Esistere

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Esistere

 
 
 

 
A te
che custodisci la mia anima
e proteggi il mio cuore,
per salvarmi dal limbo.

 
 
 
 
 
 
1.
Sono sempre stata una persona malinconica e un po’ cattiva, ma non è questo ciò che mi ha portato a isolarmi. Con il passare del tempo ho creato un mondo mio, seguendo le mie regole, e mi ci sono chiusa dentro. A volte tutti ne abbiamo bisogno, l’unico problema è che se non si sta attenti si perde il contatto con la realtà, e una volta che succede, è difficile tornare indietro. Iniziamo a vivere nella nostra mente, e i casi sono due: o ci salva, o ci uccide. Entrambe le possibilità ci isolano, piano piano ci fanno scomparire fino ad annullarci del tutto, e senza nemmeno accorgercene non esistiamo più. Ed è proprio quello che è successo a me, senza rendermene conto sono diventata invisibile.
Sono scappata dal resto del mondo creando una prigione; credevo fosse libertà, ma libertà non era. Ho creato una prigione, pensando che mi avrebbe salvato, mi sentivo al sicuro: non sapevo che non esisteva posto più pericoloso. Lentamente quel mondo in bianco e nero che pensavo meraviglioso mi ha rapito, l’ho inventato secondo i miei gusti, e i miei desideri, e mentre me ne innamoravo, mi avvolgeva, finché non mi ha inghiottito. Il mio mondo sicuro è diventato un mondo infame. Inizio a rendermi conto di essere in una gabbia, crudele e bellissima, ma se non esco in fretta, se non torno alla realtà, allora sarò perduta. Nonostante io sappia che ormai il tempo sta scadendo continuo a vedere tutto in bianco e nero, cerco ancora le stelle, e le eccezioni, mi soffermo sui dettagli, e mi nutro di parole.
Le persone mi sembrano fantasmi, non ho nessun legame, nessuna connessione, con loro: ma nel profondo, io so. So che il fantasma sono io: io che non parlo, io che non partecipo, io che a momenti non respiro. E sono strana, dicono, sono diversa. Ciò che non sanno è che ormai i loro commenti, gli insulti, non mi toccano più. Sono diventata indifferente a quelle parole, prodotte da menti così chiuse. Di conseguenza, con quell’atteggiamento di rifiuto, mi hanno resa muta: non spreco più il mio tempo nel tentativo di far ragionare le persone, i miei pensieri li tengo per me, nel mio mondo. Però osservo tutto: ogni sfaccettatura, ogni dettaglio, o aspetto, e ogni sfumatura di chi mi circonda. E ciò che vedo non mi piace, questa realtà non fa per me. Non posso vivere nell’ipocrisia, nella falsità, e nell’ignoranza. Ormai il mondo reale è colmo d’immoralità e io non voglio essere come gli altri e agire in questo modo così sbagliato.
Questo bisogno di distinguermi dalla massa mi ha portata qua, all’inizio volevo qualcosa che mi stimolasse intellettualmente,
quindi mi sono dedicata alla lettura. E così, in poco tempo ho edificato la mia prigione di parole. L’ho sempre amata tanto, forse l’amo ancora adesso che ho aperto gli occhi, e sicuramente l’amerò per sempre. Mi fa stare così bene, anche se sono consapevole che non dovrei gioirne, perché quando ci crogioliamo nel nostro dolore, funziona così: scappiamo dai problemi in cui siamo immersi e ci lasciamo sopraffare tanto da credere di stare bene. La verità è che ci abituiamo a quel dolore, perché abbiamo paura di provarne uno più grande, quando invece basterebbe darci un taglio. Non importa a cosa: che sia una brutta abitudine, o una relazione malata, basterebbe solo darci un taglio, senza avere paura di soffrire, perché alla fine la sofferenza è momentanea. Ma noi siamo creature deboli e stolte, con un grande talento nel perseverare, e solo pochi riescono a capire questo semplice concetto. Io mi reputo appartenente a questa cerchia, ci ho messo del tempo ma spero ne varrà la pena. Soffrirò, ma solo per stare bene.
Sono chiusa nella mia mente da fin troppo, non ricordo nemmeno cosa voglia dire vivere insieme alla gente. Una parte di me non vuole andarsene, però; sono incatenata nella mia fantasia, dove sono amata, rispettata e talvolta anche ammirata. Non faccio altro che bearmi in parole mai pronunciare, da persone mai esistite, e ne sento il bisogno fisico, e psicologico. Ho il costante desiderio di sentirmi apprezzata per ciò che faccio, e non trovando soddisfazione nel mondo reale, ho creato il mio. Adesso vivo tra i personaggi dei libri che leggo, nelle loro città. Vivo i loro drammi e i loro amori. Rubo emozioni scritte su carta, perché non ho la possibilità di vivere le mie, anche se vorrei. Il mio unico desiderio è di scappare, ma mi sembra impossibile. Perfino adesso sono in questo mondo immaginario, dove pare