Psaico, Secret Files: La storia dello Sciacallo

di Ria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte: Childhood ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte: Guilty ***



Capitolo 1
*** Prima parte: Childhood ***


*---- Dieci anni prima

 

Dopo secoli di silenzio, al vostra Ria è tornata XD!

A dir la verità avevo nascosto in un angolino dell’Hard Disk questo (e altri…? Chi lo sa ^o^!) chappy da quando “Psaico” è finita, ma non sono mai stata convinta di pubblicarla; poi, tra l’ultimo anno di superiori (sto facendo l’esameee! Aiuto!), fanfic da completare, idee nuove per cui non ho tempo… E’ rimasta sepolta. Poi, qualche giorno fa, l’ho ritrovata e, con alcune modifiche, ho deciso di metterla sul sito XD! (Oh no! ndTakao – Poveri noi ç__ç… ndKei – Tacete un po’ che manco ci siete!).

Non credo che questa fic sarà strutturata come i “Diaries” (che pubblico or ora cn Jolly mask ^^… More mioooo ^^! – E tanto fa pubblicità ndKei), ma pubblicherò come varie fanfic… Vabbè, nn sono molto comprensibile, ma poi vedrete ^^!

Questa prima ficcy è dedicata ad Alfa, che negli ultimi chappy ha avuto un piccolo risollevamento di popolarità… Sono tutte cose che avrei voluto scrivere nella fanfic originale, ma così com’era non ho potuto ç___ç… (A proposito… Su questo forum, delle mie piccole Bozs Arashi e Paine ^-^, sto pubblicando la 2° vers di “Psaico” – nn me la sentivo di cancellare la 1° su EFP, in fondo è stata importante! Se piacerà, però, forse la pubblicherò anche qui). Grazie all’aiutino di Hitoshi – che si risolleva da essere inutile XD – scopriamo molti segreti che ci faranno capire di più…

In due cap, i segreti del cuore dello Sciacallo XD!

A voi, e buona lettura ^^ (e soprattutto tanti commi ^-^+!)

 

 

Dove mi trovo? Dove sono?

Questo posto…

Ma com’è possibile?!

Io… Non posso stare qui…

Quella luce… Cos’è?

Voglio… Uscire…

 

- Voglio uscire…

Mormorando, Alfa socchiuse gli occhi, tendendo la mano verso l’alto, come mentre stava sognando; sbattè le palpebre due o tre volte, confuso, cercando di ricordare dove fosse.

“E’ successo di nuovo…”.

Si mise a sedere, lo sguardo ancora un po’ annebbiato dal sonno e dalla pallida luce dell’alba che aveva fissato per lunghi istanti, da sotto i rami verdi di quell’albero, e cercò di prendere lucidità, respirando a fondo l’aria fresca e profumata d’erba.

Da quando gli Psaico si erano sciolti erano già trascorsi sei mesi; lui, solo e senza una mèta, aveva vagato in lungo ed in largo per tutto il Giappone, arrivando fino alla regione di Aomori, su, nel Nord, e poi viaggiando per nave, per quasi tutte le isole, senza mai fermarsi, un giorno qui e quello dopo a chilometri di distanza, finchè si era ritrovato a girovagare a caso, senza neanche sapere dove fosse, proprio come in quel momento.

E, a suo parere, era giusto così.

Non aveva uno scopo, nessun posto dove tornare e nessuno a cui fare riferimento, e questo per lo più proprio per colpa sua; perciò, secondo lui, quella era l’unica cosa buona che poteva fare: aveva deciso che si sarebbe fermato solo una volta trovata la sua strada. Quella giusta, questa volta.

Ma da ormai due mesi le cose si erano complicate. I pochi soldi che aveva, piccolo patrimonio dato da Kuroi ai suoi ragazzi per poter alloggiare anche per lungo tempo in determinati posti dove erano stati inviati, erano quasi esauriti, a tal punto che erano già cinque giorni che dormiva all’addiaccio; inoltre, cosa che lo infastidiva parecchio, continuava ad avere lo stesso sogno: un posto buio e freddo, nel quale stava seduto, immobile, senza capire perché vi fosse arrivato, e da dove fissava, imperterrito e sognante, una piccola e calda lucina, senza raggiungerla.

Sta cominciando a seccarmi ora… – pensò, scompigliandosi i capelli – Ogni notte con questa rottura di scatole è insopportabile!”.

Un sordo borbottio del suo stomaco gli fece dimenticare il pensiero del sogno.

Sospirò, era decisamente l’ora che si trovasse un alloggio, ormai aveva anche finito le provviste.

- E un’altra notte a dormire su un prato mi procurerà un raffreddore cronico… Che ne dici, Sciacallo?

Così dicendo estrasse il suo bey e lo stemma brillò un istante, come ad annuire.

- Bene. – s’incoraggiò Alfa, sbattendosi i pantaloni per pulirli un pò – Cerchiamoci qualcosa da mettere sotto i denti.

 

*________________

 

- Molto bene, ragazzi! E adesso… LANCIO!

All’ordine di Hitoshi, cinque ragazzini tirarono il nastro dei loro caricatori, lanciando i beyblade attraverso un intricato percorso ad ostacoli dove cominciarono a zigzagare veloci e con movimenti fluidi.

- Cerca di mantenere di più il controllo, Kensuke. Yoshiro, sta attento, il bey sterza troppo duramente…

Infatti, dopo neanche un secondo, il bey di quello che sembrava il più piccino dei ragazzini sbandò, finendo a gambe all’aria nella sabbia, con un raschiare sordo.

- OH NO! – esclamò il piccolo, deluso, raccogliendolo amorevolmente; Hitoshi sospirò:

- Lo sapevo… - si avvicinò al ragazzino, mettendogli una mano sulla testa – Tendi sempre a precedere o a stare dietro di un tempo al ritmo del beyblade, cerca di concentrarti di più; la curva riesci a prenderla tranquillamente anche se sterzi dolcemente.

- Ok… - mormorò il bimbo, un po’ deluso.

Il ragazzo sorrise paterno: decisamente, quel lavoro era più duro di quanto immaginasse, ma lo amava comunque; era stata dura, per lui, dover abbandonare quel posto e i suoi ragazzi, sei mesi prima, per quasi due mesi, ma il suo fratellino e gli altri avevano avuto bisogno di lui per la faccenda “Psaico”… Più o meno.

In effetti la mia utilità si è limitata a ben poco…”.

Rise un istante tra sé, pensando alla faccia di Takao se lo avesse sentito chiamarlo “fratellino”!

“Chissà come staranno lui ed il nonno… - pensò, dando una pacca sulla spalla ad Yoshiro, che tornò ad allenarsi – E’ un po’ che non li sento… “. E chissà quando li avrebbe rivisti, considerando che, oltre a quella sede in Giappone, istruiva altri ragazzini anche all’estero.

In quel momento Hitoshi alzò gli occhi, notando qualcuno nel boschetto dietro le spalle di uno dei bambini; anche gli altri si girarono, incuriositi.

- Mi scusi – disse un ragazzo coi vestiti decisamente malconci – sa se in giro c’è una piccola pensione o qualcosa di simile dove posso alloggiare? – si passò una mano sulla fronte, parlando a voce bassa – Avrei decisamente bisogno di stendermi.

- No, mi dispiace, qui attorno non c’è niente. – rispose il giapponese Lo scrutò incuriosito asciugarsi la fronte madida., sembrava avesse camminato per giorni.

- Tzs… - sospirò l’altro, sistemandosi il cappuccio della felpa – Oggi non è giorn… UH!

Con uno scossone, il ragazzo si accasciò, sostenendosi a malapena all’albero.

- EHI! – Hitoshi, seguito a ruota dai ragazzi, incuriositi, si avvicinò allo strano tipo – Cos’hai?! Tutto a posto?!

- Insomma… - biascicò lui, ironico – Diciamo che sono un po’ stanchino. UHM?!

- Oh… - Hitoshi lo fissò in faccia, incupendosi un po’; l’altro lo guardò torvo – Ma tu sei…

 

Seduto su una sedia di legno tinta di bianco, Alfa fissava quel ragazzo, Hitoshi Kinomiya, con diffidenza. Gli ci mancava Come se quella giornata non fosse già cominciata malissimo!

Quando si era avvicinato a quel residance, nella speranza che qualcuno gli indicasse un alloggio, non aveva neanche lontanamente pensato di trovare il fratello maggiore di quel Takao.

Takao Kinomiya… Nonostante gli obbiettivi che si era posto, il pensiero di quel dannato impiccione lo faceva infuriare ancora dopo sei mesi.

- Tieni. – disse Hitoshi, posando una tazza cilindrica di fronte a lui – Un tè caldo. Non ti riempirà lo stomaco, ma eviterà di farti cadere svenuto dalla fame prima di pranzo.

Il moretto fissò la tazza, arcigno: da quant’era che non beveva del tè fatto in casa! Ma, istintivamente, non si fidava; girò la testa dall’altra parte, senza fiatare.

- Mica l’ho avvelenato! – ridacchiò Hitoshi, guadagnandosi apertamente l’odio di Alfa. Sempre sorridendo si sedette accanto a quest’ultimo, che non lo degnò di uno sguardo.

- Perché mi hai invitato ad entrare? – chiese il brunetto, dopo alcuni minuti di silenzio – Non ti ricordi chi sono?

- Me lo ricordo benissimo. – rispose l’altro, cominciando a sorseggiare il suo tè – Solamente, mi sembravi in difficoltà. Perciò ti ho aiutato.

Alfa lo guardò, senza mutare espressione.

- Io non sono come mio fratello. – concluse, piatto.

- Capisco… Sei stupido e ti fidi di chi ha cercato di spedirti all’altro mondo? – domandò pungente.

- I ragazzi hanno un debito di gratitudine nei tuoi confronti, - continuò Hitoshi con assoluta noncuranza - perciò mi sembra inutile portarti rancore.

- Tsz… Non voglio gratitudine, non mi serve. – rispose secco il moretto – Men che meno della loro.

Hitoshi annuì, ridendo sotto i baffi. Prese un altro sorso di tè,  gustandoselo lentamente nel silenzio più totale; alla fine, sospirando, si alzò:

- Puoi fermarti, se e quanto vuoi. – disse ad Alfa, che non battè ciglio – Io devo tornare fuori ad allenare i miei ragazzi.

Il ragazzo non si mosse né annuì, pareva una statua. Solamente quando Hitoshi, con un sorriso rassegnato, se ne fu andato, Alfa si decise a sbloccarsi: sbattè iracondo un pugno sul tavolo, facendo tremare il tè nella tazza: ma che voleva quello, cosa pensava di fare così?! Rimase fermo, sbuffando. Quella gentilezza immotivata lo faceva imbestialire, forse perché non ne aveva mai ricevuta? O forse… Per un altro motivo?

 

- Sarei davvero contenta se fossimo amici ^^!

 

Scosse la testa come se volesse staccarsela dal collo. Si alzò dal tavolo, un po’ incerto sulle gambe, e fissò la sua immagine nello specchio appeso alla parete. Non aveva un aspetto proprio magnifico: i suoi vestiti erano strappati lievemente in vari punti e coperti di polvere, le braccia e le gambe, anch’esse graffiate, si erano però irrobustite per il continuo viaggiare; il viso, un po’ pallido, era coperto dalla frangia ora troppo lunga, che lasciava appena intravedere gli occhi verdi e taglienti.

“Beh, almeno un cambiamento c’è stato…” ridacchiò, amaro. Poi tese le orecchie, sentendo le voci e il chiacchiericcio allegro dei ragazzini fuori. Sbuffò in silenzio, ecco una delle tre cose che odiava di più: i bambini.

Specie se allegri e rumorosi.

Dopo qualche minuto, Alfa uscì fuori dall’edificio; si passò una mano tra i capelli scuri, guardando cosa accidenti stessero combinando Hitoshi e quel branco di mocciosi, poi si appoggiò al muro, a braccia conserte, osservandoli.

- Oh, ti sei deciso ad uscire! – esclamò Hitoshi quando lo vide.

Alfa fece un cenno stizzito, mentre i ragazzini lo guardavano curiosi.

- Chi sono questi? – chiese Alfa, facendo un cenno sdegnoso verso di loro e fissandoli con astio.

- I miei allievi. – rispose tranquillo Hitoshi – Ragazzini che hanno scoperto di amare il bey e che io alleno ogni giorno.

- Commovente… - sussurrò maligno. Il ragazzo non rispose.

- Mi è venuta un’idea. – disse poi, frugandosi in tasca – Che ne dici di una sfida a bey… Alexander?

Alfa si accigliò:

- Perché mi hai chiamato così? Non è il mio nome.

- Ma è l’unico con cui ti conosco. – l’altro digrignò i denti:

- Tzs, figurati se combatto contro una mezza calzetta come te!

- Ehi, tu! – esclamò uno dei bambini – Non parlare male ad Hitoshi! Guarda che lui è fortissimo, ha battuto perfino in campione mondiale Takao, quando era “Jin del vento”!

- “Jin del vento”? – disse Alfa, sollevando un sopracciglio, stupito – Tu sei Jin del vento?

- Già… - rispose, con sufficienza – Sono così famoso?

- Nel mio vecchio ambiente sì.

Il ragazzo tacque, scuotendo poi la testa rassegnato:

- Accetti la mia sfida solo per questo?

- Uhm… Massì. – disse, ghignando – Vediamo come te la cavi.

Hitoshi sospirò. Estrasse il suo bey e si portò ad un’estremità del piccolo campo di gara che usavano lì al residence; lo stesso fece Alfa, estraendo Sciacallo.

- Mi sembra un po’ malconcio il tuo beyblade. – disse Hitoshi, caricando – E’ così dall’ultima sfida contro Midori?

- Sì… - di colpo Alfa s’incupì e sembrò per un istante perdersi nei suoi pensieri; ma fu in attimo:

- Ti avverto, potrei anche usare i miei poteri su di te.

Hitoshi sorrise:

- No, non lo farai.

Alfa lo fissò interrogativo, ma Hitoshi sembrò non vederlo e, anzi, approfittò della sua breve disattenzione per colpire:

- LANCIO!!

- Acc… SCIACALLO!!

I due bey presero a girare all’impazzata nella conca blu, macchie colorate che correvano senza posa.

- WOW *o*! – esclamò uno dei bambini

- Ma sono fortissimi!

- Avanti! – urlò Alfa, un sorriso cattivo sul volto – Spazziamo via quest’imbecille!

Sciacallo continuò a colpire come una mitragliatrice il CyberDriger di Hitoshi, ma sembrava indebolito; nonostante questo, ad Alfa non passò neppure per la mente di usare i suoi poteri. Non sapeva spiegarlo, ma era come se… Si stesse divertendo, ecco. Come non accadeva da… Da quando?

Di certo, non per questo avrebbe fatto “il bravo”.

- Ora vedrai… SCIACALLO!!!

Il Bit-power uscì ruggendo dallo stemma e si lanciò sull’avversario, combattivo. Qualunque cosa gli stesse succedendo, Alfa non si sarebbe mai perdonato di perdere.

Davanti all’attacco forsennato del moretto, però, Hitoshi non si scompose: sapeva bene che Alfa non aveva possibilità di vittoria.

Infatti, pochi secondi prima dell’attacco, il ragazzo parve avere un mancamento: troppo debilitato e troppo fuori allenamento, perse per qualche secondo il controllo del bey, e Hitoshi ne approfittò per sferrare il colpo decisivo, gettando Sciacallo fuori campo.

