura di non arrivare in ritardo.
E così era stato. Aveva spaccato il minuto.
-Buonasera, signorina Evans. Prego si accomodi.- le rispose con un sorriso l’uomo.
Lily era stata solo una volta in quello studio e proprio per quello non conosceva bene il vecchio.
Sapeva che era un grandissimo mago. Sapeva del suo scontro con Grindelwald alcuni anni prima. Sapeva delle sue ricerche insieme all’amico alchimista Nicholas Flamel sulla pietra filosofale. Sapeva che era stato Grifondoro. Ma non lo conosceva.
Per questo si era aspettata che andasse al punto, che le spiegasse il motivo della sua chiamata, che…insomma si aspettava il comportamento di una persona normale di fronte a un grave problema.
Di certo non era pronta a sentirsi offrire the con biscotti al burro, subito dopo cena tra l’altro, o iniziare a parlare del tempo.
-Bella luna, stanotte, vero signorina Evans?- chiese addentando uno di quei biscotti.
-E’ luna piena.- commentò lei incolore.
Non si fermava mai molto ad ammirarla, non da quando…
-Lei sa?-
Lily alzò di scatto la testa per incontrare gli occhi azzurri del preside.
-Io…ecco…non esattamente.- biascicò a disagio.
Ecco un’altra delle cose che non aveva detto alle sue amiche. Qualcosa di importante esattamente come l’incombente e minaccioso Marchio Nero.
-Immagino quindi che il signor Lupin non le abbia detto niente.- continuò l’uomo facendo sparire un altro biscotto.
-Non credo sia una cosa da dire a cuor leggero.- cincischiò nuovamente, iniziando a sentirsi a disagio.
-Se posso chiedere, come ha fatto a capirlo. Il signor Lupin usa particolare attenzione al riguardo…- si interessò allora il preside. Smettendo finalmente di mangiare biscotti. Se non aveva contato male ne aveva già ingurgitati dieci. Di fatto la scatola era mezza vuota.
-Con gli anni…ecco ho notato che stava male sempre in questo periodo del mese. E…ecco…non passa la notte in infermeria. L’anno scorso dopo una ronda sono entrata per avere qualcosa contro il mal di testa, ma Remus non c’era. Ho solo messo insieme i pezzi, pian piano.-
-Eccellente, signorina Evans. Per quanto ne so, solo altre due persone sono arrivate alla sua stessa conclusione. E solo un altro ne è a conoscenza…-
Potter e Black, ovviamente. Si sarebbe stupita del contrario, nonostante tutto erano ottimi studenti. E l’altro era…
-Severus…mi aveva detto qualcosa al quarto anno senza scendere nei dettagli, ma non volevo credergli…fino a oggi avevo sempre sperato di aver sbagliato.-
Quel discorso non le piaceva. Non ne aveva mai parlato con Remus per paura che…forse che la allontanasse e non le piaceva farlo per la prima volta proprio con il preside.
Anche se già ne era a conoscenza le sembrava di tradire l’amico.
-Sa signorina Evans, sono sorpreso. Credevo che appena entrata qua avrebbe iniziato a fare domande. Chiunque altro lo avrebbe fatto.- il preside aveva parlato di nuovo, ma la sua attenzione era tutta per i biscotti nella scatola. Ne stava attentamente scegliendo un altro.
-E’ inutile fare domande se non si ha la certezza che otterremo risposte. E io non conosco le domande a cui lei vuole rispondere, quindi aspetto che lo faccia volontariamente.- rispose lei.
Forse non lo conosceva. Forse si era fatta impelagare con quel discorso sulla luna e Remus, ma non era così stupida da tartassarlo di domande quando era ovvio che non avrebbe risposto a ogni quesito lei gli avesse posto.
E lui per tutta risposta rise soddisfatto dell’acume della strega.
-Ho informato i professori al riguardo, signorina Evans. Il professor Lumacorno userà particolare attenzione verso i suoi ragazzi. Purtroppo non conoscendo l’identità di questo ragazzo non posso che fare ipotesi.-
-Che immagino non condividerà con me…perché mi ha chiamato qua, preside?-
-Il suo acume è un dono raro, mia cara ragazza. Ammetto che l’ho chiamata qua per una mia curiosità, signorina Evans. Ha detto a qualcuno di questa faccenda?- chiese lentamente, posando un nuovo biscotto.
-No…io, ecco volevo parlarne con le mie amiche, ma se…- iniziò titubante.
Quando ne avevano parlato l’aveva esortata a confidarsi con qualcuno degno di fiducia, ma poteva aver benissimo cambiato idea.
-Ottima idea, signorina Evans. Gli amici sono una delle armi contro il male fuori da queste mura. Non dobbiamo permettergli di dividerci, altrimenti avrà vinto ancora prima dello scontro finale.- la rassicurò lui con un sorriso.
-Pensa che ci sia ancora speranza, professor Silente? Leggo ogni giorno di morti e sparizioni. Sembra che ormai il destino sia deciso.-
-C’è sempre speranza, signorina Evans. Basta saper vedere la luce ne buio…- le rispose l’anziano preside con un sorriso rassicurante. Era come se fosse a conoscenza di qualcosa che lei ignorava. E sicuramente era così.
-Prima di lasciarla andare, signorina Evans. Ancora una domanda. Una volta terminata la scuola…cosa farà?- Lily guardò stupita il preside. Tutto si era aspettata, tranne che un interesse per i suoi piani futuri. Per questo impiegò qualche secondo per rispondere.
-Entrerò all’Accademia Auror. Combatterò, professore.- dichiarò sicura.
Aveva fatto quella scelta anni prima. Il suo sangue sarebbe stato un incentivo già abbastanza grande. Proteggere i suoi genitori lo era ancora di più. Gli eventi degli ultimi tempi non avevano fatto altro che farle capire quanto giusta fosse la sua decisione.
L’uomo di fronte a quella risposta sorrise di nuovo offrendole contemporaneamente un biscotto. Che questa volta lei accettò.
-Buonanotte, preside.-
Era ormai sulla porta quando le sembrò di sentir dire all’uomo una frase strana –Avremo bisogno di gente come lei, vero Fanny?- ma quando Lily si girò per accertarsene nella stanza non era rimasto nessuno. E nemmeno la scatola dei biscotti.
Così, con tante domande in testa, lasciò l’ufficio del preside diretta alla torre di Grifondoro. Con la certezza che quella sarebbe stata una lunga notte. Certo non immaginava una così lunga notte…
 
 
 
 
 








 
ANGOLO AUTRICE.
Ciao a tutte! Lo so, sono terribilmente in ritardo. Scusate!!
Purtroppo dopo tanto tempo la mia impeditaggine si è rifatta viva e senza volere in un colpo solo sono riuscita a rompere tastiera e mouse in un colpo solo, quindi mi sono trovata impossibilitata ad aggiornare come avevo invece messo in conto. Avevo messo in conto addirittura due aggiornamenti, ma come vedete sono saltati. Così come portarmi avanti con la storia. Mi sono mossa in modalità scriba con fogli e foglini, ma per ricopiare tutto ci vorrà un po’, quindi abbiate pazienza, please!!
Di conseguenza non sono nemmeno riuscita a rispondere alle recensioni, ma tra oggi e domani dovrei farcela.
Se li accettate comunque, nonostante il ritardo, ecco…tanti auguri. Di Natale e anno nuovo insieme. So che è un po’ triste, ma non sono riuscita a fare altrimenti…
In ogni caso… come avete passato il Natale? E il 31? Io a Natale mi sono abbuffata e del 31 ho ricordi vagamente confusi, ma tutto bene. Con gli amici ci si diverte sempre!!
Passando al capitolo…so che Lily e James, insieme, non si vedono spesso. Anzi quasi per niente. Ma questo capitolo lo volevo così, anche perché presto ci sarà tutto il tempo per farli stare insieme, grazie alla vacanza studio. E poi volevo anche far riapparire Remus e Piton.
Allora andando con ordine. Lily ha tirato fuori il suo spirito Grifondoro, quello che più o meno se ne frega delle regole. Ho pensato che se poteva farlo Hermione, beh poteva farlo anche lei. E poi una gita nel Reparto Proibito ci stava, visto il motivo.
E con Severus…un po’ si sente in colpa, ma come aveva notato lui negli scorsi capitoli, lei è andata avanti. Certo gli vuole ancora bene, ma sa che le loro strade ormai sono divise. O almeno quasi.
James invece in questo momento è totalmente concentrato su Sirius, come durante la loro famosa litigata. Ma non per questo non pensa a lei. Non per questo si arrenderà, anche se forse inizierà a comportasi diversamente nei suoi confronti. Forse. Ho notato che James esce dai miei schemi. Inizio a scrivere una cosa, sapendo come andrà a finire e poi me lo ritrovo da tutt’altra parte. insomma James è imprevedibile anche su carta.
L’ultima parte del capitolo, nell’ufficio di Silente, è quella che mi lascia più perplessa perché Silente è un’incognita e ho sempre paura di renderlo OOC quando invece secondo me nella versione originale, per quanto non mi piaccia particolarmente, è uno dei personaggi meglio descritti.
E Lily…si, lei sa di Remus. Perché come dice Lumacorno lei era una delle migliori studentesse del corso. Quindi ho pensato fosse normale notare quelle piccole cose come le influenze improvvise durante la luna piena, l’aria sbattuta e tutto il resto. Oltre gli avvertimenti di Severus che sa tutto da quinto anno.
Mi fate sapere quello che ne pensate?
Scusate ancora per l’enorme ritardo, avrete le risposte alle recensioni (che come sempre sono fantastiche e io vi adoro sempre di più!) entro due giorni, non oltre.
Grazie a chi legge e commenta.
Baci baci, Rebecca.

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Capitolo 14
*** Fiduciosa sincerità ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
-Lily ci stai facendo preoccupare…-
La voce di Virginia era rotta dalle lacrime che in ogni modo tentava di frenare.
Lily era tornata in Sala Comune da nemmeno mezz’ora e, stranamente, l’aveva trovata vuota nonostante fossero solo le dieci di sera.
Solo dopo le dovute spiegazioni aveva scoperto che Alice aveva mandato tutti a letto grazie alla sua posizione di “ragazza del settimo, fidanzata col portiere di Grifondoro”. Anche se la rossa non escludeva qualche minaccia da parte di Julie che era la persona più Serpeverde che potesse capitare nella Torre.
-Ecco…vi ho mentito…- cominciò titubante lei.
Già cominciare…come doveva fare?
Poi le guardò, una a una.
Virginia aveva le lacrime agli occhi. Emmaline, entrata ancora una volta di straforo, era pallida e seria. Julie aveva appellato direttamente dalle cucine una bottiglia di Acquaviola, la bevanda più forte presente a scuola. Alice, invece, la scrutava indagatrice cercando di capire che cosa nascondesse.
In quel momento capì che non c’era un modo giusto per dir loro la verità. Non avrebbe mai trovato un modo indolore per metterle al corrente. Non c’era modo di proteggere Virginia dalla paura e dal dolore, non se voleva dirle la verità.
-A Hogsmade…nella lettera…un ragazzo sta per essere marchiato.-
Lily sapeva che l’indecisione iniziale non era servita a prepararle. Così come non era servito a rendere meno inquietante la notizia aver sputato tutto fuori in un fiato. E se avesse creduto il contrario le espressioni delle sue amiche avrebbero parlato per loro. Soprattutto quella di Virginia. Era terrorizzata.
-Ti stai sbagliando…- dichiarò gelida Julie.
Lei era stata l’incognita più grande. Era cresciuta in quell’ambiente chiuso e antiquato che era anche quello dei Serpeverde e di molti altri purosangue. Sapeva cosa voleva dire avere genitori pressanti e pieni di aspettative. Che tentavano di decidere il destino dei figli, che fosse per amore o ambizione poco importava. In entrambi i casi rovinavano loro la vita, con le loro continue interferenze e decisioni.
Così era anche per lei. Nessuno avrebbe potuto negare l’amore che Lady Matilde nutriva per la figlia. Un amore, però, che secondo Lily si manifestava in maniera sbagliata. Sapeva che non era ammesso fallimento o deviazione dalla strada tracciata. Sapeva che Julie puntualmente disattendeva tutte le sue richieste per vivere come meglio credeva, portando avanti da anni una protesta silenziosa che forse un giorno avrebbe portato a qualcosa.
Era ovvio che rivedesse in quel ragazzo senza volto un po’ di se stessa. Un ragazzo senza la sua forza, che non aveva combattuto per la sua vita. Anche se forse così non era, o almeno a loro non era dato saperlo.
-Silente lo sa?- chiese seria Alice.
Alice…sarebbe diventata un grande Auror. Le leggeva nello sguardo la paura, ma riusciva a controllarla. Come sicuramente avrebbe fatto sul campo di battaglia. Lily si limitò ad annuire in risposta, sapendo benissimo che  come lei avrebbe cercato di scoprirne l’identità e aiutarlo.
Lily scambiò uno sguardo anche con Emmaline che invece la guardava con rabbia stringendo invece la mano a Virginia.
Quella vista fece mancare il fiato alla ragazza. Avrebbe voluto continuare a mentire, farlo per Virginia, ma aveva deciso altrimenti e adesso il senso di colpa la stava piegando in due.
Sapeva che dopo la morte dei nonni per mano di un Mangiamorte ancora senza nome Virginia non aveva dormito per mesi, tormentata dagli incubi. Ogni volta che tornava a casa, prima di entrare in salotto, si fermava a guardare il nulla, forse svuotando la mente o cercando di scacciare i ricordi. Magari solo cercando di venire a patti col dolore e la paura.
Hogwarts per la sua dolce Virginia era rimasto l’unico porto sicuro in un mondo in guerra.
Lily non riusciva a vederne gli occhi, che teneva bassi fissando il suolo, ma riusciva a vedere le spalle tremare, l’intero corpo tremare. E lei ne era la causa.
-Virginia…- iniziò, ma venne interrotta da Emmaline che si alzò tentando di trascinarsi dietro Virginia per portarla lontana da loro. Da lei.
-Perché non mi hai detto subito la verità?- parlò finalmente Virginia incontrando gli occhi di Lily.
Erano pieni di lacrime, ma anche di delusione.
-Non volevo farti male…- cercò di spiegarsi Lily, venendo però subito interrotta.
-Farmi male? Lily, ma ti senti? Non mi avresti fatto male, non sei tu quella che sta per essere marchiata. Non eri tu quella notte a casa mia, e non è colpa tua se io ancora non riesco a dimenticare…- la ragazza si alzò in piedi, allontanandosi dalla rossa e da Emmaline, dirigendosi verso il buco del ritratto.
-Virginia, io…- provò di nuovo Lily.
Mai avrebbe voluto vederla in quello stato. Non Virginia. Sempre così dolce e gentile, non meritava tutta quella sofferenza.
-Sai cosa mi fa male, Lily? Che tu abbia mentito per me. Perché non mi ritieni abbastanza forte da sapere una cosa del genere. Che tu non abbia fiducia in me a tal punto da non ritenermi in grado di affrontare una cosa del genere. Pensi che non abbia coraggio perché non scenderò mai in battaglia come te. E forse hai ragione. Ma non posso sopportare che tu mi ritenga così stupida da non poter affrontare che un ragazzo sta per essere marchiato…-
Lo sfogo di Virginia venne improvvisamente interrotto dal quadro della Signora Grassa che si chiudeva. E dalle facce incredule di tre dei quattro malandrini che erano entrati nel momento peggiore che potessero scegliere.
Virginia, vedendoli, sbiancò riavvicinandosi velocemente alle poltrone e buttandovicisi sopra perché le gambe reggevano più.
Emmaline scambiò uno sguardo preoccupato con Alice e Lily, dimentica della rabbia provata qualche secondo prima.
Julie, più prosaicamente, si attaccò alla sua bottiglia di Acquaviola ormai a metà, scolandosela tutta in un colpo.
-Non credo di aver capito bene…- finalmente Potter aveva ritrovato l’uso della parola.
-Infatti non ha capito niente…buonanotte. Andiamo ragazze…- rispose veloce Lily prendendo per un braccio Virgina e Julie, mentre Alice ed Emmaline già avevano conquistato le scale per il dormitorio femminile.
-Evans, non penserai veramente di cavartela così, vero? Anche a costo di schiantarti…-
James si era avvicinato così veloce che non se n’era nemmeno accorta e ora la stava trattenendo per un gomito, mentre con l’altro braccio sosteneva Julie, ormai totalmente ubriaca.
Virginia, invece si era accasciata tra le braccia di Sirius che si era mosso insieme all’amico. Minus invece si era appiccato alla poltrona più vicina e le guardava terrorizzato.
-Spiegati, Evans…- infierì inpietoso Sirius, con lo stesso sguardo che le aveva rivolto due sere prima.
Lily guardò le sue amiche, tutte quante. E capì che nessuna di loro aveva un piano d’azione che prevedesse il rispetto delle leggi.
-Chi sta per essere marchiato, Evans?- chiese ancora James, stringendo appena di più la presa sul suo braccio.
Lily non l’aveva mai visto così serio. Sembrava più grande in quel momento. E, incredula, pur in una situazione così critica lo trovò attraente. Come non mai.
Aveva sempre saputo che era un bel ragazzo. L’aveva ammesso, almeno con se stessa, da tempo. Ma tutto si era sempre fermato lì, così come con Black.
Ma non l’aveva mai visto con in quel momento. Rimase per alcuni minuti a fissarlo in silenzio, con la testa piena soltanto di quella consapevolezza.
Si riscosse solo sentendo la stretta aumentare ancora.
-Non lo so, Potter. So solo che un Serpeverde sta per essere marchiato…- rispose con un sussurro.
Non soddisfatto da quella risposta, glielo leggeva negli occhi, la trascinò con Julie fino alle poltrone dove Sirius già aveva trasportato Virginia e le altre due si erano volontariamente accomodate.
Ancora uno sguardo con le amiche e capì che non avevano altra scelta. Decisamente non avevano altra scelta se non dir loro quel poco che sapevano.
Ma, stranamente, Lily lo fece con il cuore un po’ più leggero quanto ripensò alle parole di Silente.
 
 
Qualcuno di cui potersi fidare, che non tradirebbe mai il suo segreto...Insieme si è più forti…Gli amici sono una delle armi contro il male fuori da queste mura.
 
 
Tante cose poteva dire di Potter e Black. Erano arroganti e stupidi. Rumorosi e infantili. Ma non poteva dire che non fossero leali. E stranamente si fidava. Di entrambi. Dopo tanto tempo mise da parte i pregiudizi, senza nemmeno rendersene conto, e si apprestò a raccontare…
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

***



 
 
 
 
 
 
 
 
Quella notte non aveva dormito molto. Per la verità non aveva dormito affatto.
E quello era il motivo per cui trovava tanto strano essersi presentato a lezione, con occhiaie livide e occhi gonfi, quando generalmente si sarebbe finto malato per recuperare le ore di sonno invece di affannarsi sui libri.
Certo che l’unica fatica che stesse sostenendo fosse non piegarsi sul banco e dormire, ignorando bellamente il professor Vitius come stava facendo Sirius, che il libro di Incantesimi fosse ancora chiuso sotto il suo gomito destro e che pergamene e piume fossero ancora al sicuro nella sua borsa era un fattore di secondaria importanza.
James gettò uno sguardo stanco intorno a sé. Peter, alla sua destra stava probabilmente cercando di capire che cosa il professore stesse spiegando, o forse solo su che pianeta si trovasse al momento. Franck, invece, prendeva diligentemente appunti, che poi avrebbe passato a Remus, ancora in infermeria fino a sera, come succedeva da cinque anni a quella parte.
Il motivo della sua insonnia, invece, stava fissando fuori da una finestra senza interessarsi alla lezione, non prima di aver però posizionato una penna prendi appunti sulla pergamena. Sempre previdente eh, Evans? Pensò il ragazzo con una punta di sarcasmo.
Adesso che era a conoscenza di…beh tutto, vedeva che era strana. Che viveva fra le nuvole e che troppo spesso si concentrava a fissare le file Serpeverde. Eppure non lo era quanto avrebbe dovuto. Non lo era quanto lo era lui.
Nemmeno quella sera dopo il ritorno da Hogsmade, appena venuta a conoscenza della cosa, era stata tanto scossa quanto lo era lui al momento.
Ormai la stava fissando da qualche minuto quando lei si rese conto del suo sguardo e lo guardò perplessa.
Certo non poteva credere che le misere spiegazioni della sera prima gli sarebbero bastate!
Come se potesse accettare facilmente che un aspirante pazzo omicida girasse liberamente per la scuola! Non si rendeva conto, quella dannata ragazza, quanto rischiava? Avrebbe potuto essere chiunque, per Morgana!
La vide sospirare gettando uno sguardo al professor Vitius, che continuava comunque a sproloquiare per sé stesso, almeno secondo il suo parere, prima di volgersi nuovamente verso di lui facendogli segno di aspettare.
Aspettare cosa?
Che pensava che sarebbe uscito dalla classe, armato di bacchetta, per cercare il bastardo e ucciderlo?
Non che l’idea non l’avesse sfiorato la sera prima, sia chiaro, ma alla fine si era ritrovato ad ammettere insieme a Julie, sempre più ubriaca, e Sirius che non avendo idea di chi fosse non potevano ammazzare tutta la Casata dei traditori. Anche se James dubitava seriamente che qualcuno se ne sarebbe dispiaciuto troppo.
Evans intanto stava confabulando con Alice, seduta accanto a lei, indicando gli appunti meticolosi che la penna stava prendendo per lei.
-Scusi professore…- si era alzata in piedi lanciando uno sguardo tranquillo ad Alice che invece scuoteva la testa.
-Si, signorina Evans?- chiese l’omino dalla sua altissima pila di libri, che comunque lo facevano arrivare a stento alla cattedra.
-Potter non si sente bene, signore. Posso accompagnarlo in infermeria? Non vorrei certo ammalarmi a causa sua…-  chiese innocente e tranquilla.
James vide il professore osservarlo per qualche secondo, lui e Sirius avevano usato quella scusa così tante volte che era difficile credere che potesse ammalarsi davvero, ma alla fine annuì.
Forse era stato il suo aspetto a convincerlo. O forse la condotta irreprensibile della ragazza…no, pensandoci bene probabilmente alla fine a convincerlo era stato proprio il fatto che fosse stata Evans a chiederlo.
Perfino tra i professori era noto che tra loro non scorresse buon sangue, pensò lievemente depresso.
Lily intanto aveva raccolto i suoi libri, ignorando la penna prendi appunti, e stava aspettando che lui facesse altrettanto vicino al suo banco. E lui, nonostante gli sbuffi e gli sguardi di ammonimento, continuava a fissarla come un deficiente.
Alla fine, dopo l’ennesimo sbuffo e probabilmente la dipartita della pazienza di lei, fu Evans stessa a raccogliere la sua borsa e l’unico libro che aveva tirato fuori sibilandogli un –Muoviti!- che non ammetteva repliche.
Solo una volta fuori dalla porta James si riscosse abbastanza da liberarla del peso in più di cui si era fatta carico ancora senza smettere di guardarla. E, nonostante la situazione e i pensieri che lo tormentavano, non poté non rimanere qualche secondo a fissarla immobile. Era bella, Evans. Lo era sempre stata ai suoi occhi.
-Vieni…- continuò lei con quel tono di comando a cui era impossibile sottrarsi anche volendo.
Così James si ritrovò a seguire la ragazza in silenzio, superando porte chiuse da cui proveniva il tipico chiacchiericcio da lezione. Con tutte le volte che impunemente aveva gironzolato per quei corridoio invece di tapparsi dietro una di quelle porte, avrebbe riconosciuto quel rumore tra mille.
Ma dove lo stava portando?
Stavano per girare l’ennesimo angolo quando Evans si tirò indietro di botto, tanto che le finì addosso, rischiando anche di cadere lui e farlo a sua volta.
-Che diavolo…?- sibilò il ragazzo, senza accennare ad allontanare il braccio con cui le aveva imprigionato la vita, per sorreggere entrambi.
-Cosa hai sentito, mia cara?- una voce tanto odiosa quanto vicina fece zittire James ancora prima che potesse farlo la rossa.
Gazza e la sua odiosa gatta…dannazione!
Si guardò intorno velocemente cercando una scappatoia. Ed Evans già lo stava tirando verso una delle prime porte, a caso, per evitare il custode e le sue urla isteriche, rischiando una punizione quando vide la salvezza.
Così grazie al braccio che ancora la teneva stretta sbilanciò la ragazza e si mosse in direzione dell’arazzo che stava dall’altra parte del corridoio.
-No, Potter. Se ci becca…- iniziò a sibilargli dietro lei.
Se avesse iniziato a parlare serventese non avrebbe sentito la differenza visto il tono.
Con un ultimo sguardo alle spalle, James scostò un lembo dell’arazzo e la spinse prima di seguirla a sua volta. Si ritrovarono così in un angusto corridoio, grande abbastanza per far passare una persona, ma che di dipanava stretto e serpeggiante verso l’alto. Se non ricordava male quel passaggio portava a una delle tante aule inutilizzate del quinto piano…
-Potter, spostati. Sto soffocando.- esalò in un sospiro Evans. Anche se sembrava agitata. Probabilmente davvero non riusciva a respirare…
Solo in quel momento James realizzò dove si trovasse.
Non ricordava di esserle mai stato così tanto vicino. Sentiva il suo calore su tutto il petto e il respiro di lei gli riscaldava il collo. Se avesse alzato appena un po’ le braccia, sui suoi fianchi, sarebbero stati…
-Che schifo! Toglila, toglila!- urlò isterica Evans.
Lo scatto che aveva accompagnato i suoi romantici toni, che lo avevano anche riportato nel mondo della realtà, lo fece allontanare di un passo senza però permettergli di comprendere cosa dovesse togliere.
-Dio Potter, mi odi così tanto? Toglila, per favore…- pigolò ancora, cambiando totalmente tono, guardandolo negli occhi supplicante.
James rimase stupito da quel cambiamento. Fino a poche settimane prima un tono del genere, uno sguardo del genere, perfino una frase del genere da parte di quella ragazza avrebbe potuto sentirla solo in un sogno. Quanto aveva sognato che si fidasse abbastanza di lui da chiedergli aiuto spontaneamente? Certo in quel momento non c’era nessuno a parte lui a cui rivolgersi, ma era pur sempre un bel cambiamento.
-Non ti odio, Evans, lo sai…- le rispose avvicinandosi.
-Allora togli questa schifosa ragnatela.- pigolò ancora lei finalmente spiegandosi.
Così allungò la mano fino ai suoi capelli, li aveva sempre immaginati così morbidi, per liberarla dall’orrido mostro, come ogni cavaliere valoroso che si rispetti.
-Ho paura dei ragni.- gli spiegò a bassa voce occhieggiandosi intorno per essere certa di non incappare in un’altra appiccicaticcia trappola.
Nonostante la poca luce poteva vedere il rossore che le era salito al viso.
-Io dei clown…- rispose lui.
Gli occhi sgranati di Evans dovevano essere l’esatta copia dei suoi.
Da quando James Potter aveva paura? No, domanda sbagliata. Da quando James Potter ammetteva una sua debolezza?
-Allora non sei solo l’invincibile giocatore di Quidditch che ti vanti tanto di essere…- commentò divertita.
-Già…ecco…al riguardo…- iniziò James in imbarazzo.
Cavoli proprio davanti a Evans doveva ammettere una cosa del genere? Chi, a diciotto anni, aveva ancora paura dei pagliacci? Anche se avevano quei sorrisi inquietanti, quegli occhi vuoti e…insomma! Non è una cosa da dire alla ragazza su cui vuoi fare colpo!
-Dove sbuca questo passaggio? E fingerò di ignorare che non lo hai scoperto per recarti più velocemente a Storia della Magia.-
Evans adesso si guardava intorno curiosa, sempre guardinga nei confronti di ragnatele e i loro coinquilini che infestavano quasi ogni angolo, ma certamente non più terrorizzata.
James cercava invece di convincersi che era merito suo se ora era così tranquilla. Almeno in quel caso non si sarebbe reso ridicolo per niente…
-Quinto piano, credo. In una delle stanze inutilizzate.- le rispose precedendola lungo il passaggio.
-Cioè quasi tutto il piano. Non importa, mi basta uscire da qua…- rispose lei, avvicinandoglisi di un passo e attaccandosi al suo braccio.
Sentendo la sua mano toccarlo volontariamente, James per poco non inciampò.
Prima non si era accorto di come i rapporti di Sirius e della ragazza fossero cambiati nel tempo di un battito di ciglia e lo aveva notato solo vedendoli scherzare quasi amichevolmente. Ora non si era accorto di come i loro, di rapporti, fossero cambiati. Né come. Né quanto.
Per questo si ritrovò, immobile dopo solo due passi, a guardarla incredulo. Alternando lo sguardo da Evans alla sua mano, ancora stretta al suo braccio.
E non si maledì tanto come in quel momento, perché lei, resasi conto del suo sguardo, si affrettò ad allentare la presa, mollandola poi del tutto mentre di nuovo un dolce rossore le saliva sul viso.
Quand’era che Evans aveva cominciato ad arrossire davanti a lui? Così spesso, poi?
Che ancora lui non si fosse mosso doveva darle fastidio, o forse era solo il suo sguardo che ancora non la abbandonava. Infatti gli lanciò uno sguardo incendiario, probabilmente augurandogli una morte lenta e dolorosa perché gli stava facendo pesare così tanto la sua improvvisa e manifesta debolezza.
Soprattutto quando lei aveva così facilmente glissato sulla sua, senza risate incredule o domande curiose. Quando aveva solo preso atto della cosa, apprezzandola forse ,perché allora non era solo l’invincibile giocatore di Quidditch che si vantava tanto di essere, mentre lui non riusciva a smetterla di guardarla.
Ma, dannazione, quando mai era capitata una cosa simile?
Probabilmente nemmeno al primo anno, quando ancora erano solo James e Lily, lei gli aveva mai permesso di avvicinarsi così tanto da conoscere le sue paure.
Eppure erano stati amici. O almeno lui lo credeva.
-Stai mettendo radici?- chiese la ragazza con un tono che bene si accordava con lo sguardo minaccioso.
-Cosa? Non sono mica una pianta…- rispose lui senza ben capire il senso della sua frase.
Ancora dopo anni di amicizia con Remus, che viveva più o meno nel mondo babbano, non riusciva a capire i loro modi di dire. Ne avevano troppi perché potesse ricordarli tutti…
-Ma che ci parlo a fare con te…su! Fammi strata.- rispose lei, tentando ancora una volta il tono da CapoAuror in missione, rovinando l’effetto con un sorriso.
James la guardò ancora per un attimo, incerto su cosa dire. Pensando con rimpianto al calore della sua mano sul braccio e desiderando, ancora una volta, riuscire a comportarsi in modo decente con lei, invece che come un ragazzino al suo primo appuntamento.
-Potter! Vuoi delle risposte o no?-
A quella prospettiva il ragazzo si rianimò del tutto e illuminando la strada con un lumus portò Evans fuori da quella trappola ragnatelosa…
 
 
 
 
 
 
 









SPAZIO AUTRICE.
Mi dispiaceeee!!! Sono in ritardo, come sempre. Ma proprio non mi è stato possibile riuscire ad aggiornare prima di oggi. Probabilmente inizierò ad aggiornare ogni quindici giorni, perché sono talmente indietro con i capitoli che mi sento una lumaca. E scriverli in mezza giornata, come questo, pubblicandoli senza rileggerli, come questo, sapendo che manca qualcosa, ma non volendolo riscrivere tutto per l’ennesima volta proprio non mi piace. Quindi scusate anche per questo. Per una volta prendetelo così com’è, senza aspettarvi troppo, anche se spero che vi piaccia. Anche perché finalmente i nostri cari ragazzi sono di nuovo insieme.
Avendo l’acqua alla gola non riesco nemmeno a inserire note decenti, anche se questo doveva essere una grande capitolo nel progetto originale.
Come sempre ringrazio chi legge e ancora di più chi commenta, è grazie a voi che questa storia sta andando avanti anche se a volte, proprio per il poco tempo che posso dedicale, mi verrebbe da cancellare tutto.
Mi fate sapere cosa ne pensate? Ci terrei particolarmente a conoscere qualche vostro pensiero su questo capitolo che come avrete immaginato mi preoccupa e lascia l’amaro in bocca…
Le rispose alle recensioni arriveranno a breve, tra stasera e domani al massimo. Ma sappiate che appretto e mi luccicano gli occhi a ogni parola.
Tanti tanti baci, scusate ancora per il ritardo (continuerò a dirvi, abbiate la pazienza si aspettarmi) e per errori o simili, che sicuramente ci saranno.
Se poi farà così schifo a livello sintattico e grammaticale, quando lo rileggerò e inorridirò per quello che ho pubblicato, lo sistemerò, promesso! Ma fatemi sapere eh?
Rebecca

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Capitolo 15
*** Maschere ***


 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Prima o poi smetterò di stupirmi vedendo quanto bene conosci la scuola.- commentò vaga Lily, finalmente fuori dal suo incubo personale.
E poi Julie aveva il coraggio di dire che poteva fidarsi di Potter! Per una volta che era andata contro i suoi principi si era ritrovata totalmente in balia di ragni e delle loro appiccicose e schifosissime tele di bava.
Che schifo! Ancora le formicolavano le braccia al pensiero.
Il disagio nato poco prima in classe di fronte all’insistente sguardo penetrante di Potter scemò un poco vedendolo scuotere energicamente la testa, passandosi contemporaneamente le mani tra i capelli, per togliere le ragnatele che aveva raccolto nel passaggio.
Alla fine essere così alto, sicuramente più di quindici centimetri di lei, non era una buona cosa. Sorridendo lievemente gli si avvicinò, un po’ schifata in verità, ma fermamente decisa a ricambiare il favore. Anche perché un gratta e netta in testa non era proprio il caso. L’unica volta che ci aveva provato Emmaline si era trovata i capelli pieni di sapone per quasi due settimane!
-Dai, stai fermo. Faccio io…- propose poggiandogli una mano sulla spalla per farlo abbassare.
Quei sicuramente più di quindici centimetri erano pur sempre più di quindici centimetri!
-Ma…- protestò lui, facendo forza per contrastare la sua presa.
-Ormai anche se avevi in testa un ragno lo hai fatto saltare via quindi…- gli rispose tranquilla, apprezzando segretamente le sue premure, senza allontanarsi di un passo.
Lily sorrise lievemente, ora che lui non poteva vederla. Eppure era sicura che nei suoi occhi avrebbe potuto leggere perplessità se solo si fosse trovata di fronte a uno specchio.
Da quando era così, con Potter?
Non le parlava e, dopo i primi momenti di pace interiore e profonda soddisfazione, si irritava perché non le tendeva imboscate dietro ogni angolo o non la assillava con la sua presenza.
La costringeva a raccontargli segreti come la sera prima, serio come non mai, e lo trovava così bello e diverso. Più grande e lontano dal ragazzo che ogni giorno, da sette anni  a quella parte, si trovava davanti. Così terribilmente interessante.
E ora quello. Era lei la prima a proporsi, a mettersi in mezzo. Quando avrebbe potuto fare da solo.
Anche prima…da quando toccare Potter era una cosa così istintiva e giusta?
-Cosa non va, Evans?-
Alla fine lo aveva sempre saputo che Potter era tutto tranne che un idiota. Forse era anche troppo intelligente.
-Questo dovrei essere io a chiedertelo…- glissò lei, sperando che abboccasse.
-Cosa mi nascondi, Evans? Non fingerti stupida quando non lo sei.-
Dannazione…forse era anche troppo intelligente.
-Non lo trovi strano? Questo, intendo- spiegò indicando se stessa e lui- noi due insieme.- beh, non era del tutto una bugia, no?
-Non lo trovi giusto? Questo, intendo. Noi due insieme.- le rispose lui invece, con un tono dolce che non si dovrebbe mai sentire da un ragazzo.
Lily lo guardò stupita, sentendo uno stupidissimo rossore salirle in viso.
Da quando era così, con Potter?
Da quando era così, Potter?
-M-ma che…non dire stupidaggini!- si riprese alla fine, fin troppo consapevole che l’incertezza iniziale non era passata inosservata. Così come non lo era il tono troppo poco indignato che aveva usato.
E il sorriso che gli nacque in viso ne era la prova.
Perché, allora, non sentiva le mani formicolarle dalla voglia di prenderlo a schiaffi come succedeva da sempre? O almeno il desiderio di sprofondare, perfino in un buio e minaccioso buco nel pavimento?
Sentiva uno strano silenzio in quella stanza. Che forse non era nemmeno silenzio quellacosa strana. Era troppo fitto, troppo rumoroso…troppo palpabile per essere solo silenzio.
Sembrava immobile ovunque tranne che tra loro. E come una calda coperta la stava cullando.
Cullandola, però, non verso il sonno. Né la pace interiore o la rilassatezza del corpo. Ma verso di lui. Come un filo invisibile che suadente le chiedeva di avvicinarsi e che pizzicava abbastanza da sembrare percorso da corrente elettrica.
Cosa le stava facendo, Potter? Continuava a guardarlo negli occhi, che non aveva mai notato essere così particolari.
Gli occhi marroni sono solo occhi marroni, no? Caldi forse, e lo erano. Profondi. Ma che altro?
Perché quelli di Potter allora erano così…belli? E non c’entrava il colore. Anche se forse…non aveva mai notato che da marrone cioccolata sfumavano in una netta linea nera nel contorno esterno dell’iride. Né che aveva una leggera cicatrice sul sopracciglio destro, coperta per metà dal sopracciglio stesso.
Lily non riusciva a capire cosa le stesse succedendo. Il suo cervello sempre pronto a elaborare risposte adesso non era in grado di fare altro che vedere tutti i piccoli difetti di Potter che però le rendevano così umano, un ragazzo come tanti. Non il solito sbruffone. O il ragazzo bellissimo dietro cui correva metà della popolazione femminile di Hogwarts.
Normale.
Quante volte Lily aveva voluto che fosse solo uno dei tanti per poter finalmente relazionarsi normalmente con lui? Qualcuno con cui sapere trattare. Con cui era capace di parlare, amichevolmente e perfino scherzare.
Qualcuno facile da capire, che non rappresentasse un rebus in latino in ogni suo singolo comportamento.
 -Evans, mi sto preoccupando…-
Si era avvicinato di qualche passo, che fosse sincero lo poteva vedere in ogni tratto del suo viso. La mano del ragazzo che le toccava la fronte, così calda, non faceva che aumentare quella strana sensazione che provava,annullando il leggero spiraglio in quello strano silenzio che la sua normalità le aveva riportato in corpo.
-Evans, stai male? Eppure non hai la febbre…- continuò lui senza allontanarsi di un passo.
Così preoccupato per lei…quando era stata l’ultima volta che qualcuno, esterno alla sua più ristretta cerchia di amicizie, lo era stato?
Solo Potter.
Lei era Lily Evans. Era forte e a volte fredda verso chi non conosceva. Troppo ligia alle regole, troppo studiosa. Ma di certo era forte, sapeva risolvere i problemi e farsene carico, se necessario. Tutti lo sapevano.
Era bello sentire quel calore sulla pelle.
Era bello vedere in quegli occhi caldi interesse vero verso di lei.
Era bello sentirsi al sicuro.
Era bello stare con lui…con James.
Senza nemmeno rendersene conto fu Lily a muoversi. Per una volta ad agire senza pensare né all’azione in sé né alle sue conseguenze. Ad agire come lui faceva da sempre.
Perché solo in quel momento se ne rese conto. Lui non era un ragazzo normale. Non avrebbero mai avuto una relazione, né rapporti, decenti. Dai toni tranquilli e pacati. Forse non sarebbe nemmeno mai riuscita a capirlo, a risolvere quell’assurdo rebus in latino che era Potter.
Capì che lui era così diverso dagli altri che nemmeno volendo avrebbe potuto confondersi tra loro. Perfino quei difetti che per un attimo lo avevano reso così vicino e simile a lei, con un effetto calmante sui suoi nervi intorpiditi, lo rendevano unico e speciale.
Diverso da tutti.
E soprattutto capì che lei mai lo avrebbe voluto diverso. Non ora che cominciava a vedere qualcosa sotto la maschera allegra a perfetta di ogni giorno.
 

Rideva sempre, Potter. Anche quando non doveva. Forse anche quando non voleva.

 
Era James Potter quello che finalmente aveva davanti, almeno per un momento le aveva concesso di vedere oltre…
 
 
 
 
 




 
 
 
 

Il capitolo, questo e quello che verrà, sono per una persona.
Avrà già capito, forse, perché non mi rimangio mai le promesse fatte o gli impegni presi.
Ma nel caso si fosse dimenticata…beh Mousse eccoti il promesso capitolo più o meno, in parte, ma spero non banale perché non hai chiesto la luna e, soprattutto, scene orrori fiche, sai a cosa mi riferisco.
Sperando ovviamente che ancora tu legga questa storia.
A te un bacio speciale, è James che te lo manda. Ma Sirius si accoda volentieri e se vuoi possiamo rifilare una pozione a Remus, se ancora non ti basta.
Spero davvero ti sia piaciuto (il capitolo, i baci ricevuti, a tua libera interpretazione!)

 
 










 
 
SPAZIO AUTRICE.
Lo so. Avevo detto che avrei pubblicato ogni quindici giorni.
Lo so. Quello che ho scritto è simile a Castelli di Carta, la mia prima fic. Ma non ho potuto farci niente. E’ venuto scritto così e lo sentivo giusto, come questi cappuccino e cornetto la mattina.
Lo so. Questo non è un vero capitolo. È solo tipo due pagine di Word, ma non ci metterei la mano sul fuoco.
È che lo stavo scrivendo, proprio pochi minuti fa, e mi sono detta che con altra roba, il dopo, lui, le amiche ecc. avrei rovinato un momento.
Insomma queste due misere pagine di Word mi piacevano troppo, anche se raccontano di un attimo immobile, di cose più o meno già scritte, mettete tutti gli anche se che volete, ma non riesco a scrivere altro, dopo queste pagine pensando che facciano parte dello stesso capitolo.
Quindi prendetela così, ok? Se proprio ritenete un insulto o una bastardata aggiornare per solo due pagine di Word, sabato prossimo cambio il capitolo, questo, aggiungendoci il resto, per arrivare alle mie canoniche sei-sette pagine di Word.
Le risposte alle recensioni arriveranno presto, entro sera. Mi inviate qualche parere anche voi? Se non fosse altro per sapere se si capisce quello che ho scritto, perché nella mia mente la scena è chiara, ma non so per chi legge e non sa cosa aspettarsi, o se veramente mi odiate profondamente.
Vabbè smetto di mendicare, una recepoi dichiarandoti mia fan mi hai fatto brillare gli occhi quindi…ti meriti un capitolo personalizzato. Della serie chiedi e ti sarà dato, nei limiti del possibile. Ti chiedo io di non fare rischieste orrori fiche tipo una scena romantica tra Peter e Piton perché in quel caso mi rifiuto, ma sono aperta al restonsione deve essere solo un piacere, per me e per voi, non certo una spada di damocle da parte mia.
Quindi grazie a tutte quante (non me ne vogliano i maschietti, ma non penso ce ne siano, nel caso contrario battete un colpo come si dice qua!) siete adorabili.
Baci baci, alla prox (con un capitolo vero, eh?).
Rebecca.

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Capitolo 16
*** I sogni son desideri ***


 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
Senza nemmeno rendersene conto fu Lily a muoversi. Per una volta ad agire senza pensare né all’azione in sé né alle sue conseguenze. Ad agire come lui faceva da sempre.
Perché solo in quel momento se ne rese conto. Lui non era un ragazzo normale. Non avrebbero mai avuto una relazione, né rapporti, decenti. Dai toni tranquilli e pacati. Forse non sarebbe nemmeno mai riuscita a capirlo, a risolvere quell’assurdo rebus in latino che era Potter.
Capì che lui era così diverso dagli altri che nemmeno volendo avrebbe potuto confondersi tra loro. Perfino quei difetti che per un attimo lo avevano reso così vicino e simile a lei, con un effetto calmante sui suoi nervi intorpiditi, lo rendevano unico e speciale.
Diverso da tutti.
E soprattutto capì che lei mai lo avrebbe voluto diverso. Non ora che cominciava a vedere qualcosa sotto la maschera allegra a perfetta di ogni giorno.
 

Rideva sempre, Potter. Anche quando non doveva. Forse anche quando non voleva.

 

Era James Potter quello che finalmente aveva davanti, almeno per un momento le aveva concesso di vedere oltre…

(dal Capitolo 15 “Maschere”)

 


 
 

***




 
 
 
 
James vedeva la mano di Evans avvicinarsi piano al suo viso. Vedeva tutto al rallentatore e sapeva solo che non voleva muoversi. Farlo avrebbe potuto significare rompere tutto.
Così taceva e si limitava a fissarla, quando avrebbe solo voluto prenderla tra le braccia e baciarla. Finalmente.
Sentì, più che vedere, la carezza della ragazza sulla guancia.
Lily così vicina. Così…
Fu semplicemente troppo, in un attimo fece quello che aveva giurato di non fare mai. Decidere per lei.
Una mano tra i capelli che si perdeva quasi in quel mare rosso dorato. L’altra sulla vita per impedirle di scappare. Anche se lei non fece un movimento in quella direzione.
Un attimo, in cui forse non riuscì nemmeno a capire cosa stesse succedendo.
Un attimo, in cui forse si stava giocando tutto quando.
Un attimo e, finalmente, le sue labbra furono su quelle di lei.
La sentì irrigidirsi tra le sue braccia, la mano che ancora poggiava sulla sua guancia scendere fino alle spalle. Pronta a respingerlo.
E il suo cuore già gridava indignato anche solo per l’intenzione.
Non si rendeva conto di quanto fosse giusto, tutto quanto? Loro due?
Non…stava rispondendo al suo bacio constatò James, aprendo gli occhi per lo stupore.
Gli aveva passato le braccia intorno al collo, si era avvicinata di un passo.
Non stava scappando.
Fu istintivo stringerla ancora di più a sé e chiederle qualcos’altro. Aprì gli occhi di nuovo, giusto un secondo, volendo convincersi di cercare sul suo volto segni di disagio e non per assicurarsi che fosse veramente lei.
Non stava scappando.
Ma tutto scomparve e perse importanza quando Lily aprì leggermente le labbra, iniziando a giocare con la sua lingua.
Un passo. Un altro. Un altro ancora. E lei si ritrovò con le spalle al muro, incastrata perfettamente tra lui e la pietra.
Ormai la rigidità iniziale non era che un ricordo. Non importava niente altro che lei. Così calda. Così vicina.
Finalmente tra le sue braccia, oltre che nel suo cuore.
Non stava scappando.
James sentiva i polmoni bruciare, per la mancanza di ossigeno, ma non poteva lasciarla andare.
Non adesso, dannazione! Quel bruciore, poi, non era niente a confronto del formicolio che sentiva alle mani che costringeva all’immobilità.
-Pot…Ja-James…- biascicò la ragazza, tentando di allontanarsi da lui. Probabilmente per riprendere fiato.
L’istinto gli diceva di non darle tregua, di non farla tornare a pensare razionalmente.
Il masochistico sentimento che provava per lei, invece, gli diceva solo di fare quello che le chiedeva.
Ma a farlo staccare fu quella vocina fievole, quella richiesta soffocata.
Si allontanò di un passo, continuando però a tenerla per la vita, e un sorriso brillò quando la vide.
Rossa in viso, gli occhi brillanti, le labbra gonfie. Che cercava di riconquistare silenziosamente la normale respirazione, quando lui non faceva niente per dissimularla.
Non poteva farci niente, i suoi sogni non le avevano mai reso giustizia.
-Io…ecco…- cominciò lei guardando ovunque tranne che lui.
Con un'altra avrebbe ripreso da dove aveva lasciato senza pensarci troppo.
Con lei non sapeva bene cosa fare.
Non voleva farla scappare. Ma nemmeno voleva affrontare quel discorso. Non adesso. Non se rischiava di sentirsi dire che era stato un errore e che non sarebbe mai più successo.
Non ora che era così felice.
-Non avevo mai immaginato che un bacio ti avrebbe reso così bella.- le confessò d’un fiato, stringendola ancora per un attimo prima di lasciarla finalmente andare.
Non stava scappando. Poteva rischiare.
Non voleva farla scappare. Voleva accontentarla.
E se il corpo gli gridava solo di baciarla ancora, perché con nessuna aveva mai sentito il cuore battere così forte o le mani formicolare così tanto, non voleva farlo.
Un passo alla volta per non rovinare tutto.
-Sei serio?- gli chiese scettica, ma ancora imbarazzata e con le spalle appoggiate al muro.
-Non ti ho mai mentito Evans…-
-Lo so… -ammise infine incrociando il suo sguardo -…perfino i tuoi occhi me lo stanno gridando.- e con un sorriso si allontanò di qualche passo.
James la seguiva con lo sguardo, per non perdersi nemmeno un movimento, senza tuttavia avvicinarsi.
Non stava scappando.
Non l’aveva picchiato né schiantato. Non l’aveva ancora maledetto.
E nonostante lo stato di incredula e soddisfatta felicità in cui verteva in quel momento, era ancora abbastanza lucido per sapere che tirare troppo la corda, o non concederle gli spazi di cui evidentemente aveva bisogno avrebbe non solo compromesso quella strana cosa che c’era tra loro, ma anche la sua salute. Sapeva bene quanto fosse pericolosa Evans se portata all’esasperazione.
E i cambiamenti improvvisi potevano farlo.
-Volevi parlare, vero?- gli chiese dopo qualche minuto di silenzio, ancora rossa in viso.
Avrebbe decisamente voluto fare altro, ma anche quelle risposte stavano alte nella sua classifica delle priorità.
-Sai altro rispetto a quello che ci hai detto ieri sera?- gli chiese allora, accettando quel cambio di discorso, e tornando serio.
-No, nient’altro. Il preside mi ha solo detto di non preoccuparmi perché ha informato anche gli altri professori. Ma non credo che abbiano ancora scoperto di chi si tratti. La pergamena era stata consegnata a mano e in ogni caso il fuoco aveva risparmiato poco altro.- gli rispose pronta senza riprendere fiato, a volte accavallando anche le parole.
Allora non avevano niente tra le mani.
James sperò che Silente avesse avvertito gli Auror. O almeno suo padre, se non voleva che la faccenda diventasse di dominio pubblico.
I professori da soli non potevano fare niente. Non potevano trovare il ragazzo. Non potevano proteggere gli studenti. Non erano riusciti a proteggere lei.
Non era riuscito a proteggerla.
-Hai idea di quanto hai rischiato, quel giorno, Evans?- gli chiede improvvisamente scuro in viso.
-Non ci hanno nemmeno visto, Potter. E anche volendo non avremmo potuto muoverci. Non senza farci scoprire e poi so perfettamente difendermi.- l’indignazione di lei era palpabile.
Mai mettere in discussione la sua abilità come strega. Avrebbe dovuto ricordarselo.
Al primo anno gli aveva urlato dietro due giorni perché aveva fatto una battutaccia al riguardo.
Era bello vedere che qualcosa di quella bambina con il cappello orsacchiottoso c’era sempre.
Sentirono il lieve suono della campanella arrivare fino a quel piano. L’ora di Incantesimi era finita.
-Dobbiamo tornare indietro.- lo informò ancora sostenuta la ragazza.
Avevano scambiato poche frasi e sembrava che niente fosse cambiato. Come se lei avesse dimenticato il bacio di poco prima.
-Potter? Mi hai sentita? Sveglia, per Merlino!-  gli disse già sulla porta senza tuttavia mollarlo lì da solo.
Quello due mesi prima non sarebbe affatto successo. Forse qualche speranza c’era veramente.
Così raccolse la borsa a sua volta, non ricordava nemmeno di averla buttata a terra poco lontana dall’entrata, e si incamminò al suo fianco.
Erano ormai davanti alla porta di Storia della Magia quando James decise di rompere il silenzio che li aveva accompagnati per due piani.
-Prima mi avevi chiamato James, comunque.- la informò con un sorriso degno del malandrino che era.
-Co-cosa? Ti stai sbagliando!- rispose con voce acuta la rossa.
Si girò un secondo dopo senza degnarlo di un ulteriore sguardo, non abbastanza in fretta da impedirgli, però, di notare il rossore che le era salito di nuovo alle guance.
Adesso era sicuro che non aveva dimenticato, constatò, seguendola in silenzio per le rampe di scale. Anche se non l’aveva picchiato, né schiantato, né maledetto.
Così si avvicinò con quel sorriso soddisfatto a Sirius e gli altri che lo aspettavano alla loro solita postazione in fondo alla classe.
Vedendo quell’espressione il cipiglio minaccioso di Sirius, dopotutto lo aveva abbandonato a lezione senza una parola, anche se stava tranquillamente dormendo, si spianò.
Uno.
Ruf era entrato, come ogni giorno, dalla lavagna. Oggetto inutile tra l’altro visto che il fantasma non si sognava neppure di appuntare date e avvenimenti sprecando la poca energia magica che ogni spettro conservava in sé.
Sbuffo di Sirius.
Due.
Aveva iniziato a spiegare. L’ennesima rivolta di Goblin. O folletti. O qualunque altra creatura magica. Lui aveva smesso di seguire le lezioni quando Remus aveva iniziato a passargli gli appunti. Anni prima, quindi.
Altro sbuffo di Sirius.
Tre.
Remus, diligentemente, si era estraniato dal mondo e aveva iniziato a scrivere, senza perdersi nemmeno una parola.
Ennesimo sbuffo di Sirius.
Quatt…
-Hai intenzione di sputare il rospo o devo mettertelo per iscritto?- gli chiese nuovamente irritato Sirius.
Ci avrebbe scommesso che non avrebbe resistito fino al cinque.
-Ho baciato Evans.- rispose tranquillo James.
-Certo e io sono il marito di Mocciosus.- gli rispose l’altro ironico.
-Congratulazioni.- James iniziò a ridacchiare, per quanto disgustato, della scena.
-… …-
Uno.
Due.
Tre.
-COSA??- urlò l’amico alzandosi improvvisamente in piedi, facendo cadere rumorosamente la sedia a terra e rovesciando il calamaio di Remus con un gomito.
-Sei completamente deficiente?- gli sibilò quello infatti, ignorando il motivo di tanto incredulo stupore.
-Signor Plack, vuole uscire?- chiese intanto senza intonazione alcuna il professor Ruf, per niente irritato dal casino e tutto il resto, ma solo stupito di trovarsi di fronte a una classe.
-Potter non si sente bene, professore. Lo accompagno in infermeria.- lo informò Sirius trascinando per un braccio l’amico, ignaro dell’autorità costituita dal professore, così come lo era lo stesso fantasma.
James si fece trascinare senza opporre resistenza, lanciando però uno sguardo a Lily.
La trovò vicina ad Alice. Quella con uno sguardo stupefatto, probabilmente aveva appena appreso la stessa notizia di Sirius per quanto con maggiore  pacatezza. L’altra con uno sguardo assassino, consapevole quanto lui di quello che stesse parlando con il suo migliore amico.
Dopotutto l’argomento era lo stesso.
Le rivolse un sogghigno seducente, mandandole anche un bacio con la mano libera, ricevendo in cambio uno sguardo ancor più omicida, allegato però da un invitante rossore. E il bisbigliare di qualche pettegolo che aveva colto il gesto, ma lo ignorò.
Evans si stava decisamente comportando in modo atipico con lui.
Che cedesse finalmente al suo irresistibile fascino?
Ma il pensiero di autocompiacimento venne facilmente debellato, era diventato un esperto al riguardo con gli anni.
Fu così che James Potter, quella mattina, saltò tutte le lezioni della mattina.
Fu così che Sirius quasi cadde dalle scale apprendendo dell’ottima salute fisica dell’amico, cosa su cui non avrebbe scommesso nemmeno se Evans avesse cambiato personalità.
Fu così che la cara Cordelia Waffle, ormai prossima alla morte per via dolorosa quanto macabra, pubblicò un articolo speciale nel bel mezzo della settimana dallo scintillante titolo turchese e giallo “Malandrini in lotta. Donzella contesa”.
Fu così che Lily Evans, per l’ennesima volta in due mesi, divenne oggetto di indesiderata corte di maschietti in vena di emulazione e di maledizioni di ragazzine dal cuore infranto.
Fu così che Lily Evans, senza saperlo, divenne nuovamente parte di un’infuocata relazione clandestina con uno dei ragazzi più desiderati della scuola.
 
 
 
 
 
 


 
 
 

***

 



 
 
 
 
 
 
 
-Sai cosa si dice in giro, Lily Evans?-  Julie sogghignò sadicamente sedendosi accanto a Lily in una delle Sale Studio al terzo piano. E rompendo barbaramente e senza alcun rispetto il concentrato silenzio della sala.
Era strano vederla frequentare una di quelle sale. Quando voleva studiare si barricava nella loro stanza a Grifondoro, sbraitando contro chiunque osasse alzare la voce oltre il limite del bisbiglio. Ma non si recava mai lì o in biblioteca. Per lei erano troppo silenziose e inquietanti. Diceva che il continuo fruscio avvertibile tra gli scaffali le faceva pensare ai serial killer psicopatici dei film babbani.
Eppure erano quasi due giorni che seguiva Lily ovunque andasse, perfino nei ritrovi di psicotici assassini. Dopo la sbronza della famosa sera della verità, infatti, era tornata al suo pungente umore da cactus, ma non solo. Le stava vicina come un’apprensiva mamma chioccia, aspettando il momento in cui avrebbe voluto parlarne.
Perché entrambe, tutte in realtà, sapevano che ci sarebbe stato.
E Julie era sempre stata quella che aspettava, prosciugando per lei le sue scarse riserve di pazienza ed empatia verso il prossimo, per aiutarla a rimettere insieme i cocci di fronte alle crisi.
Lo faceva senza forzare spiegazioni da parte di Lily, né momenti di sdolcinato affetto. E forse era per questo che Julie era sempre stata la prima con cui sfogarsi e buttare fuori tutto. E forse era per quello che Lily era sempre stata la prima, e per quasi due anni l’unica, cui raccontare delle aspettative famigliari e del senso di oppressione che provava.
-Questa battuta l’ho già sentita, Julie.-  rispose Lily staccando finalmente gli occhi dal libro di pozioni.
-Beh questo solo perché sei recidiva.- ridacchiò la bionda.
Lily non si sprecò nemmeno a parlare, limitandosi a inarcare un sopracciglio e aspettare l’inevitabile e, sicuramente, potenzialmente distruttiva spiegazione dell’amica.
-Lily, forza! Parla con la tua amica del cuore…da quanto tempo va avanti questa storia con James? E perché non ne hai mai parlato?- chiese con una vocetta lacrimosa così falsa che il Maga Magò non reggeva nemmeno il confronto.
-Smettila di parlare ogni due secondi di quell’articolo idiota…- sospirò stanca, con ancora davanti agli occhi non solo l’orrorifico scintillante titolo, ma anche quello che conteneva.
-O ma quello non era niente, tesoro! Volevo raccontarti quello che si dice nei bagni…- insinuò malefica l’altra.
Tuttavia Lily non poteva ignorare una cosa. Julie odiava con tutto il cuore Cordelia Waffle. E considerava gli articoli da lei partoriti alla stregua di prodotti del demonio. Quindi nessuno avrebbe potuto stupirsi nel vedere l’orrore stamparsi sul viso della rossa. Cosa poteva esserci di peggio di quello che Cordelia era in grado di scrivere, per Julie, almeno?
-Credi che voglia saperlo?- chiese indecisa tra l’andare a cercare quella maledetta e il suo cervello e il tapparsi le orecchia con le mani iniziando contemporaneamente a urlare, per evitare di sapere cosa fosse il peggio.
-Credo che sarebbe meglio non parlarne in questa stanza…- rispose la bionda, incenerendo contemporaneamente una Tassorosso del quarto anno che le guardava con morbosa curiosità -…sai non vorrei mai traviare certe anime innocenti, votate allo studio e alla castità eterna.- terminò la sua bastardata.
Era risaputo a scuola che i Tassorosso si nascondessero dietro la loro nomea di irreprensibili e tranquilli studenti, privi di gloria e infamia, una propensione al pettegolezzo e alle insinuazioni, quelle palesi e prive di astuzia e discrezione a differenza dei Serpeverdi incontrastati e orgogliosi geni del male. Non era un caso quindi, e Lily lo aveva scoperto solo da poco, che i Corvonero nella loro lungimiranza e intelligenza superiore usufruissero delle loro insinuazioni per arricchirsi con una florida rete di scommesse. Di qualunque tipo o giocata.
-D’accordo, andiamo.- decise Lily, raccogliendo velocemente i libri e le piume per seguire l’amica.
Si ritrovarono dopo un tragitto veloce, fatto di passaggi segreti e finte pareti, alla Torre di Astronomia.
Julie si appoggiò al parapetto e senza aspettare un secondo si accese una sigaretta.
Dalle boccate profonde Lily capì quanto ne aveva bisogno.
-Non avevi smesso?- non riuscì a evitare di chiederle.
-Ho ricominciato due giorni fa.- rispose senza guardarla.
Lily seguì la direzione del suo sguardo, puntato verso il campo da Quidditch, dove un solitario giocatore continuava ad allenarsi, esibendosi in spericolate acrobazie e scatti improvvisi che dovevano sicuramente rendere la presa sulla scopa precaria e potenzialmente letale.
Solo un imbecille poteva fare una cosa del genere.
-Potter è un idiota. Potrebbe rompersi l’osso del collo.- sbottò Lily col cuore in gola dopo l’ennesima pazza discesa.
Senza nemmeno rendersene conto aveva aumentato la stretta sulla balaustra fino a farsi sbiancare le mani e si era sporta leggermente verso l’esterno.
Con la coda dell’occhio, ma non avrebbe potuto giurarlo perché ancora fissava quel deficiente, vide l’amica scuotere il capo, senza però commentare.
-Vuoi davvero parlare di Potter? Perché sai che io lo preferirei.- si limitò a dire Julie dando le spalle al vuoto sotto di loro e appoggiandosi con la schiena alla ringhiera.
Già. Voleva davvero parlare di Potter? Anche lei lo avrebbe preferito.
Senza muoversi di un passo scosse il capo, sapendo perfettamente che l’amica avrebbe colto il movimento solo di sfuggita perché guardava altrove. Come lei.
Sotto certi aspetti Julie era quella che le somigliava di più. Forse anche più di Alice, che pure era la sua migliore amica.
-Virginia non vuole vedermi. Ed Emmaline mi ha detto senza problemi che ho fatto una cazzata.- si costrinse alla fine a parlare Lily.
Alice aveva voluto sapere ogni più piccolo particolare dei suoi colloqui col preside e sapeva della situazione con le ragazze solo perché erano insieme quando il giorno prima Virginia se n’era andata appena la rossa aveva messo piede in dormitorio. Per quanto ne sapeva doveva aver dormito con l’amica a Corvonero. Emmaline, invece, le aveva urlato addosso una delusione graffiante la sera prima, quando per caso di erano trovate nel Bagno dei Prefetti.
Julie aveva aspettato. E non aveva minimamente accennato a quanto aveva raccontato loro. L’accenno più esplicito che le aveva sentito fare era quello di pochi minuti prima sul fumo.  
-Hai fatto una cazzata, infatti. Ma l’avrei fatta anche io. L’avrebbe fatta Alice. E l’avrebbe fatta Emmaline.- le disse l’altra seria.
Sapeva a cosa stava pensando. Allo sguardo terrorizzato di Virginia quando aveva raccontato tutto. Lo stesso che aveva mentre le stringeva la mano a Hogsmade, quel maledetto finesettimana.
-Parlare con te è come parlare allo specchio.- Lily appoggiò il mento sulle braccia, incrociate sulla balaustra della torre.
-Lo so. È per questo che lo fai solo con me. Oddio questa sembrava una dichiarazione in piena regola.- ridacchiò acida storcendo l’aristocratico nasino.
-Stasera parlo con Virginia…- cominciò Lily.
-…e vedi di costringere anche Emmaline ad ascoltarti. Anche a costo di prenderla a calci in culo.- finì per lei la compagna, esprimendo il suo stesso pensiero anche se con termini certamente più ricercatici e tendenti al lirico. La bionda Parker non era stata istruita da uno dei più ricercati tutori per piccoli purosangue per niente, dopotutto!
-Con lei sarà più difficile trattare. Prima voglio sistemare le cose con Virginia. Non avrei mai voluto che stesse male, men che meno che si tentisse tradita.-
-Sai che Virginia capirà, è troppo intelligente per non farlo. Sarebbe stata un’ottica Corvonero, tanto quanto Emm sarebbe stata bene a Grifondoro. Lily, solo…anche se è Virginia che hai davanti tira fuori le palle. Non è fatta di cristallo e nemmeno ha tre anni, su questo ha ragione. Non comportarti diversamente con lei solo perché è lei.- Julie diede l’ultimo tiro alla sigaretta, la terza da quanto erano lassù, e si lasciò cadere a terra esattamente come il filtro, ultima cosa rimasta, che si avviava al suolo in una perfetta parabola, oltre il parapetto. A metri e metri da loro.
-Non so chi sia il ragazzo, Lily, ma è un coglione. Non gli frega niente della sua vita, dei suoi sogni…forse non si rende conto che quel contratto è definitivo e senza scappatoie. Non so se sa cosa lo aspetta, ma lo compatisco.- sussurrò appena, poggiando il volto sulle ginocchia che aveva portato al petto.
L’altra ragazza di sedette a sua volta per abbracciarla. Julie sempre così forte, perfino quando calava la maschera. Sempre alle prese con richieste e aspettative. Eppure aveva ancora la forza di andare avanti e continuare testardamente a lottare per i suoi sogni e un futuro deciso da lei. Da lei e nessun altro.
Era sempre più convinta che la sua nascita, che la rendeva agli occhi di molti un’intrusa in quel mondo, l’avesse salvata. E anche i suoi genitori.
Quando pensava alla vita di Julie perfino la situazione con Petunia e il loro rapporto ormai completamente azzerato, pieno di rancore, le sembrava risolvibile. O comunque riusciva a guardare al futuro con speranza.
Nessuno si aspettava da lei niente altro che non la sua felicità.
-Non tutti hanno la tua forza, tesoro.- la strinse più forte, decidendo di osare -E’ successo qualcosa a casa?-
La sentì trattenere il respiro. Se non fosse stata Julie, così forte e combattiva, probabilmente avrebbe ceduto alle lacrime.
-Vogliono farmi sposare. Lo conoscerò a Natale.- rispose alla fine, con voce inflessibile e i pugni chiusi.
-Cosa?- Lily si staccò da lei tenendola per le spalle, cercando di guardarla negli occhi.
-Finita la scuola devo sposarmi. Verrà firmato il contratto di matrimonio a Natale, dopo che ci saremo incontrati.- spiegò ancora.
Sposarsi. Sposarsi per decisione dei genitori con qualcuno che non ami.
-Ma-ma…- niente. Le parole che aveva in gola, piene di incredulità e sbigottimento.
Sposarsi. A diciotto anni. Con uno sconosciuto. Julie.
-Perché?- chiese alla fine. Dicendo, tra le tante, la cosa più stupida che aveva in testa in quel momento.
-Sono Purosangue, Lily. E i miei ci tengono a certe cose.- rispose con un sospiro -Ma stavolta non ci sto. Dovessi sposarmi in segreto col primo che capita, giuro che faccio saltare tutto.- si riprese alla fine, mettendo fine al suo momento di debolezza.
Continuava a combattere anche di fronte a quello. I suoi avevano preso una decisione del genere senza nemmeno interpellarla e aveva comunque la forza di combattere. La sua cara e bellissima Julie.
-Aveva ragione James.- continuò poi, dopo un secondo di silenzio.
James? Che c’entrava, adesso, Potter?
Quella perplessità doveva essere riflessa nel suo viso, perché vide Julie sorridere guardandola.
-Come te era convinto che la mia protesta silenziosa non avrebbe portato a niente. Mi avrà detto mille volte, negli ultimi anni, che mamma non mi avrebbe mai capito, se mi fossi limitata a stare zitta e vivere come volevo, ma solo fuori dalle mura di casa.- le spiegò la bionda.
-Quindi hai deciso di dir loro tutto?- chiese orgogliosa Lily.
 Sapeva che lei e Potter erano buoni amici. E, di recente in verità, aveva scoperto che non era lo stupido bamboccio che voleva sembrava. Ma non credeva che avrebbe mai detto una cosa del genere. E non perché era stupido o cosa altro. Ma perché era un mago. Un mago purosangue.
Perfino Alice, che voleva un bene dell’anima a Julie e disapprovava il comportamento dei suoi, non aveva mai detto niente al riguardo. Perché sapeva che era normale, un comportamento del genere. Anche se non a casa sua. Perché Alice sapeva di essere un’eccezione, per quanto positiva, nel mondo chiuso e ancora arretrato che era quello magico.
Potter invece mostrava un’apertura mentale decisamente superiore. E di questo non poteva che esserne grata, perché…
-Non acconsentirò al matrimonio. E questa volta dovranno, dovrà, ascoltarmi. Che vadano al diavolo lei e i suoi piani!- sbottò decisa l’altra ragazza, interrompendo il flusso dei pensieri di Lily. Che non poté non esserne grata, stavano decisamente prendendo una piega strana e ancora una volta troppo improvvisa.
-Se hai bisogno di un posto dove stare, sai che puoi venire da me, vero?- domandò allora Lily.
-Sicura che tua sorella…?-
-Come hai detto tu, che vadano al diavolo lei e i suoi piani. È anche casa mia e se hai bisogno non hai che da avvertire e vengo a prenderti. Petunia, poi, è sposata, quindi se abbiamo fortuna non la vedremo nemmeno.- rispose con un’alzata di spalle.
-Non vorrei disturbare.-
-E io non vorrei dover venire a prenderti per i capelli. Dico solo che se l’aria è troppo pesante, e io ne so qualcosa visto che ho passato un’intera estate a casa tua, la porta è aperta. Pensaci, ok?- le strinse ancora un attimo, perché era il momento giusto. E perché non l’avrebbe respinta visto che erano sole.
Brutta cosa l’orgoglio, a volte.
Ma il sorriso sincero che ricevette in cambio le fece capire che anche quello poteva andare al diavolo. Lui e i suoi piani.
Anche se forse non aveva considerato la bastardaggine intrinseca in Julie. O la sua curiosità. O la voglia di alleggerire l’atmosfera cambiando argomento. O l’affetto che provava per lei.
-L’hai baciato.- constatò dopo qualche minuto di silenzio e una sigaretta in meno nel pacchetto, quando ormai si stavano preparando ad andare.
-Come diavolo…è stata Alice?- chiese incredula Lily arrossendo.
-Alice? Quella maledetta lo sapeva non mi ha detto niente? Vedrai ora che le combino…- si arrabbiò l’altra.
Allora veramente Alice non aveva detto niente. E visto da quanto aspettava di poter dirlo in giro, l’aveva ammesso la sera prima, l’aveva dato per scontato.
Poteva sentire le rotelline del cervello di Julie muoversi a velocità supersonica, tutta concentrata su come vendicarsi del silenzio e completamente dimentica di quello che la rossa le aveva chiesto. Infatti si stava dirigendo a spron battuto verso le scale, sbuffando e imprecando tra sé senza più pensare a Lily.
-Ehi! Allora?- la fermò, giusto un attimo prima che sparisse dietro la prima curva della scala.
-Ovviamente la maledetta non mi ha detto niente. Ma solo una ragazza interessata in quel senso a un ragazzo lo riconoscerebbe a una distanza del genere. E James non indossava nemmeno la divisa di Grifondoro. Quindi fai un po’ te…- rispose con un sopracciglio alzato, come se stesse spiegando l’ovvio a una bambina.
-Ma di che…?- chiese ancora più in imbarazzo.
-Prima, prima! Hai detto che si sarebbe rotto l’osso del collo. Hai visto quel ragazzo sulla scopa e sei andata a colpo sicuro. Era James. Ma io non l’avevo riconosciuto.- le spiegò ancora sorridendo e imboccando senza un’altra parola le scale.
Solo un imbecille poteva fare una cosa del genere.
 

Solo un imbecille poteva fare una cosa del genere.

-Potter è un idiota. Potrebbe rompersi l’osso del collo.- sbottò Lily col cuore in gola dopo l’ennesima pazza discesa.
Senza nemmeno rendersene conto aveva aumentato la stretta sulla balaustra fino a farsi sbiancare le mani e si era sporta leggermente verso l’esterno.

 
Solo un imbecille poteva fare una cosa del genere.
L’aveva lasciata a pensare a qualcosa che avrebbe preferito non vedere mai. Ma era quello il problema di parlare con qualcuno come Julie, parlare con lei era come parlare con uno specchio.
E alla fine, quegli specchi maledetti, riflettevano tutto. Perfino un orribile brufolo che avresti preferito ignorare.
Lily si lasciò cadere a terra, incurante del dolore alle ginocchia, al centro della stanza. Il viso doveva essere una maschera di orrore. E il suo specchio se n’era andato, lasciandosi dietro il peggior brufolo che Lily avesse mai potuto immaginare.
 

…solo una ragazza interessata in quel senso a un ragazzolo riconoscerebbe a una distanza del genere. E James non indossava nemmeno la divisa di Grifondoro. Quindi fai un po’ te…

 
 




 
 
 

A chi sto parlando sa.
Ma lo faccio lo stesso perché ancora non ho ricevuto per posta olio bollente.
E perché mi mette sempre di buon umore.
Quindi Martina, eccoti il capitolo.
Perché ogni promessa è debito.
E ogni debito, purtroppo per me, può compromettere una bocciatura.
Lo so non c’entra niente.
 Ma ho pensato che magari, a scriverlo, lo avrei impresso anche nel mio cervello.
Perché quest’anno cascasse il mondo non posso bocciare.
Un bacio. Anzi tre. I mandanti li sai.




 


SPAZIO AUTRICE.
Autrice che non si merita di essere chiamata tale. Lo so, non aggiornavo più. Mi dispiace.
Come ho detto nelle risposte alle recensioni, la scuola mi sta tenendo impegnata per buona parte della giornata, impedendomi di trovare il tempo per scrivere e rileggere il capitolo.
La prossima settimana fortunatamente sarò abbastanza libera, o almeno potrò respirare con agio, quindi la stesura del prossimo capitolo sarà più veloce.
Avevo anche pensato di sospendere la storia, ma leggendo le vostre recensioni (e non ne avevo mai ricevute così tante!) mi sono rimboccata le maniche, riuscendo a finire questo benedetto capitolo che stava avendo la gestazione di un elefante.
Come sempre scritto con le dovute riserve, io e lo zucchero non siamo proprio vicini di casa, spero di non aver deluso le aspettative e aver chiarito meglio il capitolo precedente, che poteva lasciare ampi spazi all’immaginazione sul finale.
Per farmi perdonare, però, Word conta ben due pagine in più rispetto al solito, quindi magari se volete evitarmi il gatto a nove code…
Scherzi a parte questo capitolo mi piace. È la svolta. E non solo per il bacio, ma credo che l’abbiate capito.
Spero che abbiate avuto la pazienza di aspettarmi, lo spero davvero.
Grazie a chi legge.
Grazie a chi recensisce.
Grazie a tutte quante, insomma. Soprattutto questa volta, perché sono stata pessima.
Chiedendo ancora perdono per l’enorme e ingiustificabile ritardo spero di leggere i vostri commenti e pensieri sul mio piccolo elefante.
Tanti baci a tutte.
Rebecca.