che le parole salvino le persone. Avrei tanti validi motivi per piangere, o per rompere qualcosa, o perfino per urlare e perdere la voce, ma qualcosa me lo impedisce. Non riesco a sfogarmi, a lasciarmi andare, soprattutto in questo periodo. Ultimamente le cose nel mondo reale peggiorano, di conseguenza nemmeno le cose nell’altro mondo vanno tanto bene. Il solito panorama in bianco e nero comincia a diventare più cupo, anche le stelle stanno scomparendo, tanto che mi è difficile riconoscere le costellazioni, e con l’oscurità che c’è adesso, è difficile anche notare tutti i dettagli che prima scorgevo così facilmente. Forse sono tutti questi cambiamenti che mi hanno fatto capire che non è qui che devo stare, sembra che il mio subconscio stia distruggendo la mia prigione, come se volesse salvarsi, e magari dovrei soltanto lasciarglielo fare. Questo, però, significherebbe autodistruggermi; se restano soltanto macerie, io poi che cosa faccio? Devo per forza avere un piano secondario, una via di fuga. Se dovessi riuscire a demolire ciò che m’imprigiona, rischierei di perdermi in un limbo, impossibile da abbandonare. E ogni mio sforzo risulterebbe vano.
Tutti questi pensieri mi fanno impazzire, vorrei soltanto mettermi nel letto e smettere. Smettere di disperarmi, di consumarmi. Smettere, e avere una vita normale: camminare in mezzo alla gente, entrare in un bar, magari con qualcuno e forse potrei persino ridere, e scherzare. Mi accorgo che la mia lista finisce qui: io non so che cosa fanno di solito le persone cosiddette “normali”. Di cosa parlano? Come camminano, e come si comportano sui mezzi pubblici? Nonostante l’età, ancora non so queste cose, un po’ me ne vergogno: lo ritengo abbastanza misero, d’altra parte invece vorrei non doverlo mai scoprire sulla mia pelle. Non sono in grado di intavolare una conversazione, se vogliamo essere precisi, non potrei nemmeno rivolgere la parola a uno sconosciuto.
Comincio a credere di essere senza speranza, ma dentro di me si insinua un altro pensiero:
“Forse penso troppo, è per questo che mi perdo.”
Nella mia mente sto ancora camminando nel vuoto, in quella che sembrerebbe una nebbia scura, e le mie gambe non accennano a volersi fermare.
I troppi dubbi mi offuscano la vista, ormai cammino in una landa desolata: nera e infinita. Ho paura di essere già finita nel limbo, senza aver nemmeno provato a salvarmi. Oltre ai dubbi, nella mia mente ora si instaurano anche i sensi di colpa, per non essere riuscita a trovare un modo per salvarmi. E immediatamente il paesaggio cambia: la nebbia ora non c’è più, ma l’oscurità si, solo che adesso sono a casa mia, nel mio soggiorno. C’è lui sul divano, che guarda la televisione. Arriva anche la malinconia. Non riesco a parlargli, ma non ho bisogno di sciogliere il nodo che ho in gola, non con lui. Lui capisce. Mi avvicino, e mi metto sul divano anch’io, restando a debita distanza. Il peso che sento sul petto, però, è opprimente: non voglio più stare da sola. Senza guardarlo faccio per appoggiarmi a lui, e tiro su le gambe. Istintivamente lui alza il braccio e io appoggio la testa sul suo torace. Rimaniamo così, abbracciati.  Poi lui mi bacia la testa, e io chiudo gli occhi.
Non può essere limbo questo, riesco a provare ancora un sentimento, è l’unica mia certezza. Perché so che se adesso mi addormento, lui sarà ancora qui al mio risveglio. Perché so che nonostante il mio dolore, lui sarà sempre al mio fianco. E se dovessi ammalarmi, lui sarebbe accanto a me sul letto. Se dovessi avere fame, lui mi porterebbe qualcosa da mangiare, qualcosa di dolce, e se dovessi beccare un momento buono, magari mi preparerebbe anche una tazza di tè, che lui sa che mi piace. Fermo subito questo treno di pensieri. Non riesco a capire se mi sono appena inventata tutto, oppure se è ciò che farebbe davvero. Sono fatti reali, o immaginari? Mi dispero, perché non so come capirlo, non vorrei fosse solo uno scherzo della mia mente. Mi sveglio triste, ma la risposta è lì ad attendermi, nelle sue mani: una tazza di tè fumante.
˗ Ai frutti rossi, oggi c’è bisogno di tanta dolcezza. ˗
Prendo la tazza tra le mani: ha ragione, l’infuso di frutti rossi è davvero tanto dolce, esattamente quello di cui avevo bisogno. Oli torna accanto a me, e io evado un po’ dalla mia prigione. Riesco a starne lontana per qualche ora, è lui a tenermi lontana da quel posto: mi fa ridere, giochiamo come due bambini. In queste tre ore, prima di coricarci, parliamo tanto. Sono futilità, ma ne sentiamo il bisogno entrambi, perché come io sono imprigionata nel mio mondo, anche lui è rinchiuso nel suo.