- Ah…

- GRAAAANDE!!!

- BRAVO!! – i ragazzini persero a saltellare attorno al loro allenatore, che recuperò tranquillissimo il proprio bey. Alfa invece non si mosse di un centimetro.

- Ignori la situazione esterna e la tua forma fisica e ti concentri solo sul duello. – disse Hitoshi, raccogliendo il suo bey – Può essere una dimostrazione di grande determinazione, ma occorre anche un po’ di coscienza.

- Tzs... – il ragazzo lo fissò con gli occhi vacui – Non ho bisogno che tu mi… faccia la… Patern

Con un tonfo, il ragazzo cadde a terra, privo di sensi.

 

*__________________

 

- BASTA, NON CE LA FACCIO PIU ’! – urlò, gettando il piatto per terra.

Col rumore di cocci rotti nelle orecchie, il piccolo Alfa aprì gli occhi, stringendosi al petto il cuscino: “Eccola che ricomincia…”.

- Ma perché?!? Perché fai così?! Perché sei così… così…

“Avanti, dillo, so che ora lo dirai…”.

- … Anormale?!

Una fitta la suo piccolo cuore gli  fece stringere di più il cuscino, ma sul viso non mutò espressione.

- Tutti i bambini mangiano ciò che gli preparano i genitori, anche di malavoglia… Ma tu no! Oh, no, il signorino rifiuta! E lo fa rompendomi ogni oggetto di casa!

- Tesoro, calmati… - mormorò il marito, più scocciato che preoccupato.

“Eccolo, l’altro, che arriva sempre al momento giusto. Sei un’ipocrita, lo sai, papà?”.

- E TU CHIUDI IL BECCO!!! – sbraitò quella, schiaffeggiando una brocca d’acqua e bagnando le bianche mattonelle della cucina, in un tintinnio di schegge di vetro.

- QUESTO HA DISTRUTTO IL PIATTO CHE GLI STAVO PORGENDO QUANDO L’AVEVO ANCORA IN MANO! PICCOLO MOSTRO INGRATO!

“Ma perché non chiudi il becco, strega?” pensò il piccolo Alfa, scendendo quatto quatto dalla sedia. La madre lo guardò con odio, la voce ridotta ad un sibilo soffocato, cominciando a piangere isterica:

- Sarebbe stato meglio se non ti avessi mai fatto nascere!

E allora perché non l’ hai fatto, razza di stupida?”.

 

L’ho sempre pensato. Anche se non lo avessi fatto, non me ne sarebbe fregato niente.

Anzi, forse sarei stato meglio.

Del resto io te l’ho forse chiesto?

Io non voglio e non ho mai voluto nulla.

Nulla…

 

- Non è vero!

Una voce tremolante lo fece voltare. Si voltò verso il fondo del corridoio di casa sua, buio, spoglio;  qualcuno, in piedi, lo fissava.

Era una bambina, ma sembrava un fantasma, tanto appariva evanescente e pallida. La bambina parlò di nuovo, sembrava piangesse:

- Anche tu… Anche tu sei solo, vero?!

Alfa la fissò, gli occhi sbarrati: “No, non è vero…”.

- Siamo simili, noi…

- N-no… - la voce gli tremava, perché?

- Sei solo come me!

 

- NON E’ VERO!!

Con un urlo, Alfa si svegliò, madido di sudore: “Stavo solo… sognando…”.

Si massaggiò la fronte, la mano che gli tremava e il respiro affannato. Da quant’era che non sognava la sua infanzia?

- Ben svegliato.

Sentendo quella voce, Alfa scattò sul letto, voltandosi agitato.

- Finalmente hai ripreso i sensi. – disse Hitoshi, tranquillo – Da quanti giorni sono che non fai un pasto decente?

Alfa non rispose, cercando di riprendere a respirare normalmente.

- Hai anche qualche linea di febbre. Beh – sospirò rassegnato – 2qualche” è un eufemismo, da quanto farneticavi poco fa!

Il brunetto lo fissò con rabbia mista a panico, pronto a smentire qualsiasi cosa lui dicesse sui suoi deliri in sogno. Hitoshi però parve aver semplicemente fatto un appunto superfluo e continuò:

- Per qualche giorno è meglio che tu te ne stia qui.

Alfa rimase in silenzio. Hitoshi pose le mani sullo schienale della sedia opposta al letto, con calma, come aspettando una risposta.

- Perché?

- Uh? – il giapponese guardò il suo ospite, aspettando curioso che continuasse; Alfa sospirò a fondo:

- Perché mi stai aiutando?

Hitoshi rimase zitto.

- In fondo, io ho messo in pericolo la vita di tuo fratello e dei suoi amici. Avrei fatto del male a molta gente. Tutto per un obbiettivo stupido. – aggiunse, sempre più amaramente – Allora perché?

Hitoshi sospirò; spostò la sedia fin dal letto dove Alfa era sdraiato e ci si sedette, a braccia incrociate:

- Perché m’incuriosisci.

Alfa spalancò gli occhi, senza capire.

- Sei un ragazzo molto forte, la tua tecnica di blader è molto superiore rispetto a qualsiasi ragazzo abbia mai incontrato, quasi quanto Brooklin e Takao, ma, fin’ora, mi è sembrato la trattenessi.

- Come?

- Mi sembrava giocassi più per forza che per amore. Come se il Bit e i tuoi poteri, invece di aiutarti, ti costringessero.

- Tzs… Ma che discorso idiota è?! Ma sei scemo?!

- Te l’ ho detto. – continuò, impassibile – Non sono Takao, non porto rancore a lungo. E, soprattutto, riesco a giudicare le cose con molta più freddezza.

- Modesto, eh? E soprattutto molto attento all’etica e alla morale, se t’interessa più il mio gioco che il mio comportamento. – fece maligno. Hitoshi fece spallucce:

- Umph… Comunque sia, mi sono sempre chiesto una cosa.

- Ossia?

- Verso cos’è diretto davvero tutto il tuo odio?

Alfa lo fissò come se la sua lingua gli fosse diventata di colpo incomprensibile. Ma cosa stava blaterando?!

- Tu… Non sei così crudele, Alexander.

- Ti ho già detto di non chiamarmi così! – sbraitò lui, stritolando le lenzuola nel pugno – Ma cosa vuoi da me?! Si può sapere?!

Non m’interessa se pensi che io non sia cattivo o meno! Non me ne frega niente! – lasciò la presa, appoggiandosi lentamente al cuscino; sembrava triste – Ormai… E’ tardi

- Non è mai troppo tardi. – sorrise Hitoshi – O almeno, non è mai troppo tardi per raccontare.

- Cosa?

Hitoshi girò la sedia, appoggiandosi allo schienale come ad un tavolo:

- Gli Psaico. Come ci sei arrivato? E Midori? Ruka, Eve? Da cos’è cominciato tutto?

Alfa lo fissò di nuovo.

- Visto che sei qui, potresti anche parlarmene, no?

- E a te cosa importa?

- Sono solo curioso.

Il ragazzo si morse il labbro. Forse… Se avesse detto tutto, avrebbe trovato un sistema… Un punto da cui ricominciare davvero…

- D’accordo…

 

Anche se non c’è molto da raccontare.

Perché neanche io ricordo bene.

Dove sono nato, dove sono vissuto, non lo so proprio.

Certo, so di avere sempre avuto strani poteri, che mi facevano fare strane cose…

Rompevo piatti, bicchieri e vetri  quando ero triste o arrabbiato, facevo venire gli incubi a chi mi stava attorno… Ero un bambino strano.

Anche mia madre lo diceva.

Anzi, lo urlava.

Urlava e piangeva, non faceva altro, quella donna isterica!

A causa mia, ovviamente, a causa del suo “strano mostro”.

Maledetta strega!

E mio padre?

Buono quello, pur di non far strillare la moglie, mi chiudeva in camera a chiave.

Un uomo davvero infimo!

Però… Però lui me lo ricordo

Mi ricordo come mi guardava…

La rabbia…

Il disprezzo…

E, a volte, la compassione…

Ma mai, non mi ha mai guardato con affetto…

Come un padre…

                                   

*---- Dodici  anni prima. Zona imprecisata della regione di Saharin, Giappone.

 

Quel giorno pioveva. Una pioggia irregolare, pesante. Il padre, a passo spedito, se lo trascinava dietro come un sacco, perché Alfa aveva delle gambette ancora troppo corte, per tenere la sua velocità. Non c’era da stupirsi,  aveva quattro anni. Un semplice, comune bambino di appena quattro anni.

Ma in quei quattro anni la sua famiglia era già stata in grado di rovinato: era un bambino freddo, distaccato, privo di quella vivacità e quella gioia che danno ai piccoli la loro stessa essenza; un’infanzia distrutta e macchiata dalla mancanza d’affetto, dall’incapacità di provare ad accettarlo, di provare a non trasformare quella misteriosa facoltà in un peso indistruttibile da lanciare sulle sue gracili spalle.

Incapacità di lottare assieme.

Incapacità che si era già riflessa su sua madre, debilitandola e portandola all’esaurimento.

Il padre, senza sapere più cosa fare, si era messo in contatto con varie persone e, alla fine, sembrava avesse trovato un posto per lui. Ovviamente, Alfa non sapeva dove né con chi. Semplicemente, tre giorni prima, suo padre era entrato nella sua cameretta, una stanza vuota se non per il letto, l’armadio grigio e qualche pupazzetto; l’uomo aveva aperto i cassetti del mobile, prendendo alla rinfusa pochi indumenti ed infilandoli in una sacca.

- Cosa fai? – gli aveva chiesto il bambino, atono.

- Prendi qualche giocattolo, se vuoi, - aveva risposto, a bassa voce – partiamo.

E non aveva aggiunto altro. Con rapidità erano saliti in macchina e avevano imboccato l’autostrada per molti chilometri, poi alcune strade sterrate e, alla fine, erano stati costretti a percorrere l’ultimo tratto a piedi, sotto l’acqua.

Adesso, sempre in silenzio, l’uomo si guardava attorno, cercando qualcosa, imprecando di tanto in tanto, mentre il piccolo Alfa, una sacca ormai impregnata e gocciolante sulla piccola spalla, gli teneva la mano. Mani grandi, quelle di suo padre: larghe, ruvide, quelle mani che qualsiasi altro bambino avrebbe potuto aspettarsi lo accarezzassero con dolcezza, quelle mani che avevano stretto le sue solo per allontanarlo o portarlo via.

Le mani di un padre che non l’aveva e non l’avrebbe mai accettato.

Nonostante il piccolo Alfa sapesse benissimo questo, continuava imperterrito a tenergliela stretta, quasi incosciamente, come ogni bambino che non chiede altro se non l’amore dei genitori. E continua a chiederlo, irremovibile, anche quando questo non esiste più.

- Quanto manca? – sussurrò il bimbo, tremando appena per il freddo.

- Poco. – rispose telegrafico il padre.

Quando l’uomo si fermò, Alfa lo vide. In mezzo ad una landa grigia e fredda, ancora coperta di brina mezza ghiacciata, c’era un’immensa costruzione, come un capannone abbandonato. Con le scarpe inzaccherate dal fango molle si avvicinarono all’ingresso, dove sembrava che qualcuno gli aspettasse.

Vedendo chi fosse quel qualcuno, il padre di Alfa parve sorpreso, e lo stesso il bambino. Lì davanti, in piedi, c’era un ragazzino di non più di sei anni, grande e grosso, che assomigliava vagamente ad un vecchio ceppo d’albero mozzato tanto era tozzo anche nei lineamenti, con i capelli tagliati a spazzola e con le punte azzurrognole, tinte alla bene meglio, sotto cui s’intravedeva la radice nera e lucida. Il ragazzino tese la mano coperta con un guanto verso l’uomo, che sollevò un sopracciglio, quasi preoccupato.

- E’ lei che ci ha telefonato dieci giorni fa, vero? – fece stizzito il marmocchio all’incertezza dell’uomo.

Questo annuì.

- Allora lui è… - e disse il nome del bimbo, che, istintivamente, si strinse appena al padre.

 

Sì, me lo ricordo, mi chiamò per la prima volta per nome uno sconosciuto…

La prima e l’ultima.

Ma non mi ricordo che nome fosse.

Non lo so proprio…

Perché quella è stata l’ultima volta in cui qualcuno pronunciò il mio nome.

Ma del resto, ha qualche importanza sapere il mio nome?

 

Il padre annuì nuovamente.

- Allora può darlo a me. – disse l’altro, arrogante – Non abbiamo più niente da dirle.

Il padre di Alfa, senza troppi complimenti, diede uno strattone al bimbo, lanciandolo praticamente addosso al ragazzino, che lo tenne con forza per la maglietta.

- Prenditelo. – disse l’uomo – E fallo sparire dalla mia vista.

Il ragazzino non rispose. Il padre di Alfa si voltò, rapido e si allontanò altrettanto velocemente.

Il bambino, vedendolo far così, fu scosso per un istante dal desiderio di seguirlo, e di chiederli se doveva stare lì per sempre. Ma era una domanda stupida, ovviamente, era così.

“Da adesso è questa casa mia, dico bene?”.

Eppure, restò lì, proteso verso il padre.

Ancora con quella sciocca speranza.

Ancora con quel silenzioso, piccolo desiderio di vederlo voltarsi, chiamarlo per nome a sé, e di provarci, almeno una volta.

Una sola…

- E su, sta dritto! – gli sbraitò di colpo il ragazzino, strattonandolo nel vederlo fermo e mollo sulle gambe come un sacco di patate – Mi hai capito?!?

Alfa, però, lo guardò appena di sbieco, arcigno. Il bambino più grande, grugnendo, lo voltò dalla sua parte, e sgarbato disse:

- Devi sempre guardare i tuoi superiori in faccia, pulce. E io sono un tuo superiore, perciò seguimi e zitto.

Alfa, però, rimase fermo. Evidentemente, la voce grossa con lui non funzionava granchè.

Quell’altro, stizzito, lo afferrò per la colotta, sbattendolo nell’ingresso dell’edificio.

- Guarda che non m’interessa se sei un pidocchio!! – sbraitò, iniziando poi a ridere – Anzi, visto che sembri duro di comprendonio, fai conoscenza col pavimento, magari impari a stare al tuo posto!

Alfa lo stava odiando. Lo guardò malissimo, pensando con tutta la sua forza che si sollevasse e si schiantasse contro il muro, ma non successe niente.

- Sorpreso? – ghignò l’altro, vedendo la sua faccia stupita – Non sei molto bravo.

Il piccolo lo guardò in silenzio, muovendo la bocca senza che ve ne uscisse parola, perché quello era ancora lì in piedi tranquillo?

- Guarda come si fa!

- Delta. – una voce profonda fece sobbalzare il ragazzino, che si mise sull’attenti, impallidendo; Alfa, stupito, sollevò lo sguardo, incrociando quello di un uomo che lo avrebbe segnato per sempre. Il viso maturo  con quel sorriso gioviale e falso, qualche ruga qui e là, e l’aspetto severo terrorizzarono Alfa per la prima volta nella sua vita.

- Non maltrattare il tuo nuovo compagno. – continuò l’uomo, severo.

- Sissignore. – rispose Delta, con tono ossequioso, ma lo sguardo offeso.

- Piacere di conoscerti.. – disse l’uomo, un sorriso rassicurante che, però, fece solo rabbrividire ancor di più Alfa – E benvenuto nella tua nuova casa.

 

*_______________

 

Il piccolo Alfa sedeva su un lettino consunto e scassato con la rete cigolante, muovendo ritmicamente le gambe in su ed in giù, annoiato.

