Dopo secoli di silenzio, al vostra Ria è tornata XD!
A dir la
verità avevo nascosto in un angolino dell’Hard Disk questo (e altri…? Chi lo sa
^o^!) chappy da quando “Psaico” è finita, ma non sono
mai stata convinta di pubblicarla; poi, tra l’ultimo anno di superiori (sto
facendo l’esameee! Aiuto!), fanfic da completare, idee nuove per
cui non ho tempo… E’ rimasta sepolta. Poi, qualche giorno fa, l’ho
ritrovata e, con alcune modifiche, ho deciso di metterla sul sito XD! (Oh no! ndTakao – Poveri noi ç__ç…
ndKei – Tacete un po’ che manco ci siete!).
Non credo che questa fic sarà
strutturata come i “Diaries” (che pubblico or ora cn Jolly mask ^^… More mioooo
^♥^! – E tanto fa pubblicità ndKei), ma
pubblicherò come varie fanfic… Vabbè, nn sono molto comprensibile, ma poi
vedrete ^^!
Questa prima ficcy è dedicata ad Alfa,
che negli ultimi chappy ha avuto un piccolo risollevamento di popolarità… Sono
tutte cose che avrei voluto scrivere nella fanfic originale, ma così com’era non ho potuto ç___ç… (A proposito… Su questo
forum, delle mie piccole Bozs Arashi e Paine
^-^, sto pubblicando la 2° vers di “Psaico” – nn me la sentivo di cancellare la
1° su EFP, in fondo è stata importante! Se piacerà,
però, forse la pubblicherò anche qui). Grazie all’aiutino di Hitoshi – che si
risolleva da essere inutile XD – scopriamo molti
segreti che ci faranno capire di più…
In due cap, i segreti del cuore dello
Sciacallo XD!
A voi, e buona lettura ^^ (e
soprattutto tanti commi ^-^+!)
Dove mi trovo? Dove sono?
Questo posto…
Ma com’è possibile?!
Io… Non posso stare qui…
Quella luce… Cos’è?
Voglio… Uscire…
- Voglio uscire…
Mormorando, Alfa socchiuse gli occhi, tendendo la mano verso
l’alto, come mentre stava sognando; sbattè le palpebre due o tre volte,
confuso, cercando di ricordare dove fosse.
“E’ successo di nuovo…”.
Si mise a sedere, lo sguardo ancora un po’ annebbiato dal
sonno e dalla pallida luce dell’alba che aveva fissato per lunghi istanti, da
sotto i rami verdi di quell’albero, e cercò di prendere lucidità, respirando a
fondo l’aria fresca e profumata d’erba.
Da quando gli Psaico si erano sciolti erano già trascorsi
sei mesi; lui, solo e senza una mèta, aveva vagato in lungo ed in largo per
tutto il Giappone, arrivando fino alla regione di Aomori, su, nel Nord, e poi viaggiando per nave, per quasi
tutte le isole, senza mai fermarsi, un giorno qui e quello dopo a chilometri di
distanza, finchè si era ritrovato a girovagare a caso, senza neanche sapere
dove fosse, proprio come in quel momento.
E, a suo parere, era giusto così.
Non aveva uno scopo, nessun posto dove tornare e nessuno a
cui fare riferimento, e questo per lo più proprio per colpa sua; perciò,
secondo lui, quella era l’unica cosa buona che poteva fare: aveva deciso che si
sarebbe fermato solo una volta trovata la sua strada. Quella giusta, questa
volta.
Ma da ormai due mesi le cose si
erano complicate. I pochi soldi che aveva, piccolo patrimonio dato da Kuroi ai
suoi ragazzi per poter alloggiare anche per lungo tempo in determinati posti
dove erano stati inviati, erano quasi esauriti, a tal punto che erano già
cinque giorni che dormiva all’addiaccio; inoltre, cosa che lo infastidiva
parecchio, continuava ad avere lo stesso sogno: un posto buio e freddo, nel
quale stava seduto, immobile, senza capire perché vi fosse arrivato, e da dove
fissava, imperterrito e sognante, una piccola e calda lucina, senza
raggiungerla.
“Sta cominciando a seccarmi ora… – pensò,
scompigliandosi i capelli – Ogni notte con questa rottura di scatole è
insopportabile!”.
Un sordo borbottio del suo stomaco gli fece dimenticare il
pensiero del sogno.
Sospirò, era decisamente l’ora che
si trovasse un alloggio, ormai aveva anche finito le provviste.
- E un’altra notte a dormire su un
prato mi procurerà un raffreddore cronico… Che ne dici, Sciacallo?
Così dicendo estrasse il suo bey e lo stemma brillò un
istante, come ad annuire.
- Bene. – s’incoraggiò Alfa, sbattendosi i
pantaloni per pulirli un pò – Cerchiamoci qualcosa da mettere sotto i
denti.
*________________
- Molto bene, ragazzi! E adesso…
LANCIO!
All’ordine di Hitoshi, cinque ragazzini tirarono il nastro
dei loro caricatori, lanciando i beyblade attraverso un intricato percorso ad
ostacoli dove cominciarono a zigzagare veloci e con movimenti fluidi.
- Cerca di mantenere di più il controllo, Kensuke. Yoshiro,
sta attento, il bey sterza troppo duramente…
Infatti, dopo neanche un secondo, il bey di quello che
sembrava il più piccino dei ragazzini sbandò, finendo
a gambe all’aria nella sabbia, con un raschiare sordo.
- OH NO! – esclamò il piccolo, deluso, raccogliendolo
amorevolmente; Hitoshi sospirò:
- Lo sapevo… - si avvicinò al ragazzino, mettendogli una
mano sulla testa – Tendi sempre a precedere o a stare dietro di un tempo al
ritmo del beyblade, cerca di concentrarti di più; la curva riesci a prenderla tranquillamente anche se sterzi dolcemente.
- Ok… - mormorò il bimbo, un po’ deluso.
Il ragazzo sorrise paterno: decisamente,
quel lavoro era più duro di quanto immaginasse, ma lo amava comunque; era stata
dura, per lui, dover abbandonare quel posto e i suoi ragazzi, sei mesi prima,
per quasi due mesi, ma il suo fratellino e gli altri avevano avuto bisogno di
lui per la faccenda “Psaico”… Più o meno.
“In effetti la mia utilità si è
limitata a ben poco…”.
Rise un istante tra sé, pensando alla
faccia di Takao se lo avesse sentito chiamarlo “fratellino”!
“Chissà come staranno lui ed il nonno… - pensò, dando una
pacca sulla spalla ad Yoshiro, che tornò ad allenarsi
– E’ un po’ che non li sento… “. E chissà quando li
avrebbe rivisti, considerando che, oltre a quella sede in Giappone, istruiva
altri ragazzini anche all’estero.
In quel momento Hitoshi alzò gli occhi, notando qualcuno nel
boschetto dietro le spalle di uno dei bambini; anche gli altri si girarono,
incuriositi.
- Mi scusi – disse un ragazzo coi
vestiti decisamente malconci – sa se in giro c’è una piccola pensione o
qualcosa di simile dove posso alloggiare? – si passò una mano sulla fronte,
parlando a voce bassa – Avrei decisamente bisogno di
stendermi.
- No, mi dispiace, qui attorno non c’è
niente. – rispose il giapponese Lo scrutò incuriosito asciugarsi la fronte
madida., sembrava avesse camminato per giorni.
- Tzs… - sospirò l’altro, sistemandosi il cappuccio della
felpa – Oggi non è giorn… UH!
Con uno scossone, il ragazzo si accasciò, sostenendosi a
malapena all’albero.
- EHI! – Hitoshi, seguito a ruota dai ragazzi, incuriositi,
si avvicinò allo strano tipo – Cos’hai?! Tutto a posto?!
- Insomma… - biascicò lui, ironico – Diciamo
che sono un po’ stanchino. UHM?!
- Oh… - Hitoshi lo fissò in faccia, incupendosi un po’;
l’altro lo guardò torvo – Ma tu sei…
Seduto su una sedia di legno tinta di
bianco, Alfa fissava quel ragazzo, Hitoshi Kinomiya, con diffidenza. Gli
ci mancava Come se quella giornata non fosse già cominciata malissimo!
Quando si era avvicinato a quel
residance, nella speranza che qualcuno gli indicasse un alloggio, non aveva
neanche lontanamente pensato di trovare il fratello maggiore di quel Takao.
Takao Kinomiya… Nonostante gli obbiettivi che si era posto,
il pensiero di quel dannato impiccione lo faceva infuriare ancora dopo sei
mesi.
- Tieni. – disse Hitoshi, posando una tazza cilindrica di
fronte a lui – Un tè caldo. Non ti riempirà lo stomaco, ma eviterà di farti
cadere svenuto dalla fame prima di pranzo.
Il moretto fissò la tazza, arcigno: da quant’era che non
beveva del tè fatto in casa! Ma, istintivamente, non si
fidava; girò la testa dall’altra parte, senza fiatare.
- Mica l’ho avvelenato! – ridacchiò
Hitoshi, guadagnandosi apertamente l’odio di Alfa.
Sempre sorridendo si sedette accanto a quest’ultimo, che non lo degnò di uno
sguardo.
- Perché mi hai invitato ad
entrare? – chiese il brunetto, dopo alcuni minuti di silenzio – Non ti ricordi chi sono?
- Me lo ricordo benissimo. – rispose l’altro, cominciando a
sorseggiare il suo tè – Solamente, mi sembravi in
difficoltà. Perciò ti ho aiutato.
Alfa lo guardò, senza mutare espressione.
- Io non sono come mio fratello. – concluse,
piatto.