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Capitolo 17
*** Una possibilità, insomma. ***


 
 
 
 
 
 
 
 





 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
James nelle ultime ore era arrivato a una sola conclusione. Una conclusione che lui non poteva sapere, ma avrebbe fatto storia nel mondo babbano, arrivando perfino a scriverne libri e discuterne a livelli più o meno professionali.
Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere.
Non poteva esserci altra spiegazione al comportamento della Evans.
Il giorno prima si era lasciata baciare. Aveva ricambiato quel fantastico bacio, l’aveva stretto a sé. Non aveva tentato di ucciderlo e ne aveva parlato con Alice.
E adesso non gli parlava. Anzi poco prima, quando si erano incontrati sulla porta della Sala Comune, lei era tornata indietro sui suoi passi, scappando letteralmente a gambe levate.
E James avrebbe solo voluto strozzarla.
Più di ogni altra cosa avrebbe voluto scuoterla per farla parlare.
Perché, dannazione, se la meritava una cavolo di spiegazione, no? Si meritava di sapere perché lo trattava come un appestato. Perché quando aveva incontrato il suo sguardo l’aveva guardato come fosse il diavolo in persona!
E visto che era sempre stata abituata a frequentare il peggio, i riferimenti a Mocciosus erano assolutamente casuali e privi di qualunque risentimento, non poteva proprio permettersi quello sguardo.
Dannazione!
-Ehi James, cosa succede?- chiese Remus, entrando silenzioso nella loro stanza, carico di libri e pergamene, il cui contenuto era probabilmente ignoto a James. Forse più tardi avrebbe potuto chiedergli cosa avrebbero dovuto fare per la mattina dopo. E magari anche se avrebbero dovuto preparare temi, perché non si era minimamente preoccupato di aprire libro. Tanto il giorno dopo alle prime ore avevano Trasfigurazione e non correva rischi. Era la sua materia, anche senza studiare.
-Evans mi evita.- borbottò lugubre, lanciando il libro di Incantesimi che si stava convincendo di leggere dall’altra parte della stanza.
-James! Con quello dovresti studiare, non giocare a pallacanestro!- lo riprese Remus.
L’avevano informato appena uscito dall’infermeria della novità sul ragazzo-futuro-Mangiamorte, ma nemmeno quell’informazione era riuscita a fargli saltare la sessione pomeridiana di studio. Solo perché non avevano un nome non voleva dire che non potevano guardarsi in giro. Lui l’aveva fatto fino a che non aveva incontrato Evans e Sirius lo stava facendo tuttora. Tanto aveva deciso che prima di aprile, quell’anno, non avrebbe aperto libro.
-Ho detto che Evans mi evita, Rem! Che vuoi che mi importi di quel barbosissimo libro?- si irritò.
Come se fosse anche solo minimamente importante. Aveva ben altri problemi al momento. Capire la ragazza al primo posto. Subito dopo dare un’identità all’infame senza volto. E se avanzava del tempo anche organizzare uno scherzo a Serpeverde, Sirius era stato categorico al riguardo. Anche se non aveva voluto spiegargli il motivo di tanto accanimento.
-Ma se a pranzo eri tre metri sopra il cielo.- commentò vago Lupin, sistemando i suoi libri per materia, non volendo entrare in argomento e ancora scosso dalla recente trasformazione. Succedeva ogni volta, per un paio di giorni rimaneva strano e distante. Oltre che stanco.
Ma James ci avrebbe scommesso che stava pregando con tutto se stesso che Sirius entrasse in camera in quel momento per fargli da orsetto del cuore cui confessare le sue pene. Tutto perché Rem non voleva mettersi in mezzo, perché Lily era sua amica. E perché non condivideva il suo modo di relazionarsi con lei. Solo perché le chiedeva di uscire spesso e urlasse per chiamarla, non voleva dire essere eccessivamente rompiscatole, no?
-Beh ora sono tre metri sotto terra. Perché lei mi evita. Mi evita, per Merlino! Non può baciarmi e poi evitarmi, così solo perché lo decide lei. Senza nemmeno spiegarsi!- sbottò, scagliando il cuscino di Peter alla cieca per la stanza.
Cavolo, più tardi sarebbe dovuto andare a cercarlo, visto che non volendo aveva centrato la porta. James sperò con tutto se stesso che non fosse finito fin in Sala Comune. In quel caso non l’avrebbe rivisto e si sentì anche appena appena in colpa.
-Perché non vai a parlarle, allora?- propose poco convinto. Le sue soluzioni erano sempre troppo razionali e pacate per poter essere accettate pacificamente da James e lo sapevano entrambi.
-E per dirle cosa? Per urlarle contro? Non ci penso nemmeno…non voglio giocarmi la mia possibilità. E poi deve essere lei a venire, per una volta.- borbottò mettendo su un broncio adorabile, e gettandosi a braccia incrociate sul proprio letto.
James sospirò. Perché con Evans doveva essere sempre così difficile? Perché non poteva semplicemente andare là e scuoterla, baciarla? Parlare senza pensare, per una volta, alla reazione che lei avrebbe potuto avere. Senza preoccuparsi di rovinare tutto. Senza quell’ansia che lo accompagnava da sempre.
Ma non poteva rischiare tutto, dannazione. Anche se quella lunatica non gli rendeva certo le cose facili.
Con uno sbuffo prese il cuscino dietro la sua schiena per schiacciarselo in faccia. Magari con meno ossigeno al cervello sarebbe riuscito a pensare meglio. O al massimo sarebbe svenuto per la mancanza di esso, smettendo del tutto di pensare.
Fu per questo che non sentì la porta aprirsi e non vide l’ospite inatteso che si limitò a scambiare uno sguardo insicuro con Remus prima di avvicinarsi silenziosamente, tanto quanto il ragazzo che prendeva la porta da dove era entrato nemmeno dieci minuti prima.
Fu per questo che quando sentì una mano sulla spalla non si mosse di un millimetro, limitandosi a borbottare melodrammatico -Lasciami perdere, Rem. Voglio solo soffocarmi in pace.-
-Stai davvero tentando di soffocarti?- la voce femminile, inattesa, fu contemporanea all’abbassamento del materasso, poco più in basso delle sue ginocchia.
Quella voce…
Un attimo. Giusto il tempo di realizzarlo e il cuscino gli cadde sul bacino mentre si tirava su di scatto, abbandonando ogni intento precedente.
…Evans?
-So che non dovrei essere qui. Non fare quella faccia sorpresa.- borbottò stizzita, guardando tuttavia in un’altra direzione con un cipiglio scontento in viso.
-Allora perché sei qui?- chiese cercando di sembrare normale, riuscendoci perfettamente, nonostante la risposta sgarbata.
Dopotutto lui era James Potter. E un Potter poteva fare qualunque cosa, suo padre glielo ripeteva sempre.
Lei sembrò spiazzata da quella domanda a bruciapelo, non era da lui effettivamente, essere così diretto e poco sorridente con lei. Dopotutto non si erano scambiati promesse o altro. Non gli aveva dichiarato amore eterno, né aveva detto alcunché, a essere sinceri.
-Ecco…pensavo…- cominciò indecisa -…Alice pensava che ti dovessi una spiegazione.- ammise alla fine.
Alice pensava.
Alice pensava!
Lui stava attraversando un atroce momento di autocompatimento, quasi soffocandosi col cuscino perché non riusciva a capire i suoi improvvisi e ingiustificati sbalzi d’umore, e lei decideva di andare da lui per Alice lo aveva detto!
Ma dove viveva quella dannata ragazza?
-Alice?- non riuscì a impedirsi di sibilare, anche se nascondendo il novanta percento della rabbia che sentiva.
Come aveva detto a Remus, dopotutto, non poteva rovinare tutto con lei urlandole addosso pretendendo una spiegazione. Dannazione voleva conquistarla e aveva fatto anche qualche passo avanti, il fatto che respirasse lo dimostrava, non poteva cedere all’istinto proprio adesso. Anche se era difficile da morire. Così fece due respiri profondi riuscendo a calmarsi prima di guardarla di nuovo.
Sembrava imbarazzata, adesso. Probabilmente si era resa conto di quello che aveva detto. O che lui non l’aveva apprezzato.
-Quindi non saresti venuta se non fosse stato per Alice?- chiese di nuovo, stavolta calmo, almeno in apparenza. Perché per Morgana almeno con se stesso non poteva negare di essere ferito da quella constatazione.
-Certo che sarei…insomma non subito però sarei venuta. Magari pensando anche a cosa dirti, invece di essere spinta fin davanti alla tua porta.- rispose tutto in un fiato.
James represse l’istinto di storcere la bocca, anche se probabilmente per l’espressione degli occhi non poté fare molto, perché conosceva una bugia quando la sentiva.
Lui era il re delle bugie. Ne aveva raccontate così tante, tra quelle ai professori e ai suoi non le contava nemmeno più, che poteva dirsi un maestro in materia.
Forse solo Sirius poteva competere con lui al riguardo.
Certo che sarebbe venuta. Magari dopo mesi, quando avrebbe sentito il senso di colpa così forte da non riuscire a pensare ad altro.
-Mi spiace. Hai ragione. Se non avesse insistito Alice non sarei venuta.- ammise infine lei.
-Non dici niente?- Evans si era sporta leggermente verso di lui, cercando di capire cosa pensasse, probabilmente, o se la mancanza di ossigeno causata dal cuscino lo avesse irrimediabilmente compromesso. E quell’ipotesi probabilmente per lei era la più propizia perché le avrebbe evitato discorsi imbarazzanti.
-Tu sei venuta per parlare. E sempre tu hai deciso di evitarmi, di nuovo.- commentò vago.
La vide arrossire, ancora una volta presa in contropiede dalla sua schiettezza, ma stava facendo uno sforzo immane per non urlare né baciarla. Non poteva certo chiedergli di più di così!
-… …-
Rimasero a guardarsi per qualche minuto senza parlare. Lei era visibilmente combattuta tra il desiderio di prenderlo a calci e spiegarsi. Tanto che alla fine fu James a rompere il silenzio.
Con amara ironia si trovò a pensare che ancora una volta era lui a piegarsi andandole incontro.
-Scusa, è che sono intrattabile quando vengo svegliato e Rem lo aveva fatto giusto pochi secondi prima che tu entrassi.- mentì.
Quella si che era una bugia come si deve. Tanto che la vide rilassarsi, tranquillizzata dalla spiegazione e dal suo tono adesso più conciliante. Quasi identico a quello che abitualmente usava con lei.
Se Sirius l’avesse sentito in quel momento probabilmente lo avrebbe guardato con compatimento. E non poteva dargli tutti i torti.
Così, sospirando, il ragazzo si mise seduto decentemente, incrociando le gambe. Se lei si fosse decisa a parlare, lo sapeva, sarebbe stato un discorso pesante. Soprattutto per lui.
-Non è facile per me tutto questo. Soprattutto considerando le opinioni che ho su di te e che non ho mai nascosto…- finì per bloccarsi di nuovo la ragazza.
James stava decisamente perdendo la pazienza, ma si impose la calma ancora per un po’. Almeno fino a che lei non se ne fosse andata.
-Evans, mi stai dicendo che è stato un errore? Perché non riesco proprio a capirlo.- commentò sarcastico, di fronte all’ennesimo imbarazzato silenzio della rossa che aveva davanti.
Eppure avrebbe voluto mangiarsi le mani per quello che aveva appena sputato fuori, perché, dannazione a lui e i suoi buoni propositi, le aveva appena dato la via di fuga perfetta.
-No…non è stato…insomma non credo. Per me non lo è stato…- gli rispose in un sussurro.
E James per poco non cadde dal letto, nonostante la posizione più che stabile in cui si trovava.
Niente recriminazioni? Niente scuse? Niente “è stato un errore, mi spiace”?
Chi diavolo aveva davanti? Perché tutto si sarebbe aspettato da Evans tranne che quella sconclusionata e imbarazzata ammissione.
-Vorrei solo capire, Potter. O almeno credo. Perché io non riesco a capirci…- continuò poi, appena appena più sicura di quello che provava.
-Mi stai chiedendo del tempo? Lo sai, vero, Evans che sono anni che non faccio altro che aspettarti?- la interruppe sempre più incredulo.
Probabilmente a breve lei si sarebbe ripresa di qualunque pozione o fattura Alice e Julie le avessero rifilato. E avrebbe iniziato a comportarsi come sempre, prendendolo a calci magari per averla baciata.
-Ecco…io lo capirei se non ne volessi sapere. E ti darei ragione, anche se non ti sto esattamente chiedendo del tempo per venire a patti con…questa cosa. È più la richiesta di un impegno, chiamiamolo così. Per conoscerti. Ti sto chiedendo una possibilità, insomma.- buttò fuori d’un fiato Evans.
-Cosa?- James non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito.
Adesso aveva la certezza che qualcuno le avesse rifilato qualcosa. Magari un Serpeverde l’aveva messa sotto Imperius. Oppure…
-Lo so che può sembrare strano detto da me. Perché ci conosciamo da sette anni e siamo anche nella stessa Casa. Ma negli ultimi mesi ho capito di non conoscerti affatto. Forse per colpa mia e dei miei pregiudizi. Anzi probabilmente a causa mia. Non sei solo il pallone gonfiato che credevo e lo hai dimostrato più volte. Tanto che senza nemmeno volerlo mi sono resa conto di fidarmi, di te intendo. Non so nemmeno come sia successo, in realtà.- ridacchiò, forse per smorzare l’atmosfera.
James rimase alcuni secondi a boccheggiare come un pesce, cercando di far funzionare nuovamente il cervello, almeno quel tanto che bastava per risponderle. Per dire si a qualunque cosa gli avesse chiesto.
Probabilmente avrebbe anche bacia…no quello no, magari stretto la mano a Mocciosus, se lei lo avesse voluto. Rischiando chissà quali malattie visto l’untuoso soggetto di cui stava parlando.
Sentendo la testa piena di bolle e una grandissima voglia di urlare, si lasciò cadere nuovamente indietro, recuperando nella discesa anche il cuscino, ancora saldamente sul suo grembo, per schiacciarselo di nuovo in faccia.
Magari non vedendola per alcuni secondi sarebbe riuscito a pensare lucidamente.
A venire a patti con l’incredibile.
Non si stava tirando indietro. Per qualche strana congiunzione astrale Evans gli stava implicitamente dicendo di si.
-Devo sembrarti pazza. E probabilmente lo sono, a dirti queste cose quando fino a ieri ti prendevo a male parole. Credo sia meglio che me ne vada, anche perché se stavi dormendo magari vuoi…- ricominciò a parlare a macchinetta la ragazza, agitandosi o forse alzandosi dal letto.
Un secondo. Un secondo di puro panico dovuto al tono imbarazzato e vagamente isterico di lei. Un secondo di quasi sofferenza al pensiero che se le avesse permesso di uscire di lì senza risposta, probabilmente, non avrebbe più avuto una possibilità.
Un secondo e prese la sua decisione.
Il cuscino volò a terra per lo scatto che fece e si ritrovò in piedi, giusto a due passi da lei che puntava con decisione la porta.
-Ieri mi stavi baciando, Evans.- si limitò solo a correggerla prendendola per un polso e tirarla verso di sé.
Le lasciò il tempo di capire anche se avrebbe soltanto voluto saltare addosso, per sentire di nuovo le labbra sulle sue. Le lasciò il tempo per tirarsi indietro, pregando tuttavia che non lo facesse.
Per Merlino, quanto gli era mancata!
Il calore del suo corpo. Quel profumo speciale che aveva. Il suo sapore…
La magia. Era quella la vera magia, James ci avrebbe scommesso.
Perché era impossibile che quella cosa tra loro fosse qualcosa di diverso.
Sciolse la presa sul suo polso, fermamente deciso a conquistare anche l’altro fianco, quando la mano sinistra di lei gli imprigionò la mano, incrociando le loro dita.
E bastò quel piccolo gesto per farlo andare fuori di testa.
Si piegò ancora di più su di lei, costringendola a inclinare maggiormente la testa, per avere migliore accesso alla sua bocca.
Continuò a giocare con quelle labbra dolci, beandosi della sua risposta, della mano destra di lei tra i capelli, almeno fino a quando lei non lo costrinse ad allontanarsi per riprendere fiato.
Come il giorno prima era bellissima. Con le guancie rosse e le labbra umide. Forse anche gli occhi sarebbero stati dello stesso brillante verde se solo lei avesse ricambiato il suo sguardo. Sguardo che invece rimaneva ostinatamente puntato sulla sua gola, mentre tentava, come il giorno prima, di riprendere silenziosamente fiato.
La magia, perché quella cosa tra loro non poteva essere niente di diverso, venne rotta dal rumore della porta che sbatteva, immediatamente seguita dall’esclamazione stupita di Peter. Ma bastò.
Evans liberò la mano che ancora stringeva quella di lui e con un sorriso si allontanò di un passo.
Non sembrava volersene andare, non del tutto, ma lo sguardo allucinato di Peter doveva metterla parecchio a disagio. James invece provava solo una profonda irritazione, che scemò appena quando l’amico capì i silenziosi segnali che gli stava inviando e che gli intimavano minacciosi di lasciarli soli.
Certo non poteva aspettarsi che Peter capisse al primo colpo messaggi del genere, quando non riusciva a farlo nemmeno con quelli vocali a volte, ma non pensava che potesse essere così idiota da rinchiudersi in bagno invece che imboccare la porta da cui era appena entrato.
Forse è il caso che vada.- disse la ragazza, una volta di nuovo soli.
James avrebbe voluto buttarsi a terra dalla frustrazione.
Un attimo prima la stava baciando poi entrava Peter…
-E…Potter? Grazie.- gli sorrise, incrociando finalmente il suo sguardo.
-Dato che accetto le tue condizioni non vedo perché non dovrei baciarti, Evans.- le rispose con un sorriso malandrino, fraintendendo volontariamente quel ringraziamento.
Lei arrossì di botto, borbottando qualcosa che suonava come un “posso sempre schiantarti, però” anche se il tono non era molto convinto.
James la guardò uscire col sorriso che andava sempre più aumentando.
Ancora non poteva crederci, ce l’aveva fatta. O almeno era sulla buona strada!
 
 















 
ANGOLO AUTRICE.
Probabilmente nessuna ci credeva, ma ce l’ho fatta. Sto pubblicando nei tempi preventivati, cioè due settimane…come va?
Cosa mi dite del capitolo?
Intanto inizio col dire qualcosa io. Un paio di note, insomma. La battuta tra Remus e James, credo l’abbiate capita tutte, ma è ripresa dal film, o libro che dir si voglia, “Tre metri sopra il cielo”. Ce lo vedevo bene James a demolirla nel giro di due secondi. Magari amate quel film, amate Step e Babi, quindi chiedo venia per la parodia, ma io invece ho contratto una forte intolleranza al riguardo. Nel periodo subito seguente a quando uscì la mia città è diventata una sorta di museo a cielo aperto, piena di scritte copiate pari pari. Da quello e dal seguito.
Altra cosa che ci tenevo a dire riguarda l’argomento “Chi è il Mangiamorte? Giochiamo ai detective”. So che ne sto parlando, per bocca dei protagonisti, come qualcosa di brutto, pauroso, ma sostanzialmente innoquo. Dopotutto loro ancora non hanno conosciuto la guerra. Sono semplici studente che ne sentono parlare, che ne sanno chi più chi meno, ma non sono mai scesi in campo. Non sono Harry, insomma. Quindi sto cercando volutamente di non scendere troppo nel dramma o nel clima di terrore, perché loro non lo conoscono. O almeno credo sia così.
 Passando ad altro, che è un po’ il punto del giorno…oh oh oh…LILY! Troppo OOC, che dite?
È un po’ un azzardo, perché lei si propone, non urla e strepita come ho letto altrove, non ci sono zuccherose dichiarazioni né altro…ma sono un po’ più umani entrambi. E poi mi fregio a ogni capitolo del titolo di autore quindi in pratica rigiro la frittata come mi pare!! J
Comunque quello che ho scritto lo penso davvero. Voglio dire lei arriva da un giorno all’altro a guardarlo con occhi nuovi e non se ne capacita. Lui non ne può più, ma non vuole rinunciare a lottare. Anche se ancora una volta è il mio adorato James a chinare la testa, andandole incontro per l’ennesima volta. Ma sarà premiato, non temete!
Per quanto riguarda il prossimo capitolo rientrerò nei tempi. E se volete un piccolo spoiler, piccino piccino, finalmente partiranno per la tanto agognata Vacanza Studio! E scopriremo anche con chi sono finite le ragazze, ma soprattutto la cara Julie.
Mi fate sapere cosa ne pensate?
E tanto che sono in vena di rompervi le scatole e monopolizzarvi, se avete tempo e soprattutto voglia, ho pubblicato la mia prima one-shot su Twilight “Gigli”, magari fateci un salto. È una Bella/Edward, perché non so scrivere allontanandomi troppo dalla traccia originale, ma è…vabbè non del tutto B/E.
Come sempre i commenti sono felicemente accettati, corredati con occhi cuoriciosi (non so se avete presente Sailor Moon, sono come Bunny quando vede Marzio).
Un bacio grande grande.
Rebecca.

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Capitolo 18
*** Deja-vu ***


 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
Finalmente il grande giorno era arrivato. E si poteva leggere in tanti modi. Una vacanza improvvisa per pochissimi. L’Apocalisse per alcuni. L’Inferno per altri.
Cercare di mantenere la normalità nel mondo babbano aveva costretto il professor Silente a dividere i ragazzi del Settimo, partecipanti perlopiù recalcitranti alla vacanza studio di due settimane, in due gruppi, riuscendo così a evitare l’afflusso improvviso quanto improbabile, di ragazzi che non sapevano distinguere un’automobile da un frullatore, nonostante gli strenui sforzi del professore di Babbanologia.
Proprio per quello qualunque ignaro passante si fosse trovato alla stazione di Hogsmade avrebbe trovato un così strano e poco omogeneo gruppo di ragazzi pronti a prendere il treno per Londra, che si accomiatavano poco volentieri da un altrettanto strampalato gruppo, di tutte le Case ed espressioni, diretti invece a una serie di carrozze più o meno vistose, la cui meta erano varie località accessibili solo a maghi.
-Ragazze dovete assolutamente farmi sapere come va!- trillò un’entusiasta Alice, ignorando le occhiate bellicose di quasi tutti i Serpeverde.
Probabilmente a volerli contare, e nessuno aveva ancora fatto quello sforzo, erano forse tre o quattro i verde argento che non vedevano quella gita come una giornata alla pubblica gogna. Ma che nonostante questo consideravano il tutto una perdita di tempo priva di qualunque attrattiva.
Si poteva dire insomma che i Serpeverde si dividevano in due schieramenti. Quello in maggioranza sembravano pronti a uccidere qualcuno per la sorte imminente. Gli altri, invece, aspettavano con indifferenza il momento di tornare a casa loro prima e a scuola poi.
Per le altre Case il discorso era un po’ diverso e l’umore variava da individuo a individuo. Irritazione, sdegno, paura, timidezza e noia dilagavano ovunque. Tranne che in Alice. Ma c’era da capirla, visto che era finita in gruppo con Virginia. In definitiva la loro più che una vacanza studio sarebbe stata una vacanza e basta.
-Anzi dovete scrivermi appena mettete piede in casa!- trillò ancora la ragazza abbracciando tutta allegra Virginia e iniziando a saltellare,costringendola a fare altrettanto. Povera Virginia, la compatì Lily, stava morendo per l’imbarazzo! Ma anche il rossore preoccupante della Grifondoro venne meno, soppiantato da una risata, probabilmente di sollievo,quando Alice la mollò improvvisamente per correre saltellando incontro a Franck.
-Amoree!- lo assordò gettandoglisi addosso, senza curarsi delle orecchie indiscrete.
-Io la ammazzo.- sibilò invece Julie che si sarebbe volentieri appartata insieme ai Serpeverde per fumarsi in pace qualcosa di forte. Perfino l’orgoglio di Casa nei momenti di crisi viene meno.
Lily le stringe una spalla, supportandola silenziosamente, sapendo che non avrebbe sopportato altro. E non perché stava per tornare a casa, dopotutto sua madre non si sarebbe sognata mai di mettere in piazza i fatti di famiglia, nemmeno un annuncio di matrimonio che sarebbe a breve diventato pubblico. Oh, no! A preoccupare la bionda era la persona con cui era finita insieme.
E che avesse cercato di ignorare fino a quel momento l’inevitabile non l’aveva certo aiutata a venire a patti con…la sfiga. Perché non c’era altro modo per definirlo. Anche se aveva pensato al malocchio e Lily lo sapeva bene visto che aveva dovuto farle una fattura per allontanarlo, nel caso avesse avuto ragione.
-Stiamo in scompartimento insieme?- chiese una ragazza bruna e dai dolci occhi nocciola.
Al suono della voce la schiena di Julie si irrigidì perché proveniva dal peggiore dei demoni. O almeno lei la considerava tale. Perché Julie era finita con niente popò di meno che Cordelia Waffle.
-Sono sicura che Cip e Ciop necessitano della tua compagnia.- replicò con un tono zuccherosamente falso Julie, cercando di dominare l’incontrollabile voglia di urlare.
-Intendi Clodia e Dorotea?- chiese incerta la ragazza.
Effettivamente paragonare quelle due agli astuti e simpatici scoiattolini era piuttosto azzardato perfino per Julie, che pure non aveva la minima idea di chi fossero. Per una ragazza nata e cresciuta nel mondo babbano, come Lily o Cordelia stessa, era una metafora sicuramente mal riuscita.
-Penseranno che ti sei persa o le hai abbandonate…-replicò però sullo stesso tono falso Julie, ancora un po’ e si sarebbe messa a piangere per mostrare finta partecipazione al dramma di…Cip e Ciop.
-Per quanto siano dolci e premurose con me, non sono esattamente…Einstain.- rispose allora Cordelia con cognizione di causa, sulla scia di quelle strampalate metafore babbane, con un sorriso sincero. O almeno a Lily pareva tale.
Sentì Alice ridacchiare piano, mentre invece Julie si irrigidì ancora di più. Non si sarebbe stupita di vederle uscire fumo dalle orecchie come dopo un morso di Zucchero Pepato. La rossa, invece, dopo alcuni secondi di indecisione stabilì che Cordelia non stava scherzando né tentava di ingraziarsele con bastardi commenti, sebbene veritieri, sulle sue amiche. No, Cordelia era sincera. Certo di una sincerità disarmante e densa di imbarazzo, o almeno ne lasciava uno spesso velo su chi la ascoltava, ma pur sempre sincera.
Anche se Julie, così presa a cercare chi potesse averle fatto il malocchio, di nuovo tristemente alla ricerca avrebbe detto lei, non era riuscita a cogliere quella sottile differenza tra la bastardaggine più vera e la sincerità. Lily era pronta a zittirla se da un momento all’altro avesse iniziato a maledire e inveire contro tutti i famosi maghi, morti e non era ininfluente, che facevano bella mostra di sé sulle figurine delle Cioccorane. Per questo non disse niente, ma anzi sospirò segretamente di sollievo per lo scampato pericolo, quando con uno sbuffo isterico si allontanò dal gruppetto dirigendosi verso Mattew Clifford, Tassorosso del settimo anno meglio noto come Piattola Azzurra, senza un chiaro intento. Ucciderlo, perché era inutile che continuasse a stare al mondo, o…scroccargli allegramente una sigaretta? Certo sarebbe stato meglio dire che la ragazza gliel’aveva strappata di mano, ringhiandogli contro quando questi aveva cercato di attaccar bottone, ma comunque il fatto in sé non cambiava. Sarebbe stato più furbo chiedere asilo politico a un Serpeverde che avvicinarsi volontariamente a Matt. L’avrebbe tallonata per almeno un mese, adesso.
-Non prendertela con Julie, è sempre scontrosa con chi non conosce.- Virginia cercava intanto di scusare l’amica, visto lo sguardo a metà tra il dispiaciuto e lo stupido di Cordelia.
-Poi, sai, odia i pettegolezzi. E chi li mette in giro, ma questo lo sai.- spiegò invece Alice, certamente più sincera, ma meno diplomatica.
Lily intanto continuava a studiare gli spostamenti dell’amica che dopo l’ennesimo ringhio a Matt e un paio di carinerie sibilate con il tono di un Troll, che da lontano suonavano tanto “Crepa stupido idiota” e la chicca finale “Provvederò perché tu venga perseguitato da Mirtilla Malcontenta”, si era allontanata, riprendendo la sua marcia, per dirigersi verso la McGrannitt i cui toni soavi nulla potevano contro l’insuperabile concorrenza della bionda.
La donna stava infatti sgridando un impavido Grifondoro del terzo anno, che aveva avuto la brillante idea di nascondersi tra i ragazzi del settimo per tentare di salire a sua volta sul treno. Tanto incauto coraggio aveva perfino provveduto a risollevare gli animi affranti dei poveri Serpeverde, che ancora non si capacitavano di stare per partire. Le urla della donna si sentivano fino al gruppo di ragazze, che si zittì di colpo per poter ascoltare il verdetto finale. E nessuno avrebbe potuto aver qualcosa da ridire sull’imparzialità della donna, un’imparzialità che fece gelare i poveri grifoni. Perfino la cortina di rabbia di Julie venne perforata dalla decisione della professoressa, tanto che bloccò la sua marcia di protesta riacquistando un minimo di istinto di autoconservazione
-Tre settimane di punizione, Rogers, e cinquanta punti meno a Grifondoro!-
L’unanime lamento di sconforto nulla poté contro la risolutezza della donna.
-Rogers…io l’ammazzo.- sibilò Franck vedendosi togliere tanti punto per un idiota. Detto quello, e con un diavolo per capello, il ragazzo si dileguò, probabilmente per mettere le mani sul ragazzino e compiere quanto promesso.
-E’ da quando Potter non l’ha ammesso nella squadra che si comporta così. Probabilmente tenta di vendicarsi facendo perdere punti su punti.- commentò senza reale interesse Cordelia, rompendo il silenzio che si era venuto a creare nel gruppetto.
Lily scosse la testa incredula. Cinquanta punti persi. Senza ragione. Almeno Potter e Black riuscivano sempre a riguadagnare i punti persi con una delle loro bravate, si ritrovò a considerare.
-Metti a tacere le rotelline, Cordelia. La McGrannitt mi ha detto che devi aiutarmi fare l’appello, il vostro caposcuola si è sentito male, vieni.- si intromise tranquilla Emmaline, apparsa improvvisamente al loro fianco e trascinandosi via la ragazza senza rivolgere nemmeno uno sguardo a Lily.
-Ancora non sei riuscita a parlarle?- chiese Alice. Sapeva che le intenzioni della rossa erano di farlo la sera prima, dopo aver chiarito con Virginia.
-No, ogni volta che mi avvicino abbastanza trova un modo per dileguarsi. Per il resto del tempo mi evita.- rispose con un sospiro Lily.
Ci aveva provato. L’aveva fatto davvero.
Era quasi arrivata a chiedere a Loren, una Corvonero del settimo che frequentava con lei Erbologia, di farla entrare di straforo nella loro sala comune, ma aveva desistito. Non voleva attirare ulteriormente l’attenzione su quella cosa. Non più di quanto avesse già fatto, almeno.
-Ho provato a parlarle, ma ogni volta mi impedisce di continuare. Mi spiace, Lily.- disse Virginia.
Così cara. Sempre così dolce e attenta.
Lily le sorrise, felice di aver risolto tutto almeno con lei, e le strinse un braccio intorno alle spalle leggera.
-Ho fatto tutto da sola, Virginia. Non è certo colpa tua se ho parlato troppo tardi. Ma oggi le parlo, dovessi costringerla. Dovessi chiudermi in bagno con lei…-
-Non sapevo che avessi certi gusti, Evans.- la interruppe una voce sbucata dal nulla.
-Io, invece, sapevo che tu non avessi cervello, Black. Buongiorno comunque.- gli rispose sarcastica, appena appena irritata dall’invadente apparizione.
Il ragazzo per tutta risposta rise, con quella sua risata strana, simile a un latrato, senza peraltro ricambiare la cortesia.
Vederlo così tranquillo in sua presenza, quando fino a poco prima non era nemmeno in grado di stare in sua presenza, le fece realizzare, per la prima volta, quanto il loro rapporto fosse cambiato. E quanto velocemente lo avesse fatto.
Certo si salutavano. Se capitava facevano due chiacchiere. Lui non partiva più in battutine sarcastiche ogni volta che si incrociavano e lei non provava più l’irrefrenabile voglia di strozzarlo solo sentendolo respirare. Però non aveva mai veramente notato quanto fossero cambiati. Anche quando Remus non era nei paraggi e imporgli un comportamento quantomeno educato, e solo le centenarie mura di Hogwarts avrebbero potuto dire quanto si fosse intestardito in quell’infruttuosa missione. Era come se non la considerasse più una Prefettina rompiscatole, il nemico tra le proprie fila da studiare per muoversi di conseguenza, come…sembrava non considerarla un’intrusa, insomma. E non riusciva a capire.
Intrusa a cosa? Forse per sette anni non erano stati grandi amici, ma Black non era mai stato il tipo da storcere il naso per Mezzosangue o Magonò. Di fatto lui storceva il suo aristocratico naso Grifondoro per due categorie di persone. I Serpeverde e i suoi parenti. Ah, e Severus, ma quello era probabilmente indipendente dalla sua casa d’appartenenza. Lily era sicura che anche una volta finita la scuola, a distanza di anni, incontrare per strada Piton avrebbe significato battutine bastarde e non finire e un’espressione di disgusto che inizialmente riservava solo a sua cugina Bellatrix Black.
Si rese conto di essersi incantata a fissarlo, persa nelle sue riflessioni senza realmente vederlo, quando lo vide sogghignare. O meglio quando lo sentì chiamarla.
-Ah, Evans! Avessi saputo prima che la mia augusta presenza riusciva ad ammutolirti.-
-Cretino! Ma dove…?- riscossasi notò che intorno a loro erano rimasti solo un paio di ragazzi, tutti intenti e affannati nella titanica impresa di issare sul treno un bagaglio su cui erano impilati precariamente la gabbia di una civetta e una decina di libri. Nessuno doveva aver mai spiegato loro che era possibile farlo anche in più viaggi, invece di rischiare la schiena e le mani per farlo tutto in una volta.
-Devo davvero presumere che non ti sei resa conto del tempo passare, delle tue amiche salire sul treno, del di lui fischio?- chiese allora il ragazzo, profondamente divertito dall’incredulità della rossa.
-Adesso anche poeta, Black?- gli rispose invece acida Lily, combattendo una battaglia interiore contro il rossore imbarazzato che voleva salirle al viso.
Odiava essere colta in fallo. E odiava ancora di più che glielo si facesse notare. Ovvio che Black assumesse l’atteggiamento più irritante che potesse.
-Solamente l’eccelsa educazione impartitami dai miei amati genitori, Evans. Tempo dieci minuti e tutta la mia verve sarà indirizzata, come vuole tradizione, a insultare il tuo sangue.- replicò sarcastico.
Lily avrebbe potuto arrabbiarsi se non avesse saputo che, tra i tanti difetti che negli anni aveva celermente elencato, certamente il ragazzo non era razzista.
Avrebbe potuto ridere, buttare tutta la faccenda sul ridere, se non avesse conosciuto la verità celata in quelle leggere frasi.
Avrebbe potuto ignorare quanto aveva appena sentito e con esso il momento di amarezza che gli aveva mostrato.
Avrebbe potuto tanto, avrebbe dovuto altro e forse lui avrebbe apprezzato. Eppure avrebbe solo voluto piangere, e sarebbe probabilmente stata la reazione più sbagliata.
Non era giusta tutta quell’amarezza e rassegnazione in un ragazzo. Non era giusto essere costretti a nascondere certe cose dietro una facciate di scintillante indifferente sfacciataggine, come faceva lui, o triste accettazione come faceva lei.
Si limitò ad abbozzare un sorriso comprensivo.
-Allora sarà il caso che prepari la mia oratoria per esporti le ragioni per cui tu, in quanto mago, sei un simile abominio.- gli rispose Lily, decidendosi a muoversi per sfiorargli lievemente una mano.
Non era molto, lo sapeva anche lei, ma non riusciva a fare altro. Qualunque altro gesto, altra frase, l’avrebbe inevitabilmente portata alle lacrime.
-Dovresti conoscere la mia famiglia Evans. Sono sicuro che apprezzeresti.- le diede una leggere spinta sulla schiena per indurla a salire sul treno ora che i due impediti erano riusciti a liberare il passaggio collassando sul binario insieme a tutti i loro bagagli. Alla fine la legge di gravità aveva avuto la meglio.
-Sicuramente mi sentirei a casa, peccato per il mio sangue, Black.- ironizzò continuando con lo stesso tono amaro del ragazzo.
-Sicuramente la mia cara mamma si prodigherebbe con solerzia nel ricordartelo.- le rispose.
-Immagino. Mia sorella, certamente, non si farebbe incantare dalla tua bella faccia se tu decidessi di ricambiare la visita. Tunia non manca di…zelo, diciamo.- sospirò decisa a mettere fine a quel tragicomico siparietto.
Finalmente sul treno, incuranti di lasciare quei due preda della loro idiozia, continuarono a camminare affiancati per il corridoio del treno, entrambi alla ricerca del proprio scompartimento eppure stranamente vicini. Più con la mente che col corpo, ed era tutto dire vista la dimensione ridicola di quel corridoio.
-Potter?- chiese alla fine Lily, sorpresa di non averlo ancora visto spuntare.
Più che vederlo, ancora, lo sentì sogghignare malefico. In certe occasioni, specialmente quando tirava fuori quell’espressione, ci sarebbe stato da chiedersi il perché della sua assegnazione a Grifondoro, non fosse stato per l’evidente disprezzo che nutriva nei confronti dei verde-argento. Nessuno escluso.
-Cerca di evitare a Peter una crisi di panico. Ovvio che non riuscirà a farlo, ma è esilarante vederlo tentare. Anche se alla lunga diventa noioso, infatti me la sono filata...- chiarì ancora con un sadico tono soddisfatto.
-Perché Minus dovrebbe…è finito con Severus, vero.- borbottò tra se la ragazza.
-Mi vengono i brividi sentendoti dire il suo nome e ancora non capisco come tu potessi essergli amica…-
-Black…- lo ammonì lei.
-…stargli così vicina e chiamarlo per nome…- continuò come se nulla fosse.
-Black…- ripeté di nuovo lei, stavolta rigida quasi come la McGrannitt.
-…ma deve essere una grande sollievo, per te intendo, respirare finalmente aria pulita, non doverti disinfettare ogni tre ore a causa della sua untuosa vicinanza…-
-Black!- gli ringhiò quasi addosso senza sortire reali effetti.
Lily non capiva se la ignorava volutamente o se tentasse, con le infamie e gli insulti nemmeno tanto velati, di risollevarsi il morale dopo aver pensato ai genitori.
-…e inoltre non devi più temere che ti salti addosso dietro al primo angolo buio. Quella sarebbe stata la tua morte, sociale e fisica. Perché certamente non ti saresti salvata da un tale incontro ravvicinato.- concluse alla fine soddisfatto guardando fisso davanti a se.
L’ennesimo ringhio della ragazza, che ormai ignorava possibili ostacoli sul suo cammino tanto era presa a fissarlo e incenerirlo con gli occhi, venne bloccato una volta realizzato quello che aveva appena detto.
-Finalmente ti sei resa conto di quanto abbia ragione?- le chiese allora Sirius, probabilmente stupito di non sentire un’immediata e velenosa replica per tutte quelle bastardate.
-Tu sei…- pazzo, decisamente. Solo una mente contorta e forse malata poteva pensare che Severus provasse qualcosa per lei. Ma qualcosa le impedì di terminare la frase e non si trattava dello stupore.
Un incantesimo.
Un incantesimo non verbale e bello potente, vista l’onda d’urto che la spinse contro la parete dello scompartimento.
Un incantesimo previsto, almeno dal ragazzo, visto la prontezza altrimenti inspiegabile con cui aveva era riuscito a schivarlo.
Un incantesimo…di Severus.
Aveva sentito tutto quanto e aveva reagito, nel modo peggiore. Non aveva mai imparato, Severus, a combattere le sue battaglie con le parole. Non lo faceva col padre, non lo faceva con lei e nemmeno con i suoi compagni di Casa. Tanto meno lo avrebbe fatto con Black, uno dei malandrini.
La schiena le faceva un male cane, il giorno dopo avrebbe avuto un livido grande quanto una casa, eppure non riusciva a prestarvi troppa attenzione. L’aria si tagliava col coltello eppure nessuno dei due si muoveva. Entrambi la fissavano, cercando probabilmente di capire quanto si fosse fatta male.
-Evans stai bene?- Black le si inginocchiò accanto. Non si era nemmeno accorta di essere caduta, accidenti!
Il ragazzo le prese la mano per aiutarla a rialzarsi, ignorando totalmente l’altro che si era mosso a sua volta per aiutarla, quando Severus scagliò un nuovo incantesimo che Lily, troppo intontita, non riuscì a riconoscere.
Questa volta Black, di spalle rispetto all’avversario e concentrato su tutt’altro, non riuscì a parare né evitare l’incantesimo e si ritrovò sbattuto contro la parete opposta.
-Black!- esclamò Lily vedendolo volare via così.
-Sei morto!- ringhiò il ragazzo, rivolto verso l’altro rialzandosi in un baleno nonostante la botta e sfoderando finalmente la bacchetta.
-Sei solo un bastardo…- sibilò in risposta Severus.
-Stupef…- cominciò Sirius venendo però interrotto.
Lily era riuscita finalmente a rialzarsi e si era appesa al braccio del ragazzo, il più vicino tra i due, per prendergli la bacchetta, lanciando sguardi arrabbiati verso Severus.
-Evans, togliti di mezzo.- le intimò cercando di allontanarla senza farle male.
-Lily, lo stai difendendo?- chiese invece incredulo Piton.
-Difendendo? Cosa credi che sia, Severus, un gioco? Pensi che sia divertente mettersi a lanciare incantesimi in un corridoio, dove potresti colpire chiunque? Eppure tu per primo dovresti sapere cosa di prova…- esclamò la ragazza.
-Non mettermi sul suo stesso piano!- esclamarono all’unisono i ragazzi, guardandosi poi schifati.
-Io invece ti metto proprio dove mi pare. Entrambi! Poteva uscire chiunque dallo scompartimento! Potevi colpire chiunque…- urlò allora di fronte a tanta arrogante indifferenza.
-…e invece hai colpito lei, veramente un genio Mocciosus, eh?- finì la frase per lei Sirius, fraintendendo volontariamente le sue parole e affondando con precisione il coltello nella piaga.
-Si ha colpito me, perché tu parli senza pensare…Oddio tu sapevi che era lì eppure non ti è importato! Vero? Vero?? Lui ha lanciato l’incantesimo, ma tu gli hai dato la motivazione per farlo, Black!- continuò sullo stesso tono.
Il silenzio che seguì la fine dello sfogo calò non solo sui tre ragazzi direttamente coinvolti, ma anche su quelli che si erano affacciati dagli scompartimenti a causa delle urla di Lily. Tra loro Potter e gli altri.
Remus si decise a intervenire, forte della sua carica di Caposcuola, e in pochi attimi rispedì tutti i curiosi nei loro scompartimenti con ordini chiari e decisi.
-Stai bene, Lily?- le chiese, vedendola ancora appesa al braccio di Sirius che non aveva mosso un muscolo e continuava a guardarla impassibile. Tanto impassibile quanto lei era infuriata.
La ragazza ruppe per prima il contatto, visivo e fisico, per rispondere a Remus. Anche se in realtà si limitò ad annuire.
Gettò uno sguardo anche a Severus, assumendo senza rendersene conto la stessa espressione di Black, ma si guardò bene da incrociare gli occhi di Potter. Avrebbe preferito che lui non assistesse alla scena. Avrebbe preferito non vederlo lì, mentre sgridava il suo migliore amico con parole già usate e che l’avevano già fatta stare male una volta.
Con addosso quella spiacevole sensazione di deja-vu superò tutti quanti, fissando insistentemente il pavimento, cercando di ignorare il desiderio di chiedere immediatamente scusa a Black.
Finalmente sola, chiusa nel primo scompartimento vuoto trovato, non si sorprese nel notare che aveva trattenuto il respiro per tutto il tragitto. Non si sorprese nemmeno del senso di colpa che non accennava a diminuire. E ancora meno, si sorprese, nel notare che il desiderio di chiedere scusa non era solo verso Black. Ma ormai c’era abituata. Erano anni che la sua vocina interiore le ricordava quanto desiderasse farlo anche con Potter.
 
 
 
 
 
 
 
 







 
 
ANGOLO AUTRICE.
Sono in ritardo. In un mostruoso ritardo. Di nuovo. E vi chiedo scusa. Anche questo di nuovo.
È inutile, credo, dirvi di nuovo quanto la scuola mi tenga occupata. Quanto l’ultimo anno di liceo sia massacrante. Quanto sia impedita in matematica e fisica e compagnia bella.
Quindi uno scusa gigante, lo scriverei a tutta pagina se non risultasse poi così patetico e anche un po’ falso a mio parere, è tutto quello che scrivo, sperando che abbiate avuto la pazienza di aspettarmi nonostante la mia sparizione. Anche se meriterei la pubblica gogna.
Due parole sul capitolo e vi lascio, perché come al solito sono di corsa. Che palle.
Vabbè…allora questo capitolo è venuto così, quando invece doveva andare in tutt’altra direzione. Credo di poter affermare che mi riesce meglio scrivere di drammi che non di “…e vissero tutti felici e contenti”. Non a caso quando lo faccio l’ironia trasuda quasi dalle parole.
Sirius si comporta da stronzo. Severus si comporta come uno scemo. Lily fa la bastarda…e potrei continuare, ma mi fermo qua. queste cose sono evidenti.
La verità è che l’idea del deja-vu (che non sono nemmeno sicura di come si scrive) c’era già dopo la battitura del primo capitolo. E credo fosse d’obbligo visto che è uno dei pochi eventi raccontati per esteso in HP sui Malandrini e non potevo cestinarlo a priori.
Altra verità è che i miei personaggi assomigliano sempre più a dei pazzi senza cervello, e io sembro scrivere così a braccio senza una trama (tra le due questa è l’unica non vera), e che col capito precedente c’entra poco o nulla. Ma non sono riuscita a cestinarlo e spero non vi sembri troppo campato in aria. Alla fine, credo, che il rapporto tra Lily e Sirius sia cambiato, ovvio che lo è dopo quello che si sono detti, ma ancora non si conoscono. Ancora non riescono a capirsi e, purtroppo per noi, quello che Sirius prova per Piton è noto a tutti, ma ancora non ha la maturità di trasformarlo in indifferenza (non ce l’ha nei libri come può averla a diciassette anni?).
Dopo l’ennesimo sproloquio che non doveva essere tale vi lascio. Scusandomi ancora sperando che leggiate ancora la storia, nonostante…me. Senza scuse né drammi è inutile girarci intorno, sono io che non mi so organizzare.
Se volete lasciare un commento mi fate sempre felice.
Ringrazio chi ha letto e recensito. Le risposte arriveranno entro domani, promesso.
Un bacio. Rebecca.

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Capitolo 19
*** L'abilità dello stratega ***






























C’era qualcosa di profondamente divertente a infrangere le regole. L’aveva sempre saputo. Quando ancora frequentava Hogwarts aveva trovato oltremodo eccitante comportarsi come la perfetta studentessa di giorno e mostrarsi per chi era davvero solo la notte, al sicuro dietro le porte invalicabili del suo dormitorio. E sempre solo di fronte a pochi eletti, scelti con una cura forse ossessiva, ma necessaria per il nome che portava.
Riuscire a ingannare perfino quello stupido filobabbano del preside era stata solo l’ennesima, di una lunga serie di conferme di quanto l’aspettava una volta fuori da quella gabbia di buonismo e patetici valori.
Non c’era bisogno di valori, per chi sapeva fingerli.
Non c’era bisogno di bontà, per chi era abbastanza in alto per schiacciare tutti gli altri.
Non c’era bisogno di pietà, per chi aveva trovato la sua strada.
E lei, come tutti i Black, non aveva impiegato troppo per raggiungere quegli obbiettivi.
Perfino quel patetico traditore di suo cugino Sirius, paradossalmente, possedeva lo spirito di famiglia e aveva scelto velocemente la parte da cui stare. Per quanto fosse quella sbagliata, l’aveva fatto.
Paradossalmente, ancora, aveva avuto più coraggio di sua sorella. La cara Cissa che si lasciava guidare dalla corrente e dalle decisioni altrui, ma in cui comunque riponeva grandi aspettative.
Presto la titubanza avrebbe lasciato il posto al bivio. Ed era sicura che lei, avrebbe fatto la scelta giusta.
Non avrebbe mai rischiato di venire ripudiata e perdere lo status sociale con cui era cresciuta. Non avrebbe rischiato il suo tanto sospirato matrimonio, non quando come una sciocca vedeva in Lucius Malfoy il suo vero amore. E non avrebbe rischiato nemmeno lei, sua sorella, per quel labile e silenzioso affetto  che nonostante tutto le legava. Avrebbe scelto la strada del potere e della gloria. La strada del Signore Oscuro. Come già l’aveva scelta lei. Come già l’aveva scelta Lucius.
Non c’era niente di abbastanza importante per lei, fuori dal ristretto gruppo familiare, perché potesse decidere altrimenti.
Bellatrix non era stupida né pazza, a differenza di quanto molti pensavano. Quella, la pazzia, sarebbe arrivato solo anni dopo, per le stesse convinzioni per cui si stava muovendo quel giorno.
Di certo, però, era pericolosa e riusciva a vedere nel cuore delle persone con la stessa precisione con cui, in soli pochi mesi, aveva imparato a uccidere, per questo non c’era niente in lei che tradisse timore o preoccupazione. Chi aspettava sarebbe arrivato. Lo conosceva troppo bene. Non aveva motivo di temere un ripensamento improvviso.
Forse era pazza. Se per pazzia intendevano la brama di sangue che sentiva anche in quel momento.
Lo era se reputavano i suoi ideali degli abomini contro natura, esattamente come lei considerava la feccia natababbana che infestava il mondo.
Lo era se la sua missione era considerata tale.
Lo era perché era perfettamente lucida, perché sapeva esattamente cosa stava per fare, perché desiderava farlo. Perché non c’era altro, ormai, che il suo maestro e i suoi ordini nella sua vita come nel suo cuore.
Anche in quel momento, con il divertimento che le brillava negli occhi di una luce quasi invasata per l’ennesima regola infranta, in una scuola che non frequentava più da anni, era perfettamente cosciente di quello che stava facendo, dei rischi che una mossa azzardata avrebbe comportato. Di chi avrebbe condannato, o redento a seconda dei punti di vista.
Eppure si trovava lì, ai limiti della foresta, senza un piano preciso in mente, ma solo l’istinto a guidarla. E il desiderio di rendere un servigio importante al suo maestro.  Quasi ignorando la propria incolumità. Tutto per un ideale malato, che presto avrebbe iniziato a corroderla dall’interno.
Una spia nella scuola avrebbe posto il Signore Oscuro sempre un passo avanti al vecchio. Ma quello che aveva fatto lei, aveva del miracoloso.
La cara Cissa portava loro notizie sempre nuove sul preside e le sue mosse da mesi, per quanto alla ragazza poco importanti sembrassero. Ma un ragazzo marchiato, un Mangiamorte nascosto tra le file nemiche senza che il vecchio ne fosse a conoscenza, avrebbe cambiato tutto. Non restava che trovare il modo per entrare nella scuola con un esercito e schiacciare il capo di quella patetica Resistenza.
Doveva solo avere pazienza e aspettare Natale. E anche Regulus sarebbe stato al suo fianco in quella battaglia per la purificazione di una razza ormai in declino.
Con un ultimo sguardo disgustato al sentiero che portava a Hogsmade, dove nemmeno venti minuti prima erano passate una fila di carrozze dirette alla stazione per l’ennesimo tentativo contro natura di integrare babbani e maghi, si avvicinò al luogo dove il cugino la stava aspettando.
-Sei in ritardo.- la informò con voce piatta il ragazzo.
Aveva sedici anni. Sarebbe stato il più giovane tra i Mangiamorte.
Tutto per ristabilire il nome e l’onore di famiglia, infangato dalle scelte irresponsabili del fratello.
Ma Regulus avrebbe preso comunque quella strada, era tagliato per il ruolo della spia. Era cresciuto in quel modo, per controllare le mosse di un fratello troppo irrequieto per la posizione che occupavano. Non avrebbe avvertito una grande differenza, nemmeno dopo aver sentito quello che aveva da digli. Regulus aveva i nervi per farlo, per quello aveva chiesto al Signore Oscuro di dargli una possibilità e metterlo alla prova, prima ancora di essere marchiato.
-Temi di rovinare la tua reputazione di studente modello?- chiese ironica la donna, liberando finalmente i lucenti capelli neri dall’oppressione del cappuccio del mantello.
-Dovresti sapere che non possiamo permettercelo.- la riprese il ragazzo con un tono calmo e gelido.
Chiunque altro sarebbe rimasto paralizzato di fronte a una totale mancanza di emozioni in un ragazzino di quell’età. Bellatrix ne fu solo deliziata, tanto che il viso le si distese in un sorriso indulgente verso quello che da sempre era il suo cugino preferito.
-Perché sei qua? Stiamo rischiando troppo. E sai che non ci sono ripensamenti riguardo la nostra ultima conversazione.- le chiese di fronte al prolungato silenzio della donna.
Ah, la mente calcolatrice di quel ragazzino.
Sarebbe stato un ottimo Mangiamorte.
Al suo Signore sarebbe piaciuto, ne era sicura. Perché una cosa apprezzava sopra ogni altra, ed era l’intelletto.
Regulus ne aveva anche troppo a volte. Niente accadeva intorno a lui senza che se ne accorgesse, e quell’abilità andava migliorando con gli anni. E aveva fin da subito imparato a servirsene.
Bellatrix riusciva a leggere le persone e con le informazioni ottenute le schiacciava. Per noia a volte, per rabbia altre, ma ogni volta colpiva con precisione facendo leva su debolezze o paure fino a che la vittima prescelta non rimaneva agonizzante a terra.
Regulus, invece, era più sottile. Non si interessava abbastanza di chi aveva intorno per volerlo schiacciare, nonostante fosse un ottimo osservatore. Lui immagazzinava informazioni e le usava a proprio vantaggio nel momento più opportuno, senza far leva sul timore che incuteva negli altri, come invece faceva la cugina.
Non alzava la voce né minacciava. Si limitava a portare a galla eventi e pensieri che avrebbero fatto meglio a rimanere nascosti e così piegava le persone. Con parole scelte con cura, ma apparentemente indifferenti e casuali. Con quel tono distaccato che lo contraddistingueva, ma forse più letale delle esplosioni incontrollate della cugina.
Bellatrix si lasciava guidare dalle emozioni, nonostante quell’atteggiamento avrebbe potuto segnarne la sconfitta.
Regulus invece le controllava, perché la lucidità non venisse meno e con lei la sua capacità di studiare il mondo circostante.
-Bella, torna qua.- la chiamò il ragazzo, sfiorandole appena il braccio vergine.
Quel ragazzino la conosceva. Non si sarebbe dovuta stupire che avesse osservato lei come faceva con tutti gli altri. Eppure non credeva che sapesse quanto la sua mente, a volte, volasse lontana, persa dietro i fili invisibili dei suoi pensieri. Invece si era sbagliata, l’aveva appena riportata indietro dimostrandole quando ingenuamente di sbagliasse. Quel ragazzino apparentemente innocuo aveva visto anche quello, qualcosa che nemmeno sua madre o sua sorella avevano mai notato. Che fortunatamente Rod, il suo futuro marito, non avrebbe mai immaginato.
-Il Signore Oscuro ha un lavoro per te…- parlò allora, accantonando lo stupore di fronte all’ennesima dimostrazione dell’intelligenza del cugino. Mettendo anche a tacere il timore per quello che una mente del genere avrebbe potuto fare. Era suo cugino, Regulus, e lo conosceva come pochi altri. Era un calcolatore e un abile stratega, avrebbe potuto portare avanti quella guerra da solo, se l’avesse voluto, ma non l’avrebbe mai tradita. No, non l’avrebbe mai fatto si convinse.
 
















 

***



















 
 
Dopo aver ascoltato la litigata tra Sirius e Lily, James aveva immaginato che il viaggio verso casa della ragazza sarebbe stato tristemente silenzioso.
E lo sarebbe stato davvero se il tassista, prendendoli nemmeno tanto erroneamente per turisti, non avesse iniziato a indicare loro gli edifici più importanti della città, esaltandone le bellezze e facendo ricorso alle spoglie nozioni storiche e culturali in suo possesso, ma che tanto piacevano ai veri turisti, che invece irritavano a morte James.
Quella maledetta vacanza stava iniziando nel peggiore dei modi.
Sul treno Sirius si era nascosto in un invalicabile silenzio ostile, che nemmeno una colossale quanto involontaria figuraccia di Peter aveva smosso. Conoscendolo come lo conosceva, James sapeva che calmatosi un po’ avrebbe iniziato a pensare a quello che Evans gli aveva detto, ma che, fino a quel momento, non solo sarebbe stato intrattabile quando un folletto a cui era stato rubato dell’oro, ma avrebbe addossato tutta la colpa addosso a Piton, e una parte anche alla ragazza che aveva osato indisporlo tanto. Quindi non invidiava affatto Franck che avrebbe dovuto sopportarlo almeno per un altro paio d’ore, prima che sua madre lo riempisse di biscotti fatti in casa abbastanza da farlo scoppiare e fargli passare l’arrabbiatura.
Non era un mistero che Sirius adorasse la signora Potter. E nemmeno che i dolci di lei potevano miracoli sul lunatico umore di Black.
Ma quello che in quel momento più preoccupava James era Evans. Avrebbe chiamato Sirius appena si fossero liberati di quella sottospecie di cocchiere da strapazzo con gli specchi comunicanti, per assicurarsi che mamma avesse sistemato tutto. Ma con Evans non sapevo come comportarsi.
E visto l’argomento per cui si era così arrabbiata ore prima, che gli avevano messo addosso uno spiacevole senso di già vissuto, non si reputava proprio la persona ideale per parlarle in quel momento.
Le lanciò un’occhiata di soppiatto e la trovò nella stessa posizione che aveva assunto una decina di minuti prima, quando l’aveva quasi buttato nel taxi. Guardava testarda fuori dal finestrino e con la mano sinistra giocava con una ciocca di capelli, come faceva ogni volta che aveva la testa altrove.
C’era da dire, almeno, che non sembrava più arrabbiata. Un po’ triste, forse. Certamente pensierosa, ma tutto sommato tranquilla.
Usciti dalla stazione si era perfino assicurata che non finisse sotto una di quelle strane scatole con le ruote, se rosse erano taxi, ora lo sapeva, trascinandoselo dietro nemmeno avesse dieci anni.
-Bene signori, eccoci arrivati!- esclamò il conducente, senza perdere nulla del suo tono fastidiosamente squillante.
L’omino, troppo grasso per non rischiare un infarto a ogni passo, si catapultò fuori dal taxi, più rimbalzando che camminando come un essere normale, per tirare fuori dal bagagliaio le loro borse.
-Scendi?- gli chiese Evans già fuori dalla trappola mortale, decidendosi finalmente a rivolgergli la parola.
-Ma se non vuole aprirsi!- si lamentò il ragazzo che fissava minaccioso lo sportello perché si spalancasse come aveva fatto quello dell’uomo-ciambella.
Non si era voltato a guardare Evans per non perdere concentrazione, l’aveva soltanto sentita sbuffare. Per questo quasi gli prese un colpo quando se la ritrovò addosso, dopo che si era nuovamente infilata nell’abitacolo, per fargli vedere come aprire lo sportello.
-Non devi chiedere, Potter. Non siamo a Hogwarts, gli oggetti non si spostano perché sei tu a volerlo…- e con una leggera spinta lo fece uscire prima di fare altrettanto, di nuovo.
-Arrivederci e grazie.- con un sorriso il tassista se la filò, non dopo aver rimbalzato ancora un paio di volte per raggiungere il suo posto guida, lasciandoli soli col loro silenzio.
Il bisogno di riempire i loro silenzi, che aveva sentito così spesso nel corso degli anni, tornò ad opprimere James che ingaggiò una vera lotta con se stesso per non mettersi a parlare a raffica.
-Bella casa, Evans…- si arrese infine all’evidenza di non sapere nemmeno cosa fosse l’autodisciplina.
-Grazie, peccato sia quella dei vicini. E poi quel color verde acido è orribile, quindi non sprecarti a mentire. Casa mia è quella.- gli rispose distratta, tutta intenta a cercare chissà che cosa nella borsa che portava al collo. Ormai ci si era quasi infilata dentro.
James si volse nella direzione giusta, caricandosi come gli era stato insegnato anche del bagaglio di lei, rimanendo piacevolmente colpito.
Si trovavano davanti a una bella villetta gialla, di un giallo tenue che niente aveva a spartire con il verde acido dei vicini, con tanto di giardino ben curato. Anche troppo, forse. Il giardino di casa sua sembrava un bosco incolto in confronto e loro avevano addirittura un paio di elfi! Come poteva un babbano riuscire in tanto non solo senza aiuti competenti come gli elfi, ma addirittura senza magia?
La casa, con quel suo giardino perfetto divenne in un attimo il centro di un uragano che le tolse ogni importanza. Un uragano dai capelli rossi e non più alto di un metro e sessanta. Probabilmente meno.
-Tesoro! Ma cosa fai lì fuori?-
Sembrava impossibile da credere che quella strampalata signora, probabilmente la mamma di Evans, fosse riuscita a coprire i metri che li separavano in un battito di ciglia, nemmeno si fosse smaterializzata, buttandosi poi sulla figlia per stritolarla in un abbraccio assassino.
-Mamma…sto soffocando.- rise la ragazza ricambiando però l’abbraccio.
-Osi anche protestare? Ah, figlia degenere…non ti vedo da mesi e hai anche il coraggio…O ma che bel ragazzo, non me lo presenti, tesoro?- chiese la donna, riacquistando un minimo di contegno, notando solo in quel momento il ragazzo accanto alla figlia.
-Mamma, lui è James Potter. Potter, lei è mia madre, Anne.-
-Piacere signora…- borbottò James imbarazzato.
 
 
 
















 
ANGOLO AUTRICE (che ormai si vergogna anche a scriverlo…).
Come sempre sono in ritardo e il capitolo è pure più corto del solito. Riassunto sono pessima, ma questo lo sapete già.
Siccome sono di fretta, esatto ho anche il coraggio di esserlo, vi lascio solo qualche nota sul capitolo prima di dileguarmi.
Allora. Finalmente scoperta l’identità dei due figuri incappucciati misteriosi, anche se la maggior parte avevano già indovinato almeno uno dei due, se non entrambi. Che volete sono prevedibile.
Bellatrix è un personaggio complesso quindi non sono sicura di essere riuscita a tratteggiarla bene, anche se questa tra le tante è stata l’unica versione del capitolo che mi soddisfaceva. Ho cercato di far vedere che, nonostante scelte di vita fatte e pensieri malati, non è ancora completamente pazza. Come ho sottolineato nel capitolo è lucida, e forse per questo ancora peggiore della Bellatrix originale.
Regulus boh lo vedevo bene così. Non ho molto da dire al riguardo, più avanti capirete anche lui e le sue scelte.
Circa l’espressione braccio vergine mi riferivo al braccio destro, quello non tatuato. Vergine appunto. È un termine che mi disse il tatuatore due anni fa quanto, appunto, mi feci un tatuaggio ed è rimasto. E anche se credo fosse chiaro ho preferito specificare.
L’umore lunatico di Black è una pessima battuta visto che nelle fic è di solito riferito a Remus per ovvie ragioni. Lo so, ho un pessimo senso dell’umorismo.
Il tassista rotolante, o uomo-ciambella…è un omaggio al professor Lumacorno. L’ho sempre immaginato rotolare per la scuola più che camminare, quindi…
Infine la borsa in cui Lily affonda è un riferimento piuttosto plateale alla borsa di Mary Poppins. Della serie non ho diritti su nessuna di queste espressioni, per un motivo o per l’altro ho bellamente scopiazzato da qualunque cosa mi venisse in mente J.
Non posso che chiedere ancora scusa per l’enorme ritardo con cui aggiorno, anche se devo ammettere che non è colpa solo della mancata ispirazione. Speravo che aspettando un pochetto almeno un'altra recensione sarebbe arrivata. Lo scorso capitolo proprio non è piaciuto, vero?
Speriamo che questo meriti di meglio (della serie, stavolta, mi lasciate un commentino? Anche ino ino?).
 
Per chi fosse interessato, ho pubblicato il primo capitolo della mia serie “Dad, I’m fall in love! Ehm…ops DAD!”, ambientata quattro anni dopo “Suicida coraggio…Serpeverde?”. Stesso protagonisti e tono ironico, o almeno ci si prova. Insomma mi sto facendo pubblicità! Se volete darci un’occhiata fa sempre piacere.
Buona sabato sera e buona pasqua a tutti!
Non posso che augurarvi un interminabile pranzo e bel ragazzo incartato nell’uovo di pasqua perché dopo ore al tavolino proprio ci sta!
Baci baci, e ovetti, Rebecca.

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Capitolo 20
*** Benvenuto in famiglia. ***


 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
Un uragano dai capelli rossi e non più alto di un metro e sessanta. Probabilmente meno.
-Tesoro! Ma cosa fai lì fuori?-
Sembrava impossibile da credere che quella strampalata signora, probabilmente la mamma di Evans, fosse riuscita a coprire i metri che li separavano in un battito di ciglia, nemmeno si fosse smaterializzata, buttandosi poi sulla figlia per stritolarla in un abbraccio assassino.
-Mamma…sto soffocando.- rise la ragazza ricambiando però l’abbraccio.
-Osi anche protestare? Ah, figlia degenere…non ti vedo da mesi e hai anche il coraggio…O ma che bel ragazzo, non me lo presenti, tesoro?- chiese la donna, riacquistando un minimo di contegno, notando solo in quel momento il ragazzo accanto alla figlia.
-Mamma, lui è James Potter. Potter, lei è mia madre, Anne.-
-Piacere signora…- borbottò James imbarazzato.
Decisamente la signora Evans non era come se l’era immaginata. Ogni volta che aveva pensato a quei giorni si era immaginato una signora tranquilla e silenziosa, dai capelli rossi e gli occhi verdi. Una copia più vecchia della figlia che non provava nei suoi confronti nessuna animosità, insomma. E invece di tutte quelle caratteristiche ne aveva azzeccata una soltanto. I capelli.
-Oh ti prego, James, chiamami Anne. Non badiamo alle formalità in questa casa! Entrate, forza. Non vorrete stare qua fuori al freddo tutto il giorno!- esclamò precedendoli verso casa come una trottola.
Appena varcata la soglia, James poté giurare di averla sentita urlare per chiamare un certo George, probabilmente il marito, nonché padre di...
Oddio stava per incontrare i suoi futuri suoceri! Come mai lo stava realizzando davvero solo in quel momento?
-Avrei dovuto dirtelo prima…preparati e annuisci sempre. È così che si fa con i pazzi…- ridacchiò Evans, apparentemente dimentica del cattivo umore dopo la rumorosa entrata in scena della madre.
-Cosa…?- certamente non stava dicendo davvero.
-Non fare quella faccia, Potter. Sto scherzando. Mamma si fa solo prendere dall’entusiasmo a volte. Dopo anni ancora non capisce perché a scuola non ci permettano di far visita alle nostre famiglie più spesso o il perché dell’orario per la posta. Per ripicca puntualmente mi spedisce le lettere per pranzo, ormai. In ogni caso quando parte in queste filippiche annuisci e basta, andarle contro non serve a niente.- chiarì la ragazza.
-Devo sapere qualcos’altro? Voglio dire anche tuo padre e tua sorella sono così?- chiese ancora impalato sulla porta di casa, curiosando con lo sguardo in giro, senza però tuttavia muovere un passo senza essere formalmente invitato. Sua mamma ci teneva a certe cose, dopotutto…
-No, papà mi assomiglia molto e Tunia…beh non credo la conoscerai lei si è…- gli rispose guardando altrove. Aveva visto la stessa espressione quella notte alla Torre di Astronomia, quando per la prima volta l’aveva sentita parlare con la sorella. Non dovevano essere molto legate, non più almeno. Probabilmente la distanza cui Hogwarts la costringeva le doveva avere allontanate.
-…sposata lo scorso aprile. Mi ricordo.- concluse per lei, ancora senza muovere un passo.
-Come…? La sera alla Torre, te ne sei ricordato.- realizzò lei al colmo dello stupore, dopotutto erano successe parecchie cose da quella notte, eppure lui si ricordava.
-Mi ricordo quasi tutto quello che ci siamo detti, Evans.- le disse con un sorriso e le guance più rosse del normale.
Era in imbarazzo, realizzò James in un momento. E non era mai successo.
Erano anni che le chiedeva di uscire. Che le urlava di dargli una possibilità. Non aveva mai provato imbarazzo, prima di allora. Che diavolo gli stava succedendo, per Merlino?
Era James Potter!
James Potter non sapeva nemmeno cosa fosse l’imbarazzo!
-Io…ecco…- provò a parlare lei senza tuttavia riuscire ad articolare niente.
Iniziò a guardarsi intorno sempre più rossa in viso, ascoltando distrattamente i rumori provenienti dalla cucina e i borbottii di sua madre, quando realizzò che James ancora non era entrato in casa.
-Perché sei ancora sulla porta? Entra…-lo invitò, allungando un braccio per liberarlo dal suo bagaglio, sollevata di aver trovato un modo per cambiare discorso.
-Evans, sono pur sempre un signore. Non so con che cafoni sei abituata ad andare in giro, ma non ho intenzione di farti portare una borsa quando posso farlo benissimo io.- la fermò, accettando però l’invito.
-Ma io…- protestò con la consueta energia Evans.
-Ben detto, ragazzo, i giovani d’oggi sembrano essersi dimenticati l’educazione. Posa pure le borse lì, dopo Lily ti farà vedere la stanza. Anne dice che prima, però, dovete prendere un the. Ciao tesoro.- li interruppe un uomo apparso nel nulla con un sorriso.
Appena finito di parlare si chinò per abbracciare la figlia, posandole un bacio sui capelli prima di presentarsi a sua volta.
-George Evans, piacere.- e gli allungò la mano.
-James Potter, signore. Piacere mio. E grazie per l’ospitalità.- rispose James.
-Non scherzare, ragazzo. Grazie a te abbiamo avuto l’occasione di riabbracciare la nostra Lily. Anne avrebbe fatto fuoco e fiamme se qualcosa avesse ti impedito di venire.- rise George, facendo loro strada verso il salotto.
Solo quando l’uomo si fu seduto James capì da chi aveva preso gli occhi Evans. In un primo momento, infatti, non aveva notato quel verde incredibile a causa degli occhiali che l’uomo portava.
-Tutto bene, James?- chiese la signora Evans, entrando in quel momento con un vassoio carico di tazzine e dolci.
-Cosa…oh, si…ecco…- adesso sentiva le orecchie andare letteralmente a fuoco.
Doveva essere quella casa, la situazione, l’idea di conoscere i suoi futuri suoceri, perché ormai era ovvio che lo sarebbero diventati, a metterlo così in agitazione. –Avevo sempre pensato che Lily avesse preso da lei gli occhi, invece…- rispose alla fine, desiderando soltanto sotterrarsi per aver dato voce ai suoi pensieri.
-Fortunatamente Lily ha preso gli occhi da George. Avevo sempre sperato che i miei figli li ereditassero, non trovi siano un colore bellissimo?- rispose ridendo la donna.
-Mamma, lascialo stare…- cercò di rimetterla in riga la figlia.
-Posso chiederti perché pensavi questo, ragazzo?- intervenne allora il signor Evans, interrompendo il divertito battibecco che si era scatenato tra le due donne probabilmente solo per evitare altre domante strane della moglie che avrebbero potuto mettere in imbarazzo uno dei due ragazzi.
-Oh è una cosa che dice sempre mia mamma…dice che sapeva che avrei avuto i suoi occhi perché è la tradizione dei Potter.  Avere gli occhi della madre, intendo. Papà infatti li ha blu, come nonna Disyde. Mi viene normale pensare che anche per gli altri sia così.- rispose più tranquillo.
-Una tradizione? Davvero? Oh, che bella cosa! Ed è capitato solo nelle ultime due generazioni o anche prima?- chiese curiosa la signora Evans, totalmente a suo agio a parlare di un mondo che le era estraneo.
Decisamente quella donna gli piaceva. Anche se sembrava vivere su un altro pianeta. Era talmente esuberante che non dimostrava affatto la sua età.
-Beh non ne sono sicuro, ma a casa di nonna abbiamo una galleria per i quadri degli antenati e credo che sia davvero una tradizione. Che io ricordi le ultime sette generazioni dei Potter, almeno, hanno sempre ereditato gli occhi dalla madre.- si concentrò sui vari ritratti che sua nonna gli aveva personalmente presentato perché la memoria del passato non andasse perduta. Ricordava che aveva più o meno cinque anni quando gli aveva iniziato a raccontare le storie dei suoi antenati.
-Ritratti? Si muovono davvero?- continuò a chiedere Anne, come se fosse all’ordine del giorno avere una galleria di ritratti in casa, per di più parlanti. Certo per lui lo era, però Remus gli aveva detto un sacco di volte che non lo era per i babbani.
-Mamma ora basta, lasciagli bere il the. Lo tormenterai di domande a cena…- la rimbrottò la figlia con un sorriso.
Era diversa Evans in quella casa.
Era sparita la rigidità delle spalle che la contraddistingueva a scuola, soprattutto da quando aveva ricevuto la spilla da Prefetto prima e Caposcuola poi.
E si vedeva che era felice di trovarsi insieme ai suoi genitori, anche se c’era lui di mezzo. Anzi non sembrava gli dispiacesse troppo, considerò con un sorriso.
Dopo aver bevuto il the, James sbirciò in giro sotto l’allegra supervisione di Anne, come continuava a ricordargli, e non signora Evans, e che gli spiegava l’utilizzo dei vari oggetti che il ragazzo non aveva mai visto prima.
-Ma nemmeno le foto si muovono?- chiese a un certo punto, con lo sguardo fisso su una vecchia foto raffigurante due bambine. La più grande doveva essere Tunia, la sorella di Evans, anche se vedendola non l’avrebbe mai detto. Aveva i capelli scuri come il padre e gli occhi marrone della madre. Dal padre sembrava aver preso anche la compostezza, o almeno sembrava.
-Oh no, no, no…- ridacchiò la donna sempre più allegra -…vuoi vederne qualcuna?- chiese sottovoce, occhieggiando la figlia per assicurarsi che non stesse ascoltando.
James seguì il suo sguardo e la trovò intenta a raccontare al padre della scuola, dei voti, di tutto quel mondo strampalato da cui loro sembravano soltanto tagliati fuori. Gli erano bastati pochi minuti insieme a quella famiglia per capirlo. Non sapeva che magia Evans avesse fatto, ma i suoi anche se non capivano ogni cosa, se sua madre faceva domande a raffica sulle loro stranezze, se suo padre le chiedeva delle cose più innocue come i voti a scuola forse perché più vicini a lui, c’erano dentro.
Bastava l’affetto per la figlia a metterli a parte di quel mondo che non era il loro e dal quale sarebbero stati necessariamente sempre esclusi, che avrebbero visto solo nei racconti della figlia. E James sapeva che non era cosa da tutti, era segno di grande intelligenza.
Sorrise ad Anne e annuì, seguendola poi sul divano dove iniziarono a sfogliare un vecchio album.
Che Evans a undici anni fosse carina già lo sapeva. Ma da piccola era uno splendore, tutta sorrisi e occhi verdi. La bambina più bella che avesse mai visto, ma forse era di parte.
-Qui eravamo al mare, Lily aveva quattro anni. Non voleva mai uscire dall’acqua. Oh, e questa aveva dieci anni e…- spiegava di ogni foto il ricordo che c’era dietro, senza curarsi di aprire non solo le porte di casa propria, ma anche i ricordi di famiglia a un estraneo.
-Mamma!- strillò Evans rendendosi improvvisamente contro che il loro peregrinare per il salotto era terminato, ma soprattutto vedendo cosa avessero tra le mani.
-Oh, Lily eri così carina!- cinguettò la donna sarcastica, allontanando l’album dalle mani della figlia e rifilando la patata bollente a James.
-Chiudilo! Potter chiudilo subito…ci sono…- si stava allungando la ragazza per essere letteralmente gelata dalle parole del ragazzo, che intanto aveva continuato a sfogliare interessato le pagine.
-Evans! Il tuo primo giorno di scuola!- rise, contento finalmente di trovare qualcosa in quelle care pagine, in cui bene o male anche lui facesse parte.
-Cosa? Oddio…chiudi chiudi chiudi…quella foto è veramente…- gli si avvicinò ancora di più, sgomenta, cercando di strappargli di mano l’album.
James però la batté sul tempo e, sotto lo sguardo stranito dei genitori di lei, si alzò di scatto, per meglio impedirle di raggiungere il tesoro.
-Potter, se non mi dai immediatamente quell’album, io…- lo minacciò, senza però riuscire ad adottare il tono rompiscatole e inflessibile che la contraddistingueva nel ruolo di Caposcuola.
-Cosa? Non puoi mettermi in punizione…- le ricordò ridendo, sgusciando da una parte all’altra per evitare i suoi attacchi a sorpresa.
Per Merlino, se era veloce. E aveva ottimi riflessi…
-Smettila di prendermi in giro! Quella foto è inguardabile e quelle dopo anche peggio. Ho sempre una smorfia in faccia, quando mi costringono a mettermi in posa…- gli spiegò, sperando forse di ottenere così il bottino.
James per tutta risposta si immobilizzò e le aprì davanti al viso l’album, proprio alla pagina incriminata del primo giorno di scuola.
-E’ bella questa foto.- dichiarò convinto - Per tutto il primo anno hai avuto questo sguardo. Sembravi non credere a niente di quello che ti stava accadendo. Eppure non ti ho mai visto a disagio. Sono a casa, è questo che gridava il tuo sguardo. Non sembravi mai a disagio come tutti gli altri.- le spiegò, lasciandola di stucco.
-Lo ero, invece.- gli rispose rubandogli finalmente l’album, con un sorriso in viso, apparso dopo le sue parole.
-Beh, non sembrava. Solo questo importava…se ne avessero avuto l’occasione ti avrebbero fatta a pezzi.- commentò lui alzando le spalle.
-Come ha fatto Black con Severus, intendi?- gli rispose piccata.
-Lily, non usare quel tono…James è un ospite!- la riprese la madre più per abitudine che altro, guardando però stupita i due ragazzi. Soprattutto la figlia e lo strano modo con cui si rapportava con quel ragazzo.
James scrollò le spalle rispondendo a sua volta –A undici anni si è degli imbecilli.-
Sapeva che non si riferiva a quell’episodio ormai perso nel tempo e quasi del tutto cancellato dai loro ricordi.
Sapeva perfettamente che Evans si riferiva a quello che era successo solo poche ore prima sul treno, ma non voleva toccare l’argomento. Non ancora. Non voleva rovinare quel clima sereno che si era instaurato tra loro da quando avevano messo piede in quella casa.
Forse era sbagliato, infantile o stupido, ma voleva solo godersi il momento, niente altro.
Il resto del mondo poteva anche aspettare. Spiegarle, anche.
 
 
 











 
 
ANGOL O AUTRICE.
Ce l’ho fatto, quando invece cominciavo a disperare. Mi consolo dicendo che almeno non ho atteso tanto come per gli ultimi due aggiornamenti.
Come avrete modo di leggere questo è un capitolo di transizione ed è pure più corto del solito, non c’è molto da dire. Mi rifiuto di scrivere “Sono pessima” di nuovo, anche se sarebbe proprio il caso.
Finalmente è iniziata la settimana tra babbani e James conosce i “futuri suoceri”, come ormai sono stati inconsapevolmente battezzati. Cosa ne pensate? La casa signora Evans sembra troppo fuori di testa? Ho cercato di rimanere fedele al libro, anche se non ho trovato informazioni sui nonni, a parte che i genitori di Lily l’avevano accettata più che bene. Erano orgogliosi, parola di Petunia, “Abbiamo una strega in famiglia!” urla isterica nel primo film.
Tutti i nodi verranno al pettine, non temete. Anche se ho preferito evitare un confronto immediato.
Mi lasciate un commentino?
Un bacio, Rebecca.

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Capitolo 21
*** Madre serpente, Decreti di Segretezza e dodicenni ***


 

 
 
 
 
 
 





 
 
 
 
 
Lily sapeva che quella cena sarebbe stata tremenda, dopotutto lasciare a sua madre il campo libero su un terreno sconosciuto e che la divertita e sconvolgeva insieme come il mondo magico, di fronte a un mago che come Potter non aveva mai visto niente di anche solo lontanamente normale, era una pazzia. Aveva già messo in conto sul treno che lo avrebbe tartassato di domande più o meno imbarazzanti, che gli avrebbe esposto tutte le sue idee su come migliorare il servizio scolastico e, beh altre cose simili. Ma certo non aveva immaginato niente del genere. E che sua madre avesse complottato per tenerla all’oscuro fino all’ultimo, era stata una vera carognata. Ideale per un matricidio. Sarebbe stata espulsa da Hogwarts per aver infranto il Decreto di Segretezza, forse le avrebbero addirittura ritirato la bacchetta! Ah se non fosse stato per suo padre e per il suo buon senso…
Con quei pensieri in testa la ragazza lasciò il padre con cui aveva ingaggiato una partita a scacchi, vinta impietosamente dall’uomo come ogni volta da che aveva imparato a giocare senza far volare via i pezzi per dispetto all’approssimarsi di una sconfitta, e si fiondò quasi isterica al piano di sopra, meta la stanza degli ospiti vicino alla sua camera che sua madre, quella serpe, aveva preparato per James. Lily sperò solo che non si fosse ucciso con le tende o la radiosveglia. O che non si fosse soffocato con le camice da riporre nell’armadio, aveva anche pensato di aiutarlo giusto una mezz’ora prima, quando aveva realizzato che forse non l’aveva mai fatto in tutta la vita, ma poi aveva preferito rimandare il momento in cui si sarebbero ritrovati da soli e forse le avrebbe voluto parlare di quella orribile scenata che aveva fatto sul treno.
-Pott…- la voce, beh più l’urlo in realtà, con cui era entrata nella stanza, le morì in gola vedendo il ragazzo.
James Potter non si era soffocato nelle camice. Né si era ucciso in qualche improbabile modo.
Stava dormendo. Stava semplicemente dormendo e sembrava un bambino.
Non aveva mai visto Potter con quel viso tranquillo, nemmeno i primi giorni di scuola quando ancora un bambino lo era.
E venne facile immaginarselo ancora piccolo, molto più piccolo di quanto potesse ricordarlo. Con quei capelli scuri che non volevano saperne di stare a posto e gli occhi scuri ridenti. Ecco quelli, i suoi occhi, li immaginava esattamente come erano adesso, come li vedeva ogni giorno. Avrebbe scommesso che non sarebbero mai cambiati. Probabilmente anche suo figlio li avrebbe avuti, Lily ce lo vedeva con un frugoletto tra le braccia, a riempirgli la testa di fesserie e piani diabolici, istigandolo ancora in culla a organizzare retate contro i Serpeverdi e raccontandogli le sue gesta. Quel bambino sarebbe stato un piccolo teppista ancora prima di rendersene conto, eppure sapeva, lo sentiva dentro nel cuore, in testa e nella pancia, che l’avrebbe amato. Magari avrebbe avuto gli occhi verdi come i suoi…
Lily si riscosse di fronte a quel pensiero. Cosa diavolo le stava succedendo? Aveva davvero appena pensato a un piccolo mostriciattolo Potter con i suoi occhi? Era impazzita?
Va bene, stava rivalutando le sue posizioni, le stava scardinando completamente in realtà, ma tra pensare di potergli dare una possibilità, magari provare a uscire insieme, baciarlo anche, e un futuro insieme a così lunga scadenza, un figlio, una famiglia addirittura…era…da pazzi, appunto.
Scuotendo il capo cercò di scacciare quei pensieri curiosando intorno. La borsa che si era portato dietro sembrava esplosa e il contenuto si era sparso per tutta la stanza. Su un paio di camice ci stava pure dormendo, quell’impiastro. Avrebbe chiesto a sua madre di stirarle…
Sua madre. Lily tornò alla realtà e al motivo per cui si era fiondata come una pazza nella stanza, preferendo forse non averlo fatto, la voglia di scendere in cucina urlandole di disdire tutto quel circo tornava a farsi sentire ogni secondo più potente del precedente.
Raccogliendo un paio di pantaloni e magliette nel tragitto fino al letto, ignorando volutamente i boxer del ragazzo che pure erano a terra ben visibili in quel marasma di abiti per il colore rosso su cui spiccavano svolazzanti boccini dorati, gli si sedette accanto scuotendolo piano.
Era un vero peccato svegliarlo. Con quell’espressione rilassata era un angioletto, tutta apparenza ovviamente, ed era veramente dolce.
-Potter…Potter, sveglia.- provò di nuovo la ragazza.
-Mmmmh…- borbottò lui senza svegliarsi. Si limitò ad accigliarsi, mostrando il fastidio.
-Ma tua guarda questo!- borbottò a sua volta Lily, indignata che la sua gentilezza non sortisse gli effetti auspicati.
Provò ancora a svegliarlo con scosse leggere alla spalla e voce tranquilla, ignorando che in sette anni di convivenza l’unico modo trovato da Remus per svegliare James e il suo degno compare velocemente e senza urlar loro dietro era rubar loro il cuscino, custoditi come reliquie e senza i quali non riuscivano a prendere sonno nemmeno dopo una partita di Quidditch, e sorrise soddisfatta quando il ragazzo articolò il suo nome, convinta di aver portato a compimento la titanica impresa.
-Ehi, è successo un…- iniziò prima di prendere coscienza con la realtà. Stava dormendo. Stava ancora dormendo. Aveva detto il suo nome, ma stava…quella era una congiura! E lui stava davvero esagerando! D’accordo indurla con l’inganno a immaginare un loro ipotetico figlio, ma ora anche quello! Cos’è, la stava sognando? L’indignazione iniziale fu sostituita dalla tenerezza, anche se le risultava difficile conciliare l’immagine che aveva di fronte in quel momento a quelle che aveva avuto davanti da che lo conosceva.
-Ehi, Pott…James, sveglia.- sussurrò di nuovo la ragazza, con un sorriso.
Remus si sarebbe mangiato le mani, in quel momento, ma Lily non lo poteva sapere. Nessuno prima di lei poteva vantare un successo del genere in quel campo soltanto con qualche parola.
-Ehi.- le disse assonnato, stropicciandosi gli occhi con un pugno, esattamente come un bambino, e con un sorriso felice che gli aveva visto di rado.
-Ehi, hai dormito bene?- le chiese lei con lo stesso tono sommesso.
James sorrise di nuovo e allungò una mano verso di lei.
-Sei bella.- le disse tranquillo, riuscendo a farla arrossire più per come l’aveva detto che per il complimento in sé, accarezzandole una guancia.
Alice le diceva spesso che il cervello era la sua pecca e il suo pregio insieme, perché finiva per pensare anche quando non era necessario. Le ricordava sempre che se l’uomo era dotato dell’istinto era perché lo usasse. Da dove Alice tirasse fuori quelle convinzioni pseudo filosofiche , lei che non sapeva nemmeno cosa fosse la filosofia, Lily non sapeva spiegarselo anche se non aveva mai dubitato del cervello dell’amica per quanto a volte troppo impegnato nel seguire il gossip scolastico, eppure quelle parole le tornarono alla mente proprio in quel momento.
L’istinto, con Potter, l’aveva sempre seguito troppo o affatto. Con lui non c’erano mai state vie di mezzo, solo le posizioni più radicali, e anche se forse nell’ultimo periodo non l’aveva più sbattuto in punizione né aveva desiderato scaraventarlo da una delle finestre della Torre di Grifondoro erano sempre gli eccessi a guidarla con lui. Non conosceva nessun altro modo per relazionarsi con lui, alternava momenti in cui gli confessava cose che solo le sue migliori amiche conoscevano e altre che risultavano scomode da ammettere perfino con se stessa, come quando gli aveva chiesto una possibilità, ad altri in cui dosava ogni parola, perfino i respiri, come alcune ore prima in taxi. Come in quel momento.
Eppure la sua mano si trovò di nuovo preda di quell’istinto che veniva a galla solo con lui.
I capelli del ragazzo erano soffici sotto le sue dita. Sentiva il suo respiro caldo sul polso. E vedeva gli occhi di Potter non più assonnati, ma stupiti come probabilmente dovevano essere i suoi. Sembrava ancora il bambino addormentato di poco prima. E aveva una voglia incredibile di abbracciarlo.
A impedirlo non fu la vocetta acuta della sua coscienza che spesso le faceva visita nei momenti meno opportuni, ma l’allegro squillo del campanello che ruppe il silenzio in cui erano immersi, facendo saltare James dal letto, totalmente estraneo a tutti quegli squillanti e inopportuni rumori che contraddistinguevano casa Evans, come ogni altra casa babbana.
-Lily!!! E’ arrivata…- urlò sua madre dalle scale, ma la ragazza non la sentì, ancora incredula di quella strana sensazione che li aveva avvolti. Come una calda coperta.
-Dobbiamo scendere?- le chiese il ragazzo, guardandola curioso, probabilmente per capire cosa le stesse succedendo, scendendo contemporaneamente dal letto e cercando di sistemarsi i capelli. Anche lei se lo stava chiedendo, cosa le stesse succedendo. Anche lei avrebbe voluto conoscere la risposta.
Lontana da lui, dal suo profumo, dai suoi occhi, dal suo calore, che fino a pochi secondi prima l’aveva avvolta, Lily riuscì a far ripartire il cervello, ricordandole che doveva se non salvare Potter, cosa impossibile a quel punto, almeno cercare di limitare i danni, sperando che prima o poi la perdonasse per quello che stava per fargli patire.
-Dobbiamo uscire. Subito.- gli disse invece, porgendogli la maglietta che aveva raccolto poco prima e studiando i pantaloni che invece aveva addosso di fattura particolare, ma comunque non così chiaramente magica sentenziando –Accettabili. Ma cambiati la camicia, ti aspetto qui fuori.- continuò prima di girargli le spalle e lasciare la stanza, cercando di riprendersi completamente e guardando preoccupata le scale sperando di avere abbastanza tempo per uscire di casa senza essere catturati.
-Ehi, Evans, ma…- la chiamò Potter sulla soglia della sua camera, con ancora in mano la maglia rossa di poco prima e ancora addosso la camicia recante lo stemma della scuola.
Ma era completamente stupido, per caso?
-Shhh!! Cambiati, cavolo! Non abbiamo molto tempo!- gli intimò sussurrando di nuovo spingendolo poco gentilmente dentro la stanza.
Dieci secondi dopo lui non era ancora uscito e Lily si indispettiva ogni secondo di più così bussò alla porta proprio nel momento in cui il ragazzo la aprì. Trovandosi di nuovo in una prossimità troppo…vicina.
-Evans, sei sicura di stare bene?- le chiese di nuovo preoccupato.
-Vieni, prima che mia zia o chiunque sia di sotto decida di venire a cercarmi.- e così dicendo lo prese per mano trascinandolo nella sua stanza dove aprì la finestra e si sporse fuori.
-Sai arrampicarti, Potter? Perché non possiamo usare la porta principale e questa è l’unica via.- gli chiese dopo essersi assicurata che nessuno dei suoi parenti avesse deciso di parcheggiare sul retro.
Al suo cenno d’assenso scavalcò il davanzale aspettando che lui facesse altrettanto prima di cominciare a muoversi con attenzione lungo il tetto della veranda.
La discesa era semplice, da bambina lei e Petunia erano uscite un’infinità di volte così, ma meglio essere sicuri. Una gamba rotta non era proprio quello che serviva loro in quel momento. Tempo due minuti i due ragazzi si ritrovarono in strada, abbastanza lontani da casa perché Lily potesse finalmente rilassare le spalle e perché James iniziasse a pretendere spiegazioni.
Non poteva dargli torto. Aveva iniziato a dargli ordini senza spiegazione alcuna e con lo stesso metodo l’aveva fatto uscire da casa come un ladro.
Con un sospiro Lily si fermò per guardarlo, fermamente decisa a fargli capire il casino in cui quella maledetta di sua madre li aveva cacciati. Lui soprattutto.
-Stasera a cena vengono i miei parenti, Potter.- gli disse in tono lugubremente rassegnato.
-E ti vergogni a presentarmi loro?- le chiese lui con una voce strana, ma senza una sola emozione in volto. Lui che invece sorrideva sempre.
-Cosa? No! Loro…Potter loro non sanno che sono una strega.- gli confessò tutto d’un fiato.
Lo vide sorridere, probabilmente felice della sua immediata e sincera negazione, per poi cogliere il significato di quanto aveva detto.
-Perché no? I tuoi sono così orgogliosi di te, perché nasconderlo?- le chiese sinceramente stupito, e forse anche indignato.
Ci vollero dieci secondi perché sul suo viso si accendesse la luce della comprensione.
-Oh.- disse soltanto prima di riprendere a camminarle a fianco, stringendole la mano e iniziando a trascinarsela dietro almeno inizialmente senza meta.
C’era ancora tempo prima di cena. Potevano camminare un po’ prima di dirigersi dove dovevano. Poteva aspettare ancora un po’ per costringerlo ancora a fare qualcosa per lei, per chiedergli di fingere di essere chi non era.
 