Angolo autrice:
Salve a tutti, mi chiamo Ann-marie. Innanzitutto volevo dire che questo è il primo racconto serio che provo a scrivere. Di solito abbandono le cose a metà, ma stavolta sono motivata a portare a termine questa storia, dato che per me è molto importante. Mi prendo anche l'impegno di pubblicare ogni mercoledì, salvo imprevisti. Chiedo anche preventivamente scusa per eventuali errori, non si è mai troppo sicuri!
Detto questo, spero vi sia piaciuta, fatemi sapere che cosa ne pensate. Le critiche costruttive sono assai gradite.

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.
Domani sarà il solstizio d’inverno, ma io non riesco ancora a capacitarmi di come possa essere già dicembre. Sembra che il tempo scorra per tutti, tranne che per me. A volte sto seduta per ore, a fissare il vuoto, senza nemmeno rendermene conto. Poi in qualche modo mi sveglio, e ritorno alla mia vita di sempre: faccio i mestieri, leggo, cucino, oppure dormo. L’unica parte della giornata che sento il bisogno di vivere pienamente, è quando Oliver torna a casa. Quando c’è lui cerco un contatto con la realtà, perché voglio ricordami ogni singolo minuto con lui, non posso permettermi di perdere nemmeno un secondo. Mi aiuta a riempire la mente di bei ricordi, e di belle sensazioni. Vorrei sapere se anche lui fa così, se scappa dalla sua prigione per assaporare ogni momento con me. Magari mi sto dando troppa importanza, però sarebbe bello se fosse vero, se fossi io la sua salvezza.
Mentre penso, la tisana al finocchio che sto centellinando si raffredda per l’ennesima volta.
˗ Non la bevi? ˗ mi chiede Oli, seduto davanti a me, dall’altro lato del tavolo.
Osservo la tazza, poi sposto il mio sguardo su di lui: è così bello. Lo fisso spesso, ma mai così intensamente; mi sembra che oggi abbia qualcosa di diverso, eppure non riesco a capire cosa. Forse sono gli occhi: il suo viso sembra turbato, ma buono, come sempre. Perché lui è così, ha un animo buono e gentile, con quello sguardo dolce che mi scioglie il cuore. Tuttavia ho una brutta sensazione che mi opprime il petto.
˗ Non ne ho più voglia. ˗ rispondo, distogliendo finalmente lo sguardo. Mi rendo conto da sola quanto possa sembrare strano quando una persona ti fissa così insistentemente.
Lavo la tazza, la asciugo e la metto via. Per tutto il tempo sento il suo sguardo pesarmi addosso, è tutto sempre più strano, tanto che comincio a preoccuparmi. Mi chiedo se ho fatto, o detto, qualcosa di sbagliato. E più ci penso, più vado in ansia. Nonostante abbia già finito di lavare i piatti sto lì, appoggiata al lavandino, preferisco dargli ancora le spalle. Un po’ perché non sono pronta ad un eventuale brutta notizia, e un po’ perché non voglio che veda quanta ansia mi è venuta.
˗ Madeleine, ˗ lo sapevo, è successo qualcosa, ˗ posso chiederti una cosa? ˗ mi giro verso di lui, con cautela. Il suo sguardo vaga nel vuoto, sembra perso.
˗ Dimmi. ˗ cerco di avere la voce il più ferma possibile, ma è abbastanza difficile. Di solito è lui che mi infonde sicurezza, stavolta invece non è così. Mi fa quasi paura, perché guardandolo rivedo me stessa. Non vorrei mai vederlo soffrire come soffro io, so quanto sia doloroso e lui non se lo merita.
˗ Ti senti mai in un mondo a parte? ˗ il suo viso è ancora molto turbato, ma adesso è anche triste. Questa domanda non me l’aspettavo proprio, mi ritrovo un po’ spiazzata.
˗ Perché, tu si? ˗ mi vergogno un po’ ad ammettere che in realtà mi sento così per buona parte della giornata.
˗ Non lo so, ˗  sospira, ˗ mi sembra di essere inadeguato, in ogni situazione. ˗