- Capisco… Sei stupido e ti fidi di
chi ha cercato di spedirti all’altro mondo? – domandò pungente.
- I ragazzi hanno un debito di gratitudine nei tuoi
confronti, - continuò Hitoshi con assoluta noncuranza - perciò mi sembra
inutile portarti rancore.
- Tsz… Non voglio gratitudine, non mi
serve. – rispose secco il moretto – Men che
meno della loro.
Hitoshi annuì, ridendo sotto i baffi. Prese un altro sorso
di tè, gustandoselo
lentamente nel silenzio più totale; alla fine, sospirando, si alzò:
- Puoi fermarti, se e quanto vuoi. – disse ad Alfa, che non
battè ciglio – Io devo tornare fuori ad allenare i
miei ragazzi.
Il ragazzo non si mosse né annuì, pareva una statua. Solamente
quando Hitoshi, con un sorriso rassegnato, se ne fu andato, Alfa si decise a
sbloccarsi: sbattè iracondo un pugno sul tavolo, facendo tremare il tè nella
tazza: ma che voleva quello, cosa pensava di fare così?!
Rimase fermo, sbuffando. Quella gentilezza immotivata lo faceva imbestialire,
forse perché non ne aveva mai ricevuta? O forse… Per un altro motivo?
- Sarei davvero contenta se fossimo amici ^^!
Scosse la testa come se volesse staccarsela dal collo. Si
alzò dal tavolo, un po’ incerto sulle gambe, e fissò la sua immagine nello
specchio appeso alla parete. Non aveva un aspetto proprio magnifico: i suoi
vestiti erano strappati lievemente in vari punti e coperti di polvere, le
braccia e le gambe, anch’esse graffiate, si erano però irrobustite per il
continuo viaggiare; il viso, un po’ pallido, era coperto dalla frangia ora
troppo lunga, che lasciava appena intravedere gli occhi verdi e taglienti.
“Beh, almeno un cambiamento c’è stato…” ridacchiò, amaro.
Poi tese le orecchie, sentendo le voci e il chiacchiericcio allegro dei
ragazzini fuori. Sbuffò in silenzio, ecco una delle tre cose che odiava di più:
i bambini.
Specie se allegri e rumorosi.
Dopo qualche minuto, Alfa uscì fuori dall’edificio;
si passò una mano tra i capelli scuri, guardando cosa accidenti stessero
combinando Hitoshi e quel branco di mocciosi, poi si appoggiò al muro, a
braccia conserte, osservandoli.
- Oh, ti sei deciso ad uscire! – esclamò Hitoshi
quando lo vide.
Alfa fece un cenno stizzito, mentre i ragazzini lo
guardavano curiosi.
- Chi sono questi? – chiese Alfa, facendo
un cenno sdegnoso verso di loro e fissandoli con astio.
- I miei allievi. – rispose tranquillo
Hitoshi – Ragazzini che hanno scoperto di amare il bey e che io alleno
ogni giorno.
- Commovente… - sussurrò maligno. Il ragazzo non rispose.
- Mi è venuta un’idea. – disse poi, frugandosi in tasca –
Che ne dici di una sfida a bey… Alexander?
Alfa si accigliò:
- Perché mi hai chiamato così? Non
è il mio nome.
- Ma è l’unico con cui ti conosco.
– l’altro digrignò i denti:
- Tzs, figurati se combatto contro una mezza calzetta come te!
- Ehi, tu! – esclamò uno dei bambini – Non parlare male ad Hitoshi! Guarda che lui è fortissimo, ha battuto perfino
in campione mondiale Takao, quando era “Jin del
vento”!
- “Jin del vento”? – disse Alfa, sollevando un sopracciglio, stupito – Tu sei
Jin del vento?
- Già… - rispose, con sufficienza – Sono così famoso?
- Nel mio vecchio ambiente sì.
Il ragazzo tacque, scuotendo poi la testa
rassegnato:
- Accetti la mia sfida solo per questo?
- Uhm… Massì. – disse, ghignando – Vediamo
come te la cavi.
Hitoshi sospirò. Estrasse il suo bey e si portò ad
un’estremità del piccolo campo di gara che usavano lì
al residence; lo stesso fece Alfa, estraendo Sciacallo.
- Mi sembra un po’ malconcio il tuo beyblade. – disse Hitoshi, caricando – E’ così dall’ultima sfida contro
Midori?
- Sì… - di colpo Alfa s’incupì e sembrò per un istante
perdersi nei suoi pensieri; ma fu in attimo:
- Ti avverto, potrei anche usare i
miei poteri su di te.
Hitoshi sorrise:
- No, non lo farai.
Alfa lo fissò interrogativo, ma
Hitoshi sembrò non vederlo e, anzi, approfittò della sua breve disattenzione
per colpire:
- LANCIO!!
- Acc… SCIACALLO!!
I due bey presero a girare all’impazzata nella conca blu,
macchie colorate che correvano senza posa.
- WOW *o*! – esclamò uno dei bambini
- Ma sono fortissimi!
- Avanti! – urlò Alfa, un sorriso cattivo sul volto – Spazziamo via quest’imbecille!
Sciacallo continuò a colpire come una mitragliatrice il
CyberDriger di Hitoshi, ma sembrava indebolito; nonostante questo, ad Alfa non
passò neppure per la mente di usare i suoi poteri. Non sapeva spiegarlo, ma era
come se… Si stesse divertendo, ecco. Come non accadeva da… Da quando?
Di certo, non per questo avrebbe fatto “il bravo”.
- Ora vedrai… SCIACALLO!!!
Il Bit-power uscì ruggendo dallo stemma e si lanciò
sull’avversario, combattivo. Qualunque cosa gli stesse
succedendo, Alfa non si sarebbe mai perdonato di perdere.
Davanti all’attacco forsennato del moretto, però, Hitoshi
non si scompose: sapeva bene che Alfa non aveva possibilità di vittoria.
Infatti, pochi secondi prima dell’attacco, il ragazzo parve
avere un mancamento: troppo debilitato e troppo fuori allenamento,
perse per qualche secondo il controllo del bey, e Hitoshi ne approfittò
per sferrare il colpo decisivo, gettando Sciacallo fuori campo.
- Ah…
- GRAAAANDE!!!
- BRAVO!! – i ragazzini persero a saltellare attorno al loro
allenatore, che recuperò tranquillissimo il proprio bey. Alfa invece non si
mosse di un centimetro.
- Ignori la situazione esterna e la tua forma fisica e ti
concentri solo sul duello. – disse Hitoshi, raccogliendo il suo bey – Può
essere una dimostrazione di grande determinazione, ma
occorre anche un po’ di coscienza.
- Tzs... – il ragazzo lo fissò con gli occhi vacui – Non ho
bisogno che tu mi… faccia la… Patern…
Con un tonfo, il ragazzo cadde a terra, privo di sensi.
*__________________
- BASTA, NON CE LA FACCIO PIU ’! – urlò, gettando il
piatto per terra.
Col rumore di cocci rotti nelle orecchie, il piccolo Alfa aprì gli occhi, stringendosi al petto il
cuscino: “Eccola che ricomincia…”.
- Ma perché?!? Perché fai così?! Perché sei così… così…
“Avanti, dillo, so che ora lo dirai…”.
- … Anormale?!
Una fitta la suo piccolo cuore
gli fece stringere di più il cuscino, ma
sul viso non mutò espressione.
- Tutti i bambini mangiano ciò che gli preparano
i genitori, anche di malavoglia… Ma tu no! Oh, no, il signorino rifiuta! E lo fa rompendomi ogni oggetto di casa!
- Tesoro, calmati… - mormorò il marito, più scocciato che
preoccupato.
“Eccolo, l’altro, che arriva sempre al momento giusto. Sei un’ipocrita, lo sai, papà?”.
- E TU CHIUDI IL BECCO!!! –
sbraitò quella, schiaffeggiando una brocca d’acqua e bagnando le bianche mattonelle
della cucina, in un tintinnio di schegge di vetro.
- QUESTO HA DISTRUTTO IL PIATTO CHE GLI STAVO PORGENDO QUANDO L’AVEVO ANCORA IN MANO! PICCOLO MOSTRO
INGRATO!
“Ma perché non chiudi il becco, strega?” pensò il piccolo Alfa, scendendo quatto quatto
dalla sedia. La madre lo guardò con odio, la voce ridotta ad un sibilo
soffocato, cominciando a piangere isterica:
- Sarebbe stato meglio se non ti avessi
mai fatto nascere!
“E allora perché non l’ hai
fatto, razza di stupida?”.
L’ho sempre pensato. Anche se non lo avessi fatto, non me ne sarebbe fregato
niente.
Anzi, forse sarei stato
meglio.
Del resto io te l’ho forse
chiesto?
Io non voglio e non ho mai voluto nulla.
Nulla…
- Non è vero!
Una voce tremolante lo fece voltare. Si voltò verso il
fondo del corridoio di casa sua, buio, spoglio; qualcuno, in piedi, lo fissava.
Era una bambina, ma sembrava un fantasma, tanto appariva
evanescente e pallida. La bambina parlò di nuovo, sembrava
piangesse:
- Anche tu… Anche tu sei solo, vero?!
Alfa la fissò, gli occhi sbarrati: “No,
non è vero…”.
- Siamo simili, noi…
- N-no… - la voce gli tremava, perché?
- Sei solo come me!
- NON E’ VERO!!
Con un urlo, Alfa si svegliò, madido di
sudore: “Stavo solo… sognando…”.
Si massaggiò la fronte, la mano che gli tremava e il respiro
affannato. Da quant’era che non sognava la sua infanzia?
- Ben svegliato.
Sentendo quella voce, Alfa scattò sul letto, voltandosi
agitato.