 
 
 


 

 
 

***

 
 





 
 
 
 
 
 
Dalla sua aveva il fatto che non era abituato a pensare troppo al Decreto per la Segretezza Magica. Non ne aveva motivo, infondo. Lui viveva a Godric’s Hallow, in una famiglia di maghi, in un villaggio di maghi. Non aveva mai pensato che per chi invece aveva genitori babbani non era così facile. Sapeva che molti di loro non erano proprio accettati dalle famiglie, sapeva che a volte dovevano lottare per tornare ogni anno a scuola, ma non aveva mai pensato a quello. Che dovevano mentire a parte della propria famiglia per evitare il diffondersi di notizie scomode e isteria.
E sapere che Evans doveva farlo non gli piaceva nemmeno un po’. E allo stesso tempo ne era contento, perché se lei non fosse stata una strega non l’avrebbe mai conosciuta.
E un'altra parte ancora di lui, quella più infantile ed egoista, era felice che l’avesse trascinato fuori per spiegargli tutto e non perché voleva impedirgli di conoscere la sua famiglia.
-Cosa hanno raccontato i tuoi per la tua assenza?- le chiese curioso, dopo un po’, rompendo il silenzio senza accennare a lasciarla andare.
Di certo lui non avrebbe mollato la presa fino a che non l’avesse fatto lei. Perché negarsi di averla finalmente vicina quanto anche lei sembrava apprezzarlo? Gli aveva chiesto una possibilità, no?
-Che frequento una scuola speciale, non sono scesi nei dettagli all’inizio, ma visto che a scuola ero sempre andata bene i miei zii hanno pensato che fosse una scuola per ragazzi più dotati dalla media e mamma e papà non hanno smentito. E visto che in Scozia esiste davvero un collegio del genere, hanno anche trovato il modo di spiegare la mia assenza per nove mesi l’anno.- gli spiegò lei finalmente rilassata.
-Allora non hanno nemmeno mentito, non credi? Hogwarts è davvero una scuola per ragazzi dotati e si trova in Scozia. Alla fine avete detto loro la verità.- le disse allegro.
-Già. Non l’avevo mai vista da questo punto di vista. Con te capita spesso, come quando mi hai portato nelle cucine…- commentò rispondendo al suo sorriso.
-Vedi sempre in bianco e nero, Evans. Ti perdi tutte le sfumature.- le prese in giro James tirandole la mano per avvicinarla un po’ più a se.
-E tu vedi solo le sfumature. O almeno sembra.- rispose seria, senza però scostarsi.
-Sembra?-
-Vivi di sfumature. Sei uno scapestrato vanesio buffone però quanto ne i tuoi amici hanno bisogno sei sempre il primo a notarlo, riesci a farlo anche con me. Parli in continuazione, ma ultimamente hai imparato ad accettare i miei silenzi senza intontirmi di parole. Combini disastri uno dietro l’altro infischiandotene di Remus che tenta di metterti in riga, ma raramente ti ho visto superare davvero il limite. Odi i Serpeverde, tanto da rischiare le sospensioni di Madama Bumb per difendere le mosse scorrette dei tuoi giocatori sul campo di Quidditch. Tu e Black organizzate retate contro di loro con ogni scusa, ignorando il copri fuoco, le miei punizioni e le minacce della professoressa McGrannitt. Eppure ti ho visto più volte aiutare i primini di quella stessa casa a trovare la classe giusta. Ti ho visto fermarti a parlare con un paio di ragazzini di quella stessa casa che ti adorano per consigliare loro una scopa nuova. Ti ho visto informare le ragazzine dei primi tre anni di quella stessa casa di girare a largo dalla loro Sala Comune per evitar loro uno scherzo particolarmente pesante o schifoso, come quando l’hai riempita di rane al quarto. Vivi di sfumature. Tutte queste lo sono. E non ci credo che fai così perché sei stupido e non conosci il significato di coerenza. I tuoi voti a scuola smentirebbero questa possibilità anche se non riuscissi a leggerlo nei tuoi occhi quanto sei intelligente, che gran mago sei...- gli spiegò appassionata, le guance che diventavano sempre più rosse e gli occhi che brillavano per l’enfasi con cui stava parlando.
Ed era bella. E sapere che era così per lui…era un sogno.
Si bloccò di nuovo, le tirò di nuovo la mano. Doveva baciarla. Voleva baciarla. Soprattutto dopo tutto quello che aveva detto.
Aveva aspettato anni perché lei si aprisse abbastanza con lui, perché volesse andare oltre i pregiudizi. E aveva aspettato anni quello.
Avrebbe però voluto non essere in mezzo a una strada per poterla baciare come si doveva, per stringerla a sé e come ogni volta rimanere stupito della sua risposta immediata invece che ricevere uno schiaffo o un calcio negli stinchi, ancora incredulo che quella che aveva tra le braccia era davvero Evans e non un sogno. Così si accontentò di un bacio leggero, a fior di labbra, che nemmeno poteva essere definito un bacio vero, prima di lasciarla andare e riprendere a camminare.
-Evans?- le chiese con ancora il suo sapore sulle labbra.
-Cosa?-
-Posso chiamarti Lily?- sentiva il viso rovente per quella richiesta, come un bambino di fronte al primo amore della sua vita, beh non che fosse poi così lontano dalla verità.
Lei lo guardò stupita per qualche strano motivo, eppure non era la richiesta più strana che le avesse mai rivolto, per poi sorridere per lo stesso strano motivo che non era ancora riuscito a decifrare.
-Avresti dovuto farmi questa domanda anni fa.- gli rispose dopo aver annuito.
Anni fa. Al primo anno quando si erano ritrovati allo stesso tavolo dopo lo smistamento aveva iniziato a parlarle felice di averla vicina, inserendola nei discorsi strampalati di Sirius e quelli più logici di Remus, desiderando con tutto se stesso di farle dimenticare che quell’idiota di Piton era al tavolo più inaccessibile di tutti.
-Ti avevo detto che saresti finita a Grifondoro.- commentò sorridendo a sua volta.
-Oh certo, la tua valutazione basata sul colore delle calze che indossavo era veramente attenta.- ribattè ironica la ragazza.
-Per favore, Evans! Bastava guardarti per capire dove saresti finita, ce l’avevi negli occhi. Il colore delle calze era solo una scusa per guardarti le gambe!- scherzò lui alzando le braccia sopra la testa per parare lo schiaffo di lei.
-Sei un pervertito, Potter.- gli rispose ridendo continuando a provare a colpirlo, senza successo visti i riflessi di quello stupido.
James la guardò felice, cosciente che quella fosse la prima volta che la vedeva così tranquilla e a suo agio vicino a lui, tanto da arrivare a scherzare così liberamente.
Le prese un braccio a tradimento sbilanciandola abbastanza da farla appoggiare a sé per rubarle un altro bacio a stampo, quasi a voler suggellare il momento.
-Comunque era una balla. Quella sera mi aveva conquistato il tuo cappello. Le tue gambe lo hanno fatto al quarto anno.- confessò con un sogghigno.
-Stupido.- borbottò ancora lei, senza però perdere il sorriso mentre si allontanava un po’.
Probabilmente anche lei ricordava che in quel periodo aveva iniziato a farle i dispetti come un dodicenne, a volte alzandole perfino la gonna solo per farla arrabbiare. Beh la prima volta era stata per farla arrabbiare, già immaginandosi le urla isteriche che gli avrebbe rivolto, le altre invece avevano usato quella scusa solo per…inutile girarci intorno. Voleva vedere cosa c’era sotto, quella gonna.
 
 
 
 
 
 



 
 
 



 
 


 
ANGOLO AUTRICE.
So di essere in ritardo. Terribilmente. E per questo immagino che tante di voi, che mi seguivano quando ancora conoscevo il significato della parola puntualità e perché no anche dell’espressione aggiornamenti settimanali, si siano stufate e mi abbiano abbandonate. Beh, avete fatto bene. Lo avrei fatto anche io.
Per chi invece ha ancora la voglia di seguirmi, anche se dovrei parlare soprattutto di pazienza, non posso che scusarmi nuovamente. L’esame di maturità si sta avvicinando, tra crisi e ansie varie, e non ho materialmente il tempo per scrivere. È per questo che questo capitolo ha avuto una gestazione così lunga.
E già non so quanto aggiornerò di nuovo. Anzi probabilmente non lo farò fino a metà luglio, insomma orali passati, anche se non ci metterei la mano sul fuoco.
Non posso che chiedervi ancora scusa per il ritardo, promettendovi che superato l’incubo ricomincerò a rispettare gli impegni presi e aggiornando spesso come piace anche a me. Non metto commenti al capitolo perché penso parli da solo e non voglio ammorbarvi troppo.
Spero che questo capitolo vi piaccia quanto è piaciuto a me scriverlo, nonostante tutto.
Spero che abbiate voglia di concedermi ancora un po’ del vostro tempo, leggendo, aspettandomi ancora, o scrivendo anche solo due righe che sia.
Spero che da voi sia bel tempo e faccia caldo così che possiate andarvene in spiaggia. Lo farei anche io, il mare in Versilia è bellissimo in questo periodo, se invece non fossi incatenata ai libri.
Vi mando un bacio. Magari mandatemi voi un in bocca al lupo, che non sono mai abbastanza!
Rebecca.



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Capitolo 22
*** Primi passi ***


 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Vieni dobbiamo andare di qua.- disse a un certo punto Lily, svoltando sicura a un incrocio dopo aver nuovamente evitato di far finire Potter sotto una macchina.
-Ma dove stiamo andando?- le chiese il ragazzo stranito, continuando a camminarle vicino.
Lily non riusciva a capire se lo stesse facendo per averla vicina come aveva fatto da che avevano lasciato casa, soprattutto dopo quei due baci che si era preso, o perché temesse di perdersi come poco prima quando un gruppo di vecchi turisti tedeschi li avevano divisi e lui si era ritrovato in un sexy shop. L’unico nel giro di chilometri.
Lily avrebbe giurato che l’avesse fatto a posta, era un ragazzo dopotutto. E lei non si era mai sentita così tanto in imbarazzo come in quel momento. Se pensava che era dovuta entrare a ripescarlo in un negozio del genere, sopportato le occhiatine maliziose del proprietario quando l’aveva beccato con un paio di manette in mano e perfino quelle di una cinquantenne che le aveva consigliato di legare lui, a un letto, per evitare che qualcun’altra se lo portasse via. Dallo sguardo assatanato che aveva lanciato al ragazzo poteva benissimo immaginare che si riferisse a se stessa e, per Merlino, poteva essere sua madre!
-Evans, ma sei sempre arrabbiata per prima?- chiese ancora con una faccia da cucciolo abbandonato che le gridava a gran voce di perdonarlo per qualunque cosa avesse fatto.
-Taci!- gli sibilò in risposta, cercando di dimenticare la scena che era seguita alla battuta di quella donna.
Idiota. Quel ragazzo era solo un idiota. E in quel momento avrebbe solo voluto strozzarlo.
Lui per tutta risposta ridacchiò passandole un braccio sulla vita e stringendosela al fianco prima di dire divertito –Sembrava pietrificata. Ammettilo, è stato divertente!-
E ridacchiò ancora cercando di schivare i suoi colpi che questa volta puntavano a fargli almeno un po’ male, non come poco prima quando stava solo scherzando conscia che non l’avrebbe colpito nemmeno a pagarlo visti i suoi riflessi.
Divertente. Quell’idiota lo trovava divertente.
 
 
 
 
 
 

-Tesoro dovresti proprio comprarle, quelle manette. Le altre non potrebbero metterci le mani sopra e tu potresti provvidenzialmente dimenticare dove hai messo le chiavi.- aveva detto quella donna, con una chioma rosso fuoco chiaramente tinta, lanciando uno sguardo a Potter che lo invitava a usarle su di lei,quelle manette.
Vecchia befana!Pensò Lily irritata da quello sguardo insistente.
Potter non sembrava nemmeno sentirlo, invece, tutto intento a curiosare intorno con lo sguardo con ancora il bottino tra le mani.
-Andiamo.- intimò al ragazzo.
-O via dolcezza, non vergognarti. È normale fare nuove esperienze alla vostra età.- le aveva detto ridacchiando il proprietario godendosi la scena.
Lily si era sentita avvampare e aveva preso a tirarselo appresso. Non abbastanza in fretta da non sentire il nuovo commento della donna –Con un tipo del genere le proverei anche io…se vuoi favorire, ragazzino, non hai che da chiedere…-
James le aveva sbattuto sulla schiena quando lei aveva bloccato la sua marcia, ghiacciata da un commento del genere. Per Morgana non si aspettava certo che a frequentare posti del genere fossero distinti signori con cui poter parlare di libri o letteratura e nemmeno donne dedite solo alla casa e alla famiglia, ma non aveva un minimo di decenza?
-Sono davvero lusingato della proposta, signora, ma ho già trovato la donna della mia vita.- le aveva risposto con un sorriso e il tono cortese di un altro tempo il ragazzo.
Per tutta risposta la donna era arrossita, sembrava un dono di Potter far arrossire le donne soltanto modulando il tono di voce, e il proprietario aveva riso tuonando –Allora vedi di tenertela stretta, ragazzo. Tieni omaggio della casa, che possano servire allo scopo.- e gli aveva lanciato un paio di manette simili a quelle che aveva in mano poco prima.

 
 
 
 
 
 
 
 
-Non posso credere che tu abbia davvero preso quelle…quelle…- sibilò Lily allontanando i ricordi troppo recenti perché potesse affrontarli con una risata, sempre ammettendo che sarebbe mai riuscita a farlo.
-E’ stato gentile. Voleva assicurarsi che non ti facessi scappare.- disse in risposta lui, scrollando le spalle indifferente alla cosa.
-Legarmi a letto non è la soluzione più intelligente per farlo...- cominciò lei tirando fuori il tono da Prefetto Perfetto che usava quando stava per rifilargli una punizione particolarmente sadica.
-Forse, ma certamente sarebbe il più divertente.- la interruppe ammiccando.
Lily gli lanciò uno sguardo omicida consapevole di avere i capelli e le guance della stessa tonalità, odiava quando tirava fuori quel tono arrogante e sicuro di sé che da sempre associava a James-Quanto-Sono-Figo-Potter e non al Potter che aveva avuto accanto fino a una mezzora prima, ma finse di non averlo sentito per continuare con lo stesso tono assassino -…mi libererei e ti spaccherei la faccia. E ti assicuro che farei un lavoro fantastico.-
-Scommetto che il lavoretto di Mulciber sarebbe niente al confronto.- le disse con lo stesso sorriso arrogante di poco prima.
Lily ricordava quell’episodio.
Erano ancora al terzo anno e lei voleva sopra ogni altra cosa schiantare quel deficiente di Potter, tutto preso dal camminare tronfio per i corridoi insieme al suo amichetto e farle scherzi idioti come rendere i suoi libri di Pozioni luminescenti.
Ricordava che in quel periodo lui aveva preso a uscire con Althea Monroe, Corvonero del quinto anno, stupida come un Troll tanto che tutti si chiedevano come fosse potuta finire in quella casa, ma bella come una Veela.
Era stata proprio la bella Althea la causa di tutto.
Leuis Mulciber, Serpeverde del settimo anno, amico di Bellatrix Black da quanto i due avevano messo piede a scuola e vicino alla cricca di Lucius Malfoy per quanto il loro legame fosse dovuto ai vantaggi che entrambi ne ricavavano, poteva anche vantarsi del titolo di ex fidanzato della sopracitata principessa.
Sapere che la ragazza usciva con un nuovo ragazzo, con un nuovo ragazzo più piccolo, con un nuovo ragazzo più piccolo di Grifondoro, ma soprattutto con un nuovo ragazzo più piccolo di Grifondoro che rispondeva al nome di Potter l’aveva fatto andare fuori di testa. E Potter si era ritrovato in un lago di sangue nei bagni al sesto piano e il naso rotto era stato il minore dei suoi problemi.
Mulciber era stato sospeso per tre mesi, giocandosi l’anno scolastico, ma non il diploma grazie alle amicizie del padre che ne avevano impedito l’espulsione, ma Potter era rimasto in infermeria per due settimane, sotto lo sguardo attento e preoccupato della giovane nuova infermiera, Madama Chips. Che a detta di Black aveva addirittura pianto lacrime di preoccupazione per il suo studente combina guai preferito. Potter non aveva detto niente al riguardo, ma da allora la chiama furbescamente Poppy, sordo ai rimbrotti della donna ogni volta che si presentava dopo una partita di Quidditich o una delle sue diavolerie finite male sorridendo cinguettante per convincerla a rimetterlo nuovamente insieme.
-Non dovresti scherzarci sopra.- gli disse seria, ripensando al collage di ematomi e tagli freschi che aveva in faccia quando lei l’aveva trovato ancora nel bagno richiamata dal fantasma del Frate Grasso che aveva visto la scena.
-Non ti ho mai ringraziato, per quella volta.- le disse quasi non avesse sentito le parole della ragazza.
-Io non ti ho mai chiesto scusa per la scenata al lago, al quarto anno. E non l’ho fatto nemmeno con Black, stamattina.- rispose con lo stesso tono.
Non sapeva perché l’aveva detto.
Non voleva affrontare quel discorso, dopotutto avevano passato un bel pomeriggio insieme fino ad allora. Perseverare in quella conversazione sarebbe stato diabolico. E sembrò pensarlo anche lui, eppure non lasciò perdere.
-Quel giorno sono stato un idiota. Sapevo di stare tirando troppo la corda, ma non mi importava. Io e Sirius ci annoiavamo e Piton non ci piace. Prendercela con lui era divertente.- le disse con tono incolore, fermandosi nel mezzo del marciapiede, fortunatamente vuoto vista l’ora.
-Stai scherzando? Tutto quello solo per noia?- gli chiese incredula.
Eppure lo sapeva che riusciva a essere stronzo davvero. Così come sapeva che adesso era diverso, forse perché era cresciuto o perché non gli interessava più tanto ridicolizzarlo.
-Non fare la stupida, Evans, sapevi benissimo perché me la stessi prendendo così con Piton. Ma non voglio mentirti, quindi eccoti la mia verità. Mi annoiavo e renderlo ridicolo di fronte a tutta la scuola, e anche a te, mi sembrava giusto. Mi sembrava giusto perché lui poteva girarti intorno e starti vicino ogni volta che voleva. Perché aveva amici schifosi, solo interessati alla purezza del sangue, ma non sembrava importarti. Perché trattava quelli come te come feccia, ma mai quando tu eri presente. Perché mostrartelo per il debole che era, incapace di farsi valere, di combattere per te, lui che poteva, magari ti avrebbe aperto gli occhi. Lo facevo perché ero geloso marcio di Piton e non lo accettavo, perché era…Piton, per Morgana! Un signor nessuno che guardava gli altri come se lui fosse migliore di tutti, così debole da non osare attaccarmi a sua volta, ma pronto a rovinare la vita di…- si fermò, fingendo di riprendere fiato quando lei sapeva che invece l’aveva fatto solo per non svelare il segreto di Remus -…te l’ho detto. Non voglio mentirti e questa è la mia verità. Piton mi fa pena. Niente di quello che dirai o lui farà un giorno potrà farmi cambiare idea.-
La sua verità.
Potter aveva ragione, non era stupida e quella verità l’aveva già intuita, più o meno, ma tutto si sarebbe aspettata tranne che lui la ammettesse, candidamente, senza filtri né remore.
E inspiegabilmente ne fu orgogliosa, perché l’aveva ammesso. Orgogliosa perché era cresciuto. Orgogliosa perché era sincero, anche se era un azzardo. Ma soprattutto orgogliosa perché la riteneva degna della verità, della sua verità, senza filtri né remore.
-Volevo schiantarti all’inizio. Quello che stavi facendo era sbagliato eravate due contro uno e per di più era disarmato. Ti stavi comportando come uno stronzo e ti saresti meritato di essere ingoiato dalla piovra gigante “più per il fatto di esistere, non so se mi spiego… –cominciò allora Lily decisa a fare altrettanto, usando volontariamente le stesse parole usate da lui allora per mostrargli quanto ogni particolare di quel giorno fosse impresso nella sua memoria -…ma poi…mi rendevo conto che non era giusto scaricarti addosso tutta la colpa, che mi stavo comportando da stronza come te poco prima. Ma era più facile pensare che fossi davvero tu la causa di tutto. Volevo crederci perché era stato Severus a ferirmi. Era stato il mio migliore amico a farlo, tu invece…-
-Ero solo Potter.- commentò con voce incolore, senza però acrimonia, sembrava si stesse limitando a constatare l’ovvio.
-No! Eri lo stesso ragazzino che al primo anno mi aveva messo da parte per fare contento il suo amico. Così come stavi tormentando Severus solo per divertite Black. Pensare a questo, che l’avevi già fatto, mi rendeva più semplice escludere almeno in quel momento il disprezzo che avevo sentito nella parole di Piton. Urlarti addosso mi impediva di crollare davanti a tutti. Di salvare almeno l’orgoglio quanto ovviamente non ero stata in grado di salvare un’amicizia.- Lily sentiva un nodo in gola, ma non voleva piangere.
E, almeno quella volta, non per orgoglio. Semplicemente non voleva che Severus si mettesse in mezzo, non in un momento che apparteneva solo a loro due.
-Evans…- mormorò il ragazzo avvicinandosi e chinandosi lievemente per poterla osservare negli occhi che lei rivolgeva cocciutamente all’asfalto.
-Mi spiace, James. Avrei voluto chiederti scusa già dopo essermene andata, ma non ci riuscivo. E vedere che continuavi a comportarti come se niente fosse successo, con me così come con tutti gli altri, mi bloccava ancora di più.- confessò alla fine, stringendogli un polso e incontrando i suoi occhi nocciola.
-Era tutta una finta. Sono un ottimo attore, dopotutto.- le sorrise provando con una malriuscita battuta per alleggerire il tono.
-Non cambiare discorso. Io…- lo riprese lei.
-Evans, accetto le tue scuse, sebbene non le ritenga necessarie. Sono passati anni e anche se sul momento volevo solo rincorrerti per costringerti a rimangiarti tutto, ormai non importa più. Hai fatto bene a mettermi a posto, quel giorno. E grazie per essere stata così sincera adesso, ma per quanto mi riguarda non c’è altro da dire al riguardo.- continuò con il suo solito sorriso.
Lily capiva cosa volesse dire.
Erano passati quasi tre anni da quel giorno ed entrambi erano andati avanti, nonostante i rimpianti e le parole non dette fino a quel momento, che si erano portati dietro.
Aveva ragione. Non c’era niente altro da dire al riguardo.
-Evans, ma mi hai portato in giro solo per dirmi della cena di stasera? Potevi informarmi anche in casa, no?- le chiese lui decidendo che tornare a discorsi più leggeri era la cosa migliore, voltandosi su se stesso intenzionato a ritornare sui loro passi.
Effettivamente era un po’ tardi.
La cena, per Merlino!
-Hai detto che sei un ottimo attore, giusto?- gli chiese con lo stesso sguardo di ore prima, quando gli aveva proposta una scalata alternativa e senza rampini.
-Uhm, perché?- chiese ancora, annuendo e girando nuovamente su se stesso con le mani affossate nelle tasche dei pantaloni per riprendere a seguire la ragazza verso una meta ignota.
-Devo chiederti un favore, Potter.- cominciò la ragazza trascinandoselo dietro e fiondandosi in un negozio di abiti maschili che quasi non si notava, compresso com’era tra uno di fiori e l’angolo della strada.
Mentre Lily gli spiegava in cosa consistesse esattamente, quel favore, si caricò le braccia di vestiti babbani buttandoli insieme al ragazzo in un camerino con l’ordine –Provali e fammi vedere come ti stanno.- riprendendo poi a spiegargli come si sarebbe dovuto comportare quella sera.
-Evans, sono perfettamente in grado di sostenere una cena con sconosciuti! Ci sono nato in mezzo, praticamente!- si indignò dopo l’ennesimo consiglio di etichetta, uscendo dal camerino con la camicia ancora aperta per la buona pace di Lily e delle due commesse che passavano in quel momento.
Dopo qualche secondo persa in un altro mondo, fatto di lui in abiti decisamente troppo succinti per la sua pace interiore, la ragazza si riscosse riacquistando la sua naturale sarcastica verve –Comportandoti come un babbano, intendi?-
 
 
 
 
 





 
 
 
 
 

***

 
 
 
 
 






 
 
 
 
Quella frase bastò a zittire il ragazzo, che la guardò terrorizzato, realizzando per la prima volta cosa implicasse per lui.
Comportarsi come un babbano.
Davanti a babbani.
Circondato da babbani.
Senza poter dire una parola sulla magia, sul Quidditch e ogni altro argomento che usasse di solito a quelle noiose cene da purosangue cui i suoi a volte lo costringevano.
-Evans, dovrai farmi da spalla.- le disse ancora scombussolato tornando sui suoi passi per finire di provare quei vestiti.
-Ehi, ma perché ho bisogno di vestiti nuovi?- le chiese dopo aver deciso che poteva farcela.
Dopotutto era un Grifondoro. Ed Evans l’avrebbe tenuto d’occhio. Era un Potter e un Potter poteva fare qualunque cosa si prefissasse. Ma soprattutto era James Potter e nel vocabolario di un malandrino la parola impossibile non esisteva.
-Perché già tu attirerai l’attenzione come un faro di notte. Almeno i tuoi vestiti non grideranno MAGO da tutte la parti.- gli rispose con lo stesso tono sarcastico di prima.
E James seppe una cosa. Quella serata sarebbe stata lunga e difficile. Avrebbe richiesto tutte le sue doti drammatiche. Ma lui era James Potter, e se riusciva a mentire alla McGrannitt poteva farlo con chiunque. Dopotutto i babbani non potevano usare la legimanzia!
 
 
 
 
 
 





 
 
 
 

***

 
 
 
 
 
 
 
 
 




 
Uscirono dal negozio tre quarti d’ora più tardi, con James carico di buste e con già indossava un paio di jeans appena acquistati a sostituzione dei pantaloni fatti a mano dai folletti con cui invece era uscito di casa.
-Come diavolo fai a indossare roba del genere?- si lamentò per l’ennesima volta, sentendosi incredibilmente costretto in quella stoffa rigida e spessa, completamente l’opposto con il morbido tessuto di poco prima.
-Smettila di lamentarti. Piuttosto, ti ricordi quello che ti ho detto?- chiese invece lei, totalmente indifferente ai problemi logistici del ragazzo, immobilizzandosi davanti alla vetrina per un ultimo ripasso.
-Nei vostri sport non si vola e si gioca con un palla alla volta. Quelle scatole colorate con cui siamo arrivati a casa tua si chiamano auto e non devo parlarne perché tuo zio Trevis ne è appassionato. Le moto non volano, ma somigliano abbastanza a quelle volanti del nostro mondo e sono un argomento interessante per i tuoi cugini…- cominciò ad elencare tutto quello che gli veniva in mente, con alcune buste che pendevano dalla spalla sinistra, appese a due dita.
-D’accordo, le informazioni da maschio le hai recepite. Perché ti sto ospitando?- Lily deviò altrove la conversazione.
Era un uomo, ovvio che avesse immediatamente immagazzinato le informazioni più inutili.
-Sono un tuo compagno di scuola e frequentiamo gli stessi corsi da cervelloni da sempre. La scuola è stata allagata e ci hanno mandati a casa per una settimana, ma i miei sono in vacanza e mi stai gentilmente ospitando. Ricordo tutto Evans, tranquilla.- le disse con il tipico sorriso strafottente da James-Quanto-Sono-Figo-Potter che le rivolgeva da anni quando voleva fare colpo. Per la prima volta non le diede fastidio. Non così tanto, almeno, dopotutto lo stava per buttare nella fossa dei leoni.
-D’accordo, mi sto fidando, Potter. Non farmene pentire o tornati a Hogwarts ti ritroverai con una punizione così spiacevole che…- lo minacciò con il tono antipatico da Caposcuola che assumeva a volte in sua presenza, ma che quel giorno alle sue orecchie non risultò minimamente credibile.
-Dai Evans, l’hai appena detto! Sono James Potter, posso fare qualunque cosa!- esclamò lui arrogantemente, rovinando però l’effetto ridendo subito dopo.
Lily sbuffò roteando gli occhi e incrociandone un paio che li stavano insistentemente fissando da dentro il negozio.
Beh, non che stessero fissando esattamente lei. Anzi la commessa non la stava proprio calcolando, ma si stava mangiando con gli occhi Potter. Estremamente irritata per quello sguardo insistente, perché era la seconda volta quel giorno e perché sempre per la seconda volta poteva essere sua madre, cominciò a marciare verso casa dopo essersi appesa come una piovra al braccio sinistro del ragazzo, solo per vedere la faccia delusa di quella strega. Nel senso dispregiativo del termine, ovvio.
-Che ti prende, Evans?- le chiese dopo un po’ il ragazzo, costringendola contemporaneamente a rallentare l’andatura visto che lo stava tirando letteralmente rischiando di lussargli polso e spalla contemporaneamente.
-E’ la seconda volta, oggi. Quella commessa poteva essere tua madre.- rispose soltanto, parlando più a se stessa che a lui, dando finalmente voce alle considerazioni che le stavano affollando la testa.
Lui rimane alcuni secondi in silenzio, prima di replicare -Mia mamma è più vecchia.-
Lily gli conficcò le unghie nel braccio che ancora teneva prigioniero istintivamente sentendo quella risposta disinteressata. Era solo uno stupido!
-E questo che vorrebbe dire?- si voltò a guardarlo con un tono che sembrava quasi un sibilo.
Cosa diavolo voleva dire? Che siccome era più giovane di sua madre allora poteva anche farci un pensierino?
Lui ridacchiò scuotendo la testa, senza risponderle, ma per la prima volta da che aveva messo piede a Londra fermandosi di fronte al semaforo rosso senza invece rischiare di ammazzarsi.
-Allora? Rispondimi, Potter! Che significa?- gli intimò minacciosa, stavolta risultando perfettamente credibile.
-Che sei gelosa, Evans.- le rispose riprendendo a camminare dopo il passaggio al verde e trascinandosela dietro lui, stavolta.
Erano ancora nel mezzo della strada quando Lily si ritrovò praticamente attaccata, grazie a un’abile e strategica mossa del ragazzo, al fianco di James dopo che lui aveva nuovamente infilato la mano sinistra in tasca, costringendo così lei ad appiccicarglisi contro per poter rimanere appesa al suo braccio.
-E mi piace, Lily.- le soffiò in un orecchio, voltando leggermente il viso verso di lei.
E a quelle parole Lily si ritrovò col cuore a mille, le gambe di gelatina e ancora una volta il viso così rosso da fare a pugni con i suoi capelli.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 





 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Non sono esattamente dell’umore per perdermi in chiacchiere come faccio di solito, per la vostra buona pace, ma volevo pubblicare. Anche se è sabato, anche se gli ultimi capitoli non vi sono eccessivamente piaciuti, almeno sembra, anche se avevo deciso di aspettare fino alla fine della maturità per aggiornare.
Spero che questo capitolo vi piaccia tanto quanto è piaciuto a me scriverlo. Soprattutto l’inizio. E finalmente i testoni parlano della scena sul lago, vista nel pensatoio da Harry. Che ne dite?
Io adoro James, quale che sia il secondo nome che porta, basta che sia un Potter. E credo in questo capitolo si veda. I due stanno facendo qualche passo avanti, non sono poi più così circospetti nei confronti dell’altro.
Grazie a chi ha letto e soprattutto a Michela ( LilyPrincessInPink, mamma mia che nik infinito J )che non mi ha abbandonato nemmeno dopo tutti i miei ritardi e le mie pessimaggini.
 Mi lasciate almeno un commentino?
E fatemi gli auguri perché mercoledì ho l’orale. Se dio vuole sto per liberarmi del liceo!!
Un abbraccio, Rebecca.
 

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Capitolo 23
*** Pezzi di vita ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sirius era di pessimo umore.
Lo era da ore, a dire la verità, e non gli piaceva per niente. E che la schiena gli pulsasse senza sosta da quando quell’idiota untuoso di Piton l’aveva spiaccicato contro il muro non aiutava la causa.
Anzi peggiorava decisamente il suo umore, più nero del suo cognome.
E se il dolore era una cosa con cui sapeva di poter convivere, dopo sette anni lui e James avevano sviluppato un’altissima soglia del dolore, il ricordo di come se lo fosse procurato…lo mandava in bestia.
Solo le continue preghiere di Remus e Frank, coscienti che dopo la vendetta di Sirius, Piton si sarebbe rifatto su Minus per due settimane, gli avevano impedito di andare a cercare Mocciosus e schiantarlo fuori dal treno. Magari sulle rotaie, pronto per essere maciullato dalle ruote del treno. Sicuramente non gli avrebbe dato la soddisfazione di un Cruciatus, ma in quel modo avrebbe potuto farlo passare per un incidente.
Peter, beh in quel momento non gli fregava affatto della fine che avrebbe fatto.
I suoi geni Black anelavano vendetta. E vendetta avrebbe avuto, ma era intelligente abbastanza da aspettare il ritorno a Hogwarts, quando quell’idiota di Piton non avrebbe avuto la possibilità, né materiale né intellettuale, per impedirgli di conciarlo per le feste.
Era un peccato che il bastardo fosse un così abile pozionista, altrimenti avrebbe potuto trasformarlo in una ragazza.
Sicuramente esisteva una pozione del genere.
E altrettanto sicuramente non sarebbe stato un problema entrare nel Reparto Proibito per dare un’occhiata agli adorabili libri lì contenuti.
-Cercare un modo per ucciderlo non è esattamente la miglior cosa da fare, Sir.- gli ricordò per l’ennesima volta Frank, interpretando quasi correttamente il suo silenzio.
-Lo so…ci sono cose decisamente peggiori della morte.- gli rispose sibillino, sfregandosi mentalmente le mani, di fronte alle mille possibilità di morte sociale che gli si presentavano alla mente per il ragazzo.
Non che adesso ne avesse esattamente una, di  vita sociale, ma…
-Sai smaterializzarti, vero?- gli chiese Sir, infilandosi in un piccolo vicolo vicino a Kins Cross, trascinandosi dietro i bagagli e l’altro ragazzo.
-A Godrics Hallow, giusto?- gli chiese l’altro, dopo avergli scoccato un’occhiata ironica.
Già, chi a diciassette anni non aveva frequentato il corso? La smaterializzazione, per i maghi era una delle prime tappe fondamentali per diventare uomo.
-Dovresti mettere su un bel sorriso, amico, la signora Potter sarà felice di rivederti.- Frank provò ancora a deviare l’attenzione del moro, se non da un omicidio, da un potenziale massacro.
-Se ne accorgerebbe. È un’Auror dopotutto.- lo freddò l’altro, distendendo però lievemente l’espressione al pensiero dei due coniugi, quasi dei genitori per lui. Sicuramente meglio dei suoi veri genitori.
Con un’occhiata Black si assicurò che l’amico fosse pronto a smaterializzarsi e il cenno di assenso fu l’ultima cosa che vide prima della ormai consueta sensazione di essere compresso in un tubo.
Si ritrovarono dopo pochi secondi nella piazza della città e Sirius gli fece strada con la tranquilla sicurezza di chi consoce quel posto come le proprie tasche, fino ad arrivare a una bella villa appena fuori il villaggio, il cui cancello avrebbe tranquillamente tenuto lontani frotte di curiosi impiccioni così come ospiti dell’ultimo minuto se solo i signori Potter fossero stati meno ospitali. Il cancello di ferro scuro, ma scintillante e finemente lavorato, infatti, non veniva mai chiuso se almeno uno dei proprietari era in casa.
Proprietari che in quel momento erano in casa e uno dei due era addirittura sul cancello ad aspettare i ragazzi.
-Signor Potter!- esclamò contento Sirius vedendo l’uomo di mezza età fare qualche passo verso di loro.
-Figliolo, che piacere vederti. Dorea stava dando di matto non vedendovi arrivare.- lo strinse in un breve abbraccio prima di stringere la mano a Frank e informarsi sulla famiglia del ragazzo, Grifondoro da secoli e Auror da un paio di generazioni.
-Se vuoi mandare un gufo ai tuoi genitori per informarli che sei arrivato, Dodo il nostro gufo di famiglia è a tua disposizione. E manda i saluti a tua madre, ragazzo, ma adesso dammi il braccio, Sirius può smaterializzarsi tranquillamente davanti casa, ma tu non ci sei mai stato, giusto?- lo esortò Charlus prima di porgere al ragazzo un braccio per una smaterializzazione congiunta.
Un paio d’ore più tardi, Frank, avrebbe potuto giurare di non aver mai visto il viso di Sirius così felice, nemmeno quando Bellatrix si era diplomata liberando la scuola della sua velenosa presenza, o quando al quinto anno era uscito dalla biblioteca evidentemente soddisfatto di sè, dopo esservi rimasto chiuso per quasi due anni insieme a Minus e James certamente non per studiare, ma per uno scopo che ancora sfuggiva al ragazzo.
Sirius infatti girava per casa canticchiando fra se, chiacchierando di tutto con la signora Potter, dopo essersi ingozzato senza ritegno di biscotti ancora caldi, e aver informato un ormai rassegnato signor Potter dei suoi piani non propriamente amichevoli verso Piton. Il tutto con un luminoso sorriso stampato in faccia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

***




 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Julie incenerì con un colpo di bacchetta una lettera di pergamena azzurrina, che contraddistingueva le lettere di Alice da quelle di chiunque altro, maledicendola silenziosamente.
Quella traditrice della sua amica la informava, infatti, di essere arrivata a casa senza problemi, di aver sistemato la sua stanza insieme alla madre per aggiungervi un letto e dormire quindi con Virginia, tanto per non perdere il vizio probabilmente, e di prepararsi a una cena che prometteva meraviglie. La lettera si concludeva con le speranze che anche a lei tutto fosse andato per il meglio, che sua madre stesse bene e che Cordelia fosse ancora viva, aggiungendo accanto a quella botta di umorismo una faccina stilizzata che doveva raffigurarla. O almeno questo era il pensiero di Cordelia cui aveva fatto leggere la lettera alla vista di una tale pacchianeria. Secondo la ragazza, infatti, i babbani usavano quelle faccine per far capire all’altro interlocutore il proprio stato d’animo, o il tono della frase.
Quello usato da Alice, secondo l’attenta traduzione di Cordelia, esprimeva ironia. Come se non l’avesse capito da sola, dopo aver letto quella fattispecie di poema.
-Sai cosa devono contenere le lettere? Parole. Non stupide faccine inutili che dovrebbero esprimere ipotetici stati d’animo. Per quello ci sono le Strillettere.- berciò sarcastica Julie, splendidamente svaccata su un divano d’epoca, come tutti quelli di casa propria.
-Infatti stiamo parlando di abitudini babbane.- le rispose tranquilla Cordelia bevendo il the che uno degli elfi di casa aveva servito loro qualche minuto prima.
-Ma noi siamo maghi, nel caso non te ne fossi accorta, Waff…Cordelia.- proruppe irritata Julie, quasi ringhiando l’ultima parola.
Ancora non aveva capito come avesse fatto a raggirarla, quella specie di gossip-radar ambulante. Sapeva solo che un momento le stava intimando di girarle alla larga il più possibile, dopotutto casa sua era abbastanza grande per vivere insieme una settimana senza incontrarsi mai, e il momento dopo la Waffle l’aveva convinta a chiamarla per nome. Il perché, però, le sfuggiva. E la irritava ancora di più.
Unica nota positiva della giornata: sua madre non c’era e, a detta dell’elfo che le aveva accolte, non sarebbe rincasata per almeno altre tre ore, visto che si trovava in un salone di bellezza, nella inutile quanto testarda lotta contro l’invecchiamento e le prime rughe. Julie ricordava che aveva smesso di giocare con i suoi prodotti a dieci anni, quando ormai occupavano già tre quarti del gigantesco bagno padronale e sua madre ancora non superava i trentacinque anni.
-Non sei contenta di essere qui.- la informò dopo qualche secondo di attenta analisi la Corvonero.
-Che intuito…- sibilò tra se la bionda, allungandosi verso il mobiletto di liquori di suo padre e riempiendo la tazza di the, in quel momento a metà, fino all’orlo.
-Quello che mi risulta strano è che ti urta più il fatto di essere qui, che quello di essere qui con me. Ed entrambe sappiano che non ti piaccio affatto.- continuò Cordelia, ignorando l’espressione poco pacifica dell’altra ragazza, con il tono di chi si trova di fronte a una verità incontestabile, ma che non riesce a comprendere pienamente.
Julie la guardò stupita dall’attendo spirito di osservazione della ragazza.
Sapeva che aveva ragione, succedeva ogni volta che tornava a casa. Era qualcosa di inconscio, ma come metteva piede dentro quell’edificio, tanto esteso e imponente quanto soffocante e rigido, le sue difese di alzavano, nemmeno si trovasse su un campo di battaglia. L’umore peggiorava, le spalle si irrigidivano, perfino il suo tono di voce cambiava, a detta di Alice, diventando più metallico e forzato. Ma non erano cambiamenti evidenti, soprattutto se si andavano a sommare a un preesistente umor nero. E se già pochi l’avrebbero notati di normale, poteva contare sulle punta delle dita chi li aveva notati in quelle condizioni. 
-Perché sputtani la tua vita dietro a uno squallido giornaletto di gossip, visto che non sei stupida come vuoi far credere?- chiese Julie, per la prima volta realmente interessata alle parole di quella ragazza.
-E perché tu lo fai in questa famiglia, quando vorresti soltanto dare fuoco a questo posto?- le disse in risposta l’altra.
Julie non seppe perché, forse per le raccomandazioni di Alice o per le strane sensazioni di Lily verso quella ragazza, ma sapeva che poteva fidarsi, almeno in quel momento. Sapeva che Cordelia non l’avrebbe sputtanata in giro, a dispetto della sua carica dentro le mura scolastiche, così come sapeva che lei non avrebbe cercato di riabilitare la reputazione volutamente pessima della Corvonero.
-Sono la mia famiglia. E anche se odio questo mondo e loro…sono tutto quello che ho.- sussurrò la bionda, prima di buttare giù il the corretto residuo nella sua tazza e riempirla di nuovo fino all’orlo, soltanto di liquore, però.
Cordelia rimase immobile rimuginando su una risposta che non si aspettava, ma ancora più stupita di averne avuta una, quando Julie al massimo l’aveva sempre mandata al diavolo. Osservò Julie buttare giù il suo finto the con una smorfia, come per pulirsi la bocca delle parole che aveva appena pronunciato, e riempirsi di nuovo la tazza.
Negare la sua curiosità verso la Grifondoro sarebbe stata un’enorme bugia. Avrebbe voluto chiederle perché avesse deciso di fidarsi, quando in sette anni non aveva mai nemmeno pensato di farlo, ma decise di tacere e ripagare la bionda con altrettanta fiducia.
-Questo non è il mio mondo. Senza il giornalino della scuola sarei stata solo l’ennesima mezzosangue ammessa a Hogwarts. Non sarei stata nessuno.- disse e allungò il braccio verso il liquido ambrato per riempire la tazza, ormai vuota, senza pensarci due volte.
Non sapeva come gestire la situazione, altrimenti, e tutti dicevano che ubriacarsi in compagnia era sempre meglio che farlo da soli. Codelia pensò che era l’unica soluzione possibile dopo aver scoperto entrambe le carte, dopo essersi esposte così tanto.
Anche se era pomeriggio pieno, se lei era una salutista convinta  ed era completamente astemia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 

***

 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lily riuscì a riprendere una normale respirazione, facoltà che teoricamente avrebbe dovuto apprendere alla nascita, ma che nelle ultime tre ore sembrava aver dimenticato, soltanto quando tutto il parentado ebbe lascito la casa da almeno un’ora, giusto per sicurezza che nessuno avesse dimenticato qualcosa e tornasse indietro.
Sua madre  saltellava giuliva da un lato all’altro della casa, tutta felice dell’ottima, a suo parere, riuscita della cena, impedendole di aiutarla nel lavare i piatti o sistemare la sala da pranzo quando invece uno dei suoi motti preferiti era proprio che i figli dovessero aiutare in casa, detto con il tono di una promettente dittatrice. E non ricordava un solo giorno in cui non vi si fosse attenuta, salute permettendo.
Suo padre, invece, si era ritirato in salotto insieme a James, dopo aver appreso che il ragazzo sapesse giocare a scacchi.
Dallo sguardo che le aveva rivolto più volte Potter, durante la cena e anche dopo, sapeva che quelle ore l’avevano parecchio stranito, forse addirittura impaurito visto i comportamenti al limite della decenza delle cugine nei suoi confronti…
 

-Oh, Lily ma James è davvero un tuo compagno di corso?- aveva chiesto Emily con gli occhi brillanti di interesse, che non avevano abbandonato un attimo il ragazzo da quando avevano messo piede in casa, dopo il loro giro di compere.
-Credi che accetterebbero alla tua scuola di geni un’improvvisa iscrizione a metà semestre, Lily?- aveva continuato Kathie, con lo stesso sguardo della sorella.
Sembrava un dono di Potter conquistare tutte le donne che gli si avvicinassero, o almeno quelle nel raggio di due chilometri.
-Perché non lo hai mai invitato a casa, tesoro? Sono sicura che le mie bambine avrebbero imparato molto dalla vostra compagnia.- cinguettò infatti zia Tilly, probabilmente già immaginando la location ideale per il matrimonio tra Potter e una delle due figlie.
 
*
 
-Ehi, James! Raccontaci qualcosa della scuola! Lily non lo fa mai, dobbiamo sempre pregarla quasi in ginocchio…- sospirò sognante Kathie, vedendo che il ragazzo si avvicinava nella loro direzione, con due bicchieri in mano. Sua madre adorava infatti gli aperitivi, se n’era innamorata anni prima durante una vacanza in Italia col marito e l’amore non si era mai più sopito, tanto che li propinava ogni volta ai suoi ospiti.
-Oh, James, ma che gentile!- aveva sospirato zia Tilly, con lo stesso tono della figlia, occhieggiando l’altro bicchiere in mano al ragazzo. Che aveva prontamente afferrato, lasciandolo basito e con uno sguardo smarrito in direzione della ragazza.
E per tutta la cena era stato un susseguirsi di James qui e James là, sospiri melensi nella sua direzione e, Lily ci avrebbe scommesso, occhiatine maliziose da sua zia.
Fortuna che Potter aveva avuto la brillante idea di sedersi, o meglio quasi incastrarsi a forza, tra Lily e suo padre, perché altrimenti non avrebbe potuto assicurare che una delle tre assatanate non avrebbe tentato di sedurlo seduta stante, pensò con stizza la rossa.

 
…o i discorsi privi di alcun senso logico di zio Craig, su l’andamento della borsa e l’influenza che gli astri avevano su di essa…
 

-Sai ragazzo, studi scientifici dimostrano che Saturno, se in opposizione rispetto alla Terra, ma in nodo con Marte, può causare il crollo della borsa. Non a caso proprio quella situazione si verificò in occasione del crollo di Wall Street nel ’29…- aveva iniziato a ciarlare lo zio, con suo padre che rideva in sottofondo, e Potter che invece si ostinava a mantenere un’espressione seria annuendo di tanto in tanto, probabilmente cercando di seguire l’inesistente filo logico del discorso.
Probabilmente avrebbe giurato che non avesse capito una parola di quello che l’uomo aveva detto, ma doveva essere rimasto particolarmente stupito dalle ampie conoscenze astronomiche dell’uomo, tanto che aveva finito per lanciarsi in una dissertazione sulle conseguenze delle varie posizione di Saturno e Marte
Dopotutto Potter non era stupido e riusciva a portare a casa ottimi risultati pur con il minimo impegno, per quanto le costasse ammetterlo. Conoscenze che gli avevano fatto conquistare la più profonda stima dello zio e la gratitudine eterna di sua nonna, poiché era riuscito a deviare il discorso sull’astronomia in generale anziché su improbabili teorie futuriste.

 
…ma quello che più aveva stupito la ragazza, ai comportamenti psicotici di alcuni parenti si era ormai rassegnata e era così corsa ai ripari, raccontandogli più o meno cosa aspettarsi ricevendo in risposta un tranquillo “Evans ogni famiglia ha le sue croci. Mia nonna Dyside si ostina a svolazzare con la scopa nel giardino di casa, nonostante l’età…”, era stata come si era comportato verso il resto della famiglia, quella normale cioè, e come i suoi genitori erano stati sempre pronti ad aiutarlo e tirarlo fuori da situazioni spinose, quando lei non era al suo fianco per farlo.
Potter era riuscito a parlare di sport con gli uomini di casa nonostante non ne conoscesse le regole, grazie al pacato e silenzioso supporto di suo padre, che deviava la conversazione ogni volta che si scendeva nei particolari. Sempre con la stessa tecnica aveva discusso di politica e motori, riuscendo peraltro a esprimere pareri sensati o a deviare altrove la conversazione grazie a battute di spirito che avevano conquistato suo nonno. Perfino nonna Evans, perennemente scontenta degli amici che le nipoti erano solite frequentare, che aveva tacitamente disapprovato Severus fin dalla prima volta che l’aveva visto, che si era opposta un’intera estate all’unione tra Petunia e Vernon, aveva invece guardato più volte con favore quello strano ragazzo, dopo non avervi scambiato che poche parole…
 

Appena entrata in casa Lily fu velocemente accerchiata da un paio di vecchie zie di sua madre, vecchie come Matusalemme e cieche come delle talpe che ancora la ritenevano una lattante e che pertanto non si esimevano dai pizzicotti sulle guance di rito, né ad assicurarsi che mangiasse abbastanza nella lontana scuola al nord che frequentava.
Con la coda dell’occhio aveva notato che suo padre aveva presto sotto la propria ala Potter e che lo stava presentando a tutti i parenti che aveva intorno, raccontando senza incertezze la storiella che avevano concordato e cercando per quanto possibile di evitare troppe domande.
A salvarla dalle grinfie delle zuccherose vecchiette fu sua nonna Dafne che pretese rumorosamente la presenza della nipote al proprio fianco.
-Ciano nonna. Come stai?- la abbracciò allegra la ragazza, dopotutto era la sua nonna preferita.
Nonna Dafne, infatti, nonostante il carattere spesso intrattabile, l’impazienza congenita che aveva ereditato anche sua madre, i toni bruschi e spicci, era la migliore nonna che si potesse desiderare.
Aveva raccontato a lei e Petunia decine di volta la storia della Bella Addormentata, probabilmente fino alla nausea, senza mai lamentarsi. Ed era l’unica in famiglia a sapere che lei fosse una strega.
Non era riuscita a nasconderle quel segreto a lungo, soprattutto visto l’altrimenti incomprensibile deteriorarsi dei suoi rapporti con la sorella.
-Tu piuttosto, Lily, ti vedo troppo magra. Ti danno da mangiare in quella scuola?- non era un mistero che a sua nonna non andasse a genio la sua iscrizione a Hogwarts e la magia non c’entrava niente.
Come sua madre trovava le regole della scuola ridicole e prive di alcun senso logico, riteneva che le rare possibilità per far visita ai genitori avrebbero fatto dimenticare ai ragazzi cosa volesse dire avere una famiglia, facendo così diventare sua nipote una teppista senza arte né parte.
-Certo che mangio, nonna!- la rassicurò per l’ennesima volta con un sorriso, doveva essere una tara di famiglia, la paura che non le dessero da mangiare.
-Forse ti danno da mangiare, ma certamente hai dimenticato l’educazione. Anne ti avevo detto di iscriverla qua a Londra! Diventerai come quei bifolchi irlandesi, dediti solo alla birra e alle risse.- sbraitò sua nonna in direzione della figlia, facendo ridere Lily, mentre invece suo padre scuoteva sconfitto la testa.
Da quando aveva sposato sua madre sentiva quei discorsi sugli irlandesi ogni volta. Non importava l’argomento della discussione né tanto meno l’occasione che avevano per rivedersi, sua nonna riusciva a lamentarsi degli irlandesi in ogni caso.
Lily gettò un’occhiata perplessa a sua madre, cercando così di capire quale mancanza avesse compiuto verso la nonna, ma riuscì solo a vedere la mal trattenuta risata di Potter che le stava vicino, anche se nei suoi occhi si poteva leggere una leggera perplessità, dovuta probabilmente alla nonna.
-Forza in sala da pranzo!- trillò allegra sua madre, iniziando a trascinarsi dietro alcuni degli invitati.
-Sto ancora aspettando, Lily!- la rintruzzò sua nonna, stavolta con un tiepido sorriso verso Potter.
Capendo finalmente cosa sua nonna aspettasse si volse verso il ragazzo facendogli cenno di avvicinarsi.
-Nonna, questo è Pot…ehm James. James questa è mia nonna Dafne.- disse sorridente.
-Piacere signora.- rispose lui.
-Quasi mi aspettavo un cappello a punta e tante scintille.- commentò la donna guardandolo incuriosito, quasi si aspettasse davveroscintille e cappelli a punta.
-Co-cosa?- chiese stupito lui.
-Beh, mia nonna sa tutto. Della magia intendo.- sussurrò Lily, controllando che non ci fosse più nessun altro che potesse sentire.
-Oh, ecco…il cappello a punta lo riserviamo solo per le occasioni ufficiali. Ma posso mostrarle la bacchetta e sparare scintille in aria, se vuole assicurarsene.- si riprese il ragazzo, all’improvviso meno rigido verso quella stramba e autoritaria donna.
-Visto nipote? Lui non si farebbe problemi a farmi vedere qualche magia.- la donna rimproverò soddisfatta la nipote che li guardava con un inconfondibile sguardo assassino.
-Evans! Non hai mai fatto vedere nessuna magia ai tuoi?- chiese scandalizzato il ragazzo, guadagnandosi sempre più le simpatie della vecchia signora.
-Non si possono fare magie fuori dalla scuola, idiota!- gli sibilò contro la ragazza guadagnandosi però il malcontento della nonna.
-Nipote, che modi! Troppo vicina al confine, quella scuola. Non faccio che ripeterlo a tua madre!- sbraitò infatti Dafne.
E se lo scontento della donna era lentamente sfumato durante il corso della cena, anche grazie alle impeccabili maniere che la nipote aveva sfoggiato, così non era stato per l’improvvisa simpatia per Potter che l’aveva gentilmente riaccompagnata in salotto offrendole il braccio come un gentiluomo d’altri tempi, sotto gli occhi sbalorditi di quasi tutta la famiglia che si erano sgranati ulteriormente quando la donna, per ringraziarlo, aveva sorriso.

 
-Mamma sei sicura di non aver bisogno di aiuto?- chiese per l’ennesima volta Lily, pronta ad andare in salotto con il padre e Potter nel caso dell’ennesimo diniego, che però non avvenne.
-Prepara del the, tesoro. Tuo padre avrà sicuramente il mal di testa dopo aver ascoltato i discorsi di Tilly e Craig, come ogni volta. Un bel the caldo gli farà bene.- la invitò invece sua madre, tutta intenta a finire di rassettare.
Lily ridacchiò sentendo quell’atipico rimedio, ma da sua madre doveva aspettarselo che apparteneva a quella classe di inglesi che ritenevano il the la migliore delle cure, valida per i malanni stagionali, quanto per il mal di testa improvvisi e le pene d’amore. E suo padre ne sapeva qualcosa, visto che era costretto da anni a sorbirsi almeno quattro tazze di the il giorno…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 

***




 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era tutto strano, in quel mondo, si ritrovò a considerare James dopo cena, intento a giocare a scacchi con George.
Lui era stato abituato da sempre a sedere composto alle noiosissime cene formali a cui era costretto a partecipare, rispondendo a tutte le domande che gli venivano fatte senza però interrompere mai i grandi e i loro stupidissimi discorsi. Negli ultimi anni, invece, gli era stato imposto di partecipare a quegli stupidissimi discorsi perché ormai era adulto, stava per finire la scuola e blablabla…insomma lui sapeva come comportarsi. Aveva sempre qualcosa da dire, un commento su tutto, non faceva mai cadere i silenzi, e tutte quelle cose che richiedono gli impegni di società.
Eppure si trovava in salotto con il signor Evans provando la spiacevole sensazione di non sapere cosa dire, forse a causa della cena che aveva richiesto più energie del previsto.
-Se sei stanco, ragazzo, possiamo lasciar perdere. Anzi ti offro da bere. Una serata in compagnia di tutta la famiglia è un incubo per me, immagino per te…- gli disse l’uomo, abbandonando il gioco e dirigendosi verso un mobiletto ad angolo e riempiendo due bicchieri di liquore -…ma non dirlo ad Anne, non hai ancora l’età per bere.- concluse con un sorriso porgendogliene uno.
-Non per le nostre leggi, signore.- gli rispose con un sorriso furbo, tipico del malandrino che era.
-Mi spiace James, in questa casa vige la legge del “paese che vai, usanze che trovi”. Anne non transige, ormai anche Lily si è rassegnata.-
James ridacchiò sentendosi improvvisamente più leggero, e poteva giurare che l’alcool non c’entrasse visti tutti i festini che Sirius organizzava alla Torre.
-Posso chiederti una cosa, riguardo a quello che hai detto a mia figlia oggi?- gli chiese serio l’uomo, sedendosi in poltrona e invitandolo a fare altrettanto. Aspettò che James annuisse prima di continuare –E’ così che funziona il vostro mondo? Menti o sarai distrutto?-
James ci mise qualche secondo a capire cosa volesse dire l’uomo, a ricollegarlo a un discorso fatto con Evans.
-Mentirei a dire che non è così. Ma lo farei anche a dire il contrario. Il primo anno a Hogwarts…ecco…conta chi sei. Il cognome che porti. Ci sono persone che si credono meglio di altri e che non vorrebbero che…- cercò di spiegargli a disagio, eppure mortalmente serio.
Voleva davvero che George capisse.
Voleva davvero che vedesse il loro mondo per quello che era, senza timori e false aspettative, ma anche senza lenti distorte.
Voleva che capisse lui. E che gli desse una possibilità.
-Lily mi ha detto che alcuni studenti non vorrebbero che quelli come lei studiassero alla vostra scuola.- lo interruppe con voce incolore, probabilmente addolorato al pensiero di quello che sua figlia aveva dovuto sopportare.
-E’ per questo che il nome conta così tanto. Entri a scuola e sai già chi frequentare per essere qualcuno, per non avere noie, per non doverti guardare le spalle costantemente.- James si fermò, sperando di avergli spiegato qualcosa, ma vedendolo ancora più preoccupato ricominciò -Signor Evans siamo centinai di ragazzi tra gli undici e i diciotto anni chiusi per quasi dieci mesi l’anno fra quattro mura. Entriamo a Hogwarts senza aver mai visto altro che il nostro mondo, alcuni di noi non hanno mai nemmeno visto tanto del nostro mondo. E ci ritroviamo circondati da centinaia e centinaia di ragazzi di cui non sappiamo niente se non il cognome. Comportarci come i nostri genitori, frequentare chi frequentano loro ci da un po’ di stabilità. Gli altri sono tagliati fuori, a meno che non emergano. Mostrati spaventato e sei fuori, dalla vita sociale, dalle amicizie consigliabili, da…- si infervorava sempre di più il ragazzo.
-Stai parlando in termini opportunistici, te ne rendi conto?- gli chiese diffidente l’uomo.
James si bloccò. Opportunistici. Quasi sorrise sentendo quella parola, lui che c’era nato tra l’opportunismo. Che aveva imparato a studiare i movimenti del corpo prima ancora che a scrivere. Forse il suo mondo appariva retrogrado al signor Evans, eppure lo infastidiva che lo ritenesse così, un opportunista.
Così riprovò -Il primo giorno di scuola ho conosciuto il mio migliore amico. Un Black, figlio di generazioni e generazioni di Serpeverde. Un vero purosangue. Insomma tutto quello da cui mio padre mi aveva sempre messo in guardia. E per questo abbiamo fatto a botte, prima di capire che non ci fregava niente…che eravamo solo James e Sirius, niente altro. Ma ci sono persone che non ci riescono, non so perché, ma non ci riescono. E non sempre sono i cattivi, solo lasciano che gli altri decidano per loro.-
James si interruppe passandosi una mano tra i capelli con un sospiro.
Era frustante non riuscire a fargli capire. Non riuscire a spiegarsi.
Il signor Evans, come la figlia, non si sarebbe mai accontentato di niente di meno che la verità. Eppure la verità che cercava di mostrargli non veniva fuori. E lo capiva solo guardando l’uomo, che attendeva paziente che finisse il discorso.
-D’accordo, ci sono. Sei un debole se lasci che gli altri decidano per te, ma è pur sempre una libera scelta. Solo che finiscono per diventare come loro e non sempre diventano belle persone. In sostanza hai paura, di cosa non lo so, ma è sempre paura. E allora te la prendi con i più deboli perché fa sparire la paura. Ecco perché i figli di babbani, perché sono quelli che per primi si sentono fuori posto, perché non conoscono la scuola, i ragazzi, le regole…perfino la bacchetta! Ma Evans non l’ha mai permesso. La guardavi negli occhi e capivi che tutto le sembrava solo un sogno, le parlavi e ti portava in un altro mondo, perfino Hogwarts cambiava se la vedevi con i suoi occhi. Non ha mai permesso a nessuno di farla sentire meno di quello che è e con il tempo hanno smesso. Anche perché…beh sua figlia, signor Evans, lancia certe fatture che non auguro a nessuno, glielo assicuro.- James si fermò, e si ritrovò a sorridere capendo di esserci riuscito. George aveva capito. Forse lo riteneva ancora un mondo ipocrita a opportunista, ma aveva capito.
-Così è brava, eh?- gli chiese infatti con un sorriso, riempiendosi però di nuovo il bicchiere.
-Oh dovrebbe vederla, signor Evans. Al quarto anno mi ha fatto finire in infermeria solo perché le avevo colorato i capelli di rosa. Invece al terzo anno ha fatto commuovere il professore di Pozioni con non mi ricordo quale pozione. Infatti adesso la venera, potesse probabilmente le farebbe una statua…- cominciò a raccontare James.
Si zittì quando lo vide ridacchiare, appoggiato allo schienale della poltrona, guardandolo incuriosito.
-Riesci a tirare fuori un lato di mia figlia che non avevo mai visto. Si illumina, James.- gli spiegò.
James sentì le orecchie andare a fuoco, per l’ennesima volta in quella giornata, prima di scuotere la testa -Riesco a farla arrabbiare come nessun altro, infatti.-
-Puoi anche vederla in questo modo, in un certo senso.- rispose sibillino l’uomo senza che James capisse.
Stava per chiedere spiegazioni quando Lily irruppe nella stanza reggendo un vassoio di the.
-Mamma dice che una tazza di the è…- cominciò avvicinandosi al basso tavolo di legno in mezzo alla stanza.
-…il miglior rimedio per il mal di testa. Mi ripete da quasi vent’anni questa storia, Lily, convinta che prima o poi me la berrò.- finì per lei il padre, accettando rassegnato l’ennesima tazza di the della giornata.
-Ne vuoi, James?- gli chiese Lily.
Lui scosse la testa, troppo intento a studiarla per cercare quella luce di cui parlava George poco prima, per rispondere a voce.
Era un vero peccato che non riuscisse a vederla pensò sconsolato.
-James mi stava raccontando di quanto tu sia brava con le fatture, tesoro.- la informò il padre.
-Le fattu…cosa? POTTER!- ringhiò la ragazza nella sua direzione.
-Dai Evans, è la verità! Stavamo solo…- cercò di spiegarsi ridendo, riparandosi contemporaneamente dagli schiaffi che tentava di rifilargli quella pazza.
-Ehi ragazzi perché non…LILY!- urlò la signora Evans, bloccando con una sola parola la figlia mentre il marito rideva insieme all’altro ragazzo.
-Ma…ma…ma mamma! È tutta colpa sua!- rispose indignata indicandolo con l’indice come quando aveva undici anni.
James non ascoltò realmente il resto della conversazione, per quanto urlata. Non aveva mai visto una famiglia comportarsi in quel modo, mai. E si riscoprì stranamente a suo agio, anche in mezzo alle urla, alle risatine di George, a Evans irritatissima e ad Anne che lo difendeva a spada tratta nonostante lo conoscesse da solo un giorno.
Prese mentalmente nota di mandare al professor Silente un cesto di dolcetti babbani per ringraziarlo, dopotutto chi aiuta un amico ottiene sempre una ricompensa…
 













 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Ciao a tutte, come va?
Mi sono presa una piccola vacanzina per ricaricare il cervello, e rimettere mano al capitolo in realtà, ma alla fine ce l’ho fatta!!
Ma prima di ogni altra cosa…GRAZIE!! È la prima volta che ricevo 9recensioni per un solo capitolo e mi avete fatta davvero felice. Sto gongolando non sapete quanto, soprattutto perché credevo di avervi perso, dopo aver dilazionato sempre più i capitoli. Quindi grazie, davvero davvero, il capitolo più lungo del solito è proprio un piccolo modo per ringraziarvi.
Passando al capitolo spero vi sia piaciuto. Io ho adorato scriverlo, perché ci sono tutti i personaggi che preferisco, Julie e Sirius tra gli altri, sarà che Julie è un pò Sirius al femminile.
Per i nomi dei genitori di James (Charlus Potter e Dorea Black in Potter) mi sono rifatta all’HPL, anche se il nome del papà non è certo, solo supposizioni. Dorea è invece davvero mamma Potter, anche se le informazioni su di lei vanno poco più in là. Per quelli di Lily invece e la sua famiglia in generale non ho trovato niente di niente, se non che sono morti prima del 1981, quindi ammetto candidamente di essermi inventata tutto. Se sapete qualcosa di certo che io ho bellamente inventato scusatemi, ma davvero non ho trovato niente, nemmeno dove vivevano.
La frase finale del capitolo, vi interessasse, fa riferimento a un vecchio capitolo della storia, dopo che James chiede a Silente se Sirius può stare dai suoi genitori invece che dai Black.
Julie e Cordelia sono una coppia un po’ strana che spero non vi abbia fatto scappare a gambe levate perché beh…più scrivo più trovo Cordelia assurdamente adorabile. E il momento di confidenza non ci doveva essere, ma è venuto fuori da solo, anche se non renderà certamente Julie un agnellino o Cordelia una ragazza dedita solo ai fatti propri. C’è stato e pace. Ma quelle due in qualche modo dovranno pur convivere due settimane, no?
La famiglia Evans, come ho detto, è totalmente inventata e so che sembra composta solo da pazzi psicotici, ma vabbè. Mi rendo conto che i miei personaggi stanno diventando sempre più strampalati. Il discorso tra papà Evans e James è parecchio filosofico e paroloso –passatemi il termine- perfino per me, ma è da quando ho iniziato a scrivere che l’avevo in mente e alla fine ha vinto lui. Ho deposto le armi dopo la prima riga e si è scritto da solo, spero in modo comprensibile e logico.
Punti come questo mi mandano davvero nel panico. Troppe, troppe parole. E io odio i dialoghi!
Passando oltre sono sicura che volevo dirvi un’altra cosa, ma me la sono dimenticata quindi…sarà stata una bugia!
Boh vi lascio in pace perché ho davvero scritto troppo!
Quindi grazie ancora a tutte quante, chi ha letto, recensito e quant’altro, perché mi avete fatto venire voglia di scrivere (e non è esattamente una buona cosa visto che ho iniziato tre nuove storie, ho questa da finire e pure “Senza incappare in decessi e maledizioni” ferma da mesi al secondo capitolo) ma fa lo stesso. Almeno ora ho tempo per farlo!
Ah, l’esame è andato bene, evvai! Finalmente ho abbandonato il decadente edificio che spacciano per liceo con la ferma intenzione di non rimetterci più piede…me felice!
Ehi, ma avete visto HP? Che ne pensate?
Quei ricordi di Piton mi hanno quasi fatta piacere. Come la morte di Fred, Remus e Tonks. Ma ero circondata da gente e avevo un paio di assurdi occhiali in faccia (Luna li avrebbe adorati) e mi sono trattenuta.
Tanti tanti baci, Rebecca.
 
P.s. l’ho scritto in alcune recensioni e lo scrivo anche qui tanto per chiarezza magari se lo sta chiedendo anche qualcun’altra. James e Lily non stanno insieme (nella mia testa sono destinati a farlo e quindi stanno insieme da sempre), ma per adesso si stanno conoscendo senza troppe domande o complessi e James ne approfitta un pochetto (povero dovevo concederglielo, sono anni che le muore dietro e lei è in un raro stato di grazia, più o meno).
Ma Lily non è esattamente il tipo che lascia correre, giusto?
 
 
 









 
 
 
 

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Capitolo 24
*** Prima settimana ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lily aveva presto scoperto che James Potter considerava il dormire fino a tardi un’attività priva di qualunque attrattiva, se ovviamente si parlava di giorni di vacanza o comunque in cui alzarsi presto non era un’imposizione del sistema, qualunque esso fosse.
Erano passati appena due giorni da quando erano arrivati a casa Evans ed entrambe le mattine l’aveva trovato in cucina intento a chiacchierare con sua madre, ingozzandosi senza ritegno di biscotti e storie imbarazzanti sulla sua infanzia. Sua madre, infatti, dimentica di chi dei due ragazzi attualmente sotto quel tetto avesse partorito quasi diciotto anni prima, continuava sulla linea intrapresa il primo giorno, cioè trattare Potter come un familiare stretto e particolarmente ben voluto.
Non che questo le desse fastidio, ovviamente, beh non era tanto quell’improvvisa fiducia riposta in un estraneo a farlo, ma quello che il ragazzo riusciva a far raccontare a sua madre.
In soli due giorni, infatti, conosceva tutti i particolari più imbarazzanti e socialmente inconfessabili della sua intera vita.
Sapeva che a otto anni aveva piantato una scenata assurda durante una gita allo zoo perché non le permettevano di portarsi a casa un elefante e che si era attaccata alla grata come un’aspirante partecipante ai Greenpeace nella speranza di intenerire abbastanza i genitori da assecondarla.
Sapeva che a tre anni ancora teneva accesa accanto al comodino una piccola luce notturna perché aveva paura del mostro sotto il letto e sempre per lo stesso motivo dormiva abbracciata a una mazza da baseball ben decisa a spaccargliela in testa in caso di attacco.
Sapeva che a dieci aveva ingenuamente confessato al ragazzino che piaceva a Petunia i sentimenti che la sorella nutriva per lui, scatenando quasi un’esecuzione nel salotto di casa, perché aveva avuto perfino la faccia tosta di aggiungere, con quel tono pedante che sua madre non sapeva ma Potter conosceva perfettamente, che sarebbe stato veramente cattivo, da parte sua, non dirle che anche a lui piaceva.
Sapeva che a tredici anni, durante una vacanza in Francia con la famiglia, si era persa nella metropolitana, e che fermamente decisa a ritrovare i genitori ne aveva presa una a caso e cominciando a girovagare senza meta per la città fino a ritrovarsi a Versailles, innamorarsene e decidendo così che da grande avrebbe fatto la principessa.
Sapeva persino che l’anno precedente, dopo l’ennesimo litigio con la sorella e le battutine stupidamente ottuse del suo allora ancora fidanzato, ormai prossimo al matrimonio, aveva gonfiato il ragazzo come una mongolfiera a seguito di una decisamente tardiva magia accidentale ed erano stati necessari una decina di Oblivion a tutti i babbani della strada che avevano visto quell’inaspettato spettacolo, sua sorella compresa che avrebbe trovato il modo di cruciarla altrimenti.
Cosciente di questo, perciò, quella mattina all’alba della undici e ventisette, perché lei a differenza di Potter era una persona normale e dormiva nei giorni di vacanza, aveva varcato la soglia della cucina convita che sua madre stesse ancora intrattenendo il ragazzo alle sue spalle, già pronta a tacitarne ogni possibile battutina, dopo essersi armata di tutta la pazienza che possedeva. O almeno dopo essersene convinta.
Ma non trovò nessuno. Assolutissimamente nessuno.
Soltanto un biglietto di sua madre in cui la informava briosa che non sarebbe rientrata per pranzo, di non dare fuoco alla casa e preparare qualcosa di commestibile per il caro James.
Lily dopo aver scosso la testa rassegnata, era ovvio che il caro James l’aveva completamente conquistata, stava giusto per tornare al piano di sopra e svegliare Potter, o almeno assicurarsi che non fosse morto durante la notte vista la sua preoccupante assenza, dopo giorni in cui si era svegliato praticamente all’alba, quando un suono attrasse la sua attenzione.
Era il suono del pianoforte che tenevano in salotto e che nessuno suonava più da anni.
Rimase silenziosa sulla porta, osservando il ragazzo che con storceva il naso ogni volta incontrava una nota scordata, ma comunque completamente assorbito nel compito.
-Evans, avrebbe bisogno di un’accurata manutenzione.- esordì senza staccare gli occhi dai tasti bianchi.
Come diavolo aveva fatto a sentirla arrivare?
-Sento sempre quando sei vicina. Sento i tuoi occhi addosso.- la informò ancora, senza guardarla.
Lily sentì le guance andare a fuoco, borbottando uno –Stai usando la Legimanzia o sei semplicemente uno sbruffone?- poco convinto perfino alle sue orecchie.
Lo sentì ridacchiare e lo vide farle cenno di avvicinarsi. Riprese a parlare solo quando gli fu seduta a fianco, sul panchetto del pianoforte.
-Chi lo suona?-
-Nessuno. Mamma ha provato fino alla nausea a convincere me e Tunia ad andare a lezione, ma alla fine persino lei ha dovuto rinunciare all’evidenza.- gli spiegò, pigiando alcuni tasti a caso.
-Di cosa?- le chiese ancora.
-Che nessuna delle due era portata. Nemmeno dopo due mesi di lezione ero in grado di distinguere il pentagramma dalle note e Tunia…beh lei non li seguiva proprio gli spartiti. Era convinta che se si è bravi sarebbe stato il talento a guidarti. Ti lascio immaginare quali concerti sapesse organizzare!- confessò.
-Tu suoni, invece?- continuò Lily, ben sapendo di quanto poco conoscesse realmente quel ragazzo.
Aveva scoperto più cose di lui negli ultimi mesi che in tutti gli anni che avevano passato insieme.
Lo vide annuire. –Mia madre ha iniziato a darmi lezioni quando avevo tre anni.-
-Davvero? Fammi sentire qualcosa!- lo esortò stupita.
-Non mi credi, eh? Ti farò sentire qualcosa a casa mia, suonare con un pianoforte così scordato sarebbe un insulto allo strumento. E alle mie incredibili doti, ovviamente!- ridacchiò, seguito poco dopo dalla ragazza.
-E’ che…è così poco da te! Voglio dire, quando è stata l’ultima volta che ti ho visto seduto per più di dieci minuti? Lezioni escluse, ovviamente!- continuò a ridere Lily.
-Hai fatto colazione?- cambiò poi improvvisamente argomento.
-Evans…non so cosa posso toccare senza amputarmi le dita, figurati se accendo una di quelle trappole!- le disse seguendola in cucina, dopo aver coperto i tasti del pianoforte con il panno e aver richiuso il coperchio.
-Se tu avessi seguito le lezioni senza copiare i compiti da Remus…- iniziò, attivando il tono da intransigente Caposcuola.
-Dai, Evans! Niente paternali sulla scuola, siamo in vacanza. E le vacanze sono sacre, niente compiti!- la informò vivacemente della sua filosofia di vita.
-Ci avrei scommesso.- bisbigliò tra se la ragazza, iniziando a preparare una vera colazione inglese, con tanto di uova e bacon, nonostante ormai fosse mezzogiorno passato.
Lui intanto continuava a ciarlare allegro, raccontandole di questo o di quello, di quei tentativi che somigliavano più a obblighi cui Anne l’aveva costretto nell’accendere il frullatore, il forno o preparare i biscotti.
-Mia madre ti sta insegnando a cucinare?- chiese Lily totalmente incredula.
Da quando sua madre, maniaca dell’ordine e del controllo, permetteva a qualcuno di toccare tegami e elettrodomestici? Che diavolo le aveva fatto, quel ragazzo?
Per tutta risposta lui strinse tranquillo le spalle articolando piano qualcosa che però non riuscì a capire.
-Evans, cos’è questo?- continuava intanto a blaterare, curiosando nella stanza con lo stesso sguardo di un bambino, nemmeno si trovasse in un parco giochi.
-Perché non mi chiami Lily?- lo interruppe, dando voce a un pensiero che le girava in testa, ma che ancora non aveva preso completamente forma.
James si avvicinò al piano cottura, stando bene attendo a non avvicinarsi troppo, dopotutto Anne gli aveva ripetuto più volte di fare attenzione quando era acceso e lui non ci teneva proprio a morire come una torcia umana, e sporgendosi sulla spalla della ragazza la guardò in viso curioso, cercando di capire perché quella domanda improvvisa.
È vero che due giorni prima gli aveva permesso di chiamarla per nome, dopo anni che minacciava di schiantarlo se solo ci avesse provato, ma non credeva che avesse preso così a cuore la questione.
-Beh…perché adesso so di poterlo fare. E voglio godermelo, visto quando ho faticato per poterlo fare.- le disse dopo qualche attimo di silenzio come se attestasse l’ovvio.
Vide le guance di lei andare a fuoco e volle convincersi che fosse successo per quello che le aveva appena detto e non per la preoccupante vicinanza che lei continuava a tenere con le fiamme assassine, non riuscendo però a trattenersi dal dirle –Perché non ti allontani un po’? Potresti prendere fuoco.- occhieggiando il possibile fautore di un incendio.
Gli occhi di Lily si allargarono increduli e forse un tantino offesi, anche se non ne capiva il motivo visto che si stava solo preoccupando per lei, prima che si voltasse nuovamente verso i fornelli sibilandogli un –Idiota!- per niente carino.
Stavano ormai pranzando, perché nemmeno Evans avrebbe potuto definire colazione il mangiare a mezzogiorno e trentacinque, in perfetto silenzio, sempre sotto l’ostile sguardo della ragazza quando lei sbottò.
-D’accordo che non mi credi in grado di cucinare senza appiccare un incendio e che non sono brava come mia madre, ma almeno ti piace?-
-Non ho mai detto niente del genere! Volevo solo che facessi attenzione!- replicò sullo stesso tono il ragazzo, prima di tornare a mangiare in silenzio.
-Tu dormi sempre fino a tardi nei giorni di vacanza, vero?- le chiede lui dopo un po’, guardandola attento mentre lavava i piatti appena usati.
-Perché?- quante cose sapeva di lei, quante ne aveva imparate nel corso degli anni senza che lei se ne accorgesse?
-Sarò costretto svegliarti, allora, per avere la colazione a orari decenti…- commentò avviandosi al piano di sopra, con un fine che la ragazza non comprendeva.
-Scordati che ti prepari la colazione, Potter. Mamma è più che felice di rimpinzarti di cibo, oggi è stato un caso fortuito, solo perché non era in casa…- gli urlò dietro.
James era ormai arrivato alla porta della propria camera da letto quando l’ultima parola di Lily gli arrivò. Per questo la sua risposta si perse tra la tromba delle scale e l’ingresso, spegnendosi prima di raggiungere la cucina e le orecchie della ragazza, impedendole di rompere qualunque stoviglia avesse in mano, di cadere o di mettersi a urlare imbarazzata.
Forse la signora Evans fu grata all’evento, visto l’attenzio con cui riponeva giornalmente le stoviglie scelte con cura, e forse lo sarebbe stata anche Evans stessa se ne fosse stata a conoscenza visto il prematuro, solo per lei in realtà, stato di shock che le avrebbe causato. O forse avrebbe voluto sentirle, quelle parole, che forse le avrebbero impedito di guardare James negli occhi per giorni, ma sicuramente le avrebbero aperto i suoi, ostinatamente coperti da due spesse fette di prosciutto, come diceva spesso Emmaline.
 
 

 

-Parlavo di quando saremo sposati, Evans…-
Nessuno avrebbe dubitato nemmeno per un secondo della verità nascosta in quelle poche parole, pronunciate col tono  sicuro e tranquillo che soltanto la certezza poteva dare.
James lo sapeva. L’aveva sempre saputo.
Contemplare la sconfitta, era un passo in quella direzione.
E lui non poteva permetterselo, non se c’era Evans in gioco. Per questo non l’aveva mai fatto. Non aveva mai dubitato, nemmeno dopo le peggiori litigate che un giorno l’avrebbe conquistata.
Dopotutto lui era James Potter.