La sorpresa e l’eccitazione per quel che aveva scoperto in quel posto erano svanite, perché il signor Kuroi ci metteva tanto a mandarlo a chiamare?

Dopo che l’uomo l’aveva salvato, si era proposto di fargli visitare tutto l’edificio.

- Io sono il signor Akamatsu Kuroi – aveva detto – ma qui tutti quanti i ragazzini mi danno semplicemente del “voi”. Non ti dispiace farlo anche tu, vero?

Alfa aveva fatto un cenno di diniego.

- Perfetto ^^. – aveva continuato – Immagino che sarai stanco dopo un viaggio così lungo. Delta, fagli vedere dov’è la sua stanza, ma passa attraverso la palestra, se non ti dispiace.

- Certo, signore. – aveva borbottato l’altro, palesemente malvolentieri.

- Facciamo vedere qualcosa d’interessante al nostro nuovo membro.

E così, il piccolo Alfa aveva scoperto che quel posto era una sorta di “albergo per bambini speciali”, quelli come lui: bambini dotati di poteri parapsicologici che facevano levitare gli oggetti e cose simili; molti di loro, però, sembravano concentrati a giocare con alcune trottole metalliche che emettevano un ronzio stranamente accattivante.

- Quelli si chiamano beyblade. – aveva detto Kuroi, vedendo il suo sguardo curioso – E’ un gioco che si sta diffondendo moltissimo nel nostro paese, ma che, fortunatamente, abbiamo scoperto può essere soprattutto un ottimo aiuto per quelli come noi.

Alfa lo aveva fissato, era curioso, quell’uomo usava sempre il “noi”, quando parlava di poteri psichici; magari sapeva usarli anche lui…

- Controllare la rotazione di un bey col pensiero non è molto complicato. – aveva continuato, senza smettere di camminare – ma non è quello il nostro obbiettivo.

- E qual è…? – aveva mormorato il bambino, correndogli dietro col suo passo incerto pieno di curiosità; Kuroi aveva sorriso losco.

- Lo saprai presto.

Ora, però, erano ben due ore che aspettava, cominciava davvero ad essere stufo, insomma, cosa stavano aspettando?!

Proprio in quel momento sentì qualcuno bussare alla sua porta; con calma Alfa girò la testa, scorgendo Delta sulla soglia: lo fissò truce.

- Uhu! A quanto pare ti sei inimicato il novellino eh, Delt? –

Alfa trasalì un poco, sorpreso, e guardò a fianco al piccolo gorilla, dove era apparso un altro ragazzino, della sua età o appena due anni più grande, un tipo come Alfa non ne aveva mai visti: aveva un bel viso perfettamente in ordine, se non per un grosso cerotto sotto l’occhio destro, circondato da ciuffi biondi un po’ lunghi, tenuti sollevati da una fascia rossa che lo faceva vagamente assomigliare a quell’attore che aveva sbirciato alla televisione, Rambo. Il brunetto fece una faccia dubbiosa, quello aveva un sorriso tanto bello quanto falso, come quei vip che aveva intravisto sulle copertine delle riviste di sua madre.

- Molto piacere di conoscerti, testa calda. – disse il ragazzino nuovo, porgendogli la mano – Io sono il compagno di Delta, il più figo e tosto qui dentro, ma tu puoi chiamarmi solamente Gamma ^^!

L’espressione dubbiosa di Alfa si accentuò mentre sollevava timidamente la mano, che Gamma afferrò e cominciò a scuotere con forza.

- Avanti, deficiente! Dobbiamo andare… Muoviti anche tu, moccioso!

- See, see, calmino Delt, ok? Dai, vieni pidocchio.

Così dicendo Gamma si tirò dietro Alfa, seguendo il ragazzino coi capelli azzurrognoli per un lungo e tortuoso corridoio; il più piccino dei tre si lasciò trascinare per alcuni metri, incespicando, poi scacciò la mano del biondo con stizza, provocando le risate di quest’ultimo, risate acide e fredde che lo fecero arrabbiare ancora di più.

Dopo una decina di minuti Alfa e gli altri due arrivarono in un grande stanzone, illuminato solo da fioche lucine al neon, annebbiate dal denso strato di polvere che i tre sollevarono entrando.

- Siamo qui, capo. – disse Delta, mettendosi sull’attenti e battendo i tacchi.

- Era l’ora. Delta, Gamma… -

Sentendo il suo nome il biondino chinò la testa in segno di saluto, dando una gomitata ad Alfa perché facesse altrettanto; il bambino, che era rimasto immobile, lo guardò indispettito, massaggiandosi la costola, ma chinò appena la testa.

Kuroi sorrise divertito, dando le spalle ai tre.

- Vieni avanti Delta.

Il ragazzino annuì. Con passo marziale si avvicinò all’uomo, a fianco del quale, con un rumore sordo, era spuntata dal pavimento quella che sembrava una curiosa bacinella in plastica blu. Alfa guardò di sottecchi Gamma, senza capire.

- Questo è un BeyBlade Stadium, - fece Kuroi senza muoversi - è qui sopra che i ragazzi si sfidano al beyblade. Delta…

Lui annuì di nuovo; portò il braccio dietro la schiena, aprendo una piccola custodia grigia ed estraendo un bey nuovissimo, rilucente coi suoi colori accesi. Alfa rimase incantato a guardare la trottolina che Delta caricò rapido, non perdendosi neanche un istante da quando toccò il campo fino a quando non partì a sgusciare veloce su di esso.

- Uuuh, sei migliorato vecchio mio! – esclamò Gamma, ridacchiando; Delta lo fulminò con un’occhiataccia. I due si scrutarono per alcuni istanti, sotto lo sguardo compiaciuto di Kuroi, finchè Gamma, ghignando, non estrasse anche lui un bey lanciandolo contro quello di Delta. I ragazzini cominciarono a duellare, mentre Kuroi sorrideva, guardando un po’ loro un po’ Alfa, che scrutava la scena a bocca aperta.

- Questo è quello che si può definire “incontro coi bey”. – gli disse l’uomo, scuotendolo – Solo i migliori riescono a dare vita a sconti appassionanti. Ma non è questa la cosa che deve destare il tuo stupore.

Alfa lo fissò senza capire. Proprio in quell’istante due bagliori provenienti dai bey attirarono al sua attenzione, facendolo trasalire.

- Fateli uscire!

Al comando Delta e Gamma lanciarono i beyblade all’attacco con più forza, mentre la luminescenza di questi aumentava, finchè due forme indistinte schizzarono letteralmente fuori dagli stemmi dei bey; Alfa trattenne il fiato, mentre quelle che sembravano una vipera gigante e una tarantola viola e nera apparvero a mezz’aria, emettendo versi sinistri.

- VIPERA!

- TARANTOLA!

Le due creature si fiondarono l’una contro l’altra emettendo onde d’urto incredibili, quando uno scontro troppo violento le costrinse a tornare nei beyblade dei proprietari, che erano finiti entrambi fuori gioco con l’ultimo colpo.

I due ragazzini raccolsero le trottole e le rimisero nelle loro custodie, costantemente fissati da Alfa, allibito. Quello che aveva visto era stato incredibile, una cosa inimmaginabile! Come avevano potuto quei due stupidi fare una cosa del genere?!

- Li hai visti vero? – sorrise sotto i baffi Kuroi. Alfa annuì eccitato - Quelli si chiamano Bit-power. Noto con piacere che ti hanno colpito, vero?

- S-sì… Come hanno…?

- I Bit-power sono simili a spiriti protettori, vivono dentro a quei Bit-chip posti sopra i beyblade e potenziano e proteggono i loro proprietari.

Alfa tacque.

- Ti piacerebbe averne uno?

Il ragazzino lo guardò con gli occhi lucidi, annuendo freneticamente, certo che ne voleva uno anche lui! L’uomo sorrise soddisfatto, porgendogli una piccola trottola simile a quelle di Delta e Gamma.

- Questo d’ora in poi sarà il tuo beyblade. Ti allenerai con Delta e con Gamma per imparare ogni tecnica e diventare imbattibile. –

A differenza dei loro, il tuo bey non ha per il momento un Bit – continuò, vedendo Alfa fissare lo stemma sul disco d’attacco, ancora vuoto – dovrai diventare davvero abile per meritartelo.

Il ragazzino strinse il bey nel palmo, guardandolo deciso.

- Lo farò.

Kuroi sorrise, un sorriso pericoloso.

- Benvenuto nella squadra, allora… Alfa.

 

Il mio nuovo nome.

Il mio nuovo scopo, il primo.

La mia nuova casa.

Da quel momento, entrai propriamente negli Psaico.

Dopo che Kuroi mi ebbe consegnato quello che sarebbe diventato Sciacallo cominciai il mio addestramento.

Non lo dimenticherò mai, fu un periodo terribile.

Delta era il più abile beyblader che avessi mai incontrato, ma anche l’allenatore più severo e meschino che esistesse! Mi spremeva come un limone, mi picchiava, m’insultava.

Io resistei per neanche un anno e mezzo a quella tortura, finchè non decisi di sfidarlo, mettendoci di mezzo una scommessa: se io vincevo lui taceva, se perdevo… Beh, era meglio non saperlo.

Per mia fortuna vinsi. Se si può chiamare fortuna diventare il capo della squadriglia d’assalto degli Psaico.

Non so ringraziare o maledire il Cielo per la mia precoce abilità di capitano!

Il giorno stesso in cui sconfissi Delta, infatti, Kuroi mi chiamò nei sotterranei per consegnarmi il mio Bit-power…

 

- Vieni, vieni pure avanti, Alfa.

Titubante il bimbo entrò nella stanza, chiudendosi alle spalle la porta con un cigolio sinistro.

- Ho saputo che oggi hai sfidato Delta.

- Sissignore. – rispose atono.

- E so che lui ha perso.

- … Sissignore. – mormorò, chinando la testa: e se l’avesse punito per questo?

- Non ti preoccupare, non ti punirò. – disse, dopo qualche istante; Alfa sussultò, non si sarebbe mai abituato al piccolo ma subdolo potere del suo capo di leggergli la mente – Anzi, ho una cosa da consegnarti.

Così dicendo tirò fuori da sotto la giacca una scatolina nera laccata, che aprì con uno scatto della serratura dorata; dentro, lucido e brillante di una lucina accattivante, c’era un Bit-chip con sopra disegnato un’animale. Alfa ammutolì.

- Sei riuscito a sconfiggere quello che fin’ora era il migliore dei miei allievi, dopo poco più di un  anno e senza Bit-power. Ritengo che ormai tu sia in grado di governarne uno.

Il bambino afferrò lo stemma con mano tremante, fissando la creature ritratta sopra di esso: sembrava un bruttissimo lupo marroncino, con tutto il pelo spelacchiato.

“Non sembra molto forte. – pensò, sfiorandolo con un dito – Però… Ho come l’impressione che mi stia fissando.”.

- Avanti, fammi vedere come riesci ad usarlo.

- Eh?

Senza aggiungere altro Kuroi premette un pulsante sulla bassa scrivania di fronte a lui, facendo muovere come per incanto la parete alla sua destra, dietro al quale si trovava un immenso BeyStadium, coperto di vari ostacoli.

- Lancia e fammi vedere.

Alfa annuì, insicuro su quell’ordine; infilò il nastro nel lanciatore bluastro, incastrando il bey col Bit tra le lamelle del caricatore.

- Pronti… LANCIO!!

 

Quando riuscii ad evocare Sciacallo devo ammetter che rimasi tanto allibito quanto contento.

Il pensiero che quella creatura incredibile, che permetteva al mio bey di spaccare in due lastre di metallo spesse due dita come fossero fogli di carta mi esaltava, quel potere mi esaltava; adoravo quella sensazione di forza e Kuroi l’aveva capito.

E’ sempre stato bravo ad inquadrare la gente quell’uomo..

Da questo punto di vista eravamo fatti della stessa pasta.

Forza.

Potere.

Un’energia incontrollabile.

Adoravo quella sensazione.

Kuroi mi disse che potevo diventare anche più forte e, come prevedeva, io accettai eccitato la proposta.

Non sapevo a che prezzo avrei pagato tutto questo.

 

Alfa camminò dietro a Kuroi per molto tempo, incurante del freddo e dell’aria stantia che si respirava lì sotto; era felice ed eccitato, con quel Bit era riuscito a distruggere tutti gli ostacoli sul BeyBlade Stadium in neanche dieci minuti.

“Se adesso diventerò ancora più forte sarò davvero invincibile!”.

Doveva ammetterlo, era proprio felice. Si divertita ad usare il bey, anche se non poteva troppo darlo a vedere per paura delle reazioni di Delta e Gamma, ma anche per quelle di Kuroi: non capiva perché, ma non era convinto che tutti i sorrisi di quell’uomo fossero veritieri.

E non sapeva quanto avesse ragione.

- Eccoci qui.

Con un gesto deciso Kuroi spalancò un vecchio portone di fronte a lui, accendendo con un colpetto secco l’interruttore: le luci tremolanti illuminarono quello che sembrava un vecchio laboratorio, probabilmente usato ancora abbastanza di frequente, perché era tutto lustro e in ordine.

- Vieni.

Sentendo una lieve preoccupazione salirgli in gola Alfa entrò, scrutando con ansia delle alte teche di vetro, a cui erano collegati al soffitto interno dei sottili tubi bianchi. Kuroi si avvicinò ad un quadro comandi complicatissimo, digitando veloce codici e numeri che apparivano mano a mano sul monitor di fronte e di cui Alfa non capiva neppure una parola. All’improvviso una delle teche si aprì lateralmente con un risucchio, facendo uscire una nube sottile di fumo biancastro.

- Posa il bey su quella colonnina lì vicino, levati la divisa e poi entra.

Alfa girò la testa di scatto, guardandolo un po’ impaurito: doveva entrare lì dentro?!

- Entra.

L’ordine fece rabbrividire il brunetto fin nelle ossa; tremante appoggiò il beyblade su una sorta di piedistallo accanto alla teca cilindrica e si levò la tuta che gli era stata data il giorno del suo arrivo, entrando poi nella cabina trasparente; cominciava ad avere paura.

Kuroi sembrò ignorarlo, riprendendo a digitare qualcosa sulla consolle. I tubi nell’abitacolo si mossero come serpenti, applicandosi con delle ventose sulla fronte e sul torace magro del ragazzino.

- Cosa sono questi? – mormorò un po’ agitato.

L’uomo non rispose.

- Ehi, le ho chiesto cosa sono! – esclamò con voce tremula, battendo i pugni sul vetro.

Kuroi non rispose di nuovo. In compenso, Alfa avvertì qualcosa bagnarli i piedi e, abbassando lo sguardo, vide un fluido azzurrognolo riempire pian piano la teca: spaventato indietreggiò, senza riuscire a parlare, ma per il suo capo sembrava tutto normale; quando ormai il liquido nella cabina gli arrivò alle spalle, Alfa cominciò a tremare convulsamente, col respiro affannoso per la paura.

- Sta calmo.

Alle parole di Kuroi una piccola mascherina trasparente scese da un vano sopra la testa del bambino, inserendosi precisamente sulla sua bocca e sul suo naso. Calmandosi Alfa si lasciò sommergere, cercando di ignorare il fastidio che quell’affare gli dava alle orecchie e agli occhi, che tenne strettamente serrati. 

Quando la teca fu piena Kuroi si voltò, fissando divertito il piccolino che, lievemente pallido in viso per via del colore del liquido, stava immobile a galleggiare nella cabina, rigido come una statua.