- Finalmente hai ripreso i sensi. – disse Hitoshi,
tranquillo – Da quanti giorni sono che non fai un
pasto decente?
Alfa non rispose, cercando di riprendere a respirare
normalmente.
- Hai anche qualche linea di febbre. Beh – sospirò
rassegnato – 2qualche” è un eufemismo, da quanto
farneticavi poco fa!
Il brunetto lo fissò con rabbia mista a panico, pronto a
smentire qualsiasi cosa lui dicesse sui suoi deliri in
sogno. Hitoshi però parve aver semplicemente fatto un appunto superfluo e
continuò:
- Per qualche giorno è meglio che tu te ne stia qui.
Alfa rimase in silenzio. Hitoshi pose le mani sullo schienale
della sedia opposta al letto, con calma, come aspettando una risposta.
- Perché?
- Uh? – il giapponese guardò il suo ospite, aspettando
curioso che continuasse; Alfa sospirò a fondo:
- Perché mi stai aiutando?
Hitoshi rimase zitto.
- In fondo, io ho messo in pericolo la vita di tuo fratello
e dei suoi amici. Avrei fatto del male a molta gente. Tutto per un obbiettivo
stupido. – aggiunse, sempre più amaramente – Allora perché?
Hitoshi sospirò; spostò la sedia fin dal letto dove Alfa era
sdraiato e ci si sedette, a braccia incrociate:
- Perché m’incuriosisci.
Alfa spalancò gli occhi, senza capire.
- Sei un ragazzo molto forte, la tua tecnica di blader è
molto superiore rispetto a qualsiasi ragazzo abbia mai incontrato, quasi quanto
Brooklin e Takao, ma, fin’ora, mi è sembrato la
trattenessi.
- Come?
- Mi sembrava giocassi più per forza che per amore. Come se
il Bit e i tuoi poteri, invece di aiutarti, ti costringessero.
- Tzs… Ma che discorso idiota è?!
Ma sei scemo?!
- Te l’ ho detto. – continuò, impassibile – Non sono Takao,
non porto rancore a lungo. E,
soprattutto, riesco a giudicare le cose con molta più freddezza.
- Modesto, eh? E soprattutto molto attento
all’etica e alla morale, se t’interessa più il mio gioco che il mio
comportamento. – fece maligno. Hitoshi fece spallucce:
- Umph… Comunque sia, mi sono
sempre chiesto una cosa.
- Ossia?
- Verso cos’è diretto davvero tutto il tuo odio?
Alfa lo fissò come se la sua lingua gli fosse diventata di
colpo incomprensibile. Ma cosa stava blaterando?!
- Tu… Non sei così crudele, Alexander.
- Ti ho già detto di non chiamarmi così! – sbraitò lui,
stritolando le lenzuola nel pugno – Ma cosa vuoi da
me?! Si può sapere?! –
Non m’interessa se pensi che io non sia cattivo o meno! Non
me ne frega niente! – lasciò la presa, appoggiandosi lentamente al cuscino;
sembrava triste – Ormai… E’ tardi…
- Non è mai troppo tardi. – sorrise Hitoshi – O almeno, non
è mai troppo tardi per raccontare.
- Cosa?
Hitoshi girò la sedia, appoggiandosi allo schienale come ad
un tavolo:
- Gli Psaico. Come ci sei arrivato? E
Midori? Ruka, Eve? Da cos’è cominciato tutto?
Alfa lo fissò di nuovo.
- Visto che sei qui, potresti anche parlarmene, no?
- E a te cosa importa?
- Sono solo curioso.
Il ragazzo si morse il labbro. Forse… Se avesse detto tutto,
avrebbe trovato un sistema… Un punto da cui ricominciare davvero…
- D’accordo…
Anche se non c’è molto da raccontare.
Perché neanche io ricordo bene.
Dove sono nato, dove sono vissuto, non lo so proprio.
Certo, so di avere sempre
avuto strani poteri, che mi facevano fare strane cose…
Rompevo piatti, bicchieri e
vetri quando
ero triste o arrabbiato, facevo venire gli incubi a chi mi stava attorno… Ero
un bambino strano.
Anche mia madre lo diceva.
Anzi, lo urlava.
Urlava e piangeva, non faceva
altro, quella donna isterica!
A causa mia, ovviamente, a causa del suo “strano mostro”.
Maledetta strega!
E mio padre?
Buono quello, pur di non far
strillare la moglie, mi chiudeva in camera a chiave.
Un uomo davvero infimo!
Però… Però lui me lo ricordo…
Mi ricordo come mi guardava…
La rabbia…
Il disprezzo…
E, a volte, la compassione…
Ma mai, non mi ha mai guardato con affetto…
Come un padre…
*---- Dodici anni prima. Zona imprecisata della
regione di Saharin, Giappone.
Quel giorno pioveva. Una pioggia irregolare, pesante. Il padre, a passo spedito, se lo trascinava dietro come un sacco,
perché Alfa aveva delle gambette ancora troppo corte, per tenere la sua
velocità. Non c’era da stupirsi, aveva quattro anni. Un semplice,
comune bambino di appena quattro anni.
Ma in quei quattro anni la sua famiglia era già stata in
grado di rovinato: era un bambino freddo, distaccato, privo di quella vivacità
e quella gioia che danno ai piccoli la loro stessa essenza; un’infanzia distrutta
e macchiata dalla mancanza d’affetto, dall’incapacità di provare ad accettarlo,
di provare a non trasformare quella misteriosa facoltà in un peso
indistruttibile da lanciare sulle sue gracili spalle.
Incapacità di lottare
assieme.
Incapacità che si era già
riflessa su sua madre, debilitandola e portandola all’esaurimento.
Il padre, senza sapere più cosa fare, si era
messo in contatto con varie persone e, alla fine, sembrava avesse
trovato un posto per lui. Ovviamente, Alfa non sapeva dove né con chi. Semplicemente,
tre giorni prima, suo padre era entrato nella sua cameretta, una stanza vuota
se non per il letto, l’armadio grigio e qualche pupazzetto; l’uomo aveva aperto
i cassetti del mobile, prendendo alla rinfusa pochi indumenti
ed infilandoli in una sacca.
- Cosa fai? – gli aveva chiesto il
bambino, atono.
- Prendi qualche giocattolo, se vuoi, - aveva risposto, a
bassa voce – partiamo.
E non aveva aggiunto altro. Con
rapidità erano saliti in macchina e avevano imboccato l’autostrada per molti
chilometri, poi alcune strade sterrate e, alla fine, erano stati costretti a
percorrere l’ultimo tratto a piedi, sotto l’acqua.
Adesso, sempre in silenzio, l’uomo si guardava attorno,
cercando qualcosa, imprecando di tanto in tanto, mentre il
piccolo Alfa, una sacca ormai impregnata e gocciolante sulla piccola
spalla, gli teneva la mano. Mani grandi, quelle di suo padre: larghe, ruvide,
quelle mani che qualsiasi altro bambino avrebbe potuto aspettarsi lo
accarezzassero con dolcezza, quelle mani che avevano stretto le sue solo per
allontanarlo o portarlo via.
Le mani di un padre che non l’aveva e non l’avrebbe mai
accettato.
Nonostante il piccolo Alfa sapesse
benissimo questo, continuava imperterrito a tenergliela stretta, quasi
incosciamente, come ogni bambino che non chiede altro se non l’amore dei
genitori. E continua a chiederlo, irremovibile, anche
quando questo non esiste più.
- Quanto manca? – sussurrò il bimbo, tremando appena per il
freddo.
- Poco. – rispose telegrafico il padre.
Quando l’uomo si fermò, Alfa lo
vide. In mezzo ad una landa grigia e fredda, ancora coperta di brina mezza
ghiacciata, c’era un’immensa costruzione, come un capannone abbandonato. Con le
scarpe inzaccherate dal fango molle si avvicinarono all’ingresso, dove sembrava
che qualcuno gli aspettasse.
Vedendo chi fosse quel qualcuno, il
padre di Alfa parve sorpreso, e lo stesso il bambino. Lì davanti, in piedi,
c’era un ragazzino di non più di sei anni, grande e grosso, che assomigliava vagamente
ad un vecchio ceppo d’albero mozzato tanto era tozzo anche nei lineamenti, con
i capelli tagliati a spazzola e con le punte azzurrognole, tinte alla bene meglio, sotto cui s’intravedeva la radice nera e
lucida. Il ragazzino tese la mano coperta con un guanto verso l’uomo, che
sollevò un sopracciglio, quasi preoccupato.
- E’ lei che ci ha telefonato dieci giorni
fa, vero? – fece stizzito il marmocchio all’incertezza dell’uomo.
Questo annuì.
- Allora lui è… - e disse il nome del bimbo, che, istintivamente,
si strinse appena al padre.
Sì, me lo ricordo, mi chiamò
per la prima volta per nome uno sconosciuto…
La prima e l’ultima.
Ma non mi ricordo che nome fosse.
Non lo so proprio…
Perché quella è stata l’ultima volta in cui qualcuno pronunciò
il mio nome.
Ma del resto, ha qualche importanza sapere il mio nome?
Il padre annuì nuovamente.
- Allora può darlo a me. – disse
l’altro, arrogante – Non abbiamo più niente da dirle.
Il padre di Alfa, senza troppi
complimenti, diede uno strattone al bimbo, lanciandolo praticamente addosso al
ragazzino, che lo tenne con forza per la maglietta.
- Prenditelo. – disse l’uomo – E fallo sparire dalla mia
vista.
Il ragazzino non rispose. Il padre di Alfa
si voltò, rapido e si allontanò altrettanto velocemente.