 
 



 
 
 

***

 




 
 
 
Severus Piton era una delle figure più inquietanti che abitavano Hogwarts. E l’aggettivo inquietante poteva essere facilmente sostituito, mantenendo lo spaventoso significato complessivo intrinseco nella frase, con sadico, vendicativo, malvagio, silenziosamente pauroso e altre simili gentilezze che nella bocca di chiunque avrebbe reso il tutto parecchio spaventoso se non fosse stato che la bocca in questione apparteneva a Peter Minus. E questo portava a rovinare l’effetto oscuro dell’insieme e perfino quello preoccupante, portando invece l’ascoltatore a provare pena per il ragazzo tremante che da quattro giorni si aggirava per casa Piton inseguendo le ombre, ricercando gli angoli più nascosti o semplicemente i luoghi in cui, al momento, la mefitica presenta di Seversu non era avvistabile, da occhio umano come animale.
Se quindi tutti gli aggettivi che frullavano senza sosta nella mente del ragazzo, i cui nervi erano ormai tesi allo stremo, lo facevano apparire come un tremante topino di cui si provare pena, senza però muovere un dito per salvarlo dal macello, c’era da dire, a onor del vero, che Piton era da giorni intrattabile e tale sarebbe parso agli occhi di chiunque.
Peter certamente non si era aspettato, nemmeno nei suoi sogni più ottimistici da che aveva saputo il nome del ragazzo con cui avrebbe diviso la vacanza studio, un benvenuto caloroso. Non si era aspettato un improvvisa metamorfosi del ragazzo, rendendolo innocuo e socievole e non aveva nemmeno sperato di uscire da quelle due settimane di agonia incolume.
Ma si era ovviamente aspettato, e avrebbe avuto ragione se la famiglia Piton fosse stata una qualunque altra famiglia, eccenzion fatta soltanto per Black e Malfoy vari, l’intervento dei genitori di lui nei momenti di maggiore tensione o di preoccupante quanto silenziosa minaccia da parte del Serpeverde.
Aveva smesso di contare le volte in cui si era immobilizzato terrorizzato, spiaccicato contro un muro per evitare attacchi alle spalle, di fronte alla furia che brillava negli occhi di Piton, quale che fosse il motivo. E alla fine aveva capito il motivo di tanto astio soltanto grazie a una lettera di Remus in cui lo informava che Evans non viveva tanto lontana e che probabilmente alla rabbia verso Sirius che ancora covava, si doveva essere aggiunta la frustrazione per sapere la ragazza così vicina quanto disinteressata a chiarire, acuita ulteriormente dalla presenza di Potter al fianco di Lily.
Il risentimento di Peter si era quindi espanso, senza che nemmeno se ne rendesse conto, non solo verso Severus Piton, fautore diretto del terrore che albergava in lui da giorni, e verso Sirius Black, colpevole di aver scatenato volontariamente la collera del ragazzo pur sapendo a cosa sarebbe andato incontro lui, quanto di averlo fatto e non aver mai mostrato interesse per la situazione ostile in cui l’aveva gettato, ma anche verso la Evans che non aveva impedito a Sirius di scatenare il tutto e non si era mai presentata alla porta di quella squallida casa per parlare con l’amico, e perfino verso James perché aveva sempre avuto tutto e così era stato anche quella volta.
-Il pranzo è pronto.- la voce incolore della padrona di casa riscosse il ragazzo dalle sue elucubrazioni portandolo ad avvicinarsi cauto alla tavola, volendo assicurarsi di scegliere il posto più lontano dal suo possibile carnefice.
Peter aveva scoperto con sconcerto che Piton era mezzosangue e che il padre, babbano, gli era quasi ostile. Come lo era alla moglie o a Peter stesso, che pure era solo un povero ospite capitato lì senza aver voce in capitolo.
La casa in cui abitavano era vecchia e poco curata, piena di ombre e scricchiolii, sebbene nessuno in possesso delle proprie facoltà, l’avrebbe definita squallida e fatiscente, come aveva invece fatto Peter nella prima lettera che aveva scritto a Remus. A un occhi attento la casa avrebbe tristemente ricordato quel bambino pallido e malaticcio, evidentemente trascurato, che era stato Severus Piton al suo primo anno di scuola, ma Peter, troppo intento a compiangersi e temere attacchi dietro ogni angolo, non l’aveva notato.
Non che Piton non avesse contemplato l’idea di rifarsi su quel ragazzo inutile e goffo, ma aveva preferito il silenzio e l’immaginazione alle furiose litigate con suo padre che sarebbero seguite se davvero avesse colpito con la magia Minus.
Per questo era rimasto sordo al prudere delle mani quanto ai borbottii contrariati del padre, trincerandosi dietro all’altezzoso riserbo acquistato dopo anni di frequentazioni Serpeverde, per evitare di fornire a quell’idiota materiare per deriderlo o umiliarlo più di quando avessero già fatto i suoi cari amichetti nel corso degli ultimi anni, sempre ammettendo che avesse il coraggio di farlo da solo, senza l’ombra rassicurante e protettiva di Potter e Black.
Ma tutta quell’attenzione fu inutile e il Serpeverde lo capì nel momento stesso in cui suo padre, solitamente silenzioso durante il pranzo tanto da sembrare solo nella stanza anziché circondato da altre tre persone, prese la parola.
-Questa spazzatura la chiami cibo, donna?- borbottò sdegnato in direzione della moglie, facendo cadere incurante il cucchiaio nel piatto che aveva davanti, spargendo il contenuto tutto intorno.
Severus, come sua madre, fece finta di non sentire, lui conscio di non poter impedire le urla, lei forse ancora sperando di poterle evitare, facendo però infuriare ulteriormente l’uomo.
Il ragazzo si alzò velocemente da tavola, stringendo la bacchetta nella mano destra e ripetendosi mentalmente di non doverla usare, sotto gli occhi sgranati di Minus che assisteva perversamente affascinato alla scena.
Nel momento in cui tentò di zittire l’uomo questo si voltò verso di lui, gli occhi scintillanti di sdegno e forse qualcosa di peggio, sibilando con cattiveria -Fuori di qui, ragazzo.-
Ragazzo.
Non ricordava quando, né come avesse smesso, ma di fatto suo padre non lo chiamava più per nome da anni.
Ragazzo.
Se si rivolgeva a lui lo faceva solo con quell’appellativo.
Severus lasciò la stanza, senza notare lo sguardo soddisfatto che Peter gli rivolgeva, ancora immobile davanti al suo piatto, unico ancora seduto.
Mancavano ancora duecentocinquantadue ore alla partenza del treno per Hogwart, Peter le aveva contate da che l’aveva preso, quel treno.
Per la prima volta da che aveva iniziato sentì la presa allo stomaco sciogliersi, meno impaurito di quello che lo aspettava.
Dopo quello cui aveva assistito, dopo quello che aveva sentito, poteva far pagare a quel Serpeverde ogni affronto subito nel corso degli ultimi sette anni, di ogni attimo di terrore vissuto nelle ultime settimane e giorni.
Adesso lo sapeva, che non era voluto.
Adesso lo sapeva, che suo padre lo odiava.
Adesso lo sapeva, che avrebbe potuto schiacciarlo come uno scarafaggio.
Non sapeva, Peter, che quel momento, quei sentimenti, lo avevano appena portato a calarsi nel baratro di oscurità sul cui ciglio stava ormai da mesi.
Come tutti i suoi amici prima di lui, anche Peter Minus aveva fatto la sua scelta. Solo che ancora voleva nasconderla alla propria coscienza. E forse l’avrebbe fatto per sempre.
 
 



 
 
 
 

***

 
 
 



 
 
 
Della prima settimana di “vacanza” non rimanevano che pochi giorni e, a dispetto di quanto si fosse aspettato Remus, era volata. Riservato per natura e necessità, infatti, aveva guardato con preoccupazione alla vicinanza di una persona a lui completamente estranea quale era Medison, appartenente per di più a Corvonero, noto fulcro di menti brillanti eccetto poche e incomprensibili eccezioni, che da anni venivano reputate conseguenza di demenza senile da parte del Cappello Parlante, sempre supponendo che un cappello potesse soffrirne. L’unica nota positiva di tutta la situazione, aveva pensato per tutto il viaggio in treno, era che la luna piena era lontana e che quindi non avrebbe risentito degli effetti di una prossima trasformazione.
Con l’andare dei giorni,dopo le prime terribili dodici ore di silenzi imbarazzati e convenevoli vari, complice anche l’esempio di quel buon uomo di suo padre che pacato quanto lui era però riuscito a parlare tranquillamente con Medison, Remus si era tranquillizzato, fino ad arrivare perfino a trovare la ragazza un’ottima compagnia.
Medison Burdett era risultata infatti non solo la prima candidata per Caposcuola di Corvonero, carica rifiutata dalla stessa ragazza per evitare grandi rotture e potersi dedicare in tutta tranquillità allo studio, anche una compagnia divertente e perfettamente capace di rispettare i suoi spazi.
Aveva conquistato suo padre risvegliando la sua verve da professore, facendosi impelagare in una spiegazione di fisica quantistica di cui lei non immaginava nemmeno l’esistenza, nonostante i suoi genitori sebbene purosangue fossero apertamente contro i Mangiamorte e le loro idee razziste e anzi piuttosto progressisti, vista la presenza in casa loro di un televisore e unaradio assolutamente babbana.
-Remus, perché non la porti un po’ in giro? Non vi siete mai allontanati più di un isolato…- gli consigliò sua madre la quarta mattina, abituata all’indole pantofolaia del figlio che si risvegliava prepotente ogni volta che non aveva intorno i suoi migliori amici, e che ogni volta aveva bisogno di una spinta per tornare nell’ombra.
-Potrei chiederl…oh eccola! È con papà in giardino.- rispose Remus vedendo i due dalla finestra intenti a chiacchierare vicino al tubo di gomma che sua madre si divertiva sempre a usare per innaffiare le sue preziose peonie, nonostante la magia le avrebbe risparmiato tempo e fatica.
-Ehi Madison potremmo fare un giro, oggi pomeriggio, se ti va.- le chiese, pregando comunque silenziosamente per un diniego.
Remus adorava i suoi genitori, li ammirava anche per il modo esemplare con cui avevano affrontato il suo Piccolo Problema Peloso, come diceva James, ma odiava vivere in quella piccola città di campagna. Le voci sulle loro stramberie erano diventate velocemente parte del folklore cittadino, arricchito dalle divertite storie dei bambini o da quelle un po’ più acide delle vecchie vedove impiccione che non sapevano come passare il tempo. E portarla in giro, lei così decisamente fuori posto in un paesino del genere, avrebbe prima portato altre chiacchiere e poi, nel tempo in cui la sua presenza fosse stata nota a tutti i cittadini, in dieci secondi netti traguardo sconosciuto perfino a Hogwarts, sarebbero stati presi da assalto, forse addirittura assediati. E Remus ricordava ancora bene cosa volesse dire finire nelle grinfie di quelle finte vecchine innocue, da quando i ragazzi erano andati a fargli visita durante l’estate del terzo anno, diventato il bersaglio di tutti.
-Oh, certo. Mi dispiace, allora, John.- rispose la ragazza rivolta all’uomo.
-Non preoccuparti, mia cara. Sono convinta che troveremo un modo per organizzarci un’altra volta.- gli rispose lui, dandole un buffetto sul dorso della mano, nemmeno fosse una nipotina.
-Di cosa state parlando?- si intromise allora Remus, mettendo per un momento da parte il disagio prossimo alla disperazione nato dall’assenso della ragazza per quello che lei ancora non sapeva essere un piano potenzialmente suicida.
-Tuo padre mi aveva proposto un giro alla sua scuola. Aveva detto che magari potevo seguire un paio delle sue lezioni nelle classi più grandi. Hanno più o meno la nostra età, Remus.- gli spiegò la ragazza con un sorriso.
-Beh ma possiamo andare, no? Voglio dire la visita del paese può essere benissimo rimandata!- accettò con entusiasmo il ragazzo, vedendo svanire dall’orizzonte, almeno per le prossime ventiquattr’ore, una prematura morte per asfissia in acqua di colonia, tanto amata dalle ormai celebri vedove nere che abitavano poche strade più in là e che avevano fatto del gossip un’arte tale che non sarebbe mai potuta essere migliorata.
Stavano ormai scendendo dall’auto del padre, sotto gli sguardi divertiti della ragazza che aveva trovato l’esperienza esilarante, quando Remus si rese conto che vacanza presupponeva l’assenza da scuola. E che forse anche se a vacanza seguiva, come nel loro caso, studio, forse Medison aveva accettato solo per educazione e lui l’aveva appena costretta a un calvario, come continuava a martellarlo in testa una vocina che aveva una voce preoccupantemente simile a quella di Sirius.
Fu così che, fermi fuori dall’aula professori ad aspettare che suo padre recuperasse registro e libri vari per la sua lezione di fisica agli allievi dell’ultimo anno, Remus si decise a parlare e scusarsi.
-Medison mi spiace averti trascinato qua. Probabilmente avresti preferito fare un giro. Magari possiamo dire a mio padre che abbiamo cambiato idea.- la inondò di informazioni il ragazzo, imbarazzato per il comportamento poco gentile che aveva adottato.
-Non preoccuparti, Remus. Te l’ho detto, che eravamo già d’accordo con tuo padre.- gli rispose lei, con un sorriso.
-Si, ma se hai accettato per cortesia, non preoccuparti, papà capirà sicuramente.-
-Non avrei accettato se non fossi stata curiosa, sono sincera, davvero. Non sono il tipo che fa qualcosa quando non vuole, immagino che in questo quasi tutti i Purosangue si assomiglino.- rispose ancora, dimostrando un certo humor tipicamente inglese verso la propria condizione di sangue che presero alla sprovvista Remus, vista la tranquillità con cui parlava di come tutti loro a volte fossero arroganti e viziati, pur non volendo. James e Sirius ne erano l’esempio, a volte.
Il ragazzo sospirò con un sorriso, tranquillo adesso, prima di rispondere. –Beh sai, speravo in una scusa per non portarti in giro. Le pettegole di paese ci avrebbero preso d’assedio in pochi secondi e solo smaterializzarsi sarebbe servito a salvarci.- le rivelò.
-Oh non hai visto niente, ancora, te lo giuro. Mia madre ha una preoccupante propensione per il gossip e i mercoledì si riunisce con le sue amiche del club del libro diventando più simile a un’arpia che a un essere umano. E quello non riusciremo a evitarcelo, nemmeno con la smaterializzazione.- ridacchiò la ragazza, seguendo poi di buon grado John che sorridente aveva assunto il ruolo di cicerone, spiegando poi a bassa voce alla ragazza cosa fosse permesso o meno entro quelle affollate mura e cosa aspettarsi dalla sua lezione.
 
 





 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Ennesimo capitolo in ritardo, ennesime scuse. Ma ormai credo vi ci siete abituate.
Però non sono stata con le mani in mano. Il capitolo è di una pagina più lungo e ho riletto la storia, per fare il punto perché sono pessima e ho maree di fogli con appunti su A Modern Myth, ma non sapevo più da che parte guardarli.
Come va? Qua le vacanze stanno finendo, sarà che per me quest’anno sono state più corte del solito o chessò io, ma mi sta prendendo la disperazione.
Avete passato un buon ferragosto? Io decisamente bagnato. Bagnato e ancora bagnato. Si, lo so a vent’anni ancora a fare i gavettoni, ma non posso farci niente. Il mio cervello si è fermato anni fa e ha un’età decisamente inferiore.
Ma ho anche pontificato, eh? Nello specifico le mie vacanze, ma non sto ad annoiarvi e passo la capitolo che è meglio.
Andiamo con ordine. L’ultimo paragrafo della parte di James e Lily, nel caso non si fosse capito, vi permette di sentire la risposta di James di modo che rimanga ignota solo a Lily e non solo chiusa nella mia testa.
Vernon gonfiato è ovviamente un rimando a Zia Marge gonfiata da Harry nel terzo libro o film che vogliate. Ho adorato tropo quella scena e l’ho voluta replicare. Lily che dorme con una mazza a portata di mano, invece, è mia sorella che fa lo stesso quando i nostri genitori non dormono a casa per qualche motivo. Petunia che suona il piano senza lo spartito, invece, sono io, che vado più a orecchio e memoria che altro. Lo so, che vi frega? Ma ormai mi conoscete, la mia mente va da sola e si porta dietro le dita.
Su Lily e James, invece, non dico niente. Se non che ormai lo zucchero dilaga e non riesco a farci niente.
La parte di Piton e Peter è la mia preferita, lo so sono incredibilmente stronza, ma non posso farci niente. Vedevo Peter strisciare sulle pareti di casa come un film e non potevo non scriverlo! L’atteggiamento del padre di Severus è liberamente tratto dai passi del libro che vagamente ricordo, ma ammetto di non essere andata a rileggere, quindi perdonate se ci sono errori al riguardo. Minus poi fa decisamente la sua scelta, sebbene inconsapevolmente. Non so come la vedete, ma io ho sempre pensato che prima di tradire gli amici ci fosse stata la gelosia, l’invidia e la rabbia, ma soprattutto la voglia di rivalsa sui vecchi nemici. Insomma sceglie il male per paura, per rifarsi degli anni di schermi e roba varia, prima di decidere di farsi marchiare. Lo trovate verosimile?
Medison era già stata presentata nel capitolo 11, “Segreti svelati”, quando becca Peter a spiare Cordelia e mostrano un incontrollato amore l’uno per l’altra. Si come no!!, ma qua viene fuori anche la parte normale, non solo quella irritabile e stronza che riversa addosso a Minus.
Il padre di Remus, deve il suo nome, al secondo nome del figlio, John appunto. E visto che tutti i maghi mettono nel nome del figlio anche il proprio ho fatto lo stesso. Ed è un professore di fisica, babbano tra babbani più o meno, perché così dice l’autrice in un intervista del 2004, mi sono documentata.
Ah, parentesi inutile ma che ci tengo a fare, odio la fisica, ma quei due sono due secchioni assurdi, quindi ci stava.
E alla fine, rileggendo la storia e facendo il punto, mi sono resa conto che non solo ho pubblicato anche errori di battitura, perdono, ma anche delle vere cavolate!
Di Dorea Potter si è detto, o almeno James l’ha pensato, che in qualche modo avesse dei geni in comune con i Black. Ebbene di fatto li ha. Il cognome da nubile era infatti Black e non è stata diseredata in quanto un Potter era comunque un buon partito anche se di idee decisamente più liberali.
Nel primo capitolo, invece, ho dato a Remus la spilla di Caposcuola, supponendo che i Prefetti lo diventassero di conseguenza, quando invece la spilla, udite udite, è di James. Ed è il motivo per cui lui e Lily iniziano ad avvicinarsi.
Altro errore è Emmaline. Nel quarto libro, mi è stato fatto notare, si cita una Emmaline che però era a Grifondoro, appartenente all’ordine e morta più o meno lo stesso anno per mano di alcuni Mangiamorte o così dice Malocchio.
 Tutte queste precisazioni sono state prese dal sito Harry Potter Lexicon, o da qualche intervista trovata per caso. Lo so che sono pedante, ma continuo a scrivere cercando di rimanere entro le tracce date e ho voluto precisarlo. Ritenele una svista, visto che non compromettono niente, ma se preferite posso anche cambiare i capitoli in questione. Solo James Caposcuola non è fattibile in questa storia, perché dovrei cambiare parecchie cose visto che quei due sarebbero costretti a frequentarsi per le ronde.
Ora non posso che lasciarvi in pace, finalmente!!
Mi lasciate un commento? Prometto che domani rispondo alle recensioni, stasera esco e necessito di restauro, quindi non posso farlo adesso.
Come sempre grazie a chi legge e commenta, perché la storia va avanti per voi. Altrimenti rimarrebbe sepolta nel pc.
Tanti baci. Rebecca.





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Capitolo 25
*** Il pezzo mancante ***
















Era l’ultima sera a casa Evans e sua madre aveva iniziato a sclerare dal giorno prima, intimando a lei di scrivere più spesso e a James di non sparire, promettendogli di mandargli al più presto i suoi biscotti preferiti e arrivando perfino a invitarlo per le vacanze pasquali, visto che Natale era sacro e andava passato in famiglia.
Suo padre si limitava a scuotere la testa, conscio dell’impossibilità di frenare la moglie, osservando però divertito i tentativi della figlia di farlo e, allo stesso tempo, la lotta interiore di James, diviso a metà tra il desiderio di tornare e stare accanto a Lily e i rifiuti educati e gentili, inutili con quel vulcano di Anne tanto quanto una bottiglia d’acqua per spegnere un vulcano, vero questa volta.
George represse una nuova risa vedendo la figlia pronta a prendere fuoco nel tentativo di riportare la madre all’ordine, mentre lui e James erano impegnati in un’agguerritissima partita a scacchi. Con l’andare dei giorni quel ragazzo gli dava sempre più filo da torcere e avrebbe scommesso che entro sera sarebbe riuscito a batterlo.
Era da ammirare un ragazzo del genere. Ci voleva intelligenza e perseveranza in quel gioco, e a quel ragazzo non mancavano di certo. Avrebbe potuto voler dire lo stesso di Vernon, il marito della sua piccola Petunia, ma la ragazza era felice con lui e questo bastava.
-Mamma! Adesso stai esagerando!- strillò Lily, rossa in faccia tanto quanto in testa, sotto gli sguardi divertiti di James e del padre.
-Perché? È stato così divertente avere James in giro per casa…sarebbe un piacere caro riaverti qua per qualche giorno.- continuò imperterrita la donna, ignorando lo sguardo assassino della figlia.
-Non ti viene in mente che forse ha già altri programmi per Pasqua, o che comunque potrebbe avere di meglio da fare? Senza avere il tuo fiato sul collo, intendo…-  riprese la figlia, parandosi davanti alla madre, impedendole così di continuare a ignorarla.
-Oh, suvvia tesoro, non lo sto costringendo mica…però caro, anche mia madre sarebbe felice di vederti. E il giorno dopo Pasqua tutta la famiglia si riunisce per pranzo a casa sua.-
Lily sapeva che sua madre aveva la stessa perseveranza di un carro armato col pilota automatico, quindi pronto perfino a passare sopra le altre macchine pur di raggiungere l’obbiettivo, però qualcosa non tornava. Normalmente avrebbe riempito Potter di chiacchiere fino a portarlo all’esasperazione pur di convincerlo, come faceva con lei o con qualunque altra persona che si mostrava fermante contrarie alle sue idee. Oppure avrebbe puntato alla sua educazione o qualunque altro punto debole, per convincerlo a passare almeno un paio di giorni con loro, se avesse visto anche solo una minima traccia di desiderio di accettare.
Ma non poteva attuare nessuna delle due tattiche, perché tre lei e sua madre, avevano impedito al ragazzo di articolare anche la minima risposta. Eppure continuava imperterrita, come in un monologo, senza considerare lei e nemmeno il possibile ospite.
Cose se stesse cercando di tenerla impegnata e…oddio! Cosa le stava nascondendo adesso, quella maledetta di sua madre?
Lanciò un’occhiata incendiaria al padre e vedendolo stirare un sorriso e scrollare le spalle, prima di tornare alla sua partita con Potter, capì di averci visto giusto.
Certamente non poteva essere un’altra cena di famiglia, visto che perfino una persona pacata con il marito, avrebbe dato di matto a doverli avere in casa per la seconda volta in una sola settimana.
-D’accordo mamma, fuori il rospo!- le intimò severa, perfettamente calata nel suo ruolo di Caposcuola, tanto che Lily vide Potter alzare il viso di scatto, lo sguardo preoccupato conoscendo cosa poteva capitare quando la ragazza adottava quel tono o forse soltanto come riflesso involontario per le volte in cui si era rivolta a lui così.
-Anne sta nascondendo una rana?- chiese James sottovoce in direzione di George, incredulo dalla prospettiva.
In quei giorni tra i babbani, in cui Lily lo aveva portato in giro a volte come un pacco, James aveva capito che i babbani erano molto più schizzinosi dei maghi verso rettili o altri animali viscidi. Per non parlare della possibilità di toccare interiora o bulbi oculari, che a detta della rossa, erano considerate quasi eresie e trovava perciò altamente improbabile che Anne ne avesse toccato uno.
George per tutta risposta rise divertito scuotendo la testa borbottando un “è solo un modo di dire”, prima di tornare a concentrarsi sulla scacchiera, lasciando alla moglie l’onore e l’onere di dire la verità alla figlia, almeno quella volta.
-Staseravieneacenatuasorella!- la donna sputò fuori tutto in un soffio, sembrando ancora una volta molto più giovane della sua età quando nascose il viso dietro le mani, spiando però la reazione della figlia tra le fessure delle dita.
James ormai c’era abituato. Capitava spesso che Anne si comportasse come una ragazzina, e in generale comunque era molto giovanile per la sua età. Aveva quarantatre anni, come gli aveva confidato, ma ne dimostrava dieci meno.
Doveva aver giocato tantissimo con Lily da bambina.
La immaginava a correrle dietro ridendo, fare smorfie per far ridere una piccola bambina dai capelli rossi e incredibili occhi verdi. Doveva essere stata una madre fantastica, e lo era tuttora, nonostante facesse irritare la figlia ogni due minuti.
Pur non avendo capito la confessione di Anne, James capì che Evans lo aveva fatto quando avvertì l’immediato cambio di atmosfera e guardò George preoccupato, non sapendo come comportarsi.
Vide poi Lily sospirare e passarsi nervosa una mano tra i capelli, spostando lo sguardo in tutta la stanza fino a incontrare quello preoccupato di James.
-Lo sa?- chiese solo alla madre. Chi e cosa, James non avrebbe saputo dirlo.
Dopo averla vista annuire Lily annuì a sua volta e si voltò di nuovo verso James.
-D’accordo Potter, andiamo a scegliere i vestiti per stasera. O altrimenti Tunia darà di matto.- lo informò occhieggiando i vestiti da mago che nonostante tutto in casa continuava a portare.
Ancora senza avere bene in chiaro la situazione, o almeno il problema visto che si trattava comunque solo della sorella, lasciò la partita a metà scusandosi con un’occhiata con George e seguì Evans al piano superiore.
 











***










 
La stanza degli ospiti era la stanza preferita di Anne Evans, ma questo James non poteva saperlo.
Era la sua stanza preferita non per un particolare mobilio, né per il verde delicato delle pareti. Non lo era nemmeno per la particolare posizione della stanza rispetto alla strada o a quello che si poteva vedere dalla finestra. A ben vedere non era nemmeno per i soprammobili che con gli anni erano andati sempre più diminuendo, per le foto appese alla parete nord della stanza e nemmeno…insomma era la stanza preferita di Anne, ma per un motivo che non aveva niente a che fare con la stanza in sé. Quando per l’uso cui era adibita. E, paradossalmente, vista la soddisfazione che Anne traeva nell’avere ospiti in casa, non era nemmeno quello il motivo.
Anne adorava quella stanza perché, da maniaca delle pulizie quale era, rimaneva perfettamente in ordine per la gran parte dell’anno e una volta che l’ospite di turno levava le tende, lei poteva riprenderne pieno possesso per assoggettarla al proprio volere nonché al proprio ordine mentale.
Sarebbe stato quindi un grande shock vedere in che stato la propria adorata secondogenita aveva ridotto quell’oasi di pace e armonia, in una casa altrimenti troppo vissuta e in movimento per i gusti della donna, dopo nemmeno una mezz’ora da quando era salita insieme a Potter.
E, sebbene James non provasse certo per quelle quattro mura l’affetto che si nutre per un figlio che si è cresciuto con attenta cura e malcelato orgoglio materno, quale provava invece la signora Evans, guardava incredulo l’enorme montagna di vestiti che andavano sempre più accumularsi sul letto.
Una montagna che, e ne era sicuro, non aveva portato con se da Hogwarts. Ma che Evans aveva fatto spuntare da ogni dove.
E infatti non era un caso se, seppelliti da jeans, camicie e pantaloni di morbida fattura magica, c’erano anche un paio di completi del signor Evans, apparsi da chissà dove giacché la ragazza non aveva usato la propria bacchetta, e scartati in pochi secondi vista la faccia schifata del ragazzo.
George aveva certamente buon gusto nel vestire, ma il fatto che contasse più del doppio dei suoi anni, che fosse più basso di lui e che avesse almeno un paio di taglie in più, rendevano James parecchio scettico nell’indossare qualcosa di suo e riportare un esito positivo. E alla fine perfino la rossa doveva essersene resa conto.
Potter si alzò dal davanzale della finestra su cui era rimasto seduto fino a quel momento, lasciando Evans libera di impazzire in tutta libertà dietro la ricerca di solo Merlino sapeva cosa, per buttarsi a peso morto sul letto, schiacciando tra l’altro sotto di se un paio di pantaloni, e iniziando a rispondere alla lettera che sua madre gli aveva mandato quella mattina a colazione.
Anne era rimasta quasi pietrificata vedendo quel gufo apparire all’improvviso e una volta finito il proprio bacon aveva perfino rimandato di riordinare la cucina per telefonare alla madre ed esporre così le proprie rimostranze sul costante conformarsi a un sistema con una persona che capisse.
Quando James aveva chiesto spiegazioni George, credendo di averla in qualche modo turbata per l’improvvisa apparizione del volatile, l’uomo aveva ridacchiato raccontandogli di come la moglie avesse partecipato nel ’68 a una serie di proteste pacifiche nel cuore di Londra, trascinandosi dietro le figlie che allora avevano otto e dieci anni, e che sembrava portare tutto’ora avanti silenziosamente proprio con quell’assurda storia della posta a colazione.
-Ehi Evans, pensi che i tuoi genitori se la siano presa visto che i miei non hanno mandato loro nessuna lettera per ringraziarli dell’ospitalità o quantomeno presentarsi?- chiese dopo un po’ il ragazzo, rileggendo alcune righe della lettera della madre.
-Cosa? E perché?- rispose lei distratta, continuando a sguazzare in quel bel laghetto di vestiti.
-Beh sono stati così gentili da ospitarmi pur non avendomi mai visto e…- provò a spiegarle le perplessità espresse dalla madre, ma che erano apparse un paio di volte perfino nella sua mente.
-Era un progetto scolastico e avevo detto loro chi fosse il mio compagno. Credo avessero già messo in conto di non averti mai visto. Dopotutto loro conoscono solo Severus e le ragazze.- gli spiegò lei buttandosi quasi di testa tra i vestiti e armeggiando allo stesso tempo con delle cravatte.
Ma che diavolo voleva fargli mettere per quella cena? E soprattutto perché sembrava così nervosa? In confronto il giorno della cena con tutta la famiglia Evans era stata allegra.
E se per un attimo pensò che fosse perché voleva che lui facesse buona impressione sulla sorella, James fece presto a brandelli quel pensiero felice, ricordando che il rapporto tra le due non era proprio idilliaco.
-Potrei dire a mamma di mandare ai tuoi un cesto di ringraziamento, cosa ne pensi? Mia madre li adora…- cercò di distrarla ancora, sperando allo stesso tempo di trovare una soluzione a quella situazione che sua madre aveva definito “lontana da qualunque anche minima pretesa di buone maniere”.
-Ma figurati! Mamma si è divertita così tanto con te intorno che non c’è alcun bisogno di ringraziamenti. Credimi, se vuoi farla felice basterà che tu le scriva un paio di righe per Natale e ti riempirà così tanto di dolciumi che non saprai che fartene…ma ora basta! Provati questi!- gli ordinò alla fine allungandogli un paio di pantaloni e una semplice maglia rossa.
-Evans, mi vuoi dire qual è il problema? Voglio dire non ci saranno le tue cugine che cercano di sposarmi, tuo zio mi adora viste le mie conoscenze astronomiche e tua nonna…- le disse con i vestiti in mano.
-E’ che…è che…Ti ho mentito. I miei parenti…se non sanno niente non è solo per il decreto. Ma anche per mia sorella. Tunia, ecco lei…mi odia.- confessò alla fine giocando nervosamente con una cravatta a righine e senza guardalo in faccia.
James non sapeva esattamente come comportarsi. Cosa si doveva dire quando la ragazza che ami da tutta una vita ti confessa che la sorella la odia? Avrebbero dovuto tenere corsi sull’argomento a Hogwarts, invece che assurdità come Antiche Rune o Divinazione.
Quando Sirius gli aveva raccontato dei suoi problemi sempre più grossi con Regulus era stato facile. Erano al quarto anno e si erano ubriacati per la prima volta, evadendo la sorveglianza di Gazza quanto quella di Remus grazie al Mantello dell’Invisibilità. Quando poi i rapporti con il Serpeverde erano cessati del tutto, avevano preferito una corsa nella foresta come Animaghi e un tuffo nel lago, rischiando quasi l’ipotermia, oltre che l’espulsione.
Ma cosa doveva dire a Evans?
Per quanto di lei avesse imparato nel corso degli anni, che aveva tanti modi di sorridere, che si aggiustava i capelli quando era nervosa, che si stropicciava il naso quando era stanca e che si mordeva le labbra per non urlare, non conosceva l’altra Evans.
Della Evans che viveva tra i babbani non sapeva niente. E questo lo bloccava.
-Sono sicuro che ti sbagli. Magari le manchi soltanto…- provò ad articolare prima di zittirsi vedendola scuotere il capo con un sorriso triste. E gli occhi, ancora non riusciva a vederli.
Come poteva capire cosa pensava se gli impediva di guardarla negli occhi?
- Petunia non mi parla da anni. Se escludi gli insulti, poi, non lo fa da quanto sono partita per Hogwarts al primo anno.- continuando a stringere la cravatta come a volerla spezzare, Lily, si andò a sedere sul letto vicino al ragazzo, prima di riprendere.
-Voleva entrare anche lei a Hogwart, lo voleva davvero tanto, ma Silente le spiegò che non era possibile. E lo stesso fece la professoressa McGrannit quando venne a casa a parlare con i miei per convincerli che non era uno scherzo. Per il resto dell’estate Petunia fu intrattabile, ma ero troppo occupata con questo nuovo mondo per preoccuparmene troppo. Ascoltare le storie di Severus su Hogwarts e sulla magia mi impediva di pensare ad altro.-
James strinse una mano a pugno sentendo il nome del ragazzo. Era nei suoi ricordi già prima di Hogwarts, era stato il suo più caro amico, ricordò con una fitta di gelosia.
Quanto era stato stupido, Mocciosus, a gettare via tutto quanto solo per un po’ di potere?
A gettare via lei, per un po’ di potere.
-Sai mi sono resa conto che la sua rabbia era una rabbia strana, diversa da quella con cui aveva accolto la mia lettera, solo il giorno della partenza. Mi volevo convincere che era dispiaciuta perché non mi avrebbe rivisto per mesi e anche perché non era stata ammessa e le promisi che avrei chiesto al preside se poteva fare un’eccezione, ma…non ne volle sapere. Da allora era andato tutto sempre peggio.- James aveva la strana sensazione che mancasse qualcosa a quella storia, che Lily non gli avesse detto tutto, ma il desiderio di farla stare meglio era più forte perfino dell’istinto.
Così le accarezzò piano i capelli, ancora impantanato in quella strana sconosciuta che era quella nuova Evans, e rimase sorpreso di sentirla appoggiarsi a se, la sua testa sulla spalla, nascondendo però ancora gli occhi.
Avrebbe giurato che stesse piangendo, se fosse stata completamente un’altra persona. Ma in quei giorni a casa sua, tra i comportamenti inusuali della ragazza aveva ritrovato anche che aveva tanti modi di sorridere, che si aggiustava i capelli quando era nervosa, che si stropicciava il naso quando era stanca e che si mordeva le labbra per non urlare, che non era poi così diversa dalla ragazza che aveva imparato a conoscere. E capì che no, Evans non stava piangendo anche se avrebbe voluto farlo.
Forse perfino loro due avevano qualcosa in comune. Lui sorrideva sempre, anche quando non voleva farlo.
E, adesso lo capiva, Lily aveva qualcosa in comune perfino con Sirius.
 

-Ha parlato con me perché un po’ ci assomigliamo.- commentò a bassa voce Sirius.

 
Ricordava perfettamente le parole che gli aveva detto in Sala Comune quella sera, dopo averli trovati abbracciati. E se quella notte Sirius gli aveva dato solo qualche vago indizio, problemi in famiglia…sua sorella…, adesso capiva almeno cosa volesse dire.
-Sirius avrebbe saputo cosa dire.- commentò vagamente con una punta di amarezza, in linea con i pensieri di poco prima, quasi senza rendersene conto.
-Black avrebbe detto tutto e niente. Come quella sera…sai, ero convinta che ti avesse detto tutto.- ammise la ragazza sotto voce.
James provò ancora una nuova fitta di gelosia al pensiero di quei due insieme, soprattutto di quel segreto solo loro che continuavano a custodire, ma la mise a tacere.
-Non mi ha detto niente. Solo che un po’ vi assomigliavate…- confidò lui, glissando sul piccolo indizio che l’amico gli aveva comunque dato, vista l’inutilità dell’informazione quando l’aveva ricevuta.
-Più di quanto credi…- bisbigliò ancora lei, prima di alzarsi a ributtarsi a capofitto tra i vestiti con un –E ora muoviamoci. Abbiamo perso anche troppo tempo.-
E se James avrebbe potuto rimanerci male da quel totale cambio di discorso, quasi non fosse mai avvenuto come ormai era tipico di lei, vedendo che aveva smesso di fuggire il suo sguardo almeno un poco tutto cambiò. Gli bastò incontrare quegli occhi sensazionali, di un verde ancora lievemente umido, per leggerci dentro il sorriso grato che le labbra ancora non riuscivano a fare.
 












***












 
Erano le sette e quarantacinque. L’ora era giunta, perché Lily, conoscendo sua sorella, avrebbe giurato che nel giro di dieci secondi avrebbe suonato alla porta di casa.
Sentiva i crampi allo stomaco tanto era agitata e ormai aveva perso il conto delle volte in cui si era alzata dal divano, aveva controllato la tavola e poi il vestito di lana verde che aveva indossato, prima di tornare a sedersi, sobbalzando però a ogni minimo rumore.
Suo padre la guardava con malcelato dispiacere, conscio di quanto l’attesa la stesse snervando e di quanto la serata avrebbe fatto il resto, rovinandole del tutto l’appetito e i nervi. Lily si ritrovò tristemente a pensare che ormai avrebbe dovuto essere abituata a tutto quello, eppure ogni volta non poteva fare altro che cercare di reprimere aspettative e speranze di fronte alla necessità di salvaguardare se stessa e il proprio cuore.
A undici anni era rimasta impotente di fronte all’odio che Petunia le aveva riversato addosso. E così l’estate dopo e quella dopo ancora, fino a capire che l’illusione che l’aveva accompagnata negli anni di ricucire i rapporti con la sorella, ritornare quella bambina di undici anni che vedeva nella sorella la sua migliore amica, era soltanto quello, appunto. Un illusione.
Così continuava ad agitarsi senza scopo, forse sperando che l’ansia avrebbe ucciso l’aspettativa. Forse sperando che il movimento avrebbe soltanto fatto passare più velocemente quei minuti di attesa.
E il senso di colpa che provava verso Potter da quasi dieci minuti non aiutava, sebbene le distraesse la mente.
Certo quello stupido non poteva pensare che l’apparire improvviso, in un momento critico quale era quello che stavano vivendo, di un gufo l’avrebbe ben disposta. Nei confronti del ragazzo o del gufo non importava, visto che gli aveva urlato contro con tutto il fiato che aveva in gola, minacciando di schiantare, lui e il pennuto, quando l’aveva visto tirare fuori la bacchetta per pronunciare un Engorgio e riportare alle originali dimensioni il cesto di ringraziamento che mamma Potter aveva mandato ai signori Evans debitamente ridotto, per evitare così l’infarto per sovraccarico al piccione.
Lily sapeva che nel corso della settimana erano arrivati a una specie di compromesso riguardo gli incantesimi, che erano stati di fatto relegati alla casa soltanto, ma comunque permessi, ma come poteva essere venuto in mente a quell’enorme idiota di fare una magia quando sua sorella avrebbe potuto entrare in casa da un momento all’altro?
Eppure gli aveva spiegato quanto fossero orribili i rapporti con Tunia, anche se forse aveva omesso qualcosa.
Come “mostro” o “abominio” o ancora “terrore”.
Ma nonostante gli anni passati ancora non riusciva a credere che sua sorella le avesse detto davvero cose del genere, figurarsi a dirlo ad alta voce.
-Lily, tesoro, perché non vai a chiamare James? Vernon sta parcheggiando ora l’auto.- le disse gentile il padre, probabilmente per darle la possibilità di riprendersi prima dell’inevitabile.
Era stata così tanto presa dai suoi deprimenti pensieri da non aver neppure sentito il rumore. O forse semplicemente le sue antenne, tese fino allo spasmo per tutto il pomeriggio, avevano definitivamente rassegnato la resa dichiarandosi sconfitte di fronte alla sua pazzia dilagante.
Perché ovviamente era quello il suo problema.
Nonostante il dolore che provava ogni volta, infatti, non ricordava di essere mai stata così tanto nervosa per un incontro con Petunia. Ma forse l’isteria era dovuta soltanto all’aver saputo dell’incontro solo qualche ora prima, non avendo così avuto il tempo di preparasi mentalmente a quello che l’avrebbe aspettata.
-Ehi Potter è arrivata mia sorella.- lo chiamò attraverso la porta, pronta a vederselo apparire davanti arrabbiato o quantomeno risentito dopo il trattamento cui l’aveva sottoposto poco prima.
E invece se lo vide apparire davanti con il suo solito sorriso da schiaffi e per l’ennesima volta Lily si ritrovò a considerare che James sorrideva sempre, anche quando chiunque altro lo avrebbe fatto, che con lei lo faceva sempre o quasi, le volte che l’aveva visto irritato o anche solo dispiaciuto di qualcosa che lei aveva fatto o detto si potevano contare sulle dita e solo recentemente.
Ma per la prima volta capì coscientemente che non era giusto.
Non era giusto che James sorridesse sempre, probabilmente anche quando non voleva farlo. Non con lei almeno.
Capì che l’isteria non era dovuta a psicosi né paura. Era per James. Non avrebbe mai voluto gettarlo in pasto a Petunia, non avrebbe mai voluto che tastasse con mano il disprezzo di sua sorella per quelli come loro.
Non voleva che venisse riversato lo stesso disprezzo anche su di lui, che non c’entrava niente, ma soprattutto non se lo meritava.
E lo capì nel momento in cui, entrando in soggiorno, i suoi occhi si incontrarono con quelli impauriti di Petunia.
 












 

***










 
 
Erano passate tre ore da quanto Petunia e suo marito Vernon erano arrivati.
La cena di Anne era ottima come sempre, per quanto James spesso si ritrovasse nel piatto roba che non aveva mai mangiato prima, bel lontani dai pasticci di zucca o dal crumble al rabarbaro con crema alla vaniglia cui il loro elfo l’aveva abituato.
E forse era proprio il cibo che rendeva quella serata sopportabile, non era un caso, dopotutto, che dopo la prima portata avesse accolto con gioia il continuo riempirgli il piatto da parte di Lily prima e Anne poi, che gli evitava di dover intervenire nelle discussioni, nonostante si sentisse un tacchino il giorno di Natale e ancora non fosse stato servito il dolce.
Non sapeva bene nemmeno come fosse possibile essere arrivati già al dolce, visto quanto velocemente aveva staccato cervello e orecchie dalle mortalmente noiose chiacchiere che tale Vernon, un tricheco baffuto e pronto all’ingrasso che aveva incrociato il suo sguardo forse due volte da che erano entrati, continuava a tirare fuori parlando di viti e treppani e motore, che solo Merlino sapeva cosa fossero.
Evans gli era rimasta a fianco tutta la sera, irrigidendosi sempre più ogni volta che la sorella interrompeva Anne quando tirava fuori qualche discorso sulla scuola o sulla loro settimana studio, senza mai peraltro rivolgersi alla rossa.
Era stato proprio quell’atteggiamento, il costante evitare una qualunque vicinanza fisica tra le due ragazze e l’intensionale fingere che non fosse nemmeno presente, più che non lo sguardo sempre più cupo di George e quello più battagliero di Anne che invece cercava di coinvolgere le figlie in ogni modo, a convincere James che qualche pezzo effettivamente mancasse alla storia che Lily gli aveva raccontato quel pomeriggio.
Non aveva mai visto la sua rossa così arrendevole e sconfitta, nemmeno quando aveva rotto ogni contatto con Mocciosus.
Odiava quella situazione di stallo perché non sapeva come aiutarla. Lui era un Grifondoro, dannazione! Quelli come loro erano fatti per i campi di battaglia, per affrontare le situazioni di petto, per difendere un amico senza paura, non per destreggiarsi in quella logorante guerra fredda sotterranea che non dava appigli per mosse a effetto.
Quella situazione sarebbe stata l’ideale per un Serpeverde, dovette ammettere con stizza, sebbene l’idea di essere loro inferiore in qualcosa, fosse anche solo l'essere subdolo lo rendesse nervoso come un Ungaro Spinato.
-Vado io a prendere il dolce mamma. Mi aiuti James?- chiese improvvisamente Lily, riportandolo con i piedi per terra.
La seguì docilmente in cucina, ben contendo di avere una scusa per allontanarsi da quel clima opprimente, pensando che se erano arrivati al dolce non poteva mancare poi tanto perché sorella e consorte levassero le tende, senza peraltro sentirsi minimamente in colpa nello sperare in una loro veloce dipartita.
-Mi spiace, James, non avrei mai voluto coinvolgerti in qualcosa di tanto spiacevole.- si scusò ancora la rossa, quella volta senza motivo e dovette capirlo anche lei visto che continuò –Non credevo che mamma avrebbe invitato Tunia. Avrei preferito ti evitasse una scena del genere.-
James si morse il labbro inferiore, indeciso se dirle quello che stava pensando davvero oppure buttarla sullo scherzo come sempre, decidendo però di essere sincero senza sapere bene nemmeno perché. Forse per qualcosa che aveva visto negli occhi di lei, o forse perché quel pomeriggio si era aperta con lui come mai prima e l’ultima cosa che voleva era farla arrabbiare e chiudere di nuovo a riccio per un comportamento da idiota.
-Il clima è irrespirabile, Evans. Tua sorella non mi piace e tanto meno quel tricheco noioso, ma ho visto di peggio. Il mondo è pieno di boriosi idioti come lui e il Ministero sembra contenerne la maggior parte.- ammise alla fine, censurando i suoi pensieri molto, ma mooolto.
Non poteva certo dirle che sua sorella sembrava una stronza snob e che il marito era uno stupido ciccione…ah no quello più o meno l’aveva detto comunque. Ma la ragazza non sembrava essersela presa troppo.
La vide sistemare su un vassoio il dolce di Anne, fantastico e appetitoso come sempre anche se non aveva idea di cosa ci fosse dentro, sorridendogli grata.
-Dopo un po’ ci si fa l’abitudine, ma grazie a Morgana è quasi finita. Mia sorella non rimarrà più al lungo del necessario per non scontentare mamma, non quando sono io in casa.- confidò senza motivo, apparentemente più tranquilla di prima, come se l’idea che se ne andassero le togliesse un grande peso.
-Evans…- stava per dirle “cos’è che non mi hai detto”, ma ingoiò quelle parole sapendo per qualche strana forma di empatia che con lei non aveva mai avuto che non era la cosa giusta da dire e optando invece per un -…piacerai a mia nonna.- che era la cosa più stupida e sincera che potesse dirle mai.
La vide guardarlo stupita, probabilmente cercando di capire il senso di quell’affermazione, ma cogliendo la sincerità nella sua voce.
-Grazie. Per non essere scappato a gambe levate, intendo.- rispose lei con lo stesso tono, prima di avviarsi verso il salotto chiedendogli con un occhiata di aprirle la porta visto che aveva le mani occupate.
Proprio mentre le teneva ferma la porta, per farla passare con agio come gli era stato insegnato in anni di barbose lezioni di etichetta cui sua madre l’aveva obbligato, fingendo perfino di non vedere sua nonna impastoiarlo per farlo stare fermo, che James ebbe la risposta a quella domanda che per tutta la sera l’aveva tormentato.
 

“Che cosa mi nascondi, Evans?”

 
-Ti avevo detto di essere gentile, Petunia.- Anne stava sgridando sottovoce la figlia con un tono triste che non poteva davvero appartenerle.
-Sono venuta e ho sopportato lei e quel suo amico, in cosa non sono stata gentile?- sibilò in risposta la figlia, quasi incredula di quello che stava sentendo.
-Potevi parlarle intanto. O almeno chiederle come stava. È tua sorella e…-
-Io non ho una sorella. Non ce lo voglio un mostro in famiglia. E se vuoi siete fieri di avere una…una strega in famiglia…non mettetemi in mezzo.- sputò la donna prima che George la interrompesse mormorando un “Lily” basso e pieno di dispiacere.
Il silenzio circondò tutti i presenti e se James si era aspettato uno scoppio d’ira da Evans e da Anne rimase stupito nel vedere come entrambe le donne rimasero impietrite dalle parole di Petunia, ma ancora più dalla consapevolezza che la rossa avesse sentito.
Quel silenzio James l’aveva già sentito. Era lo stesso che circondava Sirius ogni volta che lui e Regulus, o peggio i suoi genitori, si ritrovavano nella stessa stanza.
Era pieno di parole orribili e piene di rancore non dette, ma non per evitare di ferire l’altro o per cercare di arginare i danno. Rimanevano così, sospese e silenti, per il semplice fatto che già erano state pronunciate non niente le avrebbe cancellate per le ferite che avevano lasciato.
Lily era già stata chiamata così. Probabilmente più di una volta e con maggior rancore.
-Petunia chiedi scusa a Lily.- chiese alla fine Anne, schiacciata dalle parole della figlia maggiore, senza la solita energia che la contraddistingueva.
-Mamma, lascia stare…- provò a mettersi in mezzo Evans, muovendo un passo per mettersi tra lui e la sorella.
James non capiva. Lui in quel momento avrebbe voluto soltanto portare via Lily, per allontanarla da tutte le cattiverie che la sorella le aveva appena riversato addosso e come probabilmente aveva già fatto in passato, perché invece i suoi genitori se ne rimanevano seduti e in silenzio?
-Scusarmi? Per cosa?- urlò incredula Petunia –E’ un mostro, devo scusarmi di questo?-
-Andiamo Evans.- James iniziò a tirarla verso l’ingresso, convincendosi di volerla portare fuori per proteggerla, quando invece forse era lui quello ad aver maggior bisogno d’aria.
-Cos’è? Scappi dalla verità? Fa male, vero, che qualcuno abbia il coraggio di dirvi in faccia cosa siete?- gli urlò contro Petunia, ormai fuori controllo.
James fu costretto a fermarsi sentendo Evans opporre resistenza, cercando di liberarsi dalla sua presa. Allentò così la stretta senza tuttavia liberarla del tutto. Tenersela vicina gli stava impedendo di lanciare un incantesimo contro la donna e stava cercando di convincersi che era quella la scelta giusta, e non lanciarle addosso uno schiantesimo sperando di seppellirla nel muro.
-Petunia, dimmi quello che vuoi. Insultami se ti fa stare meglio. Chiamami mostro se questo significa dimenticare quanto tu stessa volevi essere una strega, ma non mettere in mezzo James.- le sibilò contro la rossa, con un tono che James non le aveva mai sentito prima.
C’era rabbia dentro, ma anche qualcos’altro che non riusciva a definire.
-Tu…!- iniziò l’altra, prima di essere nuovamente interrotta dalla più piccola.
-Odiami, non mi importa. Ma non provare nemmeno a pensare di insultare James, o giuro che questa volta me la paghi.- sibilò di nuovo prima di prendere a tirare il ragazzo, come era già successo in altre occasioni, senza ascoltare una sola delle richieste di fermarsi di Anne o le urla piene di paura e odio di Petunia.
Come poco prima aveva fatto lui, Evans, si diresse verso la porta e senza pensarci due volte e cominciò ad allontanarsi dalla casa a passo di marcia probabilmente senza meta.
Continuarono a camminare velocemente e in silenzio per quasi mezz’ora prima di fermarsi in un parchetto. Solo dopo averne varcato il cancello, ancora aperto nonostante l’ora tarda, Evans riprese a camminare lentamente e allentò la presa sulla sua mano, lasciandola del tutto per sedersi su una delle altalene senza ancora articolare un suono.
James invece rimase in piedi a pochi passi da lei, continuando a guardarla come se la ragazza dovesse sgretolarsi da un momento all’altro, indeciso se avvicinarsi o meno. Se toccarla o meno. Se parlarle o meno.
Alla fine fu l’istinto a guidarlo quando, ancora indeciso come tanto spesso gli capitava con lei, le si avvicinò inginocchiandosi davanti a lei toccandole leggermente le ginocchia.
Perfino in quel momento, con le lacrime agli occhi e il labbro inferiore martoriato dai denti, era la cosa più bella che avesse mai visto.
-Evans…-
-E’ divertente, non trovi? Che una babbana ci consideri dei mostri, quando dall’altra parte c’è un mago che considera loro degli abomini. Immagino questo riporti in qualche modo l’ordine nell’universo.- gli disse con voce spezzata, senza ancora cedere alle lacrime.
-Che diavolo stai dicendo! Nessuno ha il diritto di dirti certe cose, non ce l’aveva Mocciosus al quarto anno e non ce l’ha nemmeno tua sorella adesso.- quasi urlò stringendo le mani sulle sua gambe, incredulo che lei la stesse quasi scusando, quando invece avrebbe soltanto dovuto odiarla…
Odiarla.
Odiare sua sorella.
Un attimo dopo aver pensato quelle parole avrebbe voluto rimangiarsele.
Lui tra tutti avrebbe dovuto sapere quanto fosse difficile odiare la propria famiglia. Aveva visto Sirius tentare per anni di farlo senza reale successo, che non fosse il disprezzo.
Aveva ammirato per anni l’amico proprio perché non riusciva a odiarli, nonostante tutto quello che gli avevano fatto passare. Perché per Evans avrebbe dovuto essere diverso? Ma soprattutto perché non riusciva a provare, in quel momento, niente altro che rabbia verso Petunia? E perfino verso i suoi genitori.
Sentì una carezza sul viso, mentre ancora fissava le sue mani perso nei propri pensieri.
-Cosa stai macinando in quella testa?- gli chiese la ragazza, senza allontanare la mano, anzi costringendolo a guardarla in viso.
Il silenzio si protrasse mentre ancora una volta decideva se era la cosa giusta da fare dirle la verità o meno.
-I tuoi genitori avrebbero dovuto evitare tutto quanto. Non avrebbero dovuto invitarla stasera, avrebbero dovuto farla stare zitta, avrebbero dovuto schiantarla…- rispose alla fine con voce affilata.
Sentì un attimo la presa di Lily tremare, prima che gli sorridesse triste portando la mano tra i capelli e spettinandoli con affetto.
-Anche Petunia è figlia loro.- si limitò a dire soltanto, come se quello spiegasse tutto quanto.
E forse era davvero così.
Aveva considerato George e Anne straordinari vedendo con quanta naturalezza avessero accettato una realtà così lontana da loro, e lo avevano fatto solo perché Lily era la loro adorata bambina.
Aveva considerato George e Anne quasi dei traditori per aver permesso che la figlia venisse ferita così profondamente senza muovere un dito. Ma non aveva considerato che chi lo stava facendo era figlia loro a sua volta e probabilmente non sapevano come proteggere l’una senza ferire mortalmente l’altra.
Ed era assurdamente patetico che fosse Evans a tranquillizzarlo, a confortarlo, quando invece avrebbe dovuto essere lui a confortare lei.
Avrebbe dovuto essere lui a proteggerla da tutto quello schifo che c’era nel mondo.
-Ci sono io a proteggerti.- disse senza nemmeno rendersene conto, ancora inginocchiato ai suoi piedi e con la sua mano ancora tra i capelli, guardandola negli occhi come per immergi visi.
La sensazione di aver appena detto una cosa idiota, di essere un completo cretino e di essere deriso da lei, dopo una dichiarazione tanto attempata e idiota, appunto, svanì vedendo gli occhi di Evans riempirsi di nuovo di lacrime.
Quante volte aveva visto quegli smeraldi così liquidi? Ormai non lo ricordava nemmeno più. Ma sapeva che ogni volta, sempre, quale che fosse il motivo di quelle lacrime, Evans non le aveva mai versate. Non di fronte a lui, almeno.
Invece quella sera, James, vide il suo mento tremane e sentì un singhiozzo uscirle dalle labbra, giusto un secondo prima che la prima lacrima le scorresse sulla guancia.
Senza una sola parola la abbracciò, poggiando la testa sulla sua pancia, mentre lei, scivolava leggermente in avanti sull’altalena per poter stringersi alle sue spalle e nascondere il viso nel suo collo.
L’aveva vista piangere, o almeno la cosa più vicina a essa, solo una volta, tra le braccia di Sirius. E come quella sera tremava lievemente contro il suo corpo, ma c’era qualcosa di diverso, anche se non avrebbe saputo dire cosa.
Sentiva le sue unghie contro la camicia, le ginocchia a pungergli i fianchi e le lacrime che dal viso di lei passavano al suo collo e sapeva che come in quel momento non erano stati vicini mai.
 

Lily si era calmata da una decina di minuti eppure non accennava ad allentare la presa, così come lui non dava segno di volerlo fare.
Erano rimasti così per un tempo che lei non avrebbe saputo dire, con la sola consapevolezza che stava bene tra le sue braccia. Era caldo come ricordava e profumava di buono.
Ma soprattutto, quella sera Lily scoprì che tra le braccia di James si sentiva a casa.














ANGOLO AUTRICE (SE ANCORA MI POSSO DIRE TALE).



Ebbene si, sono ancora viva, anche se poteva sembrare il contrario.
So che sono passati un paio di mesi dall’ultimo aggiornamento e non posso che chiedere perdono. Come continuo a fare da mesi a questa parte.
Sono pessima, lo so, mi spiace davvero aver fatto passare così tanto tempo.
Sarebbe inutile dirvi che ho iniziato l’università e quaranta minuti di viaggio di andata e altrettanti di ritorno, insieme alle lezioni, la ricerca dei libri e delle divise per il tirocinio ha risucchiato il mio tempo, sarebbe una bugia (per quanto sia vero).
La verità era che non riuscivo a scrivere questo capitolo. O meglio non riuscivo a scrivere di Petunia.
E alla fine è venuto fuori quello che avete letto.
Avevo in mente fin dall’inizio di far incontrare James e Petunia, ma non volevo che succedesse quando ormai James e Lily erano felici e pronti a sposarsi perché volevo che James se ne rendesse conto prima della fine. Voglio dire dopo il settimo anno DEVONO vivere “felici e contenti”, almeno per me. Fondamentalmente perché dopo il settimo anno hanno solo pochi anni insieme.
A ogni modo ci sono un paio di note che voglio mettere prima di defilarmi, pronta a schivare il lancio di pomodori e patate (scegliete quelle, almeno fanno più male) per essermi rifatta viva dopo tutto questo tempo.
Petunia dovrà assomigliare almeno un po’ ai genitori, no? Ecco, da Anne ha preso la mania per la pulizia.
Harry invece, come James, si ritrova a considerare che a Hogwarts dovrebbero tenere corsi anche per capire le ragazze e non solo su come trasformare un bottone in uno scarabeo. Per rimanere in tema di chi ha preso da chi.
Nel ’68 Lily e Petunia avevano davvero otto e dieci anni e visto che Anne ha questa fissa per la posta magica volevo renderla un po’ comica, visto e considerato il magone dopo, anche se non ho assolutamente la pretesa di scrivere storia in questa fic.
Poi il “crumble al rabarbaro con crema alla vaniglia”, che vi consiglio vivamente, ha un suono così invitante, l’ho preso da internet. Non avrei mai potuto inventarmi una cosa del genere!
Lily piange per la prima volta davanti a James e si apre con lui. Direi che i nodi cominciano a venire al pettine!
In ogni modo mi scuso ancora per l’enorme ritardo con cui pubblico. E anche perché fino a lunedì non avrò tempo per rispondere alle vostre recensioni.
Un abbraccio enorme a chi ha letto e recensito lo scorso capitolo e uno altrettanto grande a chi lo farà con questo, nonostante…beh nonostante i ritardi continui.
Spero vi sia piaciuto.
Rebecca.




P.s. ho visto solo ora lo stato in cui avevo pubblicato il capitolo, non posso che inorridire da sola. Il nuovo capitolo lo sto giusto giusto finendo. Abbiate fede. Io ne ho (e questo è già tanto). Baci.

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Capitolo 26
*** Punto d'incontro ***







 


 
 
 
 
 
 
 
Sinceramente Lily, tre giorni prima, non sapeva cosa aspettarsi da casa Potter. Come anni prima non aveva saputo cosa aspettarsi dalle casi di Julie o Alice o di ogni altro mago in cui avesse mai messo piede.
Per lei l’architettura magica era un grosso punto interrogativo, che partiva dai vecchi palazzi colorati ma molto spesso quasi pericolanti di Diagon Alley, con le loro stanze impolverate e permeate da odori che una casa normale non avrebbe mai dovuto conoscere, ai manieri come quello di Julie, che ricordavano quelli delle fiabe babbane che leggeva da bambina. E tra queste due c’erano tutta una infinita serie di variabili che le rendeva impossibile capire con quale logica, esattamente, venissero costruite le case dei maghi. Senza poi considerare luoghi come Hogwarts, la Gringott o il San Mungo che di logica, sembravano non averne proprio. Perché se poteva capire la necessità di nascondere alla vista dei babbani edifici di proporzioni immani, certo non poteva capire il perché degli scalini a trabocchetto, delle rampe di scale mobili, di rotaie cigolanti e instabili, di minacce sulle porte di ingresso e di orridi manichini cui nessuno avrebbe mai avuto il coraggio nemmeno di pensare per sbaglio.
Per questo si era aspettata, da casa Potter, tutto e niente. E si era ritrovata davanti una magnifica villa di inizio secolo, troppo grande per sole tre persone, ma certamente troppo piccola per una personalità del calibro di James, circondata da un giardino e a cui si arrivava grazie a un lungo e bellissimo viale alberato di cui, come gli aveva spiegato il ragazzo, si occupava la madre riuscendo a vincere con trucchi che a suo parere solo una donna conosceva anche lo scorrere delle stagioni. Gli alberi infatti erano verdi e rigogliosi, nonostante l’arrivo imminente dell’inverso e l’aria gelida che già aveva iniziato a farsi sentire, e tra di essi serpeggiava un odore di agrumi in fiore che nemmeno il gelo riusciva a portare via.
Ed era proprio quell’odore che Lily stava seguendo in quel momento, camminando senza meta in un giardino che sembrava non avere mai fine. Si era infatti ritrovata sola appena dopo colazione, quando il suo compagno di studi l'aveva informata della sua imminente, ma necessaria, escursione insieme al padre nel nuovo negozio di Sport Magici che avevano aperto in un paese vicino.
Certo Potter l’aveva invitata ad accompagnarlo, ma se l’idea di passare ore e ore ad ammirare il nuovo modello di questa o quella scopa l’aveva spinta a rifiutare, la consapevolezza, arrivata solo nel momento in cui lui le stava voltando le spalle, di rimanere sola con Dorea Potter, l’aveva forse non terrorizzata, ma certamente spinta a quella solitaria passeggiata nel gelo sulle scie di un estivo profumo di agrumi, rimpiangendo il rifiuto di poco prima.
Non che la padrona del castello fosse una sanguinaria purosangue che è meglio non contrariare, si ritrovò a considerare tra sé Lily, ma tuttavia le lasciava addosso una sensazione di gelido distacco che nemmeno il torpore del camino era riuscito a scacciare.
La ragazza sospirò sconfitta, conscia che la sensazione che collegava alla signora Potter in realtà permeava tutta la casa, e che probabilmente non se ne sarebbe andata fino a che la permanenza non si fosse conclusa, riportandola tra le confortevoli e ridenti mura di Hogwarts.
-Lily, hai bisogno di qualcosa?- si sentì chiedere all’improvviso.
Pochi metri più in là, infatti, stava la donna che fino a quel momento aveva popolato i suoi pensieri, intenta a occuparsi di una pianticella dall’aspetto morente. Come fosse stato possibile, per Lily, incappare proprio in lei nel suo peregrinare, nonostante l’estensione di quel parco non avrebbe saputo dirlo, ma la vista non ingannava. E lei si ritrovò per l’ennesima volta in pochi giorni a sentirsi terribilmente inadeguata di fronte alla donna e così si ritrovò a scuotere la testa senza sapere bene cosa fare del resto del corpo.
C’era da ammettere che Dorea non avesse un qualche atteggiamento particolarmente ostile nei suoi confronti o anche solo seccato. Le mostrava, anzi, una pacata cortesia che perfettamente si addiceva all’eleganza dei suoi modi. O dei suoi vestiti o dei capelli, se è per questo, pensò Lily quasi con stizza. Non c’era stato, infatti, un momento in quel tre giorni a casa Potter che avesse visto la donna meno che perfettamente in ordine, perfino in quel momento quando chiunque altro sarebbe stato sporco di terriccio e con foglie nel capelli, foglie che tra l’altro quell’albero perdeva come un serpente cambiava pelle nel periodo della muta. Dorea Potter invece era perfettamente in ordine così come lo era stata quella mattina appena scesa per preparare la colazione.
-Io…ecco non volevo disturbarla e ho pensato…di fare un giro in giardino…- si ritrovò a balbettare come nemmeno a cinque anni aveva mai fatto, senza sapere perché sentisse il così disperato bisogno di spiegarsi e di coprire il silenzio che si stava creando tra loro.
Vide la donna rivolgere un lieve sorriso, appena accennato, prima di tornare a voltarsi verso l’alberello e sospirare –Penso che dovrò rinunciare a salvarlo. È troppo malato e vecchio per questo…- le rispose poi, o forse non stava dicendo nemmeno a lei.
L’età. Ecco un’altra cosa che la lasciava perplessa.
Si era immaginata i coniugi Potter come una qualsiasi coppia di sposi dell’età dei suoi genitori, più o meno. Anche più giovani, considerando quanto i fretta, nel mondo magico, le coppie decidessero di sposarsi.
E invece si era ritrovata davanti una coppia già avanti con l’età, intorno ai sessant’anni andando a naso, con un unico figlio e la sola compagnia l’uno dell’altro durante i mesi di collegio.
Certo non si aspettava una persona fuori dall’ordinario come sua madre, che considerava il silenzio e la solitudine un attentato alla vita umana contro cui nemmeno una pestilenza avrebbe mai potuto vincere, ma tutto quel silenzio e quella tranquillità che invece si respirava vicino alla madre di James la mettevano a disagio come poco altro. Soprattutto considerando il figlio che aveva messo al mondo.
-Io e mio marito non ti piacciamo.- le disse di punto in bianco la donna, tornando a fissarla senza degnare di un’ulteriore occhiata il suo compianto alberello, probabilmente conscia che nemmeno il suo decantato pollice verde avrebbe potuto salvarlo dal prossimo inverno.
-No, non è vero…io…- cominciò a spiegare per poi fermarsi all’improvviso, di fronte a una mancanza di argomentazioni che lei, Lily Evans, non aveva mai avuto.
E non aveva argomentazioni perché…perché era vero. I signori Potter non le piacevano. Ma era un “non piacere” leggero, invisibile fino al momento in cui non le era stata sbattuto davanti senza possibilità di scampo.
Perché se la signora Potter inizialmente l’aveva lasciata perplessa, diventando quasi un motivo di inquietudine che non sapeva spiegare, per il signor Potter era diverso. L’uomo aveva cercato di metterla a proprio agio fin dal primo momento, mettendola a parte delle loro conversazioni, raccontandole aneddoti divertenti del lavoro di Auror e chiedendole della sua carriera scolastica. Ma alla fine dei conti c’era qualcosa che la disturbava anche in lui. E riflettendoci, quel qualcosa era l’impressionante somiglianza con il figlio.
Poteva quasi immaginarlo, Lily, il signor Potter da giovane. Una copia pressoché identica di James, tranne che per gli occhi blu della madre, che girava per Hogwarts orgoglioso della propria casa e di sé. Forte del proprio cognome come se tutto gli fosse dovuto, come ripeteva al figlio fin troppo spesso.
“Sei un Potter, figliolo, ricordalo sempre!”
Charlus era arrogante ed egocentrico, come il ragazzo che lei aveva tante volte desiderato schiantare contro un muro nel corso degli anni, e proprio per questo non poteva evitare di provare un certo fastidio anche nei confronti dell’uomo.
Certo era che non si trattasse della stessa arroganza ovvia e continua di un quindicenne troppo pieno di sé per risultarle simpatico cui era abituata, eppure c’era. Nascosta sotto l’immagine di un ottimo Auror, forse, corretta con gli anni e mitigata dall’età, più certamente, ma che comunque veniva fuori nelle piccole cose, nei commenti orgogliosi che rivolgeva verso il figlio, nel continuo spronarlo ad essere il migliore e infischiarsene delle conseguenze. Nel ricordare quanto valesse il cognome che portavano.
-Mi dispiace.- si ritrovò infine a dire Lily, conscia di non poter controbattere e nemmeno di voler mentire.
-Ma non è che non mi piacete è che…non siete affatto come vi immaginavo e…lei sembra aspettarsi sempre qualcosa da me, anche se non saprei dire che cosa esattamente.-
Sapeva di sembrare una bambina colta con le mani nel sacco che cerca di spiegarsi arrampicandosi sugli specchi per evitare un castigo, ma non poteva fare di meglio.
Come poteva spiegarle che trovasse lei troppo fredda per essere la madre di James? Suo marito troppo simile al ragazzo che aveva conosciuto per trovarlo simpatico senza riserva?
Come spiegarle, soprattutto, l’impossibilità che la coglieva ogni volta che cercava di immaginare James, un James bambino, insieme a quei due? Che proprio non riusciva a capire come potesse essere diventato il ragazzo che le era stato accanto con incredibile tatto solo tre notti prima, visti i genitori?
-Hai un buono spirito d’osservazione.- le rispose inaspettatamente Dorea, mostrando un lampo di stupore negli occhi.
-James ci ha parlato a volte di te, nel corso degli anni. Non ha potuto fare altrimenti, immagino, visto che metà delle sue punizioni sono opera tua –le disse ancora senza mostrare alcun fastidio al riguardo, ma limitandosi a prendere atto della cosa –e anche Sirius ci ha detto qualcosa di te, in questa settimana.- continuò la donna, lasciando Lily sempre più perplessa e senza la minima idea di dove volesse andare a parare -Non sei come ti hanno descritta. Quindi posso dire che nemmeno tu sei come ci aspettavamo.-
Sempre più confusa, la ragazza, seguì la signora Potter quando la invitò a tornare verso casa per una tazza di thè caldo, visto il vento sempre più gelido che si stava alzando.
Le due rimasero in silenzio fino al momento in cui uno zelante piccolo Elfo, uno di quelli che avevano accolto con faccine estatiche e quasi le lacrime agli occhi il caro e sempre troppo lontano “signorino James”, mise loro davanti una tazzona fumante.
-Mi dispiace, signora Potter. Voi siete stati gentili con me e suo marito ha fatto il possibile per mettermi a mio agio. Avrei dovuto tacere, almeno.- si scusò alla fine Lily, quasi sommersa dal senso di colpa dopo tutti quei minuti di silenzio.
-Non ti biasimo affatto, Lily. Da quello che James ci ha raccontato nelle lettere, la tua famiglia lo ha accolto come se anche lui ne facesse parte. Come madre non posso che esservene grata, ma immagino che la mia educazione mi impedisca di fare altrettanto.- le rispose con un mezzo sorriso la donna –Posso chiedervi, come esattamente ci immaginavi?-
Lily si sentì nuovamente avvampare per il disagio di una domanda tanto diretta, in cui però riconobbe un sincero interesse per la questione.
-Oh, io…ecco vi immaginavo più giovani, credo. E più simili a lui, insomma. Voglio dire James sorride sempre e combina un sacco di disastri insieme a Sirius e…- la ragazza lasciò la voce affievolirsi sempre di più, di fronte al significato, quello vero, di quanto aveva appena detto. E per nascondere il disagio si tuffò sulla tazza altrimenti ancora intatta.
Aveva appena detto alla madre di James che era vecchia, musona e fin troppo controllata. Fortunatamente la voce l’aveva tradita prima che potesse dirle che trovava il marito pieno di sé e troppo arrogante.
-Credo che tutto questo, mio figlio, lo abbia ereditato dalla madre di Charlus. Quando era bambino passava molto tempo con la nonna, soprattutto visto che sia io e che mio marito lavoravamo.- le disse con un mezzo sorriso –Sai, nemmeno a Dyside piacevo, all’inizio. Ma alla fine riesce sempre a scongelarmi, potremmo dire. Sotto questo aspetto mi ricorda molto Sirius, sebbene non esista nessun legame di sangue tra i due…ma ti sto mettendo nuovamente in imbarazzo.- concluse alla fine, decifrando correttamente l’espressione della ragazza.
-No! Cioè apprezzo molto che si stia aprendo così con me, signora Potter. E’ solo che non so esattamente cosa dirle, a parte scusarmi di nuovo.- mormorò piano la rossa.
-Non c’è niente di cui scusarsi, Lily. E’ questo che ti volevo dire. E immagino che per chi, come te, è stata cresciuta in un certo modo, possa risultare poco piacevole il mio atteggiamento. E non ne sto facendo una questione di sangue, anche se potrebbe sembrare. Intendevo solo…-
-Che la mia famiglia è parecchio espansiva e che posso aver trovato strano e fin troppo gelido il modo con cui invece la sua famiglia si rapporta con gli estranei, ho capito. E la ringrazio. Non avevo potuto evitare di chiedermi  se forse non ero io il vero problema, se non vi piacevo a pelle, insomma.- Lily le usò la stessa sincera schiettezza che aveva tanto apprezzato nell’altra donna, sperando di trovare una medesima reazione.
E così fu, vide la signora Potter rivolgerle un lieve sorriso, prima di tornare a sorseggiare elegantemente il suo thè, in un modo che così perfettamente si accordava alla elegante figura che le stava davanti.
Altri avrebbero potuto pensare che quella conversazione, chiusasi tanto velocemente quanto inaspettatamente era iniziata, non avesse potato a niente. Dopotutto il signor Potter avrebbe continuato a comportarsi come sempre e anche la signora Potter sarebbe rimasta la stessa distante e perfetta signora che era anche in quel momento, ma per Lily non era così.
Sapere che il loro atteggiamento non era voluto, ma semplicemente sincero e che anche loro avevano dovuto rivedere le proprie aspettative nei suoi confronti, l’aveva in un qualche strampalato modo tranquillizzata, facendola finalmente sentire la benvenuta in quella casa. E riscaldando il gelo che aveva appannato tutto fino a quel momento.
-E ora forza, Lily. Raccontami cosa esattamente abbia fatto mio figlio per meritarsi così tante punizioni da te, in tutti questi anni. Mio marito tende a liquidare la situazione con un “è mio figlio, Dorea!”, ma adesso ho l’opportunità di sapere tutto. E intendo proprio tutto.- le disse Dorea Potter dopo qualche istante di attenta riflessione, con un tono a metà tra il divertito e l’ironico.
Lily ridacchiò qualche secondo, trovandosi davanti non più solo la madre, ma anche l’Auror e con un sorriso si mise a raccontare tutte le malefatte di quel mentecatto che Dorea si trovava per figlio che riusciva a ricordare.
Due ore dopo, quando James e Charlus varcarono la porta della cucina, trovarono le due donne ancora intente a chiacchierare mentre la signora Potter sorvegliava con curioso interesse la preparazione del pranzo da parte di Lily, che si era offerta di far assaggiare ai coniugi un pranzo tipicamente babbano.
Charlus si bloccò sulla soglia mezzo sconvolto, ben sapendo quale carattere spinoso e poco amichevole possedesse la donna che si era sposato. Cosa fosse successo in sole tre ore, per lui, era un mistero, ma non potè che sorriderne soddisfatto soprattutto vedendo l’espressione felice del figlio.
Il suo sorriso si ammantò di orgoglio di fronte alla prova che il ragazzo provasse un certo interesse per Lily, proprio come aveva sospettato. Lo diceva sempre, lui, che il suo intuito Auror raramente falliva!
 
 
 
 





 
 
 

***









 
 
 
 
 
 
 
Anche la seconda settimana fuori dalle mura di Hogwarts stava per giungere al termine. Ancora quasi due giorni e tutta la settantina di studenti avrebbe dovuto recarsi a King’s Cross per salire sul treno e tornare alla loro routine scolastica.
Inutile dire che c’era chi già si disperava, incredulo di fronte all’improrogabile ritorno a barbarie quali noiosissimi libri di Pozioni, estenuanti lezioni di Trasfigurazione, stupide regole scolastiche protette con zelo da quel citrullo di custode. Grazie a Merlino esistevano anche lezioni tali solo di nome, come quelle di Storia della Magia, tanto utili per organizzare scherzi quanto un passaggio segreto per arrivare a Mielandia e quelle inutili di Divinazione che fortunatamente era stato così furbo da scegliere al terzo anno viste le ore di sonno che riusciva a recuperare tra la lettura di una tazzina di thè e fingere che la sfera servisse a vedere il futuro invece che per rompere la testa a un Serpeverde.
Sirius era certamente uno di questi, ormai quasi sull’orlo del lutto di fronte all’enormità dell’incubo che si trovava improvvisamente davanti. Non sapeva come fosse possibile che quelle due settimane fossero passate così in fretta.
Sicuramente era colpa dei signori Evans, che come sempre l’avevano accolto con lo stesso sorriso che riservavano al figlio. E altrettanto sicuramente era colpa della signora Paciock, che personalmente Sirius trovava una donna formidabile, e che aveva allietato le sue giornate con commenti al vetriolo su molti dei frequentatori del Ministero, a detta sua sanguisughe inutili a tutto tranne che a occupare spazio altrimenti vuoto.
E così l’ormai ex erede della famiglia Black si trovava a girare per Diagon Alley sbuffando tra sé, ignorando come era suo dovere di Malandrino, di trovarsi dall’altra parte dell’Inghilterra rispetto alla casa che lo ospitava e che quella, almeno secondo l’idea concepita dal professor Silente, sarebbe stata una settimana da spendere nel mondo babbano, vista la vicinanza di casa Paciock con un piccolo e tranquillo villaggio
 babbano, appunto.
Ma James lo aveva chiamato con lo specchio informandolo della sua piccola gita nella Londra magica e avevano deciso, non senza forzare leggermente la mano di Franck e l’inaspettato aiuto della signora Paciock, di farsi un giro insieme all’amico dopo quasi due settimane di lontananza.
Anche se poi, visti quegli specchi geniali che erano riusciti a incantare due anni prima, tutto merito del loro cervello fuori dal comune, ovviamente, si erano sentiti con regolarità.
-Dove hai detto che ci aspettano?- Franck lo risvegliò dai suoi pensieri, senza però guardarlo in faccia vista tutta l’attenzione che stava dedicando a uno dei nuovi dolci di Mielandia che aveva appena acquistato.
-Davanti al Ghirigoro, scommetto che è stata un’idea di Evans.- borbottò il ragazzo.
Proprio non capiva perché fare tappa a un negozio del genere quando a casa Potter c’era un’intera stanza piena di libri e in costante aggiornamento vista l’attenzione che nonna Potter vi dedicava. E che la casa in questione fosse quella di famiglia e non quella dove la ragazza risiedeva al momento era una faccenda di secondo piano.
In ogni modo i due ragazzi continuarono a camminare fino a raggiungere il punto di ritrovo. Un punto di ritrovo assolutamente assurdo, se qualcuno avesse anche solo minimamente preso in considerazione la sua opinione, pensò Sirius.
C’erano negozi che andavano bellamente evitati per quanto possibile. E quei negozi erano quelli in qualche modo legati alla scuola. Ne andava della sua immagine, diamine!
-Ehi ragazzi!- si sentirono chiamare  da una voce poco distante. Sirius, talmente preso dalle sue silenziose rimostranze personali, non si era nemmeno reso conto che i due ragazzi li stavano già aspettando.
-Ehi Jamie!- Sirius diede una pacca sulla spalla a James, mentre Franck salutava Evans chiedendole come stava andando quella vacanza.
Come se definire un progetto scolastico di integrazione tra babbani e maghi, l’idea originaria con cui era stato concepito almeno, “vacanza” davanti a Evans fosse una buona idea. Infatti il povero Franck si beccò un’occhiataccia dalla ragazza che però, almeno una volta nella vita, si astenne dal commentare.
E questi si che per Sirius era una novità! Non ricordava l’ultima volta in cui la perfetta Prefetto Evans non si fosse prodigata nell’inculcare nelle loro teste il rispetto per l’autorità e la scuola. Ma forse che fosse Franck faceva la differenza, dopotutto non era uno dei Malandrini e per di più il ragazzo della sua migliore amica.
-Hai sentito Alice, ultimamente?- le chiese infatti Paciock, cercando di deviare altrove l’attenzione della ragazza e liberarsi così delle fastidiose occhiate che ancora gli lanciava.
-Mi scrive ogni due giorni ricordandomi quanto lei e Virginia si stiano divertendo. E non posso che compatire Virginia, ormai Alice l’avrà distrutta del tutto!- ridacchiò Lily.
Dopo un veloce scambio di battute con James, Sirius, fece cadere la conversazione per osservare l’amico. C’era qualcosa di diverso in James. Nel suo sorriso, soprattutto. E anche nel modo in cui stava accanto a Evans, ovviamente.
Certo nelle loro conversazioni allo specchio James lo aveva tenuto costantemente aggiornato sugli sviluppi della situazione, sapeva dei loro baci e che Evans non era più l’inespugnabile fortezza che era stata negli anni passati, eppure c’era qualcosa di fondo che le chiacchierate con Jamie non potevano raccontare.
Non era qualcosa che si notava immediatamente. E che chi non conosceva James Potter non avrebbe notato affatto, eppure c’era. Di quello Sirius era certo.
Il ragazzo non le girava più intorno come per assicurarsi che non scappasse, ad esempio, anche se quel gravitare intorno alla bella rossa si era fortunatamente attenuato con gli anni. Era stato intorno al quinto anno che aveva raggiunto il culmine, e il caro Black si era più volte sentito male al posto dell’amico visto che non era evidentemente più in grado di ragionare.
Ma pure non sgranava più leggermente gli occhi quando lei per prima gli rivolgeva la parola senza costrizioni o gli sorrideva senza evidente motivo.
Non si intrometteva in ogni discorso della ragazza soltanto perché lei era vicina e stava parlando.
Non si tirava nemmeno più le ciocche ribelli dei capelli perché era nervoso.
Sembrava che Evans, aprendosi con James, avesse fatto il miracolo, restituendo finalmente al ragazzo le proprie capacità cognitive, andate perse nel momento in cui si era reso conto che Evans non era come tutte le altre.
Forse in quella settimana era successo molto più non di quanto fosse realmente accaduto, perché conosceva James e sapeva che non gli avrebbe mentito sull’argomento “conquistiamo Evans”, ma di certo era successo più di quanto lui si fosse reso conto. E dando una veloce occhiata a Lily, così tranquilla e sorridente, probabilmente anche più di quanto si fosse resa conto lei. Perché se in sette anni di più o meno assidua frequentazione di lei aveva capito una cosa, quando se ne fosse resa pienamente conto non sarebbe stata così tranquilla. Dire che sarebbe esplosa era dire poco. Probabilmente le sarebbe venuta una crisi isterica.
E i geni Black tornarono prepotentemente a galla, senza che il ragazzo facesse niente per metterli a tacere. Da quanto erano all’ultimo anno i loro scherzi erano diminuiti in maniere assurda, tanto da renderli quasi soltanto la brutta copia dei Malandrini di un tempo. Perciò perché aprire gli occhi a quei due prima del tempo? Non era certo colpa sua se lui, Sirius Black, era un fantastico osservatore e quei due mentecatti che aveva davanti invece avevano il pus di bubotubero sugli occhi, giusto?
Perché avrebbe dovuto salvare James dall’isteria di Evans? Soprattutto considerando quanto quell’isteria lo avrebbe fatto divertire?
E sfregandosi mentalmente le mani, come il migliore dei cattivi babbani anche se questo Sirius non poteva saperlo, si prodigò a cambiare discorso per avere finalmente l’informazione che gli interessava.
-Allora, perché siamo qui?-
Anche Franck guardò incuriosito i due ragazzi che avevano proposto loro di incontrarci, soprattutto di fronte all’evidente imbarazzo che improvvisamente aveva preso Evans.
Si scambiò un’occhiata veloce con James prima che questi decidesse a parlare –Franck…che ne dici di andare a vedere gli ultimi arrivi per il Quidittich?- e senza ulteriori parole si trascinò via un confuso Paciock lasciando indietro Evans e il suo migliore amico.
Dopotutto quello era il piano, pensò James continuando a camminare sicuro verso il negozio di sport magici, lasciano Evans libera di fare quello che aveva in mente. Come gli aveva chiesto il giorno prima.
 
 


 
 

-James…voglio chiedere scusa a Black.- aveva detto così, di punto in bianco, tanto che inizialmente lui non aveva nemmeno capito per cosa, esattamente,doveva chiedere scusa.
Ovviamente questo prima di ricordarsi della scenata sul treno, di Mocciosus, delle urla di Evans, e di tutto il resto.
Se l’era immaginato che sarebbe successo, solo che tra uno cosa e l’altra non ci aveva nemmeno più pensato. Aveva dato per scontato che gli avrebbe chiesto scusa una volta tornata a scuola e che la storia si sarebbe sgonfiata in un niente, conoscendo il carattere di Sirius.
-E?- gli aveva così chiesto, senza capire perché stesse dicendo a lui quelle cose.
-E?!? Che vuol dire E?- gli aveva chiesto poi lei, riappropriandosi di quel caratterino tutto pepe con cui si era sempre rivolta a lui.
-Vuol dire che me lo immaginavo. Vuoi che ti dica come fare? Perché di solito io e Sirius non ci chiediamo scusa come ragazzine tutte cuori e abbracci.- l’aveva presa in giro arrogante, capendo perfettamente che in quel momento l’unica cosa che Lily voleva da lui era che morisse soffocato nella sua boria, esattamente come gli aveva augurato tante volte nel corso degli anni.
La ragazza infatti borbottò qualcosa tra sé, senza però infamarlo a voce alta come invece si era immaginato, forse a causa della presenza di sua madre nella stanza vicina.
Per qualche motivo dopo le resistenze iniziali, Evans e sua madre erano riuscite a trovare un punto di incontro che il ragazzo non credeva possibile, conoscendo entrambe le loro personalità.
Di fatto era sulla figura di sua nonna Dyside che puntava tutto quanto. Era lei quella che avrebbe adorato Evans ricevendo in cambio altrettanto. Mai avrebbe immaginato che anche con sua madre sarebbe andata bene.
Quella era la dimostrazione che doveva sposarsela, Evans.
Era stato riportato sulla terra quando la ragazza gli aveva tirato un pizzicotto niente male poco sopra la scapola, dove la pelle era lasciata scoperta dal collo della maglia.
-Non aspetterò di tornare a scuola per farlo, Potter.-
E con quello se n’era andata, intimandogli di dare appuntamento al mentecatto del suo amico, visto che se lo avesse fatto lei l’avrebbe giustamente mandata al diavolo.
Che avrebbe fatto come gli aveva chiesto era risultato scontato dieci minuti dopo quando, specchio incantato alla mano chiamava Sirius, ma fortunatamente quella considerazione non lo portò alla consapevolezza che i pantaloni, in casa Potter-Evans, non li avrebbe certo portati lui.