- Riesci a sentirmi Alfa? Fammi un cenno con la testa per rispondermi.

Alfa annuì lentamente.

- Molto bene. Adesso devi concentrarti: pensa di essere in posizione per lanciare il tuo bey.

Il ragazzino obbedì.

- D’accordo… adesso lancialo.

Alfa annuì ancora. Nel frattempo, sul piedistallo lì vicino, un macchinario aveva cominciato a far ruotare artificialmente il suo bey, e questo gli permise di concentrasi meglio.

- Perfetto. Adesso evoca il tuo Bit-power.

Ci volle qualche secondo, ma alla fine lo Sciacallo uscì ruggendo dallo stemma, illuminando la stanza d una luce sinistra. Kuroi ghignò.

- Ora immagina di scagliare il Bit contro qualcuno.

Alfa spalancò un istante gli occhi, ma che stava dicendo?! Perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?

- Fallo se vuoi essere più forte. – il ragazzino richiuse gli occhi: sì, era vero, però… - Pensa a qualcosa che ti ha fatto infuriare, anche tanto tempo fa…

Lui provò a pensarci, ma non gli veniva in mente nessuno. Oppure sì? Era strano, una parte di lui, anche se cercava di concentrarsi, gli impediva di ricordare episodi in cui avesse pensato di ferire qualcuno, ma un’altra invece stava scavando, giù, sempre più giù nella sua memoria, quasi contro il suo volere, bramosa di trovare qualcuno, di vendicarsi, di colpire con furia cieca. Che fosse merito di quel liquido?

- Cerca di ricordarti, Alfa, tu sai benissimo chi potresti voler distruggere col tuo Bit.

E allora li vide. Nella sua testa, nitide come se le avesse davanti, vide le immagini di suo padre e di sua madre, i loro sguardi di disprezzo, di disgusto, di odio; e poi la solitudine, l’indifferenza, quel fastidioso desiderio di affetto che, in fondo, non gli era mai venuto meno. Una rabbia sottile cominciò ad attraversargli ogni centimetro di pelle, mentre i rivelatori del laboratorio partivano a registrare dati sempre più freneticamente. Il sorriso di Kuroi divenne quello di un animale feroce.

- Lanciaglielo contro. ADESSO!

Come un fiume in piena la rabbia del piccolo venne fuori, facendolo urlare, mentre tutto il suo potere, mai voluto, mai desiderato, usciva con le grida, ma invece di lanciarsi contro i suoi genitori, come stava immaginando, o comunque all’esterno, com’era la realtà, fu assorbito da quelle strane ventose e rilasciato nel suo Bit-power. Dopo qualche istante Alfa sgranò gli occhi, che divennero vacui, e l’urlo di rabbia divenne di dolore: quella macchina stava assorbendo le sue forze come una spugna, riversandole nella creatura e provocando nel bambino fitte simili a scosse elettriche.

- Contrasta il processo! – gli urlò Kuroi severo – Non lasciare che assorba la tua forza, ma il tuo odio! Alimenta la tua creatura, falla crescere!

Ma Alfa non lo sentiva quasi più: faceva male, troppo male, non poteva resistere oltre!

Lanciò un altro urlo, dimenandosi nell’acqua della teca, le orecchie che gli rombavano e la mente offuscata per il dolore.

- Alimenta il Bit con l’odio!

 

Dopo questo non ricordo altro di quello che accadde quel pomeriggio: mi risvegliai nella mia stanza due giorni dopo, col corpo ricoperto di lividi e scosso dai brividi.

Per la settimana successiva non feci altro che avere incubi in cui i miei genitori mi lasciavano legato in un posto andarsene via ridendo, nonché ad avere “fuoriuscite sgradite” dei miei poteri; Kuroi e compagnia dovettero tenermi in isolamento, perché spaccavo qualsiasi oggetto troppo fragile nel raggio di venti metri e schiantavo al muro la prima persona che mi diceva una parola con un accento strano.

Non capivo il motivo, sapevo solo che dentro di me c’era una rabbia incommensurabile ed un odio incontrollato per tutto ciò che mi circondava.

Quando finalmente Kuroi potè parlarmi senza essere ridotto ad un poster sulla parete, capii.

Quel macchinario dove ero stato portato si chiamava U.B., sigla di non so quale parola scientifica, che tra noi ragazzini era “affettuosamente” chiamata Undeath Bed.

Infatti, chi usciva da lì dentro era sempre più morto che vivo.

Lo scopo principale di quelli che dovevano goderne era di potenziare i Bit-power coi propri poteri psichici, utilizzando sensazioni molto forti. La rabbia, per esempio. O la paura, il disprezzo, il risentimento, soprattutto. Sentimenti positivi no, il perché non lo compresi mai.

Per fare questo, però, bisognava essere forti. Molto, molto forti, perché il liquido utilizzato per lo svolgimento dell’operazione era tossico e a contatto con impulsi mentali dava lesioni al corpo, facendo da conduttore per gli impulsi elettrici emessi dal cervello e assorbiti dal macchinario..

Ma soprattutto, perché il lavoro riuscisse, bisognava provare quelle sensazioni che Kuroi voleva.

Proprio per questo mi aveva fatto ripensare ai miei genitori, sapeva bene quanto li detestassi.

Anche quella volta si dimostrò un passo avanti a me.

 

*---

 

- Uhmp… - nella stanza dov’era assieme ad Hitoshi, Alfa si lasciò sfuggire un risolino, interrompendosi un istante – Sì, lo è davvero sempre stato… Almeno fino a sei mesi fa…

L’altro giapponese non rispose, aspettando che Alfa continuasse.

- Ma all’epoca, fra me e Kuroi c’era sempre e solo un vincitore.

 

*---

 

Nonostante mi opponessi sempre con resistenza all’uso dell’ U.B., Kuroi non si fermava mai e ben presto anche gli effetti collaterali si fecero sentire, assieme alle fatiche degli allenamenti.

La verità era che i pensieri negativi che la macchina alimentava mi rimanevano dentro.

Gli incubi.

L’odio.

I ricordi tristi.

Come una sorta di siero velenoso mi entravano nella mente e mi perseguitavano, giorno e notte, senza mai smettere.

Mi stupii quando scoprii che anche Delta e Gamma dovevano usarla abitualmente, più che altro mi venne spontaneo chiedermi come potesse quell’idiota di Gamma essere sempre così rilassato. Ma quando lo vidi disintegrare una porta d’acciaio perché era infuriato con Kuroi, capii che in realtà era una gran faccia di bronzo.

Alla fine, quindi, quella macchina non cambiava solo il tuo Bit, ma anche te.

Diventavi tu stesso una macchina.

Un soldatino obbediente colmo solo di rabbia.

Eppure io ancora non sapevo neppure per cosa voleva davvero utilizzarci il capo, e non lo conobbi se non a partire da una notte di dieci anni fa.

La notte in cui incontrai per la prima volta una persona che era stata Marchiata.

 

Un freddo sottile si insinuava sotto i vestiti di Alfa, sette anni sulle spalline gracili e tre di fatiche sul cuore, mentre camminava silenziosamente verso la sua stanza. Era stravolto, l’unica cosa che voleva era stendersi e dormire almeno dieci ore, ma non era sicuro di riuscire ad addormentarsi neppure con tutto il sonno che aveva addosso, considerando il temporale che si stava avvicinando: tuoni assordanti sembravano scuotere le apparentemente fragili pareti del vecchio edificio e lampi accecanti sfrigolavano nell’aria ancora per molti minuti dopo che avevano illuminato a giorno il cielo.

Se continua così ci crollerà il cielo in testa!”.

All’improvviso il ragazzino si fermò. Tese le orecchie, incuriosito, sentendo qualcosa nell’aria, una sorta di aura sgradevole che, frizzando leggermente, gli svolazzava attorno; si girò attorno, attento, ma non vide nulla né sentì alcun suono. Rimase lì qualche minuto, finchè la sensazione non scomparve e, non vedendo nessuno, decise di andarsene.

Arrivato alla sua camera si gettò a peso morto sul letto senza neanche cambiarsi, addormentandosi quasi subito, ma dopo neppure un’ora un fulmine troppo vicino lo svegliò con un sobbalzo. Come volevasi dimostrare, probabilmente avrebbe trascorso l’ennesima notte in bianco! Seccato si mise a sedere, pensando a come addormentarsi, ma un suono insolito, proveniente dal corridoio, lo distrasse: sembrava che qualcuno piangesse. Ma com’era possibile? Non conosceva nessun’altro degli Psaico se non Delta e Gamma, ma Kuroi non permetteva a nessuno di lamentarsi, figuriamoci di piangere! Eppure, qualcuno stava davvero singhiozzando; quel rumore suonò così insolito ad Alfa in quell’ambiente che decise di uscire per vedere cosa fosse successo.

Si guardò attorno, scorgendo una figurina appoggiata al muro, la testa tra le braccia, scossa da tremendi sussulti.

Con calma il moretto si avvicinò, dando uno scossone ad una chioma di capelli corvini lucidissimi.

- Ehi…

 

Quando alzò la testa, devo ammetterlo, rimasi colpito.

Avevo già visto altre ragazzine, ma quella era la prima per cui formulai il pensiero “è bella”.

Che strano, dopo quella notte non ho mai più visto quegli occhi piangere.

Quegli occhi che, ricordo, negli ultimi anni hanno guardato il mondo solo come se come fosse un bocconcino da gustarsi con tranquillità, o come se ogni cosa fosse a sua disposizione.

Sai, forse però erano più belli quella notte, verdi e rilucenti di lacrime, lo sai, piccola Margot?

 

Alfa rimase a fissare la bambina nuova, i capelli scarmigliati a coprirle in parte il viso arrossato e rigato di lacrime.

- Che stai combinando qui?

Lei non rispose. Emise un violento singulto, facendo un cenno con la testa verso la sua schiena, poi riprese a singhiozzare, tremando come una foglia. Alfa la scrutò un po’ arcigno, quel pianto cominciava ad essere fastidioso; nonostante questo allungò l’occhio dietro la schiena della ragazzina, rimanendo a bocca aperta: su di essa, sanguinante, la carne rosso vivo era stata sfregiata da un lungo taglio a forma di folgore, coi bordi sporchi di quella che sembrava melma semitrasparente di un colore indefinito.

- Ma che cavolo…!

Il ragazzino chinò un po’ la testa verso la morettina e fu attraversato da una scossa, simile a quella che lo colpiva quando i suoi compagni usavano i loro poteri: un effetto normale in quel caso, dicevano, perché per analogia le loro menti e i loro corpi reagivano alle onde psichiche.

Ma allora perché lo stesso avveniva con quella mocciosa, anzi, con la ferita di quella mocciosa?

- Oh, allora sei qui…

Un’altra voce che non conosceva fece voltare di scatto Alfa, che si ritrovò davanti un ragazzino di circa dieci anni, che non aveva mai visto. Questo gli sorrise, avvicinandosi poi alla ragazzina e chiamandola poggiandole una mano sulla spalla; al contatto questa sobbalzò, allarmata.

- Sta tranquilla, è tutto a posto. Ti fa molto male?

Lei annuì timidamente, mentre quello emetteva un sospiro triste.

- Lo immaginavo…

Con delicatezza si sfilò la felpa macilenta che aveva addosso, restando in maglietta, la strappò con non poca fatica a metà e la usò per cingere con una fasciatura grossolana la ferita della bambina, che lo guardò sorpresa e grata.

- Va un po’ meglio?

Quella arrossì, confusa, annuendo a scatti. L’altro ragazzo sorrise, porgendole la mano, e una volta che lei si fu alzata si mise un suo braccio attorno alle spalle, facendola arrossire ancora di più e cominciò ad avviarsi con lei nel corridoio.

- Ehi, aspetta un secondo! – esclamò Alfa, che fino a quel momento era rimasto fermo – Mi spieghi cos’è successo a questa qui?!

L’altro si voltò, incrociando lo sguardo malevolo e indagatore di Alfa. Inutile, per quanto ci provasse, il brunetto era sicuro di non averlo mai visto: si sarebbe ricordato un viso così gioviale, tanto diverso da quelli che vedeva in quel posto, non avrebbe scordato quella stranissima zazzera castana che aveva in testa, troppo lunga sulla frangia e troppo corta dietro, a formare un codino minuscolo. Il ragazzino più grande si voltò, guardandolo un po’ malinconico.

- Tu sei uno dei ragazzi della squadra di Kuroi… Non ti ha ancora spiegato la Marchiatura?

- Ma mi prendi in giro?! – sbraitò furioso senza capire - Che cavolo stai dicendo?! Ti ho chiesto cos’è successo a questa qui!

- Te l’ho detto. – rispose asciutto – L’hanno Marchiata.

Alfa lo guardò malissimo, facendolo sospirare.

- Significa che hanno fatto in modo che non possa più scappare.

Lo sguardo di Alfa divenne confuso; l’altro continuò, amaro.

- Uno dei tuoi ha colpito questa ragazzina, la piccola…?

- M-Margot… - balbettò, imbarazzata – Mi chiamo Margot…

- Margot ^^. – sorrise gentile – Hai provato a scappare, è così? – lei annuì triste – Ma ti hanno scoperta… E ora, con la ferita impregnata di MK-57, sarà praticamente impossibile squagliarsela da qui… - si voltò verso un punto indefinito del muro - Quest’affare reagisce con le onde paranormali che voi usate, provoca dolori e allucinazioni… Non è proprio il massimo.

Alfa rimase immobile, allibito, perché Kuroi non gli aveva mai spiegato una cosa così importante? È vero, quel ragazzino poteva anche prenderlo in giro, ma non credeva gli stesse mentendo: in fondo, lui aveva già sentito parlare dei molti sistemi usati dal capo per non permettere la fuga dei suoi “ospiti”, compresi veleni e loro, la squadra di punta degli Psaico.

- Coraggio! – continuò il ragazzino più grande, stringendo di più la bambina – Ora devi riposarti, è meglio. Ti ha Marchiata Delta, giusto? – lei annuì - Il solito bastardo… L’ho sentito gongolare dalla mia stanza, dannato…

- E-ehi tu! – lo fermò di nuovo Alfa, un po’ agitato – Ma tu chi sei? Come fai a sapere tante cose?!

Quello gli sorrise, un sorriso vero come non se ne vedevano mai lì dentro.

- Mi chiamo Shiro.

 

*---

 

- Aspetta un attimo…! – con un gesto brusco Hitoshi interruppe il raccontare del suo ospite – Shiro…? Lo stesso Shiro di cui mi hanno parlato Midori e mio fratello?

Alfa assunse un’espressione indecifrabile, appoggiandosi poi allo schienale del letto:

- Esattamente.

 

Shiro Hirotaka…

Quel ragazzo ha un grande onore, quello di essere diventato la mia prima ossessione.

Dalla notte in cui conobbi lui e Margot non smisi mai di cercare informazioni su di lui, ma era come cercare di acchiappare il fumo.

Quello era più furbo di quanto sembrasse!

Partecipava a tutti gli allenamenti, non si lamentava mai, subiva percosse e sgridate senza battere ciglio, e benché privo di poteri ESP possedeva un’abilità col bey e un’agilità straordinari; era una testa calda nei limiti, ma qualunque cosa accadesse riusciva sempre a non cacciarsi nei guai e a non farsi vedere per molte ore.

Sinceramente, ne ero molto invidioso.