˗ Tu, inadeguato? ˗ sono un po’ stranita da quest’affermazione, ˗ ma, Oliver, tu sei così intelligente, sei così estroverso, e sveglio. Hai tante buone qualità, perché dici di sentirti inadeguato? ˗
˗ Perché è vero, sono una maschera. Sono falso. ˗ comincia ad alzare la voce, e lo conosco abbastanza bene da capire che è arrivato al suo limite di sopportazione.
Lo abbraccio, istintivamente. Stringo la sua testa al mio petto, lui invece prende la mia maglietta, sento qualche lacrima calda bagnarmi la pelle. Mi sento in colpa, per non essermi accorta prima del suo dolore., ma anche perché non so come aiutarlo. Non so cosa fare con me stessa, come pretendo di poter salvare gli altri? Penso di essere persa tanto quanto lui, e mi viene da pensare che si merita di meglio. Ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino, ma quel qualcuno non posso essere io: stando con lui posso solo danneggiarlo.
˗ Vieni, ­ ˗ lo faccio alzare, ˗ andiamo a letto. ˗
Ci trasciniamo in camera da letto e ci infiliamo subito sotto le coperte, ma dormire non è nei nostri piani. Facciamo l’amore, piano piano. Nonostante le mie mani gelate, si lascia toccare: il petto, le spalle, la schiena. Lui è così caldo, invece io sono così fredda, e mi scalda stringendomi. Il suo tocco è deciso, ma delicato, mi sento amata. Ansimiamo, io sono felice. Lo abbraccio, voglio sentirlo mio; poi inizio a tremare, e lui sorride. Sorrido anche io, l’ansia che mi bruciava nel petto scompare, ma le lacrime bruciano negli occhi. Ci stiamo amando così tanto, pensare che finirà tutto mi spezza il cuore. Sarò sola.
˗ Madeleine… ˗ ansima piano, ˗ stai bene? ˗ annuisco.
˗ Continua. ˗
Aspetto che si addormenti, poi sguscio fuori dal letto e mi chiudo in bagno. Il pavimento è molto freddo, ma non mi importa, mi siedo per terra lo stesso. Sono in balia della tempesta: restare, e rischiare di farlo soffrire; oppure andarsene, e permettere a qualcun’altra di occuparsi di lui? Vorrei poter scegliere la prima opzione, senza sentirmi egoista. Trovo molto difficile affezionarmi a qualcuno, ma appena lo faccio dono il cuore, e l’anima. Ed è sbagliato. Se dovessi andarmene, non mi rimarrebbe più niente, solo un corpo vuoto e una mente distrutta. Il suo amore è l’unica cosa che mi tiene insieme, ma allo stesso tempo mi fa sentire così banale. Dovrei essere un individuo distinto, invece ho basato la mia intera esistenza su una bugia. Una bugia bellissima, che amo più della mia stessa vita. Sono stanca morta, ma la mia mente non vuole spegnersi. Tutti questi pensieri mi tormentano, e intanto si fa mattina; me ne accorgo perché sento Oliver svegliarsi. Decido che è il momento di  alzarsi. Mi lavo la faccia,  esco dal bagno, e vado a preparare la colazione.
˗ Non hai dormito nel letto, stanotte. ˗ dice lui, entrando in cucina. Lo guardo, senza espressione, non ho bisogno di dire niente.
˗ Non hai proprio dormito. ˗ dice dopo avermi guardata negli occhi. Si abbandona sulla sedia, e lascia la testa cadere all’indietro. Sembra scocciato, io continuo a non dire niente, come al solito d’altronde. I due enormi solchi sotto gli occhi raccontano ciò che io non racconterò mai ad alta voce.
˗ Madeleine, non va bene così, ˗ dice guardandomi, il suo tono è più dolce, ˗ vai a riposarti un po’. Dopo parliamo un pochino. ˗ dopo aver fatto colazione, va a lavorare. E io rimango a casa da sola, come sempre. Ho voglia di leggere, prendo il mio libro, ma appena lo apro mi addormento, lì, sul divano. Dormo parecchie ore, è un sonno disturbato: faccio diversi incubi. Sogno di essere sola in un enorme vuoto, e delle mani mi toccano, ma non riesco a urlare per chiedere aiuto. Mi sveglio sudata, c’è lui vicino a me.