 
 
 
 
 
-Che storia è questa? James ha già fatto incetta di articoli sportivi l’altro giorno con Charlus- chiese Sirius, ancora fermo vicino alla ragazza.
-Glielo ho chiesto io…- cominciò lei, spostando continuamente il peso da un piede all’altro, prima di prendere un respiro e fare quello che andava fatto.
Era una Grifondoro, per Morgana! Il coraggio non le mancava di certo!
-Volevo chiederti scusa, Black. Per questo gli ho chiesto di farvi venire qua.-
Guardandolo in viso capì che non occorreva spiegare per cosa si stesse scusando.
Allo stesso tempo, però, lo vide incredibilmente a disagio. Soprattutto considerando che era di Sirius Black che si stava parlando. Come se anche lui volesse dirle qualcosa.
-Vieni Evans, ti offro un gelato. Ma non farci l’abitudine, chiaro? Per quello c’è Jamie.- e con uno sbuffo la prese per un braccio trascinandola nella gelateria dietro l’angolo facendole capire che si, era perdonata, ma che no, lui non si sarebbe scusato a sua volta per avere esagerato.
O forse quello era il suo modo di farlo. Aprirle uno spiraglio, era sicuramente meglio di qualunque scusa avrebbe mai potuto rivolgerle.
 
 
 
 






ANGOLO AUTRICE.
È sabato, e come promesso sono finalmente riuscita a pubblicare.
Come va? Qui il carnevale è dietro ogni angolo (abitando vicino a Viareggio è inevitabile) e stasera mi perderò il rione grazie a una maledetta febbretta che rompe soltanto le palle. Oltre a rendermi più rompipalle del solito. E voi, invece? Come lo passate questo periodo?
Passo al capitolo però che dite?
Stavolta mi sono segnato cosa dire, mentre lo revisionavo, per essere sicura di non dimenticare niente.
Premetto  dicendo che personalmente adoro i signori Potter così come la signora Paciock, anche se per i primi potrebbe sembrare il contrario.
Dorea e Charlus Potter non potevano essere come i signori Evans, nemmeno per sbaglio. Soprattutto Dorea che, prima di essere una Potter, era una Black. E certe cose non cambiano solo perché cambia il cognome. L’educazione che le hanno impartito è stata sicuramente meno rigida e chiusa di quella che hanno invece conosciuto Sirius, Bellatrix e compagnia bella, ma è comunque l’educazione di una Purosangue e per di più proveniente da una famiglia abbastanza attaccata alle tradizioni. O almeno io la vedo così.
A dispetto di alcune fic che ho letto, qua, James non racconta tutta la sua vita ai genitori. Infatti i signori Potter sanno di Lily che è stata un po’ l’antagonista dei loro ragazzi tra le mura di Hogwarts, ma non sanno altro di lei. Che capiscano che ci sai qualcosa di più sotto è solo merito loro. James non  è il tipo che va a raccontare tutti i fatti suoi ai genitori, punto e basta. Su questo non transigo.
Non sono il tipo che lo fa, e conoscendo persone che invece raccontano ai genitori anche quante volte vanno in bagno, quasi, trovo assurdo una relazione del genere con i genitori. E questa è la mia motivazione per il non dire che sono innamorato di Evans da parte di James, spero capirete.
Infine Sirius e Lily. Non sono tipi di tante parole, soprattutto tra loro due. E si stanno ancora…prendendo le misure diciamo. Personalmente trovo verosimile che il mio Sirius si comporti così, ma poi è questione di opinioni. Tenete conto che non è stupido, sa di avere esagerato, Lily è stata comunque sbattuta contro una parete del treno a causa sua e, soprattutto, è la Evans di James. E già l’ultimo punto da solo farebbe la differenza.
Detto questo vi lascio, ma non senza prima scusarmi per il ritardo con cui aggiorno. Oddio ritardo è quasi poco!
Grazie ovviamente a chi continua a leggere nonostante tutto, perché non so se avrei la pazienza di starmi dietro (ma mi crogiolo nel sapere che come me Jhonny Depp si dice in costante ritardo sulla sua vita esattamente come lo sono io…fonte intervista a Vanity Fair) e vi mando un bacio enorme.
Ancora tante e tante scuse, ragazze!
E ora pubblico ;)
Rebecca.



Ah, e no, i pantaloni in casa Potter non li porterà mai James. Mi spiace!

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Capitolo 27
*** Dalle stelle alle stalle... ***


 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Abitare a casa Potter, Lily era finalmente riuscita a capirlo, non era male come le era sembrato i primi giorni. Certamente  questa nuova consapevolezza era da imputare alla famosa chiacchierata che aveva scambiato con la padrona di casa e non a qualche misterioso  cambiamento avvenuto all’interno di quelle quattro mura.
E si era ritrovata a considerare quel silenzio che all’inizio l’aveva tanto stranita, soprattutto se rapportato a Potter o comunque alla famiglia che credeva vi vivesse, come un caro amico. E forse c’era in questo lo zampino, per una volta inconsapevole, di sua madre e del vivace caos in cui era stata immersa nella settimana precedente a casa sua, poiché nemmeno una bambina in crisi ipoglicemica per i troppi zuccheri ingeriti avrebbe potuto tanto.
Con questo ovviamente non stava implicitamente ammettendo di preferire quella casa alla propria, quello mai, ma era un vero piacere per lei potersi immergere nella lettura di uno dei libri che aveva comprato quel giorno a Diagon Alley insieme ai ragazzi senza doversi nascondere dalle idee strampalate della madre o non rischiare di morire di infarto per un attacco improvviso della sopracitata. E quegli agguati avvenivano con preoccupante frequenza, visto con quanta sollecitudine la cara Anne Evans si preoccupasse di riportare alla figlia ogni nuova mossa dei Jenckins, rei di avere un figlio degno del carcere per la preoccupante propensione di arrampicarsi sui tetti delle case altrui senza uno scopo accertato, oppure per metterla a parte delle nuove idee balsane che le erano saltate in mente all’improvviso, alla stregua di una moderna Archimede e del suo Eureka! E Lily trovava irritante dover mettere da parte un libro, magari avvincente, oppure i suoi importanti studi estivi per poter fare le veci proprio di quell’Eureka!
Ma cose del genere non accadevano in casa Potter.
Gli Elfi, che aveva imparato in mezza giornata a tenere alla larga per non rischiare di farli piangere, come quando si era offerta di portare lei stessa i propri bagagli, erano silenziosi e tranquilli. E i coniugi Potter rispettavano i suoi spazi con tranquillo riguardo, come se vi fossero abituati da sempre e non da pochi giorni. Anche se Lily sospettava che in quell’apparentemente naturale processo vi fosse lo zampino della signora Potter che aveva tarpato le ali alla gentile invadenza del marito con un’efficienza che la ragazza le invidiava profondamente vista tutta la fatica che doveva fare ogni volta per cercare di limitare la capacità distruttiva del loro adorato bambino con risultati che dire scarsi era già un complimento.
Era proprio l’adorato bambino, cui Lily in quel momento stava augurando una fine ingloriosa come finire schiacciato da un bolide durante una partita di Quidditch contro Serpeverde, regalando così loro la vittoria, l’unico elemento stonato di quello che altrimenti avrebbe potuto essere un idillio visto il costante stato di noia che sembrava circondarlo da qualche ora. Stato che, a suo dire fatto di sette anni di esperienze allucinanti per mano di un paio di allucinati di prima categoria, era più pericoloso di un quintale di Petardi Filibuster esploso in un occhio!
James Potter infatti, forse stanco dei giorni di forzato riposo dalla propria attività di malandrino, o forse più semplicemente stanco di vivere, aveva avuto la brillante idea di urlarne in un orecchio un “Evaaansss!!” che l’aveva fatta cadere dalla poltrona su cui sedeva, dopo ovviamente averle fatto venire un infarto e rotto i timpani.
Per la barba di Merlino!, sua madre sarebbe stata fiero di lui! Come se non lo fosse per partito preso, visti tutti i James qui e James là con cui aveva condito la sua ultima lettera…
-Maledetto, Potter!- urlò in risposta la ragazza, senza accennare ad alzarsi da terra, troppo presa a ucciderlo con lo sguardo per poter fare altro.
Per tutta risposta il ragazzo si mise a ridere ancora più forte, arrivando perfino a piegarsi stringendosi la pancia con un braccio e cercando di non perdere l’equilibrio aggrappandosi al divano con l’altro, ma continuando comunque a tenerla d’occhio per quanto le lacrime lo permettessero, forse per prevenire una ripicca nemmeno tanto ipotetica.
Precauzione inutile, quella, visto che il dolore al sedere che la ragazza ancora sentiva e, soprattutto, le pagine del libro che si erano piegate nella caduta le avevano rovinato l’umore talmente tanto da portarla ad abbassarsi al suo livello, cosa che aveva giurato non sarebbe mai successo.
Lily mosse quindi la gamba destra fino a portarla in mezzo a quelle del ragazzo che, troppo preso dalle risate, non si avvide di niente. Per tanto fargli lo sgambetto risultò più facile del previsto, e Potter finì come una pera cotta a terra.
Certo nel suo piano geniale, Lily l’aveva immaginato con la faccia spiaccicata contro il pavimento e non mezzo disteso sopra di lei, ma almeno aveva smesso di ridere di lei.
Come se fosse questo adesso l’importante! Si sgridò mentalmente la ragazza, fin troppo consapevole della vicinanza dei loro corpi, mai stati così vicini, e dei loro visi che quasi si sfioravano.
Sul viso di James si poteva leggere uno stupore che la ragazza avrebbe potuto trovare quasi commovente vista la somiglianza che recava con quella di un bambino, se non fosse stata troppo presa dal proprio imbarazzo per poter anche solo sperare di pensare decentemente.
-Pot…ehm…Potter ti alzi?- si decise finalmente a rompere il silenzio lei dopo essersi schiarita la voce un paio di volte, dato che un altro paio di minuti erano passati senza che nessuno dei due facesse altro.
La sua voce sembrò risvegliare anche il ragazzo che sbatté le palpebre senza però muovere un muscolo.
Lily da parte sua si trovava invece ad arrossire ogni secondo di più sotto quello sguardo serio che lo rendeva così…così bello, ecco.
Non si era ancora abituata a quella nuova versione di Potter, senza il perenne e spesso immotivato sorriso che gli illuminava il viso, anche se più volte le avesse mostrato quella stessa parte di sé, ogni volta che lei ne avesse avuto bisogno.
-Potter, togliti…- provò ancora lei, imponendosi di non spostare gli occhi da quelli del ragazzo, nonostante una parte del suo cervello, che doveva aver subito qualche grave trauma a seguito della caduta, le suggeriva invece di dare un’occhiata, anche solo piccina piccina alle labbra di James.
Le aveva baciate quelle labbra, anche se erano passati giorni dall’ultima volta che era successo.
Non che li avesse contati, ovviamente!
Vedendo che ancora non dava segni vita Lily si ritrovò improvvisamente irritata senza sapersene spiegare il motivo, mentre quel troglodita senza cervello ancora non accennava a degnarla della minima attenzione nonostante se ne stesse tranquillamente appollaiato sopra di lei.
La stizza aveva velocemente preso il posto dell’imbarazzo e con una spinta delle braccia era riuscita a far ribaltare all’indietro l’idiota e tirarsi velocemente su senza degnarlo di ulteriore attenzione.
Se non lo faceva lui perché mai avrebbe dovuto farlo lei?
Il tempo di fare due passi verso il ragazzo per superarlo senza dover aggirare tutto il divano a penisola e si sentì tirare nuovamente verso terra. La spinta che il ragazzo impresse sul suo polso fu abbastanza per trascinarla in ginocchio al suo fianco e stava per mettersi a urlargli contro e magari dargli una sberla niente male per fargli passare la voglia di quegli scherzi idioti, quando lui parlò.
-Evans, non dovresti provocare se poi non sei disposta a giocare…- sussurrò a due centimetri dalle sue labbra.
Centimetri che Lily nemmeno si era avveduta fossero diventati così pochi, tanto era stato veloce.
Centimetri che finirono improvvisamente come erano arrivati quando le labbra del ragazzo si poggiarono sulle sue chiedendo immediatamente qualcosa di più.
Lily schiuse le labbra portando la mano libera sul collo del ragazzo mentre l’altra lottava lievemente per poter essere liberata e seguire l’altra. Potter invece fece nuovamente pressione sul suo polso spingendolo verso terra e riuscendo così ad avvicinare maggiormente a sé il corpo della ragazza.
La ragazza sentiva i ciuffi ribelle di lui che le accarezzavano ora una guancia ora la fronte, sempre in un punto diverso ogni volta che l’angolazione del bacio cambiava e si ritrovò a sperare che quel momento potesse durare per sempre.
In quel bacio non c’era più il pavimento freddo e duro sotto le sue ginocchia, l’irritazione per essere stata fatta cadere una volta e poi un’altra senza rimorsi, e nemmeno l’occhiata soddisfatta che James le aveva rivolto un secondo prima di tirarsela addosso di nuovo.
C’era solo il calore della sua mano sulla vita, perfettamente immobile sulla striscia di pelle scoperta tra i suoi jeans e il maglione, come se avesse paura di non trovarla più se l’avesse spostata anche solo di pochi centimetri. C’erano le sue labbra che accarezzavano le sue così lente e perfette e le loro lingue che si rincorrevano. E poi c’era il suo naso che a tratti si contrava con quello di lei e quei ciuffi che le carezzavano il viso che rendeva tutto più reale perché rompevano quello che altrimenti avrebbe potuto essere solo un sogno tanto era perfetto a come l’aveva sempre immaginato.
Immaginato cosa, poi? Lei non aveva mai sognato di baciare Potter prima di…si insomma prima che lui cominciasse a baciarla come se fosse la cosa più naturale del mondo e non qualcosa di così assurdo e senza senso da non meritare nemmeno di essere preso in considerazione.
Ma davvero importava? Che le importava se da quando erano arrivati a casa Potter lui non si era più avvicinato così, anzi sembrava quasi non gli fosse mai importato. Come se una volta raggiunto il suo scopo, avere anche la sua tacca sulla cintura insieme a quella di chissà quante altre ragazze, avesse perso qualunque interesse verso di lei. E la parte orribilmente sincera di sé, quella che a volte cercava di soffocare e che per qualche ragione quel bacio sembrava stesse riportando a galla, non poté che ammettere che se lo era chiesto il perché di tutto quel disinteresse.
Ma tutti quei pensieri furono portati via con la stessa velocità con cui si ritrovò improvvisamente di nuovo con le spalle a terra e il ragazzo addosso. Come fosse successo, che lui l’avesse spinta e lei non si fosse minimamente opposta, proprio non ne aveva idea, ma a chi importava?
James si teneva con un gomito un poco sollevato per non pesarle addosso e ancora non aveva mosso la mano dal suo fianco scoperto così come ancora non si era staccato dalle sue labbra. Fu Lily la prima a staccarsi, ma solo per un attimo, il tempo necessario per riprendere fiato e riavvicinarsi alla bocca di James facendo pressione con la mano che gli imprigionava alcune ciocche di capelli. L’altra mano finalmente libera finì senza tentennamenti sulla guancia di lui, in un carezza leggera che piano si spostò al collo che sentì riempirsi di piccoli brividi. Gli stessi che sentiva anche lei.
Probabilmente, pensò distrattamente, una finestra era rimasta aperta e lasciava entrare il freddo di novembre senza che però lei riuscisse davvero a convincersene visto tutto il calore che invece le saliva al collo e al viso.
James abbandonò le sue labbra per scendere proprio sulla guancia e sul collo, facendola rabbrividire ancora di più. Cosa le stesse succedendo, Lily, proprio non riusciva a immaginarlo, ma era sicura che niente di simile avesse mai provato prima.
Un sospirò le era appena uscito dalle labbra quando una voce lontana interruppe tutto quell’ovattato calore insieme allo sbattere di una porta.
-James, figliolo, scendi! E anche tu, Lily…ci sono visite!-
I ragazzi sobbalzarono entrambi sentendo tutto quel rumore improvviso causato dal signor Potter in persona, e James si ritrovò ancora una volta spinto all’indietro dalla ragazza, con uno sguardo stupito tanto quello di lei era vigile.
Ma che diavolo le era preso? E se il signor Potter li avesse visti?
-Io…- cominciò lei al colmo dell’imbarazzo.
E se invece a trovarli fosse stata la signora Potter? Probabilmente Lily si sarebbe buttata dalla finestra per la vergogna!
 -Lily…- disse in contemporanea lui, ritrovandosi però a corto di parole tanto quanto lo era di fiato.
 










***










 
-Lily…- disse in contemporanea lui, ritrovandosi però a corto di parole tanto quanto lo era di fiato.
Si guardarono in silenzio ancora per qualche secondo, secondi durante i quali James rimase impotente di fronte al bel viso di Lily rosso e stravolto come mai lo aveva visto. E gli occhi…se possibile erano ancora più belli del solito, così scuri e liquidi come mai li aveva mai visti.
Secondi che lui avvertì come ore tanto dura fu la battaglia per rimanere immobile seduto contro il divano invece che avvicinarsi di nuovo a lei e riprendere a baciarla.
Ma che diavolo era successo? Per Merlino, come erano passati dal ridere e urlarsi addosso a quasi fare l’amore sul pavimento? Come aveva potuto permettere una cosa del genere?
Evans non era come tutte le altre. E mai, nemmeno i primi tempi quando quello che lo spingeva verso di lei altro non era che curiosità e blando interesse, aveva mai pensato a una cosa del genere.
Non per la loro prima volta, almeno.
Che poi con il tempo, gli anni e il desiderio accumulato e l’improvvisa vicinanza dell’ultimo periodo i suoi sogni fossero diventanti più spinti, non importava. Che gli diceva il cervello…beh o quello che stava ragionando al posto suo.
-Forse dovresti scendere…- disse alla fine Lily schiarendosi la voce, rompendo il silenzio di quei secondi che a lui erano sembrati ore.
Scendere? Scendere dove?
Suo padre, quasi l’aveva dimenticato.
Suo padre che li aveva interrotti.
Suo padre che fortunatamente li aveva interrotti, impedendogli così di fare qualcosa di cui forse in futuro si sarebbe pentito.
Certo al momento non poteva impedirsi di sentirsi irritato nei confronti dell’uomo, ma l’altra parte di sé, quella che aveva imparato ad ascoltare quando si trattava di Evans, gli era grata per lo stesso motivo.
James annuì vacuo con la testa, ancora perso in mondi che avrebbe tanto voluto esplorare, ma che non era ancora il momento per fare, e il viso ancora rosso di Lily che intanto cercava di sistemarsi i capelli sconvolti.
-Io…arrivo subito. Puoi scendere tu, intanto?- le chiese con voce roca, realizzandolo per la prima volta da quando si erano staccati. Beh c’era da dire che aveva tutti i motivi per essere lento nei ragionamenti e lo dimostrava il fatto che si stesse esprimendo a monosillabi.
La vide guardarlo confusa prima di annuire a alzarsi cercando di sistemare i vestiti leggermente spiegazzati, rivolgendogli nel farlo un leggero sorriso imbarazzato.
“Smettila Evans, dannazione! Non posso ritrascinarti sul pavimento. O sul divano. O sulla poltrona preferita di mia madre.Non posso…non posso…” cercava intanto di convincersi lui senza accennare ad alzarsi o spostarsi in alcun modo, limitandosi solo a guardala uscire dalla stanza a grossi respiri, come per riprendere completamente il controllo di sé.
Riprendere il controllo di sé. Era quello che doveva fare anche lui prima di scendere da basso. Anche se più di sé doveva riprendere il controllo del qualcuno che al momento era fin troppo sveglio e stazionava nei suoi pantaloni, per quanto stretti al momento.
Riprendere il controllo di sé.
Era un parola, quando davanti agli occhi continuava ad apparire Evans, così arruffata e morbida come mai l’aveva mai vista. Era un parola, quando continuavano a tornargli in mente quegli occhi così lucidi e stupidi, come se non si aspettasse che tutta quella magia, perché se quella non era magia non sapeva cosa poteva esserlo, potesse nascere tra loro.
Evans, sempre Evans.
Evans che però non era più con lui nella stanza, con grande dispiacere dell’amico ai piani bassi, pensò distrattamente prima di lasciarsi cadere all’indietro con un sospiro esausto.
 










***












 
Nell’immaginario collettivo del mondo babbano niente rappresentava il mondo magico quanto un fantomatico Mago Merlino con la casacca blu notte costellata di stelle e un cappello a punta con tanto di stella scintillante in cima. Un immagine che, almeno per la Lily undicenne che per la prima volta si affacciava in un mondo che sarebbe poi diventato suo, ben si concretizzava nella bizzarra figura del preside di Hogwarts, con le sue tuniche dai colori strampalati, la barba lunga e bianca e gli occhiali a mezzaluna.
Certo quella stessa bambina non aveva mai immaginato di poter incontrare una persona altrettanto caratteristica e allo stesso tempo così fuori dalle righe e strampalata che avrebbe potuto paragonarla solamente a Maga Magò. E questo nonostante avesse conosciuto durante gli anni di formazione personcine del calibro di Madama Bumb con i suoi occhi gialli e le orecchie a punta, e della professoressa Sprite con il suo spassionato affetto per ogni pianticella potenzialmente mortale e la preferenza per concime di cacca di drago su qualunque altra qualità di fertilizzante.
Niente l’aveva portata comunque a credere che potessero esistere persone sane di mente che potessero superare le esilaranti caratteristiche di quelle donne. Non una persona sana di mente, come ci teneva a sottolineare ancora.
Tutto questo ovviamente prima di incontrare la formidabile nonna di James, Disyde Potter, che alla veneranda età di centotredici anni ancora vantava una variopinta chioma azzurra, una tunica decorata con cristalli tintinnanti, la parlantina di una ventenne e, soprattutto, una scopa sotto il braccio che teoricamente non sarebbe dovuta nemmeno essere in grado di sollevare. Ma che evidentemente era in grado di fare visti i vistosi occhialoni da aviatore anni venti o motociclista di sidecar che campeggiavano tra quelle chiome turchine e che completavano perfettamente la sua immagine da centauro dei cieli.
-Lily, vieni ti presento mia madre, Disyde.- le disse gioviale il signor Potter ignorando le occhiate sconfitte che la moglie stava lanciando alla scopa, agli occhiali e alla signora in sé senza però tuttavia commentare.
-Piacere signora.- rispose Lily gentile, con un espressione in viso che rasentava l’incredulità.
-Oh mia cara! Il mio piccolo Jamie mi ha parlato così tanto di te! E anche quel mascalzone di Sirius…- iniziò a chiacchierare la donna, lanciando la scopa e occhiali contro il figlio perché li riponesse dove ritenesse migliore e prendendo sotto braccio la ragazza trascinandola in salotto dove uno degli Elfi aveva già predisposto un brunch così ricco e bello a vedersi da risultare un peccato toccarlo.
-Signora, ma è venuta in volo?- chiese alla fine Lily, in uno dei rari momenti lasciati vuoti dall’anziana signora.
-Volare è uno dei pochi piaceri che quei guastafeste dei miei Medimaghi ancora non sono riusciti a togliermi. Me lo porterò nella tomba, me lo porterò, alla faccia delle loro funeste previsioni.- dichiarò orgogliosa la donna.
E dal tossicchiare in sottofondo proveniente da Charlus, Lily, poteva dedurre con poche probabilità di errore che i Medimaghi, così come il figlio e la nuora, non fossero poi così contenti nei confronti del tranquillo hobby scelto dalla vecchietta.
-Oh ma non parliamo di quelle sanguisughe che cercano di spacciarsi per curatori…se avessi dato retta anche solo alla metà dei loro spassionati consigli da specialisti sarei morta da almeno trentanni. È una fortuna che la mia cara amica, Madame Clotilde, sia un’esperta di infusi e tisane purificanti naturali. Bah! Altro che quei ciarlatani! Lei si che è un’esperta!- riprese la sua invettiva nonna Dyside, ricordando a Lily in modo incredibile quanto sua nonna partiva in quarta contro gli irlandesi, le loro cattive maniere e il loro essere alcolizzati senza possibilità di scampo.
Ancora una volta un leggero tossicchiare, questa volta provenente dalla signora Potter, dichiarò senza ombra di dubbio quanto reputasse affidabili le tisane di Madame e quanto avesse fiducia in Madame stessa.
-Nonna!- un esaltato James Potter entrò in quel momento nella stanza, sicuramente sorpreso dalla vista dell’ospite, abbracciandola con calore e fermando la filippica contro il San Mungo.
Conscia improvvisamente della presenza accanto a lei del ragazzo Lily si trovò in difficoltà al ricordo di poco prima, pronta ad affogare nel suo stesso imbarazzo e a vedere uscire del fumo dalle proprie orecchie per riportare la faccia a un colore accettabile, non fosse stato per l’adorata vecchina che le venne in soccorso senza volere portando avanti un siparietto esilarante a discapito di James.
-Oh il mio nipotino! Guarda quanto sei cresciuto James caro…ormai sei proprio un uomo.- trillò allegra la donna, strizzando le guance del ragazzo come se avesse ancora cinque anni, borbottando nel frattempo qualcosa contro i suoi capelli che non stavamo mai a posto e che erano proprio come quelli del suo defunto marito, pace all’anima sua.
-Sai Lily cara dicevo sempre a Dorea che il mio nipotino sarebbe diventato un vero rubacuori un giorno e ora guardalo…sei proprio diventato bello tesoro!- continuò la donna, ignorando chiunque altro non fossero i due ragazzi che le stavano intorno.
La rossa non sapeva esattamente come prendere quella donna e nemmeno come approcciarsi a lei. Nei suoi occhi leggeva lo stesso infinito amore per James che si accendeva nel signor Potter quando osservava il ragazzo e che aveva visto il giorno del loro arrivo negli occhi della moglie, sebbene questa fosse più restia a mostrarlo di fronte a estranei.
Che James Potter fosse un figlio amato e desiderato con tutto il cuore lo aveva inconsapevolmente già capito da bambina, vedendo quanto curato fosse tanto la sua persona quanto il suo aspetto in confronto all’aura di distrazione che invece avvolgeva Severus. Che fosse stato viziato all’inverosimile l’aveva appurato ogni giorno di quei sette anni, tanto per il suo comportamento incurante e arrogante quanto per tutti gli oggetti che lo circondavano, sempre nuovi e impeccabili appena se ne presentava il bisogno. E in un certo senso aveva sempre biasimato qualunque comportamento avesse portato a quel concentrato di boria e arroganza con cui si era ritrovata a dover interagire.
Ma toccare con mano quali fossero esattamente quei comportamenti la fece sentire una vera stupida. Non perché fosse improvvisamente da ammirare l’irritante mocciosetto che l’aveva presa in giro per anni e nemmeno perché viziare all’inverosimile un figlio fosse l’atteggiamento giusto, ma perché…guardare quella famiglia così strana era un gioia per gli occhi.
Era bello vedere come Dorea nonostante il carattere distaccato che comunque le apparteneva riuscisse a sorridere dolce ogni volta che sentiva  ridere il figlio. Era bello vedere Charlus ricordare ogni minuto al figlio che un Potter potesse fare ogni cosa che desiderasse o vederli mettersi d’accordo per un uscita di soli uomini. Era bello anche vedere come Dyside si infischiasse tranquillamente dell’età di James, non più un poppante da coccolare, per riempirlo di carezze o pizzichi sulle guance, fingendo di non vedere l’imbarazzo che quel comportamento gli causava davanti agli occhi di lei.
Era bello vedere che James Potter fosse diventato quel concentrato di difetti e pregi perché intorno a lui c’era solo tanto amore e attenzione nei suoi confronti e non perché era l’atteggiamento che ci si aspettava da luiin quanto Potter, Grifondoro, Purosangue. E Malandrino ovviamente.
Lily venne riscossa dalla voce squillante di nonna Potter che stava contrattando con un Elfo per un bicchiere di vino elfico al posto del suo succo di zucca, approfittando di un attimo di distrazione della nuora.
-Allora Lily, raccontami della scorsa settimana a casa tua. Nella Londra babbana, se non sbaglio vero? Questo sciagurato di mio nipote non ha trovato nemmeno il tempo per scrivere alla sua vecchia e debole nonnina…vediamo di sanare le lacune lasciate da quest’ingrato!- la riportò all’ordine, con tuttavia un sorriso verso il sopracitato sciagurato che smentiva qualunque intento offensivo.
-Non è che ci sia molto da dire. Mia madre a riempito James di biscotti fino a scoppiare, ha dovuto sopportare ben due terribili cene con la mia famiglia e….beh abbiamo cosparso casa di foglietti per impedirgli di finire fulminato o con le dita mozzate a causa degli elettrodomestici.- rispose tranquilla lei, senza però accennare un solo sguardo verso di lui, non ora che poteva guardarla a sua volta.
 -Una settimana avvincente, veramente avvincente.- rise la nonna davanti a quel riassunto assurdo di quei sette giorni che avrebbero dovuto essere l’emblema della normalità. Probabilmente stava pensando che il prezioso discendente era stato spedito in una gabbia di matti, non che questo si allontanasse poi così tanto dalla realtà in effetti visti i soggetti.
-I signori Evans sono stati gentilissimi nonna. George è un ottimo giocatore di scacchi e Anne ha anche cercato di insegnarmi a cucinare sebbene senza alcun successo.- riprese il ragazzo.
-Oh allora dobbiamo assolutamente conoscerli, non credi Dorea? Devono essere delle persone adorabili! Charlus faremo una bella gita fuori porta questo fine settimana. Ho giusto fatto prendere aria al mio tappeto magico due giorni fa, per impedire che prendesse il raffreddore!- propose l’arzilla vecchietta facendo quasi strozzare l’altra donna interpellata con il suo the al gelsomino.
-Sono illegali.- sibilò soltanto, dopo essersi elegantemente ricomposta e bocciando così la proposta, con grande sollievo di Lily.
Mettere insieme sua madre e la nonna di Potter non era una buona idea, soprattutto se nelle vicinanze si trovava anche la madre di lui. Probabilmente la povera Dorea non avrebbe retto a quelle due insieme.
-Ma che sciocchezze cara! Solo vent’anni fa era un dovere verso la società possederne almeno uno a famiglia. E poi diciamocelo sono sicuramente più comodi della smaterializzazione. Io odio smaterializzarmi, non a caso faccio revisionare la mia fedele scopa ogni sei mesi.- ribatté soddisfatta ottenendo un nuovo sguardo di ammonimento da parte dell’altra donna.
Lily vide James ridacchiare con la coda dell’occhio, probabilmente avvezzo alle posizioni opposte delle due donne della sua vita e pertanto profondamente divertito dai loro battibecchi. Sebbene nessuno sano di mente avrebbe mai associato la parola battibecco alla figura elegante di Dorea Potter.
La disputa venne sedata dall’arrivo trafelato di un piccolo Elfo con le orecchie enormi, perfino per la loro specie, che con sguardo lacrimevole, e dopo essersi scusato debitamente per aver interrotto “l’importantissimo discorso tra la padrona e la madre del padrone, nostra graditissima ospite”, quasi si buttò ai piedi di Lily chiedendo perdono e promettendo infinite punizioni per se stesso di cui Lily non ne aveva mai immaginate nemmeno un terzo.
E si che in sette anni con i Malandrini intorno la sua fantasia aveva avuto parecchie occasioni per sbizzarrirsi.
-Signorina il povero Poppy chiede perdono. Poppy è proprio stupido signorina. Proprio proprio stupido! Come ha potuto Poppy dimenticare la lettera signorina? Come, come ha potuto? Dimenticarsi un lettera così bella, signorina. Piena di colori e disegni. Poppy è veramente dispiaciuto. Poppy si chiuderà le orecchie nel forno e girerà tutto il giardino strisciando. Poppy…- continuò a piagnucolare senza sosta, con lo stesso sguardo di un cucciolo dolorante.
-Poppy, basta. Spiega a Lily cosa hai dimenticato e rimedia.- lo fermò con tranquilla sicurezza la padrona di casa, probabilmente più che abituata a scene del genere.
Lily da parte sua era sicura che non avrebbe mai potuto ospitare in casa propria un Elfo. Tutta l’angoscia di quel piccolo esserino si era riversata in lei solo sentendolo parlare.
-Poppy ha dimenticato la bella lettera che è arrivata questa mattina, padrona. La lettera indirizzata alla signorina Lily. Poppy chiede perdono.- e con un inchino degno della migliore contorsionista cinese di tutti i tempi, Poppy, si decise finalmente a consegnare la lettera a Lily sotto lo stupore generale.
Cosa importava se le aveva consegnato la lettera con qualche ora di ritardo?
Prendendola dalle sue mani la ragazza provò a consolarlo –Poppy, ecco…non importa davvero. L’importante è averla consegnata, no?-
Per tutta risposta ottenne un urlo disperato e lacrimoni mentre il piccolo Elfo scuoteva la testa con forza facendosi sbatacchiare in faccia le enormi orecchie.
Lily lanciò uno sguardo terrorizzato a James, ripensando all’infinita lista di punizione che Poppy voleva auto infliggersi solo per una piccola dimenticanza, in cerca di aiuto. E per tutta risposta ottenne un sogghigno divertito di fronte alla scena.
Certo, lui ci era cresciuto insieme a quei cosi con lo spirito del kamikaze, il signorino. Kamikaze teneri e lacrimevoli pronti a sacrificarsi per il bene della famiglia presso cui prestavano servizio in caso di errore o inadempienza.
Charlus prima e Dyside poi, tuttavia, cercarono di andare in aiuto quasi fosse lei quella da tranquillizzare e non Poppy che ancora piangeva tutte le sue lacrime articolando comunque, tra un singhiozzo e l’altro –La signorina è troppo buona con Poppy. La signorina è troppo buona per dire allo stupido Poppy quanto è inutile e stupido…-
-Poppy, davvero non importa. Anzi sono sicura che se lo dicessi a mia madre lei sarebbe davvero fiera di te per non avermi portato la lettera a colazione. Lei odia mandare posta per quell’ora. Sarebbe proprio contenta di sapere che l’ho ricevuta questo pomeriggio…- provò ancora Lily, senza la minima idea di quello che stesse dicendo.
Nonostante le sue più cupe previsioni, la possibilità di aver fatto felice il mittente della lettera sembrò calmare l’Elfo che la guardò con occhi increduli mentre lei continuava ad annuire convinta, sperando di aver fermato la crisi isterica del piccoletto quanto la sua.
Dorea si premurò allora di congedarlo prima che un qualche altro insignificante particolare facesse nuovamente disperare Poppy.
-Non avevo mai visto nessuno darsi tanta pena per un Elfo.- le disse la donna con un’espressione stupita in visto.
-Ma non è che andrà davvero a infilarsi le orecchie nel forno, vero?- chiese ancora in pena Lily.
I coniugi Potter ridacchiarono di fronte alla sua evidente preoccupazione, rassicurandola ancora che l’esserino sarebbe stato più che bene e il figlio le rivolse lo stesso sorriso che le aveva rivolto la prima volta che l’aveva portata nelle cucine e lei aveva espresso una stessa premura verso gli Elfi del castello.
Solo Dyside si alzò per avvicinarsi per farla alzare a sua volta dicendo –Andiamo a controllare, cara. Con quei cosi non c’è mai da stare sicuri di niente.- e senza sentire scuse se la trascinò via alla ricerca del piccoletto.
 










***













 
Solo dopo essere stata accompagnata da Dyside alla ricerca di Poppy ed essersi assicurate che nulla di male gli sarebbe successo per quella lettera quasi mancata, le due tornarono nel salotto dove tutta la famiglia ancora sedeva tranquilla, ognuno preso dalle proprie occupazioni.
Una Lily vigile e attenta, quella insomma che era a Hogwarts, si sarebbe accorta che era perfino troppo tranquillo, considerando uno dei soggetti in particolare. Ma in quel momento era così presa dall’esilarante racconto di una recente vacanza in Francia da parte di quell’incredibile signora che era Dyside Potter che non vi prestò attenzione. Dopottutto chi avrebbe mai fatto caso al silenzio quando la nonna le stava raccontando che il suo compagno di viaggio, l’attempato centoseienne Marcus McQualcosa, aveva pietrificato tutti i babbani all’interno del Louvre per poterlo visitare con tutta calma e tranquillità, per lamentarsi poi delle orribili statue di cera resa opaca dalla scarsa pulizia del luogo che vi erano esposte all’interno poiché la sua scarsa memoria e la sua assoluta incompetenza in fatto d’arte gli aveva fatto scambiare un grassone armato illegalmente di un panino all’interno dell’edificio per una scultura di forse importanza mondiale, ma di certamente dubbio gusto.
Ancora presa dal racconto della donna Lily si sedette accanto a una Dorea altrettanto presa da un imponente volume di fattura antica, proprio davanti al divanetto su cui invece sedevano James e la nonna.
Forse richiamata alla realtà dalla lettura sicuramente interessante della sua ospite, o forse più semplicemente l’intuito che reagiva inconsapevole alla presenza di Potter e alla sua potenziale distruttiva dopo anni di duro allenamento, colse con la coda dell’occhio un foglio che spuntava dal libro cui il ragazzo stava prestando tutta la sua completa attenzione.
Un foglio che le era stranamente familiare. E Lily poteva affermare con sicurezza che non avesse mai nemmeno aperto per sbaglio “Diari del Quidditch. Raccolta dal 1258 a oggi dei veri campioni e dei loro perché”.
Un foglio che fin troppo colorato per i suoi gusti.
 

“Dimenticarsi un lettera così bella, signorina. Piena di colori e disegni.”

 
O. PER. MERLINO!
Quella non poteva essere la lettera di sua madre, vero? Forza, nemmeno Potter poteva essere così impiccione da mettersi a leggere la sua corrispondenza. O meglio, non poteva essere così stupido. E idiota. E cafone. E…
Veloce la rossa si alzò per sporgersi sopra il ragazzo e constatare che era lei quella malfidata. Che anni e anni al suo fianco la portavano inevitabilmente sempre a credere il peggio di lui.
Si sporse per accertarsi di essere sbagliata.
Si sporse vedendo che non era così. Che la scrittura era quella rotonda e allegra di sua madre. Che le ultime righe in fondo erano piene della calligrafia ordinata di suo padre, sempre e comunque relegato sul fondo dall’esuberante moglie.
Si sporse constatando che Potter era davvero così idiota, stupido e cafone.
-Potter! Come accidenti ti permetti di leggere la mia posta???- gli urlo arrabbiata come non le capitava da un po’ con lui.
Gli strappò di mano i fogli ancora incredula mentre lui in risposta la guardava a metà tra il terrore e il dispiacere di essere stato scoperto. Faceva bene a essere terrorizzato, lo avrebbe riempito di così tante fatture come nemmeno al quarto anno quando l’aveva fatta inciampare con un incantesimo per provare a baciarla davanti a tutta la Sala Grande aveva fatto.
Gli sfilò dalle mani anche il pesante tomo di Quidditch. Sarebbe stato divertente leggere l’epitaffio che avrebbe fatto incidere sulla sua tomba “Morto per mano per di una donna perché troppo stupido per stare al mondo”.
-Sei un idiota. Stupido credito che non sei altro! Ma che ti dice il cervello, eh? Sei solo un deficiente che non sa farsi gli affari suoi…ma io ho mai letto le tue lettere? Oppure cos’è tutte quelle cadute dalla scopa ti hanno distrutto il cervello? - gli urlò addosso la ragazza, senza davvero tenere troppo conto di quello che le usciva di bocca. L’unica cosa che le interessava era prendere di volta in volta bene la mira per colpirlo in testa, o meglio ancora in faccia, con quel suo dannato libro.
-Io non cado mai dalla scopa.- si risentì lui piccato, come se avesse ascoltato solo l’ultima parte del discorso e senza tracce evidenti di pentimento nella voce, continuando però a parare i colpi con le braccia come meglio poteva.
Sentendo la sua replica, la più idiota e sbagliata che poteva rivolgerle in quel momento, Lily si bloccò per guardarlo incredula. Non provava nemmeno a scusarsi?
Ma come si permetteva?
Era davvero lo stesso ragazzo che poche ore prima l’aveva baciata nella saletta al piano di sopra con tanto trasporto?
Era davvero lo stesso ragazzo di cui aveva pensato tutte quelle belle cose non solo nell’ultimo periodo, ma soprattutto vedendolo insieme a sua nonna e le sua famiglia?
Non poteva essersi immaginata tutti quei mesi insieme, dove lui le era stato vicino come non mai. Proprio lui, cui aveva mostrato parti di sé che nemmeno Alice o le altre avevano mai visto. Sapeva di non essersi sognata quel ragazzo che le era diventato in così poco tempo tanto caro eppure…si ritrovava davanti lo stesso idiota arrogante che aveva odiato in quegli anni.
Quel Potter che sorrideva sempre.
Quel Potter che la prendeva in giro.
Quel Potter che non le piaceva per niente e che voleva soltanto affatturare.
Gli lanciò un’occhiata incredula prima di mollargli con involontaria precisione il malloppo cartaceo nello stomaco con tanta forza da farlo piegare dal dolore e girare sui tacchi per andarsene.
Che andasse al diavolo, quell’idiota. E per una volta non le importava nemmeno di quello che avrebbero pensato i padroni di casa. Era troppo incazzata anche solo per pensare a dove stesse mettendo i piedi, figuriamoci per pensare al galateo e altre baggianate simili.
Con passo marziale si diresse in giardino ignorando lo sguardo che James le stava lanciando in quel momento e che avrebbe dovuto usare qualche minuto prima invece che la sua stupida boria dettata dall’orgoglio. Ma soprattutto Lily si diresse in giardino ignorando di lasciare James tra le grinfie di quelle che si sarebbero rivelate di lì a qualche minuto due insospettabili alleate.
Insomma di James Potter ormai non restava altro che carne da macello.
 
 
 
 
 
 








 
 
ANGOLO AUTRICE.
Gridate al miracolo perché ce l’ho fatta. E no, non è un miraggio.
Vabbè che poi sono io a dover gridare al miracolo visto che c’è ancora qualche anima pia armata di pazienza disposta ad aspettare quelli che non sono nemmeno più ritardi. Sono…boh non c’è una parola se non che faccio veramente schifo.
E per questo avete tutte le autorizzazioni firmate, controfirmate e pure rifirmate col sangue tanto per stare sicuri per tirarmi pomodori marci, cipolle cotte (che si sfaldano così bene), carote crude (che se siete fortunate mi finiscono in un occhio) e olio bollente…giusto perché le torture medioevali non cadano nel dimenticatio.
Quelle sicuramente mi avrebbero dato l’imput per aggiornare in tempi ragionevoli. Ragion per cui se sotto il letto tenete una Vergine di Ferro, gelosamente custodita per una buona occasione, io mi offro come cavia.
Ma bando alle ciance. Delle scuse sentite mi sembrano il minimo visto che davvero non mi avete ancora abbandonata. Io al posto vostro lo avrei fatto.
Per farmi perdonare (che poi non è vero, il capitolo è venuto così e velo prendete) qui abbiamo ben nove pagine word, mai scritte prima d’ora, un momento tra Lily e James che tuttora mi lascia interdetta, la mitica nonna Potter e beh una scazzottata finale che ci stava bene.
E parlando del momento Lily e James che mi lascia tuttora interdetta…ecco non volevo pubblicarlo nemmeno. Non avevo mai scritto una cosa del genere e non so se c’entra con il resto della storia, con il tono che ho più o meno sempre usato fino a ora e soprattutto…ma cosa diavolo ho scritto? Io non le so scrivere scene del genere. Scendo nello zucchero e melassa per poi finire in un momento a metà tra l’imbarazzo e l’ironia che non c’entra una mazza. Ma meglio di così non potevo fare e dopo averlo rimaneggiato per giorni ho deciso di continuare a scrivere o il capitolo sarebbe arrivato tra mesi e mesi e mesi e mesi, visti i miei pachidermici tempi di stesura.
Se ho fatto pena a scrivere ditemelo (perché che faccia pena come autrice ormai è un dato di fatto).
Ma adesso bando a autocompiaggimenti vari che poi sembra che vi voglia costringere a dirmi “Ma no, ti aspetto per tutto il tempo che vuoi” e cose simili e non sono il tipo.
Passiamo alle cose importanti perché se continuo a pensare al bacetto-qualcosa-di-più di poche pagine sopra è la fine.
Dyside Potter. Io la amo. All’inizio doveva essere una nonnina divertente ma comunque tranquilla alla nonna di Clara in Heidi le caprette ti fanno ciao. Poi è diventata una sosia della mamma di Miguel Bosè (stima profonda per quella donna che ha davvero i capelli blu), una centaura dei cieli con tanto di occhialetti all’aviatore (altrimenti battezzati occhi di mosca) e completamente fuori di testa. Spero vi faccia fare due risate.
Ah, già i tappeti volanti. Perché si, nonostante sia madre di un Auror e futura nonna di un Auror e futura bisnonna di un altro Auror e via dicendo, nonna Dyside invece è una fuorilegge. Sono sicura che in un qualche passaggio di HP c’è questo accenno ai tappeti volanti classificati come illegali. E ce n’erano anche formato famiglia. No so perché mi sia venuto in mente il tappeto volante, ma come novella Aladin ce la vedo bene. Magari con un bel foulard in testa anni Quaranta.
Poppy che si vuole chiudere le orecchie nel forno è ovviamente un riferimento a Dobby. Che poi non lo so perché in questa storia spuntino così spesso gli Elfi Domestici. Ma mi serviva il motivo del litigio e Poppy è spuntato piangente per farmi contenta.
E infine proprio il litigio. Che è parecchio eccessivo e ci fa capire che Lily è fuori di testa, non l’avevate ancora notato vero?, oltre che col prosciutto sugli occhi. In ogni caso perché solo gli Evans dovevano vedere il loro personale modo di interagire? Anche se poi George e Anne si sono beccati la versione soft e divertente.
Con la speranza che non siate sparite come lo sono stata io per mesi vi saluto. Ora mi ci vorranno dieci minuti solo per scegliere il titolo, ma poi giuro che pubblico.
Tanti tanti baci, Rebecca.




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Capitolo 28
*** Senza certezze ***























Salire sul treno che avrebbe riportato a Hogwarts quell’eterogenea massa di diciassettenni decisamente fuori dal comune, o almeno fuori dal comune per gli standard cui generalmente questa definizione è associata, fu traumatico per tutti quanti.
A dispetto delle rosee speranze, nonché utopisticamente ottimistiche, del professor Silente e di tutti gli altri professori che avevano appoggiato l’idea, quelle due settimane non erano state affatto spese per imparare gli usi e i costumi di un mondo o dell’altro, ma semplicemente erano state una troppo breve vacanza in vista degli spaventosi MAGO che li aspettavano a giugno.
E se gli studenti purosangue, completamente estranei al mondo fatto di luci e suoni dei babbani, si erano trovati costretti a imparare alcune regole basilari come non attraversare la strada con il rosso e non chiamare un taxi sul ciglio del marciapiede e pronti al suicidio come con il Nottetempo, nessuno avrebbe definito quelle basilari nozioni come reale cultura del mondo nemico. Perfino Silente lo avrebbe dovuto ammettere, tutto quello che avevano appreso, e che il rientro a scuola avrebbe cancellato dal loro cervelli appesantiti di altri e ben più difficili informazioni magiche, era stato obbligatorio al fine ultimo supremo.
La sopravvivenza.
Le nefaste e assolutamente veritiere previsioni  fatte non più di un mese prima dalla professoressa McGrannit si erano rivelate infine esatte. La donna, infatti, profondamente consapevole dello spirito non accademico con cui quegli squinternati adolescenti avrebbero preso quelle due settimane, aveva strenuamente cercato di bocciare la proposta, unica fra tanti, dichiarando senza peli sulla lingua né finti perbenismi che “quei ragazzi ne avrebbero approfittato per ripulire completamente le loro teste dalle informazioni che loro malgrado avevano imparato fino a quel momento, in favore di una burrobirra o di un sorbetto al sidro di mele ubriaco.” I ragazzi erano così tornati a scuola profondamente depressi, alcuni reduci da una sbronza colossale per piangere la libertà perduta, altri semplicemente increduli di dover riprendere in mano i libri dopo due settimane di completa nullafacenza.
Ma nessuno dei professori avrebbe mai potuto immaginare cosa aver regalato a studenti in procinto di sostenere i MAGO, ore e giorni che non avrebbero dovuto avere a loro completa disposizione, avrebbe scatenato.
I pettegolezzi erano all’ordine del giorno, ogni volta con una versione diversa, se non direttamente una notizia diversa. E per una volta non era Cordelia Waffle l’autrice di tutto questo.
Semplicemente Cip e Ciop, alias le sue amiche barra tuttofare, avevano seguito l’esempio di quella che era da sempre la regina del gossip scolastico e non si erano fatte problemi a infarcire il loro giornaletto di tutte le novità che la vacanza studio aveva portato con se. Con grande gaudio degli studenti degli altri anni che invece si erano dovuti affaticare su libroni più o meno imponenti quando gli altri ne dimenticavano perfino la forma e che adesso avevano qualche succosa notizia con cui spegnere il cervello.
Si vociferava che Peter Minus dovesse l’inusuale comportamento spaccone a una pozione rubata a Severus Piton e a effetto permanente, dopo che lo si era visto aggirarsi per i corridoi pronto a sbeffeggiare i compagni più deboli, in una grottesca imitazione del Sirius Black di un tempo, sebbene negli occhietti acquosi conservasse ancora tracce dell’antica paura e la sua stessa figura non potesse competere nemmeno lontanamente con quella ben più elegante e attraente dell’amico.
Si parlava della stramba, nonché assolutamente imprevedibile, amicizia nata tra Julie Parker e Cordelia Waffle stessa, con gran disgusto della prima che, nonostante avesse trovato il periodo passato insieme interessante a fini scientifici, certamente non sarebbe andata a definire quella strana cosa come amicizia e aveva pertanto provato a strangolare quelle due soltanto per scaricare il nervoso. Si poteva al massimo dire che avesse sotterrato l’ascia di guerra, ammesso che Julie conoscesse l’espressione, ma viste le sue mille risorse niente le era impossibile, nemmeno conoscere vecchi detti babbani.
Si parlava anche del litigio avvenuto tra Lily ed Emmalie che, sebbene risolto da parte delle stesse dopo una chiacchierata nei bagni del treno in cui la rossa aveva spinto a forza l’amica durante il viaggio di ritorno per la durata di un terzo del tragitto, sembrava ancora la peggiore delle faide agli occhi di tutti.
Per non parlare poi dell’avvicinamento tra la stessa rossa e James Potter, evidente perfino a chi dai pettegolezzi se ne guardava bene, che non aveva eguali nella storia.
Solo quello aveva meritato un numero speciale del giornalino scolastico, portando Lily quasi a un collasso nervoso, con tanto di foto a tutta pagina e dichiarazioni da immaginari amici che entrambi avrebbero voluto conoscere solo per strozzarli per bene. C’era chi diceva che stessero insieme, chi che Lily si fosse servita di Amorentia, altri che lei era incinta e cercava di accasarsi con Potter come la migliore delle arrampicatrici sociali e altri ancora che, rispolverando alcune vecchie edizioni che bruciare sarebbe stato il minimo, affermava che il ragazzo fosse solo una copertura per la relazione tra Evans e Black, iniziata a settembre e messa a tacere dal ragazzo grazie ai soldi di famiglia. Chi avesse pagato per mettere tutto sotto silenzio e soprattutto il perché lo avesse fatto erano piccole quisquiglie delle quali nessuno importava.
Alice letteralmente sguazzava in tutto quanto, divertita come non mai perfino di fronte ai commenti al vetriolo di Julie, che reputavano Cordelia ovviamente responsabile di tutto visto che lei aveva fondato quella spazzatura anni prima e che adesso non riusciva a tenerla a freno, e all’umore vicino alla psicosi omicida di Lily, che era esplosa due giorni prima quando un Serpeverde del terzo anno aveva osato toccarle la pancia per controllare se davvero stesse “contenesse qualcosa”, così si era giustificato.
Il ragazzo si era ritrovato in infermeria con il viso completamente ricoperto di pustole, gentile regalo della ragazza, e un sopracciglio spaccato, dono del forse futuro padre o forse futuro marito cornuto James Potter, il suo ruolo nella vicenda ancora non era certo, che l’aveva colpito per la troppa familiarità con cui toccava la rossa. Il pestaggio però aveva avuto l’unico effetto di peggiorare una situazione che faceva già prima talmente schifo da non crederci, con il risultato che Alice già sceglieva il vestito da madrina, Sirius sceglieva il nome del bambino, James si era beccato un ceffone per la sua entrata in scena alla “marito geloso”, Remus scuoteva la testa e Lily…beh Lily voleva buttarsi giù dalla Torre di Astronomia e finirla lì.
Ovviamente come nella migliore tradizione di Hogwarts, tradizione perfezionatasi nei secoli e ormai assolutamente impareggiabile, il caos non accennava a placarsi e così era passato novembre e il gelo invernale era ormai alle porte.
La neve, costante di tutto il fine settimana, aveva coperto di bianco il parco e il campo da Quidditch, perfino il Platano Picchiatore, assolutamente restio a piegarsi ai capricci invernali, sembrava quell’anno disposto a rimanere buono per qualche giorno ancora, accettando sui suoi rami cumoli di neve pronti a cadere.
Lily, insieme a Virginia e Emmaline ormai rappacificate, checché ne dicessero quegli idioti presto cadaveri, si godevano una delle rare ore buche che avevano in comune, sfidando il gelo di dicembre sedute su uno dei muretti che delimitavano il giardino interno dal chiostro coperto che lo circondava.
Emmaline, previdente come sempre, aveva fatto apparire un tenue fuocherello azzurro, in grado di scaldare senza bruciare al tatto, e lo aveva chiuso nella boccia che una volta ospitava il suo pesce rosso Schizzo, ormai morto da anni, alla veneranda età di tre mesi e cinque giorni, per cause apparentemente inspiegabili sebbene la quantità spropositata di cibo che galleggiava nell’acqua avrebbe potuto essere un primo indizio.
-Quindi la prossima settimana Hogsmade, eh? Sperando che non faccia una bufera come questa domenica.- disse allegra Virginia, contenta della giornata di libertà in programma.
-Ho sentito da Bertha Tropkins che hanno aperto una filiale di Scrivenshaft. Potremmo andare a farci un salto, che dite? Quella a Diagon Alley è sempre piena di oggetti di cui non puoi fare a meno.- commentò entusiasta Emmaline, tutta proiettata nei prossimi acquisti folli.
-Ti sbagli, quel negozio è pieno di oggetti di cui non hai bisogno fino a che non li vedi e ti convinci del contrario. È diverso.- ribatté divertita Lily, facendo ridacchiare anche Virginia. Entrambe infatti erano perfettamente a conoscenza della dipendenza da shopping della Corvonero cui nulla poteva nemmeno il cervello niente male che l’aveva portata all’assegnazione nel casa dei corvi.
-Oh ma non dite sciocchezze! Vi ricordate quel fantastico inchiostro mille profumi che ho acquistato l’estate scorsa? È adorabile.-
-Oddio Emm! Potevi comprateli mille profumi con i soldi che hai speso per quell’affare!- rise ancora Lily, prima di venire interrotta da un voce fuori campo decisamente irata.
-Non fingere di non sapere di cosa parlo, dannazione! L’ho vista a Hogsmade, prima della partenza! Credi che io sia uno stupido?-
Lily conosceva quella voce, nemmeno la rabbia che la pervadeva riusciva ad alterarne il tono al punto da rendergliela estranea. Per anni quella voce era stata una di quelle a lei più care e la memoria la riconobbe immediata.
Severus poche volte alzava la voce a quel modo, di solito quel tono sprezzante e pieno di ira era riservato a Potter e Black, ma di certo non si era mai rivolto con quel tono a nessuno dei suoi compagni di Casa.
Invece era proprio a un Serpeverde che parlava.
Le ragazze si scambiarono uno sguardo attonito, certamente impreparate a quel genere di spettacolo, prima di voltarsi nuovamente verso i due ragazzi, troppo intenti nella loro discussione per prestare attenzione a ciò che succedeva loro intorno, loro tre comprese.
-Non dovresti impicciarti in affari che non ti riguardano, Piton. E soprattutto non dovresti impicciarti nei miei.- ribatté l’altro con voce controllata, quasi tranquilla, non fosse stato per la nota d’acciaio che strideva a ogni respiro.
Lily inizialmente non aveva prestato attenzione al ragazzo, troppo scioccata dall’improvviso scoppio d’ira del vecchio amico, così estraneo al suo carattere riservato, per notare altro. Quando poi aveva spostato gli occhi sul Serpeverde sconosciuto non era riuscita a riconoscerlo immediatamente visto che le dava le spalle e i capelli neri del ragazzo era tutto ciò che riusciva a vedere.
Solo dopo un’analisi più attenta si era resa conto che conosceva anche l’altro.
Capelli neri poco sopra le spalle e un corpo magro ed elegante. La postura fiera e composta lo classificava subito come appartenente a un’importante famiglia purosangue, anche se i colori verde argento che indossava frugavano ogni possibile dubbio. Ma niente di tutto questo l’avrebbe aiutata a svelarne l’identità, aveva troppo poco a che fare con loro, tutti quanti loro, per poterli riconoscere con così pochi dettagli rivelatori.
L’identità del ragazzo le fu chiara nel momento in cui un’altra immagine, mentale, si sovrappose a quella reale che aveva davanti agli occhi. Una figura leggermente più alta, dagli abiti sempre stropicciati che non ne intaccavano però l’eleganza, i capelli leggermente più lunghi spesso trattenuti in uno stropicciato codino durante le lezioni.
Lily non l’aveva che visto da lontano, sempre troppo lontano per delinearne con chiarezza i contorni e gli spigoli del suo volto, eppure più guardava il ragazzo di spalle più la certezza che si trattasse di Regulus Black diventava chiara. Era troppo simile al fratello per dubitarne.
-Quello è Regulus Black.- sussurrò piano Emmaline, tutta concentrata sulla scena che avevano davanti.
-Come osi ragazzino? Non ti conviene minacciarmi..- il dibattito tra i due intanto continuava senza che le ragazze riuscissero a capire esattamente che cosa avesse spinto Piton così tanto al limite.
Il ragazzo più grande diede uno strattone a Black, sperando forse di indurre nell’altro una qualche reazione intimidita, abbastanza almeno da ottenere ciò che voleva o forse soltanto confondendolo con il fratello e affidandogli lo stesso carattere irascibile e pronto alla lotta. Adesso, dopo quella spinta, riuscivano a vederli entrambi in faccia e Lily temette che se fino ad allora la situazione era rimasta tutto sommato tranquilla, presto avrebbe potuto degenerare, per questo mise mano alla bacchetta subito imitata da Emm, pronte a dividere i due al minimo accenno di violenza.
Regulus però pareva soltanto lievemente infastidito dalla vicinanza che l’altro gli aveva imposto, ma solo una lieve smorfia delle labbra stava a dimostrarlo. Smorfia che subito venne sostituita da un sogghigno mellifluo, gli stessi che il fratello rifilava allo stesso ragazzo quando lo umiliava pubblicamente anni prima. O come tutt’ora lo umiliava pubblicamente, a voler essere onesti, sebbene con frequenza decisamente inferiore.
Quel sorrisetto storto non piacque affatto a Piton, perfino Virginia che quasi non lo conosceva lo capì, perché il viso si stava arrossando per l’indignazione di fronte a tanta sfrontata arroganza.
Lily ed Emm erano pronte a fermarli, le loro bacchette già lanciavano le scintille che aprivano l’incantesimo, quando Regulus voltò impercettibilmente il capo verso di loro, forse la sua vista periferica aveva captato i loro cauti movimenti o  quelli delle loro bacchette, completamente incurante della presa di Piton che ancora gli stringeva la cravatta e dei loro visi a pochi centimetri di distanza.
Allora Severus, presa coscienza della presenza di altre persone, lasciò immediatamente andare il ragazzo e lanciò uno sguardo furioso alle ragazze, come se fosse colpa loro se erano arrivati quasi alle mani, senza tuttavia dire una parola nemmeno una volta riconosciuta Lily tra loro.
Regulus, invece, si allontanò tranquillo dall’altro, finalmente libero da quella vicinanza tanto imposta quanto sgradita, e si sistemò i vestiti con gesti calmi come se niente fosse successo fino a quel momento. Il suo viso era una maschera inespressiva che celava abilmente la collera nell’essere stato scoperto, qualora ovviamente ne provasse.
Lily non conosceva quel ragazzo, quella era la prima volta che si trovavano così vicini sebbene fossero a quasi dieci metri di distanza, tuttavia un brivido freddo le corse lungo la schiena e avrebbe scommesso che il gelo invernale poco c’entrasse con quella spiacevole sensazione.
Persa in quei pensieri, gli occhi ancora fissi sul volto del giovane Black, quasi non sentì la rabbiosa domanda di Severus –Che cosa ci fai qui?-
Domanda che celava ben altro, “quanto avete sentito di quello che ci siamo detti?”, ma Emm finse di non accorgersene replicando –Potremmo farti la stessa domanda Piton. E sai che le risse sono proibite.-
Lily vide come le labbra del vecchio amico si arricciarono di sdegno al rimprovero rivolto proprio a lui, il vecchio Prefetto di Serpeverde, tuttavia non replicò limitandosi a un’occhiataccia in direzione della Corvonero.
Regulus senza una parola diede loro le spalle e si avviò nella direzione da cui erano venuti, senza invitare il compagno a seguirlo e nemmeno mostrando desiderio di rivalsa. Si allontanò semplicemente, incurante di tutto e di tutti esattamente come lo era stato pochi attimi prima, mentre Piton invece sembrava pronto a picchiarlo. La rossa non capiva se non gli importava o se non se ne curava semplicemente, come un gigante non si curerebbe degli strepiti di un insetto.
Con questi cupi pensieri ancora in mente, si costrinse a rivolgersi al ragazzo dicendosi che lo faceva in qualità di Caposcuola e non perché fratello di un ragazzo che, tutto sommato, le piaceva.
-Ehi Black, tutto a posto? Stai bene?- chiese facendo qualche passo avanti.
-Lui dovrebbe essere un problema?- chiese tranquillo, voltandosi appena nella sua direzione –Perfino una sanguesporco come te se ne è liberata…credi davvero che possa essere un problema per me?-
Emm quasi ringhiò contro al ragazzo, di fronte a quelle orribili parole, Virginia le si avvicinò per prenderle una mano e farle sentire la propria vicinanza, Severus era il ritratto della furia e lei non avrebbe saputo dire se per l’insulto che era stato rivolto a lei o a lui stesso. Lily invece, troppo abituata ai toni superiori dei verde argento e in pace con la sua nascita babbana, rimase gelata dal tono.
Chiunque altro a Serpeverde l’avrebbe aggredita verbalmente per l’ardire nel porgere loro aiuto, per aver parlato loro addirittura. Quasi tutti avrebbero sputato con disprezzo quel “sanguesporco”, ma non Regulus Black. Lui aveva parlato con un tono annoiato e strascicato e forse per questo ancora peggiore, nessun diciassettenne avrebbe dovuto parlare così. Nessun ragazzo di quell’età avrebbe mai dovuto essere così abile nel trovare i punti deboli dell’avversario, il compagno in quel caso, e affondare con così tanta precisione. Nessun ragazzo di quell’età dovrebbe essere in grado di colpire così impietosamente un’altra persona senza tuttavia alcuna traccia di odio o di rabbia. Come se fosse una semplice constatazione e Lily un semplice mezzo per ottenere quello che desiderava.
E la Grifondoro capì. Regulus Black non si curava di lei, di Severus e del prossimo esattamente con un gigante non si curerebbe degli strepiti di un insetto.
Ma lo stesso valeva perfino per se stesso. E lo dimostrò voltando nuovamente le spalle al “nemico”, quasi non vedesse gli occhi rabbiosi e promettenti vendetta dell’altro ragazzo, riprendendo semplicemente la sua strada dopo aver lanciato un debole segno di saluto in direzione di Lily, infliggendo l’ennesima stoccata all’altro. E dal sorriso di derisione che gli spuntava, che la rosse vide quando i loro occhi si incrociarono, capì che quel gesto di apparente gentilezza era appunto solo questo, l’ennesima stoccata inflitta senza pietà e con la piena consapevolezza di ciò che stava facendo.
 














***













 
Quello che avevano visto quel pomeriggio non aveva senso. O almeno questo era quello che le ragazze al gran completo si ripetevano da un paio d’ore a quella parte.
Nonostante Alice e Julie non avessero assistito personalmente al diverbio tra i due Serpeverde erano state prontamente informate dalle altre non appena queste le avevano avute nel loro campo visivo e ormai ne conoscevano ogni singolo particolare proprio come se avessero assistito all’evento in prima persona.
Lily non si era illusa che quel siparietto dai tratti inquietanti, visto ciò che sapevano e ciò che avrebbe potuto significare, sarebbe a lungo rimasto un segreto tra loro tre, ma certamente non immaginava che perfino Emmaline, notoriamente fedele alla carica di Caposcuola che le era stata affidata alcuni mesi prima, avesse risentito così tanto della nefasta influenza di Alice.
Acciuffate, infatti, le due amiche per i polsi aveva iniziato a correre per i corridoi, dribblando con maestria gli studenti che ignari vi passeggiavano tranquilli riducendo gli scontri a quattro soltanto su tutti quelli che sarebbero stati possibili se un’altra fosse stata a guidare la carica. La rossa Grifondoro aveva più volte tentato di riportare alla ragione l’amica senza tuttavia successo alcuno. Frasi come ““Non si corre per i corridoi” o “Emmaline, per Morgana, sei una Caposcuola dovresti dare il buon esempio” o ancora “Solo perché a te non importa della spilla non significa che lo stesso valga per me!” non avevano sortito effetto sulla Corvonero che si era limitata a bofonchiare un “E’ per una giusta causa” continuando a trascinarsele dietro come due pacchi con le rotelle. E a loro non era rimasto altro che seguirla, perfettamente consce che quella pazza sarebbe stata capace di tramutarle davvero in due pacchi con le rotelle in caso di opposizione.
E così si erano ritrovate davanti alla classe di Julie, poiché Alice era troppo occupata a tubare con Frank per poter essere disturbata in tempi utili e senza destare sospetti, e aveva trascinato via pure lei alla volta del fantasmagorico bagno di Mirtilla Malcontenta.
Ed era ancora lì che si trovavano, dopo aver mandato un aeroplanino incanto ad Alice per avvertirla di raggiungere appena possibile. Quello tre ore prima.
-Hai intenzione di continuare ancora per molto?- chiese indignata Virginia dopo l’ennesima nube di fumo sputatole in faccia da un’irritata Julie.
La ragazza infatti si era concessa nel giro dell’ultima ora la bellezza di otto sigarette, le ultime tre fumate praticamente addosso alla dolce e cara Virginia che alla fine aveva sbottato. Era risaputo quanto la sua indole salutista, generalmente tenuta a bada a forza di morsi alla lingua, fosse contraria al fumo. Quello passivo ancora di più, visto che erano i suoi di polmoni a rischiare la morte.
-Continuerò fino a che mi pare.- rispose l’altra dando un’ennesima aspirata cercando di scacciare i cattivi pensieri.
-Così finirai per ammazzarti.- la riprese ancora Virginia, incurante dell’occhiata malefica che aveva ricevuto poco prima dall’altra, spostandosi di alcuni passi per cercare aria che ancora avesse ossigeno degno di essere respirato.
-Tanto finiremo ammazzate nei nostri letti da uno di quei due, se quello che pensate e non avete ancora avuto il coraggio di dire è vero.- ribattè caustica Julie, probabilmente prossima a una crisi di nervi vista tutta la nicotina in corpo. E forse nemmeno solo per quella.
Lily sentì quel peso sullo stomaco che era nato nel momento in cui Severus se n’era andato senza dire una parola farsi improvvisamente più pesante. Perché Julie aveva completamente ragione, e aveva avuto il coraggio di dire quello che tutte loro pensavano, ma non avevano avuto il fegato di rendere reale.
Ma dando una rapida occhiata alle altre ragazze, Lily, capì di non essere la sola ad aver accusato così malamente quella parole.
Virginia si era ritratta di scatto scontrandosi quasi contro il lavandino che non funzionava da che avevano messo piede a Hogwarts, quello che l’incisione del serpente sul rubinetto. Emmaline si era fatta se possibile ancora più scura in volto e Alice aveva iniziato a girare come un’ossessa per tutto il perimetro del bagno lasciato libero dai gabinetti prima di dire: -Sentite parliamoci chiaro è vero li avete visti litigare per qualcosa di probabilmente importante ma…insomma si sono espressi per enigmi, almeno per quanto ci riguarda. Potevano parlare di qualunque cosa. Magari di un compito di pozioni truccato. Lo sapete quanto Piton ci tenga a essere il migliore in quella materia, ma da quanto so Black è uno dei pupilli di Lumacorno e per una volta non sembra che il nome c’entri. Non più di tanto almeno, visto che non fa che tesserne lodi.- cercò di essere oggettiva Alice con un’alzata di spalle.
Lily sapeva che aveva ragione. In fondo non avevano sentito niente di compromettente e non sapevano di che cosa stessero parlando quei due.
Ma era inutile girarci intorno.
Da quando aveva trovato quel brandello di lettera bruciacchiato, e ancora di più da quando aveva finalmente vuotato il sacco con le amiche, ogni Serpeverde era un sospetto. Dopotutto non avendo nessun indizio sull’identità del ragazzo che presto sarebbe stato marchiato tutti quanti con indosso la divisa verde-argento erano sospetti. Perfino Severus, anche se Lily non riusciva a credere che il suo vecchio amico avrebbe potuto fare una pazzia del genere.
Perché lui non era cattivo, lo sapeva, e non si sarebbe mai messo volontariamente tra le fila di un pazzo con idee razziste. Non importava quanto quel pazzo fosse potente. E nemmeno che con altri ragazzi nei sotterranei si divertissero a farsi chiamare Mangiamorte per terrorizzare le matricole.
O almeno questo era quello che Lily si ripeteva da quando tutta quella faccenda aveva avuto inizio, ma forse almeno dell’ultimo particolare era meglio metterne al corrente anche gli altri.
-Oh ti prego! Hai presente di chi stiamo parlando? Regulus Black, bella! Non ha bisogno di truccare un compito di pozioni per essere il migliore della classe. Basterebbe il suo nome per quello. Perché sprecare energie per ottenere qualcosa che, con un paio di parole, riuscirebbe ad avere comunque?- sbottò Julie, schiacciando sotto la suola l’ennesimo mozzicone di sigaretta.
-Ma proprio perché è di Regulus Black che stiamo parlando, perché dovrebbe immischiarsi volontariamente in una storia del genere? Il Marchio è ben più di un paio di sprezzanti parole nei confronti di un nato babbano. E anche di quelle non è mai stato poi così prodigo.- dovette ammettere Lily.
Quel sanguesporco che le aveva rivolto quel giorno era il primo che gli avesse mai sentito nominare. Il più piccolo dei Black non era famoso per mettersi a decantare le sue idee sul sangue con la stessa frequenza e orgoglio di Lucius Malfoy rischiando di compromettersi in qualche maniera.
Un silenzioso assenso serpeggiò infido tra le ragazze, nessuna aveva niente per ribattere l’una o l’altra affermazione. Sapevano tutte quante la predilezione del professor Lumacorno per i discendenti di antiche e illustri famiglie magiche. Non a caso il LumaClub, quello era il nome che aveva scelto per le riunioni che si tenevano una volta al mese nel suo studio con i suoi studenti prediletti per un amichevole spuntino, vantava tutti i discendenti di importanti famiglie senza tener troppo conto dei meriti scolastici di questi e pochi mezzosangue o eredi di famiglie in rovina sebbene più brillanti degli altri.
Era anche vero che se non era di un compito di pozioni, o di uno scherzo ordito ai danni di Piton o chissà che altro genere di attività svolgessero nei sotterranei che lo avesse coinvolto e danneggiato in qualche modo, il discorso prendeva una piega che nessuna di loro voleva affrontare.
Ammettere che perfino una famiglia purosangue importante e antica come i Black fossero immischiati attivamente nella guerra che incombeva fuori da Hogwarts, avrebbe significato che la gravità della situazione fosse ben peggiore di quanto non solo raccontassero i giornali, ma perfino di quanto avrebbero mai potuto immaginare.
Nessuno aveva mai messo in dubbio le idee razziste e conservatrici di cui i Black facevano quasi un vanto da sempre nella società bene di Londra, sebbene il più giovane non le avesse mai urlate ai quattro venti, ma non si erano mai schierati proprio perché erano talmente importanti e in alto nella scala sociale che niente avrebbe potuto toccarli. E il loro sangue “toujour pur” non era che un’ulteriore assicurazione qualunque fosse stato l’esito finale della guerra contro Tu-Sai-Chi. Se, al contrario, anche loro si erano schierati e dalla parte peggiore tra l’altro, allora quante possibilità di vittoria avevano? Quante possibilità c’erano che finalmente arrivasse qualcuno in grado di sconfiggere quei pazzi, visti gli alleati che questi poteva vantare?
Lily non voleva nemmeno pensarci. E probabilmente nemmeno le sue amiche visto che Virginia se ne uscì con un –In ogni caso dobbiamo dirlo ai ragazzi.-
Le altre la guardarono come se fosse un marziano, o un Avvincino rosa visto che i maghi non sapevano niente di omini verdi con antenne e navicelle spaziali, perché non si era mai sentito che Virginia proponesse una soluzione che implicasse…beh uno sterminio di massa.
Potter e Black infatti non si facevano problemi a girare per la scuola scrutando ogni singolo Serpeverde, perfino le ragazze e i primini, come assodati colpevoli della peggior specie con grande scorno di Remus che invece predicava per il mantenimento di un profilo basso così da non destare sospetti. Ma c’era anche da capirli. Avevano lasciato la scuola per le famose settimane studio convinti che al loro ritorno avrebbero avuto finalmente il nome del futuro nemico grazie a un attento lavoro di spionaggio portato avanti da un insolitamente collaborante Pix e uno sdegnato Sir Nicholas assoldato con minacciose lusinghe, che sebbene non fossero al corrente del perché si erano ritrovati a dover osservare con occhi di falco i Serpeverde rimasti. O almeno Sir Nicholas che conservava ancora un cervello funzionante nonostante la testa quasi completamente staccata dal resto del corpo. Pix non conosceva le mezze misure e perciò aveva messo a soqquadro l’intero dormitorio, con suo grande giubilo c’era da ammetterlo, alla ricerca di prove che però non erano state trovate.
-Magari Sirius vorrebbe sapere che suo fratello ha problemi con i compagni di casa, no?- chiarì Virginia, la cara e ingenua Virginia, forse ancora convinta che tra i due fratelli esistesse un rapporto idilliaco e tutto l’astio che mostravano l’un l’altro fosse solo un’abile mascherata.
-Si, per dargli una mano, magari.- sibilò sarcastica Julie senza tuttavia farsi sentire dalla ragazza e facendo evanescere con particolare ferocia tutti i mozziconi di sigaretta che aveva disseminato per il bagno.
-Si, ecco, forse…dovremmo parlare con loro in ogni caso. Avevamo promesso di avvertirli in caso di novità.- articolò poco convinta Alice facendo scuotere la testa a Emmaline e quasi inorridire Lily visto che le loro notizie, prive di qualunque verità universale e fatte soltanto di supposizioni che sperava in malafede, avrebbero scatenato l’inferno tra quelle mura.
Julie in tutta risposta borbottò qualche parola senza senso, sicuramente maledizioni nei confronti di quelle sceme che si era scelta come amiche, e fece apparire un nuovo foglio di carta su cui scrisse qualcosa e che poi incantò come aveva fatto per Alice qualche ora prima, spedendolo infine al destinatario sotto forma di aeroplanino scintillante.
-A me prima hai scritto “smetti di limonare con l’altro piccione e vieni del bagno della pazza morta”, ai ragazzi cosa è toccato?- chiese Alice con curiosità quando vide partire il messaggio di Julie sotto il divertimento generale.
Ah!, se non ci fosse stata Julie con il suo pungente e bastardo sarcasmo, dove sarebbero finite? Grazie a lei infatti l’umore sottoterra che si era respirato fino a poco prima era tornato accettabile.
-Pazza morta e l’altro piccione? Oddio…- singhiozzò Emmaline tra una risata e l’altra.
Fortuna che la Pazza Morta non c’era oppure Mirtilla sentendosi chiamare così le avrebbe stordite a forza di pianti e urla disumane.
-Muovete i vostri culi siamo nel bagno al secondo piano. Nel tragitto fumatevi dell’erba.- rispose candidamente la ragazza incurante delle facce ora allibite delle amiche.
-Dell’erba? Julie è illegale!- le urlò contro Lily, di nuovo perfettamente in linea con la spilla che portava appesa al petto.
-Beh che dovevo dirgli, imbottitevi di calmanti? È più facile comprare dell’erba che rubare delle pozioni a quell’infermiera con manie di potere.- rispose l’altra sarcastica, senza minimo rispetto nei confronti di Madama Chips.
Alice scoppiò di nuovo a ridere fino alle lacrime ben presto seguita dalle altre, sebbene Lily avrebbe avuto da ridire sull’uso di erba. Se avesse sentito odore di canna su uno di quegli idioti li avrebbe presi a calci fino alla torre di astronomia.
-E che pluffe, Lily! Smettila di fare la bigotta! Se a quei due serve una canna per non andare a dar fuoco ai sotterranei, beh loro si fumeranno quella dannata canna e ringrazierai anche perché lo hanno fatto! Non ci servono morti, ci serve un nome.- la riprese Julie, leggendole in faccia i pensieri.
Alla fine non aveva tutti i torti. Se dell’erba avesse potuto rendere innocui o almeno gestibili Potter e Black forse era il caso di rivedere le sue idee al riguardo. Solo Merlino sapeva quanto avrebbero avuto bisogno di contenerli da quel momento in poi.
 


















 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE.
Ecco finalmente il nuovo capitolo. Sono pronta al lancio dei pomodori. O di sassi se preferite. In ogni caso mi merito entrambi.
Potrei addurre mille scuse per questo ennesimo ritardo quando avevo invece promesso, disperso tra le note di “Give me back my first kiss” ennesima Lily/James, fortunatamente di un solo capitolo e per questo già terminata, di aggiornare entro luglio. Ma luglio è passato ed eravamo ancora fermi là.
Lo studio per gli esami che inizieranno a giorni è uno dei tanti motivi, insieme all’afa che aveva colpito la mia della Versilia e alla mia insopportabile pigrizia. Insomma scuse o meno faccio pena, non so rispettare gli impegni come nemmeno un bambino di cinque anni riuscirebbe a fare!
Forse è meglio che passiamo alle note. Il capitolo, non so bene perché, è pieno di richiami più o meno velati ai libri che ci sono tanti cari, e lo sarà anche il prossimo temo.
Il fuoco azzurro dentro la boccia per i pesci è una blasfema citazione dalla Pietra Filosofale, dove Hermione si dimostra bravissima fin dal primo anno nel’evocare fuochi azzurri trasportabili per scaldarsi dal freddo invernale. Ironia della sorte, giuro che non era voluto, i tre vengono beccati da Piton in una circostanza analoga a questa.
“Scrivenshaft” è una catena di cartolerie del mondo magico dove si possono trovare tutti gli oggetti di cancelleria più comuni, come penne e pergamene, alle più particolare che possiate immaginare. Viene citata nel l’Ordine della Fenice dopo la riunione alla Testa di Porco per organizzare l’Esercito di Silente, perché Hermione deve fare rifornimento di penne, se non ricordo male.
Gli aeroplanini usati come sms o qualcosa di simile mi sono venuti in mente pensando ai post-it del ministero, quando Harry si reca alla sua udienza per aver usato un Incanto Patronus davanti a Dudley sempre nell’Ordine della Fenice. Ho pensato che per comunicare tra loro i ragazzi dentro la scuola non usassero certo dei gufi e sono usciti gli aeroplani.
Per quanto riguarda il mistero della morte di Mirtilla Malcontenta sappiano per certo che i professori sanno qualcosa, come ammettono loro stessi nella Camera dei Segreti, ma di certo non vanno a parlarne in giro senza motivo con gli studenti, soprattutto perché al tempo il caso era sì ancora irrisolto, ma non c’erano i presupposti per generare il panico tra gli studenti vista la fine degli attacchi al mezzosangue. Che siano passati più o meno vent’anni dalla morte della ragazza è un mio calcolo personale. Non ho idea di quanti anni abbia Voldermort, ma mi sono presa la libertà di farlo abbastanza più vecchio dei Malandrini, visto che tra la fine della scuola e la sua ascesa al potere effettiva si dedica a ricerche e viaggi vari alla ricerca dei futuri Horcrux. Se ho sbagliato, sappiate che la matematica non è il mio forte e concedetemi questa licenza.
Non credo ci sia bisogno di spiegarvi cosa sia il Lumaclub, né che “Toujour pur” è il motto di casa Black.
Parlando dei Black, cosa ne pensate di Regulus? Mi ha fatto penare, devo ammetterlo.
Ho cercato di mettere insieme tutto quello che sapevo di lui, dai racconti di Sirius a quelli di Kreacher, e spero di aver reso l’idea che ho di lui. Regulus ha sedici anni e sappiamo tutti che viene marchiato fin troppo presto e che altrettanto presto ha tradito il suo padrone e che viene ucciso per questo. Quindi facendo un rapido calcolo muore intorno ai vent’anni, probabilmente pochi mesi prima di Lily e James se non addirittura prima, ma questo non mi è dato saperlo. Se qualcuno ne sa qualcosa più di me fatemelo sapere, così tanto per togliermi il dubbio. Lo vedo come un ragazzo intelligente e coraggioso, forse con idee non proprio carine, ma quanto coraggio deve aver avuto per tradire così la causa una volta che aveva giurato fedeltà? Boh, fatemi sapere cosa ne pensate voi, insomma. Io rischio di scrivere un trattato.
Infine la faccenda dei Mangiamorte. Lily sa che Severus e i suoi amici si divertono a farsi chiamare così ed è uno dei motivi principali per cui litigano dopo quell’episodio al lago del quarto anno. Qua la cosa è mantenuta sotto silenzio, non so se negli intenti della Rowling fosse lo stesso, ma ho pensato che in un momento critico come quello nessun professore avrebbe bollato la cosa come semplice idiozia giovanile e quindi nessuno ne sa niente se non i diretti interessati. E Lily che ne ha sentito parlare dall’amico.
Direi che dopo una pagina di precisazioni inutili, probabilmente, posso passare a ringraziare tutte voi che avete recensito nonostante la mia pessimaggine e anche chi continua a leggere in silenzio.
Anche se non sembra, visti i miei tempi nella pubblicazione e nel rispondere alle recensioni, leggo sempre quello che mi scrivete e lo conservo con cura.
Grazie a chi ha letto e chi avrà la voglia di continuare a farlo, spero che vogliate farmi sapere cosa ne pensate.
Un bacio enorme, Reb.






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Capitolo 29
*** Il bagno delle ragazze al secondo piano ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Dal precedente capitolo…
 
 
-E che pluffe, Lily! Smettila di fare la bigotta! Se a quei due serve una canna per non andare a dar fuoco ai sotterranei, beh loro si fumeranno quella dannata canna e ringrazierai anche perché lo hanno fatto! Non ci servono morti, ci serve un nome.- la riprese Julie, leggendole in faccia i pensieri.
Alla fine non aveva tutti i torti. Se dell’erba avesse potuto rendere innocui o almeno gestibili Potter e Black forse era il caso di rivedere le sue idee al riguardo. Solo Merlino sapeva quanto avrebbero avuto bisogno di contenerli da quel momento in poi.