 

- Ora che ci penso forse assomigliava un po’ a quell’idiota di Takao, forse è anche per questo che non sopporto tuo fratello.

- Per questo motivo? – l’altro parve rifletterci.

- Anche… - e non continuò.

 

Se però ero invidioso di Shiro, altrettanto disprezzavo il sadismo di Kuroi: quella bambina nuova, Margot, dopo che si fu ripresa dal Marchio fu costretta a diventare l’allieva nientemeno che di Delta.

Una pura cattiveria gratuita che avrebbe dovuto incrementare le sue armi per l’Undeath Bed.

Non c’erano dubbi, Kuroi era un bastardo di prima categoria!

Col passare del tempo, però, sia Shiro che Kuroi, sia l’invidia, la curiosità e la rabbia cominciarono a svanire: per un bel po’ di tempo non incrociai più quel ragazzo e le continue sedute nell’U.B. cominciarono ad influire sul mio cervello molto più di quanto avessi immaginato o provato fino allora, occultando le mie domande e i miei pochi desideri e rendendo inutili quei problemi che mi creavo, quell’ultimo anelito di libertà che possedevo.

Non mi importava più di nulla.

Avevo perso l’interesse per qualsiasi cosa: se mi dicevano di combattere combattevo, se mi dicevano di andare a “reclutare” nuovi membri rapendoli, lo facevo, qualunque ordine lo eseguivo.

Tanto, che motivo avevo di obbiettare?

Alla mia freddezza si aggiunse un sottomissione silenziosa e un cinismo che non erano mai stati miei, assieme ad una paura ingiustificata per Kuroi.

Ero convinto che nulla di quella situazione sarebbe cambiato.

Mai.

Fino a quel giorno, quel dannato giorno di sette anni fa.

Il giorno in cui arrivarono agli Psaico loro.

E conobbi lei.

 

- Sei sicuro che siano loro? – chiese Delta, guardando le bambine di fronte a loro.

- Certo, deficiente! – lo rimbeccò tra i denti Margot, dandogli un calcio nello stinco – Kuroi ci ha fatto studiare i loro file per due mesi, come fai a non riconoscerle?!

Il ragazzino borbottò, massaggiandosi la gamba e rintanandosi un altro po’ nel cespuglio dietro a cui lui, Margot e Alfa si erano nascosti. Quest’ultimo guardò di sottecchi la moretta, era molto cambiata nel periodo in cui era stata con gli Psaico: dopo quel primo cedimento, la notte in cui era stata Marchiata, aveva deciso di rendere pan per focaccia ai suoi aguzzini, diventando aggressiva, testarda e con la lingua più affilata di un rasoio, benché avesse ancora una debolezza.

Una debolezza che da quel giorno avrebbe pesato molto su di lei.

- Avanti! – esclamò, stringendo il pungo – Andiamocele a prendere!

I tre si guardarono con un sorriso perfido e, alzandosi, uscirono dal loro rifugio, avvicinandosi alle loro prede.

Sorprese queste si voltarono, fissandoli curiosi.

- E voi chi siete?! – una ragazzina di circa otto anni, i capelli rosso fiamma legati in una treccia li fissò. Alfa la scrutò da sotto il cappuccio nero che si era tirato in testa, sorridendo falso, quella doveva essere Rin Ruka, la cinese.

- Siamo venuti a prendervi, piccola Ruka. Vi portiamo a casa.

- A… prenderci? – chiese spaventata una piccolina dai tratti eurasiatici, avvicinandosi alla rossa; quella era Eveline Yoshiji.

- Sì. – le rispose lui, come fosse la cosa più naturale del mondo.

Poi guardò l’ultima componente del gruppo, fissando i suoi occhi verdi in quelli turchini di lei, che cominciò a tormentarsi i codini rosa: Midori Takamura. Il brunetto le sorrise maligno:

- Grazie per averle portate qui, anzi, per esserci venute tutte. Ci hai risparmiato della fatica, piccola Midori.

- C-come?

Proprio come avevano previsto, la ragazzina aveva cominciato ad agitarsi, soprattutto dall’ultima frase, sarebbe stato semplicissimo farle credere che la loro cattura fosse colpa sua.

E il senso di colpa è un’arma micidiale per l’Undeath Bed…”.

 

Non ci volle molto per quella missione, in realtà, quasi tutto il lavoro lo fece Delta.

Quella sera le tre mocciose erano già nelle loro stanze alla nostra sede.

 

*---

 

Alfa smise un secondo di raccontare, lasciandosi sfuggire un risolino. Hitoshi lo guardò:

- Che c’è?

- Nulla…

“Stavo solo pensando che… Se quella sera non fossi andato lì….”.

 

Se per una volta avessi detto di no a Kuroi…

Se avessi lasciato l’onere di sorvegliare quelle tre a Gamma…

Noi non ci saremmo avvicinati…

Io non sarei diventato debole, però…

Non le avrei mai neanche parlato…

 

- Tzs, sai che è strano? – disse divertito – Parlare del mio passato mi sta facendo ricordare tante cose a cui non pensavo neppure più… Forse ne capisco anche tante altre.

- E questo è positivo? – chiese, con aria un po’ pedante; Alfa non rispose.

 

*---

 

- Mi rifiuto di andarci. – disse lapidario il piccolo Alfa, al raduno coi compagni.

- Eddai, mica te l’ ho chiesto io! – disse risentito Delta, notando l’espressione furibonda del suo nuovo capitano – E’ un ordine del capo.

Il brunetto digrignò i denti e, furioso, uscì dalla stanza dove si erano radunati tutti, sbattendo la porta con violenza.

- Tzs, il solito nevrotico…

Con passo da mitragliere Alfa si diresse alla stanza dove avevano schiaffato quelle tre nuove; quando fu lì davanti aprì la porta con malagrazia, individuando subito la rossa e la piccolina, addormentate sulle brande che avevano messo vicine, entrambe con lo sguardo triste e tenendosi la mano. Assolutamente stomachevoli, mocciosette, scommetteva che stavano morendo di paura anche da addormentate! Guardò dentro la stanza, ma non vide l’altra, Midori, quella coi codini. Sbiancò.

- Oh cavolo… E ora dov’è?!

Rapidamente si guardò nel corridoio, non poteva aver provato a scappare! Non quando a fare la guardia toccava a lui!

“Maledizione!”.

Guardò a destra e poi a sinistra, ma il corridoio era deserto; senza un motivo logico imboccò la parte di sinistra e corse, corse e corse, cercando quella mocciosa dagli occhi azzurri, finchè, finalmente non la scorse, seduta di fronte a una finestra.

- Ehi tu! – ansimò, col fiatone – Si può sapere dov’eri sparita?!

Lei si girò, sobbalzando spaventata, piangeva. Alfa non battè ciglio.

- Forza, torna nella tua stanza!

La ragazzina lo guardò, poi fece un’espressione arrabbiata che, tra il viso infantile e le lacrime, divenne un tenero broncetto; il tono di Alfa, sorprendendo anche lui, divenne meno duro.

- Avanti, non mi fare perdere la pazienza!

 - No! – continuò lei, aveva una voce infantile, ma (era strano definire così una voce, ma Alfa non seppe darci altro aggettivo) molto tenera – Non voglio ubbidirti!

- Senti.. – sbuffò lui, seccato – Se vuoi che mi arrabbi sul serio, continua pure…

- Non m’importa! – ribattè lei, guardandolo con aria battagliera – Io non ho paura di te!

Alfa la fissò scioccato, non ci credeva, aveva proprio dettoNon ho paura?

- Tzs, vuoi che ti spalmi contro la parete per fartela sotto? – lei però non mutò espressione, come se non le importasse.

- Sono arrabbiata! Lo sia che non si fanno cose così cattive?!continuò, furibonda – Io non posso stare qui! Il mio papà mi aspetta, e anche Eve-chan ha la sua mamma e il suo papà che si preoccupano se non la vedono tornare!

Alfa riprese a guardarla, normalmente, se qualcuno gli avesse detto quelle cose, sarebbe scoppiato a ridere… ma riuscì solo a guardarla serio e, forse, un po’ sfinito:

- Tu… Voi, non potrete più tornare a casa.

- Cosa…? – la voce di Midori divenne un sussurro, mentre guardava il ragazzino spaventata. Stranamente, quello sguardo non inorgoglì il brunetto come al solito.

- Non potrete più andarvene di qui.

Midori continuò a fissarlo. Si girò quindi verso la finestra e, sempre con lo sguardo perso, si lasciò cadere a terra, piangendo.

- No… Io… Io… Avevo promesso a papà che… So di nuovo parlare, volevo che mi… Che mi sentisse… - prese ad emettere singhiozzi sempre più convulsi – Il mio… Papà…

Alfa la fissò in silenzio e per la prima volta, avvertì una stretta tra il cuore e lo stomaco, forte; porse la mano alla bambina.

- Dai… - riuscì solo a dirle – Ora devi andare a dormire… O ti sgrideranno se ti trovano qui.

Che sto facendo? Che m’importa? Non sono fatti miei, devo solo pensare che non puniscano me!”.

 

Lo pensai, ma rimasi comunque lì.

Rimasi finchè lei, ancora singhiozzando, non prese la mia mano, titubante.

L’accompagnai nella sua stanza e le dissi di dormire.

E lei?

Mi sorrise.

Mi sorrise dicendo: << In fondo tu non sei cattivo. >>

Non dovevi.

Non dirlo.

Non mi sorridere.

Perché tu…

Così…

Un cuore non ancora del tutto avvolto dal buio…

Ottenni quella spirale di luce che mi avrebbe scombussolato ogni progetto.

 

Midori e compagne furono affidate ad un membro più grande dell’organizzazione, com’era prassi, caso volle che quel ragazzo fosse proprio Shiro Hirotaka.

A me, invece, spettò il compito di guardia di quella ragazzina coi capelli rosati e i codini.

E’ proprio vero che a volte il destino gioca brutti scherzi!

 

- Senti… Tu come ti chiami?

Alfa guardò di sottecchi Midori, seduta a gambe incrociate su un gradino; di fronte a loro, un gruppo di ragazzi si allenava.

- E a te cosa t’interessa? – chiese sgarbato, incrociando le braccia al petto – Sappi solo che devo sorvegliarti, punto!

La bambina lo guardò, sbuffando. Poi, inclinando la testa da un lato, gli si portò a dieci centimetri dal naso, guardandolo curiosa.

- Non lo sai più?

Alfa, dapprima sorpreso, si accigliò.

- E se fosse che te ne frega?!

- Omega-kun non ricorda più il suo nome. – rispose, riferendosi a quel bimbetto piccolo e magrolino che, appena due settimane dopo di loro, era entrato nell’organizzazione – Ormai lui sta sempre insieme a Ru-chan, perciò lo so…

- Lo vuoi capire che non m’interessa?!disse, con tono sempre meno convinto – Sono solo fatti vostri!

Il brunetto si sedette con fare nervoso, non ci riusciva… Era impossibile per lui fare il duro con quella mocciosa!

“E’ insopportabile!”.

Midori sospirò, e gli si sedette vicino.

- Anche tu sei solo, non è vero? – gli disse - Sei triste?

Una domanda innocente. Ma Alfa la fissò, sbiancando, fissando poi i suoi occhi verdi in quei due specchi colore del cielo.

- Tu sei sempre solo… Gamma e Delta, loro sono cattivi, e anche se fanno gli stupidi sono contenti così… - disse, guardandolo dolcemente – Tu invece … Non sei triste?

 

Ero un bambino.

Le sue parole mi scoprirono subito.

Lì, su quei gradini, la fissai ancora.

E piansi.

In silenzio, le gambe incrociate, le braccia la petto e la testa china.

E lei non disse nulla.

Sì, ero triste.

Triste di dover continuamente provare rabbia e odio.

Era troppo!

Triste…

 

Midori diede un buffetto sulla testa di Alfa, che la scacciò un po’ imbarazzato. Lei sorrise e, messasi di fronte a lui, gli porse le mani.

- Sarei davvero contenta se fossimo amici ^^!

Alfa la fissò sorpreso, fregandosi velocemente gli occhi con una mano.

- Sul serio?

Lei sorrise e gli prese le mani.

- Vuoi essere mio amico ^^?

 

*---

 

Alfa smise un secondo di parlare. Hitoshi lo fissò, notando la sua espressione distante.

- E poi…?

Il brunetto rimase fermo. Che strano, era così tanto tempo che non ci pensava, che l’aveva quasi dimenticato…

 

Quella gentilezza mai richiesta…

Donata. Così, semplicemente.

Lei non mi ha mai odiato.

Aveva paura, lo so.

Odiava quel posto, odiava Kuroi, voleva tornare a casa.

Ma non odiava me.

Non c’era motivo.

Lei era semplicemente fatta così.

Mille volte l’avevo vista farsi coraggio con quelle altre due, sopportando le botte, la paura.

Sempre.

E quel poco di calore voleva trasmetterlo a me.

 

- Allora adesso siamo amici ^^!

 

*---

 

- Alexander…?

Alfa scosse la testa.

- Scusa, stavo pensando….

- A cosa?

Il brunetto tacque nuovamente, sospirando amaro.

- Che forse, se avessi ascoltato me stesso invece che quel maledetto, non sarebbe accaduto nulla…

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Capitolo 2
*** Seconda Parte: Guilty ***


- Insomma, Alfa, mi stai ascoltando

BUONASERABUONASERABUONASERAAAA XDDD!! Oddio, non dovrei proprio ridere, visto che non aggiorno da + di un anno! Chiedo umilmente perdono a chi aspettava il seguito de “La storia dello Sciacallo”, ma purtroppo tra università, esami e mancanza d’ispirazione la fanfic è rimasta arenata.

Finalmente (e grazie anche a chi ha commentato) sono riuscita a concludere questa prima Spin-Off su “Psaico”. Dico prima xkè, come avevo già accennato nello scorso cap, probabilmente ce ne saranno altre (una è già in cantiere assieme ai nuovi cap di “Diaries” che – spero ^^””! – di riprendere al + presto in mano) ma purtroppo non so dire quando. Prometto solo d’impegnarmi, come ringraziamento a tutti quelli che hanno apprezzato il mio lavoro, a cui mando un bacione grande grande ^o^!

Vorrei ringraziare, prima di lasciarvi al cap:

kuro_neko93: un ringraziamento speciale va alla piccola kuro_neko, che mi ha davvero emozionata con la sua mail (davvero hai letto Psaico 8 volte?! E dire che io nn sn ancora riuscita a convincere una certa persona – Jolly Mask stranutisce – a leggerla per intero xD!) e mi ha incoraggiata a continuare. Scusami, avevo promesso di aggiornare molto prima, ma purtroppo ho passato un brutto periodo con l’università, e non sono riuscita a concentrarmi. Cmq, eccomi qua ^o^!

Siana: spero che la tua curiosità sia soddisfatta ^^!

Ametista: davvero era il tuo pers preferito? Non l’avrei mai detto, mi sembrava non piacesse proprio anzi xDD! Beh, se allora ti piace tanto, spero che con questo cap ti piaccia ancora di +!!

Lenn Chan: tessshooooraaa *-*!! Dato che siamo sempre entrambe ultra-lente ad aggiornare (-__-) non mi sgriderai del ritardo, ero ^^”””? anch’io nn vedo l’ora di leggere qualcosa nuovo di tuo, aspetto nuove! E tu aspettane di mie xD…

Credo di aver detto proprio tutto ^^. Vi lascio alla lettura, ci vediamo ancora in fondooo!

 

 

 

- Insomma, Alfa, mi stai ascoltando?!