Il bambino, vedendolo far così, fu scosso per un istante dal
desiderio di seguirlo, e di chiederli se doveva stare
lì per sempre. Ma era una domanda stupida, ovviamente,
era così.
“Da adesso è questa casa mia, dico
bene?”.
Eppure, restò lì, proteso verso il
padre.
Ancora con quella sciocca speranza.
Ancora con quel silenzioso, piccolo
desiderio di vederlo voltarsi, chiamarlo per nome a sé, e di provarci, almeno
una volta.
Una sola…
- E su, sta dritto! – gli sbraitò
di colpo il ragazzino, strattonandolo nel vederlo fermo e mollo sulle gambe
come un sacco di patate – Mi hai capito?!?
Alfa, però, lo guardò appena di sbieco, arcigno. Il bambino
più grande, grugnendo, lo voltò dalla sua parte, e sgarbato
disse:
- Devi sempre guardare i tuoi superiori in faccia, pulce. E io sono un tuo superiore, perciò seguimi e zitto.
Alfa, però, rimase fermo.
Evidentemente, la voce grossa con lui non funzionava granchè.
Quell’altro, stizzito, lo afferrò
per la colotta, sbattendolo nell’ingresso dell’edificio.
- Guarda che non m’interessa se sei un pidocchio!! – sbraitò, iniziando poi a ridere – Anzi, visto che
sembri duro di comprendonio, fai conoscenza col
pavimento, magari impari a stare al tuo posto!
Alfa lo stava odiando. Lo guardò malissimo, pensando con tutta
la sua forza che si sollevasse e si schiantasse contro il muro, ma non successe
niente.
- Sorpreso? – ghignò l’altro, vedendo la
sua faccia stupita – Non sei molto bravo.
Il piccolo lo guardò in silenzio, muovendo la bocca senza
che ve ne uscisse parola, perché quello era ancora lì in
piedi tranquillo?
- Guarda come si fa!
- Delta. – una voce profonda fece sobbalzare il ragazzino,
che si mise sull’attenti, impallidendo; Alfa, stupito,
sollevò lo sguardo, incrociando quello di un uomo che lo avrebbe segnato per
sempre. Il viso maturo
con quel sorriso gioviale e falso, qualche ruga qui e là, e
l’aspetto severo terrorizzarono Alfa per la prima volta nella sua vita.
- Non maltrattare il tuo nuovo compagno. – continuò l’uomo,
severo.
- Sissignore. – rispose Delta, con tono ossequioso, ma lo
sguardo offeso.
- Piacere di conoscerti.. – disse
l’uomo, un sorriso rassicurante che, però, fece solo rabbrividire ancor di più
Alfa – E benvenuto nella tua nuova casa.
*_______________
Il piccolo Alfa sedeva su un lettino
consunto e scassato con la rete cigolante, muovendo ritmicamente le gambe in su
ed in giù, annoiato.
La sorpresa e l’eccitazione per quel che aveva scoperto in
quel posto erano svanite, perché il signor Kuroi ci
metteva tanto a mandarlo a chiamare?
Dopo che l’uomo l’aveva salvato, si
era proposto di fargli visitare tutto l’edificio.
- Io sono il signor Akamatsu Kuroi – aveva detto – ma qui tutti quanti i ragazzini mi danno
semplicemente del “voi”. Non ti dispiace farlo anche tu, vero?
Alfa aveva fatto un cenno di diniego.
- Perfetto ^^. – aveva continuato – Immagino
che sarai stanco dopo un viaggio così lungo. Delta, fagli vedere dov’è la sua
stanza, ma passa attraverso la palestra, se non ti dispiace.
- Certo, signore. – aveva borbottato l’altro, palesemente
malvolentieri.
- Facciamo vedere qualcosa d’interessante al nostro nuovo
membro.
E così, il piccolo Alfa aveva
scoperto che quel posto era una sorta di “albergo per bambini speciali”, quelli
come lui: bambini dotati di poteri parapsicologici che facevano levitare gli
oggetti e cose simili; molti di loro, però, sembravano concentrati a giocare
con alcune trottole metalliche che emettevano un ronzio stranamente
accattivante.
- Quelli si chiamano beyblade. – aveva detto Kuroi, vedendo
il suo sguardo curioso – E’ un gioco che si sta
diffondendo moltissimo nel nostro paese, ma che, fortunatamente, abbiamo
scoperto può essere soprattutto un ottimo aiuto per quelli come noi.
Alfa lo aveva fissato, era curioso, quell’uomo usava sempre
il “noi”, quando parlava di poteri psichici; magari
sapeva usarli anche lui…
- Controllare la rotazione di un bey col pensiero non è
molto complicato. – aveva continuato, senza smettere di camminare
– ma non è quello il nostro obbiettivo.
- E qual è…? – aveva mormorato il
bambino, correndogli dietro col suo passo incerto pieno di curiosità; Kuroi
aveva sorriso losco.
- Lo saprai presto.
Ora, però, erano ben due ore che aspettava, cominciava
davvero ad essere stufo, insomma, cosa stavano aspettando?!
Proprio in quel momento sentì qualcuno bussare alla sua
porta; con calma Alfa girò la testa, scorgendo Delta sulla soglia: lo fissò
truce.
- Uhu! A quanto pare ti sei inimicato il novellino eh, Delt? –
Alfa trasalì un poco, sorpreso, e guardò a fianco al piccolo
gorilla, dove era apparso un altro ragazzino, della sua età o appena due anni
più grande, un tipo come Alfa non ne aveva mai visti:
aveva un bel viso perfettamente in ordine, se non per un grosso cerotto sotto
l’occhio destro, circondato da ciuffi biondi un po’ lunghi, tenuti sollevati da
una fascia rossa che lo faceva vagamente assomigliare a quell’attore che aveva
sbirciato alla televisione, Rambo. Il brunetto fece una faccia dubbiosa, quello
aveva un sorriso tanto bello quanto falso, come quei vip che aveva intravisto
sulle copertine delle riviste di sua madre.
- Molto piacere di conoscerti, testa calda. – disse il
ragazzino nuovo, porgendogli la mano – Io sono il compagno di Delta, il più
figo e tosto qui dentro, ma tu puoi chiamarmi
solamente Gamma ^^!
L’espressione dubbiosa di Alfa si
accentuò mentre sollevava timidamente la mano, che Gamma afferrò e cominciò a
scuotere con forza.
- Avanti, deficiente! Dobbiamo andare…
Muoviti anche tu, moccioso!
- See, see,
calmino Delt, ok? Dai, vieni pidocchio.
Così dicendo Gamma si tirò dietro Alfa, seguendo il
ragazzino coi capelli azzurrognoli per un lungo e
tortuoso corridoio; il più piccino dei tre si lasciò trascinare per alcuni
metri, incespicando, poi scacciò la mano del biondo con stizza, provocando le
risate di quest’ultimo, risate acide e fredde che lo fecero arrabbiare ancora
di più.
Dopo una decina di minuti Alfa e
gli altri due arrivarono in un grande stanzone, illuminato solo da fioche
lucine al neon, annebbiate dal denso strato di polvere che i tre sollevarono
entrando.
- Siamo qui, capo. – disse Delta, mettendosi sull’attenti e battendo i tacchi.
- Era l’ora. Delta, Gamma… -
Sentendo il suo nome il biondino chinò la testa in segno di
saluto, dando una gomitata ad Alfa perché facesse altrettanto; il bambino, che
era rimasto immobile, lo guardò indispettito, massaggiandosi la costola, ma
chinò appena la testa.
Kuroi sorrise divertito, dando le spalle ai tre.
- Vieni avanti Delta.
Il ragazzino annuì. Con passo marziale si avvicinò all’uomo,
a fianco del quale, con un rumore sordo, era spuntata dal pavimento quella che
sembrava una curiosa bacinella in plastica blu. Alfa
guardò di sottecchi Gamma, senza capire.
- Questo è un BeyBlade Stadium, - fece Kuroi senza muoversi
- è qui sopra che i ragazzi si sfidano al beyblade. Delta…
Lui annuì di nuovo; portò il braccio dietro la schiena,
aprendo una piccola custodia grigia ed estraendo un bey nuovissimo, rilucente coi suoi colori accesi. Alfa rimase incantato a guardare la
trottolina che Delta caricò rapido, non perdendosi neanche un istante da quando toccò il campo fino a quando non partì a sgusciare
veloce su di esso.
- Uuuh, sei migliorato vecchio mio! – esclamò Gamma,
ridacchiando; Delta lo fulminò con un’occhiataccia. I due si scrutarono per
alcuni istanti, sotto lo sguardo compiaciuto di Kuroi, finchè Gamma, ghignando,
non estrasse anche lui un bey lanciandolo contro quello
di Delta. I ragazzini cominciarono a duellare, mentre Kuroi sorrideva,
guardando un po’ loro un po’ Alfa, che scrutava la scena a bocca aperta.
- Questo è quello che si può definire “incontro coi bey”. – gli disse l’uomo, scuotendolo – Solo i migliori
riescono a dare vita a sconti appassionanti. Ma non è questa la cosa che deve destare il tuo stupore.
Alfa lo fissò senza capire. Proprio in quell’istante due
bagliori provenienti dai bey attirarono al sua attenzione,
facendolo trasalire.
- Fateli uscire!
Al comando Delta e Gamma lanciarono
i beyblade all’attacco con più forza, mentre la luminescenza di questi
aumentava, finchè due forme indistinte schizzarono letteralmente fuori dagli
stemmi dei bey; Alfa trattenne il fiato, mentre quelle che sembravano una
vipera gigante e una tarantola viola e nera apparvero a mezz’aria, emettendo
versi sinistri.
- VIPERA!