 
 
 
 
 
 






 
 

***

 






 
 
 
 
 
 
 
 
James e Sirius intanto erano proficuamente impegnati nell’arduo e gravoso compito di piazzare sul fondo dei calderoni dei Serpeverde, stupidamente lasciati incustoditi nell’aula di Pozioni in previsione della lezione del giorno successivo, una massiccia dose di fuochi d’artificio Filibuster con innesto ad acqua, l’ultimo ritrovato in fatto di divertimento che vendevano da Zonco.
Ancora non erano molto conosciuti, erano usciti solo un mese prima, così aveva assicurato loro un commesso del negozio quando erano andati a farne scorte degne di un arsenale militare, e perciò potevano andare sul sicuro che il loro scherzo sarebbe riuscito.
Ovviamente sulla scatola c’era scritto di non accenderli in spazi chiusi e di leggere attentamente la modalità d’accensione prima dell’utilizzo, e così i due ragazzi si erano preoccupati di provarli personalmente proprio in una stanza chiusa e usando massicce dosi d’acqua e non potevano dirsi più soddisfatti. Quei fuochi, teoricamente controllabili o almeno questo era stato loro assicurato, erano come impazziti e nessun incantesimo che era venuto loro in mente era riuscito a fare niente altro che non bloccarli per pochi secondi prima che questi ripartissero a razzo in giro per la stanza. Fortuna che la loro velocità nell’evocare incantesimi scudo era degna del migliore degli Auror, o uscire da quella stanza con le sopracciglia bruciacchiate avrebbe destato qualche sospetto.
Se qualche anima pia avesse provato a controbattere che però la mattina dopo i fuochi sarebbero stati accesi con una dose di almeno tre litri d’acqua, viste le dimensioni dei calderoni, e per mano di ignari studenti che niente sapevano né degli esperimenti del giorno prima né tanto meno le istruzioni che erano allegate alla confezione, l’unico risultato sarebbero state ghignate a profusione e un sadico sfregamento di mani da parte dei due organizzatori del piano. I due Grifondoro, infatti, non aspettavano altro che vedere la divisa di McNair andare a fuoco o, meglio ancora, che l’intero calderone di Piton gli esplodesse in faccia, lavandogli tra l’altro anche i suoi untuosi capelli dopo un anno di stoica refrattarietà al sapone.
-Credi che cinque per calderone bastino?- chiese Black, chinato sull’ennesimo pentolone per assicurarsi che fossero fissati con il migliore incantesimo di Adesione Permanente mai sperimentato tra quelle mura.
Era stato il ragazzo stesso a offrirsi volontario per quel compito, vista l’annuale esperienza che vantava in quel campo. La sua stanza era stata tappezzata dei più svariati striscioni, poster o fotografie, tutte atte a irritare sua madre, attaccati con così tanta tenacia alle pareti che nemmeno in dieci anni sarebbero riusciti a staccarli.
“Alla faccia di quella strega!” diceva sempre il ragazzo quando ne parlava, tutto fiero del suo operato, e godendo particolarmente a insultare sua madre in maniera tanto babbana.
-Meglio non rischiare che esplodano, a meno che quello non sia il calderone di Mocciosus. Devo ricordarti che ci saremo anche noi qua dentro, domattina? Non ci tengo che la mia bellissima faccia rimanga sfigurata per colpa di quel caprone di Dallas e della sua incapacità in pozioni.- rise James, un paio di file dietro l’amico, intento a disilludere tutti i fuochi così che non venissero scoperti quando i ragazzi avessero iniziato a lavorarci la mattina dopo, ma soltanto una volta che si fosse scatenato l’inevitabile caos.
-Oh nessuno piangerebbe per la tua faccia, Jamie. Tutte le ragazze sarebbero troppo occupate a portare il lutto per me!- ribatté l’altro, particolarmente fiero di quel codazzo di galline che si portava dietro come uno sciame d’api col miele.
Stavano ancora punzecchiandosi tra loro quando la porta venne spalancata di botto, facendo prendere un colpo a entrambi i ragazzi, convinti di essere stati beccati con le mani nel sacco.
E si che a quell’ora nessuno sano di mente entrava mai nell’aula. Nemmeno Piton era tanto patetico!
Terrorizzati fissarono la porta e iniziarono a inveire contemporaneamente quando videro chi aveva quasi fatto venir loro un infarto.
-Che i dissennatori ti portino, maledetto te!- berciò infatti Sirius, con la solita delicatezza di uno scaricatore di porto.
-Per mille boccini, Rem!- lo sgridò anche James, portandosi una mano al cuore e appoggiandosi al calderone su cui stava lavorando per poter riprendere fiato.
La vista dell’amico, però, gli aveva permesso di tirare un sospiro di sollievo.
Lui e Black erano stati dietro a quello scherzo per giorni, contando anche la spedizione non autorizzata a Hogsmade di qualche giorno prima, e buttare via ore e ore di lavoro e macchinazioni non rientrava nei loro piani. Inoltre, per quanto i soldi non fossero un problema per nessuno dei due ragazzi, essere beccati avrebbe significato aver buttato cinquanta galeoni da Zonco per quei fuochi senza vederne mai i frutti. E se un investimento del genere era ben visto da entrambi, nell’ottica degli effetti che avrebbe avuto sui verde-argento, la stessa cosa non valeva in caso di istantanea e irrevocabile confisca da parte di quel infame di Gazza, il custode.
Confortato, quindi, dalla presenza dell’amico, che adesso avrebbero potuto piazzare a far loro da palo, si rimise a lavoro, dissimulando ogni singolo angolo dei fuochi, tanto che se non avesse saputo della loro presenza, nemmeno James sarebbe riuscito a scorgerli.
Sirius invece non sembrava dello stesso parere. Anzi dall’atteggiamento si sarebbe detto che era pronto alla guerra.
Con la bacchetta spianata, infatti, si stava avvicinando a Remus continuando a infamarlo. Una persona normale se la sarebbe presa per lo spavento che aveva fatto prendere loro. Sirius? Lui era di tutt’altra pasta, la sua unica preoccupazione era stata la possibilità di aver sprecato le ultime tre ore dietro a quello scherzo rischiando di non vedere mai la faccia di Piton di fronte alla primissima esplosione del suo calderone. Perfino finire in detenzione sarebbe stato un prezzo accettabile, ma non morire di infarto prima di quel giorno!
-E se ci fossi rimasto secco, eh?- gli stava chiedendo infatti, con la bacchetta ancora stretta in mano e lo sguardo che lanciava fiamme.
-Tutti avrebbero gridato al miracolo, probabilmente.- ribatté sarcastico Lupin, ignorando l’esplicita minaccia che quel bastoncino di legno implicava, dando poi un’occhiata disgustata intorno.
-Ma che diavolo state combinando?- chiese poi, con un tono di voce che stava a significare “Credete che lo voglia sapere? Nel caso, non ditemelo”.
James ridacchiò, ben sapendo che anche quel lieve accenno di interesse era stato abbastanza per ringalluzzire l’amico.
-Non ti meriteresti niente, sappilo, noioso coso peloso –e infatti Black era partito in quarta –ma visto che ci tieni tanto te lo dirò. Oh domattina avremo una lezione con il botto! Beh più di uno in realtà, se quegli stupidi di Serpeverde riescono ad accendere i loro calderoni in tempi accettabili. Anche se a ben pensarci tutta l’umidità che c’è laggiù e che si portano addosso come trofei direttamente dal loro adorato sotterraneo basterebbe a far innescare i fuochi.- trillò alla fine il ragazzo, quasi imbarazzante per l’orgoglio che scaturiva dalle sue parole.
-E tu cosa ne sai dell’umidità del loro dormitorio?- chiese James, lasciando Rem libero di pizzicarsi la parte alta del naso e, probabilmente, mandar loro silenziosi anatemi visto che a diciassette anni ancora non si erano decisi a crescere.
-Oh Jamie, Jamie. Mio piccolo e innocente cerbiatto. Perfino le ragazze Serpeverde non riescono a resistermi e ogni tanto sono sceso da loro. Tutto quel loro disprezzo si trasforma in qualcosa di decisamente più piacevole, una volta sotto le lenzuola!- dichiarò tutto soddisfatto Sirius, riprendendo poi a sparare incantesimi di Adesione Permanente agli ultimi calderoni rimasti, per permettere anche a James di finire la sua parte.
-Ringrazia che non fai parte della squadra di Quidditch o in uno di quei letti tanto piacevoli ti saresti ritrovato una tarantola velenosa per renderti innocuo per qualche giorno mandandomi così all’aria una vittoria sicura.- rise l’amico, seguendo l’esempio dell’altro e controllando che anche gli ultimi fuochi fossero piazzati e mimetizzati come Merlino comandava.
-Oh credimi una volta tra le mie grinfie, mettermi fuori combattimento sarebbe stato l’ultimo pensiero di quelle ragazze.- e con quest’ultima battuta maliziosa cominciò a lanciare Evanesco su tutte le scatole vuote che avevano disseminato per la stanza.
Remus intanto continuava a portare avanti il suo training autogeno. Visto l’imminente arrivo della luna piena di lì a due settimane gli era più difficile del solito controllarsi, anche se si trattava di battute generalmente innocue. E gli altri due ragazzi lo lasciarono libero di tranquillizzarsi come meglio credeva, anche se Sirius non vedeva di buon occhio quell’estraniarsi da babbano spostato e avrebbe preferito che si affidasse a una pozione rilassante, sicura al cento per cento e testata su talmente tanti animali che perfino uno generalmente diffidente come lui e convinto animalista se ne diceva soddisfatto.
-Comunque come ci hai trovato, Rem?- chiese poi James, una volta finito il suo giro di ricognizione in cerca di eventuali prove che avrebbe potuto ricondurre tutto il casino del giorno dopo a loro.
A essere onesti, già lo scherzo in se li avrebbe fatti entrare nella lista nera dei colpevoli e visto il target che avevano scelto sarebbero stati i primi a cui tutti avrebbero pensato, ma senza prove nessuno avrebbe potuto fare niente altro che non lanciar loro uno sguardo seccato.
-Ho usato la Mappa.- rispose l’altro tra un respiro e l’altro.
-Meno male che l’avevi tu, Rem! Non riuscivamo a trovarla quando abbiamo lasciato il dormitorio!- sospirò Sirius, felice del ritrovamento del loro prezioso manufatto.
A tutti sarebbe spiaciuto perderla, visto quanto avevano faticato per realizzarla.
-Ho ricevuto un messaggio delle ragazze. Vorrebbero vederci.- spiegò Remus, come ricordandosi solo in quel momento quel particolare.
-Le ragazze? Quali ragazze? Da quanto Peter ha una ragazza?- chiese James stupito.
-Peter è diventato una donna?- gli parlò sopra Sirius, prima di continuare sarcastico –Beh è una possibilità da considerare, più di quella che hai proposto tu, Jamie.-
-Siete stupidi o cosa? Le ragazze, per quella cosa. Sapete il fattaccio…- cercò di spiegarsi Lupin senza alcun successo, mentre i due idioti sopracitati ridevano tra loro alle spalle del loro piccolo amico.
-Oh certo, la cosa, il fattaccio! Perche tanto che non ci sei non ci dici anche che sono più o meno donne quelle che hanno mandato un messaggio, che potrebbero abitare su questo pianeta e che…- iniziò sarcastico Sirius di fronte alla reticenza dell’amico.
Amico che per tutta risposta si schiaffò in faccia una mano, totalmente incredulo dell’idiozia di quello che stava parlando, facendo scoppiare a ridere James. Di nuovo.
-Dai Sir, la cosa. La Cosa. Il fatto che necessita di assoluta discrezione e che ci impedisce di fare ricerche su larga scala.- lo fermò Potter, cercando di evitare un’improvvisa rissa tra i suoi amici proprio in quei giorni vista l’irritabilità del solitamente tranquillo Remus.
Una volta capito a che cosa si riferissero Sirius divenne improvvisamente vigile, del tutto dimentico dei suoi modi menefreghisti di qualche minuti prima.
-Ci aspettano nel bagno di Mirtilla Malcontenta.- e detto questo si avviarono al secondo piano ignorando i lamenti di Sirius sul tono di “Odio quel bagno” oppure “Quella è una pervertita, ve lo dico io” o ancora “Ogni volta che ci passo vicino lei sbuca e mi augura la morte per poter infestare il bagno con lei”.
E tutto sommato, James non poteva che dirsi d’accordo con l’amico viste le volte che Mirtilla si era materializzata nei bagni dei prefetti durante una delle sue incursioni abusive, in solitaria o in compagnia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 






 
 

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Trovarono le ragazze in quel bagno al secondo piano tanto evitato dalle studentesse da almeno vent’anni. O almeno questo era quello che si diceva in giro, nessuno degli studenti sapeva con esattezza quando e come quel bagno era stato infestato per la prima volta e inservienti, elfi o professori sembravano non ricordare quanto successo a Mirtilla, o almeno non volevano ricordare. Chi lo infestava, poi, farneticava di occhi gialli e un sibilo persistente che rendeva la sua testimonianza completamente inutile, vuoi per lo shock della sua morte o per le sue doti melodrammatiche, che la rendevano una testimone in cui riporre poca fiducia.
I ragazzi avevano occupato interi pomeriggi al terzo anno per svelarne il mistero, quando avevano sentito per la prima volta parlare da un gruppo di ragazzine di Grifondoro di un fantasma che le aveva scacciate a male parole dal bagno, senza però ottenere niente altro che congetture e alla fine avevano lasciato stare, perdendo completamente interesse per una storia che sembrava non avere né inizio né fine.
A memoria di fantasma, Mirtilla non era così tragicamente disperata e depressa da almeno una decina di anni, quando un’incauta Tassorosso aveva osato rinfacciarle di esserle passata attraverso durante una crisi di pianto particolarmente ispirata. Ma certamente ritrovarsi circondata da quasi un’ora da cinque ragazze e adesso perfino da tre dei Malandrini doveva essere un evento degno di tutte le sue doti drammatiche. E infatti se ne stava ben visibile seduta sul davanzale interno della finestra centrale, da dove poteva dominare la scena ed essere visibile da qualunque angolazione, piangendo con uggiolii tali che nemmeno Thor, il cucciolo di cane di Hagrid avrebbe potuto eguagliare. Come sempre era difficile ignorarla, tanto che la povera Virginia cercava di consolarla, senza rendersi conto che tutta quell’attenzione non faceva altro che rendere i suoi lamenti più forti. Le altre quattro invece facevano di tutto per fingere di non sentire né vedere quello sfacelo.
-Alla buon ora, maledetti voi!- li sgridò Alice, lanciando loro solo una breve occhiata prima di riprendere a leggere un articolo di StregaOggi.
Emmaline era tutta presa vicina ai lavandini, bacchetta alla mano, a incantare i capelli di un’insofferente ragazza bionda in tutti i modi che le venivano in mente, e non si era accorta del loro arrivo viste le maledizioni di quella che stava torturando e che al momento cercava di allontanarsi dagli occhi un paio di boccoli spumosi. Probabilmente l’insulto di Alice era passato inosservato alle sue orecchie, perso tra gli altri che le arrivavano a raffica.
Julie, invece, stava poco lontano da Alice, ma il più lontano possibile da Mirtilla, seduta a terra a gambe incrociate, apparentemente ignorando di indossare una gonna, e destreggiandosi nel darsi lo smalto con precisione metodica alle unghie, tenendo la boccetta in bilico su un ginocchio piegato come nemmeno un funambolo sul filo.
-Ma Minus non è con voi?- chiese senza reale interesse l’aspirante estetista senza poi degnarsi di ascoltare la risposta fornitale da Remus, poiché che Peter si fosse rintanato nelle cucine per uno spuntino fuori orario non era certo una novità negli ultimi tempi.
La piccola parte di James che aveva sperato, una volta capito chi li aveva mandati a chiamare, di vedere Lily stava borbottando contro l’altra parte di sé che voleva sapere che cosa avessero da dire, e stava per passare sotto silenzio quando Sirius captò qualcosa che a lui era passato inosservato.
-Mamma mia Evans, sposami!- proruppe infatti dicendo il moro.
James seguì immediatamente la direzione del suo sguardo e incrociò per un attimo lo sguardo di una Lily Evans come non avrebbe mai immaginato di vedere, prima che tutta l’attenzione di lei venisse rivolta all’altro ragazzo. Se gli occhi verdi di lei e, soprattutto la sua espressione irritata, erano inconfondibili, lo stesso non si poteva dire dei capelli.
-Taci!- urlò la ragazza in risposta, agitandosi tra le mani di Emmaline con evidente voglia di scomparire.
Gli incredibili capelli rossi della ragazza, che James aveva ammirato fin dalla prima volta che gli erano capitati sotto gli occhi, adesso erano biondi e elegantemente arricciati sulle punte. La frangetta che le copriva un po’ gli occhi era sparita e perfino la lunghezza era cambiata. Se prima le arrivavano a metà schiena, adesso scendevano fino alla vita, curvandosi in morbide onde che seguivano ogni suo movimento.
-Ma dai Lily, stai benissimo!- cercò di convincerla l’amica, sistemandole le ultime ciocche ancora lisce con un’abile colpo di bacchetta.
-Dai retta alla tua amica, Evans. Sei veramente gnocca, così- si complimentò Sirius, sempre con quel sorriso scanzonato, facendola arrossire.
James, piccato per quel complimento e per la reazione che aveva suscitato, mollò una gomitata nello stomaco dell’amico che gli lanciò in risposta un’occhiata che voleva dire “Se non sei in grado di farle un complimento la colpa è mia, babbeo?!” e che gli fece alzare gli occhi al soffitto perché aveva dannatamente ragione.
Guardò di nuovo Evans, che nel frattempo si era voltata nuovamente verso l’amica cercando di convincerla a riportarle la testa alle condizioni originali. Era bella anche con quel colore, si ritrovò ad ammettere silenziosamente il ragazzo, anche se non le rendeva giustizia.
James era così abituato a cercare quel rosso particolare tra la folla che quasi non se ne rendeva più conto, ma con gli anni aveva imparato a riconoscerne ogni sfumatura. Lily Evans era nata per essere rossa, perché quel colore la rappresentava a pieno. Solo il rosso poteva rappresentare la ragazza che gli correva dietro per i corridoi per affatturarlo o quella che gli urlava contro, pronta a picchiarlo a mani nude se necessario. Senza quei capelli rossi non era più la bambina che aveva conosciuto e che gli aveva rubato il cuore.
Una Lily Evans bionda era bella come poteva esserlo qualunque altra ragazza. Era una ragazza che sarebbe piaciuta a qualunque ragazzo in quella scuola, una che sarebbe potuta piacere perfino a Sirius, lo sapeva. Senza quei capelli rossi sarebbe stato ancora più un casino tenere a bada tutti quei mosconi che le sarebbero girati intorno, e già con quel colore particolare aveva il suo bel daffare!
-Ti si vedono troppo le lentiggini.- si limitò a dirle dopo averla guardata di nuovo, facendo sbuffare divertito Sirius che probabilmente era stato l’unico in tutta la stanza a capire il perché di quel commento e guadagnandosi una smorfia risentita della ragazza.
Con gli anni le lentiggini sul naso di Lily erano andate schiarendosi, tanto che da lontano non si vedevano nemmeno più. Solo standole veramente vicino potevi osservarle, contarle anche, e adesso con quel cambio improvviso la sua pelle sembrava ancora più pallida e tutti avrebbero potuto vederle con agio. E in un momento di vergognosa e zuccherosa sincerità James si era ritrovato a parlarne con Sirius sebbene fosse pronto a negare di aver mai pronunciato una sola sillaba in merito, ma dopo quell’incontro ravvicinato sul pavimento di casa sua, poco prima dell’arrivo di sua nonna, aveva avuto bisogno di parlare con qualcuno e che non fosse propriamente in pieno possesso delle sue facoltà era il minimo, per Morgana! E i loro specchi incantati gli erano sembrati la soluzione al problema, anche se adesso non avrebbe potuto giurarlo.
Julie, che intanto si era avvicinata al gruppetto appena arrivato, diede uno spintone sulla schiena di Potter e Black per farli avvicinare alla finestra dove tutti si stavano già riunendo canticchiando sotto voce “geloso, Potter è geloso!” alle sue spalle.
Forse Sirius non era stato l’unico a capire il significato della sua infelice uscita, pur non conoscendone il motivo.  
-E’ successo qualcosa?- stava chiedendo intanto Remus.
Le ragazze si lanciarono uno sguardo tra di loro prima che Lily si dirigesse verso la porta e la sigillasse con un silenzioso Colloportus e Julie si voltasse verso la fonte di tutti i lamenti che ancora appestavano l’aria con intenti non propriamente pacifici -Chiudi quel calderone che ti ritrovi per bocca ed evapora, zombie!-
Con un urlo stridulo che li fece trasalire videro il fantasma gettarsi di testa nell’ultimo water prima di scomparire con mille schizzi e far gemere le tubature che loro malgrado si trovarono costrette ad accoglierla.
-Certo che hai un tatto, Juls!- le disse Virginia, con sguardo pieno di dispiacere.
-Ma almeno ce la siamo tolta di torno, no?- le rispose incurante l’altra, tirando fuori da una tasca della gonna un pacchetto di sigarette e un accendino.
-Comunque cosa è uno zombie?- chiese curiosa Alice avvicinandosi alla bionda.
-Un morto, no?- rispose quella.
-Veramente…- provò a spiegare Lily, prima di venire zittita da un urlo di Emmaline.
-Sono passati più di trenta minuti da che ti ho tinto i capelli, Lily!- spiegò poi, a quanto pare ignorando di aver quasi fatto venire un infarto a tutti quanti nella stanza, in special modo ai ragazzi che non erano abituati ai suoi improvvisi cambi di personalità.
-E allora?- chiese la ex rossa, con un tono preoccupato, visto il tono isterico della Corvonero e il sogghigno che accompagnava ogni nuova boccata di fumo di Julie.
-Beh…ecco. Dopo mezz’ora la tinta diventa un tantinello più resistente e…- iniziò a spiegare la ragazza sotto lo sguardo sadicamente divertito di Julie.
-…si, insomma…credo che dovrai aspettare un paio di settimane prima di tornare rossa, tesorino bello. Ma credimi questo biondo ti sta benissimo. Sei bella da far schifo!- finì di spiegare poi senza prendere fiato tra una parola e l’altra.
Lily le rivolse lo stesso sguardo assassino che usava con James al quarto anno quando le alzava la gonna per dare un’occhiata alle sue gambe e non solo, o che aveva riservato a Mocciosus quel giorno in riva al lago. E lui avrebbe potuto giurare che non era mai una bella esperienza, per questo compativa Emmaline, anche se avrebbe voluto guardarla lui stesso alla stessa maniera.
Quanti studenti avrebbe dovuto schiantare in quelle due settimane? Gli venne quasi da schiantarsi da solo dopo aver fatto un rapido calcolo. Non ce l’avrebbe mai fatta…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 





 
 

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Le urla di Mirtilla Malcontenta erano state sostituite da quelle di Lily Evans, ma nessuno da fuori si sarebbe fermato ad ascoltare la differenza, dopotutto era più facile credere che il fantasma quel giorno fosse particolarmente attivo piuttosto che avanzare l’ipotesi di una banshee a piede libero nella scuola e dall’umore non particolarmente felice. E anche se qualcuno avesse voluto accertarsene la porta sigillata sarebbe stata un ottimo deterrente al controllare, non fosse altro per timore di rischiare la propria vita per semplice curiosità.
Emmaline invece, suo malgrado, aveva rischiato grosso per una decina di minuti buoni prima che Sirius Black, esattamente niente meno che lui visto che James Potter non era proprio nello spirito giusto per salvarla, si mettesse in mezzo alle due e allontanasse la rossa. O almeno quella che una volta lo era stata.
Cosa si fossero detti nessuno di quel gruppetto lo seppe mai, visti i bisbigli che i due si scambiarono.
Probabilmente James avrebbe anche potuto avvertire un pizzico di gelosia verso il migliore amico di sempre se non fosse stato troppo preso dai suoi calcoli mentali su quanti ragazzi avrebbe dovuto affatturare in due settimane per tenerli lontani da Lily, forte della consapevolezza che alle masse una bionda risulta più universalmente attraente di una rossa, forse perché nell’immaginario collettivo era più facile o stupida anche se continuava a rispondere al nome di Lily Evans.
Insomma l’idea che la ragazza avrebbe potuto schiantare di persona i pretendenti più irritanti come le era già capitato di fare un paio di volte non lo toccò nemmeno, così come non lo toccò l’idea che buona parte del corpo studentesco maschile la trovava attraente normalmente e che il colore di capelli non doveva importare loro poi molto, ma anni e anni di discussioni pseudo filosofiche sul perché le bionde siano le più attraenti di tutte fatte con un Sirius particolarmente interessato e mai a corto di argomenti l’avevano deviato completamente.
Nel frattempo, nel loro angolino, Lily continuava a minacciare di pesanti ripercussioni Sirius se non l’avesse lasciata immediatamente andare per strozzare la sua amica o almeno renderle pan per focaccia, sebbene quest’ultima affermazione fosse rimasta completamente oscura per il ragazzo.
Dopo estenuanti trattative, tra cui l’offerta di impastoiare un paio di Serpeverde per permetterle di sfogare con calma tutto lo stress e quella di una tazza enorme di cioccolata, il ragazzo riuscì a distrarla con la più idiota delle offerte.
-Non puoi far nevicare per me, Black!-
-Andiamo Evans, sono un mago, certo che potrei! Se volessi ovviamente.- rispose da vero sbruffone quale era, occhieggiando poi con discrezione Potter prima di continuare –Ma non era di me che stavo parlando.-
Con uno sguardo sospettoso la ragazza abbandonò ogni pretesa di rivalsa per i suoi poveri capelli e si concentrò completamente sul ragazzo davanti a lei, decisa a trovare l’inganno.
-Una nevicata vera?- chiese ancora per sicurezza, guardando a sua volta il migliore amico di Sirius con uno sguardo scettico.
Lui annuì sorridente, con quel sorriso identico che divideva con Potter ogni volta che combinavano qualcosa e riuscivano a farla franca.
Lily, che a differenza sua era una studentessa modello, sapeva che un mago, per quanto potente non poteva volgere a suo favore i cambiamenti atmosferici. Potevano modificare la temperatura in una stanza, potevano trasfigurare qualche goccia d’acqua in neve, potevano imprigionare un fuoco in una boccia per pesci per scaldarsi, ma non potevano invocare un nevicata, né la pioggia né il sole. La natura poteva essere accondiscendente ai loro bisogni e alle loro richieste, ma non si sarebbe mai piegata a un mago.
Non potevano sovvertirne il circolo esattamente come non potevano far apparire il cibo dal nulla. Erano due tra le più importanti leggi che vigevano nel mondo magico.
-Smettila di pensare all’inganno, Evans, sento le tue rotelline girare da qui!- le disse divertito il ragazzo, scompigliandole i capelli come avrebbe fatto con il proprio cane, ottenendo come risultato un pugno nello stomaco che lo fece soltanto ridere di più.
-Voglio quella nevicata, Black!- gli rispose imbronciata.
-Beh, immagino che sarà disposto ad accontentarti. Dopotutto deve farsi perdonare, no?- le rispose lui divertito, come se sapesse qualcosa di cui lei non era a conoscenza, e senza nessun senso di colpa nel promettere cose del genere da parte di altri.
-Ehi voi, è quasi ora di cena! Se finiamo con il non presentarci nessuno desteremmo qualche sospetto.- li riportò alla realtà Alice e mettendo così fine a tutti i convenevoli.
Non ci volle molto a raccontare ai ragazzi dell’incontro del pomeriggio con Regulus e Piton, finendo con il convenire un’altra volta che niente di quello che avevano detto potesse in qualche modo far luce sul mistero.
-Ma è ovvio che qualcosa si sta muovendo. Regulus non si farebbe mettere in mezzo in una ridicola discussione con Piton se là sotto non stesse succedendo qualcosa.- concluse però Sirius che nonostante tutto conosceva abbastanza suo fratello da sapere bene che non si sarebbe immischiato in una litigata del genere se l’argomento non fosse stato più che importate.
-Se si fosse trattato di qualcosa di nulla importanza glielo avrebbe detto, anche solo per liberarsene e non dare spettacolo.- provò a supporre James conoscendo la tipica mentalità purosangue, trovando conferme nello sguardo dell’amico.
Lily scambiò di nuovo uno sguardo con le ragazze. Era il momento di dire anche quell’ultima cosa, anche se sentiva il cuore pesante.
Ne avevano parlato prima, mentre aspettavano l’arrivo dei ragazzi, e tutte avevano deciso che se fino ad allora lo avevano catalogato come una ragazzata con il solo scopo di farsi belli agli occhi degli altri o comunque fregiarsi di un titolo che incuteva timore, anche se senza nessuna prova effettiva del loro status, era un modo come un altro per salire la scala sociale tra i Serpeverde, ora non poteva più passare sotto silenzio.
E se quella piccola parte di sé che ancora vedeva Severus come il suo amico d’infanzia, il primo che le aveva aperto le porte di quel mondo magico fino ad allora sconosciuto, si lamentava, ora non poteva più tacere. Non se c’erano vite innocenti in pericolo.
-Alcuni ragazzi, giù nei sotterranei, si chiamano Mangiamorte tra di loro. Ogni tanto lanciano incantesimi sui Nati Babbani o li insultano. Per quanto ne so sono sempre stati puniti per questo e sono sempre riusciti a far passare la cosa come rivalità tra ragazzi, ma…- iniziò a spiegare Lily.
-I Serpeverde lanciano incantesimi contro chi non gli aggrada da sempre, non è una novità. Però non avevo mai sentito che si facessero chiamare con i servi di Voldemort.- la risposta di James fece serpeggiare un brivido di pausa nelle ragazze, Lily inclusa, visto il nome che aveva usato e lui dovette rendersene conto, senza tuttavia commentare.
-Come sai queste cose, Lily?- chiese Remus.
Non ci fu bisogno di risposta perché quella aleggiava sul viso della ragazza come una scritta lampeggiante, ma tuttavia lei decise di raccontare tutto. In quella situazione c’erano dentro insieme e, come già era capitato la notte in cui aveva raccontata loro della lettera e del Marchio, si riscoprì a fidarsi cecamente di quei tre ragazzi, nello stesso modo in cui si fidava delle sue amiche. Tenerli allo scuro non li avrebbe tenuti fuori dalla battaglia, nel momento in cui si fossero ritrovati a combattere, ma avrebbe soltanto rischiato di metterli in pericolo.
-Severus me ne ha parlato una volta, due anni fa, poco prima che litigassimo. Sono lui e…- e cominciò a fare i nomi che ricordava, sperando comunque che una volta scoppiata la guerra non se li avrebbe ritrovati sul campo come nemici.
 
 




 
 
 
 
 
 
Uscirono dal bagno al secondo piano poco prima che la cena venisse servita controllando che nessuno fosse nei paraggi per potersi chiedere cosa avessero fatto tutti quanti in quel bagno generalmente evitato da tutte le ragazze di Hogwarts.
Lily uscì per ultima e quasi si scontrò con James, che la stava aspettando poggiato allo stipite della porta.
-Hai avuto coraggio a raccontarci tutto.- le disse soltanto, mentre si avviavano in Sala Grande.
-Tu hai coraggio. Non avevo mai sentito pronunciare il nome di Tu-Sai-Chi da nessuno, prima.- rispose solo, non sentendosi per niente coraggiosa in quel momento.
-Ci sono tanti tipi di coraggio, ma chiamarlo con il nome che si è scelto non è coraggio, Lily. Sarò coraggioso il giorno in cui mi troverò da solo a combatterlo e se mai succederà avrò paura di quello che può fare con la sua bacchetta, non di un nome.-
Lily in quel momento pensò soltanto, per l’ennesima volta, che tutto l’inespresso che c’era in James Potter, sepolto sotto la sua forte personalità e i suoi sorrisi brillanti, lo rendevano una delle persone migliori che conoscesse. Più adulta e più consapevole della maggior parte di loro, perfino di lei. Una persona che avrebbe voluto conoscere a fondo con tutta se stessa, ma dubitava che ci sarebbe mai riuscita, perfino con tutto l’impegno e dopo una vita al suo fianco.
-Riesci sempre a stupirmi, James.-
Uno stupore così bello e caldo che Lily non avrebbe saputo descriverlo, ma che fece spuntare un sorriso sul volto del ragazzo che rese quegli aggettivi inutili.
In un attimo si ritrovò tra le sue braccia, per la prima volta dal giorno in cui lui aveva letto la sua posta e per la prima volta davanti al loro amici e chiunque avrebbe potuto passare in quel momento nel corridoio, sentendo ancora il sorriso di lui sulle labbra un attimo prima che le stringesse un braccio intorno alla vita e la baciasse davvero.
Sentirono il fischio divertito di Sirius, il sospiro divertito di Alice e le battutine bastarde di Julie, ma non se ne curarono. Tanto che i ragazzi decisero di lasciarli soli e andarsene a cena.
Lily gli passò il braccio sinistro intorno al collo, la mano destra a stringere la mano di lui sul proprio fianco, mentre James la convinceva ad aprire le labbra per intrufolarvi la lingua e cercare la sua.
Come quel giorno sul pavimento. E come quel giorno sul pavimento Lily si ritrovò a concedergli tutto, cercando qualcosa che sembrava avvicinarsi senza tuttavia mai arrivare. Si alzò sulle punte per avvicinarsi ancora di più a lui senza staccarsi dalle sue braccia e sentì qualcosa che prima non c’era mai stata. O che almeno lei non aveva mai notato.
-Sei un porco Potter.- gli disse incredula allontanandosi istantaneamente di un passo da lui senza però allentare la presa che ancora aveva sulla sua mano e lanciando un’occhiata altrettanto incredula al cavallo dei pantaloni del ragazzo, lievemente più gonfio del normale.
Se si fosse trattato di un altro ragazzo, chiunque altro eccetto forse soltanto Black, Lily avrebbe giurato di vederlo arrossire. E per un attimo il dubbio si insinuò dentro di lei in ogni caso, quasi dimenticando chi avesse davanti. James Potter non si sarebbe mai abbassato a qualcosa come il senso del pudore o un comportamento moralmente accettabile. No, lui era solo un idiota patentato che ancora dopo sette anni riusciva a metterla nel sacco!
-Sei tu che mi mandi in bianco da anni.- ribatté lui con quel tono da arrogante pavone che nonostante tutto continuava a irritarla. Non si sarebbe stupida se un giorno o l’altro si fosse messo a fare la coda.
-Io ti…? Ma…ma sei fuori di testa! Io…- gli urlò contro e avrebbe continuato se lui non so fosse abbassato di nuovo sulle sue labbra divertito, fermandosi solo a pochi centimetri da esse–Se vuoi essere baciata non occorre che ti metti a urlare, basta chiedere.-  ridacchiò.
-Stupido arrogante idiota!- sbottò lei cercando di sciogliere il loro abbraccio dimenandosi e con i capelli biondi che volavano da tutte le parti.
Lui per tutta risposta si limitò a stringere di più il suo fianco per non farsela sfuggire e continuò a osservare con un sorriso gli inutili sforzi della ragazza per liberarsi. Certo che se lei avesse continuato a strusciarglisi così addosso quel piccolo particolare che prima l’aveva fatta allontanare non sarebbe rimasto “piccolo” per molto. Meglio staccarsi, anche se averla tra le braccia era così piacevole.
Le lasciò un lieve bacio sulle labbra –Sei bella anche bionda, Evans. Saresti bella in ogni modo ai miei occhi.-
Lei si rilassò improvvisamente con un sorriso lieve prima di scuotere la testa, per niente convinta mentre lui spostò appena il viso per lasciarle un altro bacio, stavolta sulla punta del naso. –Ma trova una soluzione perché il mio amico laggiù ti preferisce rossa.- le disse ridendo usando la sua presa sulla vita per avvicinarsela di nuovo ai fianchi e l’altra mano per pararsi dai colpi che lei tentava di dargli.
James cercava di scansare quelli più forti o si limitava a pararne altri, riuscendo soltanto a farla infuriare ancora di più per la sua incapacità di dargliele a dovere.
-Cafone idiota! Ma come ti permetti brutto…- inveiva intanto lei, sovrastando i risolini del ragazzo,  continuando però a cercare di tirargli uno schiaffo che meritasse quel nome e, intanto, approfittando della vicinanza che gli aveva imposto per colpirlo con una ginocchiata tra le gambe di tutto rispetto.
Lui la lasciò andare nell’accusare il colpo e lei stava per andarsene offesa, quando la fermò prendendola per un polso cercando al contempo di arginare le lacrime che premevano per uscire visto il dolore che quella pazza le aveva inferto.
Lui, forse, poteva anche essere stato poco delicato, ma accidenti stava scherzando!
-Porco Merlino, Evans! Vuoi che diventi impotente?- le chiese arrabbiato.
-Tanto non sono interessata all’articolo. Fallo presente al tuo “amico” laggiù per la prossima volta!- gli sibilò contro offesa.
-Sai quando ti ho vista bionda ho pensato che ora tutti avrebbero potuto contarti le lentiggini quando invece prima potevo farlo solo io, ma ora non credo mi importi più di tanto. Magari così anche gli altri si accorgeranno che sei una pazza! Cazzo!- imprecò prima di lasciarle il polso per poter fare un paio di passi indietro e scivolare a terra contro il muro e compatirsi in solitudine finalmente.
James rimase circondato dal silenzio e dal suo dolore per qualche minuto, tanto da pensare che lei se ne fosse andata.
Se non fosse stato James Potter o se almeno fosse stato in un posto più appartato avrebbe lasciato cadere quelle due lacrime che tuttora stazionavano ai lati dei suoi occhi, ma non cedette all’impulso e si limitò a stringere la mano destra sul cavallo dei pantaloni imprecando silenziosamente contro quella pazza di cui era andato a innamorarsi.
-Dai Potter, non posso averti fatto così male!- la sentì dire piano, mentre si avvicinava e gli si avvicinava al fianco.
Allora non se n’era andata. Beh in quel momento non aveva voglia di averla intorno, gli aveva tirato una ginocchiata nelle palle, accidenti! E per cosa poi? Per una battuta infelice?
-In questo momento ti sto odiando.- si limitò a rispondere.
-Io…mi dispiace. Davvero. Vuoi che ti accompagni in infermeria?- chiese piegandosi su di lui fino ad incontrare il suo viso, cocciutamente rivolto verso il basso.
Evans aveva un’espressione davvero dispiaciuta, non che quello avrebbe fatto passare più in fretta il dolore, ovviamente, ma di certo non si sarebbe fatto mai accompagnare in infermeria e poi dubitava che sarebbero riusciti ad arrivarci. Lei era talmente esile che non sarebbe riuscita a reggerlo per più di qualche metro. Anche se l’aveva colpito con una forza che non avrebbe mai immaginato.
-Scordatelo! E poi cosa dovremmo dire a Poppy? Evans mi ha quasi castrato?- le rispose alzando finalmente il viso.
Va bene che era mezzo morto per il colpo, ma vederla piegata su di se e con quei dannati capelli troppo lunghi che sfioravano la mano destra non era propriamente la soluzione migliore per arrivare vivo al giorno successivo visti gli istinti di quella pazza.
-Ma se…- provò ancora a convincerlo.
-Senti dammi un paio di minuti ok? Poi magari mi aiuti a ad alzarmi, ma questo è tutto.- rispose asciutto.
Lei rimase seduta al suo fianco per tutto il tempo, osservandolo di sottecchi ogni tanto. James quello sguardo se lo sentiva addosso come ogni volta che lo guardava.
Sempre in silenzio lo aiutò ad alzarsi e si assicurò che riuscisse a camminare, nemmeno gli avesse amputato un gamba si ritrovò lui a considerare, e rimanendogli vicina in caso di necessità per tutta la strada verso la torre di Grifondoro.
-Non vuoi mangiare niente?- fu l’unica cosa che gli chiese quando capì la direzione dove erano diretti.
-Visto che non sono sceso a cena Sir mi porterà qualcosa dalle cucine.- rispose lui e ringraziò pragmaticamente per l’amicizia che lo legava al ragazzo e che per quella sera gli avrebbe evitato l’imbarazzo di rispondere a certe domande in pubblico pur di non rimanere a stomaco vuoto.
Solo una volta dentro la Sala Comune, con lui deciso a salire nei dormitori per controllare che tutto fosse a posto nei suoi pantaloni lei parlò di nuovo, con la stessa voce esitante che aveva usato da che l’aveva colpito.
-James…cosa volevi dire prima con quella storia delle lentiggini?-
Il ragazzo avrebbe tanto voluto non rispondere, non dopo quella micidiale ginocchiata, ma come sempre non riusciva a negarle niente.
-Con quei capelli sembri più pallida e le lentiggini che hai sul naso si vedono di più, riesco a vederle anche da qui. Prima invece riuscivo a farlo solo quando ti abbracciavo. Riesco a contarle solo quando sto per baciarti. Non mi piace che anche gli altri idioti che ti vengono dietro possano farlo. Quindi vedi di rimediare.- e cominciò a salire i gradini verso il dormitorio quando lei lo fermò di nuovo.
-Me la farai pesare per sempre, vero, quella ginocchiata?- chiese lievemente divertita.
-Sempre.- borbottò lui.
Possibile che dopo lo sdolcinato discorso che le aveva appena fatto lei riuscisse a fare finta di nulla?
-Ti ricordi a inizio anno quando tutti credevano che uscissi con Sirius e mi hai aiutato a incontrarlo in aula studio? Mi hai fatto promettere di concederti cinque minuti. Magari potrebbero essere cinque minuti a Hogsmade la prossima settimana, davanti a una burrobirra da Madama Rosmerta. Per farmi perdonare.- gli disse tutto d’un fiato la ragazza come un fulmine a ciel sereno, lasciandolo sbigottito e immobile.
Dopo un paio di secondi di assoluta incredulità James si rianimò –Mi stai dicendo che accetti di uscire con me, Evans?- chiese tanto per sicurezza. Magari aveva sognato tutto, dopotutto chissà che cosa potevano causare ginocchiate nelle palle del genere.
-No, Potter. Ti sto chiedendo di uscire con me. Magari per un po’ più di cinque minuti, ma…- e lasciò la frase in sospeso scrollando le spalle con un sorriso, ma con una luce cauta negli occhi.
Da anni tutti avrebbero voluto vedere il momento in cui Lily Evans avrebbe ceduto alla pressante corte di James Potter, ma la Sala Comune era vuota in quel momento, e nonostante tutto fin dal giorno seguente iniziarono a circolare voci su quello che era successo in quella stanza, una più fantasiosa dell’altra e quindi alla fine fu come se tutti fosse stati presenti.
Ma tutti avrebbero dovuto vedere il sorriso che spuntò sul volto del ragazzo e quello probabilmente fu l’unico particolare che passò sotto silenzio, come era giusto che fosse per le cose veramente importanti.
Hogwarts era abituata a vedere i sorrisi di James Potter, ne aveva conosciuti a migliaia in quei sette anni, ma non quel sorriso che era qualcosa di estremamente prezioso e a cui solo una cerchia ristretta di persone era concesso di vedere. E se la compagnia, per quanto ristretta, potesse cambiare a seconda dell’occasione in cui appariva, una persona era sempre presente. Perché era l’unica in grado di causarli, almeno per il momento.
Sarebbe arrivato il giorno in cui Lily Evans non sarebbe più stata l’unica persona a far sorridere così James Potter, ma di quel piccolo Potter ciccioso e sbavante in quel momento nessuno ne aveva nemmeno concepito l’idea.
Lily si godette così il sorriso felice che le rivolse il ragazzo, ridendo quando rischiarono di cadere quando lui le si gettò addosso per baciarla.
La mattina dopo James Potter girava con un sorriso ebete stampato in faccia che nemmeno le peggiori battute di Sirius Black riuscivano a scalfire.
La mattina dopo Lily Evans girava con i capelli biondi raccolti in una treccia disordinata sulla spalla lasciando tutti interdetti per quel cambio di stile. Non aveva tentato di nasconderli non per vanità, ma per la tipica furbizia che la caratterizzata.
Tutti erano così presi dai suoi capelli, infatti, che nessuno notò l’inconsueto e lieve strato di cipria che le coloriva il viso e che le accendeva gli zigomi.
Forse non era riuscita a trovare una soluzione per i capelli biondi, ma sicuramente l’aveva fatto per le lentiggini abilmente nascoste dal trucco.
In quelle due settimane nessuno eccetto James riuscì a contarle le lentiggini.
Ciò nonostante ci fu un flusso stranamente prolifico di ragazzi di età comprese tra i tredici e i diciassette anni, colpiti dagli incantesimi più disparati e stranamente senza origine tutti diretti in infermeria con gran scorno di Poppy che da quel giorno avrebbe dichiarato senza troppe cerimonie che un campo di battaglia, a Hogwarts, avrebbe sempre fatto un baffo!
 
 
 
 




 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Ciao a tutte come va? Qui in Versilia il freddo inizia a farsi sentire, ma non mi lamento. Dopo aver passato un piovoso, ma divertente fine settimana a Milano ho rivisto i miei standard per cui mi considero fortunata per questo clima quasi tropicale in confronto al gelo di sabato!
A ogni modo ancora non ho avuto il tempo di rispondere alle recensioni, ma conto di farcela nel giro di un paio d’ore. Fino ad allora…grazie mille per chi ancora segue e recensisce. So di aggiornare ogni morte di papa, e a volte nemmeno allora, quindi sapere che nonostante tutto c’è ancora qualcuno che crede in me e, soprattutto, nella storia mi scalda il cuore come una bella tazza di chobar!
Il capitolo è più lungo dei miei soliti standard e diverso da quello che doveva essere in origine, come al solito. Ormai è James a dettare legge e quindi questo è, anche se devo rendergli merito che mi sono divertita molto a scriverlo, anche se si sta prendendo un po’ troppe libertà, sia per il personaggio che era all’inizio che per il rating scelto, ma spero di non aver fatto storcere la bocca a nessuno! Nel caso avvisatemi e provvederò ad alzare rating!
James insomma è la mia croce e la mia delizia. Come potete vedere finalmente ha smesso di voler essere a tutti i costi il perfetto cavalier servente e comincia a comportarsi da idiota anche di fronte a Lily, non solo alle sue spalle (vedi la lettera dell’ultima volta) e questo non può che farmi piacere.
Passiamo alle note, alcune ovvie tanto che mi vergogno a scriverle e altre meno.
I fuochi d’artificio Filibuste con innesco ad acqua appaiono parecchie volte nel corso della storia e non sono considerati particolarmente molesti, ma considerando che stiamo parlando di vent’anni prima mi sono presa la libertà di renderli una novità in fatto di scherzi che ancora in molti non conoscono. Zonco, ovviamente, era già una florida e famosa attività. Lo stesso discorso, più o meno, vale per Thor ancora cucciolo, ma già fedele compagno di Hagrid così come lo conoscerà Harry.
Le magie del capitolo le conoscete tutte. Colloportus, Evanesco, Disillusio e, dulcis in fundo, quello per l’adesione permanente. La camera di Sirius, come ricorderete è coperta di poster che la cara Willy non è mai riuscita a togliere in anni e anni di tentativi e visto che Sirius è andato a vivere da solo al settimo anno, ormai possiamo dire che è un esperto in certi incantesimi. E lo stesso vale per James, in grado già a diciassette anni di praticare una disillusione perfetta. Che quei due fossero degli assi con la bacchetta è fatto noto e ci ho giocato un po’. Dopotutto sono animaghi, hanno già realizzato la mappa del malandrino, insomma mica robetta! Da notare che Sirius è un animalista proprio per la sua spiccata comprensione verso l’universo canino.
Ho giocato un po’ anche con gli insulti. Il mio preferito rimane “Porco Merlino” visto che io ne uno spesso e volentieri una variante meno profana e forse più discutibile, senza tuttavia scendere nel chiamare in causa dio in persona, ma non vogliatemene se ho chiamato in causa anche il grande George Martin parafrasando il suo “Che gli Estranei ti portino” in un “Che i dissennatori ti portino”. Sirius era la persona giusta per questa citazione e visto il mio smodato amore per quell’uomo non potevo esimermi!
Passiamo poi a Mirtilla. La sua storia la sapete tutti, non sto certo a ripetervela. Questa precisazione vuole solo farvi notare che stiamo parlando dei due mentecatti che nel primo capitolo invidiavano Severus per il suo incontro ravvicinato con la piovra gigante e che sempre per la loro mente deviata non potevano evitare di cercare il mostro assassino di Mirtilla, senza successo. Se non ci è riuscito Silente in cinquant’anni, a risolvere il mistero, non potevano certo farcela loro. Non è un caso che Harry riesca nell’impresa solo dopo parecchi indizi, l’aiuto rivelatore di Hermione e una voce che nessuno sentiva!
E per rimanere in tema di fantasmi. Si, Mirtilla è una pervertita. Spiava già nel bagno dei prefetti ai tempi dei malandrini e augurava la morte a chi voleva al proprio fianco, esattamente come nel Calice di fuoco ;)
Julie e gli altri non hanno idea di cosa sia uno zombie. Lasciatemi dire che in un mondo in cui esistono gli Inferi ho ritenuto opportuno eliminare altri mostri del genere, perché già hanno un bel motivo inquietante per guardarsi le spalle. E anche perché poi per quanto io adori lo splatter odio profondamente gli zombie (sono lenti, stupidi e probabilmente amputati di qualcosa, ma per qualche ragione riescono comunque a ucciderti) e amerei profondamente un mondo in cui non esistono.
Infine, finalmente potete tirare un sospiro di sollievo è l’ultima nota, che non si può creare cibo dal nulla è una delle cinque principali eccezioni della legge di Gamp sulla trasfigurazione degli elementi, come ci informa Hermione e ci ricorda poi Ron nel settimo libro, e sebbene non abbia idea di quali siano le altre quattro, mi sono immaginata che modificare a proprio piacimento le condizioni atmosferiche e il clima sia un’altra di esse. Anche se poi non è vero e le altre quattro magari parlano di vestirsi di viola per i matrimoni e non trasfigurare mai un pesce in un porcospino. Insomma cose così.
E con questa dimostrazione di demenza avanzata passo e chiudo.
Grazie ancora a chi segue e continua ad aspettarmi, perché ci sarà una fine, lo prometto!
Se volete farmi contenta lasciatemi un commentino!
Tanti abbracci, Rebecca.
 




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Capitolo 30
*** L'inizio dei giochi ***


 
 
 






 
 
 

Nove giorni dopo…

 


 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
Sirius si svegliò, in quel gelido mattino di metà dicembre con la testa pesante e un braccio completamente atrofizzato. Impiegò non più di pochi secondi a individuare la causa di tutto quanto, non appena puntò lo sguardo perennemente distratto sul corpo caldo della ragazza che ancora gli dormiva accanto.
Con una delicata agilità dettata soltanto dalla pratica districò il proprio arto dalla bionda e che, probabilmente, le aveva fatto da cuscino per tutta la notte. O almeno per quel paio di ore in cui avevano dormito effettivamente, senza distrarsi in altri intrattenimenti che, per quanto piacevoli lo avevano privato delle sue sette ore di sonno quotidiane causandogli anche il fastidioso mal di testa che lo affliggeva.
Il ragazzo si mise a sedere sul letto ruotando tranquillo la spalla sinistra, nella speranza di riattivare la circolazione nel minor tempo possibile e far sparire così quel sordo indolenzimento che gli pesava sui muscoli. Nel frattempo occhieggiò disinteressato la camera in cui si trovava, a conti fatti non poi così diversa da quella in cui dormiva abitualmente da sette anni a quella parte. Cambiavano i colori delle cortine del letto e della cravatta ordinatamente disposta insieme al resto della divisa sul coperchio del baule ai piedi del letto, sulla scrivania sotto la finestra mancavano gli ultimi numeri delle riviste di Quidditch cui lui e James erano abbonati, ma al loro posto si poteva osservare una fila di prodotti femminili di dubbia entità. Cosa se ne facesse una ragazza così giovane di così tante creme e cosmetici per lui era un mistero, uno di quelli però che non era interessato a risolvere. Era sempre stato così, non aveva ancora incontrato una ragazza capace di fargli desiderare di svelare i suoi piccoli misteri e scoprirne le mille manie quotidiane. Come James gli ripeteva sempre non aveva ancora incontrato la “sua Evans”, anche se non era poi così sicuro di volerla incontrare, una ragazza di quel genere.
A Sirius andava più che bene intrattenersi con ragazze come quella che ancora gli dormiva vicina. Una ragazza bionda apparentemente simile a tutte le altre che l’avevano preceduta e i cui lineamenti sarebbero ben presto stati smussati dal ricordo, così come tutta l’avvenenza che l’aveva caratterizzata la sera prima stava svanendo alla luce lanuginosa dell’alba. Una ragazza come Evans sarebbe stata un impegno troppo grande per come si sentiva al momento, e per come si sentiva da sempre. Quando avesse capito cosa davvero si aspettasse dalla vita che si era scelto, nonostante lo scotto pagato per farlo, forse avrebbe avuto anche la testa per una ragazza come Evans. Una ragazza con carattere e psicosi evidenti, con piani per il futuro e idee personali in cui credeva al punto da litigare per difenderle. Fino  a quel momento Betty, la ragazza di quella notte, o Diana, la moretta di due sere prima, andavano più che bene perché coscienti di quello che sarebbe accaduto. Pronte a tenergli compagnia e svanire alle prime luci del giorno, lasciandosi alle spalle soltanto un ricordo, esattamente come avrebbe fatto lui con le loro vite. Erano veramente poche quelle che poi si fossero rivelate, a distanza di tempo, più interessanti di altre tanto da uscire dalla categoria di “compagne di una notte” per entrare in quella di “piacevoli conoscenze”.
Nessuna di loro era mai arrivata a conquistarsi, ai suoi occhi, il titolo di amiche, ma questo non per qualche loro mancanza. Sirius infatti aveva tante, tantissime, “piacevoli conoscenze” e non necessariamente dovevano essere passate prima per il suo letto, anzi forse il contrario, perché le ragazze che potevano vantarsi di tanto erano eccezionali perfino ai suoi occhi cauti, Julie ne era l’esempio più lampante, ma veramente pochi amici. Il ragazzo concedeva quel titolo con la stessa parsimonia con cui un profumiere miscela gli oli nel creare nuove essenze, preferiva evitare di coinvolgersi troppo per non finire poi ferito. La sua famiglia gli aveva insegnato bene quella sensazione di tradimento, dopotutto. E continuava a farlo anche a distanza di anni, visto il dolore sordo che lo accompagnava da una decina di giorni a quella parte, da quando il vago sospetto che suo fratello stesse seguendo le nefaste orme di Bellatrix si era impiantato nella sua mente, senza accennare a volersene andare.
Regulus un mangiamorte.
Marchiato a vita da un pazzo pronto a distruggere il mondo per la sua sete di potere, seguendo un’idea malsana di uguaglianza e supremazia.
Con uno scatto rabbioso si alzò in piedi e iniziò a raccogliere i vestiti da terra, facilmente individuabili perché unico elemento di disordine in una stanza altrimenti impeccabile, prima di varcare la porta e andarsene, per una volta senza curarsi di chi lasciava indietro.
Non era abituato a farlo, di solito aspettava che la ragazza di turno si svegliasse per darle almeno il buongiorno e accomiatarsi da lei con qualche gentilezza, assicurandosi che sebbene conoscesse fin dal principio la natura più che effimera della loro relazione non si sentisse usata, senza sparire nel nulla come il peggiore dei cafoni, ma quella mattina non poteva curarsi anche di lei. Doveva trovare suo fratello.
Doveva trovarlo da giorni, ma non poteva affrontarlo a caldo, come invece il suo animo Grifondoro gli avrebbe suggerito.
Non era di Jamie che stava parlando, con lui non doveva mai preoccuparsi di quello che esattamente gli uscisse di bocca perché l’amico aveva la sua stessa testa calda ed erano soliti parlarsi senza prima pensare ben sapendo che alla fine l’altro avrebbe capito comunque.
Non era Remus, che compensava i suoi scatti irati con la propria pacata e irritante razionalità riuscendo così a riportarlo a più miti consigli nonostante l’impellente voglia di strozzarsi a vicenda che li coglieva ogni volta.
E non era nemmeno Peter, che semplicemente non rispondeva alle sue provocazioni per mancanza di argomentazioni o per paura di essere escluso dal gruppo. A pensarci bene, probabilmente, con Peter non c’era nemmeno mai stato una vera lite, per il semplice motivo che non sarebbe riuscito a opporsi a lui e rischiare di metterselo veramente contro.
Era di Regulus che stava parlando. Parlare con quel ragazzo era sempre stato complicato, vuoi per l’arguta intelligenza che l’aveva caratterizzato fin da bambino, vuoi per le differenze caratteriali che li avevano sempre contraddistinti. Ma prima, prima di essersene andato di casa, prima di essere cancellato dall’albero genealogico come il peggiore dei criminali, prima che tutti i contatti tra loro venissero recisi all’osso se non troncati del tutto, beh prima almeno c’era stato l’affetto a compensare tutto quanto. A perdonare le incomprensioni, a far dimenticare le liti e le risse che li avevano sempre visti protagonisti e gli strilli isterici che ora l’uno ora l’altro si beccavano dall’adorabile madre che condividevano ed era intervenuta a dividerli.
Adesso invece quanto i due fratelli si incontravano un vago cenno di riconoscimento era il massimo che l’uno si aspettava dall’altro, e per la prima volta Sirius si sentì totalmente in difetto nei confronti del Serpeverde.
Aveva sempre dato la colpa ai suoi genitori e alla loro educazione razzista, se fino ad allora i loro rapporti erano stati tesi. Black non si era mai fermato a pensare che andandosene da casa non significava necessariamente rompere ogni legame con il fratello. Quello era venuto come inevitabile conseguenza, ma solo in seguito. Quando i tentativi di Regulus di riportarlo indietro erano stati ignorati con arrogante indifferenza, quando le richieste di Sirius di smettere di seguire le direttive materne erano state disattese. Tutti e due si erano arroccati nelle loro posizioni, portando i rapporti a quello che erano in quel momento. Cioè quasi niente.
Ma di fronte alla possibilità di vedere il fratello marchiato e asservito a vita, tutto finiva in secondo piano. Perché se Regulus si era fatto influenzare dagli ideali razzisti della famiglia, dai desideri malati della cugina e dalle cattive compagnie, era anche colpa sua. Aveva accordato al fratello la sua stessa forza, dimenticando quanta di quella forza fosse da imputare a lui e quanta agli amici che lo circondavano e che l’avevano accettato fin dal primo momento, che l’avevano sostenuto sempre e comunque e che, infine, gli avevano offerto ospitalità prima che suo zio gli lasciasse l’eredità con cui continuava a mantenersi e la casa in cui abitava quando non stava dai Potter. Aveva ignorato ciò che circondava il fratello, la casa Serpeverde con il suo credo e la sua cultura del sangue, con i suoi modi bigotti e i sussurri maligni, quando invece avrebbe dovuto rimanergli al fianco nonostante tutto.
Sperava soltanto di essere ancora in tempo per rimediare. Avrebbero chiesto aiuto a Silente per nascondere il fratello e, così, tenerlo al sicuro. Avrebbe fatto lui stesso da parafulmine per la rabbia ossessiva che si sarebbe sicuramente scatenata in Bellatrix con la sua mente malata. Se necessario avrebbe implorato Voldermort in persona, ma il tempo di stare con le mani in mano era finito.
 
 
 
 
 
 
 
 
 





 
 
 

***

 
 







 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Come quasi due settimane fossero potute passare così in fretta era un dubbio che coglieva spesso e volentieri gli increduli studenti di ogni scuola nel mondo, ma a maggior ragione quelli appartenenti al settimo anno di Hogwarts.
Era sabato e questo significava infatti non più la fine di un’altra settimana di scuola, le vacanze di Natale sempre più prossime visto che presto dicembre avrebbe lasciato il posto al nuovo anno, e nemmeno le gite a Hogsmade. Era passata un’altra settimana, che molti di loro avevano sprecato perdendo tempo in intrattenimenti inderogabili quando una partita a goggobiblie, a scacchi magici o una rissa nel cortile durante la pausa di metà mattina, e questo significava sette giorni in mano ai maledetti M.A.G.O. che li attendevano a giugno, l’incubo che li assillava ogni notte con grande soddisfazione dei professori che ogni anno facevano di tutto per mettere in soggezione gli studenti, nella speranza di vederli arrivare preparati alla prima prova d’esame.
Alcune categorie di persone erano completamente escluse da questo vago senso di panico che si scatenava generalmente negli studenti almeno una volta nella vita di fronte all’esame che avrebbe potuto condizionarne il futuro. Un sentimento che, con gran scorno di ogni convinto purosangue del mondo, accumunava babbani e maghi in egual misura.
Tra questi fortunati che per grazia divina erano stati assolti dallo stress pre-esami, e che quindi non dovevano temere un attacco di panico nei momenti meno opportuni, si annoveravano Lily Evans, talmente in pari con il programma didattico da potersi perfino permettere di dormire sogni tranquilli e dare ripetizioni ai ragazzi più piccoli bisognosi di aiuto extra, Remus Lupin, che aveva iniziato già da settembre un ripasso magnum degli anni passati e che sarebbe continuato perfino la notte prima degli esami, Sirius Black, notoriamente refrattario allo studio inutile e che avrebbe recuperato tutto il programma insieme all’amico un paio di mesi prima dei M.A.G.O. senza mostrarsene particolarmente provato e attualmente con ben altri problemi per la testa e, infine, James Potter, completamente sulla stessa linea di Black.
Anche se in quei giorni, a occhi inesperti, non si sarebbe detto. Preoccupato per il suo migliore amico e tuttora indeciso su dove portare Evans per il loro primo appuntamento, oltre che occupato a schiantare un numero sempre maggiore di idioti che chiedevano di uscire alla sua bella, aveva raggiunto livelli di stress che nemmeno durante il quinto anno, quando non sapevano più dove battere la testa per trasformarsi in Animaghi. Ma se ce l’avevano fatta allora, con l’aiuto soltanto delle loro belle teste e del loro più che arguto ingegno, era ben deciso a non farsi mettere al tappeto nemmeno quella volta.
Tuttavia il problema rimaneva. Dove portare Lily Evans in occasione del loro primo appuntamento?
Quando aveva proposto i Tre manici di Scopa, sua scelta iniziale, Frank Paciock l’aveva guardato come si guarderebbe un idiota senza speranza e gli aveva raccontato di quando, durante il suo primo appuntamento con Alice, aveva portato la ragazza da Madama PiediBurro e di come quell’apparentemente insignificante scelta li avesse portati al punto in cui si trovavano al momento. Ovvero felicemente innamorati e pronti a considerare anche una vita insieme una volta fuori Hogwarts.
Quando perciò aveva preso in considerazione Madama PiediBurro, un nuovo localino per fidanzati che aveva aperto l’anno prima in occasione di San Valentino e che, si diceva, avesse fatto il tutto esaurito nel giro di un paio d’ore, perfino Sirius si era degnato di abbandonare i suoi ben più pressanti grattacapi per rifilargli un’occhiata piena di biasimo, senza però commentare in alcun modo. Conoscendo quel perfido animo Serpeverde che ogni tanto tirava fuori l’amico, James ci avrebbe scommesso, aveva taciuto solo nella speranza che scegliesse comunque quel locale e si facesse affatturare da Lily fin dal primo appuntamento. Ne aveva avuto la certezza quando Peter, che diavolo ne sapesse poi Peter era un mistero vista la sua non-proprio-fortuna con il sesso opposto, gli aveva raccontato come fosse quella sala da the. A Potter era venuto il diabete solo a pensarci, e non osava nemmeno immaginare cosa gli avrebbe fatto Evans, una Evans inviperita, per vendicarsi di averla portata in un posto simile.
-La Testa di Porco?- chiese allora esitante James, ritrovandosi ormai a corto di locali nella ristretta area di Hogsmade.
Il ragazzo si sentì piovere addosso una nuova ondata di biasimo, stavolta mista a incredulità, visto l’idiozia della proposta appena fatta, evidente perfino ai suoi occhi disperati.
-La Testa di Porco?- gli chiese infatti incredulo Remus, con un evidente sguardo di disgusto negli occhi.
La locanda, infatti, non aveva la migliore delle reputazioni e gli studenti generalmente tendevano a evitarla come la peste. Oltrepassarne la soglia avrebbe potuto significare ritrovarsi seduti vicini a fattucchiere o stregoni, millantatori della peggior specie, non che questo avesse mai costituito un grosso problema per i Malandrini che, a volte, il venerdì sera sgattaiolavano fuori dalla scuola proprio per recarvisi. Il venerdì, infatti, era la sera del poker magico e Sirius non disdegnava mai una buona partita a carte con gente al suo livello, non importava se non fossero compagnie esattamente raccomandabili, e James trovava spassoso osservare le carte esplodere nelle mani dei giocatori quando un loro bluff veniva scoperto.
-Beh, sono un po’ a corto di locande, al momento. E tutto grazie a voi!- sbuffò il ragazzo, riepilogando mentalmente le scelte che aveva.
-Ma non puoi portare Lily in quella..quella bettola!- si indignò Frank.
-Basterebbe portarsi dei bicchieri puliti, no?- chiese Peter piano, non volendo contrariare l’amico.
Remus sbuffò, prima di ridere sarcastico –Sarebbe divertente vedere Aberforth e la sua capra studiare Lily come una rarità. Probabilmente una ragazza per bene non è mai entrata in quel posto, nemmeno per sbaglio!-
Pensando ad Aberforth, il proprietario della bettola e perfino della capra, che ormai aveva più le dimensioni di un ippopotamo viste tutte le attenzioni che le riservava, James si ritrovò a concordare.
Anche se sarebbe stato divertente vedere Evans la prefetta-perfetta in un posto del genere, magari prima o poi ce l’avrebbe portata davvero. Un prima o poi in un futuro non esattamente prossimo, però. Era sempre meglio non scherzare con il destino, soprattutto se si rischia di perdere quello che si è desiderato per anni.
-Dov’è Sirius, comunque?- chiese curioso Frank, notando in quel momento la prolungata assenza del ragazzo. Non si vedeva in giro fin dalla sera prima, in effetti.
James scambiò uno sguardo serio con Remus, entrambi consapevoli di dove l’amico avrebbe potuto essere visto che aspettavano quel momento da tutta la settimana, senza però una sola parola.
-Non è tornato a dormire stanotte, e nemmeno quella prima e quella prima ancora. Non l’hai notato, Frank?- chiese James con il suo miglior sorriso ammiccante in direzione dell’altro ragazzo con cui dividevano la stanza.
-No, io non ci avevo fatto..oh, Oh! Una ragazza?- chiese divertito.
-Più di una, direi.- ammiccò malizioso ancora una volta James e, avvertendo intorno a sé il tipico cameratismo maschile che si instaurava ogni volta che lui o Sirius parlavano di una loro nuova conquista, capì che c’era riuscito ancora una volta.
La maschera era al suo posto e reggeva.
Non aveva destato sospetti, su cosa affliggesse al momento Black.
La maschera reggeva. Lo spettacolo doveva continuare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 





***

 





 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Quindi oggi pomeriggio uscite insieme.- ridacchiò Alice, soddisfatta come solo una mamma del suo bambino prodigio poteva essere. E Lily non sapeva se esserne solo offesa o mortalmente offesa visto che la bambina in questione era lei, una matura diciassettenne.
-E’ tutta la settimana che lo ripeti, Alice! Cosa c’è di così spettacolare in un appuntamento?- chiese irritata la non-ancora-di-nuovo-rossa non distogliendo lo sguardo dal suo armadio, lo sapeva benissimo anche lei cosa ci fosse di così spettacolare.
Un appuntamento.
Un appuntamento con Potter.
Un appuntamento con Potter a Hogsmade.
Lily Evans aveva finalmente reso le armi e accettato di uscire con Potter, dopo anni di inviti bellamente ignorati o criticati, richieste imploranti del ragazzo e scatti d’ira di lei.
Lily Evans aveva reso le armi e aveva ceduto al fascino di James Potter.
La ragazza incrociò lo sguardo sarcastico di Julie nello specchio appeso all’anta del mobile e con uno scatto distolse il suo, tornando a osservare i vestiti che le si presentavano davanti e cercando di ignorare i commenti divertiti delle amiche al gran completo. Emm si era intrufolata nella torre Grifondoro di nuovo e impunita.
-Lily non fare l’acida! Stai per uscire con James Potter, lasciaci gongolare un po’!- gorgheggiò la Corvonero con la testa infilata nel baule di Julie da cui continuava a estrarre una scarpa dietro l’altra alla ricerca della calzatura perfetta. Quel giorno non era l’unica ad avere un appuntamento, pensò.
-Non sono l’unica ad avere un appuntamento, accidenti!- appunto.
-Si, ma io sto solo uscendo con un compagno di casa carino e divertente. Non con il ragazzo che mi implora di uscire da anni e che, un paio di volte, è stato anche schiantato per la sua insistenza.- rise di nuovo Emmaline.
-Devo ricordarti che aveva incantato dei putti di marmo perché mi lanciassero frecce rischiando di accecarmi?- suo malgrado Lily si ritrovò a sorridere a quel ricordo, nonostante sul momento avesse voluto davvero ucciderlo.
Era successo al quarto anno, dopo una stramba lezione della professoressa di Astrologia sulla mitologia babbana e sulle sue costellazioni. Lily riusciva ancora a ricordare le risatine divertite dei ragazzi, che a quattordici anni sono ancora più stupidi di quanto non fossero normalmente, quando la donna aveva citato Eros, tra una divinità e l’altra. Il nome era parso incredibilmente divertente e malizioso ai ragazzi, che infatti avevano iniziato a farsi di gomito l’un l’altro e iniziare a fare battutacce goliardiche. Quando poi era venuto fuori che fosse rappresentato come un bambino cicciottello, con ali sulle spalle e frecce in grado di far innamorare chi ne veniva colpito, la malefica mente di Potter era entrata in azione e nel giro di un paio d’ore la ragazza si era ritrovata inseguita ovunque, perfino in bagno, da quella statua-stalker che le tendeva agguati dietro ogni angolo scagliandole addosso frecce rocciose e potenzialmente mortali e non ci aveva più visto. Infatti non appena si era trovata faccia a faccia con il cretino che aveva avuto quella brillante idea e aveva chiesto spiegazioni vedendosi liquidata con un “Ti sei innamorata di me, Evans?!” aveva messo fine alla calma apparente che ancora fingeva di possedere e l’aveva schiantato, bollando la sua infelice uscita come l’ennesima prova che quel arrogante ragazzino credeva di avere tutto il mondo ai suoi piedi, lei compresa.
Nonostante avesse messo fuori gioco il creatore, il suo Cupido personale e quanto mai malvisto non si era dato per vinto e aveva continuato a tallonarla come un’ombra particolarmente resistente alle fonti di luce. Aveva poi capito il senso della frase che Potter le aveva rivolto un attimo prima di svenire solo quando era riuscita a schivare l’ennesima freccia con uno scatto ginnico che non credeva possibile, vista la sua refrattarietà agli sport, la quale si era andava a scontrare, letteralmente, su una povera Tassorosso del secondo anno. La ragazzina, alta quasi la metà di Evans, si era piegata sotto il peso del dardo rischiando di finire tra l’altro a tappeto se un ragazzo che le passava accanto in quel momento non avesse avuto i riflessi abbastanza veloci da prenderla al volo. La piccoletta, però, appena l’aria era tornata ad albergare nei suoi polmoni non aveva minimamente calcolato il suo salvatore e l’unica cosa che era uscita dalla sua bocca era stato “Amo James Potter” con un tono estatico che aveva quasi fatto vomitare Lily, e si era lanciata alla ricerca della sua nuova ragione di vita.
Chiunque può quindi immaginare che Lily Evans fosse partita con la stessa intenzione e, una volta scovato il maledetto già assediato dalla Tassorosso, non si era fatta scrupoli a maledirlo nuovamente sbraitando i peggiori insulti che una quattordicenne potesse conoscere, urlandogli contro il suo sdegno perché “solo un completo imbecille avrebbe immerso delle frecce di marmo in Amorentia” e andandosene mollandolo alle amorevoli cure dell’altra ragazza.
-E pensa a cosa direbbero tutti se sapessero che sei stata tu a chiedergli di uscire!- continuò a prenderla in giro Julie, seduta sul suo letto insieme a Virginia, che aveva Gardfield sulle gambe nonostante le proteste della proprietaria del letto.
-Diranno “Lily Evans ha reso le armi e ceduto al fascino di James Potter”, ecco cosa diranno.- borbottò Lily, ripensando a quello che poco prima lei stessa aveva pensato, sebbene con un animo diverso.
-E inizieranno a girare nuove scommesse su vuoi due, come a esempio il nome del vostro primo figlio, se avrete gemelli o meno. Oppure se…- iniziò a blaterare Alice, calandosi perfettamente nel suo ruolo preferito,  quello di gossip girl.
-Nella famiglia Potter non ci sono mai stati casi di parti gemellari, nella tua dolcezza?- chiese Emmaline, con finto piglio accademico.
-Oh, ma state un po’ zitte!- rise divertita la futura mamma.
-Ma ve li immaginate due piccoli Potter?- chiese estatica Alice, probabilmente già immaginando i lineamenti dei due fantomatici bambini in questione.
-La domanda giusta sarebbe stata ma vi immaginate Lily a occuparsi di tre bambini. Perché dobbiamo contare anche James, nel numero.- commentò ironica Julie, non a torto.
-Quattro, allora. Dobbiamo considerare anche Sirius.- disse distratta Lily, intenta a scegliere tra una lunga gonna colorata e un paio di pantaloni a zampa azzurri, un paio tra i suoi preferiti.
Un silenzio di tomba seguì quelle parole, facendola voltare sconvolta verso le sue amiche.
-Non intendevo dire quello che pensate!- quasi urlò isterica, come un cervo braccato.
-Oh tesoro, non preoccuparti. È normale pensare al futuro quando si sta insieme a qualcuno che ci piace davvero!- tentò di tranquillizzarla Alice, mentre la avvolgeva in un abbraccio veloce.
-Cosa?- alitò ancora più sconvolta la ragazza.
Un conto era farsi prendere in giro dalle ragazze e giocare con loro su un argomento che fino a pochi mesi prima era considerato tabù.
Un conto era uscire con Potter, quando aveva giurato che non l’avrebbe fatto mai.
Tutt’altra cosa era sentirsi tranquillizzare perché “oh, tesoro!, è normale pensare al futuro quando stai insieme a un ragazzo che ti piace!”
Era tutt’altra cosa. E rischiava un collasso.
-Lily scherzavamo. Lo sappiamo che state insieme da poco ed è presto per certe cose.- anche Virginia cercò di consolarla, tra una carezza e l’altra al gatto-anguria.
-No! Noi non…- Lily non riuscì nemmeno a finire la frase, le mancavano le parole.
-Perché voi state insieme, no?- chiese Julie, perfettamente consapevole di quale fosse il punto centrale di tutta la discussione e il vero motivo per cui la ragazza fosse così sotto shock, e godendo a buttare sale sulla ferita.
-Co-cosa? No!- esclamò Evans.
-E allora cosa siete?- chiese Emmaline con lo stesso tono con cui il piccolo principe si rivolse per la prima volta alla volpe, nella speranza di non spaventarla e farla scappare.
-Non tentare nemmeno di rifilarci la balla che siete sempre Potter ed Evans perché è ovvio che non sia così ormai da un po’.- infierì perfino Alice.
-Ma noi non..non stiamo insieme!- esclamò la ragazza cercando di venire a capo della situazione.
Perché adesso stavano analizzando la sua situazione con Potter? Era ovvio che non stessero insieme. Lo avrebbe saputo se James fosse stato il suo ragazzo, no? Dopotutto sarebbe stato il suoragazzo, e non quello di Emm o Alice, lei era la diretta interessata, sarebbe stata la prima a saperlo.
-E allora cosa siete?- chiese esitante Virginia, non capendo perché l’amica fosse così in tilt di fronte alla possibilità.
Lily non aveva mai detto loro niente del genere, ma le ragazze si erano sentite autorizzate a pensarlo quando li avevano visti baciarsi la settimana prima, dopo aver lasciato il bagno di Mirtilla Malcontenta. E ne avevano avuta la silente conferma quando aveva raccontato loro che sarebbe uscita con il ragazzo e che, tra i due, fosse stata proprio lei e chiederlo.
La forse fidanzata in questione, invece, non capiva più niente. E non era una situazione cui era abituata, lei era Lily Evans, per la miseria, non la prima ignorante incontrata per strada!
E allora cosa siete?
La domanda di Virginia continuava a vorticarle in mente.
Cosa erano? Fino a quel momento non si era mai posta il problema. Aveva semplicemente vissuto il momento, vivendo per la prima volta quel “carpe diem” di cui la letteratura babbana era piena e che fino ad allora non aveva mai compreso davvero.
Per la prima volta aveva messo a tacere il cervello. Va bene forse a tacere proprio no, era pur sempre di lei che si stava parlando, ma certamente aveva messo un blocco alle sue seghe mentali non indifferente. Aveva smesso di chiedersi perché stesse improvvisamente così bene tra le braccia del ragazzo. Perché sentirlo vantarsi non la irritasse più così tanto o perché il suo profumo fosse diventato sinonimo di casa.
Si era goduta i baci e gli abbracci, le loro conversazioni sempre uguali eppure così diverse. Si era goduta Potter eppure non si era mai posta, nemmeno per un momento, quella domanda.
E allora che cosa siete?
Per la prima volta si ritrovò davanti a quella domanda che aveva abilmente evitato fino al momento.
Stavano insieme?
No, non potevano stare insieme. Non ne avevano mai parlato e non erano mai nemmeno usciti prima di allora. Le loro passeggiate per Londra non contavano, perché erano state solo un’inevitabile conseguenza della loro coabitazione forzata, ma mai programmate. Quel sabato sarebbe stato il loro primo appuntamento.
Erano solo amici un po’ speciali? No, gli amici non si baciavano. E anche nel caso lo facessero, e Lily non voleva esattamente sviscerare l’argomento amici con benefici, il loro non era quel genere di rapporto. Lei non era fatta per una relazione del genere.
E allora che cosa siete?
A guardarli dall’esterno più che una coppia o amici un po’ speciali sembravano una vecchia coppia di coniugi che ha vissuto così tanti anni insieme da non sopportarsi più, eppure che ancora si vuole bene nonostante i litigi e i punzecchiamenti giornalieri. Ma loro avevano diciassette anni e non ottanta e, a essere onesta, Lily sperava di non ritrovarsi a ottant’anni a maledire o schiantare un marito troppo stupido per essere risparmiato da quella fine.
Altre volte sembravano amici, quando abbassavano entrambi la guardia e Lily ammetteva di trovare divertente il ragazzo che veniva fuori, una volta allontanata la boria che era solito tirar fuori davanti a un pubblico.
E allora che cosa siete?
-Sai Lily dovresti mettere questi. James ti salterebbe addosso in un momento.- il tono stranamente dolce di Julie la riportò al presente, nella sua stanza a Grifondoro circondata dalle amiche.
Vide le ragazze sorriderle incoraggianti, probabilmente impaurite dall’eventualità che si buttasse dalla finestra per la disperazione, mentre Julie cercava di distrarla cambiando discorso, mentre le indicava un paio di shorts che Lily non sapeva nemmeno come fossero finiti nel suo baule.
-Ma tu sei pazza! Morirei di freddo con quelli!- argomentò poco convinta, apprezzando il tentativo delle ragazze e cercando di riprendersi e fingendo di ignorare il commento di Julie e le sue implicazioni, ma non sembrava disposta a dirsi sconfitta.
-Oh, non preoccuparti di questo, avresti troppo da fare per sentire freddo. E comunque morirebbe prima qualcun altro!- profetizzò divertita la bionda avvicinandosi e lasciandole una caretta sul capelli ancora del suo stesso colore e iniziando poi a frugare nell’armadio dell’amica alla ricerca di una maglia da abbinare ai pantaloncini di jeans.
Lily guardò ancora più in difficoltà Alice, cercando silenziosamente il suo consiglio. Perché adesso tiravano fuori perfino l’argomento sesso? Loro si baciavano, si baciavano e basta!
Anche se in un paio di occasioni c’era stato decisamente qualcosa di più in quei baci. Come quel giorno a casa Potter, o la settimana prima fuori dai bagni. E poteva affermare con certezza, che almeno nell’ultima delle occasioni non fosse stata l’unica a sentire quel qualcosa senza nome.
Lily arrossì al solo pensiero di quello che aveva sentito in quell’abbraccio. Julie avrebbe detto, se lei fosse stata così stupida da confessarglielo, che avesse fatto una prima conoscenza con il piccolo Potter. Il suo amico laggiù, l’aveva chiamato divertito lui.
Arrossì al ricordo, facendo intenerire le amiche.
-Goditi la giornata, tesoro. Affronterete l’argomento quando arriverà il momento.- la rassicurò con un sorriso Alice.
Ma Lily che conosceva le ragazze come pochi altri al mondo sapeva leggere dietro quelle raccomandazioni.
“Non pensare troppo a quello che abbiamo detto, Lily. Ne parlerete quando ti sentirai pronta. Di entrambi gli argomenti.”
E allora che cosa siete?
Lily sentiva la spiacevole sensazione di essere rimasta indietro. Indietro non solo con le definizioni, ma perfino con la sua vita.
Emm le profetizzava un futuro cui non aveva ancora pensato.
Alice le mostrava la sua relazione sotto una nuova luce.
Virginia le poneva la prima domanda cui non sapeva rispondere.
Julie le ricordava che James era un uomo e le prospettava uno scenario in cui non sentiva il freddo, ma soltanto il ragazzo che aveva tra le braccia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 





Come quel giorno sul pavimento. E come quel giorno sul pavimento Lily si ritrovò a concedergli tutto, cercando qualcosa che sembrava avvicinarsi senza tuttavia mai arrivare. Si alzò sulle punte per avvicinarsi ancora di più a lui senza staccarsi dalle sue braccia e sentì qualcosa che prima non c’era mai stata. O che almeno lei non aveva mai notato.
-Sei un porco Potter.- gli disse incredula allontanandosi istantaneamente di un passo da lui senza però allentare la presa che ancora aveva sulla sua mano e lanciando un’occhiata altrettanto incredula al cavallo dei pantaloni del ragazzo, lievemente più gonfio del normale.
-Sei tu che mi mandi in bianco da anni.- ribatté lui con quel tono da arrogante pavone che nonostante tutto continuava a irritarla. Non si sarebbe stupida se un giorno o l’altro si fosse messo a fare la coda.
-Io ti…? Ma…ma sei fuori di testa! Io…- gli urlò contro e avrebbe continuato se lui non so fosse abbassato di nuovo sulle sue labbra divertito, fermandosi solo a pochi centimetri da esse–Se vuoi essere baciata non occorre che ti metti a urlare, basta chiedere.-  ridacchiò.
-Stupido arrogante idiota!- sbottò lei cercando di sciogliere il loro abbraccio dimenandosi e con i capelli biondi che volavano da tutte le parti.
Lui per tutta risposta si limitò a stringere di più il suo fianco per non farsela sfuggire e continuò a osservare con un sorriso gli inutili sforzi della ragazza per liberarsi. Certo che se lei avesse continuato a strusciarglisi così addosso quel piccolo particolare che prima l’aveva fatta allontanare non sarebbe rimasto “piccolo” per molto. Meglio staccarsi, anche se averla tra le braccia era così piacevole.
Le lasciò un lieve bacio sulle labbra –Sei bella anche bionda, Evans. Saresti bella in ogni modo ai miei occhi.-
Lei si rilassò improvvisamente con un sorriso lieve prima di scuotere la testa, per niente convinta mentre lui spostò appena il viso per lasciarle un altro bacio, stavolta sulla punta del naso. –Ma trova una soluzione perché il mio amico laggiù ti preferisce rossa.- le disse ridendo usando la sua presa sulla vita per avvicinarsela di nuovo ai fianchi e l’altra mano per pararsi dai colpi che lei tentava di dargli.