Il brunetto si voltò distrattamente, mandando un verso nasale non ben definito con fare interrogativo.

- Ma dove hai la testa?!

- Da nessuna parte Margot – ribattè scocciato – lasciami stare dai…

- Ma come, non sei arrabbiato di dover fare squadra con quella ragazzina nuova?! – sbottò lei – Io sarei furiosa! È talmente odiosa, insopportabile…!

- Chi è che è insopportabile?

Una voce innocente alle loro spalle fece sobbalzare Margot come se l’avesse morsa un insetto; Alfa, che l’aveva ascoltata fino ad all’ora distrattamente, la osservò agitarsi e voltarsi con un luminoso ed imbarazzato sorriso.

- Shiro… Shiro-san! – esclamò con aria impacciata. Il brunetto dietro di lei grugnì soltanto.

- Non stavi mica parlando di me? – continuò con una risata gentile Shiro.

- No…! No, io… Parlavo di… Di… - si morse il labbro senza aggiungere altro.

- Va bene, non importa. – sorrise ancora – Alfa, il signor Kuroi ti sta cercando, dobbiamo cominciare l’allenamento.

- See… - di malavoglia si alzò, affiancandosi all’altro ragazzo che, fatto un cenno di saluto a Margot, gli trotterellò dietro con fare gioviale.

- Ci vediamo !

- Sì… - la morettina salutò un po’ mesta, stiracchiando un sorriso – Ci vediamo…

 

Da quando Midori e le sue amichette erano arrivate era trascorso un anno.

Un anno durissimo, che aveva cominciato a trasformarle lentamente, ma non ancora radicalmente. Non sapevo come Shiro, che doveva allenare le altre due, le trattasse; dal mio canto, benché gli allenamenti fossero duri, non mi accanii mai contro di lei, come invece facevano Gamma o Delta coi loro “protetti”.

Ma quello che davvero non sapevo, e che invece avrei dovuto capire subito, erano quei legami che nascevano, indistruttibili, che quell’inferno non aveva ancora cancellato.

 

Affetto. Come quello profondo che quel mocciosetto di Omega sentiva per la cinese, Ruka, che avrebbe difeso a qualunque costo… A qualunque prezzo…

Gelosia, quella di Margot, per l’unica persona che mai l’avesse difesa, che mai si fosse preoccupata per lei…

Amicizia. Segreta, nascosta. Solo mia e di Midori, che sentivo forte e piena di calore a sostenermi, a darmi forza.

Di tutto questo riuscivo ad intuirne l’esistenza, ma per me, che non avevo mai ricevuto alcun tipo di premura, era difficile capirne le differenze e quasi impossibile capirne l’intensità.

Per questo, non riuscivo a capire…

 

- Che stai aspettando Alfa? – ancora una volta, Shiro spronò il suo piccolo compagno con aria allegra – Se facciamo tardi sono guai!

L’altro annuì con un cenno. Mentre Shiro si avviava nel corridoio non smise un istante di guardarlo pensieroso, le iridi verde scuro piantate sulla schiena dell’altro.

 

Diversi.

Ecco ciò che eravamo. Diversi.

Da subito riuscivo ad intuire il divario tra di noi dato dall’età. Io avevo ancora tredici anni, lui quindici da qualche mese e stava diventando un uomo: era alto, magro, con quella frangia perennemente troppo lunga; il viso iniziava ad indurirsi con eleganza nei tratti, anche se possedeva quell’imperterrita, irritante allegria che non capivo.

Forse è stata quella che lo rendeva così…?

Rassicurante, gentile, affettuoso.

Da quello che vedevo nelle altre persone, quando uscivo dalla base, era normale che tra fratelli o gruppi di maschi i più piccoli provassero ammirazione mista a rivalità per i più grandi e, forse, anch’io ne ero affetto; del resto, nonostante tutto, lì dentro era l’unico mio superiore, per età, per cui non provassi odio o disprezzo.

 

Così, ogni volta, mi ritrovavo a quel modo.

A fissare la sua schiena che se ne andava avanti, da sola.

Senza fermarsi.

 

I nostri due gruppi so allenavano assieme per ordine del capo. Non mi chiesi mai il motivo, solo oggi, riflettendo su tutto, comprendo il piano di quel maledetto.

Non mi chiesi mai neppure perchè, quando incontrava Midori, il sorriso di Shiro si facesse più dolce.

Non capivo…

Io… Fin dal principio, non avevo capito nulla…

E quello fu il mio primo, madornale errore…

 

*---

 

Con un sospiro profondo, Alfa smise di raccontare, appoggiandosi allo schienale con aria stanca.

- Tutto bene?

- Sì… - fece a bassa voce, tenendosi la fronte – Sono solo un po’ stanco…

- E’ meglio se dormi un po’. – annuì Hitoshi deciso alzandosi dalla sedia – Ti lascio riposare.

Alfa assentì distrattamente con la testa, mentre il giapponese usciva. Quando la porta si chiuse il brunetto sospirò, ridacchiando amaro, certo aveva un talento innato per le frottole!

Si sdraiò sul cuscino premendosi una mano sulla fronte e sospirò di nuovo, chiudendo gli occhi.

 

Ormai me lo ricordo…

Lo sbaglio peggiore… E’ stato dopo…

E da nessun’altra parte…

 

Premette la mano con più forza, come se volesse soffocare il pulsare incessante che gli martellava la testa. A quanto pareva la stanchezza era arrivata sul serio…

 

Nessuno lo deve sapere…

Non voglio raccontare…

 

Non voglio pensare…

 

Non voglio pensare… A quel giorno…

Quando… Ho scelto per il destino di tutti e tre…

 

*____________

 

Hitoshi si sedette in perfetto silenzio alla scrivania, poggiando con un sospiro i gomiti su di essa e mettendo i pugni sotto al mento.

Guardò di sottecchi la vecchissima foto di famiglia che teneva nell’angolo vicino al portaoggetti e ridacchiò un po’ rassegnato, se Takao avesse scoperto che offriva ospitalità e chiacchierava amabilmente col famigerato Alfa, lo avrebbe disconosciuto a vita!

Scosse la testa, non aveva tempo di pensare alle paturnie del suo fratellino: in quella storia c’erano molte cose da capire e lui voleva arrivare fino in fondo.

“Non sempre le nostre scelte sono dovute alla nostra unica volontà … - pensò, mentre accendeva il PC portatile – Più ci rifletto, più mi convinco che se non ci fosse stato quell’uomo, Kuroi, molte cose non sarebbero successe…”.

Smise di riflettere e, afferrato il mouse, prese a cercare qualcosa nelle cartelle; dopo qualche istante sullo schermo si aprì un file, una foto patinata e sorridente a guardarlo affiancata da una lunga serie di dati e, in cima, un nome:

 

Margot Kinsel

BBA File n. 057-345

 

- Ho fatto bene a salvarlo dopo il PSO Tournament… - fece Hitoshi tra sé e sé – ora vediamo se…

Con velocità battè le dita sulla tastiera accedendo all’archivio della BBA (non era molto ortodosso farlo senza permesso ufficiale, ma del resto lui ora era un membro importante della BBA e si poteva chiudere un occhio)  iniziò a cercare freneticamente tra l’interminabile lista di file.

“Se quel ragazzo era un loro membro, potrebbe aver partecipato a qualche torneo… - corrugò le sopracciglia ansioso – Mi basterebbe un solo incontro e riuscirei a trovarlo…!”.

Un bip improvviso lo fece sobbalzare, il computer aveva trovato qualcosa. Con un po’ di preoccupazione e un sorriso, aprì il file vittorioso:

 

Shiro Hirotaka

BBA File n. 007-241

 

*____________

 

Appena i suoi occhi verdi si chiusero piombò in un sonno pesante ed agitato. Ben presto la sua fronte cominciò a bagnarsi di sudore e dalla bocca iniziarono ad uscirgli mozziconi incomprensibili di parole,  sussurri forse più simili a pensieri tanto erano mormorati, mentre lui si rigirava nel letto, anche quella notte senza pace.

 

Ancora quella luce che non posso toccare.

Ancora la tua accusa contro di me.

 

Per quanto tempo…

Per quanto ancora… Mi tormenterai…?

Quanto ancora…

Quanto…Dovrò vedere…?

 

Ancora…

Quegli occhi che mi fissano…

 

Sangue… Occhi e lacrime…

Sguardo senza paura…

Insanguinato…

 

Sguardo colmo di paura…

Odio…

 

Per quanto ancora…

Perché io, non l’ho mai detto a nessuno, ma…

Io non ho mai, nemmeno per un istante, dimenticato…

 

Non merito assoluzione.

 

*---

 

- Alfa?

Quando Kuroi entrò nella sua stanza, senza alcun preavviso, era già sera. Il brunetto, alla sua vista, si era rizzato in piedi, inchinando appena la testa in segno di saluto.

Aspettò che l’uomo parlasse, ma non successe nulla: restò a guardarlo serio, quasi accusatorio, facendogli poi segno di seguirlo.

Il ragazzo, un po’ nervoso, gli andò dietro senza dire nulla, domandandosi se avesse fatto qualcosa di sbagliato; spulciò mentalmente e meticolosamente le sue azioni della giornata, ma non ci trovò nulla di strano e lo stesso in quelle della sua allieva, di cui era responsabile.

Avrebbe voluto chiedere qualcosa a Kuroi, ma aveva paura e non fiatò.

Continuarono a camminare fino all’ufficio dell’uomo. Lui aprì la porta ancora in perfetto silenzio e fece cenno al ragazzo di entrare: questo trotterellò dentro un po’ irrigidito, non gli piaceva restare da solo con quell’uomo, aveva come… Un’aura sinistra attorno.

-Bene, Alfa. – esordì all’improvviso; il brunetto si drizzò sulla schiena e aspettò continuasse, ma lui si mise a passeggiare per la stanza con le braccia dietro la schiena – Bene, bene…

- … Voleva… Voleva qualcosa signore? – mormorò alla fine impercettibile.

Kuroi si fermò di colpo e Alfa trattenne il fiato, irrigidendosi. Vide l’uomo voltarsi appena e guardarlo da sopra la spalla, quindi avvicinarsi al computer che troneggiava sulla scrivania.

- Osserva.

Alfa non vide lo sguardo maligno. Non notò l’aria soddisfatta del suo carceriere, nulla. Vide solo lo schermo venir voltato verso di sé, quindi accendersi fiocamente su una stanza all’apparenza vuota.

- Ma questa…

- Shhh. Guarda.

Era la stanza di Midori. Alfa la fissò in silenzio qualche secondo, gettando uno sguardo confuso all’uomo, ma questi non si scompose minimamente, né spiegò come mai in uno degli alloggi dei suoi ragazzi ci fossero delle telecamere: per quanto Alfa sapesse, Kuroi non si prendeva certo l’impegno di controllarli anche mentre dormivano. Fu il rumore degli altoparlanti a far riportare l’attenzione del ragazzo allo schermo.

Qualcuno era entrato nella stanza.

- Shiro nii-chan(*)! – la voce sussurrata della ragazzina, ascoltata attraverso i microfoni, suonava distorta, falsificata all’orecchio confuso di Alfa – Allora?

- Ho buone notizie. – fece lui con aria cospiratrice – Sono riuscito ad esplorare completamente il passaggio. Ormai è tutto pronto!

- Sul serio?! – Midori saltò in ginocchio sul letto, protendendosi verso Shiro, che ridacchiò:

- Ho già dato la notizia a Ru-chan ed Eve-chan. Scapperemo domani notte.

La ragazzina lanciò un urletto, che soffocò istantaneamente serrandosi la bocca con entrambe le mani, senza però riuscire a frenare l’entusiasmo e continuando a muoversi freneticamente sul letto.

- Ah, giusto! – esclamò poi – Devo anche avvert--

La trasmissione fu interrotta. Kuroi si mosse lentamente dalla sua posizione, le braccia incrociate dietro la schiena, ed osservò soddisfatto il suo operato.

Alfa non parlava. Se ne stava immobile con le mani appoggiate alla scrivania su cui troneggiava il monitor, lo sguardo basso e perso chissà dove.

- So bene che ti stavi affezionando a quella ragazzina. – disse Kuroi con tono paterno – Ma, come puoi vedere, lei non la pensa allo stesso modo.

Alfa non rispose.

- E’… Comprensibile che voglia tornare a casa. – continuò – Qui gli allenamenti sono duri, ed essere lontani dalla propria casa è difficile. Ma qui noi, stiamo lavorando ad un progetto fantastico! – disse con tono dolce – Tu lo sai questo, vero Alfa?

Lui si limitò ad annuire.

- Non devi fartene una colpa. – disse Kuroi, stringendogli con fare consolatorio una spalla – Purtroppo, ci sono persone al mondo che non sono in grado di provare affetto vero. Forse con qualcuno, ma non sono dotate di quella gentilezza che accomuna le persone buone.

 

Basta, ‘sta zitto…

 

- Come lei. Ti ha venduto la sua amicizia per pietà.

 

Non lo ascoltare… Taci… Taci…

 

- Ti ha rifiutato. Come tua madre.

 

STAI ZITTO!!

 

Alfa si liberò della stretta dell’uomo e scappò in corridoio.

Corse a più non posso senza nemmeno guardare dove fosse diretto, sbattendo un paio di volte contro gli angoli dei corridoi; rovinò per terra con un tonfo sordo investendo un cassonetto dell’immondizia, ma non si lasciò nemmeno andare completamente a terra e, quasi disperato, assecondò la spinta per tirarsi su e arrancò ancora, tirando un calcio al bidone colpevole.

Non seppe quanto tempo e come riuscì a raggiungere la sua stanza; quando ci fu di fronte spalancò la porta così forte da far tremare i cardini, e si abbandonò esausto sul pavimento.

Il silenzio gli perforava le orecchie. Tutto l’edificio sembrava cristallizzato, in una morsa ghiacciata che gli impediva di riprendere fiato, mentre inspirava faticosamente piccole boccate d’aria, il cigolio sordo della porta ad accompagnare quel pulsare sconnesso. Gli tremavano le braccia.

 

Ti ha venduto la sua amicizia per pietà.

 

- Non è vero.

 

Ti ha rifiutato. Come tua madre.

 

- No…

Ma la realtà dei fatti gli si mostrava evidente davanti agli occhi come un film dell’orrore che non voleva vedere, ma da cui non riusciva a distogliere lo sguardo.

L’unica persona che lo avesse accettato.

L’unica che avesse mai ammirato.

 

Mi hanno abbandonato.

 

Il Bit-Power dello Sciacallo brillò un istante al suo fianco. L’animale ringhiò cupamente, facendo per avvicinare la testa alla spalla del padrone, ma poi sembrò cambiare idea: guaì impercettibilmente e, con aria quasi delusa, abbassò il muso e scomparve.

Alfa, quasi non l’avesse visto, alzò lentamente gli occhi di fronte a sé, l’aria furente.

 

Qualcosa si è spezzato.

 

 

 

- Molto bene. – disse Kuroi con un sorriso soddisfatto – Se questa è la tua opinione, direi che possiamo passare a nuove direttive.

Alfa annuì appena. Gamma e Delta, alle sue spalle, si scambiarono occhiate in tralice, ancora un po’ frastornati.

Quando quella mattina Alfa era entrato come un bulldozer nella loro stanza, urlando di alzarsi e squadrandoli con aria omicida, quasi non l’avevano riconosciuto, e tanto era bastato per farli obbedire senza proteste; Kuroi, invece, era sembrato contentissimo, ancor più quando aveva sentito il rapporto del ragazzino.