˗ Avresti bisogno di una pausa, si vede che sei stressata. ˗ mi dice, guardarmi con i suoi occhi dolci, ma senza sorridere.
˗ No, ˗ comincio, ˗ ascoltami, ti prego. So che cosa volevi dire ieri. , e io non posso darti ciò di cui tu hai bisogno. ˗ vorrei trattenere le lacrime, ma non riesco. Inizio a singhiozzare.
˗ Madeleine, ma che dici. Sei la mia salvezza, sei ciò che ho di più bello. ˗ mi guarda preoccupato, ma io non ce la faccio a sostenere il suo sguardo. Appoggio la testa sulle sue gambe, e piango, ininterrottamente.
˗ Calma, sono qui. Sono qui, Madeleine. ˗ la sua voce è così rilassante, il suo amore così rassicurante.
˗ Sono innamorata di te, Oliver. Proprio per questo voglio il meglio per te. ˗
Mi sfogo per qualche minuto, sembra un’agonia, ma poi torno a sorridere. Mi sento stupida, per aver pensato di dovermi separare da lui: è la mia persona, non una mia metà ma quella che mi fa capire che sono tutta intera; quella persona che appena la vedi capisci che sarà tua per sempre, e viceversa. Questo vuol dire essere “la persona” di qualcuno, io so che lui è la mia. I momenti bui ci sono sempre, ma con lui tutto è più facile. Lui è forte, combatte sempre per ciò che ama, e non si arrende mai. Ha lottato per me, adesso devo aiutarlo a lottare per se stesso.
˗ Oli, mi descrivi il tuo mondo? ˗ chiedo, appena mi calmo. Lui però non risponde subito, sembra assorto nei suoi pensieri.
- Non lo so, ˗ sospira, ˗ non mi va di parlarne. ˗ Il suo atteggiamento è cambiato di nuovo, mi ferisce quando parla così.
˗ Se hai bisogno, sono in camera. ˗ mi alzo e me ne vado, non voglio che la situazione diventi troppo pesante.
A livello emotivo sono un casino: basta un tono di voce un po’ meno dolce, e comincio a stare male. Mi faccio milioni di domande e vado in paranoia, per questo mi rifugio nel mio mondo. Immagino di fare una passeggiata, su un sentiero di terra e ciottoli, le gambe non si stancano mai, tanto che potrei camminare all’infinito. Mi guado intorno: intravedo la luna, ma non le stelle. Il cielo è coperto da un leggero strato di nuvole, che rende il paesaggio un po’ più inquietante del solito. Non era mai successo che non riuscissi a vedere la volta stellata, però non è il cielo l’unica cosa che non vedo: anche gli alberi intorno sono spariti, come se non fossero mai esistiti. Continuo a camminare: cammino, cammino, ma poi mi fermo. Mi rendo conto che quello che faccio non ha senso, sono impazzita, non c’è altra spiegazione. E sono tanto stanca.
Resto ferma, come se avessi messo tutto in pausa. Poi, improvvisamente, la terra intorno a me inizia a sgretolarsi. Faccio un giro su me stessa per guardare tutto ciò che mi circonda cadere a pezzi. Infine, anche la terra sotto i miei piedi si distrugge, e io precipito. La caduta sembra durare da ore, ma poi finalmente tocco terra, con un tonfo sordo. Quando apro gli occhi vedo il soffitto della camera da letto, ma c’è qualcosa che non torna, mi sembra troppo lontano. Poi capisco: in qualche modo sono finita dal letto al pavimento, e più mi sforzo di ricordare cosa sia successo, più mi sembra impossibile. Sono troppo distante dal letto, non posso essere andata così lontana con una semplice caduta. E poi ero sotto le coperte, il che rende il tutto ancora più confuso, perché il letto è perfettamente in ordine.
Sono ancora sdraiata per terra, che guardo il letto. Sono confusa, mi raggomitolo su me stessa, poi inizio a gridare.