- TARANTOLA!
Le due creature si fiondarono l’una contro l’altra emettendo
onde d’urto incredibili, quando uno scontro troppo
violento le costrinse a tornare nei beyblade dei proprietari, che erano finiti
entrambi fuori gioco con l’ultimo colpo.
I due ragazzini raccolsero le trottole e le rimisero nelle
loro custodie, costantemente fissati da Alfa, allibito. Quello che aveva visto
era stato incredibile, una cosa inimmaginabile! Come avevano potuto quei due
stupidi fare una cosa del genere?!
- Li hai visti vero? – sorrise
sotto i baffi Kuroi. Alfa annuì eccitato - Quelli si chiamano
Bit-power. Noto con piacere che ti hanno colpito, vero?
- S-sì… Come hanno…?
- I Bit-power sono simili a spiriti protettori, vivono
dentro a quei Bit-chip posti sopra i beyblade e
potenziano e proteggono i loro proprietari.
Alfa tacque.
- Ti piacerebbe averne uno?
Il ragazzino lo guardò con gli occhi lucidi, annuendo
freneticamente, certo che ne voleva uno anche lui! L’uomo
sorrise soddisfatto, porgendogli una piccola trottola simile a quelle di Delta
e Gamma.
- Questo d’ora in poi sarà il tuo beyblade. Ti allenerai con
Delta e con Gamma per imparare ogni tecnica e diventare imbattibile. –
A differenza dei loro, il tuo bey non ha per il momento un
Bit – continuò, vedendo Alfa fissare lo stemma sul disco d’attacco, ancora
vuoto – dovrai diventare davvero abile per meritartelo.
Il ragazzino strinse il bey nel palmo, guardandolo deciso.
- Lo farò.
Kuroi sorrise, un sorriso pericoloso.
- Benvenuto nella squadra, allora… Alfa.
Il mio nuovo nome.
Il mio nuovo scopo, il primo.
La mia nuova casa.
Da quel momento, entrai
propriamente negli Psaico.
Dopo che Kuroi mi ebbe
consegnato quello che sarebbe diventato Sciacallo cominciai il mio
addestramento.
Non lo dimenticherò
mai, fu un periodo terribile.
Delta era il più abile
beyblader che avessi mai incontrato, ma anche
l’allenatore più severo e meschino che esistesse! Mi spremeva come un limone,
mi picchiava, m’insultava.
Io resistei per neanche un
anno e mezzo a quella tortura, finchè non decisi di sfidarlo, mettendoci di mezzo
una scommessa: se io vincevo lui taceva, se perdevo… Beh, era meglio non
saperlo.
Per mia fortuna vinsi. Se si può chiamare fortuna diventare il capo della
squadriglia d’assalto degli Psaico.
Non so ringraziare o maledire
il Cielo per la mia precoce abilità di capitano!
Il giorno stesso in cui sconfissi Delta, infatti, Kuroi mi chiamò nei sotterranei
per consegnarmi il mio Bit-power…
- Vieni, vieni pure avanti, Alfa.
Titubante il bimbo entrò nella stanza, chiudendosi alle
spalle la porta con un cigolio sinistro.
- Ho saputo che oggi hai sfidato Delta.
- Sissignore. – rispose atono.
- E so che lui ha perso.
- … Sissignore. – mormorò, chinando la testa: e se l’avesse
punito per questo?
- Non ti preoccupare, non ti punirò. – disse, dopo qualche
istante; Alfa sussultò, non si sarebbe mai abituato al piccolo ma subdolo
potere del suo capo di leggergli la mente – Anzi, ho una cosa da consegnarti.
Così dicendo tirò fuori da sotto la
giacca una scatolina nera laccata, che aprì con uno scatto della serratura dorata;
dentro, lucido e brillante di una lucina accattivante, c’era un Bit-chip con
sopra disegnato un’animale. Alfa ammutolì.
- Sei riuscito a sconfiggere quello che fin’ora era il
migliore dei miei allievi, dopo poco più di un anno e senza Bit-power. Ritengo che
ormai tu sia in grado di governarne uno.
Il bambino afferrò lo stemma con mano tremante, fissando la creature ritratta sopra di esso: sembrava un bruttissimo
lupo marroncino, con tutto il pelo spelacchiato.
“Non sembra molto forte. – pensò, sfiorandolo con un dito – Però… Ho come l’impressione che mi stia fissando.”.
- Avanti, fammi vedere come riesci ad usarlo.
- Eh?
Senza aggiungere altro Kuroi premette un pulsante sulla
bassa scrivania di fronte a lui, facendo muovere come per incanto la parete
alla sua destra, dietro al quale si trovava un immenso BeyStadium, coperto di
vari ostacoli.
- Lancia e fammi vedere.
Alfa annuì, insicuro su quell’ordine; infilò il nastro nel
lanciatore bluastro, incastrando il bey col Bit tra le lamelle del caricatore.
- Pronti… LANCIO!!
Quando riuscii
ad evocare Sciacallo devo ammetter che rimasi tanto allibito quanto contento.
Il pensiero che quella
creatura incredibile, che permetteva al mio bey di spaccare in due lastre di metallo
spesse due dita come fossero fogli di carta mi
esaltava, quel potere mi esaltava; adoravo quella sensazione di forza e Kuroi
l’aveva capito.
E’ sempre stato bravo ad
inquadrare la gente quell’uomo..
Da questo punto di vista
eravamo fatti della stessa pasta.
Forza.
Potere.
Un’energia incontrollabile.
Adoravo quella sensazione.
Kuroi mi disse
che potevo diventare anche più forte e, come prevedeva, io accettai eccitato la
proposta.
Non sapevo a che prezzo avrei
pagato tutto questo.
Alfa camminò dietro a Kuroi per molto tempo, incurante del
freddo e dell’aria stantia che si respirava lì sotto; era felice ed eccitato,
con quel Bit era riuscito a distruggere tutti gli ostacoli sul BeyBlade Stadium
in neanche dieci minuti.
“Se adesso diventerò ancora più forte
sarò davvero invincibile!”.
Doveva ammetterlo, era proprio
felice. Si divertita ad usare il bey, anche se non poteva troppo darlo a vedere
per paura delle reazioni di Delta e Gamma, ma anche per quelle di Kuroi: non
capiva perché, ma non era convinto che tutti i sorrisi di quell’uomo fossero
veritieri.
E non sapeva quanto avesse ragione.
- Eccoci qui.
Con un gesto deciso Kuroi
spalancò un vecchio portone di fronte a lui, accendendo con un colpetto secco
l’interruttore: le luci tremolanti illuminarono quello che sembrava un vecchio
laboratorio, probabilmente usato ancora abbastanza di frequente, perché era
tutto lustro e in ordine.
- Vieni.
Sentendo una lieve preoccupazione salirgli in gola Alfa
entrò, scrutando con ansia delle alte teche di vetro, a cui erano collegati al
soffitto interno dei sottili tubi bianchi. Kuroi si avvicinò ad un quadro comandi complicatissimo, digitando veloce codici e
numeri che apparivano mano a mano sul monitor di fronte e di cui Alfa non
capiva neppure una parola. All’improvviso una delle teche si aprì lateralmente
con un risucchio, facendo uscire una nube sottile di fumo biancastro.
- Posa il bey su quella
colonnina lì vicino, levati la divisa e poi entra.
Alfa girò la testa di scatto, guardandolo un po’ impaurito: doveva
entrare lì dentro?!
- Entra.
L’ordine fece rabbrividire il brunetto fin
nelle ossa; tremante appoggiò il beyblade su una sorta di piedistallo accanto
alla teca cilindrica e si levò la tuta che gli era stata data il giorno del suo
arrivo, entrando poi nella cabina trasparente; cominciava ad avere paura.
Kuroi sembrò ignorarlo, riprendendo a digitare qualcosa
sulla consolle. I tubi nell’abitacolo si mossero come
serpenti, applicandosi con delle ventose sulla fronte e sul torace magro del
ragazzino.
- Cosa sono questi? – mormorò un
po’ agitato.
L’uomo non rispose.
- Ehi, le ho chiesto cosa sono! –
esclamò con voce tremula, battendo i pugni sul vetro.
Kuroi non rispose di nuovo. In compenso, Alfa avvertì
qualcosa bagnarli i piedi e, abbassando lo sguardo, vide un fluido azzurrognolo
riempire pian piano la teca: spaventato indietreggiò, senza riuscire a parlare,
ma per il suo capo sembrava tutto normale; quando ormai il liquido nella cabina
gli arrivò alle spalle, Alfa cominciò a tremare convulsamente, col respiro
affannoso per la paura.
- Sta calmo.
Alle parole di Kuroi una piccola mascherina trasparente
scese da un vano sopra la testa del bambino, inserendosi precisamente sulla sua
bocca e sul suo naso. Calmandosi Alfa si lasciò
sommergere, cercando di ignorare il fastidio che quell’affare gli dava alle
orecchie e agli occhi, che tenne strettamente serrati.
Quando la teca fu piena Kuroi si
voltò, fissando divertito il piccolino che, lievemente pallido in viso per via
del colore del liquido, stava immobile a galleggiare nella cabina, rigido come
una statua.
- Riesci a sentirmi Alfa? Fammi un cenno con la testa per
rispondermi.
Alfa annuì lentamente.
- Molto bene. Adesso devi concentrarti: pensa di essere in
posizione per lanciare il tuo bey.
Il ragazzino obbedì.
- D’accordo… adesso lancialo.
Alfa annuì ancora. Nel frattempo, sul piedistallo lì vicino,
un macchinario aveva cominciato a far ruotare artificialmente il suo bey, e
questo gli permise di concentrasi meglio.