- Bene. – ripetè l’uomo – A seguito del loro tentativo di fuga, ordino che Shiro Hirotaka, Midori Takamura, Rin Ruka ed Eveline Yoshiji siano puniti; inoltre, queste ultime due verranno tolte alla custodia di Hirotaka e riassegnate agli agenti Gamma e Delta. Tutto chiaro?

I tre annuirono con decisione; sul viso di Delta e Gamma, a quella notizia, si dipinse un sorrisino compiaciuto. Alfa restò immobile.

- Andate ora. E non deludetemi.

I ragazzi uscirono. Una volta in corridoio, Delta si portò le braccia dietro la nuca, ghignando:

- “Non deludetemi”, lo dice sempre, ma è cretino?! Come facciamo a deluderlo, è una delle cose più semplici!

- Ed è pure divertente… - si aggiunse Gamma.

Alfa non li guardò neppure.

I suoi occhi verdi continuavano a puntare dritto di fronte a sé, taglienti come lame, e non si scostarono mai se non per un istante, quando percepirono un piccolo movimento da un corridoio laterale.

Margot lo fissò, l’aria allarmata, e lui rispose semplicemente con un ghigno.

 

 

Ricordo ancora le lame che ronzano, come uno sciame impazzito.

 

Ricordo le loro facce, sorprese, guardinghe.

Speranzose.

Ricordo come mi sono sentito gonfiare il petto, all’idea di distruggere quella speranza.

 

Come un vetro che s’infrange.

 

Non c’è speranza qui dentro.

Ormai l’ho imparato.

 

Ricordo l’odore dell’MK-57 che mi entra nei polmoni fin quasi a darmi allo stomaco.

Ricordo come ho lanciato Sciacallo cercandoti, famelico, rabbioso.

Come una bestia affamata e ferita.

Crudele.

Senza ragione.

 

Ricordo la ferita del tradimento che sentivo pulsarmi dentro, bruciando come il fuoco.

 

Non ho mai chiesto la tua amicizia.

Me l’hai concessa.

E l’hai tradita.

Null’altro volevo se non sapere che, ovunque fossi andato, qualunque cosa fosse successa, avrei comunque trovato qualcuno che mi avrebbe ascoltato.

Che mi avrebbe accolto.

Come te e le tue maledettissime amichette.

 

Non sapevo la verità.

E desiderai solo distruggerti.

 

Proverai quel che ho provato io.

 

Nessuna speranza.

 

 

Quando Gamma e Delta le riportarono nella loro stanza, Alfa non si mosse.

Come pietrificato restò in piedi, immobile, guardando distrattamente Sciacallo che ruotava solitario nel mezzo della stanza deserta. Lo raccolse dopo alcuni minuti, spandendo via col dito quelle poche gocce rosse che ne sporcavano il disco d’attacco.

Sangue.

Odiava il suo odore. Metallico, amaro.

Ma ne adorava il colore. forte, vivo.

Vendicativo.

Restò di nuovo fermo. Ora che la ragazzina era stata punita, mancava solo lui.

E sapeva che sarebbe arrivato.

 

Quando Shiro aprì la porta sembrò fosse esploso un tuono, dato il botto che riecheggiò nell’aria immobile.

Il quindicenne lo fissò furente, col fiato corto, la mano stretta attorno al suo bey.

- Che cosa hai fatto?!?

Urlò con quanta aria gli restava, entrando nella stanza con passo da mitragliere. Alfa non si mosse.

- Fatto cosa? – sussurrò velenoso.

- PERCHÈ IL MARCHIO?!? – urlò ancora – Le hai legate qui… LE HAI CONDANNATE QUI!!! Perché?!?

- Per accusa – continuò l’altro, lentamente – di tradimento e tentata fuga.

- Cos…?!

- La stessa accusa che hai tu. Vi ho visti nella registrazione del signor Kuroi.

Caricò Sciacallo con lentezza esasperante, mentre Shiro stringeva i pugni:

- Non essere stupido! Non capisci che Kuroi ti ha ingannato?!

- Non mi sembra ci fosse molto da ingannare.

- Perché allora fai così?!? – sbottò sarcastico – Micchan stava per venirti a chiamare!

Alfa si bloccò un istante, il caricatore a mezz’aria. Lo fissò confuso:

- Che vorresti dire?

- Pensavi ti avremmo lasciato qui?! – continuò – Micchan ti avrebbe…!

- STA ZITTO!!!

Shiro si ammutolì, guardandolo.

- NON DIRE UN’ALTRA PAROLA! NON DIRE UNA SOLA SILLABA!!

 

Non voglio ascoltare.

Basta mentire.

Basta…

 

Non mente.

 

Basta bugie.

 

- NON VOGLIO PIU’ SENTIRTI!!

Shiro gli rivolse uno sguardo amareggiato. Si domandò come avesse lavorato su di lui Kuroi, cosa avesse provato quel ragazzino prima di giungere lì, per arrivare a quel punto.

- Mi dispiace, Akira.

Alfa si bloccò. Solo un istante.

Poi, fomentato da un’altra ondata di rabbia, lo fissò con aria inceneritrice, emettendo inconsapevolmente un’onda mentale tale che Shiro strisciò alcuni metri sul pavimento polveroso.

- NESSUNO DEVO MAI PIU’ CHIAMARMI COSI’!!!

Lanciò Sciacallo a mezz’aria, puntando al viso del ragazzo, ma Shiro fu abbastanza svelto da intercettarlo col proprio, e i due bey finirono al suolo, ruotando uno di fronte all’altro.

Alfa si acquetò un momento, fissando il design perfetto di quella trottolina bianco candido dalle striature nere e celesti, il nome argenteo inciso sulle ali del disco d’attacco.

Shallow. Rondine.

- Mi dispiace – ripetè Shiro - … Ma se le cose stanno così, non mi resta che costringerti a lasciarle andare. Con la forza.

Alfa sogghignò.

- Così va meglio.

 

Distruggere.

 

Per più di dieci minuti non mi resi conto quasi di nulla.

Quell’unico verbo sembrava essere la sola cosa logica che la mia testa riuscisse a connettere, e io lo seguivo.

 

Distruggi.

 

Distruggi.

 

Distruggi.

 

Volevo che sparisse.

Volevo annientarlo.

Volevo cancellare la sua immagine dalla faccia della Terra.

Perché era così?!

Perché per quanto lo ferissi, per quanto urlasse dal dolore, per quanto lo colpissi con ondate di terrore tali che avrebbero portato un adulto alla follia, perché si rialzava?!

Da dove trovava tutta quella forza?!

 

- Mi dispiace, Alfa… - ripetè Shiro con un filo di voce, stiracchiando un sorrisino spavaldo – Ma non posso permetterti di vincere…

Shallow, ormai, vacillava debolmente sul pavimento. Alfa strinse i pugni, furente, e lo guardò quasi assassino:

- Un traditore come te non ha alcun diritto di resistermi!!

- … Mi odi, Alfa?

Il brunetto si fermò, che domanda era?! Certo che lo odiava!

- Che cazzo vuol dire “mi odi”?!

- Se è me che detesti – sussurrò l’altro – sfogati su di me. Ma ti prego, lascia stare Micchan e le altre.

Alfa si lasciò sfuggire una risatina ironica:

- Ti stan simpatiche le mocciose, eh?!

- Sì.

La sua risposta e il suo sorriso calmo lo spiazzarono.

- Sono la mia famiglia. – continuò con un filo di voce – Una volta mi dicesti che io e te siamo completamente diversi, ma non è vero, non pensi?

- Che cavolo vuoi dire?!

- Anch’io avevo bisogno di qualcuno. E ho trovato loro. – sorrise ancora, incurante del sangue che un taglio sulla fronte gli faceva colare sul viso – Sono le mie sorelline. Gli voglio bene, e devo proteggerle a qualunque costo.

Alfa non gli rispose, un sentimento che non capiva, simile al rispetto, gli si stava insinuando nel petto, spaventandolo, e lui era troppo concentrato a respingerlo per replicare.

- E Micchan… Non l’hai capita bene come pensavi. – disse ancora, mentre il suo sguardo si addolciva come Alfa gli aveva visto fare altre volte – Lei non è capace di tradire qualcuno.

- Perché, tu che ne sai?!

- Lo so… Perché è la persona che amo di più al mondo.

Alfa sgranò gli occhi.

 

Continuare dritto per la propria strada.

Veloce.

Inarrestabile.

Come il volo delle rondini.

 

- E non ti lascerò vendicarti così.

- BASTAAAAAAAA!!!!!!!!!

 

 

 

L’urlo di dolore, l’ultimo, lancinante ed esasperato, di Shiro arrivò alle orecchie di Midori come lo schiocco di una pistola, paralizzandola sulla soglia: il suo amico, il suo migliore amico, rimasto per un istante in piedi, si accasciò in avanti, coperto di tagli e lividi, gli occhi stanchi, mentre Alfa, di fronte, lo fissava schifato, lo sguardo duro e il palmo aperto.

- SHIII!! – urlò lei, tremando – SHI’NII-CHAN!

Alfa la scrutò entrare traballando, il braccio su cui l’aveva colpita poco tempo prima ancora chiazzato dall’alone rossastro della ferita; tremava, segno che i suoi poteri, anche se erano indirizzati a qualcun altro, stessero già entrando in risonanza col veleno nella sua ferita.

- Shi! Ti prego, rispondi, Shi! – il ragazzo aprì appena le palpebre, scosso anche lui da brividi di paura e dolore.

- CHE GLI HAI FATTO?! – strillò Midori ad Alfa, gli occhi colmi di lacrime

- Mi ha sfidato, ma ero nervoso, non ci sono andato molto per il sottile. A dire il vero – sussurrò con sguardo pericoloso - sono ancora abbastanza irritato…

- N-no… - disse a mezza voce Shiro, tirandosi faticosamente su – La…sciala… Stare… - Alfa si accigliò di più:

- Hai parlato troppo.

Al gesto di Alfa, Shiro si contorse con un urlo agghiacciante, tenendosi la testa.

- SHIRO!

- Mesa… - le urla di Shiro si alzavano di volume - … De…

- BASTA, LASCIALO STARE!

- … L’incubo.

 

*---

 

Mi svegliai il giorno successivo.

Mi dissero che avevo usato troppe energie ed ero svenuto, mentre Shiro era stato ricoverato nell’infermeria dell’organizzazione.

Non riuscivo a muovermi, avevo tutti i muscoli bloccati.

E le mie mani puzzavano di sangue e veleno.

 

Seppi che le altre due ragazzine non erano riuscite a seguire Midori per colpa di Omega: il moccioso le aveva chiuse nella loro stanza per non andare dietro all’amica.

Per proteggerle.

Patetico.

 

Quando fui in grado di muovermi andai a trovare Shiro. O meglio, passai di fronte all’infermeria e scrutai qualche istante al di là del vetro sporco.

Se ne stava inerme sul lettino, a pancia in su, la maschera dell’ossigeno sul viso.

Non fui in grado di guardarlo oltre un minuto, e mi chiusi nella mia stanza.

 

Tre giorni dopo, mentre passavo di fronte a quella stanza, vidi il letto di Shiro vuoto.

Doc, il medico, disse che l’avevano trasferito. Mentiva.

Margot, che non mi parlava dal giorno della marchiatura di Midori e delle sue compagne, si limitò a guardarmi con aria dolorante, mormorando:

- È morto.

Semplicemente.

 

È morto.

 

Credevo che Margot mi avrebbe odiato. Invece accusò Midori di quel che era accaduto a Shiro, e si sfogò su di lei.

Perché aveva perduto l’unica persona che mai si fosse preso cura di lei.

 

Anche lei.

 

Sarai soddisfatto, adesso.”.

Fu questa l’ultima frase che mi disse Sciacallo, prima di scomparire per anni come una bestiola obbediente dentro al mio beyblade.

Non c’era ironia nella sua domanda, né rancore. Era solo una domanda.

Non risposi.

 

Soltanto quattro anni dopo avrei appurato la verità.

Su Kuroi, sul suo progetto, su Shiro.

 

Ed ora è troppo tardi.

 

Alfa aprì appena gli occhi, la testa pensante, gettando uno sguardo fuori dalla finestra. Era ancora buio, ma all’orizzonte si scorgeva già il grigiore dell’alba.

Si lasciò cadere ancora sul cuscino, coprendosi il viso con un braccio.

Una minuscola, impercettibile lacrima scivolò da sotto l’avambraccio, dissolvendosi ancor prima di raggiungere il suo collo.

- Mi dispiace…

 

Non c’è assoluzione.

 

Quando il mattino dopo Alfa si svegliò, era quasi mezzogiorno.

Un sole caldo entrava dalla finestra socchiusa, scaldandogli il viso e splendendo così forte da ferirgli gli occhi.

Ci mise qualche secondo a focalizzare la situazione. Si sedette sul bordo del letto, massaggiandosi il collo, e si domandò come mai quel tizio di nome Hitoshi l’avesse lasciato stare dopo tutte le domande della sera precedente. Il vassoio con un’abbondante colazione alla sua destra gli fece passare rapidamente quel pensiero e, senza troppi complimenti, spazzolò tutto in pochi minuti.

Finalmente con la pancia piena Alfa uscì sul porticato della casupola. Nello spiazzo di fronte all’ingresso i marmocchio di Hitoshi si stavano allenando, seppur con scarsi risultati.

Il bruno si appoggiò alla balaustra del portico, sfiorandosi la fronte, la temperatura non era ancora scesa molto, ma lui sembrava decisamente stare meglio. Guardò distrattamente i ragazzini, fissandosi sul piccolino che aveva visto il giorno precedente e scrutando scettico il suo beyblade fermarsi dopo pochi minuti. All’ennesima caduta e all’ennesimo lamento del bambino, Alfa sbottò:

- Sei fastidioso moccioso! – sbuffò, andandogli incontro – Da qua…!

Gli strappò la trottola di mano e senza troppe cerimonie la lanciò perfettamente di fronte a sé:

- Se tieni il busto troppo piegato in avanti non permetti al braccio di dare la giusta potenza – spiegò acido – e tieni dritte quelle gambe, non credo che tu sia paraplegico!

Il piccolo annuì, guardandolo un po’ sorpreso; riprese il suo bey e rilanciò, e stavolta la trottola prese a ruotare senza sosta e con precisione.

- Ci sono riuscito! – esultò – Grazie mille! Evviva ce l’ho fatta!

- Come ti pare… - borbottò Alfa – A me basta che tu la smetta di strillare, mi sta scoppiando la testa.

- Mi sembra che tu però stia già meglio, vero Alexander?

Il brunetto si girò con aria arcigna verso Hitoshi, che lo fissava sorridendo dall’ingresso:

- Fai lo spiritoso?

- Era solo una constatazione.

Il giapponese lo raggiunse senza smettere di sorridere, l’aria divertita. Alfa incrociò le braccia senza guardarlo.

- Sei riuscito a dormire?

- Sì… - disse asciutto – Ma ho pensato ad alcune cose.

Hitoshi lo guardò, aspettando continuasse, ma Alfa si zittì; il giapponese sorrise comprensivo e si limitò ad annuire.

- E ora che farai? Il mio invito a fermarti finchè non ti sarà passata la febbre è sempre valido.

- Sì. Penso che ne approfitterò.

Tacquero. I bambini avevano preso a sfidarsi, ridendo come matti, mentre un venticello freddo sollevava nuvolette giallastre dal cortile polveroso.