Angolo autrice:
Buongiorno a tutti e buone feste (in ritardo, ma fa niente)
Ho deciso di postare subito il secondo capitolo perchè passerò qualche settimana all'estero e mi sarà impossibile aggiornare. Questo è un periodo un po' così, scrivo tanto e penso poco; spero comunque che il secondo capitolo sia all'altezza del primo. Fatemi sapere che ne pensate, sono molto molto curiosa.
Un bacino a tutti, Ann-marie.



 

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Capitolo 3
*** 3 ***


3.
Quando sono entrato in camera l’ho vista lì, sdraiata per terra, e penso di non aver mai avuto così tanta paura in vita mia. Poi la rabbia si è fatta strada nei miei pensieri, è così debole, e fragile. Se non fosse così insicura avrebbe la forza per affrontare una tempesta, invece si fa abbattere dalle sciocchezze. Adesso la guardo da dietro il vetro della camera dell’ospedale. Ha avuto un crollo psicotico la notte scorsa. Ora sta dormendo, grazie ai farmaci, ma dovrà fare altre visite, quindi la terranno ricoverata ancora un po’.
Io non ho ancora chiuso occhio, ma anche provandoci non riuscirei comunque a dormire. La osservo, ha delle profonde occhiaie, e il viso scavato, ciò nonostante rimane la solita piccola Madeleine. Piccola, povera, ingenua Madeleine, che ti ha fatto di male il mondo? La rabbia diventa incontrollabile, trovo tutta questa questione ingestibile. Mi siedo per terra, e penso che sarebbe meglio smettere di pensare.
La guardo: è così piccola, lo è sempre stata; e anche se adesso è un gradino più in alto di me, lei rimane sempre piccola. Sarà il viso da bambina, o la corporatura esile, non so. So che sento il dovere di proteggerla dalla cattiveria del mondo. La campanella sta suonando, lei sta ancora tentando di mettere in fila due parole per dirmi qualcosa che ho già capito, ma purtroppo io non ho più tempo.
˗ Lo sai che
cosa provo, te l’ho sempre detto. ˗ dice lei infine. Tiene lo sguardo basso, forse meglio così. Almeno non vede quanto imbarazzo sto provando, è da quando è arrivata che ho una voglia sfrenata di baciarla, ma la timidezza mi blocca. Però è il momento, me lo sento: svuoto la mente, prendo un respiro e con tutto il coraggio che ho in corpo la prendo per la nuca, le passo le dita tra i capelli e la bacio. L’ho presa alla sprovvista, la sento immobile,  poi finalmente  ricambia il bacio. Si avvicina un po’ di più e mi appoggia la mano sul petto, io sento il mio cuore rimbalzare sul suo palmo, batte fortissimo. L’euforia che provo è indescrivibile, ma la campanella è suonata ormai da 5 minuti e sono costretto a tornare in classe. Mi allontano un pochino, la saluto impacciatamente senza guardarla  e salendo le scale inciampo, non volevo che vedesse l’espressione da ebete che c’è stampata sul mio viso ma ho fatto lo stesso la figura del cretino. Ben fatto, Oliver, ottimo lavoro, davvero. Mi vergogno un pochino della mia quasi caduta, ho paura di aver rovinato tutto. Ma la felicità che provo in questo momento sovrasta ogni altra emozione. Finalmente sento che ho fatto la cosa giusta. Lei è quella giusta, e ne sono fermamente convinto: dopo tanto tempo mi rendo conto di aver trovato quello che mi serve per sentirmi vivo, dopo tanto tempo sono felice.