- Perfetto. Adesso evoca il tuo Bit-power.
Ci volle qualche secondo, ma alla fine lo Sciacallo uscì
ruggendo dallo stemma, illuminando la stanza d una luce sinistra. Kuroi ghignò.
- Ora immagina di scagliare il Bit contro qualcuno.
Alfa spalancò un istante gli occhi, ma che stava dicendo?! Perché avrebbe dovuto fare una
cosa del genere?
- Fallo se vuoi essere più forte. – il ragazzino richiuse
gli occhi: sì, era vero, però… - Pensa a qualcosa che ti ha fatto infuriare,
anche tanto tempo fa…
Lui provò a pensarci, ma non gli veniva in mente nessuno. Oppure sì? Era strano, una parte di lui,
anche se cercava di concentrarsi, gli impediva di ricordare episodi in cui
avesse pensato di ferire qualcuno, ma un’altra invece stava scavando, giù,
sempre più giù nella sua memoria, quasi contro il suo volere, bramosa di
trovare qualcuno, di vendicarsi, di colpire con furia cieca. Che
fosse merito di quel liquido?
- Cerca di ricordarti, Alfa, tu sai benissimo chi potresti
voler distruggere col tuo Bit.
E allora li vide. Nella sua testa,
nitide come se le avesse davanti, vide le immagini di suo padre e di sua madre,
i loro sguardi di disprezzo, di disgusto, di odio; e
poi la solitudine, l’indifferenza, quel fastidioso desiderio di affetto che, in
fondo, non gli era mai venuto meno. Una rabbia sottile cominciò ad attraversargli
ogni centimetro di pelle, mentre i rivelatori del laboratorio partivano a
registrare dati sempre più freneticamente. Il sorriso di Kuroi divenne quello
di un animale feroce.
- Lanciaglielo contro. ADESSO!
Come un fiume in piena la rabbia
del piccolo venne fuori, facendolo urlare, mentre tutto il suo potere, mai
voluto, mai desiderato, usciva con le grida, ma invece di lanciarsi contro i
suoi genitori, come stava immaginando, o comunque all’esterno, com’era la
realtà, fu assorbito da quelle strane ventose e rilasciato nel suo Bit-power.
Dopo qualche istante Alfa sgranò gli occhi, che divennero vacui, e l’urlo di
rabbia divenne di dolore: quella macchina stava assorbendo le sue forze come
una spugna, riversandole nella creatura e provocando nel bambino fitte simili a
scosse elettriche.
- Contrasta il processo! – gli urlò Kuroi severo – Non
lasciare che assorba la tua forza, ma il tuo odio!
Alimenta la tua creatura, falla crescere!
Ma Alfa non lo sentiva quasi più: faceva
male, troppo male, non poteva resistere oltre!
Lanciò un altro urlo, dimenandosi nell’acqua della teca, le
orecchie che gli rombavano e la mente offuscata per il dolore.
- Alimenta il Bit con l’odio!
Dopo questo
non ricordo altro di quello che accadde quel pomeriggio: mi risvegliai nella
mia stanza due giorni dopo, col corpo ricoperto di lividi e scosso dai brividi.
Per la settimana successiva
non feci altro che avere incubi in cui i miei genitori mi lasciavano legato in
un posto andarsene via ridendo, nonché ad avere
“fuoriuscite sgradite” dei miei poteri; Kuroi e compagnia dovettero tenermi in
isolamento, perché spaccavo qualsiasi oggetto troppo fragile nel raggio di
venti metri e schiantavo al muro la prima persona che mi diceva una parola con
un accento strano.
Non capivo il motivo, sapevo
solo che dentro di me c’era una rabbia incommensurabile ed un odio
incontrollato per tutto ciò che mi circondava.
Quando finalmente Kuroi potè parlarmi senza essere ridotto ad
un poster sulla parete, capii.
Quel macchinario dove ero
stato portato si chiamava U.B., sigla di non so quale parola scientifica, che tra noi
ragazzini era “affettuosamente” chiamata Undeath Bed.
Infatti, chi usciva da lì dentro era sempre più morto che vivo.
Lo scopo principale di quelli
che dovevano goderne era di potenziare i Bit-power coi
propri poteri psichici, utilizzando sensazioni molto forti. La rabbia, per
esempio. O la paura, il disprezzo, il risentimento,
soprattutto. Sentimenti positivi no, il perché non lo
compresi mai.
Per fare questo, però,
bisognava essere forti. Molto, molto forti, perché il
liquido utilizzato per lo svolgimento dell’operazione era tossico e a contatto
con impulsi mentali dava lesioni al corpo, facendo da conduttore per gli
impulsi elettrici emessi dal cervello e assorbiti dal macchinario..
Ma soprattutto, perché il
lavoro riuscisse, bisognava provare quelle sensazioni che Kuroi voleva.
Proprio per questo mi aveva
fatto ripensare ai miei genitori, sapeva bene quanto li detestassi.
Anche quella volta si dimostrò un passo avanti a me.
*---
- Uhmp… - nella stanza dov’era assieme ad
Hitoshi, Alfa si lasciò sfuggire un risolino, interrompendosi un istante – Sì,
lo è davvero sempre stato… Almeno fino a sei mesi fa…
L’altro giapponese non rispose, aspettando che Alfa
continuasse.
- Ma all’epoca, fra me e Kuroi
c’era sempre e solo un vincitore.
*---
Nonostante mi opponessi
sempre con resistenza all’uso dell’ U.B., Kuroi non si
fermava mai e ben presto anche gli effetti collaterali si fecero sentire,
assieme alle fatiche degli allenamenti.
La verità era che i pensieri
negativi che la macchina alimentava mi rimanevano dentro.
Gli incubi.
L’odio.
I ricordi tristi.
Come una sorta di siero
velenoso mi entravano nella mente e mi perseguitavano,
giorno e notte, senza mai smettere.
Mi stupii
quando scoprii che anche Delta e Gamma dovevano usarla abitualmente, più
che altro mi venne spontaneo chiedermi come potesse quell’idiota di Gamma
essere sempre così rilassato. Ma quando lo vidi
disintegrare una porta d’acciaio perché era infuriato con Kuroi, capii che in
realtà era una gran faccia di bronzo.
Alla fine, quindi, quella
macchina non cambiava solo il tuo Bit, ma anche te.
Diventavi tu stesso una
macchina.
Un soldatino obbediente colmo solo di rabbia.
Eppure io ancora non sapevo
neppure per cosa voleva davvero utilizzarci il capo, e non lo conobbi se non a partire da una notte di dieci anni fa.
La notte in cui incontrai per
la prima volta una persona che era stata Marchiata.
Un freddo sottile si insinuava
sotto i vestiti di Alfa, sette anni sulle spalline gracili e tre di fatiche sul
cuore, mentre camminava silenziosamente verso la sua stanza. Era stravolto,
l’unica cosa che voleva era stendersi e dormire almeno dieci ore, ma non era
sicuro di riuscire ad addormentarsi neppure con tutto
il sonno che aveva addosso, considerando il temporale che si stava avvicinando:
tuoni assordanti sembravano scuotere le apparentemente fragili pareti del
vecchio edificio e lampi accecanti sfrigolavano nell’aria ancora per molti
minuti dopo che avevano illuminato a giorno il cielo.
“Se continua così ci crollerà il
cielo in testa!”.
All’improvviso il ragazzino si fermò. Tese le orecchie,
incuriosito, sentendo qualcosa nell’aria, una sorta di aura
sgradevole che, frizzando leggermente, gli svolazzava attorno; si girò attorno,
attento, ma non vide nulla né sentì alcun suono. Rimase lì
qualche minuto, finchè la sensazione non scomparve e, non vedendo
nessuno, decise di andarsene.
Arrivato alla sua camera si gettò a peso
morto sul letto senza neanche cambiarsi, addormentandosi quasi subito, ma dopo
neppure un’ora un fulmine troppo vicino lo svegliò con un sobbalzo. Come
volevasi dimostrare, probabilmente avrebbe trascorso
l’ennesima notte in bianco! Seccato si mise a sedere, pensando a come
addormentarsi, ma un suono insolito, proveniente dal corridoio, lo distrasse:
sembrava che qualcuno piangesse. Ma com’era possibile?
Non conosceva nessun’altro degli Psaico se non Delta e
Gamma, ma Kuroi non permetteva a nessuno di lamentarsi, figuriamoci di
piangere! Eppure, qualcuno stava davvero
singhiozzando; quel rumore suonò così insolito ad Alfa in quell’ambiente che
decise di uscire per vedere cosa fosse successo.
Si guardò attorno, scorgendo una figurina appoggiata al
muro, la testa tra le braccia, scossa da tremendi sussulti.
Con calma il moretto si avvicinò, dando uno scossone ad una
chioma di capelli corvini lucidissimi.
- Ehi…
Quando alzò la testa, devo ammetterlo, rimasi colpito.
Avevo già visto altre
ragazzine, ma quella era la prima per cui formulai il
pensiero “è bella”.
Che strano, dopo quella notte non ho mai più visto quegli
occhi piangere.
Quegli occhi che, ricordo,
negli ultimi anni hanno guardato il mondo solo come se come fosse un bocconcino
da gustarsi con tranquillità, o come se ogni cosa fosse a sua disposizione.
Sai, forse però erano
più belli quella notte, verdi e rilucenti di lacrime, lo sai, piccola Margot?
Alfa rimase a fissare la bambina nuova, i capelli
scarmigliati a coprirle in parte il viso arrossato e rigato di lacrime.
- Che stai combinando qui?