- E poi?

- Poi cosa? – domandò Alfa acido.

- Poi cosa farai?

- … Non lo so.

Il bruno sospirò, alzando gli occhi al cielo:

- Non ho un posto dove tornare. E non posso cancellare quello che ho fatto e quel che sono stato, ad essere sinceri non ho proprio un punto di partenza, nemmeno per poter decidere.

Hitoshi lo fissò:

- .. Potresti restare qui.

- Come scusa?

Il ragazzo sorrise enigmatico, incurante dell’occhiataccia di Alfa:

- Il fatto di allenare nuovi giovani al beyblade a volte mi porta lontano dal Giappone. – spiegò – A dire il vero c’è un piccolo villino come questo, vicino a Buenos Aires. E non posso gestire due posti così distanti da solo.

- E allora?!

Hitoshi gli rivolse un altro sorriso da sfinge. Alfa fu seriamente tentato di spaccargli Sciacallo sul naso.

- Ho bisogno di qualcuno che si prenda cura dei ragazzi qui, mentre sono via.

- E vorresti lasciarli a me?

- Sei il blader più in gamba e che non ha interessi per il campionato mondiale che ho incontrato, almeno per ora. Sei abile, e mi sembra tu abbia una spiccata dote per insegnare, a quel che ho visto prima.

- Tu hai dei seri problemi, amico…

Hitoshi non si scompose.

- … Io ripartirò tra un paio di mesi. – concluse con calma – Per il momento, riposati. Hai tutto il tempo di pensarci.

Si avviò nuovamente verso il residence, con Alfa che lo scrutava cercando di capire se lo prendesse in giro o se dicesse effettivamente sul serio.

La sua paura era che fosse serio.

- Può essere un punto per ricominciare anche questo, non credi? – ammiccò prima di sparire dentro la casa.

Il bruno non gli rispose.

 

 

*--- Quattro Mesi dopo.

       Settembre.

 

- E allora? Lì come vanno le cose?

La voce di Hitoshi dalla cornetta gli arrivò distante e confusa; si chiese perché quel’idiota non si decidesse a comprarsi un benedetto satellitare, invece di continuare con quel calvario di telefono pubblico.

- Perfettamente. – ghignò Alfa – I bambini seguono i miei ordini alla lettera: presto avrò un mio piccolo esercito personale di mini-Alfa che vorranno conquistare il mondo.

- Era un a battuta quella?

- Almeno apprezza il tentativo.

Hitoshi ridacchiò:

- Sono bravi i miei ragazzi, vero?

- Testardi. – sbuffò Alfa – Riconosco la tua mano sulle loro menti, proprio come su tuo fratello. A proposito…

- Cosa c’è?

- Di me non gli hai ancora detto niente, vero?

- Vorrei evitare di trovarmelo accanto al letto di notte con un coltello in mano. – fece il giapponese sarcastico – Comunque non mi sembrava avessi bisogno della sua autorizzazione…

- Era solo per chiedere. Sai, avrei anch’io il tuo stesso timore…

Hitoshi rise forte.

Alfa si lasciò sfuggire un sospiro, ancora si chiedeva come avesse fatto Hitoshi a convincerlo. Come avesse potuto lui, lo Sciacallo, ammansirsi e obbediente accettare di mettersi a far da balia ad un branco di mocciosi che puzzavano ancora di latte.

Non sapeva rispondere.

 

Può essere un punto per ricominciare anche questo, non credi?

 

Il bruno sbuffò, fissando di sbieco la sagoma luminescente di Sciacallo, apparso al suo fianco: poteva giurare che i suoi occhi gialli brillassero divertiti.

“Non fare il saccente tu, palla di pelo.”.

 

Io? Ripetevo semplicemente quello che pensi…

 

- Ehi, Alfa? Ci sei?

- Uh? Sì… Certo Hitoshi… - borbottò, mentre il Bit scompariva dalla sua vista – Scusa, ero sovrappensiero.

- Comunque, hai ricevuto visite poi?

- No, affatto. – sbottò Alfa – È la decima volta che me lo chiedi. Si può sapere chi deve venire di così importante?!

- Una vecchia conoscenza. – fece sibillino il giapponese.

Alfa grugnì, odiava quel suo modo di fare! Fece per ribattere, ma la voce di uno dei bambini che lo chiamava lo distrasse.

- Mi sembra ti stiano cercando. – disse Hitoshi – Vai pure, ci sentiamo.

E senza lasciarlo replicare buttò giù.

Alfa riappese la cornetta concedendosi un altro sbuffo, tutte quelle relazioni umane cominciavano ad infastidirlo: non c’era abituato…

- Alfa!

Il piccolo Yoshiro proruppe nella stanza con aria trafelata, il suo piccolo beyblade nella mano destra sporca di polvere.

- Cosa c’è? – domandò brusco il bruno.

- C’è una persona che ti cerca!

- Uhm… - fece quell’altro sovrappensiero – Ho capito… Ehi, perché fai quella faccia?

- Mi sembra strano che tu conosca qualcuno.

Il ragazzo lo fissò ad occhi sgranati: la tentazione di fargli prendere almeno un bello spavento fu tanta.

- Che vorresti dire *gocc*?!

Il bambino si limitò a ridere e corse di nuovo fuori.

Alfa lo seguì, imprecando sottovoce: ecco la seconda che detestava di più, i visitatori inopportuni.

Si bloccò quando fu appena fuori dall’uscio.

Non sapeva se classificarla come inopportuna, ma quella visita di certo era inaspettata.

- … Margot…

- Ciao Alfa.

 

Seduti nel portico, i due se ne stavano in silenzio. Alfa, guardando i bambini poco distanti che giocavano, sorseggiava distrattamente il tè che aveva preparato, mentre Margot continuava a reggere la tazza sulle ginocchia, immobile.

- Guarda che si fredda…

- Stai tranquillo. È ancora caldo.

Lui rispose con un grugnito.

- Mi sembra che tu ti sia ambientato bene. – disse la mora dopo qualche minuto. Alfa fece spallucce:

- Anche tu mi sembra stia bene…

- Abbastanza. – rispose vaga – Diciamo che me la cavo.

Scese ancora silenzio. Margot sorseggiò un po’ di bevanda, rilassando le spalle:

- È davvero buono…

Anche stavolta Alfa non le rispose.

La guardò un poco, di sottecchi. Era cambiata tanto, o forse era solo una sua impressione, visto che era da quasi un anno che non si vedevano.

Era dimagrita, tanto, e si era alzata seppur di poco; i capelli erano prepotentemente scesi fin al livello della vita, inondandole la schiena di ciuffi neri e lucenti come una notte senza stelle. Fu lo sguardo, però, a colpire il ragazzo: quegli occhi avevano perso la baldanza che vi aveva sempre visto, la furia cieca che a volte gli incendiava, ed ora erano come smorti, tristi.

- Mi dispiace per averti colpita, quella volta, quando ho sfidato Midori.

La frase parve colpire Margot alla sprovvista: sapeva che avrebbero dovuto parlare anche di quel periodo, ma iniziare così di colpo… Sospirò, Alfa era Alfa.

Il ragazzo bevve un’altra sorsata, con foga. Ecco la terza cosa che odiava: chiedere scusa quando sapeva perfettamente di essere nel torto.

- Lascia perdere. – rispose lei facendo spallucce – Mi sono ripresa subito.

Alfa sapeva che mentiva, ma sorvolò.

- Come mi hai trovato?

- Per la verità sono io quella che è stata trovata.

Lui la fissò senza capire.

- Quell’Hitoshi Kinomiya…

Alfa la fissò ancora, inespressivo. Poi buttò giù altro tè, quasi ustionandosi la lingua, e strinse la tazza:

“Appunto mentale, uccidere Hitoshi appena lo vedo!”.

- Guarda che non è alcolico, che ti puoi sfogare così *gocc*…

- Lasciami perdere.

Lei rise flebilmente.

- Mi sei mancato.

- … Davvero?

Margot annuì ed Alfa non trattenne un sorrisino.

- E gli altri?

- Mi hanno abbandonata. – fece con una risatina sarcastica – Sono spariti dopo la distruzione di Genesis da parte di Kuroi e non li ho più visti.

- … Mi dispiace.

- Non mentire, non te ne frega niente.

- Non di loro. – ammise – Ma di te sì.

Margot lo guardò indecifrabile e bevve ancora.

- Come mai sei qui?

- Perché ero preoccupata per te. – sorrise lei.

- Non mentire nemmeno tu.

- Non sto mentendo.

Alfa non le rispose.

- … Come ti trovi qui?

- Diciamo bene. – fece il bruno vago – I marmocchi sono gestibili, la cosa è abbastanza divertente, e poi ho un tetto sulla testa.

- Direi che come risultato non è male.

- No, non è male.

Scese nuovamente il silenzio, interrotto solo dal frusciare delle foglie che prendevano ad ingiallire. Alfa finì il suo tè e scostò con malagrazia la tazza accanto alla sua sedia, sospirando.

- Sai… - riprese Margot dopo qualche minuto – Poco dopo quella sfida… sono andata a trovare Midori e quei ragazzi.

Alfa la fissò.

- Shiro-san mi aveva lasciato una cosa, anni fa. – spiegò – Per Midori.

- E tu gliel’hai portata?

- … Shiro-san mi aveva chiesto di farlo già da un po’, ho pensato che, ormai, potevo smetterla di tormentarmi.

Gli occhi di Alfa si fecero tristi nel guardarla:

- … Margot, mi disp…

- No! – lo bloccò secca – Non dirlo!

Poggiò con foga la tazza a terra, guardandolo severa:

- Non ti permetterò di farti sentire meglio chiedendomi scusa. E poi ormai non puoi tornare indietro.

Alfa sostenne il suo sguardo, annuendo. Lei sorrise.

- … Margot…

- Cosa c’è?

- … Per tutto questo tempo, tu hai odiato Midori accusandola di averti portato via Shiro.

- Perché siamo finiti su quest’argomento? – domandò lei con un sospiro.

- Non svicolare e ascolta. – la rimproverò.

- Ok, ok…

- … Sai che sono stato io che lo costretto in quelle condizioni. – disse con voce bassissima, quasi sussurrando, con amarezza – Io l’ho portato a morire. Perché… In tutto questo tempo non hai mai odiato me?

- Oh, io ti ho odiato! – ammise lei, triste – Ma non per quello che pensi tu. Ti ho odiato perché vedevo che ti distruggevi con le tue stesse mani, senza confidarti con nessuno. E forse, sì, un po’ ti ho odiato, perché ti sei messo contro di lui.

Sospirò, stendendo le gambe:

- Le due persone che amavo di più al mondo si combattevano a vicenda alla morte. – fece mogia – Non ho passato proprio dei bei momenti.

Alfa la fissò con tanto d’occhi:

- Beh… Questa non la sapevo.

- Credevi che la nostra scenetta di fronte agli altri fosse tutta una finta?

- Non vedo come tu mi abbia mai dato adito al contrario! – rispose sarcastico.

- Avevo bisogno di qualcuno che mi proteggesse, là dentro. – continuò – E diciamo che tu, nonostante tutto, visti i trascorsi eri la scelta migliore.

- Ne sono lusingato…

- Non fare lo spiritoso, non ne sei capace.

Scesero altri minuti di silenzio. Il vento soffiò più forte, ed Alfa avvertì un brivido lungo la schiena.

- Forse – riprese Margot – ero solo gelosa di quella ragazzina. Perché aveva l’amore della persona che più adoravo, e non se ne rendeva neppure conto: per lei era un amico, un fratello, e basta, mentre lui avrebbe dato qualunque cosa per aiutarla…!

Alfa potè giurare di vederla sull’orlo delle lacrime, ma se anche fosse stato la mora le ricacciò prontamente indietro.

- Hai pensato che per me fosse la stessa cosa?

- Perché, non lo era? – gli chiese, dubbiosa. Alfa scosse la testa:

- Per me Midori e Shiro erano simili: erano la famiglia che desideravo, i fratelli che avrei sempre voluto avere. Così, quando sentii Kuroi dire che mi avrebbero abbandonato la dentro, mi sentii tradito.

Si alzò, guardando lontano:

- Più tradito che da mia madre.

Margot lo fissò e non riuscì a resistere dall’alzarsi e prendergli con delicatezza un braccio.

- Non mi voglio giustificare. – si affrettò ad aggiungere lui – Ma…

- Lascia stare. Va bene così.

Lui annuì. La mora sostenne ancora un po’ la presa, poi riportò delicatamente la mano lungo il fianco, prendendo a guardare come lui la palla rossa del sole, ormai basso sull’orizzonte.

- Ora cosa farai, Margot?

- Non lo so. – rispose con aria distratta – Potrei continuare a gironzolare, per il momento me l’ero cavata.

- Già… - Alfa la guardò con aria critica – E se ti fermassi qui?

- Come?

- Mi ci gioco Sciacallo che quel maledetto di Hitoshi ci aveva già pensato. – rispose, alzando gli occhi al cielo – Ma dato che le idee di quel giapponese per il momento si sono rivelate interessanti, proviamo ad assecondarle.

Margot lo fissò ad occhi sgranati, lasciandosi sfuggire una risata:

- Andiamo! Alfa, tu non mi sopporti!

- E questo chi l’ha detto?

Le rivolse un sorrisetto malizioso e Margot sentì impercettibilmente di arrossire.

- Che faccia carina…

- Non sei divertente quando menti.

- E chi ti dice che sto mentendo? – fece innocente – Che tu fossi bella l’ho sempre pensato!

Lei sospirò, assumendo un broncio che Alfa non le aveva mai visto. Dovette trattenersi dal ridere.

- Allora? – insistette – Che ne dici?

Lei sospirò:

- Sei diventato pensante, sai?

- E tu scorbutica.

Stavolta fu lei a trattenersi dal ridere.

- Può essere un punto per ricominciare anche questo, non credi?

Lo fissò in silenzio un istante. Annuì:

- Ma dovrò chiamarti sempre Alfa? O ti sei trovato un nuovo nome?

- Diciamo che l’idea c’è… - la guardò allusivo – Tu?

- Già da un po’. Ma volevo vedere se ti ricordavi il mio nome.

Alfa scosse la testa e, inconsciamente, le sfiorò le dita con le proprie:

- Allora come ti chiami adesso?

- Tsubame.

Tsubame.

Rondine.

- Molto bello.

- E tu invece?

Alfa guardò ancora di fronte a sé. Gli sembrò che il suo campo visivo si fosse improvvisamente allargato, ripulito e splendente di nuovo colori:

- Akira.

 

 

 

 

(*) contrazione di onii-chan, “fratellone”; in Giappone i ragazzi/e chiamano così quelli più grandi o quelli con cui sono in un particolare legame affettivo (oltre che, ovviamente, coi fratelli veri ^^””).

 

 

 

Un bel finale aperto, che ne pensate ^o^? a dire la verità all’inizio non avrei voluto far tornare Margot, ma era un altro personaggio che avevo sviluppato poco, soprattutto nel suo rapporto proprio con Alfa, così eccola qui! Nonostante tutto è meno oca di quel che sembra e poi loro due li vedo bene assieme ^^.

Ah, forse non l’avrà notato nessuno, ma la scena in cui Midori entra nel salone durante lo scontro tra Alfa e Shiro l’ho ripreso com’era in Psaico. Giusto per dare continuità alla cosa XP!

Ok, gente: per il momento mi congedo, ma spero di poter tornare presto. Un bacione e un abbraccio a tutti!!!!

 

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