Sento le lacrime, bollenti, rigarmi il viso. Sembra passata un’eternità da quel momento, invece sono passati solo sei anni. Entrambi siamo cresciuti, siamo maturati e questo ci ha cambiati. Ma non ha cambiato ciò che proviamo l’uno per l’altra, ormai ci apparteniamo.
L’infermiera si avvicina, e mentre mi asciugo impacciatamente il viso mi informa che Madeleine si sta svegliando. Mi fiondo subito nella stanza e mi siedo sulla sedia che c’è accanto al letto. Ha gli occhi aperti, ma non sta guardando me. Il suo sguardo vaga perso per la stanza, e per qualche minuto non dice nulla. È confusa, e io probabilmente lo sono tanto quanto lei, non so come comportarmi.
˗ Oli, ˗ dice, posando finalmente lo sguardo su di me, ˗ il mio mondo è caduto a pezzi, ci sono solo macerie. ˗
Se prima ero confuso, adesso sono esterrefatto. Cosa diavolo è successo, che sta dicendo?
˗ Oli, non ho più un posto sicuro. ˗ Mi sembra di aver appena ricevuto un pugno nello stomaco da tanto fa male: io ci sono sempre per lei, perché dice di non avere un posto sicuro? Più che amarla, e prendermi cura di lei io non posso fare, le ho dato tutto ciò che potevo darle. Eppure sta ancora tanto male, dove ho sbagliato stavolta?
Passiamo il resto della giornata in silenzio: lei legge, mentre io recupero il sonno che ho perso dormendo sulla scomoda poltroncina dell’ospedale.
˗ Sei sicuro che non vuoi venire nel letto con me? ˗ mi chiede verso sera. Nessuno dei due ha  intenzione di dormire, ma domani mattina lei avrà la visita con lo psicologo, quindi è meglio se si presenta riposata. Mi alzo e mi sdraio affianco a lei e si appoggia al mio petto. Intanto che guardiamo la televisione,  le accarezzo i capelli, e dopo un po’ si  addormenta. In qualche modo riesce sempre ad addormentarsi se la abbraccio. Magari il suo posto sicuro è proprio accanto a lei, solo che non riesce a vederlo. O magari sono io che vorrei fosse così. Sono confuso, e deluso: ho fallito, non sarebbe successo niente l’altra notte, se non fosse stato per me. L’ho respinta, pur sapendo che le avrei fatto male. L’ho respinta, non si è sentita amata. L’ho respinta…
˗ Lo sapevo che ti saresti attaccata a queste piccolezze, ˗ la rabbia mi fa dire cose che non penso, ˗ ho un limite, e lo hai appena superato. ˗
˗ Avresti dovuto dirmelo! Mi sono preoccupata, mi bastava una telefonata, cinque secondi di telefonata! ˗ urla lei, solo che più la vedo arrabbiata e più mi altero.
˗ Senti, vai a dormire. Va bene? Vai. ˗ cerco di non usare un tono troppo cattivo, sono arrabbiato con lei ma ci tengo.  Dall’espressione del suo volto però capisco di averla ferita. Inizio a sentirmi tremendamente in colpa, ma l’orgoglio mi impedisce di chiederle scusa. E mi odio.