Lei non rispose. Emise un violento singulto, facendo un
cenno con la testa verso la sua schiena, poi riprese a singhiozzare, tremando
come una foglia. Alfa la scrutò un po’ arcigno, quel pianto cominciava ad essere
fastidioso; nonostante questo allungò l’occhio dietro la schiena della
ragazzina, rimanendo a bocca aperta: su di essa,
sanguinante, la carne rosso vivo era stata sfregiata da un lungo taglio a forma
di folgore, coi bordi sporchi di quella che sembrava melma semitrasparente di
un colore indefinito.
- Ma che cavolo…!
Il ragazzino chinò un po’ la testa verso la morettina e fu
attraversato da una scossa, simile a quella che lo colpiva
quando i suoi compagni usavano i loro poteri: un effetto normale in quel
caso, dicevano, perché per analogia le loro menti e i loro corpi reagivano alle
onde psichiche.
Ma allora perché lo stesso avveniva
con quella mocciosa, anzi, con la ferita di quella mocciosa?
- Oh, allora sei qui…
Un’altra voce che non conosceva fece voltare di scatto Alfa,
che si ritrovò davanti un ragazzino di circa dieci anni, che non aveva mai
visto. Questo gli sorrise, avvicinandosi poi alla
ragazzina e chiamandola poggiandole una mano sulla spalla; al contatto questa
sobbalzò, allarmata.
- Sta tranquilla, è tutto a posto.
Ti fa molto male?
Lei annuì timidamente, mentre quello emetteva un sospiro
triste.
- Lo immaginavo…
Con delicatezza si sfilò la felpa macilenta che aveva
addosso, restando in maglietta, la strappò con non poca fatica a metà e la usò
per cingere con una fasciatura grossolana la ferita della bambina, che lo
guardò sorpresa e grata.
- Va un po’ meglio?
Quella arrossì, confusa, annuendo a scatti. L’altro ragazzo
sorrise, porgendole la mano, e una volta che lei si fu alzata si mise un suo
braccio attorno alle spalle, facendola arrossire ancora di più e cominciò ad
avviarsi con lei nel corridoio.
- Ehi, aspetta un secondo! – esclamò Alfa, che fino a quel
momento era rimasto fermo – Mi spieghi cos’è successo a questa qui?!
L’altro si voltò, incrociando lo sguardo malevolo e
indagatore di Alfa. Inutile, per quanto ci provasse,
il brunetto era sicuro di non averlo mai visto: si sarebbe ricordato un viso
così gioviale, tanto diverso da quelli che vedeva in quel posto, non avrebbe
scordato quella stranissima zazzera castana che aveva
in testa, troppo lunga sulla frangia e troppo corta dietro, a formare un codino
minuscolo. Il ragazzino più grande si voltò, guardandolo un po’ malinconico.
- Tu sei uno dei ragazzi della squadra di
Kuroi… Non ti ha ancora spiegato la Marchiatura?
- Ma mi prendi in giro?! – sbraitò
furioso senza capire - Che cavolo stai dicendo?! Ti ho chiesto cos’è successo a questa qui!
- Te l’ho detto. – rispose asciutto –
L’hanno Marchiata.
Alfa lo guardò malissimo, facendolo sospirare.
- Significa che hanno fatto in modo che non possa più
scappare.
Lo sguardo di Alfa divenne confuso;
l’altro continuò, amaro.
- Uno dei tuoi ha colpito questa ragazzina, la piccola…?
- M-Margot… - balbettò, imbarazzata – Mi chiamo Margot…
- Margot ^^. – sorrise
gentile – Hai provato a scappare, è così? – lei annuì triste – Ma ti hanno scoperta… E ora, con la ferita
impregnata di MK-57, sarà praticamente impossibile squagliarsela da qui… - si
voltò verso un punto indefinito del muro - Quest’affare reagisce con le onde
paranormali che voi usate, provoca dolori e allucinazioni… Non è proprio il
massimo.
Alfa rimase immobile,
allibito, perché Kuroi non gli aveva mai spiegato una cosa così importante? È
vero, quel ragazzino poteva anche prenderlo in giro, ma non credeva gli stesse mentendo: in fondo, lui aveva già sentito parlare
dei molti sistemi usati dal capo per non permettere la fuga dei suoi “ospiti”,
compresi veleni e loro, la squadra di
punta degli Psaico.
- Coraggio! – continuò il
ragazzino più grande, stringendo di più la bambina – Ora devi riposarti, è meglio. Ti ha Marchiata Delta,
giusto? – lei annuì - Il solito bastardo… L’ho sentito
gongolare dalla mia stanza, dannato…
- E-ehi tu! – lo fermò di nuovo Alfa, un po’ agitato – Ma tu chi sei? Come fai a
sapere tante cose?!
Quello gli
sorrise, un sorriso vero come non se ne vedevano mai lì dentro.
- Mi chiamo Shiro.
*---
- Aspetta un attimo…! – con
un gesto brusco Hitoshi interruppe il raccontare del suo ospite – Shiro…? Lo
stesso Shiro di cui mi hanno parlato Midori e mio fratello?
Alfa assunse un’espressione
indecifrabile, appoggiandosi poi allo schienale del letto:
- Esattamente.
Shiro Hirotaka…
Quel ragazzo ha un grande onore,
quello di essere diventato la mia prima ossessione.
Dalla notte in cui conobbi
lui e Margot non smisi mai di cercare informazioni su di lui, ma era come
cercare di acchiappare il fumo.
Quello era più furbo di
quanto sembrasse!
Partecipava a tutti gli
allenamenti, non si lamentava mai, subiva percosse e sgridate senza battere
ciglio, e benché privo di poteri ESP possedeva
un’abilità col bey e un’agilità straordinari; era una testa calda nei limiti,
ma qualunque cosa accadesse riusciva sempre a non cacciarsi nei guai e a non
farsi vedere per molte ore.
Sinceramente, ne ero molto invidioso.
- Ora che ci penso forse assomigliava un po’ a quell’idiota
di Takao, forse è anche per questo che non sopporto
tuo fratello.
- Per questo motivo? – l’altro parve rifletterci.
- Anche… - e non continuò.
Se però ero invidioso di Shiro, altrettanto disprezzavo il
sadismo di Kuroi: quella bambina nuova, Margot, dopo che si fu ripresa dal
Marchio fu costretta a diventare l’allieva nientemeno che di Delta.
Una pura cattiveria gratuita
che avrebbe dovuto incrementare le sue armi per l’Undeath Bed.
Non c’erano
dubbi, Kuroi era un bastardo di prima categoria!
Col passare del tempo, però,
sia Shiro che Kuroi, sia l’invidia, la curiosità e la
rabbia cominciarono a svanire: per un bel po’ di tempo non incrociai più quel
ragazzo e le continue sedute nell’U.B.
cominciarono ad influire sul mio cervello molto più di quanto avessi immaginato
o provato fino allora, occultando le mie domande e i miei pochi desideri e
rendendo inutili quei problemi che mi creavo, quell’ultimo anelito di libertà
che possedevo.
Non mi importava
più di nulla.
Avevo perso l’interesse per
qualsiasi cosa: se mi dicevano di combattere combattevo,
se mi dicevano di andare a “reclutare” nuovi membri rapendoli, lo facevo,
qualunque ordine lo eseguivo.
Tanto, che motivo avevo di obbiettare?
Alla mia freddezza si
aggiunse un sottomissione silenziosa e un cinismo che
non erano mai stati miei, assieme ad una paura ingiustificata per Kuroi.
Ero convinto che nulla di quella
situazione sarebbe cambiato.
Mai.
Fino a quel giorno, quel dannato giorno di sette anni fa.
Il giorno in cui arrivarono
agli Psaico loro.
E conobbi lei.
- Sei sicuro che siano loro?
– chiese Delta, guardando le bambine di fronte a loro.
- Certo, deficiente! – lo rimbeccò tra i denti Margot,
dandogli un calcio nello stinco – Kuroi ci ha fatto studiare i loro file per
due mesi, come fai a non riconoscerle?!
Il ragazzino borbottò, massaggiandosi la gamba e
rintanandosi un altro po’ nel cespuglio dietro a cui lui, Margot e Alfa si erano nascosti. Quest’ultimo guardò di sottecchi la moretta,
era molto cambiata nel periodo in cui era stata con gli Psaico: dopo quel primo
cedimento, la notte in cui era stata Marchiata, aveva deciso di rendere pan per focaccia ai suoi aguzzini, diventando aggressiva,
testarda e con la lingua più affilata di un rasoio, benché avesse ancora una
debolezza.
Una debolezza che da quel giorno avrebbe pesato molto su di
lei.
- Avanti! – esclamò, stringendo il pungo
– Andiamocele a prendere!
I tre si guardarono con un sorriso perfido e, alzandosi,
uscirono dal loro rifugio, avvicinandosi alle loro
prede.
Sorprese queste si voltarono,
fissandoli curiosi.
- E voi chi siete?! – una ragazzina di circa otto
anni, i capelli rosso fiamma legati in una treccia li fissò. Alfa la
scrutò da sotto il cappuccio nero che si era tirato in testa, sorridendo falso, quella doveva essere Rin Ruka, la cinese.
- Siamo venuti a prendervi, piccola Ruka. Vi portiamo a
casa.
- A… prenderci? – chiese spaventata una piccolina dai tratti
eurasiatici, avvicinandosi alla rossa; quella era Eveline Yoshiji.
- Sì. – le rispose lui, come fosse
la cosa più naturale del mondo.
Poi guardò l’ultima componente del
gruppo, fissando i suoi occhi verdi in quelli turchini di lei, che cominciò a
tormentarsi i codini rosa: Midori Takamura. Il brunetto le
sorrise maligno:
- Grazie per averle portate qui, anzi, per esserci venute
tutte. Ci hai risparmiato della fatica, piccola Midori.