 
 
 
 
 
 



 
E allora che cosa siete?
 
 
 
 
 
 






 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Aggiorno dopo la bellezza di mesi. Di nuovo. E non posso che chiedere scusa, ovviamente a chi ancora è li, dall’altra parte dello schermo, ad aspettare di sapere come finisce l’epopea dei miei due mentecatti preferiti.
Posso solo scusarmi dicendovi, per l’ennesima volta, che il tirocinio in ospedale mi uccide e che, una volta tornata a casa riesco solo a dormire. Non è poi così un caso, infatti, che sia anche un po’ indietro con gli esami. Già mi viene da piangere a pensare alla sessione di aprile, che mi farà venire un esaurimento nervoso.
Spero però che con questo capitolo mi perdonerete. Non succedere molto, potete vederlo da sole, ma ci stiamo avvicinando al punto di svolta. Quella vera, però!
Non sto a farvi la lista delle citazioni più o meno volute, questa volta per la vostra gioia, anche perché sono piuttosto evidenti. Posso solo sperare che Freddy mi perdonerà per aver la blasfema citazione di una delle sue più famose canzoni, applicata a una personcina fuori di testa del calibro di James e la sua tendenza a fingere che tutto vada bene anche quando non è così.
Che altro posso dirvi? Trovo Sirius e James di una tenerezza incredibile, in questo capitolo, nonostante i diversi perché dei loro tormenti, e credo che abbiano detto tutto loro, senza bisogno di note aggiuntive. Come sempre le risposte alle recensioni arriveranno in giornata, le leggo sempre con gli occhi che brillano perché io sono peggio di un gambero, che cammina all’indietro, e voi invece aspettate ancora.
Ah volevo solo dirvi che l’espressione “essere in ritardo sulla propria vita”, purtroppo non è farina del mio sacco, ma di quel pezzo d’uomo che è Johnny Depp, in una vecchia intervista a Vanity Fair e che mi è sempre rimasta nel cuore. Ci tenevo a farvelo sapere.
Quindi, grazie a chi recensisce e anche solo a chi legge perché se ancora non ho abbandonato la storia, nonostante possa sembrarlo, è merito vostro.
Tantissimi baci e abbracci.
Rebecca.
 
Ah! E per quello che vale..godetevi il Carnevale! Non voletemene, ma abitando in Versilia il Carnevale è praticamente un’ossessione collettiva che quasi si respira e non potevo non augurarvi un buon divertimento!!
 





 
Al primo papiro ne aggiungo un pezzettino. Stavo rileggendo questo capitolo mentre finivi di scrivere l’alto, come al solito, e mi sono accorta che era pieno di errori di battitura e, perfino, uno sbaglio temporale di quasi un mese. Non siamo a novembre, ma nella seconda settimana di dicembre. Ho anche controllato gli appunti per esserne sicura e, per quanto a voi non cambi un accidenti, per me si. Date la colpa alla mia pignoleria e tutto il resto!
Conto entro la prossima settimana di aggiornare, finalmente! Non datevi per vinte, voi che ancora ci siete! C’è l’ho quasi fatta! J
 
 
Rebecca.




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Capitolo 31
*** Maschere in frantumi ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
Avevano infine deciso di incontrarsi ai cancelli di Hogwarts alle tre in punto. Anche se usare un verbo come decidere, e declinarlo alla prima persona plurale, avrebbe presupposto una partecipazione attiva di entrambe le parti e, soprattutto, un dialogo tra esse. Per questo sarebbe stato più giusto dire che Evans, quella mattina poco dopo le nove, lo aveva informato, come un post-it volante dai toni dittatoriali che le erano propri, circa il luogo e l’ora del loro incontro prima di risalire le scale del dormitorio femminile senza dargli la possibilità di risponderle.
Lui era rimasto imbambolato sulle poltrone vicine al camino dove stava chiacchierando con gli amici, continuando a guardarla anche una volta che lei era sparita dietro la curva delle scale, causando una risata condiscendente in Sirius, appena entrato in sala comune con ancora addosso i vestiti della sera prima, che poi era sparito a sua volta verso il dormitorio.
Non c’era , perciò, da sorprendersi se James, allo scoccare delle due e trentacinque, stesse già passeggiando nervoso come solo un leone per la prima volta in gabbia poteva eguagliare davanti a quei famosi cancelli vecchi di secoli.
Stava facendo avanti e indietro sugli stessi dieci metri di terreno, con velocità costante, le mani ben salde dietro la schiena e gli occhi costantemente puntati verso il sentiero che conduceva al castello, da nemmeno dieci minuti che però al suo animo inquieto parevano ore. Condizione, questa, che non gli era propria visto che vivesse in ritardo da anni su ogni tipo di appuntamento ufficiale o meno, ma non quella volta.
Mai si sarebbe perdonato se, a causa della sua ritardaggine congenita, avesse rischiato di compromettere la più grande chance che Lily Evans gli avesse mai offerta da sempre. E quindi marciava, sperando di vederla spuntare da un momento all’altro.
Con un’occhiata distratta all’orologio, l’ennesima in venti minuti, sospirò sollevato vedendo l’approssimarsi della fine della sua agonia.
Le tre meno dieci.
Ancora dieci minuti e Evans sarebbe arrivata.
Ancora dieci minuti e avrebbe potuto rilassarsi finalmente.
Finalmente quasi tranquillo si appoggiò contro il tronco di un albero, osservando distratto il lento fluire di studenti verso Hogsmade. Non era raro che qualcuno si fermasse per salutarlo, molti nella speranza che attaccar bottone con il famoso James Potter avrebbe significato l’entrata nell’esclusivo circolo dei Malandrini, ma i più realisti semplicemente per fare due chiacchiere. Eppure tutti venivano velocemente scaricati, sebbene con una parola gentile e un sorriso, senza che la loro curiosità circa la sua solitaria presenza ai cancelli della scuola venisse soddisfatta.
Il ragazzo, dopo aver salutato l’ennesimo gruppetto di ragazzi, stava osservando benevolo i maldestri tentativi di un paio di ragazzini del primo o secondo anno nell’evadere dalla sorveglianza di mastro Gazza, sebbene vista la distanza che li separava non riuscisse a cogliere le parole, quando una voce improvvisa gli fece sobbalzare il cuore in gola e vanificare ogni suo tentativo di rilassamento.
-Evans! Non ti avevo vista!- starnazzò James, incredulo di non averla vista arrivare. La sua chioma rossa era sempre ben visibile tra la folla e gli permetteva di individuarla in pochi secondi, anche se circondata da centinaia di studenti.
Solo dopo aver incontrato il suo sguardo si ricordò della mancanza di quella chioma. Nonostante fossero passati giorni, ormai, da che la tinta fattale da Emmaline fosse diventata resistente a incantesimi di rimozione di ogni genere, e Lily li aveva provati senza nessuna esclusione, lui ancora non ci si era abituato.
E quel maldestro tentativo di cambio di look, che aveva visto la ragazza entusiasta esattamente quanto lui, non solo non gli andava giù, ma gli aveva appena fatto perdere vent’anni di vita. Vederla da lontano gli avrebbe permesso di mettere su il suo sorriso migliore, di salutarla da lontano e andarle incontro, di dirle quanto fosse bella quel giorno. E invece non solo non aveva fatto niente del genere, ma pure aveva fatto la figura dell’idiota, spaventato come un cerco braccato.
Stupido James!
-Accidenti, sono in ritardo?- chiese la voce di Evans, trafelata e sconvolta esattamente come i suo capelli ancora biondi raccolti malamente in una treccia appoggiata sulla spalla destra.
-No!- rispose velocemente, forse troppo, e tossicchiando cercò di rimediare a quella goffa uscita –No, ero io a essere in anticipo.-
-Addirittura, James? Probabilmente è la prima volta da sempre!- scherzò lei, sebbene il sorriso poco convinto che le stazionava in viso facesse capire che lui non era il solo a essere nervoso. Tuttavia il ragazzo si costrinse a ridacchiare, cercando di mascherare quanto possibile l’agitazione come stava facendo anche lei, temendo che avrebbe soltanto peggiorato la situazione.
-Andiamo?- chiese Evans, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, e tormentandosi le mani senza nemmeno rendersene conto.
James si limitò ad assentire con la testa e con ancora la compagnia di quel senso di fastidio si avviarono alla volta del paese. Il ragazzo non poteva che sperare che il clima si scongelasse una volta seduti davanti a una burrobirra o un the caldo e tornasse sui toni che l’avevano caratterizzato nell’ultimo periodo, perché altrimenti le sue coronarie non avrebbero retto.
Perché Evans non si stava pentendo di avergli chiesto di uscire. Giusto?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 

***

 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
-Scordatelo! Non metterò piede li dentro!- il tono deciso di Lily fece capire al suo accompagnatore, senza scanso di equivoci, che optare per Madama Piediburro non fosse stata un’idea particolarmente brillante. Eppure gli era parsa la scelta migliore.
Avevano camminato per quasi due ore al freddo, e qualcosa di caldo sarebbe stato sicuramente bene accetto da entrambi. E se, in un primo momento aveva dato ascolto ai consigli fornitigli da Sirius e optare per I Tre Manici di Scopa, si era ricreduto nel momento in cui la ragazza al suo fianco aveva sbuffato per l’ennesima volta lanciando occhiate malefiche a un gruppo di ragazzine Tassorosso, forse del terzo o quarto anno, che spiavano ogni loro mossa e commentavano tra loro.
Potter aveva sperato che tutto quell’osservarli e commentare con voci nemmeno troppo basse, e perciò perfettamente udibile alle orecchie fini di una come Evans che aveva fatto della caccia notturna per disertori del coprifuoco un’arte, fosse passato inosservato a lei. Ovviamente, però, era un povero illuso che non sapeva più dove battere la testa, perché lei aveva visto e sentito tutto, con quell’istinto infallibile che la caratterizzava da sempre e che la rendeva un temibile prefetto, e il suo umore era andato peggiorando.
-Ma Evans lì…- provò a spiegarle, convinto che in una sala da the allestita a uso e consumo di coppiette più o meno diabetiche, il loro ingresso sarebbe passato inosservato.
Dopotutto se gli altri avventori erano occupati a mangiarsi la faccia tra loro e scambiarsi profferte amorose pronte a venire disattese nel giro di un paio di settimane, perché mai loro avrebbero dovuto destare così tanto interesse?
-Solo le più disgustose coppiette vanno li dentro.- Lily chiarì il suo punto di vista con tono lapidario e definitivo. E dalla smorfia di schifo ben evidente sulla sua faccia, anche ciò che pensava sul genere di coppiette che frequentavano il posto.
-Appunto! Hanno di meglio da fare!- esclamò James, con una nuova infelice uscita che gli fece accapponare la pelle nel momento in cui si rese conto di aver davvero detto una frase del genere.
-Intendi di meglio da fare per spettegolare su me e te insieme, vero?- chiese gelida la ragazza.
Evans si stava pentendo di essere uscita con lui, se prima era solo una possibilità e poi un timore, adesso ne era certo. Aveva notato le occhiate che ricevevano dietro ogni angolo o vetrina. Aveva sentito alcuni dei commenti che nessuno aveva nemmeno tentato di celare. E, adesso, aveva capito di non essere la sola a sentirsi a disagio. Come poteva andare peggio?, si chiese disperato il ragazzo.
-No! Voglio dire…andiamo Evans, è ovvio che siano curiosi di vederci insieme. Quanti anni sono che ti chiedo di uscire, finendo ogni volta rifiutato come l’ultimo degli sfigati?- le chiese James alla fine, con uno tono di voce strano dovuto all’esasperazione che sentiva.
-Solo perché tu sei abituato a stare sotto i riflettori non significa che anche gli altri si divertano nello stesso modo.- gli rispose lei ancora con lo stesso tono gelido, prima di voltargli le spalle e incamminarsi verso la fine di Hogsmade, completamente indifferente al fatto che lui la seguisse o meno.
James rimase per alcuni minuti immobile, guardandola allontanarsi sempre più, con l’animo diviso tra la rabbia per quello che la ragazza gli aveva appena riversato addosso, e il senso di impotenza dato dalla consapevolezza che tutto, tutto quanto, era andato allo sfacelo.
Il peggio che poco prima non era riuscito ad immaginare, si era puntualmente presentato per chiedergli il conto.
Era arrabbiato con Lily. Lo era in un modo che non credeva possibile. Non con lei, almeno.
Il ragazzo strinse i pugni con rabbia, talmente forte da conficcarsi le unghie nei palmi incidendoli con tante piccole mezze lune rossastre.
Con che diritto gli diceva quelle cose? Come se non lo conoscesse affatto, come se gli ultimi mesi non fossero stati che un gioco. Sperava che fosse arrivata a vedere più della facciata scintillante che mostrava a tutti, sperava che se anche non era arrivata a conoscerlo davvero, almeno fosse riuscita a intravedere oltre la facciata, a vedere James, non solo Potter. E invece si sbagliava, ma forse non solo su quello. Chi diavolo glielo faceva fare di continuare a rincorrerla, ancora e ancora, quando lei non voleva mai fare un passo nella sua direzione?
-Ehi Potter, ti sei fatto scaricare da una mezzosangue?- gli urlò divertito un ragazzo di cui conosceva soltanto la casa di appartenenza. Serpeverde.
-Adesso almeno sappiamo che c’è qualcosa di ancora più patetico di sbavarle dietro per anni.- continuò un altro, Flitt, il battitore della squadra di Quidditch.
Sirius lo chiamava amichevolmente Bubotubero Gigante, in onore della forma che aveva preso la sua testa dopo una partita particolarmente agguerrita conclusasi con una vittoria dei Grifoni, durante la quale il ragazzo era stato preda di una quanto mai insolita ribellione dei bolidi, che avevano eletto la sua testa come punto d’impatto d’eccellenza. La sera, ricoverato in infermeria sotto le sdegnate cure di Madama Chips, aveva talmente tanti bernoccoli, e dalle svariate nonché notevoli dimensioni, che sembrava proprio una di quelle piante bitorzolute.
Una volta, molti anni prima, in realtà solo fino all’anno scolastico precedente, James non si sarebbe fatto alcuno scrupolo a prendere la bacchetta e maledirli fino a ridurli in gelatina di mandragora. Quel giorno, invece, la bacchetta rimase tranquilla nella sua tasca, sebbene il pensiero fosse una prospettiva così allettante da fargli prudere le mani, ma sapeva che la magia non era la risposta giusta e non perché lanciargli una fattura non sarebbe stato deliziosamente sublime, ma perché non ne aveva il tempo. Ne prese comunque nota, trovando l’idea di infierire su Bubotubero e la sua squallida compagnia il modo ideale per tirare su di morale il suo migliore amico, almeno un po’. L’unico scherzo in grado di risollevare davvero il morale di Sirius sarebbe stato affatturare alle spalle Voldemort e fargli spuntare un ridicolo naso da clown, al posto di quello inesistente che vantava secondo le informazioni strettamente riservate che sua nonna  Dyside aveva condiviso con lui quell’estate, ma lo vedeva un po’ difficile da attuare.
-Di più patetico ci sono solo le tue abilità su una scopa, Flitt.- gli rispose acido James, prima di imboccare la stessa strada che aveva percorso Evans qualche minuti prima, cercandola con lo sguardo.
Potter cominciò a correre per stradine poco frequentate, inseguendo il cappotto azzurro che indossava la ragazza, rischiando anche di scivolare in una pozzanghera particolarmente profonda e rompersi l’osso del collo nel più squallido dei modi, non per questo, però, rallentò il passo, troppo interessato a raggiungere Lily per porsi simili piccoli problemi.
La raggiunse dopo un centinaio di metri, chiedendosi come diavolo una ragazza potesse camminare così in fretta da dovergli correre dietro, soprattutto ricordando come le rampe di scale per arrivare alla torre di Astronomia l’avessero ridotta a uno straccio.
Quella donna era una contraddizione vivente!
-Evans! Accidenti a te, aspetta!- le urlò arpionandole un braccio per arrestare la sua marcia.
Il ragazzo ottenne però solo di farla sbuffare irritata e prendere a camminare ancora più in fretta, incurante della stretta al polso così come del ragazzo che si trascinava appresso.
-Non fare la bambina isterica e fermati a parlare.- la rimbrottò ancora, tirandola e facendola inciampare, ma riuscendo a fermarla, nonostante l’occhiata omicida che si guadagnò.
-Forse è proprio quello che sono. Non dovresti perdere il tuo tempo con me.- gli sibilò lei senza cercare di liberarsi, ma riprendendo a camminare.
-E comunque muovermi mi aiuta a sbollire, quindi dovresti solo essere felice che me ne sia andata, invece di urlarti addosso.- continuò sullo stesso tono.
James la guardò furente, non sapeva perché ma quell’atteggiamento riusciva solo a sobillare la rabbia che l’aveva colto dopo il suo inopportuno sfogo davanti a Madama Piediburro e che l’incontro con Flitt aveva solo reso più molesta.
-Magari invece avrei preferito che lo facessi. Che per una dannata volta, invece di trincerarti dietro preconcetti e idee sbagliate, ti saresti degnata di darmi un’accidenti di spiegazione!- le rispose il ragazzo con voce contratta dalla rabbia.
Vide gli occhi di Evans sgranarsi, ormai anche lei saldamente piantata per terra come lo era lui, entrambi in posizione da battaglia.
-Che cosa vorresti dire, adesso? Mi stai dando della superficiale?- gli urlò addosso isterica Lily, con gli occhi brucianti. Se uno sguardo avesse potuto uccidere, lui sarebbe stato bello e che stecchito al suolo. Ma anche lei sarebbe stata ridotta parecchio male.
-E cosa c’è di male, non è quello che hai detto tu a me poco prima?-
-Questo perché lo sei, se il tuo primo problema in questi anni è stata la figura di sfigato che facevi quando ti rispondevo di no!-
-Ti ho mai dato questa idea? Quando? Quando ogni finesettimana ti chiedevo di uscire, di nuovo e di nuovo e di nuovo, fingendo di ignorare il modo in cui mi avevi scaricato la volta prima?-
-Ma chi te lo ha mai chiesto? Nessuno ti ha mai chiesto di renderti ridicolo davanti a tutta la scuola, certamente non io.- gli strillò lei in risposta.
-Ho sempre pensato che ne valesse la pena. Che tu, ne valessi la pena. E invece sei solo una ragazzina immatura che vede solo quello che vuole.- era inutile negare che tutte le delusioni accumulate negli anni stessero venendo fuori, proprio in quel momento, senza che lui volesse fermarle in alcun modo.
-Ho sempre e solo visto questo, di te, perché è quello che mi hai sempre mostrato. Il grande Potter. Quello fantastico su una scopa o a inventare incantesimi idioti per ridicolizzare i compagni. Quello che..-
-Eppure non mi sembrava che nell’ultimo periodo ti fossi lamentata. Anzi sembravi divertirti parecchio, in compagnia di uno come me.- le disse lui, gelido tanto nel tono quanto negli occhi.
Era la prima volta che le parlava così. Lo sapeva lui e, osservandola, lo sapeva anche lei. Ma non si sarebbe rimangiato una singola parola di quelle che aveva appena pronunciato.
-Questo cosa vorrebbe dire? Non ho mai pensato niente del genere, nell’ultimo periodo.- rispose in un soffio Evans, colpita dalle sue parole come poche altre volte.
-Eppure non ti sei fatta il minimo scrupolo a pensarlo adesso. A pensare che mi crogiolavo nell’evidenza di averti convinto a uscire con me e nell’interesse che questo provocava negli altri.-
-Mi ha infastidito l’indifferenza con cui hai sistemato la faccenda, la povera vittima incompresa dalla stronza di turno. Come se ti avessero costretto a farlo, a starmi dietro per anni, a incaponirti con me,  a prendertela con chiunque mi stesse vicino per più di un minuto. Ti comportavi con lo stesso comportamento superiore con cui te la prendevi con Severus!- gli rinfacciò.
-Ma non ti è mai passato per la mente, in tutti questi anni, che potessi essere geloso? Sempre? Ogni singola volta che ridevi con Piton? Quando studiavate insieme o che lo cercavi tra una lezione e l’altra? Non ti è mai passato per la testa che l’unica cosa che volevo fosse essere al suo posto? Al tuo fianco? Credi davvero che avrei perso tutto questo tempo con te, a pensare a te, a cercare di riabilitarmi ai tuoi occhi, per poi prenderti in giro appena ne ho l’occasione? Se avessi voluto solo una scopata, mi sarei trovato un’altra, e invece ci sei tu. Ci sei sempre stata tu.-
La vide sbattere le ciglia e corrugare la fronte, abbassando poi lo sguardo a terra e spostando il peso da un piede all’altro senza rispondergli. Evans sospirò un paio di volte, guardandosi intorno a disagio, prima di voltarsi di nuovo verso di lui e decidersi a parlare.
-Io non sono come te, James. Non sono abituata a fingere che quello che mi succede intorno non mi tocchi. Mi hai visto, vado fuori di testa come una pazza.- confesso alla fine, una mano a giocare con i capelli e l’altra a stringere il cappotto.
-Nessuno te l’ha mai chiesto, Evans.- rispose lui adesso più tranquillo, sebbene il ghiaccio nella voce non si fosse ancora sciolto del tutto.
-E’ vero, non l’hai mai fatto. E te ne sono grata, davvero. Ma poi ti guardo e ti vedo tranquillo. Puoi essere a pezzi o arrabbiato con il mondo, ma non lo fai vedere. Io ti guardo, e continui a essere il ragazzo sorridente di sempre, quello che tutti vogliono affianco. Ma io non lo voglio, quel ragazzo. Non ti voglio, quando fingi che niente possa colpirti, che vada tutto bene.-  gli disse con voce affannata, mangiandosi le parole a tratti, dalla foga con cui parlava.
-Ma di che stai parlando?- le chiese confuso James, avvicinandosi di un passo, abbastanza vicino da poter sentire il suo profumo, eppure comunque abbastanza lontano da doverne fare almeno altri tre prima di poterla abbracciare.
-Tu ridi sempre, James. Anche quando non devi. Forse anche quando non vuoi.- si zittì Lily, mordendosi le labbra con sguardo preoccupato, indecisa se continuare o meno –E questo lo so, lo vedo da anni, anche se prima non l’avevo mai capito. Non avevo mai capito che io  non lo voglio, quel ragazzo. Non ho mai voluto Potter. Ho sempre voluto James, fin dal primo anno. Come amico, come ragazzo, come compagno. Ma tu devi darmi modo di conoscerlo. Voglio conoscerti quando qualcosa non va, quando ci sono problemi, quando divento isterica o faccio la stronza, non solo quando siamo soli e nessuno può mettersi in mezzo. Perché in quel caso, tu continuerai a farlo ,ogni volta, e questo non posso accettarlo.-
-Continuerò a fare cosa?-
-A mettere la maschera, una delle tante. Ma te l’ho detto, io non voglio una maschera. Quel giorno alla torre, dopo il nostro primo bacio, ti ho chiesto una possibilità per conoscerti. Ero seria, James. Volevo davvero vedere oltre la scintillante facciata che mostri al mondo. E a volte ho visto oltre quel velo. Ti ho visto figlio, amico, nipote. E ho visto un ragazzo fantastico, talmente fantastico che lo voglio accanto ogni giorno.-
-Evans..-
-E prima, per la prima volta, sei stato quel ragazzo fantastico anche con me, fino in fondo. Perché non c’erano filtri. Perché, per una volta, c’eri tu al primo posto, al primo posto in qualcosa che conta. Mi urlavi addosso perché eri arrabbiato, perché forse mi stavo comportando da stronza. Per una volta, finalmente, io facevo la stronza e tu non ridevi.-
-Quindi vuoi che mi comporti come un cafone?- chiese con un tono strano, confuso esattamente come lo era lui in quel momento.
Non credeva che Lily pensasse quelle cose. Non credeva nemmeno che fosse arrivato a capirle, perché nessuno l’aveva mai fatto. Nessuno al di fuori del protetto nucleo che era la sua famiglia e i ragazzi. Dissimulare per lui era un’arte, il modo migliore per proteggere se stesso e le persone che gli erano care. Era in quel modo, con sorrisi scintillanti e una vita di disinteresse verso le regole, che proteggeva da anni Remus e il suo segreto, che lui e Sirius nascondevano il fatto di essere Animaghi.
Nessuno avrebbe mai sospettato niente per il semplice fatto che pensavano non ci fosse niente, oltre la bella facciata che usava ogni giorno. Solo Piton aveva capito che nascondevano qualcosa, ma l’aveva fatto solo perché voleva screditarli a ogni modo agli occhi di tutti, di Evans per prima. Era riuscito a guardare oltre l’apparenza, ma per i motivi sbagliati, e così ne era rimasto accecato, costruendo lui stesso una nuova maschera intorno alla verità perché aveva visto solo quello che voleva vedere.
Ma Lily era diversa e gli stava dicendo la cosa più paurosa e contemporaneamente bella che potesse immaginare. Quando aveva detto che non lo voleva si era sentito morire, credendo che quell’orribile appuntamento avesse distrutto tutto quanto, ma invece l’aveva stupito come faceva ogni volta che abbassava appena la guardia in sua presenza. Non si sarebbe stupito se quanto, se, le avesse detto di Remus lei avesse replicato che non era poi un gran problema, a patto di stargli lontana in certi momenti.
Fu la voce di lei a riportarlo al presente. Cosa le aveva chiesto? Era talmente concentrato nei suoi pensieri che nemmeno lo ricordava.
-No, voglio che tu sia te stesso. Che tu la smetta di continuare a sorridere anche quando vuoi strozzarmi o schiantarmi perché sono insopportabile. Perché lo so, di esserlo. Julie non fa che ripetermelo da anni. Ma James io, con te, ci voglio litigare.-
-Non abbiamo fatto altro in questi anni.- il ragazzo continuava a contestarla per il solo gusto di farlo, di costringerla a continuare a parlare. Per una volta senza orgogli e pregiudizi da ambo le parti. E dal modo in cui la vide sorridere, un sorriso appena accennato e ancora venato di imbarazzo, seppe di aver fatto la cosa giusta.
Perché per anni l’aveva sognata sorridergli, baciarlo. Ma, col senno di poi, capì che avrebbe dovuto sognarla con quell’espressione. Determinazione e dolcezza insieme, come se in un modo che nemmeno lei si sapeva spiegare stesse difendendo se stessa, loro due insieme, quando invece nella vita non aveva mai fatto altro che condannare anche la sola idea.
-Ma lo abbiamo fatto nel modo sbagliato. Urlarti addosso dopo una delle tue idiozie non è il litigare che intendo io. Voglio vederti arrabbiato, James, come lo eri prima. Fregatene di quello che penso, che possa decidere di evitarti domani, che voglia strozzarti o che quello che dici possa non piacermi, fregatene abbastanza da dirmi quello che pensi tu. Che pensi davvero.-
-Oltre ai ragazzi nessuno aveva mai avuto niente da ridire sul mio sorriso. Lo trovano tutti decisamente affascinante.- si pavoneggiò con il sorriso scintillante che lei aveva appena detto di odiare, facendo contemporaneamente un passo avanti, desideroso di toccarla.
-Oltre ai ragazzi, non hai mai lasciato avvicinare nessun altro abbastanza perché potesse farlo. E Sirius non sembra il tipo da sciogliersi per un tuo sorriso.- replicò lei divertita, capendo di avercela fatta. Di aver superato un muro, l’ennesimo dei tanti che aveva già sfondato.
Vedendola adesso tranquilla, senza più la rabbia per le sue battute idiote o per la curiosità che suscitavano, decise di chiederle quello che gli interessava davvero. Doveva sapere, non poteva rimandare solo per paura di perderla. Non più.
-E tu lo vuoi? Che ti lasci avvicinare? Perché potrei non piacerti. Potresti renderti conto che stai sprecando il tuo tempo e…-
-E tu? Non hai mai pensato lo stesso di me?- gli chiese tranquilla, con quella passiva e dolce tranquillità con cui si parla solo di qualcosa cui si è pensato a lungo e in ogni sua sfaccettatura. La sicurezza di chi vuole quello che si sta chiedendo.
James rimase in silenzio, come a pensare davvero alle parole che le aveva appena sentito pronunciare. Perché non aveva mai immaginato che sarebbero arrivati a quel punto, non per davvero. Che lei avesse quel tipo di certezza per lui, per loro.
-Potremmo rovinare tutto, adesso che finalmente mi stai dando una possibilità..
-E allora tu danne una a me. Anzi, danne una a noi. Perché continuando a tenerti tutto dentro, a fingere di non vedere quanto io sia nevrotica o fuori di testa, quanto ti irriti o ti faccia male, alla fine sarai tu, quello a non farcela più. E se proprio deve finire, almeno sarà dopo che ci abbiamo provato, provato sul serio, rovinando tutto quanto perché abbiamo fatto di tutto per sistemare le cose e non perché non ci fidiamo abbastanza dell’altro da dover nascondere i problemi perfino ai nostri occhi.-
Fu Lily a compiere gli ultimi due passi che li separavano, allungando poi le dita per intrecciarle alle sue.
Era tranquilla adesso e anche la rabbia che era divampata in lui era svanita come un sogno, lasciando dietro di sé solo il fumoso ricordo delle memorie oniriche.
-Fa paura.- ammise James, abbandonando la testa sulla spalla di lei, senza però fare niente per abbracciarla. Sentirla vicina, la sua mano nella propria e l’ossatura delicata della clavicola sotto la fronte, gli bastava per trovare il coraggio di dirlo. A se stesso quanto a lei.
-Lo fa davvero. E sarà dura. Litigheremo in continuazione, vorrò strozzarti e tu vorrai solo soffocarmi con un cuscino o spaccarmi la testa con un libro. Cercherò di farti cambiare idea ogni volta che non sarò d’accordo e ti costringerò a studiare come un matto a giugno. E Remus sarà dalla mia parte. Continuerò a toglierti punti per i tuoi scherzi idioti e non riuscirai a corrompermi in nessun modo, avverti Sirius al riguardo..- cominciò a elencare lei di fretta, per la prima volta dandogli libero accesso ai suoi pensieri senza censurarli prima di esporli.
James, ancora immobile contro di lei, sorrise ascoltandola, intimamente felice del sottinteso che le sue parole comportavano.
-Stai facendo piani per il futuro.- la interruppe dolce alla fine, stringendole poi un fianco con la mano libera.
Il silenzio che accompagnò lo incuriosì abbastanza da fargli alzare la testa per guardarla negli occhi, ma fu la rigidità del corpo di lei, quando fino a pochi secondi prima era morbido e rilassato, a spiazzarlo.
Quando incontrò finalmente gli stupendi occhi verdi di lei, James corrugò la fronte, vedendo lo sguardo esitante che gli stava rivolgendo.
-Ed è un problema?- gli chiese alla fine, con una voce strana, indecisa, titubante, che non le apparteneva.
-No, se questo significa che c’è un futuro da programmare.- le rispose cauto, stupito da una risposta che, credeva, dovesse risultare scontata.
La osservò allontanarsi di un passo, con la mano ancora stretta nella sua, prima di incamminarsi di nuovo vero il villaggio. James la seguì condiscendente, decidendo di non pressarla sebbene fosse evidente che qualcosa, qualcosa che aveva detto, l’avesse turbata.
Erano di nuovo nei pressi della via principale di Hogsmade, quando con la coda dell’occhio la vide portarsi una mano alla bocca per tirare con i denti le piccole pellicine intorno alle unghie. James non poteva evitare di guardarla di nascosto, incurante di non prestare attenzione a dove metteva i piedi, tanto era il desiderio di baciarla, in quel momento. Cosa avesse lei in quel momento, in quell’immagine, di così attraente da fargli nascere quell’impellente desiderio non riusciva a capirlo, ma sapeva solo che doveva farlo. Eppure non riusciva a convincersi a piegare la testa verso di lei, era come se una consapevolezza nuova e a lui sconosciuta gli fosse apparsa improvvisamente, a ricordargli che c’era qualcosa che la angustiava e che andava risolto, prima di poterla baciare davvero.
Aspettò ancora alcuni secondi prima di mandare al diavolo ogni cautela e decidersi a parlare.
-Cosa c’è che non va, Evans?- chiese.
-Cosa? Oh, niente! Assolutamente niente!- rispose lei con un improvviso enorme sorriso sul viso.
James la guardò ancora, dentro l’istinto di anni, che gli intimava di lasciar perdere e accettare tutto quello che lei aveva da dargli senza troppe domande, che si scontrava con quella strana consapevolezza, che invece premeva verso la risoluzione opposta.
Capire, capirla, erano diventati una necessità in quel momento più che mai prima.
-Lily, io, con te, ci voglio litigare.- le disse allora, tirandola abbastanza da costringerla a fermarsi per guardarlo negli occhi.
Vide quelli di lei allargarsi dallo stupore e dal piacere, sentendosi chiamare per nome Perché non mi chiami Lily?” lo interruppe, dando voce a un pensiero che le girava in testa. “Beh…perché adesso so di poterlo fare. E voglio godermelo, visto quando ho faticato per poterlo fare”, sentendogli dire le stesse parole che aveva detto lei poco prima, Ma James io, con te, ci voglio litigare”.
La vide sospirare sconfitta, abbassare le spalle e lanciargli un’occhiata imbarazzata, ma alla fine decidere comunque a parlare.
-Non volevo chiedertelo per non sembrarti una maniaca ossessiva del controllo, ma sei stato tu il primo a parlarne, quindi…Potter, ma noi cosa siamo?- chiese tutto in un fiato, il viso rosso che, stranamente, non faceva più a pugni con i capelli, ma la faceva solo sembrare più bella. Teneramente bella.
James rimase in silenzio per alcuni secondi, pensando attentamente a quello che gli aveva chiesto.
-Credevo che avrei dovuto pregarti in ginocchio per farti anche solo accarezzare l’idea, Lily.- rispose alla fine con quell’espressione seria e sicura che assumeva a volte e che lo faceva sembrare così più grande e affascinante. Un’eco dell’uomo che sarebbe diventato.
-Allora?- chiese di nuovo, stavolta con il tono inflessibile che le era tipico. Forse si aspettava che la prendesse in giro, per quello che aveva detto.
Nella sua mente, Lily Evans, era la sua ragazza da tutta una vita.
Lo era diventata al primo anno grazie al suo bizzarro modo di vestire, così oggettivamente estraneo al mondo in cui vivevano.
Lo era diventata al secondo quando aveva iniziato a rispondergli a tono, incurante di rischiare di inimicarsi l’unico figlio dei Potter.
E al quarto, quando le sue gambe avevano iniziato a risultargli così interessanti da guardare.
E poi ogni giorno da allora, prima a livello solo inconscio, preda di un fastidio verso tutti quelli che le stavano intorno che non sapeva spiegarsi, e poi anche a livello razionale, quando aveva capito che lei era speciale, unica ai suoi occhi.
Nella sua mente, Lily Evans, era la sua ragazza da tutta una vita. Con il tempo era diventata anche ogni altra cosa e perseguiva l’obbiettivo con la stessa sicura cocciutaggine con cui scendeva in campo a ogni partita per prendere il boccino.
Sarebbe stata sua, un giorno. Ne era stato sicuro da sempre, Sirius e gli altri ragazzi a testimoni della sua convinzione, ma non credeva che quel giorno sarebbe mai arrivato. Non così in fretta.
Sorrise incredulo, baciandola ovunque sul viso, il naso, gli occhi, le guance, le labbra, prima di prenderla in braccio e farle fare un giro su loro stessi, facendola strillare divertita, mentre gli artigliava le spalle.
-Voglio anche io quello che vuoi tu. L’ho voluto prima di te e ho continuato a volerlo per più tempo. Ti voglio, Evans. Come amica, come ragazza, come compagna.- le disse tutto d’un fiato, appena l’ebbe permesso di poggiare i piedi al suolo.
-Anche se non so gestire lo stress, se odio i pettegolezzi o se sono diventata quasi isterica, stamattina, quando sono state le ragazze a chiedermi cosa fossimo?- chiese ancora lei.
-Lily, guardami. Ti voglio stressata per la scuola e in paranoia per quello che dicono i pettegoli di noi. Ti voglio infuriata perché io e Sirius abbiamo sigillato l’aula insegnanti o quando non rispettiamo i coprifuoco. E ti vorrò quando non ti sveglierai in tempo per prepararmi la colazione o sarai spaventosa per il ciclo o con voglie orribili e un pancione enorme.-
Lily rimase immobile a guardarlo, con gli occhi via via più lucidi al progredire del suo discorso. Non aveva mai pensato che, un giorno, qualcuno le avrebbe detto parole così belle. Proprio a lei, così piena di mille difetti e manie. E invece aveva James davanti, le sue mani calde ferme sulle sue guance, con il viso appena arrossato per la confessione che gli era appena uscita dalle labbra, pronto a giurarle di volerla in ogni circostanza.
Lily rimase immobile a guardarlo, a guardare quel ragazzo fantastico che le aveva appena aperto il cuore per poterglielo regalare con una semplicità, una tranquillità e un sicurezza che solo un sentimento sincero potevano dare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
Un paio d’ore dopo, camminando tranquilli mano nella mano nel sentiero che collegava Hogsmade alla scuola, Lily realizzò improvvisamente il significato nascosto dietro le ultime parole che gli aveva detto il ragazzo.
 
 
 

[…] E ti vorrò quando non ti sveglierai in tempo per prepararmi la colazione
o sarai spaventosa per il ciclo o con voglie orribili e un pancione enorme.

 
 
 
 
Un pancione enorme.
James la immaginava incinta, preda delle peggiori voglie da gravidanza che si potessero immaginare, ma, soprattutto, con un pancione.
Le prese in giro delle ragazze, quella mattina, le tornarono in mente, atterrendola esattamente come avevano fatto con quella storia dello stare insieme.
-Potter, ma sei sicuro che non ci siano episodi di parti gemellari in famiglia?- chiese terrorizzata anche dalla sola possibilità.
Per tutta risposta James se la strinse contro, abbracciandola alla vita e poggiandole, era sicura che l’avesse fatto apposta, il maledetto, una mano sul ventre, carezzandola appena, esattamente come qualunque  futuro padre avrebbe fatto con la madre di suo figlio e ridendo divertito anche quando lei gli pestò per dispetto un piede.
-Idiota! Ero seria!- sbottò caustica Lily, allontanando anche la mano prima che qualche altro mentecatto ricominciasse a far circolare per la scuola l’idea che fosse davvero incinta.
Lui rise di nuovo, attirando occhiate da tutti gli studenti che percorrevano come loro il tragitto per tornare a Hogwarts, senza degnarla di una risposta.
-Idiota.- borbottò di nuovo la ragazza, stringendogli però un braccio al fianco e continuando a camminare tranquilla verso la scuola.
Un paio di ore prima, tutte quelle occhiate, sommate alle illazioni delle amiche l’avevano fatta andare fuori di testa, adesso invece si crogiolava nel calore del corpo di James vicino, nel sentire la sua stretta tranquilla sul fianco, sopportando perfino le sue stupidaggini con un sorriso.
-La mia ragazza.- gli sentì mormorare piano tra i suoi capelli, prima di lasciarle un bacio leggero sulla testa. Se non fosse stata così attenta a lui, non l’avrebbe sentito, tanto basso era stato il suo tono.
Si sarebbe persa il piacere evidente con cui lui accarezzava quelle parole sulla lingua.
In qualche modo, anche quel giorno, James Potter aveva fatto la sua magia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 





 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Ce l’ho fatta. Finalmente ce l’ho fatta. Dopo mesi e mesi sono riuscita a completare il nuovo capitolo. Credo tutto dipenda dal fatto di aver finalmente finito il tirocinio in ospedale, che in questi mesi ha assorbito la mia vita quanto il tempo per scrivere, come il peggiore dei buchi neri, ma anche la febbre da contest che mi ha preso in questo periodo.
Non voletemi troppo male, giuro che ogni volta mi ci metto di impegno. È che ventiquattro ore non bastano per fare tutto!
Innanzi tutto le scuse, che sono dovute a chi continua a seguirmi (siete dei santi) quanto ai nuovi arrivati, sempre ben accetti.
Personalmente ho adorato questo capitolo, come ultimamente li adoro tutto, ma è tutta colpa di James che è troppo puccioso per non farsi amare in qualunque circostanza. Continuerà ad essere adorabile anche quando metterò la parola fine a questa storia, ne sono sicura.
Passando al capitolo ho solo due parole da dire. E in pratica coincidono con il titolo. Le maschere stanno cadendo e, avendole chiamate in causa così spesso nel corso dei capitoli, potete immaginare quanto importanti esse siano. James con il suo sorriso, sempre e comunque, e Lily con i suoi preconcetti. Sono entrambi strumenti di difesa, che nel corso di questo capitolo mi hanno fatto pensare più volte a Elizabeth e Mr Darcy, tanto che alla fine ho dovuto farlo. Ho dovuto inserire un piccolo piccolissimo richiamo alla loro storia e al loro amore.
Per il resto se ci sono citazioni, sono sempre abbastanza evidenti, quindi non sto nemmeno a ricercarle per segnalarle.
Grazie a chi continua a seguirmi nonostante tutto.
Grazie a chi continua a recensire, mi fate sempre un immenso piacere, e prometto che entro domani vedrò di rispondere.
Se poi qualcuno avesse un po’ di tempo per mandarmi due paroline, sappiate che vi mando tutto il mio amore.
 
 



 
Non posso non inserire i link delle ultime storie che ho scritto e che hanno partecipato a contest rendendomi felicissima, un’originale e un’altra di Harry Potter, sempre nel periodo dei Malandrini.
 
Ha partecipato al contest “Time to say I do. Accio wedding ring” di Piratessa, sezione Harry Potter, classificandosi quarta:   Such a beautiful lie to believe in .
 
Ha partecipato al contest “Lasciati ispirare..da ciò che scegli”, di Changing, sezione originali, arrivando seconda: Isn't she lovely.
 
Se vi va fateci un salto, magari lasciatemi un commentino!
Un bacio grande grande.
Rebecca.
 
 

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Capitolo 32
*** Fratelli ***


 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
A Sirius Black piaceva correre. Era un fatto noto a tutta la scuola, che spesso l’aveva osservato trascinarsi alle ore più inconsuete e con i climi più disparati nel parco solamente per poter correre per un’ora o due. Molte ragazze avevano pianto lacrime amare, dopo aver scoperto che il loro beniamino dagli occhi cerulei non avrebbe mai dato loro l’opportunità di ammirarlo svolazzare su una scopa durante una partita di Quidditch, ma si erano consolate in fretta, intorno al quinto anno, di fronte alla reale possibilità di poterlo osservare con ogni agio quasi tutte le mattine per quel così inusuale passatempo.
A Sirius Black piaceva correre. Così come adorava mangiare carne al sangue e spaventare a morte Mrs Purr, la malefica gatta del custode.
James, che aveva studiato attentamente quei comportamenti da che erano comparsi al quinto anno, riconduceva il loro contemporaneo manifestarsi alla trasformazione in Animagus che avevano completato proprio in quel periodo. Con lo stesso tono di un eminente scienziato, infatti, era arrivato a formulare la teoria che l’alter ego canino del suo migliore amico avesse finito col contagiare il suo comportamento umano.
Remus, più prosaicamente e con decisamente meno tempo a disposizione da sprecare in siffatti passatempi, riconduceva il tutto a una semplice constatazione. L’anima bestiale di cui il ragazzo era sempre stato in possesso, lottava per venire fuori nei modi che le erano più congeniali. Comportandosi da animale anche quando era umano, insomma.
Quale delle due teorie, entrambe ovviamente degne di nota, fosse quella esatta, il giovane Black non lo sapeva, ma in tutta verità nemmeno se ne curava troppo. Sapeva solo che quelli erano aspetti del suo modo di essere e che, per tanto, bisognava conviverci. O meglio, gli altri dovevano farlo. Lui era perfettamente a posto con se stesso, da non doversi considerare un problema.
Non aveva mai messo in conto, però, che queste particolarità si sarebbero potute ampliare nei momenti meno opportuni. Come quello che stava vivendo in quel momento, ad esempio, e che gli faceva sentire forte e impellente l’impulso di ringhiare.
Ringhiare, come faceva sotto le spoglie di Felpato, infatti, gli sembrava la soluzione migliore, nonché la più efficace, per esprimere al meglio la propria frustrazione.
James ne sarebbe stato deliziato, quando gli avesse raccontato che la famosa, sopracitata, lista era in procinto di ampliarsi così piacevolmente.
Ma l’assoluta, durissima, verità era quella e quella soltanto.
In quel momento, avrebbe voluto solamente ringhiare. Per amor di precisione, in faccia al suo adorabile fratellino.
Magari sarebbe riuscito a smuovere quell’irritante smorfia infastidita che campeggiava sul quel volto così simile al proprio e che era stata messa su nel preciso momento in cui era riuscito a mettere all’angolo Regulus e costringerlo così al confronto.
Dopotutto il più giovane non era l’unico, a sapersi muovere su quella scacchiera. Lui, Sirius, era bravo quanto il fratello a nascondersi tra le ombre come se il suo corpo fosse composto dalle stesse, se se ne presentava la necessità.
Orion Black, il suo onoratissimo padre, aveva insegnato al primogenito tutti i trucchi di cui ogni Black, ogni Purosangue, prima o poi, avrebbe avuto bisogno, e solo in seguito aveva condiviso quelle conoscenze anche con il figlio minore. In fin dei conti era dovuto correre ai ripari, quando l’evidente inadeguatezza di Sirius era venuta fuori e Regulus era diventato l’unico e adeguato erede.
I ragazzi, in tempi diversi e con spiriti opposti, avevano così appreso la sottile arte di nascondersi tra le ombre, fino a rendersi quasi invisibili, a muoversi con agio in ogni situazione della società bene magica, a svelare inganni e intesserne di ancora più complicati. Ma, soprattutto, avevano imparato che l’intimidazione e la volontà nel non voler creare scandali, erano due forze che, da sole, avrebbero potuto muovere il mondo.
Eppure se suo padre avesse saputo che Sirius stava usando quegli insegnamenti per avere ragione dell’ormai unico erede Black rimasto, da che l’altro era stato perfino incenerito sull’albero genealogico di famiglia, non sarebbe certamente stato orgoglioso di scoprire quanto bene, il figlio, avesse primeggiato nel suo addestramento.
Ma Regulus, una volta resosi conto delle intenzioni del fratello maggiore, l’aveva reso necessario.
Jamie non sarebbe stato d’accordo, ma per battere una serpe, c’era bisogno di esserlo a propria volta. E così il ragazzo aveva ricercato reminescenze passate e si era adeguato alla situazione creatasi, o non sarebbe riuscito a parlare con l’altro nemmeno dopo anni di pedinamenti o con un’ingiunzione scritta del Wizengamot. E già con quei subdoli espedienti, aveva impiegato giorni, per trovarlo da solo.
Si era fatto furbo, il fratellino, pensò sarcastico Sirius, stringendo la presa sulla divisa dell’altro. Non che temesse davvero in una fuga improvvisa, Regulus era il tipo che evitava i confronti indesiderati qualora si profilassero all’orizzonte, ma non era certo un codardo.
Conosceva l’onore, Regulus. Non c’era un singolo evento, del loro comune passato, che gli avesse mai fatto pensare il contrario. In quello erano simili. Erano simili nell’essere diversi dai propri genitori. Onore, per loro, significava qualcosa di diverso dal non urlare al mondo quanto puro fosse il loro sangue.
-Volevi parlarmi, fratellone? Bastava chiedere, siamo tra gentiluomini, dopotutto. Quest’imboscata non era affatto necessaria.- gli disse ironico il ragazzo, senza accennare a muoversi per liberarsi dalla stretta ferrea del maggiore.
Fratellone. Lo chiamava sempre così, quando voleva prenderlo in giro fino a farlo esplodere.
Di nuovo, Sirius, sentì prepotente la voglia di ringhiargli addosso.
Prima o poi l’avrebbe beccato, camminare da solo per un corridoio, e allora si sarebbe trasformato e tolto la soddisfazione.
-Strano, visto che sono giorni che eviti perfino la mia ombra.- si limitò a rispondere con tono pregno di sarcasmo amaro.
Regulus, di rimando, gli fece un vago sorriso, che fu tutta la replica che reputò di dovergli concedere.
Piccolo bastardo, pensò Sirius con gli occhi che mandavano lampi.
Il sorrisetto del più piccolo aumentò appena, sapendo perfettamente quanto l’altro ragazzo si stesse sforzando, per controllare l’irritazione che lo incendiava.
-Sono semplicemente impegnato. Non tutti ritengono di poter spendere il loro tempo in inutili vagabondaggi per la scuola, progettando scherzi discutibili e in compagnie ancora peggiori.- rispose alla fine il più giovane dei Black –Quanto tempo avete sprecato, esattamente, per incantare tutti i calderoni affinché esplodessero, fratellone?- chiese poi.
Sirius, che insieme a James aveva assistito soddisfatto alla riuscita del loro piano, con gli occhi sempre più lucidi dopo ogni esplosione ai danni dei verde-argento, era particolarmente orgoglioso della vittoria conseguita appena un paio di giorni prima, dello stesso sviscerale orgoglio che una madre sente per il proprio figlioletto adorato, e si sentì particolarmente piccato da quell’osservazione.
Eppure, ancora grazie agli insegnamenti del padre, sapeva riconoscere una digressione quando gli veniva ricolta e, invece di lasciarsi distrarre dallo sdegno che gli era nato dentro, decise di attaccare a sua volta.
-Occupato, dici. È strano, sai, perché hai comunque trovato il tempo per una fitta corrispondenza, culminata in un incontro, con qualcuno esterno alla scuola ed estremamente sospetto. Non credi di poter trovare almeno un po’ di tempo per me? Sono tuo fratello, dopotutto.- gli disse con tono svagato, come se davvero credesse a quello che gli stava dicendo.
Avrebbe soltanto voluto scuoterlo e tirargli fuori la verità, fino all’ultima goccia.
Chiedergli dell’incontro con Piton, di cosa esattamente avesse da spartire con uno come lui. Di cosa volessero dire le frasi sibilline che le ragazze avevano riferito. E, soprattutto, avrebbe voluto sapere dei suoi progetti futuri, se davvero avesse intenzione di farsi marchiare come una bestia da un pazzo assassino per un distorto ideale.
-Non so di cosa tu stia parlando, Sirius. Ma se è del tempo insieme, che vuoi, d’accordo.- gli rispose il più giovane stavolta però circospetto, soppesando quanto il fratello potesse sapere e quanto invece fosse solo un bluff.
-Cosa voleva Piton, da te, l’altro giorno? Da quando lasci che certa…- iniziò a chiedere Sirius, fermamente convinto che con Regulus, calcolatore e guardingo, la sincerità fosse l’unica via percorribile.
-E tu da quando ti impicci degli affari dei Seperverde? Devo forse pensare a un tardivo ripensamento circa la vita che ti sei scelto?- stavolta tutta la cautela aveva lasciato il posto a una gelida serietà che spaventava, in un ragazzo così giovane.
L’indignazione per l’insinuazione appena ascoltata fece fare una smorfia disgustata a Sirius. Anche solo immaginarsi con colori diversi da quelli che indossava abitualmente, gli faceva sentire la sgradevole sensazione di soffocamento che l’aveva accompagnato per buona parte della vita e che aveva iniziato ad affievolirsi soltanto dopo la prima scazzottata con James, quando l’amico gli aveva mostrato una strada diversa da quella che aveva sempre creduto l’unica percorribile. Eppure qualcos’altro gli si agitava dentro e tutto aveva a che fare con la prima parte della frase di Regulus.
-Sai che non è vero. Mi sono impicciato spesso, degli affari dei Serpeverde, quando questi ti riguardavano.- gli disse con tono impassibile, intimamente ferito dal significato intrinseco che quell’accusa aveva portato con sé.
L’altro ragazzo si limitò a guardarlo indecifrabile, senza però accennare a replicare, perché entrambi sapevano che era vero.
Prima che tutto si rovinasse, prima di scappare di casa e essere diseredato, prima di trasferirsi dai Potter e rompere ogni ponte con la famiglia, Regulus era stato una sua preoccupazione sincera e aveva fatto in modo che nessuno, in quel girone infernale che immaginava essere Serpeverde, osasse infastidire il fratello. Soprattutto se a causa sua.
I rapporti con i genitori erano sempre stati tesi, Sirius era troppo diverso e insofferente verso l’ambiente in cui era cresciuto e i modi a cui era stato educato, perché potesse essere altrimenti. E lo smistamento a Grifondoro aveva solamente inasprito i rapporti. Sua madre era diventata una gelida presenza da evitare quanto possibile e suo padre un uomo rancoroso che, però, ancora pensava di poter correggere e sistemare ciò che di sbagliato c’era nel primogenito.
Perfino con Reg tutto era diventato più difficile, la lontananza e le influenze opposte cui erano in contatto ogni giorno, avevano reso difficile per l’uno comprendere l’altro.
E, infine, tutto era arrivato al punto morto in cui si trovavano anche in quel momento.
Sirius fermamente convinto delle proprie posizioni, pronto a schierarsi con Silente e il Ministero nella guerra che si svolgeva fuori Hogwarts, e Regulus avviato nella direzione opposta, forse non al punto tale da scendere in campo, ma certamente con ideali comuni alla fazione nemica.
-Perché questa improvvisa necessità di affrontarmi, Sirius?- chiese alla fine il ragazzo, di nuovo con quella maschera indifferente in viso.
-Dimmi che non stai dalla loro parte, Reg. Dimmelo!- urlò l’ultima parole, incapace di evitarselo, impegnando ogni parola di un disprezzo di lunga data.
-Quale parte, Sirius? Quella di chi crede nella purezza del sangue? Di chi vorrebbe tutti i mezzosangue che ogni giorno camminano per questa scuola, ben lontani da queste mura? Trovi davvero queste idee così sbagliate? Dopotutto sono quelle con cui ci hanno cresciuto.- 
-Non credere a tutte queste stronzate, Regulus! Toujours Pur, è questo, l’ideale a cui vuoi votare la tua vita?- ringhiò rabbioso il ragazzo, ricordando le lunghe discussioni sulla purezza del sangue dei Black e la necessità di mantenerla adesso e nei secoli a venire che avevano scandito la sua infanzia.
-Non sono idee sbagliate. Ci sono i presupposti per creare un ordine nuovo, Sirius. Un ordine in cui ai Purosangue vengano riconsegnati l’importanza e il rispetto che meritano. Guarda questa scuola. Tutti quei mezzosangue che camminano tronfi per i corridoi, ridicolizzando i valori che hanno governato la nostra società per secoli, convinti di avere ogni diritto di farlo. Il governo è debole, nei loro confronti. Ed eccessivamente accondiscendente. Continuando nella direzione intrapresa, ben presto, saranno loro a dirigere la nostra intera società.- parlò sempre con maggiore enfasi Regulus, abbandonando finalmente ogni filtro tra loro.
Quella che Sirius vedeva era la sua anima, come non accadeva da anni, eppure non poteva evitarsi di desiderarli indietro, quei filtri. Perché quello che si trovava davanti, non gli piaceva. Perché il fratello che aveva davanti, sembrava un folle. Con la solita lucidità che gli era tipica, ma non per questo meno alienato dalla realtà di quanto fosse Bellatrix, con i suoi comportamenti ossessivi e cattivi. Anzi forse peggiore, perché le sue scelte sarebbero state ponderate e volute. Niente, in Regulus, era mai lasciato al caso.
-Parli di un mondo che non può esistere. Un’utopia in cui i Purosangue regnano incontrastati. Una follia di cui non esistono i presupposti perché questa condizione possa esistere. Non ci sono abbastanza Purosangue, al mondo, per poter mandare avanti il mondo che stai disegnando.-
-Le più grandi imprese sono state etichettate come follie, nel corso dei secoli, perché i loro contemporanei non riuscivano a vedere la misura del piano che ci stava dietro. E questa non fa differenza.-
-Quelle persone, queste grandi menti visionarie per cui nutri tanta ammirazione, uccidono delle persone. Uccidono ogni giorno, in nome di ideali malati e a seguito di un pazzo.-
-A volte sono necessari sacrifici, perché un nuovo regime si formi. Cosa sono poche vite, quando permetteranno la nascita di un mondo più forte e solido? Non ci saranno più contaminazioni, Sirius, né compromessi.-
-Parli come un folle! Come puoi anche solo pensare di uccidere delle persone, Regulus? Pensare di uccidere uno qualunque dei ragazzi che frequentano ogni giorno questi corridoi. Perché non c’è niente di diverso, tra i mezzosangue che ogni notte vengono uccisi là fuori e i nostri compagni. Niente, niente!-
Sirius vide Regulus impallidire, forse intravedendo per la prima volta un punto di vista alternativo al proprio, e non poté evitare di sperare. Forse c’era ancora speranza.
-Bellatrix dice che...- iniziò titubante il ragazzo, prima di venire interrotto.
-Bellatrix? Bellatrix? È stata quella pazza a metterti in testa queste idee? A proporti di giurare fedeltà a Voldemort? Cosa ti ha promesso, Regulus, eh? Gloria? Riconoscimenti? Onore?-
Regulus non rispose, riacquistando l’espressione di indifferente noia che mostrava ogni giorno al mondo.
- Condividere gli ideali con il Signore Oscuro non significa avere un marchio su un braccio.-
-Dimmi, allora, che non stai per pronunciare giuramento. Guardami negli occhi e dimmi che non lo farai.-
- Non ho intenzione di unirmi ai Mangiamorte, fratello.- rispose con voce piatta.
Con un ultimo sguardo Regulus si liberò dalla sua stretta e gli voltò le spalle, diretto verso chissà dove, con la stessa tranquillità che lo avrebbe animato dopo una giornata di studio in biblioteca.
Sirius avrebbe voluto poter fare altrettanto.
Voltare le spalle al proprio fratello sereno per tornare alla propria vita, eppure rimase gelato sul posto.
Fratello.
L’aveva chiamato fratello.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che Regulus l’aveva chiamato a quel modo? Talmente tanto da non saperlo nemmeno con certezza.
 
 
Fratello.
 
 
Ma di una cosa era sicuro.
Regulus lo chiamava fratello solamente quando mentiva.
 
 
- Non ho intenzione di unirmi ai Mangiamorte,  fratello.
 
 
Con un nodo in gola e dolorose lacrime che premevano per scendere, Sirius si appoggiò con le spalle al muro, sconfitto, e non poté fare altro che tirare fuori dalla tasca del proprio mantello lo specchio magico che portava sempre con sé.
Non sarebbe mai più riuscito a guardare quell’oggetto con lo stesso spirito di un tempo, perché quella volta non si apprestava a chiamare James per fargli la cronaca di una sua punizione o dargli il segnale per l’avvio di uno scherzo.
Quella volta chiamava James per dirgli che Regulus aveva scelto la sua strada. Una strada che li avrebbe visti come nemici, nella vita come sul campo di battaglia.
Quel giorno chiama un fratello, il fratello che si era aveva scelto, per dirgli che un altro fratello, tale per diritto di sangue, era ormai perso.
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Regulus continuò a camminare per i corridoi apparentemente tranquillo come ogni giorno, come se niente si agitasse nel suo animo. Eppure, dentro, tutto in lui ribolliva. Ciò che mostrava era solo la quieta superficie di un lago d’inverno, ghiacciato e intoccabile, sotto al quale, però, tutta una vita continua a scorrere indisturbata. E così i suoi tumultuosi pensieri.
Non poteva evitare di ripensare costantemente allo scenario che Sirius aveva descritto.
Uccidere.
Uccidere, forse, anche i ragazzi che gli passavano accanto in quello stesso momento, soltanto per il loro stato di sangue.
Fino a quel momento non aveva mai individuato nessuna pecca, nei piani che stava facendo. Credeva, negli ideali del Signore Oscuro. Erano gli stessi con cui era stato cresciuto, come aveva detto poco prima. E, a livello teorico, uccidere chi non rispondesse a quei requisiti non gli era mai sembrato un problema.
Erano solo esseri inferiori, usurpatori di una magia che non era in loro diritto possedere e conoscere.
Persone senza volto che inquinavano il mondo e, per questo, accettabili come tributi a una causa superiore.
Cosa erano, poche vite, in visione di un piano più grande? Cosa erano, se il loro sacrificio avrebbe portato al raggiungimento di un bene superiore, una società migliore e senza debolezza alcuna?
Ma, adesso, si guardava intorno e vedeva, dietro ogni angolo, un volto conosciuto che avrebbe potuto essere sacrificato. Aveva passato gli ultimi anni della sua vita, quasi metà di essa, circondato da quelli che, nei suoi piani, altri non erano che tasse dovute al credo a cui avrebbe giurato fedeltà.
Era pronto, a quell’eventualità?
Era pronto a levare la bacchetta contro giovani maghi che aveva visto ogni giorno, negli ultimi sei anni?
Era pronto a convivere con la consapevolezza di aver tolto loro la vita?
Bellatrix gli avrebbe risposto che non erano che un piccolo prezzo da pagare, felice di compiacere l’uomo che ossessionava i suoi pensieri.
Sirius avrebbe detto che nessuna vita, era sacrificabile.
E lui? Lui, cosa avrebbe detto?
Aveva passato la vita a essere un bravo figlio. Di cui essere fieri. Che potesse lavar via l’onta del tradimento perpetrato dal primogenito.
Condivideva quegli ideali, non era una menzogna. Non avrebbe mai accettato l’idea che i mezzosangue appartenessero al suo mondo esattamente come vi apparteneva lui, Regulus Black.
Eppure uccidere, improvvisamente, gli pareva qualcosa di troppo estremo anche solo per essere contemplato.
Il dolore e la paura che aveva letto negli occhi del fratello continuava a tornargli in mente, insieme alle sue parole, quasi fino a farlo soffocare.
Sirius era lo stesso fratello che aveva amato ed emulato fin da bambino.
Che si cacciava nei guai per aver disobbedito alla loro madre. Che faceva domande inopportune al padre, ogni volta che si ritrovava coinvolto nelle discussioni dei grandi. Che gli aveva insegnato a volare e che si era sempre preso la colpa per i suoi pasticci, come ogni bravo fratello maggiore avrebbe fatto.
Quello che, qualunque cosa fosse successa, non gli negava mai un sorriso impertinente, a ricordargli che potevano piegarlo, ma mai spezzarlo.
E, alla fine, era stato lui a spezzare loro.
Aveva distrutto l’amore di sua madre. L’orgoglio verso il primogenito di suo padre. E il legame speciale che, credeva, esistesse tra loro.
E lui, Regulus, si era ritrovato, improvvisamente, solo in un mondo in cui erano sempre stati in due. E non aveva potuto fare altro se non cercare di ricucire gli strappi fatti dal fratello, coprire gli spazi che aveva lasciato. Nell’unico modo che aveva trovato a quattordici anni.
Era stato il figlio modello per sua madre. Sempre paziente e obbediente.
Era stato il figlio modello per suo padre. Bravo a scuola e interessato alle attività di famiglia che avrebbe ereditato.
Un figlio di cui andare fieri.
Era diventato il figlio che Sirius Black non era mai riuscito ad essere.
E lo sarebbe stato anche quella volta.
Il figlio di cui essere fieri.
 
 
Con un marchio sul braccio e l’onore a lavare via il tradimento.
 
 
 
Perché stava a lui rimettere insieme i pezzi di quello che Sirius si era lasciato alle spalle.
Il figlio di cui potessero essere fieri i suoi genitori.
 
 
Toujours pur.
 
 
Perché sarebbe sempre stato a lui, rimettere insieme quei pezzi.
Della loro famiglia, dopotutto, non era rimasto altro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Lo studio del professor Silente era diverso eppure identico a ogni volta che vi era entrato.
Decine e decine di delicati alambicchi magici dal dubbio scopo occupavano ogni superficie piana della stanza, alcuni borbottando e altri rilasciando delicate spirali di fumo che si libravano verso il soffitto, prima di svanire nel nulla.
James li osservava affascinato ogni volta, come era successo la prima volta che vi aveva messo piede insieme a sua nonna, amica da quasi cinquant’anni del preside, a soli otto anni. Allora era solo un bambino con le stelle negli occhi che, del mondo magico, aveva visto ben poco, oltre quello che poteva osservare ogni giorno dalle grandi vetrate di villa Potter.
I suoi genitori, Auror e maghi rispettati da tutta la comunità magica, lo adoravano come si può adorare soltanto un figlio a lungo cercato e arrivato quando, ormai, le speranze iniziavano a sfiorire, così come la loro giovinezza. Ma per quanto il loro amore fosse forte e sincero, riuscivano a ritagliare poco tempo per lui da quella vita perfettamente organizzata che si era andata a perfezionare con gli anni.
Era stato così viziato all’inverosimile, sempre circondato dall’affetto sviscerale che i genitori provavano e dai regali costosi con cui lo sommergevano, ma che raramente avevano condiviso con lui. Né Dorea né Charlus possedevano il carattere, o l’educazione, per dimenticare le convenzioni e rotolarsi sul tappeto del salotto con il figlio, rincorrerlo in giardino o farlo saltare in aria.
Non erano cattivi genitori, erano anzi i più attenti e orgogliosi che James potesse immaginare, ma non poteva negare che, la sua infanzia e la sua vita in generale, prima di Hogwarts, era stata silenziosa e solitaria. Succedeva, immaginava, quando i genitori passavano buona parte della giornata a lavoro. Succedeva, immaginava, quando i genitori erano troppo anziani ed educati secondo rigide convenzioni purosangue.
Così erano loro mancate le occasioni per mostrare il mondo al figlio, mancanza, quella, che nonna Disyde aveva cercato di sopperire a suo modo. Così come aveva riempito i silenzi che circondavano il nipote con risate e idee folli, contribuendo in larga parte alla nascita dei Malandirini in un età in cui, ancora, nessuno avrebbe potuto immaginare che genere di adolescente James sarebbe diventato.
E lo aveva fatto al meglio. Coinvolgendolo in avventure tra le mura di casa ed escursioni e follie che i suoi genitori non avrebbero mai nemmeno contemplato. Nel farlo, poi, aveva spesso coinvolto le sue molte conoscenze, rendendo quei pomeriggi insieme soltanto più magici.
Così lo aveva portato a Diagon Alley, presentandogli Olivander e convincendo il vecchio amico a fare uno strappo alla regola per far prendere le misure al nipote di sette anni affinché potesse provare qualche bacchetta illegalmente.
Lo aveva portato sul lago di Lochness, con la scusa di un the con una vecchia amica che non vedeva da tempo, perché James, a cinque anni, voleva fare amicizia con Nessie grazie a un pacco gigante di biscotti alla vaniglia che aveva gettato nel lago uno per uno nella speranza di prendere il mostro per la gola e convincerlo a seguirlo a casa con lui. Già si immaginava, a nasconderlo sotto il letto o dentro un armadio, per eludere la sorveglianza dei genitori e poter chiamare amico un draghetto con le pinne.
L’aveva portato a Stonedge durante l’equinozio di primavera, quando gli spiriti degli antichi druidi tornavano a rivivere tra quelle pietre per un giorno, e sull’isola di Pasqua, per raccontargli la storia di quegli enormi volti di pietra.
E poi, ovviamente, lo aveva portato a Hogwarts, rigorosamente via camino per non rovinare la prima, spettacolare vista dal lago della scuola che avrebbe avuto a undici anni, presentandogli Silente. James, di quella visita, ricordava i dolci deliziosi che il vecchio mago, identico a come lo vedeva ogni giorno, gli aveva offerto con un sorriso e i mille alambicchi di cui non conosceva la funzione e lo stupore, misto a invidia, che questi avevano provocato. Avrebbe potuto giocarci per ore, ricordava di aver pensato.
Da allora, a ogni punizione o visita di piacere che fosse, James si era fermato ad ammirarli e farsi spiegare il funzionamento di quelli che di volta in volta più colpivano la sua attenzione, deliziando il preside per tanta curiosa intelligenza, ma non quella volta.
Aveva altre cose, per la mente quel giorno, quanto si chiuse la porta alle spalle per dirigersi alla scrivania di Silente, tanto che non degnò loro nemmeno un’occhiata.
Il suo migliore amico.
Sirius lo aveva chiamato tramite i loro specchi magici un quarto d’ora prima, raccontandogli spiccio dell’incontro con il fratello e chiedendogli di raggiungerlo nell’ufficio del preside, una volta rientrato da Hogsmade.
“Senza fretta, amico.” aveva tenuto a sottolineare il giovane Black, con sguardo vuoto.
Perfino in quel momento, e sebbene James non sapesse esattamente cosa i due fratelli si fossero detti conosceva abbastanza il suo amico da sapere che era successo qualcosa di orribile, Sirius si era ricordato che quello doveva essere il suo grande giorno, il suo primo appuntamento con Evans, e non aveva voluto mettergli fretta.
Non che fosse servito, era stato pronto a scusarsi con la ragazza e dirigersi a Hogwarts il più in fretta possibile per poter essere al fianco dell’amico in un momento difficile, come lui c’era sempre stato.
Lily però, che stava pochi metri indietro, una volta conclusa quella breve conversazione gli si era rivolta col dente avvelenato intimandogli di darsi una mossa e raggiungere l’altro ragazzo, “ruba una scopa, se necessario!”, e smettere di perdere tempo. Quasi gli aveva staccato la testa quando lui l’aveva afferrata per un polso ed era entrato a Mielandia spintonando gli altri studenti sulla porta, mentre quelli all’interno avevano lasciato loro spazio di loro iniziativa. Vedere Evans così arrabbiata, dopotutto, doveva far paura a molti.
La ragazza si era calmata solo una volta raggiunto il passaggio segreto che collegava il negozio alla scuola e se James era pronto a sentire l’ennesima strigliata circa le ovvie illegali uscite che quel passaggio aveva permesso, si era sbagliato di nuovo. Lily non aveva commentato, ma lo aveva spinto dentro al passaggio che aveva poi illuminato con un potente Lumus, mettendosi in marcia senza nemmeno aspettarlo. Aveva perfino ignorato le ragnatele che pendevano ai lati del passaggio e i loro probabili abitanti, quando invece mesi prima si era fatta venire una crisi isterica perché se le era ritrovate in testa.
E poi l’aveva stupito di nuovo, come aveva fatto per tutto il giorno, quando si erano ritrovati davanti al grifone che controllava l’ingresso all’ufficio del preside. Lo aveva infatti salutato con una carezza gentile sulla guancia e un sorriso triste in volto, comprendendo che qualunque cosa fosse successa, non era stata una piacevole scampagnata sul sentiero dei ricordi, per i due fratelli Black.
-Puoi aspettarci qua, se vuoi.- le aveva detto esitante con ancora il suo palmo caldo sul viso.
Lily si era limitata a scrollare le spalle e mormorare la parola d’ordine per aprire l’ingresso -Sirius ha bisogno del suo migliore amico, non di qualcuno che gli ricordi come è iniziata tutta questa storia. Il problema, ora, non è il marchio nero su uno studente, James, e lo sai.- gli aveva detto in un sussurro, prima di lasciarlo salire la scala a chiocciola per poi sparire nell’ufficio.
Era vero, il problema non era più il marchio nero. Almeno non per loro, non per lui. Non per Sirius.
Il problema era Regulus.
Regulus e il marchio che aveva scelto di avere.
“Merlino!” si ritrovò a imprecare Potter, non per la prima volta da che quella storia era iniziata. Ma quella volta aveva un eco diverso, più doloroso. Ancora più inconcepibile.
Trovare il destinatario di quella lettera, lo aveva sempre saputo, non faceva parte degli stupidi giochi che era solito organizzare insieme ai suoi amici. Non era l’ennesimo espediente per organizzare una retata o scatenare una divertente faida all’interno della scuola.
Giocavano su una scacchiera che James vedeva per la prima volta in prima persona, le cui regole non gli erano chiare. Forse, addirittura, non le conosceva affatto.
Cosa avrebbe detto a Sirius? Come avrebbe lenito il suo dolore?
Nessuno scherzo o battutaccia sarebbe servita, quella volta.
C’era la vita di suo fratello, su quella scacchiera.
Ennesimo pedone nero di un esercito che non aveva remore né freni. Un pedone sacrificabile, come lo erano tutti, se la loro caduta significava proteggere il loro sadico re.
Una volta sedutosi al fianco dell’altro ragazzo, aveva ascoltato il racconto di Black con un orecchio solo, troppo impegnato a studiare ogni singola ombra che compariva sul suo viso per prestargli l’attenzione dovuta. L’attenzione che avrebbe usato se quel pedone fosse stato un altro, chiunque altro, ma non Regulus Black.
Sirius era perfettamente calmo e il suo tono era gelido, quasi i fatti narrati non lo toccassero minimamente, e se anche Silente si era aspettato da quella nota testa calda che gli stava davanti un’esplosione rancorosa o minacce terribili, non lo diede a vedere. Più probabilmente, come James, conosceva abbastanza il ragazzo da sapere che era troppo sconvolto, dolore e rabbia mescolate così intimamente da non poter capire dove iniziasse l’uno e finisse l’altra, da anche solo permettersi un’imprecazione.
Farlo avrebbe significato la disfatta. Una disfatta terribile.
Lasciarsi andare avrebbe significato accettare il dolore che gli mozzava il respiro. Distruggere tutto, ammettere con se stesso la placida tranquillità negli occhi di Regulus. Urlare, allontanarsi da quel limbo tranquillo che in quel momento aveva anestetizzato ogni altra cosa.
Tutto quanto, urla, distruzione, imprecazioni, sarebbero arrivate dopo. Nella protetta intimità della propria camerata, dove avrebbe potuto devastare la stanza quanto se stesso fino a non avere più voce.
Fino a immaginare quel braccio, il braccio sinistro di suo fratello, devastato da una maledizione nera quanto il peccato.
 
 
 
 
 
 
Lasciarono l’ufficio del preside senza aver ottenuto né promesse né concessioni. Con tono insolitamente serio e inflessibile, infatti, Silente aveva intimato loro di lasciare la faccenda nelle mani degli insegnanti, nelle sue mani, affinché potesse trovare la soluzione migliore.
James aveva provato a ribattere, rabbioso, che era della vita di Regulus, il fratellino del suo migliore amico, con cui stavano giocando, ma Albus lo aveva zittito con un sorriso stanco.
-Sono le scelte che facciamo, James, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità. Per questo, molto spesso, bisogna lasciare che gli altri agiscano.- aveva detto.
-Non farà niente, quindi? Lascierà semplicemente che un ragazzo si…- riprese James rancoroso.
-Bisogna sempre dare una seconda possibilità alle persone, James, anche quando queste commettono atti orribili. Ciò nonostante, il giovane Regulus, ancora non ha commesso niente per cui possa essere condannato. In molti, di questi tempi, condividono gli ideali di Voldemort, ma nonostante questo non si schierano apertamente al suo fianco. Devi capire che uccidere non è nemmeno lontanamente facile come credono gli innocenti, e per molti è proprio questo a fare la differenza. Non angustiarti, quindi. Sono sicuro che la vita di quel ragazzo è ben lungi dall’essere al capolinea, si arriva sempre a un incrocio quando meno ce lo aspettiamo.-
Era stata con quella frase sibillina che li aveva congedati e ai due ragazzi non era rimasto che uscire alla volta della torre di Grifondoro. Se avessero avuto fortuna, avrebbero incontrato pochi ragazzi dentro al dormitorio, la maggior parte ancora dispersi tra le attrattive di Hogsmade per essere già rientrati al castello, e a tenere il fronte solo gli studenti più piccoli, cui l’accesso al villaggio era ancora interdetto.
Entrarono dal buco dietro la Signora Grassa, con un mormorio sommesso di James, dacché Sirius ancora non aveva spiccicato parola, e si erano trovati inspiegabilmente davanti alla Sala Comune completamente vuota.
-Dannazione!- sentirono sussurrare dalla curva delle scale che portava al dormitorio delle ragazze.
Se fosse stato presente anche solo uno, dei loro compagni, probabilmente quel sussurro sarebbe passato loro inosservato, tanto piano era stato emesso.
James si ritrovò faccia a faccia con il viso rammaricato di Lily Evans, la sua ragazza si ritrovò a considerare con un pizzico del suo solito spirito, prima che lei scendesse a capofitto le scale assicurando loro che la torre sarebbe stata a loro completa disposizione fino a dopo cena e che non era stato nei suoi piani, farsi trovare lì.
-Ho fatto uscire tutti, intimandogli di non farsi vedere prima di quell’ora, ho controllato tutte le stanze per assicurarmene. E ho pregato un paio di elfi di venire a dare una sistemata, nel caso, ecco…qualcosa finisse fuori posto, diciamo.- aveva poi mormorato quando era arrivata in fondo alle scale, con la chiara intenzione di sparire quanto prima.
Non li aveva guardati negli occhi nemmeno per un secondo durante tutto il suo discorso, ma prima di uscire a sua volta aveva lasciato sul viso di Sirius una carezza leggera, gemella di quella che aveva dato a James prima di salutarlo davanti all’ufficio di Silente, e poi si era affrettata a dileguarsi con un vago sorriso di circostanza.
Sirius non aveva detto una parola, riguardo quell’inusuale abuso del potere di Caposcuola da parte della ragazza, soprattutto considerato in favore di chi, era stato fatto, ma unito alla tenerezza che gli aveva riservato gli aveva lasciato negli occhi un velo di lacrime che lottavano per uscire da quando aveva parlato con Regulus.
In quel momento, però, non c’erano motivi per combatterle. Aveva fatto la cosa giusta, riferendo tutto al preside, ed erano soli, in Sala Comune. Evans, con insolito tatto e tolleranza, oltre che una buona dose di empatia nei suoi confronti, che già aveva scoperto legarli, quando si trattava di famiglia, aveva disposto al meglio le cose allontanando tutti. Non avrebbe detto una parola nemmeno se avesse deciso di spaccare tutto quanto, e aveva fatto in modo, grazie alla complicità degli elfi, che nessuno ne sapesse mai niente.
“E’ una bella persona, James.” avrebbe dovuto, voluto, dire al suo migliore amico, a scusarsi per tutte le sarcastiche battute che gli aveva rivolto negli anni, circa la sua stupida passione verso quella ragazzina troppo rigida e intransigente, per i loro standard.
-Dovremmo avvisare Remus e Peter.- disse invece, cercando di spingere il nodo che sentiva in gola talmente a fondo nei suoi visceri da poter essere dimenticato.
-Sono sicuro che Lily ci ha già pensato.- rispose l’altro con il suo stesso tono, accordandogli ancora, silenziosamente, tutte le deroghe di cui aveva bisogno.
“È una bella persona, James.” Avrebbe voluto dirgli di nuovo, ma tacque.
Quella di James fu l’ultima frase sensata che uscì loro di bocca quella sera.
Solo urla e rabbia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Un altro paio di mesi sono passati prima che io mi decidessi ad aggiornare, ma finalmente eccomi qua e spero di farmi perdorare con questo. Capitolo più lungo del solito e bello corposo.
Premetto dicendo che questo capitolo è stato un parto, non perché non volesse saperne di farsi scrivere, ma perché l’avevo in testa da così tanto tempo, fin dai primi capitoli di "A modern myth", che non riuscivo a renderlo come avrei voluto. E forse non ci sono riuscita nemmeno adesso, ma il risultato mi piace. E anche il mio cervello, che per mesi ha perfezionato dialoghi e scene in sua autonomia, alla fine ha dato l’okay. E quindi eccovi IL capitolo. È proprio il caso di mettere la maiuscola, per quanto mi riguarda.
Amo questo capitolo come pochi altri e spero per voi sarà lo stesso.
Vi lascio solo un paio di note, questa volta, e solo perché è giusto farlo, altrimenti avrei evitato.
Le frasi in grassetto pronunciate da Silente, non sono farina del mio sacco e, anche se immagino che non ci sia nemmeno bisogno di dirlo, rendo sempre il merito a chi di dovere quando scopiazzo a piene mali!
Grazie mammaRow!
Sono le scelte che facciamo, James, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità” è presa da Harry Potter e la Camera dei Segreti.
“Devi capire che uccidere non è nemmeno lontanamente facile come credono gli innocenti” invece è presa da Harry Potter e il Principe Mezzosangue, anche se ho aggiunto un ‘devi capire che’, che non c’entrava niente.
Fa un po’ strano che abbia detto le stesse frasi sia al padre che al figlio? Si, probabilmente è quantomeno inverosimile, ma mi parevano perfette e non ho resistito.
Fatemi sapere cosa ne pensate, entro sera prometto di rispondere alle recensioni dello scorso capitolo!
 
 
 
Vi allego un paio di link, sono storie che ho scritto per un paio di contest. Se avete voglia di darci un’occhiata.
 
 Il mio bellissimo imprevisto  che si è classificata seconda al contest “Dalla vecchia alla nuovissima generazione, per tutti i gusti”indetto da Alistel. È una Harry/Pansy ed è il mio primo esperimento sul genere.
 
 Such a beautiful lie to believe in che si è classificata quarta al contest "Time to say "I do". Accio, wedding ring! " di _Piratessa ed è incentrata sulla generazione dei Malandrini, una James/Lily con Severus protagonista.
 
E infine un’originale, che mi ha fatto una tenerezza immensa scrivere e si è classificata seconda al contest  “Lasciati ispirare..da ciò che scegli”, di Changing  Isn't she lovely.
 
Se volete lasciarmi una recensioncina anche a queste, non sapete come mi fareste felice.
Un abbraccio, Rebecca.