Le ho provocato più male io di chiunque altro, e lo sto capendo piano piano. Sono alcuni giorni che vedo flashback della nostra storia insieme. Episodi che avevo dimenticato, ma che adesso mi stanno distruggendo. Mentre vado al lavoro, mentre mangio, anche mentre sono con gli altri, penso a tutto quello che abbiamo passato insieme e rivivo le stesse emozioni. Mi sono staccato dalla realtà, non posso credere che lei abbia affrontato tutto questo dolore da sola. Non posso crederci, perché io muoio ogni giorno, mentre lei in tutti questi anni è sempre sopravvissuta.
Dopo una bella notte di sonno torno a casa per andare al lavoro. Ma la mia mente rimane con Madeleine: oggi ha la prima seduta con lo psicologo e sono preoccupato, anche se da quando è stata male non ci sono più stati episodi simili. Stiamo sperando sia stato solo un caso isolato, capita a volte di non farcela più e di cedere ai nervi.
In ufficio sono distratto, perdo addirittura alcune telefonate perché non mi rendo conto che il telefono sta suonando. Poi, quando finalmente arrivano le sette non mi sembra nemmeno vero, corro a casa a cambiarmi per tornare da lei. Quando arrivo sta leggendo, la saluto con un bacio e mi siedo sul letto.
˗ Allora, com’è andata oggi? ˗ le chiedo impaziente.
˗ Bene, penso, ˗ dice chiudendo il libro ˗ ha detto che posso tornare a casa quando voglio, ma dovrò prendere un blando ansiolitico. ˗ ha lo sguardo basso, la vedo molto provata, tanto che mi si stringe il cuore a vederla così.
˗ Un farmaco? ˗
˗ No, lo sai che sono contro questo genere di cose. Penso sia tutto naturale, si chiamano fiori di Bach. ˗ io annuisco, ma non rispondo. Spero  che funzionino davvero, e che non abbia bisogno di farmaci, non voglio rischiare che me la portino via. Voglio che torni tutto come prima, voglio tornare a ridere con lei, e scherzare, e a farle il solletico finché non ce la fa più. Voglio tornare ad essere felice con lei, tanto che mi chiedo se questa sia la cosa giusta da fare.
Non riesco a pensare a niente, non ho voglia di fare niente. Sono seduto sulla poltrona di casa ormai da troppo tempo, ma non ho comunque nessuna intenzione di alzarmi. Sto qua, con la mente vuota: preoccupato, perso. Mi pongo domande impossibili, e nonostante il miscuglio di pensieri che ho in testa la risposta rimane sempre la stessa. La amo, non c’è nient’altro da aggiungere. Perché mi sto complicando la vita così? Perché sto cercando una scusa per abbandonare tutto? Sono un codardo, lo sono sempre appena si presenta una difficoltà. Per questo lei si meriterebbe di meglio.
˗…io non posso darti ciò di cui tu hai bisogno. ˗ sento ancora l’eco delle sue parole risuonarmi nella testa. Non è vero che lei non può darmi ciò di cui ho bisogno, sono io che non riesco ad aiutarla. Non sarebbe finita in ospedale se l’avessi amata come si meritava. È arrivato il momento di prendere una decisione, tanto drastica quanto necessaria. Mi alzo, e senza prendere nemmeno la giacca varco la soglia di casa, lasciando Madeleine nel letto ignara di tutto. Mi chiudo la porta alle spalle, in silenzio. Sospiro, la mia vita è rimasta in sospeso per troppo tempo. Sono egoista a pensare una cosa del genere, ma non ho rimorsi, lo faccio per lei. Un dubbio però si fa strada nella mia mente: se fosse questa fuga a lasciare la mia vita in sospeso? Non lo so, so che devo provarci. Per lei, per farla stare bene.  


Angolo autrice:
Ciao a tutti! Sono appena ritornata in patria! Mi scuso per l'assenza, ma ecco qua il terzo capitolo.
Un bacino a tutti, fatemi sapere che ne pensate!
Ann-marie.

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