- C-come?
Proprio come avevano previsto, la
ragazzina aveva cominciato ad agitarsi, soprattutto dall’ultima frase, sarebbe
stato semplicissimo farle credere che la loro cattura fosse colpa sua.
“E il senso di colpa è un’arma
micidiale per l’Undeath Bed…”.
Non ci volle molto per quella
missione, in realtà, quasi tutto il lavoro lo fece Delta.
Quella sera le tre mocciose
erano già nelle loro stanze alla nostra sede.
*---
Alfa smise un secondo di raccontare, lasciandosi sfuggire un risolino. Hitoshi lo guardò:
- Che c’è?
- Nulla…
“Stavo solo pensando che… Se quella sera non fossi andato
lì….”.
Se per una volta avessi detto di no a Kuroi…
Se avessi lasciato l’onere di sorvegliare quelle tre a
Gamma…
Noi non ci saremmo
avvicinati…
Io non sarei diventato
debole, però…
Non le avrei mai neanche parlato…
- Tzs, sai che è strano? – disse
divertito – Parlare del mio passato mi sta facendo ricordare tante
cose a cui non pensavo neppure più… Forse ne capisco anche tante altre.
- E questo è positivo? – chiese,
con aria un po’ pedante; Alfa non rispose.
*---
- Mi rifiuto di andarci. – disse lapidario il piccolo Alfa, al raduno coi compagni.
- Eddai, mica te l’ ho chiesto io!
– disse risentito Delta, notando l’espressione furibonda del
suo nuovo capitano – E’ un ordine del capo.
Il brunetto digrignò i denti e, furioso,
uscì dalla stanza dove si erano radunati tutti, sbattendo la porta con
violenza.
- Tzs, il solito nevrotico…
Con passo da mitragliere Alfa si diresse alla stanza dove
avevano schiaffato quelle tre nuove; quando fu lì davanti aprì la porta con
malagrazia, individuando subito la rossa e la piccolina, addormentate sulle
brande che avevano messo vicine, entrambe con lo sguardo triste e tenendosi la
mano. Assolutamente stomachevoli, mocciosette, scommetteva che stavano morendo
di paura anche da addormentate! Guardò dentro la stanza, ma non vide l’altra,
Midori, quella coi codini. Sbiancò.
- Oh cavolo… E ora dov’è?!
Rapidamente si guardò nel corridoio, non
poteva aver provato a scappare! Non quando a fare la guardia toccava a
lui!
“Maledizione!”.
Guardò a destra e poi a sinistra, ma il corridoio era
deserto; senza un motivo logico imboccò la parte di sinistra e corse, corse e
corse, cercando quella mocciosa dagli occhi azzurri, finchè, finalmente non la
scorse, seduta di fronte a una finestra.
- Ehi tu! – ansimò, col fiatone – Si può sapere dov’eri
sparita?!
Lei si girò, sobbalzando spaventata,
piangeva. Alfa non battè ciglio.
- Forza, torna nella tua stanza!
La ragazzina lo guardò, poi fece un’espressione arrabbiata
che, tra il viso infantile e le lacrime, divenne un tenero broncetto; il tono di Alfa, sorprendendo anche lui, divenne meno duro.
- Avanti, non mi fare perdere la pazienza!
- No! – continuò lei,
aveva una voce infantile, ma (era strano definire così una voce,
ma Alfa non seppe darci altro aggettivo) molto tenera – Non voglio
ubbidirti!
- Senti.. – sbuffò lui, seccato –
Se vuoi che mi arrabbi sul serio, continua pure…
- Non m’importa! – ribattè lei, guardandolo con aria
battagliera – Io non ho paura di te!
Alfa la fissò scioccato, non ci credeva, aveva
proprio detto… Non ho paura?
- Tzs, vuoi che ti spalmi contro la parete per fartela
sotto? – lei però non mutò espressione, come se non le importasse.
- Sono arrabbiata! Lo sia che non si fanno cose così cattive?! – continuò, furibonda – Io non posso
stare qui! Il mio papà mi aspetta, e anche Eve-chan ha la sua mamma e il suo papà che si preoccupano se non la vedono tornare!
Alfa riprese a guardarla, normalmente, se qualcuno gli
avesse detto quelle cose, sarebbe scoppiato a ridere… ma
riuscì solo a guardarla serio e, forse, un po’ sfinito:
- Tu… Voi, non potrete più tornare a casa.
- Cosa…? – la voce di Midori
divenne un sussurro, mentre guardava il ragazzino spaventata.
Stranamente, quello sguardo non inorgoglì il brunetto come al
solito.
- Non potrete più andarvene di qui.
Midori continuò a fissarlo. Si girò quindi verso la finestra
e, sempre con lo sguardo perso, si lasciò cadere a terra, piangendo.
- No… Io… Io… Avevo promesso a papà che… So di nuovo
parlare, volevo che mi… Che mi sentisse… - prese ad
emettere singhiozzi sempre più convulsi – Il mio… Papà…
Alfa la fissò in silenzio e per la prima volta, avvertì una
stretta tra il cuore e lo stomaco, forte; porse la mano alla bambina.
- Dai… - riuscì solo a dirle – Ora devi andare a dormire… O
ti sgrideranno se ti trovano qui.
“Che sto facendo? Che m’importa? Non sono fatti miei, devo solo pensare che
non puniscano me!”.
Lo pensai, ma rimasi comunque lì.
Rimasi
finchè lei, ancora singhiozzando, non prese la mia mano, titubante.
L’accompagnai nella sua
stanza e le dissi di dormire.
E lei?
Mi sorrise.
Mi sorrise dicendo: <<
In fondo tu non sei cattivo. >>
Non dovevi.
Non dirlo.
Non mi sorridere.
Perché tu…
Così…
Un cuore non ancora del tutto
avvolto dal buio…
Ottenni
quella spirale di luce che mi
avrebbe scombussolato ogni progetto.
Midori e compagne furono
affidate ad un membro più grande dell’organizzazione, com’era prassi, caso
volle che quel ragazzo fosse proprio Shiro Hirotaka.
A me, invece, spettò il
compito di guardia di quella ragazzina coi capelli
rosati e i codini.
E’ proprio vero che a volte il destino gioca
brutti scherzi!
- Senti… Tu come ti chiami?
Alfa guardò di sottecchi Midori, seduta a
gambe incrociate su un gradino; di fronte a loro, un gruppo di ragazzi si allenava.
- E a te cosa t’interessa? – chiese
sgarbato, incrociando le braccia al petto – Sappi solo
che devo sorvegliarti, punto!
La bambina lo guardò, sbuffando. Poi, inclinando la testa da
un lato, gli si portò a dieci centimetri dal naso, guardandolo curiosa.
- Non lo sai più?
Alfa, dapprima sorpreso, si accigliò.
- E se fosse che te ne frega?!
- Omega-kun non ricorda più il suo nome. – rispose,
riferendosi a quel bimbetto piccolo e magrolino che, appena due settimane dopo
di loro, era entrato nell’organizzazione – Ormai lui sta
sempre insieme a Ru-chan, perciò lo so…
- Lo vuoi capire che non m’interessa?!
– disse, con tono sempre meno convinto – Sono solo
fatti vostri!
Il brunetto si sedette con fare nervoso,
non ci riusciva… Era impossibile per lui fare il duro con quella
mocciosa!
“E’ insopportabile!”.
Midori sospirò, e gli si sedette vicino.
- Anche tu sei solo, non è vero? –
gli disse - Sei triste?
Una domanda innocente. Ma Alfa la
fissò, sbiancando, fissando poi i suoi occhi verdi in quei due specchi colore
del cielo.
- Tu sei sempre solo… Gamma e Delta, loro sono cattivi, e
anche se fanno gli stupidi sono contenti così… - disse, guardandolo dolcemente
– Tu invece … Non sei triste?
Ero un bambino.
Le sue parole mi scoprirono
subito.
Lì, su quei gradini, la
fissai ancora.
E piansi.
In silenzio, le gambe
incrociate, le braccia la petto e la testa china.
E lei non disse nulla.
Sì, ero triste.
Triste di dover continuamente
provare rabbia e odio.
Era troppo!
Triste…
Midori diede un buffetto sulla testa di Alfa,
che la scacciò un po’ imbarazzato. Lei sorrise e, messasi di fronte a lui, gli
porse le mani.
- Sarei davvero contenta se fossimo amici ^^!
Alfa la fissò sorpreso, fregandosi velocemente gli occhi con
una mano.
- Sul serio?
Lei sorrise e gli prese le mani.
- Vuoi essere mio amico ^^?
*---
Alfa smise un secondo di parlare. Hitoshi lo fissò, notando
la sua espressione distante.
- E poi…?
Il brunetto rimase fermo. Che strano, era così
tanto tempo che non ci pensava, che l’aveva quasi dimenticato…
Quella gentilezza mai
richiesta…
Donata. Così, semplicemente.
Lei non mi ha mai odiato.
Aveva paura, lo so.
Odiava quel posto, odiava Kuroi, voleva tornare a casa.
Ma non odiava me.
Non c’era motivo.
Lei era semplicemente fatta
così.
Mille volte l’avevo vista farsi coraggio con quelle altre due, sopportando le botte,
la paura.
Sempre.
E quel poco di calore voleva trasmetterlo a me.
- Allora adesso siamo amici ^^!
*---
- Alexander…?
Alfa scosse la testa.
- Scusa, stavo pensando….
- A cosa?
Il brunetto tacque nuovamente, sospirando amaro.
- Che forse, se avessi ascoltato me
stesso invece che quel maledetto, non sarebbe accaduto nulla…