 

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Capitolo 33
*** Natale ***

















Hogwarts era sempre un magico spettacolo sotto Natale, che tutti gli studenti non si stancavano mai di ammirare con gli abeti decorati e le armature lucidate a specchio, Pix che da anima sadica qual’era organizzava attentati con gavettoni pieni di porporina e neve, perché appiccicasse meglio ai capelli e alla pelle dei ragazzi e li temprasse, gelandoli, contro le avversità del mondo, e il Frate Grasso che cantava carole a pieni polmoni, coinvolgendo, loro malgrado, tutti i malcapitati studenti che gli capitavano a tiro. E se tutti scappavano davanti a quella sorte peggio che davanti alla Signora con la falce, lui non sembrava accorgersene affatto, perso nei fumi dei festeggiamenti che lo rendevano euforico quanto un Bacco pieno di vino novello. A voler eufemizzare.
Hogwarts era sempre un magico spettacolo sotto Natale, soprattutto per chi dava per la prima volta un nuovo significato a magico Natale, come nel caso dei ragazzi mezzosangue.
Per Lily, il Natale dei suoi undici anni, era stata una rivelazione che l’aveva lasciata meravigliata ogni secondo di più e che l’aveva costretta a camminare con il naso continuamente per aria, cercando di non perdersi nemmeno il più piccolo dettaglio delle fantastiche decorazioni che i professori e gli studenti anziani avevano sparso ogni dove, nel castello. L’abilità di trasformare un posto come Hogwarts, che era l’essena stessa della magia, in uno che sembrava uscito direttamente da una fiaba, l’aveva commossa fino quasi alle lacrime. O meglio, la consapevolezza che un giorno, anche lei, che si era sempre ritenuta uno strano scherzo della natura, sarebbe stata in grado di creare tanta bellezza, l’aveva fatto.
Con lo scorrere degli anni quella meraviglia e gratitudine erano rimaste intatte e la ragazza pensava sinceramente che non sarebbero scomparse mai, come non sparivano quelle che la coglievano ogni volta che toccava la sua bacchetta e un piacevole calore le si diffondeva sottopelle. Una meraviglia che la faceva sentire ancora l’incredula bambina che era stata di fronte alla sua nuova scuola e alla sua nuova vita, incapace di capire in che modo avesse potuto meritarsi tanto.
Era stato in quel momento, in quel Natale dei suoi undici anni, che Lily aveva capito, con la certezza che solo le rivelazioni più grandi possono portare, che aveva trovato il suo posto nel mondo, che avrebbe dovuto svegliarsi ogni giorno e ringraziare del dono che le era stato fatto. Non era più la stramberia fuoriposto da nascondere e osservare con preoccupazione, ma una ragazza come tante. Normale, non aveva mai avuto un suono tanto dolce. E, senza Hogwarts, non l’avrebbe mai scoperto.
Proprio per quel motivo ancora non si capacitava di come fosse potuto succedere che si dimenticasse l’imminente arrivo della sua festa preferita. Non notare le mille piccole luci che illuminavano a festa i corridoi, i ghiaccioli incantati alle pareti, le calze colorate al camino della Sala Comune e la neve perenne che infestava i sotterranei. Quella, supponeva, non fosse stata esattamente un progetto approvato dai professori, ma qualche buontempone aveva pensato bene di terminare anzi tempo le lezioni di Pozioni, e nessuno avrebbe potuto fargliene una colpa.
Nessuno, a meno che non si chiamasse Lily Evans indietro sul suo quarto ripasso pre-MAGO ovviamente, ma non era quello il punto.
Era stata sua madre a riportarla all’ordine, con una lettera stranamente recapitata entro l’orario prestabilito, e in cui le aveva ricordato che l’avrebbero aspettata come ogni anno fuori da King’s Cross, che le avrebbe fatto piacere se avesse deciso di invitare le ragazze per la tradizionale merenda della vigilia, quando avrebbero potuto scartare insieme i regali anche se in anticipo rispetto alla comune tradizione e che non vedeva l’ora di abbracciare nuovamente James.
Lily sapeva leggere abbastanza tra le righe da sapere che sua madre le intimava di invitarlo almeno per un paio d’ore o lo avrebbe fatto lei così come le aveva ripetuto, tra l’altro, almeno una volta a settimana da che lo aveva incontrato e adorato per la prima volta. Ad Anne, la faccia tosta non mancava affatto e, scommetteva, che avrebbe fatto in modo di creare l’occasione per intontire il ragazzo di parole fino a fargli accettare qualunque sua proposta. Ciò nonostante non se ne era preoccupata, anzi, aveva volutamente ignorato tutto il sottotesto materno perfettamente conscia che, per una volta, la materna ingerenza sarebbe stata bene accolta. Da favorire, addirittura.
Ma dopotutto il clima nella torre di Grifondoro era irrespirabile da giorni, perfino chi non era a conoscenza delle circostanze, e cioè la stragrande maggioranza degli studenti, sentiva che il clima era tutto tranne che festivo.
E Lily si era ingegnata. A mali estremi, estremi rimedi, nonna Daphne lo diceva sempre, anche se di solito riferito al suo scontento per gli Irlandesi e il loro infestare, ovviamente di proposito e col solo scopo di irritarla, il suo quartiere. Quale fosse in quel caso, invece, il male estremo e il rimedio che intendeva applicare erano ovvi.
Cresciuta con una donna come Anne Evans, le festività, perfino le più commerciali che mente umana potesse partorire, avevano assunto gli stessi connotati di un dogma religioso e in quanto tale non esisteva funesto evento che tenesse impedendo di celebrarlo con tutte le tradizioni del caso. Nemmeno lo scontento di un Malandrino.
Dal momento poi che Petunia l’aveva sdegnosamente informata dopo il loro ultimo incontro che si sarebbe tenuta quanto lontano possibile da lei e dai suoi amici mostri, non c’erano pericoli di sorta in agguato nel lasciare campo libero a sua madre.
Inoltre sospettava che Sirius avrebbe potuto staccare per un po’ dai problemi. Ne aveva bisogno.
James non ne aveva parlato, non sapeva neppure nei dettagli cosa fosse accaduto quella sera nella torre, ma era bastato osservare il giovane Black in quei giorni per sapere che stava tutto, tranne che bene.
Eppure aveva ancora abbastanza spirito in corpo da camminare apparentemente tranquillo per i corridoi e scherzare con amici e conoscenti come faceva sempre, sotto l’ala protettiva degli altri tre, sebbene nessuno l’avrebbe mai detto. Se non gli avesse visto negli occhi quel tormento, appena rientrato dal colloquio col preside, forse avrebbe creduto alla sua farsa. Se non avesse saputo, non avrebbe mai capito, quanto quei tre spensierati ragazzi lo stessero proteggendo in una premura silenziosa e talmente profonda da non aver nemmeno bisogno di parole.
Erano straordinari, quei quattro.
Il resto della scuola, infatti, ne era stato abbagliato.
Erano straordinari, quei quattro.
Ma Anne, alla faccia di chi pensava che nei babbani non ci fosse la benché minima traccia di magia, le magie riusciva a farle davvero. E, di solito, le faceva parlando.
Ascoltare i suoi deliri e assecondare le sue mille manie faceva dimenticare i problemi anche a persone cervellotiche del calibro di Lily Evans e, per una volta, la ragazza aveva approfittato di lei.
Ora non le rimaneva che aspettare.
-Ehm Evans?- la chiamò esitante James un paio di giorni dopo l’arrivo della lettera di Anne.
-Cosa?-
La Sala Grande era ancora stranamente gremita, vista l’ora, ma nessuno sembrava far caso all’approssimarsi dell’inizio delle lezioni mattutine. Tutti i ragazzi erano troppo presi, nell’ordine, dalla loro colazione, dall’imminente festività e il conseguente ritorno a casa per prestarvi troppa attenzione e i professori si erano mostrati indulgenti per lo stesso motivo. Eppure, quando il ragazzo le si accostò, il chiacchiericcio si stemperò per alcuni secondi, prima di riprendere in una cacofonia di voci e sussurri, che rese noto ai due di essere sotto stretta sorveglianza.
Come ogni volta che si trovavano troppo vicini dalla giornata insieme a Hogsmade.
-Ecco…mi è arrivata questa e…insomma…- era davvero in difficoltà, il ragazzo, e lo dimostrava il tono incerto e le mani nervose, che stropicciavano la busta da lettere che teneva in mano, così inusuali per lo sfacciato che era James Potter.
Una busta estremamente familiare e, stranamente per la seconda volta a fila, non consegnata a un orario indegno.. Se non fosse stata sua madre, il mittente, Lily avrebbe anche potuto credere che finalmente avesse compreso come funzionavano le cose a scuola. Ma poiché era di Anne che stavano parlando, probabilmente lo aveva fatto solo con lo scopo di coglierla di sorpresa e irritarla, giacché lei aveva ignorato i suoi suggerimenti. E per fare buona impressione sul suo adorato tesoro, ovviamente. Mai che scontentasse il caro James, quella donna!
-Per Merlino finalmente! Ce ne ha messo di tempo!- borbottò Lily girandosi completamente verso di lui sulla panca e strappandogli di mano la lettera.
Tutta la Sala Grande, adesso, li guardò sbigottiti. L’atteggiamento di Lily risultava ancora atipico e, soprattutto considerando che era con James Potter che si rapportava così normalmente, nessuno ormai fingeva nemmeno più di non osservarli con spasmodico interesse e scommettere sulla loro prossima mossa.
La rossa, finalmente di nuovo tale per buona pace di James e le sue tenere ossessioni per le sue lentiggini, odiava tutte quelle occhiate invadenti ed era capitato, stranamente senza che nemmeno un’oncia di senso di colpa la pervadesse, di far finire in punizione alcuni tra i più impiccioni.
Non che fosse servito a qualcosa, ovviamente, erano ancora l’argomento più gettonato del momento!
Ma quella volta non se ne curò, presa com’era a leggere le parole di sua madre e il vedersi avverare davanti le sue macchinose aspettative.
Non sarebbe stato lo stesso, almeno per Sirius pensava, essere invitato da lei. Probabilmente l’avrebbe sentito come un invito imposto dal dispiacere. Dalla pietà, se il ragazzo era particolarmente tarato.
Nella lettera, tra i vari deliri, i tesoro e altre zuccherosità simili, che sua madre avesse una cotta per il suo ragazzo, che ancora non sapeva essere tale, era ormai assodato, trovò la parte che le interessava.
-Oh, ti ha invitato per la Vigilia, bene! Beh rispondile, no?- e con un gesto veloce gli piazzò davanti il retro della lettera di sua madre e, dopo aver frugato per alcuni secondi nella borsa strapiena che le stava a fianco poiché non sarebbe riuscita a salire fino alla torre di Grifondoro prima di pranzo, anche una penna.
Una penna babbana.
Che James guardò con lo stesso sguardo vacuo con cui guardava lei, indeciso se stupirsi di più per il suo comportamento o per quell’oggetto di cui non conosceva la funzione esatta.
Ovviamente non la conosceva, quel maledetto di Remus permetteva a lui e al suo degno compare di copiare i compiti dall’alba dei secoli.
Smidollato, lo insultò distratta la ragazza, prima di riprendersi la penna, stapparla e ripiazzarla in mano a Potter.
-Accetta, su!- lo incitò spiccia stringendogli la mano nella propria e mostrandogli cosa fare tracciando un ghirigoro veloce di inchiostro nero.
-Ma c’è Sirius da me…- borbottò ancora lui, occhieggiando curioso la penna e uscendosene con un tenero “Oh!” stupefatto quando riuscì a tracciare uno scarabocchio sulla pergamena di mano propria.
Era proprio come un bambino, pensò intenerita, prima di riportare all’ordine lui e se stessa.
-E allora? Pensi che a mia madre piacerà di più lui?- lo prese infatti in giro impietosa, punendosi per la piccola debolezza di poco prima. Da quando l’incapacità di James di concentrarsi su uno stesso argomento per più di cinque minuti e meravigliarsi invece per un oggetto sconosciuto fosse tenero, invece che abissalmente stupido, proprio non sapeva da dove le fosse uscito.
Frequentarlo le stava facendo male, era evidente.
L’aveva temuto per anni ed evitato per altrettanto, dopotutto.
-Ma ha invitato me e non posso certo presentarmi con un altro ospite…- provò ancora a spiegarle esitante lui.
La rossa ricordò improvvisamente tutti gli scrupoli che si era già fatto quel primo giorno a casa Evans, quando stupito si era ritrovato accolto in famiglia come se ne facesse parte da sempre e, giorni dopo, quando Dorea gli aveva chiesto consiglio su cosa mandare come ringraziamento per i padroni di casa e lei gli aveva risposto di lasciar perdere che Anne era già felice così, solo avendolo intorno.
A volte dimenticava quanto l’educazione che James aveva ricevuto da bambino differisse dalla sua, osservandolo spavaldo e spaccone camminare tronfio per i corridoi. Ma poi lo trovava in difficoltà ad accettare un invito, invito! quello di Anne sembrava più l’ordine di un dittatore e se lui non l’aveva capito era solo perché non la conosceva ancora bene, arrivato all’improvviso.
-Ci sono anche le ragazze, te lo ha scritto. E lo dirò io Sirius, se questo è il problema, e informerò mamma che saremo in più del previsto. Vedrai che le piacerà. Le piace avere la casa piena di gente strana. La fa sentire tra suoi simili, in fondo.- gli rispose incoraggiante carezzandogli la mano libera dalla penna, senza però potersi impedire una frecciata verso le stranezze di sua madre.
Lo vide sorriderle in risposta e stringerle la mano nella sua, come ringraziamento o forse solo perché era lui.
Era dolce, James, in quei momenti. Veniva voglia di stropicciargli le guance. O baciarlo.
Ancora sorridendo il ragazzo si mise a scrivere una risposta per Anne, firmandola poi con uno svolazzo degno del nobilastro che probabilmente era e agguantando spudoratamente il gufo di un altro studente, la cui unica colpa era stata quella di capitare a tiro del migliore cercatore della scuola, perché la recapitasse il prima possibile.
Aveva una sfacciataggine incredibile quel mentecatto, pensò esterrefatta Lily mentre lui ringraziava con un gesto il proprietario dell’animale e questo, abbagliato da quella scintillante aura che circondava sempre James Potter, quasi lo ringraziava a sua volta per avergli rubato il gufo impedendogli di spedire la propria, di lettera.
Era circondata da idioti, l’aveva sempre saputo.
Probabilmente leggendole in faccia quel pensiero, James mise su quella sua aria saputa e irritante e aprì bocca e Lily sapeva che, fino a qualche mese prima, quello che stava per uscirgli di bocca le avrebbe fatto venire voglia di prenderlo a sberle, ma adesso invece le avrebbe fatto venire voglia di ridere con lui.
Come fosse possibile che lei, il loro modo di approcciarsi, le reazioni istintive che lui le provocava, fossero cambiati così tanto in così poco tempo la stupivano ancora.
-Quindi inviterai Sirius, ma hai lasciato che fosse tua madre a invitare me.- le disse infatti allusivo e con la sua solita faccia da schiaffi.
-James…- lo ammonì Lily con un sorriso che già le saliva in viso.
-Evans se non volevi invitarmi…- continuò lui.
-Oh quanto sei scemo!- rise la ragazza.
Sapeva dove stava andando a parare.
E sapeva cosa voleva sentirsi dire.
Era la stessa cosa che le chiedeva di ripetere almeno una volta al giorno dal loro appuntamento a Hogsmade.
“Sei il mio ragazzo, James”.
E saperlo rendeva perfino quella faccia da schiaffi che aveva James Potter, il Malandrino per eccellenza, il più perfetto dei ragazzi.
Almeno per lei.
“Sei il mio ragazzo, James”.
-E allora dimmi quello che voglio sentire.-
-Vuoi passare la Vigilia con me, James? Dopotutto sono anni che papà aspetta di poter fare il terzo grado al mio ragazzo.- cedette alla fine, con una tranquillità che solo le costanti conferme che lui le dava, ogni secondo, ogni volta che le chiedeva di ripeterlo, ogni volta che le sorrideva illuminandosi letteralmente,ogni volta che entrava in una stanza e sapeva esattamente dove trovarla, ogni volta che chiamava il suo nome, potevano dare, nonostante il tempo per parlare e per stare soli fosse stato davvero irrisorio. Ma non poteva fargliene una colpa, lo avrebbe preso a calci se non fosse stato vicino a Sirius come doveva.
-Tua madre mi adora. Gli impedirà anche solo di avvicinarsi con intenti meno che amichevoli.- la prese ancora in giro Potter, ben consapevole che quella, purtroppo, era solo la mera verità.
Anne non avrebbe permesso a nessuno di toccarle il suo James. Nemmeno al marito, che pure adorava.
-Ma mamma non sa che stiamo insieme.- si prese una piccola rivincita lei.
Dopo un attimo di silenzio, in cui Lily pensò che forse buttargli in faccia in quel modo il suo volontario silenzio circa la loro novella relazione non era stata la più brillante delle idee, James le si avvicinò di alcuni centimetri, portando i loro nasi a toccarsi quasi.
-Certo che lo saprà, Evans. Gliel’ho appena scritto.- sogghignò poi lui e con un gesto vago della mano indicò la volta della Sala Grande verso cui, alcuni minuti prima, il gufo rapito era sparito insieme a tutti gli altri piccoli postini piumati.
-Potter!- lo sgridò lei, rossa in viso per l’indignazione e l’incredulità, mentre lui rideva fino alle lacrime sbilanciandosi all’indietro.
-Dai Lily, prima o poi avresti dovuto dirglielo comunque, no? E poi era stata proprio Anne a chiedermi se finalmente potesse considerarmi di famiglia o meno, non potevo non risponderle.- riprese a spiegarle sempre ridendo, mentre lei gli lanciava la penna contro. Che James il maledetto fosse riuscito a scansarla nonostante la distanza irrisoria che li divideva non era stato nemmeno ennesimo motivo di irritazione per Lily, tanto l’aveva dato per scontato.
-Che cretino, che sei!- lo insultò, ma sapevano entrambi che non era davvero arrabbiata.
Era stata arrabbiata mille volte nei loro anni insieme, e non c’era nemmeno da illudersi che lui non sapesse riconoscere quando rischiava la vita per mano sua da un bluff.
E dallo sguardo soddisfatto e ironico che gli illuminava gli occhi, Lily capì quanto poco si sentisse in colpa per aver dato quella notizia al posto suo, quanto quella situazione lo divertisse e, soprattutto, quanto fosse soddisfatto di averla fregata come ogni volta.
Era un subdolo manipolatore.
E capì anche qualcos’altro.
Quel subdolo manipolatore stava per calare un altro asso.
Prima sua madre.
Quel subdolo manipolatore stava per baciarla.
Poi tutta la scuola.
-Non provarci, Potter. Non pensarci nemmeno!- gli sibilò infatti scostandosi di alcuni centimetri da lui.
Il tono di comando che gli aveva rivolto per anni sembrava fare ancora il suo effetto, tanto che James si era  immobilizzato per alcuni secondi, prima di sogghignare ancora come il perfetto infame che era, e intrappolarle un polso con una mano e un ginocchio con l’altra, impedendole di alzarsi e andarsene.
Le catturò la bocca in un bacio appena accennato, uno strofinio di labbra ancora piegate in un sorriso, ma che bastò a mandare Lily nel pallone. E a far accendere James come una lampadina.
Il loro primo bacio in pubblico.
Davanti all’intera Sala Grande.
Quando James si staccò, con ancora negli occhi il baluginio felice che il non essere stato respinto aveva portato con sé, le sussurrò piano –Non si torna indietro, adesso, Evans.-
Come se avesse davvero voluto farlo, pensò lei, guardandosi comunque bene dal dirglielo per evitare che facesse la ruota come il pavone vanaglorioso che era.
-Borioso viziato ragazzino arrogante…- lo insultò allora, con un sorriso in viso.
Perché James aveva fatto la sua magia, come la faceva ogni volta da che aveva iniziato a vedere le crepe della sua maschera, e lui di quella di lei, e nemmeno quei difetti la toccavano più.
James le piaceva così com’era.
Arrogante e viziato e manipolatore e, spesso, impossibile.
Ma era James e con un sorriso tutti quei difetti smussavano improvvisamente i loro angoli.
 
 







Fu così che la relazione di James Potter e Lily Evans divenne ufficialmente di dominio pubblico, sotto lo sguardo sbalordito del professor Lumacorno, che osservava la sua migliore studentessa irretita dal ragazzo più festaiolo della scuola, quello sdegnato della McGrannitt, che non approvava certe effusioni in pubblico, e quello divertito di Silente, che invece vedeva solo due dei suoi migliori studenti, ragazzi in gamba ed estremamente dotati, innamorarsi tra le mura del suo castello.
Così presi dalle loro schermaglie, sommersi dal chiacchiericcio degli altri studenti e dalle esclamazioni felici dei loro compagni di casa, inutile dirlo tutti avevano tifato per James e ritenevano doveroso congratularsi con lui quasi fosse un eroe di guerra, Lily non si accorse quando con un rumore sordo alcuni libri caddero a terra. Così come non si accorse della figura che si era ghiacciata sulla porta d’ingesso alla Sala Grande, vedendoli così vicini, vedendo quel bacio improvviso e il sorriso complice che ne era seguito, per poi andarsene spintonando chi si trovava sulla sua strada.
Severus Piton non aveva mai tifato per James.
Non aveva accolto la notizia con divertita e incredula sorpresa.
Severus Piton aveva appena visto realizzarsi, davanti ai suoi occhi, il suo incubo di sempre.
James Potter, alla fine, aveva vinto.
Tutto quanto.
Perché aveva Lily, al suo fianco.
 































 
*
 



































Avere la casa invasa da maghi, intesi come un branco di maghi appena maggiorenni con la deprecabile abitudine agli scherzi e con un caratterino niente affatto malleabile, sembrava essere il sogno di Anne da parecchi anni a quella parte. Più precisamente da quando aveva bussato alla loro porta, in un’assolata mattinata di metà estate, un eccentrico nonnino dalla lunga barba d’argento e un gusto per la moda che definire kitsch sarebbe stato un complimento.
Il vecchio si era presentato come Albus Percival Wulfric Brian Silente, preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e un’altra decina di titoli tra i più vari, forse perfino più strambi dei suoi innumerevoli nomi, ma Anne non lo aveva mai discriminato per questo. Dopotutto, quell’uomo aveva aperto una finestra su un mondo fino ad allora sconosciuto e che, finalmente, dava un nome alle mille stranezze della figlia.
Sapere che la sua bambina speciale, che a cinque anni era riuscita a incantare il suo orsacchiotto preferito perché prendesse il the con lei e i cui capelli erano ricresciuti nel giro di una notte nel periodo in cui voleva sembrare una principessa e la madre aveva tentato di tagliarli perché invece assomigliava più a Maga Magò, non era la sola bambina speciale nel mondo, e che c’era qualcuno in grado di insegnarle tutto quello di cui avesse bisogno di sapere, aveva tranquillizzato il suo cuore di mamma come nessun ansiolitico babbano avrebbe mai potuto.
E lo stesso effetto sortivano quelle piccole periodiche escursioni che lei e il marito organizzavano nel mondo privato di Lily, conoscere i suoi amici e ascoltare i suoi racconti, girare con lei per Diagon Alley o cambiare i soldi alla Gringott, perché se Silente lo aveva assicurato loro, in quel modo poteva assicurarsene.
Perché Lily era sempre stata speciale ai suoi occhi, come ogni figlio agli occhi della madre, ma grazie a Hogwarts e a quella lettera, speciale non avrebbe mai significato sola o diversa confrontandosi con il resto del mondo, nemmeno quando lei e George non ci sarebbero più stati.
Grazie alla magia, Lily finalmente aveva il suo posto nel mondo e questo, per Anne, compensava l’avere la figlia lontana per la maggior parte dell’anno e, perfino, l’incrinarsi sempre più profondo nel rapporto tra Lily e Petunia.
Non importava che spesso non la capisse fino in fondo o che le lettere di Lily assumessero  i contorni fiabeschi delle storie che le leggeva per augurarle la buonanotte da bambina. La sua piccina dagli occhi verdi non arrivava più da George correndo preoccupata per l’ennesima stramberia che le era capitata e che la sua mente razionale non le permetteva di capire. Anche se nel caso di Muffin, il suo adorato orsetto di pezza, si era ben guardata dall’informarli che avesse improvvisamente preso a muoversi e parlarle, quell’occasione era stata un’autentica gioia, quasi l’avverarsi di un sogno, che pertanto non era stata vissuta con disagio.
George, d’altra parte, sebbene condividesse le preoccupazioni della moglie quando ancora non sapevano esattamente come affrontare la particolarità della piccola Lily, era stato il più restio ad accettare tutti i cambiamenti che la lettera da Hogwarts aveva portato con sé. Per quanto amasse Petunia, infatti, Lily aveva sempre avuto un posto speciale nel suo cuore, due anime simili che si erano riconosciute immediatamente, indipendentemente dal legame di sangue che le univa, e sapere che presto sarebbe stata inghiottita da un mondo di cui non potevano far parte, in una scuola lontana che non avrebbero mai potuto raggiungere se lei avesse avuto bisogno, lo aveva terrorizzato.
Lily era così piccola, a undici anni. Con la testa piena di sogni e parole. Sogni e parole che lui aveva contribuito in larga parte a fornirle, trasmettendole la passione per la lettura e la curiosità verso il mondo.
Ma sapeva che avrebbe dovuto lasciarla andare, che la sua piccola avrebbe dovuto imparare a difendersi da sola e risolvere i mille piccoli crucci di cui George si occupava per lei fin dalla sua nascita, e così aveva sorriso e si era lasciato contagiare dall’entusiasmo di Anne, facendo si che il distacco tra loro fosse il meno doloroso possibile.
“Abbiamo una strega in famiglia!” aveva, per primo, esclamato orgoglioso, affrontando finalmente il grande elefante rosa nella stanza con il nome che meritava.
Era la sua bambina, dopotutto, e voleva solo la sua felicità.
Vederla con i suoi amici, prima con quel ragazzino che viveva a Spinner’s End e che la guardava con una luce di adorazione negli occhi, e poi con Alice e Julie e le altre ragazze che venivano a trovarla almeno un paio di volte l’anno, gli aveva solo fatto capire di aver fatto la scelta giusta, anni prima.
Aveva fatto il possibile per rendere le proprie figlie felici.
Con Petunia era stato facile.
Le era stato vicino in ogni sua scelta, perfino quando aveva deciso di sposarsi, appena maggiorenne con un uomo che George non sentiva particolarmente vicino. Averla accompagnata all’altare e aperto le danze con lei era stato tutto quello che gli era stato chiesto.
Era la sua bambina, dopotutto, e voleva solo la sua felicità.
E Petunia sapeva esattamente cosa voleva e così era stato anche quel giorno.
Lily, però, non si sarebbe mai accontenta di una vita del genere. Essere madre e moglie non sarebbe bastato a farla sentire realizzata, lo sapeva da sempre. Lily voleva affermarsi come donna per intero, nel mondo e nella vita privata e per farlo aveva bisogno di quello che solo Hogwarts e altri maghi come lei potevano darle.
La frattura tra le due sorelle, che proprio sulle necessità particolari di Lily profondava le sue radici, forse un giorno sarebbe stata sanata, dopotutto erano entrambe così giovani. Forse avrebbero trovato un nuovo punto d’incontro e si sarebbero riconciliate, un rapporto più maturo e consapevole, diverso dall’istintivo affetto che le aveva legate ancora bambine, ma lui non poteva far altro che star loro vicino e sperare per il meglio, raccontando all’una cosa stava succedendo nella vita dell’altra e viceversa, perché non si riscoprissero completamente estranee quando avrebbero voluto confrontarsi.
Era Anne, quella dai mille piani e strategie, in genere. Ma sembrava che anche Lily avesse ereditato quella dote in particolare, sebbene la sua mente in genere inquadrata non l’avesse mai fatto sospettare. Eppure proprio quello sembrava, da quando quella mattina si era alzata insolitamente presto per i suoi standard da studentessa in perenne carenza di sonno per l’ennesimo ripasso fino a tarda notte, e cos’ anche in quel momento.
George la osservava voltare il viso a intervalli irregolari verso la porta dalla cucina da cui proveniva la voce squillante di Anne e le risate di due ragazzi così come poco prima aveva portato avanti una conversazione di sguardi con la madre prima di sbuffare e lanciarle un’occhiata intimidatoria. Come se certe occhiate funzionassero, con sua moglie. Quella donna ignorava sistematicamente ogni cosa che non le interessava  o che la infastidiva, ma Lily, testarda quanto lei, ancora cercava di vincere.
Cosa si fossero dette, George aveva deciso di ignorarlo fin dal ritorno a casa della figlia per le vacanze natalizie, quando Anne le era saltata al collo pigolando di quanto fosse orgogliosa di lei, che era stata abbastanza furba da accaparrarsi James prima che una sciacquetta qualsiasi glielo rubasse di sotto il naso, in barba al suo credo femminista. Lily aveva borbottato indignata cercando di fermarla, ottenendo in cambio solo di sentirsi redarguire circa il silenzio stampa che aveva portato avanti sull’argomento.
“Se non fosse stato per il caro James tu, figlia degenere, avresti taciuto tutto alla tua mamma…” ed era andava avanti per ore tenendo imperterrita la propria posizione sulle linee d’attacco.
Di certo, però, tutta quella premura andava ai ragazzi sconosciuti e di cui, negli anni, non avevano mai sentito parlare, che avevano bussato alla porta di casa Evans verso le quattro di pomeriggio e che avevano fatto ridere George in un modo che non ricordava di aver fatto da anni. Forse fin da quanto era solo un ragazzo.
Ma se, inizialmente, l’uomo aveva imputato tutte quelle attenzioni a James e al sentimento che provava per lui, si era dovuto presto ricredere e aveva iniziato a studiare con occhi diversi e più attenti l’altro ragazzo arrivato con lui, quel Sirius, così come aveva fatto mesi prima con James.
E stavolta non c’entrava niente il modo sincero e istintivo con cui sua figlia si rapportava con quello che per George altro non era che uno sconosciuto, ma le silenziose attenzioni che tributava ad un nuovo e altrettanto complesso estraneo, stando bene attenta che lui non le notasse, ignorando, se non addirittura, incoraggiando, tutta l’esuberanza della madre.
“Cosa stai facendo, Lily?” avrebbe voluto chiederle, ma non era sicuro che la risposta gli sarebbe piaciuta così come non era sicuro che Sirius gli piacesse.
Non per qualche atteggiamento strano e nemmeno per la sua educazione, sembrava che i giovani rampolli del mondo magico avessero tutti l’educazione impeccabile e vecchio stile che lui apprezzava, ma per quanto gli aveva sentito dire a sua figlia, farmatosi a osservare con curiosità le foto di famiglia disposte con amore sul camino.
-Tua sorella, Evans?- le aveva chiesto con tono tranquillo e tuttavia la mascella contratta.
 Lei, dopo alcuni secondi di silenzio, si era avvicinata per studiare a sua volta la foto e commentare tranquilla –Petunia, si…come ti ho detto, ti adorerebbe.-
-Come il mio con te, immagino.- aveva replicato con tono amaro, riprendendo quello che evidentemente era uno scherzo solo loro.
George non aveva avuto bisogno di sapere cosa si erano detti in precedenza al riguardo per sapere che quello non era un complimento verso la maggiore delle sue figlie né il fratello di lui, ma che Lily ne avesse parlato così tranquilla, senza l’angoscia che la prendeva da sempre per quel particolare argomento, con quel ragazzo gli aveva fatto male al petto.
Cosa li unisse, cosa fosse successo tra loro, da arrivare a un’intimità tale da poter scherzare sulle tragedie della propria vita non lo sapeva, ma gli aveva messo davanti agli occhi, come se ce ne fosse bisogno, che Lily era cresciuta e che, tutto quello che si era augurato la sua piccina riuscisse a fare una volta arrivata la lettera per Hogwarts e ogni giorno da allora, si era avverato.
Eppure non ne era stato contento.
Sapendo quello che sapeva del mondo magico, della situazione che stava vivendo, sul terrore che un uomo stava seminando come una trentina di anni prima un altro uomo aveva già fatto in Europa e nel mondo delle idee e delle paure di sua figlia al riguardo, vederla pronta a diventare donna non gli piacque affatto. Eppure, saperla accanto a persone del genere era, allora stesso tempo, stranamente confortante.
Era mostruoso pensarlo di ragazzi tanto giovani. Non erano nemmeno adulti eppure erano chiamati a fare scelte impossibili. Lui e Lily ne avevano parlato così spesso, prima mentre cercava di dissuaderla, poi cercando di convincerla a prendere tempo, procrastinando quando possibile. Ma Lily, come Petunia, sapeva cosa voleva. E voleva combattere per i proprio sogni e il proprio futuro.
James l’avrebbe protetta, gli occhi del ragazzo ne erano una conferma silente ogni volta che si posavano sulla ragazza, e anche le sue amiche, le ragazze si sarebbero sempre guardate le spalle a vicenda nel momento del bisogno. E forse anche Sirius, sarebbe stato al suo fianco.
La morsa allo stomaco che sempre lo coglieva ogni volta che pensava al futuro che Lily si era scelta, a quello cui sarebbe andata incontro, i pericoli, gli scontri, la paura, si fece più forte fino a stringergli la gola, tanto che fu costretto a uscire in giardino, in maniche di camicia nonostante il freddo, per riprendere a respirare. O almeno convincersi che quella era la soluzione.
Era un padre che amava sua figlia. Ma, in certe scelte, era costretto a farsi da parte e pregare. Pregare, in un Dio in cui non aveva mai creduto davvero,sembrava l’unica cosa che gli fosse rimasta.
 
 













 
 
ANGOLO AUTRICE.
Ecco, si ho ancora il coraggio di farmi viva, quando forse dovrei ammettere i miei limiti e lasciar perdere. Sinceramente, non so come scusarmi per aver lasciato passare così tanto tempo dall’ultimo aggiornamento. Giuro che non me ne ero resa conto, anche se, lo avessi fatto, l’ispirazione latitava e, tra esami e tirocinio, non è che avrei potuto fare molto.
Non posso che scusarmi in ginocchio e accettare tutti i pomodori che vorrete tirarmi, ammesso che non abbiate abbandonato la storia.
Le risposte alle recensioni, al solito, arriveranno in serata, massimo domani. Non posso che sperare che qualcuno passerà a dare un’occhiata al capitolo, anche se lo so che non succede poi molto. Praticamente nulla, insomma!
Ora solo due note.
Muffin, l’orsetto di pezza di Lily con cui prende il the, è un omaggio a una delle mie puntate preferite di SPN, “Wishful thinking” (4X8), per chi volesse andare a vedersela che, sebbene poco del pauroso delle prime stagioni ci sia, è geniale. E l’orso di pezza bipolare, depresso e con manie suicide perché non riesce a comprendere il mondo cattivo in cui si è ritrovato, l’ho ancora nel cuore dopo anni.
L’altro, che avrete riconosciuto è “Abbiamo una strega in famiglia!”. Ho iniziato a leggere Harry Potter appena uscì in Italia, avrò avuto sette anni a dire tanto, infatti sapevo leggere a stento, e Petunia la odiavo. Dopo anni, e ancora leggo la saga quando mi viene nostalgia, con una maggiore consapevolezza, senza più la visione in bianco e nere che avevo da piccina e un quadro generale di tutta la storia, capisco che c’è molto di più dietro la donna rancorosa e irascibile che leggevo ai tempi. Insomma, indiretto omaggio a lei. Perché probabilmente anche io sarei diventata una stronza megera, passatemi l’insulto, se mia sorella avesse ricevuto una bella lettera per Hogwarts e io un due di picche!
Mi scuso ancora per l’assurdo ritardo e ringrazio chi darà un’opportunità anche dopo tanto tempo. Sempre felicissima se mi fate sapere cosa ne pensate.



Un abbraccio,
Rebecca.

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Capitolo 34
*** Passato e futuro ***















Era ormai scesa la sera e alcuni candidi fiocchi di neve avevano iniziato a cadere dal cielo, decidendo di regalare a Londra un vero bianco Natale. Se avesse continuato per tutta la notte, infatti, le strade sarebbero state inagibili, la mattina dopo. E decisamente bianche, per la gioia dei bambini.
James guardava distratto fuori dalla finestra chiedendosi in che condizioni fosse il viale d’ingresso a casa propria, decisamente più a nord rispetto alla capitale britannica. Probabilmente lui e Sirius avrebbero dovuto smaterializzarsi direttamente davanti il portone di casa, giusto per sicurezza.
E perché a lui il freddo non piaceva particolarmente.
Non c’era bisogno di uno psicomago per capire che quel rigetto per il freddo, la neve e tutto quello che portava con sé, fosse da ricercarsi nelle silenziose giornate invernali della sua infanzia, quando non gli era permesso uscire di casa. Con gli anni, nonostante Hogwarts e nonostante le interminabili battaglie di neve che organizzavano lui e i ragazzi ogni anno, quel fastidio non era scomparso. Ancora il freddo non gli piaceva. Così come non gli piaceva il silenzio o la solitudine.
Il ragazzo si riscosse quando sentì una piccola mano calda chiudersi intorno alla propria e il corpo di Lily premere contro la sua schiena, in un mezzo abbraccio inaspettato, ma non per questo meno desiderato. La sentì sollevarsi sulle punte dei piedi e lasciargli un bacio leggero sul collo, prima di riabbassarsi e posare la guancia sulla sua schiena, stringendolo con il braccio libero intorno alla vita riuscendo a fargli battere più veloce il cuore. A volte, ancora non riusciva a credere che quella fosse davvero Lily Evans, la ragazza che aveva cercato di conquistare per sé da che le ragazze avevano iniziato ad avere attrattive. Anche da prima, a essere onesti. Lily era sempre stata speciale ai suoi occhi, perfino a dodici anni.
Remus lo aveva spesso preso in giro dicendogli che aveva una qualche nevrosi circa le persone che lo prendevano a pugni, visto che lo colpivano in faccia e anche nell’anima, e forse non aveva nemmeno torto. Lui e Sirius erano diventati amici dopo essersi presi a pugni. Lily, da parte sua, lo aveva preso a pugni anche troppo spesso, negli anni. E li amava entrambi.
Quel giorno, invece, Evans gli era semplicemente mancata, come può mancare soltanto qualcuno che aspetti da una vita e che, improvvisamente, ti ritrovi tra le braccia.
Come riusciva a mancargli solo lei, nonostante fossero stati insieme tutto il giorno.
E se da una parte era una sensazione che con gli anni aveva imparato a riconoscere e conviverci, perché passava la maggior parte delle sue giornate con lei, da che avevano undici anni, a lezione, in Sala Grande, nei dormitori, senza esserlo mai davvero, adesso era diverso pur rimanendo identico a prima.
Perché adesso sapeva cosa si provava a vederla cercarlo tra la folla, solo per sorridergli.
Perché adesso sapeva cosa si provava a stringerla e saperla sua, almeno un po’.
E se capitava che passassero una giornata assieme senza esserlo davvero, adesso sapeva di poter  trascinare Lily in un’aula vuota nel ritornare a Grifondoro per reclamare un po’ del suo tempo per sé così come faceva con le sue labbra, senza rischiare un Cruciatus in mezzo alla fronte.
Provava lo stesso anche quel giorno, con Lily totalmente concentrata nel dividere le sue attenzioni tra i genitori, le amiche e Sirius. Era stata più lontana di quanto l’avrebbe voluta.
E c’era stata anche una certa reticenza nei suoi modi che poteva capire, perché per lui era stato lo stesso. La verità era che non erano a Hogwarts, ma a casa di lei, con i suoi genitori a pochi metri da loro. Avrebbe voluto abbracciarla e baciarla, quando era arrivata, ore prima, ad aprirgli la porta sorridendo e con un paio di codini infantili a trattenerle i capelli che gli avevano ricordato con la forza di un pugno allo stomaco quanto l’avesse voluta anche allora, ancora bambina eppure già donna.
In realtà avrebbe persino potuto farlo perché erano soli nell’ingresso, eccetto Sirius. Né Anne né George avrebbero avuto da ridire se li avrebbero visti, glielo aveva detto il modo tranquillo e caloroso con cui l’avevano salutato. Eppure saperli a poca distanza gli aveva lasciato addosso una strana inquietudine, forse riserbo, forse imbarazzo, forse decoro, che gli aveva impedito di toccarla per altro che fosse una carezza sulla guancia.
L’aveva così osservata chiacchierare con Alice ed Emmaline, litigare con Julie e impedire a Virginia di assecondare ogni capriccio di sua madre. L’aveva vista lasciare una carezza amichevole e impacciata insieme sul braccio di Sirius, quando il ragazzo le si era istintivamente avvicinato sconcertato per l’accoglienza riservatagli dai suoi genitori, Anne in particolare, sebbene mai James avrebbe creduto che il suo migliore amico avrebbe cercato il quieto conforto di una persona amica proprio da Lily Evans.
Non l’aveva persa di vista che per pochi minuti, perfino quanto Anne aveva trascinato lui e Sirius in cucina perché le raccontassero quanto sua figlia così testardamente taceva sulla loro vita a Hogwarts, perché non era riuscito a starle lontano troppo a lungo anche sapendo di non poterla toccare.
Ma gli era mancata lo stesso e adesso lei era lì, quasi l’avesse avvertito. Lily aveva lasciato amici e parenti in cucina e l’aveva raggiunto in salotto.
Le sentì strusciare il naso contro la sua schiena stringendo più forte le dita intorno alle sue.
O forse, semplicemente, era mancato anche a lei.
-Se non ti conoscessi, Evans, penserei che stai cercando di attirare la mia attenzione.- e molto altro, come le mie mani addosso e te, avrebbe voluto aggiungere visto il brivido che ancora gli percorreva la schiena e che si intensificò soltanto quando lei, per smaliziata ripicca probabilmente gli lasciò un morso giocoso sulla schiena, appena accennato ma comunque abbastanza per fargli avvertire la presa dei denti sulla pelle attraverso la stoffa pesante del maglione che indossava.
James mise a tacere i pensieri, quei pensieri, prima che diventassero sconvenienti, come aveva imparato a fare nelle ultime settimane da quel bacio che si erano scambiati sul tappeto di casa propria, quando era in sua presenza. Quando era solo, d’altra parte, era un altro discorso, ma lui non era certamente tenuto a confessarlo. Non era un santo, solo il ragazzo che l’aspettava da una vita.
-Sirius dice che è ora che andiate. Che Dorea vi aspetta per cena.- cambiò discorso Lily, stringendo per alcuni secondi la presa e poi lasciarlo andare.
-Lo so.- girandosi per guardarla, però, James non diede alcun segno di volersene andare davvero.
Per quanto gli piacesse passare il Natale in famiglia, con Sirius nella stanza accanto alla propria e la certezza che anche i ragazzi sarebbero passati  il giorno dopo per scambiarsi i regali, non voleva lasciare Lily.
L’aveva desiderata vicina spesso, in quei due giorni lontani, nonostante la compagnia del proprio fratello.
-Cosa fai domani?-
Vedere la smorfia appena accennata, che le arricciò il naso in maniera deliziosa, gli fece capire cosa la aspettasse senza che lei dicesse niente. Dopotutto era Natale, il giorno dedicato alla famiglia. E Anne e George , di certo, voleva passarlo con entrambe le figlie.
Una parte di Lily, probabilmente, la pensava alla stessa maniera.
Una parte di Sirius, addirittura, la pensava alla stessa maniera. Era strano e confortante insieme vedere adesso con tanta chiarezza quanto due delle persone più importanti della sua vita si somigliassero, nelle cose importanti, non solo nel prenderlo a pugni quando occorreva.
-Ho il tuo regalo di sopra. Andiamo a prenderlo.- cambiò di nuovo discorso lei.
James, il proprio, lo sentiva bruciare in tasca da tutto il giorno, ma ancora non aveva trovato il momento adatto per consegnarglielo. Si era rassegnato, a pochi minuti dalla sua partenza, ad attirarla in una stanza vuota, mentre Sirius distraeva abilmente i suoi genitori.
Nemmeno a dirlo, infatti, Anne già lo adorava. Non quanto adorava lui, gli aveva sussurrato Lily divertita un paio d’ore prima, ma sembrava che i Malandrini le andassero decisamente a genio.
Camminando in silenzio fianco a fianco, talmente vicini che le loro mani si sfioravano a ogni passo, Lily lo condusse fino in camera sua.
Non avevano parlato di regali, nel periodo precedente al Natale, ma James era felice che la ragazza ci avesse pensato lo stesso. Lui aveva girato tutta Diagon Alley alla ricerca del regalo perfetto e, alla fine, c’era riuscito solo quando a sua nonna lo aveva indirizzato al posto giusto, grazie alla sua infinita rete di amicizie ma, soprattutto, perché sapeva leggergli dentro.
Era stato così soddisfatto di sé, alla fine, che nemmeno le incessanti battute di Sirius erano riuscite a smontarlo. E, visto il malumore che lo perseguitava, Black non c’era andato affatto leggero. Ma James era riuscito a ignorare la voglia di schiantarlo, all’ennesima illazione sulla sua mancanza di virilità, per non rischiare di distruggere il salotto. Sua madre non l’avrebbe fatta passare liscia a nessuno dei due e passare il Natale in punizione non era affatto divertente. Lo avevano già sperimentato sulla propria pelle. Entrambi. Dorea teneva molto alle sue delicate decorazioni natalizie e anche al gigantesco abete nell’angolo del salotto e non si era mai fatta problemi a riservare a Sirius gli stessi rimproveri del figlio, quando era necessario.
-In realtà è un regalo stupido. Voglio dire è…- iniziò a spiegargli la ragazza in evidente difficoltà, stringendo tra le mani un pacchetto azzurro.
-Evans sono sicuro che mi piacerà. Non era nemmeno necessario che mi regalassi niente, dopo tutto quello che hai fatto per Sirius in questi giorni. Dopo oggi.- le rispose, ed era vero.
Tutte le attenzioni che aveva tributato a Sirius, silenziose e affatto palesi, erano state il più bel regalo che avesse potuto fargli. Sirius era il suo migliore amico, suo fratello, e vedere che lei non solo capiva cosa questo comportava, ma addirittura condivideva, gli aveva scaldato il cuore.
Perché, per quanto l’amasse, se Lily gli avesse chiesto di scegliere tra lei e Sirius non era certo della risposta che avrebbe dato. Se lo avesse chiesto, si era innamorato di una ragazza che non esisteva se non nella sua testa.
Perso in quei pensieri nefasti, James, quasi si perse il momento in cui la difficoltà di Lily divenne irritazione.
-Che idiozia! Quello che ho fatto per Sirius l’ho fatto per Sirius, non certamente per te!- lo rimbrottò anche se non era del tutto vero, perché non era davvero James se non aveva Sirius al suo fianco, prima di lanciargli il pacchetto e sedersi sul letto, aspettando che lo aprisse.
Potter sorrise andandosi a sedere al suo fianco per iniziare a scartare il regalo. Certe volte, con Lily, non c’era davvero bisogno di una risposta. Ed era un bene, perché lui non era poi così bravo con le parole. Erano le azioni, il suo forte, e dubitava che baciarla fino a lasciarla senza fiato come avrebbe voluto fare le avrebbe fatto capire quanto le era grato, per quelle parole, per quella giornata.
Per quel regalo.
Si ritrovò infatti tra le mani un cappello rosso con orecchie da orso, dei bottoni per occhi e un simpatico sorriso sbilenco da cui spuntavano un paio di dentoni ridicoli che studiò in silenzio.
Era esattamente identico a quello che Lily indossava sempre al primo anno, tranne che per il colore.
-Sapevo che era un regalo stupido. Ma non riuscivo a smetterci di pensare e questo…-
-C’è scritto Natale 1972 sulla busta.- la interruppe.
-Perché era il regalo di Natale che volevo darti al primo anno. Sapevo che quel cappello ti piaceva tantissimo così quando gli zii di mamma sono andati a Roma, quell’anno, ho chiesto loro di portarmene uno.-
-E lo conservi da allora?-
-Che posso dirti? Sono un’accumulatrice seriale, non butto mai niente.- ma non era vero.
Quando Lily mentiva non lo guardava mai in faccia e si portava i capelli alle labbra, e lei stava studiando il cappello come se lo vedesse per la prima volta succhiando una coccia di capelli rossi.
-In realtà l’avevo gettato in fondo all’armadio dopo..insomma mi ero perfino dimenticata di averlo. Quando mi hai parlato del cappello, a inizio anno, mi è tornato in mente e mi sono messa a cercarlo.- ammise alla fine Lily accarezzando con un dito la stoffa morbida del cappello come avrebbe potuto fare con la guancia di un bambino forse ripensando alla ragazzina impulsiva che era stata un tempo. Talmente impulsiva da non perdonargli l’idiozia di un undicenne. Talmente impulsiva da avergli voluto regalare qualcosa che desiderava per poi nasconderlo fino a dimenticarlo.
James con un movimento veloce si infilò il cappello, decisamente troppo piccolo per l’uomo che era diventato, e si occhieggiò soddisfatto allo specchio che stazionava in un angolo della stanza.
-Direi che mi sta perfetto- commentò perché era facile ignorare quanto fosse ridicolo un ragazzo di diciassette anni con in testa un cappello a forma di orso, troppo piccolo e decisamente imbarazzante per chiunque avesse più di dieci anni, se era lei a regalartelo
-Ora prova il tuo- le intimò con leggerezza, lanciandole il pacchetto che si portava dietro da giorni.
Per quanto soddisfatto della scelta fatta, infatti, era stato preoccupato all’idea di consegnarglielo. Ma vedendo il regalo che lei gli aveva fatto, tutta l’ansia era come svanita.
Perché erano come un cerchio. L’uno era il giusto complemento per l’altro, come lo erano loro due.
Un regalo per il passato.
Un regalo per il futuro.
Quando Lily aprì il pacchetto si ritrovò tra le mani un anellino d’argento con il simbolo dell’infinito a formare la parte superiore.
Dallo sguardo che gli lanciò, James capì che non c’era bisogno di spiegarle il significato. Non erano molti, gli anelli del genere, che circolavano per il mondo magico, dopotutto.
-James…- bisbigliò, con la stessa emozione nella voce che, ne era certo, aveva avuto lui poco prima negli occhi. A dimostrazione che era Lily, tra i due, quella brava con le parole, perfino se di due sole sillabe.
Aveva sempre saputo esprimere al meglio ciò che pensava di lui, solo chiamandolo per nome, che fosse “Potter” o “James” non importava.
La ragazza continuava a osservare ipnotizzata l’anello come se, perdendolo di vista, sarebbe scomparso per sempre. James conosceva la sensazione. Quando il signor Solomon, l’amico di sua nonna, glielo aveva mostrato, era stato lo stesso.
Non tanto per l’anello in sé, che era fin troppo semplice per gli standard del mondo magico, tutto lucichii e barocchismi, quando del suo significato.
Sentiva le parole bruciargli sulle labbra, ma aspettò comunque che Lily alzasse gli occhi fino a incontrare i suoi per parlare. Voleva che le fosse ben chiaro quanto stava per dirle. Voleva che fosse pronta a sentirselo dire.
Eppure quando quelle incredibili gemme di smeraldo incontrarono il suo sguardo era lui, a non essere pronto. Perché c’era già la risposta che aspettava e si trovava tra il verde intenso di quegli occhi e le lacrime che Lily cercava di non far cadere.
-Lo so che è presto. So che siamo giovani. So che hai aspirazioni e obiettivi per il futuro, che vanno oltre una tua vita con me. E so che in molti avranno da ridire, proprio per questi stessi motivi. Probabilmente anche i nostri genitori, Lily, e sinceramente non potrò dar loro torto perché se avessi un figlio anche io farei lo stesso e gli chiederei di aspettare. Ma poi ti guardo e so che non posso immaginare un futuro di cui tu non faccia parte, so che non riesco a farlo da quando avevo quattordici anni e tu non ti lasciavi baciare e io non riuscivo a pensare ad altro che a questo. Ti voglio da una vita, Lily Evans, ma soprattutto ti voglio per la vita. E sono disposto a mandare al diavolo tutto e tutti se per te è lo stesso.-
Il “si” soffocato che le era uscito dalle labbra, prima ancora che potesse farle la domanda alla quale lei già stava rispondendo, si sarebbe perso in un bacio irruente e maldestro, se Lily non lo avesse ripetuto più e più volte, tra un bacio sulle labbra e uno sulle palpebre, tra uno sulla guancia e uno alla tempia.
-Aspetta, lasciami finire e fammi essere corretto fino in fondo, perché stavolta non è un gioco…-
-James ma cosa…?-
-Conosci le mie intenzioni per il futuro. Sai che diventerò Auror, sai che combatterò in questa guerra. Se mi dici si, oggi, sposerai un uomo che tornerà a casa coperto di sangue e con la morte di un altro sulla coscienza. A volte dovrai rimettermi in piedi, altre dovrai rimettere insieme i pezzi. Potrei non tornare a casa da te, lasciandoti sola troppo presto.-
-James…-
-So che la guerra la fuori non è un gioco. So che potrei morire o che potrei diventare una persona diversa da quella che sono adesso. Non posso prometterti di esserti sempre vicino quando ne avrai bisogno né di sopravvivere a Voldemort. Ma posso prometterti che, sapendoti ad aspettarmi, non lascierò niente di intentato per tornare da te. Posso prometterti che ti proteggerò sempre, quando sarai al mio fianco sul campo di battaglia o a casa ad aspettarmi. Posso prometterti che non cercherò mai di impedirti di combattere per quello che credi, anche se vorrei solo tenerti al sicuro e impedire al male di raggiungerti. Non è molto ed è egoista, ma è la sola verità che posso darti.-
Lily piangeva e James non avrebbe saputo dire il momento in cui aveva iniziato perché non era riuscito a guardarla negli occhi mentre le parlava. Si era limitato a stringerle le mani odiandosi per il futuro che le stava dipingendo perché avrebbe voluto darle il mondo e invece poteva darle solo un futuro di guerra.
-James…James sono le stesse promesse che posso farti io. E lo sai. Ma non è un brutto futuro. Sarò idealista, sarò un’illusa, ma non può essere un brutto futuro se siamo insieme e continuamo a combattere per quello in cui crediamo.-
La stava di nuovo baciando, un bacio che sapeva di disperazione e rabbia perché erano troppo giovani per dover fare certe scelte e se ne rendeva conto per la prima volta, ma poi lei aveva iniziato a rispondere al bacio e, come sempre, era svanito tutto tranne lei.
Non aveva bisogno di una bacchetta, quando aveva lei tra le braccia. Era quella pace ovattata, la vera magia.
Nemmeno l’improvvisa quanto inopportuna apparizione di Sirius che era stato inviato, insieme a Julie, a cercare i due dispersi perché era giunto il momento dei saluti, era riuscito a far staccarlo staccare dalla ragazza o allontanare la sua mano da quella su cui, adesso, scintillava un’apparentemente insignificante anellino d’argento.
Quando Sirius l’aveva notato, nonostante avesse sempre saputo delle intenzioni dell’amico, non si era potuto evitare una battuta e una luce d’orgoglio negli occhi.
-Immagino che ti abbiamo perso, fratello.- gli aveva detto, battendogli una pacca sulle spalle.
-No, l’abbiamo perso nel momento in cui si è infilato quel ridicolo cappello- aveva ribattuto altrettanto sarcastica Julie, prima però di abbracciare entrambi.
Li avevano guardati con un sorriso prima di precederli al piano di sotto e scortargli dagli altri che li aspettavano in piedi in salotto, pronti ad andarsene. Erano quasi le sette e non se ne erano accorti. Ormai Dorea doveva aver dato i ragazzi per dispersi.
Ma furono considerazione oziose e presto accantonate, quando Alice ed Emmaline proruppero in un urlo entusiasta o quando Virginia ebbe un principio di svenimento alla vista dell’anello che Lily adesso portava al dito, eventi che lasciarono sicuramente perplessi i signori Evans, ma la felicità generale era talmente evidente che entrambi preferirono lasciare i ragazzi ai loro festeggiamenti, quali essi fossero.
Si erano salutati tutti, ormai, con baci e abbracci festanti come solo certe pazzie tra ragazzi possono meritare e stavano allegramente congelando nel vialetto d’ingresso per controllare che nessun babbano fosse in vista, quando James prese Lily da parte sorridendo.
C’era ancora una lieve traccia amara, nei suoi occhi, ma un si consapevole era meglio di uno illuso e irreale.
-Non era così che avevo immaginato di chiederti di sposarmi.-
-E come lo avevi immaginato, allora?-
-Romantico e svenevole, suppondo. Avrei dovuto inginocchiarmi e porgerti l’anello pregandoti di fare di me un uomo perbene. Insomma tutti i crismi del caso.-
-E’ una fortuna che tu non l’abbia fatto, allora. Nessuno lo vorrebbe vedere un malandrino per bene.-
Potter stava per chinarsi verso di lei e baciarla di nuovo, incurante di quel riserbo che pure l’aveva fermato ore prima, quando Sirius lo richiamò nuovamente all’ordine, stringendosi addosso il suo cappotto babbano, pronto per andarsene come le ragazze avevano appena fatto.
Con un gesto distratto della mano e un’occhiata verso la finestra del salotto dove si erano ritirati Anne e George pochi minuti prima, l’amico gli fece capire che aveva il via libera per farlo. E che gli concedeva due minuti da solo con lei, precedendolo a casa con un ultimo distratto saluto della mano rivolto a Lily. Eppure stavolta fu lei a fermarlo nel suo proposito, afferrando saldamente Potter per una manica, a impedirgli di seguire Black verso casa.
E lo aveva fatto con la stessa espressione determinata e imbarazzata insieme che aveva avuto quando, a Hogsmade, gli aveva chiesto se stessero insieme o meno. Troppo poco tempo prima, probabilmente, per l’anello che adesso portava al dito.
-Mi hai chiesto di sposarti e…- iniziò a parlare mordendosi le labbra.
Sentendoglielo dire, così sicura com’era solo quando era irremovibile dalla decisione presa, James non potè impedirsi di chinarsi per un bacio veloce.
-E tu mi hai detto si- le rispose ancora sulle sue labbra come a prolungare quella carezza appena accennata.
La sentì sbuffare contro la bocca, perché nemmeno lei voleva staccarsi, sembrava.
Saperlo, e averla tra le braccia, riusciva a scardargli il cuore come James non avrebbe mai creduto possibile.
-D’accordo. Ma mi hai chiesto di sposarti e non mi hai mai detto ti amo- e se Lily aveva iniziato a parlare con un tono testardo e infantile insieme, un atteggiamento che non le aveva mai visto assumere, era arrivata alla fine quasi senza voce, in una richiesta implicita che gliela rendeva ancora più preziosa.
Perché Lily affrontava le situazioni di petto, non chinava il capo nemmeno quando si sentiva morire dall’imbarazzo. Eppure adesso gli chiedeva di dirglielo, quel “Lily ti amo” che James si sentiva sulla lingua da che l’aveva baciata per la prima volta, senza farlo davvero. Quasi avesse paura della risposta, come si ha sempre paura quando si mette completamente in gioco il proprio cuore.
Le carezzò il collo con una mano, mentre con l’altra la costrinse ad alzare lo sguardo fino ad incontrare il proprio.
C’erano cose che andavano dette occhi negli occhi e quella era decisamente una di quelle.
-Evans…io ti ho detto ti amo la prima volta che ti ho tirato le trecce e tutte le volte da allora che ti ho alzato la gonna e ho continuato a farlo ogni volta che ti facevo arrabbiare o mi facevo prendere a schiaffi. Tu, invece, quand’è che ti deciderai a dirlo?-
E con un ultimo bacio sul naso, talmente impalpabile quanto era preoccupante il suo sogghigno, James girò su se stesso prima di sparire con un sonoro POP, lasciandosi dietro un turbine di fiocchi di neve e gelo invernale.
 Il messaggio era semplice. Adesso, la prossima mossa, stava a lei.
 
 



 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE (IN RITARDO COME SEMPRE).
 


Sono di nuovo passati mesi e, stavolta, il capitolo è solo di sei miserissime pagine di Word. Scusatemi.
Avrei anche scritto qualcos’altro, e doveva stare nel capitolo, ma questo è solo per James e Lily e continuare sarebbe stato ingiusto per loro.
Ringrazio chi ancora non ha abbandonato la storia e chi ha recensito nonostante io sia una pessima autrice.
Come sempre le risposte ai commenti entro sera.
Se volete farmi sapere cosa ne pensate, non potrei esserne più contenta.
Vi mando un abbraccio enorme.
 


Rebecca.

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Capitolo 35
*** Nuovi inizi ***


 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La campagna inglese, in inverno, spesso assumeva connotati spettrali, Regulus l’aveva sempre saputo fin da quando, ancora bambino, si era perso nel bosco dietro la tenuta di famiglia insieme a Sirius.
Erano stati ritrovati dopo un paio d’ore da un elfo singhiozzante, ben consapevole che aver perso di vista i figli del padrone avrebbe avuto delle conseguenze, conseguenze che divennero ancora più gravi quando la padrona Black, compostamente seduta in uno dei salotti a sorseggiare il suo the pomeridiano,  potè notare lo stato di assideramento in cui vertevano i figli. Sirius, soprattutto, che si era privato del cappotto per farlo indossare al fratello più piccolo e si era guadagnato, in quel modo, un principio di polmonite e vigilanza costante per il resto dell’inverno.
Eppure quelle forme spettrali, gli alberi che davano vita a mostri sanguinari, agli occhi di un bambino terrorizzato, e che erano tornate spesso a perseguitarlo nei sogni insieme al gelo che lo aveva attanagliato in quel lontano pomeriggio della sua infanzia, sembravano un luogo da fiaba rispetto al salone che gli si apriva davanti agli occhi in quel momento.
Eppure era cresciuto, tra quelle stanze, come ogni altro Black.
Regulus avrebbe potuto disegnare il perimetro della casa della bisnonna Black, ereditata alla sua morte da sua cugina Bellatrix, senza nemmeno pensare, tanto era vivo nella sua mente il ricordo.
Ma non quel giorno.
Non con Bellatrix che gli artigliava il braccio, come avrebbe potuto fare con una preda particolarmente ambita, e quel cerchio di maschere d’argento che gli rivolgevano, beffarde, lo stesso gnigno fantasma di un incubo.
Le risate di sua cugina erano il perfetto sottofondo per quella scena.
Una scena cui Regulus apparteneva per propria scelta, si ricordò, arginando il terrore nell’unico modo in cui riusciva ad arginare tutto quando.
La ragione.
Il cuore così rallentò la sua corsa folle, insieme alla consapevolezza che quei volti agghiaccianti altro non erano che maschere e carne.
Un travestimento che presto avrebbe indossato nello stesso modo in cui avrebbe portato un giuramento sulla pelle.
Era lì per quello, come sua cugina si era assicurata che lo ricordasse a ogni passo.
Come se fosse tipo, Regulus, da agire senza pensare.
Anche Bellatrix, come i suoi genitori, a volte lo guardava e vedeva il ragazzo sbagliato.
Era la storia della sua vita, che la famiglia lo guardasse e vedesse l’erede di una casata.
Il figlio che Sirius avrebbe potuto e dovuto essere e che invece Regulus era dovuto diventare.
-Il Signore Oscuro sarà qui tra poco, concedendoti l’onore di essere lui ad accettare il tuo giuramento- lo informò Bellatrix, con gli occhi scintillanti di una luce preoccupante. Un luce troppo simile a quella di un’invasata, per poter essere rassicurante.
Il ragazzo si limitò ad annuire, continuando a seguire docile la donna che si avvicinava sempre più al cerchio di uomini in scuro che li attendevano al centro della sala.
Staccare il cervello, una volta raggiunti, fu facile e forse stupido, ma inevitabile.
Pontificare stragi e morti per il solo gusto del sangue sulle proprie mani, delle grida folli di paura e singhiozzi imploranti, lo disgustava esattamente come l’uomo che stava alla sua destra.
L’odore di foglie morte e sangue che aveva addosso, insieme agli scintillanti occhi gialli che la maschera non riusciva a nascondere né occultare efficacemente, lo qualificavano esattamente per come la bestia che era.
Un mannaro.
Peggio, un mannaro di nascita.
La sua presenza in quella stanza rendeva quel gruppo non formato da un’elitè di predestinati e precursori della grandezza del sangue, come sua cugina li aveva definiti in una delle sue lettere, ma semplice carne da macello.
Nient’altro avrebbe potuto essere infatti, un mannaro, se non una delle prime pedine sacrificabili sulla scacchiera di un potere ormai saldo.
Buoni per aprirsi un varco tra i nemici durante le battaglie, per terrorizzare le masse e minacciare i deboli, ma da eliminare una volta ottenuto quanto prefissato.
Tanto quanto la sua forza era una preziosa alleata su campo, infatti, altrettanto era pericolosa in momento di pace. I mannari erano bestie, non erano controllabili, non erano leali a niente eccetto alle proprie leggi. E chi non piega il capo al nuovo regime non è utile al nuovo regime.
Non ai suoi occhi, almeno.
-Nemmeno ai miei, giovane Black- sussurrò una voce lievemente sibilante alle sue spalle.
Nel tempo che Regulus impiegò per voltarsi e vedere chi avesse parlato, tutti gli altri si zittirono e chinarono il capo in segno di rispetto.
Tuttavia non servirono il loro immobile silenzio né i secchi gesti con cui sua cugina lo costrinse a piegare il capo a sua volta, per capire chi si trovava davanti.
Bastavano i segni che la magia avevano lasciato su quel volto, per capire che il Signore Oscuro aveva fatto la sua comprasa, apparendo alle loro spalle infido e subdolo solo come un serpente.
E la facilità con cui l’uomo continuava a insinuarglisi nella mente, se il sogghigno che gli stava rivolgendo era veritiero, nonostante Regulus stesse impiegando tutte le sue doti e conoscenze nel tenerlo fuori, non faceva che supportare la sua teoria.
-La cara Bellatrix mi aveva detto che c’era qualcosa di speciale in te, Regulus Black. E posso vedere che non mentiva- parlò ancora.
-Mio signore, non potrei mai- si inchinò Bellatrix facendoglisi incontro servile con di nuovo quella luce preoccupante negli occhi.
-No, non potresti- concordò il Signore Oscuro.
A quelle parole la donna annuì entusiasta, come ritenesse che il suo signore l’avesse appena tributata di un onore immenso ammettendo di non concepire, da parte sua, la possibilità di una menzogna.
Regulus, invece, ne rimase agghiacciato.
Il ragazzo osservò con blando interesse la processione di apostoli fedeli pronti a rendere omaggio al proprio padrone, concentrandosi invece sull’uomo alla cui presenza si trovava per la prima volta.
Il Signore Oscuro doveva essere stato attraente un tempo, lo era ancora, di quella bellezza pericolosa che solo in pochi comprendono, accentuata all’eccesso dai segni che la magia gli aveva inciso addosso, ma era invecchiato anzitempo. Perché la magia chiedeva sempre qualcosa in cambio, Regulus lo sapeva, soprattutto a chi ne conosce i limiti e ne espande i confini.
Tra tutte le tracce di magie potenti e pericolose che l’uomo si portava addosso, che avevano scavato rughe nella pelle e affilato gli angoli, niente era ammaliante come il rosso che colorava l’iride del Signore Oscuro.
Un rosso talmente brillante e vivo che Regulus riusciva quasi a immaginare il sangue scorrervi in mezzo.
E la paura lo pungolò di nuovo, in un nodo doloroso alla gola, perché era impossibile fissare quell’uomo senza averne. Sarebbe bastato un suo gesto ad ucciderlo, Regulus lo sapeva, e si sentì inerme per la prima volta da che aveva valicato le porte di quella stanza.
Sua cugina era una strega capace e faceva della sua imprevedibilità la sua forza, in un modo non dissimile né meno istintivo di quanto avrebbe potuto fare il mannaro, ma Regulus sapeva che avrebbe potuto resisterle. Sfiancandosi e morendo nel tentativo di fermarla, forse, ma il Signore Oscuro era diverso.
Non era la sua inesperienza di adolescente a metterli su due piani diversi.
Non era la sua minore abilità in uno scontro a renderglielo un nemico mortale.
Era la magia che gli crepitava intorno, talmente palpabile che Regulus si sorprendeva fosse possibile avvicinarlo.
Non si sarebbe sorpreso scoprendo che quella magia si sarebbe mossa a colpire un avversario e proteggerlo prima ancora che il suo braccio terminasse i movimenti della bacchetta.
-Regulus Black sembra che tu abbia un giramento da prestare oggi. E, credimi, raramente sono stato tanto ansioso di accettarlo…- sussurrò nella sua direzione l’uomo.
Dallo sguardo che aveva, Regulus sapeva che non aveva mai smesso di leggergli dentro, pur distratto com’era.
E in qualche modo, il razionale terrore che il ragazzo provava nei suo confronti, ben diverso dalla venerazione incondizionata di Bellatrix o al viscido servilismo di altri nascosti dietro la maschera, lo lusingava.
E glielo rendeva prezioso, in qualche modo.
Non prezioso, si corresse un attimo prima che Bellatrix gli si facesse di nuovo a fianco splendente d’orgoglio per le attenzioni tributate al cugino.
Dal sogghigno distratto che comparve sul viso del Signore Oscuro, Regulus seppe di avere di nuovo ragione.
Alla paura si aggiunse la preoccupazione.
Nessuna delle due, però, gli incrinò la voce durante il giuramento.
Morsmorde dalle sue labbra.
I suo genitori ne sarebbero stati fieri.
Morsmorde sul suo braccio.
Sirius, in un angolo, stava urlando come se la pelle gli si stesse incendiando.
La pelle, invece, era solo la sua.
La vita non più.
E il Signore Oscuro sogghignava ancora, un silenzioso assenso ai suoi pensieri.
 
 
 
 





 
 
 
***
 





 
 
 
 
 
 
Sirius urlava la sua frustrazione al cielo, come un cane rabbioso alla luna.
Per quanto lo riguardava, infatti, era un’analogia particolarmente calzante che non finiva mai di divertirlo, sebbene in quel momento non ne cogliesse l’ironia.
Non quando Peter si comportava in modo più fastidioso e incomprensibile del solito.
James, proprio un paio d’ore prima, gli aveva espresso lo stesso pensiero riguardo al loro piccolo amico.
Peter non era mai stato l’anima della festa, quanto più uno dei fiori sbiaditi sulla tappezzeria della stanza, vista l’entità del suo contributo alla suddetta festa, ma con questo entrambi avevano fatto i conti fin dalla prima volta che l’avevano accettato nel gruppo.
Se James, però, era quello più paziente quando si trattava del ragazzo, Sirius non poteva vantarsi di altrettanto e spesso finiva a dare addosso a Peter cercando di smuoverlo o almeno farlo parlare, forse pieno di buone intenzioni, ma non per questo meno corrosivo dell’acido che in quel momento gli scorreva sottopelle.
Così aveva fatto anche qualche minuto prima, cercando di capire cosa stesse succedendo in quella sua testa vuota da un paio di mesi a quella parte senza venire a capo di nulla.
E lui ne aveva decisamente abbastanza di idioti senza cervello che non accettavano una mano offerta in aiuto nemmeno quando veniva loro sbattuta in faccia.
Prima quell’idiota di suo fratello.
Ora quell’idiota del suo amico.
-Sirius sta esagerando- commentò a un certo punto Remus rivolto a James, entrambi a braccia conserte e poggiati contro l’intelaiatura delle enormi vetrate che dividevano il salotto preferito della nonna di Potter dal giardino d’inverno in cui avevano deciso di spendere il pomeriggio con la benedizione di Dorea che non avrebbe sopportato ancora i loro schiamazzi per casa.
-Era ovvio che sarebbe esploso, prima o poi- si limitò a considerare James, sebbene comprendesse la preoccupazione dell’amico.
-Questo non lo giustifica dal prendersela con Peter. Di nuovo-
-Ha provato a prendersela con me negli ultimi due giorni e con te per tutto il pomeriggio. Credevo che si sarebbe arreso a sfogarsi su Peter molto prima, se proprio vuoi saperlo, solo che non ne aveva ancora avuto un motivo-
Remus guardò l’amico trovandolo fin troppo adulto per l’età che avevano.
Succedeva, a volte.
Non solo con James, ma anche con Sirius.
Aveva avuto quell’impressione fin dalla mattina successiva a Hogsmade e al suo scontro con Regulus. Forse anche da prima, da quel giorno nei bagni femminili in cui le ragazze avevano raccontato loro dell’alterco tra il giovane Black e Piton.
Remus si era aspettato che l’amico esplodesse e partisse in ricerca del ragazzo pretendendo spiegazioni, magari davanti all’intera scolaresca, e invece era rimasto silenzioso a progettare la sua mossa successiva.
Poi si era aspettato che lo colpisse fino a farlo ragionare di nuovo, perché era con i pugni che Sirius sembrava riuscire a farsi capire dai propri fratelli anziché con le parole, e invece era andato dritto da Silente a raccontare tutto.
Anche se Sirius era tutto meno che una spia.
Anche se sapeva che si disprezzava per non essere in grado di risolvere da solo la situazione.
Anche se gli era così difficile chiedere aiuto.
Quando l’aveva fatto notare a James si era limitato a scrollare le spalle e mostrarsi, anche lui, più adulto di quanto non fosse.
“Non rischierebbe mai la vita di Regulus. E non si perdonerebbe mai se gli accadesse qualcosa per un errore suo” aveva detto il ragazzo battendogli solidale una pacca sulla spalla.
Remus non si era mai sentito così orgoglioso degli amici che gli erano capitati in sorte.
Forse solo quando gli si erano trasformati davanti, boriosi e pieni di orgoglio come solo dei quindicenni particolarmente dotati e consapevoli di esserlo possono essere, in animagus completi e stabili.
Non poteva dissentire con James.
Prima o poi era normale che Sirius avrebbe fatto qualcosa di stupido.
Come prendersela con i suoi amici per sfogare la rabbia che provava per Regulus. Perché alla fine sempre di famiglia si trattava.
Che fosse Peter a subire, come sempre, era solo ovvio. Né lui né James gli avevano dato modo di farlo su di loro. Minus, però, non era mai stato capace di fare altrettanto, purtroppo.
-D’accordo, mettiamo fine a questo massacro. E magari riusciamo perfino a capire perché Peter è così distante ultimamente- dichairò alla fine James.
Per farlo si beccò dietro un ringhio frustato di Sirius, che se ne andò indignato borbottando di “idioti testardi” e altre carinerie simili, lasciando dietro di sé un Peter prossimo alla crisi di nervi e James che tentava di calmarlo.
Non che ci sarebbe riuscito.
-Deve smetterla di trattarmi così!- piagnucolò arrabbiato il ragazzo.
James stava per parlargli di nuovo quando Peter fece la cosa che faceva ogni volta che era spaventato o stressato, tirando fuori determinato la bacchetta.
Sarebbe stato motivo d’orgoglio, per chiunque altro, essere in grado di controllare una trasfigurazione così complessa a soli diciassette anni, non fosse stata che Peter aveva appena usato la sua capacità di Animagus per farsi il più piccolo possibile e rintanarsi in un angolo.
Prima o poi avrebbero dovuto parlare anche di quella sua tendenza a evitare i conflitti o combattere le proprie battaglie nascondendosi dietro una bacchetta e l’illusione, ma in quel momento James sospirò e lo lasciò andare.
Così come poco prima aveva lasciato andare Sirius a sbollire ovunque avesse desiderato.
A volte essere amici significava anche quello.
Lasciare all’altro i propri spazi quando avresti voluto non lasciarne alcuno.
 
 
 
 
 
 
 



 
***
 




 
 
 
 
 
 
Non era come se James Potter non avesse mai pensato al sesso.
L’aveva fatto da quando aveva capito perché i ragazzi più grandi fossero tanto interessati a vedere cosa ci nascondessero, le femmine, sotto ai vestiti.
A lui, fino ad allora, era infatti interessato alzare solo la gonna a Lily Evans quando gli passava accanto per i corridoi e lo ignorava, per farla arrabbiare e costringerla a guardare nella sua direzione, invece che parlare con quel perdente di Mocciosus. E se per farla arrabbiare capitava di spiare, inavvertitamente, le mutandine di cotone a fantasia che la ragazzina indossava, James non ci aveva mai visto niente di male né degno delle punizioni che la McGrannitt immancabilmente gli riservava, trascinandolo per un orecchio nel suo ufficio con le labbra assottigliate pericolosamente.
Dopotutto anche lui, sotto la divisa, indossava la biancheria. Solo che aveva gusti decisamente migliori di Evans in fatto di mutande.
Poi era arrivata la pubertà e con essa Althea Monroe e James aveva capito. E aveva provato cose che fino ad allora erano state circoscritte ai rari momenti di solitudine che la vita a Hogwarts concedeva.
Era al terzo anno, le vacanze estive si stavano avvicinando sempre più e la degenza in infermeria durata due settimane che quel matto dell’ex ragazzo di Althea gli aveva regalato, gli avevano permesso di riflettere molto sulle sue nuove scoperte. Forse anche grazie a un piccolo aiuto di Sirius che, bastardo come solo un Black può essere, non si era fatto problemi a dirgli quanto fosse diventata carina Evans, nell’ultimo anno. E quanta carne nuda lasciasse in vista la gonna della divisa, ora che aveva abbandonato le calze a seguito delle temperature più miti che avevano investito perfino Hogwarts.
Liberato finalmente da quella permanenza forzata, James aveva fatto di un punto d’onore l’alzare la gonna della ragazza più in alto di quanto avesse mai fatto prima. E magari anche sbirciarle la pelle candida e nuda, quella che non era visibile a qualunque dannato maschio presente a scuola, e non solo limitarsi a occhieggiare distratto la buffa stoffa della biancheria che Lily continuava a ostinarsi a indossare.
Lo schiaffo che si era preso la prima volta che ci era riuscito, sebbene avesse lasciato un lieve rossore sulla guancia per un paio d’ore, ne era valsa sicuramente la pena.
Così non era come se James non avesse mai pensato al sesso. O non l’avesse mai fatto.
Semplicemente, il sesso con Lily Evans, era sempre stato relegato alle nebbie del sonno, circoscritto alla sfera onirica che fino a pochi mesi prima era l’unica realtà in cui lei avrebbe potuto essere sua, nuda e disponibile tra le sue braccia.
Una condizione, quella, che sebbene non esattamente mutata, non era rimasta nemmeno quella dell’anno precedente. Poter baciare Evans e abbracciarla e sentirsela addosso ogni volta che voleva aveva cambiato le cose. Tanto che James, a volte, si sentiva come se avesse avuto di nuovo quattordici anni e appena scoperto cosa avessero le ragazze di così speciale. E la mattina era diventato un momento della giornata particolarmente imbarazzante, a volte. Con gran divertimento di Sirius, che non mancava mai di sghignazzare, come se non gli fosse mai capitato.
Tuttavia, sebbene Potter avesse pensato al sesso come ogni sano diciassettenne, non aveva mai pensato di ritrovarsi Evans sullo stipite della porta della sua stanza, incorniciata dal chiarore che proveniva dal corridoio con ancora la mente piena delle immagini che il sogno aveva evocato.
Immagini provocanti fatte di tocchi appassionati sulla pelle nuda e delle carezze dei capelli rossi di lei sulle cosce.
Immagini che l’avevano acceso di desiderio nel sogno quanto nella realtà.
-Evans!- esclamò tirandosi a sedere di scatto e trascinandosi dietro le coperte, come una vergine dell’Ottocento che tenta di proteggere il proprio onore.
La voce stridula, una voce stridula molto maschile, rendeva il paragone decisamente calzante.
-Tua madre mi ha detto di salire, prima di uscire per andare a lavoro. Non pensavo di svegliarti- rispose lei inclinando la testa di lato con un’espressione attonita sul viso.
Perché, notoriamente, James Potter non era tipo da dormire fino a tardi.
In genere accadeva solo il giorno dopo la luna piena.
O dopo una nottata di bagordi che si era prolungata fino all’alba, come in quel caso. Lui e Sirius erano rimasti svegli fino a tarda notte, tenendosi impegnati nei modi più futili solo per sentire la vicinanza dell’altro, e cercare di smorzare, giacchè scacciare era impossibile, le nubi che il pensiero di Regulus portava con sé.
-Io e Sirius abbiamo fatto tardi- si limitò a rispondere. Finchè Lily era concentrata sul suo viso, infatti, non avrebbe rischiato che la sua attenzione si spostasse più in basso.
O che quella di lui ripercorresse i sentieri del sogno. Di tanti sogni che erano iniziati così, con Evans che entrava in camera sua e che, a dispetto di quanto stava accadendo in quel momento, non esitava a chiudersi la porta alle spalle con un sorriso malizioso in viso.
-Sirius è uscito due ore fa, ha detto tua madre-
Il silenzio che seguì quella constatazione, secondi preziosi che servirono al ragazzo per ritornare alla realtà, si velarono di un imbarazzo pesante che portò Lily a dondolarsi sui piedi e mordersi un labbro distogliendo lo sguardo, come una bambina colta nel fare qualcosa che non avrebbe dovuto.
-So che avrei dovuto avvertire e non presentarmi così, senza preavviso. E piombarti in camera quando ancora dormivi. Io…posso andarmene, se vuoi- disse tutto d’un fiato alla fine la rossa.
-No! E’ solo che io…- e stavolta fu James a perdere le parole e riscoprendosi più ragazzino di quanto non si fosse sentito da anni.
Cosa dire, alla propria fidanzata, in un’occasione del genere, senza che suoni come un invito o finire umiliato completamente?
-Sei arrossito, Potter? Potrei pensare che il problema non è che non mi vuoi qui, ma che mi ci vuoi troppo- scherzò lei, con il sorriso negli occhi, aprendo distratta i bottoni del cappotto viola che indossava.
Sendendo il silenzio seguire la sua battuta, una battuta a cui James non aveva saputo cosa replicare, di nuovo, perché evidentemente il sangue affluito in altre parti del suo corpo era stato prelevato dal suo cervello, lei alzò il viso di scatto per cercare il suo sguardo.
James si ritrovò a fissare un paio di enormi occhi verdi, sgranati per lo stupore, e il rossore salirle al viso in una vampata.
Il ragazzo non poteva darle torto.
Se c’era qualcuno, tra loro, che in genere scherzava sull’argomento era lui. E invece stavolta era senza parole come un tredicenne, con ancora le coperte strette intorno alla vita e il sangue che, prepotente, affluiva alle guance.
Nei pochi secondi in cui impiegò per ritrovare la voce, o il cervello, la vide mordersi il labbro come indecisa, prima di togliersi il cappotto e appenderlo alla maniglia della porta, che chiuse dietro di sé senza mai allontanare lo sguardo da lui.
Quando Lily mosse il primo passo nella sua direzione, la frase brillante che aveva finalmente sulle labbra scemò nell’ennesimo silenzio.
Al terzo James pensò oziosamente che, con ogni probabilità, la ragazza lo stava prendendo per scemo come si sarebbe definito lui, una volta che avesse ripreso a pensare.
Al sesto, quando ormai aveva raggiunto il letto, pensò che nessuno dei sogni che aveva fatto su di lei le avrebbe mai reso giustizia.
L’aveva immaginata sfacciata e sensuale e col lo stesso tono da maestrina che utilizzava in classe e invece era silenziosa e determinata e imbarazzata. E bellissima.
-Ti amo anche io, Potter. E forse ero venuta apposta per dirtelo…- gli sussurrò a un soffio dalle labbra, un fantasma di quello che pensava sarebbe stata nell’intimità appena velato dall’incertezza data dall’esporsi tanto e per la prima volta, tanto su piano fisico che emotivo.
James non avrebbe saputo dire chi fosse stato a baciare chi. Né se fosse stato lui a lasciarsi cadere all’indietro sul materasso tirandosela addosso o se lei lo avesse spinto.
Sapeva solo che c’era Lily Evans nel suo letto ed era tutto talmente imperfetto da non poter essere che reale.
C’era la coperta malamente piegata sotto di lui, che lo costringeva a una posizione scomoda con la schiena. C’erno i capelli di lei che gli erano finiti in bocca quando si era staccato per respirare facendola ridere mentre lui soffocava.
C’erano stati un paio di movimenti inconsulti delle gambe di lei per sfilarsi le scarpe con i piedi perché una brava ragazza come la Evans non sarebbe mai entrata in un letto con le scarpe.
C’erano state altre risate quando baciandole il collo le aveva fatto il solletico, e poi uno scontro di nasi dovuto alla troppa foga con cui l’aveva riavvicinata a sé.
Eppure era cento, mille volte meglio di quanto avrebbe mai potuto immaginare. E non solo perché, stavolta, non era solo in quel letto, pronto a svegliarsi in ogni momento con un desiderio inappagato di cui occuparsi.
Era perfetto perché la barba di un giorno che non aveva avuto voglia di radere, aveva irritato la pelle del viso di Lily, i capelli scomposti per le volte che vi aveva affondato le mani erano adesso abbandonati sul suo cuscino, la stoffa dei jeans di lei gli carezzava la pelle delle cosce a ogni movimento per attirarlo più vicino e i piccoli ansimi di lei erano il suono più bello ed eccitante che avesse mai sentito.
 
 
 
 
 
 
 
 




 
 
 

ANGOLO AUTRICE
 
 
 


Ammesso che ancora ci sia qualcuno disposto a leggere questa storia, visto che non aggiornavo da talmente tanto tempo che ho dovuto rileggere gli ultimi capitoli per ricordami cosa avessi scritto e cosa avessi tralasciato, ecco qua il nuovo capitolo.
So che è più breve del solito, ma mi sono sentita in dovere di tagliare una parte perché, come potete vedere, il capitolo era già pieno così.
Spero che la parte romantica vi piaccia come è piaciuto a me scriverla. O almeno un pochino. Anche se, devo ammetterlo, amo la parte su Regulus e Voldemort. E’ stata una grana da scrivere, ma è una delle parti che sono più orgogliosa di aver scritto in questa storia. Ammettiamolo, per quanto James avrà sempre un pezzo del mio cuore, qua abbiamo due personaggi affatto facili da trattare e che, spero, di non aver reso OOC.
Risponderò alle recensioni del capitolo precedente quanto prima e spero vorrete farmi sapere cosa ne pensate. Stavolta sono davvero in ansia!
Non posso che ringraziare, dal profondo del cuore, chi ancora segue questa storia nonostante i miei tempi biblici con indefessa testardaggine, e chi addirittura spende un po’ del proprio tempo per lasciarmi due righe. Vi amo, davvero.
E amo anche chi ci incappa per caso e decide di leggerla comunque nonostante l’ultimo aggiornamento sia vecchio di mesi e la mole tutt’altro che indifferente. Grazie per l’opportunità ragazzi.
Siete splendidi, tutti quanti!
 

Vi mando un abbraccio enorme e gli auguri di un buon anno, anche se in ritardo.


 
 
 
 
Rebecca <3

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